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di lukevxice
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** grey people ***
Capitolo 2: *** Escape ***
Capitolo 3: *** thoughts out the window ***
Capitolo 4: *** so close but so far away ***
Capitolo 5: *** under the sea, into the heart ***
Capitolo 6: *** I ish that I could rewind all ***
Capitolo 7: *** I wanna get lost ***
Capitolo 8: *** Don't worry, don't cry, drink vodka and fly ***
Capitolo 9: *** In the blood ***
Capitolo 10: *** mistakes ***
Capitolo 11: *** Meet you is like a dream ***
Capitolo 12: *** Rikki ***
Capitolo 13: *** Hey ***
Capitolo 14: *** sixty-six ***
Capitolo 15: *** Fucking draws ***
Capitolo 16: *** wrong kisses ***
Capitolo 17: *** tell me a lie ***
Capitolo 18: *** photograph ***
Capitolo 19: *** Party ***
Capitolo 20: *** Two weeks in London ***
Capitolo 21: *** weird things ***
Capitolo 22: *** whatever ***
Capitolo 23: *** turn back to australia ***



Capitolo 1
*** grey people ***


Sbuffò, nel notare una goccia di smalto nero cadere sulla scrivania. Anne si sarebbe arrabbiata, se non avesse ripulito. Arricciò il naso alla puzza dell' acetone per le unghie che stava versando su un batuffolo di candido cotone, che divenne nero al contatto con lo smalto sulla scrivania. Il suo sguardo vagava da tutte le parti, esaminava attentamente a stanza in ogni sigolo particolare: le pieghe del copriletto,l'anta dell'armadio leggermente aperta, la porta che scricchiolava,un suono sordo e fastidioso, a causa dei cardini arrugginiti. Si domandò che posto fosse quelo e perchè lei era li. Sentì provenire dal piano di sotto il suono del campanello. Persone. Altre persone che volevano conocerla e parlare con lei, cercare di darle una vita migliore e di esaudire ogni suo desiderio. Altre persone, grigie. Ecco come vedeva le persone. Grigie, come la nebbia. Vuote, superficiali. Nessuno la capiva meglio di se stessa, eppure, nonostante i suoi tentativi di far capire ad Anne che lei non voleva conoscere gente, eccole li, altre persone grigie pronte a spender soldi per lei, pronti a comprarsi la sua vita. Ecco come aveva sempre visto l'orfanotrofio in cui vieva: come un negozio di persone, perchè si, se una giovane coppia non può avere figli, va in un'orfanotrofio a comprarseli. Firmare carte su carte per ottenere la tutela legale, per comprare una persona. La considerava un'idiozia, ma, ovviamente, non era lei a comandare. In tutte le favole la povera orfanella viene adottata da una nobile famigliola che ha già un figlio. I due ragazzi crescono insieme e si innamorano, si sposano e vissero tutti felici e contenti. Ma la vita non è una bella favola con un bel lieto fine commovente,anzi, gran parte delle volte va tutto bene, ma poi alla fine tutto crolla. E, la sua vita non solo non avrebbe avuto un bel lieto fine, non sarebbe proprio stata una favola, compresa di protagonisti, antagonisti, oggetti magici e aiutanti. Quella era Biancaneve nel castello, il principe azzurro e i sette nani. Questo invece era un orfanotrofio di Perth, Australia con sette suore e quindici famigliole felici che volevano adottrla, alle quali lei aveva detto di no -oppure era scappata- per il semplice motivo che non voleva essere comprata da nessuno.Le piaceva definirsi uno "spirito libero". Diede un occhio all'orologio, notando che era quasi arrivato il momento di incontrare altre persone grigie, altri poveri illusi che credevano di potersi coprare la sua vita con un insulso regalino. Infilò la felpa e scese.Dal corridoio non provenivano voci.E poi fu un'attimo. Un'attimo e il grigio divenne colori. Un'attimo per riconoscere quella testa bionda e quegli occhi verdi. E instintivamente sorrise. E instintivamente sorrisero. Dopo anni che non si vedevano,anche se erano cambiate, erano state capaci di riconoscersi con uno sguardo. E quei due sorrisi sinceri si tramutarono subito in un' abbraccio bisognoso e pieno di mancanze. L'abbraccio di due cugine che da anni non si vedevano e che con uno sguardo si capivano. E, anche se all'apparenza sembravano così diverse erano estremamente uguali. Con un gran sorriso finto e la tristezza imminente negli occhi. E un tatuaggio sul polso, una piccola cazzata da quattordicenni, quelle con un'autorizzazione falsa, l'unica cosa che le accumunava fisicamente,perchè del resto,non si assomigliavano affato: "I'm in the middle" sul polso di una "of nowhere" sul polso dell'altra, e spesso la gente ne chiedeva il significato: evidentemente non le aveva mai viste insieme. Era bello pensare di avere qulcuno a cui vuoi bene accanto. Sperava con tutta e stessa che fosse stata la famiglia di sua cugina ad adottarla. Quella sarebbe stata un eccezione, uno strapo alle regole che si era imposta, uno strappo la prima regola: "non sono di nessuno." Sperava di poter andare via di li, di potere essere libera.Avrebbe aspettato la maggiore età, e poi sarebbe scappata. Non le importva cosa avrebbe fatto nella vita, non voleva lasciare un segno. Voleva solo andare via di li, scappare dal passato ed inseguire il futuro. Aveva letto su un libro che "immaginare il futuro sa di rimpianto" ma secondo lei sapeva di qualcosa di più profondo. Anche se non sapeva dire cosa. Era tutto così strano. Ma poi la domanda sorse spontanea. Aggrotò la fronte, come se fosse strano avere pensato qualcosa. Si prese in giro mentalmente per avere pensato che pensare è strano. E si rese conto dell'enorme cazzata che stava pensando. Decise di finirla coi rompicapo e chiese "Perchè sei qui?" e un "avevo bisogno di qualcuno di vero." fu la risposta Non erano di molte parole, lei e sua cugina. Quando avevano 10 anni passavano le giornate sedute su un letto, o in giardino, sull'amaca del nonno Joe, sedute schiena contro schiena, ognuna con la propria musica e il proprio libro chiuso in mano. Fissavano il vuoto gran parte del tempo, come se cercassero nel vuoto la più piccola parte di materia. Era un silenzio che gridava aiuto, il loro. Era strano che già a 10 anni si avesse così bisogno della musica. Le estati le passavano sempre insieme, lei andava a stare da sua cugina, poi tornava all'orfanotrofio. Erano sempre i tre mesi migliori. Fino al giorno del tatuaggio. L'idea era stata di entrambe. Volevano qualcosa che le legasse per sempre, e cosa c'era di meglio che un tatuaggio, una frase lasciata a metà, che si completav solo con la presenza del braccio? Fu facile falsificare le firme. La zia Emma aveva una firma facilissima da copiare. Ricordava benissimo quando, a 14 anni entrarono nel negozio di tatuaggi. L'uomo che li faceva le incuteva un po' di terrore. Non faceva male, il tatuggio appena fatto. E la cosa che più la rassicurava era il fatto che quello non se ne sarebbe andato. Era lì, indelebile. Quasi meglio di una cicatrice: quelle sbiadiscono. Il tatuaggio resta. Che la pelle sia abbronzata o pallida, più tirata o raggrinzita, segnata dalle rughe. Il tatuaggio sarebbe rimasto li per sempre. Dopo il tatuaggio, quando gli zii le avevano scoperte, si erano arrabbiati molto, con lei, soprattutto. La avevano accusata di aver trascinato sulla cattiva strada la loro figliola, quando l'idea era stata di entrambe. Ricordava perfettamente come era venuta. Stavano ascoltando la musica quando lei si era tolta le cuffie. La cugina, che le dava le spalle se ne era accorta e si era voltata anche lei. Si erano guardate in faccia. Ricordava il sorriso furbo della cugina, quando aveva detto "un tatuaggio." come risposta all'affermazione "sarebbe bello avere qualcosa che ci legasse per sempre, come per ricordarci che l'una c'è sempre per l'altra..." E dopo tre anni, eccole li. Più grandi e più mature, capaci di scrivere un libro di filosofia sulla vita, date le tante delusioni ricevute. Più alte, più cresciute. Ma i tatuaggi erano semre li, come se gridassero 'ricordati di lei'. E si fissarono negi occhi. Prati e oceani. Smeraldi e Zaffiri. Eppure mancava qualcosa. Qualcosa di importante. Mancava ad entrambe. Ed era un peso, quella mancanza: di un pezzo di cuore necessitavano. Quello delle emozioni. Non lo stupido organo che pompava sangue a manetta, rendendole vive. Un pezzo di cuore mancava ad entrambe. Di amore avevano bisogno. Ma non c'era mai nessuno. Forse perchè erano proprio nel mezzo del nulla?

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Capitolo 2
*** Escape ***


Lo avevano deciso con uno sguardo. Sarebbe stato facile. Erano di nuovo loro. Quelle due ragazze inseparabili, legate da silenzio e da un tatuaggio. E ancora una volta, la bionda e la mora progettavano qualcosa. Menti geniali. Era tutto pronto. Rikki raccolse i suoi capelli biondi in una coda laterale. Gli occhi verdi viaggiavano dappertutto nella stanza di Aileen, la cugina, i cui capelli neri le ricadevano sulle spalle. Gli occhi di Aileen erano di un'azzurro cupo e freddo. Rikki non li ricordava così vuoti. Erano cambiate tanto, m erano lo stesso molto simili. Rikki aveva un piercing al sopracciglio destro e tre buchi all'orecchio sinistro. Aileen non aveva altro che se stessa. E la sua solitudine. Quando le menti di quelle due ragazze lavoravano, potevano produrre un piano di fuga perfetto in ogni suo minimo particolare, e così era. Tutto perfetto e studiato nei minimi dettagi. Al calare della sera si calarono silenziosamente dalla finestra. Avevano scelto di percorrere la strada più lunga per arrivare all'aereoporto: destinazione? America. Avrebbero lasciato Perth nel giro di poche ore. Poi sarebbero state libere. Aileen libera da se stessa e dai brutti ricordi, fantasmi del passato che animavano il cielo dell'Australia solo a guardarlo, non le serviva addormentarsi per fare incubi:la vita lo era già di suo. Rikki sarebbe stata libera dal tutto che aveva, dalla perfezione programmata della sua vita, che si, da un lato le prometteva un futuro perfetto, magari sarebbe diventata un avvocato come il padre. Ma lei non voleva ciò, e anche se non le piaceva accetarlo, si stava scappando. Scappavano insieme perché tra loro era un'intesa:a nessuna delle due interessava davvero avere una vita perfetta, sposarsi, avere figli. Loro volevano essere libere di poter scegliere. Non correvano. Avrebbero dato nell'occhio, anche se quelle che stavano attraversando erano le strade più buie e deserte della città. Svoltrono a sinistra, incappando però nelle persone sbagliate. Erano già ubriachi alle 11.00 p.m. Il che non era un bene. Non c'erano i fanali delle macchine a illuminare la strada, solo vecchi lampioni e gli occhi di Rikki. Si, gli occhi di Rikki erano davvero luminosi. Ma gli occhi del tizio che le aveva afferrato il polso non di certo. Erano arrossati per il troppo alcool e neri. Vuoti. Colmi di disperazione? No. Colmi di soldi da spendere, modi per divertirsi. Aileen notava tutto questo negli occhi delle persone. Come notò anche che Rikki sarebbe stata un suo divertimento, se non fosse intervenuta. All'orfanotrofio da bambina voleva fare pugilato ma le suore non glielo avevano permesso. Sapeva ballare in compenso. Ma non sarebbe servito. Non in quel momento. Quando Rikki stava per gridare il tipo vestito di scuro le aveva tappato la bocca e la aveva sbattuta al muro, facendola cadere. Aileen ammirava la cugina, la sua forza di rialzarsi dopo le cadute. Letteralmente. Si era rialzata. L'uomo non era apparso pernulla contento e la aveva sbattuta a terra con una tale forza da farle perdere i sensi. Che poteva fare Aileen? Nulla, era impotente. Bastava poco a distruggerla. Era così debole. E non le piaceva ammetterlo. Senza pensarci corse accanto al corpo della cugina, che giaceva immobile vicino al muro di un pub. Chiese aiuto e "non ti sentirà mai nessuno da qui" rispose uno dei tre tipi ubriachi. Aveva i capelli biondo cenere e gli occhi azzurro cielo. Forse era il meno ubriaco, dato che parlava quasi lucidamente. Uno dei tre tipi tirò fuori dalla tasca qualcosa che risultò un coltello alla luce dei lampioni. Aileen pianse. Forse fu quello a salvare la vita alle due ragazze, perché il terzo tizio, che non aveva ancora parlato disse "non le faccio male se piange, non c'è gusto." E i tre tipi se ne andarono. Era finitoli il divertimento. I tre ubriachi lasciarono quell'inferno di via come se dovessero tornare a casa, come se non avesseromai picchiato una ragazza fino allo svenimento, come se l'idea di ucciderle non gli fosse mai passata per la testa. Se ne andarono semplicemente, come se non fosse mai successo niente. Furono invece dei fanali di una macchina a salvare Aileen dalla disperazione. Qualcuno si era fermato ad aiutarle. Una donna sulla mezza età scese dal veicolo e le corse incontro. Sembrava piuttosto spaventata. Le chiese che cosa stesse succedendo e Aileen, seppure non aveva voglia di raccontarglielo, essendo una perfetta sconosciuta, le disse tutto. Sembrava amichevole. La donna si presentò come Karen. "Dove siete dirette?" Chiese la donna. Doveva per forza dirle tutto? no. Sviò la domanda chiedendo a sua volta "lei è di qui?" e un "No, sono di Sidney in realtà" ricevette come risposta. "io... cioè noi, non abbiamo nessun posto dove andare, ormai l'aereo lo abbiamo perso... non è che... cioè mi scoccia chiederle se noi.." no riuscì a finire la frase che "Certo, nessun problema. Torno a Sidney domani, se volete venire. Sembrate così giovani..." ricevette come risposta.

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Capitolo 3
*** thoughts out the window ***


Quando si era svegliata, Rikki stava in un comodo letto caldo. Ma non era il suo. Appena cercò di tirarsi su fu travolta dal peso della cugina, Aileen. Ricambiò l'abbraccio con un sorriso, poi chiese dove si trovavano e "Oh.. questa è Karen" fu la risposta della mora dagli occhi di ghiaccio. Aileen stava indicando una donna sulla trentina coi capelli biondo scuro e gli occhi verdi. Karen le offrì un sorriso. "Diciamo che Karen ci sta salvando la pelle.." proseguì Aileen. E le spiegò tutta la faccenda. Erano le tre di notte, il loro aereo era partito da tre ore. Il treno per Sidney sarebbe partito alle sette di mattino. Rikki si sarebbe sentita sempre in debito con Karen. Le due ragazze e la donna decisero di rimettersi a dormire, o meglio, Rikki si rimise a dormire, Aileen e Karen andarono a dormire. Voleva bene alla cugina. E anche a Karen, anche se la conosceva da si e no un quarto d'ora. Le aveva aiutate, la donna. Appena rimise la testa sul cuscino si riaddormentò, sprofondando in un profondo sonno popolato da fantasmi. La scogliera dava sul mare adriatico, in Italia. Il cielo al tramonto aveva sfumature giallastre e arancioni. E anche un po' rosee. Rikki sorrideva. Era bello stare li. Era bello stare li con lui. Dylan stava seduto accanto a lei, le cingeva la vita con un braccio, mormorando amorevoli frasi che facevano venire il diabete solo a pensarle. Che cosa bella, l'amore. Che cosa bella stare a vedere il tramonto su una scogliera italiana con quello che si pensa sia l'amore della sua vita, ascoltando musiche romantiche al calar della sera, mangiando marshmellows. E che cosa bella è ballare abbracciati l'un l'altra, con la luce del sole basso all'orizzonte che dava sfumature ramate ai capelli biondi di lei e un poco violacee ai capelli color del carbone di lui. Eppure, in tutta questa dolcezza vi era qualcosa di oscuramente insano che cercava di sbucar fuori. 1,2,3... Rikki contava il tempo dei movimenti da compiere, Dylan seguiva le sue indicazioni. 1,2,3... un sorso di birra di troppo? 1,2,3.... E a Rikki sembrava di cadere nel vuoto, il respiro pesante, quando anche l'ultimo suo dito si staccò dalla mano sudata del ragazzo che aveva volutamente lasciato la presa. Che la osservava sprofondare nel vuoto, mentre calava il buio. E poi l'acqua la inghiottì, facendo di lei un altra vittima dell'amore. Trasformando il suo dolce cuore in una pietra, proprio come gli scogli da cui cadeva. E cadeva, cadeva, cadeva, sempre più in basso, sempre più in profondità, inghiottita dall'odio e dalla tristezza che creavano attorno a lei una barriera che nessuno era in grado di oltrepassare, eccetto Aileen. E anche gli ultimi riflessi di luce del sole scomparvero nella più profonda oscurità del mare, nelle più profonde paure di Rikki, quella ragazza che nemmeno sapeva se il suo cuore era ancora in grado di provare un sentimento diverso dalla tristezza e dall'odio. E poi fu il nero. Si svegliò al suono della sveglia. Nel sogno aveva continuato a sprofondare, e quando aveva toccato il fondo, la sveglia aveva suonato. erano le 6.00 a.m. alle sette il treno sarebbe partito. E sul treno ci sarebbero state Rikki, Aileen e Karen. Destinazione: Sydney. Per tutto il viaggio in treno non aveva potuto fare a meno di pensare a cosa sarebbe successo dopo. Karen aveva parlato loro di suo figlio, annunciando fiera che avesse lastessa età delle due ragazze, e comunicando anche che si sarebbe presa lei cura di loro, le avrebbe iscritte a scuola e dato una casa. Ne Rikki ne Aileen avevano osato obbiettare. Sapevano che quella donna era buona, ma era come se l'amore che ella cercava di dare a quelle due ragazze rimbalzasse addosso alle corazze che si erano create con il tempo. Era brutta la solitudine, e anche l'emarginazione, il tradimento, la tristezza. Eppure, quelle due cugine erano due guerriere. Karen raccontò degli amici di suo figlio, dei momenti divertenti di quando era più piccolo. Cercava di intrattenerle e di dare loro affetto. Quella mattina Aileen aveva preso dalla borsa dei pantaloni neri strappati e una maglia nera, con la scritta 'Nowhere' bianca nel mezzo. Era affascinate quella parola. Nowhere. No Where. Nessun dove. A Rikki tremava la gamba. Era come un tic. Le succedeva spesso quando era ansiosa. Rikki aveva una camicia a quadri sopra ad una canottiera degli Iron Maiden, i jeans scuri le fasciavano le gambe decisamente troppo magre. La suola di gomma delle Converse nere batteva ripetutamente a terra. Le suole delle Vans di Aileen sfregavano nervosamente tra loro. Karen sembrò notare tutto ciò, perché chiese loro se erano nervose, ed un "No... siamo solo stanche" ricevette come risposta da parte di Aileen. Era una ragazza schietta ed intelligente quella, pensò Karen. Rikki tirò fuori dalla borsa un libro e si immerse nella lettura. Sul suo volto si erano create delle piccole rughe, dovute alla fronte corrugata, per via della concentrazione. Aileen invece guardò per tutto il viaggio fuori dal finestrino, riflettendo su una frase che aveva letto una volta su un libro: 'Sei quel tipo di persona a cui si pensa guardando fuori dal finestrino'. Ma a chi pensava lei? Osservò inconsciamente come il paesaggio cambiava e registrò tutto nella mente, come se quelle fossero state importantissime informazioni. Karen invece fece un po' di telefonate. Inviò messaggi e poi si mise a scrivere qualcosa a computer. Da quello che aveva raccontato, lavorava in un giornale. Doveva essere bello, da come ne parlava. Doveva essere bella Sidney da quello che raccontava. Doveva essere una bella vita, quella di Karen. Il treno frenò bruscamente dopo quattro ore di viaggio circa. Tempo di recuperare i bagagli e le borse che si era fatta ora di pranzo. Karen offrì a Rikki e Aileen un buon salutare pranzo da Mc Donald's, promettendo loro che la sera le avrebbe preparato una delle sue specialità. Il vialetto che portava a casa di Karen era davvero carino: vi erano giardinetti ordinati e puliti per ogni villetta. fiorellini colorati pendevano da vasetti sui balconi di ognuna di esse. Karen si fermò davanti ad una villetta giallina, molto carina e grande. " Benvenute ragazze. Mio figlio dovrebbe essere in casa" esclamò la donna. "E questo è mio figlio Michael. " e quattro paia di occhi si posarono subito sulle due ragazze, che si guardarono, sconcertate. Era strano per loro irrompere a casa di qualcuno mentre giocava a fifa13.

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Capitolo 4
*** so close but so far away ***


Michael fissò prima la madre e poi le due ragazze, poi ancora la madre. Corrugò la fronte, in una domanda muta rivolta alla madre. 'chi sono queste?' chiedevano i suoi occhi verde chiaro. I capelli biondi, accompagnati da un ciuffo nero, gli cadevano sugli occhi. Fissò Rikki. Poi Aileen. Poi di nuovo Rikki. Poi la maglia di Rikki. Iron Maiden. Anche la sua maglia era degli Iron Maiden. Tutto ciò duro pochi secondi. Ad Aileen sembrarono un'eternità. Si sentiva messa in soggezione. Karen sembrò capire, dato che sfoderò un gran sorriso e poi fece cenno alle ragazze di seguirla. Sulle pareti bianche del corridio erano appese molte immagini, vecchie fotografie. La donna indicò due porte, una difronte all altra e un "ecco, queste saranno le vostre stanze finche lo vorrete" fu tutto quello che disse. poi aggiunse "scendete se avete fame". Quella donna aveva capito tutto. Se avete fame. Quella donna aveva capito tutto ciò che c'era da capire in poche ore. Le ragazze ringraziarono Karen e si infilarono ognuna nella propria stanza, a sistemare il poco che avevano, a schiarirsi le idee, ad asciugarsi le lacrime, a convincersi che non stavano sbagliando tutto, che non stessero sbagliando si nuovo. Anche se era palese che lo stessero facendo. Nel salotto Michael e i suoi amici si erano rimessi a giocare a fifa13. "Michael!!! Hai sbagliato ancoraa! che hai nella testa? " esclamò scocciato Luke. Michael non rispose. "Forse è meglio che smettiamo" disse Calum. Gli altri annuirono e spensero l' X-Box. Per cena la signora Clifford aveva preparato sul tavolo due piatti con delle patatine e della carne. Michael entrò in cucina e "Per chi sono delle porzioni così. . ridotte? Ma, siamo dei ragazzi che abbiamo fame." e un "Si dice che hanno fame. e poi sono per Aileen e Rikki." rispose la donna. "Per chi?" "Aileen e Rikki. Insomma Michael, le due ragazze di prima. Non fare il tonto e porta su questi piatti, stanno nelle sue stanze degli ospiti." Michael sbuffò e portò su i piatti. Bussò in una delle due stanze. Quando sentì bussare, Aileen si alzò di scatto dal letto e si fondò davanti allo specchio, con del correttore e matita nera alla mano. Si sistemò il viso e sfoderò uno dei suoi migliori sorrisi. A vedersi allo specchio non sembrava affatto una che aveva appena pianto. Aprì la porta e si ritrovò faccia a faccia con un Michael con due piatti in mano. "Questa è la cena.." disse lui distaccato. "Oh grazie ma..." cercò di protestare la mora, poi pensò che non fosse opportuno e ringraziò e basta. Quando si chiuse la porta alle spalle iniziò a mangiare,di malavoglia, osservano quante più cose attorno a se. Michael pensò che quelle ragazze fossero strane. Quella mora, Aileen, aveva accettato il cibo con scarso entusiasmo, mentra la bionda, Rikki, nemmeno lo voleva. Si sedette sul divano accanto al suo migliore amico, Luke. Facevano zapping a caso sui canali sportivi. Faceva caldo quella sera. Il biondo accanto a lui era molto pensieroso.Lo poteva vedere dal nervosismo con cui si mordeva il piercing al labbro. E poi sbatteva il piede perterra in continuazione. E poi c'erano Calum e Ashton che si facevano selfie a macchinetta con ogni tipo di boccaccia sulla faccia. Erano decisamente problematici, quei due. Sentì appena i leggeri passi dietro di se, e poi delle dita fredde e affusolate che gli sfiorarono appena la spalla, per attirare la sua attenzione. Il ragazzo trasalii e si voltò, scoprendo una Rikki che si mordeva impaziente e timidamente il labbro inferiore e si teneva le mani ullo stomaco. "Potresti dirmi dove si trova il bagno?" chiese in un sussurro la ragazza. Michael scattò in piedi e la accompagnò al bagno, aspettando che la ragazza si chiudesse la porta di legno di ciliegio alle spalle. Poi se ne andò. **** La vita era di una noia mortale, alle tre di notte di un giorno qualunque, sabato forse. Rikki aveva bisogno di parlare con Aileen. E probabilmente anche Aileen aveva bisogno di parlare con Rikki. O forse nessuna delle due aveva davvero bisogno di parlare. Con l'agilità di un gatto Rikki si intrufolò nella stanza della cugina. L'abat-jour sul comodino era accesa ed emanava una luce fioca. Aileen era seduta sul letto, a fissare un punto impreciso sul soffitto. Distolse lo sguardo dal muro e guardò la bionda per un' attimo. Poi si scansò, lasciandole un po' di spazio sul letto. Le ombre che si proiettavano sul viso di Aileen la rendevano un poco inquietante. Sembrava che Aileen non dormisse da tempo. Una ciocca disordinata da capelli le ricadeva ribelle sul viso scavato dalla stanchezza e dalla rabbia, coprendole uno dei due grandi e spenti occhi blu. Si appoggiarono schiena contro schiena, come facevano quando erano più piccole. "Aileen Lilith Black" "Rikki Amelia Harisen" Pronunciarono l'una il nome dell'altra, come fosse una cosa strana. E lo dissero con una tale avidità che quasi sembra che non volessero lasciare che le parole uscissero dalle loro bocche, come fossero le uniche cose che le erano rimaste. "Chissà perché nei libri ci sono solo belle storie" sussurrò Rikki. "Perché quelle brutte e tristi sono noiose. Le persone vogliono il lieto fine, vogliono credere che tutto è perfetto. Che tutto lo sarà. Solo una stupida illusione per non sentirsi sempre nella merda." rispose Aileen. Rikki pensò che aveva ragione. "E' passato tanto tempo dall'ultima volta." "Già" Rikki lo sapeva che la cugina era una tipa fatta così. Non era di molte parole, ma se le facevi una domanda rispondeva a modo suo, senza coerenza, smentiva ciò che diceva mentre lo diceva, poi arrivava ad una conclusione logica fatta tutta a modo suo, strana e contorta. Ma sensata. E poi ti accorgevi che lei aveva capito tutto della vita, e ti chiedevi seriamente cosa avessi capito tu. "Mi sei mancata, Amelia." le disse. "Non chiamarmi Amelia." rispose secca la bionda. E poi "anche tu mi sei mancata, Lilith" "Non chiamarmi Lilith". Si addormentarono poco più di un ora dopo, verso le quattro del mattino. Che cosa avessero fatto in un ora? Rikki aveva fatto un ritratto ad Aileen. Poi Aileen a Rikki. Entrambe erano brave a disegnare. Rikki un po' di più. Furono svegliate da un'egocentrica Karen che spalancò le finestre facendo entrare nella stanza una notevole quantità di accecante luce solare di una domenica agosto. "Venite a fare colazione? Ho un idea da proporvi." Aileen si alzò seguita da Rikki. Si trascinarono nella spaziosa cucina. I muri erano dipinti di un giallo molto tenue. C'erano quattro posti a sedere al tavolo, uno di questi era occupato da Michael, che stava tranquillamente mangiando pane e Nutella. C'era marmellata e succo di frutta, biscotti, brioches , cereali, latte. Aileen mangiava solo due biscotti e un bicchiere d'acqua all'orfanotrofio. A Rikki venne il voltastomaco. Appena le sentì entrare, Michael alzò la testa dal piatto. Karen le invitò a sedersi con un gran sorriso e poi "Preferite andare in spiaggia o a fare un giro a Sydney?" Aileen si morse un labbro "Ci accompagnerà lei?" "Oh, lo farei volentieri ma non posso, devo andare a lavoro. Andrete con Michey e i suoi amici." A sentire il nomignolo che la madre aveva usato Michael protestò "Mamma! Non mi chiamo Michey." La madre lo ignorò. "Allora, dove preferite andare?" Rikki era già in difficoltà. Odiava parlare in pubblico. Le metteva ansia. Anche solo davanti a Karen. "Sinceramente, come lei sa, noi eravamo dirette in America" prese parola Aileen. " E non abbiamo nulla dietro che possa servirci n spiaggia, quindi, se proprio dobbiamo, preferiremmo andare a Sydney." "Okay, va bene.." rispose la donna e un "Non serve essere cosi formali. Ora, vi prego mangiate." disse con un sorriso. Poi si rivolse al figlio "In quanto a te, perché non parli cosi? Comunque, affrettati ad avvisare i tuoi amici." Rikki e Aileen fissarono il cibo. Aileen prese del succo e dei biscotti. Lo stesso Rikki. Nel frattempo il ragazzo dai particolari capelli si era alzato, con il telefono in mano, per telefonare ad uno dei suoi amici.

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Capitolo 5
*** under the sea, into the heart ***


Meno di un ora e le due cugine si erano ritrovate dentro una Range Rover diretti a Sydney. Il suv era a sette posti. Michael si era messo a presentare le due ragazze senza ricordare i loro nomi, facendo una figuraccia. E fu così che i ragazzi sentirono per la prima volta la voce di Rikki. "Io sono Rikki e lei è Aileen. Siamo di Perth." Aileen era seduta accanto a un ragazzo biondo con un piercing al labbro, diceva di chiamarsi Luke. Alla guida c'era un tale Ashton e accanto Michael. Dietro stavano Rikki e un tizio dai tratti leggermente asiatici, Calum. Rikki sentì caldo, nel sentirsi tutti gli occhi puntati addosso, così si tolse la felpa. "Cosa c'è?" Chiese spazientita. "Cercavo di evitare una figura di merda a Michael. Che comunque la ha già fatta. Ora evitate di fissarmi. Soprattutto tu Ashton. Guarda la strada che il semaforo è rosso" Aileen sorrise ebete. Sapeva benissimo che la cugina parlava solo con lei o se strettamente necessario. E quella volta non era necessario, anzi. "Rikki. Tu hai appena... oddio." "Si Aileen. Ho pensato che non si può vivere sempre nel silenzio. Lo hai detto anche tu ieri sera. E lo hai scritto dietro al disegno." I ragazzi le fissavano. "Hai ragione Ri. Sono... sono..." si era ripromessa che quella parola non la avrebbe mai usata. "Sei..?" intervenne Luke. "Oh insomma. Io quella parola non la uso." sbottò scocciata Aileen, voltandosi dall'altra parte. Sull'orlo di un pianto isterico. Stava respirando pesantemente quando due braccia calde la abbracciarono da dietro. A quel tocco Aileen si irrigidì ma poi "Tranquilla. Ho capito. Io ci sono, se ti serve una spalla su cui piangere. Anche ora" La voce di Luke le risultò dolce ed affidabile. Si strinse nella felpa e si girò dalla parte di Luke. Nel frattempo una lacrima già le rigava il viso. Si ripeteva nella mente che era forte. si diceva 'Sei forte, non piangere'. Quando però gli occhi blu di Aileen incontrarono quelli azzurri di Luke non riuscì più a trattenersi. Luke la abbracciò forte, come non aveva mai fatto nessuno. "Prima avete detto che non avete cose da spiaggia." Iniziò Calum. "E se andassimo a comprarle? Così domani andiamo in spiaggia." I ragazzi annuirono e, anche se non ne erano entusiaste, le ragazze dovettero rassegnarsi. Appena entrate nel negozio di abbigliamento sportivo Aileen e Rikki si diressero subito nel reparto dei costumi da nuoto agonistico, quelli interi. Aileen stava frugando nelle taglie di un costume blu, quando qualcuno le picchiettò un dito sulla spalla. "non devi fare le gare di nuoto. Dobbiamo andare al mare che è diverso." Aileen ci rinunciò da subito, anche perché Luke aveva un tono convinto, e i suoi occhi divertiti dicevano esplicitamente che non avrebbe cambiato idea. Fu così che Aileen si fece trascinare nell'altro reparto. *** "Te lo puoi scordare." esclamò Rikki. E un "Daaaaaiii" ricevette come risposta da Michael. "No" "Solo uno... per favore" Alla fine Rikki cedette afferrando un bikini schifosamente colorato che Michael le stava porgendo. Le due cugine si ritrovarono davanti ai camerini con in mano ciabatte vestitini da mare e costumi di tutti i tipi. Non piacevano a nessuna delle due, ma volevano "accontentare" quei pazzi. Si rinchiusero nei camerini. Luke e Michael erano appena li fuori, come due consulenti di abbigliamento. Dopo un quarto d'ora, nessuna delle due ragazze era uscita dal camerino. Luke bussò alla porta di legno del camerino di Aileen. "Sei ancora viva?" chiese. E un "si Luke." ricevette come risposta. "Bene allora esci. Voglio vedere come stai." "No grazie. ho visto già io." rispose Aileen. "Dai, Aileen!" "no." "Allora sfondo la porta." La porta si aprì di colpo, rivelando un' Aileen scocciata e basta. Non ci stava per niente lei, dentro ad un vestitino. "Ti sta bene." affermò il biondo. "Si, e piovono pinguini. Fammi il piacere Luke. Sto malissimo." "Ma..." "Rikki è uscita?" chiese Aileen a Michael. "No.." rispose quest'ultimo." Sta facendo le tue stesse scenate" Se le occhiate potessero uccidere Michael sarebbe già stato morto. Bussò alla porta in un modo strano e Rikki dall' altra parte disse "Aileen entra." Dentro al camerino Rikki stava seduta sullo sgabello, con la testa fra le mani, il corpo fasciato da un vestitino che, per quanto Aileen li odiasse, era davvero carino. Sulle gambe Rikki teneva tutto ciò che avrebbe dovuto provare. La mora prese tutte quelle cose e le appese all'appendiabiti attaccato al muro. "Rikki... loro non sanno. Non possono conoscere tutto questo, non devono. Presto ce ne andremo. Non stiamo sbagliando, Rikki. Ci vuole tempo. Ora cerca di sorridere. So cosa pensi. Devi stare tranquilla. Andrà tutto bene." Aileen abbracciò la cugina, cercò di trasmetterle tutto ciò che poteva. Tutto il rancore sembrava sparito. Ora c'erano solo loro. C'era Aileen. C'era Rikki. Erano di nuovo loro. Uno splendido disastro erano. E in certe parti Aileen ne era fiera. "Ho perso tutto Aileen. Tutto" mormorò Rikki. "Non hai perso me. E io non ho perso te. E finche ci saremo l'una per l'altra, andrà tutto bene. E ora sorridi. Dimostra che sei ancora in piedi, che non ti arrendi." "E a chi devo dimostrarlo?" "A te stessa. A me." Detto questo Aileen diede un bacio sulla guancia della cugina, poi uscì dal camerino. *** Pranzarono in un parco. Calum e Ashton avevano già comprato la pizza per pranzo. Aileen e Rikki erano sedute a terra, schiena contro schiena, a pensare ai fatti loro, smangiucchiando una misera fetta di pizza quando Michael ne aveva mangiata già una intera. Erano assorte in pensieri profondi, pensò Ashton, osservando il volto di Aileen. Ad un tratto Luke si accomodò accanto ad Aileen. Che ci stesse provando con lei, ancora questo Ashton non lo sapeva. "Che significa quel tatuaggio?" Chiese curioso il ragazzo biondo alla mora. Lei si fissò il polso. 'I am in the middle' , poi guardò la cugina, che avvicinò il proprio a quello di Aileen. Era una frase vuota, per chi non la capiva. I am in the middle of nowhere. Ma, per chi,sapeva, come quelle due ragazze perse, tutto poteva avere un gran senso. La giornata finì li, come anche l'intesa che si era formata tre Luke ed Aileen. Tutto pareva a Rikki un grande sbaglio. Non doveva affezionarsi. Ma c'era qualcosa, qualcosa di strano che si era acceso negli occhi di quel Calum. Era strano quel tizio. E ciò incuriosiva Rikki nel profondo. Ma lei ancora non lo sapeva BAAAMMM! Si, è un finale orrendo. Già. Penso vi toccherà attendere il prossimo capitolo, LOL.

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Capitolo 6
*** I ish that I could rewind all ***


Caldo. Quel giorno era molto caldo. Un fottuto caldo che ti entra nelle ossa, ti fa sudare e venire la gola secca. E quel giorno era maledettamente caldo. Rikki odiava il caldo. Odiava anche il sudore che scendeva sul viso e sul corpo. Quel giorno, dopo tanto tempo -quasi due settimane- Rikki era uscita dalla sua stanza. Visi era chiusa de tro con la scusa dello star male,aveva evitato tutti, compresa Aileen. Quest ultima, aveva capito subito che la cugina volesse solo stare sola, così non aveva nemmeno insistito. Stava seduta vicino alla staccionata bianca che delimitava la proprietà dei Clifford i quella piccola via, nella città di Sydney, che non era altro che un punto in una carta geografica, un niente nell' Australia. Un niente ancora più misero nel mondo. Quel giorno Rikki subiva il caldo, in silenzio, sotto il sole cocente australiano. Non passava nessuno, li. Si stava bene. Apparte l'afa e l'umidità. Ma in quel momento Rikki stava bene. Era okay. Niente a tormentarla, quel pomeriggio. C'era silenzio. Nulla a rovinarlo, quel silenzio. Rikki raccolse una margherita solitaria li vicino. Iniziò a strappare i petali, uno alla volta. Come se lei fosse il pistillo. E i petali i suoi problemi, i suoi mali, la sua tristezza. Come se potesse strappare via tutti i problemi che aveva, potersi liberare della tristezza che viveva in lei,un parassita che si nutriva del suo essere. Guardò il fiore, quando aveva già strappato via la metà dei petali. E poi pensò che una margherita senza i suoi petali non sarebbe mai una margherita. E così per tutti i fiori. Fu in quella maledetta calda giornata di Agosto che Rikki capì quanto fosse importante avere dei piccoli difetti. Qualche problema. Ma lei, lei ne aveva decisamente troppi. Troppi per un solo fiore. Il silenzio venne spezzato quando Calum salutò Michael sull'uscio di casa con una pacca sulla spalla. Quando la porta si chiuse Calum si avviò verso di lei e " non ti ho vista uscire... da quanto sei qui?" Chiese gentilmente. "Due ore più o meno, sono uscita dalla finestra." Rispose noncurante Rikki, la margherita mezza sfatta tra le dita. Calum guardò l'orologio. Erano solo le sei. Era presto, e di tornare a casa, Calum non ne aveva alcuna voglia. Si sarebbe seduto volentieri li accanto a Rikki, a parlare con lei, a chiedere perche teneva una margherita sfatta in mano, o semplicemente a stare in silenzio. E così "Ti va di fare un giro?" Domandò alla bionda. E "Okay." Rispose questa, alzandosi in piedi, mettendosi il fiore nella tasca dei jeans. Camminarono per tutta la via senza dire una parola. "Ti porto in un posto" affermò Calum. Era imbarazzante quel silenzio. Rikki era troppo timida per spezzarlo, per rompere il ghiaccio così, dal nulla. Pensava che Calum non avrebbe gradito troppe domande. E così, dopo almeno cinque minuti di un intenso e pesante silenzio, cinque minuti che camminavano, disse solo "Dove stiamo andando?" Calum si girò a guardarla e con un sorriso "in un posto speciale" rispose. Poi "Perche prima ti sei infilata in tasca un fiore mezzo distrutto?" Domandò ancora. La bionda non rispose. Si morse solo il labbro, chiedendosi perchè il ragazzo che giorni prima non le aveva quasi rivolto la parola adesso fosse diventato un attento osservatore di ciò che aveva intorno. Non passò altro che un tempo così vuoto, poi il verde ei colori invasero la visuale di quella ragazza che era abituata a vedere grigio. Calum la prese per il polso, senza stringere forte. Era una presa che diceva se cadi ti prendo, non vieni con me perchè te lo sto dicendo. E Rikki si lasciò trascinare da quella presa rassicurante, così calda. Calum la guidò fino ad una piccola collinetta in quel parco. Non c'era nessuno. Un assassino avrebbe potuto uccidere qualcuno li, e nessuno se ne sarebbe accorto. Ma quel posto sapeva di paradiso, come se fosse caduto proprio da esso. Se solo il paradiso fosse esistito. Calum si sedette su una panchina,incrociando le gambe. Rikki si affiancò a lui. E poi "Perchè mi sembrava me." Disse. Per un attimo Calum pensò che la ragazza li accanto fosse pazza. "Mi hai chiesto perchè ho conservato questo" iniziò la ragazza, tirando fuori dalla tasca il fiorellino sfatto e appassito."lo ho conservato perchè mi sembrava me." " Quindi... tu ti sei vista come un fiore mezzo sfasciato." L' affermazione di Calum era una domanda, in realtà. "Ho pensato che i petali fossero tutti i difetti, eche il pistillo fossi io,ma poi ho capito che..." "Che un fiore non è unfiore senza petali, come un umano non è umano senza difetti." La interruppe Calum nel mezzo della sua spiegazione. E Rikki pensò, per la prima volta, che forse non tutte le persone fossero maledettemente grigie e monotone. "Ora dimmi, perchè hai deciso di portarmi qui?" Calum la guardò negli occhi, la scrutò fino in fondo. In realtà non v'era un motivo.lo aveva fatto e basta. In quegli attimi Calum si accorse di quanto in realtà Rikki fosse bella. Ma non bella in quel senso. Perchè bellezza non é soltanto avere le gambe lunghe e i capelli biondi, gli occhi azzurri piuttosto che verdi, essere magre piuttosto che leggermente in carne, vestirsi alla moda e riempirsi di trucco. Bellezza è anche il sorriso di chi le ha passate tutte, di chi si asciuga le lacrime e si rialza dopo essere caduto, di chi sorride e dice che 'va bene' anche se di cose che vanno bene non ce ne sono affatto. Bellezza era, per Calum, in quell'istante, il mostro che si nascondeva dentro agli occhi di Rikki, il suo sorriso che sembrava vero, il correttore, per nascondere le notti di insonnia, magari notti passate a piangere o fissare il buio, magari passate a bere per dimenticare. Bellezza era anche la matita leggermente sbavata all'angolo dell'occhio della ragazza,come sefosse stata sistemata dopo un pianto. E in quel momento Calum pensò che tutte le ragazze come Rikki meritavano un applauso, perchè nonostante tutto, erano state capaci di rialzarsi. Rikki era una ragazza diversa, pensò Calum. Non si era nascosta dietro un essere stronzo, ma semplicemente aveva una corazza indistruttibile, forse. Ma nessuno aveva detto che questa corazza, sotto la quale ombra Rikki viveva, non poteva essere bombardata fino a che una parte non ne fosse crollata, facendo entrare qualche spiraglio di luce. Calum questo pensava. Rikki invece pensava che Calum la stesse guardando troppo, così si alzò da quella panchina, e si avviò decisa verso un albero li vicino sul quale aveva già messo gli occhi. Non fece niente di strano. Vi si arrampicò sopra, come se niente fosse. Calum la seguì, e, anche se di arrampicarsi su quella vecchia quercia non ne aveva nessuna voglia,seguì la bionda. "Perchè te ne sei andata così?" Le chiese. Lei non lo guardava in faccia, il suo sguardo era perso altrove, forse nel tramonto. Viola,azzurro,arancio,rosa,blu. Quanti colori. Si abbracciavano assieme,creando un incantevole miscuglio. Rikki ricordò quando, da piccola, colorava con le tempere assieme ad Aileen. Facevano sempre un gran pastrugno e allora, sua madre, la zia di Aileen, diceva sempre che erano un disastro e che non le avrebbe più fatto dipingere sul tavolo della cugina, anche se poi, il giorno dopo era punto a capo. Mischiavano sempre i colori, lei ed Aileen. E quel tramonto, tanti colori abbracciati, che insieme con il sole andavano a tuffarsi nell'oceano, le facevano ricordare tutto quello. Era tutto passato, eppure a Rikki sembrava.l'altroieri, di aver perso Aileen, e ieri, di averla ritrovata. "Sai che c'è?" Sussurrò Rikki, più a se stessa che a Calum "vorrei poter riavvolgere il nastro, tornare indietro, restare bambina per sempre. Quando sei piccolo va sempre tutto bene." "Forse, forse è meglio che ti riaccompagni a casa..." Mormorò Calum.

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Capitolo 7
*** I wanna get lost ***


Karen fissava pensierosa Michael, poi Aileen e poi Rikki. Le si leggeva dai grandi occhi che doveva dire qualcosa. Aileen immaginò che fosse qualcosa di abbastanza serio. Ciò che dovesse dire Karen, Aileen lo scoprì poco dopo, quando la signora Clifford disse "Lo sapete, per me non ci sono problemi a tenervi qui con noi, e nemmeno per Michael" guardò il figlio."Ma io ho bisogno di sapere chi siete e da dove venite." Aileen chiuse gli occhi per un attimo. Maledetto il giorno in cui era nata. E così "Il mio nome è Aileen Lilith Black, ho fatto 18 anni il 27 di Aprile. Lei invece è mia cugina, Rikki Amelia Harisen, il suo compleanno è il 30 agosto. E lei ha 17anni." Karen guardò Rikki,poi Aileen. "Lei non è maggiorenne. E i vostri genitori?" Aileen non disse nulla. Solo si morse il labbro e guardò in basso, torturando l'orlo della maglietta bianca che indossava. Perchè, perchè quella maledetta domanda? Maledetto il giorno in cui erano morti. "Ragazze, dovete dirmelo." Aileen deglutì forte. E fu Rikki a parlare. "Aileen.. cioè tempo fa i genitori di Aileen hanno fatto un passo più lungo della gamba, e ora enrambi stanno in un posto dal quale non si può tornare. In quanto a me..." lacrime. Correvano sulle guance di Aileen e sulle guance di Rikki. Erano calde e si porta ano dietro colate di matita e mascara neri. Loro erano due ragazze forti. Erano diventate un sistema progettato per non soffrire. Ma una falla,nel sistema, ci sta sempre. Rikki prese un respiro forte."i miei genitori erano favorevoli alle punizioni corporali." E chi se lo aspettava, che in mezzo al nulla in cui stavano, ci fosse stato qualcuno capace di alzarsi ed abbracciarle, come se loro fossero parte della famiglia? Fu ciò che fu. Karen le aveva abbracciate forte e "scusate. Scusatemi tanto" aveva sussurrato. Poi Rikki si era chiusa in bagno, ed Aileen in camera sua. Karen aveva pensato che poteva iscriverle a scuola li a Sydney e crescerle come figlie. Provare a scrivere un nuovo futuro a quelle due ragazze. Lo aveva capito subito, Karen, che quelle due avessero qualcosa di strano, ora lo aveva scoperto. Michael non finì nemmeno la sua colazione. Si alzò, e si diresse al bagno, lasciando la madre sola in cucina. Sapeva che Rikki era li dentro. Sentiva la sua presenza. Sapeva che stava seduta sul davanzale della finestra. Bussò alla porta. Non successe niente. "Rikki? Tutto bene?" Appoggiò l'orecchio alla porta, sentendo solo singhiozzi soffocati alternati a colpi di tosse. "Rikki guarda che entro se non mi rispondi." Michael aspettò secondi che parevano ore. Nulla. E così aprì la porta, che non era nemmeno chiusa a chiave. E c'era Rikki. E c'era Michael. E i cspelli biondi le ricadevano sul volto, mentre vomitava l'anima con il volto rivolto verso la tazza del cesso. Michael si maledisse per aver aperto la porta, che richiuse alle sue spalle. Si avvicinò incerto a Rikki. Le mani scheletriche che stavano poggiate sulla tazza del water. Le prese i capelli da parte e le mi se una mano sulla fronte, sussurrandole di stare calma. E poi c'era Rikki. Una Rikki con il respiro pesante e i crampi alla pancia. Le mani di Michael erano calde e rassicuranti, quasi come quelle di Calum. Vomitò l'anima, quella sera. Michael ricordò per sempre il respiro quasi soffocato di Rikki. Poi l'abbracciò. Che fu lui ad abbracciare lei,o il contrario, questo mai lo seppero. Sempravano una cosa sola, quei due. Le accarezzava i capelli, e "va tutto bene"le diceva, anche se di cose che andavano bene non ce n'erano proprio. A Michael piaceva aiutare le persone, per questo voleva fare psicologia al college. Sua madre diceva che da uno psicologo dai capelli fuxia non ci sarebbe mai andato nessuno. Ma,a Michael non importava affatto. Si sarebbe colorato i capelli fino a che avrebbe voluto. E poi chissà, sarebbero ricresciuti del loro colore naturale. Quando Rikki si fu calmata Michael disse "Cristo, Rikki che ti è preso?" Lei scosse la testa, come per cacciare un brutto pensiero. "Io..." Rikki non lo sapeva. Non sapeva più niente. Fece ciò che il cuore le disse. Si alzò sulle punte, per arrivare all'altezza dell'orecchio del ragazzo li con lei e sussurrargli un "Grazie", per poi lasciare un dolce bacio sulla guancia di quest'ultimo. Andò svelta in camera sua ad infilarsi le scarpe. Poi scese dalla finestra e corse fuori dal giardinetto di casa Clifford, correndo nell'unico posto che conosceva. Andò al parco di Calum, così lo aveva chiamato. Non passò dalla panchina, ma salì direttamente sulla vecchia quercia da dove aveva visto il tramonto. Nel frattempo, Aileen si era chiusa in camera. Dopo che Rikki fosse letteralmente scappata dalle braccia di Michael,quest'ultimo pensò che fosse andata dalla cugina. "Aileen" bussò alla porta di Aileen. "C'è Rikki?" "No. Va via Michael." Implorò la ragazza. Michael non sapeva dove fosse Rikki, sapeva che quella con Aileen fosse una battaglia persa. Ma conosceva qualcuno ingrado di batterla. Luke. Michael telefonò all'amico, chiedendogli di venire da lui. E che si trattava di Aileen. Impeccabilmente puntuale, dopo mezz'ora Luke suonò al campanello. Fu Luke a bussare alla porta di Aileen. Michael gli aveva raccontato tutto quello che era successo con Rikki, e gli aveva detto anche che era preoccupato per Aileen. Michael sosteneva che le due cugine, oltre a comportamenti simili potessero avere anche reaziioni simili. Aileen non aprì la porta nemmeno a Luke, cbe cercava disperatsmente di convincerla a calmarsi e ad aprire la porta. Aileen era una tipa testarda. Luke prese bruscamente e sene andò verso l'uscita, facendo sbattere la porta di ingresso talmente forte che pure Aileen la sentì. Quello che però Aileen non sapeva, era che, come la cugina riusciva a scendere dalla finestra, Luke poteva benissimo salirci. E così fu. Pochi minuti dopo Aileen vide Luke entrare in camera sua dalla finestra aperta."Luke..." disse solo. Non se lo aspettava così stolto, il biondino. "Aileen" sussurrò Luke. Aileen si morse il labbro. Poi ando verso lo specchio e iniziò a pulirsi la faccia. Luke era dietro di lei, le mani in tasca, lo sguardo basso e vuoto. E Aileen queste cose le vedeva e le capiva. "Luke io.." "Aileen. Non sai quanto mi hai fatto preoccupare, Cristo." Era uscito come un sibilo crudele. "Scusa Luke. Sono un disastro." Si buttò sul letto. Luke le si sedettè accanto. A Luke non piaceva Aileen. Non in quel senso. Però dovette ammettere a se stesso che aveva degli occhi bellissimi. Spenti e vuoti. E tristi. Ma bellissimi. Vedere Aileen così gli fece male comunque. Vedere il viso pallido della ragazza sprofondare nelle coperte sfatte stropicciate del letto gli metteva ansia. Vederla così... "Aileen. Dimmi per quale motivo non volevi aprire la porta." Luke osservava tutto ciò che lo circondava. Sentiva che 'era qualcosa. Qualcosa di strano dietro agli occhi di quella ragazza. Si stringeva le braccia attorno alle gambe, come se così potesse scaldarsi. Nascondeva la testa tra le ginocchia. E "Non mi piace parlare dei miei." Disse. Poi si alzò e aprì la porta, facendo gesto a Luke di uscire, mimando un 'grazie' sulle labbra. Grazie ler cosa, ancora Luke non lo sapeva, non aveva fatto niente. Quando Aileen aprì la porta, non si ritrovò davanti solo Michael,come gia si aspettava, ma anche Calum e Ashton. Quando Aileen aprì la porta, le mani di Michael le afferrarono i polsi. Quando Aileen aprì la porta, Michael le chiese subito "Dov'è Rikki?".e "Non era in camera sua?" Rispose Aileen. Ma in camera di Rikki non c'era nessuno. Rikki non c'era. Michael perse la pazienza "Rikki. Lo sai dove stava Rikki mezzora fa? Al bagno. A vomitare l'anima. E sai hi c'era li con lei? Io c'ero. E tunon vuoi dirmi dove cazzo si trova?" Glielo sputò in faccia. Era uscita come una cosa cattiva, ma in realtà Michael era solo preoccupato. Non aveva però il controllo di se stesso, quando sbattè Aileen contro il muro. "Michael piantala!" Inveì Ashton. Si piazzò d'istinto tra lui ed Aileen. Ad Aileen faceva paura Michael. Nonostante tutto "io non so dove sia Rikki. E se è sparita così ci sarà un motivo. Che ti piaccia o no. Stronzo" Anche Aileen sapeva essere cattiva. Non accettava di essere trattata male. Lo avrebbe picchiato, quel maledetto. Lo avrebbe fatto, se solo Calum non avesse detto "io penso di sapere dove sia.".

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Capitolo 8
*** Don't worry, don't cry, drink vodka and fly ***


Luke era incazzato. Michael era incazzato. Aileen si sentiva in debito con Ashton. Calum si sentiva fottutamente fuori posto, in quel momento. Quando, mentre andavano a cercare Rikki, Ashton si era acceso una sigaretta, Aileen avrebbe voluto dirgli che gli faceva male, invece disse "posso fare un tiro?" Ashton glielo prestò senza problemi, quello che era il suo veleno. Pensò che fosse bello condividere la propria distruzione con qualcun altro. C'era meno peso da portare. Il fumo le si appiccicò dentro i polmoni, ad Aileen. Viaggiava dentro di lei e portava il male.' Il fumo passivo fa più male' pensò. Guardò il fumo che si disperdeva nell'aria. Di li a poco sarebbe sparito. Anche lei voleva sparire. Ringraziò Ashton con segno della testa. E poi "La mamma di Michael vi ha detto che vuole iscrivervi nella nostra scuola?" Chiese Calum. Stava percorrendo la strada del giorno prima, quella fatta con Rikki. "No.." rispose Aileen. Li si chiuse il discorso. Silenzio. E a Calum sembrava di essere tornato indietro di qualche ora, fino ad arrivare al tardo pomeriggio del giorno prima. Sembrava di stare soli. Ma anche in compagnia. Stare con Rikki, pensò Calum, era una grande contraddizione. C'era fisicamente, ma mai con la testa. Ed eccola li. La quercia. A Calum un po' dispiaceva doverla mostrare agli amici, come se quello fosse diventato il suo posto e quello di Rikki. Infatti Rikki stava li. Seduta su un ramo non troppo alto, le gambe a penzoloni e la faccia di uno che non dorme da secoli. A Calum venne una fitta al cuore. Aileen si arrampicò sull'albero senza preavviso. Quando Rikki la vide, ci rimase un pò male. Quello era il posto suo. Suo e di Calum. Era come un segreto. Ed era stato rovinato. "Andiamo... ti va?" Sussurrò Aileen. Rikki annuì. *** Passarono circa due settimane. I rapporti tra Rikki e Michael sembravano essere scomparsi, Aileen aveva invece stretto un legame saldo con Ashton e Luke. Poi arrivò quel maledetto giorno. 10 settembre. Scuola nuova, compagni nuovi, vita nuova. Aileen non era molto terrorizzata, fino a quando Ashton la prese da parte e "Voi dovete fare finta di non conoscerci. È per il vostro bene. Fidati di me." Le disse. Aileen non capiva quale fosse il problema ma alzò le spalle e andò a prendere lo zaino. Karen era stata molto gentile, aveva comprato a lei e Rikki zaino libri e vestiti nuovi. Persino un nuovo telefono. Tutto ciò che adesso dovevano fare, era sembrare normali. "Le persone normali mi spaventano." Aveva detto Rikki e "anche a me " aveva risposto Aileen. Quel giorno la strada era deserta. Dovevano solo arrivare alla fermata del bus, che stava all'inizio della via. Rikki si fissava le vans nere con fare assorto, Aileen pensava solo alle larole di Ashton. Perchè avrebbero dovuto fare finta di non conoscerli? Dopo aver preso il pullman scesero davanti alla scuola. Seduti sul muretto c'erano Calum e Luke.Stavano fumando. Aileen e Rikki gli passarono davanti, e i ragazzi non le degnarono di uno sguardo. Ad Aileen diede fastidio. Rikki aveva un aria strana, quella mattina, e quando "Rikki va tutto bene?" Chiese Aileen "Si." Rispose fredda e distaccata Rikki. Dopo le prime tre ore, fu un disastro. Durante la ricreazione Aileen girovagava senza meta nei corridoi osservando le persone, lsggendo il grigio nelle loro anime e la noia nei loro occhi. Nel corridoio dell'ala est delseco do piano, Aileen vide tanta gente ammassata in un unico punto. Era troppo curiosa, la mora. E quel 10 settembre Aileen firmò la sua condanna. In mezzo al cerchio ci stava un ragazzino magrolino, del primo anno forse. Stava a terra, con il sangue che gli colava dal naso. Imponente, era invece la figura di un tizio alto e moro. Gli occhi neri come la pece. Era la causa del sangue del ragazzo a terra. Aileen non sapeva chi fossero o che classe frequentassero, ma leggeva negli occhi del ragazzo a terra la disperazione. La disperazione la aveva vista negli occhi di Rikki. E in quelli di sua madre, se lo ricordava bene. Era molto caldo. Sua madre le stava sistemando la magliettina, riempiendola di stupidi complimenti, come si fa coi bambini di cinque anni. Era molto caldo. Uscirono di casa. Il caldo ti faceva sudare. A Perth non c'era molta gente quel giorno. Suo padre non aveva fatto a tempo a vederlo. E in un certo verso era meglio, perche quando quei colpi lo presero alle spalle,centrando il suo cuore, sua madre si mise a correre. Ma presero anche lei. Aileenaveva ricordi orribili, indelebili, tatuati a vita nella mente, e quando gli occhi di sua madre si erano spenti del tutto, un azzurro come il suo, ma privo di vita. Sua madre le sorrise le disse che le voleva bene e che sarebbe stata una vita felice quella di Aileen. E poi tutto si era spento. Aveva visto la vita scivolare via dagli occhi di sua madre. E poi, l'orfanotrofio. Aileen si intrufolò tra la folla, senza pensarci due volte. "Che fai?" Chiese al bullo. Gli occhi di Aileen erano due fessure. Le sue parole un sibilo. E tra la folla, Luke. Luke che era stato li a guardare fino ad allora, vide il ragazzo prendere Aileen per le spalle e sbatterla a terra. Odiò Aileen, in quel momento, perchè sapeva che si sarebbe rialzata. Se le sarebbe fatte dare all'infinito, di botte, finchè qualcuno non si sarebbe fatto avanti. Il nome del ragazzone che la stava picchiando? Liam, lo chiamava la gente. Che fosse quello il suo vero nome, Luke non lo sapeva. Non voleva intervenire, Luke, perchè avrebbe messo ancora più nei guai Aileen e Rikki. E non voleva fare ciò. Aileen le aveva prese fante volte. Ma mai quanto Rikki. Odiò con tutta se stessa gli umani. I mostri che la circondavano. I mostri sono umani. C'erano trenta e più persone li ammassate e nemmeno una si era fatta avanti, nessuna aveva protestato. "E tu che cazzo vuoi?" Gli aveva risposto il ragazzo. Aileen sapeva essere molto cattiva. Con lo stupore della gente li intorno si alzò in piedi, di nuovo e "Non ti vergogni?" Chiese al ragazzo. Aileen odiava tante cose, tra queste, le persone arroganti. E, quando con arroganza il bullo disse "Vai a piangere dalla mammina, stronza" Aileen non ci vide più. "Mia mamma non la devi nemmeno nominare." Sussurrò la mora a denti stretti, prima che le sue nocche colpissero la guancia del maledetto li davanti, e il suo ginocchio i piani bassi. Anche Aileen, sapeva picchiare. Solo non le piaceva darle. A Luke spuntò un sorriso, nel vedere Liam piegarsi a metà dal dolore, e "Aileen,basta" disse, facendosi spazio tr la folla, afferrando il polso della ragazza per portarla via. A quel contatto il viso di Aileen si tramutò in una smorfia di dolore.E quando "Che hai?".le chiese Luke, "Nulla" rispose Aileen. E pensò che le sarebbe piaciuto, pef una buona volta, che non ci fosse davvero stato nulla. *** Era passato un mese, dall'avvenuto. Aileen si era solo beccata due giorni di sospensione. Luke on le aveva più parlato da allora. La mora passava molto tempo con Ashton, aveva notato Rikki. Quella notte, qualcuno bussò alla sua porta. Quando la aprì Rikki fu sorpresa nel non ritrovarsi davanti Aileen, bensì, Michael. Aveva uno sguardo timido, quella sera. Si fece da parte. Michael entrò, chiudendosi la porta alle spalle. Il tempo sembrava esseresi rallentato. Ogni movimento veniva scandito dalle lancette dell'orologio. Ogni pensiero sospeso nell'aria crollò, quella notte. Accadde di tutto, in quella stanza. Ma non accadde niente. Niente fino a quando Michael non si sedette sul letto di Rikki e "Devo dirti una cosa" affermò. Rikki si accomodò al centro del letto. Di solito in quella stanza, quando Aileen non c'era, Rikki si sentiva spesso sola, ma quella volta, quella notte, perchè era solo l'1 a.m.,era tutto più soffocante e stretto. In quella stanza erano troppe, due persone in quel momento. Le emozioni volavano sopra le loro teste, si divertivano ad attraversarli e a lasciargli un vuoto nel cuore, portandogliene via un pezzo. Prima o poi si sarebbero distrutti, quei due. Michael lo aveva notato,in lei, in Rikki. Aveva notato in lei qualcosa di strano. Da quando la aveva vista vomitare aveva sempre pensato. He qualcosa in lei non andasse. Si chiudeva per ore in bagno. Parlava poco negli ultimi mesi. Non dormiva mai. Così Michael prese un respiro e "Rikki, perfavore, dimmi che ti sta succedendo." Michael si aspettava di tutto, pianti, urla, singhiozzi. Ma tutto ciò che la ragazza dagli occhi verdi disse fu "Niente. Non succede niente. Va tutto bene". "Non mentirmi. Puoi fidarti di me. So che c'è qualcosa." Mormorò il ragazzo dai capelli colorati di rosso. Come il fuoco, pensò Rikki. Quello che davvero Rikki si chiedeva, era dove volesse arrivare Michael. "Cosa intendi?" Chiese allora. "Guardati Rikki. Guardati allo specchio. Cristo, avrai perso cinque chili dalla prima volta che ti ho vista. Dormi pochissimo Rikki. Ti vedo, alla sera, che scendi dalla finestra. E non parli mai. Nemmeno a scuola. Che ti succede Rikki? Lo vuoi capire, che mi sto preoccupando per te?" Lo disse, Michael. Michael. Il ragazzo che Rikki credeva di conoscere, perchè anche lui aveva dei segreti. Tutti hanno dei segreti. E per Michael fu dura dire tutto ciò, anche perchè nel corpo, quella sera, aveva solo adrenalina. Lui doveva sapere. Doveva capire quella ragazza dagli occhi verdi come i suoi, solo un po' più scuri. Erano un mi, tra il verde e l'azzurro, piccole chiazze marroni qui e li. Rikki si alzò e si diresse verso lo specchio. Michael la vide contemplare il suo riflesso. Aveva gli occhi lucidi, quella notte. Rikki tornò a sedersi sul letto. Si guardarono. "Se io ti dico che cosa ho." Iniziò Rikki "Tu mi dirai qualcosa su di te?". Michael cercò di distogliere lo sguardo. Ma gli occhi di Rikki erano come calamite. "Va bene." Rispose. *** Aileen e Ashton erano ad una festa. Ci erano andati a piedi. Aileen aveva gia buttato giù un paio di bicchieri di vodka quando Ashton le aveva detto di smetterla. "L'alcool non è la soluzione" le aveva detto. Aileen lo aveva guardato come un estraneo. E ne aveva bevuto un altro, di bicchierino di vodka. Ashton scosse la testa e con fare paterno la allontanò dal banco degli alcolici. Aveva promesso a Karen - e a Luke- che la avrebbe riportata a casa sobria. O non ubriaca marcia. "Datti una calmata, Aileen" ringhiò il ragazzo con la bandana. Aileen rise. In mezzo a tutto quel fracasso della discoteca, Aileen rise. Ma non. perchè era ubriaca In mezzo al casino nella sua testa, inmezzo ad un miscuglio di pensieri, pensieri pesanti come roccie,Aileen rise. Ma non perchè era ubriaca. Aileen rise. Nel mezzo delnulla in cui stava. Nel casino in cui viveva, Aileen rise. Ed Aileen era completamente sobria. E questo Ashton lo capì, unendosi alla sua risata. Ed ora erano due a ridere. E poi "Ti manca?" Le domandò Ashton. Aileen conemplò il suo viso, illuminato dalle luci psichedeliche. "Chi?" Chiese. Le luci si riflettevano sui capelli color della pece di Aileen, donando ad essi di riflessi colorati che ad Ashton piacquero. "Luke." Mormorò. Aileen sapeva che Ashton parlasse di lui, ma glielo aveva chiesto comunque. Non le sevì, infatti, sentire la risposta di Ashton. "Non so se mi manca. Quel maledetto non mi parla dal mese scorso" proferì Aileen. "Ti piace?" Chiese allora Ashton. "No" gli rispose Aileen. "Ma si, forse mi manca." Si strinse nelle spalle. "Solo che, il maledetto è stato il mio primo amico dopo circa 12 anni." Prese un respiro profondo "12 fottuti anni, Ash. 12 fottuti anni senza un maledetto amico. Poi arriva quel coglione di Luke e mi fa affezionare. Poi se ne va, dopo che ho preso a calci nei coglioni quel tizio li, Liam." Aileen chiuse gli occhi. Cercava di cancellare l'immagine di Luke che le sorrideva dalla mente. Non è che non voleva ammetterlo ad Ashton. Non voleva ammetterlo a se stessa: Luke le mancava troppo. Ashton le strinse la mano. Era calda, quella di Ash. Era fredda, quella di Aileen. Alcune leggi della fisica affermano che mettendo a contatto due corpi di diversa temperatura quello più caldo trasferisce calore nell'altro, finchè le temperature non si stabiliscono. Quella volta le mani di Ashton trasferirono il loro calore a quelle di Aileen. La musica era cambiata. La voce di Ed Sheeran li accompagnò per quei minuti durante i quali le mani di Ash catturarono un pò del male di Aileen e quelle di Aileen un pò del bene di Ash. And I'm thinking 'bout how people fall in love in mysterious ways Maybe just the touch of a hand E sto pensando a come la gente si innamora in modi strani A volte, solo sfiorandosi le mani. E si stavano solo tenendo per mano. E ad Aileen parve così strano. Stava bene, davvero. E il che non lo voleva accettare. Era fottutamente sbagliato. Così, con gli occhi che pizzicavano lasciò la mano di Ashton e corse al banco degli alcolici. Altri due bicchieri di vodka le pizzicarono alla gola. Lo reggeva l'alcool, Aileen. Ma quella notte la vista le si era offuscata. Forse per la vodka. Forse per le lacrime. E quella notte Aileen si rese conto, un pò brilla, di stare sbagliando tutto. *** Luke si era chiuso in camera. Aveva totalmente ignorato sua madre. Il suo nome era Noel. Aveva un sogno che la riguardava. Ma lei non sapeva chi fosse Luke. Non davvero. A scuola tutti avevano più paura della sua presenza piuttosto che delle botte di Liam. Liam. Aveva picchiato Aileen, quel bastardo. "Cazzo..." imprecò Luke. Si era perso troppe volte negli occhi grigi di Noel che si era scordato di Aileen. Non voleva telefonarle. Conoscendo la mora, lo avrebbe preso a bestemmie. Un messaggio, le scrisse. Sono un mostro. -L Tre parole, le scrisse. Ma quella sera la risposta non arrivò. Passò circa un ora da quando Luke aveva inviato il messaggio. Prese la chitarra, il biondo. Dopo tanto tempo. Pizzicò le corde. Non se le ricordava così. E poi i suoni uscirono naurali. Her name is Noel I have a dream about her She rings my bell I got gym class in half an hour Oh how she rocks In Keds and tube socks But she doesn't know who I am And she doesn't give a damn about me Cause I'm just a teenage dirtbag baby Yeah I'm just a teenage dirtbag baby Listen to Iron Maiden baby with me Her boyfriend's a dick And he brings a gun to school And he'd simply kick My ass if he knew the truth He lives on my block And he drives an Iroc But he doesn't know who I am And he doesn't give a damn about me Cause I'm just a teenage dirtbag baby Yeah I'm just a teenage dirtbag baby Listen to Iron Maiden baby with me Yeeah dirtbag, no she doesn't know what she's missin Yeeah dirtbag, no she doesn't know what she's missin Man I feel like mold It's prom night and I am lonely Low and behold She's walking over to me This must be fake My lip starts to shake How does she know who I am And why does she give a damn about I've got two tickets to Iron Maiden baby Come with me Friday, don't say maybe I'm just a teenage dirtbag baby like you Yeeah dirtbag, no she doesn't know what she's missin Yeeah dirtbag, no she doesn't know what she's missin. *** In quanto a Calum, lui stava seduto su una panchina. Come tutte le altre sere. Sulla sua panchina, difronte all'albero di Rikki. Non era completamente andato,quella sera, nonostante la sigaretta mezza fumata in mano. In realtà, aveva fatto solo un tiro,Calum. Era finita per autocombustione, quel veleno. Fece un altro tiro e poi buttò il mozzicone a terra. Non passava mai nessuno di li. C'era un fottuto silenzio, quella notte. Quello dei passi fu il primo rumore che sentì di lei. Correva. I capelli rossi furono invece la prima cosa che vide. Correva. "Lasciami!" Gridò lei. "Te lo scordi, troia" era una voce conosciuta, quella. Glielo aveva raccontato, Luke, di come Liam la avesse picchiata, Aileen. Calum si alzò in piedi e si diresse lentamente verso quel maledetto bastardo di Liam. "Lasciala stare." Esordì Calum."Sennò, Hood?" Chiami la tua amichetta? "Payne, ho detto di lasciarla stare. È la mia ragazza,quella, non una troia del centro." Azzardò Calum. Lanciò un occhiata alla ragazza che non aveva mai visto prima, della serie 'stai al gioco'. La ragazza si nascose dietro Calum. "Va bene, Hood, hai vinto. Ma se poi la biondina lo scopre sono cazzi." Proferì Liam, prima di andarsene. "Grazie.. emh" iniziò la ragazza. I capelli marroni parevano luminescenti sotto la luce dei lampioni. "Calum." Le disse il suo nome. "Grazie Calum. Io sono Silvia " disse. "E quello è un coglione." Concluse Calum. Come se dopo quella battuta la frase avesse trovato un senso. E Silvia sorrise. Poi se ne andò, lasciando a Calum un bigliettino con il numero di telefono. E lasciandosi dietro un buon profumo di lavanda e miele. E Calum si accese un altra sigaretta, ma, questa volta, la fumò tutta.

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Capitolo 9
*** In the blood ***


Tutto ciò che Rikki aveva detto a Michael era "Hai ragione." Poi era di nuovo silenzio. "Potrei sapere quanto pesi?" Aveva azzardato Michael. Rikki non rispose. Durò sin troppo tempo, quel silenzio. Poi RIkki chiuse gli occhi. "Quaranta" mormorò. E non disse più niente, non dissero più niente. Era passato poco tempo, quando Michael si alzo dal letto e fece per andarsene, poi, sulla porta, "Sei bella Rikki. Solo che non te ne accorgi.". E si chiuse la porta alle spalle. Rikki non dormiva. Non quel giorno. Le aveva sentite quelle parole. Michael aveva detto che lei era bella. Vi era solo un pizzico di amarezza, Rikki si chiese perchè non glielo avesse detto in faccia. Forse mentiva. O forse aveva solo paura. Ma di cosa? Forse lei e Michael non era o poi cosi diversi, forse entrambi avevano paura. Paura di amare, paura di non essere amati. Solo che Michael aveva sua madre e Ashton, e Luke, e Calum. E lei non aveva nessuno. Rikki era sola, aveva Aileen, si. Ma erano legate nel sangue. Non dormì più, quella notte, la ragazza dai verdi occhi spenti. *** Ashton la prese dai fianchi prima che cadesse e "forse è meglio che torni a casa" disse. Aileen annuì, ed insieme uscirono da quel posto che puzzava di alcool, fumo e sudore. Ashton la prese per mano, il passo della ragazza era traballante. "È bella, quella canzone" disse Aileen "quale?" Chiese Ashton. Ne aveva sentite tante, di canzoni. "Quella che fa... People fall in love in misterious way..." inziò Aileen. " si è molto bella" affermò Ashton. Camminarono in silenzio per un po'. "Ash." "Aileen" "Lo sai che ti ubriacherei solo per sapere cosa pensi di me?" Lo disse Aileen. Era abbastanza lucida per capire cosa stesse dicendo, ma troppo brilla per pensare alle conseguenze. "Non servirebbe." Le rispose Ashton. Aileen lo guardò. Gli occhi della mora parlarono chiaro. Cosa pensi?, dicevano. "Aileen. È difficile. C'è un motivo se ti ho chiesto di starci lontana a scuola. Tu sei una persona fantastica, Aileen. Ma è troppo pericoloso, non voglio che tu soffra ancora. Io sono una persona sbagliata per te. E per Rikki. Sei arrivata a Sydney e le prime persone che hai conosciuto sono quelle che dovrebbero essere state le ultime. Non posso dirti di volerti bene,Aileen. Sarebbe troppo poco" Ashton guardava dritto davanti a se. "Ma non posso nemmeno dirti di amarti, sarebbe sbagliato." Ashton deglutì. Aileen osservava ogni suo movimento. "E...?" Sussurrò la ragazza "E, si, io penso di essermi innamorato di te, Aileen Lilith Black. Ti amo più di ogni altra cosa. Ed è per questo che ti avevo chiesto di starci lontana,a scuola almeno. È pericoloso e..." Aileen gli si piazzò davanti. "E anche penso di esserlo" Gli disse, poggiandogli una mano sul petto, osservando la camicia a quadri del ragazzo, osservando i suoi riccioli biondi ribelli alla luce dei lampioni. "E non mi interessa se è sbagliato. La vita è fatta di sbagli. E io ho già fallito, Ashton. Non mi interessa adesso, preoccuparmi se sto facendo giusto o meno. Tu mi fai stare bene,amo il tuo sorriso. Io amo te. E il resto del mondo può anche fottersi." Aileen piantò le sue iridi blu in quelle color nocciola di Ashton. Aveva paura che Ashton pensasse che gli stesse dicendo tutte quelle cose perchè era ubriaca. Ma Aileen sapeva benissimo quello che stava dicendo. Aspettò che Aston le dicesse qualcosa. Un sei ubriaca che non arrivò, perchè "Allora falliremo insieme" mormorò Ashton. Non era un film. Nemmeno un libro o una canzone. Si erano detti ciò che provavano, avevano messo in chiaro i sentimenti. Ciò non significava che stessero insieme. Avrebbero rovinato tutto, un disastro erano, quei due. Parlarono per tutto il tragitto, come fossero dei semplici amici. C'era silenzio, per le strade di Sydney. C'era un casino, nella testa di Aileen. "È stato bello." Affermò Ashton, davanti al cancello della casa di Michael e "Già" rispose la mora. Poi Aileen scavalcò il cancello e, arrampicandosi dalla finestra tornò in camera sua, e con tutti i vestiti addosso, si buttò sul letto. E con tutti i pensieri, si addormentò. L'ultima notte tranquilla le preservò solo incubi. *** A Rikki il tormento scorreva nel sangue. Era un tormento cieco e senza scrupoli, il suo. Erano ore che fissava il vuoto, seduta sul letto. Da quando Michael se ne era andato, non riusciva a stare tranquilla. Pensò al suo passato, divise i ricordi belli da quelli brutti. Cercò di schiarirsi le idee al meglio possibile. Michael le aveva detto che era bella. Nonostante si sforzasse, non riusciva a guardare il suo riflesso e trovare qualcosa di bello. Il viso? Troppo ovale. Il naso? Troppo aquilino. Le labbra? Troppo sottili. Gli occhi? Troppo spenti? Il fisico? Troppo grassa. Il seno? Troppo piccolo. Le lacrime? Quelle scendevano sempre, anche ora. Rikki aveva sofferto più di Aileen. Aileen aveva avuto un breve periodo tremendo. Rikki tutta la vita uno schifo. Aileen aveva esaurito le lacrime e si era promessa di spaccare il culo a tutti quelli che la avessero ostacolata. Rikki stava ancora strisciando, e se provava ad alzarsi, la vita le tirava frustate. E lei era ancora giù. Rikki stimava Aileen. Era felice di essere andata a cercarla. Forse si, stavano maledettamente sbagliando, erano fuori pista. Ma una volta tanto Rikki se ne fregò, e così indosso una giacca sopra i pantaloncini e la maglia che usava come pigiama, e scese dalla finestra, alla ricerca di un certo Harry. Ce la aveva buona la roba, quel tipo. Appena i suoi piedi toccarono terra, Rikki notò la figura di Aileen assieme ad un altra, Ashton, a giudicare dall'altezza. Si nascose dietro ad un cespuglio. Osservò la snella figura della cugina scavalcare il cancello e arrampicarsi fino ad entrare nella sua finestra. Aspettò che Ashton se ne andò, e poi uscì anche lei, alla ricerca dello stronzo che sarebbe stato la sua rovina. Edward, si faceva chiamare dai clienti. Ma era Harry, il vero nome. Harry Styles. *** Viveva a Sydney da un mese, Silvia. Teoricamente sarebbe dovuta andare a scuola sin da subito, ma non ne aveva proprio voglia. Così aveva promesso a sua madre che se la avesse iscritta a Novembre si sarebbe impegnata fino ad uscire dall'anno con 9. Solo un anno ci sarebbe stata, in quella scuola. Poi suo padre sarebbe dovuto andare a lavorare in Brasile. E quello sarebbe stato il dodicesimo trasferimento della sua famiglia. Lei ne era stufa. Sperava di tornare a Milano, la sua amata Milano, città dove era nata. Quella nottata Silvia la aveva passata a ringraziare Dio per avergli mandato quell'angelo dal nome di Calum. Avrebbe denunciato Liam. Peccato che non sapeva per cosa. Corteggiamento esagerato? Silvia poggiò la testa sul cuscino, le cuffie nelle orecchie, la voce di Ariana grande, la sua cantante preferita a cullarla. Era come se le stesse dicendo, sulle note di one last time che tutto sarebbe andato per il meglio, che il prorio angelo custode, si è destinati ad amarlo, prima o poi, che queste erano anime gemelle, anche se di gemello non vi era molto, considerato che quello che ne uscì fu solo un grande casino. Un casino degno del timbro di Silvia Eleonora Tomlinson. *** "Hood, mi sta scoltando?" Tuonò la voce del prof di matematica. Calum alzò la testa e con fare annoiato, mettendosi comodo sulla sedia "si" rispose. Qualcuno soffocò qualche risata, guadagnandosi un occhiata di fuoco da parte del moro. "Vuole spiegare lei al signor Hood di cosa stavamo parlando, signorina Harisen?" Domandò l'uomo sulla sessantina a Rikki. Che poi tanto una domanda non era, dato che glielo stava ordinando. Rikki non sapeva rispondere. Non stava ascoltando. "Io... non lo so" disse freddamente, piantando i suoi freddi occhi verdi in quelli del professore. "Bene. Signorina, fossi in lei mi impegnerei un po' di più piuttosto che passare il tempo a osservare la gente con un'espressione affranta per attirare qualcuno." Sputò il prof. Gli occhi di Rikki erano risotti a due fessure. Con estrema lentezza, fissamdo sempre il professore negli occhi, la bionda si alzò dal suo posto, facendo strisciare la sedia sul pavimento provocando un suono fastidioso che fece venire i brividi a tutti i ragazzi in classe. Andò verso la porta. " Harisen torni qui ora." Disse il professore, allora Rikki si girò e gli alzò il dito medio, prima di aprire la porta e andare spedita verso i bagni. Quello che però Rikki non sapeva, era che quel maledetto insegnante sarebbe stato la sua rovina. *** Calum non avrebbe mai pensato che Rikki fosse stata capace di alzare il medio ad un professore. Involontariamente sorrise e "che hai da ridere Hood?" Lo riprese subito il professore. "Oh nulla prof. Solo che... ommiodio. Quella ragazza è um fottuto genio" Il professore sbattè fuori dalla classe il moro. Ciò che voleva Calum era proprio quello. Così girovagò un poco in giro per i corridoi, alla ricerca della bionda. Calum ripensò alle parole del professore e pensò che era stato uno stronzo a dirle a Rikki. Proprio a lei no. Michael diceva sempre che Rikki era morta dentro e che voleva farle riavere la vita che aveva perso. E quella volta, in quel corridoio desolato, durante un'ora di noiosa lezione, Calum Hood decise che Michael aveva ragione. Ma ora c'era lui, non Michael. E poi, quando, per puro caso Calum sentì dei singhiozzi soffocati provenire dal bagno delle ragazze, con un triste sorriso si disse che forse quella di Rikki non era riservatezza ma tristezza. E le due cose sono diverse. Pensò Calum, prima di entrare nel bagno. Appena entrò una ragazza stava uscendo da uno dei bagni. Questa lo guardò allibita. Calum la fulmino con lo sguardo e le fece segno con la testa di sparire e lei obbedì. Tutti facevano così, in quella fottuta scuola. Rikki era seduta a terra, le gambe magre contro il petto e lo sguardo perso. Lei era persa. Dove, Calum questo ancora non lo sapeva. "Che guardi?" Le chiese, lasciandosi scivolare con la schiena attaccata al muro, accanto a lei. Rikki sbattè le palpebre, come se si fosse appena ripresa da uno stato di trans, e "A niente" rispose seccamente. In realtà Rikki era sorpresa. Non si sarebbe mai aspettata che Calum entrasse nel bagno delle ragazze per lei. Per lei. "Non dire le bugie." Rikki strinse gli occhi. Di solito erano verdi. Un bel verde scintillante, di una tonalità accesa, ma privi di vita. Ora erano un verde torbido. Il silenzio che si era creato era così vuoto che si potevano sentire i cuori di Rikki e Calum battere. Rikki non disse niente. "Ascoltami almeno, se non vuoi parlarmi." Le disse Calum. Rikki lo stava ancora guardando. Impassibile. "Io... io ci ho pensato su. E penso che tu abbia bisogno di qualcosa. O qualcuno. Insomma, hai bisogno di vivere, di divertirti. Sta sera usciamo. Ti porto in un posto" "Okay." Rispose solo Rikki. Era contenta, si. Ma non voleva dimostrarlo. Era una cosa che le veniva da dentro. "Ma ora, dato che non vuoi dirmi che ti è preso, direi che è ora di andare." Calum si alzò e porse la sua mano a Rikki, che scosse la testa. "Non ci vengo alla prossima ora." Affermò Rikki. "Perché, scusa?" Chiese Calum stranito. Le ore di ginnastica erano le più belle. Rikki scosse la testa. "Mica ti vergognerai della divisa sportiva?" Sorrise Calum. Rikki pensò che il sorriso di Calum era bello. E i suoi occhi neri altrettanto, anche se erano spesso duri. Ma Rikki sapeva tante cose. E sapeva anche che Calum non era cattivo come le persone credevano. Il sorriso del moro si spense, quando la ragazza alzò le maniche della sua felpa, lasciando intravedere gli avambracci. "Non dirlo a nessuno" Calum fece per protestare ma "promettimelo" inveì Rikki, una lacrima amara le attraversò la guancia. "E tu promettimi che non piangerai mai più" le sussurrò il ragazzo, asciugandogliela, quella maledetta lacrima. Rikki sorrise. "E ora che farai? Hai il viso sporco di trucco e lacrime e poi mi chiedi di non dire niente a nessuno" Rikki lo guardò. "Trucco, appunto." Mormorò, tirando fuori dalle tasche un correttore e una matita per occhi. Calum la guardava mentre si sistemava il trucco nel piccolo specchio del bagno. E pensò a quanto fosse facile nascondersi dietro una maschera. A quanto fosse difficile strapparla. A quanto fosse difficile essere se stessi, sempre. E nemmeno lui era se stesso. Perché lui non era cattivo, era solo falso. Mica come Ashton. Lui si che lo poteva essere, cattivo. Solo più tardi si accorse che Rikki lo stava guardando con un sorriso compiaciuto. E "Non sei cattivo." Disse. E "Vorrei capire cosa pensa la gente, come fai te. Vorrei capirti." Mormorò il ragazzo. Rikki si avvicinò. "Non c'è bisogno di capirmi. Sarebbe come volare senza ali. Impossibile." Calum sorrise. "Grazie, Calum Thomas Hood" Sussurrò Rikki. "Non c'è di che, Rikki Amelia Harisen" rispose Calum. Forse fu quel giorno, mentre si avviava per i corridoi, che Rikki capì che quel ragazzo, che fino ad un minuto prima aveva considerato la sua salvezza sarebbe stato la sua rovina.

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Capitolo 10
*** mistakes ***


"Non la devi nemmeno nominare, lei" ringhiò Luke. Gli occhi azzurri come il cielo d'estate erano di un azzurro turbolento, ridotti a due fessure. Era un tormento, quel ragazzo. Noel non sapeva nemmeno di chi parlasse, nella sua affermazione. Forse era pazzo, pensò. Era uscito dalla classe come una furia e aveva inchiodato Liam al muro. Si era creato un gruppo di gente che voleva una rissa, e lei si era trovata li in mezzo. Odiava Liam, e Luke le incudeva uno strano timore. Ma non poteva permettere che Luke picchiasse Liam. Quella volta, quel giorno di fine ottobre che pareva come tanti Noel decise che sarebbe uscita dall'ombra. Cosi, quel giorno, dopo aver preso un gran respiro, Noel si avviò a passo spedito, ma contemporaneamente un poco incerto, verso Luke e Liam. Quanto fossero uguali e quanto diversi quei due, Noel non lo sapeva. Sapeva però, che Liam era un grande stronzo. Lui la ignorava e faceva finta di niente, ma lei li ricordava, i lividi. Anche la settimana prima. I pugni e calci erano come tristi storie che vivevano sulla sua candida pelle. E poi l'agonia con cui la picchiava. Come se fosse uno sfogo personale. Eppure per quanto timida e piena di rancore fosse, Noel, la cui più grande capacità era l'uso delle parole, andava a salvare le palle al suo fratello adottivo. Si fermò davanti ai due ragazzi. Vide l'odio negli occhi azzurri di Luke e uno spesso strato di strafottenza in quelli marroni di Liam. Le batteva forte il cuore. Stava per parlare quando "Sparisci troia" inveì Liam. Luke la guardò per un'attimo, e Noel notò che i suoi occhi si schiarirono per un secondo. Poi tornarono torbidi. L'agonia e il tormento tornarono in superficie, più forti di prima. E forse fu proprio quello a spingrre Noel a ribellarsi all'ordine del fratellastro. A parlare. E quella volta fu la prima volta che Luke la sentì, la voce di Noel. "Perfavore. Lascialo stare. La violenza non è la soluzione, potreste semplicemente parlarne come persone civili..." Luke allentò la presa, come se le parole di Noel fossero un ordine. Appena Luke lasciò Liam, quest'ultimo gli tirò un pugno sul volto, pronto a tirargliene altri. Noel prese il braccoo del moro, tentando di fermarlo. Era scarlatto, il sangue di Luke. Colava denso dal naso, macchiando il viso del biondo, rovinandone l'immagine. E, anche se gli colava sulle labbra e sul collo, Noel pensava che Luke fosse carino comunque. E si maledisse per questo. "Brutta figlia di..." Liam si interruppe, forse notando che dicendo troia alla madre di Noel, lo avrebbe detto anche alla sua di madre. "Tu devi startene al tuo posto Cristo. Non devi immischiarti nei cazzi miei" ringhiò Liam, e "stavo solo cercando di salvarti le palle, idiota" ribattè decisa Noel, avviandosi dalla parte opposta del fratellastro, verso Luke. E quando Luke vide la ragazza dai capelli ramati avviarsi verso di lui, il suo cuore smise di battere per un attimo. Le dita affusolate della ragazza dagli occhi grigi si chiusero attorno al polso pallido del biondo e "vieni con me, ti ripulisco la faccia" sussurrò la ragazza, tirandosi dietro Luke, facendosi spazio tra la folla. Noel sapeva che a casa le avrebbe prese, per ciò che aveva fatto. Ma faceva ciò che era giusto. *** "Ti sto mettendo nei guai" proferì Luke, guardando fisso negli occhi Noel. E "non mi interessa. E scusa ancora. Mio fratello è un gran coglione. E io sono Noel" Luke la guardò. "Liam è tuo fratello." Distolse lo sguardo, che subito si perse nel nulla "E io che cervavo di capire chi fosse a procurarti quei lividi sulle gambe e sulle braccia." Noel tacque. " li ho notati a ginnastica. Mi avevano invaghito." La ragazza dagli occhi grigi non parlò. "Scusa. Ma non posso permetterti di andare a casa, oggi. Ti picchierà. E io non voglio" aggiunse Luke. Noel alzò le spalle. Ormai era un'abitudine. Il dolore fisico era il minore dei suoi problemi, ora. Ma apprezzava ciò che diceva Luke."non importa, davvero" disse dopo un po'. "Ormai..." orami è un'abitudine, voleva rispondere; ma "Ti va di uscire?" Chiese Luke. Noel lo guardò negli occhi. Si prese tutto il tempo per osservare gli occhi di quel ragazzo. Azzurri come il cielo al solstizio d'estate. Si prese tutto il tempo per realizzare che Luke Hemmings le aveva chiesto di uscire. Tra tutte le ragazze, lei. Lei. Luke Hemmings. Luke, il ragazzo dagli occhi color del cielo, il ragazzo per cui Noel aveva una cotta segreta da quando aveva 14 anni. E nemmeno Liam lo sapeva. Liam, che la obbligava sempre a dirgli tutto. E poi "Okay." Rispose, facendo comparire sul viso del ragazzo un sorriso mozzafiato, spaccato da un piercing nero sul labbro inferiore, che lo rendeva davvero molto attraente. Ma nonostante tutto Noel aveva ancora paura di Luke. Ma quel giorno era coraggiosa, la ragazza. Quel giorno Noel capì che forse Luke non era poi così cattivo come sembrava. Forse. *** Piede destro. Piede sinistro. Piede destro. Piede sinistro. Lo aveva visto da lontano, Ashton, nei corridoi. Aileen osservava concentrata i suoi passi. Piede destro. Piede sinistro. E anche Ashton la aveva vista, Aileen. Quando lei le era passata accanto indifferente lui le aveva afferrato il polso, con leggerezza, per attirare la sua attenzione. E lei aveva alzato la testa sorpresa. Gli occhi blu guizzarono da una parte all'altra, alla ricerca di qualche scusa per scampare al "possiamo parlare?" di Ashton. Lei annuì mordendosi il labbro. "Ascolta Ash.. riguardo a ieri io.." Ashton la interruppe con un gesto della mano. "Ieri sera non eri ubriaca" affermò lui, infilandosi le mani in tasca. Aileen arrossì violentemente. "Emh... ecco, se le cose che hai detto ieri sera erano vere" negli occhi color nocciola del ragazzo si accese qualcosa di quasi magico, pensò Aileen. Speranza, forse. Ma Aileen pensava che fosse qualcosa di più grande. "Ecco... io ieri ti ho detto che ecco..." era nervoso. E Aileen non avrebbe mai immaginato che lui potesse esserlo. "Ti ho detto che era tutto sbagliato. Ma ripensandoci, non me ne frega un cazzo" ridacchiò, come se l'utilizzo di una parola volgare in un discorso quasi serio potesse tranquillizzarlo. Aileen era rimasta seria, gli occhi blu lo incitarono a continuare. "E ti ho detto che avremmo fallito insieme. Ehy, io ci ho pensato. E ho deciso che sono disposto a fallire. Odio tutto ciò, è tremendamente imbarazzante e..." sul volto di Aileen si fece spazio un piccolo ghigno divertito, che si trasformò in un gran sorriso quando il ragazzo con la bandana disse " mi piacerebbe, se lo vuoi, che tu diventassi la mia ragazza" Aileen sorrideva. E le veniva strano, perché sentiva che sarebbe stato un fottuto errore mettersi con Ashton. Ma di errori Aileen ne aveva fatti tanti, troppi. E uno in più non avrebbe cambiato molto. Quella volta, nel caos generale dei corridoi scolastici, aileen comprese che forse era davvero disposta a perdere tutto, pur di stare bene, di essere felice. E già tutto lo aveva perso, quando era scappata dall'orfanotrofio con Rikki. Sydney era stata una piccola isola dove approdare in un oceano di sconfitte. Ma nessuno le vietava di rimanerci per sempre, in quell'isola. E forse lo avrebbe fatto. Si sarebbe stabilita nel suo nuovo porto sicuro. Li sarebbe rimasta. E così "Si." rispose solo, sorridendo. E allora Ashton si accorse di come era vero quel sorriso, di come non si era accorto di come fossero finti gli altri. Ma che importava, ora ci era riuscito, a farla sorridere. E andava bene così. Andava bene un abbraccio al posto di un bacio, purché fosse vero. E l'abbracvio in cui si strinsero quel giorno, era forse il più vero che Aileen aveva ricevuto, e che Ashton aveva dato. Ed era bello. E andava bene così. A volte si, la felicità vive dietro l'angolo. Oppure ad un'isolato dalla tua nuova casa. *** Michael e Rikki avevano la lezione di geografia insieme, come quasi tutti i corsi. A Michael andava bene. Rikki era li, ed era okay. Ma, seppure i suoi capelli sembrava avessero preso la scossa, sparati per aria com'erano, e colorati, molto colorati, non era stupido, il ragazzo. Michael aveva capito subito il casino che era Rikki, da quando gli aveva sfiorato la spalla, quella sera, per chiedergli dove fosse il bagno. Da quando la aveva vista vomitare, e da quando la aveva vista piangere. E forse no, a ripensarci, non andava affatto bene così. Rikki era uno splendido disastro. I tratti spigolosi di un viso indurito dai pensieri, le labbra serrate di una persona che vorrebbe dire tanto, ma che alla fine stava zitta. Gli occhi pieni dell'odio verso il mondo stronzo. E si, coi capelli biondi sciolti che le ricadevano sulle spalle, a testa alta, Rikki andava avanti. E Michael la guardava da lontano, inerme. Sensa sapere da che parte incominciare. E anche quel giorno il ragazzo dagli occhi di un verde quasi trasparente, la osservava da lontano. E quel giorno realizzò davvero quanto fosse pericoloso quel disastro. Quanto fosse pericoloso e splendido, al medesimo tempo. Ma a lui andava bene. Mentre camminava verso la classe di geografia qualcuno metteva il piede nella traiettoria dei passi di Rikki, che giocava nervosamente con il piercing all'orecchio, presa da qualcosa, persa nei suoi pensieri. La aveva saltata, l'ora di ginnastica, Rikki. E poi Rikki inciampava, provocando le risate di tutto il corridoio, sul piede del bastardo che le aveva fatto lo sgambetto. E Michael era un anima in pace con se stessa, ma con la rabbia che ribolliva dentro. Le catene attaccate ai jeans di Rikki, che rendevano il suo uno stile decisamente punk, tintinnarono per terra, in un suono metallico. Forse durò un secondo, il tempo in cui Rikki giaceva a terra, ma a Michael parve così lungo, mentre gli si avvicinava. E subito Rikki era di nuovo impiedì, impegnata a sistemarsi le maniche del maglione, fino alle mani. E faceva caldo, in Australia, in quello che pareva un normale inizio autunno. E uno "sparite bastardi" rieccheggiò nei corridoi, sputato con amarezza dalle labbra rosee di Michael, mentre scrutava la bionda davanti a se, come per controllare che stesse bene. Nel corridoio calò il silenzio, e ognuno si diresse nella propria classe. Rikki e Michael si sedettero vicini, a geografia. E mentre la prof spiegava i vari strati terrestri Rikki scrisse 'grazie' su un foglio di carta e lo passò al ragazzo accanto. 'E di che?' Scarabocchiò lui. Una grafia spigolosa. 'Ti voglio bene" scrisse Rikki, mordendosi il labbro, come se avesse paura che il ragazzo li accanto non ricambiasse quel semplice sentimento. Ed era così, perché 'e io ti amo. Bel casino." scrisse Michael. E poi quel pezzo di carta veniva voglia di stracciarlo, a Rikki. Perché nessuno poteva amarla, le avevano insegnato i suoi genitori, perché lei era un disastro, un casino, e portava solo guai. E a Michael piaceva cacciarsi nei guai. *** Sembravano spighe di grano sotto un cielo d'autunno, le cicatrici che Rikki portava sulle braccia. Spighe di grano mosse dal vento, tutte orientate nella stessa direzione. Ogni spiga, un peso al cuore, pensò Calum. E chissà quanti pesi aveva Rikki da togliersi, ancora. Era in ritardo, doveva andare a prendere Rikki. Un po' dispiaceva, a Calum, di non averle dato libertà di scelta quella sera, ma infondo voleva solo farla sorridere, Rikki. E così, quando la vide uscire di casa, con un gran sorriso le riferì che prima di andare in un posto bello sarebbero dovuti passare in un posto. Erano le sei di sera, e i negozi erano ancora aperti. "Resta qui" il sorriso Calum lo aveva sempre, e Rikki si chiedeva come facesse. Passarono venti minuti, e Calum uscì dal negozio di abbigliamento. "Ma cosa?" Chiese la bionda e "lo scoprirai" rispose Calum. L'aria scomigliava i capelli dei due giovani, nella decappottabile del padre di Calum. "Mi dispiace, Cal, non volevo tirarti demtro nel mio fottuto inferno" sospirò Rikki, osservando il viso del ragazzo, concentrato sulla strada. "Non è colpa tua. Sono io il coglione invadente. E poi mi ha fatto piavere che tu abbia condiviso con me una parte di te, mi hai mostrato una realtà che non ricordavo esistesse, e mi hai fatto capire, soprattutto, che le persone sono maschere e che non ti dicono sempre tutto, che i problemi se li tengono per se, che bisogna capire chi ti sta intorno... e davvero, una volta tanto, vorrei vederti sorridere. E non voglio obbiezioni su ciò che ti proporrò di fare." Il modo di parlare di Calum ti prendeva dentro, la sua voce ti obbligava ad ascoltarlo. E Rikki assaporò ogni sua parola. E il sole era basso in cielo, quando Calum parcheggiò vicino ad una baia. Il posto era bello, ma Rikki non ebbe il tempo di osservarlo bene, perché Calum la prese per mano e la trascinò sino ai camerini del lido li vicino e "hai cinque minuti. Non accetto obiezioni" disse, piantandole in mano il sacchetto con il quale era uscito dal negozio. Una volta dentro al piccolo camerino, Rikki aprì il sacchetto e vu trovò dentro un costume da bagno e uno di quei bellissimi vestitini da mare che tutte le ragazze indossavano per andare in spiaggia. E poi un biglietto, una calligrafia ordinata, l'oppoato di quella di Michael. Come le margherite, senza petali non si è un fiore. Senza difetti non si è umani. E Calum era stato davvero dolce. Il costume era blu, semplicemente un bikini. Il vestitino era azzurro, le spalline sottili, lungo fino alle ginocchia. Le dava leggerezza, a Rikki, pensò Calum. Quando Rikki uscì dal camerino il moro sorrise soddisfatto, spegnendo la sigaretta che stava fumando nella sabbia. "Vieni?" Disse, indicando la spiaggia. Rikkinsi vergognava. Si sentiva fottutamente nuda, senza i suoi pantaloni e le sue felpe larghe. E Calum questo lo notò "Va bene così, Rikki. Non sei sbagliata, anzi." Mormorò. A Calum non piaceva Rikki, però era sua amica e lui voleva bene ai suoi amici, a tutti e tanto, e avrebbe voluto vederli sempre felici. Rikki mosse un passo, i piedi nudi a contatto con la sabbia tiepida. Camminarono in silenzio fino ad arrivare abbastanza vicini all'acqua da potervi scrutare dentro, ma abbastanza lontani che i vestiti e che Calum si stava togliendo, rimanendo in costume, e il sacchetto con i vestiti si Rikki non potessero bagnarsi. Calum aveva diversi tatuaggi. "Non ti chiedo di rimanere li impiedi tutta la sera" scherzò Calum, sedendosi sulla sabbia. E poi "È bello il tramonto, qui" Rikki si sedette accanto a lui e "È un altro dei tuoi posti speciali?" Chiese, mentre il sole all'orizzonte si tuffava nell'oceano blu. Il cielo azzurro con diverse sfumature arancioni lasciava spazio al blu della notte, le stelle iniziavano ad accendersi, la luna faceva il suo ingresso nel cielo Australiano, riflettendosi nell'acqua salata. E "è il nostro posto segreto" rispose Calum. La luna gli illuminava i capelli e il viso. " ti conviene toglierlo, quello" aggiunse poi il moro, indicando il vestito di Rikki "è ora di fare il bagno." Rikki era terrorizzata dal fatto di dovere enteare in acqua, ma non disse nulla. Tutto ciò le ricordava i suoi incubi... ma di Calum si fidava. E così si tolse il vestito, abbandonandolo sulla spiaggia. L'acqua era fredda. Ma non come Rikki. L'acqua ti avvolgeva e ti portava giù. E Rikki stava cercando di non cedere alla tentazione di lasciarsi affogare, seppure l'acqua non fosse profonda. "Perché mi hai portata qui?" Chiese curiosa Rikki. Calum la guardò. Si guardavano. Poi Calum scrollò le spalle e "in realtà non lo so. Forse perché è un posto bello. E perché si può parlare tranquillamente." Rikki guardò Calum e co prese che vi era qualcosa sotto "e cosa devi dirmi?" Domandò lei. Poi disse una parola, una fottuta parola, che bastò per fare capire a Rikki dove stava l'errore. Lo aveva sussurrato. Il vento si era portato via quel suono ma era palese che lo avesse detto. "Michael" aveva detto e Rikki si mise le mani nei capelli "merda" sussurrò.

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Capitolo 11
*** Meet you is like a dream ***


Non se lo sarebbe mai aspettato, Noel, di potere uscire con Luke. In realtà non si sarebbe nemmeno immaginata che lui le parlasse. Si sistemò i capelli, davanti allo specchio. Non si era mai vista brutta, solo che vivere nell'ombra si quello che era suo fratello la aveva consumata dentro. Andava bene così. Luke la aveva semplocemente invitata ad uscire per sdebitarsi con lei. Non per altro. Scese le scale e si ritrovò davanti suo fratello, in tutta la sua altezza. "Dove vai, troia?" Sibilò. La trattava sempre così. Da quando la loro madre se ne era andata suo padre lavorava di più per mantenerli e quindi non era mai in casa. E Liam la trattava sempre così. Noel non rispose, solo lo guardò dritto in faccia, con aria di sfida. Lo fissò a lungo ed intensamete, osservò quei due ocvhi marroni che appartenevano a quel mostro. Sembrò passare moltissimo tempo, prima che "Esco." Affermò convinta Noel. Liam le aveva chiesto con chi usciva e "cazzi tuoi?" Aveva risposto Noel. Il ragazzo alto e moro dagli occhi spenti le tirò uno schiaffo in pieno viso. "Regola numero tre" le parole che Liam scandiva lentamente sembrarono bruciare sulla pelle di Noel."non rispondere male. Tu sai cosa ti potrebbe accadere." Noel si passò la lingua sulle labbra. La preoccupazione cresceva in lei. "Ma..." stava per dire che c'erano solo lei e Liam in casa, quando dalla porta della cucina uscirono due ragazzi. Alti, da far paura, in confronto alla bassa statura di Noel. Terribilmente attraente era uno dei due. Occhi azzurri, sguardo spento, capelli biondi e carnagione chiara. Niall Horan lo chiamavano. E l'altro invece, occhi verdi e capelli ricci e marroni, tanti tatuaggi, era un tipo famoso. Harry, detto Edward, Styles. Quello ne aveva vista di roba. Teneva in mano una sigaretta che sapeva di erba. Ormai era un odore abituale, quello. Fumo, alcool e droga, la religione di suo fratello e dei suoi amici. Un ghigno divertito si formò sulle labbra del biondo. "Mi dispiace Noel, ma gli ordini sono ordini. Non possiamo permetterci che tu vada in giro a spifferare cose troppo private." Disse, afferrandole il polso. "Lasciami, ti prego." sussurrò, la ragazza appena Niall si chiuse dietro la porta della sua stanza. "Cosa credevi che facessi, altrimenti?" rispose ovvio "Non dono Harry, io." precisò subito dopo. Il tono era diventato ad un tratto più dolce. La ragazza dagli occhi grigi non parlava. Osservò il biondo aprire la finestra e farle segno di scendere. Noel si affacciò dal davanzale e guardò giù. Era tutto così tremendamente alto. Deglutì a fatica e scese lentamente dalla finestra. Odiava il fatto di avere le vertigini. *** Ashton non voleva dire a Luke di essersi messo con Aileen. Sicuramente avrebbe disapprovato, si sarebbe arrabbiato. Era in autobus con Aileen, quel pomeriggio. Era palesemente nervoso, e Aileen sembrava averlo notato, perché "Che hai?" chiese dolcemente. Non si aspettava che quella ragazza potesse essere tanto dolce. Scosse la testa e cerco di rilassarsi, invano. Aveva troppi segreti, ma non voleva confessare niente ad Aileen, non voleva perderla. Non voleva che lei si arrabbiasse. O semplicemente rimanesse delusa. La amava troppo, e non avrebbe potuto accettare che lei lo lascasse a causa delle sue stupide dipendenze, stronzate che si fanno a quindici anni, stronzate che ti tiri dietro per tutta la vita, fino a crepare. Ashton era felice si, ma stava davvero in pace con se stesso solo quando era sballato. In quel momento gli sarebbe servita una fottuta striscia di coca, o anche solo una canna. Aveva bisogno di sballare, di disconnettere il cervello, di staccarsi da quel maledetto mondo. Aileen gli stringeva la mano. Era fredda. La strinse più forte, come per rassicurarla, anche se in quel momento era lui ad avere bisogno di un appoggio. E li accanto c'era Aileen. Ashton non credeva in Dio, ma quella volta, quell'appoggio, quella stretta di mano, quella ragazza, per una volta, sembravano stare al posto giusto, nel momento giusto. L'autobus frenò bruscamente dopo quelle che sembrarono ore. I due ragazzi scesero dal veicolo e continuarono la loro passeggiata fino al bar, dove ordinarono due birre. Ai tavoli fuori non c'era nessuno, tranne un uomo sulla cinquantina, circa sei tavoli più in là. Il vento di un caldo ottobre australiano scompigliava i capelli di Aileen, che cercava di sistemarli. Ashton pensò che era buffa. Quando arrivarono le birre, Ashton osservò Aileen berne un sorso, lentamente, poi appoggiare il bicchiere sul tavolo ed intrecciare le dita sotto il mento. Si fissarono per un po', fin ché "non so cosa tu abbia, oggi. Sei distaccato e il che è preoccupante. Ma sappi che per qualunque cosa io ci sono." Era una cosa estremamente dolce e bella. E Ashton sorrise, sorrisero. Ashton le raccontò di come quando era piccolo avesse involontariamente fatto cadere un vaso di ceramica in testa al suo gatto. Aileen rideva, cercando di immaginarsi un piccolo Ashton con la bandana. Durante tutto il racconto, e per quasi tutta la loro permanenza al bar, Aileen si sentiva osservata. Finirono le birre. Ashton aveva insistito per pagare lui. Poi andarono via, e la tensione che poco prima schiacciava Aileen scomparve. Camminarono per un po' le dita intrecciate, senza dire niente, ancora una volta il silenzio era tutto. La mente di Aileen viaggiava, ricordi, storie, amicizie e vecchi amori. Tutto il suo passato le gridava di ritornare, tornare a Perth e vivere tra i ricordi. Gli occhi vuoti di sua madre, quelli sarebbero stati sempre nella sua mente, anche se era passato tanto tempo, anche se era un vecchio ricordo sbiadito, era sempre lì, a torturarla nelle notti rese insonni dagli incubi, nei momenti in cui pensava. E anche allora, quegli occhi erano li. Anche Ashton pensava. Erano così vicini, ma così distanti, separati da un oceano di pensieri. Ma la vita andava avanti, e loro, di perdersi nei pensieri, non ne avevano tempo. *** Michael aveva bisogno di Rikki, ma evidentemente Rikki non aveva bisogno di Michael. Era presa da qualcosa, in quel periodo, lo aveva notato, Michael. Erano a cena, quella sera, lui, Rikki, Aileen e sua madre, Karen. Gli unici rumori erano quelli delle forchette nei piatti, il gorgoglio dell'acqua che veniva versata nei bicchieri. Aileen ribadiva ogni sera che lei e Rikki sarebbero potute anche andare a mangiare fuori, per non recare disturbo, ma alla fine stavano sempre li. Il silenzio durò fino a che " domani devo partire. Starò via per tre settimane, devo lavorare per un servizio in africa." annunciò Karen. "okay." disse solo Michael. E nessuno osò fiatare più, il tono di voce calmo e trattenuto di Michael metteva una certa soggezione. Finito di mangiare Aileen insisté perché Karen andasse a preparare le ultime cose e andasse a riposare. Poco dopo cacciò dalla cucina anche Rikki e Michael, che si ritrovarono nel salotto, la porta appena sbattuta in faccia. Michael perse un colpo quando "Mi fai compagnia?" chiese timidamente Rikki. guardando in basso e "okay" rispose Michael. Andarono in camera di Michael, Rikki era fermamente convinta che la sua fosse opprimente. Rikki si rese conto, solo dopo aver varcato quella soglia, di quanto fosse preciso Michael, nel mantenere l'ordine, cosa che da un maschio non si aspettava. Poi si disse che era una considerazione scema, anche Dylan era preciso. Scacciò quel pensiero e si sedette sul letto, incrociando le gambe. "Stai tranquillo. Non ti mangio!" esclamò divertita. Era strano vedere Michael intimidito, un po' a disagio. Il loro contatto visivo durò pochissimo. Michael aveva distolto lo sguardo. Rikki si guardò attorno, alla ricerca di qualcosa di interessante da fare. Poi il suo sguardo cadde su una chitarra. "La sai suonare?" chiese la bionda. Michael afferrò lo strumento e si sedette accanto a Rikki, sul letto. Le dita di Michael pizzicavano veloci le corde, una melodia dolce riempì l'aria. E Rikki sorrise, nel riconoscere quella melodia. Che a Rikki piacesse quella canzone era troppo poco, quella era la sua canzone preferita. Rikki sorrise, mentre Michael cantava. Aveva una bella voce. I miss you, I miss you... Quando la canzone fu terminata Rikki applaudì "come facevi a sapere che era la mia canzone preferita?" chiese, stringendo Michael. Non voleva farlo soffrire, però aveva bisogno di un abbraccio, e anche Michael. E Rikki si odiava per questo, per il suo essere bastardo. Ma era così, non poteva farci niente. Michael sorrise. L'abbraccio sembrò durare ore, poi Rikki si staccò e la magia, per Michael finì. Si guardarono negli occhi, verde nel verde, i loro visi erano vicini, i loro respiri si mischiavano tra loro. Michael ne aveva baciate tante, di ragazze. Ma quando Rikki annullò la distanza che li separava, a Michael sembrò come la prima volta. Non se lo aspettava Rikki, che il paradiso fosse un posto sulla terra. "scusa" sussurrò a Michael, dopo essersi staccata dalle sue dolci labbra. Michael la abbracciò. E rimasero così per molto tempo, fin ché Rikki non si addormentò. Michael decise allora di lasciarla a dormire nel suo letto, andando lui nella stanza di Rikki.

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Capitolo 12
*** Rikki ***


Era tutto buio, anche se c'era una finestra aperta, dalla quale si vedeva la luce, era tutto buio. come se la luce si spegnesse, al posto che filtrare in quella stanza. Si guardava intorno, Rikki. Quel fottuto buio, non era poi così tanto buio. Non v'era luce, ma Rikki ci vedeva comunque. Era come un brutto ricordo, vedere quella mensola piena del tutto che la ragazza aveva, ma così maledettamente vuota. Era inquietante, il rumore dei cardini della porta che scricchiolava, la finestra che sbatteva leggermente, fogli di carta sulla scrivania, un pezzetto di carboncino sbriciolato sopra un foglio. L'orma di una mano. Un'ombra scura. E quando anche dal naso iniziava ad uscire del sangue scarlatto, allora e non prima, suo padre se ne andava, lasciandola sola, in quella stanza buia, lasciandosi alle spalle l'odore di alcool. Rikki si svegliò di colpo, tra le lenzuola di un letto che non era il suo, l'odore di Michael che le inondava le narici. Era solo un altro sogno, un altro ricordo che affiorava di notte, un altra tortura. I grandi numeri rossi sulla sveglia digitale segnavano le sei del mattino. Era un altro giorno, uguale agli altri. Si alzò dal letto, notando la chitarra di Michael ancora appoggiata a terra. La osservò. Le sarebbe piaciuto imparare a suonarla, ma suo padre non gliene aveva mai comprata una, di chitarra. Ripose quella di Michael al suo posto. Erano le sei. E in quel momento aveva bisogno di qualcosa che la facesse stare meglio. Afferrò il telefono e si calò dalla finestra. Rikki sapeva bene che in quel momento Harry era sveglio. E sapeva anche dove trovarlo. E infatti era lì. Il moro dai capelli ricci era lì, con la schiena appoggiata al muro imbrattato di un edificio in una piccola e desolata via della città di Sydney. Fumava, Harry. La bionda sapeva bene che quella che stava fumando il riccio non era una semplice sigaretta. L'odore di erba le penetrò nelle narici, quando le si avvicinò. "ebbene?" La voce di Harry era roca. "Secondo te?" A Rikki pareva ovvio il motivo per cui era li. "okay, okay , ma calmati." rise Harry. Era già fatto alle sei di mattina. Rikki si disse che lei era stupida quanto Harry. Oltre che ad essere una grande stronza. Rikki stava davvero bene solo in quei casi. Si sentiva infinitamente stupida, sapeva di avere un metabolismo debole, ma non le interessava. Aveva smesso di vomitare dopo mangiato da qualche settimana, e ora se ne stava li, con una canna tra le dita, ad aspettare qualcosa. Voleva bene ad Aileen, certo. Ma nessuno sapeva tutti i casini in cui si era cacciata, tutte le bugie che aveva detto, anche ad Aileen, e a volte si sentiva in colpa per questo. Rikki, capelli biondi e occhi verdi, carnagione pallida e un sorriso falso. Rikki era una stronza. E questo lei lo sapeva. Quel giorno, maledetto, non era andata da Aileen perché le serviva qualcuno di vero, al contrario, scappava. Troppi debiti. Doveva scappare per forza. Non aveva abbastanza soldi per saldare i debiti con Dylan. Troppa droga. E al diavolo il metabolismo debole, il corpo di Rikki aveva retto anni di coca, maria ed eroina. E si, per quanto potesse avere sbagliato, per quanto potesse essere stronza, era ancora li, a farsi una canna. Non lo faceva spesso, però lo faceva. E le serviva qualcuno a cui dire tutto, qualcuno che non fosse Aileen, qualcuno che non si sarebbe arrabbiato con lei, qualcuno che la avrebbe assecondata. Rikki era tutto tranne che cosciente del male che gli avrebbe fatto, a Michael. E Michael? Michael si sarebbe lasciato distruggere.

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Capitolo 13
*** Hey ***


La aveva baciata. Ashton la aveva baciata, sotto le stelle, vicino al mare. " Vedi che se vuoi, riesci a sorridere?" Le luci dei lampioni gli illuminavano il viso, in quella che non era una semplice notte come tutte le altre, la stessa luna. le stesse stelle, lo stesso cielo. Una notte come tante altre, una notte speciale per Aileen. Come era speciale anche il ragazzo di fronte a lei. All' affermazione di Ashton Aileen aveva sorriso di più, ma non era riuscita a dire niente. E in quel mare di errori, ce ne erano due che avevano trovato la loro correzione. " E Ash, qual è il tuo sogno?" chiese la mora, i capelli scompigliati dal vento. "Aspiro a diventare qualcuno nel mondo della musica, sogno di passare la mia vita con la persona che amo" Sorrisi, erano tanti sorrisi e poche parole, quelle che bastavano per capirsi fino in fondo. Ed era il silenzio a regnare fino a quando "mi chiedo cosa ci trovi in me" domandò Aileen, dopo un po'. Ashton si girò a guardarla, come se avesse appena detto la cosa più idiota del mondo. "Mi spieghi, Aileen, perché pensi che sei brutta, o che non sei all'altezza? Per me sei una meraviglia, un piccolo angelo caduto dal paradiso. Sei all'altezza molto più di altre persone. Perché tu hai la forza di alzarti la mattina pensando 'oggi deve essere un giorno speciale' che poi forse non lo sarà nemmeno, ma ci provi. Andare a scuola e confrontarsi con quelle ragazze che si credono tanto fighe, che poi non sono niente. Loro non sanno tutta la fatica che hai fatto, tutte le botte che la vita ti ha dato, ma che comunque, nonostante tutto i sei rialzata. Perché a loro basta schioccare le dita e hanno tutto. Tu invece devi faticare e guadagnartelo. E per me è questo che rende una persona bella. Non i capelli pettinati, i vestiti firmati e all'ultima moda, i muscoli tutti pompati e la maglietta sopra l'ombelico per farsi notare. La bellezza sta nella ragazza che odia mettersi in mostra, che nonostante sia a pezzi, fa di tutto per far sorridere gli altri. Che ha pianto tutta la notte, ma si sveglia con il sorriso. Tu, in poche parole, tu. Tu che ti guardi allo specchio e pensi 'io non sono niente'. Ma tu sei qualcosa. Tu sei bellissima, così come sei. Sei il mio angelo da proteggere. E io ti amo." Ad Aileen scese una lacrima. Era dolce il suono delle parole di Ashton, e fu proprio in quel momento che i colori grigi e sbiaditi di Aileen ripresero vita. E lui era il centro di tutto, perché lui la amava, e lei amava lui. Perché era la sua ancora e il suo oceano. Perché si amavano. *** Non se lo aspettava, Silvia, di trovarsi nella stessa scuola. Nella sua stessa scuola. E come fili che si intrecciano, eccoli, loro, di nuovo sulla stessa strada. Si erano fissati negli occhi, una specie di sfida, a chi distoglieva prima lo sguardo, marrone nel nero. Alla fine lo sguardo di Calum era troppo da sostenere. Si sentiva in debito con lui. E questa cosa non le piaceva affatto. Era stata la prof di geografia a dirle di sedersi accanto a Calum, altrimenti lei non lo avrebbe mai fatto. "Hey, ci si rivede" le disse il moro, dopo un po', senza nemmeno guardarla in faccia. "ci sta guardando." sussurrò invece lei. Non aveva pensato al fatto che Calum potesse aver dimenticato quello che era successo diversi mesi prima. "Chi?" chiese il ragazzo. "Liam. ci sta guardando" lo ridisse, sussurrando, e senza guardarlo in faccia, erano troppo duri, quegli occhi. Calum accennò ad un sorriso, straordinariamente bello, e questo Silvia lo vide, perché si era girata a guardarlo. "è geloso" sussurrò Calum, per non farsi sentire, ne da Liam ne dalla prof " Di cosa?" chiese la ragazza dai capelli di un incantevole rosso ramato "Di noi." le rispose il ragazzo che, Silvia notò, aveva dei tratti del viso orientali. *** Michael aveva passato il pomeriggio a tingere i capelli di Rikki. Li voleva con delle meches verdi, la biondina, e Michael aveva pensato che fosse un pretesto per passare tempo con lei, così aveva accettato. Mentre le colorava i capelli Michael si era messo a canticchiare "I miss you" dei Blink182 e Rikki si era unita a lui. Seppure fossero stonati si stavano divertendo, ed era ciò che contava. "Sei bellissima" Aveva detto Michael a Rikki, dopo avere concluso la sua opera e "anche tu." aveva risposto lei, abbassando la sguardo. Stava male, Rikki. Ma andava bene così. E avevano riso assieme, come fossero degli amici, non due estranei in balia ad una crisi sentimentale. Poi lei lo aveva baciato veloce, prima di iniziare a piangere. Le sue lacrime erano come le parole che in quel momento non poteva dire. Ma le avrebbe dette, prima o poi. Le avrebbe gridate. Michael le asciugò le lacrime. Non poteva vederla in quello stato, attacchi di improvvisa tristezza, come se ogni cosa che faceva le ricordasse un fatto avvenuto in passato. "Ehy..." sussurrò dolcemente il ragazzo dai capelli colorati "va tutto bene" Rikki lo abbracciò forte. E rimasero così, per molto tempo, seduti sul bordo della vasca da bagno, le tinte aperte sul lavandino, i pettini e le forbici in disordine, un posto così semplice, per un momento così perfetto. E "cosa siamo noi, Michael?" chiese Rikki, dopo un po' "siamo... noi, Michael e Rikki, due unicorni colorati." Rikki rise, e la sonorità della sua risata contagiò anche Michael. "Forse non siamo proprio due unicorni" sussurrò dopo un po' Rikki. "Forse siamo qualcosa di più..." "Tipo?" chiese il ragazzo. "Tipo noi." Sussurrò ancora Rikki, come se quello fosse un segreto importante. E si baciarono ancora. Calum. Era l'apice dei pensieri di Rikki. Si sentiva così affranta. Sapere di stare usando Michael, immaginare, ogni volta che lo baciava che quelle labbra fossero di Calum, e non di Michael. Ed era così maledettamente ingiusto. Ma lo faceva per lei, e, infondo, anche un po' per Michael. *** In classe, quel giorno, la professoressa di inglese non fece inglese, ma parlò ai ragazzi della. gita-studio che avrebbero fatto a Londra. Quella di inglese era una delle poche lezioni che Noel condivideva con Luke. Quel giorno, Luke le si era seduto accanto. Avevano chiacchierato un po', prima dell'inizio della lezione. Che poi tanto lezione non era. Sarebbero andati a Londra sotto Dicembre. Ed infondo, anche se a Noel non piaceva particolarmente viaggiare, era contenta, perchè, quella volta, con lei, ci sarebbe stato anche Luke. Dopo la fine della lezione, durante l'intervallo, Luke prese da parte Noel. Erano quasi amici, quei due. A Noel batteva forte il cuore, ma iniziò ad andare più veloce quando "Chi è stato?" Le chiese Luke. Nella sua voce arrabbiata, c'era anche un pizzico di dolcezza. "A fare cosa?" Aveva chiesto curiosa lei, ripetendosi nella mente che lui non sapeva nulla. In tutta risposta Lukel le alzò la manica della felpa, fino ad arrivare ad un piccolo livido violaceo vicino al gomito. "A fare questo." A Noel si fermò la voce in gola. Lo aveva scoperto. Merda. "Non devi avere paura di dirmelo. Li sistemo io, quei maledetti" aggiunse poi, il biondo. "Ma..." Noel cercava di dire qualcosa di sensato, quando fu ancora interrotta dalla voce di Luke. E nel casino generale di un intervallo scolastico come tanti, quelle parole, tre maledette parole, suonarono nitide e rassicuranti, oltre che maledettamente dolci, all'orecchio di Noel. "Morirei, per te" aveva detto Luke.

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Capitolo 14
*** sixty-six ***


Era una merda totale. Mentre la lametta scorreva sulla pelle del suo polso. Rosso, scarlatto, sangue, scendeva a fiotti, fluido. Sapeva che non doveva farlo, che era sbagliato. Che si stava distruggendo con le sue stesse meni, ma non poteva fare altrimenti. Erano come disegni. Disegni dove non si usava il carboncino, o la grafite, tempere o inchiostro. Era una cosa magica che sapeva fare solo chi aveva sofferto. Era difficile, e ci voleva coraggio. Tagli. Sangue. Lamette. Ed erano disegni segreti, quelli. Una galleria di arte e sofferenza. Di dolore. In quel momento, mentre il polso le faceva male, le voci tornarono nella sua testa. 'Errore' dicevano. 'Troia' 'bastarda' 'sfigata'. Quanto odiava, le parole. PotevanoPotevano ucciderti, ma potevano anche renderti più forte. Le stesse parole, le stesse lettere, mischiate in modi diversi, ma sempre le stesse... maledette, fottute parole. La rovina del mondo, le parole, ma anche la salvezza. E le odiava perchè erano state le parole, a distruggerla; quelle che non aveva mai ricevuto, quelle che non aveva mai detto, le bugie, fatte di parole, i segreti, le accuse, gli insulti. Tutte parole. C'è a chi piacciono le parole, che le sa usare, chi conuna parola sa tirarti su, oppure distruggerti. E poi c'era lei, che le parole le usava solo per mentire, o rovinare la gente, perché quando sarebbe andata via, le parole non dette sarebbero rimaste sospese nel vuoto, su fogli di carta. E le persone la avrebbero odiata per questo. Ma infondo, di casini ne aveva fatti tanti, uno in più o uno in meno, non sarebbe cambiato molto. Anche se la avrebbero odiata. Lui la avrebbe odiata. E Calum, più di tutti. Ma a Rikki non importava. *** A scuola, lei ed Ashton non avevano corsi insieme, perché Ashton era più grande di due anni, ma era stato bocciato, così, ripetendo l'anno, era solo di una classe avanti ad Aileen. Da una parte ad Aileen dispiaceva che Ashton fosse stato bocciato, da una parte era felice, perchè altrimenti, non sarebbero potuti andare in gita a Londra insieme. Andavano solo le 4' e le 5'. Aileen in quarta, Ashton in quinta. Durante gli intervalli, parlavano tanto. Non si sbaciucchiavano negli angoli più remoti della scuola, come facevano tutti, ma parlavano, imparavano a conoscersi. Facevano una domanda per uno. Quella volta Aileen stava parlando dei Nirvana, quando, involontariamente, giocando coi bracciali che portava al polso, ne strappò uno. Non fu il tintinnare delle perline sul pavimento a suscitare l'interesse di Ashton, bensì, l'avambraccio di Aileen. "Fanculo" aveva mormorato la mora, abbassandosi, per raccogliere quante più perline possibile. Erano palesi, le vecchie cicatrici sulle braccia della ragazza con gli occhi blu. Bianche e sbiadite, segnavano le braccia di Aileen, come il tempo che passava. E ad Ashton, che non piangeva mai, gli si riempirono gli occhi di lacrime, che però non trovarono via d'uscita, perchè li c'era Aileen, ad asciugargliele. "Dimmi quante sono..." sussurrò lui. Aileen, come sovente pensava, desiderò sparire, come il fumo di una sigaretta. Ma lei era li, solida, carne ed ossa, e cercava di non perdere la calma. Respiri lunghi ed affannati, come se quella fosse la domanda che avrebbe decisola sua sorte. Anche se proprio una domanda non era, bensì un affermazione, quella di Ashton. "Perchè vuoi saperlo?" Chiese titubante Aileen. Ashton le prese la mano, piantò i suoi occhi in quelli di lei, li scrutò, fin dentro i più oscuri ricordi, le più orribili, tristi immagini che quegli occhi, blu, profondi, bui, come l'oceano, avevano visto. E quelle parole, così semplici, irradiavano sicurezza. "Per sapere quante volte avevi bisogno di me. E quante volte non ci sono stato." Aileen deglutì rumorosamente, il sangue nelle vene aveva smesso di circolare alla sua normale velocità. Le parole le si strozzarono in gola, quando "sessantasei" cercò di dire. Ed ecco, ancora una volta, come le parole siano crudeli. Come possana, un solo numero, distruggere una persona. *** L'inchiostro scorreva veloce, quando Luke scriveva, a calligrafia ordinata Mi Piaci, Noel, su un pezzo di carta bianca. Passò il bigliettino alla compagna di banco, i capelli legati in una treccia, e la vide sorridere, e non può essere scrisse. Fu un ghigno, quello che comparve sul viso del ragazzo biondo, ornato da un maledetto anellino nero, che lo rendeva terribilmente... sexy, secondo Noel. Ne parliamo fuori. Okay? Scrisse veloce Luke, tornando ad ascoltare la prof. Odiava, biologia, Luke. Non riusciva proprio a capirla, quella materia. A Noel invece piaceva molto, come anche la matematica. Materie che a Luke non piacevano affatto. "Okay" aveva sussurrato Noel. E dopo quella semplice parola, Luke si era messo a pensare al loro 'appuntamento'. A quanto lui e Noel fossero diversi, a quanto lui dipendesse ompletamente da lei. E gli pareva strano. Così strano, e inaccettabile, che a volte si malediva di avere un cuore e dei fottuti sentimenti. Luke era perso. Nel vuoto, nel nulla. Solo una meta. Noel. Quando lo osservava da lontano, con quei suoi grandi occhi grigi. A Luke piacevano i Nirvana. A Noel Ed Sheraan. Luke adorava il nero. Noel l'azzurro. Luke si era fatto un piercing, e avrebbe fatto volentieri un tatuaggio. Noel aveva solo i buchi alle orecchie. Luke pareva un mezzo punk, a volte. Noel sembrava una ragazzina per bene. Luke era scontroso, cattivo di carattere. Noel era dolce, gentile e solare. Luke era capace di uccidere, per salvarla. Noel era capace di farsi uccidere per lui. Così opposti. Ma tutti lo sanno. Infondo, gli opposti si attraggono. E poi, alla fine della lezione, avevano parlato davvero. Era stato difficile per Luke, che aveva sempre considerato l'amore come una stupida, odiosa, maledetta, fottuta debolezza. Ma " non sai quanto odi dirle, quelle due fottute parole, ma giuro, che a te le ripeterei all'infinito." Le aveva detto e "Che parole?" Aveva chiesto lei. "Ti amo." Luke la aveva guardata in faccia, le aveva sorriso, sperando in un anche io, ma un "non..non posso, se lui lo scopre io.." aveva ricevuto come risposta. Cosa che non avrebbe mai detto, a Luke parve di sentire un crack. Il suo cuore, spezzato. Da un no. Perchè quello era un no, vero? "Chi? Ti prego, Noel, dimmelo. Io sto dalla tua parte e... e ti aiuterò, sempre.." era nervoso, Luke. Lo si capiva perchè stava insistentemente mordicchiandosi il labbro. Noel non poteva vederlo così. E "fanculo, anche io ti amo." E poi lo prese dai bordi della camicia e lo tirò a se, facendo scontrare le loro labbra insieme. Subbuglio. Lo stomaco di Luke era in subbuglio. Veloce. Il cuore di Luke batteva veloce. Amore. Era ciò che provava, senza dubbio, per Noel.

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Capitolo 15
*** Fucking draws ***


depressione[de-pres-sió-ne]; sostantivo femminile 1. Discontinuità di livello per cui una parte risulta più bassa di quelle circostanti SIN avvallamento, abbassamento: d. del terreno || d. continentali, quelle inferiori al livello del mare e che si trovano nell'interno dei continenti 2. meteor. d. barometrica, zona di bassa pressione atmosferica, area ciclonica 3. econ. Fase recessiva del ciclo economico 4. Stato caratterizzato da malinconia, senso di vuoto, caduta di ogni interesse vitale: cadere in depressione• sec. XVIII Era iniziata quando aveva quattordici anni, la depressione. Quando sua madre aveva iniziato a smettere di credere in lei, a pretendere la perfezione, ad infrangere i suoi sogni. Le piaceva disegnare tutto ciò che vedeva e che la colpiva. Spesso ritraeva le sue compagne di classe, perché lei le vedeva bellissime, alte, snelle. E lei si sentiva un nanerottolo grassoccio, in confronto. Ricordava bene come la matita scorreva sul foglio, o il carboncino le si sbriciolava in mano, macchiandola tutta di nero. Si ricordava tuti i disegni appesi in camera, i suoi progressi nel disegno. Gli occhi a volte troppo grossi, o le labbra troppo carnose, il naso troppo lungo, il sopracciglio troppo inarcato. E con il tempo, ogni disegno, ogni ritratto, correggeva il precedente, fino a creare qualcosa che pareva una fotografia. E con il tempo, si era ritrovata a ridisegnare sempre lo stesso disegno.Sempre lo stesso ragazzo, con gli stessi capelli e occhi neri, il viso leggermente paffuto, gli occhi leggermente a mandorla. Era sempre in bianco e nero, quel disegno. Pasticciato attorno con il carboncino. Sempre uguale. Senza colori, sempre con lo stesso sguardo. Sempre più bello. Sempre lui. Lo aveva visto in un museo, ad Adelaide. Era tra una folla di altri ragazzi, una scolaresca, forse. Scherzava insieme ai due suoi amici. Era anche lei li, in quel museo, a fare una visita didattica. Si stava annoiando a morte. Non le era mai piaciuto studiare, e faticava a stare attenta. Linee. Spesse o sottili, i disegni erano fatti di linee. I disegni sono finti, eppure, disegnare il ragazzo del museo, non era come fare altri disegni. Le linee parevano prendere vita. Ogni linea, bensì il disegno fosse sempre il medesimo, pareva vivere in un modo nuovo e tutto suo, ogni volta che la tracciava sul foglio. Viva. Nuova. Ogni linea portava in un posto nuovo. Ormai quel ragazzo era un ossessione. E c'era qualcosa, in quei ritratti, che la spingeva a rifarli, ancora e ancora. Il muro di camera sua si riempiva sempre di più degli stessi occhi neri, dello stesso sguardo spento, delle stesse labbra carnose. Poi un giorno, tornando a casa, trovò sua madre in camera sua, a strappare dal muro tutti i suoi disegni, e a buttarli in un sacco nero, spiegazzati, strappati, accartocciati. I volti perfetti erano deformi. Sognava di fare la pittrice, Rikki. Un lavoro semplice, ma unico, come le sue idee. Se lo ricordava, l'unico disegno che era riuscito a salvare, uno dei tanti 'ragazzo del museo' uno dei più recenti, una pallina accartocciata scappata dal sacco. Se lo era infilato nel diario, tutto spiegazzato. Da quella volta, Rikki non aveva più disegnato, non sulla carta, perlomeno. Non aveva più fatto un liceo artistico. Suo padre voleva facesse l'avvocato, non l'artista. Ma ne aveva davvero bisogno, quella ragazza, di sfogare le sue emozioni, in qualche modo. Usciva di notte, faceva pasticci, imbrattava i muri di graffiti. E sotto ognuno di questi, ci stava un segno, una margherita nera. Faceva graffiti assieme con gente che nemmeno conosceva, che con il passare del tempo la avevano tirata dentro anche in altri giri, loschi, tetri. La droga. Non ne era mai stata dipendente, ma comunque non riusciva a sostenerne i costi. Aveva 17 anni, quando aveva detto basta. Aveva pagato con ciò che poteva, poi era andata a cercare Aileen. Aveva preso il primo treno per Perth ed era scappata da Adelaide. Dalla città dove era nata e cresciuta. Dalla città che era stata la sua rovina, ma anche la sua cura. E chissà tutti i suoi graffiti, le sue margherite nere, dove stavano ora. Coperti di nuovi graffiti, probabilmente. Non era vero che suo padre la picchiava. Quella era solo un altra delle tante bugie che aveva raccontato ad Aileen, a Karen, a Calum, a Michael e agli altri. Perché Rikki era così, bastarda, e non poteva farci nulla. Se la ricordava bene, sua madre che " Non farai più un disegno fin che non andrai bene a scuola" sibilava. Era stata la cosa più cattiva che le aveva detto, distruggendo tutte le sue aspettative. Più crudele dei " Mi sembri stupida" quando guardava le verifiche di matematica. Tutte queste cose, Aileen non le sapeva. E nemmeno Michael, il suo quasi-fidanzato, nemmeno Calum o Karen. Erano ricordi che vivevano in lei, erano il suo tormento, i suoi errori. I suoi disegni sui muri, le sue opere d'arte sulla pelle. Strisce bianche, cicatrici. Ricordi. Sangue. Rosso. Scarlatto, dall'odore metallico. I dischi degli Iron Maiden, le prime canne. Erano tutte lame che la trafiggevano dentro, la torturavano, senza sosta. Musica. Salvezza. A sedici anni Rikki la musica la ascoltava anche in classe, mentre mangiava, prima di dormire. Iron Maiden, Metallica, Nirvana e AC/DC. La musica dei depressi, le grida di chi è muto. I lamenti, il desiderio di morte. Tante cose. Tormenti. Incubi. E come diceva anche Baricco in Novecento, non sei fregato veramente finché hai da parte una buona storia, e qualcuno a cui raccontarla. Era sera, perché le cose belle, vere, importanti, accadono solo di sera, quando, dopo tanto tempo, Rikki riprese in mano quel vecchio disegno. E tra lo scricchiolio della carta, un po' vecchia, Rikki si immaginò quel ragazzo cresciuto, e, si meravigliò, Rikki, dai capelli un poco verdi, di quanto quel ragazzo, sopracciglia spesse e abbastanza folte, un ghigno divertito, somigliasse a Calum. Rikki la sua storia da raccontare ce l'aveva, ma non aveva nessuno a cui raccontarla. E fu proprio quella sera, la finestra socchiusa, l'aria di novembre che smuoveva le tende, che Rikki riprese la matita in mano. Foglio nuovo, tante linee. E finalmente, dopo tanto tempo, quelle linee vivevano ancora, si intrecciavano, danzavano tra ombra e penombra. E disegnò, quella sera, Rikki. E capì, quella sera. Perché aveva disegnato lui, il ragazzo di cui era innamorata. Rikki stava nella merda più totale, divisa tra le opere d'arte sulle sue braccia, la depressione, e l'amore. depressione [de-pres-sió-ne]; sostantivo femminile Stato caratterizzato da malinconia, senso di vuoto, caduta di ogni interesse vitale: cadere in depressione. *** Stava li, seduta sul letto di Luke, a sentirlo suonare. Era così strano. Nessuno le parlava mai, le ridevano spesso alle spalle. E ora si trovava a casa del ragazzo che la terrorizzava quasi quanto suo fratello, che poi tanto fratello non era, Liam. Anche se in realtà Luke non le aveva fatto niente. Forse era la sua altezza, a turbarla, dato che lei era abbastanza bassa, o forse era il fatto che Luke potesse perdere facilmente il controllo. Ma ora era li, ad ascoltarlo suonare la chitarra, a farsi cullare dalla sua dolce voce, sulle note di una canzone che non aveva mai sentito prima, 'Teenage Dirtbag' la aveva chiamata Luke... era così dolce, la sua voce, che per un attimo, chiudendo gli occhi, a Noel parve di sognare... La verità, invece, era che lei aveva sempre avuto una cotta per Luke, da quando lo aveva visto una volta a casa sua, ad una festa di suo fratello. Aveva invitato tutti quelli popolari della scuola, e la aveva fatta sloggiare a casa di Niall. Solo che Luke era arrivato in anticipo, solo di tipo quarantacinque minuti, e così lei lo aveva visto. Quello che la aveva colpita, erano stati gli occhi, azzurri, tormentati. Un mare in tempesta, ma anche il cielo al tramonto d'un solstizio d'estate. Tante cose, in quegli occhi. Quando era tornata a casa, dopo le tre di notte, Luke era ancora li, mezzo ubriaco, rideva con suo fratello, agli insulti che proprio Liam le faceva. Ma era ubriaco. I loro sguardi si erano incrociati, lui cantava, e lei lo osservava. Osservava le sue dita pizzicare le corde, le sue labbra muoversi, il suo piede battere il tempo. Tre minuti, e la canzone era finita, tre minuti, e tutto era svanito, i suoi pensieri, i suoi ricordi, quel piccolo squarcio di paradiso. Tutto finito. Ma, sul viso di Luke, capelli biondi, tirati su un una cresta che lo rendeva ancora più alto, c'era ancora il sorriso. E Noel non se ne era accorta, ma stava sorridendo anche lei. E poi, Luke la sorprese, perché intonò le note di una canzone che lei adorava. Era la sua canzone, quella. Era la canzone. Era la sua salvezza. Give Me Love. Ed Sheeran? La sua vita. E quella canzone, suonata da Luke, non era solo la canzone, ma era qualcosa di più. Era Luke, che suonava, e che le chiedeva di dargli amore. *** Ashton era arrabbiato con Aileen. Si chiedeva perché non gli avesse detto nulla dei tagli, che non si fidasse di lui? Ma allo stesso tempo era apprensivo, perché capiva che non fosse facile per la sua piccola Aileen parlare di cose così grandi. Ma alla fine, finisce che ti schiacciano. Lei li definiva 'le parole mai dette', quelle cose che avrebbe voluto strillare, ma che la schiacciavano così tanto, troppo, da non farla respirare. Incubi. Insulti. Parole. Era stata una merda totale, per Aileen. O, almeno, così aveva iniziato a raccontare ad Ashton. "Era più o meno quando avevo 15 anni. Andavo in una scuola pubblica, e i miei compagni di classe mi trattavano sempre male, mi prendevano in giro, mi chiedevano 'dove sta la mamma?', quando sapevano benissimo come stavano le cose. Mi dicevano che in realtà non li avevano uccisi, ma si erano ammazzati, perché non volevano avere una figlia come me. E tutte queste cose facevano così male. All' inizio, piangevo e basta, accumulavo rabbia, che poi... che poi" La osservò, osservò quegli occhi così dolci, come quelli di una bambina, chiudersi per un attimo, nascondere quel blu intenso pieno di tormenti, lasciare che per un attimo i mostri che vi abitavano sparissero, cancellare le lacrime, per poi riaprirsi. " ... scaricavo su di me. sessantacinque volte, ho fatto quel fottuto errore, ma sessantacinque volte, sono rimasta viva. Poi ho smesso. Non reggevo più, sapevo di sbagliare, volevo solo sparire. Ma nonostante tutto, io sono ancora qui. E basta, ho smesso... ma... ecco, a volte, si, sono tentata di rifarlo. Ma, sono forte e..." le scappò una lacrima, ad Aileen. E subito Ashton a cancellarla. "E non lo farai più. Perché ci sono qui io, con te, a proteggerti. Sono qui per te, perché ti voglio bene e ti amo, e non permetterò a nulla di farti male." Aileen appoggiò la testa sul petto di Ashton. Non era bassa, Aileen, ma nemmeno altissima. Ashton invece sarà stato almeno due spanne più alto di lei. E pareva così piccola, fra le sue braccia. Ma era così forte, la ragazza coi mostri dentro agli occhi, la vita mascherata dal tormento, sgambetti, spintoni, cadute. La forza di rialzarsi. Questo, era Aileen. *** Si era già mangiata, si e no, una dozzina di cioccolatini, Silvia, durante la lezione. Il prof non la aveva sgamata, e ciò lasciò Calum alquanto perplesso. Se lui sbadigliava, il prof lo sbatteva in presidenza. Calum aveva scoperto che le lezioni di fisica erano le migliori per scrivere canzoni. A Calum piaceva scrivere canzoni, poi le passava a Luke, che montava la musica. Erano una squadra, quei due. Si conoscevano da sempre, e da sempre, sognavano di diventare famosi nel mondo della musica. I love that accent you have when you say hello You relocated from New York a month ago That mini van that you drive really gets me going And if it feels like it's right Then it can't be wrong Aveva scoperto che Silvia veniva dall' America, ma che era di origini italiane.Forse la stava scrivndo per lei, la canzone, forse era uscita così e basta. No one understands the chemistry we have And it came out of nowhere Yeah, yeah, yeah, yeah It's not like we planned this, it's getting out of hand And now we're gonna go there Yeah, yeah, yeah, yeah Walk my way Mrs All American Say my name No need to pretend Don't be shy Mrs All American I'll show you why You're not gonna walk away Yeah Un'altra strofa. Gli usciva così, non sapeva perché. Solo dopo si accorse che Silvia non stesse più mangiando cioccolatini, bensì stesse leggendo ciò che lui scriveva, distrattamente. "è una canzone?" gli aveva chiesto, e lui aveva annuito, guardando dritto, seduto scomposto al banco di scuola. "E come la chiamerai?" Dio, quell'accento. Così fottutamente strano, così fottutamente americano. E "Mrs. All American" rispose. Silvia ridacchiò di gusto. "Signorina tutta americana, che cosa carina" sussurrò, prima che il professore la riprendesse, sbattendola fuori dall'aula. Quanto odiava quel prof, Calum. Dopo poco, il ragazzo dai capelli color della pece, chiese di andare in bagno. In realtà, come una calamita, era attratto da quella signorina tutta americana, e non riusciva a starle fottutamente lontano. Fanculo al destino che li aveva messi nella stessa scuola.

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Capitolo 16
*** wrong kisses ***


Ancora una volta, In quel maledetto bagno, Michel tirava su i capelli biondi (e verdi) di Rikki, sussurrandole cose rassicuranti, mentre quest'ultima vomitava l'anima. Come se non se ne fosse accorto, Michael, della lenta distruzione che incombeva su Rikki. Come se non sapesse che era bulimica e quasi anoressica, come se Calum non gli avesse detto dei tagli sulle sue braccia, come se non si fosse accorto dei tanti bracciali e delle maniche lunghe, degli occhi rossi alla mattina, delle occhiaie, come se non la vedesse scendere dalla finestra durante la notte, e poi rientrare mezza fatta, come se non sentisse l'odore della droga sotto al profumo che metteva sempre, come se a volte non puzzasse di alcool. Come se per lei nessuno si accorgesse di come stava, come se per lui lei non esistesse e, per quanto potesse sembrare pazzo, un tizio dai capelli colorati dei colori più strambi che aspirava a diventare psicologo, Michael sapeva osservare e capire. E aveva capito subito che in Rikki v'era qualcosa in più. Poi si era innamorato, di lei, del suo sorriso, dei suoi occhi. Forse Rikki non ci credeva, o forse non ci aveva nemmeno fatto caso, ma, la prima volta che si erano visti, portavano la stessa maglietta, e questo Michael lo aveva preso come un segno. Ricordava l'espressione spaesata di Rikki quando era entrata per la prima volta in quella che ora era anche casa sua, l'afflizione nei suoi occhi quando si erano parlati per la prima volta, quando le aveva chiesto dove fosse il bagno, i lampi di curiosità che le illuminavano gli occhi quando lo vedeva con un nuovo colore. E tutte queste cose, a Michael, facevano impazzire. Con una mano le teneva i capelli, con l'altre le congeva la vita, per tenerla in equilibrio, mentre le piccole mani di Rikki erano posate sull'asse del cesso. Poi, fu lei a farlo, le loro dita si intrecciarono. Aveva portato la sua mano a quella di Michael che le cingeva la vita, la aveva stretta forte e si era girata a guardarlo "ci ho pensato, e ho capito una cosa". Michael deglutì rumorosamente. I suoi occhi la stqvano implorando di continuare. Il cuore batteva forte. Questo era l'effetto che gli faceva Rikki, per ogni cosa che gli dicesse, anche la più idiota. "Di solito succede il contrario, ma volevo chiederti, insomma, volevo dirti che essere la tua ragazza sarebbe la cosa migliore che potrebbe accadermi" Rikki sorrise. Nell'imprecisione di quello sghembo sorriso, il cuore di Michael si fermò, per un attimo, mancò di un battito. E allora, quello si, fu davvero, il loro primo bacio. Dolce, casto. Ma pur sempre un bacio. Rikki sapeva che Michael aveva capito tutto di lei. E, in mezzo a tutta quella fottuta merda, quando le sue labbra toccarono quelle del ragazzo li difronte, Rikki pensò che anche all'inferno, ogni tanto, ci stava uno squarcio di paradiso. E, ancora una volta, andava bene così. *** Erano calde, le braccia di Ashton, in quel momento. Era comodo il suo divano. Ashton voleva presentarle sua madre, ma in quel momento non era in casa, così si erano messi a guardare programmi idioti alla tele, mangiando schifezze e bevendo coca cola. In quel momento Ashton la stringeva a se, come un bambino stringe un peluche: per rassicurarla, e per essere rassicurata. Adorava la sua ragazza. La stimava per la sua forza, e la amava, per i suoi difetti. Ad un tratto Aileen si scansò da lui, e in quell'attimo Ashton sentì un vuoto, proprio li, al centro del petto. Si, proprio li, nel cuore. Ogni momento che passava aveva paura di perderla. Poi Ashton si ritrovò le mani della ragazza a maneggiare la sua bandana, fino a slegarla e togliergliela. I ricci ribelli gli caddero subito davanti agli occhi color nocciola, coprendoglieli quasi completamente. "Sei troppo carino, così!" Esclamò divertita Aileen. Ashton sorrise. Ed erano quelli i momenti più belli, dove il tormento spariva. Quei momenti che voleva non finissero mai. Erano solo lei e lui, lui e lei. Aileen ed Ashton, Ashton ed Aileen. Occhi blu e occhi nocciola, capelli neri e capelli biondi. Un passato fatto di tristezza, un'infanzia senza padre. Ed eccoli, due casini, due mancanze, due pezzi di un puzzle che combaciano perfettamente. Ancora loro. Due disegni diversi, due linee intrecciate. Aileen ed Ashton. E si guardarono negli occhi, come fosse la prima volta. Poi si baciarono. Brividi. Tanti brividi. Freddi. Poi la porta si aprì, rivelando una donna sulla cinquantina, capelli biondo scuro occhi nocciola, la madre di Ashton, insieme ad un uomo, all'incirca della stessa età, e a vederlo, ad Aileen venne un colpo al cuore. Stessi occhi blu, stessi capelli neri. Una piccola voglia dietro l'orecchio. Calvo. Quell'uomo era fottutamente identico al padre di Aileen. *** Non sapevano cosa fossero, Luke e Noel. Erano come il cubo di Rubik, bisognava trovare l'incastro. Noel era certa di piacere a Luke, ed era certa che lui le piacesse. Le veniva inevitabile sorriddere. Quando entrò in casa, il sorriso sparì: davanti a lei, suo fratello Liam. "Sove sei stata?" Sibilò a denti stretti. Noel tremava. Quando Liam si arrabbiava, poteva diventare davvero violento. "Io..." Noel non fece a tempo a dirlo, che si ritrovò inchiodata al muro, il viso del fratello a pochi centimetri dal suo. "Eri con lui, vero? Eri con Hemmings?!!" La accusò. Noel non capiva cosa avesse contro Luke. "Non ci devi parlare con quello." "Perchè? Che ti ha fatto?" Liam la fissò. Fissò la sua sorellastra e poi si decise a farlo. La baciò, con prepotenza, come se non ci fosse un domani. Cercava di farle schiudere le labbra, ma Noel era li, immobile. Non ricambiava il bacio, piangeva. Liam imprecò, gridandole che doveva baciarlo, ma lei scosse la testa, e, con estrema tranquillità, afferrò la borsa da terra ed uscì di casa, asciugandosi le lacrime con il dorso della mano. Dove stava andando? A casa dell'unica persona con cui voleva parlare inquel momento. Andava da Luke. *** Un gelato. Le aveva proposto di andare a prendere un gelato, ed era finita in tutt' altro modo. Cioccolato e menta, lui. Fragola e fior di latte, lei. Avevano passeggiato per il parco, chiaccherando. Andava tutto bene, finchè Silvia non rischiò di inciampare. Finchè Calum non la prese evitandole una brusca caduta. E poi avevano continuato a stringersi la mano. Era così rassicurante, quel tocco, che Calum gliela avrebbe stretta per sempre, la mano, a Silvia. In quel momento Calum decise di mostrare anche a Silvia il suo posto segreto. O, almeno, suo e di Rikki. Salirono sull' albero e parlarono, tanto. Finchè lui, tra tutti i discorsi, si avvicinò a lei e la baciò. Silvia, la ragazza quasi timida che temeva ogni tipo di relazione, contro ogni sua aspettativa, ricambiò il bacio. Ma poi "forse stiamo andando troppo in fretta" disse Calum. Ma ormai, il danno era fatto.

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Capitolo 17
*** tell me a lie ***


bugia bu·gì·a/ sostantivo femminile 1. Falsa affermazione per trarre altri in errore, di solito a proprio vantaggio, o anche per celia (più familiare e meno grave di menzogna ): dire una b., un monte, un sacco di bugie; non dico bugie, quando s'afferma una cosa poco credibile; prov. le b. hanno le gambe corte, prima o poi la verità che esse nascondono si scopre. Bugia pietosa, detta a bella posta per nascondere a qualcuno una verità dolorosa (per es. un male incurabile). 2. Macchiolina bianca nelle unghie (propr. leuconichia ), così chiamata perché si dice scherzosamente che ne venga una per ogni bugia detta. Crack, aveva fatto il cuore di Rikki, quando li aveva visti. Ma a lei non importava. Lei stava con Michael ed era felice. Era andata al parco, cercava Calum, voleva parlare un po' con lui, di lei e Michael, voleva dirglielo, perché sapeva che lui la avrebbe ascoltata. Sapeva che lo avrebbe trovato o alla panchina o all'albero. Una volta Luke le aveva confidato che il moro passava spesso il tempo al parco. Lo avrebbe giurato davanti a Dio - se solo ci avesse creduto - di avere sentito la terra tremare sotto i suoi piedi, quando li aveva visti. Erano due, Calum e un altra tipa, seduti sotto al suo albero. Il suo albero, Cristo. Era rimasta ad osservarli per un poco, mentre parlavano. Poi era successo. Lei, capelli di un colore rossastro-marrone, occhi verdi, si era avvicinata a Calum, e Calum a lei. E si erano baciati. A Rikki cadde letteralmente il mondo addosso, in quel momento. Voleva dirgli tante cose, a Calum. Voleva raccontargli del tatuaggio, spiegargli il significato. Ma in quel momento, sentiva come se Calum avesse appena profanato il loro posto sacro. Era stato un semplice bacio, a distruggerla. E questo a Rikki non andava bene. In quel momento Rikki decise che MC non avrebbe più avuto il significato che aveva, ne aveva un altro, ora. Era arrabbiata. Con Calum. Non sapeva perché, lo era e basta. Se ne andò, decisa, sapendo che se sarebbe rimasta avrebbe potuto anche strozzarlo. E, in quel momento, di sporcarsi la fedina penale, Rikki non ne aveva proprio voglia. Quante bugie, aveva detto, Rikki. All'apparenza, tutto era okay. Passava gran parte del suo tempo con Michael, e gran parte delle notti con Aileen, il loro vecchio, solito, vuoto ma rassicurante silenzio. Quello di un tempo. Quello di sempre. Era okay. Il giorno dopo avrebbe avuto un test per il quale non aveva nemmeno studiato. Erano le quattro del mattino, Aileen si era addormentata nel suo letto, da circa un'ora. Lei invece, era rimasta sveglia, torturata dai sensi di colpa. Alla fine aveva deciso che forse studiare sarebbe servito a qualcosa. Dopo un'ora di studio, cosa che per Rikki non era affatto normale, la sua mente gridava pietà. Rikki non aveva pietà di se stessa. Non voleva averla. Come quando si osservava allo specchio, il suo corpo. Le forme che non aveva, gli occhi che non avevano mai colpito nessuno, lo sguardo duro e spento. Aveva le labbra screpolate. Ma ora, amava i suoi capelli, che Michael le aveva colorato. Verde, come gli occhi di Michael. Si girò di schiena, per contemplare quel nuovo tatuaggio che si era fatta, sulla scapola. Sottili le linee che prendevano vita sotto forma di due lettere: MC. Scritte in un carattere gotico, pieno di curve e ricciolini vari. Ed era bello, quel tatuaggio, che si scorgeva attraverso la canotta, così semplice, ma così elaborato, come i pensieri che la avevano condotta da quel tatuatore, in un negozietto nella periferia di Sydney. MC . La sua cura, la sua distruzione. Non si dava affatto pietà, Rikki. Si sedette sul letto, con un quaderno e una penna nera in mano. Non si dava tregua. Era una cosa che le bruciava il petto, dentro, come un carbone ardente. Voleva gridare. Voleva piangere. Voleva che qualcuno la sentisse. Voleva anche volare, però. A Rikki piaceva l'odore dell' inchiostro. Scriveva tante parole, non sapeva a chi, ma le scriveva. Lasciava che tutto il suo dolore passasse dalla sua mente alla carta. Era la prima volta, che si sfogava scrivendo. Disegnare non le sarebbe più servito, da quando sua madre aveva infranto i suoi sogni, tutto era stato distrutto. Non ne era più capace, a dare vita a quei disegni, come una volta. Ora uno schizzo era solo uno schizzo, un disegno solo un foglio di carta. Le linee non vivevano più. La magia che Rikki creava non viveva più. Le mani tremavano, come anche il suo sguardo. In quel momento le parve di essere tornata in un incubo del passato, quando con foga cercava fra tutte le cose appoggiate sul comodino, alla ricerca di ciò che più odiava. E quelle maledette voci, ancora li, fottutamente vive nei ricordi che le inondavano la mente, insulti. Sua madre che le strappava i disegni sotto agli occhi, la gente del giro che le ricordava di quanto era in debito. Immagini. Suoni. La stavano torturando, uccidendo. E quello che successe, non fu solo che un altro gesto avventato, come nel passato, veloce, deciso, senza pensarci due volte, perché ogni ripensamento poteva essere letale. E tutto ciò che voleva in quell'attimo, era non avere risentimenti. E poi era qualcosa di impensabile, il modo in cui si sentiva, quando capiva. E lo capiva in un modo lento, ciò che aveva appena fatto. Prima vedeva. Vedeva il sangue scendere lento, rosso e scarlatto da un piccolo taglio. Lo osservava scendere, senza fermarsi. Poi lo sentiva. Il bruciore tipico di un taglio profondo, che ormai non faceva neanche più di tanto male, ma c'era. Ed era lì, a ricordargli quanto fosse stupida. Poi si accorgeva di tenerla di nuovo tra le dita, quella fottuta lametta. E quando piangi, con quella in mano. E quando piangi, mentre il sangue scende da un altro taglio, che sia il primo, il secondo, il trentesimo o l'ultimo, già lo sai, che quella è la fine. Sei. Sei era il numero delle punizioni che Rikki si era inflitta quella sera. Aveva deciso che anche quella volta la sua cura e la sua distruzione sarebbero vissute sulla sua pelle, un'altra opera d' arte. MC. Lo aveva inciso sulla pelle, forte e profondo, così tanto che semplicemente aveva dovuto avvolgere una garza sul polso. MC viveva su di lei, una cosa bella, come il tatuaggio, ma anche dolorosa, come quei tagli. Quei fottuti tagli, che sembrava la trascinassero, ogni maledetto giorno, sempre più giù. *** Labbra rosee, viso pallido, gli occhi di un angelo a cui hanno tagliato le ali. Aileen pareva così, in quel momento, ad Ashton. Mille, sarebbero stati modi, per capire che nella sua testa, frullava qualcosa di maledettamente contorto. Ashton le strinse la mano, mentre lei era occupata a scrutare quella che era sua madre, e quello che era il compagno di sua madre. Ashton odiava quell'uomo. " Ashton! Quante volte ti ho detto che..." sua madre stava già sbraitando, quando "lei è Aileen, la mia ragazza" annunciò fiero Ashton, i capelli spettinati. Aileen sorrise, nel sentire quelle parole, e strinse più forte la mano del suo ragazzo. Ora poteva pensarlo, poteva dirlo, che era fidanzata, che aveva un ragazzo. La madre di Ashton sorrise, quel tipo, il compagno di sua madre invece, stava fissando Aileen in un modo che ad Ashton fece saltare i nervi. Poi "Aileen... quanto tempo" disse, allargando le braccia. Ashton si girò a fissare Aileen, e "lo conosci?" chiese. Aileen fece per parlare, quando l'uomo la abbracciò. A quel contatto, Ashton, vide la propria ragazza sgranare gli occhi ed allontanarsi da lui, con gli occhi pieni di lacrime. Si nascose dietro alla schiena di Ashton. Ad Ashton piaceva l'idea di doverla proteggere. "Certo che mi conosce" affermò l'uomo. Brian, Brian era il suo nome. Ma Ashton non lo aveva mai chiamato per nome, in realtà non lo aveva mai sopportato. Corrugò la fronte, Ashton. Seguirono degli strazianti attimi di silenzio. Silenzio durante il quale Ashton sentì la testa di Aileen appoggiarsi alla sua schiena, un singhiozzo soffocato. "sono suo padre" disse ovvio, dopo interminabili secondi Brian. Ashton si girò verso Aileen e "ma non era..." deglutì. "è quello che credevo anche io" le disse lei, lo sguardo offuscato dalle lacrime. "Posso abbracciare mia figlia o prima devo chiederti il permesso, ragazzino?" sputò Brian, avvicinandosi con fare amorevole ad Aileen. Il che, lo rendeva ancora più inquietante. "Tu non mi devi toccare, bastardo!" aveva sibilato la ragazza dai capelli neri, allontanandosi da lui. "Tu non sei mio padre!" gridò, prima di fuggire dalla porta d'ingresso. Ashton la seguì senza pensarci due volte. La trovò seduta su un marciapiede, la testa fra le mani. Le si sedette accanto, circondandole la vita con un braccio. Gli occhi di lei imploravano aiuto. Non c'erano parole per consolarla, semplicemente, bisognava aspettare. Aspettare cosa, questo ancora non lo sapevano. Era la vita, che la colpiva ripetutamente, in punti diversi, e, ad alcuni colpi, Aileen, non sapeva reagire. "Voglio andare a casa" disse lei. E Ashton la accompagnò. "resti?" chiese lei, mentre lo abbracciava. Perché di quell'abbraccio, Aileen ne aveva davvero bisogno. E "resto". Sussurrò lui, con un sorriso sulle labbra.

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Capitolo 18
*** photograph ***


Quando "forse stiamo andando troppo in fretta" aveva detto Calum, lei gli aveva ragione. Ma poi "C'era Liam, ci osservava. E anche una tipa bionda con delle meches verdi, penso una sua amica" aveva aggiunto. "Una bionda con le meches verdi" Calum lo ridisse. " con le meches verdi..." Rikki aveva le meches verdi. Calum sorrise a Silvia e "Perfetto. Ora Liam sa che sei mia" Poi risero. E in quel momento Calum si scordò completamente di Rikki, e li, in quel momento, con Silvia accanto, Calum, stava bene. *** Il vento le si insinuava nei capelli, mentre correva. I polmoni sembrava dovessero scoppiare, gli occhi pizzicavano. Le aveva fatto male, vedere Calum con quella ragazza, che Rikki non sapeva nemmeno chi fosse. Non lo sapeva perché, ma faceva male... Non doveva piangere, c'era Michael, per lei, e lo sapeva, Rikki, che ci sarebbe sempre stato. Arrivò a casa di corsa le gambe non le sentiva quasi più. Non sapeva nemmeno perché aveva corso, forse scappava dai sensi di colpa. Era il 18 di Novembre, tra due giorni, sarebbe stato il compleanno di Michael, e lei doveva assolutamente fargli un regalo. Si fiondò in camera sua, per prendere qualche dollaro da spendere. Non sapeva cosa regalargli, ci avrebbe pensato strada facendo. Quando uscì da camera sua, si ritrovò davanti Michael, che "ehy" esclamò sorridente e "ehy" rispose Rikki, dandogli un bacio sulla guancia. "scusa ma devo andare un attimo" si dileguò Rikki, lasciando il ragazzo dai capelli colorati - di viola, adesso - un poco spaesato. Girare per i negozi non piaceva a Rikki, ma doveva farlo. Quando era sola, aveva troppo tempo per pensare, e gli incubi tornavano in lei, vivi e strazianti. A volte erano talmente realistici, che quando era sola le veniva da gridare. Poi, passando davanti una gioielleria, la vide. Splendeva argentata sotto la luce dei faretti a led della vetrina. Era una collanina da uomo fatta d'argento, con un ciondolino fatto a forma di aereoplanino di carta. A Rikki ricordava il suo desiderio di volare. E, parlando con Michael, aveva scoperto che anche a lui, sarebbe piaciuto. Così l'acquistò, poi si diresse in un negozio di musica, per cercare l'ultimo album degli All Time Low. Rikki voleva proprio spenderli, quei soldi, perché non voleva utilizzarli per qualcosa d'altro. Qualcosa che la avrebbe distrutta, e no, non ci teneva. Non in quel momento. Non ne aveva voglia, di tornare a casa per cena, così si mise a fare un giro per le vie di Sydney. Il tempo passava, le scorreva addosso, lasciandola immutata, tra le sue grida mute e i suoi ricordi terribilmente reali. Vedeva la gente che mangiava dalle vetrine dei ristoranti, osservava i bambini giocare al parco. Poi si chiese se anche lei da bambina era così, o se era nata morta. Morta dentro, ci stava già, Rikki. Il cuore batteva e pompava sangue, i polmoni passavano l'ossigeno al sangue, che lo portava a tutte le cellule, lo stomaco digeriva - anche se Rikki non mangiava molto -, respirava, parlava, viveva. M a viveva in un modo superficiale, talmente superficiale che Rikki stava al limite. Al limite. Sul bordo di un baratro che divideva la vita dalla morte. Non stava morendo, Rikki, stava bene, non aveva problemi di salute. Ma lei lo sapeva, ne era perfettamente consapevole, che le sarebbe bastato un passo falso, per cadere dalla parte sbagliata del baratro. E poi, chissà dove sarebbe finita. *** ballare[bal-là-re] v.• v.intr. (aus. avere) [sogg-v] 1. Muovere il corpo in maniera ritmata al suono di una musica SIN danzare: le piace b.; spesso con specificazione del modo: b. bene || fig. fam. b. addosso a qlcu., detto di un indumento, essergli largo | nel prov. quando si è in ballo si deve b., per significare che chi è coinvolto in un'impresa deve portarla a termine 2. estens. Muoversi con tutto il corpo nervosamente; detto di cose o veicoli, oscillare: l'aereo ballava per il cattivo tempo; essere instabile: il tavolo balla• v.tr. [sogg-v-arg] 3. Eseguire un certo tipo di danza: b. il tango Ballavano. Letteralmente. Muovevano il corpo in maniera ritmata sopra al suono di una musica. Forse a lui non piaceva nemmeno, quella canzone, che metteva quell'amore, corrisposto ma impossibile, in una fotografia, che manteneva le memorie per se stessi. Photograph rimbombava tra le pareti bianche della stanza di Luke, i loro corpi avvingati, il momento più romantico che Noel avesse mai avuto, i loro piedi che si muovevano svelti sul tappeto, nudi. La chitarra appoggiata sul letto, le note di una canzone ancora sospesa nell'aria, e poi Luke si era messo a canticchiare, con quella voce sua, così limpida e roca, melodica... poi aveva unito le loro labbra in un bacio, e a Noel era scappata una lacrima. "E ora, vuoi dirmi chi è che ti fa soffrire?" le sussurrò Luke all'orecchio, una delle sue grandi mani era appoggiata su una guancia di Noel. Lei non voleva dirglielo "E tu mi dirai chi è lei?" Luke aggrottò le sopracciglia "lei chi?" chiese "quella che Liam non doveva nominare" mormorò Noel. Luke abbassò lo sguardo. Erano così vicini... "Liam aveva detto che la ragazza che mi piaceva era troia. E io mi sono arrabbiato, perché tu non sei troia." Noel sorrise e poi disse "Gli amici di Liam. Tutti, tranne Niall, ma non importa. Io ho te. Ed è okay" Anche Luke sorrise ora. E in quel momento capirono di quanto avevano bisogno l'una dell'altro, per non crollare. *** Aileen e Ashton stavano in silenzio. Era bello, quel silenzio, perché non era opprimente o imbarazzante, era un silenzio che parlava da se. Forse perché era proprio il silenzio che li aveva fatti innamorare. Aileen teneva gli occhi chiusi, sdraiata sul suo comodo letto. Quello non era proprio il suo letto, ma era come se lo fosse. E Ashton, sdraiato accanto a lei, nonostante il caldo opprimente di una giornata di novembre, le accarezzava i capelli neri. Ora erano più lunghi di come erano la prima volta che la aveva vista. Il silenzio regnava sovrano, ma era okay. Perché a loro andava bene così. Aileen era quella cosa che aveva capito solo Luke. Era quella cosa che non voleva dire, che a pensarla le veniva da piangere. Aileen era contenta. Lo aveva pensato. "contenta" disse poi, aprendo gli occhi. Stava senza bandana, Ashton. Era rimasta sul divano di casa sua. "sono contenta" disse poi, la ragazza dagli occhi blu. E poi v'erano quei momenti in cui quelle iridi nocciola, spesso illuminate da un pizzico di follia, che le rendeva gli occhi più belli del mondo, si affogavano in quegli oceani senza fine. E cadevano giù nel vuoto. Perché lui, alla domanda "resti?" aveva risposto di si.

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Capitolo 19
*** Party ***


Alla fine, era stata Karen a pagare la retta per il viaggio studio a Londa di Michael, Rikki ed Aileen. Ci sarebbero stati anche Calum, Ashton e Luke. Era il 20 novembre, ovvero il compleanno di Michael, e il giorno dopo sarebbero partiti, ritornando due settimane dopo. In inverno in Inghilterra era freddo, mentre in Australia c'era caldo. Michael aveva festeggiato comunque, invitando tutti i suoi amici, gente che Aileen non conosceva. Karen gli aveva lasciato la casa libera fino alle 11 p.m. Nel bordello generale Aileen si era seduta sul divano, con un bicchiere di coca cola in mano. Ogni tanto se lo portava alla bocca e ne sorseggiava il liquido frizzante dentro. Non che si stesse annoiando, solo che non si sentiva a proprio agio in mezzo a tanta gente. C'erano persone già ubriache, quando l'alcolico di gradazione più alta che era esposta sul tavolo delle bevande era la birra. Aileen scosse la testa, sconcertata, circondata da tutto quel casino. Chissà dov'era Rikki. Aileen sentiva che le loro strade si stavano separando, ma non sapeva se era un bene o un male. Se ne stava li seduta, in un angolino del divano, quando un tipo le si sedette accanto. "ehy ciao" fece lui. Puzzava di alcool, gli occhi di un azzurro annacquato erano iniettati di sangue. Lei le fece un cenno con la testa. Cercando Ashton con gli occhi. Non voleva starci, accanto a quel tipo. Lo vide, Ashton, che batteva il cinque a Michael. Poi lo vide dargli un amichevole pacca sulla spalla, e dirigersi verso di lei. lei prese un respiro profondo e fece per si alzarsi, quando si sentì afferrare al polso. "voglio parlare con te" rideva il tipo. "e io no, mi pare logico" Ashton era praticamente accanto a lei. "Scusa cosa vorresti fare?" chiese Ashton, con il sorriso più finto e tirato del mondo, prendendo Aileen per mano e trascinandola via. Aileen non poté fare a meno di alzare il dito medio a quello strano tipo, con un gran sorriso in volto. *** Rikki stava in camera sua. non aveva voglia di stare alla festa, anche se era di Michael. Così era solo scesa per dargli il regalo e un bacio, poi aveva detto di non sentirsi bene ed era tornata in camera. Mentre si avviava in camera sua aveva incontrato Calum. O meglio, Calum la stava aspettando davanti la porta di camera sua "Che vuoi?" le aveva chiesto lei. Calum li aveva visti. Aveva visto i suoi occhi duri e tristi, come li aveva tempo prima. "parlare con te, no?" La ragazza bionda si sistemò una ciocca di capelli verdi dietro all'orecchio e fece segno a Calum di entrare. Il ragazzo osservò le pareti della camera, e le vide piene di disegni, schizzi, linee, cerchi. E poi c'era quel disegno, quello del ragazzo del museo che "sembra una foto che ha mia mamma in casa" rise Calum. Rikki alzò le spalle. E "merda" imprecò sottovoce la bionda, per poi avvicinarsi con aria noncurante al comodino, aprirne un cassetto e buttarci dentro quell' affaretto luccicante chiamatosi più comunemente lametta. "che dovevi dirmi, Cal?" chiese Rikki, sedendosi sul letto. E ora era li, Rikki, ad ascoltare il suo amico di parlare di una certa tipa chiamata Silvia, di quanto fossero belli i suoi occhi e di come la avesse conosciuta. Una marea di pensieri che si insinuavano nella sua testa, bombe che distruggevano tutto. C'era una fottuta guerra, nella sua mente, e le parole di Calum erano come granate tirate da un bambino che non ne conosceva l'uso. Venivano lanciate con innocenza, come i sassi nell'acqua, quando li si tira per farli rimbalzare. Ma poi solo il mare sa dove vanno a finire i sassi, quando vanno a fondo, come solo Rikki sapeva come la colpivano, quelle parole. Ma, nonostante tutto, lei sorrideva all'amico e gli diceva che era contenta per lui, e che voleva vederlo felice. In quel fottuto momento, Rikki si stava sbilanciando verso la parte del baratro che conduceva all'oblio. *** Era partita dal mezzo del nulla, dal casino più totale della sua mente, da una vita grigia, solitaria e monotona, fino ad arrivare a Sydney. Era proprio la città di Perth, per Aileen, il nulla. nulla[nùl-la] pronome, sostantivo • pronome indefinito, genere invariabile 1. Niente, nessuna cosa, con valore di neutro, in frasi negative (se è anteposto al v., questo perde la negazione): non avere nulla. da eccepire; nulla. gli interessa; è spesso seguito dal partitivo: nulla di preoccupante; nulla di peggio || non è nulla, non è una cosa grave | di nulla, formula di cortesia usata come risposta a ringraziamenti e scuse | non fa nulla, non importa | non farne nulla, lasciar perdere | non per nulla, non senza ragione 2. Cosa di poco conto, trascurabile, in frasi non negative: ridere di nulla. || da nulla, senza importanza: cosa, faccenda da nulla 3. Qualcosa, in frasi interrogative o dubitative: hai n. in contrario?• In funzione di avv. nella loc. per nulla, in nessun modo, per niente: "Sei soddisfatto?" "Proprio per nulla!" • sostantivo maschile, genere invariabile 1. Ciò che non esiste, condizione negativa, niente: molti pensano che il mondo venga dal n.; filos. il non essere || n. di fatto, un risultato insoddisfacente, che non sblocca la situazione; nel l. sport., pareggio a reti inviolate: la partita si è chiusa con un n. di fatto 2. Poca cosa, quantità minima: ho mancato il bersaglio per un nulla; persona di poco conto, nullità: essere, sentirsi un nulla. Adesso viveva in una casa che non era l'orfanotrofio, aveva una famiglia, che non erano le suore e aveva un migliore amico, Luke, e un ragazzo, Ashton.

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Capitolo 20
*** Two weeks in London ***


Stare lontano dall'Australia non voleva affatto dire stare lontano dai problemi. Rikki il tormento lo portava nel sangue. D'ovunque andasse lei, andava anche il tormento. Durante la prima settimana di permanenza nella città inglese, i professori avevano accompagnato i ragazzi in giro per la città, a visitare musei e a fare delle attività di scambio culturale. A Rikki non piacevano queste cose. L'ultima settimana invece li avevano lasciati liberi. Michael la aveva portata a mangiare a Times Square, e poi a fare un giro. Era bella, Londra. Aveva anche nevicato. La neve soffice e bianca ricopriva ogni cosa. La neve, che per chi non l'ha mai vista è una meraviglia... Michael diceva che gli piaceva la neve, ma che a Rikki l'amava. Michael, gli occhi di un verde trasparente ed annacquato, le labbra carnose, un leggero accenno di barba, i capelli tinti di un verde molto fosforescente, e un sorriso, che non scompariva mai, le stringeva la mano. La neve che si poggiava leggera sui loro vestiti, sulle case, le strade. I capelli di Rikki, biondi con delle meches verdi, erano bagnati da quella cosa soffice che cadeva dal cielo... Dalla felpa di Michael si notava una piccola collanina, un aereoplanino di carta, il regalo che Rikki gli aveva fatto per il compleanno. Poi Michael se ne era uscito con una cosa tipo "voglio farmi un tatuaggio" e " qui?" aveva chiesto Rikki, in tutta risposta, con lo stomaco mezzo ribaltato, a causa della cena troppo sostanziosa. "No, me lo faccio fare da mia nonna" rispose ironico Michael, facendo ridere la ragazza accanto a lui. *** Parole. Piacevano ad Aileen. Erano potenti, perché, se usate bene, potevano salvarti, o distruggerti. Un semplice Ti Amo poteva affogarti o portarti a galla. Cose strane le parole. In quel momento erano lei ed Ashton. Erano di nuovo in silenzio, ad ascoltare i loro cuori,o accompagnati dallo scricchiolio meccanico della ruota panoramica Londinese, il london eye. Erano soli nella piccola cabina. Ashton si frugò nella tasca della grande felpa grigia, tirandone fuori una scatolina colorata di un profondo blu notte. Aileen inarcò un sopracciglio, nella muta domanda Che cos'è?. Ashton gliela porse, e lei la aprì. Dentro c'era una collana argentata, con appeso un ciondolo a forma di 'A'. La ragazza era stupita. Non si sarebbe mai aspettata di ricevere un regalo in una misera cabinetta di una delle più famose ruote panoramiche nella storia delle attrazioni turistiche. "A come Aileen." sussurrò Ashton, anche se non c'era nessuno che potesse sentirlo. "A come Ashton" proseguì, un ciuffo di capelli gli copriva il viso. "A come quella cose che chiamano amore" Aileen lo abbracciò forte. Uno di quegli abbracci che le mancavano da tanto. Le grandi mani di lui le accarezzavano i capelli. E ogni suo tocco era come una spinta un po' più verso la realtà, un po' più lontana dal mezzo del nulla. Aileen lo sentiva, il suo cuore battere. Pompava sangue, la faceva vivere. Emozioni. Il ghiaccio si era sciolto, definitivamente. Ora andava davvero tutto bene. Non era una menzogna. Era tutto okay. Aileen era felice. *** Silvia era così: I capelli sempre scombinati, magari legati in una crocchia disordinata o in una coda alta, gli occhi truccati velocemente, magari la matita nera un po' sbavata sugli occhi perché li toccava di continuo, un sorriso smagliante, i vestiti spiegazzati, le felpe accartocciate nello zaino, la collanina di Harry Potter anche per dormire, le occhiaie di chi ha passato la notte a leggere il proprio romanzo preferito, i mezzi sorrisi sghembi e le imitazioni ai professori, le risate fino ad avere i crampi alla pancia, i momenti di silenzio. Silvia era il ritratto dell'adolescenza, Tutte, le aveva provate. Nostalgia, tristezza, entusiasmo, felicità, noia... Come quando partiva, a causa dei viaggi del padre, lasciava tutto, si lasciava tutto alle spalle, come quando aveva lasciato l'Italia, o l'America. Non cambiava città, cambiava continente, in un altra parte del mondo, si ritrovava. Aveva vissuto anche a Londra, Silvia. Come quando ascoltava le lunghe premesse e discorsi di suo padre, che poi alla fine era solo un 'dobbiamo partire'. Ma ne mancava una, al ritratto dell'adolescenza. Tra tutte e risate, le lacrime, le grida e le cazzate, mancava un piccolo tassello, che poi tanto piccolo non era, un tassello chiamatosi amore. Amore è come quel pezzo di puzzle che ci metti tanto, troppo tempo a capire qual è la parte che va in alto e quella che deve stare in basso, e che, quando l'hai capito, devi trovare il punto giusto, l'incastro. Uno di quei tasselli che ti fanno impazzire, perché non combacia mai, lo giri a destra, poi a sinistra, ma pare sempre nel posto sbagliato. Che poi, forse, il posto giusto lo avevi anche già trovato, solo, mancava qualcos'altro, qualcosa che lo univa al resto. Maledetto l'amore. Quella fredda mattina di novembre, in un posto che non era casa, - non che ve ne fossero tanti, per Silvia -, in un' Inghilterra piovosa, in una Londra affollata, Silvia si faceva una tranquilla passeggiata, godendosi ogni singola goccia di pioggia che toccava la sua pelle, come una lacrima del cielo. Silvia se lo era sempre chiesta, da bambina, perché il cielo piangesse, forse perché era così vicino alla terra - anche se poi così tanto vicino non era - ma non poteva toccarla, come nel mito greco di Gea ed Urano, così vicini, ma così fottutamente lontani. Il cielo era grigio, ma non prevedeva temporali. Le gocce di acqua trasparente scorrevano sulle vetrine dei negozi, si schiantavano sull'asfalto, correvano insieme al vento, scivolavano sulle sue guance, come lacrime, sui suoi vestiti, fino a sparire in una pozzanghera, a mischiarsi col resto, a rovinare la neve caduta la sera prima, a rendere scivolosi i marciapiedi, ad impegnare la gente che in silenzio camminava, cercando di non inciampare. Cosa strana, la pioggia. Camminava senza meta, Silvia, osservava la vita scorrere, aspettava il bus, faceva si che una parte della vita dei londinesi diventasse sua. Ferma, sotto la pioggia, con la mente altrove, nel passato, forse, ad aspettare il bus. La realtà era come un posto lontano, un luogo troppo rude per essere esplorato, anche dal più coraggioso degli esploratori. Ma a volte, anche in mezzo ai rovi, nascono le rose. "che fai?" le chiese allegramente una voce. Una voce conosciuta, che la riportò alla rude realtà, ma con leggerezza, facendola cadere in un prato, non tra le spine. Era alto, ma non troppo. Dei capelli scuri spuntava qualche ciuffo dal cappuccio della felpa grigia che gli copriva il capo, la pelle ambrata, le mani in tasca, jeans neri e Vans. Il tipo di ragazzo che sostanzialmente si fa i cavoli suoi, che vive in un mondo tutto suo, ma che allo stesso tempo incute timore perché è fatto così e basta, sembra cattivo ma non lo è. Il tipo di persona che se si mettesse in testa una coroncina di fiori sembrerebbe un angelo venuto dall'inferno. Quel tipo di persona che semplicemente sa il fatto suo, è buona, ma fa paura, perché c'ha negli occhi qualcosa che spaventa, un urlo spezzato da qualcosa di più forte, forse un incubo, o solo un sogno distrutto. Distrutto da qualcuno che si ama. Oppure semplicemente Calum Hood, che era tutte queste cose messe assieme. "Nulla" rispose Silvia, scrollando le spalle, e "Fantastico, deve essere divertente, vengo con te." ironizzò il ragazzo con gli occhi del color della pece. E, insieme, dopo svariati minuti di silenzio, perché quella pioggia lo esigeva, il silenzio, presero l'autobus. *** A Luke non piaceva girare, camminare per le strade di una città che non conosceva, in mezzo a gente che non conosceva, giusto per sentirsi ancora sbagliato, in mezzo a quegli inglesi che ti correggono l'accento di una parola, che ti dicono "candy" al posto di "sweets" o viceversa, cose che a Luke non interessavano proprio. Stava li, sotto la pioggia, rimpiangendo la sua Sydney, ed il sole, sotto il cielo grigio e spento. Stava li. E stava. Emotivamente distrutto da un tornado di emozioni sconosciute, che lo rendevano maledettamente debole, così difficile da sentire, quel nome. Un bordello di bugie e risentimenti, la guerra nella testa, un po' di silenzio cercava tra le bombe cercava qualcosa di nuovo, un tassello del puzzle. Cercava Noel, quel maledetto tornado. Ci aveva ballato, cantato, riso e scherzato, eppure lei non c'era. Forse stava con suo fratello, se solo i professori non avessero chiaramente detto che non sarebbero partiti con un elenco di tali persone che non erano ammesse al viaggio. Liam era la numero uno. Non ci stava. Era in un altro continente, e Luke aveva voglia di ucciderlo. Ormai Noel era qualcosa che faceva parte di lui e non poeva sopportare il fatto che lei soffrisse. Moriva dentro, se ci pensava. Frullavano, i pensieri di Luke. Erano come stelle che non riusciva a far coinvolgere in costellazioni. La neve sciolta sotto i suoi piedi, che bagnava la suola di gomma delle sue converse nere, le goccioline di pioggia che parevano tante macchiette assorbite dai suoi pantaloni, seduto scomposto su un muretto in un parco, aspettando. Ad aspettare. Cosa, o chi, questo Luke ancora non lo sapeva. E il cuore batteva fortissimo, come un tamburo, nel suo petto, quando, il telefono all'orecchio, il numero composto, la chiamata inoltrata, quel suono dell'avvio chiamata, quel tu, tu della telefonata, che da piccolo tanto amava e che ora odiava e poi stop, non v'era più niente, se non una voce dolce ed un "Ehy!" dall'altro capo del telefono. La voce di Noel che pareva così lontana, quando, magari, si trovavano nello stesso parco, perché "Girati, Hemmings" aveva detto lei al telefono. E Luke si era girato, e lei era li, con il telefono all'orecchio, l'altra mano nella tasca, e la borsa in spalla. Lì, impiedi, aspettando qualcosa, o qualcuno, forse un attimo di smarrimento, perché poi corse da lui. Tornado. Tempesta. Talmente caldo era il loro abbraccio, che la neve attorno a loro parve sciogliersi, come se uno squarcio d'estate vivesse in quel gelido inverno.

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Capitolo 21
*** weird things ***


"sei una di quelle persone a cui si pensa guardando fuori dal finestrino" mormorò Silvia a Calum. Non lo stava guardando in faccia, guardava fuori dal finestrino del bus una Londra che le scorreva accanto veloce. Calum aveva sorriso, e lei non lo aveva visto. Le era uscita così, quella frase, la aveva detta perché era di si e basta, senza nessun vero motivo. Poi ci pensò un poco su e "raccontami di te" disse a Calum, perché infondo, lei, di Calum, non sapeva un bel niente. Calum alzò le spalle. "mi piace l'azzurro" disse. Palese, il fatto he non volesse parlare di se. Dalla sua voce, si intuiva. "A me piace il nero, invece" disse lei, alzando le spalle, come se fosse una cosa ovvia, o solo come se volesse imitarlo, il ragazzo li accanto a lei. Londra le correva accanto, fino a che il bus si fermò. Silvia scese e Calum la seguì. Dinnanzi a loro, il Buckingham Palace. Ma non era quello ad interessare Silvia. *** Camminavano, Rikki e Michael. Era un amore strano, il loro. Qualcosa di fottutamente complicato. Stavano in silenzio, cullati dal vento e dalla pioggia. Perché era così che andava, con loro. Si stava in silenzio, e ognuno, con il proprio silenzio, strillava e gridava aiuto. O, almeno così era per Rikki. Alla fine, Michael si era tatuato una R sul polso. Questa cosa, a Rikki faceva male, tanto. Si sentiva ancora più stronza. Chiuse gli occhi, per un attimo, per cercare di rallentare il tempo, addirittura di fermarlo. Colpi, forti, nello stomaco, sul viso, alle braccia, alle gambe. Non erano pugni, e nessuno glieli stava dando. Erano sensi di colpa, la prendevano da dentro, forte, colpivano sulla coscienza, alle ginocchia alla schiena, fino a farla crollare. Le bastava chiudere gli occhi e tutto ciò che voleva nascondere, agli altri e a se stessa, spariva. Ma quella volta no. Non reggeva. Non poteva sopportare il suo essere più a lungo. MC bruciava su di lei. Si ricordò quando, Michael, la sera prima le aveva parlato, rispondendo alla sua affermazione "Non ti merito, Michael, Cristo" Ricordava come glielo aveva detto, in preda ad una crisi isterica. E lui la aveva abbracciata e gli aveva fatto un discorso, anche se più che un discorso pareva un rimprovero: "Smettila di darti colpe che non hai." Aveva iniziato. "Meriti l'amore. Meriti qualcuno che ti accetti proprio così come sei. Con il tuo carattere difficile, il tuo orgoglio, la tua pazzia, i tuoi capelli scompigliati alla mattina e le tue urla mute. Meriti qualcuno che ti baci, che ti baci forte, ti baci senza che voglia mai smettere. Meriti qualcuno che ti guardi con occhi sinceri. Meriti mani che si intrecciano perfettamente con le tue. Meriti qualcuno che ti accarezzi i capelli, che ti regali sorrisi, che ti sorprenda, che ti prenda. Meriti le canzoni più belle, quelle che ti fanno battere forte il cuore, quelle che ti fanno salire un groppo in gola, cantate a cappella, stonate, in radio. Meriti poesie, monologhi, frasi. Meriti le stelle, la luna, il sole. Meriti qualcuno che ti capisca solo nel guardarti negli occhi. E credimi, io lo vedo, ti capisco. Lo so che stai male. Meriti tanto, meriti tutto. Meriti la felicità. Meriti di pensare che anche tu meriti qualcosa." Aveva chiuso gli occhi, Michael, e poi "Ti sto tendendo una mano, Rikki, afferrala, cristo." aveva detto. E Rikki gli aveva stretto la mano. Forte. E ancora una volta, Rikki aveva avuto una fottuta conferma di quello che era. Che era un mostro. Un maledetto mostro che meritava di stare solo in un posto: all'inferno. Michael la risvegliò dai suoi pensieri scuotendole la mano davanti al viso "tutto bene?" le chiese, e lei rispose annuendo. L'espressione tesa del ragazzo parve addolcirsi, per un attimo, ma poi "sicura?" chiese di nuovo lui. Lei sorrise e annuì, "certo" disse, lasciandogli un dolce bacio sulle labbra. *** Gli occhi freddi e glaciali di Luke non erano poi così tanto freddi e glaciali, quando incontravano quelli di Noel. Lei era come un'ancora, sempre li, pronta a sorridergli e a dirgli che era tutto okay, anche se temeva suo fratello Liam. Era così strano, ma allo stesso tempo così bello stare senza di lui. "qui ci bagnamo", disse Luke prendendole la mano e iniziando a camminare. Entrarono in un bar e ordinarono due cioccolate calde. Mentre aspettavano, si osservavano, si scrutavano, come se quella fosse stata l'ultima volta che si sarebbero visti. Catturavano l'uno dell'altra ogni particolare, come sperassero di ricordarli per sempre. Le sopracciglia non troppo sottili di Noel, i suoi occhi grigi, che parevano un po' più verdi, ora, i capelli castano ramato, lunghi e mossi, la pelle pallida e un gran sorriso. Sembrava una bambina da crescere, avvolta nella sua calda sciarpa, con quei grandi occhi. Luke, i capelli biondi tirati su in una cresta che lo rendeva ancora più alto, un mezzo sorriso sghembo, gli occhi azzurri e freddi, una piccola fossetta che compariva sulla guancia destra. Solo un semplice maglione, indossava, con tutto quel freddo. "Perché non te ne vai?" domandò lui. "Da dove?" Noel era confusa. "Da Liam." rispose ovvio il biondo, e "non sono ancora maggiorenne" gli riferì lei. "Ma stanne certo, quello sarà il mio regalo di compleanno" sorrise la ragazza. La cameriera portò le due cioccolate al loro tavolo, e Luke le porse alcune sterline e "tenga il resto" disse sbrigativo, come se in quel momento avesse occhi solo per Noel. "Noel..." pronunciò quel nome come fosse un qualcosa di magico. "Noel... chissà perché ti hanno chiamata così.." La ragazza alzò le spalle divertita. Non c'è un motivo, il nome te lo danno e basta. "Noel, forse perché gli angeli scendono sulla terra a Natale...?" Il tono di voce di Luke era strano, quasi poetico. Voleva che Noel si ricordasse di lui, qualunque cosa fosse successa. La vide arrossire, e sorrise, divertito. "Luke... chissà perché ti hanno chiamato proprio così" lo imitò lei. Entrambi risero. Poi "Vieni in discoteca con me stasera? ci saranno anche dei miei amici e alcune ragazze." le chiese Luke, e Noel annui, sorridendo.------ RAGAZZI AVREI BISOGNO DI SAPERE UNA COSA... SE SCRIVESSI QUALCOS ALTRO, VOI LO LEGGERESTE? scusate per eventuali errori... :)

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Capitolo 22
*** whatever ***


La discoteca puzzava di alcool e sudore. Aileen, anche se non era claustrofobica, si sentiva oppressa da quel posto, quindi decise di uscire. Voleva dire tante cose. Le cose che non aveva mai avuto il coraggio di dire, in quel momento, le vorticavano nella mente. Come una guerra. Ora l'aria fredda di Londra le scompigliava i capelli, le si infilava nei vestiti e si insinuava nelle ossa, fin dentro al midollo. Frugò nelle tasche, alla ricerca dell'accendino e di una sigaretta. Aileen non fumava mai. Odiava farlo, ma quando era estremamente nervosa, come in quel momento, lo faceva. Lasciò che il tabacco le entrasse dentro il corpo, che il suo odore le impregnasse i vestiti e i capelli. Lasciò che in quel momento fosse il male ad avere il sopravvento. Non lo sapeva, il perché, ma Aileen aveva uno sporco, disgustoso, cattivo presentimento. La musica giungeva ovattata alle sue orecchie. Musica da discoteca, quella robaccia stile House che a lei proprio non piaceva. Quella musica pienamente commerciale ed elettronica, che si ballava semplicemente non ballando, ma strusciandosi contro uno con l'altro. Forse pensava un po' all'antica, ma quella roba ad Aileen non piaceva affatto. Truccata di nero, vestita di nero, seduta sul marciapiede, Aileen pareva un angelo. Gli stivaletti neri, i pantaloni del medesimo colore. Era quasi sempre vestita di nero, perché semplicemente la rispecchiava. Il nero è tutti i colori, ma anche nessuno. Aileen era qualunque cosa ma era anche niente. Perché era così e basta, con il suo tatuaggio, con i suoi pensieri. Lei e basta. Due giorni prima, poi, aveva insistito perché Ashton la accompagnasse a fare un piercing. Non lo sapeva, Ashton, da dove gli fosse uscita quella fissa, ma la aveva accompagnata comunque. Adesso aveva un piercing nero che le spaccava il sopracciglio sinistro, come Rikki. Aileen era cambiata. C'era qualcosa, in lei, che se ne era andato, lasciando un vuoto profondo che era stato occupato dall'odio. Ma quel maledetto odio, andava via via sciogliendosi, ed Aileen era sempre più libera, come un angelo. Ad Ashton sembrava che alla luce della luna Aileen fosse un angelo mascherato, capitato in un mondo troppo temendo e sbagliato, ma che era capace di rendere migliore, soltanto sorridendo, esistendo. Questo Ashton pensava, mentre la osservava li, seduta a terra, con gli occhi di chi le ha viste tutte, ma che, rimarrà sempre più meravigliato, nel guardare lei, quello splendido disastro. Dopo un po', le si avvicinò e "Ti fa male" disse, togliendole dalle mani quel piccolo cilindro bianco, impedendole di uccidersi, ancora. Aileen lo guardò inespressiva. "E ora, dimmi il motivo numero sessantasei". "sessantasette" mormorò lei. Una lacrima le correva veloce sul viso. Se lo era sempre chiesto, Aileen, perché le lacrime scendessero anche a occhi chiusi. *** Qualunque cosa. Rikki era qualunque cosa. Nel senso cattivo però. Tra il fumo e la droga, i tagli e i graffiti, Rikki era come una margherita nera in un campo di rose. Strana. Perchè era una margherita, perchè era nera. Se ne era accorto subito, Michael, che quella sera Rikki odorava di erba. Magari fosse stata l'erba fresca dei prati bagnati dalla rugiada del mattino. Quella era erba nell'altro senso. A Michael saltarono subito i nervi, perchè non poteva vederla distruggersi così, lentamente. L'odio che Rikki provava verso se stessa era troppo. Nasceva dentro di lei e la distruggeva. Si odiava perchè stava cercando di rendere felice Michael, ma la sua testa era altrove. Erano seduti su un divanetto, lei a Michael. Michael stringeva in mano un bicchiere di birra, lei, il suo, lo aveva già finito. In mezzo a tutta quella gente, c'era anche Calum. E si stava avvicinando a loro. Crepe al cuore. Acanto a Calum ci stava una tipa, carina, magra e abbastanza alta. Perfetta. A Rikki montò una rabbia che nemmeno sapeva spiegare. C'era e basta. La bionda cercò le labbra di Michael e le unì alle sue, con una tale disinvoltura che sorprese Michael stesso. Rikki respinse l'istinto di piangere. E, mentre lo baciava, i suoi occhi verdi erano saldamente piantati in quelli neri di Calum. Era come una rivalità, la loro. Un rapporto malato dal quale non si riesce a guarire. Un'ultima occhiata. *** Noel era davvero bella, agli occhi di Luke. Era speciale, avvolta dai suoi piccoli abiti. Un paio di jeans e un maglione, semplicemente Noel. Luke apprezzava il fatto che non si fosse presentata mezza svestita. Ridevano e scherzavano tranquillamente. Ogni tanto lo sguardo di Noel si incupiva, quando passava qualche ragazza. Forse non si vedeva bella, in confronto a quelle troie. E questo a Luke dava molto fastidio, perchè odiava il fatto che lei continuasse a confrontarsi con le altre. Ad un certo punto "usciamo" propose Luke, prendendole la mano, e trascinandola in mezzo alla folla. Fuori dalla discoteca era tutto più tranquillo, ma faceva più freddo. Anche se l'aria pulita da respirare era una cosa piacevole. Camminarono a vuoto per un po', senza sapere da che parte andare, senza che dovessero chiedersi tra loro 'da che parte?' Era una decisione muta, bastava che le loro mani si sfiorassero per capirlo. Più la notte avanzava, più faceva freddo. Luke la vide, Noel che rabbrividiva, così si tolse la giacca e la passò a lei. Inutile dire che Noel, fece obiezioni, e non poche. Alla fine, Noel aveva indossato la giacca di Luke. E Luke aveva passato un braccio attorno alle spalle di lei. Sussurri, parole. "Ti amo" aveva sussurrato Noel. Quando Luke si era fermato, la ragazza ebbe un attimo di paura. Paura che Luke la avesse presa in giro, che non la amasse davvero. Invece Luke le aveva stretto le mani e, con un sorriso bello, inimitabile e fottutamente perfetto, "anche io, troppo" disse. Poi risero assieme. Una risata che li accompagnò fino all'hotel. Il loro amore era fatto di baci passionevoli sul collo e sulle labbra, e sguardi profondi. Carezze rubate. Due corpi caldi, vicini, che si toccavano, si bruciavano l'uno con l'altro. Era novembre e in Inghilterra, a Londra, aveva nevicato e poi piovuto. Ora era solo freddo. Ma quel freddo, così gelido che ti si insinuava nelle ossa, loro, Noel e Luke, non lo sentivano. Il loro amore era più caldo. Loro lo facevano, l'amore.

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Capitolo 23
*** turn back to australia ***


Il mattino dopo, sarebbe stato l'ultimo giorno a Londra. O meglio, avrebbero avuto l'aereo di primo pomeriggio. Luke e Noel si svegliarono vicini, stretti tra loro. Baci e coccole. Poi "merda" imprecò Luke, ricordandosi che i professori sarebbero passati a fare un controllo. Così, dopo pochissimi minuti, Luke uscì furtivamente dalla stanza di Noel, intrufolandosi nella sua. * * * Ci erano tornati, nella loro Australia. Dopo un lungo viaggio, la loro terra li attendeva, calda e familiare. Rikki e Michael si erano tenuti per mano durante tutto il viaggio. Michael le sfiorava i polsi, le vecchie cicatrici, immaginando che con un suo tocco sarebbero potute sparire... ma quelle rimanevano li, indelebili. Ogni tanto, Michael le dava qualche dolce bacio sulle labbra o le accarezzava i capelli. Calum, che era li accanto, distoglieva lo sguardo. C'era qualcosa che stava nel suo petto che gli faceva male, ma poi gli bastava guardare Silvia negli occhi e tutto spariva. Ti penso aveva mimato con le labbra,Silvia, dai sedili accanto. Calum e Silvia erano divisi da un piccolo corridoio. Quando erano scesi a terra, a Rikki tremavano le gambe, che si erano tipo atrofizzate. Ad aspettarli all'aeroporto c'era Karen. Appena li vide, sorrise, ma il suo sguardo era pensieroso. Michael si irrivigì e Rikki lo notò, così gli strinse più forte la mano. Presero i loro bagagli e si avvicinarono a Karen. "Mamma, che è successo?" Chiese preoccupato il ragazzo. "Tranquillo Mickey, ora ne parliamo a casa insieme ad Aileen." Rispose Karen. Aileen. Rikki si era quesi scordata di lei. La mora li raggiunse poco dopo, accompagnata da Ashton. "Andiamo a casa?" Chiese Aileen, dopo aver salutato Karen con un abbraccio. "Si. Vuoi un passaggio, Ashton?" Chiese Karen, rivolgendosi al ragazzo con la bandana. "Grazie mille signora Clifford, ma mia mamma mi aspstta fuori" comunicò Ashton. Che Karen fosse tesa, lo aveva capito anche Aileen. Lo si poteva notare da come guidava. Era attenta e non parlava, le braccia tese, le dita tremolanti delle mani. Non aveva posto ai ragazzi nessuna di quelle domande tipo come è andata? o vi siete divertiti? La macchina grigio scuro di Karen frenò bruscmente davanti al cancello di casa Clifford. I ragazzi scesero ed entrarono in casa, dopo che Karen ebbe aperto la porta. L'atmosfera in casa era opprimente. Rikki ed Aileen stavano portando le valigie in camera per disfarle, quando "aspettate" disse Karen. "Raggruppate le vostre cose e... e andate via, ragazze. Io, io... sparite." Karen cercava di non piangere. Aileen e Rikki avevano uno sguardo perso e confuso. "Ma... poi"cercó di dire Aileen, prima che "fuori!" Gridò Karen. Poi si chiuse la porta della cucina alle spalle. Aileen e Rikki Presero tutto ciò che avevano e uscirono di casa. Fu l'ultimo, quello, di bacio, tra Rikki e Michael. Si trascinavano dietro delle valigie, appesantite dai pensieri, dalla tristezza, dalla solitudine,dal senso di abbandono. "E adesso?" Fece Rikki. Aileen parve pensarci su un attimo. Poi " e adesso si corre." Rispose lei. * * * Appena entrò in casa, Ashton si buttò sul letto. Attaccò lo stereo, e fece partire le canzoni sulla chiavetta. La prima era thinking out loud, di Ed Sheeran. Ad Ashton non piaceva quel genere musicale, ma quella canzone era la canzone sua e di Aileen. Perchè non riusciva a smettere di pensare a lei. Passò forse mezz'ora, tra musica hard rock e metal. Mezzora, prima di sentire il campanello suonare. Si alzò, curioso di sapere chi fosse. Forse era la signora Meg, la vicina, che portava le ciambelle.Quella donna vedova era ancora convinta che Ashton dovesse crescere. Oppure era il postino. L'intenzione era quella di aprire lui la porta, ma il suo 'patrigno' lo aveva preceduto. Dietro alla porta non vi stava nessuna signora Meg, o nessun postino. Dietro la porta ci stava una ragazza dai capelli neri e gli occhi blu. E, accanto a lei una bionda, con occhi e meches verdi. Due visi troppo conosciuti. L'espressione di Aileen era meravigliata e spaventata allo stesso tempo. Il patrigno di Ashton era anche il padre di Luke. "Figlia mia" fece l'uomo, cercando di toccarle la spalla. Aileen si sposto veloce. Scuotendo la testa Ashton si contrappose tra il padre di Aileen e Aileen. "Finiscila coso" ringhiò, chiudendosi la porta alle spalle. Ora erano in tre, fuori di casa. Aileen, Rikki ed Ashton. Il ragazzo con la bandana accarezzò il viso della mora con il dorso della mano. A quel contatto Aileen scoppiò a piangere. Così piccola, così distrutta. "Che è successo?" Chiese. E le ragazze g i sliegarono tutto. Poi " io vi farei stare qui, lo sai, ma quel tipo vive costantemente sul mio divano. Lo odio, Cristo." Ashton calcò sulla parola mio. "Non ce ne è bisogno, Ashton." Disse Aileen. * * * Si fissavano negli occhi l'uno con l'altra. Aileen, occhi blu e capelli neri. Ora aveva anche un piercing. Qualche lentiggine di quelle che nascevano d'estate viveva ancora sulle sue guance. Il nasino aquilino e un leggero accenno di occhiaie sotto ai grandi occhi, un poco arrossati. Si torturava le mani, la ragazza. Ashton, una bandana rossa a tenergli indietro i capelli biondi e riccioli. I suoi occhi erano qualcosa di strano, un mix tra il color nocciola e il verde oliva. Come se i due colori lottassero tra loro. A volte dominava il verde, a volte il marroncino. Il sorriso, quel ragazzo, non tanto alto, ma più alto di Aileen, non lo perdeva mai. Faceva parte di lui. Auleen lo scrutò come se fosse la prima volta. Non voleva dirglielo, non voleva ammettere a se stessa di stare strisciando. E tutto tornava al punto di inizio. Chiuse gli occhi, Aileen, come tanto tempo prima. Chiuse gli occhi. Era passato tanto tempo. Si ricordò le finestre aperte della stamza dell'orfanotrofio e la scrivania macchiata di smalto. La lametta bruciava nella tasca dei jeans neri, mentre, insicura, Aileen sussurrava "torniamo a Perth." Ashton scosse la testa. Un movimento quasi impercettibile. Era un sogno, tra pocp si sarebbe svegliato sul suo letto con lo stereo acceso. Aspettò settimane quel momento. "Cosa vorresti dirmi? Mi stai lasciando?" Sputò Ashton. Aileen lo aveva detto, lo aveva detto che desiderava che tutto questo non finisse mai . L'unico difetto che Ashton poteva vedere in quella ragazza era proprio quello. Vedeva sempre la fine di tutto. Ashton deglutì. Aileen scosse la testa. "No... io...io non ti sto lasciando, al contrario io ti amo e..." Le parole, in quel momento, non servivano a nulla, e nemmeno Aileen riusciva a farne uso, notò Rikki. Quello era uno di quei momenti che come venivano andavano bene. Ashton se ne andò, mormorando un "ciao", sbattendosi la porta alle spalle. Dall'altra parte di quel pezzo di legno, che divideva Aileen da Ashton, il ragazzo si era tolto la bandana e lasciato ricadere i capelli sulla faccia. Quando incappò in quell'uomo che tanto odiava, che cercava di sostituire suo padre, che aveva rovinato la vita di Aileen ed egli gli chiese " che è successo" Ashton era diventato un Ashton senza bandana molto arrabbiato, che faticava a domare la rabbia. Lo spinse fuori dalla sua traiettoria, dirigendosi a grandi falcate verso la sua camera. Era colpa sua. Di quel coglione. "È colpa tua, bastardo." Sputava il ragazzo, prima di sbattersi la porta alle spalle. Passare davanti al divano, Ashton ricordò alcuni momenti con lei. Quando lei gli levava la bandana e gli sorrideva, quando cercava la sua protezione. Ashton fissò la bandana che teneva stretta in pugno. Poi corse fuori dalla sua stanza, fuori da casa sua, e la vide. Bhe, in realtà le vide, c'era anche Rikki. Ma lei, i capelli neri che non pettinava mai, usciva lentamente dal cancello di casa sua, i passi pesanti. Ogni passo era sempre più lontana da lui e più vicina a Perth. "Aileen" disse Ashton. Era uscito tale quale ad un sussurro, ma Aileen si era voltata comunque, come se lo avease sentito, o avesse sentito la sua presenza. Ashton la raggiunse. Si fissarono per un momento che parve infinito. Loro, erano infinito. E l'infinito mai finisce. "Dimmi che quasto è un ciao e non un addio" disse Ashton. Voleva sentirsi dire a domani. Ogni giorno. "Ciao" sorrise Aileen, afferrando la bandana che Ashton le stava porgendo, e legandosela al passante dei pantaloni. Anche Ashton sorrise. Ma il suo sorriso, quella volta, era infinitamente triste. Poi le due ragazze svoltarono l'angolo, e Ashton le perse di vista. * * * Michael ce l'aveva con sua mamma. Non era possibile, che lo avesse fatto. Sua madre,donna disponibile quale era, che ad un tratto diventava così acida. Michael voleva capire, cosa fosse successo. Poi lo realizzò, un colpo allo stomaco, potente. Rikki non c'era più. Non viveva più sotto il suo stesso tetto. Era così vuota la casa, ora. Era così vuoto, lui. Afferrò il telefono e digitò il numero di Ashton. "Michael non mi va di parlare, scusami." Disse Ashton dall'altro capo del telefono, prima di riattaccare. E Michael era di nuovo Michael. Un Michael senza Rikki, come una farfalla senza ali. Deatinato a soccombere. Maledetta, quella merda che era il destino.

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