Koi no Yokan; “Presagio di un amore” di KomadoriZ71 (/viewuser.php?uid=805793)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** - Chi siamo noi? Reclute Rocket! ***
Capitolo 2: *** - Gioventù bruciata ***
Capitolo 3: *** - Un colpo di fortuna ***
Capitolo 4: *** - Il tutore, il minatore e lo scienziato. ***
Capitolo 5: *** - Oltre la prima impressione ***
Capitolo 1 *** - Chi siamo noi? Reclute Rocket! ***
chi siamo noi reclute rocket
Capitolo Uno
- Chi siamo noi?
Reclute Rocket!
- « Mi sentivo come se fossi seduto
- a un tavolo da poker insieme a quattro
- giocatori che non sapevano perdere,
- armati di tutto punto e diffidenti per natura.
- E mi erano stati appena serviti quattro assi.
- A volte le belle notizie sono talmente belle
- da essere brutte »
- » Sangue e Neve, Jo
Nesbø
Prima di cominciare...
Dedico
questo racconto ai miei amici Xavier, Anthony, Thunder, Silvia e Danail.
Allegri
e divertenti al punto giusto, ogni giorno si impegnano per farmi
compagnia.
Spero
che la vita ci faccia incontrare, prima o poi.
Vi
voglio bene, grazie per essermi vicini anche se lontani!
Lily
Nel
periodo estivo l'aria di Azzurropoli diventava quasi irrespirabile e
Ivan, muscoloso ragazzo di vent'anni compiuti, trovava
difficoltà nel percorrere qualche chilometro a piedi; erano
anni
che viveva lì per seguire i diabolici piani del Team Rocket,
eppure il caldo soffocante non gli dava tregua.
Infine c'era quel maledetto laghetto popolato da soli Grimer a rovinare
il viaggio di ritorno, ogni giorno diventava sempre più
inquinato e solo gli uomini pieni di coraggio avevano la faccia tosta
di passarci accanto. Quei Pokémon di tipo veleno erano
micidiali
sotto ogni prospettiva, i loro corpi erano composti da strati
di
melma violacea in grado di distruggere anche il materiale
più
resistente, ormai erano anni che sguazzavano allegramente lì
dentro. Ma quella mattina lo stagno urbano emanava un fetore
più
denso a causa dell'alta temperatura, perciò Ivan si
tappò
il naso con un'espressione sdegnata in volto e appoggiò
sull'asfalto il sacco di tela che portava sulla spalla, poi si
fermò a contemplare le creature per una manciata di minuti.
Si
contavano sulle dita gli abitanti che discutevano di quell'ecosistema
tossico, per lo più erano anziani che a stento si alzavano
dalla
sedia. Il resto della popolazione non concepiva la gravità
del
problema, erano più impegnati a boicottare il
Casinò
piuttosto che toccare con mano la verità. Ivan si era
abituato a
percepire il disprezzo dei paesani, in molti si accanivano contro
all'edificio per purissima invidia, ma i commenti più arguti
provenivano dalle casalinghe: donne di età avanzata che se
ne
stavano in casa e si nutrivano di pane e pettegolezzi, le quali
perdevano la pazienza a causa dei mariti che sprecavano lo stipendio
del mese nel gioco d'azzardo. Intanto lo stagno restava vittima di
quella spazzatura vivente, i Grimer erano le bestie preferite da ogni
membro del Team, infatti quel minuscolo spazio vitale era visto come
una specie di allevamento e nessuno aveva l'incarico di purificarlo per
migliorare le condizioni della città.
E il giovane ventenne soffriva in silenzio davanti a quello spettacolo
raccapriciante, l'acqua era il suo elemento e non digeriva un simile
atteggiamento nei confronti della natura. Da bambino era cresciuto su
un'isola della regione di Hoenn, aveva passato l'infanzia a contatto
con il mare e sapeva come amarlo, rispettarlo oppure a prendersene
cura. Grazie alle esperienze che si era fatto durante le interminabili
nuotate, era diventato abile nell'ammaestrare i Pokémon di
tipo
Acqua, non era un caso se i suoi colleghi lo ricordavano per aver
addestrato un esemplare di Tentacruel evoluto in natura; le meduse
giganti erano rinomate da ogni marinaio per il carattere malvagio e
meschino, chi sfidava uno dei mille tentacoli velenosi poteva
incontrare solo la morte.
Ma non Ivan, era rimasto una settimana a letto con la febbre. Niente di
più.
Terminata l'osservazione Ivan sistemò il cappello nero della
divisa Rocket, contemporaneamente issò sulla spalla il sacco
di
tela che trasportava dalla Zona Safari e continuò il breve
tragitto per raggiungere la base. L'afa prendeva la meglio su
quell'ammasso di muscoli e lo costringeva a rallentare, era il classico
personaggio che apprezzava la bella stagione solo se si trovava nei
pressi di una spiaggia, per il resto detestava le giornate in cui il
sole era così forte da spaccare le pietre. Ansimava mentre
il
sudore colava lungo la fronte e le tempie, le guance divampavano e il
tessuto della divisa era talmente fastidioso da causargli un
forte
prurito. Almeno intravedeva la sagoma imponente del Casinò,
lì c'erano ampie sale ben condizionate e un letto comodo
pronto
a ospitarlo, per cui il sorriso cresceva sul volto giovane di Ivan e i
suoi movimenti si facevano più lesti. Se la verifica dei
Pokémon che aveva catturato aveva un buon esito, poteva
occupare
il resto delle ore con del meritato riposo, in caso contrario un
pesante impiego part-time l'avrebbe tenuto sveglio fino all'esame
successivo. Gli errori all'interno del Team Rocket non restavano mai
impuniti, i superiori utilizzavano il pugno di ferro con i cacciatori
che lavoravano di notte per rubare Pokémon rari: i migliori
erano destinati alla squadra del Capo Giovanni, i restanti venivano
spacciati come premi per il Casinò.
La missione di Ivan si poteva considerare la più sicura tra
le
tante, era un professionista della pesca dei Dratini che si trovavano
nel lago più isolato della Zona Safari,
quest'ultima era
reperibile soltanto nella città vicina e ogni giorno,
volente
oppure no, la recluta doveva cimentarsi in un doloroso viaggio privo di
soste.
Dopo un paio di passi il tragitto era giunto al termine, Ivan si
incoraggiò con un bel respiro ed entrò nel
Casinò
senza prendere in considerazione la porta sul retro. Per le vie di
Azzurropoli si nascondeva dagli sguardi indiscreti, faceva attenzione
nel celare la divisa nera, almeno nella base si prendeva qualche
libertà in più, in fin dei conti conosceva molto
bene i
clienti che
passavano la notte davanti allo schermo delle macchinette, quei
soggetti non avevano mai fatto caso a lui. Il personale dell'edificio
era composto da reclute Rocket impegnate con il turno notturno, le
femmine erano dietro al bancone con indumenti sfavillanti e ben
sistemati, i maschi invece erano in veste di camerieri/uomini delle
pulizie e si spezzavano la schiena per accontentare le
necessità
degli spendaccioni che frequentavano la struttura.
Ivan salutò i colleghi con movimenti leggeri della testa e
si
rifugiò nella parte più appartata della
stanza,
più precisamente era un corridoio che non conduceva da
nessuna
parte. Schiacciò il tasto che da anni era nascosto sotto a
un
poster dalle immagini scolorite, solo in quel momento una rampa di
scale si aprì con la solita andatura lenta e tediosa, almeno
il
soave rumore metallico era una melodia invitante per le orecchie
stanche della recluta.
Era a casa.
Il
sacco che Ivan portava sulla spalla pesava una tonnellata,
era complicato percorrere i gradini fino in fondo, ma doveva
correre se non voleva perdere l'appello. Ariana non era la donna che
sorvolava sui ritardi.
«È
già cominciato l'appello?»
Domandò
Ivan poco prima di abbandonare le Pokéball a terra, si era
appoggiato al muro e aveva intrecciato le braccia muscolose contro al
petto. Davanti a lui c'erano un gruppo di cinque individui piuttosto
giovani, erano degli ottimi cacciatori ma avevano gli occhi ornati da
mostruose borse violacee. Sicuramente erano stati puniti da Giovanni,
andare a rubare Pokémon agli allenatori era come giocare al
gioco d'azzardo, si vinceva solo se si aveva una buona mano. O tanta
fortuna.
Dato che non riceveva alcuna risposta, Ivan si avvicinò
all'unico ragazzo con cui aveva un briciolo di rapporto e che sembrava
in ottima forma: Gerardo. Era snello di
corporatura e i suoi occhi erano scuri come le cortecce degli alberi,
la
carnagione olivastra entrava in sintonia con i capelli castani dalla
media lunghezza e scompigliati dal cappello della divisa. Gerardo non
era un ragazzo che
amava stare a contatto con le persone in generale, però i
due si
conoscevano dal giorno in cui Ivan si era "arruolato", la coppia aveva
affrontato l'addestramento insieme, infine si erano ritrovati nel
Rifugio di Azzurropoli e da allora non si erano più
allontanati.
«Allora
Gerardo, è cominciato l'appello?».
«No Ivan. Ariana non si è fatta vedere, sei stato
fortunato».
«Dici davvero?!» lo stupore già
l'assaliva. «E come mai? Mi sono perso qualcosa?».
«Niente di eccezionale, si stanno preparando per accogliere
il
nuovo plutone di Reclute» spiegò Gerardo, poi
riuscì a far sussultare Ivan con una gomitata improvvisa.
«Ricordi? Dopo un periodo di tempo ci invadono i novellini,
ma
questa volta provengono dal campo base di Johto; non ho avuto modo di
informarmi sui nomi, però ho sentito dire che sono quasi
tutti
scienziati».
«Secchioni quindi, ma quanto saranno intelligenti?».
«Tanto, credimi. Giovanni non è andato ad
assistere agli esami, sanno il fatto loro».
Nello stomaco Ivan possedeva uno stormo di Beedrill infuriati,
l'emozione era davvero a mille, non apprezzava l'idea di
essere
circondato da persone troppo intelligenti. Lo facevano sentire in
estremo disagio.
«Hanno già previsto la data del loro
arrivo?».
«Credo la settimana prossima, non è semplice
spostare un
plutone di Reclute da Johto a Kanto. Le divise nere spiccano in mezzo
alla folla».
«Quanti sono stati ammessi quest'anno?».
«Otto».
«Otto?! Stai scherzando spero!».
«No è la verità. Ariana li
smisterà a dovere sotto il consiglio di Giovanni».
«...».
«Cosa c'è, Ivan?» domandò
Gerardo con il
solito sorrisetto sul volto, evidentemente si era accorto delle
sensazioni del compare. Maledette espressioni.
Gerardo voleva un gran bene all'amico, ma era abile nello stuzzicarlo.
«Niente, sono stanco. I Dratini non si lasciano catturare
facilmente» mentì Ivan, si massaggiò la
nuca e
inumidì le labbra secche con la lingua. «Le
Reclute
più anziane faranno il party di benvenuto? Lo spero tanto,
ho
una gran voglia di divertirmi».
«Sì, avremo come minimo due settimane di
ferie».
«Per un po' si dorme come le persone normali, ti va di andare
al
centro commerciale più tardi? Ti offro una bevanda dal
distributore».
«Mi assicurerò di prendere quella più
cara, tanto tu non badi a spese».
«Smettetela
di parlare voi due, Ariana sta arrivando»
La conversazione
terminò, Ariana era già dentro alla stanza.
Ivan, Gerardo e le altre reclute si erano messe in fila davanti a lei,
poi avevano messo in evidenza il saluto onorario, come se fossero dei
soldati pronti alla battaglia.
Nonostante gli stati d'animo che gli invadevano la mente, Ivan
posò lo sguardo su Ariana: era incantevole ed elegante nella
lunga divisa bianca, in grado di metterle in risalto le forme femminili
del corpo, poi i capelli rossi le incorniciavano alla perfezione il
viso dai lineamenti perfetti e marcati. Dietro di sé
lasciava
una scia di profumo che inebriava i cinque sensi di ogni recluta e,
quando quello sguardo glaciale colpiva in pieno Ivan, il mal capitato
non riusciva a staccarsi da quelle due perle cangianti.
Quella donna era un bocconcino di prima qualità, una perla
preziosa racchiusa dentro al guscio resistente di un'ostrica,
però Ivan non riusciva a inquadrarla come amante:
«Signori»
sentì la sua voce e tornò alla realtà,
ma senza
interrompere il saluto: «Nei prossimi giorni dovremo
accogliere
un plutone di otto reclute, perciò le attività
dentro al
Rifugio Rocket saranno sospese fino al termine dell'orientamento.
Potete consegnare la refurtiva ai due generali, siete esonerati dalla
verifica giornaliera»
A momenti Ivan sveniva dall'emozione.
Doppio colpo di fortuna, aveva il cuore che batteva a mille.
Però tutto andò in frantumi grazie all'intervento
di Ariana:
«Ivan. Giovanni ti vuole vedere, vai subito nel suo
ufficio».
Dannazione!
* * *
Erano
passati due anni dal giorno in cui Max si era arruolato nel Team
Rocket, la vita nel campo di addestramento non era stata come se l'era
immaginata, gioiosa e ricca di sorprese sempre più
intriganti.
Il giovane dai morbidi capelli rossi lasciava a malincuore la
postazione attuale, adorava stare in un ambiente in cui si sentiva a
casa e, la regione di Johto, si era dimostrata più volte
come
una zona dai paesaggi mozzafiato, caratterizzata da città
dalle
tradizioni piuttosto interessanti. Max aveva già deciso di
tornarci per finire di esplorarla, magari durante la pensione.
Mancava poco allo scoccare della mezzanotte e il rosso era seduto sulla
sedia della scrivania, la luce tenue della lampada illuminava un album
stracolmo di fotografie e ricordi, il quale raccontava la sua
esperienza all'interno del campo Rocket. In prima pagina c'era una foto
di gruppo: lui con gli allenatori che si erano reclutati in quello
stesso periodo, Max la osservava attentamente e si rendeva conto che
allora era paragonabile a un bambino con un diavolo per capello. Le
pagine scorrevano velocemente sotto le dita snelle, la sua mente
tornava indietro nel tempo, un sorriso nostalgico comparve sul volto e
ciò lo trascinò a sospirare. Aveva fatto un
cambiamento
radicale dal primo giorno, secondo i suoi amici era sbocciato come un
bocciolo di rosa, adesso si poteva considerare un vero uomo.
Max sospirò per cacciare la stanchezza, si
massaggiò le
tempie con i polpastrelli dell'indice e del medio, probabilmente il mal
di testa era assicurato. Lasciò la sedia e sfilò
il
camice bianco posto sullo schienale in legno, poi lo indossò
velocemente. Uscì dalla stanza senza provocare il minimo
rumore
e, intrecciate le mani dietro alla schiena per mantenere una posizione
corretta, imboccò il tragitto che conduceva al laboratorio.
Pochi passi ed era già immerso nell'ambiente che lo
caraterizzava al meglio, teneva in mano un voluminoso blocco per gli
appunti e, mentre la penna scorreva frettolosamente sulla carta bianca,
passeggiava attorno alle strane pietre che aveva scovato durante la
scursione mattutina. Max era un geologo molto rinomato, ma i minerali
lo appassionavano.
«Ancora
sveglio Max?».
Max
sussultò nell'udire quella voce femminile, il modo
improvviso con cui si era intromessa l'aveva spaventato.
Si girò velocemente, giusto per rivolgere uno sguardo alla
collega: Dana. I due scienziati si erano conosciuti durante alcuni
corsi, si tenevano al Campo d'addestramento e tutte le reclute dovevano
prenderne parte. Dana e Max erano compagni di banco così,
alla
fine della lezione e di alcune occhiatine complici, si erano fermati a
chiacchierare nella classe rimasta vuota, grazie a ciò
avevano
scoperto di avere molti interessi in comune e, da allora, non si erano
persi di vista. Dana aveva la stessa età di Max anche se non
lo
dimostrava, inoltre era uscita da una condizione familiare disastrosa
ma possedeva un carattere delizioso, un po' fanciullesco e sopra le
righe in alcune occasioni. Dana non era fiera per il fisico snello che
nascondeva sotto al camice, a tratti era assai mascolino e privo di
curve femminili; però aveva una lunga chioma di capelli
tinti di
blu, li teneva legati in un'elegante coda di cavallo che entrava in
armonia con gli occhi castani, nascosti al di là di un
leggero
paia di occhiali dalla montatura metallizzata. Erano assai espressivi,
pieni di determinazione.
Max l'adorava. La trattava come una sorellina, era felice di averla al
suo fianco a Kanto:
«Sì»
esclamò Max con voce bassa. «Sono qui per
controllare le
pietre che ho trovato stamani, nel percorso qua vicino. Ma sembrano
molto diverse da quelle a cui siamo abituati, devo capire se hanno
degli effetti se entrano a contatto con i Pokémon».
«Può darsi» mormorò Dana e si
avvicinò
velocemente, chinandosi per esaminare i sassolini variopinti: avevano
un forma circolare e perfetta, ma erano così piccoli che
potevano essere paragonati a delle semplici biglie, tuttavia sembravano
decorati da degli strani simboli, quel particolare era strano se messo
insieme al bagliore che emanavano.
«È difficile da comprendere, a me sembrano dei
comuni sassi» continuò Dana.
«Sembrano, ma ti posso assicurare che non lo sono.
Dovrò
riguardare il mio manuale sulle lingue antiche, magari posso
identificare quegli assurdi simboli, potranno condurci a
qualcosa».
«Al massimo puoi chiedere aiuto a Leila, è lei
l'esperta in archeologia».
«Esatto, mi rincresce non aver seguito il suo stesso percorso
di
studi. I corsi di specializzazione che fanno al campo, non sono
paragonabili a quelli dell'Università».
«Max...».
«Sì, Dana?».
«Non ti sei fatto più vedere dai risultati
dell'esame, qualcosa non va?».
«Sono in gran forma, ho passato l'intero pomeriggio a
studiare il
terreno attorno al campo, Camerupt si è divertito parecchio
durante la gita. Poi ho ordinato i miei appunti per il viaggio, per
questo non mi sono presentato a cena» raccontò Max
per
tranquillizzare la collega, successivamente si levò il
camice.
Era pronto per andare a letto, le ore lavorative si concludevano
lì: «Avremo molti incarichi in più
quando saremo ad
Azzurropoli, ma non è un buon motivo per terminare le
ricerche.
Il mio scopo è quello di fare una nuova scoperta per la
scienza,
per una volta voglio spiccare in mezzo alla folla e sono sicuro che
queste pietre sono la chiave che mi condurranno al successo».
«Tu sei sempre così sicuro e pieno di ambizioni
Max».
«Se fossi stato il contrario, sicuramente mi sarei
accontentato di fare l'impiegato».
«Non sto dicendo questo» esclamò Dana
scocciata, non
sopportava i momenti in cui Max si comportava più da leader
che
da collega, poi gonfiò le guance per evidenziare la
frustrazione. «Preferirei lavorare a un progetto
più
concreto, magari usare la scienza per scopi più utili,
è
un anno che le nostre ricerche non conducono a niente».
«Scordatelo Dana» tuonò Max. «Sono a un passo dalla
verità, non posso fermarmi ora».
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** - Gioventù bruciata ***
Gioventù bruciata
Capitolo
Due.
- Gioventù
bruciata.
«Dopo quella
volta imparò che la solitudine fa meno male se non cerchi di
scacciarla via.
Che ci si
può andare d'accordo se la sai prendere per il
verso giusto.
La conquisti e in
cambio ti regala il vantaggio di non dipendere da
nessuno per la tua felicità.
Uno stato di
primordiale libertà.
Anche quel senso di
vuoto, di distanza, pian piano ti
abbandona.
Con il tempo si
finisce per bastare a se stessi,
Del resto la
solitudine è ovunque.
Dietro le porte
chiuse delle case, nascosta dal suono dei televisori
accesi.
Nelle auto dal
parabrezza bagnato che riflettono le luci della
città.
Affogata nell'alcol
sui banconi dei bar alla sera.
Nei vagoni dei
treni che riportano a casa sogni delusi, aspettative
infrante e qualche sprazzo di felicità.
Non importa quante
siano le persone che vivono in quelle case,
che sono sedute in
quelle auto, che bevono quei bicchieri
o che viaggiono su
quei treni.
La solitudine
più soffocante è proprio quella di
quando non sei da solo.
Non c'è
via di fuga perché ognuno diventa il
carceriere dell'altro.
In una gabbia di
pudore che salva le apparenze.
È bene
saperci fare i conti con la solitudine».
»La pietà dell'acqua,
Antonio Fusco.
La
sveglia suonò nel buio della stanza, Max mugugnò
qualcosa di
incomprensibile e staccò l'allarme, poi si
rifugiò nel tepore della
coperta. Era abituato a stare sveglio fino a tardi, il vero problema
era abbandonare il letto per dedicarsi agli impegni quotidiani. Ma
stavolta era diverso, una settimana era passata e la partenza per
Kanto era imminente. Max era pieno di emozioni, la sua vita stava per
cambiare di nuovo.
Cinque
minuti dopo bussarono alla porta, era una Recluta Rocket in veste da
ufficiale. Max
si preoccupò di rispondere e abbandonò il morbido
giaciglio, un
giro veloce alla toilette per dedicarsi all'igiene personale e si
coprì con le calze di lana rossa, poi toccò alla
divisa
Rocket nuova di
zecca. Profumava di pulito, per un po' si lasciò
avvolgere dal tessuto pungente degli abiti neri e si guardò
ripetutamente allo specchio, gli stava benissimo.
Afferrò
l'elastico per i capelli che custodiva nel solito posto, si
aggiustò
la chioma cremisi con la spazzola e li legò in un codino
posteriore.
In quel momento pensava al padre e rifletteva a un suo possibile
commento, magari sarebbe stato fiero dell'unico figlio maschio e, se
non fosse stato per il Team Rocket, Max avrebbe scritto una lettera per
avvertire il genitore del successo ottenuto. Era certo di non ricevere
alcuna risposta, per cui non
si sforzava di trovare le parole giuste, il rapporto con suo padre si
era dissolto il giorno in cui aveva messo piede al liceo, una lite
li aveva divisi e da allora si parlavano per cordialità
quando
si
incontravano durante le feste, ma dal reclutamento non aveva
più
modo di mettere piede nella casa a Cuordilava. Almeno la mamma lo
aspettava con entusiasmo, non vedeva l'ora di ottenere delle notizie
dal figlio, Max era la sua unica gemma.
Al
rosso mancava passare del tempo insieme a lei, però gli
esami
nel
laboratorio erano talmente soffocanti che gli impedivano di percepire
nostalgia, oppure di dedicare qualche minuto per comunicare con la
madre. Si era promesso che l'avrebbe contattata appena si fosse
presentata l'occasione, doveva inventarsi una frottola plausibile.
L'ultima volta le aveva raccontato di essere a Johto per un'iniziativa
dell'Università di Hoenn, aveva nascosto la
verità e il
motivo che l'aveva spinto in una regione così lontana.
Doveva
giustificare il
nuovo spostamento, pensò di informare la famiglia sul
termine
degli
studi.
Le
riflessioni terminarono presto, qualcuno bussò alla porta.
Era
Leila.
Lei
era la seconda ragazza che si era unita al gruppo degli scienziati,
era l'esatto opposto di Dana eppure le due andavano d'accordo.
Sembravano sorelle.
Se
Dana aveva un fisico snello e piatto, lei esplodeva con le curve e il
suo seno era prosperoso; i suoi occhi erano verdognoli e si
adattavano alla sua carnagione olivastra, quasi abbronzata, infine il
volto rotondo restava nascosto dietro a una morbida cascata di
capelli dorati e leggermente mossi.
Era perfetta e impeccabile in
qualsiasi momento della giornata, i suoi atteggiamenti la rendevano
simile a una modella, ma non si trattava della solita fanciulla che
si faceva mettere i piedi in testa degli uomini. Se qualcuno la
infastidiva poteva perire sotto a una furia quasi omicida.
«Passerotto,
quella divisa ti sta una favola!».
Leila
aveva l'abitudine di dare soprannomi alle persone con cui entrava in
confidenza. Max
era abituato al suo modo di fare ed era sul punto di dire qualcosa,
ma era stato preso alla sprovvista da un abbraccio dolce e gentile.
Sussultò in silenzio per non rovinare l'attimo di tenerezza,
Leila
era una sua amica quindi aveva risposto all'effusione.
«Ti
ringrazio Leila, anche tu sei bellissima. Non vedo l'ora di arrivare
a Kanto, nemmeno il giorno in cui mi sono laureato sorridevo
così»
commentò Max appena la lasciò andare, poi
afferrò il cinturone con
le due Pokéball.
Lo legò all'altezza dei fianchi mentre
guardava l'amica, sorridendole:
«Sei
pronto Passerotto? Tra poco la nave salperà, Kanto ci aspetta».
«Penso
di sì»
esclamò Max, entusiasta «Ti
sei procurata il libro che ti ho chiesto?».
«Certo
Passerotto, è già nella mia valigia».
«Sei
eccezionale, Leila».
«Lo
so Passerotto, non c'è bisogno di ricordarmelo».
*
* *
"Ivan,
ho un compito molto speciale per te".
Giovanni
aveva pronunciato quelle parole la settimana prima, Ivan ancora non
riusciva a togliersele dalla testa.
Non
si era scordato neanche del sorriso malvagio presente sul volto del
Capo, del fetore del sigaro pregiato che impregnava l'aria della
stanza e, per finire, delle fusa assordanti del Persian che Giovanni
teneva vicino alle gambe.
"Tutti
noi siamo emozionati per l'arrivo delle nuove reclute, come ben sai
ogni due anni il Rifugio si riempie con nuovi volti.
Però
in questo periodo mi manca qualcosa o, meglio, la presenza di una
Recluta esperta nel regolamento, devota al proprio Capo e che durante
il suo servizio non ha mai commesso errori.
Ho
bisogno di te Ivan. Della tua esperienza, della tua maestria con i
Pokémon di tipo Acqua...Sei l'unico che li addestra, qui
dentro.
Diventerai
il tutore dei nuovi ragazzi, per un po' di tempo potrai riposarti dal
tuo incarico di cacciatore, quello che basta per far ambientare gli
scienziati.
Non dovrai mai perderli d'occhio.
Sai
cosa significa, vero? Te la senti di accettare il nuovo incarico, eh
Ivan?"
Quando
Giovanni cominciava a lusingare una recluta, a parlare con
quest'ultima come se fosse sulla strada per promuoverla, significava
che aveva in mente un incarico importante e delicato.
E
ciò era successo anche con Ivan, purtroppo. La
parola “tutore” in realtà era una
formalità, il vero compito
era quello di seguire gli scienziati durante tutto l'arco della
giornata, spiarli, origliare le loro discussioni e riferire al Capo
ciò che avevano combinato. Grazie
a quel metodo Giovanni aveva scoperto un sacco di traditori, punito
le reclute più svogliate, altre volte aveva messo le mani su
poliziotti sotto copertura.
Ivan
ci aveva pensato per bene, non se la sentiva di abbandonare il
proprio ruolo ma non poteva dire di no a Giovanni, la sua reazione
poteva essere negativa. Per
cui aveva deciso di gettarsi la zappa sui piedi, aveva accettato e si
era congedato dall'ufficio.
I
giorni passarono velocemente da allora, l'arrivo del plutone era
previsto per le cinque del pomeriggio ma il Rifugio Rocket era ancora
avvolto dal caos. I colleghi erano più interessati al party
di benvenuto, quindi erano pochi i soggetti che si interessavano ad
allestire l'aula maestra.
Per
fortuna Gerardo era andato di sua iniziativa ad aiutarli, sapeva come
comandare.
E
Ivan...
Non
stava facendo niente di particolare, era seduto su un
divanetto e lucidava con un panno la Pokéball del proprio
Carvanha:
era un Pokémon che aveva accompagnato Ivan durante le
missioni
dei
Rocket, anche quelle più difficoltose, quel piccoletto era
un
osso
duro ma ancora non si era evoluto, eppure aveva un ottimo rapporto
con il padrone. Si volevano un gran bene, Ivan l'aveva catturato
quando andò a visitare l'istituto meteo insieme ai suoi
amici
del
cuore. Allora era un adolescente spensierato che lavorava duramente
nel porto di Alghepoli, sua madre era morta per colpa di un
incidente causato da un gruppo di Gyarados infuriati, perciò
era
cresciuto a stretto contatto con le idee folli del padre. Era un uomo
che aveva esorcizzato il dolore della perdita
gettandosi a braccia aperte nel mare, quando si era avvicinato il
sesto compleanno di Ivan aveva messo in piedi
un'organizzazione composta da soli Ranger, con i quali aiutava le
persone che si trovavano in difficoltà durante le tempeste,
cercavano gli sperduti tra le onde marine, davano una mano ai
Pokémon
selvatici, offrivano il servizio allo stato anche per il commercio.
Tutti
a Hoenn adoravano quella squadra di paladini.
Ma
la fama aveva il suo tasto dolente, il padre di Ivan non era mai a
casa e quel ragazzino se ne stava da solo, giorno e notte. Non era
andato a scuola come il resto dei bambini, ma nessuno si era
preoccupato di istruirlo come meritava. Ivan
non soffriva della sua mancanza, sognava di diventare come lui mentre
si divertiva a riempire il vicinato di dispetti non molto allegri,
faceva il proprio dovere in mezzo alle navi del porto, oppure la
domenica mattina andava a raccogliere le bacche sul percorso
adiacente. Per fortuna c'era sempre un occhio vigile sulla testa di
quel minuscolo birbante, una coppia sposata da molti anni che
possedevano una figlia e un
nipote che aveva perso i genitori dopo la nascita. Quelle persone
conoscevano Ivan, la triste storia che portava sulle spalle e suo
padre, perciò l'avevano accolto con il sorriso sulle labbra.
Le
visite lì erano sempre più frequenti con il
passare degli anni,
Ivan trascorreva pomeriggi interi con la nuova famiglia e, ben
presto, l'amicizia con la bambina e il ragazzo fu inevitabile. Erano
inseparabili.
E
poi un giorno tutto era andato in mille pezzi, di nuovo: il padre di
Ivan non era più tornato dall'ultimo viaggio, aveva
sacrificato la
propria vita per soccorrere una donna in gravidanza, era disperso in
mare. Il suo corpo non fu più ritrovato.
Il
dolore si rivelò lancinante e insopportabile, Ivan amava suo
padre
più di qualsiasi altra cosa.
Non se la sentì di restare a
contatto con i ricordi, partì verso nuovi orizzonti quando
il
sole tramontava con un'ora di ritardo, pochi spiccioli nella mano
sinistra, un fagottino carico di speranze e la Pokéball di
Carvanha
incastrata nella fibbia cintura.
Anni
dopo era a Kanto e si allenava per diventare parte integrante del Team
Rocket,
ciò era stato possibile grazie a Madame Boss. Nessuno era in
grado
di trovare una spiegazione plausibile, la donna aveva incontrato Ivan
nella parte più decadente di
Azzurropoli, allora era sporco di fango dalla testa ai piedi e si
esprimeva con grugniti. La madre di Giovanni si era innamorata di
quel quindicenne muscoloso e ribelle, perciò l'aveva
raccolto dalla
spazzatura e si era preoccupata di nutrirlo, curarlo da ogni ferita e
vestirlo. Infine l'aveva costretto a collaborare con il Team.
E
così era stato, Ivan non si era mai lamentato.
Un
tonfo sordo di passi si propagò nel salotto, improvvisamente.
Solamente
allora Ivan sobbalzò e tornò alla
realtà, distaccandosi dai
ricordi che provenivano dal passato. La sua era stata una
gioventù
bruciata.
«Eccoti
finalmente, è tutto il giorno che ti cerco»
Gerardo aveva fatto irruzione nella sala, era talmente arrabbiato che
lasciò sbattere la porta.
«Non
vieni a darmi una mano, pelandrone che non sei altro? Abbiamo bisogno
del tuo sostegno nell'aula, a momenti mandano a monte il tavolo per
il buffet con una scazzottata. Sono degli animali qui dentro».
«Non
sono dell'umore adatto, mi dispiace Gerardo»
aveva ammesso Ivan scuro in volto, tenendo lo sguardo sulla
Pokéball.
Aveva
voglia di liberare il Pokémon di tipo Acqua/Buio per
riempirlo di
coccole, ma il piccolo piraña non apprezzava la presenza
delle altre
reclute Rocket, quindi era da stupidi mettere in pericolo
l'incolumità di Gerardo. Aveva dei denti assai affilati,
Ivan lo
sapeva fin troppo bene.
«C'è
qualcosa che devo sapere, Ivan?».
«Con
tutti i personaggi che si sono proposti, Giovanni ha scelto me come
tutore».
«Ah...»
bisbigliò Gerardo, poi andò a sedersi sul divano
con l'amico. Era
fiero dell'ennesimo successo raggiunto da Ivan, gli occhi scuri
comunicavano ogni sentimento, ma la situazione era talmente delicata
che i complimenti non bastavano. «E
non ti senti all'altezza, dico bene?».
«A
te non ti si può nascondere niente».
«Sei
grande grosso, ma alcune volte sembri un bamboccione».
«Non
sono un bamboccione».
«Sì,
lo sei se la pensi così. Se riesci a tenere testa a un
Tentacruel
selvatico e pescare cinquanta Dratini in una sola notte, allora puoi
anche prenderti responsabilità ben maggiori. Meriti di
essere un
tutore».
«Io
non merito un bel niente Gerardo, per una volta volevo godermi un
periodo di riposo, poi ripartire con la caccia al termine dei
festeggiamenti. Da oggi mi posso considerare come un recluso, non
posso allontanarmi dal Rifugio con gli scienziati sulle spalle»
sbuffò Ivan e si levò il cappello, lo
buttò in un angolo della
stanza e guardò il proprio riflesso che compariva sulla
parete
lucida lì davanti. Sopra alla sua testa c'era una bandana
azzurra, quest'ultima era decorata con un ricamo dalla forma
circolare, nella parte
superiore si perdeva in un triangolo ben affilato in quella inferiore
spuntavano due ossa.
Si
trattava di un cimelio da cui Ivan non poteva separarsene, ogni
giorno nascondeva l'indumento colorato sotto il cappello della divisa
dei Rocket. Era un rischio che se la sentiva di correre, il
regolamento proibiva indumenti diversi.
Un
sogno, una promessa da mantenere. Due
persone importanti che l'aspettavano dall'altro capo del mondo, da
ciò era vincolato Ivan, non poteva tradire i suoi migliori
amici.
Alan
e Ada, questi erano i nomi dei due bambini con cui era cresciuto. Solo
Gerardo era a conoscenza di quell'innocente segreto, era un tipo
affidabile.
«Con
i permessi di uscita si può fare di tutto, questa non
è una
prigione. Vedrai che una soluzione al problema la troveremo. Fidati di
me,
sono molto simpatico ad Ariana».
«Alla
fine verrai giudicato come il cocco di Ariana, presta attenzione».
«Non
è colpa mia, le piace solo il modo con cui lavoro».
«Devo
forse pensare con più malizia?»
ridacchiò Ivan, poi tirò una pacca ben messa
sulla spalla di
Gerardo. «C'è
forse del
tenero tra voi? Non resterei impressionato dalla notizia, di me ti
puoi fidare».
«Non
dirlo nemmeno per scherzo».
«Perché
mai? Siete una bella coppia».
«Ariana
non frequenta le reclute»
si lamentò Gerardo,
massaggiandosi le tempie. «E
poi non
fà al caso mio e, detto tra noi, se devo sistemarmi lo
farò solo
con la persona giusta. Non sono il ragazzo che corre dietro alle
femmine, dovresti saperlo meglio di me».
«Quanto
la fai lunga, se continui di questo passo invecchierai da solo».
«Fottiti
Ivan!».
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** - Un colpo di fortuna ***
capitolo tre un colpo di fortuna
Capitolo
tre
-
Un
colpo di fortuna.
«Mi
piaci di più quando non ci sei.
L'assenza nasconde i difetti e copre ogni ricordo ostile,
così mi ritrovo a pensarti nella tua parte
migliore.
Non riuscirai mai a essere più bella del mio ricordo di te
nella lontananza»
»
La pietà dell'acqua, Antonio Fusco.
“Attenzione”.
La
voce robotica uscì dall'altoparlante, si propagò
in ogni stanza
del Rifugio: “Il
Plutone è in arrivo, attenzione. Presentarsi nell'aula dei
ricevimenti per la cerimonia, attenzione. I ritardatari non
resteranno impuniti, attenzione”.
Ivan
sussultò al messaggio inatteso, le cinque erano scoccate e
lui non era ancora pronto.
«Accidenti!»
Urlò
il mal capitato, si sistemò il cappello per nascondere la
bandana,
indossò la maglia della divisa e cominciò a
correre a perdifiato
lungo il corridoio. Era in ritardo alla cerimonia, Ivan era famoso per
l'incapacità di rispettare gli orari, trovava sempre un
impegno che lo tratteneva fino all'ultimo minuto. Si
era isolato per un po' nella camera con gli attrezzi ginnici, aveva
preso a pugni il sacco pieno di sabbia per schiarirsi le idee, ma
aveva perso la concezione del tempo.
Il
fatto che doveva salire sul palco per presentarsi come tutore non
l'aiutava, Giovanni non voleva fare figuracce davanti
ai novellini. Esigeva la perfezione.
Era
solo una questione di minuti.
Un
piano.
Ivan
correva lungo la scalinata con le ginocchia molli dall'emozione, i
gradini erano la via più veloce, l'ascensore era
più lento.
Riuscì a intravedere la soglia della sala, i suoi
colleghi erano in fila davanti alla porta. Il sorriso si
propagò
lungo il volto di Ivan. Si poteva considerare un colpo di fortuna.
*
* *
Max
era stato male per tutto il tragitto.
La
tortura era durata poche ore, ma la traversata in mare
sembrò
interminabile. Il rosso detestava profondamente l'oceano e l'acqua in
generale, provava disgusto per la brezza marina che gli accarezzava
il volto. Vomitò anche l'anima nella stiva semi buia del
traghetto
mezzo diroccato, sotto lo sguardo ripugnato dei compagni
dall'intestino d'acciaio, era bianco come un cadavere quando
l'imbarcazione
attraccò al porto di Aranciopoli, l'incubo era finito.
Almeno in
parte.
Dana
e Leila non si erano mai separate dall'amico e, per affrontare il
tratto di strada a piedi, Max si lasciò aiutare dalle due
donne. I
tre riuscirono a raggiungere il pullman in perfetto orario, sul quale
montarono non appena avevano sistemato i pochi bagagli.
Max si adagiò sul sedile e iniziò ad assopirsi,
stanco com'era. Non
molto e si addormentò.
Quando
Dana l'aveva svegliato erano ad Azzurropoli, il veicolo non era
parcheggiato molto lontano dal Casinò, bastava attraversare
la
strada. Le otto reclute erano vicine al Rifugio, potevano procedere
in tutta sicurezza e sentirsi liberi di spogliarsi dai travestimenti.
Max cominciava a odiare il cappotto enorme, era stato il primo a
disfarsene.
Si
guardò attorno.
L'orologio
segnalava le cinque precise e la quiete faceva da sovrana eppure,
gran parte dei cittadini, si incamminavano sulle vie principali per
fare ritorno alle abitazioni. L'aria della sera era mossa da un
venticello fresco, i raggi del sole cominciavano ad affievolirsi.
Meraviglioso.
Sublime. Stupendo.
Max adorava già quel posto, fremeva dalla
voglia di andare a scoprirlo, da amante della ricerca non vedeva
l'ora di mettere le mani sui segreti di Azzurropoli. Sorrideva in
silenzio mentre si sistemava i capelli rossi con il pettine
tascabile, poi si copriva la testa con il cappello nero, intanto Dana
e Leila chiacchieravano del più e del meno, le loro emozioni
erano
palpabili con mano. Max era troppo impegnato a guardare il
Casinò
per intromettersi, era una struttura imponente illuminata da un
numero illimitato di luci, faticava a contarle tutte. Lo poteva
definire come casa, il posto in cui avevano allestito un laboratorio
professionale pronto per accoglierlo.
«Dai
Passerotto, muoviamoci»
L'incoraggiamento di Leila.
Max
tornò alla realtà e annuì con un
movimento leggero della testa,
poi recuperò il proprio bagaglio e si lasciò
guidare dai colleghi,
capitanati a loro volta da un Generale dai comportamenti piuttosto
eleganti e raffinati, il quale era impegnato a spiegare il modo
più
rapido per entrare nell'edificio senza farsi scoprire dagli abitanti
del posto. Il
rosso non parlava dalla troppa emozione, era difficile
anche immagazzinare quel susseguirsi di informazioni. Il regolamento
era più o meno simile a quello adottato nel campo di
addestramento,
perciò non era complicato tenere a mente la porta che
permetteva
ogni genere di spostamento. Peccato
che, se non erano previste delle missioni, servivano i permessi per
lasciare il Rifugio. Lì la sicurezza veniva prima di
qualsiasi altra
esigenza, a quanto pare Giovanni non era il personaggio che si
rovinava a causa degli inetti.
I
passi di Max erano in perfetta armonia con quelli dei compagni di
squadra, i suoi occhi si spostavano da una zona
all'altra senza mai fermarsi e, attraversata la soglia che conduceva a
un
corridoio vuoto decorato da un misero poster, si augurava di
conoscere persone tranquille o con cui era possibile aprire una
conversazione.
Sospirò e si mordicchiò il labbro. Era nervoso.
Il
Generale Rocket a quel punto si fermò all'altezza del pezzo
di carta
ridotto a brandelli, infilò la mano sotto di esso e
schiacciò un
pulsante.
Si udì un fastidioso suono metallico e il pavimento
rivelò la presenza di un passaggio
segreto, che celava delle scale a chiocciola. Scendevano verso il
basso, il nascondiglio del Team si trovava nei
sotterranei.
Max poteva mettere piede dentro al Rifugio
del Team Rocket.
*
* *
«Ivan,
dove eri finito?! Stavamo per cominciare senza di te»
Non
appena Ivan aveva messo piede dentro alla sala, felice di averla
fatta franca ancora una volta, Ariana l'aveva trascinato nella parte
più remota della stanza. Lì aveva cominciato a
rimproverarlo,
ribolliva dalla rabbia.
«Ho
perso la cognizione del tempo, mi stavo allenando con il sacco, mi
dispiace»
si giustificò Ivan,
poi abbassò lo sguardo per evitare quello della donna. «Non
succederà più, lo giuro»
Ariana
scrollò le spalle e ignorò completamente le
promesse di Ivan, ormai
erano anni che le sentiva ripetere. Niente era cambiato, era rimasto
il solito ritardatario.
Anche punirlo era diventato inutile.
«Ancora
mi domando come mai Giovanni ha scelto te come tutore, ci voleva
qualcuno di più affidabile. Non rispetti mai il regolamento,
ti
perdi nel Rifugio e con le parole sei un disastro. Giovanni ha voluto
rischiare»
Ivan
arricciò le labbra e assottigliò lo sguardo, poi
intrecciò le
braccia contro al petto. Cercò di soffocare la rabbia, era
indispettito dalle critiche poco costruttive del Generale. «Non
la pensa come te. Ma dove sono i nuovi arrivati?»
«Il
tuo superiore si sta preoccupando di accompagnarli, tu
pensa a comportarti da gentleman oppure al discorso di benvenuto. Se
fai il selvaggio come al tuo solito, li farai scappare».
Seconda
frecciatina.
Ivan
scrollò le spalle, restò in silenzio e si
massaggiò il collo per
rilassare i nervi. Era agitato a causa dell'incarico improvviso, Ivan
non era in grado di formulare le parole giuste in un breve lasso di
tempo, se l'avesse saputo qualche giorno fa non si sarebbe ridotto
all'ultimo minuto.
Ma così non era stato.
A
quel punto sperava solo di cavarsela, ma era difficile sperare in un
successo.
Aveva
bisogno di un miracolo.
«Farò
del mio meglio»
commentò
infine.
«È
quello che tutti si aspettano da te, sei ancora sicuro di voler
proseguire Ivan?»
la donna si
posò una mano sul volto per nascondere il sorriso, il modo
in cui
ridacchiava era semplicemente celestiale, però
gettò uno sguardo
provocante su Ivan.
Non era un buon segno.
«Sarei
felice di cambiare
tutore all'ultimo minuto, almeno Gerardo saprebbe cosa fare al tuo
posto. Lui è un ottimo lavoratore, a differenza tua, ancora
non
capisco come mai non segui il suo esempio e ti impegni fino
all'ultimo. Eppure passate tutto il tempo insieme»
Ivan
digrignò i denti dalla rabbia, Ariana aveva oltrepassato il
limite.
Era a conoscenza del fatto che fosse più velenosa del Budew
di Gerardo, adorava il carattere forte che le aveva
permesso di diventare un Generale Rocket, ma non poteva prendersi
delle libertà simili. Non con lui, Ivan non era l'uomo che
si
lasciava mettere i piedi in testa così facilmente. «Parli
sempre di lui, ma se ti piace così tanto perché
non te lo sposi?»
Ivan la stuzzicò con un sorriso sfacciato sul volto,
donandole una
gomitata fastidiosissima sul braccio.
La donna non si azzardò a rispondere, infuriata com'era, si
limitò
ad agguantargli una guancia con due dita, pizzicandole con forza.
Ivan iniziò a lacrimare e si dimenò per liberarsi
dalla stretta, ma Ariana non lo lasciava andare.
«Non
ti azzardare più a parlarmi in questo modo, sono stata
abbastanza
chiara Ivan?»
Ivan
annuì e la donna lo liberò. Si
massaggiò la mascella, osservò gli
occhi cangianti della ragazza. «Sai
Ariana, ti detesto quando mi paragoni a Gerardo»
commentò con un sospiro.
«Tu
mi infastidisci quando non rispetti le regole, eppure continui a fare
di testa tua»
replicò Ariana.
La porta principale si aprì con uno schianto e i due
terminarono
di parlare mentre guardavano le otto reclute, che entravano nella
sala insieme ad Archer, il Generale Rocket più rispettato da
quelle
parti. Come Ariana anche il secondo Generale era fedele a
Giovanni, lavorava a stretto contatto con lui e indossava la divisa
bianca al posto di quella nera. Nonostante i tratti somatici asiatici
che lo caratterizzavano, aveva la pelle chiara ma decorata da
deliziosi occhi a mandorla, quest'ultimi erano di un elegante verde
acqua e si intonavano con i capelli dello stesso colore, li portava
rasati e non scendevano più in là della testa.
Era giunto il
momento di salire sul palco.
Ivan
era nervoso, iniziò a muoversi per raggiungere la sedia in
cui
doveva sedersi, aspettare che i Generali parlassero del più
e del
meno per esporre al meglio il regolamento, poi doveva prendere il
controllo del microfono e terminare la cerimonia con un bel discorso.
Ariana gli afferrò la mano:
«Ti
auguro buona fortuna, ti servirà Ivan»
«Non
preoccuparti, Ariana, me la caverò»
«Lo
spero bene, è risaputo che le tue sono promesse da marinaio»
«Da
stasera sarò sulla bocca di tutti, me lo sento»
esclamò Ivan con il sorriso e agguantò la mano
della donna, nell'attimo dopo la baciò velocemente.
«Sì
Ivan...»
«Posso
andare adesso?»
«Vai
e conquistali tutti»
«Lo
farò, stanne certa»
Era la prima volta
che Ivan saliva sopra a un palco per dedicarsi a
un discorso, non era piacevole avere un sacco di occhi puntati
addosso.
Ma non poteva tirarsi indietro, non dopo che aveva
accettato l'incarico da tutore, doveva prendere la palla al balzo e
affrontare la situazione come meglio poteva.
Per
fortuna Giovanni era seduto al suo fianco, teneva il sigaro acceso a
portata di mano e si gustava un delizioso drink dello stesso colore
dell'ambra. Mentre Archer illustrava il regolamento ai nuovi
arrivati, il Capo tirava delle gomitate a Ivan per permettergli di
adocchiare le due ragazze presenti tra i novellini, erano molto
carine riguardo l'aspetto. Il tutto sotto lo sguardo assassino di
Ariana, seduta poco più in là.
Ivan non voleva commettere
errori, ma lasciò che per una volta le emozioni prendessero
il
sopravvento, perciò cominciò a ridacchiare alle
battute sporche che
gli arrivavano alle orecchie, ogni tanto buttava giù un
sorso
dell'alcoolico che aveva recuperato prima di sedersi. Non gli faceva
bene ingerire quel genere di sostanze, non prima di parlare al
microfono, ma non riusciva a essere coraggioso senza un piccolo aiuto
esterno.
Terminati
i comportamenti maliziosi, Ivan si preoccupò di gettare lo
sguardo
sui nuovi arrivati. Erano otto personaggi, a prima vista parevano
uguali data la presenza della divisa nera, se ne stavano in fila
davanti all'impalcatura e dipendevano dalle parole del Generale.
Uno
in particolare.
Ivan
non riuscì a inquadrarlo, aveva notato solo dei
capelli rossi.
«Ivan
alzati, è il tuo turno adesso»
Ariana
l'aveva salvato da una figuraccia, per fortuna.
Ivan
deglutì e guardò sia Ariana che Giovanni, non era
pronto. Lasciò il bicchiere da una parte e si
alzò malamente dalla sedia,
sentiva che l'alcool mentre gli circolava nel sangue, successivamente
si avvicinò al microfono e lo impugnò con
delicatezza.
Un
respiro.
Poi
iniziò a parlare.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** - Il tutore, il minatore e lo scienziato. ***
il tutore, il minatore e lo scienziato
Capitolo
Quattro
- Il tutore, il minatore e lo scienziato.
«Vide
qualcosa che si muoveva nella semioscurità, sul lavandino,
un paio di antenne
che oscillavano avanti e indietro. Uno scarafaggio.
Era grande come un
pollice e aveva una striscia arancione sul dorso.
Non ne aveva mai
visto uno simile prima d'allora, ma in fondo non era
così strano:
aveva letto che
esistevano più di tremila specie di
scarafaggi.
Aveva anche letto
che si nascondono quando avvertono le vibrazioni di
qualcuno in avvicinamento,
che per ogni
scarafaggio scoperto ce ne sono almeno dieci che la fanno
franca.
Questo significava
che erano ovunque»
» Scarafaggi, Jo Nesbø
Max
era pensieroso quando attraversò la porta insieme ai suoi
compagni,
in men che non si dica era stato catapultato in un'ampia sala: le
pareti bianche e il pavimento marroncino ben lucidato, la facevano
assomigliare alla palestra del vecchio liceo, anche l'odore che
impregnava l'aria era più o meno simile; quest'ultima era
stata
allestita da un tavolo per il buffet imbandito di leccornie costose,
un palco centrale che poteva ospitare almeno quattro persone, sedie
in plastica nera allineate contro al muro e musica classica di
sottofondo, ma che garantiva delle buone conversazioni. In mezzo alle
decorazioni dall'aria strampalata, c'erano uomini e donne che
indossavano la divisa nera dei Rocket, i cui volti esprimevano ogni
genere di sensazione.
Noia.
Gioia. Tristezza. Nervosismo. Curiosità.
Ogni
recluta presente all'evento viveva quell'attimo in maniera diversa,
insieme ai vari adulti spiccavano anche dei ragazzini, i quali
raggiungevano appena i sedici anni d'età. Non era mai troppo
presto
per diventare un membro ufficiale del Team Rocket, forse Giovanni
semplificava l'esame di ammissione, a quanto pare voleva permettere a
chiunque di essere un criminale.
Max scrollò le spalle e si
schiarì la voce con un colpo leggero di tosse,
cercò di mantenere
una posizione rigida mentre seguiva il Generale, era sua intenzione
quella di fare una bella impressione sui prossimi colleghi di lavoro.
Anche se oscurati dalla visiera sottile dei cappelli, ogni occhio era
puntato indirettamente sul plutone che avanzava a velocità
moderata
e Max, che allora si paragonava mentalmente a una cavia da
laboratorio, era invaso da una strana sensazione di disagio. Ma
restò
tranquillo, non era il caso di perdersi in fesserie, poi
osservò i
collaboratori che si allineavano davanti al palcoscenico vuoto.
Appena Dana aveva finito di sistemarsi, Max l'affiancò
velocemente e
cominciò a mordicchiarsi freneticamente l'interno guancia.
La
musica cessò di perforare le orecchie del giovane studioso,
solo
allora si era reso conto del brusio di sottofondo provocato da voci,
intente a giudicare i nuovi arrivati. Ma si placarono quando Giovanni
entrò da una porta secondaria, nella mano destra reggeva un
drink
color ambra, ci giocherellava lentamente e muoveva il bicchiere di
cristallo in modo circolare; a passo lento salì sul palco
per
piazzarsi su una sedia vuota non molto lontana dal microfono e,
mentre si accendeva un sigaro, puntò gli occhi scuri sugli
otto
personaggi appena arrivati dalla regione di Johto.
Max deglutì
dallo sconforto, aveva una voglia tremenda di abbassare lo sguardo,
era la prima volta che si ritrovava faccia a faccia con il Capo del
Team Rocket, non se l'era mai immaginato come un uomo dall'aria
minacciosa. Mentre era sul punto di sospirare per incoraggiarsi,
però, si sentì agguantare la mano da Dana.
Archer,
questo era il nome del Generale che li aveva accolti e accompagnati
fin lì, imitò i movimenti del Leader e si
piazzò davanti al
microfono. Iniziò a discutere del più e del meno
con un tono
abbastanza monotono, dietro agli otto sfortunati c'erano reclute che
sbadigliavano di continuo.
Quell'uomo ripeteva all'infinito il
regolamento, Max trovava quel procedimento piuttosto noioso e
nauseante, ormai aveva capito che esisteva un coprifuoco e che le
reclute potevano uscire solo tramite un permesso scritto, che motivo
c'era di comportarsi come un disco rotto? Max cercò di non
battere
ciglio, doveva omologarsi a ogni costo, ma cessò di
concentrarsi
sulla figura di Giovanni quando adocchiò due sagome
insolite,
impegnate a salire sul palco. Alla fine del tragitto i due avevano
preso posto sulle sedie rimaste vuote.
Max osservò i due
personaggi, da lì poteva inquadrarli chiaramente.
Prima c'era una
donna dal portamento fiero, era seduta al fianco sinistro di
Giovanni. Dal lungo vestito bianco capì che si trattava di
uno dei
Generali Rocket era la dama che, almeno al campo di addestramento,
descrivevano in mille modi diversi. Il suo viso possedeva dei
lineamenti piuttosto marcati, incorniciato alla perfezione da capelli
scarlatti di media lunghezza che assomigliavano a delle fiamme
ardenti, i suoi occhi possedevano un colore indefinito, forse erano
cangianti. Il corpo della comandante, poi, era sensazionale e Max si
emozionò durante l'osservazione. Pareva privo di qualsiasi
imperfezione, come se fosse dipinto da un pittore ricco di fama ed
esperienza.
Max era rimasto incantato dall'angelica visione e non
voleva più toglierle gli occhi di dosso ma, il secondo
individuo,
riuscì ad attirare l'attenzione dello scienziato.
Stranamente.
Occhi
rotondi e scuri, ciuffetti corvini che spuntavano da sotto il
cappello. Era chiaro che si trattava di una recluta, aveva il volto
coperto da uno strato di barba poco curata; c'era una cicatrice a
forma di “ics”piazzata in mezzo alla fronte, la
quale terminava
di decorare quel delizioso quadretto. Il ragazzo in questione
assomigliava a un esemplare di Sharpedo, ciò
riuscì a far sorridere
anche Max. La pelle dello sconosciuto era dello stesso colore del
cioccolato al latte, il suo corpo massiccio era coperto da
così
tanti muscoli che, il tessuto della divisa, si poteva strappare da un
momento all'altro.
Max arricciò la punta del nasino, pareva
deliziato, ma finì di sorridere.
Infatti
sia Giovanni che la recluta stavano tracannando dell'alcool e, mentre
Archer era intenzionato a prolungare il discorso, sembrava che i due
mandavano avanti una conversazione per soli uomini. Ridevano
continuamente, i loro occhi finivano spesso su Leila o Dana.
Max
digrignò i denti senza far troppo rumore, indignato.
Nessuno
poteva adocchiare in quel modo le sue amiche, ormai le vedeva
entrambe come due sorelle mancate.
«E
ora diamo la parola al vostro tutore»
esclamò all'improvviso Archer, poi si preoccupò
di mettere in
mostra ciò che si poteva considerare un sorriso, ma si
trattò di un
ghigno estremamente falso. «Sarà
lui ad accompagnarvi nelle prossime settimane, vi spiegherà
tutto
ciò che non è stato detto stasera, in
più vi mostrerà i vostri
alloggi, le stanze che potrete frequentare liberamente e quelle
destinate ai nostri progetti»
continuò a spiegare e si sistemò un ciuffo dei
capelli, poi si
voltò verso la recluta seduta accanto a Giovanni.
Lo
sconosciuto si alzò con due minuti di ritardo e, quando
lasciò il
bicchiere in un angolo, si avvicinò al microfono con una
camminata
impacciata.
Poi iniziò a parlare.
«Ruba
i Pokémon per profitto. Sfrutta i Pokémon per
profitto. Tutti i
Pokémon esistono per la gloria del Team Rocket»
il
tale aveva cominciato il discorso con il motto onorario del Team,
senza nemmeno appoggiare il cappello sul cuore. Max non aveva
apprezzato l'intervento, non era così essenziale, ma la
curiosità
lo invogliò a proseguire con l'ascolto. «Signori
e, giustamente, signore. Io non conosco voi e voi non conoscete me,
però questa sera ho avuto l'incarico di salire su questo
palco, per
discutere al meglio su ciò che vi aspetta all'interno del
Rifugio»
mentre
lo sconosciuto parlava con convinzione, proprio quando aveva preso
confidenza con l'arnese elettronico, partì un lampo
rossastro dalla
sua cintura così dietro di lui si materializzò un
enorme
Tentacruel.
Max rabbrividì all'istante e cercò di
non
guardare
la bestia, detestava ogni Pokémon che proveniva dal mare o
dall'acqua in generale. Per non parlare di quelle meduse troppo
cresciute, erano fastidiose e fameliche, non erano i Pokémon
adatti
a fare compagnia a una coppia di anziani. Inutili, perfettamente
privi di senso.
Proprio come il tizio che si sforzava di mettere
due parole in croce, era in grado di compiere il suo dovere solo
grazie all'alcool. Da sobrio, non era capace nemmeno di accogliere un
gruppo misero di compagni.
«Ehm...Io
e il mio Pokémon...Volevamo solo darvi il benvenuto
all'interno
dell'organizzazione, mi complimento con voi per essere arrivati fin
qui, non è semplice passare l'esame di ammissione.
Ha
messo in difficoltà anche me, anni fa»
Max
scrollò le spalle e sospirò irritato, se dei
bambocci di sedici
anni potevano ottenere il titolo di recluta, quell'essere allora era
proprio privo di intelletto.
Tutto muscoli e niente cervello.
Uno
studioso come Max non era intenzionato ad avvicinarsi a un tipo come
lui, grazie agli insegnamenti del padre aveva compreso chi era da
frequentare e chi no, ma nel Team Rocket era impossibile rispettare
le regole imposte dal genitore. Quella conferenza, quel discorso, una
vera perdita di tempo.
Intanto il Tentacruel restava al fianco
dell'allenatore, non lo perdeva di vista e si strusciava contro la
sua schiena: «Perciò,
visto che mi hanno dato il titolo di tutore, nelle prossime settimane
mi assicurerò di rimanere al vostro fianco a ogni ora del
giorno, vi
darò una mano nel prendere la decisione giusta, specialmente
se ci
saranno delle missioni in corso; correte pure a chiamarmi per ogni
piccolo dilemma, anche se sentirete la nostalgia di casa. Non
è
assolutamente un problema, sono qui per questo.
Ma
sarete liberi di farlo anche dopo l'orientamento, siamo dei compagni
di squadra, dei fratelli al servizio del nostro unico padre,
Giovanni.
Dobbiamo
aiutarci, collaborare e conquistare ogni regione del
mondo.
Permettetemi di augurarvi buona fortuna, con noi vi
aspetterà un cammino ricco di imprevisti e sorprese, non
è così
male la vita di una recluta Rocket»
E
finì di parlare, a quanto pare non sapeva più
come fare per
continuare.
Pareva
imbarazzato, anche il Tentacruel era confuso.
Un
minuto dopo, però, nella sala si sentì un forte
frastuono.
Era
il rumore provocato dagli applausi, chiunque lo stava
applaudendo.
Tutti, sì, solo Max non si era mosso di un
millimetro.
Quello strano individuo era riuscito ad arrivare al
cuore di tutti, anche Giovanni applaudiva soddisfatto.
Max
abbassò la testa e sospirò, come se si volesse
nascondere dalla
vergogna, veramente l'avevano consegnato nelle mani di quel tale?
Non
gli poteva andare peggio di così.
*
* *
«Ivan,
sei stato magnifico!»
Quello
era stato uno dei tanti complimenti che avevano fatto a Ivan quella
sera, appena Tentacruel era tornato nella sua Pokéball, era
stato
assalito da una folla di reclute che l'avevano condotto di peso nella
stanza accanto, lì era in corso il party di benvenuto.
Avevano
trasformato Ivan nell'ospite d'onore, nessuno si era preoccupato di
chiamare i nuovi arrivati, erano tutti attorno al tutore e
dipendevano dalle sue labbra. L'interessato, poi, non era
così acuto
da notare la loro assenza, era in piedi sul tavolo, brindava alla
salute con un discorso campato in aria, oppure metteva in mostra le
doti canore con canzoni che conosceva grazie al padre. Beveva fiumi
d'alcool insieme ai suoi compagni, quella notte i limiti non
esistevano.
Due
specialmente.
Gerardo
e Zeno.
Zeno non era un uomo che si faceva vedere spesso nel rifugio, era
sempre
impegnato con gli scavi al Monte Luna e faceva ritorno ad Azzurropoli
per le grandi occasioni. Si guadagnava da vivere estraendo dalla
roccia i fossili dei Pokémon estinti, poi i suoi
collaboratori facevano il resto: li inviavano alla base dell'Isola
Cannella, per dare agli scienziati la possibilità di far
tornare in vita quelle misteriose
creature. Dalle rughe poco marcate che gli cospargevano il viso, si
capiva a prima vista che Zeno aveva quarant'anni suonati e, a causa
della forza brutale con cui picconava le pareti rocciose della grotta
oscura, si era procurato un fisico robusto e muscoloso da vero
minatore; era alto almeno due metri però, i capelli
lillà sparsi in
un cesto indomabile di ricci, lo aiutavano a mantenere un'aria
tranquilla e pacifica, quasi giovanile. Ivan lo soprannominava come
“il gigante buono”, ma ogni membro del Team Rocket
gli portava
rispetto dato che aveva conquistato il titolo di veterano. Erano
più
di vent'anni che scavava per conto della banda di criminali, mai una
volta si era fatto infinocchiare dalle autorità, erano in
pochi
coloro che riuscivano a invecchiare lì dentro.
«Ragazzo,
tu e Tentacruel avete fatto scintille su quel palco. Tutti
dipendevano dalle tue labbra»
si complimentò Zeno, aiutò Ivan a scendere dal
tavolo, poi gli donò
una pacca ben messa sulla spalla.
Ivan era sul punto di
inciampare, ma riuscì a stare in equilibrio grazie
all'intervento di
Gerardo, che non si allontanava mai.
«Grazie
Zeno, è bello vederti di nuovo tra noi»
cominciò Ivan e lasciò che Zeno gli riempisse il
boccale che teneva
nella mano destra, era veramente affezionato a quel gigante.
Assomigliava un po' a suo padre, in effetti. «Per
fortuna Giovanni ti ha dato il permesso di tornare, per quanto starai
qui?»
«Fino
alla fine dei festeggiamenti»
spiegò Zeno, poi appoggiò
il fianco contro al
tavolo per assumere una posizione più comoda. «Non
mi sono concessi benefici quando si parla di scavi, noi
minatori siamo d'impiccio per il Rifugio»
borbottò con una sonora risata, sorseggiò la
birra fresca a
grandi sorsi e intrecciò il braccio destro contro ai
pettorali
scolpiti: «E
voi ragazzi?».
«Il
mio lavoro procede bene, come al solito»
affermò Ivan entusiasta, non vedeva l'ora di raccontare dei
propri successi.
Zeno annuì contento e si lasciò scappare un
sorriso,
ormai considerava
Ivan come un figlio, ma passò direttamente a Gerardo. «E
tu Gerardo? È giunta voce fino al Monte Luna che sei
diventato uno
scassinatore professionista, devo credere a quei pettegolezzi?»
«Sì»
bisbigliò Gerardo, poi annuì con aria
soddisfatta. «Ho
saputo distinguermi in questo campo, diciamo»
«Oh dovresti proprio vederlo! Gerardo ha fatto
dei passi da gigante»
ecco che Ivan cominciò a parlare al posto dell'amico, voleva
solo
essere sincero. «Gerardo
ha
delle mani fantastiche, agili e svelte, è capace di fare
qualsiasi
cosa»
«Ivan,
smettila»
«Gerardo,
perché dici così? Non è forse vero?»
«Ho
capito, ho capito. Voi due siete dei ragazzi dalle doti eccezionali,
il Team Rocket ha fatto un vero affare a reclutarvi»
mormorò Zeno per interrompere la discussione dei due
giovani, poi si
infilò tra loro per cingerli in un delizioso abbraccio di
gruppo.
Il
trio scoppiò subito a ridere animatamente. Gerardo e Ivan
assalirono
il petto del gigante con una lunga serie di pugni. Era impossibile
scalfirlo.
I
tre formavano una bella famiglia.
*
* *
Erano
passate diverse ore da quando il tutore aveva finito il discorso, ma
nessuno l'aveva più visto da quando era sceso dal palco.
Molte
reclute l'avevano accerchiato, poi l'avevano trascinato via.
Max,
contento di non avere attorno quell'ammasso informe di muscoli, aveva
recuperato qualcosa di stuzzicante dal buffet, se non metteva in
bocca qualcosa rischiava di svenire dalla fame, poi si era messo a
chiacchierare con i pochi soggetti rimasti all'interno del salone.
Ogni
tanto masticava le cibarie che aveva recuperato, ma non si divertiva.
Anche
Leila aveva inseguito il tutore, solo Dana era rimasta nei paraggi e
faceva le domande più bizzarre ai due Generali, Ariana
compresa.
Max
le guardò per un attimo. Erano entrambe bellissime.
Era sul punto
di avvicinarsi, curioso di conoscere la donna che creava mille
emozioni nei cuori delle reclute ma, appena aveva fatto il primo
passo, Leila sbucò dalla porta e si fermò proprio
davanti allo
scienziato per sbarrargli la strada:
«Passerotto
sei ancora qui? Non vieni alla festa?»
«Festa?»
esclamò Max senza capire. «Sono
già alla festa Leila»
«Oh
no!»
Leila scoppiò a ridere,
poi intrecciò il braccio attorno a quello di Max. «Le
reclute hanno organizzato un party tutto per noi, è
nell'altra
stanza. Dovresti venire! C'è musica, festoni, birra...Di
tutto!»
«Party?»
mormorò Max insicuro, le spiegazioni della donna non lo
convincevano, poi lasciò il piatto dove l'aveva preso e si
lasciò
guidare dall'amica. «Ne
sei
sicura?»
«Certo!»
«Eppure
questo posto è così calmo...La musica
c'è anche qui...»
«Passerotto,
piantala»
la donna bloccò le
argomentazioni proposte da Max, continuò ad accompagnarlo
alla
soglia con passo veramente deciso. «E
poi ho bisogno del tuo aiuto, voglio parlare con il nostro tutore ma
non ho il coraggio per avvicinarmi, tu sei un uomo quindi
sarà un
gioco da ragazzi parlare con lui»
Max
deglutì e cercò un modo per riuscire a scappare,
ma a quanto pare
era inutile andare contro alle volontà di Leila. Una parte
voleva
evitare di parlare con quell'essere ripugnante, l'altra non voleva
far esplodere il carattere ardente della donna.
Era in mezzo a due fuochi, doveva trovare la maniera giusta per
liberarsi.
«Voi
due, dove state andando?»
Dana,
li aveva notati fuggire e si era aggregata:
«Al
party organizzato dalle reclute, vuoi venire con noi Primula? Stiamo
andando a conoscere il tutore»
«Certo!
Perché non me l'avete detto subito?»
Max
sospirò e lasciò che Dana afferrasse il secondo
braccio, era
spacciato.
Angolo
dell'Autrice
Ciao, sono sempre io... Lily!
A distanza di tempo
sono riuscita ad aggiungere un capitolo a questa storia, della quale
non mi sono dimenticata, affatto.
Sono mesi che lavoro
senza sosta sul materiale che ho scritto in precedenza, il mio
è un continuo circolo vizioso di cambiamenti e
miglioramenti, solo oggi sono riuscita a concludere il capitolo che mi
ha causato più "problemi". Mi dispiace far aspettare i pochi
che seguono il racconto, ma sono la classica autrice che preferisce
prendersela comoda, visto che Xavier si è assentato devo
procedere a piccoli passi per correggere i miei eventuali errori
grammaticali.
Quindi...
State sereni e non
scordatevi di passare dal profilo di Komadori!
Mi viene da ridere, ho
aggiornato la storia nel periodo in cui ORAS ha festeggiato un anno dalla
sua uscita. Hahaha, come passa veloce il tempo quando ci si diverte!
Il mese prossimo anche
noi Pettirossi festeggeremo un anno di attività, da quel
lontano giorno ho avuto delle esperienze che hanno cambiato me, il mio
modo di scrivere, di curare l'impaginazione dei miei racconti e di
vedere il mondo. Secondo voi si nota? Beh, spero che non sia una mia
impressione.
Però
è bello sapere che un videogioco sui Pokémon ha
coinvolto due persone così differenti e lontane, che le ha
indotte a creare un piccolo angolo di scrittura che può
piacere a chiunque. Le amicizie che mi sono fatta grazie a questo mondo
colorato sono magnifiche e, anche se quei ragazzi abitano dall'altra
parte dell'Italia, spero di non perderli mai di vista. (Il prossimo che
dice: "Eh, ma i Pokémon sono giochi per bambini!" giuro che
le prende di santa ragione).
E niente...
Le parole a caso
finiscono qui, per oggi.
Grazie per coloro che
si fermano per recensire, che si ostinano a leggere le fan fiction /
One Shot che pubblichiamo.
Forse Xavier
sarà assente a causa del suo troppo studio, un giorno quel
ragazzo farà la stessa fine di Cyrus se continua
così, però troverete questa povera autrice a
coltivare la sua passione per la scrittura.
Ci rivedremo
prossimamente, se non pubblicherò qualcosa entro Natale vi
auguro delle buone feste in anticipo!
Grazie di cuore a
chiunque, anche ai volponi che si fermano a leggere il testo e che non
recensiscono. Siete belli, ciao!
Lily
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** - Oltre la prima impressione ***
cinque
Capitolo
Cinque.
-
Oltre
la prima impressione.
« Galleggiava nei
suoi pensieri, sospinto dal vento della malinconia.
Ogni tanto si
immergeva in qualche ricordo e poi risaliva a prendere aria.
In quella notte
stupenda che aveva un solo difetto: non era fatta per stare da soli.
Ci vollero quattro
bicchieri di rum per sciogliere il groppo alla gola e un quinto per far
scivolare la testa
sul lato della
poltrona e chiudere gli occhi.
Dopo aver mandato a
fare in culo il mondo intero. »
» La pietà dell'Acqua,
Antonio Fusco
- Le
ore trascorrevano rapide mentre Ivan si divertiva insieme ai suoi
compagni: ballavano al ritmo della musica sparata a tutto volume,
bevevano così tanto alcool da avere la vista
offuscata.
Quando si
avvicinò il momento di mangiare, ogni invitato
lasciò la pista da
ballo e si parcheggiò attorno ad uno dei tre tavoli per
ingozzarsi
di cibo spazzatura.
Ivan non era il personaggio che adorava
mangiare, si sentiva soffocare se passava un minuto in più a
tavola,
ma le danze e l'alcool gli avevano messo addosso una fame da lupi,
quindi spizzicò volentieri un po' di patatine fritte con
ketchup,
oppure dei piccoli panini imbottiti.
Davvero ottimi.
Ivan
era concentrato sulla cena, però si ritrovò a
chiacchierare con
cinque dei nuovi arrivati, risultò faticoso parlare e
masticare.
Erano dei ragazzi molto gentili, educati e intelligenti, non volevano
fare niente di male se non complimentarsi per il discorso, oppure per
il motto che aveva recitato a memoria. Avevano elogiato con parole
complicate Tentacruel, il Pokémon che si era intromesso
all'improvviso e che l'aveva accompagnato durante la conclusione
della cerimonia. Ivan era al settimo cielo davanti alle lusinghe, era
contento di aver fatto una buona impressione.
Inghiottì
velocemente ogni boccone per terminare il pasto, recuperò
qualcosa
da bere e si accostò alle nuove reclute per rispondere alle
domande,
passò diversi minuti a spiegare che, a festa finita, li
avrebbe
riuniti per accompagnarli negli unici alloggi rimasti liberi. In un
secondo momento, si preoccupò di avvertirli sul modo di
vivere
all'interno del Rifugio: alcuni partivano per raggiungere
stabilimenti diversi, altri restavano e dovevano gestire al meglio il
Casinò, svolgere attività nei laboratori,
prestare servizio nelle
cucine per dare una mano al cuoco, oppure rispettare il turno delle
pulizie.
Alla fine dell'interminabile chiacchierata i cinque si
congedarono, sorridevano soddisfatti mentre raggiungevano la pista da
ballo; Ivan intanto aveva la gola che bruciava, era sul punto di
recuperare un'altra birra per raggiungere Gerardo, ma si
presentò un
trio dall'aria piuttosto bizzarra e i suoi piani andarono in fumo.
La
pazienza di Ivan era messa a dura prova quella sera, ma si
bloccò
con il sorriso perché il lavoro veniva prima delle
comodità, così
rinunciò all'idea del bicchiere d'alcool e scrutò
i novellini
rimasti: c'era una ragazza dai capelli blu raccolti in una coda di
cavallo, il fisico era piuttosto asciutto e privo di curve femminili
e, un enorme paia di occhiali, le invadeva il viso. La seconda donna
era l'opposto della prima, un po' grassottella e con il seno che a
momenti esplodeva sotto alla divisa nera, capelli biondi e mossi che
teneva sciolti, pelle olivastra da cui proveniva un ottimo profumo e
occhi verde smeraldo.
Ivan
era sul punto di attaccare bottone con le due femmine, quando gli si
piazzò davanti il terzo elemento. Era un maschio questa
volta e,
l'espressione che teneva in volto, non pareva la più
amichevole del
mondo. Il corpo del giovane scienziato era snello e la sua pelle era
di uno strano pallore, secondo Ivan a quel tizio gli serviva una
vacanza al mare, magari si sarebbe abbronzato un po'. Il viso della
recluta era squadrato e dai lineamenti marcati, occhi scuri e
abbondanti capelli rossi che teneva ben pettinati sotto al cappello,
ma trattenuti da un delizioso codino sulla nuca.
«Ciao»
esclamò Ivan con il sorriso, guardando lo scienziato.
«Buonasera»
commentò.
Ivan
a quel punto capì che doveva andarci piano con lui,
perciò avvicinò
la mano alla sua e cercò di essere il più
cordiale possibile: «Il
mio nome è...»
«Non
mi interessa» lo strano tizio lo bloccò subito,
non aveva sciolto
la posa per rispondere al saluto. Braccia intrecciate dietro alla
schiena, schiena dritta come se fosse un soldato ben addestrato e
sguardo privo di emozioni.
Quel novellino poteva essere
classificato come il fratello minore di Ariana, magari aveva la
possibilità di arrivare alla famigerata divisa bianca,
sempre se
continuava ad affrontare la routine del Rifugio con quello spirito di
iniziativa. «Sei il nostro tutore, mi basta sapere
questo»
Ivan
si limitò ad annuire, poi afferrò il bicchiere:
«Va bene, come
preferisci».
«Sono
qui per presentarti le mie colleghe, sono Dana e Leila»
iniziò a
parlare il ragazzo, poi indicò le due donne alle sue spalle
per
presentarle. «Adesso posso andarmene, non voglio perdere
tempo. Però
sii gentile con le mie amiche, solo perché sei il tutore non
significa che puoi abusare del tuo compito» e detto
ciò il ragazzo
dai capelli rossi si congedò, Ivan allora si girò
appena e lo
guardò mentre camminava in un punto impreciso della stanza.
Poi
sospirò e tornò dalle due donne.
Doveva
essere forte, non tutti erano buoni e gentili lì dentro.
«Scusalo...»
commentò la biondina e si sistemò un ciuffo di
capelli, lei doveva
essere Leila. «Il nostro amico non è proprio il
massimo, però c'è
del buono in lui. Basta solo avere pazienza, con il tempo si
scioglierà un po'»
«Non
è il primo che mi parla in quel modo, perciò non
preoccuparti...Leila, vero?»
«Esatto,
hai capito bene, lei invece è Dana. Ma io la chiamo
Primula»
esclamò la ragazza, poi Dana si presentò con il
gesto veloce della
mano.
La piccoletta aveva il viso cosparso di rossore,
evidentemente era troppo imbarazzata per aprire bocca. «Molto
lieto
di fare la vostra conoscenza, voi siete le uniche donne che hanno
passato l'esame. Non è forse così?»
«Certo,
siamo felici di essere qui al Rifugio dei Rocket»
«Tutti
lo sono all'inizio, Leila, poi con il passare dei giorni cambiano
idea e chiedono un permesso per essere trasferiti altrove»
raccontò
Ivan e scoppiò a ridere, nell'attimo dopo si
preoccupò di riempire
due bicchieri per le ragazze. «C'è veramente molto
lavoro da fare
qui dentro, ma Giovanni dona alle fanciulle dei compiti un po'
più
leggeri. Spero che non vi dispiaccia, non siamo dei maschilisti,
è
solo che alle donne concediamo incarichi dove è
più utile usare il
cervello»
Leila
annuì soddisfatta e afferrò i due bicchieri, poi
passò il secondo
calice a Dana che si rifiutò di ingerire dell'alcool.
«Io sono
pronta a lavorare, non sono la donna che teme di spaccare pietre
sotto al sole. Mi considero una tutto fare»
«Ne
sono felice» Ivan tornò a ridere, già
adorava Leila e non vedeva
l'ora di passare del tempo con lei. «E noi abbiamo bisogno di
donne
così. E tu Dana? Cosa preferiresti fare qui dentro? Magari
posso
mettere una buona parola per te, è il mio compito quello di
aiutarvi»
«Io...»
esclamò la ragazzina dai capelli blu, che abbassò
lo sguardo e si
schiarì la voce con un leggero colpo di tosse. Era ancora
imbarazzata, però sembrava sul punto di sciogliersi.
«A me
ecco...Piace molto stare a contatto con i macchinari, sono la mia
principale passione»
Ivan
si piazzò davanti al tavolo e piantò in asso la
birra, versò un
po' di succo alle bacche dentro a un bicchierino di plastica e lo
passò a Dana. La guardò con il sorriso per
incoraggiarla, la
trovava veramente carina e aggraziata in ogni movimento, anche se in
quell'attimo sembrava più paralizzata dalla vergogna.
«Non tutte le
ragazze sono attratte da quel genere di cose, ma non significa che
sia negativa la tua passione»
«Grazie»
sussurrò lei e mostrò un sorrisetto compiaciuto,
recuperò
l'oggetto dalle mani di Ivan e sorseggiò liquido fresco.
Poi
restò in silenzio e si trovò un angolo abbastanza
appartato, non
era dell'umore giusto per discutere con qualcuno, così Leila
tornò
a parlare come se niente fosse accaduto.
«Ancora
non sappiamo il tuo nome, lo vuoi forse tenere nascosto?»
«Ivan»
si presentò a quel punto.
«Oh,
davvero particolare. Mi piace»
«Grazie»
«Ivan,
adesso che ci conosciamo, che ne diresti di accompagnare me e Dana
sulla pista da ballo? Siamo un po' timide e abbiamo bisogno di
compagnia, Max purtroppo ci ha lasciate da sole. Devi sapere che lui
non è il tipo che si lascia trasportare da questo genere di
feste,
l'ho dovuto trascinare fin qui con la forza, forse per questo
è
stato così scontroso»
Ivan
annuì all'affermazione di Leila, senza perdersi in troppe
chiacchiere vuotò il calice con un lungo sorso, lo
posò in un punto
impreciso della tavola e allungò la mano verso Dana,
così la invitò
a ballare. Lei accettò.
Subito
dopo i tre cominciarono a dirigersi verso la folla danzante ma, poco
prima di scatenarsi con il ballo, Ivan riuscì a intravedere
la
figura solitaria del rosso: era immobile sulla poltrona in pelle
più
appartata della stanza, non faceva niente di particolare per
intrattenersi, si limitava a osservare l'ambiente che lo circondava e
aveva un'espressione annoiata sul volto. Quel ragazzo, a Ivan, faceva
una gran pena.
Max,
quello doveva essere il nome che aveva sussurrato Leila.
Ivan
riusciva a tenerlo a mente, era difficile dimenticarsi di un
individuo dalle maniere così rigide, non c'era da
meravigliarsi se
era riuscito a ottenere il titolo di recluta. Nonostante l'episodio
Ivan percepì una strana sensazione, si sentiva attratto da
quella
sagoma dai lineamenti perfetti, era sul punto di avvicinarsi
perché
desiderava coinvolgerlo.
Rinunciò presto all'idea perché si
ricordò del caratteraccio, non era risultato interessante,
perciò
preferì tornare ai festeggiamenti e ballare fino a tarda
notte. Dana
e Leila erano di buona compagnia, dopo l'imbarazzo delle prime
parole, erano riuscite a schiudersi e si erano dimostrate come due
donne fantastiche. Ma Ivan continuava a pensare a Max mentre si
muoveva, era in perfetta armonia con le note assordanti che lo
circondavano, non accettava l'idea di stare lontano da quel tipetto.
Voleva conoscerlo, voleva scoprire qualcosa di lui, voleva andarci
almeno d'accordo. Almeno...Sì...
Era
quello che sperava.
- *
* *
- Il
party che le reclute avevano organizzato non era così
stimolante,
Max si sentiva fuori posto e restava in un angolo appartato per
osservare gli altri, detestava essere circondato da musica
elettronica e alcool di scarsa qualità.
Aspettava
Dana e Leila, non vedeva l'ora di andarsene e di coricarsi, il
mattino successivo si sarebbe svegliato presto per continuare le
ricerche sulle pietre, mettere le mani sul laboratorio era
ciò a cui
puntava fin dalla partenza. Però in quel lasso di tempo si
sentiva
un vero schifo, era rimasto da solo in un contesto che non faceva per
lui, aveva mal di testa e non aveva toccato cibo, sentiva i crampi
allo stomaco. Era seduto su una poltrona in pelle nera, attendeva con
pazienza la fine dei festeggiamenti.
«Posso?»
Una
voce maschile attirò l'attenzione di Max, che
alzò lo sguardo verso
un giovane ragazzo dai capelli scuri e gli occhi castani. La sua
corporatura era talmente gracile da farlo navigare all'interno della
divisa, il viso però era rotondo dalle guance paffute.
«Sì»
Mormorò
Max e annuì educatamente, non gli dispiaceva avere un po' di
compagnia, così lo sconosciuto sprofondò sulla
poltrona accanto,
poi si sollazzò con un profondo sorso di birra. Solo allora
lo
scienziato adocchiò le mani esili di quel ragazzo che, anche
se
erano nascoste dai guanti, le dita slanciate e fini rimanevano in
bella mostra. Erano bellissime, parevano quelle di un'artista.
«Prima
io e un mio amico ti abbiamo visto discutere con il tutore, ecco
perché mi sono avvicinato, volevo parlartene»
confessò la recluta
Rocket, si sistemò il colletto della maglia e si
grattò la testa
con un comportamento impacciato, rivelò un mezzo sorriso per
nascondere la timidezza. Doveva essere simile a Dana, entrambi i
soggetti si schiudevano solo con le persone che conoscevano da
diverso tempo, mai con gli sconosciuti. «Secondo il mio
collega sei
praticamente scappato, quindi mi sono fatto avanti. Dimmelo se
c'è
stato qualcosa che ti ha infastidito o altro, domani ci
penserò io a
farlo ragionare. Ivan è testone come un Tauros, diciamo che
non è
proprio il massimo della galanteria, ti prego di perdonarlo»
Max
rabbrividì e sbiancò quando sentì
nominare il tutore, erano
passate poche ore e già ne aveva abbastanza di quell'assurda
storia.
Non era interessato a creare dibattiti.
Però
il suo nome, Ivan, lo trovava delizioso.
Gli
stava bene, in fin dei conti.
Lo scienziato scrollò le spalle,
almeno tentò di contenersi con le riflessioni.
Mostrò un sorriso
per tranquillizzare l'interlocutore e tornò a parlare come
se niente
fosse, voleva evitare di arrabbiarsi ancora: «No è
tutto nella
norma, ti ringrazio per il pensiero ma non è necessario.
Avevo
bisogno di sedermi, il viaggio mi ha stancato»
«Posso
immaginarlo. Io sono Gerardo, comunque»
«Max.
Lieto di fare la tua conoscenza, Gerardo» Max
stiracchiò le braccia
per sgranchirle e accavallò le gambe, una posizione comoda
era ciò
di cui necessitava, altrimenti il mal di schiena l'avrebbe fatto
dannare per diverse ore. «Cosa fai all'interno del
Team?»
«Sono
uno scassinatore»
Max
annuì compiaciuto e mostrò un sorriso gentile:
«Interessante»
«Sì,
insomma» Gerardo si lamentò con un tono poco
garbato e gettò in
terra il bicchiere vuoto, poi scrollò le spalle e si
pulì la bocca
con il bordo della manica. L'alcool era una brutta bestia se non lo
si usava con consapevolezza, era capace di trasformare la gente
più
elegante e raffinata in bestie insopportabili; Max aveva compreso
l'effetto delle strane bevande quando aveva dieci anni, ciò
era
merito del padre che non passava un bel periodo con il lavoro,
trascorreva le serate nella solita locanda cittadina e tornava a
notte inoltrata. L'uomo non combinava dei disastri, il mattino
successivo era sempre pronto a affrontare le mille avversità
dell'ufficio, ma durante la sbronza si trasformava in un essere privo
di bontà e amore, infatti Max veniva riempito di botte se si
lasciava beccare sveglio eppure, durante quel periodo, era un bambino
che cercava di addormentarsi grazie alle pagine profumate di un
libro. Dopo un paio di episodi di violenza, in cui finì
anche
all'ospedale con un braccio rotto, Max aveva capito la lezione e
cercò di rigare dritto fino agli anni del liceo, era sempre
impaurito quando quell'uomo rincasava, si nascondeva sotto le coperte
e faceva finta di dormire, era terrorizzato dall'idea di finire tra
quelle mani diaboliche.
Gerardo
recuperò una sigaretta dalla cintura per accenderla, si era
messo a
fumare come se niente fosse. Max reagì con alcuni colpi di
tosse,
grazie all'intervento del fumo si distaccò dai pensieri, con
la mano
destra cercò di deviare la direzione della nuvola creata da
Gerardo,
almeno evitava di respirare il fumo passivo. Non amava le persone che
si rovinavano i polmoni, gli bastava restare a contatto con i gas
velenosi del Koffing di Leila.
«Sono
stato promosso come scassinatore professionista solo di recente, ma
io sono un ladro di prima categoria e ne ho avute di esperienze.
Peccato che qui dentro le reclute si mettono a rubare tramite piani
ben elaborati, organizzati da Giovanni o i suoi fedeli Generali,
nessuno rischia la vita con mosse azzardate e improvvisate, sono
rimasti in pochi quelli che sanno aprire le serrature, che riescono a
entrare nelle case delle persone senza farsi scoprire, che portano
via tutto ciò che può avere un certo valore.
Gioielli, soldi, anche
Pokémon se è necessario» Gerardo
continuò a descrivere il suo
incarico con una certa enfasi e, questa volta, catturò anche
l'interesse di Max che l'ascoltò in silenzio. «Lo
sai che è stata
la madre di Giovanni a scegliere questo incarico? Solo
perché ero
magro, piccolo di statura e svelto, è ciò che
serve per portare
avanti una professione simile. Devi sapere che all'epoca accadeva
tutto nel Rifugio, io sono stato addestrato dentro a queste mura,
sotto gli occhi dei più esperti che non mi davano mai pace.
E
nulla...Madame Boss mi ha adocchiato dal giorno in cui mi sono
arruolato, ha seguito il mio esame di ammissione e ha scelto
ciò che
era giusto per me.
Si è comportata così con coloro che ha
selezionato, anche Ivan ha avuto più o meno la mia sorte.
Peccato
che la sua storia è diversa dalla mia, forse è
differente rispetto
a tutte le reclute che vedi»
Max
scrollò di nuovo le spalle e roteò gli occhi in
un'espressione
scocciata, Gerardo non sapeva fare altro che parlare di Ivan, quel
maledetto ragazzone senza cervello che si comportava come una diva.
Lo
sguardo di Max capitò in mezzo alla folla danzante, senza
farlo
apposta inquadrò il diretto interessato: si stava concedendo
un
ballo insieme a Leila e Dana, sorridevano entrambi dalla gioia e lui
non esprimeva alcuna perversità, anzi. Anche se quel corpo
era
inadatto per il contesto, Ivan era capace di fondersi divinamente con
il ritmo incalzante della musica elettronica, i movimenti di quel
bacino ben scolpito erano splendidi e non si potevano criticare. Max
arrossì di colpo e si mordicchiò il labbro,
voleva guardare Gerardo
per continuare a chiacchierare, ma Ivan era elegante e ipnotizzante,
la divisa nera che aderiva a quei muscoli a momenti lo
lasciò senza
fiato.
«Come
mai è così diverso?» domandò
Max che si schiarì la voce, alla
fine riuscì a staccarsi dalla visione di Ivan che ballava
con le sue
amiche. «Io non ci vedo niente di interessante, tutto muscoli
e
niente cervello»
«Ivan
non brilla di intelligenza, questo è risaputo. Se non lo
conoscessi
da una vita, non mi fiderei mai di lui» Gerardo
scoppiò a ridere e
incrociò le braccia fini contro al petto, poi si
rilassò allo
schienale della poltrona. «Però ha altre mille
qualità e su questo
non posso criticarlo, è una persona fantastica, basta
conoscerlo un
po' e ti ci affezioni subito. Mi ricordo che l'ho incontrato dopo una
settimana dal reclutamento, ti giuro che non sapeva nemmeno parlare e
si esprimeva in versi come se fosse un selvaggio, sta ancora
imparando ed è già tanto se ha fatto successo con
il discorso di
stasera»
Max
sgranò gli occhi a quella notizia, era assurda.
Per un attimo si
sentì in colpa per le critiche fatte in precedenza, ma era
strano
sapere che esistevano uomini incapaci di parlare correttamente.
«Mi
dispiace...» commentò, poi si
mordicchiò l'interno guancia.
«Perché non sapeva parlare? Ha subito qualche
trauma? Infanzia
infelice?»
«Non
lo so, purtroppo. Nessuno è in grado di raccontare la storia
di
Ivan, nemmeno Madame Boss che era tanto affezionata a lui»
raccontò
Gerardo con un sospiro, ma il discorso non terminava lì.
«Anche se
siamo amici da un paio di anni, non ho mai fatto domande
perché non
vorrei essere indiscreto, Ivan me lo dirà quando
sarà pronto per
farlo»
Max
annuì senza esprimere emozioni, cercò Ivan con lo
sguardo.
Ma la
figura muscolosa non era più nei paraggi, ormai la pista da
ballo
cominciava a svuotarsi e la musica era già più
bassa, anche Dana e
Leila sembravano scomparse nel nulla: «Ma come ha fatto a
finire
qui?»
«La madre di Giovanni l'ha trovato a rotolarsi dentro alla
spazzatura, non era molto lontano da Azzurropoli quando è
successo.
Lei ha sempre avuto un debole per gli orfanelli di qualsiasi
età,
così l'ha portato qui e l'ha sistemato a dovere, poi l'ha
messo al
servizio del Team Rocket. Sono stato il primo ad incontrarlo, da
allora non ci siamo più separati»
«Capisco»
Gerardo
a quel punto sbadigliò, si stiracchiò e si
levò il cappello dalla
testa. Si stropicciò l'occhio, doveva essere stanco:
«Ormai la
festa è finita, è il momento di andare a dormire.
Di sicuro Ivan
sta radunando i tuoi compagni per portarli agli alloggi, vuoi che ti
accompagno Max?»
«Sì,
mi farebbe molto piacere».
- *
* *
- Era
scoccata la mezzanotte al termine dei festeggiamenti, molte reclute
erano scappate per rintanarsi nei dormitori, che si trovavano al
secondo piano del Rifugio.
Ivan
non aveva mai smesso di ballare e la stanchezza cominciava a farsi
sentire, ma per le mani aveva un compito che non poteva rimandare,
quindi era rimasto in mezzo alla pista da ballo ormai vuota e aveva
radunato i nuovi arrivati.
Era
difficile parlare o muoversi a causa dell'alcool ingerito, ma Zeno e
Gerardo erano al suo fianco per aiutarlo, quindi era più
semplice
tenere in mano il controllo della situazione.
«D'accordo,
vediamo di darci una mossa, non voglio perdere tempo»
esclamò Ivan
prima di grattarsi la barba, i due compari lo guardarono e annuirono
in silenzio.
Anche Gerardo e Zeno erano impacciati con i
movimenti, stavano accusando il peso della festa:
«...Cosa
dobbiamo fare, di preciso?» domandò Zeno.
«Dobbiamo
dividere i nuovi arrivati nelle stanze rimaste vuote. Ariana oggi
pomeriggio mi ha assegnato la lista e le chiavi, sapeva che Ivan era
talmente distratto da dimenticarsene» spiegò
Gerardo con un sorriso
beffardo sul volto, era l'unico che del trio poteva vantarsi per
l'intelligenza.
«Ariana
si comporta come una mamma con voi due, io mi offenderei»
osservò
Zeno, poi si lasciò andare in una risatina. Era ubriaco
fradico.
Mentre Ivan si azzuffava scherzosamente con il gigante, i
novellini guardavano la coppia senza capire ciò che
succedeva,
Gerardo si avvicinò alla poltrona su cui si era accomodato
in
precedenza e, da sotto di essa, recuperò un sacco che
conteneva la
lista con le chiavi delle stanze vuote: «Ecco a voi,
animali».
«Grazie
Gerardo» mormorò Ivan e recuperò
l'occorrente, poi si sbrigò a
srotolare il foglio. «E io dovrei leggere tutta questa roba?!
Ma
siamo impazziti?!»
«In
un certo senso sì, tra di noi sei tu il tutore»
puntualizzò
Gerardo, scocciato.
«Andiamo
Ivan, non è mica la fine del mondo dire ad alta voce dei
nomi. Prima
lo fai e presto potrai andare a dormire» Zeno si era
intromesso per
incoraggiarlo.
«No,
non se ne parla nemmeno, ho già fatto abbastanza con il
discorso di
prima. E non posso leggere, ho la vista offuscata. Puoi farlo tu
Gerardo?» Ivan si preoccupò di insistere, poi
avvicinò la carta
alle mani del compagno. «Per favore...» lo
supplicò.
«E
va bene, però domani pulirai questo schifo al mio
posto» Gerardo
sbuffò irritato, poi strappò il foglio dalle mani
e andò verso i
novellini.
Poco
tempo dopo c'era Ivan al suo fianco, che teneva in mano le chiavi
delle stanze.
«Adesso
vi smisteremo nei vostri alloggi» spiegò Ivan
senza divulgarsi
troppo con le parole. «Il mio amico dirà i vostri
nomi e le stanze
a voi destinate»
Dana
e Leila, stanza 0731 del dormitorio femminile.
Cisco
e Alphonse, stanza 0821 del dormitorio maschile.
Frank,
Michael e Bic, stanza 0822 del dormitorio maschile.
Per
ogni gruppetto nominato, Ivan aveva consegnato la chiave corretta.
Ma
c'era qualcosa che non andava.
Le
reclute erano otto, ma i nomi pronunciati sette.
Max infatti era
rimasto davanti a Ivan e Gerardo, non aveva un posto letto. I due
quindi si guardarono sbalorditi, i conti non tornavano fin da
principio:
«Gerardo,
come mai quella recluta non compare nella lista?»
«Non
lo so, deve esserci un errore di conteggio»
«Strano,
Ariana non è la donna che sbaglia. Forse qualcosa
c'è sfuggito...»
I
due chiacchieravano a bassa voce, ignari che il rosso fosse occupato
a origliarli. Era sdegnato, lo si vedeva lontano un chilometro.
«Ignorate
il fatto che il Rifugio è al completo»
mormorò Zeno quando si
avvicinò al duo, rideva a crepapelle a causa della sbornia.
«Le
numerazioni delle camere del reparto maschile arrivano allo 0822,
quello delle donne allo 0731. A quanto pare, il nostro nuovo amico,
deve occupare un posto che è già assegnato a
qualcuno»
Ivan
e Gerardo erano rimasti paralizzati, sbalorditi dalla notizia.
Non
sapevano come procedere.
«E
quale stanza ha un posto libero?» domandò Gerardo.
«Non
lo so...Noi minatori dormiremo sui divani, non è un problema
che mi
riguarda» ridacchiò Zeno.
«Sì,
c'è un alloggio che può ospitare un altro
ragazzo» commentò Ivan
a quel punto, scrollò le spalle. «La
mia».
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=3162462
|