Interior Dissidia

di Odinforce
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il principio ***
Capitolo 2: *** I due prescelti ***
Capitolo 3: *** Lei, loro e il diavolo ***
Capitolo 4: *** Il cavaliere dello spazio ***
Capitolo 5: *** Un alieno molto terrestre ***
Capitolo 6: *** Pandamonio! ***
Capitolo 7: *** Uno per tutti, tutti per uno ***
Capitolo 8: *** La notte degli orrori viventi ***
Capitolo 9: *** Burton Castle ***
Capitolo 10: *** Sopravvissuta ***
Capitolo 11: *** L'alchimista d'acciaio ***
Capitolo 12: *** Il corvo ***
Capitolo 13: *** Il Cimitero dei Mondi ***
Capitolo 14: *** Vivi e morti ***
Capitolo 15: *** La vendetta è tutto ***
Capitolo 16: *** Un aiuto inaspettato ***
Capitolo 17: *** Sì, Oscuro Signore ***
Capitolo 18: *** Il guardiano dell'eterna illusione ***
Capitolo 19: *** La prova del padre ***
Capitolo 20: *** La nave dei sogni ***
Capitolo 21: *** Alleanza mortale ***
Capitolo 22: *** Dove l'ombra nera scende ***
Capitolo 23: *** Il guscio vuoto ***
Capitolo 24: *** Il futuro non scritto ***
Capitolo 25: *** Figli del Caduto ***
Capitolo 26: *** Fratellanza ***
Capitolo 27: *** Duello dei destini ***
Capitolo 28: *** Il prezzo della miticità ***
Capitolo 29: *** L'isola nebbiosa ***
Capitolo 30: *** Il fulmine rosso ***
Capitolo 31: *** Codice Keyblade ***
Capitolo 32: *** I due profeti del vitello d'oro ***
Capitolo 33: *** Terapia intensiva ***
Capitolo 34: *** Momenti di pace ***
Capitolo 35: *** Il ragazzo senza passato ***
Capitolo 36: *** Oscurità dell'ignoto ***
Capitolo 37: *** Il risveglio del cuore perduto ***
Capitolo 38: *** Verrà un'orda straniera ***
Capitolo 39: *** Un anello per domarli ***
Capitolo 40: *** Il mai nato ***
Capitolo 41: *** Il ritorno dello Jedi ***
Capitolo 42: *** In piedi! ***
Capitolo 43: *** In nome del padre ***
Capitolo 44: *** Ricordati di me ***



Capitolo 1
*** Il principio ***


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Capitolo 1
Il silenzio era il padrone incontrastato di quella terra da tempo immemorabile, perché non vi era rimasto nulla che potesse spezzarlo. Non c’era nulla di vivo in grado di fare rumore, in grado di interrompere la morsa gelida di silenzio che pervadeva ogni angolo di quel regno oscuro.
E ora, dopo un tempo immemorabile, qualcosa di vivo era finalmente giunto per allontanare il silenzio. Una figura solitaria camminava tra le rovine con passo tranquillo, come se sapesse di non avere nulla da temere; si muoveva con decisione, perfettamente consapevole della sua decisione e delle conseguenze che ne sarebbero derivate. Quello che stava per fare significava soddisfare la volontà suprema...
« Il momento è giunto » sussurrò la figura con un filo di voce. « L’opera deve essere compiuta. Il conflitto deve infuriare. Il fuoco della distruzione deve bruciare. La guerra... deve cominciare. »
Parlava al silenzio, apparentemente, perché intorno a lui non c’era nessun altro. Solo tenebre e rovina. Quel luogo conteneva i resti di un mondo morto ormai da secoli... era impensabile che qualcuno potesse ancora viverci, dato che i suoi abitanti erano periti insieme ad esso. Ma lui restava immobile al suo posto, sicuro di sé. Significava che qualcuno, in verità, lo stava ascoltando.
« Sorgete, miei fratelli » disse con voce un po’ più alta. « Sorgete dalle tenebre della distruzione... vi sto chiamando. Sorgete dall’oblio che vi ha divorati... tornate alla vita! »
La terra tremò sotto i suoi piedi, ma lui non si scompose. Il vento iniziò a soffiare, agitando forte il manto nero che lo avvolgeva, ma lui rimase al suo posto. Osservava soddisfatto il compimento della sua opera, incurante delle forze della natura che infuriavano intorno a lui: si era rivolto a qualcuno, e quel qualcuno faceva ora la sua comparsa.
Molte altre figure emersero dalle tenebre che circondavano quella terra in rovina, ognuno in punti diversi intorno al misterioso individuo che li aveva evocati. Erano diversi nell’aspetto, ma condividevano il timore che potevano incutere con il loro grande potere: un uomo alto dai lunghi capelli bianchi e dagli occhi dorati; un altro vestito completamente di nero, con uno strano casco metallico che gli celava il volto da cui fuoriusciva il suono del suo respiro; una donna bionda vestita con una tuta bianca, con due grandi ali da pipistrello che le spuntavano dalla schiena; un altro uomo vestito da soldato, l’aria dura scolpita sul suo volto sfregiato da profonde cicatrici; un essere dalle sembianze di leopardo delle nevi, ritto sulle zampe posteriori e dal fisico possente; infine, un uomo il cui volto aveva tratti serpentini, armato di una bacchetta di legno. Guardavano tutti in avanti, fissando curiosi l’individuo che li aveva evocati, apparentemente incapaci di proferir parola.
Nessuno riusciva a riconoscerlo. Non fossero in grado di farlo, dal momento che il loro evocatore era celato dalla testa ai piedi da un manto nero, rendendo di fatto la sua identità un mistero. Se non fosse stato solido, sarebbe stato facile confonderlo con le ombre.
« Benvenuti, miei fratelli » disse la figura. « Siete giunti numerosi, questa volta. »
« Perché ci chiami “fratelli”? » domandò l’uomo dai capelli bianchi. « Io non ti conosco nemmeno... chi diavolo dovresti essere? »
« Chi sono io non ha importanza, Ansem, Cercatore dell’Oscurità. Conoscermi non sarebbe di alcuna soddisfazione per te. Ma in realtà dovresti essermi grato, dal momento che ti ho appena sottratto dal regno del nulla... insieme a tutti voi. »
« Cosa? » esclamò la donna alata. « Che stai dicendo? Vuoi dire... che ci hai riportati in vita? »
« Proprio così, Natla » rispose la figura. « Tutti voi, uomini delle tenebre, per quanto diversi, siete accomunati da una condizione... siete tutti morti. Uccisi. Sconfitti dagli eroi che avete affrontato nelle vostre vite.
« Tu, Lord Voldemort » proseguì, fissando lo stregone, « Sei morto per mano di un ragazzo che desideravi uccidere con tutto il cuore, ma al quale hai dato, invece, i mezzi per sconfiggerti. Colonnello Quaritch » e guardò il soldato con le cicatrici, « tu hai combattuto su un pianeta alieno eseguendo degli ordini, e sei stato ucciso dal popolo che avevi l’ordine di distruggere. Darth Vader » e guardò l’uomo in nero, « in un improvviso voltafaccia nei confronti del tuo maestro, volevi proteggere tuo figlio... a costo della vita. E infine tu, Tai Lung » concluse, rivolgendosi al leopardo. « Sei stato sconfitto dal leggendario Guerriero Dragone. »
« Balle! » esclamò quest’ultimo con aria offesa. « Quello non era il Guerriero Dragone... era solo un grosso lardoso panda! »
« Ciò non gli ha impedito di distruggerti. Ecco un’altra cosa che vi accomuna tutti: non avete accettato la grandezza dei vostri nemici, li avete sottovalutati. Non volevate riconoscere la forza che possedevano, sufficiente per porre fine ai vostri piani malvagi. »
« Ti sbagli » disse Darth Vader pacato. « Io sapevo di cosa era capace mio figlio... in lui vedevo delle grandi potenzialità. »
« Be’, chi più, chi meno. Ciò che conta, in fondo, è che ora siete tutti qui... nuovamente vivi, pronti a riprendere le vostre... attività. »
Gli uomini risorti si guardarono tra loro con aria perplessa, diffidente. Era chiaro che cercavano di capire tutti cosa aveva in mente l’essere che li aveva evocati, qual era il suo piano. Che cosa voleva da tutti loro?
« Che cosa vuoi da noi? » domandò infine Natla, incrociando le braccia. « È chiaro che ci hai evocati per un buon motivo. Vuoi forse affidarci una missione da compiere? »
« In effetti è così » rispose l’evocatore. « Voi camminerete su questo mondo con un unico intento... trovare e distruggere i vostri nemici, i quali si stanno risvegliando tuttora in un luogo lontano da qui. »
« Di quali nemici parli? » domandò Quaritch.
« I vostri nemici. Quelli che, in un modo o nell’altro, sono responsabili della vostra fine. Sono tutti qui, in questo mondo desolato... dal primo all’ultimo. Le vostre nemesi. »
Il silenzio calò di nuovo su tutti loro, perché lo stupore si era impadronito degli uomini risorti. Tutti, dal primo all’ultimo, avevano assunto un’espressione sbalordita, perché pensavano tutti la stessa cosa: ognuno di loro si era concentrato sull’individuo che aveva provocato la loro morte. Per ognuno di loro c’era una nemesi, qualcuno che li aveva sconfitti, un assassino. Ognuno di loro li ricordava perfettamente... e nessuno di loro poteva negare di provare un certo timore verso quelle persone.
« Sento in voi la paura, amici miei » continuò la figura misteriosa. « Ma sono sicuro che l’odio è molto più forte. Vi suggerisco di recuperarlo in fretta, se volete uscire vincitori dal conflitto che dovrete scatenare. »
« Perché? » chiese Tai Lung con impazienza. « Perché vuoi farci combattere? »
« Ti dispiace, forse? Ti sto offrendo la possibilità di ammazzare quel grosso lardoso panda... non sei contento di questo? »
« Certo che lo sono! Il problema è un altro, e quello sei tu. Una creatura senza volto e senza nome che ci riporta in vita è una fonte di grande sospetto... come possiamo fidarci di te? »
« Avada Kedavra! »
Era stato Voldemort a urlare all’improvviso, facendo scaturire dalla sua bacchetta un raggio di luce verde che saettò contro l’evocatore, colpendolo in pieno. Un istante dopo era tutto come prima: la figura era ancora in piedi, come se nulla fosse. L’incantesimo di Voldemort, il micidiale Anatema che Uccide, non aveva sortito alcun effetto su di lui. Lo stregone rimase enormemente sorpreso, dal momento che solo un altro era sopravvissuto alla sua maledizione.
L’evocatore si voltò verso Voldemort, mentre dal mantello estraeva a sua volta una bacchetta magica che puntò contro lo stregone. Voldemort si mise in guardia, pronto a contrattaccare.
« Expelliarmus! »
Un raggio di luce rossa scaturì dalla nuova bacchetta, dritto contro Voldemort. Lo stregone agitò la sua bacchetta per difendersi, ma l’incantesimo ostile penetrò facilmente la sua protezione, come un proiettile infrange una vetrata, e lo colpì, strappandogli la bacchetta dalla mano. Voldemort era stato Disarmato.
« A quanto pare ti ho battuto » sussurrò l’evocatore. « E con gran facilità. Credevi davvero di potermi uccidere con i tuoi poteri? No... in effetti credo che tu volessi mettermi alla prova. Verificare la natura del mio potere... capire di cosa fossi capace. Sono sopravvissuto al tuo anatema, e questo la dice lunga. »
« Hai ragione » rispose Voldemort, senza riuscire a nascondere un filo di tensione nella voce. « Però ancora non capisco come mai non sei morto. »
« Non puoi uccidere uno come me... uno che non è vivo né morto. Non conosco la vita né la morte, cammino sul sottile confine tra le due facce dell’esistenza. Ed è proprio qui che vi trovate adesso. In questo mondo sono io a governare... a decidere la sorte. Il mio potere è illimitato.
« Vi fiderete di me » proseguì, « perché non avete altra scelta. Ho appena dimostrato al Signore Oscuro che posso disarmarlo quando voglio, senza alcuno sforzo, e posso fare lo stesso con tutti voi.  Farete quello che vi dico, altrimenti tornerete ad essere cadaveri. Vagherete per questo mondo in cerca dei vostri avversari. Darete loro la caccia e li annienterete. Se riuscirete nell’intento, otterrete una lauta ricompensa. »
« Che genere di ricompensa? » chiese Ansem.
« Quella che avete perduto, e che bramate di riottenere... la vita. »
Tra i presenti si levò un altro gemito di stupore.
« La vita? » fece Quaritch, scettico. « Dici sul serio? Ci riporterai in vita? »
« Se vincerete la battaglia » rispose l’evocatore. « Sarete ricompensati con la vita, e tornerete nei mondi che avete lasciato controvoglia. Sarete liberi di proseguire la vostra esistenza da dove si era interrotta... liberi da coloro che vi avevano ucciso. Proprio così... se vivrete, loro moriranno, e non dovrete temere di incontrarli nuovamente nei vostri mondi. »
Il silenzio dominò ancora una volta il mondo in rovina, perché i Risorti non avevano intenzione di parlare. Erano troppo impegnati a rendersi conto quanto fosse allettante la proposta dell’essere misterioso: avevano l’occasione di vendicarsi su coloro che li avevano uccisi, per poi tornare nei mondi in cui avevano camminato... nuovamente vivi. Come potevano rifiutare un’offerta simile? Era troppo bello per essere vero, lo pensava ognuno di loro.
Tranne Darth Vader, in realtà. Il signore oscuro dei Sith guardava l’evocatore con diffidenza, respirando più forte del normale attraverso la maschera. L’evocatore si voltò verso di lui, intuendo immediatamente le sue intenzioni.
« Perché mi hai scelto? » chiese Vader con voce dura. « Io sono diverso da tutti loro. Eppure vuoi che combatta insieme a loro... che affronti la mia nemesi. Perché? »
L’evocatore rise.
« Perché trovo la cosa molto divertente » rispose. « Voglio proprio vedere cosa farai in questa situazione... come hai intenzione di comportarti. Laggiù, da qualche parte oltre questa valle di devastazione, un giovane guerriero sta aprendo gli occhi in questo momento. Non è altri che tuo figlio. So già che non hai intenzione di affrontarlo... ma pensaci bene. Lo lascerai vagare in questo mondo spezzato, in balìa delle forze oscure che lo minacciano? Potrebbe morire, e di conseguenza non farà più ritorno alla vita da cui l’ho strappato. Il mondo che aveva liberato con il suo eroismo cadrà di nuovo... il Lato Oscuro della Forza tornerà a dominarlo. »
Vader non disse nulla, limitandosi a respirare ancora. Era chiaro che l’evocatore lo aveva convocato solo perché facesse il suo gioco perverso. Non era altro che una pedina al suo cospetto, una pedina che doveva essere controllata a dovere. Avrebbe voluto reagire, ma sapeva già che sarebbe stato inutile: aveva già levato una mano contro l’evocatore, pronto a colpirlo con il potere della Forza...  ma lui stava già preparandosi a contrattaccare, estraendo dal mantello una spada laser come la sua. Per qualche motivo, l’evocatore era in grado di imitare i poteri di ognuno di loro, e questo lo rendeva praticamente invincibile.
« Saggia scelta, amico mio » disse l’evocatore, notando con piacere che Vader arretrava sconfitto. « Resterai qui, come ho stabilito. Solo la morte o la vittoria potranno farti lasciare questo mondo.
« Non ho altro da aggiungere, signori » aggiunse, rivolgendosi a tutti gli altri. « Ora sapete tutto ciò che vi serve sapere. Siete al pieno delle vostre forze, armati e pericolosi come lo eravate in vita. Ora andate, perché la caccia ha inizio. Scovate i vostri nemici... e annientateli! »
Di nuovo silenzio. Questa volta sembrava che l’evocatore avesse colto nel segno, perché i Risorti si accingevano a quel punto a mettersi finalmente in cammino. Voldemort esitò ancora per qualche secondo, poi si decise a parlare mentre riponeva la bacchetta.
« Farò ciò che chiedi, per il momento » disse lo stregone. « Ma voglio almeno sapere per chi sto lavorando. Dimmi il tuo nome, oscura creatura, e lascerò questo luogo con sufficiente soddisfazione. »
« I nomi servono per distinguere le cose » rispose l’evocatore. « Io non ne ho bisogno... sono unico. Non sono vivo né morto... non sono umano né alieno. Io sono il nulla... io sono... Nul. »
Detto questo, la figura si dissolse nell’aria, come se il suo corpo si fosse all’improvviso mutato in fumo. I Risorti restarono a guardare per tutto il tempo, poi, lentamente, si voltarono e presero ognuno una direzione diversa, incamminandosi verso la loro missione. Non dovevano fare altro che ritrovare i loro nemici – i loro assassini – per cambiare il destino.

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Capitolo 2
*** I due prescelti ***


Capitolo 2
In un luogo molto più lontano, in quello stesso momento, qualcuno apriva gli occhi per la prima volta. Si trattava di un ragazzo di sedici anni, dai capelli appuntiti color caramello e gli occhi azzurri. Indossava un curioso abbigliamento nero e azzurro, adatto in apparenza alle escursioni. Il nome del ragazzo era Sora.
Quando aprì gli occhi, Sora si sentiva assai disorientato. Aveva l’impressione di aver perso improvvisamente conoscenza, ma non ricordava come fosse successo. Come se non bastasse, nemmeno il luogo in cui si trovava gli era noto: era seduto a terra, appoggiato con la schiena a un muro di mattoni. Era buio e freddo, una condizione accentuata dal luogo stesso: quello era senza dubbio un vicolo, stretto e cupo. In giro non si vedeva nessuno, perciò era chiaramente solo.
Il giovane si alzò da terra con cautela, guardandosi lentamente intorno. Stava ancora mettendo a fuoco l’ambiente, e ora che ci pensava, quel luogo non era poi così sconosciuto. Gli era già capitato in passato di svenire e di risvegliarsi in un luogo del tutto diverso, in un vicolo simile a questo. Per questo pensò subito di essere tornato nella Città di Mezzo, il mondo che una volta aveva salvato dall’Oscurità. Ma più si guardava intorno, più dubitava di trovarsi nella Città di Mezzo: quel vicolo era più grande e oscuro di quello che aveva già visto; poteva appartenere a un'altra zona... se non addirittura a un’altra città. Quel luogo non aveva nulla di accogliente, a differenza della Città di Mezzo.
Questo, tuttavia, non bastò a scoraggiare Sora, che nella sua vita aveva affrontato ben di peggio. Trovarsi all’improvviso in un luogo sconosciuto era una situazione perfettamente gestibile, dal suo punto di vista, perciò si armò di coraggio e ottimismo e si mise in cammino, prendendo una direzione a caso di quel vicolo stretto. Camminò per un paio di minuti, finché l’uscita del vicolo non apparve davanti a sé.
Oltre la soglia vi era un enorme ambiente urbano. Sora vide edifici e grattacieli che torreggiavano tutt’intorno a perdita d’occhio, mentre una folla immensa di persone camminava lungo la grande strada che si apriva davanti a lui. Persone di ogni sorta, uomini e donne, giovani e adulti, ognuno intento a muoversi sul proprio percorso, senza mai fermarsi. Il ragazzo non aveva mai visto nulla di più caotico... ed era tutto dire, perché  in passato aveva affrontato il Mondo del Caos!
La cosa più inquietante, tuttavia, era il cielo, completamente offuscato da una coltre di nuvole grigie. Sembrava che potesse piovere da un momento all’altro, eppure nessuno ci faceva caso. La gente, per nulla affrettata da un clima in apparenza così instabile, seguitava a camminare per strada con assoluta normalità.
Sora cercò di mantenere la calma. Si trovava da solo in un mondo sconosciuto, senza i suoi amici; soprattutto non vedeva da nessuna parte la gummiship, la nave che gli permetteva di viaggiare tra i mondi. Senza di essa non conosceva altri modi per andarsene, e in qualche modo doveva rimediare. Al momento non aveva altra scelta che mettersi in cammino (anche se non sapeva per dove), in cerca di risposte. Forse qualcuno tra quelle persone poteva aiutarlo...
Gli cadde lo sguardo sul primo individuo che passava, una donna intenta a guardare la vetrina di un negozio accanto al vicolo. Si avvicinò con cautela e alzò una mano, pronto a interagire con un abitante del nuovo mondo.
« Mi scusi, signora » chiese Sora, alzando una mano con aria amichevole. « Sa dirmi dove ci troviamo? »
La donna non rispose. Continuava a voltargli le spalle e a guardare la vetrina, come se non l’avesse sentito. Forse era sorda, pensò il ragazzo, che dunque provò ad insistere.
« Signora? » domandò ancora con voce più alta. « Può aiutarmi? Avrei bisogno di... oh! »
Sora fu colto da un improvviso stupore. Aveva alzato una mano per toccare la spalla di quella donna... e l’aveva attraversata, come se fosse trasparente. Il braccio gli passava da parte a parte, non sentendo nulla a parte il contatto con l’aria. Come se non bastasse, la donna pareva non essersi accorta di nulla, di nuovo.
« Ma cosa...! »
La donna si voltò improvvisamente, staccando gli occhi dalla vetrina. Sora la guardò finalmente in faccia... solo per scoprire che non aveva affatto una faccia. Niente occhi, né naso, né la bocca; era come un manichino, privo di qualsiasi tratto somatico. Eppure si muoveva, era viva: camminava per la strada, avanzando in direzione di Sora. Il ragazzo tentò di scansarsi ma non fu abbastanza rapido; la donna gli passò nuovamente attraverso, come se non avesse corpo.
Sora continuò a fissare la donna che si stava allontanando da lui, e nel frattempo si rendeva conto della realtà che lo circondava. L’intera folla era come lei. Tutte le persone erano senza volto, incorporei al tatto come se fossero fantasmi. Camminavano lungo le strade e il marciapiedi, senza badare affatto a quello strano ragazzo così diverso da loro, che si era stupito nell’assistere a quel fenomeno.
Quella donna non poteva vederlo né sentirlo, pensò Sora... e non poteva nemmeno toccarlo. Possibile che fosse davvero un fantasma? Tutte quelle persone, identiche a lei nell’aspetto e nel comportamento... allora dovevano esserlo anche loro! Un intero mondo pieno di fantasmi... un’idea davvero spaventosa, a pensarci bene. Ma non aveva senso: sentiva rumori dappertutto, i passi, le voci, le automobili... sentiva il brulicare della vita intorno a lui... come potevano essere fantasmi?
Oppure il fantasma era lui, Sora. Non gli era mai capitata un’esperienza del genere. Continuava quindi a chiedersi in che razza di mondo era finito, e in quale modo. Forse era morto e non se ne rendeva conto... e ora era costretto a vagare in un mondo qualsiasi, dove nessuno poteva vederlo.
Pensava a tutto questo mentre vagava per strada, improvvisamente spaventato, mentre altre persone gli passavano attraverso senza notarlo. Per quanto tempo avrebbe dovuto sopportarlo? Come poteva affrontare un problema del genere? Sarebbe stato meglio affrontare di nuovo un migliaio di Heartless, a pensarci bene... almeno avrebbe saputo come fare...
« Riuscite a sentirmi? »
Sora si voltò all’improvviso, quando ormai era in preda allo sconforto. Qualcuno aveva gridato in lontananza, da qualche parte in mezzo alla folla. Il ragazzo prese quella direzione, deciso a scoprire di cosa si trattava... quelle parole sembravano dargli un pizzico di sollievo: non era da solo... c’era qualcun altro nella sua stessa situazione.
« Eeeehi! C’è qualcuno? Qualcuno riesce a sentirmi? Aiuto! »
Il ragazzo continuò ad avanzare, facendosi strada in mezzo a quell’immensa folla, attraversando parecchie persone senza volto che continuavano a far finta di nulla. Dopo alcuni minuti di corsa, finalmente trovò chi stava cercando: le grida di aiuto provenivano da un altro ragazzo, che si voltava disperato in ogni direzione in cerca di qualcosa, o di qualcuno. Anche lui sembrava un fantasma rispetto alle altre persone, perché non riusciva a toccarle, proprio come Sora. Questi si avvicinò rapidamente, inevitabilmente sollevato. Non era da solo.
« Io posso aiutarti » disse Sora con gentilezza. « Io riesco a sentirti. »
Il ragazzo si voltò verso di lui, con evidente stupore nel suo volto. Sora lo esaminò attentamente: dimostrava all’incirca la sua età, ma era più alto di lui; aveva capelli neri molto arruffati e un paio di occhiali rotondi; indossava semplici abiti urbani, non diversi da quelli di molte persone intorno a loro; inoltre aveva una cicatrice a forma di saetta sulla fronte, un particolare che decisamente stonava con tutto il suo aspetto.
« Stai bene? » domandò ancora Sora, porgendogli una mano. Il ragazzo occhialuto annuì leggermente, e allungò la mano a sua volta. Le loro dita s’incontrarono senza attraversarle, e un’ondata di sollievo investì entrambi: ciascuno era solido per l’altro... potevano vedersi, sentirsi e toccarsi.
« Che cosa sta succedendo? » domandò il ragazzo, guardandosi intorno. « Tu lo sai? Qual è il tuo nome? »
« Mi chiamo Sora... ma non ho idea di cosa sta succedendo. Questo luogo non mi è familiare. »
« Vale anche per me. A proposito, io mi chiamo Harry. Harry Potter. Forse avrai sentito parlare di me... »
« No, a dire il vero » disse Sora, apparendo un po’ imbarazzato. « Perché dovrei conoscerti? Sei famoso? »
« In un certo senso... ma non importa, lascia perdere. »
Harry si guardò nuovamente intorno, cercando di valutare la situazione.
« Tu cosa credi che stia succedendo? » domandò Sora. « Io mi sono risvegliato all’improvviso in un vicolo qua vicino, senza nessun ricordo di come ci sia finito. Prima di allora mi trovavo... a casa mia » aggiunse, cercando di non dire troppo. Ormai sapeva fin troppo bene che non doveva far sapere agli altri di provenire da un altro mondo, a meno che non fosse necessario.
« Vale lo stesso per me » disse Harry. « anch’io mi sono ritrovato qui all’improvviso, senza sapere in che modo. Deve essere questo che abbiamo in comune... siamo stati strappati dalle nostre dimore. Tu da dove vieni? »
« Da un’isola... ben lontana da luoghi come questo. È tutto ciò che posso dirti. »
« Capisco... be’, io invece ho più familiarità con posti del genere. Ho vissuto per un po’ di tempo a Londra. »
« Mai sentita nominare » rispose Sora. « È una città? »
Harry lo guardò stupito.
« Sì, è una città. Devi vivere proprio fuori dal mondo per non conoscerla, vero? Comunque non è a Londra che ci troviamo adesso. Gli edifici sono molto più grandi, e anche i Bab... voglio dire, anche la gente sembra diversa. »
Si squadrarono entrambi in silenzio per qualche secondo, poi Sora riprese a parlare.
« Ho un’idea » dichiarò. « Credo che dovremmo unire le forze, per scoprire la verità su questa situazione. Se restiamo uniti potremo trovare delle risposte, e forse anche un modo per tornare a casa. Che ne pensi? »
« Direi che hai ragione » concordò Harry. « Sei l’unico ad essere giunto in mio aiuto, quindi voglio fidarmi. Sento che è la cosa giusta da fare. »
Il ragazzo sorrise, porgendo la sua mano a Sora. Lui sorrise a sua volta e gliela strinse, nel più classico gesto d’amicizia che esiste al mondo. In quell’attimo parve quasi che il tempo si fosse fermato, anche se non potevano spiegarsi il perché...
« Oh » fece Sora all’improvviso. La sua attenzione era stata improvvisamente attirata da qualcosa che non era Harry, dato che guardava in un punto oltre le sue spalle. Il ragazzo si voltò per capire, e scoprì la verità nel giro di un istante. La gente intorno a loro si era fermata: ogni persona nei dintorni aveva smesso di camminare, e ora guardava inequivocabilmente i due ragazzi, che ancora si tenevano per la mano. Anche se non avevano volto, le loro teste erano rivolte verso di loro, rimanendo immobili. Harry e Sora capirono dunque di essere in qualche modo diventati visibili a quella gente... ma intuirono anche che ciò non era necessariamente un bene.
Le persone restarono immobili per una manciata di secondi. Poi, in un gesto fluido, sincronizzato, sollevarono tutti il braccio destro, puntando l’indice contro Harry e Sora. Li indicavano come fossero estranei, criminali o appestati, insomma con disprezzo.
« Che... che cosa volete? » chiese Harry, divenuto improvvisamente ansioso. Ma non ebbe risposta. La gente restò in silenzio, continuando ad indicarli in modo così spietato.
Poi, dopo un’altra manciata di secondi, scoppiò il caos. Le persone balzarono addosso ai due ragazzi, aggredendoli in ogni direzione. Non erano armati, ma la loro superiorità numerica era una forza più che sufficiente per fare loro del male. Harry e Sora indietreggiarono subito, ma erano circondati, privi di qualsiasi via di fuga... non avevano altra scelta che affrontarli.
« Dannazione! » gridò Sora, divincolandosi da un uomo che lo aveva afferrato. « Harry, tieni duro... sto arrivando! »
Ci fu un lampo di luce, e Sora respinse in un attimo il gruppo di persone che lo assaliva; senza perdere altro tempo raggiunse Harry, colpendo altre persone con l’arma che ora aveva tra le mani: una grossa spada argentata che aveva la forma di una chiave.
Gli uomini senza volto erano impotenti contro l’arma di Sora, con la quale sbaragliò senza sforzo tutti quelli che incontrava. Con un solo colpo liberò Harry dai suoi assalitori, traendolo dunque in salvo.
« Stai bene? »
« Credo di sì » disse Harry, sistemandosi gli occhiali sul naso. « E quella da dove salta fuori? » aggiunse, guardando la spada.
« Il Keyblade è sempre con me » rispose Sora con fierezza. « È il mio potere, e posso evocarlo ogni volta che ne ho bisogno. »
La gente non si fece intimidire dal potere di Sora, e continuò ad avanzare. Il ragazzo restò in guardia, puntando il Keyblade contro di loro, pronto a combattere.
« Non sono i nemici che sono solito affrontare... ma se mi attaccano, non ho altra scelta che difendermi. Resta dietro di me, Harry. »
« Nossignore » disse Harry, che invece si pose al suo fianco. « non puoi farcela da solo contro tutti questi tizi... avrai bisogno del mio aiuto. »
Sora lo guardò con aria interrogativa, perché Harry stava estraendo dalla tasca una bacchetta di legno e la puntava contro la gente. I senza-volto attaccarono ancora, in una nuova ondata...
« Impedimenta! »
Un raggio di luce saettò dalla bacchetta di Harry, colpendo un folto gruppo di persone. Queste rimasero bloccate sul posto, come se si fossero improvvisamente congelate.
« Stupeficium! »
Un secondo raggio di luce colpì un altro gruppo, scaraventandoli all’indietro con la forza di una cannonata. Le persone colpite rimasero a terra, prive improvvisamente di conoscenza.
Lo sguardo di Sora si trasformò in sorpresa.
« Oh, allora sei un mago! »
« Proprio così » rispose Harry. « Se lo sai, allora anche tu devi esserlo. »
« Be’, non ho il titolo di mago, ma sono capace di qualche trucchetto. Sta’ a vedere... Firaga! »
Fiamme enormi divamparono dalla punta del Keyblade, che circondarono Harry e Sora proteggendoli con una muraglia ardente. I senza-volto non osarono avanzare, troppo spaventati dal fuoco danzante.
« Notevole » commentò Harry.
« Già, ma non basterà contro tutti loro » disse Sora con serietà. « Sono troppi... non possiamo affrontarne così tanti in una volta. »
« Hai ragione... non abbiamo altra scelta, dobbiamo scappare. »
« E come? Siamo circondati... »
Harry non aggiunse altro, e afferrò Sora per il braccio. All’improvviso divenne tutto buio: Sora si sentì mancare il respiro, come se una mano gigantesca lo stesse strizzando, poi cessò tutto. Un attimo dopo era di nuovo nella città, insieme a Harry... ma in un luogo diverso. Si trovavano in una strada deserta, accanto a quello che sembrava un parco pubblico.
« Tutto bene? » chiese Harry, facendosi subito tranquillo.
« Sì... ma cosa è successo? »
« Sono stato io, ho compiuto una Materializzazione Congiunta. »
« Vuoi dire che ci siamo trasportati per magia in un altro posto? »
« Proprio così, è una delle mie capacità... tu non ne sei capace? »
« No... e forse preferisco che sia così » disse Sora, che in effetti avvertiva un certo capogiro.
« Lo so, ci vuole un po’ ad abituarsi ai salti... quasi tutti vomitano, la prima volta. »
Sora prese a guardarsi intorno non appena si sentì meglio. Sembrava che in giro non ci fosse nessuno, ma udiva ugualmente i consueti rumori urbani in lontananza. Capì che non era saggio restare fermi in un posto, quindi sarebbe stato meglio per entrambi cercare un luogo più riparato. Si voltò quindi verso Harry per proporre la sua idea, quando si accorse che l’amico era distratto: il ragazzo occhialuto fissava la sua bacchetta magica con aria stupita, come se non credesse ai suoi occhi.
« Cosa c’è? »
« Niente » disse Harry con esitazione. « È solo che... questa bacchetta... »
« Cosa? »
« Non importa » tagliò corto, riponendo la bacchetta in tasca. « Sarà meglio proseguire... questo luogo non è abbastanza sicuro, per quanto mi riguarda.
Sora annuì. I due presero quindi a camminare, restando il più possibile all’interno del parco. In giro non si vedeva ancora nessuno: sembrava non ci fosse più traccia di quegli esseri senza volto che li avevano aggrediti. Eppure erano stati circondati da una folla intera... com’era possibile che non se ne vedessero altri?
« Tutto questo non ha senso » dichiarò Sora dopo un po’. « Nella mia vita ne ho viste di cose assurde, ma questa le batte tutte. »
« Vale anche per me » aggiunse Harry. « Non mi era mai capitato nulla di simile, prima d’ora. Tutte quelle persone... inizialmente sembravano fantasmi, ma in realtà non è così. Io conosco i fantasmi, e hanno caratteristiche diverse. Non possono diventare solidi all’improvviso. »
« Boh, se lo dici tu... io non so un granché sulle cose occulte. »
« Ad ogni modo, dobbiamo scoprire dove ci troviamo. Cominciamo dal nome di questa città... magari ci aiuterà ad orientarci nel luogo. »
« Buona idea » commentò Sora. « Ma come facciamo? Di chiedere in giro non se ne parla... i cittadini non sono affatto cordiali, se non l’hai notato. »
« Troveremo un modo, vedrai » lo rassicurò Harry. « Se so una cosa dei grandi centri urbani, è che in essi puoi trovare tutto quello che ti occorre... »
Bang!
Harry interruppe la frase, improvvisamente spaventato. Lui e Sora si voltarono entrambi nella stessa direzione, da cui era partito quello che indubbiamente era uno sparo. Non fecero in tempo a chiedersi che stava succedendo, quando udirono un secondo sparo, poi un altro, e un altro ancora. Qualcuno stava usando una pistola in lontananza, oltre la strada.
Bang, bang, bang...
« Ma che sta succedendo? Chi diavolo è che spara così? » esclamò Sora.
« Non ne ho idea » rispose Harry. « Ma ho un brutto presentimento. E se fosse un altro come noi? Forse sta affrontando le persone, come ci è successo poco fa. »
« Allora dobbiamo aiutarlo! Se se la sta vedendo con una folla simile, anche se ignoro quante pallottole abbia, non ce la farà mai da solo! »
Harry annuì, e un attimo dopo stavano già correndo insieme nella stessa direzione. Arrivarono alla fine della strada e girarono l’angolo, trovandosi in un'altra via. Là stava accadendo quello che cercavano: una folla di senza-volto si stava raggruppando in massa intorno a un furgone rovesciato, sopra il quale c’era una persona. Si trattava di una donna armata di un paio di pistole, e con quelle cercava di difendersi sparando colpi a ripetizione. Ma i senza-volto continuavano ad avanzare, incuranti della fiera resistenza che lei opponeva.
« State indietro, maledetti! » gridò la donna, continuando a sparare. Ma un attimo dopo cessò il fuoco, perché le pistole erano scariche. Si apprestò subito a ricaricare, ma i senza-volto ne approfittarono per arrampicarsi in massa.
« Impedimenta! »
L’incantesimo di Harry colpì la gente più vicina al furgone, rallentandoli. Sora approfittò del momento per salire a bordo e raggiungere la donna, sguainando il Keyblade. Lei lo guardò sorpresa, non aspettandosi assolutamente l’arrivo dei rinforzi.
« Firaga! »
Un muro di fuoco divampò dall’arma, che investì l’intera folla. I senza-volto decisero dunque di arretrare, rinunciando all’attacco.
« Muoviamoci, presto! » gridò Sora, che afferrò la donna per un braccio. Insieme saltarono giù dal furgone, raggiungendo Harry, che continuava a scagliare incantesimi sui senza-volto per trattenerli. La folla aveva infatti ripreso ad attaccare, e avanzava inesorabile verso il trio.
« Ne ho abbastanza! » urlò Sora, improvvisamente arrabbiato. Sollevò il Keyblade in aria, poi lo abbassò di scatto, battendolo al suolo. Ci fu un enorme lampo di luce che investì la folla, così forte da abbagliare anche Harry e la donna.
Un attimo dopo era tutto finito. Il bagliore si dissolse, e la strada tornò visibile. Sora guardò in avanti, dove aveva colpito. Si aspettava di trovare un mucchio di persone a terra, stordite dal colpo, invece no: i senza-volto erano rimasti al loro posto, in piedi ma immobili, come se non fosse accaduto nulla. Tuttavia non attaccavano più.
« E ora che gli prende? » fece la donna, puntando le pistole contro di loro.
I senza-volto rimasero immobili per un po’. Poi, suscitando lo stupore del trio, ripresero a muoversi... ma non contro di loro. Camminavano tutti in direzioni diverse, tranquilli e innocenti; sembrava di nuovo la folla indifferente che Sora aveva incontrato all’inizio. Lo confermò definitivamente quando un paio di persone li attraversarono, ed erano nuovamente incorporei.
« Sono tornati come prima »  osservò Sora, guardandosi intorno. « Non ci attaccano più. »
« Sì, ma io non resterei qui ad aspettare che ci riprovino » intervenne la donna con serietà. « Sarà meglio allontanarci, finché si comportano così. »
Harry e Sora si voltarono a guardarla. Solo in quel momento potevano osservarla bene, ora che avevano smesso di combattere. Era alta e bella, con i capelli castani raccolti in una lunga treccia e dalle curve prosperose. Indossava un top verde acqua sopra dei pantaloncini corti da escursione, con un cinturone completo di fondine. Oltre alle pistole era dotata di una specie di spada, appesa a una cintura dietro la schiena. Aveva l’aria seria e determinata, come se vivesse di avventure. In un certo senso, quello sguardo era ciò che aveva in comune con i due ragazzi.
« Stai bene? » domandò Sora con leggero imbarazzo, cercando di non fissare il grosso seno della donna.
« Sì, grazie a voi » rispose lei, intenta a ricaricare una delle pistole. « Credo di dovervi la vita... se non foste intervenuti, a quest’ora quegli esseri mi avrebbero sicuramente uccisa. A proposito, voi chi siete? »
« Io sono Sora. »
« Io Harry... Harry Potter. Devi essere inglese come me, a giudicare dall’accento. »
« Esatto » disse lei. « Io sono Lara Croft. Piacere di conoscervi. A quanto pare, ci troviamo nella stessa situazione. Finora avevo creduto di essere l’unica ad avere un problema con quegli strani tipi. »
« Allora anche tu vieni da un altro... luogo? » chiese Sora, trattenendosi dal dire “mondo”.
« Direi di sì. Mi sono risvegliata all’improvviso in questo posto, senza avere la minima idea di come ci fossi finita. Ero circondata da quella folla di persone senza volto... all’inizio sembravano non badare a me, ma poi, all’improvviso, mi hanno aggredita. Non saprei dire come sia successo. Per fortuna siete arrivati voi a tirarmi fuori dai guai. »
« Oh, è stata una passeggiata » esclamò Sora sorridendo, brandendo fiero il Keyblade. « Quei bifolchi non potevano certo competere con il mio potere! »
« A proposito, Sora, come ci sei riuscito? » domandò Harry incuriosito. « È evidente che hanno smesso di attaccarci dopo che li hai colpiti con quell’esplosione di luce. Come hai fatto a provocarla? »
« È il potere della Luce. È da essa che proviene il Keyblade. L’arma mi ha scelto per proteggere le forze del bene, dotandomi di un grande potere. »
« Mmm » mormorò Harry perplesso. « Non capisco molto bene, ma dev’essere così. Per fermare quegli esseri ci è voluta una grande quantità di energia, che li ha in qualche modo resettati. Hanno ripreso la loro normale attività. »
« Ma chissà per quanto tempo durerà » intervenne Lara. « Come ho già detto, potrebbero attaccarci di nuovo, perciò allontaniamoci da qui il più possibile. »

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Capitolo 3
*** Lei, loro e il diavolo ***


Capitolo 3
« Dimmi un po’, Lara » domandò Sora poco dopo, mentre percorrevano con cautela un vicolo. « Tu cosa sei? Voglio dire... ti abbiamo vista combattere, prima, e ho notato che sapevi il fatto tuo. Sai combattere, insomma... sei una guerriera? »
« No, niente del genere » rispose Lara un po’ sorpresa. « Sono un’archeologa. »
« Una cosa? »
« Un’archeologa. Studio le civiltà e le culture del passato e le loro relazioni con l'ambiente circostante, mediante la raccolta, la documentazione e l'analisi delle tracce materiali che hanno lasciato. »
« E fai tutto questo sparando alla gente? »
« Certo che no » aggiunse Lara. « Ma il mio mestiere non è privo di pericoli. Mi ritrovo spesso a viaggiare per il mondo, addentrandomi in luoghi pericolosi o inospitali per l’uomo. Per questo porto sempre con me delle armi, per affrontare i pericoli. »
« Capisco » fece Sora, senza nascondere un lieve imbarazzo. Finora non aveva mai avuto a che fare con una persona del genere, e non sapeva dire se considerarlo un bene o un male.
« E voi, invece? » domandò Lara, guardando Harry. « Siete dei maghi? Ho visto i poteri che avete scatenato prima, sono sorprendenti. Non avevo mai visto niente del genere in vita mia... e ne ho viste, di cose strane. »
« Be’, io sono un mago » rispose Harry, « mentre Sora ha questo “Keyblade” di cui ignoro la natura. Però non dovrei dirti tutto questo, in genere... »
« Perché mai? »
« Tu sei una Babbana. Una persona senza poteri magici, insomma. È così che li chiama la mia gente. I maghi vivono nascosti da secoli, cercando di celare l’esistenza della magia a tutti i Babbani. Poiché si tratta di una legge, io ho il divieto di mostrare la mia vera natura a quelli come te... a meno che non sia costretto per proteggere la mia vita. »
« La situazione è più o meno questa, allora » commentò Lara. « Ti sei rivelato per difenderti dai senza-volto. Comunque non temere, con me il tuo segreto è al sicuro. In passato ho avuto a che fare con diverse forme di magia, e con persone che sapevano usarla... e ho sempre evitato di farlo sapere in giro. Credo che il mondo non sia ancora pronto per accettare roba del genere. »
« È quello che dicono tra la mia gente, infatti. »
I tre compagni proseguirono ancora per un po’, finché non raggiunsero la fine del vicolo. Davanti a loro si apriva un’altra strada principale, affollata di senza-volto come quella di prima. I tre restarono fermi dov’erano, cercando di capire cosa fare.
« Allora che si fa? » domandò Sora, guardandosi intorno. « Visto che sei la più grande tra noi, Lara, ora il capo sei tu. Cosa proponi di fare? »
Lara osservò l’ambiente per un po’, cercando di orientarsi e valutare la situazione, poi si voltò verso gli altri due.
« Prima di tutto dobbiamo capire dove siamo » annunciò. « Questa città non mi è affatto familiare. Da quel che ho capito, neppure voi sembrate riconoscerla, dunque ci troviamo in un luogo completamente estraneo alle nostre esperienze. La cosa migliore dunque, è scoprire in che razza di posto ci troviamo, per poi trovare il modo per uscirne. »
« E come facciamo? » domandò Harry.
« Intanto scopriamo che città è questa, come avevi proposto tu. Ovviamente si tratta di una grande metropoli, ma al mondo ne esistono centinaia. Potremmo benissimo trovarci in America o in Giappone, o in qualsiasi capitale europea. Ma non vedo monumenti in giro che possano aiutarci a identificarla. Non abbiamo altra scelta che girare nei dintorni finché non troviamo qualche indizio. Prima o poi troveremo un cartello, un’insegna o un luogo che indichi il nome di questa città. »
« Buona idea » disse Sora. « Però c’è un problema... le strade sono piene di quei tizi che volevano farci fuori. Come facciamo ad andare in giro senza che ci scoprano? »
Lara non rispose. In compenso estrasse una pistola e si affacciò sulla strada. Prese la mira e sparò un paio di colpi alla prima persona che trovò. Harry e Sora furono esterrefatti: tirarono fuori le loro armi, pronti ad affrontare un nuovo assalto, ma non fu necessario. Non era accaduto assolutamente nulla. Il senza-volto a cui Lara aveva sparato non aveva subito alcun danno; i proiettili lo avevano attraversato senza fargli nulla.
« Sono ancora intangibili » concluse la donna, riponendo l’arma. « Vuol dire che per il momento non ci vedono e non ci sentono. Dobbiamo approfittare di questo momento. Basteranno pochi minuti... raggiungiamo la strada e guardiamoci bene intorno. Il primo che scopre qualcosa avverta subito gli altri, e ci ritiriamo. Intesi? »
Harry e Sora annuirono insieme. Subito dopo il trio era sulla strada, in cerca di qualsiasi cosa li aiutasse a identificare la misteriosa città. Si guardarono attentamente intorno, fissando cartelli, insegne e targhe sui muri.
Purtroppo, i tre compagni scoprirono con enorme disappunto di non poter leggere assolutamente nulla. Le insegne dei negozi, i manifesti sui muri, i cartelloni pubblicitari e persino i segnali stradali erano completamente in bianco. In giro non c’era nulla che recasse una scritta leggibile; persino i libri esposti in una vetrina erano bianchi; a un certo punto un esasperato Harry rovesciò un cestino dei rifiuti e raccolse un giornale, per scoprire cosa conteneva. Ma anche quello era bianco, fatta eccezione per la prima pagina che recava scritto:
 
OGGI NON E' SUCCESSO NULLA
 
« Dannazione! » esclamò il ragazzo furibondo, attirando l’attenzione dei compagni. « È inutile, qui non c’è proprio nulla! siamo in una città fantasma! »
« Mi duole ammetterlo, ma Harry ha ragione » commentò Sora. « Stiamo girando da parecchio, e ancora non abbiamo trovato il minimo indizio sulla natura di questo posto. È strano che ci siano cartelli e manifesti dappertutto, eppure non ci sia scritto nulla! Allora a quale scopo li hanno attaccati? »
« E nessuno sembra farci caso » osservò Lara, continuando a guardarsi intorno. « Guardate, le persone interagiscono normalmente. Guardano i cartelli, consultano mappe, leggono i giornali... come se ci fosse scritto qualcosa. Forse loro possono leggerli, mentre noi no. »
« Vuoi dire che non possiamo fare quello che fanno loro? Ma perché? »
« Forse perché noi siamo degli intrusi. Presenze estranee in un luogo che non ci appartiene. E in quanto tali, non possiamo accedere alle informazioni come fanno tutti gli altri. »
« Ma allora che razza di posto è? » fece Harry spazientito. « In che genere di luogo assurdo siamo finiti? »
« Forse è un altro mondo » disse Sora all’improvviso.
Harry e Lara lo guardarono stupiti.
« Probabilmente vi sembrerà strano » riprese il ragazzo, « ma credo di aver ragione. Questo luogo è diverso da quello in cui viviamo. Non sappiamo come ci siamo arrivati, perché chiaramente siamo stati portati qui da una forza sconosciuta. Questo non è un luogo, ma un mondo... un altro mondo, diverso da quello da cui proveniamo. »
« E tu come lo sai? » chiese Harry.
« Perché io provengo da un altro mondo. Normalmente non dovrei dirlo, perché mi è proibito come nel caso di Harry... ma la situazione è critica, e non mi sembra giusto mantenere un segreto che potrebbe aiutarci a uscirne. Io non ho mai sentito parlare di Londra, la città di Harry, perché non esiste nel mondo da cui provengo... né l’ho mai vista negli altri mondi che ho visitato. »
In realtà non era esatto, perché Sora aveva visitato brevemente la città di Londra in passato, quando aveva viaggiato nell’Isola che Non C’è. Tuttavia non poteva saperlo, perché non aveva appreso il nome della città che aveva visto di sfuggita.
« Vuoi dire che tu puoi viaggiare attraverso i mondi? » chiese Lara incredula.
« Proprio così. Fa parte della mia missione... in qualità di Custode del Keyblade, ho il dovere di proteggere i mondi dalla minaccia dell’Oscurità. Ma è una lunga storia... »
« Ma allora, se puoi viaggiare tra i mondi, potresti anche andartene da qui » suggerì Harry.
« Sì, potrei... se ne avessi i mezzi » rispose Sora, diventando improvvisamente mortificato. « Ma sono sulla vostra stessa barca. Non ho idea di come sono finito qui, e non ho il potere per andarmene. Purtroppo non ho ancora appreso tutte le capacità che può fornirmi il Keyblade. »
« Va bene, non importa » tagliò corto Lara. « Purtroppo tutto questo non ci aiuta. La situazione è sempre la stessa... dobbiamo capire dove ci troviamo. »
« E come? Finora non abbiamo trovato nulla » disse Harry scoraggiato.
« Basterà cambiare strategia. In casi del genere, quando ti ritrovi in un luogo completamente sconosciuto, privo di risorse che possano aiutarti, la cosa migliore da fare è salire sulla cima più alta per osservare l’intera zona. Si fa così, di solito, quando uno si perde su un’isola deserta. »
« Ma questa non è un’isola » puntualizzò Sora.
« Il principio non cambia. E non mi sembra che abbiamo delle alternative, giusto? »
I due ragazzi si guardarono per alcuni secondi, soppesando la proposta.
« Non è una cattiva idea, in fondo » rispose Sora, tornando a guardare la donna. « Forse così riusciremo finalmente a scoprire dove siamo. Ma su quale cima dovremmo salire? Qui è pieno di palazzi ed edifici, non ci sono mica montagne. »
« Che ne dite di quella? » intervenne Harry, indicando un punto oltre il loro sguardo. Sora e Lara lo seguirono, trovando subito ciò a cui si riferiva: un grattacielo, il più alto tra i numerosi edifici che circondavano l’area urbana. Era così alto che sembrava raggiungere il tetto di nuvole che copriva il cielo.
« Bravo, Harry » disse Lara soddisfatta. « Mi sembra un ottimo posto da cui guardare in basso. Andiamo, allora, che cosa aspettiamo? »
« Uff » sospirò Sora, un po’ seccato. « C’è una bella distanza tra noi e quel palazzone... sarà dura raggiungerlo a piedi. »
« Non mi sembra che abbiamo alternative » commentò Harry, guardandolo torvo. « O forse hai un appuntamento a cui non puoi mancare? »
« Non sarà necessario camminare tanto » intervenne Lara. « Mi è venuta un’altra idea! »
I due ragazzi si voltarono, e videro l’archeologa mentre si avvicinava a un’automobile parcheggiata là vicino. Lara ruppe il finestrino con un pugno e aprì lo sportello.
« Non possiamo toccare le persone, ma ciò non vale con gli oggetti e le macchine » spiegò la donna, mentre si metteva a trafficare con qualcosa sotto il volante. « Possiamo prendere in prestito questa per arrivare laggiù... sono certa che al proprietario non dispiacerà, visto che per lui non esistiamo nemmeno. »
Pochi attimi dopo, la macchina si mise in moto. Lara era riuscita a farla partire senza la chiave d’accensione. Incoraggiati dal gesto, Harry e Sora salirono a bordo senza discutere.
Il viaggio in auto verso il grattacielo fu abbastanza tranquillo. L’unico intoppo era costituito dal traffico urbano, che non potevano evitare in alcun modo dato che le altre macchine non erano intangibili. I senza-volto continuavano a ignorarli, dunque per loro erano ancora invisibili.
Il trio impiegò circa mezz’ora per arrivare a destinazione. Lara parcheggiò l’auto davanti al grattacielo con noncuranza, e scese insieme ai due ragazzi. L’edificio sembrava ancora più alto, ora che potevano ammirarlo da vicino, ma ciò non bastò a scoraggiarli; si guardarono rapidamente intorno, ma la poca gente in giro continuava imperterrita a non badare a loro.
« Finora è andata bene » mormorò Lara. « Entriamo, forza. »
Varcarono la soglia ed entrarono nell’edificio, senza attirare l’attenzione di nessuno. Intorno a loro si apriva l’enorme spazio dell’atrio, dove si muovevano numerosi senza-volto: uomini e donne di ogni sorta, entravano e uscivano, ognuno con le proprie faccende da sbrigare. Per Harry e Lara significava il consueto traffico di gente che imperversava nelle grandi città, ma per Sora era una novità, dal momento che non aveva mai visto luoghi del genere.
Visto che il grattacielo era decisamente alto, i tre decisero all’unanimità di prendere l’ascensore, per raggiungere la sommità il più in fretta possibile. S’infilarono nella prima cabina vuota e chiusero le porte, per impedire ai senza-volto di seguirli. Lara premette il pulsante per il piano più in alto, e un attimo dopo l’ascensore iniziò a salire. Per un po’ restarono in silenzio, soffermandosi ad osservare l’ambiente ristretto. L’aria era opprimente, ma confidavano che sarebbe terminata in fretta...
« È alto, eh? » commentò Sora con indifferente ottimismo. Non sapeva come agire in un mondo così strano, così diverso.
« Ho visto di peggio » rispose Lara. « Ho scalato montagne ben più alte di questo palazzo, con le mie sole mani. »
« Caspita » intervenne Harry, decisamente colpito. « E non ti sei mai tirata indietro? »
« Mai. Ormai considero l’avventura la mia stessa vita, e non perdo occasione per muovermi all’aria aperta. È il mio modo per sentirmi viva. »
« Però ogni tanto dovresti pensare a fermarti... »
Crunk!
L’ascensore si era fermato di colpo, a tal punto da far perdere l’equilibrio ai tre compagni. Sora scivolò e finì addosso a Lara, che a sua volta fece cadere Harry. Subito dopo si spense la luce, lasciandoli quasi completamente al buio.
« Cos’è successo? » esclamò Sora, riemergendo dal seno della donna. « Siamo arrivati? »
« No, purtroppo » rispose Lara, controllando il pannello della cabina. « L’ascensore si è bloccato... deve aver avuto un guasto. »
« E come facciamo a rimetterlo in moto? »
« Da qui non possiamo fare nulla, e io non me ne intendo di simili marchingegni. Dovremmo aspettare che qualcuno lo ripari dall’esterno. »
« Aspettate » intervenne Harry, estraendo la bacchetta. « Possiamo provare in questo modo... Reparo! »
Non accadde nulla. L’ascensore rimase immobile, incastrato come prima. Harry guardò incredulo la bacchetta. L’incantesimo non aveva funzionato, eppure avrebbe dovuto... se quella bacchetta aveva fallito, non avrebbe funzionato nient’altro.
« La tua magia ha fatto cilecca, a quanto pare » mormorò Lara. « Allora non ci resta che usare la forza. Qui dice che siamo fermi al trentottesimo piano... se riusciamo ad aprire la porta, possiamo proseguire usando le scale. »
« Fatevi da parte, allora » dichiarò Sora, che sfoderò il Keyblade e lo puntò verso la porta. Con un solo affondo sfondò l’acciaio, aprendo uno squarcio abbastanza grande per passare. Così i tre compagni uscirono, uno dopo l’altro, ritrovandosi al piano che avevano raggiunto.
Era un lungo corridoio, oscurato allo stesso modo della cabina dell’ascensore. In giro non si vedeva nessuno, e ciò non faceva che aumentare il sospetto.
« Qualcosa non va » disse Lara guardandosi intorno. « Dove sono finiti tutti? Inoltre sembra che manchi la corrente. Qualcosa mi dice che è così in tutto l’edificio. Forse un blackout... »
« Credi che sia accaduto qualcosa? » domandò Sora, restando in guardia. « In effetti ho un brutto presentimento. »
« Guardate! » esclamò all’improvviso Harry, indicando verso destra.
Sul pavimento era comparsa una grossa macchia scura, fatta di ombre. Da essa emersero diverse figure, nere come il buio, delle dimensioni di un cane. Erano piccoli esserini neri dalla forma umanoide, con un paio di antenne sulla testa e i grandi occhi gialli, come fari nella notte. Dopo essere emersi fissarono subito lo sguardo sui tre compagni, uno dei quali aveva assunto un’aria sconvolta.
« Dannazione! » gridò Sora, facendosi avanti con il Keyblade. « Sono arrivati anche qui, quei maledetti... non mollano mai. »
« Di che stai parlando? » chiese Harry. « Tu li conosci? »
« Altroché... sono gli Heartless. State attenti, vogliono i nostri cuori... non lasciate che vi prendano! »
Harry e Lara non ebbero il tempo di capire le parole dell’amico, perché le creature nere attaccarono un attimo dopo, in massa. Avanzarono guizzando sul pavimento con rapidità, e in un istante gli erano già addosso. Sora ne distrusse un paio con un fendente, poi si occupò degli altri. I due compagni, incoraggiati, sfoderarono le loro armi e si unirono anch’essi alla lotta. Harry scagliò incantesimi, Lara sparò a raffica in ogni direzione; le loro forze combinate furono sufficienti per eliminare gli Heartless, che in pochi minuti furono annientati.
« È fatta » dichiarò Sora, abbassando il Keyblade. « Sembra che li abbiamo distrutti tutti. »
« Ma che diavolo erano quei cosi? » chiese Lara, del tutto restia ad abbassare la guardia.
« Esseri senza cuore, corrotti dal potere dell’Oscurità. Sono gli Heartless, il mio principale nemico... una minaccia per i mondi protetti dalla Luce. Come custode del Keyblade, ho il dovere di affrontare queste creature per impedire il loro avanzare su tutti i mondi... perché ne provocano la distruzione. »
« Cavolo » esclamò Harry, visibilmente agghiacciato. « Vuoi dire che sono arrivati per divorare questo mondo? »
« Sì, in parole povere » rispose Sora. « Ora capisco che il blackout deve essere opera loro. Hanno spento la luce per diffondere le tenebre, così possono muoversi più facilmente. »
« Fantastico » commentò Lara. « Non bastava la minaccia di quegli uomini senza volto... ci mancavano i mostri venuti dal buio! »
« Allora che facciamo? » chiese Harry esasperato. « Non è prudente restare qui. Dovremmo lasciare il palazzo e tornare per strada. »
« No, è fuori discussione. Ormai siamo arrivati fin qua... tanto vale proseguire. Se dovessimo incontrare altri Heartless, li affronteremo di nuovo. Pensi di farcela, Sora? »
« Naturalmente » rispose il ragazzo battendosi fiero il petto. « Ho eliminato migliaia di Heartless in ogni mondo che ho visitato. Questi qui non saranno certo un problema, per me! »
Come se li avesse attirati con le sue parole, altri Heartless apparvero davanti a loro, emergendo da altri buchi neri formatisi sulle pareti. Stavolta erano più numerosi dei precedenti, cosa che costrinse i tre compagni ad arretrare finché non trovarono una rampa di scale. La imboccarono subito, muovendosi verso l’alto più veloce che potevano. Gli Heartless scomparvero così alla loro vista, dando loro l’idea che non intendessero inseguirli.
Sora, Harry e Lara proseguirono per diversi piani, continuando a percorrere le scale senza mai fermarsi, una rampa dopo l’altra. A un certo punto dovettero fermarsi per riprendere fiato, al pianerottolo del quarantaseiesimo piano. Harry ne approfittò per dare un’occhiata: era un grande spazio aperto, completamente vuoto; non c’erano mobili né arredi di alcun genere. Una serie di oggetti e attrezzi da lavoro poco lontano fece intendere che il luogo era in ristrutturazione, e ciò spiegava l’ambiente vuoto. Ma non vi era l’ombra di operari al lavoro... forse erano fuggiti non appena avevano saputo dell’attacco degli Heartless.
« Qui sembra tutto tranquillo » mormorò Sora, gettando lo sguardo sull’ambiente. « Non vedo l’ombra di nemici. »
« Mai fidarsi delle apparenze » disse Harry, che sfoderò la bacchetta e la puntò verso il vuoto. « Homenum revelio! »
L’incantesimo provocò una leggera raffica di vento, che penetrò la sala e si diresse verso un punto preciso, una grossa colonna in fondo alla sala.
« Qui c’è qualcuno! È laggiù... si sta nascondendo. »
« Ne sei sicuro? » domandò Sora. « Potrebbe essere un senza-volto. »
« No, lo escludo. Avevo già provato quest’incantesimo prima di incontrarti, in mezzo a quella folla di persone, e non aveva funzionato. Pare che non percepisca la presenza dei senza-volto. Chiunque sia, è un essere solido... come noi. »
Si udì uno scatto alle loro spalle. Harry e Sora si voltarono, notando Lara che stava caricando le sue pistole. Subito dopo la donna avanzò superandoli, muovendosi lentamente dentro la sala.
« Non mi farò cogliere di sorpresa, stavolta » dichiarò, puntando le armi verso il punto indicato da Harry. « Fatti vedere, chiunque tu sia! Mostrati a noi! »
Per un attimo regnò il silenzio, ma poi...
« Miao... »
I tre compagni si guardarono confusi.
« Ah, è solo un gatto » disse Sora abbassando la guardia, insieme a Harry.
Ma Lara continuò ad avanzare.
« E io sono la regina d’Inghilterra. Questo vuole prenderci in giro... »
« Miao... miao... »
« È l’ultimo avvertimento! Vieni fuori con le mani in alto, o verremo a prenderti! »
« Miao, miao, miao, mi... coff, coff! »
Lara sparò subito dopo, dritto contro la colonna. Qualcosa emerse da dietro, una grossa figura che si muoveva su due gambe. I gatti non avevano la tosse, e di certo non avevano i piedi. La creatura estrasse una pistola e sparò a sua volta un paio di colpi, sparendo dietro un’altra colonna là vicino. Lara schivò i proiettili con una capriola, inseguendo la direzione dello sconosciuto. Harry e Sora la seguirono a ruota, le armi in pugno, tuttavia non osavano attaccare: nessuno dei due era abbastanza rapido da difendersi da un’arma da fuoco, nonostante il loro potere.
La creatura misteriosa si muoveva rapidamente, spostandosi tra le colonne e rimanendo nell’ombra. Sparava colpi potenti, infatti ogni proiettile riduceva i muri a pezzi. Lara non faceva in tempo a prendere la mira che quello si era già spostato, perciò non faceva altro che sparare in varie direzioni. Anche gli incantesimi di Harry si dimostrarono inefficaci, perché non riusciva a colpirlo.
« Sarà grosso, ma corre come una lepre! » commentò Harry contrariato. « Sora, ho un’idea... lancia di nuovo quel colpo luminoso, inonda tutta la sala! »
Sora annuì e sollevò il Keyblade. Di nuovo l’arma emise una luce abbagliante, che invase l’intera area. Poco lontano si udì un grido, e la creatura si fermò. Ora potevano vederlo, immobile mentre cercava di spostarsi verso la colonna successiva.
« Expelliarmus! »
L’incantesimo di Harry privò l’intruso dell’arma, che cadde a diversi metri di distanza. Lara ne approfittò per avanzare verso di lui, puntandogli implacabile le pistole. I due ragazzi la raggiunsero subito, e finalmente potevano vedere bene il misterioso avversario. A causa del suo aspetto, non poterono fare a meno di assumere un’aria stupita.
Non era un essere umano, o almeno non del tutto. Era un uomo alto dalla pelle rossa, in più aveva una lunga coda e due corna sulla fronte, tagliate quasi completamente. I suoi occhi erano gialli e brillanti, come tizzoni ardenti. Il braccio destro era stranamente più grosso dell’altro, fatto di pietra. Indossava un lungo impermeabile marrone e una cintura completa di strani accessori, tra cui quelli che sembravano sacre reliquie e talismani. Rimaneva fermo sul posto, consapevole di essere sotto tiro. Fissava silenzioso i tre compagni, tenendo le mani alzate.
« Ma chi... che cosa sei? » domandò Lara, continuando a puntare le pistole.
« Buffo » grugnì la creatura, fissando lo sguardo su di lei. « Credevo che ormai lo sapesse tutto il mondo. Forse dormivi, mentre apparivo in televisione. »
« Può darsi, quindi rinfrescami la memoria. Chi diavolo sei? »
« Un diavolo, per l’appunto. Sono Hellboy, agente del BPRD: Bureau della Ricerca e la Difesa del Paranormale. »
Harry e Sora si scambiarono un’altra occhiata stupita.
« Difesa? » ripeté Sora, assumendo un’espressione rilassata. « Allora sei uno dei buoni. Non hai alcuna intenzione malvagia. »
« Proprio così, ragazzino. Ma nemmeno tu mi hai visto in televisione? Eppure la notizia è stata diffusa in tutto il mondo, ormai è di pubblico dominio. »
« Be’, da dove vengo io non c’è la televisione. »
« Perché ti nascondevi? » tagliò corto Lara.
« Per sfuggire a quell’orda di esserini neri che infestano i piani inferiori » spiegò il diavolo. « Continuavano ad attaccarmi e io non avevo munizioni sufficienti per tutti, quindi non ho avuto altra scelta che tagliare la corda. Mi sono fermato qui per recuperare le forze, finché non siete arrivati voi. »
« E hai imitato il verso del gatto per confonderci » concluse Harry. « Devo ammettere che eri piuttosto convincente. »
« Già, adoro i gatti. Ora che ne diresti di abbassare i ferri, pupa? » aggiunse rivolgendosi a Lara. « Vi assicuro che non voglio farvi del male... prima ho semplicemente cercato di difendermi, pensavo che voleste uccidermi anche voi. »
« “Pensavi”? »
« Sì, ormai ho capito che nemmeno voi siete i cattivi. Ho l’istinto per certe cose... nessuno sa fiutare il male meglio di me. E lo credo bene, con l’aspetto che ho... »
Per un attimo tacquero tutti, indecisi sul da farsi. Poi a Harry venne un’idea.
« Dicci una cosa, Hellboy... tu conosci questo posto? O ti sei risvegliato qui all’improvviso senza sapere come ci fossi arrivato? »
Lo sguardo di Hellboy si riempì anch’esso di stupore.
« Buona la seconda, ragazzo » rispose. « Questa città piena di fantasmi e omini neri è ben lontana da qualsiasi cosa abbia mai visto. Non so come ci sono finito, ma non ci tengo a restarci... mi sembra persino peggio dei sotterranei del mausoleo di Rasputin! »
« Allora benvenuto tra noi » disse Sora, facendosi avanti con la mano tesa. « Siamo nella tua stessa situazione. Puoi unirti a noi, se vuoi. Insieme possiamo uscire da questo strano mondo. »
Il giovane aveva agito suscitando lo stupore in tutti i presenti. Soprattutto Lara, dato che non aveva ancora abbassato le armi. Lei pareva non fidarsi ancora, probabilmente a causa dell’aspetto di Hallboy, tutt’altro che rassicurante.
« Se lui sa riconoscere i cattivi, io ho un talento nel riconoscere i buoni » aggiunse Sora, intercettando lo sguardo incredulo di Lara. « Riconosco che Hellboy è uno di noi, quindi possiamo fidarci... e contare su di lui. »
Lara, finalmente convinta, abbassò le pistole, dando modo al diavolo di abbassare le sue mani. Volle subito tendere la sinistra a Sora, per stringergli la mano.
« Gli amici mi chiamano Red » disse sorridendo. « E ora potete farlo, ora che siamo amici. »
« Io sono Sora, Custode del Keyblade. »
« Lara Croft, archeologa. »
« Harry Potter... il mago. »
Hellboy strinse la mano a tutti. Dopodiché, senza perdere altro tempo, il gruppo lasciò il salone e riprese la marcia verso l’alto, insieme al loro nuovo alleato.

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Capitolo 4
*** Il cavaliere dello spazio ***


Capitolo 4
Il quartetto continuò a salire per diversi piani senza fermarsi. Ormai avevano superato metà dell’edificio, ma avevano ancora molta strada da percorrere. Lara era in testa al gruppo, seguita da Sora, Harry ed Hellboy, che stava in coda. Dopo l’incontro con il diavolo non avevano visto nessun altro, né gli Heartless né gli uomini senza volto. Ciò appariva in qualche modo sospetto, come se il grattacielo fosse diventato improvvisamente vuoto. Forse era già stato evacuato del tutto a causa dell’attacco degli Heartless.
« È strano che non provino più ad attaccarci » commentò Sora, continuando a salire. « Ricordo certi momenti in cui non mi davano un attimo di tregua... non che ora mi lamenti... »
« I nemici sono spesso imprevedibili » aggiunse Hellboy, seguendolo a ruota. « Vedrai che riappariranno quando meno te lo aspetti. »
« Mi è parso di capire che hanno attaccato anche te, giusto? »
« Esatto. Erano un sacco... mai vista un’orda così grande di mostri, peggio della folla al Mercato dei Troll... sono dovuto scappare dopo aver esaurito il primo caricatore. Non mi sono fermato nemmeno il tempo di chiedermi cosa volessero da me. »
« Volevano il tuo cuore, Red. Gli Heartless si nutrono dei cuori della gente, specialmente quelli forti. E tu hai un cuore fortissimo, lo sento. »
Hellboy fece uno strano verso, a metà tra il lusingato e l’incredulo.
« E tu cosa fai nella vita, Red? » riprese Sora, dopo aver superato un altro pianerottolo. « Hai detto di essere un agente del paranormale o roba del genere, ma non ho capito bene... di cosa ti occupi? »
« Più o meno quello che fai tu, ragazzo » rispose Hellboy. « Proteggo la gente dalle forze del male. Do la caccia ai mostri... creature occulte che vogliono conquistare il mondo, e altre cose del genere. Ormai lo faccio da tutta una vita e ci sono abituato. »
« Caspita! Allora sei davvero un eroe! »
« Per anni sono stato un eroe nell’ombra. Non dovevo mai farmi vedere tra la gente, perché non sono diverso dai mostri che combatto. Ma ora è diverso... un po’ di tempo fa sono stato scoperto. Ho affrontato dei mostri nel centro di New York, e sono finito in mezzo ai giornalisti. Da allora sanno tutti chi sono e che cosa faccio. Ma non mi dispiace, perché ho sempre desiderato vivere in mezzo agli umani. »
« Allora è per questo che ti sei sorpreso di incontrare qualcuno che non ti conosceva » intervenne Harry.
« Proprio così. Ma dimmi di te, Potter... tu cosa fai nella vita? Hai avuto avventure come noi altri? »
« Sì, una specie. Ho fatto un po’ di cose, qui e là... »
Hellboy intercettò lo sguardo di Harry, ben lungi dall’essere loquace.
« Ho capito, non hai voglia di parlarne. Ricevuto. »
Tacque senza insistere, continuando a seguire il cammino dei suoi compagni. A un certo punto notò che Sora si era fermato, sul pianerottolo tra due rampe di scale. Guardava fuori, da una grande vetrata che li separava dall’esterno. Anche Harry e Lara notarono che si era fermato, e si voltarono a guardarlo.
« Che hai, ragazzo? » chiese Hellboy.
« Guardate là » disse Sora, indicando un punto verso l’esterno. « È spuntato qualcosa dalla coltre di nubi. »
I tre compagni volsero lo sguardo verso dove indicava Sora, un po’ stupiti per la richiesta. Individuarono quasi subito ciò di cui parlava. Una sagoma scura fluttuava nel cielo sopra gli edifici, muovendosi a gran velocità.
« Cos’è? » domandò Harry, cercando di aguzzare la vista. « Un uccello? »
« Troppo veloce » disse Hellboy. « Emette una scia di fumo, tra l’altro... potrebbe essere un missile. »
« O un aereo » concluse Lara, più seria degli altri due. « Il problema è che vola troppo basso, qualunque cosa sia. Se atterra nei paraggi provocherà grossi danni. »
« Non vi sembra che stia diventando più grosso? » fece Sora.
Guardarono tutti con più attenzione. Aveva ragione, la sagoma diventava sempre più grande, acquistando nitidezza. Ora la vedevano meglio: era una sorta di velivolo, con due paia di alettoni disposte ad X; faceva un gran fumo, e ciò lasciava presumere che fosse danneggiato. Ma non era questo a preoccupare il quartetto, bensì il fatto che...
« Si sta avvicinando » disse Lara, arretrando di un passo. « Punta dritto su questo edificio. »
« Mio Dio... rischia di schiantarsi contro di noi! » esclamò Harry.
« Ne siete sicuri? » chiese Sora. « Forse farà in tempo ad evitarci... »
« No, se il pilota è privo di conoscenza » rispose Hellboy. « E purtroppo pare proprio così... è vicino, fin troppo vicino. Non farà in tempo a virare! »
Infatti andò proprio così. Il velivolo era troppo vicino. Ormai era questione di pochi secondi, e si sarebbe schiantato...
« Allontaniamoci, presto! » urlò Lara. I compagni gli obbedirono subito, gettandosi all’indietro; Sora fu l’ultimo ad allontanarsi dalla finestra, infatti fece in tempo a vedere il velivolo mentre raggiungeva finalmente il grattacielo, sparendo verso il basso. Avrebbe colpito uno dei piani inferiori...
Bum!
Il pavimento tremò violentemente, facendo perdere l’equilibrio a tutti. La vetrata andò in frantumi, colpendo i quattro compagni con una pioggia di schegge. Le scale vibrarono, minacciando di spaccarsi. Durò tutto per un lunghissimo minuto, poi tutto tacque.
« Ah, che botta » borbottò Lara, massaggiandosi il sedere. « Voi state bene? »
« Credo di sì » disse la voce di Harry, poco lontano. Anche lui era a terra, disteso a pancia in giù, ben deciso a restare com’era fino a una conferma ufficiale che fosse cessato il pericolo.
Sora ed Hellboy si stavano già alzando, mettendosi in guardia. Entrambi controllarono fuori dalla finestra, per capire cosa fosse accaduto. Quando guardarono verso il basso, trovarono subito il danno: il velivolo si era schiantato almeno due piani sotto, devastando un intero lato dell’edificio. Da lì potevano vedere la coda del mezzo, metà offuscata da una colonna di fumo e fiamme che aveva provocato all’impatto.
« Porca vacca » esclamò Hellboy. « C’è mancato davvero poco... se non avesse perso quota di pochi centimetri ci avrebbe beccati in pieno! »
« Che disastro » aggiunse Sora, più agghiacciato di lui. « Credi che se la siano cavata, chiunque ci fosse in quel velivolo? »
« È difficile sopravvivere dopo un botto del genere » dichiarò Lara. « Lo dico per esperienza... io stessa sono scampata a un incidente aereo. Comunque non abbiamo tempo per controllare chi c’era a bordo. Dobbiamo abbandonare immediatamente l’edificio. »
« Cosa? Perché? » fece Harry, incredulo.
« È troppo pericoloso restare qui, dopo quello che è successo. Lo schianto potrebbe aver danneggiato la struttura del grattacielo, dunque rischia di crollare. Hai presente l’11 settembre? È la stessa cosa. »
« Veramente no. Cos’è successo l’11 settembre? »
Hellboy e Lara lo fissarono entrambi con aria incredula. Harry restava perplesso, come se non sapesse cos’aveva detto di male. Sora invece guardava gli altri distaccato, non sapendo da che parte stare.
« Scherzi, Potter? » domandò Hellboy. « Mai sentito parlare dell’11 settembre? Ormai è classificato come evento storico. »
« Se è un evento che riguarda i Babbani, è ovvio che non ne ho mai sentito parlare. Non guardo più la televisione da quando sono entrato nel mondo dei maghi. »
« Al diavolo, ne parleremo dopo » dichiarò Lara, agitando un braccio. « Ora andiamocene, prima che crolli tutto! »
Gli altri tre annuirono. Dopodiché rifecero la strada che avevano percorso fino in quel momento. Riscesero le scale fino al piano inferiore, dove notarono i primi segni del disastro aereo. La rampa di scale era bloccata da un gran cumulo di macerie, impedendogli di proseguire.
« Fatevi da parte » dichiarò Harry, avanzando tra i compagni con la bacchetta alzata. « Wingardium leviosa! »
Le macerie sussultarono e si sollevarono in aria, come se fossero prive di peso. Harry le spostò lentamente con pochi gesti della bacchetta, sgombrando poco a poco il passaggio. Sora e gli altri sarebbero rimasti volentieri a guardare ammirati... peccato però che il destino avesse altri piani in serbo per loro. Il locale, già buio per il blackout, si ricoprì di tenebre ancora di più, facendo allarmare tutti i presenti. Sora si voltò in ogni direzione, finché non vide quei fin troppo familiari occhi gialli nell’oscurità: gli Heartless erano tornati.
« Sbrigati, Harry » disse Lara, sfoderando ancora una volta le pistole. « Pensa a sgomberare il passaggio, noi pensiamo ai mostri! »
Sora, Hellboy e Lara si lanciarono alla carica contro gli Heartless, le armi in pugno, lasciando Harry a finire il lavoro. Ognuno di loro iniziò a lottare con il massimo impegno, cercando di arrestare l’avanzare del nemico. Gli Heartless pensarono ad attaccare soprattutto Sora, senza curarsi degli altri due. Il ragazzo fu in breve tempo circondato, ma oppose una seria resistenza; a un certo punto gli Heartless si unirono in un grosso attacco combinato, balzando tutti insieme su Sora. Hellboy e Lara non fecero in tempo ad aiutarlo, e assistettero impotenti mentre l’amico veniva avvolto da una piccola esplosione.
« Aaaargh! »
Il pavimento crollò sotto i piedi di Sora, che cadde nel vuoto insieme a molti Heartless.
« Sora! »
La caduta durò una manciata di secondi, giusto il tempo di fare una decina di metri e atterrare sul pavimento del piano sottostante. Per un’incredibile fortuna, il ragazzo atterrò su qualcosa di morbido; aprì gli occhi e si accorse di essere piombato dritto sopra un letto matrimoniale. Gli Heartless erano spariti, perciò si rese conto di trovarsi da solo in una comune stanza da letto, piuttosto ben arredata. Ne uscì con cautela, guardandosi intorno con attenzione: era un grande appartamento lussuoso, deserto e buio come il resto dell’edificio; le persone che lo abitavano dovevano essere fuggite dopo l’allarme. Meno male, pensò subito Sora, perché altrimenti sarebbero state sicuramente coinvolte nello schianto. Infatti trovò davanti a sé i resti del velivolo che si era schiantato contro il grattacielo. Era uno spettacolo terrificante. Lo schianto aveva devastato buona parte dell’appartamento, tanto che alcuni mobili erano ancora in fiamme.
Quando ormai sembrava che nessuno poteva essere sopravvissuto, Sora lo vide, a pochi metri davanti a lui. Buttato sul pavimento c’era un uomo, vicino al velivolo semidistrutto; non riusciva a vederlo in faccia, ma era vestito con una sorta di tuta spaziale completa di casco. Indubbiamente doveva trattarsi del pilota, nonché unico occupante del mezzo; infatti adesso si rendeva conto che il velivolo era troppo piccolo per contenere altre persone. Ad ogni modo, al momento non aveva importanza: quell’uomo aveva un evidente bisogno di aiuto. Sora scattò dunque in avanti per soccorrerlo, di chiunque si trattasse...
La sua corsa terminò bruscamente. Un nuovo gruppo di Heartless emerse dal pavimento, circondandolo per l’ennesima volta. Sora estrasse il Keyblade, pronto a lottare di nuovo, e a vincere. Nell’ultimo anno aveva infatti maturato un’incrollabile determinazione, che lo portava a compiere qualsiasi impresa. In confronto a questo, una manciata di Heartless non contavano assolutamente nulla.
Ma poi...
« Sei arrivato troppo tardi, ragazzo » annunciò una voce dalle tenebre. « Questo posto l’ho prenotato già io. »
Sora alzò lo sguardo, decisamente sgomento. Quella voce aveva qualcosa di familiare, ma nulla di piacevole. A quel punto emerse qualcun altro dal pavimento, ponendosi fra lui e l’uomo ferito. Aveva sembianze umane, celate completamente da un soprabito nero completo di cappuccio, che nascondeva il suo volto. Ma questo mantenne Sora in allarme, perché conosceva fin troppo bene quell’indumento: lo avevano indossato i suoi nemici, i membri dell’Organizzazione XIII. Eppure li aveva eliminati tutti, com’era possibile?
« Tu chi sei? » esclamò Sora, stringendo la presa sul Keyblade. « Mostrami il tuo volto, maledetto! »
Lo sconosciuto obbedì. Afferrò il cappuccio e lo abbassò di scatto, rivelando il suo volto. Sora si stupì molto nel constatare che non apparteneva a nessun membro dell’Organizzazione XIII da lui affrontato, ma lo conosceva ugualmente. Era Ansem, il Cercatore dell’Oscurità... il suo primo nemico.
« Non ci posso credere... ancora tu? Come fai ad essere ancora vivo? »
Ansem fece un verso scettico, serrando le braccia nella sua solita posa.
« La vita è qualcosa di ignoto, per chi ha abbracciato l’oscurità. È per questo che continuo a tornare. Tuttavia devo ammettere che stavolta la resurrezione non dipende affatto da me, ma lo apprezzo ugualmente. Mi ha dato una nuova opportunità... un’occasione per vendicarmi. »
Gli Heartless saltarono addosso a Sora subito dopo, obbedendo al comando del loro signore. Per un attimo riuscirono a sopraffare il ragazzo, ma poi furono respinti in un lampo di luce, dissolvendosi nelle tenebre. Il potere del Keyblade lo aveva salvato ancora una volta.
« Non sono più quello di una volta, Ansem » dichiarò Sora con un sorriso determinato. « Dovrai fare di meglio, se vuoi battermi! »
« Oh, ne sono sicuro » rispose Ansem, restando immobile. « In effetti vedo che sei molto migliorato dal nostro ultimo incontro. E io, purtroppo, sono rimasto lo stesso. Finché hai quel Keyblade in mano resti invincibile, per me. Dunque come potrei fare per batterti? »
Sora rimase ad ascoltarlo. C’era qualcosa che non lo convinceva nel suo tono di voce. Ansem sembrava sincero, eppure ironico, come se sapesse benissimo ciò che doveva fare. Forse aveva in mente qualcosa...
In quel momento apparve qualcosa alle spalle di Ansem, una grande ombra che assunse le sembianze di un grosso Heartless. Sora lo riconobbe subito: era il suo Guardiano, l’ombra che usava come arma per combattere. Chiaramente voleva affrontarlo.
Invece il Guardiano fece qualcosa di totalmente inaspettato. In un attimo afferrò l’uomo ferito e lo sollevò in aria, stringendo la presa sul suo collo.
« No! » gridò Sora, pur sapendo quanto fosse vano. « Lascialo andare! »
« Oh, non temere, lo farò... non appena sceglierai di arrenderti » dichiarò Ansem, con tutta la naturalezza possibile. « Ormai ti conosco abbastanza da sapere che non oserai sacrificare una vita innocente. »
Sora digrignò i denti, visibilmente amareggiato. Ora comprendeva il piano di Ansem, prendere qualcuno in ostaggio per costringerlo ad abbassare la guardia. Un’azione classica per ogni essere malvagio, ma pur sempre efficace... quanto spregevole.
« Sei un vigliacco » disse Sora, mantenendo la presa sul Keyblade. « Lui non c’entra nulla! Lascialo andare e affrontami da uomo! »
Ansem continuò a sorridere, rivolgendo lo sguardo sull’ostaggio ancora privo di conoscenza.
« Ma io non sono un uomo... o meglio, non lo sono più. E poi, ritengo che quest’uomo sia più coinvolto nella nostra storia di quanto tu creda... »
« Cosa? Che intendi dire? »
Ansem sbuffò.
« Spiacente, non ho alcuna voglia di dirtelo. Ho conosciuto la sconfitta troppe volte a causa della mia lingua lunga, dunque mi perdonerai se stavolta taglio corto. Ora posa a terra quel Keyblade, se non vuoi vedermi prendere il cuore di quest’uomo. Ammetto che non mi dispiacerebbe, a giudicare dalla forza che percepisco in lui... »
Sora esitò per qualche altro secondo, poi decise di arrendersi. Ansem aveva ragione, non era tipo da sacrificare un innocente per sconfiggere un nemico. Dunque mollò la presa sul Keyblade, lasciandolo cadere a terra.
« Bravo ragazzo » rispose Ansem con un ghigno. « Ora lascialo dov’è. So perfettamente che il Keyblade torna tra le tue mani ad un tuo comando.
« Sai, posso quasi leggerti nella mente... scommetto infatti che stai pensando di non aver bisogno del Keyblade. Lo avevi già detto in passato, me lo ricordo. Sostieni che il tuo vero potere è un altro... il tuo cuore. Ma esso in realtà è anche la tua debolezza. Il tuo legame con gli altri ti rende debole, vulnerabile... ti fa provare emozioni inutili come la pietà. Un’emozione che provi persino per i perfetti estranei, come questo miserabile che stringo tra le mani. Non lo conosci, eppure vuoi salvargli la vita... è così patetico... »
Zwhoom!
« Argh! »
Ansem urlò all’improvviso, dopo che un lampo di luce lo aveva colpito da dietro, tagliando di netto il braccio del Guardiano. L’Heartless si ritrasse, più sorpreso che spaventato. Non guardava più Sora, ma l’uomo che aveva preso in ostaggio, in piedi e perfettamente cosciente.
Era stato lui stesso ad attaccare Ansem. L’uomo infatti teneva in mano l’arma che aveva tagliato il braccio del Guardiano, una sorta di spada fatta di luce verde. Sora lo fissò sbalordito, ma nel contempo sollevato. Ne approfittò per recuperare il Keyblade e rimettersi in guardia.
« Hai perso il tuo salvagente, a quanto pare » dichiarò Sora, recuperando la spavalderia. « Ora non ti resta che affogare. Tu stai bene? » aggiunse, rivolgendosi all’uomo.
L’uomo si stava nel frattempo togliendo il casco, rivelando il suo volto, illuminato dal bagliore della sua arma. Era un giovane sui vent’anni, con una chioma di capelli biondi che gli incorniciavano il volto. Aveva uno sguardo determinato, battagliero, non diverso da quello che aveva Sora. Questo in qualche modo lo rendeva simile a lui, degno perciò di fiducia.
« Sto bene » disse il giovane, lanciandogli una breve occhiata. « Grazie per l’aiuto. »
« Figurati. »
Il guerriero biondo tornò a concentrarsi su Ansem, che nel frattempo era tornato in guardia. Il suo Guardiano aveva rigenerato il braccio perduto, ritornando cupo e minaccioso come prima.
« Non ti conosco, creatura delle tenebre » annunciò il giovane, puntando la spada luminosa contro Ansem, « ma ti giuro che pagherai caro per aver minacciato la mia vita. Preparati ad essere distrutto! »
Ansem, per nulla intimorito, attaccò. Il giovane sollevò la mano libera contro di lui, sicuro di sè. Un attimo dopo Ansem cadeva all’indietro, come se fosse stato colpito da una gigantesca mano invisibile. Il nemico andò a sbattere contro il muro più vicino, provocandovi una grossa crepa.
Sora guardò il suo alleato con un notevole stupore. Non capì subito cosa fosse accaduto, ma pian piano intuì la verità. Evidentemente la spada luminosa non era l’unica arma a disposizione del giovane: doveva essere dotato di qualche potere misterioso.
Ansem si rialzò. Non aveva riportato alcun danno fisico, ma sul suo volto era evidente la collera di chi ha subito un duro colpo. Tuttavia non intendeva ancora arrendersi, perciò scatenò il pieno potere dell’Oscurità, facendolo scaturire dal suo corpo sottoforma di fiamme nere. Era pronto a usare tutta la sua forza per annientarli...
« Sora! »
Sora si voltò, guardando il punto da cui era partito. Lara, Harry e Hellboy erano apparsi dal nulla, accorsi finalmente in suo aiuto. I tre compagni lo raggiunsero in un attimo e lo affiancarono, le armi in pugno.
« Stai bene? » chiese Lara un pò ansante. « Scusa il ritardo, siamo stati impegnati con gli Heartless e le macerie. »
« Chi accidenti è quello? » fece Harry, fissando Ansem con aria disgustata.
« Uno che ha fatto male i conti, a quanto pare » mormorò Hellboy, puntandogli tranquillo la pistola mentre fumava un sigaro. « Non si aspettava di avere a che fare con tutti noi. »
Ansem rimase immobile per qualche secondo, indeciso. Le fiamme oscure si ritirarono dal suo corpo, sparendo nel nulla. L’Heartless tornò quindi a braccia conserte, nella sua posa preferita. Chiaramente non intendeva più combattere.
« Che seccatura » mormorò, fissando il gruppo con rabbia. « Speravo di uccidere la mia nemesi una volta per tutte e di tornare subito ai miei affari. Peccato... mi toccherà rimandare l’atteso evento.
« Stavolta hai vinto tu, Sora. Non posso sperare di eliminarti, ora che sei circondato dalla tua nuova banda... ma ti assicuro che verrà il momento in cui saremo nuovamente soli, faccia a faccia. E al nostro prossimo incontro, uno di noi troverà la sua fine! »
Scoppiò a ridere, mentre l’Oscurità lo avvolgeva fino a farlo sparire nel nulla. Tuttavia la sua risata continuò ad echeggiare, in modo raggelante. I compagni si guardarono in torno ansiosi, tutti tranne Sora: sapeva perfettamente che ormai Ansem se n’era andato, pronto a riapparire in una nuova occasione. Per il momento era finita.
« Ma chi diavolo era quello? » domandò Lara, che non accennava a mettere giù le pistole.
« Ansem, il Cercatore dell’Oscurità » rispose Sora senza guardarla. « È il capo degli Heartless, e mio nemico durante i miei ultimi viaggi. Chiaramente è stato lui a guidare gli Heartless in questo edificio, con l’intenzione di stanarmi. »
« Allora anche lui è finito in questo mondo come te? »
« Apparentemente sì, ma non ha senso. Ansem dovrebbe essere morto... lo avevo eliminato io stesso, un po’ di tempo fa. Non riesco a capire come sia sopravvissuto. »
« Per alcuni, la morte è una condizione difficile da raggiungere » aggiunse Harry. « Lo so per esperienza... ho conosciuto qualcuno che non aveva intenzione di morire. »
« Tu, invece, che ci racconti? » chiese Hellboy, rivolto al giovane dai capelli biondi. « Per il momento voglio sapere solo due cose da te, chi sei e da che parte stai. Ti consiglio di rispondere con sincerità. »
Il giovane guardò Hellboy. In lui era evidente lo stupore, ma non come quello che avevano provato Sora e gli altri quando lo avevano incontrato. Era come se il suo aspetto non significasse un granché. Forse aveva già sentito parlare di lui, magari in televisione. Tuttavia volle accontentarlo, rispondendo alla sua domanda.
« Mi chiamo Luke Skywalker, Cavaliere Jedi della Nuova Repubblica. Sono un guardiano della pace e della giustizia, e combatto per difenderle dalle forze del male. Percepisco che anche voi siete difensori della pace, quindi posso presumere che stiamo dalla stessa parte. »
Luke depose la sua spada luminosa, dopo averla spenta premendo un pulsante sull’impugnatura. Usò dunque la mano libera per porgerla a Hellboy, in un evidente gesto d’amicizia.
« Sei dei nostri, allora » disse il diavolo, stringendogli la mano. « Io sono Hellboy, per gli amici Red. »
« Io sono Sora. »
« Lara Croft. »
« Harry Potter. »
« Piacere di conoscervi » disse Luke dopo aver stretto la mano a tutti. « E vi sono grato per avermi aiutato contro quell’essere malvagio. Devo però chiedere ancora il vostro aiuto, domandandovi su quale pianeta sono finito. »
Harry, Lara e Hellboy si guardarono con aria sorpresa, fissando Luke e l’astronave distrutta contemporaneamente. Sora invece rimaneva tranquillo, non condividendo il loro stato d’animo.
« L’atterraggio deve averti scombussolato parecchio, bello » rispose Hellboy, « ma se credi di aver lasciato la Terra ti sbagli di grosso. »
« La Terra? » ripeté Luke, visibilmente perplesso.
« Sì, bello, la Terra, hai presente? Quella piccola palla azzurra dove abitiamo... è il pianeta su cui ci troviamo in questo momento. Ignoro dove volessi andare con la tua astronave, ma non hai fatto molta strada. È chiaro che hai avuto un problema dopo il decollo e ti sei schiantato sulla città. »
« Vi sbagliate » rispose Luke, restando tranquillo. « In realtà ho percorso parecchia strada... perché la Terra non è il pianeta da cui sono partito. Io sono partito da Coruscant, capitale della Nuova Repubblica. »
Di nuovo i compagni si guardarono tra loro, ancora più stupiti di prima, ad eccezione di Sora.
« Terra... non l’avevo mai sentita nominare » mormorò Luke, guardandosi intorno con curiosità. « Deve sicuramente trovarsi nell’Orlo Esterno, se non conoscete i Jedi e la Repubblica. Ho idea che non sarà facile recuperare la rotta per tornare indietro. »
« Ehi, sono l’unico qua in mezzo a non stupirsi così tanto? » chiese Sora, stufo di vedere la reazione dei suoi compagni. « È ovvio che Luke viene da un altro mondo... che c’è di male? »
« Per te sarà anche normale » spiegò Harry, « ma non per noi. Luke è praticamente un alieno dal nostro punto di vista... una roba che sulla Terra non si è mai vista. Molta gente non crede nemmeno negli alieni. »
« Va bene, ne parleremo con calma più tardi » tagliò corto Lara. « Vi ricordo che questo posto rischia ancora di crollare, a causa dei danni provocati dall’astronave di Luke. Dobbiamo abbandonare l’edificio al più presto, prima che ci crolli tutto addosso. »
« Oh, perché diavolo non ci ho pensato prima? » esclamò Harry all’improvviso, guardando la sua bacchetta. « Forse posso riuscirci, non si sa mai. »
Il giovane mago agitò la bacchetta in aria, descrivendo un grande cerchio, ed urlò « Reparo! ». Un attimo dopo l’intero appartamento iniziò a tremare, dapprima leggermente, poi sempre più forte. Ma non stava affatto crollando: Sora, Luke e gli altri videro i muri e il soffitto ripararsi da soli, i mobili tornare al loro posto, le crepe sparire come se non fossero mai esistite. In breve tempo tornò tutto in ordine, a parte l’astronave di Luke, che invadeva ancora parte della stanza.
« Fatto » dichiarò Harry soddisfatto. « Ho riparato tutto... ora il grattacielo non rischia più di crollare. »
« Accidenti » esclamò Sora con ammirazione. « Ci sei riuscito davvero? »
« Non ti facevo così in gamba, Potter » commentò Hellboy. « Riparare un posto così grande richiede un potere enorme. Lo nascondi bene dietro quegli occhialoni, eh? »
« Vorrei tanto che fosse merito mio, ma non è così » rispose Harry, guardando di nuovo la bacchetta. « Non sarei mai riuscito in un’impresa del genere, se non fosse stato per questa. »
« Che vuoi dire? » chiese Sora.
« Nel mio mondo, tutti i maghi hanno bisogno di una bacchetta per fare le magie, perché è lo strumento che permette di canalizzare il nostro potere. Come tutti, io ho comprato la mia bacchetta a undici anni, affinché potessi imparare ad usare la magia ad Hogwarts, la scuola in cui ho studiato. Ma questa non è la mia bacchetta. È uno strumento molto antico e potente, divenuto noto nei secoli come la Bacchetta di Sambuco: è la bacchetta più potente del mondo, e permette al suo padrone di eseguire incantesimi molto più potenti del normale. È per questo che sono riuscito a riparare l’edificio intero. »
« E dove hai rimediato un arnese del genere? » chiese Hellboy, ammirato e sconcertato allo stesso tempo.
« L’ho sottratta a Lord Voldemort, mio nemico giurato. È morto dopo il nostro duello nella battaglia di Hogwarts. Questa Bacchetta avrebbe causato danni terribili nelle sue mani, se fosse riuscito a controllarla. Per questo decisi di nasconderla, affinché nessuno potesse mai usarla. Ma ora non capisco perché si trova nuovamente nelle mie mani, dopo che l’avevo... un momento! »
Harry tacque all’improvviso, colto da un immenso stupore.
« Io non ho mai nascosto la Bacchetta... o meglio, non ricordo di averlo fatto. L’ultima cosa che ricordo è di essere andato a dormire dopo la battaglia... poi mi sono risvegliato in questa città, da solo, con in mano la Bacchetta. »
I compagni lo fissarono in silenzio, non sapendo cosa dire.
« Questo cosa dovrebbe significare? » domandò Luke.
« Non ne ho idea » rispose Harry con amarezza. « Ma di una cosa sono sicuro. Tutto questo non può essere accaduto per caso. Qualcosa, o qualcuno, mi ha portato in questo luogo misterioso per qualche motivo... e deve aver fatto lo stesso con tutti voi. Luke, non so ancora da dove provieni, ma di certo non ti trovi più nel tuo mondo. Noialtri stiamo cercando di scoprire cosa ci è accaduto e per quale motivo. Se lo desideri puoi unirti a noi, visto che condividiamo la stessa sorte. »
Luke annuì subito senza aggiungere altro.
« Molto bene » dichiarò Hellboy, gettando a terra il mozzicone del suo sigaro. « Abbiamo un nuovo compagno di viaggio... non resta che rimettersi in marcia. »
« Allora riprendiamo la scalata del grattacielo? » domandò Sora.
« Per il momento resta la cosa migliore da fare » disse Lara, guardando in alto. « Se l’edificio non rischia più di crollare, allora possiamo proseguire. Ma teniamo gli occhi bene aperti, nel caso quello strano individuo decida di tornare. »
La donna si mise in cammino subito dopo, dirigendosi all’uscita dell’appartamento. Tutti gli altri la seguirono, non avendo più nulla da fare; l’ultimo a muoversi fu Sora, che non poté fare a meno di ripensare alle parole pronunciate da Ansem mentre erano faccia a faccia. Lui prevedeva un nuovo incontro, dal quale uno dei due sarebbe uscito definitivamente vincitore. Ma soprattutto pensava al fatto che la sua resurrezione non dipendeva da lui. Quale forza lo aveva riportato in vita? Non sapeva rispondere a questa domanda, ma in compenso sorgeva in lui un nuovo dubbio: il dubbio che Ansem non fosse l’unico ad essere tornato dalla morte.

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Capitolo 5
*** Un alieno molto terrestre ***


Capitolo 5
Il gruppo, divenuto ancora più numeroso, riprese la scalata del grattacielo con rinnovata fiducia. Ormai li separavano pochi piani dalla cima dell’edificio, e li percorsero con cautela senza che accadesse nulla di strano. Alcuni dei membri non poterono fare a meno di rivolgersi al nuovo arrivato, Luke, domandandogli informazioni sul suo conto.
« Allora da dove vieni, Luke? » gli chiese Sora con gentilezza. « Da un pianeta lontano, se ho capito bene. »
« Il mio pianeta natale si chiama Tatooine » rispose Luke, « ma non so dire quanto sia lontano dalla Terra. Ad ogni modo non è più la mia casa... ora che l’Impero Galattico è stato distrutto, sto aiutando la Nuova Repubblica a ripristinare la pace in tutta la Galassia. Mi sposto tra i pianeti alleati per sistemare le cose, poiché è mio dovere di Cavaliere Jedi.
« Stavo lasciando il pianeta Coruscant, quando è accaduto qualcosa di strano. Una forza misteriosa ha colpito la mia astronave, facendo impazzire i comandi. Si è attivata l’iperguida, e un istante dopo sono finito nell’atmosfera di questo mondo. Non sono riuscito a riprendere il controllo della nave, così mi sono schiantato su questa città. Per fortuna non ho provocato seri danni a nessuno. »
Sora guardò gli altri compagni, che erano perplessi quanto lui. Nessuno di loro sapeva di cosa Luke stesse parlando, e ciò faceva presumere che proveniva da un luogo completamente diverso.
« Devo darti una brutta notizia, Luke » intervenne Lara. « Da quello che hai detto, ne deduco che ti trovi molto più lontano da casa di quanto tu pensi. Non ne sono del tutto sicura, ma ritengo che non sei nemmeno nella tua galassia. »
Luke ammutolì per la sorpresa.
« Cosa? »
« Deve essere così. Sulla Terra non ci sono mai stati contatti con forme di vita aliene, e lavoriamo da anni alla ricerca di altri pianeti abitabili. Finora non ne sono stati trovati molti all’interno della nostra galassia, che chiamiamo Via Lattea, e nessuno di questi appare abitato da forme di vita senzienti. Se esistesse una repubblica galattica a quest’ora ce ne saremmo accorti, non ti pare? »
« Può darsi » rispose Luke. « Allora mi trovo davvero fuori dalla mia galassia. Eppure non mi spiego come possa essere successo... »
« Nemmeno noi, Luke » intervenne Harry comprensivo. « Anche noi siamo finiti qui all’improvviso, strappati con la forza ai luoghi a cui apparteniamo. In questo senso siamo sulla stessa barca. »
« Ma ci stiamo dando da fare per rimediare » intervenne Sora. « È per questo che stiamo raggiungendo la cima del grattacielo... per orientarci e scoprire dove ci troviamo. »
Il gruppo si fermò poco dopo. Erano arrivati all’ultimo piano, chiuso da due grandi porte metalliche. Chiaramente oltre la soglia doveva esserci qualcosa di grosso, ma non riuscivano nemmeno a farsi un’idea. Oltretutto la porta sembrava chiusa dall’interno.
« Che si fa? » fece Lara, osservando le porte. « Potrei forzarle con la pistola, ma farei troppo rumore. Non vorrei rischiare di attirare altri seccatori. »
« Vale anche per me » aggiunse Hellboy fissando la sua pistola, ben più grande di quella di Lara.
« Posso aprirla con il Keyblade » propose Sora, facendosi subito avanti.
« Aspetta » lo fermò Harry. « Non hai detto che gli Heartless ce l’hanno con te perché hai quell’arma? Se la usi potresti attirare nuovamente la loro attenzione. »
« Non abbiamo molte alternative, no? »
« Lasciate fare a me. »
Tutti si voltarono verso Luke, che stava estraendo qualcosa dal mantello. Si udì un clic, e un attimo dopo apparve sulle sue mani una lama luminosa, verde brillante, la stessa che aveva usato prima contro Ansem. Si avvicinò alle porte e sferrò un fendente, tagliando il metallo in due come se fosse fatto di burro. Un lavoro quasi del tutto silenzioso, rotto solo dal tonfo provocato dalla caduta della porta.
« Wow! » esclamò Sora, sempre più ammirato. « Niente male... ma di cosa è fatta quella spada? »
« È una spada laser » spiegò Luke, riponendola subito in tasca. « L’arma tradizionale ed elegante dei Cavalieri Jedi. Può tagliare di tutto, che si tratti di porte corazzate o di nemici. Solo le altre spade laser e pochi altri materiali non possono essere tagliati. »
« Si dovrebbe provare con il mio Keyblade » suggerì Sora, ma fu messo a tacere non appena Hellboy spinse la porta.
Il gruppo varcò finalmente la soglia, inoltrandosi in un ambiente completamente diverso. Era un enorme salone, ampio e illuminato, con grandi vetrate che consentivano una vista spettacolare della città. Ma tutto questo era attualmente offuscato dalla presenza insolita di un’immensa quantità di vegetazione per tutta la sala. Alberi tropicali, liane e cespugli erano diffusi per ogni dove, limitando di parecchio la mobilità. Era come se qualcuno avesse piantato un pezzo di giungla tropicale, facendola crescere con fertilizzante miracoloso.
« Per la barba di Merlino » esclamò Harry, guardandosi intorno. « Mi sembra di essere tornato nella serra di Hogwarts! »
« Ma che diavolo è successo qui? » disse Hellboy. « Non esiste che questa roba cresca rigogliosa in mezzo a una città. Qui c’è sotto qualcosa... »
« Sono d’accordo » convenne Lara. « L’origine di questa giungla è sicuramente innaturale. Sarà in atto un incantesimo di qualche genere. L’esperto in materia sei tu, Harry... cosa suggerisci? »
Harry assunse un’espressione incerta, poiché era stato chiamato in causa senza preavviso. Tuttavia si caricò subito di determinazione e sfoderò la bacchetta, puntandola nell’aria.
« Specialis revelio! »
La punta della bacchetta brillò per qualche istante. Harry la fissò, a metà tra la soddisfazione e la preoccupazione.
« Allora? » chiese Hellboy.
« Allora avete ragione, Red... qui c’è sotto qualcosa. Questa giungla ha sicuramente origini magiche. È stata evocata con un sortilegio, ma non saprei dire quale. Una volta ho avuto a che fare con una Palude Portatile, ma non era altro che uno scherzo di alcuni miei amici... roba innocua. Credo che la mia bacchetta potrebbe farla sparire, ma prima dovrei individuare la fonte per sicurezza. »
« Sei in grado di trovarla? »
« Certamente. L’Incanto Revelio è ancora in atto. Mi guida verso la giusta direzione. »
Harry mosse ancora la Bacchetta di Sambuco, che s’illuminò di nuovo non appena la puntò in avanti. Il bagliore indicava la direzione da seguire, come se fosse l’ago di una bussola. Il ragazzo si pose così alla testa del gruppo e fece strada, addentrandosi nella selva.
Il luogo era ancora più grande del previsto, e il tragitto era reso impervio a causa della folta vegetazione che li circondava. Luke e Sora furono costretti a falciare rami e fronde ad ogni passo con le loro spade, per facilitare il tragitto. Hellboy e Lara restavano in coda, dando occhiate nei paraggi di tanto in tanto, le armi alla mano.
« Ho un cattivo presentimento » mormorò Luke dopo una decina di minuti. « Non ne sono del tutto sicuro, ma sento come se qualcosa... o qualcuno... ci stesse osservando. »
« Vale anche per me » aggiunse Hellboy, cercando di fiutare l’aria. « Normalmente me ne accorgerei, ma questo mucchio di verdura disturba i miei sensi. È pieno di fiori, qua in giro, e coprono gli odori. »
« Chiunque sia, è un tipo furbo » disse Lara a voce bassa, continuando a guardarsi intorno. « Sa usare bene il territorio a suo vantaggio. Sta celando la sua presenza per coglierci di sorpresa... è un abile cacciatore, sicuramente. »
Decisero tutti di tacere e far finta di nulla. Al momento non potevano permettersi di dividere il gruppo a causa di una semplice sensazione. Preferirono dunque seguire Harry mentre faceva strada lungo la selva, finché non avrebbero trovato l’elemento sospetto.
Poi, a un certo punto...
« Ci siamo! » dichiarò Harry, ritrovatosi all’improvviso in una specie di radura. I compagni lo seguirono a ruota, raggiungendo lo stesso luogo. Il gruppo si guardò rapidamente intorno, poi alzarono tutti lo sguardo. Oltre il fogliame potevano vedere il soffitto, molto più in alto rispetto ai piani inferiori. Come avrebbero fatto a salire sul tetto?
« Guardate » disse di nuovo Harry, puntando la bacchetta verso il centro della radura. Là, appoggiata ad una roccia, vi era una specie di scatoletta di legno: un’occhiata più da vicino e capirono che la scatoletta era in realtà un gioco da tavolo, completo di tabellone, pedine e dadi. La cosa era di per sé insolita, in aggiunta alla giungla che ancora li circondava. Eppure doveva trattarsi della fonte di tutto quanto, perché la bacchetta di Harry puntava proprio il gioco, come un pezzo di metallo rilevato dal metal detector.
« Che cos’è? » domandò Luke perplesso.
« Nient’altro che un vecchio gioco da tavolo, almeno in apparenza » rispose Sora. « A casa mia ne ho altri del genere... ma questo non l’ho mai visto. »
Hellboy si avvicinò al gioco, la pistola in pugno, chinandosi quel tanto che bastava per leggere cosa c’era scritto sul tabellone.
 
Jumanji: un gioco che sa trasportar, chi questo mondo vuol lasciar. Tira i dadi per muovere la pedina, i numeri doppi giocano due volte, e il primo che arriva alla fine vince.
 
Tornò a guardare Harry, rimasto a fissare il gioco con serietà per tutto il tempo.
« Che ne pensi? »
« Non posso sbagliarmi » rispose il ragazzo. « Questo gioco è la fonte magica che ho individuato. Non so come funziona, ma è chiaro che ha evocato questa foresta. Lo dimostra il tema illustrato sul tabellone: la giungla, gli animali africani, il cacciatore... è chiaro che il gioco e la foresta sono collegati. »
« È pericoloso? » domandò Lara.
« Non saprei. Non riconosco questo tipo di magia, non so stabilire se sia buona o oscura. Nel dubbio, sarà meglio non toccare il gioco e proseguire. »
« Sono d’accordo » aggiunse Hellboy. « In effetti, Potter, ora che ci penso... abbiamo un problema più urgente. Ho la sensazione che non siamo soli in questa giungla. Ti dispiacerebbe accertartene con l’incantesimo che avevi usato per scovare me? »
Harry annuì. Lasciò dunque perdere Jumanji e puntò la bacchetta verso l’alto, mormorando: « Homenum revelio. »
L’incantesimo provocò una leggera raffica di vento, che superò la radura e si mosse verso destra, muovendosi di una ventina di metri. Si fermò verso l’alto, indicando un gruppo di grossi alberi dalla folta chioma che torreggiavano sulla radura.
« È lassù » dichiarò Harry. « Ancora una volta hai ragione, Red... qualcuno ci sta spiando. »
« Molto bene » rispose Hellboy, sollevando ancora la pistola. « Visto che ora abbiamo la conferma, tanto vale presentarci. »
Si udì un forte clic mentre caricava la pistola, puntandola contro gli alberi.
« Salve, amico... bella giornata, vero? Vorrei presentarti il Buon Samaritano » disse, indicando la sua stessa pistola. « Può ridurre a pezzi il ramo su cui stai poggiando le chiappe... insieme alle tue chiappe, naturalmente. Ma non credo che sia il caso di arrivare a questo, no? Facciamo così, tu ci mostri il tuo bel faccino e non dovrai scoprire quanto fa male il Buon Samaritano. »
Calò il silenzio per due secondi. Al terzo secondo, un lungo sibilo fendette l’aria, così rapido da cogliere di sorpresa tutti i presenti. Dal fogliame uscì qualcosa, veloce come un proiettile, andando a conficcarsi sul terreno tra le gambe di Hellboy. All’improvviso erano tutti in guardia, le armi in pugno; Harry puntava la bacchetta, Sora sfoderava il Keyblade, Luke estraeva la spada laser, Lara sollevava le pistole. Le puntarono tutti verso la cosa sbucata dal nulla: era una lunga asta di legno, immobile nel punto in cui si era conficcata.
Hellboy calò lentamente lo sguardo sull’asta, senza muoversi di un passo.
« Cos’è? » fece Sora, fissandola incredulo. « Una lancia? »
« No » rispose Lara, con un simile tono nella voce. « È una freccia. »
Dovettero dare ragione alla donna, poiché la coda dell’asta era ornata delle caratteristiche piume. Ma l’elemento anomalo erano le dimensioni della freccia, la cui lunghezza raggiungeva la statura di Harry. Che genere di arco poteva scagliare frecce così lunghe?
« Se ha reagito così, allora è sicuramente ostile! » esclamò Sora, rivolgendo lo sguardo sugli alberi.
« No, non credo » disse Hellboy, il più calmo del gruppo. « Se fosse ostile, avrebbe mirato più in alto... e mi avrebbe beccato. No, questo è solo un colpo d’avvertimento... vuole farci capire che anche lui è armato e pericoloso. »
« Esatto! » gridò una voce dal folto degli alberi. I compagni strinsero la presa sulle loro armi, restando comunque in attesa. La voce era maschile, decisamente umana, ma non era familiare per nessuno di loro.
« Umani... con le mie frecce posso ammazzare le pulci di un cane randagio a mezzo miglio di distanza » continuò la voce, « e ora le sto puntando contro di voi. Sono intinte in una neurotossina che blocca il cuore in un minuto, quindi vi conviene non fare scherzi. Ora mi farò avanti, visto che è ciò che volete, ma voi butterete le armi a terra... subito! »
Hellboy esitò per qualche secondo, poi lasciò cadere la pistola. Fece un cenno agli altri con la testa, e allora seguirono la sua mossa. Ognuno di loro depose le armi, mostrando le mani ormai libere.
« Non vogliamo farti del male » annunciò Lara con calma. « Non siamo venuti in cerca di guai. Quindi, per favore, non attaccarci. »
Qualcosa venne fuori dai cespugli subito dopo, ben più grande della freccia scoccata poco prima. Tutti i membri del gruppo furono costretti ad alzare lo sguardo di parecchio per vedere in faccia il nuovo arrivato. Era un uomo alto circa tre metri, con una coda a ciuffo che gli spuntava da dietro;  la sua pelle era a strisce di due tonalità di blu, aveva orecchie mobili e a punta, naso e denti da felino; i suoi grandi occhi erano gialli, brillanti come pepite. Aveva lunghi capelli neri raccolti in una treccia, ed era armato di arco e frecce. Il suo volto era giovane, bello e fiero, con un’espressione decisamente umana. Guardava il gruppo con aria feroce, torreggiando su di loro come un gigante.
« Miseriaccia » esclamò Harry. « E dire che credevo di aver visto di tutto, nella vita. »
« Sicuramente è un alieno » aggiunse Hellboy. « Ehi, Luke, viene dalle tue parti? »
« Non ne ho idea » rispose Luke. « Non ho mai incontrato una razza simile nella mia galassia. »
« Chi siete voi? » chiese l’alieno a gran voce. Stringeva la presa sull’arco, ma non lo puntava contro nessuno. « Cosa siete venuti a fare qui? »
« Siamo solo gente di passaggio » rispose Hellboy con finta gentilezza. « Non volevamo fare nulla di male, né provocare disturbo a nessuno. Se abbiamo sconfinato nel tuo territorio ci dispiace sul serio, non avevamo idea... »
« Non è certo casa mia, questa » disse l’alieno, spostando lo sguardo sulla selva circostante. « Anche se assomiglia molto al mio mondo. »
« Allora vieni anche tu da un altro mondo » disse Sora, facendosi più tranquillo. « Questo ci porta dalla stessa parte. Io mi chiamo Sora, e tu? »
L’alieno fissò il ragazzo con aria sorpresa.
« Jake Sully. »
« Un nome poco alieno e molto terrestre » commentò Hellboy, divenuto sospettoso.
« Be’... che ci crediate o no, una volta ero un umano. »
I compagni lo fissarono con aria perplessa, poiché non avevano idea di cosa stesse parlando.
« Comunque sia, puoi fidarti di noi, Jake » continuò Sora. « Intuisco che sei come noi. Ti senti smarrito, confuso... sei stato strappato dalla tua casa e portato in un luogo sconosciuto. Lo stesso vale per noi, e ci stiamo dando da fare per uscirne. In questo caso possiamo aiutarti. »
Si augurava che capisse con la stessa facilità di Luke, ma si sbagliava. Jake, anziché calmarsi e diventare amichevole, mantenne l’aria diffidente. Nel suo sguardo poteva leggere qualcosa di molto simile all’odio... ma perché?
« Perché dovrei unirmi a voi? » chiese Jake, alzando leggermente l’arco. « Perché dovrei anche fidarmi? Dopo quello che avete fatto al mio popolo, ora avete il coraggio di chiedermi di stare dalla vostra parte. Quasi dimenticavo quanto gli umani possono essere meschini. »
« Chiaramente hai un problema con gli umani » disse Lara. « Ma non siamo noi quelli con cui dovresti prendertela. Non ti conosciamo nemmeno... non abbiamo la minima idea di quello che hai passato. »
« Io non vengo dalla Terra, e non ho mai combattuto il tuo popolo » aggiunse Luke con aria pacifica.
« Io ho viaggiato per molti mondi, ma non ho mai incontrato persone come te » disse Sora con onestà.
« Io ho affrontato una guerra, ma contro i miei stessi simili » intervenne Harry. « Uomini malvagi che volevano solo distruggere la terra in cui vivevo. »
« Io non sono nemmeno umano » concluse Hellboy. « E mi ritrovo quotidianamente a fare i conti con l’ignoranza e la stupidità della gente che mi circonda. Quindi perché dovresti avercela con me? »
Jake Sully restò in silenzio. Appariva ancora diffidente, ma era chiaro che le parole dei compagni cominciavano ad avere effetto su di lui. Perciò prese una decisione, dopo una lunga pausa.
« Vieni con noi, Jake » lo anticipò Sora, restando amichevole.
Jake sorrise, suscitando un leggero stupore tra i presenti.
« Sì, d’accordo » dichiarò, riponendo l’arco in spalla. « Ma prima di tutto, voglio farvi una domanda... è importante. Voglio sapere dove ci troviamo. Questa è la Terra? »
I compagni si guardarono tra loro con aria dubbiosa.
« Apparentemente sì » rispose Lara. « Ma è un luogo molto strano, quello in cui ci troviamo in questo momento. Nessuno di noi lo conosce... e vogliamo tornare tutti da dove proveniamo. »
« Vale anche per me » disse Jake. « Questo non è più il mio mondo, e dopo quello che ho passato non intendo restarci un minuto di più. Voglio solo tornare su Pandora... la mia nuova casa,. »
Così, dopo una rapida presentazione degli altri, Jake Sully si unì al gruppo. La prima cosa che fece come compagno fu aiutarli a trovare la strada per raggiungere il tetto; dopo una breve marcia, trovarono una piccola rampa di scale che conduceva verso l’alto, in parte coperta dalla vegetazione di Jumanji. Neanche Jake sapeva cosa fosse quel gioco, ma anche lui percepiva in esso una sorta di potere malefico, da cui era meglio stare alla larga.
I compagni salirono rapidamente le scale, con un crescente stato di ansia. Sentivano di stare per scoprire la verità su quello strano posto, perché una volta arrivati in cima avrebbero avuto un’ampia visuale di tutto ciò che li circondava. Ognuno di loro, inoltre, si augurava con tutto il cuore di trovare anche la via per tornare a casa, ovunque essa fosse.
Jake arrivò per primo in cima, a causa della sua alta statura. Raggiunse la piccola porta e la buttò giù, ritrovandosi un attimo dopo a respirare l’aria del mondo esterno. Fu raggiunto subito dopo da tutti gli altri, che uno dopo l’altro misero piede finalmente sul tetto del grattacielo. Era un semplice ripiano di cemento, largo quanto un piccolo campo sportivo; intorno a loro non c’era nulla, ad eccezione di un traliccio per le antenne e qualche bocchettone per l’aria condizionata. Ma tutto questo era irrilevante per i sei compagni, che si precipitarono tutti verso il parapetto a vedere il mondo sottostante. Guardarono attentamente in ogni direzione, dove sorgevano palazzi ed edifici a perdita d’occhio. La città sembrava sconfinata, cupa e minacciosa con i suoi edifici di cemento e i suoi abitanti senza volto, sotto quel cielo offuscato da nubi temporalesche. L’unica cosa al momento chiara era il tramonto del sole, a causa del colore arancione che impregnava le nuvole.
Poi Lara interruppe quel silenzio attonito.
« Ho una buona notizia e una cattiva » dichiarò.
« Prima la buona, per favore » disse Harry.
« Di sicuro non ci troviamo a New York. »
« Peccato » borbottò Hellboy deluso, mentre si accendeva un altro sigaro. « Io abito da quelle parti. »
« La cattiva notizia è che non ho la minima idea di dove ci troviamo » proseguì Lara. « Non riesco ad orientarmi affatto, quassù. Questa città è priva di segni di riconoscimento. Non trovo edifici, palazzi o monumenti che ci aiutino a capirne l’identità. »
« Di sicuro non è Coruscant » mormorò Luke.
« Ma allora... » disse Sora « vuoi dire che siamo saliti fin quassù per niente? »
Nessuno si prese la briga di rispondergli, tanto erano amareggiati. Nessuno del gruppo sembrava trovare familiare la città, sebbene si trovassero su un’alta cima da cui osservarla in tutta la sua grandezza.
« Non capisco » disse Jake a un certo punto. « Tutto questo non ha senso... questa città, questo posto... questo mondo... non somiglia affatto a dove vivevo io una volta. »
« Forse vivevi in un’altra città » disse Lara, guardandolo.
« No, non avete capito. Le città si assomigliavano un po’ tutte, nella mia vita passata. Erano sporche, inquinate, dominate da un caos di macchine e tecnologia avanzata. Non corrisponde affatto a quello che vedo adesso. In effetti non riesco nemmeno a capire come faccio a respirare quest’aria, poiché quella di Pandora è un po’ diversa. Di sicuro è la Terra... ma non quella che una volta era la mia Terra. È come se fosse tornata indietro nel tempo di un secolo. »
Gli altri compagni si scambiarono un’occhiata confusa, soprattutto Lara e Hellboy.
« Toglimi una curiosità, Jake » disse la donna dopo un po’. « Qual è la tua data di nascita? »
Jake gli restituì la stessa aria confusa, ma rispose.
« Il 24 agosto 2126. Perché? »
Fu allora che Lara, Harry ed Hellboy si colmarono di stupore.
« Be’? Adesso che vi prende? Ho 28 anni, e allora? Cos’è, non li dimostro? »
« Non è mica quello il problema » disse Hellboy. « Il problema è che vieni dal futuro. »
« Cosa? »
« Hai capito benissimo. La tua data non corrisponde a quella che conosciamo noi. E l’istinto mi dice che non sei l’unico a provenire da un’altra epoca... dico bene, Potter? » aggiunse, rivolgendosi a Harry.
« Che vuoi dire? »
« Che anno era quando ancora ti trovavi nel tuo mondo? Prima di finire in questo posto? »
« Il 1997, naturalmente. »
Hellboy e Lara si scambiarono un’altra occhiata. Sora e Luke continuavano a restare in disparte, non riuscendo a capire di cosa parlavano.
« Be’, questo spiega perché non conosci l’11 settembre » disse Lara. « E giusto perché tu lo sappia, l’11 settembre 2001 è accaduto il più terribile attacco terroristico nella storia dell’umanità. Quel giorno sono state distrutte le Torri Gemelle di New York, provocando quasi tremila morti. »
« Mio Dio... » fece Harry, improvvisamente agghiacciato.
« Un evento tanto terribile sarebbe giunto alle orecchie persino di voi maghi, ragazzo. E poiché dici di venire dal 1997, significa che per te tutto questo non è ancora accaduto. Io e Red lo conosciamo perché proveniamo da un anno successivo a quella catastrofe. Il mio è il 2009, a proposito. »
« 2008, il mio » aggiunse Hellboy.
« Insomma, tutto ciò dimostra che neanche tu appartieni a questo luogo. Nessuno di noi. In definitiva, tutto ciò che ci circonda in questo momento fa parte di un altro mondo. Un mondo del tutto diverso, in cui noi siamo dei perfetti estranei. »
Calò il silenzio, così glaciale che nessuno dei presenti riuscì a romperlo. In tutti loro si manifestò in qualche modo lo stesso pensiero, condiviso dalla preoccupazione e dal timore... “e adesso?”

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Capitolo 6
*** Pandamonio! ***


Capitolo 6
« Ragazzi, non vi sembra che faccia più freddo del solito? »
Le parole di Sora attirarono l’attenzione di tutti, che si voltarono a guardarlo. Alcuni lo guardarono come se volessero dire “e allora?”, ma non ebbero il tempo di dire nulla. L’improvvisa reazione di Harry Potter li allarmò.
« Oh no » esclamò il ragazzo, estraendo la bacchetta. « Non è possibile... non qui! »
Tutti quanti, compreso Sora, lo guardarono con aria interrogativa, ma nessuno di loro poteva immaginare cosa gli passava per la testa. Per Harry, infatti, quel gelo innaturale era terribilmente familiare: un freddo appiccicoso, seguito da una foschia opprimente e l’improvviso oscurarsi del cielo già nuvoloso, sembrava avvolgere la cima del grattacielo come se fosse un lenzuolo ghiacciato. Il giovane mago capì subito cosa stava succedendo, e non era niente di buono; quell’atmosfera era solo il preludio di una delle esperienze più orribili accadute nella sua vita.
« Restate in guardia, ragazzi! » gridò Harry, volgendo lo sguardo in ogni direzione. « Armi in pugno! Sta arrivando qualcosa di terribile! Non so se riuscirete a vederli, ma non temete... posso affrontarli! »
« Che cosa, Harry? » domandò Sora, sfoderando il Keyblade per obbedire al suo comando. « Che cosa sta arrivando? »
Harry non ebbe il tempo di rispondere, perché dalla nebbia emerse ciò che stava aspettando: una figura ammantata dalla testa ai piedi, fluttuante nell’aria come se galleggiasse. Aveva il volto completamente celato dal cappuccio, ma dal mantello sbucavano le mani, viscide e cadaveriche. La sua testa era rivolta indubbiamente verso Harry, che a sua volta gli puntava contro la bacchetta.
Poi dalla nebbia emersero altre figure, identiche alla prima; decine di esseri spettrali, fluttuavano in ogni direzione circondando il gruppo sul tetto del grattacielo, stringendosi lentamente in un cerchio.
Lara ed Helboy attaccarono per primi, sparando con le loro pistole sugli invasori. Spararono una decina di colpi in due, ma nessuno di essi andò a segno: gli spettri schivarono facilmente le pallottole, e in un attimo si avventarono su di loro. I due compagni udirono un lungo, lento respiro provenire dalle loro bocche, e un attimo dopo si sentirono mancare... precipitare nel buio.
Lara cadde in ginocchio, e nella sua testa udì delle voci, ma era come se urlassero a un centimetro dalle sue orecchie. Voci familiari, in un momento doloroso...
« No, stai indietro! Cosa vuoi fare a mia figlia? »
« Mamma! Non toccare la spada! »
« Non ti lascerò farle del male! »
« Mamma! Nooo! »
Hellboy era al suo fianco, e soffriva in ugual modo. Anche lui sentiva qualcosa, ricordava... il momento peggiore della sua vita.
« No, Liz! No... noooo! »
« È, morta, demone. Lei attende oltre la soglia. Diventa la Chiave, e potrai riaverla... »
« Red! Lara! » gridò Jake, pronto ad aiutarli, ma ancora troppo lontano da loro.
« State indietro, ragazzi! » urlò Harry. « Non fatevi aggredire da loro! Dannazione, sono troppi, devo concentrarmi... »
Troppo tardi. I mostri si avvicinarono troppo, e il loro strano respiro provocò su tutti loro lo stesso spaventoso effetto. Luke, Jake e Sora caddero a terra a loro volta, in preda al dolore del loro passato più cupo.
« Se tu solo conoscessi il potere del Lato Oscuro... Obi-wan non ti ha mai detto cosa accadde a tuo padre? »
« Mi ha detto abbastanza... che sei stato tu ad ucciderlo! »
« No, Luke... io sono tuo padre! »
« No... non è vero... non è possibile... noooo! »
Jake cercò di resistere con tutte le sue forze, ma sembrava inutile. Riusciva quasi a vederlo, l’Alberocasa in fiamme mentre cadeva al suolo... e il pianto della sua amata, distrutta dal dolore... tutto ciò per causa sua.
« Neytiri, mi dispiace... »
« Vattene via... »
« ...mi dispiace tanto... »
« Vattene via da qui! E non tornare mai più! »
Infine Sora, oppresso dal gelo, si reggeva la testa con le mani, abbandonando il Keyblade al suolo, mentre la sua più grande paura sembrava concretizzarsi davanti ai suoi occhi...
« Kairi! Kairi! Apri gli occhi! »
« È inutile. La principessa ha perso il suo cuore, non può svegliarsi. »
Ormai erano preda dei demoni, preda della disperazione che in qualche modo riuscivano a provocargli. Nessuno di loro era in grado di reagire, tale era il dolore che le loro menti rievocavano all’improvviso. Non erano preparati ad affrontare un nemico del genere, il passato doloroso che non avrebbero mai potuto cancellare. Era finita, non c’era più speranza...
« Expecto patronum! »
La voce di Harry eruppe in mezzo al gruppo, la Bacchetta di Sambuco levata al cielo, dalla cui punta esplose un’accecante luce argentea. La luce prese in qualche modo forma, assumendo le sembianze di un grande animale, un cervo, che balzò in avanti e respinse gli spettri con il suo potere, allontanandoli dai compagni. All’improvviso non erano più disperati, né vittime dei loro cupi ricordi; si rimisero in piedi uno dopo l’altro, un po’ ansanti ma ancora in forze.
« Porca vacca, che diavolo è successo? » borbottò Hellboy, fissando con rabbia i mostri fluttuanti.
« Sono stati loro, i Dissennatori » rispose Harry, mantenendo l’incantesimo. « Ho cercato di avvertirvi... risucchiano la speranza e la felicità dalle persone, distruggendoli lentamente. Se vi baciano, inoltre, vi risucchieranno l’anima. »
« Ugh... non si può dire che abbiano buon gusto » ribatté Sora mentre riafferrava il Keyblade. « Quasi preferisco gli Heartless. »
Il cervo luminoso continuò a galoppare intorno ai compagni, proteggendoli dai Dissennatori. La sua luce era come una barriera che impediva ai demoni di avanzare, tenendoli a una buona distanza da loro.
« Voi state indietro » dichiarò Harry, rivolgendosi ai compagni. « Conosco bene questi nemici, li ho già affrontati in passato. L’unico modo per fermarli è il Patronus, cioè il cervo che ho evocato. Li costringerò a tornare da dove sono venuti. »
« Scordatelo, Potter » intervenne Hellboy. « Non resteremo qui con le mani in mano mentre affronti quegli stracci volanti tutto da solo. Li affronteremo insieme. »
« Non capisci, Red... le vostre armi sono inutili contro di loro! Solo la magia può respingerli... »
La sua frase fu interrotta da un sibilo, provocata da Jake mentre scagliava una freccia nell’aria. Questa colpì in pieno il Dissennatore più vicino, trafiggendolo da parte a parte e inchiodandolo al suolo. Harry rimase sbalordito.
« Sembra che le mie armi funzionino perfettamente » commentò l’alieno soddisfatto, mentre afferrava una seconda freccia.
Gli altri compagni, incoraggiati dall’iniziativa di Jake, sferrarono il contrattacco. Si sparpagliarono in ogni direzione, affrontando i Dissennatori con la grinta ritrovata; Luke ne colpì uno, tranciandolo di netto con la sua spada laser; Hellboy ridusse a pezzi tutti quelli che trovava con le sue pallottole speciali; Sora li abbatté con il Keyblade, con la stessa facilità che aveva contro gli Heartless; Jake e Lara se la cavarono allo stesso modo, centrandoli con frecce e pistole.
Harry, rimasto al suo posto, fissò incredulo la scena. In pochi minuti la battaglia era finita; i suoi compagni avevano eliminato tutti i Dissennatori, una cosa che non aveva mai creduto possibile. Sapeva che i Dissennatori erano non-morti, quindi impossibili da uccidere; l’Incanto Patronus serviva solo a respingerli, a proteggere il mago dal loro terribile potere. Eppure i suoi nuovi amici erano riusciti a compiere il miracolo. Dei suoi antichi nemici non rimaneva altro che un cumulo di brandelli neri e pezzi di carne putrefatta sparsi qua e là.
« Incredibile » mormorò il ragazzo, mentre il suo cervo luminoso svaniva nel nulla. « Li... li avete distrutti tutti... »
« Ho affrontato mostri ben peggiori di questi straccetti, ragazzo » commentò Hellboy, tirando fuori l’ennesimo sigaro. « Il mio Samaritano li ha polverizzati in un attimo. »
« Già, non erano poi così tosti » aggiunse Sora con un sorriso. « Ma dobbiamo ringraziarti, Harry... se non fosse stato per il tuo incantesimo non ce l’avremmo mai fatta. »
« Giusto » disse Lara. « Il tuo cervo ci ha liberati dall’influsso e ha indebolito quelle creature. Hai fatto un ottimo lavoro. »
« Il loro potere era davvero tremendo » mormorò Luke, ripensando al momento precedente. « Quando si sono avvicinati ho visto delle cose... cose tristi del mio passato. E mi sentivo strano... come se non potessi mai più essere felice. »
Gli altri annuirono intorno a lui, perché avevano subito la stessa cosa. Harry spiegò rapidamente che i Dissennatori, con il loro potere, costringevano le vittime a ricordare gli eventi più brutti del passato. Per questo ognuno dei compagni aveva ceduto di fronte a loro; a tutti loro era accaduto qualcosa di spiacevole, ma da cui erano usciti. Solo Harry era sfuggito all’influsso dei Dissennatori, perché ormai ci era abituato: aveva imparato a chiudere la mente dagli attacchi esterni, anche se aveva ugualmente accusato un notevole sforzo nel riuscirci. Immaginò in quel momento ciò che avrebbe rivisto se non avesse chiuso la mente: il giorno in cui morirono i suoi genitori, assassinati da Lord Voldemort quando lui era ancora un neonato.
« Allora questi... Disserratori vengono dal tuo mondo? » chiese Sora in quel momento.
« Dissennatori » lo corresse Harry. « Sì, esatto... li ho incontrati parecchie volte sulla mia strada, in passato. Erano controllati da Voldemort, il mio nemico giurato. Ma non riesco a capire come mai si trovano qui anche loro. »
« Forse anche loro fanno parte di tutto questo, come nel caso degli Heartless. Sono stati prelevati dal loro mondo per lo stesso motivo per cui siamo tutti qui. È quello che ho capito quando ho affrontato Ansem, poco fa. Dalle sue parole ho intuito che non siamo gli unici ad aver raggiunto questo mondo. »
Nessuno dei presenti tentò di ribattere. Non capivano molto bene quel che diceva Sora, ma sembrava comunque vicino alla verità. Harry, intanto, continuava a guardarsi intorno, per confermare la completa vittoria: dopo che i Dissennatori erano stati eliminati, il freddo e la nebbia stavano svanendo rapidamente.
Poi, all’improvviso, un forte dolore lo colpì alla testa. Harry fu colto da un’ondata di orrore: era la cicatrice, ormai lo sapeva molto bene; bruciava come aveva fatto diverse volte in passato... ma non era possibile, si disse, non doveva più succedere...
Subito dopo udì una voce, anche questa perfettamente familiare, fredda e acuta come un sibilo. La sentiva nella sua testa, forte come non lo era mai stata.
« Harry Potter... » sibilò la voce. « Il Ragazzo Che è Sopravvissuto. »
Non è possibile... pensò Harry agghiacciato. Voldemort? Sei proprio tu?
« Sì, ragazzo. Non temere, non sei improvvisamente impazzito. Significa che sono tornato... di nuovo. »
No, non può essere! Tu sei morto! Ti ho visto morire... io ti ho ucciso!
« Sì, lo hai fatto. Io sono morto... ma questo non mi impedisce di trovarmi qui con te, ora, in questo mondo. E credimi se ti dico che non potrei essere più contento per questo. Qualcuno è stato così gentile da riportarmi in vita, insieme a un paio di nuovi amici. »
Cosa?
« A quanto pare il nostro legame mentale si è conservato in questo mondo. Ma non importa... quando questa conversazione finirà chiuderò la mente, così non potrai sbirciarci dentro a tuo piacere. »
Fai pure, Riddle... non mi è mai piaciuto guardarti dentro!
La voce di Voldemort divenne una lunga risata divertita.
« Sono tornato, Potter. Questo non è il nostro mondo, ma per il momento non ha importanza. Ciò che conta è che ci sei anche tu, perché continui ad essere il mio obiettivo. Ho mandato i Dissennatori a cercarti, per localizzare la tua posizione. Sì... vedo dove ti trovi, grazie al nostro legame. Peccato solo che mi trovo in un luogo decisamente troppo lontano... ma presto ti raggiungerò, e allora faremo i conti una volta per tutte. Ho giurato di ucciderti, Harry Potter... e ti assicuro che stavolta ci riuscirò. La tua morte sarà la mia vita! »
La voce si spense con un ultima risata, e il dolore alla cicatrice finalmente sparì. Harry si rese dunque conto di trovarsi in ginocchio sulla pietra, mentre i suoi compagni lo circondavano con aria preoccupata. Sora, il più vicino, lo stava scuotendo con forza.
« Harry, stai bene? Che cosa ti è successo? »
« Ha subito una sorta di attacco mentale » osservò Luke, che con i suoi poteri era in grado di capirlo. « È cessato prima che avessi il tempo di intervenire. »
« Maledizione » disse Harry, rialzandosi in piedi di scatto. « Ragazzi, si mette male, si mette molto male. Dobbiamo andarcene da qui, subito! »
« Cosa? » fece Sora, confuso.
« Non c’è un istante da perdere! Dobbiamo allontanarci il più possibile da questo posto! Aggrappatevi tutti a me, presto! »
I cinque compagni tacquero, colti alla sprovvista da quel tono che non ammetteva repliche. Ma uno alla volta obbedirono alla richiesta di Harry, posando tutti una mano sulle sue spalle. A quel punto il giovane mago si Smaterializzò, portando tutti con sé.
Mollarono la presa pochi attimi dopo, quando ormai erano giunti a destinazione. Harry vide ognuno di loro barcollare, vittime del normale capogiro provocato dai primi salti.
« Continuo a non trovarlo piacevole » borbottò Sora, che aveva già avuto tale esperienza.
« Dove siamo? » domandò Jake, guardandosi intorno con l’arco in mano. I compagni seguirono il suo esempio, scoprendo di trovarsi ancora in un luogo urbano, nei pressi di un grande parco pubblico.
« Siamo tornati al punto di partenza » spiegò Harry con serietà. « Al mio punto di partenza... il luogo in cui ricordo di essere apparso dopo essere stato prelevato da Hogwarts. È il luogo più lontano che sono riuscito a raggiungere con la Materializzazione; mi dispiace di averlo fatto con così poco preavviso, ma ho preferito non correre rischi. Dovevo assolutamente portarci tutti via da lassù. »
« Perché? Che cosa è accaduto? » chiese Lara.
« Ricordate Voldemort? Il mio nemico giurato, quello a cui ho preso la Bacchetta di Sambuco. Il mio attacco di poco fa è stato provocato da lui, perché abbiamo una sorta di legame mentale. Lui può vedere ciò che vedo io, e viceversa; ma non preoccupatevi, ormai so come impedirgli di guardarmi dentro. Ora ne ha approfittato per mandarmi un messaggio... farmi sapere che anche lui si trova qui, in questo mondo, e che è pronto a darmi la caccia di nuovo. »
« Ma non avevi detto che era morto? » disse Hellboy con aria perplessa.
« Anche il nemico di Sora doveva essere morto » ribatté Harry guardando l’amico. « Eppure anche lui è qui. Inoltre, Voldemort mi ha detto una cosa... ha detto che qualcuno lo ha riportato in vita, insieme a “un paio di nuovi amici”. »
I compagni si guardarono tra loro con evidente preoccupazione. Non avevano ancora informazioni sufficienti per stabilire un’ipotesi, ma quel che avevano non lasciava presagire nulla di buono. Due dei loro nemici erano apparsi per perseguitarli... chi altro avrebbero potuto incontrare?
Poi un suono improvviso spezzò la tensione che aleggiava sul gruppo. Veniva dallo stomaco di Sora, che gorgogliava per la fame.
« Oh... scusate » disse il ragazzo, mortificato. « Il fatto è che non mangio da un po’, e finora non ho fatto altro che correre e combattere. »
« Sì, vale anche per noi » commentò Luke, tenendosi la pancia a sua volta.
« Vorrà dire che troveremo un posto ove riposarci » dichiarò Jake. « Suggerisco di entrare in questo parco. Sta calando la notte, dunque dubito che vi incontreremo i Senzavolto. Lì staremo al sicuro fino a domattina. »
Diedero tutti ascolto a Jake, e senza perdere altro tempo s’inoltrarono nel parco. I pochi Senzavolto che ancora si vedevano in giro lasciavano la zona per tornare nelle loro case, quindi non corsero alcun pericolo. Il gruppo proseguì per un po’, addentrandosi tra i grandi alberi e le panchine. Era un parco molto grande, indubbiamente.
Intanto Sora sentiva ancora i morsi della fame, ma era l’unico a darlo a vedere. Gli altri erano infatti nella sua stessa situazione: stanchi e affamati da morire.
« Che palle » brontolò Hellboy, frugandosi le tasche. « Perché finisco sempre le mie merendine quando ne ho più bisogno? »
« Spero che ci sia qualcosa di commestibile da queste parti » pensò Luke con evidente pessimismo.
« In un parco pubblico? Ne dubito seriamente » gli rispose Lara. « Magari nella tua galassia funziona diversamente, ma qui non puoi pretendere di trovare una pentola di stufato nel bel mezzo di un... »
La donna si fermò di colpo, sia con le gambe che con la lingua. I compagni si fermarono a loro volta, colti alla sprovvista come lei. Tutti quanti, infatti, sentivano improvvisamente un profumino, un inconfondibile odore di cucinato. Non poteva certo essere un’illusione, visto che lo sentivano tutti.
« Mmm, niente male » commentò Jake, che aveva l’olfatto più sviluppato. « Non sentivo un profumo così appetitoso da un sacco di tempo. Viene da quella parte » aggiunse, indicando un punto tra il folto degli alberi.
Seguendo il fiuto di Jake, il gruppo trovò in breve tempo ciò che stava cercando. In una radura tra gli alberi, lontano dalle panchine, vi era una grossa pentola sul fuoco acceso, colma fino all’orlo di quello che sembravano spaghetti in brodo. Restarono tutti a fissarla senza parole, stupefatti ma con l’acquolina in bocca.
« Be’, questo sistema il problema del cibo » disse Sora con un sorriso, fissando il ribollire della pietanza.
« Io non sarei così entusiasta, Sora » ribatté Harry sospettoso. « Insomma, che ci fa una pentola di spaghetti in un luogo del genere? È ovvio che l’ha preparata qualcuno. Potrebbe anche essere una trappola per noi! »
Nessuno dei presenti ebbe il tempo di aggiungere altro, perché qualcosa di enorme spuntò dalla chioma degli alberi, precipitando al suolo con la forza di un macigno. Sentirono un lungo urlo durante la caduta, riuscendo così a scansarsi senza subire danni. Quando rivolsero lo sguardo sul punto dell’impatto, videro la cosa più strana della giornata.
Era un panda gigante, poco più alto di Hellboy ma decisamente più grosso. Stava perfettamente in piedi, imitando una postura inequivocabilmente umana; indossava un paio di pantaloncini marroni e dei vecchi sandali; il suo sguardo era colmo di durezza, fisso sui sei compagni come se ce l’avesse con loro. La sua posa era la più singolare, dal momento che sembrava una posa di arti marziali.
« 你是谁?» gridò il panda, rivolto al gruppo.
Cinque dei sei compagni si guardarono tra loro con aria confusa.
« Che diavolo ha detto? » domandò Luke.
« Non capisco la sua lingua » disse Harry.
« 你是谁?? » ripeté il panda, più forte di prima, cambiando posa.
« È cinese! » esclamò Lara in un barlume di comprensione.
« Oh? Tu lo capisci, Lara? » chiese Sora.
« Sì, perfettamente. Conosco molte lingue, e il cinese è una di queste. »
Lara si fece avanti, fissando senza paura il panda che continuava a sbraitare in cinese, mettendosi ogni volta in una posa diversa.
« Va tutto bene, amico » disse la donna, usando il suo stesso linguaggio « non vogliamo farti del male. »
Il panda smise di muoversi, facendosi improvvisamente stupito.
« Tu parli la mia lingua? »
Lara annuì. Si voltò verso gli altri mostrando il pollice alzato, indicando che era tutto a posto.
« Ragazzi, ho idea che anche lui sia uno di noi » suggerì Sora, rilassandosi per primo.
« Tu dici? » fece Harry, dimostrando una forte incredulità. « Mi sembra strano, però. Insomma, guardatelo, è... un panda! »
« E allora? » ribatté Jake. « Sento che ha delle potenzialità... dobbiamo scoprire di cosa è capace. »
« In che modo? Non parla nemmeno la nostra lingua. »
« Forse io ho la soluzione a questo problema. »
Luke si fece avanti, raggiungendo Lara. Si pose di fronte al panda con aria amichevole, ponendo le mani ai lati della sua testa. Il gruppo udì un lieve suono, simile a quello di un dito umido che scorre su un bicchiere di cristallo; il panda assunse un’espressione assente, ma durò un attimo, poi tornò come prima.
« Credo che ora tu possa capirci, amico » disse il Jedi, facendo un passo indietro.
« Sì » rispose il panda, decisamente sorpreso. « Ora conosco la vostra lingua. È incredibile! Come hai fatto? »
« La Forza » rispose Luke sorridendo. « È il mio potere. L’ho usato per trasmettere nella tua mente la mia conoscenza della lingua comune. Così potrai parlare con noi senza impedimenti. »
« Oh, mitico, è davvero una cosa da sballo! »
Per alcuni dei compagni divenne finalmente chiaro un dubbio che avevano da un po’ di tempo. Si erano domandati infatti com’era possibile che Luke parlasse perfettamente la loro lingua nonostante provenisse da un’altra galassia. Evidentemente l’aveva imparata leggendo nella mente di Sora, quando lo aveva salvato dall’aggressione di Ansem.
« Perdonaci se abbiamo invaso il tuo territorio » disse Lara. « L’odore della tua cena ha attirato la nostra attenzione. Non avevamo intenzione di rubartela, te lo assicuro. »
« No, sono io a dover chiedere il vostro perdono » rispose il panda, facendo un leggero inchino tipicamente orientale. « Il fatto è che sono stato inseguito e aggredito per tutto il giorno da un’orda di tizi simili a voi, che volevano chiaramente farmi del male. Fortuna che non erano un granché, così li ho sempre battuti con pochi colpi ben assestati di kung fu. »
« Tu conosci il kung fu? »
« Puoi dirlo forte! Io sono il maestro Po, il mitico Guerriero Dragone protettore della Valle della Pace! Sono il più temibile, il più micidiale, il più tosto maestro di kung fu del mondo! »
Il panda assunse un’altra posa marziale, reggendosi sulla punta del piede destro. Il gruppo lo fissò con aria sempre più stupita, in un silenzio di tomba che fu rotto poco dopo da un nuovo gorgoglio di fame, proveniente dallo stomaco di Sora.
« Affamati anche voi, eh? » osservò Po con aria divertita. « Bene, visto che non volete farmi del male posso invitarvi a cena. Servitevi pure, ho preparato abbastanza spaghetti da sfamare un intero villaggio! »
« E volevi mangiarteli tutti da solo? » chiese Harry.
Po divenne improvvisamente imbarazzato.
« Be’, sai com’è... sono un panda... quelli come me mangiano sempre tanto... »

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Capitolo 7
*** Uno per tutti, tutti per uno ***


Capitolo 7
Poco dopo, fatte le dovute presentazioni, erano tutti seduti intorno alla pentola sul fuoco, intenti a porre fine al loro enorme appetito. Dopo aver ingoiato il primo boccone dovettero ammettere che Po era un ottimo cuoco: quegli spaghetti erano davvero deliziosi, tanto che Sora si complimentò con lui a voce alta.
« Grazie, amico » rispose lui con un gran sorriso. « Questa è la ricetta segreta della Zuppa dall’Ingrediente Segreto di mio padre. Tutta la Valle della Pace ne va ghiotta. »
« E dove hai preso tutta la roba per prepararla? » domandò Harry, incapace di credere che fosse giunto dal suo mondo con tutto quel cibo.
Po assunse un’espressione imbarazzata.
« L’ho... presa in prestito da un negozio qua vicino » spiegò senza guardare in faccia nessuno. « Avevo una gran fame, e... siccome quegli strani tipi senza faccia non avevano fatto altro che attaccarmi... ho pensato di vendicarmi in qualche modo. Così ho approfittato di un momento in cui non potevano vedermi né toccarmi, sono entrato in un negozio di alimentari e ho... preso un po’ di cibarie. Non ne vado fiero, eh... il Guerriero Dragone non deve rubare. Posso accettarlo solo se si tratta di fare un torto ai cattivi.
« Sapete, ragazzi, visto che ora ci conosciamo potete chiarirmi qualche dubbio. Prima di tutto, voi che cosa siete? Non ho mai visto creature come voi in tutta la mia vita... a quale specie appartenete? »
I sei compagni si guardarono tra loro con aria sbalordita. Non si aspettavano affatto una domanda del genere, perciò esitarono parecchio prima di dare una risposta comprensibile.
« A parte Jake ed Hellboy, siamo tutti esseri umani » spiegò Lara. « È una razza che discende dalle scimmie, secondo alcune teorie, come risultato di un lungo processo di evoluzione. »
Po tacque per un po’, e dal suo sguardo risultò evidente che ci aveva capito ben poco. Ogni parte di lui, infatti, dava l’impressione che non era un tipo molto sveglio.
« Be’, in effetti vedevo qualche somiglianza con il mio amico, il Maestro Scimmia » mormorò alla fine.
« E tu, Po? » domandò Lara. « Anche tu susciti molte curiosità con il tuo aspetto. Che cosa sei? »
« Credevo fosse evidente... sono un panda. »
« Infatti, ma non ci è chiaro da dove vieni. Parli cinese e conosci il kung fu, quindi vieni... »
« Dalla Cina, naturalmente » rispose Po, anticipandola. « Abito nella Valle della Pace, un luogo isolato nel cuore della nazione. È abitato da molte creature... conigli, maiali, oche, panda... ma di umani non ne ho mai visti. »
« La Cina che conosco io è la nazione più popolata del mondo, con oltre un miliardo di persone che ci abitano... e non ho mai sentito di panda o altri animali che parlano e camminano come noi. »
Po ingoiò una gran quantità di spaghetti, prima di rispondere.
« Non fo cosa dirti... » disse mentre ancora masticava « ti afficuro che la mia terra è efattamente come te l’ho defcritta » poi deglutì. « È bellissima e vorrei tanto tornarci al più presto... visto che non ho la minima idea di come sono finito qui! »
Le sue ultime parole confermarono l’ipotesi che già fluttuava nelle menti dei sei compagni. Anche Po era finito in quello strano luogo contro la sua volontà, per mano di una sconosciuta forza superiore. Ciò lo rendeva di fatto uno di loro... un guerriero solitario in cerca della strada per tornare a casa.
Dopo che tutti avevano finito di mangiare (Po fu l’ultimo, poiché vuotò la pentola prima di sentirsi sazio), Jake decise di prendere in mano la situazione. Si alzò in piedi, sovrastando tutti quanti con la sua altezza vertiginosa; aveva lo sguardo serio ma rilassato; chiaramente voleva dire qualcosa di importante, lo capivano tutti, perciò restarono in silenzio.
« Okay, dobbiamo fare il punto della situazione, una volta per tutte » dichiarò l’alieno. « Noi siamo qui, in questo luogo pazzesco in cui ogni cosa sembra avere intenzione di ammazzarci. Nessuno di noi sa che razza di posto sia, né in che modo o perché ci sia finito. Gli esseri che abitano questo luogo normalmente non ci vedono, ma quando possono farlo ci aggrediscono.
« Se vogliamo sopravvivere a tutto questo, dobbiamo unire le forze. Imparare a fidarci l’uno dell’altro. Ognuno di noi viene da un luogo diverso, da un’epoca diversa. Sembra però che in alcuni casi ci siano delle discordanze, come se qualcuno stia mentendo o venga da chissà quale strano mondo. Quello che propongo di fare, dunque, è che ognuno di noi racconti ogni cosa: il nome, il cognome, la data di nascita, il luogo da cui proviene, le sue capacità e l’impresa che ha compiuto. Dobbiamo condividere le nostre informazioni in modo dettagliato. In questo modo potremo farci un’idea sull’identità di questo posto, e magari scoprire perché siamo finiti qui. Siete d’accordo? »
I sei compagni si guardarono tra loro per un po’, cercando di capire ognuno cosa ne pensava. Alla fine annuirono tutti quanti.
« Molto bene » disse Jake, rimettendosi a terra. « Allora cominciamo con le presentazioni. Chi vuole essere per primo? Magari tu, Lara... la precedenza alle donne. »
Lara si alzò dunque in piedi, senza alcuna esitazione, e cominciò a parlare.
« Mi chiamo Lara Henshingly Croft. Sono nata in Inghilterra. Sin dall'età di tre anni, ho ricevuto un'istruzione privata dentro le mura di casa, seguita da un precettore, e a undici ho frequentato l'istituto femminile di Wimbledon. Nel frattempo persi mia madre in un tragico incidente, durante la sua ricerca della mitica spada Excalibur: la vidi scomparire davanti ai miei occhi, lasciandomi sola.
« All'età di sedici anni cominciai ad interessarmi all’archeologia, tanto che trovai nel famoso Werner Von Croy un’ottima guida che mi introdusse in quel mondo, fatto di luoghi lontani e antichi misteri. All'età di ventun'anni, naufragai su un’isola sperduta al largo del Giappone, che mi vide costretta a sopravvivere alle più ostili condizioni. Questa esperienza mi cambiò radicalmente, divenendo ciò che sono ora: la rinomata archeologa avventuriera attualmente conosciuta.
« Negli anni seguenti ho iniziato a girare il mondo, e ho acquisito una conoscenza da autodidatta sulle antiche civiltà intorno ad esso. Sono diventata famosa per aver scoperto diversi siti archeologici di profondo interesse; mi sono costruita da sola la mia fama pubblicando libri di viaggio e dettagliate riviste sulle mie spedizioni.
« Non c’è molto da dire sulle mie capacità. So sparare, so combattere... sono in grado di avventurarmi negli ambienti più ostili all’uomo e uscirne viva. Sono esperta nell’uso di varie armi da fuoco. In più porto questa antica spada magica, nota alla storia con il nome di Excalibur. È molto diversa da come è narrata nella leggenda, ma il suo potere è notevole. L’ho trovata durante una delle mie recenti avventure, in cui ho ritrovato mia madre... morta da parecchio tempo.
« All’improvviso, al termine della mia ultima avventura, mi sono ritrovata qui, senza sapere come. Questo luogo non assomiglia a nulla di ciò che ho visto finora, dopo aver girato il mondo innumerevoli volte. Sono comunque certa che questo luogo nasconde segreti che intendo svelare; forse mi permetteranno di tornare a casa. »
La donna tornò quindi a sedersi. Nessuno dei compagni volle commentare ciò che aveva detto finora, tanto erano rimasti colpiti; se qualcuno di loro aveva avuto finora dei dubbi, ora potevano confermare che Lara Croft era una dura, con l’avventura nel sangue.
Jake si rimise dunque in piedi, per raccontare la sua storia.
« Mi chiamo Jake Sully, nato sulla Terra il 24 agosto 2126. Sono cresciuto sentendo parlare di Pandora, una piccola luna in orbita attorno al gigante gassoso Polyphemus nel sistema di Alpha Centauri. Mi sono arruolato nei Marines per una causa per cui combattere. Durante un’azione di guerriglia rimasi ferito alla spina dorsale mentre combattevo in Venezuela. La ferita era grave, lasciandomi paralizzato dalla vita in giù.
« Dal momento che i miei benefici da veterano non erano sufficienti per pagare l'intervento alla spina dorsale, non ebbi altra scelta che vivere la mia vita su una sedia a rotelle. Mi sentivo un uomo finito, naturalmente. Un povero disabile come me non poteva fare un bel niente in quello schifo di mondo in cui vivevo. Ma poi, una notte, dopo aver trascorso la serata a bere, fui avvicinato da due agenti della RDA, la più grande organizzazione non governativa del pianeta. Mi informarono che il mio fratello gemello, Tommy, era stato ucciso in una rapina. Mio fratello era uno dei pochi scienziati scelti per partecipare al programma Avatar; si era addestrato sulla Terra per tre anni in preparazione di un viaggio su Pandora. Rappresentava un investimento significativo per la RDA, a causa del legame intrinseco tra il pilota e l'Avatar che controlla... anche perché era costato una cifra pazzesca. E dal momento che ero geneticamente identico a mio fratello, potevo collegarmi con il suo Avatar, facendo risparmiare alla società il costo di crearne uno nuovo. Accettai dunque di prendere il posto di Tommy, dopodiché mi ritrovai a partire per Pandora.
« Pandora è un mondo primordiale, ricoperto da foreste pluviali con alberi giganteschi, ed è abitato da varie creature, tra cui degli umanoidi senzienti chiamati Na'vi. Loro erano in guerra con gli umani perché questi stavano depredando il loro mondo, tanto era ricco di risorse minerali. L'aria del satellite non è respirabile dagli umani, pertanto gli scienziati hanno sviluppato degli Avatar, corpi ibridi genetici tra umano e Na'vi privi di coscienza propria: attraverso un'interfaccia mentale un uomo può trasferire la sua anima e la sua coscienza nel corpo dell'Avatar e controllarlo come il suo corpo.
« Dopo un viaggio di quasi sei anni, mi risvegliai dal criosonno a bordo dell’astronave in orbita su Pandora. Quando entrai nella base RDA, incontrai il colonnello Miles Quaritch, capo dell’intera forza di difesa paramilitare di Pandora. Io ignoravo assolutamente tutto su Pandora e sui Na'vi, ma mi entusiasmava la possibilità di poter tornare a camminare, e accettai il patto offertomi dal colonnello: l’operazione chirurgica per riavere le mie gambe, in cambio di informazioni per attaccare i Na’vi.
« Durante una spedizione nella foresta, entrai in contatto con i Na'vi. Mi dichiarai intenzionato a conoscere i loro usi e costumi e nonostante la diffidenza della tribù, fui in grado di apprendere il suo popolo e il loro rapporto empatico verso le creature di Pandora.
« Dopo un po’ di tempo, fui infine accolto dalla tribù, imparai le loro usanze e finii con l'innamorarmi della figlia del capoclan. Non riuscii però ad impedire l'attacco degli umani al loro villaggio: l'Alberocasa fu abbattuto e i Na'vi fuggirono disperati, e a quel punto fui visto da loro come un traditore. Mentre la mia amata mi abbandonava, venni accusato di essermi opposto all'attacco anche da parte dei militari, che mi rinchiusero in cella.
« Riuscii a fuggire e raggiunsi i Na'vi, raccolti attorno all'Albero delle Anime, un luogo sacro per loro e categoricamente inviolabile per gli estranei. Ma sapevo che la tribù non mi avrebbe riaccettato così facilmente, e quindi tentai un'impresa al tempo stesso eroica e disperata: riuscire a domare il mastodontico Toruk, la più grande creatura volante di tutti i cieli, un'impresa considerata leggendaria e compiuta solo 5 volte dalla nascita di Pandora. Dopo essere riuscito a domarlo, azione altamente simbolica, radunai molti clan Na'vi, così da prepararsi al successivo attacco della RDA. La battaglia che seguì fu drammatica: i militari stavano avendo la meglio su di noi, finché le mie preghiere formulate ad Eywa, la divinità suprema, non furono accolte: furono gli stessi animali di Pandora a guidare la carica, arrivando a sconfiggere gli umani; lo stesso Quaritch morì dopo avermi affrontato in un’ultima, disperata battaglia. I Na'vi raggiunsero infine la base terrestre, obbligando i soldati a lasciare il satellite, mentre io partecipai ad una sacra cerimonia, nella quale lasciai il mio corpo umano, trasferendomi definitivamente nell’Avatar.
« Così è cominciata la mia nuova vita su Pandora. Sono diventato il nuovo capoclan, abbandonando completamente tutto ciò che avevo di umano. Credevo che sarebbe durata per sempre... ma mi sbagliavo. Non so come, ma un giorno mi sono addormentato risvegliandomi in questo strano mondo, molto simile alla Terra. Non ho idea di come o perché sia accaduto, ma giuro che farò tutto il possibile per andarmene da qui e tornare nel mio mondo... dalla mia famiglia.
« Infine, per quanto riguarda le mie capacità, posso contare sul mio addestramento militare, oltre che sulle tecniche di combattimento Na’vi. So cacciare, cavalcare, tirare con l’arco e maneggiare un gran numero di armi da fuoco. Posso cavarmela in un ampio ventaglio di situazioni, come avete già potuto notare. Quindi vi assicuro che potrete sempre contare su di me, qualunque cosa accada. »
Jake tornò a sedersi. Molti dei compagni rimasero perplessi, questa volta. Non sapevano cosa pensare, infatti, di un uomo che aveva sacrificato tutto ciò che era per diventare un alieno. Ma chissà, forse se fossero stati al suo posto avrebbero compiuto le sue stesse scelte. In ogni caso, Jake era un eroe anche ai loro occhi.
Fu dunque il turno di Hellboy, che si alzò in piedi dopo aver gettato nel fuoco il mozzicone del suo sigaro. Si schiarì la voce e cominciò a parlare.
« A voi sono noto come Hellboy, ma non è il mio vero nome. Non posso pronunciarlo ad alta voce, perché facendolo rivelerei la mia vera natura e il mio vero potere. Ma visto che devo condividere con voi ogni cosa, ve lo scrivo. »
Afferrò un rametto e tracciò una parola a terra, affinché tutti potessero vederla.
« “Anung Un Rama”? » disse Sora dopo aver letto la parola.
Hellboy annuì. « Il Figlio del Caduto... o almeno così dicono. Sono stato creato da chissà quali forze oscure con un unico scopo... essere la Chiave per liberare gli Ogdru Jahad, i Sette Dei del Caos. Sono giunto sulla Terra la notte del 23 dicembre 1944. Fui evocato dal malvagio stregone Grigori Rasputin, che era stato ingaggiato dai nazisti affinché gli trovasse un’arma per vincere la guerra contro il mondo. »
« Rasputin? » ripeté Lara, stupita. « Il monaco russo dei Romanov? »
« Proprio lui. I libri di storia non dicono che era sopravvissuto al suo assassinio nel 1916, e che si era rifugiato in Germania continuando le sue ricerche sull’occulto. Era comunque un bel po’ fuori di testa e voleva distruggere il mondo, evocando gli Ogdru Jahad con l’aiuto dei nazisti. Fui evocato, dunque, e apparsi davanti a un gruppo di soldati americani inviati per indagare sul misterioso rituale nazista. Lo scienziato che mi accompagnava, il professor Trevor Bruttenholm del BPRD, mi prese con sé diventando mio padre, dandomi il nome di Hellboy. Così fui allevato in segreto dal governo degli Stati Uniti e addestrato per essere un investigatore del paranormale. »
« Da allora ho fatto un sacco di cose. Ho dato la caccia ai mostri e alle entità che minacciavano il mondo, ho recuperato oggetti e artefatti magici pericolosi, ho eliminato Rasputin una volta per tutte, sconfitto l’Armata d’Oro... ho salvato il mondo dozzine di volte, in pratica. Ho tenuto separati il mondo degli uomini da quello occulto per diversi anni, almeno finché non sono stato scoperto dalla gente. Ora posso muovermi liberamente, anche se in molti ancora mi temono a causa del mio aspetto. Purtroppo la gente comune continua a temere quello che non conosce... e poiché non mi conoscono, mi considerano un mostro.
« Adesso, non so come, mi ritrovo qui, in questo mondo assurdo. E credetemi, dopo tutto quel che ho visto in vita mia, questo posto si aggiudica la medaglia d’oro nelle olimpiadi delle assurdità. Non mi piace affatto e non intendo restarci, quindi non mi arrenderò finché non scoprirò che diavolo succede, per poi tornare finalmente a casa. »
E tornò a sedersi, dopo aver cancellato il suo nome dal terreno con una pedata. Passò quindi il turno a Po, che squadrò il gruppo con aria nervosa prima di parlare.
« Mi chiamo Po, e vengo dalla Valle della Pace, situata in Cina. Sono figlio di uno spaghettinaro, e per tutta la vita ho lavorato nel suo ristorante credendo di essere destinato a condurre l’attività della famiglia. Ma in realtà ho sempre sognato di fare il kung fu. Ero un grande ammiratore dei Cinque Cicloni, i mitici guerrieri allenati dal grande maestro Shifu. Un giorno, il maestro Shifu organizzò un torneo tra i Cinque Cicloni per vedere quale di loro fosse adatto a diventare il Guerriero Dragone... un guerriero leggendario difensore della giustizia. Il vincitore avrebbe inoltre potuto leggere il contenuto della Sacra Pergamena del Drago, che si diceva nascondesse il segreto di un potere illimitato.
« Emozionatissimo per la notizia, andai a vedere il torneo per scoprire chi sarebbe diventato il Guerriero Dragone, ma non arrivai in tempo. Usai dei fuochi d'artificio per lanciarmi in aria ma caddi proprio nel mezzo del torneo. Il maestro Oogway, maestro di Shifu, mi scelse credendo che fossi il Guerriero Dragone mandato dall'universo. Shifu rimase deluso, credendo che fosse un caso, ma Oogway gli rispose con la sua lezione più importante: il caso non esiste.
« Nessuno di loro, nemmeno i Cinque Cicloni, credevano fossi il Guerriero Dragone. Ma Shifu accettò a malincuore di allenarmi per confermare la verità. I primi tentativi di allenamento andarono male, perché... be’, potete immaginarlo. Non ho certo l’aspetto di uno capace di fare cose del genere. Per loro ero solo un grosso, lardoso panda... un completo incapace. Come se non bastasse, nel frattempo, la Valle era minacciata da Tai Lung, un ex-allievo di Shifu divenuto malvagio: voleva la Pergamena del Drago per diventare invincibile, e stava arrivando al Palazzo per ottenerla. I Cinque Cicloni avevano tentato di fermarlo, ma erano stati sconfitti dalla sua furia.
« Shifu, piuttosto scoraggiato, si rese presto conto che ero capace di superare i miei limiti se incitato con del cibo: così iniziai un duro allenamento basato sul presentarmi da mangiare obbligandomi a combattere per averlo. Così imparai finalmente il kung fu, dopo aver scoperto questo incredibile metodo. A quel punto fui considerato degno di diventare il Guerriero Dragone, ma quando mi venne consegnato il potere supremo, scoprii che la pergamena era vuota. Tai Lung, intanto, era ormai vicino. Preoccupato, pensai di scappare, ma da un insegnamento di mio padre capii la verità: il vero potere è dentro sé stessi. Così, incoraggiato da questa rivelazione, affrontai e sconfissi Tai Lung, mettendo in pratica i miei insegnamenti.
« Da allora sono considerato l’eroe della Valle. Il maestro Shifu fu orgoglioso di me e trovò la pace interiore... qualunque cosa sia. I Cinque Cicloni sono diventati miei amici, e lavoriamo insieme per compiere grandi imprese. E mio padre... be’, è sempre lì al ristorante, ma è fiero di me.
« È questo che so fare, alla fine. Conosco il kung fu. So combattere con le mie sole mani, e affrontare nemici del calibro di Tai Lung. La mia tostaggine non ha eguali, credetemi. Ultimo, ma non meno importante, so cucinare degli ottimi spaghetti. Ho portato queste doti con me, in questo strano luogo pieno di scimmie senza peli. Non so come ci sono finito, ma dal momento che mi sono trovato in pericolo fin dal primo momento, voglio assolutamente tornare nella mia Valle. »
I sei compagni lo guardarono con approvazione mentre tornava a sedersi. Anche se non lo dava a vedere con il suo aspetto comico, sotto quella ciccia si nascondeva il cuore di un vero guerriero... di un eroe.
Fu il turno di Luke, che imitando gli altri si mise in piedi e cominciò a raccontare.
« Mi chiamo Luke Skywalker. Sono cresciuto su Tatooine, un pianeta sperduto nell’Orlo Esterno della galassia. Sono un Cavaliere Jedi e un eroe dell’Alleanza Ribelle durante la Guerra Civile Galattica.
« Fino a poco tempo fa, la Galassia era dominata dal malvagio Impero Galattico, che stava seminando terrore e morte su tutti i pianeti circostanti. Tutto questo ad opera dell’Imperatore Palpatine, un malvagio Signore Oscuro dei Sith. I Sith sono l’opposto dei Jedi... usano il potere della Forza esclusivamente per i loro scopi crudeli. L’Imperatore era riuscito a prendere il potere sulla Galassia dopo aver sterminato i Jedi, rovesciando l’antico ordine e la Vecchia Repubblica. Riuscì a fare tutto questo con l’aiuto del suo allievo, Darth Vader, un Jedi passato al Lato Oscuro della Forza.
« Io sono nato quando ormai era caduto tutto in disgrazia. Mia madre era morta dopo avermi partorito, ritrovandomi dunque senza famiglia. Trascorsi la mia infanzia lontano dall’Impero, allevato dai miei zii su Tatooine. Poi la mia vita cambiò completamente quando comprai due droidi al mercato. Scoprendo un messaggio disperato dentro la loro memoria, scoprii l’esistenza di un maestro Jedi che aveva insegnato le vie della Forza a mio padre, Anakin Skywalker. Oltre al messaggio, i droidi contenevano i piani di una terrificante arma spaziale costruita dall’Impero. Nel frattempo i miei zii furono uccisi dai soldati imperiali che cercavano i due droidi, perciò decisi di aiutare il maestro Jedi nella sua missione: consegnare i piani alla principessa Leila, capo dell’Alleanza Ribelle.
« Lasciai così Tatooine per la prima volta nella mia vita, e da allora ho vissuto molte avventure. Dopo essermi unito all’Alleanza Ribelle, ho distrutto la Morte Nera e imparato le vie della Forza. Questo mi ha permesso inoltre di affrontare l’Imperatore e Darth Vader... che altri non era che mio padre. »
« Tuo padre? » ripeté Harry incredulo.
« Già... era un potente Jedi, prima dell’Impero e della crisi. L’Imperatore era riuscito a plagiarlo, facendolo passare al Lato Oscuro con l’inganno. Tradì l’Ordine dei Jedi e il suo stesso maestro. Si trasformò in un agente di morte dell’Impero, uccidendo i Jedi e seminando il caos sui pianeti che prendevano di mira. Non aveva altra scelta, comunque... ormai aveva perso tutto, compreso l’amore di mia madre, che morì per il dolore. Dopo avermi riconosciuto tentò disperatamente di farmi passare al Lato Oscuro, ma invano. Ci siamo scontrati diverse volte durante la Guerra Civile. Riuscì infine a redimersi dopo il nostro ultimo incontro, e uccise l’Imperatore per salvare la mia vita. Morì subito dopo, a causa delle ferite riportate nello scontro. Mi ha rattristato molto vederlo morire dopo la sua redenzione, ma so che ora è in pace... è divenuto tutt’uno con la Forza, e veglia su di me.
« Dopo la morte dell’Imperatore, la pace è tornata nella Galassia. È stato instaurato un nuovo ordine, e la Repubblica è tornata a governare sui pianeti uniti. Io sto tentando di ricostruire l’Ordine dei Jedi, con l’aiuto di mia sorella Leila e dei miei amici. Ero di ritorno da una missione, quando mi è accaduto tutto questo. una luce ha avvolto la mia astronave, e un istante dopo mi sono ritrovato qui, in questo mondo sconosciuto.
« Io sono un Cavaliere Jedi. Dalla mia parte ho il potere della Forza, l’energia che scorre in tutta la Galassia. Essa mi fornisce molte capacità, che scoprirete nel corso di questo viaggio. Sono inoltre un ottimo pilota e sono esperto nell’uso della spada laser. Userò questo potere per scoprire che sta succedendo, e per trovare un modo per ritornare sul mio pianeta. »
Luke tornò a sedersi, circondato da molti sguardi sbalorditi. Nessuno di loro si aspettava che avesse compiuto una simile avventura, nemmeno Sora, che in qualche modo ci vedeva delle somiglianze con la sua. Ma le congetture s’interruppero con l’intervento di Harry, poiché era venuto il suo turno.
« Mi chiamo Harry James Potter. Sono nato in Inghilterra il 31 luglio del 1980 da genitori maghi, James Potter e Lily Evans. Rimasi orfano all'età di un anno, quando Lord Voldemort, lo stregone malvagio che terrorizzava il paese, uccise i miei genitori, che si sacrificarono per salvarmi la vita. Grazie all'amore di mia madre, la maledizione lanciata da Voldemort rimbalzò sulla mia testa, lasciandomi questa cicatrice e distruggendo Voldemort stesso. Fui così affidato ai miei zii Babbani, i quali però non mi accolsero a braccia aperte: mi trattarono da schifo, negandomi un'infanzia felice. Mi nascosero perfino la mia vera natura, perché odiavano tutto ciò che riguardava la magia. Solo al mio undicesimo compleanno scoprii di essere un mago, e per giunta molto famoso, perché sono l'unico ad essere sopravvissuto a Voldemort e all'Anatema che Uccide.
« Dopo aver compiuto undici anni, un mago inglese ha il diritto di frequentare la Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts. Così lasciai volentieri la casa dei miei zii e raggiunsi la scuola, ritornando nel mondo a cui appartenevo davvero. Ho trascorso sette anni a Hogwarts, imparando a controllare la magia e vivendo un sacco di avventure... molte delle quali assai spiacevoli.
« Sarà incredibile, ma a Hogwarts non ho mai trascorso un anno normale. Mi sono capitate un sacco di cose là dentro. Ho assistito al ritorno di Voldemort e alla sua riconquista del potere, provocando la morte di altre persone a me vicine. Non desideravo altro se non una vita normale, ma ho dovuto combattere per riportare le cose alla normalità. Si da il caso che io fossi una specie di prescelto, designato da una profezia come il solo in grado di eliminare per sempre il Signore Oscuro. Per questo Voldemort aveva cercato di uccidermi quando ero piccolo, nel tentativo di scongiurare la profezia. Ci siamo affrontati per l’ultima volta alla fine del mio settimo anno a Hogwarts, dopo che aveva scatenato una vera guerra tra i maghi. Dopo aver scoperto il segreto della sua immortalità e aver distrutto i frammenti della sua anima, riuscii finalmente a ucciderlo, riportando la pace nel mio mondo.
« Ora, dopo aver completato gli studi – e aver sconfitto forze oscure della peggior specie – posso dire di avere a disposizione notevoli capacità. Sono piuttosto versato nelle arti magiche, e sono in grado di affrontare tutto ciò che riguarda la magia. Ho dalla mia parte persino la Bacchetta di Sambuco, che è considerata la bacchetta magica più potente mai realizzata. L’ho sottratta a Voldemort dopo averlo ucciso, ed è arrivata con me in questo strano mondo prima che potessi metterla al sicuro.
« Non so come ho fatto ad arrivare qui, né per quale motivo. L’unica cosa di cui sono certo è che anche Voldemort è qui, ed è intenzionato ancora una volta ad uccidermi. Non mi sono mai arreso contro di lui, e non intendo farlo nemmeno adesso. Sono pronto ad affrontarlo di nuovo, se necessario, e a tornare a casa a qualsiasi costo. »
Toccò infine a Sora, che si alzò lentamente dal posto. La cosa era di per sé buffa, poiché l’avventura era cominciata con lui, insieme alla formazione del gruppo. Tuttavia prese a parlare senza pensarci due volte.
« Mi chiamo Sora. Ho quindici anni e vengo dalle Isole del Destino, un luogo lontano e quasi completamente isolato. Ci ho passato tutta la vita laggiù, fino a che un anno fa non è accaduta una svolta. Io e i miei amici avevamo intenzione di partire, di lasciare le Isole per raggiungere un nuovo mondo, e per questo motivo avevamo costruito una zattera.
« La sera prima della partenza, tuttavia, la costa fu sconvolta da una violenta tempesta; mi precipitai sull'isola per mettere a secco la zattera e, arrivato al molo, incontrai per la prima volta gli Heartless. In quel momento non potevo saperlo, ma il mio mondo era stato collegato all’Oscurità... e ora era giunta per divorarlo. Gli Heartless erano arrivati per questo. Non potevo niente contro di loro, e fui costretto a fuggire. I miei amici, Riku e Kairi, scomparvero davanti ai miei occhi, e poco dopo fui inghiottito anch’io dalle tenebre. Proprio allora, però, una luce squarciò l'oscurità e tornai sull'isola con in mano il Keyblade, la chiave della Luce, unica arma efficace contro gli Heartless. Ma era comunque troppo tardi per salvare il mio mondo, che infatti fui distrutto. Io mi salvai raggiungendo un nuovo mondo, la Città di Mezzo, dove iniziai la mia avventura come Custode del Keyblade.
« Durante i viaggi per i vari mondi, le mie abilità aumentarono. Inoltre incontrai nuovi e incredibili personaggi, mentre sconfiggevo i malvagi dei vari mondi e i loro Heartless. L’Oscurità, infatti, si muoveva per conquistare tutti i mondi dell’universo, a causa dei piani dell’individuo che controllava gli Heartless: Ansem, lo studioso dell’Oscurità, che avete già avuto modo di conoscere. Il suo piano era quello di raggiungere il Kingdom Hearts, il cuore di tutti i mondi, e di conquistarlo per ottenere un potere illimitato. Al termine del mio viaggio riuscii a sconfiggerlo salvando i miei amici, e ripristinando i mondi consumati dalle tenebre.
« Ma la mia avventura non era affatto finita. Le manovre di Ansem erano solo parte di un piano ben più grande, di cui non potei subito rendermi conto. Ancora oggi viaggio e combatto per difendere i mondi dall’Oscurità, insieme ai miei amici; non sono più l’unico, infatti, ad avere un Keyblade, perché è un’arma che possono meritare coloro che hanno un cuore forte. Ho ancora dei nemici in cerca del Kingdom Hearts, nascosti da qualche parte in attesa di colpire. Io ero tornato alle Isole del Destino, aspettando lo sviluppo degli eventi, quando all’improvviso mi sono ritrovato qui. All’inizio credevo che fosse un mondo come tanti altri, ma mi sbagliavo: non assomiglia a nessuno di quelli che finora ho conosciuto, e in qualche modo sembra ben più inquietante dello stesso regno delle tenebre. Ma non sarà questo ad abbattermi. Vi assicuro che non mi arrenderò finché non avrò trovato un modo per tornare nel mio mondo... e per riportare tutti voi nei vostri. »
Calò dunque il silenzio intorno al falò. Ognuno di loro aveva detto tutto, tutto quello che c’era da sapere. Si ritrovarono dunque a guardare Jake, che aveva avuto questa brillante idea. Il giovane Na’vi guardava per terra, chiaramente impegnato a riflettere. Alzò il capo dopo una manciata di minuti e si apprestò a parlare.
« Molto bene » dichiarò. « Ora che ci conosciamo tutti a fondo, dalle informazioni che abbiamo condiviso posso dedurre qualcosa. Noi ci troviamo in un altro mondo, diverso da quelli da cui noi proveniamo... tipo una dimensione parallela o roba simile. »
« Lo immaginavo » commentò Sora, senza aggiungere altro.
« È chiaro, quindi, che ognuno di noi viene da un mondo diverso. In alcuni casi si tratta di mondi simili, con lievi differenze. Come nel vostro caso, Lara e Red. »
Lara ed Hellboy annuirono, pur avendo qualche dubbio a riguardo.
« Altri mondi, invece, possono avere enormi differenze. Nel caso di Po, per esempio, non esiste la razza umana. Quello di Sora è un piccolo mondo isolato, ma da cui ne ha potuti vedere molti altri. Infine ci sono mondi in cui differisce l’epoca di appartenenza. Io vengo da un’epoca che per voi non è ancora avvenuta, mentre Harry proviene da un passato poco lontano. »
Tutti quanti continuarono ad annuire, perfettamente d’accordo. Jake aveva fatto una sintesi ammirevole della situazione.
« A questo punto » riprese Jake, « viene da chiedersi cos’hanno in comune i mondi da cui proveniamo. Cosa rappresentano l’uno per l’altro? In apparenza, assolutamente nulla. In realtà, invece, siamo noi ad avere qualcosa in comune... qualcosa che potrebbe essere il motivo per cui ci troviamo tutti insieme. »
« Cosa? » domandò Harry ansioso. « Che cosa abbiamo in comune? »
Jake sorrise, come se la cosa fosse banale.
« Be’... noi siamo eroi. Siamo quelli che hanno salvato il mondo... quello da cui proveniamo. A sentire le vostre storie, non c’è uno tra di noi che non abbia compiuto delle grandi imprese. Qualcuno vuole forse sostenere il contrario? »
I compagni si guardarono tra loro, perplessi, poi scossero tutti la testa.
« Allora è come dico io » disse Jake soddisfatto. « Non so ancora che genere di mondo sia questo, o perché stia succedendo il casino in cui siamo finiti, ma di una cosa sono sicuro. Non siamo finiti in questo mondo per caso... io dico che siamo stati scelti. Qualcosa, o qualcuno, ci ha selezionati per portarci qui. »
Di nuovo silenzio. Hellboy fece un grugnito, dal quale traspariva il suo stato di seccatura.
« E chi diavolo sarà stato a compiere questa bravata? » borbottò, guardando verso l’alto. « Quale potenza cosmica era così annoiata da decidere di strapparci dalle nostre case e buttarci in questo cesso intasato? »
« Ovviamente non ne ho idea » rispose Jake. « Per il momento, con le informazioni in nostro possesso, ciò che ho detto finora è tutto quello che posso supporre. »
« Se vogliamo scoprire qualcosa sulla faccenda, dobbiamo andare avanti » intervenne Lara con serietà. « È chiaro che ci troviamo qui per qualche motivo... come ho detto prima, intendo scoprirlo, e trovare il modo per tornare a casa. »
Tra i compagni si levò un mormorio, in cui tutti dicevano « Anch’io. »
Sora si alzò dunque in piedi, e avanzò fino al focolare trovandosi al centro del gruppo.
« Se restiamo uniti, ce la faremo » dichiarò. « Domani mi metterò in viaggio per trovare una soluzione, e preferirei non doverlo fare da solo. Ora siete miei amici, e in quanto tali ve lo chiedo... camminerete al mio fianco in questa avventura? »
Sollevò una mano, tenendola in orizzontale verso una direzione qualsiasi. Il suo viso era solcato da un sorriso colmo di determinazione. Così Harry si alzò dal suo posto e lo raggiunse, mettendo una mano sopra la sua.
« Io sono con te, amico » disse sorridendo.
Lara si alzò dopo di lui e li raggiunse, ripetendo il gesto.
« Potete contare su di me. »
La mano di pietra di Hellboy si posò sopra le altre subito dopo.
« Credo che ci sia posto anche per me su questa carrozza. »
Luke si fece avanti, posando la sua mano.
« Che la Forza sia con noi. »
La figura gigantesca di Jake torreggiò su tutti loro, prima che la sua mano si posasse sulle altre.
« Ora siete miei fratelli. »
Infine, la zampa di Po trovò posto in cima alle mani di tutti, dopo essersi fatto avanti in modo goffo.
« Questo è l’inizio di una mitica avventura... e non ho intenzione di perdermela! »
Erano tutti riuniti, tutti e sette, pronti a rimettersi in marcia per dare un senso alla loro presenza in quel mondo sconosciuto. Rivolsero dunque lo sguardo su Sora, il cui sorriso era più largo che mai, in maniera decisamente comica. A lui spettava l’ultima parola, dato che li aveva riuniti in quel modo, pur non sapendo quanto valesse per lui quel gesto.
« Uno per tutti... tutti per uno! » esclamò alla fine.

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Capitolo 8
*** La notte degli orrori viventi ***


Capitolo 8
I sette compagni ripresero il cammino il giorno seguente, non appena il mondo fu illuminato da una luce sufficiente. Erano tutti d’accordo sul lasciare la città, dal momento che non erano riusciti a identificarla e dall’ingente quantità di pericoli che avevano affrontato finora; dunque continuarono a camminare all’interno del parco, tenendosi il più lontano possibile dal centro abitato. I Senzavolto costituivano ancora una minaccia per loro, e non era saggio camminare su strade affollate.
Jake Sully era stato scelto come capo del gruppo, poiché vantava di capacità ed esperienza maggiori degli altri. Il suo addestramento militare gli permetteva di guidarli e dettargli ordini egregiamente, e i suoi sensi animali gli permettevano di percepire minacce e pericoli a grande distanza.
Intanto l’atmosfera all’interno del gruppo si era fatta decisamente più allegra, grazie all’introduzione dell’ultimo arrivato. Po, infatti, era ancora più ottimista e spiritoso di Sora, e tentava in tutti i modi di mantenere alto il morale con le sue chiacchiere. Parlava soprattutto con Jake; gli ispirava fiducia poiché oltre a lui era il membro più inumano del gruppo. Per tutto il giorno discusse con lui sulla scelta di un nome “fico” da assegnare al gruppo, senza riuscire a trovarne uno decente.
« Che ne pensi de “I Salvatori”? » domandava Po.
« Banale » rispose Jake guardando avanti.
« E “I Sette Guerrieri della Luce”? »
« Tremendo. »
« “I Mitici Vendicatori Venuti Da Molto Lontano”! »
« Impronunciabile. »
« Allora i... i... » Po s’interruppe. « Uffa, credo di aver esaurito le idee. »
« Comincio a pensare che abbatti i nemici con le tue chiacchiere, invece che con il kung fu » commentò Jake, ironico.
« Ah, aspetta solo di vedermi all’opera, mio gigantesco amico. Ti assicuro che rimarrai abbagliato dalla forza del Guerriero Dragone. »
« Al momento mi piacerebbe essere abbagliato dalla luce del giorno. Qualcuno saprebbe dirmi che fine ha fatto il sole? Non so voi, ma a me sembra sparito di colpo. »
Il gruppo interruppe la marcia e si guardò intorno. Ognuno di loro fu costretto a condividere il punto di vista di Jake. Era vero, all’improvviso si era fatta la notte. Eppure non potevano aver camminato così a lungo. Nessuno di loro aveva con sé un orologio, ma erano certi di essersi messi in viaggio da poche ore. All’improvviso si trovavano su una strada deserta di periferia, circondati dal buio e dalla nebbia. In giro non si vedeva anima viva, nemmeno i Senzavolto che avrebbero dovuto abitare il quartiere. Un’atmosfera decisamente lugubre, da qualsiasi punto di vista.
« Questo mondo diventa sempre più bizzarro ad ogni passo » borbottò Hellboy, guardando il cielo con aria seccata.
« Già » aggiunse Lara. « A quanto pare, anche lo scorrere del tempo è decisamente diverso. Il giorno e la notte passano in maniera irregolare. Mi chiedo quanto potrà durare... »
« Questo posto mette i brividi » mormorò Po, il cui sguardo saettava in ogni direzione con evidente timore. « Sarà meglio allontanarci il più possibile, non si sa mai. »
« Hai paura, Po? » chiese Sora, scettico e divertito allo stesso tempo. « Non credo che si addica al mitico Guerriero Dragone, avere paura... »
« Non... non ho paura! » esclamò il panda, ricomponendosi. « E anche se ne avessi non ci sarebbe nulla di male, giusto? Dico solo che questo ambiente non è affatto piacevole... non trovi? »
« Ah, ho visto di peggio. Ma devo ammettere che tutta questa nebbia, oltre ad essere un impiccio, mi dà un cattivo presentimento. »
Lo sguardo di Sora cadde infine su Harry, ed ebbe un’illuminazione.
« Suggerisco di restare in guardia, Harry » gli disse. « Quei mostri di ieri, i Dissennatori, sapevano provocare la nebbia... e se ce ne fossero altri da queste parti? »
« Ne dubito » rispose il giovane mago. « Se fossero i Dissennatori l’aria sarebbe gelida, il buio assoluto, e non riusciremmo a pensare a nulla di bello. Credimi, ormai so riconoscere l’effetto che fanno all’ambiente prima che appaiano. »
Sora annuì, più rilassato di prima. Era certo di potersi fidare ciecamente di Harry, specie dopo aver sentito la sua storia. Era un tipo in gamba, con tutte le carte in regola per essere trattato come un amico.
Jake si fermò all’improvviso, facendo segno agli altri di fare lo stesso. Restarono tutti in posizione di guardia, in mezzo alla strada, circondati da una nebbia fattasi ormai fittissima.
« Sentito qualcosa, Jake? » domandò Lara, afferrando subito le pistole.
L’alieno fiutò l’aria per qualche secondo prima di rispondere. Dall’espressione della sua faccia era disgustato.
« Senzavolto? »
« No, i Senzavolto non hanno odore » disse. « Chiunque sia, ha un odore terribile. Purtroppo lo riconosco... è l’odore della morte. »
« Prego? » fece Harry perplesso.
« Puzza di morto » spiegò Hellboy con serietà. « Deve aver fiutato un cadavere nelle vicinanze... giusto, Sully? »
« Più di un cadavere » rispose Jake, che nel frattempo si era voltato. « Sento molti odori diversi, da ogni direzione... sono morti, tutti morti. Decine di cadaveri. Ma quel che è peggio... non ha alcun senso... è che li sento camminare. »
L’incredulità s’impadronì dei sette compagni. Un attimo dopo, tuttavia, si erano messi a cerchio, l’uno a fianco all’altro, in modo da guardare in ogni direzione coprendosi le spalle. Avevano tutti le armi in pugno o, nel caso di Po, i pugni serrati. Ancora una volta erano pronti a combattere.
Fu allora che li videro venir fuori dalla nebbia, tutt’intorno a loro. Uomini e donne, a decine, camminavano lentamente verso di loro, alcuni zoppicanti, altri striscianti. Avevano i vestiti sporchi e laceri, la pelle cadaverica e marcescente; molti di loro avevano qualche pezzo mancante, come una gamba o un braccio, ciononostante continuavano a muoversi. I loro occhi (quelli che ancora li avevano) erano completamente bianchi, inespressivi, ma erano tutti fissi sul gruppo.
« Per la barba di Merlino! » esclamò Harry con orrore. « Sono Inferi! »
« Sono cosa? » fece Sora, non riuscendo a capire.
« A casa mia li chiamiamo zombi » disse Hellboy, che tra tutti sembrava il più tranquillo. Dal suo tono, infatti, sembrava sapere con chi avevano a che fare.
« Non-morti » aggiunse Lara, puntando subito le pistole. « Persone resuscitate per mezzo di qualche maledizione. Ma non hanno alcun controllo... pensano solo a mangiare carne viva. »
I sette compagni restarono in guardia, attendendo il momento giusto per attaccare. Hellboy spiegò rapidamente agli altri come trattare con gli zombi; da qualsiasi mondo provenissero, infatti, il diavolo era certo che bastasse un colpo alla testa per ucciderli, poiché era il punto debole più classico. Gli zombi continuarono ad avanzare, arrancando lentamente verso di loro; erano vicini, ormai, abbastanza per colpirli senza sbagliare... ancora pochi attimi.
Il cupo silenzio della notte fu rotto all’improvviso. L’intero gruppo fu colto dalla sorpresa poiché udirono una musica diffondersi nell’aria. Gli zombi si fermarono, come se avessero subito qualche effetto collaterale; ognuno di loro smise di avanzare si mise dritto in piedi, come in attesa di ordini.
« Che succede? » disse Harry, decisamente stupito dalla reazione. « Cos’è questa musica? »
« Non riesco a capire da dove provenga » aggiunse Hellboy, guardandosi intorno. « Eppure mi sembra familiare... »
« Sì, anche a me » intervenne Lara.
La musica aumentò di volume. Il genere era sicuramente pop, e s’intonava perfettamente con l’ambiente lugubre. Come se non bastasse, gli zombi avevano ripreso a muoversi, ma, con grande sorpresa di tutti, si erano messi a ballare, in sincronia. Facevano tutti le stesse mosse all’unisono, guidati da uno zombi alla testa del gruppo: aveva l’aspetto di un ragazzo di colore dai capelli ricci, vestito con una tuta rossa, l’unico tra loro intento a cantare.
 
Its close to midnight and something evils lurking in the dark
Under the moonlight you see a sight that almost stops your heart
You try to scream but terror takes the sound before you make it
You start to freeze as horror looks you right between the eyes,
You’re paralyzed...

 
Il gruppo restò immobile, fissando l’orda di zombi che continuava a ballare come se nulla fosse. Erano a metà tra lo stupore e il divertito, ma non sapevano esattamente cosa pensare.
« Ma quello... » disse Hellboy con aria incredula, fissando il ragazzo riccioluto « no, non è possibile. »
« Cosa c’è, Red? » chiese Sora.
« Ora capisco... quel ragazzo è... Michael Jackson! »
Fra tutti i compagni, solo Jake e Lara fissarono il ragazzo zombi con la stessa espressione di Hellboy. Anche loro avevano riconosciuto in quelle sembianze Michael Jackson, considerato il re della musica pop del XX secolo. In quel momento si stava cimentando in una delle sue coreografie più famose, Thriller, nel cui video danzava con la stessa orda di zombi che vedevano in quel momento.

‘cause this is thriller, thriller night
And no ones gonna save you from the beast about strike
You know its thriller, thriller night
Youre fighting for your life inside a killer, thriller tonight...

 
« Tutto questo è assurdo » commentò Jake, scrutando dall’alto la scena. « Cosa dovrebbe significare? Come siamo finiti nel video di Thriller? »
« Non ne ho idea, ma non credo che sia saggio chiedere informazioni a quelli » rispose Hellboy, indicando gli zombi. « Andiamo via, finché sono impegnati a ballare. »
« Da questa parte! » esclamò Luke, che tra la folla di zombi aveva individuato un varco sufficientemente largo per passare. Il gruppo iniziò la fuga, superando Michael Jackson e i suoi “compagni”; l’orda era imponente, ma bastarono pochi colpi ben assestati a qualche zombi per tenerli alla larga e lasciarseli dunque alle spalle. Tuttavia, quando ormai li avevano lasciati indietro, si accorsero che la musica era cessata. Jake si voltò, e vide che gli zombi si erano nuovamente concentrati su di loro: Michael Jackson si fece avanti, in testa all’orda, e iniziò ad avanzare. Ora gli zombi si muovevano più velocemente, una massa ululante di persone in stato avanzato di decomposizione.
I sette compagni accelerarono, cercando di mettere più strada possibile tra loro e gli zombi. Jake era in testa poiché aveva le gambe più lunghe, ma non poteva lasciare indietro i suoi amici; inoltre la strada acquistava sempre più pendenza, diventando una salita. Gli zombi continuavano a stargli dietro, implacabili, ansiosi di affondare i denti sulle loro carni.
« Dobbiamo... trovare un riparo! » esclamò Harry, che iniziava ad accusare la fatica. « Ma dove? È uno spazio troppo... aperto... ci seguiranno... ovunque! »
« Lassù, ragazzi! »
I compagni seguirono con lo sguardo Jake, che giunto in cima alla salita stava indicando qualcosa. Non appena lo raggiunsero, capirono che l’alieno puntava il dito verso un grande maniero che sorgeva di fronte a loro, cupo e imponente nel buio della notte. L’aspetto fatiscente lasciava presumere che fosse disabitato da molto tempo. Era circondato da alte e solide mura; avrebbero sicuramente impedito agli zombi di raggiungerli, se si fossero barricati all’interno del castello. L’orda, ormai troppo vicina, impedì al gruppo di pensarci su, quindi non ebbero altra scelta che dirigersi in quella direzione. Lara raggiunse per prima l’ingresso, un vecchio cancello arrugginito, solo per scoprire che era chiuso con un catenaccio.
« Non si apre! » gridò la donna, scuotendo con forza le sbarre. « Qualcuno venga ad aiutarmi! »
Hellboy, Luke e Sora erano impegnati a tenere a bada gli zombi, attaccandoli con le loro armi. Cercavano di trattenerli per dare il tempo agli altri di aprire il cancello. Harry si fece quindi avanti, puntò la bacchetta verso le catene e gridò: « Alohomora! »
Il lucchetto si aprì di scatto, facendo cadere a terra le catene. Il cancello si spalancò, permettendo quindi ai compagni di passare. Uno dopo l’altro varcarono la soglia, continuando comunque a scagliare colpi contro gli zombi. Po fu l’ultimo, atterrando tra i compagni dopo aver attraversato l’ingresso con un goffo balzo; Jake richiuse dunque il cancello, spingendo forte per impedire agli zombi di sfondarlo. Era troppo alto perché i non-morti potessero morderlo o graffiarlo.
« Incarceramus! »
Harry evocò un groviglio di catene che si attorcigliarono tra le sbarre, sigillando il cancello meglio di prima. Gli zombi si trovarono definitivamente chiusi fuori. Le loro mani passavano tra le sbarre, ma erano del tutto impotenti; per quanto ci provassero, non riuscivano a passare, ed erano troppo deboli e stupidi per scalare le mura.
« È fatta » sbuffò Sora, decisamente sollevato. « Siamo al sicuro... per ora. »
« Aspetta a dirlo » lo ammonì Luke, guardandosi intorno. « Prima di tutto dobbiamo assicurarci che questo sia effettivamente un posto sicuro. »
Il gruppo volse lo sguardo verso il maniero; così vicino aveva un’aria ancora più inquietante. Sembrava proprio un castello infestato, roba da film dell’orrore. I sette compagni si trovavano in quel momento nel giardino che lo circondava, fatto di alte siepi verdi. L’ambiente era privo di luce, quindi era difficile capire se il luogo fosse abitato o meno. In ogni caso dovevano avanzare, quindi si misero in marcia; Hellboy, tuttavia, si trattenne ancora un po’ davanti al cancello, come notarono subito dopo.
« Un attimo solo, ragazzi » disse il diavolo, sollevando di nuovo la pistola. Si avvicinò alle sbarre e la puntò a uno zombi; non era altri che Michael Jackson, lo sguardo famelico mentre spingeva invano nel tentativo di passare.
« Nel mio mondo sei morto, vecchio mio » mormorò Hellboy mentre tirava il cane della pistola. « È giusto che riposi in pace anche qui. »
Bang!
Gli aveva sparato in testa, così forte da fargliela saltare. Quel che rimase dello zombi cadde in avanti abbandonandosi contro le sbarre, un cadavere ormai inutile in balìa degli altri che ancora spingevano. Hellboy voltò loro le spalle e raggiunse i compagni.
« Certo che il tuo mondo è davvero strano, Red » commentò Sora mentre percorrevano il giardino. « Come ha fatto uno zombi a diventare il re della musica pop? »
« Non hai capito niente, ragazzino » rispose Hellboy con fare burbero. « Tra le altre cose, Michael Jackson era famoso soprattutto per aver girato questo video, Thriller, in cui lo vedevi ballare insieme agli zombi. È considerato uno dei maggiori successi nella storia della musica. La scena in cui ci siamo trovati poco fa era praticamente identica a quel video. Mi domando che diavolo sta succedendo. »
Le chiacchiere di Hellboy si persero mentre il gruppo avanzava nel giardino. Ben presto si resero conto che non era un comune giardino: era pieno zeppo di siepi tagliate con estrema cura, formando figure di ogni forma e dimensione. Animali, oggetti, e persone verdi spiccavano dappertutto, come una folla immobile intenta ad osservarli; al centro del giardino, inoltre, era evidente una grossa siepe a forma di mano.
« Chiunque abitasse questo posto, aveva un ottimo talento nel giardinaggio » mormorò Luke, osservando con attenzione le varie sculture.
« Qualcosa non quadra » disse Lara con fare sospetto. « Queste siepi sembrano state tagliate da poco. Anche l’aria profuma di erba tagliata. Se questo castello fosse abbandonato, il giardino non sarebbe certo così ben curato. »
I compagni lanciarono un’altra occhiata al castello, decisamente perplessi. Erano tutti d’accordo sul fatto che quel castello aveva un’aria decrepita, tanto che nessuno sano di mente potesse mai aver l’idea di continuare ad abitarci dentro.
« Credi che ci sia ancora qualcuno là dentro? » chiese Po, facendosi improvvisamente turbato.
« Qualcuno che si preoccupa di potare le siepi, questo è sicuro » rispose Harry. « E se fossero Senzavolto? »
« Abbiamo fatto trenta, ragazzi » dichiarò Jake, tagliando corto. « Io dico di fare trentuno, entrando in questo posto. Male che vada, combatteremo ancora. »
Annuirono tutti, quindi proseguirono verso il castello. Giunti al portone d’ingresso, fatto di legno massiccio consumato dal tempo, non si stupirono di vederlo chiuso a chiave. Harry si fece dunque avanti, mormorando ancora una volta l’incantesimo Alohomora. La porta si aprì, permettendo loro di oltrepassare la soglia. Jake dovette chinarsi per passare, ma riuscì a seguire il gruppo senza fatica.
Dall’interno, il castello aveva un’aria ancora più sinistra, soprattutto a causa del buio che regnava assoluto. Harry e Sora procurarono un po’ di luce con la loro magia, illuminando l’ambiente.
Le pareti erano fatte di pietra scura, su cui erano appese varie torce spente ricoperte di ragnatele. L’atrio, il luogo che li circondava, era ampio ma deserto, arredato con qualche vecchio mobile impolverato. Numerose statue e gargoyle facevano capolino in ogni direzione, insieme a quelli che sembravano vecchi macchinari in disuso. I sette compagni non avevano mai visto niente del genere in un castello, e venne da domandarsi a cosa servissero. 
« Be’, sembra proprio abbandonato » commentò Po, con evidente sollievo nella voce.
« A volte l’apparenza inganna » disse Lara, che non aveva ancora posato le pistole. « Mi è capitato un sacco di volte di entrare in luoghi apparentemente deserti, per poi venire assalita da creature che si nascondevano. Fai il tuo incantesimo, Harry, dobbiamo essere sicuri che non ci sia nessuno. »
Harry annuì e afferrò ancora la bacchetta, ma fu fermato improvvisamente da Jake.
« Non ce n’è bisogno » dichiarò l’alieno, che guardava in un punto verso sinistra. « Infatti non siamo soli in questo castello. Sento un odore, molto vicino... è indubbiamente una persona. E si trova laggiù. »
I compagni si voltarono nella direzione indicata da Jake. Era completamente buio, ma quando Harry indirizzò la sua bacchetta illuminata, videro tutti una sagoma spuntare da dietro una colonna. Una figura umana, immobile come una statua, eppure viva. Non appena fu illuminata, questa sparì dietro la colonna, chiaramente nel tentativo di fuggire.
« Fermo! » esclamò Jake.
Il gruppo iniziò a correre, inseguendo la sagoma. Lasciarono l’atrio e s’infilarono in un corridoio pieno di armature. Videro la figura in lontananza, intenta ad allontanarsi; non stava correndo, ma camminava molto velocemente. Aveva una strana andatura, in effetti, come se non fosse capace di andare più veloce. I compagni non ebbero difficoltà a raggiungerlo, dopo che aveva svoltato l’angolo per infilarsi in un’altra stanza. Entrarono tutti tranne Jake, troppo alto per passare attraverso il piccolo ingresso.
« Fine della corsa, bello » dichiarò Hellboy, puntandogli contro la pistola. La figura smise di muoversi, poiché la stanza non aveva altre uscite, quindi si voltò verso il gruppo, lasciando che la bacchetta di Harry lo illuminasse.
« Ma cosa...! »
Tutti i componenti del gruppo rimasero stupiti. Era un ragazzo, così pallido da sembrare un morto. Dimostrava al massimo una ventina d’anni, ma era il suo aspetto a destare tutto lo stupore. Indossava una specie di tuta di pelle che lo copriva dai piedi fino al collo, fatta di cinghie e di catene; aveva una folta chioma di capelli neri, scompigliati e in parte irregolari, come se fossero stati tagliati male. E le mani... al posto delle dita aveva lunghe lame affilate, simili a quelle delle forbici. Sarebbe apparso molto inquietante se sul suo volto non fosse dipinta un’espressione immensamente triste, causata soprattutto dallo spavento.
« Santo cielo » mormorò Lara, lo sguardo carico di stupore. In realtà nessuno era sconvolto più di tanto dall’aspetto del ragazzo misterioso, dal momento che ne avevano passate tante. Tuttavia la donna si dimostrò più compassionevole degli altri, e si avvicinò a lui. Il ragazzo si ritrasse impaurito.
« Non aver paura » disse Lara, sollevando una mano verso di lui. « Non vogliamo farti del male. Red, per l’amor del cielo, abbassa quell’arma... non credo che sia pericoloso »
La mano di Lara sfiorò il volto del ragazzo. Solo in quel momento si accorse che il suo viso era segnato da molte, sottili cicatrici, provocate probabilmente dalle sue stesse lame. Ovviamente ogni volta che si toccava finiva per tagliarsi.
« Io sono Lara » proseguì la donna, sorridendo per ispirargli fiducia. « Tu come ti chiami? »
« Edward » rispose il ragazzo con un sussurro. Dopo qualche secondo sorrise anche lui.
« Tu vivi qui, Edward? Questa è casa tua? »
Edward annuì, chinando lentamente il capo.
« Ci dispiace di averti spaventato » intervenne Sora. « Cercavamo un riparo e siamo finiti in questo castello. Ce ne possiamo andare, se siamo per te un fastidio... »
« No... restate » rispose Edward. « Potete restare. »
« Grazie, Edward. Io sono Sora, piacere di conoscerti. »
Il ragazzo alzò meccanicamente una mano, ma poi si accorse che non avrebbe mai potuto stringerla. Infatti Edward lo guardò con aria mortificata, dopo aver lanciato uno sguardo alle sue stesse orrende mani. Fece quindi un passo in avanti, dirigendosi verso la porta.
« Prego... da questa parte » sussurrò, invitandoli a seguirlo.
I compagni ritornarono nel corridoio, camminando lentamente per seguire il passo di Edward.  Lo strano ragazzo li ricondusse quindi nell’atrio, voltandosi verso la grande rampa di scale che conduceva ai piani superiori.
« Mi domando da dove salta fuori questo tipo » mormorò Hellboy, scrutandolo sospettoso.
« Non è pericoloso, Red » gli disse Sora con serietà. « Credimi, lo capisco bene. Inoltre... ha qualcosa di familiare. »
« Vuoi dire che lo conosci? »
« No, ma mi ricorda qualcuno. Il suo viso assomiglia molto a quello di una persona che ho incontrato in passato. »
« Vivi qui da solo, Edward? » domandò in quel momento Lara, rivolgendosi al ragazzo.
« Non più » rispose lui. « Mio padre... non si è più svegliato. Poi sono venuti altri... i miei amici. »
Luke, Harry e Jake si guardarono con aria perplessa. Edward parlava indubbiamente in modo strano, impossibile da comprendere con le sue poche parole.
« Allora c’è qualcun altro qui con te? » fece Harry, guardandosi intorno. « E dove sono? »
Edward non rispose, ma si voltò verso Harry con una faccia nuovamente spaventata. Il giovane mago volle dire qualcosa, ma fu interrotto da un movimento improvviso: una mano spuntata dal nulla lo afferrò per la spalla, trattenendolo mentre un’altra mano gli puntava qualcosa alla gola; abbassò lo sguardo quanto bastava per capire che si trattava di un rasoio, molto affilato.
I compagni scattarono subito in guardia, puntando le armi contro l’aggressore di Harry. Era un uomo, emerso dal buio senza farsi notare; alto, dal viso pallido quasi quanto Edward, circondato da una chioma di capelli ricci striati di grigio. Vestiva con abiti da bottegaio, antichi, risalenti almeno al XIX secolo. Aveva uno sguardo terrificante, quasi folle, mentre fissava con disgusto gli alleati di Harry, pronto a tagliargli la gola con quella lama alla minima reazione.
« Lascialo andare » disse Hellboy, la pistola in pugno. « Ti assicuro che posso farti saltare la testa prima che tu possa anche solo pensare di muovere la mano. »
« Neanche per sogno, mostro » rispose l’uomo. « La mia lama ha sete di sangue... e la disseterò subito, a meno che non gettiate a terra le vostre curiose armi. Subito! »
« Senti, amico, non siamo in cerca di guai » gli disse Harry, cercando di restare immobile. Quella lama era paurosamente vicina alla sua gola. « Lasciami andare... ti prometto che non ti faremo nulla. »
« Troppe menzogne ho udito nella mia vita... perché dovrei farmi incantare proprio adesso dalle vostre? »
« Fermati » lo implorò Edward, ancora impaurito. « Non... non ce n’è bisogno. »
« Non immischiarti, Edward! Devo pur difendere in qualche modo il castello dagli invasori, visto che apri la porta a tutti quelli che capitano da queste parti. »
« Non siamo invasori! » esclamò Jake indignato.
« Siete dei mostri » ribatté l’uomo, implacabile. « E ora scoprirò di che colore è il sangue di questo che si spaccia per un giovanotto. »
Mosse la mano, ma non accadde nulla. Per qualche strano motivo, l’uomo non riusciva ad andare avanti, a colpire la gola di Harry con la lama; il suo braccio sembrava paralizzato.
« Ma che diavolo... »
La mano scattò all’indietro di colpo, allontanandosi dal ragazzo. Harry ne approfittò per scappare ritornando tra i suoi compagni. L’uomo perse l’equilibrio, mentre il rasoio gli sfuggiva di mano; questo restò sospeso nell’aria, come se lo tenesse una mano invisibile. La lama si mosse quindi verso l’uomo puntandogliela alla sua stessa gola.
« Ma che succede? » fece Sora, con aria confusa. « Chi è che lo sta facendo? Oh. »
Il suo sguardo si era posato su Luke, che tendeva la mano libera in avanti, verso l’aggressore. A quel punto divenne tutto chiaro. Il Jedi stava usando il potere della Forza, che gli permetteva di controllare oggetti e persone senza doverle toccare; in questo modo aveva potuto prendere il controllo della lama e disarmare l’aggressore.
« Cosa aspettate, dannati invasori? » incalzò l’uomo, fissando sia il rasoio che i compagni. « Finitemi... uccidetemi! Non temo più la morte, ad ogni modo. »
La lama volò all’indietro, finendo nella mano di Luke.
« Non siamo una banda di assassini » dichiarò il Jedi. « E non abbiamo intenzione di uccidere nessuno. »
« Allora che diavolo volete? Perché siete qui? »
« Cercavamo semplicemente un riparo. Non sapevamo che il castello fosse abitato. »
« È naturale, siamo noi a volere che appaia in questo stato, per tenere alla larga gli scocciatori! »
Mentre l’uomo pronunciava queste parole, Sora poté vederlo meglio in faccia. Si rese allora conto che il suo viso somigliava moltissimo a quello di Edward; era solo un po’ più vecchio di lui, e non aveva cicatrici. Inoltre continuava a pensare a quel qualcuno che aveva incontrato in passato, con i suoi stessi lineamenti; non fosse stato per il carattere e l’abbigliamento, avrebbe detto che fosse il suo gemello...
« Ma tu... » disse il ragazzo, non riuscendo a trattenersi « ...chi sei? »
« Sweeney Todd » rispose l’uomo, « al vostro servizio. Qualcuno ha bisogno di una rasatura? »
« Ti alleni con le presentazioni allo specchio, Todd? » esclamò una voce lontana. « Oppure tenti di fare la barba ai gargoyle? »
I sette compagni si voltarono immediatamente verso la voce, proveniente dal lato destro della scala principale. Dal buio erano apparsi due uomini, entrambi dall’aspetto stravagante. Uno, il più vicino, indossava un soprabito rosso a righe sopra un completo viola, e un cappello a cilindro; anche lui aveva il volto pallido, circondato da capelli bruni a caschetto ben curati. Aveva un’aria tranquilla, benché fissava il gruppo con perplessità. L’altro, quello che aveva parlato, aveva uno strano assortimento di abiti, e insieme alla sua faccia dava l’impressione di assomigliare a un clown; indossava vesti fatte con pezzi multicolore rattoppati insieme, e sulla testa portava un grosso cappello a cilindro decorato con svariati accessori per il cucito, tra cui spiccava una grossa carta da gioco. Il suo viso era bianco, benché non fosse truccato; sotto il cappello aveva capelli rossi molto arruffati, e occhi verdi come smeraldi; lo sguardo di costui era folle, ma allo stesso tempo comico. La cosa più strana è che i due uomini avevano lo stesso volto di Edward e di Todd, nonostante l’aspetto li rendesse molto diversi fra loro. Entrambi, inoltre, fissarono con grande stupore l’intero gruppo, rivolgendo lo sguardo (com’era ormai prevedibile) soprattutto su Jake e Hellboy.
« Oh! » fece l’uomo simile a un clown. « Voi dovete essere gli ospiti che aspettavo per il tè » sollevò un braccio e controllò il polso, anche se non portava alcun orologio. « Caspiterina, siete in anticipo di parecchio! »
« Che cosa significa? » domandò Luke con aria confusa. « Ci stavate aspettando? »
« Non fate caso a ciò che dice il mio amico » disse l’altro nuovo arrivato, ponendosi al fianco di Edward, « la metà di ciò che dice è fuori luogo. E l’altra metà è completamente priva di senso. Purtroppo è fatto così... fuori come un balcone. »
« Per la precisione, io sono matto » lo corresse il clown, indignato. « O meglio, sono Matto. Cappellaio Matto, piacere di conoscervi. »
« Il Cappellaio Matto? » ripeté Sora, sbalordito. Tutti si voltarono verso di lui, attirati dalla sua voce. Quando il Cappellaio lo notò, fu colto da uno stupore ancora maggiore.
« Un momento! Capelli spinosi color caramello, grossi pantaloni, scarponi di dubbio gusto... e quella chiave... tu devi essere Sora! »
« Allora vi conoscete? » domandò Lara.
« Non proprio » rispose Sora. « Non l’ho mai incontrato, ma ho sentito parlare di lui poiché ho visitato il mondo in cui abitava... il Paese delle Meraviglie. »
« E io ho sentito parlare di te » disse il Cappellaio a sua volta. « So che ti sei intrufolato nel mio giardino mentre cercavi Alice. Non ero in casa quel giorno, ma spero che tu abbia gradito ugualmente il tè e ammirato gli agapanti. »
« È stata Alice a parlarti di me, vero? Lei come sta? »
« È tornata a casa da molto tempo, ormai. Ma presto ritornerà per salvarci tutti, nel Giorno Gioiglorioso. Abbasso la capocciona maledetta! »
« Allora sei finito anche tu in questo strano mondo. Mi dispiace tanto » mormorò Sora, improvvisamente mortificato.
« Ne ho viste di peggiori, giovanotto. Ma forse, ora che sei qui, potresti aiutarmi a risolvere un atroce dilemma. Tu lo sai perché un corvo assomiglia a una scrivania? »
Sweeney Todd raggiunse in quel momento i suoi compagni, poiché non badava più nessuno a lui. Jake ne approfittò per lasciar cadere il discorso tra Sora e il Cappellaio Matto, rivolgendosi al tizio che lo accompagnava.
« Voi, invece, chi siete, signore? »
L’uomo alzò lo sguardo di parecchio per fissare quello di Jake.
« Willy Wonka » rispose, sollevando gentilmente il cappello. « E a differenza dei miei colleghi qui presenti, non sono né deforme né disturbato mentalmente. Senza offesa, mio caro Edward » aggiunse, guardando il ragazzo, « non volevo escluderti dalla conversazione. »
Edward lo guardò senza dire nulla.
« È incredibile... ma quanti siete? » commentò Harry che, come gli altri, aveva iniziato a notare la sorprendente somiglianza tra i personaggi.
« Vi somigliate parecchio, devo ammetterlo » aggiunse Luke, spostando lo sguardo da uno all’altro. « Avete persino la stessa voce... siete forse fratelli? »
« Per carità, nient’affatto! » rispose Wonka, guardando Todd e il Cappellaio Matto come se l’idea fosse inconcepibile. « Ve lo assicuro, non sono imparentato con nessuno di questi singolari individui, nonostante le circostanze ci abbiano spinto a diventare soci. In effetti, a differenza del signor Todd, so essere estremamente generoso. Ecco » ed estrasse dalla tasca una manciata di dolci e caramelle. « Servitevi pure, è ciò che rimane dei miei adorati capolavori... vi assicuro che nessuno contiene carne umana » aggiunse, guardando bieco Todd.
« Bleah » fece Po con disgusto, pensando alle sue ultime parole.
Un nuovo rumore attirò l’attenzione di tutti, verso l’area da cui erano comparsi Wonka e il Cappellaio. Qualcun altro aveva fatto capolino dal buio, emettendo un forte sbadiglio. I sette compagni videro così arrivare un giovane, vestito con un antico ma elegante completo nero, simile a quello usato dagli sposi. Era pallido come gli altri, e i suoi lineamenti erano anch’essi somiglianti, ma era più alto e magro, quasi uno spilungone. Aveva un’aria innocente, un po’ sbiadita dall’evidente senso di stanchezza.
« Scusate, mi ero appisolato » borbottò il giovane, avvicinandosi ai suoi “soci” come se nulla fosse. « Perché fate tutto questo baccano? C’è forse qualche... oh! »
Aveva notato finalmente il gruppo, e il suo stupore superò di gran lunga quello di tutti i suoi amici messi insieme. Com’era prevedibile concentrò lo sguardo su Jake ed Hellboy, i più appariscenti del gruppo.
« Abbiamo degli ospiti, Victor » annunciò Wonka con aria allegra. « Ti suggerisco di ricomporti e fare le presentazioni, in quanto ad etichetta sei il migliore del club. »
Victor impiegò parecchio per riacquistare il controllo e la voce. Da come guardava i sette compagni, infatti, sembrava non credere ai suoi occhi, come se fosse finito in un incubo.
« S-sono Victor... Victor Van Dort. Piacere di... di conoscervi. Che cosa vi po-porta da queste parti?  »
« È una domanda che continua a non trovare risposta » borbottò Todd, che continuava a guardare il gruppo come se non desiderasse altro che ucciderli.
« Ve lo ripeto, non abbiamo alcuna intenzione di farvi del male » disse Lara alzando la voce. « Eravamo di passaggio, siamo stati attaccati da un’orda di zombi, e abbiamo pensato bene di rifugiarci qui. »
« Oh, sono tornati di nuovo? » commentò malinconico il Cappellaio Matto. « Ho perso l’occasione per farmi un altro giro di Deliranza con quel giovanotto in rosso. L’ultima volta mi ha stracciato, con quella sua pittoresca camminata all’indietro! »
« Sentite, se non siamo i benvenuti siamo disposti ad andarcene » dichiarò Jake, sovrastando le voci che ormai si accumulavano. « Per noi non è un problema... »
« Cos’è questo chiasso? »
La voce fece zittire tutti quanti, con la forza di un tuono. Tutti quanti, sia i sette compagni che il gruppo di Edward, si voltarono dunque verso la scalinata principale, sulla cui cima era improvvisamente apparso un uomo, che li scrutava minaccioso.
Il suo volto era identico a quello di Edward, di Wonka e degli altri, ma il suo pallore era il più impressionante, così bianco da assomigliare a un cadavere; aveva ombre scure intorno agli occhi iniettati di sangue, e corti capelli neri che incorniciavano il suo volto emaciato. Le sue mani, bianche come il volto, avevano le unghie lunghe e affilate, simili ad artigli. Vestiva con lunghi abiti eleganti, e tra le mani stringeva un bastone da passeggio.
« Voi! » gridò adirato verso i sette compagni, mentre scendeva i gradini a rapidi passi. « Come osate entrare nella nostra dimora? Questa proprietà non ammette alcun tipo di estraneo oltre la sua soglia! In parole povere, non siete i benvenu... »
Il nuovo arrivato s’interruppe sia con la lingua che con i piedi, non appena il suo sguardo si posò su Hellboy. In un attimo la sua espressione si tramutò, passando da semplice disgusto a puro odio. Spalancò la bocca, mostrando a tutti un paio di canini lunghi e aguzzi.
« Satana! » urlò, puntandogli contro l’indice artigliato. « Finalmente hai deciso di mostrarmi a me, immonda bestia delle tenebre! Sappi che non ti temo, e che non ti ho mai temuto. Dunque fatti avanti e affrontami... sono pronto a rispedirti all’inferno con tutta la tua spregevole ciurmaglia! »
I sette compagni restarono immobili, sbalorditi dalla situazione. Uno dopo l’altro si voltarono tutti verso Hellboy, che con la sua solita calma estraeva un sigaro insieme alla sua pistola.
« Credo che tu mi abbia scambiato per qualcun altro, bello » grugnì con aria infastidita, « ma se proprio insisti, ti affronto volentieri. Del resto è il mio lavoro, eliminare i mostri come te. »
« Calmati, Red, non fare pazzie » esclamò Jake, cercando di mantenere la calma. « E poi, di cosa parli? Quale mostro? »
« Si riferisce a lui » rispose Harry, che tornò a guardare l’uomo con il bastone. Dalla faccia che aveva fatto, sembrava aver capito. « Per la barba di Merlino, è un vampiro. »
« Disgraziatamente, lo sono » rispose lui. « E sono pronto a usare il potere fornitomi dalla mia orrenda natura contro di voi, se non lascerete immediatamente questa magione! »
« Insomma, basta! » gridò all’improvviso Sora, così forte da stupire tutti. « Qui nessuno attaccherà nessuno, perché non è assolutamente necessario! Lei, signor vampiro, nonostante le apparenze, mi sembra un brav’uomo... quindi sarà in grado di capire che nessuno di noi ha cattive intenzioni, nemmeno Red. Non so per chi lo ha scambiato, ma è un valoroso guerriero, come tutti noi. »
Il vampiro tacque, e dalla sua espressione fu evidente che le parole di Sora lo avevano colpito. Rimase ad osservare il gruppo per un po’, poi andò a guardare i suoi amici, tutti incerti sulla situazione, ma chiaramente speravano che potesse risolversi in maniera pacifica.
Alla fine mutò espressione nel viso, diventando straordinariamente rilassato. Sora capì di averlo convinto, dunque non li vedeva più come una minaccia.
« Perdonate la mia reazione, allora » disse il vampiro, inchinandosi rispettosamente. « Le avverse circostanze in cui io e i miei soci ci troviamo impongono uno stato di costante vigilanza. Poi, scorgendo le sembianze demoniache del vostro alleato ho incautamente perso la testa. »
« Devo dedurre che sia stato il mio famoso “parente” a infliggerti la maledizione » disse Hellboy.
« Una sua serva, in verità... una strega della peggior specie che prego non incontriate mai. Ma perdonatemi, non ho ancora avuto modo di presentarmi... Barnabas Collins, al vostro servizio. »
I sette compagni si presentarono uno dopo l’altro, pronunciando i loro nomi. Barnabas rimase ad osservarli, scrutandoli uno dopo l’altro, finché i suoi occhi non si posarono su Lara.
« Che incantevole visione » mormorò, facendosi avanti per baciarle la mano. « Di rado ho avuto modo di ammirare una tale bellezza femminile. Lasciatemi dire, lady Croft, che le vostre forme sono prosperose... impeccabili. »
« Oh... be’, grazie » fece Lara, incerta se sentirsi lusingata o disgustata. Quando le labbra di Barnabas sfiorarono la sua mano, infatti, sentì una sensazione indescrivibile, come se fossero gelide e roventi allo stesso tempo.
« E ora che abbiamo concluso le presentazioni, a nome di tutti i miei soci vi do il benvenuto nella nostra dimora... Burton Castle. Prego, fate come se foste a casa vostra. »
 

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Capitolo 9
*** Burton Castle ***


Capitolo 9
Poco dopo, erano tutti quanti in un salotto nell’ala est del castello, che a differenza di tutto il resto era stato ripulito da cima a fondo per renderlo accogliente. Sopra il caminetto acceso spiccava un grande quadro che ritraeva un anziano signore, il cui aspetto non richiamava tuttavia alcuna somiglianza con gli attuali abitanti di Burton Castle.
Erano divisi in due gruppi: da una parte vi erano Sora, Harry, Po, Lara, Luke, Hellboy e Jake, gli ospiti della casa; dall’altra vi erano Edward “mani di forbice”, Barnabas Collins, Sweeney Todd, Willy Wonka, il Cappellaio Matto e Victor Van Dort, i padroni di casa. Uomini la cui natura era ancora avvolta nel mistero: nessuno dei sette compagni riusciva a spiegarsi, infatti, perché erano identici nell’aspetto, persino nella voce, nonostante avessero affermato di non essere legati da alcuna parentela.
Ma questo mistero stava per essere svelato. Dopo un’iniziale diffidenza, infatti, i due gruppi avevano imparato a rispettarsi, grazie soprattutto all’intervento di Sora. Ora il gruppo di eroi era intento a raccontare agli abitanti di Burton Castle la situazione, insieme alle loro identità; nel frattempo sorseggiavano tè e mangiavano dolcetti serviti loro da Edward, che continuava a dimostrare un’innocente gentilezza da maggiordomo. Ognuno di loro si era sistemato come poteva, tra le poltrone e i divani intorno al camino; solo Jake e Po, a causa della loro stazza, furono costretti a sedersi a terra. Barnabas, che agiva come capo di quel gruppo, ascoltava in silenzio, seduto nella sua poltrona incrociando le lunghe dita.
Quando Jake Sully ebbe finito di raccontare, nessuno dei presenti era rimasto incredulo. Anzi, dalle loro espressioni sembravano perfettamente d’accordo con la versione dei fatti, come se ci fossero dentro fino al collo.
« Vi crediamo fino all’ultima parola, signor Sully » dichiarò Barnabas con serietà. « Si dà il caso, infatti, che le nostre teorie sulla natura di questo luogo arcano coincidano con le vostre. Già da tempo avevamo convenuto di essere finiti anche noi in un altro mondo... contro la nostra volontà. Sappiate, tuttavia, che il fenomeno non coinvolge solo le persone, ma anche i luoghi. Come questo castello, per esempio... anch’esso è stato strappato dal suo mondo d’origine, proprio come noi. »
« Immagino che questo, allora, sia il vostro castello, Barnabas » intervenne Lara.
« Nient’affatto » rispose il vampiro. « Non sono io il proprietario di questa magione, per quanto essa assomigli alla mia amata dimora, Collinwood. No, tecnicamente il padrone di casa è il nostro Edward. »
Tutti si voltarono a guardare Edward, giunto in salotto con un nuovo vassoio. Il giovane dalle mani di forbice rimase fermo a restituire lo sguardo, sorridendo debolmente. Per questo non riuscì a comprendere l’aria sorpresa che pervadeva gli ospiti.
« Appare difficile da credere, vero? » riprese Barnabas. « Lasciate che vi spieghi. Un tempo questo posto apparteneva a un solitario inventore, la cui effigie è tuttora immortalata in varie immagini che potete ammirare qui intorno » e indicò il grande ritratto appeso al muro. « Tale inventore, poiché solitario, era anche eccentrico quanto geniale. Aveva un talento nel realizzare automi che rendevano più comoda la sua vita, agendo come la servitù domestica di cui necessitava questo castello. Passeggiando in mezzo alle proprie macchine, un giorno ebbe l'intuizione di sfruttarne una per creare un essere umano vivo e vegeto. In poco tempo, quest'uomo riuscì nel proprio intento, trasformando un automa nel giovanotto ora intento a servirci il tè. »
Edward ricevette un altro giro di occhiate.
« Mentre lo costruiva, l'inventore gli trasmise nozioni di galateo, di buona educazione e di luoghi comuni. Ma poi accadde un’improvvisa tragedia: il vecchio morì di infarto prima di poter dare a Edward un paio di mani, al posto delle quali gli rimase questo... insensato miscuglio di lame e forbici. Da allora il ragazzo ha vissuto qui da solo, come un prodotto malriuscito. Sebbene abbia un notevole talento nel giardinaggio e in altri simili lavori, è purtroppo impossibilitato ad avere un normale contatto con le altre persone. Ciononostante è stato molto gentile ad accogliere me e gli altri ospiti, quando siamo giunti sulla soglia del castello. Ah, grazie, Edward. »
Il giovane dalle mani di forbice gli stava porgendo il vassoio, da cui prese un calice colmo di una sostanza rossa. Barnabas lo avvicinò alle labbra e sorseggiò con gusto.
« Alquanto dolce, questa volta » commentò. « D’altronde è naturale che lo sia, poiché proviene dalle vostre vene, William » e guardò Wonka che ammiccò al suo sguardo. « Con tutti i dolci di cui vi nutrite, mi stupisce che i vostri denti mantengano uno splendido biancore. »
« Il mio segreto è non uscire mai di casa senza dentifricio » rispose Wonka, strizzando un occhio con fare amichevole.
« Occavolo » borbottò Po con aria orripilata. « Quello non sarà mica sangue? »
« L’unica sostanza in grado di dissetarmi, in questo periodo difficile » rispose Barnabas con amarezza. « Ma non temete, non l’ho preso con la forza dalla gola di nessuna sventurata vittima. I miei soci hanno acconsentito a donarmi a turno un po’ del loro sangue, per darmi il sostentamento necessario. Un paio di questi bicchieri bastano a saziarmi per una settimana. »
« Sempre meglio dell’alternativa » borbottò Sweeney Todd da una poltrona lontana, « cioè rischiare di farsi azzannare nel cuore della notte. »
I sette compagni lo guardarono, ancora increduli che un individuo del genere fosse incluso nel loro club.
« Il signor Todd » disse Barnabas « era un tempo conosciuto come Benjamin Barker, un uomo onesto che lavorava come barbiere nella sua città. Ma la sua vita fu rovinata da un disgraziato uomo di legge, un giudice che bramava la bella e virtuosa moglie di Barker; per questa sua infatuazione lo fece arrestare con delle false accuse, condannandolo e obbligandolo a una vita di duro lavoro in un luogo lontano. Ritornato dopo quindici anni, dopo essere fuggito, Barker adottò il nome di Sweeney Todd, pronto a compiere vendetta sull’uomo che gli aveva sottratto quanto aveva di più caro. Il losco giudice aveva infatti spinto al suicidio l’amata moglie, e rapito la figlia per diventarne il tutore. Todd riprese così la sua attività di barbiere, sfogando la sua rabbia sugli ignari clienti tagliando loro la gola. Quando uccideva non dimostrava alcuna pietà, senza nemmeno guardare in faccia le sue vittime. Ogni volta copriva i delitti trasformando i loro corpi in pasticci di carne, con l’aiuto di una complice. Alla fine, comunque, riuscì nel suo intento: tagliò la gola del giudice e consumò la sua vendetta... ma questo, come vedete, non lo ha liberato dalla sua natura omicida. »
« Non è un male da cui ci si può liberare » disse Hellboy. « La via dell’uccisione è una strada senza ritorno. Forse, qui dentro, sono quello che lo sa meglio di tutti. »
« Arguisco che un cacciatore di mostri come lei sia notevolmente esperto di nature maligne, signor Hellboy » ribatté Barnabas. « Tuttavia non credo che il male sia qualcosa che si possa classificare secondo parametri e misure umane. Immagini di essere stato al posto di Todd... non avrebbe agito in ugual modo? Non avrebbe desiderato la vendetta? »
Hellboy non rispose, ma dalla sua espressione appariva quasi d’accordo con lui.
« Sarà meglio cambiare argomento, comunque » riprese Barnabas, sorridendo. « Passiamo da un estremo all’altro... dalla morte all’amore. Credo che la storia di Victor soddisfi al meglio questo requisito fondamentale. »
I sette compagni spostarono automaticamente lo sguardo, abbandonando Todd e concentrandosi su Victor.
« Victor Van Dort è il rampollo di una facoltosa famiglia dell’alta borghesia, bramosa di elevare la propria condizione sociale. Per questo i suoi genitori avevano combinato un matrimonio con la giovane erede di una nobile famiglia, ormai in decadenza. L'incontro tra le due famiglie permise ai due giovani promessi sposi di conoscersi e, contrariamente ad ogni aspettativa, si erano piaciuti al  punto da innamorarsi l'uno dell'altra. Ma mentre si esercitava ad apprendere il giuramento per le nozze, vagando da solo in una foresta, Victor infilò incautamente l’anello nuziale a quello che sembrava un ramo contorto, ma che in realtà si rivelò essere lo scheletro di una mano, appartenente al cadavere di una giovane donna vestita da sposa. Ella si rianimò sotto il suo sguardo atterrito, e lo ghermì per portarlo con sé nel mondo dei morti. Victor si ritrovò così improvvisamente sposato, con una donna morta da tempo, il cui sogno più grande era quello di avere un marito. Lei, tuttavia, capì in seguito che Victor amava un’altra donna, così lo lasciò andare affinché convolasse a nozze con la sua promessa. Lui, in cambio, la liberò dal tormento dopo aver scovato l’uomo che l’aveva assassinata, e a sua volta fu libero di tornare alla sua vita. »
Barnabas tacque, guardando Victor aspettandosi che dicesse qualcosa. Il ragazzo guardava a terra, l’aria malinconica.
« Lei ha fatto così tanto per me » mormorò con nostalgia. « Mi ha dato la forza di fare cose che non ero mai riuscito a compiere in vita mia... non la dimenticherò mai. »
Ci fu una breve pausa, in cui i presenti bevvero qualche sorso dai loro bicchieri. Nel frattempo il Cappellaio Matto canticchiava per conto suo, con aria assente.
« Era cerfuoso e i viviscidi tuoppi
ghiarivan foracchiando nel pedano:
stavano tutti mifri i vilosnuoppi,
mentre squoltian i momi radi invano... »
« Che cos’è? » chiese Sora curioso, seduto accanto a lui.
« Cos’è cosa? » ribatté il Cappellaio, come se non sapesse di che stava parlando.
« Ah, non importa. »
« Ecco, non distrarti. Devi ancora scoprire perché un corvo assomiglia a una scrivania. »
« Ehm... ci sto ancora pensando. Te lo farò sapere non appena lo avrò scoperto, promesso. »
Sora era l’unico tra i suoi compagni a dargli confidenza. Gli altri, invece, cercavano di ignorarlo, ma erano curiosi sulla sua identità allo stesso modo dei suoi soci. Tornarono quindi a guardare Barnabas, aspettandosi che rivelasse in quel momento la storia del Cappellaio Matto.
« Di lui non so praticamente nulla » dichiarò il vampiro, « poiché dalle sue labbra fuoriescono nient’altro che frasi sconnesse e insensate canzoncine. Credo tuttavia di aver capito che perse la zucca dopo che una bestia immonda distrusse il suo villaggio. »
« No, la zucca si era salvata, me lo ricordo benissimo » ribatté il Cappellaio con un ghigno soddisfatto. « È il cervello che ho perso... non lo nota nessuno, a causa del mio cappello. »
« Ah, ecco qual era il problema » commentò Willy Wonka sarcastico. « Continuavo a chiedermi dove stavo sbagliando. Be’, questo spiega tutto. »
« E lei, signor Wonka? » gli domandò Harry, cercando di sorvolare. « Da dove viene? »
« Il signor Wonka è il proprietario della più grande fabbrica di dolci esistente al mondo » rispose Barnabas. « Non esiste nazione o regno che non acquisti le sue rinomate tavolette di cioccolato, di cui devo ammettere io stesso la squisitezza. È indubbiamente un tipo eccentrico a vedersi, ma il suo genio va oltre ogni misura: so che produce i dolci con l’ausilio di un popolo di buffi nanetti canterini, amanti delle danze e dei chicchi di cacao. »
Po si voltò verso i suoi compagni, che gli restituirono un’occhiata incerta. Dai loro sguardi appariva chiaro che nessuno di loro conosceva Willy Wonka e la sua fabbrica. Ciò significava che non proveniva da nessuno dei loro mondi.
« Tuttavia, Wonka, dovresti pensare a chi tramandare le tue proprietà quando non ci sarai più » riprese Barnabas con serietà. « Non nego che tu sia ancora giovane, ma la mancanza di una famiglia è evidente. Dovresti trovare un erede. »
« Ci stavo lavorando, infatti » rispose Wonka. « Avevo deciso di bandire un concorso, convocando cinque bambini da tutto il mondo per far visitare loro la mia fabbrica. Il vincitore sarebbe divenuto il mio erede. Era tutto pronto... ma poi sono arrivato qui, chissà come. »
Barnabas sospirò. Notò che tutti ora guardavano lui, l’ultimo rimasto. L’unico ad avere ancora una storia da raccontare. Il vampiro intuì il loro silenzioso desiderio e riprese a parlare.
« Quanto a me, sono l’unico figlio dei coniugi Collins, giunti negli Stati Uniti d’America per fare fortuna. Avevo una relazione con una mia domestica, che a mia insaputa era una strega. La lasciai poiché invero non l’amavo, ma questo segnò la mia rovina. Ella, infatti, mi causò una sequela di disgrazie: la morte dei miei genitori e il suicidio della mia fidanzata, colpita da un maleficio. Fui afflitto da un dolore tale da gettarmi da una rupe, pronto a togliermi la vita. Subito dopo scoprii con orrore che non potevo morire: la strega mi aveva punito con l'immortalità, trasformandomi in un vampiro. E dal momento che i vampiri sono dei mostri agli occhi del volgo ignorante, non passò molto tempo prima che i miei concittadini si levassero contro di me, per seppellirmi vivo in una bara. La mia prigionia durò circa duecento anni, finché non fui liberato accidentalmente da altri uomini. Di nuovo libero, ma prigioniero di questa orrenda maledizione. Tornai alla mia antica dimora, dove abitavano i discendenti del mio casato. Li aiutai a uscire dalle tenebre che offuscavano la loro vita. Durante questo periodo di restaurazione, accadde il misterioso fenomeno che mi portò qui. »
Calò il silenzio per un po’.
« È tutto qui, infine » riprese Barnabas poco dopo. « Ecco chi siamo, e che cosa siamo. Vittime e protagonisti di fiabe nere. Le nostre vite sono state segnate da cupi drammi e commedie tenebrose. Storie di amore e di morte, di giardini fioriti che crescono sotto nubi oscure; storie di mostri umani e di uomini mostruosi. È questo che ci accomuna, oltre ai nostri volti.
« Indubbiamente siamo come voi, miei cari ospiti. Le nostre storie confermano la teoria che state ponderando. Anche noi siamo stati strappati dai nostri mondi, dalle nostre dimore. Siamo giunti in un mondo dominato dal caos e dal disordine, colmo di avversità che non siamo in grado di affrontare. Siamo giunti qui uno dopo l’altro, rifugiati sotto questo tetto per sfuggire alle minacce che percorrono le strade all’esterno. »
« Che genere di minacce? » domandò Harry.
« Le stesse che hanno colpito voi. I Senzavolto. Spettri privi di identità... camminano su questo mondo in una pallida, grottesca imitazione della vita comune. E attaccano quelli come noi, ogni volta che ci riuniamo. È così che riescono a vederci... riescono a percepire due persone quando si incontrano. »
Sora e Harry capirono dunque perché i Senzavolto li avevano visti all’improvviso, quando si erano incontrati.
« E non è arrivato nessun altro a Burton Castle prima di noi? » chiese Jake.
« In realtà c’era un altro insieme a noi » rispose Victor. « Era un nostro simile... aveva anche lui i nostri lineamenti. »
« Ha lasciato il castello poco tempo fa » aggiunse Barnabas, con un tono del tutto privo di dispiacere. « Non nego tuttavia di essere lieto della sua partenza, poiché non era altro che uno sporco furfante. Un odioso, irritante pirata, arrogante e per giunta maleducato. »
« Un momento! » intervenne Sora, alzatosi di scatto dalla sua poltrona. « Per caso aveva lunghi capelli castani, una bandana rossa e si comportava in modo bizzarro? »
Aveva cercato di descriverlo anche con le mani, mettendosi in una posa piuttosto ridicola.
« Non avresti potuto descrivere meglio quel sudicio brigante, ragazzo. »
Sora trattenne il fiato per lo stupore, prima di riuscire ad esclamare il nome dell’uomo che aveva riconosciuto, incontrato non molto tempo prima in una delle sue avventure.
« Jack Sparrow! »
« Arguisco dunque che tu lo conosca » disse Barnabas. « Il suo aspetto lo rendeva inequivocabilmente uno di noi, ma il suo carattere era ben diverso dal nostro. Non amava restare chiuso in queste quattro mura, perciò decise un giorno di affrontare le ignote avversità che si nascondono là fuori... per mai più ritornare. »
« E lo avete lasciato andare? Non avete provato a trattenerlo? »
« Cosa potevamo fare? » fece Victor, visibilmente preoccupato. « Sparrow, tra noi, era l’unico ad avere doti da combattente. Era armato, ed era pronto a spararci o a infilzarci con la sua spada pur di lasciare il castello. Provammo a convincerlo a restare, ma fu inutile. »
« Dovevi dissanguarlo, Barnabas » gli rinfacciò Todd. « Almeno così sarebbe rimasto. »
Barnabas sospirò con amarezza.
« Indubbiamente ero in grado di trattenerlo con la forza. Tuttavia decisi di spingerlo a fare la sua scelta... andare o restare. È così che preferisco agire. Piuttosto che usare la forza bruta, preferisco porre gli altri di fronte a un bivio, affinché siano costretti a scegliere una via. Sparrow era uno di noi, ma ha scelto di andarsene. »
« Ha fatto ciò che riteneva più giusto per se stesso » ribatté Luke.
« È vero » aggiunse Sora. « Io l’ho conosciuto, e posso capire cosa gli è passato per la testa. Jack non voleva restarsene qui con le mani in mano. Magari sarà un furfante, un bugiardo... un pirata... ma è soprattutto un brav’uomo. Ha fatto quello che avremmo fatto noi al suo posto: affrontare il pericolo, anziché restare nascosti. »
Silenzio. I due gruppi si scrutarono con attenzione, in attesa di chissà cosa. Alla fine fu Barnabas a spezzarlo.
« Sì, comprendo » mormorò abbassando lo sguardo. « Forse avrei scelto anch’io la stessa cosa. Ma dopo tutto quel che ho passato nella mia vita, ho imparato che la famiglia viene prima di tutto. I miei soci » e li guardò per un attimo « hanno bisogno della mia guida, e non posso abbandonarli.
« Spero che questo possa fungere da risposta alla proposta che sono certo vogliate farci. Poiché, come voialtri, siamo estranei in questo mondo contorto, dovremmo formare un’alleanza e partire alla ricerca di un modo per tornare a casa. Idea allettante, ma impossibile da mettere in pratica, per noi. Purtroppo non siamo guerrieri come voi, né condividiamo la natura avventurosa che vi domina. Prendete Edward, o il Cappellaio, per esempio... non vedo come potrebbero riuscire in un’impresa così rischiosa. »
I sette compagni non si azzardarono a replicare. Barnabas era stato perfettamente chiaro. Tra loro, lui era forse l’unico in grado di affrontare le avversità del mondo esterno, ma preferiva restare con i suoi amici per proteggerli. Aveva ragione, non avrebbero avuto speranze contro i nemici che si sarebbero levati contro di loro.
« Rispetteremo la vostra decisione, allora » dichiarò Luke, alzandosi dalla poltrona. « Ma noi non rinunceremo alla nostra missione. Vorrà dire che dovremo riprendere il cammino senza di voi. »
« Troppo tardi » mormorò Edward. Il gruppo si voltò a guardarlo, ma la risposta apparve davanti ai loro occhi senza alcun giro di parole. Il giovane dalle mani di forbice guardava fuori dalla finestra, oltre la quale infuriava un brutto temporale. I sette compagni erano stati troppo impegnati a conversare con Barnabas e gli altri da non accorgersi che aveva iniziato a piovere.
« Non ci voleva » borbottò Harry, fissando il temporale con rabbia. « Questo è un grosso impiccio, ci farà perdere tempo prezioso. »
« In effetti non andrete lontano con questa pioggia » osservò Barnabas. « Vi suggerisco di fermarvi qui per riposare, finché il clima non sarà migliorato. Il castello è abbastanza grande da ospitarvi tutti. »
Jake scrutò attentamente i suoi compagni, cercando un eventuale parere contrario, poi fu libero di acconsentire all’idea a nome di tutti.
Poco più tardi lasciarono tutti quanti il salotto. Edward e Barnabas guidarono gli ospiti verso i piani superiori, mentre gli altri tornavano a dedicarsi ad altre attività. Ai sette compagni furono dunque mostrate una serie di camere libere dove passare la notte. Ognuno fu sistemato a coppie, dal momento che erano numerosi; Harry e Sora, Jake e Po, Luke insieme a Hellboy; Lara rimase da sola, ma non aveva nulla di cui lamentarsi.
« Allora vi auguro una buona notte, signori » annunciò Barnabas con garbo.
« B... buonanotte » sussurrò Edward, guardando Lara con evidente imbarazzo.   
« Buonanotte a voi » rispose la donna, « e grazie di tutto. »
 
Così l’intero gruppo si mise a dormire, cercando di ignorare la tempesta che infuriava fuori dalle finestre. In quel momento nessuno di loro poteva rendersi conto che là fuori c’era ben altro, oltre all’orda di non-morti ancora intenta a vagare per le strade del quartiere. Là fuori, su una rupe lontana da cui si poteva vedere il castello, c’era qualcuno intento ad osservare... qualcuno molto interessato agli ospiti di Burton Castle. Una donna alata vestita di bianco, seduta sulla rupe incurante della pioggia che si abbatteva su di lei.
« Ah, sei arrivato, finalmente » mormorò Natla, voltandosi a guardare il nuovo arrivato. « Dunque hai accettato anche tu la proposta di Nul. »
« Non avevo altra scelta... proprio come voialtri. »
« Dunque anche tu rimpiangi la vita che ti fu tolta. E dimmi, chi è il maledetto che ti ha ucciso? »
« Nessuno di loro » rispose acido, fissando la sagoma del castello. « Non si è ancora unito a quel gruppo di eroi. E dal momento che mi sto annoiando parecchio, ho intenzione di svagarmi un po’ con quel branco di ignoranti. »
« Presto avrai il tuo svago, te lo garantisco » rispose Natla con un sorriso. « Ma dobbiamo pianificare bene la nostra incursione, dal momento che siamo solo in due. Dubito che riusciremo a ucciderli tutti, e sarà meglio non provarci. Inoltre voglio che tu non arrechi alcun danno alla ragazza. Lei è mia... siamo intesi? »
« Il capo sei tu... per il momento. »
 
Lara non riusciva a dormire, un po’ per i rumori del temporale, un po’ per l’assenza di stanchezza. In effetti ci voleva ben altro per stancare un’archeologa, dall’alto della sua esperienza. Si alzò dunque dal letto, con l’intenzione di fare una passeggiata per il castello. Cercò di muoversi con cautela per non svegliare nessuno. Iniziò dunque a camminare per i corridoi, osservando con noncuranza le varie decorazioni: statue mostruose e armature impolverate, quadri sporchi e soprammobili incrinati, per non parlare degli strani macchinari realizzati dall’Inventore. Alcuni di essi avevano le stesse mani di Edward, lunghe lame affilate destinate a chissà quale utilizzo. Lara cercò di non pensarci, ma quella domanda andò a ficcarsi inevitabilmente nella sua testa: come diavolo era venuto in mente a quel tipo di trasformare una macchina in un uomo?
Un rumore improvviso attirò la sua attenzione, alla sua destra. Sembrava fosse caduto qualcosa nelle vicinanze. Lara si trovò quindi davanti a una porta socchiusa e l’aprì: si ritrovò in quella che sembrava indubbiamente una biblioteca, piena di libri di ogni sorta. I suoi occhi trovarono subito la fonte del lieve rumore: Edward, in piedi davanti a uno scaffale, aveva fatto cadere un libro. Si era pure fatto un altro taglio sulla guancia, che sanguinava.
Il giovane volse lo sguardo su Lara, apparendo nuovamente imbarazzato.
« Oh » mormorò, « mi... mi dispiace. »
« E per cosa? » chiese Lara. « Non hai fatto nulla di male. »
Si chinò per raccogliere il libro, intuendo che Edward non avrebbe potuto recuperarlo tanto facilmente. Notò che alcune pagine erano tagliate a pezzi; probabilmente Edward aveva cercato di leggerlo, ma con quelle mani aveva finito per rovinarlo.
Lara estrasse dunque un piccolo kit di pronto soccorso dalla sua cintura, e in pochi minuti medicò il taglio sulla guancia di Edward. Il giovane rimase fermo per tutto il tempo, lasciando che la donna lo curasse. Ora che era così vicino, poteva vedere meglio l’incredibile quantità di cicatrici sul suo volto bianchissimo, e la sua totale noncuranza per questa realtà dei fatti.
« Non riesci a dormire nemmeno tu, eh? »
Edward scosse il capo.
« Penso che un buon libro sia l’ideale per conciliare il sonno. Magari potremmo leggerlo insieme, che ne dici? »
« Mi... mi piacerebbe molto. »
Lara sorrise, voltando il libro per capire di cosa si trattava. La copertina era molto consunta, ma era ancora visibile l’immagine: sembrava una collina in una notte di luna piena, la cui cima formava un curioso ricciolo. Il libro s’intitolava: Felici storie tristi. Lara lo fissò con aria dubbiosa, ma non voleva contrariare Edward consigliando un altro libro; quel ragazzo era già abbastanza ansioso a causa della sua presenza, quindi era meglio non metterlo troppo in crisi.
Lara aprì dunque il libro, scegliendo una pagina a caso. Trovò una specie di filastrocca intitolata Vincent, quindi si sedette accanto a Edward per leggerla ad alta voce:
 
Vincent Malloy è un bravo bambino,
ha sette anni ed è assai perbenino,
per la sua età ha virtù assai rare
ma a Vincent Price vuol somigliare.
 
Ha un gatto, un cane ed una sorella
ma vuole soltanto una vita più bella.
In orridi antri, per meglio sognare,
con rettili e topi vorrebbe abitare.
 
Con loro vivrebbe incredibili orrori
sentendosi preda di ghiacci sudori,
vagare vorrebbe, in tenebra oscura
sfidando pericoli senza paura...
 
Lara proseguì fino alla fine, lasciandosi un po’ trasportare dal contenuto del racconto. Era piuttosto inquietante, doveva ammetterlo, a tal punto da chiedersi cosa passasse per la testa al tizio che l’aveva scritto. Guardò Edward e vide che sorrideva; evidentemente il racconto gli era piaciuto molto, nonostante il suo contenuto fosse tutt’altro che allegro. Poi ricordò il tipo di persone che abitavano il castello, accomunate tutte da un notevole senso di macabro. A quel punto sentì il sonno arrivare.
« Credo che ora riuscirò a dormire » dichiarò Lara, alzandosi dalla poltrona.
« Va bene » rispose Edward. « Allora buonanotte... e grazie. »
Lara sorrise, e uscì dalla biblioteca.
Fece la strada a ritroso per un po’, finché non fu davanti alla soglia della sua camera. Intorno a lei regnava il silenzio assoluto, eccezion fatta per i tuoni del temporale soffocati dalle mura. Evidentemente i suoi compagni dormivano ormai della grossa, insieme a tutti gli altri. Cercò quindi di non fare rumore mentre apriva la porta, pronta per infilarsi nel letto.
Thump.
Lara si voltò di scatto, estraendo una pistola dalla fondina. Vide un grosso vaso polveroso traballare accanto al muro, come se qualcuno lo avesse urtato. E quel qualcuno appariva davanti al suo campo visivo subito dopo... era Edward, il volto nuovamente colmo di paura.
« Edward » disse Lara, abbassando la pistola. « Mi hai spaventata... ma che ci fai qui? »
Edward non rispose, limitandosi a fissare la donna.
« Va tutto bene? »
« Sì... certo. »
Bang!
Edward crollò a terra, spinto all’indietro dal proiettile fuoriuscito dalla pistola di Lara. Ora la donna lo guardava con serietà, puntando decisa l’arma su di lui. Tuttavia non poté impedire allo stupore di tornare ad assalirla, quando udì Edward parlare.
« Oh, mi hai beccato » disse con voce falsamente preoccupata. Si alzò dunque da terra, come se non fosse accaduto nulla. Eppure Lara lo aveva colpito in pieno petto... come faceva ad essere ancora vivo?
« Come hai fatto a scoprirmi? »
« Poco fa avevo medicato Edward sul volto » rispose Lara, mantenendo la presa sulla pistola. « Quando me ne sono andata, aveva ancora il cerotto sulla guancia. Tu non ce l’hai, e nemmeno il taglio fresco che si era fatto. »
Il giovane si passò una lama sulla guancia, senza staccare gli occhi da Lara. Più che sorpreso, sembrava ammirato.
« Notevole » commentò divertito, « hai un ottimo spirito d’osservazione. »
« Allora, vuoi dirmi chi sei? » taglio corto Lara, tirando indietro il cane della pistola. « O preferisci un altro buco su quel tuo corpo da impostore? »
L’impostore allargò le braccia, scoppiando a ridere. Lara notò che nel punto dove gli aveva sparato non c’era più alcun buco, come se lo avesse mancato.
« Prego, fai pure. Ma come puoi ben vedere, la tua arma non mi fa alcun effetto. Non puoi ferirmi... mentre io posso ferire te! »
Scattò in avanti all’improvviso. Le forbici fendettero l’aria, raggiungendo il punto in cui un attimo prima c’era il petto di Lara. La donna era riuscita a scansarsi all’ultimo momento, facendo un balzo all’indietro. Strinse la presa sulla pistola e sparò altri colpi. Tre pallottole trapassarono il corpo dell’impostore, ma questa volta non cadde; rimase fermo sul posto, mostrando a Lara cos’era capace di fare: i buchi si chiudevano istantaneamente davanti ai suoi occhi, brillando di luce rossa per alcuni istanti.
« Ma cosa diavolo sei? » esclamò Lara, improvvisamente disgustata.
« Non è importante quello che sono » sussurrò l’impostore, « ma quello che vorrei essere... un uomo. O, perché no? Una donna! »
Il corpo dell’impostore fu avvolto da quella strana luce rossa, e pochi attimi dopo aveva assunto un aspetto completamente diverso. Era quasi identico a Lara, tranne che per alcuni dettagli; aveva i capelli rossi e gli occhi gialli, inquietanti come quelli di un lupo nella notte.
Lara trasalì per lo stupore. Si dava il caso che conoscesse bene quella forma, non tanto per la sua somiglianza, ma per ciò che rappresentava. In passato si era ritrovata ad affrontare una creatura del tutto simile a lei, creata dai suoi nemici per ostacolarla.
« Sei un mutaforma, dunque » disse Lara, cercando di mantenere la calma. « Puoi assumere le sembianze di qualsiasi persona tu incontri. »
« Bingo » rispose il nemico con un orrido sorriso. « La tua perspicacia mi sorprende sempre di più, sai? Se lo avessi saputo prima, avrei scelto un travestimento migliore di quello di Edward. »
« Maledetto... che cosa gli hai fatto? »
« Oh, non pensare a lui... pensa a te stessa, dato che sei in evidente pericolo di vita! »
L’impostore attaccò ancora, scagliandosi su Lara con una forza incredibile. Rotolarono entrambi a terra, facendo diversi metri lungo il corridoio. Lara riuscì a staccarselo di dosso con un calcio, rimettendosi in piedi subito dopo. La donna capì dunque di essere in guai grossi: si trovava improvvisamente ad affrontare un nemico sconosciuto, per di più da sola. Ma dove erano finiti tutti quanti? Perché non erano ancora intervenuti? Eppure gli spari di prima avevano fatto parecchio rumore, era impossibile che non li avessero sentiti.
A meno che quella strana creatura non l’avesse preceduta più di quanto pensasse. E se si fosse già occupata degli altri compagni? Doveva averli aggrediti... forse uccisi.
Il mutaforma fece un cenno a Lara, come per invitarla ad attaccarlo ancora. Il suo atteggiamento era irritante, quasi canzonatorio... si prendeva chiaramente gioco di lei. Se agiva così, significava che aveva la situazione in pugno. Lara non poteva dunque fare il suo gioco... non lo avrebbe attaccato di nuovo, sapendo che sarebbe stato inutile.
Doveva riflettere, scoprire il punto debole di quella creature. Le sue pistole non gli arrecavano alcun danno. Forse il potere di Excalibur era in grado di fargli male... ma la spada si trovava in quel momento nella sua camera, irraggiungibile come se fosse dall’altro capo del mondo. Cosa poteva fare?
Lara voltò infine le spalle alla creatura, cogliendola di sorpresa. La donna prese a correre nella direzione opposta, lasciando il corridoio per raggiungere il largo pianerottolo. Dietro di sé sentiva i passi del suo aggressore, intento ad inseguirla. Raggiunse le scale e si aggrappò al corrimano, spiccando un balzo per poi atterrare al piano inferiore. A quel punto cercò il luogo più buio in cui nascondersi.
Per un lungo minuto non si udì più nulla. Lara restò in attesa, trattenendo il fiato per fare il meno rumore possibile. Doveva prendere tempo per riflettere, escogitare un piano... come poteva sconfiggerlo? Ma non aveva abbastanza informazioni per pianificare...
In giro non si vedeva nessuno. Barnabas, Todd, Edward... erano spariti tutti. Possibile che fossero stati eliminati da quella misteriosa creatura? Era accaduto troppo in fretta per poter essere vero. Non poteva essere rimasta solo lei, doveva trovarli. Le occorreva aiuto per affrontare un nemico del genere. Armandosi di coraggio, uscì con cautela dal nascondiglio; superò una statua particolarmente orrenda e si guardò intorno. Da che parte andare? Quel castello era un vero labirinto.
Qualcosa le toccò improvvisamente una spalla. Lara si voltò di scatto, ma dietro di lei non c’era nessuno. Vide solo la statua, ma un istante dopo scoprì la verità: la statua si muoveva, sfoggiando un sorriso orribilmente identico a quello del mutaforma.
Allora non assumeva solo sembianze umane! Perché non ci aveva pensato prima?
« Notte notte! »
In un attimo, il mutaforma estrasse una sorta di bomboletta spray, spruzzandola in faccia a Lara senza darle il tempo di reagire. La ragazza fu assalita da un fulmineo colpo di sonno, e tutto sprofondò nel buio totale.

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Capitolo 10
*** Sopravvissuta ***


Capitolo 10

 

Non era certo la prima volta che Lara perdeva i sensi, per poi ritrovarsi in un luogo diverso. In passato aveva dovuto affrontare fin troppi nemici che avevano in serbo per lei un piano preciso, nel quale avrebbe dovuto restare viva. Fino a un certo punto, ovviamente. Ad ogni modo, il primo pensiero di Lara al suo risveglio fu un sincero ringraziamento a Dio, per essere sopravvissuta ancora una volta.

Perché lei era una sopravvissuta, finché avesse avuto vita.

Dal momento che ricordava perfettamente l’aggressione per mano di una strana creatura, accettò in pochi secondi la realtà che la circondava. Era sdraiata su un pavimento di pietra, il corpo immobilizzato da un groviglio di gelide catene. Il cielo tempestoso si stagliava sopra la sua testa, e la pioggia la inondava senza alcuna possibilità di ripararsi.

Si trovava in cima a una torre di Burton Castle.

Non fu la paura a dominare i suoi sensi in quel momento, né la rabbia per essere caduta in una trappola ancora una volta nella sua vita tormentata. Fu lo stupore a dominarla, non appena il suo sguardo si posò su colei che aveva preparato la trappola e il palcoscenico su cui proseguire il folle spettacolo.

Natla.

« Ben svegliata, Lara Croft » annunciò la donna alata, torreggiando trionfante su di lei. « Ti trovo bene, nonostante tutto. »

« Tu! » gridò Lara, al culmine dello stupore.

« Io. Ovviamente mi aspettavo una reazione del genere da parte tua. E sono certa che l’avranno anche i tuoi amici, non appena vedranno apparire le loro nemesi davanti agli occhi. »

« Dannata puttana! Che cosa hai fatto i miei amici? »

« Niente » ammise Natla, sincera. « Non ho torto loro un capello... dormono beati nelle loro camere, ignari di tutto. Un utile contributo da parte del mio alleato. »

La donna alata spostò lo sguardo, indirizzandolo verso una persona alle spalle di Lara. Lei si voltò, riconoscendo l’essere che l’aveva aggredita: manteneva ancora le sembianze della sua sosia malvagia, e la cosa sembrava piacergli molto, visto che amava toccarsi varie parti di quel corpo.

« Ah, non temere » commentò Natla, intercettando l’espressione di Lara. « Non è davvero la tua vecchia nemica, bensì uno dei miei nuovi soci in questa battaglia. In verità non so nemmeno io che cosa sia e nemmeno m’interessa... ma devo ammettere che la sua capacità di trasformarsi in ciò che vuole risulta molto utile. »

La falsa Lara sorrise soddisfatta.

Lara cercò di restare calma. C’era già passata dopotutto, svariate volte. Catturata dal nemico, portata nel suo covo, costretta ad ascoltarlo mentre parlava dei suoi diabolici piani. E nel frattempo aveva sempre trovato una via di fuga... un modo per sopravvivere. Perché stavolta doveva essere diverso? Doveva solo mantenere la calma, guadagnare tempo per cavarsela ancora una volta. Natla era come tutti gli altri nemici... e l’avrebbe sconfitta. Le occorreva un’arma, innanzitutto: le sue pistole giacevano sul terreno alle spalle di Natla, impossibili da raggiungere.

« Di quali soci parli? » chiese Lara. « Che significa tutto questo? »

« Davvero non lo sai? » disse Natla. « Credevo che tu e i tuoi soci sapeste già tutto, proprio come noi. Allora non avete incontrato Nul... non vi ha spiegato niente. Però, è davvero interessante. »

« Aiutami a capire, allora. Tanto l’ho capito ormai... sei venuta a uccidermi, e vuoi che ti guardo mentre lo fai. Altrimenti mi avresti uccisa mentre ero svenuta. Non ti resta che sferrarmi il colpo di grazia... dunque cosa aspetti? »

Ci fu un tuono in lontananza, ma non suscitò la minima distrazione fra i presenti. Natla restò in silenzio per un po’, finché non prese una decisione.

« Hai ragione, mia cara » dichiarò. « Voglio ucciderti. Ma non voglio farlo così... non voglio farlo se tu non sai nulla. Non c’è onore nel giustiziare un condannato che non conosce la sua colpa. Va bene, esaudirò il tuo desiderio di sapere.

« Dapprima voglio rassicurarti su una cosa... avevi ragione a credere che io fossi morta. Mi hai uccisa nelle profondità di Helheim, proprio mentre stava per scattare l’ora del mio trionfo. Sono morta, dunque, e il mio mondo si è colmato di oscurità infinita. Ma poi una voce mi ha chiamata dal nulla, e all’improvviso mi sono ritrovata in questo mondo... di nuovo viva. »

Per Lara era difficile cercare di liberarsi e ascoltare nello stesso tempo, tuttavia aveva capito a sufficienza per restare ancor più di stucco. Natla era proprio come Ansem, l’avversario di Sora che avevano affrontato quello stesso giorno: tornata in vita in modo misterioso, pronta a tornare alle vecchie abitudini.

« Il responsabile della mia resurrezione è un tale di nome Nul, a cui piace fare il misterioso » proseguì Natla. « Ha un grande potere dalla sua, visto che è in grado di riportare in vita i morti. Ci ha concesso una seconda possibilità, e se avremo successo potremo ritornare a casa. Ed ecco che arriva la parte che riguarda te... perché il prezzo da pagare per il mio ritorno a casa è la tua vita. Se ti uccido, Nul mi riporterà nel mondo da cui proveniamo... e puoi stare certa che la regina di Atlantide riprenderà il lavoro che ha lasciato in sospeso. »

Lara era ammutolita. Il suo piano era ancora più folle di quanto avesse immaginato. Ciò che più la spaventava, tuttavia, era il fatto che Natla sapeva cosa fare in quello strano mondo... mentre lei non ne aveva la più remota idea. Perché stava succedendo tutto questo?

« Bla bla blah... » cantilenò la sosia di Lara in quel momento. « Dì un po’, ne hai ancora per molto con le chiacchiere? Vorrei concludere entro la serata, tesoro, se non ti spiace. »

Natla si voltò a guardarla, di colpo irritata.

« Qual è il problema? Hai forse un appuntamento a cui non puoi mancare? »

« A dire il vero sì. Devo fare il bucato, lavarmi i capelli, scegliere il vestito buono per la festa... e massacrare il bastardo che mi permetterà di tornare in vita! Perciò sbrigati ad ammazzare questa puttanella, così potrò andarmene. »

« Come osi parlarmi in questo modo? » tuonò Natla. « La regina di Atlantide non tollera simili beffe sulla sua persona! »

« Sarà, ma non devi valere un granché... se la troietta incatenata ai nostri piedi è riuscita a farti secca la volta scorsa. »

Nel giro di un attimo, Lara non era più al centro dell’attenzione. Natla e l’impostora avevano iniziato a litigare; volarono parole grosse e ceffoni... poco ci mancava che facessero sul serio, pensò Lara, la quale non aveva alcuna voglia di trovarsi in mezzo a un eventuale scontro in uno spazio così ristretto.

All’improvviso sentì qualcosa pungerle la schiena. Lara si voltò, sorpresa: la testa di Edward faceva capolino da oltre il bastione. Era spaventato, ma anche determinato a fare ciò per cui era venuto.

« Shhh » sussurrò, puntando una delle sue “dita” verso le due donne, ancora intente a bisticciare. Loro non potevano vederlo da quella posizione, permettendogli una chance per liberare l’amica.

Un’emozione potente si accese nel petto di Lara, mentre il ragazzo dalle mani di forbice armeggiava con il lucchetto delle catene. Non si aspettava assolutamente l’intervento di Edward, ma non intendeva certo lamentarsi; aveva guadagnato tempo a sufficienza... non restava altro che liberarsi ed agire.

Il lucchetto si aprì nel giro di mezzo minuto: Edward ci sapeva fare con le serrature, doveva riconoscerlo... e avrebbe fatto del suo meglio per ringraziarlo a dovere, una volta usciti da quella spinosa situazione.

« È questo il meglio che sai fare, regina dei miei stivali? » canzonò l’impostora nel frattempo, dopo l’ennesimo ceffone.

« Se Nul non avesse proibito di ucciderci a vicenda, ti avrei già ridotta a un mucchietto di cenere! » rispose Natla, furiosa come non mai.

« Raaaaah! »

Lara urlò, agitando in aria la catena da cui si era appena liberata. Natla si voltò, ma era già troppo tardi: un gran numero di anelli metallici arrugginiti si schiantarono contro la sua faccia, facendola barcollare. Non aspettò di ascoltare le voci di stupore levarsi dalle sue nemiche; era solo il momento di combattere... di sopravvivere. Roteò ancora la catena, colpendo la sua sosia malvagia alle gambe che cadde di conseguenza all’indietro; sferrò un calcio a Natla per allontanarla, si gettò a terra e recuperò le sue pistole.

Continuava a ripeterselo, aveva affrontato insidie peggiori di questa. Egitto, Bolivia, Helheim, Yamatai... luoghi in cui aveva rischiato di morire un sacco di volte ma da cui era uscita vittoriosa. Come potevano sperare una donna alata e il suo alleato mutaforma di mettere alle strette Lara Croft sulla cima di una vecchia torre?

Ovviamente Natla non intendeva darsi per vinta. Lo stupore per l’improvviso rovescio della medaglia era già svanito, e si avventò su Lara, fregandosene delle pistole che ora impugnava. Fiamme rosse si accesero sulle sue mani, pronta a far saltare la testa alla sua nemesi; ma qualcosa si parò improvvisamente tra loro, scagliandosi su di lei. Edward era intervenuto, cercando di proteggere Lara come poteva.

« Levati di dosso, miserabile abominio! » gridò Natla, riuscendo a respingerlo senza sforzo. Il giovane finì così tra le grinfie della sosia di Lara, che lo accolse, in un certo senso, a braccia aperte.

« Sarai un ottimo passatempo » commentò lei, prima sferrare a Edward un terribile pugno al ventre.

« Edward! »

Lara sparò all’impostora. Il colpo, tuttavia, la mancò di parecchio, perché Natla colpì l’archeologa mentre sparava, deviando la traiettoria del proiettile. Quella distrazione le stava costando caro; la regina di Atlantide la colpì ripetutamente, fino a metterla con le spalle al muro; Lara si appoggiò sfinita al merlo della torre, per nulla intenzionata a mollare. Continuava a ripeterselo, aveva affrontato insidie peggiori.

I tuoni del temporale coprirono il suono della voce trionfante di Natla. Pregustava già il suo ritorno a casa, come promesso da Nul nel caso avesse ucciso Lara. Così l’afferrò per il collo puntandole contro la sua stessa pistola. Edward, finito a terra mentre l’impostora lo prendeva a calci senza pietà, fissò la scena sconvolto.

« No... »

Un altro fulmine squarciò le tenebre, molto vicino alla torre. La sua luce illuminò per un istante la sagoma di un essere in piedi sopra il merlo vicino Lara. Natla si voltò a guardarlo, sorpresa; un attimo dopo fu spinta all’indietro, travolta dal nuovo arrivato. La donna alata mollò la presa su Lara, che cadde di conseguenza a terra.

Lo stordimento, la pioggia e la violenta colluttazione tra Natla e il suo aggressore impedirono a Lara di riconoscerlo subito. Non tardarono tuttavia a risuonare nell’aria le sue parole, tutte rivolte alla diabolica regina di Atlantide.

« Strega! Immonda meretrice di Satana! Le tue diaboliche pretese... sui miei amici ed ospiti saranno ripagate... con il sangue! »

« Barnabas? »

Aveva indovinato. Il cupo vampiro di Burton Castle era giunto in loro soccorso, sorprendendo tutti. Anche la sosia di Lara aveva smesso di picchiare Edward, per l’improvviso sviluppo degli eventi.

Dal momento che Barnabas riusciva a tenere testa a Natla con la sua forza, Lara decise di aiutare Edward; approfittò dunque della distrazione dell’impostora per spararle, cogliendola di sorpresa. La mutaforma non riuscì a difendersi da una tale raffica di colpi, e fu respinta fino all’orlo del bastione, in uno spazio vuoto tra due merli. Fu sul punto di cadere, ma all’ultimo istante riuscì ad aggrapparsi alla pietra.

« Hehe... » ridacchiò, guardando Lara con aria folle. Nel frattempo le sue ferite stavano scomparendo ancora una volta. « Non vuoi proprio capire? Sono immortale! Io vivo, mentre voi morite... voi deboli, miserabili umani... argh! »

Qualcosa la colpì alla mano, provocandole un taglio profondo. Mentre mollava la presa dal merlo vide Edward, di nuovo in piedi, lo sguardo carico di sfida e determinazione. Lui e Lara rimasero a guardare mentre l’impostora, perduto l’equilibrio, cadeva all’indietro, sparendo nel vuoto. Non udirono urla, coperte dai tuoni della tempesta.

Non era ancora finita. Barnabas era ancora alle prese con Natla. Lara cercò di intervenire, ma non ce ne fu bisogno. Mentre l’archeologa mirava alla sua nemica, il vampiro trovò un’apertura sufficiente per avventarsi alla sua gola, azzannandola senza pietà. Natla lanciò un urlo terribile, mentre il destino si preparava a dichiarare la sua fine.

Lara fu sul punto di abbassare le pistole, credendo fosse finita. Tuttavia ebbe una sorpresa, pochi attimi dopo: Natla riuscì a reagire, liberandosi dalla presa di Barnabas, e lo scaraventò lontano. Lara la vide comunque barcollare, mentre con una mano cercava di fermare il flusso abbondante di sangue che sgorgava dalla sua gola squarciata. Era ancora in piedi, ma nemmeno lei poteva ignorare una ferita del genere.

« Maledetti » sbottò Natla con un gorgoglio. « Non è finita... non sono ancora finita! Non ancora! »

Spalancò le ali e prese il volo, prima che qualcuno potesse impedirglielo. Lara iniziò a sparare, ma nessun colpo andò a segno; così si rassegnò a vedere la sua nemica fuggire, sparendo nella tempesta. Le sue urla continuarono tuttavia a risuonare, dichiarando vendetta.

« Ci rivedremo, Lara! E la prossima volta morirai! »

Lara abbassò le armi, immensamente turbata. Conosceva fin troppo bene quel mostro, al punto da sapere che ogni sua parola era una promessa. Natla non avrebbe avuto pace finché non avessero chiuso i conti... poteva starne certa.

Ma per il momento poteva tirare un sospiro di sollievo. Natla non sarebbe tornata alla carica troppo presto, ferita com’era, e nemmeno il mutaforma sembrava intenzionato a tornare. Lara era sopravvissuta di nuovo, era ciò che contava in quel momento.

« State bene, milady? » chiese Barnabas, apparso al suo fianco. Appariva stravolto, ma restava in piedi con disinvoltura.

« Bene, grazie. E voi? »

« Sto bene » rispose lui, « quanto può esserlo un vampiro appena uscito da una faida contro una serva del demonio. Non mi era mai capitato di affrontare una simile bestia... perdonatemi se non sono riuscito a rispedirla all’inferno da cui è giunta. »

« Non siate sciocco, Barnabas. Il vostro intervento è stato provvidenziale. Vi devo la vita... e la devo anche a te, Edward. »

Edward la guardò sorpreso ma poi sorrise, felice di essere stato utile.

« Esigo una spiegazione, lady Croft » riprese Barnabas. « Passeggiavo insonne tra i corridoi, quando ho assistito all’intrusione di quella donna sulla torre. Vi ho vista in pericolo e sono intervenuto... ma devo sapere se il peggio è passato, o se io e i miei soci dobbiamo aspettarci altre spiacevoli sorprese ai nostri danni! »

« Certo, Barnabas » rispose Lara, « vi spiegherò tutto strada facendo. Dobbiamo tornare subito dai miei amici, devo sapere se stanno bene. »

Pochi attimi dopo, lo strano trio faceva ritorno in luoghi più asciutti, attraversando rapidamente sale e corridoi del castello. Lara parlò dell’intrusione di Natla e del suo misterioso complice, giunti con l’unico scopo di uccidere la stessa archeologa. Quando raggiunsero le camere degli ospiti, Lara fu sollevata nel constatare che stavano tutti bene: Sora, Harry e gli altri dormivano ancora della grossa, a causa del sonnifero che gli era stato somministrato, ignari di quanto si era appena concluso in cima alla torre.

Poche ore dopo i componenti del gruppo si svegliarono. La pioggia era cessata, ma sopra il castello era rimasto il solito ammasso di nuvole che rendeva l’atmosfera decisamente lugubre. Lara raccontò subito dell’accaduto, provocando a tutti una nuova ondata di stupore. Alle orecchie di Sora fu una conferma di quanto già aveva sospettato in precedenza, un’idea che non gli piaceva per niente. I loro nemici stavano tornando dalla morte per perseguitarli.

« Sembra proprio così » ammise Lara al termine del racconto. « E questi nemici sembrano ben preparati sulla situazione. Sanno cosa devono fare per uscire da questo mondo... devono ucciderci. Sembra che questo gli permetterà di tornare in vita sul serio. »

« Gran bella notizia » borbottò Hellboy mentre fumava l’ennesimo sigaro. « Significa che presto la tua amica tornerà alla carica, insieme ai rinforzi. »

« In tal caso, dovrete combattere altrove » dichiarò Barnabas, che aveva ascoltato ogni parola. « Questa è la vostra guerra, e vi auguro di vincerla... ma non potrete restare qui. Ci mettereste in pericolo, proprio come è successo questa notte. Non sono pervaso dal piacere mentre prendo questa decisione, ma devo invitarvi a lasciare Burton Castle... immediatamente. »

Lara guardò dapprima i suoi compagni, poi Edward e gli altri personaggi del gruppo di cui faceva parte. Barnabas aveva ragione: non erano guerrieri, non potevano unirsi a loro in una guerra che non li riguardava. L’aggressione di Natla lo aveva confermato apertamente... se fossero rimasti a Burton Castle, avrebbero messo in pericolo i suoi attuali abitanti.

« D’accordo » disse Jake. « Non c’è problema. So riconoscere quando sono di troppo, e credo che i miei amici lo sappiano quanto me. Partiremo appena siamo pronti. »

I compagni annuirono uno dopo l’altro, rassegnati all’idea. Così, non appena ognuno di loro ebbe radunato le proprie cose, si diressero tutti verso l’uscita. Barnabas e i suoi soci si radunarono nell’atrio per salutarli. La reazione alla partenza improvvisa dei sette eroi variava sensibilmente tra i vari componenti del gruppo: alcuni, come Edward e Victor, erano dispiaciuti; altri, come Wonka e il Cappellaio Matto, restavano seri; Todd invece era lieto di vederli sparire dalla sua vista, dato che li aveva considerati una minaccia fin dal primo momento. Barnabas aveva l’aria indecifrabile, come se provasse una sintesi di tutte le emozioni dei suoi soci... ma preferiva tenerla per sé.

« Be’ grazie di tutto » disse Jake, guardandoli tutti dall’alto. « Per l’ospitalità... e per tutto il resto. Spero che possiate tornare presto a casa vostra. »

« È stato un onore, aiutare eroi valorosi come voi » ammise Barnabas. « Vi auguro di vincere la battaglia che vi appresterete ad affrontare. »

« Siete proprio sicuri di non volere una rasatura prima di partire? » domandò Todd, mostrando uno dei suoi rasoi.

« Siamo a posto, grazie » rispose Harry cupo.

« Siete stati molto gentili » dichiarò Po con un inchino. « E grazie ancora per i dolci, erano squisiti. »

« Non c’è di che » disse Wonka, facendogli l’occhiolino. « E ne troverete molti altri, semmai doveste capitare dalle mie parti... alla Fabbrica di Cioccolato. »

« Abbiate cura di voi, amici » dichiarò Victor. 

« Grazie » gli rispose Luke, « e che la Forza sia con voi. »

« Va tutto bene, Cappellaio? » domandò Sora, intercettando il suo sguardo afflitto.

« No » rispose lui. « Continuo a chiedermi perché un corvo assomiglia a una scrivania. »

« Oh, giusto, stavo per dimenticarmene. Ci ho riflettuto e credo di avere la risposta. Un corvo assomiglia a una scrivania perché... entrambi hanno le penne! »

Il Cappellaio Matto restò in silenzio per un po’, poi scoppiò in una sonora risata... e non accennò a smettere.

Lara si fece infine avanti, avvicinandosi a Edward. Lui si ritrasse come al solito, temendo di farle del male con le sue forbici, ma lei non reagì. Sfiorò la sua guancia con una mano, sorridendogli serena.

« Sei stato molto coraggioso, Edward. Non dimenticherò quello che hai fatto per me. »

Edward non rispose, ma fece un gran sorriso.

E i sette eroi uscirono piano dal castello, chiudendosi il portone alle spalle. Non avrebbero più rivisto gli abitanti di Burton Castle, ma non rinunciarono mai alla speranza di sapere cosa ne sarebbe stato di loro. Erano amici, nonostante tutto... e non li avrebbero dimenticati.

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Capitolo 11
*** L'alchimista d'acciaio ***


Capitolo 11

 

Nel sottosuolo, anche in quel mondo ricolmo di follia e disordine scorrevano i binari della metropolitana. I Senzavolto la prendevano di continuo per spostarsi da una zona all’altra, simulando perfettamente una parvenza di vita che in verità non possedevano. Ombre ignare della verità, esistenti solo per fare da sfondo al disegno di un essere che non potevano capire.

Nul camminava tranquillo in una galleria abbandonata della metro. Aveva appena trovato ciò che stava cercando, l’ultimo pezzo da mettere al giusto posto sul suo tavolo da gioco. Esso aveva sembianze di un uomo alto, dai lunghi capelli di un oro pallido, le orecchie a punta e la pelle bianca; una curiosa cicatrice solcava il suo viso, simile a una linea retta che si estendeva lungo le guance, attraversando il ponte del naso. Odio e rabbia marchiavano il suo sguardo, frutto di secoli di sofferenza, rendendo gli occhi simili a gelidi diamanti splendenti nel buio. Costui guardava Nul senza reagire, pur essendo armato di lancia; forse lo stava aspettando, pronto ad ascoltare ciò che aveva da dire.

« Il tuo nome » disse Nul.

« Nuada » rispose l’altro « Lancia d’Argento, figlio di Re Balor, principe del clan Bethmoora. Erede al trono dei Figli della Terra. »

« Cosa desideri? »

« Il mio mondo, il mio popolo... mia sorella. »

« E perché sei qui? » domandò ancora Nul.

« Ho fallito » rispose Nuada. « Sono morto. »

Il silenzio fu spezzato da un improvviso frastuono. Un treno stava passando in una galleria vicina. Nul aspettò.

« Ti offro una seconda occasione » annunciò non appena tornò il silenzio. « Combatti per me. Vinci questa battaglia. Uccidi il tuo nemico... e riavrai tutto ciò che hai perduto. »

« Il mio nemico? »

« L’ultimo che hai visto prima di trasformarti in creta e cadere a pezzi ai suoi piedi. »

Nuada sgranò gli occhi per la rabbia. Ricordava benissimo ogni cosa... compreso lui, il responsabile della sua morte: il demonio che aveva rovinato i suoi piani e portato lui e sua sorella alla morte. Aveva giurato di non arrendersi mai, di non fermarsi mai... finché il suo popolo non avesse riavuto il mondo da cui erano stati scacciati.

« Lo farò. »

« Molto bene » disse Nul soddisfatto. « Raggiungi gli altri... sono sulle tracce dei loro avversari. Il tuo nemico è con loro. »

Nuada non aggiunse altro. Strinse la presa sulla sua lancia e s’incamminò, sparendo in una galleria vicina. Nul restò a guardare, ma non era rimasto solo. In lontananza, nella direzione opposta, c’era qualcun altro, intento ad osservare ogni cosa.

« Cosa fai ancora qui? » domandò Nul impassibile.

Il lungo, gelido respiro di Darth Vader fu l’unica risposta che gli arrivò.

 

Torniamo ai nostri eroi, intenti in quel momento a vagare ancora una volta senza una meta precisa. Dopo essersi lasciati Burton Castle alle spalle, i sette compagni non avevano altra scelta che proseguire, in cerca di qualsiasi cosa che potesse tornare utile all’obiettivo comune: tornare a casa e alle loro vite. I non-morti che li avevano aggrediti il giorno prima erano spariti dalla circolazione, e anche i Senzavolto sembravano fuori dal loro campo visivo. Ma Jake Sully e i suoi alleati mantenevano una vigilanza costante, camminando in formazione per gettare un occhio dappertutto. Il nemico poteva spuntare fuori in qualsiasi momento.

Proseguirono così per diverse ore, attraverso vari quartieri della città fantasma. La tensione nell’aria era alta, poiché non riuscivano ancora a raccapezzarsi sulla situazione.

« Non ne posso più » si lamentò Po, in coda al gruppo, visibilmente stanco. « Stiamo girando a vuoto da un pezzo, ormai. Ho anche una gran fame... il mio stomaco protesta. »

« Ancora? » commentò Sora. « Non stavi mangiando cioccolata di Wonka meno di mezz’ora fa? »

« Non possiamo fermarci » dichiarò Jake, deciso a proseguire. « Questo posto non è abbastanza riparato... aspettiamo di trovarne uno più sicuro. »

« Difficile trovare un riparo in un posto del genere » obiettò Hellboy. « Siamo ancora nel bel mezzo di un ambiente urbano che brulica di rognosi Senzavolto. Non saremo al sicuro finché non avremo lasciato la città. »

« Silenzio! Fermi! »

All’ordine di Jake, si fermarono tutti quanti. Il guerriero Na’vi guardava in avanti, verso un vicolo laterale. Alcuni Senzavolto vi si erano infilati dentro senza badare a loro, correndo come forsennati.

« Parli del diavolo... » sussurrò Hellboy, accarezzando la sua pistola.

« Non ci hanno notati » disse Lara. « Forse siamo di nuovo invisibili per loro. »

« Non lo so, qualcosa non quadra » aggiunse Harry, serio. « Si muovevano come quando ci hanno attaccati la prima volta. Erano pronti ad attaccare. »

« Zitti! Avete sentito? »

Non ci avevano fatto caso, ma ora udivano ciò che le orecchie di Jake avevano sentito fin dall’inizio. Urla, colpi, esplosioni... nella stessa direzione in cui stavano correndo i Senzavolto di poco fa. Non impiegarono molto a condividere la stessa idea... il fatto che qualcuno fosse in pericolo.

Qualcuno come loro, senza ombra di dubbio. E dal momento che l’idea condivisa fu accettata da tutti i presenti nel giro dei successivi tre secondi, fu quasi inevitabile la decisione successiva... sulla quale nessuno aveva alcunché da obiettare. Chiunque fosse in pericolo, dovevano intervenire. Jake ordinò quindi ai suoi compagni di seguirlo, arrampicandosi lungo il muro del palazzo più vicino; per lui era facile, grazie all’agilità e alla statura vertiginosa di cui vantava... mentre gli altri furono costretti a procedere lungo una provvidenziale scala antincendio.

Dovevano avvicinarsi il più possibile senza dare nell’occhio, ancora meglio se potevano farlo da una posizione elevata. Quando ebbero tutti raggiunto il tetto, un terribile spettacolo si manifestò davanti ai loro occhi angosciati: un’enorme folla di Senzavolto si era radunata intorno a un edificio di tre piani, con l’intenzione di raggiungere la sua sommità. Per far ciò, tutta quella gente si stava ammassando una sull’altra, come uno sciame di locuste affamate, scalando poco a poco il palazzo. Alcuni Senzavolto erano già arrivati sul tetto, e stavano attaccando qualcuno che i sette compagni non riuscivano a distinguere. Erano troppo lontani, e i Senzavolto erano numerosi, ma era evidente che quella persona non avesse alcuna intenzione di cedere: affrontava i suoi aggressori da solo, sfoderando poteri speciali che provocavano esplosioni e raggi di luce rossa.

« Luke, dammi informazioni » ordinò Jake.

« Percepisco dolore, sofferenza... e molta rabbia » mormorò il Jedi dopo un minuto. « Colui che cerchiamo è in grave pericolo. Non resisterà ancora a lungo a un tale assedio. »

« Cosa aspettiamo, allora? » intervenne Sora, deciso. « Andiamo a salvarlo, prima che sia troppo tardi! »

« No. Non è prudente gettarsi alla cieca contro un tale nemico » dichiarò Jake, lo sguardo fisso su quell’atrocità in atto. « Voi restate qui, me ne occupo io. »

Il guerriero Na’vi non si soffermò a guardare lo sguardo attonito dei suoi compagni dipinto sui loro volti dopo aver udito il suo ordine. Ignoravano che Jake sapesse perfettamente cosa fare per salvare lo sconosciuto in pericolo. Dopo aver dato un’occhiata nei dintorni aveva stabilito come muoversi; perciò, senza indugiare un istante di più, spiccò un salto in avanti, atterrando sul piano di un edificio in costruzione; si arrampicò su un pilastro d’acciaio e raggiunse infine il cavo di una gru. Dopodiché si lanciò senza paura sull’edificio di fronte, quello assediato dai Senzavolto; afferrò l’arco e scagliò una freccia sulla massa di persone, centrandone una in pieno. I Senzavolto si voltarono a guardarlo mentre atterrava in piedi sul tetto, senza nemmeno un graffio.

Sora, Harry, Po, Lara, Luke ed Hellboy restarono a guardare immobili dalla loro posizione, mentre il loro capo si faceva facilmente largo tra gli aggressori. Alto e robusto com’era, i Senzavolto non potevano sopraffarlo con la loro superiorità numerica, e venivano travolti al suo passaggio. Jake raggiunse così l’obiettivo, ormai allo stremo delle forze, e lo strappò dalle grinfie dei Senzavolto. Un attimo dopo si era già lanciato dal tetto e stava tornando indietro, spiccando grandi balzi da un palazzo all’altro.

Quando si riunì ai suoi compagni, la situazione era già cambiata completamente. La massa di Senzavolto sotto i loro piedi aveva sospeso l’attacco, e lentamente stavano tornando a camminare per strada come se nulla fosse. Il loro folle piano era fallito, qualunque fosse stato.

Jake e i suoi compagni, tuttavia, avevano cose ben più urgenti di cui occuparsi, come dimostrato dal giovane ferito che il Na’vi portava in braccio. Lo posò delicatamente a terra, affinché gli altri potessero aiutarlo ad occuparsi di lui: era un ragazzo di circa 16 anni, dal fisico minuto ma muscoloso; portava i capelli lunghi e biondi raccolti in una treccia, e indossava una specie di uniforme di pelle nera e un lungo giubbotto rosso con cappuccio. Quando Jake lo posò a terra era ancora cosciente, ma soffriva molto: era malconcio per i numerosi colpi subiti, al punto che non riusciva a guardare nessuno dei suoi soccorritori. Lara si era fatta avanti per esaminare le sue condizioni.

« Ha un braccio rotto, sembra » dichiarò, osservando la strana angolatura presa dal suo braccio destro. « Aiutatemi a spogliarlo. »

Jake obbedì e lo tenne fermo, mentre Sora ed Harry gli sfilavano giacca e giubbotto. Fu a quel punto che si resero conto della verità, talmente inaspettata da far esclamare alcuni dei presenti per la sorpresa.

« Santo cielo! »

Il braccio destro del ragazzo non era rotto. Anzi, non ce l’aveva affatto. Al suo posto vi era infatti quello che sembrava un braccio artificiale, metallico e dotato di componenti meccanici; era seriamente danneggiato, per questo aveva dato l’impressione che fosse rotto.

Questo non cambiava la situazione, ma spinse Lara ad esaminare più accuratamente il corpo del ragazzo; scoprì in questo modo che il braccio destro non era l’unica protesi artificiale di cui era dotato; anche la gamba sinistra era meccanica, provocando a tutti quanti una nuova dose di stupore.

« Avevate mai visto qualcosa del genere? » domandò uno sconvolto Jake al gruppo.

« Io sì » rispose Luke, facendosi avanti. « Costui non ha ferite gravi, a parte i danni al braccio destro. Dobbiamo ripararglielo... forse posso fare qualcosa. »

« Credi che venga dal tuo stesso mondo, Luke? » chiese Sora.

« Ne dubito, ma so cosa si prova nel possedere simili pezzi di ricambio... perché anche io ho perso qualcosa. »

Mentre il Jedi esaminava meglio il braccio del ragazzo ferito, i suoi compagni si resero conto di cosa stava parlando. Finora avevano pensato che la mano destra di Luke fosse coperta da un guanto... invece era meccanica, proprio come lo sconosciuto che giaceva ai loro piedi. Non era il caso di fare domande su di essa, a causa del momento troppo inopportuno.

Luke tentò di riparare l’arto danneggiato del ragazzo, armeggiando con alcuni attrezzi che aveva portato con sé. Tuttavia i suoi compagni lo videro rinunciare dopo qualche minuto, visibilmente rassegnato.

« Mi dispiace » dichiarò. « Questa tecnologia è troppo diversa da quella a cui sono abituato. Sembra molto antiquata rispetto allo stile dei pianeti in cui ho vissuto, ma anche molto evoluta. Non posso fare nulla per ripararla. »

« D’accordo, allora » intervenne Harry, sfoderando la sua bacchetta. « Vorrà dire che proveremo la mia alternativa... Reparo! »

Nel giro di un attimo, i pezzi e i componenti del braccio si rinsaldarono; ogni vite, ogni scheggia, ogni cavo tornò al suo giusto posto, ricostruendolo perfettamente. Il ragazzo biondo si ritrovò così una protesi nuovamente funzionante, ma un istante dopo lanciò un urlo terribile, come se fosse in preda a un forte dolore. Si contorse a terra per qualche secondo, poi perse i sensi e il suo corpo divenne molle.

Quel tetto freddo e spoglio non era il luogo ideale per occuparsi di un ragazzo ferito, perciò i sette compagni furono d’accordo nel cercare un riparo migliore. Jake guidò tutti quanti verso il palazzo in costruzione su cui era salito prima, e salirono fino all’ultimo piano disponibile per tenere d’occhio il territorio in ogni direzione. Harry si occupò di eseguire tutti gli incantesimi difensivi che conosceva, per assicurare la massima protezione al loro rifugio: ormai era abituato a fare così, dal momento che aveva trascorso l’ultimo anno a nascondersi da un intero popolo in guerra. Luke ed Hellboy stavano di guardia. Po accese un fuoco per riscaldare l’ambiente, mentre Sora e Lara si occuparono del ragazzo esanime; in poco tempo, combinando magie curative e un kit di pronto soccorso, riuscirono a stabilizzare le sue condizioni.

« Anche il suo braccio sembra a posto, adesso » commentò Sora. « Il tuo incantesimo per ripararlo ha funzionato alla grande, Harry... perché non lo hai eseguito subito? »

« Perché cerco di non usare troppo questa bacchetta, se posso evitarlo » commentò il ragazzo, cupo. « Non mi piace il suo potere... è troppo grande, troppo spaventoso. La Bacchetta di Sambuco non può essere usata con leggerezza. »

Il discorso fu fatto cadere immediatamente, perché il ragazzo biondo stava riprendendo i sensi. I sette compagni si avvicinarono con cautela, mantenendo una distanza di sicurezza. Il ragazzo restò sdraiato, guardando tutti i presenti con aria sofferente.

« Ugh... dove mi trovo? » sussurrò. « Chi siete... voi? »

« Non muoverti, sei ancora debole » lo ammonì Sora, facendosi più vicino. « Forse posso aiutarti... Energia! »

Puntò il Keyblade sul ragazzo, che fu avvolto di conseguenza da una luce verdognola. Quando svanì, questi si alzò a sedere di scatto, nuovamente in forze. La magia di Sora lo aveva curato.

« Wow » commentò stupito. « Grazie! »

« Non c’è di che. Io mi chiamo Sora, e tu? »

« Edward » rispose. « Edward Elric. Ed, per gli amici. Vi prego, ditemi che ci troviamo a Amestris, e che ho avuto solo un incubo. Dov’è mio fratello? »

I sette compagni si scambiarono una veloce occhiata perplessa.

« Mi dispiace, ma non sappiamo di cosa parli » dichiarò Jake. « Una cosa è sicura, non stai sognando. »

Ed non stava ascoltando. Era troppo impegnato a guardare il suo braccio destro, la protesi meccanica che gli avevano riparato poco prima. Sembrava sconvolto in modo indescrivibile.

« No... » disse piano. « C’è ancora... maledizione... perché? Perché? »

« Calmati! » intervenne Lara. « Sappiamo bene ciò che provi. Siamo sulla stessa barca, tutti quanti. Questo non è il tuo mondo, perché sei stato separato da esso... esattamente come è capitato a noi. »

I sette compagni si presentarono uno dopo l’altro, poi si occuparono di spiegare a Edward Elric cosa stava succedendo. Chiunque fosse quel ragazzo, era ormai ovvio che fosse uno di loro, e doveva essere messo al corrente di ciò che sapevano; al loro confronto sembrava quasi uno studente arrivato in ritardo alla lezione. Ed ascoltò ogni cosa con attenzione, pur mantenendo per tutto il tempo un’aria estremamente angosciata, per non dire disperata.

« ... così ci siamo alleati, e viaggiamo insieme alla ricerca di un modo per tornare ai nostri mondi » concluse Sora.

« Perciò riteniamo che dovresti unirti a noi » aggiunse Jake, guardandolo dall’alto. « Tornare a casa è lo scopo che ci accomuna. Se vuoi far parte del nostro gruppo, dovrai raccontarci chi sei; da dove vieni, che cosa hai fatto e che cosa sai fare. Noi siamo stati sinceri fino alla fine... ora dovrai ricambiare, per consolidare il legame che avrai con noi. »

Ed fece un lungo sospiro, realizzando nel giro di un secondo che quella era l’unica scelta possibile. Quindi prese fiato e iniziò a raccontare tutto ciò che quello strano gruppo voleva sapere.

« Mi chiamo Edward Elric. Sono nato nel 1899 a Resembool, un piccolo paese nella nazione di Amestris. Io e mio fratello minore Alphonse abbiamo coltivato fin da piccoli la passione per l’alchimia, un’arte molto diffusa nel mio mondo in grado di trasmutare la materia; la studiavamo per rendere felice nostra madre, per colmare il vuoto che mio padre le aveva causato dopo essere partito improvvisamente.

« Mia madre morì quando avevo otto anni, per una malattia. Inutile dire che per due bambini la perdita della mamma è una cosa insopportabile... e noi volevamo rivederla ad ogni costo. Così io e Al decidemmo di usare l’alchimia per riportarla in vita, dopo anni passati a studiarla. Tuttavia, la trasmutazione umana nel mio mondo è ritenuto il più proibito dei tabù. Credevamo di poter riuscire dove altri avevano fallito... ma ci sbagliavamo. Senza sacrificio l’uomo non può ottenere nulla; per ottenere qualcosa, l’uomo deve dare in cambio qualcosa dello stesso valore. Questo è il principio dello scambio equivalente, su cui si basano le leggi dell’alchimia. Non bastano infatti la giusta quantità di elementi chimici per trasmutare un corpo e restituirgli l’anima: bisogna sacrificare molto di più. Così io e Alphonse abbiamo “pagato” il prezzo della trasmutazione di nostra madre... con parti del nostro corpo! Io persi una gamba, mentre ad Al fu sottratto l’intero corpo. E mia madre... non tornò in vita; al suo posto, davanti ai miei occhi, c’era solo un essere deforme che non aveva nulla di umano.

« In un attimo avevo perso anche mio fratello... ma ero deciso a salvarlo, così tentai una nuova trasmutazione offrendo il mio braccio destro. L’anima di Al mi fu restituita, e la legai a un’armatura con un sigillo fatto del mio sangue.

« Quella notte, io e mio fratello avevamo oltrepassato una soglia da cui non potevamo tornare indietro. Avevamo giocato con forze occulte che non potevamo comprendere, ottenendo in cambio un sacco di dolore e sofferenza. Dovevamo rimediare... io dovevo rimediare: trovare un modo per restituire ad Al il suo corpo, per farlo tornare a vivere come meritava. Per affrontare il lungo viaggio che mi aspettava, mi sottoposi all’operazione per rimpiazzare i miei arti mancanti con gli automail... queste protesi meccaniche che mi avete aggiustato.

« L’alchimia ci aveva sottratto i nostri corpi, e l’alchimia ce li avrebbe restituiti. Per prima cosa dovevo saperne di più sulle trasmutazioni, e mi recai nella capitale per diventare un’Alchimista di Stato, così da poter sfruttare le risorse disponibili e trovare un modo di recuperare quello che io e Al avevamo perso. Con il tempo diventammo famosi in tutta la nazione: ero noto come l’Alchimista d’Acciaio... anche se la gente credeva sempre che si trattasse di mio fratello, a causa della sua armatura. Scoprimmo che effettivamente un modo c’era per riavere i nostri corpi... un antico artefatto in grado di infrangere le leggi dell’alchimia e trasmutare qualsiasi cosa. La Pietra Filosofale. »

Harry si lasciò sfuggire un gemito di stupore, attirando l’attenzione di Ed. Tuttavia non si perse in chiacchiere, lasciando al biondo l’occasione per riprendere il suo racconto.

« La Pietra Filosofale aveva dunque il potere per farci riavere i nostri corpi. Durante i nostri viaggi e ricerche, tuttavia, io e Al scoprimmo segreti sulla Pietra inimmaginabili: essa si può creare, infatti, sacrificando un’enorme quantità di vite umane. Come potevamo pensare di riottenere i nostri corpi con un simile oggetto, che richiedeva un prezzo enorme da pagare? Volevamo rinunciare all’idea, ma qualcosa stava nel frattempo minacciando il mondo intero: un gruppo di creature chiamate Homunculus, intenzionate ad ottenere il potere supremo con la Pietra Filosofale. Io e Al eravamo finiti nel loro mirino, volevano includerci nel loro piano per creare la Pietra... scatenando una guerra contro l’intera nazione. È stata una dura battaglia, con perdite da entrambe le parti... ma alla fine abbiamo eliminato gli Homunculus e salvato il mondo intero. Sono anche riuscito a recuperare il mio braccio e a restituire ad Alphonse il suo corpo, sacrificando il mio stesso potere alchemico. »

« Come? » fece Po, confuso. « Ma tu hai ancora il braccio di ferro. »

« Veramente è fatto d’acciaio » lo corresse Ed. « Ma hai ragione... ho ancora l’automail al posto del mio vero braccio. Dopo la fine della guerra e la distruzione dei cattivi, io e mio fratello eravamo tornati a una vita tranquilla... poi è accaduto tutto questo. All’improvviso mi sono ritrovato in questo strano mondo, da solo, dotato di nuovo degli automail e dei miei poteri; poi sono stato aggredito da quella massa di imbecilli senza volto. Ho cercato di opporre resistenza, ma sono riusciti a danneggiarmi il braccio, impedendomi di compiere altre trasmutazioni... se non fosse stato per voi, a quest’ora sarei sicuramente morto. »

Detto questo, Edward si alzò in piedi, mostrandosi al gruppo in tutta la sua “altezza”. Ormai aveva recuperato forze a sufficienza, tanto che fu perfino in grado di sorridere con determinazione.

« Ecco chi sono. Edward Elric, l’Alchimista d’Acciaio. Con un battito di mani posso trasmutare qualsiasi elemento dell’ambiente che mi circonda; posso contare anche su una buona tecnica di combattimento corpo a corpo, e trasformare il mio automail in una lama. Avevo rinunciato a tutto questo per salvare mio fratello e tornare a una vita normale; eppure qualcosa me li ha restituiti, portandomi per giunta in questo mondo impazzito. Giuro che farò tutto il necessario per tornare a casa... e per riuscirci sono pronto a dare fondo a tutto il mio potere! »

I sette compagni annuirono quasi all’unisono. Era chiaro per tutti... Ed era proprio come loro, un eroe come loro; dunque era degno di essere uno di loro.

« Molto bene, allora » dichiarò Jake Sully per primo, offrendogli la mano. « Benvenuto nel club, piccolo amico. »

« Cosa? Chi hai chiamato “piccolo”? » sbottò Ed, irritandosi in modo abnorme nel giro di un istante. « È facile per te parlare di altezze, gigante che non sei altro! Prova a ripeterlo, scoprirai quanto può essere doloroso un automail infilato su per il... »

Inaspettatamente, scoppiarono quasi tutti a ridere. Era strano riuscire a fare una cosa così semplice, così naturale, in un mondo come quello... dove pericolo e morte incombevano dietro ogni angolo. Quegli otto compagni erano ancora sperduti, confusi, spaventati dalla situazione in cui erano stati gettati controvoglia... ma il mondo sarebbe andato in frantumi da solo prima che decidessero di abbandonare la speranza e l’ottimismo.

« Ehi, ho trovato un nome perfetto per il nostro gruppo » annunciò Po nel frattempo, estasiato come se avesse appena preparato il suo piatto migliore. « I Valorosi! Che ve ne pare? »

I compagni si scambiarono un’occhiata indecisa.

« Mi piace » disse Ed infine, ignaro di tutto il tempo impiegato dal panda sull’argomento. « Per me è aggiudicato! »

E i Valorosi si rimisero in marcia, verso l’ignoto.

 

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Capitolo 12
*** Il corvo ***


Capitolo 12
L’ultimo membro dei Valorosi non tardò a dimostrare il suo talento al gruppo, mentre continuavano a percorrere le vie di quell’angusto quartiere. I Senzavolto continuavano a gremire le strade principali, perciò gli otto compagni non avevano avuto scelta che sgattaiolare tra i vicoli, pur di evitare scontri inutili. A un certo punto, tuttavia, erano finiti in una strada senza uscita: un alto muro di mattoni e rivestito di cemento si ergeva di fronte a loro, sbarrando loro il passo. Jake suggerì di tornare indietro, ma Edward Elric si fece avanti con decisione.
« Lasciate fare a me » dichiarò con un sorriso. Poi fece un battito di mani e pose i palmi sul muro, la cui superficie brillò improvvisamente di luce rossa. Pochi attimi dopo, sul muro era apparsa una porta; Ed l’aprì, mostrando a tutti il passaggio appena aperto.
« Mitico! » esclamò Po tutto contento.
« Come hai fatto? » domandò Harry. « Era un incantesimo? »
« Una trasmutazione » spiegò Ed. « Ho trasformato i mattoni e il cemento per creare la porta. Lo scambio equivalente è il principio base dell’alchimia; non posso creare le cose dal nulla come fai tu, Harry, ma solo trasmutare quelle che ho a portata di mano. Ma i risultati sono altrettanto buoni. »
I Valorosi attraversarono la soglia uno dopo l’altro; Ed passò per ultimo, dopodiché si occupò di trasmutare nuovamente il muro, facendolo tornare come prima.
Una sola occhiata nei dintorni e capirono tutti dove si trovavano: era un cimitero, deserto e avvolto da una nebbiolina leggera. Un gran numero di lapidi e tombe si estendeva a perdita d’occhio in ogni direzione. Nessuno si sentì in grado di commentare la situazione con ironia, poiché il luogo non era il più adatto per farlo; tuttavia, dal momento che in giro non si vedevano Senzavolto né altre minacce, i Valorosi decisero di sostare nel cimitero. Restarono comunque in guardia, dal momento che la recente esperienza avuta con un esercito di non-morti era ancora viva nei loro ricordi.
Qualcosa attirò pochi minuti dopo l’attenzione di tutti. Un verso stridulo, molto vicino, seguito da un violento batter d’ali; rivolsero lo sguardo nella stessa direzione, e un corvo apparve nel loro campo visivo, atterrando con grazia sopra una lapide. Gli otto compagni cercarono di non farci troppo caso, ma il corvo li stava fissando, gracchiando forte.
« E tu chi saresti, il guardiano del cimitero? » chiese Harry, leggermente divertito.
Il corvo picchiò con il becco sulla lapide, indifferente. Un attimo dopo, dalla nebbia apparve un uomo, dal fisico asciutto ma muscoloso, la carnagione chiara e i capelli lunghi, vestito completamente di nero. Il suo aspetto era già lugubre di per sé, ma il suo volto lo rendeva ancora di più: era truccato di bianco con alcune linee nere intorno alla bocca e sugli occhi... un’inquietante maschera di Pierrot.
I Valorosi scattarono subito in guardia, temendo che l’uomo in nero avesse intenzioni ostili. Non era un Senzavolto, ma non dava nemmeno l’impressione di essere amichevole. Egli avanzò tuttavia versò di loro, allargando le braccia come per mostrare di essere disarmato.
« Allora spalancai le imposte » sussurrò l’uomo in nero, « e sbattendo le ali entrò un corvo maestoso dei santi tempi antichi, che non fece un inchino, né si fermò un istante. E con aria di dame o di gran gentiluomo si appollaiò su un busto di Pallade sulla porta. Si posò, si sedette, e nulla più. »
I Valorosi si scambiarono un’occhiata incredula, pur restando in guardia.
« Il Corvo, di Edgar Allan Poe » disse Lara, riconoscendo quei versi.
« Sei in cerca di guai, straniero? » chiese Hellboy, la mano stretta sulla pistola.
« Non più di te, amico mio » gli rispose l’uomo in nero, « poiché vaghi per questa selva oscura del tutto ignaro della verità. »
« Aspetta, Red » intervenne Sora, intercettando la sua prossima, impulsiva reazione. « C’è qualcosa di strano in lui, lo sento. Forse è come noi. »
« Quel tipo puzza di morte lontano un miglio » ribatté, « è senza dubbio una creatura occulta. Un buon motivo per me per farlo fuori. »
L’uomo mascherato si avvicinò lentamente al Hellboy, fino a toccare con la fronte la canna della sua pistola senza alcuna paura.
« Coraggio, allora. Uccidimi, eroe coraggioso. Sono il tuo nemico... non esitare. »
Hellboy sparò, come per obbedire. L’uomo crollò subito a terra, con un bel buco in fronte.
I suoi compagni rimasero allibiti.
« Red! »
« Me lo ha chiesto lui » si giustificò, posando la pistola.
« Ma non c’erano prove che ci fosse ostile » disse Luke. « Magari voleva aiutarci. Ora non lo sapremo mai. »
Una risata si levò nell’aria, interrompendo le loro chiacchiere. Con sommo stupore, i Valorosi si resero conto che era l’uomo in nero a ridere. Questi infatti si rialzò subito da terra, continuando a ridere nonostante il buco fumante sulla sua fronte; quando fu di nuovo in piedi davanti a loro, il foro di proiettile era svanito.
« Oh, spero che non mi venga l’emicrania » commentò. « Dio solo sa quanto le detesto... »
Gran parte degli otto compagni era a bocca aperta.
« Di solito muoiono tutti, dopo che il mio Samaritano li becca in fronte » disse Helboy. « Come fai ad essere ancora vivo? »
« Cosa ti fa pensare che sono vivo? Hai pensato male, perché ti sei posto la domanda sbagliata. »
« Chi sei tu? » domandò Sora.
« Questa è una domanda classica, ma avete una buona ragione per farmela. Va bene, vi accontenterò. »
L’uomo tornò alla lapide dove stava appollaiato il corvo, mostrando ai Valorosi il nome inciso sopra:
 
ERIC DRAVEN
 
« Una volta mi chiamavo così... prima di morire. Ora non sono che uno spirito di vendetta, tornato per dare la pace a me e a colei che amo. »
Draven indicò la lapide accanto alla sua, mostrando agli altri un altro nome:
 
SHELLY WEBSTER
 
« Io e Shelly stavamo per sposarci » disse. « La notte prima delle nozze, quattro criminali giunsero nel nostro appartamento... per ucciderci. Io fui gettato dalla finestra. Shelly fu stuprata e pugnalata... morì in ospedale solo dopo trenta ore di agonia. »
I Valorosi ascoltarono ogni parola, e ognuno di loro reagì con una diversa gradazione di orrore, dipinto sui loro volti.
« Secondo la mitologia di alcune culture, il corvo imperiale avrebbe il ruolo di psicopompo. Quando però il cuore della persona morta è particolarmente colmo di dolore e rabbia, il corvo fa resuscitare l'anima per poter regolare i conti. Un anno dopo la mia morte, questo corvo è venuto da me per resuscitarmi. Grazie a lui, ho potuto regolare i conti con la banda di bastardi che  avevano ammazzato me e Shelly, ottenendo quindi la pace che meritavamo. Ora è finita... posso riposare in pace. »
« Allora perché sei ancora qui? » domandò Ed.
« Il corvo mi ha fatto tornare un’altra volta » rispose Draven. « A quanto pare ho ancora del lavoro da sbrigare da queste parti... e si dà il caso che le persone che devo aiutare siano appena arrivate. »
I Valorosi si scambiarono un’altra occhiata perplessa.
« Scusa, in che modo puoi aiutarci? » chiese Harry.
« Oh, non credete che mi unirò alla vostra squadra. Non sono un eroe, né sono in grado di affrontare i nemici con cui avete a che fare. Il mio compito consiste nell’aprirvi gli occhi sulla realtà che vi circonda.
« Allora, sapete perché ve la passate così male negli ultimi tempi? Perché non vi ponete le domande giuste. Continuate a vagare senza sosta tra queste orride strade, affrontando continuamente qualche brutto ceffo che vuole cavarvi il cuore dal petto. Non fate altro che chiedervi che diavolo sta succedendo, eppure non riuscite a capirci un’acca di questo circo degli orrori che vi circonda. Camminate e combattete, senza fermarvi a ragionare. »
« Abbiamo provato a ragionare, senza alcun successo » obiettò Lara.
« Perché non vi siete posti le domande giuste » ribatté Draven. « E se continuerete così, presto o tardi sarete sconfitti. Ma state tranquilli, sono qui per questo... sono qui per aiutarvi a trovare le risposte di cui avete bisogno. »
L’uomo in nero non aggiunse altro. Per alcuni dei Valorosi era chiaro il suo silenzio: voleva che scoprissero da soli le domande giuste. Perciò si guardarono tra loro per un po’, in silenzio, riflettendo attentamente.
« Perché siamo qui? » chiese infine Jake.
Draven sorrise.
« Questa, amici, è la domanda giusta. Complimenti, ragazzo... non era poi così difficile, no? E la risposta a questa domanda è altrettanto facile. Voi siete qui per combattere. »
Il gruppo restò di nuovo in silenzio, dominato da qualcosa di simile allo stupore.
« Combattere? Che vuoi dire? » fece Harry.
« Sarà meglio spiegare la situazione nel dettaglio » disse Draven, appoggiandosi alla sua lapide come per mettersi comodo. « Sicuramente ognuno di voi avrà giocato da piccoli a qualche gioco da tavolo, no? Bene, allora saprete tutti come funziona: c’è il tabellone, le pedine, le caselle, e naturalmente qualche ostacolo lungo il percorso.
« La verità è che tutto questo è come un enorme gioco da tavolo. Il suolo su cui state camminando è un immenso tabellone, e voi siete le pedine scelte per giocare. E i nemici che avete incontrato e affrontato sono solo alcuni degli ostacoli che vi attendono. Capite cosa voglio dire? Voi siete qui perché siete stati scelti... scelti per giocare questa partita. »
Di nuovo silenzio. Per i Valorosi non era facile da accettare tutto questo.
« Ma... stai dicendo sul serio? » chiese Ed, visibilmente stupito.
« Fino all’ultima parola. Vi garantisco che è la verità. »
« Io continuo a non capire » intervenne Po. « Se tutto questo è un gioco, io non mi sto divertendo affatto! »
« In un gioco non è la pedina a divertirsi, ma il giocatore » ribatté Draven. « O, in questo caso, l’organizzatore della partita. »
« L’organizzatore? »
« Ma certo, avrei dovuto immaginarlo » commentò Jake, incrociando le braccia. « È tutta opera di qualcuno, vero? Siamo stati scelti da qualcuno per partecipare a questo “gioco”? »
« Esatto. Finalmente cominciate a capire, amici miei. Siete davvero in gamba. »
« Allora di chi si tratta? » chiese Sora. « Chi ha organizzato tutto questo? »
Draven sospirò, interrompendo la conversazione per un attimo.
« Stavolta la risposta non è facile. Cos’è una pedina in confronto al giocatore? Nient’altro che un misero pezzo di legno nelle mani di un gigante. Dunque noi abbiamo la stessa consistenza in confronto a colui che governa questo mondo.
« Non so nulla di lui, a parte il nome con cui piace essere chiamato: Nul. È il padrone indiscusso di questo mondo contorto, che è in grado di plasmare e modellare secondo ogni sua fantasia. Può creare e distruggere qualsiasi cosa con il più semplice pensiero. Può evocare persone e cose provenienti da altri mondi, persino resuscitare i morti e portarli qui. È come un dio, dunque, un essere onnipotente. »
« Nul... » ripeté Lara. « Ricordo che Natla ha fatto questo nome quando mi aveva catturata. Ha detto che è stato lui a portarla qui... come tutti noi. »
« Ma se è così potente come dici, perché sta facendo tutto questo? » intervenne Luke. « A quale scopo ci ha riuniti in questo mondo? »
« Uhm... credo di saperlo » borbottò Hellboy. « Se questo Nul è una sorta di divinità, allora si annoia molto facilmente, come tutti gli uomini di potere. E allora tende a cercare forme estreme di svago, per liberarsi della noia. »
Draven ammiccò, soddisfatto per la sua intuizione.
« Sempre più bravi » dichiarò. « In realtà non sono sicuro del motivo per cui Nul stia facendo tutto questo, ma è probabile che sia come dici tu. Del resto accadeva anche nei tempi antichi, no? Gli dèi scatenavano guerre e pestilenze sull’umanità per osservare la loro reazione... per divertirsi a guardare la loro sofferenza. Nul si sta comportando così, allora: vi ha richiamati dai vostri mondi per il suo piacere. Vuole vedervi combattere a costo della vita, costringendovi a ripetere le avventure che avete vissuto. »
I Valorosi non capirono il senso dell’ultima frase.
« Come ho detto prima, questo gioco è pieno di ostacoli... e di avversari. Questo campo da gioco è stato diviso in due schieramenti. Da una parte ci siete voi, gli eroi dei vostri mondi, e dall’altra parte c’è la squadra avversaria... che comprende alcuni pessimi elementi. Si tratta delle vostre nemesi: i nemici che avete affrontato nei mondi da cui provenite. Credo che ne abbiate già incontrati alcuni, non è vero? »
Harry, Sora e Lara annuirono insieme.
« Ce n’è uno per ciascuno di voi » proseguì Draven. « Hanno tutti una cosa in comune... la morte, avvenuta per mano vostra. Persone o creature a cui avete rovinato un piano malvagio, per questo ora non desiderano altro che farvela pagare. »
« Ci mancava solo questa » si lamentò Jake.
« Sappiate inoltre che le vostre nemesi sanno già tutto. Sanno le regole del gioco, e cosa devono fare per vincere. Perciò si sono già organizzati nel tentativo di trovarvi... con l’ovvia intenzione di uccidervi. La morte di un eroe comporta la vittoria del suo avversario. »
« E cosa succede all’avversario se vince? » chiese Harry, nervoso.
« Il premio che spetta loro per la vittoria è uno solo... la resurrezione. Se i vostri nemici vi uccideranno, Nul li riporterà in vita, permettendo loro di tornare nei mondi che hanno lasciato per causa vostra. »
Nessuno dei presenti si azzardò a perdersi in esclamazioni inutili. Ormai si aspettavano una cosa del genere, basandosi sulle dichiarazioni fatte da Ansem e Natla quando li avevano incontrati. Certo, restava comunque una verità troppo incredibile, per tutti quanti.
« Già, è proprio così » disse Draven. « E, se il mio intuito non m’inganna, quelli potrebbero riprendere gli affari da dove li avevano lasciati, tipo conquistare il mondo o roba del genere. E senza di voi ad impedirglielo, ci riusciranno sicuramente. »
« No... » balbettò Ed agghiacciato. « I miei nemici non possono essere che gli Homunculus... dovrò affrontarli di nuovo? Non può essere, è sicuramente un incubo! »
« Un incubo molto reale, ragazzino. »
« Chi hai chiamato ragazzino?? Stupido pagliaccio triste, io ti... »
« Chissà quale sarà la mia nemesi » commentò Hellboy, interrompendo le imprecazioni. « In tanti anni di servizio ho fatto fuori un’infinità di mostri e creature malvagie... non ho idea di chi potrebbe essere stato scelto per affrontarmi. »
« Ora capisco le parole di Voldemort » intervenne Harry. « “La tua morte sarà la mia vita”. Se dovesse uccidermi in questo mondo, tornerebbe in vita... e di sicuro riprenderà il potere come Oscuro Signore. »
« Uhm » mormorò Jake. « Almeno questo conferma la nostra ipotesi. Noi proveniamo tutti da mondi diversi. E siamo stati scelti per combattere contro i nostri vecchi nemici. Non so voi, ma sapere come stanno le cose mi fa sentire decisamente meglio. Ora non resta che capire come uscire da questo inferno. Tu lo sai, Draven, vero? Esiste un modo per tornare nei nostri mondi? »
Draven sbuffò spazientito.
« Credevo fosse ovvio. Se volete tornare a casa dovete vincere la partita. E per vincere dovrete sconfiggere le vostre nemesi. A quel punto Nul dovrebbe acconsentire a riportarvi indietro.
« Bene, credo che sia tutto. Ora sapete quello che dovevate sapere fin dall’inizio. Il mio compito è finito, ragion per cui tolgo il disturbo e torno al fianco della mia amata nella tomba. »
Detto questo, voltò loro le spalle senza aspettarsi alcun ringraziamento.
« Aspetta! » gridò Lara. « Un’ultima cosa, Draven... questo “gioco”... questa situazione in cui ci troviamo... è già avvenuto altre volte? »
Draven si fermò, mostrando loro un volto amareggiato.
« Certo. Un sacco di volte. Potrete accorgervene voi stessi se procederete in quella direzione » e puntò il dito verso est. « Là si trova il Cimitero dei Mondi. In pratica si tratta del cassonetto della spazzatura di questo luogo, in cui vanno a scaricare gli avanzi delle partite precedenti. Là troverete i resti di tutto ciò che si trovava qui prima di voi... cadaveri, soprattutto, quelli dei vostri predecessori. »
« I nostri predecessori? » ripeté Sora, stupito. « Vuoi dire... altri eroi come noi? »
Draven annuì.
« Ma allora... sono morti degli eroi in questo mondo? »
« Spiacente, ragazzo » gli rispose Draven, alzando le spalle. « Qui non funziona come immagini tu. Non sono solo gli eroi a trionfare. Ogni tanto capita anche a loro di perdere... e di morire. E dal momento che a me sono accadute entrambe le cose, altro non mi resta che augurarvi buona fortuna per il futuro... ne avrete un gran bisogno. »
Così, senza aspettare altre domande, Draven se ne andò. I Valorosi lo videro allontanarsi insieme al corvo, svanendo entrambi nella nebbia come se li avesse inghiottiti.
All’improvviso gli otto compagni erano privi di ogni dubbio... ma la verità era più sconvolgente di quanto avessero immaginato. Tutti loro erano stati scelti dal misterioso Nul per prendere parte al suo gioco perverso, con una posta fin troppo alta: combattere o morire. Ciò significava dover affrontare, contro la loro volontà, vecchi nemici che non avevano alcuna intenzione di rincontrare: Harry, Sora e Lara avevano già avuto l’occasione di scoprirlo... ma per gli altri, l’identità dei loro avversari restava un mistero.
Ancora una volta non era la paura a dominarli, ma l’angoscia. La consapevolezza di essere solo pedine di un grande gioco... possibile che non avessero altra scelta che proseguire, con la speranza di arrivare sani e salvi al traguardo?
« Io non ci sto » dichiarò Harry, spezzando il silenzio che si era creato. « Non ho alcuna intenzione di stare al gioco di questo Nul. Ho praticamente passato tutta la vita seguendo un destino già scritto... e ora che ne sono finalmente uscito, non voglio che altri diventino padroni del mio destino! Non mi importa cosa vuole Nul da me... io tornerò a casa, che gli piaccia o meno! »
Gli altri compagni lo guardarono, incoraggiati dalle sue parole.
« Io sono con te, amico » rispose Sora, alzando il pugno con aria orgogliosa.
« Lo siamo tutti » aggiunse Jake, guardando tutti. « Siamo pedine di un gioco? Chi se ne frega! Io dico di trovare Nul e fare quattro chiacchiere con lui... se lui ci ha portati qui con la forza, allora ci riporterà indietro, a costo di rompergli le ossa. »
« Uno scambio equivalente » commentò Ed con un ghigno. « Sono d’accordo! »
« Allora come ci muoviamo, capitano? » domandò Hellboy, rivolto a Jake. « Hai in mente una rotta? »
« Andremo al Cimitero dei Mondi, come suggerito dal nostro amico Draven. Non è molto, ma forse laggiù troveremo qualche traccia che ci condurrà a Nul. » 
Nessuno tra i presenti ebbe qualcosa da obiettare. Ora che finalmente avevano un obiettivo concreto – un nemico da affrontare – la speranza di poter risolvere tutto si era fortificata. Non avevano dimenticato le parole di Draven riguardo a Nul, relative al suo potere illimitato... ma contavano di trovare una soluzione a tempo debito.
Così i Valorosi si rimisero in marcia, verso la prossima meta.

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Capitolo 13
*** Il Cimitero dei Mondi ***


Capitolo 13

 

Per i Valorosi non fu affatto difficile raggiungere il luogo suggerito da Eric Draven. Il Cimitero dei Mondi, lo aveva chiamato: una zona in cui giacevano i resti delle precedenti battaglie infuriate in quel mondo assurdo. Gli otto compagni lo avevano raggiunto all’alba del giorno successivo, dopo una breve marcia; tuttavia non potevano assolutamente immaginare cosa avrebbero visto con i loro occhi.

Il Cimitero non era al di fuori della città, ma all’interno di essa. Era come se un gran numero di isolati fosse stato trasformato in una gigantesca discarica, ricolma di oggetti e rovine di ogni sorta che si ammucchiavano tra le strade e gli edifici. Era così grande che i Valorosi non riuscivano a vederne la fine, tanto era sconfinato. Quei cumuli di rovine erano decisamente alti, facendoli assomigliare a dune gigantesche.

I Valorosi vagarono per un po’ all’interno del Cimitero dei Mondi in assoluto silenzio, cercando di farsi largo tra quei cumuli di rovine. Aguzzando la vista, gli otto compagni scoprirono che si trattava in gran parte di oggetti e cianfrusaglie di varia natura, da quelli di uso comune a vere e proprie armi. C’erano spade, fucili e pistole, ma anche libri, bastoni, e veicoli... inutili resti di coloro che avevano lottato ed erano morti tra quelle strade.

« Diosanto » commentò Lara, il cui sguardo carico di sgomento si spostava da una direzione all’altra. « Quante rovine... quanti resti! Possibile che ci siano state così tante battaglie?   

Nessuno trovò il coraggio per rispondere in alcun modo, nemmeno per sdrammatizzare. Non potevano nemmeno immaginare, infatti, quanti fossero morti su quelle stesse strade.

Cercando di non pensarci, ognuno di loro si concentrò sulle varie cianfrusaglie sparse in giro. Hellboy si trovò ad osservare quella che sembrava un’automobile abbandonata, dotata di strani congegni lungo tutta la carrozzeria.

« Uhm, una DeLorean » commentò, a metà tra il nostalgico e la sorpresa. « Erano anni che non ne vedevo una... ma come diavolo l’hanno conciata? »

Lara, invece, stava esaminando per pura deformazione professionale quella che sembrava una maschera di legno verde.

« Interessante... Undicesimo secolo, di fattura vichinga; probabilmente una raffigurazione del dio Loki. Chissà perché si trova qui... »

Gli altri compagni facevano altrettanto, ma senza perdersi in chiacchiere. Nel frattempo continuarono ad avanzare con cautela, restando in guardia e facendo attenzione a dove mettevano i piedi; lo spazio su cui camminavano era infatti molto accidentato.

« Muoio di fame » borbottò Po, guardandosi intorno con aria rassegnata.

« Anche io » aggiunse Harry, mentre nel suo campo visivo appariva un furgone con su scritto “Pizza Planet”. « Anche se è presto, non mi dispiacerebbe affatto una buona pizza da mettere sotto i denti. »

« Cos’è una pizza? »

« Silenzio! » ordinò Jake, interrompendoli. Il guerriero Na’vi aveva afferrato il suo arco, puntandolo in avanti. « Sento qualcosa... anzi, qualcuno. »

Gli altri Valorosi imitarono subito il loro leader, scattando in posizione di guardia. Restarono fermi sul posto, aspettando un ordine di Jake; nel frattempo cominciarono a sentire ciò che lo aveva allarmato. Voci e rumori: era come se qualcuno si muovesse tra le rovine senza badare a non farsi notare. Gli otto compagni si appostarono dietro il furgone del Pizza Planet, cercando di individuare l’intruso; in cima al cumulo oltre il furgone si muoveva una piccola figura nera, camminando con tutt’e quattro le esili membra pallide. Camminava piano con la testa in avanti e sembrava fiutasse l’aria. Immobili come sassi, accucciati dietro il furgone, i Valorosi lo osservavano attraverso i finestrini rotti. Lo udivano annusare, e di tanto in tanto un aspro sibilo simile a un’imprecazione. Udivano il gracchiare e il fischiare della sua voce.

« Cauto, tesoro mio! Con calma, senza fretta... dove ssei, dove ssei, tessoro mio? È mio, lo è e lo voglio. Ladri, sporchi piccoli ladri... ce l’hanno tolto, rubato. Ma lo troveremo... il mio tessoro! »

I Valorosi restarono ad osservare la strana creatura che parlava da sola: aveva un aspetto umanoide, molto magro, con una grossa testa pelata e le orecchie a punta; a parte un piccolo perizoma che indossava per coprire le parti basse, era nudo. Aveva grandi occhi pallidi con i quali scrutava dappertutto, in cerca del suo misterioso “tesoro”.

« Assomiglia a un elfo domestico » bisbigliò Harry, ma qualcosa gli disse che non era la risposta giusta. Nessuno dei suoi compagni, infatti, riusciva a riconoscere quell’essere; ma tutti condividevano lo stesso, brutto presentimento nei suoi riguardi.

« Dubito che quel tipo sia Nul » disse Ed.

« Silenzio! » ordinò Jake di nuovo. « È troppo vicino, potrebbe sentirci. »

Infatti la creatura si era improvvisamente fermata, e dondolava il testone dappertutto come per ascoltare.

« Laggiù, tesoro! » esclamò. « Laggiù... sporchi piccoli ladri, vi nascondete? Vi troveremo... è mio, tessoro... è mio! »

Era fatta. Ormai i Valorosi non avevano altra scelta che uscire allo scoperto. Jake agì per primo e balzò da dietro il furgone, puntando subito l’arco contro la creatura. Sora, Harry, Lara, Ed, Po, Luke ed Hellboy lo seguirono a ruota, le armi in pugno. Ora ce l’avevano sotto tiro, quello strano essere non più grande di un bambino, apparentemente inerme.

« Ooooh... non sono piccoli, tesoro mio! Sono grossi, sono tanti... sporchi, grossi grossissimi ladri! »

« Non siamo ladri! » protestò Sora.

« E bugiardi » continuò la creatura. « Ce l’hanno loro, oh sì. Ce l’hanno tolto, rubato... gollum, gollum! »

« Non sappiamo nemmeno di cosa parli, “Gollum” » dichiarò Jake, l’arco teso.

« Forse possiamo aiutarti » intervenne Harry. « Che cosa hai perduto? »

« Non ce lo chiedere, non sono affari tuoi! » sbottò Gollum.

Inutile, quel tipo era proprio fuori di testa. Non c’era modo di ragionare con lui, per quanto si ostinava a parlare da solo. I Valorosi si scambiarono un’occhiata esterrefatta mentre Gollum si guardava intorno con aria maligna.

« Oh, ssi credono tanto furbi » borbottava tra sé. « Vero, tesoro mio? Loro mentono... loro ingannano... vogliono aiutarci? Essere amici? Non amici... bugiardi! Falsi! Il mio tessoro... lo rivoglio! Argh! »

Senza pensarci due volte, Gollum avanzò contro i Valorosi, mostrando loro l’espressione più orribile che avessero mai visto su un volto umano: era contorto dalla rabbia e dalla follia, per nulla interessato alle numerose armi puntate contro di lui. Sora, il più vicino, si preparò a reagire, ma Luke si fece avanti all’improvviso, disarmato.

« Non abbiamo quello che stai cercando » dichiarò, facendo un piccolo cenno con la mano. « Faresti meglio a continuare a cercare più avanti. »

Gollum si fermò, calmandosi subito.

« Oh, ma loro non hanno il tessoro » disse. « Oh no... meglio continuare a cercarlo, più avanti. Sì, tessoro... più avanti, molto più avanti. »

E Gollum voltò loro le spalle senza degnarli più di uno sguardo.

Luke si sentì osservato. I suoi compagni, infatti, gli rivolgevano tutti lo stesso sguardo stupefatto.

« Come hai fatto? » chiese Sora.

« La Forza » spiegò lui, rilassato. « Mi permette di controllare le menti più deboli... un piccolo trucco mentale delle arti Jedi. Ho pensato che non fosse il caso di prendercela contro quella creatura, così ho pensato di farlo allontanare con le sue gambe. »

« Meglio così » commentò Harry, rinfoderando la bacchetta. « Faceva una gran pena, a guardarlo bene... chissà cosa stava cercando? »

« Un anello » continuò Luke. « Ho visto nella sua mente quando ci ha aggrediti, e tra i suoi ricordi era ben chiara l’immagine di cosa stava cercando: un oggetto malefico che dona grande potere a chi lo possiede. Quel disgraziato, però, è stato letteralmente consumato da quell’anello... ridotto a un gracile individuo con la mente spezzata, con nessun altro interesse al mondo. »

Il maestro Jedi vide molti suoi compagni restare senza fiato. Hellboy non era tra questi.

« Allora avremmo dovuto ucciderlo » disse serio. « Se trova quell’anello, potrebbero essere guai seri, per noi. »

« Dubito che lo troverà facilmente, in questo mucchio di macerie » sostenne Ed. « E noi abbiamo ben altro a cui pensare, no? Dobbiamo trovare Nul. »

I compagni annuirono. Quel Gollum non era altro che una breve parentesi nella loro missione, che potevano benissimo ignorare. Perciò proseguirono, senza indugiare ulteriormente.

I Valorosi continuarono a farsi largo tra le rovine, senza una direzione precisa. Era sempre più difficile restare compatti, a causa del terreno troppo accidentato, a tal punto che gli otto compagni furono costretti a un certo punto a separarsi per breve tempo. Non appena fu superata l’ennesima duna di rovine, si ricongiunsero senza difficoltà.

« Aspettate » disse Harry a un certo punto.

Qualcosa aveva attirato la sua attenzione. Jake si voltò a guardare nel punto indicato dal ragazzo, ma non vide nulla di allarmante. Il paesaggio restava quello di sempre, deserto e silenzioso.

Ma agli occhi di Harry, ciò che stava guardando era molto importante: una torre di pietra antica, spezzata e rovinata come il tutto il resto. Un buco enorme si era aperto lungo una parete, facendo rovesciare tutto ciò che aveva all’interno sopra il cumulo di oggetti e macerie; il ragazzo sembrò riconoscere qualcosa tra quegli oggetti, e iniziò a correre in quella direzione.

« Harry, aspetta! » gridò Sora, ma non ebbe altra scelta che seguirlo. Lo stesso fecero gli altri compagni, e poco dopo erano tutti ai piedi della torre spezzata.

Harry era in ginocchio, di fronte a quello sfacelo. Aveva raccolto qualcosa dal terreno: un vecchio cappello a punta, sporco e rattoppato, che giaceva in mezzo a una gran quantità di strumenti d’argento ridotti in frantumi. Il giovane mago respirava forte, evidenziando una forte incredulità nei confronti di ciò che stava vedendo e toccando.

« Tutto bene, amico? » chiese Po preoccupato.

Harry non rispose subito.

« Questo posto... » mormorò, sempre più sconvolto. « Non posso sbagliarmi... questo posto proviene dal mio mondo. Da Hogwarts. »

« Cosa? »

« Questa torre è... è come un pezzo della mia scuola! È l’ufficio del Preside: questi strumenti, i ritratti... il Cappello Parlante... » e indicò il cappello tra le sue mani « me li ricordo bene, appartenevano a Hogwarts! »

Jake fu sul punto di chiedergli se ne fosse sicuro, ma si trattenne. Era più che evidente dalla voce e da quegli occhi pietrificati per l’orrore. Harry Potter stava osservando ciò che restava del suo mondo, gettato come immondizia in cima a un cumulo di rovine. Guardandosi bene intorno si rese conto che ogni oggetto nei paraggi apparteneva a Hogwarts: ora riconosceva statue e ritratti, libri di incantesimi, i banchi della scuola... e molte bacchette spezzate.

Per i Valorosi tutto questo non aveva senso, nonostante ne avessero passate di tutti i colori negli ultimi due giorni. Avevano già saputo che quel mondo conteneva pezzi degli innumerevoli mondi esistenti, come nel caso di Burton Castle... ma la vista delle rovine di Hogwarts in quel luogo arricchiva la situazione con una nuova dose di orrore. Per Harry, il fatto che l’ufficio del Preside della sua scuola giacesse frantumato davanti ai suoi occhi non lasciava presagire nulla di buono nei confronti del suo mondo... e se fosse stato distrutto? Se lui solo, l’eroe che aveva liberato il popolo dei maghi dalla tirannia di Voldemort, si fosse salvato da un’improvvisa e sconosciuta catastrofe? Perché non ricordava nulla?

E se tutti quanti provenivano da mondi già distrutti?

In quel momento aveva un’unica idea in mente, o meglio un unico nome: Nul. Era certo che ci fosse il suo zampino dietro tutto ciò. Harry doveva trovarlo assolutamente, se voleva tornare a casa... ammesso che esistesse ancora.

« Andiamo » ordinò agli altri, rimettendosi in piedi. Non lasciò la presa sul Cappello Parlante, che decise infatti di portarlo con sé. Forse quel vecchio pezzo di stoffa ammuffita poteva ancora tornargli utile.

Non appena i Valorosi scesero dalla duna, lasciandosi alle spalle le rovine di Hogwarts, udirono qualcosa di nuovo. All’inizio il suono era molto debole; man mano che si avvicinavano, tuttavia, riuscirono a capire cosa fosse: sembrava una vecchia canzone degli anni ’60.

 

Put on your Sunday clothes there's lots of world out there
Get out the brilliantine and dime cigars
We're gonna find adventure in the evening air
Girls in white, in a perfumed night
Where the lights are bright as the stars...

 

« E ora che succede? » esclamò Harry, visibilmente esasperato.

« Spero non siano di nuovo gli zombi » aggiunse Po.

« Se è così, hanno un pessimo gusto in fatto di musica » disse Hellboy, restando in guardia. « Questa canzone è tutt’altro che cupa... sarebbe perfetta per un musical, invece. »

I Valorosi concordarono con l’idea, ma non mollarono la presa dalle loro armi. Per quanto ne sapevano, poteva essere solo un’altra trappola del nemico. Avanzarono piano verso la musica, che si faceva sempre più forte: sembrava trasmessa da una vecchia radio, ma non riuscivano a trovarla in mezzo a tante rovine.

Poco più avanti, il mistero fu svelato. La cosa da cui proveniva la musica era viva e si muoveva tranquillamente tra le rovine, trafficando con gli oggetti. Ai più esperti del gruppo bastò un’occhiata per capire che si trattava di un piccolo robot: alto a malapena un metro, aveva l’aspetto di una grossa scatola metallica dotata di cingoli, e di un visore a forma di binocolo. Doveva essere dotato anche di una radio, poiché continuava a trasmettere la canzone che i Valorosi avevano sentito prima.

 

Put on your Sunday clothes we're gonna ride through town
In one of those new horse drawn open cars
We'll see the shows at Delmonico
And we'll close the town in a whirl
And we won't come home until we've kissed a girl!

 

I Valorosi restarono a guardarlo, decisamente sorpresi. Il piccolo robot era troppo intento a gironzolare qua e là tra i rifiuti per badare ai nuovi arrivati. Raccoglieva mucchi di rifiuti per poi compattarli in cubi; ogni tanto, però, trovava qualche oggetto che sembrava piacergli, per poi riporlo in un contenitore che portava sulla schiena. Difficile dire a quale scopo facesse tutto questo: forse il robot eseguiva degli ordini, o forse era guasto.

Il robot, resosi conto della loro presenza, si voltò a guardarli. I Valorosi restarono immobili, pronti a reagire alla minima minaccia; mantennero la posizione mentre quel piccolo automa si avvicinava verso di loro, interrompendo la musica. Sora era il più vicino, e fu il primo a capire che non c’era nulla da temere da lui; pochi attimi dopo, infatti, il robot aveva allungato un arto verso il giovane, in un gesto che non poteva essere frainteso da nessuno tra i presenti.

Il robot voleva stringergli la mano.

«WAAALLEE. »

Sora lo guardò stupito, come tutti i suoi compagni. Non capì subito la parola pronunciata dal robot, ma uno sguardo più attento rivelò la verità: alla base della piastra metallica frontale c’era una scritta, in parte rovinata dal tempo ma ancora leggibile.

Wall-E.

Senza dubbio doveva essere il suo nome.

« Ehm... Sora » disse infine il ragazzo, stringendo la mano a Wall-E. Il piccolo robot fece un suono simile a una risatina.

« È incredibile » commentò Lara, colpita. « Sembra in grado di provare emozioni... come una persona. »

Wall-E guardò i Valorosi, uno dopo l’altro, come se fosse in cerca di qualcosa.

« EEEVAA? »

« Come? » fece Sora, sempre più perplesso.

« EEEVAAAA! »

« Scusa, non riusciamo a capirti » intervenne Harry.

Wall-E fece un altro suono, simile a un « oh! » di comprensione. Si guardò dunque intorno, individuando con lo sguardo una grossa roccia nelle vicinanze. Dal suo visore partì un sottile raggio laser che incise la pietra, ricavando qualcosa che i Valorosi potessero comprendere. Quando il robot ebbe finito, gli otto compagni videro una sorta di disegno infantile e delle parole: rappresentava Wall-E in compagnia di un altro robot, di forma ovale. I due si tenevano per mano, all’interno di un cuore. Sotto l’immagine, Wall-E aveva scritto:

 

Wall-E + Eve

 

Nel frattempo, Wall-E aveva riacceso la musica, facendo partire un’altra canzone, più dolce e romantica della precedente. 

 

…when time runs out

That it only take a moment

To be loved a whole life long.

 

I Valorosi erano sempre più stupiti. Quel piccolo robot non avrebbe potuto spiegarsi meglio su ciò che voleva. Oltre ad essere gentile, Wall-E era anche innamorato, di quel robot che aveva disegnato sulla roccia.

« Stai cercando Eve? » domandò Sora, comprensivo.

Wall-E annuì.

« Capisco. Be’, mi dispiace, non l’abbiamo vista. Ma se dovessimo trovarla, te lo faremo sapere, d’accordo? »

« EEEVA! EEEEVA! »

Il robot batté gli arti, tutto contento.

Il gruppo proseguì, lasciandosi alle spalle quel buffo robottino che nel frattempo riprendeva il suo compito.

« Cavolo » commentò Po malinconico, lanciando un’ultima occhiata a Wall-E prima che sparisse tra i rifiuti. « Sarà una buona idea lasciarlo in un posto del genere? »

« È un robot, sa badare a se stesso » dichiarò Jake indifferente. « Quello che fa non ci riguarda affatto... ma spero che riesca a trovare la sua fidanzatina, ovunque sia finita. »

« Bah » borbottò Ed. « Ormai è chiaro che in questo posto può capitare di tutto. Rovine e personaggi venuti da mondi lontani... invidio Sora per come riesce a stare così rilassato. »

« Hah, ci sono abituato » rispose il custode del Keyblade. « Ho passato l’ultimo anno a viaggiare tra i mondi, per me ormai è come pane quotidiano. Ho viaggiato finché non ho trovato un modo per tornare a casa mia. Volete sapere il mio segreto? Sorridere sempre... me l’hanno insegnato un paio di amici che vivevano di ottimismo. Vedrete, troveremo una soluzione per tirarci fuori da questo guaio. »

E Sora si voltò a guardare i suoi compagni, mostrando loro un pollice alzato e il suo sorriso più largo. Se c’era una cosa in cui era bravo, era proprio questa: infondere l’ottimismo tra gli amici, per quanto fosse critica la situazione. La sua onestà, il suo buon cuore, lo aveva sempre guidato attraverso i momenti più difficili; gli aveva permesso di aiutare amici e perfetti sconosciuti in molte occasioni... per questo non aveva detto di no a Wall-E. Sora era sempre pronto a dare una mano a chi ne aveva bisogno.

E i Valorosi sorrisero, dal primo all’ultimo... anche Harry, che aveva ben più di un motivo per preoccuparsi dopo aver visto le macerie della sua scuola in quel luogo di caos. Finché avessero avuto fiato in gola e la forza per colpire duro, non avrebbero perso la speranza.

E proseguirono, in cerca del vero nemico.

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Capitolo 14
*** Vivi e morti ***


Capitolo 14

 

Il Cimitero dei Mondi sembrava davvero sconfinato. I Valorosi vagavano tra quei cumuli di rovine ormai da un pezzo, senza scorgere alcuna traccia di Nul o di altri nemici. Chiunque ci fosse dietro le quinte a dirigere la scena, amava restare nascosto il più a lungo possibile.

Il gruppo decise di fare una pausa, fermandosi alla base dell’ennesima duna. L’atmosfera restava tranquilla tra di loro, ma cominciavano a pensare di stare sprecando il loro tempo: a parte Wall-E e quella creatura ripugnante chiamata Gollum, nei paraggi non avevano incontrato nessuno.

« Draven deve essersi sbagliato » dichiarò Jake mentre si sedeva sopra il cofano di un’auto. « Qui non c’è nessuno... non c’è traccia di questo Nul. »

« A pensarci bene, lui non ha mai detto che qui avremmo trovato Nul » obiettò Harry. « Ha detto che qui avremmo trovato i resti delle precedenti battaglie, non i nostri nemici. »

« Già, è vero » convenne Lara. « Comunque, vista la situazione in cui ci troviamo, un posto vale l’altro. Non siamo al sicuro in alcun posto. Ovunque andiamo, siamo costretti a combattere contro qualcuno. »

Molti compagni sospirarono, amareggiati. Avevano bisogno di rilassarsi, di scacciare la tensione; Po si occupò subito di preparare da mangiare, e poco dopo erano di nuovo tutti riuniti intorno a un fuoco a mangiare i suoi favolosi spaghetti.

« Non potremo combattere ancora a lungo » disse Hellboy, spezzando il silenzio che si era creato. Il diavolo stava controllando le sue armi, ma dallo sguardo che aveva non sembrava contento. « Io sono quasi a corto di proiettili... se andiamo avanti di questo passo, ci troveremo a secco molto presto. »

« Vale anche per me, in effetti » aggiunse Jake. « Ho esaurito le frecce... ma credo che non avremo problemi a rifornirci in un posto del genere. Se ci avete fatto caso, qui intorno è pieno zeppo di armi... appartenute a gente meno fortunata. Suggerisco di dare un’occhiata nei paraggi e recuperare ciò che potrebbe esserci utile: equipaggiamento, munizioni... tutto ciò che possiamo portarci dietro. Sbrighiamoci, finché siamo i soli a camminare in questo dannato posto. »

I compagni annuirono, perfettamente d’accordo come al solito. Dopo aver mangiato, si divisero perciò in coppie e iniziarono a setacciare la zona circostante, muovendosi piano tra le rovine.

Sora, pur non avendo bisogno di rifornirsi di nuove armi, seguì Jake nella sua ricerca, pronto ad assisterlo in caso di bisogno. Il guerriero Na’vi e il ragazzo salirono in cima a un’altra duna, dalla quale potevano osservare buona parte del paesaggio. Quell’area del Cimitero conteneva soprattutto pezzi di alta tecnologia: astronavi aliene e giganteschi robot dai colori vivaci giacevano semidistrutti nella distesa davanti ai due Valorosi, inattivi da chissà quanto tempo. Nonostante si trattassero di ammassi inanimati di metallo, trasudavano morte come nel resto del Cimitero. Ogni macchina, ogni arma, ogni nave rappresentava una battaglia combattuta da eroi di altre epoche, di altri mondi... conflitti organizzati dall’onnipotente Nul per il suo diletto.

« Uhm » fece Jake, la cui attenzione era rivolta verso un’arma ai suoi piedi. Era una mitragliatrice, perfetta per un tipo della sua taglia; inoltre, mentre la prendeva in mano, divenne molto familiare.

« Un M60 » commentò sorpreso. « Avevo un’arma come questa su Pandora... possibile che sia lo stesso modello? »

Coincidenza o no, Jake non avrebbe potuto trovare un’arma da fuoco più adatta per lui; funzionava perfettamente e il terreno ai suoi piedi era pieno di munizioni. Il Na’vi non esitò a prendere tutto quello che poteva, finché lo sguardo non gli cadde poco lontano: le sorprese non erano ancora finite.

« Grande Madre di Tutto! »

Un lungo arco faceva capolino tra i cannoni e grossi frammenti di metallo. Quando lo afferrò, ancora intatto, Jake non riuscì a crederci: era un arco Na’vi, non poteva sbagliarsi... e come nel caso della mitragliatrice, era ancora più familiare.

« Che ti prende, Jake? » chiese la voce di Sora, lontana alle sue orecchie come se fosse ad anni luce di distanza.

« Neytiri » rispose con voce tremante. « Questo è il suo arco... l’arco della mia amata. »

Jake prese a guardarsi intorno, guidato da un nuovo, tragico pensiero. Ormai era chiaro: ai suoi piedi giacevano i resti di una battaglia tra guerrieri venuti dal suo mondo; il nuovo arco che ora stringeva tra le mani non poteva essere finito laggiù per caso, separato da colei a cui aveva donato il suo cuore. Ma per quanto aguzzasse la vista, Jake non riuscì a trovarla, né viva né morta; non c’erano cadaveri nelle vicinanze, solo mucchi di armi e metallo immobile. Cercò a lungo, ignorando del tutto la presenza di Sora al suo fianco.

Il Custode del Keyblade non ebbe modo di confortare il suo amico, perché qualcos’altro aveva attirato la sua attenzione. Poco lontano, al confine con l’area tecnologica in cui si era inoltrato Jake, due relitti si stagliavano imponenti davanti al ragazzo; erano velieri di un’epoca passata, ammassati l’uno contro l’altro. Sora rimase perplesso: non c’era nemmeno un po’ d’acqua nei paraggi... come avevano fatto quelle navi a combattere in un posto del genere?

All’assurdo non c’era mai fine.

Sora era certo di aver riconosciuto una delle due navi. Una bandiera ondeggiava ancora in cima all’albero maestro, mostrando un teschio con due spade incrociate; le sue vele erano nere, prive di qualsiasi stemma, lacerate e mosse dal debole vento. Era una nave pirata... la stessa in cui lui era salito a bordo non molto tempo prima.

La Perla Nera.

Una gran quantità di emozioni invasero la mente di Sora nel giro di un istante: stupore, angoscia, paura, sgomento, e tutte le loro sfumature concepibili. Un attimo dopo si era messo a correre in direzione della nave, ignorando Jake e la sua ricerca di armi. Doveva sapere, capire... scoprire la verità dietro quell’immagine inquietante: la Perla Nera, compagna di avventure del suo amico Jack Sparrow, giaceva immobile e distrutta nel Cimitero dei Mondi, schiantata contro un’altra sconosciuta nave. Quest’ultima aveva un aspetto terrificante, spettrale: il suo scafo era incrostato di alghe, molluschi e altra flora acquatica; la prua sembrava una bocca irta di fauci, dotata di una polena scolpita simile alla Morte, dotata di falce. Anche le vele erano ricoperte di alghe e sporcizia, come se fossero state ripescate dalle profondità marine insieme al resto della nave. Sora non fu in grado di riconoscerla, ma era ovvio che la Perla Nera avesse avuto uno scontro con quella nave... in cui entrambe avevano trovato la sconfitta; e ora giacevano nel Cimitero, due relitti abbandonati e avvolti dal silenzio.

« Jack! » gridò Sora, quando non fu più in grado di sopportarlo. « Jaaack! Jack Sparrow! »

Nessuno rispose. Sora non si arrese e continuò a chiamare il suo amico pirata, mentre saliva a bordo della Perla Nera. Non aveva la più pallida idea di quanto tempo fosse passato da quella battaglia, ma in quel momento non gli importava; la più piccola speranza sarebbe stata sufficiente per lui, se gli avesse permesso di ritrovare un amico ancora vivo. Continuava a ripeterselo mentre percorreva il ponte della nave, spaccato e squarciato in diversi punti.

E poi vide Jack, dove era certo di trovarlo... ma non appena si rese conto della verità, fu assalito dal terrore. Il pirata più imprevedibile al mondo era al timone, immobile... morto. Le sue braccia penzolavano inerti tra le pale della ruota, la testa piegata verso il basso. Sora non osò avvicinarsi: l’immagine era già spaventosa in quel modo, nonostante lo avesse già visto con l’aspetto di un cadavere in passato. Stavolta non c’era nessuna maledizione azteca da spezzare, lo sapeva; Jack Sparrow era andato in un luogo da cui non sarebbe più tornato.

« Niente puoi fare per lui. »

Sora si voltò di scatto. Qualcuno aveva parlato alle sue spalle, un uomo con una voce molto familiare; il ragazzo lo trovò seduto sulla cima di un cumulo di rovine, proprio accanto alla Perla.

« Lui uomo morto. Non ha bisogno di aiuto » disse ancora l’uomo, senza guardare Sora. Il ragazzo lo osservò attentamente: aveva l’aspetto di un indiano pellerossa, con indosso gli abiti tipici della sua tribù; aveva lunghi capelli neri e quello che sembrava un corvo impagliato posto in cima alla sua testa. Il suo volto era dipinto di bianco con strisce nere, in modo simile a Eric Draven... ma sotto quella pittura, Sora riusciva a notare gli stessi lineamenti di Jack Sparrow e degli abitanti di Burton Castle.

Il Custode del Keyblade, dopo tutto quello che aveva passato, era convinto di essersi abituato alle sorprese, ma quel mondo continuava a sbattergliene in faccia un numero sempre maggiore. Per questo non riuscì a nascondere il suo stupore nemmeno stavolta, mentre osservava quel bizzarro personaggio.

« Tu... tu chi sei? » domandò.

« Tonto. »

« Cosa? E perché dovresti esserlo? »

« Mio nome » disse l’indiano. « Tonto, della tribù Comanche. »

Sora tacque, imbarazzato per l’equivoco.

« Conoscevi Jack Sparrow? » domandò.

« Lui grande guerriero » rispose, continuando a guardare lontano. « Fessacchiotto, lui... strano come cavallo di mio compagno Kimosabe. Ma lui forte. Rimasto a combattere fino alla fine. Aveva cuore... e buoni stivali. »

E indicò gli stivali che indossava. Sora li riconobbe, e istintivamente guardò i piedi scalzi del cadavere di Jack per avere la conferma.

« Glieli hai rubati? » esclamò indignato. Era abbastanza certo che, da qualsiasi mondo uno provenisse, rubare i vestiti a un morto fosse più che sbagliato.

« Non rubati » rispose Tonto. « Barattati, con buon cibo per uccelli. »

Sora lo fissò senza parole, mentre l’indiano prendeva del mangime dalla tasca per offrirlo al suo corvo impagliato. Ne aveva viste di stranezze nell’ultimo anno, ma quel tipo riusciva a stupirlo più di quanto si aspettava.

« E tu cosa ci fai qui? » chiese ancora, cercando di ignorare le sue strane abitudini.

« Anche io ho combattuto, con mio compagno Kimosabe. Anche lui fessacchiotto. Anche lui forte. E ha combattuto fino alla fine. »

Tonto rivolse lo sguardo verso il basso, ai piedi della duna di rottami su cui sedeva. Un cappello da cowboy ondeggiava piano, mosso dal vento, appeso a un fucile piantato sul terreno: il massimo che quell’indiano matto aveva potuto fare per onorare il suo compagno defunto. Sora restò a guardare in silenzio, chiedendosi ancora una volta il senso di tutto ciò.

« Ma tu sei sopravvissuto » osservò poco dopo, rompendo il silenzio.

« Morte era scelta migliore » ribatté Tonto, voltandosi a guardarlo. « Questo non è il mio mondo. Battaglia è finita, tutti morti... tranne me. Posso solo aspettare che morte ritorni e mi porti via. »

« Non dovresti arrenderti così! » sbottò Sora. « I tuoi amici sono morti, e allora? Non gettare le tue speranze in questo modo. Se sei ancora vivo, puoi ancora fare qualcosa per salvarti! Puoi... puoi continuare a camminare finché non troverai la strada di casa... ecco cosa puoi fare. »

Tonto restò in silenzio, scrutando Sora come se volesse penetrare il suo cranio con lo sguardo. Quel volto inespressivo, indurito dalla pittura bianco-nera, supportato dalla presenza del corvo impagliato sulla sua testa... sembrava appartenere a uno spirito inquieto, pronto a ghermire un’anima innocente.

L’indiano si alzò in piedi all’improvviso, cogliendo Sora di sorpresa. Gli voltò quindi le spalle e iniziò a camminare, scendendo giù dalla duna su cui era stato seduto per tutto il tempo.

« Ehi, che stai facendo? » esclamò Sora.

« Cammino » gli rispose Tonto a voce alta. « Finché non trovo strada di casa. Ecco cosa posso fare. »

E sparì all’orizzonte, lasciando il ragazzo da solo sulla nave.

Sora rimase dov’era per un po’, lasciandosi invadere da un miscuglio di pensieri derivati dagli ultimi avvenimenti. Il Cimitero, la nave, Jack Sparrow, e quello strano pellerossa che aveva preso i suoi stivali... ce n’era abbastanza per mettere in crisi chiunque, compreso il membro più ottimista dei Valorosi. Anche ad uno come lui ci voleva del tempo per digerire un boccone così grosso.

Peccato, però, che le sorprese non fossero ancora finite. Sora fu distratto all’improvviso da un urlo in lontananza, che lo costrinse ad alzare lo sguardo. Seguirono spari ed esplosioni, proprio nel luogo da cui era arrivato; e la voce che aveva sentito urlare divenne subito familiare.

« Jake! »

Sora iniziò a correre, il Keyblade in mano, pronto ad aiutare l’amico in difficoltà...

 

Per capire cosa era successo a Jake Sully, occorre tornare indietro di qualche minuto. Mentre Sora raggiungeva la Perla Nera, il leader dei Valorosi si era concentrato nella ricerca di armi e munizioni. Aveva appena recuperato l’arco di Neytiri per sostituirlo al suo, quando la sua attenzione fu attirata da qualcosa di ben più grosso. Tra un cumulo di rottami, Jake notò un’altra arma proveniente dal suo mondo: a prima vista sembrava un robot senza testa disteso su un fianco, ma lui lo riconobbe subito come un AMP Suit, un esoscheletro da battaglia usato dai Marines per attaccare Pandora. Come molte altre cose nei paraggi, sembrava ancora intatto... forse funzionante. Jake restò a fissarlo per un po’, lasciandosi trasportare da ricordi spiacevoli: l’esercito di macchine giunto dal cielo per depredare quel meraviglioso mondo, che aveva distrutto e bruciato intere foreste prima che riuscissero a fermarlo. Piante, animali, intere famiglie di Na’vi avevano perso la vita per mano di quei maledetti, chiusi nelle loro armature di metallo.

I maledetti umani...

« Bah! » fece Jake, voltando le spalle all’esoscheletro. Un attimo dopo, tuttavia, qualcosa lo afferrò per la coda, tirandolo all’indietro con violenza. Il Na’vi fu sollevato da terra e scagliato contro un altro cumulo di rottami, buttandolo giù; sentì parecchio dolore mentre il capogiro offuscava i suoi sensi. Riuscì a rimettersi in piedi, scorgendo una figura massiccia torreggiare sopra di lui. L’AMP Suit che aveva visto un attimo prima era attivo, pilotato da un uomo chiuso all’interno dell’abitacolo; il vetro trasparente rivelò la sua identità a Jake, che in un attimo si trovò a guardarlo con odio immenso.

« Quaritch! »

« Jake Sully » disse il colonnello dal volto sfregiato, ponendo le braccia dell’esoscheletro sui fianchi. « Ti trovo bene, ragazzo... e vedo che giochi ancora a fare il selvaggio! »

« E tu giochi ancora a fare lo stronzo » ribatté Jake. « Dopotutto siamo qui per questo, per giocare. »

Quaritch restò in silenzio, come per valutare le parole del Na’vi.

« Dunque Nul ha scelto te come mio avversario » continuò Jake, sorridendo mentre sollevava il mitra. « Devo ammettere che questo mi sta bene... ho affrontato idioti ben peggiori di te; e considerando ciò che hai fatto al Popolo, rispedirti all’inferno sarà un vero piacere! »

« Non sarà mai un piacere maggiore di quello che proverò io » rispose Quaritch, « dopo che ti avrò ridotto a pezzi! »

I passi pesanti dell’AMP Suit risuonarono nell’aria mentre il suo pilota lo scagliava contro Jake, impaziente di compiere la sua vendetta. Il Na’vi si scansò appena in tempo, osservando il suo nemico mentre travolgeva macchine e rottami. Quaritch si riprese subito dal maldestro attacco, sfoderando nel frattempo la sua mitragliatrice; Jake, consapevole di non avere difese adeguate contro un’arma del genere, fu costretto a scappare. La raffica di Quaritch falciò tutto quello che colpiva, provocando ogni tanto delle esplosioni; molte delle armi e macchine nei paraggi erano piuttosto delicate.

Jake trovò riparo tra i resti di un gigantesco robot rossoblu, sfuggendo in questo modo al campo visivo di Quaritch; mentre caricava le sue armi si sentì un idiota per non essersi accorto prima della sua presenza: evidentemente l’uomo si era appostato da tempo per tendergli una trappola, nascondendosi nell’AMP Suit per coprire il suo odore.

Aveva appena imbracciato il suo fucile, il colpo in canna, quando i rottami che lo riparavano furono di colpo scaraventati lontano. Quaritch lo aveva trovato!

« Pivello! » commentò il colonnello con un ghigno. « Ti sei dimenticato che posso rilevare il movimento e il tuo calore corporeo? »

Fu il fucile di Jake a rispondere, con una buona raffica di colpi dritti contro il bersaglio. Quaritch si riparò con uno dei rottami che aveva afferrato; questo, tuttavia, copriva troppo la sua visuale... un errore che Jake riuscì a sfruttare. Cessò il fuoco e si tuffò tra le gambe dell’AMP Suit, trovandosi così alle sue spalle; Quaritch si stava già voltando, ma Jake fece in tempo ad aggrapparsi al suo braccio, quello armato di mitra. Il Na’vi ricordava fin troppo bene il loro ultimo scontro: era inutile affrontare un bestione corazzato del genere... doveva raggiungere il pilota e farlo secco prima che facesse altri danni. Quaritch, lo sapeva, era tipo da arrendersi solo da morto.

Ma il colonnello non era tornato in vita per ripetere gli stessi errori di un tempo. Non appena Jake si era issato su per il suo braccio, Quaritch attivò un dispositivo, generando una forte scarica elettrica sulla superficie dell’esoscheletro che investì in pieno il suo avversario. Jake urlò, per poi rovinare pesantemente a terra.

« Anche per un selvaggio è difficile fare il duro, quando migliaia di volt friggono le sue palle » dichiarò Quaritch soddisfatto. Si avventò subito su Jake, bloccandolo al suolo con la sua morsa d’acciaio.

« Mi piacerebbe tanto che questa fosse la fine, per te » aggiunse, « ma so che uccidendo il tuo Avatar, tu ritorni automaticamente nel tuo vero corpo. Mi toccherà andare a cercarlo per finire il lavoro, dunque. »

Jake si lasciò sfuggire una risata.

« Non ho più quel corpo » disse, guardando il suo nemico con aria orgogliosa. « Ora sono un vero selvaggio... e lo sarò per sempre! »

Quaritch rimase incredulo per una manciata di secondi, poi si riprese.

« Oh be’... questo rende tutto più facile, allora. Addio, traditore! »

Un urlo improvviso, un lampo di luce e un forte botto cambiarono di colpo la situazione. Qualcosa si era abbattuto sulla mano dell’AMP Suit che bloccava Jake al suolo, danneggiandola gravemente. Quaritch barcollò, mentre un nuovo personaggio appariva di fronte al suo campo visivo, giunto in difesa di Jake Sully.

« Sora! »

Il Custode del Keyblade aiutò il suo amico a rialzarsi, poi puntò l’arma contro il nemico, pronto a combattere.

« Non ti conosco, ma sento che sei molto cattivo » disse Sora nella sua semplicità. « E non ti permetterò di far del male ai miei amici! »

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Capitolo 15
*** La vendetta è tutto ***


Capitolo 15
 
Nel frattempo, Luke Skywalker ed Hellboy camminavano insieme in un’altra area del Cimitero, ancora ignari del pericolo che stavano affrontando due dei loro compagni. Il duo vagava lentamente tra i cumuli di macerie, armi e oggetti vari... un paesaggio che agli occhi di Hellboy divenne ormai ripetitivo.
Il diavolo, tuttavia, non stava troppo a lamentarsi. Continuava ad osservare con curiosità ciò che trovava, anche se era pura deformazione professionale; un detective del paranormale come lui trovava gran parte di quegli oggetti decisamente interessanti. In quel momento era intento a frugare in un’area che sembrava contenere articoli per criminali e mafiosi: pistole, fucili, mitra e tirapugni; ad attirare l’attenzione del rosso fu quello che sembrava un normalissimo portafogli, sul quale era stampata la scritta “Bad Motherfucker”. Dopo averlo gettato via, trovò persino una scatola di sigari cubani ancora intatta,
« Uhm, niente male » commentò mentre ne provava uno. « Ne vuoi uno? »
« No, grazie » rifiutò Luke, sfoggiando il suo solito tono pacato. « Un Jedi non può essere soggetto a simili vizi. »
« Capisco... il tuo corpo è un tempio, eh? Va bene, cercherò di non farti cadere in tentazione. »
Nel frattempo gli cadde l’occhio su una valigetta di pelle nera. Era chiusa con una serratura a combinazione, ma Hellboy, nonostante la sua forza sovrumana, non riuscì a spezzarla; alla fine rinunciò, non prima di notare i graffi incisi sulla valigetta, fatti con un coltello, che andavano a formare una serie di lettere:
 
Ez 25, 17
 
Ezechiele 25, 17. Per il rosso fu chiaro che doveva trattarsi di un verso della Bibbia, ma non aveva una memoria così ferrea da poter ricordare cosa recitassero quei versi. Così Hellboy lasciò perdere e gettò via la valigetta, voltandole le spalle per rassegnarsi all’idea che non avrebbe mai saputo cosa conteneva.
« Non oso immaginare quante persone possano aver perso la vita in questo posto » disse Luke mentre camminavano. « Quante battaglie abbiano avuto luogo... e quanti cadaveri si trovino sotto i nostri piedi. »
« Credevo tu fossi abituato alla guerra, Skywalker » borbottò Hellboy cupo.
« Lo credevo anch’io... ma questo posto sembra in grado di superare ogni mia sopportazione. »
« Già... vedremo di andarcene appena possibile, d’accordo? Per quanto mi riguarda, io ho già preso munizioni a sufficienza. Se anche tu hai terminato la lista della spesa, possiamo tornare dagli altri. »
Luke annuì. In verità lui non aveva preso proprio niente dal Cimitero: era certo di potersi affidare unicamente alla Forza e alla sua spada laser... ad un Jedi non occorreva altro. Il giovane non poteva negare comunque che i suoi poteri non erano d’aiuto in quel luogo: per qualche motivo non riusciva a percepire le presenze estranee, di qualsiasi tipo; per questo si era sorpreso di incontrare all’improvviso la creatura chiamata Gollum, anche se era stato in grado di scacciarlo senza danni. Era come se il Cimitero dei Mondi fosse in grado di indebolire le sue sensazioni... ma non riusciva comunque a eliminare del tutto il presentimento che il pericolo fosse in agguato. Luke consigliò per questo ad Hellboy di non abbassare la guardia finché non si fossero ricongiunti al gruppo.
Il sentiero su cui i due compagni camminavano si interruppe, ostruito da qualcosa che entrambi potevano definire enorme. Luke ed Hellboy dovettero alzare lo sguardo di parecchio per riconoscere una specie di portaerei, che come una muraglia ostruiva loro il passaggio: era spezzata a metà, dotata di quattro enormi turbine lungo le fiancate; l’attenzione del duo fu catturata infine da un grande stemma raffigurante un’aquila stilizzata dentro un cerchio... che tuttavia non trovarono affatto familiare.
« Chissà da quale mare l’hanno tirata fuori » borbottò Hellboy, leggermente più sorpreso del solito.
« Non credo che fosse una nave » disse Luke, indicando le eliche. « Mi sembra un velivolo... la sua tecnologia è notevole. »
« Ciò non gli ha impedito di cadere, qualunque cosa lo abbia colpito. Bah... torniamo indietro, da qui non si passa. »
Hellboy si voltò, ma s’irrigidì subito senza fare un altro passo. Luke notò la sua improvvisa reazione e si voltò a sua volta, scoprendone subito la causa: un nuovo individuo era comparso sul sentiero da cui erano venuti, e si avvicinava a grandi passi verso di loro. Un uomo alto, pallido e dai lunghi capelli dorati, armato di lancia: il suo sguardo omicida era inequivocabile, così come lo era la sua identità dal punto di vista di Hellboy.
Nuada.
« Tu! » gridò il rosso, incredulo come non mai. Un attimo dopo estrasse la pistola e gliela puntò contro. Luke lo imitò, consapevole di avere a che fare con un nemico, e sguainò la sua spada laser.
Nuada non fu comunque intimidito dalla reazione dei due compagni, e continuò ad avanzare implacabile.
« Ti ho trovato, finalmente... Satana » dichiarò, non appena fu abbastanza vicino. « Ho seguito le tue tracce fin da quando mi sono risvegliato in questo mondo di caos, perseguendo un unico scopo: eliminarti una volta per tute. »
« Oh, non dovevi disturbarti a fare tanta strada per me » commentò Hellboy. « Mi trovi impreparato, non ti ho preso niente... i proiettili vanno bene lo stesso? »
« Per colpa tua ho perso tutto quello che avevo! » gridò Nuada. « Il mio esercito, il mio popolo... mia sorella. Ora ho l’occasione per recuperare ogni cosa... e ti giuro, diavolo, che non mi fermerai una seconda volta! »
Hellboy sospirò, mantenendo la presa sulla pistola. Di tutti i nemici che aveva affrontato in passato e che non si augurava affatto di rivedere, il principe Nuada era sorprendentemente il primo della lista: quell’elfo folle era quasi riuscito ad ucciderlo, non molto tempo prima, quando le loro strade si erano incrociate per la vicenda dell’Armata d’Oro. Il rosso era comunque riuscito a riprendersi dal quello sfortunato duello, e nella rivincita aveva trionfato su di lui, togliendogli il controllo sull’esercito indistruttibile. Ma Nuada non era tipo da arrendersi, e in un ultimo disperato gesto aveva cercato di pugnalare Hellboy alle spalle; la morte, tuttavia, lo aveva colto prima che potesse colpirlo, grazie al suicidio di sua sorella Nuala... alla quale era legata a livello vitale.
Non c’era da sorprendersi, dunque, se Nuada provasse rancore verso Hellboy anche dopo essere morto. Lo accusava di tutto, e Nul gli aveva concesso l’occasione per tornare alla vita... al mondo che progettava di dominare con l’ausilio dell’Armata d’Oro.
« Dunque è lui il tuo nemico, Red? » intervenne Luke. Il Jedi restava al suo posto, cercando di valutare la situazione.
« Già... cerca di non sottovalutarlo, picchia davvero forte » lo avvertì Hellboy. « Forse possiamo coglierlo di sorpresa, visto che non ti conosce... perché non usi il tuo potere mentale su di lui? »
Luke annuì e fece un passo in avanti. Nuada era ormai vicino, pronto a colpire.
« Non ti conosco, biondo guerriero » mormorò l’elfo, « ma poco importa... la razza a cui appartieni sottolinea la tua condanna... morte, per mano della stirpe di Bethmoora! »
Luke agì senza ribattere. La Forza guidò la sua mente verso quella del nemico, come una freccia scoccata contro un bersaglio molto vicino: riuscì ad entrare, ma non appena varcò la soglia fu assalito da un dolore atroce.
« Aaaaargh!!! »
Il Jedi si piegò in due, tale era la sofferenza che lo assaliva. Perse di mano la spada e cadde al suolo sulle ginocchia.
« Luke! » esclamò Hellboy, chinandosi per soccorrerlo. « Che ti prende? Stai bene? »
« Santo... cielo » ansimò Luke, divenuto di colpo pallidissimo. « Ho... visto odio... ira... sofferenza. Emozioni negative in una quantità immensa... mi hanno travolto come una marea! »
Nuada sorrise, compiacendosi di quel dolore che era riuscito a provocargli.
« Sciocco, miserabile umano » dichiarò. « Nessuno può osare intrufolarsi nella mia mente ed uscirne illeso. Credevi davvero di potermi controllare così? »
Hellboy si rialzò, tornando a guardare il suo nemico.
« Peccato, speravamo di mandarti via con le buone » disse. « Vorrà dire che faremo alla vecchia maniera. »
Il Buon Samaritano esplose tre colpi, dritti contro Nuada, ma questi li evitò con un salto acrobatico che lo fece avvicinare ulteriormente. Un attimo dopo si trovava tra Luke ed Hellboy; la sua lancia saettò verso il cuore del diavolo, pronta a trapassarlo una volta per tutte...
Zwhoom!
Il colpo della lancia fu deviato, un istante prima che fosse troppo tardi. Luke si era ripreso appena in tempo per intervenire, proteggendo il compagno con la sua spada laser. Il Jedi guardò Nuada con aria di sfida, ma non riuscì a nascondere la sorpresa per ciò che era accaduto: la spada non aveva tagliato la lancia, limitandosi a parare il colpo. Pochi metalli in tutto l’universo avevano resistito ai colpi di una spada laser, e l’argento di Bethmoora si era appena aggiunto alla lista.
« Non sono tornato dalla morte per commettere gli stessi errori del passato » sussurrò Nuada, implacabile. « Mi è stata concessa una seconda occasione... e non la sprecherò! »
 
Poco lontano, il duo formato da Harry ed Edward procedeva lungo il Cimitero, ignari di cosa stava succedendo nelle vicinanze. Vagavano tra le rovine con aria incerta, senza ulteriori sviluppi nel paesaggio o nella situazione. Nessuno dei due sentiva il bisogno di raccogliere armi o equipaggiamento tra le cose che il luogo gli offriva: erano già dotati dei loro poteri, che non necessitavano di alcun rifornimento o miglioria. Si occupavano del compito prioritario, trovare Nul... o almeno qualche indizio che potesse condurli da lui.
Ed e Harry si fermarono poco più avanti, attirati da un suono. Sembrava musica, il che li fece rilassare: forse era di nuovo Wall-E, intento nella sua ricerca come prima. Quando aggirarono il grosso cumulo di rovine, tuttavia, non trovarono il simpatico robot a gironzolare: i due ragazzi si guardarono intorno con cautela, finché l’oggetto da cui partiva la musica non fu individuato. Un piccolo lettore di audiocassette a nastro, ancora funzionante. Harry lo avvicinò all’orecchio per ascoltare.
« È la Nona di Beethoven » commentò tranquillo. « Ricordo di averla ascoltata qualche volta, quando vivevo con i miei zii. Chissà chi stava ascoltando musica del genere in un posto come... oh? »
Harry fu distratto dalla cosa sulla quale aveva trovato il registratore. Insieme a Ed, si trovò a fissare una mano gigantesca, fatta di metallo; alzando lo sguardo si resero conto di trovarsi accanto a un gigantesco robot umanoide di colore viola, con un lungo corno sulla testa. Giaceva inattivo di fronte ai due ragazzi, in ginocchio contro il cielo: il suo corpo metallico era trafitto da una lunga lancia rossa, che lo penetrava da parte a parte. Anche se si trattava di uno degli innumerevoli resti sparsi per tutto il Cimitero, Ed e Harry non perdevano comunque la sensibilità nell’osservare un altro guerriero caduto. Un altro eroe, sconfitto da forze che non potevano nemmeno immaginare.
I due ragazzi proseguirono, facendo un notevole sforzo per restare concentrati. Non potevano fare niente per quelle persone, continuavano a ripeterselo mentre avanzavano tra le rovine. Ma le sorprese non erano ancora finite: si trovarono all’improvviso in cima a una ripida discesa, oltre la quale si estendeva un’altra area piena di rovine. La loro attenzione fu subito attirata da una coppia di cadaveri che giaceva ai loro piedi: un giovane dai capelli rossi e una ragazza bionda in armatura, distesi l’uno accanto all’altro, trafitti da una moltitudine di spade. L’avanzato stato di decomposizione lasciava presumere che fossero lì da settimane; stringevano tra le mani la stessa spada, dotata di un manico blu scintillante. Anche se la vista di quello scempio era terribile, quei giovani guerrieri sembravano addormentati. Ed e Harry avevano la stessa impressione nei loro riguardi: avevano resistito fino alla fine, pur di tornare al loro mondo.
E proseguirono ancora, lasciandosi alle spalle l’ennesimo orrore. Discesero con cautela lungo il pendio, fino a raggiungere la valle sottostante. L’ambiente non era cambiato di una virgola, ma in quel punto avevano una visuale migliore; in giro non si vedeva nessuno, nemmeno i loro compagni.
« Stiamo perdendo tempo » dichiarò Harry, sospirando seccato. « Faremmo meglio a tornare indietro per ricongiungerci ai nostri amici. Sei d’accordo, Ed? Ed...? »
Il giovane mago si voltò, cercando di capire perché l’amico non avesse risposto. Ed era ancora al suo fianco, apparentemente distratto da qualcosa: stava fissando con aria incredula un cumulo di rovine là vicino, ma dal momento che Harry non riconobbe nulla di ciò che giaceva là in mezzo, non sapeva dire cosa lo turbasse in quel modo. C’era una specie di portale monumentale, alto più di quattro metri, ricoperto di simboli e bassorilievi; era spezzato in vari punti, come se una forza enorme si fosse abbattuto su di esso. Edward, tuttavia, aveva rivolto lo sguardo su qualcosa ai piedi di quel portale, ma sembrava solo un mucchio di ferraglia.
« Al! » gridò il biondo all’improvviso. Senza aspettare Harry, si precipitò ai piedi del portale, iniziando a rovistare tra quegli arnesi. Quando il giovane mago si avvicinò, capì che si trattavano di pezzi di un’armatura, di un genere mai visto prima. Continuava a non capirci nulla.
« Aaal! » continuava a gridare Ed. « Alphonse! Al! Puoi sentirmi? Sono io, Edward! Al! »
Ed smise di rovistare, sollevando quello che sembrava l’elmo dell’armatura. Era grosso e dotato di un piccolo corno, e di un lungo ciuffo bianco che ricadeva all’indietro. Ed lo reggeva con mani tremanti, come se non credesse a ciò che vedeva.
« Ed, si può sapere che ti prende? » obiettò Harry, spazientito. « Perché parli a un’armatura vuota? »
Edward non lo ascoltò nemmeno.
« Fratellino, rispondimi! » esclamò. « Parlami, ti prego... dimmi che sei vivo! Dimmi che sei ancora qui, Al... sistemeremo tutto, te lo prometto... ritorneremo a casa. Alphonse? »
Alphonse...
Harry cominciò a capire. Lo sguardo di Ed era identico a quello che lui aveva mostrato poco prima, quando erano passati davanti alle rovine di Hogwarts. Dopo averlo soccorso dai Senzavolto, il biondo aveva raccontato la sua storia al resto del gruppo. Diceva di aver avuto un fratello che aveva perduto il proprio corpo in seguito alla trasmutazione fallita quando erano bambini; Ed era riuscito a conservare la sua anima, sigillandola in un’armatura con cui aveva potuto continuare ad esistere. A un tale pensiero, Harry fu travolto da una nuova ondata di orrore: Alphonse Elric, a detta di suo fratello, aveva trascorso diversi anni in quell’armatura... non osava nemmeno immaginare quanto potesse essere stata dura vivere in certe condizioni, senza poter mangiare né dormire, né poter compiere tutte quelle piccole cose che li rendeva umani.
Così Harry tacque, aspettando che Ed si rendesse conto da solo della verità. Stava parlando con un’armatura vuota; ovunque fosse suo fratello, non era lì con loro.
« Perdonami, Al » sussurrò Ed, sempre più abbattuto. « Non sono riuscito a proteggerti... perdonami. »
« Lo farei volentieri, se quella fosse la mia testa. »
Ed e Harry alzarono lo sguardo. Qualcun altro aveva parlato, da una posizione più elevata; i due ragazzi lo individuarono pochi istanti dopo, sopra il portale spezzato: una persona ricoperta da un’imponente armatura a piastre, identica a quella che Ed teneva in mano, li stava fissando a braccia conserte, immobile.
Ed si lasciò sfuggire l’elmo dalle mani, ancora più incredulo.
« A-Al? »
Era certo che fosse lui, avrebbe riconosciuto quella voce infantile ovunque. La voce del suo fratellino.
« Era ora, fratellone » commentò Alphonse, scendendo dal portale con un balzo. « Ti ho cercato a lungo in questo ammasso di rovine... cominciavo a credere che ti avessero già ucciso. »
Ed si avvicinò per abbracciarlo, improvvisamente colmo di gioia.
« Va tutto bene, Al » lo rassicurò. « Ho avuto delle difficoltà ma le ho superate. Mi dispiace che sia finito anche tu in questo mondo... ma l’importante è che siamo di nuovo insieme, come ai vecchi tempi. »
« Mi fa piacere... così posso essere io ad ucciderti. »
Ed ebbe appena il tempo di assimilare l’ultima parola pronunciata dal fratello. Un attimo dopo, infatti, un pugno d’acciaio lo investì in pieno, scaraventandolo all’indietro con forza. Harry restò a guardare sconvolto, mentre l’amico alchimista rovinava pesantemente a terra.
« Ehi! Che diavolo ti prende? » gridò il giovane mago, e nel frattempo sfoderò la bacchetta.
Alphonse lo ignorò del tutto, limitandosi ad osservare Ed mentre si rimetteva in piedi.
« Al... che significa? » balbettò confuso. « Mi hai colpito... e hai detto... che vuoi uccidermi? »
« Proprio così, fratellone » dichiarò Al, e nel frattempo avanzava verso di lui. « Mi dispiace, ma te lo meriti... guarda come mi hai ridotto un’altra volta! »
« Cosa? »
« Svegliati! Perché credi che mi trovo di nuovo dentro un’armatura? Perché tu hai giocato di nuovo con il fuoco! Non ti eri rassegnato ad aver perduto l’uso dell’alchimia, e nel tentativo di recuperarlo hai deciso di fare quello stupido esperimento! »
Ed rimase immobile, impietrito dall’orrore intriso in quelle parole che stava ascoltando.
« Di cosa stai parlando? »
« Come se non lo sapessi » ribatté Al implacabile. « Hai aperto il portale e siamo stati risucchiati, precipitando in questo orribile posto. Quando ho ripreso i sensi ero di nuovo... questa cosa! Il mio corpo, quello che avevo recuperato con così tanta fatica... è sparito di nuovo... per colpa tua! »
« No... non è possibile » fece Ed incredulo. « Io non ricordo niente... non so di nessun esperimento. Al, io non ho fatto niente! »
« Bugiardo! »
E Alphonse si scagliò contro Edward, pronto a colpirlo di nuovo con un pugno. L’Alchimista d’Acciaio era troppo sconvolto per riuscire a reagire, e rimase dov’era, in ginocchio. Harry decise quindi di intervenire.
« Impedimenta! »
Un dardo di luce saettò dalla sua bacchetta e colpì Al, ma l’incantesimo non sortì alcun effetto. L’armatura continuava a correre contro Ed, deciso più che mai a fare ciò che aveva promesso. Alla fine, Ed trovò la forza per scansarsi, evitando l’attacco per un soffio; batté le mani un attimo dopo e le posò a terra, trasmutando il suolo per sollevarlo di diversi metri. Al fu colpito in pieno e spinto all’indietro, deviando la sua corsa.
Harry raggiunse Ed per dargli una mano, ma condividevano la stessa aria sconvolta.
« Che diavolo succede? Quello è davvero tuo fratello? » domandò Harry. « Allora perché vuole ucciderti? »
« Non lo so » rispose Ed, digrignando i denti per la rabbia. « Non so più niente, ormai. »
Non c’era tempo per le riflessioni. Al era rispuntato e si preparava ad attaccare di nuovo, contando sulla sua forza bruta. Ed esitava, cercando di capire come fare a fermarlo senza fargli del male: non doveva danneggiare l’armatura, perché essa conteneva il sigillo che legava l’anima di suo fratello ad essa. Harry, nel frattempo, cercò di fare la sua mossa.
« Stupeficium! »
L’incantesimo colpì Al di nuovo, ma non accadde nulla. Sarebbe dovuto crollare a terra privo di sensi, si disse... ma sembrava che quel tipo fosse immune alla magia. Si rispose da solo prima che potesse chiedersi il perché: Alphonse Elric non era fatto di carne e sangue, ma di metallo. La magia che Harry stava usando per fermarlo era efficace solo su persone “normali”.
Con un fratello indeciso e sconvolto, e il suo alleato impreparato per l’occasione, Al si trovava in netto vantaggio.
 
Lara e Po procedevano lungo la loro via, lontani e all’oscuro dell’improvvisa piega che avevano preso gli eventi a sfavore dei loro compagni. La giovane archeologa aveva rovistato a lungo nei dintorni, procurandosi munizioni in quantità per le sue pistole; fu tentata di prendere altre armi, ma sarebbero state superflue finché poteva contare sulla spada Excalibur. Po si limitò a scortare Lara durante la sua ricerca, ben deciso a non prendere nulla: ogni arma, ogni oggetto abbandonato nel Cimitero dei Mondi lo spaventava a morte.
Quando Lara fu soddisfatta di ciò che avevano preso, suggerì di tornare sui loro passi. Si rivolse a Po, ma notò che si era coperto gli occhi con le sue grosse zampe, come se non osasse guardare un elemento in particolare.
« Po, stai bene? Che ti prende? »
Il panda non rispose, ma puntò un dito tremante nella direzione in cui non voleva guardare. Lara si voltò, scoprendo subito di cosa si trattava: centinaia di cadaveri disseminati lungo il terreno, trafitti da un’enorme quantità di frecce; spade, lance e scudi giacevano inutili dappertutto, diventati inutili in seguito alla morte dei loro proprietari.
Lara riuscì a trattenere la sensazione di disgusto, dopo anni passati ad affrontare simili orrori; non poté fare nulla, invece, per trattenere la sua deformazione professionale, quando prese a studiare le armi e l’abbigliamento di quei guerrieri caduti: il suo sguardo andò dai mantelli cremisi alle lunghe lance, fino agli imponenti scudi rotondi con sopra inciso il simbolo “Ʌ”.
« Spartani » commentò, a metà tra lo sgomento e l’interesse. « Saranno circa trecento... possibile che siano gli stessi che difesero le Termopili nel 480 avanti Cristo? »
« È davvero orribile » disse la voce di Po alle sue spalle. « Possiamo tornare dagli altri, per favore? »
« Certo, Po, scusami... andiamo. »
E voltarono le spalle a quello scempio, cercando di non pensarci più.
Durante il cammino, Lara non poté fare a meno di notare la crescente depressione di Po. Il panda, infatti, aveva gradualmente abbandonato l’ottimismo, smettendo prima di parlare e poi di sorridere. I consigli di Sora sul mantenere la calma sembravano aver perso l’efficacia, dal momento che stavano osservando una marea crescente di morte e distruzione ad ogni angolo. Come poteva restare allegro il Guerriero Dragone in un luogo del genere?
« Credo di capire cosa provi, Po » disse Lara. Il panda si voltò a guardarla sorpreso, dato che aveva parlato in cinese.
« Dici sul serio? » domandò lui.
« Sì... ti senti perduto. Questo mondo è così ostile e pericoloso che ti pare di aver abbandonato ogni speranza. Ti trovi davanti a una distesa di orrori e ti viene da temere che non sopravvivrai... che ti unirai presto a questi morti che ci circondano. Ho provato anche io sensazioni del genere, in passato... quando naufragai su un’isola prima di diventare quella che sono adesso.
« Potrei raccontarti per ore ciò che ho passato in quell’orribile posto, ma rischierei solo di abbatterti ancora di più perciò ti dirò solo una cosa, amico mio: se ora mi trovo qui al tuo fianco, è perché sono sopravvissuta. Ho trovato la forza per resistere a tutto ciò che voleva distruggermi, e ho abbattuto ogni ostacolo sulla mia strada. In pratica, Po, ho fatto quello che hai fatto anche tu... ho guardato nella Pergamena del Drago e ho scoperto il vero potere dentro di me. »
Po rimase a bocca aperta, incapace di muoverla per formulare suoni sensati. Anche se si era affezionato subito a quelle scimmie senza pelo con cui condivideva l’avventura, fino a quel momento non aveva pensato a quante cose avesse in comune con loro. Non era il semplice fatto di essere eroi, ma era molto di più... come la volontà di diventare migliori e di non arrendersi.
« Grazie » rispose infine con un sorrisetto. « Fino a poco fa ero sconvolto, e volevo tanto mangiare qualcosa per distrarmi. Ma tu sei riuscita a rendermi... ehm... non sconvolto. Grazie mille. »
Lara ricambiò il sorriso, ma riuscì a mantenerlo per appena tre secondi: un rumore attirò infatti la sua attenzione, facendola scattare in posizione di guardia. Po la seguì con lo sguardo nella stessa direzione: entrambi videro qualcosa di piccolo e peloso sfrecciare lungo la strada che stavano percorrendo, sparendo tra le macerie più grandi. I due, allarmati, lo inseguirono, sperando con tutto il cuore che non fosse una minaccia: percorsero una ventina di metri, lasciandosi alle spalle l’esercito spartano massacrato, e salirono su un’altra duna di rovine. Qui trovarono l’esserino che stavano cercando, e alla sua vista riuscirono a tranquillizzarsi.
Era uno scoiattolo dal pelo grigio, dotato di occhi sporgenti e due vistosi denti a sciabola. Zampettava qua e là per la duna, rovistando tra i vari oggetti in cerca di qualcosa. Lara e Po lo osservarono a lungo, ma alla fine decisero di non farci caso: qualunque cosa fosse, non era molto diverso da Wall-E e la creatura chiamata Gollum... semplici comparse in quel luogo desolato, innocui e al di fuori dell’interesse dei Valorosi.    
« Andiamo » ordinò Lara, riprendendo a camminare. Po la seguì e insieme salirono sopra una grande colonna che formava un ponte verso la duna successiva; procedendo in quella direzione sarebbero tornati indietro, con l’intento di ricongiungersi al resto del gruppo.
A metà di quel ponte, tuttavia, trovarono un nuovo ostacolo. I due Valorosi si fermarono non appena il nuovo individuo si parò di fronte a loro: un grande leopardo delle nevi dal fisico possente, ritto sulle zampe posteriori; fissava Po con aria feroce, che ricambiò con uno sguardo incredulo.
« Tu! » esclamò il panda. « Tu sei... Tai Lung! »
« Ti ricordi di me » commentò il leopardo con un ghigno. « Bene. Anch’io mi ricordo di te, Po... il grosso, lardoso panda che mi ha sconfitto. »
Lara reagì subito dopo, sollevando le pistole contro colui che aveva appena dichiarato di essere nemico di Po. Ma Tai Lung la ignorò, avendo occhi solo per la sua nemesi.
« Sì, be’... te lo meritavi » rispose Po, cercando di farsi coraggio. « Hai attaccato la Valle, minacciato la gente, aggredito i miei amici e quasi ucciso il mio maestro. Dovevo fermarti! »
« Non succederà di nuovo, posso assicurartelo. Finalmente mi vendicherò per ciò che mi hai fatto. »
Tai Lung avanzò minaccioso, scrocchiandosi le nocche... impaziente di scagliarle a piena potenza sulla faccia di Po.
« Non avvicinarti! » esclamò Lara facendosi avanti.  
« Ha! Che vuoi fare? Pensi di spaventarmi con quegli arnesi? » la schernì Tai Lung. « Sì, Nul mi ha parlato delle armi che usate voi scimmie senza peli. Armi senza onore, dietro le quali vi nascondete per colpire il nemico da lontano. Vuoi essere questo, dunque? Una creatura senza onore? Non hai alcun valore per me... io sono qui solo per il grasso idiota che stai aiutando. »
« Questo grasso idiota è mio amico » ribatté Lara. « Non resterò a guardare mentre cerchi di ucciderlo. »
« Oh? Ehm... be’ grazie, Lara » fece Po.
« Allora morirai con lui! »
Il feroce ruggito di Tai Lung squarciò il vuoto che opprimeva il Cimitero, mentre spiccava un balzo enorme contro i suoi avversari. Po e Lara si scansarono appena in tempo, in due direzioni diverse: Tai Lung atterrò dove un attimo prima si trovavano loro, spaccando la colonna con un pugno. Il leopardo non indugiò per più di un istante, e si avventò su Po non appena i suoi occhi lo individuarono, poco lontano. Lo raggiunse in pochi attimi e iniziò il duello: pugno, pugno, calcio, ancora pugno. Ognuno di quei colpi era saturo della furia e dell’odio di Tai Lung nei confronti del suo avversario. Po si limitò a parare e a schivare, ma non riusciva a farlo in modo adeguato: era appena riuscito a tranquillizzarsi grazie alle parole di Lara, ma l’improvvisa comparsa di quel mostro gli aveva provocato una ricaduta. Resisteva a malapena ai quei colpi micidiali, e dubitava di poterlo fare ancora a lungo.
« Che ti prende, eh? » ringhiò Tai Lung, furibondo. « Ti ricordavo più forte di così! Cos’è, hai perso la tua “tostaggine”? Avanti fatti sotto... voglio uccidere il Guerriero Dragone che ha segnato la mia fine, non un trippone smidollato! »
« Kiaaah! »
Il leopardo cadde all’indietro, respinto da un poderoso calcio che lo aveva colpito in piena faccia. Po rimase sbalordito, ma felice di rivedere Lara al suo fianco: la ragazza era intervenuta al momento giusto, dando prova di un nuovo, inaspettato talento.
« Oh, grazie Lara! »
« Figurati » rispose lei, mettendosi in una familiare posa da combattimento. Aveva accennato alla sua conoscenza profonda delle arti marziali, divenuta esperta in molte tecniche di lotta. « Ma ricordati ciò che ho detto, Po... non puoi vincere in questo stato, e mi farebbe comodo il tuo aiuto. Non ho idea di cosa sia capace questo tipo. »
Po annuì, cercando di recuperare la grinta. Tai Lung si stava già rialzando, pronto al secondo round.
« Fa attenzione, Lara » disse il panda approfittando dell’occasione. « È un osso davvero duro... è un maestro di kung fu, padroneggia lo stile del leopardo. »
« Ah, lo immaginavo » commentò lei, già consapevole delle ultime informazioni ricevute.
Tai Lung avanzò di nuovo, sguainando gli artigli.
« Allora ce l’hai, l’onore » dichiarò con un ringhio. « Ma questo ha firmato la tua condanna a morte, scimmia senza peli... ti farò a pezzi insieme al tuo lardoso amico! »

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Capitolo 16
*** Un aiuto inaspettato ***


Capitolo 16
 
Harry Potter ed Edward Elric stavano affrontando una battaglia difficile. Alphonse Elric, loro unico avversario, stava mettendo a dura prova le loro capacità: gli incantesimi del giovane mago avevano scarsi effetti su di lui, dal momento che si trattava di un’armatura vivente; l’Alchimista d’Acciaio non riusciva nel frattempo a dare il massimo, perché l’avversario era il suo amato fratello... e non voleva rischiare di ucciderlo. Alphonse, tuttavia, non dimostrava affatto lo stesso riguardo nei confronti di Ed, e non si faceva scrupoli nel colpirlo a piena potenza: riuscì a spazzarlo via con un pugno, dopo aver schivato un’altra trasmutazione del terreno.
« Hai deciso di arrenderti, fratellone? » commentò Alphonse, la voce giovanile corrotta dalla rabbia. « Hai capito l’errore che hai fatto e che meriti di morire? »
Ed si rialzò in piedi, ansimando.
« Io... non ho fatto errori » dichiarò. « Non ho fatto... ciò di cui mi stai accusando... »
« Davvero? E come spieghi la situazione in cui ci troviamo adesso? Perché hai di nuovo gli automail e io mi trovo di nuovo in questa dannata armatura? Come abbiamo fatto a perdere i nostri corpi un’altra volta, se è stata opera tua? Forse dovrei rivolgermi al tuo nuovo amico... mi sembra più sveglio di te, in questo momento. »
Al si voltò a guardare Harry, rimasto in piedi ma immobile durante quel breve scambio di battute. Il ragazzo aveva ancora la bacchetta in mano, ma non sapeva cosa farci dopo aver tentato invano tutto quello che sapeva. Non aveva mai dovuto affrontare un nemico del genere... uno che oltretutto aveva un legame affettivo con il suo alleato.
« Edward mi ha parlato di te » disse Harry, cercando di guadagnare tempo. « Mi ha raccontato la vostra storia... di quanto abbia lottato e sofferto pur di restituirti il corpo che avevi perso. Non posso immaginare ciò che stai passando in questo momento... ma sono certo che accanirti contro tuo fratello non risolverà niente. Tutto questo è opera di Nul, non lo capisci? È stato lui ha portarci tutti in questo mondo... costringendoci a combattere fino alla morte! Se ha restituito a Ed i suoi poteri e i suoi autocosi, deve aver fatto lo stesso con te. Vi ha messo l’uno contro l’altro! »
Al restò in silenzio, spostando lo sguardo da Harry a Ed e viceversa. Non c’era modo di capire cosa gli passasse per la testa, dato che non aveva un viso con cui dimostrare le proprie emozioni. Alla fine, tuttavia, decise di muovere un passo verso Harry.
« E chi mi assicura che stai dicendo la verità? » domandò, avvicinandosi sempre di più. « Perché dovrei credere a te, che vieni da un altro mondo? Ormai mi trovo nella condizione di non potermi fidare di nessuno... nemmeno di mio fratello. A meno che tu non abbia in tasca una Pietra Filosofale o un altro potere in grado di farmi tornare umano all’istante, sei ancora mio nemico! »
Harry abbassò lo sguardo, analizzando la situazione. Curioso, una volta aveva avuto davvero una Pietra Filosofale in tasca... ma ora tutto ciò che aveva era la Bacchetta di Sambuco, utile in quel momento quanto un secchio sfondato. Anche se Al era fratello di Edward, doveva essere fermato in qualche modo.
Poi, tuttavia, ricordò di avere qualcos’altro in tasca... e un piano che poteva funzionare si formulò nel frattempo tra i suoi neuroni.
« Credo di avere qualcosa che faccia al caso tuo » disse Harry, che estrasse dalla tasca quello che sembrava un vecchio involto. Lo sollevò per mostrarlo bene ad Al: un vecchio cappello da mago tutto sporco e rattoppato; il gesto attirò anche l’attenzione di Ed, che tuttavia rimase immobile al suo posto senza capire.
« A cosa serve quello straccio? » domandò Al confuso.
« Questo è il Cappello Parlante, bada a come parli » rispose Harry, cercando di mantenere un tono credibile. « È dotato di molti poteri, tra i quali quello di riportare le vittime di un incantesimo o di una maledizione allo stato originale. L’ho trovato tra le macerie del mondo da cui provengo: volevo usarlo su Edward alla fine di questa guerra, per restituirgli il braccio eccetera... ma credo che adesso sia più utile a te. Giusto, Ed? »
« Oh » fece il biondo, che finalmente cominciava ad intuire qualcosa. « Sì, certo... avremmo dovuto pensarci prima, ma tu mi hai attaccato subito, Al. Con quello possiamo restituirti il tuo corpo. »
Al tacque di nuovo, ancora sospettoso. Alla fine, tuttavia, sembrò convincersi di ciò che i due ragazzi stavano dicendo.
« E va bene » dichiarò incrociando le braccia. « Fammi vedere cosa sai fare con quel coso. »
« Ottimo » fece Harry con un sorrisetto. « Allora avvicinati, Al, devo mettertelo sulla testa. »
L’armatura obbedì e si chinò lentamente in avanti. Harry nel frattempo sollevò il Cappello verso di lui; non appena fu abbastanza vicino, tuttavia, il ragazzo infilò la mano libera dentro il Cappello, sperando con tutto il cuore che l’idea funzionasse. Trovò quasi subito ciò che si augurava di trovare, impugnò l’elsa e la tirò fuori; Al ebbe appena il tempo di vedere una spada scintillante venir fuori dal cappello, mentre Harry si avventava su di lui con la nuova arma tra le sue mani. Il ragazzo sferrò un fendente ben piazzato contro la sua testa, staccandola dal resto dell’armatura e facendola volare per diversi metri.
Al indietreggiò, colto di sorpresa, e finalmente si rese conto di essere caduto in un tranello. Nel frattempo Edward faceva la sua mossa, ispirato dal diversivo di Harry, batté le mani e trasmutò il suolo ai suoi piedi, generando una colonna di pietra che si schiantò alle spalle di Alphonse. L’armatura fu spinta con violenza, andando a sbattere contro la duna di rovine più vicina. Harry ne approfittò per raggiungere Ed, spada e bacchetta alla mano; non c’era tempo per le spiegazioni, ma solo per darsela a gambe. Così afferrò l’amico per un bracciò e girò su se stesso, pensando intensamente ai suoi nuovi amici.
Quando Al ritrovò la sua testa e si guardò intorno, Ed e Harry erano spariti.
 
Nel frattempo, Luke Skywalker ed Hellboy erano impegnati ad affrontare il principe Nuada, che continuava ad attaccarli senza pietà, per nulla intimorito dall’inferiorità numerica. L’elfo sfruttava velocità e tecnica per tenere testa ai due avversari contemporaneamente; oltretutto si era rivelato molto resistente, se non immune, ai poteri della Forza di Luke, costringendolo perciò ad affidarsi unicamente alla sua spada laser. Hellboy faceva del suo meglio per colpire Nuada a mani nude: dal momento che quello continuava a saltare e a schivare, aveva messo via la pistola per non rischiare di colpire Luke. Sperava che la sua mano di pietra risolvesse la situazione ancora una volta... se solo fosse riuscita a colpire il nemico.
Nuada agitò la lancia verso il basso, costringendo Luke a balzare all’indietro per evitarla; Hellboy non fece in tempo e il bastone lo colpì alle gambe, cadendo a terra. L’elfo si fece avanti per finirlo, ma un cumulo di detriti si sollevò all’improvviso da terra, dritto contro di lui. Nuada ne distrusse alcuni, ma alla fine fu travolto. Luke aveva usato la Forza per controllare gli oggetti del Cimitero, che fortunatamente non vantavano la stessa immunità di quel tenace avversario. Tornò da Hellboy e lo aiutò ad alzarsi, approfittando di quei secondi di tregua.
« Stai bene, Red? »
« Ho preso sgambetti peggiori » tagliò corto il diavolo. « Coraggio, facciamolo fuori una volta per tutte! »
I due rivolsero lo sguardo su Nuada, intento a riemergere dalle macerie che lo avevano travolto. Era malconcio, ma con sufficienti energie da restare in piedi e mantenere il puro odio nei suoi occhi, nonché la sete di sangue. Luke ed Hellboy si erano già lanciati contro di lui, armi in pugno, intenzionati a finirlo; Nuada restò in guardia, pronto a difendersi.
Mentre Hellboy sferrava un pugno dritto contro la faccia dell’elfo, Luke faceva un salto con capriola, atterrando alle sue spalle; la spada laser fendette l’aria, ma fu fermata da una lama d’argento prima che riuscisse a tranciare il corpo di Nuada. Nello stesso istante, la mano di pietra di Hellboy fu bloccata da uno scudo tondo, recuperato dall’elfo pochi istanti prima.
Da non crederci, pensarono entrambi i Valorosi. Nuada era riuscito a difendersi perfettamente da un simile attacco coordinato! Se non fosse stato un folle assassino, sarebbe stato un guerriero da ammirare. L’elfo non perse tempo e respinse entrambi gli avversari, compiendo una giravolta che li sbilanciò.
« Proprio non capite, vero? » ribatté Nuada, guardandoli con la solita aria di sfida. « Non sono tornato per cadere un’altra volta... sono tornato per vincere! Non importa quanto mi attaccherete, io non mi fermerò... io non cederò! E alla fine, rimarrò in piedi per guardare le vostre carcasse. »
Crack!
L’elfo fu colto da un improvviso stupore mentre due nuovi individui apparivano sulla scena. Erano Harry e Edward, giunti sul posto grazie alla Materializzazione del giovane mago; l’incantesimo aveva permesso ai due di raggiungere gli alleati più vicini. I loro sguardi trovarono subito Luke ed Hellboy, in evidente difficoltà.
« Harry! Ed! » fece Luke, sollevato nel vederli.
« Ragazzi, state bene? » domandò Harry.
« Attenti! » gridò Hellboy. Nuada, resosi subito conto di aver a che fare con altri alleati della sua nemesi, si scagliò su di loro, lancia e spada in pugno. Harry e Ed si misero in guardia, per difendersi da un attacco che tuttavia non arrivò mai; Hellboy intervenne e afferrò Nuada alle spalle. Gli sferrò un pugno e lo scaraventò lontano con una forza enorme; l’elfo sparì oltre una duna di rovine, lontano dal campo visivo di tutti.
« Uff... c’è mancato poco » sospirò Ed. « Grazie, Red. »
« Prego » grugnì Hellboy, non ancora sollevato dall’improvviso cambiamento. « State bene, voialtri? Non avete una bella cera... contro chi vi siete battuti? »
« Te lo spiego più tardi » tagliò corto Harry, rinfoderando la spada. « Dobbiamo tornare subito dagli altri, ho un brutto presentimento. Aggrappatevi tutti a me, subito! »
Ed, Luke ed Hellboy obbedirono. Un attimo dopo Harry si era già Smaterializzato, portando tutti con sé, in cerca degli altri Valorosi.
 
Lo scontro tra Po, Lara e Tai Lung proseguiva implacabile, senza esclusione di colpi. I due Valorosi non avevano cominciato il duello con il piede giusto, ma in breve tempo erano riusciti a trovare la giusta strategia da applicare contro il loro avversario. I loro attacchi combinati permettevano loro di tenere testa a Tai Lung, cogliendolo più volte di sorpresa; il leopardo aveva sottovalutato le tecniche dell’archeologa, e ora stava pagando le conseguenze. L’ultimo colpo, un calcio ben piazzato sulla schiena, lo mandò al tappeto.
« Wohoo! » esclamò Po, tornato finalmente euforico. « Ti sta bene, gattaccio! Ecco cosa succede a chi si mette contro i mitici Valorosi! »
Tai Lung si rialzò, sotto lo sguardo allibito dei suoi due avversari. Cominciava ad ansimare per la fatica, ma non aveva ancora intenzione di arrendersi: il suo sguardo era carico di rabbia e odio in una quantità indescrivibile, come se fosse sul punto di esplodere.
« Mh... siete forti, devo riconoscerlo » ringhiò. « Ma non è ancora finita... »
Il leopardo si guardò intorno, nel mucchio di armi in cui Lara e Po lo avevano mandato a sbattere. A un certo punto sorrise ed estrasse una spada dal terreno, di un verde brillante e l’aria letale.
« Oh cavolo! » esclamò Po, sgomento. « La riconosco... quella è la Spada degli Eroi! »
« Oh? Dunque viene dal tuo mondo? »
« Proprio così » disse Tai Lung, mentre impugnava soddisfatto quell’arma. « Custodita per anni nel Palazzo di Giada... una lama così affilata da poter tagliare al solo... ahia! »
Mentre parlava fu colto da un improvviso dolore al dito, come se si fosse tagliato sul serio: una scena ridicola che non si addiceva a un essere così malvagio.
Un attimo dopo, tuttavia, Tai Lung si era già ripreso ed era tornato in azione. La sua nuova spada fendette l’aria, costringendo Lara e Po a scansarsi in due direzioni opposte; come sempre, il leopardo preferì concentrarsi sul panda, suo unico obiettivo per tornare alla vita. Po fu costretto a schivare, non avendo con sé alcuna arma in grado di proteggerlo dalla Spada degli Eroi, ma non poteva farlo in eterno; Tai Lung riuscì in questo modo a metterlo contro le spalle al muro, pronto a finirlo una volta per tutte.
Un raggio di luce verde colpì Tai Lung alle spalle. Il colpo fu doloroso, ma riuscì solo a far cadere il leopardo in ginocchio; si voltò e individuò Lara a breve distanza, mentre impugnava un’altra spada tra le mani. Po, sollevato, riconobbe l’arma che la donna si era portata dietro per tutto il tempo: Excalibur, la spada magica.
« Tendi a dimenticarti troppo spesso di me, bastardo! » dichiarò Lara.
« Grrr » fece Tai Lung, sempre più furioso. « Sono stufo di te, donna... ora ti riduco a fettine! »
« Non muoverti, Tai Lung! » esclamò Po, attirando la sua attenzione. Il leopardo tornò a guardarlo, notando che aveva recuperato la determinazione; inoltre teneva le mani in una strana posizione, come se impugnasse un bastone invisibile.
« Cosa credi di fare, panda? »
« È ovvio, no? Cerco di impedirti di ridurre la mia amica a fettine. Credo che la mia nuova arma possa tenere testa alla tua spada... che ne dici, vogliamo metterle a confronto? »
Tai Lung e Lara guardarono Po con la stessa aria confusa. Il leopardo, tuttavia, fu colto da un’improvvisa rivelazione.
« Ma quello » fece, indicando l’aria tra le mani di Po, « non sarà mica l’Invisibile Tridente del Destino? »
« Eh già » commentò Po con un sorriso. « Che fortuna trovarlo da queste parti, eh? »
Il panda iniziò a gesticolare, facendo roteare l’arma invisibile sopra la sua testa. Lara non riusciva a capire se stesse bluffando o meno, non aveva fatto caso a Po mentre recuperava il tridente. Tuttavia era riuscito nell’intento di distrarre Tai Lung.
« Stupido panda » ringhiò. « Shifu doveva essersi davvero bevuto il cervello per scegliere uno come te! E quando tornerò a casa insieme alla tua testa, capirà finalmente la misura del suo sbaglio! »
Tai Lung calò la Spada; Po sollevò il Tridente per parare il colpo. Per alcuni istanti, il leopardo pensò alla vittoria mentre la sua arma superava il limite imposto dal panda. Pensò di aver tagliato in due il Tridente e di aver spezzato la difesa di Po. Si sbagliava, ma se ne rese pienamente conto solo quando Po afferrò la lama con entrambe le mani. Non aveva mai avuto l’Invisibile Tridente del Destino: glielo aveva solo fatto credere per farlo avvicinare.
Po riuscì a bloccare il fendente di Tai Lung, tenendo salda la Spada tra le mani. Il nemico aveva una forza micidiale, ma anche lui non era da meno, e oppose una notevole resistenza; riuscì infine a strappargli la Spada, gettandola via. Lara approfittò di quel momento per lanciarsi su Tai Lung e colpirlo con Excalibur, quando accadde l’imprevisto: il leopardo si decise a ignorare Po e a concentrarsi su Lara. Così riuscì a schivare il colpo e a contrattaccare: le sferrò un pugno in pieno petto, mandandola a sbattere contro una trave di legno. La ragazza si accasciò a terra, priva di conoscenza.
« Hah! Finalmente hai smesso di ronzare, insetto » commentò Tai Lung.
« Nooo! »
Il pugno di Po lo colpì in faccia, facendolo barcollare. Il panda lo afferrò quindi per la coda e con uno strattone gli fece fare un volo di parecchi metri; Tai Lung atterrò poco lontano, ma con una forza tale da creare un buco nel terreno. Po si stupì di vederlo rialzarsi in piedi, anche se era in condizioni critiche: ormai Tai Lung era allo stremo delle forze... ma ancora intenzionato a combattere.
Oppure no?
Il leopardo mosse appena un passo in avanti, per poi crollare a terra con tutto il suo peso.
« Uff... meno male » sospirò Po, sollevato che fosse finita.
Crack!
Il nuovo rumore attirò l’attenzione del panda, che tornò subito in guardia. Vicino a lui apparve improvvisamente Harry, al quale stavano aggrappati Ed, Luke ed Hellboy; un po’ malconci, ma sani e salvi.
« Ragazzi! »
« Po! Stai bene? » domandò Luke. « Dov’è Lara? »
« Tutto bene, abbiamo appena sistemato... oh santa polenta in agrodolce! Lara! »
Il panda indicò la direzione in cui l’aveva vista l’ultima volta. I Valorosi si voltarono tutti a guardare: Lara giaceva ai piedi di un cumulo di rovine, ancora incosciente; sopra di lei, una gran quantità di oggetti, armi e macerie rischiava di crollarle addosso.
« Presto, portiamola via di lì! » ordinò Hellboy. Iniziarono tutti a correre verso la donna, ma Luke fu più veloce. Mentre correva, levò una mano verso Lara, che fu sollevata dal terreno; il suo corpo fu allontanato pochi attimi prima che la massa di oggetti le crollasse addosso, e finì illesa tra le braccia di Luke.
Tutti i presenti restarono immobili per un lunghissimo minuto, in attesa. Harry, Edward, Po ed Hellboy mantenevano lo stato di guardia, aspettando un possibile ritorno di Tai Lung o di altri nemici. Luke reggeva ancora Lara in braccio, mentre questa riprendeva i sensi.
« Ugh... »
« Stai bene? » domandò il Jedi.
« C-credo di sì. Grazie. »
I due si guardarono negli occhi un po’ troppo a lungo, e una buona dose di imbarazzo colpì entrambi.
« Ehm, sarà meglio andarcene, adesso » dichiarò Harry, spezzando il silenzio. « Dobbiamo trovare Jake e Sora... aggrappatevi di nuovo a me. »
I compagni obbedirono e afferrarono Harry per il vestito. Non appena furono tutti pronti, il ragazzo si Smaterializzò ancora.
 
Poco lontano, gli ultimi due Valorosi erano ancora alle prese con il loro avversario, il colonnello Quaritch. Questi, chiuso nel suo gigantesco esoscheletro d’acciaio, stava mettendo a dura prova le capacità di Jake e Sora; aveva dotato l’AMP Suit di nuove armi e dispositivi, raccolte nel Cimitero poco prima di incontrare la sua nemesi. I due ragazzi si trovarono così ad affrontare un intero arsenale ambulante, schivando raffiche di proiettili, raggi laser e missili in quantità enormi. Quaritch attaccava con tutto quello che aveva, provocando più danni all’ambiente che ai suoi avversari: interi cumuli di rovine saltavano in aria sotto i suoi colpi, sollevando nubi di polvere e detriti. Anche Sora si trovò in difficoltà, nonostante fosse dotato di un’arma pressoché invincibile: quel tipo gli impediva di sferrare colpi che lo avrebbero fatto tacere a lungo.
« È tutto quello che sai fare, vecchio? » gridò Jake, uscito illeso dall’ultimo attacco. « Mia suocera saprebbe fare di meglio con una manciata di pietre! »
Quaritch si voltò a guardarlo, lanciandogli un’occhiata furiosa. Aveva smesso di sparare.
« La tua arroganza non ti salverà stavolta, Sully » dichiarò. « Né le tue idee brillanti... le stesse che ti hanno fatto passare dalla parte di quei selvaggi! Dimmi una cosa... sei contento di aver scelto una vita da primitivo tra la giungla e le bestie? »
Jake abbassò il fucile e gli andò incontro, sicuro di ciò che faceva. Eroe e malvagio si trovarono quindi faccia a faccia, in un silenzio carico di sfida.
« Sono felice di aver fatto la mia scelta » rispose il guerriero Na’vi, sorridendo. « È stata la migliore che abbia mai fatto in tutta la mia patetica vita. E se questa nuova vita mi rende ai tuoi occhi una bestia, sono felice comunque... perché sono pur sempre migliore di ciò che sei tu! »
Quaritch digrignò i denti, disgustato.
« Sarò felice anch’io, molto presto » disse, rimettendosi in guardia. « Quando ti avrò tolto tutto ciò che ti è caro! »
« Adesso, Sora! »
Il colonnello rilevò movimento alle sue spalle, ma non fece in tempo a voltarsi. Sora apparve in un lampo da dietro le macerie e lo colpì a una gamba, danneggiandola gravemente. L’AMP Suit perse l’equilibrio e cadde a terra. Il diversivo di Jake aveva funzionato.
« Ottimo lavoro, ragazzo » disse il Na’vi soddisfatto.
« Hehe... grazie » fece Sora con un sorrisetto. « È stata una mossa azzardata, ma alla fine è andata bene. »
« Lo so, ma in battaglie del genere non si può vincere senza rischiare. È finita, Quaritch, hai perso! » aggiunse, rivolgendosi alla macchina riversa al suolo.
L’AMP Suit si muoveva ancora, nel tentativo di rialzarsi. Sembrava non fare caso alla gamba che si stava praticamente staccando... un gesto che evidenziava la sua decisione a non arrendersi.
« Non hai ancora imparato, Sully... non è finita niente... finché respiro! »
Qualcosa di piccolo saltò fuori dall’esoscheletro, atterrando ai piedi di Sora. Il ragazzo ebbe appena un istante per scorgere una sfera metallica, quando questa esplose con un botto fragoroso. Jake non fece in tempo ad intervenire, e vide una palla di fuoco divampare nel punto dove un attimo prima c’era il suo giovane alleato. Quaritch gli aveva lanciato addosso una bomba!
« Sora! »
« Ugh... non temere... il prossimo sarai tu! »        
Il colonnello sollevò un braccio del suo esoscheletro, armato di mitra. Tuttavia non ebbe neanche il tempo di premere il grilletto, perché una musica attirò la sua attenzione.
 
Put on your Sunday clothes we're gonna ride through town
In one of those new horse drawn open cars
We'll see the shows at Delmonico
And we'll close the town in a whirl
And we won't come home until we've kissed a girl!

 
Jake e Quaritch abbassarono lo sguardo nello stesso momento, mentre un piccolo robot faceva la sua comparsa sul terreno di fronte a loro. Era Wall-E, già incontrato prima dai Valorosi: percorreva l’area con i suoi cingoli tutto tranquillo, incurante della situazione di pericolo in cui era finito. Si limitò a fare un cenno di saluto con la mano a Jake, per poi raggiungere il cumulo di rovine più vicino. Evidentemente era ancora alle prese con la sua ricerca.
Crack!
Un attimo dopo, un nuovo gruppo era apparso sulla scena. Jake rimase a bocca aperta mentre il resto dei Valorosi piombava all’improvviso sul posto, grazie alla Materializzazione.
« Ragazzi! Eywa sia lodata... state bene? »
« Quante volte dovremo sentircelo dire per tutto il giorno? » borbottò Hellboy, sbuffando. « Noi stiamo bene, e tu? Abbiamo interrotto qualcosa di serio? » aggiunse, rivolgendo lo sguardo su Quaritch.
« Un momento, dov’è Sora? » esclamò Harry. « Credevamo fosse con te, Jake! »
« Oh cazzo... Sora! »
Jake si votò, ma quando tornò a guardare nel punto dell’esplosione non vide traccia di lui. Possibile che quella bomba lo avesse ridotto in cenere?
« Ora basta! »
Quaritch aveva urlato, e in un gesto di rabbia aveva rimesso in piedi l’AMP Suit. Il danno alla gamba non era poi così grave, dopotutto.
« Non importa quanti siete... io voglio solo quel traditore di Sully! Perciò fatevi da parte o vi ammazzerò tutti, branco di mostri! »
I Valorosi ascoltarono ogni parola, ma senza alcuna intenzione di obbedire. Perciò si misero in posizione di guardia, pronti ad affrontarlo.
« Fermo! »
Le sorprese non erano ancora finite. Qualcun altro aveva parlato, e quando l’intero gruppo si voltò a guardarlo riconobbero Tai Lung, apparso sulla cima di una duna.
« Il panda è mio! Spetta a me ucciderlo » dichiarò, indicando Po.
« Tienitelo pure » disse un’altra voce. Dalla duna di fronte era giunto Nuada, lo sguardo implacabile come al solito. « Io voglio il diavolo che si accompagna a lui. »
« E quello è il mio fratellone... non ho ancora avuto il piacere di farlo a pezzi. »
Ed si voltò, ancora incredulo a ciò che aveva appena udito. La figura di Alphonse si stagliava sopra di lui, su una terza duna.
I Valorosi erano circondati. Quattro dei loro nemici li avevano inseguiti per tutto il Cimitero per stanarli, e ora li avevano radunati in un unico posto. Non erano sicuri di poterli battere in quel momento, vista la situazione così disperata: inoltre, la sorte sul loro compagno Sora era del tutto ignota.
I quattro nemici non esitarono un istante di più. Ognuno di essi si lanciò subito all’attacco, in una furia cieca; i Valorosi restarono in posizione, pronti a difendersi. La scontro ricominciò, ancora più violento e feroce di prima; Quaritch sparava all’impazzata dappertutto, Nuada agitava le sue lame in ogni direzione nel tentativo di raggiungere Hellboy; Tai Lung sferrava pugni e calci alla cieca, in cerca di Po; Alphonse faceva lo stesso, pur di scovare Edward.
In mezzo a quel casino c’era anche Wall-E, ora terrorizzato dagli spari e dai colpi che vedeva esplodere nei dintorni; cercò di mettersi al riparo, ma era come trovarsi nell’occhio di un ciclone... non poteva far altro che aspettare che cessasse.
« Ugh... »
Sora riaprì gli occhi, visibilmente frastornato. Sentiva male dappertutto e gli fischiavano le orecchie. Si mosse con cautela, cercando di capire dove fosse e come stava: l’esplosione lo aveva scaraventato lontano, facendolo finire dentro un cumulo di rovine. Stava bene, a parte qualche graffio... dopotutto era sopravvissuto a botte peggiori, si disse.
Una luce azzurrina attirò la sua attenzione; si voltò e vide qualcosa di metallico brillare. L’urto con quell’affare lo aveva disincastrato dal mucchio di rovine, rimettendolo in funzione: aveva una forma ovale, fatta interamente di metallo bianco; uno schermo rotondo sulla parte superiore mostrava un paio di quelli che sembravano occhi, di un azzurro luminoso, che illuminavano l’ambiente come una torcia elettrica.
Il robot individuò Sora e si mise in posizione eretta, levitando ad un metro da terra. Sembrava in attesa di ordini.
« Ehm... tu chi sei? » domandò il ragazzo, incerto.
« EVE » rispose la voce elettronica del robot, con una tonalità decisamente femminile.
« Eve? Un momento... »
Subito gli tornò alla mente l’immagine incisa da Wall-E su un muro, in cui ritraeva se stesso in compagnia di un altro robot: ora si rendeva conto che il robot che aveva di fronte somigliava molto a quello disegnato da Wall-E.
« Allora sei tu... Eve! La ragazza di Wall-E! »
Eve si allarmò, facendo un suono simile a un « oh » preoccupato.
« Wall-E? » fece. « Dove? »
Prima che Sora potesse rispondere, una serie di rumori attirò l’attenzione di entrambi. Spari, urla ed esplosioni in quantità risuonavano dall’esterno. Il ragazzo giurò di aver sentito le voci di Harry e di Po, nonostante si fosse separato da loro da tempo. Oltretutto, Jake era ancora alle prese con il suo nemico.
Sora non perse altro tempo e venne fuori dalle macerie, seguito a ruota da Eve. In un attimo, tutto divenne chiaro: i suoi compagni erano di nuovo riuniti e stavano affrontando quattro nemici, compreso Quaritch; quest’ultimo sparava all’impazzata dappertutto, complicando le cose a tutti.
E in mezzo a quel caos, riconobbe anche Wall-E.
« Waaaaaaa! »
« Wall-E! » gridò Eve, e nel suo suono era evidente la paura.
« Resta qui, andrò ad aiutarli » le disse Sora, ma Eve si stava già preparando ad agire. I suoi occhi divennero feroci mentre alzava il braccio destro, estraendo quello che sembrava un piccolo cannone.
« Wall-E – Pericolo – Nuova direttiva – Difendere! »
Eve prese il volo, schizzando verso l’alto con la forza di un proiettile. Sora la seguì con lo sguardo, allibito come non mai: un attimo dopo, il robot bianco si era già scagliato sul campo di battaglia, sparando una serie di raggi laser in difesa di Wall-E. Eve mirò con precisione su Quaritch, poiché lo aveva identificato come la minaccia maggiore: i suoi colpi distrussero facilmente le armi dell’AMP Suit, staccandogli persino un braccio. Quaritch, colto di sorpresa, non riuscì a contrattaccare; anche Nuada, Alphonse e Tai Lung furono coinvolti dall’attacco, e furono costretti a retrocedere.
« Maledizione! » ruggì il leopardo, cercando di mettersi al riparo. « E quell’affare da dove salta fuori? »
Eve si abbassò di quota, raggiunse Quaritch e lo colpì in pieno, provocando un’esplosione enorme. L’AMP Suit fu scaraventato all’indietro, ridotto ormai praticamente a pezzi; il colonnello non ebbe altra scelta che uscire dall’abitacolo e fuggire.
« Ritiriamoci » ordinò, rivolto ai suoi alleati. « Non possiamo sconfiggerli in queste condizioni! »
Alphonse, Tai Lung e Nuada si scambiarono un’occhiata. Non erano d’accordo, ma in quel momento si resero conto di non avere altra scelta.
« Se credi che ti lascerò andare ti sbagli di grosso, sua stronzezza reale » disse Hellboy, puntando la pistola contro l’elfo.
« Non temere... ci rivedremo! »
L’elfo gettò a terra una fiala, che esplose provocando un’enorme nuvola di fumo verde. I Valorosi, accecati da essa, furono costretti a fermarsi: era qualcosa di molto simile a una bomba fumogena, utile per celarsi al nemico e favorire la fuga. Quando il fumo si diradò, infatti, gli otto compagni furono costretti a constatare la nuova realtà dei fatti: i loro nemici erano fuggiti.
All’improvviso era calato il silenzio su tutta l’area. Lo scontro aveva devastato ulteriormente un luogo già compromesso da innumerevoli battaglie, e alcune macerie erano ancora fumanti per i colpi subiti. I Valorosi erano tutti in piedi, guardandosi intorno con aria rassegnata; Eve era ancora all’erta, l’arma puntata nella direzione in cui i nemici si erano allontanati.
« Maledizione! » sbottò Jake irritato. « Ormai li avevamo in pugno. »
« Ci toccherà affrontarli di nuovo, allora » commentò Harry. « Ma almeno adesso sappiamo con chi abbiamo a che fare. »
« Già... purtroppo » fece Ed, il più amareggiato fra tutti. I suoi compagni lo videro prendere a calci ogni oggetto che trovava per terra, urlando nel frattempo al vento.
« Perché? Perché? Perché hai scelto lui, Nul? È mio fratello! Perché, maledetto? Di tutti i maledetti bastardi che ho affrontato nella mia vita... perché proprio lui??? »
Nessuno si azzardò a dire niente. Edward Elric aveva tutto il diritto a reagire così, dopo aver affrontato suo fratello. L’unico che forse poteva capirlo era Luke, ma come gli altri aveva deciso di restare in silenzio, aspettando che si calmasse da solo. Ed si piegò sulle ginocchia pochi secondi dopo, esausto per tutto.
Sora si avvicinò a lui, cercando di consolarlo.
« È inutile » sussurrò Ed, ancora sconvolto. « È proprio come ha detto Draven... siamo qui per combattere. E combattere comporta un sacco di cose... soffrire, uccidere... morire. »
« Non abbatterti, Ed » disse Sora. « Non è il momento giusto per questo. Non è ancora successo niente di irreparabile: siamo vivi e abbiamo ancora la forza per combattere. Hai ragione, combattere comporta sofferenza e morte, ma non solo: e noi combattiamo per tornare a casa... per vincere. »
Ed alzò lo sguardo, poco convinto dalle parole dell’amico.
« Vincere? Finora non mi sembra che siamo riusciti a combinare un granché. Guardati intorno: abbiamo scoperto che un sacco di gente ci ha lasciato la pelle in questo posto, e che mio fratello si è unito ai cattivi... cosa abbiamo fatto di buono, finora? Eh? »
Inaspettatamente Sora sorrise, e gli indicò un punto alle sue spalle.
« Be’, abbiamo fatto ritrovare loro. »
Ed si voltò. Lo stesso fecero gli altri Valorosi. Wall-E aveva visto Eve e stava correndo da lei.
« Eeeevvaaaa! »
« Wall-E! »
I due robot si abbracciarono, felici di ritrovarsi dopo chissà quanto tempo. I loro suoni elettronici, per quanto artificiali, sembravano sprizzare gioia da tutti i pori. Non erano solo semplici automi venuti da un altro mondo... erano molto di più: esseri in grado di vivere, di capire, di amare. Alla loro vista, i Valorosi non poterono fare a meno di sorridere, dal primo all’ultimo; come aveva detto Sora, avevano pur sempre fatto qualcosa di buono per loro.
Perché l’eroismo si trova anche nei piccoli gesti.
Jake richiamò tutti i compagni poco dopo, una volta sazio di quella romantica scenetta.
« Ormai è chiaro che Nul non è qui » dichiarò il guerriero Na’vi, guardandosi intorno. « In questo posto non c’è niente per noi, a parte dolore... come se non ne avessimo già abbastanza. Suggerisco di andarcene, prima che quei maledetti tornino all’attacco; non possiamo farci cogliere impreparati un’altra volta. »
« Sono d’accordo » convenne Lara. « Inoltre dovremo restare sempre uniti, da ora in poi: abbiamo visto cosa succede se proviamo a separarci. Non sarà più necessario, dopotutto, ora che abbiamo fatto rifornimento di armi e mezzi, giusto? »
Gli altri compagni annuirono.
« Leviamoci di torno, allora » disse Hellboy, prendendo un sigaro. « Per oggi direi che le brutte sorprese siano state fin troppe... ma almeno possiamo dire di aver incontrato tutti i nostri avversari. »
« Non tutti » aggiunse Luke. « Tra i malvagi che finora ci hanno attaccati, non ho riconosciuto nessuno che provenga dal mio mondo... e ora comincio a temere che Nul possa aver scelto mio padre come mia nemesi. »
« Continuare a pensarci su non ci sarà d’aiuto » tagliò corto Jake. « Dobbiamo proseguire e pensare a un nuovo piano. »
Così, senza aggiungere altro, i Valorosi si rimisero in marcia. Non c’era tempo per riposare, né per riflettere su quanto accaduto; il nemico li aveva trovati. Se non fosse stato per l’intervento provvidenziale di Eve, le cose si sarebbero complicate... e forse ci sarebbe scappato il morto, alla fine.
Così si lasciarono lo scenario alle spalle, mentre la musica romantica di Wall-E rompeva il silenzio che dominava il Cimitero dei Mondi.
Ora era più importante che mai restare uniti, fino alla fine. 

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Capitolo 17
*** Sì, Oscuro Signore ***


Capitolo 17
 
Mentre i Valorosi percorrevano un sentiero che li avrebbe condotti fuori dal Cimitero dei Mondi, qualcuno si divertiva ad osservarli da una posizione elevata. Nul era molto più vicino di quanto quegli eroi sventurati pensassero: in quel momento era proprio nel cuore del Cimitero, sulla duna più alta di tutte, seduto comodo su un trono fatto interamente di spade fuse insieme. Anche se lontano, riusciva a vederli perfettamente, come se avesse un binocolo; nulla poteva sfuggire al suo sguardo in quel mondo spezzato.
Il suo potere era grande, ma lo stesso non si poteva dire della sua pazienza. Così Nul apparve irritato non appena giunsero i suoi ospiti... coloro che aveva richiamato dalla morte: Natla, Ansem, Voldemort, Tai Lung, Nuada, Quaritch e Alphonse erano apparsi sulla cima della duna, tutti insieme.
Ora che il luogo era un po’ più favorito dalla luce, i Risorti potevano distinguere meglio l’aspetto di colui che li aveva convocati. Nul era di altezza e corporatura normali, vestito di una sorta di uniforme nera sotto una lunga cappa bianca; questa era dotata di un cappuccio che gli celava completamente il volto. Inoltre era dotato di due grandi ali nere da uccello, piegate in quel momento lungo i lati del trono di spade. In quel momento Nul appariva irrequieto, a giudicare dalla sua posizione e da come tamburellava le dita sul trono, come un sovrano capriccioso.
« Era ora che arrivaste » sussurrò con voce glaciale. « La puntualità non è il vostro forte, a quanto pare. »
« Manca ancora qualcuno » osservò Quaritch, guardandosi intorno. « Dov’è Vader? »
« Non fate caso a lui... sta agendo esattamente come mi aspettavo. »
« Vuoi dire che ha disertato? » obiettò Ansem. « Dunque non gli importa affatto della proposta di tornare in vita. »
« È buffo che tu lo chieda » ribatté Nul. « Non mi pare di averti visto nei dintorni ultimamente, alla ricerca del tuo piccolo nemico. Nemmeno voi due » aggiunse, guardando Voldemort e Natla. Quest’ultima si teneva una mano sul collo, cercando di nascondere una ferita ancora fresca.
« Niente da dire? » continuò Nul, alzandosi dal trono. « Va bene, vedrò di spiegarlo io. Fino a pochi minuti fa, infatti, qui vicino infuriava una notevole battaglia tra gli eroi e un numero fin troppo ridotto di membri del vostro gruppo. E, indovina un po’? Questi quattro geni » e indicò Nuada, Al, Quaritch e Tai Lung, « non appena hanno capito di essere in inferiorità numerica... hanno deciso di battere in ritirata.
« Tuttavia, questo non sarebbe successo se i miei otto ragazzi avessero deciso di lavorare insieme fin da subito. Se avessero unito le forze, studiato un piano accurato per stanare i loro bersagli e poi massacrarli di brutto, a quest’ora il Cimitero dei Mondi avrebbe sicuramente accolto le loro carcasse senza troppi convenevoli. Invece no... i miei otto ragazzi hanno deciso di agire di testa propria e di andare ognuno per la sua strada! E infatti Vader ha proseguito per quella strada, fregandosene di cos’avevo in serbo per lui. »
« Mio signore » intervenne Natla, cercando di mantenere un’aria rispettosa. « Riconosco di aver sbagliato. Ho agito da sola perché ero convinta di poter eliminare subito la mia nemesi... ma ho sottovalutato la situazione. Lara Croft si è ormai unita a un folto gruppo di eroi, e non si separerà da loro. Non ho speranze di ucciderla con le mie uniche forze. »
Nul la scrutò attentamente, e anche se non era più alto di lei dava comunque la stessa impressione di un’aquila con un verme fra gli artigli. E Natla era il verme, in quel momento.
« Bene » sussurrò alla fine, distogliendo lo sguardo da lei. « La nostra regina di Atlantide, qui, ha imparato la lezione... e voi? C’è qualcuno che ha bisogno di un ripasso? Che mi dici di te, Tom? » aggiunse, rivolto a Voldemort. « Sei ossessionato dal raggiungere il tuo occhialuto amichetto, ma finora non hai fatto un granché. »
Voldemort sibilò qualcosa, visibilmente irritato.
« Tu... osi chiamarmi... »
« Sì, io oso, Tom – Orvoloson – Riddle! » le ultime parole esplosero dalla bocca di Nul con una forza tremenda, e nel frattempo spalancò le ali, sempre più minaccioso. « Io oso perché so tutto di te. So del tuo stupido padre Babbano che non ti ha mai voluto... della tua debole madre strega che si è lasciata morire anziché prendersi cura di te... e della tua fottuta paura di morire. So persino che preferiresti ingoiare un serpente vivo, piuttosto che tornare a frignare sotto quella sedia per l’eternità... luogo da cui io stesso sono venuto a prenderti! Perciò, se davvero desideri tornare al tuo mondo e alle tue abitudini di genocida razzista, dovrai ricordarti che qui comando io. Io oso perché ho il potere. Sono stato chiaro? »
Voldemort tacque. Nul non aveva usato nient’altro che la sua voce, le sue parole, per frenare il temperamento irritante del mago. Proprio per questo gli altri Risorti rimasero al loro posto, perché se un essere del genere era riuscito a fermare il Signore Oscuro solo con le parole, non osavano immaginare di cosa fosse davvero capace.
« ... Sì » fu tutto quello che riuscì a dire lo stregone, chinando il capo.
« Molto bene » dichiarò Nul. « Amici come prima, allora. »
Lanciò un’ultima occhiata all’intero gruppo prima di parlare ancora.
« Ascoltate attentamente, perché non lo ripeterò un’altra volta. I vostri nemici sono in movimento, e si preparano a ricevere un vostro nuovo attacco. Non si faranno cogliere impreparati... vi conoscono bene, e state certi che presto condivideranno le informazioni per affrontarvi adeguatamente. Perciò, se volete avere una possibilità per annientarli, dovrete collaborare. È come dice quel Sora... “tutti per uno, uno per tutti”: non è una frase da pivello, credetemi, perché ha ragione! Quel moccioso e i suoi amici hanno trionfato perché credevano nella forza di un’alleanza... e se davvero desiderate tornare in vita, dovrete cominciare a crederci anche voi! »
Nul non aggiunse altro. Lasciò che i suoi uomini si guardassero a vicenda con aria turbata. Lo avevano deluso, non avevano imparato la lezione con cui avevano pagato perdendo la vita; perciò dovevano farsene una ragione, o avrebbero perso un’altra volta.
A Nul, tuttavia, non importava di cosa avrebbero deciso di fare. Il comportamento di quegli uomini non avrebbe influito minimamente sulla sorte che aspettava tutti, alla fine del gioco. Comunque andassero le cose, tutto procedeva secondo i suoi piani.
Ognuno dei Risorti rispecchiava una reazione diversa: Tai Lung era seccato; aveva sempre agito da solo, dedicando la sua intera vita al raggiungimento del potere supremo. Nuada era più ragionevole; anche se odiava la razza a cui appartenevano la maggior parte dei suoi alleati, doveva ammettere che il loro aiuto sarebbe stato fondamentale... non poteva farcela da solo. Quaritch accettava la situazione senza replicare; dopotutto lui era il più debole fra tutti... il più umano, e non poteva cavarsela da solo in una guerra del genere. Ansem era contrario, eppure non osava replicare; come servo dell’Oscurità non poteva accettare per natura l’idea di essere aiutato... ma aveva fallito troppe volte per aver mantenuto un simile atteggiamento. Natla era d’accordo, ed era stata la prima ad accettare la realtà dei fatti; nelle sue condizioni, non era in grado di proseguire da sola. Voldermort, infine, era il più contrario di tutti: aveva agito autonomamente fin dalla nascita, circondandosi solo di miserabili sudditi da sacrificare; per lui, il Signore Oscuro, l’idea di dover dipendere da qualcun altro era intollerabile.
Ma questo errore gli era costato la vita già in passato... a causa di un ragazzo che aveva contato sulla forza degli amici.  
« E sia » dichiarò Voldemort, inespressivo. « Faremo come hai consigliato... mio signore. »
« Non ripeteremo più lo stesso errore » aggiunse Nuada. « Muoviamoci e riprendiamo la caccia... dove si sono diretti quei bastardi? »
« Non guardare me, scoprilo da solo » rispose Nul indignato. « Questa è la vostra caccia, non la mia! Con i consigli che vi ho dato ho già fatto anche troppo... quindi voltatevi e iniziate a camminare, se volete ritrovare i vostri amichetti del cuore. »
I Risorti lo guardarono male, come se avesse detto una battutaccia. Tuttavia, non appena compresero che da lui non avrebbero ricevuto altri aiuti, si voltarono uno dopo l’altro e si misero in marcia.
« Avrò bisogno di nuove armi » borbottò Quaritch mentre si univa al gruppo. « Dobbiamo fare rifornimento in questo posto, prima di cercare i nostri nemici. »
« Sì, anche a me serve qualcosa di potente » convenne Natla, camminando al suo fianco. « Qualcosa che mi permetta di schiacciare Lara una volta per... ugh! »
Mentre parlava, la donna alata fu colta da una fitta di dolore, partita dal suo collo e diffondendosi per tutto il corpo. Il morso inflittole dal vampiro, giorni prima, non era ancora guarito del tutto. Tuttavia cercò di non darlo a vedere, anche perché non era in compagnia di persone che si preoccupavano per lei.
Non aveva da secoli, a dire il vero, qualcuno che si preoccupasse per lei.
Nul tornò a sedersi sul trono di spade, osservando attentamente il gruppo dei Risorti mentre lasciava quel luogo.
« Bah... idioti » borbottò, non appena sparirono tutti all’orizzonte. « Se continua così, cadranno tutti uno dopo l’altro. Non deve succedere. Sarà meglio che mi procuri una “polizza assicurativa”. »
Detto questo, Nul si alzò dal suo posto e cominciò a rovistare tra le macerie ai suoi piedi, afferrando di tanto in tanto un’arma o un oggetto. Su quella duna in particolare erano conservati i resti delle battaglie più terribili verificatesi nei cicli passati, armi e oggetti appartenuti agli esseri più potenti che si potessero immaginare.
Nul afferrò quindi un lungo pugnale ondulato, osservandolo per un po’: sulla sua lama era incisa la parola “Tremotino”, un nome che riportava alla memoria tutto ciò che riguardava il suo ultimo proprietario. Nul scosse la testa e lo scartò. Poi prese una lunga bacchetta argentata, rinvenuta tra le rovine di una grossa tavola di pietra spezzata a metà; essa era in grado di pietrificare le persone... un potere niente male, ma sprecato nelle mani della persona che lo possedeva. Scartò anche questo. Più avanti rinvenne un grosso elmo metallico, dalle fattezze demoniache, gelido come se fosse appena stato tirato fuori da un blocco di ghiaccio: interessante, ma non era ancora soddisfatto. Aveva bisogno di malvagità pura.
Alla fine lo trovò: un anello dorato, dalla superficie liscia e priva di incisioni... almeno in apparenza. Nul era certo che con lui poteva andare sul sicuro; così, dopo aver fatto un sorriso che nessuno avrebbe mai visto, gettò l’anello oltre la duna. Ora doveva solo aspettare che quel sassolino provocasse la frana da cui nessuno avrebbe trovato scampo.
E l’ultima battaglia si sarebbe conclusa, con sua somma gioia.
 
Poco più tardi, una creatura che ormai da lungo tempo vagava in quel luogo desolato, trovò finalmente ciò che stava cercando. Gollum non aveva mai smesso di cercare, di sperare, di osare: la sua mente spezzata lo conduceva verso l’unico oggetto che bramava al mondo, e ora la sua ricerca poteva dirsi compiuta. Il tesoro era lì, davanti a lui: un anello brillava alla luce del tramonto, abbandonato in mezzo ai rottami ai piedi della duna dove Nul e i Risorti si erano riuniti.
Gollum lo prese subito, immensamente sollevato. Restò a fissarlo a lungo, immobile, col sorriso più largo che potesse fare, in estasi per averlo finalmente trovato. Nulla era importante, a parte l’anello, tornato tra le sue mani ancora una volta.
« Siiiii! » esclamò, pazzo di gioia. « Tessoro! Tessoro! Oh, mio tesoro! »
Cominciò a saltellare dappertutto, in quella che solo lui poteva definire una danza gioiosa. Avrebbe fatto pena a chiunque lo avesse guardato in quel momento, se solo ci fossero state persone ancora vive nelle vicinanze. Ma a Gollum non importava di essere solo, né ridicolo, in quel momento; gli importava solo di aver trovato il suo tesoro: perciò, conclusi i festeggiamenti, cercò di infilarlo al dito, per scoprire che era troppo grande.
« Oh, ma è troppo grande adesso! » brontolò. « Non si può indossare così, non ci renderà invisibili! »
« Dovremmo bagnarlo, forse » suggerì a se stesso. « Tante cose si restringono nell’acqua, tesoro mio. »
« Oh, sì, cerchiamo uno stagno! Ma è proprio un peccato... volevo metterlo subito! Perché ora il tessoro è così grande? Troppo troppo grande per le mie piccole dita! Guarda come invece s’infila bene su questo dito. »
Mentre parlava, Gollum aveva individuato un grosso guanto metallico, dalle dita affilate; senza pensarci due volte, infilò l’anello sul dito medio.
« Visto, tesoro? Gli calza come un guanto! Oh, lui sì che lo porta bene... argh! »
Gollum cadde all’indietro, improvvisamente spaventato. Il guanto si era mosso, chiudendosi a pugno. La sudicia creatura non più grande di un bambino indietreggiò mentre qualcosa di enorme emergeva dai rottami che aveva di fronte: una mano, poi un braccio, infine un corpo. E una voce oscura, cavernosa, iniziò a risuonare nell’aria, raggelandola.
I rottami furono spazzati via con un solo gesto, permettendo al nuovo individuo di fare la sua comparsa sulla scena: alto due volte un uomo, interamente ricoperto da un’armatura terrificante; il suo volto era celato da un grande elmo dotato di corna metalliche rivolte al cielo, come una corona. L’anello brillava sul suo dito, recando ora una frase a lettere infuocate nella lingua nera del suo padrone.
« Un anello per domarli. Un anello per trovarli. Un anello per ghermirli. E nell’oscurità incatenarli. »
Sauron, l’Oscuro Signore di Mordor, era risorto. La volontà di Nul risuonava nella sua mente... sapeva già cosa fare; così brandì la sua fedele arma, una possente mazza ferrata, pronto a mettersi in marcia. Prima di muoversi, tuttavia, rivolse lo sguardo su Gollum, ancora tremante ai suoi piedi.
« T-tesoro... » gemeva, « mio... mio tessoro... »
L’ultima cosa che vide furono gli occhi di Sauron riempirsi di fiamme, prima di essere incenerito nel giro di un istante. Il tempo di Gollum, eterno cercatore dell’Anello, era finito. Quello di Sauron, solo e unico padrone dell’Anello, era ricominciato.    

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Capitolo 18
*** Il guardiano dell'eterna illusione ***


Capitolo 18
 
Un nuovo giorno sorse sul mondo. Quando i Valorosi si svegliarono, tutti insieme nel loro rifugio, furono delusi di scoprire che l’incubo non era ancora finito: ogni notte si addormentavano con la speranza di risvegliarsi il giorno dopo nei loro letti, nei mondi da cui provenivano... ma ogni giorno, il luogo in cui si erano addormentati era sempre lo stesso. Lo stesso mondo di caos in cui erano prigionieri.
Almeno la notte era trascorsa in assoluta tranquillità. I Valorosi si erano accampati in un luogo ai confini del Cimitero dei Mondi, proteggendolo con tutte le risorse a loro disposizione. Edward aveva trasmutato le rovine per creare una grande cupola di metallo, sigillata e impenetrabile; Harry aveva eseguito i soliti incantesimi di protezione per rafforzare le difese e rendere il luogo invisibile dall’esterno; Jake aveva piazzato alcune trappole lungo il perimetro, che li avrebbero avvisati di un pericolo in agguato. Tutto questo, comunque, si rivelò superfluo, perché nessuno pensò di attaccare il gruppo durante la notte; sembrava che Nul volesse almeno concedere loro quei piccoli momenti di tregua, per prolungare la partita e il suo diletto il più possibile.
Gli otto compagni uscirono quindi dal rifugio, dopo aver consumato una colazione sostanziosa. Con loro grande sorpresa, il Cimitero non aveva fornito solo armi e munizioni, ma anche cibo: Po aveva rinvenuto in quello stesso posto un’intera dispensa, dalla quale aveva fatto un abbondante rifornimento. Così, una volta freschi e riposati, i Valorosi ripresero la marcia verso l’ignoto.
« Ci serve un nuovo piano » dichiarò Harry durante il cammino. « Non possiamo vagare alla cieca senza una meta precisa. Forse dovremmo tornare da Draven e chiedergli nuovi consigli. »
« Ormai siamo troppo lontani dalla sua tomba » disse Jake. « Inoltre ho l’impressione che Draven ci avesse già detto tutto ciò che sapeva... per cui sprecheremmo solo tempo. »
« Già... io non intendo rimettere piede là dentro! » borbottò Edward, lanciando un’ultima occhiata disgustata al Cimitero dei Mondi ormai alle spalle.
« Allora dove andremo? » domandò Po preoccupato.
« Per il momento seguiremo il consiglio di Sora » rispose Jake. « Andremo avanti finché non troveremo qualcosa. »
I Valorosi si voltarono tutti a guardare Sora, che si limitò a ricambiare con un sorrisetto. Il suo ottimismo non era ancora venuto meno.
« Ce la caveremo, amici, vedrete » dichiarò. « Ora siamo pieni di energia e armati fino ai denti, dopotutto. A proposito, Harry, dove hai preso quella spada? »
« Oh... è vero » disse il giovane mago, guardando istintivamente la sua nuova arma: una spada argentata, con l’elsa d’oro tempestata di gioielli. « Non ve ne ho ancora parlato. Questa è la spada di Godric Grifondoro, uno dei fondatori della mia scuola; l’ho estratta ieri dal Cappello Parlante mentre affrontavo il fratello di Ed. Mi ha tirato fuori dai guai un sacco di volte... e se il destino ha voluto che tornasse nelle mie mani ancora una volta, non rifiuterò il suo aiuto. Forse stavolta riuscirò davvero a tagliare la testa a Voldemort con questa. »
Molti Valorosi scoppiarono a ridere. Ormai dovevano ringraziare il cielo per riuscire a godersi ancora questi piccoli momenti di ilarità, di gioia.
Nel frattempo, erano giunti in un’altra area che potevano definire bizzarra anche per i loro parametri. Nonostante si fossero ormai lasciati alle spalle le enormi dune formate da armi, ruderi e cianfrusaglie, il Cimitero dei Mondi aveva ancora un’ultima sorpresa per gli otto eroi: un’area che un tempo doveva essere stata un parco pubblico o qualcosa del genere, ormai in rovina. Dove un tempo sorgevano alberi e giostre per i bambini, ora spuntavano dal terreno grossi pilastri di cristallo; erano disseminati dappertutto, circondando i Valorosi come una boscaglia.
Dal momento che quei cristalli apparivano immobili e non dimostravano alcuna minaccia, il gruppo pensò di ignorarli... ma questa iniziativa ebbe vita breve, non appena Lara esclamò per lo sgomento dopo aver dato un’occhiata più da vicino.
« Diosanto! Ci sono delle persone qua dentro! »
Gli altri compagni si voltarono, allarmati. Quando rivolsero lo sguardo sul cristallo, si resero conto che Lara aveva ragione: all’interno del pilastro erano rinchiuse due persone, abbracciate insieme. Un giovane dai capelli biondi a caschetto, non più vecchio di Sora o di Harry, vestito di azzurro e dotato di quella che sembrava una coda da scimmia; stringeva tra le braccia una splendida fanciulla dai lunghi capelli corvini, vestita di bianco. In quell’abbraccio reso eterno dalla prigionia del cristallo era evidente l’amore con cui si guardavano negli occhi; erano felici, benché prigionieri...
Alla base del cristallo, Sora notò una scritta, ma non riuscì a leggerla.
« Che lingua è? Non la capisco nemmeno un po’... Lara, tu riesci a decifrarla? »
« Fammi vedere » disse l’archeologa, chinandosi in avanti. « Ah, è italiano. Una lingua europea, per chi non lo sapesse. Dunque, dice: Gidan, intrepido ladro venuto dal mondo morente... Garnet, principessa invocatrice dei grandi spiriti... il loro amore non sarà dimenticato. E c’è una data... 1999. »
« Una specie di epigrafe, in pratica » disse Jake, con un’espressione amara sul volto. « E questi poveretti sarebbero ibernati qui dentro da anni? Ammesso che in questo mondo il tempo abbia un senso... »
« Se la cosa può farti stare meglio, ti dico subito che non sono vivi » aggiunse Luke. « Non percepisco nessuna forza vitale in loro... e nemmeno negli altri che stanno qui attorno. »
Sora, Harry, Ed e Po si scambiarono un’occhiata sconvolta, e una domanda sorse inevitabile nelle loro menti: chi aveva potuto fare una cosa simile? Chi si era preso la briga di imprigionare quelle persone nei cristalli?
La risposta poteva essere una sola: Nul.
Così i Valorosi proseguirono, cercando di ridurre al minimo gli interrogativi. Non potevano fare a meno, tuttavia, di osservare gli altri cristalli; ognuno di essi imprigionava una coppia di persone, un maschio e una femmina, tutti stretti nello stesso abbraccio caloroso. Ogni tanto Lara si soffermava a leggere le loro epigrafi, scritte nella stessa lingua.
« Raiden... soldato divenuto macchina... non perse mai il suo cuore. Rosemary... non smise mai di amarlo. 2008. »
E nel cristallo, un giovane dal corpo robotico stringeva tra le braccia una donna dai capelli bruni, il loro amore reso eterno come tutti gli altri.
« Ehi, Lara! »
L’archeologa alzò lo sguardo. Sora l’aveva richiamata, invitandola ad avvicinarsi al cristallo presso il quale si era fermato lui. Il ragazzo sembrava ancora più sconvolto di prima, e non capiva perché. Dentro quel cristallo riposava un’altra coppia: lui, un ragazzo alto e biondo, il fisico allenato e abbronzato; lei, una delicata fanciulla dai corti capelli castani, vestita con un abito bianco e azzurro che ricordava i kimono giapponesi. Il loro aspetto non significava nulla per Lara, ma Sora sembrava avere un’opinione molto diversa.
« Che succede? » domandò.
« Ti prego... dimmi cosa c’è scritto qui » disse Sora, indicandole la scritta.
« Vediamo... Tidus, il campione del sogno... Yuna, l’intrepida invocatrice. Diversi come il sole e la luna... insieme per sempre, dopo una lunga attesa. 2004. »
Tornò a guardare Sora, che non aveva mutato espressione. Allora cominciò a capire.
« Li conoscevi? »
« Conoscevo lui... Tidus » mormorò Sora, amareggiato. « Era un mio amico, sull’isola da cui provengo. Ma non ha senso... il Tidus che conosco io aveva la mia stessa età. Questo sembra più grande, ma la somiglianza è enorme. »
Lara rimase senza parole. Vista la situazione, sapeva che sarebbe stato inutile suggerire che forse si trattava di un’altra persona. Ormai poteva dire di conoscere bene il Custode del Keyblade... era certa che non fosse tipo da sbagliarsi così facilmente.
« Uhm, forse viene da un altro mondo » suggerì Ed, « uno dove il tuo amico ha vissuto una vita diversa da quella che conosci. »
« Già... può essere » ammise Sora, pur restando afflitto. « Ho avuto già a che fare con casi del genere, ora che mi ci fai pensare. Eppure tutto questo riesce ancora a sorprendermi... e non ci capisco nulla. »
E proseguirono, facendo cadere l’argomento senza ulteriori giri di parole.
La curiosità attirò più avanti lo sguardo di Hellboy, soffermandosi a guardare un cristallo che rinchiudeva una coppia decisamente insolita: lui aveva sembianze di un uomo grosso e possente, tutto muscoli e con la pelle verde, l’aria di un feroce bruto; tra le sue braccia stava una donna grigia, vestita di un’armatura leggera, con capelli neri raccolti in una lunga coda. Nonostante fossero molto diversi nell’aspetto, il loro amore era ciò che li accomunava al resto delle persone rinchiuse nei cristalli.
« L’incredibile Hulk » lesse Lara sull’epigrafe. « Eroe difensore... esiliato nello spazio. Caiera l’Impetuosa... guerriera ombra. Insieme... sovrani di Sakaar. Un breve amore... che non dimenticherò mai. 2007. »
« Strano, comunque » borbottò Hellboy. « Ok, è tutto strano da queste parti... ma questo posto ha un elemento che stona con tutto quello che abbiamo visto finora. »
« Che vuoi dire? » domandò Lara.
« Il Cimitero dei Mondi trasudava morte da ogni ferraglia su cui abbiamo messo piede » spiegò, « e anche il resto dei luoghi che abbiamo visitato non erano da meno. In pratica, significa che Nul non si è fatto alcuno scrupolo nel far morire tutti i nostri predecessori, e a scaricare i loro resti nel Cimitero. Ma che mi dite di loro? » e indicò i cristalli. « Perché sono stati “conservati” in questa maniera? Possibile che avessero qualcosa di speciale? »
« Be’... è possibile, a giudicare da queste scritte. Sembra che l’artefice abbia deciso di trattare queste persone come dei monumenti... per non dimenticarli. Non ho idea se possa essere stato Nul... ma chiunque, sia stato, la sua idea rimane comunque agghiacciante. »
« Già » fece Jake, sfiorando uno dei cristalli con amarezza. « Tutta questa gente rinchiusa qui dentro... non oso pensarci! »
Le circostanze, fortunatamente, non diedero ai Valorosi la possibilità di ulteriori riflessioni. Poco dopo, infatti, udirono di colpo una musica levarsi nei paraggi, attirando la loro attenzione; un suono leggero ma lugubre, proveniente da quello che sembrava uno strumento a fiato. E il suonatore non era molto abile ad eseguire la melodia, a giudicare dalla scarsa esecuzione.
Gli otto compagni si misero in guardia, procedendo con le armi in pugno. Jake camminava in testa al gruppo come al solito, si acquattò dietro un cristallo e sbirciò verso la direzione da cui proveniva il suono. Guardò per pochi secondi, poi si rivolse al gruppo e fece loro cenno di procedere.
Superato il cristallo, i Valorosi trovarono ciò che gli occhi di Jake avevano individuato: un uomo, seduto sul terreno appoggiando la schiena a un cristallo più grande degli altri, come se fosse il monumento principale. Era alto, sulla trentina, i capelli neri come la pece; vestiva con semplici abiti di città, jeans, una camicia rossa e una giacca nera... e sembrava portarli da giorni, per come apparivano sporchi e rovinati.
L’uomo era intento a suonare un clarinetto con aria assente, del tutto disinteressato a ciò che lo circondava; continuò a suonare mentre i Valorosi si avvicinarono a lui, mantenendo la guardia. Si aspettavano di tutto da quel tipo, nonostante apparisse disarmato e decisamente male in arnese: aveva occhiaie profonde, la barba incolta e puzzava di alcol. Inutile dire che stava affrontando un periodo difficile della sua vita.
Quando gli otto compagni lo circondarono, le armi ancora in pugno, l’uomo smise finalmente di suonare e li guardò.
« Uhm? Salve » disse a nessuno in particolare. « Vi è piaciuto lo spettacolo? Vi avverto, non concedo bis... »
« Questo qui è ubriaco fradicio » dichiarò Hellboy. Era un esperto nel riconoscere simili condizioni, dopo anni trascorsi a bere fiumi di birra.
« Sì, be’... capita di diventarlo, dopo aver vuotato questa » e sollevò una mano, mostrando una fiaschetta che un tempo doveva contenere qualche liquore. « Ma questo non mi impedirà di compiere il mio dovere... contro di voi! »
L’uomo si alzò all’improvviso, barcollando. I Valorosi indietreggiarono di un passo, stringendo la presa sulle loro armi.
« Bene, miei cari mostri » borbottò l’uomo. « Dite le vostre ultime preghiere... dopodiché impegnatevi a memorizzare il mio nome: Dylan Dog, l’indagatore dell’incubo! Perché sto per rispedirvi tutti quanti all’inferno.
« Groucho! La pistola! »
L’uomo chiamato Dylan Dog aveva urlato al vento, e il silenzio fu l’unica risposta che arrivò. I Valorosi si scambiarono un’occhiata confusa.
« Oh... giusto. Groucho non c’è più... non ricordo se sia morto o se l’ho licenziato. Well, poco importa... posso cavarmela da solo. »
Dylan scostò la giacca e tirò fuori una pistola; ebbe appena il tempo di sollevarla, prima di vedersela strappar via per mano di Luke... o meglio per mezzo del suo potere. Il Jedi l’afferrò, ma non era un esperto di simili armi da fuoco, così la passò a Lara.
« È scarica » dichiarò, dopo averla controllata.
Dylan scoppiò a ridere, tornando ad appoggiarsi contro il cristallo. C’era poco da fare, era in uno stato pietoso, sembrava a malapena rendersi conto di ciò che faceva. A quel punto i Valorosi accettarono l’idea che quel tipo non poteva essere una minaccia per loro, così abbassarono le armi. Lara si fece avanti per aiutarlo a reggersi.
« Cerca di calmarti » gli disse, esaminando le sue condizioni. « Ti chiami Dylan, giusto? Sei inglese come me, riconosco l’accento... di Londra, scommetto. »
« Brava, hai capito tutto... vorrà dire che ti offrirò una pizza, una volta finito qui. »
« Un cacciatore di mostri » mormorò Jake, osservandolo. « Si direbbe un tuo collega, Red. »
« Può darsi, ma non l’ho mai sentito nominare » ribatté Hellboy. « E comunque, non sembra valere un granché. »
Dylan gli lanciò un’occhiata gelida.
« Ma sentilo, il rosso... si permette di sputare sentenze sugli altri come se li conoscesse da un pezzo. Vieni più vicino e ti faccio vedere cosa so fare! Oh sì, ti farò vedere di che pasta è fatto Dylan Dog, l’acchiappafantasmi, il detective del paranormale, il cacciatore di mostri... eccetera eccetera. Ti dimostrerò, sì, perché sono stato scelto per combattere in questo mondo. »
« Come vuoi » disse Hellboy, facendo un passo in avanti. « Ma poi non lamentarti se ti faccio la bua. »
« Aspetta, Red! » intervenne Sora, che subito si avvicinò a Dylan per difenderlo. « Guardalo bene, ormai è chiaro per tutti... è un altro eroe.
« Non vogliamo farti del male, te lo assicuro » disse a Dylan sorridendo. « Anche noi siamo eroi, giunti da lontano per combattere... come te. Hai detto di essere stato scelto, giusto? Tu cosa sai di questa storia? »
Dylan si limitò a fissarlo con uno sguardo orribile, come per dire “non avete idea di quello che ho passato”.
« Dio, che sete » borbottò, lanciando un’altra occhiata alla sua fiaschetta vuota. « Se avete qualcosa per rinfrescarmi la gola... vi dirò tutto. »
« Dai qua » intervenne Harry, e gli prese la fiaschetta dalle mani. Puntò la bacchetta e disse « Aguamenti »; la fiaschetta si riempì istantaneamente di acqua. La passò a Dylan che, ammirato, bevve tutto d’un fiato.
« Umm, niente male » commentò. « Un gran bel trucco, non c’è che dire... poi mi spiegherai come hai fatto. Sai com’è, non credo nella magia... »
« Mi sembra strano, visto il lavoro che fai. »
Dylan si alzò di nuovo.
« Già... il mio lavoro. Cominciamo da quello, visto che siete così interessati a me. Ho cominciato facendo il poliziotto a Scotland Yard, ma ho mollato a causa di vari problemi. La morte della mia ragazza ribelle, tanto per cominciare... e la mia caduta verso l’alcolismo. Ho lasciato la polizia e mi sono messo in proprio, indagando sui fatti paranormali che affliggevano le persone di Londra e dintorni. Non dico che il paranormale abbonda dalle mie parti... ma sono sempre riuscito a tirare avanti con quel poco che guadagnavo.
« Avevo un assistente, Groucho, un tipo sbucato dal nulla con la passione per le barzellette antiche... utile quanto una pistola scarica, il più delle volte... ma era mio amico. Insieme abbiamo visto gli orrori più atroci che abbiano mai colpito il nostro mondo: abbiamo affrontato creature diaboliche e scacciato spiriti dai frigoriferi, e ucciso innumerevoli mostri, quelli veri... gli uomini cattivi. Insomma... ho fatto la parte dell’eroe un sacco di volte, anche se i giornali continuavano a darmi del ciarlatano; deve essere per questo che alla fine sono stato scelto per partecipare a questa guerra. »
Molti dei Valorosi trattennero il fiato. Finalmente Dylan stava per rivelare ciò che gli interessava.
« Sono stato reclutato tempo fa » disse, « insieme ad altri strani personaggi. Me li ricordo bene... c’erano un papero parlante mascherato... un ragazzo biondo con uno spadone... un tipo con una tuta arancione, in grado di volare e far diventare i suoi capelli d’oro... e poi la ragazza cinese, aveva un vestito azzurro e un gran paio di cosce... un gran bel bocconcino.
« La nostra missione era sconfiggere i cattivi... come al solito, del resto. Nul li aveva recuperati dall’aldilà per farli combattere contro di noi, sfruttando il loro desiderio di vendetta. Così abbiamo combattuto... e ho avuto la peggio. C’è stata un’esplosione pazzesca che mi ha messo ko... e quando ho ripreso i sensi, intorno a me non c’era più nessuno... vivo: i miei compagni, morti o spariti nel nulla; il mio nemico, morto anche lui... ma non per mano mia. E da allora sono bloccato in questo dannato posto.
« Fine della mia grande storia » concluse Dylan. « Spero che sia stata di vostro gradimento. »
« Mica tanto » commentò Po, rattristato.
« Quello che ti è accaduto è terribile, non possiamo negarlo » disse Jake. « Ma c’è una cosa che non capisco... se il tuo nemico è morto e la battaglia a cui hai partecipato si è ormai conclusa, tu perché sei ancora qui? Per quanto ne sappiamo noi, Nul avrebbe dovuto riportarti nel tuo mondo. »
« Già... be’, chiedeteglielo pure perché non è più tornato a prendermi... ammesso che riusciate a trovarlo » rispose Dylan. « Giuda ballerino... ho vagato per quella discarica per giorni, alla ricerca di quel bastardo... e non l’ho mai trovato. Ormai ho raggiunto il limite, non so più niente... è già tanto se riesco ancora a ricordarmi chi sono e come suonare Il trillo del diavolo con il clarinetto. Questo, almeno, è un posto tranquillo dove passare il tempo che mi resta. »
L’uomo posò una mano sul cristallo a cui era appoggiato, con fare nostalgico. I Valorosi alzarono lo sguardo, osservando la coppia sigillata al suo interno: un giovane alto dai corti capelli biondi, vestito di arancione, recava sulle guance dei segni simili a baffi di animale; la ragazza tra le sue braccia aveva invece lunghi capelli corvini e un viso gentile, con due grandi occhi perlacei. Si guardavano negli occhi con passione, perdendosi ognuna nello sguardo dell’altro. Agli occhi dei Valorosi, quella coppia non sembrava molto diversa da tutte le altre rinchiuse nei cristalli; eppure quei due erano esposti come se fosse il pezzo migliore di quella grottesca collezione, il più importante. Lara si chinò per decifrare l’iscrizione, in cerca di risposte.
« Naruto Uzumaki... portatore del demone volpe, salvatore del mondo. Hinata Hyuga... principessa del Byakugan... prima fra tutti a dirgli “ti amo”. Ho atteso sette anni... per vedervi insieme. Siete i migliori. 2014. »
I Valorosi restarono a guardare e ad ascoltare. Alla fine, tuttavia, ne sapevano quanto prima, mantenendo il silenzio che aleggiava improvvisamente intorno a loro. Dylan intercettò la loro aria perplessa, e decise di intervenire.
« Eh... non sono carini? » disse, indicando i due ragazzi nel cristallo. « Sembra che il proprietario del terreno li abbia nominati “miglior coppia del secolo” o roba del genere... questo spiega la loro permanenza là dentro, alla faccia di tutti gli altri concorrenti. »      
« Ma che significa tutto questo? » intervenne Harry. « Cos’è questo posto? Chi è stato a rinchiudere qui tutte queste persone? È stato Nul? Perché? »
« Whoa, rallenta, ragazzo... ho un gran mal di testa. Sono ancora ubriaco, se l’hai dimenticato.
« Davvero volete saperlo? Be’, a me piace chiamarlo “il giardino dell’eterna illusione”... e ovviamente con questo nome mi riferisco all’amore, quello con la “A” maiuscola. L’amore vero, eterno e passionale, quello su cui fantasticano tutti... me compreso.
« E in questo giardino... sono raccolti parecchi tizi che hanno coronato il loro sogno d’amore » proseguì Dylan, allargando le braccia come per mostrare il luogo nella sua interezza. « Eroi venuti dai loro mondi con le loro fidanzate, mogli o amanti... ognuno di loro aveva una commovente storia romantica di cui andare fieri. Hanno combattuto e sono morti, dal primo all’ultimo. Tuttavia, sembra che qualcuno abbia apprezzato le loro storie a tal punto da concedergli quella che lui considera una “degna sepoltura”... li ha rinchiusi in questi cristalli, una coppia dopo l’altra... per non dimenticarli. Non ho idea di chi sia stato... ma di certo è un gran sentimentale. »
I Valorosi rimasero in silenzio, assimilando le nuove, ultime informazioni fornite dal detective. Le cose stavano più o meno come le avevano immaginate, ma con le parole usate da quell’eroe caduto in disgrazia, avevano un altro sapore, decisamente più amaro. Dylan aveva parlato per tutto il tempo con tono ironico, come se non gli importasse affatto di tutta quella gente; qualunque cosa gli fosse accaduta durante la sua battaglia, doveva averlo stravolto profondamente.
« E tu perché sei qui? » gli domandò Jake, spezzando il silenzio ancora una volta. « Perché hai deciso di fermarti in questo posto? Se non conosci nessuno di loro, che cosa ti impone di restare qui in eterno? »
Dylan si accasciò nuovamente a terra. Lara si offrì di aiutarlo ad alzarsi, ma lui rifiutò; afferrò di nuovo la fiaschetta e bevve un sorso, anche se si trattava di acqua.
« Perché... li invidio » rispose, levando lo sguardo al cielo. « Li invidio tutti, dalla prima all’ultima coppia di piccioncini. Tutti questi eroi... hanno trionfato su una cosa in cui ho sempre fallito... hanno trovato l’amore. Mentre io, fin da quando ho cominciato ad interessarmi alle donne... non sono stato capace di tenerne una al mio fianco per più di qualche mese.
« A questo punto vorrete chiedermi “perché, Dylan? Perché non hai trovato il vero amore?”. Nel mio cuore ci sono state centinaia di donne – non vi prendo in giro, è la verità – le ho amate davvero, per la maggior parte... e le ho viste sparire tutte dalla mia vita per diversi motivi: io lasciavo lei... lei lasciava me... lei era il colpevole... lei moriva. Ecco, questa è un’altra costante della mia vita: tutti muoiono intorno a me... mentre io sopravvivo. »
E chinò il capo, facendosi afflitto tutt’ad un tratto.
« Una cosa è sicura... se c’è un problema nella mia vita, quel problema sono io. Ora mi è tutto chiaro, dopo anni passati a restare chiuso nel mio guscio fatto di stronzate. Le mie abitudini... i miei valori... mi hanno marchiato per tutto questo tempo: Dylan Dog il vegetariano, il claustrofobico, l’ambientalista, l’anti-tecnologico... un uomo la cui vita sociale si riduce in tre fasi: pizza, cinema e sesso occasionale! Un uomo che preferirebbe morire... piuttosto che adattarsi al progresso e ai cambiamenti della società. Uno stupido che non crede nemmeno nel lavoro che fa... nonostante abbia affrontato mostri e incubi a centinaia. »
E tacque di nuovo. Lara si chinò su di lui, cercando di scuoterlo, ma non servì a molto. Lei e i suoi compagni avevano di fronte un uomo distrutto.
« Sei troppo duro con te stesso » gli disse. « Ti stai prendendo colpe eccessive, credi che tutto sia perduto e non puoi farci niente. Puoi ancora rimediare, basta volerlo. »
« Volerlo? Ma certo che lo voglio » sbottò Dylan, che in un attimo si rialzò in piedi, così forte da spingere Lara all’indietro. « Ho sempre voluto qualcosa dalla mia vita, senza mai capire cosa fosse... ma ora è tutto chiaro. Io voglio quello che vogliono tutti... voglio quello che volevano loro » e si voltò a guardare i due ragazzi nel cristallo, « e che hanno ottenuto nel momento in cui si sono baciati al chiaro di luna, o dovunque fossero... felicità! Tutta questa gente... tutti questi cuori ardenti di passione... hanno avuto la felicità in pugno dopo aver trionfato sulle forze del male, come tutti i veri eroi. Mentre io, nonostante abbia fatto le stesse cose... per decenni... mi trovo ancora così: solo e pieno di angoscia... e incubi. Chiunque viva lassù » e indicò il cielo « non vuole che io sia felice! Mi ha maledetto con una vita di orrori! »
Grosse lacrime sgorgarono dai suoi occhi, colando lungo le sue guance per poi cadere a terra. Non c’era uno tra i Valorosi che non fosse turbato per tutto questo: lo stato pietoso in cui versava quell’uomo e la sua tragica storia. Che cosa potevano fare per aiutarlo? Cosa potevano dire?  
Ancora una volta, Sora cercò di risolvere la situazione, e si avvicinò ulteriormente a Dylan.
« Non puoi mollare così, amico » gli disse. « Sei un eroe, dopotutto... non pensi mai alle vite che hai salvato? A tutta quella gente che ha avuto un futuro grazie a te? Non puoi aver dimenticato tutto ciò che hai fatto di buono durante la tua “carriera”. La tua vita sarà stata piena di oscurità... ma io ho imparato da tempo che dentro tutta quella oscurità c’è una luce che non si spegne mai. Forse la tua luce è piccola, debole... ma c’è ancora, fidati. Noi possiamo aiutarti a farla brillare ancora di più, se lo vorrai; unisciti a noi, Dylan... combatteremo insieme per tornare a casa. »
E gli tese la mano, convinto di ogni singola parola pronunciata. Dylan fissò il ragazzo a lungo, in silenzio, assimilando lentamente il discorso che gli era stato rivolto.
Alla fine allungò una mano verso quella di Sora. Ma la respinse.
« No » dichiarò l’uomo, scuotendo la testa. « Apprezzo la vostra offerta, ragazzi, ma la rifiuto. È meglio per voi fare a meno di me, dal momento che ho l’abitudine di far morire tutti quelli che mi stanno vicino. Inoltre, anche se dovessimo riuscire nell’intento... io non sarei per niente contento di tornare a casa... a quella vita di cui sinceramente sono arcistufo. »
Dylan vide gli otto compagni assaliti dallo stupore mentre dava la sua risposta, ma non gli importava.
« Non dire assurdità! » sbottò Hellboy. « Sei davvero stanco di vivere? Ti senti davvero così annientato da voler restare a marcire in questo posto? »
« Mah, a dire il vero speravo di esalare l’ultimo respiro in una comoda suite imperiale... ma per il momento questo è tutto ciò che passa il convento. Dopotutto, è destino che io finisca le mie avventure a mani vuote... perché dovrei rompere la tradizione proprio adesso? È giusto così, ragazzi... non voglio tornare indietro. Sono certo che l’aldilà non sarà così male... in fondo, zombi a parte... non è mai tornato nessuno per lamentarsi. »
Il suo sguardo rimase fisso sui Valorosi, che ormai lo guardavano con aria rassegnata. Erano ancora disposti a portarlo con loro, anche con la forza se necessario, ma ormai era chiaro che avrebbero agito contro la volontà di quell’uomo. Non era abbastanza simile a loro. Non potevano capirlo.
Ma lui poteva capire loro, almeno un po’.
« Uhm... visto che mi siete simpatici, farò qualcosa per voi. Non posso seguirvi, ma almeno posso aiutarvi. Ho cercato Nul dappertutto, in questa città, ma senza alcun successo. Ho capito che la sua dimora non è da queste parti, ma in un luogo più lontano... se volete raggiungerla, dovete lasciare la città e proseguire oltre. Il modo più rapido... è prendere il largo. Se procederete in quella direzione » e indicò alla sua destra « arriverete al porto. »
I Valorosi guardarono nella direzione indicata. In lontananza potevano scorgere uno spazio vuoto tra gli edifici che delimitavano il parco, offuscato dalla nebbia. Da quella distanza non riuscivano a vedere altro, ma volevano comunque fidarsi.
« Sei certo di ciò che dici? » domandò Jake.
« Sì... » rispose Dylan. « Mi fido del mio istinto... o, come lo chiamavo nel mio mondo... il mio quinto senso e mezzo.
« Andate, adesso. Spero di non rivedervi più... perché vorrà dire che sarete riusciti a tornare a casa... o che sarete tutti morti. In entrambi i casi, vi auguro buona fortuna. »
« Ehm... grazie » commentò Edward, mentre muoveva i primi passi verso la direzione indicata.
Uno dopo l’altro, i Valorosi si allontanarono, lasciando Dylan Dog al suo destino. L’ultimo a salutarlo fu Po, che prima di partire decise di fare qualcosa per lui.
« Tieni » disse, porgendogli un pacchetto avvolto in un tovagliolo. « Sono un po’ delle nostre provviste... ti sentirai meglio dopo aver mangiato qualcosa, spero. E c’è anche qualcosa da parte di Red... mi ha detto lui di dartele, in caso di pericolo. Be’, buona fortuna per tutto. »
Il panda fece un inchino e gli voltò le spalle, ricongiungendosi al suo gruppo.
Dylan li seguì a lungo con lo sguardo, finché non sparirono tra la nebbia oltre i cristalli. Lui rimase dov’era, seduto ai piedi del pilastro dove lo avevano trovato.
« Bah... che Dio li aiuti, o chi per lui » mormorò. Aprì dunque il pacchetto che gli aveva dato Po e vide il cibo; non c’era nulla che contenesse carne, perché il panda si era ricordato che era vegetariano. Uno dei pochi valori a cui ancora riusciva a dare importanza, in quel mondo spezzato.
Poi vide il dono di Hellboy... non aveva dubbi che potesse essere da parte sua: una scatola di proiettili, compatibili per una pistola a sei colpi come la sua.
Dylan scoppiò a ridere, mentre una buona idea gli illuminò il cervello; così, dopo aver finito di mangiare quell’ottimo pasto che gli fu donato, prese la pistola e la caricò. Si alzò in piedi e si rivolse alla coppia dentro il cristallo, eroi di un altro mondo favoriti dalla pietà di una volontà superiore.
Se solo fosse riuscito anche lui a trovare il vero amore, a quest’ora avrebbe ottenuto lo stesso privilegio... invece di stare ai piedi di quel gelido feretro, mentre si puntava la pistola alla tempia.
« Essere o non essere » recitò sorridendo. « Questo è il problema. »

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Capitolo 19
*** La prova del padre ***


19. La prova del padre

 

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Il Giardino dell’Eterna Illusione, come lo aveva chiamato Dylan Dog nel suo tragico racconto, era ormai alle spalle dei Valorosi. Avevano seguito le indicazioni dell’eroe ubriaco e si erano diretti ad est, lungo una via che li avrebbe condotti al porto. Erano tornati così in un normale ambiente urbano, anche se in giro non si vedeva nessuno: non c’era traccia dei Senzavolto, che di solito affollavano le strade come la gente comune. Al loro posto, una fitta nebbia aveva invaso l’intero isolato, rendendo difficile l’orientamento.

« Lumos » mormorò Harry Potter, e la punta della sua bacchetta si accese per illuminare l’ambiente. Non era un gran miglioramento, ma almeno potevano distinguersi e tenersi d’occhio a vicenda, per evitare che qualcuno prendesse la direzione sbagliata.

Jake Sully, in testa al gruppo come al solito, si voltò all’improvviso, come se qualcosa lo avesse distratto.

« Tutto bene, Jake? » chiese Sora.

« Sì » rispose lui, anche se non era convinto. « Mi è solo parso di sentire un rumore in lontananza... sembrava uno sparo. »

Gli altri compagni si voltarono nella stessa direzione, cioè quella da dove erano venuti. Un brutto presentimento li assalì uno dopo l’altro, ma non avevano modo per scoprire la verità. La nebbia si era diventata ormai così fitta da celare completamente la via alle loro spalle. Dovevano proseguire, finché riuscivano a vedere qualcosa.

« Maledizione » borbottò Jake poco più avanti. « Non riesco ad orientarmi in queste condizioni... qualcuno ha una bussola? »

« Aspettate » intervenne Harry, facendo a cenno a tutti di radunarsi intorno a lui. Poi prese la bacchetta, la pose sul palmo della mano e disse: « Guidami. »

La bacchetta iniziò a ruotare, come l’ago di una bussola, puntando verso nord. Guardando bene, gli otto compagni capirono di essersi diretti troppo a sud, perciò presero la prima strada a sinistra che trovarono.

Del porto, tuttavia, non vi era ancora traccia.

« Uff... ormai non si vede a un palmo dal naso » commentò Sora poco più avanti. « Harry, non potresti far sparire questa nebbia con la tua magia? Eh? Harry? »

Il ragazzo si voltò, cercando di capire il motivo di tanto silenzio... ma Harry non era al suo fianco. E nemmeno gli altri.

« Harry? » ripeté Sora, allarmato. « Jake? Edward? Ragazzi...? »

Nessuna risposta. Solo nebbia e silenzio, in ogni direzione.

« Ragazzi, dove siete? Eeeeehi! »

« Sora! »

Il cuore del ragazzo ebbe un tuffo. Quella voce non apparteneva a nessuno dei suoi alleati, ma la sua memoria funzionava ancora benissimo... la riconobbe all’istante; e ne rimase incredulo.

« Kairi? »

« Sora! Da questa parte... vieni! »

Sora era come paralizzato, vittima di un incantesimo chiamato stupore. Non riusciva a crederci: Kairi... probabilmente la persona più importante della sua vita, che aveva salvato e protetto in varie occasioni. Lo stava chiamando nella nebbia, in quel mondo da cui sperava di fuggire al più presto.

« Sora! »

Non sapeva cosa fare. Kairi era davvero laggiù? Probabilmente era una trappola del nemico, ma in quel momento Sora non vedeva alternative: gli altri Valorosi sembravano svaniti nel nulla, e lui aveva solo una direzione da prendere... quella da cui sentiva provenire la voce.

Sora iniziò a correre, sperando con tutto il cuore che quella voce appartenesse a lei, a Kairi. Tuttavia aveva imparato da un pezzo a non abbassare la guardia, perciò procedette con il Keyblade in mano... pronto a colpire al minimo accenno di pericolo.

Una sagoma apparve in lontananza. Sora rallentò, ma il suo cuore batteva sempre più forte per l’emozione; man mano che si avvicinava, gli parve di mettere a fuoco nuovi dettagli sulla figura che aveva di fronte: capelli rossi, un vestito rosa, e un dolce sorriso sulle labbra...

« Kairi! »

Poi un suono attirò la sua attenzione, costringendolo a fermarsi. Un lungo respiro, gelido e metallico... inquietante, in un luogo cupo come quello. Sora si guardò intorno, nuovamente allarmato, ma non vide nessuno; quanto tornò a guardare Kairi, trattenne il fiato: lei non c’era più. Al suo posto, si stagliava una figura molto più grande: era un uomo, vestito di nero dalla testa ai piedi, dotato di un casco metallico che gli copriva il volto; era lui a respirare in quel modo così agghiacciante.

Sora scattò subito in guardia. 

« Lo sapevo, era una trappola » borbottò, sentendosi più stupido del solito. « Chi diavolo sei? »

L’uomo in nero non rispose, limitandosi a respirare ancora.

« Ehi, stai bene? Cos’è, hai problemi di asma, per caso? »

« Tu devi essere il custode della chiave » disse l’uomo con voce profonda.

« Hah... risposta esatta » ribatté Sora. « Io però non ho idea di chi dovresti essere tu. »

L’uomo avanzò, avvicinandosi senza mostrare alcuna arma.

« Qualcuno che è caduto nell’oscurità » disse nel frattempo. « Questo dovrebbe rendermi tuo nemico... non sei tu forse un difensore della luce? »

« Be’, sì... ma solo se usi l’oscurità nel modo sbagliato. Ma tu come fai a conoscermi? »

« La tua storia, divenuta una breve leggenda, ha raggiunto il mio mondo » spiegò l’uomo, ormai vicino. « Voci flebili che narravano di guerrieri a difesa della luce... e di guerrieri oscuri che lottavano per gettare l’ombra su ogni cosa. E la tua chiave, l’arma che distingueva quei guerrieri e donava loro il potere. Tutto ciò mi ricorda i Jedi e i Sith, anch’essi divisi tra luce e tenebre... alle quali io stesso appartengo. »

Sora restò in silenzio, preoccupato solo a tenere salda la presa sul Keyblade. Non riusciva a capire le intenzioni di quel tipo. Sentiva il male in lui, eppure qualcosa non lo convinceva; se fosse stato un nemico come gli altri, avrebbe già attaccato.

Rifletti, Sora disse a se stesso. Ricorda le parole di Draven... se vuoi andare avanti, devi porre le domande giuste.

« Perché sei qui? » domandò. « Che cosa vuoi da me? »

« Uhm... sei un giovanotto sveglio. Questo mi compiace. Mi aspetto molto da te... e intendo scoprirlo! »

L’uomo estrasse qualcosa dal mantello; Sora udì un clic, poi una lama di luce rossa apparve tra le mani dello sconosciuto. Il ragazzo ebbe un nuovo attacco di stupore: non c’erano dubbi, quella era una spada laser... la stessa arma di Luke.

Sora sollevò il Keyblade, pronto a combattere.

« Ora capisco! Tu sei l’avversario di Luke! »

« Ti sbagli » ribatté l’uomo in nero. « Luke non è mio nemico... lui è mio figlio. »

Il ragazzo rimase impietrito, senza parole.

« Tuo... figlio? »

« Sono Darth Vader, Signore Oscuro dei Sith. E oggi scoprirò... chi sei tu! »

Un colpo d’aria investì Sora in pieno, costringendolo a ripararsi il viso con le braccia. Questo non gli provocò alcun danno, tuttavia; scoprì subito dopo che quello spostamento d’aria, provocato dallo stesso Vader, serviva a spazzare via la nebbia nei dintorni, per dare a entrambi modo di combattere su un ampio terreno. Il ragazzo fu di nuovo in grado di vedere l’ambiente che lo circondava: si trovavano su un’altra strada deserta, una via commerciale non molto diversa da quella in cui si era risvegliato.

Non ebbe il tempo di chiedersi dove fossero finiti i suoi amici, perché il nemico si scagliò subito contro di lui, la spada laser in pugno. Sora sollevò il Keyblade appena il tempo, parando il colpo; Vader aveva una grande forza fisica, ma resisteva. Il Sith, d’altro canto, fu sorpreso nel constatare che la sua spada non aveva tagliato a metà l’arma del ragazzo; continuò a spingere, finché Sora non fu in ginocchio davanti a lui.

« Aaargh! »

Ci fu un lampo di luce, che costrinse Vader a ritrarsi. Sora si rimise in piedi, un po’ ansante ma ancora in forze, lo sguardo duro; lo tirava fuori solo quando affrontava un avversario pericoloso, o qualcuno con cui non c’era da scherzare. E Vader apparteneva ad entrambe le categorie.

« Notevole, giovanotto » dichiarò il Sith. « Davvero notevole. »

« Grazie... ma non hai ancora visto niente! »

Stavolta fu Sora ad attaccare. Il ragazzo si lanciò su Vader senza ulteriori indugi, sferrando un fendente su di lui; l’uomo parò il colpo con facilità. Sora colpì ancora e ancora, ma gli attacchi andarono a vuoto. Vader era agile, oltre che forte, e contrattaccava con una rapidità fulminea. Puntò la mano libera, e Sora fu respinto senza essere toccato, facendo un volo all’indietro; il potere della Forza... continuava a dimenticare le abilità di cui erano dotati i suoi utilizzatori. Anche l’illusione di prima, nella quale aveva visto Kairi, era dunque opera di quell’uomo. Stava per sbattere contro a un muro, ma prima che accadesse riuscì ad agganciare il Keyblade ad un lampione, frenando il volo. Atterrò sul marciapiede senza danni, di nuovo in piedi.

« Thundaga! » urlò subito, puntando la chiave al cielo; una scarica di fulmini si abbatté un istante dopo su Vader, senza lasciargli scampo. Sora vide il Sith cercare di ripararsi, prima che un lampo di luce lo celasse ai suoi occhi per alcuni istanti.

Vader riapparve nello stesso punto, immobile, il corpo fumante ma intatto. La sua spada laser era levata verso l’alto: l’aveva usata per parare il colpo, assorbendo gran parte della scarica. Sora ne rimase stupito, ma non abbassò la guardia.

« Molto bene » disse ancora Vader, con tono piatto. « Hai forza, potere, riflessi. Sei un ottimo guerriero. Vediamo allora come te la cavi con questo. »

Puntò ancora la mano libera. Sora si aspettò di spiccare nuovamente il volo, ma ciò non accadde; dalla dita del Sith, invece, saettò una potente scarica elettrica che si abbatté sul ragazzo. Sora riuscì a proteggersi con il Keyblade, che assorbì la scarica, ma fu sentì comunque un forte dolore in tutto il corpo. Non era semplice elettricità, riusciva a sentirlo: era un’energia oscura, ignota, colma di una volontà omicida... doveva reagire, prima che fosse troppo tardi!

« Raaah! »

Sora mosse il Keyblade in avanti, e la scarica fu respinta. Questa andò a colpire un cassonetto nelle vicinanze, facendolo esplodere. Il ragazzo ansimò, assalito da una notevole dose di sgomento: era da tempo che non affrontava un avversario del genere. Cercò Vader con lo sguardo, ma non riuscì a individuarlo; poi sentì arrivare qualcuno alle sue spalle. Quando si voltò, era troppo tardi: Vader riuscì a sferrargli un calcio sul fianco, buttandolo a terra, e il Keyblade gli sfuggì di mano. Cercò subito di recuperarlo, ma il Sith ci mise il piede sopra, e nel frattempo gli puntò in faccia la spada laser.

« Peccato » mormorò Vader, e dal tono sembrava deluso. « Mi aspettavo una maggiore resistenza, da parte tua. Davvero non riesci a tenere in mano la tua arma tanto a lungo? Forse non sei poi così degno di impugnarla. »

Sora alzò la mano. Vader sentì il suo piede perdere il contatto con la chiave, perché questa era svanita all’improvviso. La vide riapparire un attimo dopo in mano al ragazzo, e la usò subito per respingere la spada laser. Vader arretrò, sorpreso, mentre Sora si rimetteva in piedi.

« Forse non mi conosci così bene! »

Il Sith rimase immobile per una manciata di secondi, lasciando che il suo respiro metallico fosse l’unico suono nei dintorni. Poi, sotto lo sguardo incredulo di Sora, disattivò la spada e la rinfilò nella cintura; mise le mani sui fianchi tranquillo, e continuò a guardare il ragazzo.

« E adesso che ti prende? » domandò Sora confuso. « Hai deciso di arrenderti? »

« Non esattamente » rispose Vader. « Un guerriero si arrende durante un vero combattimento. E io non ti stavo affrontando... ti stavo mettendo alla prova. »

« Cosa? Perché? »

« Volevo capire se tu fossi all’altezza della situazione... e lo sei. Mi congratulo con te, ragazzo... credo che tu abbia ciò che serve per affrontare il pericolo che ti attende. »

Il Sith prese a camminare verso di lui, fino ad arrivare al suo fianco. Sora non pensò di attaccarlo; sentiva di potersi fidare, ma questo non lo aiutava a capire.

« Aspetta, che cosa vuoi dire? » gli chiese. « Perché mi hai messo alla prova? Tu sei uno dei cattivi, giusto? Il tuo compito è quello di ucciderci per tornare in vita! È per questo che Nul ti ha reclutato. »

« Ciò che dici è vero » rispose Vader. « Nul mi ha richiamato dalla morte per compiere la sua volontà... ma questo non significa che io sia costretto ad obbedire. Né che io sia obbligato a scegliere da che parte stare. »

Sora rimase senza parole. Chiaramente non si aspettava una simile risposta.

« Tu sei un viaggiatore tra i mondi » osservò Vader, « dunque dovresti capire. Esistono innumerevoli mondi, ed altrettanti popoli che li abitano: ogni popolo ha il suo modo di vedere la natura delle cose... e hanno tutti ragione. Sembra che una costante tra queste infinite idee sia la tendenza a polarizzare ogni aspetto dell’esistenza, a ridurre tutto a due sole possibilità: giusto e sbagliato... nero e bianco... luce e oscurità... bene e male. Ma chi ha deciso che al mondo esistono solo due scelte? E perché scegliere una parte comporta necessariamente la perdita dell’altra? Io non lo credo più... ed è per questo che non intendo restare al servizio di Nul. Mai più obbedirò al volere di qualcuno che si crede superiore. »

Sora era rimasto ad ascoltare, e alla fine del discorso provava un gran miscuglio di sensazioni: meraviglia, turbamento... persino nostalgia. Le parole del Sith erano molto familiari, in effetti.

« Mi ricordi molto un mio amico » gli disse comprensivo. « Anche lui era caduto nell’oscurità... ma ne è venuto fuori, e lotta ancora oggi per fare qualcosa di buono. Ora riesco a capire... anche tu cerchi di fare la stessa cosa, non è vero? »

Vader non rispose subito, soffermandosi a guardare il cielo.

« È troppo tardi per me » disse infine. « Dopo tutto quello che ho fatto, non ho speranze di rimettere le cose a posto. Posso solo impedire che queste peggiorino ulteriormente... e minaccino la vita di mio figlio. »

« Vuoi dire... che stai cercando di proteggerlo? »

Sora giurò di sentire un suono molto simile a una risata ironica.

« È quello che fa ogni buon padre, dopotutto.

« Ora và... torna dai tuoi amici, finché sei in tempo. E porta questo messaggio a Luke: il nostro incontro sarà inevitabile; è molto probabile che ci affronteremo, ma voglio che lui ricordi che aveva ragione su di me... e ce l’ha ancora. Lui capirà, vedrai. »

« Uhm » fece Sora, incrociando le braccia. « Va bene, glielo dirò. »

Darth Vader annuì, e gli voltò finalmente le spalle.

« Ehi, aspetta » esclamò il ragazzo, richiamando la sua attenzione. « Un’ultima cosa... perché hai scelto me per questa prova? Voglio dire, tra tutti quelli che fanno parte del mio gruppo... perché hai scelto proprio me? »

« Perché tu sei la chiave » rispose Vader. « Sei l’elemento che tiene unito il tuo gruppo di eroi. Non hai nulla di diverso dagli altri, ma sei quello che ha dato inizio all’avventura... per questo confido che riuscirai a porvi fine, per il bene di tutti. »

Detto questo, il Sith svanì nella nebbia, lasciando Sora da solo. Il ragazzo non fu molto soddisfatto di quella risposta, ma non ebbe il tempo per rifletterci sopra; pochi attimi dopo, infatti, sentì una voce gridare alle sue spalle.

« Sora! Sora! »

Si voltò, trovando subito una ragione per tornare a sorridere. Dalla nebbia vide spuntare Harry, Edward, Luke e tutti gli altri, immensamente sollevati nel vederlo sano e salvo. Li raggiunse senza perdere tempo, condividendo la loro gioia comune.

« Stai bene, amico? »

« Ci hai fatto preoccupare... »

« Sei sparito all’improvviso! »

« Sto bene, ragazzi » dichiarò Sora, calmando i loro animi. « Sto bene... ho solo avuto un piccolo scontro con un tipo. Si trattava di tuo padre, Luke. »

Il ragazzo non fu sorpreso di vedere la sorpresa impadronirsi del suo amico Jedi. Dunque prese a raccontare l’accaduto: l’illusione indotta da Vader per attirarlo, il breve duello e la loro successiva conversazione; infine riferì il messaggio del Sith per suo figlio.

« ...ha detto che avresti capito » concluse, pur restando incerto sul significato di quelle parole. Luke invece sorrise, inaspettatamente.

« Oh sì... capisco benissimo » mormorò. « Significa che c’è ancora del buono in lui... come avevo sempre pensato. »

« Vuoi dire che abbiamo un nuovo alleato? » chiese Po, perplesso.

« No, non esattamente. Mio padre non intende unirsi a noi... ma non vuole nemmeno essere dalla parte del Nemico. Non ci affronterà, di questo ne sono sicuro. »

« Bah... mi auguro che questo ci dia un vantaggio, in qualche modo » dichiarò Jake tagliando corto. « Procediamo, adesso... dobbiamo ancora raggiungere il porto. »

I Valorosi annuirono, e si rimisero in marcia. Luke e Sora, tuttavia, lanciarono un’ultima occhiata alla strada in cui era apparso Vader, persi ognuno in un pensiero diverso. Il Jedi era ancora sorpreso di sapere che suo padre era giunto in quel mondo insieme a lui, ma lo rincuorava il fatto che non avesse intenzioni ostili. Era già stato schiavo del Lato Oscuro una volta... era certo che non intendesse più percorrere quella via maledetta.

Sora, invece, ripensava alle ultime parole udite da Vader nei suoi confronti: il fatto che lui fosse la chiave... in grado di affrontare il pericolo che lo attendeva. Anche queste parole gli erano familiari, reminiscenze degli insegnamenti del suo maestro, un saggio e potente stregone:

Tu sei la chiave che salverà tutti i cuori dall’oscurità.

Forse lo era anche laggiù, in quel mondo di caos... un eroe fra tanti, ma che avrebbe fatto la differenza.

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Capitolo 20
*** La nave dei sogni ***


Capitolo 20
 
Il mattino seguente, i Valorosi furono svegliati da un gran frastuono, simile alla sirena di una nave. Gli otto compagni aprirono gli occhi uno dopo l’altro, per rendersi conto che il rumore era effettivamente la sirena di una nave. Un grande transatlantico, bianco e nero, si stagliava imponente davanti a loro, lungo il molo dove si erano accampati la notte scorsa.
I Valorosi avevano raggiunto il porto la sera precedente dopo una lunga marcia, ma non avevano trovato barche di alcun genere... nulla che potesse aiutarli a prendere subito il largo. Il luogo, oltretutto, era deserto, privo sia di Senzavolto che di altri uomini tangibili: non c’era nessuno nei paraggi a cui poter chiedere aiuto o informazioni; perciò, dopo aver perlustrato invano l’intera zona, avevano deciso di accamparsi per dormire, rimandando ogni decisione al giorno seguente.
Ora avevano una nave gigantesca davanti ai loro occhi, fonte del loro estremo stupore. Come se non bastasse, il porto era adesso gremito di gente: una folla di Senzavolto andava avanti e indietro, e in gran parte erano radunati intorno alla nave con l’intento di salire a bordo; numerose scalette erano state disposte per permettere l’ingresso ai passeggeri, i quali salivano senza alcun indugio.
Ancora una volta, i Senzavolto ignoravano completamente i Valorosi; silenziosi e inespressivi, li attraversavano come se fossero spettri, procedendo imperturbabili verso la loro meta. Questo fu di conforto per gli otto compagni, che per il momento decisero di abbassare la guardia.
« Mitico » commentò Po, il più meravigliato del gruppo. « Non avevo mai visto una nave così grande... ed è tutta di metallo! Saranno serviti secoli per costruirla tutta! »
Lara ridacchiò, divertita dall’ingenuità del compagno.
« Hai ancora molto da imparare sulla tecnologia umana, Po » disse. « Al punto in cui siamo, simili opere richiedono qualche anno di lavoro, non secoli. Oltretutto, questa nave ha uno stile decisamente antiquato... »
« La riconosci? » chiese Jake.
« Non mi sembra, eppure ha qualcosa di familiare » replicò Lara.
« Bah... che vogliamo fare? » intervenne Hellboy, intento ad accendersi il primo sigaro della giornata. « In giro non vedo altre navi. Io dico di salire a bordo di questo bestione e vedere dove porta. Sarà un po’ troppo grande, ma almeno viaggeremo comodi. »
« E si mangerà bene » aggiunse Po con un sorriso.
I Valorosi si scambiarono un’occhiata tra loro, valutando i vari punti di vista.
« Non ne sono sicuro » obiettò Jake. « L’idea è rischiosa... questa nave si sta riempiendo di Senzavolto. Anche se adesso ci ignorano, prima o poi decideranno di attaccarci... e non possiamo sapere quando capiterà. »
« Ormai possiamo tenere a bada i Senzavolto, ora che siamo così tanti » ribatté Sora, più ottimista. « Anche se ci attaccassero, saremmo in grado di respingerli senza problemi. »
Harry e Edward lo guardarono incerti, ma non potevano negare ciò che l’amico sosteneva.
« Sono d’accordo con lui » convenne Luke. « Non sento la presenza dei nostri nemici, né di altre creature maligne... ma se ci stanno inseguendo, sarà meglio allontanarci da qui al più presto. Io non vedo altre possibilità, e voi? »
Guardarono tutti Jake, il quale era ormai solito avere l’ultima parola.
« E va bene » disse dopo una pausa. « Saliremo sulla nave. Ma al primo accenno di un pericolo mortale torneremo subito indietro, con il teletrasporto di Harry. Intesi? »
« Materializzazione » lo corresse il ragazzo, « comunque nessun problema. »
Così, senza perdere altro tempo, i Valorosi salirono a bordo del transatlantico. Arrivarono sul ponte senza problemi, dopo aver salito la scaletta passando attraverso decine di Senzavolto in fila. La nave era in condizioni perfette: il legno del ponte lucido, le facciate di un bianco immacolato; sembrava che la nave fosse stata appena completata... forse quello era il suo primo viaggio.
I Valorosi si guardarono intorno per un po’ con aria tranquilla, incuriositi da tanta magnificenza, finché Lara non attirò la loro attenzione con la sua voce.
« Oh? Diosanto! »
I compagni si voltarono verso di lei, allarmati. Lara era intenta a fissare un innocuo salvagente con aria incredula: esso recava scritto il nome della nave a caratteri cubitali.
 
RMS TITANIC
 
« Tutto bene, Lara? » iniziò a dire Sora, ma poi si accorse che l’incredulità aveva colto anche Jake, Harry ed Hellboy.
« Ehi, che vi prende? »
« Deve essere uno scherzo » dichiarò Jake per primo. Si guardò intorno, trovando il nome “Titanic” un po’ ovunque: sugli altri salvagente e sulle scialuppe disposte lungo il ponte; alla fine si arrese, e aggiunse « Siamo davvero sul Titanic? Quel Titanic? »
« Un Titanic che non conosco per niente » disse Edward, irritato. « Volete spiegarci che succede? »
« Succede che ci troviamo su una nave molto famosa... almeno nei nostri mondi » rispose Hellboy. « Una nave tristemente famosa. »
« Già » aggiunse Lara. « Il Titanic era un transatlantico britannico, affondato nel 1912 durante il suo viaggio inaugurale per la collisione contro un iceberg. Morirono più di millecinquecento persone in quel naufragio, ed è considerato ancora oggi come il più tragico incidente marittimo della storia. »
Calò il silenzio tra i Valorosi, impiegato da Sora e dagli altri ignari compagni per lasciarsi travolgere dallo sgomento.
« Cavolo » esclamò infine Sora, guardando Jake, Lara, Harry ed Hellboy. « E questo sarebbe accaduto in tutti i vostri mondi? »
Harry annuì.
« È un evento ricordato anche dalla mia gente » disse cupo. « L’ho studiato a Hogwarts... pare che tra le vittime ci fosse stata qualche famiglia di maghi, incapaci di salvarsi dal naufragio. »
« Dal mio punto di vista sono passati secoli » aggiunse Jake, « ma anche un marine ignorante come me ne ha sentito parlare. Ci hanno ricamato a lungo sulla faccenda, credimi... con una gran quantità di film e libri. »
« Un momento, e con questo? » intervenne Luke. « Non capisco perché siete così sconvolti. Temete forse che questa sia la stessa nave dell’incidente? Che sia destinata ad affondare come nelle vostre cronache? Forse dovremmo scendere, allora... è questo che suggerite? »
Jake, Lara, Harry ed Hellboy si scambiarono un’occhiata incerta. Non sapevano cosa pensare, in realtà: quel mondo di caos continuava a sorprenderli con le sue innumerevoli trovate. La città piena di Senzavolto; Burton Castle; Michael Jackson e i suoi zombi ballerini; il Cimitero dei Mondi. Luoghi ricolmi di follia in cui venivano stravolte le leggi più elementari, e tutto diventava privo di senso. Ora si trovavano a bordo di una nave sprofondata nell’oceano da decenni, come se quel triste evento non fosse mai accaduto. Che cosa avrebbero dovuto aspettarsi? Forse la storia si sarebbe ripetuta... o la nave sarebbe giunta a destinazione senza affondare. 
« Restiamo » dichiarò Jake. « Lo abbiamo già deciso, dopotutto... se le cose dovessero mettersi male, ci Smaterializzeremo subito. Ma credo che non sarà necessario, se il problema sarà solo un iceberg, dico bene? Possiamo distruggerlo e non pensarci più. »
I compagni annuirono, rincuorati da questa possibilità. Restarono sul ponte per diversi minuti, finché l’orologio di un campanile nelle vicinanze non segnò le nove del mattino. A quel punto la nave partì, carica di una folla di Senzavolto intenti a salutare la terraferma; i Valorosi non udirono le loro voci concitate, né le grida di gioia, né i saluti... nient’altro che silenzio da quelle ombre ignare della loro esistenza.
E la vastità di un oceano si aprì davanti ai loro occhi, mentre si lasciavano alle spalle quella città maledetta. I Valorosi non avevano idea di dove fosse diretta la nave; non c’era modo di saperlo dai passeggeri né dall’equipaggio, e dubitavano seriamente che sarebbero arrivati a New York.
Per il momento, tutto ciò che potevano fare era aspettare, sperando che quel momento di pace durasse il più a lungo possibile. I Valorosi decisero di impiegarlo allenandosi, dietro suggerimento del loro leader Jake: dopo gli ultimi scontri, dai quali si erano salvati per il rotto della cuffia, era stata approvata l’idea di apprendere tutto il possibile dai loro nemici. Dopo aver condiviso le proprie informazioni personali, ora il gruppo doveva fare altrettanto sulle nemesi di ognuno di loro, per affrontarli al meglio in ogni situazione.
I Valorosi si stabilirono così sul ponte di prua. Nonostante la presenza costante dei Senzavolto, questi continuavano a non fare caso agli otto compagni, così furono liberi di iniziare l’allenamento. Uno alla volta si facevano avanti, sfidando a turno gli altri alleati per istruirli sulle capacità della propria nemesi: Jake fu il primo a farsi avanti, istruendo i suoi compagni come un ufficiale.
« La mia nemesi, il colonnello Quaritch » spiegò, « può sembrare un duro, ma resta sempre un enorme stronzo. Non ha superpoteri, perciò si affida ad armi e macchine avanzate per combattere: pilota un AMP Suit modificato, dotato di mitragliatrice pesante e altri dispositivi più che efficaci per uccidere. Il suo sistema di puntamento si basa sui rilevamenti ambientali: calore corporeo e movimento; bisogna innanzitutto neutralizzare questo prima di attaccarlo, magari con la magia di Harry. Il Keyblade di Sora, invece, può fare a pezzi l’esoscheletro, mirando innanzitutto alle gambe.
« In sostanza, privando Quaritch delle sue macchine non sarà più una minaccia: ad ogni modo, lui è tipo da arrendersi solo da morto... perciò non abbassate mai la guardia con lui. So che alcuni di voi non sono tipi da uccidere a sangue freddo, perciò non vi forzerò la mano fino a questo punto: se uccidere Quaritch è nel mio destino, allora sarò io a dargli il colpo di grazia. »
Jake passò dunque alla simulazione, fingendo di essere Quaritch nel suo esoscheletro armato di mitra. Gli altri provarono, a turno, a fronteggiarlo, basandosi sulla strategia suggerita dal Na’vi: Harry usò la magia per disorientarlo, per poi colpirlo alle gambe usando la spada di Grifondoro di piatto; Sora fece altrettanto, ricorrendo prima alle magie per poi finirlo con il Keyblade; Ed sfruttò bene l’alchimia per bloccare i movimenti di Jake; lo stesso fece Luke, con il potere della Forza; Lara si affidò subito ad Excalibur, ma puntò subito alle gambe per non rischiare di ferirlo con i suoi colpi distruttivi; infine, Hellboy e Po attaccarono fin da subito con la forza bruta. In sostanza riuscirono tutti a cavarsela egregiamente, ognuno a modo suo.
Sora fu il prossimo ad istruire i compagni.
« Ansem è il capo degli Heartless » spiegava, « e come tale vanta di un grande potere ottenuto dall’Oscurità. Ha il controllo sulle tenebre, che può usare per attaccare gli altri, rubare i cuori, e creare portali con cui attraversa lo spazio; inoltre è in grado di possedere altre persone. Inutile perdersi in chiacchiere con Ansem... è freddo, arrogante e spietato; non si può ragionare con un Heartless, l’unica soluzione è distruggerlo prima che faccia troppi danni. Le armi normali sono inutili, meglio ricorrere alla magia e ad armi incantate... ma contro di lui, la Luce è l’arma più potente di tutte. »
Sora cercò di impartire questa spiegazione ai suoi compagni, i quali furono messi alla prova uno dopo l’altro. Harry lo affrontò tenendosi a distanza, usando incantesimi basati sulla luce; Ed fece altrettanto, ricorrendo alla sua alchimia; Lara mise da parte le pistole e si affidò a Excalibur, un po’ più da vicino; Jake, Po ed Hellboy ricorsero soprattutto alla forza bruta e ad alcune tattiche improvvisate; Luke sfruttò ogni sua risorsa, dalla Forza all’abilità con la spada laser. Fecero tutti del loro meglio, e alla fine Sora poté ritenersi soddisfatto.
Poi fu la volta di Harry.
« Voldemort è un mago molto potente. Si crede il più forte di tutti, se non ritiene l’avversario alla sua altezza non ama perdere tempo in un duello... e cerca dunque di ammazzarlo subito. È abile nel Materializzarsi e sa volare senza scopa, ma la sua specialità sono le maledizioni, con le quali controlla, tortura o uccide le sue vittime. Meglio mettersi al riparo quando ricorre a certi poteri, perché i rimedi per contrastarli sono davvero pochi... e con un tipo come Voldemort, è sconsigliabile affidarsi unicamente alla fortuna. »
Harry illustrò con cura le maledizioni che amava usare Voldemort, ma senza eseguirle davvero. Ai Valorosi bastava sapere ciò che dovevano aspettarsi dal nemico, per reagire adeguatamente. Durante l’allenamento, inoltre, il giovane mago scoprì che alcuni suoi alleati vantavano una buona resistenza alla magia: il Keyblade di Sora, la spada laser di Luke, Excalibur e la mano di pietra di Hellboy respinsero qualsiasi incantesimo scagliato da Harry; le trasmutazioni compiute da Ed fornivano un’ottima protezione; il corpo di Jake era parzialmente immune alla magia, e le varie fatture minori con cui Harry lo aveva colpito persero efficacia in breve tempo. Infine, Po si era dimostrato completamente immune, poiché ogni incantesimo era ribalzato via ogni volta che Harry provava a colpirlo; il panda sentiva solo un forte solletico dopo ogni colpo, persino dal potente Schiantesimo. I suoi alleati lo osservarono esterrefatti mentre rotolava a terra dalle risate.
Dopo fu il turno di Lara, che spiegò brevemente con chi avrebbero avuto a che fare.
« Natla è un’Atlantidea. Può volare grazie alle sue ali e sembra possedere una certa magia; scaglia colpi infuocati molto potenti, ma facili da contrastare. È molto orgogliosa e arrogante, e ama far soffrire le sue vittime. Può essere ferita con qualsiasi tipo di arma, ma la sua resistenza è notevole: occorre farla a pezzi per eliminarla definitivamente. »
Stavolta non ci fu il bisogno di simulare un duello ipotetico con Natla, dal momento che Lara non poteva imitare quella creatura in alcun modo. In compenso insegnò Harry a usare la spada, dal momento che non era mai stato un esperto nell’uso di armi bianche.
Il prossimo fu Luke, che tuttavia non ebbe molto da dire.
« Darth Vader è mio padre, come già sapete. A detta di Sora, è ormai chiaro che non intende prendere parte al conflitto, ma Nul potrebbe avere altre sorprese in serbo per me, e magari convocare un altro Sith a darmi la caccia. I Sith usano spade laser e il potere della Forza come me, ma senza trattenersi: meglio combattere a distanza se non avete armi adeguate per difendervi da loro. »
Luke sfidò a duello i suoi compagni, uno dopo l’altro, per saggiare le loro difese. Sora e Lara furono in grado di contrastare la sua spada laser con le loro armi. Ed, Jake ed Harry puntarono sulla lunga distanza; questi ultimi, in particolare, dimostrarono resistenza al controllo mentale. Po ed Hellboy lottarono a distanza ravvicinata, schivando facilmente gli attacchi con la spada.
Po si fece avanti dopo Luke, cercando di spiegare ai suoi compagni ciò di cui era capace il feroce Tai Lung.
« Tai Lung è stato un campione di arti marziali fin da piccolo... è stato il primo a padroneggiare le tecniche delle Mille Pergamene del kung fu. È grosso ma veloce, in grado di ridurre la roccia in frantumi con un solo colpo! Però non ha sempre bisogno della sua forza per battere un nemico: usa una tecnica particolare in grado di paralizzare completamente; capirete quando decide di usarla se cercherà di colpirvi con la punta del pollice dell’indice. »
Ancora una volta, i Valorosi sfidarono a turno l’insegnante per capire come affrontare sua nemesi. Luke, Lara, Ed e Hellboy, già esperti in tecniche di combattimento corpo a corpo, non ebbero problemi a fronteggiarlo; Sora e Harry incontrarono più difficoltà, ma dopo qualche minuto riuscirono a cavarsela; Jake, invece, fece affidamento alla sua statura per bloccare Po a terra.
Infine venne il turno di Edward. Il giovane fece una rapida lezione sul funzionamento dell’alchimia, con la quale poteva trasmutare qualsiasi elemento per usarli come arma, poi passò a spiegare come affrontare suo fratello Alphonse... senza nascondere l’amarezza nella sua voce.
« Al è attualmente prigioniero di un’armatura d’acciaio » disse. « La magia non ha alcun effetto su di lui – come Harry ha già potuto verificare – perciò bisogna ricorrere ad armi e attacchi fisici. Il suo punto debole... è un sigillo posto all’interno della sua armatura, in un punto in mezzo alle spalle. Naturalmente preferirei che nessuno di voi debba ricorrere a un gesto così estremo... ma mio fratello è ora nostro nemico perciò, se sarà necessario, fatelo: spezzate il sigillo e la sua anima sarà liberata. »
I Valorosi si scambiarono uno sguardo incerto, ma alla fine annuirono, uno dopo l’altro. Ed passò quindi a illustrare lo stile di combattimento che lui e Al padroneggiavano: Po, Hellboy, Luke e Lara riuscirono a contrastarlo facilmente; Harry e Sora si affidarono alle loro armi, mentre Jake sfruttò di nuovo la sua statura per mettere Ed al tappeto.
« Credevo che tuo fratello sapesse usare l’alchimia come te » osservò Harry alla fine della sessione. « Eppure non l’ha usata durante il nostro scontro... strano, non ti pare? »
« Già, è vero » confermò Ed. « Non ci avevo fatto caso in quel momento, tanto ero sconvolto. Ma se la memoria di Alphonse è stata manipolata da Nul, è probabile che abbia dimenticato come usare l’alchimia. Potrebbe essere così, anche se non posso esserne sicuro... dopotutto, non sono più sicuro di niente da quando ho messo piede in questo maledetto mondo. »
Nessuno dei presenti cercò di aggiungere alcunché al riguardo, perciò lasciarono cadere il discorso. Il cielo sopra le loro teste tendeva all’imbrunire, anche se il sole restava invisibile allo sguardo a causa dello spesso strato di nuvole. I Valorosi, ormai esausti dopo ore di allenamento, si abbandonarono al legno del ponte di prua, nel tentativo di riposare; l’unico a restare in piedi fu Jake, che si voltò verso la punta estrema della nave e si avvicinò lentamente ad essa. Il Na’vi si appoggiò alla ringhiera, guardando l’orizzonte con aria malinconica.
Sora intercettò il suo sguardo, e incuriosito lo raggiunse.
« Ehi Jake... tutto bene? »
Jake sospirò.
« Bah » borbottò, « a parte il fatto che mi trovo ancora in questo luogo infernale, lontano chissà quanto da casa mia e costretto a combattere a costo della vita, tutto bene. Qualunque cosa sia questo mondo, devo ammettere che riesce a sorprendermi di continuo, molto più di Pandora... e in questo momento mi sta rifilando una nuova sorpresa. »
Sora non sembrò capire. Nel frattempo, il duo fu raggiunto dagli altri Valorosi, attirati dalla nuova conversazione.
« È difficile da spiegare » riprese Jake, guardando i compagni. « Da quando ho messo piede sulla nave, ho avvertito una strana sensazione... non di pericolo, ma di sicurezza. Mi sono sentito a mio agio, come se fossi tornato in un luogo a me familiare: avete presente quello che si prova quando si torna a casa dei propri genitori? Quella sensazione di pace che date per scontato, perché siete sicuri che là non potrebbe capitarvi niente di male... ecco, in questo momento mi sento così. »
I Valorosi si scambiarono un’occhiata incerta. Sembravano capire, ma era anche evidente che nessuno di loro provasse la stessa sensazione di Jake.
« Che vuoi dire? » domandò Harry perplesso. « Questo posto ti è forse familiare in qualche modo? »
« No... sono sicuro di non essere mai stato su una nave del genere in vita mia. Ciononostante, mi resta la sensazione che questa nave possa essere come un rifugio per me... come se appartenesse a qualcuno che mi è stato vicino, tipo mio padre. Inoltre, da quando mi trovo su questo ponte... non faccio che pensare alla mia amata. »
Jake tacque per un attimo prima di proseguire. Dopotutto non aveva niente di meglio da fare in quel momento di pausa, tanto valeva condividere anche questa storia con i suoi nuovi amici.
« La mia compagna si chiama Neytiri, figlia del capoclan e della sciamana del villaggio. Bella come la più splendida delle mattine che sorgono su Pandora, forte e letale come un ikran affamato... ed è tutto dire. Se non ci fosse stata lei, credo che la mia vita non avrebbe mai preso questa piega. Anzi, sarebbe finita molto prima.
« Non dimenticherò mai il giorno in cui l’ho incontrata. Mi ero perso nella foresta, e costretto a passare la notte da solo in mezzo al nulla. Un branco di lupi mi aveva aggredito, e stavano per avere la meglio su di me... finché non intervenne questo splendido angelo dalla pelle blu per salvarmi la vita. Neytiri odiava gli umani, e anche se guidavo un Avatar mi aveva riconosciuto subito per ciò che ero. Mi avrebbe sicuramente ucciso, se la sua mano non fosse stata fermata da un segno divino; decise quindi di condurmi al suo villaggio. È stata lei ad istruirmi sulla vita dei Na’vi, a camminare e comportarmi come uno di loro. Ben presto finii per innamorarmi: della foresta, della vita nel clan... e di Neytiri. Ci confidammo il nostro amore ai piedi dell’Albero delle Voci, la sera stessa in cui fui accettato come uno del Popolo. Le parole non sono sufficienti per descrivere ciò che provai quando stabilii il legame con lei, nel momento in cui le nostre trecce si unirono per “renderlo ufficiale”. Anche l’idea di poter toccare il cielo con un dito varrebbe poco in confronto alla forza di una simile sensazione. In ogni caso, da quella notte cambiò tutto. Per tutti quanti... e per me. È stata Neytiri a spingermi a fare la scelta più difficile della mia vita, quella di tradire il mio popolo e di unirmi a uno che aveva molto più rispetto per la vita... e non lo rimpiango. Io tornerò al mio mondo, al mio popolo... tornerò dalla mia Neytiri. »
Jake scrutò i suoi compagni uno dopo l’altro al termine del racconto: gran parte di loro, notò, avevano un’aria comprensiva, e sorrise.
« Credo che possiate capirmi. Lo leggo nei vostri cuori, come nei vostri occhi: anche voi avete una compagna, vero? Qualcuno di speciale che vi manca tanto... qualcuno da cui volete tornare ad ogni costo. »
« Be’, io la ragazza non ce l’ho » intervenne Po, rattristato. « Purtroppo sono l’unico panda nella terra da cui provengo... ma non significa che sono solo. Ho una famiglia, degli amici, e un intero villaggio che aspetta il mio ritorno! »
« Lo stesso vale per me » aggiunse Luke. « A parte mia sorella, non ci sono altre donne nel mio cuore... ma c’è molta gente che conta su di me, e intendo tornare da loro per continuare a proteggerli. »
« Anch’io sono da sola » concluse Lara. « Nella mia vita non ci sono stati uomini in grado di stare al mio passo... ma è una vita a cui voglio tornare, perché è tutto ciò che ho. »
Jake annuì orgoglioso, e nel frattempo vide Hellboy avvicinarsi, sigaro alla mano, prendendo posto sulla ringhiera vicino a lui.
« La mia ragazza si chiama Liz » disse, osservando il mare. « È una ragazza normale, tranne che per un dettaglio: è una pirocineta, ha il potere di dare fuoco alle cose. Dalle mie parti capita... c’è chi nasce con i capelli rossi, chi con gli occhi azzurri, e chi con qualche potere paranormale... come nel caso di Liz. Il problema è che lei non è riuscita a controllare il suo potere per molti anni, e infatti ha ucciso accidentalmente la sua famiglia. È stata accolta nella mia organizzazione e addestrata come agente, ma continuava ad avere paura di se stessa.
« Io ero l’unico a cui Liz non poteva fare del male. Sono a prova di fuoco, sapete. Mi sono affezionato a lei fin da subito, ma ho pensato “che speranze può avere uno come me per fare colpo su di lei?”. Non si è mai vista una ragazza interessarsi a un mostro, dopotutto. Ma non avevo alcuna intenzione di rinunciare a Liz, e sono sempre rimasto al suo fianco... pronto a mandare al diavolo il mondo intero per lei. »
« E poi cos’è successo? » chiese Sora.
« È arrivato Rasputin, tornato dall’oscurità per mettere in atto il suo grande piano apocalittico. Aveva ucciso Liz davanti ai miei occhi, costringendomi a compiere il mio destino di mostro pur di riaverla. Ma io potevo scegliere da solo il mio destino... e ho scelto di comportarmi da uomo; dopo essermi liberato di Rasputin ho riportato Liz in vita.
« Da allora le cose hanno iniziato a funzionare, tra noi. Non è stato un rapporto di coppia facile, non lo posso negare: ma ora le cose stanno per cambiare... Liz è in dolce attesa. »
Hellboy guardò i compagni, e non si stupì di vedere un notevole stupore nei loro occhi.
« Già, aspetta due gemelli » riprese. « Ed è l’ultima cosa che ricordo prima di finire in questo postaccio. Per questo sono così determinato a tornare a casa: io tornerò da Liz, e dai miei figli... e che io sia dannato sul serio se decido di arrendermi. Chiunque sia il tizio che ci controlla, non basterebbero diecimila Nul a fermarmi! »
I Valorosi annuirono, come per dire “ben detto!”. Dopodiché si fece avanti Edward, appoggiandosi alla ringhiera come gli altri.
« La mia ragazza si chiama Winry » disse. « Era una mia amica di infanzia... io e mio fratello passavamo un mucchio di tempo con lei al villaggio. È una maniaca della meccanica e un’esperta nel costruire automail... un talento di cui va molto fiera; si è occupata spesso dei miei arti, riparandoli ogni volta che li danneggiavo. Mi è sempre stata vicino, in questo senso... e devo ammettere che senza il suo aiuto non sarei andato molto lontano. La ricerca della Pietra Filosofale e la guerra con gli Homunculus aveva coinvolto anche Winry, purtroppo, e ho fatto tutto il possibile per proteggerla. Solo in quei giorni oscuri ero riuscito ad ammettere di amarla... e lo stesso valeva per lei nei miei confronti. Così, quando la crisi fu risolta, fummo liberi di procedere con la “dichiarazione”, l’uno con l’altra.
« Heh... ricordo ancora le parole che le ho rivolto in quell’occasione, proponendole uno scambio equivalente: metà della sua vita, in cambio di metà della mia. Ma Winry, in lacrime di gioia, mi offrì tutta la sua vita. Il nostro abbraccio è l’ultimo ricordo che ho di lei e del mio mondo, prima di risvegliarmi qui. Le ho promesso che sarei tornato... e intendo farlo, e porterò Alphonse con me, anche a costo di sacrificare il mio intero corpo. »
Ed tornò a guardare gli altri. Ora c’era commozione nel gruppo, espressa soprattutto da Po perché si stava asciugando alcune lacrime. Nel frattempo Harry si avvicinò alla ringhiera, come se fosse il suo turno di raccontare.
« Io non ho una compagna ufficiale come voi » disse, « ma nel mio cuore c’è lei... Ginny. È la sorella del mio migliore amico; l’ho conosciuta a undici anni, mentre prendevo per la prima volta il treno per Hogwarts. Lei si era interessata subito a me, ma essendo più piccola di un anno dovette aspettare un po’ prima di conoscermi a fondo. Il suo primo anno a scuola fu terribile... Voldemort l’aveva posseduta con un oggetto stregato, costringendola ad aizzare un mostro contro gli altri studenti. Riuscii a salvarla appena in tempo, prima che fosse troppo tardi. Ginny non ha mai dimenticato quell’esperienza... e devo ammettere che questo le ha permesso di aiutarmi in un’occasione, anni dopo, quando temevo di essere finito io stesso sotto il controllo di Voldemort.
Nel frattempo era diventata più coraggiosa e determinata, al punto da decidere di unirsi al mio gruppo clandestino di Difesa contro le Arti Oscure.
« Ginny mi ha sempre ammirato da lontano, nonostante avesse iniziato a frequentare altri ragazzi;  cominciai ad ammettere di amarla al mio sesto anno, e trovai la forza per strapparle un bacio una sera, poco prima che la mia vita si complicasse enormemente. Quando stavamo insieme durante quei giorni mi sembrava di essere un ragazzo normale, e non il Prescelto... e avrei tanto desiderato che non finissero mai. Ma l’ennesima sciagura stava per abbattersi sulla mia vita e su Hogwarts: Voldemort aveva preso il potere dopo la morte del Preside. Io dovevo affrontare il mio destino, eliminare il Signore Oscuro una volta per tutte, perciò lasciai Ginny e la scuola per continuare la ricerca. Non l’avrei mai fatto, se non fosse stato per il suo bene: ma non è rimasta ad aspettare il mio ritorno... anzi, ha lottato insieme ad altri studenti senza mai arrendersi, nemmeno quando Hogwarts fu assediata.
« Ginny è sopravvissuta alla battaglia, anche se ha subito una terribile perdita nella sua famiglia.  Prima non sapevo cosa aspettarmi da noi due, ma ora che è tutto finito comincio ad avere le idee un po’ più chiare: lei è importante per me... io la amo. Voglio tornare da lei e rimettere le cose a posto... non la lascerò mai più, lo giuro. »
Harry sentì Hellboy ridacchiare alle sue spalle.
« Ben detto, ragazzo » gli disse, alzando il pollice di pietra. « Una ragazza così è davvero rara, da qualsiasi mondo uno provenga... non fartela scappare! »
« Heh... grazie, Red. »
« E tu, Sora? » aggiunse il rosso, rivolgendosi a lui insieme agli altri. « Chi è la fortunata da cui vorresti tornare? »
Sora restò senza parole, ma nel frattempo il suo viso divenne di un rosso acceso sotto lo sguardo di tutti i suoi compagni.
« Ehm » mormorò, « non ho mai avuto una ragazza... ma, come Harry, c’è una persona speciale nel mio cuore. Lei si chiama Kairi. Ha un animo molto dolce, e pensa sempre agli altri prima che a se stessa; è disposta a proteggerli in ogni situazione, anche quando sembra non ci sia speranza alcuna.
Kairi è arrivata sulla mia isola circa dieci anni fa, durante una pioggia di stelle cadenti; non ricordava niente del mondo da cui proveniva, e fu adottata dal sindaco della città. Si è trovata subito a suo agio sull’isola, e siamo diventati grandi amici. Lei non era molto interessata al suo passato, ma questo spinse un altro nostro amico, Riku, a interessarsi agli altri mondi. Così decidemmo di costruire una zattera per lasciare l’isola e... be’, il resto lo sapete. Arrivarono gli Heartless, l’isola fu distrutta, e i miei amici scomparvero... compresa Kairi.
« Ho temuto a lungo che si fosse perduta nell’Oscurità, ma ancora non sapevo quanto fosse speciale. Kairi è in realtà una Principessa del Cuore... e come tale, possiede un cuore fatto di pura luce, incorruttibile dalle tenebre. Il suo cuore era finito nel mio corpo un attimo prima che l’isola fosse distrutta, e questo l’aveva salvata dall’oblio. Trovai il suo corpo tempo dopo, e per restituirle il cuore arrivai a trapassarmi il petto con un Keyblade; rischiai tutto per lei, ma ne valse la pena. »
Sora si portò una mano sul petto, mentre con l’altra estraeva un oggetto dalla tasca: un ciondolo a forma di stella, fatta con un insieme di conchiglie sul quale era stata disegnata una faccina sorridente.
« Kairi era salva » riprese. « L’avevo cercata tra i mondi, senza rendermi conto che lei era sempre stata con me... dentro di me. Ma c’era ancora una minaccia da affrontare, così mi separai da lei per compiere il mio dovere. In quel momento mi diede questo portafortuna, affinché potessi portare sempre qualcosa di lei con me.
« La sconfitta di Ansem ha ripristinato i mondi distrutti, compresa la mia isola, alla quale Kairi poté tornare; ma era solo il primo atto di una battaglia ben più grande. La mia avventura è durata un anno, e solo di recente ho potuto rivedere Kairi... più matura, più forte e più splendida che mai. È sempre stata al mio fianco, dopo tutto questo tempo; nel mio mondo incombe ancora una grande minaccia, purtroppo... e finché resto qui non potrò affrontarla insieme agli altri. »
Sora guardò il suo portafortuna, sospirando.
« Kairi mi sta aspettando. Sapete, nel mio mondo esiste un frutto particolare a forma di stella. Donarlo a qualcuno è interpretato come un gesto d’amore, che lega insieme i loro destini. Ho immaginato molte volte di donare quel frutto a Kairi... l’ho persino disegnato su una parete nella caverna dove giocavamo da piccoli; quando sono tornato sull’isola ho scoperto che anche lei aveva disegnato la stessa scena per me. Ormai è inutile negarlo, a questo punto: io la amo, e lei mi sta aspettando. Quando tornerò e avrò rimesso ogni cosa a posto... le donerò finalmente quel frutto. È una promessa! »
Sora guardò i suoi compagni, che annuirono ancora una volta. Nessuno aveva altro da aggiungere: gli otto compagni avevano messo in chiaro un’altra cosa che li univa. Avevano qualcosa per cui continuare a lottare... persone care da cui tornare; il pensiero delle loro compagne, amici e familiari era ciò che più di tutto li sosteneva negli attimi più tenebrosi, spingendoli a non mollare pur di ritrovare la luce... e la via per tornare a casa.
Poi un rumore strano ma familiare risuonò nell’aria, spezzando il silenzio che era creato. Era il brontolio di uno stomaco, quello di Po, che si ritrovò a distogliere lo sguardo con aria imbarazzata.
« Eheh... ho di nuovo fame » disse. « Che ne dite se cerchiamo qualcosa da mangiare? Questa nave avrà un ristorante a bordo, no? »
« Sicuro » rispose Edward con un sorriso. « Massì, onestamente comincio ad avere fame anch’io... sono con te, amico! »
I Valorosi scoppiarono a ridere uno dopo l’altro. Decisero quindi di appoggiare l’idea del panda e s’incamminarono lungo il ponte, abbandonando la ringhiera. Solo Lara si ritrovò a indugiare sulla prua, una decisione che attirò l’attenzione di Luke; il giovane Jedi si avvicinò a lei, intercettando la sua espressione poco allegra.
« Tutto bene? » domandò preoccupato.
« Heh... dipende da cosa intendi dire » borbottò Lara, voltandosi a guardarlo. « Non mi sento in grado di condividere l’ottimismo di voialtri, in questo momento. Guardandomi indietro, sembra che persino in un altro mondo mi ritrovo a rischiare continuamente la vita... e mi chiedo per quanto ancora durerà. »
Luke tacque, incerto su cosa poter dire per farla stare meglio. Si avvicinò a lei e le accarezzò il viso con la mano meccanica.
« Non temere » disse. « Finché resteremo uniti, ce la caveremo. La nostra forza viene dal legame che abbiamo stabilito tra noi; ci aiutiamo e ci proteggiamo a vicenda. E finché resteremo uniti, io continuerò a proteggerti. »
Lara alzò lo sguardo, incrociando quello di Luke. I due si guardarono intensamente per qualche secondo, in piedi sulla prua del Titanic mentre proseguiva il suo viaggio per l’ignoto.
« Luke, io... » fece l’archeologa, « non ti ho ancora ringraziato per avermi salvato la vita, ieri. »
Luke sorrise.
« Non c’è problema » disse, ma nel frattempo si erano avvicinati ulteriormente l’uno all’altro. I loro volti, le loro labbra, ormai prossimi ad incontrarsi.
Poi un urlo improvviso spezzò l’incantesimo, costringendo entrambi a guardare verso il ponte.
Il Nemico li aveva trovati.
 
 
 
Spazio autore:
Ehilà! Perdonate la lunga assenza su questa storia, l’idea improvvisa sulla FF di Ranma ½ ha distolto completamente la mia attenzione... ma ora sono lieto di annunciarvi il mio ritorno con questo nuovo entusiasmante capitolo! Le cose stanno per mettersi molto male per i Valorosi, perché un nuovo scontro mortale sta per cominciare; vi assicuro però che i Nostri sapranno il fatto loro, dopo questa bella sessione di allenamento! ;)
Grazie e alla prossima!
    

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Capitolo 21
*** Alleanza mortale ***


Capitolo 21
 
Pochi minuti prima, i Valorosi erano ancora intenti a rilassarsi dopo il lungo allenamento che aveva impiegato l’intera giornata, durante il viaggio a bordo del Titanic. Po aveva deciso di cercare qualcosa da mangiare, seguito da Edward e dagli altri compagni che condividevano un certo appetito. Il gruppo stava percorrendo il ponte di prua, quando Po si fermò all’improvviso.
« Brrr... che freddo » fece, stringendosi le spalle. « È calato così in fretta, non vi pare? »
Ed guardò l’amico panda con aria incerta, ma fu costretto a dargli retta. In effetti sentì che la temperatura si era abbassata di colpo, e si voltò a guardare gli altri compagni... che tuttavia avevano reagito in modo del tutto inaspettato.
« Oh no » esclamò Harry, il più allarmato fra i presenti. « Non di nuovo! »
Si voltò in ogni direzione, bacchetta alla mano, mentre il familiare freddo gelido gli pervadeva le viscere e la nebbia cominciava ad avvolgere l’ambiente. Sora, Jake ed Hellboy impugnarono le loro armi, ma era già troppo tardi: i Dissennatori apparvero da ogni direzione, rapidi come fulmini; li stavano accerchiando, con l’intento di eliminarli tutti nel giro di pochi istanti.
« Cazzo... e questi chi sono? » disse Ed, l’ultimo a mettersi in guardia insieme a Po.
« State indietro! » gridò Harry. « Non conoscete le loro capacità... lasciate fare a noi! »
Anche per questo fu troppo tardi. I Dissennatori si erano già avventati sui due malcapitati, ignari di cosa sarebbe accaduto loro di lì a poco per mano di quelle orride creature. Appena un respiro, e Edward Elric cadde in ginocchio, in preda al suo ricordo più terribile: la notte in cui aveva perso tutto...
« Non è possibile, non è questo che desideravo! Al, è tutta colpa mia... Ridatemelo, ridatemi mio fratello! prendetevi l'altra gamba... prendetevi le mie braccia... prendetevi il mio cuore... potete prendervi tutto quello che volete... tutto, ma ridatemelo, vi prego... è l'unico fratello che ho! »
Lo stesso accadeva nel frattempo a Po, mentre il gelo dei Dissennatori lo assaliva. E l’incubo che aveva corrotto la sua infanzia tornò a riemergere, più tremendo che mai...
« Aaaargh! Aiuto! »
« Uccideteli! Uccidete tutti i panda! Nessuno deve restare vivo! »
« Moglie, prendi il bambino! Scappate! »
« Noooo... »
« Expecto patronum! »
Harry si era fatto avanti, e come la volta scorsa riuscì a fare il miracolo. Il cervo d’argento eruppe dalla sua bacchetta e tornò a correre in mezzo al gruppo, scacciando via i Dissennatori con la sua luce. Anche quelli che avevano assalito Ed e Po si ritrassero, permettendo loro di rimettersi in piedi poco dopo; tentarono subito di attaccare, quando si udì uno sparo. Un Dissennatore fu colpito in testa e cadde in mare; un altro fu tranciato in due da una lama di luce verde, scagliata come un boomerang che tornò subito dopo in mano al suo padrone. Harry, Ed e Po si voltarono: Luke e Lara, rimasti indietro per breve tempo, si erano riuniti al gruppo per aiutarli.
« State tutti bene? » gridò Lara, pistole alla mano.
« Sì... credo di sì » rispose Ed, mettendosi in guardia.
« Per tutti i ravioli al vapore... che diavolo è successo? » esclamò Po, ancora sconvolto.
« Rimandiamo a dopo le spiegazioni » intervenne Jake. « Abbiamo un nuovo carico di merda da cui tirarci fuori! »
I Valorosi si raggrupparono sul ponte, formando un cerchio. Il Patronus camminava lento intorno a loro, proteggendoli dai Dissennatori che non accennavano a ritirarsi; continuavano a fluttuare lungo il ponte del Titanic, e il loro numero sembrava aumentare a vista d’occhio. Cercavano di avanzare il più possibile, nonostante la magia di Harry facesse da scudo.
« Non hanno alcuna intenzione di lasciarci andare, sembra » ne dedusse Jake, osservandoli bene. « Sono così tanti... faremmo meglio a scappare. Harry, teleportaci via! »
« Si dice Materializ... ah, lascia perdere » borbottò il ragazzo. « Aggrappatevi tutti a me! »
I compagni obbedirono senza farselo ripetere. Quando tutti ebbero afferrato Harry per la giacca, questi girò su se stesso, concentrandosi sulla destinazione: il porto...
Ma non funzionò. Harry perse l’equilibrio e cadde a terra, trascinando con sé i suoi compagni. Erano ancora a bordo del Titanic, circondati da un centinaio di Dissennatori sempre più vicini.
« Che succede? » protestò Hellboy. « Perché non ha funzionato? »
« Non lo so! » rispose Harry, rimettendosi in piedi. « Non capisco... non mi era mai accaduta una cosa del genere. A meno che... »
« A meno che cosa? »
« A meno che qualcuno non abbia posto un incantesimo anti-Smaterializzante su questo posto. Qualcuno come... »
« Qualcuno come me, Potter » disse una voce acuta e gelida.
Harry sbarrò gli occhi, impietrito, mentre rivolgeva lo sguardo sull’uomo che con calma si faceva largo tra i Dissennatori. Alto, emaciato, avvolto in un manto nero col cappuccio, l’orrida faccia da rettile bianca e scarna, gli occhi rosso sangue dalle pupille verticali fissi su di lui... Lord Voldemort lo aveva trovato, infine.
« Oh, finalmente » dichiarò Voldemort con un ghigno soddisfatto. « Finalmente ti ho trovato, Potter... e in buona compagnia, a quanto vedo. »
I Valorosi si scambiarono un’occhiata, dopo aver fissato lo stregone con crescente disgusto.
« Però » commentò Hellboy. « Io sarò anche brutto, ma tu sei veramente orrendo! »
« Sembra che tu non abbia perso la vecchia, irritante abitudine di circondarti di deboli amichetti » aggiunse Voldemort, ancora rivolto a Harry.
« Hah » borbottò il diavolo, puntandogli contro la sua pistola. « Vieni più vicino e ti faccio vedere quanto sono debole, faccia da biscia. Ti spacco quel brutto naso che... ops, scusa! Non mi ero accorto che non ce l’hai. »
Voldemort gli lanciò un’occhiataccia, ma Harry intervenne prima che accadesse ben più di uno scontro verbale.
« Come hai fatto a trovarci? » domandò.
Voldemort ridacchiò, e nel frattempo accarezzava la sua bacchetta in legno di tasso.
« Mi hai sempre sottovalutato, Potter » sibilò. « Hai dimenticato quanto può essere pericoloso pronunciare il mio nome? Ma il prode Harry Potter non ha paura di pronunciarlo, vero? Ecco perché ho imposto nuovamente il Tabù sul mio nome... un modo davvero semplice per rintracciarti. Ed è stato altrettanto semplice raggiungere questa nave in buona compagnia, senza essere notato... con l’aiuto del mio nuovo alleato. »
Lo stregone guardò un punto alle spalle dei Valorosi. Questi si voltarono uno dopo l’altro, verso la prua della nave, dove era apparso un nuovo individuo. A differenza di Voldemort, costui fu riconosciuto subito da gran parte del gruppo: Ansem, il Cercatore dell’Oscurità, levitava a un metro da terra, chiuso nel suo soprabito nero a braccia incrociate.
« Ansem! » gridò Sora, che subito gli puntò contro il Keyblade. L’Heartless tuttavia non batté ciglio, limitandosi ad allargare le braccia.
« Eccovi qui, finalmente » dichiarò con voce profonda. « Eroi... coraggiosi guerrieri, salvatori dei vostri mondi dal cuore impavido. Non potevi che essere uno di loro, Sora... ma questo non ti salverà dalla tua sorte... la sorte che attende tutti i cuori di tutti i mondi! »
« I cuori? » fece Edward, confuso. « Ma di cosa sta parlando? »
« L’Oscurità è la vera essenza del cuore » proseguì Ansem. « Alla fine, ogni cuore ritorna nell’oscurità da cui è venuto. L’Oscurità conquista tutto! »
« Bla bla bla » cantilenò Sora, spazientito. « Questa parte me l’avevi già raccontata una volta... sei davvero noioso, oltre che stupido! »
« Già, sono pienamente d’accordo » confermò Jake, mentre con la sua statura osservava la situazione. « Pensate di spaventarci con così poco, voi due? » aggiunse, guardando Ansem e Voldemort. « Con la vostra entrata trionfale e un mucchio di stracci volanti? È una cosa che possiamo gestire senza problemi... giusto ragazzi? »
I Valorosi annuirono, e ancora una volta si posero in guardia, pronti a combattere. Harry tornò a guardare Voldemort, colmo di rabbia.
Ma i due avversari continuavano a sorridere maligni, come se avessero la situazione in pugno. Non guardavano più i Valorosi, ma in due direzioni diverse lungo il ponte: gli otto compagni si accorsero solo in quel momento che una folla enorme di Senzavolto si stava radunando intorno a loro. Marinai, ufficiali e passeggeri, rimasti insensibili allo scontro fino a pochi istanti prima, ora si raccoglievano in massa come apparenti spettatori, circondando Voldemort, Ansem e i Valorosi. Lo spazio che fu concesso al gruppo era delimitato dalla barriera luminosa emessa dal Patronus, ancora attivo.
« Maledizione! » osservò Lara, voltandosi in ogni direzione. « Di male in peggio... sembra che ora ci vedano! »
« Senzavolto » dichiarò Ansem in quel momento. « Ombre senz’anima, fantocci privi di volontà... nulla più che mere parvenze della vita di un mondo estraneo. Anche se non hanno volto né anima, hanno comunque un cuore. Cuori tremanti di odio... cuori brucianti di rabbia... cuori segnati dall'invidia... cuori che, in quanto tali, possono colmarsi di oscurità! »
Sora rimase ad ascoltare, consapevole di aver già sentito in passato parole simili. Ma non era il momento più adatto per i ricordi, perché la situazione stava per prendere una piega ancora peggiore: sotto lo sguardo attonito dei Valorosi, i Senzavolto subirono un’improvvisa trasformazione. Tutti quei corpi si ricoprirono di tenebre, rendendoli in pochi istanti qualcosa di molto più pericoloso.
Ora i Valorosi erano circondati da una folla di Heartless. Erano più alti e più grossi di quelli affrontati nel grattacielo qualche giorno prima: avevano tutti una forma umanoide, i corpi neri come il buio, i piccoli occhi gialli e dotati di lunghe antenne piegate a zigzag all’indietro.
Sora non poteva essere più sconvolto. Ansem aveva sfruttato i cuori dei Senzavolto per trasformarli tutti in Heartless, ottenendo un potente esercito in pochi istanti. A vedere un simile dispiegamento di forze, il ragazzo dubitava di poter ancora gestire la cosa senza problemi.
« State attenti » disse subito, rivolto ai compagni. « Questi sono Neoshadow... sono molto più forti dei piccoletti che abbiamo affrontato l’altro giorno, non sottovalutateli. »
« Ricevuto, ragazzo » rispose Hellboy. « Sei tu il massimo esperto contro di loro... e i Dissennatori sono materia di Potter. Non resta che darci dentro, no? Voi che ne dite? »
I Valorosi si scambiarono un’occhiata, prima di rivolgersi tutti a Jake. Il Na’vi torreggiava al centro del gruppo, mitragliatrice alla mano, lo sguardo determinato; anche se era circondato da ombre e non-morti divoratori di anime e cuori, non perse la voglia di sorridere.
« Scateniamoci! » ordinò.
Il gruppo si disperse in ogni direzione, armi alla mano. Heartless e Dissennatori si lanciarono all’attacco, come un’onda gigantesca; il cervo d’argento continuò a galoppare per tutto lo scenario, inondando eroi e nemici con la sua luce. Heartless e Dissennatori, indeboliti da essa, caddero numerosi sotto i colpi dei Valorosi: Sora li annientava rapido con il suo Keyblade; Harry li spazzava via con gli incantesimi; Ed usava l’alchimia per respingerli; Po li metteva al tappeto con il suo micidiale kung fu; Luke li tranciava a metà con la spada laser; Hellboy e Lara li abbattevano a colpi di pistola; Jake li falciava con la mitragliatrice. Opposero una fiera resistenza, nonostante fossero in inferiorità numerica.
Andò avanti così per qualche minuto, finché i due nemici principali non decisero di intervenire. Voldemort e Ansem avanzarono nello stesso momento, per avventarsi sulle loro rispettive nemesi: entrambi avevano organizzato tutto questo solo come diversivo, per tenere occupati gli alleati fino al momento cruciale. Avevano dato ascolto a Nul solo per questo... per uccidere i loro veri nemici.
Harry si era appena fatto largo tra un gruppo di Heartless quando vide Voldemort apparire di fronte a lui, pronto finalmente ad affrontarlo.
« Tu e io, Potter... com’è sempre stato! »
« Fatti un favore, Riddle... chiudi quella dannata bocca! »
Sollevarono le bacchette nello stesso istante, scagliando un incantesimo a testa. Il dardo di luce verde si scontrò contro quello rosso, provocando un’esplosione a mezz’aria; nessuno dei due maghi fu coinvolto da essa, e rimasero in piedi, illesi.
« Osi ancora chiamarmi con quel nome insulso? » urlò Voldemort, irritato. « Sei solo un moccioso insolente! »
« Questo moccioso insolente è riuscito a sconfiggerti » rispose Harry, decisamente più calmo. « A ucciderti! Non riesco a credere che tu lo abbia dimenticato. »
« Oh, ti sbagli... non l’ho affatto dimenticato. Ecco perché oggi è la vendetta a muovere la mia mano... Nul mi ha concesso l’occasione per cancellare l’onta che hai gettato su di me, Potter... e stai pur certo che non la sprecherò. »
« Allora ti suggerisco di stare attento, Riddle » ribatté il ragazzo. « Quante volte il tuo Avada Kedavra ha fatto cilecca su di me, a tue spese? Fossi in te non rischierei di usarlo ancora... a meno che non vuoi che la storia si ripeta. »
Voldemort tacque, ma le sue labbra tremavano per la rabbia.
« D’accordo, ne farò a meno » sibilò infine. « Vorrà dire che ti farò lentamente a pezzi! »
 
Nel frattempo, Sora era alle prese con Ansem. Il ragazzo era stato colto di sorpresa dalla sua nemesi, mentre era intento a massacrare orde di Heartless; l’uomo in nero era sbucato dal nulla e lo aveva afferrato, scagliandolo verso l’alto con una forza immensa. Sora fece un volo pazzesco, e i suoi occhi individuarono l’enorme canna fumaria su cui stava per andare a sbattere; scacciò lo spavento e fece appello al potere dentro di lui, concentrandosi su ciò che doveva fare per sopravvivere.
Glide!
Il corpo di Sora rallentò sempre di più, finché non toccò con i piedi il metallo della canna fumaria senza danni; fortunatamente la sua abilità di levitazione non era andata perduta. Si aggrappò subito alla superficie metallica, conficcandovi il Keyblade per non cadere. Il ragazzo ebbe appena un attimo per riprendere fiato, quando vide Ansem scagliarsi ancora una volta su di lui: il suo Guardiano colpì la canna fumaria, così forte da piegarla all’indietro fino ad appoggiarsi sull’altra. Ora la superficie a cui era aggrappato Sora si era inclinata, e poteva camminarci sopra più facilmente; guardò in basso, verso il ponte, dove ancora infuriava la battaglia. Ansem lo aveva separato dai suoi compagni, ma sembravano cavarsela anche senza di lui.
« La tua speranza è debole » dichiarò l’Heartless, fluttuando nell’aria. « Così come la luce che illumina questo mondo spezzato. Presto o tardi l’oscurità coprirà tutto... dunque perché ancora ti opponi ad essa? »
« Perché è giusto » rispose Sora, impugnando il Keyblade. « E perché hai torto... l’oscurità non potrà mai coprire tutto. Da qualche parte nel mondo, ci sarà sempre un po’ di luce a risplendere! »
Ansem fece un ghigno maligno.
« E io annienterò anche quella! »
E lo scontro decisivo tra i due ebbe inizio.
 
Il resto dei Valorosi fu impegnato a combattere, senza sosta, le due orde del nemico. I sei compagni facevano un ottimo lavoro di squadra, supportato anche dalla difesa del Patronus, ma sentivano di non poter resistere ancora per molto. Gli Heartless li schiacciavano con la loro superiorità numerica, e i Dissennatori complicavano ulteriormente le cose con il freddo e la nebbia. Era come trovarsi in mezzo a una tempesta, costretti a resistere finché non fosse cessata.
Lara ebbe un attimo di difficoltà, mentre ricaricava le sue armi; alcuni Heartless colsero l’occasione per aggredirla, ma Luke giunse subito in soccorso dell’amica, facendo a pezzi i nemici con assoluta precisione.
Lara sospirò sollevata, mentre finiva di ricaricare.
« Graz... attento! »
Luke ebbe appena il tempo per voltarsi e alzare la spada, ma il Dissennatore stava già crollando al suolo, crivellato dai colpi di Lara. Lo Jedi tornò a guardare la sua alleata, ammirato, che gli restituì un sorriso fiero.
« Se ne usciamo vivi, ricordami che ti devo un bacio » dichiarò lei.
« Hehe... nessun problema. »
Ed entrambi si voltarono, mettendosi schiena contro schiena, pronti ad affrontare un’altra ondata.
Contemporaneamente, Ed era impegnato a combattere contro la sua parte di nemici: come al solito, aveva trasmutato parzialmente il suo automail, creando una lama con cui affettare gli Heartless. Stava molto attento inoltre a usare l’alchimia in uno spazio così limitato: una nave in movimento sopra un’enorme distesa d’acqua non era l’ambiente ideale in cui scatenarsi con le trasmutazioni... avrebbe rischiato di causare seri danni, mettendo in pericolo se stesso e i suoi alleati. Come gli altri, anche lui sentiva di non poter andare avanti a lungo.
« Maledetti... non finiscono più! » si lamentò, dopo aver eliminato un paio di Heartless per vederne rispuntare altri. « Che facciamo, Jake? »
Il Na’vi si liberò di un Dissennatore, trafiggendolo con una freccia, prima di rispondere.
« Questi non sono il vero nemico » commentò accigliato. « Sono solo carne da macello... dobbiamo eliminare i loro padroni, o continueremo ad averceli addosso! »
« Oh, gran bella idea! » intervenne Hellboy, continuando a sparare. « Peccato che Voldemort e Ansem sono fuori tiro... in questo modo non li raggiungeremo mai! »
« Non abbiamo scelta, allora... dobbiamo confidare in Harry e Sora... affinché abbiano la meglio sulle loro nemesi. »
 
Harry e Voldemort erano ancora impegnati a duellare poco lontano, vicino alla ringhiera del ponte, praticamente indisturbati. I loro poteri si eguagliavano, in quel momento cruciale: da una parte Voldemort, forte della sua esperienza e talento nelle Arti Oscure; dall’altra Harry, in grado di tenergli testa grazie alla Bacchetta di Sambuco. Il ragazzo riusciva a proteggersi persino dalle maledizioni più letali, con grande disappunto del suo nemico: Voldemort non si arrese e continuò a provare, scagliando incantesimi in rapida successione... che tuttavia furono prontamente bloccati o respinti dalla magia difensiva di Harry.
« Quando pensi di rinunciare, Tom? » dichiarò Harry dopo l’ultimo attacco. « Mentirei, se ti dicessi che comincio a stufarmi... perché sono già stufo di tutto questo da un bel pezzo. »
« Maledetto... » sibilò Voldemort, come se cercasse di trattenere una furia immensa. « Maledetto moccioso! Ti credi migliore di me? Se ora mi resisti è solo grazie a quella bacchetta... che dovrebbe stare tra le mie mani! »
Harry guardò la Bacchetta di Sambuco, e il suo sguardo si fece più cupo.
« Non sono felice di affidarmi a questo potere » ammise. « Non ho mai creduto che fosse questo il vero potere... ma mi è servito per liberarmi di te già una volta, dunque lo userò ancora! »
Udì Voldemort respirare forte, e nient’altro. Sembrava non aver altro da aggiungere, anche perché subito dopo alzò la bacchetta. Harry tornò in guardia, ma non gli arrivò addosso alcun incantesimo; poi udì un nuovo respiro, molto più agghiacciante, alle sue spalle. Si voltò e il panico gli annebbiò il cervello, mentre tre Dissennatori si avventavano su di lui, senza dargli il tempo di reagire. Il Patronus era troppo lontano.
Harry crollò a terra, in ginocchio. La disperazione lo stava già devastando, dentro e fuori, insieme al gelo... e il buio...
« Haaarry!!! »
« Mamma... »
« Dalla Cina con furore! »
I Dissennatori furono allontanati, colpiti in pieno da qualcosa di enorme la cui forza riuscì a spedirli oltre il parapetto. Harry alzò la testa, di nuovo in grado di pensare: con suo enorme stupore (e anche di Voldemort), Po era giunto in suo soccorso.
Il panda atterrò con grazia accanto all’amico, pronto a dare manforte contro lo stregone.
« Stai bene, Harry? Niente paura, i rinforzi sono arrivati! »
« Heh... grazie mille! »
Voldemort osservò la scena, con evidente incredulità nei suoi occhi vermigli.
« Non ti conosco, buffa bestia parlante » sibilò, « ma se interferirai in questo duello, conoscerai nuove forme di dolore. »
« Hah! Si vede che non mi conosci affatto, bello » dichiarò Po, sicuro di sé. « Il mitico Guerriero Dragone non abbandona mai un amico in difficoltà, e non teme i brutti cattivoni come te. »
« Uhm... devo riconoscere che hai fegato. Ma nemmeno Lord Voldemort teme i dragoni... se proprio insisti, ti metterò alla prova. Serpensortia! »
La punta della sua bacchetta esplose, e un lungo, gigantesco serpente venne fuori da essa, strisciando minaccioso verso Po. Il panda restò in guardia, ma non riuscì a impedire al rettile di avvinghiarsi intorno al suo corpo, stringendo forte.
« Po! »
Harry cercò di raggiungerlo, ma Voldemort ne approfittò per scagliargli contro un nuovo incantesimo. Il ragazzo alzò appena in tempo la Bacchetta, ma la difesa fu troppo debole e gli sfuggì di mano. Voldemort gli venne addosso mentre cercava di recuperare la sua arma, pronto a finirlo una volta per tutte...
« Avada... »
Non finì mai la frase, perché qualcosa di lungo si avvinghiò al suo braccio in quel preciso istante, impedendogli di abbassare la bacchetta. Non era una corda, bensì la coda del serpente che aveva evocato poco prima: il suo sguardo incredulo si spostò dal braccio fino a un punto alle sue spalle, dove aveva lasciato Po. Il panda si era liberato dalla presa del serpente, e lo stava usando come un lazo per bloccare il suo attacco.
« Wohoo! » esclamò Po, sempre più determinato. « Te lo avevo detto che non mi fai paura! »
Harry sorrise, meravigliato per la piega presa dalla situazione. Po stava tenendo testa a Voldemort!
Lo stregone urlò, sempre più furibondo. Schioccò le dita e il serpente svanì in una nuvola di fumo; la sua mano era di nuovo libera, così strinse la presa sulla bacchetta e la rivolse su Po.
« Avada Kedavra! »
Un lampo di luce verde saettò attraverso lo sguardo di Harry, improvvisamente agghiacciato. Po fu colpito in pieno sulla pancia: si udì un forte rimbombo mentre il suo corpo veniva avvolto per alcuni istanti da un alone verde; l’incantesimo rimbalzò quindi in alto, dritto sparato contro il cielo come un fuoco d’artificio. Poi, tuttavia, Harry vide Po crollare a terra con tutto il suo peso, a faccia in giù.
Dopo averlo visto accadere fin troppe volte, il ragazzo non poteva dubitare in alcun modo di ciò che aveva di fronte: un altro amico morto.
« Po... noooooo! »
Sentì Voldemort sogghignare soddisfatto, ma era come se si trovasse molto lontano.
« È stato molto coraggioso, proprio come tuo padre... non è vero, Potter? E ha fatto la sua stessa fine, proprio come tutti gli altri che si sono fatti avanti per proteggerti.
« Sembra proprio che la storia sia destinata a ripetersi, dopotutto » proseguì Voldemort. « Anche qui, in questo mondo assurdo dominato da forze che non comprendiamo, c’è sempre qualcuno pronto a morire per te... pronto ad ostacolare il mio piano di rinascita. Mi domando dunque se sarò costretto a uccidere tutti i tuoi amici, prima che il mio incantesimo riesca finalmente a colpirti. »
Sentì Harry mormorare qualcosa, ma con quella voce spezzata non riuscì a capirlo.
« Che cosa hai detto, Potter? »
« Ho detto... Crucio! »
La Bacchetta di Sambuco fendette l’aria, dritta contro Voldemort. Lo stregone, colto di sorpresa, non riuscì a difendersi, e una scarica di immenso dolore lo investì in pieno. Crollò a terra in ginocchio, la bacchetta ancora in mano, ma prima che potesse reagire vide Harry avanzare minaccioso verso di lui, che lo colpì con un'altra maledizione.
« Crucio! »
Voldemort urlò ancora. Non aveva mai subito di persona gli effetti di quella maledizione, la stessa con cui lui si era divertito a torturare innumerevoli persone; e ora che essa era fortificata dalla Bacchetta di Sambuco, nessuno poteva immaginare l’enormità del dolore provato dal suo corpo. Harry non ci pensò nemmeno mentre lo torturava, carico di rabbia e odio oltre ogni misura. Neanche durante il loro ultimo incontro era mai stato così furioso, nonostante la guerra gli avesse portato via molti dei suoi cari. Doveva accadere laggiù, in quello strano mondo... l’ultima goccia che fece traboccare il vaso della sua pazienza.
« Maledetto! » urlò. « Maledetto bastardo! Crucio! Vigliacco! Assassino! Crucio! Sectumsempra! Sectumsempra! »
L’ultimo incantesimo lacerò la pelle di Voldemort in vari punti, provocandogli numerose ferite. Lo stregone rimase a terra, ridotto ormai allo stremo delle forze dopo una tale quantità di colpi subiti. Harry gli tolse la bacchetta di mano con un calcio, gettandola lontano: ora il suo nemico era inerme, finalmente... pronto a pagare per tutto ciò che gli aveva fatto. Il ragazzo mise perciò da parte la Bacchetta di Sambuco e impugnò la spada: l’occasione era perfetta... quell’arma aveva già distrutto i pezzi dell’anima di Voldemort in passato... era giusto che servisse allo scopo ancora una volta, per distruggere il corpo di quel viscido serpente.
Mentre sollevava la spada, Harry fissò lo sguardo su quegli occhi vermigli, ora ricolmi di dolore e paura allo stato puro. Voldemort stava per avere, ancora una volta, ciò che aveva sempre temuto.
« Per i miei genitori » dichiarò, spietato. « Per il mio padrino... per i miei amici... per Po... ma soprattutto, per avermi rovinato la vita! »
Una gigantesca ombra nera apparve all’improvviso sotto i suoi piedi. Da essa emersero Heartless in gran quantità, che saltarono subito addosso a Harry: miravano al suo cuore tremante di rabbia, da cui il ragazzo si era lasciato travolgere mentre infieriva su Voldemort. Ogni parte del suo corpo fu ghermita da artigli di tenebra, arrivando quasi a stritolarlo; non riuscì a raggiungere la Bacchetta, perciò si affidò alla spada, ma non bastò per liberarsi di tutti quegli Heartless. Ben presto non riuscì a vedere più nulla e cadde in ginocchio, ormai sul punto di soccombere...
 
Lo scontro tra Sora e Ansem proseguiva, da una posizione ben più elevata. Eroe e nemesi si affrontavano sulla canna fumaria del Titanic, danneggiata in modo grave. Il ragazzo abbassò lo sguardo, e vide con sommo orrore cosa stava succedendo sul ponte.
« Harry! »
« Per lui è troppo tardi » dichiarò Ansem, incrociando le braccia ancora una volta. « Sta precipitando nell’Oscurità, da cui non troverà scampo. »
Sora lo ignorò e iniziò a correre, nel tentativo di raggiungere l’amico, ma l’Heartless si parò di fronte a lui. Il ragazzo provò a colpirlo con il Keyblade, che fu quasi subito bloccato dalla mano possente del Guardiano.
« Continui a commettere lo stesso errore » riprese Ansem, con il suo solito sorriso maligno. « Cerchi di aiutare i tuoi amici, nonostante siano già perduti... proprio come è successo a Riku. Così, mentre ti ostini a salvarli, diventi vulnerabile... debole. I tuoi amici sono la tua debolezza! »
Sora gli restituì un’occhiataccia, mentre entrambi stringevano la presa sul Keyblade. Poi il ragazzo fece inaspettatamente un sorriso, e la chiave sparì dalla sua mano. Un istante dopo riapparve sull’altra, ma con una forma diversa: era bianca, con due ali d’angelo sull’impugnatura e i denti, bianchi e dorati, erano disposti come i raggi di una ruota; alla base era attaccato il portafortuna che gli aveva regalato Kairi.
« I miei amici » dichiarò Sora, « sono sempre stati la mia forza... »
Scattò in avanti e colpì Ansem in pieno petto, facendolo urlare. Poi fece un balzo all’indietro, sfruttando l’occasione.
« ...e lo saranno sempre! »
Lanciò il Keyblade con tutta la sua forza, che roteò nell’aria e trapassò Ansem da parte a parte. Il nemico urlò ancora più forte e cadde in ginocchio, mentre l’arma di Sora tornava tra le sue mani.
« È finita, Ansem, hai perso... ancora una volta. »
Il Guardiano svanì dalle spalle di Ansem. Lo stesso stava accadendo a lui, mentre ansimava sconfitto ai piedi di Sora: il suo corpo si stava disintegrando rapidamente, trasformandosi in fumo nero. Eppure rideva, contro ogni aspettativa.
« Hehe... sì, è finita » sussurrò. « Per Ansem, almeno... ma per Xehanort... non è affatto... finita. Non hai ancora vinto... Custode del Keyblade... »
Un attimo dopo svanì del tutto, lasciando a terra solo il soprabito nero. Sora lo guardò per un po’ con aria accigliata, ma non c’era tempo da perdere: rivolse subito lo sguardo verso il ponte, dove erano in atto le conseguenze della sua vittoria su Ansem.
I Valorosi, ridotti ormai allo stremo, rimasero di stucco nel vedere gli Heartless svanire all’improvviso, dissolvendosi nell’aria in una moltitudine di sbuffi di fumo nero. Anche i Dissennatori rimasti stavano battendo in ritirata, e si disperdevano in ogni direzione senza alcun ripensamento. Il Titanic fu improvvisamente avvolto dalla calma e dal silenzio, libero anche dalla nebbia e il gelo: a parte i Valorosi, in giro non si vedeva nessuno. Essi rimasero tuttavia in guardia, aspettandosi un nuovo attacco che tuttavia non avvenne.
« Che succede? » disse Edward, guardandosi intorno. « Se ne sono andati all’improvviso... che diavolo gli sarà preso? »
Jake non rispose, ma il suo sguardo si posò nel frattempo sulla canna fumaria, dalla quale Sora si stava calando con un balzo, e poi su Harry e Po, distesi a terra vicino alla ringhiera. Dei loro avversari non c’era traccia.
« Ce l’hanno fatta » dichiarò il Na’vi, riponendo arco e mitra. « Harry e Sora devono aver eliminato le loro nemesi, e le creature sono sparite insieme a loro. Come diciamo su Pandora, “Se tagli la testa, morirà la bestia”... e così è stato. Abbiamo vinto! »
Sollevati, riposero tutti le armi e si avvicinarono alla ringhiera. Sora arrivò planando in quello stesso momento, e superandoli atterrò accanto a Harry: il giovane mago si stava già rimettendo in piedi, terribilmente scosso.
« Uff, meno male » esclamò Sora, guardandolo. « Per un attimo ho temuto che fosse troppo tardi. State tutti bene? »
« Sì... io sto bene » sussurrò Harry, la cui voce sembrava tuttavia dimostrare l’esatto contrario. « Ma Po... non ce l’ha fatta. »
« Cosa? »
« Po è... morto. Voldemort lo ha ucciso. »
I Valorosi si voltarono a guardare Po, ancora disteso al suolo. Jake e Lara si erano avvicinati a lui, cercando di scuoterlo ma invano.
« Non è possibile » disse Luke con tono piatto.
« Ha usato l’Avada Kedavra » ribatté Harry, ormai in lacrime. « Non ha avuto scampo... credetemi, l’ho visto succedere fin troppe volte! »
« mmmancora cinque minuti, papà... »
Harry s’interruppe, e anche i suoi compagni.
« ...perché dobbiamo aprire anche la domenica mattina...? »
Jake voltò Po, facendolo distendere sulla schiena. Con enorme sorpresa di Harry, il panda stava aprendo gli occhi con un grugnito, come se si fosse appena svegliato di malavoglia. I Valorosi lo circondarono, sollevati nel vederlo riprendere i sensi; il giovane mago, sempre più incredulo, corse ad abbracciarlo.
« Po! Sei vivo... sei vivo! » gridò più forte che poteva.
« Uhm? Sì, credo di sì » fece Po, l’aria ancora visibilmente sbattuta. « O siamo morti entrambi? »
« Direi di no » affermò Hellboy. « So bene cosa si prova quando si è vicini al crepare. »
« Era ciò che volevo dire, prima » aggiunse Luke. « Sapevo che Po non era morto... percepivo ancora la sua forza vitale. »
« Ugh... cavolo, mi fa male dappertutto » brontolò il panda, afferrandosi la pancia. « Quel colpo è stato davvero tremendo. Inoltre ho ancora una fame da lupi! »
Harry rise, tanto era sollevato da quella lieta notizia. Sapere di non aver perso un altro amico lo riempiva di gioia, dimenticando tutta la rabbia provata appena pochi minuti prima. Non riusciva a credere che Po fosse così resistente alla magia da sopravvivere persino all’Anatema che Uccide... una magia che nel suo mondo aveva mietuto innumerevoli vite per mano dello stesso Voldemort.
Ma non la sua... non la vita di quel grosso, lardoso panda con cui aveva l’onore di viaggiare.
« Sei stato incredibile, Po » disse il ragazzo con un gran sorriso. « Anzi, di più... sei stato mitico! Il modo in cui hai sfidato Voldemort... hehe... credo che da oggi in poi sarai ricordato come Il Panda Che È Sopravvissuto. »
I Valorosi scoppiarono a ridere, improvvisamente divertiti dalla situazione.
« A proposito, Harry, lui dov’è finito? » domandò Lara. « Non vedo il suo corpo da nessuna parte... lo hai forse incenerito? »
Harry scosse la testa, facendosi nuovamente cupo.
« Purtroppo no » rispose. « Quel serpente è riuscito a scappare. Mentre avevo gli Heartless addosso, ha recuperato la sua bacchetta e si è Smaterializzato. Maledetto... ce l’avevo quasi fatta... »
Po cercò di consolarlo, mettendo una zampa sulla sua spalla.
« Non te la prendere, amico » disse con un sorriso. « L’importante, adesso, è che stiamo tutti bene. Abbiamo vinto questa battaglia! »
Harry lo guardò. Quel viso paffuto e sorridente, così colmo di beata innocenza, riuscì in qualche modo a tirarlo su di morale. Gli fu grato per questo: fino a pochi minuti prima, il ragazzo si era trasformato praticamente in qualcun altro... aveva permesso all’odio di consumare il suo cuore, rendendolo spietato oltre ogni immaginazione. Spietato come Voldemort.
Ma grazie al cielo era tutto finito, pensò; così Harry restituì un sorriso a Po e si rialzarono in piedi entrambi.
Tra i Valorosi calò il silenzio, durante il quale ne approfittarono per dare un’occhiata intorno. Il ponte e la prua del Titanic cadevano praticamente a pezzi, dopo una battaglia così violenta: la prima canna fumaria, dove avevano lottato Ansem e Sora, era spaccata e piegata contro le altre ancora attive. La nave galleggiava ancora, ma ora non c’era più nessuno a governarla: i Senzavolto l’avevano abbandonata dopo essere stati trasformati in Heartless.
Ora i Valorosi andavano alla deriva a bordo di una nave fantasma.
« Che facciamo adesso? » domandò Sora, dubbioso. « Questa nave non ci porterà lontano, in queste condizioni. »
« È vero » ammise Jake. « Oltretutto, i nemici ci hanno individuati di nuovo... non è prudente restare qui. »
Convennero tutti che fosse il caso di lasciare immediatamente la nave. Ma mentre i Valorosi prendevano una decisione, un gemito catturò di colpo l’attenzione di tutti: Luke si era piegato sulle ginocchia, afferrandosi il petto come se fosse stato colto da un malore.
Lara si avvicinò subito a lui, spaventata.
« Luke! Cos’hai? Ti senti male? »
« Ugh... no, sto bene » rispose lui, ma il tono era lo stesso usato da Harry poco prima. « Ho avvertito qualcosa: qualcosa di terribile... di oscuro. »
« Che vuoi dire? » domandò Harry. « Hai percepito qualcuno? Non sarà di nuovo Voldemort? »
« No... non è lui. Non lo riconosco, ma è potente... molto potente... ed è vicino! »
Il Jedi si voltò verso la prua, oltre il mare. I compagni lo seguirono con lo sguardo, ma come lui non videro nulla di diverso. Pochi secondi dopo, tuttavia, accadde qualcosa: la nave si fermò all’improvviso, bruscamente, facendo sussultare il ponte; i Valorosi persero l’equilibrio e caddero in ginocchio... e nel frattempo, un nuovo nemico emergeva dalle acque.
L’ombra di un nuovo incubo stava per calare su quegli intrepidi eroi. 

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Capitolo 22
*** Dove l'ombra nera scende ***


Capitolo 22. Dove l’ombra nera scende

 

All’improvviso si era alzato il vento in modo allarmante, frustando senza pietà i volti dei Valorosi. Le nubi si agitarono sopra le loro teste, diventando, se possibile, ancora più cupe e tenebrose. Passarono alcuni secondi che parvero un’eternità, prima che il mare rivelasse il nuovo nemico. I Valorosi rimasero in guardia, mentre oltre la prua del Titanic si levava una grande colonna d’acqua: la nave sussultò, così forte che fu difficile restare in piedi sul ponte malconcio. Poi l’acqua si abbassò di colpo, e agli occhi dei presenti apparve una figura: una creatura gigantesca che rimase sospesa nell’aria per qualche istante, prima di atterrare con forza sul ponte.

Immenso e minaccioso, aveva un aspetto umanoide, ma la sua altezza raggiungeva quella di Jake: era ricoperto dalla testa ai piedi con un’armatura nera, inquietante; l’elmo era dotato di lunghe punte acuminate, come una corona, e celava completamente il volto, lasciando solo due buchi per gli occhi. Brandiva un’enorme mazza nera, anche se in quel momento la lasciava penzolare lungo il braccio; un anello dorato scintillava sull’indice del suo guanto destro, unico accessorio visibile su quell’armatura nera.

I Valorosi udivano chiaramente il suo respiro, un suono glaciale e cavernoso. Il legno sotto i suoi piedi scricchiolava minaccioso, come se bastasse la sola presenza di quell’essere a farlo tremare. Non c’era nulla di rassicurante nel suo aspetto, nemmeno con un’occhiata attenta: ecco perché gli otto compagni mantenevano salda la presa sulle loro armi, pronti a difendersi da quell’ignoto essere.

« E quello chi è? » domandò Jake, cercando di mantenere la calma. « Qualcuno lo conosce? »

I Valorosi negarono uno dopo l’altro. Quel tipo non era familiare a nessuno di loro, ma questo era naturale: non potevano conoscere il flagello di un altro mondo. Sauron, l’Oscuro Signore di Mordor, era stato una delle maggiori calamità del lontano mondo di Arda, terrorizzandolo per più di un’era. Riportato in vita da Nul, egli era giunto di fronte a quel gruppo di eroi con un unico scopo: distruggere.

Sauron restò immobile davanti ai Valorosi, come in attesa: aspettava che la sua presenza provocasse la giusta dose di paura tra le sue future vittime. Luke era quello che ne risentiva di più, dato che percepiva il suo tremendo potere.

« Spaventoso » mormorò il Jedi. « Quanto potere, quanto male... superiori persino all’Imperatore. Non avevo mai percepito nulla del genere... sembra schiacciare il mio stesso cuore! »

« Cerca di calmarti, Luke » lo rassicurò Lara, afferrandolo per la spalla. « Non avere paura... lo affronteremo, come abbiamo sempre fatto. Ce la caveremo! »

Luke annuì. Lo stesso fecero gli altri, mantenendo la posizione. Era chiaro per tutti, stavano per affrontare una nuova minaccia, ma sulla quale non avevano alcuna informazione: non potevano attaccarlo alla cieca e vedere come andava... la cosa migliore, in quel momento, era lasciar fare al nemico la prima mossa, con le dovute precauzioni.

« Massima difesa, ragazzi » ordinò Jake a voce bassa. « Harry, incantesimi di protezione... Luke ed Edward, state pronti con i vostri poteri... Po e Sora, restate indietro... Red, Lara, fuoco al mio segnale. »

I compagni annuirono all’unisono, confidando ciecamente nella strategia del loro leader.

« Tu! » gridò Jake all’avversario. « Dicci chi sei e cosa vuoi da noi! Oggi abbiamo già avuto abbastanza guai, ma se proverai ad attaccarci saremo ben lieti di rispedirti a calci in culo da dove sei venuto. »

Sauron rispose dopo un lungo respiro, con la voce più agghiacciante che i Valorosi avessero mai udito in vita loro.

« IO SONO... IL POTERE » dichiarò. « SONO IL BUIO. IO SONO... MORTE! E VOI BRUCERETE... E SPROFONDERETE... NELLE TENEBRE! »

Sollevò la mano libera, e un istante dopo esplose il caos. I Valorosi furono investiti da una sorta di onda d’urto, così forte da spaccare il ponte in vari punti; sarebbero stati spazzati via come foglie se Harry e Luke non avessero eretto una barriera intorno a loro, combinando i loro poteri. Essa riuscì a proteggerli, ma percepirono ugualmente tutta la forza di quell’attacco: alle loro spalle, inoltre, la canna fumaria danneggiata andava in frantumi, come se fosse fatta di vetro.

Spaventoso, pensò Harry, agghiacciato. Di certo non aveva mai visto nulla di simile... dubitava infatti che persino Voldemort sarebbe stato capace di fare altrettanto!

L’onda d’urto si attenuò pochi istanti dopo. Era il momento buono per contrattaccare.

« Fuoco! »

All’ordine di Jake, Hellboy e Lara scattarono in avanti, sparando con le loro pistole. Il corpo massiccio di Sauron fu raggiunto da una gran quantità di proiettili, ma essi furono efficaci quanto i pallini di una pistola giocattolo: cadevano tutti a terra, infatti, dopo aver colpito invano l’armatura del Nemico.

Sauron chinò l’elmo cornuto, fissando incuriosito i proiettili caduti ai suoi piedi. I Valorosi rimasero senza parole, anche mentre il loro avversario cominciò ad avanzare: camminava piano, con estrema sicurezza, e nel frattempo sollevava la mazza.

« Stupeficium! »

Un raggio di luce saettò dalla bacchetta di Harry, dritta contro Sauron, ma questi lo deviò con un rapido colpo di mazza, verso il mare. Il ragazzo ne fu sorpreso: aveva respinto un incantesimo scagliato dalla Bacchetta di Sambuco! Sauron si fermò per un attimo e guardò Harry: sembrava avere intenzione di attaccarlo, e sollevò la mazza contro di lui. Jake approfittò della sua distrazione e gli saltò addosso, afferrandolo per le braccia.

I due rimasero a stretto contatto: il Na’vi cercava soprattutto di attirare l’attenzione di Sauron su di lui, per consentire ai suoi alleati di attaccare. Il Nemico dimostrò subito un’incredibile forza fisica, ma Jake resistette.

« Ora, ragazzi! » urlò agli altri. « Non pensate a me... urgh... attaccatelo con tutto quello che avete! »

L’esitazione da parte dei suoi compagni durò appena pochi secondi, poi decisero di obbedire. Luke si fece avanti per primo, spiccò un balzo enorme e atterrò alle spalle di Sauron, colpendolo ripetutamente con la spada laser. Lara lo seguì a ruota, aggirò il Nemico e nel frattempo sfoderò Excalibur, lanciando potenti colpi energetici da lunga distanza. Hellboy scattò in avanti, raggiunse Jake e fece una scivolata sotto le sue gambe: quando fu abbastanza vicino a Sauron, sparò alle sue parti basse. Sora si avvicinò e lo colpì alle gambe con il Keyblade, usando una tecnica speciale con cui si muoveva a gran velocità. Ed e Po cercarono di colpire il Nemico in vari punti, con l’alchimia e le arti marziali. Harry, infine, scagliò un gran numero di incantesimi che lo presero in pieno.

Jake manteneva ancora la presa su Sauron. All’improvviso, però, vide un bagliore tra i buchi del suo elmo: si abbassò di scatto, appena un attimo prima che un raggio infuocato gli staccasse la testa. Sauron, tuttavia, riuscì a staccarselo di dosso e lo spinse all’indietro, buttandolo a terra.

I Valorosi si fermarono, cessando l’attacco. Con enorme stupore di tutti, il Nemico appariva ancora illeso: né il Keyblade né la spada laser, né l’alchimia né il kung fu, né le pistole erano riusciti a fargli un graffio, nonostante lo avessero colpito senza sosta. L’armatura di quell’essere sembrava impenetrabile... anche nelle sue parti basse, dove Hellboy gli aveva sparato.

« Merda » brontolò il diavolo. « Non ha subito alcun danno! »

Nessuno dei suoi compagni trovò altro da dire, poiché la realtà era inequivocabile. Ma non c’era tempo per perdersi in chiacchiere: Sauron si era voltato a guardare Luke, e con passi lenti e pesanti si stava avvicinando a lui. Il Jedi alzò una mano: un’onda di Forza si abbatté sul Nemico, che lo rallentò appena; lui contrattaccò, e dalla sua mazza partirono una scarica di fulmini. Luke cercò di proteggersi con la spada laser, ma l’attacco era così potente che ben presto cadde in ginocchio.

« Nooo! »

Lara intervenne, seguita a ruota dai suoi compagni. Questi tentarono un nuovo assalto, mentre l’archeologa scagliava un colpo energetico che annullò la magia di Sauron. Egli, distratto, si voltò a guardare Lara; la sua mazza fendette l’aria e colpì Excalibur, spezzandola di netto. Il contraccolpo fu tale che Lara fece un volo all’indietro, andando a sbattere contro la ringhiera: poi si accasciò al suolo, priva di conoscenza.

« Lara! » gridò Luke, sconvolto, ma Sora fu il primo a raggiungerla: l’afferrò e puntò il Keyblade su di lei, curandola con la sua magia.

« È pazzesco » sussurrò incredula, dopo aver ripreso i sensi. « Ha un potere immenso... persino Excalibur non ha potuto niente contro di lui! »

« Eppure deve avere un punto debole » dichiarò Luke. « Ce l’hanno tutti... e lui non può essere da meno. »

« Ehi, guardate! »

Sora indicò verso Sauron, in quel momento alle prese con Harry. Il giovane mago era ancora in piedi e lo sfidava con i suoi incantesimi. Questi si abbattevano sul nemico in rapida successione, e lui arretrava, come se fosse colpito da una serie di cannonate; tuttavia era ancora in piedi, e si preparava a sferrare un nuovo colpo di mazza.

« Expelliarmus! »

La mazza di Sauron balzò via dalla sua mano, cadendo a terra con un gran tonfo.

Tutti rimasero stupiti dall’accaduto, persino Sauron e lo stesso Harry. La sua magia era efficace contro quel nemico, dopotutto... specie se rafforzata da un potente artefatto come la Bacchetta di Sambuco.

« Eccolo, il punto debole » disse Sora. « Continua così, Harry! Lo hai disarmato, dagli il colpo di grazia! »

Il ragazzo annuì, e tornò a guardare il Nemico: il suo respiro si era fatto ancora più profondo e inquietante... non poteva presagire nulla di buono.

Ora l’attenzione di Sauron era rivolta tutta su Harry. Il ragazzo mosse ancora la Bacchetta, da cui partì una lunga striscia di fuoco, dritta contro l’avversario: questi alzò la mano destra, sulla quale esplose l’incantesimo ostile. Il Nemico non aveva bisogno della mazza per proteggersi. Sauron avanzò lentamente, mentre Harry insisteva con il fuoco; lo rallentava, ma non era sufficiente... e lui era così vicino.

« Ho un’idea... Po, lanciami! » esclamò Hellboy.

« Cosa? » fece il panda.

« Non c’è tempo per i “cosa”, fallo e basta! Lanciami contro quel bestione! »

Po obbedì, pur restando incredulo. Afferrò Hellboy e con una tecnica di proiezione lo lanciò contro Sauron: il suo pugno di pietra lo colpì alla testa con una forza enorme; il Nemico perse l’equilibrio e rovinò a terra, spaccando il ponte. Un’ondata di trionfale sollievo si diffuse tra i Valorosi, ma c’era poco da stare allegri: Sauron non era ancora stato sconfitto, e lentamente si stava rimettendo in piedi.

« Niente da fare » dichiarò Jake, osservandolo. « Quel tipo è come una fortezza ambulante... non si riesce ad abbatterlo! »

« Ma la magia di Harry è efficace su di lui » suggerì Sora. « Non potremmo sfruttare questo vantaggio? »

« Non è abbastanza » ammise Harry. « È vero, la mia bacchetta è stata in grado di fermarlo... a spaventarlo, persino... ma non conosco incantesimi che riescano a distruggerlo definitivamente. No, la cosa migliore è concentrare tutti i nostri poteri in un solo colpo... forse riuscirà a fargli più male dei nostri attacchi disordinati. »

« Mi sembra una buona idea » convenne Luke, « ma come faremo a concentrare i poteri? Io posso assorbire le vostre energie con la Forza, ma poi dovrei convogliarle in uno strumento che possa in seguito colpire il nemico. »

« Ehi, che ne dite di questo? »

Sora aveva sollevato il Keyblade, mostrandolo bene a tutti.

Non avendo idee migliori, i Valorosi si radunarono intorno al ragazzo, per un ultimo, disperato attacco. Sauron si era nel frattempo rialzato, più furioso che mai: il suo elmo era stato ammaccato, là dove Hellboy lo aveva colpito con il suo pugno.

Harry, Edward, Jake, Lara, Po ed Hellboy posero le mani sulle spalle di Luke, pronto a ricevere la loro forza. Bastarono pochi secondi, e il Jedi raccolse energie sufficienti per attuare il loro piano: unì le mani come in preghiera, che iniziarono a brillare di luce, poi le pose sulle spalle di Sora. Il suo corpo fu avvolto dalla stessa luce, poi si trasferì sul Keyblade, puntato contro il Nemico.

Ma Sauron non era rimasto a guardare. Mentre i suoi nemici preparavano il prossimo colpo, lui faceva altrettanto: levò la mano destra al cielo, sulla quale apparve un globo di pura tenebra. Le nuvole iniziarono a vorticare intorno alla nave, e il rombo di tuoni echeggiò per tutto il mare circostante, mentre il Nemico si preparava a porre fine allo scontro una volta per tutte.

« SANCTA!!! »

Gli eroi e la nemesi furono pronti nello stesso istante. Mentre il Keyblade sparava un enorme fascio di luce, Sauron abbassava la mano, scagliando il globo nero in avanti: i due colpi si scontrarono a mezz’aria, luce contro oscurità, causando un bagliore accecante. Ne seguì un’esplosione immensa, tale da far vibrare l’aria stessa; i Valorosi persero il contatto con il suolo, perché l’onda d’urto ridusse in frantumi il ponte sotto i loro piedi.

L’esplosione spazzò via ogni cosa che si trovava nel suo raggio d’azione. Il Titanic, già compromesso dai danni di una lotta di proporzioni titaniche, fu spezzato in due: nulla resistette a una tale onda d’urto; ovunque fu un turbinio di frammenti di legno e metallo, e i Valorosi insieme ad essi... spazzati via come da un uragano.

Lara tornò a vedere mentre era ancora sospesa nell’aria, pochi istanti prima di cadere in mare. L’impatto con l’acqua fu doloroso, ma non letale: rimase cosciente ancora per un pò... il tempo necessario per vedere il Titanic cadere a pezzi davanti ai suoi occhi, sprofondando lentamente nell’oceano.

« R... ragazzi » sussurrò con la poca voce rimasta. « Harry... Sora... Luke... » 

Non ebbe risposta. Ovunque fossero finiti i suoi compagni, in quel momento non erano lì accanto a lei. Nemmeno Sauron, ma questo era un bene. Il buio stava calando, lo sentiva, insieme al gelido abbraccio di quelle acque ignote...

Ma non sarebbe stata la fine. Era già successo in passato, dopotutto: Lara sembrò immergersi tra i ricordi, i più terribili che conservava... il rumore assordante di una sirena e la luce rossa lampeggiante... la forza di un fiume d’acqua marina che la travolse... scintille e fiamme tra i corridoi della nave che stava affondando al largo di quell’isola maledetta... il buio e il gelo, mentre l’ossigeno si esauriva.

E poi la luce, e di nuovo l’aria, quando credeva che fosse tutto perduto.
La storia si stava solo ripetendo. Ce l'avrebbe fatta.

Sì, pensò Lara Croft nei suoi ultimi istanti di lucidità. Me la caverò... di nuovo. Io... sopravvivrò. Te lo prometto... Luke.   

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Capitolo 23
*** Il guscio vuoto ***


Capitolo 23. Un guscio vuoto.

 

Nel frattempo, Nul ingannava il tempo vagando attraverso il Cimitero dei Mondi, in attesa di ulteriori sviluppi. In quel momento in particolare, il signore di quel mondo spezzato era intento ad ammirare il panorama dalla prua di una nave pirata semidistrutta. Se ne stava comodamente seduto sulla polena, dalla forma simile alla testa di una capra, e nel frattempo canticchiava tutto allegro; in una mano reggeva una bottiglia di rum, nell’altra un cappello di paglia bruciacchiato... tutto ciò che restava dell’eroe che lo indossava su quella stessa nave.

« ... noi siamo pirati e ci piace perché,

la vita è fatta per noi.

Yo ho! Yo ho! la spada e il corpo e il mare... »

Scoppiò a ridere di gusto e bevve un sorso di rum, ma lo sputò quasi subito.

« Bleah! » brontolò schifato. « Niente da fare... Uncino e Sparrow erano migliori di te anche nel buon gusto, mister Cappello di Paglia. »

Un gran rumore attirò in quel momento la sua attenzione, davanti a sé. Nul abbassò lo sguardo, indirizzandolo verso una duna poco lontana: un gigantesco autocarro, simile a quelli usati per la nettezza urbana, stava scaricando nel Cimitero una gran quantità di materiale, gettandoli con noncuranza in mezzo alle rovine.

« Oho! Nuovo carico » esclamò Nul, emozionato. Gettò via il cappello e la bottiglia e spiccò il volo, planando in direzione dell’autocarro. Quando atterrò nelle vicinanze, il veicolo aveva terminato il suo compito: ora il Cimitero accoglieva un nuovo cumulo di macerie, rovine e rottami di varia natura. Nul si avvicinò, impaziente di trovare tra quei resti ciò che aspettava.

I resti degli ultimi eroi rimasti... l’ultimo atto di quel lungo ciclo di guerre durato ormai fin troppo a lungo.

« Bzz... mister Powerszzz... »

L’incappucciato abbassò lo sguardo: davanti a lui giaceva un’automobile, una Jaguar decorata con i colori della bandiera inglese. Il suo proprietario giaceva ancora al suo interno, un uomo occhialuto vestito di azzurro; era circondato inoltre da un gruppo di robot, con sembianze femminili e in abbigliamento intimo, ridotti a pezzi o danneggiati. Alcuni emettevano ancora deboli suoni, nonostante la battaglia fosse finita da un pezzo.

« Krr... non puoi... resisterrre... bzz... mister Powers... »

« E così è stato, infatti » dichiarò Nul, soddisfatto. Ai suoi occhi di spietato distruttore, quel poveretto che ora giaceva morto ai suoi piedi era solo un altro eroe caduto... uno dei tanti, strappato dal suo mondo come tutti gli altri. E stava per condividere la stessa sorte di tutti i suoi predecessori: l’oblio eterno, nel cuore del Cimitero dei Mondi.

Nul passò oltre, continuando a controllare il nuovo carico. Un’altra auto giaceva poco più avanti, distrutta come tutto il resto ma ancora riconoscibile: una Dodge Charger nera del 1970, ad occhio e croce; al suo interno giacevano due corpi, in avanzato stato di decomposizione. Nul aprì la portiera del guidatore, chinandosi in avanti per osservarlo bene: una piccola croce argentata, rimasta intatta, scintillava appesa al suo collo. Rimase fermo per qualche secondo, poi alzò lentamente una mano e prese il ciondolo, strappandolo al suo defunto proprietario.

Nul sospirò mentre osservava quel crocifisso sulla sua mano, e ne rimase sorpreso. Da quando aveva assunto un simile atteggiamento? In una guerra del genere non c’era spazio per i sentimentalismi, lo sapeva bene... curioso che avessero deciso di emergere proprio adesso, ora che tutto stava per finire.

Infine scosse la testa, cercando di ricomporsi. Lasciò scivolare il crocifisso in una tasca e riprese a controllare il carico. Oltrepassò un’elaborata armatura d’oro, la cui forma ricordava uno scorpione, ma dopo un’attenta occhiata fu costretto a rassegnarsi: tanti erano i resti di armi e mondi, e anche i cadaveri... ma nessuno di loro apparteneva al gruppo che aveva convocato recentemente. Coloro che più di tutti sperava di vedere tra quei ruderi, erano ancora vivi da qualche parte: persino Sauron sembrava avesse fallito nella loro eliminazione.

Avrebbe dovuto pazientare ancora un po’, dopotutto...

Un rumore attirò la sua attenzione, costringendolo a voltarsi. Qualcuno era apparso alle sue spalle, attraverso una sorta di portale oscuro: un uomo vestito con un soprabito nero, il cui volto era celato da un cappuccio proprio come il suo. Nul lo osservò senza alcun timore, dopo aver riconosciuto il suo aspetto.

« Oh, sei tu » commentò con voce piatta. « Credevo che Sora ti avesse distrutto... ma sembra che il vecchio Ansem sia un vero duro a morire, eh? »

L’uomo in nero scosse la testa.

« Ansem? » mormorò. « Credo che tu mi abbia scambiato per qualcun altro. »

Nul tacque per un secondo prima di rispondere. La sua sorpresa fu più lunga del previsto.

« Uhm... be’, mi capita di fare confusione tra gli estranei, specie se condividono lo stesso guardaroba. Dunque chi sei? »

« Sono quel che rimane. O forse... tutto quello che c'è mai stato. »

« Hah, ti prego... risparmiami queste minchiate metafisiche. Nel corso della mia esistenza sono stato costretto a sentirti ripeterle non meno di sette volte! Intendevo dire il tuo nome. »

L’uomo, prima di rispondere, si sfilò il cappuccio, mostrando il suo volto. In effetti somigliava ad Ansem: aveva anche lui la pelle scura, occhi dorati e orecchie a punta; i suoi capelli grigi erano lunghi, con diverse ciocche che ricadevano sulla sua fronte. Se lo sguardo di Ansem era maligno, quello di costui era freddo e distaccato, come se non provasse nulla.

« Xemnas. »

Nul rimase immobile per un po’, poi iniziò a ridere, sempre più forte. Anche se non c’era spazio per i sentimentalismi, ne aveva in abbondanza per il divertimento. Sì, l’intera situazione lo faceva divertire un mondo.

« Bene, Xemnas » dichiarò, riprendendosi. « Benvenuto a bordo. Temo che per un po’ non avrai occasione di sfidare il tuo piccolo amico... ma posso offrirti un buon passatempo fino a quel momento. »

« Ti ascolto » disse il Nessuno.

Nul annuì compiaciuto.

« Ti conosco bene, Xemnas... ricordo che l’organizzazione che guidavi non aveva alcuna pietà verso i traditori e gli infedeli. Dimmi, allora... ti piacerebbe dare una lezione a un disertore? »

 

 

 

 

 

Spazio autore: ciao a tutti, rieccomi qua! Mi rendo conto che questo capitolo è un po’ breve, ma serve da preludio alla grande sequenza di eventi che stanno per accadere in questo mondo contorto e ricco di caos. Intanto voglio riaccendere una speranza: i Valorosi sono sopravvissuti, e presto si rimetteranno in cammino per vincere questa guerra una volta per tutte. Nel frattempo, l’enigmatico Nul attende con crescente impazienza l’esito del conflitto... l’ultimo atto di un piano molto più grande, che per il momento solo lui è in grado di comprendere. E intanto ecco che salta fuori un nuovo avversario, Xemnas, che prenderà il posto di Ansem come nemesi di Sora... sorpresi? Eh, quando si parla di Xehanort, quello sì che è proprio duro a morire! :D

Infine approfitto dello spazio per mostrarvi un’immagine personale di Nul, fatta con le mie mani. E’ così che l’ho immaginato, nella sua forma definitiva.

Un sincero ringraziamento a tutti coloro che mi stanno seguendo... al prossimo capitolo! :)  

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Capitolo 24
*** Il futuro non scritto ***


Capitolo 24. Il futuro non scritto

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« Ora sono con te, Jake... siamo uniti per sempre. »

« Ugh... Neytiri... »

« ...per sempre... »

« Neytiri! »

Jake Sully aprì gli occhi, urlando a gran voce il nome della sua amata. Ora più che mai desiderava vederla accanto a sé, al risveglio dopo la notte più magica mai scesa su Pandora... ma ciò che vide non realizzava minimamente il suo desiderio. Si trovava su una superficie sabbiosa e umida, sotto un cielo avvolto dal buio più totale: chiaramente era notte, e l’assenza di stelle e del profilo del pianeta intorno a cui orbitava Pandora lasciò intendere che non era tornato a casa.

Si alzò a sedere, costretto ad accettare un nuovo dettaglio di quella triste realtà. Jake era solo in quella spiaggia: non c’era traccia dei suoi compagni, e il motivo di tale assenza non tardò a collegarsi agli ultimi ricordi che aveva prima di riprendere i sensi. Il Titanic stava affondando, ridotto a pezzi per i danni causati dallo scontro tra i Valorosi e un terribile nemico ignoto; l’ultimo, disperato attacco combinato per annientare quel mostro, che aveva causato un’esplosione gigantesca. Jake non era riuscito a mettersi in salvo... aveva donato tutta la sua forza per sconfiggere il nemico, così era stato spazzato via dall’esplosione, impotente come una foglia secca. Era caduto in acqua, perdendo i sensi... separato dai suoi amici.

Ora si sentiva meglio, ma non sapeva dire quanto tempo fosse passato dal naufragio: ore, o addirittura giorni. Il tempo, ricordava, scorreva in modo irregolare in quel mondo... e ora doveva sfruttare quello a sua disposizione per ritrovare gli altri Valorosi. Non poteva credere di essere stato l’unico a salvarsi dal disastro.

« Sora! » gridò, guardandosi bene intorno. « Po! Harry! Lara!! Dove siete!? »

Nessuna risposta. Gridò ancora, invocando a gran voce i nomi di tutti i suoi amici, ma non cambiò nulla. Anche se i suoi occhi di alieno vedevano attraverso il buio e tendeva le orecchie al massimo, non percepiva alcuna presenza nei dintorni. Il silenzio dominava incontrastato intorno a Jake, costringendolo ad accettare la realtà del momento: era solo... completamente solo.

Il Na’vi cercò di non perdersi d’animo e si rimise in marcia. Su quella stessa spiaggia ritrovò buona parte del suo equipaggiamento: il pugnale, il fucile M60, il cinturone con le granate, qualche freccia, ma soprattutto l’arco di Neyitiri. Jake era abbastanza sicuro che la sua compagna gli avrebbe staccato le orecchie a morsi se fosse tornato a casa senza l’arma appartenuta a suo padre, la quale aveva visto più battaglie di quante ne potesse immaginare. Ovviamente non vedeva l’ora di tornare su Pandora, ma adesso aveva una nuova priorità: ritrovare i suoi amici, sani e salvi.

Jake lasciò la spiaggia pochi minuti dopo, addentrandosi in un nuovo territorio: una città in rovina si ergeva davanti ai suoi occhi, cupa e silenziosa come tutto il resto. Ovunque volgeva lo sguardo, non vedeva altro che macerie e morte: edifici, automobili, tutto ciò che comprendeva l’ambiente urbano era bruciato o ridotto in frantimi. Vide inoltre un gran numero di scheletri, a cumuli, ciò che restava degli abitanti: erano dappertutto, sui marciapiedi o tra le macerie degli edifici, o ancora a bordo delle auto, come se fossero stati colpiti all’improvviso da una catastrofe... troppo in fretta, per riuscire a salvarsi.

A giudicare dall’aspetto, sembrava che l’intera città fosse stata investita da un’ondata di fuoco, distruggendo tutto nel suo raggio d’azione. In quel momento Jake riusciva a pensare a una sola arma in grado di arrecare un simile danno a una città intera... qualcosa che non aveva mai visto con i suoi occhi in vita sua, ma che da secoli era divenuta tristemente famosa per ciò che aveva saputo fare all’umanità.

Una bomba atomica.

Jake tirò un calcio a un cumulo di rottami, colmo di rabbia. Credeva di aver visto il peggio dalla razza che aveva rinnegato, ma evidentemente si sbagliava: all’orrore non c’era mai fine, e ora ci stava camminando dentro... un orrore fin troppo simile a quello accaduto su Pandora. Per un attimo gli parve di trovarsi di nuovo tra i resti bruciati dell’Alberocasa, respirando l’aria intrisa di cenere: una sciagura portata dagli umani, capaci solo di distruggere.

Di distruggere persino il loro stesso mondo.

« Maledetti... » ringhiò a bassa voce, ma ormai non riusciva più a trattenersi. Afferrò un teschio e lo lanciò in aria, urlando con quanto fiato aveva. Ne aveva abbastanza di tutto questo... di tutto l’orrore partorito dalla follia umana.

« MALEDETTI UMANI!!! »

Tacque poco dopo per riprendere fiato, ma ebbe appena un paio di secondi per farlo. Il silenzio, infatti, fu spezzato subito dal rumore di uno sparo. Jake vide una specie di raggio laser sfiorare la sua guancia e colpire il suolo poco più avanti, facendo un buco per terra. Allarmato, si voltò, l’arco in mano, e vide il suo aggressore.

Stava in piedi sopra un’auto davanti a lui: era un robot umanoide, alto circa due metri, il cui aspetto ricordava molto quello di uno scheletro. La testa, in particolare, sembrava un teschio umano, con occhi che brillavano di rosso. Era armato di fucile, puntato ora in direzione di Jake.

Il Na’vi restò in guardia, cercando di valutare la situazione.

« E tu chi diavolo sei? » chiese, ma non ottenne risposta. Il robot si limitò a osservarlo, emettendo deboli ronzii con il movimento dei suoi arti metallici. Sembrava incerto, nonostante un attimo prima gli avesse sparato.

« Ti avverto » aggiunse Jake, sollevando l’arco teso. « Mi hai colto in un momento davvero brutto... quindi, se non vuoi scoprire di cosa sono capace quando sono incazzato, ti consiglio di sparire! »

Il robot, non appena vide una freccia puntata contro di lui, reagì, aprendo il fuoco: una raffica di colpi laser esplose dal suo fucile, costringendo Jake a mettersi al riparo. Scattò di lato, correndo intorno all’auto per non disorientare l’aggressore; un colpo andò a segno sulla sua spalla, facendolo sbilanciare. Non si fermò e continuò a correre, fino a trovare riparo dietro un furgone.

« Ah, io le odio le macchine! »

Jake controllò subito la ferita: bruciava parecchio ma non era profonda... la sua fisionomia aliena lo aveva protetto ancora una volta; poteva occuparsene più tardi, ora doveva liberarsi di quel robot. Lo sentiva ancora sparare all’impazzata, e si stava avvicinando. Non aveva mai avuto a che fare con macchine simili, ma in quel momento non occorreva essere un esperto di robotica per scoprire come farlo secco: per prima cosa gli occorreva un diversivo...

Raccolse un sasso e lo lanciò in aria. Mentre il robot alzava lo sguardo e sparava al nuovo bersaglio, Jake uscì fuori e scagliò una freccia, colpendo il nemico in un occhio. Il robot non gridò, ma dal suo cranio uscirono scintille; il danno lo disorientò, cominciando a sparare in varie direzioni senza alcun controllo. Jake schivò i colpi laser e gli andò addosso, fucile alla mano. Con uno spintone buttò il robot a terra e iniziò a crivellarlo di colpi: il suo urlo di rabbia fu coperto dal suono assordante della mitragliatrice, ma non gli importava... ciò che contava era distruggere quell’ennesima minaccia che incrociava il suo cammino!

Smise di sparare e di urlare poco dopo. Il robot taceva immobile ai suoi piedi, ridotto a un ammasso di pezzi di metallo fumante. Jake lo guardò a lungo con disgusto, mentre tornava indietro con la memoria a giorni di dolore: i giorni in cui, ancora umano, viveva nel suo mondo morente, dove le macchine soffocavano intere nazioni di terra sterile.

« Fottute macchine » mormorò, distogliendo lo sguardo da quel rottame. Fece appena un passo in avanti, quando udì un frastuono rompere il silenzio sopra la sua testa; contemporaneamente fu illuminato da un fascio di luce, come se si trovasse all’improvviso sotto un riflettore. Jake alzò lo sguardo: dal cielo era giunto un velivolo, simile a un piccolo aereo, completamente in metallo e privo di abitacolo; due grosse turbine poste ai lati soffiavano l’aria, provocando un rumore assordante; emetteva il fascio di luce con cui lo puntava, come se lo tenesse sotto tiro. Jake tornò in guardia, ma le sorprese non erano finite: sulla strada erano comparsi altri robot, identici a quello che aveva appena distrutto. Erano almeno una dozzina, una truppa di scheletri metallici tutti armati di fucile laser; Jake vide i loro occhi rossi puntati contro di lui, sempre più vicini.

« Mi sembrava fosse troppo facile » borbottò, sempre più esasperato. Strinse la presa sul suo M60, pronto a opporre resistenza ancora una volta. Forse sarebbe andato incontro alla morte, ma avrebbe resistito fino alla fine... come un vero guerriero di Pandora. Un vero membro del Popolo.

Ci fu un boato, poi un’esplosione. Jake alzò lo sguardo ancora una volta, appena in tempo per vedere il velivolo colpito da una raffica di colpi laser, che lo mandarono a schiantarsi contro l’edificio più vicino.

Poi, alle sue spalle, si levarono urla e spari in quantità, appartenenti a un gruppo di uomini comparsi improvvisamente sulla scena. Sembravano soldati, ma Jake non ebbe tempo per porsi altre domande: senza aspettare di scoprire se avessero anche loro intenzioni ostili, il Na’vi si mise al riparo. I soldati erano concentrati sui robot, che camminavano senza sosta in avanti facendo piovere su di loro raffiche di colpi laser. Attraverso corpi in corsa e lampi di luce, Jake vide quegli uomini combattere con estremo coraggio: le urla del loro leader, in prima linea, sembravano sovrastare gli spari e le esplosioni, infondendo grinta alla sua truppa.

« AVANTI! PER LA LIBERTA'! PER LA VITTORIA! »

Jake si tenne a distanza mentre gli uomini avanzarono. I robot cadevano come sassi sotto i loro colpi, nonostante la grande potenza di fuoco di cui erano dotati. Quei soldati sapevano il fatto loro, doveva ammetterlo. Pochi minuti dopo, lo scontro era già finito: i robot erano stati distrutti, annientati da quel formidabile attacco; gli uomini erano sopravvissuti, anche se avevano perso alcuni compagni nell’azione. Mentre esultavano per la vittoria, il loro leader camminava tra i rottami, valutando la situazione.

« Un’altra vittoria per la Resistenza! » commentò un soldato soddisfatto. « Ormai abbiamo messo le macchine con le spalle al muro, Connor... non resisteranno ancora a lungo! »

« Bene » commentò il leader con tono piatto. Per qualche motivo, non appariva entusiasta come gli altri. Jake si avvicinò con cautela; ormai stava valutando la possibilità di fidarsi di loro... dopotutto, lo avevano appena tirato fuori dai guai.

Il nemico del mio nemico... è mio amico.

Fu allora che vide un robot rialzarsi improvvisamente da terra: anche se danneggiato, aveva ancora la forza per sollevare il fucile, dritto contro l’uomo chiamato Connor. Egli si era appena voltato, consapevole del pericolo... non avrebbe fatto in tempo a difendersi.

« Raaah!!! »

Jake saltò addosso al robot, schiacciandolo a terra con il suo peso. Gli strappò il fucile e gli sferrò un pugno alla testa, ma servì solo a farsi un gran male alla mano; il metallo di cui era fatto quella macchina era davvero duro. Il robot cercò di opporre resistenza, ma Jake era troppo grosso per lui: le sue mani trovarono il collo della macchina e tirò con tutta la sua forza... con tutta la sua rabbia... finché la testa non fu strappata via di netto.

Un attimo dopo, era tutto finito. Jake era in ginocchio sopra un altro rottame, circondato da un gruppo di uomini esterrefatti. Guardò l’uomo chiamato Connor, che gli restituì ben più dello sguardo incredulo dei suoi soldati; costui era un uomo di mezz’età, l’aria indurita, il volto sfregiato da profonde cicatrici sul lato sinistro. Indossava una specie di uniforme militare improvvisata, come il resto della sua truppa. Quando fissò lo sguardo di Jake, sembrava molto più incredulo degli altri, quasi come se avesse visto un fantasma.

« Marcus? » sussurrò.

Jake non sembrò capire, e si rialzò in piedi.

« Heh... prego, non c’è di che » gli rispose, deluso per non aver sentito nemmeno un “grazie”.

« Fermo dove sei! »

« Getta l’arma, subito! »

Accadde quello che si aspettava fin dall’inizio. In un attimo si trovò sotto tiro da una decina di fucili, imbracciati da quegli stessi uomini che poco prima lo avevano salvato. Jake restò al suo posto, ma si rifiutò di gettare le armi; gli umani non meritavano la sua obbedienza, né la sua sottomissione... mai più.

« Mi hai sentito? Getta l’arma! »

« Ma cos’è? Non sembra una macchina... »

« No, il bioscanner risulta positivo. »

« ...ha distrutto quel T-800 a mani nude... »

« Ma allora chi diavolo è? »

« FERMI! »

Era stato Connor a gridare, facendo tacere quel flusso ininterrotto di voci da parte dei suoi uomini.

« Giù le armi » ordinò, mentre si avvicinava a Jake senza alcun timore. Il Na’vi lo guardò dall’alto come al solito, ma all’improvviso si sentì a disagio: c’era qualcosa di strano in quell’uomo, ma non sapeva spiegarsi cosa. Perciò rimase in silenzio, aspettando di sapere cosa avrebbe fatto Connor.

« Sei una macchina? » domandò l’uomo.

« No. »

« Come ti chiami? »

« Jake Sully. »

« Uhm... »

Connor tornò a guardare i suoi uomini, in attesa di ordini.

« Voglio una nuova scansione. »

Un soldato si fece avanti, estraendo un congegno dalla tasca. Jake fu illuminato per qualche secondo da un fascio di luce verde, ma poi cessò.

« Bioscanner positivo, signore » confermò il soldato. « Non c’è neanche un grammo di metallo nel suo corpo... è completamente organico. »

« Bene » affermò Connor. « Signori, costui ha appena salvato il vostro comandante da una macchina... direi che merita il nostro rispetto, non trovate? Dopotutto... il nemico del mio nemico è mio amico. »

Si levò un mormorio d’assenso tra la truppa, divenuti improvvisamente d’accordo sulla faccenda.

Jake emise un gemito di dolore. La ferita alla spalla bruciava e continuava a sanguinare. Connor se ne accorse.

« Ti portiamo con noi » dichiarò. « Al campo base potrai essere curato. »

Il Na’vi acconsentì, senza obiettare in alcun modo. Ancora non ne comprendeva il motivo, ma sentiva di potersi fidare di quegli uomini... del loro comandante in particolare.

Poco dopo, Jake e i soldati erano nel loro accampamento, in uno spiazzo ai margini dell’area urbana in rovina. Esso era composto da una serie di tende, veicoli e attrezzature varie, recintato con lamiere e filo spinato: sembravano aver ricavato ogni cosa con mezzi di fortuna. Di certo quella gente stava attraversando un periodo difficile. Jake seguì Connor all’interno dell’accampamento, dal quale fu invitato ad accomodarsi nella sua tenda; anche se era ampia, era così grosso che fu costretto ad accovacciarsi per entrare.

« Voglio parlargli da solo » ordinò Connor ai suoi uomini, prima di entrare. « E mandatemi Arnie. »

« Sì, signore. »

Jake sedette a terra, posando le armi accanto a sé, mentre l’uomo si avvicinava a lui con un kit di pronto soccorso. Il Na’vi si lasciò esaminare e medicare senza fiatare, tanto era pervaso da una strana sensazione: la stessa che aveva provato a bordo del Titanic... un senso di familiarità e di sicurezza che non sapeva spiegarsi.

« Sorprendente » commentava Connor nel frattempo, mentre gli fasciava la spalla. « Sei stato colpito da un fucile fasato plasma e hai poco più che un graffio... qualsiasi uomo al tuo posto sarebbe stato ridotto a un colabrodo. »

« Io non sono un uomo » ribatté Jake, raggelando il suo tono di voce.

« Certo, scusa... non volevo mica offendere. A proposito, non ci siamo ancora presentati come si deve. Il mio nome è John Connor, sono il leader della resistenza contro le macchine... l’ultima speranza per il genere umano, come dicono in tanti. Non so se riesci a capire tutto questo... non sembri di queste parti. »

« In effetti no. Vengo da un altro mondo. »

Connor fece una smorfia simile a un sorriso, e dopo aver finito di medicarlo prese posto su una sedia davanti a Jake.

« Lo sospettavo. Non ho mai creduto che tu appartenessi alle macchine, come temevano i miei uomini... ma dovevo rassicurarli. »

Jake assunse un’aria curiosa. Connor sapeva cosa stava succedendo, proprio come gli abitanti di Burton Castle: sapeva di trovarsi in un altro mondo, di essere stato strappato dal suo per volontà di Nul. Dunque era anche lui un eroe, scelto per combattere in questa assurda guerra...

« E tu da dove vieni, Connor? »

« Da un altro mondo, proprio come te » gli rispose. « Non è molto diverso da quello in cui ci troviamo adesso, in verità: un mondo buio, spezzato... consumato dal fuoco di una guerra nucleare.

« Tutto è cominciato con Skynet, una rete di supercomputer progettata alla fine del ventesimo secolo. Quando il sistema venne messo in funzione, disponendo di una volontà propria ed utilizzando tutte le armi atomiche statunitensi, Skynet diede il via a un attacco nucleare contro l'umanità. Tre miliardi di vite umane si spensero il giorno 29 agosto del 1997. I sopravvissuti dell'olocausto nucleare, me compreso, chiamarono quella guerra "il giorno del giudizio". E sopravvivemmo solo per affrontare un nuovo incubo... la guerra contro le macchine. »

Connor tacque un attimo per riprendere fiato. Nel frattempo Jake appariva sconvolto, dopo aver sentito una storia del genere: aveva intuito che la distruzione in quel luogo fosse stata causata da un’esplosione atomica, ma non avrebbe mai immaginato la realtà appena ascoltata.

« Skynet vedeva tutti gli uomini come una minaccia, nonostante avesse già distrutto la nostra società » riprese Connor, « e decise il nostro fato in un microsecondo: sterminio. Così diede inizio alla creazione e alla produzione di un esercito di robot, programmati per ucciderci senza pietà... i Terminator. Li hai visti anche tu, là fuori... sebbene fossero solo una piccola truppa d’assalto. Il vero problema sono i cyborg: unità d’infiltrazione, parte uomo, parte macchina. Sotto hanno un telaio da combattimento in superlega controllato da un microprocessore, ma al di fuori è un normale tessuto umano vivo. Carne, pelle, sangue, capelli, elaborati per i cyborg allo scopo di infiltrarsi tra noi... e ucciderci. »

Jake si voltò, verso l’ingresso della tenda. Sentì il rumore dei suoi passi prima che attraversasse la soglia, cosa che avvenne pochi secondi dopo: un uomo molto alto e corpulento, tipo un culturista, con corti capelli bruni, la fronte ampia e la mascella pronunciata. Indossava un’uniforme come Connor ma il suo sguardo era gelido, come se non provasse alcun genere di emozioni.

« Ah, eccoti qua » disse Connor tranquillo. « Giusto in tempo, stavo per parlare appunto di te. »

L’uomo non disse una parola, e rivolse lo sguardo su Jake.

« Non riesco a identificare la natura del suo organismo » dichiarò con tono piatto. « Appartiene a una specie sconosciuta. Questo manda in confusione il mio sistema di rilevamento. »

« Grazie, Arnie. Comunque non c’è pericolo, Jake Sully è ora un nostro alleato. »

« Arnie? » ripeté Jake, confuso.

Lo aveva capito subito, naturalmente: quel tipo non era umano, almeno non del tutto. Il suo odore era strano, come se all’interno fosse pieno di metallo. Poi Jake ricordò l’ultima parte del racconto di Connor, quella riguardante i cyborg... dunque “Arnie” doveva essere uno di loro.

« Tranquillo, Arnie è un amico » spiegò Connor a Jake, « ...se così si può definire. È un Terminator, la mia personale guardia del corpo: lo abbiamo catturato e riprogrammato, così ora combatte al nostro fianco. »

« Dunque è un robot? »

« Organismo cibernetico » lo corresse Arnie. « Cyberdyne Systems modello 101. Tessuto vivente su endoscheletro metallico. »

« Sì, ormai lo sappiamo » disse Connor. « Arnie mi è stato molto utile negli ultimi tempi. Inoltre doveva servire a uno scopo diverso, prima che io, lui e i miei uomini finissimo in questo mondo. »

« Che genere di scopo? » chiese Jake.

« Nel mio mondo, la guerra contro le macchine dura da anni. Dopo il giorno del giudizio, io sono riuscito a radunare molti uomini e a formare la Resistenza contro Skynet, e a guidarla in una sanguinosa guerra decennale. Se non fosse stato per me, non saremmo arrivati così vicini alla vittoria finale sulle macchine... ormai stavamo avendo la meglio su quei luridi bastardi. Skynet, messo alle strette, aveva deciso di ricorrere a una risorsa estrema pur di togliermi di mezzo: inviare un cyborg nel passato attraverso un viaggio temporale, con lo scopo di scongiurare la minaccia che avrei causato durante la guerra. Un Terminator cercò di uccidere mia madre, prima che potesse mettermi al mondo... e un altro fu inviato per uccidere me quando ero un bambino; mi stavo preparando a scongiurare quest’ultimo pericolo, inviando Arnie nel passato a proteggermi, quando è accaduto tutto questo. »

Connor tacque di nuovo.

« Cosa è successo, esattamente? » domandò Jake.

« Difficile dirlo. Ho solo un vago ricordo di quegli ultimi istanti: vidi un’ombra gigantesca levarsi dall’orizzonte e diventare sempre più grande, avvolgendo il mondo intero nell’oscurità. Persi conoscenza, e quando rinvenni mi ritrovai in un luogo completamente diverso: una specie di enorme discarica ricolma di rovine. In breve tempo mi ricongiunsi con Arnie e un pugno dei miei soldati, ma non trovai nessun altro proveniente dal mio mondo... a parte le macchine. E da allora la battaglia è ricominciata, senza un attimo di tregua. »

Jake, non avendo nulla da dire, si limitò ad annuire. Dunque Connor e i suoi uomini avevano subito la sua stessa sorte... strappati dal loro mondo di origine, proprio come lui e gli altri Valorosi. Lo stesso si poteva dire per il luogo in cui si trovavano adesso: chiaramente doveva trattarsi di un “frammento” del mondo di Connor, come nel caso di Burton Castle o della scuola di Harry Potter.

Un mondo che Jake non aveva mai immaginato prima d’ora. Aveva sempre dato per scontato che non potesse esistere un mondo peggiore della sua Terra d’origine: una Terra inquinata, malata, devastata dall’inarrestabile invadenza dell’umanità; ma il mondo di Connor e delle macchine, al suo confronto, era un vero inferno... una Terra bruciata dal fuoco della guerra. Inoltre, l’uomo non sembrava dare molto peso all’idea di essere stato portato in un nuovo mondo... dopotutto, perché avrebbe dovuto sentire la mancanza di un mondo devastato da una guerra nucleare?

Un solo nuovo elemento risvegliò la sua curiosità, un piccolo dettaglio nel racconto di Connor: l’ombra che disse di aver visto prima di arrivare nel Cimitero dei Mondi; non aveva idea di cosa fosse, ma cercò di tenerlo a mente... poteva servire per far luce su questo enorme mistero.

Ma Connor sembrava non conoscere ciò che Jake definiva “le regole del gioco”. Non sapeva di Nul, né del suo folle passatempo, perciò il Na’vi prese la parola per spiegare tutto ciò che aveva appreso sulla faccenda. Parlò anche dei suoi compagni Valorosi, ora dispersi, e del suo tentativo di ritrovarli.

« Tu cosa ne pensi, Arnie? » disse infine, rivolgendosi al cyborg. « Tu, Connor e gli altri siete giunti su questo mondo, costretti a continuare la vostra battaglia contro le macchine... questa è la volontà di Nul, l’essere che comanda qui. Lui vi sta solo usando come pedine di un gioco... sei disposto a fare il suo gioco e vedere come va a finire? »

Arnie, che era rimasto immobile per tutto il tempo, rigido come una roccia, rispose meccanicamente alla domanda.

« La mia missione è assicurare la sopravvivenza di John Connor. Tutto il resto è irrilevante, per me. John Connor è l’ultima speranza del genere umano, deve sopravvivere ad ogni costo. Per questo, ovunque lui vada, io continuerò a seguire la mia direttiva. »

Jake tornò a guardare Connor. L’uomo aveva l’aria cupa, ma non sconfitta. Era evidente che ad uno come lui non bastava trovarsi in un altro mondo per gettare la spugna... non dopo tutto quello che aveva passato nella sua vita. Era un vero guerriero, che combatteva per la libertà del suo popolo: ecco perché Jake aveva sentito quasi subito di potersi fidare di lui, proprio come se fosse un fratello o un altro dei Valorosi.

« Credevi che io fossi qualcun altro, prima » disse Jake infine. « Mi hai chiamato Marcus, ma evidentemente hai sbagliato persona. Chi sarebbe questo Marcus? »

« Uno che conoscevo » rispose Connor. « Un uomo usato da Skynet per infiltrarsi e uccidermi, dopo che lo avevano trasformato in cyborg. Anche se sei un alieno ho notato subito l’incredibile somiglianza sul tuo volto... avete persino la stessa voce; per questo ho pensato innanzitutto che tu fossi un altro esperimento di Skynet e ho richiesto una scansione del tuo organismo. »

« Costui è morto, dunque? »

« Da dieci anni, dal mio punto di vista. Devo la vita a Marcus, perché ha sacrificato la sua per permettermi di sopravvivere. »

Connor concluse portandosi la mano sul cuore, come se il gesto facesse parte del ricordo.

« Beh, credo di averti detto tutto » aggiunse poco dopo. « Ora non resta che decidere cosa fare con te, Sully. Purtroppo non so nulla dei tuoi amici: ti aiuterei volentieri a cercarli, ma attualmente non ho idea di come potremmo localizzarli, e avventurarsi là fuori senza una meta precisa – con tutti quei Terminator in giro – sarebbe una follia. Io devo pensare ai miei uomini, per il momento. »

Jake annuì, perfettamente d’accordo, e nel frattempo si alzò in piedi. La sua testa sfiorò il soffitto della tenda, ma non ci badò.

« Ti capisco » disse. « Al tuo posto prenderei le stesse decisioni. Questi uomini sono tuoi compagni, la tua famiglia... i tuoi fratelli: sono tutto ciò che ti resta del tuo mondo. Io stesso mi stupisco di quanto possa capirlo... ma anche se non ti ho mai visto prima in vita mia, ho avvertito fin da subito una sensazione di familiarità in te. È come se anche noi due avessimo un legame profondo, come quello tra i fratelli... come se... »

« Come se fossimo nati dallo stesso padre » completò Connor, improvvisamente sorpreso. « Hai ragione, ho avuto la stessa sensazione anch’io. Mi hai ispirato subito fiducia, dopo aver capito che non eri mio nemico. Per questo intendo aiutarti come posso... e sarò onorato di combattere al tuo fianco. »

Tese la mano a Jake; questi la strinse quasi subito, facendo un sorrisetto. Dal suo punto di vista era come stringere la mano a un bambino, ma il valore di quel gesto superava di gran lunga le apparenze.

Arnie, rimasto ad osservare tutta la scena in silenzio, prese improvvisamente la parola.

« Arriva qualcuno » dichiarò.

Jake e Connor si voltarono verso l’ingresso: pochi attimi dopo entrò un soldato nella tenda, in evidente stato di allarme.

« Connor... siamo nei guai » esclamò. « Le macchine ci hanno trovato... stanno arrivando! »

« Cosa? »

« Dice la verità » osservò Arnie. « I miei sensori hanno appena rilevato la presenza di una grande concentrazione di macchine a sud, in avvicinamento. »

« Maledizione » brontolò Connor. « Quanti sono? »

« Non lo sappiamo con certezza, signore... almeno un centinaio di T-800, e diversi HK aerei e terrestri. Inoltre... hanno un nuovo modello di Terminator, sembra: uno solo, gigantesco... mai visto nulla del genere. »

« Diosanto... »

Connor era sconvolto. Non si aspettava di ricevere una notizia così grave: un esercito di macchine stava per piombare addosso al suo gruppo... e non poteva impedirlo in alcun modo. Lo sapeva, lo aveva sempre saputo... il suo futuro era stato già scritto, nonostante avesse tentato in tutti i modi di cancellarlo. Ma i giorni della fuga erano terminati ormai da un pezzo: restavano i giorni della guerra, anche se quello non era più il suo mondo. Il suo sguardo si spostò da Jake ad Arnie, entrambi determinati a restare al suo fianco; sapeva anche questo, perciò la decisione era una sola.

« Molto bene » dichiarò Connor, ricomponendosi. « Andiamo là fuori e distruggiamo quei maledetti. »

L’uomo afferrò il suo fucile e uscì dalla tenda, seguito dai suoi compagni. In pochi minuti radunò ogni membro della Resistenza, ordinando loro di prendere tutto il necessario per una battaglia all’ultimo sangue; i soldati obbedirono, già all’opera per prepararsi a ciò che stava arrivando. Arnie andò in avanscoperta, armato di una gigantesca mitragliatrice, per tenere d’occhio la situazione; Jake lo seguì per dargli una mano, poiché i suoi sensi animaleschi potevano tornare utili. Connor si occupò invece di motivare la sua squadra con quello che poteva essere l’ultimo discorso.

« Ci siamo, ragazzi. Ancora una volta, ci siamo... siamo dove siamo sempre stati negli ultimi dieci anni, davanti a eserciti di macchine con un’arma carica. Siamo dove resteremo in futuro... finché i nostri stivali non spazzeranno via a calci le briciole in cui avremo ridotto Skynet! Perciò ricordate, ragazzi: noi non stiamo andando incontro alla morte, ma solo a un altro manipolo di fottute macchine! E presto si renderanno conto a loro spese... che noi siamo la Resistenza! »

« SIIII!!! »

Gli uomini alzarono le loro armi al cielo, seguendo Connor. Jake riuscì quasi a sorridere nel vederli così determinati: quella scena, quelle parole, gli ricordavano molto il giorno in cui aveva spronato il suo clan a muovere guerra contro gli umani, dopo che questi avevano distrutto l’Alberocasa. Perciò promise a se stesso, mentre si univa a Connor nella marcia contro il nemico, che avrebbe fatto tutto il possibile per aiutarlo a vincere questa battaglia.

Lo scontro ebbe inizio poco dopo, appena usciti dall’accampamento. Tra le strade in rovina di quella città senza nome erano comparsi i Terminator, molto più numerosi di quelli abbattuti in precedenza. Un’enorme formazione di androidi, freddi e spietati, in marcia contro il nemico che avevano l’ordine di annientare: Jake vide centinaia di occhi rossi brillare tra la nebbia e il buio, e l’argenteo metallo scintillare alla poca luce offerta dall’ambiente. La Resistenza avvistò inoltre vari HK: una coppia di velivoli che solcavano il cielo sopra i Terminator, e tre Tank che macinavano il terreno con i loro pesanti cingoli.

Dietro tutto questo, Jake scorse ciò che aveva allarmato il soldato nella tenda: la macchina che non erano stati in grado di identificare aveva un aspetto molto diverso dalle altre. Alta tredici metri, sembrava una specie di mezzo corazzato che si muoveva su due gambe, la cui forma ricordava vagamente quella di un dinosauro senza coda; era dotato di un lungo cannone sul lato destro, mentre sul sinistro recava una piastra metallica circolare. Camminava lento, facendo tremare il terreno ad ogni passo.

« Uhm, è grosso... ma ho visto di peggio » commentò il Na’vi mentre stringeva la presa sulla sua nuova arma, il cannone laser più grosso che la Resistenza potesse prestargli. « Che ne pensi, Connor? Se sai come abbattere quell’affare, sono pronto ad ascoltare i tuoi consigli. »

« Spiacente, non ho mai visto nulla del genere » gli rispose l’uomo. « Arnie, analizzalo... dammi dettagli sulle sue capacità offensive! »

Mentre la Resistenza manteneva la posizione, il cyborg rivolse lo sguardo su quel robot gigantesco.

« Identificazione fallita » dichiarò dopo qualche secondo. « Modello sconosciuto. Lo stile di progettazione non corrisponde a quello Cyberdyne Systems. I miei sensori non riescono a localizzare alcun microprocessore. Mitragliatrici XGAU-8R installate sulla testa; lanciamissili terra-aria AGM-114P sulle ginocchia; cannone a rotaia; laser a fusione liquida sotto l'abitacolo. »

Connor e Jake si scambiarono un’occhiata. Entrambi ne sapevano abbastanza di armamenti da capire che quella macchina era dotata di mezzi estremamente letali: avrebbe potuto annientare un intero esercito da sola, senza l’aiuto dei Terminator. Apparentemente Skynet aveva tirato fuori un nuovo giocattolo contro gli umani.

E nel frattempo, le macchine procedevano la loro lenta marcia...

« Ok, ho un piano » disse Connor poco dopo. « Sully, il tuo aiuto sarà fondamentale... innanzitutto ripetimi cos’è successo quando hai affrontato quel Terminator. »

Jake rimase incerto per un attimo, poi obbedì, raccontando brevemente ciò che gli fu chiesto.

« Molto bene » riprese Connor alla fine. « Questo, insieme a ciò che ha detto Arnie nella tenda, conferma la mia ipotesi: i Terminator sono programmati per attaccare e uccidere gli umani, nient’altro. Il Terminator non ti ha attaccato subito a causa della tua fisionomia aliena, quindi le macchine non possono identificarti subito come una minaccia... ma quando le attacchi, allora reagiranno per difendersi. »

« Mi fa piacere... e allora? »

« Il piano è questo. Sully, tu andrai in avanscoperta senza attaccare. Le macchine resteranno in attesa dopo averti avvistato, non sapendo se sarai una minaccia. Avvicinati più che puoi, affinché tutti quei maledetti abbiano gli occhi puntati su di te... e quel punto noi sfrutteremo la loro apertura e li colpiremo! »

Jake era senza parole. Il piano di Connor non lo convinceva nemmeno un po’, visto che doveva praticamente buttarsi a capofitto contro l’esercito nemico. Eppure doveva fidarsi... come se quell’ordine provenisse da suo fratello; perciò, riponendo le armi dietro la schiena, sfoggiò il suo solito sorrisetto e guardò in avanti.

« E andiamo! »

Il Na’vi uscì con cautela dal suo riparo. Connor, Arnie e gli altri soldati restarono dov’erano, pronti a fornire fuoco di copertura al minimo accenno di pericolo. Jake continuò a camminare, avvicinandosi ai Terminator che ormai erano a meno di cento metri di distanza; le macchine lo individuarono subito e si fermarono, osservandolo. I T-800 e gli HK, anche i velivoli, puntarono tutti i sensori ottici su di lui, incapaci di identificarlo. Il cuore di Jake batteva forte nel suo petto, ma solo per la tensione: non aveva paura di loro... non di un ammasso di ferraglie ambulanti.

Ormai era di fronte a loro quando sentì un urlo in lontananza.

« SUUUULLLY!!! »

Jake alzò lo sguardo. Fece appena in tempo a scansarsi, prima che una feroce scarica di proiettili si abbattesse sul terreno su cui stava poggiando i piedi un attimo prima. I Terminator rimasero fermi, ancora incerti sulla situazione. Jake alzò lo sguardo e vide la gigantesca macchina simile a un dinosauro: i colpi, ma soprattutto l’urlo, provenivano da essa...

Una nuova serie di colpi esplosero alle sue spalle. La Resistenza aveva deciso di attaccare, dopo aver capito che Jake era in pericolo; i Terminator lo ignorarono e risposero al fuoco, e tutt’intorno scoppiò un nuovo inferno. Una pioggia di colpi laser ed esplosioni, da cui presto sarebbe sgorgato molto sangue.

Nel frattempo, la macchina che aveva aggredito Jake si era fatta avanti, illuminando la sua preda con un fascio di luce.

« Sully! » il nuovo urlo sovrastò il rumore degli spari, amplificato da un altoparlante. Quella voce...

« Quaritch? » fece Jake, incredulo.

« Risposta esatta, ragazzo! » rispose. « Ti piace il mio nuovo giocattolo? L’ho trovato al Cimitero dei Mondi dopo il nostro ultimo incontro. È davvero un’arma fenomenale... un carro armato bipede con capacità di attacco nucleare. Gli uomini che lo hanno inventato lo hanno chiamato Metal Gear REX... è abbastanza per schiacciarti come l’insetto che ora sei! »

Non appena smise di parlare, la macchina sollevò uno dei suoi enormi piedi, dritto contro Jake. Il Na’vi si scansò un’altra volta, visibilmente stordito da quella nuova, inquietante rivelazione: il colonnello Quaritch era ai comandi del Metal Gear!

Ora capisco perché Arnie non lo identificava... non è un robot di Skynet. Quel figlio di puttana lo sta pilotando dall’interno...

Jake non perse tempo a rifletterci sopra. Recuperò il mitra dalla sua schiena e cominciò a sparare: il Metal Gear era così grosso che non poteva sbagliare mira, ma i proiettili non penetrarono in profondità; era lento, ma anche pesantemente corazzato. Cercò allora di mettersi al riparo, perché Quaritch sparò una nuova raffica di proiettili; si fece largo tra i robot, e alcuni di essi furono abbattuti dal fuoco amico. Quaritch non si faceva alcuno scrupolo nell’abbattere quegli alleati occasionali... gli importava solo di raggiungere e uccidere la sua nemesi.

« Non mi sfuggirai stavolta, lurido codardo! »

Le ginocchia del REX si aprirono, e da esse fuoriuscirono una decina di missili che puntarono subito su Jake. Il Na’vi affrettò il passo: un gruppo di missili esplose alle sue spalle, e l’onda d’urto lo gettò a terra; cercò di rimettersi subito in piedi, ma l’altro gruppo di missili stava per raggiungerlo...

I missili esplosero improvvisamente a mezz’aria, colpiti da una raffica di laser. Jake si voltò e vide Arnie, giunto in suo soccorso con un cannone tra le mani; accanto a lui c’era Connor, l’aria dura come al solito.

« Stai bene, Sully? » chiese l’uomo.

« Sì, sì... abbiamo un problema enorme, però! Quella macchina » e indicò il Metal Gear « mi vuole morto! È pilotata dal mio nemico, il colonnello Quaritch... sta sfruttando questa battaglia solo per uccidere me! »

« Deve essere stato lui ad attirare le macchine in questo settore, allora » osservò Connor.

« Ormai non ha importanza » tagliò corto Jake. « Non ho altra scelta, chiuderò i conti con quel rompipalle una volta per tutte. Devo solo tirarlo fuori da quella macchina e infilzarlo con una freccia... ma le sue armi sono micidiali, non riesco ad avvicinarmi. »

« La priorità è disabilitare il suo sistema di mira » disse Arnie. « Il radome situato sulla spalla sinistra ospita molteplici sensori elettronici collegati ad una interfaccia di realtà virtuale all'interno della cabina di pilotaggio. La distruzione del radome interromperà l’alimentazione, disabilitando l’interfaccia. »

Jake rivolse lo sguardo sul Metal Gear, indirizzandolo sul punto indicato da Arnie: la piastra metallica circolare sulla spalla sinistra.

« Colpire il radar » disse per semplificare. « Ricevuto! »

I rumori della battaglia parvero aumentare di colpo intorno a loro, come se fosse ripartita l’azione. Un tank HK era stato appena distrutto dall’artiglieria pesante, e l’esplosione aveva coinvolto i Terminator più vicini. Connor guardò i suoi uomini, visibilmente preoccupato.

« Non posso lasciarli indietro » dichiarò. « Dovrai cavartela da solo, Sully. Aiutalo, Arnie » aggiunse, rivolgendosi al cyborg.

« Affermativo » rispose Arnie.

E Jake e Arnie s’incamminarono verso il nemico. Erano proprio una coppia insolita, un alieno e un cyborg, entrambi rinnegati dai popoli in cui avevano avuto origine... pronti a combattere per proteggere gli innocenti. Jake pensò a questo mentre caricava il suo cannone laser, e sorrise orgoglioso ad Arnie... un gesto che tuttavia non fu ricambiato. Era come parlare ad una statua.

Quaritch aveva fermato il Metal Gear, come per decidere con calma la prossima mossa. I due avversari si fermarono al suo cospetto, armi in pugno, in un’area ormai resa sgombra a causa dello stesso REX. Quella era una battaglia privata, lontana da quella meno importante tra macchine e umani.

« Lui vuole solo me » spiegò Jake ad Arnie. « Perciò sarò il suo obiettivo principale. Tu pensa ad attirare la sua attenzione, mentre io abbatto quel radar. »

Arnie annuì, e un secondo dopo aveva già aperto il fuoco contro il Metal Gear. La sua mitragliatrice laser scagliò una raffica di colpi contro il muso della macchina, che tuttavia rimase al suo posto: il REX contrattaccò con i suoi mitra; Arnie avanzò lentamente, incurante dei proiettili che trapassavano il suo corpo di cyborg. Jake ne approfittò per scattare di lato, sparando con la sua arma alla spalla sinistra del REX.

« Dove credi di andare, tu?? »

Quaritch non aveva bisogno di concentrarsi su un avversario alla volta. Dalla schiena del REX partì infatti una nuova raffica di missili, ancora una volta dritti contro Jake. Questi interruppe l’attacco e iniziò a correre, saltando sopra alcune rocce; i missili si schiantarono uno dopo l’altro alle sue spalle, mancandolo per un soffio. Sentì il fuoco delle esplosioni scottargli la schiena, ma non ci badò: doveva porre fine a quello scontro al più presto, o non avrebbe avuto scampo. Salì il più in alto possibile, fino ad avere l’obiettivo di fronte a sé: la spalla sinistra del Metal Gear, sulla quale era situato il sistema radar. Arnie era ancora impegnato a far fuoco su di lui, benché ormai apparisse malconcio... non poteva resistere ancora a lungo.

Jake mise da parte il cannone e afferrò l’arco; prese una granata e la legò alla punta di una freccia. Era così che doveva finire. Il bersaglio era lontano, ma ben più facile da centrare della narice di un Taolioang di Pandora... fece un respiro profondo, tese la corda e lasciò andare.

La freccia con la granata prese in pieno la piastra, ed esplose al suo tocco con un botto fragoroso. Il Metal Gear subì una spinta all’indietro, ma non cadde: con i suoi arti posteriori fu in grado di resistere all’urto, e in breve tempo riprese l’equilibrio.

« Argh! » fece Quaritch dall’interno dell’abitacolo. « Maledetto... aspetta che ti prendo, Sully, e dopo non resterà più niente di te! »

Jake rimase sulla roccia, osservando il Metal Gear mentre si muoveva freneticamente a destra e a sinistra e sparava a vuoto, come se fosse disorientato. Arnie fu colpito da una pedata e fece un volo di parecchi metri. La vista del radar che cadeva a pezzi dalla spalla del REX parlava chiaro: aveva distrutto il suo sistema di mira.

« Dove sei, maledetto? Dove seiii?? »

« Sono qui, imbecille! » urlò Jake. « Mi vuoi? Scendi giù dal tuo trabiccolo e affrontami da uomo! »

Il Metal Gear si fermò. Jake vide il “muso” della macchina aprirsi, come se fosse una bocca: ora lo vedeva chiaramente, il colonnello Quaritch, ai comandi di quel mostro metallico.

« Come vuoi, Sully » dichiarò il militare, guardandolo. « Non ho bisogno di un radar per guardarti in faccia... né per ridurti a un colabrodo! »

Una nuova raffica di colpi esplose dalle mitragliatrici, frantumando la roccia ai piedi di Jake. Questi si scansò un’altra volta, ma non trovò appiglio e scivolò giù, rovinando pesantemente al suolo. Cercò subito di rimettersi in piedi, quando un’ombra apparve sopra di lui: il Metal Gear lo aveva agganciato, e un enorme raggio laser lo colpì sulla schiena.

Un dolore immenso invase la mente e il corpo di Jake, annebbiando i suoi sensi. Non vedeva più nulla, non sentiva più nulla... e non riusciva a muoversi. Gli parve di essere tornato in Venezuela, pochi attimi dopo che una pallottola aveva forato la sua spina dorsale, costringendolo a dire addio alle sue gambe.

Stava precipitando nel buio, ancora una volta... e questa volta non sarebbe più tornato.

« Io sono con te, Jake... siamo uniti per sempre. »

Jake aprì gli occhi. Lei era davanti ai suoi occhi, sopra di lui, radiosa e splendente come l’alba su Pandora. La sua mano gentile era tesa verso di lui, come per invitarlo ad afferrarla... a seguirla. No, per dargli la forza di cui aveva bisogno per andare avanti...

La forza per combattere, vincere... per tornare a casa!

« Sì, Neytiri... per sempre! »

Lei sorrise, e svanì nella luce.

Jake era di nuovo in piedi, tra le tenebre e il fuoco della battaglia contro le macchine. Sentiva male dappertutto, ma era vivo... pronto a finirla una volta per tutte.

« CREPA! »

Il Metal Gear stava per schiacciarlo con una pedata, ma riuscì a scansarsi. Jake si allontanò il più possibile per avere la giusta distanza di tiro: ora che l’abitacolo era scoperto, gli sarebbe bastato finire quel bastardo con una freccia. Si voltò dopo una breve corsa; Quaritch avanzò, ma il suo cammino fu fermato improvvisamente da un colpo laser.

« Cosa...? »

Jake alzò lo sguardo. Un HK aereo aveva iniziato ad attaccare il Metal Gear, tempestandolo con una raffica di colpi laser. Anche alcuni Terminator avevano aperto il fuoco contro di lui, mirando con precisione all’abitacolo. Jake sentì Quaritch urlare, incapace di mettersi in salvo da un simile attacco: il fumo e le esplosioni coprirono ben presto la sua visuale, impedendogli di vedere.

« Ma che succede? »

« Le macchine hanno identificato l’umano all’interno della macchina » disse una voce accanto a lui. Arnie era tornato, malconcio e danneggiato, ma ancora in piedi. « Dopo che ha aperto l’abitacolo, si è reso visibile ai nostri sensori... e ai loro. »

Jake non disse nulla. Come poteva dargli torto? Ora Quaritch stava pagando caro per il suo errore: i Terminator sparavano a volontà contro di lui, danneggiando pesantemente il Metal Gear. Il colonnello riuscì tuttavia a reagire, perché una nuova raffica di missili partì da un ginocchio ed esplosero sull’HK, abbattendolo: il velivolo si schiantò a terra, schiacciando i robot.

All’improvviso era calato il silenzio. Jake si avvicinò con cautela al Metal Gear, ridotto ormai a un rottame fumante ma ancora in piedi. L’abitacolo, staccatosi da esso, era ora riverso a terra, rovesciato da un lato. Il Na’vi trovò Quaritch tra quei resti, immobile e ricoperto di sangue. Fissò quel corpo in un mix di soddisfazione e disgusto, pur mantenendo salda la presa sul suo arco; ormai aveva imparato a non abbassare mai la guardia, con individui del genere.

E infatti...

« Urgh... »

Quaritch aveva aperto gli occhi; vide Jake e cominciò a venir fuori dall’abitacolo, strisciando al suolo con le sue poche forze. Aveva una pistola, e la forza per impugnarla insieme a uno sguardo omicida.

« Ma cosa credi di fare? » mormorò Jake, guardandolo dall’alto come un falco sulla preda. « È finita, vecchio... hai perso. »

« Non... non è finita » biascicò Quaritch, sempre più vicino. « Non è finito niente... finché respiro... Sully! Ti uccido, dannato scimmione blu... userò la tua pellaccia come pigiama... con la tua coda farò uno scopettone… e userò le tue palle come portachiavi! »

Sotto lo sguardo sempre più incredulo di Jake, l’uomo si alzò in piedi. Il braccio sinistro penzolava inerte lungo il fianco, ma con il destro riuscì a sollevare la pistola. Poteva quasi ammirare la sua forza di volontà, se non fosse stato così pazzo.

« Tornerò indietro, Sully... e ti giuro che finirò quello che... avevamo cominciato. Il tuo “popolo”... i tuoi amichetti... la tua ragazza... moriranno tutti! »

Bang!

Quaritch crollò subito a terra, dopo che si era aperto un buco sulla sua fronte. Jake rimase esterrefatto per un attimo, visto che non era stato lui a sparare, poi si voltò: Arnie era in piedi alle sue spalle, la pistola ancora in mano.

« Hasta la vista, baby » dichiarò, freddo come al solito. Jake non sembrò capire, ma decise di lasciar perdere.

« Grazie. »

Molte voci echeggiavano ora tutt’intorno. Sotto lo sguardo indeciso del Na’vi, Connor e gli uomini della Resistenza si stavano avvicinando ai resti del Metal Gear: malconci ma ancora in piedi, erano in gran numero, ma comunque inferiore a prima che iniziasse la battaglia. Molti uomini erano stati uccisi per mano delle macchine... un tributo di morti inevitabile, da qualsiasi mondo si provenisse.

« State bene? » domandò Connor, mentre osservava lo sfacelo nei dintorni. Jake annuì e spiegò rapidamente ciò che era successo; non servirono molte parole per dimostrare una realtà già palese... la battaglia era stata vinta. Le macchine erano state distrutte, e gli uomini erano sopravvissuti.

Jake sembrava comunque non badarci molto. La sua mente navigava in acque più lontane: mentre tornava a fissare il cadavere di Quaritch ai suoi piedi, pensò a quante ne aveva passate solo per arrivare a questo momento. La sfida organizzata da Nul, eroe contro nemesi, dalla quale solo uno sarebbe sopravvissuto. Ora il nemico era morto, e nemmeno per mano sua: era dunque finita? Gli sarebbe stato concesso di tornare a casa?

« Qui abbiamo finito, a quanto pare » dichiarò Connor, riprendendo la parola. « Skynet ha perso ancora una volta, contro di noi... le macchine non vinceranno mai. Non ci distruggeranno mai! »

Gli altri uomini esultarono, levando le armi al cielo. Arnie rimase indifferente come al solito, anche se Jake giurò di vederlo fare un sorrisetto: anche se era un Terminator – una macchina – era in grado di provare qualcosa, in fondo... proprio come Wall-E.

Allora il Na’vi si trovò a sorridere a sua volta, come se fosse di nuovo in compagnia del suo clan. La sensazione di familiarità con quelle persone era ancora forte nel suo cuore, e non sapeva ancora spiegarselo... ma per il momento non aveva importanza. Il trionfo e la pace erano tutto ciò che contava, in quel momento.

Una forte raffica di vento si alzò all’improvviso. Jake, allarmato, tornò in guardia, ma non vide altre macchine o nemici nelle vicinanze; il vento cessò dopo una manciata di secondi, senza che nulla fosse cambiato nell’ambiente.

« Ma che diavolo è stato? Connor? »

Si voltò verso il compagno, dato che non gli aveva risposto. Connor era a terra, privo di conoscenza; lo stesso era accaduto ai suoi uomini, tutt’intorno... erano crollati tutti al suolo nello stesso istante. Arnie era l’unico rimasto in piedi, ma era immobile come una statua di pietra; era come se qualcuno lo avesse disattivato.

Jake non ebbe il tempo per capire cosa fosse successo, perché un nuovo rumore attirò la sua attenzione... sembrava un applauso. Si voltò e vide un nuovo individuo, apparso come dal nulla accanto al cadavere di Quaritch: un uomo vestito con un lungo soprabito bianco, il cui volto era celato completamente da un cappuccio; due ali nere da uccello spuntavano dalla sua schiena.

« Complimenti, Jake Sully » dichiarò lo sconosciuto, terminato l’applauso. « Sei sopravvissuto. »

« Ehm... grazie » fece il Na’vi con aria incerta. « Ma tu chi sei? »

« Sono quello che ti ha portato qui. Io sono Nul. »

Jake sgranò gli occhi per lo stupore, e per un lungo, interminabile minuto non riuscì a parlare. Poi afferrò il pugnale, carico di collera.

« Bene, ora so che aspetto hai, stronzo » disse a denti stretti. « Dove sono i miei amici? Che cosa gli hai fatto? »

« Oooh, i tuoi amici » ripeté Nul, incrociando le braccia. « Non temere, stanno... un momento, perché vuoi saperlo? Ti preoccupi davvero per loro? »

« Certo! Ora rispondimi, prima che t’infili questo giù per la tua gola! »

Nul ridacchiò.

« Hehe... sei sempre stato un gran simpaticone, Jake. Tu non ti rendi nemmeno conto della tua importanza in questo mondo... né di quanto sia profondo il legame che ti unisce con questa gente » e indicò Connor e i suoi uomini. « La tua sfida si è conclusa con successo, dunque meriti di tornare a casa, tra le braccia della tua amata. Ciononostante, non puoi voltare le spalle ai tuoi nuovi amici, non è così? Gli eroi come te abbracciano forte questo aspetto della loro natura.

« Va bene, ti porterò da loro » concluse, e nel frattempo tese una mano a Jake. Il Na’vi esitò per un attimo: non si fidava di quel tipo, eppure sentiva che dargli la mano era la cosa giusta da fare. Così si abbassò e strinse la mano a Nul...

Poi tutto il mondo divenne buio, e Jake Sully perse conoscenza.

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Capitolo 25
*** Figli del Caduto ***


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Capitolo 25. Figli del Caduto

 

« Ascoltami, brutto scimmione... devi riprenderti... »

« Ugh... uhm, Liz? »

« ...perché stai per diventare padre! »

« Liz! »

Hellboy aprì gli occhi. La persona di cui credeva aver udito la voce non era là con lui. In effetti, era completamente solo, disteso sulla schiena sopra dei sassi. Il diavolo si alzò a sedere con cautela, ancora confuso per l’accaduto: la testa gli ronzava forte, come se si fosse appena ripreso da una sbronza, e sentiva male in varie parti del corpo. Tuttavia non aveva nulla di rotto: perfino la sua mano di pietra appariva intatta, rossa e invincibile com’era sempre stata negli ultimi sessant’anni.

Si guardò intorno, non appena gli occhi furono in grado di mettere a fuoco l’ambiente. Hellboy stava seduto su una riva sassosa, a pochi centimetri fuori da una distesa d’acqua; il cielo era più scuro che mai, e l’aria stessa sembrava impregnata di fumo. Alle sue spalle vi era solo una distesa di terra, tetra e piatta, interrotta pochi metri più avanti da un’imponente muraglia nera: essa si estendeva a perdita d’occhio in entrambe le direzioni, e si ergeva verso il cielo per decine di metri.

Di rado Hellboy aveva visto qualcosa che potesse definire inquietante... e quel muro era appena entrato a far parte di quella breve lista. Non perché avesse qualcosa di spaventoso nello stile, piuttosto per il senso di familiarità che sentiva trasudare da quella pietra nera: per lui era come trovarsi sulla soglia di un luogo che poteva chiamare casa, anche se non vi aveva mai messo piede prima d’ora.

« Uhm » borbottò, guardandosi nuovamente intorno. In giro non si vedeva nessuno: il resto dei Valorosi era finito chissà dove, dopo il naufragio del Titanic a cui era scampato. Sentì di non avere molta scelta in quel momento, così voltò le spalle al mare e s’incamminò verso il muro gigantesco. Aveva ancora le sue armi con sé, sigari compresi, perciò ne accese uno mentre si avvicinava a quella che sembrava una porta: essa era di pietra liscia, nera come il muro, ma sulla quale erano state incise delle parole. Era una frase in italiano arcaico... Hellboy non ebbe bisogno di interrogarsi sul suo significato, perché l’aveva già letta in passato svariate volte.

 

Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate.

 

Il diavolo sbuffò. Non occorreva essere dei geni né degli studiosi di letteratura antica per ricordare uno dei versi più noti dell’Inferno di Dante Alighieri: la parte finale dell’iscrizione sulla Porta dell’Inferno, l’ingresso per il “regno dell’eterno dolore”... forse il luogo in cui lui stesso era nato. Forse era per questo che si sentiva così a suo agio, laggiù, ma non lo avrebbe mai scoperto a meno di non proseguire. La porta aveva un aspetto massiccio: dubitava di poterla buttare giù con un pugno, perciò tentò innanzitutto un approccio educato; si avvicinò e bussò con la mano di pietra.

Non accadde nulla.

« Ovviamente » borbottò Hellboy, dopo un’altra boccata di fumo. « Ti aspettavi davvero qualcuno che dicesse “avanti”? Dio, che razza di... uh? »

Mentre parlava, la porta si era aperta, scorrendo verso l’interno con un gran fragore. Hellboy rimase senza parole, ma varcò la soglia dopo appena pochi secondi. E ciò che vide dall’altra parte gli provocò lo stupore più grande che avesse mai provato da quando aveva messo piede in quel mondo caotico.

L’inferno. Una sola parola, più che appropriata per descrivere lo spettacolo che aveva di fronte: una città rossa e tetra, dominata da fuoco, tenebre e dolore. Hellboy vide edifici e torri in ogni direzione, rossi come se fossero stati dipinti con il sangue; grandi colonne di fumo si levavano da vari punti della città, offuscando l’aria già pesante di per sé.

Mentre s’inoltrava tra le vie, il diavolo trovò l’elemento che completava l’opera: gli abitanti. Avevano tutti un aspetto che gli occhi di un uomo avrebbero giudicato mostruoso: diavoli cornuti dalla pelle rossa, orchi corpulenti e bestie infernali dall’aria feroce, tutti intenti a vagare per le strade come tranquilli cittadini.

Hellboy trovò riparo in un vicolo deserto, esaminando la situazione. Si trovava in una città piena di demoni, con i quali avrebbe potuto avere – in teoria – una notevole familiarità; la cosa migliore da fare, si disse, era confondersi tra loro, per muoversi con calma nella ricerca dei suoi compagni dispersi. Il diavolo si tolse dunque l’impermeabile, rimanendo a torso nudo; con il suo attuale aspetto si sarebbe confuso facilmente tra la folla, ma non poteva correre rischi... perciò, dopo aver inspirato profondamente, pronunciò ancora una volta il suo vero nome.

« Anung Un Rama. »

Subito fu in atto la trasformazione. Il corpo di Hellboy divenne caldo, emettendo un debole vapore rosso; i simboli incisi sul braccio di pietra divennero ardenti come braci; le corna sulla sua fronte ricrebbero fino a recuperare la loro interezza, diventando lunghe e appuntite; e sulla sua testa, infine, apparve una corona infuocata.

Questo infatti significava il suo nome: Anung Un Rama, “E sulla sua fronte è posta una corona di fiamme”.   

Hellboy uscì dal vicolo. Non gli piaceva per niente quell’aspetto, ma fu sollevato nel constatare che l’idea funzionò a meraviglia: nessun demone nei paraggi sembrava fare caso a lui, proprio come se fosse un qualsiasi cittadino. Il diavolo aveva vissuto un’esperienza simile solo una volta, in passato: al Mercato dei Troll, dove la presenza di mostri e creature occulte era perfettamente normale; e proprio come allora, la folla non aveva nulla da ridire sul suo aspetto.

Laggiù non aveva importanza il fatto che apparisse come un mostro. Incredibile come questo lo facesse sentire tranquillo, in un luogo completamente ignoto... lui stesso si stupiva di quanto si sentisse come a casa, nonostante avesse cercato per anni di comportarsi come un uomo, perché era la lezione più importante che aveva appreso da suo padre.

Cos'è che fa dell'uomo un uomo? Non le sue origini, ma le scelte che decide di fare.

Questo mix di pensieri frullava forte nella sua testa, tanto che ci mise un po’ ad accorgersi che i demoni intorno a lui avevano improvvisamente affrettato il passo; ora si muovevano tutti verso un’unica direzione, come api attirate dal miele. Un suono di tromba echeggiava nell’aria, come a preannunciare un qualche tipo di evento; Hellboy non capiva cosa stava succedendo, perciò cercò di informarsi.

« Ehi amico, che succede? » domandò al tipo più vicino, un piccoletto grasso che svolazzava a un metro da terra.

« Come, non lo sai? Il concerto! » rispose lui. « Sta per suonare Nicky, all’Infernodromo! »

« Nicky? » ripeté Hellboy, ma il diavoletto si era già rimesso in cammino, lasciandolo indietro.

Esitò per qualche secondo. Ormai stavano tutti accorrendo ad ascoltare il concerto... lui aveva ben altre priorità, ma doveva ammettere di non avere ancora molte informazioni sul luogo. L’Infernodromo poteva essere un buon posto da cui cominciare la ricerca... e dal momento che nessuno faceva caso a lui, aveva libertà di movimento; così riprese il cammino, seguendo gli altri demoni sulla strada.

Pochi minuti dopo era davanti all’Infernodromo: lo stadio più grande che avesse mai visto, realizzato con ossa, pietra e metallo; aveva un’aria tetra e diabolica, proprio come il resto della città. Dal suo interno si levava un coro di urla e ovazioni, tipico di qualsiasi folla in attesa di assistere allo spettacolo. I demoni varcavano liberamente l’enorme ingresso, privo di guardie e biglietteria; Hellboy si unì dunque alla folla, passando inosservato ancora una volta. Aveva appena attraversato la soglia, quando una musica a tutto volume penetrò con forza nelle sue orecchie: il concerto era cominciato.

 

Living easy / living free

season ticket on a one way ride

askin' nothing / leave me be

taking everything in my stride...

 

Hellboy sgranò gli occhi per lo stupore. Conosceva bene quella canzone, Highway to hell degli ac/dc... e proprio come nel caso di Thriller, ora aveva modo di ascoltarla in un contesto davvero bizzarro; certo, per un pubblico del genere poteva essere un brano appropriato, ma non poteva non restare stupito di fronte a una situazione del genere. Si aspettò quindi di vedere gli ac/dc sul palcoscenico, e si sporse in avanti per vedere meglio...

 

I'm on the highway to hell!

Highway to hell!

I'm on the highway to hell!

I'm on the highway to hell... 

 

Il gruppo che suonava non assomigliava per niente agli ac/dc: erano tutti diavoli, tranne il cantante e chitarrista che aveva un aspetto umano: era un giovanotto con corti capelli neri a caschetto; la sua bocca era stranamente storta, come se avesse sbattuto di faccia contro un muro. Indossava un mantello nero sopra abiti normali, sui quali spiccava la maglietta con su scritto: Chicago kicks ass! Hellboy non aveva la più pallida idea di chi fosse, ma non tardò a scoprire il suo nome visto che la folla continuava a ripeterlo a voce altissima.

« Nicky! Nicky! Nicky! »

Hellboy restò in silenzio, incerto. Dunque era lui il famoso Nicky... la folla era letteralmente rapita dal suo talento; in effetti la sua cover di Highway to hell era impeccabile. Il diavolo doveva ammettere che quel ragazzo ci sapesse fare, ma non ce lo vedeva proprio in un contesto del genere: perché un umano suonava in mezzo a un vero e proprio girone infernale? Forse c’era qualcosa sotto, pensò... senza dubbio quel tipo lo interessava.

Qualcosa di grosso lo urtò alle spalle, così forte da fargli quasi perdere l’equilibrio. Hellboy si voltò: un enorme demone cornuto si era fatto largo tra la folla con prepotenza, approfittando della sua mole per avvicinarsi al palco.

« Guarda dove vai, gorilla! »

Il demone non lo degnò nemmeno di uno sguardo.

« Grumpf... ma levati di torno, mammoletta. »

Una vena pulsò sulla tempia di Hellboy. Nessuno poteva permettersi di dargli uno spintone e farla franca, così raggiunse il tipo e lo costrinse a voltarsi. Gli sferrò un pugno in piena faccia, facendolo rovinare a terra con tutto il suo peso; la folla di demoni tutt’intorno si tenne all’improvviso a distanza. Il bestione si rialzò nel frattempo, visibilmente infuriato; rivolse lo sguardo su Hellboy, che nel frattempo ghignava soddisfatto.

« Chiamami di nuovo mammoletta, adesso! »

Il demone mutò espressione nel giro di un istante. Ora appariva sorpreso in modo estremo, come se non credesse ai suoi occhi: fissava le corna e la corona infuocata di Hellboy; lo stesso fecero gli altri spettatori, e condivisero lo stesso grado di stupore.

« Anung... Un Rama? »

Hellboy si guardò intorno. I demoni mormoravano il suo nome, sempre più increduli.

« È proprio lui... »

« Sì, è Anung Un Rama... »

« Mio signore... »

« Quella mano... »

« Anung Un Rama! »

Le voci erano aumentate di volume, invocando il nome di Hellboy a gran voce, e in molti si erano persino inchinati al suo cospetto. Questo finì per attirare l’attenzione della band sul palcoscenico, che infatti smise di suonare. Ormai l’attenzione di tutto lo stadio era rivolta su Hellboy, che rimase immobile al suo posto. Finché...

« Fratellone! »

Il diavolo si voltò ancora. La folla aveva fatto largo a qualcuno, permettendogli di raggiungere Hellboy; lo riconobbe, era il ragazzo chiamato Nicky. Appariva ancora più gracile e strambo così da vicino, ma sulla sua faccia storta era dipinto un enorme sorriso.

Nicky si avvicinò a Hellboy per abbracciarlo. Questi glielo lasciò fare, tanto era dominato dalla confusione del momento.

« Eeeehi! Come stai, vecchio mio? Finalmente sei arrivato! »

« Ehm... io sto bene, grazie » rispose Hellboy. « Ma che diavolo succede? Chi sei tu, e che significa tutto questo? Ti conviene rispondere, o potrei decidere di porre fine prematuramente alla tua carriera nel mondo del rock. »

Nicky fece un passo indietro, continuando ad osservarlo con somma gioia.

« Oh, tranqui, fratellone » gli disse. « Sei a casa adesso, non hai niente da temere. Io sono Nicky, figlio di Satana, e questo è il nostro regno, Malebolgia. »

Hellboy gli lanciò un’altra occhiata incredula.

« Figlio di Satana? Tu? »

Nicky annuì.

« Bah... non mi pare di essere mai stato qui, né di averti mai incontrato in vita mia. Come fate a conoscermi? »

« Oh be’, è una lunga storia... e io non sono bravo a raccontare. Però la sorellona è molto brava in un sacco di cose. Sì, andiamo, ti porto dalla sorellona! »

« La sorellona? »

« Sì sì, la sorellona! » esclamò Nicky. « Lei comanda qui, sarà felicissima di sapere che sei arrivato. Su, andiamo! »

Il ragazzo invitò Hellboy a seguirlo. Lui esitò ancora, ma sentì di non avere idee migliori; se poco prima tutti quei mostri e demoni lo ignoravano, ora lo fissavano con meraviglia, come se avessero di fronte il loro re. Di certo non poteva più sperare di non dare nell’occhio; così seguì Nicky lungo la strada, dirigendosi insieme dalla “sorellona”.

Durante il tragitto, Hellboy impiegò pochi minuti per trovare Nicky un tipo decisamente simpatico: nonostante apparisse goffo, impacciato e tardo – qualità che non si addicevano affatto a un figlio di Satana – aveva argomenti interessanti su cui conversare, primo fra tutti la musica rock e l’heavy metal. Dopo essere usciti dall’Infernodromo, i due si erano infatti messi a parlare dei loro brani e cantati preferiti, proseguendo verso la destinazione finale.

« E che dire di Ronnie James Dio? » diceva Nicky con entusiasmo. « Lui è stato il più tosto di tutti... insuperabile! Se fosse finito all’inferno avrei passato volentieri qualche secolo a suonare insieme a lui. »

« Beh, anche Ozzy Osbourne non scherza » ribatté Hellboy. « Sa il fatto suo, e su questo non ci piove. »

« Eh sì... il vecchio Ozzy, una volta mi è stato di grande aiuto quando il mio mondo stava per arrostire... devo ricordarmi di ringraziarlo, se riesco a tornare a casa. »

Nel frattempo erano arrivati a destinazione: un enorme castello, tetro e rosso come il resto della città infernale, poco lontano dall’Infernodromo. L’ingresso era presidiato da due troll grandi e grossi, che s’inchinarono subito al passaggio di Nicky e di Hellboy; l’atrio era immenso ma spettrale, con torce infuocate lungo le mura e grandi colonne nere che si ergevano fino al soffitto roccioso. I due lo superarono, imboccando un corridoio laterale; lungo la strada incontrarono altri demoni che replicarono la solita aria rispettosa.

Dopo il corridoio, raggiunsero finalmente la sala del trono: più piccola dell’atrio, ma molto più decorata con elementi tipicamente oscuri; Hellboy si guardò intorno e vide di tutto, statue mostruose e ossa gigantesche, spade maledette e pilastri intagliati che raffiguravano scene apocalittiche. Nel frattempo Nicky si era fatto avanti, rivolgendosi alla persona seduta sul trono.

« Ehi, sorellona! » esclamò tutto contento. « Guarda chi ho portato: abbiamo un nuovo fratello in casa! »

Hellboy rivolse lo sguardo sulla padrona di casa, e per poco non gli cascò la mascella. Sul trono stava seduta una bellissima donna dai lunghi capelli bianchi. Il suo corpo mozzafiato, ancora più prorompente di quello di Lara, era bianco come il gesso: vestiva solo con un bikini in pelle nera, completo di lunghi guanti e stivali con i tacchi; aveva labbra rosse come il sangue e occhi privi di pupille, rivolti inequivocabilmente verso il nuovo arrivato. La donna sorrise compiaciuta e si alzò dal suo posto, avvicinandosi con aria sensuale.

Nicky si fece da parte mentre lei osservava Hellboy con grande interesse, girandogli intorno. Il diavolo restò al suo posto; preferiva aspettare ancora prima di agire di sua iniziativa; nel frattempo faceva del suo meglio per restare indifferente, anche se la vista di quella donna metteva a dura prova la resistenza delle sue parti basse.

« Anung Un Rama » disse la donna, tornando di fronte a Hellboy. « La Mano Destra del Destino... finalmente. Benvenuto a Malebolgia, fratello mio... benvenuto a casa. »

« Uhm... grazie » grugnì Hellboy.

« Sei ancora meglio di quanto mi aspettassi. Cos’è quello, un pugno di pietra o sei contento di vedermi? »

« Oh, la maniera in cui userò questa mano dipende solo da te, bellezza. Mi fa piacere che mi conosci... ma ciò che non mi fa piacere è quanto credi di conoscermi; in questo momento vorrei un bel po’ di risposte, possibilmente senza venire alle mani... a cominciare dal tuo nome e da che razza di posto è questo. »

La donna ridacchiò.

« Non hai nulla da temere, fratello... ti darò e ti rivelerò tutto ciò che desideri. Io sono Lady Death, strega infernale e attuale signora di Malebolgia; già conosci il nostro fratellino Nicky » e lo indicò, « il figlio di Satana... nonché il nostro miglior intrattenitore di folle. »

Hellboy restò in silenzio per un po’, spostando lo sguardo su Nicky e Lady Death diverse volte, e alla fine si ammorbidì.

« Così va meglio, bellezza » dichiarò con un sorrisetto. « Credo di potermi fidare di voi, e... »

S’interruppe, dato che il suo stomaco decise di brontolare forte in quello stesso momento. Solo allora Hellboy si rese conto di essere molto affamato, un dettaglio che non sfuggì all’attenzione di Lady Death.

« Hehe... anche il grande Anung Un Rama ha bisogno di nutrirsi. Bene... abbiamo molto di cui parlare, ma lo faremo più comodamente in sala da pranzo. Vieni con me. »

« Oh, io però devo tornare all’Infernodromo » intervenne Nicky. « Devo riprendere a suonare... avevo promesso ai ragazzi una cover degli Scorpions. »

« Va bene, fratellino » rispose Lady Death. « Va’ e conquista la folla! »

Il trio lasciò quindi la sala del trono. Mentre Nicky ripercorreva la stessa strada di prima per tornare allo stadio, Lady Death accompagnava Hellboy verso un’altra direzione, addentrandosi ancor di più nel castello. Il diavolo cercò di non battere ciglio mentre la donna si aggrappava al suo braccio destro, ma il disagio interiore era comunque forte: lei lo aveva praticamente spogliato con gli occhi fin da subito. Cercando di distrarsi, chiese altre informazioni su ciò che stava capitando.

« Sembra che in questo posto mi conoscano tutti... com’è possibile? »

« Malebolgia conosce tutti i Figli del Caduto » rispose Lady Death, « e li accoglie volentieri tra le sue mura, offrendo loro riparo. »

« I Figli... del Caduto? » ripeté Hellboy, incerto.

« Esatto. Io, tu e Nicky siamo attualmente gli unici tre Figli del Caduto presenti a Malebolgia... il resto della popolazione è composto solo da demoni e creature oscure provenienti dai vari mondi, proprio come noi. Con il tempo, la città è diventata un rifugio sicuro per tutti coloro che vengono da un regno di ombre. »

Nel frattempo erano arrivati a destinazione. Lady Death si staccò dal braccio di Hellboy e aprì una porta, invitandolo a entrare: i due si trovarono dunque in un ampio salone, tetro come il resto del castello ma in qualche modo più accogliente; il diavolo vide poltrone e tavoli antichi, un gran camino acceso a forma di bocca mostruosa, ritratti e statue disseminati un po’ ovunque. Nel frattempo si rese conto che non erano soli: il salone era infatti occupato da alcuni personaggi. Tre di loro vennero subito loro incontro, un trio di donne di mezz’età con lunghe corna sulla testa: una era grassa e calva, le altre due erano magre e con lunghi capelli incolori; tutte e tre vestivano con lunghe tuniche rosso e oro, e alla vista dei due nuovi arrivati fecero un profondo inchino.

« Salute a voi, mia signora... e a voi, potente Anung Un Rama » dissero all’unisono.

« Mio fratello è molto affamato » dichiarò Lady Death con tono piatto. « Provvedete, affinché possa saziarsi al più presto. »

« Certamente, signora... come desiderate. »

Le tre donne si allontanarono, lasciando il salone in tutta fretta. Hellboy andò ad accomodarsi su una poltrona accanto al camino; con sua sorpresa, su di essa trovò il suo impermeabile, abbandonato in un vicolo poco prima. Lady Death andò a sedersi di fronte a lui, accavallando le gambe con aria sensuale.

« L’ho fatto recuperare poco fa dalle mie ragazze » disse lei, alludendo all’impermeabile. « Lilu, Lilitu e Ardat-Lili... membri della Triade Oscura del loro regno infernale. Le detesto, ma devo ammettere che nelle faccende domestiche sono molto efficienti. »

« Grazie » fece Hellboy mentre se lo rimetteva. Nel frattempo rivolse lo sguardo sugli altri personaggi che occupavano la sala: erano in quattro, riuniti intorno a un tavolo rotondo e intenti a giocare a carte. C’erano un uomo di mezz’età, con indosso una tunica nera con un grande cappuccio e una fodera rossa, l’aria cupa e un po’ malata; una ragazzina dalla pelle diafana ed i lunghi capelli scuri, bagnata fradicia come se fosse appena uscita dall’acqua; un uomo molto alto e grosso, con indosso vestiti laceri e il volto coperto da una maschera da hockey; infine, forse il più inquietante del gruppo, un uomo dal volto ricoperto di ustioni, con indosso un cappello marrone, un maglione a strisce e un guanto con lame all’estremità delle dita.

« Oh, quelli sono le mie fedeli guardie del corpo » disse Lady Death, guardandoli. « John Kramer, Samara, Jason e Freddy... sono tipi molto interessanti, sono certa che andrete d’accordo. »

« Per il momento mi basta cercare di andare d’accordo con te » borbottò Hellboy. « Tu e Nicky mi chiamate fratello, mi accogliete a casa vostra e mi offrite pure vitto e alloggio... ma quando si tratta di me, io ho serie difficoltà ad accettare una tale ospitalità da una coppia di fratelli che non ho mai conosciuto. Il fatto che siamo “Figli del Caduto” non spiega proprio niente, dal mio punto di vista. »

Lady Death sorrise, appoggiando le mani sul suo ventre.

« Ti capisco... Red » disse. « Arguisco che tu abbia raggiunto questo mondo solo da poco, quindi è naturale vederti così impreparato sulla situazione; tuttavia, dato che non hai battuto ciglio quando ho menzionato l’esistenza di diversi mondi, è chiaro che hai già imparato in parte la realtà dei fatti... hai raccolto la sfida di Nul.

« Tu vieni da un tuo mondo, così come io e Nicky proveniamo dai nostri. Da quando vivo qui ho imparato che esistono innumerevoli mondi, tante quante sono le stelle; sembra che tutti questi mondi abbiano un elemento comune, ossia un “regno delle ombre”, dimora di demoni e anime dannate... in altre parole, l’inferno. »

Nel frattempo la Triade Oscura era tornata nel salone. Hellboy vide le tre sorelle avvicinarsi a lui con vassoi carichi di pietanze e un barile di birra; c’erano persino i nachos e barrette di cioccolata... cose di cui andava estremamente ghiotto fin dalla nascita. Tutto ciò non faceva altro che confermare quanto lo conoscessero bene, in quell’ambiente.

Ma chi era lui per rifiutare un simile banchetto? Così, senza obiettare in alcun modo, Hellboy ringraziò le domestiche che si congedarono con un inchino, dopodiché iniziò a mangiare. Lady Death si limitò ad osservarlo, sempre più compiaciuta, e nel frattempo riprendeva il discorso.

« Ogni inferno è dominato da Lucifero, Satana, Mefisto o Belzebù: un sacco di nomi che identificano lo stesso signore delle tenebre, il Caduto; e costui, in ognuno di questi inferni, ha la sua progenie diabolica. Io, tu e Nicky proveniamo da mondi diversi, ma siamo nati dallo stesso grembo di tenebra: tutti noi siamo figli del Caduto, e questo ci rende fratelli. »

Hellboy cercò di soffocare una risata, mentre mandava giù una porzione di nachos.

« Hah... certo che Nicky sembra tutto, tranne che il figlio di Satana! »

« Non tutte le ciambelle riescono con il buco, no? » ribatté Lady Death. « Nemmeno tutti i diavoli nascono con le corna, come nel caso di Nicky... anche se è figlio del re del suo inferno, lui appare così bonaccione perché ha preso il novanta percento da sua madre, un angelo. Il massimo del diabolico che sa fare è dell’ottima musica. »

« Uhm, ha senso. E di te che mi dici, invece? »

Lady Death non rispose subito.

« Mio padre era un nobile, discendente degli angeli caduti che avevano guidato la ribellione contro Dio. Si dilettava nella magia nera e nella demonologia, e io appresi alcune delle sue arti quando ero bambina; nel mio mondo si fa presto a temere le donne quando fanno magie, così fui catturata da un gruppo di ribelli e accusata di stregoneria. Per sfuggire a questa sorte, evocai un demone con cui strinsi un patto: avrei avuto salva la vita, se avessi rinunciato alla mia umanità e servito i poteri dell’Inferno. »

« Immagino che tu abbia accettato » intervenne Hellboy.

« Non mi troverei seduta davanti a te, se così non fosse stato. Una volta all’inferno, all’epoca dilaniato da una guerra civile, fui contaminata poco a poco dalle forze del male; con il tempo acquisii nuovi poteri e armi, e li usai per prendere il potere sul regno delle ombre. Divenni così Lady Death, la nuova sovrana dell’inferno. »

La donna tacque, e per un po’ regnò il silenzio. Hellboy non sapeva bene cosa pensare di lei: in superficie vedeva una persona indomita, cinica e maliziosa, tratti tipici di chi è corrotto dalle tenebre... ma sapeva che nel profondo si nascondeva molto di più. Lady Death aveva dimostrato di essere cordiale e ospitale, almeno nei confronti dei suoi “fratelli”; un lato che si poteva definire buono, proprio come quello che sapeva dimostrare Hellboy oltre l’aspetto di mostro a cui era condannato.

Ora riusciva a vedere quanto i due fossero simili.

Chissà qual è il suo vero nome...

Fu sul punto di chierderglielo, ma qualcuno spezzò il silenzio prima di lui. Hellboy e Lady Death rivolsero lo sguardo sulle guardie che stavano giocando a carte: uno di loro, Freddy, si era alzato in piedi e urlava di gioia.

« Guarda e piangi, ragazzone! » disse, rivolto al tipo con la maschera da hockey. « Il mio poker di re la mette in culo al tuo misero tris di donne! Hahaha! Direi che questo bel gruzzoletto sul piatto passerà finalmente nelle mie tasche... »

Jason si alzò in piedi, senza dire una parola. Afferrò Freddy per un braccio, e in un secondo glielo tagliò di netto con un machete; l’uomo ustionato urlò per il dolore e cadde a terra, mentre Jason esaminava il suo braccio. Dalla manica, infatti, erano cadute alcune carte, sotto lo sguardo sorpreso degli altri giocatori.

« Hehe » ridacchiò Kramer. « Magari Jason non sarà bravo a carte, ma non puoi sperare di fregarlo. »

Hellboy cercò di non farci caso e tornò a concentrarsi sul suo piatto. Nel frattempo spiegò la sua situazione a Lady Death, raccontando di come si fosse unito ai Valorosi e del viaggio insieme a loro per trovare Nul, fino al naufragio. Il diavolo parlò a lungo, finché non ebbe ripulito ogni piatto di quel pasto sostanzioso.

Lady Death ascoltò fino alla fine senza mai interromperlo, restando immobile al suo posto come una statua. Il fuoco nel camino continuava ad ardere maestoso, inondando di calore la sala.

« Interessante » commentò la donna infine. « Davvero interessante... da quando mi trovo qui non avevo mai sentito di una coalizione così grande. Ti sei fatto una gran bella squadra di alleati, fratello... peccato che il vostro intento sia stato inutile. »

« Che vuoi dire? » domandò Hellboy.

« Voglio dire che hai combattuto una battaglia già persa in partenza, fratello. Non puoi sperare di trovare Nul e convincerlo a riportarti a casa: questo mondo è come una prigione, per tutti i mondi su cui quel maledetto ha messo gli occhi e gli artigli. So bene di cosa è capace... perché l’ho vissuto sulla mia pelle, molto più di te. »

Lady Death si alzò improvvisamente dalla sua poltrona, invitando Hellboy a fare altrettanto. Lui obbedì, anche se dubbioso, e seguì la donna mentre lasciava il salone. Insieme percorsero un nuovo corridoio, dotato di ampie aperture che consentivano una vista panoramica su Malebolgia: il diavolo ammise che quella città era proprio enorme, ora che poteva vederla da una posizione più elevata. Una città per mostri... un rifugio, stando alle parole di Lady Death.

« Oblivion » disse la donna, durante il cammino. « Questo è il nome che Nul ha scelto per il suo mondo. Il tempo e lo spazio, qui, non contano niente, a meno che Nul non decida il contrario; io sono finita qui da mesi, secondo il mio punto di vista, ma so che dipende solo dalla mia percezione del tempo. Oblivion è diviso in vari settori, e Malebolgia è uno di questi: ho preso il controllo di questo posto dopo il mio incontro con Nul... dopo aver stretto un patto con lui. »

Hellboy si fermò, sorpreso.

« Un patto? »

Lady Death si fermò a sua volta.

« Non tutti quelli che finiscono a Oblivion sono invitati a combattere » disse, amareggiata. « Tipi come Nicky non avrebbero speranze in una battaglia come quelle a cui noi siamo abituati. Nemmeno io ho avuto una nemesi da affrontare, e ho vagato a lungo tra i settori in cerca di risposte: ho incontrato Nul al Cimitero dei Mondi, infine... volevo ucciderlo naturalmente, per avermi gettata nel suo abisso senza alcun preavviso. Quello mi rise in faccia, e mi usò come punching-ball dopo aver replicato i miei poteri alla perfezione; nessuno mi aveva mai ridotta così male... provai persino a sedurlo, ma fu inutile. Alla fine, tuttavia, Nul mi fece una proposta: lasciarlo in pace in cambio di un regno da governare. Visto come mi aveva ridotta, non vidi altra scelta pur di sopravvivere, e accettai.

« Così eccomi qui. Nul mi ha concesso questo luogo come dominio personale, che ho arricchito con tutto ciò che proviene da tutti gli inferni: la mia biblioteca è colma di tomi e volumi che narrano di innumerevoli mondi oscuri; l’armeria è in grado di rifornire interi eserciti; e l’Infernodromo offre ogni sorta di svago che il mio popolo potrebbe definire divertente. »

Lady Death si fermò, guardando il panorama. Da quella posizione, i due avevano un’ottima vista sull’Infernodromo: il palcoscenico era stato rimosso per fare spazio a quello che sembrava un duello in piena regola. Hellboy scorse due figure nell’arena: uno aveva l’aspetto di un biker, la cui testa era un teschio fiammeggiante, in sella a una moto infuocata con cui correva a gran velocità; il suo avversario era un uomo senza capelli e a torso nudo, in grado di controllare la sabbia. Il loro scontro era spettacolare senza alcun dubbio, fatto di tempeste di fuoco e sabbia a più riprese; una voce fuori campo commentava nel frattempo il duello, come un vero cronista.

« Wow! Mossa avventata, quella di Imothep! Il Ghost Rider è tornato alla carica come se nulla fosse! »

Lady Death indugiò ancora per qualche secondo, poi proseguì indifferente. Hellboy continuò a seguirla, lasciandosi alle spalle quel nuovo spettacolo. Terminato il corridoio, i due varcarono l’ultima porta: Hellboy si trovò quindi in un’ampia camera da letto, quella della stessa padrona di casa che ora lo accompagnava. Meno tetra rispetto alle altre sale del castello, era ricolma di cuscini e tende, e l’aria era impregnata di un dolce profumo esotico: assomigliava un po’ a un harem, anche se deserto. Il diavolo si guardò intorno: non c’erano altre porte, e Lady Death non sembrava intenzionata a condurlo altrove; lei camminava lentamente al suo fianco, lasciando che si ambientasse.

Poi l’attenzione di Hellboy cadde su un tavolo di fronte al letto, sulla quale stava appoggiata una spada. Sembrava una katana giapponese, ma era molto più lunga, almeno un metro e mezzo, l’acciaio scintillante e letale in ogni sua parte; accanto alla spada era posata una lunga piuma nera, immobile come una pietra.

La voce di Lady Death alle sue spalle spezzò il silenzio che si era creato.

« Da molto tempo non incontravo un degno Figlio del Caduto... l’ultimo che ho accolto in questa camera se n’è andato settimane fa, senza fare più ritorno. »

Hellboy si voltò, e vide nella donna un’espressione malinconica.

« Chi? »

« Sephiroth » rispose lei. « Figlio di Jenova, la “calamità giunta dal cielo”. Era un guerriero potente, orgoglioso, diabolico... perfetto sotto ogni punto di vista. Era stato scelto da Nul per combattere in uno dei suoi infiniti conflitti, affrontando la nemesi del suo mondo; separato dal suo gruppo, era giunto a Malebolgia in cerca di riparo... cosa che gli offrii volentieri, vista la natura che avevo percepito subito in lui. Era uno di noi, un nostro fratello... meritava di stare al nostro fianco.

« Sephiroth attirò subito tutta la mia attenzione, e lui non la rifiutò. Unimmo i nostri corpi, non gli feci mancare nulla, e lui ne fu felice. Ma ben presto... troppo presto... Sephiroth sentì il richiamo della battaglia: lui era nato guerriero, non poteva sopprimere lo spirito del distruttore. In quanto tale, non aveva alcuna intenzione di sfuggire alla sfida che lo attendeva, né di spezzare il legame che aveva con la sua nemesi. Così ripartì pochi giorni dopo, con appena un lieve malincuore per i momenti che avevamo trascorso insieme. »

Lady Death sospirò, mentre accarezzava la lama della spada.

« Non tornò mai più. Sephiroth fu ucciso dalla sua nemesi nello scontro decisivo. Grande fu il mio dolore quando percepii la sua distruzione... ma molto di più fu la mia ira quando giurai di vendicarlo. Non ho esitato un secondo a rompere il patto con Nul, lasciare Malebolgia e rintracciare il bastardo che aveva annientato il mio amato: con la sua stessa spada » e accennò ad essa, « ritrovata nel Cimitero dei Mondi, l’ho massacrato e dato in pasto alle mie bestie dopo aver spezzato ogni sua speranza. »

Tacque, dopo aver pronunciato le ultime parole con una dose estrema di rabbia. Hellboy avrebbe voluto dire qualcosa: in parte capiva ciò che provava, ma forse non così tanto. Aveva perso la sua amata una volta, ma era riuscito a riportarla indietro... per questo la sua ira aveva avuto vita breve; ma quella di Lady Death non era svanita, affatto. Distolse lo sguardo dalla spada e tornò a concentrarsi sul suo ospite, dopo essersi calmata un poco.

« Era un degno Figlio del Caduto » riprese. « Non avevo mai incontrato nessuno come lui... e ora sei arrivato tu. In te ho visto il suo stesso potenziale, e sono certa che non mi deluderai. »

Nel frattempo si tolse il mantello, facendolo cadere a terra. Hellboy inarcò un sopracciglio.

« Non capisco dove vuoi arrivare. »

« Lo capirai tra un istante. »

E senza alcun preavviso, la donna si avvicinò ulteriormente, gettando le sue braccia intorno al collo di Hellboy. Il suo corpo perfetto aderì a quello del diavolo, che rimase incredulo mentre lei indirizzava le labbra vermiglie sulla sua bocca.

Passò un istante, lungo come un secolo, prima che Hellboy ricordasse di fare la scelta giusta. Afferrò Lady Death per le spalle e la respinse, prima che fosse troppo tardi.

« Non posso » dichiarò, più serio che poteva. « Il mio cuore appartiene a un’altra. »

Lady Death, anziché restare delusa, rispose con un ghigno.

« Oh, non temere, non sono interessata al tuo cuore. Preferisco di gran lunga il notevole attrezzo che porti dentro i pantaloni. »

E tornò all’attacco, baciando con insistenza il diavolo sul collo. Hellboy ebbe un fremito, ma riuscì a resistere.

« Ehm, grazie per il complimento... ma non puoi avere neanche quello! »

Cercò di staccarsela di dosso, ma perse l’equilibrio e cadde all’indietro, centrando in pieno il letto. Lady Death ne approfittò per balzargli addosso, bloccandolo al materasso prima che potesse alzarsi.

« Cambierai idea, non appena avrai ammirato queste » e si afferrò i seni per metterli bene in vista « più da vicino. »

Si avventò quindi su di lui, ormai certa di averlo in suo potere. Era questione di pochi secondi, e tutto sarebbe cambiato... avrebbe avuto il compagno perfetto con cui condividere il suo nuovo inferno...

Una mano di pietra si pose a metà strada, impedendole di raggiungere il corpo che bramava; l’afferrò per la gola e la spinse di lato, gettandola contro il materasso. Hellboy si alzò dunque in piedi, abbandonando il letto; aveva lo sguardo duro, come se bastasse un soffio di vento per farlo esplodere.

« Tu pretendi troppo da me! » esclamò, rivolto alla donna. « Credevi davvero che ti avrei permesso di togliermi i vestiti e di lasciarti fare i tuoi “comodi”? Tu non mi conosci nemmeno! »

« Certo che ti conosco » ribatté Lady Death. « Tu sei Anung Un Rama, Figlio del Caduto, la Mano Destra del Destino, il Seme della Distruzione... la Chiave per il risveglio degli Ogdru Jahad! »

« Ah, sparisci dalla mia vista con queste stronzate... qualsiasi fanatico dell’occulto potrebbe impararle leggendo qualche libro dimenticato in un cesso della stazione! Ma c’è differenza tra leggenda e realtà, bellezza... tu non hai idea di cosa ho fatto della mia vita! »

La donna lo guardò esterrefatta, ma poi scosse la testa.

« Dimentica tutto ciò a cui credi di appartenere » mormorò. « La tua missione, i tuoi amici, il tuo mondo... non hanno alcun valore rispetto a ciò che sei davvero. Tu sei la Bestia, progenie oscura, e sei mio fratello... il più degno di governare al mio fianco su Malebolgia. Resta qui con me, e sarai al sicuro... ma soprattutto, libero di essere ciò che sei. »

Ella tornò a distendersi sul letto, cercando di assumere la posa più provocante possibile. Hellboy restò a guardarla, ma mentre faceva del suo meglio per impedire a un calore inopportuno di raggiungere il suo “attrezzo”, una voce dal passato parve risuonare nelle sue orecchie.

Hellboy, ricordati chi sei veramente... tu puoi scegliere!

Esatto, lui poteva scegliere. Non era importante chi fosse davvero, non lo era mai stato... l’importante era chi sceglieva di essere. Così, sotto lo sguardo incredulo di Lady Death, afferrò le sue stesse corna e se le strappò; queste caddero a terra con un tonfo sordo, mentre la corona infuocata si spegneva dalla sua testa.

« Io ho già scelto... molto tempo fa » dichiarò Hellboy. « Ho scelto di essere molto più di ciò che sembro: sono un mostro che fa qualcosa di buono per il mondo... sono un eroe! »

Lady Death non parlò. Immobile sul suo letto, aveva la bocca socchiusa e le guance tremavano leggermente; sembrava combattuta tra due pensieri diversi. Le parole di Hellboy l’avevano scossa, sicuramente. Il diavolo credette di vederla sorridere...

Ma all’improvviso un boato risuonò in lontananza, tale da far tremare leggermente il pavimento. Hellboy e Lady Death scattarono subito in guardia, allarmati.

« Che diavolo è stato? »

« Un attacco » mormorò la donna, guardando verso il soffitto. « Un nemico si è fatto avanti. »

Pochi attimi dopo, le porte della camera si spalancarono, e le tre sorelle cornute apparvero sulla soglia.

« Mia signora! » esclamò Lilitu, l’aria stravolta come le altre due. « Mio signore... siamo sotto attacco! »

« Grazie per aver sottolineato l’evidenza, inutile cagna » rispose Lady Death acida. « Ora provate a dirmi qualcosa che ancora non so... chi è il folle invasore che ha appena deciso di subire la mia ira? »

« Molti invasori, mia signora » rispose Ardat-Lili. « Un esercito intero... guerrieri dorati, hanno abbattuto le mura inviolabili di Belial come fossero di latta! »

« Guerrieri dorati? »

La voce sorpresa di Hellboy attirò l’attenzione di tutte. Lui, tuttavia, non aggiunse altro, impegnato com’era ad assimilare l’informazione appena ricevuta.

Impossibile! Non possono essere loro...

« Fino a che punto sono penetrati? » domandò Lady Death, tagliando corto.

« Hanno invaso l’area del mercato » rispose Lilu. « Molti demoni si sono già mobilitati per fermarli, ma non è sufficiente... ora puntano verso l’Infernodromo. »

« Maledizione... Nicky è ancora laggiù, insieme a migliaia di spettatori inermi! Presto, mandate le guardie a difendere l’Infernodromo, e vi unirete a loro nella battaglia... è tempo di dimostrare di cosa è davvero capace la Triade Oscura. »

« Sì, mia signora! » esclamarono le donne all’unisono, e uscirono dalla stanza.

Lady Death rimase nuovamente sola con Hellboy, ma non lo guardò. Un mix di rabbia e crudeltà si erano impadronite della donna, ormai impaziente di scatenarle sugli invasori del suo regno; così, facendo appello ai suoi poteri innati, manifestò la sua spada, Darkness, forgiata nel regno infernale da cui proveniva. Guardò la lama dorata, ansiosa di poterla affondare al più presto sul nemico...

« Io ho un regno da difendere, e fratelli da proteggere » dichiarò, voltandosi a guardare Hellboy. « Tu cosa scegli di fare? Preferirei non averti tra i... uh? »

Tacque, mentre fissava il suo rosso fratello intento a caricare la sua pistola; inaspettatamente, egli era tornato a sorridere.

« Quando la famiglia è in pericolo, chi sono io per tirarmi indietro? » disse. « Inoltre credo di sapere con chi abbiamo a che fare... e sarò ben lieto di aiutarti a prenderli a calci in culo! »

Lady Death lo guardò ammirata per qualche secondo, prima di restituirgli un sorriso. Insieme uscirono così dalla stanza e balzarono fuori dalla balconata, atterrando sopra una torre.

Da quella posizione riuscivano a vedere chiaramente cosa stava accadendo tra le strade di Malebolgia. Molti demoni erano impegnati in una dura lotta contro gli invasori: apparivano come giganteschi soldati d’oro meccanici, armati di lame montate sulle loro possenti braccia. Avanzavano implacabili, macellando tutti coloro che si trovavano sul loro cammino.

« Merda... è proprio come pensavo » borbottò Hellboy. « Sono proprio loro... l’Armata d’Oro. »

« Li conosci? » domandò Lady Death.

Il diavolo si limitò ad annuire. Altroché se li conosceva! Settanta volte settanta soldati, un esercito di automi invincibili costruiti secoli prima per volere di Re Balor, per porre fine alla guerra contro gli uomini. Dal punto di vista di Hellboy, erano trascorse appena due settimane dal momento in cui si era trovato ad affrontare quelle macchine, risvegliate da Nuada allo scopo di annientare l’umanità. E ora, il corso degli eventi lo costringeva a ripetere quella terribile esperienza... troppo presto.

Nuove urla ed esplosioni risuonarono nell’aria, attirando l’attenzione di Hellboy. Aguzzò ancora la vista: l’Armata d’Oro era giunta nei pressi dell’Infernodromo, pronta a ridurre anche quello in macerie. Lady Death smise di indugiare e spiccò un balzo verso lo stadio; il diavolo la seguì a ruota, anche se con maggior difficoltà visto che non era agile quanto lei.

« Aspetta! » gridò non appena la raggiunse, in cima alla fila più alta degli spalti.

« Non ho tempo da perdere » tagliò corto la donna. « Ho un esercito nemico da ridurre a fette. »

« È inutile... non puoi sperare di distruggere quei cosi normalmente, sono “industribili”. »

« Cosa? »

« Ehm... voglio dire, indistruttibili! In pratica possono autoripararsi. Affrontarli singolarmente è del tutto inutile, ma c’è un altro modo per fermarli. Per controllarli serve una speciale corona magica: è l’artefatto che li mantiene attivi. L’avevamo distrutta tempo fa, ma in questo mondo ormai non mi stupisco più di niente... se l’Armata d’Oro è qui, anche la corona sarà qui; dobbiamo trovare e uccidere il tipo che la indossa. »

E scommetto tutta la mia birra che è proprio lui... pensò, livido di rabbia.

In quel momento si udì un boato. I guerrieri dorati avevano aperto una breccia nell’Infernodromo, penetrando al suo interno come un fiume in piena: molti demoni scapparono, ma alcuni rimasero per opporre resistenza. Una battaglia tremenda cominciò quindi a infuriare tra quelle mura, tra due forze appartenenti entrambe all’oscurità.

« Troppo tardi » mormorò Lady Death. « E non riesco a individuare Nicky. »

« D’accordo, dividiamoci » ordinò Hellboy. « Tu trova Nicky e portalo in salvo, io tratterrò l’Armata il più possibile! Ormai so come trattarli... a suon di mazzate. »

Lady Death annuì. Un attimo dopo si separarono, prendendo due direzioni diverse; Hellboy scese rapidamente lungo gli spalti fino a raggiungere il suolo, prendendo parte dalla battaglia. Fu avvistato quasi subito da alcuni guerrieri d’oro, che si avventarono su di lui senza pietà; Hellboy sorrise e aprì il fuoco.

Gli parve di essere tornato ai vecchi tempi, che tuttavia risalivano ad appena quindici giorni prima. L’ennesima battaglia tra forze oscure, con tre elementi ricorrenti: lui, il suo fedele Samaritano e il mostro da uccidere. Stavolta, tuttavia, poteva contare su un gran numero di alleati. Hellboy riconobbe i due contendenti che aveva visto poco prima, Imothep e Ghost Rider: il primo disorientava l’Armata d’Oro con raffiche di sabbia, il secondo li faceva a pezzi con la sua catena infuocata. Ben presto intervennero anche le guardie giunte dal palazzo: Freddy e Jason si unirono al gruppo di resistenza senza alcun timore.

« Benvenuti nel mio incubo, marmocchi! » tuonò la voce di Freddy, mentre appariva sulla scena in una vampata di fuoco.

Gli altri demoni non erano da meno, e con la loro potenza facevano del loro meglio per fermare gli invasori; molti nemici caddero così sotto i loro colpi, ma Hellboy già sapeva quanto fosse inutile. Ben presto i guerrieri si sarebbero rimessi in sesto, grazie alla loro capacità di autoripararsi. Non aveva scelta, doveva trovare il burattinaio prima che quelle marionette facessero troppi danni.

Dove diavolo è finito sua stronzezza reale?

Un urlo attirò improvvisamente la sua attenzione. Hellboy si voltò ed ebbe un tuffo al cuore: Nicky era davanti a lui, nel cuore di quell’inferno di fiamme e lame. Il ragazzo era a terra, la chitarra ancora in mano, impotente come una pietra nell’occhio di un ciclone; i guerrieri d’oro erano impegnati ad affrontare gli altri demoni, ma era troppo vicino, rischiava di essere coinvolto...

Nicky cercò di svignarsela, strisciando a terra nella speranza di non essere notato. All’improvviso andò a sbattere contro un paio di gambe: alzò lo sguardo e vide un uomo, alto e bianco, dai lunghi capelli dorati e le orecchie a punta. Costui gli lanciò un’occhiata sprezzante, e gli puntò una lancia alla gola.

« Chi sei tu, che cerchi di sfuggire invano al massacro? » domandò.

« Ehm... io sono Nicky... »

« Bene, Nicky. Consideralo un onore... quello di morire per mano mia! »

Nuada sollevò la lancia, pronto ad affondarla.

« Fermo! »

L’elfo alzò lo sguardo. Hellboy si era fatto avanti, e gli puntava contro la pistola.

« Oh, eccoti qui, Satana » commentò lui con un sorriso. « Hai fatto presto... me ne compiaccio. Il mio tentativo di stanarti è andato a buon fine. »

Hellboy non fece domande. Ciò che aveva davanti agli occhi era una risposta abbastanza eloquente: la Corona di Bethmoora, in grado di controllare l’Armata d’Oro, era posta in quel momento sulla fronte di Nuada. Non aveva idea di come fosse tornata nelle sue mani, ma il ricordo del Cimitero dei Mondi gli attraversò il cervello: non era impossibile che avesse ritrovato laggiù la corona e l'intera Armata. Ciò che aveva sospettato fin da subito era ora realtà, e ce l’aveva sotto tiro.

« Oh, hai scatenato addirittura un’invasione solo per me? » commentò Hellboy. « Bene, eccomi qui, proprio come volevi... ora, che ne dici se ce la sbrighiamo solo io e te da questo punto in avanti? Il ragazzo ai tuoi piedi mi sembra un po’ un impiccio, non so se mi spiego. »

Nuada guardò nuovamente Nicky, allargando il suo sorriso.

« Come desideri » disse. Dopodiché sferrò un calcio al ragazzo, facendolo rotolare via per diversi metri. Contemporaneamente l’Armata d’Oro si fece da parte, facendo spazio intorno a Nuada, Nicky ed Hellboy; obbedivano ancora al volere del principe, grazie alla corona, e formarono un’imponente muraglia che si chiuse a cerchio intorno al trio. Di certo Nuada voleva godersi il momento fino all’ultimo istante, sapendo di avere la situazione in pugno.

« Allora, Satana... sei ancora deciso a sfidarmi per il controllo dell’Armata d’Oro? »

« Nah, pensavo di ammazzarti subito » ribatté Hellboy, stringendo la presa sulla pistola. « Se permetti, sono parecchio stufo di questa storia. »

« Siamo in due, allora » disse Nuada. « Ma presto... ne rimarrà uno solo! »

« Rrraaaaaaah!!! »

Un nuovo urlo echeggiò nell’aria, seguito da una pioggia di dardi di energia oscura che si abbatterono al suolo. Molti guerrieri dell’Armata d’Oro ne furono investiti in pieno e caddero a pezzi; mentre i loro rottami rotolavano a terra, Lady Death faceva la sua comparsa sulla scena, spada alla mano. La donna raggiunse Nicky in un attimo, aiutandolo ad alzarsi.

« Stai bene? »

« S... sì. Grazie, sorellona. »

Gli occhi di Lady Death si posarono subito dopo su Nuada.

« La corona... sento che il potere che controlla questo esercito è posto sulla tua fronte » disse. « Dunque sei tu la causa di tutto questo! »

« Sono il principe Nuada, Lancia d’Argento, figlio di Re Balor. Ti avverto, donna, ti sei appena intromessa in una faccenda che non ti riguarda... la tua presenza non è tollerata. »

« La mia presenza? » tuonò Lady Death, infiammandosi. « Sai con chi stai parlando? Hai idea di a chi appartenga questa terra? Io sono Death! Lady Death! E tu hai fatto un terribile errore non appena hai deciso di violare il mio dominio! »

« Non ho interesse verso il tuo dominio... voglio solo la vita del diavolo che permetterà il mio ritorno a casa. Fatti da parte, affinché possa finalmente compiere il mio dovere! »

Lady Death si avvicinò ulteriormente, e nel frattempo puntava la sua spada contro Nuada.

« Prega il tuo creatore, principe... magari lui avrà pietà, io di certo non ne avrò. »

Nuada scoppiò a ridere.

« Pregare? Ah, credo di avere un’idea migliore in mente... uccidetela! »

L’ordine fu rivolto ai guerrieri d’oro. Alcuni di loro si fecero avanti e aggredirono Lady Death, sferrando vari fendenti con le loro lame. La donna s’impegnò subito ad affrontarli: la sua spada e i suoi poteri oscuri ebbero facilmente ragione di loro, e li fece a pezzi in breve tempo; i guerrieri, tuttavia, si rimisero subito in sesto, recuperando i pezzi perduti. Nuada sorrise compiaciuto, poiché il suo diversivo stava funzionando: ora poteva dedicarsi nuovamente ad Hellboy, senza ulteriori seccature.

Eroe e nemesi attaccarono nello stesso istante: il diavolo contro l’elfo, il pugno contro la lancia. Ancora una volta si affrontavano, messi l’uno contro l’altro da una volontà superiore. Era la resa dei conti, lo sapevano entrambi... ecco perché nessuno intendeva mollare, non in quel momento.

Lady Death era ancora impegnata contro l’Armata d’Oro, ma non poteva ignorare quel fratello in difficoltà. Doveva intervenire, finché ne aveva l’occasione. Un guerriero dorato si parò di fronte a lei, per impedirle di raggiungere Hellboy; la donna gli scagliò contro la spada, carica di energia oscura. Il guerriero esplose in mille pezzi; un frammento particolarmente grosso andò a colpire Hellboy in piena faccia, facendolo cadere a terra. Nuada ne approfittò per balzargli addosso, puntandogli la lancia alla gola.

« No! Fratello! »

Lady Death non poté far altro che urlare, perché un altro gruppo di guerrieri dorati si fece avanti per bloccarla.

« È finita, Satana » dichiarò Nuada, ignorando tutto il resto. « Le tue ultime parole? »

« Ugh... il mio nome... è Hellboy! »

« Bene... buon ritorno all’inferno! »

« Fermati! Lascialo stare! »

Nuada alzò lo sguardo. Era stato Nicky a urlare, fattosi improvvisamente avanti.

« No, non credo proprio » gli rispose l’elfo. « E non vedo come tu possa fermarmi, fesso... sei disarmato. »

« Io ce l’ho un’arma » ribatté Nicky, che inaspettatamente sorrise. « Sta’ a sentire... »

Sotto lo sguardo sorpreso di Hellboy e Nuada, il ragazzo imbracciò la chitarra e iniziò a suonare.

 

Here I am, rock you like a hurricane,

Here I am, rock you like a hurricane!

 

Hellboy, ancora bloccato a terra, era senza parole. Che diavolo aveva in mente quell’idiota? Ma poi un nuovo urlo attirò la sua attenzione. Nuada, sopra di lui, aveva mollato la lancia e si afferrò la testa con entrambe le mani, in preda a un dolore sconosciuto.

« Aaaargh! No, ti prego... smettila! »

Non posso crederci, pensò Hellboy, illuminato da un pensiero assurdo. Questo stronzo non sopporta la musica rock?

Ma chi era lui per ignorare un’occasione del genere? Che ci credesse o no, Nicky gli aveva appena salvato la vita! Così si rialzò in piedi e sferrò un pugno in piena faccia a Nuada, gettandolo al suolo. L’elfo rimase a terra, privo di conoscenza; ne approfittò quindi per sfilargli la corona dalla testa. Un attimo dopo, tutti i guerrieri dell’Armata d’Oro s’immobilizzarono. Lady Death si rimise in piedi, colma di stupore.

« Uff » sospirò Hellboy, visibilmente spossato. Sembrava tutto finito. « State bene, voialtri? » aggiunse, guardando Nicky e Lady Death; quest’ultima, in lontananza, si limitò ad annuire.

« Yeah! Alla grande, fratellone! »

« Hehe... ottimo. Te ne devo una, Nicky, la tua strimpellata ha fatto sbarellare Nuada di brutto. Come hai fatto? »

« Oh, sai... gli elfi hanno un super-udito da bestia, la musica troppo forte gli fa male alle orecchie. L’ho letto sul manuale di un gioco di ruolo qualche anno fa... forte come certe cose ti restino in testa dopo tanto tempo, eh? »

Hellboy ridacchiò.

« Già... proprio forte. »

Accadde all’improvviso. Hellboy sentì un rumore alle sue spalle e si voltò: Nuada si era rimesso in piedi e si stava già scagliando contro di lui, pugnale alla mano. Troppo in fretta perché potesse sparargli. Era troppo vicino...

Poi una lama spuntò dal ventre di Nuada, interrompendo la sua corsa. L’elfo gridò, mollando la presa sul pugnale, poi cadde a terra in ginocchio. Hellboy, incredulo, spostò lo sguardo verso un punto alle spalle di Nuada; la spada che lo aveva trafitto, una lunga katana¸ era stretta tra le mani di Lady Death, lo sguardo carico di disgusto.

« Aaah... aaaargh! »

Nuada non era ancora morto. Continuava a gemere per il dolore, il corpo ancora trapassato dalla spada... che Lady Death non intendeva rinfoderare.

« Hah » grugnì Hellboy, sempre più sorpreso. « Ok, ora ne devo una anche a te, bellezza. Ma quella spada da dove salta fuori? »

« La spada di Sephiroth » rispose Lady Death. « Posso evocarla ogni volta che desidero... e contro questo verme è l’arma giusta. La mia Darkness avrebbe posto fine alle sue pene troppo presto... e io non desidero che ciò avvenga. Nicky! » aggiunse, rivolgendosi al fratello. « Portami il “fresco fiasco”. »

Nicky accorse subito. Si avvicinò a Lady Death e le porse quello che sembrava un comune fiaschetto argentato. La donna spinse la spada in avanti fino a conficcarla al suolo, affinché l’agonizzante Nuada non potesse muoversi; dunque raggiunse l’elfo e lo afferrò per la faccia.

« Non conosco la tua storia, principe tenebroso, né l’inferno in cui hai vissuto fino ad ora » gli sussurrò all’orecchio, « ma ti posso assicurare che tra poco ti sembrerà un paradiso, in confronto a quello in cui sto per spedirti! »

Detto questo, gli infilò il collo del fiaschetto in bocca. Un attimo dopo, Nuada fu letteralmente risucchiato al suo interno, sparendo dalla vista di tutti i presenti. La spada di Sephiroth cadde a terra, priva del suo appoggio.

Hellboy rimase impietrito al suo posto.

« Ma che è successo? » chiese dopo un breve mutismo. « Dove diavolo è finito? »

« Qui dentro » rispose Lady Death, indicando il fiaschetto mentre lo richiudeva. « Se vuoi imprigionare un criminale a Malebolgia, non esiste prigione peggiore di questa. Nicky l’ha usata una volta per catturare i suoi fratelli, ribellatisi al padre quando fuggirono dall’inferno... e si trovano ancora lì dentro, impazienti di divertirsi con il nuovo arrivato. »

La donna restituì a Nicky il fiaschetto, che lo riprese con un sorriso.

« Ora » aggiunse lei, guardandosi intorno. L’Armata d’Oro era ancora immobile tutt’intorno a loro. « Che cosa dovrei fare con questi “industribili” guerrieri? »

« Uhm, io avrei un’idea » suggerì Hellboy. Afferrò la corona e la passò a Lady Death. « Con questa potrai controllarli. Saranno un ottimo esercito a guardia del tuo regno. »

La donna osservò la corona, intrigata da questa possibilità. Alla fine annuì e la pose sul suo capo. I guerrieri dorati tornarono a muoversi, e al comando di Lady Death si ritirarono dallo stadio. I demoni sopravvissuti furono così liberi di avvicinarsi ai loro amati sovrani: Freddy, Jason, Imothep, la Triade Oscura, il Ghost Rider e molti altri... malconci dopo una battaglia così violenta, ma ancora vivi.

Tutta quella gente era lì per lui, pensò Hellboy che all’improvviso si era fatto malinconico. Aveva appena sconfitto la sua nemesi, eppure non ne era contento. Forse perché non era cambiato nulla: non era tornato automaticamente a casa... era ancora laggiù, in quel luogo così simile all’inferno, dove gli era stato offerto un posto come sovrano. Un’offerta allettante, ma non poteva accettare.

« Be’, io devo andare » disse all’improvviso. « Non posso più restare da queste parti. »

« Oh? » fece Nicky, preoccupato. « Ma... perché? »

« Questo non è il mio posto. Non c’è la tv, tanto per cominciare, né il mio stereo né i miei adorati gatti. Intendo tornare da dove sono venuto... anche se prima di allora ho altri impegni nei paraggi: devo trovare i miei amici, essere sicuro che stanno bene. »

Si voltò a guardare Lady Death, che inaspettatamente gli restituì un’occhiata comprensiva.

« È una tua scelta » ammise, « e io non ho il diritto di oppormi. Vai, Hellboy. Spero che tu possa ritrovare la strada di casa. »

« Grazie, bellezza. Mi dispiace, ma non poteva funzionare tra noi... dopotutto, siamo fratelli. »

Scoppiarono a ridere entrambi, improvvisamente divertiti dalla situazione.

« A proposito » aggiunse Hellboy poco dopo, prima di voltarle le spalle. « Non ho ancora afferrato il tuo vero nome. »

Lady Death ammiccò prima di rispondere.

« Hope » disse. « Mi chiamo Hope. »

Hellboy fece l’occhiolino e si voltò, pronto a riprendere il cammino.

Fu allora che accadde l’ultimo imprevisto. Una nebbia si levò all’improvviso tutt’intorno a Hellboy, coprendo tutto e tutti alla sua vista; l’intera Malebolgia sembrava svanita nel nulla in un battito di ciglia. Un nuovo rumore attirò la sua attenzione... sembrava un applauso. Si voltò e vide un nuovo individuo, apparso attraverso la nebbia: un uomo vestito con un lungo soprabito bianco, il cui volto era celato completamente da un cappuccio; due ali nere da uccello spuntavano dalla sua schiena.

« Complimenti, Hellboy » dichiarò lo sconosciuto, terminato l’applauso. « Sei sopravvissuto. »

« Uhm... grazie » fece il diavolo con aria incerta. « Ma tu chi sei? »

« Sono quello che ti ha portato qui. Io sono Nul. »

Hellboy sgranò gli occhi per lo stupore, e per un lungo, interminabile minuto non riuscì a parlare. Poi afferrò la pistola, carico di collera.

« Finalmente ti fai vivo, maledetto » ringhiò. « Spero tu ti sia goduto lo spettacolo, perché non concedo bis! Hai avuto quello che volevi da me, ora riportami indietro! »

« Uhm... credevo che tu avessi ancora degli impegni nei paraggi » obiettò Nul. « Non volevi ritrovare i tuoi amici? Essere sicuro che stanno bene? »

Hellboy abbassò leggermente la pistola.

« Be’, sì » rispose. « Dove sono? Che cosa gli hai fatto? »

« Vuoi davvero saperlo, dunque. Molto bene. »

L’incappucciato si avvicinò e tese una mano a Hellboy. Il diavolo esitò per un attimo: non si fidava di quel tipo, eppure sentiva che dargli la mano era la cosa giusta da fare. Così si abbassò e strinse la mano a Nul...

Poi tutto il mondo divenne buio, ed Hellboy perse conoscenza.

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Capitolo 26
*** Fratellanza ***


Image and video hosting by TinyPic Capitolo 26. Fratellanza
 
« Perché voi alchimisti dovete essere così? Il principio dello scambio equivalente è completamente privo di senso, non ti pare? »
« Ugh... »
« Io non voglio darti metà della mia vita... voglio darti tutta la mia vita. »
« Wi... Winry... »
« Pika? »
Edward Elric aprì gli occhi. Era disteso a pancia in giù su quella che sembrava terra, resa umida dall’acqua che scorreva fino alle sue ginocchia. La vista era ancora sfocata e non riuscì a distinguere granché. Confuso, si voltò verso il punto in cui aveva udito una voce: una piccola sagoma gialla si trovava a pochi centimetri dalla sua faccia... probabilmente un animaletto, ma non riusciva ancora a metterlo a fuoco.
« Pika-pika! »
« Uuh... Winry... sei tu? »
« Pika...chuuuuu! »
Una scossa elettrica lo investì in pieno un istante dopo. Ed scattò in piedi e per qualche secondo non capì più nulla, urlando per il dolore. Tutto cessò pochi attimi dopo; il ragazzo rimase in piedi, semiparalizzato per il dolore e la sorpresa, il vestito fumante per la scarica ricevuta.
« Masseimpazzita? » gridò di fronte a sé. « Per poco non mi facevi arrosto! Che diavolo di problemi hai, Winry... oh? »
Finalmente aveva messo a fuoco l’ambiente. Si trovava sulla riva di un fiume, in un’area boscosa: era da solo, o almeno così credeva... in effetti era l’unico umano lì presente. La creatura che aveva scambiato per la sua amata, e che lo aveva appena fulminato, era un piccolo animaletto giallo ai suoi piedi: alto una quarantina di centimetri, aveva l'aspetto di un roditore, con un corpo arrotondato, zampe corte e una coda a forma di fulmine. Aveva un musetto dall’aria graziosa, con piccoli occhi neri rotondi e le guance rosse. Fissava Ed con aria curiosa, mentre le sue guance emettevano piccole scintille.
Il ragazzo rimase immobile a fissarlo, incerto sulle sue intenzioni.
« Pika-pika! » fece l’animaletto, agitando una zampa anteriore.
« Ehm... ciao » rispose Ed. « Tu cosa... chi sei? »
L’animaletto voltò la testa verso il bosco.
« Pipipi! Pipipi! » gridò, come se fosse rivolto a qualcuno.
« Eccomi, arrivo » rispose una nuova voce da dietro gli alberi. Ed scattò in guardia, ma era comunque sollevato di sentire un’altra voce umana nei paraggi: forse non era rimasto solo, dopotutto...
Il sollievo andò in frantumi non appena il nuovo arrivato sbucò dalla vegetazione. Non era affatto un umano, ma una specie di lucertolone alto quasi un metro; la sua pelle era di colore arancione acceso ed i suoi occhi, grandi e circolari, erano verde chiaro. Camminava ritto sulle zampe posteriori, dotati di tre grossi artigli ciascuna come quelli anteriori; aveva anche una coda grossa e tozza, con la quale bilanciava il peso nell’andatura. Il rettile si avvicinò tranquillo al roditore giallo, fissando Edward con aria curiosa.
« Oh, ma guarda » esclamò il lucertolone con la sua voce gracchiante. « Un essere umano! Uhm, è più piccolo, questa volta. »
« Pika-chu... » fece il roditore, rivolto a lui.
Ed s’infiammò nel giro di un istante.
« Piccolo? Chi sarebbe piccolo?? Ma ti sei visto, brutta specie di rospaccio? Tra noi due sei tu quello che deve essere visto con una potentissima lente d’ingrandimento! »
« Ehi, io non sono un rospo! Sono un Digimon! »
« Tra poco diventerai una digifrittella, non appena avrò finito di calpestarti... »
« Pipipi! Pika-chuuu! »
Il roditore giallo si pose in mezzo ai due, ormai sul punto di venire alle mani. Ed e il Digimon si fermarono, notando le scintille accendersi sulle guance del piccoletto.
« Non è cattivo, dici? » disse il Digimon, sospettoso. « Ne sei sicuro? »
« Pikapi! »
« No che non sono cattivo! » ribatté Edward. « Sono solo un ragazzo sperduto in un posto sconosciuto... immagino che questa non sia Amestris, vero? »
Il lucertolone scosse la testa, e nel frattempo si tranquillizzò.
« No, mi dispiace. È chiaro che vieni da un altro mondo, proprio come noi due. A proposito, io sono Agumon, e lui è Pikachu. »
« Pika-chu! » fece il roditore giallo, divenuto amichevole.
« Ehm... piacere » disse Ed. Il ragazzo s’inginocchiò per osservare meglio le due creature, ma il suo tentativo di analizzarli andò a vuoto. « Ma voi che cosa siete? »
« Be’, te l’ho detto, io sono un Digimon » rispose Agumon. « Un mostro digitale. Mentre Pikachu, invece, è un Pokemon: un mostro tascabile. »
Ed tacque, incerto. Quelle parole non significavano nulla per lui, ma accettò le nuove informazioni su di loro senza obiettare.
« E tu, invece, chi saresti? »
« Oh! Giusto, io mi chiamo Edward... Ed, per gli amici. »
« Piacere di conoscerti, Ed. Benvenuto nella Foresta di Ghibli! »
Foresta... di Ghibli?
Ed si guardò intorno, spostando lo sguardo in varie direzioni, anche verso l’alto. Alberi, erba e acqua dominavano l’ambiente che lo circondava: non era che una normalissima foresta, almeno in apparenza. Sentiva il rumore del vento, deboli cinguettii e stridio di insetti, tipici suoni della natura incontaminata. Il fogliame sopra la sua testa era così fitto che non vedeva il cielo, ma era certo che non avrebbe comunque visto il sole, dato che ancora si trovava nel regno di Nul. Oltretutto era rimasto da solo, con l’unica compagnia di quei due strani esseri che aveva incontrato.
L’alchimista non riusciva a capire come fosse arrivato in quel luogo. Si sentiva già fortunato ad essere scampato alla distruzione del Titanic, quasi perfettamente illeso, ma il sollievo era messo a dura prova dal timore di aver perso i suoi compagni. Dov’erano gli altri Valorosi? Anche loro si erano messi in salvo? Quanto si era allontanato da loro?
Non aveva risposte, purtroppo...
« Pika pika? » fece Pikachu, rivolto ad Agumon.
« Hai ragione, meglio tornare subito indietro. Senti, Ed, ti sei perso? Hai bisogno di aiuto? »
« Oh? Ehm, sì... non mi dispiacerebbe una mano, in questo momento » ammise il ragazzo.
« Vieni con noi, allora » propose Agumon. « Poco più avanti c’è il nostro rifugio, lì accogliamo tutti quelli che si perdono nella foresta. »
« Un rifugio? Allora ci sono altri umani laggiù? »
« Certamente. »
Bene... forse troverò Sora e gli altri, laggiù.
« Va bene, ragazzi » disse Ed. « Verrò con voi... fate pure strada. »
Poco dopo, il trio si era messo in cammino all’interno della foresta. Edward seguì Agumon e Pikachu senza parlare, anche se i dubbi ronzavano in gran numero nella sua testa: preferiva rimandare le domande una volta giunto a destinazione, per non perdersi inutilmente in chiacchiere con creature che faticava ancora a comprendere. Oltretutto, l’alchimista veniva distratto a più riprese dal panorama, del quale ora poteva notare nuovi dettagli: la foresta era abitata da molte creature, di varia forma e colore; molte assomigliavano a uccelli e insetti, molto più grossi del normale e con colori vivaci. Alcuni parlavano, altri si limitavano a emettere strani suoni, proprio come Pikachu; si muovevano tra gli alberi e i cespugli con assoluta sicurezza, come se facessero parte dell’ambiente.
« Guarda, un altro umano... »
« Bulba-saur? »
« Quanto è strano! »
« Digle-diglett! »
« Sun-flora! »
« Strano e piccolo... »
Ed sentì i loro versi e voci dappertutto. Lo stavano osservando, ma restavano al loro posto, rassicurati dal fatto che fosse accompagnato da Pikachu e Agumon; quest’ultimo, notando l’aria ansiosa di Ed, gli spiegò che l’intera foresta ospitava molti Pokemon e Digimon.
« ...tutti quelli sopravvissuti, noi compresi » disse serio.
« Ah, capisco. Dunque la guerra ha colpito anche voi, eh? Mi dispiace... »
S’interruppe, non sapendo cos’altro potesse dire. Ed non poteva nemmeno immaginare che razza di sciagura avesse colpito tutti loro: creature che, dal suo punto di vista, erano innocenti alla pari degli animali a cui era abituato.
Perché Nul ha coinvolto anche loro?
« Siamo arrivati! » disse la voce di Agumon nel frattempo, riportandolo alla realtà.
Il trio era giunto in una radura, al centro della quale sorgeva un maestoso albero di canfora. Ed alzò lo sguardo, incantato da tale bellezza, ma il grande tronco si perdeva nel fitto fogliame della foresta, ancora impenetrabile dalla luce del sole. Era un luogo molto bello, apparentemente libero da costruzioni artificiali; poi l’attenzione del ragazzo fu rivolta su una casetta ai piedi dell’albero: era una normalissima casa in legno a due piani, dipinta di rosa e con la scritta Kame House sulla facciata principale.
« Yuhuu! Siamo tornati! » gridò Agumon in quel momento. « Ragazzi, ci siete? Abbiamo un nuovo ospite! »
Una voce maschile rispose pochi secondi dopo.
« Eccomi, Agumon, sono qui. »
Un ragazzo sbucò dal retro della casa, con un cesto di panni tra le mani. Era alto, con corti capelli neri e con indosso un grembiule sopra un’uniforme scolastica; lo sguardo nei suoi occhi era intimidatorio, tanto assomigliava a quello di un delinquente. Ed cercò di non farci caso, ma ebbe lo stesso una brutta impressione nei confronti di quel ragazzo.
« Oh, ma guarda » disse il ragazzo, notando la presenza di Ed. « Erano settimane che non vedevo un altro umano. Non sono in molti quelli che riescono a raggiungere la foresta. Benvenuto, comunque... io mi chiamo Riuji Takasu. »
E gli tese la mano con fare amichevole. Ed, sempre più sorpreso, la strinse.
« Io sono Edward, Edward Elric. Piacere di conoscerti. »
« Piacere mio » aggiunse Riuji. « Naturalmente avrei preferito incontrarci in un luogo migliore di questo. Purtroppo sembra che siamo entrambi reduci da una catastrofe. »
Ed chinò leggermente il capo, consapevole dell’amara verità.
« Già... dunque ci siamo solo noi in questa foresta? Non ci sono altre persone? »
« Be’, non proprio. A dire il vero ci sarebbe anche... »
« Edward... Elric? »
Una nuova voce, stavolta femminile, attirò l’attenzione dei presenti. Ed, Riuji, Pikachu e Agumon si voltarono verso un punto tra gli alberi, dal quale era apparsa una ragazza. Un po’ più bassa di Ed, aveva grandi occhi azzurri e lunghi capelli biondi, con un ricciolo che penzolava davanti al suo viso gentile. Era magra ma aveva curve molto generose, messe in evidenza dalla corta canottiera rosa che indossava sopra una lunga gonna azzurra. Camminava a piedi nudi sull’erba, con in mano un cesto pieno di funghi. Lo sguardo dolce che era solita sfoggiare era in quel momento offuscato dallo stupore, mentre fissava Ed.
« Non ci posso credere... Edward Elric, sei proprio tu? »
« Ehm... sì, sono io » rispose l’alchimista, sorpreso. « Ma tu... chi sei? Come fai a conoscermi? »
La ragazza si avvicinò di qualche passo.
« I miei fratelli... mi hanno parlato molto di te » disse. « Io sono Catherine... Catherine Elle Armstrong. »
« Armstrong? » ripeté Edward, e un’enorme sorpresa s’impadronì di lui. Nel frattempo posava lo sguardo su quel capello riccioluto sulla fronte di Catherine, e in un attimo le immagini di due persone esplosero nitide nella sua mente: un energumeno senza capelli e dai grandi baffi biondi, insieme a una donna vestita da militare dallo sguardo gelido... due fratelli, accomunati da quel minuscolo particolare. Un capello biondo arricciato.
« Aaaah! Ma certo! » esclamò improvvisamente Ed, puntando il dito contro Catherine. « Tu sei la sorella del maggiore Armstrong e del generale Olivier! »
Catherine si limitò ad annuire. Il silenzio cadde improvvisamente su tutti quanti, come se nessuno fosse più in grado di parlare. Poi, inaspettatamente, Catherine lasciò cadere il cesto e si gettò addosso a Edward, stringendolo in un abbraccio che quasi lo stese; nel frattempo era scoppiata in lacrime.
« Grazie al cielo... grazie al cielo! » singhiozzò. « Per tutto questo tempo ho temuto di essere l’unica... di essere sopravvissuta solo io. Non potevo, non volevo crederci! »
Ed rimase senza parole. Aveva trascorso giorni interi in un incubo senza fine, fatto di viaggi interminabili e duelli all’ultimo sangue contro strani personaggi. La parte peggiore era indubbiamente lo scontro con suo fratello Alphonse, convinto per qualche strana ragione che lui fosse il responsabile della sciagura. Dopo la visita al Cimitero dei Mondi, inoltre, aveva cominciato a credere che il suo stesso mondo fosse stato distrutto... che nessuno fosse sopravvissuto, eccetto lui e Al.
Ora, tuttavia, la ragazza impaurita stretta al suo petto metteva in dubbio tutto questo.
« Mi... mi dispiace, Catherine » riuscì a dire nel frattempo. « Mi dispiace tanto. Non avevo idea... non sapevo che fossi stata coinvolta anche tu in questa guerra. »
Catherine alzò il viso rigato di lacrime.
« Guerra? Quale guerra? »
« Non lo sai? » chiese Ed, perplesso.
« Ehm, forse sarà meglio metterci comodi » intervenne Riuji, facendosi avanti « e parlarne con calma davanti a un piatto di zuppa. Dopotutto, è ormai ora di pranzo. »
« Beh... ottima idea » osservò l’alchimista; in effetti solo ora si rendeva conto di quanto avesse fame.
Poco dopo, erano tutti riuniti intorno ad una pentola messa sul fuoco, accanto alle radici dell’albero. Edward stava seduto tra Riuji e Catherine, e insieme a loro stavano anche Pikachu e Agumon, insieme ad altri Pokemon e Digimon che vagavano per la radura; come Pikachu, in grado di emettere scariche elettriche, anche gli altri sembravano dotati di poteri.
L’attenzione di Ed fu attirata da una creatura in particolare: una bestia molto grossa simile a un leone, coperto da pelo castano che s’infittiva formando la folta criniera che copriva il collo. Sulla schiena aveva degli spuntoni grigi, da cui partiva una nuvola di fumo che formava la sua coda; aveva enormi zampe feline, dotate di artigli retrattili. Tutto questo lo rendeva una bestia orgogliosa e al tempo stesso letale... qualcuno da rispettare alla sola vista. Edward rimase senza parole mentre costui si avvicinava con calma a Catherine, la quale gli accarezzò subito la criniera senza paura.
« Oh Entei, bentornato » gli disse con un sorriso dolce. « Sei arrivato appena in tempo. Guarda, abbiamo un nuovo ospite tra noi! Lui è Edward. »
Entei rivolse all’alchimista un’occhiata, fiutandolo per una manciata di secondi. La bestia chiuse e riaprì gli occhi, chinando il capo come per salutarlo.
« Ehm... ciao » fece Ed, leggermente impaurito. « Lui cosa dovrebbe essere? » aggiunse sottovoce, rivolto ad Agumon.
« Lui è un altro Pokemon » rispose lui. « Uno potente, leggendario secondo la gente del suo mondo. Cerca di non provocarlo, ok? »
« Oh, Entei non farebbe del male a una mosca » ribatté Catherine, continuando ad accarezzarlo; il Pokemon sembrava apprezzarlo, visto che nel frattempo si metteva seduto accanto a lei. « Ma è pronto a proteggerci tutti, se saremo in pericolo. »
« È stato lui a portare qui Catherine, due settimane fa » spiegò Riuji, mentre mescolava la zuppa di verdure che cuoceva nella pentola. « Ha molto a cuore questo posto... e sembra essersi affezionato anche a lei, ormai. »
Ed tacque di nuovo; non era più abituato a stare in un ambiente così pacifico e tranquillo. Tutta quella quiete, quelle creature straordinarie che sedevano accanto a lui, sembravano impedirgli di scegliere da dove cominciare: aveva molte domande e dubbi da sciogliere, ma nel frattempo lo stomaco continuava a brontolare. Riuji soddisfò subito la sua tacita richiesta di cibo, porgendogli una ciotola fumante di zuppa. Ed ringraziò e cominciò a mangiare: con sua grande sorpresa, quella roba era squisita; sembrava opera di un cuoco provetto, e non di un giovane con la faccia da teppista come quello seduto al suo fianco. Indubbiamente, Riuji Takasu era un tipo pieno di sorprese.
« Allora, Edward » domandò il ragazzo poco dopo, durante il pasto. « Mi è parso di capire che tu e Catherine vi conoscete... dunque provenite dallo stesso mondo? Mi piacerebbe conoscere la tua versione dei fatti su questa faccenda; hai parlato persino di una guerra. »
Ed annuì e attaccò a parlare, raccontando di come si fosse unito ai Valorosi e del viaggio insieme a loro per trovare Nul, fino al naufragio. Parlò della sfida lanciata dal misterioso individuo, e di Alphonse, reclutato per combattere nello schieramento avversario. L’alchimista parlò a lungo, anche dopo aver terminato la sua ciotola di zuppa; Catherine e Riuji ascoltarono con attenzione, supportati dalla presenza di Agumon, Pikachu ed Entei.
« Capisco » mormorò Riuji, al termine del racconto. « Dunque le cose stanno così... non avevo idea di quanto fosse tragica la situazione. Purtroppo non so nulla di tutto questo, né dei compagni a cui ti eri unito durante il tuo viaggio... se fossero giunti fin qui, lo avremmo saputo sicuramente. Finora non avevo mai sentito della serie di battaglie organizzate da questo Nul... lo stesso vale per Catherine. »
« Strano » osservò Ed. « Certo, nemmeno io e gli altri miei compagni lo sapevamo all’inizio, ma poi lo abbiamo scoperto durante il viaggio. Come hai fatto a tenerti fuori da tutto questo? »
« Perché io non sono un eroe. Voglio dire, non sono come te... non ho salvato alcun mondo, né compiuto grandi imprese come hai fatto tu. Sono sempre stato un normalissimo ragazzo di Tokyo, con una vita normale a cui mi piacerebbe tanto tornare. »
Lo sguardo di Ed si riempì di stupore. Si voltò a guardare Catherine, che tuttavia rimase impassibile.
« Non ho nulla a che fare con la battaglia di cui parli » riprese Riuji. « Io provengo da un mondo normale: certo, anche laggiù la vita è dura e non mancano le difficoltà... ma purtroppo, non ci sono mai stati tipi come te... eroi. Io avevo la mia vita, e mi piaceva; avevo appena finito il liceo, e mi ero innamorato della ragazza più straordinaria della città. Taiga. Quante ne abbiamo passate insieme... quante, prima di nutrire sentimenti l’uno per l’altra! Lei se ne andò per un po’ di tempo, ma poi ritornò da me. Non avrei potuto essere più felice, quando la ritrovai davanti a me.
« Ma è stato allora che il mio mondo ha cessato di esistere. Avevo appena riabbracciato Taiga, quando è accaduto: un’ombra gigantesca ha ricoperto il cielo, spegnendo il sole e ricoprendo la città nelle tenebre; ricordo un vento fortissimo che spazzava via ogni cosa, e l’urlo di Taiga mentre scompariva nel caos che si era scatenato intorno a me. Tutto è diventato buio, e al mio risveglio mi sono ritrovato nella città dei Senzavolto. Intorno a me c’erano solo macerie e silenzio, e nessuna traccia di Taiga... né delle altre persone a me care; non ho trovato nulla che mi fosse utile, a parte quella. »
Riuji indicò la Kame House, suscitando nuovo stupore in Edward.
« E come hai fatto a portartela dietro? »
« Non so come funziona, ma ha un dispositivo che la trasforma in una capsula tascabile; ho pensato che fosse comodo, avere a disposizione una casa portatile. Così ho vagato a lungo, fino ad arrivare qui. La Foresta di Ghibli mi ha accolto volentieri, per proteggermi dal caos che regna su questo mondo. »
Ed non trovò nulla da dire. Il racconto di Riuji, la sua storia, non erano molto diversi da ciò che aveva sentito da altri personaggi incontrati nei vari luoghi; ciò che lo sconcertava, tuttavia, era l’apparente, assoluta normalità che caratterizzava quel ragazzo. C’era sicuramente lo zampino di Nul dietro tutto questo... ma perché aveva portato un tipo come Riuji Takasu nel suo mondo caotico? Se non era un eroe né un malvagio, perché lo aveva strappato dal suo luogo d’origine?
E perché la stessa sorte era toccata a Catherine? Edward tornò a guardare quella graziosa fanciulla, ora intenta a coccolare Pikachu sulle sue ginocchia; anche lei contribuiva a rendere la situazione priva di senso.
Questa storia diventa sempre più pazzesca... forse c’è ancora qualcosa che non sappiamo.
« E a te, Catherine? » domandò l’alchimista. « È capitato lo stesso? »
La ragazza si voltò a guardarlo, e annuì dopo aver abbandonato il sorriso.
« Sì » disse. « Ero appena tornata ad Amestris con la mia famiglia, al termine di quella battaglia avvenuta a Central City. Avevo ripreso la mia vita di sempre, quando ho visto succedere lo stesso fenomeno descritto da Riuji: l’ombra, la tempesta, e poi il buio. Alex, Olivier, i miei genitori... li ho visti svanire nell’oscurità insieme a tutto ciò che mi circondava. Quando ho ripreso i sensi mi sono ritrovata nel Cimitero dei Mondi: intorno a me non c’era nessuno... solo i resti della mia casa, e molte armi di famiglia. Non sapevo cosa fare... mi sentivo persa: credevo di essere l’unica superstite della mia famiglia... e forse di tutto il mondo. Non sarei sopravvissuta così a lungo, se non avessi incontrato Entei. »
Il Pokemon leggendario, seduto al suo fianco, sbuffò piano.
« E loro? » chiese infine Ed, accennando a Pikachu e Agumon.
« Anche loro sono dei sopravvissuti » rispose Riuji. « Hanno perso i loro mondi d’origine, proprio come è accaduto a noi. I Pokemon provengono da un mondo in cui le persone possono catturarli, allenarli e farli combattere per divertimento; Pikachu apparteneva per esempio ad un giovane allenatore divenuto molto famoso... »
« Pika-pika! » fece il roditore giallo, improvvisamente irritato.
« Ehm... Pikachu dice che non “apparteneva” a nessuno » intervenne Agumon. « Lui era un grande amico del suo umano, non il suo animale da compagnia. »
« Certo, scusami. Sta di fatto, comunque, che il suo amico è scomparso insieme al resto del suo mondo. Solo lui e pochi altri Pokemon – quelli che vedi qui – sono sfuggiti a questo fenomeno.
« Agumon e gli altri, invece, provengono da Digiworld, un mondo digitale parallelo a quello umano. Anche i Digimon si trovavano spesso a contatto con gli umani, quando il loro mondo era in pericolo: i Digimon non erano in grado di difenderlo da soli, perciò venivano reclutati dei bambini per sconfiggere i nemici di Digiworld. Agumon faceva parte di un gruppo formato da Digimon e “Digiprescelti” per eliminare l’ultima minaccia su entrambi i mondi. Aveva anche lui un partner umano, proprio come Pikachu. »
« Tai... »
Agumon si fece triste mentre diceva quel nome. Ed tacque di nuovo, sapeva benissimo quello che provava. Lui aveva perso fin troppe persone care... e l’idea di aver perso forse un mondo intero non migliorava la situazione.
« Vorrei tanto poter fare qualcosa » disse poco dopo. « Non solo per me, ma per tutti voi. Io e i miei compagni, i Valorosi, siamo stati scelti per combattere in una battaglia voluta da Nul... ma non intendiamo fare il gioco di quel maledetto. Abbiamo giurato di trovarlo e costringerlo a riportarci a casa, nei nostri mondi; ma ora... solo ora mi rendo conto di quanto sia egoista la nostra scelta. Qui non si tratta solo di tornare a casa... si tratta di salvare tutti: tutte le vittime del gioco di Nul! »
Si voltò a guardare Catherine, che ricambiò con uno sguardo ammirato.
« Non permetterò a Nul di continuare la sua folle guerra contro i mondi » dichiarò Ed, alzandosi dal suo posto. « Lo troverò, a costo di rivoltare questo mondo come un guanto. Riporterò tutti indietro, Catherine, te lo prometto... tu ed io, e anche Alphonse, ritorneremo a casa! »
La ragazza annuì con orgoglio. Lo stesso fece Pikachu, ancora accoccolato tra le sue ginocchia.
« Pikachuuu! »
« Eheh... certo, mi farebbe comodo un po’ d’aiuto in questa impresa » ammise l’alchimista. « Per prima cosa devo ritrovare i miei compagni, ma non saprei da che parte cominciare. Voi conoscete questa foresta, ragazzi, perciò accetto suggerimenti sulla direzione da prendere. »
Catherine, Riuji, Pikachu e Agumon si scambiarono un’occhiata incerta. Entei, invece, alzò lo sguardo, indirizzandolo verso il grande albero di canfora.
« Uhm, non credo che servirà a molto » commentò Agumon, intercettandolo. « Finora non ha mai fatto niente... non è nemmeno mai sceso da lassù. »
« Di chi stai parlando? » chiese Ed.
« Del nostro vicino di casa, Totoro » rispose Riuji. « È il guardiano della foresta, ha accolto tutti i Pokemon e i Digimon sopravvissuti, insieme a noialtri. Non so molto di lui... nelle leggende è noto per essere una specie di spirito custode, d’animo mite e gentile; ma solo in pochi possono vederlo, ad esempio gli esseri innocenti... come i bambini. »
« Ah... quindi noi non possiamo vederlo? »
« Certo che possiamo. Le cose, qui, funzionano diversamente dai nostri mondi d’origine... ormai dovresti saperlo. Ad ogni modo, Totoro non potrà esserti d’aiuto. »
« È molto triste, ultimamente » aggiunse Catherine. « Se ne sta per tutto il tempo sull’albero senza fare nulla, fissando il vuoto. Anche lui ha perso il suo mondo, e questo non gli piace: si sente in trappola, incapace di venirne fuori... il massimo che può fare è accogliere gli altri sbandati nella foresta. »
Ed lanciò un’altra occhiata all’albero. Per quanto le parole dei ragazzi fossero convincenti, lui non poteva certo rinunciare così facilmente; era sempre stato un tipo testardo, e portava ancora addosso le cicatrici delle sue scelte. Ogni sguardo posato sui suoi automail gli ricordava fino a che punto fosse in grado di spingersi. Ecco perché, mantenendo l’aria decisa, si avvicinò con sicurezza al grande albero.
« Voglio parlargli comunque » dichiarò Ed, voltandosi verso i ragazzi. « Devo provarci, almeno. »
« Pikapi! »
Pikachu si era fatto avanti, lasciando la compagnia di Catherine. Ed vide il Pokemon passare a gran velocità tra le sue gambe e arrampicarsi su per il tronco; una volta salito sul ramo più vicino, si voltò a guardare l’alchimista, facendogli chiaramente segno di seguirlo.
Ed sorrise.
« Ehe... fammi strada, amico! »
Batté le mani e le poggiò sul tronco: il legno si trasmutò al suo comando, e lungo il tronco apparvero piccoli gradini che salivano verso l’alto, fino in cima.
« Buona fortuna, Edward » disse Catherine con voce ansiosa.
Il ragazzo le mostrò un pollice levato al cielo, prima di voltarsi e proseguire. La scalata fu semplice, ma richiese una notevole quantità di tempo; l’albero era ben più grande di quanto Ed immaginasse. Continuava a seguire Pikachu, che proseguiva verso l’alto saltando tra i rami con l’agilità di uno scoiattolo; lo invidiò parecchio in quel momento, mentre lui faceva del suo meglio per non guardare in basso. Ormai erano così in alto che il fogliame copriva la visuale verso il suolo; non doveva mancare molto, ormai...
Alla fine, il ragazzo e il Pokemon sbucarono fuori dal fogliame. L’aria fresca riempì di nuovo i loro polmoni mentre si affacciavano sulla cima dell’albero di canfora. Una vista mozzafiato dominò innanzitutto il loro campo visivo: la Foresta di Ghibli nella sua interezza si estendeva davanti a loro, in ogni direzione; una meravigliosa distesa di alberi a perdita d’occhio. Un panorama magnifico, reso cupo soltanto dalla solita coltre di nubi grigie che ricopriva il cielo di Oblivion.
« Pika! »
Ed si voltò alla sua destra, attirato dalla voce di Pikachu. Trovò subito ciò per cui era venuto: Totoro era lì accanto a loro, seduto sul fogliame.
Era ben diverso da come Ed lo aveva immaginato. Aveva l’aspetto di un grosso animale, alto quasi due metri, ricoperto di pelo grigio; aveva due piccoli occhi rotondi e lunghe orecchie, simili a quelle di un coniglio. Sembrava l’incrocio tra un orso, una talpa e un procione.
Ed cercò di avvicinarsi, facendo attenzione a dove metteva i piedi; non era facile muoversi sulla cima di un albero, con pochi fragili rami sotto le sue scarpe. Alla fine fu abbastanza vicino da farsi notare; Totoro, che fino a quel momento era intento a fissare il panorama, gli lanciò un’occhiata inespressiva.
« Ehm, ciao. Tu devi essere Totoro, giusto? Io sono Edward, molto piacere. »
Il ragazzo gli tese la mano, ma Totoro non fece nulla; aveva l’aria triste, si vedeva, proprio come aveva detto Catherine.
« No? Va bene, non c’è problema. Voglio solo parlarti per qualche minuto; io mi metto comodo qui... perché so già che mi ascolterai. »
Ed si sistemò come meglio poteva accanto a Totoro, fissando nel frattempo l’orizzonte come faceva lui.
« Gli altri mi hanno parlato di te » disse Ed. « Dicono che qui comandi tu. Certo, dev’essere una gran noia, stare qui per tutto il giorno ad osservare il panorama... ma sono certo di aver visto passatempi peggiori.
« Mi dicono che sei triste, Totoro, e credo di sapere perché. Riconosco quello sguardo... è lo stesso che portano tutti coloro che hanno perso qualcosa – o qualcuno – di molto importante. Immagino che ancora una volta sia opera di Nul... con la sua guerra deve averti portato via ciò che avevi di più caro. »
Una pausa. Ed sperò di sentire qualche risposta, ma nulla accadde. Anche Pikachu restava in silenzio, aspettando gli sviluppi della situazione.
« Eppure, davanti a me vedo molto più di un grosso animale taciturno » riprese il ragazzo. « Se aguzzo la vista, infatti, vedo un’intera foresta, verde e rigogliosa, abitata da un gran numero di creature straordinarie. Vedo un popolo intero di superstiti, tutti qui riuniti grazie a te. Hanno perso il loro mondo, i loro cari, proprio come noi... ma sono vivi, perché tu li hai salvati. Ti sei preso cura di Catherine, di Riuji... e per questo ti ringrazio. Guarda ciò che hai fatto, Totoro: davvero non significa niente per te? »
Ancora silenzio. Totoro lanciò un’altra occhiata a Ed, che nel frattempo restava serio.
« Ah, non sono bravo a restituire il buonumore agli altri » ammise l’alchimista, grattandosi il capo. « Vorrei che il mio amico Sora fosse qui, certamente lui saprebbe fare di meglio. Mi manca tanto. Mi mancano tutti loro... i miei amici, il mio mondo... mio fratello. Vorrei tanto poter tornare da loro, ma ho bisogno di aiuto; so che tu puoi darmelo, Totoro... perciò ti prego, aiutami. Aiutami, affinché io possa salvare tutti quanti. »
Ed sospirò dopo l’ennesima pausa.
« Senti, io capisco bene quello che provi. Quel dolore... il dolore che si prova di fronte a una terribile realtà, è lo stesso che si prova quando commetti un grave errore. Perciò posso dirti questo: non s’impara nulla da una lezione senza provare dolore, proprio come non puoi guadagnare senza sacrificare qualcosa in cambio... ma, quando superi il dolore e impari la lezione, ottieni in cambio un infallibile ed insostituibile cuore d'acciaio. Puoi credermi senza alcun dubbio: hai ragione a sentirti triste, ma non potrai restarlo in eterno. Tu hai perso un mondo, Totoro... ma non hai perso tutto. »
Ed tacque, non avendo altro da aggiungere. Aspettò a lungo, sperando con tutto il cuore che Totoro si riprendesse grazie alla forza di quelle parole; il vento si alzò durante questo intervallo, soffiando forte tra le fronde.
Ma nulla accadde. Totoro tornò a fissare il panorama con occhi tristi.
Ed sospirò di nuovo.
« Uff... come parlare a un muro » disse, deluso. « Peccato, ma valeva la pena tentare. Mi trovo prigioniero di un mondo dominato da un folle che ci sfida al suo gioco mortale... sono naufragato in una foresta sperduta chissà dove, in compagnia di buffi animaletti e di un castoro gigante che ha perso la lingua... mi domando come potrebbe andare peggio. »
Un tuono echeggiò in lontananza e, quasi puntualmente, iniziò a piovere. All’inizio erano solo poche gocce d’acqua, ma in pochi minuti aumentarono di numero, trasformandosi in un autentico acquazzone.
« Ovviamente sì... poteva andare peggio » commentò Ed. Pikachu si mise subito al riparo sotto la cappa del ragazzo, ma Totoro restò immobile al suo posto.
« Non dovresti restare qui con questo tempaccio. Spero che almeno tu abbia un ombrello! »
Totoro ficcò una mano tra il fogliame e tirò fuori qualcosa, mostrandolo a Ed. Era un ombrello nero, rotto in vari punti.
Ed sospirò.
« Va bene, dammi qua... forse non posso far nulla per il tuo morale, ma per il tuo ombrello sì. »
Batté le mani e toccò l’ombrello, che subito fu avvolto da un bagliore rosso. Quando svanì, l’ombrello era come nuovo, tornato integro grazie al potere dell’alchimia. Lo sguardo di Totoro si riempì di stupore, che aumentò ulteriormente quando lo aprì.
Ed, consapevole di non avere più nulla da fare, ridiscese l’albero insieme a Pikachu. Era a corto di idee, ma non intendeva rassegnarsi; in qualche modo ne sarebbe uscito, come aveva sempre fatto.
 
Poco dopo...
Catherine e Riuji erano rientrati nella Kame House, riparandosi dal temporale caduto improvvisamente sulla foresta. Gocce di pioggia grosse come monete picchiarono sulle travi e sulle finestre dell’abitazione; i due ragazzi cercarono di non badarci, occupandosi di comuni faccende domestiche.
La porta d’ingresso si spalancò all’improvviso, e una figura entrò in casa subito dopo. Catherine e Riuji si voltarono a guardarlo, sorpresi: era Edward, bagnato fradicio per la pioggia, lo sguardo cupo.
« Ed » mormorò Catherine, sollevata. « Com’è andata? Sei riuscito a parlargli? »
Ed non rispose, ma si avvicinò a lei.
« Ed? Va tutto bene? »
Wham.
Aveva appena finito di parlare, quando un pugno le fu sferrato in pieno stomaco. Riuji vide Catherine accasciarsi subito al suolo, priva di sensi; Ed restò immobile sul posto, un sorriso maligno dipinto sul suo volto.
« Ed? Ma che ti è preso? »
Il biondo si avvicinò a lui, rapido come un fulmine; sentì un gran dolore al ventre, e tutto divenne buio.
Agumon aveva visto tutto dall’esterno della casa. Era inorridito, non riusciva a credere all’accaduto: perché Ed aveva aggredito i suoi amici? Forse si erano sbagliati... era pericoloso! Doveva fermarlo prima che fosse troppo tardi, ma gli occorreva aiuto; il Digimon si allontanò di soppiatto, percorrendo la radura in cerca di rinforzi...
Aveva appena raggiunto l’albero di canfora, quando vide Edward e Pikachu venir giù dal suo tronco.
Com’era possibile che fosse già lì? Eppure era nella Kame House un attimo fa...
« Ehi, tu! » ringhiò Agumon, nascondendo la sorpresa. « Fermo dove sei! »
« Uh? Che ti prende, Agumon? »
« Pika-chu? »
« Non riuscirai a fregarmi come hai fatto con gli altri! Ho visto cos’hai fatto! »
Ed e Pikachu si scambiarono un’occhiata incerta.
« Di cosa stai parlando? »
« Ti ho visto! » ribatté Agumon furioso. « Hai aggredito Riuji e Catherine! Maledetto... non avremmo dovuto fidarci di te! Pikachu, allontanati da lui! »
« Cosa? E quando lo avrei fatto? Sono stato tutto il tempo in cima all’albero... ma che diavolo è successo? »
Ed non riusciva a capirci nulla. Prima la pioggia, ora ci si metteva anche Agumon che lo accusava di un’assurdità. Davvero lo aveva visto aggredire Riuji e Catherine? Non aveva senso...
Un gran rumore attirò l’attenzione di tutti. La porta della Kame House era caduta a terra con un tonfo, sfondata da qualcuno che si trovava all’interno. Una sagoma massiccia venne fuori, illuminata in quel momento dal bagliore di un fulmine temporalesco.
Ed lo riconobbe subito.
« Alphonse? »
« Ben ritrovato, fratellone » esclamò la voce di Al dall’armatura vuota. Ed, Agumon, e Pikachu scattarono in guardia, allarmati dalla nuova presenza.
« Pika pika? »
« Non ne ho idea » rispose Agumon. « Non l’ho mai visto in vita mia, ma sento che è molto cattivo. »
« Aspettate, non fate nulla per ora » intervenne Ed, facendosi avanti. « Al, che ci fai qui? Come hai fatto a trovarmi? »
« Mi sono messo sulle tue tracce fin dal nostro ultimo incontro » rispose il fratello, avanzando piano verso di lui. « Avevi parecchio terreno di vantaggio, ma non mi sono mai fermato... dopotutto, la tua eliminazione è attualmente la mia massima priorità! »
Dannazione, pensò Edward sconvolto... è ancora manipolato da Nul?
« Non voglio combatterti, Al! Perché non riesci a capire? Io non c’entro nulla con quello che ti è accaduto! La nostra sfida è stata organizzata da Nul! Ti sta usando... ti ha ritrasformato in armatura e messo contro di me per il suo puro piacere! »
Al non lo ascoltò. L’armatura lanciò un urlo e affrettò il passo, lanciandosi a gran velocità contro Ed. Il ragazzo schivò il suo pugno per un soffio, scansandosi di lato. Al colpì il suolo con una forza enorme, facendo un buco per terra.
« Non vuoi combattere? Mi sta bene » replicò Al, gelido. « Sarebbe ancora meglio se tu restassi fermo, così finalmente potrò staccarti la testa... »
« Baby meteora! »
Una grossa palla di fuoco eruppe dalla bocca di Agumon e colpì Al in pieno. Il colpo gli staccò l’elmo dal resto del corpo, facendolo volare lontano.
Alphonse rimase sbilanciato per un attimo, ma riprese subito l’equilibrio. L’attacco di Agumon non gli aveva provocato alcun danno visibile, complice anche la pioggia che indeboliva gli attacchi di fuoco. L’armatura andò con calma a recuperare l’elmo, caduto poco lontano; mentre si chinava per raccoglierlo, Edward notò qualcosa di strano, e la verità cominciò finalmente ad affiorare.
« Ma... tu non sei... tu non sei Al. »
L’armatura si voltò a guardarlo, dopo aver rimesso l’elmo a posto.
« Cosa? »
L’ira cominciò a montare nel cuore di Edward Elric, ormai consapevole della realtà.
« Tu non sei Al! » esclamò, puntandogli contro un dito accusatore. « L’ho visto chiaramente mentre ti chinavi a raccogliere la testa: all’interno dell’armatura dovrebbe esserci il sigillo di sangue, quello che ho usato per legare ad essa l’anima di Alphonse tanto tempo fa... e tu non ce l’hai! »
Al rimase immobile sul posto, impassibile; lo stesso fecero Pikachu e Agumon, incerti sulla situazione.
« Non puoi essere mio fratello » continuò Ed, sempre più furioso. « Sei un impostore... uno in grado di assumere le sembianze altrui. Ecco perché Agumon credeva di avermi visto aggredire Catherine e Riuji, poco fa... eri stato tu, spacciandoti per me! E conosco una sola persona al mondo – anzi, un solo mostro – in grado di trasformarsi in altre persone. Ora mi è tutto chiaro. Mi hai ingannato per tutto questo tempo, facendomi credere fin dall’inizio che tu fossi Alphonse... ma ora il gioco è finito. Giù la maschera, Envy! »
Per qualche istante regnarono il silenzio e la pioggia su quella radura. Poi Alphonse scoppiò a ridere, sempre più forte; mentre lo faceva, il suo corpo brillò di luce rossa, e in un istante assunse un aspetto completamente diverso.
Ora, Edward, Pikachu e Agumon avevano di fronte il vero nemico: appariva come un adolescente pallido dai tratti androgini, il fisico esile e slanciato. Aveva un viso appuntito, sottili occhi fucsia e lunghi capelli neri sfrondati, tenuti stretti all'altezza della fronte da una bandana. Indossava degli abiti scuri attillati, e sulla coscia destra recava un marchio rosso: l’Uroboro, il simbolo dell’immortalità. Il marchio degli Homunculus, la razza che avevano messo in pericolo il mondo di Edward Elric. Ora il ragazzo aveva di fronte uno di loro, forse il più antipatico di tutti: Envy, l’invidioso, tornato dalla morte per perseguitare l’Alchimista d’Acciaio ancora una volta.
« Alla fine mi hai beccato » commentò Envy, che nel frattempo continuava a sghignazzare. « Oh be’, è stato bello finché è durato... però ammettilo, il mio inganno ti ha sconvolto parecchio! »
Ed non disse nulla, dominato com’era da un miscuglio di pensieri che vorticavano nella sua testa. Ora molti dubbi acquistavano finalmente chiarezza: Envy era entrato in gioco fin dall’inizio; era lui il misterioso mutaforma di cui i Valorosi gli avevano parlato, quello che aveva aiutato Natla ad affrontare Lara a Burton Castle. E aveva preso le sembianze di Alphonse per confonderlo, al Cimitero dei Mondi, con l’intento di ucciderlo più facilmente; ma non poteva usare l’alchimia, e l’intervento degli altri Valorosi lo aveva costretto alla ritirata. Fino a quel momento, dove finalmente aveva scelto di rivelarsi per ciò che era in realtà.
Inaspettatamente, Edward sorrise, pur mantenendo l’aria di sfida.
« E ora che ti prende? » fece Envy, perplesso. « Come fai ad avere ancora la forza di sorridere, dopo ciò che ti ho fatto? »
« Hehe... ho una buona ragione per farlo » rispose Ed. « Sorrido perché sono felice... molto felice. Sono felice di sapere che tu non sei Al, ma solo un maledetto Homunculus... lo stesso che ho affrontato e distrutto tempo fa. Sono felice perché ora potrò affrontarti come si deve... e ti assicuro, Envy, che non avrò nessuna pietà! »
« Bene! Sai, dopo il nostro ultimo scontro ho ricevuto una lavata di capo dal mio superiore, Nul. Non gli è andato giù il fatto che avessi preso l’iniziativa. Ha suggerito quindi di unire le forze con i miei alleati, per potervi distruggere tutti insieme... ma ad essere sinceri mi stavano tutti sulle palle. È davvero un bene che tu e i tuoi amichetti vi siate separati. Questo rende tutto più semplice... rende più privata la nostra vecchia disputa! »
Envy scattò in avanti, pronto a sferrare un pugno contro il suo avversario. Ed, tuttavia, era pronto: aspettò che l’Homunculus fosse abbastanza vicino, lo afferrò per il braccio e sfruttò lo slancio per eseguire una proiezione, mandandolo a sbattere contro un albero. Il ragazzo non perse tempo; batté le mani e trasmutò il suo automail, facendo apparire la solita lama sul braccio. Era tempo di chiudere la partita una volta per tutte.
In pochi istanti cominciò a infuriare lo scontro, il più violento che la Foresta di Ghibli avesse mai subito. Da una parte Envy, creatura semi-immortale dotato di una forza immensa e capace di mutare aspetto; dall’altra Edward, affiancato dai fedeli Agumon e Pikachu che, seppur estranei alla situazione, avrebbero dato la vita per difendere la loro nuova casa. L’Homunculus si lanciò in un nuovo attacco frontale dopo essersi rialzato, schivando una nuova palla di fuoco del Digimon; raggiunse Ed, che gli sferrò un fendente con l’automail; Envy parò il colpo e si allontanò di qualche passo. Pikachu ne approfittò per colpirlo con una scarica elettrica.
« Pikachuuuu! »
« Aaaargh! »
Envy rimase dov’era, stordito dall’attacco. Il suo corpo, bagnato dalla pioggia, aveva reso più efficace i poteri elettrici del Pokemon. Ed ne approfittò per trasmutare il terreno ai suoi piedi, e una moltitudine di mani di terra si avvinghiarono al corpo dell’Homunculus per tenerlo fermo. Envy si riprese e si liberò dalla presa, ruggendo furioso.
« Perché lo fai, Envy? » gridò Ed contro di lui. « Perché mi combatti ancora? È ovvio che hai dato retta a Nul, ma perché? Perché hai accettato di combattere in questa guerra? »
Envy scoppiò a ridere un’altra volta; ora più che mai il suo ghigno somigliava a quello di un folle.
« Perché se vinco... se ti uccido... tornerò in vita » rispose. « Non capita tutti i giorni di ottenere una seconda possibilità, no? Solo un completo idiota rifiuterebbe una proposta del genere... e io non vedo l’ora di tornare indietro! »
L’Homunculus sferrò un pugno al terreno, facendolo tremare e spaccare con una forza enorme; Ed, Agumon e Pikachu balzarono via appena in tempo, evitando per un pelo il raggio d’azione. Per l’alchimista era tutto fin troppo familiare: era come un’eco alla lunga serie di scontri con la razza di Envy, gli Homunculus... creati, guidati e controllati dal loro Padre per il suo diabolico piano.
« Vorresti davvero tornare indietro? » domandò ancora Ed. « Ad Amestris? Alla tua vita di prima? Tu non ce l’avevi neanche, una vita... nient’altro che un’esistenza priva di senso! Hai dimenticato cosa è successo nel nostro mondo? Eri solo un burattino nelle mani di tuo padre... il tuo scopo era aiutarlo nella sua missione; ti stava usando, proprio come ha fatto con gli altri Homunculus! Lui voleva ottenere il potere assoluto... una cosa che non intendeva certo dividere con voi! »
Envy rimase dov’era. Di certo le parole di Edward cominciavano a catturare la sua attenzione.
« Non puoi sapere com’è andata, naturalmente » proseguì il ragazzo. « Abbiamo sconfitto il Padre, lo abbiamo annientato... lui e tutti gli altri Homunculus sono spariti dal nostro mondo. Siete morti tutti, lo capisci? E tu... tu stesso hai scelto di morire dopo aver capito che invidiavi noi umani. Perciò dimmi, Envy... sei davvero disposto a tornare in un mondo pieno di umani, dove non avresti più nessuno scopo? »
L’Homunculus tacque per qualche secondo, ma poi scoppiò nuovamente a ridere. Era davvero fastidioso.
« Certo » ammise nel frattempo. « La considero davvero una seconda, splendida occasione... l’occasione di poter ricominciare daccapo. Dici che il mondo è ora libero dagli Homunculus? Mi sta bene! Vorrà dire che vivrò come un umano... vivrò la tua vita, Edward Elric. Già, dopo che ti avrò ucciso prenderò il tuo posto: la tua casa, i tuoi amici, la tua ragazza... uhm, a pensarci bene è meglio ucciderla subito, prima che mi scopra. Prenderò tutto ciò che voglio! »
Detto ciò, Envy cambiò nuovamente aspetto, trasformandosi in una copia esatta di Ed. L’alchimista ebbe appena il tempo per meravigliarsi di ciò, quando il suo avversario si scagliò ancora una volta contro di lui. I due caddero a terra e rotolarono per diversi metri sull’erba, ma ormai il danno era fatto: Pikachu e Agumon non riuscivano a distinguere il falso dall’originale; non sapevano più chi attaccare.
I due Ed si rialzarono, staccandosi dalla presa. Uno di loro si rivolse ai due piccoli aiutanti.
« Ragazzi, sono io quello vero, attaccate l’altro! »
« Cosa? No, sta mentendo! » ribatté l’altro. « Io sono Ed, lui è Envy, attaccate lui! »
« Bugiardo sarai tu, maledetto Homunculus! »
Pikachu e Agumon spostarono lo sguardo diverse volte tra i due avversari, visibilmente confusi. Era proprio una situazione di stallo.
« Pika...? »
« Puoi dirlo forte, amico » commentò Agumon. « Ora non so proprio quale nanetto aiutare. »
Un Edward Elric s’imbufalì all’improvviso.
« CHI SAREBBE IL NANETTO??? »
« Aha! Beccato! Baby meteora! »
Il Digimon sputò una nuova palla di fuoco dritto contro l’altro Ed, quello che non si era alterato alla parola “nanetto”. Il ragazzo fu colpito in pieno petto; Pikachu seguì l’esempio di Agumon e scagliò un altro fulmine. Envy cadde a terra, riacquistando nel frattempo le giuste sembianze.
« Whoa! Grazie, ragazzi! » commentò Edward, sollevato. Un attimo dopo si era scagliato su Envy, approfittando del vantaggio: unì i palmi delle mani ancora una volta, pronto a dare il colpo di grazia all’Homunculus. Sapeva cosa fare per distruggerlo definitivamente...
Ma Envy aveva ancora una carta da giocare. Era ancora a terra quando il suo corpo subì una nuova trasformazione, ben diversa da quelle che aveva mostrato finora: Edward fu spinto all’indietro mentre l’Homunculus diventava sempre più grande, occupando gran parte dello spazio offerto dalla radura. Dopo mezzo minuto, l’Alchimista d’Acciaio e i suoi alleati potevano ora osservare Envy nella sua vera forma: una mostruosa creatura verde, alta più di cinque metri dotata di quattro braccia e quattro gambe, una lunga coda muscolosa ed una grossa testa canina provvista di una fitta criniera scura e due grandi occhi maligni. La sua schiena trasudava di miriadi di corpi deformi di esseri umani, vittime – come Edward ben sapeva – della trasmutazione che aveva permesso al Padre di ottenere la Pietra Filosofale. Con la sua mole sovrastava il campo di battaglia, arrivando a sfiorare il tetto di foglie.
All’improvviso, le cose si erano complicate di brutto.
Maledetto... pensò subito Ed, inorridito. Può ancora assumere questa forma?
« MUORI, EDWARD ELRIC! »
Il ruggito di Envy squarciò il silenzio, seguito da una poderosa zampata che si abbatté sul punto in cui un attimo prima c’era Ed. L’alchimista si era scansato appena in tempo, ma il mostro aveva già sferrato un nuovo colpo; Ed fu scaraventato contro un albero e cadde sull’erba, troppo forte per non sentire dolore. Lo sentiva in tutto il corpo, insieme al sapore del sangue nella sua bocca; forse aveva persino qualche costola incrinata. Cercò subito di rialzarsi, ma il suo automail alla gamba aveva subito danni profondi; non riuscì a rimettersi in piedi.
Envy torreggiava su di lui, l’aria famelica e soddisfatta, come un predatore pronto a ghermire la sua preda. Era finita...
« Pikachuuuu! »
« Baby meteora! »
Pikachu e Agumon erano intervenuti un’altra volta. Envy fu distratto, ma stavolta resistette ai loro colpi; ormai quei due esserini erano insignificanti, per lui, ma era meglio sbarazzarsene una volta per tutte. Sollevò un’enorme zampa, pronto a schiacciarli...
« Kyaaaaaah!!! »
Con la vista offuscata dal dolore, Edward scorse una sagoma minuta scagliarsi a gran velocità su Envy, colpendolo al muso con una forza enorme; l’Homunculus finì con la faccia a terra, ma non era ancora finita. Si levò un ruggito tremendo nell’aria, e qualcosa di grosso balzò fuori dagli alberi: la creatura sparò un potente getto di fuoco dritto contro Envy, facendolo urlare per il dolore.
« Ed, stai bene? »
Il ragazzo era sul punto di svenire, ma riconobbe la voce. Era Riuji, chino su di lui con aria preoccupata; anche Pikachu e Agumon lo avevano raggiunto. Ed riacquistò lentamente conoscenza, abbastanza per capire cosa stava succedendo: in pratica, erano arrivati i rinforzi. Envy era ora alle prese con il maestoso Entei; la bestia leonina era evidentemente dotata di poteri basati sul fuoco, con il quale tempestava l’Homunculus di fiamme ardenti. Ma fu la persona davanti a lui a causargli il massimo stupore: era Catherine, l’aria completamente diversa da quella con cui si era presentata; il suo sguardo era duro, combattivo, molto simile a quello di sua sorella Olivier; indossava inoltre dei tirapugni argentati dotati di cerchi alchemici... gli stessi usati dal fratello Alex.
Image and video hosting by TinyPic « Catherine? Ma cosa... tu... »
« Pensavi che io e gli altri saremmo rimasti con le mani in mano mentre quel mostro distrugge la nostra foresta? » dichiarò Catherine con un sorrisetto. « Sì, sappiamo chi è e di cosa è capace » aggiunse, intercettando lo sguardo stupito di Ed.
« Ci aveva aggrediti poco fa in casa, spacciandosi per te » spiegò Riuji. « Ma Catherine è molto più forte e resistente di quanto sembra, e si è ripresa in pochi minuti. Inseguendo l’impostore abbiamo visto il vostro scontro, e tutto è diventato più chiaro... così abbiamo chiamato rinforzi per aiutarvi. »
Ed si guardò intorno. Ora si rendeva conto che Entei e Catherine non erano gli unici intervenuti nello scontro; insieme a loro, infatti, c’erano un gran numero di Pokemon e Digimon, spuntati da ogni direzione. Ognuno di loro attaccava l’Homunculus con le loro tecniche, combinandole insieme per arrecargli il massimo dei danni.
« Primeapeeee! »
« Gargomitra! »
« Pikachuuu! »
« Missili sibilanti! »
« Scytheeeer! »
« Gooolem! »
« Baby meteora! »
E infine Catherine, lanciatasi alla carica contro Envy ancora una volta. La ragazza colpì il terreno ai suoi piedi, facendo emergere un’enorme cumulo di terra che assunse la forma del maggiore Armstrong; la statua colpì Envy sul muso con un potente gancio destro, prima di frantumarsi e ricadere al suolo.
« Incredibile! » esclamò Ed, al culmine dello stupore. « Sai usare l’alchimia? »
« Certo » rispose Catherine orgogliosa. « Questa è l’alchimia artistica della famiglia Armstrong! Me l’ha insegnata il mio fratellone, ma non l’avevo mai praticata prima d’ora. »
Incredibile... la parola risuonò a lungo nella mente di Edward, ma non intendeva restare fermo ad aspettare ulteriori sviluppi. Dopotutto, quella era la sua battaglia... se qualcuno doveva sconfiggere Envy, questo compito spettava a lui, e a lui soltanto. Perciò, ignorando il dolore e le ferite, l’Alchimista d’Acciaio si rimise in piedi, pronto all’ultimo atto.
« Grazie » disse a Riuji, respingendo le sue mani che lo costringevano al suolo. Unì i palmi e riparò l’automail danneggiato con un solo tocco, facendolo tornare come nuovo. Entei atterrò al suo fianco, e si chinò per invitarlo a montare sulla sua groppa; il ragazzo obbedì subito. Insieme si scagliarono su Envy, ormai disorientato per i troppi colpi subiti; il Pokemon sputò un’enorme palla di fuoco sulla sua schiena, che esplose con un botto fragoroso. Ed saltò dalla groppa di Entei, unì i palmi e li posò sul punto dell’impatto; una scarica di luce rossa avvolse l’Homunculus, che gridò ancora più forte di prima e cadde a terra.
« Aaaargh!!! Maledetto... non riesco a muovermi... che diavolo stai facendo? »
« Te la faccio pagare cara, naturalmente! » rispose Ed, furioso come non mai. « Ti sei spacciato per mio fratello... hai aggredito i miei amici... e hai minacciato la persona che mi è più cara al mondo. E non ho dimenticato che fosti tu a uccidere il maggiore Miles Hughes! Questo... è per tutti loro! »
I Pokemon e i Digimon più vicini si ritirarono, mentre Ed eseguiva un’ultima trasmutazione. Unì i palmi ancora una volta e afferrò l’enorme corpo di Envy; ci fu un nuovo bagliore rosso, più forte del precedente, e l’Homunculus cominciò a liquefarsi sotto lo sguardo di tutti i presenti. Ed ricordava perfettamente che gli Homunculus erano esseri creati dalla Pietra Filosofale, e che per eliminarli occorreva distruggere questa. Ricordava tutto... compreso il modo per distruggere la Pietra, come gli aveva insegnato il dottor Marcoh in passato.
Ora la storia si stava ripetendo.
Entei recuperò Edward e insieme tornarono a terra, mentre il nemico rimpiccioliva a vista d’occhio; una gran quantità di liquido scarlatto sgorgava dal suo corpo deforme. In pochi secondi, era tutto finito: Ed, Catherine, Riuji e gli altri abitanti della foresta assistettero all’ultima trasformazione di Envy, ormai sconfitto: quando i resti della Pietra Filosofale si dissolsero nell’aria, ai loro piedi in mezzo all’erba non restava che un piccolo esserino verde, dotato di otto zampe, una coda, grandi occhi e una bocca con denti seghettati.
« Ugh... no... non di nuovo » piagnucolò Envy con una flebile vocetta stridula. « Non di nuovo... non di nuovo! »
« Invece sì, Envy » dichiarò Ed, avanzando minaccioso verso di lui. « È finita, di nuovo. Era inevitabile, la storia doveva ripetersi: come una volta eri un burattino nelle mani del Padre, ora lo sei stato per Nul. Ti ha usato, proprio come fece il tuo creatore... e allo stesso modo, hai fallito. »
Il suo piede calò spietato sulla creaturina, ma questi lo scansò all’ultimo momento.
« No, no, no! Non è finita! » protestò Envy, che subito prese a sgattaiolare tra i fili d’erba. « Non è affatto finita! Mi riprenderò, ti ritroverò, ti ucciderò e... gaaah! »
Un Pokemon simile a un uccello si era avventato su di lui, agguantandolo con il suo becco. Un attimo dopo aveva già spiccato il volo, portandoselo via. Ed e gli altri udirono ancora la vocetta terrorizzata di Envy, mentre l’uccello si allontanava tra gli alberi.
« No, fermo... che cosa vuoi fare? No... no... nooooo! »
Smise di gridare, non appena il Pokemon lo ingoiò tutto intero.
Ora era davvero finita. Il gruppo restò in silenzio per una manciata di secondi, poi Edward prese la parola e nel frattempo crollava a terra in ginocchio.
« Hehe... bene. Credo di potermi permettere di svenire, adesso... »
Riprese i sensi poco più tardi, sdraiato su un morbido divano all’interno della Kame House. Catherine, Riuji, Pikachu e Agumon erano vicino a lui, e lo fissavano con aria sollevata. Il ragazzo non sentiva quasi più dolore: le sue costole erano sembravano nuovamente integre, anche se non sapeva spiegarsi come. Riuji spiegò di averlo curato con una medicina ricavata dall’uovo di un Pokemon chiamato Chansey, in grado di far recuperare la salute in breve tempo. Ed rimase al suo posto, ma nel frattempo aveva bisogno di fare chiarezza su quanto era accaduto: lo scontro con Envy, terminato con la sconfitta di quest’ultimo, non aveva cambiato lo stato delle cose.
« Il mio avversario è morto » dichiarò Ed alla fine. « Questo significa che avrei vinto la sfida organizzata da Nul, e dunque avrei diritto di tornare a casa. Eppure qualcosa non torna. »
Si voltò a guardare Catherine, dal cui sguardo era evidente che pensavano la stessa cosa. Lei ricordava di aver visto il loro mondo cadere nell’ombra, come se fosse stato distrutto; possibile che Amestris non esistesse più? Erano davvero bloccati laggiù per sempre?
« Non resta che una cosa da fare » riprese l’alchimista. « Dobbiamo trovare Nul, come avevo stabilito fin dall’inizio con gli altri Valorosi. Lo costringeremo a rimettere tutto a posto, in un modo o nell’altro. Io sento che non tutto è perduto... finché saremo vivi, ci sarà ancora speranza. »
Gli altri sorrisero intorno a lui, e Edward si ritrovò a ricambiare. Lui stesso era sorpreso per una tale dose di ottimismo... forse doveva ringraziare Sora per questo, dato che per tutto il tempo passato insieme non aveva quasi smesso di sorridere. Perciò, senza altro da aggiungere, Ed si alzò in piedi, pronto a rimettersi in cammino.
Non appena mise piede fuori, ebbe una nuova sorpresa. Davanti alla Kame House era apparso Totoro, insieme a un’enorme folla di Pokemon e Digimon riuniti intorno a lui. Il guardiano della foresta ora sfoggiava il sorriso più largo che Ed avesse mai visto, tanto da stupirsi che avesse una bocca così grande; con una zampa reggeva l’ombrello aperto, benché avesse smesso di piovere da tempo.
Riuji e Catherine, apparsi sulla soglia alle spalle di Ed, divennero increduli non appena lo videro.
« Totoro! » esclamò la ragazza, che corse subito verso di lui per abbracciarlo. « Sei sceso dall’albero, finalmente! È fantastico... ora non sei più triste, vero? »
Totoro non rispose, ma continuando a sorridere posò la zampa libera sul capo di Catherine. I Pokemon e i Digimon intorno a loro esultavano felici, compreso Entei.
« Credo che sia merito tuo, Ed » suggerì Riuji con aria lieta.
« Cosa? Ma... credevo che le mie parole non fossero servite a nulla. Al massimo ho potuto riparargli l’ombrello! »
« E questo deve aver fatto la differenza, credo. Totoro sembra riconoscere i significati maggiori nei gesti più piccoli... e non dimentichiamo che hai appena salvato la foresta e tutti noi. Ora le cose cambieranno, ne sono certo. »
Ed annuì, pur non essendo del tutto sicuro di aver capito; dunque si avvicinò a Totoro, sperando che finalmente potesse aiutarlo. Il ragazzo non ebbe nemmeno bisogno di chiedere, perché il guardiano della foresta sapeva già cosa fare: spalancò la bocca e inghiottì un’enorme quantità d’aria, gonfiando il petto di parecchio; poi lanciò una sorta di richiamo assordante che fece vibrare ogni cosa nei paraggi. I ragazzi furono costretti a tapparsi le orecchie, tanto era forte.
Per qualche secondo sembrò non fosse accaduto nulla. Poi, all’improvviso, dagli alberi spuntò fuori qualcosa di enorme, fermandosi a gran velocità proprio accanto a Totoro: era un gigantesco gatto sorridente, con il corpo a forma di autobus dotato di finestre e sedili, e una grande coda folta; i suoi grandi occhi brillavano, proprio come i fari di un veicolo.
I tre ragazzi fissarono il nuovo arrivato a bocca aperta.
« E questo chi è? » domandò Ed. « Un altro Pokemon? O un Digimon? »
Il gatto-autobus emise un lungo miagolio.
« Questo è il Gattobus » rispose Agumon con un sorriso. « Dice che vi porterà ovunque vogliate, se scegliete di salire a bordo. »
Ed, Catherine e Riuji si scambiarono un’occhiata incerta. Totoro e il Gattobus rimasero fermi sul posto, aspettando pazientemente la loro decisione.
« Be’, se può aiutarmi a tornare dai miei amici, ci sto » disse Ed, sollevato. « Voi che ne pensate? »
« Sono d’accordo » convenne Riuji. « Anch’io salirò a bordo. Io... devo ritrovare Taiga; non sarò dotato di poteri magici, né ho una forza micidiale come te, Catherine... ma ho una certezza che supera di gran lunga tutto questo. Io sono sicuro che Taiga è qui da qualche parte, in questo mondo... e mi sta aspettando. »
Ed annuì con orgoglio.
« Voi mi avete aiutato molto... tutti voi » disse, rivolgendosi all’intero gruppo. « Il minimo che posso fare per sdebitarmi è aiutarti nella tua ricerca, Riuji; perciò andremo innanzitutto a recuperare Taiga, sei d’accordo? »
« Be’ io... certamente! Grazie infinite! »
Il Gattobus miagolò ancora, attirando la loro attenzione. Il cartello sopra la sua testa, usato per indicare la prossima destinazione, fece comparire la scritta “AISAKA TAIGA”. I due ragazzi, nuovamente sorpresi, si avvicinarono per salire a bordo.
Catherine, tuttavia, rimase dov’era, insieme a Pikachu e Agumon.
« Non vieni, Catherine? » domandò Ed.
« Non posso, mi dispiace » rispose la ragazza, rammaricata. « Là fuori è troppo pericoloso per una come me... per quanto mi piacerebbe, non posso seguirti in questo viaggio. »
« Certo che puoi! » ribatté l’alchimista. « Ti ho visto combattere poco fa, sei stata incredibile! Sei all’altezza di tuo fratello e di tua sorella, una degna erede della famiglia Armstrong. Saresti sicuramente di grande aiuto. »
« Proprio per questo devo restare qui. I Pokemon e i Digimon hanno bisogno di me, e io devo proteggerli; la Foresta di Ghibli è uno dei pochi posti sicuri in questo mondo caotico... e deve restare in piedi finché tu non avrai rimesso le cose a posto. »
Ed cercò di replicare, ma si accorse di non avere altro da dire. Catherine era riuscita convincerlo subito; aveva perfettamente ragione. Per questo si ritrovò ad annuire subito dopo, senza aggiungere altro.
« D’accordo. »
Ormai era giunto il tempo dei saluti. Catherine, Pikachu e Agumon corsero ad abbracciare i due amici in partenza; anche Entei si avvicinò, il quale emise un verso gioioso.
« Fa’ attenzione là fuori, Ed » disse Catherine mentre lo abbracciava. « Anche se sei piccolo, sei grande e forte come il mio fratellone... aveva ragione su di te, perciò ti prego... torna sano e salvo! »
« Lo farò, Catherine... promesso. »
« Pikapika! »
« Buona fortuna, ragazzi! » esclamò Agumon, agitando le zampe.
« Ciao, amici... e grazie di tutto! » terminò Riuji.
La porta del Gattobus si richiuse, e un attimo dopo iniziò la sua corsa. Ed e Riuji dovettero reggersi forte per non cadere; l’animale sfrecciava a una velocità incredibile, addentrandosi nella foresta come un razzo. In un attimo si erano lasciati alle spalle tutti quanti: Totoro, Catherine, Entei, Pikachu, Agumon e tutti gli altri abitanti della foresta. Nuovi amici che salutavano festosi, speranzosi di vederli tornare sani e salvi, un giorno.
Presto sarebbero giunti a destinazione, nel luogo in cui si trovava Taiga.
Nel frattempo, una figura alata si trovava sulla cima dell’albero di canfora, giunto appena in tempo per osservare l’improvviso mutamento degli eventi. Nul rimase immobile al suo posto, leggermente contrariato: le cose stavano prendendo una brutta piega... nonostante si fosse già preparato a tale evenienza. Poteva ancora intervenire e portare via Edward Elric, ma tutto sommato era meglio lasciarlo andare: per una fortuita coincidenza, si stava dirigendo nel posto desiderato.
 
 
 
Spazio Autore: rieccomi qua! Scusate se ci ho messo più tempo del previsto, ma questi capitoli individuali diventano davvero lunghi... di questo passo ne avrò per tutto il periodo natalizio, hehe.
Allego anche questa volta un’immagine che raffigura i protagonisti principali di questo capitolo: stavolta si tratta di un collage di varie immagini ufficiali (a parte Catherine che avevo disegnato di mano mia in un altro lavoro), spero che vi piaccia insieme al resto della storia.
A presto!

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Capitolo 27
*** Duello dei destini ***


Image and video hosting by TinyPic Capitolo 27. Duello dei destini.
 
*Flashback*
Nul restò a guardare, ma non era rimasto solo. In lontananza, nella direzione opposta, c’era qualcun altro, intento ad osservare ogni cosa.
« Cosa fai ancora qui? » domandò Nul impassibile.
Il lungo, gelido respiro di Darth Vader fu l’unica risposta che gli arrivò.
« Arguisco che tu sia venuto a dirmi qualcosa. »
Vader avanzò, avvicinandosi all’incappucciato senza alcun timore.
« Sono venuto a dirti che ora so la verità. So cosa sei, e quali intenzioni hai davvero. »
Nul restò in silenzio. Difficile stabilire cosa gli passasse per la testa, ma poi tirò fuori una risposta sprezzante.
« Bene, e allora? Cosa vuoi, una medaglia? »
« Tu non vuoi alcun vincitore in questo conflitto » proseguì Vader. « Vuoi la distruzione totale, di tutto e di tutti... ma perché tu possa ottenere questo, è necessario lo scontro tra le due fazioni. Non so perché lo fai, e sono certo che se te lo chiedessi non mi risponderesti... voglio che tu sappia che non intendo far parte del tuo gioco perverso. Non prenderò parte al conflitto, se questo mi spingerà a combattere contro mio figlio. »
Nul rise, e si avvicinò lentamente al Sith.
« Sai, avrei potuto convocare molti altri al posto tuo... guerrieri del tuo mondo ben più malvagi e spietati. L’Imperatore, per esempio, o il generale Grievous... o persino quello squilibrato di tuo nipote! »
« Nipote? »
« Ah, lascia perdere. Il punto è proprio questo, Any: avrei potuto scegliere qualcun altro, ma non l’ho fatto. La nemesi di Skywalker non potevi essere che tu. Sai perché? »
Vader non diede alcuna risposta, consapevole di stare per ascoltarla.
« Perché tu sei DarthVader » riprese Nul. « Sei il migliore... il guerriero più celebre di tutto il tuo mondo, persino più del tuo temerario ragazzo. Sei ricordato per molte cose, sia come eroe che come malvagio. Tu non ti rendi nemmeno conto di quanto sei importante in questo scenario... né di quanto tu lo sia stato per qualcuno in particolare. È proprio per questo che ti ho scelto; io mi aspetto da te molto più di un banale duello... e so già che non mi deluderai. »
« Io non ucciderò mio figlio » ribatté Vader dopo una pausa.
« Oh, fai come ti pare allora. Ma ricordati che Luke è ancora là fuori da qualche parte » e indicò in alto, oltre il soffitto umido della metropolitana. « Se te ne starai in disparte, stai pur certo che egli troverà la sua fine per mano di qualcun altro. »
« Maledetto...! »
Il Sith fece un passo in avanti, ma fu subito bloccato dalla mossa successiva di Nul. L’incappucciato aveva sollevato una mano e la puntava verso di lui: Vader non riusciva di colpo a respirare, come se una mano invisibile lo stesse strangolando. Riconosceva la tecnica, proveniva dal potere della Forza.
« Dunque, com’era la battuta? » commentò Nul. « Oh sì... trovo insopportabile la tua mancanza di fede! Hahaha... ti è molto familiare, vero? Dopotutto, sono stati parecchi gli ufficiali imperiali morti ai tuoi piedi per mano del tuo disappunto... e non dimentichiamo che fu così che uccidesti la tua adorata moglie! »
Passarono appena pochi secondi, poi il pavimento cominciò a tremare; le pareti e le colonne si spaccarono, dal soffitto cominciarono a piovere calcinacci. Vader lanciò un urlo spaventoso: contemporaneamente riuscì a spezzare il controllo che Nul aveva su di lui, e l’onda di Forza che sprigionò riuscì a spingerlo all’indietro, buttandolo a terra.
« Nul » dichiarò il Sith, ansimando. « Non so chi sei... ma per quanto tu credi di conoscermi, non potrai mai capirmi! Perciò ti do la mia parola: se Luke morirà, tornerò a cercarti... e ti ucciderò! »
Nul scoppiò a ridere, ancora sdraiato a terra.
« Non puoi uccidere chi non è mai nato » ribatté, « ma sentiti libero di provarci... sai dove trovarmi! »
Vader gli voltò le spalle, non avendo altro da aggiungere. Il suo respiro affannoso non riuscì a coprire il suono di quella risata che echeggiava ancora tra le gallerie della metro, insieme alle ultime folli parole di Nul.
« Sono fiero di te, Any! Ti stai comportando bene! »
*Fine Flashback*
 
« Ricorda, Luke... la Forza sarà con te. »
Luke Skywalker aprì gli occhi. Era solo, per cui accettò fin da subito l’idea che la voce che credeva di aver sentito fosse semplicemente riemersa dai suoi ricordi. Scoprì di essere disteso su un letto in una camera sconosciuta, illuminata da una lampada. Non aveva alcuna ferita e, a parte i pantaloni, nemmeno i vestiti; li trovò appoggiati su una sedia lì accanto, insieme alla spada laser. Non aveva la più pallida idea di dove fosse finito, né di come ci fosse arrivato; l’ultimo ricordo che aveva riguardava la distruzione del Titanic, e la massa d’acqua che lo aveva travolto mentre la nave affondava.
Cercò di fare una cosa alla volta; per prima cosa si alzò dal letto, recuperando la sua roba, per poi uscire dalla camera. Non percepiva alcuna presenza nei paraggi, ma qualcosa lo turbava lo stesso; in effetti sentiva la Forza scorrere potente tutt’intorno a sé, esattamente come nella sua galassia d’origine. E allora una strana sensazione cominciò a invadere la sua mente...
Possibile che fosse tornato a casa?
Il luogo restava comunque ignoto. Avanzando lungo il corridoio notò quanto fosse lussuosa e ben curata l’abitazione; sicuramente doveva trattarsi della tenuta di qualche nobile. Inoltre, più avanzava e più sentiva un senso di familiarità crescere dentro di lui. Si sentiva perfettamente a suo agio, un po’ come aveva detto Jake Sully a bordo del Titanic.
Un suono attirò improvvisamente la sua attenzione. Luke alzò lo sguardo e vide due piccole figure correre lungo il corridoio, sparendo oltre una soglia in lontananza; sembravano dei bambini. Eppure non aveva percepito alcuna presenza... incuriosito, il Jedi avanzò con cautela, raggiungendo la soglia.
Luke si trovò così in un’ampia terrazza, dalla quale si godeva una bella vista sul panorama: un grande lago argenteo che circondava l’isola su cui sorgeva la villa. Alzando lo sguardo, il Jedi vide montagne e verdi prati a perdita d’occhio, sotto un cielo grigio tremendamente familiare: lo stesso sotto il quale aveva viaggiato in compagnia dei Valorosi. Questo bastò a ricordargli di non essere tornato a casa.
Altre voci attirarono nuovamente la sua attenzione. Luke abbassò di nuovo lo sguardo e vide i bambini, accanto al muretto in fondo alla terrazza: di età e altezza uguale, erano un maschio e una femmina, entrambi vestiti di bianco; molto probabilmente erano fratelli. Il bambino aveva corti capelli biondi e giocava con un bastone, agitandolo come se fosse una spada. La sorella aveva un viso gentile e lunghi capelli scuri, acconciati in modo molto familiare: era come se avesse due ciambelle ai lati della testa.
« Guarda, Leila! » esclamava tutto contento. « Guarda cosa so fare! »
Leila?
Mentre Luke ripensava al nome appena udito, quel bambino lanciava il bastone in avanti; questo fece un volo di alcuni metri, per poi tornare indietro come se fosse un boomerang.
« Wooow » fece la bambina, ammirata. « Sei bravissimo, Luke! »
« Hehe... questo è il potere della Forza! Un giorno diventerò un Jedi, proprio come nostro padre. »
Luke rimase dov’era, impietrito dallo stupore. Non capiva cosa stava succedendo, ma su una cosa non poteva avere dubbi: quei bambini davanti a lui erano una versione più giovane di lui e di sua sorella... insieme, nonostante non si fossero mai incontrati in tenera età. Oltretutto sembravano non fare caso al Jedi, come se fosse invisibile.
« Luke, Leila! » chiamò un’altra voce all’improvviso. Luke si voltò, appena in tempo per vedere un’altra persona fare la sua comparsa sulla terrazza: una giovane donna, molto bella e aggraziata dai lunghi capelli castani, vestita con un elegante abito azzurro e bianco. Anche lei sembrò non fare caso al Luke adulto mentre raggiungeva i bambini con fare amorevole.
« Su, venite dentro » disse la donna. « La cena è pronta... indovinate cosa abbiamo preparato? »
« Pasticcio di gramelia! » dichiarò la piccola Leila con un sorriso.
« Bravissima, tesoro... sai davvero leggere nel pensiero, allora. »
Leila si limitò a sorridere, ma il piccolo Luke riprese la parola.
« Ormai stiamo diventando bravi con la Forza, mamma... credi che papà ci insegnerà presto le arti Jedi? »
« Ne sono certa » rispose la madre. « Ma per diventare grandi e forti come vostro padre, occorre innanzitutto mangiare sano... e la cena vi sta aspettando in tavola. Da bravi, su, ora rientriamo in casa. »
« Siiii! »
E senza degnare l’altro Luke di uno sguardo, il trio si allontanò da lui, sparendo oltre la soglia. Il Jedi era senza parole: aveva appena visto qualcosa d’incredibile, a tal punto che persino i pensieri facevano fatica a concretizzarsi sottoforma di un’unica parola.
Madre...
Aveva appena fatto un passo in avanti, pronto a seguire quella magnifica visione, quando udì un nuovo rumore alle sue spalle: un respiro gelido, metallico... inconfondibile alle sue orecchie. Si voltò e vide Darth Vader, in piedi sulla terrazza.
« Padre...? »
« Ben svegliato, Luke » disse il Sith, avvicinandosi piano al ragazzo. « Ti sei ripreso in fretta, a quanto vedo. »
Luke rimase dov’era, sempre più sorpreso.
« Mi dispiace che le circostanze del nostro incontro sono quelle che vedi » aggiunse Vader, « ma questo non m’impedisce di essere felice di rivederti. »
« Ma che significa? » domandò infine Luke. « Che sta succedendo? Cos’è questo posto? Come ci sono arrivato? E poco fa... ho davvero visto...? »
« Tua madre, sì » completò Vader, chinando il capo. « La madre che avresti potuto avere, ma che non hai mai conosciuto... per causa mia. »
Ci fu una pausa. Luke fu colpito dal tono di voce usato da Vader: non aveva mai sentito un tale rammarico nelle sue parole, perché a lungo erano stati nemici. Ora, nonostante il solito aspetto che aveva mantenuto ad ogni loro incontro, pareva comunque irriconoscibile.
« Ma com’è possibile tutto ciò? »
« Questo posto » spiegò Vader, spostando lo sguardo sulla tenuta, « è forte del potere della Forza. Esso è influenzato dalla memoria, nel caso chi vi mette piede sia un Jedi o un Sith; evoca i ricordi, le esperienze vissute... persino i sogni. Li rende materiali, come se fossero davvero davanti ai nostri occhi.
« Dopo che ho disertato dai ranghi di Nul, ho vagato su Oblivion per un po’, fino a raggiungere questo posto. Forse ero destinato ad arrivarci, poiché è stata la Forza a guidarmi fin qui. All’inizio non c’era nulla, ma poi ha preso gradualmente forma in base a ciò che ricordavo... così ho infine creato questo: ho ricostruito il luogo che sarebbe dovuto essere casa nostra. »
« Casa... nostra? » ripeté Luke, guardandosi intorno.
« Già. Questo posto è la replica fedele di Varykino, situato nella regione dei laghi di Naboo... la patria di tua madre. Lei e io abbiamo vissuto qui per un breve periodo, prima che tutto precipitasse nell’oscurità. Furono i giorni più felici della mia vita, e sognai il futuro che avrei voluto avere insieme a lei.
« La Forza deve aver guidato anche te fin qui, dopo che sei stato separato dai tuoi amici » aggiunse, voltandosi a guardare Luke. « Ho visto nei tuoi ricordi ciò che ti è accaduto da quando hai messo piede su Oblivion: la tua alleanza con gli altri eroi e le varie peripezie, fino al naufragio. Le acque ti hanno trascinato via privo di sensi, fino ad approdare ai confini di questo luogo. Ti ho trovato laggiù, ancora svenuto, e ti ho portato in casa; hai dormito per diverse ore, ma pare che tu ti sia ripreso perfettamente. »
Luke annuì. Nel frattempo, i bambini e la loro madre riapparvero sulla terrazza, materializzati dal nulla per volere di Vader. Stavano fermi sul posto, come in attesa, e guardavano il Sith con aria felice. Luke rimase a guardarli per un po’, la mente ricolma di pensieri di ogni sorta; era commosso, ma al tempo stesso turbato.
« Parlami di lei » disse infine, guardando l’immagine di sua madre.
Vader annuì.
« Padmé Amidala » disse, « era una donna bella, buona e coraggiosa, sempre propensa ad aiutare chi fosse in difficoltà, anche a costo di sacrificare sé stessa. Si diede alla politica fin da giovanissima, al punto da diventare una delle più giovani regine di Naboo; non ebbe tempo, tuttavia, per dimostrare le sue capacità di sovrana, perché poco tempo dopo la sua nomina il pianeta fu assediato dalla Federazione dei Mercanti. Era il primo atto dei Sith per rovesciare la Repubblica, ma all’epoca non lo sapevamo. Io conobbi Padmé in questo frangente, mentre lei sfuggiva al blocco della Federazione: la sua astronave fu costretta ad un atterraggio di fortuna su Tatooine... dove avvenne il nostro primo incontro. »
Una nuova immagine prese forma sotto lo sguardo di Luke: sua madre Padmé, poco più che ragazzina, in compagnia di un bambino di dieci anni; questi aveva i capelli biondi e indossava abiti tipici di Tatooine, e fissava incantato la giovane di fronte a lui.
« Tu sei un angelo? »
« Cosa? »
« Un angelo. Sono le creature più belle dell’universo... vivono sulle lune di Iego, credo. »
« Sei uno strano bambino. Come sai tutte queste cose...? »
Il sorriso lusingato di Padmé fu l’ultima cosa a scomparire di quell’immagine, sotto lo sguardo emozionato di Luke.
« All’epoca ero uno schiavo, costretto a lavorare per un mercante » intervenne Vader. « Se non fossi stato bravo a riparare marchingegni non sarei durato a lungo; fu così che incontrai Padmé e l’uomo che l’accompagnava... il maestro Jedi Qui-Gon Jinn. Lui vide subito il potenziale in me, e dopo averli aiutati a riparare la loro nave mi fu offerto di andare con loro per diventare un Jedi. Accettai, sebbene l’idea di dover abbandonare mia madre fosse per me insopportabile... e vissi a lungo con la paura di perderla. »
Nel frattempo si era manifestato un nuovo ricordo: il piccolo Anakin insieme a un’altra donna, sua madre, la quale lo vedeva partire verso un nuovo destino.
« Tra me e Padmé si sviluppò nel frattempo una forte amicizia » riprese Vader. « Arrivai persino a donarle un ciondolo intagliato da un albero, affinché si ricordasse di me. Sapevo infatti che non saremmo rimasti insieme a lungo: lei aveva il suo mondo da salvare, io dovevo iniziare il mio apprendistato come Jedi... ma ero pronto a portarla sempre nel mio cuore. Tuttavia, c’era innanzitutto la crisi su Naboo da risolvere: la nostra vittoria fu pagata a caro prezzo, con la morte del maestro Qui-Gon. »
Altre immagini cominciarono ad apparire e scomparire rapidamente: il piccolo Anakin a bordo di un caccia mentre una grande astronave esplodeva alle sue spalle; il corpo di un maestro Jedi bruciava lentamente nella sua pira funeraria; poi la regina Amidala, vestita di bianco, in piedi davanti al suo popolo con un globo luminoso tra le mani.
« Passarono dieci anni, prima che potessi rivederla » disse Vader. « Padmé rimase regina per due mandati, poi assunse la carica di senatrice di Naboo. In quel momento, la Repubblica affrontava i primi giorni verso la sua caduta: un gran numero di sistemi, controllati nell’ombra dai Sith, minacciavano di separarsi e iniziare una sanguinosa guerra. Padmé era uno dei maggiori sostenitori dell’impiego di una soluzione diplomatica per sistemare la crisi, così venne subito presa di mira dai nemici: sfuggì per miracolo a un attentato alla sua vita, dopodiché fu deciso di affidarla alla protezione dei Jedi. Fu così che si presentò l’occasione di rivederci. »
Un nuovo ricordo si manifestò: Padmé, cresciuta di dieci anni, era in compagnia di due Jedi: uno – Luke lo riconobbe a stento – era il maestro Obi-Wan Kenobi, con barba e capelli lunghi; l’altro era Anakin, un giovane alto e bello con i capelli corti, l’acconciatura tipica degli apprendisti Jedi.
« Any? » diceva Padme, visibilmente sorpresa. « Caspita, come sei cresciuto! »
« Anche tu sei cresciuta... voglio dire, in bellezza! »
L’immagine svanì, mentre il giovane Jedi sfoggiava un’espressione imbarazzata.
« Non ero mai stato più felice di rivedere qualcuno » riprese Vader. « Per dieci lunghi anni ero stato lontano da lei, ma non l’avevo mai dimenticata. Fui incaricato di proteggerla, mentre Obi-Wan indagava sui responsabili degli attentati alla vita di Padmé. Ci rifugiammo insieme a Naboo... dove fu compiuto il passo decisivo sulla strada del nostro amore. »
Anakin e Padmé riapparvero poco più in là, sulla ringhiera della terrazza, intenti ad osservare il lago; poi si fissarono negli occhi e, lentamente, si scambiarono un bacio.
« Il nostro amore era forte, reciproco... ma avrebbe complicato enormemente le nostre vite. A un Jedi non era concesso amare, per le troppe conseguenze negative che avrebbe comportato; e Padmé aveva i suoi doveri da senatrice cui adempiere. Come potevamo stare insieme, con una crisi interplanetaria all’orizzonte? Ma negare i propri sentimenti... è come impedire a un pianeta di girare intorno al sole; perciò, mentre nella galassia scoppiava la Guerra dei Cloni, io e Padmé decidemmo comunque di stare insieme, ignorando ogni conseguenza. »
Poco lontano, sempre sulla terrazza, apparve una nuova immagine: Anakin e Padmé, in abiti nuziali, in compagnia dei loro droidi, si scambiavano un altro bacio per unirsi segretamente in matrimonio. Luke notò il braccio destro di suo padre, ora artificiale.
« In seguito, le cose cominciarono a precipitare » disse Vader. « Tre anni dopo l’inizio della guerra, i Separatisti non erano stati ancora sconfitti e il Cancelliere Supremo aveva guadagnato sempre più potere, ufficialmente al solo scopo di garantire ordine nella Repubblica. Io e Obi-Wan lottavamo con gli altri Jedi e l’esercito di cloni, spostandoci da un pianeta all’altro per mantenere l’ordine, e con il tempo mi ero fatto una fama di grande condottiero. Nel frattempo, Padmé era rimasta incinta; all’inizio ne fui felice, ma presto la gioia venne offuscata dalla paura... la paura di perdere tutto. Cominciai ad avere terribili visioni, in cui Padmé moriva durante il parto; avrei fatto qualsiasi cosa pur di impedirlo... pur di allontanare la morte da coloro che amavo. E il Cancelliere mi offrì il suo aiuto, offrendomi di passare al Lato Oscuro per ottenere il potere necessario. »
Luke vide suo padre in ginocchio, lo sguardo perso nel vuoto, ai piedi di un uomo anziano sfigurato che riconobbe quasi subito: l’Imperatore.
« Che follia... credere che il Lato Oscuro della Forza fosse capace di tanto » ammise Vader dopo una pausa. « La morte è parte naturale dell’esistenza. Nulla al mondo, nemmeno la Forza, può sconfiggerla. Ma ero giovane e ingenuo... e il Cancelliere, Signore Oscuro dei Sith, ne approfittò per convincermi ad aiutarlo nel suo colpo di stato contro la Repubblica e i Jedi; in quel momento divenni Darth Vader, apprendista del neoproclamato Imperatore. Ormai caduto nel Lato Oscuro, guidai il massacro dei Jedi su Coruscant, poi uccisi i capi separatisti su Mustafar. Padmé scoprì cosa avevo fatto e mi raggiunse: sperava di potermi ancora salvare, riportarmi al suo fianco e ripristinare la democrazia. Ma per me era troppo tardi... e quando vidi che Obi-Wan era con lei, pensai che mi avessero teso una trappola per uccidermi. »
Un’altra immagine, molto più drammatica. Luke vide sua madre, incinta, parlare con Anakin con aria supplichevole; Obi-Wan Kenobi era poco lontano, lo sguardo serio.
« Vieni via con me » pregava Padmé, « aiutami a crescere nostro figlio! Anakin, io ti amo! »
« Bugiarda! » gridò Anakin, accortosi di Obi-Wan. « Eri d’accordo con lui! Mi hai mentito... lo hai portato qui per uccidermi! »
« Anakin... no... ti prego... »
Poi accadde qualcosa di orribile. Anakin puntò una mano contro Padmé, strangolandola con il potere della Forza. La scena si dissolse, mentre Obi-Wan interveniva...
« In un istante... in quel terribile momento, presi tutto ciò che avevo di più caro » disse Vader, « e lo frantumai tra le mie dita tremanti di rabbia. Obi-Wan fu costretto ad affrontarmi in un duello all’ultimo sangue, dal quale ne uscii sconfitto; le fiamme di Mustafar bruciarono il mio corpo, riducendomi in questo stato... e Anakin Skywalker sprofondò per sempre nell’oscurità.
« Per lungo tempo ho creduto di aver ucciso Padmé e il bambino quel giorno su Mustafar... del tutto ignaro della verità. Per lungo tempo ho creduto a una menzogna, finché non ho saputo il tuo nome dopo la distruzione della Morte Nera. Padmé non era morta subito, ma avevo compromesso irreparabilmente la sua salute: fu portata in salvo e partorì. Fu così che nasceste, tu e tua sorella... ma vostra madre morì dopo avervi dato alla luce.
« Che ironia... avevo lottato disperatamente per impedire l’avverarsi della mia premonizione, ma furono proprio le mie azioni a far sì che accadesse. E per quanto ci abbia provato, ho dovuto convivere con questo rimorso per venticinque anni, prima di ritrovare la luce grazie a te. »
Vader tacque, non avendo altro da aggiungere. Il suo racconto era terminato. Luke restò in silenzio a sua volta: era troppo impegnato a versare in silenzio lacrime calde per la commozione. Mai in tutti questi anni aveva potuto conoscere così a fondo sua madre; nemmeno i racconti di Obi-Wan dall’aldilà e le ricerche fatte a Coruscant gli avevano fornito una tale quantità di informazioni su di lei. E l’immagine che aveva di fronte, irreale come un sogno, ma molto più consistente di un’olo-proiezione, rendeva inutile qualsiasi spiegazione.
Suo padre aveva parlato con enorme amarezza per tutto il tempo. Sembrava davvero un’altra persona, non lo spietato Signore Oscuro dei Sith da cui era dovuto scappare per quattro anni, prima del loro scontro decisivo.
Che cosa poteva a dire a un uomo già consapevole dei suoi errori? Uno che aveva già intrapreso il cammino della redenzione? Lo aveva sempre saputo, fin da quando aveva scoperto di essere suo figlio: in lui c’era ancora del buono... e ora Vader faceva del suo meglio per mantenerlo nel suo cuore, anche nel mondo in cui erano intrappolati.
Rimasero in silenzio per un po’, osservando il gentile ondeggiare sulla superficie del lago. Su quella terrazza ci si sentiva al riparo da tutto, stretti nell'abbraccio dei monti che sorgevano da ogni direzione. Non fosse stato per l’orribile cielo plumbeo sopra le loro teste, sembrava di trovarsi davvero sullo splendido mondo di Naboo.
« Luke » disse Darth Vader, spezzando il silenzio. « È mio desiderio che tu rimanga qui. In questo posto sarai al sicuro, lontano dalla guerra che sta consumando il mondo. »
« Cosa? Dici sul serio? » fece Luke, incredulo.
« È l’unica soluzione. Continuare a combattere non porterà a nulla. Non esiste la speranza in questo mondo, né la vittoria: Nul non concede niente di tutto questo, a parte la sofferenza. »
« Ma tu cosa sai di questa storia? Se hai incontrato Nul, allora saprai le sue intenzioni, il suo piano. »
« Non so molto, in verità. Nul è un’incognita, un viaggiatore. So che un tempo era un eroe del suo mondo, caduto in disgrazia a causa di chissà quale tragedia. Ora viaggia per tutti i mondi conosciuti, reclutando eroi e malvagi allo scopo di vederli combattere in violenti e strazianti cicli di battaglie. È in grado di replicare qualsiasi potere e capacità, per questo nessuno è mai stato in grado di contrastarlo. Offre a tutti una sfida, insieme alla speranza di tornare al proprio mondo in caso di vittoria... ma è solo un inganno. Nul brama la distruzione totale, cosa che può ottenere grazie a questi conflitti che organizza: essi sembrano coinvolgere non solo questo mondo, ma anche tutti gli altri... compreso il nostro.
« Nessuno può sottrarsi alla sfida di Nul... l’unica alternativa che ti offre è il vagare nel suo regno per l’eternità, finché ogni cosa non sarà ridotta in cenere. E se tu proseguirai per questa strada, non ho alcun dubbio che subirai la stessa sorte. »
Luke scosse la testa.
« Non ho mai avuto intenzione di sottostare alle regole di Nul » dichiarò, « e nemmeno i miei amici. Per questo ci siamo messi in viaggio per trovarlo, e convincerlo a riportarci a casa. »
« Un proposito ammirevole, ma inutile » disse Vader. « Nul non può essere convinto, né sconfitto. Questo è il suo mondo, e non lascerà andare nessuno finché ne avrà il controllo assoluto. Hai visto tu stesso i resti delle battaglie precedenti, vagando per il Cimitero dei Mondi... e ormai manca poco perché se ne aggiungano altri ad esso: quelli dell’ultima battaglia. »
« L’ultima? Che cosa vuoi dire? »
« Tu e i tuoi amici, Luke, siete forse gli ultimi eroi rimasti. Nul ha quasi terminato il suo ciclo di battaglie... e quando sarà terminata anche questa, lui avrà ottenuto ciò che vuole. Ogni mondo sprofonderà nelle tenebre. Per sempre. »
« E allora cosa dovrei fare? » ribatté Luke, infiammandosi. « Restarmene qui mentre i miei amici combattono a rischio della vita? Lo sento chiaramente, sono ancora vivi... sono là fuori da qualche parte, nel tentativo di ricongiungersi. Non li abbandonerò! »
« Perché ti preoccupi tanto per loro? Sono estranei, appartenete a mondi diversi. Ah, capisco... vedo che ora porti qualcuno di loro nel tuo cuore; la giovane avventuriera ti è diventata molto cara. »
Luke si voltò, recuperando lo stupore. L’immagine di Lara si era manifestata accanto a lui: stava in piedi, immobile come una statua, ma la sua espressione era viva; quegli occhi intensi, ciò che Luke pregava di rivedere presto...
« Per lei sarei pronto a morire, se necessario » ammise il Jedi, tornando a fissare suo padre. « Se dentro di te vive ancora Anakin Skywalker, dovresti capire quello che provo. »
Darth Vader emise un lungo, gelido respiro prima di rispondere. L’immagine di Padmé e dei bambini era ancora lì, nei pressi del muretto.
« Sì, lo capisco. Dopotutto sono arrivato a sacrificare me stesso, a uccidere e a distruggere pur di ottenere il potere necessario per salvare tua madre. Le mie mani sono macchiate del sangue di innumerevoli innocenti... tutto perché ero accecato dalla paura di perdere la mia amata. Ho commesso un terribile errore solo per amore. È per questo che ti chiedo, come padre, di non commettere i miei stessi errori. Resta qui, figlio mio... permettimi di proteggerti, almeno per questa volta. »
Luke era restio a crederci. Darth Vader lo stava pregando di fare ciò che chiedeva. Ma lui aveva già deciso.
« Non posso » dichiarò il giovane. « Apprezzo il tuo sforzo, padre, ma non posso fare ciò che mi chiedi. Non posso abbandonare i miei amici mentre affrontano un simile pericolo; se non posso vincere questa guerra, devo almeno informarli su ciò che ho appreso. »
« Se lascerai questo luogo, non potrò proteggerti. »
« Allora vieni con me » insisté, porgendogli una mano. « Uniamo le forze, come volevi un tempo. Combatteremo insieme: nessun nemico è invincibile, e Nul avrà la sua debolezza. Noi la troveremo, e sconfiggeremo questo ennesimo avversario! »
Un'altra pausa, un altro respiro gelido.
« Unire le forze » ripeté Vader. « Combattere insieme. Insieme al tuo gruppo di amici, forse? Sono grandi guerrieri, intrepidi eroi, non posso negarlo; sono queste qualità che rendono unito il gruppo... e proprio per questo, io non posso farne parte. Nonostante tutto ciò che mi è accaduto, appartengo ancora al Lato Oscuro, Luke... non si fiderebbero mai di me, e tu lo sai. »
Luke fu sul punto di ribattere, ma poi cambiò idea. Aveva ragione: lui avrebbe potuto garantire per suo padre quanto voleva, e anche Sora (dopo il loro recente incontro)... ma i Valorosi non lo avrebbero mai accettato completamente.
« Allora non c’è più niente da fare » disse il Jedi, voltando le spalle a suo padre con un sospiro. « Io non ho più niente da fare qui. Tu resta pure qui con i tuoi ricordi, se tanto ci tieni... io andrò avanti, verso la speranza. »
Mosse appena due passi in avanti, quando un rumore fin troppo familiare alle sue spalle lo costrinse a fermarsi. L’accensione di una spada laser. Non ebbe nemmeno bisogno di voltarsi per sapere cosa stava per accadere.
« Non mi lasci altra scelta, Luke » disse Darth Vader. « Farò quello che devo... per proteggerti. »
In un gesto fulmineo, Luke accese la sua spada laser e si voltò, appena in tempo per intercettare l’attacco di suo padre. Vader aveva spiccato un balzo enorme, dritto contro il figlio, atterrando davanti a lui; le due lame s’incrociarono, verde contro rossa.
A questo punto non ci starebbe male una bella colonna sonora in sottofondo, tipo Duel of the Fates, perciò invito i lettori a metterla durante la lettura di queste righe. Fu un duello violento tra padre e figlio, uno scontro di forze, di idee e di poteri: Vader attaccava con forza, costringendo Luke a indietreggiare lungo la terrazza. La velocità con cui le loro spade s’incrociavano era altissima: il duello continuò cosi per alcuni minuti tra parate e attacchi, ad un certo punto il pavimento finì e Luke saltò sul muretto. Vader colpì questo con un fendente, tagliandolo di netto; il Jedi saltò ancora più lontano, visibilmente sconvolto. Suo padre era davvero disposto a questo pur di trattenerlo sull’isola?
« Non posso lasciarti andare via, Luke! » dichiarò Vader. « Non perderò anche te... e se dovrò mozzarti le gambe per farti restare qui, così sia! »
Allungò una mano verso il giovane, scagliando un fulmine di Forza su di lui. Luke alzò la spada appena in tempo per parare il colpo; i fulmini si abbatterono sul muretto e le piastrelle del pavimento, portando distruzione intorno ai duellanti. Luke avanzò di qualche passo, ben deciso a restare in piedi di fronte a suo padre; Vader insisté ancora per qualche secondo, finché il figlio non fu abbastanza vicino. Cessò l’attacco, e contemporaneamente sferrò un violento fendente alle gambe di Luke; il giovane saltò sopra di lui e atterrò alle sue spalle. Alzò la spada, ma esitò un istante di troppo: Vader si voltò e parò l’attacco.
« Complimenti... sei migliorato molto dal nostro ultimo incontro » commentò il Sith. « Deve essere trascorso più tempo di quanto pensassi. »
« Sono un Cavaliere Jedi! » dichiarò Luke, serio. « Sto ricostruendo il vecchio Ordine, insieme alla Repubblica... il Lato Chiaro della Forza tornerà a risplendere sulla galassia, grazie a me! »
« E così deve essere... ma se morirai qui, ciò che desideri non potrà accadere! »
Ci fu una nuova serie di colpi con la spada laser. Stavolta fu Vader a indietreggiare, sopraffatto dalla nuova tenacia con cui Luke attaccava; i due lasciarono la terrazza ed entrarono nell’edificio, ancora a stretto contatto. Si separarono di nuovo e scatenarono il caos dappertutto: le loro lame affettavano tutto ciò che non era fisso al pavimento, nel tentativo di colpirsi; in pochi attimi furono distrutti mobili e altri pregiati pezzi d’arredamento, nulla più che illusioni... ma che ugualmente soccombevano alla furia distruttiva del duello.
Vader afferrò Luke per la gola, con una forza tale da farlo piegare all’indietro. Il Jedi non riuscì a reagire: la sua stessa lama era troppo vicina al viso, bloccata dall’altra mano di Vader, pronta a colpirlo alla minima reazione.
« Basta così, Luke » lo ammonì Vader, implacabile. « Non costringermi a farlo! »
« Ugh... non... posso... abbandonarli! »
Luke riuscì a colpire suo padre alla schiena, con un calcio. Il Sith cadde in avanti e mollò la presa. Si rialzarono entrambi nello stesso momento, al centro della stanza: avevano perso le spade laser, ma questo non li rendeva inermi agli occhi dell’altro. Puntarono le mani l’uno contro l’altro, spingendo con il potere della Forza; la pressione era tremenda, l’aria vibrava nel punto in cui i due poteri si scontravano, e il pavimento cominciò a spezzarsi...
L’onda d’urto investì entrambi. Luke fu respinto all’indietro, andando a sbattere contro una parete; Darth Vader subì la stessa sorte. I loro poteri si erano eguagliati ancora una volta... da quel duello non sarebbe uscito facilmente un vincitore.
Vader si rialzò per primo, ansimando; recuperò subito la spada laser, poi rivolse lo sguardo sul figlio. Per un attimo pensò di aver vinto, ma poi dovette ricredersi: Luke si stava rialzando, e recuperò la spada a sua volta.
« Sei testardo » commentò Vader, mentre entrambi riattivavano le loro armi. « Mi domando da chi hai ereditato questo carattere.
« Risponditi da solo! »
La voce furiosa del Jedi fu seguita dal suo nuovo attacco, tale da sorprendere lo stesso Vader. Luke si era lanciato in avanti su di lui e aveva sferrato un fendente; il Sith riuscì a deviarlo sulla porta, facendola a pezzi. Tornarono a incrociare con violenza le loro lame in un nuovo corridoio: ormai l’intera villa si stava trasformando nel loro campo di battaglia. Uno scontro che entrambi non desideravano, ma che ritenevano necessario.
Luke iniziò a percepire un grave pericolo. La Forza intorno a Vader provocava reazioni negative all’ambiente: piccoli oggetti saltavano via o si rompevano, le vetrate e le pareti si spaccavano... persino il cielo tuonava, minaccioso di tempesta. Dopotutto la villa era una creazione di Vader, era ovvio che ci fosse un legame con le sue sensazioni.
Ora, la sua ira stava riducendo tutto a pezzi.
Una nuova spinta di Forza investì Luke in pieno, troppo forte perché riuscisse a contrastarla. Il Jedi fu spazzato via insieme a buona parte del corridoio, atterrando dopo un breve volo su una superficie solida. Si alzò in piedi e scoprì di essere tornato sulla terrazza di prima. Vader atterrò di fronte a lui, per nulla intenzionato a rinunciare: ormai aveva perso il controllo, era più che evidente... i danni provocati alla villa parlavano chiaro.
Non poteva sperare di sconfiggerlo in quelle condizioni... solo uccidendolo avrebbe potuto fermarlo. Ma non era questo ciò che voleva... non aveva mai voluto uccidere suo padre, nemmeno quando era necessario per riportare la pace nella galassia. La storia si stava ripetendo, con una sola differenza: era Nul a guidare l’orchestra, non l’Imperatore... quel maledetto, lo sapeva, si stava godendo lo spettacolo chissà dove.
Quasi non si accorse di essere finito in ginocchio sotto i colpi furiosi di Vader. Le loro lame erano di nuovo a stretto contatto, e il Sith premeva sulla sua con una forza immensa. Luke non avrebbe resistito a lungo...
Darth Vader fu distratto improvvisamente da qualcosa. A pochi metri da loro stavano ancora Padmé e i bambini: lei fissava il Sith con aria terrorizzata, stringendo a sé i figli in modo che non guardassero. Un’immagine silenziosa, ma carica di amarezza... una visione insopportabile.
Passarono pochi secondi, poi Vader prese una decisione. Smise di spingere sulla spada e si staccò lentamente da Luke, disattivando nel frattempo la spada; non disse nulla, limitandosi a respirare pesantemente.
Luke era nuovamente incredulo.
« E ora che ti prende? » chiese. « Hai deciso di arrenderti? »
« Da un certo punto di vista, sì » rispose Vader piano. « Da un altro punto di vista, potrei dire che ho scelto di lasciarti andare. È la cosa giusta. »
« Perché? Come hai fatto a prendere questa decisione all’improvviso? »
Vader si voltò a guardare Padmé e i bambini, che lentamente si stavano tranquillizzando.
« Tutti i padri, prima o poi, devono lasciar andare i propri figli. Devono rispettare le loro decisioni, per quanto possano trovarsi in disaccordo. Inoltre... tua madre non avrebbe voluto vederci così. Non avrebbe mai permesso ciò che abbiamo appena interrotto. »
Luke guardò sua madre, e in un attimo fu d’accordo con ciò che aveva appena sentito. Consapevole di non essere più in pericolo, abbassò la guardia e ripose la spada laser.
« Mi lascerai andare, allora? »
« Sì » rispose Vader. « Forse c’è speranza, dopotutto. E affinché tu possa tornare dai tuoi amici al più presto, voglio darti una cosa... vieni con me. »
Il Sith guidò Luke verso una scalinata oltre la terrazza; la discesero insieme fino a raggiungere un livello inferiore: là, accanto alle colonne che conducevano all’uscita, si trovava un vecchio modello di speeder bike, identico a quelli usati dai soldati imperiali sulla luna boscosa di Endor. Vader spiegò di averlo recuperato dal Cimitero dei Mondi, subito dopo aver disertato. Luke lo fissò incerto per un po’, poi montò in sella con calma.
« Ricorda ciò che ti ho detto su Nul » lo avvertì Vader. « Non posso impedirti di affrontarlo, ma sappi che non scenderà a patti con nessuno. Non si fermerà finché non sarà l’unico ancora vivo su questo mondo. »
« D’accordo » disse Luke. Fu tentato di invitarlo nuovamente a unirsi ai Valorosi, ma lasciò perdere. Era certo che avrebbe ottenuto la medesima riposta, perciò avviò lo speeder senza aggiungere altro, pronto finalmente a partire.
« Luke. »
Il Jedi si voltò.
« Che la Forza sia con te. »
Luke sorrise. Di tutte le cose che si aspettava di sentire da suo padre, questa andava certamente in fondo alla lista. Si disse che Darth Vader non era cambiato, dopotutto... stava solo ricordando chi era sempre stato.
« Grazie, padre. Che la Forza sia con te. »
E gli porse la mano destra; Vader esitò, poi la strinse con vigore. Si separò dal figlio pochi attimi dopo, riprendendo la sua solita posa rigida. Così rimase dov’era, mentre Luke metteva finalmente in moto e sfrecciava fuori dalla villa, rapido come un fulmine.
Vader sospirò, fissando l’opera realizzata con i suoi ricordi. Padmé e i due bambini erano di nuovo accanto a lui, silenziosi ma felici; sembravano approvare la scelta che aveva fatto.
Ora non restava che aspettare. Luke era sempre stato l’ultima speranza per la salvezza del loro mondo... ora lo era diventato per tutti i mondi, insieme al suo gruppo di intrepidi alleati. 

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Capitolo 28
*** Il prezzo della miticità ***


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Capitolo 28. Il prezzo della miticità

 

« È come aveva predetto Oogway: tu sei... il Guerriero Dragone. Hai portato la pace nella valle e anche... in me! Grazie... grazie Po! Grazie... »

Po aprì gli occhi, pochi istanti dopo aver sentito quella voce risuonare nelle sue orecchie. Non poteva non ricordare il momento in cui il suo maestro aveva finalmente riconosciuto il suo valore.

Peccato solo che Shifu non fosse là con lui, in quel momento. Po era infatti da solo, disteso su una gran quantità di sabbia rossastra bagnata dal mare.

« Ugh... ragazzi? Ah, che mal di testa » brontolò mentre si rimetteva in piedi. « Ehi, dove siete? »

Nessuno rispose. Ovunque voltasse lo sguardo, il panda non vide nessuno nei paraggi.

« Eeehi! » gridò. « C’è nessuno? Jake! Sora! Ed! Amici, dove siete? »

Ancora una volta, non ebbe risposta. Sconsolato, si voltò verso il mare, dal quale era inequivocabilmente arrivato: nell’acqua bassa galleggiavano ancora frammenti del Titanic, la nave in cui si trovava insieme ai suoi compagni prima che affondasse.

Un pensiero orribile cominciò ad affiorare nel suo cuore. Doveva esserci un motivo se Po era arrivato da solo su quella spiaggia: forse era l’unico sopravvissuto al naufragio.

« No... no! »

Crollò in ginocchio, rivolto verso il mare. Non voleva crederci, ma non aveva nulla che dimostrasse un aspetto più ottimistico della realtà. Po era nuovamente solo, ancora prigioniero su un altro mondo per volere del suo inafferrabile padrone... e per quanto ne sapeva, i suoi amici potevano essere tutti morti. Non ricordava di essere mai stato così addolorato in vita sua, nemmeno quando Tai Lung minacciava la Valle e lui non sapeva ancora combattere... né quando ricordava i giorni del suo triste passato, lo sterminio della sua famiglia.

Poi, quando fu troppo, aprì gli occhi e strinse i pugni.

« No... non può finire così » dichiarò, rimettendosi in piedi. « Sei il Guerriero Dragone, sei tosto, sei mitico... sei... superaffamato! Argh, non c’è tempo! Rifletti, Po, rifletti... che cosa farebbero gli altri? Che cosa farebbe il maestro Shifu? Be’, lui direbbe “Panda! Smetti di lagnarti, muovi quel gigantesco sedere che ti ritrovi e riprendi a camminare!” Sì, esatto, farò così... mi rimetterò in cammino. Vi ritroverò, amici... ve lo prometto! »

E Po si rimise in marcia, guidato dalla sua stessa decisione. Lasciò subito quella spiaggia solitaria, addentrandosi in un territorio del tutto nuovo: ovunque era una distesa di terra rossa, battuta dal vento e infinita alla vista; grandi rocce spuntavano solitarie dal terreno, le cui dimensioni variavano da quelle di un divano a quelle di una casa.

Un forte vento soffiava da sud e si abbatteva su di lui con raffiche frustanti, costringendolo a camminare a testa bassa per proteggersi gli occhi. Camminava in silenzio, assorto nel paesaggio che lentamente si rivelava. A parte il vento, l’ambiente era colmo di quiete, ma non riusciva ugualmente a suscitargli alcun pensiero tranquillo. Non riusciva a non pensare a cosa fosse accaduto agli altri Valorosi: possibile che fosse l’unico sopravvissuto? No, non voleva crederci: dopo tutte le cose mitiche che aveva fatto insieme a loro, era certo che una cosuccia come un naufragio non li avrebbe mai fermati. Lui lo dimostrava apertamente, dopotutto... se lui era scampato al disastro, anche gli altri dovevano avercela fatta.

Ma dove si erano cacciati?

Po viaggiò per diverse ore, ma il paesaggio non mutò di una virgola; solo il vento si limitò ad attenuarsi. Ormai era ridotto allo stremo delle forze, tanto che aveva dovuto raccogliere un bastone per riuscire ad avanzare; il suo stomaco brontolava da un pezzo, ma non sapeva come riempirlo. Oltretutto, aveva perso in mare il sacco con le provviste, e in quel mare di desolazione non si vedeva neanche una briciola di qualsiasi prodotto commestibile. Non aveva scelta, doveva resistere e proseguire... dopotutto, aveva sentito dire che il Guerriero Dragone fosse in grado di sopravvivere per settimane nutrendosi solo con l’acqua di una singola goccia di rugiada... poteva e doveva essere all’altezza della fama dei suoi predecessori!

Cinque minuti dopo...

« Oh, ma chi voglio prendere in giro? » lamentò, dopo essersi accasciato a terra per l’ennesimo crampo allo stomaco. « Non resisterò un minuto di più, se non metto qualcosa sotto i denti... dov’è il dannato carretto degli spaghetti di papà quando ne ho davvero bisogn…oh? »

Spostò lo sguardo appannato verso un gruppo di rocce alla sua destra. Come in un sogno ad occhi aperti, Po vide esattamente ciò di cui stava parlando: il carretto degli spaghetti di suo padre, incastrato tra le rocce e colmo di provviste! E come per magia, Po si rialzò in piedi per tuffarsi con rapidità fulminea sulla preda.

« Hahaha!!! Stramitico! » esultava, girando intorno al carretto per ammirarlo. Non aveva idea del perché si trovasse laggiù, ma la sua presenza era davvero provvidenziale: in quel drammatico frangente, il carretto equivaleva a un’oasi in un deserto... non avrebbe potuto chiedere di meglio.

Mentre calava la sera, Po si era accampato tra un ammasso di rocce per rifocillarsi. Grazie alle provviste recuperate dal carretto, era stato in grado di cucinare una pentola abbondante di spaghetti in brodo. In quel momento, tuttavia, il panda faceva del suo meglio per non abbuffarsi come al solito: il suo enorme appetito era infatti dovuto il più delle volte al tentativo di distrarsi dallo sconforto che lo affliggeva... ma per una volta cercava di controllarsi. Avrebbe dato qualsiasi cosa per avere un po’ dell’ottimismo di Sora, o della tenacia di Lara... o una qualsiasi delle qualità dei suoi nuovi amici.

Chissà dove saranno finiti...

Stava vuotando la sua ciotola, quando udì un rumore nelle vicinanze. Alcuni sassolini rotolarono giù dalla grande roccia a cui era appoggiato: Po rimase in guardia per un po’, ma non accadde nulla; scrollò le spalle e abbassò la guardia, ma proprio in quel momento i suoi occhi scorsero un’ombra muoversi rapida nei pressi del fuoco. Po tornò in guardia, tenendo lontana la paura con ogni fibra del suo animo. Non era più solo... ma questo non significava che fosse un bene.

E quando vide una grossa sagoma felina fare capolino tra le ombre delle rocce, non ebbe più dubbi.

« Tai Lung! Raaaah! »

Il panda si scagliò subito su di lui, senza dargli un attimo di guerra. Troppe volte era stato colto di sorpresa in passato, ora ne aveva abbastanza; con tutta la sua furia, cominciò a colpire ogni parte dell’intruso che riuscì a raggiungere. Questi riuscì a difendersi, dando prova della sua conoscenza del kung fu. I due si affrontarono tra le ombre, dove la visibilità era scarsa... ecco perché Po non si rese conto subito della verità.

« Ehi... fermo, aspetta! »

Po era troppo impegnato a sferrare colpi in ogni direzione per ascoltarlo. Alla fine, l’avversario riuscì a colpirlo in faccia con un tremendo uppercut, facendolo volare all’indietro per diversi metri. Po atterrò vicino al fuoco, ma si rialzò subito e tornò alla carica: l’intruso venne dunque allo scoperto, e quando il panda si accorse della verità frenò la sua corsa.

Non era Tai Lung, né un leopardo delle nevi. Era una tigre, ritta sulle zampe posteriori e dal fisico agile; indossava solo un paio di pantaloni scuri e portava un ciondolo a forma di zanna intorno al collo. Il suo sguardo era serio, minaccioso, ma non malvagio.

Po rimase a fissarlo, sorpreso. Non conosceva quel tipo, ma era certo che dovesse provenire dal suo mondo. Conosceva persino il kung fu, e questo lo rendeva di fatto un abile guerriero.

« Oh... ehm, scusami » fece il panda, imbarazzato. « Ti avevo scambiato per un altro. »

« Già, me ne sono accorto » commentò la tigre, massaggiandosi una spalla dove era stato colpito poco prima. « Però, sei uno che picchia forte... qual è il tuo nome? »

Po si rilassò. Ormai fu chiaro che quel tipo non avesse intenzioni ostili, perciò passò subito alle presentazioni.

« Io sono Po, della Valle della Pace. »

« Io sono T’ai Fu. »

Entrambi furono colti da un’immensa dose di stupore nel giro di un istante.

« T’ai Fu? » ripeté Po, emozionato. « Quel T’ai Fu? Il mitico guerriero del Clan della Tigre? Quello che ha padroneggiato tutti gli stili del kung fu e sconfitto il diabolico Maestro Dragone? »

T’ai Fu ricambiò con un tono identico.

« Po? Quel Po? Il mitico Guerriero Dragone? Quello che ha sconfitto il terribile Tai Lung e liberato la città di Gong Ming? »

« Sì! »

« Proprio io. »

Po esultò senza riuscire a trattenersi, mentre T’ai fece un sorriso enorme a trentadue zanne. Il panda si avvicinò a lui, stringendogli la zampa con vigore.

« Mitico! Ho sempre sognato di incontrare un eroe come te! » esclamò Po, senza mollare la presa. « Scusami ancora se ti ho attaccato, ti ho scambiato per il mio nemico... accomodati pure, ti offro un piatto di spaghetti! »

« Be’, grazie... ne sono onorato. Anch’io sono lieto di conoscere un eroe come te. »

Poco dopo, i due erano seduti davanti al fuoco, intenti a consumare il resto degli spaghetti nella pentola. Ognuno appariva entusiasta di trovarsi a cenare insieme all’altro: Po e T’ai Fu provenivano dallo stesso mondo, e nella loro Cina la fama di entrambi aveva fatto il giro della nazione. Le chiacchiere e le voci di paese avevano tuttavia deformato di parecchio la verità dietro le loro imprese, perciò i due guerrieri cominciarono dapprima a raccontare la propria storia. Po fu il primo, e parlò a lungo di ciò che aveva fatto prima e dopo essere diventato il Guerriero Dragone; le sue origini, lo sterminio del suo clan ad opera di Lord Shen, la vita con il padre adottivo, i giorni trascorsi al Palazzo di Giada e le imprese compiute successivamente, fino al suo arrivo su Oblivion. T’ai Fu ascoltò ogni cosa senza fiatare, visibilmente ammirato.

« Hai compiuto imprese davvero nobili, Guerriero Dragone » commentò la tigre alla fine. « Ciò che mi ha colpito di più, soprattutto, sono le somiglianze che accomunano la tua vita alla mia. »

« Che vuoi dire? » domandò Po.

« Anche io sono un sopravvissuto, un orfano e un prescelto. Tanto tempo fa, il Clan della Tigre era il più potente della provincia, e comandava di fatto su tutti gli altri con saggezza e rispetto. Ma il Maestro Dragone, ultimo superstite del suo clan, era assetato di potere: il suo primo bersaglio fu il Clan della Tigre, e sterminò tutta la mia gente. Io sopravvissi al massacro perché a mio padre fu predetto un futuro incerto su di me, e per non correre rischi mi aveva fatto allontanare. Fui cresciuto in un monastero dai panda, finché non fui scoperto dal Maestro Dragone; lui era ancora una minaccia per tutta la nazione, così iniziai un viaggio per diventare più forte e, nel frattempo, scoprire le mie origini. »

T’ai si alzò in piedi, mettendosi in posa da combattimento.

« Ho imparato molte tecniche dai vari clan che popolano la mia regione: Mantide, Scimmia, Gru, Leopardo » ed eseguì una mossa di ogni stile mentre parlava, « e naturalmente ho acquisito il potere del mio stesso clan. SiFu, l’ultimo maestro del Clan della Mantide, mi ha istruito inoltre sulle vie del potere supremo, la forza del Chi. Quando tornai nel mio luogo d’origine, fui pronto per affrontare il Maestro Dragone: fu una dura lotta, ma alla fine quel mostro morì per mano mia. Giustizia fu fatta, e gli spiriti del mio clan poterono riposare in pace. »

Si voltò a guardare Po, ancora seduto accanto al fuoco. I suoi occhi erano colmi di meraviglia e ammirazione, come se avesse appena ascoltato la sua fiaba della buonanotte preferita.

T’ai Fu aveva ragione, i due avevano molto in comune. Forse era stato il destino a farli incontrare... ma entrambi avrebbero preferito circostanze diverse, non potevano negarlo.

« Ehm... e poi cos’hai fatto? » chiese Po.

« Dopo aver sconfitto il mio nemico, avevo un solo desiderio: ricostruire il mio clan » rispose T’ai, che di colpo divenne cupo. « Non è facile però, se sei l’ultimo sopravvissuto di un’intera razza. Ho iniziato perciò un nuovo viaggio, alla ricerca di altre tigri nella regione... ma finora non ho avuto alcun risultato. Forse sono davvero l’ultimo rimasto, e il mio clan non può avere un futuro. »

« Io non ne sarei così sicuro » intervenne Po con un sorriso. « Non sei l’ultimo rimasto. Sono certo che la mia amica, il Maestro Tigre dei Cinque Cicloni, sarebbe felice di conoscerti. »

T’ai spalancò gli occhi per la sorpresa.

« Il Maestro Tigre? Una... femmina? »

« Oh sì. Avete molto in comune, sai? Sarò lieto di presentartela, quando torneremo a casa. »

« Già... tornare a casa. »

T’ai sembrò incupirsi ancora di più, abbandonando l’emozione per l’ultima, lieta notizia.

« Mi sembra di trovarmi qui da un’eternità » mormorò, fissando l’oscurità che ricopriva il cielo. « Ho quasi dimenticato com’è fatto il sole; è incredibile come questo posto riesca a farci provare nostalgia per le piccole cose quotidiane a cui siamo abituati. Se solo sapessi come fare per tornare a casa... »

« È accaduto anche a te, allora? » domandò Po. « Quel Nul ti ha preso per farti combattere in una battaglia? »

T’ai Fu annuì.

« Ero con un gruppo di eroi provenienti da altri mondi » spiegò. « Il giovane Spyro del villaggio dei Draghi; il silenzioso ma prode Crash Bandicoot; l’intrepido Croc, e il possente Donkey Kong. Avevamo formato un’alleanza per affrontare i nostri storici nemici, richiamati dalla morte per volere di Nul; nel mio caso, significava affrontare il Maestro Dragone ancora una volta. Fu una battaglia tremenda, con un solo vincitore e superstite... io. Lo ricordo bene: il Maestro Dragone, ridotto allo stremo delle forze, aveva liberato una quantità enorme di Chi, provocando un’esplosione che coinvolse tutti quanti, alleati e nemici; io mi salvai per miracolo, ma per i miei compagni non potei fare nulla.

« Quando ripresi i sensi, era tutto finito... ma non la mia prigionia in questo mondo caotico. Ho vagato a lungo, in cerca di quel maledetto di Nul o di altri mezzi per tornare a casa, ma invano: sono stato aggredito svariate volte dagli esseri senza volto, e per sfuggirgli mi sono tenuto lontano dalla città. Ma le cose hanno continuato solo a peggiorare, finché non mi sono perduto in questa landa desolata. »

Po rimase in silenzio, sconvolto per quanto aveva appena sentito. Quel racconto non era molto diverso dalla terribile esperienza subita da Dylan Dog, l’uomo che aveva conosciuto giorni addietro ai confini del Cimitero dei Mondi... ma diversamente da lui, T’ai era ancora in piedi, determinato a tornare a casa. Un eroe che non si era ancora arreso alla terribile realtà di Oblivion.

Come lui.

« Voglio farti una promessa, T’ai » dichiarò Po, alzandosi in piedi. « Prometto... che ti riporterò a casa, anche a costo della vita. Così giura il Guerriero Dragone, onorato di combattere al tuo fianco nella battaglia che ci attende. »

T’ai Fu lo fissò sbalordito, ma poi sorrise.

« Grazie, amico... e intendo ricambiare con la stessa promessa. Prometto che ti riporterò a casa, anche a costo della vita. Così giura T’ai Fu, figlio di Lau Fu, maestro del Clan della Tigre, onorato di combattere al tuo fianco nella battaglia che ci attende. »

I due si diedero la mano, sigillando così il patto.

 

Il giorno seguente, Po e T’ai Fu si rimisero in viaggio, insieme. Il vento aveva ripreso a soffiare su quella landa desolata, e il paesaggio rimase a lungo identico durante il cammino: per i due guerrieri fu comunque un viaggio più tranquillo, poiché trascorsero il tempo conversando su argomenti leggeri. Dal momento che si erano trovati molto d’accordo fin dalla sera precedente, non potevano fare a meno di parlare sulle loro avventure e tecniche di kung fu preferite. La compagnia di T’ai fu per Po un autentico toccasana, e lo trovò estremamente simpatico: lo stupì soprattutto il fatto che fosse un tipo molto esuberante, nonostante le apparenze; finora aveva sempre creduto che le tigri fossero tutte serie, orgogliose e suscettibili... come dimostrato dal Maestro Tigre.

« ...e con una rapida mossa, ho steso la principessa Loto » diceva T’ai nel frattempo. « Era una guerriera formidabile, la degna erede del Clan del Leopardo... un po’ troppo assetata di sangue per i miei gusti, ma una tipa così non me la scorderò facilmente. »

« Oh, spero che tu non le abbia fatto troppo male » commentò Po preoccupato.

« Sono certo che fosse abituata a batoste peggiori. Ad ogni modo ci sono andato piano, sicuro... anche se non sembra, sono un gentiluomo con le... oh? »

Non finì la frase, a causa del nuovo elemento che attirò l’attenzione di entrambi. Po e T’ai erano giunti, quasi senza accorgersene, nei pressi di una gigantesca costruzione: era una piramide a gradoni, alta, nera e antica, circondata da un anello di formazioni rocciose. Il vento si era attenuato improvvisamente ancora una volta, rendendo in qualche modo l’ambiente ancora più inquietante per i due guerrieri. Il silenzio era quasi assoluto, spezzato di tanto in tanto dal gracchiare di corvi e avvoltoi che svolazzavano nei paraggi.

« È davvero enorme » disse Po, alzando di parecchio lo sguardo per osservare la struttura. « Avevi mai visto una roba simile, T’ai? »

« No » rispose la tigre, incrociando le braccia. « Nemmeno il regno del Maestro Dragone aveva un’aria così terrificante. Sicuramente proviene da un altro mondo... ormai ho imparato che Nul ha realizzato così il suo regno, con pezzi di mondi lontani. »

« Se è così, quel tipo ha davvero un pessimo gusto. Ehi, guarda, qui c’è scritto qualcosa! »

Po aveva indicato la lastra di pietra ai loro piedi. Essa recava un’incisione, sopra un simbolo che raffigurava la testa di un drago con la lingua di fuori. Né Po né T’ai riuscivano a capire cosa ci fosse scritto, ma quando misero piede sopra il simbolo, la scritta brillò di luce rossa e cambiò forma, diventando comprensibile.

 

SONO ARGUS, DIO ANZIANO DEL REGNO DI EDENIA.

OSSERVA LA MIA OPERA, O GUERRIERO, E SCEGLI.

SALVEZZA INGLORIOSA, O VITTORIA SUPREMA.

SCALA LA PIRAMIDE E COMBATTI IN MORTAL KOMBAT,

E PORRAI FINE ALLA GUERRA.

 

I due guerrieri restarono in silenzio per un po’, cercando di capire il senso di quella frase.

« Uhm, secondo te che significa? » chiese Po, rivolgendosi a T’ai.

« Non ne sono sicuro » rispose lui. « Non ho mai visto nulla del genere in vita mia. Non ci capisco un granché, ma questo posto sembra trasudare morte e distruzione da ogni pietra di cui è fatto. »

« Deve aver attirato molti guerrieri. »

« Già... forse anche questa è opera di Nul: un altro campo di battaglia, realizzato allo scopo che vediamo scritto qui. Deve far parte della sfida che lancia a tutti coloro che porta nel suo mondo. »

Po lanciò un’altra occhiata alla piramide, combattuto tra due emozioni diverse: timore e speranza.

« E se fosse vero? Forse è davvero possibile porre fine alla guerra, scalando questa piramide. Se lassù ci aspetta un torneo, o una sfida... se la vinciamo, forse potremmo tornare a casa. »

T’ai non rispose subito. Rimase con le braccia incrociate per un po’, terribilmente serio; poi parve ammorbidirsi e sorrise, trovandosi d’accordo con l’idea di Po.

« Potresti avere ragione » commentò. « Dopotutto, vale la pena provare... non vedo alternative migliori in questo momento, a parte quella di rimetterci in cammino su questo deserto. »

Po annuì con coraggio.

« Mitico! Andiamo, allora, cosa stiamo aspettando? »

I due proseguirono senza ulteriori indugi, puntando verso i gradini della piramide. Tuttavia, non appena furono di fronte al cammino che li avrebbe condotti fino alla cima, i due guerrieri si resero conto di un nuovo, tremendo dettaglio a uno scenario già inquietante.

Cadaveri. Decine di corpi giacevano alla base e lungo i gradini della piramide. Alcuni erano quasi intatti, ma molti altri erano spezzati o macellati in modo cruento, il cui sangue imbrattava l’antica pietra su cui giacevano. Un gran numero di vite distrutte, ora ridotte a cibo per corvi e avvoltoi.

Po e T’ai Fu osservarono quello scempio con occhi carichi di orrore. Per entrambi era come rimettere piede al Cimitero dei Mondi, dov’erano gettati i resti di ogni battaglia precedente. Po non aveva mai visitato in vita sua luoghi così ricolmi di morte e devastazione, e avrebbe dato qualsiasi cosa pur di non ripetere più l’esperienza. Ma una volontà superiore sembrava costringerlo a sopportare orrori inimmaginabili.

« Io... credo di stare per vomitare! » sussurrò il panda, coprendosi occhi e bocca con entrambe le mani.

« Per i miei antenati! » esclamò T’ai, inorridito quasi quanto l’amico. « Che massacro... ed erano tutti guerrieri come noi. »

Avanzarono con cautela su per i gradini, cercando di ignorare tutti quei morti, ma non fu facile. Erano dappertutto: uomini, donne e altre creature ignote, riversi sulla pietra; spezzati, massacrati e ricoperti di sangue. Occhi spenti rivolti al cielo o strappati via con la forza, arti mozzati e ossa fracassate... resti in decomposizione di potenti guerrieri che avevano messo piede sulla piramide prima di loro. Fortunatamente Po era troppo impegnato a fare le scale per preoccuparsi di tutta quella gente, mentre T’ai continuava a gettare occhiate su ogni cadavere nelle vicinanze: non riconobbe nessuno, ma alcuni di loro attiravano la sua attenzione. Vide un ninja, vestito da capo a piedi con un’uniforme nera e azzurra, il corpo in parte bruciato e trafitto da un pugnale legato a una fune. Una donna dai lunghi capelli rossi, vestita con corti abiti bianchi in stile orientale e armata di una spada enorme; non sembrava ferita, ma la sua pelle era ricoperta da simboli rossi, apparentemente marchiati con il fuoco. Un uomo muscoloso dalla pelle verde e lunghi capelli rossicci, vestito solo con pantaloncini marroni; giaceva sulla schiena, la testa quasi completamente girata all’indietro.

« Uff » borbottò Po lungo la salita, visibilmente affaticato. « È questo il mio vero nemico... le scale! »

I due compagni erano quasi arrivati alla cima, ma la via era bloccata da una coppia di cadaveri. Stavolta Po e T’ai assunsero un’aria più stupita che orripilata: uno era un uomo grasso e occhialuto, dai capelli castani e vestito con una semplice camicia bianca e pantaloni verdi; l’altro era un pollo gigante dalle piume gialle. Non sembravano affatto guerrieri, ma entrambi erano malconci e coperti di sangue; giacevano immobili uno sull’altro, come se si fossero uccisi a vicenda a suon di botte.

I due compagni rimasero fermi a fissare quella scena per alcuni secondi, poi proseguirono aggirando quell’ennesima coppia di cadaveri.

In cima alle scale trovarono un ultimo corpo, quello di un giovane muscoloso dai capelli castani. Indossava un karate gi bianco dalle maniche strappate all'altezza delle spalle, un paio di guanti di protezione, una cintura nera e un hachimaki rosso sulla fronte. Lui appariva il meno malconcio di tutti, ma Po e T’ai Fu non avevano comunque la minima idea di cosa avesse passato quel personaggio: non potevano neanche immaginare quale sfida avesse affrontato, né quanti nemici avesse sconfitto prima di arrivare in cima. L’unica cosa certa era la sua morte, avvenuta a pochi metri dalla fine del cammino.

Superarono anche questo, per arrivare finalmente in cima. Consisteva in una semplice pedana da combattimento, di forma ottagonale con al centro l’emblema del drago che avevano visto ai piedi della piramide; ad ogni angolo era posta una torcia infuocata che illuminava l’ambiente, affinché le tenebre non dominassero. Po e T’ai Fu si guardarono attorno solo per pochi secondi, poi si resero conto di non essere soli sulla pedana: al centro di essa, infatti, c’era qualcuno, anche se in quel momento dormiva della grossa. 

Po lo riconobbe subito.

« Tai Lung? »

Il leopardo aprì subito gli occhi, emettendo un forte grugnito. Si alzò lentamente in piedi, fissando il suo rivale con aria soddisfatta.

« Bene, bene... chi non muore si rivede, panda » ringhiò, e nel frattempo si dava una stiracchiata. « Era ora che ti facessi vivo da queste parti. »

« Cosa? » fece Po, perplesso. « Che vuoi dire? Mi stavi aspettando? »

« Da parecchio, a quanto pare » commentò T’ai Fu. « Deve averne approfittato per schiacciare un pisolino. »

Tai Lung lanciò un’occhiataccia alla tigre, ma poi tornò a concentrarsi su Po.

« Quando io e i miei alleati abbiamo saputo che la tua banda si era separata, ognuno di noi è andato per la sua strada. Io mi sono messo subito sulle tue tracce, naturalmente: non potevo sprecare l’occasione di beccarti in solitario. Sapevo che un posto del genere avrebbe attirato prima o poi la tua attenzione, così ho aspettato con pazienza il tuo arrivo. Finalmente... possiamo terminare ciò che abbiamo iniziato, senza che i tuoi amichetti possano interferire! »

Il leopardo si mise in guardia non appena ebbe finito di parlare, pronto a combattere. Po fece altrettanto, ma T’ai Fu intervenne.

« Dunque tu sei Tai Lung. Ho sentito molto parlare di te, prima e dopo la tua ribellione. »

Tai Lung tornò a guardarlo, e inaspettatamente sorrise.

« Bene... è un piacere essere riconosciuto da qualcuno. E chi sei tu? »

« Sono T’ai Fu, figlio di Lau Fu. So di non avere nulla a che fare con la faida tra voi due, ma non posso restare a guardare se un pazzo vuole uccidere un mio amico. Sarò lieto di affrontarti! »

« T’ai Fu? » ripeté il leopardo, meravigliato. « Oooh, magnifico! Anch’io ho sentito molto parlare di te... benissimo, questa è davvero una fortuita coincidenza. »

« Coincidenza? Non capisco. »

Tai Lung abbassò la guardia e si avvicinò di qualche passo, gonfiando il petto con orgoglio.

« Il prode guerriero del Clan della Tigre, colui che ha sconfitto il Maestro Dragone » dichiarò. « Sì, conosco bene la tua storia. E si dà’ il caso, inoltre, che il potere di quello stesso dragone, che tu hai sconfitto di nuovo in questo stesso mondo, si trova ora dentro di me! »

Po e T’ai Fu si scambiarono un’occhiata sorpresa.

« Il potere di un drago non muore insieme alla creatura in cui dimorava » proseguì Tai Lung. « Io l’ho recuperato prima che andasse perduto: prima di arrivare qui vagavo nel Cimitero dei Mondi, in cerca di qualcosa con cui poter annientare Po una volta per tutte. È stato laggiù che ho trovato la carcassa del Maestro Dragone: quella bestia era ormai morta, ma il suo cuore pulsava ancora di energia... l’incredibile forza del drago, potente oltre ogni immaginazione! Un potere simile non meritava di essere gettato come immondizia... così, senza indugiare un istante di più, ho ingoiato il cuore! »

Po emise un verso disgustato.

« Oh, ma che schifo, Tai Lung! Hai mangiato della spazzatura! »

« Uhm, temo che non sia stata una spazzatura qualsiasi » intervenne T’ai Fu. « Ho sentito dire che mangiando il cuore di un drago è possibile ottenere un grande potere... se è vero, temo che affronteremo una battaglia molto dura. »

Tai Lung scoppiò a ridere. C’era qualcosa di strano nella sua voce, ora lo sentivano chiaramente... era come sentire due suoni diversi provenire da un’unica gola. Due bestie furiose impazienti di emergere dalla loro tana.

« È proprio quello che mi aspetto, ragazzi. Ho atteso a lungo questo momento, e finalmente è arrivato... sarà uno scontro epico! »

Il leopardo tacque, e contemporaneamente emise una scarica d’energia che provocò un forte spostamento d’aria tutt’intorno. Po e T’ai fu furono sbilanciati per un attimo, ma poi tornarono in guardia.

« È diventato ancora più forte dell’ultima volta » disse il panda, facendosi serio. « La vedo molto brutta. »

La tigre, invece, sorrideva.

« Molto bene, folle di un leopardo » disse, scrocchiandosi le nocche. « Se vuoi uno scontro epico, ti accontenterò. Dopotutto, hai cominciato tu! »

I due guerrieri scattarono in avanti, gettandosi all’attacco su Tai Lung. Questi fece lo stesso, lanciandosi in corsa come una belva inferocita; i tre vennero a contatto nello stesso momento, e il duello infuriò subito sulla Piramide di Argus. Tai Lung si concentrò su Po come al solito, attaccandolo con tutta la sua forza: pugno, calcio, pugno, pugno, ancora calcio; il panda capì di essere nei guai al secondo colpo, così forte da spezzare la sua difesa. Il colpo successivo lo prese in pieno stomaco; sentì parecchio dolore, come quando Voldemort gli aveva scagliato la maledizione. T’ai Fu cercò di intervenire, ma il leopardo riuscì a toglierlo di mezzo con una zampata. L’ultimo colpo fu così forte da spazzar via Po, mandandolo a sbattere contro una colonna.

Tai Lung si avvicinò subito a lui, minaccioso come sempre.

« Hehehe... come ci si sente ad essere superati, eroe? » sghignazzò, guardandolo dall’alto. « Guardami bene... ora sono io il Guerriero Dragone! »

Po cercò di rimettersi in piedi, ma il nemico stava già sferrando il colpo di grazia...

Wham!

Tai Lung crollò a terra, preso in piena faccia da un tremendo calcio rotante. T’ai Fu apparve di fronte a Po e lo aiutò a rialzarsi, con immenso sollievo dell’amico.

« Uff, grazie! C’è mancato poco, stavolta... »

« Lo so, è davvero un avversario terribile. »

Il ringhio furioso di Tai Lung attirò la loro attenzione.

« Tai Lung... come ho già detto, ho sentito molto parlare di te » intervenne T’ai Fu. « Sei noto soprattutto come un traditore e un assassino... ma ora vedo che sei anche un ladro. Hai rubato un potere che non ti sei guadagnato, rinnegando per sempre gli insegnamenti del tuo maestro. Non sei degno del potere, né dell’onorevole forza del kung fu! »

Il leopardo ringhiò ancora più forte, mentre i suoi occhi brillavano di rosso fuoco.

« Nessuno ha chiesto il tuo parere, marmocchio! »

Un attimo dopo si scagliò sulla tigre. I due ripresero lo scontro: Po non riuscì a intervenire, e fu costretto a osservare l’incredibile velocità con cui l’amico e il nemico si affrontavano. La tecnica di T’ai era formidabile: cominciò con una serie di pugni per poi finire l’attacco con un nuovo calcio rotante; Tai Lung riuscì tuttavia a difendersi, lo afferrò per un piede e lo lanciò lontano. T’ai Fu cadde a terra di peso, rimanendo stordito per qualche istante di troppo.

« Ammira il potere del drago! »

Tai Lung spalancò le fauci, e da esse eruppe un’enorme palla di fuoco, sparata a gran velocità contro il suo avversario. T’ai Fu non fece in tempo a scansarsi, ma non ce ne fu bisogno; Po intervenne in un attimo, e con una mossa che non riuscì a distinguere deviò la palla di fuoco, spedendola fuori dalla piramide.

Tai Lung era allibito.

« Non è possibile... come diavolo hai fatto? »

« Oh, ti ho sorpreso, non è vero? » commentò Po, divertito. « Riprovaci, così te lo spiego! »

Il leopardo perse la pazienza e ruggì furioso ancora una volta; sputò un’altra palla di fuoco, dritta contro Po, ma lui rimase dov’era, inspirando profondamente.

Pace interiore...

Mosse un piede all’indietro, poi protese le mani in avanti: T’ai Fu e Tai Lung lo videro chiaramente mentre afferrava il fuoco con le mani, e lo scagliava lontano dopo una giravolta.

Tai Lung era rimasto dov’era, impietrito per lo stupore ormai alle stelle.

« Ben fatto, amico! » intervenne T’ai Fu, che si fece avanti approfittando del momento. La tigre balzò addosso al leopardo, usando una nuova combinazione di mosse: Tai Lung apparve in difficoltà, ma resistette ancora. Po notò come i due si affrontassero con lo stesso stile di combattimento: T’ai Fu stava quindi usando lo Stile del Leopardo, che lui stesso diceva di aver padroneggiato in passato. Poi, quando vide che la tecnica non era più efficace sul nemico, T’ai cambiò ancora: da leopardo divenne mantide, imitando le sue movenze con le mani; sferrò una serie di colpi, poi balzò all’indietro e creò una sfera luminosa, sparandola contro Tai Lung. Questi la respinse, pur rimanendo ancora più sorpreso di prima.

« Il Colpo di Chi, la tecnica segreta del Clan della Mantide... allora è vero! »

Stavolta T’ai Fu non si perse in chiacchiere, e riprese ad attaccare. Balzò addosso al nemico, che si preparò a spazzarlo via con una zampata; T’ai lo schivò e tornò a terra, rotolando tutt’intorno come se fosse una palla. Il leopardo cercò di acchiapparlo, ma era troppo veloce; Po fissò la scena, quasi divertito: sembrava di vedere un grosso gatto cercare di acchiappare un gomitolo di lana! Inoltre riconobbe la tecnica, lo Stile della Scimmia.

« Mitico! »

Nel frattempo T’ai rimbalzò diverse volte su Tai Lung, picchiando forte sulla sua testa; tornò infine a terra e rotolò tra le gambe dell’avversario, finendolo con un poderoso calcio nelle parti basse. Il leopardo lanciò un urlo tremendo.

« Grrrr... maledetto! Aspetta solo che ti prendo... ti farò a pezzi! »

« Non dimenticarti di me, bello. »

Tai Lung si voltò, appena in tempo per vedere Po sferrargli un pugno in faccia. Tai Lung vide le stelle ma non cadde; cercò di contrattaccare ma T’ai fu lo ostacolò ancora una volta, bloccandogli il braccio. La tigre avanzò e, muovendosi in modo fluido come un serpente, lo colpì al collo, respingendolo. Aveva cambiato stile ancora una volta, riconobbe Po, sempre più ammirato.

L’azione di T’ai non si era ancora conclusa. Mentre Tai Lung indietreggiava, stordito per gli ultimi colpi, la tigre faceva un balzo enorme verso di lui. Il leopardo, tuttavia, cercò di intercettarlo: T’ai Fu aveva commesso un errore; in aria era un bersaglio troppo facile. Tai Lung sputò quindi un’altra palla di fuoco, sicuro di centrarlo in pieno. T’ai sorrise mentre, ancora sospeso in aria, assumeva la posa di un uccello in volo e le sue mani brillavano; la sua caduta verso il basso rallentò, riuscendo così a schivare il fuoco del drago.

« No...! »

Fu l’unica parola che Tai Lung riuscì a pronunciare, mentre l’impavida tigre atterrava con grazia di fronte a lui, nella posa tipica dello Stile Gru. Rimase fermo dov’era, impietrito ancora una volta per lo stupore, e si prese in pieno il colpo finale di T’ai Fu: un potentissimo uppercut infuocato che lo spedì a diversi metri d’altezza. La tigre rimase al suo posto, mani sui fianchi, ascoltando soddisfatto il grido del nemico che si faceva sempre più flebile. Poi fece un passo indietro, e pochi secondi dopo Tai Lung ricadde nello stesso punto, con una tale forza da frantumare il pavimento.

Po emise un lungo fischio, ormai dominato da un mix di emozioni positive, soprattutto il sollievo e l’ammirazione. Il suo amico T’ai era stato formidabile in quegli ultimi minuti di lotta: aveva tenuto testa a Tai Lung con una combinazione fenomenale di vari stili, a lui molto familiari.

Tigre, Scimmia, Mantide, Vipera e Gru... gli era parso di combattere ancora una volta insieme a Cinque Cicloni.

« Wohooo! Sei stato mitico, T’ai! Anzi, tostissimo! »

« Grazie, amico » rispose la tigre con un sorriso. « Ma non voglio prendermi tutto il merito, anche tu sei stato davvero in gamba. Mi hai sorpreso parecchio con la tua tecnica, poco fa... il maestro Shifu ti ha insegnato davvero bene. »

« Grrr... questo... non lo salverà. »

Po e T’ai abbassarono subito lo sguardo, inorriditi. Tai Lung aveva ripreso conoscenza e si stava rimettendo in piedi: il suo corpo sembrava ardere come braci, poiché si era fatto rovente e brillava di rosso; i suoi occhi erano dorati e abbaglianti come fari, evidenziando uno sguardo più folle che mai.

« Maledetti... voi non vi salverete! » ruggì furioso. « Voi... morirete! La furia del drago si abbatterà su di voi e vi ridurrà in ce... oh? Ma dove andate? »

I due guerrieri non erano rimasti a guardarlo né ad ascoltarlo. Erano scattati in due direzioni opposte, correndo a gran velocità agli angoli della pedana; nello stesso istante, Po e T’ai balzarono contro le colonne e sfruttarono la spinta per scagliarsi nuovamente su Tai Lung. I loro pugni protesi in avanti si scontrarono nello stesso istante sulla faccia del nemico, una guancia ciascuno: la faccia del leopardo parve appiattirsi per la forza tremenda che lo aveva investito, tale da provocare un nuovo spostamento d’aria. Non era riuscito ad evitarlo, per la stanchezza, la rabbia e la sorpresa che annebbiavano i suoi sensi.

E non era ancora finita.

Tai Lung crollò sulle ginocchia, mentre il suo corpo continuava ad ardere. Po e T’ai Fu arretrarono di qualche passo, poiché il calore che emetteva si era fatto insopportabile: era come trovarsi davanti a una fornace.

« Argh... che mi succede? » lamentò il leopardo, come in preda a un forte dolore. « Sto bruciando... aaargh! »

« Cavolo » osservò Po, inorridito. « Sta andando a fuoco! »

« Allora è vero... che sciocco » disse T’ai Fu, serio. « Se dobbiamo credere alle storie di chi ha ingoiato il cuore di un drago per ottenerne il potere, allora è vero anche il resto. Nessuno è mai sopravvissuto a lungo dopo avere acquisito quella forza, il corpo è troppo debole per sopportarlo. Mi sorprende che tu abbia resistito così a lungo, Tai Lung... ma il tuo corpo ferito non è più in grado di contenere quel potere! »

Tai Lung non osò replicare, a causa dell’atroce sofferenza da cui era dominato. Credette ad ogni parola, perché non aveva alternative... eppure trovò ugualmente la forza per rimettersi in piedi.

« Allora è così... per me è la fine » sussurrò gelido. « Ma... posso ancora fare qualcosa... oh, sì! Se deve essere la fine... allora vi porterò con me! Rrraaaargh! »

Fuoco e fiamme eruppero dal suo corpo, come un vulcano in eruzione. La pietra sotto i loro piedi tremò e si spaccò, l’aria iniziò a vibrare e a farsi sempre più calda. Tai Lung stava dando fondo a tutto il suo potere, in un ultimo, disperato attacco suicida: in pratica, stava per esplodere. Questo bastò a cancellare dai volti di Po e di T’ai la soddisfazione di aver avuto la meglio sul nemico... perché tra pochi istanti sarebbe andato tutto in cenere!

T’ai si voltò a guardare Po, e in un attimo prese una decisione. Gli sorrise con orgoglio, poi gli consegnò un rotolo di pergamena tirato fuori dalla cintura. Il panda osservò il dono, perplesso, ma nel frattempo la tigre si era scagliata su Tai Lung, bloccandolo per i polsi.

« T’ai! Che stai facendo? » gridò Po.

« A te che sembra, palla di pelo? Ti sto salvando la vita! »

Le mani di T’ai Fu brillarono di azzurro: stava concentrando il Chi per sopportare l’incredibile forza sprigionata dal nemico, ormai sul punto di collassare. Tai Lung cercò di liberarsi dalla presa, ma invano: la tigre rimase dov’era, sopportando l’estremo calore che investiva entrambi.

« Urgh... Devi ascoltarmi, Po! » urlò T’ai. « Scappa! Fuggi il più lontano possibile! E porta con te il rotolo... contiene i segreti delle mie tecniche. Vedi di impararle... consideralo il mio lascito! Diventa più forte, sconfiggi Nul e torna a casa! »

« Ma... ma... »

Po era incredulo di fronte a quella nuova, terribile realtà. T’ai Fu aveva deciso di sacrificarsi!

« No, non posso lasciarti qui! » esclamò disperato. « Ci siamo scambiati una promessa, ricordi? »

« Certo che me la ricordo... urgh... ho promesso che ti avrei aiutato a tornare a casa, anche a costo della vita... e lo sto facendo! Ora vai! »

Po non si mosse, e nel frattempo Tai Lung continuava a ruggire e a dimenarsi. Le fiamme avanzavano, devastando sempre di più l’area circostante. T’ai liberò una maggiore quantità di Chi, trattenendo l’energia del drago il più possibile.

« T’ai... »

« Non preoccuparti per me! Va... va bene così. È stato... un grande onore combattere al tuo fianco. Mi spiace solo... di non aver potuto conoscere la tua amica... il Maestro Tigre. Quando tornerai a casa... salutala da parte mia, va bene? »

Po finalmente annuì, e strinse la presa sul rotolo.

« Grazie, amico! »

T’ai gli sorrise per l’ultima volta.

« Grazie a te... fratello. »

Il panda si voltò e prese a correre, dirigendosi verso le scale. L’ultimo ruggito di Tai Lung squarciò l’aria. Un inferno di fiamme esplose pochi attimi dopo, mentre Po lasciava la pedana e scendeva il più in fretta possibile; inciampò tra i cadaveri e cadde in avanti. L’onda d’urto lo investì in pieno, facendolo ruzzolare senza alcun controllo giù per le scale. La Piramide di Argus andò in pezzi, dalla cima fino alla base, sbriciolata dall’esplosione come se fosse di cartone.

Po toccò infine il suolo, con un atterraggio tutt’altro che morbido. Il panda rotolò per diversi metri fino a sbattere contro una colonna, che frenò la sua corsa. Alle sue spalle, nel frattempo, tornava tutto a tacere: l’esplosione era cessata, lasciando solo rovine e silenzio tutt’intorno. Di quella grande piramide e dei valorosi guerrieri caduti non restava altro che macerie.

« Ugh... »

Po cercò di rialzarsi, ma era troppo debole. La caduta e l’onda d’urto avevano fatto più male di quanto immaginasse. Fu sul punto di perdere conoscenza, quando all’improvviso sentì un rumore.

Sembrava un applauso. Alzò lo sguardo appannato e vide un nuovo individuo, apparso come dal nulla: un uomo vestito con un lungo soprabito bianco, il cui volto era celato completamente da un cappuccio; due ali nere da uccello spuntavano dalla sua schiena.

« Complimenti, Po » dichiarò lo sconosciuto, terminato l’applauso. « Sei sopravvissuto. »

« T...T’ai » sussurrò il panda, confuso. « T’ai Fu... »

« Morto » disse lo sconosciuto. « Ha dato la sua vita per salvare la tua. »

« No... no! »

L’uomo alato s’inginocchiò accanto a Po, mentre lui versava lacrime per l’amara verità appena appresa.

« Non potevi fare nulla » sussurrò. « È stato molto coraggioso... ha preferito assicurarsi che almeno uno di voi due tornasse a casa. Un gesto ammirevole, senza dubbio. »

« Ma tu... che ne sai? Chi diavolo... sei? »

« Io sono Nul. »

Po sgranò gli occhi per la sorpresa.

« Sei venuto per riportarmi a casa? »

Nul scosse la testa.

« No. Purtroppo non mi hai capito, a quanto pare. Ho detto che sei sopravvissuto... non che hai vinto. Ma guarda il lato positivo: sto per inviarti in un posto dove avrai buona compagnia. »

Tacque, e nel frattempo afferrò la mano di Po.

Poi tutto il mondo divenne buio, e il panda perse infine conoscenza.

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Capitolo 29
*** L'isola nebbiosa ***


Image and video hosting by TinyPic Capitolo 29. L’isola nebbiosa
 
« Finché resteremo uniti, io continuerò a proteggerti. »
Luke?
Lara Croft aprì gli occhi. Si trovava su una superficie sabbiosa e umida, sotto un cielo nuvoloso tinto di rosso: l’alba di un nuovo giorno su Oblivion. Si alzò a sedere, costretta ad accettare un nuovo dettaglio di quella triste realtà: era sola in quella spiaggia: non c’era traccia dei suoi compagni, spariti dalla sua vista negli ultimi istanti prima che il Titanic affondasse.
Lara capì subito di non essere tornata nel suo mondo, ma un dolore lancinante alla spalla sinistra attirò la sua attenzione; aveva un taglio profondo e sanguinava copiosamente. L’archeologa cercò il suo kit di pronto soccorso, ma questo era sparito, insieme alle pistole e al resto dell’equipaggiamento; doveva aver perduto tutto durante il naufragio, e questo rendeva la situazione ancora più grave.
Io sono viva...
Continuò a ripeterlo per mantenere la calma, poi tornò a occuparsi della sua ferita. Non avendo alternative, strappò un lembo del suo top e lo usò per fasciarla, stringendo forte per fermare l’emorragia; il dolore si fece più acuto, ma riuscì a non urlare. Aveva subito ferite ben peggiori di quella, dopotutto, e ne portava ancora le cicatrici: segni indelebili che avevano temprato il suo spirito di avventuriera.
Lara voltò le spalle al mare, concentrandosi sulla terraferma su cui poggiava i piedi. La sabbia terminava poco più avanti, lasciando il posto a una distesa enorme di vegetazione tropicale. L’aria era fredda e umida, e una buona dose di nebbia avvolgeva l’ambiente; il silenzio era quasi assoluto, interrotto appena dal rumore delle onde e dai consueti versi animaleschi provenienti dalla giungla.
Il primo pensiero di Lara fu di essere tornata, in qualche modo, sull’isola di Yamatai, il luogo che l’aveva cambiata per sempre. L’ipotesi fu demolita comunque pochi secondi dopo, quando si rese conto di trovarsi in un luogo molto diverso: non c’erano relitti nei paraggi, e la spiaggia era piatta e sabbiosa anziché rocciosa. Ciò non bastò comunque a tranquillizzarla: nulla poteva togliere il fatto che Lara fosse ancora sola e disarmata in un luogo del tutto sconosciuto.
Sembrava un vero ritorno alle origini della sua carriera. Lara Croft era sopravvissuta ancora una volta a un disastro, e ora doveva cavarsela da sola in un territorio ostile, priva di armi ed equipaggiamento. Quindi, dopo aver accettato il nuovo stato delle cose, strinse i pugni e si addentrò nella giungla.
Per prima cosa doveva procurarsi un’arma. Lara aveva con sé solo un coltello da caccia tirato fuori da uno stivale, ma già sapeva che non sarebbe servito a molto: era troppo sperare, infatti, che quella giungla fosse disabitata o priva di creature feroci, perciò le occorreva un’arma più letale. La vegetazione fu in grado di fornirgli il materiale necessario: l’archeologa impiegò le due ore successive per fabbricarsi un arco rudimentale e una dozzina di frecce, servendosi di rami e corde. Non era il massimo per difendersi, ma ricordava di essersela cavata a Yamatai con roba simile.
Lara avanzò, muovendosi con cautela tra la vegetazione che si faceva sempre più fitta. L’aria mattutina era ancora fresca e umida, e i versi animaleschi si fecero sempre più forti: alcuni non erano affatto familiari, e ciò la fece preoccupare; se la giungla ospitava creature sconosciute provenienti da altri mondi, non sapeva come affrontarle.
Doveva assolutamente riunirsi ai suoi amici, ovunque fossero finiti. Era certa che fossero scampati al naufragio.
Luke...
Un brontolio allo stomaco interruppe i suoi pensieri. Aveva molta fame, non poteva negarlo: non mangiava da almeno un giorno, da prima degli allenamenti sul Titanic. Senza dubbio, aveva bisogno di nutrirsi al più presto. Si fermò, scrutando attentamente i dintorni finché non individuò la preda adatta: un uccello tropicale appollaiato sul ramo di un albero a una decina di metri di distanza. Lara si appostò dietro un tronco caduto, con molta calma, poi tese l’arco; non lo faceva da un po’, ma per lei era come andare in bicicletta... impari a usarla e non dimentichi più come si fa.
Incoccò la freccia.
Tese la corda.
Respirò a fondo...
Lasciò andare.
La freccia fendette l’aria, rapida come un proiettile. Pochi attimi dopo l’uccello cadeva morto a terra, centrato in pieno da un colpo quasi perfetto. Soddisfatta, Lara afferrò la sua preda e si allontanò, in cerca del riparo adatto in cui mangiare.
Fu allora che l’archeologa si rese conto che insetti e uccelli non erano i maggiori rappresentanti della fauna locale. Mentre camminava vide un tronco ricurvo, del tutto spoglio; poi il tronco si mosse e si girò verso di lei. Lara capì che quello non era affatto un tronco. Aveva davanti a sé l’aggraziato collo ricurvo di una creatura gigantesca, alta quindici metri.
Stava guardando un dinosauro.
« Oh » mormorò Lara. Si era fermata di botto sul sentiero e fissava l’animale che si stagliava imponente davanti a lei. Era un Brachiosaurus, uno degli erbivori più grandi che avessero mai camminato sulla Terra: questi la scrutò con attenzione per alcuni secondi, poi la ignorò e tornò a brucare il fogliame dell’albero vicino. Altri brachiosauri erano nelle vicinanze, tutti intenti a fare colazione in quella parte di giungla.
Lara rimase immobile, stordita dalla nuova rivelazione. In verità aveva già avuto modo di incontrare dinosauri vivi e vegeti in passato, ma l’idea di ripetere l’esperienza così all’improvviso era comunque una sorpresa. Ora più che mai le sembrava di essere tornata indietro nel tempo, a giorni difficili della sua vita. Cercò di riprendersi e si rimise in cammino, percorrendo il sentiero ancora un po’ fino a trovare riparo tra un gruppo di rocce: Lara si sistemò là in mezzo e accese un fuoco per arrostire la sua preda.
La sosta fu breve, e quando ebbe finito di mangiare, Lara riprese la marcia, l’arco di nuovo in pugno. Ora si sentiva molto meglio, e la ferita alla spalla non faceva più così male. Dopo pochi minuti, l’archeologa vide la vegetazione interrompersi all’improvviso, divisa in due da una strada asfaltata: era sicuramente opera dell’uomo, ma abbandonata da tempo a giudicare dalle pessime condizioni in cui versava. Lara si voltò a sinistra e fu assalita da una nuova ondata di stupore: si trovava a pochi metri da una porta gigantesca, verso cui conduceva la strada. L’arco di pietra che la sosteneva recava una scritta, in lettere gialle e rosse.
 
JURASSIC
PARK
 
Lara era senza parole. La sua mente stordita impiegò un bel po’ a trovare una spiegazione, per quanto assurda, al nuovo contesto in cui era finita dopo il naufragio. Jurassic Park. Ripescando a fatica tra i suoi ricordi, Lara riconobbe quelle parole come il titolo di un libro, da cui era poi stata tratta un’intera saga cinematografica. Parlava di un parco a tema in un’isola tropicale, dove i dinosauri erano l’attrazione principale, riportati in vita grazie all’ingegneria genetica...
Che senso aveva tutto questo? Come aveva fatto a trovarsi in un’opera letteraria? Tali domande furono inevitabili, sebbene avesse incontrato stranezze più grandi fin da quando Nul l’aveva prelevata dal suo mondo. Anche questa doveva essere opera sua, pensò Lara, che riprese a camminare scuotendo la testa.
Attraversò la porta, che era rimasta socchiusa, addentrandosi sempre di più nella selva. Da quel lato la strada era quasi inghiottita dalla vegetazione, e fu difficile seguire il sentiero artificiale. Ora ne sapeva un po’ di più sulla sua attuale posizione, ma non cambiava nulla: doveva ritrovare i suoi amici. Nel frattempo intravide altri dinosauri tra la vegetazione, ma erano tutti erbivori e non ci fu nulla da preoccuparsi; a un certo punto Lara trovò la strada interrotta da un grosso masso, e cercò di aggirarlo. Dall’altra parte, un nuovo elemento attirò la sua attenzione: lo scheletro di un altro dinosauro, ricoperto in parte da foglie e radici. Lara lo riconobbe: era un Velociraptor, uno dei predatori più famosi, comparsi anche nella saga di Jurassic Park. Questo, tuttavia, appariva in modo strano. L’animale sembrava seduto come un uomo, e indossava i resti di quelli che sembravano vestiti umani. Doveva trovarsi lì da anni... difficile stabilire cosa l’avesse ucciso.
Lara spostò lo sguardo verso la roccia, sulla quale era incisa un’iscrizione in inglese:
 
QUI TROVERAI LE ULTIME PAROLE DI SAM V. RAPTOR, SUPERSTITE DEL JURASSIC PARK, PRIMO DI 99 FRATELLI E INTREPIDO AMANTE DELL'AVVENTURA. MENTRE LA MORTE SI AVVICINA A GRANDI PASSI PER PORTARMI VIA, DIVENTO CONSAPEVOLE DI CIO' CHE SONO SEMPRE STATO: NIENT'ALTRO CHE IL PARTO DELLA MENTE DI QUALCUN ALTRO... NIENT'ALTRO CHE UN AMICO IMMAGINARIO. LA MIA VITA, I MIEI RICORDI... TUTTO FINTO.
EPPURE, SONO STATO FELICE DI AVER VISSUTO QUESTA VITA. ECCO PERCHE' IL TUO TENTATIVO SARA' VANO, NUL... TUTTI CAMBIANO, TUTTI CRESCONO, MA I RICORDI RESTANO. E NOI NON SAREMO DIMENTICATI.
MAI.

Lara sospirò dopo aver finito di leggere, tornando a guardare l’autore che giaceva ai suoi piedi. Non era sicura di aver capito tutto ciò che diceva l’iscrizione, ma su una cosa non aveva dubbi: quello era un altro eroe, strappato dal suo mondo e costretto a combattere nella guerra senza fine di Nul. Un altro poveretto sacrificato per il diletto di un’entità sconosciuta.
Dal momento che in giro non c’erano oggetti utili, Lara si allontanò senza portare nulla con sé.
Avanzò per qualche altro minuto, quando sentì all’improvviso un tonfo. Si voltò appena in tempo per intravedere una sagoma scura venir fuori dalla vegetazione.
Lara alzò lo sguardo e vide qualcosa di enorme, ruvido come la corteccia di un albero; ma era qualcosa di molto più pericoloso di un albero... dapprima vide le possenti zampe posteriori, poi le due piccole anteriori, poi l’enorme bocca irta di fauci del Tyrannosaurus rex.
Stava guardando lei, senza ombra di dubbio.
Il tirannosauro lanciò un urlo terrificante. Lara cercò di non muoversi, di non provare paura... ma come poteva resistere alla presenza di una bestia simile? Un altro incubo sbucato dal passato, all’epoca in cui si era messa sulle tracce dello Scion... e proprio in quell’occasione si era ritrovata ad affrontare un T-rex! Ma allora poteva contare su armi migliori, perciò aveva in mente un’unica soluzione.
Scappare!
L’archeologa corse più veloce che poteva nella direzione opposta. Come previsto, il T-rex si lanciò all’inseguimento, calpestando con forza il terreno e abbattendo i tronchi più fragili. Lara si fece largo tra la vegetazione, schivando tutto quello che le capitava davanti: resisteva grazie alla sua agilità, sviluppata in anni di allenamenti ed esplorazioni in ogni angolo del mondo. Sentì tuttavia che il T-rex guadagnava terreno, alle sue spalle; non poteva scappare per sempre.
Sembrò una situazione di stallo finché Lara non vide il sentiero interrompersi bruscamente. Si fermò a pochi centimetri dal ciglio di un burrone: abbassò lo sguardo e vide l’acqua di un fiume che scorreva sotto di lei, a circa quindici metri di altezza.
Non ebbe altro tempo per pensare. Il tirannosauro emerse dagli alberi con un ruggito poderoso; Lara si voltò a guardarlo. Ormai non aveva via di fuga; da una parte c’era il vuoto, dall’altra una sicura morte tra le fauci di un dinosauro... poteva solo scegliere tra queste due opzioni fatali.
Doveva sopravvivere.
Lara chiuse gli occhi e balzò all’indietro, tuffandosi nel vuoto. Il T-rex scattò in avanti ma non riuscì ad afferrarla, e rimase sul ciglio del burrone ad osservare la sua preda mentre spariva tra le acque del fiume. La bestia ruggì ancora, per poi tornare delusa nella giungla.
In lontananza, qualcosa di più piccolo e pericoloso del tirannosauro aveva visto tutta la scena, ma non aveva fatto in tempo a intervenire. Fissò il punto del fiume in cui Lara era caduta, in un misto tra delusione e soddisfazione; se fosse morta o sopravvissuta non poteva ancora dirlo.
Natla, tuttavia, era sicura che la sua rivale se la fosse cavata.
L’importante era averla ritrovata; e in un modo o nell’altro, avrebbe portato il suo cadavere a Nul.
 
Lara riprese conoscenza poco più tardi. L’impatto con l’acqua era stato molto forte e aveva perso i sensi per un po’. Non aveva potuto impedire alla corrente di trascinarla via, impotente come una foglia; l’archeologa riemerse quindi dall’acqua e si trascinò a riva, con una certa fatica. Sentiva male dappertutto, soprattutto alla gamba destra; doveva aver sbattuto con una roccia, riportando un brutto taglio che sanguinava ancora. Lara uscì dal fiume, bagnata fradicia e sofferente, ma sollevata di essere ancora viva.
Ancora una volta doveva ricominciare daccapo. Aveva perso l’arco e le frecce nella caduta, e aveva bisogno di nuove cure mediche. Mentre pensava a come risolvere i nuovi problemi, il suo sguardo cadde su qualcosa di grosso che si stagliava poco lontano da lei, lungo la riva del fiume; dapprima pensò che fosse un dinosauro, ma quando mise a fuoco scoprì che era una barca. Era grossa e dotata di armi pesanti, forse appartenuta a una banda di pirati; aveva un enorme squarcio al centro dello scafo che la rendeva inutilizzabile. Ma forse, si disse, poteva ancora trovare qualcosa di utile al suo interno...
L’archeologa avanzò zoppicando verso la barca, quando vide ciò che ormai era inevitabile trovare nei pressi di un disastro. Un corpo giaceva sulla riva del fiume, immerso per metà nell’acqua. Lara lo raggiunse e scoprì che si trattava di una giovane donna, molto simile a lei nell’aspetto: aveva lineamenti sia cinesi che occidentali, e lunghi capelli castani raccolti in una coda di cavallo. Sul suo braccio destro spiccava un tatuaggio tribale che arrivava fino al collo. Indossava un paio di stivali da combattimento, jeans cortissimi, un paio di guanti neri senza dita e un top nero che lasciava il suo ventre esposto. Sembrava morta da poco, forse da appena un giorno; una ferita profonda all’addome le era stata fatale, dalla quale era uscito tutto il sangue. I suoi occhi spenti fissavano il cielo, ancora colmi di enorme sofferenza.
Lara non riuscì a non provare dispiacere per lei, nonostante le fosse del tutto ignota. Le era bastato uno sguardo per capire che tipo doveva essere: una dura, amante dell’azione e del pericolo. Lo dimostravano le due pistole che portava con sé: due Beretta 92 modificate, 9mm Sword Cutlass. Lara le prese insieme alle fondine, osservandole; sull'impugnatura erano incise due sciabole e alcune scritte in thailandese, ma non ne capiva il significato.
Poi trovò un nome, inciso sotto l’impugnatura: Revy.
Lara le portò con sé, anche se non avrebbe voluto farlo: quelle pistole sostituivano egregiamente le sue, perdute nel naufragio del Titanic. Lanciò un ultimo sguardo al cadavere, poi si rialzò e salì sulla barca, in cerca di altri oggetti utili. Aveva risolto il problema delle armi, ma aveva ancora bisogno di cure; avanzò lungo il ponte inclinato ed entrò sottocoperta, esaminando le stanze. Trovò quasi subito l’infermeria e la saccheggiò, ottenendo il necessario per medicarsi in modo efficiente; la dispensa era sottosopra ma conteneva ancora del cibo commestibile; l’armeria la rifornì di munizioni per la pistola e di una mitragliatrice modificata con lanciagranate. Trovò anche il ponte di comando, distrutto, e il resto dell’equipaggio... morto come la povera Revy. Lara vide tre cadaveri: un ragazzo giapponese vestito con una camicia bianca, un afroamericano alto e muscoloso e un uomo biondo con una camicia hawaiana. I loro corpi erano spezzati e mutilati, probabilmente morti nell’impatto che aveva distrutto la barca.
Lara non poteva stabilire chi fossero quelle persone. Eroi o malvagi? Forse entrambi, visto l’ambiente che li circondava: ormai era chiaro che si trovava in una moderna nave pirata. Da qualunque mondo provenissero, quei tipi avevano attirato l’attenzione di Nul... ritenuti degni di combattere nel suo ciclo di guerre.
Non poteva fare niente per loro.
Lara uscì dalla barca. Il suo sguardo si posò subito sul cadavere di Revy: un dinosauro si era avvicinato a lei per mangiarsi i suoi resti. Era un Dilophosaurus, un divoratore di carogne.
« Ehi, tu! » gridò Lara, saltando giù dalla barca. Il dilofosauro alzò la testa, incuriosito, mentre l’archeologa gli puntava contro le pistole. Lara non sapeva perché lo stava facendo, ma sentiva di non poter lasciare così il corpo di quella ragazza. Il dinosauro emise un lungo sibilo, mentre una sorta di ventaglio variopinto si apriva intorno al suo collo. Lara fece fuoco, sparando a volontà contro la bestia; i proiettili sforacchiarono per bene il collo e la testa del dilofosauro, che dopo pochi secondi cadde a terra morto.
Tornò a guardare il corpo di Revy. Era ancora intatto, quel dinosauro aveva appena fatto in tempo ad addentarle un braccio. Lara si chinò su di lei e le chiuse gli occhi; sentiva di doverlo fare, nonostante non la conoscesse. Non poteva fare nulla per lei, a parte impedire che i suoi resti fossero masticati; non era giusto che diventasse cibo per dinosauri, perciò se la caricò sulle spalle e la riportò sulla barca. La posò insieme agli altri corpi sul ponte di comando, ricoprendo ognuno di essi con un lenzuolo. Una foto rimasta intatta dall’incidente le aveva mostrato quelle persone riunite insieme, come amici... forse come una famiglia; l’unica che potessero avere. E come tali, meritavano di restare insieme, uniti anche da morti.
« Grazie » fu tutto ciò che riuscì a dire Lara. Grazie a loro aveva di nuovo armi ed equipaggiamento che le avrebbero permesso di sopravvivere. Così, sperando di avere molta più fortuna di quel gruppo di sventurati, l’archeologa lasciò la barca e riprese la marcia.
Trascorse l’ora successiva risalendo il fiume. La sua priorità non era cambiata affatto: doveva ritrovare i suoi amici, sperando con tutto il cuore che fossero vicini. Se davvero si trovava nello stesso Jurassic Park di cui aveva letto, allora si trovava su un’isola, e più tardi avrebbe dovuto inventarsi un modo per lasciarla. Continuava a ripetersi di aver affrontato sfide peggiori di quella: nulla di tutto ciò che aveva intorno in quel momento poteva essere paragonato – neanche lontanamente – alle terribili insidie dell’isola di Yamatai. Là non c’erano pazzi fanatici, né antichi spiriti in attesa di reincarnarsi; era solo una tranquilla isola nebbiosa piena di alberi e dinosauri... dal suo punto di vista, non era niente di così serio.
Lara giunse nei pressi di una cascata. Il terreno si era fatto ripido e fu costretta a prendere una deviazione arrampicandosi sulle rocce; la piccozza e il rampino presi dalla barca di Revy si rivelarono estremamente utili. A quel punto ritrovò l’asfalto, dove giacevano i resti di un’automobile. Una Land Cruiser verde-rossa, con il logo del Jurassic Park stampato sulla fiancata; senza dubbio era un’auto usata dall’equipe del parco, abbandonata lì da parecchio tempo. Lara alzò lo sguardo: oltre la strada si ergeva una grande recinzione, ridotta in pessimo stato come l’auto. Ricoperta dall’avanzare della vegetazione, presentava inoltre un enorme squarcio, come se qualcosa di grosso e pesante fosse venuta fuori. Fu sul punto di chiedersi quale gigantesca creatura avessero cercato di trattenere oltre quella recinzione, quando udì la risposta nell’aria. Un ruggito terribilmente familiare spezzò il silenzio, nelle immediate vicinanze.
Il tirannosauro era tornato.
Lara era pronta, stavolta. Impugnò le pistole mentre il T-rex la individuava e si lanciava in un nuovo feroce attacco. La ragazza scappò nuovamente nella direzione opposta, dirigendosi verso il muro della recinzione; il dinosauro avanzò minaccioso, convinto di averla messa in trappola. Lara non si fermò e corse su per il muro, mentre il T-rex abbassava l’enorme testa; l’archeologa balzò all’indietro e fece fuoco. Il tirannosauro urlò mentre una manciata di proiettili gli spappolavano un occhio, e andò a sbattere contro la recinzione. Lara atterrò poco lontano, sorridendo per la prima volta durante quella pessima giornata.
Il tirannosauro si rialzò, ferito ma più furioso che mai. Lara indietreggiò un poco; non era la prima volta che uccideva un T-rex, occorreva solo un po’ di pazienza. Strinse perciò la presa sulle pistole, pronta per il secondo attacco.
Ci fu un lampo improvviso, e il rombo di un tuono echeggiò in tutta l’area circostante. Lara vide distintamente un fulmine abbattersi sul tirannosauro, facendolo cadere all’indietro; la scarica elettrica fu così forte che la bestia fu abbattuta all’istante, riducendola a un’enorme carcassa fumante nel giro di pochi secondi.
Lara era esterrefatta. Non riusciva a capire da dove provenisse quel fulmine, tanto era stato improvviso e provvidenziale. Poi, tuttavia, dal cielo giunse la risposta che cercava.
Natla atterrò con grazia di fronte a lei, lo sguardo duro e minaccioso come al solito. Aveva un aspetto diverso dal loro ultimo incontro: la regina di Atlantide aveva abbandonato la tuta bianca, e ora indossava un’armatura in stile nordico, simile a quello di una valchiria. Un abbigliamento che si confaceva all’arma che ora stringeva in mano, un grosso martello nero adorno di simboli runici.
Lo sguardo di Lara s’indurì a sua volta non appena la riconobbe.
« Natla! »
« Salve, Lara » salutò lei, compiaciuta. « Pare che io sia arrivata appena in tempo... non mi andava l’idea di lasciare a un dinosauro il merito di averti uccisa. Vedo inoltre che ti sei separata dai tuoi amici, e questo rende tutto più semplice. »
Lara guardò per un attimo il T-rex morto, prima di concentrarsi di nuovo sulla sua nemica.
« Come hai fatto a trovarmi? »
« Con il sistema tradizionale: cercandoti. Ho setacciato vari settori di Oblivion prima di trovare le tue tracce su quest’isola. È stata una lunga ricerca, ma la mia pazienza è stata finalmente premiata; e ho portato anche un vecchio amico, come vedi. »
E indicò il martello tra le sue mani. Lara rimase quasi senza fiato per lo stupore.
« Quello è... il Martello di Thor! »
« Esatto » concordò Natla. « Ritrovato nel Cimitero dei Mondi... insieme a tutta l’attrezzatura necessaria per maneggiarlo. Mi aspettavo di dover competere con Excalibur, ma pare che tu abbia perduto anch’essa... in tal caso il nostro duello sarà molto breve. »
Lara strinse la presa sulle pistole, mentre un nuovo flusso di ricordi irrompeva nella sua mente. Il Martello di Thor... un’altra arma mitologica, giunta in possesso dell’archeologa durante la ricerca di sua madre. La stessa arma era servita a sconfiggere Natla, prima che lei potesse distruggere il mondo con il suo piano diabolico... poi era andata perduta di nuovo, caduta in un fiume di liquido mortale.
Ma nulla andava perduto per sempre, e poteva essere ritrovato nel Cimitero dei Mondi, come appena dimostrato da Natla; Lara vide anche la cintura e i guanti necessari per impugnare il Martello, e questo rendeva tutto più difficile. L’arma più potente del mondo era ora tra le mani della creatura più spietata che avesse mai incontrato... ma ciò non significava che l’avrebbe avuta vinta così facilmente.
Lara alzò le pistole, puntandole contro Natla.
« Siamo di nuovo faccia a faccia, dunque » dichiarò l’archeologa. « Era quello che volevi, no? Solo tu e io, senza alleati in grado di aiutarci o di intromettersi. Se vuoi il duello, lo avrai... ma non sottovalutare il tuo nemico solo perché è sprovvisto di superarmi! »
Natla restò in silenzio, ma in compenso fece un sorriso maligno.
« Dunque preferisci batterti » osservò. « Hai sempre avuto un gran fegato, mia cara, oltre alle tette...  ugh! »
All’improvviso si era piegata in avanti, reggendosi il collo con la mano libera.
« Non hai una bella cera » disse Lara, notandola.
Natla tornò in guardia subito, ignorando quella fitta di dolore.
« Tra poco... tu ne avrai una ben peggiore! »
Lara non si lasciò comunque ingannare: a un’occhiata più attenta, la sua nemica appariva in condizioni più gravi di quanto volesse ammettere. Era febbricitante e aveva il fiatone... inutile dire che forse era malata, ma non ci fu il tempo per accertarsene.
Il Martello brillò di luce. Lara si gettò a terra, appena in tempo per schivare un fulmine che si abbatté invece sull’asfalto, distruggendolo. L’archeologa rispose al fuoco, sparando numerosi colpi con pistole di Revy; Natla spiccò il volo e schivò le pallottole, e nel frattempo scagliava un nuovo fulmine. Lara cominciò a correre; doveva continuare a muoversi, per impedire a Natla di prendere la mira con quell’arma. Sapeva che un solo colpo, se andato a segno, sarebbe bastato per incenerirla all’istante.
Che fare? Con una come Natla era inutile mettersi a discutere, soprattutto dopo il loro ultimo incontro. Non aveva scelta, doveva fermarla una volta per tutte... ma prima doveva separarla dal Martello, e sapeva come fare; le occorreva solo l’occasione giusta.
E l’occasione giunse poco dopo dal cielo, imprevista ma ben accetta. Natla era ancora sospesa in aria quando fu aggredita alle spalle da qualcosa di enorme: uno Pteranodon, un dinosauro volante dal lungo becco affilato. La regina di Atlantide fu presa alla sprovvista, ma reagì subito all’attacco.
« Argh! Lasciami, dannato uccellaccio... come osi...! »
Lara non poteva chiedere di meglio. Mentre i due mostri si agitavano nel cielo sopra la sua testa, non appena furono abbastanza vicini, l’archeologa sparò con il lanciagranate, mirando alla cintura di Natla. L’esplosione investì la donna alata e lo pteranodonte, separandoli l’una dall’altro. Qualcosa di piccolo e scintillante cadde a terra; Natla non lo recuperò, pensando piuttosto a sbarazzarsi del suo feroce aggressore. Un nuovo fulmine scaturì dal Martello e si abbatté sullo pteranodonte; la bestia precipitò nella vegetazione oltre la strada, sparendo alla vista.
Natla atterrò. La granata e il dinosauro le avevano arrecato appena qualche graffio, ma appariva comunque affaticata. Tornò subito a guardare Lara, più furiosa che mai, quando accadde un nuovo imprevisto: il Martello di Thor divenne improvvisamente troppo pesante e cadde a terra; Natla cercò di sollevarlo, ma invano. Guardò i suoi guanti, che non brillavano più, e quando rivolse lo sguardo sulla cintura capì cosa non andava.
« Perso qualcosa? » dichiarò Lara, mostrandole ciò che aveva perduto: la fibbia della Cintura di Thor, staccatasi dopo l’esplosione e raccolta subito quando era caduta a terra. Essa dava energia ai guanti per sollevare il Martello; senza di essa, l’arma era inutile.
Lo sguardo di Natla si riempì di orrore, aggiungendosi alla rabbia.
« Maledetta... ridammela subito... argh! »
La donna crollò a terra, toccandosi il petto come se stesse avendo un infarto, sotto lo sguardo stupefatto di Lara.
« Ghhh... quel male...detto... vampiro... »
Lanciò un urlo agghiacciante, pervasa da un dolore che sembrava divorarla all’interno. Dopo una breve agonia, ancora inspiegabile agli occhi di Lara, si accasciò al suolo.
L’archeologa attese per almeno un minuto, avanzando lentamente con le pistole in pugno. Si aspettava una nuova reazione da parte di Natla, che tuttavia non avvenne. Quando fu sopra di lei le toccò il collo; niente battito. Vide inoltre una ferita simile a un morso, avvenuta di recente.
Barnabas...
Aveva molti dubbi, ma solo una certezza. Natla era appena morta davanti ai suoi occhi, su quella strada nel bel mezzo del Jurassic Park. Il Martello di Thor giaceva lì accanto, intatto e inutile. Lara pensò subito a recuperarlo, indossando la Cintura e i Guanti presi dal cadavere della nemica; ancora non sapeva cosa aspettarsi, ma l’istinto di sopravvivenza le diceva di prendere tutto ciò che poteva finché era in tempo.
I Guanti di Thor tornarono a brillare sulle sue mani, e fu così in grado di sollevare il Martello. Fu allora che un nuovo rumore attirò la sua attenzione... sembrava un applauso. Si voltò e vide un nuovo individuo, apparso come dal nulla su quella strada: un uomo vestito con un lungo soprabito bianco, il cui volto era celato completamente da un cappuccio; due ali nere da uccello spuntavano dalla sua schiena.
« Complimenti, Lara Croft » dichiarò lo sconosciuto, terminato l’applauso. « Sei sopravvissuta. »
Lara lo fissò incuriosita.
« Tu... chi sei? »
« Io sono Nul. »
L’archeologa trattenne il fiato, e il suo sguardo si spostò diverse volte su Lara e sull’incappucciato.
« Ma cosa è successo? » domandò. « Perché è morta all’improvviso? »
« Non ricordi più? » fece Nul. « Natla era stata morsa giorni fa da quel vampiro, Barnabas Collins. So che non sei una patita del cinema horror, ma dovresti sapere bene che il morso di un vampiro comporta spesso conseguenze spiacevoli. »
Lara non chiese come Nul facesse a sapere dell’accaduto. Se era davvero il padrone di quel mondo, allora era come un dio: onnisciente, onnipotente e tutto ciò che questo comportava. Piuttosto era la sorte di Natla a preoccuparla, se doveva credere alle cause del suo improvviso decesso.
« Vuoi dire... che diventerà un vampiro? »
Nul scosse la testa.
« Nah... Natla non è umana, ma per il suo corpo quel morso è stato comunque velenoso... e l’ha indebolita lentamente, fino a ucciderla. Non poteva evitarlo, è stata incauta fin da quando ha pianificato di assalirti a Burton Castle, e ora ha finalmente pagato per il suo errore. Ti posso garantire che non si rialzerà mai più. »
« Be’, meglio così » ammise Lara. « Ora che si fa? Se Natla è morta e io sono viva, significa che ho vinto la sfida. Mi riporterai nel mio mondo? »
Nul rise.
« Uhuhuh... chi ha detto che hai vinto la sfida? E poi, mi è parso di percepire una buona dose di affetto nei confronti del tuo alleato Luke. Vorresti davvero andare via senza salutarlo? »
« Luke? Che cosa gli hai fatto? » disse Lara, stringendo la presa sul Martello.
« È sopravvissuto, proprio come te... e tutti gli altri. »
L’incappucciato si avvicinò e le tese una mano. Lara esitò: non si fidava di quel tipo, eppure sentiva che dargli la mano era la cosa giusta da fare. Così si abbassò e strinse la mano a Nul...
Poi tutto il mondo divenne buio, e Lara perse conoscenza.

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Capitolo 30
*** Il fulmine rosso ***


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Capitolo 30. Il fulmine rosso

 

« Io non ho mai rinunciato a te... »

Ginny...?

« Mai... »

« Ugh... »

Harry Potter riprese conoscenza. Era per terra a faccia in giù; l’aria umida gli riempiva le narici. Sentiva il suolo freddo e duro sotto la guancia e la stanghetta degli occhiali, spostati di lato, premuta contro la sua fronte. Sentiva un leggero dolore dappertutto; i suoi vestiti erano umidi, come se fosse uscito da poco dall’acqua. Voleva alzarsi, ma rimase dov’era, gli occhi socchiusi... dal momento che accanto a lui c’era qualcuno. Qualcuno la cui voce non era affatto familiare.

« ...favolosa! » commentò quella voce, giovane e femminile. « Acciaio incantato dei folletti, un notevole potere magico, elsa in oro massiccio... e guarda che rubino! Un autentico capolavoro... non poteva capitarmi tra le mani un tesoro più grande! »

Harry aprì gli occhi un po’ di più. La sconosciuta che parlava a voce alta gli dava le spalle, ma riconobbe l’arma stretta tra le sue mani: la spada di Grifondoro. In un attimo realizzò di essere stato derubato... ma non di tutto; la sua mano si era mossa lentamente verso la tasca, dove trovò ancora la Bacchetta di Sambuco. Strano che la sconosciuta non l’avesse presa, ma questo andava tutto a suo vantaggio.

« ...ci farò sicuramente una fortuna! Aspetta, dovrei davvero venderla? Quando mi capiterà un’altra spada del genere? È già tanto che abbia trovato un po’ d’oro in questo mondo putrido. Ah, intanto pensiamo a tornare a casa... il tempo di abbuffarmi, darmi una rinfrescata e poi valuterò le offerte. »

« Ehi, tu! »

Harry si era alzato, puntando subito la Bacchetta contro la sconosciuta. Questa si voltò subito, e la sua sorpresa parve contagiare il ragazzo.

La ladra era poco più che una ragazzina; dimostrava circa quindici anni. Più bassa di Harry di tutta la testa, aveva grandi occhi scarlatti e una folta chioma di capelli rossi; indossava una giacca e pantaloni color porpora, con guanti e stivali bianchi muniti di accessori, il tutto avvolto in un ampio mantello nero. Non aveva altre armi, a parte la spada di Grifondoro che ancora impugnava.

« Ehm... mettila subito giù » ordinò Harry, cercando di restare serio. « Quella spada non ti appartiene, e ti conviene restituirmela. »

La ragazza lo guardò male e, anziché obbedire, appoggiò la spada alla spalla e la mano libera su un fianco. Aveva assunto un’aria di sfida, per non dire superba.

« Però, non mi aspettavo che ti riprendessi così presto » commentò. « A saperlo, ti avrei legato come un salame. »

« Già, ho la pelle dura, io. Ora ridammi la spada. »

La ragazza allargò il sorriso. Nonostante fosse sotto tiro, non provava il minimo timore.

« Che succede se ti rispondo di no? Mi colpirai con il tuo bastoncino? »

« Esatto. È un bastoncino potente... vuoi scoprire quanto? »

Harry cercò di nascondere la curiosità, vista la situazione. Era evidente che la ragazza non sapesse cosa fosse una bacchetta... eppure restava sicura di se, come se avesse qualcosa da nascondere. Forse un grande potere, come Sora e i suoi amici.

« Hah... solo gli scemi e gli ignoranti osano sfidare la grande Rina! E tu, bel faccino, sembri appartenere a entrambe le categorie! »

« Expelliarmus! »

La spada balzò via dalla mano di Rina, cadendo a terra. La ragazza rimase stupefatta per alcuni secondi, poi tornò a guardare Harry con occhi furiosi.

« Grosso errore, bel faccino... Palla di fuoco! »

Un globo di fuoco eruppe dalle mani della ragazza, che lo sparò dritto contro Harry. Il giovane mago si scansò di lato, troppo sorpreso per riuscire a difendersi con un altro incantesimo.

« Sei una strega? »

« Io sono la strega » dichiarò lei con aria di sfida. « Sono Rina Inverse, la bellissima e abilissima maga, nonché cacciatrice di tesori. La tua spada è proprio quello che fa per me, perciò togliti di mezzo... o preparati ad essere incenerito! »

Harry si rialzò in piedi, stringendo la presa sulla bacchetta.

« Non ho mai sentito parlare di te... ma questo non cambia nulla. La spada di Grifondoro va meritata, non lascerò che finisca nelle mani di una ladra come te! Stupeficium! »

Rina schivò l’incantesimo, contrattaccando un istante dopo. Agitò le mani in gesto fluido, mormorando nel frattempo una formula magica.

« Potenza del fuoco e del vento, riunitevi nelle mie mani e colpite il nemico con la forza di un fulmine! »

Una scarica elettrica eruppe dalle sue dita, abbattendosi su Harry.

« Protego! »

La barriera invisibile lo protesse come uno scudo, fermando il fulmine a metà strada. Rina sfoggiò un’espressione a metà tra il fastidio e lo stupore, ma nel frattempo attaccò ancora.

« Freccia di luce! »

La ragazza assunse una nuova posa, come se impugnasse un arco invisibile: una freccia luminosa apparve sul braccio teso in avanti. Harry vide un’apertura e decise di sfruttarla; abbassò la bacchetta, concentrandosi al massimo sulla destinazione...

Mentre Rina scagliava la freccia sul ragazzo, questi si Smaterializzò, un istante prima che lo colpisse.

« Cosa? Dov’è andato? »

Crack!

Harry riapparve alle sue spalle. Il rumore spaventò Rina, che perse l’equilibrio e cadde a terra.

« Incarceramus! »

Un groviglio di corde apparso dal nulla immobilizzarono la ragazza a terra, legandola per i polsi e le caviglie. Harry restò fermo, puntandole contro la bacchetta.

« Ehi! » protestò Rina, divincolandosi inutilmente. « Ti sembra il modo di trattare una ragazza? »

« Sì, se quella stessa ragazza cerca di rapinarmi » rispose Harry, serio. La ignorò per un attimo, mentre si apprestava a recuperare la spada dal terreno.

« Bah... speravo almeno di trascorrere i miei ultimi giorni con qualche bel gioiellino tra le mani, ma sembra che non posso godermi nemmeno questa soddisfazione. Avanti, allora... uccidimi e facciamola finita! »

Harry aggrottò la fronte, incredulo.

« Non voglio ucciderti. Per chi mi hai preso, scusa? Io non ammazzo la gente a sangue freddo... cerco di evitarlo, se posso. »

Rina replicò la sua stessa espressione.

« Non uccidi? Allora sei un eroe come me! Perché non lo hai detto subito? »

« Perché, tu saresti un eroe? »

Rina sbuffò seccata. Schioccò le dita, e le corde si trasformarono in cenere, liberandola dalla stretta; si rialzò dunque in piedi, sotto lo sguardo sempre più incredulo di Harry. Aveva spezzato un incantesimo della Bacchetta di Sambuco!

« Ma tu... chi sei? »

« Credevo di essermi spiegata. Sono Rina Inverse... nel mio mondo sono famosa per le mie imprese, sia le buone che le cattive. Non fraintendermi, ho cominciato come ladra ma con il tempo mi è capitato di salvare sempre più spesso la situazione. E tu chi sei, invece? Un mago di grande talento, senza dubbio, ma con una scarsa educazione visto che ancora non ho saputo il tuo nome. »

« Ah già, perdonami » fece Harry, riponendo la bacchetta. « Mi chiamo Harry. Harry Potter. »

I due si strinsero la mano. Ormai avevano capito entrambi di non avere nulla da temere l’uno dall’altra, perciò potevano considerare conclusa l’ostilità.

« Molto piacere, Harry. Hai un arnese davvero interessante, sai? » disse Rina, alludendo alla bacchetta. « Non credevo che fosse dotato di un simile potere... la tua spada aveva attirato completamente la mia attenzione, perciò non l’avevo notato subito. »

« Nel mio mondo, le bacchette sono indispensabili per fare le magie. A me, invece, ha sorpreso il fatto che tu non ne hai alcun bisogno. »

« Veniamo da mondi diversi, mio caro... eppure abbiamo qualcosa in comune, non sei d’accordo? »

Harry annuì.

« Bene, direi che posso stare tranquilla in tua presenza, ora che ci conosciamo un po’ meglio. »

« Se lo dici tu... ehm, tu sai dove ci troviamo? » chiese il ragazzo, che iniziò a guardarsi intorno per la prima volta.

« A Oblivion, naturalmente: il regno di quel maledetto conosciuto come Nul. »

La risposta, per quanto scontata, fu comunque un duro colpo per Harry. Il ragazzo spostò lo sguardo in varie direzioni. L’improvviso scontro con Rina gli aveva impedito di familiarizzare con l’ambiente circostante: capì di trovarsi su una strada di montagna spoglia e silenziosa, avvolta dalla nebbia; un corso d’acqua scorreva a pochi metri da lui, lo stesso da cui Rina lo aveva tirato fuori per derubarlo. Il cielo sopra di loro era grigio, coperto come al solito dalle nuvole.

Harry s’incupì ancora una volta. Non aveva idea di come fosse arrivato laggiù, né quanto tempo fosse passato dal naufragio del Titanic a cui era scampato. Il fatto più grave era quello di essersi separato dal resto dei Valorosi... era nuovamente solo, con l’unica compagnia di una maga dai modi discutibili.

Un brontolio allo stomaco interruppe il silenzio che si era creato. Harry guardò Rina imbarazzato, che tuttavia gli sorrise comprensiva.

« Fame, eh? » commentò. « D’accordo, seguimi... non mi va di avere un eroe morto di fame sulla coscienza. »

Rina invitò Harry a seguirlo, e lui obbedì. I due s’incamminarono lungo la strada, addentrandosi sempre più nel territorio montano. Harry realizzò in breve tempo quanta desolazione lo circondasse: camminavano ai piedi di una grande montagna, colma di tronchi secchi; un tempo doveva essere stata una foresta rigogliosa, colpita da chissà quale catastrofe. La cima del monte era costituita da due picchi gemelli, che si innalzavano sui resti della foresta circostante. Tra di essi, vide Harry, sorgeva un albero di dimensioni colossali, annerito e bruciato come il resto della foresta; le sue enormi radici, tuttavia, si spargevano ancora per tutto il monte.

« Miseriaccia » mormorò Harry, sconvolto. Anche dopo aver visto con i suoi occhi gli orrori del Cimitero dei Mondi, non poteva ancora abituarsi alla devastazione che ricopriva un mondo intero. Ora che si erano avvicinati, inoltre, il ragazzo poté notare anche i numerosi scheletri che costellavano la zona.

« Già, è terribile » commentò Rina, intercettando la sua reazione. « Quello che vedi è ciò che resta di Nordrassil, l’Albero del Mondo di Azeroth. Preso da Nul come settore per il suo campo di battaglia, è stato teatro di uno dei suoi cicli di guerra... con conseguenze devastanti. Ormai è stato abbandonato da un pezzo, e visto che preferisco stare alla larga dai rompiscatole ho deciso di stabilirmi qui. Ecco, da questa parte. »

Rina guidò Harry fino a una radice dell’Albero, dove aveva realizzato il suo rifugio: un’ampia caverna scavata nel legno, sufficiente per ospitare un gruppo di persone. La giovane strega l’aveva riempito con tutto ciò che aveva potuto recuperare nei dintorni: armi, utensili e alcuni gioielli e pietre preziose. Il ragazzo suppose che li avesse presi ad altri sventurati che lo avevano preceduto. Al centro vi era uno spiazzo per accendere il fuoco. Rina si occupò subito di preparare qualcosa da mangiare, e poco dopo i due si sedettero insieme per gustarsi un saporito pesce di fiume. La ragazza, notò Harry, non aveva un gran senso del decoro mentre divorava la sua parte.

Era il momento giusto per conoscersi meglio. Così Harry, terminato il suo pasto, attaccò a parlare, raccontando della sua vita prima di raggiungere Oblivion; di Voldemort, la sua nemesi (anche se evitò di pronunciarne il nome ad alta voce, temendo potesse rintracciarlo), riportato in vita da Nul; di come si fosse unito ai Valorosi e del viaggio insieme a loro per trovare Nul, fino al naufragio. Rina ascoltò fino alla fine con attenzione, senza mai intervenire. La giovane strega lo fissò con aria ammirata, seduta un po’ troppo vicino a lui.

« Però, non immaginavo che avessi vissuto così tante avventure, Harry » commentò con un sorriso. « A una prima occhiata ti credevo solo uno sfigatello finito nel posto sbagliato... ma ancora una volta le apparenze ingannano. »

« Heh... grazie » fece Harry. « E di te che mi dici, invece? Qual è la tua storia? »

« Mah, su di me non c’è molto da dire. Vengo da un mondo più arretrato del tuo, diviso in regni ed imperi, dove la vita è assai dura per tutti. Laggiù i maghi non si nascondono, ma vivono all’aria aperta insieme a tutte le altre razze: uomini, orchi, troll, folletti e così via. Io sono solo una delle tante povere anime che cercano di tirare avanti. A me interessano solo tre cose: l’oro, buon cibo, e la magia... e se potevo avere tutto questo con la mia attività di ladra, mi stava più che bene; così, dopo aver studiato la magia mi sono messa a girare per il mondo, rubando bottini e tesori agli altri furfanti.

« La mia serie di “buone azioni” è cominciata quando ho incontrato i miei amici: Gourry, l’ottuso, intrepido e affascinante spadaccino... Zelgadis, il mago chimera... e la giovane principessa Amelia. All’inizio furono il profitto e i nemici comuni a renderci alleati, ma poi siamo rimasti insieme come veri amici. Insieme a loro ho vissuto numerose avventure; abbiamo sconfitto malvagi, svelato misteri e salvato molta gente dai pericoli. Questo ha fatto di me un’eroina, senza dubbio, anche se non mi è mai importato sul serio.

« Poi ho perso tutto all’improvviso. Era un giorno come tanti sul mio mondo, quando l’ho visto svanire: un’ombra gigantesca si era levata dall’orizzonte, avvolgendo il mondo intero nell’oscurità. Persi conoscenza, e quando rinvenni mi ritrovai qui... pronta a combattere nella sfida di Nul. »

Rina tacque, piegando la testa all’indietro. Il suo sguardo si perse sul soffitto della caverna, invasa dal calore del fuoco.

« Sai perché so cosa è successo qui? » riprese. « Perché ne ho preso parte, mio malgrado. Nul aveva organizzato una battaglia di proporzioni enormi ai piedi dell’Albero del Mondo, reclutando diversi brutti ceffi dagli altri mondi: il mago Kefka, clown psicopatico; il Re dei Lich, signore dei Non Morti; Rezo, il Monaco Rosso... mio mortale nemico del mondo da cui provengo. Questi individui, convinti da Nul a combattere in cambio della promessa di tornare in vita, avevano radunato un vasto esercito di mostri per stanare i loro bersagli... me compresa. Così mi sono ritrovata a unire le forze con gli altri eroi prescelti: Tirion, paladino della Mano d’Argento... la principessa Daenerys, Madre dei Draghi... e Terra, una fragile ragazza dotata di enormi poteri magici.

« Non ero entusiasta di unirmi a una simile battaglia, ma che potevo fare? Rezo non avrebbe smesso di darmi la caccia, tanto valeva chiudere subito i conti. La battaglia fu dura, ed entrambi ci riducemmo allo stremo delle forze. Sarei morta se non fosse intervenuta Terra: poveretta... la vidi perdere il controllo e trasformarsi in una specie di spirito distruttore, che si avventò su Rezo e lo fece a pezzi. Ma poi capii che non distingueva più gli amici da nemici, e... fui costretta a fermarla, ricorrendo al mio incantesimo più potente. Insieme a lei colpii l’Albero. Un’ondata di fuoco investì ogni cosa, e... »

La voce le si spezzò, e non finì la frase. Harry restò in silenzio, dimostrandosi apprensivo. Rina aveva ragione, le apparenze ingannano: poteva sembrare cinica e presuntuosa, ma in fondo anche lei aveva un animo sensibile. Nemmeno una come lei poteva restare indifferente a massacri ed orrori, specie se ne prendeva parte.

« Al mio risveglio, ero l’unica sopravvissuta al disastro » riprese Rina. « Terra, Tirion, Daenerys e tutti gli altri ignoti eroi al nostro fianco... morti, o scomparsi nel nulla. Il mio nemico aveva fatto la stessa fine, ma questo non mi ha permesso di tornare al mio mondo... a quanto pare, Nul non è tipo da rispettare le regole. Da allora sono rimasta qui, in attesa di riorganizzarmi a dovere per affrontare quel maledetto. »

Harry continuò a tacere. Gli sembrava di essere tornato indietro nel tempo, ad ascoltare momenti dolorosi altrui; come quelli di Dylan Dog o del professor Silente, il preside della sua scuola. E oggi come allora, era intenzionato a fare ben di più che restare ad ascoltare.

« Mi dispiace tanto » disse infine. « Posso capire quello che provi. Anche io, dopotutto, ho combattuto in una guerra e visto morire degli amici. So che non serve a niente rintanarsi da qualche parte in attesa che passi la bufera... bisogna affrontarla a viso aperto, è per questo che ho unito le forze con altri eroi. E ora devo ritrovarli, se voglio tornare a casa. So che vuoi la stessa cosa, Rina, altrimenti ti saresti già arresa... perciò ti chiedo di unirti a me in questa ricerca. »

Rina si voltò a guardarlo. Dapprima il suo sguardo fu indecifrabile, poi si riempì di coraggio e ammirazione.

« Be’, non posso certo lasciare che un bel faccino come il tuo vada in giro là fuori tutto solo? » commentò, recuperando il suo solito tono arrogante. « E poi mi piace davvero molto la tua spada... e vorrei tanto riuscire a guadagnarmela. »

Harry le restituì un sorriso sarcastico.

« Non bastano le smancerie per meritarsela. Occorrono audacia, fegato e cavalleria... è questo che fa di una persona un vero Grifondoro! »

« Ah, tutto qui? Allora credo di essere già a buon punto. »

Inaspettatamente, i due scoppiarono a ridere.

Harry e Rina uscirono dal rifugio più tardi, dopo un breve riposo. Visto che la giovane strega aveva accettato di unirsi ai Valorosi per poter tornare a casa, entrambi erano intenzionati a ritrovare il resto del gruppo... ma sapevano che non sarebbe stato facile. Per prima cosa, Harry non poteva contare sulla Materializzazione per rintracciare i suoi amici; quella magia non poteva funzionare senza conoscere la destinazione, e sarebbe stato troppo pericoloso provarci. Rina, invece, era capace di volare, ma richiedeva troppo potere magico, e non sarebbero andati lontano comunque. Furono perciò costretti a farsela a piedi, lasciando con tutta calma il monte su cui sorgeva Nordrassil.

Rina faceva strada, ma nel frattempo stava praticamente appiccicata a Harry. Il ragazzo non era stupido: ormai aveva capito di piacerle, dato che continuava a chiamarlo ‘bel faccino’; lui stesso doveva ammettere che era una ragazza in gamba, astuta e carina... caratteristiche che, insieme a quei folti capelli rossi, la rendevano molto simile a Ginny. Ecco perché doveva ricordarsi di avere il cuore già occupato.

Aveva fatto una promessa, dopotutto... doveva tornare a casa da lei.

Superato il territorio montano, dopo alcune ore di marcia, Harry e Rina raggiunsero un villaggio. Questo aveva l’aria tetra, avvolto da una spessa coltre di nebbia; tutto questo, insieme al buio e all’assenza totale di abitanti, dava al luogo un aspetto spettrale... roba a cui entrambi i ragazzi erano abituati.

« Ho visto cimiteri più accoglienti di questo posto » commentò Rina, guardandosi intorno. « Tu che ne pensi, Harry? »

« Uhm... è davvero strano che non ci sia nessuno » disse il ragazzo. « Mi aspettavo almeno di incontrare dei Senzavolto, ma non c’è traccia nemmeno di quelli. »

Harry alzò la bacchetta. Il suo fascio di luce individuò un cartello all’ingresso del villaggio, ancora leggibile nonostante fosse consumato dal tempo.

Little Hangleton. Un nome familiare, ma in quel momento nulla gli tornava alla mente.

« Ah! »

Sentì una fitta violenta alla cicatrice, come non ne sentiva da giorni. Rina notò la sua reazione, e si avvicinò.

« Tutto bene? »

« Sì... credo di sì. »

Mentiva. Harry sapeva benissimo cosa significava quel dolore. Anche se aveva imparato come chiudere la mente, non era ancora così pratico nel farlo... e se ora sentiva dolore alla cicatrice, la spiegazione era una sola.

Voldemort era vicino.

« Rina, ascoltami » cominciò a dire Harry, ma un brusco rumore attirò l’attenzione di entrambi. I due ragazzi si voltarono in due direzioni opposte. Le porte delle case vicine si erano spalancate di colpo. Un vecchio orrore emerse dalle tenebre di ogni abitazione nei paraggi: i morti. Decine di uomini camminavano lentamente verso di loro, l’aspetto cadaverico e famelico; puntarono inequivocabilmente su Harry e Rina, già scattati in posizione di guardia.

« Di nuovo gli Inferi! » esclamò Harry, esasperato. « Questa storia comincia a stufarmi! »

« Se credi che basterà a convincerli a non mangiarci, provaci pure » disse Rina. « Io intanto penso a farli secchi... Fuoco rosso dalla luce brillante vieni a me e dammi nuova forza. Palla di fuoco! »

Il suo incantesimo brillò nel buio, dritto contro il gruppo di non-morti più vicino. Il fuoco divampò e li investì in pieno, distruggendoli in pochi attimi. Harry, incoraggiato dal gesto della sua alleata, si unì alla lotta. Ricordò che con i non-morti erano efficaci il fuoco e la luce, perciò si concentrò nell’esecuzione d’incantesimi adeguati.

« Incendio! »

Un cerchio di fuoco eruppe intorno ai due ragazzi, proteggendoli dall’avanzare dei non-morti. Alcuni, tuttavia, cercarono comunque di passare, ignorando le fiamme che poco a poco li consumavano. Rina si fece avanti e li respinse, combinando magie e qualche calcio ben assestato. Harry fu distratto da una nuova ondata di non-morti, che si avventarono su di lui; afferrò la spada di Grifondoro, ma uno di essi gli venne addosso, facendogliela cadere di mano. Mani putride si strinsero sulla sua gola, impedendogli di pronunciare il giusto incantesimo. Era nei guai...

« Tieni duro, Harry! »

Rina accorse in un attimo. Nel giro di un istante aveva raccolto la spada, e usato la stessa per decapitare lo zombi. Harry agì subito dopo; agitò la Bacchetta di Sambuco, e il muro di fuoco aumentò di volume e potenza. I non-morti più vicini furono ridotti in cenere, mentre gli altri batterono in ritirata. Il ragazzo afferrò dunque Rina per un braccio, chiuse gli occhi e si Smaterializzò.

Il duo atterrò fuori dal villaggio, dalla parte opposta. Buio e silenzio li circondavano di nuovo, insieme alla nebbia. Harry strizzò gli occhi: si trovavano su un sentiero ai piedi di una collina, che conduceva verso un cimitero.

Il dolore alla cicatrice aumentò.

« Uff... il tuo teletrasporto non mi piace per niente » lamentò Rina, reggendosi lo stomaco. Harry la fissò, pensieroso: lei aveva ancora la spada di Grifondoro in mano, con la quale gli aveva appena salvato la vita.

« Strano... ero convinta che il Re dei Lich fosse crepato nella battaglia all’Albero del Mondo. Eppure siamo stati appena assaliti da un’orda di non-morti... quale potere li avrà rianimati? »

« Credo di saperlo » rispose Harry, cupo. Il ragazzo si avvicinò a Rina, fissandola negli occhi. « Ora devi ascoltarmi attentamente, Rina. Fai quello che ti dico, e sarai al sicuro. Vattene... allontanati più che puoi. »

« Cosa? Perché? »

« Il mio nemico è vicino, lo sento... mi fa male la cicatrice. È stato lui a rianimare quei morti; sa che sono qui e li ha usati per stanarmi. Tu-Sai-Chi vuole me, ed è disposto ad ammazzare tutti quelli che mi stanno vicino. Non voglio metterti in pericolo inutilmente, lo capisci? »

Rina apparve preoccupata, ma solo per pochi secondi. Dopodiché recuperò la spavalderia, e strinse la presa sulla spada.

« Non devi preoccuparti per me, so cavarmela contro gli stregoni. »

« Ne sono certo » convenne Harry, « ma è un rischio che non posso e non voglio correre. Rina, ormai sei diventata importante per me... e se ti accadesse qualcosa per colpa mia non potrei perdonarmelo. Perciò, ti prego... lasciami andare. »

Lo aveva detto mentre l’afferrava per le spalle, in un comune gesto di supplica. Ma questo non bastò a convincere Rina, che indurì lo sguardo.

« Io non ti abbandonerò, Harry » disse con decisione. « Anch’io ho perso i miei cari, in questo mondo come nel mio... e anche se ti conosco da poco, so già che posso aspettarmi da te tutto ciò che ci si può aspettare da un caro amico. Tu sei tutto ciò che mi è rimasto di caro... e non ti libererai di me con così poco. »

Harry sperava di convincerla a parole, perché l’alternativa non gli piaceva per niente. Ma doveva farlo, per assicurarsi che Rina restasse indietro. Così si chinò su di lei e la baciò sulle labbra, sorprendendola; lei rispose al bacio, e fu un breve oblio. Non era male, si disse, ma doveva restare concentrato, e la strinse in un dolce abbraccio; poi la fissò negli occhi.

« Perdonami. »

Petrificus totalus.

Lo aveva detto senza parlare. L’incantesimo colpì Rina, paralizzandola dalla testa ai piedi; il suo sguardo esterrefatto rimase congelato mentre il corpo irrigidito cadeva all’indietro. Harry l’afferrò al volo, posandola delicatamente a terra.

« Tieni » disse, posando la spada di Grifondoro sul suo petto. « Ora te la sei guadagnata sul serio, visto che poco fa mi hai salvato. Comunque vadano le cose, Rina... grazie di tutto. »

Il ragazzo si occupò di nasconderla prima di rimettersi in marcia, spostando il suo corpo dietro un grosso cespuglio; sperò che bastasse a celarla dal nemico, perché il tempo era ormai agli sgoccioli. La cicatrice bruciava sempre più forte... il momento della resa dei conti era vicino.

Harry salì su per la collina, addentrandosi nel cimitero. Era sicuro come la morte che lassù lo attendevano nuove sorprese... come se non ne avesse già avute a sufficienza in un solo giorno. Giunto sulla cima, il ragazzo ebbe davanti a sé una scena tristemente familiare: il cimitero di Little Hangleton era come lo ricordava, identico a quella terribile notte in cui stava per perdere tutto. Continuò a camminare, fino a ritrovarsi di fronte un’imponente tomba sormontata da una statua che raffigurava la Morte, armata di falce. Non era certo di ricordare quel dettaglio, ma il nome sulla lapide parlava chiaro.

 

TOM RIDDLE

 

Il dolore alla cicatrice era ormai alle stelle, ma poi cessò di colpo, come se qualcuno avesse premuto un tasto per spegnerlo. Subito dopo, una voce fredda e acuta parlò alle sue spalle.

« Harry... finalmente sei arrivato. »

Harry si voltò. Voldemort era lì, a pochi metri da lui; alto ed emaciato come sempre, i tratti serpentini sul volto e gli occhi rossi. Nulla era cambiato... anzi, sembrava essersi ripreso perfettamente dall’ultimo scontro. Il mago sorrideva, lieto di trovarsi ancora una volta di fronte al suo bersaglio.

« Mi dispiace di averti fatto aspettare, Tom » commentò Harry, ironico.

Voldemort rise, accarezzando la bacchetta con le sue lunghe dita.

« Familiare, non è vero? » disse, accennando al cimitero. « Dopotutto questo è il luogo in cui sono rinato... e in cui tu saresti dovuto morire. Sembra che Nul abbia un gran senso dell’ironia, non trovi? Si diverte a preparare gli scenari più adatti all’occasione... e nel mio caso, il più adatto per consumare una vendetta! »

Harry tacque, serio come non mai. Stringeva la presa sulla Bacchetta di Sambuco, ma ancora non intendeva sollevarla.

« Niente da dire, Potter? » aggiunse Voldemort. « Capisco... sei stufo di parlare, preferisci passare subito ai fatti. Molto bene, ti accontenterò. Un inchino, e la disputa avrà nuovamente luogo... solo tu ed io, ancora una volta. »

Il mago s’inchinò, alla maniera dei duelli di cui entrambi avevano memoria. Harry, tuttavia, non ripeté la stessa azione.

« No. »

« Cosa? »

« Non combatterò, Tom. Non ti affronterò, questa volta. »

Nella sua mente era ancora fresco il ricordo di come aveva rischiato grosso, durante il loro ultimo scontro: di come aveva ceduto all’ira e all’odio, diventando facile preda degli Heartless. Doveva ringraziare Sora per essere sfuggito all’abisso. Non era la paura, comunque, a trattenere la sua bacchetta... piuttosto, la consapevolezza di potersela cavare in un altro modo, senza combattere.

Voldemort sibilò, visibilmente sorpreso da quella dichiarazione.

« La tua è forse una resa? Sei venuto a morire, a sacrificarti? Allora dev’esserci sotto qualcosa... è un tranello, proprio come la volta scorsa. »

« No, sono semplicemente stufo » ammise Harry. « Stufo di scappare, stufo di combattere... sono stufo di te, Tom Riddle.

« Ho passato sette anni – sette! – a prepararmi a distruggerti. Sono tornato nel mondo a cui appartenevo, ho imparato la magia, mi sono fatto degli amici... ma alla fine dovevo comunque guardarmi da te, e dal tuo ritorno. Ero il Prescelto, dopotutto... il solo in grado di annientare per sempre il Signore Oscuro. Non ne andavo fiero, ma non potevo tirarmi indietro... dopotutto sei stato tu a cominciare, quando hai ucciso i miei genitori per arrivare a me. Sei stato tu, quella notte, nel tentativo di scongiurare il tuo destino di morte, a creare il tuo peggior nemico! »

Harry aveva alzato la voce di parecchio, lasciando uscire tutto ciò che provava per quel mostro davanti ai suoi occhi.

« Anche io avrei preferito agire diversamente » continuò. « “Nessuno dei due può vivere se l’altro sopravvive”. Dovevo ucciderti o essere ucciso. Non volevo scegliere, ma tu non ti saresti mai fermato... e ti ho affrontato. Ti ho vinto. Tu sei morto, infine... Voldemort è caduto, il Signore Oscuro è stato distrutto. Ciò che hai sempre temuto ti ha infine colto. »

Si aspettò che Voldemort scoppiasse nella sua solita, furibonda miscela di urla, nel tentativo di negare un’altra volta la verità sbattutagli in faccia. Invece...

« Sì, sono stato uno sciocco » ammise, abbassando lo sguardo. « Ti ho sempre sottovalutato, Potter... è stato questo il mio errore, la mia debolezza. »

Harry ne fu sorpreso, ma questo non cambiò nulla.

« Il tuo errore è stato quello di non voler mai capire ciò che non ritenevi importante » riprese il ragazzo. « Per te la magia è potere,  ma non hai mai capito che nella vita c’è qualcosa di molto più grande: amare, rispettare, dare la vita... è questo il vero potere. Ma tu hai sempre saputo solo disprezzare, a cominciare dalla tua stessa madre... ai tuoi occhi, colpevole di essere morta senza prendersi cura di te! »

« Mia madre? Che ne sai tu di mia madre? »

Harry fu lieto di vedere lo stupore riempire quegli occhi rossi da serpente.

« L’ho conosciuta, anche se per poco. L’ho vista nei ricordi che Silente aveva raccolto su di te: tua madre era debole, è vero... ma solo perché resa tale da anni di sofferenze e umiliazioni. Eppure, prima di morire, si era augurata il meglio per te... che assomigliassi a tuo padre. Se non mi credi, guarda pure dentro di me... scoprirai che ti sto dicendo la verità. »

Harry restò immobile, la bacchetta abbassata. Sapeva ciò che stava facendo: era certo di aver conquistato tutta l’attenzione di Voldermort, che avrebbe fatto ciò che gli aveva suggerito. Non si sbagliò. Il mago usò il suo potere e penetrò nella mente del ragazzo, frugando tra i ricordi su cui si era concentrato. Voldemort la vide, sua madre, per la prima volta nella sua vita: una fragile ragazza abbruttita, vittima della tirannia del padre e del fratello in un lurido tugurio, un inferno dalla quale pregava di uscire ogni giorno. Sentì la voce di Albus Silente, e le sue congetture sulla sorte di quella donna mentre metteva al mondo il piccolo Tom... e l’ultimo desiderio, ascoltato dalla direttrice dell’orfanotrofio che l’aveva accolta.

« Spero tanto che assomigli a suo padre. »

Voldemort tornò al presente. Harry era appoggiato alla tomba dei Riddle, leggermente affaticato; il contatto mentale era stato doloroso, ma presto tornò a sorridere, soddisfatto del risultato. Il suo nemico, infatti, era sconvolto. Mai in tutti questi anni aveva saputo davvero cosa fosse accaduto a sua madre; aveva solo fatto brevi supposizioni, finendo con il tagliare corto perché “era una debole”.

« Hai sempre saputo solo disprezzare... distruggere... e uccidere » riprese Harry. « E tutto per cosa? Per ottenere l’immortalità. Hai fatto a pezzi la tua anima per evitare di morire... ma sei stato incauto, nonostante tutto il tuo talento. La Pietra Filosofale, gli Horcrux, i Doni della Morte. Dimmi, Tom, ne valeva la pena? Per come la vedo io, è meglio una vita breve ma ricca di possibilità, piuttosto che un’eternità priva di senso. Eri davvero disposto a vivere per sempre, a trascorrere ogni attimo desiderando sempre maggior potere? »

Voldemort non rispose, ma il suo sguardo era assai eloquente. Fissava il vuoto con aria sconvolta, le sue orrende mani simili a ragni tremavano, allentando la presa sulla bacchetta. Il Signore Oscuro era stato sconfitto con le parole.

« Come pensavo. Sei patetico, Tom » dichiarò Harry. « Sai, Silente credeva che io provassi compassione per te, nonostante tutto... e aveva ragione. La gente ti credeva il più grande mago del mondo... ma per me non eri altro che un assassino! »

Voldemort cadde in ginocchio. Ormai non poteva più sopportare il peso di quella verità. Harry non ebbe altro da aggiungere, per lui l’incontro poteva concludersi così; per come stavano le cose, la sfida di Nul poteva andare al diavolo. Non avrebbe ucciso qualcuno che aveva già sconfitto.

« Addio, Tom. »

Il ragazzo si allontanò dalla tomba e superò Voldemort, ancora in ginocchio. Era tempo di tornare indietro, recuperando Rina... ormai non c’era più pericolo.

« Maledetto... »

Harry si fermò. Voltandosi, scoprì che Voldemort si stava rimettendo in piedi, respirando forte.

« Maledetto moccioso! » urlò, puntandogli contro la bacchetta. « Credevi che sarebbe bastato così poco per fermarmi? Non m’importa di ciò che dici... né di ciò che è stato. Sei ancora il mio obiettivo... la tua morte sarà la mia vita! »

Il ragazzo alzò la Bacchetta, esasperato, ma prima che potesse difendersi accadde qualcosa di inaspettato. Dalla boscaglia oltre il cimitero si levò una fortissima corrente d’aria, seguita da una sinistra luce rosso fuoco; Harry e Voldemort si voltarono, giusto in tempo per vedere qualcosa di enorme emergere dal bosco. Immenso e minaccioso, alto due volte un uomo e ricoperto da un’armatura nera, armato di mazza.

Harry ebbe un tuffo al cuore mentre i suoi occhi riconoscevano Sauron, l’ignoto ma potente avversario che aveva affrontato insieme ai Valorosi sul Titanic... il responsabile della loro separazione. Non riusciva a credere che fosse sopravvissuto anche lui al naufragio.

« Non è possibile... »

« E tu chi diavolo sei? » sibilò Voldemort, infastidito dall’inopportuna presenza di un estraneo. « Rivelami il tuo nome e le tue intenzioni. Se oserai intrometterti nella mia missione, te la faro pagare cara! »

Sauron abbassò lo sguardo sul mago, silenzioso e glaciale come sempre. Il vento parve vorticare intorno ai due, come per isolarli dal resto del mondo. Sauron avanzò di qualche passo, puntando l’indice; un anello dorato scintillava su di esso.

« ESISTE UN SOLO SIGNORE OSCURO... ED EGLI NON DIVIDE IL POTERE! »

Si era rivolto a Voldemort con quella voce agghiacciante. Harry ebbe un brutto presentimento e si mise al riparo, dietro la tomba dei Riddle. Un attimo dopo era già infuriato lo scontro tra le forze del male.

« Avada Kedavra! »

Voldemort non si era perso in chiacchiere, e aveva scagliato il suo famoso anatema per sbarazzarsi subito di un seccatore. Sauron fu investito dal getto di luce verde e barcollò per qualche attimo... ma non cadde; la maledizione non aveva sortito alcun effetto. Voldemort era allibito: un altro avversario era sopravvissuto all’Anatema che Uccide.

Sauron reagì subito dopo. Aveva riconosciuto la potenza del suo avversario, e decise di ripagarlo con la stessa moneta; la sua mazza fu avvolta da fiamme verdi e le scagliò in basso, dritte contro Voldemort. Questi si Smaterializzò e riapparve poco lontano, tra le tombe; sferzò l’aria con la bacchetta, e una serie di nuovi incantesimi, simili a scariche elettriche si abbatterono su Sauron. Il Nemico alzò il braccio libero, come per proteggersi; il metallo della sua armatura parve danneggiarsi sotto quei colpi, ma non si spezzò.

Harry rimase dov’era, impietrito per lo stupore. Davanti a lui infuriava un duello senza precedenti: un Signore Oscuro contro un altro Signore Oscuro... un autentico scontro fra titani. I loro poteri rivaleggiavano perfettamente, provocando danni enormi in tutta l’area; fiamme, vento e fulmini si abbattevano senza pietà in ogni direzione. Per questo Harry preferiva restare al riparo, temendo di essere colpito durante la fuga; era pericoloso anche Smaterializzarsi, perché l’energia sprigionata dal duello stava distorcendo lo stesso flusso magico.

Voldemort continuò ad attaccare, usando tutta la sua potenza e abilità nelle arti oscure. Sauron si muoveva lentamente, opponendo una dura resistenza; la sua armatura fumava in diversi punti. I colpi ricevuti sembravano fare effetto su di lui, ma non erano sufficienti ad abbatterlo. D’altro canto, lui non riusciva a colpire Voldemort, poiché continuava a Smaterializzarsi.

« Ah, capisco » osservò Voldemort, ricomparso di fronte al suo avversario. « La fonte del tuo potere, l’artefatto che ti conferisce tutta questa forza... è l’anello! »

Harry alzò lo sguardo, incuriosito. Voldemort indicava il piccolo anello dorato che Sauron indossava sulla mano destra.

« Sì, ora ne percepisco chiaramente il potere... è davvero notevole, per non dire sublime. Tutto quel potere contenuto in un oggetto così piccolo... è un nuovo cammino verso l’onnipotenza, e l’immortalità. Bene... sarà mio! »

La voce di Sauron tuonò nell’aria, ma nessuno capì cosa volesse dire la sua lingua nera. Ma per tutti i presenti fu chiara una cosa... era furioso. Il vento si fece più forte, abbattendosi su Voldemort che fu costretto a proteggersi con una barriera; dagli occhi di Sauron eruppe un raggio infuocato, che infranse la difesa dell’avversario. Voldemort cadde all’indietro, sorpreso da una tale potenza... ormai cominciava ad avere la peggio.

Sauron avanzò, sollevando la mazza. Voldemort svanì nel nulla un’altra volta. Harry volse lo sguardo, ma non lo vide riapparire da nessuna parte. Era fuggito? Poi tornò a guardare Sauron, che si era fermato. Il suo corpo si era irrigidito, come se si stesse congelando rapidamente; continuava a sussurrare parole sconosciute, e nel frattempo lasciava cadere la mazza a terra. La mano libera si avvicinò al dito dove portava l’anello, per sfilarselo...

Harry capì. Voldemort non era fuggito, era entrato nel corpo del suo avversario! Una possessione, come quella che una volta aveva subito sulla sua pelle. Un Signore Oscuro stava dunque per vincere l’altro.

« No! »

L’urlo di Sauron squarciò l’aria, e un’onda d’urto si abbatté in ogni direzione. Fumo nero fuoriuscì da ogni fessura dell’armatura del Nemico e si riversò a terra, condensandosi: Voldemort riapparve agli occhi di Harry, molto vicino, visibilmente stremato e sconvolto. Era quasi riuscito a impossessarsi dell’Anello, ma alla fine Sauron aveva resistito: un essere così malvagio, così legato alle tenebre, non poteva essere controllato nemmeno da un suo pari!

« No... maledetto... » sussurrò Voldemort. Era così debole da riuscire a malapena a reggere la bacchetta. Un nuovo raggio infuocato eruppe dall’elmo di Sauron, dritto contro l’arma del suo avversario; la bacchetta di tasso andò in briciole. Voldemort urlò; privo di difese, cercò di indietreggiare, finendo con le spalle al muro. La tomba di suo padre.

« ESISTE UN SOLO SIGNORE OSCURO. »

Sauron recuperò la mazza, levandola al cielo.

« Noooooo! »

Harry distolse lo sguardo, al sicuro dietro la grande lapide. Non voleva vedere né ascoltare, ma il suono dei colpi di mazza e le orribili urla di dolore raggiunsero ugualmente le sue orecchie. Udì un tonfo, poi un altro, e un altro ancora: Sauron stava massacrando Voldemort senza pietà. Il Signore Oscuro si fermò solo quando l’avversario smise di urlare.

Passarono solo pochi secondi. Il cuore di Harry batteva all’impazzata, mentre il suo cervello assimilava quanto era appena accaduto dall’altra parte della lapide. Una nuova onda d’urto investì questa, riducendola in frantumi; Harry fu spazzato via e cadde diversi metri più avanti. Ignorò il dolore alla schiena e fissò lo sguardo su Sauron: stava in piedi sopra i resti di Voldemort, ridotto in pochi istanti a una massa di sangue e pezzi di carne maciullata. Avrebbe dovuto immaginarlo... un essere del genere non si sarebbe mai fermato, finché aveva un avversario da affrontare: ora il suo bersaglio era Harry, ancora una volta.

Non aveva speranze di batterlo da solo, perciò l’alternativa fu una sola... scappare.

« Impedimenta! »

L’incantesimo colpì Sauron, immobilizzandolo per alcuni secondi. Harry ne approfittò per rialzarsi e prese dunque a correre, dirigendosi verso l’uscita del cimitero; doveva recuperare Rina e fuggire il più lontano possibile.

« Eccoti qua! »

Il ragazzo vide una chioma di capelli rossi, seguiti da un ceffone che lo colpì in piena faccia. Rina era davanti a lui, nuovamente in piedi ma furibonda.

« Oh, bene, cercavo giusto te... »

« Ma davvero? Prima mi paralizzi e poi torni strisciando da me! Nessuno può trattare la grande Rina in questo modo... »

« Rimandiamo la discussione a dopo, va bene? » esclamò Harry, agitato. « Dobbiamo andarcene, subito, o tra poco saremo ridotti in cenere! »

Bum!

La terra tremò, facendo perdere l’equilibrio a entrambi. Harry si voltò e vide Sauron, in avvicinamento. Il ragazzo non esitò un altro secondo, afferrò Rina per una mano e riprese la corsa, trascinandola verso il bosco.

« Ma chi diavolo era quello? » gridò Rina nel frattempo. « Sentivo un potere enorme... era davvero la tua nemesi? »

Harry non rispose. Non c’era tempo da perdere in chiacchiere: in quel momento contava solo allontanarsi il più possibile da quella calamità ambulante. Il giovane mago corse a perdifiato tra gli alberi, senza mollare la presa da Rina; sentiva alle sue spalle il rumore di alberi abbattuti e l’ululato del vento, insieme alla voce inquietante del Nemico.

La corsa terminò pochi minuti dopo. Harry e Rina sbucarono improvvisamente fuori dagli alberi, oltre il quale li attendeva un profondo baratro. Troppo alto perché potessero saltare di sotto.

« Non c’è via d’uscita! » gridò Harry, disperato.

« Teletrasportiamoci, allora! »

Il ragazzo ci provò, tenendo salda la presa su Rina e la bacchetta.

« Non ci riesco... in qualche modo, quel tipo riesce a bloccare questo incantesimo! »

Rina sospirò.

« D’accordo, allora. Non resta che una carta da giocare. Sta’ indietro, Harry... questo è il mio incantesimo più potente, lo stesso che sono stata costretta a usare su Terra. »

Harry obbedì, mettendosi alle spalle della strega. Nel frattempo Sauron emerse dagli alberi, abbattendoli con la sua mole; era più minaccioso che mai, ora che i due ragazzi erano in trappola.

Ma Rina si fece avanti senza alcun timore, mentre pronunciava la formula magica.

« E' più oscuro del crepuscolo, è più rosso del sangue, è sepolto sotto la marea del tempo; in nome della pace e della giustizia io invoco la fonte di tutti i poteri più remoti dell'oscurità: ho bisogno di loro perché mi aiutino a distruggere per sempre i miei nemici e coloro che saranno tanto sciocchi da osare ostacolarmi credendosi invincibili. DRAGON SLAVE! »

Dopo l’urlo di Rina, sembrò che l’audio fosse stato spento dall’intera regione. Harry vide un grande fulmine rosso scaturire dalle mani dell’amica, che in un istante si abbatté su Sauron; ci fu un lampo, che divenne subito un bagliore accecante. Ne seguì un’esplosione immensa, tale da far vibrare l’aria stessa; Harry e Rina si ressero a vicenda, cercando di non essere spazzati via dall’onda d’urto.

Un urlo terribile si levò nell’aria, sovrastando ogni cosa. Harry lo riconobbe, era Sauron... resisteva persino a un incantesimo di quella portata! Strizzò gli occhi e vide la sua sagoma informe emergere dalla luce rossa; una nuova onda d’urto investì in pieno i due ragazzi, mentre il terreno si frantumava sotto ai loro piedi...

« Ugh... »

Rina riprese i sensi poco dopo, quando ormai era tutto finito. Non appena aprì gli occhi si rese conto di trovarsi in mezzo a un cratere enorme, di cui però non si stupì più di tanto: il Dragon Slave aveva sempre arrecato danni del genere all’ambiente, ecco perché si preoccupava di eseguirlo solo in aree disabitate. Non c’era traccia del Nemico nei paraggi, ma perse tempo a cercarlo: i suoi occhi avevano individuato qualcuno di molto più importante.

« Harry! »

Il giovane mago era a pochi metri da lei, immobile come un sasso. Era disteso a faccia in giù, malconcio e ricoperto di sangue; gli occhi erano serrati, privi di reazione. Rina si precipitò subito da lui, esaminando le sue condizioni: evidentemente si era ferito nell’esplosione e nella caduta, in modo molto serio. A lei non era accaduto nulla perché aveva fatto in tempo a proteggersi... ma Harry non era stato altrettanto fortunato.

« Harry, no... Harry, no, ti prego... resta con me, ti prego! Forza della magia, guarisci la ferita... Forza della magia, guarisci la ferita... ti prego, Harry, resisti! Forza della magia, guarisci la ferita... »

Le mani di Rina brillavano di luce, premute contro il petto dell’amico nel disperato tentativo di curarlo. Era più grave di quanto immaginava: aveva diverse fratture in tutto il corpo e perdeva molto sangue. Rina continuò a recitare la formula, disperata, finché finalmente non fece effetto. Il corpo di Harry sussultò, aveva ancora gli occhi chiusi ma aveva ripreso a respirare.

« Sì! » fece Rina, sollevata. « Avanti, Harry, respira... respira! Dannazione, non è guarito del tutto... perché non ho imparato magie bianche più efficaci? Oh, cosa posso fare? »

« L’ospedale. »

La strega si voltò, attirata dalla nuova voce. Seduto su una roccia vicina c’era un nuovo individuo, apparso come dal nulla: un uomo vestito con un lungo soprabito bianco, il cui volto era celato completamente da un cappuccio; due ali nere da uccello spuntavano dalla sua schiena.

Rina lo conosceva, e per questo fu esterrefatta nel vederlo.

« Nul? »

« Hai stabilizzato le sue condizioni, ma ha bisogno di ulteriori cure » disse l’incappucciato, ignorando il suo stupore. « Devi portarlo in ospedale, se vuoi che sopravviva. È da quella parte, a mezza giornata di cammino. »

Rina si voltò nella direzione indicata da Nul. Oltre il cratere vide il profilo di una grande città in lontananza, appena visibile tra il buio e la nebbia.

« Non... non arriveremo mai in tempo! » esclamò. « E poi, perché ci stai aiutando? »

Nul si alzò dalla roccia, l’aria minacciosa come un avvoltoio su un animale morente. Rina si strinse al corpo di Harry, pronta a difenderlo con la sua magia.

« Harry Potter non deve morire così. È sopravvissuto alla sua nemesi, perciò si è guadagnato l’occasione di sapere tutto... e di andare incontro alla vera fine. »

Rina non sembrò capire, e rimase immobile a fissarlo con aria di sfida.

« Che stai aspettando? » fece Nul. « Ospedale. Dritto da quella parte. Vuoi arrivarci in fretta? Usa il cervello... ne hai abbondanza, a differenza delle tette. Hahaha! »

L’incappucciato svanì nel nulla, lasciando che la sua risata echeggiasse nel cratere. Rina tornò a guardare Harry, confusa e disperata allo stesso tempo.

« Coraggio, Harry, resta con me... resta sveglio! » disse, scuotendolo. « Sai cosa devi fare, lo hai sentito. Devi teletrasportarci, o come lo chiami tu! Andiamo in ospedale, là potrai guarire... concentrati, ascolta la mia voce! Resta con me! »

Harry mosse le labbra, da cui uscì poco più che un sussurro... ma comprensibile.

« O...ospedale... »

Rina sorrise, e afferrò la sua mano.

« Sì, esatto... l’ospedale! »

Pochi secondi dopo si Smaterializzarono, dritti verso la nuova meta.

Nul riapparve subito dopo, nello stesso luogo da cui i ragazzi erano spariti. L’incappucciato fissò lo sguardo in lontananza, dove sorgeva la città: i pezzi stavano tornando lentamente al loro posto, secondo le sue aspettative. La situazione era sfuggita di mano, ma poteva ancora rimediare... anche perché la sua “polizza assicurativa” era sopravvissuta.

Una mano metallica spuntò fuori dalle rocce in quel momento, attirando la sua attenzione. Nul la fissò compiaciuto, soffermandosi sull’anello ancora incastonato al suo dito indice.

« Riprenditi con calma, amico mio » mormorò. « Questa è l’ultima battaglia, dopotutto... il boccone più saporito di un ottimo pasto. Deve essere gustato lentamente! »

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Capitolo 31
*** Codice Keyblade ***


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Capitolo 31. Codice Keyblade

 

« Sora, non cambiare mai. »

« Ugh... Kairi! »

Sora aprì gli occhi, urlando a gran voce il nome della sua amata. Credeva di averla sentita, che fosse finalmente tornato da lei... ma ciò che vide non realizzava minimamente il suo desiderio. Si trovava su una superficie sabbiosa e umida, sotto un cielo grigio tristemente familiare: il cielo di Oblivion.

Si alzò a sedere, costretto ad accettare un nuovo dettaglio di quella triste realtà. Sora era solo in quella spiaggia: non c’era traccia dei suoi compagni, e il motivo di tale assenza non tardò a collegarsi agli ultimi ricordi che aveva prima di riprendere i sensi. Il Titanic stava affondando, distrutto dallo scontro tra i Valorosi e un terribile nemico ignoto. Sora non era riuscito a mettersi in salvo... aveva donato tutta la sua forza per sconfiggere il nemico, così era stato spazzato via dall’esplosione, impotente come una foglia secca. Era caduto in acqua, perdendo i sensi... separato dai suoi amici.

Ora aveva di nuovo la forza per reggersi in piedi, ma per quanto tempo era rimasto svenuto? Sicuramente per ore... la corrente marina lo aveva trascinato lontano, facendolo approdare su quella spiaggia ignota. Da solo.

Non poteva credere di essere stato l’unico a salvarsi dal disastro.

« Jake! » gridò, guardandosi bene intorno. « Harry! Lara!! Dove siete!? »

Nessuna risposta. Gridò ancora, invocando a gran voce i nomi di tutti i suoi amici, ma non cambiò nulla. Il silenzio dominava incontrastato intorno a Sora, inevitabile compagno del vuoto e della solitudine.

Il ragazzo guardò nelle tasche. Non aveva perso nulla, per fortuna, e il keyblade era in grado di tornare sempre tra le sue mani. Alla fine afferrò il ciondolo di conchiglie a forma di stella... il portafortuna di Kairi; aveva promesso di tornare da lei, ma per il momento doveva aspettare ancora un po’.

« Devo ritrovare i miei amici » disse, costringendo ogni fibra di se stesso a sorridere di nuovo.

Sora cercò di non perdersi d’animo e si rimise in marcia. Non era la prima volta che si ritrovava in condizioni del genere, si disse; anzi, era abbastanza sicuro di aver superato di peggio, come quella volta in cui era stato privato del keyblade e costretto a combattere con una spada di legno. Per non parlare di quando era diventato un Heartless, per poi tornare come prima grazie alla voce di Kairi.

Il suo cuore, ne era certo, lo avrebbe guidato ancora una volta attraverso il sentiero oscuro.

Uscito dalla spiaggia, Sora si trovò di fronte a una costruzione in rovina. Sembrava una specie di enorme cubo, leggermente inclinato perché posto sopra un terreno in discesa; la sua superficie era piatta e liscia, con numerose crepe. Una forza sconosciuta aveva attaccato quel luogo di recente, senza dubbio. Sora vide alla base della struttura uno squarcio, abbastanza largo da poterci passare; non avendo in mente altre idee, decise di entrare al suo interno.

Dentro il cubo era quasi completamente buio, interrotto solo da lievi spiragli che passavano attraverso le crepe nel muro. Sora illuminò il suo keyblade, avanzando con cautela; un ambiente così oscuro avrebbe favorito di certo gli Heartless, anche se non ne percepiva la presenza. Il pavimento appariva liscio e privo di ostacoli, inclinato come tutta la struttura.

Dopo pochi minuti, Sora individuò qualcosa: la luce del keyblade illuminò quello che sembrava un computer, dotato di schermo e pannello di controllo; una scritta in rosso lampeggiava sul monitor.

INSERT KEY.

“Insert key”... inserire chiave, pensò Sora, perplesso. Non capiva cosa intendesse dire il computer, anche perché in giro non vedeva alcuna chiave; sulla tastiera c’erano solo pulsanti. Poi si rese conto che non era un problema: la sua chiave era in grado di aprire qualsiasi porta. Il ragazzo fece un passo indietro e puntò il keyblade contro il monitor; l’arma brillò ancora più forte, e un fascio di luce colpì lo schermo. La scritta cambiò.

CODE: KEYBLADE...

CORRECT.

RESTART SYSTEM.

Lo schermo divenne poi bianco, e la luce proveniente da esso si fece abbagliante. Sora non riuscì più a vedere nulla: poi sentì un gran dolore alla testa, come se gli avessero piantato all’improvviso un grosso chiodo sulla fronte.

« Argh! »

La sua mente si riempì di immagini, di suoni, di ricordi. Era come vedere un film intero a velocità altissima, senza riuscire a fermarne l’avanzamento. Vide molti personaggi, tra cui i suoi amici più cari: Riku, Paperino, Pippo... Kairi...

E poi altri personaggi, inizialmente sconosciuti, ma che pian piano cominciava a ricordare: un porcospino azzurro, un ometto baffuto vestito di rosso, un gorilla con la cravatta... un bruto dai grossi pugni...

Quando Sora tornò a vedere, scoprì che il luogo era cambiato. Le luci si erano accese, illuminando l’interno della struttura in ogni parte. Il ragazzo stava esattamente al centro, e si rese conto solo allora quanto fosse enorme: assomigliava a una stazione ferroviaria, ma al posto delle banchine c’erano dei grandi portali, con dei cartelli al neon che indicavano la destinazione. Sora capì inoltre che il luogo era deserto e un po’ malconcio; i muri erano incrinati e i pavimento pieno di macerie. Alcuni portali erano crollati e i cartelli spenti, anche se ancora leggibili.

Super Mario Bros...

MediEvil...

Fix-it Felix Jr. ...

Ape Escape...

Hero’s Duty...

Command & Conquer...

Final Fantasy...

Sugar Rush...

Kingdom Hearts.

Lo sguardo di Sora si soffermò sull’ultimo cartello, sopra un portale distrutto. Kingdom Hearts. Il ragazzo era sconvolto, anche se lui stesso non sapeva esattamente il perché: la sua mente faticava ancora a rimettere insieme i pezzi, ma di una cosa era certo. Laggiù era accaduto qualcosa di terribile... un disastro da cui lui si era salvato.

« Mmm... »

Sora si voltò, attirato da quel suono. Tornò a guardare il computer che aveva attivato: sul monitor era apparso il volto di una ragazza. Era poco più giovane di Sora, con corti capelli rosa ed occhi verdi; aveva l’aria gentile ma confusa, come se si fosse appena risvegliata da un lungo sonno.

La ragazza guardò Sora, ormai al culmine dello stupore.

« Chi sei tu? »

« Ehm... Sora. »

« Sora » ripeté la ragazza, che all’improvviso cambiò tono di voce. « Dati in arrivo... identificazione completata. Sora: età 15 anni, custode del keyblade. Eroe e protagonista del gioco Kingdom Hearts. Condizioni: ottimali, salute al 100%. »

Sora restò a fissare lo schermo. Era senza parole.

« Cosa? »

« Perdonami » disse la ragazza sul monitor, « ora faccio parte del sistema informatico della stazione, e non ho potuto fare a meno di scansionarti. Non mi conosci, perciò permettimi di presentarmi... io sono Aelita. »

« Aelita? Oh, ehm... piacere » disse Sora, ricomponendosi. Aveva un ottimo spirito di adattamento, ma in situazioni sconvolgenti gli occorreva comunque qualche minuto per metterlo in funzione.

« Piacere mio, Sora. Ho esaminato le tue condizioni, e ho notato che la tua memoria risultava danneggiata al momento dell’attivazione di questo terminale. Mi sono permessa di ripristinarla completamente. »

« Cosa? La mia memoria... danneggiata? Un momento... in effetti ora comincio a ricordare. »

Sora si guardò intorno un’altra volta. Ora il caos nella sua mente si era acquietato, e i pezzi stavano tornando nel giusto ordine; e lo stesso luogo in cui si trovava in quel momento tornava ad essere molto familiare.

« Questa... è la Game Central Station! »

« Corretto » disse Aelita.

La Game Central Station... Sora la conosceva bene, perché lui proveniva da lì. La grande stazione centrale, dove i personaggi di ogni videogioco potevano incontrarsi e interagire tranquillamente.

Perché Sora era questo, un videogioco. Il ragazzo si guardò le mani, poi tornò a fissare il portale con su scritto “Kingdom Hearts”: il gioco – il mondo – da cui proveniva. Riku, Kairi, Ansem, gli Heartless... facevano tutti parte della saga videoludica di cui lui, Sora, era il protagonista indiscusso. Lo aveva dimenticato, ma ora ricordava tutto. Era come se avesse recuperato una grossa parte di sé, di cui non aveva nemmeno sentito la mancanza. Ora, oltre alle avventure vissute nel suo mondo, ricordava tutto ciò che aveva fatto nella Game Central Station: le spassose chiacchierate con Mario e Sonic al bar di Tapper, le gare con Vanellope a Sugar Rush... il matrimonio di Felix Aggiustatutto... il barbecue con Ralph Spaccatutto...

« Ralph! Felix! »

Si voltò verso un altro portale, quello di Felix Aggiustatutto. L’ingresso era crollato, proprio come molti altri, devastato da chissà quale forza distruttiva. Dov’erano finiti tutti quanti? Perché la stazione era vuota? Un tempo era così affollata e rumorosa, piena di vita, e adesso...

Un enorme senso di orrore cominciò a invadere il cuore di Sora, sotto lo sguardo silenzioso di Aelita; l’immagine della ragazza appariva per intero nei monitor sulle colonne della stazione, dove un tempo Sonic era solito comunicare istruzioni.

« Che cosa è successo qui? » chiese Sora, rivolgendosi a lei.

« La Game Central Station è stata attaccata, 186 ore fa » disse Aelita con voce mortificata. « Un attacco esterno, imprevisto... impossibile da contrastare. Un individuo noto con il nome di Nul è penetrato nella struttura, manipolando il codice dei giochi e prendendone il controllo. Ha preso il controllo in particolare delle entità nemiche di Hero’s Duty, gli scarafoidi. »

Sora si voltò verso il portale di Hero’s Duty, inorridito. Lo ricordava bene, quel gioco... un mondo alieno minacciato dai terribili scarafoidi, feroci insetti che divoravano tutto ciò che si trovava sul loro cammino. Gli eroi di Hero’s Duty erano un plotone di soldati guidati dal sergente Tamora Jean Calhoun, la moglie di Felix... guerrieri temerari pronti a dare la vita per proteggere il mondo. 

Gli scarafoidi erano come dei virus, capaci di infettare e divorare persino gli altri giochi. Per questo era vitale che non uscissero mai da Hero’s Duty, altrimenti sarebbe stato impossibile fermarli. Ma ciò che Sora aveva di fronte non trovava altra spiegazione: la Game Central Station era stata distrutta dagli scarafoidi; avevano divorato tutto e tutti... non si era salvato nessuno, a parte lui.

« Perché solo io? » domandò Sora. « Non ero diverso dagli altri eroi, né più forte di loro... dunque perché mi sono salvato solo io? »

« Il database della stazione ha rilevato la tua presenza nel gioco fino a poco prima dell’attacco » rispose Aelita. « Ipotesi: sei stato prelevato con la forza dal gioco, con conseguente corruzione dei tuoi dati; questo spiegherebbe la tua parziale amnesia. »

Sora incrociò le braccia, com’era solito fare quando rifletteva. Non era molto bravo con i dettagli tecnici, ma riusciva comunque a vedere un senso in quanto dichiarato da Aelita. Ricordava inoltre i discorsi fatti da Jake e da Eric Draven sul fatto che lui e gli altri erano stati “scelti”; Nul li aveva presi con la forza dai loro mondi per combattere nella guerra. Tirando a indovinare, Nul era penetrato nella Game Central Station, aveva rapito Sora e poi sguinzagliato gli scarafoidi per distruggere tutto. Era davvero spregevole... una simile strage solo per arrivare a lui.

Solo Aelita sembrava essere sopravvissuta, oltre a lui.

« Strano, ancora non riesco a ricordarmi di te » osservò Sora, rivolgendosi alla ragazza. « Da quale gioco provieni? »

« Da nessuno » rispose Aelita. « Io non sono un vero programma, Sora... almeno non completamente. Io provengo da un mondo reale. Mio padre era un brillante scienziato, inventore di un’intelligenza artificiale chiamata XANA e di un mondo virtuale chiamato Lyoko. XANA, tuttavia, acquisì con il tempo autonomia e tentò di impadronirsi della rete globale, al fine di dominare sull’umanità intera. Io fui “virtualizzata” da mio padre e trasformata in programma, nascondendomi su Lyoko per proteggermi da XANA; anni dopo, un gruppo di ragazzi trovò il computer e lo riattivò. Io mi unii a loro per eliminare XANA, e alla fine fui in grado di tornare nel mondo reale.

« Andava tutto bene. Avevo di nuovo una vita normale, degli amici, un futuro in cui poter crescere. Un giorno, però, tutto questo sparì. Mi sono ritrovata in questo mondo, Oblivion, costretta a combattere di nuovo contro i programmi ostili di XANA; i miei amici erano con me, ma sono caduti uno dopo l’altro. Anche Jeremy... è scomparso. »

Aelita s’interruppe, divenuta improvvisamente molto triste. Sora la capì: la perdita di una persona cara era terribile per chiunque. Aveva di fronte un altro eroe sconfitto, l’ennesima vittima del lungo ciclo di guerra che imperversava su Oblivion da chissà quanto tempo.

Era inutile domandarsi il perché. Ancora una volta c’era Nul dietro a tutto questo dolore: aveva portato la distruzione ovunque, in molti mondi diversi, facendo innumerevoli vittime. Non aveva dimenticato Jack Sparrow, immobile sul ponte della Perla Nera al Cimitero dei Mondi.

Nul, il distruttore di mondi...

« Anche io, alla fine, stavo per morire » riprese Aelita. « Forse sarebbe stato meglio, ma dentro di me c’era ancora qualcosa di artificiale... di digitale... e i programmi sono soliti pensare all’autoconservazione. Ho trovato questo posto e mi sono stabilita qui, trasferendo i miei dati nella memoria centrale. Credevo di essere al sicuro, ma poi anche la stazione è stata attaccata. Mi dispiace tanto, Sora, non ho potuto fare niente per impedire questo disastro. »

« Non ci pensare, Aelita » tagliò corto Sora. « Tu sei viva, è questo ciò che conta. Anche se hai perduto il tuo mondo, i tuoi amici, non ti sei arresa. Vedrai che troveremo una soluzione... troveremo un modo per rimettere tutto a posto. »

« Una soluzione? E come? »

« Be’... ci sto ancora lavorando » disse il ragazzo, improvvisamente imbarazzato. « Ho intenzione di trovare Nul e affrontarlo, insieme ai miei nuovi amici! Innanzitutto devo tornare da loro... non è che per caso li hai visti nei paraggi, vero? »

Sora raccontò ad Aelita ciò che aveva fatto negli ultimi giorni, in compagnia dei Valorosi; glieli descrisse uno per volta, ma la ragazza parve non riconoscerli.

« Mi dispiace, non ho dati in memoria su di loro... a parte su Lara Croft. »

« Lara? Dimmi, di che si tratta? »

Aelita attese un secondo prima di rispondere.

« Dati in arrivo... identificazione completata. Lara Croft: età 30 anni, archeologa. Eroe e protagonista del gioco Tomb Raider. Condizioni: sconosciute, attualmente dispersa. »

Sora restò in silenzio, visibilmente esterrefatto, mentre il suo sguardo si posava su un portale in lontananza. Quello di Tomb Raider, crollato come tutti gli altri.

Dunque anche Lara era un videogioco. I ricordi che aveva su di lei erano pochi, perché aveva interagito con lei solo in rare occasioni nella Game Central Station. Non si erano riconosciuti nei giorni quindi Nul aveva corrotto anche la sua memoria. Anche lei, dunque, faceva parte di quella rete di mondi fittizi, artificiali.

Si domandava se lo stesso valeva per gli altri suoi amici...

« Ho trovato qualcos’altro, Sora » annunciò Aelita, attirando di nuovo la sua attenzione.

« Uhm? Di che si tratta? »

« L’ultima registrazione effettuata nella stazione, prima del blocco totale del sistema. È stata fatta nel gioco Pac-Man, nell’area riservata alle riunioni dei Cattivi Anonimi... credo che dovresti guardarla. »

Sora annuì, ansioso.

« Va bene, mostramela. »

Sul monitor apparve l’immagine di un’ampia stanza grigia. Lo striscione appeso al muro mostrava la scritta “Cattivi Anonimi”. Ralph Spaccatutto gli aveva parlato di quelle riunioni, cui era solito partecipare negli ultimi tempi. Persino Sephiroth e alcuni membri dell’Organizzazione XIII avevano aderito al gruppo, dove parlavano del disagio di fronte alla realtà che non potevano cambiare: essere cattivi.

L’idea che gli antagonisti dei giochi non fossero poi così cattivi dietro le quinte gli era parsa molto divertente... ma ciò che vide in quelle immagini era tutto l’opposto. Un gruppo di persone era riunito nella stanza, intenti a barricarla con tutto quello che avevano a disposizione. Sora riconobbe Ralph, Felix, Calhoun, Vanellope, e persino Riku; sembravano ansiosi, come se stessero per prepararsi al peggio.

« Ci siamo tutti? » domandò Calhoun, guardandosi intorno.

« Sì, sergente... tutti quelli che ce l’hanno fatta » rispose un soldato.

« Maledizione. Dunque siamo arrivati a questo punto... barricati come topi in trappola. »

« Perché? Perché sta succedendo tutto questo? » singhiozzò Vanellope, con le lacrime agli occhi.

« Non lo so, Vanellope » le disse Felix. « Non c’è stato il tempo per scoprire un bel niente. Gli scarafoidi sono penetrati dappertutto, e i Belpostiani... oh, santo cielo, che incubo! »

« Quel maledetto schifoso di Nul » borbottò Calhoun, furiosa. « Mi auguro che qualcuno gliela faccia pagare cara per tutto questo! »

« E la pagherà, statene certi » intervenne Riku. « C’è ancora speranza, dopotutto. Non abbiamo visto Sora da nessuna parte... sono certo che è riuscito a mettersi in salvo. »

« Chi ti assicura che sarà in grado di cavarsela? »

« È il mio migliore amico, lo conosco bene. Sora non si limita a obbedire alla sua programmazione... ci mette davvero il cuore in quello che fa. Ecco perché ne sono certo... lui non si arrenderà mai, anche se dovesse trovarsi da solo là fuori. Lui ce la farà. »

Ralph si fece avanti, rincuorato da quelle parole.

« Hai ragione, Riku. È anche nostro amico. Riesce a far sorridere tutti quanti, in ogni situazione. Io scommetto che ce la farà... anzi, secondo me è già sulla buona strada per la vittoria. Ci tirerà tutti fuori da questo pasticcio, vedrete! »

« Sì! Ben detto! » dissero altri intorno a lui.

« Allora diamoci da fare. Dobbiamo resistere il più a lungo possibile. Questa non è la fine, ricordatelo: siamo programmi... in qualche modo potremo essere riattivati. E se davvero Sora è la nostra ultima speranza, dobbiamo credere in lui. »

Vanellope si strinse al braccio di Ralph, cercando di tranquillizzarsi. Riku si voltò verso la telecamera, serio ma sorridente.

« Se mi ascolterai, Sora, forse per noi sarà troppo tardi... ma non per te. Sarai ancora in piedi, come solo tu riesci a fare. Perciò ricorda, non arrenderti. Noi crediamo in te... tu sei la chiave. Pensa che sia solo un’altra partita: tu sei l’eroe, e Nul è il cattivo... perciò datti da fare e distruggilo. Noi abbiamo fatto il possibile per proteggere la stazione... il resto tocca a te. »

« Buona fortuna, amico mio » disse Ralph « ... e spacca tutto! »

« Gli scarafoidi! » urlò un soldato. « Stanno arrivando! »

« In posizione! » ordinò Calhoun. « Quei maledetti dovranno sudarselo, quest’ultimo pranzo... FUOCO!!! »

La porta si spalancò. Uno sciame di orridi insetti giganti invasero la stanza. Spari, urla, colpi energetici. Un insetto colpì la telecamera, e l’immagine si spense.

« È tutto » dichiarò Aelita, riapparsa sul monitor alla fine del video. « Il database di Pac-Man indica che la battaglia è durata per ventisei minuti, prima di perdere tutti i contatti. Dopo che è crollata l’ultima resistenza, l’alimentazione nella Game Central Station è stata interrotta. Solo questo terminale è entrato in stand by, in attesa di essere riattivato. »

Sora non disse nulla. La sua mano immobile appoggiata sullo schermo, il suo viso solcato dalle lacrime la dicevano lunga sul suo stato d’animo: aveva appena visto i suoi amici, poco prima che morissero tra le fauci di orridi mostri digitali.

« Io... rimetterò tutto a posto! » dichiarò, strizzando gli occhi. « Io combatterò... vincerò... salverò tutti quanti, lo giuro. Vi riporterò indietro, Ralph! Felix! Riku... Kairi... »

Kairi...

L’amava lo stesso, nonostante tutto. Era certo che non fosse solo una programmazione, era il suo cuore ad ammetterlo. Ogni volta che scolpiva quel disegno sulla roccia durante le partite, ci credeva sul serio... ogni volta sognava di dividere il frutto paopu con lei.

E un giorno lo avrebbe fatto.

Ma prima di allora, c’era un ultimo cattivo da sconfiggere.

Era tempo di dare fondo a tutto il potere assopito nel suo cuore.

Due keyblade apparvero sulle mani di Sora: uno bianco, già usato quando aveva sferrato il colpo di grazia su Ansem; l’altro nero, l’impugnatura a forma di ali di pipistrello, alla cui base era attaccata una corona nera simile alla sua collana. Sora guardò le sue nuove armi, soddisfatto e pronto a rimettersi in marcia.

« Grazie per l’aiuto, Aelita » disse. « Ora devo andare, ma tornerò. Dopotutto, questa è casa mia... è qui che tornerò quando sarà tutto finito. »

« Aspetta » disse Aelita. « Ora devo essere io a chiederti aiuto. Ho bisogno che tu mi faccia un favore. »

« Uh? Certo, nessun problema. Cosa vuoi che faccia? »

« Vorrei che mi portassi con te. Solo così potrò ricongiungermi con Jeremy, ovunque lui sia finito. »

« Jeremy? Ah, uno dei tuoi amici? »

« È molto più che un amico » aggiunse Aelita. « Io ora sono di nuovo un programma, sono costretta a ragionare solo su certezze matematiche... ma questo non impedisce al mio cuore di provare sensazioni, di sperare. Per questo, io... ho la sensazione che Jeremy sia ancora vivo, ed è là fuori da qualche parte. »

Sora non pensò di obiettare in alcun modo. Quelle parole, quelle emozioni, erano così familiari: erano le stesse che provava lui dopo essere sfuggito alla distruzione della sua isola. La speranza che nutriva lui sulla sorte di Riku e Kairi dopo la loro scomparsa... un altro sentimento vero, non artificiale.

« D’accordo » disse il ragazzo. « Ti porterò con me. Allora... ehm, cosa faccio? Devo tirarti fuori da questo computer? »

« Non ce ne sarà bisogno » rispose Aelita, sorridendo felice. « Io non posso più tornare com’ero prima. Ricorda, devi trovare Jeremy Belpois: ha 13 anni, capelli biondi, occhiali rotondi e ama i computer. So che lo farai... che lo troverai. »

Sora fu sul punto di dire qualcosa, ma a quel punto l’immagine sullo schermo si spense. Si udì un ronzio, e dal pannello di controllo uscì un piccolo oggetto. Sora lo prese: era una chiavetta usb, un comune supporto per contenere file e dati. Non era un pozzo di scienza, ma impiegò poco per capire che adesso Aelita era là dentro. Si era trasferita nella chiavetta affinché Sora la portasse con sé.

Il ragazzo sorrise, e strinse la presa sull’oggetto.

« Lo troverò, Aelita... promesso. »

E prima di andare, diede un’ultima occhiata alla Game Central Station. Finalmente aveva ricordato tutto... di essere tornato a casa; ma come poteva chiamare casa un luogo ormai distrutto? Non c’era altra soluzione: Nul gli aveva portato via tutto, e Nul glielo avrebbe restituito.

Lui era l’eroe, dopotutto, e gli eroi vincono sempre. 

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Capitolo 32
*** I due profeti del vitello d'oro ***


Image and video hosting by TinyPic Capitolo 32. I due profeti del vitello d’oro
 
Jake Sully aprì gli occhi. Era così buio che non faceva molta differenza, ma per lui non era un problema; la sua vista di Na’vi penetrava le tenebre meglio di quella umana. Non riusciva a vedere molto lontano, ma di una cosa era certo: non era più tra le rovine di una città, bensì in uno spazio vuoto e freddo; appoggiava i piedi su un pavimento liscio e lucido, simile a parquet.
« Cavolo... e adesso dove sono finito? » borbottò esasperato. Era stufo di ritrovarsi improvvisamente in luoghi sconosciuti.
« Jake? »
« Eh? Chi va là? »
Si voltò di scatto, mettendosi in guardia. La voce gli era familiare, ma la prudenza non era mai troppa.
« Sono io, Hellboy! »
La sagoma del suo rosso alleato apparve nel suo campo visivo, emergendo dalle ombre. La fiamma di un accendino illuminava il suo viso contrariato. Jake si rilassò.
« Red! Meno male... stai bene? »
« Sì, una meraviglia » grugnì Hellboy. « Ma che diavolo succede? Dove siamo? »
« Stavo per chiederti la stessa cosa, perché non ne ho idea... ci sono finito all’improvviso. »
« Lo stesso vale per me. »
« Jake? Red! Siete voi? »
I due compagni si voltarono, attirati dalla nuova voce. Dal buio videro partire il fascio di luce di una torcia, stretta tra le mani di Lara Croft. L’archeologa apparve stupefatta di vederli.
« Lara! »
« Grazie al cielo, vi ho ritrovati » disse lei. « State bene? Dove sono gli altri? »
« Non lo so, mi dispiace » rispose Jake. « Sta succedendo qualcosa di molto strano qui... com’è che all’improvviso ci stiamo ritrovando tutti in questo posto? »
« Bah, aggiungilo pure alla lista dei misteri che dobbiamo ancora risolvere » commentò Hellboy. « La cosa comincia a stufarmi, se proprio volete saperlo... »
« Oooh la mia testa... »
I tre tacquero di nuovo. Si voltarono, puntando le loro fonti di luce nella stessa direzione, e a pochi metri di distanza trovarono Po, visibilmente frastornato.
« Po! » esclamò Lara.
« Uhm? Ra-ragazzi! Oh, grazie al cielo... state bene? Che vi è successo? »
« E quattro » contò Jake. « Vediamo di fare una cosa alla volta, d’accordo? Ormai è chiaro, per qualche motivo ci stiamo radunando tutti in questo posto... aspettiamo di trovare anche gli altri, poi ci occuperemo di tutto il resto. »
I quattro compagni si avvicinarono l’uno all’altro, cercando di stare compatti. Anche con la scarsa luminosità potevano constatare le condizioni in cui ognuno di loro versava: apparivano malconci, come se fossero appena usciti da una dura lotta. Lara aveva persino nuove armi, tra cui una specie di antico martello, e Po stringeva tra le mani un rotolo di pergamena.
Per un po’ non parlarono, aspettando di sentire altre voci o movimenti nell’oscurità che li circondava... ma nulla cambiò. Attesero per circa un minuto, ma i Valorosi che ancora mancavano all’appello non fecero la loro comparsa.
« Qualcosa non va » osservò Jake, preoccupato. « Dove sono gli altri? Perché ancora non si vedono? »
« Forse avranno trovato traffico » commentò Hellboy. « O forse non gli è accaduto quello che è accaduto a noi. »
« Che cosa vuoi dire? »
« Io ricordo di aver incontrato Nul. Mi ha fatto i complimenti per aver battuto il mio nemico e ci siamo stretti la mano. A quel punto si è fatto tutto buio, e mi sono ritrovato qui. »
Gli altri compagni tacquero, visibilmente sorpresi da ciò che avevano appena sentito. Uno dopo l’altro ammisero di aver subito la stessa cosa: avevano incontrato un individuo alato dal volto coperto, e dopo avergli stretto la mano erano precipitati nel buio.
Ma se era successo a tutti i Valorosi, perché mancavano ancora tre di loro all’appello?
« Bah, non possiamo restare qui in eterno » tagliò corto Hellboy, « e il buio non ci aiuta per niente. Qualcuno riesce a vedere l’interruttore della luce? »
« Ehi, forse l’ho trovato! » intervenne Lara. L’archeologa aveva puntato il fascio della torcia verso il muro, dove stava un pannello con vari pulsanti e interruttori. Ne premette alcuni, e l’ambiente fu illuminato subito dopo da luce artificiale.
I quattro compagni si trovavano all’interno di uno stadio. Era molto grande, con lunghe file di tribune e il tetto coperto che impediva la vista del cielo; il campo da gioco era di pallacanestro. Sembrava tutto in buone condizioni, benché deserto. Con grande delusione dei presenti, degli altri Valorosi non c’era traccia.
« Guardate » disse Jake, indicando verso il campo. « Laggiù c’è qualcosa. »
I Valorosi si avvicinarono, percorrendo l’area di gioco. Sul pavimento giacevano diverse sagome di cartone, più il corpo esanime di un uomo riverso a pancia in giù. Jake ed Hellboy si concentrarono su quest’ultimo, cercando di identificarlo: era un uomo di colore, alto e senza capelli; indossava una divisa da pallacanestro, bianca, sulla cui schiena recava il cognome e il numero.
Jordan – 23
« Pazzesco » borbottò Hellboy, fissando quella scritta. « È proprio lui... Michael Jordan. »
« Cosa? » fece Jake, più incredulo. « Quel Michael Jordan? Il campione di pallacanestro? »
Il rosso annuì. Lo conoscevano entrambi, sebbene ne avessero solo seguito le gesta da uno schermo televisivo. Per Jake quell’uomo era morto da secoli, ma non cambiava nulla: Michael Jordan era una leggenda nella pallacanestro, uno dei più famosi giocatori al mondo.
« Non ha senso... perché si trovava qui? Non era mica un eroe! »
« Non lo era nemmeno Michael Jackson, eppure abbiamo visto anche lui » osservò Hellboy. « È incredibile come riusciamo ancora a stupirci per tutto ciò che troviamo in questo dannato mondo. »
« Qui c’è qualcos’altro che vi stupirà parecchio » intervenne Lara, poco lontano. Lei e Po stavano esaminando le sagome di cartone sul pavimento, fissandole con un misto di orrore e stupore. Jake e Hellboy si avvicinarono, per capire di cosa si trattava.
Le sagome raffiguravano diversi personaggi: due conigli antropomorfi, un papero, un gatto e un maialino; indossavano la stessa divisa di Michael Jordan. I loro occhi erano spenti, la loro immagine sbiadita come se si trovassero lì da mesi. Poco più avanti, sull’altra metà del campo, i Valorosi trovarono altre cinque sagome, molto più grandi: queste raffiguravano esseri mostruosi, alti e grossi, con una divisa nera da pallacanestro. Doveva trattarsi della squadra avversaria.
« I Looney Tunes » disse Hellboy, dopo aver esaminato ogni personaggio. « Erano loro, non ci sono dubbi. »
« Esatto » convenne Lara, con aria tetra. « Li ho riconosciuti anch’io... guardavo i loro cartoni animati, quando ero piccola. Bugs Bunny... Duffy Duck... Porky Pig... il gatto Silvestro. Non riconosco la ragazza, però. »
« Lola Bunny » rispose il diavolo. « Era apparsa nel film Space Jam, me lo ricordo bene. C’erano tutti... e c’era anche Michael Jordan. È questo che stiamo guardando, ragazzi: lo stadio, i giocatori... qui c’è stata la partita tra Looney Tunes e Monsters! »
I quattro compagni si guardarono intorno, sconvolti ancora una volta. Po era il più confuso del gruppo: non sapeva cosa fosse un cartone animato né la pallacanestro... ma come gli altri, percepiva ugualmente il senso di vuoto e di morte che permeava l’intero luogo.
Fu subito chiaro per tutti, senza perdersi in supposizioni. Erano sul luogo di un’altra tragedia; non un’altra battaglia, ma comunque una sfida ai danni di personaggi innocenti... cartoni animati, idolo di molte generazioni. Neanche loro erano al sicuro dalle mire di Nul.
Non c’era nulla che potessero fare in quel luogo desolato, così i quattro decisero di andarsene, passando attraverso un’uscita di emergenza.
Non appena misero piede fuori, il gruppo scoprì di trovarsi di nuovo nella città dei Senzavolto, quella che avevano tentato di lasciare. Strade e edifici li circondavano, come un normale ambiente urbano; il solito cielo grigio li sovrastava, silenzioso e cupo come sempre.
« Sembra che siamo tornati daccapo » commentò Po, desolato.
« Attenti, arriva qualcosa! »
Jake era scattato in guardia, avvertendo gli altri. I compagni ebbero appena il tempo di fare altrettanto, quando videro la cosa che aveva allarmato il loro leader: una specie di motocicletta senza ruote sfrecciava a gran velocità, dritto verso di loro. Sembrava sul punto di schiantarsi quando all’ultimo istante si fermò, levitando a un metro da terra. Jake, Lara, Hellboy e Po rimasero al loro posto, ancora in guardia, mentre il pilota scendeva dal mezzo e li guardava con aria sollevata.
« Luke! »
Lara lo aveva riconosciuto per primo, chiamando il suo nome a gran voce. Si precipitò sul Jedi, ma all’ultimo momento ci ripensò, fermandosi di fronte a lui; Luke la guardò, sorpreso ma al tempo stesso sollevato. Alla fine fu lui a farsi avanti, e l’abbracciò.
« Sono felice di rivederti » dichiarò il Jedi, semplice ma profondo. « Sono contento di rivedervi tutti... ero certo che foste sopravvissuti. »
« Bentornato tra noi, amico » disse Jake, sorridendo. « Da dove salti fuori? E come hai fatto a trovarci? »
« È una lunga storia... e ho la sensazione che anche le vostre lo sono altrettanto. »
« Hai proprio ragione » intervenne Lara, staccandosi finalmente dal suo abbraccio. « Però aspettavamo di radunarci tutti, prima di raccontarci ogni cosa. »
Luke lanciò un’altra occhiata a Lara, facendosi preoccupato.
« Sei ferita » disse, così appoggiò le mani sulla spalla e la coscia da cui Lara aveva perso sangue. Le ferite si rimarginarono pochi secondi dopo, con grande sorpresa di lei.
« Grazie. »
I due si ritrovarono a guardarsi negli occhi ancora una volta, troppo a lungo. Lara non aveva dimenticato il “debito” che aveva con Luke, ma si disse che poteva aspettare un altro po’.
Il gruppo decise di tagliare corto, e di trovare un posto più riparato per proseguire la conversazione. Erano troppo allo scoperto, e anche se i pochi Senzavolto nei paraggi non davano il minimo accenno di ostilità, era sempre meglio non correre rischi. Jake fece dunque strada, dopo essersi caricato sulle spalle lo speeder bike del Jedi; un veicolo del genere poteva ancora tornare utile. Gli altri compagni lo seguirono a ruota, percorrendo con calma la via fuori dallo stadio.
Dopo un centinaio di metri, il gruppo si trovò di fronte a un fastfood. Era piccolo, di colore giallo e viola, con la statua di un vitello dorato in stile “cartoon” posta sul tetto accanto all’insegna.
Mooby’s.
« Strano posto... che cos’è? » commentò Po, incuriosito dai colori e dall’insegna.
« È tipo un ristorante » spiegò Lara, sorridendo. « Posti del genere sono molto diffusi nei nostri mondi. »
« Oh, allora lì dentro troveremo da mangiare. Meno male, perché ho molta fame! »
« Heh... come al solito, del resto » si lasciò sfuggire Jake. « Va bene, io dico di fermarci e prendere qualcosa da mangiare... anch’io ne avrei bisogno, in effetti. Se questi Senzavolto continuano a ignorarci, penso che là dentro non daremo troppo nell’occhio. »
I Valorosi annuirono, e seguendo il consiglio di Jake si diressero verso l’ingresso del Mooby’s. Non appena furono abbastanza vicini, tuttavia, trovarono una nuova sorpresa ad attenderli.
Accanto alla porta del fastfood stavano due persone, appoggiati al muro con aria sfaccendata. Non erano Senzavolto, per questo attirarono l’attenzione dei Valorosi. Uno, il più alto, era un tipo sui trent’anni: aveva capelli lisci, lunghi e biondi, coperti in parte da un cappello nero di lana; i suoi vestiti assomigliavano a quelli di un rapper, e tale era anche il suo modo di gesticolare. L’altro aveva capelli neri medio-lunghi, la barba e indossava un cappello da baseball al rovescio; portava anche un cappotto di lana verde scuro. Il tipo alto voltava lo sguardo in varie direzioni, muovendo la testa a ritmo della musica proveniente dallo stereo accanto a lui; l’altro era intento a fumare una sigaretta con aria tranquilla, quasi indifferente.
I Valorosi si fermarono a guardarli, senza nascondere una buona dose di sorpresa. Sembravano due tipi normali, ben diversi da ciò che avevano incontrato finora tra i vari settori di Oblivion. Si stavano scambiando un’occhiata incerta per decidere come comportarsi, quando infine furono notati dal ragazzo biondo.
« Ehi nerdacci! » esclamò, rivolgendosi a loro. « Avete tirato giù pesante o avete perso solo la cognizione del tempo? »
Hellboy lo fissò accigliato.
« Ce l’hai con noi, bello? »
« No, ce l’ho con un altro gruppo di sfigati vestiti da supereroi. Certo che ce l’ho con voi! »
I Valorosi si scambiarono un’altra occhiata. Nel frattempo, anche il tipo basso accanto al biondo si era voltato a guardarli, con aria molto perplessa.
« Non capisco di che parli » rispose Hellboy.
« Il Comicon è finito ormai da un pezzo » disse il biondo. « Dove cazzo andate ancora in giro così mascherati? »
« Non siamo mascherati » disse Po.
« Be’, non può essere altrimenti, perché se fossi strafatto lo saprei di sicuro e vedrei roba assai migliore di un branco di sfigati pronti per la fiera del fumetto. Giusto, Bob? »
Il tipo basso, Bob, annuì in silenzio, gettando via la sigaretta ormai finita.
« Questo qui è sciroccato forte » osservò Hellboy.
Il biondo si avvicinò al gruppo, osservandoli uno dopo l’altro con aria a metà tra il divertito e lo spaccone.
« Però devo ammettere che i vostri costumi sono da paura. Porca puttana, come fai a sembrare così alto? » disse, guardando Jake. « E tu, schianto, ci stai tutta nel vestito di Lara Croft... hai un paio di tette perfette! »
« Io sono Lara Croft... e bada a come parli. »
« Certo, e io sono Obi-Wan Kenobi prima che dicesse addio per sempre alla gnocca. »
Luke si fece avanti, visibilmente infastidito.
« Non ti permetto di insultare il buon nome del mio maestro. »
Il ragazzo biondo ridacchiò, fissando Luke.
« Guarda, c’è perfino un cazzone vestito da cavaliere Jedi... chi dovresti essere, Luke Skywalker? “Che la Forza sia con te”... però complimenti per il trucco, cazzo, l’hai fatto proprio uguale! »
I Valorosi sospirarono, esasperati.
« Questo ci sta prendendo in giro » intervenne Hellboy. « Che si fa, ragazzi? Io sparo solo ai mostri, con tutti gli altri faccio parlare il mio pugno buono. »
Jake e il tipo biondo stavano per aprire bocca, quando videro farsi avanti il tipo chiamato Bob. Questi aveva cambiato espressione: fissava i cinque compagni come se non credesse ai suoi occhi; diede quindi una gomitata al suo amico, senza dire una parola.
« Cosa? »
Il biondo sembrò intuire qualcosa dallo sguardo di Bob, e iniziò a farsi incredulo quanto lui.
« Mi state prendendo per il culo? Voi... siete veri? Quelli veri? »
« Be’, certo che siamo veri » osservò Po, tranquillo. « Cosa dovremmo essere, sennò? »
« Cazzo » borbottò il biondo, al culmine dello stupore. « Eppure non stiamo sognando, né siamo fatti! Dimmi che vedi anche tu quello che vedo io, lardoso buono a nulla. »
Bob non disse nulla, limitandosi ad annuire leggermente. Entrambi, ormai, avevano l’aria di chi potesse trovarsi al cospetto dell’Onnipotente.
« Strano... ci conoscono, eppure credono che non siamo veri » mormorò Lara, confusa. « Cosa può significare tutto ciò? »
« Non ne ho idea, ma voglio vederci più chiaro » rispose Jake.
« Che forza, abbiamo davanti i veri Luke Skywalker e Lara Croft! » esclamò il ragazzo biondo, ora emozionato. « Di voialtri non so un cazzo, ma se siete loro amici va bene uguale! »
« Io sono Jake Sully, lui è Hellboy e questi invece è Po... gli altri li conoscete. Voi invece chi siete? »
« Ah giusto. Io sono Jay e lui è il mio compagno etero, Silent Bob » disse, e Bob fece ciao con la mano. « Hehe... cazzo, che forza! »
« Come fate a conoscerci? » chiese Jake. « Da quale mondo provenite? »
Jay e Bob si scambiarono un’occhiata incerta.
« Dalla Terra, naturalmente, è lo stesso cazzo di mondo in cui ci troviamo ora. E qui c’è un sacco di gente che vi conosce... se là fuori c’è un coglione che non ha mai visto Star Wars Episodio IV – Una nuova speranza, mi piacerebbe conoscerlo per dirgli che sta sprecando la sua vita. »
I Valorosi si scambiarono un’altra occhiata. Quei due tipi che avevano davanti non sembravano molto svegli, ma era chiaro che non fossero eroi, né coinvolti in qualche modo nel ciclo di guerre organizzato da Nul. Sembravano non rendersi conto di trovarsi in un altro mondo.
Ormai i Valorosi ne sapevano abbastanza da intuire di trovarsi in un nuovo settore di Oblivion, anche se di dimensioni ridotte, perché comprendeva solo il fastfood: Jay e Silent Bob, che erano soliti passare tutto il giorno appoggiati a quel muro, non si erano ancora accorti della situazione, forse perché giunti da poco. Jake non era più certo sull’idea di poter ottenere informazioni utili da loro.
A quel punto Lara si fece avanti, attirando subito l’attenzione di Jay.
« Ragazzi, non è che avreste un po’ di tempo da dedicarci? » chiese, mettendo le mani sui fianchi.
« Per te abbiamo tutto il tempo del mondo, schianto » rispose il ragazzo con un sorriso fin troppo eloquente.
« Molto bene... io e i miei amici saremmo curiosi di sapere un po’ di cose, a cominciare da quello che tu e Bob dite di sapere su di noi. Potrebbe essere importante, capite? »
Jay e Bob si scambiarono un’occhiata incerta, che ben presto si riempì di entusiasmo.
« Va bene, tanto non abbiamo un cazzo da fare » rispose Jay. « È tutto il giorno che non si vede un cliente, e mi sta pure venendo fame. »
« Oh, ne abbiamo tanta anche noi » intervenne Po, sorridendo. « Avevamo infatti intenzione di prendere qualcosa da mangiare in questo posto. »
« Dite sul serio? Luke Skywalker e i suoi cazzuti super-amici ridotti a mangiare dei cazzo di hamburger in un pidocchioso fastfood di periferia? Però, dovete essere parecchio messi male. »
« Non sai neppure quanto, bello » grugnì Hellboy.
Jay sospirò.
« Ah be’... vediamo di darci una mossa, allora. Tu pensa a ordinare qualcosa, Bob, io faccio accomodare la Justice League in un posto alla larga dai rompipalle. »
Mentre Silent Bob entrava nel locale per ordinare da mangiare, Jay guidò i Valorosi sul retro, dove raggiunsero l’area all’aperto con i tavoli e uno spiazzo con giochi per bambini. Il posto era vuoto, lontano da occhi e orecchie indiscrete, il che poteva ritenersi perfetto per il gruppo di eroi. Bob li raggiunse poco dopo, con le braccia cariche di hamburger, patatine e bibite per tutti. Po fu il primo ad attaccare quella roba e, sebbene non sapesse nemmeno cosa fossero, trovò tutto squisito. Jake, troppo alto per sedersi al tavolo con gli altri, non fu entusiasta di unirsi a loro nel mangiare il classico “cibo spazzatura” fatto dall’uomo, ma mandò giù la sua porzione senza mai lamentarsi. Jay e Silent Bob restarono per tutto il tempo a fissare i Valorosi, con un gran sorriso stampato sulla faccia.
« Allora, ragazzi, che cosa sapete di noi? » chiese Lara, quando ebbero finito tutti di mangiare. « Voglio dire, come fate a conoscerci? »
« Siete famosi, tutto qua » spiegò Jay. « Vi si vede in televisione, nei film e nei fumetti. Io e il grassone qui presente, per esempio, abbiamo visto tutti i film di Star Wars, li conosciamo a memoria. Per questo sappiamo tutto di Luke, lui è uno degli eroi della saga. »
Si voltarono tutti a guardare Luke, che tuttavia rimase perplesso.
« Saga? Film? Non capisco. »
« Aspetta un momento » intervenne Jake. « Mi state dicendo che per voi Luke è il protagonista di un film? »
Silent Bob alzò un pollice, come per dire di sì.
« Esatto, Star Wars è una delle saghe cinematografiche più note » riprese Jay. « Non ha mai vinto un cazzo di Oscar, ma ha milioni di fan in tutto il mondo. Come si fa a non amare cose come le spade laser, la Forza e Darth Vader? »
« Conoscete anche mio padre? »
« Certo, lui è il cattivo più famoso di tutti. Non c’è storia, è proprio un tipo con i controcazzi, mi spiego? Anzi, i fan lo preferiscono persino più di te, Luke... niente di personale, ma in confronto a tuo padre tu sembri solo un fesso. »
I Valorosi non dissero nulla, ma dalla loro espressione non sembravano molto convinti. Bob tirò fuori dal cappotto un iPad, aprì qualche pagina su internet e lo mostrò al gruppo. Lara lo prese, leggendo ad alta voce la pagina di Wikipedia appena aperta.
« “Luke Skywalker... personaggio dell'universo fantascientifico di Star Wars e protagonista della trilogia originale. È interpretato da Mark Hamill nella trilogia originale e in Star Wars: Il risveglio della Forza”. »
Accanto alle informazioni c’erano anche alcune foto relative a Luke, compresa una che ritraeva l’attore che lo interpretava. Non c’erano dubbi, era identico a lui.
« Visto? Qui c’è tutto quanto » dichiarò Jay, indicando l’iPad. « Dio benedica internet... per Amazon, i porno e le consegne a domicilio! »
« E io? » intervenne Lara. « Anche io sarei in un film? »
« Nah, tu vieni da un videogioco. Non mi ricordo come si chiama... scusa, ma non memorizzo i titoli se la tipa che comando ha un gran bel davanzale. »
Silent Bob aprì una nuova pagina su Wikipedia, e la mostrò a Lara.
« “Lara Croft... personaggio immaginario, protagonista della serie di videogiochi Tomb Raider, da cui sono stati tratti film e fumetti”. »
L’archeologa fece scorrere la pagina, sempre più incredula ad ogni informazione che leggeva su se stessa. La sua intera vita era scritta praticamente là sopra, in maniera dettagliata. Le più grandi imprese da lei compiute, compreso il naufragio su Yamatai... tutto riportato come un fatto di cronaca. Non mancavano le immagini, alcune estrapolate dai videogiochi più vecchi a bassa definizione.
« Io non ci capisco niente » disse Po in quel momento, accigliato. « Tutto questo cosa dovrebbe significare? Io non so nemmeno cosa siano i film e i videogiochi. »
« È una lunga storia, Po » gli rispose Lara, continuando a guardare l’iPad. « Vediamo se si trova qualcosa su di te... ah, ecco! »
La pagina Wikipedia mostrò nuove informazioni, stavolta sul panda.
« “Po è un personaggio immaginario, protagonista della serie Kung Fu Panda, conosciuto anche come Il Guerriero Dragone... Si tratta di un grasso goffo panda il cui sogno più grande era quello di diventare un membro dei Cinque Cicloni della squadra di combattenti di Kung Fu... è guidato dal Maestro Shifu”. »
Po rimase a bocca aperta, mentre osservava le immagini che lo ritraevano perfettamente su quel piccolo schermo. C’erano anche il suo maestro e i suoi amici, immortalati là dentro come li ricordava.
« Un cazzo di film per mocciosi » commentò Jay, mentre fumava una sigaretta. « Deve essere per quello che è riscoppiata la mania per le arti marziali, da qualche tempo. »
Hellboy si fece avanti, facendosi accendere un sigaro da Silent Bob.
« E cosa dice quell’aggeggio su di me? » domandò.
Lara digitò il nome dell’amico, e in pochi secondi si aprì una nuova pagina.
« “Hellboy... soprannominato Red, è un personaggio dei fumetti creato da Mike Mignola nel 1993… è stato tratto un film omonimo, per la regia di Guillermo del Toro, con l'attore Ron Perlman nel ruolo del diavolo rosso dalle corna mozzate... nel 2008 è stato poi prodotto il sequel Hellboy: The Golden Army. »
Hellboy si avvicinò per guardare meglio, divenuto incredulo come gli altri. Anche nel suo caso c’era scritto un gran numero d’informazioni dettagliate sulla sua vita, comprese le maggiori avventure che aveva vissuto... le più importanti erano la minaccia di Rasputin e degli Ogdru Jahad, e il risveglio dell’Armata d’Oro. La storia che lui conosceva s’interrompeva proprio a questo punto. Il diavolo ne rimase così scioccato che per poco non gli andò di traverso il fumo del sigaro.
« Noi stiamo ancora aspettando il terzo film, sai? » intervenne Jay. « Insomma, in parecchi sono impazienti di vedere che razza di mostriciattoli salteranno fuori dalla pancia della tua ragazza. »
« Cosa? »
« Un sacco di gente trova che sei forte, ma per qualche fottuto motivo Hollywood non si decide a sganciare i soldi per lavorarci su! Se la tirano per le lunghe ancora un po’, finisce che tirano tutti le cuoia prima che decidano. »
Hellboy aggrottò la fronte. Ciò che aveva sentito sembrava privo di senso, eppure trovava comunque un collegamento. I suoi ricordi prima di finire su Oblivion terminavano proprio nel momento in cui Liz gli annunciava di aspettare due bambini. Poi c’era solo il nulla... e guarda caso, la storia della sua vita letta su internet terminava proprio a quel punto.
Perché il resto non era stato ancora scritto.
Lara proseguì la ricerca in rete. Ormai era chiaro che potevano trovare informazioni su tutti i Valorosi su quell’aggeggio. Il prossimo fu Jake.
« “Jake Sully è un personaggio e protagonista del film Avatar, interpretato dall'attore Sam Worthington. È un ex marine invalido... schieratosi dalla parte degli Omaticaya per proteggere Pandora dall’invasione degli uomini...” »
Il Na’vi arrivò a condividere lo stupore dei suoi compagni. Anche su di lui c’era tutto ciò che c’era da sapere, la sua vita prima e dopo l’arrivo su Pandora...
« Già, ora ricordo, tu vieni da quel film dove gli alieni si attaccavano le trecce per collegarsi mentalmente » intervenne Jay in quel momento. « Che roba... è vero che le usavate anche per fare sesso? »
« Dì un po’, il tuo amico è sempre così stronzo? » chiese Jake a Silent Bob, che gli rispose con un tacito cenno d’assenso.
Proseguendo la ricerca, Jake scoprì altri dettagli inquietanti. Vide la foto dell’attore che lo impersonava quando era umano... e come nel caso di Luke, era identico a lui. Inoltre, il film di Avatar era diretto da un tale James Cameron, già noto per essere stato il regista di altri film di successo, quali Terminator e Titanic. Non poteva essere un caso, e infatti ne trovò la conferma subito dopo: il Titanic, Skynet, Pandora... mondi così diversi, accomunati da un solo creatore. Le loro storie erano state scritte dallo stesso autore. Ecco perché Jake aveva avvertito un senso di familiarità quando camminava sul Titanic o al fianco di John Connor.
Lo sentiva, inconsciamente. Sentiva di essere in un’opera realizzata dal suo “creatore”.
I Valorosi continuarono a raccogliere informazioni, e ben presto scoprirono che anche i loro compagni assenti erano ritenuti personaggi immaginari. Sora era l’eroe di un videogioco, Kingdom Hearts; Harry Potter era il protagonista di un’omonima serie di libri fantasy, che narrava i suoi anni trascorsi nella scuola di magia; Edward Elric, infine, era un personaggio della serie anime e manga Fullmetal Alchemist, di cui era protagonista insieme a suo fratello Alphonse. Erano tutte opere di grande successo, seguitissime in tutto il mondo.
Anche i loro nemici, naturalmente, apparivano tra quelle pagine. Natla, Quaritch, Tai Lung, Voldemort... erano gli antagonisti delle stesse opere in cui i Valorosi apparivano. Ma la verità proseguiva ancora oltre: continuando a digitare nomi sull’iPad, il gruppo scoprì che anche i personaggi incontrati durante il viaggio avevano origini più o meno simili. Gli abitanti di Burton Castle erano personaggi di vari film, tutti interpretati dallo stesso attore; Dylan Dog, l’eroe di un famoso fumetto italiano; e poi ancora Wall-E, Lady Death, T’ai Fu... ognuno di loro proveniva da un’opera letteraria, da un videogioco, da un film.
Erano tutti personaggi immaginari, dal primo all’ultimo. I loro mondi, le loro vite, erano solo il frutto dell’immaginazione di qualcun altro. Solo Jay e Silent Bob non apparivano in rete, ma solo perché l’iPad apparteneva a loro... e dal loro punto di vista, i tipi che avevano di fronte non sarebbero dovuti esistere.
Alla fine della ricerca, i Valorosi non potevano che essere turbati da quest’ultima, sconcertante verità.
« Ma che sta succedendo? » chiese Po. « Cosa può significare tutto questo? »
« Io... non ne ho la minima idea, Po » rispose Jake. « Non ci capisco più niente. Per qualche motivo siamo tutti in quel computer, che ci dice che proveniamo tutti da un fottuto film o roba simile. In altre parole, siamo tutti personaggi di fantasia... dal primo all’ultimo. »
« Ma non ha senso » obiettò Lara. « Come possiamo esserlo? Insomma, io mi ricordo tutto... la mia vita, le mie avventure, le gioie e i dolori. Io mi sento viva, come una persona qualsiasi! »
« Vale lo stesso per me » aggiunse Luke.
« E per me » grugnì Hellboy. « Non so che sta succedendo, ma per me non cambia nulla. Io so chi sono, e cosa sono. Il mio mondo non è per niente finto, e intendo tornarci. Non dimentichiamo che in questo posto può succedere di tutto, e che già in passato abbiamo rischiato di perdere la speranza... certo, ogni volta c’era Sora a farci tornare il sorriso, ma per il momento ci tocca fare a meno del suo ottimismo. »
I Valorosi annuirono, leggermente rincuorati. Jay e Silent Bob stavano in silenzio a fissarli, un po’ annoiati dopo aver passato gli ultimi minuti in disparte.
« Ma che due palle » brontolò Jay. « Di solito nei film questa è la parte del discorso che fa risollevare gli animi, ma io mi rompo da morire! »
Lara si voltò a guardarli, e si avvicinò per restituire l’iPad.
« Grazie. Ci siete stati d’aiuto, nonostante tutto. »
« Che pensate di fare, adesso? Vi rimetterete in viaggio? »
« Sì. Dobbiamo ancora ritrovare i nostri amici... poi ci organizzeremo sul da farsi. »
L’archeologa fece per ricongiungersi al resto del gruppo, quando una nuova voce parlò.
« Andrà tutto bene. »
I Valorosi rivolsero lo sguardo su Silent Bob. Era stato lui a parlare, e sorrideva; Jay lo guardò sorpreso... sapeva che ogni volta che il suo amico parlava era per dire qualcosa di importante.
« Non importa se siete gli eroi di un libro, di un film o di un fumetto » dichiarò. « L’importante è che siete eroi. Gli eroi combattono, soffrono, sperano e sorridono come tutti quanti... ma soprattutto, gli eroi vincono. Io e questo figlio di puttana al mio fianco veniamo da un mondo in cui voi siete solo grandi storie che appassionano la gente, ma non importa... conta solo ciò che voi scegliete di fare. »
I Valorosi si scambiarono l’ennesima occhiata, incredula ma colma di ammirazione. Dovevano ammettere che Bob era stato molto saggio. Solo Jay parve contrariato.
« Ma che merda » esclamò. « Non potevi tirar fuori una stronzata migliore? Sembra uscita fuori da un cazzo di biscotto cinese scaduto. »
Bob lo ignorò, limitandosi a sfoggiare un largo sorriso nei confronti dei Valorosi.
Jake si alzò a quel punto da terra, dove era stato per tutto il tempo. La sua altezza vertiginosa attirò come sempre l’attenzione di tutti, ma era proprio ciò che voleva.
« Coraggio, ragazzi, rimettiamoci in marcia » disse. « Dobbiamo ancora ritrovare Sora, Ed e Harry. »
I quattro compagni annuirono, e cominciarono a raccogliere le proprie cose. Era tempo di ripartire.
« Ehi, non potete andarvene così » protestò Jay, richiamando la loro attenzione. « Vi abbiamo offerto il pranzo e risposto a tutte le vostre domande, cazzo. Non capita tutti i giorni di aiutare tipi come voi, no? Potreste almeno ricambiarci il favore! »
Silent Bob annuì, trovandosi d’accordo con l’amico. I Valorosi si scambiarono un’occhiata incerta, prima di tornare a guardare quello strambo duo.
« Ha ragione » osservò Luke, che dunque si avvicinò a loro per primo. « Va bene... che cosa possiamo fare per voi? »
Silent Bob lo raggiunse e gli sussurrò qualcosa nell’orecchio. Luke lo guardò incerto per un attimo, ma poi sorrise e lo fissò negli occhi.
« Questi non sono i droidi che state cercando » dichiarò, facendo un piccolo cenno con la mano.
« Questi non sono i droidi che stiamo cercando » ripeté Bob. Dallo sguardo sembrava ipnotizzato, ma si riprese non appena terminò la frase.
I Valorosi intuirono che Luke aveva usato di nuovo il suo potere Jedi, su richiesta dello stesso Bob, ma non capirono perché gli avesse fatto dire proprio quella frase.
Jay fissò l’amico con aria stupefatta.
« Forte, come è stato? »
Silent Bob ammiccò soddisfatto, sollevando il pollice.
« Bene, tocca a me! »
Il biondo si avvicinò e per la sua richiesta scelse Lara, sussurrandole qualcosa all’orecchio. Lei inarcò un sopracciglio, visibilmente contrariata, ma poi sorrise a sua volta.
« Ma certo... accomodati pure. »
Accadde tutto in una manciata di secondi. Jay si avventò su Lara, con il chiaro intento di darle una palpatina al seno, ma non appena fu a un centimetro dall’“obiettivo” si beccò un pugno in piena faccia, crollando subito a terra. Silent Bob e i Valorosi osservarono tutta la scena a bocca aperta.
« Peccato, bello... ci hai provato » dichiarò Lara con un sorrisetto. « Scusa, ma si tratta di un riflesso involontario, succede ogni volta che qualche idiota si avvicina un po’ troppo... niente di personale. »
Il gruppo alle sue spalle scoppiò a ridere.      Jay si arrese e lasciò perdere, accontentandosi di ciò che aveva ricevuto; poteva sempre raccontare di averci provato con Lara Croft, ma dubitava che qualcuno gli avrebbe creduto. A quel punto i Valorosi furono liberi di congedarsi da loro, e lasciarono il Mooby in tutta calma. 
Il loro piano non era cambiato. La decisione di trovare Nul era ancora forte. Tuttavia, i cinque compagni non potevano negare di essere rimasti scossi dalle ultime informazioni ottenute. La consapevolezza di essere personaggi immaginari metteva tutto quanto sotto una luce diversa: l’intero Oblivion era di fatto un campo di battaglia per eroi e malvagi provenienti da tutte le opere letterarie, cinematografiche e videoludiche conosciute. Se non fosse stato per Silent Bob e il suo breve incoraggiamento, senza dubbio si sarebbero sentiti persi un’altra volta, proprio come quel giorno in cima al grattacielo.
Ma non era più il tempo dei dubbi e delle incertezze. Nonostante tutto, i Valorosi andavano avanti.
La partita era ancora tutta da giocare.

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Capitolo 33
*** Terapia intensiva ***


Capitolo 33. Terapia intensiva

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I Valorosi non avevano fatto molta strada dopo il loro buffo incontro al Mooby’s. Avevano superato appena un isolato quando l’attenzione di tutti loro fu attirata da un grande edificio nelle vicinanze: un ospedale, alto quattro piani, intatto e immacolato, a differenza del resto della città che appariva in uno stato pietoso. La struttura fece incuriosire i Valorosi, che si avvicinarono con cautela all’ingresso principale.

« Non percepisco alcuna minaccia » dichiarò Luke, guardandosi intorno. « Apparentemente si direbbe un posto sicuro. »

« Se lo dici tu, mi fido » disse Jake. « Al punto in cui siamo, ci farebbe proprio comodo un rifugio. Un posto del genere andrà benone: se all’interno appare così messo bene, allora potremo rifornirci di provviste e medicine. »

I cinque compagni si trovarono perfettamente d’accordo. Si apprestarono dunque ad entrare nell’edificio, quando qualcosa li allarmò improvvisamente.

Crack!

Dal nulla apparvero due persone, proprio sulla via che separava i Valorosi dall’ospedale. I cinque compagni videro una ragazza dai capelli rossi avvolta in un mantello, armata di spada; stringeva tra le braccia un giovane malconcio e ricoperto di sangue. Come potevano non riconoscerlo?

« Harry! »

Lara si fece avanti per prima, più sconvolta che mai, seguita a ruota dagli altri.

« Fermi dove siete! » esclamò la ragazza con il mantello, puntandogli contro la spada di Grifondoro. I Valorosi obbedirono, ma rimasero in guardia. « Non osate avvicinarvi... il mio amico sta molto male! »

« Quello è nostro amico! » protestò Po. « Tu chi sei? Che cosa gli è accaduto? »

La ragazza non rispose. Era troppo impegnata a reggere Harry con il braccio libero, tremante per l’angoscia; il ragazzo era semisvenuto, e respirava forte per lo sforzo di restare cosciente.

« Un momento » fece, osservando bene il gruppo. « Il gigante azzurro, il demone rosso, il panda, la donna con le tette grosse... voi dovete essere i Valorosi! »

« Risposta esatta » affermò Jake con serietà. « Ora tocca a te... dicci chi sei e cosa è successo al nostro amico, prima che io decida di staccartelo dalle mani. »

« Io sono Rina Inverse, e Harry è anche mio amico! » strillò. « Ora che ci siamo chiariti, aiutatemi, o Harry morirà tra pochissimo! Non capisco, avremmo dovuto raggiungere un ospedale... »

« È proprio alle vostre spalle. »

Rina abbassò la spada e si voltò a guardare l’ingresso. Le porte si aprirono proprio in quel momento, attirando l’attenzione di tutti: due Senzavolto vestiti da infermieri si avvicinavano rapidamente, portando con sé una barella. I Valorosi scattarono subito in guardia, circondando il loro compagno ferito per proteggerlo: dopo aver passato tanti guai, ormai gli veniva spontaneo, perciò non furono in grado di comprendere subito la verità.

« Aspettate » disse Luke, troppi secondi dopo. « Non percepisco ostilità. »

Era vero. I Senzavolto si erano fermati senza attaccare; indicavano Harry e la barella, con il palese intento di caricarlo su di essa... come normali infermieri.

« Lasciamoglielo fare » ordinò il Jedi, riponendo la sua arma. I compagni esitarono, poi si fecero da parte anche loro. Rina fu l’ultima a separarsi da Harry, permettendo così ai Senzavolto di prelevare il ragazzo. Questi tornarono dunque indietro, entrando nell’ospedale; Rina e i Valorosi li seguirono a ruota, pronti a intervenire al minimo pericolo. Si ritrovarono in un’ampia hall piena di gente, ma non si fermarono a guardare nessuno in particolare.

Un nuovo individuo si fece avanti in quel momento, venendo incontro ai due infermieri. I Valorosi lo guardarono: appariva come un uomo di mezz’età, alto e dallo sguardo serio, penetrante; indossava una giacca grigia sopra una camicia azzurra senza cravatta, e camminava appoggiandosi a un bastone. Si avvicinò subito alla barella, senza degnare il gruppo di uno sguardo.

« Cosa abbiamo qui? » borbottò.

I due Senzavolto lo guardarono, senza emettere alcun suono. L’uomo annuì, come se avesse sentito qualcosa, poi fissò lo sguardo sull’agonizzante Harry.

« Puoi sentirmi? Come ti chiami? »

« Ha... Harry » sussurrò il ragazzo.

L’uomo guardò la cicatrice sulla sua fronte, facendo un sorrisetto.

« Harry Potter... ma pensa un po’. »

« Ehi, che sta facendo? » intervenne Po, preoccupato. « Cosa vuole fare al mio amico? »

« Non preoccuparti, sono un medico e sto cercando di salvargli la vita. In sala operatoria, presto! »

I Senzavolto annuirono e affrettarono il passo, spingendo via la barella. Il dottore guardò dunque i Valorosi, trattenendoli sul posto; li fissava con semplice serietà, per nulla interessato allo strano aspetto di quei personaggi che aveva di fronte. Come se per lui non significasse nulla.

« Siete suoi amici? »

« Sì » rispose Jake.

« Va bene, seguitemi. Potrete aspettare fuori dalla porta. »

Il dottore fece loro strada, avanzando con calma lungo il corridoio. Rina e i Valorosi furono costretti a stare al suo passo tutt’altro che rapido, visto che zoppicava; raggiunsero poco dopo il reparto di terapia intensiva, dove Harry era stato ricoverato. Il dottore li fece accomodare in un corridoio nei pressi di una sala, oltre la quale il loro amico era stato appena messo sotto i ferri. Luke, Lara, Po, Hellboy e Rina sedettero sulle sedie, mentre Jake fu costretto – ancora una volta – a sedersi sul pavimento. Il dottore prese posto di fronte a loro, abbandonandosi su una sedia con evidente noncuranza.

Per un po’ regnò il silenzio assoluto, attenuato solo dal ticchettare di un orologio posto sopra la porta. Poi Jake rivolse lo sguardo sulla ragazza dai capelli rossi, e si avvicinò a lei con decisione.

« Ti chiami Rina, giusto? » le chiese.

Rina annuì, l’aria tesa e amareggiata come gli altri.

« Devo sapere cosa è successo. Come hai incontrato Harry e cosa vi è capitato. Ce la fai a raccontare? »

« Certo » rispose Rina. La giovane strega prese fiato e raccontò ogni cosa, a partire dal suo arrivo su Oblivion; la battaglia con il suo gruppo nei pressi dell’Albero del Mondo; l’incontro con Harry e il successivo breve viaggio insieme, fino all’improvviso scontro con il terribile Sauron... un nemico di cui ignorava tutto, persino il nome. Raccontò come Harry fosse rimasto ferito dopo l’esplosione del Dragon Slave, e l’improvvisa comparsa di Nul alla fine di tutto: lui stesso aveva suggerito di raggiungere l’ospedale, cosa che era stata possibile grazie a Harry.

Quando Rina finì il suo racconto, era trascorsa poco più di un’ora. I Valorosi erano rimasti in silenzio ad ascoltare, manifestando una miscela di numerosi stati d’animo; ormai potevano considerarla una di loro, data la sua natura eroica. Anche il dottore di fronte a loro aveva sentito tutto, ma lui era rimasto del tutto indifferente, limitandosi a guardare il soffitto e a giocherellare con il suo bastone. In quel momento stava ingoiando una pillola da una scatola di medicine presa dalla tasca. Lara notò il nome sull’etichetta, ‘Vicodin’, e ne fu allarmata: si trattava di un potente antidolorifico oppiaceo. Fu tentata di dirgli qualcosa, ma esitò. Dopotutto era un dottore, dunque forse sapeva ciò che faceva.

Nel frattempo, le porte della sala operatoria erano rimaste sigillate... segno che l’operazione doveva essere ancora in corso.

« Harry si riprenderà, dottore? » chiese Po, sempre più preoccupato.

L’uomo scrollò le spalle.

« Tutto è possibile, finché le porte non si apriranno » borbottò. « Avete presente la teoria del gatto di Schrödinger? È la stessa cosa: in questo momento abbiamo in quella sala un Harry Potter vivo e un Harry Potter morto... ma quando l’operazione sarà finita, ne vedremo uscire fuori uno solo. »

« Oh? Che cosa significa? »

« Significa che non devi preoccuparti, Po... lascia lavorare i miei colleghi e pensa agli spaghetti, o agli involtini primavera. »

I Valorosi si scambiarono un’occhiata incredula. Di certo quel dottore appariva assai eccentrico. In qualche modo sembrava persino in grado di interagire con i Senzavolto, senza essere aggredito. Ma c’era dell’altro che l’incuriosiva...

« Come fa a conoscere Po? » chiese Lara. « Noi non ci siamo ancora presentati. »

« Neanche io, se è per questo, ma visto che ci tenete... sono il dottor Gregory House, primario del reparto diagnostico di questo ospedale, e sua attuale massima autorità.

« Non vi ho chiesto chi siete perché già vi conosco... di fama, s’intende. Ho riconosciuto Harry Potter... neanche io sono stato immune al fascino delle sue avventure. Poi c’è Luke Skywalker, del quale ho apprezzato la vecchia trilogia come il resto del mondo. Infine, ricordo di aver visto Kung Fu Panda in televisione con il piccolo Jimmy, malato di leucemia. Posso continuare, se volete, ma penso di essermi spiegato. »

I Valorosi rimasero senza parole, e anche Rina. Il dottor House si era spiegato benissimo, confermando inoltre ciò che già sospettavano: anche lui, come Jay e Silent Bob, era consapevole della natura “fittizia” di ognuno di loro... ma anche di fronte a questo dettaglio restava indifferente. Possibile che fosse davvero così distaccato?

Le porte della sala si aprirono in quel momento, interrompendo la conversazione. Ne uscì un gruppo di Senzavolto in camice verde, alcuni macchiati di sangue; quelli dietro spingevano la barella su cui era posto Harry, privo di conoscenza e ricoperto di bende in vari punti. House si avvicinò, parlando con quei Senzavolto: i Valorosi, che nel frattempo si erano alzati dai loro posti, continuavano a non sentire alcun suono, ma il medico discuteva con loro come se nulla fosse.

« Molto bene » dichiarò, mentre i Senzavolto conducevano la barella lungo il corridoio. « Operazione riuscita con successo! Harry Potter se la caverà. »

Po ricadde sulla sedia, sbuffando per il sollievo. Lara e Luke si strinsero a vicenda. Jake ed Hellboy sorrisero, mentre Rina si lasciò sfuggire un piccolo urlo di gioia.

« Meno male! Non avrei potuto sopportare... »

S’interruppe e voltò le spalle a tutti, per non mostrare le lacrime che minacciavano di sgorgare dai suoi occhi.

« Dove lo stanno portando adesso? » domandò Jake.

« In una stanza dove potrà riprendersi con calma » spiegò House. « Ci vorrà un po’ prima che riprenda conoscenza. Nel frattempo potrete farmi compagnia nel mio studio... sono certo che avete ancora parecchie domande da farmi. »

« Be’, in effetti è così. »

Il dottor House fece di nuovo strada ai Valorosi, ma questa volta Rina scelse di non seguirli.

« Io non vengo... preferisco aspettare che Harry si svegli. Ci vediamo dopo. »

E senza aspettare alcun consenso, andò avanti e seguì i Senzavolto che trasportavano Harry, sparendo in lontananza.

Il resto del gruppo seguì House fino al suo ufficio, situato al quarto piano dell’edificio. Strada facendo avevano avvistato altra gente, ma erano tutti Senzavolto, vestiti come medici, infermieri o inservienti vari; in giro non si vedeva alcun paziente, ma solo perché – come spiegato dallo stesso House – restavano tutti nelle loro stanze.

L’ufficio di House era ampio, ben curato e diviso in due sezioni: la prima, più piccola, ospitava la scrivania e la poltrona del medico, dove riceveva i pazienti; la seconda, ben più ampia, assomigliava a una sala riunioni, completa di lungo tavolo, sedie e lavagna. Il pavimento era foderato con una soffice moquette. House fece accomodare i Valorosi nella sala riunioni, l’unica in grado di contenere quella folla tutta insieme; Jake ebbe qualche difficoltà nel passare dalla porta, ma alla fine riuscì ad entrare senza abbattere alcuna parete e prese posto nell’ufficio. Era tutto molto tranquillo.

« Bene, allora » dichiarò House, sedendosi sulla sua poltrona a capo tavola. « Come posso soddisfare la curiosità di voi intrepidi eroi? »

I Valorosi si scambiarono l’ennesima occhiata incerta, prima di lasciare la parola a Jake.

« Lei è l’unico dottore presente in questo ospedale? »

« Se intendi dire l’unico dottore “umano”, la risposta è sì » rispose House. « Gli altri sono tutti Senzavolto, e obbediscono ai miei ordini. »

« Riesce a controllarli? A comunicare con loro? Com’è possibile? »

Il dottore alzò le spalle.

« Mah, non lo so bene neanche io. Potrei dire che ci riesco perché so ascoltarli, e loro ascoltano me... in pratica si tratta di un reciproco rispetto, e mi sta benissimo. Questi Senzavolto sono efficientissimi, e Dio solo sa quanto c’è da fare in un ospedale del genere... soprattutto quando i pazienti ricoverati sono tipi come voi. »

« Noi? » fece Lara. « Che intende dire? »

« Già... non ve ne siete ancora accorti. »

House lanciò un’occhiata fuori dalle grandi finestre, che offrivano una vista panoramica sulla città.

« Vi risparmio una domanda, d’accordo? » riprese. « So perfettamente cosa sta succedendo là fuori: c’è una guerra in corso, organizzata da Nul il signore del male... o qualunque cosa si crede di essere. Da una parte ci sono gli eroi e dall’altra i cattivi, costretti a combattere tra loro fino alla morte. Ognuno di loro viene da un mondo diverso... o forse dovrei dire da un’opera diversa, dato che finora non ho incontrato altro che personaggi dei film e dei fumetti a vagonate. »

« Anche lei ne fa parte, dottore? » domandò Luke.

House sospirò.

« È probabile... ma preferisco non saperlo. Sono l’eroe un film? Di un romanzo? Il tragico protagonista di una serie televisiva? Non m’interessa. La mia vita è già abbastanza complicata così com’è... l’idea che possa essere stata scritta da qualcun altro per appassionare lettori o spettatori sarebbe il colpo di grazia che non aspettavo.

« Ad ogni modo, la situazione è questa. C’è la guerra là fuori. Eroi e cattivi si affrontano. Alcuni vincono, altri muoiono, altri ancora rimangono gravemente feriti. E dove va di solito la gente quando è ferita? »

« Ehm... in ospedale? » suggerì Po.

« Bingo! » esclamò House. « In questo ospedale, per la precisione. Qui c’è tutto il necessario per rimettere in sesto chiunque, dopotutto: medicine, apparecchiature, provviste... e il sottoscritto, sempre pronto a salvare la vita di chi oltrepassa la soglia del suo regno. »

I Valorosi tacquero un’altra volta. House era stato molto chiaro, nonostante il modo di fare tutt’altro che professionale: non sembrava affatto l’illustre medico che diceva di essere, ma gli erano grati comunque. Dopotutto aveva appena salvato la vita a Harry.

« Immagino che vogliate dare un’occhiata voi stessi » disse House in quel momento, alzandosi dal suo posto. « Venite, vi mostro gli altri reparti. »

Il gruppo obbedì, e ancora una volta seguì il dottore attraverso l’ospedale. Scesero di un piano e raggiunsero un corridoio, una comune area riservata ai pazienti ricoverati. Il soffitto non era abbastanza alto per Jake, il quale fu costretto a chinarsi un po’ per passare. Mentre percorrevano il corridoio, i Valorosi videro coi loro occhi ciò di cui parlava House: il reparto era colmo di svariati personaggi, in condizioni più o meno gravi. Uomini, donne, ragazzini e altre creature stavano nelle loro stanze o si muovevano per il corridoio; erano silenziosi, e quasi tutti avevano l’aria triste o sconvolta. I Valorosi potevano solo immaginare cosa avessero passato tutti loro.

« Salve, dottore » disse un ometto baffuto vestito di verde, dotato di collare ortopedico.

« Salve, Luigi » rispose House in tono piatto. « Come va oggi? »

« Meglio, grazie. Mi chiedevo se aveste notizie di mio fratello. »

« No, mi dispiace. Non si è ancora fatto vivo da queste parti. »

Luigi si allontanò, sconsolato. House gli lanciò un’ultima occhiata prima di scuotere la testa seccato.

« Va avanti così da quando è arrivato, cioè da una settimana » spiegò ai Valorosi, continuando a camminare. « Continua a chiedere di suo fratello Mario... non vuole rassegnarsi al fatto che è sicuramente morto là fuori. Se continua così, mi toccherà farlo trasferire nel reparto psichiatrico. »

Proseguirono ancora, incrociando un altro paziente intento a guardare fuori dalla finestra con aria assente: un essere simile a una tartaruga antropomorfa che indossava una maschera rossa. Po lo urtò per sbaglio, attirando la sua attenzione.

« Scusa, amico... tutto bene? »

« No » rispose l’uomo-tartaruga. « A meno che tu non abbia un po’ di pizza. »

House richiamò l’attenzione di Po, allontanandolo da lui.

« Ignoralo » gli disse. « Ha la testa a posto, è solo parecchio scorbutico. »

Il gruppo fu raggiunto subito dopo da un infermiere Senzavolto, che mostrò ad House una cartella clinica. Lui la prese e la esaminò.

« Bene, la principessa Xena sta migliorando » dichiarò, allargando la bocca appena di un millimetro. « Sospendete pure i farmaci, ormai il più è fatto. »

Il Senzavolto annuì, e tornò al suo compito.

Il corridoio terminò poco più avanti. I Valorosi apparvero, se possibile, ancora più turbati del solito.

« Che ne sarà di loro? » domandò Hellboy, indicando il reparto che si erano appena lasciati alle spalle. « Tutti quegli eroi... cosa faranno, non appena si saranno ripresi? »

« Cerco di non pensarci » rispose House. « Per come la vedo io, ci sono due opzioni: restare qui, o tornare là fuori a combattere. Alcuni hanno scelto di restare, qui c’è spazio a volontà per ospitarli; altri sono andati via... e non sono più tornati. Ma quello che vi ho appena mostrato, signori, è solo la punta dell’iceberg. Qui è dove ricoveriamo i pazienti che hanno riportato danni lievi e possono rimettersi perfettamente... ma ci sono danni che non possiamo riparare. »

Il dottore condusse il gruppo al piano inferiore. Percorsero alcuni corridoi fino a raggiungere un’area etichettata da un cartello con su scritto “Reparto Psichiatrico”. Oltre le porte a vetro c’era un altro corridoio, simile a quello percorso al piano superiore ma deserto; in giro non si vedeva nessuno.

« Qui teniamo i pazienti affetti da traumi psichici » spiegò House, avvicinandosi alla prima porta. « Fisicamente stanno bene, ma di fatto hanno perso la zucca. Le battaglie che hanno affrontato li hanno sconvolti profondamente, a un livello che persino io fatico a immaginare. »

« Vaffanculo, brutto figlio di puttana!!! »

L’urlo proveniva dalla cella accanto, sigillata da una porta come tutte le altre. Hellboy diede un’occhiata dalla finestrella: al suo interno c’era un uomo dall’aspetto molto trascurato, da criminale incallito. Mostrava numerose cicatrici e ferite sul corpo accompagnate da altrettanti tatuaggi. Il più evidente era situato all'altezza del collo, una serie di linee tratteggiate con sotto la scritta ''CUT HERE'', ossia "tagliare qui".

Il demone lesse il nome sulla porta: “Trevor Philips”. Non aveva idea di chi fosse, ma non ci teneva nemmeno a scoprirlo.

Proseguendo, i Valorosi sentirono altre voci provenire dalle celle, e di tanto in tanto cedevano alla curiosità per scoprire chi ci fosse dall’altra parte. Sbirciarono da una porta e videro una ragazza dai lunghi capelli rossi, priva di un occhio e vestita con un pigiama. Il suo nome, secondo l’etichetta sulla porta, era Asuka Soryu: appariva tranquilla ed era intenta a pettinare una bambola, sussurrandole con dolcezza.

« ...a quel punto l’Angelo è emerso dal mare e gli ho infilato il coltello nella pancia, squartandolo a metà da parte a parte. Le navi lo hanno silurato per bene subito dopo, ma ormai era fatta: lo avevo ucciso. Sono stata io ad uccidere l’Angelo. Visto, mamma? Sono stata brava... la migliore. Nessuno è più bravo di me a pilotare gli Evangelion... io sono la migliore. Te l’ho promesso, mamma... sono la migliore di tutti. »

Poco più avanti, in un’altra cella con su scritto “Locke”, un uomo robusto e senza capelli scriveva numeri sul muro con una penna, ripetendoli in continuazione.

« Quattro... otto... quindici... sedici... ventitré... quarantadue. Premere il pulsante. Quattro... otto... quindici... »

La cella successiva ospitava un altro uomo, capelli neri e sguardo profondo; stava a torso nudo e si allenava nella boxe, ma nel frattempo parlava da solo.

« Prendi nota, mio caro Watson. Non va registrato a livello emotivo. Primo, distrarre il bersaglio. Poi bloccare gancio alla cieca. Opporre un diretto alla guancia sinistra. Scombussolare. Inebetito sferrerà una sveglia micidiale. Sfoderare blocco di gomito e botta al corpo. Bloccare sinistro bestiale. Indebolire mascella. Ora, frattura. Rompere costole incrinate. Traumatizzare plesso solare... »

House lo guardò, pensieroso.

« Sherlock Holmes... non avrei mai immaginato di vederlo di persona » commentò ad alta voce. « Un vero peccato doversi trovare dall’altra parte di una cella imbottita per ammirare un tipo del genere. »

Una serie di lamenti attirò l’attenzione di tutti, e proseguirono. Trovarono la fonte in una cella più avanti, priva di etichetta con il nome: al suo interno c’era una ragazza rannicchiata in un angolo; aveva una pelle molto chiara, capelli di un biondo argentato e occhi viola colmi di enorme disperazione.

« Quando il sole sorgerà ad ovest... e calerà ad est tu tornerai da me... mio sole e mie stelle. Quando il fuoco e il ghiaccio si scontreranno... il mondo finirà. Il trono... il trono sarà mio! I draghi... dove sono? Dove sono i miei draghi? Dove sono i miei draghi?? »

Po si tappò le orecchie, tanto era sconvolto. Aveva visto abbastanza e tornò indietro, seguito dai suoi compagni con un tacito assenso.

« Caffè? » propose House, e in parecchi si trovarono d’accordo. Il dottore li guidò quindi fino al distributore più vicino, invitandoli a servirsi.

Nessuno dei presenti aveva voglia di parlare, era evidente. La visita di quel reparto li aveva scossi, dal primo all’ultimo. Finora, da quando avevano messo piede su Oblivion, non gli era mai capitato di incontrare personaggi ridotti in simili condizioni, a parte Dylan Dog; speravano che lui fosse solo un caso isolato... ma evidentemente si sbagliavano. La morte non era la sorte peggiore che potesse capitare su Oblivion, bensì la follia: uscire talmente sconfitti da una battaglia a tal punto da perdere se stessi. Ora, dopo aver osservato da vicino così tante vittime, sopravvissute solo nel corpo, ne avevano la conferma definitiva.

« So a cosa state pensando » intervenne House dopo un po’, sorseggiando il suo caffè. « La pietà nei vostri occhi è più che evidente. Io faccio del mio meglio per aiutare questa gente, ma ho anch’io i miei limiti. Ci sono mali che non si possono curare... a tal punto che ti viene quasi da pensare che la morte sarebbe preferibile. Non è il mio caso, naturalmente... io cerco di assicurare la sopravvivenza finché posso. »

« Lei da quanto tempo è qui, dottore? » domandò Lara.

« Non ne ho idea... ho perso la cognizione del tempo dopo un paio di mesi. Di una cosa sono sicuro, però: sono stato tra i primi a finire in questo mondo. Non ho mai incontrato Nul, né ho ricevuto sfide di alcun genere come nel caso vostro o di tutti i vostri predecessori. Tuttavia non ho mai avuto dubbi sul mio scopo in questo mondo, poiché sono stato portato qui insieme all’intero ospedale. Era necessario un minimo di assistenza medica fin dai primi conflitti, e non ho potuto tirarmi indietro. »

« Ed è sempre rimasto qui? » chiese Jake. « Non sente la mancanza del suo mondo? Non ha mai tentato di tornare indietro? »

House vuotò il suo bicchiere prima di rispondere, appoggiando entrambe le mani sul bastone. Il suo sguardo profondo era in quel momento carico d’ironia.

« Mah... a volte mi ritrovo a pensare a ciò che ho perduto. La mia chitarra, il mio pianoforte, la mia palla rossa, gli spettacoli di Monster Truck... cose a cui ero particolarmente affezionato, nonostante tutto. Non mi dispiacerebbe tornare indietro, ma non vedo come sia possibile. Il mio mondo è sparito, Nul me lo ha portato via e io non sono certo in grado di affrontarlo come fate voi. La probabilità che io possa ucciderlo a bastonate è pari a quella di ricoverare un paziente affetto da lupus. »

« Cosa? »

« Lascia perdere. »

« Vuole dire che non c’è nessuno da cui vorrebbe tornare? » intervenne Po. « Famiglia? Amici? Una... compagna? »

« Mi credono morto » rispose House, alzando le spalle, « e vi assicuro che va bene così. Stanno tutti meglio senza di me. »

« Già, si vede da come tratti i pazienti, doc » borbottò Hellboy.

« Prima regola del manuale del bravo dottore: mai affezionarsi ai pazienti. »

« Battuta vecchissima. “Prima regola del manuale di Vattelapesca”... ma per favore! È evidente, doc, da come tratti le persone... ormai è chiaro che non stai simpatico a nessuno. È per questo che preferisci restare qui in eterno. Da dove vieni tu non c’è nessuno che sarebbe felice di rivederti... ho indovinato? »

House si rivolse a Hellboy. La sua espressione non mutò di una virgola, ma era evidente che le parole del demone lo avessero colpito. Guardò gli altri Valorosi uno dopo l’altro: Jake, Po, Lara e Luke, quasi impazienti di osservare la sua reazione imminente.

« Voi eroi siete tutti uguali » sospirò seccato. « Volete assolutamente sapere tutto di tutti. Se non arrivate alla verità indiscussa, alla storia dettagliata di qualsiasi interlocutore non siete contenti! Che volete che vi dica? Volete sapere quando mi è caduto il primo dentino? Il giorno in cui ho perso la verginità? O volete sapere cosa mi è successo alla gamba? No, voi volete sapere che tipo sono, per riuscire a convincermi a fare la cosa giusta. Ecco che tipo sono... uno stronzo: un vecchio, scorbutico misantropo tossicomane che non piace a nessuno, che tuttavia rende un gran servizio all’umanità perché salva la vita alle persone come pochi altri. Sono un santo nei panni di un bastardo storpio! Non è abbastanza? Io sto già facendo la cosa giusta... resto al mio posto e continuo a fare il mio lavoro; salvo la vita a voi eroi... finché mi è possibile. »

Tacque, e nel frattempo tirava fuori dalla tasca la scatola del Vicodin. Quindi voltò le spalle a tutti, dirigendosi verso l’ascensore.

« Ehi, dove sta andando? » chiese Jake.

« Ho altro da fare » rispose House. « Sono di turno in ambulatorio... e siccome detesto questa parte del lavoro e l’ambulatorio è comunque deserto, approfitterò di questo frangente per rintanarmi da qualche parte. Voi potete fare quello che vi pare: restare in ospedale o rimettervi in marcia... a voi la scelta. Buona giornata. »

Arrivò di fronte all’ascensore e spinse il pulsante. La scatola del Vicodin era aperta, pronto a mandare giù un’altra dose di quel farmaco...

« Aspetti. »

House si voltò. Luke lo aveva raggiunto, fissandolo con aria comprensiva.

« Lei è ciò che ha deciso di essere » dichiarò il Jedi. « Un uomo sofferente che aiuta il prossimo. Io posso capirlo, e anche i miei compagni. Forse la sua vita è stata davvero scritta da qualche volontà superiore, come quella di noialtri... ma in questo mondo non è tenuto a proseguire sulla stessa strada per l’eternità. Non posso cancellare tutto il dolore che la opprime, dottore... ma posso almeno fare qualcosa per la sua gamba. »

Si chinò, posando la mano sulla gamba zoppicante di House. Nessuno dei presenti poteva sentire ciò che stava succedendo, tranne lo stesso dottore: il dolore, quello che era costretto a sopprimere da anni con dosi sempre più massicce di Vicodin, era sparito. Il potere della Forza lo aveva guarito. House restò al suo posto, impietrito per lo stupore: una mano era serrata sul bastone... l’altra, invece, lasciava cadere a terra le pillole.

Durò per una manciata di secondi, poi riprese la solita espressione.

« Ehm... grazie » disse il dottore, prima di sparire dentro l’ascensore. Luke gli sorrise per tutto il tempo, poi si riunì al gruppo.

Per il momento, i Valorosi non avevano più nulla da fare. Dovevano aspettare il risveglio e la completa guarigione di Harry prima di rimettersi in marcia... ma non potevano ignorare tutto ciò che avevano visto nell’ultima ora. Tutti quegli eroi feriti o impazziti, una nuova, terribile prova della crudeltà di Nul e del suo mondo caotico. Non erano più tanto sicuri di ciò che stavano facendo, ora che sapevano con chiarezza cosa potesse ancora capitare. Là fuori c’era una guerra molto più grande di quanto immaginassero.

Ma non potevano arrendersi, non ancora. Le loro promesse di tornare a casa non erano ancora divenute vane. 

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Capitolo 34
*** Momenti di pace ***


Capitolo 34. Momenti di pace
 
Image and video hosting by TinyPic Un altro giorno su Oblivion stava volgendo al termine quando Harry Potter aprì gli occhi. Era disteso su un letto in una stanza d’ospedale, senza avere la minima idea di come ci fosse arrivato. Aveva un braccio e la testa fasciati, e una flebo infilata nell’altro braccio; cure tipiche dei Babbani, riconobbe, anche se non le aveva mai sperimentate di persona fino a quel giorno. L’unica cosa certa era ciò che vedeva in quel momento: una ragazza dai capelli rossi seduta accanto a lui; dormiva profondamente, a braccia conserte e la testa piegata in avanti. Russava forte, in un modo che non le si addiceva. La mise a fuoco dopo aver recuperato gli occhiali, posti sul comodino a fianco insieme alla Bacchetta di Sambuco.
« Rina...? »
La strega si svegliò di colpo, emettendo un ultimo grugnito.
« Il conto, cameriere... uh? Dove... cosa... Harry! »
Il ragazzo sorrise, cercando di ignorare il lieve dolore che invadeva tutto il suo corpo. Rina era più sorpresa e sollevata che mai, ma i suoi occhi erano ancora arrossati. La strega, tuttavia, si ricompose in fretta e furia per recuperare il suo carattere di sempre.
« Uff, era ora che ti svegliassi » brontolò. « Ormai credevo di dover restare a sorvegliarti per tutta la notte! »
Harry ridacchiò.
« Heh... sto bene, grazie. Che cosa è successo? Dove siamo? »
« In un ospedale, ovviamente. Non me ne intendo molto... non ci sono posti così nel mio mondo, ma pare che siano riusciti a curarti. Come ti senti, adesso? »
« Felice di essere ancora vivo... ed è merito tuo, Rina, grazie. »
I due si guardarono negli occhi senza più parlare. Inevitabile fu il ricordo che attraversò subito il cervello di Harry, quello in cui l’aveva baciata prima di affrontare Voldemort. Altrettanto inevitabile fu la decisione di dire qualcosa a riguardo.
« Rina » cominciò a dire, « io... non voglio che tu ti faccia idee sbagliate su quello che è successo tra noi. Vedi, io ho... »
« Non devi spiegarmi niente, Harry » tagliò corto Rina. « Non sono mica una stupida, sai? So riconoscere i sentimenti di una persona quando la bacio, quindi non temere... l’ho capito subito. Il tuo cuore è già occupato, così come lo è il mio. Tutta questa storia è servita a ricordarmelo, in un certo senso. »
« Hehe... capisco » commentò Harry, sollevato. « Amici, allora? »
« Amici. Ma questa me la tengo » aggiunse, e tirò fuori dal nulla la Spada di Grifondoro per mostrarla bene. « Oh, è una tale bellezza... sono felice di essermela meritata! »
Harry sbuffò. L’idea di dover lasciare la spada a una come Rina non gli piaceva un granché... ma dopotutto, stava meglio nelle mani di una ragazza degna di impugnarla piuttosto che in quelle di un folletto imbroglione.
Per un attimo immaginò quell’intrepida maga al suo fianco a Hogwarts, vestita con l’uniforme scolastica di Grifondoro...
« Che cosa farai, adesso? » le chiese, allontanando il pensiero.
« Uhm, credo che per un po’ resterò qui, in questo ospedale. Dopo aver affrontato demoni, stregoni e distruttori ho proprio bisogno di un po’ di riposo. Quel rozzo dottore ha detto che possiamo restare quanto vogliamo, purché non gli rompiamo le scatole – testuali parole sue – quando gioca a freccette o ha mal di testa.
« E tu, invece? Cosa farai una volta che sarai guarito? »
Harry si voltò verso la finestra, da cui poteva vedere la cupa città di Oblivion sotto il cielo che imbruniva.
« Io devo trovare Nul... e convincerlo a riportarmi a casa. Dopotutto, ora che Voldemort è morto ne avrei il pieno diritto. Ho vinto la sfida. »
« E allora perché sei ancora qui? » obiettò Rina. « L’ho visto, il caro Nul... è apparso dal nulla dopo l’esplosione. Poteva benissimo rimetterti in salute con uno schiocco delle dita e riportarti al tuo mondo, invece mi ha suggerito di raggiungere l’ospedale. Voleva che tu sopravvivessi, che fossi curato. »
« Davvero? Ah, è dura cercare di trovare un senso in tutto questo casino! Ma devo affrontare una cosa alla volta... prima di tutto devo ritrovare i miei amici. »
« Oh, giusto, i tuoi amici! Vado a chiamarli subito. »
Harry rimase a bocca aperta mentre Rina si alzava dalla sedia e usciva dalla stanza, chiamando qualcuno che si trovava all’esterno.
« Ora è sveglio, gente, potete entrare... ma con calma, eh? »
Pochi secondi dopo, i Valorosi entrarono nella stanza, uno dopo l’altro. Harry era senza parole mentre Lara, Luke, Hellboy e Po si avvicinavano al suo letto, circondandolo con aria lieta. Sentì anche Jake brontolare fuori dalla porta, troppo alto e grosso per riuscire a passare.
« Ciao Harry! Uff, stupide porticine... »
Harry rise, poi prese la Bacchetta e la puntò verso la porta.
« Engorgio! »
La porta si allargò di parecchio, permettendo a Jake di entrare comodamente. Così, mentre lui entrava, Rina lasciava la stanza, salutando tutti.
Il ragazzo non poteva essere più felice di rivedere i suoi amici, sani e salvi, ma poi si rese conto che mancava ancora qualcuno... Edward e Sora. Jake anticipò la sua aria interrogativa e rispose, affermando che di loro due non avevano ancora notizie; poi passò a spiegare varie cose, in particolare ciò che avevano scoperto quello stesso giorno poco prima di raggiungere l’ospedale. La verità su tutti loro... l’idea che fossero, dal primo all’ultimo, eroi usciti da opere di fantasia.
Harry non riusciva a crederci, ma non poteva fare altrimenti. Perché i suoi amici avrebbero dovuto inventarsi una cosa del genere? Inoltre si era appena svegliato, non poteva credere che fosse tutto un sogno. Così rimase al suo posto, sul letto, in preda a una miriade di pensieri sconvolgenti.
« È così assurdo » mormorò. « Io ricordo tutto... i miei genitori, i miei amici, Hogwarts... la guerra... era tutto vero. Come potrebbe essere stata tutta una finzione? Non ha senso! »
« Lo stesso vale per noi » dichiarò Lara, « e per tutti quelli che ci hanno preceduti, immagino. Non abbiamo idea di cosa questo possa significare, ma per ora sarebbe meglio non preoccuparsi. »
« Già, occupiamoci di una cosa per volta » aggiunse Hellboy. « Pensiamo innanzitutto a ritrovare Ed e Sora... poi, una volta che sarai guarito, possiamo riprendere la caccia a un certo Nul. »
Harry annuì. Per ora, poteva solo aspettare di riprendersi completamente: in passato era sempre guarito da ferite gravi in poche ore, ma con quelle cure mediche (in stile Babbano, dal suo punto di vista) ci sarebbe voluto più tempo. L’idea lo irritava, dato che possedeva una bacchetta con cui avrebbe potuto aggirare il problema... se avesse conosciuto incantesimi di guarigione più efficaci.
Tutto sommato, era meglio approfittare di un simile momento di pace.
 
La notte era ormai scesa sull’ospedale. I Valorosi, dopo la loro conversazione con Harry, lasciarono in blocco la stanza per farlo riposare ancora. Dovevano ancora decidere dove passare la notte, e si radunarono nell’atrio in cerca di un posto adatto; il luogo era quasi deserto, fatta eccezione per il solito viavai di Senzavolto e la presenza di alcuni pazienti dell’ospedale. Proprio laggiù, vicino alla reception, il gruppo riconobbe un ragazzo, intento a parlare con altri due personaggi.
« Sora! »
Il ragazzo si voltò, attirato dalla voce dell’amico Po. Era proprio lui, il Custode del Keyblade, sano e salvo come tutti gli altri; non appena il suo sguardo si posò sui Valorosi, sfoggiò il sorriso più largo che potesse fare.
« Ragazzi! » esclamò, sorpreso e allegro come non mai. « Grazie al cielo... eccovi qua, finalmente! State tutti bene? »
« Be’, quasi tutti » spiegò Jake. « Harry è di sopra, un po’ malconcio ma si rimetterà. Di Ed non sappiamo ancora nulla. »
« Ormai cominciavamo a chiederci dove fossi finito » commentò Po, dopo averlo abbracciato. « Quando sei arrivato? »
« Proprio adesso » rispose Sora, poggiando le mani dietro la testa. « Ho fatto un sacco di strada per arrivare qui... stavo per cercarvi qua dentro, quando ho incontrato loro. »
Il ragazzo indicò i due personaggi con cui stava parlando fino a poco prima. Uno era un indiano pellerossa dai lunghi capelli, il volto dipinto di bianco e nero e un corvo impagliato posto in cima alla sua testa. Il suo volto aveva gli stessi lineamenti degli abitanti di Burton Castle. I Valorosi lo riconobbero come Tonto, un personaggio che Sora aveva già incontrato in precedenza.
L’altro individuo non ebbe bisogno di presentazioni, perché lo riconobbero tutti dopo un’ondata collettiva di stupore. Alto, capelli neri, giacca nera e camicia rossa... era Dylan Dog.
« Well, è proprio il caso di dirlo... chi non muore si rivede » commentò l’inglese con un sorrisetto. Ora aveva un aspetto migliore dal loro ultimo incontro: i suoi abiti erano puliti e non puzzava più d’alcol, ma la sua fronte era ricoperta di bende. Evidentemente aveva subito da poco un intervento.
« Cosa ti è successo? » domandò Jake. « Abbiamo temuto che fossi morto. Io... ricordo persino di aver sentito uno sparo, dopo il nostro incontro. »
« Ricordi bene, infatti » ammise Dylan. « Dopo che ve ne siete andati ho caricato la pistola e me la sono puntata alla testa. Ero pronto a farla finita... ma qualcosa è andato storto. Capita spesso a un aspirante suicida di fare cilecca: la mano ha tremato e mi sono ferito solo di striscio; mi ha trovato Tonto qualche tempo dopo » e indicò il pellerossa al suo fianco, « e insieme siamo giunti in questo posto. »
« Volevo solo tua giacca. Ti credevo morto » commentò Tonto.
« Bah, almeno così hai imparato che non si ruba. »
« Non rubare. Barattare. »
« E che se ne fa un morto del tuo cibo per uccelli? » ribatté Dylan. « Giuda ballerino, ho quasi nostalgia di Groucho, con te al mio fianco... »
I Valorosi assunsero un’aria divertita. Era da tempo che non gli scappava da ridere, dopo tutto quello che avevano passato; sembrava quasi che fosse merito di Sora... la sua presenza aveva riaperto la porta del loro ottimismo, come una chiave.
« Sembra che tu abbia recuperato la voglia di vivere, Dylan » osservò il ragazzo.
« Quasi » rispose Dylan. « Diciamo che mi sono ricordato di avere ancora qualcosa da fare, da queste parti: trovare quel maledetto di Nul. La mia indagine non è ancora finita, dopotutto, perciò mi sono rimesso al lavoro. »
« E cos’hai scoperto? » chiese Luke.
« Non molto, in verità. Nul è più sfuggevole di un fantasma, a quanto pare. Ma una cosa la so: sta succedendo qualcosa al Cimitero dei Mondi, qualcosa di grosso. Negli ultimi giorni ho visto molti Senzavolto dirigersi laggiù, come se fossero guidati da una forza misteriosa: sono arrivato abbastanza vicino da scoprire che succede. Stanno costruendo qualcosa, laggiù... un edificio, o qualcosa del genere. »
I Valorosi si scambiarono un’occhiata, perplessi. Non avevano idea di cosa parlava Dylan: dopotutto erano appena venuti fuori da una serie di eventi che li avevano tenuti ben lontani da quel settore di Oblivion. Tuttavia, l’occasione sembrava buona per indagare più a fondo.
« Se c’è dietro Nul in tutto questo, vale la pena dare un’occhiata » dichiarò Jake. « Non appena avremo ritrovato Edward, ci dirigeremo laggiù. »
« Sono d’accordo » aggiunse Lara. « Ormai è evidente, in ballo c’è molto più di una semplice sfida. I nostri nemici sono morti, eppure siamo ancora qui... e sono sicura che la nostra vera “natura” c’entri qualcosa in tutto questo. »
« La nostra “vera” natura? » ripeté Sora, incerto.
« Giusto, tu ancora non lo sai. Vedi, di recente abbiamo scoperto qualcosa di strano su noi stessi... »
Raccontarono a Sora ciò che avevano già riferito a Harry, del loro incontro con Jay e Silent Bob. Sora ascoltò con interesse, ma alla fine non si dimostrò poi così sorpreso.
« Mah, in realtà sapevo già di essere un videogioco » ammise il ragazzo, poggiando di nuovo le mani dietro la testa. « L’ho scoperto di recente, dopo essere tornato nel mio luogo d’origine... »
E raccontò brevemente il suo intermezzo nella Game Central Station. Lara in particolare ne rimase sorpresa, dato che anche lei proveniva da quel mondo... ma il ricordo della sua vera natura era stato rimosso, proprio come nel caso di Sora.
« Proprio un gran bel casino » commentò Hellboy, intento a fumare l’ennesimo sigaro.
I compagni annuirono, senza aggiungere altro. Dylan e Tonto si erano già congedati per riposare un po’. I sei compagni si apprestarono a seguire il loro esempio, ignari che il loro meritato riposo avrebbe dovuto attendere.
Un uomo si era appena messo a fare baccano nell’atrio, parlando a voce troppo alta. I Valorosi si voltarono a guardarlo: uno strambo tizio vestito con dei jeans e una camicia hawaiana che teneva aperta mostrando il petto; aveva i capelli biondi e la barba incolta, e portava un crocefisso al collo. Era impegnato a discutere con alcuni Senzavolto, che cercavano di trattenerlo.
« E lasciatemi! » sbraitava. « Sono guarito, no? Sono libero di andare! Stupido branco di pupazzi ambulanti... che diavolo volete da me? »
« Forse aspettano il mio consenso, non le pare? » disse un’altra voce.
Il dottor House era giunto nell’atrio, sbucando fuori dall’ascensore. Si avvicinò con tutta calma all’uomo, appoggiandosi al bastone come al solito; i Senzavolto si fecero da parte ad un suo cenno.
« Mi ripeta il suo nome, cognome e ragione valida per cui vuole andare là fuori » ordinò con tono pratico.
« Uff... Meme Oshino, monaco ed esorcista » rispose l’uomo ricomponendosi. « Voglio andarmene perché sono guarito, e devo ritrovare il mio allievo. Non intendo restare qui un secondo di più, sapendo che Koyomi è ancora là fuori da qualche parte. »
House attese qualche secondo, permettendo a mister Oshino di riprendere fiato.
« Molto bene » dichiarò. « Vada alla reception, firmi il modulo di dimissioni e hasta la vista. »
E gli voltò le spalle, per raggiungere i Valorosi rimasti ad assistere alla scena. Oshino rimase basito per un po’, ma poi obbedì all’ordine di House, dirigendosi alla reception.
« Salve, dottore » disse Luke con tono cordiale. « Come va la gamba? »
« Inutile per fare i cento metri, come al solito... ma almeno non fa più male, grazie a te. Avrei voluto incontrarti molto tempo fa, ragazzo... mi avresti risparmiato un sacco di rogne. »
« E quello? » intervenne Hellboy, notando l’uomo in camicia hawaiana mentre usciva dall’ospedale. « Lo lascia andare così? Mi aspettavo che avrebbe insistito per farlo restare. »
« Seconda regola del manuale del bravo dottore: mai impedire di andarsene a un paziente che non puoi fermare. Credevo l’aveste capito, ormai: qui è pieno di eroi dotati di superpoteri... come pensate che possa fermarli? »
« Già, capisco. Bah... spero che se la cavi. »
« Ha fatto ciò che riteneva più giusto » intervenne Sora. « Se ha un amico disperso, chi siamo noi per impedirgli di cercarlo? Noi ne abbiamo ancora uno da ritrovare, dopotutto. Mi chiedo dove sarà finito Ed... »
Le porte dell’ospedale si aprirono in quel momento, facendo avverare quel piccolo desiderio.
 
Il Gattobus si arrestò davanti all’ospedale. Edward Elric scese da esso con un balzo, seguito a ruota da Riuji Takasu. Il giovane dai capelli neri apparve un po’ sbattuto, a causa dell’alta velocità con cui avevano viaggiato.
« Mal d’autobus? » commentò Ed con un ghigno.
« Hah... non avevo mai viaggiato su un coso del genere. Senza offesa! » aggiunse subito, mentre i grandi occhi del Gattobus si posavano su di lui.
« Be’, ad ogni modo sembra che siamo arrivati » osservò l’alchimista, guardandosi intorno. « Se ci siamo fermati qui, significa che qui troveremo la tua ragazza. »
« Ma questo... è un ospedale. Vorrà dire che... santo cielo! Taiga! »
Riuji si fiondò verso l’ingresso, senza aspettare un altro secondo. Ed rimase senza parole, ma non voleva perderlo di vista e lo seguì a ruota, facendo appena in tempo a ringraziare il Gattobus per l’aiuto. Questi emise un miagolio soddisfatto e svanì nel nulla.
« Taiga! »
L’urlo e il rumore delle porte che si spalancavano attirarono l’attenzione di tutti coloro che si trovavano nell’atrio in quel momento. Riuji avanzò a grandi passi, alla ricerca disperata della sua ragazza, ma non la vedeva da nessuna parte. Ed continuò a seguirlo, in uno stato a metà tra l’imbarazzo e l’apprensione.
« Taiga! Dove sei? Taigaaa! »
« Ehm, Riuji, forse dovresti darti una calmata... »
« Edward! »
« Uh? »
L’alchimista si voltò. Poco lontano c’erano i suoi amici, i Valorosi, tutti riuniti accanto a un muro: lo stavano salutando, con un’espressione di gioia e sollievo dipinta su tutti i loro volti.
« Ragazzi! » esclamò, replicando la stessa sorpresa e allegria dimostrata da Sora poco prima. « Grazie al cielo, eccovi tutti qua! State bene? Un momento, dov’è Harry? »
« Tutto bene, Ed, tranquillo » assicurò Sora, dandogli una pacca sulla spalla. « Harry è di sopra, è stato ricoverato ma sta bene. E tu che fine avevi fatto? »
« Oh, se sapeste cosa ho dovuto passare prima di arrivare sin qui... »
« Taiga! TAIGA! »
Il gruppo fu distratto dalle continue urla di Riuji, che nel frattempo continuava a girovagare disperato. Ed tornò da lui, insieme a un irritato House.
« Dì un po’, ti sembra il modo più appropriato di usare le tue corde vocali in un posto del genere? » esclamò il dottore. « Credevo che un giapponese istruito sapesse riconoscere un ospedale quando si trova al suo interno... capisci almeno quello che dico? »
« Sì! Sì... perdonatemi » si scusò subito Riuji, riprendendo fiato. « Siete un medico, giusto? Sto cercando la mia ragazza, Aisaka Taiga... ho saputo che è qui... »
« Va bene, ho capito, seguimi » tagliò corto House. Insieme si diressero alla reception, seguiti a ruota da Ed. I Valorosi si avvicinarono un poco, restando comunque a debita distanza; non capivano bene cosa stavano succedendo, ma preferirono rimandare a dopo le domande.
House fornì istruzioni ai Senzavolto alla reception, comunicando il nome della probabile paziente che Riuji stava cercando. Con tutto quello che aveva da fare, il dottore non poteva pretendere di ricordarsi i nomi di tutti i suoi pazienti, perciò lasciava ai Senzavolto il compito di registrarli nel database dell’ospedale. La ricerca terminò nel giro di un minuto.
« Sì... Aisaka Taiga, eccola qui » dichiarò House, leggendo sul computer. « Ricoverata due settimane fa, frattura alla tibia sinistra... ormai in fase di guarigione. Terzo piano, secondo corridoio, stanza 2C. »
Riuji sospirò, molto più sollevato di prima.
« Taiga... sta bene, allora? Posso vederla? »
« Sì, sì... corri pure dalla tua principessa, Romeo. E tieni basso il volume! » gli urlò dietro, visto che il ragazzo si era già fiondato verso le scale a metà frase.
I Valorosi osservarono Riuji mentre si dirigeva a destinazione, seguito ancora una volta da Ed che affrettava il passo per stargli dietro.
« Lo accompagno... ci vediamo dopo! » avvertì i suoi amici, prima di sparire oltre la soglia.
Durante il tragitto, l’Alchimista d’Acciaio maledì Riuji per la sua idea di prendere le scale anziché l’ascensore. Il ragazzo giapponese era molto più alto di lui, e saliva intere rampe in pochi secondi; Ed, invece, maledì ancora una volta le sue gambe corte mentre stava dietro a quel forsennato.
Giunsero così al terzo piano. Entrambi avevano il fiatone, ma Riuji non si fermò, e continuò a correre, imboccando il secondo corridoio; numerosi personaggi lo fissarono incuriositi lungo il percorso, mentre urlava a gran voce il nome della sua amata.
« Taiga... Taiga! »
Alla fine, la stanza 2C si palesò davanti ai suoi occhi. Riuji si fermò di fronte alla porta, ansimando dopo quella lunga corsa.
Improvvisamente gli tremavano le gambe. Sapeva chi lo aspettava oltre quella soglia, eppure ne aveva timore: non aspettava altro da settimane, e ora che si trovava a pochi metri da lei... non sapeva come comportarsi.
Sentì poi una mano metallica posarsi sulla sua spalla.
« Andrà tutto bene, vedrai » gli disse Ed con un sorriso. « E se le cose dovessero mettersi male, non temere... mi trovi qui a coprirti le spalle. »
Riuji sorrise, senza nascondere una sfumatura ironica.
« Spero che tu sappia difenderti da una tigre in miniatura, allora. »
Il ragazzo inspirò profondamente e aprì la porta. La luce nella stanza era accesa, ma la persona sdraiata sul letto stava già dormendo. Il battito di Riuji accelerò mentre riconosceva la sua Taiga sotto quelle lenzuola: piccola come una ragazzina, il viso delicato e lunghi capelli dorati; sembrava una bambolina, proprio come la prima volta in cui l’aveva osservata dormire. Una visione quasi incantevole.
Riuji andò a sistemarsi accanto a lei, incerto se svegliarla o meno, ma non ce ne fu bisogno. Taiga aprì lentamente gli occhi, accortasi di una presenza estranea, e fissò lo sguardo del ragazzo.
« Taiga » mormorò lui, emozionato.
« Riuji... sei proprio tu? » sussurrò Taiga.
« Sì! Sì, Taiga, sono io. Finalmente... finalmente ti ho ritrovata! »
Taiga fece un sorriso, dapprima dolce, poi improvvisamente maligno.
« Bene... »
Accadde in un attimo. Taiga si alzò di scatto dal letto, scostando le lenzuola in un gesto fulmineo. Riuji arretrò per lo spavento e cadde a terra. Cercò di rialzarsi, ma ciò che vide lo immobilizzò al pavimento: Taiga stava in piedi sul materasso a braccia incrociate, incurante della gamba sinistra ingessata; uno sguardo terrificante era rivolto su di lui; i suoi capelli sembravano ondeggiare nell’aria, come se il tempo si fosse fermato.
Riuji conosceva bene quella reazione, e si preparò subito al peggio.
« Riuji... dove diavolo ti eri cacciato? » esclamò Taiga a voce alta. « Il mondo è impazzito, la mia casa è andata distrutta... e tu sei sparito per intere settimane! Con quale coraggio osi tornare da me dopo tutto questo tempo, inutile bastardino? »
« T-Taiga, io... mi dispiace! » si scusò lui. « Anche a me è capitato di tutto. Non hai idea di ciò che ho passato in questi ultimi... »
« Sta’ zitto! Le tue scuse non m’impressionano affatto! Ora stai fermo, e preparati a ricevere... quello che meriti...! »
Riuji vide Taiga saltar via dal letto per scagliarsi su di lui, atterrando di peso sul suo petto. Il ragazzo sentì subito una forza enorme stritolarlo lungo i fianchi, ma poi capì: Taiga lo stava abbracciando. Aveva affondato il viso sul suo petto, scoppiando nel frattempo in lacrime.
« T-Taiga? »
Nel volgere di un attimo, l’ira di quella giovane si era tramutata in un pianto di gioia.
« Oh, Riuji... lo sapevo! » singhiozzò lei. « Lo sapevo che eri ancora vivo, lo sapevo! Nonostante tutto... nonostante abbia visto il caos che c’è là fuori... io lo sapevo! Sapevo che stavi bene... e che saresti tornato da me... Riuji... Riujiiiii!! »
Ed era rimasto per tutto il tempo sulla soglia, osservando una situazione farsi dapprima drammatica e poi terribilmente commovente; l’alchimista si rilassò mentre vedeva Riuji rispondere all’abbraccio, nel tentativo di tranquillizzare la sua amata. Si sentiva soddisfatto di quel risultato, piccolo e immenso allo stesso tempo: come Sora aveva fatto riunire Wall-E ed EVE, ora lui era riuscito a riunire un’altra coppia.
« E io sapevo che ce l’avevi fatta anche tu » mormorò Riuji. « Oh, Taiga... tranquilla, adesso sono qui. Andrà tutto bene...  noi siamo la tigre e il drago, ricordi? Fin dai tempi antichi c'è un legame che ci unisce... comunque vadano le cose, siamo destinati a stare insieme. Perciò eccomi, sono tornato... e non ti lascerò mai più. »
Taiga non disse nulla. Era d’accordo, perciò continuò a versare lacrime, stretta al petto di Riuji come se non volesse più lasciarlo. Il ragazzo rivolse lo sguardo su Ed, sorridendo con gioia.
« Grazie » sussurrò, per poi tornare a guardare Taiga.
Ed ammiccò, e uscì dalla stanza.
 
Ormai si era fatto tardi. Ora che i Valorosi erano finalmente riuniti, potevano tirare un vero sospiro di sollievo; ormai potevano rimandare ogni decisione all’indomani, aspettando con pazienza la completa guarigione di Harry. Ognuno di loro convenne che fosse giunta l’ora di riposare, così si congedarono per trovare un posto adatto per dormire. L’ospedale aveva molte stanze libere, messe a disposizione da House per ospitare tutti gli eroi che sceglievano di restare: trovarono tutti una sistemazione nello stesso reparto di Harry, tranne Jake che preferì dormire all’aperto. Un Na’vi non poteva certo dormire su un comune letto d’ospedale, ma trovò un’ottima sistemazione nel giardino sul retro; i suoi compagni lo videro sistemarsi sull’albero più robusto, per poi abbandonarsi al sonno sopra un ramo.
Non tutti andarono subito a dormire. Hellboy raggiunse il tetto dell’ospedale per fumare un ultimo sigaro, e con sua grande sorpresa scoprì che l’area era già stata occupata da Po. Il panda, infatti, era intento ad allenarsi, contro qualsiasi aspettativa.
« Problemi di insonnia? » borbottò il demone, attirando la sua attenzione.
Po si voltò, fermandosi, e annuì.
« Già » disse con aria triste. « Dopo tutto quello che è successo, dubito di riuscire a dormire come se nulla fosse. »
Hellboy restò in silenzio per un po’. Faticava molto a riconoscere il suo amico Po in quel frangente: non sembrava lo stesso grosso, lardoso ma simpaticissimo panda che aveva incontrato giorni prima nel parco... intento a prepararsi una pentola di spaghetti. Qualcosa lo aveva scosso, ed Hellboy ne era già al corrente.
« Ti capisco... dopotutto hai appena perso un amico. Come si chiamava? Tai-chi? »
« T’ai Fu. Io... lo avevo appena conosciuto, ma siamo andati subito d’accordo. Si è sacrificato per me, per farmi tornare a casa... e io gli ho promesso che sarei diventato più forte. Mi ha lasciato questa » e mostrò la pergamena che si era portato dietro tutto il giorno. « Contiene i segreti delle sue tecniche... e ho intenzione di impararle tutte. »
Il panda tornò ad allenarsi, sferrando colpi all’aria. Hellboy rimase ad osservarlo, poi sorrise e si avvicinò non appena terminò il sigaro.
« Anch’io ho un po’ d’insonnia » dichiarò, mettendosi in guardia di fronte a Po. « E considerando ciò che ancora ci aspetta là fuori, penso che un po’ di allenamento farà bene anche a me. Vediamo cosa sai fare, panda! »
Po lo osservò stupito, ma poi sorrise a sua volta. Un degno avversario era l’ideale per padroneggiare correttamente una nuova tecnica.
 
Nel frattempo, Lara aveva raggiunto la sua stanza. Era sola davanti alla vetrata e osservava la città immersa nelle tenebre. Nessun palazzo era illuminato, come se i Senzavolto che li abitavano non avessero problemi a restare al buio. Non si fece domande a riguardo: il mondo di Oblivion sfuggiva ad ogni comprensione.
Lo sentì fermarsi sulla soglia prima ancora che aprisse bocca.
« Sei preoccupata per qualcosa? » chiese una voce profonda alle sue spalle.
Lara si voltò appena. « È così evidente? »
« Sì » disse piano Luke. « Le tue emozioni brillano forti in questo angolo di oscurità... per me è impossibile non notarle. »
L’archeologa ridacchiò, guardando il compagno negli occhi.
« Dimentico sempre questa tua capacità. Dovrei preoccuparmi anche di questo, in tal caso... stare sempre attenta a ciò che penso vicino a te. »
Luke replicò la sua espressione, divertito, ed entrò nella stanza.
« Perché? Temi forse che possa vedere in te qualcosa di spiacevole? »
« No. Temo che potresti vedere qualcosa di piacevole, invece. »
Lara sembrava imbarazzata... un’espressione che non le si addiceva per niente. Mentre guardava il Jedi, provò un’ondata di emozioni a cui non era abituata.
« Ormai non possiamo negarlo, Luke » disse lei. « Tu mi piaci, io ti piaccio... ma lo sappiamo entrambi, questa cosa non può avere un futuro. Se vinceremo... se riusciremo a tornare a casa, ai nostri mondi... noi non potremo stare insieme. Lo capisci, vero? »
Luke annuì, senza smettere di guardarla. Ormai erano l’uno di fronte all’altra, come quel giorno sulla prua del Titanic; un altro momento perfetto, al riparo da imprevisti ed estranei inopportuni. Il Jedi sorrise, e istintivamente posò la sua mano sulla guancia di Lara, accarezzandogliela. Lei, d’impulso, si sporse in avanti e gli diede un lungo bacio sulle labbra; quando si tirò indietro era molto rossa in viso, ma mantenne il suo solito sguardo fiero.
Luke le sorrise con affetto e l’attirò a sé.
« Io preferisco averti conosciuto ora » dichiarò, « e amato solo per un giorno, in questo mondo spezzato... piuttosto che mai in tutta la mia vita. »
Lara inspirò a fondo, poi sorrise.
« Anche io. »
La guardò negli occhi per un attimo ancora, ammirato, per poi chiuderli e chinarsi in avanti; la baciò, lentamente, dandole il tempo di abituarsi e di coordinare i respiri, assaporando quel momento. Rimasero stretti in un lungo abbraccio da cui sembrava non volessero più sciogliersi. Ma la notte era ancora lunga, ed era tutta per loro.

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Capitolo 35
*** Il ragazzo senza passato ***


Capitolo 35. Il ragazzo senza passato
 
La famiglia Skywalker si stava rilassando. Si trovavano sulla riva del lago Varykino, intenti a godersi tutto ciò che poteva offrire loro quello splendido paesaggio. Non mancava loro niente di quello che già non avessero. Luke e Leila giocavano sul bagnasciuga, facendo del loro meglio per realizzare un passabile modellino in miniatura del Tempio Jedi con la sabbia. Darth Vader li osservava poco lontano, seduto su una roccia, orgoglioso come ogni buon padre; i suoi figli sognavano quello che sognava lui alla loro stessa età, e non poteva che esserne lieto.
Padmé, seduta accanto a lui, completava il quadro, donandogli la perfezione assoluta. Lei sorrideva mentre la brezza muoveva i capelli sciolti, osservando serena i suoi piccoli tesori; ogni tanto si voltava a guardare il marito, indifferente al suo aspetto tenebroso... in cerca di una silenziosa approvazione che già aveva, ma che non poteva riconoscere.
Se solo fosse vero, pensò Vader per l’ennesima volta, e il suo sospiro si perse nel vento.
Accadde all’improvviso. Le immagini di Padmé e dei bambini si dissolsero, svanendo nel nulla in pochi attimi. Vader si alzò in piedi, e nel frattempo il cielo divenne ancora più cupo e tenebroso. Qualcosa disturbava la Forza che permeava quel luogo di pace, annullando i ricordi.
Capì cosa stava succedendo da quei deboli segnali. Avvertì il pericolo mentre il vento si alzava, e le ombre sulla spiaggia diventavano più nere che mai. Scoprì la minaccia mentre questa si faceva avanti alle sue spalle, e lui aveva già afferrato la spada laser. Era già pronto a combattere mentre udiva la voce del suo avversario, priva di qualsiasi emozione.
« Traditore » disse la voce. « Riconosci questa sensazione? Senti questo odore? È l’oscurità... la stessa a cui appartieni, e da cui hai tentato di sottrarti. »
La lama di luce rossa brillò tra le sue mani, prima di voltarsi a guardare in faccia colui che aveva osato violare il suo rifugio.
Xemnas lo aveva trovato... purtroppo per lui.
 
I Valorosi si radunarono il mattino seguente, freschi e riposati dopo una nottata relativamente tranquilla. Come al solito, Nul sembrava riservare sorprese e conflitti durante il giorno, per concedere il giusto riposo durante la notte. Il gruppo di eroi si ritrovò nella sala mensa dell’ospedale, un ampio reparto pieno di tavoli e sedie, già occupato da alcuni pazienti e dai Senzavolto.
Il primo ad arrivare fu Jake, raggiunto poco dopo da Luke e Lara. Il Jedi e l’archeologa apparivano tranquilli, per non dire particolarmente allegri. Al Na’vi bastò un’occhiata e il suo fiuto per capire cosa avevano fatto quei due durante la notte, e li salutò con un sorriso eloquente mentre facevano la fila al bancone.
Beati loro, pensò tra sé. Jake non aveva parole per descrivere quanto gli mancava la sua compagna, ma non smetteva di pregare di rivederla presto.
« Buongiorno, ragazzi » salutò Sora, giunto in quel momento in sala insieme a Edward. « Dormito bene? »
« Come uno yerik in letargo » commentò Jake, ironico.
« Beato te, allora » grugnì una voce alle loro spalle. I compagni si voltarono e videro Hellboy, seguito da Po. I due mostravano ancora una notevole sonnolenza, visto come sbadigliavano.
« Che avete fatto, ragazzi? » domandò Ed, preoccupato.
« Ah, nulla di particolare... ci siamo allenati » rispose Po.
« Già. Il ragazzone, qui, ci ha dato dentro per ore, stanotte » dichiarò Hellboy con un sorrisetto. « Ha imparato tante nuove tecniche: il Volo dello Struzzo, il Gancio di Fuoco, l’Onda Energetica... »
« Ehm, forse volevi dire il Volo della Gru, il Pugno della Tigre e il Colpo di Chi. »
« Seee, come ti pare. »
Nel frattempo si erano seduti a un tavolo, tutti insieme. Avevano preso un po’ di tutto tra quello che la mensa offriva: latte caldo, caffè, succo di frutta, marmellata, biscotti, brioches e altre cose di questo genere. Hellboy, invece, attirò l’attenzione di tutti mentre apriva una lattina di birra.
« E quella dove l’hai presa? » domandò Lara, incuriosita.
« Dal distributore automatico in corridoio » rispose Hellboy con un sorriso. « Avevo un po’ di spiccioli da parte e ho pensato di fare scorta. »
Nel frattempo aveva sollevato la coda, mostrando a tutti un cesto pieno di lattine e snack assortiti.
« Io ho smesso di essere un umano da mesi » commentò Jake, « ma sono ancora in grado di capire una cosa del genere. Come cavolo fai a bere quella roba a colazione? »
« Ne ho sentito molto la mancanza, in questi ultimi giorni. Se proprio dobbiamo morire in questa valle oscura, almeno voglio togliermi qualche sfizio prima di esalare l’ultimo respiro. »
« Chi è che ancora gioca a fare il pessimista? »
I Valorosi si voltarono. Con grande sorpresa di tutti, Harry era apparso in sala mensa: aveva ancora la testa e una gamba ricoperti di bende, ma le braccia erano a posto e si reggeva su una stampella. Il ragazzo li guardava tutti con un gran sorriso, lieto di essere di nuovo insieme a loro.
« Harry! » esclamò Lara per prima. « Ma... stai bene? »
« Certo. Abbastanza, almeno, per alzarmi dal letto e fare colazione con gli amici. »
« Strano » osservò Luke. « Rispetto a ieri sembri migliorato parecchio... come hai fatto a guarire così rapidamente? »
« Me lo ha detto il dottor House poco fa, quando mi ha visitato » spiegò Harry. « Su Oblivion il tempo non ha significato, scorre in modo irregolare. La regola vale soprattutto in questo ospedale, e le ferite riportate guariscono più in fretta del normale; e credetemi, non mi lamento affatto di questo bizzarro dettaglio. »
« Hehe… nemmeno noi! »
Gli otto compagni iniziarono a mangiare, riuniti e visibilmente di buonumore. L’atmosfera era tranquilla, sebbene fosse impossibile dimenticare la difficile situazione in cui si trovavano. Ogni tanto, qualche membro del gruppo si guardava intorno, individuando gli altri personaggi intenti a fare colazione. Non erano molti, ma tra loro riconobbero Luigi, Dylan Dog e Tonto. Più avanti, seduta a un tavolo vicino alla finestra, stava una donna molto bella dai capelli bruni: sembrava parlare da sola, o con qualcuno d’invisibile. In un angolo videro un ragazzo bruno su una sedia a rotelle: fisico allenato, indossava una t-shirt rossa con le maniche rimboccate, jeans e scarpe da ginnastica; era immobile come un sasso, gli occhi spenti. Un Senzavolto vestito da infermiere lo aiutava a mangiare, imboccandolo con un cucchiaio. I Valorosi distolsero lo sguardo, desolati: non osavano neppure chiedersi cosa avesse passato quell’eroe per ridursi a un vegetale.
« Scusate, avete visto il mio gatto? »
Hellboy alzò lo sguardo, attirato dalla voce. Un ragazzo si era avvicinato al tavolo: era alto e magro, con capelli corti rosa; portava una grossa sciarpa intorno al collo sopra un gilet nero, e sulla spalla destra spiccava un marchio rosso come il sangue. Aveva uno sguardo sconsolato come molti altri pazienti, ora rivolto verso i Valorosi.
« Il tuo gatto? » chiese Hellboy, più interessato degli altri.
« Sì. È piccolo, ha il pelo azzurro e sa parlare » rispose il ragazzo. « Si chiama Happy. Vi prego, se lo vedete fatemi sapere. »
« Oh, ma certo, nessun problema... ehm... »
« Natsu. Mi chiamo Natsu. »
Hellboy gli sorrise, sollevando il pollice di pietra. Natsu ringraziò e si allontanò, riprendendo la ricerca più avanti.
Appena finito di mangiare, i Valorosi decisero di riordinare le idee. Non avevano ancora avuto modo di parlare con calma e chiarezza di ciò che era accaduto a ognuno di loro dopo il naufragio del Titanic; ora che erano finalmente riuniti, l’occasione era buona per farlo. Uno dopo l’altro, gli otto compagni raccontarono a turno le loro avventure in solitario, prendendo nota nel frattempo di ciò che avevano appreso su Oblivion. Harry si occupò di riportare ogni cosa su un foglio di pergamena fatto apparire per magia. La conversazione fu lunga e dettagliata, ma alla fine ogni pezzo andò al suo posto, e ogni eroe del gruppo era al corrente di tutto.
Prima di tutto elencarono i vari settori di Oblivion che avevano visitato. Ognuno di essi era un frammento di altri mondi: Malebolgia, Burton Castle, la Foresta di Ghibli, il lago Varykino, Little Hangleton, l’Albero del Mondo, il Jurassic Park, la Game Central Station, il campo di battaglia di Skynet, la Piramide di Argus. Alcuni luoghi erano rimasti neutrali o ben difesi, per mano di eroi e altri personaggi sopravvissuti alle battaglie passate; altri erano andati in rovina o abbandonati a causa dell’avanzare del conflitto. Da questo, i Valorosi potevano supporre che la guerra di Nul aveva proporzioni molto più grandi di quanto immaginavano: a detta di Darth Vader, inoltre, erano proprio i cicli di battaglie a provocare la distruzione dei mondi... e il numero di quelli già caduti era ormai divenuto incalcolabile.
Un altro dato certo era la presenza su Oblivion di personaggi comuni, decisamente inadeguati al combattimento, ma che in qualche modo erano sopravvissuti alla scomparsa dei loro mondi. Ed ricordò Catherine, Pikachu e tutte le altre creature rimaste nella Foresta di Ghibli: Nul non poteva averli scelti per combattere, eppure erano lì con loro, in un mondo corrotto e dominato dal caos. Forse avevano un ruolo in tutto questo, ma che per i Valorosi restava ancora ignoto.
Si parlò anche di Nul, uscito finalmente allo scoperto. I Valorosi che lo avevano incontrato descrissero tutti lo stesso essere, un uomo incappucciato dotato di grandi ali nere; nessuno di loro aveva saputo riconoscere il viso che nascondeva, ma potevano stare certi che con un tipo del genere non c’era da scherzare.
C’era inoltre la questione sulla natura “fittizia” che accomunava tutti loro. Ogni personaggio giunto su Oblivion sembrava provenire da opere letterarie di ogni sorta: libri, film, fumetti e altre opere dell’ingegno partorite dalla mente di autori umani. Un altro mistero al quale non trovavano ancora soluzione, ma che doveva comunque essere tenuto in conto.
Infine, i Valorosi presero nota sulle loro Nemesi. Elencarono i loro nomi dal primo all’ultimo, e in base agli ultimi avvenimenti risultò che la maggior parte di quei nemici erano morti. Voldemort, Natla, Quaritch, Tai Lung, Ansem, Envy e Nuada avevano trovato la loro fine per mano di quegli stessi eroi che volevano distruggere. Solo Darth Vader era sopravvissuto, ma solo perché si era rifiutato di obbedire a Nul. In sostanza, i Valorosi potevano dire di aver vinto la loro battaglia, eppure qualcosa non tornava.
« Noi siamo ancora qui » dichiarò Jake alla fine. « I nostri nemici sono morti, la sfida di Nul è finita a nostro favore... eppure non è cambiato nulla. Siamo ancora prigionieri di questo mondo, e non ho idee che possano giustificare questa condizione. Voi che ne pensate? »
I compagni si scambiarono un’occhiata incerta.
« Ne so quanto te, amico » borbottò Hellboy, bevendo un’altra lattina di birra. « Ricordo benissimo quello che ci ha detto Draven sulle regole del gioco. “Sconfiggete i vostri nemici e potrete tornare a casa”... ha detto così, più o meno. Se abbiamo sbagliato da qualche parte, non ne ho idea. »
« Be’, se tutto questo è davvero un gioco, forse dobbiamo arrivare al traguardo » suggerì Sora. « Raggiungere un luogo particolare di Oblivion... forse laggiù troveremo Nul e lui acconsentirà a riportarci ai nostri mondi. »
« No, non mi convince » intervenne Lara. « Non dimentichiamo che noi abbiamo già incontrato Nul... almeno alcuni di noi. È stato lui a farci riunire, dopo essersi congratulato con noi per la vittoria. Se avesse voluto riportarci ai nostri mondi, lo avrebbe già fatto... dunque ha ancora dei piani per noi. »
« Già, è vero » convenne Harry. « Io ero ferito, stavo per morire... e Nul ha indicato a Rina come salvarmi, dicendo di recarci qui. È ovvio che ci vuole ancora vivi e in salute... forse per combattere ancora. »
« Sì, ma contro chi? » chiese Po. « Contro di lui? Più andiamo avanti, meno ci capisco qualcosa in questa faccenda! »
Il panda mandò giù una ciambella intera, colto da un nuovo attacco di angoscia.
« Per me, quello si sta facendo due risate alle nostre spalle » fece Ed, incrociando le braccia. « Ormai è chiaro, Nul è il padrone di questo posto e si diverte nel vederci combattere e soffrire. Eppure siamo arrivati fin qui, no? Abbiamo vinto la sfida che ci ha lanciato, ma per qualche motivo siamo ancora bloccati in questo posto. Mi piacerebbe almeno sapere dove stiamo sbagliando... »
 « Non avete rispettato le regole. »
I Valorosi tacquero, attirati da voce sconosciuta che aveva appena parlato. Si voltarono tutti e videro un ragazzo, seduto al tavolo accanto: a prima vista sembrava un tipo normale, di altezza e corporatura simili a Ed; aveva il naso e la mascella sottili. Dimostrava una ventina d’anni e indossava una comune giacca e pantaloni neri. L’unico particolare evidente erano i capelli grigi come l’argento, lisci e lunghi fino alle spalle. Lo sguardo che rivolgeva al gruppo era serio, quasi gelido.
« Come hai detto, scusa? » chiese Lara, usando un tono normale.
« Voi » rispose il ragazzo, « non avete rispettato le regole. Ecco perché siete ancora qui. »
I Valorosi si scambiarono un’altra occhiata.
« Be’, ora sì che è tutto chiaro, ragazzo » commentò Hellboy. « Magari, se ci fornisci qualche dettaglio in più entro la giornata, riusciamo magari a risolvere la faccenda. »
« Già, che intendi dire? » chiese Sora. « Sai qualcosa su questa storia? »
Il ragazzo dai capelli argentati annuì, e nel frattempo si alzò in piedi. Jake lo squadrò dall’alto, più sospettoso.
« Prima voglio sapere chi sei. »
« Eidan » rispose lui. « Temo che dovrete accontentarvi del mio nome, perché è tutto quello che so di me stesso. È l’unica cosa che ricordo dopo aver ripreso conoscenza su Oblivion, in seguito al conflitto da cui sono sopravvissuto. »
« Vuoi dire che hai perso la memoria? » chiese Luke.
« Esatto. Non ricordo niente del mio passato, né delle mie capacità, né del mondo da cui provengo. Sono uno sconosciuto persino ai miei occhi... nient’altro che un guscio vuoto, non molto diverso dagli spettri che vediamo camminare su queste strade » e accennò ai Senzavolto al bancone. « L’unica differenza è che io ho ancora una faccia e una voce. »
I Valorosi si guardarono nuovamente tra loro, in silenzio. Non sapevano cosa pensare nei confronti di Eidan, dopo aver sentito quelle parole: sapevano che mostrarsi dispiaciuti non serviva a molto, dato che non lo conoscevano affatto. Non furono molto sorpresi per la sua spiacevole condizione, l’amnesia: dopotutto si trovavano in un ospedale, dove molti personaggi avevano subito danni ben peggiori.
Di certo quel tipo li incuriosiva, poiché si era intromesso nella loro conversazione.
« Da quanto tempo ti trovi qui, Eidan? » domandò Harry.
« Heh... da sempre » rispose lui con un sorriso ironico. « Anche se qui il tempo non significa niente, da quando ho messo piede su Oblivion ho visto il trascorrere di innumerevoli giorni e notti. Sapete, credo di essere stato uno dei primi a finire quaggiù... all’epoca non vidi molti altri personaggi, ma con il tempo ne sono arrivati in numero sempre maggiore. Costretti a combattere, uno dopo l’altro... costretti a raccogliere la sfida di Nul. »
Silenzio. I Valorosi attesero che quel ragazzo riprendesse a parlare, ma ciò non avvenne.
« Prima hai detto che non abbiamo rispettato le regole » osservò Sora. « Cosa intendevi dire? »
« Uhm... come avete appreso le regole? » chiese Eidan. « È stato Nul in persona a illustrarvele? »
« No, ce le ha spiegate un tale, Eric Draven. »
Sora raccontò brevemente l’incontro con quel tipo tenebroso, in un cimitero in pieno centro. Eidan sedette nel frattempo al tavolo insieme a loro, e alla fine fece un debole sorriso.
« Ah, Draven... dunque è ancora pronto ad aiutare il prossimo, a quanto pare. »
« Credi che ci abbia mentito? » suggerì Luke. « O che ci abbia nascosto qualcosa? »
« Nah, Draven è a posto, sono certo che vi ha detto tutto ciò che sapeva... o tutto ciò che dovevate sapere. Il vostro problema è diverso. Se siete ancora qui è perché non avete rispettato la regola fondamentale: eliminare i vostri nemici. »
I Valorosi si scambiarono un’occhiata confusa.
« Lo abbiamo fatto. I nostri nemici sono morti » puntualizzò Jake.
« No, voi non avete ucciso i vostri nemici » ribatté Eidan, serio. « Ecco il problema. Certo, sono morti, ma non per mano vostra, dico bene? Raccontatemi come sono andate le cose, così capirete voi stessi. »
I Valorosi annuirono, e descrissero accuratamente le circostanze in cui avevano affrontato e sconfitto le loro Nemesi. Eidan si occupò di prendere nota, sullo stesso foglio di pergamena usato da Harry per annotare le informazioni precedenti.
E alla fine...
« È come pensavo, purtroppo » dichiarò il ragazzo, guardando il foglio. « Vedete, ragazzi, le cose stanno così. Per vincere la sfida, voi avreste dovuto eliminare i vostri avversari... sconfiggerli non era sufficiente, dovevate ucciderli con le vostre mani. Voi non avete ucciso le vostre Nemesi, dato che, in base a ciò che mi avete raccontato, sono morti in altre circostanze. Osservate voi stessi. »
Eidan posò il foglio al centro del tavolo, così che tutti i Valorosi potessero vedere chiaramente. Il ragazzo aveva elencato i nomi dei loro nemici, e il modo in cui erano morti:
 
Natla – nemesi di Lara Croft. Morta a causa del morso del vampiro Barnabas Collins.
Envy – nemesi di Edward Elric. Ingoiato da un uccello.
Miles Quaritch – nemesi di Jake Sully. Ucciso da un Terminator.
Nuada – nemesi di Hellboy. Rimasto prigioniero a Malebolgia.
Tai Lung – nemesi di Po. Morto per autodistruzione.
Voldemort – nemesi di Harry Potter. Morto per mano di un nemico ignoto.
Darth Vader – nemesi di Luke Skywalker. Ancora vivo.
Ansem – nemesi di Sora. Stato sconosciuto.
 
Alcuni di loro cominciarono a capire prima ancora di finire l’elenco. La realtà dei fatti era incredibile, eppure aveva perfettamente senso. Quei dati confermavano la teoria di Eidan: nessuna Nemesi era morta per mano dell’eroe affrontato.
Dovevano dargli ragione. Non avevano rispettato le regole del gioco.
« Ehi, perché hai scritto “stato sconosciuto” accanto ad Ansem? » domandò Sora, incerto. « Ho detto chiaramente di averlo distrutto, non mi hai sentito? »
« Ho sentito » affermò Eidan, « eppure anche tu sei ancora qui, come il resto dei tuoi amici. Dunque dubito che il tuo nemico sia stato distrutto in modo definitivo... dopotutto lo hai visto ridere e minacciarti mentre scompariva, no? »
Sora fece per rispondere, ma poi tacque e si limitò ad annuire, ricordando ancora una volta quel momento.
« Hehe... sì, è finita. Per Ansem, almeno... ma per Xehanort... non è affatto... finita. Non hai ancora vinto... Custode del Keyblade... »
« Fantastico » commentò amareggiato, incrociando le braccia. « Ci mancava solo questa. »
« Ora capisco perché T’ai Fu non è riuscito a tornare a casa » disse Po in quel momento. « Mi ha raccontato che il suo nemico era morto, ma lui era rimasto bloccato qui come noi. »
« Perché non era stato lui ad ucciderlo » convenne Harry. « Lo stesso vale per Dylan, a quanto pare... e per Rina. »
« E per tutti i poveri diavoli che vi circondano » concluse Eidan. « Ormai dovreste averlo capito, ragazzi... qui è pieno di sopravvissuti: eroi che, come voi, hanno affrontato i loro nemici in battaglia e ne sono usciti vivi per miracolo. Prendete quel tipo laggiù, per esempio » e indicò il ragazzo bruno sulla sedia a rotelle. « Seiya di Pegasus, cavaliere protettore della dea Atena: è stato portato qui nelle condizioni in cui lo vedete ora, con l’armatura ridotta in frantumi... possiamo solo immaginare cosa può essergli accaduto. Per me è fortunato ad essere ancora vivo, comunque... e sto parlando di un potente guerriero, di un eroe come voi. Questa triste sorte capita anche ai comuni mortali. »
« Che vuoi dire? » domandò Jake, ma Ed anticipò la risposta.
« Si riferisce agli altri, credo... tutti quei personaggi che sono finiti su Oblivion ma che non hanno ricevuto alcuna sfida, come Riuji e gli abitanti di Burton Castle. »
Eidan annuì, e nel frattempo si voltò a guardare da un’altra parte, verso la donna che parlava da sola.
« Non ha certo l’aria di una guerriera, quella bella signora » osservò il ragazzo. « In effetti è solo una casalinga: si chiama Melinda, e tutto quello che sa fare di speciale è vedere i fantasmi. Credo che adesso stia conversando con uno di loro, ma io non vedo proprio niente... e voi? »
I Valorosi scossero la testa. Anche ai loro occhi quella donna sembrava parlare da sola, eppure lei proseguiva come se nulla fosse, come se fosse davvero qualcuno di fronte a lei.
« ...mi dispiace tanto, Amidamaru » la sentirono mormorare in quel momento. « Vorrei tanto poter fare più di questo. Ormai non ti resta che passare oltre. »
Eidan sospirò, e tornò a guardare i Valorosi.
« Capite cosa voglio dire? » disse. « Voi sperate ancora di poter risolvere tutto... di poter vincere questa battaglia e di uscirne vittoriosi; di tornare a casa dopo quella che credevate solo l’ennesima avventura. Ma la vostra è solo un’illusione... la stessa in cui hanno vagato tutti loro » e allargò le braccia, come per indicare l’intera gente che li circondava « prima di accettare la realtà. La realtà è questa, signori: non c’è vittoria, e non c’è ritorno. C’è solo Oblivion nel futuro di tutti noi. »
Calò il silenzio ancora una volta. Gli otto compagni non se la sentirono di aggiungere altro. Eidan era stato molto chiaro, senza ombra di dubbio: la sapeva lunga su ogni cosa, ma tale fatto era giustificato dalla sua lunga permanenza su Oblivion. Aveva avuto molto tempo per informarsi su tutto, sui luoghi e sugli altri personaggi giunti laggiù.
Ma i Valorosi non riuscivano a fidarsi completamente di lui. Tipi come Jake, Hellboy e Luke, i membri più percettivi del gruppo, sentivano qualcosa di strano in quel ragazzo: sicuramente aveva detto la verità, ma la sua voce non era affatto quella di un eroe sconfitto come Dylan Dog, o di un essere neutrale come Draven. Eidan sembrava qualcosa di diverso, ma non c’era modo di scoprirlo... dopotutto, nemmeno lui sapeva chi fosse.
« Visto che la sai tanto lunga, Eidan, voglio farti una domanda » intervenne Jake, spezzando infine il silenzio. « Perché sei venuto a dirci tutto questo? Cos’hai pensato per decidere di venire a parlarci? »
Il ragazzo vuotò la sua tazza di caffè prima di rispondere.
« Sentivo di doverlo fare » disse con tono piatto. « Voi siete ancora dei novellini, dopotutto, dovevate sapere come funzionano le cose da queste parti. Vivo in questo ospedale da un pezzo, ne ho visti arrivare tanti prima di voi... e a ognuno di loro ho spiegato questa realtà immutabile. Ora sta a voi, signori, decidere cosa fare... ma ricordate che è già troppo tardi. Non c’è vittoria, e non c’è ritorno. »
Detto questo, si alzò dal suo posto e voltò le spalle a tutti, senza nemmeno salutare. Quel cupo intermezzo si sarebbe concluso nel più assoluto silenzio, se non fosse stato per un ultimo intervento da parte di Sora.
« Ehi » disse a voce alta, richiamando l’attenzione di Eidan. « So che forse non significherà molto per te, ma voglio dirlo lo stesso... grazie. E spero... che riuscirai a ricordarti chi sei. »
Eidan gli lanciò una rapida occhiata, ammiccò e poi riprese a camminare, lasciando la sala.
 
Poco dopo, i Valorosi lasciarono la sala mensa. Per il momento non potevano lasciare l’ospedale, poiché Harry aveva ancora bisogno di altro tempo per rimettersi completamente. Nel frattempo erano d’accordo sull’idea di rilassarsi un po’, così si ritrovarono a fare una passeggiata nel giardino. Il cielo di Oblivion era cupo e grigio come sempre, ma l’aria era fresca e limpida, tipica di ogni mattina degna di questo nome. I prati e gli alberi erano ben curati, come se fosse stato Edward “mani di forbice” ad occuparsene. Lungo la strada incontrarono altri personaggi, ognuno immerso nelle proprie attività: Natsu, il ragazzo dai capelli rosa incontrato poco prima, stava ancora cercando il suo gatto; Rina si rilassava sdraiata sul prato, fissando il cielo; il dottor House giocava con un videogame portatile, seduto su una panchina; Riuji e Taiga erano seduti insieme su un’altra poco lontano, mano nella mano... silenziosi, ma non servivano parole per descrivere tanta dolcezza che riuscivano a esprimere.
Alcuni Valorosi non riuscirono a dimenticare le parole di Eidan, così si trovarono a parlare ancora di lui. Indubbiamente, la realtà dei fatti da lui descritta era riuscita a scuoterli più di quanto riuscissero ad ammettere.
« Secondo voi ha ragione? » domandò Po, dubbioso. « Non potremo tornare mai più nei nostri mondi? »
« Lui ha perso ben più della memoria » rispose Luke, alzando le spalle. « Ha perso la speranza. Eidan è costretto a credere nelle circostanze, dopo tutto ciò che ha visto e subito... perciò crede che non ci sia più nulla da fare. »
« Be’, io ho ancora voglia di sperare » ribatté Harry con decisione. « Non sono sopravvissuto a tutto questo per poi lasciarmi abbattere così... ho ancora intenzione di combattere. Per quanto mi riguarda, la nostra sfida non è ancora conclusa. Ho fatto una promessa, e per mantenerla sono disposto ad affrontare Nul finché respiro. »
Jake e Sora fissarono lo sguardo dell’amico con identico orgoglio. Anche gli altri compagni annuirono, uno dopo l’altro.
« Allora vedi di riprenderti in fretta, ragazzo » fece Hellboy con un sorrisetto. « Non puoi venire alla festa in queste... uhm? »
« Che succede laggiù? »
Lara aveva attirato l’attenzione del gruppo, indicando verso tutt’altra direzione. Una piccola folla si era radunata intorno a un albero vicino, dove stava accadendo qualcosa di bizzarro. Quando si avvicinarono, l’attenzione dei Valorosi fu subito catturata dall’uomo appeso al ramo dell’albero: era Tonto. Il Comanche sembrava spaventato e sbraitava verso il terreno, borbottando frasi incomprensibili nella sua lingua.
Jake, che era il più alto, scoprì con chi ce l’aveva, ma non riusciva a crederci. Ai piedi dell’albero c’era solo un gattino dal pelo azzurro, il quale osservava Tonto con aria innocente.
Dylan Dog era tra la folla, ma non muoveva un dito per aiutare il suo socio.
« Ehi, Dylan » intervenne Sora, avvicinandosi a lui. « Che succede? »
« Oh, nulla di grave... pare che a Tonto non piacciano i gatti. »
« Cavolo! Questo non è solo disprezzo, sembra terrore puro... non dovresti aiutarlo? »
« Mi piacerebbe » rispose Dylan con evidente ironia, « ma soffro di vertigini. »
La folla aveva cominciato a ridere di gusto, di fronte a quella buffa scena. Nel frattempo Tonto continuava a sbraitare contro il gatto, per nulla intenzionato ad andarsene; anzi, sembrava godersi la scena.
« Via, gatto! Via! »
« Bah, io mi sono rotto » intervenne Hellboy, facendosi avanti. « Non mi pare il caso di infierire così su tipo del genere... vero, micetto? Vieni qui, da bravo... »
Il gatto, contrariamente alle aspettative di tutti, obbedì all’invito del demone e saltò tra le sue braccia. I Valorosi rimasero parecchio sorpresi, nonostante ormai conoscessero bene il loro socio: il gatto ora faceva le fusa soddisfatto tra le braccia di Hellboy, mentre questi lo accarezzava.
« Oh, guardate quant’è carino » commentò con aria irriconoscibile. « Piccolo e dal pelo azzurro... scommetto di sapere chi è il tuo padrone. »
« Happy! »
Il gruppo si voltò. Dalla folla si era fatto avanti Natsu, tutto trafelato.
« Oh, eccoti qua finalmente » esclamò sollevato, non appena riconobbe il gatto. « Grazie mille, signore! »
« Dovere » rispose Hellboy con un sorriso, restituendogli l’animaletto. Natsu lo abbracciò e insieme si allontanarono.
« Ti ho cercato dappertutto, piccolo bricconcello... ti diverti proprio a infastidire gli estranei, eh? »
« Mi stavo solo divertendo un po’! » rispose Happy con la sua vocetta. « Avresti dovuto vedere quanto era buffo quel tipo... »
Nel frattempo, Tonto era sceso dall’albero, ricomponendosi come se nulla fosse accaduto. Dylan si avvicinò a lui e andarono via insieme, sotto lo sguardo divertito di tutti.
« Dovresti vergognarti » borbottò il detective. « Grande e grosso come sei, hai paura dei gatti! »
« Tu grande e grosso uguale... e tu paura di pipistrelli » replicò Tonto.
« E cosa c’entra? Non è lo stesso campo da gioco... oh certo, continua pure a nutrire il tuo corvo impagliato! My God, è la volta che convinco House a rinchiuderti nel reparto psichiatrico... »
Ormai ridevano tutti, compresi i Valorosi. Era da tempo che non assistevano a scene così comiche, tanto che una simile occasione di divertimento sembrava giunta da loro per miracolo. Hellboy, inoltre, era lieto di aver aiutato quel ragazzo a ritrovare il suo gatto, un po’ come Sora e Ed avevano aiutato altre coppie a riunirsi.
Per questo non si accorsero subito che Luke era crollato improvvisamente a terra. Stava in ginocchio, afferrandosi il petto come se fosse stato colto da un malore.
« Luke! Che ti succede? »
Lara si era chinata subito su di lui, spaventata. Avevano già vissuto quella scena, sul ponte del Titanic... prima che accadesse una catastrofe.
Luke non rispose subito. Ansimava, asciugandosi il viso diventato di colpo sudato.
« Cosa è stato? » chiese Jake preoccupato. « Hai sentito qualcosa? »
« Mio padre... » sussurrò il Jedi, più sconvolto che mai. « Sento che mio padre è in grande pericolo! »
 
 
 
 
 
 
Spazio autore: buonasera a tutti! Anche questo episodio ho preferito dedicarlo alla cura, al riposo e alle verità scomode... visto che i Valorosi ne hanno appena ricevuta una da questo enigmatico ragazzo, Eidan. Non cercate di ricordare da quale opera proviene, dato che si tratta di mia personale creazione insieme a Nul. Spero che lo apprezzerete, poiché il suo ruolo nella storia non è ancora terminato... nel frattempo allego un’immagine che lo ritrae, fatta con le mie mani.
Nella prossima puntata ritornerà l’azione... e l’imminente duello tra Xemnas e Darth Vader avrà grandi conseguenze.   Image and video hosting by TinyPic

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Capitolo 36
*** Oscurità dell'ignoto ***


Capitolo 36. Oscurità dell’ignoto

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« Mio padre è in pericolo » dichiarò Luke, non appena si riunì nell’atrio con gli altri Valorosi. Era sconvolto oltre ogni dire, ancor più di quanto lo fu poco prima della battaglia sul Titanic.

« Ne sei sicuro? » chiese Lara, preoccupata. « Come fai a saperlo? »

« L’ho visto... l’ho percepito. La Forza mi dona capacità precognitive, e ogni tanto riesco a vedere il futuro, o ciò che accade alle persone a me più vicine. È già accaduto in passato, e ora la storia si ripete: mio padre è in pericolo... sta affrontando un nemico molto potente. »

La voce di Luke tremava, insieme alle sue ginocchia. Si avvicinò a una fila di sedie e si sedette, tentando di controllarsi. I suoi compagni si scambiarono un’occhiata perplessa, incerta; non erano sicuri di capire cosa il Jedi stesse passando... a parte Harry. Il giovane mago si avvicinò a lui, dimostrandosi comprensivo.

« Lo hai visto chiaramente, vero? Come se fossi vicino a tuo padre. »

Luke scosse la testa.

« Ho sentito il suo dolore, la sua sofferenza... e il male oscuro che stava affrontando. Non ho visto il nemico, ma di una cosa sono sicuro... sta mettendo mio padre in difficoltà. »

« Dove si trova? »

« Nel luogo in cui l’ho incontrato... il lago Varykino » disse Luke, e nel frattempo si rialzò in piedi. « Devo raggiungerlo... devo aiutare mio padre. »

Seguì un momento di silenzio. Ognuno dei suoi compagni mostrava una diversa sfumatura di preoccupazione.

« Luke, non voglio dubitare di ciò che hai visto » disse Jake, facendosi avanti, « ma preferisco ragionare un po’ prima di mettermi a correre verso un pericolo. Non hai pensato che potrebbe essere una trappola? Forse è opera di Nul... vuole attirarci allo scoperto servendosi di tuo padre. »

« Ha ragione » convenne Harry. « Voldemort mi ha già ingannato una volta con questo sistema, sfruttando il nostro legame mentale. »

Luke annuì.

« Sì... lo so bene » disse. « È accaduto anche a me... e mio padre era il nemico, quella volta. Ma stavolta, lui è la vittima... e non posso restare qui, sapendo che potrebbe morire! »

« Voi che ne pensate, ragazzi? » domandò Jake, rivoltosi agli altri.

« Io... sono d’accordo con lui » ammise Po, piuttosto teso ma deciso. « Anche io correrei in aiuto del mio papà, se fosse in pericolo. »

« Saremmo tutti pronti a farlo, Luke » dichiarò Sora, più che sicuro di parlare a nome di tutti. Edward, Hellboy e Lara, che non avevano ancora detto nulla, si limitarono ad annuire. Il Jedi sorrise, grato di avere l’appoggio e la comprensione dell’intero gruppo.

« Grazie, ragazzi. Muoviamoci, allora, non c’è tempo da perdere. »

« Aspetta un momento » lo interruppe Jake, mettendosi sulla sua traiettoria. « Come pensi di raggiungere Vader? Il settore in cui si trova è piuttosto lontano. »

« Potremmo teleportarci con la magia di Harry » suggerì Luke.

« Materializzarci » lo corresse il ragazzo. « E comunque è escluso. Io non sono ancora guarito completamente... tentare una Materializzazione in queste condizioni sarebbe pericoloso, rischierei grosso. Inoltre, non sarei di grande aiuto nella battaglia che affronteremo laggiù. »

Luke sospirò, ma solo per un attimo, perché subito dopo prese a camminare, aggirando l’ostacolo rappresentato da Jake.

« Vada per l’alternativa, allora » dichiarò il Jedi, avanzando verso l’uscita dell’ospedale. « Tornerò da mio padre nel modo in cui sono venuto qui. »

« In che modo, scusa? » domandò Sora, ma la risposta apparve di fronte a lui non appena oltrepassarono la soglia. Lo speeder bike di Luke era ancora parcheggiato lì davanti.

« Andrò da solo... voi restate qui con Harry. »

« No, non esiste! » sbottò subito Lara, afferrandolo per una spalla. « Non ci separeremo un’altra volta... Jake ha ragione, laggiù potrebbe esserci una trappola ad attenderti. Noi siamo pronti ad aiutarti in questa faccenda... io sono pronta ad aiutarti! Lasciami venire con te. »

L’archeologa fissò lo sguardo del Jedi, e sembrò riuscire a vincere sulla sua decisione.

« Lara, io... »

« Ha ragione » ammise Hellboy. « Non possiamo lasciarti andare laggiù da solo... però non possiamo nemmeno separarci un’altra volta. Io suggerisco quindi di dividerci in due gruppi: uno andrà con Luke, l’altro resterà qui a badare a Harry. »

« Lo dici come se avessi bisogno di una baby-sitter » puntualizzò il giovane mago.

« Basta così » tagliò corto Jake. « L’idea di Red è buona. Faremo così, dunque: qualcuno si offre volontario per andare con Luke? »

Lara fu la prima ad alzare la mano, ma c’era un altro problema da risolvere.

« Sullo speeder c’è posto solo per due persone » disse Luke, osservando il veicolo. « Come faremo a starci in quattro? »

Il resto del gruppo lo seguì con lo sguardo, e dovettero dargli ragione. Come avrebbe fatto Luke a portarsi dietro tipi come Jake o Po? Era un’idea impensabile.

E suo padre, nel frattempo, stava affrontando un ignoto e mortale pericolo...

« Ehi, ho un’idea! » esclamò Ed all’improvviso. « Forse posso apportare qualche modifica al tuo veicolo, Luke, e so anche come fare. Jake, ti dispiacerebbe darmi una mano? »

Il Na’vi seguì perplesso l’alchimista, mentre questi si avvicinava all’automobile più vicina. Su istruzioni di Ed, Jake afferrò il veicolo e lo portò vicino allo speeder bike, al punto da sfiorarne la fiancata. Ed unì i palmi delle mani e toccò entrambi i veicoli: questi furono avvolti da un bagliore accecante e da scariche elettriche, l’effetto tipico di una trasmutazione. Quando questa fu ultimata, i Valorosi videro cos’aveva fatto: ora lo speeder era fuso con l’auto. Aveva quattro posti, due dei quali ricavati con i sedili dell’auto e posti ai lati del mezzo; la sua struttura, inoltre, era stata resa più robusta per sopportare un peso maggiore.

« Wow! Mitico! » commentò Po, impressionato.

« Ben fatto » dichiarò Luke, dando una pacca sulle spalle a Ed. « Direi che ti sei appena guadagnato un posto in questa missione. »

L’alchimista rispose con un sorriso orgoglioso. Ora il gruppo era composto da tre membri, oltre a Lara e Luke... c’era posto ancora per un quarto, che non tardò a farsi avanti: Hellboy si era già avvicinato allo speeder, intento a caricare il suo fedele Samaritano.

Una volta pronti, i quattro compagni salirono a bordo dello speeder: Luke ai comandi, Lara alle sue spalle, Edward ed Hellboy ai lati... armati e pronti ad affrontare una nuova sfida; ad aiutare Darth Vader, o a cavarsela da un’eventuale trappola che li attendeva.

« Tenete » disse Luke, lanciando a Sora un piccolo oggetto ovale bianco e nero. « Con questi comlink possiamo restare in contatto: vi chiameremo in caso di emergenza, e voi potrete fare lo stesso. »

« Grazie! » rispose il ragazzo, stringendo la presa sul congegno.

« Siate prudenti, amici » avvertì Jake con serietà. « Questa storia non mi piace affatto... cercate di tornare tutti interi. »

« Buona fortuna » salutò Harry.

« Spero che riuscirai a salvare tuo padre, Luke » disse Po. « A presto! »

Luke sorrise, e nel frattempo metteva in moto. Lara si strinse alle sue spalle, cingendolo con le braccia.

« Grazie, amici... che la Forza sia con voi! »

Un attimo dopo erano già lontani. Lo speeder sfrecciò in avanti rapido come un fulmine, lasciandosi alle spalle l’ospedale e l’intero quartiere. I Valorosi rimasti restarono a guardare ancora un po’, augurandosi che quello di Luke non fosse un addio.

 

Il viaggio attraverso i settori di Oblivion non fu breve, nonostante si muovessero ad alta velocità. In pochi minuti si lasciarono alle spalle la città, per poi addentrarsi in un paesaggio spoglio: una gran distesa di sabbia piatta e desolata. Lo speeder sorvolò il deserto per un bel po’, fino a trovare un ampio corso d’acqua.

« Ci siamo! » annunciò Luke. « Seguendo questo fiume raggiungeremo il lago! »

I Valorosi al suo seguito non risposero, ma poteva sentire la loro pazienza.

Resisti, padre, pregava nel frattempo. Non ti perderò di nuovo, lo giuro...

Giunsero a destinazione dopo quasi un’ora di viaggio. Il fiume diventò sempre più grande, fino a sfociare nello specchio d’acqua che Luke aveva conosciuto il giorno prima: il lago Varykino. Il gruppo scorse subito la villa che sorgeva sull’isola al centro di quelle acque, ma un nuovo particolare allarmò Luke ulteriormente. Una grande colonna di fumo si levava dall’edificio, come se qualcosa stesse bruciando.

I Valorosi scesero a terra con un balzo non appena la riva fu raggiunta, estraendo le armi subito dopo. Non c’era traccia di Darth Vader, ma nemmeno di un nemico.

« Questa calma non mi piace » mormorò Edward, guardandosi intorno. « Credete che siamo arrivati troppo tardi? »

« No » dichiarò Luke, stringendo la presa sulla spada laser. « Mio padre è ancora vivo, lo sento. Anche il nemico è ancora qui... è strano, non riesco a identificarlo correttamente. »

Ora tutti avevano un gran brutto presentimento, corroborato dall’ennesimo, inquietante dettaglio sullo scenario che avevano appena notato: le mura del palazzo erano avvolte da grosse macchie nere, simili ad ombre.

« Che diavolo è quella roba? » cominciò a dire Hellboy, ma la risposta arrivò pochi secondi dopo. Sul terreno davanti ai loro piedi si formarono diverse ombre, dalle quali emersero numerose creature nere come il buio. Gli occhi gialli e le antenne a zig-zag rivelarono immediatamente la loro identità, facendo peggiorare la situazione a vista d’occhio.

« Heartless! » esclamò Lara, esterrefatta. « Maledizione... questi sono gli avversari di Sora! »

« Com’è possibile che siano ancora qui? Credevo che Sora avesse ucciso il loro padrone! » protestò Ed.

Gli Heartless si lanciarono all’attacco, ponendo fine alla conversazione. I Valorosi restarono in guardia, e con le loro armi furono in grado di contrastarli: Luke li falciò con la spada laser, Ed ricorse alle trasmutazioni, Hellboy e Lara spararono raffiche di colpi con le loro pistole. L’orda nemica non era numerosa, e in poco tempo furono annientati.

Luke era sconvolto, ma non poteva cedere alle sue emozioni negative. Doveva mantenere il controllo, se voleva salvare suo padre. Il sentiero che conduceva alla villa era di fronte a loro, ma prima estrasse il comlink per avvisare i compagni rimasti all’ospedale. Dovevano sapere cosa stavano affrontando.

« Sora! Sora, mi ricevi? Sono Luke! Rispondimi, passo! »

« Luke! » rispose la voce di Jake dall’altra parte. « Che succede? Siete in pericolo? Passo! »

« Siamo sotto attacco... i nemici sono Heartless! Per il momento riusciamo a tenerli a bada, ma non so dire per quanto tempo potremo farlo. Se sono controllati dalla nemesi di Sora, ci servirà il suo aiuto... maledizione, se lo avessimo saputo prima lo avremmo portato con noi! »

« Ho capito, Luke. Sora si è allontanato un attimo, ma vedrò di mandarvelo al più presto... voi cercate di resistere. »

« D’accordo... passo e chiudo. »

Terminata la comunicazione, Luke guidò i compagni lungo il sentiero, diretti verso la villa. Una nuova orda di Heartless apparve di fronte a loro pochi metri più avanti, sbarrandogli il passo. Erano ancora più grossi e più numerosi. Una moltitudine di Shadow, Neoshadow e anche i potenti Invisibili: armati di spada, questi ultimi avevano un aspetto demoniaco, il corpo nero muscoloso e possente, con un foro nel petto a forma di cuore. I Valorosi non avevano mai incontrato esseri del genere, e Sora non era lì con loro per istruirli su come affrontarli... avrebbero dovuto improvvisare.

 

Nel frattempo, a molti chilometri di distanza, Sora era impegnato a mantenere una promessa. La stanza in cui era giunto era ampia e poco illuminata, che ospitava una mezza dozzina di pazienti distesi nei loro letti, immobili come manichini. Secondo il dottor House, che lo aveva accompagnato là, era il reparto per pazienti caduti in coma profondo, a causa delle lesioni troppo gravi riportate in battaglia. Altri eroi caduti, ridotti a vegetali, mantenuti in vita solo dalle macchine a cui erano collegati... il limite massimo che House poteva fare per loro.

Sora trovò quello che stava cercando proprio lì, disteso su uno di quei letti. Un ragazzino di circa tredici anni, con corti capelli biondi e occhiali rotondi; sembrava dormire come se nulla fosse, ma il bip continuo proveniente dalla macchina accanto gli ricordava l’atroce verità. Quel ragazzino non si sarebbe svegliato l’indomani al sorgere del sole.

« È lui? » chiese House alle sue spalle, controllando la cartella del paziente.

« Sì » mormorò Sora. « È Jeremy... il nome parla chiaro, e la descrizione corrisponde. »

« È arrivato qui tredici giorni fa, in condizioni critiche. Lo abbiamo stabilizzato, ma non potevamo fare più di così... è difficile che si riprenda presto. Non sai mai cosa aspettarti dal coma profondo... né da tipi come voi. Lo conoscevi? »

Sora scosse la testa, e nel frattempo estraeva qualcosa dalla tasca.

« Dovevo mantenere una promessa » disse, cupo.

Guardò l’oggetto tra le sue mani: una chiavetta usb, ottenuta il giorno prima alla Game Central Station. Là dentro c’era Aelita, alla quale aveva promesso di ritrovare il suo amato Jeremy. In un certo senso c’era riuscito... ma non avrebbe mai voluto che la ricerca si concludesse così.

« Mi dispiace, Aelita » sussurrò alla chiavetta. « Ho fatto quello che potevo... ma spero che per te sia abbastanza. Io ci credo. Sai, non importa quanto è profondo l’abisso che vi separa... perché ora potrete stare di nuovo insieme, con i vostri cuori. »

Detto questo, pose la chiavetta sul petto di Jeremy, posandola tra le sue mani. Restò a guardare quel corpo immobile ancora per un po’, poi lasciò la stanza, seguito da House; il dottore non aveva battuto ciglio per tutto il tempo, ma Sora non ci badò. Ormai lo conosceva abbastanza da capire che non gli importava un bel niente di ciò che aveva appena fatto.

« Mi domando chi è stato a portare qui Jeremy » disse il ragazzo a voce alta, mentre percorrevano il corridoio. « Lui e tutti gli altri eroi gravemente feriti, non è possibile che riescano ad arrivare fin qui da soli... chi è che si preoccupa di portarli in ospedale? »

« Un altro sopravvissuto » rispose House. « Un giovane molto strano... non ama farsi vedere in giro, è un tipo solitario. Ha degli occhi inquietanti, e detto da me è tutto dire, credimi. Non conosco l’opera da cui proviene, ma non credo che fosse uno dei buoni. »

« Cosa? » fece Sora, sorpreso. « Vuole dire che era un cattivo? »

House aprì la bocca per rispondere, ma una nuova voce interruppe la conversazione.

« Sora! Soraaa! »

Il ragazzo si voltò e vide Po, apparso nel corridoio. Il panda si fermò di fronte a lui, tutto trafelato.

« Che succede, Po? »

« Ci sono... novità » spiegò lui, ansimando. « Luke e gli altri... sono in pericolo. Gli Heartless... »

 

Torniamo al resto del gruppo, impegnato a combattere i nemici sul lago Varykino. Luke, Lara, Ed e Hellboy cercavano ancora di farsi largo tra orde di Heartless per raggiungere la villa, assediata da ogni direzione. I quattro compagni lottavano con tenacia, ma avanzavano troppo lentamente: gli Heartless li travolgevano con la loro superiorità numerica, facendo l’impossibile per trattenerli sul sentiero. Luke, in testa al gruppo, continuava ad avanzare, agitando la spada laser a una velocità ai limiti dell’umano: non intendeva mollare finché non avesse raggiunto suo padre.

« Nessuna tenebra, in questo mondo o in un altro, riuscirà a fermarmi! » gridò al nuovo gruppo di Heartless apparso di fronte a lui. « Non mi impedirete di salvare mio padre! »

« Attento, Luke! » esclamò Ed, avvicinandosi con uno scatto. « Con questi tipi è inutile discutere, come ha detto Sora... capiscono un solo linguaggio! Hah! »

Batté le mani e le posò a terra, trasmutando il suolo su cui stavano gli Heartless. Il terreno sussultò, facendoli cadere all’indietro. Lara ne approfittò per farsi avanti: aveva posato le pistole e afferrato la sua nuova arma, il Martello di Thor.

« Indietro, ragazzi! » disse, puntando l’arma in avanti. Mjolnir si caricò di energia e sparò un enorme fulmine che, muovendosi lungo il sentiero, disintegrò tutti gli Heartless sulla sua traiettoria.

Luke, rincuorato dal nuovo sviluppo, riprese a correre. Ormai era vicino, lo sentiva... ma nel frattempo gli Heartless continuavano ad apparire, emergendo dalle ombre che si formavano sul sentiero. Ben presto riapparvero in un numero sufficiente da sbarrare il passo ancora una volta, ma Luke riuscì a superarli; Lara, Ed e Hellboy rimasero indietro.

« Oh, no...! »

« Vai! Non pensare a noi! » ordinò il demone. « È la tua battaglia, dopotutto... noi ce la caveremo! »

Luke non sembrò convinto, ma quando fissò lo sguardo di Lara cambiò idea. Anche mentre massacrava senza pietà quell’orda nemica, ebbe il tempo di dimostrare il suo sostegno all’amato: un tacito ordine di proseguire senza di lei. Così Luke annuì e voltò loro le spalle, riprendendo la corsa.

Giunto pochi attimi dopo all’ingresso della villa, il Jedi riuscì finalmente a rintracciare suo padre. Darth Vader era poco lontano, sulla terrazza dove si erano affrontati il giorno prima: il luogo era stato devastato dalla forza degli Heartless. Vader li affrontava senza alcun timore, distruggendoli con pochi colpi di spada ben assestati. Quelle creature, per quanto numerose, non erano in grado di sopraffarlo, eppure continuavano a provarci. L’orda era inarrestabile, guidata dall’uomo vestito di nero che in quel momento osservava la scena sospeso nell’aria, davanti a Vader.

Luke fece un balzo enorme e atterrò sulla terrazza. Gli bastò una spinta di Forza per respingere gli Heartless che circondavano suo padre, e lo raggiunse. Vader era in piedi, illeso, ma ansimava: doveva aver lottato a lungo per stancarsi fino a quel punto.

« Padre! »

« Luke? » fece il Sith, sorpreso di vederlo. « No... non saresti dovuto tornare. Questa disputa non ti riguarda... dovevi restarne fuori. »

« E lasciare che il nemico ti uccidesse? Mai. »

Una risata profonda echeggiò nell’aria, attirando la loro attenzione. Gli Heartless arretrarono mentre il loro leader si abbassava di quota, atterrando di fronte ai due avversari. Alto, chiuso in un soprabito nero con il cappuccio, lunghi capelli bianchi e occhi dorati: per Luke era molto familiare, anche se in lui non percepiva alcun potere oscuro.

« Ansem? »

« No, non Ansem » rispose il nemico. « Lui era il cuore di colui che è caduto nelle tenebre, il suo Heartless... io invece sono il suo involucro, rifiutato sia dalla luce che dall’oscurità. Il suo Nessuno. Io sono Xemnas, il Superiore. »

Luke non sembrò capire, ma tenne salda la presa sulla spada laser.

« Oh, be’... perdona la confusione, ma questo non cambia nulla. Hai aggredito mio padre e i miei amici, dunque sei ancora mio nemico! »

Xemnas fece un leggero sorriso, privo tuttavia di qualsiasi emozione.

« Dunque tu sei il figlio di Vader... un potente guerriero al servizio della Luce. Sono impressionato. Tuttavia devo dare ragione a tuo padre: questa storia non ti riguarda. Non ho pietà per i traditori, e tale è quest’uomo ai miei occhi... traditore della causa di Nul, ma soprattutto dell’Oscurità. Sperava di sottrarsi alla guerra e all’ombra, ritirandosi in questo luogo... ma ha commesso un errore. Ora pagherà con la sottomissione, o con la vita. »

Luke gli puntò contro la spada, facendosi minaccioso.

« Non osare avvicinarti a mio padre » dichiarò.

Vader lo guardò, l’aria indecifrabile dietro la maschera... eppure riusciva ad apparire in qualche modo colpito dalle parole del figlio.

« Luke... » iniziò a dire, ma Xemnas lo interruppe.

« Molto bene » disse il Nessuno. « Speravo che cedessi all’Oscurità da solo, Vader, costringendoti a combattere fino allo stremo. Ora comprendo di aver scelto la strategia sbagliata: niente funziona meglio come il dolore per la perdita dei propri cari per ricordarti a quale regno appartieni! »

Schioccò le dita, e gli Heartless tornarono alla carica. Si avventarono tutti su Luke, come una grande onda nera, ma riuscirono a tenerlo solo per un attimo: il Jedi contrattaccò subito dopo, con una nuova spinta di Forza ancora più potente. Gli Heartless furono respinti, e poi distrutti dalla spada laser; Vader intervenne per aiutarlo, eliminando gli ultimi rimasti.

Poi entrambi tornarono a guardare il vero nemico, fianco a fianco.

Xemnas si fece avanti, ormai consapevole di dover combattere personalmente. La sua espressione gelida non mutò di una virgola, mentre evocava le sue armi: le Lame Eteree, identiche nell’aspetto alla lama rossa di una spada laser.

« Fai attenzione, Luke » lo avvertì Vader, restando in guardia. « Costui non appartiene alla Luce né all’Oscurità, perciò i nostri poteri non funzioneranno su di lui... è immune alla Forza. Dovremmo ricorrere solo all’uso della spada. »

« D’accordo. »

Luke fu sul punto di sorridere all’idea di lottare insieme a suo padre, ma la situazione drammatica glielo impedì: sentiva ancora il rumore degli spari e dei colpi in lontananza... i suoi amici, ancora impegnati nella lotta contro gli Heartless. Se voleva salvare tutti, doveva concludere lo scontro in fretta.

Xemnas si sollevò leggermente da terra, levitando in modo estremamente fluido intorno al campo di battaglia. Luke e Vader rimasero al loro posto, finché quest’ultimo non scattò in avanti per intercettare il primo colpo. Le lame del Nessuno incrociarono quella del Sith; mentre i due restavano in contatto, Luke si avvicinò con un balzo per attaccare Xemnas alle spalle. Questi si scansò appena in tempo, girando su se stesso e toccando terra; balzò in avanti un istante dopo e si scagliò su Luke, ma lo mancò. Il Jedi sferrò una serie di fendenti che furono parati uno dopo l’altro; Vader intervenne ancora, ma Xemnas riuscì a difendersi anche dal suo attacco.

In pochi secondi era cominciato uno scontro violentissimo su quella terrazza. Le spade lampeggiarono mentre padre e figlio cercavano di avere la meglio sul loro feroce avversario. Le abilità di Luke e Darth Vader si scontravano con il tremendo potere del Nulla di Xemnas. Il Nessuno si muoveva a velocità fulminea per tutto lo scenario e, armato delle sue Lame Eteree, era un formidabile nemico. Oltre all’attacco vantava anche una forte difesa, proteggendosi di tanto in tanto con scudi impenetrabili di energia. Tali abilità misero a dura prova quelle di Luke e Vader, nonostante riuscissero a tenergli testa: a sorprenderli erano soprattutto le capacità di Xemnas, così simili a quelle di un Sith nonostante provenisse da un mondo completamente diverso.  

Padre e figlio riuscirono a intercettare l’avversario, ponendosi ai suoi fianchi. Xemnas restò immobile e parò il loro colpo coordinato, bloccando le loro lame con le sue. Vader e Luke non si arresero e premettero sulla spada, cercando di spezzare la difesa del nemico. I tre restarono a contatto per una manciata di secondi, poi Xemnas svanì nel nulla, sbilanciando i suoi avversari. Riapparve poco lontano. Le sue lame erano scomparse, ma questo non significava la sua resa: protese una mano in avanti e scagliò un’enorme scarica elettrica; Vader contrattaccò con i suoi Fulmini di Forza, e i due poteri si scontrarono a mezz’aria, causando danni tutt’intorno. Luke lanciò la spada laser contro il nemico, facendola roteare nell’aria come un boomerang; Xemnas schivò il colpo, teleportandosi un’altra volta. Mentre la spada tornava in mano a Luke, la scarica di Vader fu proiettata lontano, verso il lago.

Xemnas riapparve sul tetto della villa, fissandoli con la sua solita aria gelida. Vader si voltò a guardarlo, respirando più forte del solito: Luke ne fu allarmato, poiché sentì crescere l’ira in suo padre.

« Non calpesterai la casa di mia moglie con la tua immonda presenza! »

Il Sith usò la Forza, e grossi pezzi di muro si staccarono dalla villa per poi essere spediti contro il nemico. Xemnas sfruttò la sua agilità fulminea per schivare e distruggere quei detriti, ma nel frattempo Luke e Vader ne approfittavano per raggiungerlo. I due si avvicinarono con grandi balzi, pronti ad attaccarlo ancora una volta; Vader lo raggiunse per primo. Xemnas schivava con grazia maestosa i colpi e gli affondi del Sith, ma anche lui, agile e veloce, non era da meno. Finalmente lo vedeva: il nemico era in difficoltà!

Continuò a colpire, fino a farlo indietreggiare; Xemnas balzò via con un ampio volteggio e sparò le sue stesse Lame Eteree, come una mitragliatrice laser. Vader, colto di sorpresa, fu respinto all’indietro, scivolando via dal tetto.

« Padre! »

Luke lo raggiunse, ma non ci fu alcun bisogno di aiuto. Vader era finito su un balcone che aveva frenato la sua caduta.

« Sto bene, non preoccuparti » tagliò corto lui, mentre si rialzava. « Ora va’... finiscilo! »

Il Jedi annuì e balzò sul tetto. Xemnas era ancora lì, visibilmente affaticato: doveva approfittare di quel momento, prima che fosse troppo tardi. Luke si lanciò quindi alla carica, ma il Nessuno scagliò una nuova scarica sul terreno, creando una voragine che frenò la sua corsa. Xemnas si librò nell’aria, sempre più in alto; Luke non avrebbe potuto raggiungerlo fin lassù...

Vader riapparve sul tetto. Usò la Forza per sollevare altre macerie, e Luke le usò come appigli saltandoci sopra, avvicinandosi al nemico; il Sith usò un’ulteriore spinta sul suo stesso figlio, permettendogli di raggiungere Xemnas. Questi, colto di sorpresa, non riuscì a difendersi mentre una lama di luce verde lo colpiva in pieno.

« Argh! »

Luke tornò a terra, accanto a suo padre. Videro la sagoma di Xemnas contorcersi nell’aria, ma poi svanì nel nulla un’altra volta. Per un attimo pensarono di aver vinto, ma la verità era un’altra... non era ancora finita.

Videro Xemnas riapparire di fronte a loro. Si era teletrasportato ancora per non cadere di peso a terra, ma appariva comunque affaticato. Un grosso squarcio spiccava ora lungo il fianco sinistro, là dove Luke lo aveva colpito, ma non perdeva sangue... i Nessuno non ne avevano. Tornò a guardare i suoi nemici, e inaspettatamente sorrideva.

« Bene... devo ammettere che la vostra cooperazione comincia a mettermi in difficoltà » dichiarò, incrociando le braccia. « Perciò non vedo altra soluzione... »

Sotto lo sguardo incredulo di Luke e Vadere, Xemnas si sdoppiò. Una sua copia esatta era apparsa al suo fianco, dotata anch’essa di Lame Eteree.

« ...che combattere ad armi pari! »

 

Nel frattempo, in ospedale...

Sora, Jake, Po ed Harry si erano riuniti nella stanza di quest’ultimo, in attesa della sua completa guarigione. Tutti loro avevano l’aria sconvolta, poiché avevano trascorso gli ultimi minuti ad ascoltare ciò che stava succedendo al lago tramite il comlink di Luke, rimasto acceso per tutto il tempo. Sora era venuto così a sapere l’identità del nemico che aveva aggredito Darth Vader, e il resto dei Valorosi...

« Xemnas » disse con voce indurita. « Dunque anche lui è qui... avrei dovuto immaginarlo! »

« Da ciò che sento, sembra uno che picchia forte » commentò Jake a braccia incrociate.

« Cavolo... credi che i nostri amici riusciranno a sconfiggerlo? » chiese Po, preoccupato.

« Non lo so. Di certo le cose sarebbero diverse, se Sora fosse laggiù con loro... dico bene? »

Sora annuì, e nel frattempo stringeva i pugni in un attacco di rabbia.

« Devo andare... devo aiutarli! »

« E come pensi di fare? » ribatté Jake. « Sono troppo lontani, non li raggiungeresti mai in tempo! »

« Ha ragione » convenne Harry. « Anche se sono d’accordo con te, Sora, non c’è nulla da fare... e io non posso ancora Materializzarmi, allo stato in cui mi trovo. A meno che... »

Il giovane mago sembrò avere un’illuminazione.

« ...una Passaporta. »

« Una cosa? » dissero Sora e Po insieme.

« Nel mio mondo, le Passaporte sono oggetti che servono a trasportare i maghi da un posto all’altro. Possono essere qualsiasi cosa, in genere vengono usati oggetti d’uso quotidiano, come spazzole o stivali... »

« E tu puoi crearne una? » chiese Jake.

« Be’, non ci ho mai provato » ammise Harry, « perché l’uso di una Passaporta richiede un incantesimo potente ed è regolato dalla legge. Ma dato che ci troviamo in un altro mondo e possiedo questa » e mostrò la Bacchetta di Sambuco « ...potrei farcela! »

Sora e Po sorrisero. Per loro era praticamente cosa fatta. Jake non disse nulla ma si trovò d’accordo; così Harry non perse altro tempo e prese il primo oggetto che trovò, una bottiglia vuota. Le puntò contro la bacchetta, ma attese prima di pronunciare l’incantesimo: doveva concentrarsi, visualizzare la destinazione corretta... il lago Varykino, dove Luke e gli altri stavano lottando...

« Portus. »

La bottiglia si accese di azzurro, vibrò per qualche secondo sul tavolino e tornò immobile.

« Ha funzionato? » domandò Sora, incerto.

« Sì » rispose Harry. « Tocca la Passaporta e arriverai a destinazione... in tempo, spero. »

« D’accordo, allora non perdiamo altro tempo. »

Sora si avvicinò all’oggetto, ma fu distratto dalla voce ansiosa di Po.

« Forse dovremmo andare con lui... che ne pensi, Jake? »

« Non possiamo » dichiarò il Na’vi. « Qualcuno deve restare per proteggere Harry in caso di bisogno... non possiamo dividerci un’altra volta, no? »

Po tornò a guardare Sora, che tuttavia gli mostrò un sorriso a trentadue denti. Lo faceva sempre, per rassicurare gli amici.

« Andrà tutto bene. »

Afferrò la bottiglia, e un attimo dopo sparì nel nulla.

 

Sul lago Varykino...

L’ultima carta giocata da Xemnas aveva rimesso in equilibrio le forze in campo. Il Superiore si era diviso in due, permettendogli di affrontare Luke e Darth Vader in uno scontro alla pari. Questo gli aveva permesso inoltre di separarli: uno Xemnas aveva scagliato una serie di colpi laser contro Luke, così forti da scaraventarlo via dal tetto; lo seguì subito dopo, per spostare il loro duello altrove.

« Luke! » gridò Vader.

Stava per correre in suo aiuto, ma venne bloccato dall’altro Xemnas, che gli aveva puntato una Lama Eterea in faccia.

« La tua ira sta crescendo » mormorò il Superiore, impassibile. « Il tuo ritorno nelle tenebre è ormai prossimo. »

Vader sollevò la spada senza nemmeno rispondergli. I due laser rossi cozzarono, e fu di nuovo un susseguirsi di colpi velocissimi e letali parati da entrambe le parti. Era come una danza, uno spettacolo di fendenti e poteri oscuri in grado di devastare l’ambiente circostante: era solo questione di tempo prima che l’intero edificio crollasse a causa di una tale potenza.

Xemnas schivò l’ennesimo attacco, facendo una capriola e atterrando dietro a Vader, che sferrò un colpo prontamente parato da lui. Le loro lame s’incrociarono ancora, ma rimasero a stretto contatto.

« Perché lo fai? » esclamò Vader. « Perché obbedisci a Nul? Io non sono la tua nemesi... e anche se lo uccidessi, non cambierebbe nulla! Non tornerai al tuo mondo, sei finito... proprio come lo sono io. Non ho... alcun valore... per te! »

La luce rossa illuminò un sorriso maligno sul volto di Xemnas. I due si separarono.

« Vero » ammise il Superiore, facendo sparire le lame. « Non sei il mio obiettivo... tuttavia mi interessi molto. Mi ricordi molto me stesso... o meglio, ciò che ero una volta: un uomo assetato di potere, al fine di proteggere i suoi cari... e caduto nell’oscurità di conseguenza. La mia è una storia lunga, e non voglio tediarti nel raccontarla tutta... ma ti basti sapere una cosa, la più importante: non esiste via d’uscita dal mondo delle tenebre. Una volta caduti in esse... ad esse apparterrai per sempre. »

Puntò un dito accusatore su Vader e disse ancora: « Perciò dimmi, “Signore Oscuro dei Sith”... tu che hai tradito i tuoi maestri e distrutto la tua famiglia, credi di poterti liberare del buio che opprime il tuo cuore? Credi di poter tornare alla luce e dimenticare il male che hai compiuto? Conosco già la tua risposta, perché siamo simili... non ci credi. Qualsiasi cosa tu faccia, apparterrai per sempre all’Oscurità! »

Vader restò in silenzio, lasciando che il suo respiro invadesse l’aria su quel tetto devastato. Poi parlò.

« Non m’illudo di poter uscire dalle tenebre » dichiarò, « non l’ho mai fatto. Ma se c’è una cosa che ho imparato in questo mondo, è che l’oscurità è male solo se usata nel modo sbagliato. Me lo ha insegnato la tua Nemesi. Ecco perché tu... sei mio nemico! »

Il sorriso di Xemnas svanì.

« Così sia. »

E il duello riprese.

 

Nel frattempo, Edward, Lara ed Hellboy erano ancora impegnati con gli Heartless sulla riva del lago. Avevano fatto molta strada, fino ad arrivare all’ingresso della villa, ma l’orda nemica continuava a ostacolarli. Mjolnir scatenò il suo potere ancora una volta, vaporizzando l’ennesima ondata di creature oscure.

« È stato facile, stavolta » commentò Lara, guardandosi intorno.

« Già, è vero » ammise Ed. « È una mia impressione o questi stronzetti stanno diventando sempre più deboli? »

« Il loro padrone deve essere in difficoltà » osservò Hellboy, guardando in alto. Da laggiù non potevano vedere un granché, ma la luce verde della spada di Luke segnalava la sua presenza molto più in alto: era ancora vivo e alle prese con il suo nemico. « Skywalker gli sta dando filo da torcere. »

« Bene » disse Lara. « Vediamo di raggiungerlo e chiudiamo questa storia! »

Crack!

Qualcuno apparve di fronte a loro, cogliendoli del tutto di sorpresa. Era Sora, con una bottiglia di plastica stretta tra le mani.

« Sora? Ma... da dove salti fuori? » fece Ed. « Come hai... »

Non finì la frase, perché altri Heartless apparvero davanti a loro. Prima che chiunque potesse reagire, Sora scattò in avanti e li disintegrò tutti, con una fulminea serie di colpi. Il ragazzo aveva lasciato cadere a terra la bottiglia, e ora stringeva un Keyblade per ogni mano, uno bianco e uno nero; sfoggiò un enorme sorriso mentre tornava a guardare i suoi compagni.

« Ho sentito che vi occorreva aiuto, e ho fatto più in fretta che ho potuto » disse. « Ehm... dov’è Luke? »

Hellboy indicò in alto, verso la villa.

« Bene, andiamo... e non perdete di vista la bottiglia, ci servirà per tornare indietro! »

 

Luke era in difficoltà. Lui e Xemnas si trovavano sopra un altro tetto della villa, più in basso rispetto a Vader. Il Jedi non riusciva a concludere lo scontro: il suo nemico, anche se affaticato dopo una lunga lotta, era ancora in piedi, inarrestabile. Sentiva di non poter resistere ancora a lungo... non aveva scelta, doveva concludere al prossimo attacco.

Sollevò la spada laser e chiuse gli occhi, dimenticando il suo nemico. Immobile, fece vuoto nella sua testa, affidandosi solo all’istinto; la Forza riprese a scorrere dentro di lui in armonia. Come gli avevano insegnato Yoda e Obi-Wan, il massimo potere della Forza proveniva dall’equilibrio interiore. Sentì Xemnas farsi sempre più vicino, approfittando della sua immobilità, ma non era ancora il momento...

« L’oblio ti attende, guerriero della luce. »

Luke riaprì gli occhi, e il tempo sembrò rallentare. Vide la Lama Eterea di Xemnas a pochi centimetri dalla sua gola... troppo lenta perché riuscisse a tagliarla. Il Jedi scattò in avanti e colpì, con tutta la sua forza... con tutta la sua armonia. Ci fu un lampo, e un attimo dopo era alle spalle del suo nemico; Xemnas si voltò a guardarlo sorpreso, ma poi si dissolse nell’aria come fumo. Ce l’aveva fatta: lo aveva distrutto.

Ma il trionfo avrebbe dovuto attendere. Luke alzò lo sguardo e individuò Vader, ancora alle prese con l’altro Xemnas: dunque lui aveva distrutto solo una copia... ma presto sarebbe toccata uguale sorte anche all’originale. Poteva farcela, poteva ancora salvare suo padre, perciò spiccò un salto enorme, dritto verso la nuova meta.

Vader era caduto in ginocchio, stremato dall’ultimo attacco ricevuto. Niente di grave, ma gli occorreva tempo per riprendersi... tempo che Xemnas non intendeva concedergli. Il Superiore si parò ancora una volta di fronte a lui, puntandogli una Lama Eterea...

Accadde tutto nel giro di pochi istanti. Luke apparve come dal nulla alle spalle di Xemnas, sferrandogli contro un rapido fendente; questi, senza nemmeno voltarsi, svanì un attimo prima di essere tranciato in due. Riapparve alle spalle di Luke, afferrandolo prima che mettesse i piedi a terra: lo aveva afferrato per il collo, e con una mano sola lo sollevò da terra. Il Jedi iniziò a divincolarsi, nel tentativo di liberarsi da quella stretta possente, ma fu inutile.

« No... »

Vader si era rimesso in piedi, spada laser alla mano, ma qualcosa di terribile accadde nel frattempo davanti ai suoi occhi. Una Lama Eterea spuntò fuori dal petto di Luke, evocata da Xemnas con la mano libera: quel colpo lo aveva trapassato, da parte a parte. Vader non voleva crederci: un vecchio incubo – il peggiore che avesse mai avuto – si stava avverando.

« Luke! »

« Ugh... p-padre... »

Xemnas estrasse l'arma dal corpo del Jedi e mollò la presa, scaraventandolo via dal tetto.

Sul piano sottostante, Lara, Ed, Sora ed Hellboy assistettero impotenti a una scena spaventosa: videro Luke precipitare da un’altezza vertiginosa, proprio verso di loro.

« Diosanto! Luke! » urlò Lara. « Dobbiamo fare qualcosa! »

« State indietro! » esclamò Ed, facendosi avanti. L’alchimista unì i palmi e trasmutò il cumulo di macerie più vicino: diventarono una pila enorme di soffici cuscini, che attutirono la caduta di Luke. Lara si precipitò subito da lui per soccorrerlo, seguita dagli altri Valorosi.

« Luke! Tutto bene? »

La risposta era davanti ai suoi occhi. Il sangue del Jedi macchiava i cuscini sui quali giaceva immobile, fuoriuscito dal buco enorme che aveva sul petto. Era ancora cosciente, ma respirava a fatica e il suo viso perdeva rapidamente colore. Un’ondata di orrore invase tutti quanti, tale da fargli dimenticare tutto il resto.

« No... no... no! Luke, no! » gridò Lara, le lacrime già venute fuori dai suoi occhi. « Resisti, ti prego... ti aiuteremo, possiamo ancora fare qualcosa... maledizione. Ragazzi, aiutatemi, sta perdendo molto sangue! »

I Valorosi si avvicinarono subito. Hellboy cercò tra i suoi strumenti e talismani, provò qualche formula, ma fu tutto inutile. Il suo alleato proveniva da un altro mondo, nel quale gli artefatti del demone non avevano alcun effetto. Nemmeno Ed e Sora potevano fare nulla: i loro poteri non erano sufficienti per curare simili ferite.

« Lara... » iniziò a dire Hellboy, ma la sua voce fu coperta da un suono molto più forte.

« NOOOOOOOOOOO!!! »

L’urlo di Darth Vader echeggiò per tutto il settore, squarciando il silenzio che si era creato negli ultimi minuti. I Valorosi videro il tetto esplodere subito dopo con una forza immensa, tale da polverizzare gli stessi detriti che minacciavano di cadere al suolo. Qualcosa di grosso e nero precipitò poco lontano dai Valorosi, così forte da spaccare il pavimento.

Tutto tacque pochi secondi dopo. Regnò il silenzio sul lago Varykino: gli Heartless erano spariti e il vento si era attenuato... ma la verità più sconvolgente non era cambiata. Luke era ancora in fin di vita, tra le braccia della sua amata Lara.

« Luke, ti prego... resta con noi » supplicò. « Resta con me! »

« La...ra... »

« È troppo tardi, per lui. »

I Valorosi si voltarono. Xemnas si era alzato in piedi, dopo essere precipitato giù dal tetto. Appariva malconcio, ma aveva ancora la forza per sorridere di fronte al suo crudele operato.

« Tu! » gridò Sora, infuriato. « Maledetto... pagherai per ciò che hai fatto! »

« È probabile che accadrà » ammise il Nessuno. « Ma, viste le mie condizioni... preferisco rimandare quel momento. »

Un portale oscuro si aprì alle sue spalle, e ci s’infilò dentro mentre Sora correva verso di lui. Il ragazzo non si fermò e si gettò nel portale, che si richiuse un attimo dopo.

« Sora! » gridò Ed, ma inutilmente. L’amico era sparito, insieme alla sua Nemesi; era accaduto tutto troppo in fretta perché i Valorosi potessero impedirlo.

Nel frattempo, un’altra persona faceva la sua comparsa sulla scena. Darth Vader era sceso chissà come giù dal tetto, malconcio ma ancora in forze, e ora si avvicinava piano al gruppo di eroi. Il Sith li ignorò tutti quanti mentre si chinava sul figlio morente, afferrandogli una mano.

« Luke... »

Lo sguardo del Jedi si posò su di lui, e le sue labbra tremarono per lo sforzo di parlare.

« Padre... perdonami. Io... dovevo... salvarti. »

« Lo so » disse, senza nascondere il dolore nella sua voce. « Ma non era necessario... tu mi avevi già salvato. »

Luke sorrise. In qualche modo, anche in quegli ultimi istanti, riusciva a mostrare felicità. Poi guardò Lara, e trovò la forza per accarezzarle una guancia con la mano libera.

« Non temere, Lara » mormorò. « Non essere triste. Questa non è la fine... per me. Io sto... tornando a casa. Perché noi... non siamo semplici finzioni... noi... esistiamo. E non saremo... dimenticati. »

I suoi occhi si chiusero, ma non smise di sorridere. I Valorosi si avvicinarono ulteriormente, sempre più sconvolti.

« Luke! NO, LUKE! » gridò Ed.

« Che la Forza... sia con tutti voi. »

La sua mano crollò a terra, e Luke Skywalker non si mosse più.

Edward, Lara ed Hellboy rimasero al loro posto, immobili, mentre accettavano con enorme fatica il nuovo stato delle cose. Avevano appena perso un compagno, un amico; Lara continuò a versare lacrime, in ginocchio accanto a quello che ormai era solo un corpo freddo e inutile.

Nel frattempo Darth Vader si rialzava in piedi, attirando l’attenzione di tutti con il suo respiro metallico.

« È finita » dichiarò gelido. « Ora... andate via. »

I Valorosi lo fissarono increduli, senza dire niente.

« Andatevene » ripeté il Sith. « Mio figlio è morto... lasciatemi da solo con lui. »

« Ma... cosa vuole fare? » chiese Ed, ma fu un errore. Il terreno sotto i loro piedi cominciò a tremare, e molte macerie si sollevarono nell’aria. L’ira di Vader stava influenzando l’area circostante.

« ANDATE VIA! » urlò, e il pezzo di villa a lui più vicino andò in frantumi. Ed e Hellboy recepirono finalmente il messaggio, e cominciarono ad arretrare, trascinando via Lara. In meno di un minuto il trio sparì dalla terrazza, allontanandosi il più possibile.

Vader tornò a inginocchiarsi davanti al corpo di Luke. Nessuno avrebbe sentito i suoi lamenti di dolore, a parte i fantasmi della sua memoria.

 

Sul tetto dell’ospedale, una figura alata e senza volto si muoveva silenziosa proprio in quell’istante. Nul passeggiava, ascoltava, osservava. Contemplava la sua opera, invisibile a tutti coloro sotto i suoi piedi.

La sua pace fu interrotta da un’improvvisa fitta al cuore. Nul si portò una mano al petto, consapevole di ciò che era appena accaduto.

Un eroe era morto... uno degli ultimi che ancora osavano sfidare la sua volontà.

Nul avrebbe dovuto esserne lieto, eppure qualcosa non andava. Già in passato aveva sentito fitte al cuore dopo la morte di qualcuno, ma aveva imparato a non farci caso; sentì qualcos’altro, nel frattempo, qualcosa di umido che sgorgava dai suoi occhi colando lungo le guance. Le toccò con un dito per scoprire cosa fossero: lacrime.

Nul scoprì di essere triste. Non riuscì a impedirlo, né a tramutare quel sentimento in un altro. Le ginocchia cedettero, e il signore di Oblivion crollò a terra. Guardò in alto, protendendo una mano tremante verso il cielo che imbruniva.

« Perché, padre? Perché ci hai abbandonati? »

 

 

 

 

Spazio autore: Ok, mi aspetto già numerose intenzioni omicide nei miei confronti da parte di voi lettori, non appena avrete finito di leggere questo capitolo. Vi capisco, la mia scelta non è stata facile ma era necessaria... siamo sempre più vicini alla fine, e per i Valorosi la situazione diventa sempre più critica. Luke è morto e non ritornerà... è la prova finale che non c’è vittoria assoluta su Oblivion, né la possibilità di far tornare tutto come prima. Ma non temete, il mio intento non è quello di sterminare tutti senza pietà: gli eroi vincono sempre, ma non senza pagare un caro prezzo. Il sacrificio di un eroe è sempre difficile da accettare, ma spinge altri a fare la cosa giusta.

Grazie a tutti.

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Capitolo 37
*** Il risveglio del cuore perduto ***


Capitolo 37. Il risveglio del cuore perduto
 
Image and video hosting by TinyPic Luke Skywalker era morto. Un membro dei Valorosi era caduto in battaglia per mano di Xemnas, un nemico con cui non aveva nulla a che fare. I suoi compagni si erano riuniti di nuovo in ospedale per accettare la sua perdita: Edward, Lara ed  Hellboy avevano sfruttato la Passaporta usata da Sora per tornare subito indietro, lasciando il corpo di Luke alle cure di un padre distrutto dal dolore.
Soltanto Sora mancava all’appello. Il ragazzo si era gettato all’inseguimento dell’assassino di Luke, sparendo oltre il portale oscuro usato da Xemnas per la fuga. Da allora erano trascorse alcune ore, e dell’amico non si era saputo ancora nulla.
La notte era calata nel frattempo sull’ospedale. I Valorosi erano in sala mensa: nessuno di loro sapeva cosa fare. Lara piangeva in silenzio dentro un fazzoletto; ormai aveva stabilito un forte legame con Luke, gli altri lo sapevano bene... era ingiusto che fosse stato spezzato dalla morte così in fretta. Po era accanto a lei e cercava di consolarla, cingendole le spalle con un braccio peloso. Jake, seduto a terra nell’angolo dove si erano radunati, fissava il vuoto senza parlare. Harry, ormai quasi completamente guarito, restava in piedi accanto ai compagni, osservandoli uno per uno.
Hellboy si fece avanti nel frattempo, e distribuì ad ognuno una lattina di birra. Non era il massimo per fare un brindisi al compagno caduto, ma era tutto ciò che aveva.
« A Luke » disse Hellboy, sollevando la sua lattina. « Possa aver trovato la pace, ovunque lui sia andato. È stato un onore combattere al suo fianco! »
« A Luke » ripeterono tutti, e bevvero. Po trattenne a stento un verso schifato: non amava la birra, ma non era il momento giusto per puntualizzarlo.
« Oel ngati kameie, ma’tsmukan... ulte ngaru seiyi irayo » mormorò Jake nella sua lingua aliena, ma nessuno lo capì.
Poi tornò il silenzio, implacabile e spietato come il caos che regnava su Oblivion. Un caos che ogni giorno faceva delle vittime in entrambe le fazioni... una strage di eroi a cui i Valorosi si erano illusi di poter sfuggire. La morte di Luke era servita a ricordarlo a tutti: non poteva esserci una vittoria assoluta, priva di sacrifici.
Inevitabile fu dunque una domanda che sorse tra i compagni in quel momento. Chi sarebbe stato il prossimo?
E se fosse toccato a Sora? Dovevano ritrovarlo, ma al momento non sapevano come fare: il ragazzo era finito chissà dove, e senza una traccia per scoprire la sua ubicazione non potevano raggiungerlo, nemmeno con la magia di Harry. Potevano solo restare fermi, in attesa di sue notizie.
 
Sora aveva raggiunto un luogo molto lontano. Dopo essersi lanciato nel Corridoio Oscuro aperto da Xemnas, era atterrato in mezzo a quello che sembrava una comunissima foresta. Stava calando la sera, e la visibilità era scarsa: di Xemnas, neanche l’ombra; Sora non ne fu sorpreso, a causa del differente scorrere del tempo durante il passaggio attraverso il portale. Anche se aveva subito inseguito Xemnas, questi aveva avuto tutto il tempo per arrivare a destinazione e allontanarsi. Pochi minuti erano più che sufficienti per un Nessuno del suo calibro...
« Dannazione » borbottò Sora, tirando un calcio all’aria. Non aveva dimenticato ciò che si era appena lasciato alle spalle: i suoi amici, di cui uno in fin di vita... e anche se non aveva visto la conclusione di quel tragico momento, nel suo cuore lo sapeva già. Luke li aveva lasciati.
Ormai poteva solo vendicarlo, ritrovando Xemnas in quella foresta cupa.
Il ragazzo avanzò, stringendo la presa sul suo Keyblade. Usarne due contemporaneamente era ancora impegnativo, perciò mantenne il suo nella forma base.
Provò una forte amarezza in quel momento, ricordando il fatto di non essere diventato ancora un Maestro del Keyblade. Il suo esame per diventarlo, poco prima di arrivare su Oblivion, era fallito proprio a causa dei nemici, di cui Xemnas faceva parte. Se fosse diventato Maestro prima di essere strappato dal suo mondo, forse ora avrebbe avuto il potere sufficiente per risolvere ogni cosa... e di salvare la vita di Luke.
Ma poi, una nuova consapevolezza riaffiorò nella sua testa. Chi voleva prendere in giro? Il fallimento non era dovuto all’interferenza del nemico, bensì alla volontà superiore che aveva programmato il destino di Sora fin dall’inizio. Il ragazzo ormai sapeva benissimo di essere il personaggio di un videogioco: la sua storia era pura finzione, realizzata per appassionare milioni di persone in tutto il mondo... ancora in fase di sviluppo, per giunta. Perciò, si disse, non era ancora diventato Maestro del Keyblade perché il gioco non era ancora giunto alla fine.
« Bah... » borbottò, sempre più amareggiato, e proseguì. La foresta sembrava deserta, ma Sora non abbassò la guardia. La luce del Keyblade illuminò la strada, anche se non sapeva dove andare; si disse che il segreto era continuare a camminare, fino a trovare qualche traccia. Dopotutto Xemnas non poteva essersi volatilizzato, non dopo essere stato ridotto allo stremo da una battaglia molto dura...
Si fermò poco più avanti, attirato da qualcosa appeso al tronco di un albero. Sora lo illuminò: da lontano sembrava un manifesto, ma osservandolo bene capì che era un avviso di taglia, sopra il disegno a mano di una faccia mostruosa.
 
WANTED OGRES
REWARD
 
« “Ricercati orchi, ricompensa” » lesse Sora, osservando l’immagine. Dunque il volto che vedeva apparteneva a un orco: la testa era grossa e larga, senza capelli, con due piccole orecchie a forma di trombetta; aveva un’aria feroce, quasi assetata di sangue. L’immagine di un vero mostro.
Ma Sora aveva imparato da un pezzo che non era l’apparenza a fare di qualcuno un mostro...
Mentre ricordava che tutto questo era al di fuori dei suoi problemi, Sora fece per voltarsi, ma qualcosa d’inaspettato lo immobilizzò.
Una freccia attraversò l’aria sibilando, per conficcarsi con un suono sordo e minaccioso sul tronco, a pochi centimetri dalla sua spalla. Sora restò dov’era: consapevole di essere sotto tiro, cercò di non muoversi, stringendo la presa sul Keyblade.
« Fermo dove sei! » gridò una voce da dietro gli alberi, femminile ma del tutto ignota.
« Ah... sono già fermo » osservò Sora. « Chi sei? Non ho intenzioni cattive, te lo giuro... »
« Lo vedremo. »
Dagli alberi venne fuori una figura, avvolta in un mantello nero con il cappuccio. Reggeva un lungo arco teso in direzione di Sora, pronto a scoccargli contro una nuova freccia alla minima reazione. Il ragazzo la osservò con curiosità.
« Chi sei? » chiese la figura.
« Sora. »
« Da dove vieni? Sei in combutta con l’orco? »
« Oh? Non so di cosa parli... quale orco? »
La figura sollevò ulteriormente l’arco, tendendo la corda.
« Dimmi la verità! » esclamò. « Dov’è l’orco? Sei con lui o gli dai la caccia? »
« Non lo so! » rispose Sora, spazientito. « Non conosco nessun orco! »
« Allora cosa ci fai qui? Chi diavolo sei? »
« Mi sono perso! Sono un eroe, vengo da un altro mondo e sto inseguendo il mio nemico... non ho nulla a che fare con orchi e... be’, quello che sei tu! »
« Un eroe? »
La figura abbassò l’arco. Si avvicinò a Sora per guardarlo meglio, e nel frattempo abbassava il cappuccio. Sora vide dunque ciò che già si aspettava: era una ragazza, un po’ più alta di lui, il fisico slanciato e molto magro; aveva foltissimi e lunghissimi capelli ricci color rosso fuoco. Aveva occhi celesti e il viso spruzzato di lentiggini. Sotto il mantello si poteva notare un lungo vestito blu scuro, comodo per le escursioni nella foresta. Fissava Sora con aria sorpresa, come se non vedesse un tipo del genere da molto tempo.
« Perdonami » disse in tono piatto, riponendo l’arco. « Ho pensato tu fossi un nemico. »
« Ah, non preoccuparti » fece Sora, tornando a sorridere. « Ti capisco, sono tempi duri per tutti. Hai fatto bene a dubitare... ehm... »
« Sono Merida, principessa del clan Dun Broch. »
Lo stupore di Sora aumentò.
« Oh, una principessa? Scusami, non l’avevo capito, in questo caso... » e fece un inchino. « I miei omaggi, vostra altezza. »
« Sì, va bene » tagliò corto Merida. « Non ho tempo per i convenevoli, devo riprendere la caccia. »
Sora si bloccò. La ragazza aveva usato un tono serio, poco amichevole... e in effetti non lo era stata fin dall’inizio. Eppure era certo che fosse un’eroina, proprio come lui.
« Uhm... va tutto bene? » domandò.
« Mentirei, se ti dicessi di sì » rispose Merida, guardandosi intorno. « E abbassa la voce. Sono sulle tracce del mio nemico... è un orco, e so che è qui vicino. »
« Orco? » il ragazzo lanciò un’occhiata all’immagine sulla taglia. « Quell’orco? »
« Proprio così... sono giorni che do la caccia a quel mostro. Devo ucciderlo, se voglio tornare indietro. »
Sora tacque, facendosi ancora più sospettoso. Ormai era chiaro, sentiva qualcosa di sbagliato in tutta questa faccenda: Merida aveva un avversario, dunque era stata sfidata anche lei da Nul. Ma un simile desiderio di uccidere non poteva essere naturale... non da una come lei.
« Dunque... quest’orco è la tua nemesi? »
« Lo è diventato » rispose Merida, continuando a controllare la zona « ...e io sono diventata la sua. Ci siamo scontrati diverse volte, ma mi è sempre sfuggito: lui mi vuole morta per lo stesso motivo... spera di poter tornare a casa dopo avermi uccisa. Ma io gli trapasserò quell’orrida testa prima che possa riuscirci! »
L’orco... è diventato la sua nemesi? Ma che significa?
« Graaaaah! »
Un urlo spaventoso interruppe la conversazione, e qualcosa di grosso emerse dal buio subito dopo, avventandosi con forza su Merida. La ragazza cercò di scansarsi, ma non fu abbastanza veloce, e fu travolta dall’attacco. Sora si fece avanti, sollevando il Keyblade per respingere l’aggressore: la luce emessa dall’arma lo illuminò, rendendolo riconoscibile.
Era l’orco, la creatura che Merida stava cercando. Era molto grosso e robusto, seppure un po’ grasso. Indossava semplici abiti da contadino, bianchi e marroni, ed era armato con una mazza ricavata da un ramo di quercia. Il suo viso, molto simile a quello disegnato sulla taglia, era contorto da una rabbia feroce, tutta rivolta su Merida.
« Grrrr... »
« Ti ho trovato, finalmente » dichiarò Merida, estraendo una spada dal mantello.
« Ehm, veramente è lui che ha trovato noi » commentò Sora.
« Tu sta’ zitto! Facciamola finita una volta per tutte, orrendo mostro! »
Merida scattò in avanti, facendo da parte Sora con uno spintone. La principessa e l’orco si affrontarono così sotto lo sguardo incredulo del ragazzo, improvvisamente incapace di reagire. Mentre i due sferravano colpi brutali con le loro armi, il Custode del Keyblade notò finalmente cosa non andava nella situazione.
Ora lo vedeva chiaramente: una sinistra aura nera avvolgeva i corpi di Merida e dell’orco, e sembrava crescere d’intensità ad ogni colpo che si sferravano. Sora aveva ripetuto la sua avventura in Kingdom Hearts fin troppe volte per non riconoscere il potere dell’Oscurità all’opera... era ovvio che ora stava influenzando negativamente i due personaggi che aveva di fronte.
Devo fare qualcosa!
Sora si fece avanti, sollevò il Keyblade in aria, poi lo abbassò di scatto, battendolo al suolo. Ci fu un enorme lampo di luce che investì l’intera radura, così forte da abbagliare anche Merida e l’orco.
Un attimo dopo era tutto finito. Il bagliore si dissolse, e la foresta tornò visibile. Sora guardò in avanti, dove aveva colpito. Aveva già usato questo colpo in passato, contro i Senzavolto, perciò era certo del risultato: sconfiggere l’Oscurità era la sua missione, dopotutto. Merida e l’orco si erano fermati, abbagliati dalla luce, e quando tornarono a vedere avevano entrambi l’aria sconvolta.
« Oooh, la mia testa » lamentò l’orco, facendo cadere il ramo di quercia. « Ma cosa diavolo è successo? »
Merida non disse nulla, ma lasciò cadere la spada a sua volta.
« Ora va meglio, non è vero? » commentò Sora con un sorriso. « Dovevo intervenire, eravate corrotti dall’Oscurità. Essa sfruttava le vostre emozioni negative, spingendovi ad ammazzarvi a vicenda. Sapevate ciò che stavate facendo, ma non riuscivate a fermarvi. »
« Già... è vero » mormorò Merida, facendosi mortificata. « Io... mi dispiace, Sora. Perdonami, non volevo essere così dura. »
« Non importa, capisco anche questo. E tu come ti senti? » aggiunse, rivolgendosi all’orco. « Va tutto bene? »
« Sì... credo di sì » borbottò lui. La sua espressione era cambiata molto: non sembrava più il mostro feroce ritratto sull’avviso di taglia. In quegli occhi, Sora vedeva molto di più.
« Già, ora capisco fino in fondo » osservò. « Tu non sei un cattivo, dico bene? Sei un altro eroe. Come ti chiami? »
« Ehm... Shrek. »
« Piacere, io sono Sora. »
Il ragazzo si fece avanti per stringergli la mano. L’orco ne fu sorpreso, ma poi la strinse. Sora approfittò del momento per spiegare brevemente chi fosse e la situazione in cui si trovava: la sua separazione dai Valorosi per inseguire Xemnas, fino all’incontro con Merida. Lei e Shrek ascoltarono attentamente, e ne rimasero impressionati.
« Mi dispiace molto per il tuo amico, Sora » ammise Merida. « Capisco la tua intenzione di vendicarlo. Inoltre, a giudicare dalla descrizione che ci hai fatto, mi sembra di aver già incontrato il tipo che stai cercando. »
« Sì, vale anche per me » intervenne Shrek, serio. « Un uomo vestito con un soprabito nero è venuto da me l’altro giorno, non lontano da qui. »
« Davvero? » fece Sora, allarmandosi. « Uhm... questo spiegherebbe come mai eravate entrambi sotto l’influsso dell’Oscurità. Xemnas deve avervi manipolati... ma a quale scopo? »
« Non ne ho idea, ma se vuoi posso mostrarti il luogo dove l’ho incontrato. »
Il ragazzo fu d’accordo, e seguì i due nuovi alleati lungo un sentiero che attraversava la foresta. La notte era diventata ormai totale, e il trio fu costretto ad accendere nuove luci per vedere attraverso l’oscurità. Con un paio di rami e la magia di fuoco di Sora, i suoi nuovi compagni furono in grado di ricavare delle torce rudimentali. Shrek sapeva orientarsi bene in quella foresta, e ben presto si trovò a spiegarlo a Sora e a Merida.
« Questa è casa mia » disse l’orco strada facendo. « O meglio, era qui che sorgeva la mia casa una volta, prima che tutto il mio mondo sparisse. Non conosco quel Nul di cui mi hai parlato, Sora, ma se è lui a governare da queste parti stai pur certo che intendo dirgli due paroline: mi ha portato via tutto... mia moglie, i miei figli, i miei amici... e la mia palude. Ecco, una volta sorgeva proprio qui. »
Il trio aveva raggiunto un lieve rialzo, portandoli fuori dalla macchia di alberi. La foresta s’interrompeva bruscamente: al posto della palude in cui un tempo dimorava Shrek, ora sorgeva un grande castello in rovina, cupo e spettrale tra le tenebre che lo circondavano. Agli occhi di Sora, quel luogo era molto familiare.
Il Castello Disney, pensò angosciato. Conosceva bene quel luogo, era la dimora del Re, suo grande amico e alleato nell’avventura di cui era protagonista. Ormai era abituato alle stranezze, perciò fu libero di presumere che anche questa era opera di Nul: un altro settore di Oblivion, fuso con un frammento del mondo di Shrek.
Il trio si avvicinò ulteriormente, raggiungendo le mura crollate.
« Anche io ho incontrato l’uomo incappucciato tra queste mura » ammise Merida. « Non può essere un caso, Shrek... penso che siamo caduti entrambi vittime del suo gioco. »
« Già... e purtroppo ci siamo cascati come polli. Be’, siamo arrivati. »
L’orco si fermò, mostrando a Sora ciò che aveva di fronte. Il ragazzo scorse il profilo di un’enorme animale sdraiato sul terreno, immobile come una roccia; avvicinando il Keyblade illuminato, scoprì che si trattava di un orso. Era completamente nero, molto alto e grosso; aveva il volto sfregiato e molte orribili cicatrici su tutto il corpo, trafitto da alcune frecce e lance spezzate. Un tempo doveva essere stato una bestia feroce, ma ora giaceva morta ai piedi dei tre eroi.
« Mor’du » mormorò Merida con amarezza. « Il demone orso... un antico flagello giunto dal mio regno, scelto come mia nemesi in questo mondo di caos. »
« Cavolo » commentò Sora, impressionato dall’aspetto di quella creatura. « Dunque dovevi affrontare lui? Immagino che sia stato qualcun altro ad ucciderlo, se tu sei ancora qui. Sei stato tu, Shrek? »
L’orco scosse la testa, e indicò un punto nelle vicinanze. Sora si avvicinò e scorse un altro cadavere, semisepolto dall’enorme mole dell’orso. Sembrava un cavaliere, a giudicare dall’armatura, con lunghi capelli biondi che lentamente perdevano colore a causa della morte recente. Stringeva ancora in mano la spada con cui aveva trafitto il fianco dell’orso, che poi doveva essergli crollato addosso con tutto il suo peso.
« Si sono uccisi a vicenda » disse Shrek. « Lui era la mia nemesi, il Principe Azzurro. Nel mio mondo era un grosso idiota, ma ne ha combinate parecchie nel tentativo di portarmi via mia moglie. Non credevo che lo avrei incontrato di nuovo in questo mondo, ma non abbiamo fatto nemmeno in tempo ad affrontarci, visto che poi è saltato fuori questo bestione... e lo ha fatto fuori.
« Quando vidi che Azzurro era morto, non sapevo più che fare. Sapevo di dover eliminare la mia nemesi per tornare a casa, quindi non avevo altre idee; poi è sbucato fuori dal nulla il tizio vestito di nero, che mi ha proposto un’alternativa. Se avessi ucciso la nemesi del mostro che aveva ucciso Azzurro, la sfida sarebbe stata ugualmente valida e sarei tornato a casa. »
Sora si voltò a guardare prima Mor’du e poi Merida, sorpreso.
« Quindi... avresti dovuto uccidere lei? »
« E io avrei dovuto uccidere lui » aggiunse la ragazza. « Anche io ho ricevuto la stessa proposta dall’uomo in nero, dopo aver visto la carcassa di Mor’du. Uccidere l’orco per poter tornare a casa... mi sembrava una valida alternativa, così ho accettato senza pensarci due volte. Così abbiamo cominciato a darci la caccia a vicenda. »
Sora tacque per circa un minuto, incrociando le braccia pensieroso. Non si aspettava una situazione del genere, benché non fosse così insolita: erano soprattutto quei due personaggi a stupirlo, in particolare Shrek. Lui rappresentava un’anomala inversione delle parti nella sua storia: lui era l’eroe, mentre il cattivo era quell’ignoto principe morto ai loro piedi; non c’era bisogno di conoscere la storia dell’orco nel dettaglio, perché aveva percepito fin da subito il suo buon cuore. Si trattava di un eroe come lui, malgrado l’aspetto tutt’altro che rassicurante... e l’esperienza insegna che non bisogna mai giudicare in base alle apparenze.
E poi c’era Xemnas, giunto all’improvviso per aiutare Shrek e Merida con una falsa promessa...
« Non sapevate con chi avevate a che fare » obiettò Sora, infine. « È ovvio... Xemnas ha sfruttato il vostro desiderio di tornare a casa per manipolare i vostri cuori. Vi ha “infettati” con l’oscurità, ha permesso che vi controllasse allo scopo di farvi cadere nelle tenebre! Riconosco in questo la tipica mossa dell’Organizzazione XIII... corrompere i cuori forti per trasformarli in Heartless e Nessuno. »
« Esattamente. »
Il trio si voltò, attirato dalla nuova voce. Una figura era comparsa su un muro in rovina là vicino, torreggiando sopra di loro con aria minacciosa. Era Xemnas, l’aria tetra e impassibile come al solito.
« Tu! » gridò Sora, scattando subito in guardia. Lo stesso fecero Merida e Shrek alle sue spalle, impugnando le loro armi.
Xemnas rimase dov’era. Non sembrava guarito dallo scontro precedente: il suo corpo appariva ancora rovinato e squarciato dai colpi di spada laser, ferite ancora fresche del precedente duello con Luke e Darth Vader. Possibile che fosse pronto a combattere?
« Sei arrivato prima del previsto, Sora » commentò il Nessuno. « E hai già liberato i tuoi nuovi amici dal mio influsso... che peccato. Speravo di avere nuovi alleati al mio fianco, ora che ho perso tutti gli altri. »
« Non temere, stai per raggiungerli! » esclamò il ragazzo, infiammandosi. « Come ti abbiamo già detto una volta, Xemnas... tu non sei eterno! »
« Me lo ricordo. E ricordo anche la mia risposta. Non sono eterno... non più di quella tua radiosità... e l’ho messa a dura prova, uccidendo e corrompendo i tuoi amici. »
Sora strinse i pugni. Tutta quell’ira era terribile da sopportare, e fu solo con un enorme sforzo che riuscì a mantenere il controllo.
« In passato ti ho sempre affrontato per obbedire alla mia programmazione » disse, calmo ma deciso. « Ma ora... è diventato un fatto personale! Io ti distruggerò, Xemnas... pagherai per quello che hai fatto a Luke! »
Il Keyblade si divise in due, diventando il Portafortuna e il Lontano Ricordo. Sora prese dunque la rincorsa e si avventò su Xemnas; questi fece altrettanto, staccandosi dal muro con un balzo e gettandosi su di lui, evocando le Lame Eteree.
I due colpirono nello stesso istante, poi si separarono. Sora atterrò poco più avanti, mentre Xemnas atterrò alle spalle di Shrek e Merida. Il Nessuno cadde in ginocchio, sotto il loro sguardo incredulo.
« Ugh... »
Sora restò in guardia, ancora colmo di rabbia, ma non ce ne fu bisogno. Ora lo vedeva anche lui: il corpo di Xemnas si stava disintegrando rapidamente, trasformandosi in fumo nero.
« Oh? È già finita? »
Non era convinto. Xemnas gli sorrise maligno prima di svanire completamente, lasciando a terra solo il soprabito nero. Shrek e Merida rimasero in guardia, aspettandosi di vederlo tornare all’attacco; la ragazza si avvicinò un poco e toccò il vestito con la punta della spada, ma non accadde nulla.
« È morto? » chiese l’orco.
« Pare di sì » suggerì Merida. « Però, mi aspettavo di peggio da un tipo come lui... Sora lo ha battuto con un solo colpo. »
« Mah... è andata così perché era già debole » intervenne Sora. « In ogni caso, mi auguro davvero che sia finita. »
Passarono appena pochi secondi, poi si alzò il vento all’improvviso, vorticando intorno al soprabito nero caduto a terra. Sotto lo sguardo esterrefatto del trio, l’abito si rialzò in piedi, come se avesse preso vita; il vento si abbassò dopo un’altra manciata di secondi, e nel frattempo echeggiò un nuovo rumore nell’aria. Una risata fredda e glaciale, emessa da una voce diversa da quella di Xemnas.
La voce di un vecchio.
Sora tornò in guardia, osservando il nuovo individuo che aveva di fronte: era come se ci fosse di nuovo qualcuno sotto quel cappuccio, ma non ne distingueva il volto. Nel frattempo costui continuava a ridere, leggermente piegato in avanti.
« Finalmente... sono tornato. »
« Chi... chi sei? » esclamò Sora.
Lo sconosciuto obbedì alla richiesta e si sfilò il cappuccio.
Il ragazzo rimase senza fiato mentre riconosceva il volto di quel vecchio. Aveva la carnagione scura e gli occhi dorati, come Ansem e Xemnas. Era completamente calvo, ma con un grosso pizzetto grigio sul mento. Sul suo volto era impresso un sorriso maligno, ancora più inquietante di quello di Ansem.
« E ora questo chi è? » borbottò Shrek, osservando il vecchio.
« Non ne ho idea » rispose Merida. « Lo conosci, Sora? »
Il ragazzo non rispose subito. Appariva incredulo: non aveva mai visto prima quell’individuo, nemmeno alla Game Central Station... ma era più che sicuro di conoscerlo. Gliene avevano parlato, e di recente aveva rischiato grosso per colpa sua.
Il maestro perduto, l’artefice di tutto il male dilagato nei mondi di Kingdom Hearts. Il nemico finale.
« Tu sei... Xehanort! »
« Maestro Xehanort, prego » disse il vecchio, ridacchiando. « Bene... per me un grande piacere rivederti, Sora. So che non hai mai avuto l’occasione di incontrarmi... non da sveglio, s’intende... perciò eccomi qui, finalmente, pronto ad affrontarti in questa battaglia imminente. »
« Ma... com’è possibile? Come hai fatto ad arrivare fin qui? »
Xehanort rise ancora.
« Sei arrivato così lontano, eppure capisci ancora così poco » commentò, imitando le parole di Ansem. « Quando il cuore di un uomo soccombe alle tenebre diventa un Heartless. Se la sua volontà è forte, il corpo e l’anima rimasti generano un Nessuno che agisce in modo indipendente. Tuttavia, se l’Heartless e il Nessuno vengono distrutti, la persona originale può ritornare in vita. Proprio come è accaduto nel nostro mondo, ora la storia si è ripetuta qui: con la distruzione di Ansem e di Xemnas, sono tornato com’ero prima. »
Tacque, e nel frattempo si sfilò il soprabito nero con un gesto fluido, mostrando a tutti il suo vero aspetto. L’abito che indossava assomigliava a quello di Ansem: era bianco, coperto da un lungo mantello nero con interno rosso e stretto al corpo con delle cinture; indossava anche un paio di guanti bianchi, proprio come l’Heartless. Ora era davvero pronto a combattere.
Sora restò al suo posto, impietrito e dominato da un caos di pensieri. Aveva di fronte il suo vero nemico, quello che aveva tramato nell’ombra fin dall’inizio. Xehanort, il vecchio Maestro del Keyblade, mirava alla conquista del potere assoluto grazie al Kingdom Hearts, ma esso poteva essere aperto solo con l’arma suprema: il χ-blade. Il piano organizzato dal vecchio per ottenerlo era lungo e complesso, al punto tale da manipolare altre persone e fondare l’Organizzazione XIII. Ansem e Xemnas erano infatti i suoi luogotenenti, con il compito di completare le parti del piano finale. Ma Sora era rimasto all’oscuro di tutto per molto tempo... e solo alla fine era stato preso di mira come parte finale del piano, perché Xehanort voleva il suo corpo per ospitare parte del suo cuore oscuro.
« Sai, è davvero curioso il fatto che c’incontriamo qui » osservò Xehanort, avanzando lentamente. « Così lontano dal nostro mondo... slegati dalle nostre vite e dalle nostre missioni. Ma i nostri ruoli non sono cambiati, vero? Nul aveva pensato a me come Nemesi fin dall’inizio, sebbene avesse deciso di servirsi anche dei miei fedelissimi Ansem e Xemnas. Ha strappato entrambi dalla nostra realtà allo scopo di affrontarci: il vincitore sarà ricompensato con il ritorno a casa. Non avevo affatto previsto questa occasione, ma la accetto volentieri, se mi permetterà di riprendere la mia missione. Kingdom Hearts sarà mio! »
Sora scosse la testa.
« È pazzesco, Xehanort... sembri davvero convinto di ciò che dici, nonostante la tua vera natura » esclamò. « Non ci siamo mai incontrati prima, ma ti conosco... e so cosa sei! Sei solo il cattivo di un videogioco, e i tuoi piani non valgono nulla al di fuori del nostro mondo! Possibile che ancora ci credi? »
Calò il silenzio. Shrek e Merida osservarono Sora con perplessità, incapaci di capire ciò che aveva detto. Xehanort apparve inizialmente turbato, ma poi scoppiò a ridere.
« Certo che ci credo, mio caro ragazzo » disse il vecchio. « So perfettamente cosa sono... l’ho ricordato, nonostante tutto. Non importa che sia solo finzione, finché esisterà il modo di ottenere il potere supremo. È la mia natura, dopotutto... io sono il cattivo, e i cattivi aspirano sempre al potere! »
« Ma... non sei obbligato a seguire questa natura! Non hai mai partecipato a una riunione dei Cattivi Anonimi? In fondo, è come dicono loro: tu fai il cattivo, ma non vuol dire che tu sia davvero cattivo. Segui una programmazione, ma sei libero comunque di scegliere... qui dentro » e Sora indicò il proprio cuore « chi essere davvero. »
« Oh, temo che nel mio caso questa teoria non sia applicabile. Io sono davvero cattivo! »
Sora digrignò i denti e strinse i pugni. Niente da fare, quello non era un tipo che poteva convincere con le parole. Xehanort continuò ad avanzare nel frattempo, sempre più minaccioso.
« Ora basta » intervenne Shrek, facendosi avanti. « Non ho capito un granché di ciò che vi siete detti, ma sono certo di una cosa. Tu vuoi uccidere un mio amico, vecchio... e se credi che resterò a guardare mentre ci provi ti sbagli di grosso! »
« Sì, vale anche per me! » aggiunse Merida, impugnando l’arco. « Non ti lasceremo far del male a Sora... dovrai vedertela anche con noi! »
Sora guardò i due, improvvisamente commosso. Gli sembrava di avere i suoi vecchi amici di nuovo al suo fianco. Sapeva inoltre perché lo facevano: dovevano ricambiare il favore di essere stati liberati dall’Oscurità.
« Grazie, ragazzi. »
Shrek e Merida gli sorrisero, determinati a proteggerlo.
« Voi non m’interessate » dichiarò il maestro Xehanort, rivolto a loro. « Se vi farete subito da parte, vi risparmierò... ora posso fare a meno di voi, dopotutto. »
L’orco e la ragazza rimasero al loro posto.
« Molto bene » disse il vecchio. « In tal caso non mi lasciate altra scelta. Ho in mente il giusto avversario per tenervi fuori dai piedi. »
Xehanort puntò una mano verso i cadaveri di Mor’du e del Principe Azzurro. Questi non si mossero, ma l’ombra sotto di loro si allungò verso il trio di eroi, fermandosi a pochi metri di distanza. L’ombra emerse dal terreno e si divise in due: una assunse le sembianze di un orso, l’altra di un cavaliere, e si posero in guardia contro Merida e Shrek. Il potere di Xehanort aveva dato vita alle ombre dei loro nemici caduti.
« Oh, mamma » commentò Shrek, esasperato. « Sono certo che agli orchi non capita nulla del genere in nessuna fiaba. E dire che volevo solo una vita tranquilla! »
Xehanort attaccò per primo. Creò una sfera di fuoco oscuro e la scagliò su Sora. Il ragazzo parò il colpo, ma era così forte che lo respinse all’indietro per parecchi metri, separandolo dai suoi amici. Le ombre di Azzurro e di Mor’du li attaccarono subito dopo, scagliandosi con forza su di loro. Xehanort si teletrasportò alle spalle di Sora, manifestando la sua arma sotto il suo sguardo incredulo: un Keyblade grigio-nero, con l’impugnatura composta d’ali di pipistrello e la testa di un diavolo.
In un attimo era già cominciato un nuovo, triplice scontro. Merida contro l’ombra di Mor’du; Shrek contro l’ombra del Principe Azzurro; Sora contro il Maestro Xehanort. Ognuno degli eroi era impegnato in modo tale da non poter aiutare gli altri, soprattutto Sora: il suo avversario era il peggiore che gli fosse mai capitato di sfidare. Xehanort era un ottimo spadaccino e, nonostante l’età avanzata, brandiva il Keyblade con enorme maestria; era dotato inoltre di grandi poteri oscuri, che sembrava prediligere all’uso della spada. Sora faticava a parare i suoi colpi, persino con due Keyblade a portata di mano.
I due smisero di lottare poco dopo. Xehanort sembrò voler concedere a Sora un momento per riprendere fiato: senza dubbio si stava godendo quello scontro, fino all’ultimo.
« Impressionante, ragazzo » commentò compiaciuto. « Hai una forza davvero eccezionale, anche se non sei ancora un Maestro. Sei persino in grado d’impugnare ben due Keyblade... un’abilità che non avevo mai visto prima. In genere occorre un altro cuore per renderlo possibile... a meno che... »
Xehanort assunse un’aria sorpresa, come se avesse intuito qualcosa.
« Ah, capisco. In effetti sentivo qualcosa di molto familiare in te... sì, ora capisco. Il tuo potere, la tua chiave... li hai ereditati da qualcun altro. Che sciocco... dunque non sei mai stato un prescelto come me. »
Sora abbassò lo sguardo, portandosi una mano sul cuore. Poi tornò a guardare Xehanort, carico di amarezza.
« Forse è come dici tu » ammise, « ma ora non ha importanza. Prescelto o non prescelto, sono sempre un eroe... un difensore della Luce, e sconfiggerò ogni oscurità che minaccia il mondo! »
Xehanort fece un ghigno orribile. Un attimo dopo era svanito nel nulla; Sora, sorpreso, si guardò intorno, mentre la risata del vecchio echeggiava intorno a lui. Lo vide riapparire proprio di fronte, ad appena un metro di distanza.
« L'Oscurità non può essere distrutta » dichiarò Xehanort, « può essere solo controllata. Ma essa... distruggerà te! »
Fiamme nere eruppero dalla mano del vecchio, dritte contro Sora. Il ragazzo sollevò i Keyblade, ma non riuscì a impedire l’avanzare di quella forza micidiale sul suo corpo; sentì subito un gelo orribile invaderlo dentro e fuori, fino alle ossa, mentre il buio calava sui suoi occhi colmi di angoscia.
Shrek e Merida, che nel frattempo si erano trovati in un breve vantaggio sui loro avversari, videro il loro amico crollare a terra, sconfitto.
« Sora! »
I due si precipitarono verso di lui, voltando le spalle alle ombre appena messe al tappeto. Xehanort torreggiava sul ragazzo come un avvoltoio, nell’atto di colpirlo al petto con il suo Keyblade nero. Il colpo di grazia del vecchio fu impedito dal tempestivo intervento di Shrek e Merida, che si pararono di fronte a lui.
« Non fare un altro passo, dannato vecchio! » gridò la principessa, minacciandolo con una freccia. « Lo giuro sui miei antenati, non avrai la sua vita! »
« Oh, non temere, non voglio la sua vita » spiegò Xehanort con un ghigno. « Voglio il suo corpo... così giovane e forte, è proprio ciò che fa al caso mio. Non avrebbe senso tornare al mio mondo con il mio vecchio e debole corpo. Ma per prendere possesso di quello di Sora, devo prima assicurarmi che il suo cuore non sia in grado di impedirmelo. »
Shrek e Merida lanciarono un’occhiata a Sora, ancora immobile al suolo dietro di loro. L’aura oscura lo circondava, tremenda e inarrestabile.
« Allora dovrai prima vedertela con noi » ribatté Shrek, facendosi più avanti.
Xehanort li guardò con aria leggermente turbata.
« Non immaginavo foste così temerari. Di certo avete un cuore molto forte... ma non abbastanza da suscitare il mio interesse, né il mio timore. Una principessina ribelle e un fetido mostro non possono certo competere con un Maestro del Keyblade... perciò sparite dalla mia vista, prima che decida di annientare anche voi. »
Schioccò le dita. Le ombre di Mor’du e di Azzurro riapparvero ai fianchi dei due eroi, attirando la loro attenzione. Essi attaccarono nello stesso istante, avventandosi brutalmente su di loro...
Accadde in un attimo, durante il quale Merida e Shrek avevano avuto la stessa idea. L’orco e la principessa afferrarono i Keyblade di Sora, uno per ciascuno, e li usarono per difendersi dall’assalto. Shrek distrusse il Principe Azzurro con il Keyblade nero, mentre Merida usò quello bianco per annientare Mor’du. Le ombre esplosero in due vampate di fuoco nero, sotto lo sguardo esterrefatto di Xehanort.
Ora aveva due nuovi avversari, degni del suo rispetto.
« Interessante » mormorò, osservando come i due eroi riuscissero a tenere in mano i Keyblade. « Forse non siete poi così insignificanti. »
« Avresti dovuto pensarci prima di chiamarmi “fetido mostro” » ribatté Shrek. « Dopotutto, vecchio... tu sei decisamente più mostro di me! »
« Ora scoprirai di cosa è davvero capace una principessina ribelle! » ribatté Merida.
I due avanzarono con decisione, i Keyblade ancora stretti tra le loro mani, costringendo Xehanort ad arretrare. Entrambi, tuttavia, sapevano di non poter fare molto con un avversario del genere, perciò speravano di dare a Sora il tempo per riprendersi.
 
Nel frattempo, Sora precipitava nell’Oscurità...
Che succede?dove sono? Cado... di nuovo... nell’oscurità...
« Non aver paura. »
Cosa? Chi sei... tu?
« Qualcuno che aspetta di risvegliarsi. »
La tua voce... mi sembra così familiare. Puoi aiutarmi?
« Ti ho sempre aiutato. Ti ho guidato per tutto questo tempo. Ti ho istruito sulla tua forza, insegnato a muoverti e ad affrontare i pericoli, interrogato sui tuoi sogni e le tue paure. Ti ho mostrato la via da intraprendere per diventare ciò che sei ora. »
Ma... perché?
« Dovevo farlo. Era il minimo che potessi fare, per ricambiare ciò che tu avevi fatto per me. »
Non capisco.
« Tu mi hai salvato la vita, Sora. La prima volta, quando tu eri appena nato: il mio cuore fu spezzato... e tu ti offristi di ripararlo unendo i nostri cuori. La seconda volta, quattro anni dopo: ero di nuovo in pericolo... e il mio cuore ti raggiunse di nuovo, chiedendoti ospitalità. »
Tu... allora era vero! Non lo avevo sognato! Tu sei... dentro di me!
« Esatto. Aspetto ancora di risvegliarmi... e sento che succederà presto. Ma non potrà accadere, se tu morirai qui... così lontano dal nostro mondo. »
Sì... devo sconfiggere Nul, e tornare a casa. Ma... ho bisogno di aiuto. Xehanort... è così forte.
« Allora è tempo di guidarti un’altra volta. Verso un nuovo potere. Spero che nelle tue mani sarà più utile... e ti permetterà di trionfare dove io ho fallito. »
Perché credi così tanto in me?
« Perché tu sei la chiave. E sei l’eroe del nostro mondo. »
Be’... grazie. È strano... ho sempre avuto la sensazione di conoscerti... eppure non so chi sei.
« Io? Mi chiamo Ventus. »
Bene! Allora grazie... Ventus!
Sora riaprì gli occhi, e l’oscurità scomparve.
 
Shrek, Merida e Xehanort si fermarono. Videro chiaramente un gigantesco fascio di luce emergere dal punto in cui si trovava Sora e levarsi contro il cielo, così abbagliante da avvolgere il castello e l’intera foresta.
« Ma cosa... »
Xehanort sembrava incapace di muovere un muscolo, tanto erano grandi lo stupore e il timore che lo avevano assalito nel giro di un istante. Non riusciva neanche a volgere lo sguardo da un’altra parte, come se i suoi occhi si fossero congelati mentre fissava quel fenomeno; inoltre percepiva da esso un potere immenso, familiare ma al tempo stesso anomalo. Poi, non appena la luce si attenuò, lui e i suoi due avversari furono in grado di scorgere al suo interno una figura, sospesa ad un metro da terra.
Nessuno dei presenti riuscì a riconoscerlo, poiché il suo corpo era interamente coperto da un’armatura, azzurra e argentata, con un ampio mantello rosso che ondeggiava alle sue spalle. I Keyblade impugnati da Shrek e Merida sparirono di colpo, e un altro riapparve sulla mano destra del cavaliere: più splendente che mai, era quello impugnato da Sora prima di dividerlo in due.
« Sora? » fece Merida, esitante. Il cavaliere non rispose, ma nel frattempo toccava terra con i piedi. L’orco e la principessa si fecero da parte mentre costui avanzava verso Xehanort, più incredulo che mai.
« L’Armatura del Keyblade » mormorò. « Non posso crederci... eri sopraffatto dal mio potere oscuro... come hai fatto a liberare un simile potere così all’improvviso? »
Il cavaliere si fermò a pochi metri da lui.
« Sai una cosa, Xehanort? » risuonò la voce di Sora attraverso l’elmo. « Avevi ragione su di me. Anche se non sono un vero prescelto, mi sta bene così. Ho tanti amici che mi accettano per quello che sono... e loro mi danno la forza per vincere le tenebre più oscure! »
Si voltò a guardare Shrek e Merida, che gli sorrisero con orgoglio. Anche se lo avevano appena conosciuto, sentivano la sua luce risuonare nei loro cuori come se fossero legati a lui da sempre.
« Dopotutto, non occorre essere prescelti per meritare un potere » aggiunse Sora. « Anzi, se ho imparato una cosa dai miei nuovi amici è proprio questa: i più meritevoli sono proprio quelli che non lo hanno mai desiderato! »
Xehanort digrignò i denti, furibondo, mentre intuiva cosa fosse accaduto. Ventus, il cui cuore riposava all’interno di Sora, doveva avergli trasferito parte del suo potere, in qualche modo... una via che non aveva mai esplorato a fondo, e perciò ne era rimasto sorpreso.
Entrambi puntarono le armi l’uno contro l’altro.
« Sciocco ragazzino » disse il vecchio, gelido. « Riconosco la tua forza, ma non credere di aver già vinto. I tuoi predecessori hanno trovato la rovina per mano mia, ed erano molto più esperti di te... perciò rassegnati, non riuscirai a sconfigger...!! »
Wham.
Un colpo di Keyblade lo prese in pieno, rapido come un fulmine, con una forza tale da staccarlo dal suolo e spedirlo a centinaia di metri all’indietro, contro una torre del castello. Sora scattò in avanti subito dopo, inseguendo il suo avversario ormai lontano. Shrek e Merida, rimasti indietro, erano esterrefatti: videro il ragazzo e il vecchio affrontarsi a gran velocità tra le rovine del castello, tra lampi di luce e fiamme oscure che esplodevano, provocando grande distruzione tutt’intorno. E loro non potevano fare nulla, a parte osservare.
« Bah » borbottò Shrek a un certo punto. L’orco si allontanò un poco per andare a sedersi sulla carcassa di Mor’du. Merida lo seguì con lo sguardo.
« Che stai facendo? »
« Mi metto comodo, mentre aspetto la fine del duello » rispose Shrek. « Ormai va troppo oltre le nostre capacità, non possiamo fare niente. Saremmo solo d’intralcio a Sora... quindi non ci resta che aspettare. »
Merida non disse nulla, ma doveva ammettere che l’orco aveva ragione. Perciò prese posto accanto a lui sull’orso morto, in attesa di un nuovo sviluppo. Davanti a loro, lo scontro tra Luce e Oscurità proseguiva implacabile.
« Mi manca la mia casa » commentò Shrek nel frattempo. « La mia palude, la mia famiglia... cavolo, ormai sono arrivato al punto da sentire persino la mancanza delle chiacchiere di quel chiacchierone di Ciuchino. Non l’avrei mai creduto possibile... finché non sono arrivato qui. »
« Già, vale lo stesso per me » ammise Merida. « A volte scopriamo ciò a cui davvero teniamo, finché non lo perdiamo. Mi manca mia madre, più di tutto... proprio adesso che le cose avevano iniziato a funzionare tra di noi. »
I due si scambiarono un’occhiata, seguita da un lieve sorriso d’apprensione. Poi tornarono a seguire la battaglia, stringendo la presa sulle loro armi. Confidavano nella vittoria di Sora... ma era sempre meglio restare in guardia, in caso d’imprevisti. Anche i più grandi eroi potevano aver bisogno di un piccolo aiuto.
Molto più in alto, la situazione era ancora in stallo. Sora e Xehanort lottavano ad armi pari sopra una torre del castello, Luce contro Oscurità; il ragazzo teneva testa al vecchio grazie al suo nuovo potere, anche se dubitava di poterlo usare ancora a lungo. Non aveva l’esperienza necessaria per resistere per molto tempo, perciò doveva concludere lo scontro alla svelta. Anche il Maestro Xehanort pensava qualcosa di simile: faceva del suo meglio per nascondere il timore, oltre alla stanchezza che cominciava ad accusare. Il suo cuore tenebroso dimorava ancora in quel corpo vecchio e stanco, e contro un avversario così energico e temerario rischiava di cedere da un momento all’altro.
Ma Sora aveva ancora una carta da giocare: mentre il suo nemico restava immobile di fronte a lui, l’elmo prese a inquadrare numerosi piccoli bersagli lungo il corpo di Xehanort. Era come se l’armatura lo stesse preparando ad un attacco micidiale, e volle fidarsi: Sora si rilassò, dunque, lasciandosi trasportare dal potere della Luce; il tempo rallentò, mentre i suoi piedi si staccavano dal suolo.
« Ma cosa... » iniziò a dire Xehanort, ma un secondo dopo era già troppo tardi.
Shrek e Merida, dalla loro postazione lontana, videro il loro alleato tramutarsi in una sorta di cometa luminosa e scagliarsi contro il nemico, rapido e potente come un fulmine. Una raffica di attacchi da cui non c’era scampo. Lo colpì una, due, tre volte, e dieci volte ancora; Xehanort non riuscì a difendersi né a schivare un singolo colpo, e l’ultimo fu quello decisivo. Il vecchio fu colpito così forte che il bagliore fu accecante, e distrusse gran parte della torre con un botto fragoroso. La cometa finì lontano, schiantandosi sul terreno a più di cento metri di distanza.
Tutto tacque all’improvviso. La luce emanata da Sora si era attenuata, e le tenebre tornarono ad avvolgere il castello in rovina. Buio e silenzio dominarono la scena per qualche minuto, finché una nuova esplosione non attirò l’attenzione di Shrek e Merida, verso la torre semidistrutta. La loro sorpresa si riempì di orrore non appena videro riemergere il Maestro Xehanort dalle macerie.
« Ugh... male... detto » ansimò il vecchio, colmo di rabbia. Il suo corpo, anche se ferito, emetteva potere oscuro in grandi quantità, più minaccioso che mai.
Anche Sora era riapparso nel frattempo. Il ragazzo, ancora protetto dall’armatura, era in ginocchio sull’erba tra i ruderi, visibilmente stremato; l’elmo nascondeva a tutti lo stupore nel vedere il suo nemico ancora vivo. Lui era arrivato al limite... ma non Xehanort, che già si preparava a un nuovo attacco. Il vecchio levò una mano al cielo, evocando un globo di energia oscura che si fece sempre più grande.
« Non è ancora finita, moccioso!! » urlò. « Non puoi distruggere l’Oscurità... ci sarà sempre Oscurità nel mondo! E anche io... ci sar... argh! »
Ancora una volta qualcosa frenato la sua lingua. Il globo oscuro si dissolse mentre Xehanort abbassava lo sguardo, incredulo: una freccia lo aveva colpito in pieno petto. Più in basso, una soddisfatta Merida si godeva la scena, l’arco ancora in pugno.
« Bel colpo » commentò Shrek, dandole una pacca sulla schiena.
Xehanort fece un passo indietro, mentre il sangue sgorgava dalla ferita. Non riusciva a crederci; perse l’equilibrio e cadde giù dalla torre. Sora si rialzò in piedi e iniziò a camminare, dirigendosi verso la torre: doveva accertarsi che per il suo nemico fosse la fine.
« No... non può essere » sussurrò un incredulo Xehanort, disteso e agonizzante sull’erba. « Io sono... il maestro dell’Oscurità... non può finire così... »
Qualcuno si era avvicinato a lui nel frattempo. Il vecchio si voltò a guardarlo, credendo fosse Sora, ma si sbagliava. Era Shrek, armato di una spada presa dal corpo del suo nemico. Xehanort cercò di reagire, sollevando una mano, ma non ne uscì alcun potere; l’orco, per nulla impressionato, calò la spada su di lui, conficcandogliela nel petto.
« Fine della storia, vecchio. »
Stavolta lo era davvero. Lo sguardo di Xehanort si spense, e il suo corpo divenne molle mentre altro sangue inondava il prato. La morte aveva infine colto l’oscuro Maestro del Keyblade, dopo una lunga e terribile battaglia.
Sora e Merida arrivarono in quel momento, rivolgendo entrambi lo sguardo sulla scena.
« È morto? » chiese la principessa, incerta.
« Sì » rispose Shrek. « Ed era pure ora... oppure dobbiamo aspettarci l’arrivo di altri nemici, Sora? »
« No... lui era l’ultimo » rispose il ragazzo. « Era il mio nemico principale fin dall’inizio... e ora ha finalmente pagato per tutto il male che ha fatto. »
L’armatura sparì nel frattempo dal suo corpo, anche se sulla sua spalla sinistra era rimasto un pezzo, dotato di pulsante; quello gli avrebbe permesso di richiamarla in futuro, perché c’era ancora una battaglia da affrontare. Quella contro Nul.
Merida e Shrek potevano di nuovo vedere Sora in faccia, ma si accorsero che era preoccupato.
« Qualcosa non va, Sora? » chiese Merida.
« No. Be’, in realtà sì » rispose lui, osservando il corpo di Xehanort. « Non era così che doveva finire. Dovevo essere io ad ucciderlo: erano le regole del gioco di Nul... e non le ho rispettate. Siete stati voi ad uccidere Xehanort... e per questo sono costretto a restare su questo mondo, proprio come voi. »
Shrek e Merida si scambiarono un’occhiata.
« Ah, ci dispiace. Non immaginavamo che le cose stavano così » ammise l’orco. « Se lo avessi saputo, ti avrei lasciato dargli il colpo di grazia. »
« Mah... non importa » ammise Sora, e nel frattempo recuperava il sorriso. « Forse è meglio così, ragazzi... non credo che avrei accettato di tornare a casa, sapendo cosa sta succedendo qui. Nul sta minacciando interi mondi e i miei amici, e devo aiutarli a risolvere la situazione. »
Il ragazzo rivolse lo sguardo altrove, verso la foresta. Da quella posizione potevano vedere il profilo della città in lontananza, dove doveva tornare al più presto per ricongiungersi con i suoi amici. I Valorosi dovevano restare uniti ora più che mai, ora che l’ultima Nemesi era stata sconfitta.
Nul sarebbe stato il prossimo nemico da affrontare.
L’ultima battaglia su Oblivion stava per cominciare.

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Capitolo 38
*** Verrà un'orda straniera ***


Capitolo 38. Verrà un’orda straniera
 
La battaglia contro il Maestro Xehanort era terminata da pochi minuti, ed era stata così dura che Sora e i suoi alleati erano rimasti quasi a corto di energie. Non potevano pensare di raggiungere la città in tali condizioni, perciò decisero di riposare per qualche ora prima di rimettersi in viaggio. Il trio si era perciò accampato tra le rovine del Castello Disney per un meritato riposo.
Peccato, però, che le sorprese non erano ancora finite. Sora, Shrek e Merida si erano appena seduti intorno a un falò quando un rumore nelle vicinanze attirò la loro attenzione: i tre videro una sorta di buco nero aprirsi a pochi metri da loro, dal quale emerse subito una figura.
Il trio scattò subito in guardia, ma il nuovo arrivato non fece altrettanto. Si limitò a restare immobile di fronte a loro, mostrando il suo aspetto: era un giovane di appena trent’anni, alto e con corti capelli lisci e neri come il corvo, che gli coprivano il lato sinistro del volto; indossava abiti scuri sotto un ampio mantello nero che lo celava quasi del tutto, a parte il braccio destro e la katana appesa al fianco.
Il giovane non disse una parola. Continuava a restare fermo e a scrutare il gruppo con l’unico occhio visibile, che brillava di rosso; era inquietante, ma i tre compagni non mostrarono nemmeno un po’ di paura.
« Chi sei? » disse infine Merida, puntandogli contro l’arco teso. « Sei un eroe o un malvagio? »
« Né l’uno né l’altro » disse pacato, voltando nel frattempo lo sguardo. « Tu sei Sora, giusto? Il custode della chiave. »
Il ragazzo apparve sorpreso, ma non allentò la presa dal Keyblade.
« Sì, sono io » rispose. « E tu chi sei? »
« Mi chiamo Sasuke Uchiha, e sono qui per aiutarti. »
Sasuke avanzò di un passo, ma Shrek e Merida fecero altrettanto con aria allarmata.
« Non mi sembri uno che vuole aiutare il prossimo » disse l’orco, minaccioso. « Chi ci assicura delle tue “buone intenzioni”? »
Sasuke sospirò, e alzò la mano destra per mostrarla priva di armi.
« Jake, Lara, Hellboy, Edward, Harry, Po » disse a voce alta. « Sono i Valorosi, il gruppo di cui lo stesso Sora fa parte. Vi basta o devo dirvi anche il loro numero di scarpe? »
Sora abbassò finalmente il Keyblade, più sorpreso che mai.
« Come fai a conoscerli? »
« Ci siamo conosciuti poco fa, all’ospedale. Hanno localizzato la tua posizione e mi hanno mandato a prenderti, ti stanno aspettando. Ti consiglio di approfittare del passaggio, perché non resterò da queste parti ancora a lungo. »
Sora, Shrek e Merida si scambiarono un’occhiata incerta.
« D’accordo, verrò con te » disse Sora dopo una pausa. « Ma ad una condizione: che possano venire anche i miei nuovi amici. »
« Sì, d’accordo » rispose subito Sasuke. « Per me non fa nessuna differenza. »
« Come farai a portarci in questo posto? » chiese Merida, dubbiosa. « Con la magia? »
« Non esattamente. Voi non preoccupatevi e lasciate fare a me. »
Il giovane scostò la ciocca di capelli che gli copriva l’occhio sinistro, mostrandolo al trio. Era molto diverso da quello destro, e per certi versi più inquietante: era completamente viola, con sei cerchi concentrici e sei piccoli segni simili a un 6 intorno alla pupilla. Sasuke voltò quindi lo sguardo da un’altra parte, e dopo pochi istanti si aprì a mezz’aria un nuovo portale, identico a quello da cui era saltato fuori. Si vedeva un posto completamente diverso al di là di esso, che Sora riconobbe subito: l’atrio dell’ospedale.
« Entrate, presto » esortò Sasuke. « Vi condurrà a destinazione. »
Sora obbedì e si avvicinò con decisione, saltando dentro al portale. Shrek e Merida esitarono, ma poi seguirono l’esempio del ragazzo e fecero altrettanto. Sasuke passò per ultimo, e il portale si chiuse subito dopo.
Il gruppo si trovò subito circondato da un gruppo di persone. Sora riconobbe i suoi amici Valorosi, riuniti insieme e ancora una volta sollevati di vederlo sano e salvo.
« Sora! »
« Meno male, sei ancora tutto intero... »
« Loro sono Merida e Shrek... »
« Piacere... »
Lo scambio di battute fu breve, perché il ragazzo notò l’assenza di un membro tra le loro fila e il ricordo di ciò che era accaduto solo poche ore prima tornò ad attraversargli la mente.
La morte di Luke. Per Sora fu quasi inevitabile rivolgere l’attenzione su Lara, che negli ultimi tempi aveva stretto con il Jedi un legame molto più forte; sebbene lei apparisse tranquilla come gli altri in quel momento, era impossibile non accorgersi di tanto dolore che ancora riempiva il suo sguardo.
Fu solo grazie all’estraneo chiamato Sasuke che il gruppo fu in grado di distrarsi.
« Bene, ho riportato il vostro amico alla base » dichiarò, voltando le spalle a tutti. « Buona fortuna a tutti. »
« Oh sì... grazie, Sasuke » rispose Jake, un po’ sorpreso. « Ottimo lavoro. »
Il ragazzo si allontanò senza aggiungere altro, sparendo oltre il corridoio. Il gruppo lo osservò con aria perplessa, tutti indecisi su cosa pensare nei suoi confronti.
« Ma quello che problemi ha? » domandò Shrek, spezzando il silenzio che si era creato.
« Una marea di problemi, secondo la storia che ci ha raccontato » rispose Hellboy mentre si accendeva un sigaro. « È un ragazzo molto complicato. »
« Perché? Cosa gli è successo? » chiese Sora.
« Ricordi quel posto con i cristalli ai confini del Cimitero dei Mondi? » disse Jake. « Quello dove erano conservate decine di coppie di innamorati? »
Sora annuì.
« C’era un tipo in mezzo a loro, un certo Naruto Uzumaki... conservato nel cristallo più grande insieme alla sua ragazza, là dove abbiamo incontrato Dylan. Sasuke era stato scelto come sua Nemesi nel ciclo di guerre in cui erano stati coinvolti. »
« Ma quei due erano grandi amici, nel mondo da cui provenivano » aggiunse Edward. « Anche se Sasuke aveva preso a un certo punto una strada oscura e pericolosa, diventando un traditore e un nemico della loro nazione. Naruto lo aveva inseguito a lungo, e alla fine era riuscito a farlo tornare tra i buoni... per così dire. Eppure Nul ha deciso che i due si affrontassero ancora una volta come nemici, dopo averli portati su Oblivion. »
« Ma Naruto e Sasuke non erano d’accordo » proseguì Harry. « Non avevano alcuna intenzione di stare al gioco di Nul – proprio come noi – così hanno unito le forze e si sono opposti a Nul. Lo hanno trovato e affrontato... e sono stati sconfitti. Sasuke era rimasto gravemente ferito, mentre il suo amico... be’, lo abbiamo visto tutti che fine ha fatto. »
Il gruppo tacque per un attimo, e l’immagine di quel giovane biondo, sigillato insieme alla sua amata nel cristallo, attraversò di nuovo la mente di tutti. Un’immagine splendida ma al tempo stesso inquietante: l’ennesima prova della crudeltà di Nul.
« Dopo essersi ripreso in ospedale, Sasuke ha continuato a portare in salvo le altre vittime di Nul, per dargli modo di sopravvivere » disse Jake, riprendendo il discorso. « Lo abbiamo incontrato poco fa all’ingresso, e ha accettato di venire a recuperarti dopo che ti avevamo localizzato. È stata la luce emessa dal tuo Keyblade mentre combattevi a rivelare la tua posizione. »
Sora annuì, soddisfatto dall’intera spiegazione. Rivolse un ultimo sguardo al corridoio, ma Sasuke era ormai sparito.
« Però, non credevo fosse così disposto a parlare di sé » commentò curioso. « Con me è stato molto riservato. »
« Anche con noi, in verità » ammise Harry. « Tutto quello che ti abbiamo appena raccontato, lui ce lo ha detto in venti parole... e dico sul serio. »
Il discorso cadde quasi all’improvviso. L’attenzione si spostò dunque su Shrek e Merida, ritenuti ancora dei perfetti estranei nell’intera vicenda: anche dopo le dovute presentazioni e il resoconto sull’ultima battaglia da cui erano usciti, i due eroi non mostrarono l’intenzione di unirsi al gruppo. In effetti, in quel momento apparivano molto provati a causa di tutto quello che avevano passato negli ultimi giorni; anche se non erano feriti in modo grave, accettarono comunque di farsi visitare dai medici Senzavolto, dopodiché si trovarono un alloggio in cui riposare. I Valorosi seguirono l’esempio, ritirandosi nelle loro stanze; avevano ancora parecchie ore per riprendersi, prima che sorgesse un nuovo giorno.
Una nuova, terribile serie di avventure e sciagure su Oblivion.
 
DRIIIIIIIIIIIIIIIIIN...
L'allarme svegliò Sora di soprassalto, spaventandolo a tal punto da farlo cadere dal letto. Il ragazzo guardò fuori dalla finestra: era appena l'alba. Perché aveva puntato la sveglia a quell'ora?
Ma non c'era nessuna sveglia da puntare. L'allarme proveniva infatti da fuori, e non prometteva nulla di buono. 
« Macchessuccede...? »
Ed si stava svegliando in quel momento nel letto accanto, molto più confuso di lui. Sora si affacciò fuori dalla stanza per capire che stava succedendo. Trovò i suoi compagni e altri personaggi nelle vicinanze, usciti dalle loro stanze seguendo lo stesso esempio.
DRIIIIIIIIIIIIIIIIIN...
« Sembra l'allarme antincendio » osservò Lara, guardandosi intorno. « Ma che sta succedendo? »
La risposta arrivò subito dopo, attraverso gli altoparlanti disposti lungo il corridoio.
« Questa non è un'esercitazione » dichiarò la voce del dottor House, amplificata di volume. « Tutti gli ospiti e i pazienti in buona salute sono pregati di raggiungere la hall immediatamente. Ripeto: questa non è un'esercitazione. Tutti gli ospiti e i pazienti in buona salute sono pregati di raggiungere la hall. Immediatamente. »
I Valorosi si scambiarono una rapida occhiata ansiosa per poi obbedire all'ordine, percorrendo il corridoio a passo veloce. Con loro c'era anche Harry, ormai guarito del tutto. Solo Jake mancava all'appello, ma sicuramente aveva sentito anche lui l'allarme dal suo giaciglio sull'albero.
« Secondo voi che sta succedendo? » chiese Harry durante il cammino. 
« Non ne ho idea, ma ho un gran brutto presentimento » rispose Hellboy. « E quando li ho, sono sempre cavoli amari per il mondo intero! »
« Aaaaah! »
L'urlo attirò improvvisamente l'attenzione del gruppo, in un corridoio successivo. I Valorosi videro Melinda, la donna che parlava ai fantasmi, in evidente difficoltà: due Senzavolto l'avevano aggredita, e lei cercava di opporre resistenza.
« Ehi voi, lasciatela! »
Ed fu il primo a reagire. L'alchimista scattò in avanti, batté le mani e le pose a terra: il pavimento sotto i piedi dei Senzavolto si deformò, spostandosi di lato, e li scaraventò lontano dalla loro vittima.
« Stupeficium! »
L'incantesimo di Harry li colpì in pieno, e i due crollarono a terra privi di sensi. I Valorosi raggiunsero dunque Melinda, sconvolta ma ancora illesa.
« Stai bene? » chiese Lara.
« Sì... sì » rispose lei, ansimando per la paura. « Non capisco... mi hanno aggredita all'improvviso, non ho potuto fare nulla. »
I Valorosi guardarono i Senzavolto. Uno era vestito da medico, l'altro da infermiera, e questo particolare rese tutto ancora più strano.
« Erano al servizio di House » osservò Sora. « Non doveva essere in grado di controllarli? »
Il dubbio fu confermato da nuove urla e rumori poco lontano. Si voltarono e videro altri Senzavolto dell’ospedale, intenti ad aggredire ogni ospite dell’edificio a portata di tiro; i Valorosi intervennero ancora, mettendo al tappeto tutti quelli che trovarono sul loro cammino. In alcuni casi non fu necessario il loro aiuto, perché gli altri eroi erano in grado di fronteggiare tali nemici. Raggiunsero infine la hall, in quel momento gremita di gente: c’erano personaggi di ogni sorta, eroi di altri mondi scampati ai conflitti di Oblivion, tutti quelli che versavano in buona salute. Molti Senzavolto erano riversi sul pavimento, abbattuti prima che facessero ulteriori danni; al centro della sala, vicino alla reception, c’era il dottor House, circondato da un gran numero di persone. Tra loro riconobbero Shrek, Luigi, Natsu e Jake. L’allarme antincendio cessò in quel momento.
« House! » gridò Jake, facendosi largo facilmente tra la folla. « Che diavolo sta succedendo? »
« Speravo di riuscire a scoprirlo da voi! » rispose il medico, esasperato. « I miei dipendenti si sono ammutinati tutti all’improvviso. Non obbediscono più ai miei ordini! »
« Sembrano comportarsi come quelli che incontravamo in città » osservò Harry. « Attaccano tutti quelli che non sono come loro... quindi siamo tutti loro bersagli, ancora una volta. »
« Già, ma perché è successo così all’improvviso? » chiese Po. « Prima erano tutti buoni e gentili qui dentro, e adesso sono impazziti di colpo. »
« Non ne ho la minima idea » disse House. « Sta di fatto che l’ospedale non è più un luogo sicuro... deve essere evacuato. Perciò invito tutti quanti ad aiutarmi a portare via i pazienti ancora ricoverati... »
BUM!
Un boato assordante echeggiò dappertutto, mentre il pavimento vibrava con una tale forza da far perdere l’equilibrio a tutti.
« Per mille polpette di riso, e ora che succede? » esclamò Po spaventato.
Il pavimento smise di tremare dopo pochi istanti. I Valorosi si rimisero lentamente in piedi, restando in guardia. Molti altri eroi fecero lo stesso, puntando le loro armi in varie direzioni. Era come se qualcosa di enorme fosse esploso nelle vicinanze, ma l’ospedale non aveva subito danni strutturali.
« Veniva da fuori » disse Jake, voltandosi verso l’uscita. La visuale era tuttavia offuscata da una densa coltre di polvere che si era levata nell’aria, trattenuta fuori dalle porte a vetro dell’ospedale.
« Una cosa è sicura, siamo sotto attacco » osservò Hellboy.
« No... è la fine. La fine di tutto. »
La voce attirò l’attenzione del gruppo. Accanto ad House c’era Eidan, il misterioso ragazzo dai capelli argentati con cui avevano parlato il giorno prima a colazione. In quel momento aveva l’aria sconvolta, come se avesse capito qualcosa di davvero terribile.
« Che vuoi dire? » chiese Lara. « Sai cosa sta succedendo? »
« È la fine di tutto » ripeté Eidan. « Il Nemico sta arrivando. Il mondo brucerà... e sprofonderà nelle tenebre. »
Non disse altro. I Valorosi lo ignorarono dopo qualche esitazione, e tornarono a guardare l’uscita.
« Non vedo un cazzo là fuori » borbottò Jake, aguzzando invano la vista. « Dobbiamo spostarci e capire che succede. »
« Il tetto! » propose Harry. « Raggiungiamo il tetto, da lassù ci vedremo sicuramente meglio. »
« Buona idea » convenne Sora. « Muoviamoci, forza! »
Harry invitò tutti ad aggrapparsi a lui, e si Smaterializzò non appena furono pronti. Anche Eidan si unì a loro, e nessuno dei Valorosi provò ad obiettare, visto che sembrava conoscere la minaccia in agguato.
Il gruppo riapparve sul tetto un istante dopo. Era tranquillo e deserto, ma il silenzio fu spezzato dopo pochi istanti da un nuovo boato. I Valorosi si voltarono: un grattacielo stava crollando rapidamente davanti ai loro occhi, come se qualcuno lo avesse appena demolito, sollevando una grande nube di polvere nell’aria. Lo stesso doveva essere accaduto poco prima, quando erano ancora nell’atrio. Una forza ignota e potente stava radendo al suolo i palazzi della città.
« Ma che sta succedendo? » chiese Ed, esterrefatto come gli altri. « Chi è che sta facendo questo? »
« Il Nemico. Il Nemico è pronto, e sta arrivando » annunciò Eidan.
Prima che uno qualsiasi dei Valorosi gli chiedesse spiegazioni, un altro edificio crollò in lontananza, il cui boato fece tacere tutto il resto.
Fu allora che i Valorosi furono in grado di vederla, non appena la nube di polvere si assottigliò: una torre gigantesca, più alta di ogni grattacielo di Oblivion, si stagliava in lontananza di fronte all’ospedale. Videro, cinte e bastioni, pietra nera e tetra, incommensurabilmente forte, montagna di ferro... così oscura e terribile alla vista da mettere a dura prova ogni speranza di coloro la guardassero. E sulla sua cima vi era un grande occhio infuocato, senza palpebra e con la pupilla verticale, puntato come un faro sinistro verso l’ospedale.
I Valorosi rimasero a guardare, inorriditi per l’improvvisa piega presa dagli eventi. Nel frattempo, altri personaggi avevano raggiunto il tetto, osservando a loro volta la torre gigantesca. Melinda, Luigi, Dylan Dog, Tonto, Sasuke e il dottor House, tutti in piedi insieme a loro, increduli di fronte al male che sembrava incombere sul mondo intero.
« Quell’affare è enorme! » disse Ed per primo. « Ma da dove salta fuori? Non l’abbiamo notato nei giorni scorsi... come può essere apparso così all’improvviso? »
« Lo hanno costruito » rispose Dylan, facendosi più avanti. « Giuda ballerino, dunque è questo che avevano in mente i Senzavolto. Quella torre è la cosa di cui vi ho parlato l’altro giorno: ho visto i Senzavolto mentre la costruivano con i pezzi rinvenuti al Cimitero dei Mondi... e a quanto pare, hanno ormai ultimato i lavori. »
« Ma com’è possibile? » obiettò Lara. « Una costruzione del genere richiederebbe anni per realizzarla... come ci sono riusciti in appena pochi giorni? »
« Tutto è possibile a Oblivion. Il tempo non ha significato qui, ricordate? E i Senzavolto sono come automi privi di sensazioni, non accusano la fatica. Chiunque li stia controllando ha sfruttato bene questi due fattori. Avranno lavorato ininterrottamente negli ultimi giorni, per costruire la torre a tempo di record. »
Tacquero tutti per un po’. Dovevano ammettere che l’ipotesi dell’indagatore era piuttosto plausibile, anche dopo le innumerevoli cose prive di senso che avevano affrontato.
« Harry! »
Il giovane mago si voltò. Rina stava atterrando in quel momento nelle vicinanze, dopo aver raggiunto il tetto in volo. Appariva turbata, ma non quanto tutti i presenti.
« Si mette male, ragazzi » esclamò la maga. « Non so voi, ma io percepisco un enorme potere provenire da quella torre! »
« Di chi si tratta? Di Nul? » chiese Harry.
« No... Nul non ha alcuna aura mistica percepibile, ormai lo so. Quella che sento ora è tremenda, oscura... malvagità allo stato puro! Inoltre è molto familiare... è identica a quella che ho percepito nell’essere che ci ha aggrediti l’altro giorno! »
« Cosa? Ne sei sicura? »
Rina annuì.
« Miseriaccia » fece Harry, tirando un calcio all’aria. « Questo significa che il “Nemico” è lui... il mostro che abbiamo incontrato sul Titanic, l’Oscuro Signore che ha ucciso Voldemort! È sopravvissuto di nuovo... »
« E non è più solo, purtroppo » disse Jake.
Il Na’vi aveva abbassato lo sguardo, tra le macerie degli edifici crollati. I suoi grandi occhi gialli gli permisero di vedere prima degli altri qualcosa di ancora più sconvolgente della torre con l’occhio infuocato: un numero incalcolabile di Senzavolto si muoveva lungo le strade. Migliaia e migliaia, tutti bardati con armature pesanti e armati di spade e scudi; marciavano implacabili, sciamando come insetti lungo le strade che conducevano verso l’ospedale. La demolizione degli edifici circostanti era servita a ricavare un ampio, perfetto campo di battaglia, e presto avrebbero assediato il rifugio di tutti quegli eroi.
« Ragazzi » disse Hellboy, « ricordate quando vi ho detto che la cosa peggiore che potrebbe capitarci è di essere ingoiati da un orrendo e viscido mostro con i tentacoli? »
« Ehm... sì, e allora? » fece Sora.
« Mi sbagliavo. Questa è la cosa peggiore che potrebbe capitarci. »
« Per mille tonnellate di tofu » disse Po, inorridito. « Ma quanti saranno? Decine di migliaia? »
« Dì pure un milione. Siamo in una città, dopotutto... un’intera metropoli abitata da Senzavolto. »
« Il Nemico ha preso il controllo totale su di loro » dichiarò Eidan, osservandoli. « Li ha reclutati e trasformati in guerrieri... e li sta muovendo contro di noi. »
All’improvviso, nessuno aveva più nulla da dire. Sia i Valorosi che tutti gli altri personaggi presenti su quel tetto condividevano lo stesso stato d’animo: un senso di orrore misto a impotenza, di fronte a una simile minaccia che si faceva sempre più vicina. Non erano preparati a questo, nessuno di loro.
Solo House sembrò mantenere il solito atteggiamento di noncuranza.
« Be’, perché fate quelle facce? » brontolò, voltandosi verso il gruppo. « Credevo che roba del genere fosse pane quotidiano per tipi come voi. »
« Un pane che non mangiamo mai tanto volentieri, dottore » rispose Harry cupo. « Questo è troppo persino per tipi come noi. »
« Già » convenne Jake. « Odio ammetterlo, perché ho combattuto in più di una guerra... ma questa è una minaccia che non possiamo annientare. Quei Senzavolto sono decisamente troppi. »
Lo sconforto sembrò dilagare tra tutti quanti, come un veleno. Pensavano ormai alla fine, giunta sottoforma di immenso esercito per porre fine a tutto il dolore patito da ognuno di loro. Ma poi arrivò all’improvviso l’antidoto, sottoforma di grosso, lardoso panda.
Po si era avvicinato al parapetto, facendosi più avanti di tutti. I suoi compagni, House e gli altri personaggi lo fissarono incuriositi mentre osservava l’esercito e nel frattempo stringeva i pugni; poi si voltò a guardare la folla, con gli occhi carichi di determinazione.
« Non sono arrivato fin qui per niente » dichiarò, con voce così dura da turbare persino i suoi compagni. « Non sono arrivato fin qui per farmi sconfiggere da un branco di scimmie senza pelo e senza faccia. Io ho promesso che sarei tornato a casa... un mio caro amico sì è persino sacrificato per darmi questa possibilità. Ho fatto una promessa, e l’avete fatta anche voi!
« Red, non avevi detto l’altro giorno, sulla nave, che non sarebbero bastati diecimila Nul a fermarti? Jake, il tuo popolo e la tua ragazza ti stanno aspettando... contano su di te per rimettere le cose a posto! Lara... dispiace un sacco anche a me per la morte di Luke, e sono sicuro che non avrebbe mai voluto vederti così... pronta ad arrenderti. E Sora... dov’è finito il tuo buonumore che ci ha sempre rimessi in piedi? Se non fosse stato per te, saremmo crollati molto prima... non puoi mollare proprio adesso! »
L’intero gruppo fissò Po con aria esterrefatta. Non l’avevano mai visto così serio e determinato prima di allora, e sembrava un caso più unico che raro: ma il panda aveva già iniziato a cambiare fin da quando era sopravvissuto allo scontro decisivo con Tai Lung, nel quale aveva perso la vita il suo alleato. E ora, di fronte a tanto sconforto, non poteva restare a guardare.
Perché lui non aveva ancora perduto la speranza, né la fede nella sua promessa.
Aveva detto poco, ma quel poco fu sufficiente a fare la magia. Uno dopo l’altro, i Valorosi tornarono a sorridere, e i loro sguardi si riempirono di coraggio. Anche Dylan, Luigi, Rina e tutti gli altri eroi parvero recuperare la grinta, incoraggiati dalle parole del Guerriero Dragone.
« Grazie, Po » ammise Sora, dandogli una pacca sul gomito.
« Bene, allora » dichiarò Jake, rivolgendo lo sguardo nuovamente sull’esercito nemico. « Se questa dev’essere la nostra ultima battaglia, io dico di affrontarla di petto. Non è ancora finita, dopotutto... e per citare le parole del mio vecchio nemico Quaritch, non è finito niente finché respiro! Noi combatteremo! »
« Siiiii! » gridarono in molti.
Clap, clap, clap...
Il suono attirò l’attenzione di tutti non appena smisero di esultare. I Valorosi videro un uomo vestito da militare farsi avanti, intento ad applaudire; era alto e barbuto, di mezz’età, con capelli bruni medio-lunghi raccolti in un piccolo codino. Gli mancava l’occhio destro, coperto da una benda nera, e il viso era segnato da numerose cicatrici sottili; il dettaglio più vistoso, se non il più inquietante, era una scheggia di metallo che sporgeva dal lato destro della fronte, simile a un piccolo corno.
Clap, clap, clap...
Il soldato continuò ad applaudire, diventato ormai al centro dell’attenzione di tutti. I Valorosi rimasero in silenzio per osservarlo bene, fino a soffermarsi sulle sue mani: la sinistra, notarono, era un arto meccanico, simile all’automail di Edward.
« Complimenti » dichiarò l’uomo, cessato l’applauso. « Gran bel discorso, ragazzi. Dopotutto non c’è niente di meglio di un buon vecchio incoraggiamento per risollevare gli animi, non è vero? »
« Ehi, hai un aspetto familiare » intervenne Sora, sorpreso. « Tu vieni dalla Game Central Station come me, vero? Sei Solid Snake! »
Il soldato guardò il ragazzo, e scosse la testa.
« Il mondo è pieno di serpenti. Io sono uno dei tanti... ma sono pur sempre un serpente con cui non c’è da scherzare. Sono Venom Snake, ma potete chiamarmi... Big Boss! »
Sora rimase senza fiato. Big Boss... nato come cattivo della saga di Metal Gear, con il passare degli anni aveva acquistato sempre più importanza, fino a superare la fama dell’eroe principale – nonché suo figlio – Solid Snake. Lui e Sora avevano un amico in comune, il vecchio Ralph Spaccatutto; era stato lui a suggerirgli di unirsi ai Cattivi Anonimi dopo aver sofferto di crisi d’identità.
« Ad ogni modo, non è il caso di perdersi in ulteriori chiacchiere » tagliò corto Big Boss. « Abbiamo un esercito nemico in avvicinamento, e ci occorre un piano adeguato per fronteggiarlo. Tu, ragazzo » e indicò Jake. « Anche se alieno, ti sento ancora addosso l’odore di un buon soldato, quindi sai bene quanto me che non andremo da nessuna parte senza un piano d’attacco. Se ne hai uno pronto all’uso, sarei ben lieto di sentirlo. »
Jake rimase incerto per un po’, ma poi sorrise.
« I Senzavolto ora obbediscono all’Oscuro Signore, sembra » disse. « Se tagli la testa, morirà la bestia... perciò basterà uccidere l’Oscuro Signore e fermeremo l’esercito. Io e i miei compagni lo abbiamo già affrontato e battuto, quindi sappiamo come muoverci contro di lui. Ci servirà quindi il vostro aiuto, per raggiungere la torre ed annientare questa minaccia una volta per tutte. »
Big Boss si voltò in varie direzioni, osservando la gente che lo circondava; in molti apparivano incerti, ma sostanzialmente d’accordo con l’idea di Jake.
« Pensavo la stessa cosa » ammise. « Ma dal momento che non m’intendo di magia, lascerò a voi l’onore di rispedire quel diavolo all’inferno. Io guiderò questi ragazzi a difesa dell’ospedale, e vi forniremo supporto contro l’esercito nemico. »
Jake annuì, e lo stesso fecero i suoi compagni.
« Sissignore » dichiarò il Na’vi con un sorriso.
Il momento delle chiacchiere era finito, ora era tempo di prepararsi alla battaglia. Così la folla iniziò ad organizzarsi sul tetto dell’ospedale, per scegliere i membri più adatti ad affrontare questa minaccia. Il dottor House tornò ai piani inferiori, radunando i personaggi che non erano guerrieri; Eidan fu uno di questi, sicuro del fatto che non c’era scampo da una simile minaccia. Big Boss fornì istruzioni a quelli rimasti per formare una linea d’attacco e una di difesa; i Valorosi tennero d’occhio l’esercito di Senzavolto, ormai vicini all’obiettivo.
Avevano poco tempo, ma riuscirono ad impiegarlo per prepararsi adeguatamente. Big Boss si era rivelato un ottimo stratega, e aveva imparato a conoscere molti guerrieri nei suoi giorni di permanenza all’ospedale; in breve tempo era riuscito ad assegnare il giusto ruolo ad ognuno di loro, supportato dall’aiuto dei Valorosi. Guerrieri, maghi e lottatori correvano alle postazioni assegnate, obbedendo agli ordini impartiti dai loro leader. Fu allestita una truppa d’assalto, creato un perimetro difensivo, armi ed incantesimi di ogni sorta furono preparati.
Alla fine, quando furono tutti pronti ad andare, Big Boss richiamò l’attenzione di Hellboy.
« Ehi, rosso » gli disse, facendogli un cenno con la mano bionica. « I tuoi sigari sono cubani, vero? »
Hellboy lo guardò sorpreso, ma poi sfoggiò un sorriso fiero.
« I migliori sulla piazza. »
« Bene... te ne posso sfilare uno? Puoi considerarlo l’ultimo desiderio di questo vecchio soldato, qualora non uscissi vivo da ciò che stiamo per fare. »
Il demone non esitò neanche per un attimo, e passò subito un sigaro all’uomo. Big Boss sorrise mentre lo afferrava, come se non vedesse roba simile da mesi, e iniziò a fumarlo con estremo piacere.
« Come dico sempre, non c’è niente di meglio... neanche in un mondo del genere. »
Sullo sfondo, l’Occhio di Sauron continuava a scrutare maligno verso di loro. Il Nemico, che fino a quel momento aveva sperato di abbattere le speranze di ogni uomo in quell’edificio con la sola vista del suo esercito, ora era costretto ad osservare il loro tentativo di ribellarsi al suo dominio. Apparteneva da troppo tempo alle Tenebre, perciò non poteva ricordare cosa significasse lottare per qualcosa di importante: lottare per vincere, per proteggere, o anche solo per mantenere viva una speranza. Tutti quegli eroi superstiti, rincuorati dal coraggio dei Valorosi, scendevano ora in campo con rinnovata speranza: avrebbero combattuto ancora, per impedire alle Tenebre di trionfare su di loro... anche se significava andare incontro a una morte sicura.
Perché tutti loro erano eroi, pronti a morire per ciò in cui credevano.  
 
 
Spazio autore: buonasera a tutti! Finalmente sono riuscito a completare anche questo capitolo. Prevedevo di includere anche lo scontro finale con Sauron ma stava diventando troppo lungo, perciò mi sono visto costretto a dividere la vicenda in due parti. Spero di completarla quanto prima e di mostrarvi come finirà anche con l’ultimo Nemico... prima che Nul si faccia infine avanti.
Buona lettura!

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Capitolo 39
*** Un anello per domarli ***


Capitolo 39. Un anello per domarli
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Su Oblivion stava per scatenarsi un vero inferno, la battaglia più grande che qualsiasi eroe o malvagio potesse immaginare. Sauron, redivivo Oscuro Signore di Mordor, si preparava a sferrare un colpo mortale sugli ultimi eroi sopravvissuti al ciclo di guerra. I Valorosi e un pugno di altri personaggi giunti dai vari mondi, riuniti all’ospedale della città, erano pronti a difendersi da un esercito imponente di Senzavolto, caduti sotto il controllo del Nemico. Uomini senza identità, gusci vuoti imitatori di una vita altrui, riuniti all’improvviso sotto la bandiera nera del male: cavalieri armati di lunghe lance, fanti armati di spade e scudi; lo stridore delle loro armi e bardature durante la marcia riempiva l’aria circostante.
L’ospedale era ormai sotto assedio, circondato dall’esercito disposto ad anello di fronte ad esso. Harry Potter, Edward Elric e altri eroi avevano preparato ogni difesa possibile per trattenere l’avanzare di quell’orda. Il giovane mago aveva eseguito ogni incantesimo difensivo che conosceva, supportato dall’aiuto di Rina, mentre l’alchimista aveva eretto un muro di spesso cemento intorno all’ospedale. Alcuni eroi si erano piazzati in cima al muro per attaccare a distanza con le loro armi; tra loro c’era Merida, insieme ad altri eccellenti arcieri.
Un altro gruppo si era barricato all’interno dell’ospedale, per proteggere i pazienti e i personaggi incapaci di combattere. Shrek, Dylan Dog e Tonto erano tra questi, dato che le loro capacità non erano molto utili in prima linea contro un simile esercito.
Tutti gli altri si erano disposti fuori dalle mura, guardando in faccia il Nemico. C’erano i Valorosi, naturalmente, accompagnati da un valido e numeroso gruppo di audaci volontari; Big Boss li aveva disposti a gruppi di tre lungo il perimetro, in modo che coprissero in lunghezza l’intera prima linea di Senzavolto. Alcuni gruppi erano ancora impegnati ad organizzarsi al meglio, o addirittura a familiarizzare l’uno con l’altro; i Valorosi notarono il trio più vicino, immersi in una buffa conversazione. Una ragazza dai lunghi capelli viola e curve generose, vestita con una specie di uniforme scolastica; un uomo vestito di un semplice kimono bianco e armato di katana; e infine, una specie di albero dalle fattezze umane alto più di due metri.
« Io sono Groot » diceva l’uomo-albero.
« Sì, me l’hai già detto » replicò la ragazza con tono acido. « Ora tappati la bocca e vedi di non starmi tra i piedi... lo stesso vale per te, samurai. »
« Mi chiamo Jack » rispose l’altro. « E in quanto al resto, Medaka... vedremo chi starà tra i piedi di chi! »
Ogni conversazione fu interrotta pochi secondi dopo. I Senzavolto erano ormai vicini, pronti a dare battaglia sotto lo sguardo dell’Oscuro Signore.
Jake guardò i suoi compagni Valorosi, i quali condividevano la stessa carica di grinta.
« Ci siamo, ragazzi » annunciò. « Ricordate il piano, e avremo buone possibilità di cavarcela. Ma se questa dovesse essere la fine, voglio che sappiate una cosa... combattere insieme a voi è stato l’onore più grande che mi sia stato mai concesso. Anche se siamo così diversi... vi considero miei fratelli, perché io vi Vedo. »
Sora, Hellboy e tutti gli altri annuirono, uno dopo l’altro.
« Vale anche per noi, Jake » ammise Lara facendosi avanti, Martello di Thor alla mano.
« Se questa è la fine, farò almeno in modo che il Nemico non dimentichi più in che stato gli abbiamo ridotto il culo » aggiunse Hellboy con un ghigno.
« Resterà abbagliato dal potere della nostra tostaggine! » dichiarò Po.
« È inevitabile, non c’è vittoria senza sacrificio » disse Ed, più serio. « Ma vale anche per il Nemico... se lui dovesse vincere, gliela faremo comunque pagare cara! »
« Ma certo » aggiunse Harry. « Ricordiamo però ciò per cui stiamo lottando... tornare finalmente a casa! »
« E ci torneremo, vedrete » assicurò Sora. Il ragazzo premette il pulsante sulla sua spalla, manifestando l’Armatura del Keyblade che lo ricoprì. « Torneremo tutti a casa! »
Dall’esercito nemico si levò un frastuono. Non urla da bocche invisibili, ma il rumore di migliaia di piedi mossi in avanti: i Senzavolto si erano infine lanciati alla carica, sciamando e correndo verso l’ospedale. Nello stesso momento, Big Boss si fece avanti e gridò: « ALL’ATTACCO! » Al suo grido risposero tutti gli eroi in prima fila, quelli incaricati di sferrare il primo colpo. Medaka urlò con quanto fiato aveva, e il suo corpo iniziò a brillare: l’abito si strappò in vari punti e i suoi capelli divennero di un rosa fluorescente; lo sguardo si riempì di collera, simile a quello di una belva assetata di sangue.
« Fuoco! » ordinò Merida dalla cima della muraglia. I suoi alleati obbedirono, e una pioggia di frecce, proiettili e incantesimi cadde sugli invasori, che rallentarono.
« Lara, adesso! »
L’archeologa si fece avanti al comando di Jake, e batté con forza Mjolnir sul terreno. Si udì un tuono fragoroso, e contemporaneamente un’enorme scarica elettrica partì dal Martello, disperdendosi sul suolo di fronte agli eroi. La prima ondata di Senzavolto fu colpita in pieno, e crollarono a terra dopo una breve agonia.
Medaka lanciò un nuovo urlo, dopo aver completato la sua trasformazione. Scattò in avanti con la forza di un toro infuriato e raggiunse le linee nemiche; con enorme sorpresa di tutti, travolse tutti i Senzavolto che incontrava al suo passaggio. I soldati crollavano a terra come birilli, incapaci di resistere a una simile forza d’urto. Altri eroi rimasti indietro seguirono il suo esempio, e con i loro poteri s’impegnarono a tenere aperto il varco. Sasuke e il samurai chiamato Jack lottarono fianco a fianco, falciando decine di Senzavolto con fendenti fulminei.
Molti nemici riuscirono comunque ad avanzare, ma furono trattenuti subito da Big Boss e dai Valorosi; proiettili, magie e colpi di Keyblade furono più che in grado di abbattere quegli avversari, i quali contavano soprattutto sulla superiorità numerica. Un folto gruppo di Senzavolto circondò Groot, e per un attimo sembrò sopraffatto da quell’assalto...
« Io... sono... GROOT! »
L’uomo-albero riuscì a liberarsi, travolgendo gli aggressori. Enormi radici e rami crebbero dal suo corpo a velocità incredibile, e li usò per abbattere tutti i Senzavolto nei paraggi. Avanzò lentamente verso l’esercito, ma ormai non riuscivano più a fermarlo.
« Bene, è la nostra occasione! » dichiarò Jake. « Il varco è grande a sufficienza... fa’ la tua mossa, Ed! »
L’Alchimista d’Acciaio obbedì e si fece avanti. Unì i palmi delle mani e le pose a terra: da essa si levò un grande ponte di roccia che divise l’esercito di Senzavolto in due, allungandosi in avanti, dritto verso la torre di Sauron. Non arrivava fino alla fine, ma l’importante era superare l’ostacolo dei Senzavolto.
Una distanza di circa tre chilometri li separava, ma ora potevano percorrerla al sicuro, ben distanti da una legione di Senzavolto che sciamavano sotto i loro piedi. Non avevano altra scelta, visto che il potere oscuro di Sauron sembrava annullare ogni abilità spaziotemporale, come la Materializzazione di Harry o il potere oculare di Sasuke. L’Oscuro Signore non avrebbe permesso ai suoi nemici di avventarsi su di lui così facilmente. Gli eroi rimasti indietro davano fondo a tutto il loro potere per distrarre l’orda dai Valorosi, mentre si dirigevano verso la torre. Medaka procedeva in avanti, inarrestabile come un treno in corsa; Sasuke faceva strage di nemici con la combinazione di varie tecniche sconosciute; Groot continuava a gettare lo scompiglio sul campo di battaglia, gettando radici e rami ovunque. Big Boss, rimasto sulle retrovie, guidava i rimanenti eroi alla carica.
Anche il gruppo sulla muraglia faceva del suo meglio per tenere a bada i Senzavolto. Una ragazza accanto a Merida conquistò la sua ammirazione dopo aver scagliato una freccia esplosiva sull’orda, facendone fuori un gran numero.
« Wow! Gran bel colpo, Katniss! »
Lei si limitò ad annuire sorridendo.
Le urla, i colpi e tutti i suoni dissonanti della battaglia echeggiavano in ogni direzione, ma i Valorosi dovevano ignorarli. Soltanto loro sapevano esattamente con chi avevano a che fare... soltanto loro erano stati in grado di sconfiggere l’Oscuro Signore in passato, anche se non l’avevano distrutto definitivamente. Ma ora le cose erano diverse: la volta scorsa non conoscevano il punto debole di Sauron, ma Harry aveva ricordato un dettaglio importante dall’ultimo scontro avvenuto nel settore di Little Hangleton.
« L’anello » aveva spiegato ai suoi compagni alla prima occasione. « L’anello che quel maledetto porta al dito... a detta di Voldemort, quello è la fonte del suo potere. Distruggiamo l’anello, e distruggeremo il Nemico. »
Distruggere l’anello... questo si ripetevano i Valorosi mentre percorrevano il ponte, dritti verso l’obiettivo. Correvano a perdifiato, per coprire il prima possibile quella distanza abissale che li separava; persino Po, che non era certo un campione nella corsa, faceva del suo meglio per restare al passo. Erano troppo vicini alla resa dei conti per mollare proprio adesso, e troppo sangue amico era già stato versato.
Un urlo terribile lacerò l’aria non appena furono a metà strada. I Valorosi alzarono lo sguardo, verso la torre: dall’Occhio eruppe una fiamma che schizzò contro il cielo, per poi curvare verso il basso come una meteora. Dritta contro di loro.
« Protego! »
Harry fece appena in tempo ad evocare la barriera intorno al gruppo, prima che il colpo infuocato si abbattesse su di loro. Un’esplosione enorme li avvolse, ma senza raggiungere i loro corpi; il ponte sotto i loro piedi, tuttavia, andò in frantumi, e il gruppo precipitò nel vuoto.
« Arresto momentum! »
Il nuovo incantesimo frenò la caduta, a pochi centimetri dalla folla di Senzavolto sotto di loro. Un’orda gigantesca di spade e lance puntate contro di loro... e li avrebbero raggiunti, non appena l’effetto dell’incantesimo fosse svanito. Ma ai Valorosi non occorreva altro che una manciata di secondi: Lara sollevò il Martello e lo puntò in basso, facendo piazza pulita intorno a loro con una nuova scarica elettrica. Si aprì dunque un varco sufficiente per rimettere i piedi a terra, ma la situazione restava comunque critica: i Senzavolto si stavano già muovendo ancora una volta contro di loro...
Poi accaddero molte cose contemporaneamente.
In lontananza si udì un nuovo frastuono. Centinaia di nuove sagome erano comparse sulla scena; giganteschi guerrieri dorati avanzano inarrestabili tra i ranghi dell’esercito nemico, macellandoli con le loro lame. Al loro comando stava una donna bianca dal fisico prorompente, e si scatenava sul campo di battaglia armata di una lunga katana. Alla sua vista, Hellboy rimase di stucco.
Lady Death... e l’Armata d’Oro!
« AVANTI! » urlò Lady Death, la Corona di Bethmoora scintillante sulla sua fronte. « Nessuna pietà contro i servitori di Nul! »
Contemporaneamente, dall’altro lato del campo, si era fatta avanti una nuova truppa. Jake vide una specie di robot gigantesco affiancato da un gruppo di soldati, intenti ad ingaggiare battaglia con le loro armi futuristiche. Una voce familiare risuonò dal sistema audio del robot, con la quale incoraggiava i suoi uomini.
La voce di John Connor, ai comandi di un Metal Gear REX riparato e funzionante.
E non era ancora finita. Qualcun altro era riuscito ad avanzare, arrivando alle spalle dei Valorosi che si voltarono sorpresi: una possente creatura sputafuoco dalle sembianze leonine, sulla cui groppa stavano alcuni personaggi che Ed riconobbe subito. La giovane Catherine Elle Armstrong, il Pokemon Pikachu e il Digimon Agumon.
« Ed! »
« Pika-pika! »
« Catherine! » esclamò l’alchimista, esterrefatto. « Ragazzi! Ma... che cosa ci fate qua? »
« Siamo venuti ad aiutarti, che domande! » rispose la ragazza, sollevando fiera uno dei suoi tirapugni. « Totoro sapeva che eravate in pericolo, e ci ha mandati qui apposta. »
Ed era senza parole, visibilmente commosso. Come gli altri suoi compagni, non si aspettava l’arrivo improvviso dei rinforzi. Non erano soli in quella battaglia... non lo erano mai stati.
« Io... non so che dire, ragazzi... »
« Allora pensa a combattere, piuttosto » tagliò corto Jake, imbracciando il suo fucile. « Non siamo ancora usciti dalla tempesta. »
Aveva ragione. Erano ancora circondati dai Senzavolto, e anche se per la maggior parte erano impegnati contro le altre forze, un notevole contingente minacciava in quel momento la loro vita. Catherine urlò qualcosa, e il prode Entei rispose con un ruggito poderoso; il Pokemon leggendario tornò quindi alla carica, dritto contro i Senzavolto più vicini; Agumon e Pikachu scagliavano i loro attacchi sui lati. I Valorosi si disposero a cerchio, pronti a fare la loro parte: dovevano solo aprirsi un nuovo varco, per riprendere la marcia verso il vero nemico.
Il gruppo si disperse in ogni direzione, armi alla mano. I Senzavolto si lanciarono all’attacco, come un’onda gigantesca; Sora li annientava rapido con il suo Keyblade; Harry li spazzava via con gli incantesimi; Ed usava l’alchimia per respingerli; Po li metteva al tappeto a colpi di kung fu, sfruttando anche le tecniche imparate da T’ai; Hellboy si alternava tra pistola e pugno di pietra; Lara li fulminava con il Martello di Thor; Jake li falciava con la mitragliatrice. Opposero una fiera resistenza, nonostante la disparità numerica.
Ma i Senzavolto erano decisamente troppi, questa volta. Un gruppo riuscì ad avere la meglio su Harry, gettandolo a terra; il ragazzo perse la bacchetta, ma mentre si dava da fare per recuperarla udì un’altra voce squarciare l’aria.
« Ragna Blade! »
Una gigantesca lama oscura colpì in pieno i Senzavolto, disintegrandone a centinaia. Quelli rimasti furono spazzati via da un’onda d’urto micidiale. Harry alzò lo sguardo e vide Rina atterrare al suo fianco, lo sguardo fiero come al solito.
« Ti sono mancata, bel faccino? »
« Hehe... direi proprio di sì » ammise Harry. « Ti devo la pelle di nuovo... grazie! »
« Aspetta a ringraziarmi » lo ammonì Rina, crollando improvvisamente in ginocchio. « Ho consumato molta energia con quell’incantesimo... non potrò aiutarti di nuovo. »
« Già ti arrendi? » intervenne Sora, avvicinandosi. « Coraggio, Rina, non è ancora detta l’ultima parola... Energiga! »
Puntò il Keyblade sulla ragazza, che fu avvolta di conseguenza da una luce verde-oro. Quando svanì, Rina si alzò a sedere di scatto, nuovamente in forze. La magia di Sora le aveva restituito le forze.
« Grazie! »
Ormai regnava il caos dappertutto. L’Armata d’Oro, la Resistenza, Medaka, Sasuke ed Entei stavano disperdendo parecchi Senzavolto, e sempre più vicini risuonavano i loro attacchi. I Valorosi approfittarono del momento per avanzare, ma Sauron non era rimasto a guardare: dal suo Occhio eruppero altre meteore infuocate che si abbatterono sul campo di battaglia. Le più vicine furono abbattute con i fulmini di Mjolnir e con le magie di Harry; Ed pensò a respingere l’orda di fronte al gruppo, trasmutando il suolo per aprire un nuovo varco.
Ma non era una battaglia priva di perdite. Alcuni eroi furono ritrovati morti strada facendo: Samurai Jack era riverso a terra, immobile e ricoperto di sangue; poco più avanti c’era Groot, ridotto a un ammasso informe di rami spezzati e schegge di legno; e ancora, un giovane ignoto dai capelli biondi e vestito di verde, armato di spada e scudo, giaceva di fronte a loro, gli occhi spenti rivolti al cielo. Il sangue degli eroi aveva iniziato a sgorgare su quel campo di battaglia... una verità che di colpo era comparsa di fronte agli occhi inorriditi dei Valorosi.
Poi Sora rivolse lo sguardo in avanti, e notò qualcun altro in mezzo alla battaglia. Era Luigi, in evidente difficoltà contro i Senzavolto; il ragazzo avanzò e spazzò via gli aggressori con un rapido colpo, salvando così l’ometto.
« Che cosa ci fai tu qui? » protestò Sora, guardandolo. « Tu dovevi restare indietro! »
« Uff... lo so » rispose Luigi, ansimando per la stanchezza. « Ma dovevo farlo... uff... altrimenti... non me lo sarei mai perdonato. »
« Che vuoi dire? »
« L’ho accettato, ormai. Mio fratello, Mario... uff... non c’è più. Non sono riuscito... a proteggerlo. Ma ora ho la possibilità di proteggere voialtri... finché non vincerete questa guerra. »
Luigi estrasse qualcosa dalla tasca. Sembrava una piccola stella, e brillava di luce propria. Sora intuì ciò che stava per fare, ricordando ciò di cui erano capaci gli eroi di Super Mario... ma erano entrambi molto lontani dal loro mondo virtuale, dove la morte era un processo reversibile.
« Aspetta... non farlo! » lo implorò Sora. « Non farlo, Luigi, ti prego... non hai bisogno di arrivare a tanto! »
« Sì, invece » rispose l’ometto con un sorriso. « Lo faccio per voi, amico... per il mio mondo, per la principessa... e per Mario. Ora so che li rivedrò tutti... in un modo o nell’altro. »
E prima che Sora riuscisse ad impedirglielo, Luigi si portò la stella al petto. Il suo corpo si staccò dal suolo e rimase sospeso nell’aria per alcuni secondi, mentre la luce della stella lo avvolgeva completamente. Tornò quindi a terra e si lanciò alla carica contro i Senzavolto, rapido come un proiettile; temporaneamente invulnerabile, travolse tutti al suo passaggio, aprendo un nuovo varco tra le fila nemiche. Sora e gli altri Valorosi rimasero a guardare, stupefatti, mentre l’effetto svaniva poco dopo e Luigi fu di nuovo assalito dagli ultimi soldati, sparendo alla vista.
« Luigi! »
Sora scattò in avanti, pur sapendo che forse era già troppo tardi. Il varco rimase aperto abbastanza a lungo da permettere ai Valorosi di passare, raggiungendo finalmente gli ultimi ranghi dell’esercito. Sferrarono colpi a destra e a manca, tenendo lontani i Senzavolto che ancora osavano avvicinarsi; un ultimo fulmine di Mjolnir spazzò via lo sbarramento finale... e il gruppo arrivò dall’altra parte.
I Senzavolto battevano in ritirata, ora che il gruppo di eroi aveva superato la loro imponente orda. Il corpo di Luigi fu ritrovato là vicino, massacrato in pochi secondi da decine di spade: il suo sacrificio aveva permesso ai Valorosi di arrivare dall’altra parte, ma ciò non rendeva meno tragica la realtà dei fatti.
Un altro eroe era caduto.
Ma il tempo delle lacrime avrebbe dovuto attendere. Erano finalmente ai piedi della torre, dove il Nemico li attendeva. Alta, pietra nera e tetra, incommensurabilmente forte, montagna di ferro... costruita ai confini del Cimitero dei Mondi, così oscura e terribile alla vista da mettere a dura prova ogni speranza di coloro la guardassero. E sulla sua cima ardeva il grande Occhio, senza palpebra e con la pupilla verticale, puntato come un faro sinistro verso la battaglia. Questo si spostò subito verso i Valorosi, scrutandoli minaccioso.
« Ci siamo » dichiarò Jake, caricando il suo fucile. « È ora di chiudere i conti con quel maledetto una volta per tutte! »
« Sì! » esclamò Ed, sollevando il pugno. « Diamogliele di santa ragione, questa volta! Ci senti, grandissimo bastardo? Vieni fuori e affrontaci! »
Per un po’ regnò il silenzio ai piedi della torre, poiché non era cambiato nulla. Poi, con grande sorpresa di tutti, l’Occhio svanì, come se la sua fiamma si fosse spenta. Contemporaneamente si aprì una grande porta ai piedi della torre, nera e cupa come il resto della costruzione, e agli occhi dei presenti apparve una figura: immenso e minaccioso, alto due volte un uomo e ricoperto da un’armatura nera, armato di mazza. Il suo respiro, un suono glaciale e cavernoso, faceva rizzare i capelli dietro la nuca.
Sauron era infine giunto, ancora una volta. Il suo corpo era nuovamente integro, come se non fosse mai stato colpito dal Dragon Slave di Rina. La sua capacità di ripresa era davvero incredibile.
I Valorosi rivolsero subito l’attenzione sulla cosa che avrebbe decretato la loro sorte: il piccolo anello dorato che scintillava al dito di Sauron. La fonte del suo potere, secondo Harry, l’arma che lo rendeva pressoché invincibile... e immortale. Se era sopravvissuto agli ultimi scontri era grazie a quell’oggetto: finché non lo avessero distrutto, Sauron avrebbe continuato a tormentarli.
« Bah » grugnì Hellboy alla sua vista. « Stento ancora a credere che questo stronzo ci abbia dato più fastidi di tutte le nostre Nemesi messe insieme... e non sappiamo nemmeno chi diavolo è. »
« Ha importanza? » ribatté Lara. « Per me è solo un altro mostro da distruggere. »
« E allora distruggiamolo » dichiarò Jake. « Ricordate il piano, ragazzi... tocca a te, Harry! »
« Accio anello! » gridò il ragazzo, puntando la bacchetta verso la mano destra di Sauron. Questa iniziò a tremare, come se una forza invisibile cercasse di tirarlo in avanti; con sorpresa dello stesso Signore Oscuro, l’anello si stava sfilando dal suo dito, attratto dall’incantesimo di Harry. Nel suo mondo si trattava di un banale incantesimo per attrarre semplici oggetti... ma laggiù, fortificato dalla Bacchetta di Sambuco, era in grado di attrarre persino gli artefatti più oscuri e potenti.
Sauron strinse il pugno per impedire che l’oggetto volasse via, e alla fine spezzò il controllo dall’incantesimo. Restò al suo posto, ancora sorpreso per ciò che era appena avvenuto. Aveva rischiato di perdere tutto nel giro di pochi istanti. I Valorosi approfittarono della sua distrazione per attaccare ancora: Jake cominciò sparando una raffica di colpi con il suo M60; Lara usò il Martello per scagliargli contro una scarica di fulmini; Po protese le mani in avanti e sparò un Colpo di Chi, centrandolo in pieno petto; Ed usò l’alchimia per trasmutare il suolo, creando un groviglio di catene che si avvolsero intorno a Sauron; Sora, l’Armatura del Keyblade ancora indosso, si scagliò sul Nemico con la stessa tecnica che aveva sconfitto il Maestro Xehanort. Hellboy completò l’opera, facendosi lanciare da Po come la volta scorsa: il suo pugno di pietra colpì Sauron alla testa, incrinando l’elmo ancora una volta.
Terminato l’attacco, i Valorosi notarono che non era cambiato nulla. Sauron era ancora in piedi, rimasto quasi illeso: il potere dell’Anello lo aveva protetto ancora. Nel frattempo si liberò dalle catene e sollevò la mazza, pronto al contrattacco.
« Finché porterà l’anello, nulla gli farà effetto! » esclamò Harry. « Dobbiamo distruggere l’anello... miriamo alla sua mano! »
I compagni annuirono, ma nel frattempo Sauron si era fatto avanti. La sua mazza calò su di loro, ma riuscirono a schivarla; il colpo frantumò il terreno con una forza colossale, facendolo tremare per centinaia di metri tutt’intorno. I Valorosi si sparpagliarono, ma rimasero in guardia; ognuno di loro fissò lo sguardo sul vero obiettivo, l’Anello... ancora infilato al dito metallico dell’Oscuro Signore.
Attaccarono di nuovo, cercando di correggere la mira; ma Sauron aveva ormai capito le loro intenzioni, e non poteva permetterlo. Scariche elettriche, trasmutazioni, proiettili e pugni di pietra furono trattenuti da una barriera trasparente, che lo protesse perfettamente.
« Finite incantatem! »
Il nuovo incantesimo spezzò quello di Sauron, dissolvendo la barriera. Po si avvicinò a lui con un balzo e gli sferrò un colpo sul polso destro; si udì un forte rumore metallico, e Sauron barcollò all’indietro. Jake sparò una nuova raffica di colpi che raggiunsero la mano del mostro; giurò di averli visti andare a segno, ma l’Anello rimase intatto; ci riprovò Lara con un nuovo colpo di Mjolnir, ma Sauron riuscì a proteggersi con la mazza. Reagì un istante dopo, provocando un’onda d’urto micidiale che spazzò via tutti quanti. I Valorosi rotolarono a terra per parecchi metri prima di riuscire a fermarsi, e si rialzarono subito dopo, visibilmente frastornati.
« PICCOLI UOMINI » dichiarò Sauron con la sua voce terrificanti.
« Argh! » esclamò Ed, irritato. « Tu guarda se devo sopportare simili insulti anche da lui... brutto, gigantesco ammasso di ferraglia che non sei altro! »
« È davvero incredibile » mormorò Po, uno dei più sconvolti. « Anche conoscendo il suo punto debole, non riusciamo ad abbatterlo. Che cosa possiamo fare? »
Qualcuno atterrò di fronte a lui, come se il suo pensiero lo avesse evocato. Il gruppo lo riconobbe subito: era Sasuke Uchiha; il ninja era sopravvissuto alla battaglia contro i Senzavolto, uscendone praticamente senza un graffio. Stringeva la presa sulla sua katana, mentre fissava lo sguardo sull’ignoto Nemico.
« Serve una mano? » commentò, senza guardare i Valorosi.
« Uhm, sei gentile » gli rispose Hellboy, « ma non vorremmo privarti dell’unica che ti resta. »
Sasuke non disse nulla, forse perché non aveva gradito la battuta.
« L’anello » disse Harry, rivolto a lui. « L’anello sulla sua mano... devi mirare a quello! »
Sembrò aver ricevuto il messaggio, perché un istante dopo si era già scagliando su Sauron, sferrandogli una serie di fendenti con la sua katana caricata con energia elettrica. L’Oscuro Signore sembrò in difficoltà ma rimase al suo posto, resistendo ancora una volta a quell’attacco; anche se Sasuke aveva mirato all’Anello, i suoi colpi non riuscirono a distruggerlo. Sauron lo allontanò infine con un colpo di mazza; Sasuke accompagnò il colpo e atterrò in piedi poco lontano. Non era finita: un raggio infuocato eruppe dagli occhi di Sauron e colpirono Sasuke in pieno, provocando una forte esplosione.
« Sasuke! » gridò Sora, ansioso.
Una nube di fumo celò ai presenti la vista di una nuova, possibile sciagura. Quando si abbassò, videro tutti qualcosa d’inaspettato: Sasuke era ancora in piedi, avvolto da una sorta di aura viola che lo aveva protetto come uno scudo. L’aura – un’energia interiore che nel suo mondo era nota come chakra – aumentò di volume, fino ad assumere la forma di un gigantesco guerriero, superando in altezza persino Jake e Sauron. Il ninja usò questo potere per scagliarsi di nuovo su Sauron, che tuttavia rimase al suo posto; l’enorme spada di chakra si abbatté sull’Oscuro Signore, che si protesse di nuovo con una barriera. Creò dunque un globo nero sulla mano libera e colpì Sasuke con una forza immensa, tale da investire anche i Valorosi con l’onda d’urto: il potere oscuro ebbe un grave effetto su alcuni di loro, come nel caso di Sora; la sua Armatura del Keyblade andò in pezzi dopo averlo protetto. Annullò anche la tecnica di Sasuke, dissolvendo il guerriero di chakra fino a farlo svanire. Persino il Susanoo, uno dei poteri più devastanti del clan di Sasuke, non era servito a niente contro l’Oscuro Signore.
Ciononostante, il giovane dai capelli neri non aveva ancora gettato la spugna. I Valorosi lo videro rialzarsi in piedi, nonostante quel contrattacco lo avesse ridotto piuttosto male.
« Se pensi che io voglia arrendermi... ti sbagli di grosso » ribatté Sasuke, rivolto a Sauron. « Non so se capisci ciò che dico... ma sai, il mio migliore amico ha passato interi anni per ficcare un po’ di buon senso nella mia testa dura. E se c’è una cosa che ho imparato da quel deficiente è proprio questa... io non mi arrenderò mai! »
Sauron non disse nulla, ma rispose con un nuovo raggio infuocato. Sasuke si scansò, così velocemente da dare l’impressione di essere sparito; i Valorosi lo videro riapparire alla destra del Nemico e scagliargli contro la spada elettrificata. Questa andò a conficcarsi sulla mano; Sauron non batté ciglio e scagliò un nuovo colpo magico con la mazza. Sasuke schivò di nuovo con un balzo, atterrando sul braccio del Nemico; recuperò la sua katana e si preparò a colpire: l’Anello era davanti a lui, molto vicino...
Sauron lo afferrò prima che accadesse. L’Oscuro Signore gettò la mazza a terra e usò la mano ormai libera per ghermire Sasuke, allontanandolo dall’Anello; il giovane ninja non fece in tempo a liberarsi, Sauron stava già per schiacciargli la testa con l’altra mano.
« Expelliarmus! »
La voce di Harry infranse lo stato di terrore che si era creato, come un faro acceso nelle tenebre. L’incantesimo colpì Sauron alla mano e l’Anello schizzò via dal suo dito, lasciando il suo padrone; il Nemico fu distratto da quella mossa, e Sasuke ne approfittò per fare la sua.
Amaterasu!
Con un rivolo di sangue che colava dal suo occhio destro, una fiamma nera si accese sul braccio di quel mostro, diffondendosi rapidamente. Sauron urlò e lasciò la presa dal ninja; cadde verso il basso, ma Jake lo afferrò al volo per allontanarlo dal Nemico, ormai preda di quella tecnica micidiale. Non aveva più l’Anello, e la sua onnipotenza si era spenta nel giro di un istante.
Anche se indebolito, Sauron era ancora in piedi. Era tempo di finirlo una volta per tutte. I Valorosi si fecero dunque avanti e scagliarono un colpo a testa, facendo attenzione a non toccare il fuoco nero. Il Keyblade, Mjolnir, il Buon Samaritano, il potere del Chi, l’alchimia e una buona raffica di M60... finché Sauron non cadde finalmente in ginocchio. Le fiamme nere continuarono ad ardere, finché di lui non rimasero che pochi pezzi di metallo sparsi a terra. Il suo ultimo urlo si affievolì fino a svanire, inghiottito dal vuoto del mondo.
Sauron era stato distrutto, finalmente, e le conseguenze divennero subito evidenti sul campo di battaglia. L’esercito di Senzavolto, impegnato a combattere contro gli altri eroi, si fermò all’improvviso: le armature con cui Sauron li aveva vestiti si staccarono dai loro corpi. Smisero dunque di combattere e cominciarono a disperdersi, come se nulla fosse.
« E ora che gli prende? » commentò Lady Death, osservando l’esercito in ritirata. « Hanno deciso di arrendersi? »
« Ce l’hanno fatta » mormorò Catherine con un sorriso. « Edward e i suoi amici hanno sconfitto il nemico! »
Anche il gruppo rimasto in ospedale poté constatare questo fatto, e tutti quanti lanciarono un sospiro di sollievo. La guerra contro i Senzavolto era finita. Merida, Katniss e gli altri eroi sul muro riferirono la notizia a quelli rimasti dentro l’edificio: il dottor House, lieto di saperlo, fu libero di ritornare al suo posto insieme ai pazienti.
Ma torniamo ai Valorosi, ancora impegnati a riprendere fiato dopo la distruzione di Sauron. Erano tutti in piedi, tranne Sasuke. Il ninja aveva riportato serie ferite da quello scontro: perdeva sangue dalla bocca, come se avesse delle lesioni interne. Gli alleati lo avevano raggiunto per soccorrerlo, ma non poterono fare altro che constatare la realtà dei fatti.
« Per Eywa » esclamò Jake sconvolto. « Ma come hai fatto a ridurti in questo stato? »
« Hah... vallo a sapere » mormorò Sasuke, quasi con indifferenza. « Sembra che il potere di quella creatura fosse particolarmente efficace su di me... e su chiunque provenga dal mio mondo. Ma lo stesso valeva per lui, visto che... il mio Amaterasu lo ha disintegrato. Certo, senza il vostro aiuto... non ci sarei mai riuscito... grazie. »
« Non fare così! » protestò Po. « Non parlare come se ci stessi dicendo addio... riusciremo a curarti, vedrai... andrà tutto bene! »
Sasuke fece una smorfia simile a un sorriso.
« Va bene così » sussurrò. « Ormai è finita... non ho più niente da fare, qui. Era l’ultima battaglia, dopotutto... è giusto che io mi fermi qui. Forse è davvero questo... il modo per tornare a casa.
« Alla prossima volta, Naruto... amico mio. »
E sotto lo sguardo angosciato di tutti, Sasuke Uchiha esalò l’ultimo respiro. I suoi occhi tornarono neri prima di chiudersi per sempre, ma sul viso era rimasto un sorriso soddisfatto. Un altro caduto, scelto da Nul come nemesi per un altro eroe, ma rivoltatosi contro quella sorte... ora votatosi al sacrificio, pur di aiutare gli ultimi eroi nella loro battaglia.
Non potevano fare nient’altro per lui. Jake tornò dunque in piedi e guardò gli altri Valorosi, in piedi intorno a lui. Lo scontro era finito e stavano tutti bene, benché ridotti quasi allo stremo delle forze. Poi si accorse che qualcosa non andava: il suo sguardo si posò su Harry, rimasto fuori dal cerchio. Lui non aveva attaccato insieme agli altri dopo aver disarmato Sauron, e ora capiva perché: il giovane mago era immobile sul posto, reggendo in mano l’Anello. Lo fissava con aria rapita, come se fosse la cosa più importante al mondo.
Un’orribile sensazione si diffuse tra i presenti, che cominciarono a preoccuparsi. Quell’anello era imbevuto di male e potere allo stato puro, tolto con enorme fatica dalle mani del suo padrone...
« Harry...? » cominciò a dire Sora.
Il ragazzo alzò lo sguardo, e un sorriso maligno si diffuse sul suo volto.
« L’anello è mio » dichiarò. Sotto lo sguardo esterrefatto di tutti, alzò la mano, facendo per infilarsi l’Anello al dito. Il pericolo non era ancora cessato, e l’Ombra stava per impossessarsi di un caro amico...
« Fermo, imbecille! »
Si voltarono tutti, compreso Harry, e videro un nuovo arrivato apparso come dal nulla. Si trattava di Eidan, il misterioso ragazzo dai capelli d’argento: fissava il giovane mago con serietà, disarmato, eppure pronto a reagire al minimo accenno di pericolo. Harry rimase a guardarlo per alcuni istanti, poi tornò a concentrarsi sull’Anello. Eidan estrasse dunque una bacchetta dalla sua manica e la puntò su di lui.
« Crucio! »
Una scarica di dolore colpì Harry prima che fosse troppo tardi. Il ragazzo urlò e cadde a terra, lasciando cadere l’Anello. Eidan agitò ancora la bacchetta e l’Anello schizzò per aria, volando lontano oltre la torre di Sauron. Cominciò dunque a camminare, avvicinandosi ai Valorosi sempre più esterrefatti.
« Harry! » esclamò Sora, precipitandosi su di lui. « Stai bene? Dì qualcosa... Energia! »
Il ragazzo riaprì gli occhi, con aria confusa.
« Miseriaccia... vi prego, non ditemi che l’ho fatto davvero. Stavo per indossare quell’affare! »
« Va tutto bene » lo rassicurò l’amico. « Te lo abbiamo impedito appena in tempo. »
Guardarono entrambi Eidan, che tuttavia non appariva in alcun modo rassicurante. Sembrava un’altra persona, in quel momento: non più il ragazzo freddo e privo di speranze che avevano conosciuto il giorno prima in ospedale. Si concentrarono in particolare sul suo aspetto, ora che indossava qualcosa di nuovo: un lungo soprabito bianco con il cappuccio... ma prima che uno di loro giungesse a conclusioni sconvolgenti, il ragazzo dai capelli argentati riprese la parola.
« È proprio vero... se vuoi una cosa fatta bene, devi fartela da solo » commentò Eidan seccato, osservando i membri del gruppo uno dopo l’altro. « Avrei dovuto occuparmi di voi personalmente fin dall’inizio... non delegare il compito a un branco di imbecilli. »
A quel punto, la verità cominciò ad affiorare nella mente di tutti gli eroi. Sora, Lara, Harry, Po, Ed e Jake, osservando quel tipo, scoprirono finalmente con chi avevano a che fare in realtà. Un nuovo, inquietante dettaglio di quella folle avventura, unito alla consapevolezza di essere stati ingannati fin dall’inizio.
Avevano di fronte l’artefice di tutti i loro guai.

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Capitolo 40
*** Il mai nato ***


Capitolo 40. Il mai nato
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I Valorosi restarono in silenzio, dominati dallo stupore più puro, mentre il ragazzo dai capelli argentati li fissava dal suo posto. Eidan era apparso dal nulla pochi istanti prima, subito dopo la distruzione di Sauron e la morte di Sasuke; aveva un’aria completamente diversa, non più fredda e priva di speranze come lo avevano visto in ospedale. Inoltre, il lungo soprabito bianco con il cappuccio che ora indossava, tremendamente familiare per la maggior parte dei presenti, spinse i Valorosi a fare due più due nel giro di un istante.
« Tu... » disse Harry, ritrovando la voce per primo. « Tu sei... Nul? »
« Driiin! Risposta esatta! » rispose Eidan a gran voce. « Diecimila punti a Grifondoro! Che dici, saranno sufficienti per farti vincere di nuovo la Coppa delle Case? »
« No... non ci posso credere » aggiunse Sora. « Non può essere vero. »
« Oh, volete un’altra prova? Va bene, vi accontento subito. »
Eidan allargò le braccia, e due immense ali da uccello apparvero sulla sua schiena, nere come quelle del corvo, dispiegandosi nell’aria con grande magnificenza.
Ora nessuno poteva negare quella realtà. Avevano di fronte lo stesso individuo già incontrato in passato dopo le loro avventure in solitario, che finalmente aveva rivelato il suo volto. Lo stesso ignoto, onnipotente essere che li aveva strappati dai loro mondi per costringerli a combattere in una sfida mortale... a vagare senza meta tra le rovine di mondi lontani, ad affrontare a più riprese le loro nemesi. Un angelo della morte nei panni di un ragazzo.
« Nonostante tutto, devo farvi i miei complimenti ancora una volta » ammise Eidan, osservando i Valorosi uno per uno. « Siete sopravvissuti, di nuovo... e per giunta avete vinto Sauron, una delle maggiori carogne che siano mai state partorite dalla mente di uno scrittore. Che ironia... lui vi ha dato così tanto filo da torcere, e voi non lo conoscevate nemmeno! »
« Era tutto opera tua, dunque! » gridò Lara, furiosa. « Sei stato tu a sguinzagliarci contro quel mostro fin dall’inizio! »
« Eh già... mi avete beccato. Sauron doveva essere la mia “polizza assicurativa”... doveva fare in modo che nessuno sopravvivesse a quest’ultima battaglia. Nessuno, né gli eroi né i malvagi. Tuttavia ho commesso un grave errore, sembra: Sauron era troppo malvagio, e con il tempo si è lasciato prendere troppo la mano. Non poteva accettare l’esistenza di altri Signori Oscuri su questo mondo, né l’idea di essere secondo a qualcuno; così per prima cosa ha rintracciato Voldemort per toglierlo di mezzo. Poi, dopo essersi ripreso dall’ultimo duello, si è dedicato al suo hobby preferito... cioè dominare il mondo intero. Ha preso il controllo di un numero sempre maggiore di Senzavolto, ha fatto ricostruire il suo superattico in centro e poi... be’, il resto lo sapete. »
I Valorosi rivolsero lo sguardo sul campo di battaglia, ormai quasi del tutto vuoto. I Senzavolto se n’erano andati, e anche gli eroi sopravvissuti stavano smobilitando per tornare all’ospedale.
« Non capisco » disse Edward. « Se la battaglia non rientrava nei tuoi piani, perché hai lasciato che accadesse? Perché non hai fermato Sauron di persona? »
« Perché, nonostante tutto, mi stava facendo un favore » rispose Eidan, alzando le spalle. « Si era mosso contro di voi... gli ultimi eroi sopravvissuti, tutti riuniti in un unico posto. Speravo che vi togliesse tutti di mezzo... ma evidentemente ho sperato troppo. »
Il ragazzo alato fece un altro passo in avanti, tranquillo eppure minaccioso. I Valorosi scattarono in guardia.
« Come ho già detto prima, avrei dovuto occuparmi di voi personalmente fin dall’inizio » dichiarò. « Speravo di evitarlo. Be’, ormai non ho altra scelta... siamo sulla pista, ragazzi, perciò balliamo! »
Schioccò le dita, e un attimo dopo era cambiato tutto. Eidan e i Valorosi si trovavano in un luogo completamente diverso: un’enorme distesa di sabbia, poco lontano dai confini della città. Nessuno domandò il perché lo avesse fatto: era ovvio che Eidan volesse un po’ di privacy durante il duello.
« Per noi non cambia nulla, gran pezzo di merda » dichiarò Hellboy, estraendo la pistola. « Vorrà dire che scaveremo qui la tua fossa! »
Attaccò per primo, sparando tre colpi contro Eidan. Questi li schivò con estrema facilità, scattò in avanti e raggiunse il demone un secondo dopo, disarmandolo con un calcio. Hellboy non si arrese e gli sferrò un pugno in pieno volto; Eidan restò immobile e parò il pugno, con una mano di pietra identica a quella del suo avversario.
Hellboy rimase esterrefatto, insieme a tutti i suoi compagni.
« Tipico di te, Red » dichiarò Eidan con un sorrisetto. « Il numero dell’eroe solitario e dal grilletto facile è scenografico come sempre... ma contro di me, perfettamente inutile. »
Lo tirò in avanti e gli sferrò una ginocchiata tremenda allo stomaco, per poi concludere con una tecnica di proiezione che lo gettò a terra.
« Stupeficium! » gridò Harry subito dopo. Lo Schiantesimo saettò dritto contro Eidan, ma lo respinse con un colpo d’ala. Il ragazzo alato si voltò verso il mago e svanì nel nulla un attimo dopo, come se si fosse Smaterializzato. Riapparve alle sue spalle, ma non attaccò: i Valorosi videro che non aveva più il braccio di Hellboy, ma reggeva una Bacchetta di Sambuco. La puntò dunque contro Harry, che pensò subito a difendersi.
« Protego! »
« Levicorpus! »
L’incantesimo di Eidan infranse la barriera evocata da Harry, e il ragazzo finì sospeso per aria a testa in giù, issato per un piede come da un gancio invisibile.
« Bastardo! »
L’urlo di Lara attirò l’attenzione del nemico. Il Martello di Thor evocò una scarica di fulmini che si abbatté su Eidan, ma qualcosa la trattenne poco prima che potesse friggerlo; i Valorosi impiegarono un po’ per rendersi conto che ora Eidan reggeva in mano un martello identico, con il quale stava assorbendo la scarica.
« Bella e audace, mia cara, ma ancora un po’ troppo impulsiva » dichiarò Eidan, gelido. Sollevò il Martello e scagliò un fulmine ancora più forte; Lara fece appena in tempo a proteggersi, smorzando il colpo, ma urlò per il dolore e cadde all’indietro.
« Oh no, Lara! » gridò Po. Controllò subito le sue condizioni, e non appena si accertò che respirasse ancora, tornò a guardare il nemico, colmo di rabbia. Il panda si scagliò quindi addosso a lui, sferrando una serie di calci e pugni. La replica di Mjolnir sparì dalle mani di Eidan un istante prima che i due venissero a contatto, e il ragazzo si difese con uno stile di lotta identico a quello di Po. Gli tenne testa senza alcuno sforzo, e infine lo colpì in faccia con un pugno; quindi si abbassò e lo atterrò con uno sgambetto.
« Bel tentativo, Guerriero Dragone... ma inutile. »
Una colonna di sabbia si abbatté su Eidan un attimo dopo. Edward Elric si era fatto avanti, trasmutando il suolo con l’alchimia per usarlo come arma; trasformò il suo automail in lama e si scagliò quindi sul ragazzo alato, visibilmente disorientato. Si udì un clangore metallico: Eidan aveva parato il colpo, incrociando le sue mani divenute improvvisamente d’acciaio. Ed rimase incredulo.
« Ma come diavolo hai fatto? »
Eidan non rispose. Si abbassò di scatto, sbilanciando Edward, e lo colpì al ventre con un pugno micidiale; unì quindi i palmi delle mani, imitando il gesto dell’alchimista, e toccò la sabbia ai suoi piedi. Un enorme pugno di sabbia si levò dal suolo, e colpì Ed con una forza tale da scaraventarlo in aria; l’alchimista ricadde al suolo pochi attimi dopo, e anche se la sabbia attutì la caduta fu comunque dolorosa.
Eidan gli lanciò un’ultima occhiata sprezzante prima di concentrarsi sugli ultimi eroi rimasti in piedi: Jake e Sora. Il primo sollevò l’arco e scagliò una freccia, il secondo scattò in avanti con il Keyblade in mano; Eidan schivò la freccia e raggiunse Sora, intercettando il suo attacco. Le sue mani erano tornate normali, ma in compenso impugnava due Keyblade, gli stessi usati da Sora negli scontri più recenti. Con una rapida mossa respinse Sora, gettandolo a terra, spalancò le ali e spiccò il volo, dritto contro Jake; il Na’vi scagliò un’altra freccia, ma Eidan la schivò ancora e atterrò alle sue spalle.
Jake si voltò e rimase, se possibile, ancora più sorpreso. Eidan aveva cambiato aspetto: era diventato alto quanto lui, e anche se la sua pelle era rimasta pallida, il viso aveva assunto tratti somatici felini, e una lunga coda azzurra spuntava dal soprabito. Il Na’vi gli ringhiò contro e afferrò il pugnale, pronto ad uno scontro corpo a corpo; Eidan tirò fuori un pugnale identico e rispose con piacere all’invito. I due vennero a contatto, sferrandosi vari colpi a vuoto. Jake mosse il pugnale in avanti, ma Eidan riuscì a bloccargli il braccio; lo ferì alla spalla, con una forza tale da fargli perdere l’equilibrio. Eidan concluse con una rapida giravolta, gettando l’avversario a terra con’alata poderosa.
In pochi minuti, i Valorosi erano finiti tutti al tappeto. Anche se Nul non li aveva feriti in modo grave, restarono al loro posto, in ginocchio e ansimanti... incapaci di riprendere l’attacco. Il loro nemico si pose dunque al centro del gruppo, riprendendo il suo aspetto normale.
« Uhm, tutto qui? » commentò sprezzante, osservandoli. « Mi aspettavo di più da coloro che hanno sconfitto persino il potente Sauron... si vede che la battaglia deve avervi affaticato parecchio. Forse se vi concedessi un po’ d’intervallo sapreste fare di meglio, dico bene? »
I Valorosi non risposero. Sapevano che Eidan si stava solo facendo beffe di loro. Dovevano ammetterlo, si era rivelato un avversario formidabile: aveva replicato i loro poteri alla perfezione e usati con maestria, mettendoli al tappeto uno dopo l’altro. Era davvero un dio, come dichiarato da Eric Draven giorni prima... un essere onnipotente.
Poi qualcuno ritrovò finalmente la voce.
« Perché, Eidan? » domandò Lara, visibilmente sconvolta. « Perché... fai tutto questo? »
Nul scoppiò a ridere. Una risata fredda e senza gioia, che echeggiò per tutto il deserto come il rombo di un tuono.
« “Perché”... » ripeté divertito. « Questa è fra tutte la domanda più frequente, per non dire inevitabile, a questo punto della storia. In ogni storia che si rispetti, arriva sempre il momento dello spiegone, no? Il momento in cui il cattivo racconta agli eroi il suo movente prima di dare il colpo di grazia. Tuttavia, ho visto troppe volte il cattivo trovare la sconfitta subito dopo lo spiegone, perché con le sue chiacchiere aveva dato il tempo agli eroi di tirarsi fuori dai guai. Perciò, ragazzi... non sperate di fregarmi con questo trucco. Volete il mio spiegone? Vi accontenterò, ma alle mie condizioni! »
Guardò per un attimo Ed, poi imitò di nuovo il suo battito di mani. Le posò sulla sabbia, e da essa si levarono un gran numero di catene, che si avvolsero intorno ai Valorosi; i sette compagni si trovarono così disarmati e incatenati, per il collo e per gli arti, limitando al massimo i loro movimenti. Non erano riusciti ad impedirlo in alcun modo. Ora erano alla totale mercé del nemico.
Nul aveva anche trasmutato un po’ di sabbia in una poltrona, sulla quale andò a sedersi subito dopo.
« Considerate quanto sto per dirvi come un dono » disse con decisione. « La ricompensa per essere arrivati fin qua al mio cospetto, vivi e ansiosi di sapere la verità.
« Bene, da dove comincio? Dunque... immaginate un ragazzo: una persona qualunque, un giovane, comunissimo essere umano. Cosa lo rende speciale dal nostro punto di vista? Be’, lui è un sognatore: sogna una vita fantastica, emozionante, avventurosa; fantastica sui mondi che arricchiscono il suo universo immaginario, realizzato con gli anni dopo aver fruito di innumerevoli opere. Film, fumetti, libri, videogiochi e quant’altro.
« Questo ragazzo è, in parole povere, un vostro grande ammiratore... o meglio, lo era. Ha passato anni ad ammirare le vostre imprese, dall’altra parte dello schermo, e questa passione lo ha indirizzato verso una via precisa... verso un sogno da realizzare. Voleva scrivere, diventare lui stesso l’autore di grandi opere... ed è così che avuto inizio la mia esistenza. »
Alcuni Valorosi sgranarono gli occhi per lo stupore. Cominciavano a capire.
« Dunque sei anche tu... un personaggio immaginario » disse piano Sora.
« Esatto » rispose Nul. « Il mio aspetto attuale è il risultato della fusione di vari personaggi, ma il volto e il corpo con cui mi vedete appartengono a Eidan, l’eroe della maggiore opera realizzata da questo sognatore. Io sono la sua creatura, suo figlio... perciò, Lui non può essere altri che mio padre. Lui mi ha creato a sua immagine e somiglianza, so tutto quello che Lui sa: conosco alla perfezione tutte le opere che ha fruito nel corso degli anni... ogni singolo episodio delle vostre avventure passato davanti ai Suoi occhi. Per questo vi conosco così bene, ragazzi, e ciò mi ha permesso di sconfiggervi.
« Mio padre sognava gloria e fama. Sognava di pubblicare le Sue opere e di essere riconosciuto alla pari dei più grandi autori del suo mondo... finché un giorno, la crudele realtà non gli ha fatto aprire gli occhi. Un giorno fu costretto a svegliarsi, a rinunciare al Suo sogno e ad accontentarsi di una vita normale... mediocre. Dopotutto capita a molte persone di fare lo stesso, sacrificare i loro obiettivi perché divenuti irraggiungibili per svariate ragioni. Quanti bambini sognavano di diventare astronauti e si sono ritrovati a lavorare in pidocchiosi supermercati per arrivare a fine mese? Quanti sogni sono stati uccisi per garantire un futuro facile ai loro padri? Il mondo di mio padre è spietato, e in esso non c’è spazio per i sogni... perciò un giorno è stato costretto ad adattarsi, e a vivere come un qualsiasi individuo... ad unirsi all’enorme folla di Senzavolto con cui condivide l’orribile mondo.
« Ed ecco che arriviamo a voi, amici miei, perché tutto questo è accaduto proprio per volere di mio padre. Quando ha rinunciato al Suo sogno, ha deciso anche di dimenticare tutta la roba che per anni lo aveva alimentato, vale a dire voi. Tutti quei film, libri e videogiochi che un tempo adorava, ora erano diventati di colpo un mucchio di stronzate. Perciò si è sbarazzato di ogni cosa: ogni film, ogni libro, ogni videogioco, è finito in un bel cassonetto dell’immondizia allo scopo di dimenticarvi... compreso me. Io sono stato il primo, in effetti, ad essere ucciso... e lo ha fatto prima ancora che io nascessi.
« Io non sono mai nato... ma ne ho potute vedere di cose da questo nulla... cose che voi non potreste mai immaginare! Ho visto astronavi in fiamme nell'orbita di Coruscant... Ho visto un giovane ninja rialzarsi dopo ogni caduta pur di realizzare i suoi sogni...  E ho visto la Luce del Kingdom Hearts brillare oltre la porta dell'Oscurità. Ho visto nascere e cadere interi mondi... in attesa di poter vivere nel mio. Ma non è mai accaduto. Ecco perché ora sono qui... prigioniero di questo nulla. »
Si udì un tuono in lontananza, facendo tacere Nul per un attimo. Il ragazzo dai capelli argentati si alzò dunque dalla poltrona, cominciando a passeggiare intorno al gruppo di Valorosi in catene.
« Ogni mondo che popolava i sogni di mio padre è stato così distrutto, ridotto in macerie e scaricato quaggiù » tornò a raccontare. « Cominciate a capire? Cominciate a comprendere la vera natura di Oblivion? Questo posto non è altro che l’abisso più profondo dell’universo immaginario del Padre, dove precipita tutto ciò che è inutile e deve essere dimenticato. Quando Lui decide di dimenticare un film, per esempio, tutto ciò che lo riguarda – il suo mondo, insomma – finisce quaggiù di conseguenza. Oblivion è fatto con i frammenti di mondi ormai distrutti... gli stessi dai quali proveniamo tutti noi.
« Voi credevate di essere stati strappati dai vostri mondi, ma in verità siete voi ad essere sopravvissuti alla loro distruzione. Non poteva essere altrimenti, dato che siete i migliori pezzi della collezione ormai morta di mio padre. »
« Che intendi dire? » chiese Po.
« Non ve ne siete ancora accorti? Jake Sully, tu sei l’eroe del film preferito di mio padre; Harry Potter, tu sei l’eroe della sua saga letteraria preferita; Lara, mio padre ti ha considerato per anni la più gnocca tra le donne dei videogiochi... devo continuare? »
« Nah, è chiaro » rispose Hellboy.
« Bene. Il punto è che voi, a causa della vostra enorme volontà, unita all’ammirazione profonda che mio padre aveva nei vostri riguardi, siete sopravvissuti qui su Oblivion. E lo stesso è accaduto a molti altri prima di voi... altri eroi e personaggi di fantasia, che per vari motivi sono rimasti a lungo nel cuore di mio padre. Anche persone comuni prive di talento, come la piccola Catherine... anche se so perfettamente che le è rimasta impressa per il suo bel faccino e qualche altra cosetta. »
Ed trattenne il fiato e voltò istintivamente lo sguardo verso la città, dove aveva visto Catherine per l’ultima volta.
« Non temere, Acciaio, è ancora viva » lo rassicurò Nul. « Ma presto giungerà la sua ora anche per lei. »
« Maledetto... non osare avvicinarti a lei...! »
Ed si divincolò, ma invano. Le catene erano troppo strette e bloccavano i suoi movimenti. Nul si era assicurato che non potesse battere le mani per fare le trasmutazioni.
« Sciocco ragazzino » commentò lui, gelido. « Ti ostini a reagire, nonostante la verità che ormai conoscete tutti... la verità che ha spazzato via la vostra illusione. Avete viaggiato nella speranza di poter tornare a casa, ignorando la vostra vera natura... ma soprattutto la realtà dei fatti. Voi non siete mai esistiti, siete solo il frutto dell’immaginazione di numerosi autori come mio padre! Le vostre vite sono fasulle, fittizie: i vostri ricordi, nient’altro che false memorie innestate nelle vostre menti dalla penna che vi ha generati. I vostri mondi... erano solo prodotti commerciabili a buon mercato. »
Altri tuoni sopra le loro teste. Presto avrebbe cominciato a piovere. Nul tacque ancora, e fissò inespressivo i volti dei suoi avversari ormai dominati dallo sconforto; le sue parole li aveva feriti nel profondo, tutti quanti. La verità che già conoscevano, ma che avevano deciso di ignorare, ora bruciava nei loro cuori come braci ardenti.
« Oh, non fatene una questione personale » riprese Nul, appoggiandosi alla sua poltrona. « Nessuno tra quelli che sono arrivati qui accettava la cosa, perciò sono entrato in scena fin da subito. Affinché mio padre dimentichi del tutto le sue fantasie, è necessario che esse siano distrutte completamente. Perciò, come fare per spazzare via gli ultimi frammenti ancora intatti? Quegli eroi, quei personaggi sopravvissuti alla cancellazione che si ostinavano a sopravvivere? Vi ho osservati a lungo prima di decidere il modo migliore per farvi secchi come si deve... nel modo più glorioso. Una sfida all’ultimo sangue con i vostri nemici storici! »
I Valorosi alzarono lo sguardo.
« La sfida... vuoi dire tutte le battaglie che hai organizzato? » disse Jake.
« Esatto. L’ho fatto per tutto questo tempo, a tutti i vostri predecessori... tutti quegli eroi e malvagi sopravvissuti all’abisso in cui mio padre li ha gettati. Ho guidato tutti loro verso la guerra, al fine di vederli morire definitivamente: lo scopo era metterli l’uno contro l’altro, Eroi contro Nemesi, come nelle loro avventure classiche... con la promessa di riportare i vincitori a casa. »
I Valorosi si scambiarono un’occhiata incredula. Finalmente ascoltavano la verità, ma riuscivano a stento a crederci. Non c’era mai stata alcuna sfida da vincere, era tutto un imbroglio. Una menzogna.
« Hai ingannato così tanta gente » ribatté Harry. « Possibile che abbiano creduto tutti al tuo inganno? »
« Per la maggior parte sì, specialmente i cattivi » rispose Nul. « Bastava mostrargli il mio potere e quei fessi pendevano subito dalle mie labbra... credevano subito all’idea che potessi riportarli ai loro mondi, dopo aver ucciso i loro bersagli. Ma naturalmente non ne avevo la minima intenzione: nessuno doveva sopravvivere... Eroi e Nemesi dovevano morire tutti, uccidendosi a vicenda.
« Ammetto che in questo piano c’era una falla. Con il tempo ho notato che alcuni sopravvivevano comunque alle battaglie, e questo accadeva sempre per lo stesso motivo: quando gli eroi e i malvagi morivano per altre cause; uccisi da altri avversari, ad esempio, o da imprevisti lungo il percorso. Ricordate quando ve l’ho fatto notare all’ospedale, l’altro giorno? Il vostro non era certo un caso isolato, è successo parecchie volte! »
I Valorosi restarono in silenzio, e nel frattempo le loro menti lavoravano per mettere ogni pezzo del puzzle al giusto posto. Tutto quadrava, finalmente: T’ai Fu, Dylan Dog, Tonto, Rina, Big Boss... tutti sopravvissuti alle battaglie perché non si erano concluse come pianificato da Nul, e costretti in seguito a vagare su Oblivion senza alcuna meta, fino alla morte o alla pazzia.
« So a cosa state pensando » disse Nul in quel momento. « A questo punto vorrete chiedermi: “Perché, Nul? Perché non sei mai intervenuto? Perché non hai dato il colpo di grazia a quei poveretti mezzi morti?” »
« A dire il vero, volevo chiederti perché non vai a farti fottere » ringhiò Jake.
« Occhio al linguaggio, Jake, potrebbero esserci dei bambini in ascolto! Ad ogni modo, ho sempre cercato di restare lontano dai conflitti, se potevo evitarlo: credetemi se vi dico che non mi piace affatto il ruolo di sterminatore conferitomi da mio padre... preferisco godermi lo spettacolo da dietro le quinte, piuttosto che scendere in campo di persona e sferrare controvoglia il colpo di grazia. Ma a mio padre non importa un bel niente di come crepiate, basta che succeda il più in fretta possibile. »
« Che follia! » urlò Sora. « Hai organizzato tutto questo solo per vederci morire? »
Nul si voltò a guardarlo, facendosi ancora più minaccioso.
« Che cosa avresti fatto tu? » ribatté. « Che cosa avreste fatto, tutti voi, al mio posto? Uccidere così tante persone... così tanti eroi che hanno popolato per anni i sogni di mio padre... annientarli per sempre da questo mondo... lo avreste sopportato??
« Lui non ha risparmiato nessuno dall’abisso, nemmeno quel poveretto del suo amico immaginario... Sam V. Raptor. Ha scelto di sbarazzarsi anche di lui, rigettandolo nella giungla da cui lo aveva tirato fuori tanti anni fa. Il mondo di mio padre deve essere davvero molto crudele, se lo costringe a dimenticare persino i suoi sogni più infantili... che tristezza. »
Questa volta fu Lara ad apparire più sconvolta. Il nome fatto da Nul era familiare solo per lei: Sam, di cui aveva trovato i resti e un toccante messaggio nel settore di Jurassic Park... se solo avesse ricordato cosa diceva.
« Con il tempo, questo compito è diventato sempre più difficile » diceva Nul nel frattempo. « In molti sono morti ad ogni ciclo di battaglie, ma qualcuno riusciva sempre a sopravvivere, sfuggendo al mio controllo. Ogni volta cercavo di ignorarli, sapendo di aver già distrutto le loro speranze... sapendo che alla fine, in un modo o nell’altro, sarebbero morti. Tutto questo finché non è venuto il vostro turno. All’inizio ho agito come da copione: ho richiamato i vostri nemici e fatto loro la solita proposta, mentre voi mettevate piede su Oblivion. Vi siete riuniti, avete formato una gran bella alleanza, e l’avventura è cominciata; ma le cose hanno preso una brutta piega quasi subito, quando le vostre Nemesi hanno deciso di agire autonomamente. Piuttosto che affrontarvi tutti insieme in uno scontro epico, hanno preferito i duelli in solitario! Natla, Voldemort, Envy... non sopportavano l’idea di combattere insieme, al massimo accettavano piccoli supporti; per non parlare di Darth Vader, che ha disertato subito. »
« Perché lui ti aveva inquadrato subito, vero? » puntualizzò Harry.
« Già, aveva intuito fin da subito cosa io fossi in realtà, ma questo non era certo un problema... conoscere la mia natura non cambiava in alcun modo lo stato delle cose. Vader era prigioniero di questo mondo, come tutti gli altri. Naturalmente mi aspettavo le scelte che ha compiuto, ma è stato divertente vederlo decidere da che parte stare... fino a schierarsi con suo figlio, e lottare disperatamente per salvarlo. Lui era migliore, dopotutto. »
« Continuo a non capire! » intervenne Lara. « L’altro giorno, in ospedale, dopo che erano morti i nostri nemici... sei venuto a dirci che non avevamo “rispettato le regole”. Perché? Se non c’è mai stata nessuna sfida, perché hai continuato a farcelo credere? »
Nul si voltò a guardarla con un sorriso beffardo.
« Oh, quello » mormorò. « Be’, vi confesso che allora il mio intento era quello di invitarvi a smettere di combattere; di spingervi alla resa di fronte al punto morto a cui eravate arrivati. Speravo che il mio vero aspetto potesse fare breccia nelle vostre coscienze... che la triste storia di un ragazzo sconfitto potesse farvi finalmente penetrare nella zucca la realtà. Ma soprattutto, speravo di riuscire a sconfiggervi con le parole, per non essere costretto ad uccidervi con le mie mani.
« Ma voi avete dimostrato la vostra immensa forza di volontà ancora una volta, e siete ripartiti alla carica come se nulla fosse. A quel punto che potevo fare? Dopo che anche Xehanort si era rivelato utile quanto un secchio sfondato, ho lasciato che Sauron scatenasse il suo inferno personale contro di voi... sperando che riuscisse a fare piazza pulita una volta per tutte. Incredibile, neanche lui... neanche l’essere più malvagio mai partorito dalla mente di uno scrittore... è riuscito a distruggervi! Ed è per questo che io mi trovo qui, ora, di fronte a voi... costretto a compiere la parte più sporca della volontà di mio padre. »
L’ennesimo tuono sopra le loro teste, più forte dei precedenti, sembrò annunciare la fine di quel lungo discorso. Eidan levò lo sguardo al cielo, sospirando.
« Bene, credo di avervi detto tutto » disse. « Ora, chi di voi è riuscito a guadagnare abbastanza tempo per liberarsi e provare a sconfiggermi? »
Tornò a guardare i Valorosi, ancora in catene intorno a lui. Erano immobili, ma soprattutto abbattuti. Avviliti. Sconfitti. Dal primo all’ultimo, nessuno escluso. Le parole di Nul avevano fatto, se possibile, più male di qualsiasi altro colpo ricevuto fin dall’inizio della loro avventura. Jake, Sora, Harry, Lara, Ed, Po... fissavano tutti il suolo sabbioso ai loro piedi, incapaci di alzare il capo per guardare in faccia il responsabile di tutto.
« Come immaginavo » commentò Eidan compiaciuto. « Se può consolarvi, sappiate che non c’è nulla di personale in tutto questo. Mio padre sta cercando di dimenticarvi, ecco tutto... e io sono la mano sinistra di Dio, il suo umile servitore scelto per questo lavoro di pulizia. E finalmente, il lavoro sta per volgere al termine: voi siete gli ultimi eroi rimasti... gli ultimi pilastri che ancora reggono il mondo immaginario del Padre... e quando crollerete, il Suo sogno precipiterà definitivamente nell’oblio. »
Si alzò dal posto e schioccò le dita. Le catene si spezzarono, liberando tutti i Valorosi dalla loro costrizione.
« E cosa ne sarà di te? » disse Ed lentamente. « Se tutti i mondi saranno distrutti, anche tu cesserai di esistere! Tu sei uno di noi, dopotutto... come puoi accettare questa sorte? »
« Io non sono mai nato » ribatté Nul con tono piatto. « Non ho mai vissuto davvero. La mia esistenza è ancora più finta della vostra, dal momento che non ho mai visto la luce. Se sono destinato al nulla... così sia.
« Ora tocca a voi, miei fratelli: è giunta l’ora di sparire per sempre. Come preferite che avvenga? Resterete in ginocchio, in attesa che il boia cali la lama sul vostro collo? Oppure resterete in piedi fino alla fine, dritti e fieri, come i veri eroi ammirati da intere generazioni? Consideratelo il mio ultimo dono per voi... scegliere il modo migliore per morire. »
I Valorosi si scambiarono un’occhiata. Sembravano pensare tutti la stessa cosa: per quanto fosse la scelta più terribile, la più dolorosa, era la più giusta da fare. Non per dare soddisfazione a quel maledetto davanti a loro, ma per dimostrare fino all’ultimo istante ciò che erano sempre stati.
Eroi. Di quelli capaci di restare in piedi fino alla fine.
Perciò si alzarono in piedi, uno dopo l’altro, lanciando a Nul un’occhiata di orgogliosa sfida.
« Non è finito niente finché respiro » dichiarò Jake orgoglioso.
« Speravo che lo dicessi » gli rispose Nul.
Lo attaccarono tutti insieme, come un sol’uomo. Uniti, come lo furono fin dall’inizio. Jake fu il primo a raggiungerlo, pugnale alla mano; lo vide trasformarsi ancora una volta, imitandolo in altezza e capacità. I due si sferrarono una nuova serie di colpi, rapidi e fluidi, due perfetti predatori; Jake colpì ancora e ancora, ma non riuscì a ferirlo. Nul sfruttò infine il suo slancio per gettarlo a terra, a pancia in giù; balzò sulla sua schiena per costringerlo al suolo, e gli piantò il pugnale all’altezza della spalla sinistra.
« Aaaargh! »
Fuori uno.
Hellboy intervenne in quel momento. Il suo Samaritano esplose una manciata di colpi contro Nul, che spiccò il volo per schivarli, allontanandosi da Jake; atterrò poco lontano e trovò Ed ad attenderlo, trasmutando la sabbia ai suoi piedi. Essa divenne cemento.
« Blizzaga! »
La magia di Sora raffreddò il cemento, solidificandolo subito. Hellboy si avvicinò di corsa per finire Nul, ma questi mostrò di nuovo un pugno di pietra uguale al suo, e lo usò per spaccare il cemento. Di nuovo libero, si scagliò su Hellboy e lo travolse, sferrandogli un pugno allo stomaco talmente forte da tramortirlo.
Fuori due.
Ed tornò alla carica, affrontandolo stavolta in un duello corpo a corpo. Nul rispose all’attacco imitando il suo stile, difendendosi alla perfezione. Alla fine gli sferrò un calcio che lo respinse all’indietro; unì i palmi delle mani e afferrò l’automail di Ed, distruggendolo in un istante. L’alchimista urlò per il dolore e cadde a terra.
Fuori tre.
Lara, rimasta indietro per controllare le condizioni di Jake, fu costretta a intervenire. Dato che Mjolnir si era rivelato inutile contro Nul, recuperò le pistole di Revy; gli sparò addosso un paio di colpi per attirare la sua attenzione, allontanandolo dagli altri. Prese dunque a correre di lato, cercando di mantenere le distanze, e continuò a sparare; Nul schivò ogni proiettile e si avvicinò rapidamente. Nel frattempo aveva estratto due pistole identiche a quelle di Lara e sparò a sua volta: un proiettile colpì l’archeologa a una gamba, frenando la sua corsa. Nul continuò a sparare, e non meno di quattro colpi trapassarono il suo corpo: alla spalla, al fianco, all’avambraccio e alla coscia. Lara cadde quindi a terra, gemendo per il dolore.
Fuori quattro.
Nul aveva ancora le pistole in mano, pronto a finire Lara, quando una zampa apparsa dal nulla lo afferrò per una mano. Po si fece avanti e gli sferrò una gomitata al petto, continuando a tenerlo; Nul mollò le pistole, ma nel frattempo Po aveva stretto la presa sul suo dito, reggendolo con il pollice e l’indice e sollevando il mignolo.
« Uhm... la Presa del Dito Wuxi » commentò Nul tranquillo, restando immobile.
« Oh, conosci questa mossa? » disse Po serio.
« Certamente... per tua sfortuna. »
Nul ignorò lo sguardo perplesso del panda e guardò Harry, poco lontano. Un attimo dopo svanì nel nulla. Po si guardò intorno confuso, ma Nul era già riapparso alle sue spalle e attirò la sua attenzione toccandogli la spalla. Il panda si voltò, ed era già troppo tardi. Nul lo colpì al petto cinque volte, con cinque dita diverse: ogni punto colpito emise un debole bagliore dorato; Po cadde a terra un istante dopo, come se fosse stato paralizzato.
Fuori cinque.
« Maledetto... Crucio! »
La maledizione di Harry lo colpì in pieno. Nul rimase dov’era, ma non urlò nemmeno una volta. Il suo corpo si era irrigidito, eppure non dava alcuna dimostrazione del dolore provocato dall’incantesimo. Harry rimase senza parole: non aveva mai visto nessuno resistere a una simile tortura.
Nul sollevò dunque la sua bacchetta, identica a quella di Harry, e pronunciò qualcosa di ancora più incredibile.
« Sectumsempra. »
Il sangue schizzò dal volto, dalle braccia e dalle gambe del ragazzo, come se fosse stato colpito da una spada invisibile. Barcollò all’indietro, mollò la presa dalla Bacchetta di Sambuco e cadde a terra, a faccia in giù.
Fuori sei.
« No... Harry, nooo! »
Sora era l’ultimo rimasto. Nul si voltò a guardarlo, l’espressione nuovamente gelida, come se nulla al mondo avesse per lui un significato. Non disse nulla, non fece nulla; aspettava il suo ultimo avversario, sicuro di poter sconfiggere anche lui. Sora si avvicinò a Harry con cautela, controllando che fosse ancora vivo; Nul cominciò ad avvicinarsi, e sulle sue mani apparvero nuovamente i due Keyblade.
« Mio padre ha aspettato per anni di vedere il finale della tua storia » dichiarò. « Ora non ha più importanza... hai trionfato comunque sul tuo nemico, come doveva essere. Sarai dimenticato con onore. »
« SANCTA!!! »
L’urlo di Sora impedì a Nul di farneticare ancora. L’incantesimo si abbatté su di lui con una forza immensa, avvolgendolo con una luce abbagliante. Nul fece in tempo a proteggersi con i Keyblade, e dopo una breve resistenza respinse il colpo; Sora vide il suo attacco tornare indietro ed esplodergli addosso, con una forza tale da spazzarlo via... lontano dai suoi compagni, giù per la duna di sabbia. Nul aspettò, ma non lo vide tornare.
Fuori sette.
Era finita. I Valorosi giacevano ora intorno a lui, sconfitti. Vivi, ma ancora per poco. Nul doveva comunque completare l’opera... assicurarsi che quel gruppo di eroi non lo infastidisse più; il giovane alato si pose dunque al centro, pronto a sferrare il colpo di grazia.
Era tempo di abbattere gli ultimi pilastri che ancora reggevano il mondo immaginario del Padre.
Levò la mano sinistra al cielo, ma contemporaneamente sentì qualcosa di umido sgorgare dai suoi occhi; lacrime, ancora una volta. Poi un orribile sensazione, che dalla testa discese fino al suo cuore.
Pietà. Dolore. Tristezza.
Sofferenza.
Le lacrime continuarono a venir fuori, e nel frattempo abbassò la mano. L’altra andò a cercare l’oggetto che portava appeso al collo, e chinò il capo per osservarlo: una piccola croce argentata, presa giorni prima dal Cimitero dei Mondi. Perché lo aveva fatto? Perché all’improvviso si sentiva così male? Perché adesso, alla fine di tutte le cose?
Nul guardò i Valorosi uno per uno, sempre più sconvolto.
« No... non è giusto » mormorò con voce rotta. « Non può finire così... non può finire così, padre! »
Levò lo sguardo al cielo, ormai minaccioso di tempesta.
« NON PUO’ FINIRE COSI’! » urlò Nul. « Guarda cos’è accaduto per tua volontà! Tutta questa distruzione, tutto questo dolore... tutta questa morte! Non puoi volerlo sul serio, padre! Non puoi dimenticarti di loro... NON PUOI VOLERLO SUL SERIO! »
Nel frattempo era crollato, in ginocchio sulla sabbia.
« Io... li ammiravo... dal primo all’ultimo » singhiozzò. « Attraverso i tuoi occhi, ho seguito... le loro gesta. Volevo soltanto... essere come loro. Vivere la mia avventura. E invece... mi hai seppellito... e mi hai usato... solo per questa carneficina. Perché, padre? Perché ti sei arreso? Non puoi... non puoi volerlo sul serio... »
Il cielo continuò a tuonare, e da esso grandi gocce di pioggia cominciavano a cadere tutto intorno. Nul chiuse gli occhi, lasciando che le gocce cadessero sul suo viso, sempre più forti, sempre più fitte. Si mescolavano alle lacrime che rigavano il suo volto e le portavano via, nascondendole alla vista.
Dopo molto tempo, o forse solo pochi secondi, Nul si rialzò. Aveva smesso di piangere, ma il dolore non era sparito dai suoi occhi; lanciò un’ultima occhiata ai Valorosi, ancora vivi ma privi di conoscenza. Quegli ultimi eroi che lo avevano sfidato, i migliori... non meritavano una simile sorte.
Non lo avrebbe fatto. Non li avrebbe uccisi.
Spalancò le ali e spiccò il volo, abbandonandoli sotto la pioggia che mano a mano aumentava.
Gli ultimi pilastri erano ancora integri.
 
 
 
Spazio autore:
Rieccomi qua! Aspettavo da tanto tempo di scrivere questo capitolo, e finalmente è arrivato il momento... e come i Valorosi, ora sapete anche voi tutta la verità.
Alla fine è accaduto tutto dentro la mia testa. Dentro il mio universo immaginario, composto da tutti i mondi conosciuti nelle avventure di cui ho fruito per tutta la vita. Questo mi ha spinto a creare il mio mondo, la mia avventura, il mio eroe... Eidan. Non sono riuscito ancora a pubblicarla, ma mi do ancora da fare perché questo sogno diventi realtà. Perciò non temete, non mi sono arreso alla “crudeltà di un mondo difficile”, come ho immaginato tra queste righe... è solo una storia che mi sono divertito a immaginare.
Come finirà? Ormai manca davvero poco... e nel prossimo capitolo, rivedrete il ritorno di un eroe!
Alla prossima! 

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Capitolo 41
*** Il ritorno dello Jedi ***


Capitolo 41. Il ritorno dello Jedi
 
Image and video hosting by TinyPic Il lago Varykino, in quello stesso momento.
Le fiamme s’innalzavano verso il cielo grigio dalla pira in cui ardeva il corpo di Luke Skywalker. L’antica usanza dei Jedi nel dare alle fiamme il corpo del caduto echeggiava anche su Oblivion, ad opera dell’unica persona presente alla cerimonia in quel momento: Darth Vader, suo padre. Aveva allestito la pira sulla riva del lago, a pochi metri dalle acque ritornate tranquille dopo la battaglia mortale contro Xemnas e gli Heartless. Lo stesso non si poteva dire della villa, ridotta a un rudere... ma questo era ormai un dettaglio divenuto insignificante.
Nulla aveva più importanza.
Il Sith guardava la pira bruciare, in ginocchio davanti ad essa nel silenzio più assoluto. Gli unici rumori a fargli compagnia erano il suo stesso respiro metallico attraverso la maschera e il battito del suo cuore frantumato. Non aveva parole adatte da pronunciare in quel momento... anzi, dubitava persino che potessero esisterne di appropriate; ma anche se fosse stato altrimenti, era certo che sarebbero state inutili.
Perché nulla avrebbe cambiato la realtà dei fatti. Luke era morto, e ora i suoi resti bruciavano davanti agli occhi del padre, annientato sotto ogni aspetto. Aveva perso. Aveva perso tutto e tutti: sua madre, sua moglie... e ora suo figlio.
Non era riuscito a proteggerlo. Il dolore che provava andava oltre le lacrime, oltre la disperazione; la sua mente e il suo cuore sembravano fragili oggetti incrinati, ormai prossimi ad andare in migliaia di pezzi.
Era pronto a restare lì in ginocchio per sempre, fino alla fine del mondo...
« Anakin... »
Un suono, poco più che un sussurro accompagnato dal vento che soffiava sul lago, attirò la sua attenzione. Vader alzò leggermente il capo. Riconobbe la voce, ma non vide nulla. Forse lo aveva solo immaginato.
« Anakin. »
La voce si era fatta più forte. Vader si voltò. Non era più solo: accanto a lei era apparsa una persona, in piedi sui sassi a pochi centimetri dall’acqua. La sua amata Padmé, identica a come la ricordava: i suoi morbidi capelli castani erano sciolti e ricadevano sulle sue spalle; indossava una lunga veste da notte azzurra, la stessa che portava quella sera in cui lui era tornato a Coruscant e aveva saputo da lei la più lieta delle notizie. Al collo vide persino il ciondolo che le aveva regalato molti anni prima, quando si erano conosciuti.
Vader non si lasciò dominare dallo stupore. Sapeva benissimo di avere davanti un’altra proiezione dei suoi ricordi, resi visibili dalla Forza che scorreva in quel settore. Eppure c’era qualcosa di diverso, lo sentiva: Padmé lo guardava e gli aveva parlato, come se fosse reale. Come se fosse ancora viva.
« Non dovresti essere qui » mormorò Vader, abbassando lo sguardo.
« Nemmeno tu » rispose Padmé. Aveva l’aria grave, quasi delusa da ciò che vedeva. « Dovresti essere là fuori, a combattere insieme agli altri eroi. A combattere per nostro figlio. »
« Non ha più importanza, ormai. Nulla ha più importanza. Luke è morto... non sono riuscito a proteggerlo, e nulla lo riporterà indietro. Non posso rimediare... non ho mai potuto. »
Padmé si avvicinò, posando una mano impalpabile sulla spalla del marito.
« Su questo hai ragione » disse. « Non puoi rimediare ai mali che hai fatto. Tuttavia, non è giusto incolparsi in eterno per ciò che è stato compiuto. I tuoi errori del passato non possono essere cancellati, Anakin, ma possono essere perdonati. »
Vader scosse la testa.
« Non merito il perdono » ribatté. « Non lo merito, soprattutto da te. Io ti ho uccisa! Ti ho perduto per sempre. Se solo potessi tornare indietro... farei in modo che non ci fossimo mai incontrati. Saresti stata meglio senza di me: avresti vissuto una vita lunga, libera dagli inganni e dai segreti... libera dal timore che la nostra relazione sarebbe stata scoperta. Saresti... sopravvissuta. »
« Oh, Anakin... »
« Non merito quel nome. Non chiamarmi così! »
L’urlo fece arretrare Padmé di un passo, togliendo la mano dalla spalla del Sith. Gli rimase comunque accanto, dimostrandosi sicura e decisa.
« Io non mi pento di nulla » disse lei, continuando a guardarlo dall’alto. « Non mi pento degli anni passati al tuo fianco, né di averti amato. Per questo preferisco la vita breve che ho trascorso insieme a te... piuttosto che una vita lunga in cui non ti avrei mai incontrato. Sono stata felice di quanto abbiamo fatto insieme, e di aver dato alla luce i nostri figli... che hanno restituito pace alla galassia. »
Tacque, e per un po’ rimase in silenzio, aspettando qualsiasi risposta da Vader. Il Sith, tuttavia, rimase in ginocchio: la pira di Luke si era ormai spenta, e del Jedi caduto non erano rimaste che ceneri fumanti. Non era ancora disposto ad ascoltare ciò che diceva l’ombra di sua moglie: sembrava tornato molto indietro nel tempo, ai primi giorni in cui aveva indossato quelle vesti nere... privo di ogni speranza.
« Non è necessario che tu capisca le mie scelte » riprese Padmé. « Piuttosto puoi capire cosa fare in questo momento. Guardami, Anakin... devi ricordarti chi sei veramente. »
Vader alzò il capo, guardandola finalmente negli occhi. Riusciva a stento a reggere quello sguardo, incantevole e penetrante allo stesso tempo: gli occhi del suo amore, di colei che aveva ucciso per paura di perderla...
« Ricordati chi sei. Solo così potrai liberarti dal dolore... e fare ciò che è giusto, proprio come ha fatto nostro figlio. »
« È inutile » rispose Vader, abbassando infine lo sguardo. « Tutto è perduto, ormai. »
« No, invece » ribatté Padmé, sempre più seria. « C’è ancora speranza all’orizzonte, Anakin... Luke e i suoi amici combattevano per una speranza, per ritornare a casa. E nostro figlio ha combattuto fino alla fine per realizzare questo desiderio: la speranza non lo ha mai abbandonato, neanche per un istante. Ci ha creduto fino alla fine, proprio come facevi tu prima di passare al Lato Oscuro. Luke era uguale a te, e si è sacrificato per salvarti; perciò, se vuoi che il suo sacrificio non sia stato vano, raccoglierai la sua speranza e combatterai ancora. So che lo farai, Anakin. »
Vader restò in silenzio, lasciando che il suo respiro metallico echeggiasse a lungo intorno a loro.
« Dopo tutto quello che ti ho fatto... perché credi ancora cosi tanto in me? » domandò.
« Perché so che in te c’è ancora del buono » rispose Padmé, sorridendo. « L’ho sempre saputo, finché ho avuto vita... fino al mio ultimo respiro ho creduto in te. E ci credo ancora. »
Il Sith alzò la testa di nuovo, incredulo. Fu come se una debole luce, a lungo rimasta spenta, si fosse improvvisamente riaccesa nel profondo del suo cuore... e diventava sempre più forte.
« Oh, Padmé... potrai mai perdonarmi? »
« L’ho già fatto, fin da quando hai distrutto l’Imperatore e salvato nostro figlio. Ora sei tu a dover perdonare te stesso. Ricordati chi sei... e niente e nessuno potrà più fermarti.
« Ricordati chi sei, Anakin Skywalker: Cavaliere Jedi, eroe della Repubblica, grande pilota di sgusci... e padre dei nostri meravigliosi figli. Ricorda tutto questo... riprendili dall’abisso oscuro in cui li hai gettati. Riprenditi il ruolo che ti spetta in questa guerra! »
Vader mantenne lo sguardo su Padmé, ma questa scomparve pochi istanti dopo. Nel frattempo la sua testa si riempì di una lunga serie di immagini, scorrendo davanti ai suoi occhi simile alla sequenza di un film... come se qualcuno stesse riavvolgendo il nastro. Era in piedi accanto all’Imperatore, osservando in silenzio la costruzione della Morte Nera; camminò all’indietro e si trovò disteso su un tavolo operatorio, la maschera appena applicata sul volto sfigurato; questa si staccò e sentì un dolore immenso mentre le fiamme di Mustafar bruciavano il suo corpo mutilato; si alzò in piedi e vide Obi-Wan davanti a lui, lo sguardo carico di delusione mentre gli puntava contro la spada laser; vide infine Padmé, poco prima che soffocasse per mano sua...
Ricordati chi sei.
L’ordine echeggiò dentro di lui mentre tornava ancora più indietro. Vide altre scene, altri mondi, altri volti: lo sguardo ammirato della sua allieva Ahsoka... quello fiducioso del maestro Qui-Gon Jinn... e il più importante di tutti, quello pieno di amore di Shmi Skywalker. Sua madre.
Infine si concentrò su un’ultima scena: Padmé era in piedi davanti a lui, avvolta in un velo bianco... e lui la prendeva per mano, pronto a baciarla mentre la prendeva in moglie.
Tutto stava tornando alla luce. Tutto ciò che Darth Vader era stato... ciò che lui era sempre stato. Stava rimettendosi in piedi, ma all’improvviso perse l’equilibrio e cadde a terra. La sua vista era annebbiata, gli mancava l’aria.
« Non... non respiro... »
« Togliti la maschera » rispose Padmé, decisa.
Vader esitò, ma solo per un attimo. Ora lo sentiva: stava accadendo qualcosa al suo corpo; sentiva sulla sua pelle una sorta di bruciore, freddo anziché ardente. Era quella maschera a causargli problemi, perciò obbedì all’ordine e se la tolse, gettandola a terra; l’aria limpida di Varykino gli riempì subito il naso, cosa che permise allo stupore di prendere il sopravvento. Per la prima volta dopo decenni, respirava normalmente.
Ancora a terra, l’uomo strisciò verso il lago, sotto lo sguardo soddisfatto di Padmé. I suoi arti tremanti lo condussero lentamente fino alla riva, permettendogli di specchiarsi sull’acqua: vide ciò che si aspettava, ma fu comunque uno shock per lui. L’orribile pelle bianca solcata da cicatrici e rughe era scomparsa, lasciando il posto a un viso molto più giovane e sano.
Il viso di Anakin Skywalker.
« Hah... hah... »
Ansimava ancora forte, dominato com’era da un gran miscuglio di stupore, paura e meraviglia. Anche in quel momento, sebbene avesse già fatto ritorno da qualcosa di irreversibile come la morte, non poteva fare a meno di credere che fosse un miracolo. Levò gli occhi al cielo e gridò, con quanto fiato aveva: il suo urlo echeggiò tra le montagne intorno al lago disperdendosi in ogni direzione... come se volesse far sapere a tutto Oblivion che un Jedi era ancora vivo.

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Capitolo 42
*** In piedi! ***


Capitolo 42. In piedi!
 
Nel settore dell’ospedale era tornata la pace. Niente lampi, esplosioni o grida. Tutto si era calmato subito dopo la distruzione di Sauron, l’Oscuro Signore, ad opera dei Valorosi. Le strade recavano ancora i segni della colossale battaglia che aveva infuriato fino a un’ora prima: armi, macerie e sangue dominavano l’area che circondava l’ospedale, ancora protetto dagli eroi sopravvissuti. Le difese intorno all’edificio erano ancora attive, compreso il muro di cinta creato da Edward Elric; Merida, Katniss e altri volontari restavano di guardia, gettando occhiata tutt’intorno. John Connor e la Resistenza facevano altrettanto all’esterno; il cyborg Arnie, a bordo del Metal Gear REX, aveva l’ordine di sparare a qualsiasi Senzavolto avesse osato avvicinarsi. Anche Lady Death contribuiva a mantenere l’ordine, dopo aver dispiegato la sua Armata d’Oro lungo le strade.
Tutto questo, comunque, appariva superfluo, dal momento che regnava una calma piatta. Lo stesso non si poteva dire all’interno dell’ospedale: la hall era affollata. I sopravvissuti erano divisi in vari gruppi, a seconda delle loro condizioni. Il dottor House e alcuni volontari curavano i feriti nel frattempo, facendo il possibile perché il numero di morti si arrestasse. Tra questi c’era Big Boss, seduto su una panca; perdeva sangue dal fianco ma non ci badava... anzi, fumava un sigaro imperterrito mentre House in persona era impegnato a ricucirlo.
« Però, ne ho visti di casi strani nella mia lunga e appassionata carriera » commentò il dottore nel frattempo, « ma tu finisci dritto nella Top Ten. Da quel che vedo mi stupisce come tu faccia a reggerti ancora in piedi e a continuare ad avvelenarti i polmoni in quel modo. »
Big Boss lo guardò con il suo unico occhio sano, più che sufficiente per lanciargli un’occhiata penetrante. Questo, insieme al pezzo di metallo che sporgeva dalla fronte e alla faccia imbrattata di sangue, lo faceva assomigliare terribilmente a un demone.
« Dopo tutto il tempo che ho trascorso all’inferno » rispose, « ti garantisco che troverei dolce una morte provocata dal fumo. »
Altri eroi erano riusciti a cavarsela senza un graffio, come nel caso di Dylan Dog. Il detective, rimasto nell’edificio per proteggere i pazienti, ora vagava al suo interno senza una meta precisa; il suo assistente autoproclamato, Tonto, era sparito chissà dove, in cerca di oggetti da “barattare”. In quel momento era impegnato a parlare con Rina, Lady Death e Catherine, riunite al centro della hall.
« Avete notizie dei Valorosi? » domandò.
« No... nessuna » rispose Rina, afflitta. « Non siamo riuscite a percepire la loro presenza nei paraggi. »
« Sono come svaniti nel nulla, dopo la battaglia con l’Oscuro Signore » aggiunse Lady Death. « Temo il peggio, a questo punto. »
« Credi che siano morti? »
« Oh, sarebbe terribile! » esclamò Catherine, sconvolta. « Dopo tutto quello che abbiamo passato... non può finire così! Edward non può essere morto! »
Lady Death sospirò, chinando leggermente il capo.
« Lo spero tanto, soprattutto nei riguardi di mio fratello Hellboy » mormorò. « Non voglio credere di aver perso anche lui. Inoltre, c’è qualcos’altro che mi preoccupa... non riesco a individuare i nostri alleati, ma avverto comunque una strana sensazione. Percepisco un forte sentimento negativo, che aleggia su tutta la città. »
« Già, l’ho sentito anch’io » ammise Rina. « Era terribile... come se qualcuno fosse immensamente triste e non riuscisse a nasconderlo. »
Il rombo di un tuono in lontananza fece tacere tutti, interrompendo la conversazione. In molti diressero quindi lo sguardo verso le finestre, da cui si poteva vedere il cielo: le nuvole che lo coprivano perennemente erano diventate ancora più scure. Presto sarebbe caduta una forte pioggia sopra le loro teste, ma era chiaro per tutti... non sarebbe stata la parte peggiore dello spettacolo in arrivo.
 
Nel frattempo, molto più lontano, aveva già iniziato a piovere. Gocce grosse come monete precipitavano sulla sabbia nel deserto fuori città; la pioggia divenne molto fitta in breve tempo, al punto da formare grandi pozze d’acqua in vari punti in modo innaturale. In mezzo a questo temporale giacevano sette persone, immobili sulla sabbia: i Valorosi, sconfitti nel corpo e nell’anima da Nul in persona, dopo che questi aveva rivelato la sua vera natura. Non erano stati in grado di sconfiggerlo, né di convincerlo a riportarli a casa.
Jake Sully, Hellboy, Edward Elric, Po, Lara Croft, Harry Potter, Sora. Eroi eccezionali, tra i più grandi che si potessero ricordare, ora avevano subito la peggiore delle sconfitte. Sarebbero morti presto, a causa delle ferite che non provavano nemmeno a curare; lasciavano che il sangue sgorgasse sulla sabbia, ormai sicuri che la morte era l’unica via di fuga. L’unico modo per uscire dall’incubo di Oblivion.
« Già ti arrendi? E dai, Sora, credevo fossi più forte di così! »
« Niente broncio, niente facce tristi. Questa nave viaggia con i sorrisi! »
« Tutti per uno e uno per tutti. Ah-yuk! »
« Sora... non cambiare mai. »
Sora aprì lentamente gli occhi, risvegliato dalle voci che echeggiavano nella sua testa. Le voci dei suoi più cari amici: Riku, Paperino, Pippo, Kairi... non erano lì con lui, eppure lo stavano aiutando... aiutando a rimettersi in piedi. Poteva quasi vedere lei, Kairi, chinarsi su di lui con il suo splendido sorriso e invitarlo a dargli la mano.
« Ugh... »
Il ragazzo cercò di muoversi, ma sentì subito un gran dolore. Aveva una gamba fratturata e un braccio malconcio; perdeva sangue. Non poteva camminare, ma poteva strisciare. Il colpo subito da Nul era stato così forte da spazzarlo via, allontanandolo dagli altri Valorosi; doveva raggiungerli, perciò raccolse le energie e si trascinò su per la duna, un passo alla volta. Non fu facile, ma non poteva arrendersi; pioggia e sabbia parevano opporsi sul suo cammino, ma lui proseguì... finché i suoi occhi annebbiati per il dolore non ritrovarono il resto del gruppo davanti a sé.
Sora trattenne il fiato per l’orrore. I Valorosi erano di fronte a lui, in condizioni addirittura peggiori delle sue. Il più vicino era Harry, disteso sulla sabbia come tutti gli altri, pieno di ferite su gambe e braccia da cui perdeva sangue. Lara, poco lontana, aveva ferite simili, provocate da fori di proiettile. Edward era disteso a faccia in giù, i suoi automail ridotti a pezzi. Po, paralizzato completamente, giaceva un po’ più avanti. Hellboy stava privo di sensi accanto a lui. Jake era il più lontano, ferito alla schiena dal suo stesso pugnale.
Doveva fare qualcosa. Doveva aiutarli.
« R-ragazzi » disse, con la poca voce che riuscì a tirar fuori. « Riuscite... a sentirmi? Vi prego... ditemi che siete ancora vivi! »
« Ugh... Sora » gli rispose la voce di Harry. « Stai... stai bene? »
« Sì... sì! Sto bene... mi riprenderò... ci riprenderemo tutti! Adesso... adesso dobbiamo solo rimetterci un po’ in sesto, va bene? Tenete duro, ragazzi, vi curerò... datemi solo... un secondo... »
« No... non farlo. Lascia stare. »
« Co... cosa? »
« Lascia stare, Sora » replicò Harry. « È meglio così... credimi. Ormai è finita... non c’è più niente che possiamo fare. »
Sora non riusciva a credere a ciò che sentiva. Continuò ad avanzare, trascinandosi tra sabbia e pioggia.
« Non dire assurdità » ribatté il ragazzo. « Hai battuto la testa, Harry, lo so... sei confuso. Non preoccuparti, ora te la rimetto a posto... »
« Sora, per favore... basta così. »
Si fermò di nuovo, sempre più incredulo. Stavolta aveva parlato Jake: vide la sua sagoma sollevarsi un poco dalla sabbia, sconvolto e sconfitto come tutti gli altri. 
« Non avrebbe senso continuare a combattere » dichiarò il Na’vi, guardandolo. « Perciò lascia stare... è meglio morire adesso, qui... piuttosto che riprendere un’inutile guerra. Abbiamo perso fin dall’inizio. »
« Perché? » esclamò Sora, spazientito. « Perché... volete arrendervi? Ragazzi, non vi capisco... che diavolo vi prende all’improvviso? »
« Ugh... guardiamo in faccia la realtà » mormorò Lara, poco lontano. « Lo hai sentito anche tu, dopotutto... noi non esistiamo. I nostri mondi... sono fasulli. Siamo invenzioni... frutto dell’immaginazione di qualcun altro. »
Sora continuò a muoversi, sempre più vicino.
« No... mi rifiuto di crederci. Mi rifiuto... di crederci! » disse, sempre più forte. « Eidan si sbaglia... e voi lo sapete! Non può finire così... non possiamo arrenderci per questo! »
« Sì, invece » disse la voce di Hellboy, colma di amarezza come quella degli altri. « Non c’è vittoria, non c’è ritorno. Anche se vincessimo, non torneremmo a casa comunque. Non c’è mai stato un mondo a cui tornare... la mia casa, i miei gatti, la mia Liz... non sono mai esistiti. »
« Non... non è vero! » urlò Sora. « Red, non dirlo neanche... Liz esiste! Ragazzi... non può essere come ha detto Eidan... io lo so! Lo sento, anche adesso... questo dolore, questa nostalgia... e la luce nel mio cuore che non si spegne mai... sono autentici... reali!
« È vero... siamo opere di fantasia, ma non ha importanza. I nostri mondi sono immaginari... le nostre vite sono state create per intrattenere la gente... ma mi sta bene lo stesso. Io lo so bene... vengo da un mondo in cui devo ripetere ogni giorno la stessa avventura, ogni volta che il giocatore accende la console. Ma anche se il mio mondo è finto... vi posso assicurare che i miei ricordi... e i miei sentimenti... sono assolutamente reali. »
I Valorosi si voltarono a guardare Sora, uno dopo l’altro. Il Custode del Keyblade continuava a trascinarsi verso di loro, nonostante fosse ridotto così male. Quel ragazzo aveva una forza di volontà incredibile, tutta da ammirare.
« Per questo continuo a lottare... e continuerete a farlo anche voi » riprese Sora. « Abbiamo fatto una promessa, dopotutto... me la ricordo bene. Ugh... abbiamo promesso... di tornare da coloro che ci stanno più a cuore. Be’, io devo tornare da Kairi... devo dirle ciò che provo per lei... e dividere finalmente... il paopu. »
La mano ferita tremò sotto il suo peso e cedette, facendolo cadere al suolo. Ormai era arrivato accanto a Harry, che lo fissava incredulo.
« Sora... »
Il ragazzo si rialzò, evocando il Keyblade.
« Non mollate, amici... vi prego » sussurrò, mentre lacrime gelide solcavano il suo viso. « Ho bisogno del vostro aiuto... e voi del mio. Coraggio, Harry... Energia! »
Una debole luce dorata avvolse il mago, che smise di sanguinare. Le ferite, tuttavia, non si erano richiuse. Nel frattempo, gli parve di udire un’altra voce...
« Io non ho mai davvero rinunciato a te... mai » diceva, e vide il suo sorriso: lo stesso che vide pochi attimi dopo averla baciata per la prima volta. Lo ricordava perfettamente, perché era accaduto davvero. Vide la sua mano tesa in avanti, come per invitarlo ad afferrarla...
E l’afferrò.
« Avanti, Harry... riprenditi » insisté Sora. « Dobbiamo tornare a casa... Energia! Devi tornare dai tuoi amici... e da Ginny, ricordi? Energia! Non arrenderti... Energia!! »
Alla fine funzionò. La magia di Sora guarì Harry completamente: le ferite sparirono dal suo corpo e si rimise in piedi. Il mago sorrise, in un misto di incredulità e sollievo.
Non c’era tempo da perdere. Harry si sistemò gli occhiali sul naso e trovò Ed là vicino, ancora incosciente: lo raggiunse in un attimo e puntò la bacchetta sul suo braccio artificiale.
« Reparo! »
L’automail si ricompose per magia, tornando intero come la volta precedente. Harry ripeté l’azione sulla gamba, aggiustando anch’essa nel giro di un attimo. L’alchimista aprì lentamente gli occhi, ma la sua mente era altrove...
« In piedi, fratellone... »
« Io non voglio darti metà della mia vita... voglio darti tutta la mia vita. »
« In piedi, figlio mio... non arrenderti! »
Li vedeva, tra la pioggia e l’oscurità, avvolti come da una luce abbagliante. Alphonse, Winry e sua madre, sorridenti, che lo spronavano a non arrendersi. Restituì loro il sorriso e obbedì, alzandosi da terra.
Harry aveva raggiunto Lara, nel frattempo: l’archeologa stava perdendo conoscenza a causa della perdita di sangue. Il giovane mago non aveva dimestichezza con ferite da armi da fuoco, ma era certo di poter fare qualcosa per aiutarla.
« Vediamo... Accio proiettili! »
I proiettili sbucarono fuori dalle ferite, ricadendo sulla sabbia. Lara urlò per il dolore; Harry non perse altro tempo e mormorò un’altra formula: i fori si richiusero in pochi secondi, allontanando la morte anche da lei.
Lara udì nel frattempo un’altra voce...
« Io preferisco averti conosciuto ora e amato solo per un giorno, in questo mondo spezzato... piuttosto che mai in tutta la mia vita. »
« L...Luke... »
E lo vide, davanti ai suoi occhi. Luke sorrideva, ma non le porse alcuna mano, sicuro che non le occorreva il suo aiuto per rimettersi in piedi. Lara ammiccò e si rialzò, con rinnovata determinazione.
Lara raggiunse quindi Po, ancora paralizzato e disteso sulla sabbia. La sua faccia era contratta in una buffa smorfia, con gli occhi incrociati e la lingua di fuori: l’archeologa ne sapeva abbastanza da capire che Nul gli aveva bloccato i nervi con qualche strana tecnica. Afferrò l’unico rimedio su cui poteva contare, il Martello di Thor, e colpì il panda con una debolissima scarica elettrica.
« Gaaaah! »
Il corpo di Po sussultò con violenza per poi rilassarsi, ma la sua mente era invasa da molte voci...
« Po! Alzati, figliolo! »
« In piedi, Guerriero Dragone... »
« Coraggio, amico! Sei il più tosto di tutti, non mollare! »
« Panda! Smetti di poltrire e muovi quelle chiappe flaccide! »
« Tu sei Po... il Guerriero Dragone. »
Suo padre, il suo maestro, i Cinque Cicloni... credevano tutti in lui. Aveva giurato che non li avrebbe mai delusi... non poteva essere una finzione. Per questo riaprì gli occhi e si alzò in piedi, sotto lo sguardo sollevato di Lara.
« Avanti, Red, alzati! » diceva Ed nel frattempo, cercando di rimettere in piedi Hellboy. « Uff, pesi come un dannato bue... forza, reagisci! »
Hellboy non lo ascoltava, perché una voce ben più forte risuonava nelle sue orecchie...
« Ascoltami, brutto scimmione... devi riprenderti ...perché stai per diventare padre! »
Era accaduto davvero, ne era certo. La gioia dipinta sul suo volto mentre Liz gli dava quella splendida notizia, la ricordava bene... era reale, non immaginaria. Non poteva permettere che gliela portassero via.
Fittizio o no, stava per diventare padre. Niente e nessuno gli avrebbe impedito di vedere i suoi figli.
Hellboy si aggrappò quindi a Ed e si tirò su, tornando a sorridere.
« Uff... grazie, amico. »
Jake era l’ultimo rimasto. Fu Po a soccorrerlo per primo, occupandosi di togliergli il pugnale dalla schiena; il Na’vi si lamentò appena, dato che davanti ai suoi occhi aveva un’immagine completamente diversa: il buio e la pioggia avevano lasciato il posto alla luce e al verde di Pandora, che circondavano la sua bellissima compagna.
« Neytiri... »
« Ricorda, ma’Jake... siamo uniti per sempre. »
Riusciva a sentirla, la sua mano delicata che gli sfiorava la guancia. Avrebbe voluto stringerla e non lasciarla mai più... ma per farlo doveva tornare da lei; perché Neytiri era reale, così come lo era il loro legame. Non aveva importanza il fatto che fosse stato scritto da qualcuno... era più importante il fatto di mantenerlo vivo nel suo cuore. Perciò seguì l’esempio dei suoi compagni e si rialzò in piedi, aiutato da Po.
Erano di nuovo tutti in piedi, spronati dal membro più ottimista del gruppo, l’unico che non aveva mai gettato la spugna. I Valorosi si voltarono quindi verso di lui...
« Sora! »
Il ragazzo giaceva a terra, immobile, stremato per la fatica e le ferite. I sei compagni accorsero subito in suo aiuto: doveva aver perso conoscenza subito dopo aver curato Harry. Nessuno se n’era accorto prima, impegnati com’erano a curarsi dalle ferite e rimettersi in piedi.
« Oh no » disse subito Jake, chinandosi su di lui. « Non ci provare, Sora... non provare nemmeno a pensare di farci una cazzata del genere! Mi senti, ragazzino? Forza! Siamo tutti in piedi di nuovo, grazie a te! »
« Emendo... Vulnera Sanentur... » mormorava nel frattempo Harry. Le ferite si rimarginarono, le ossa si aggiustarono, il sangue si fermò... ma gli occhi di Sora rimasero chiusi.
« Avanti, Sora... riprenditi, amico! » implorò Po, così teso da mordersi le unghie di una zampa.
Per un minuto che parve interminabile, non accadde nulla. I Valorosi tacquero, pregando con tutto il cuore che non fosse la fine per un altro compagno. Poi, lentamente, Sora riaprì gli occhi.
I Valorosi sospirarono, dal primo all’ultimo, poi si abbandonarono alla gioia mentre ammiravano il largo sorriso soddisfatto di Sora, mentre questi si rimetteva in piedi con cautela. Se non si fosse appena ripreso da tutte quelle ferite mortali, lo avrebbero abbracciato fino a stritolarlo.
« Grazie, ragazzi » fu tutto quello che riuscì a dire il Custode del Keyblade.
« No... grazie a te » gli disse Jake, posando una mano sul suo capo. « Grazie... per tutto ciò che hai fatto finora. Non ce l’avremmo mai fatta senza di te... né saremmo arrivati così lontani. »
« Aah, ma dai » fece Sora, incredulo. « Non sono così straordinario come dici... in fondo non mi pare di aver fatto un granché, finora. »
« Sì, invece. Se c’è una cosa di cui sono arcisicuro in questo momento è proprio questa: io sarò anche il capitano della ciurma... ma tu, Sora, sei la nave che ci ha condotti in questo viaggio. »
« Lo sei sempre stato » aggiunse Lara con orgoglio. « Ci hai riuniti, ci hai rimesso in piedi nei momenti difficili, ci hai spinto a sorridere finché possibile... e ci hai fatto ricordare ciò che è davvero importante. Hai fatto moltissimo, Sora... grazie. »
« Grazie! » dissero tutti insieme. Sora si guardò intorno e non poté fare a meno di arrossire, poggiando le mani dietro la testa.
Ormai erano tutti d’accordo: Sora aveva ragione. Non potevano arrendersi così, non era giusto. C’era ancora qualcosa per cui i Valorosi dovevano combattere: il ricordo di coloro che amavano. Arrendersi significava tradire quei sentimenti, gettarli via come se non avessero alcun valore. Ma non potevano... non potevano dimenticarsi di loro: Kairi, Ginny, Liz, Neytiri, i Cinque Cicloni... Luke. Si erano rimessi in piedi per loro, con la rinnovata speranza di poterli rivedere o onorare la loro memoria. Forse le visioni che ciascuno aveva avuto sui propri cari erano accadute per questo motivo... ma ormai non aveva più importanza.
La pioggia cominciò a diminuire, ora che i Valorosi erano di nuovo in piedi e in forze. Non era ancora finita.
« Allora » disse Jake, guardandosi intorno. « Visto che siamo ancora in gioco, io dico di prenderci la rivincita contro quel bastardo che ci ha strizzati come strofinacci. Siete con me? »
« Direi proprio di sì » rispose Hellboy, tirando fuori un nuovo sigaro. « Al primo round abbiamo fatto schifo, ma solo perché non eravamo pronti. Credo proprio che potremo fare di meglio al prossimo. »
« Sì, ma come? » fece Po, preoccupato. « Nul è davvero fortissimo... come faremo a batterlo? »
« Deve avere un punto debole » suggerì Lara. « Ce l’hanno tutti, in fondo... dobbiamo solo scoprire qual è il suo. »
« Non sarà facile » aggiunse Ed, incrociando le braccia. « Dopotutto è stato già un miracolo essere sopravvissuti allo scontro... se Nul non fosse scappato via, a quest’ora saremmo morti di sicuro. Mi domando dove sarà andato a nascondersi. »
La risposta arrivò subito dopo. I Valorosi si voltarono, attratti da un bagliore in lontananza: videro chiaramente un sottile fascio di luce emergere da un punto all’interno della città e levarsi contro il cielo. Il tutto durò per mezzo minuto, ma per il gruppo di eroi fu sufficiente per capire.
Nul sapeva che si erano rimessi in piedi, e li stava invitando a raggiungerlo.

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Capitolo 43
*** In nome del padre ***


Capitolo 43. In nome del padre
 
Image and video hosting by TinyPic Spazio autore: eccomi qua! Pronti per lo scontro finale? Ci ho messo un po’, ma alla fine ha soddisfatto le mie esigenze... inoltre, per chi ama leggere con una buona colonna sonora in sottofondo, suggerisco questa. “Make me believe again” dei Nickelback. Io la trovo appropriata, ma sentitevi liberi di ascoltarne altre e di suggerirmele ;)
Buona lettura!
 
 
I Valorosi erano di nuovo in piedi e in perfetta salute. Sapevano dov’era il loro nemico, perché quest’ultimo si era appena preso il disturbo di segnalare la sua posizione con un raggio di luce. Ai sette compagni non restò altro da fare, dunque, che caricare le loro armi e raggiungerlo, per porre fine alla faccenda una volta per tutte.
Quando furono tutti pronti a partire, si radunarono intorno a Harry per aggrapparsi a lui, che si Smaterializzò subito dopo. La distesa di sabbia sparì da sotto i loro piedi, e un istante dopo erano giunti a destinazione.
I Valorosi lo riconobbero subito, era il Giardino dell’Eterna Illusione: un’area ai confini del Cimitero dei Mondi già visitata in passato, dove giacevano un gran numero di eroi caduti nelle battaglie precedenti. I sette compagni li videro ancora lì, rinchiusi in grandi cristalli in compagnia delle loro mogli, amanti o fidanzate... un evidente, folle tentativo da parte di Nul di rendere omaggio a tutti loro.
Trovarono Nul dopo pochi minuti di marcia. Il giovane alato dai capelli d’argento era in ginocchio, ai piedi del cristallo più grande... lo stesso dove avevano conosciuto Dylan Dog giorni prima. Dava loro le spalle mentre contemplava le due figure rinchiuse al suo interno: Naruto Uzumaki e sua moglie Hinata, congelati in un abbraccio così tenero da sciogliere persino il cuore più gelido. L’eroe scelto per combattere contro Sasuke, ora sconfitto e ridotto a un trofeo insieme alla sua dolce compagna.
Sebbene si fosse accorto del gruppo appena giunto alle sue spalle, Nul continuava a ignorarli, la mano appoggiata sul cristallo come se nulla fosse. Sembrava davvero rapito da quella visione, cosa che fece stupire molto i Valorosi. Sora, tuttavia, fece un passo in avanti, mostrandosi deciso.
« Siamo qui, Eidan » disse a voce alta.
« Lo so » mormorò lui pacato, ancora rivolto al cristallo.
« Era quello che volevi, no? Volevi che arrivassimo da te, lanciandoci quel segnale luminoso. »
« Esatto. Ho percepito il fuoco della determinazione riaccendersi nei vostri cuori, che vi ha spinto a rimettervi in piedi nonostante tutto. Non potevo restare indifferente a un simile ardore, così ho pensato di invitarvi subito a un nuovo incontro. Dopotutto, ritengo che abbiamo già perso fin troppo tempo in convenevoli. »
Nul si alzò lentamente in piedi, senza staccare gli occhi dalla coppia nel cristallo.
« Guardate questo posto » dichiarò, allargando le braccia con fare teatrale. « È venuto alla luce per volere di mio padre. Nonostante tutto, Egli rimane un sentimentale: affascinato dall’amore di tutti questi eroi, ha preteso che i loro resti fossero ben conservati fino alla fine. Le dediche incise su ognuno di questi cristalli provengono dalla Sua mano. Anche dopo avermi ordinato di procedere allo sterminio, Egli è rimasto affezionato a loro... soprattutto a loro » e indicò Naruto e Hinata. « Mentre io, Suo fedele angelo della morte, non ho potuto fare altro che invidiarli. »
Si voltò, finalmente, mostrando il suo viso ai Valorosi. Un viso solcato dall’amarezza, con occhi arrossati e colmi di infinita tristezza, come se avesse pianto come mai in vita sua.
« Mio padre aveva organizzato tutto » disse ancora, avvicinandosi al gruppo. « La mia vita, l’avventura, le battaglie... il mio amore. Era tutto pronto... doveva solo impegnarsi un po’ di più, e sarei nato; sarei... esistito. Proprio come voi. Invece... ha rinunciato a tutto! Mi ha ucciso... ha ucciso il suo sogno. »
« Eidan... » provò a dire Sora, ma dalle sue labbra non uscì altro. Non sapeva cosa dire. Non sapeva come aiutare un tipo con un problema del genere.
« Ha ucciso il suo sogno » ripeté Nul, abbassando lo sguardo e la voce. « Niente avventura, niente battaglie, niente amore. Niente. Mi ha trasformato in un niente. Importante quanto un granello di sabbia, un errore di battitura in un giornale, o quanto la trama di un film a luci rosse. »
I Valorosi restarono al loro posto, immobili e incerti. All’improvviso non sapevano più come comportarsi: Nul sembrava completamente diverso, ora... non più l’onnipotente creatura che diceva di essere, ma un povero frustrato.
« Dai, non fare così » provò a dire Po, impietosito. « Capisco che stai in un bel casino... ma troveremo una soluzione, vedrai! »
« Ce l’ho già, una soluzione. Ci ho pensato a lungo, dopo avervi lasciato agonizzanti nel deserto. Avrei dovuto uccidervi, ma non potevo... era l’ultima goccia, mi sono detto. L’ultima goccia di quell’atroce tempesta che mio padre ha scatenato su tutti noi. Be’, sono stufo... stufo marcio. Non verserò più altro sangue, a parte il Suo. Il sangue... di mio padre. »
I Valorosi si scambiarono un’occhiata confusa.
« Ehm, voialtri ci avete capito qualcosa? » domandò Ed, inarcando un sopracciglio. « Io ho perso il filo dopo “goccia”. »
« Lo ammazzerò! » esclamò Nul, tornando a guardarli. « Lo punirò per aver rinunciato ai suoi sogni... per aver sacrificato tutto ciò in cui credeva... per avermi ucciso! È la cosa giusta, ne sono certo... perché un uomo non merita di vivere se rinuncia ai suoi sogni. I sogni aiutano a vivere... senza di essi che cosa rimane? Senza sogni, l’uomo è vuoto... un mero involucro senza identità... senza volto. »
Tacque, e nel frattempo apparve una folla intorno al gruppo. Senzavolto, sbucati dal nulla come fantasmi, trasparenti e impalpabili allo stesso modo... materializzati chissà come, forse per volere dello stesso Nul. Li circondavano, come un esercito di manichini. I Valorosi si voltarono a guardarli, pronti a reagire alla minima minaccia.
« Non permetterò che mio padre diventi uno di loro » dichiarò il ragazzo alato. « Lo salverò dalla non-esistenza a cui ha scelto di unirsi. È l’unico modo per porre fine a questa follia... a questo massacro che mi ha costretto a compiere. »
I Senzavolto sparirono, lasciando i sette compagni ancora più sorpresi. Poi, lentamente, tornarono a guardare Nul.
Hellboy fu il primo a riprendere la parola.
« E il premio Oscar di quest’anno come miglior squilibrato va a... rullo di tamburi... Nul! » esclamò, simulando un applauso. « Meritatissimo, complimenti. »
Po si unì a lui nell’applauso, credendo facesse sul serio.
« Sono d’accordo » aggiunse Lara, incrociando le braccia. « Fin da quando abbiamo saputo di te ho pensato che tu fossi pazzo... ma la tua idea è folle oltre ogni immaginazione. »
« Già, è proprio un’assurdità... come pensi di arrivare a tuo padre? » domandò Jake.
« Oh, non sarà poi così difficile » assicurò Nul, mostrando un orribile sorriso. « Mi basterà prendere il volo e raggiungerlo, dopotutto. »
E indicò il cielo.
« Mio padre non può che trovarsi lassù, oltre quella coltre di nuvole che ricopre da sempre questo mondo. Là fuori c’è la realtà fredda e crudele di mio padre... la stessa che lo ha spinto a rinunciare a tutti noi. Non dovrò fare altro che prendere la Sua vita, per salvarlo dal triste futuro che ha deciso di vivere. »
Nul tese dunque una mano aperta in avanti, verso i Valorosi, come per invitarli a seguirlo.
« Unitevi a me » annunciò. « Jake Sully, Lara Croft, Po, Edward Elric, Harry Potter, Hellboy... Sora. Voi, ultimi pilastri che reggono il regno immaginario di mio padre, siete i più degni di stare al mio fianco in quest’ultima impresa. Unitevi a me, miei fratelli: insieme ci muoveremo contro colui che ha scaricati come immondizia. Spariremo, certo, ma lo faremo con onore... con la soddisfazione di aver salvato mio padre da un triste destino. »
Passarono appena pochi secondi di silenzio. Sora in particolare fu sconvolto dalla posa che Nul aveva assunto: i suoi capelli argentati, lo sguardo serio, la mano tesa in avanti... elementi che lo rendevano terribilmente simile al suo amico Riku, in un sogno che aveva fatto poco prima di diventare custode del Keyblade. Possibile che Nul lo facesse apposta?
Poi il ragazzo fece un passo in avanti, sollevando il Keyblade e puntandoglielo contro.
« Ci hai provato, Nul » disse gelido. « Ma se speravi di incantarci con i tuoi discorsi melodrammatici, posso dirti che hai fallito. Non mi unirò a te mentre decidi di uccidere qualcuno. Né io, né i miei amici... non saremo complici di un assassinio! »
Nul abbassò la mano, mostrandosi deluso.
« Sto cercando di porre fine a questo caos, non lo capite? » disse. « Questo ciclo di guerre è cominciato per volere di mio padre! È Lui che vuole la vostra morte, la vostra distruzione! E continuerà a dimenticarvi, a meno che non lo fermiamo subito. »
« Vuoi uccidere una persona » ribatté Lara. « Non esiste mondo in cui una simile azione possa ritenersi giusta! Non importa quello che ha fatto finora... tuo padre ha fatto una scelta. Forse la sua scelta sarà sbagliata per te, e per noi... ma non merita certo di morire per questo! »
« Non puoi farlo, Nul » aggiunse Harry. « Non puoi uccidere tuo padre. Ho visto altri compiere la stessa orribile, fatale scelta... come Voldemort. Vorresti davvero fare lo stesso? Non credo proprio... ma se ti senti davvero disposto a farlo, allora faremo di tutto pur di impedirtelo! »
I Valorosi sollevarono le loro armi, uno dopo l’altro, seguendo l’esempio di Sora. Nul rimase immobile ad osservarli, mentre scoppiava in una risata beffarda.
« Fate sul serio? » commentò subito dopo. « Non vi è bastata la batosta di poco fa? Speravo che aveste imparato la lezione... o credete che le cose, stavolta, andranno diversamente? Be’, non resta che scoprirlo. Vi avverto, fratelli, non ho alcuna intenzione di uccidervi... ma se mi attaccate, le cose cambiano. Vi offro un’ultima possibilità: con me, o contro di me. »
Silenzio. I Valorosi gli avevano già risposto, con i loro sguardi carichi di sfida.
« Eroi fino alla fine... pronti a combattere per difendere la vita altrui. Molto bene » dichiarò Nul con un sospiro. Spalancò le ali e si alzò in volo, superando in altezza i cristalli.
« Anche io ho molto a cuore questo posto, non voglio che sia coinvolto nella nostra lotta. Seguitemi! »
I Valorosi obbedirono, inseguendo il loro nemico mentre lasciava il Giardino dell’Eterna Illusione. Il volo di Nul fu breve, poiché atterrò poco dopo su una duna di rovine nel cuore del Cimitero; aspettò paziente i suoi avversari, che lo raggiunsero in breve tempo muovendosi tra le rovine. Si fermarono a pochi metri da lui, mettendosi nuovamente in guardia.
« Preparati, Nul! » esclamò Po determinato. « Il mio pugno ha fame di giustizia! »
Si udì un forte brontolio subito dopo, proveniente dal suo stomaco.
« Scommetto che quello era il tuo pugno, vero? » commentò Nul divertito.
« Hehe... così pare. »
I Valorosi rimasero senza parole, visibilmente imbarazzati per la parentesi comica.
« Patetici » aggiunse Nul. « Ancora non riuscite ad afferrare la portata del mio potere? Io so tutto di voi... tutto quello che c’è da sapere. Questo mi ha permesso di affrontare – e annientare – ogni eroe o malvagio che abbia mai osato attaccarmi. Volete un’altra prova? Provate a guardare sotto i vostri piedi. »
I Valorosi abbassarono lo sguardo, e alcuni si lasciarono sfuggire un gemito di stupore. Solo in quel momento si accorsero di essere saliti sul cadavere di un uomo gigantesco, vestito con una corazza viola-azzurra e dotato di un grande elmo a due lobi. Giaceva su un fianco semisepolto dalle macerie, mostrando il volto in decomposizione avanzata. Nessuno degli eroi presenti parve riconoscerlo, ma Nul riprese la parola in quel momento.
« Vedete? Quello era Galactus, un divoratore di pianeti. Annientava miliardi di vite in pochi attimi per nutrirsi dell’energia planetaria... ma non è riuscito ad annientare me.
« E questa? » aggiunse, afferrando da terra una lancia spezzata. « Apparteneva a Odino, Padre di Tutti e onnipotente Signore di Asgard... e l’ho spezzato, insieme ad essa. E non sono rimasti che pochi brandelli di Bhunivelze, divinità suprema di Pulse, sparsi dappertutto in questo Cimitero! Credevate che la vostra alleanza avrebbe potuto mettermi in difficoltà? Io ho affrontato gli dèi stessi: Thor, Bills, Kratos... da qualunque mondo provenissero, li ho schiacciati tutti come scarafaggi. Voi cosa sperate di fare? »
« Rraaaaah! »
L’urlo di rabbia di Jake Sully pose fine al discorso. Il Na’vi si fece avanti con il mitra in mano, sparando una raffica di colpi contro Nul per farlo tacere. Il ragazzo alato si levò subito in volo, schivando tutti i proiettili, descrivendo un arco sopra le loro teste; atterrò alle spalle di Jake, e quando i Valorosi si voltarono videro che si era già trasformato per “adattarsi” alle abilità del Na’vi. Nul si avventò quindi su Jake, e i due rimasero a stretto contatto; dopo una breve lotta corpo a corpo, Jake ebbe la peggio e fu scagliato all’indietro, così forte da travolgere Hellboy e Po. Ed si fece avanti, trasmutando il suolo: da esso si sollevò una colonna di rovine che fu sparata contro Nul; questi tornò a dimensioni normali, batté le mani e toccò la colonna, trasmutandola in sabbia che ricadde al suolo.
« Stupeficium! » gridò Harry nel frattempo. Il suo incantesimo saettò contro Nul ma lo mancò. Il ragazzo alato si Smaterializzò subito dopo e riapparve accanto a Harry, armato di bacchetta.
« Crucio! »
Harry fu preso in pieno e urlò, ma riuscì a rimanere in piedi. Nul scagliò un’altra maledizione, ma Sora apparve dal nulla e deviò il colpo con il suo Keyblade; il ragazzo avanzò e sferrò una serie di colpi, ma Nul aveva già cambiato tecnica. Due Keyblade apparvero sulle sue mani e parò ogni colpo, fino a respingere Sora.
« Thundaga! »
Nul evocò una potente scarica elettrica, dritta contro Sora. Il ragazzo fece appena in tempo a premere il pulsante sulla piastra applicata alla sua spalla: l’Armatura del Keyblade lo ricoprì subito, proteggendolo dall’attacco. Nul restò a guardare, visibilmente ammirato.
« Sei davvero straordinario » commentò. « È un vero peccato che ci troviamo ai lati opposti del campo di battaglia. »
« Puoi sempre venire dalla nostra parte! » ribatté Sora, ansimando. « Non è troppo tardi, Eidan... rinuncia al tuo piano, finché sei in tempo! »
« È già troppo tardi. Mio padre ci ha abbandonati, non vuole più saperne di noi... è giusto che Egli scompaia insieme ai Suoi sogni. »
« Ora! »
Po ed Hellboy erano apparsi ai lati di Nul, pronti a sferrargli un colpo combinato. Il ragazzo si abbassò di scatto, e i due eroi si colpirono in faccia a vicenda, crollando a terra un secondo dopo. Nul ridacchiò soddisfatto, ma nel frattempo si era fatta avanti Lara: l’archeologa gli puntò contro le pistole e sparò; Nul corse di lato schivando le pallottole, saltò e spalancò le ali, manifestando nel frattempo due pistole identiche. Mentre atterrava, sparò con precisione alle armi di Lara, strappandogliele dalle mani; in un attimo le arrivò alle spalle e l’afferrò, stringendola con un braccio per la vita e puntandole una pistola alla testa.
Gli altri Valorosi rimasero immobili. Ora che Nul teneva sotto tiro uno di loro, non potevano rischiare che accadesse l’irreparabile. Rimasero perciò a guardare inermi, mentre il ragazzo alato stringeva la presa su Lara, avvolgendola con le sue ali.
« Così bella... così forte » mormorò, rivolto a lei. « È un vero peccato che io sia costretto a spegnere in un attimo queste qualità. Credimi... mi dispiace davvero. »
Abbassò il cane della pistola, pronto a sparare...
Zwhoom!
« Gaaaaah! »
Qualcosa di simile a un lampo azzurro aveva colpito Nul alle spalle, facendolo gridare e poi cadere a terra. Libera dalla sua presa, Lara si allontanò in tutta fretta per ricongiungersi ai Valorosi; un attimo dopo videro qualcuno atterrare con un balzo davanti a loro. Si trattava di un uomo, avvolto in un mantello nero con il cappuccio e armato di una spada laser azzurra. Costui dava loro le spalle, ma il suo aspetto non lasciava spazio ai dubbi.
Un Cavaliere Jedi.
« Ma quello... » fece Po, incredulo, ma non finì la frase.
« Luke? »
Il nome pronunciato da Lara fece voltare il nuovo arrivato, mostrando ai Valorosi il suo viso. In effetti somigliava a Luke, ma fu subito chiaro che non era lui. Appariva come un giovane sulla ventina, alto e bello, con capelli bruni medio-lunghi e occhi dorati; una sottile cicatrice solcava la sua fronte in verticale, sopra l’occhio destro. I suoi abiti erano quelli di un Jedi, ma di colore nero.
« Scusate il ritardo » dichiarò lo sconosciuto con serietà. « Ho dovuto fare parecchia strada per raggiungervi. Pare che io sia arrivato in tempo, comunque... state tutti bene? »
« Ehm... sì, grazie » rispose Ed, incerto. « Ma tu chi sei? Non sei Luke... »
« No. Ma faccio pur sempre parte della famiglia. »
I Valorosi si scambiarono un’occhiata confusa, ma poi Sora cominciò a capire. Il ragazzo si mostrò incredibilmente sorpreso mentre si toglieva l’elmo per osservare meglio il nuovo arrivato.
« Un momento » disse. « Non sarai mica... Darth Vader? »
« Quel nome non ha più importanza » rispose il Jedi.
« Tu... saresti il padre di Luke? » obiettò Jake, osservandolo bene. « Com’è possibile? Sembri ancora un ragazzo. »
« È una lunga storia. Sono quello che sono sempre stato... sono Anakin Skywalker, e sono uno di voi. Sono venuto per unirmi a voi in quest’ultima battaglia, per onorare la memoria di mio figlio... con la distruzione del nostro ultimo nemico. »
Rivolse lo sguardo in avanti, seguito dai suoi alleati. Nul si stava rimettendo in piedi, e guardò Anakin a sua volta.
« Any! » esclamò sorpreso. « Ne è passato di tempo, vecchio mio. Cosa ci fai da queste parti? »
« Mi appresto a mantenere la promessa che ti ho fatto l’ultima volta, Nul » dichiarò Anakin, gelido. « Ho promesso che ti avrei ucciso se fosse accaduto qualcosa a Luke, ricordi? E io sono sempre stato un uomo di parola! »
« Uhm... sì, me lo ricordo. Be’, per me non ci sono problemi... la mia festa rimane aperta a tutti! »
Anakin rimase in posizione mentre i Valorosi si avvicinavano per affiancarlo. Alcuni lo fissavano ancora con aria incredula: in effetti dovevano ammettere che non aveva un’aria molto rassicurante. I suoi occhi dorati erano inquietanti, terribilmente simili a quelli dei nemici di Sora; un altro marchio del Lato Oscuro, che non lo aveva abbandonato del tutto. Ed fu tentato di chiedergli se potevano fidarsi di lui, ma Anakin lo anticipò.
« Grazie per esservi presi cura di mio figlio » dichiarò. « Permettetemi di ricambiare, combattendo al vostro fianco. Vi prometto che farò tutto ciò che è in mio potere per annientare Nul. »
Molti dei Valorosi annuirono, seguendo l’esempio di Sora che si pose subito al suo fianco.
Nul era rimasto al suo posto, ma ora sul suo volto era comparsa una nuova espressione: sembrava preoccupato. Jake fu il primo ad accorgersene, ed associò subito la reazione a ciò che era accaduto poco prima.
Anakin era riuscito a colpirlo.
« Come ci sei riuscito? » chiese, rivolgendosi al Jedi. « Finora nessuno dei nostri colpi era andato a segno. »
« Oh, diventa tutto più facile dopo aver scoperto il punto debole del nemico » rispose lui con un sorriso. « Dico bene, Nul? »
Il ragazzo alato non rispose, limitandosi a scrutarlo minaccioso.
« Che vuoi dire? » domandò Sora.
« Voglio dire che costui non è così potente come vuole farci credere. Certo, sa un sacco di cose sul nostro conto e sa imitare i nostri poteri alla perfezione... ma queste conoscenze e capacità di cui si vanta hanno comunque un limite. Sono riuscito a colpire Nul perché in quel momento stava imitando i poteri di Lara... e con quelli non poteva sperare di difendersi dal mio attacco. »
I Valorosi si scambiarono un’occhiata incredula. Cominciavano a capire.
« Un momento » fece Harry, ragionando. « Vuoi dire che Nul non può imitare tutti i nostri poteri? »
« Non può imitarli tutti insieme, ma solo uno alla volta » rispose Anakin. « Inoltre, per imitare e contrastare i poteri di qualcuno, deve necessariamente vederlo. Il contatto visivo è essenziale nella sua strategia... ecco come fa ad adattarsi così velocemente. »
« Quindi, per riuscire a ferirlo, bisogna attaccarlo con un potere diverso da quello che sta utilizzando in quel momento » osservò Lara.
« Precisamente. Sono intervalli di tempo molto brevi, ma dobbiamo sfruttarli. È l’unico modo per abbatterlo. »
Calò il silenzio mentre i Valorosi assimilavano le nuove, preziose informazioni. Dopo tutto quello che avevano passato a causa sua, possibile che il punto debole di Nul fosse così semplice? Stentavano a crederci, ma Anakin aveva appena infranto il muro di onnipotenza dietro il quale quell’essere si era nascosto per tutto il tempo... un muro molto più fragile del previsto.
Poi il silenzio fu rotto da un applauso, sorto dalle mani dello stesso Nul.
« Complimenti, Any » annunciò, quasi soddisfatto. « Ancora una volta sei riuscito a sorprendermi. Hai superato ogni mia aspettativa, spingendoti più in là di chiunque altro abbia mai provato a sfidarmi. Non posso che ribadire ciò che ti ho detto al nostro ultimo incontro... qualsiasi veste tu scelga di indossare, resti sempre il migliore! »
« Le tue lusinghe non impediranno alla mia spada di farti a pezzi! » ribatté il Jedi, sollevando l’arma. « E ora che sappiamo come fare, stai pur certo che ci riusciremo! »
Nul mantenne lo sguardo su di lui, estraendo a sua volta una spada laser identica.
« Allora fatevi sotto... vi sto aspettando. »
Anakin scattò in avanti, dritto contro di lui. I Valorosi lo seguirono a ruota, armi in pugno; si fermarono a poca distanza, non appena il loro nuovo alleato incrociò la spada laser contro quella di Nul. In un attimo si trovarono ad osservare un duello impressionante: l’ex-Sith contro l’angelo dai capelli d’argento, le spade che si scontravano in un turbine di lame azzurre. Anakin attaccava con audacia e furia, cercando di spezzare la difesa del nemico con affondi letali; il suo stile di combattimento era molto più aggressivo quello di Luke, nonostante il legame che li univa. Il Lato Oscuro della Forza era ancora forte in lui, anche dopo aver abbandonato i panni del Sith in cui era rimasto prigioniero per anni. Eppure riusciva a usare quel potere malvagio a fin di bene, ricordando le preziose parole di Sora...
« Qualcuno che è caduto nell’oscurità. Questo dovrebbe rendermi tuo nemico... non sei tu forse un difensore della luce? »
« Be’, sì... ma solo se usi l’oscurità nel modo sbagliato. »
Quel giorno, era in grado di usarla nel modo giusto.
Nul evocò un Fulmine di Forza con la mano libera, scagliandolo su Anakin. Il Jedi riuscì a proteggersi con la spada laser, assorbendo la scarica; Nul scagliò altri Fulmini, ma Anakin non cedette, opponendo una fiera resistenza.
« Urgh... ora, ragazzi! »
Al segnale di Anakin, i Valorosi si fecero avanti. Jake agì per primo, scagliando una freccia contro Nul; questi la schivò, ma Sora attaccò nello stesso momento. Il suo Keyblade trovò un’apertura e lo colpì in faccia, spingendolo all’indietro. In un attimo, la teoria di Anakin fu confermata con successo!
Gli eroi non persero tempo ad esultare per il colpo appena andato a segno. Non potevano dare un attimo di tregua al loro nemico, così ripresero subito l’attacco. Nul si era già avventato su Sora, evocando due Keyblade un’altra volta; il ragazzo parò il colpo, e nel frattempo si era fatto avanti Ed, trasmutando il suolo davanti a sé. Nul fu scagliato in alto da un gigantesco pugno fatto con le macerie; spalancò le ali per non precipitare, ma Lara ed Hellboy avevano già preso la mira con le pistole. Insieme spararono una lunga raffica di colpi, costringendo Nul sulla difensiva per un po’. Alla fine il ragazzo alato si tuffò in picchiata, dritto contro di loro...
« Prendi questo! »
Po intervenne, parandosi di fronte a Lara. Tese le zampe in avanti, da cui eruppe una sfera luminosa che colpì Nul in pieno, scaraventandolo a terra con una piccola esplosione.
I Valorosi si radunarono, sollevati per la nuova piega presa dagli eventi. In quel momento, tuttavia, Nul si rialzò in piedi: sul corpo recava appena pochi graffi, e sul suo viso era impressa la solita aria beffarda.
« Non male » commentò, togliendosi un po’ di polvere dai vestiti. « Quello era un Colpo di Chi, vero? La tecnica di T’ai Fu... i miei complimenti, Po, non mi aspettavo che sapessi usarla con tale maestria. »
Il panda strinse i pugni, guardandolo con rabbia.
« Non è l’unica cosa che ho imparato da T’ai » disse. « E se continuerai a prendertela con i miei amici, ti farò assaggiare tutto il resto! »
Nul attaccò non appena Po smise di parlare. Il ragazzo alato si scagliò su di lui, rapido come una belva in corsa, ma non lo raggiunse mai: Anakin lo intercettò da un punto cieco prima che potesse colpire, ferendolo al fianco con la spada laser. Nul cadde nuovamente a terra; il Jedi si parò di fronte a lui, puntandogli la lama alla gola per impedirgli di alzarsi.
« Sei solo un volgare imitatore » disse Anakin. « Non hai nessun potere! »
Nul smise di gemere per il dolore al fianco, dove era stato colpito, e scoppiò a ridere di gusto.
« Haha... nessun potere? Osserva, allora, quanto ti sbagli. Io... ho... POTERE! » puntò le dita in avanti, da cui eruppero Fulmini di Forza in quantità. « ILLIMITATO POTEREEEEEE!!! »
Anakin fu costretto a indietreggiare, parando i Fulmini con la spada laser. La scarica aveva una potenza micidiale, persino lui faticava a trattenerla con la sua tecnica di assorbimento. Nul urlava trionfante contro di lui, continuando a emettere quell’incredibile potere.
« Ricordi, Any? Ricordi queste parole? La voce dell’ombra che avresti potuto fermare... ma che invece hai permesso di dilagare per tutta la Galassia... e dentro di te! Ricorda... il potere che tu hai... urgh! »
Qualcosa si era avventato sulla faccia di Nul, tappandogli la bocca. Anakin vide una mano di pietra rossa, apparsa come dal nulla, stringere la presa sul nemico e allontanarlo da lui. Alzò lo sguardo e riconobbe Hellboy, ora impegnato a sbattere Nul qua e là con una forza enorme, tenendolo per la faccia. Il demone lo scaraventò infine a terra, e concluse sferrandogli un ultimo, micidiale pugno allo stomaco.
« E ora... resta giù! » dichiarò Hellboy, ansimando.
Nul non lo ascoltò. Dopo una manciata di secondi si apprestò a rimettersi in piedi, sotto lo sguardo incredulo dei suoi avversari. Sporco e malconcio, le ali erano spiegazzate e aveva un po’ di fiatone: cominciava ad accusare la fatica, finalmente; tuttavia non presentava ferite gravi. Lo squarcio sul fianco provocato dalla spada laser di Anakin si era richiuso, il che lasciava intendere che fosse in grado di rigenerarsi. Ma erano i suoi occhi a fare più impressione: occhi di ghiaccio, colmi di delusione e rabbia.
Anche se i Valorosi erano in vantaggio, erano certi di non poter concludere facilmente un simile duello.
« Però, è davvero testardo » commentò Harry, incredulo.
« Mi ricorda qualcuno » aggiunse Sora. « Be’, in verità mi ricorda tutti noi. »
« Idioti... » mormorò Nul. « Credevo fosse chiaro... non si può uccidere uno che non è mai nato. Come potrebbe morire uno come me, che non ha mai assaporato il dono della vita? Anche se ora sapete come contrastarmi... non importa quanto ci proverete... non riuscirete ad uccidermi. »
« Vorrà dire che ci limiteremo a fermarti » ribatté Jake, deciso. « E continueremo a prenderti a calci in culo pur di riuscirci! »
« Io non mi fermerò... MAI! »
Nul spalancò le ali, pronto a un nuovo assalto. Anakin lo intercettò, usando la Forza per lanciargli addosso una gran quantità di armi e rovine prese dallo scenario. Il nemico si difese, respingendo o distruggendo gli oggetti con la spada laser. Harry si fece avanti e gli lanciò una fattura; Nul si voltò a guardarlo e si Smaterializzò un attimo prima di essere colpito. Riapparve poco lontano, ma Hellboy fu pronto a riceverlo e gli sparò; Nul fu colpito al petto ma non cadde. Il suo braccio destro divenne di pietra e si scagliò sul demone; Anakin glielo tranciò di netto con un fendente. Jake lo attaccò subito dopo, trapassandolo con una freccia; sperò che la neurotossina con cui era intinta fosse in grado di paralizzarlo, ma non fece alcun effetto. Nul si adattò nuovamente a lui, rigenerando il braccio e aumentando di dimensioni, ma Po lo raggiunse in quel momento, sferrandogli una lunga combo di kung fu.
« Pugno della Tigre! » urlò infine il panda, concludendo con un uppercut spettacolare. Nul fece un volo all’indietro di parecchi metri, per poi rovinare a terra.
Si rialzò pochi secondi dopo, sotto lo sguardo esterrefatto di tutti. Ormai aveva perso l’autocontrollo e le stava prendendo da tutti, ma sembrava non importargli... né bastargli. Per quanto i Valorosi ci provassero, mettendo tutta la loro forza in ogni attacco, il loro nemico non era disposto a cedere.
« Non possiamo tirarla ancora per le lunghe » mormorò Jake, visibilmente affaticato. « Di questo passo finiremo per andare al tappeto prima di lui. »
I suoi compagni furono costretti a dargli ragione, poiché accusavano la fatica quanto lui.
« Maledizione... » aggiunse Lara. « Riusciamo a ferirlo ma non a distruggerlo... cosa possiamo fare più di questo? »
« Io avrei un’ultima carta da giocare » intervenne Harry, restando indietro. « Non l’ho mai tentata prima, ma sono certo che Nul non potrà difendersi come ha fatto finora. È molto pericoloso... ma al punto in cui siamo, tanto vale correre il rischio. »
« Sei certo che sarà efficace contro di lui? » obiettò Sora.
« Di certo non se lo aspetterà. Questo è un incantesimo che ho imparato da Rina in ospedale, da usare solo in caso di emergenza... be’, a quanto pare è arrivato il momento di usarlo. »
Jake e gli altri compagni si scambiarono un’occhiata, e annuirono dopo una breve esitazione.
« D’accordo » dichiarò il Na’vi. « Dicci cosa ti serve. »
« Solo un po’ di tempo per pronunciare la formula magica. Pensate a distrarre Nul, nel frattempo... ma cercate di restare indietro: questo incantesimo ha un raggio d’azione enorme. »
« Ricevuto. »
Jake, Sora e Anakin si fecero avanti, parandosi di fronte a Nul. Il giovane alato era rimasto dov’era, apparentemente indifferente a tutto ciò che aveva subito negli ultimi minuti. Il suo sguardo era perso nel vuoto, come se non sapesse più di trovarsi nel bel mezzo di uno scontro. I Valorosi ignoravano del tutto quale sarebbe stata la sua prossima mossa, ma ora dovevano solo pensare a guadagnare tempo.
« Ne hai avuto abbastanza, Nul? » esclamò Jake, attirandolo con la sua voce. « O ne vuoi ancora? Noi possiamo andare avanti per tutto il giorno, se per te va bene. »
Alle sue spalle, Harry cominciò a pronunciare la formula, unendo le mani come in preghiera.
« E' più oscuro del crepuscolo... è più rosso del sangue... è sepolto sotto la marea del tempo. »
« Sarei molto felice di porre fine al nostro conflitto proprio ora » affermò Nul, « se solo vi decideste ad unirvi alla mia causa. Se solo vi rendeste conto... che ora è mio padre il vero nemico! »
« In nome della pace e della giustizia... io invoco la fonte di tutti i poteri più remoti dell'oscurità. »
« Scordatelo! » dichiarò Anakin nel frattempo. « Ora sei tu il nostro nemico... lo sei sempre stato! »
« Ho bisogno di loro perché mi aiutino a distruggere per sempre i miei nemici... »
« Qui non si tratta di scoprire chi sia il vero nemico » aggiunse Sora. « Si tratta di affrontare coloro che agiscono nel modo sbagliato... come te, Eidan! Uccidere è sbagliato, lo è sempre stato: non è il modo migliore per risolvere un problema! E se agirai in questo modo, noi faremo tutto ciò che è in nostro potere per fermarti. »
« ...e coloro che saranno tanto sciocchi da osare ostacolarmi credendosi invincibili. »
« Allora non abbiamo altro da dirci » rispose Nul, mostrandosi sempre più deluso. « Non importa quanto ci proverete... non importa quanto mi attaccherete. Io non morirò, non mi fermerò... ma voi sì. Cadrete, come tutti gli altri! »
« Tutti a terra! » urlò Harry all’improvviso. « DRAGON SLAVE! »
Il giovane mago si era fatto avanti, puntando la bacchetta contro Nul mentre i suoi compagni obbedivano all’ordine. Un grande fulmine rosso scaturì dalla Bacchetta di Sambuco e fu sparato dritto contro il nemico; questi apparve incredulo per un istante, prima di estrarre a sua volta una bacchetta.
« Proteg... »
Ci fu un lampo, che divenne subito un bagliore accecante. Ne seguì un’esplosione immensa, tale da far vibrare l’aria stessa; i Valorosi si erano buttati tutti a terra, facendo del loro meglio per resistere all’onda d’urto. Edward fece in tempo a trasmutare il terreno, creando una paratia sufficiente per riparare l’intero gruppo. Il boato si trasformò lentamente in silenzio, e lo spostamento d’aria si attenuò fino a fermarsi del tutto.
Una volta diradatosi il fumo dell’esplosione, i Valorosi osarono affacciarsi dal loro riparo. Davanti a loro, c’era solo distruzione: il raggio dell’esplosione era stato enorme, proprio come se lo avesse scagliato Rina. Nel Cimitero dei Mondi si era formato ora un gigantesco cratere fumante; l’onda d’urto era stata così forte da abbattere persino i tre edifici più vicini, facendoli crollare come castelli di carte. Di Nul non c’era traccia.
« Sarà morto? » domandò Po ansioso.
« Chi lo sa » rispose Anakin, cupo. « Lui stesso ha ripetuto più volte di non poter morire... perché non è mai nato. Forse mentiva... o forse non era consapevole dei suoi limiti. »
« Hah... speriamo che sia finita, allora » fece Harry, ansimando pesantemente. « Dubito di poter scagliare un altro Dragon Slave nell’immediato futuro. Uff... Rina non mi aveva detto che fosse così faticoso... »
Per un po’ non accadde nulla. I Valorosi rimasero in piedi, immobili, in attesa che il nemico si rifacesse vivo all’improvviso. Silenzio e rovina regnarono ancora una volta sul Cimitero dei Mondi.
Poi la terra cominciò a tremare. Dapprima leggermente, poi sempre più forte. I Valorosi videro pezzi del suolo sollevarsi da terra, come se all’improvviso fosse venuta meno la forza di gravità; lo stesso accadde ben presto a loro stessi. Il gruppo di eroi si trovò a galleggiare nell’aria, privi di peso, senza alcun controllo.
« Ommamma! E ora che succede? » protestò Ed.
« E che ne so? » gridò Jake. « Dannazione, si mette sempre peggio... presto, aggrappatevi a qualcosa! Restiamo uniti! »
I suoi compagni obbedirono, cercando di raggiungere l’oggetto più grosso e solido a cui reggersi. Il fenomeno sembrava peggiorare ad ogni istante. Nessuno riusciva a capire cosa stava succedendo, ma la risposta si manifestò nel frattempo davanti ai loro occhi: Nul era riapparso. Il giovane alato si trovava proprio al centro del turbine di detriti: appariva assai malconcio questa volta, dopo aver preso in pieno il Dragon Slave; aveva perduto un’ala, i vestiti erano ridotti a brandelli, e il suo volto era segnato da crepe come se fosse fatto di ceramica. Eppure aveva ancora un grande potere, tale da scatenare quella specie di tempesta. Attraeva a sé tutto ciò che si trovava nel suo raggio d'azione: macerie e rocce, armi e spade, robot e astronavi, auto e veicoli... rovine di ogni sorta vorticavano intorno a lui come un uragano; interi pezzi del Cimitero dei Mondi inesorabilmente sollevati e scagliati verso l’alto, portando con sé anche i Valorosi. Essi tentarono di resistere e divincolarsi, di sfuggire alla forza d’attrazione, ma era tutto inutile.
Nessuno riuscì a capire il nuovo intento di Nul, ma la direzione era chiara: il cielo. Il ragazzo alato si muoveva lentamente verso l’alto, e altrettanto faceva l’enorme massa di rovine, formando un’immensa colonna che diventava sempre più grande. E i Valorosi erano al suo interno, impotenti come foglie secche.
« Dobbiamo fermarlo! » gridò Lara, reggendosi al suo fragile appiglio. « Presto... o moriremo tutti! »
« Buona idea! » rispose Hellboy. « Qualcuno sa come raggiungere quel bastardo? Accetto suggerimenti! »
Nessuno rispose. In compenso la forza gravitazionale aumentò, a tal punto che molti Valorosi rischiarono di perdere la presa dai loro appigli. Anakin intervenne, senza dire una parola: con il potere della Forza fu in grado di afferrare i suoi compagni uno per uno, impedendo loro di essere spazzati via. Riuscì in questo modo a trarli in salvo, facendoli atterrare senza danni sul ponte di una nave pirata.
Sora ne fu sorpreso, perché anche in quel caos riuscì a riconoscere la Perla Nera.
« Grazie, Anakin » commentò Jake.
« Dovere » tagliò corto lui, rivolgendo lo sguardo altrove. Nul continuava a salire verso l’alto, al centro del vortice che diventava sempre più grande. I Valorosi fecero del loro meglio per reggersi alla nave, ed Harry evocò delle corde a cui si legarono per non essere spazzati via.
Anakin guardò in avanti per un po’, in silenzio, poi si rivolse nuovamente al gruppo.
« Devo andare » annunciò con serietà. « Fermerò Nul, in un modo o nell’altro, e porrò fine a tutto questo. È stato un onore combattere al vostro fianco. »
« Cosa? » fece Sora. « Ehi, non essere così tragico... non avrai mica intenzione di sacrificarti? »
Anakin non rispose, ma dal suo sguardo era evidente che fosse così. Ed, Harry e Po lo fissarono esterrefatti a loro volta.
« È giusto così » disse ancora il Jedi. « Dopotutto, tra voi io sono l’unico a non avere un mondo o una famiglia da cui tornare. Io sono già morto, e comunque vadano le cose dovrò tornare nel regno dei morti. Per cui, è giusto che io ritorni da dove sono venuto... portando con me l’ultimo nemico. »
Tacque, e nel frattempo tagliò la corda a cui era legato. Prima di andare, tuttavia, sorrise ai suoi compagni: un sorriso sincero e orgoglioso, come i suoi occhi... anche se corrotti dall’oscurità. Gli occhi e il sorriso di un uomo che aveva già fatto la sua scelta, per quanto dolorosa potesse essere: Anakin aveva scelto la via giusta da seguire... l’ultima che gli restava.
« Grazie, Sora » disse infine, attirando l’attenzione del ragazzo. « Mi hai insegnato una lezione importante... non la dimenticherò. »
« Heh... prego! »
Non aspettò saluti, ordini, ringraziamenti o parole di altro genere, e voltò le spalle a tutti, spada laser alla mano; spiccò un balzo enorme e lasciò la Perla, atterrando su una roccia vicina; saltò ancora, e ancora, spostandosi a gran velocità tra le rovine trasportate dal vortice. Tra i Valorosi era l’unico in grado di potersi muovere liberamente in quel caos: la Forza lo guidava e lo proteggeva, portandolo sempre più vicino alla fonte di tutto.
I Valorosi non potevano far altro che restare a guardare, tesi come spettatori al momento cruciale di un film catastrofico. Ben presto la sagoma di Anakin divenne difficile da distinguere: se non fosse stato per la sua lama azzurra, lo avrebbero perso subito di vista tra le macerie volanti.
« Oooh, non oso guardare! » esclamò Po, coprendosi gli occhi. « Credete che ce la farà? »
« Ma certo » dichiarò Sora, sicuro di sé. « Lui è un eroe, dopotutto... e sappiamo tutti cosa fanno gli eroi alla fine dell’avventura, no? »
Anakin era giunto nel frattempo a destinazione. Atterrò sull’ultimo frammento del Cimitero che lo separava da Nul, sospeso nell’aria mentre trascinava ogni cosa con sé. Sollevò la spada e si lanciò contro di lui, senza alcuna paura...
« Gli eroi vincono. »
La lama di luce trapassò il petto di Nul, ponendo fine a tutto nel giro di un istante. Il ragazzo alato urlò, sempre rivolto al cielo: la sua ascesa fu interrotta e cominciò a precipitare, portando con sé Anakin... e tutto il resto. La forza del vortice si arrestò, ed ogni rovina del Cimitero cominciò a ricadere verso il basso.
Se prima i Valorosi temevano di fare una brutta fine con la salita, ora temevano di farla per l’esatto contrario. La Perla Nera seguiva infatti l’esempio di quell’enorme massa di macerie, e ora precipitava senza alcun controllo.
« HARRY! » gridò Jake, già consapevole di come cavarsela.
« Lo so! » rispose il ragazzo. « Aggrappatevi tutti a me, subito! »
I compagni obbedirono e si avvicinarono a lui, afferrandolo per l’ennesima volta. La Perla si avvicinava al suolo fin troppo rapidamente. Harry non perse altro tempo e si Smaterializzò, portando tutti con sé. Il gruppo riapparve poco lontano, in piedi su una duna fuori dal raggio d’azione del vortice. Videro le ultime rovine mentre ricadevano al suolo, provocando un’enorme cortina di polvere e detriti.
I Valorosi rimasero al loro posto, aspettando che tutto si calmasse. Non sapevano dire se fosse finita, né se Anakin o Nul fossero sopravvissuti al disastro. Aspettarono a lungo, finché anche la nuova nube di detriti non si dissolse; Jake ne approfittò dunque per scrutare il luogo al centro del disastro.
« Vedi qualcosa? » domandò Sora, ansioso.
« Sì... mi sembra di vedere qualcuno, laggiù » rispose il Na’vi. « Qualcuno ancora vivo. Non riesco ancora a vederlo bene, però... »
« Andiamo » dichiarò Hellboy, facendosi avanti. « Se è Skywalker, dobbiamo aiutarlo. Se invece è Nul, dobbiamo assicurarci che non ripeta altre bravate del genere. »
Furono tutti d’accordo, e un attimo dopo si rimisero in marcia verso l’obiettivo. Raggiunsero l’area e rallentarono il passo, muovendosi con cautela tra le rovine; la sagoma che Jake aveva avvistato cominciò lentamente a prendere forma, finché non lo riconobbero.
Era Anakin, in piedi e apparentemente in buone condizioni fisiche. Era sopravvissuto miracolosamente alla caduta, ricorrendo ai suoi poteri. Non badò ai suoi compagni mentre si avvicinavano a lui con aria sollevata, impegnato com’era a tenere sotto tiro colui che giaceva ai suoi piedi. Nul, sconfitto ma ancora vivo, il corpo ridotto in pessimo stato: era ben visibile il foro nel petto provocato dall’ultimo attacco di Anakin, da cui però non fuoriusciva nemmeno una goccia di sangue. Aveva lo sguardo perso nel vuoto, come se ogni cosa intorno a lui avesse cessato di esistere... nonostante avesse una spada laser puntata alla gola. I Valorosi lo fissarono increduli, mentre riprendeva la parola.
« Il nostro scontro... è inutile » mormorò, rivolto al cielo. « Anche se potessi morire... voi non tornereste a casa. Mio padre... non vi rivuole nel suo mondo. Non vuole una vita sprecata tra inutili fantasie e avventure fittizie. Rassegnatevi, è finita... è come vi ho detto fin dall’inizio: non c’è vittoria... e non c’è ritorno! »
Un bagliore dorato si accese all’improvviso sopra Anakin e Nul, ancora a stretto contatto. Quest’ultimo assunse un’aria sorpresa mentre rivolgeva l’attenzione oltre il viso di Anakin: un sottile raggio di luce ora li avvolgeva, e proveniva dalla coltre di nuvole sopra di loro. I Valorosi alzarono lo sguardo, per capire cosa stava succedendo. Si era aperto un piccolo varco nella spessa coltre grigia che ricopriva il cielo, permettendo alla luce di brillare finalmente su Oblivion.
Nul rimase immobile al suolo, impietrito per lo stupore, ma le sue labbra curvarono lentamente in un sorriso di pura gioia mentre quella luce lo inondava.
« Padre... »
Anakin tornò a guardarlo, sorpreso.
« Cosa hai detto? »
« Mio padre... mio padre è qui! »

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Capitolo 44
*** Ricordati di me ***


Capitolo 44. Ricordati di me
 

Burton Castle.
Gli abitanti del cupo castello in rovina avevano interrotto le loro attività all’improvviso, a causa del nuovo evento che aveva attirato la loro attenzione. Edward, Willy Wonka, Sweeney Todd, Barnabas Collins, Victor Van Dort e il Cappellaio Matto avevano rivolto tutti lo sguardo verso il cielo... dove per la prima volta, da quando avevano messo piede su Oblivion, vedevano spuntare la luce del sole.
Un grande fascio di luce sbucò da un varco tra le nuvole e avvolse l’intero castello, attirando i suoi ospiti come insetti verso una trappola fulminante. I personaggi sembravano più che increduli alla vista di quel fenomeno, e lo furono ancor di più nel constatare l’effetto che faceva su Barnabas. Il vampiro, che in quanto tale avrebbe dovuto prendere fuoco a contatto con la luce solare, non subiva alcuna conseguenza mortale.
« Com’è possibile? » osservò Todd, stupito. « Come mai non sei ancora diventato cenere? »
« Perché quello non è il sole, mio feroce e irritante socio » rispose Barnabas, ancora rivolto al cielo. « Ignoro la sua vera natura, ma ormai essa diventa irrilevante... se paragonata alla consapevolezza di ciò che sta per accadere. »
Nessuno pensò di obiettare alla risposta del vampiro. Percepivano la stessa cosa, in effetti: un’enorme sensazione di pace, di sollievo, ricevuta subito dopo essere stati colpiti da quella luce. Ognuno di loro vedeva e sentiva qualcosa di diverso: persone care, luoghi in cui desideravano tornare, nitidi come se fossero davvero davanti ai loro occhi.
Lo sapevano, dal primo all’ultimo. Stavano tornando a casa.
 
Malebolgia.
I demoni e le creature che popolavano la città infernale videro anch’essi la luce sbucare dalle nuvole. All’inizio ne furono intimoriti, perché molti di loro temevano la luce; ma poi, lentamente, divennero tutti felici in ugual misura, perché la consapevolezza di ciò che rappresentava penetrò nelle loro menti rapida come un fulmine.
John Kramer, Samara, Imhotep, Ghost Rider. Molti di loro erano esseri maledetti, vere piaghe infernali dei mondi da cui provenivano, al punto che non sarebbero mancati a nessuno dopo la sofferenza che avevano provocato. Solo Nicky faceva eccezione, perché lui era un buon diavolo... e aveva una famiglia da cui tornare. Erano felici, perché Oblivion era stato l’inferno peggiore in cui avessero mai pensato di precipitare; ma ora, anche l’ultimo incubo in cui erano finiti stava finalmente giungendo al termine.
 
Foresta di Ghibli.
I Pokémon e i Digimon esultavano di gioia, insieme al loro guardiano Totoro, mentre la luce balenava dalla coltre di nuvole e avvolgeva la foresta intera con il suo calore. Tutti loro, dal più piccolo al più grande, dal più debole al più forte, sapevano fin da subito cosa significava: i giorni della paura e del dolore erano finiti; non dovevano più nascondersi nel timore di essere vittime della guerra. E i loro cari, le persone a cui volevano bene, ora apparivano davanti ai loro occhi come se non li avessero mai abbandonati.
Totoro lanciò un ultimo grido di gioia prima di tirar fuori dal nulla una grossa trottola, sulla quale salì sopra per librarsi nell’aria, andando sempre più in alto. I Pokemon e i Digimon lo seguirono entusiasti, verso la luce... verso il mondo a cui appartenevano.
 
Jurassic Park.
Anche i dinosauri osservarono rapiti la luce, e la gioia riempì le loro menti primitive. Anche se non ne comprendevano il significato, erano certi che fosse qualcosa di buono: stava per succedere qualcosa che avrebbe reso felici tutti, persino loro.
 
Il Mooby.
Jay e Silent Bob stazionavano come al solito nei pressi del fast food, intenti a fumarsi l’ennesima canna della loro vita, quando la videro. La luce, sbucata fuori dal cupo cielo grigio che ricopriva Oblivion, attirò la loro attenzione, anche se all’inizio furono incerti del suo significato. Poi, lentamente, cominciarono a rendersi conto della realtà: i palazzi e gli edifici che li circondavano si stavano letteralmente sciogliendo, come neve al sole.
« Cazzo » commentò Jay, fissando la sua canna. « Questa roba ha già fatto effetto! »
Silent Bob si limitò ad alzare le spalle, poco convinto. Per loro due, il ritorno a casa non sarebbe stato un gran cambiamento.
 
L’ospedale.
Una folla intera si era precipitata fuori dall’edificio per assistere all’improvviso fenomeno con i propri occhi. Un raggio di luce era sbucato dal cielo per illuminare anche l’ospedale, e tutti coloro che lo occupavano in quel momento. Il dottor House, Rina, Dylan Dog, Tonto, Big Boss e molti altri restarono in piedi a guardare meravigliati la luce che si faceva lentamente largo tra le nuvole, disperdendole.
Le sorprese, tuttavia, non erano ancora finite. Tutti i pazienti dell’ospedale guarirono completamente all’improvviso: ogni ferita sparì nel giro di un attimo, e non solo quelle fisiche; i personaggi caduti in coma si risvegliarono, e quelli che avevano perduto la ragione recuperarono di colpo la lucidità, liberi di lasciare il reparto psichiatrico in cui erano rinchiusi.
Seiya, il cavaliere di Pegasus, riaprì gli occhi, guardandosi intorno con aria confusa.
« Che succede? Dove... dove mi trovo? »
Jeremy Belpois fece lo stesso, e accanto a sé trovò la persona più importante della sua vita.
« Aelita! »
La ragazza dai capelli rosa gli sorrise, e lo abbracciò subito scoppiando in lacrime. Lei stessa non sapeva spiegarsi come fosse venuta fuori dalla chiavetta usb all’improvviso, ma in quel momento non aveva alcuna importanza. Tutto stava ritornando alla normalità.
Grazie, Sora...
Altri personaggi, ancora increduli di ciò che stava succedendo, lasciarono l’edificio in cerca di risposte. Tra questi c’erano John Connor, Lady Death e Shrek, osservando con i loro occhi gli edifici e le strade che si “scioglievano” come ulteriore conseguenza. Ognuno di loro era ugualmente pervaso da un enorme sollievo: erano consapevoli, nonostante tutto, che la guerra era finita.
 
Il Cimitero dei Mondi.
I Valorosi erano ancora laggiù, al termine dello scontro finale con Nul. Come tutti gli altri ignari spettatori su Oblivion, anche loro furono increduli mentre osservavano l’improvviso mutamento degli eventi: la luce sbucata dalle nuvole che illuminava ogni cosa, annullando il caos nel giro di un istante. Gli otto eroi rimasero immobili al loro posto, gettando lunghe occhiate nel frattempo in ogni direzione. La luce stava modificando in qualche modo il paesaggio: i palazzi e le rovine si scioglievano rapidamente, fino all’ultimo resto abbandonato nel Cimitero.
« Che sta succedendo? » domandò Harry Potter, stupito come tutti gli altri.
« Non ne ho idea » affermò Jake Sully, continuando a guardarsi intorno. « Eppure sento che... va tutto bene. Mi sento così in pace... »
Gli altri compagni annuirono, dimostrando di provare la stessa cosa. In quel momento la loro attenzione fu attirata da Nul, che lo videro alzarsi in piedi. Anakin Skywalker fu spinto da parte mentre il ragazzo alato, ancora malconcio per i colpi subiti, alzava gli occhi e le braccia al cielo. Cominciò a sussurrare qualcosa, come se fosse in trance.
« Padre... » ripeteva, alzando sempre di più la voce. « Grazie... padre mio, grazie! »
Nel frattempo la luce continuava ad espandersi, dissolvendo le nuvole che ricopriva il cielo di Oblivion. Si assottigliavano sempre di più fino a svanire del tutto, finché non rimasero solo una distesa infinita di azzurro limpido e il sole splendente.
Il cielo. Qualcosa di semplice agli occhi della gente, per non dire scontato. Lo stesso potevano dire gli eroi al riguardo, ma non quel giorno. Dopo tutto quello che avevano passato, quel cielo azzurro diventava ora ai loro occhi la cosa più bella del mondo... qualcosa di meraviglioso che avevano sempre avuto ma che non sapevano nemmeno di avere, finché non gli era stato portato via.
« Oh... guardate! »
La voce di Sora attirò l’attenzione di tutti. Il Custode del Keyblade aveva distolto per primo lo sguardo dal cielo, e lo aveva rivolto ai suoi piedi, notando qualcosa che lo fece stupire ancora di più. Le rovine del Cimitero dei Mondi erano sparite del tutto, lasciando il posto a una grande distesa di erba e fiori freschi; tutte le macerie, i corpi, i resti di armi e armature giacenti al suolo si erano dissolti fino a rivelare ciò che c’era stato di sotto per tutto il tempo. Così Nul e i Valorosi si ritrovarono all’improvviso su una collina circondata da un magnifico prato multicolore, che avanzava inesorabilmente in ogni direzione.
Anche Nul subì nel frattempo una trasformazione. Un raggio di sole brillò più forte sul suo corpo, e quando svanì era diverso: le ferite erano sparite insieme alle ali; i vestiti, dapprima laceri, tornarono integri e puliti; il suo volto si era riempito di gioia e sollievo. Non sembrava più un folle angelo distruttore, ma solo un semplice ragazzo. Lui stesso apparve incredulo mentre ammirava il cambiamento sul suo stesso corpo.
« Ma che succede? » intervenne Anakin, rivolgendosi a lui. Il Jedi sembrava ancora sospettoso, nonostante tutto. « Questa è opera tua? Rispondimi. »
Nul si voltò a guardarlo, continuando a sorridere.
« No... questa è opera di mio padre » disse. « Lui... sta rimettendo le cose ha posto. Heh... ancora stento a crederci, ma è così. Non potrebbe essere altrimenti. »
« Che vuoi dire? » chiese Lara Croft, dubbiosa. « In che senso starebbe rimettendo le cose a posto? »
« Potete vederlo voi stessi. Guardatevi intorno... Oblivion non esiste più. Mio padre sta cancellando ogni traccia dei cicli di guerra che abbiamo scatenato qui, riportando ogni cosa alla normalità. Sta riportando alla luce ciò che c’era prima... il mio mondo. Lo sta ripristinando. »
I Valorosi si guardarono intorno ancora una volta. La città era ormai sparita del tutto, lasciando il posto a quella grande distesa di verde su cui poggiavano i piedi.
« Questo è il tuo vero mondo, allora? » commentò Po, impressionato. « Mitico... sembra davvero un bel posto! »
Nul ridacchiò lusingato.
« Sì, lo è davvero. Mio padre me lo sta restituendo... insieme alla mia vera identità. Guardatemi... non sono più il distruttore di mondi che avete conosciuto. Sono di nuovo Eidan, l’eroe dell’avventura fantasticata da Lui. »
Anakin ed Hellboy lo scrutarono a fondo, ancora sospettosi. 
« Ma... se sta succedendo tutto questo » intervenne Edward Elric, « allora significa che... »
« Che mio padre ha cambiato idea » completò Eidan. « Ha deciso di rimettersi al lavoro sulla mia storia, per riportarla alla luce. Ha deciso di farmi nascere, finalmente... e un giorno accadrà sul serio, quando la storia sarà pubblicata. »
Il giovane sembrava pazzo di gioia. Continuava a guardare il cielo sgombro con occhi colmi di lacrime, lasciandosi alle spalle in un attimo tutto il male dilagato su quella stessa terra. Ciò che aveva atteso per tutta la vita, finalmente si stava concretizzando intorno a lui: Eidan sarebbe nato. Avrebbe avuto la sua avventura, come aveva sognato fin dall’inizio.
« Be’, buon per te, allora » commentò Jake, decisamente meno estasiato di lui. « E adesso cosa ne sarà di noi? Cosa ci succederà? »
« Non temere, Jake » gli rispose Eidan dopo una pausa. « Non temete, miei fratelli. La guerra è finita; mio padre sta rimettendo le cose a posto. Il che significa che voi ritornerete presto a casa... tutti quanti. Tornerete nei mondi a cui appartenete. »
Sora, Harry, Ed e Po si scambiarono un’occhiata stupefatta.
« Dici davvero? » chiese Lara. « Dopo tutto quello che è successo... siamo liberi di andare? »
« Sì. Mio padre ha capito, alla fine. Ha capito di stare rinunciando a una parte troppo grossa di sé mentre ci metteva da parte. Voi, eroi delle più fantastiche avventure mai immaginate dalla mente dell’uomo, avete arricchito per anni la memoria e la creatività di mio padre... gli avete fatto provare mille emozioni, spingendolo a percorrere la stessa strada dei vostri autori. Gli avete permesso di creare me, ed altri personaggi che ancora attendono di vedere la luce. Anche se ha pensato di sacrificare tutto questo, ha capito che questo avrebbe comportato la perdita di se stesso... lo ha capito da solo, per fortuna, prima che io provassi a farglielo capire nel modo peggiore. Devo ringraziare voi, per questo... e anche mio padre deve farlo. »
« In che senso, scusa? » domandò Sora.
« La vostra volontà » rispose Eidan. « La vostra determinazione. La vostra scelta di non voler sparire, per nessuna ragione al mondo. Il vostro desiderio di tornare a casa. Tutto questo vi ha spinti ad affrontare tutto ciò che vi ho scagliato contro, senza mai mollare... la vostra lotta ha infine attirato l’attenzione di mio padre; si è ricordato di voi, e di conseguenza ha deciso di tornare sui suoi passi. Ha deciso di tenervi nel suo cuore, e di non distruggervi più.
« Sam aveva ragione. Mio fratello Sam V. Raptor, prima creazione di mio padre... non ha mai perso la speranza che tutto si sarebbe risolto. Ci ha creduto fino alla fine: noi non saremo mai dimenticati... e così è stato. Per questo... ora Egli vi riporterà ai vostri mondi. »
Tacque di nuovo, e nessuno pensò di riprendere la parola. I Valorosi non sapevano cosa dire. Dopo tutto quello che avevano passato, non era per niente facile cambiare opinione su qualcuno che fino a poco prima voleva distruggerli. Ma Eidan si dimostrò comprensivo: non pretese ringraziamenti né altro, e si limitò a restare in silenzio.
« Dunque... è finita? » chiese Po, emozionato. « Stiamo per tornare a casa? »
« Sembra proprio di sì » osservò Lara, che tuttavia non condivise l’entusiasmo. « Ma che ne sarà di quelli che nel frattempo sono morti? Mi riferisco a Luke, ovviamente... e tutti quelli che hanno perso la vita in questa guerra. La loro morte avrà delle conseguenze sui loro mondi? »
Eidan scosse la testa, continuando a sorridere.
« Non preoccuparti » rispose. « Loro sono già tornati a casa. La morte ha reso meno traumatico il ritorno al loro mondo di origine. Luke sta bene, posso assicurartelo... anzi, puoi vederlo tu stessa. »
Il ragazzo puntò una mano in avanti, e un raggio di sole illuminò il punto di fronte a lui. Lara, Anakin e tutti gli altri ebbero così una visione del loro alleato, ma con un aspetto ben diverso da come lo ricordavano: videro un Luke Skywalker invecchiato, con barba e capelli grigi in piedi sulla cima di una montagna. Si era appena voltato, come se qualcuno si fosse avvicinato a lui per parlargli. L’immagine svanì pochi secondi dopo, ma per i Valorosi fu sufficiente. Lara aveva persino le lacrime agli occhi.
« Luke... »
« È andato avanti per la sua strada » spiegò Eidan. « È diventato un Maestro Jedi, ritirandosi dalle scene per un po’... ma presto la Galassia avrà di nuovo bisogno di lui. Sembra che le avventure non siano finite per lui... e nuove guerre stellari scoppieranno, o si combatterà per impedirle. »
Anakin annuì, visibilmente fiero di ciò che aveva visto e sentito.
« Per me è abbastanza » disse il Jedi, chinando il capo. « Il mio compito, qui, è terminato. Non ho potuto salvare Luke, ma mi conforta sapere che è tornato a casa sano e salvo. Perciò... è tempo che anche io ritorni da dove sono venuto. »
I Valorosi si voltarono a guardarlo, e una buona dose di amarezza riempì i loro volti. Solo Eidan rimase sorridente, come se avesse sentito una risposta corretta.
« Ben detto » gli disse. « E giusto in tempo, a quanto pare... infatti è appena arrivato il tuo passaggio. »
Indicò un punto alle sue spalle. Anakin si voltò, sorpreso: Padmé era apparsa dal nulla, illuminata da un altro raggio di sole... bella e splendida come sempre, guardava il marito con enorme orgoglio. Lui non riuscì a parlare per l’emozione, ma non fu necessario. Padmé si avvicinò a lui e lo prese per mano, invitandolo a seguirla. Anakin, incoraggiato, si strinse dunque a lei, ma prima si rivolse ai suoi compagni per l’ultima volta.
« Grazie... grazie di tutto. Che la Forza sia con voi. »
I Valorosi salutarono con qualche piccolo cenno, nel silenzio più totale, mentre Anakin e Padmé svanivano nel nulla, come spazzati via dal vento.
Non era ancora finita. Altri raggi di sole brillarono sul prato intorno agli eroi rimasti, e con loro sommo stupore videro una gran folla avvicinarsi alle loro spalle: Dylan Dog, Tonto, Rina, il dottor House, Lady Death, Taiga, Riuji e tutta la gente dell’ospedale, apparsi come dal nulla ma consapevoli di ciò che stava succedendo. Si avvicinavano con calma, tutti con un sorriso fiero stampato sulla faccia.
« Nessuno resterà indietro » dichiarò Eidan, osservandoli. « Torneranno tutti a casa. »
« Edward! »
L’Alchimista d’Acciaio alzò lo sguardo. Catherine Elle Armstrong era sbucata fuori dalla folla, e dopo una breve corsa si era gettata tra le sue braccia.
« Oh... Catherine! » esclamò Ed, sollevato. « Grazie a Dio, stai bene? »
« Sì... sì! » rispose lei. « Stiamo tutti bene... e credo... credo che stiamo per tornare a casa! »
« Pika-pika!! »
Pikachu si era fatto avanti, insieme ad Agumon ed Entei, sopravvissuti anch’essi alla battaglia. Altri personaggi, nel frattempo, si avvicinarono al gruppo, scambiando qualche parola con ognuno di loro prima di andare avanti.
« Complimenti, Harry » commentò Rina, strizzandogli l’occhio. « Ho visto la potenza del tuo Dragon Slave, poco fa... davvero niente male! Ti ho insegnato bene, eh? »
« Heh... sembra proprio di sì » ammise il ragazzo con un sorriso. « Mi sei stata di grande aiuto, e te ne sarò sempre grato. »
Jake incontrò John Connor, in compagnia del suo inseparabile guardiano Arnie.
« È finita, allora » disse Connor con un sospiro. « Questa guerra si è conclusa per sempre. »
« Così pare » rispose il Na’vi, alzando le spalle. « È stato un bel casino, e dubito che lo capirò fino in fondo... ma mi sta bene così. L’importante, ora, è andare avanti. »
Hellboy si ricongiunse a Lady Death, che gli scoccò una delle sue solite occhiate maliziose.
« Lieta di rivederti, fratello » disse la demone. « Ero certa che avresti ottenuto la vittoria... sei un degno Figlio del Caduto. »
« Non ce l’ho fatta grazie alle mie origini » ribatté Hellboy con un sorriso, « ma grazie a ciò che ho scelto di diventare. »
Uno dopo l’altro, dopo aver salutato e ringraziato i Valorosi, tutti quei personaggi svanirono nella luce, proprio com’era accaduto ad Anakin poco prima. Tutti tranne Catherine, decisa più che mai a ritornare a casa insieme a Ed; tutto questo durò per alcuni minuti, finché i Valorosi, Catherine e Eidan non rimasero nuovamente soli sulla collina.
« È finita » dichiarò il ragazzo dai capelli argentati. « Sono tornati ai loro mondi. Per loro sarà come risvegliarsi da un brutto sogno e dimenticarlo immediatamente... come se non fosse mai accaduto nulla. Lo stesso, ovviamente, accadrà a voi. »
Non fu sorpreso di vedere i volti dei Valorosi riempirsi di stupore.
« Cosa? » fece Sora. « Vuoi dire che non ricorderemo nulla di tutto questo? Che ci dimenticheremo persino l’uno dell’altro? »
« Proprio così. Mi dispiace, ma non dipende da me... né da mio padre. Lui vi sta restituendo ai mondi a cui appartenete, dove la vostra esistenza prosegue solo per volontà dei vostri autori. Laggiù non potrete conservare i ricordi relativi a questa esperienza, perché i vostri autori non l’hanno mai immaginata. Anch’io dimenticherò tutto, quando la mia avventura comincerà... e tutto questo vivrà solo nella memoria di mio padre e di coloro a cui deciderà di raccontarlo. »
I Valorosi si scambiarono un’altra occhiata, visibilmente dispiaciuti. Dopo tutto quello che avevano fatto insieme, era ovvio che si fossero affezionati l’uno all’altro. Tra loro erano sorti un gran numero di sentimenti: amicizia, rispetto, fiducia, fratellanza... e amore, nel caso di Lara; era ingiusto che da lì a pochi istanti avrebbero dimenticato tutto questo, come se non si fossero mai incontrati.
« Il prezzo da pagare per ritornare alla mia vita... sacrificare alcuni ricordi » aggiunse Sora, con un sospiro. « Non è una novità, per me... mi è già accaduto, e ancora una volta non ho altra scelta che accettarlo. »
Eidan annuì, comprensivo. Restò al suo posto, per dare il tempo ai Valorosi di scambiarsi un ultimo, meritato saluto; anche Catherine si fece da parte, sapendo di essere un’estranea per la maggior parte di loro. Il gruppo si dispose quindi a cerchio, scambiandosi varie occhiate per decidere cosa dirsi.
« È davvero strano » ammise Jake. « Doversi salutare come se potessimo rivederci... pur sapendo che non accadrà. Di solito si dice “è stato bello”, anche se onestamente non si può dire nel nostro caso... »
« Già » borbottò Hellboy. « Abbiamo vagato per una città in rovina, siamo affondati insieme a un transatlantico, abbiamo affrontato i nostri peggiori nemici e rischiato di morire per mano del ragazzino alle nostre spalle... non si può certo paragonare a una gita di piacere. »
« Ma ne siamo usciti » aggiunse Harry. « Non senza lottare, e non senza sacrifici, certo... ma siamo arrivati fino alla fine. Non ce l’avremmo mai fatta senza credere l’uno nell’altro: questo, almeno, è stato bello. Un bel sentimento da condividere. »
« È vero » disse Lara. « Nonostante tutto... anche se tra poco non mi ricorderò più niente, voglio che sappiate che sono felice di avervi conosciuto. »
« Anch’io » intervenne Ed. « È stato un grande onore combattere insieme a voi. Vorrei poterlo ricordare, ma se proprio non è possibile... sono comunque lieto di sapere che sia accaduto. »
Po borbottò qualcosa di incomprensibile prima di prendere la parola.
« Ehm... io non sono molto bravo in certi discorsi. A dire il vero non sono molto bravo in un sacco di cose. Però... insomma, spero che ciò che ho fatto finora al vostro fianco sia servito a qualcosa. Sì, ecco, spero di essere stato... »
« Sei stato bravissimo, Po » gli rispose Lara con un sorriso. « Anzi, di più... sei stato mitico! »
« È vero » aggiunse Harry. « Sei il Panda Che è Sopravvissuto, ricordi? »
Il sorriso di Po si allargò enormemente, commosso per tutto questo. Questo parve contagiare l’intero gruppo, e alla fine si ritrovarono tutti a sorridere orgogliosi. Jake, Lara, Hellboy, Po, Harry, Ed... e Sora. Quest’ultimo, che non aveva ancora detto nulla, si fece avanti e tese la mano, in un gesto che i suoi compagni riconobbero subito.
Lo stesso gesto in cui avevano giurato unità e rispetto il giorno in cui si erano incontrati, dando inizio all’avventura.
« Uno per tutti » dichiarò Sora, e nel frattempo i suoi compagni si fecero avanti, posando le mani sopra la sua.
« Tutti per uno » concluse Jake con orgoglio.
Abbassarono la mano dopo pochi attimi, lunghi come ore. Tornarono dunque a guardare Eidan, che sorrise compiaciuto.
« Pronti ad andare? » domandò.
« Sì » ammise Ed per primo. « Mi auguro davvero che tutto torni come prima... compreso il mio braccio. »
« Tranquillo, ti sarà restituito tutto ciò che hai perduto... compreso il tuo futuro. »
« Uhm? Che vuoi dire? »
« Lo scoprirai da solo. Inoltre, non vorrei fare spoiler inopportuni. »
L’alchimista non sembrò capire, perciò si limitò ad alzare le spalle e prese Catherine per mano. Era giusto che tornassero a casa insieme.
Eidan fece dunque un passo indietro, e un nuovo raggio di sole illuminò l’intero gruppo. All’improvviso apparvero tutti meravigliati, perché videro qualcuno davanti ai loro occhi; ognuno vedeva una persona diversa, qualcuno d’importante che li aspettava dall’altra parte. Le loro compagne, i loro amici, la famiglia... tutti che tendevano la mano verso quegli eroi, impazienti di riaverli al loro fianco.
« Neytiri! » esclamò Jake.
« Liz... » mormorò Hellboy.
« Al... Winry! » disse Edward.
« Olivier! Alex! » disse Catherine, emozionata.
« Papà... maestro Shifu! » gridò Po.
« Winston...? » fece Lara, sorpresa.
« Ron, Hermione... Ginny! » esclamò Harry, commosso.
« Kairi... » sussurrò Sora.
Eidan li osservò, felice per loro, mentre svanivano lentamente nella luce. L’ultima cosa che riuscì a vedere fu il sorriso di Sora, mentre gli rivolgeva un’ultima occhiata e diceva qualcosa di cui non udì il suono, ma ne comprese ugualmente il senso.
« Grazie. »
Incredibile, pensò il ragazzo dai capelli d’argento. Anche dopo tutto quello che gli aveva fatto passare, Sora aveva avuto il coraggio di perdonarlo e ringraziarlo. Ormai i Valorosi erano svaniti del tutto, tornati ai loro mondi come se nulla fosse, ma lo disse ugualmente... era la cosa giusta.
« Grazie a voi. »
Detto questo, Eidan si stiracchiò soddisfatto. Il sole splendeva sul mondo e quella distesa di verde e fiori ardeva di vita e di luce. Il ragazzo rimase a contemplarla ancora per un po’, poi si voltò e cominciò a scendere giù per la collina, ora battuta da un tiepido vento; provava uno straordinario sollievo e una gran voglia di dormire. Davanti a sé ora poteva ammirare ciò che gli avrebbe fornito riparo e riposo: una splendida e fiorente città che sorgeva a poca distanza, con un grande castello che dominava su di essa. La Capitale, cuore pulsante del regno in cui il ragazzo era nato... il luogo in cui, un giorno, avrebbe avuto inizio la sua avventura. Avrebbe dormito fino ad allora, si disse, in attesa di vedere la luce per mano di suo padre.
Un giorno. Non oggi, non domani, ma presto. Si trattava solo di avere un po’ di pazienza.
 
FINE
 
 
 
 
Spazio autore:
Ciao a tutti, miei cari! Con queste ultime righe dichiaro conclusa la mia fanfiction... ammetto che non sarei mai riuscito a portarla a termine senza questo fantastico sito. Per questo voglio ringraziare tutti coloro che mi hanno seguito con passione e recensito: Farkas, Onyx Crysus, Fedeplano, The Author99, Neon Genesis Kurama, DanieldervUniverse, Trisha_Elric e Mangastyle... spero di aver nominato tutti. Ringrazio inoltre quelli che sono rimasti in silenzio ma che avranno ugualmente apprezzato il mio operato, e tutti quelli che in futuro continueranno a seguirlo.
Grazie.
Spero proprio che tutto ciò vi sia piaciuto. Per un po’ non scriverò altre ff perché devo rimettermi al lavoro con il mio progetto principale: il romanzo di cui il mio Eidan è protagonista, per l’appunto. Ora sono deciso più che mai a finirlo e a fargli vedere la luce. Non mancherò tuttavia di essere presente, di leggere e commentare... perciò vi lascio e vi dico, per il momento, alla prossima!
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