Koi no Yokan; “Presagio di un amore”

di KomadoriZ71
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** - Chi siamo noi? Reclute Rocket! ***
Capitolo 2: *** - Gioventù bruciata ***
Capitolo 3: *** - Un colpo di fortuna ***
Capitolo 4: *** - Il tutore, il minatore e lo scienziato. ***
Capitolo 5: *** - Oltre la prima impressione ***



Capitolo 1
*** - Chi siamo noi? Reclute Rocket! ***


chi siamo noi reclute rocket

Capitolo Uno

- Chi siamo noi? Reclute Rocket!







« Mi sentivo come se fossi seduto
a un tavolo da poker insieme a quattro
giocatori che non sapevano perdere,
armati di tutto punto e diffidenti per natura.
E mi erano stati appena serviti quattro assi.
A volte le belle notizie sono talmente belle
da essere brutte »
» Sangue e Neve, Jo Nesbø









archie max






















Prima di cominciare...
Dedico questo racconto ai miei amici Xavier, Anthony, Thunder, Silvia e Danail. 
Allegri e divertenti al punto giusto, ogni giorno si impegnano per farmi compagnia.
Spero che la vita ci faccia incontrare, prima o poi.
Vi voglio bene, grazie per essermi vicini anche se lontani!
Lily




Nel periodo estivo l'aria di Azzurropoli diventava quasi irrespirabile e Ivan, muscoloso ragazzo di vent'anni compiuti, trovava difficoltà nel percorrere qualche chilometro a piedi; erano anni che viveva lì per seguire i diabolici piani del Team Rocket, eppure il caldo soffocante non gli dava tregua.
Infine c'era quel maledetto laghetto popolato da soli Grimer a rovinare il viaggio di ritorno, ogni giorno diventava sempre più inquinato e solo gli uomini pieni di coraggio avevano la faccia tosta di passarci accanto. Quei Pokémon di tipo veleno erano micidiali sotto ogni prospettiva, i loro corpi erano composti da strati di melma violacea in grado di distruggere anche il materiale più resistente, ormai erano anni che sguazzavano allegramente lì dentro. Ma quella mattina lo stagno urbano emanava un fetore più denso a causa dell'alta temperatura, perciò Ivan si tappò il naso con un'espressione sdegnata in volto e appoggiò sull'asfalto il sacco di tela che portava sulla spalla, poi si fermò a contemplare le creature per una manciata di minuti. Si contavano sulle dita gli abitanti che discutevano di quell'ecosistema tossico, per lo più erano anziani che a stento si alzavano dalla sedia. Il resto della popolazione non concepiva la gravità del problema, erano più impegnati a boicottare il Casinò piuttosto che toccare con mano la verità. Ivan si era abituato a percepire il disprezzo dei paesani, in molti si accanivano contro all'edificio per purissima invidia, ma i commenti più arguti provenivano dalle casalinghe: donne di età avanzata che se ne stavano in casa e si nutrivano di pane e pettegolezzi, le quali perdevano la pazienza a causa dei mariti che sprecavano lo stipendio del mese nel gioco d'azzardo. Intanto lo stagno restava vittima di quella spazzatura vivente, i Grimer erano le bestie preferite da ogni membro del Team, infatti quel minuscolo spazio vitale era visto come una specie di allevamento e nessuno aveva l'incarico di purificarlo
 per migliorare le condizioni della città. 
E il giovane ventenne soffriva in silenzio davanti a quello spettacolo raccapriciante, l'acqua era il suo elemento e non digeriva un simile atteggiamento nei confronti della natura. Da bambino era cresciuto su un'isola della regione di Hoenn, aveva passato l'infanzia a contatto con il mare e sapeva come amarlo, rispettarlo oppure a prendersene cura. Grazie alle esperienze che si era fatto durante le interminabili nuotate, era diventato abile nell'ammaestrare i Pokémon di tipo Acqua, non era un caso se i suoi colleghi lo ricordavano per aver addestrato un esemplare di Tentacruel evoluto in natura; le meduse giganti erano rinomate da ogni marinaio per il carattere malvagio e meschino, chi sfidava uno dei mille tentacoli velenosi poteva incontrare solo la morte.
Ma non Ivan, era rimasto una settimana a letto con la febbre. Niente di più.
Terminata l'osservazione Ivan sistemò il cappello nero della divisa Rocket, contemporaneamente issò sulla spalla il sacco di tela che trasportava dalla Zona Safari e continuò il breve tragitto per raggiungere la base. L'afa prendeva la meglio su quell'ammasso di muscoli e lo costringeva a rallentare, era il classico personaggio che apprezzava la bella stagione solo se si trovava nei pressi di una spiaggia, per il resto detestava le giornate in cui il sole era così forte da spaccare le pietre. Ansimava mentre il sudore colava lungo la fronte e le tempie, le guance divampavano e il tessuto della divisa era talmente fastidioso da causargli un forte prurito. Almeno intravedeva la sagoma imponente del Casinò, lì c'erano ampie sale ben condizionate e un letto comodo pronto a ospitarlo, per cui il sorriso cresceva sul volto giovane di Ivan e i suoi movimenti si facevano più lesti. Se la verifica dei Pokémon che aveva catturato aveva un buon esito, poteva occupare il resto delle ore con del meritato riposo, in caso contrario un pesante impiego part-time l'avrebbe tenuto sveglio fino all'esame successivo. Gli errori all'interno del Team Rocket non restavano mai impuniti, i superiori utilizzavano il pugno di ferro con i cacciatori che lavoravano di notte per rubare Pokémon rari: i migliori erano destinati alla squadra del Capo Giovanni, i restanti venivano spacciati come premi per il Casinò.
La missione di Ivan si poteva considerare la più sicura tra le tante, era un professionista della pesca dei Dratini che si trovavano nel lago più isolato della Zona Safari, quest'ultima era reperibile soltanto nella città vicina e ogni giorno, volente oppure no, la recluta doveva cimentarsi in un doloroso viaggio privo di soste.
Dopo un paio di passi il tragitto era giunto al termine, Ivan si incoraggiò con un bel respiro ed entrò nel Casinò senza prendere in considerazione la porta sul retro. Per le vie di Azzurropoli si nascondeva dagli sguardi indiscreti, faceva attenzione nel celare la divisa nera, almeno nella base si prendeva qualche libertà in più, in fin dei conti conosceva molto bene i clienti 
che passavano la notte davanti allo schermo delle macchinette, quei soggetti non avevano mai fatto caso a lui. Il personale dell'edificio era composto da reclute Rocket impegnate con il turno notturno, le femmine erano dietro al bancone con indumenti sfavillanti e ben sistemati, i maschi invece erano in veste di camerieri/uomini delle pulizie e si spezzavano la schiena per accontentare le necessità degli spendaccioni che frequentavano la struttura.
Ivan salutò i colleghi con movimenti leggeri della testa e si rifugiò nella parte più appartata della stanza, più precisamente era un corridoio che non conduceva da nessuna parte. Schiacciò il tasto che da anni era nascosto sotto a un poster dalle immagini scolorite, solo in quel momento una rampa di scale si aprì con la solita andatura lenta e tediosa, almeno il soave rumore metallico era una melodia invitante per le orecchie stanche della recluta.

Era a casa.

Il sacco che Ivan portava sulla spalla pesava una tonnellata, era complicato percorrere i gradini fino in fondo, ma doveva correre se non voleva perdere l'appello. Ariana non era la donna che sorvolava sui ritardi.

«È già cominciato l'appello?»

Domandò Ivan poco prima di abbandonare le Pokéball a terra, si era appoggiato al muro e aveva intrecciato le braccia muscolose contro al petto. Davanti a lui c'erano un gruppo di cinque individui piuttosto giovani, erano degli ottimi cacciatori ma avevano gli occhi ornati da mostruose borse violacee. Sicuramente erano stati puniti da Giovanni, andare a rubare Pokémon agli allenatori era come giocare al gioco d'azzardo, si vinceva solo se si aveva una buona mano. O tanta fortuna.
Dato che non riceveva alcuna risposta, Ivan si avvicinò all'unico ragazzo con cui aveva un briciolo di rapporto e che sembrava in ottima forma: Gerardo. Era snello di corporatura e i suoi occhi erano scuri come le cortecce degli alberi, la carnagione olivastra entrava in sintonia con i capelli castani dalla media lunghezza e scompigliati dal cappello della divisa. Gerardo non era un ragazzo che amava stare a contatto con le persone in generale, però i due si conoscevano dal giorno in cui Ivan si era "arruolato", la coppia aveva affrontato l'addestramento insieme, infine si erano ritrovati nel Rifugio di Azzurropoli e da allora non si erano più allontanati. 

«Allora Gerardo, è cominciato l'appello?».
«No Ivan. Ariana non si è fatta vedere, sei stato fortunato».
«Dici davvero?!» lo stupore già l'assaliva. «E come mai? Mi sono perso qualcosa?».
«Niente di eccezionale, si stanno preparando per accogliere il nuovo plutone di Reclute» spiegò Gerardo, poi riuscì a far sussultare Ivan con una gomitata improvvisa. «Ricordi? Dopo un periodo di tempo ci invadono i novellini, ma questa volta provengono dal campo base di Johto; non ho avuto modo di informarmi sui nomi, però ho sentito dire che sono quasi tutti scienziati».
«Secchioni quindi, ma quanto saranno intelligenti?».
«Tanto, credimi. Giovanni non è andato ad assistere agli esami, sanno il fatto loro».
Nello stomaco Ivan possedeva uno stormo di Beedrill infuriati, l'emozione era davvero a mille, non apprezzava l'idea di essere circondato da persone troppo intelligenti. Lo facevano sentire in estremo disagio.
«Hanno già previsto la data del loro arrivo?».
«Credo la settimana prossima, non è semplice spostare un plutone di Reclute da Johto a Kanto. Le divise nere spiccano in mezzo alla folla».
«Quanti sono stati ammessi quest'anno?».
«Otto».
«Otto?! Stai scherzando spero!».
«No è la verità. Ariana li smisterà a dovere sotto il consiglio di Giovanni».
«...».
«Cosa c'è, Ivan?» domandò Gerardo con il solito sorrisetto sul volto, evidentemente si era accorto delle sensazioni del compare. Maledette espressioni.
Gerardo voleva un gran bene all'amico, ma era abile nello stuzzicarlo.
«Niente, sono stanco. I Dratini non si lasciano catturare facilmente» mentì Ivan, si massaggiò la nuca e inumidì le labbra secche con la lingua. «Le Reclute più anziane faranno il party di benvenuto? Lo spero tanto, ho una gran voglia di divertirmi».
«Sì, avremo come minimo due settimane di ferie».
«Per un po' si dorme come le persone normali, ti va di andare al centro commerciale più tardi? Ti offro una bevanda dal distributore».
«Mi assicurerò di prendere quella più cara, tanto tu non badi a spese».


«Smettetela di parlare voi due, Ariana sta arrivando»


La conversazione terminò, Ariana era già dentro alla stanza.
Ivan, Gerardo e le altre reclute si erano messe in fila davanti a lei, poi avevano messo in evidenza il saluto onorario, come se fossero dei soldati pronti alla battaglia.
Nonostante gli stati d'animo che gli invadevano la mente, Ivan posò lo sguardo su Ariana: era incantevole ed elegante nella lunga divisa bianca, in grado di metterle in risalto le forme femminili del corpo, poi i capelli rossi le incorniciavano alla perfezione il viso dai lineamenti perfetti e marcati. Dietro di sé lasciava una scia di profumo che inebriava i cinque sensi di ogni recluta e, quando quello sguardo glaciale colpiva in pieno Ivan, il mal capitato non riusciva a staccarsi da quelle due perle cangianti.
Quella donna era un bocconcino di prima qualità, una perla preziosa racchiusa dentro al guscio resistente di un'ostrica, però Ivan non riusciva a inquadrarla come amante:

«Signori» sentì la sua voce e tornò alla realtà, ma senza interrompere il saluto: «Nei prossimi giorni dovremo accogliere un plutone di otto reclute, perciò le attività dentro al Rifugio Rocket saranno sospese fino al termine dell'orientamento. Potete consegnare la refurtiva ai due generali, siete esonerati dalla verifica giornaliera»
A momenti Ivan sveniva dall'emozione.
Doppio colpo di fortuna, aveva il cuore che batteva a mille.
Però tutto andò in frantumi grazie all'intervento di Ariana:
«Ivan. Giovanni ti vuole vedere, vai subito nel suo ufficio».

Dannazione!



* * *



Erano passati due anni dal giorno in cui Max si era arruolato nel Team Rocket, la vita nel campo di addestramento non era stata come se l'era immaginata, gioiosa e ricca di sorprese sempre più intriganti. Il giovane dai morbidi capelli rossi lasciava a malincuore la postazione attuale, adorava stare in un ambiente in cui si sentiva a casa e, la regione di Johto, si era dimostrata più volte come una zona dai paesaggi mozzafiato, caratterizzata da città dalle tradizioni piuttosto interessanti. Max aveva già deciso di tornarci per finire di esplorarla, magari durante la pensione.
Mancava poco allo scoccare della mezzanotte e il rosso era seduto sulla sedia della scrivania, la luce tenue della lampada illuminava un album stracolmo di fotografie e ricordi, il quale raccontava la sua esperienza all'interno del campo Rocket. In prima pagina c'era una foto di gruppo: lui con gli allenatori che si erano reclutati in quello stesso periodo, Max la osservava attentamente e si rendeva conto che allora era paragonabile a un bambino con un diavolo per capello. Le pagine scorrevano velocemente sotto le dita snelle, la sua mente tornava indietro nel tempo, un sorriso nostalgico comparve sul volto e ciò lo trascinò a sospirare. Aveva fatto un cambiamento radicale dal primo giorno, secondo i suoi amici era sbocciato come un bocciolo di rosa, adesso si poteva considerare un vero uomo.
Max sospirò per cacciare la stanchezza, si massaggiò le tempie con i polpastrelli dell'indice e del medio, probabilmente il mal di testa era assicurato. Lasciò la sedia e sfilò il camice bianco posto sullo schienale in legno, poi lo indossò velocemente. Uscì dalla stanza senza provocare il minimo rumore e, intrecciate le mani dietro alla schiena per mantenere una posizione corretta, imboccò il tragitto che conduceva al laboratorio.
Pochi passi ed era già immerso nell'ambiente che lo caraterizzava al meglio, teneva in mano un voluminoso blocco per gli appunti e, mentre la penna scorreva frettolosamente sulla carta bianca, passeggiava attorno alle strane pietre che aveva scovato durante la scursione mattutina. Max era un geologo molto rinomato, ma i minerali lo appassionavano.

«Ancora sveglio Max?».

Max sussultò nell'udire quella voce femminile, il modo improvviso con cui si era intromessa l'aveva spaventato.
Si girò velocemente, giusto per rivolgere uno sguardo alla collega: Dana. I due scienziati si erano conosciuti durante alcuni corsi, si tenevano al Campo d'addestramento e tutte le reclute dovevano prenderne parte. Dana e Max erano compagni di banco così, alla fine della lezione e di alcune occhiatine complici, si erano fermati a chiacchierare nella classe rimasta vuota, grazie a ciò avevano scoperto di avere molti interessi in comune e, da allora, non si erano persi di vista. Dana aveva la stessa età di Max anche se non lo dimostrava, inoltre era uscita da una condizione familiare disastrosa ma possedeva un carattere delizioso, un po' fanciullesco e sopra le righe in alcune occasioni. Dana non era fiera per il fisico snello che nascondeva sotto al camice, a tratti era assai mascolino e privo di curve femminili; però aveva una lunga chioma di capelli tinti di blu, li teneva legati in un'elegante coda di cavallo che entrava in armonia con gli occhi castani, nascosti al di là di un leggero paia di occhiali dalla montatura metallizzata. Erano assai espressivi, pieni di determinazione.
Max l'adorava. La trattava come una sorellina, era felice di averla al suo fianco a Kanto:

«Sì» esclamò Max con voce bassa. «Sono qui per controllare le pietre che ho trovato stamani, nel percorso qua vicino. Ma sembrano molto diverse da quelle a cui siamo abituati, devo capire se hanno degli effetti se entrano a contatto con i Pokémon».
«Può darsi» mormorò Dana e si avvicinò velocemente, chinandosi per esaminare i sassolini variopinti: avevano un forma circolare e perfetta, ma erano così piccoli che potevano essere paragonati a delle semplici biglie, tuttavia sembravano decorati da degli strani simboli, quel particolare era strano se messo insieme al bagliore che emanavano.
«È difficile da comprendere, a me sembrano dei comuni sassi» continuò Dana.
«Sembrano, ma ti posso assicurare che non lo sono. Dovrò riguardare il mio manuale sulle lingue antiche, magari posso identificare quegli assurdi simboli, potranno condurci a qualcosa».
«Al massimo puoi chiedere aiuto a Leila, è lei l'esperta in archeologia».
«Esatto, mi rincresce non aver seguito il suo stesso percorso di studi. I corsi di specializzazione che fanno al campo, non sono paragonabili a quelli dell'Università».
«Max...».
«Sì, Dana?».
«Non ti sei fatto più vedere dai risultati dell'esame, qualcosa non va?».
«Sono in gran forma, ho passato l'intero pomeriggio a studiare il terreno attorno al campo, Camerupt si è divertito parecchio durante la gita. Poi ho ordinato i miei appunti per il viaggio, per questo non mi sono presentato a cena» raccontò Max per tranquillizzare la collega, successivamente si levò il camice. Era pronto per andare a letto, le ore lavorative si concludevano lì: «Avremo molti incarichi in più quando saremo ad Azzurropoli, ma non è un buon motivo per terminare le ricerche. Il mio scopo è quello di fare una nuova scoperta per la scienza, per una volta voglio spiccare in mezzo alla folla e sono sicuro che queste pietre sono la chiave che mi condurranno al successo».
«Tu sei sempre così sicuro e pieno di ambizioni Max».
«Se fossi stato il contrario, sicuramente mi sarei accontentato di fare l'impiegato».
«Non sto dicendo questo» esclamò Dana scocciata, non sopportava i momenti in cui Max si comportava più da leader che da collega, poi gonfiò le guance per evidenziare la frustrazione. «Preferirei lavorare a un progetto più concreto, magari usare la scienza per scopi più utili, è un anno che le nostre ricerche non conducono a niente».
«Scordatelo Dana» tuonò Max. «Sono a un passo dalla verità, non posso fermarmi ora».

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Capitolo 2
*** - Gioventù bruciata ***


Gioventù bruciata

Capitolo Due.

- Gioventù bruciata.





«Dopo quella volta imparò che la solitudine fa meno male se non cerchi di scacciarla via.
Che ci si può andare d'accordo se la sai prendere per il verso giusto.
La conquisti e in cambio ti regala il vantaggio di non dipendere da nessuno per la tua felicità.
Uno stato di primordiale libertà.
Anche quel senso di vuoto, di distanza, pian piano ti abbandona.
Con il tempo si finisce per bastare a se stessi,
Del resto la solitudine è ovunque.
Dietro le porte chiuse delle case, nascosta dal suono dei televisori accesi.
Nelle auto dal parabrezza bagnato che riflettono le luci della città.
Affogata nell'alcol sui banconi dei bar alla sera.
Nei vagoni dei treni che riportano a casa sogni delusi, aspettative infrante e qualche sprazzo di felicità.
Non importa quante siano le persone che vivono in quelle case,
che sono sedute in quelle auto, che bevono quei bicchieri
o che viaggiono su quei treni.
La solitudine più soffocante è proprio quella di quando non sei da solo.
Non c'è via di fuga perché ognuno diventa il carceriere dell'altro.
In una gabbia di pudore che salva le apparenze.
È bene saperci fare i conti con la solitudine
».

»La pietà dell'acqua, Antonio Fusco.



reclute





La sveglia suonò nel buio della stanza, Max mugugnò qualcosa di incomprensibile e staccò l'allarme, poi si rifugiò nel tepore della coperta. Era abituato a stare sveglio fino a tardi, il vero problema era abbandonare il letto per dedicarsi agli impegni quotidiani. Ma stavolta era diverso, una settimana era passata e la partenza per Kanto era imminente. Max era pieno di emozioni, la sua vita stava per cambiare di nuovo.
Cinque minuti dopo bussarono alla porta, era una Recluta Rocket in veste da ufficiale. Max si preoccupò di rispondere e abbandonò il morbido giaciglio, un giro veloce alla toilette per dedicarsi all'igiene personale e si coprì con le calze di lana rossa, poi toccò alla divisa Rocket nuova di zecca. Profumava di pulito, per un po' si lasciò avvolgere dal tessuto pungente degli abiti neri e si guardò ripetutamente allo specchio, gli stava benissimo.
Afferrò l'elastico per i capelli che custodiva nel solito posto, si aggiustò la chioma cremisi con la spazzola e li legò in un codino posteriore. In quel momento pensava al padre e rifletteva a un suo possibile commento, magari sarebbe stato fiero dell'unico figlio maschio e, se non fosse stato per il Team Rocket, Max avrebbe scritto una lettera per avvertire il genitore del successo ottenuto. Era certo di non ricevere alcuna risposta, per cui non si sforzava di trovare le parole giuste, il rapporto con suo padre si era dissolto il giorno in cui aveva messo piede al liceo, una lite li aveva divisi e da allora si parlavano per cordialità quando si incontravano durante le feste, ma dal reclutamento non aveva più modo di mettere piede nella casa a Cuordilava. Almeno la mamma lo aspettava con entusiasmo, non vedeva l'ora di ottenere delle notizie dal figlio, Max era la sua unica gemma.
Al rosso mancava passare del tempo insieme a lei, però gli esami nel laboratorio erano talmente soffocanti che gli impedivano di percepire nostalgia, oppure di dedicare qualche minuto per comunicare con la madre. Si era promesso che l'avrebbe contattata appena si fosse presentata l'occasione, doveva inventarsi una frottola plausibile. L'ultima volta le aveva raccontato di essere a Johto per un'iniziativa dell'Università di Hoenn, aveva nascosto la verità e il motivo che l'aveva spinto in una regione così lontana. Doveva giustificare il nuovo spostamento, pensò di informare la famiglia sul termine degli studi.
Le riflessioni terminarono presto, qualcuno bussò alla porta. Era Leila.
Lei era la seconda ragazza che si era unita al gruppo degli scienziati, era l'esatto opposto di Dana eppure le due andavano d'accordo. Sembravano sorelle.
Se Dana aveva un fisico snello e piatto, lei esplodeva con le curve e il suo seno era prosperoso; i suoi occhi erano verdognoli e si adattavano alla sua carnagione olivastra, quasi abbronzata, infine il volto rotondo restava nascosto dietro a una morbida cascata di capelli dorati e leggermente mossi.
Era perfetta e impeccabile in qualsiasi momento della giornata, i suoi atteggiamenti la rendevano simile a una modella, ma non si trattava della solita fanciulla che si faceva mettere i piedi in testa degli uomini. Se qualcuno la infastidiva poteva perire sotto a una furia quasi omicida.

«Passerotto, quella divisa ti sta una favola!».
Leila aveva l'abitudine di dare soprannomi alle persone con cui entrava in confidenza. Max era abituato al suo modo di fare ed era sul punto di dire qualcosa, ma era stato preso alla sprovvista da un abbraccio dolce e gentile. Sussultò in silenzio per non rovinare l'attimo di tenerezza, Leila era una sua amica quindi aveva risposto all'effusione.
«Ti ringrazio Leila, anche tu sei bellissima. Non vedo l'ora di arrivare a Kanto, nemmeno il giorno in cui mi sono laureato sorridevo così» commentò Max appena la lasciò andare, poi afferrò il cinturone con le due Pokéball.
Lo legò all'altezza dei fianchi mentre guardava l'amica, sorridendole:
«Sei pronto Passerotto? Tra poco la nave salperà, Kanto ci aspetta».
«
Penso di sì» esclamò Max, entusiasta «Ti sei procurata il libro che ti ho chiesto?».
«Certo Passerotto, è già nella mia valigia».
«Sei eccezionale, Leila».
«
Lo so Passerotto, non c'è bisogno di ricordarmelo».



* * *


"Ivan, ho un compito molto speciale per te".

Giovanni aveva pronunciato quelle parole la settimana prima, Ivan ancora non riusciva a togliersele dalla testa.
Non si era scordato neanche del sorriso malvagio presente sul volto del Capo, del fetore del sigaro pregiato che impregnava l'aria della stanza e, per finire, delle fusa assordanti del Persian che Giovanni teneva vicino alle gambe.

"Tutti noi siamo emozionati per l'arrivo delle nuove reclute, come ben sai ogni due anni il Rifugio si riempie con nuovi volti.
Però in questo periodo mi manca qualcosa o, meglio, la presenza di una Recluta esperta nel regolamento, devota al proprio Capo e che durante il suo servizio non ha mai commesso errori.
Ho bisogno di te Ivan. Della tua esperienza, della tua maestria con i Pokémon di tipo Acqua...Sei l'unico che li addestra, qui dentro.
Diventerai il tutore dei nuovi ragazzi, per un po' di tempo potrai riposarti dal tuo incarico di cacciatore, quello che basta per far ambientare gli scienziati.
Non dovrai mai perderli d'occhio.
Sai cosa significa, vero? Te la senti di accettare il nuovo incarico, eh Ivan?"

Quando Giovanni cominciava a lusingare una recluta, a parlare con quest'ultima come se fosse sulla strada per promuoverla, significava che aveva in mente un incarico importante e delicato.
E ciò era successo anche con Ivan, purtroppo. La parola “tutore” in realtà era una formalità, il vero compito era quello di seguire gli scienziati durante tutto l'arco della giornata, spiarli, origliare le loro discussioni e riferire al Capo ciò che avevano combinato. Grazie a quel metodo Giovanni aveva scoperto un sacco di traditori, punito le reclute più svogliate, altre volte aveva messo le mani su poliziotti sotto copertura.
Ivan ci aveva pensato per bene, non se la sentiva di abbandonare il proprio ruolo ma non poteva dire di no a Giovanni, la sua reazione poteva essere negativa. Per cui aveva deciso di gettarsi la zappa sui piedi, aveva accettato e si era congedato dall'ufficio.
I giorni passarono velocemente da allora, l'arrivo del plutone era previsto per le cinque del pomeriggio ma il Rifugio Rocket era ancora avvolto dal caos. I colleghi erano più interessati al party di benvenuto, quindi erano pochi i soggetti che si interessavano ad allestire l'aula maestra.
Per fortuna Gerardo era andato di sua iniziativa ad aiutarli, sapeva come comandare.
E Ivan...
Non stava facendo niente di particolare, era seduto su un divanetto e lucidava con un panno la Pokéball del proprio Carvanha: era un Pokémon che aveva accompagnato Ivan durante le missioni dei Rocket, anche quelle più difficoltose, quel piccoletto era un osso duro ma ancora non si era evoluto, eppure aveva un ottimo rapporto con il padrone. Si volevano un gran bene, Ivan l'aveva catturato quando andò a visitare l'istituto meteo insieme ai suoi amici del cuore. Allora era un adolescente spensierato che lavorava duramente nel porto di Alghepoli, sua madre era morta per colpa di un incidente causato da un gruppo di Gyarados infuriati, perciò era cresciuto a stretto contatto con le idee folli del padre. Era un uomo che aveva esorcizzato il dolore della perdita gettandosi a braccia aperte nel mare, quando si era avvicinato il sesto compleanno di Ivan aveva messo in piedi un'organizzazione composta da soli Ranger, con i quali aiutava le persone che si trovavano in difficoltà durante le tempeste, cercavano gli sperduti tra le onde marine, davano una mano ai Pokémon selvatici, offrivano il servizio allo stato anche per il commercio.
Tutti a Hoenn adoravano quella squadra di paladini.
Ma la fama aveva il suo tasto dolente, il padre di Ivan non era mai a casa e quel ragazzino se ne stava da solo, giorno e notte. Non era andato a scuola come il resto dei bambini, ma nessuno si era preoccupato di istruirlo come meritava. Ivan non soffriva della sua mancanza, sognava di diventare come lui mentre si divertiva a riempire il vicinato di dispetti non molto allegri, faceva il proprio dovere in mezzo alle navi del porto, oppure la domenica mattina andava a raccogliere le bacche sul percorso adiacente. Per fortuna c'era sempre un occhio vigile sulla testa di quel minuscolo birbante, una coppia sposata da molti anni che possedevano una figlia e un nipote che aveva perso i genitori dopo la nascita. Quelle persone conoscevano Ivan, la triste storia che portava sulle spalle e suo padre, perciò l'avevano accolto con il sorriso sulle labbra.
Le visite lì erano sempre più frequenti con il passare degli anni, Ivan trascorreva pomeriggi interi con la nuova famiglia e, ben presto, l'amicizia con la bambina e il ragazzo fu inevitabile. Erano inseparabili.
E poi un giorno tutto era andato in mille pezzi, di nuovo: il padre di Ivan non era più tornato dall'ultimo viaggio, aveva sacrificato la propria vita per soccorrere una donna in gravidanza, era disperso in mare. Il suo corpo non fu più ritrovato.
Il dolore si rivelò lancinante e insopportabile, Ivan amava suo padre più di qualsiasi altra cosa.
Non se la sentì di restare a contatto con i ricordi, partì verso nuovi orizzonti quando il sole tramontava con un'ora di ritardo, pochi spiccioli nella mano sinistra, un fagottino carico di speranze e la Pokéball di Carvanha incastrata nella fibbia cintura.
Anni dopo era a Kanto e si allenava per diventare parte integrante del Team Rocket, ciò era stato possibile grazie a Madame Boss. Nessuno era in grado di trovare una spiegazione plausibile, la donna aveva incontrato Ivan nella parte più decadente di Azzurropoli, allora era sporco di fango dalla testa ai piedi e si esprimeva con grugniti. La madre di Giovanni si era innamorata di quel quindicenne muscoloso e ribelle, perciò l'aveva raccolto dalla spazzatura e si era preoccupata di nutrirlo, curarlo da ogni ferita e vestirlo. Infine l'aveva costretto a collaborare con il Team.
E così era stato, Ivan non si era mai lamentato.
Un tonfo sordo di passi si propagò nel salotto, improvvisamente.
Solamente allora Ivan sobbalzò e tornò alla realtà, distaccandosi dai ricordi che provenivano dal passato. La sua era stata una gioventù bruciata.

«Eccoti finalmente, è tutto il giorno che ti cerco» Gerardo aveva fatto irruzione nella sala, era talmente arrabbiato che lasciò sbattere la porta.
«Non vieni a darmi una mano, pelandrone che non sei altro? Abbiamo bisogno del tuo sostegno nell'aula, a momenti mandano a monte il tavolo per il buffet con una scazzottata. Sono degli animali qui dentro».
«
Non sono dell'umore adatto, mi dispiace Gerardo» aveva ammesso Ivan scuro in volto, tenendo lo sguardo sulla Pokéball.
Aveva voglia di liberare il Pokémon di tipo Acqua/Buio per riempirlo di coccole, ma il piccolo piraña non apprezzava la presenza delle altre reclute Rocket, quindi era da stupidi mettere in pericolo l'incolumità di Gerardo. Aveva dei denti assai affilati, Ivan lo sapeva fin troppo bene.
«C'è qualcosa che devo sapere, Ivan?».
«
Con tutti i personaggi che si sono proposti, Giovanni ha scelto me come tutore».
«
Ah...» bisbigliò Gerardo, poi andò a sedersi sul divano con l'amico. Era fiero dell'ennesimo successo raggiunto da Ivan, gli occhi scuri comunicavano ogni sentimento, ma la situazione era talmente delicata che i complimenti non bastavano. «E non ti senti all'altezza, dico bene?».
«
A te non ti si può nascondere niente».
«
Sei grande grosso, ma alcune volte sembri un bamboccione».
«
Non sono un bamboccione».
«
Sì, lo sei se la pensi così. Se riesci a tenere testa a un Tentacruel selvatico e pescare cinquanta Dratini in una sola notte, allora puoi anche prenderti responsabilità ben maggiori. Meriti di essere un tutore».
«
Io non merito un bel niente Gerardo, per una volta volevo godermi un periodo di riposo, poi ripartire con la caccia al termine dei festeggiamenti. Da oggi mi posso considerare come un recluso, non posso allontanarmi dal Rifugio con gli scienziati sulle spalle» sbuffò Ivan e si levò il cappello, lo buttò in un angolo della stanza e guardò il proprio riflesso che compariva sulla parete lucida lì davanti. Sopra alla sua testa c'era una bandana azzurra, quest'ultima era decorata con un ricamo dalla forma circolare, nella parte superiore si perdeva in un triangolo ben affilato in quella inferiore spuntavano due ossa.
Si trattava di un cimelio da cui Ivan non poteva separarsene, ogni giorno nascondeva l'indumento colorato sotto il cappello della divisa dei Rocket. Era un rischio che se la sentiva di correre, il regolamento proibiva indumenti diversi.
Un sogno, una promessa da mantenere. Due persone importanti che l'aspettavano dall'altro capo del mondo, da ciò era vincolato Ivan, non poteva tradire i suoi migliori amici.
Alan e Ada, questi erano i nomi dei due bambini con cui era cresciuto. Solo Gerardo era a conoscenza di quell'innocente segreto, era un tipo affidabile.
«Con i permessi di uscita si può fare di tutto, questa non è una prigione. Vedrai che una soluzione al problema la troveremo. Fidati di me, sono molto simpatico ad Ariana».
«Alla fine verrai giudicato come il cocco di Ariana, presta attenzione».
«Non è colpa mia, le piace solo il modo con cui lavoro».
«Devo forse pensare con più malizia?» ridacchiò Ivan, poi tirò una pacca ben messa sulla spalla di Gerardo. «C'è forse del tenero tra voi? Non resterei impressionato dalla notizia, di me ti puoi fidare».
«Non dirlo nemmeno per scherzo».
«Perché mai? Siete una bella coppia».
«Ariana non frequenta le reclute» si lamentò Gerardo, massaggiandosi le tempie. «E poi non fà al caso mio e, detto tra noi, se devo sistemarmi lo farò solo con la persona giusta. Non sono il ragazzo che corre dietro alle femmine, dovresti saperlo meglio di me».
«Quanto la fai lunga, se continui di questo passo invecchierai da solo».
«Fottiti Ivan!». 

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Capitolo 3
*** - Un colpo di fortuna ***


capitolo tre un colpo di fortuna

Capitolo tre
- Un colpo di fortuna.



«Mi piaci di più quando non ci sei.
L'assenza nasconde i difetti e copre ogni ricordo ostile,
così mi ritrovo a pensarti nella tua parte migliore.
Non riuscirai mai a essere più bella del mio ricordo di te nella lontananza»

» La pietà dell'acqua, Antonio Fusco.

ivan e max


Attenzione”.
La voce robotica uscì dall'altoparlante, si propagò in ogni stanza del Rifugio: “
Il Plutone è in arrivo, attenzione. Presentarsi nell'aula dei ricevimenti per la cerimonia, attenzione. I ritardatari non resteranno impuniti, attenzione”.
Ivan sussultò al messaggio inatteso, le cinque erano scoccate e lui non era ancora pronto.
«
Accidenti!»
Urlò il mal capitato, si sistemò il cappello per nascondere la bandana, indossò la maglia della divisa e cominciò a correre a perdifiato lungo il corridoio. Era in ritardo alla cerimonia, Ivan era famoso per l'incapacità di rispettare gli orari, trovava sempre un impegno che lo tratteneva fino all'ultimo minuto. Si era isolato per un po' nella camera con gli attrezzi ginnici, aveva preso a pugni il sacco pieno di sabbia per schiarirsi le idee, ma aveva perso la concezione del tempo.
Il fatto che doveva salire sul palco per presentarsi come tutore non l'aiutava, Giovanni non voleva fare figuracce davanti ai novellini. Esigeva la perfezione.
Era solo una questione di minuti.
Un piano.
Ivan correva lungo la scalinata con le ginocchia molli dall'emozione, i gradini erano la via più veloce, l'ascensore era più lento.

Riuscì a intravedere la soglia della sala, i suoi colleghi erano in fila davanti alla porta. Il sorriso si propagò lungo il volto di Ivan. Si poteva considerare un colpo di fortuna.


* * *

Max era stato male per tutto il tragitto.
La tortura era durata poche ore, ma la traversata in mare sembrò interminabile. Il rosso detestava profondamente l'oceano e l'acqua in generale, provava disgusto per la brezza marina che gli accarezzava il volto. Vomitò anche l'anima nella stiva semi buia del traghetto mezzo diroccato, sotto lo sguardo ripugnato dei compagni dall'intestino d'acciaio, era bianco come un cadavere quando l'imbarcazione attraccò al porto di Aranciopoli, l'incubo era finito. Almeno in parte.
Dana e Leila non si erano mai separate dall'amico e, per affrontare il tratto di strada a piedi, Max si lasciò aiutare dalle due donne. I tre riuscirono a raggiungere il pullman in perfetto orario, sul quale montarono non appena avevano sistemato i pochi bagagli.
Max si adagiò sul sedile e iniziò ad assopirsi, stanco com'era. Non molto e si addormentò.
Quando Dana l'aveva svegliato erano ad Azzurropoli, il veicolo non era parcheggiato molto lontano dal Casinò, bastava attraversare la strada. Le otto reclute erano vicine al Rifugio, potevano procedere in tutta sicurezza e sentirsi liberi di spogliarsi dai travestimenti. Max cominciava a odiare il cappotto enorme, era stato il primo a disfarsene.
Si guardò attorno.
L'orologio segnalava le cinque precise e la quiete faceva da sovrana eppure, gran parte dei cittadini, si incamminavano sulle vie principali per fare ritorno alle abitazioni. L'aria della sera era mossa da un venticello fresco, i raggi del sole cominciavano ad affievolirsi.
Meraviglioso. Sublime. Stupendo.
Max adorava già quel posto, fremeva dalla voglia di andare a scoprirlo, da amante della ricerca non vedeva l'ora di mettere le mani sui segreti di Azzurropoli. Sorrideva in silenzio mentre si sistemava i capelli rossi con il pettine tascabile, poi si copriva la testa con il cappello nero, intanto Dana e Leila chiacchieravano del più e del meno, le loro emozioni erano palpabili con mano. Max era troppo impegnato a guardare il Casinò per intromettersi, era una struttura imponente illuminata da un numero illimitato di luci, faticava a contarle tutte. Lo poteva definire come casa, il posto in cui avevano allestito un laboratorio professionale pronto per accoglierlo.
«Dai Passerotto, muoviamoci»
L'incoraggiamento di Leila.
Max tornò alla realtà e annuì con un movimento leggero della testa, poi recuperò il proprio bagaglio e si lasciò guidare dai colleghi, capitanati a loro volta da un Generale dai comportamenti piuttosto eleganti e raffinati, il quale era impegnato a spiegare il modo più rapido per entrare nell'edificio senza farsi scoprire dagli abitanti del posto. Il rosso non parlava dalla troppa emozione, era difficile anche immagazzinare quel susseguirsi di informazioni. Il regolamento era più o meno simile a quello adottato nel campo di addestramento, perciò non era complicato tenere a mente la porta che permetteva ogni genere di spostamento. Peccato che, se non erano previste delle missioni, servivano i permessi per lasciare il Rifugio. Lì la sicurezza veniva prima di qualsiasi altra esigenza, a quanto pare Giovanni non era il personaggio che si rovinava a causa degli inetti.
I passi di Max erano in perfetta armonia con quelli dei compagni di squadra, i suoi occhi si spostavano da una zona all'altra senza mai fermarsi e, attraversata la soglia che conduceva a un corridoio vuoto decorato da un misero poster, si augurava di conoscere persone tranquille o con cui era possibile aprire una conversazione.
Sospirò e si mordicchiò il labbro. Era nervoso.
Il Generale Rocket a quel punto si fermò all'altezza del pezzo di carta ridotto a brandelli, infilò la mano sotto di esso e schiacciò un pulsante.
Si udì un fastidioso suono metallico e il pavimento rivelò la presenza di un passaggio segreto, che celava delle scale a chiocciola. Scendevano verso il basso, il nascondiglio del Team si trovava nei sotterranei.
Max poteva mettere piede dentro al Rifugio del Team Rocket.


* * *


«Ivan, dove eri finito?! Stavamo per cominciare senza di te»
Non appena Ivan aveva messo piede dentro alla sala, felice di averla fatta franca ancora una volta, Ariana l'aveva trascinato nella parte più remota della stanza. Lì aveva cominciato a rimproverarlo, ribolliva dalla rabbia.
«Ho perso la cognizione del tempo, mi stavo allenando con il sacco, mi dispiace» si giustificò Ivan, poi abbassò lo sguardo per evitare quello della donna. «Non succederà più, lo giuro»
Ariana scrollò le spalle e ignorò completamente le promesse di Ivan, ormai erano anni che le sentiva ripetere. Niente era cambiato, era rimasto il solito ritardatario.
Anche punirlo era diventato inutile.
«Ancora mi domando come mai Giovanni ha scelto te come tutore, ci voleva qualcuno di più affidabile. Non rispetti mai il regolamento, ti perdi nel Rifugio e con le parole sei un disastro. Giovanni ha voluto rischiare»
Ivan arricciò le labbra e assottigliò lo sguardo, poi intrecciò le braccia contro al petto. Cercò di soffocare la rabbia, era indispettito dalle critiche poco costruttive del Generale. «Non la pensa come te. Ma dove sono i nuovi arrivati?»
«
Il tuo superiore si sta preoccupando di accompagnarli, tu pensa a comportarti da gentleman oppure al discorso di benvenuto. Se fai il selvaggio come al tuo solito, li farai scappare».
Seconda frecciatina.
Ivan scrollò le spalle, restò in silenzio e si massaggiò il collo per rilassare i nervi. Era agitato a causa dell'incarico improvviso, Ivan non era in grado di formulare le parole giuste in un breve lasso di tempo, se l'avesse saputo qualche giorno fa non si sarebbe ridotto all'ultimo minuto.
Ma così non era stato.
A quel punto sperava solo di cavarsela, ma era difficile sperare in un successo.
Aveva bisogno di un miracolo.
«Farò del mio meglio» commentò infine.
«È quello che tutti si aspettano da te, sei ancora sicuro di voler proseguire Ivan?» la donna si posò una mano sul volto per nascondere il sorriso, il modo in cui ridacchiava era semplicemente celestiale, però gettò uno sguardo provocante su Ivan.
Non era un buon segno. «Sarei felice di cambiare tutore all'ultimo minuto, almeno Gerardo saprebbe cosa fare al tuo posto. Lui è un ottimo lavoratore, a differenza tua, ancora non capisco come mai non segui il suo esempio e ti impegni fino all'ultimo. Eppure passate tutto il tempo insieme»
Ivan digrignò i denti dalla rabbia, Ariana aveva oltrepassato il limite.
Era a conoscenza del fatto che fosse più velenosa del Budew di Gerardo, adorava il carattere forte che le aveva permesso di diventare un Generale Rocket, ma non poteva prendersi delle libertà simili. Non con lui, Ivan non era l'uomo che si lasciava mettere i piedi in testa così facilmente. «Parli sempre di lui, ma se ti piace così tanto perché non te lo sposi?» Ivan la stuzzicò con un sorriso sfacciato sul volto, donandole una gomitata fastidiosissima sul braccio.
La donna non si azzardò a rispondere, infuriata com'era, si limitò ad agguantargli una guancia con due dita, pizzicandole con forza. Ivan iniziò a lacrimare e si dimenò per liberarsi dalla stretta, ma Ariana non lo lasciava andare.
«Non ti azzardare più a parlarmi in questo modo, sono stata abbastanza chiara Ivan?»
Ivan annuì e la donna lo liberò. Si massaggiò la mascella, osservò gli occhi cangianti della ragazza. «Sai Ariana, ti detesto quando mi paragoni a Gerardo» commentò con un sospiro.
«Tu mi infastidisci quando non rispetti le regole, eppure continui a fare di testa tua» replicò Ariana.
La porta principale si aprì con uno schianto e i due terminarono di parlare mentre guardavano le otto reclute, che entravano nella sala insieme ad Archer, il Generale Rocket più rispettato da quelle parti. Come Ariana anche il secondo Generale era fedele a Giovanni, lavorava a stretto contatto con lui e indossava la divisa bianca al posto di quella nera. Nonostante i tratti somatici asiatici che lo caratterizzavano, aveva la pelle chiara ma decorata da deliziosi occhi a mandorla, quest'ultimi erano di un elegante verde acqua e si intonavano con i capelli dello stesso colore, li portava rasati e non scendevano più in là della testa.
Era giunto il momento di salire sul palco.
Ivan era nervoso, iniziò a muoversi per raggiungere la sedia in cui doveva sedersi, aspettare che i Generali parlassero del più e del meno per esporre al meglio il regolamento, poi doveva prendere il controllo del microfono e terminare la cerimonia con un bel discorso.
Ariana gli afferrò la mano:
«Ti auguro buona fortuna, ti servirà Ivan»
«
Non preoccuparti, Ariana, me la caverò»
«
Lo spero bene, è risaputo che le tue sono promesse da marinaio»
«
Da stasera sarò sulla bocca di tutti, me lo sento» esclamò Ivan con il sorriso e agguantò la mano della donna, nell'attimo dopo la baciò velocemente.
«Sì Ivan...»
«
Posso andare adesso?»
«
Vai e conquistali tutti»
«
Lo farò, stanne certa»


Era la prima volta che Ivan saliva sopra a un palco per dedicarsi a un discorso, non era piacevole avere un sacco di occhi puntati addosso.
Ma non poteva tirarsi indietro, non dopo che aveva accettato l'incarico da tutore, doveva prendere la palla al balzo e affrontare la situazione come meglio poteva.
Per fortuna Giovanni era seduto al suo fianco, teneva il sigaro acceso a portata di mano e si gustava un delizioso drink dello stesso colore dell'ambra. Mentre Archer illustrava il regolamento ai nuovi arrivati, il Capo tirava delle gomitate a Ivan per permettergli di adocchiare le due ragazze presenti tra i novellini, erano molto carine riguardo l'aspetto. Il tutto sotto lo sguardo assassino di Ariana, seduta poco più in là.
Ivan non voleva commettere errori, ma lasciò che per una volta le emozioni prendessero il sopravvento, perciò cominciò a ridacchiare alle battute sporche che gli arrivavano alle orecchie, ogni tanto buttava giù un sorso dell'alcoolico che aveva recuperato prima di sedersi. Non gli faceva bene ingerire quel genere di sostanze, non prima di parlare al microfono, ma non riusciva a essere coraggioso senza un piccolo aiuto esterno.
Terminati i comportamenti maliziosi, Ivan si preoccupò di gettare lo sguardo sui nuovi arrivati. Erano otto personaggi, a prima vista parevano uguali data la presenza della divisa nera, se ne stavano in fila davanti all'impalcatura e dipendevano dalle parole del Generale.
Uno in particolare.
Ivan non riuscì a inquadrarlo, aveva notato solo dei capelli rossi.
«Ivan alzati, è il tuo turno adesso»
Ariana l'aveva salvato da una figuraccia, per fortuna.
Ivan deglutì e guardò sia Ariana che Giovanni, non era pronto. Lasciò il bicchiere da una parte e si alzò malamente dalla sedia, sentiva che l'alcool mentre gli circolava nel sangue, successivamente si avvicinò al microfono e lo impugnò con delicatezza.
Un respiro.
Poi iniziò a parlare.














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Capitolo 4
*** - Il tutore, il minatore e lo scienziato. ***


il tutore, il minatore e lo scienziato

Capitolo Quattro
- Il tutore, il minatore e lo scienziato.




«Vide qualcosa che si muoveva nella semioscurità, sul lavandino,
un paio di antenne che oscillavano avanti e indietro. Uno scarafaggio.
Era grande come un pollice e aveva una striscia arancione sul dorso.
Non ne aveva mai visto uno simile prima d'allora, ma in fondo non era così strano:
aveva letto che esistevano più di tremila specie di scarafaggi.
Aveva anche letto che si nascondono quando avvertono le vibrazioni di qualcuno in avvicinamento,
che per ogni scarafaggio scoperto ce ne sono almeno dieci che la fanno franca.
Questo significava che erano ovunque
»

» Scarafaggi, Jo Nesbø




cccc


Max era pensieroso quando attraversò la porta insieme ai suoi compagni, in men che non si dica era stato catapultato in un'ampia sala: le pareti bianche e il pavimento marroncino ben lucidato, la facevano assomigliare alla palestra del vecchio liceo, anche l'odore che impregnava l'aria era più o meno simile; quest'ultima era stata allestita da un tavolo per il buffet imbandito di leccornie costose, un palco centrale che poteva ospitare almeno quattro persone, sedie in plastica nera allineate contro al muro e musica classica di sottofondo, ma che garantiva delle buone conversazioni. In mezzo alle decorazioni dall'aria strampalata, c'erano uomini e donne che indossavano la divisa nera dei Rocket, i cui volti esprimevano ogni genere di sensazione.
Noia. Gioia. Tristezza. Nervosismo. Curiosità.
Ogni recluta presente all'evento viveva quell'attimo in maniera diversa, insieme ai vari adulti spiccavano anche dei ragazzini, i quali raggiungevano appena i sedici anni d'età. Non era mai troppo presto per diventare un membro ufficiale del Team Rocket, forse Giovanni semplificava l'esame di ammissione, a quanto pare voleva permettere a chiunque di essere un criminale.
Max scrollò le spalle e si schiarì la voce con un colpo leggero di tosse, cercò di mantenere una posizione rigida mentre seguiva il Generale, era sua intenzione quella di fare una bella impressione sui prossimi colleghi di lavoro. Anche se oscurati dalla visiera sottile dei cappelli, ogni occhio era puntato indirettamente sul plutone che avanzava a velocità moderata e Max, che allora si paragonava mentalmente a una cavia da laboratorio, era invaso da una strana sensazione di disagio. Ma restò tranquillo, non era il caso di perdersi in fesserie, poi osservò i collaboratori che si allineavano davanti al palcoscenico vuoto. Appena Dana aveva finito di sistemarsi, Max l'affiancò velocemente e cominciò a mordicchiarsi freneticamente l'interno guancia.
La musica cessò di perforare le orecchie del giovane studioso, solo allora si era reso conto del brusio di sottofondo provocato da voci, intente a giudicare i nuovi arrivati. Ma si placarono quando Giovanni entrò da una porta secondaria, nella mano destra reggeva un drink color ambra, ci giocherellava lentamente e muoveva il bicchiere di cristallo in modo circolare; a passo lento salì sul palco per piazzarsi su una sedia vuota non molto lontana dal microfono e, mentre si accendeva un sigaro, puntò gli occhi scuri sugli otto personaggi appena arrivati dalla regione di Johto.
Max deglutì dallo sconforto, aveva una voglia tremenda di abbassare lo sguardo, era la prima volta che si ritrovava faccia a faccia con il Capo del Team Rocket, non se l'era mai immaginato come un uomo dall'aria minacciosa. Mentre era sul punto di sospirare per incoraggiarsi, però, si sentì agguantare la mano da Dana.
Archer, questo era il nome del Generale che li aveva accolti e accompagnati fin lì, imitò i movimenti del Leader e si piazzò davanti al microfono. Iniziò a discutere del più e del meno con un tono abbastanza monotono, dietro agli otto sfortunati c'erano reclute che sbadigliavano di continuo.
Quell'uomo ripeteva all'infinito il regolamento, Max trovava quel procedimento piuttosto noioso e nauseante, ormai aveva capito che esisteva un coprifuoco e che le reclute potevano uscire solo tramite un permesso scritto, che motivo c'era di comportarsi come un disco rotto? Max cercò di non battere ciglio, doveva omologarsi a ogni costo, ma cessò di concentrarsi sulla figura di Giovanni quando adocchiò due sagome insolite, impegnate a salire sul palco. Alla fine del tragitto i due avevano preso posto sulle sedie rimaste vuote.
Max osservò i due personaggi, da lì poteva inquadrarli chiaramente.
Prima c'era una donna dal portamento fiero, era seduta al fianco sinistro di Giovanni. Dal lungo vestito bianco capì che si trattava di uno dei Generali Rocket era la dama che, almeno al campo di addestramento, descrivevano in mille modi diversi. Il suo viso possedeva dei lineamenti piuttosto marcati, incorniciato alla perfezione da capelli scarlatti di media lunghezza che assomigliavano a delle fiamme ardenti, i suoi occhi possedevano un colore indefinito, forse erano cangianti. Il corpo della comandante, poi, era sensazionale e Max si emozionò durante l'osservazione. Pareva privo di qualsiasi imperfezione, come se fosse dipinto da un pittore ricco di fama ed esperienza.
Max era rimasto incantato dall'angelica visione e non voleva più toglierle gli occhi di dosso ma, il secondo individuo, riuscì ad attirare l'attenzione dello scienziato.
Stranamente.

Occhi rotondi e scuri, ciuffetti corvini che spuntavano da sotto il cappello. Era chiaro che si trattava di una recluta, aveva il volto coperto da uno strato di barba poco curata; c'era una cicatrice a forma di “ics”piazzata in mezzo alla fronte, la quale terminava di decorare quel delizioso quadretto. Il ragazzo in questione assomigliava a un esemplare di Sharpedo, ciò riuscì a far sorridere anche Max. La pelle dello sconosciuto era dello stesso colore del cioccolato al latte, il suo corpo massiccio era coperto da così tanti muscoli che, il tessuto della divisa, si poteva strappare da un momento all'altro.
Max arricciò la punta del nasino, pareva deliziato, ma finì di sorridere.
Infatti sia Giovanni che la recluta stavano tracannando dell'alcool e, mentre Archer era intenzionato a prolungare il discorso, sembrava che i due mandavano avanti una conversazione per soli uomini. Ridevano continuamente, i loro occhi finivano spesso su Leila o Dana.
Max digrignò i denti senza far troppo rumore, indignato.
Nessuno poteva adocchiare in quel modo le sue amiche, ormai le vedeva entrambe come due sorelle mancate.

«E ora diamo la parola al vostro tutore» esclamò all'improvviso Archer, poi si preoccupò di mettere in mostra ciò che si poteva considerare un sorriso, ma si trattò di un ghigno estremamente falso. «Sarà lui ad accompagnarvi nelle prossime settimane, vi spiegherà tutto ciò che non è stato detto stasera, in più vi mostrerà i vostri alloggi, le stanze che potrete frequentare liberamente e quelle destinate ai nostri progetti» continuò a spiegare e si sistemò un ciuffo dei capelli, poi si voltò verso la recluta seduta accanto a Giovanni.
Lo sconosciuto si alzò con due minuti di ritardo e, quando lasciò il bicchiere in un angolo, si avvicinò al microfono con una camminata impacciata.
Poi iniziò a parlare.



«Ruba i Pokémon per profitto. Sfrutta i Pokémon per profitto. Tutti i Pokémon esistono per la gloria del Team Rocket» il tale aveva cominciato il discorso con il motto onorario del Team, senza nemmeno appoggiare il cappello sul cuore. Max non aveva apprezzato l'intervento, non era così essenziale, ma la curiosità lo invogliò a proseguire con l'ascolto. «Signori e, giustamente, signore. Io non conosco voi e voi non conoscete me, però questa sera ho avuto l'incarico di salire su questo palco, per discutere al meglio su ciò che vi aspetta all'interno del Rifugio» mentre lo sconosciuto parlava con convinzione, proprio quando aveva preso confidenza con l'arnese elettronico, partì un lampo rossastro dalla sua cintura così dietro di lui si materializzò un enorme Tentacruel.
Max rabbrividì all'istante e cercò di non guardare la bestia, detestava ogni Pokémon che proveniva dal mare o dall'acqua in generale. Per non parlare di quelle meduse troppo cresciute, erano fastidiose e fameliche, non erano i Pokémon adatti a fare compagnia a una coppia di anziani. Inutili, perfettamente privi di senso.
Proprio come il tizio che si sforzava di mettere due parole in croce, era in grado di compiere il suo dovere solo grazie all'alcool. Da sobrio, non era capace nemmeno di accogliere un gruppo misero di compagni.

«
Ehm...Io e il mio Pokémon...Volevamo solo darvi il benvenuto all'interno dell'organizzazione, mi complimento con voi per essere arrivati fin qui, non è semplice passare l'esame di ammissione.
Ha messo in difficoltà anche me, anni fa
» Max scrollò le spalle e sospirò irritato, se dei bambocci di sedici anni potevano ottenere il titolo di recluta, quell'essere allora era proprio privo di intelletto.
Tutto muscoli e niente cervello.
Uno studioso come Max non era intenzionato ad avvicinarsi a un tipo come lui, grazie agli insegnamenti del padre aveva compreso chi era da frequentare e chi no, ma nel Team Rocket era impossibile rispettare le regole imposte dal genitore. Quella conferenza, quel discorso, una vera perdita di tempo.
Intanto il Tentacruel restava al fianco dell'allenatore, non lo perdeva di vista e si strusciava contro la sua schiena:
«Perciò, visto che mi hanno dato il titolo di tutore, nelle prossime settimane mi assicurerò di rimanere al vostro fianco a ogni ora del giorno, vi darò una mano nel prendere la decisione giusta, specialmente se ci saranno delle missioni in corso; correte pure a chiamarmi per ogni piccolo dilemma, anche se sentirete la nostalgia di casa. Non è assolutamente un problema, sono qui per questo.
Ma sarete liberi di farlo anche dopo l'orientamento, siamo dei compagni di squadra, dei fratelli al servizio del nostro unico padre, Giovanni.
Dobbiamo aiutarci, collaborare e conquistare ogni regione del mondo.
Permettetemi di augurarvi buona fortuna, con noi vi aspetterà un cammino ricco di imprevisti e sorprese, non è così male la vita di una recluta Rocket
»


E finì di parlare, a quanto pare non sapeva più come fare per continuare.
Pareva imbarazzato, anche il Tentacruel era confuso.
Un minuto dopo, però, nella sala si sentì un forte frastuono.
Era il rumore provocato dagli applausi, chiunque lo stava applaudendo.
Tutti, sì, solo Max non si era mosso di un millimetro.
Quello strano individuo era riuscito ad arrivare al cuore di tutti, anche Giovanni applaudiva soddisfatto.
Max abbassò la testa e sospirò, come se si volesse nascondere dalla vergogna, veramente l'avevano consegnato nelle mani di quel tale?
Non gli poteva andare peggio di così.


* * *



«Ivan, sei stato magnifico!»
Quello era stato uno dei tanti complimenti che avevano fatto a Ivan quella sera, appena Tentacruel era tornato nella sua Pokéball, era stato assalito da una folla di reclute che l'avevano condotto di peso nella stanza accanto, lì era in corso il party di benvenuto.
Avevano trasformato Ivan nell'ospite d'onore, nessuno si era preoccupato di chiamare i nuovi arrivati, erano tutti attorno al tutore e dipendevano dalle sue labbra. L'interessato, poi, non era così acuto da notare la loro assenza, era in piedi sul tavolo, brindava alla salute con un discorso campato in aria, oppure metteva in mostra le doti canore con canzoni che conosceva grazie al padre. Beveva fiumi d'alcool insieme ai suoi compagni, quella notte i limiti non esistevano.
Due specialmente.
Gerardo e Zeno.
Zeno non era un uomo che si faceva vedere spesso nel rifugio, era sempre impegnato con gli scavi al Monte Luna e faceva ritorno ad Azzurropoli per le grandi occasioni. Si guadagnava da vivere estraendo dalla roccia i fossili dei Pokémon estinti, poi i suoi collaboratori facevano il resto: li inviavano alla base dell'Isola Cannella, per dare agli scienziati la possibilità di far tornare in vita quelle misteriose creature. Dalle rughe poco marcate che gli cospargevano il viso, si capiva a prima vista che Zeno aveva quarant'anni suonati e, a causa della forza brutale con cui picconava le pareti rocciose della grotta oscura, si era procurato un fisico robusto e muscoloso da vero minatore; era alto almeno due metri però, i capelli lillà sparsi in un cesto indomabile di ricci, lo aiutavano a mantenere un'aria tranquilla e pacifica, quasi giovanile. Ivan lo soprannominava come “il gigante buono”, ma ogni membro del Team Rocket gli portava rispetto dato che aveva conquistato il titolo di veterano. Erano più di vent'anni che scavava per conto della banda di criminali, mai una volta si era fatto infinocchiare dalle autorità, erano in pochi coloro che riuscivano a invecchiare lì dentro.
«Ragazzo, tu e Tentacruel avete fatto scintille su quel palco. Tutti dipendevano dalle tue labbra» si complimentò Zeno, aiutò Ivan a scendere dal tavolo, poi gli donò una pacca ben messa sulla spalla.
Ivan era sul punto di inciampare, ma riuscì a stare in equilibrio grazie all'intervento di Gerardo, che non si allontanava mai.
«Grazie Zeno, è bello vederti di nuovo tra noi» cominciò Ivan e lasciò che Zeno gli riempisse il boccale che teneva nella mano destra, era veramente affezionato a quel gigante. Assomigliava un po' a suo padre, in effetti. «Per fortuna Giovanni ti ha dato il permesso di tornare, per quanto starai qui?»
«
Fino alla fine dei festeggiamenti» spiegò Zeno, poi appoggiò il fianco contro al tavolo per assumere una posizione più comoda. «Non mi sono concessi benefici quando si parla di scavi, noi minatori siamo d'impiccio per il Rifugio» borbottò con una sonora risata, sorseggiò la birra fresca a grandi sorsi e intrecciò il braccio destro contro ai pettorali scolpiti: «E voi ragazzi?».
«
Il mio lavoro procede bene, come al solito» affermò Ivan entusiasta, non vedeva l'ora di raccontare dei propri successi.
Zeno annuì contento e si lasciò scappare un sorriso, ormai considerava Ivan come un figlio, ma passò direttamente a Gerardo. «E tu Gerardo? È giunta voce fino al Monte Luna che sei diventato uno scassinatore professionista, devo credere a quei pettegolezzi?»
«
» bisbigliò Gerardo, poi annuì con aria soddisfatta. «Ho saputo distinguermi in questo campo, diciamo»
«
Oh dovresti proprio vederlo! Gerardo ha fatto dei passi da gigante» ecco che Ivan cominciò a parlare al posto dell'amico, voleva solo essere sincero. «Gerardo ha delle mani fantastiche, agili e svelte, è capace di fare qualsiasi cosa»
«
Ivan, smettila»
«
Gerardo, perché dici così? Non è forse vero?»
«
Ho capito, ho capito. Voi due siete dei ragazzi dalle doti eccezionali, il Team Rocket ha fatto un vero affare a reclutarvi» mormorò Zeno per interrompere la discussione dei due giovani, poi si infilò tra loro per cingerli in un delizioso abbraccio di gruppo.
Il trio scoppiò subito a ridere animatamente. Gerardo e Ivan assalirono il petto del gigante con una lunga serie di pugni. Era impossibile scalfirlo.
I tre formavano una bella famiglia.



* * *


Erano passate diverse ore da quando il tutore aveva finito il discorso, ma nessuno l'aveva più visto da quando era sceso dal palco.
Molte reclute l'avevano accerchiato, poi l'avevano trascinato via.
Max, contento di non avere attorno quell'ammasso informe di muscoli, aveva recuperato qualcosa di stuzzicante dal buffet, se non metteva in bocca qualcosa rischiava di svenire dalla fame, poi si era messo a chiacchierare con i pochi soggetti rimasti all'interno del salone.
Ogni tanto masticava le cibarie che aveva recuperato, ma non si divertiva.
Anche Leila aveva inseguito il tutore, solo Dana era rimasta nei paraggi e faceva le domande più bizzarre ai due Generali, Ariana compresa.
Max le guardò per un attimo. Erano entrambe bellissime.
Era sul punto di avvicinarsi, curioso di conoscere la donna che creava mille emozioni nei cuori delle reclute ma, appena aveva fatto il primo passo, Leila sbucò dalla porta e si fermò proprio davanti allo scienziato per sbarrargli la strada:
«Passerotto sei ancora qui? Non vieni alla festa?»
«
Festa?» esclamò Max senza capire. «Sono già alla festa Leila»
«
Oh no!» Leila scoppiò a ridere, poi intrecciò il braccio attorno a quello di Max. «Le reclute hanno organizzato un party tutto per noi, è nell'altra stanza. Dovresti venire! C'è musica, festoni, birra...Di tutto!»
«
Party?» mormorò Max insicuro, le spiegazioni della donna non lo convincevano, poi lasciò il piatto dove l'aveva preso e si lasciò guidare dall'amica. «Ne sei sicura?»
«
Certo!»
«
Eppure questo posto è così calmo...La musica c'è anche qui...»
«Passerotto
, piantala» la donna bloccò le argomentazioni proposte da Max, continuò ad accompagnarlo alla soglia con passo veramente deciso. «E poi ho bisogno del tuo aiuto, voglio parlare con il nostro tutore ma non ho il coraggio per avvicinarmi, tu sei un uomo quindi sarà un gioco da ragazzi parlare con lui»
Max deglutì e cercò un modo per riuscire a scappare, ma a quanto pare era inutile andare contro alle volontà di Leila. Una parte voleva evitare di parlare con quell'essere ripugnante, l'altra non voleva far esplodere il carattere ardente della donna.
Era in mezzo a due fuochi, doveva trovare la maniera giusta per liberarsi.
«Voi due, dove state andando?»
Dana, li aveva notati fuggire e si era aggregata:
«Al party organizzato dalle reclute, vuoi venire con noi Primula? Stiamo andando a conoscere il tutore»
«
Certo! Perché non me l'avete detto subito?»
Max sospirò e lasciò che Dana afferrasse il secondo braccio, era spacciato.




Angolo dell'Autrice

Ciao, sono sempre io... Lily!
A distanza di tempo sono riuscita ad aggiungere un capitolo a questa storia, della quale non mi sono dimenticata, affatto.
Sono mesi che lavoro senza sosta sul materiale che ho scritto in precedenza, il mio è un continuo circolo vizioso di cambiamenti e miglioramenti, solo oggi sono riuscita a concludere il capitolo che mi ha causato più "problemi". Mi dispiace far aspettare i pochi che seguono il racconto, ma sono la classica autrice che preferisce prendersela comoda, visto che Xavier si è assentato devo procedere a piccoli passi per correggere i miei eventuali errori grammaticali.
Quindi...
State sereni e non scordatevi di passare dal profilo di Komadori!
Mi viene da ridere, ho aggiornato la storia nel periodo in cui ORAS ha festeggiato un anno dalla sua uscita. Hahaha, come passa veloce il tempo quando ci si diverte!
Il mese prossimo anche noi Pettirossi festeggeremo un anno di attività, da quel lontano giorno ho avuto delle esperienze che hanno cambiato me, il mio modo di scrivere, di curare l'impaginazione dei miei racconti e di vedere il mondo. Secondo voi si nota? Beh, spero che non sia una mia impressione.
Però è bello sapere che un videogioco sui Pokémon ha coinvolto due persone così differenti e lontane, che le ha indotte a creare un piccolo angolo di scrittura che può piacere a chiunque. Le amicizie che mi sono fatta grazie a questo mondo colorato sono magnifiche e, anche se quei ragazzi abitano dall'altra parte dell'Italia, spero di non perderli mai di vista. (Il prossimo che dice: "Eh, ma i Pokémon sono giochi per bambini!" giuro che le prende di santa ragione).
E niente...
Le parole a caso finiscono qui, per oggi.
Grazie per coloro che si fermano per recensire, che si ostinano a leggere le fan fiction / One Shot che pubblichiamo.
Forse Xavier sarà assente a causa del suo troppo studio, un giorno quel ragazzo farà la stessa fine di Cyrus se continua così, però troverete questa povera autrice a coltivare la sua passione per la scrittura.
Ci rivedremo prossimamente, se non pubblicherò qualcosa entro Natale vi auguro delle buone feste in anticipo!

Grazie di cuore a chiunque, anche ai volponi che si fermano a leggere il testo e che non recensiscono. Siete belli, ciao!

Lily









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Capitolo 5
*** - Oltre la prima impressione ***


cinque

Capitolo Cinque.


-
Oltre la prima impressione.






« Galleggiava nei suoi pensieri, sospinto dal vento della malinconia.
Ogni tanto si immergeva in qualche ricordo e poi risaliva a prendere aria.
In quella notte stupenda che aveva un solo difetto: non era fatta per stare da soli.
Ci vollero quattro bicchieri di rum per sciogliere il groppo alla gola e un quinto per far scivolare la testa
sul lato della poltrona e chiudere gli occhi.
Dopo aver mandato a fare in culo il mondo intero. »


» La pietà dell'Acqua, Antonio Fusco


ivan && max



Le ore trascorrevano rapide mentre Ivan si divertiva insieme ai suoi compagni: ballavano al ritmo della musica sparata a tutto volume, bevevano così tanto alcool da avere la vista 
offuscata. Quando si avvicinò il momento di mangiare, ogni invitato lasciò la pista da ballo e si parcheggiò attorno ad uno dei tre tavoli per ingozzarsi di cibo spazzatura.
Ivan non era il personaggio che adorava mangiare, si sentiva soffocare se passava un minuto in più a tavola, ma le danze e l'alcool gli avevano messo addosso una fame da lupi, quindi spizzicò volentieri un po' di patatine fritte con ketchup, oppure dei piccoli panini imbottiti.
Davvero ottimi.
Ivan era concentrato sulla cena, però si ritrovò a chiacchierare con cinque dei nuovi arrivati, risultò faticoso parlare e masticare. Erano dei ragazzi molto gentili, educati e intelligenti, non volevano fare niente di male se non complimentarsi per il discorso, oppure per il motto che aveva recitato a memoria. Avevano elogiato con parole complicate Tentacruel, il Pokémon che si era intromesso all'improvviso e che l'aveva accompagnato durante la conclusione della cerimonia. Ivan era al settimo cielo davanti alle lusinghe, era contento di aver fatto una buona impressione.
Inghiottì velocemente ogni boccone per terminare il pasto, recuperò qualcosa da bere e si accostò alle nuove reclute per rispondere alle domande, passò diversi minuti a spiegare che, a festa finita, li avrebbe riuniti per accompagnarli negli unici alloggi rimasti liberi. In un secondo momento, si preoccupò di avvertirli sul modo di vivere all'interno del Rifugio: alcuni partivano per raggiungere stabilimenti diversi, altri restavano e dovevano gestire al meglio il Casinò, svolgere attività nei laboratori, prestare servizio nelle cucine per dare una mano al cuoco, oppure rispettare il turno delle pulizie.
Alla fine dell'interminabile chiacchierata i cinque si congedarono, sorridevano soddisfatti mentre raggiungevano la pista da ballo; Ivan intanto aveva la gola che bruciava, era sul punto di recuperare un'altra birra per raggiungere Gerardo, ma si presentò un trio dall'aria piuttosto bizzarra e i suoi piani andarono in fumo.
La pazienza di Ivan era messa a dura prova quella sera, ma si bloccò con il sorriso perché il lavoro veniva prima delle comodità, così rinunciò all'idea del bicchiere d'alcool e scrutò i novellini rimasti: c'era una ragazza dai capelli blu raccolti in una coda di cavallo, il fisico era piuttosto asciutto e privo di curve femminili e, un enorme paia di occhiali, le invadeva il viso. La seconda donna era l'opposto della prima, un po' grassottella e con il seno che a momenti esplodeva sotto alla divisa nera, capelli biondi e mossi che teneva sciolti, pelle olivastra da cui proveniva un ottimo profumo e occhi verde smeraldo.
Ivan era sul punto di attaccare bottone con le due femmine, quando gli si piazzò davanti il terzo elemento. Era un maschio questa volta e, l'espressione che teneva in volto, non pareva la più amichevole del mondo. Il corpo del giovane scienziato era snello e la sua pelle era di uno strano pallore, secondo Ivan a quel tizio gli serviva una vacanza al mare, magari si sarebbe abbronzato un po'. Il viso della recluta era squadrato e dai lineamenti marcati, occhi scuri e abbondanti capelli rossi che teneva ben pettinati sotto al cappello, ma trattenuti da un delizioso codino sulla nuca.
«Ciao» esclamò Ivan con il sorriso, guardando lo scienziato.
«Buonasera» commentò.
Ivan a quel punto capì che doveva andarci piano con lui, perciò avvicinò la mano alla sua e cercò di essere il più cordiale possibile: «Il mio nome è...»
«Non mi interessa» lo strano tizio lo bloccò subito, non aveva sciolto la posa per rispondere al saluto. Braccia intrecciate dietro alla schiena, schiena dritta come se fosse un soldato ben addestrato e sguardo privo di emozioni.
Quel novellino poteva essere classificato come il fratello minore di Ariana, magari aveva la possibilità di arrivare alla famigerata divisa bianca, sempre se continuava ad affrontare la routine del Rifugio con quello spirito di iniziativa. «Sei il nostro tutore, mi basta sapere questo»
Ivan si limitò ad annuire, poi afferrò il bicchiere: «Va bene, come preferisci».
«Sono qui per presentarti le mie colleghe, sono Dana e Leila» iniziò a parlare il ragazzo, poi indicò le due donne alle sue spalle per presentarle. «Adesso posso andarmene, non voglio perdere tempo. Però sii gentile con le mie amiche, solo perché sei il tutore non significa che puoi abusare del tuo compito» e detto ciò il ragazzo dai capelli rossi si congedò, Ivan allora si girò appena e lo guardò mentre camminava in un punto impreciso della stanza.
Poi sospirò e tornò dalle due donne.
Doveva essere forte, non tutti erano buoni e gentili lì dentro.
«Scusalo...» commentò la biondina e si sistemò un ciuffo di capelli, lei doveva essere Leila. «Il nostro amico non è proprio il massimo, però c'è del buono in lui. Basta solo avere pazienza, con il tempo si scioglierà un po'»
«Non è il primo che mi parla in quel modo, perciò non preoccuparti...Leila, vero?»
«Esatto, hai capito bene, lei invece è Dana. Ma io la chiamo Primula» esclamò la ragazza, poi Dana si presentò con il gesto veloce della mano.
La piccoletta aveva il viso cosparso di rossore, evidentemente era troppo imbarazzata per aprire bocca. «Molto lieto di fare la vostra conoscenza, voi siete le uniche donne che hanno passato l'esame. Non è forse così?»
«Certo, siamo felici di essere qui al Rifugio dei Rocket»
«Tutti lo sono all'inizio, Leila, poi con il passare dei giorni cambiano idea e chiedono un permesso per essere trasferiti altrove» raccontò Ivan e scoppiò a ridere, nell'attimo dopo si preoccupò di riempire due bicchieri per le ragazze. «C'è veramente molto lavoro da fare qui dentro, ma Giovanni dona alle fanciulle dei compiti un po' più leggeri. Spero che non vi dispiaccia, non siamo dei maschilisti, è solo che alle donne concediamo incarichi dove è più utile usare il cervello»
Leila annuì soddisfatta e afferrò i due bicchieri, poi passò il secondo calice a Dana che si rifiutò di ingerire dell'alcool. «Io sono pronta a lavorare, non sono la donna che teme di spaccare pietre sotto al sole. Mi considero una tutto fare»
«Ne sono felice» Ivan tornò a ridere, già adorava Leila e non vedeva l'ora di passare del tempo con lei. «E noi abbiamo bisogno di donne così. E tu Dana? Cosa preferiresti fare qui dentro? Magari posso mettere una buona parola per te, è il mio compito quello di aiutarvi»
«Io...» esclamò la ragazzina dai capelli blu, che abbassò lo sguardo e si schiarì la voce con un leggero colpo di tosse. Era ancora imbarazzata, però sembrava sul punto di sciogliersi. «A me ecco...Piace molto stare a contatto con i macchinari, sono la mia principale passione»
Ivan si piazzò davanti al tavolo e piantò in asso la birra, versò un po' di succo alle bacche dentro a un bicchierino di plastica e lo passò a Dana. La guardò con il sorriso per incoraggiarla, la trovava veramente carina e aggraziata in ogni movimento, anche se in quell'attimo sembrava più paralizzata dalla vergogna. «Non tutte le ragazze sono attratte da quel genere di cose, ma non significa che sia negativa la tua passione»
«Grazie» sussurrò lei e mostrò un sorrisetto compiaciuto, recuperò l'oggetto dalle mani di Ivan e sorseggiò liquido fresco.
Poi restò in silenzio e si trovò un angolo abbastanza appartato, non era dell'umore giusto per discutere con qualcuno, così Leila tornò a parlare come se niente fosse accaduto.
«Ancora non sappiamo il tuo nome, lo vuoi forse tenere nascosto?»
«Ivan» si presentò a quel punto.
«Oh, davvero particolare. Mi piace»
«Grazie»
«Ivan, adesso che ci conosciamo, che ne diresti di accompagnare me e Dana sulla pista da ballo? Siamo un po' timide e abbiamo bisogno di compagnia, Max purtroppo ci ha lasciate da sole. Devi sapere che lui non è il tipo che si lascia trasportare da questo genere di feste, l'ho dovuto trascinare fin qui con la forza, forse per questo è stato così scontroso»
Ivan annuì all'affermazione di Leila, senza perdersi in troppe chiacchiere vuotò il calice con un lungo sorso, lo posò in un punto impreciso della tavola e allungò la mano verso Dana, così la invitò a ballare. Lei accettò.
Subito dopo i tre cominciarono a dirigersi verso la folla danzante ma, poco prima di scatenarsi con il ballo, Ivan riuscì a intravedere la figura solitaria del rosso: era immobile sulla poltrona in pelle più appartata della stanza, non faceva niente di particolare per intrattenersi, si limitava a osservare l'ambiente che lo circondava e aveva un'espressione annoiata sul volto. Quel ragazzo, a Ivan, faceva una gran pena.
Max, quello doveva essere il nome che aveva sussurrato Leila.
Ivan riusciva a tenerlo a mente, era difficile dimenticarsi di un individuo dalle maniere così rigide, non c'era da meravigliarsi se era riuscito a ottenere il titolo di recluta. Nonostante l'episodio Ivan percepì una strana sensazione, si sentiva attratto da quella sagoma dai lineamenti perfetti, era sul punto di avvicinarsi perché desiderava coinvolgerlo.
Rinunciò presto all'idea perché si ricordò del caratteraccio, non era risultato interessante, perciò preferì tornare ai festeggiamenti e ballare fino a tarda notte. Dana e Leila erano di buona compagnia, dopo l'imbarazzo delle prime parole, erano riuscite a schiudersi e si erano dimostrate come due donne fantastiche. Ma Ivan continuava a pensare a Max mentre si muoveva, era in perfetta armonia con le note assordanti che lo circondavano, non accettava l'idea di stare lontano da quel tipetto. Voleva conoscerlo, voleva scoprire qualcosa di lui, voleva andarci almeno d'accordo. Almeno...Sì...

Era quello che sperava.

* * *


Il party che le reclute avevano organizzato non era così stimolante, Max si sentiva fuori posto e restava in un angolo appartato per osservare gli altri, detestava essere circondato da musica elettronica e alcool di scarsa qualità.
Aspettava Dana e Leila, non vedeva l'ora di andarsene e di coricarsi, il mattino successivo si sarebbe svegliato presto per continuare le ricerche sulle pietre, mettere le mani sul laboratorio era ciò a cui puntava fin dalla partenza. Però in quel lasso di tempo si sentiva un vero schifo, era rimasto da solo in un contesto che non faceva per lui, aveva mal di testa e non aveva toccato cibo, sentiva i crampi allo stomaco. Era seduto su una poltrona in pelle nera, attendeva con pazienza la fine dei festeggiamenti.
«Posso?»
Una voce maschile attirò l'attenzione di Max, che alzò lo sguardo verso un giovane ragazzo dai capelli scuri e gli occhi castani. La sua corporatura era talmente gracile da farlo navigare all'interno della divisa, il viso però era rotondo dalle guance paffute.
«Sì»
Mormorò Max e annuì educatamente, non gli dispiaceva avere un po' di compagnia, così lo sconosciuto sprofondò sulla poltrona accanto, poi si sollazzò con un profondo sorso di birra. Solo allora lo scienziato adocchiò le mani esili di quel ragazzo che, anche se erano nascoste dai guanti, le dita slanciate e fini rimanevano in bella mostra. Erano bellissime, parevano quelle di un'artista.
«Prima io e un mio amico ti abbiamo visto discutere con il tutore, ecco perché mi sono avvicinato, volevo parlartene» confessò la recluta Rocket, si sistemò il colletto della maglia e si grattò la testa con un comportamento impacciato, rivelò un mezzo sorriso per nascondere la timidezza. Doveva essere simile a Dana, entrambi i soggetti si schiudevano solo con le persone che conoscevano da diverso tempo, mai con gli sconosciuti. «Secondo il mio collega sei praticamente scappato, quindi mi sono fatto avanti. Dimmelo se c'è stato qualcosa che ti ha infastidito o altro, domani ci penserò io a farlo ragionare. Ivan è testone come un Tauros, diciamo che non è proprio il massimo della galanteria, ti prego di perdonarlo»
Max rabbrividì e sbiancò quando sentì nominare il tutore, erano passate poche ore e già ne aveva abbastanza di quell'assurda storia. Non era interessato a creare dibattiti.
Però il suo nome, Ivan, lo trovava delizioso.
Gli stava bene, in fin dei conti.
Lo scienziato scrollò le spalle, almeno tentò di contenersi con le riflessioni. Mostrò un sorriso per tranquillizzare l'interlocutore e tornò a parlare come se niente fosse, voleva evitare di arrabbiarsi ancora: «No è tutto nella norma, ti ringrazio per il pensiero ma non è necessario. Avevo bisogno di sedermi, il viaggio mi ha stancato»
«Posso immaginarlo. Io sono Gerardo, comunque»
«Max. Lieto di fare la tua conoscenza, Gerardo» Max stiracchiò le braccia per sgranchirle e accavallò le gambe, una posizione comoda era ciò di cui necessitava, altrimenti il mal di schiena l'avrebbe fatto dannare per diverse ore. «Cosa fai all'interno del Team?»
«Sono uno scassinatore»
Max annuì compiaciuto e mostrò un sorriso gentile: «Interessante»
«Sì, insomma» Gerardo si lamentò con un tono poco garbato e gettò in terra il bicchiere vuoto, poi scrollò le spalle e si pulì la bocca con il bordo della manica. L'alcool era una brutta bestia se non lo si usava con consapevolezza, era capace di trasformare la gente più elegante e raffinata in bestie insopportabili; Max aveva compreso l'effetto delle strane bevande quando aveva dieci anni, ciò era merito del padre che non passava un bel periodo con il lavoro, trascorreva le serate nella solita locanda cittadina e tornava a notte inoltrata. L'uomo non combinava dei disastri, il mattino successivo era sempre pronto a affrontare le mille avversità dell'ufficio, ma durante la sbronza si trasformava in un essere privo di bontà e amore, infatti Max veniva riempito di botte se si lasciava beccare sveglio eppure, durante quel periodo, era un bambino che cercava di addormentarsi grazie alle pagine profumate di un libro. Dopo un paio di episodi di violenza, in cui finì anche all'ospedale con un braccio rotto, Max aveva capito la lezione e cercò di rigare dritto fino agli anni del liceo, era sempre impaurito quando quell'uomo rincasava, si nascondeva sotto le coperte e faceva finta di dormire, era terrorizzato dall'idea di finire tra quelle mani diaboliche.
Gerardo recuperò una sigaretta dalla cintura per accenderla, si era messo a fumare come se niente fosse. Max reagì con alcuni colpi di tosse, grazie all'intervento del fumo si distaccò dai pensieri, con la mano destra cercò di deviare la direzione della nuvola creata da Gerardo, almeno evitava di respirare il fumo passivo. Non amava le persone che si rovinavano i polmoni, gli bastava restare a contatto con i gas velenosi del Koffing di Leila.
«Sono stato promosso come scassinatore professionista solo di recente, ma io sono un ladro di prima categoria e ne ho avute di esperienze. Peccato che qui dentro le reclute si mettono a rubare tramite piani ben elaborati, organizzati da Giovanni o i suoi fedeli Generali, nessuno rischia la vita con mosse azzardate e improvvisate, sono rimasti in pochi quelli che sanno aprire le serrature, che riescono a entrare nelle case delle persone senza farsi scoprire, che portano via tutto ciò che può avere un certo valore. Gioielli, soldi, anche Pokémon se è necessario» Gerardo continuò a descrivere il suo incarico con una certa enfasi e, questa volta, catturò anche l'interesse di Max che l'ascoltò in silenzio. «Lo sai che è stata la madre di Giovanni a scegliere questo incarico? Solo perché ero magro, piccolo di statura e svelto, è ciò che serve per portare avanti una professione simile. Devi sapere che all'epoca accadeva tutto nel Rifugio, io sono stato addestrato dentro a queste mura, sotto gli occhi dei più esperti che non mi davano mai pace. E nulla...Madame Boss mi ha adocchiato dal giorno in cui mi sono arruolato, ha seguito il mio esame di ammissione e ha scelto ciò che era giusto per me.
Si è comportata così con coloro che ha selezionato, anche Ivan ha avuto più o meno la mia sorte. Peccato che la sua storia è diversa dalla mia, forse è differente rispetto a tutte le reclute che vedi»
Max scrollò di nuovo le spalle e roteò gli occhi in un'espressione scocciata, Gerardo non sapeva fare altro che parlare di Ivan, quel maledetto ragazzone senza cervello che si comportava come una diva.
Lo sguardo di Max capitò in mezzo alla folla danzante, senza farlo apposta inquadrò il diretto interessato: si stava concedendo un ballo insieme a Leila e Dana, sorridevano entrambi dalla gioia e lui non esprimeva alcuna perversità, anzi. Anche se quel corpo era inadatto per il contesto, Ivan era capace di fondersi divinamente con il ritmo incalzante della musica elettronica, i movimenti di quel bacino ben scolpito erano splendidi e non si potevano criticare. Max arrossì di colpo e si mordicchiò il labbro, voleva guardare Gerardo per continuare a chiacchierare, ma Ivan era elegante e ipnotizzante, la divisa nera che aderiva a quei muscoli a momenti lo lasciò senza fiato.
«Come mai è così diverso?» domandò Max che si schiarì la voce, alla fine riuscì a staccarsi dalla visione di Ivan che ballava con le sue amiche. «Io non ci vedo niente di interessante, tutto muscoli e niente cervello»
«Ivan non brilla di intelligenza, questo è risaputo. Se non lo conoscessi da una vita, non mi fiderei mai di lui» Gerardo scoppiò a ridere e incrociò le braccia fini contro al petto, poi si rilassò allo schienale della poltrona. «Però ha altre mille qualità e su questo non posso criticarlo, è una persona fantastica, basta conoscerlo un po' e ti ci affezioni subito. Mi ricordo che l'ho incontrato dopo una settimana dal reclutamento, ti giuro che non sapeva nemmeno parlare e si esprimeva in versi come se fosse un selvaggio, sta ancora imparando ed è già tanto se ha fatto successo con il discorso di stasera»
Max sgranò gli occhi a quella notizia, era assurda.
Per un attimo si sentì in colpa per le critiche fatte in precedenza, ma era strano sapere che esistevano uomini incapaci di parlare correttamente.
«Mi dispiace...» commentò, poi si mordicchiò l'interno guancia. «Perché non sapeva parlare? Ha subito qualche trauma? Infanzia infelice?»
«Non lo so, purtroppo. Nessuno è in grado di raccontare la storia di Ivan, nemmeno Madame Boss che era tanto affezionata a lui» raccontò Gerardo con un sospiro, ma il discorso non terminava lì. «Anche se siamo amici da un paio di anni, non ho mai fatto domande perché non vorrei essere indiscreto, Ivan me lo dirà quando sarà pronto per farlo»
Max annuì senza esprimere emozioni, cercò Ivan con lo sguardo.
Ma la figura muscolosa non era più nei paraggi, ormai la pista da ballo cominciava a svuotarsi e la musica era già più bassa, anche Dana e Leila sembravano scomparse nel nulla: «Ma come ha fatto a finire qui?»
«La madre di Giovanni l'ha trovato a rotolarsi dentro alla spazzatura, non era molto lontano da Azzurropoli quando è successo. Lei ha sempre avuto un debole per gli orfanelli di qualsiasi età, così l'ha portato qui e l'ha sistemato a dovere, poi l'ha messo al servizio del Team Rocket. Sono stato il primo ad incontrarlo, da allora non ci siamo più separati»
«Capisco»
Gerardo a quel punto sbadigliò, si stiracchiò e si levò il cappello dalla testa. Si stropicciò l'occhio, doveva essere stanco: «Ormai la festa è finita, è il momento di andare a dormire. Di sicuro Ivan sta radunando i tuoi compagni per portarli agli alloggi, vuoi che ti accompagno Max?»
«Sì, mi farebbe molto piacere».



* * *


Era scoccata la mezzanotte al termine dei festeggiamenti, molte reclute erano scappate per rintanarsi nei dormitori, che si trovavano al secondo piano del Rifugio.
Ivan non aveva mai smesso di ballare e la stanchezza cominciava a farsi sentire, ma per le mani aveva un compito che non poteva rimandare, quindi era rimasto in mezzo alla pista da ballo ormai vuota e aveva radunato i nuovi arrivati.
Era difficile parlare o muoversi a causa dell'alcool ingerito, ma Zeno e Gerardo erano al suo fianco per aiutarlo, quindi era più semplice tenere in mano il controllo della situazione.
«D'accordo, vediamo di darci una mossa, non voglio perdere tempo» esclamò Ivan prima di grattarsi la barba, i due compari lo guardarono e annuirono in silenzio.
Anche Gerardo e Zeno erano impacciati con i movimenti, stavano accusando il peso della festa:
«...Cosa dobbiamo fare, di preciso?» domandò Zeno.
«Dobbiamo dividere i nuovi arrivati nelle stanze rimaste vuote. Ariana oggi pomeriggio mi ha assegnato la lista e le chiavi, sapeva che Ivan era talmente distratto da dimenticarsene» spiegò Gerardo con un sorriso beffardo sul volto, era l'unico che del trio poteva vantarsi per l'intelligenza.
«Ariana si comporta come una mamma con voi due, io mi offenderei» osservò Zeno, poi si lasciò andare in una risatina. Era ubriaco fradico.
Mentre Ivan si azzuffava scherzosamente con il gigante, i novellini guardavano la coppia senza capire ciò che succedeva, Gerardo si avvicinò alla poltrona su cui si era accomodato in precedenza e, da sotto di essa, recuperò un sacco che conteneva la lista con le chiavi delle stanze vuote: «Ecco a voi, animali».
«Grazie Gerardo» mormorò Ivan e recuperò l'occorrente, poi si sbrigò a srotolare il foglio. «E io dovrei leggere tutta questa roba?! Ma siamo impazziti?!»
«In un certo senso sì, tra di noi sei tu il tutore» puntualizzò Gerardo, scocciato.
«Andiamo Ivan, non è mica la fine del mondo dire ad alta voce dei nomi. Prima lo fai e presto potrai andare a dormire» Zeno si era intromesso per incoraggiarlo.
«No, non se ne parla nemmeno, ho già fatto abbastanza con il discorso di prima. E non posso leggere, ho la vista offuscata. Puoi farlo tu Gerardo?» Ivan si preoccupò di insistere, poi avvicinò la carta alle mani del compagno. «Per favore...» lo supplicò.
«E va bene, però domani pulirai questo schifo al mio posto» Gerardo sbuffò irritato, poi strappò il foglio dalle mani e andò verso i novellini.
Poco tempo dopo c'era Ivan al suo fianco, che teneva in mano le chiavi delle stanze.
«Adesso vi smisteremo nei vostri alloggi» spiegò Ivan senza divulgarsi troppo con le parole. «Il mio amico dirà i vostri nomi e le stanze a voi destinate»

Dana e Leila, stanza 0731 del dormitorio femminile.
Cisco e Alphonse, stanza 0821 del dormitorio maschile.
Frank, Michael e Bic, stanza 0822 del dormitorio maschile.

Per ogni gruppetto nominato, Ivan aveva consegnato la chiave corretta.
Ma c'era qualcosa che non andava.
Le reclute erano otto, ma i nomi pronunciati sette.
Max infatti era rimasto davanti a Ivan e Gerardo, non aveva un posto letto. I due quindi si guardarono sbalorditi, i conti non tornavano fin da principio:
«Gerardo, come mai quella recluta non compare nella lista?»
«Non lo so, deve esserci un errore di conteggio»
«Strano, Ariana non è la donna che sbaglia. Forse qualcosa c'è sfuggito...»
I due chiacchieravano a bassa voce, ignari che il rosso fosse occupato a origliarli. Era sdegnato, lo si vedeva lontano un chilometro.
«Ignorate il fatto che il Rifugio è al completo» mormorò Zeno quando si avvicinò al duo, rideva a crepapelle a causa della sbornia. «Le numerazioni delle camere del reparto maschile arrivano allo 0822, quello delle donne allo 0731. A quanto pare, il nostro nuovo amico, deve occupare un posto che è già assegnato a qualcuno»
Ivan e Gerardo erano rimasti paralizzati, sbalorditi dalla notizia.
Non sapevano come procedere.
«E quale stanza ha un posto libero?» domandò Gerardo.
«Non lo so...Noi minatori dormiremo sui divani, non è un problema che mi riguarda» ridacchiò Zeno.
«Sì, c'è un alloggio che può ospitare un altro ragazzo» commentò Ivan a quel punto, scrollò le spalle. «La mia».









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