Something in the water

di shewantedstorm
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** CAPITOLO 1 ***
Capitolo 2: *** CAPITOLO 2 ***
Capitolo 3: *** CAPITOLO 3 ***
Capitolo 4: *** CAPITOLO 4 ***



Capitolo 1
*** CAPITOLO 1 ***


Capitolo 1
 

Anthony stava di nuovo male. Nonostante fosse ormai quasi metà giugno, la notte prima  le temperature erano calate di colpo; la pioggia aveva cominciato a scendere fortissimo e poco dopo si era trasformata in grandine. Forse aveva dormito ancora con la finestra aperta, oppure era uscito di nascosto in giardino a giocare con i suoi orribili cani, come al solito. Abigail non lo sapeva. Suo fratello era tanto cagionevole quanto cocciuto e irresponsabile. Ma, del resto, quanto senso della responsabilità ci si poteva aspettare da un bambino di cinque anni?
Abigail giocherellò con le uova sode che aveva nel piatto. Quando il piccolo si ammalava (e ciò avveniva almeno due volte al mese), consumava i suoi pasti a letto, con Sushuanna che lo imboccava e gli raccontava le fiabe del suo paese: quindi Abigail era costretta a stare a tavola da sola con suo padre, il quale non rappresentava di certo una compagnia allegra e piacevole. Parlava solo se interpellato, masticava con lo sguardo fisso nel vuoto e muoveva nervosamente la gamba destra (faceva sempre così quando Anthony aveva la febbre).
<< Non ho fame >> disse Abigail piano, dopo aver rimuginato per dieci minuti buoni su cosa avrebbe potuto dire per mettere fine a quel silenzio teso. Anche quando c'erano la tata e suo fratello seduti con loro, le cose non andavano meglio. Aaron Redwood sembrava sempre avere altri pensieri per la testa. Non aveva tempo da sprecare in chiacchiere, non poteva mettersi a costruire barchette di legno per la gara sul fiume o a cucinare i pancakes della domenica come facevano tutti i papà delle sue compagne di scuola. 
L'uomo si strofinò gli occhi con una mano, corrugando le sopracciglia chiare e rade, poi si ravviò all'indietro i capelli neri che gli sfioravano quasi le spalle. Aveva un'aria stanca.
<< Non ho fame >> ripeté Abigail, cercando di mantenere la calma e di non sembrare irritata. Lo odiava quando lui la ignorava. << Lasciami salire di sopra con Sue e Tony. >>
<< Finisci le tue uova e vai a scuola. Sei troppo grande per le fiabe >> fu la risposta di suo padre.
Scuola. Il tredici giugno.
La scuola era chiusa e da più di una settimana erano iniziate le vacanze estive, ma forse questi erano dettagli insignificanti per l'impegnatissimo Aaron Redwood, il più famoso e ricco avvocato di Saint Louis.
Abigail si tappò la bocca con le mani emettendo un suono buffo simile ad uno starnuto, nell'invano tentativo di trattenere una risatina amara. Aaron se ne accorse e finalmente distolse lo sguardo dalla caraffa di spremuta d'arancia, spostando le iridi azzurro pallido in quelle di lei.
Padre e figlia avevano gli stessi occhi color ghiaccio, eppure in quelle dell'uomo c'era un qualcosa di severo, di gelido e desolato; Abigail non resse il confronto, abbassò la testa e mormorò qualche parola di scusa.
<< Finisci la tua colazione ed esci o perderai il taxi. Sai che non ho tempo per giustificare i tuoi ritardi a scuola  >> le disse suo padre, tagliando il suo toast in tanti pezzettini uguali e collocandoli ordinatamente in fila per tre nel piatto. Era un'abitudine che aveva preso da quando era morta sua moglie, la mamma di Abigail e Tony. Non aveva mai sopportato il caos in ogni sua forma, ma dal 15 luglio 1965 (ovvero quattro anni prima) il suo amore per l'ordine ed il decoro era pian piano diventato  un'ossessione. Anthony, che lo imitava in tutto e per tutto, da più di un anno aveva cominciato a sistemare la sua collezione di statuine di animali per razza e grandezza, ed anche Abigail senza rendersene conto aveva i vestiti nell'armadio divisi per colore e i libri sugli scaffali in ordine alfabetico. 
<< Ti ho detto che non ho fame >> sbottò la ragazza, dopo qualche attimo di esitazione. L'uomo inspirò profondamente, ma non disse nulla. Era tornato nel buio della sua mente. Abigail si alzò, evitando di accostare la sedia al tavolo come suo padre voleva che fosse fatto,  apposta per farlo innervosire. Ma Aaron se ne accorse appena.
<< Oggi è il tredici giugno. La scuola è finita. Sono anche stata promossa con il massimo dei voti, nel caso ti interessi. >> Cercò di assumere un tono quanto più pacato e tranquillo possibile, anche se dentro stava esplodendo. Si fermò sulla soglia della sala da pranzo. << Vado a vedere se Sue ha bisogno di me >> aggiunse, poi sgattaiolò su per le scale veloce come una lepre, in modo da poter immaginare che suo padre le avesse urlato dietro qualcosa che lei, presa dalla fretta e dalla rabbia, non aveva potuto sentire. Ma in realtà Abigail sapeva fin troppo bene che suo padre non urlava mai.
 
 
Quando fece irruzione nella cameretta di suo fratello, Anthony dormiva abbracciato a un leone di peluche e appariva minuscolo e fragile in quel letto enorme e pieno di cuscini. La stanza era in penombra, le tapparelle abbassate per tenere fuori il sole del mattino. C'era un libro aperto sul bordo del letto, un libro dalla copertina rigida blu scuro, vecchio e usurato, dalle pagine ingiallite che odoravano di polvere. Abigail conosceva bene quel libro. Era il libro delle fiabe africane di  Sushuanna. La tata sedeva su di una poltroncina a dondolo e si intrecciava i lunghi capelli color della notte. Erano davvero belli, per una donna di quasi sessant'anni. Appena la tata si accorse di lei, sfoggiò il suo sorriso bianchissimo e dolce e per un momento Abigail dimenticò tutta la collera che dimorava nel suo corpicino, che sembrava ancora quello di una bambina nonostante la ragazza avesse ormai sedici anni.
<< Che succede al mio bocciolo di loto? >> le chiese Sue. In realtà era una domanda fatta così per fare: la vecchia donna sapeva benissimo qual era il problema. Abigail non rispose, ma si avvicinò alla tata e cominciò ad intrecciarle i capelli, come faceva da piccola.
<< Non dovresti stare qui dentro troppo a lungo, stellina >> le disse Sushuanna. << Tony ha la febbre molto alta, non vorrai prendertela anche tu? >>
<< Io sono forte >> rispose Abigail. << Che fiaba gli hai letto, oggi? >>
<<  La giraffa vanitosa >> rispose Sue sorridendo << ma si è addormentato subito. >>
<< Dovevi inventargliene una sui leoni, o sui serpenti. Allora si che sarebbe rimasto sveglio! Sei brava ad inventare. >> 
<< Tu di più. Parli della mia Terra come se la conoscessi da sempre. >>
Sushuanna non diceva mai "Sudafrica". Parlava del posto in cui era cresciuta chiamandolo "la mia Terra", con la lettera maiuscola.
<< Mi hai raccontato talmente tante storie che a volte mi sembra di essere nata lì, nella savana, in mezzo ai leoni e alle gazzelle e agli elefanti. >> Abigail guardò il suo fratellino. Le gote erano rosse per la febbre alta, il respiro era affannoso. Ogni volta che guardava Tony gli sembrava di vedere sua madre. Avevano lo stesso viso tondo e bianco come la luna, gli stessi occhi dolci color nocciola e le stesse ciglia scure e lunghe, talmente lunghe che facevano ombra sulla guancia quando abbassava le palpebre.
<< Sta davvero tanto male? >>. Quell'attimo di pace che aveva attraversato il suo cuore se ne andò così come era arrivato. La morte di sua madre, la malattia di Anthony, l'indifferenza di suo padre, tutto le piombò di nuovo addosso, e lei riaccolse il fardello con altrettanta indifferenza, abituata al peso immane che si trascinava sulle spalle da quattro anni a quella parte.
Sushuanna si inumidì le labbra prima di rispondere. << Diciamo che è una prova un po' più difficile delle altre... >> esitò, interrompendo la frase a metà. Tony si svegliò di soprassalto in preda ad un forte attacco di tosse.
<< Non riesco a respirare >> si lamentò debolmente, con voce nasale, tossicchiando. Sue gli passò un fazzoletto. << Povero piccolo! >> disse, asciugandogli il sudore dalla  fronte. << L'unguento che ti ha prescritto il dottore è finito, lo comprerò stasera. >>
<< Vado io >> disse Abigail. Si fece scrivere su di un pezzo di carta il nome dell'unguento, poi infilò il giubbetto di jeans, prese i soldi e uscì di casa. I dobermann in giardino la fissarono torvi. Non avevano un nome. Suo padre li chiamava "i cani", ed Anthony cambiava loro appellativo ogni settimana. Abigail era rimasta a "Leo e Orso", ma non sapeva se Tony li avesse ribattezzati diversamente in quei giorni oppure no. Lei li detestava. Erano aggressivi e quando abbaiavano le mettevano paura.
Aprì il cancello della villetta in cui viveva ed uscì in strada. Erano le nove del mattino e per strada non c'era quasi nessuno. Con quel bel sole, probabilmente erano tutti al fiume. Casa Redwood era piuttosto lontana dalla riva del Mississippi, e di questo Abigail era piuttosto triste. La ragazza sperò che l'erboristeria del vecchio Nathaniel, dove Sue le aveva detto di andare, fosse aperta. 
Vi arrivò quasi un quarto d'ora dopo. A vederlo da fuori sembrava l'antro di una strega piuttosto che un'erboristeria: i vetri erano opachi, per cui non c'era modo di spiare dentro. E se si fosse sbagliata? Ma no, l'insegna diceva chiaramente "dal 1950, antica erboristeria di mastro Nathaniel". Sotto, attaccata con dei chiodi, c'era un'altra piccola insegna di ferro, più recente, su cui era stato scritto "e figlio". A giudicare dalle  condizioni generali del negozio, questi Nathaniel e Figlio non dovevano passarsela proprio bene a livello economico. La guerra era finita da qualche tempo, ormai, ma c'era ancora chi ne risentiva. 
Abigail spinse la pesante porta di legno scuro e il suono di una campanella accompagnò il suo ingresso nella buia e profumata erboristeria.
 
 

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Capitolo 2
*** CAPITOLO 2 ***


CAPITOLO 2
 
<< C'è nessuno? >> chiese Abigail. Ascoltò l'eco della propria voce. No, sembrava proprio che non ci fosse nessuno. Si guardò attorno. Era una bottega piccolina, dall'aria vecchia ma pulita, che sarebbe stata molto simile alle erboristerie del Medioevo se non fosse stato per il telefono appeso al muro o per la pila di fumetti e riviste di musica in bilico su uno sgabello accanto al bancone. Alle pareti c'erano tantissimi scaffali e armadietti in cui, Abigail immaginava, erano conservati unguenti, sciroppi, creme, oli essenziali e ovviamente erbe curative e aromatiche. L'odore che aleggiava lì dentro era pungente, un misto di menta piperita, rosmarino e fiori secchi. Le finestre erano grandi e molteplici, tutte dal vetro opaco e - ahimè - tutte chiuse. Dal grosso bancone di quercia in fondo al negozio sembrava provenire un ronzio sospetto. Abigail non si lasciò intimorire così facilmente: avanzò a passo lento, allungando il collo per cercare di vedere meglio oltre il registratore di cassa. La scena che le si presentò davanti agli occhi le fece venir voglia di ridere: un ragazzo che doveva aver avuto circa uno o due anni in più a lei stava ronfando alla grande seduto sul pavimento, con la testa appoggiata allo sgabello. Aveva i capelli molto folti e arruffati, di un castano scuro, che all'ombra poteva sembrare nero ma che al sole splendeva di riflessi ramati. Nel sonno le sue sopracciglia erano corrucciate. Il suo volto ispirava simpatia: un po' allungato ma pieno, con gli occhi piuttosto ravvicinati e la bocca piccola e rossa, al lato sinistro della quale c'era una fossetta. Indossava una camicia rossa a quadri  arrotolata fino agli avambracci, ed un jeans blu scuro. Di certo, ragionò Abigail, non proveniva da un quartiere ricco. In grembo aveva un librone dall'aria pesante sulle cui pagine, piene di bacche e piante illustrate, era aperto un fumetto di Superman. Avvicinandosi quatta quatta per osservarlo meglio, Abigail andò a finire con il ginocchio proprio contro lo sgabello, facendo cadere tutti i giornaletti addosso allo sconosciuto.
<< Ahi! >> si lamentò mantenendosi la gamba con due mani e appoggiandosi al bancone accanto. Il ragazzo si alzò di scatto, con gli occhi scuri sbarrati per lo sgomento, massaggiandosi la testa.
Per qualche secondo nessuno dei due fu in grado di dire niente. Abigail non era abituata a parlare con i suoi coetanei. Per cui rimase a bocca cucita, con gli occhi ostinatamente rivolti verso il livido che le si stava formando sul ginocchio magrolino, aspettando che quello strano giovane proferisse parola. Ora che lui era sveglio e in piedi, Abigail notò che era piuttosto alto e che il suo fisico era magro ma robusto ed in salute. Lui la stava guardando con aria dubbiosa: sentiva i suoi occhi addosso. Si schiarì la voce, non senza un certo imbarazzo.
Lo sconosciuto sembrò scendere dalle nuvole. Fece un mezzo sorriso che lì per lì Abigail trovò molto irritante.
<< Da dove vieni? >> le chiese, a bruciapelo.
Per tutta risposta, la ragazza mormorò: << Mi serve questo unguento >> e gli sventolò sotto il naso il foglio che le aveva dato Sushuanna sul quale era appuntato il nome del suddetto unguento.
Lui scosse la mano con fare infastidito, come se quel foglietto fosse stato una mosca da scacciare via.
<< "Miservequestounguento", che nome strano per una città. Dove si trova? >> scherzò.
Abigail non si degnò nemmeno di sorridere.
<< Sei tu mastro Nathaniel? >> chiese, impaziente.
<< È mio padre, ma arriverà in negozio a ora di pranzo. Come mai una bella fanciulla come te ha bisogno di... >> il ragazzo lesse il foglietto << un unguento all'eucalipto a quest'ora del mattino? Solo i pettirossi si svegliano così presto, anche se loro sono più rumorosi di te. >>
I pettirossi. 
Abigail Redwood sbatté le palpebre più volte, interdetta. Ma la sua confusione durò solo un attimo, e l'attimo dopo tutto ciò che la ragazza desiderava era uscire da quella strana  bottega e correre a casa il più in fretta possibile. << Mastro Nathaniel non c'è? >> chiese, già avviandosi verso l'uscita e sentendosi le orecchie in fiamme. Le persone aperte ed esuberanti come lui la mettevano a disagio e la facevano sentire ispida e scorbutica come un grizzly. << Allora torno qui a ora di pranzo >> borbottò afferrando la maniglia in ottone della porta come se si fosse trattato di un'ancora di salvezza.
<< Ferma ferma ferma, signorina Pettirosso! >> esclamò il ragazzo, prendendola per entrambe le spalle. << Punto primo, l'unguento posso dartelo anche io; punto secondo, non mi hai nemmeno detto come ti chiami e trovo che questa sia una cosa davvero inaccettabile. >>
Abigail non sapeva proprio come comportarsi. La situazione stava diventando imbarazzante fino all'inverosimile.
<< Va bene, va bene, basta che ti spicci, e sei pregato di non stritolarmi >> si ritrovò a rispondere, liberandosi dalla presa del giovane e meravigliandosi della propria loquacità.
<< Non ti stavo stritolando. Allora, qual è il tuo vero nome? >> Il ragazzo si alzò sulle punte e si mise a frugare tra le varie boccette di vetro che occupavano uno degli scaffali.
<< Abigail. Abigail Redwood >> rispose Abigail, a malincuore. Tutti sapevano che Aaron Redwood era uno tra gli uomini più benestanti della città ed evidentemente anche il ragazzo lo sapeva bene, perché per un istante le sue sopracciglia si sollevarono e nei suoi occhi (che erano grigio scuro, notò lei) comparve una strana espressione.
Ma subito dopo, tornò a fare quel suo sorrisetto furbo, con la fossetta all'angolo della bocca più marcata che mai: << Hai un nome troppo lungo. Ti dispiace se ti chiamo Abbie? >>
Abigail sollevò le spalle ed incrociò le braccia. Neanche suo padre l'aveva mai chiamata Abbie e lei non capiva perché un perfetto sconosciuto avesse bisogno di darle un soprannome affettuoso, ma comunque.
Il ragazzo trovò il barattolo che cercava. Era piccolo e di colore blu scuro.
Lui sorrise, lo lanciò in aria e poi lo riacchiappò, ma il suo gomito cozzò contro lo scaffale e ben due boccette si ruppero in mille pezzi sul pavimento, sporcando ovunque con il loro contenuto. Ci fu silenzio. Poi Abigail il ragazzo si guardarono...
...e scoppiarono a ridere all'unisono, talmente forte che dovettero appoggiarsi al muro e mantenersi la pancia con le mani. Quando finalmente smisero, entrambi avevano le lacrime agli occhi per le risate.
<< Bene. Unguento all'olio essenziale di eucalipto, da spalmare su schiena e petto prima di andare a dormire. Utile contro tosse e raffreddore. Scioglie i muchi nei bronchi e libera le vie aeree >> disse infine il ragazzo in tono professionale, passandosi le dita fra i capelli e porgendole il barattolo. 
<< Quanto ti devo? >> chiese Abbie.
<< Nah, i numeri non hanno importanza per me... A meno che non siano quelli che compongono il tuo numero di telefono. >> Le fece l'occhiolino infilandosi le mani nelle tasche.
<< No, sul serio, quanto costa? >> ripeté la ragazza, di nuovo nervosa. 
<< Non insistere >> le rispose lui, prendendo un vecchio straccio da un cassetto nel bancone. << In realtà non lo so neanche, quanto costa: è mio padre quello che conosce tutti i prezzi a memoria >> aggiunse. Si inginocchiò sul pavimento e fece per iniziare a rimediare al macello che aveva combinato. 
Abbie esitò un attimo, poi si mise l'unguento in tasca e si rimboccò le maniche.
<< Che stai facendo? >> le chiese il ragazzo.
<< Ti aiuto >> rispose lei. Si diresse con sicurezza verso una porticina in fondo al negozio che prima non aveva notato. Dietro, come aveva sperato, c'erano un gabinetto, uno specchio e un lavandino. Ed anche un secchio: Abbie lo mise sotto l'acqua corrente del rubinetto fino a che non si riempì, poi uscì dal bagno trasportandolo a fatica e stando molto attenta a non rovesciarselo addosso. Ignorò il sorriso divertito del giovane, si sedette sui talloni, si spostò i capelli castani dietro le orecchie e cominciò a raccogliere tutti i cocci di vetro delle boccette rotte. Lui la aiutò e in breve ebbero finito: il ragazzo li andò a gettare nell'immondizia, poi prese un'altra pezza per sé. I due bagnarono i rispettivi stracci nell'acqua del secchio e si misero a lavare il pavimento meglio che poterono, gomito a gomito, in silenzio. Quando terminarono, lui asciugò tutto con un panno mentre lei svuotò il secchio nel gabinetto e si lavò bene le mani.
<< Non so come ringraziarti >> le disse il ragazzo in tono sincero. 
<< Figurati... >> rispose Abigail.
Altro silenzio imbarazzante.
Il ragazzo le sorrise e lei si trovò a sorridere a sua volta. << Tu però non mi hai detto come ti chiami >> gli fece notare.
<< Torna a trovarmi domani pomeriggio ed io te lo dico. >> 
Lei strabuzzò gli occhi chiari e lui le fece la linguaccia, poi le aprì la porta. Abbie uscì senza dire niente. Si girò e l'ultima immagine che vide fu il ragazzo che sorrideva in modo vispo, con una mano appoggiata alla porta e l'altra nella tasca dei jeans. Lui si portò due dita alla tempia in segno di saluto, poi chiuse piano la porta ed Abbie si sentì strana e smarrita, sul marciapiede, nel caos mattutino della città.
Quando tornò a casa, ancora tutta trasognata, diede un bacio sulla fronte del fratellino dormiente, poi mise l'unguento nelle mani della tata e la avvisò di non cucinare niente per lei perché tanto non aveva voglia di pranzare. Sushuanna all'inizio protestò, poi cedette e si avviò verso la cucina sbuffando come una locomotiva a vapore. Abbie salì le scale fino in camera sua e si buttò sul letto senza neanche spogliarsi. Ripensò tutto il tempo all'incontro che aveva fatto, alle parole gentili del ragazzo, al suo impacciato tentativo fare colpo, ai suoi occhi allegri ed alla sua fossetta. Si sentiva agitata quasi in modo febbrile, e felice.
Lui le aveva chiesto di tornare.
"Torna a trovarmi domani pomeriggio", aveva detto. 
Ma l'indomani pomeriggio Abigail non si presentò alla porta di mastro Nathaniel, e neanche il pomeriggio dopo e neanche il pomeriggio dopo ancora. Tutte le volte usciva di casa, faceva un quarto d'ora di cammino per arrivare all'erboristeria e poi rimaneva nascosta dietro la cabina telefonica fino ad orario di chiusura serale, alle nove. Osservava il ragazzo fare le pulizie, abbassare la saracinesca, prendere a braccetto il padre (che a quanto sembrava, nonostante non potesse avere più di 50 anni, aveva problemi di vista molto gravi)  e avviarsi verso casa camminando a passi lenti e chiacchierando del più e del meno. Che bello spettacolo che erano: Abbie si incantava tutte le volte. Anche lei avrebbe voluto avere un rapporto del genere con il suo papà: raccontargli la propria giornata, prenderlo in giro ed essere presa in giro da lui, ricevere pizzicotti affettuosi sulle guance e carezze nei capelli. 
"Io e la mamma eravamo così" pensò, una sera, mentre, nascosta nel suo solito posticino, guardava mastro Nathaniel che faceva lo sgambetto a suo figlio. Il ragazzo inciampò e si aggrappò all'uomo nel tentativo di rimanere in equilibrio, ma alla fine entrambi fecero un ruzzolone e finirono col sedere per terra, soffocando per le risate. Anche ad Abbie scappò un risolino. 
<< Andiamo, Freddie >> disse ad un certo punto mastro Nathaniel << aiuta il tuo vecchio a rimettersi in piedi! >>
Freddie - era così che si chiamava il ragazzo! - si rialzò e tese una mano al padre, sghignazzando. Poi lo guidò verso le strisce pedonali. Attraversarono la strada e sparirono dietro l'angolo. Abbie contò fino a dieci, poi uscì allo scoperto. Si sentiva un verme perché era una settimana che li spiava, senza sapere esattamente perché. C'era una certa serenità nel loro modo di fare che la attraeva come la luce attrae una falena. A volte immaginava come doveva essere far parte della loro famiglia. Tornare a casa dopo una lunga giornata di lavoro, essere accolti da sorrisi e battute, mangiare tutti assieme bisticciando e scherzando. Forse non avevano tanti soldi, ma erano felici. 
Abbie si appoggiò alla saracinesca dell'erboristeria rabbrividendo: la sera faceva sempre più fresco. 
Chiuse gli occhi.
Quando li riaprì, davanti a lei c'era il ragazzo chiamato Freddie, con le mani nelle tasche dei pantaloni, che la osservava con fare rilassato.

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Capitolo 3
*** CAPITOLO 3 ***


Capitolo 3

 

Abigail Redwood era talmente sbigottita che si dimenticò persino di arrossire. Si sentiva come un cane beccato a fare la pipì sul tappeto nuovo; in trappola, colpevole, viscida come un lombrico.
<< Ciao, Abbie >> disse il ragazzo chiamato Freddie, avanzando di un passo verso di lei. << Ti dispiacerebbe spostarti? Ho dimenticato  le chiavi di casa in negozio e mio padre mi ha mandato a prenderle >> continuò come se niente fosse stato.
Abbie deglutì e si fece da parte.  Mentre lui armeggiava per alzare la saracinesca, la ragazza prese a tormentarsi nervosamente l'orecchino destro, pensando a qualcosa di intelligente da dire. Non le venne in mente niente e quando Freddie le chiese cosa ci facesse piantata lì ad occhi chiusi, lei cominciò a sparare giustificazioni a raffica.
<< Non è come pensi, io... Mi avevi detto... Sono potuta tornare qui solo ora e tu avevi chiuso...  >> Abigail pregò che lui le credesse. Freddie giro le chiavi nella toppa, spinse la porta ed entrò nel negozio buio. Senza sapere che fare, lei lo seguì. Nell'oscurità i suoi capelli arruffati sembravano neri come ali di corvo. Il giovane si mosse con sicurezza verso il bancone, senza neanche accendere la luce. Abigail udì un tintinnio di chiavi e seppe che lui aveva trovato ciò che cercava. Freddie si avviò verso la porta ma a metà strada si fermò all'improvviso, e lei, che gli stava camminando dietro seguendolo come un'ombra, gli andò a sbattere contro la schiena. << Ehi! >> protestò.
<< Vieni a cena con me >> replicò il ragazzo, girandosi. Al buio non poteva vederlo bene, ma Abigail immaginò che stesse sorridendo nel suo modo buffo. 
<< Che...? >> rispose.
<< Mi hai sentito benissimo! Dai, vieni a cena con me. >>
<< Adesso devo tornare a casa. Facciamo domani. >>
<< Così non ti presenti e mi spii per un'altra settimana? Non attacca, ci sono già cascato. La mia proposta è ora. Prendere o lasciare, Abbie Redwood. >>
<< Lasciare >> disse con sicurezza la ragazza, uscendo sul marciapiede, contenta di vedere di nuovo la luce del lampione. In strada non c'era nessuno. A casa sua dovevano essere tutti in pensiero per lei. Suo padre non era compreso nel "tutti", naturalmente.
<< Freddie! >> urlò qualcuno. Abigail alzò gli occhi: era mastro Nathaniel che chiamava suo figlio a gran voce, dal marciapiede di fronte. << Andiamo, ragazzo, quanto ci vuole per trovare un paio di chiavi? Il mio stomaco brontola e c'è un bel pollo al forno che mi aspetta a casa! >>
<< Arrivo subito, papà, non ti muovere! >> gli urlò di rimando Freddie, abbassando in fretta e furia la saracinesca dell'erboristeria. << Ti piace il pollo al forno, Abbie? >> aggiunse poi, lanciando uno sguardo ammiccante alla ragazza.
<< No >> mentì lei.
Freddie la prese a braccetto e insieme i due raggiunsero Nathaniel. Per qualche strana ragione Abigail non oppose resistenza.
<< Papà, questa è Abigail Redwood, per gli amici Abbie >> disse il ragazzo. << Abbie, ti presento Nathaniel Connor, per gli amici Nat, e l'unguento all'eucalipto che hai comprato qualche giorno fa l'ha fatto tutto lui con le sue amorevoli manone. >>
Nathaniel Connor rise aggiustandosi il colletto della camicia bianca. 
<< Piacere, Abbie. Puoi avvicinarti? Ho qualche problemuccio alla vista >> le disse l'uomo, ed Abbie trovò che la sua voce fosse dolce, rassicurante e simpatica come quella di (quasi) tutti i papà.
<< Ma sentitelo, problemuccio alla vista! Sei cieco come un pipistrello, Nathaniel Connor >> Freddie gli assestò una pacca sulla spalla sorridendo a trentadue denti, con la fossetta in bella vista all'angolo della bocca.
Abbie si avvicinò all'uomo in modo che lui potesse vederla meglio. Mastro Nathaniel strizzò gli occhi e sbatté le palpebre più volte. Le sue iridi erano di un grigio più chiaro rispetto a quelle di Freddie, e leggermente velate: Abigail capì che il ragazzo non scherzava. L'erborista era davvero quasi cieco.
<< Devi essere ancora più carina vista senza otto gradi di miopia >> le disse l'uomo in tono gentile. 
<< Papà, stasera Abbie sarà la nostra ospite d'onore. Credi che ci sarà un po' di pollo anche per lei? >> Freddie circondò le spalle di Abigail con un braccio e a quel punto tutti i piani di fuga della ragazza si liquefecero come neve al sole. 
<< Altroché se ci sarà! >> rispose Nathaniel. Abbie avrebbe voluto ringraziare, o fare una battuta; dire qualcosa di carino e sensato, insomma. Ma tutto ciò che le uscì di gola fu una specie di suono a metà fra un miagolio e una risata e alla fine si arrese.
Era la serata più adrenalinica della sua vita. Stava andando a cenare a casa di due erboristi, padre e figlio, entrambi perfetti sconosciuti, alle dieci di sera, senza avvertire nessuno della sua famiglia e senza avere la minima idea di come avrebbe fatto in seguito a ritrovare la strada di casa, visto che lei abitava piuttosto lontano da lì.
Ma se ne sarebbe preoccupata dopo: in quel momento le uniche cose che le importavano erano lo sguardo di Freddie, le stelle nel fresco e scuro cielo estivo e il pollo al forno.
La strana combriccola si incamminò, con Nathaniel al centro e i due giovani che lo tenevano ognuno per un braccio, guidandolo e avvisandolo se c'erano ostacoli lungo il percorso. 
Durante il tragitto (che durò circa venti minuti) Abbie scoprì che i Connor abitavano in una piccola casetta in periferia, molto vicina alle rive del Mississippi; scoprì che in tutto erano in otto, sei figli più Nathaniel e sua moglie, la signora Lily, che a detta di Freddie faceva una crostata di mirtilli eccezionale; e scoprì che Freddie era appassionato di animali - selvatici e non - ed aveva trasformato casa loro in uno zoo.
Una volta arrivata poté confermare tutte queste cose, a cominciare dagli animali. Una grossa cornacchia nera come il carbone le volò sulla testa ed Abigail per poco non calpestò una famigliola di istrici che dormiva sul tappeto.
I fratellini del ragazzo si misero in fila ordinata, incuriositi dal suo arrivo. Erano quattro: ne mancava uno. Ad Abbie ricordarono tanto i Bimbi Sperduti, con la differenza che loro almeno avevo un tetto sopra la testa e dei vestiti puliti. Freddie, ovviamente, era Peter Pan.
<< Chi è lei? >> chiese una bambina con i capelli color miele. Gli altri ripeterono in coro la domanda, tirando il loro fratello maggiore per le maniche della camicia.
<< Lei è... >> cominciò a rispondere il ragazzo, ma fu bloccato dal suono di un vetro infranto proveniente dalla cucina.
<< Santo cielo Lily, non dirmi che hai di nuovo rotto un piatto! >> disse Nathaniel facendosi largo fra i bambini nello stretto corridoio. Abigail notò che si muoveva con molta più sicurezza in casa sua.
<< Questa volta non sono stata io >> urlò in risposta una voce di donna << Jon, toglimi questo animale dai piedi e portalo fuori prima che decida di servirlo al pranzo domenicale >> continuò. Un ragazzino dai folti capelli neri uscì dalla cucina con un anatroccolo tra le braccia. "Eccolo, il quinto Bimbo Sperduto" pensò Abigail Redwood. Doveva essere il secondogenito. Con molta probabilità la sua età girava attorno ai dieci anni. Jon rivolse una lunga occhiata all'ospite, poi trotterellò via mentre sua madre gli urlava di non rovinare le rose in giardino.
Padre e figlio condussero Abbie nella piccola ma accogliente cucina. Il tavolo di legno era molto lungo ed era apparecchiato solo per due: com'era immaginabile, il resto della famiglia aveva finito di cenare da un pezzo. Su ogni sedia c'era un cuscino diverso, quasi sicuramente cucito a mano, un po' rustico ma lo stesso grazioso. L'orologio a cucù batteva le dieci e trentacinque. Il frigorifero era magnetico e pieno zeppo di disegni tenuti su da alcune calamite. Il colore predominante era il rosso, ma la luce del lampadario dava al tutto una sfumatura giallognola. 
Lily era una donna bionda e paffuta, dai grandi occhi castani, in piedi accanto al forno, armata di cucchiaio di legno. Alla vista di Abigail i suoi occhi si accesero di una strana luce.
<< Mi sembra di scorgere un visino nuovo. Chi abbiamo l'onore di conoscere? >> chiese, e la sua voce era dolce quanto quella di suo marito, se non di più. Intanto i Bimbi Sperduti (escluso Jon) si erano radunati sulla soglia della cucina, ansiosi di scoprire di più.
<< Lei è la mia nuova amica Abbie >> disse Freddie in tono allegro, avvolgendo di nuovo le spalle della ragazza con un braccio. La testa di Abigail tornò a fluttuare nel vuoto cosmico.  << Abbie, ti presento mia madre Lily. E queste piccole pesti alle nostre spalle sono Fiordaliso, Sarah, Gwen, Rick e... dov'è Jon? >>
<< A giocare con le rane >> rispose in tono calmo la bambina chiamata Fiordaliso, che era l'unica ad avere i capelli biondi come la madre. Il resto della cucciolata presentava gli stessi tratti di Nathaniel, Freddie compreso.
<< Vuoi giocare con le bambole? >> chiese Gwen ad Abigail. La ragazza non ebbe il tempo di rispondere che subito un'altra bambina - quella chiamata Sarah - le propose di giocare a nascondino e Fiordaliso, per non essere da meno, le chiese di disegnarle un criceto.
<< No, disegna un drago! >> urlò il bambino chiamato Rick, che avrebbe potuto avere la stessa età di Anthony, il fratellino di Abigail.
<< No, un criceto! >> gli urlò di rimando Fiordaliso.
Rick batté il piede per terra. << I criceti fanno schifo! >>
<< A tutti piacciono i criceti! >> disse Fiordaliso.
<< I draghi vincono! >>
<< Disegna un criceto! >>
<< Drago! >>
<< Criceto! >>
<< Dra... >>
<< BASTA COSÌ >> tuonò Lily, battendo il cucchiaio sul tavolo per ottenere silenzio. << A letto, tutti quanti! >>
I Bimbi Sperduti protestarono e Rick scoppiò a piangere. Le tempie di Abigail si misero a pulsare dolorosamente e la ragazza, pur di mettere fine a quella lagna, promise che sarebbe tornata e che avrebbe disegnato il drago più grande e terribile che l'umanità avesse mai conosciuto. Rick tirò su col naso ed annuì, poi, assieme alle sue sorelline, salì al piano di sopra e finalmente la piccola casa fu avvolta da un piacevole silenzio. 
Lily aggiunse immediatamente un piatto a tavola anche per Abbie e distribuì a tutti un'abbondante porzione di pollo al forno con patate e rosmarino. Freddie allungò la mano per sgraffignare un'altra coscia di pollo, ma la donna lo colpì con il suo micidiale cucchiaio. << Giù le zampe, Frederick Connor >> lo ammonì. Frederick - ecco dunque il nome completo del ragazzo - esibì un ghigno ed Abbie sorrise nervosamente. Mentre mangiava ed ascoltava i Connor che si scambiavano aneddoti sulla giornata appena trascorsa, la ragazza si domandò più volte se non fosse il caso di alzarsi, salutare tutti e darsela a gambe. Sushuanna doveva essere  preoccupata, e forse anche suo padre era un po' in pensiero...
Ma era come se una strana forza la tenesse ancorata alla sedia. La cena era deliziosa, Lily era di una dolcezza infinita, Nathaniel faceva battute e Frederick ogni tanto la guardava e le faceva l'occhiolino, con la sua cornacchia appollaiata sulla spalla e un gattone grigio spuntato dal nulla disteso in grembo. Quella casa, piena di bambini, disegni, animali e oggetti colorati e vissuti, aveva un che di magico. Dopo il pollo, la signora Connor tirò fuori dalla credenza una grossa fetta di crostata ai lamponi.
<< La specialità di mia moglie è la crostata ai mirtilli, ma anche questa non è niente male >> disse Nathaniel sfregandosi le mani. 
<< Purtroppo i bambini l'hanno divorata e non sapevo che ci saresti stata anche tu con noi, cara, perciò non ce n'è molta... ma se torni tra qualche giorno ne preparerò una ai mirtilli tutta per te! >> aggiunse Lily tutta contenta, dividendo con cura gli avanzi del dolce in parti uguali e servendoli in graziosi piattini di ceramica. Abbie notò che la donna aveva rinunciato alla sua fetta per darla a lei, e fece per dire qualcosa, ma Fred fu più svelto.
<< Mamma, prendi tu la mia fetta, io posso fare a metà con papà >> disse il ragazzo.
<< Fai a metà con me >> scattò subito Abigail, ma si pentì di aver parlato a voce così alta.
Fred sorrise, si alzò e si andò a sedere vicino a lei; poi, con la propria forchetta, tagliò un pezzettino dalla fetta di Abbie e lo mangiò, appoggiandosi allo schienale della sedia e dondolandosi come se niente fosse stato. Così mangiarono la torta dallo stesso piatto ed Abigail fece i suoi più sinceri complimenti a Lily, perché era davvero buona. 
Quando fu il momento di andarsene, la ragazza abbracciò goffamente i genitori di Fred. Abbracciare le persone non rientrava tra le sue abitudini più frequenti, ma in quel momento le venne naturale. Le sembrava di conoscere tutti quanti da una vita. Il ragazzo insisté per accompagnarla a casa ed Abigail non si fece pregare più di tanto: la strada era lunga e fuori era buio.
Così, ringraziata per la centesima volta la famiglia Connor, Abbie Redwood uscì in giardino, con il venticello estivo che le soffiava tra i capelli color nocciola. A qualche passo dietro di lei c'era Fred, mani in tasca e sorriso allegro. La casa dell'erborista era abbastanza vicina alla riva del fiume, ma ancora più vicina ad un boschetto: la sera arrivava l'eco del canto dei grilli e molto spesso si sentivano anche i gufi e le civette. 
I due giovani attraversarono il piccolo cortile d'ingresso, e alla sua destra Abbie vide un orticello a cui prima non aveva fatto caso. Sulla sinistra invece c'erano siepi con tanti fiori bellissimi, piante rampicanti, un roseto e un piccolo stagno in cui gracchiavano placide due piccole rane smeraldine. Jon era seduto sul muretto di cinta con un anatroccolo in grembo e faceva dondolare le gambe. Appena li vide passare sembrò prendere in considerazione l'idea di sparire fra i cespugli, ma alla fine non si mosse e rimase a osservarli con cipiglio severo. Non sembrava un ragazzino di dieci anni. Non sembrava un ragazzino, in generale. Sembrava uno spirito dei boschi, un albero, un vecchio, una volpe, una marmotta, un ruscello...
<< Jon, dove ti eri cacciato? >> disse Fred, e i pensieri della ragazza furono interrotti bruscamente.
Jon fece spallucce. << Mamma voleva arrostire Uovo, così sono dovuto scappare via >> disse. Uovo era l'anatroccolo, probabilmente. Fred scompigliò i capelli a suo fratello, poi disse: << È tardi, entra dentro. >>
<< Non sono più un bambino >> Jon corrugò la fronte.
<< Certo che no, ma devi andare a dormire lo stesso o domani non ti sveglierai in tempo. >>
<< In tempo per cosa? >>
Fred gli rivolse uno sguardo complice.
Jon ci mise un po' a capire. << Ci andiamo? Ci andiamo sul serio?! Puoi? Possiamo? >>
Abigail li guardava entrambi senza capire.
Fred annuì, solenne. << Per cui va' a dormire,  adesso, ammiraglio, o mi vedrò costretto a salpare senza di te. >>
Jon non se lo fece ripetere due volte. Si mise sugli attenti e poi corse verso casa, con Uovo in braccio, saltellando per la gioia. 
La ragazza non volle sembrare indiscreta, così fece finta di nulla, anche se in realtà era molto curiosa di sapere cosa stessero architettando i due fratelli Connor.
Per i primi cinque minuti camminarono in silenzio. Un paio di volte Abigail temette che Fred stesse per abbracciarla di nuovo, ma per fortuna/sfortuna si era trattato solo di sbadigli sguaiati da ragazzo di campagna.
<< Perché? >> chiese di punto in bianco la ragazza, dopo altri dieci minuti di cammino.
<< Perché cosa? >> Fred appariva rilassato e sornione come un gatto.
<< Perché tutto questo? Voglio dire, sei stato... Carino... Ad invitarmi a cena, e hai una famiglia meravigliosa, davvero, ma... Che c'entro io? >> Abigail faticò a trovare le parole adatte per esprimere i propri dubbi. Aveva paura di offenderlo o di sembrare ingrata.
<< Mi andava di invitarti e l'ho fatto e tu hai accettato >> replicò Frederick Connor con semplicità.
La cosa disarmante era che lui aveva ragione.
<< Non sono abituata >> mormorò Abbie.
<< A cosa? >>
<< Alle persone come te. >>
<< Povere? Sfacciate? Esuberanti? >> provò a indovinare il ragazzo.
<< ...belle >> corresse Abbie con sicurezza, senza pensarci. Fred la guardò divertito e lei arrossì un po', ma riuscì a  nascondere le proprie guance fra i lunghi capelli. Arrivarono di fronte all'erboristeria di Nathaniel. La strada appariva buia e desolata, illuminata solo da qualche lampione mezzo rotto.
<< Dov'è che abiti? >> chiese Fred.
<< A un quarto d'ora da qui. Ora dobbiamo girare a destra >> rispose lei. Si chiese che ore fossero. Le undici, forse anche più tardi. Suo padre doveva essere fumante di rabbia, ma lei lo aveva affrontato tantissime altre volte ed era pronta per un'altra battaglia.
Videro un gatto rosso magro e spelacchiato, acciambellato su un muretto, protetto dalle sbarre di un cancello e dai rami di un arbusto. Fred infilò la mano fra le sbarre per accarezzargli la testolina e lui rispose con rumorose fusa. Il ragazzo ridacchiò e cominciò a sussurrargli paroline dolci.
<< Forse in una vita precedente eri un qualche animale anche tu >> scherzò Abigail osservandolo. Il legame che Fred riusciva ad instaurare con le bestioline era qualcosa di inaudito per lei.
<< Spero non una talpa >> fece Fred grattando dietro le orecchie del micio. << Dai, fagli una carezza anche tu, non vedi com'è buono? >> 
Abigail allungò piano un dito, fino a sfiorare quel musetto peloso che la osservava con le scure pupille dilatate. Fred sorrise per la centomillesima volta. Poi i due giovani ripresero a camminare, con Abbie che indicava la via da percorrere. 
Dopo un po', si trovarono di fronte al cancello della grande casa Redwood. Tutte le luci erano spente eccetto quella della cucina. Ad un certo punto la magia svanì e ad Abigail crollò tutto addosso: il senso di colpa per essere sparita senza avvisare, per essere tornata così tardi, per aver seguito due perfetti sconosciuti... E la paura, la paura di essere punita, la paura che le venisse vietato di uscire di casa o di rivedere i Connor. Decise che non avrebbe detto a suo padre di Fred.
<< Che hai? >>  chiese Frederick, appoggiandosi al cancello. Il suo viso era illuminato solo dai lampioni e appariva improvvisamente triste e stanco. Abbie si rese conto di quanto poco lo conoscesse, in realtà. Lui era Frederick Connor, il figlio dell'erborista... E poi?  "Il mondo è assurdo", pensò. "Assurdo e bellissimo".
<< Niente, stavo pensando che è tardi e mio padre mi sta aspettando >> lei esitò. Avrebbe voluto dire tante altre cose ma la sua mente era come addormentata e tutto le sembrava ovattato. << Grazie per... insomma... >>
<< Tu partecipi alla gara delle barchette?  >> la interruppe Fred.  Abigail lanciò uno sguardo ansioso all'unica finestra illuminata di casa sua, poi rispose: << Mio padre non ha tempo, io non ne sono capace e il mio fratellino è sempre malato. Si tratta di un gioco pericoloso,  e se lui dovesse cadere in acqua... >> lasciò la frase a metà. << Non gli farebbe bene. Per niente. >>
<< Io invece penso che l'acqua del fiume sia l'antidoto migliore del mondo per qualunque cosa. >> Fred le fece la linguaccia. 
<< Dovresti dirlo a tuo padre. Te lo immagini un  unguento all'olio essenziale di Mississippi? >> chiese Abigail rispondendo alla linguaccia con un'altra linguaccia, tirando fuori le chiavi dallo zainetto e aprendo il cancello. << Buonanotte, Frederick Connor >> disse allontanandosi.
<< Sogni d'oro, Abbie >> replicò lui, stiracchiandosi e osservandola percorrere il cortile e sparire dietro il portone di un mondo  ricco e prosperoso che non gli apparteneva e che non gli sarebbe appartenuto mai.

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Capitolo 4
*** CAPITOLO 4 ***


Capitolo 4


Abigail Redwood non aveva chiuso occhio tutta la notte. La sera prima, dopo che era finalmente tornata a casa, suo padre non le aveva detto niente. Si era limitato a lanciarle un'occhiataccia gelida e vagamente offesa, poi se n'era andato a dormire. Sushuanna invece si era insospettita e le aveva fatto mille domande, anche se Abbie si era ben  guardata dal dire la verità.
Dopo, lo stomaco le si era attorcigliato per l'agitazione e lei non era riuscita ad appisolarsi neanche per un minuto.
Era l'alba e una luce bluastra filtrava dalle tendine della grande finestra della sua camera. "Tanto vale alzarsi", pensò,  lisciandosi le pieghe della leggerissima camicia da notte. Mentre osservava le proprie occhiaie allo specchio con sguardo critico, quasi non le venne un colpo:  i dobermann in giardino avevano cominciato ad abbaiare come due ossessi. "Avranno visto qualche gatto" pensò la ragazza, ma decise di affacciarsi lo stesso per controllare. L'aria fresca del mattino le accarezzò la pelle mentre lei sporgeva la testa  fuori dalla finestra piano piano, come una tartaruga che sbircia fuori dal guscio.
Fu in quel momento che Abigail sentì il suono di una risata, un mormorio e poi di nuovo risata. Chi mai poteva essere? E perché le  sembrava di conoscere quella voce? Era Peter, il figlio dei vicini? Ma cosa mai poteva volere a quell'ora?!
Decise di andare a controllare. I dobermann di suo padre non le piacevano,  era vero,  ma Abbie sentiva che c'era qualcosa di insolito nell'aria e la curiosità ebbe la meglio. Passando per il corridoio vide che tutte le camere da letto erano chiuse. A quanto pare nessuno si poneva il problema di andare a controllare il motivo di tanta agitazione. Forse non li avevano nemmeno sentiti. "Eppure i cani sono tuoi, papà" pensò Abbie scendendo le scale al rallentatore per non svegliare nessuno.
La ragazza uscì in giardino camminando a passo svelto, con l'erba umida sotto i piedi scalzi.
<< Che succede qui? >> chiese, a nessuno in particolare. I cani avevano smesso di abbaiare, ma guardavano fisso oltre il cancello, agitando le code.
Frederick Connor si alzò il cappello da pirata (un cappello da pirata!) dalla testa in segno di saluto e le sorrise affabilmente da dietro le sbarre dipinte di verde.
<< Abbie >> disse tranquillo, lanciandole un'occhiata divertita e mettendosi le mani in tasca.
Quando ebbe finito di boccheggiare come un pesce fuor d'acqua, la ragazza si rese conto di essere in pigiama e il suo volto assunse una brutta sfumatura color fragola.
<< Che stai facendo fuori casa mia all'alba, se posso sapere? >> gli chiese con voce squillante, quando si fu ripresa. Incrociò le  braccia al petto per coprire i gattini ricamati sulla camicia da notte. Non la facevano sembrare molto dura e adulta.
<< Aspettiamo te, naturalmente >> fu la risposta del giovane.
<< "Aspettiamo"? >> gli fece eco lei. << Chi altro c'è? >>
Fred fece un fischio e il suo fratellino, Jon, sembrò spuntare fuori dal nulla. Aveva una benda nera sull'occhio e una sciabola giocattolo stretta nel pugno.
<< Che significa? >> chiese Abbie.
<< Dai, avanti, finiscila di fare domande e vatti a vestire, ci aspetta una luuuuunga mattinata! >> Fred si issò sul muretto di cinta della villa, subito imitato da Jon. << Chiama anche tuo fratello, se vuoi. Ho una spada per lui. >>
<< Tutti i lupi di mare sono i benvenuti nella nostra ciurma >> sentenziò Jon in tutta serietà.
<< Corri! >> la incitò Fred con un gesto della mano, facendo dondolare le ginocchia giù dal muretto.
<< Molto bene. >> Abigail si girò ed entrò in casa, come se niente fosse accaduto. Che aveva in mente il figlio dell'erborista, e perché era tornato a chiamarla? Forse anche lei poteva avere degli amici?
Non ricordava più l'ultima volta in cui si era sentita così felice, ma del resto non capitava tutti i giorni di alzarsi e trovare alla propria porta Fred Connor vestito da pirata che ti invitava chissà dove a fare chissà cosa.
Trovò Sushuanna che preparava il caffè a suo padre. La tata la guardò allibita.
<< Che ci facevi in giardino mezza nuda e senza scarpe? >> le chiese facendo cadere due zollette di zucchero nella tazza.
Abigail rispose alla domanda con un'altra domanda: << Tony dorme? >>
<< Sai che si sveglia sempre presto. Sta giocando con i modellini di dinosauro >> fece Sue, trasalendo perché la caffettiera era bollente.
Abbie salì di corsa le scale e spalancò la porta della stanza di Anthony. Il bambino quasi non urlò per lo spavento.
<< Che vuoi? >> le chiese irritato, rimettendo in piedi i dinosauri di plastica.
<< Ti senti bene oggi? >>
<< Sì...? >> La risposta di Tony aveva un che di interrogativo.
<< Allora finiscila di fare domande e vatti a vestire, ci aspetta una luuuuunga mattinata! >> fece Abbie ripetendo le stesse parole di Fred e rivolgendogli un sorriso enigmatico.
<< Sei impazzita? >> le labbra di Tony erano curvate in un sorriso.
<< Avanti, Anthony Redwood, non c'è tempo da perdere, ci stanno aspettando fuori! >>
<< Chi? >>
Abbie si fermò sulla soglia della porta. << I pirati >> sussurrò, prima di sgattaiolare via.


Fratello e sorella uscirono di casa un quarto d'ora dopo. Abbie aveva indossato le prime cose che le erano capitate sottomano (una camicetta a giromanica con fantasia di fiori e una gonna svolazzante blu scuro che le arrivava al ginocchio). Si era perfino rifiutata di fare colazione, non volendo perdere altro tempo prezioso. Anthony invece aveva finito la sua tazza di latte e cereali in un silenzio di tomba. Sushuanna aveva chiesto più volte cosa stessero combinando: loro padre invece si era limitato a squadrarli severamente e a ordinare loro di non tornare tardi.
<< Sicuro che te la senti di camminare, caro? >> aveva chiesto la tata a Tony per la cinquantesima volta. Il bambino aveva roteato le pupille e aveva risposto che si, era sicuro.
<< Stai tranquilla, Sue >> le aveva detto Abigail mettendole una mano sulla spalla.
Ed ora eccoli lì, i due Redwood e i due Connor che si incamminavano verso una meta segreta, muti, ad osservare la città che si svegliava. Abbie teneva il suo fratellino per mano e stava attenta a non lasciarlo mai.
<< Sei veramente un pirata? >> chiese ad un certo punto Tony, rivolto a Fred. Il giovane si aggiustò la sacca sulla spalla e fece quel suo sorrisino sghembo.
<< Non lo vedi il mio cappello? Certo che sono un pirata >> fu la sua risposta.
<< Non ne hai uno anche per me ed Abigail? >>
<< Temo proprio di no, sono desolato. Ma ho due spade, una bandana e un binocolo. >>
<< Posso avere il binocolo? Ti prego! >>
Fred frugò nella sacca ed estrasse un vecchio binocolo scuro e un po' scrostato che si poteva appendere al collo grazie ad un cordoncino legato alle due estremità. Gli porse anche una bellissima sciabola giocattolo come quella che aveva Jon. Poi fornì Abbie di uno spaventoso pugnale di plastica che sembrava quasi vero, e di una bandana color sangue da legare dietro la testa. La ragazza provava un misto fra l'imbarazzo e l'euforia a camminare conciata come se fosse Carnevale, ma per fortuna era mattina presto e la stradina che stavano percorrendo era praticamente deserta e si sentiva solamente il fioco canto dei passeri.
<< Mi dici che storia è questa? >> bisbigliò Abbie nell'orecchio di Fred. Lui le calò la bandana sugli occhi, ridendo.
<< Mmpfh! >> protestò lei riaggiustandosela sulla fronte. << Allora, dove stiamo andando? >> disse a voce più alta, impaziente.
Lui non rispose.
La strada era scomparsa, tramutatasi in un sentiero che attraversava la campagna; le case attorno a loro si stavano diradando, lasciando spazio a terreni incolti pieni di erbaccia e tronchi caduti, canneti, stagni, piante e fiori selvatici. Fred li conosceva tutti.
<< Quello è un iris! >> disse, indicando con il dito un grazioso fiore violetto. << Quelle invece sono la camelia e l'azalea. >>
Anthony ed Abigail osservavano affascinati. Per loro, che non avevano mai lasciato la città, tutto era nuovo. Abbie non aveva mai visto il suo fratellino così energico. In genere se ne stava sempre chiuso in casa, a giocare sul tappeto, come se non avesse la forza per fare altro. Quella mattina invece i suoi occhi parevano più vivi e luminosi e le sue guance, di solito così pallide, avevano assunto un sano color pesca. Di nuovo si sentì fluttuare, leggera e felice come una farfalla appena nata. Era la magia di Fred a farle quell'effetto, oppure l'aria, il venticello, le api, il caldo sulla pelle.
L'acqua del fiume.
Ecco svelata la meta.
Il Mississippi apparve loro in tutto il suo splendore, luccicante sotto i raggi del sole. Scesero una collinetta (i fratelli Redwood incespicando, i fratelli Connor saltando sulle rocce) e arrivarono sulla riva, in mezzo all'erba alta. In lontananza si scorgeva un piccolo ponte di legno che portava all'altra sponda. Non c'era nessuno, solo alberi, scoiattoli ed anatre.
Fred si diresse con sicurezza verso quello che ad Abbie parve un enorme masso appoggiato ad un albero. Ma una volta che il ragazzo sollevò - con l'aiuto di Jon - lo spesso telo scuro che lo copriva, il presunto masso si rivelò essere niente meno che... una barca.
Una barchetta da pescatore piuttosto grande, in legno, con due panche per sedersi e due paia di remi.
<< Benvenuti nel nostro Quartier Generale, miei cari amici Redwood >> disse nascondendo un sorriso.
<< Non vorrai mica... >> farfugliò lei.
<< La gara è fra tre settimane. Dovremmo pur allenarci, no? E studiare un piano >> rispose Fred con serenità, salendo in piedi su una radice dell'albero che sporgeva dal terreno.
<< Allenarci?! >> esclamò Abigail.
<< Un piano?! >> gridò Tony, gioioso.
<< Un piano per che cosa? >> domandò la ragazza puntando il pugnale giocattolo alla gola di Fred, che, lì sopra, sembrava ancora più alto di quanto già non fosse.
Lui scostò piano la lama dal proprio collo lentigginoso, sorridendo. << Un piano per vincere, naturalmente. >>

Un grande telo di plastica era stato steso come un tappeto sotto i barattoli di vernice, in modo che questa non colasse sul terreno avvelenando tutti i fiori. Tony e Jon avevano cinque anni di differenza e si erano conosciuti da appena un'ora, eppure sembravano inseparabili; avevano inforcato ognuno un pennello e stavano ascoltando attentamente le istruzioni di Frederick.
<< Tutto chiaro, ciurma? >> chiese il ragazzo. << La voglio blu notte, con il nome in bianco e una striscia rossa. Anche i remi e le panche li voglio rossi. >>
<< Signorsì capitano! >> esclamò Tony mettendosi sugli attenti. Abigail pensò che il suo fratellino si sarebbe sicuramente sporcato la camicia e i pantaloni nuovi, per non parlare delle scarpe, e che loro padre si sarebbe infuriato: questo contribuì a farla sentire ancor più di buonumore.
<< Che nome scegliamo per il vascello, capitano? >> chiese Jon.
<< Tu cosa ne pensi? >> Fred si voltò verso di lei.
<< Coccodrillo >> rispose lei. Quel gioco stava cominciando a piacerle.
Jon ed Anthony scoppiarono a ridere, ma a Fred piacque tantissimo l'idea e alla fine furono tutti d'accordo. Mentre i due bambini si apprestavano a ridipingere la Coccodrillo (sotto la guida esperta del più grande, Jon, visto che Tony nei suoi cinque anni e mezzo di vita non aveva mai verniciato una barchetta), Abbie e Fred risalirono la collinetta sotto insistenza del ragazzo.
<< Non li aiutiamo? >> chiese lei, mentre si sedeva all'ombra di un olmo.
<< Più tardi, più tardi. Per caso hai fatto colazione? >>
<< In realtà no. >>
<< Immaginavo. E, sempre per caso, hai fame? >>
<< Molta. >>
<< Immaginavo anche questo. >> Fred frugò nella sua sacca. Estrasse un ampio tovagliolo a quadri, due mini cartoncini di latte e un contenitore di plastica. Sistemò tutto sul prato, davanti ad Abigail. << Serviti pure, pirata. Offre la casa. >>
Mentre il ragazzo si toglieva il cappello da pirata e si stravaccava accanto a lei, sorseggiando il latte dal proprio cartoncino, Abbie scoperchiò il contenitore e vide che era diviso in più scomparti. Da una parte c'erano nocciole, da un'altra delle ciliegie, da un'altra ancora una fetta di torta ai mirtilli.
Di nuovo senza parole, la ragazza borbottò qualche ringraziamento e assaggiò una nocciola. Poi, con lo stomaco che faceva le fusa, divorò in un batter d'occhio la fetta di torta e le ciliegie, accompagnando tutto con il latte al cioccolato (perché sì, per lei Fred lo aveva comprato al cioccolato). Lui la osservò divertito, sgranocchiando qualche nocciola.
<< Ha ha, ti sono cresciuti i baffi! Sembri tanto mio zio Alvin >> la prese in giro Fred.
Abigail si pulì il muso sporco di latte con il dorso della mano, poi si stese anche lei sull'erba, con la pancia piena come un uovo.
<< Facciamo un gioco >> disse la ragazza.
<< Stiamo già giocando. >>
<< Intendo solo io e te. >>
Il ragazzo si tirò su a sedere a gambe incrociate, sollevando le sopracciglia. Nei suoi occhi grigi c'era una luce che Abigail Redwood non aveva mai visto negli occhi di nessun altro. << Ah si? E che gioco? >> chiese.
Anche lei si raddrizzò, per guardarlo bene in faccia. << Il gioco delle domande. Facciamo a turno. Io faccio una domanda a te e tu ne fai una a me. >>
<< Qualsiasi domanda? >>
<< Qualsiasi domanda. >>
L'angolo destro della piccola bocca di Fred Connor si sollevò. << Molto bene. Comincio io. Hai un ragazzo? >>
<< Quanto sei prevedibile! >> sbuffò lei. << Mai avuto un ragazzo in vita mia. Tocca a me. Quanti anni hai? >>
<< Diciotto. >>
<< Oh, quindi hai già finito la scuola? >>
<< Non vale, mi hai fatto due domande di seguito! >>
<< Ero curiosa >> Abbie colse una margheritina (o un fiore che assomigliava molto ad una margheritina) e se la mise fra i capelli color corteccia.
<< Bene: ho smesso di andare a scuola cinque anni fa >> sbottò il ragazzo e per un attimo il suo tono di voce nascose una punta di amaro. Non le diede il tempo di ribattere: << Ora tocca a me e devo farti due domande. Quanti anni hai e... Uhm... Davvero? Mai mai mai avuto un fidanzato? >>
Abbie si tolse le briciole di torta dalla gonna. << Ho sedici anni e no, mai avuto. Mai mai mai >> rispose, un po' infastidita. Esitò un attimo, poi si buttò e chiese: << Perché hai lasciato la scuola? >>
<< Perché mio padre aveva bisogno di aiutanti in negozio ed io sono il figlio maggiore >> fece Fred, di nuovo con un sorriso aspro. Si vedeva che quell'argomento gli bruciava. << Sei mai uscita fuori dall'America? >>
<< Una volta da piccoli io e Tony siamo stati a Parigi con la mamma >> rispose lei.
Fred evitò di approfondire l'argomento. Forse sapeva che sua madre era morta. Tutti sapevano della triste sorte toccata alla povera moglie di Aaron Redwood.
Andarono avanti così per un bel po' e impararono tante cose l'uno dell'altro. Abigail gli raccontò della sua passione per l'Africa, del suo sogno di girare il mondo. Gli disse che conosceva decine di fiabe africane a memoria, e che mal sopportava suo padre. Gli raccontò di Sue, della scuola, dei suoi voti eccellenti. Gli fece un elenco dei suoi libri preferiti, delle sue poesie preferite, dei suoi artisti preferiti. Gli confessò che si svegliava prestissimo tutte le mattine perché amava osservare l'alba, e che spesso si commuoveva guardando il sole sorgere.
Dal canto suo scoprì che Fred detestava le grandi città, che adorava leggere ma che non aveva mai tempo per farlo (né soldi per comprarsi dei libri), che il suo sogno era salire su di un aereo, che dormiva pochissimo perché non aveva mai sonno ed odiava stare fermo nel letto, che amava vagare nella foresta e partecipare alle feste in maschera - ecco spiegato il motivo per cui era in possesso di tutte quelle cianfrusaglie da pirata.
Abbie non aveva mai conosciuto un ragazzo così particolare, iperattivo, con la testa sempre piena di pensieri e idee che cozzavano fra loro facendo un baccano tale da tenerlo sveglio durante tutta la notte.
<< Okay, ultima domanda >> disse la ragazza. << Sei mai andato in giro senza mutan... >> si interruppe all'improvviso, gli occhi chiari che si guardavano attorno in allerta. Tenne le orecchie ben aperte: riuscì a sentire il cinguettio degli uccellini, l'acqua che scorreva, il ronzare degli insetti, i rami mossi dal vento, ma...
 << Non sento più i bambini >> Abigail si alzò da terra scrutando in basso.
<< Si saranno messi a dormire >> rispose Fred nel suo solito tono rilassato, ma anche lui scattò subito in piedi. Dalla collinetta su cui si trovavano era possibile vedere la riva del fiume e tutto il prato sotto di loro. Il telo c'era, i barattoli di vernice c'erano, i pennelli c'erano, la Coccodrillo c'era... Ma di Jon ed Anthony, nessuna traccia visibile.
<< Va tutto bene, aspettami qua >> disse Fred ad Abbie, scendendo rapidamente lungo l'avvallamento. Abigail Redwood non aveva nessuna intenzione di starsene con le mani in mano mentre Tony era disperso chissà dove. Seguì Fred aggrappandosi alle rocce e all'erbaccia per non rotolare giù come un sacco di patate. Giunti sulla riva del fiume la loro paura si tramutò in certezza. Non c'erano. I loro fratellini non c'erano.
La Coccodrillo era dipinta solo su di un fianco, e anche piuttosto grossolanamente; si vedeva che il lavoro era stato fatto da due bambini di dieci e cinque anni. Il telo bianco era macchiato di impronte di scarpe bluastre e anche sull'erba era finita un po' di vernice nonostante gli accorgimenti.
Fred ed Abigail si guardarono, ma stavolta non scoppiarono a ridere come il primo giorno in cui si erano incontrati.
<< Io a destra e tu a sinistra: non possono essere andati lontano >> disse la ragazza. Lui annuì e si separarono. Abbie si avviò verso destra. Il prato si estendeva sotto i suoi piedi e il fiume diventava sempre più ampio, e l'altra sponda sempre più lontana. La corrente era più forte ed Abigail riusciva a sentire il suono dell'acqua contro i massi e le rocce. In quel momento il Mississippi le fece paura e la ragazza provò un senso di smarrimento e solitudine che poche volte aveva provato in vita sua. Si sentì in pericolo, in balia di chissà che cosa. Le mani cominciarono a sudarle e i battiti accelerarono, e lei si diede della stupida. Non c'era motivo di farsi prendere dal panico in quel modo, doveva stare calma e tutto sarebbe andato bene.
Si fermò e si guardò indietro: non voleva perdere la via del ritorno, perché l'orientamento non era proprio il suo forte,  ma cos'altro poteva fare se non andare avanti?
<< Tony? >> chiamò a gran voce. << Jon? >>
Nessuna risposta.
Li cercò per quasi un'ora. Andò avanti, avanti e ancora avanti, senza mai perdere di vista il fiume, ma non li trovò. Si decise a tornare indietro solo quando vide che il sole si stava alzando troppo e che stava diventando bollente. Camminò a ritroso per un'altra ora, a passi lenti e strascicati. Faceva caldo e lei non aveva neanche un goccio d'acqua. Si tolse la bandana da pirata e si legò i capelli, ma non osò svestirsi perché aveva letto su qualche libro di scuola che nel deserto i beduini giravano sempre super coperti indossando addirittura la lana per tenere costante la temperatura corporea. Certo il sole del Sahara non era mica quello del Missouri, ma in quel momento seguire i consigli degli scienziati e degli esploratori esperti le sembrò la cosa più saggia da fare. Avanzò in stato di trance, senza pensare a niente, almeno fino a quando non vide la Coccodrillo in lontananza, una barchetta sola in mezzo all'erba e nient'altro. Nessun altro. A quel punto scoppiò a piangere di gioia e disperazione insieme, perché aveva sì ritrovato la strada, ma ora anche Fred era scomparso assieme ai due ragazzini. Era sola.
Allontanarsi ancora sarebbe stato controproducente. Risalì la collina ansimando e si fermò all'ombra dell'albero sotto il quale aveva fatto colazione con il Connor maggiore qualche secolo prima - o almeno così le sembrava.
Lacrime silenziose continuavano a solcarle le guance, ma lei aveva smesso di singhiozzare da un pezzo: anche quello era controproducente.
Fece un sorso dal cartoncino di latte abbandonato in tutta fretta da Fred sul tovagliolo da pic nic. Ne rimaneva pochissimo ed era anche disgustosamente tiepido, ma di acqua non ce n'era, per cui dovette accontentarsi.
Finì per crollare dal sonno: la notte prima non aveva dormito e il lungo cammino l'aveva distrutta. Si raggomitolò sotto l'olmo, con la testa sul tovagliolo, incurante del caldo e degli insetti che le si arrampicavano sulle dita della mano.
La svegliò un suono di risate.
Proveniva dal prato ai piedi della collinetta.
Si  alzò a sedere di scatto, con la gonna stropicciata e sporca di erba e il naso rosso ustionato per il troppo sole. Sembrava una versione sgraziata e filiforme di Rudolf, la renna di Babbo Natale.
Mentre scendeva il pendio rischiò di rompersi un arto un paio di volte. La scena che le si presentò davanti una volta arrivata era assurda e la ragazza sentì la rabbia montarle dentro come l'albume per le meringhe.
Frederick Connor era inginocchiato accanto alla Coccodrillo e cercava di rimediare al pasticcio che Tony e Jon  (ma principalmente Tony) avevano combinato con la vernice: il nome della barca era scritto storto, il colore non era omogeneo ed il tutto era ricoperto da graffi e ditate.
I due bambini erano a giocare in piedi su dei sassi in mezzo al fiume.
<< Buongiorno e bentornata fra noi! Sembri appena uscita da una rissa >> la accolse Fred allegramente, posando il pennello, ma Abbie gli mollò un ceffone sul braccio talmente forte da farlo coricare.
<< MA CHE TI PRENDE?! >> le urlò massaggiandosi la parte colpita e rimettendosi a sedere senza capire.
<< Da quanto tempo li hai trovati? >> gli chiese la ragazza, indicando Tony e Jon in equilibrio su una roccia e che nel frattempo non si erano accorti di niente.
<< Sono tornato poco più di due ore fa e tu dormivi come un ghiro >> si lamentò Fred.
<< DUE ORE?! >> gli urlò lei nell'orecchio.
<< Che avrei dovuto fare? >> tentò di giustificarsi il  giovane.
<< Avvisarmi che mio fratello era vivo, tanto per fare un esempio. >>
<< Certo che è vivo, siamo in una campagna, non nella giungla! Lui e Jon avevano semplicemente seguito un daino. >>
<<  Ero preoccupata. >>
<< Non ti abbiamo voluto svegliare. >>
<< Se ti fossi trovato ad aspettare al mio posto avresti voluto essere ignorato e lasciato su una collina a dormire come il più inutile dei bradipi?! >>
<< Se mi fossi trovato ad aspettare al tuo posto non mi sarei mai messo a dormire >>  brontolò Fred, piano, ma, purtroppo per lui, non abbastanza piano da sfuggire alle orecchie di Abigail.
La ragazza avrebbe voluto dire tante cose, fornire più spiegazioni, spiegargli che era stanca, che non era abituata, che aveva passato la notte in bianco, che non lo aveva fatto apposta, che le dispiaceva di averlo picchiato, che non era stata sua intenzione addormentarsi, che era scivolata in un sonno profondo senza neanche accorgersene...
Che Tony era tra le poche cose care che aveva al mondo e la sola idea che gli potesse essere successo qualcosa le faceva rizzare tutti i capelli in testa.
Ma le parole di Fred la lasciarono talmente disarmata che tutto ciò che riuscì a fare fu lanciargli uno sguardo pieno di collera, sperando che avesse su di lui lo stesso effetto che gli sguardi ghiacciati di suo padre Aaron Redwood avevano su di lei.
Fred stava per aggiungere qualcosa, forse, ma Abbie non gli lasciò aprir bocca. Si diresse verso la riva e chiamò suo fratello, che in quel momento si trovava pericolosamente in bilico su una specie di scoglio appuntito, tenuto per mano da Jon. Il sole era sempre più alto nel cielo di giugno, ma l'acqua del Mississippi non era per niente stagnante ed anzi vorticava come impazzita, schiumando e corrodendo.
<< Anthony Redwood! >> urlò la ragazza << Scendi di lì immediatamente e seguimi, è ora di tornare a casa. >>
<< Mi avevi detto che saremmo stati come dei pirati veri e invece tutto quello che abbiamo fatto è stato pitturare una barca >> protestò il bambino senza accennare a ritirarsi.
<< Tony, per favore >> lo pregò Abigail allo stremo.
<< Oggi dovevamo dipingere la barca, ma tra qualche giorno salperemo >> gli promise Jon tendendogli la mano. Quel ragazzino sembrava certamente più affidabile e maturo di suo fratello maggiore. << Tu hai mai visto dei pirati su un vascello sgangherato? >>
<< No >> mormorò Anthony, quasi convinto. Cominciò a saltellare sui sassi senza accettare l'aiuto di Jon.
<< Posso farlo da solo >> protestò, ma proprio in quel momento l'acqua colpì il masso con maggiore intensità e lui, colto alla sprovvista, perse l'appoggio. Il suo piede scivolò strisciando sulla pietra aguzza; poi il fratellino di Abbie cadde nel fiume.


***
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