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di Marianna 73
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 - Delusione ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 - Solitudine ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 - Consapevolezza ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 - Decisioni ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 - Rabbia ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 - Ritorni ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 - Insieme ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 - Vivere ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 - Delusione ***


Le stelle cominciavano ad impallidire, incalzate dal lieve baluginare dell'alba quando Oscar spinse piano il portone delle scuderie, le ossa indolenzite per le troppe ore trascorse a cavallo.
Era sporca e infreddolita, non toccava cibo dal mattino precedente e anche il suo cavallo aveva bisogno di essere rifocillato ed accudito, ma il solo pensiero di André la fece vacillare. Non si era mai sentita così stanca, così impaurita ed insicura.

Era uscita da quegli stessi locali due giorni prima inseguendo impetuosa, forse per la prima volta nella sua vita, la voce del suo cuore. 
Aveva spronato il cavallo al galoppo, senza pensare a nulla se non a rivederlo ancora una volta, per provare a dirgli quello che sentiva per lui.
Aveva cavalcato per ore, sorda al dolore, alla fatica, al fango che inzaccherava i suoi abiti e il manto del cavallo, anch'esso sempre più affaticato ed impreciso, sempre più difficile da governare. Si era fermata nel primo pomeriggio ad una stazione di posta, aveva bevuto un sorso d'acqua direttamente dal pozzo e cambiato il cavallo, affidando il baio delle scuderie di suo padre ad uno stalliere che, per la cifra promessagli, aveva garantito di prendersene cura.
Le ombre stavano cominciando ad allungarsi quando aveva percepito nell'aria l'odore salmastro del mare e, dopo aver arrestato improvvisamente la sua folle corsa, aveva scrutato l'orizzonte strizzando gli occhi stanchi. Nelle prime brume del tramonto alcune vele si stagliavano, candide e tremendamente lontane, contro l'azzurro cupo dell'Oceano.
Il cuore le era mancato di un battito: era arrivata troppo tardi!
In preda alla disperazione era scesa da cavallo e si era lasciata scivolare sulle ginocchia, lo sguardo rivolto verso terra, incurante dell'erba umida che le macchiava le ginocchia e le mani.
Il cavallo, un velo di schiuma intorno al morso, l'aveva colpita dolcemente alle spalle, costringendola a voltarsi. "Che cosa ho fatto?" si era chiesta carezzandogli dolcemente le narici di velluto "Che cosa ho fatto...?"
Non era arrivata in tempo.
Non sarebbe riuscita a parlargli, non avrebbe potuto guardarlo negli occhi un'ultima volta, non avrebbe dovuto cercare dentro di sé il coraggio di confessargli quello che provava per lui.
Di nuovo, in quella sua vita assurda, aveva mancato l'appuntamento con la possibilità di essere felice.
Era rimasta a terra, prostrata, per un tempo che non sapeva definire, poi l'aria si era freddata e un brivido l'aveva scossa dalla sua apatia. 
Si era alzata con fatica e, afferrate le redini, si era diretta con passo stanco verso l'abitato che sperava essere poco lontano, accompagnata dai rintocchi di una campana che salutavano l'arrivo della sera.

Piccolo angolo dell'autrice:
Ebbene si, ho voluto provarci! Ho voluto provare, dopo essere stata lettrice e commentatrice, il brivido di sottomettermi al vostro giudizio. Mai come ora mi sono sentita "vaso di coccio tra molti vasi di ferro" ma la tentazione era troppo forte! Spero mi farete avere un vostro parere, le opinioni di chi legge sono sempre utili a migliorare. A presto!

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 - Solitudine ***


Capitolo 2 - Solitudine

Se ne era andata.
Andrè era rimasto a fissare il portone da cui Oscar era uscita al galoppo, immobile, senza quasi respirare, stordito dai tonfi scomposti del suo cuore.
Se ne era andata.
Non gli era riuscito di staccare gli occhi dall'ingresso delle scuderie fino a quando il passaggio di una cameriera diretta al pozzo l'aveva riscosso dalla sua fissità.
Se ne era andata.
A fatica aveva mosso qualche  passo verso l'uscita, si era diretto all'abbeveratoio e aveva tuffato le mani nell'acqua gelida; un brivido si era propagato dalla punta delle dita fino alla schiena e l'aveva aiutato a tornare lucido.
Se ne era andata.
Oscar era andata via. L'aveva lasciato solo. Senza una parola, senza un saluto, solo quel sibilo furioso:"Non sono affari tuoi, Andrè!" Aveva chiuso gli occhi mentre l'aria era tornata a fluirgli lentamente nei polmoni.
Quanto si sbagliava! "Non hai capito nulla, Oscar..." aveva mormorato scacciando rabbioso una lacrima "Tu SEI affar mio, lo sei sempre stata. Tu sei il mio respiro, la mia pelle, il mio sangue." Di nuovo una lacrima, a rigargli una guancia. "Ma se raggiungerai in tempo quella maledetta nave, non avrò mai la possibilità di dirtelo..."

Era rientrato nelle scuderie, a cercare un pò di conforto in quell'ambiente che li aveva visti insieme tante volte. Intorno, lo sbruffare famigliare dei cavalli, il trapestio degli zoccoli sul pavimento di pietra, il fruscio delle scriniere scrollate. Tutto come sempre. Fuori, anche la vita di Palazzo continuava, come se nulla fosse successo. E, in fondo, apparentemente, non era successo proprio niente di strano. La servitù era abituata a vedere Oscar uscire al galoppo dai cancelli della tenuta, e nessuno si era fatto domande sulla sua destinazione. Andrè si era passato una mano sugli occhi, appoggiandosi al recinto di Cèsar. "Nessuno potrebbe immaginare che stai correndo da lui, Oscar." Aveva sentito le gambe cedere e si era accucciato, la testa abbandonata tra le mani " E che questa idea folle te l'ho suggerita io..."

Era così pallida quella mattina, ma composta e tranquilla come sempre. Immobile di fronte alle vetrate, il sole di febbraio che la illuminava tutta. Lui l'aveva guardata e aveva percepito su di sé, tangibile, tutta la sua sofferenza.
Avevano appena parlato della partenza del Conte di Fersen per le Americhe, di quanto quella notizia avesse turbato la Regina. Oscar aveva risposto a monosillabi, lo sguardo perso verso un punto imprecisato del giardino. L'aveva vista irrigidire un pò la presa sulla tazzina e diventare ancora più cerea, nel tentativo di trattenere le lacrime. E aveva provato, d'improvviso, una pena infinita, aveva sentito che non sarebbe più stato capace di vederla struggersi così, senza provare ad aiutarla. Così glielo aveva chiesto. "Non hai desiderio di rivederlo?" Le parole gli avevano fatto male mentre le pronunciava, come lame arrugginite conficcate nella gola..."Dicono che la sua nave salpi tra qualche ora."
Oscar non aveva battuto ciglio. Era rimasta lì, immersa nella luce, immota e bellissima. 
Andrè l'aveva guardata qualche istante, poi non era più riuscito a sopportare la vista di quel dolore composto e silenzioso. 
Era uscito e si era diretto alle scuderie, si sarebbe trovato qualche lavoro pesante e impegnativo da fare, che lo aiutasse a non pensare.
Quando aveva sentito i passi decisi di Oscar aveva capito che aveva deciso di raggiungerlo, prima ancora di guardarla. E aveva avuto paura.
Il resto era impresso a fuoco nella sua memoria: i gesti precisi di lei mentre sellava il cavallo, il suo  sciocco tentativo di fermarla, la sua reazione irosa e infine il rumore di quegli zoccoli che si allontanavano.
Se ne era andata.

Aveva passato il resto della giornata compiendo meccanicamente i gesti di sempre. Guidato da un senso del dovere che si era rivelato più forte di quanto immaginasse aveva raggiunto Versailles e chiesto di conferire con il Maggiore Girodel. Cercando di apparire il più naturale possibile lo aveva informato che Oscar si sentiva poco bene e che, per quel giorno, avrebbe dovuto sostituirla nelle sue mansioni.
Perché avesse  deciso di fornire quella versione a Girodel non lo sapeva nemmeno lui. Forse per un estremo tentativo di proteggere Oscar anche da sé stessa, come aveva sempre fatto. O per prendere tempo. Oppure semplicemente perché una parte del suo cuore, quella in cui era radicato il suo amore per lei, si rifiutava di credere che non l'avrebbe più rivista.
Girodel gli aveva risposto di riferire al Comandante che si sarebbe occupato lui di tutto quanto e di rimettersi presto. Andrè aveva chiesto il permesso di andarsene e stava già uscendo dall'ufficio del luogotenente quando la voce di quest'ultimo l'aveva bloccato. "Ah, Andrè," Lui si era irrigidito "Sì?" Girodel aveva parlato senza alzare gli occhi dal documento che stava visionando "Vi prego di rammentare a Madamigella Oscar la riunione di postdomani con il Generale Bouillè. C'è da pianificare il viaggio delle loro Maestà a Parigi per le funzioni della Pasqua. La presenza del Comandante è fondamentale." Andrè ci aveva impiegato qualche secondo a rispondere, il respiro improvvisamente corto."Va tutto bene, Andrè?" Girodel lo aveva guardato perplesso. Era strano l'attendente di Madamigella Oscar, quel giorno..."Si," la riposta di lui era infine arrivata, cortese come sempre, "Sì, glielo riferirò, non temete. Con permesso, Maggiore..."
Era uscito in fretta dal padiglione riservato alla Guardia Reale ed era tornato a Palazzo Jarjayes. Si era chiuso in camera sua dopo aver informato sua nonna che Oscar non sarebbe rientrata e che lui aveva già cenato. Non ce l'avrebbe fatta a sopportare domande e rimbrotti. Non quella sera.

Ed ora, in piedi davanti alla finestra mentre il cielo si stava facendo sempre più scuro, si stava apprestando a trascorrere la notte più difficile della sua vita, quella in cui avrebbe dovuto decidere cosa fare.
Di sé stesso. E del suo amore per Oscar.


Mi sono fatta attendere, care amiche, ma rendere il dolore e il senso di abbandono di Andrè è stato molto più difficile di quanto immaginarsi. Spero di esserci riuscita e spero mi darete la vostra opinione in merito.
Come sempre, grazie, a tutte voi.



 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 - Consapevolezza ***


Capitolo 3 - Consapevolezza


Oscar cavalcava verso casa, spingendo l'andatura più che poteva. Era determinata ad arrivare alla stazione di posta nelle prime ore del pomeriggio e, recuperato il suo cavallo, raggiungere Palazzo Jarjayes entro la sera.
Della serata e della notte trascorse in quella locanda non conservava che pochi ricordi sbiaditi. La terribile sensazione di aver sbagliato tutto, e il mattino dopo un gran mal di testa. Era stata una pazza, una pazza... Si era lasciata l'Oceano alle spalle già da qualche ora, senza più alcun rimpianto per ciò che non era stato ed ora si sentiva nuovamente lucida e determinata, finalmente consapevole della direzione che voleva dare alla propria esistenza.
Le lacrime che l'avevano sorpresa al momento della partenza avevano lavato via dal suo cuore anche l'ultima traccia del ricordo di Fersen e l'avevano obbligata a prendere atto, senza più inutili paraventi, di ciò che voleva davvero.
Aveva provato a fuggire dalla sua vita perché quella vita, così com'era, non riusciva più a viverla. 
Non le bastava più.
Aveva provato con tutta sé stessa a dare corpo ai sogni di suo padre, aveva cercato di essere quel l'erede perfetto che lui avrebbe voluto, ma aveva fallito. 
Malgrado tutti i suoi sforzi la sua anima aveva reclamato uno spazio e il suo cuore aveva preteso di provare ad amare.
C'erano state notti, negli ultimi anni, tante, in cui il silenzio e la solitudine della sua camera le si erano strette addosso sin quasi a soffocarla. E soffocanti, difficilissimi, quasi insopportabili, erano diventati i gesti di ogni giorno. Il rigore, l'autocontrollo, il distacco da tutto e da tutti. Il non potersi permettere un gesto di tenerezza, una risata, un sospiro. Il non poter pretendere per sé i brividi e il trasporto che derivano dall'essere amati.
Convincersi di essere innamorata di Fersen era stato così facile...
Ma aveva sbagliato. Aveva sbagliato tutto.
Lo aveva capito quando aveva ritrovato, intatti dentro di sé, gli occhi di Andrè, dolenti e disperati.
E il ricordo delle sue parole le aveva graffiato il cuore.
"Sei sicura che ne valga la pena, Oscar?"
"No, Andrè, non ne valeva la pena" aveva mormorato "Non ne valeva la pena, ora l'ho capito. Non avrei mai dovuto partire... Non avrei mai dovuto lasciarti in quel modo." 
Il cuore le aveva fatto così male, al ricordo dello sguardo verde di lui, che per un attimo aveva temuto che si sarebbe fermato.
"Ora l'ho capito Andrè, perché mi hai chiesto se non avessi il desiderio ddi salutarlo..." Le lacrime erano tornate a pungerle gli occhi ma lei non aveva fatto nulla per fermarle.
Lo aveva capito in un lampo accecante di consapevolezza e la forza di quella rivelazione le aveva mozzato il respiro.
Andrè la amava.Tanto.
La amava e non era più stato in grado di vederla struggersi per un altro. 
La amava a tal punto da aver trovato il coraggio di spingerla tra le braccia di un altro uomo, pur di saperla felice.
Era tempo che lo ammettesse, che era stato l'amore silenzioso di Andrè a farla andare avanti, in quegli anni.
Quell'amore che l'aveva avvolta come una coperta calda, l'aveva sostenuta e difesa. Che le aveva dato la forza di affrontare ogni cosa, le aveva permesso di vivere quella sua strana vita in bilico tra due mondi senza impazzire.
Aveva compreso che Andrè non era soltanto il suo amico, il suo attendente, la voce della sua coscienza, ma era la sua casa, il profumo della sua vita, il suo mattino e la sua sera, il suo rifugio, la sua forza.
Aveva compreso che aveva bisogno di lui.
Che era lui l'unico uomo in grado di colmare il vuoto del suo cuore, di dare un senso alle cose, di farla sentire viva.
Le lacrime le avevano inondato il viso, mentre un'emozione mai provata prima le era dilagata nell'anima.
"Anche io ti amo, Andrè," aveva sussurrato, il petto squassato dai singhiozzi. "Ti ho sempre amato. Ma sono stata una vigliacca."
Aveva fermato il cavallo ed era scesa, i pugni contratti a battere contro il tronco di un albero, "Ho avuto paura ad ammetterlo, anche con me stessa..."
Era vero, le difficoltà che avrebbe dovuto affrontare per vivere quell'amore, l'avevano sempre frenata.
Aveva preferito continuare a recitare la sua parte di erede perfetto, di soldato integerrimo che nulla poteva distogliere dai suoi doveri.
E il suo sterile amore per Fersen non era stato altro che l'ennesimo muro innalzato tra lei e i suoi veri sentimenti.
Ma ora anche quell'ultima barriera era crollata, spazzata via dalla potenza dirompente di quell'amore che aveva scoperto dentro di sé. Purissimo. A cui non voleva più rinunciare.
Oscar si era sentita all'improvviso leggera, libera, come rinata.
Aveva allargato le braccia e lasciato che la brezza le accarezzasse il viso e le riempisse i polmoni.
I singhiozzi si erano pian piano acquietati.
"Ti amo, Andrè" aveva mormorato, ed era stato così bello, dirlo, sentire il suono di quelle parole che il cuore aveva preso a battere impazzito ed un sorriso le aveva incurvato le labbra.
"Ti amo, ti amo, ti amo... Non mi nasconderò più, non avrò più paura, lo urlerò al mondo intero!"
Era risalita a cavallo mentre un bisogno nuovo, un'urgenza mai provata prima le aveva serrato lo stomaco: "Devo dirglielo... Deve saperlo..."
A quel pensiero, un altro si era sovrapposto, e il panico l'aveva catturata, con le sue lunghe dita di gelo.
Lui la credeva in viaggio con Fersen, non poteva sapere... La pensava perduta.
Una paura senza fine si era fatta strada nella sua anima. Paura che Andrè se ne fosse andato, dopo averla vista partire, paura che si fosse stancato di aspettarla, paura che avesse smesso di credere in quell'amore che ora era diventato vita anche per lei. Paura di averlo perso, senza averlo mai avuto, senza essere riuscita a dirgli che lo amava, che senza di lui nulla avrebbe avuto più senso...

Era giunta alla stazione di posta qualche ora dopo e, senza concedersi nemmeno un minuto di riposo, aveva raggiunto le scuderie e reclamato il suo cavallo.

Doveva arrivare a Palazzo in tempo. In tempo per salvarsi dall'accusa di diserzione, in tempo per provare a rimettere insieme i cocci della sua vita. In tempo per chiedere perdono ad Andrè per quanto era stata cieca e sorda e cattiva. In tempo per dirgli che voleva passare con lui il resto dei suoi giorni, che voleva lui, lui e basta.
Non più fuggire, non più nascondersi, solo lui.

Lo stalliere era arrivato conducendo il suo cavallo ed Oscar aveva sbarrato gli occhi: una vistosa fasciatura faceva bella mostra di sé su una delle zampe anteriori. "Ieri sera la zampa si è gonfiata" aveva detto l'uomo "ho dovuto applicargli un cataplasma e fasciarlo..." Oscar lo aveva fulminato con lo sguardo. "Può cavalcare?" aveva chiesto.
L'uomo aveva esitato, di fronte a quegli occhi di fuoco "Si, " aveva risposto infine, "Ma dovrete procedere al passo, senza forzare troppo, o potrebbe restare azzoppato"
Oscar si era sentita perduta. Al passo...in quel modo ci sarebbero volute ore, forse l'intera notte e parte della mattinata seguente per giungere a Palazzo.
Aveva sentito le forze abbandonarla e aveva dovuto appoggiarsi al muro.
"Andrè" aveva mormorato mentre scivolava lentamente a terra "Andrè... Ti prego Andrè, aspettami..."
Poi il buio era sceso intorno a lei.



Eccomi di nuovo, con un capitolo lungo e denso di paturnie. Me ne scuso, ma questa mia Oscar è complicata e insicura, forse ancora più dell'originale.
Comunque ora ha fatto chiarezza nel suo cuore ed ha capito cosa e soprattutto CHI vuole. Ma il destino le si accanisce contro...
Grazie infinite a chi mi segue, a chi mi legge e commenta e a chi mi legge e basta, ho visto che siete davvero tanti.
Un abbraccio grande, con tutto il cuore.








 
 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 - Decisioni ***


Capitolo 4 - Decisioni


​Andrė era rimasto davanti alla finestra per ore.
Si era seduto sul davanzale in pietra ed aveva piegato una gamba, il mento appoggiato ad un ginocchio, gli occhi perduti a contemplare momenti lontani.
In quello stesso spicchio di giardino lui e Oscar avevano duellato e giocato, corso e scherzato. Sempre insieme.
Le ghiaie che ora scricchiolavano sotto i passi della servitù indaffarata nelle ultime incombenze della sera avevano raccolto anche i loro discorsi, le loro risate, le loro discussioni.
Erano state mute testimoni del suo amore per lei, di come fosse cresciuto nel suo cuore in tutti quegli anni vissuti ad un passo uno dall'altra. Di come lui avesse riposto in quell'amore ogni sua speranza, ogni suo disegno, ogni suo proposito per la vita futura.
Ma ora quel sogno era svanito.
Oscar se ne era andata -quante volte se lo era ripetuto, quel giorno? Decine, forse centinaia di volte ma ancora non gli riusciva di accettarlo - e a lui erano rimasti solo i brandelli di quel sentimento che aveva dato un senso alla sua vita, sino a quel momento.
Appoggiò il capo contro il muro e chiuse gli occhi.
Se ne sarebbe andato.
Non c'era più nulla che lo trattenesse a Palazzo Jarjayes.
Quella che era stata per più di vent'anni la sua casa era diventato di colpo un luogo inospitale, estraneo, ostile. Un luogo in cui ogni cosa gli ricordava Oscar. E ogni cosa gli parlava del suo abbandono, della scelta che lei aveva compiuto.
Di nuovo, suo malgrado, rivide il sorriso di lei, rivide la sua bocca elegante e i suoi denti bianchi e perfetti scintillare nel sole. Rivide la sua pelle, alla base della gola, là dove baluginava appena nello scollo della camicia. Ne rivide la grana perfetta, il colore cipriato, l'aspetto di velluto.
E, suo malgrado, vide la bocca del Conte china su quella gola e su quelle labbra, avida e affamata. La vide lasciare segni di fuoco sul collo arreso di lei e vide le mani sciogliere il fiocco della camicia e insinuarsi sempre più, sino a ghermire fameliche le fasce e scioglierle, e... Basta! Si era alzato in piedi, aveva mosso alcuni passi nella stanza e aveva battuto un pugno sullo scrittoio. Basta, così sarebbe impazzito! Doveva smettere di torturarsi in quel modo, non aveva senso. Non aveva alcun senso...
Era tornato vicino alla finestra e l'aveva spalancata di colpo, chiedendo al freddo della notte un aiuto per placare il respiro impazzito.
Una volta recuperata la calma, era ritornato sui suoi passi, aveva aperto l'armadio e preparato una sacca con tutto il poco che possedeva. Qualche abito, un paio di stivali, un pugnale, una piccola scarsella di cuoio in cui erano riposti i suoi risparmi, qualche libro. 
Era stato facile, in fondo, radunare la sua vita in quel bagaglio, gli erano bastati pochi minuti per farlo.
Aveva quasi 25 anni e, tranne che nel suo amore per Oscar, non aveva mai vissuto.
Aveva depositato la sacca sullo scrittoio e si era sdraiato sul letto. Un sospiro gli aveva gonfiato per un attimo il petto, quasi un singhiozzo trattenuto.
L'indomani mattina se ne sarebbe andato.
Avrebbe raggiunto Marsiglia, o La Rochelle, non aveva ancora deciso e si sarebbe imbarcato.
C'erano tanti posti che avrebbe voluto vedere.
L'Italia, magari, o la Grecia, la culla di quella filosofia che amava tanto.
O la Martinica, quella colonia lontana dal mare di smeraldo di cui a lungo avevano fantasticato, lui ed Oscar.
Era giovane, e aveva braccia forti. Si sarebbe trovato un lavoro. Magari come maestro d'armi, o come precettore. O come bracciante, pescatore, boscaiolo. Qualunque cosa. 
Qualunque cosa pur di riuscire a dimenticare gli occhi di Oscar ed a scacciare la visione di quelle mani che la percorrevano.
Gli restava un'ultima cosa da fare, un ultimo dovere da compiere, poi sarebbe partito.
Aveva preso un respiro profondo, quasi a prepararsi sin da subito a quell'ultimo gravoso compito.
Doveva informare il Generale della partenza di Oscar e pregarlo di scioglierlo dal vincolo che lo legava alla famiglia Jarjayes, poi sarebbe stato libero.
Avrebbe raggiunto il Generale nei suoi padiglioni a Versailles, il giorno dopo e, dopo avergli parlato, sarebbe partito.
Aveva chiuso gli occhi, stremato, e il sonno lo aveva colto su un ultimo pensiero.
Quella sarebbe stata la sua ultima notte a Palazzo Jarjayes.

Aveva ripreso conoscenza poco a poco.
Era sdraiata su una panca di legno, in una stanza sconosciuta, calda e pervasa da un buon odore di cibo.
Aveva qualcosa di fresco sulla fronte che cadde quandò provò a muoversi. "Oh Signore Iddio,"aveva detto una voce di donna,"Non vi agitate, restate distesa!" Oscar aveva provato ad alzarsi ma tutto quanto intorno a lei aveva iniziato a girare ed era stata costretta a ridistendersi. La donna le si era avvicinata. Era una donnina di mezza età, con gli occhi allegri ed un aspetto lindo e gentile. Le aveva stretto le spalle e l'aveva aiutata a mettersi seduta, raccomandandole di non fare movimenti bruschi. Lei si era guardata intorno poi si era resa conto che qualcuno le aveva tolto il mantello e la giacca e slacciato la camicia. Le fasce occhieggiavano dalla scollatura. Aveva guardato la donna con uno sguardo interrogativo "Non preoccupatevi, " aveva sorriso lei "me ne sono accorta solo io...Oscar si era rilassata ed aveva chiuso gli occhi un istante, come a raccogliere le forze "Certo che ne avete di coraggio, però," aveva continuato la sua interlocutrice, "andarvene in giro, tutta sola, su queste strade poco battute, bella e giovane come siete... Specie ora, che sta calando la sera! " Oscar si era alzata in piedi con uno scatto repentino "La sera?" aveva chiesto, gli occhi sgranati, di colpo colmi d'ansia "Che ore sono? Quanto ho dormito?" La signora aveva scosso la testa " Almeno un paio d'ore, mia cara, sono appena suonati i Vespri." Oscar si era infilata in fretta la giacca "  Io...oh Dio, Andrè! Io...devo..." Poi di colpo si era ricordata tutto: il cavallo infortunato, il terrore che l'aveva colta e tutta la stanchezza che le era crollata addosso, all'improvviso. Non ce l'avrebbe mai fatta. Si era riseduta pesantemente sulla panca, lottando per non piangere. "Andrè, " aveva ripetuto "Io...devi aspettarmi, Andrè, ti prego..." La signora le aveva preso la mano "Chi è questo Andrè, mia cara? Per quale motivo non dovrebbe attendervi?" Oscar l'aveva guardata con un sorriso stanco e dolcissimo, di cui non si era nemmeno resa conto. "Perché mi ama da tanti anni e io ho fatto finta di non saperlo" aveva guardato la donnina che aveva ricambiato il suo sorriso " Non gli ho mai permesso di dirmelo. Non mi sono nemmeno mai permessa di ammettere che lo amo anch'io...E ho paura di aver rovinato tutto, temo che lui..." Non era riuscita a terminare la frase. Maledizione, era così complicato! La signora aveva continuato a sorridere e le aveva posato una carezza lieve sui capelli arruffati e sporchi di fango. "Non preoccupatevi, cara, vedrete, si aggiungerà tutto...Siete talmente bella che credo non esista al mondo un uomo che non vi aspetterebbe, anche una vita intera..."Il sorriso era diventato più malizioso "Ma non è il caso di farlo attendere tanto a lungo, vero? Lasciate fare a me..." 
Con quelle parole la donna era uscita alla ricerca del marito, gli aveva sommariamente spiegato la situazione e lo aveva convinto a cedere in prestito ad Oscar il cavallo di loro proprietà con il quale "il giovanotto" avrebbe potuto correre dalla sua innamorata. Il cavallo sarebbe stato loro riportato il giorno seguente da uno dei valletti, aveva garantito Oscar, improvvisamente rinfrancata, il quale si sarebbe occupato anche di riportare a casa l'altro cavallo ed avrebbe consegnato loro un adeguato compenso. L'uomo ci aveva pensato un pò su, poi convitnto più che altro da una poderosa gomitata della moglie, aveva acconsentito.
Oscar era ripartita subito, rifiutando ogni invito a mangiare qualcosa, malgrado il cedimento appena accusato.
Non avrebbe perso altro tempo, si diceva, mentre galoppava approfittando della luce che ancora illuminava la strada. Non avrebbe perso altro tempo.
Ne aveva già perso anche troppo, quel pomeriggio e in tutta la sua vita.
Aveva dato per scontato l'amore di Andrè, per tutti quegli anni, intimamente sicura che lui le sarebbe rimasto accanto, sempre e comunque.
Spronò forte il cavallo, incurante delle ombre chche cominciavano a farsi più lunghe.
Doveva arrivare a Palazzo e parlare con Andrè. Solo questo contava.
Solo rivedere Andrè, riuscire a guardarlo negli occhi, stringersi a lui per perdersi nei battiti del suo cuore.
Con lui al suo fianco, lei avrebbe avuto la forza di sopportare ogni cosa. Con il sostegno del suo amore nulla sarebbe stato troppo difficile da affrontare, nemmeno il disonore o l'ira di suo padre.
La notte era scesa, ormai ma Oscar aveva continuato a cavalcare, i sensi all'erta, gli occhi sbarrati a scrutare il buio.
Non si sarebbe fermata. Sarebbe arrivata in tempo.


Amiche care, eccomi con un altro tassello. Ormai è una corsa contro il tempo...
Non mi stancherò mai di ringraziare chi condivide con me questa piccola avventura, leggendo e lasciandomi un suo pensiero, o semplicemente leggendo. Siamo ormai al giro di boa, mancano pochi capitoli, quindi dovrete avere ancora solo un pochino di pazienza.
Vi abbraccio.




 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 - Rabbia ***



Capitolo 5 - Rabbia

Andrè si era risvegliato di colpo, gli pareva fossero passati pochi minuti da quando si era addormentato, ma si avvide che era già sorto il sole. Qualcuno batteva furioso alla porta e lo chiamava. Aveva riconosciuto la voce preoccupata di Jerome "Andrè, svegliati, Andrè!"
Si era alzato e aveva spalancato la porta, scontrandosi col viso preoccupato del vecchio stalliere. " Andrè, finalmente" gli aveva detto, "Scendi, presto, ti cercano..." Andrè aveva scosso la testa, senza capire " Mi cercano...Chi mi cerca, Jerome?" Per un attimo lo aveva assalito l'assurda speranza che Oscar fosse tornata e lo stesse aspettando, sotto. Poi il ritorno alla realtà, devastante. "Due soldati della Guardia Reale," aveva risposto l'altro sempre più agitato "Vogliono che li segui subito a Versailles" 
Andrè era sbiancato. Aveva afferrato la giacca e si era precipitato in cortile. Erano due degli uomini più fidati di Oscar.Lo accolsero con un cenno e lo invitarono a seguirli. Jerome aveva già preparato il suo cavallo e Andrè non poté far altro che seguire i due uomini in uniforme che avevano imboccato la strada verso la Reggia al galoppo.
Durante il tragitto aveva provato a fare delle congetture ma il poco riposo e la sveglia improvvisa lo rendevano poco lucido e non gli riuscì di formulare un'ipotesi plausibile. Di una cosa era stato certo da subito, però. Riguardava l'allontanamento di Oscar.
Una volta arrivati alla Caserma uno dei suoi accompagnatori gli aveva indicato con un gesto elegante l'ufficio del Capitano Girodel. "Il luogotenente la sta aspettando, Monsieur Grandier".
Andrè era sceso da cavallo, sempre più preoccupato e si era diretto all'ufficio di Girodel.
Nel tragitto era passato davanti ad un capannello di soldati che stavano animatamente discutendo.
Al suo passaggio si erano dati gomitate, indicandolo e, uno di loro, lo aveva guardato con un sorriso canzonatorio.
Andrè lo aveva riconosciuto. Era Louis Armand Bouillè, il figlio più giovane del Generale, una vera spina nel fianco per la famiglia ed il reggimento. Borioso ed arrogante, da quando gli era stato imposto di arruolarsi, si era distinto solo per i suoi comportamenti indiciplinati ed al limite della decenza. Oscar lo aveva punito più volte negandogli licenze e affidandogli compiti umilianti e lui si era vendicato raccontando in giro ogni sorta di sconcezza sull'ambiguo rapporto che legava il Comandante delle Guardie Reali ed il suo attendente.
Andrè non aveva raccolto la provocazione ma le sue preoccupazioni erano aumentate.
Aveva bussato alla porta del Luogotenente ed era entrato al perentorio "Avanti!" di questi.
Girodel non gli aveva dato tempo di proferire parola. Lo aveva guardato dritto negli occhi e non aveva usato giri di parole."Che diavolo sta succedendo, Andrè?"
I suoi occhi chiari erano diventati due fessure " Dov'è il Comandante?"
Andrè era rimasto muto, il fiato corto, la mente improvvisamente vuota.
L'altro lo aveva incalzato, avvicinandosi  "Vi ho fatto una domanda precisa, Andrè"  Lo aveva afferrato per il bavero e lo aveva strattonato "Dov'è, Oscar?"
Andrè aveva abbassato gli occhi "E' partita ieri mattina per raggiungere il Conte di Fersen al porto di Brest" Aveva risposto infine con voce atona. "Per imbarcarsi con lui." 
L'aveva negata a sé stesso con tutte le sue forze, quella verità, ma ora era il momento di arrendersi.
Girodel aveva allentato la presa sulla sua giacca e lo aveva guardato, un'espressione sgomenta dipinta sul viso.
Nella stanza era calato il silenzio.
Girodel aveva raggiunto la scrivania e si era seduto, il volto improvvisamente pallido. "E' partita con il Conte di Fersen? " aveva ripetuto poi, quasi incredulo "Io... Io non capisco...perché Oscar è partita con lui?"
Andrè aveva provato una rabbia sorda, tracimante, non sapeva nemmeno lui verso chi..."Perché è innamorata di lui, Capitano!" Aveva quasi urlato, poi si era ricordato con chi stava parlando e si era imposto un tono più calmo. "Io lo sapevo," aveva continuato "anche se non me lo ha mai detto apertamente. Ma io la vedevo soffrire..." Si era voltato verso la finestra, per non far vedere a Girodel le lacrime che gli rigavano le guance. "Nessuna donna merita di soffrire cosi, per amore. Oscar meno di ogni altra..." Si era voltato ora, senza più timore che l'altro si accorgesse del suo pianto. "Spero solo che il Conte di Fersen sappia renderla felice..."
Girodel non aveva detto nulla. Si era alzato dalla poltrona, la mascella contratta, e si era avvicinato ad una delle grandi vetrate che affacciavano sul cortile della Caserma. Aveva perduto l'aspetto marziale con cui aveva accolto Andrè e anche la sua voce risuonò dimessa, quasi dolente.
"Voi la amavate, Andrè?" aveva chiesto d'un tratto, spezzando il silenzio.
Andrè aveva preso un respiro profondo, prima di rispondere.
"Oscar è stata tutta la mia vita, Capitano, io ho vissuto solo per lei, in tutti questi anni..."
Aveva sollevato lo sguardo, Andrè, e non c'era traccia di vergogna in quegli occhi ancora umidi. Solo dolore.
"L'ho amata, e la amo ancora. Credo che una parte di me la amerà per sempre."
Girodel lo aveva guardato e nel suo sguardo Andrè aveva riconosciuto una sofferenza molto simile alla sua.
"Per questo mi avete mentito, ieri mattina?" gli aveva poi chiesto, e Andrè aveva preso un respiro profondo "Si, io...io ancora non riuscivo...riesco...a credere, pensare che lei..." L'immagine di due corpi nudi, avvinghiati e ansanti, di capelli biondi sparsi su un guanciale, madidi di sudore ed intrecciati ad altri, più scuri, gli tornarono prepotenti alla mente e gli causarono un capogiro. Aveva stretto forte i pugni, prima di continuare "Io... non VOLEVO crederci. Ho provato a negarmelo fino all'ultimo. Vi domando perdono, per avervi mentito."
Girodel lo stava ancora guardano ed i suoi occhi, adesso erano tristi ed incredibilmente comprensivi "Vi capisco, Andrè, non dovete scusarvi." Poi si era schiarito la voce ed aveva ripreso il suo solito tono formale.
"Ora però dobbiamo far fronte ad una situazione quantomeno...insolita. Ed è il motivo per cui vi ho mandato a chiamare." Aveva mosso alcuni passi prima di continuare. "Stamattina, all'alba, una domestica di Palazzo Jarjayes si è presentata in Caserma chiedendo di poter consegnare un cambio d'abiti al Comandante." Andrė aveva chiuso gli occhi e scosso un poco la testa. Ma certo, la nonna! 
Lui non aveva avuto il coraggio di dirle la verità, si era persino rifiutato di scendere a cena pur di non dover rispondere alle sue domande e lei si era comportata come sempre faceva, quando Oscar trascorreva la notte in Caserma. Aveva mandato una cameriera a portarle un cambio di biancheria ed un'uniforme pulita.
Girodel aveva ripreso a parlare. "Sfortunatamente, in guardiola, c'era Bouillè." A quel punto ad Andrè fu chiaro anche lo strano comportamento del soldato poco prima. Quella canaglia...La voce di Girodel lo aveva riportato alla realtà "Il quale, intuendo qualcosa di poco chiaro, si è fatto confermare dall'ignara cameriera l'assenza del Comandante da Palazzo Jarjayes." Girodel si era schiarito un poco la voce. "Quando sono stato informato della cosa le sue insinuazioni si erano già fatte stada come un incendio. Spero non siano già uscite dalla Caserma.
Per questo ho voluto parlarvi." Aveva preso fiato un attimo, poi aveva continuato con tono grave "Il Generale lo sa?"
Andrè aveva risposto al suo sguardo preoccupato con uguale tensione "No, intendevo informarlo io, di persona, questa mattina." 
Girodel gli aveva posato una mano su una spalla "Allora fatelo subito, Andrè, "aveva detto " e fate in modo che io possa conferire con lui al più presto. Io, nel frattempo, cercherò di fare in modo che la situazione non degeneri ulteriormente."

Spiegare al Generale Jarjayes che sua figlia Oscar, il suo erede, il suo orgoglio, il "figlio" che si era costruito con tanta determinazione, era fuggita, senza avvisare, senza chiedere una licenza, rischiando di gettare il disonore sull'intero casato dei Jarjayes, per raggiungere ed implorare l'amore di un uomo che, a suo dire, "collezionava donne come si collezionano tabacchiere d'argento", era stata la cosa più difficile che Andrè si fosse mai trovato a fare nella vita.
Il Generale aveva urlato e picchiato pugni sul tavolo, imprecato ed inveito contro Oscar, contro sé stesso per non essere stato più severo, contro il nobile svedese, persino contro Nanny, che aveva sempre ricordato ad Oscar di essere una splendida fanciulla.
In un crescendo di rabbia e frustrazione, si era anche avventato su di lui, Andrè, colpevole di non averla fermata.
Andrè aveva affrontato la situazione con tutta la calma che possedeva. Sapeva come il Generale avrebbe reagito dopo aver appreso una notizia di tale portata. E sapeva anche che una volta sfogata tutta la rabbia sarebbe tornato lucido e padrone della situazione. E così era stato.
Ora stava discutendo con Girodel e Andrè era rimasto rispettosamente in attesa fuori dall'ufficio.
Era appoggiato al battente della porta e, tutto, nella sua persona, parlava di una stanchezza profonda.
Gli era sfuggito un sospiro mentre appoggiava la testa contro il legno e chiudeva gli occhi.
Aspettava solo di poter chiedere al Generale il permesso di lasciare il suo servizio, poi tra lui e la sua nuova vita non ci sarebbero stati più ostacoli.  La sua nuova vita...
Era talmente assorto nei suoi pensieri che non si era accorto della presenza di un'altra persona, proprio davanti a sé. Aveva avuto un sussulto e aveva spalancato gli occhi, alla voce del soldato Bouillė.
"Che ci fai qui, Grandier?" gli aveva chiesto questi, e il tono non faceva presagire nulla di buono "E dove diavolo è finita quel bocconcino della tua padrona? Ti ha lasciato solo?" Andrè non aveva risposto ma l'altro aveva proseguito "Te la sei tolta quell'aria di superiorità dalla faccia, ora...." Era scoppiato in una fragorosa risata "Povero Grandier...la tua adorata puledra selvaggia si è stancata di te...evidentemente le tue prestazioni non la soddisfacevano più!" Aveva continuato, inframmezzando le parole con un'altra risata "Discutevano proprio di questo, prima, in cortile. Di questa strana coincidenza..." Aveva piantato in faccia ad Andrè due occhi carichi di lascivia "Pare che lo stallone della Regina e l'algida Madamigella Oscar abbiano lasciato Versailles, praticamente lo stesso giorno...A te non sembra strano?" Gli si era avvicinato ed Andrè si era conficcato le unghie nei palmi per resistere alla tentazione di colpirlo. L'altro aveva continuato, inesorabile "Non gli bastavi più, Grandier, ha voluto un purosangue per divertirsi, un vero esemplare da monta, con tanto di blasone" gli aveva sibilato "non sapeva più che farsene di un ronzino come te..." Andrè non era più riuscito a controllarsi. Le immagini di Oscar tra le braccia di Fersen si erano sovrapposte alle parole volgari di Bouillè e una bruma rossa era salita a velargli lo sguardo.
Non aveva detto una parola. Si era limitato ad afferrare l'altro per il colletto dell'uniforme, lo aveva sbattuto contro una parete e aveva picchiato e picchiato sino a quando il Generale e Girodel, richiamati dal rumore della lotta, non li avevano separati.
E ora, mentre il ronzio che quelle parole gli avevano scatenato nelle orecchie si stava acquietando, Andrè si stava rendendo conto che non avrebbe potuto mettere in atto il suo proposito di partire. Almeno non nell'immediato.
Due guardie lo avevano afferrato per le braccia e lo stavano conducendo via, eseguendo l'ordine impartito dal Capitano Girodel "Portatelo in cella" aveva detto ai due uomini "così avrà modo di sbollire..."




Aggiornamento veloce, amiche mie, non era previsto ma il capitolo era pronto, quindi perché no?
La situazione invece che migliorare si fa sempre più complicata ma, come vi dicevo, ormai manca poco, da quella fatidica mattina in cui Oscar fa ritorno a Palazzo non ci separano che poche ore...
Un abbraccio e un immenso grazie, come sempre, a chi mi segue e mi sostiene. A presto!


 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 - Ritorni ***


Capitolo 6 - Ritorni


Era notte fonda, quando una guardia, senza dire una parola, aveva aperto la porta della cella e l'aveva fatto uscire.
Andrè era stremato.
Non aveva fatto altro che camminare, misurando l'angusto spazio in cui era stato rinchiuso, avanti e indietro, come un leone in gabbia, dandosi dello stupido per aver reagito in quel modo ed essersi cacciato in quel guaio.
Davanti all'uscita lo attendeva Girodel. " Sono dispiaciuto, Andrè, per averti lasciato in cella così a lungo," aveva detto con il suo solito tono formale "Ma io ed il Generale Jarjayes dovevamo discutere di molte cose. Domani il Generale  presenzierà al posto di Oscar all'incontro con Sua Maestà ed i Capi di Stato Maggiore e chiederà per lei un congedo illimitato per gravi motivi di salute." Prese un respiro profondo e continuò  "Il soldato Bouillė non parlerà: il Generale lo ha minacciato di rivelare al padre i suoi comportamenti e, se questo dovesse succedere, sa che potrebbe incorrere in punizioni ben più gravi di quelle subite sino ad ora. L'onore della famiglia Jarjayes è salvo, ed è in gran parte merito tuo." 
Andrè era rimasto in silenzio. Davanti a lui Girodel aveva mosso un passo e la luce del doppiere gli aveva illuminato il volto affaticato. "Addio, Capitano." lo salutò Andrè, consapevole che probabilmente non si sarebbero più rivisti. "Grazie per tutto quello che avete fatto, oggi, per Oscar." Girodel aveva mosso lievemente il capo in segno di saluto ed Andrè era uscito dalla Caserma.
Nel cortile, con le redini del suo cavallo tra le mani, c'era il Generale Jarjayes. Stanco ed affranto, anche lui.
Si erano guardati in silenzio, poi Andrè aveva chinato la testa "Vi domando perdono, Signore, " la sua voce aveva tremato, per il freddo e per l'emozione "Non sono stato capace di controllarmi. E non sono stato capace di fermare Oscar..." Il Generale gli aveva appoggiato entrambe le mani sulle spalle "So quanto hai voluto bene a mia figlia, Andrè." aveva detto "E so che tutto quello che hai fatto, l'hai fatto per lei." Andrè aveva alzato gli occhi, stupito "Io invece non ho fatto altro che farle del male, sin da quando è nata. L'ho costretta ad una vita non sua, ho scelto sempre io al posto suo, imponendole un'esistenza durissima, per soddisfare le mie ambizioni... Tu solo hai saputo starle accanto, esserle di conforto. E per questo non potrò mai ringraziarti abbastanza." Non era stato più capace di proseguire, per un lungo istante. Poi aveva recuperato il controllo ed i suoi occhi erano tornati fermi mentre riprendeva a parlare "Ritieniti libero, Andrè. Sei un uomo onesto e leale e sono certo che troverai la tua strada. Ti auguro ogni bene." Gli aveva consegnato le redini e si era allontanato, sparendo nel buio prima che Andrè potesse salutarlo.
Si era guardato intorno un'ultima volta, poi era salito a cavallo ed aveva imboccato al passo il viale che lo conduceva all'uscita.
Una volta superato il cancello si era fermato, indeciso sulla direzione da prendere. La stanchezza gli gravava addosso come una cappa di piombo e, pensando a quanto avrebbe riposato volentieri ancora una notte nel suo letto, si era ricordato di aver lasciato il bagaglio che aveva preparato nella sua camera, a Palazzo. Nella concitazione della partenza, quel mattino, se lo era dimenticato.
Il destino gli si imponeva, ancora una volta.
Doveva tornare sui suoi passi.
Con un gesto stanco aveva spronato il cavallo verso casa, lasciandosi cullare dal quel ritmo tranquillo.
Non voleva pensare al futuro, era troppo doloroso farlo. Non voleva pensare a nulla se non a recuperare le sue cose, e a salutare la nonna. Non poteva partire senza dirle addio, senza spiegarle cosa era successo. Povera nonna, sarebbe stato un colpo per lei...
Giunto a Palazzo, Andrè aveva condotto il  cavallo alle scuderie egli aveva portato dell'acqua e un pò di biada. Prima di avviarsi verso casa, spinto dall'abitudine di una vita, si era avvicinato al box di Cèsar. Lo stallone lo aveva accolto con uno sbuffare sommesso e lui aveva appoggiato la fronte al suo muso di velluto. Anche a lui avrebbe dovuto dire addio...A quel pensiero era stato assalito da una nostalgia lancinante per quella che era stata la sua vita fino a quel giorno. "Io non la voglio una vita senza Oscar" aveva pensato e la nostalgia aveva lasciato posto alla disperazione. "Non la voglio una vita senza di lei...." Suo malgrado i singhiozzi avevano di nuovo minacciato di squassargli il petto e si era accasciato sulla paglia, vicino al recinto. "Non voglio vivere senza di te, Oscar," aveva sussurrato mentre la stanchezza di quella giornata lo vinceva  " Ti prego, torna da me..." E gli occhi azzurri di lei, luminosi e bellissimi, lo avevano guardato ancora una volta mentre scivolava nel sonno.

Oscar aveva cavalcato senza sosta, per tutta la notte, con la sola compagnia della sua determinazione.
E non aveva smesso di pregare mai, lei che non aveva mai pregato, di trovare Andrè ad attenderla.

Non mancava molto all'alba quando era giunta in vista di Palazzo Jarjayes. Era entrata dall'ingresso sul retro e si era diretta alle scuderie, cercando di mettere ordine nei suoi pensieri. Era stanca e sporca e, ora che era giunto il momento di sapere la verità su quanto si era giocata della sua vita con quel suo gesto insulso, aveva paura.
Aveva accompagnato il cavallo in un box libero poi si era diretta verso l'uscita.
Era giunta alla conclusione che la cosa migliore da fare potesse essere quella di entrare in casa passando dalle cucine e lì attendere l'arrivo di Nanny. Se fosse stata fortunata l'avrebbe trovata già sveglia...e avrebbe potuto chiederle cosa era successo dopo la sua partenza improvvisa. 
Soprattutto avrebbe potuto chiederle notizie di Andrè.
Avrebbe saputo se lui era ancora lì, se l'aveva aspettata.
Se, pur innamorato di lei, fosse rimasto lì ad attenderla, ben sapendo che era corsa a buttarsi tra le braccia di un altro uomo.
Era buio, nelle scuderie, e lei procedeva piano, attenta a non disturbare i cavalli.
Nel passare davanti al recinto di Cèsar fu attratta da un rumore lieve, come un piccolo risucchio d'aria, simile ai singhiozzi che escono dal petto dei bambini che si sono addormentati piangendo.
Si fermò e, dopo qualche istante, tra gli sbuffi sommessi dei cavalli, di nuovo un piccolo gemito...Il cuore prese a batterle tonfi scomposti nel petto mentre strizzava gli occhi in direzione del box. Ancora, lievissimo, il suono di un respiro spezzato e un movimento scomposto, sul pavimento vicino al recinto.
Oscar trattenne il fiato mentre si avvicinava. Un passo, due, poi la punta del suo piede urtò qualcosa sul pavimento e, sussurrato, udì il suo nome, soffocato in un sospiro "Oscar..."
Il cuore le esplose e un fiume di lacrime salì ad inondarle il viso insieme alla sensazione di sollievo ed alla gioia più immense che avesse mai provato "Andrè!" sussurrò "Andrè..."
Si mosse piano e si inginocchiò accanto a lui. Dalla finestra entrava il primo baluginare rosato dell'alba e lei si ritrovò a contemplarlo mentre dormiva.
Era disteso su un fianco, con un braccio sotto la testa. Una ciocca scura era sfuggita alla costrizione del nastro ed ora gli ricadeva, scomposta, sulla guancia ombreggiata di barba. Lentamente, come se toccasse il più fragile dei cristalli, Oscar protese le dita a sfiorare quella guancia, per riuscire a scostargli i capelli dal viso.
Si muoveva pianissimo, respirando appena, come se temesse che, qualora l'avesse svegliato, quel momento perfetto si sarebbe dissolto come neve al sole.
Fu il suo istinto a guidarla.
Con pochi, fluidi movimenti, si sdraiò al suo fianco e lo guardò. Le lunghe ciglia scure, il naso diritto, la bocca ben disegnata, il suo odore di fieno e cuoio...Andrè. La sua mano raggiunse la guancia e ci si posò, imprimendo una carezza appena accennata e le sue labbra trovarono, piano, quelle di lui, lievemente dischiuse...
Fu un attimo. Un attimo eterno che aveva il sapore delle loro estati lontane, delle serate davanti al fuoco, della vita senza luce che si era lasciata alle spalle e di quella piena d'amore che l'aspettava.
Non sentì più freddo, nè ansia, nè paura.
Era tornata a casa.
Poi Andrè aprì gli occhi. Un pò appannati, dapprima, ancora perduti in quel sogno meraviglioso ed impossibile in cui le labbra di Oscar erano posate sulle sue. Poi sempre più increduli alla visione delle iridi azzurre di lei, vicinissime.
"Oscar..." riuscì a mormorare, le labbra di lei ancora appoggiate alle sue, i denti che si urtarono un poco, parlando.
"Oscar..." Lei si allontanò dalla sua bocca, ma non smise di guardarlo "Sono qui." disse in soffio. E di nuovo gli sfiorò le labbra.
Andrè le infilò una mano tra i capelli, alla base del collo, e con il pollice le accarezzò la guancia, incredulo "Sei tornata...sei qui..." 
"Sono qui per te" rispose lei e la sua mano salì di nuovo a sfiorargli i capelli, sulla fronte, dietro l'orecchio "Perché ti amo, Andrè. Perché non c'è un altro posto per me." Cercò di nuovo le sue labbra e lasciò che il corpo di lui le scivolasse addosso, avvolgendola tutta  "Il mio posto è qui. Con te."

Non ci furono altre parole, se non quelle dei baci, prepotenti ed infiniti, delle dita febbrili che slacciavano e scostavano e si insinuavano sin quasi a strappare stoffa e legacci che impedivano alla pelle di trovare altra pelle.
Ci furono solo i corpi allacciati a sentirsi per la prima volta, e le bocche umide e bollenti ad esplorarsi e confondersi, le mani a percorrersi, avide, mai sazie.
Ci furono solo i sospiri ed i gemiti, dolci e profondi e l'insinuarsi potente di un corpo nell'altro. E barriere che si laceravano e le stelle, tutte, che esplodevano dietro le palpebre socchiuse.
E quel "ti amo" ripetuto all'infinito, le voci fuse insieme ai respiri, le mani intrecciate ai capelli e poi, piano, le dita di nuovo a sfiorare la pelle, sudata, calda, impregnata d'amore.



Angolino dell'autrice
Oscar è arrivata in tempo dunque... Alla fine tutti quelli che sembravano contrattempi sono serviti a farli ritrovare insieme, di notte, nelle scuderie. Scherzi del destino...
Siamo in dirittura d'arrivo e, ancora una volta desidero ringraziare, ma tanto tanto, chi ha avuto la bontà di seguirmi.
Un caloroso abbraccio.


 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 - Insieme ***


Capitolo 7 - Insieme


Era stato Andrè il primo a tornare alla realtà. 
Aveva aspettato che il respiro gli si acquietasse, disteso tra le braccia di lei, la testa appoggiata al suo seno, ancora scoperto. Aveva respirato il profumo di quella pelle bianca ancora una volta, come  ad essere sicuro che non fosse un sogno, poi aveva alzato la testa e l'aveva guardata.
Oscar teneva gli occhi chiusi. Aveva le labbra un pò dischiuse, ancora gonfie di baci e respirava piano. Quando lui le aveva sfiorato piano una guancia lei aveva aperto gli occhi. Azzurri, bellissimi, colmi di una felicità e di un abbandono che Andrè non aveva visto mai. Anche lui aveva sorriso "Sei bellissima, Oscar, " le aveva detto "Non credo di averti mai visto così bella. E non credo di averti mai amato così tanto..." 
Lei lo aveva stretto forte, ancora stordita dalla potenza del piacere appena provato e dall'intensità delle emozioni che l'avevano travolta da quando l'aveva scorto addormentato, su quel pavimento."Anche io ti amo, Andrè, " aveva detto, la bocca premuta contro la sua gola "Ma... Ti devo delle spiegazioni." Lui le aveva appoggiato un dito sulle labbra "Non mi devi nessuna spiegazione," aveva detto "Non ora. Sei qui, solo questa conta"
Sei qui con me quando pensavo di averti perduta, sei qui e abbiamo fatto l'amore, sei qui e sei mia....avrebbe voluto dirle. Ma era troppo felice e ancora troppo incredulo, per riuscire a farlo.
Oscar aveva baciato il palmo della sua mano, poi ci aveva appoggiato sopra la guancia, riprovando a parlare "Ma io..." Andrè l'aveva stretta più forte e l'aveva baciata, nuovamente affamato della sua bocca, fino a toglierle il respiro. Era sceso lungo il collo, sino alla gola bianca, poi ancora nel solco tra i seni, le mani a torturare la pelle morbida e sporca del suo piacere all'interno delle cosce. Oscar aveva mosso piano la testa, le mani affondate tra i suoi capelli, incapace di resistere a quelle sensazioni così nuove ma già così irrinunciabili. Un gemito le era sfuggito, profondo, insieme al nome di lui "Andrè..."
Un rumore, dall'esterno, li aveva bruscamente interrotti. 
Andrè si era messo seduto, la schiena contro il muro, il respiro ancora affannoso. " Non possiamo ora... Non c'è tempo..." Si era alzato in piedi, aveva aiutato anche lei a rialzarsi e le aveva dato una mano a sistemare i vestiti, le mani che tremavano un poco. "Devi entrare in casa," aveva detto, "prepararti e raggiungere Versailles al più presto.
Oscar lo aveva guardato, senza capire.
Lui l'aveva presa per mano ed insieme erano usciti dalle scuderie. L'alba avanzava, rapida, e colorava di rosa le loro mani allacciate.
L'aveva lasciata davanti alla porta della sua camera, con un ultimo, lunghissimo bacio "Manderò subito la nonna ad aiutarti" aveva detto, lasciandola. Un lampo di inquietudine era passato negli occhi di Oscar. Lui era tornato su di lei con un sorriso " Non temere, non sa nulla...io non le ho detto niente...Ti spiegherò tutto più tardi, ora va!"
Era sparito in fretta, giù per le scale e lei aveva aperto la porta ed era entrata nella sua camera.
Se non fosse stato per il pulsare sordo tra le gambe e la stanchezza infinita che la pervadeva, Oscar avrebbe pensato che i due giorni precedenti fossero stati un sogno. Un sogno terribile di cui non conosceva ancora tutte le conseguenze. Un sogno che ancora le incuteva timore...
Ma i gesti consueti di Nanny, le sue chiacchiere su quanto quel lavoro "da uomo" fosse inadatto a lei ed il bagno caldo servirono a tranquillizzarla e a farla tornare in sé. 
Era tornata. Ed era riuscita a dire ad Andrè che lo amava. In realtà erano andati ben oltre le parole...immersa nella vasca, le era sfuggito un sorriso ed era arrossita mentre risentiva dentro l'ardore di quel corpo possente, il movimento tenero ed impetuoso con cui era entrato in lei, le onde di piacere generate dalle sue spinte avvolgerla sempre di più..."È tardi, bambina, " aveva detto la nonna, e le labbra calde di Andrè si erano disciolte dal suo seno, "Devi sbrigarti"
L'aveva rivisto in cortile, le redini di Cesar in una mano, impeccabile come sempre. Aveva rivisto nei suoi occhi lo stesso impetuoso desiderio di qualche ora prima e le si era bloccato il respiro. Poi lui le aveva porto le briglie ed erano partiti.
Sulla strada per Versailles, Andrè le aveva raccontato tutto. La sua menzogna a Girodel, la sua decisione di abbandonare Palazzo Jarjayes, le spiegazioni che aveva dovuto fornire il giorno dopo, il colloquio con il Generale, la rissa con Bouillè, la decisione di suo padre di chiedere per lei un congedo permanente... Erano già in vista dei primi edifici di servizio della Reggia quando aveva terminato di parlare. Aveva arrestato di colpo il cavallo e aveva fermato quello di lei. "Devi decidere cosa vuoi fare della tua vita, Oscar. Se tuo padre otterrà per te quel congedo, deciderà nuovamente lui, per te"  Le aveva detto, gli occhi verdi, serissimi, fissi nei suoi "Devi decidere tu, questa volta. Nessun altro." Le si era avvicinato e le loro dita si erano sfiorate. Non aveva smesso di guardarla "Vai da loro, Oscar, e scegli per te la vita che vuoi." 
Oscar aveva ricambiato la sua carezza ed il suo sguardo, poi aveva spronato Cèsar ed erano ripartiti.

Erano arrivati in tempo per presiedere alla riunione con il Generale Bouillè e Sua Maestà.
Quando erano entrati, nella sala era calato un silenzio irreale interrotto solo, alcuni istanti dopo, dal saluto formale di Girodel " Comandante, " le aveva detto, portando una mano alla fronte per il saluto militare " Sono felice di rivedervi".
Oscar aveva ricambiato il saluto, poi aveva incontrato lo sguardo di suo padre, stupito, quasi incredulo. Si erano fronteggiati alcuni interminabili momenti provando a dirsi tutto quanto tra loro non era stato detto. Anni di silenzi e lacrime e sacrifici. Anni di rinunce e di solitudine. Desiderio di cambiare le cose. Desiderio di amare, ridere, vivere.
Questo vide il Generale Jarjayes nello sguardo muto di sua figlia e, quando distolse gli occhi, impreparato a fronteggiare tutto quel dolore, fu lo sguardo di Andrè, quello che trovò, un passo dietro di lei, come sempre.
"Con permesso, Maestà, " aveva detto il Generale, con un inchino a Luigi XVI, " ora che mia figlia Oscar è qui, la mia presenza non è più necessaria" 
Aveva guardato ancora Andrè, uscendo, e Oscar aveva visto la tranquilla fierezza di quello sguardo smeraldo reggere orgoglioso il confronto e le ciglia scendere a velare gli altri occhi, come ad arrendersi ad un avversario valoroso.

Erano tornati a Palazzo Jarjayes verso sera e subito, senza nemmeno cambiarsi, Oscar era entrata nello studio di suo padre, tenendo Andrè per mano.
E senza lasciarlo, nemmeno per un istante, aveva spiegato al Generale tutto quello che aveva capito in quei due giorni, tutto quello che intendeva proseguire a fare e, soprattutto, tutto quello che non voleva più essere.
Non voleva essere sola, mai più.
Non voleva più privarsi dell'amore, di tutte quelle sensazioni che le pulsavano ancora, dentro, da quella mattina e che la riconducevano a quell'uomo dallo sguardo ardente che le serrava forte la mano.
Voleva Andrè.
Sarebbe stato il suo uomo, il suo compagno.
Non voleva nascondersi, non più. Non voleva negarsi più a quell'amore. 
Ma voleva continuare ad eessere un soldato.
Era l'unica vita che conosceva, e non sarebbe riuscita a cambiare, a diventare una donna diversa.
Soprattutto perché Andrè non la voleva diversa. Lei era Oscar, e lo sarebbe sempre stata.
Suo padre aveva chinato la testa, vinto da quel fiume di parole appassionate e dal sollievo provato quando l'aveva rivista, quella mattina. L'aveva affidata ad Andrè, tanti anni prima, perché la proteggesse. Ora lo avrebbe fatto di nuovo.
Non si sarebbe opposto, chiedeva solo che quel legame non venisse ostentato, esibito.
A loro era bastato.

Erano stati di nuovo Oscar e Andrè, come sempre prima di quel giorno. Avevano continuato la loro vita, il lavoro di Oscar, gli allenamenti con le armi, le passeggiate a cavallo, le serate condivise a leggere e chiacchierare.
Ma lo avevano fatto con il calore e la passione che dava loro quel sentimento senza limiti che avevano lasciato libero di avvolgerli.
Erano sempre loro, ma in un modo più intenso, più vero, più profondo.
Oscar si era domandata spesso, in quei primi anni d'amore, come avesse potuto vivere così a lungo senza quella parte meravigliosa di sé stessa che era sbocciata tra le braccia di Andrè in quella fredda alba di febbraio.
Come aveva potuto fare a meno della forza che le dava essere amata, della sensazione di meraviglioso stupore che le dava riscoprire, notte dopo notte, l'ardore di quel corpo meraviglioso che sembrava non essere mai sazio del suo, dell'appagamento che sapevano suscitare quelle mani che la percorrevano, adoranti e quelle labbra che la straziavano e la adoravano. Di come aveva potuto vivere senza la voce di Andrè che la faceva vibrare fin nel profondo quando le ripeteva di amarla, fino all'infinito, durante l'amore...

C'era stato anche, naturalmente, il momento dei chiarimenti.
Era successo una sera di maggio, profumata di rose, nella camera di Oscar.
Erano a letto, i respiri ancora affrettati dopo l'amore.
Andrè si era scostato e si era disteso su un fianco, i capelli sciolti, qualche ciocca sudata a velare lo sguardo. Lei era rimasta prona, gli occhi chiusi, il piacere che andava pian piano a trasformarsi in appagata quiete.
La voce di lui l'aveva colta di sorpresa. "Perché sei tornata?" Lei aveva aperto piano gli occhi e lo aveva guardato. Era la prima volta che ne riparavano, da quella mattina di febbraio.
Aveva sentito freddo, all'improvviso, e con una mano aveva cercato il lenzuolo, a coprirsi il seno. 
Andrè si era accorto del suo turbamento ed aveva addolcito il tono.
"Me lo sono chiesto spesso, anche se allora ti ho detto che non mi importava" aveva proseguito, carezzandole dolce l'avambraccio, "ma ora vorrei saperlo, se non ti dispiace...Perché sei tornata, cosa ti ha detto Fersen?"
Lei l'aveva guardato fisso negli occhi. Non avrebbe mentito, Andrè lo sapeva "Non l'ho incontrato, Fersen," aveva detto con un filo di voce "La sua nave era già salpata..." 
Ad Andrè era sfuggito un sospiro doloroso "Quindi sei tornata da me perché non hai potuto avere lui? Perdonami Oscar, ma devo saperlo..."
Lei si era alzata su un gomito e aveva stretto forte il lenzuolo. "No, Andrè, No!" Un nodo fastidioso le aveva serrato la gola. "Sono tornata da te perché la prima cosa che ho provato, quando mi sono resa conto di quello che avevo fatto, è stata la paura di averti perso.
C'eri tu nella mia testa, nella mia anima quando pensavo al disastro che avevo combinato...
C'erano la tua voce, i tuoi occhi, il tuo profumo a farmi impazzire mentre cavalcato per tornare a casa.
Fersen non l'ho mai amato davvero, " Una lacrima era riuscita a scendere, malgrado i suoi sforzi.
"È stata l'ultima menzogna che mi sono raccontata, per impedire al mio cuore di cedere al tuo amore.
Io ti amo , Andrè. Non ho mai amato nessuno come amo te...Perdonami..."
Lui aveva sorriso. Uno di quei sorrisi speciali, dolci e caldi come un bicchiere di cognac.
"Sei tu che devi perdonarmi, Oscar." Le aveva baciato piano una spalla, poi la gola, uno zigomo.
"Sono stato uno stupido...Non ne parleremo più, te lo prometto..."
L'aveva fatta sua, di nuovo, ma con una dolcezza ed una sicurezza nuove.
Come un albero che affonda piano le radici, lento, inesorabile.Eterno.

Poi col tempo avevano desiderato di più.
Un posto tutto loro dove potersi amare senza chiudere a chiave, dove chiacchierare abbracciati, dove essere loro stessi, senza finzioni.
Così avevano trovato un appartamento, a Parigi.
Non era grande, nè lussuoso, ma pulito e lontano da tutti.
Ci aveva abitato un giovane studente londinese durante il suo soggiorno in Francia.
La padrona di casa li aveva squadrati ben bene. Una donna in divisa, bellissima ed un uomo, altrettanto bello, in abiti civili...il mondo stava andando alla rovescia, aveva borbottato. Ma aveva accettato il denaro di Oscar da vera donna di mondo quale si riteneva ed aveva garantito loro discrezione e tranquillità.

E così era iniziata una nuova fase della loro vita.
Una condivisione ancora più profonda di spazi e pensieri, di gesti e di consuetudini, di respiri e risate...
La colazione consumata, insieme, in un letto pieno di briciole, una passeggiata tenendosi per mano, una carezza per scacciare un petalo caduto sulla spalla.
E poi dormire insieme, tutta la notte, senza doversi separare all'alba per non offendere il pudore di qualcuno.
E svegliarsi di notte, ancora abbracciati, cercare la bocca, le mani e far di nuovo l'amore e gemere e sospirare e urlare il nome dell'altro. E di nuovo, con la luce del mattino, guardandosi negli occhi, le lenzuola aggrovigliate, un cuscino caduto e nessuno, che bussa...Vivere.

Ma quell'amore vissuto così intensamente, quella loro condizione così particolare -un uomo del popolo ed una donna nobile che condividevano il letto, la casa, la vita, senza essere sposati, senza paura, con dignità e coraggio - quella vita immersi in una Parigi stremata dalla fame e dalla miseria e percorsa dai primi aneliti di un cambiamento rivoluzionario, li portò, loro malgrado, a dover prendere altre decisioni...



Angolino dell'autrice
Eccomi, carissime/i, al penultimo capitolo.
Ho raccontato solo il privato, questa volta ma, come avevo detto già nell'introduzione, mi preme raccontare i loro sentimenti, il loro sentirsi...farli vivere appieno quel sentimento che nella storia originale è stato loro negato.
A presto, con l'epilogo, e i saluti a tutte/i voi che, come sempre ringrazio dal profondo del cuore.
Un abbraccio.






 

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 - Vivere ***


Capitolo 8 - Vivere


Oscar aprì gli occhi lentalmente, svegliata da un rumore di zoccoli e grida, proveniente dall'esterno.
Era ancora molto presto, la luce filtrava appena, tra gli scuri socchiusi e le tende di garza. E non c'era fretta, ricordò, non doveva alzarsi all'alba, non ce n'era bisogno.
Quello appena trascorso era stato il suo ultimo giorno a Versailles.
Provò a muoversi ma il corpo possente di Andrè, nell'abbandono del sonno, la teneva imprigionata.
Si erano addormentati nella posizione in cui il piacere li aveva colti e poi lasciati stremati, a cercare il sonno, uno sulla bocca dell'altra. Era supina e lui le stava addosso, le gambe intrecciate alle sue, le mani ancora allacciate, abbandonate sul cuscino di lei.
Mosse piano la testa e riuscì a voltare il viso, sfiorando con la guancia quella ispida di lui, graffiandosi un poco.
Le sfuggì un sorriso: le piaceva quel contatto un pò ruvido, durante l'amore. Le ricordava la loro prima volta, nelle scuderie di Palazzo Jarjayes, in quella lontana alba di quasi otto anni prima.
Erano successe così tante cose da quel giorno...

Si erano presi per mano quella mattina, lei ed Andrè, e da allora non si erano lasciati più. Avevano vissuto il loro amore, a dispetto della differenza di rango, delle difficoltà, di tutto quello che, intorno a loro, li avrebbe voluti separati ed inavvicinabili.
Oscar aveva deciso di continuare a comandare le Guardie Reali, per poter restare al servizio della Regina Maria Antonietta, sempre più sola ed addolorata, dopo la partenza di Fersen, sempre più in balia di cortigiani corrotti ed opportunisti.
Ma non era stato facile.
Gli scandali si erano susseguiti a Corte e l'immagine della Sovrana era andata via via sgretolandosi. La regina era diventata il bersaglio del malcontento generale, osteggiata e denigrata da quel popolo che invano aveva sperato in lei per risollevare le sue sorti.
Oscar sospirò. Per quanto ci avesse provato, nel corso di quegli ultimi anni, non era mai riuscita a far capire fino in fondo a Sua Maestà quanto la situazione della Francia fosse grave...
Lei stessa, quando lo aveva constatato di persona per la prima volta, aveva faticato a crederci.
Era successo durante il processo per il cosiddetto Scandalo della Collana.
Oscar ne era rimasta suo malgrado invischiata. L'imputata principale, Jeanne Valois deLa Motte, infatti, l'aveva indicata, insieme alla Contessa di Polignac, come una delle orchestratrici occulte della truffa. E aveva rincarato la dose dichiarando che " la strana donna vestita da uomo" era anche una delle tante amanti della Regina.
Era stato un periodo terribile per lei e per Andrè.
Le maldicenze sul loro rapporto, da sempre oggetto di illazioni e pettegolezzi, erano cresciute a dismisura. Ovunque, al loro passaggio era un fiorire di bisbigli, risatine ed ammiccamenti. Non c'era stato più spazio nemmeno per un sorriso, per uno sguardo, per un'innocente passeggiata nei giardini della Reggia.
Avevano rischiato di impazzire.
Era stato in quel periodo che avevano deciso di abitare stabilmente a Parigi. Per provare a dimenticare quel fango, per chiudere fuori le menzogne, le illazioni, la malvagità.
Aveva funzionato. Avevano ritrovato il loro amore intatto, puro come acqua di fonte, malgrado il viscidume in cui erano stati trascinati.
Ma la vita a Parigi aveva aperto loro gli occhi su un'altra realtà che, seppur immaginata, mai avevano visto nella sua sconcertante tragicità.
La miseria, la fame, la disperazione dei parigini li aveva travolti, sconvolgendoli.
Le strade erano piene di mendicanti, i salari non bastavano più a garantire la sopravvivenza, i furti nei forni e nei granai pubblici erano all'ordine del giorno. Parigi stava agonizzando e, con lei, la Francia intera.
Più o meno nello stesso periodo avevano iniziato a partecipare alle riunioni clandestine in cui si chiedeva giustizia, si proponeva di mettere fine allo strapotere della Monarchia ed ai privilegi feudali della nobiltà che avevano condotto la Francia sull'orlo del baratro.
E, sempre di più si erano sentiti parte di quel desiderio di cambiamento.
Incontro dopo incontro, mese dopo mese, avevano capito che questa volta il Terzo Stato non si sarebbe più accontentato delle briciole.
Gli oratori che spiegavano ai popolani i loro diritti, che parlavano loro di libertà e di uguaglianza erano preparati ed appassionati e raccoglievano via via sempre più consensi.
Oscar e Andrè col passare dei mesi avevano stretto amicizia con alcuni di loro e, nei loro salotti, avevano ampliato le loro conoscenze liberali e sempre più si erano convinti che un cambiamento era alle porte. La loro cultura e la loro intelligenza, unite ad un profondo senso di giustizia, li portava ad essere interlocutori attenti ed obbiettivi e il loro punto di vista era tenuto sempre in grande considerazione.
Erano stati mesi esaltanti, passati a discutere quasi ogni sera su quanto si potesse fare per migliorare le condizioni di vita del popolo. Di quanto quella nuova Francia avrebbe potuto essere migliore per tutti, un paese finalmente unito, senza sopprusi e tasse inique. Senza distinzioni tra nobili e plebei. Un paese in cui un attendente avrebbe potuto innamorarsi di una contessa senza rischiare la forca...
Tornavano a casa a tarda notte, percorrendo abbracciati le vie di quella Parigi morente ma bellissima, confortati dall'idea che presto quelle assurde divisioni di classe sarebbero cadute e che, per loro, nulla sarebbe stato più impossibile. Forse avrebbero potuto addirittura sposarsi...
Ma un cambiamento di quella natura passava per un profondo mutamento della struttura politica del paese.
Oscar era consapevole che la Monarchia e la nobiltà avrebbero dovuto rinunciare a molti dei loro privilegi per evitare che il malcontento generale sfociasse in pericolose rivolte e, in quel periodo ancor più che in passato, aveva provato a mettere al corrente la Regina della situazione, cercando di convincerla ad ascoltare il suo popolo stremato, a farsi carico delle sue sofferenze, suggerendole di nominare nuovi ministri di vedute più illuminate, che potessero tentare di sanare la disastrosa situazione finanziaria del Paese. Ma non era mai stata ascoltata.
Versailles, con i suoi stucchi dorati, la sua corruzione, la sua opulenza e la sua ipocrisia le era sembrata ancora più irreale, più difficile da accettare.
Ma esitava ad andarsene. 
L'affetto che la legava da quasi vent'anni a quella donna bella ed infelice le impediva di prendere l'unica decisione che la sua coscienza le gridava essere quella giusta.
Poi, un'altra volta, il destinto aveva deciso per lei, per loro.
Lo stesso destino, meraviglioso e beffardo, che le aveva impedito di raggiungere quella nave, anni prima, e l'aveva obbligata ad ascoltare il suo cuore. Lo stesso che aveva suggerito ad Andrè di comportarsi come si era comportato, che aveva consentito loro di ritrovarsi in quella notte lontana.
Trattenne l'ennesimo sospiro mentre, pian piano, scivolava via dal corpo caldo di Andrè, ancora profondamente addormentato. Ne sentiva il respiro regolare e percepiva il sentore della sua pelle, mescolato all'aroma ferroso dell'amore. Sorrise e, con un movimento lieve, mosse la mano e si sfiorò il grembo.
Chissà se era stato il destino o, semplicemente, l'amore. La vita che reclamava un suo spazio...
Il sorriso le si fece più ampio ed un calore meraviglioso la invase.
Portava in grembo il figlio di Andrè.
Portava, dentro, il figlio di quell'amore che non avrebbe dovuto essere mai, che lei per prima aveva provato a negarsi, che aveva resistito agli attacchi di chi lo voleva inammissibile, colpevole, inaccettabile.
Chiuse gli occhi, mentre la mano, delicata, continuava la sua carezza. Nulla ancora si notava, solo, un poco da un lato, se premeva piano con le dita, avvertiva sotto alla pelle una consistenza diversa nella morbidezza della carne. Lo aveva accarezzato anche Andrè, quel piccolo nido, e le sue dita, piume su di lei, avevano dapprima esitato, poi si erano fatte calde e dolci, già gonfie d'amore per quel figlio che racchiudeva tutti i loro sogni.
Lo avevano scoperto insieme, del suo arrivo, qualche settimana prima.

Ricordava il suo ufficio, in Caserma, gli ordini di servizio da firmare e Girodel, in piedi, davanti a lei.
Poi, lentamente, il viso di lui si era dissolto.
Si era risvegliata tra le braccia di Andrè, che correva verso l'infermeria. E di colpo l'aveva capito.
"Mettimi giù, Andrè" aveva detto, tranquilla "Ti prego, non c'è bisogno del medico."  
Lui l'aveva ignorata "Sei svenuta, Oscar" aveva risposto continuando a camminare stringendola forte " certo che c'è bisogno del dottore".
Lei aveva continuato "No, davvero ti prego...mettimi giù... Lascia che ti spieghi."  Andrè si era fermato e l'aveva deposta a terra. Lei lo aveva guardato fisso negli occhi, poi gli aveva preso una mano e se la era appoggiata sul ventre, incurante di Girodel che li osservava, imbarazzato. "Non è nulla di grave, Andrè. Lo sospettavo già da un pò, ma ora ne sono certa." aveva mormorato. "È solo amore..." Lui l'aveva abbracciata, stretta, senza riuscire a dire nulla, la bocca perduta tra i suoi capelli, il cuore impazzito nel petto.

La decisione era stata facile, a quel punto.
Aveva lasciato il suo posto di Comandante e aveva lasciato Versailles.
Senza rimpianti.

Riaprì gli occhi ed un altro sospiro, gonfio di felicità, le sfuggì dal petto. 
Tutto quello che desiderava era lì, dentro di lei, e in quel letto.
Non sarebbe più stata un soldato, mai più.
Ma avrebbe continuato a ccombattere, con la forza delle sue idee, insieme ad Andrè, per quel nuovo mondo in cui entrambi credevano.
"Sarà bellissimo, Andrè..." aveva sussurrato. E lui, con un respiro profondo aveva aperto gli occhi  "Cosa sarà bellissimo?" le aveva chiesto, la voce impastata di sonno, attirandola a sé.
Far nascere questo bambino, farlo crescere uguale a te, insegnargli il rispetto e l'uguaglianza, raccontargli il nostro amore...avrebbe voluto rispondere.
Ma era un discorso troppo lungo. E Andrè le stava cercando il seno, con la bocca, una mano grande, protettiva, sul suo grembo. 
"Amarci" aveva risposto allora, mentre gli cingeva il collo con le braccia e gli si abbandonava "E vivere."



Angolo dell'autrice.
Eccomi, sono arrivata a scrivere la parola fine.
Ho portato i "miei"  Oscar e Andrè dove volevo, senza immaginare per loro altre battaglie. Perdonatemi se non sono stata coraggiosa e li ho resi troppo "normali". Ma è così che me li sono immaginati, sin dalla prima parola.
Grazie, ancora una volta, a tutte/i coloro che mi hanno letto e seguito, che hanno commentato con entusiasmo e sincerità, non avrei mai immaginato che questa piccola avventura mi regalasse tante emozioni e il merito è tutto vostro!
Un abbraccio ancora e buone vacanze!






 
 

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