Come nei Libri

di Cinnamon_Anonymous
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***




Quel giorno un pallido sole splendeva nel freddo cielo settembrino.
Le mattine, dall’estate, si erano fatte molto più fredde, e alla fermata davanti al liceo classico Giovanni Pascoli molti ragazzi indossavano felpe e giacche sopra le maglie smanicate che attendevano, assieme ai proprietari, i pomeriggi assai più caldi.
Dalla pensilina dove arrivavano tutti i tram che passavano dal quartiere –il tre, il dodici e il settantatré- molti ragazzi già si incamminavano su per la breve salita che portava al cortile che precedeva l’entrata della scuola. Il cortile aveva due spiazzi di fresca erba verde che affiancavano la strada pavimentata che giungeva alle scale, che a loro volta portavano ad una grande porta a vetri. E una volta lì, eri dentro al liceo.
Ma tra lo scendere dal tram e l’entrare a scuola, c’era di mezzo la sigaretta del buongiorno, le chiacchiere di quegli amici che non erano così amici da scriversi ogni cosa su whatsapp, le chiacchiere di quelli che, anche se si scrivevano di continuo, avevano comunque cose da dirsi, la gente che si affaccendava a copiare i compiti…
Chi prima chi dopo, però, per il suono della campanella erano tutti dentro –a parte i soliti ritardatari cronici o saltuari-
L’edificio aveva ben quattro piani, tutti molto ampi, in modo che oltre alle normali aule, ci potessero essere laboratori, una biblioteca, la palestra e, ovviamente l’aula magna.
Purtroppo, però, la scuola non era provvista di ascensore, e quindi gli studenti dovevano salirsi tutte le imponenti scale che aveva ogni vecchio edificio che si rispettasse.
E per quelli che, come i ragazzi della quarta F, stavano all’ultimo piano, era una vera faticaccia. Senza contare che le cartelle minacciavano in ogni momento una brutta scoliosi per tutti.
Ma, una volta arrivati in classe, la vista che c’era dalle finestre ripagava tutto.
Come pensava spesso Marco, uno dei ragazzi della classe, vedere la città dal livello dei tetti ti faceva sembrare ogni ostacolo superabile. Non come camminare per le strade, dove ogni casa ti copriva la visuale, opprimendoti nella tua situazione di piccolo essere umano.
Il quartiere dove si trovava il liceo Pascoli era molto centrale, e quindi tutti gli edifici lì attorno –compresa la scuola- erano circa dell’epoca medioevale, tutt’al più rinascimentale.
La vista dalla classe era, quindi, mozzafiato. Inoltre, vista la mancanza di muri opprimenti davanti ai vetri, il sole era libero di filtrare e illuminare la stanza, e le sue file di banchi disposti a coppie.
I ragazzi, dopo la scarpinata su per le scale, entravano, vociando come quegli amici che hanno condiviso venticinque ore a settimana, nove mesi l’anno, per quattro anni.
 Ovviamente, ognuno aveva il suo posto, e le cartelle precipitavano a terra, con sonori tonfi, mentre la gente si sedeva su banchi e sedie, approfittando di quegli ultimi minuti prima che il professore facesse il suo ingresso.
-Marco, Caterina… non cominciate, per favore- mugolò qualcuno dal centro della stanza, mentre da una parte la coppia storica della classe (stavano insieme dalla prima superiore) iniziava a sbaciucchiarsi come se il giorno prima non fossero stati al parco a fare esattamente quello.
Caterina arrossì subito, con la carnagione chiara abbinata ai capelli biondi che la rendevano di una bellezza classica. Era una ragazza molto piacevole, simpatica e dolce.
Il suo ragazzo, Marco, aveva anche lui i capelli biondi, leggermente troppo lunghi sulla nuca e ribelli sulla fronte. I suoi occhi chiari brillavano di una luce particolarmente giocosa. Era il tipico bravo ragazzo, anche se prima di mettersi con Cate aveva la nomea di uno a cui piacevano molto le donne, se capite che intendo.
A parlare, invece, era stato un ragazzo con le treccine rasta fermate da una fascia nera, e gli occhi scuri sul viso abbronzato. Era Lorenzo, il migliore amico di Marco.
Mentre tutti iniziavano a ridacchiare, però, la Mege entro in classe.
La Mege –da tutti gli studenti chiamata La Megera- era una donna di media altezza, con i capelli grigio topo e gli occhi azzurri, coperti da un paio di occhiali che parevano due fondi di bottiglia.
Aveva sessant’anni e ne dimostrava centosettanta, con le sue spalle gobbe e il viso più rugoso di una maglia appallottolata nella borsa da educazione fisica per una settimana.
Ma non era solo terribile all’aspetto! Oh, no. Se apriva bocca, potevi dire addio ai tuoi timpani, a causa della sua voce acuta e stridula come un uccellaccio.
Era la croce di molti studenti, essendo la professoressa di Matematica.  
La donna gracchiò un “buongiorno” e si sedette alla cattedra, appoggiando le dita ricurve sul piano verde acqua.
-Ragazzi. So che è il primo giorno di scuola, e per questo non vorrei darvi un rapporto.- Disse, con il tono che già le si alzava di due ottave buone.
A quel punto, tutti i ragazzi si sedettero, scocciati dal brutto inizio, e presero libri e quaderni, ancora intonsi.
Beh, non lo rimasero a lungo.
Senza tanti preamboli, la Megera iniziò a spiegare il programma dell’anno, e dopo cinque minuti, avevano già iniziato il primo argomento.
Raffaele detestava la matematica. Non della serie “la odio perché ho brutti voti” o “la odio perché non la capisco e non mi riesce”. No, a lui la matematica destava una odio radicato, che gli provocava un’insofferenza che mandava in bestia la professoressa, spingendola ad essere più acida con lui che con tutti gli altri. E il fatto che lei lo prendesse di mira faceva aumentare l’odio di Raffaele. E così via. Era un circolo vizioso.
Tanto per cominciare bene l’anno, il ragazzo fissava fuori dalla finestra, con un ricciolo nero attorcigliato alla penna, e le dita che grattavano nervosamente il principio di barbetta sul mento.
Il suo libro era già pieno di caricature della prof estremamente poco lusinghiere, e inchiostro di ogni colore macchiava le pagine. Infondo, Raffaele era un artista, e il suo astuccio lo confermava.
Aveva tre tipi diversi di lapis, un paio di gomme, due appuntalapis, e penne di ogni colore. Lui non si limitava a quelle nere, blu, rosse e verdi. Lui le aveva arancioni, verdi, viola, marroni, gialle, azzurre… Senza contare, poi, un astuccio a parte per le matite.
Peccato che, da due anni a questa parte, non riuscisse più a disegnare nulla di serio. Sì, una caricatura qui, una là, qualche disegno scherzoso sugli argomenti scolastici e così via. Ma niente più paesaggi, niente più rappresentazioni di ciò che riempiva la sua testa, niente più ritratti.
E tutto perché? Non ne era sicuro. Però sapeva che la perdita di ispirazione coincideva con il periodo in cui una certa consapevolezza lo aveva travolto come un treno in corsa: era gay.
Non era stato bello rendersene conto di punto in bianco, baciando per scherzo un ragazzo.
Raffaele era il famoso pagliaccio del gruppo, quello che faceva ridere tutti e non veniva mai preso sul serio da nessuno. Quando Rocco era arrivato con la bellissima notizia che aveva le soluzioni del compito di chimica, lui, ridendo, aveva esclamato: “in questo momento potrei baciarti”. E mentre tutti gli davano dell’esagerato, lui aveva afferrato l’amico per le spalle e gli aveva stampato un bacio sulle labbra.
Aveva riso con gli altri, dopo. Dio, non avrebbe dovuto piacergli.
Non che gli piacesse Rocco. Era simpaticissimo, ma non era decisamente il suo tipo. Non lo attraeva per niente. No, ad attrarlo era qualcun altro, qualcuno a cui Raffaele continuava a lanciare lunghe occhiate tormentate, senza che nessuno se ne accorgesse.
L’oggetto dei suoi desideri era seduto in prima fila, ma spostato sulla destra. E lui, che era in ultima fila, sulla sinistra, vedeva troppo bene i suoi capelli biondi come il grano estivo che ricadevano in morbide ciocche sul viso bianco, con i suoi occhi castani concentrati alla lavagna, e le lunghe dita eleganti strette sulla penna, mentre prendeva appunti, e…
-D’Innocente- il sentire il suo nome pronunciato da una voce stridula e fastidiosa lo riportò alla realtà. –Ci degna della sua attenzione o preferisce uscire dalla classe?-
Il ragazzo forzò un sorriso, ben consapevole che tutta la classe lo stava guardando.
-Ma no, prof, che vuole che ci faccia fuori? Non c’è neanche la bidella con cui chiacchierare.- disse, sfacciato come suo solito.
Solo l’urlo sguaiato della Megera bloccò il flusso di risate che aveva invaso la classe. E ovviamente Raffaele si ritrovò sbattuto fuori dall’aula.
 
Ma, nonostante la prima ora non fosse stata delle migliori, i ragazzi della Quarta F aspettavano con ansia la seconda. Erano masochisti, o peggio, gli piaceva studiare? No, figuriamoci. Ma all’ora dopo sarebbe arrivato il nuovo professore di Italiano.
Per i quattro anni passati al Pascoli, i ragazzi avevano avuto l’incredibile “fortuna” di avere il Diani, un professore talmente vecchio quanto rimbambito. Avrebbero dovuto leggere, in seconda, i promessi sposi, ma il professore se ne era scordato e per tutto l’anno aveva continuato a leggere La Divina Commedia.
In prima avrebbero dovuto iniziare latino, ma il professore se ne era scordato, e gli aveva fatto fare il programma di terza. In terza, a questo punto ferratissimi sul programma di latino di quell’anno –ma con scarse basi-, avevano ricominciato la storia dalla preistoria.
Ma quell’anno il Diani si era deciso –“fate partire un coro angelico”, disse Rocco quando lo ebbe saputo- ad andare in pensione, e quel giorno i ragazzi avrebbero conosciuto il nuovo professore, che per la prima volta metteva piede al Giovanni Pascoli.
Nella classe c’era solo un basso vocio, mentre Andrea, un ragazzo basso e magro come un chiodo, sbirciava dalla porta.
-Oh, oh! Arriva!- A quel richiamo, tutti si agitarono per mettersi ordinatamente ai loro posti.
-No, no, fermi, si è fermato a parlare con Egide!- Borbottò Andrea, con i muscoli che fremevano.
-Com’è? Dai, d’aspetto, com’è?- Chiese Caterina, sporgendosi come per vedere anche lei dalla porta.
-E’ alto, ha i capelli scuri, la barba, porta una camicia a quadretti e i jeans!-
-Oddio, ma quindi è giovane?- chiese Elena, amica di Caterina e parte dell’altra coppia storica della classe.
-ma sì… avrà trent’anni.- riprese Andrea, prima di sussultare e scattare al suo posto.
Appena la porta si aprì, tutti i ragazzi si alzarono educatamente e proruppero in un “buongiorno” corale.
Il nuovo professore era davvero giovane. Oltre alla breve descrizione di Andre, subito notarono tutti gli occhi verdi allegri e gentili. L’uomo si diresse alla cattedra e lasciò la borsa, sorridendo a tutti.
-Salve, ragazzi. Sedetevi pure! Io sono Alberto Casadei, e sono il vostro nuovo professore di Italiano, Storia e Geografia e Latino.- esordì, mentre tutti si accomodavano, tranne lui.
Lui si sedette sulla cattedra, intrecciando le mani in grembo. Tutti lo fissavano, curiosi.
-Ma siccome questa è l’ora di italiano, vi parlerò di ciò che faremo ad italiano: mi odierete, all’inizio.- Detto ciò, cominciò a scrivere sulla lavagna. Il pennarello volava sulla superficie bianca.
Romeo e Giulietta (William Shakespeare)
I Miserabili (Victor Hugo)
Piccole Donne (Louisa May Alcott)
I ragazzi dello zoo di Berlino (Christiane F.)
I ragazzi della via Pal (Ferenc Molnar)
Il giardino segreto (Frances Hodgson Burnett
)
I Promessi Sposi (Alessandro Manzoni)
Il ritratto di Dorian Gray (Oscar Wilde)
Il Piccolo principe (Antoine de Saint-Exupéry)
Il vecchio e il Mare (Hernest Hemingway)
Alice nel paese delle meraviglie (Lewis Carroll)
Il Signore Degli Anelli (J.R.R. Tolkien)
La Strega, il leone e l’armadio (C.S. Lewis)
Matilde (Roald Dahl)
Il giro del mondo in ottanta giorni (Jules Verne)
MacBeth (William Shakespeare)

I ragazzi fissavano la lavagna, aggrottando le sopracciglia o dischiudendo le labbra. L’uomo, dopo aver scritto l’ultimo titolo –la lavagna era ormai zeppa, non c’entrava neanche più uno sputo- si girò a guardarli.
-Per cominciare, leggeremo questi libri. Quando li avremo finiti, ce ne saranno altri.- li informò. La classe, dopo un attimo di completo shock, scoppiò in un lamento inarticolato, seguito da un cora di “cosa??” e “no!”
Il professore attese pazientemente che la classe smettesse di parlare, senza rimproverarli per la reazione.
-Non dovrete relazionarli. Potete anche non leggerli, se volete. L’unico compito che io assegno e che pretendo che sia fatto, è questo: - la classe trattenne il respiro –leggendo, dovete trovare il personaggio che vi rappresenta. Il personaggio che non solo è simile a voi di carattere, ma che ha gli stessi sogni, le stesse aspirazioni, lo stesso modo di parlare… non so se mi spiego. Quando lo avrete trovato, potrete smettere di leggere i titoli che vi assegno. Ma non provate a pescare il primo personaggio che vi capita. Non basta aprire una pagina e leggere un nome, perché io vi chiederò perché lo avete scelto, e vi terrò tutta l’ora a fare un dibattito su quel personaggio.- terminò allora lui, mentre la classe non sapeva se il sospiro da tirare era di sollievo o di abbattimento.
 
---estratto delle chat sul gruppo di classe, dal telefono di Caterina---
QUARTA EFFFFFFFE – OLE’ OLE’ DOMANI CE SE VEDE

 <- Il Casadei è completamente fuori
Anna<3 ma chi vuoi che li legga tutti quei libri!
Rocco (SiffredixD) mi è presa l’ansia alla sola idea di prendere in mano “giro del mondo in ottanta giorni”
Amore<3<3 io neanche ce li ho tutti quei libri!!
<- ma neanche io, cosa credi!
Andrea no, gente, ma la Megera che compiti ha dato? Cmq il casadei è completamente pazzoooo
Alessio Andrea, ti prego, scrivi in modo decente
Andrea sìvvabbene
Raffa! Hahahahaha ma che, ti diverti a farlo incazzare?
Andrea da morire!
Raffa! Auh, sono geloso :c
Alessio mi fate schifo.
Ezio:3 dai, ragazzi, poteva andarci peggio.
<- Peggio di dover leggere sedici classici pallosissimi, Ezio??
Ezio:3 ma sì, dai. Vi ricordo che in seconda abbiamo fatto la Divina Commedia.
Amore<3<3 sì, ma un solo classico in tutto l’anno!
Ezio:3: beh, sì, in effetti…

Rocco(SiffredixD) ha cambiato l’oggetto del gruppo in “QUARTA EFFFFFFFFFFFFFFFFFFFE VE SE AMAAAAA”
 
 La stanza di Raffaele era di colore azzurro. Era molto piccola, tanto che il letto era ad una piazza sola, invece che ad una piazza e mezzo.
Per risparmiare lo spazio dell’armadio, i vestiti erano nel largo cassetto sotto di esso, oltre che negli scaffali sotto il lungo e basso mobile blu difronte al letto.
La scrivania era davanti alla finestra, completamente disordinata. Fogli e matite giacevano sparsi ovunque, assieme a cartacce e biancheria intima che il ragazzo era troppo pigro per mettere in ordine e che finiva per ammassarsi negli angoli.
Per questo motivo Raffaele faceva i compiti sul letto, sul quale era disteso ora, con la vecchia copia di Romeo e Giulietta di sua madre.
Aveva saltato le note preliminari, dato una breve scorsa ai personaggi, e si apprestava a cominciare il testo.
“Nella bella Verona, dove noi collochiam la nostra scena, due famiglie di pari nobiltà; ferocemente l’una all’altra oppone da vecchia ruggine nuova contesa, onde sangue civile va macchiando mani civili.”
-Va bene. Fantastico. Che cosa ha detto?- borbottò il ragazzo tra se e se.
Quando si addormentò, aveva letto sessantasei volte la frase e continuava a non capirne il senso.


 


N.d.A

Ed eccolo qua, un primo capitoletto, giusto per introdurre la situazione.
Ce la faranno i nostri eroi a leggere tutti e sedici i romanzi? xD
no, vabbè, senza scherzi… so che ci sono alcuni personaggi (tipo Ezio e Alessio) che appaiono in chat ma non si sa bene chi sono, ma vi assicuro che vi presenterò tutti e venti i ragazzi della classe! (poi mi ucciderete, ma pazienza)
E adesso, se volete farmi sapere che ne pensate, sarò ben felice! *Cinnamon si ritira in un angolino e fissa tutti tipo avvoltoio*
-Cinnamon

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


CAPITOLO 2

-Ragazzi, suvvia…-
La professoressa Radi era tanto buona e cara. Non era ne giovane ne vecchia. Aveva, forse, cinquant’anni, e i capelli tinti di nero per nascondere quelli grigi, che comunque si vedevano nella ricrescita, che cadevano su un viso rotondo e paffuto. Vestiva sempre con lunghe gonne floreali e camicie un po’ retrò, e pareva incapace di alzare la voce.
I ragazzi le volevano molto bene, ma ovviamente lei era troppo buona, e ciò significava che tutti ne approfittavano, almeno un po’.
Damiano, pensieroso, fissava fuori dalla finestra, mentre le chiacchiere pervadevano l’aria della classe.
Era un ragazzo piuttosto alto, con i capelli lunghi fino a mezza spalla, neri corvini, e gli occhi scuri, color cioccolato fondente.
Era famoso perché non parlava molto. Però, a differenza di ciò che pensavano i suoi compagni, non era in un mondo parallelo, con la testa tra le nuvole: lui osservava e capiva. Era piuttosto bravo a leggere il linguaggio del corpo, e non solo.
Era l’unico, per esempio, ad essersi accorto che Raffaele –suo compagno di banco- aveva smesso di disegnare da tantissimo tempo, e che c’era qualcosa che non andava. Spesso si distraeva, e il suo sguardo si faceva cupo.
E Dio, le occhiate che lanciava ad Alessio quando credeva che nessuno lo vedesse…
In quel momento, l’artista stava giocherellando con una penna, scarabocchiandosi le mani. A quel ragazzo piaceva avere le mani sporche. Era come se volesse qualcosa che certificasse che era un disegnatore. Due anni prima non era così: due anni prima, Raffa era famoso perché era “uno che se ne fregava”.
Non gli importava nulla di ciò che dicevano gli altri, non gli importava nulla di come si vestiva, non gli importava nulla di ciò che pensavano le persone del suo modo di disegnare.
E invece ora era come terrorizzato da tutto e da tutti. Si era completamente chiuso, cercando di tenere ciò che era all’interno di una maschera di falsità.
Peccato. A Dami era sempre piaciuto lo spirito di Raffa. Si potevano quasi dire amici, per quanto il primo fosse particolarmente restio ad avere contatti sociali.
Già era stato preso di mira alle medie, in modo piuttosto pesante. E il fatto che la classe alle superiori fosse molto unita non smuoveva la sua idea: sarebbero comunque stati carini con lui, sapendo dei suoi problemi?
Raffaele stava ancora fissando Alessio, dall’altro capo della stanza. Le sue mani tremavano come se morisse dalla voglia di disegnare. Ma non fece assolutamente nulla.

Gli unici a prendere appunti, nonostante le chiacchiere, erano Ezio ed Alessio. I due, amici fin dalle elementari, erano quel tipo di ragazzi che andava a scuola per il piacere di imparare.
Alessio –alto, bel fisico, con i capelli lunghi, biondi e mossi, gli occhi castani luminosi… in pratica un Dio Greco- a primo impatto aveva dato l’impressione del fighetto di turno. Insomma, uno così bello non poteva non tirarsela.
E invece aveva sconvolto tutti: non solo non se la tirava, ma non era assolutamente conscio della sua bellezza! Ma sapeva di avere carisma. Aveva quell’aura che, quando si alzava e iniziava a parlare, tutti si zittivano e lo ascoltavano, pendendo dalle sue labbra.
Anche se non la pensavi come lui, era difficile dargli torto, tanta era la passione e la forza che metteva nei suoi discorsi.
Ezio, dal canto suo, era molto tranquillo. Era silenzioso e pacato, e quando parlava, potevi dare per scontato che avesse analizzato la situazione e ben ponderato la sua risposta, con una mentalità pragmatica e oggettiva.
E il suo aspetto era indicatore del carattere: non vestiva come un professore di oxford, ma sul fisico asciutto portava sempre blue jeans e camicia, magari con una giacca o una felpa sopra. Indossava occhiali di quelli senza montatura, rettangolari, che spesso si portava tra i corti capelli neri, sempre ordinati.
Ezio era un po’ il braccio destro di Alessio. Se il secondo poteva aizzare un esercito, il primo poteva guidarlo con fermezza e tattica.
-Ale…- il moro richiamò l’attenzione del biondo, che girò la testa, mentre la prof si alzava al suono della campanella.
-Mi sembrava che qualcuno ci stesse osservando.- continuò allora il primo. Alessio aggrottò le sopracciglia.
-Ma forse… no, lascia stare.- terminò Ezio, girandosi ad osservare il resto della classe. Gli era parso che qualcuno puntasse gli occhi su di loro per tutta la lezione, ma non gli era parso carino girarsi. E ora che poteva farlo, con la scusa di stiracchiarsi, non c’era nessuno che li fissava.
-Qualcuno ha iniziato a leggere i libri per il Casadei?- chiese Rocco, portandosi vicino alla finestra per prendere una boccata d’aria.
Molti in classe lanciarono mugolii di diniego. Ezio si porto gli occhiali sulla testa, per massaggiarsi la radice del naso, un tic che aveva da molto tempo.
-Io sì, ma… cioè, è difficile- La voce che si distinse dalle altre sorprese il ragazzo. Di solito sarebbero stati lui o Alessio ad essere i “secchioni” e ad aver già iniziato il lavoro. Invece stavolta a parlare era stato un ragazzo che spesso e volentieri non faceva i compiti, che aveva consegnato molti compiti in classe in bianco, che era un fisso visitatore della scuola agli inizi di settembre per gli esami di riparazione.
Anche Alessio era parecchio colpito: lo dimostravano gli occhi sgranati e le labbra leggermente dischiuse.
-Che c’è? Mia madre aveva Romeo e Giulietta in casa…- si difese Raffaele, scarabocchiando qualcosa sul banco, distrattamente.
-In che senso è difficile?- chiese Alessio, alzandosi dalla sua sedia per dirigersi verso Raffa. L’altro ragazzo fece un po’ troppa pressione sul lapis, la cui punta si spezzò. Deglutì.
-Cioè… è complesso il modo in cui è scritto… difficile da capire…-
-Se vuoi ti aiuto.-

Raffaele fu salvato in corner dalla professoressa Dainelli che entrava in classe, salutando energicamente gli studenti.
Dio, Alessio era così vicino a lui… Alessio si era accorto di lui, cazzo! Era una sensazione devastante. Da un lato era felice, ma dall’altro non riusciva a togliersi di dosso l’idea che lui lo stesse facendo per pena, perché Raffaele era stupido.
-D’Innocente, Antoni, iniziate a muovervi e andate a cambiarvi!- esclamò la Dainelli, mandandogli un’occhiata di fuoco.
Quella era la professoressa più giovane che avevano. Aveva trent’anni, capelli ricci e castani, occhi color mogano e sorriso smagliante. Insegnava ginnastica, ed era la migliore nel suo campo che i ragazzi avessero mai trovato.
Ma era anche capace di essere terribile, e per questo Alessio si girò subito, muovendosi verso la porta.
Raffaele lo guardò per un attimo, con una sensazione amara tra le labbra. Rimpianto…?
Poi si sollevò anche lui dalla sedia e si diresse alla porta, per poi scendere verso la palestra.
-Asha unisca ninna alaa… ehhhh macareenaaa!!- stava urlando Rocco, nell’esatto momento in cui il moro mise piede nello spogliatoio. Il ragazzo, dal suo metro e ottanta d’altezza, stava sventolando i jeans per aria, muovendo i fianchi come se stesse davvero ballando la macarena.
-Ehi, Raffa! Balla con me!. Urlò, continuando a berciare quella canzone che tutto era, fuorché la macarena. Gli lanciò i jeans, facendogli l’occhiolino. Raffa avrebbe voluto dirgli che non era dell’umore, che non voleva che Alessio lo vedesse a fare cose così stupide, ma non lo fece. Lui e Rocco erano i buffoni della classe. Dovevano fare quel genere di cose: era il loro ruolo, la maschera di Raffaele.
Nessuno si accorse della smorfia che, per qualche secondo, aveva incurvato le labbra dell’artista. Solo Damiano, che continuava a fissarlo, con le sopracciglia aggrottate.
Ma Raffaele non ci aveva fatto caso, limitandosi a togliersi la maglietta e a raggiungere Rocco, mentre tentava di trovare il vero testo di una canzone che, nella mente di metà della popolazione mondiale, era solo “eeeehhhh MACARENA!”
C’era da dire che non erano una brutta vista. Rocco era super abbronzato, avendo passato due mesi al mare in Puglia, suo paese d’origine. Aveva un fisico magro, i fianchi abbastanza stretti e un accenno di muscoli sull’addome e sul petto, che però, accidenti, non erano nulla comparati a quelli delle gambe: si vedeva che faceva ciclismo.
Raffaele, invece, non aveva la pelle scura dell’amico, ma neanche bianco latte. I muscoli dell’addome, la famosa tartaruga, erano ben definiti, così come i pettorali. Sulle braccia tornite erano visibili le vene bluastre, mentre i muscoli allenati si muovevano a ritmo con il suo “ballo”.
Nessuno sapeva grazie a quale sport il giovane artista avesse quel fisico. Forse era solo madre natura.
Ma il suo bel corpo non servì a nulla, perché Alessio li rivolse comunque un’occhiata di ardente disappunto.
Se non avevo notato lo sguardo di Damiano, quello del biondo lo perforò dritto al petto.
Ma, testardo come era, Raffa non smise di fare il cretino.
Quando la professoressa bussò furiosamente alla porta dello spogliatoio, solo allora smise, scendendo e correndo ad infilarsi la maglia sgualcita e i pantaloncini.
Uscirono tutti assieme, i maschi, come il loro solito, mentre alcune ragazze erano già fuori.
La Dainelli li mise a correre lungo il perimetro della palestra, sistemando intanto dei cinesini per fare un percorso.
Raffaele era dolorosamente consapevole dello sguardo di Alessio, puntato ovunque tranne che su di lui.
Infondo, si sapeva, il biondo era un ragazzo che prendeva le cose seriamente. Fin dall’inizio del primo anno alle superiori lui e l’artista si erano riconosciuti come completamente opposti.
Il moro era il tipo di ragazzo che prendeva tutto a ridere, che in tutta la sua vita aveva detto forse un paio di cose veramente serie, senza mascherarle con l’ironia. Alessio, invece, era raro che usasse battute di spirito o scherzasse per alleggerire la tensione.
Ma, come si dice, gli opposti si attraggono.

“Stupido. Raffaele, sei uno stupido.”
Perché diamine non aveva accettato l’aiuto di Alessio al volo? Invece di sprecare quest’occasione e farsi vedere come lo scemo di turno, guadagnandosi le sue occhiatacce.         
Ma poi, perché gli importava così tanto? Cioè, dai. Il biondo non era interessato a lui, fine.
Infondo, da dopo il bacio-dato-per-sbaglio con Rocco, si era fatto un sacco di problemi. Magari si era solo confuso, e non era neanche gay. E quella cotta per quello stupido Dio Greco che si ritrovavano in classe se l’era autoindotta inconsciamente per via delle seghe mentali.
Ma come faceva a capirlo?
Per riflesso inconscio, si alzò seguendo tutti gli altri, per salutare con uno spento “buongiorno” il professor Casadei.
-Salve, ragazzi, buongiorno.- Li salutò lui, con un sorriso gioviale. Tutti si accomodarono, e lui ancora una volta si sedette sulla cattedra.
-Ieri abbiamo avuto un interessante dibattito sulla lista di libri che vi ho dato da leggere, che io ho molto apprezzato. Non mi dispenso di certo dallo spiegare agli studenti il mio metodo di studio! Però, dopo tante chiacchiere, e l’infervorato discorso del nostro Alessio…-
A quelle parole, il biondo sollevò il mento, fiero. Non si pentiva mai di ciò che diceva. Credeva nelle sue idee, e combatteva per esse. Ma nei suoi occhi brillanti, stavolta, non c’era sfida, perché nella voce del professore non c’era scherno, ma apprezzamento.
-… non abbiamo avuto tempo di fare per bene tutte le presentazioni.-
A quel punto tutti i ragazzi della quarta F si prepararono a sfoderare le loro presentazioni “nome-cognome-età-famiglia-cosa voglio fare da grande” ben fatte, su cui erano solo appena arrugginiti da quattro anni con gli stessi professori, ma il Casadei li bloccò.
-Ma le faremo in modo particolare. Ognuno di voi deve descrivere con una parola il ragazzo o la ragazza accanto a se, in assoluta sincerità. Sono vietate le parolacce e le offese. Potete mettere in luce un difetto, ma non in modo cattivo e maleducato. Poi la persona che ha ricevuto la descrizione può negare o approvare. In caso di negazione, spieghi perché e si autodescriva.- spiegò infatti, sorridendo.
A quel punto tutti si guardarono, a lungo, in silenzio. Poi il gioco cominciò.
A partire, per scelta del professore, fu proprio Raffaele, che si girò a squadrare Damiano. L’altro ragazzo sbuffò, togliendosi il ciuffo corvino dagli occhi e sfoderando un sorrisetto.
-Allora, lui è Damiano, è il mio compagno di banco da anni, e se dico qualcosa di brutto mi uccide…- ridacchiò il primo.
-Oh, ci puoi girare, R.- rispose l’altro, ridacchiando. Il professore li osservava, curioso, mentre Raffaele si mordicchiava il labbro inferiore.
-Okay, allora… Damiano è…- la mente del ragazzo lavorava veloce: non voleva dire qualcosa di scontato come “intelligente” o peggio, “simpatico” –Scuro.-
Il paragone gli venne spontaneo. Insomma, lui lavorava molto con i colori, li conosceva meglio delle persone. E Damiano era come quelli scuri. Non solo per il suo modo di vestire.
-Sono d’accordo.- disse lui, infatti. E sembrava sorpreso di esserlo. Infondo, si era aspettato che l’altro non facesse centro.
A quel punto fu il suo turno di guardare la fila accanto, fissando gli occhi su Andrea.
-Andrea è insicuro.- Disse, con voce bassa, controllata. L’altro ragazzo ridacchiò, torturandosi le dita. Damiano ci aveva preso! Ma col cavolo che lo avrebbe detto agli altri.
-Nah, non ci hai azzeccato, scusa. Io sono… stressato. Vado sempre di fretta.- disse, alzando le spalle. Il professore annuì, facendo cenno di andare avanti. Andrea non aveva spiegate perché non fosse insicuro, e l’uomo sapeva bene il motivo.
Il biondo si passò la lingua sui denti, osservando Rocco.
-Oh, questa è facile! Rocco è esilarante.- informò tutti, sicuro.
Damiano non era d’accordo. Secondo lui, sotto il giovane pugliese c’era molto di più che le sue battute e i suoi scherzi stupidi. Ma visto che il diretto interessato alzò i pollici con un sorrisone, se ne stette zitto. Come sempre.
Rocco si girò verso Lorenzo, suo compagno di banco storico, che era stato spostato nella coppia di banchi accanto dalla Megera perché “facevano troppa confusione” (come se ora ne facessero di meno).
-Lorenzo è una testa calda! Sembra di stare vicino ad un vulcano, prof, glielo giuro!- esclamò.
-Oh, ehi! Spero per te che fosse un complimento, che se no ci vediamo fuori da scuola!- rispose piccato Lorenzo, per poi aprirsi in una risata, che contagiò tutta la classe.
Sorridendo, il professore annuì ancora.
Il giocò continuò, con Lorenzo che si volgeva verso Elena. La ragazza, che ora era osservata da tutti i compagni, avvampò. Quando era arrivata, il primo giorno del primo anno, non riusciva a parlare con nessuno, tanto era timida. Inoltre, era anche dolce, incapace di dire qualcosa di cattivo su chiunque.
-Okay, Ele. Sono scontato se dico dolce?- da tutti gli altri si sollevò un coro di “scontato” –Va bene, va bene. Elena, tu secondo me sei… materna-
La ragazza sorrise, grata, e spostò gli occhi chiari su Marco, seduto davanti a lei.
-Marco è un sognatore- asserì, decisa, salvo poi chinare lo sguardo, ancora rossa. L’interessato sorrise e annuì. Effettivamente lui era un romanticone con la testa tra le nuvole.
Con un sorriso ebete, guardò Caterina, la sua ragazza e compagna di banco.
-Caterina è bellissima.- disse. La classe scoppiò in urla disarticolate che comprendevano “che schifo” “ora ho il diabete” e “prendetevi una stanza”.
Al Casadei ci volle un po’ a far tornare il silenzio tra le risatine e le urla.
Caterina accettò il complimento senza ribattere, con un sorriso. Adesso toccava a lei descrivere la persona che aveva accanto, nella coppia di banchi poco più in là.
Quella descrizione era difficile. Il primo anno lei e Isabella, la ragazza con i lunghi capelli mori e due grandi occhi verdi nel viso pallido, non si potevano vedere. Erano stati mesi di guerre continue, pugnalate alle spalle e non, cattiverie gratuite e scherzi ai danni l’una dell’altra.
Poi, quando il padre di Caterina aveva iniziato a bere, ad essere troppo nervoso e a far volare un po’ troppo le mani, la ragazza aveva avuto un brutto periodo di depressione.
Isabella non si era approfittata della debolezza, anzi. Un giorno che l’aveva vista con un livido di troppo, era andata a casa sua, e aveva capito cosa stava succedendo. Caterina ancora non sapeva come, in realtà.
E poi l’aveva difesa contro il padre.
Da quel momento erano diventate amiche, anche se spesso litigavano tanto per tenersi in allenamento e non far sbollire il sangue.
-Isa è una guerriera, prof.- disse semplicemente, guardando l’altra negli occhi, ricambiando uno sguardo sorpreso e grato.
Poi il turno passò, e la mora prese un respiro profondo, guardando Giovanni.
-Prof, io non sono brava in queste cose. Ma una cosa che posso dire per certo di questo qua, è che è innamorato pazzo.- borbottò, giocherellando con la catenina argentata che aveva al collo.
Tutti scoppiarono a ridere, ancora, e ancora Damiano si trovò a pensare che quelli che stavano facendo erano commenti molto superficiali, tranne pochi.
Per ora il “guerriera” dedicato ad Isa, lo “scuro” dedicato a lui stesso, e forse anche il “materna” per Elena erano azzeccati. Gli altri si limitavano alle copertine dei libri che erano le persone.
-Beh, sì, sono innamorato, ma… ecco… si può dire altro di me- ridacchiò Giovanni, leggermente teso –Diciamo, prof, che sono uno con la testa sulle spalle.-
Damiano non credeva che una persona potesse toppare anche su se stessa, ma spesso non si vedeva come si era veramente.
-Beh, Anna, tu sei… completamente matta- rise poi il ragazzo. La ragazza che aveva ricevuto la descrizione rise con lui, facendo sentire la sua risata cristallina.
-Sì, devo dire che lo sono!- poi si girò verso il ragazzo rumeno seduto accanto a lei. –Dimil, tu sei un lavoratore. Ti impegni sempre in tutto quello che fai, prendi tutto sul serio, come un lavoro!- spiegò. Era la prima che riusciva a dare una spiegazione.
Era la descrizione giusta, ma era come se anche quella, per quanto riassumente di una grande fetta del carattere del giovane, fosse superficiale.
Ma Dimil sorrise e inizio a rimuginare su cosa dire di Elide.
-Elide è… come un gatto che sembra molto carino e dolce ma ti mangia tutta la crostata della nonna, con la faccia da “non mi pento di nulla!”- espose lui. Non era un aggettivo e via, ma riassumeva abbastanza bene la ragazza, per quanto in modo approssimativo.
-Ehi, grazie! Sembro davvero carina e dolce?-
-Solo quando non tenti di tirarmi calci nelle… parti basse-
-Io non l’ho mai fatto!-
-Oh sì, invece!-
-Va beh, lascia fa. Xander, tu sei esotico.- disse lei, con un sorrisetto furbo. Il ragazzo inglese, suo compagno di banco, alzò un sopracciglio.
-Et pourquoi mademoiselle?- chiese lui, con un sorrisetto.
-Ma ti senti? Tua madre è inglese, tuo padre è russo, e tu parli fluentemente italiano, inglese, russo, francese, spagnolo, cinese e arabo. Cioè, come te manco le spie dei film!-
Xander scoppiò a ridere, rovesciando la testa all’indietro. Effettivamente il ragazzo era multietnico, avendo vissuto con la madre che per lavoro viaggiava e si trasferiva in ogni stato immaginabile.
Inoltre era anche molto bello, ma questo c’entra poco ai fini della storia.
-Va bene, non posso negarlo!- A quel punto, Xan doveva descrivere Francesco, che aveva il banco accanto alla cattedra (lui e suo fratello Tommaso erano i due sfigati che arrivavano sempre tardi e il primo giorno di scuola di beccavano i banchi peggiori).
-Franci... tu sei un…- il moretto annaspava, cercando di descriverlo, senza trovare le parole adatte. –Un fanboy…?- alla fine gli uscì come domanda.
Ma l’altro scoppiò a ridere, annuendo, e passò al fratello.
-Prof, Tommi è uno s… simpatico ragazzo- altra crisi di risate, da cui neanche il Casadei si esimé, poi il turno continuò nella prima fila, coppia di banchi centrali.
-Diana è una dittatrice!- la ragazza fulminò con lo sguardo Tommaso, prima di girarsi verso il compagno di banco, Giulio.
-Tu sei… apatico. Le cose ti scivolano addosso. Dovresti combattere di più, fratello!- disse, dandogli una sonora pacca sulla schiena. Giulio, famoso per la sua fragilità, sobbalzò.
-Ehm… più che apatico, io mi definirei studioso, ma pazienza.- disse, cercando di rimettere in ordine le costole sicuramente mandate a fare una bella scampagnata nella sua cassa toracica dalla badilata di Diana.
A quel punto il piccoletto si girò verso Ezio, schiarendosi la voce.
-Ezio, secondo me la parola adatta a descriverti è Guida.- disse, fiero. L’interessato abbozzò un sorriso di ringraziamento, prima di volgersi verso il migliore amico, con sguardo serio.
-Professore, è difficile scegliere una parola per definire Alessio. Lui è molte cose: è intelligente, è carismatico, è affascinante, il più delle volte simpatico, ed è un ottimo amico. Ma dovendo sceglierne una parola, è questa: rivoluzionario.-
Il biondo si morse il labbro inferiore, rivolgendo all’amico uno sguardo grato, felice.
-Ottimo, Ezio. Alessio, tu descrivimi Raffaele.- disse il professore, mentre l’ora volgeva al termine. I ragazzi avevano scoperto che impressione avevano gli altri di loro, e tutti si guardavano curiosamente, cercando di capire se il vicino era stato davvero sincero.
Alessio, però, non diceva nulla. I suoi occhi castani bruciavano in quelli chiari dell’artista, che avrebbe voluto aprire la finestra e fiondarsi di sotto.
-Raffaele è cinico.- disse solo, due secondi prima che la campanella suonasse.



N.d.A
Eccomi qua! Scusate tantissimo il ritardo, ma il nostro wifi ci aveva mollato bellamente!
Questo capitolo è un po' noioso, lo so, ma è solo il secondo e ci tenevo a far conoscere un po' tutti i ragazzi della classe, ed ecco qua u.u
grazie mille a chi ha recensito qua, sul blog, o chi mi ha mandato un messaggio su facebook!
E, già per spammare un po', se volete sono anche su tumblr
Su tutti e tre i social cerco di postare aggiornamenti sulla fic, foto dei personaggi, headcanons e curiosità, so stay tuned!
-Cinnamon

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