Chi non muore si rivede

di sophie97
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Io non mi fermo! ***
Capitolo 2: *** Lacrime di gioia ***
Capitolo 3: *** A carte scoperte ***
Capitolo 4: *** Sì o no ***
Capitolo 5: *** I morti non tornano ***
Capitolo 6: *** Paura ***
Capitolo 7: *** No! ***
Capitolo 8: *** Prima prova ***
Capitolo 9: *** La legge degli opposti ***
Capitolo 10: *** Solo contare ***
Capitolo 11: *** Non piangere! ***
Capitolo 12: *** Passi in avanti ***
Capitolo 13: *** Non mi dire le bugie ***
Capitolo 14: *** Io non ho paura ***
Capitolo 15: *** Intervento ***
Capitolo 16: *** Tom... ***
Capitolo 17: *** Veleno ***
Capitolo 18: *** Fuga ***
Capitolo 19: *** Spiegazioni ***
Capitolo 20: *** Riunione ***
Capitolo 21: *** Scuse & Ringraziamenti ***



Capitolo 1
*** Io non mi fermo! ***


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Otto giorni dopo, 12 settembre, ore 12.17.

Il tempo.
Era impressionante il tempo.
Prima sembrava scorrere ad una velocità supersonica e un momento dopo le lancette parevano quasi fermarsi.
Ben guardò annoiato l’orologio che portava al polso ed entrò nell’ufficio richiudendosi la porta alle spalle e posando il pacchetto che aveva tra le mani sulla scrivania, davanti al suo collega che però non alzò nemmeno lo sguardo.
«Novità?» fece il più giovane sedendosi davanti al computer.
Semir scosse il capo, guardandolo finalmente negli occhi ma senza proferire parola.
Ben alzò le spalle «In compenso io ho portato il pranzo.» esclamò estraendo dal pacchetto due panini incartati singolarmente.
Semir abbozzò un sorriso afferrando uno dei due panini per poi però posarlo nuovamente sulla scrivania.
«Semir...» cominciò il più giovane con un lieve sospiro «Dovresti mangiare qualcosa, sai?».
«Ben, non iniziare per favore.» fu il semplice commento del turco, che tornò a scorrere con lo sguardo i numerosi fogli che aveva tra le mani.
«Dico davvero, mangia qualcosa, non puoi andare avanti così.».
«Non ho fame.».
«Semir, dammi retta...».
«Ben, dacci un taglio.».
Ben si ammutolì, tornando a fissare lo schermo del computer e afferrando il proprio panino, mentre nella stanza si creava un silenzio innaturale che in quegli ultimi giorni si era verificato fin troppo spesso. Per quanto il più giovane provasse a parlare con l’amico oppure a convincerlo a fare altrettanto, Semir non sembrava voler sentir ragioni di alcun tipo.
Si era totalmente chiuso in se stesso, non voleva farsi aiutare ma il suo silenzio era in realtà molto più forte di una banale richiesta di aiuto.
Quella strana situazione di quiete venne tuttavia presto interrotta da Susanne, che fece capolino dalla porta dopo aver bussato leggermente sul vetro.
«Ragazzi, la Kruger vi vuole nel suo ufficio.» comunicò la bionda segretaria con un breve sorriso.
I poliziotti si alzarono all’istante e a Ben balzò il cuore in gola: sapeva benissimo quale sarebbe stato il discorso del commissario, era stato rimandato per troppo tempo. E già immaginava la reazione del suo collega.
I due ispettori entrarono nell’ufficio del commissario e rifiutarono l’invito della donna a sedersi, preferendo invece rimanere in piedi, appoggiati a braccia conserte alla parete.
«Dunque» esordì Kim sedendosi alla propria scrivania «Signori, vi ho chiamato per parlarvi del caso Gehlen... del caso di Aida, insomma. Le indagini sono di competenza dell’LKA, ma questo già voi lo sapete. Tuttavia noi abbiamo continuato ad occuparcene fino ad oggi...».
La Kruger fece una breve pausa e scrutò attentamente i suoi ispettori.
Semir pareva concentrato, mentre Ben non faceva altro che spiare il collega alla sua sinistra con la coda dell’occhio.
«Ma adesso sono passati diciassette giorni dalla scomparsa della bambina e ancora non abbiamo nemmeno un indizio che ci possa ricondurre in qualche modo a lei. L’LKA continuerà ovviamente ad occuparsi del caso, ma noi dobbiamo riprendere ad occuparci degli ambiti di nostra competenza.».
«Scusi?!» fece Semir staccandosi appena dalla parete.
«Gerkhan, io capisco il suo coinvolgimento personale, ma il nostro commissariato deve tornare ad occuparsi di altri casi che abbiano come oggetto di riferimento le autostrade, il capo della polizia mi ha già ripreso per l’andamento di questi ultimi giorni.».
«Io me ne frego del capo della polizia, in gioco c’è la vita di mia figlia!» ribatté Semir, mentre Ben si prendeva la testa tra le mani, pregando tra sé e sé che quella riunione si concludesse in fretta e senza causare ulteriori danni.
«Gerkhan, sono passate più di due settimane e Gehlen non si è ancora fatto vivo.».
«E questo cosa vorrebbe dire? Quel bastardo non ha nessuna fretta di farsi vivo, non vuole chiedere un riscatto, vuole solo vendicarsi di me.».
«Sì, ma cerchi di capire che io...».
«Lei cosa, commissario? Io non smetto di cercarla, passasse anche un mese, un anno, non smetterò mai di cercarla!».
«Gerkhan, abbiamo perquisito tutti i luoghi possibili e...».
«Non so se è chiaro capo, io non mi fermo!» gridò Semir, ormai rosso in volto.
Seguì un attimo di silenzio, poi Kim respirò profondamente per riprendersi da quel rapido scambio di battute e tentare di far ragionare il suo sottoposto «Intanto lei deve calmarsi. Vada a casa per favore, stacchi per un attimo il cervello dalle indagini, perché nello stato in cui si trova ora, qualsiasi sforzo sarebbe comunque inutile.».
«Il capo ha ragione, Semir.» intervenne Ben per la prima volta, con voce tranquilla «Vai a casa, non puoi lavorare ventiquattro ore su ventiquattro senza mangiare né dormire, è solo controproducente.».
«Anche tu?!» riprese il turco ora rivolto verso l’amico «Allora non capisci. Voi non capite! Io troverò mia figlia dovessi arrivare da solo in capo al mondo. E potete stare certi che non appena avrò davanti quel bastardo di Gehlen non lo risparmierò come ho fatto con il suo amico Hoffman, ma anzi rimpiangerà di non essere morto quando gli avevo sparato otto anni fa.».
Quindi Semir aprì la porta e, sbattendola alle sue spalle, uscì dall’ufficio.

 

La Kruger si appoggiò allo schienale della propria sedia chiudendo per un attimo gli occhi e lasciandosi andare ad un profondo sospiro.
Quando riaprì gli occhi, si trovò davanti a quelli contrariati di Ben, che la fissavano con aria di rimprovero.
«Jager, non mi guardi così per favore. Nemmeno io so più da che parte girarmi, crede che non sia dispiaciuta per questa situazione?».
«Capo, guardi che sta facendo tutto da sola, io non le ho detto niente.».
«Sì, ma sta pensando.» replicò la donna spingendosi leggermente col busto in avanti e intrecciando le dita sulla scrivania «Non so davvero come muovermi.».
«Si aspettava una reazione diversa da parte di Semir?» domandò l’ispettore alzando appena un sopracciglio.
«No, assolutamente.» fece Kim con un altro sospiro «Anzi, credevo peggio sinceramente. Al posto suo io probabilmente non avrei nemmeno la forza di continuare a cercare.».
Ben si avviò senza ribattere verso l’uscita.
«Dove va Jager?».
«A recuperare il mio collega.».

 

Ben corse dietro all’amico e lo seguì fuori dal commissariato, fermandosi a pochi metri di distanza da lui.
«Semir, aspettami!» gridò, ma l’altro poliziotto non sembrò nemmeno sentirlo e non accennò a voltarsi.
Il più giovane scosse il capo, ricominciando a camminare velocemente per raggiungerlo.
Ma si fermò di nuovo, notando che Semir si era bloccato improvvisamente davanti a lui in mezzo al parcheggio e che non muoveva più nemmeno un muscolo.
Corrucciò la fronte e strinse gli occhi, fino a vedere ciò che sicuramente aveva notato anche il suo collega.
Quindi aprì la bocca e rimase senza fiato.

 

Ed eccomi qui con la nuova storia, seguito di “Vittima Innocente”, intitolata, se preferite, “Agonia e Disperazione 2”, come direbbe ChiaraBJ ;)
Che dire? Ringrazio in anticipo tutti coloro che leggeranno e chi vorrà lasciare un commento e vi ricordo che non è necessario, anche se consigliabile, aver letto la prima parte per capire l’andamento della trama (in caso di dubbi potete chiedere a me se non volete cimentarvi nella lettura dei trentadue capitoli del racconto precedente).
Grazie e al prossimo capitolo.
Sophie :D

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Capitolo 2
*** Lacrime di gioia ***


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Semir si bloccò all’improvviso in mezzo al parcheggio e rimase immobile a bocca aperta per alcuni istanti.
Non era vero.
Non poteva crederci.
Strinse gli occhi per mettere bene a fuoco la piccola figura che si avvicinava di corsa e si accorse che non poteva essere solo una sua allucinazione.
No, era vera... lei era vera!
Mentre qualunque pensiero razionale si interrompeva all’interno della sua mente, l’ispettore cominciò a correre a perdifiato verso quella figura che nella limpida aria settembrina si faceva sempre più nitida.
E quando le fu abbastanza vicino, si inginocchiò e la accolse tra le sue braccia ancora senza credere ai propri occhi.

«Aida...» mormorò stringendo a sé l’esile corpicino della bambina, lasciando che lacrime di liberazione gli scorressero senza freno sulle guance «Aida, cucciolo mio!».
«Papà!» esclamò lei ridendo dalla gioia e divincolandosi poi dall’abbraccio del padre, che però sembrava non volerne sapere di lasciarla andare.
Passarono attimi interminabili prima che finalmente Semir si distanziasse appena da lei rimanendo in ginocchio, le prendesse le mani tra le sue e la fissasse negli occhi per un lungo istante, scostandole una ciocca di capelli da davanti al viso.
«Cucciolo mio, stai bene?» domandò in un soffio accarezzandole la fronte senza distogliere lo sguardo dai suoi profondi occhi scuri.
Aida annuì con un sorriso, nonostante la sua espressione tradisse una forte stanchezza «Ma papà, perché piangi?».
Semir sorrise asciugandosi le lacrime e senza rispondere alla domanda della figlia «Ti voglio bene cucciolo... non sai quanto ti voglio bene!»
«Anche io papà.».
L’ispettore sorrise ancora, quindi lentamente prese in braccio la bambina e si voltò per avviarsi verso l’entrata del commissariato, quando vide Ben corrergli incontro sbalordito.
Il più giovane aveva l’aria stupita e sconvolta.
«Principessa!» sussurrò prima che Aida si gettasse tra le sue braccia per salutarlo.
Ben la prese in braccio togliendola a Semir, che ne fu sollevato perché non sapeva per quanto la avrebbe retta ancora, gli tremavano troppo le gambe, era troppo agitato.
Gli sembrava di non riuscire più a respirare, di non riuscire a muoversi e non riusciva ad impedire alle lacrime di scendere.
Rideva e piangeva contemporaneamente, non capiva nemmeno cosa stesse succedendo.
Per la prima volta dopo tre mesi e mezzo stava riscoprendo il significato della parola “felicità” e ancora non capiva come tutto ciò potesse essere possibile.

 

Mezz’ora dopo, i due ispettori erano seduti nel loro ufficio e Aida era comodamente sistemata a cavalcioni delle gambe del padre.
Nemmeno la Kruger e il resto del distretto aveva creduto ai propri occhi non appena l’aveva vista entrare al comando tra le braccia di Ben, ma dopo che il commissario si era assicurata che la bambina stesse bene, aveva concesso ai suoi uomini di portarla con loro nell’ufficio per fare in modo che la piccola raccontasse tutto solo a loro due e che così si sentisse più libera di parlare.
«Quanto è buio questo ufficio papà, non possiamo accendere la luce?» esordì Aida guardandosi intorno.
«La principessa è servita.» fece scherzosamente Ben schiacciando con il dito l’interruttore. E improvvisamente una luce bianca invase la stanza rendendola più allegra, sostituendo la penombra e la tristezza che l’avevano riempita nelle ultime settimane.
Poi il poliziotto uscì dall’ufficio in fretta e rientrò pochi secondi dopo con una tazza di tè fumante che pose delicatamente tra le mani della bambina.
«Grazie zio Ben.».
«Prego tesoro. Allora, ci racconti tutto o sei stanca e vuoi prima riposarti?».
«No no, vi racconto.» disse lei sorseggiando la bevanda bollente con calma, sempre in braccio a Semir, che ancora non riusciva a proferire parola.
«Però non so dirvi dove mi abbia tenuto quell’uomo. Era una stanza buia e quadrata ma non si sentiva nessun rumore dall’esterno e quando mi ha liberata mi ha portata prima bendata in centro e solo lì mi ha lasciato andare perché venissi in commissariato.».
«Ti ha liberato?» fece Ben corrucciando la fronte «Ma non sei scappata?».
Aida scosse il capo posando la tazza ancora mezza piena sulla scrivania «Ha detto che mi avrebbe liberato perché ha cambiato i suoi piani e che vi chiamerà perché ha in mente un gioco...».
«Un... gioco?».
«Sì ma non so altro zio Ben, quell’uomo non mi ha detto nulla.».
L’ispettore più giovane storse la bocca in una smorfia di incomprensione «Vai avanti, principessa.».
«Non è che abbia molto da raccontare, in realtà. In fondo mi ha trattata bene, mi dava da mangiare e da bere normalmente e mi lasciava libera di girare per la stanza, poi ogni tanto passava a controllarmi. Non mi ha fatto del male e ha parlato poco con me, ha solo accennato ad un altro suo ospite.».
A queste parole Semir si irrigidì visibilmente e finalmente trovò il coraggio di parlare «Un... un altro ospite?».
«Sì papà, ma non mi ha detto il suo nome e io non l’ho mai visto.».
L’ispettore annuì ma a Ben non sfuggì l’ombra di preoccupazione che tornò ad impossessarsi dei suoi occhi sostituendo la serenità che era stata l’unico sentimento alleggiante nell’aria in quell’ultima mezz’ora.
«Tu sei sicura di stare bene, cucciolo?» domandò ancora Semir accarezzandole i capelli.
Aida annuì scendendo dalle ginocchia del padre e guardandolo negli occhi «Possiamo andare da Lily e dalla mamma?».
«Ma certo che possiamo, anzi ci andiamo subito. Ben, va bene se porto Aida a casa e torno? Lo dici tu alla Kruger?».
Ben annuì comprensivo «Se mi dai retta Semir, tu a casa ci rimani e passi l’intero pomeriggio con Andrea e le tue splendide bambine.» propose facendogli l’occhiolino.
«Grazie.» sorrise Semir uscendo dall’ufficio con la figlia per mano.

 

Comincio con il ringraziare tutti voi che state leggendo. Grazie a chi ha già inserito la storia tra le seguite o le preferite e a chi ha recensito.
Piccola parentesi di felicità... riprenderemo presto con agonia e disperazione ;)
Un bacione!
Sophie :D

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Capitolo 3
*** A carte scoperte ***


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Due ore e mezza dopo...

«Cosa ci fai tu di nuovo qui?» esclamò Ben corrucciando la fronte all’entrata del collega in ufficio.
Semir sorrise sedendosi alla scrivania «Mi mancavi.».
Il più giovane sorrise a sua volta notando che finalmente l’amico rispondeva in modo ironico ad una sua domanda. Quanto gli erano mancati i loro stupidi dialoghi, le battute, i battibecchi in quei mesi!
«Sii serio.» protestò mettendo il broncio.
Semir alzò le spalle segnando con un dito il profilo della tazza da tè che aveva usato Aida e che era rimasta lì, immobile sulla scrivania.
«Aida dorme, era stanchissima. Andrea è felice come non mai e Lily non fa altro che saltellare per la casa, se continua così non lascerà nemmeno chiudere occhio a sua sorella.».
«E non eravamo rimasti che te ne stavi a casa anche tu?».
«Sì.» annuì il turco «Ma poi ho pensato che dovevo parlarti.».
Ben chinò la testa da un lato e appoggiò le mani intrecciate sulla scrivania, mettendosi in posizione di ascolto «Mi devo preoccupare?».
«No ma... ecco, tu mi hai chiesto un sacco di volte, in questi giorni e anche prima del carcere, tre mesi fa, di raccontarti di Gehlen ed io non l’ho mai fatto, semplicemente perché mi faceva troppo male rivangare il passato. Ma adesso penso che si farà vivo, o almeno è quanto ha detto Aida, quindi è arrivato il momento di scoprire le carte.».
«Vuoi raccontarmi della morte di Tom?» intuì il più giovane appoggiandosi allo schienale della sedia.
Semir annuì.
«Io e lui eravamo davvero tanto amici.» cominciò, con un sospiro «Lui era arrivato al comando dopo la morte di Andrè ed era stato l’unico in grado di tirarmi su di morale. Abbiamo lavorato insieme per anni ma poi lui ha lasciato la polizia a causa della morte della sua fidanzata, che era incinta. Sono stato io poi, anni dopo, ad andarlo a ricercare perché mi aiutasse a risolvere un caso e Tom finì per recuperare pistola e distintivo e tornare a far parte della squadra. Nel frattempo erano cambiate parecchie cose, era passato molto tempo, io e Andrea ci eravamo sposati, ma la nostra amicizia tornò ad essere ancora più forte di prima. Mentre lavoravo con lui nacque Aida...» sorrise e fece una pausa, rendendosi conto che adesso arrivava il punto più difficile della sua narrazione.
Ben lo intuì e rivolse all’amico un timido sorriso di incoraggiamento. Gli faceva piacere che gli raccontasse come erano andate le cose: in tanti anni di servizio accanto a lui aveva intuito quanto fosse stato importante l’ex collega per Semir, ma lui non gliene aveva quasi mai parlato apertamente.
«Poi un giorno cominciammo ad occuparci di un caso che risultò complesso fin dall’inizio ma che non pensavo avrebbe portato a... a quella fine.» continuò il turco fissando un punto indefinito alle spalle del collega «In realtà forse non avremmo nemmeno dovuto occuparcene noi, ma ci imbattemmo, fermandolo in autostrada, in un camion che trasportava clandestinamente una ragazza cinese, che venne subito trasferita in un orfanotrofio su ordine del responsabile delle indagini. Quella sera io e Andrea avevamo organizzato una festa a casa nostra invitando tutti i colleghi e naturalmente anche Tom, che però volle, prima di venire, andare a controllare la situazione della ragazza. Andò all’orfanotrofio, da solo, e scoprì che alcuni uomini si erano messi sulle sue tracce, quindi provò a portare la cinese in salvo ma durante la fuga, appena fuori dall’edificio, vennero uccisi entrambi. Io arrivai giusto in tempo per... per salutarlo...» la voce di Semir si incrinò appena ma l’ispettore non esitò a proseguire «Io cominciai a cercare il suo assassino, convinto che si trattasse di Chris, che invece era un agente sotto copertura e che poi sarebbe diventato il mio nuovo collega. Poi però finalmente riuscii a capire, anche grazie proprio a Chris, che in realtà dietro al traffico di ragazze c’erano Erik Gehlen e suo padre, e che era stato Erik a sparare a Tom. Non ti sto a raccontare come, perché sarebbe lungo e inutile, fatto sta che io e Chris arrivammo a quei due e alla fine sparammo a Gehlen da un elicottero, ferendolo a morte, o almeno così pensavo, e arrestammo suo padre.».
Ben annuì mordendosi il labbro inferiore «Ma a quanto pare Gehlen non è affatto morto.».
«No. Ma quello che mi preoccupa è Tom...».
«Tom?».
Semir annuì fissando il collega negli occhi «Ti ho detto delle analisi di Hartmut di due settimane fa, no? Lui continua sostenere che siano assolutamente corrette.».
«E pensi che sia possibile?» domandò il più giovane, scettico.
«Fino a poco fa non volevo nemmeno pensarci, ma Aida ha detto che Gehlen ha parlato di un ospite, hai sentito? Però no, è assurdo, è assolutamente assurdo...».
«Magari è stato sotto copertura, magari è vivo davvero.» ipotizzò Ben muovendosi sulla sedia, agitato.
«Ma sono passati otto anni, Ben! A me sembra impossibile, è impossibile!».
Tra i due calò il silenzio, mentre entrambi tentavano di concentrarsi su cosa davvero potesse essere successo così tanti anni prima.
I loro ragionamenti furono interrotti dal ritmico bussare di Susanne alla porta dell’ufficio.
Ben le fece cenno di entrare e la segretaria aprì la porta con sguardo a dir poco terrorizzato.
«Cosa succede Susanne? Sembra che tu abbia appena visto un fantasma.».
La ragazza non sembrò nemmeno ascoltarlo, rivolgendosi direttamente all’altro ispettore «Semir... ha appena chiamato un uomo che sostiene di essere Erik Gehlen, vuole parlare con te, te lo passo sulla tua linea.».

 

Ancora calma prima della tempesta. Ma ora entra in gioco Gehlen…
Un bacio e grazie a chi mi segue e a Tinta, Chiara, Maty, Furia, Reb e capitanmiki per le recensioni!
Sophie :D

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Capitolo 4
*** Sì o no ***


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Semir prese in mano la cornetta del telefono come se questa potesse esplodere da un momento all’altro.
La portò all’orecchio lentamente, occupando un tempo che sia a lui sia a Ben parve infinito, ed esitò ancora prima di parlare, sperando che il suo tono sicuro non venisse tradito da alcun tremolio nella voce.
«Pronto?» fece in quello che, suo malgrado, risultò poco più di un sussurro, mentre azionava il vivavoce e faceva cenno al collega di chiudere la porta e di non parlare.
La risata che giunse dall’altro capo della linea lo fece rabbrividire.
«Gerkhan? Ma che piacere, quanto tempo...».
«Gehlen.».
«Suvvia, non mi saluti con quella voce arida. In fondo sono otto anni che non ci vediamo né ci sentiamo, potrebbe essere un po’ più cordiale con me, ispettore.».
«Che cosa vuole?».
«Uhm...» fece Erik con voce melliflua «Provo a indovinare, non sarà mica ancora irato con me per quell’affaruccio del suo collega? Eh?».
«L’unica cosa per la quale io potrei essere ancora irato con me stesso, più che con lei, è di non essere riuscito a farla fuori otto anni fa.».
«Vedo che non siamo in vena di gentilezze oggi, Gerkhan.» commentò ancora l’uomo «E dire che mi era sembrato di fare un gesto carino rimandandole indietro sua figlia sana e salva.».
«Non lo ripeterò ancora: che cosa vuole?» ripeté Semir stringendo la cornetta nella mano destra, quasi volesse distruggerla.
«Va bene, va bene.» acconsentì Gehlen «Giungiamo dritti al punto: penso di avere una cosa che le appartiene, ispettore.».
Il poliziotto non rispose aspettando che il criminale continuasse e nel frattempo cercò negli occhi di Ben un po’ di sostegno.
E lo trovò, come sempre.
«Sa, non sono stato l’unico a salvarmi otto anni fa, pare che ci sia riuscito anche il suo amico, Tom Kranich. Peccato che io ne sia venuto a conoscenza solo tre mesi fa, altrimenti mi sarei potuto divertire un po’ con lui molto prima.».
Erik fece una pausa, lasciando che le parole entrassero bene nella testa del suo interlocutore, quindi continuò.
«Lei invece non ne sapeva nulla, vero ispettore? Certo, non che da parte sua sia stato un bel comportamento quello di nascondere la sua sopravvivenza al suo migliore amico. Tuttavia sarebbe bello che vi rincontraste, non trova Gerkhan?».
«Gehlen, mi ascolti...».
«No, mi ascolti lei Gerkhan. Adesso faremo a modo mio. Ho organizzato un bel gioco, sono sicuro che le piacerà. Potrà partecipare anche il suo collega, anzi dovrà obbligatoriamente. E dovrà venire con lei anche sua figlia... diciamo la più grande, sì, la piccola non sopravivrebbe di certo. E poi mi pare che la sua Aida abbia già dimostrato abbastanza coraggio in queste due settimane, sarà felice di aiutarla.».
«Ma di che diavolo sta parlando?» sbottò Semir alzando lievemente la voce e mandando in frantumi il proposito di rimanere calmo che si era fissato prima di alzare la cornetta del telefono.
«Della mia vendetta, Gerkhan. Le offro la possibilità di venirsi a prendere Tom Kranich vivo e vegeto ad una sola condizione: che lei giochi con me. E il gioco consiste semplicemente nell’attraversare un breve percorso realizzato accuratamente da me stesso, che la porterà dritto dritto al suo ex collega. Se lo raggiungerà, potrà portarselo via senza problemi. Ma con lei dovrà portare anche il suo collega Ben Jager e sua figlia.»
«Lei è pazzo.».
«Le assicuro» fece Gehlen «di essere perfettamente sano di mente.».
«Lei è pazzo se pensa che io voglia rischiare la vita mia, di mia figlia e del mio migliore amico per salvare quella di una persona morta otto anni fa.».
«Quale parte del concetto “Kranich è ancora vivo” non le è chiara, Gerkhan?».
«Tom è morto davanti ai miei occhi.» asserì Semir con tono irremovibile.
«E se io invece le dicessi che il suo amichetto è qui davanti a me, ora?».
«Le ripeto che non ci credo.».
«Gerkhan, sappia che sta facendo un errore. Anche io dovevo essere morto e non lo sono, dopo tutto. E Kranich è ora qui davanti a me ed è vivo.».
«Benissimo.» disse il turco con un lieve sospiro «Allora me lo dimostri. Me lo passi, mi faccia parlare con lui.».
Si sentì un attimo di silenzio dall’altra parte.
«Negativo, Gerkhan. Le regole del gioco le stabilisco io. O lei si fida di me e viene a salvarlo, oppure io lo faccio fuori senza problemi. A lei la scelta.».
Semir deglutì cercando ancora una volta una risposta negli occhi di Ben, che però adesso lo guardavano confusi.
«Forza Gerkhan. Lo vuole salvare? Vuole rischiare per riavere quell’amicizia speciale di un tempo? Oppure l’ha già dimenticata? Deve scegliere se provare o no, ispettore. Semplicemente questo. Solo sì o no.» lo incalzò Erik sempre con voce melliflua, ma ferma.
Semir serrò la mascella e strinse ancora la cornetta nella mano destra.
Guardò il collega di fronte a lui e si morse il labbro con agitazione.
Ma poi chiuse gli occhi, e pronunciò quella sillaba provando a non pensarci più.

«No.».

 

“No”...
Finalmente Gehlen entra in gioco attivamente, il che non sarà un bene ne per Semir né per Ben.
Grazie mille a chi continua a seguirmi e a recensire, un bacione!
Sophie :D

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Capitolo 5
*** I morti non tornano ***


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Semir posò la cornetta del telefono dopo che Gehlen gli ebbe chiuso la comunicazione in faccia senza dargli il tempo di aggiungere altro.
Era bastata quella sillabala, quel semplice “no”, ed ecco che Erik aveva deciso che i loro contatti potessero terminare così.
Semir deglutì sedendosi e guardando il collega in cerca di approvazione, ma trovò un Ben intento a mordicchiarsi il labbro inferiore senza sapere cosa dire né come muoversi.
Gli ci volle qualche istante per capire cosa aveva fatto pronunciando quella sillaba.
Poteva aver appena condannato a morte una persona.
Una persona che forse stava ancora aspettando il suo aiuto.
«Semir...» cominciò Ben «Sei sicuro che... che Tom...».
Semir appoggiò i gomiti sulla scrivania e si prese la testa tra le mani «Non lo so... non ci capisco più niente!».
«Mi hai detto prima anche tu che mentre ero in carcere Hartmut ti aveva detto che il sangue in quel capannone non era di Aida ma di Tom, no?» proseguì il più giovane provando a riflettere, cosa che l’amico in quel momento non sembrava essere in grado di fare.
«Ma Ben, Tom è morto! Non può essere sparito dalla circolazione per otto anni, non ha alcun senso.».
«Sì ma qui sembra che i fatti parlino piuttosto chiaro.» continuò a ragionare Ben «Pensaci: le analisi di Hartmut, la telefonata di Gehlen, questo ospite misterioso... Tu l’hai visto proprio morire?».
Il turco annuì «È morto tra le mie braccia, chiedendomi chi mi avrebbe protetto da quel momento in poi, quando lui non ci sarebbe più stato.».
Il più giovane sospirò «Non so, magari poi si è ripreso.».
«Il medico legale ha accertato la sua morte.» obiettò Semir.
«Forse è successo qualcos’altro. Forse il tuo collega voleva far credere a tutti di essere morto per qualche ragione.».
«Ma per quale ragione? E poi perché nasconderlo anche a me? A parte che non può aver fatto tutto da solo, era ferito davvero, ti assicuro di essermi dovuto lavare le mani del suo sangue.».
Ben alzò leggermente le spalle «Comunque sia, non possiamo essere certi che sia morto davvero.».
Semir chiuse gli occhi appoggiandosi allo schienale della sedia, ma li riaprì subito per evitare che le immagini di quella sera lontana gli affollassero la mente.
«Mi stai dicendo che non avrei dovuto rispondere così a Gehlen?» domandò poi mentre una strana angoscia cresceva a dismisura dentro di lui.
«Secondo me dovremmo rischiare.» fu la secca, disarmante risposta.
Ben notò lo sguardo confuso e interrogativo del collega e provò a spiegarsi «Gehlen vuole che io e te andiamo a prendere il tuo ex collega, altrimenti lo ucciderà. Ma così non solo rifiutando tu perderesti la possibilità di, se è vivo, rivedere Tom; rifiutando noi perderemmo per sempre le tracce di Gehlen! Anche perché Susanne non è riuscita a rintracciare la telefonata... Secondo me dovremmo rischiare, provare a stare al suo gioco e magari incastrarlo in qualche modo.».
Semir scosse il capo «Dimentichi che quel pazzo vuole che ci portiamo dietro Aida e io non voglio rischiare che le accada qualcosa, è appena uscita da più di due settimane di prigionia con lui.».
«Ma Semir, davvero vuoi lasciare che Tom venga ucciso senza nemmeno provare a salvarlo?».
«Ben... per quanto mi riguarda Tom è morto otto anni fa... e i morti non tornano dall’aldilà.».
«Semir, ascoltami...».
«No.» fece il turco alzandosi e cominciando a girare nervosamente per la stanza «Ascoltami tu. Non rischio la vita del mio migliore amico e di mia figlia per salvare quella di un mio ex collega morto. E vuoi sapere di più? Per me Tom è morto nello stesso esatto istante in cui ha deciso di farmi credere che lo fosse davvero.».
«Semir, tu non pensi queste cose davvero, sei solo arrabbiato e hai paura. Ma sono sicuro che se adesso Tom fosse qui, nonostante tutto tu ne saresti felice.» ribatté Ben alzandosi a sua volta «Dammi retta, dobbiamo tentare. Staremo attenti ad Aida, ti prometto che non le accadrà nulla.».
Semir scosse il capo senza rispondere e guardando il cielo attraverso il vetro della finestra. Stava diventando sempre più scuro, di lì a poco avrebbe cominciato a piovere e il sole splendente di poche ore prima presto sarebbe diventato solo un ricordo.
«Dammi retta...» ripeté il più giovane avvicinandosi a lui.

 

Gehlen rise girando per la stanza buia.
«Che cosa credi? Di aver vinto davvero?» fece una voce alle sue spalle.
Erik si voltò andando ad incontrare lo sguardo del suo prigioniero, legato ad una sedia in mezzo alla stanza.
«Il suo amichetto a quanto pare non si preoccupa troppo per lei...» disse il criminale, continuando a sghignazzare.
L’uomo legato strinse i pugni con forza «Tu sei un maledetto...».
«Shh!» lo zittì Gehlen «Non infierisca, ispettore. Posso ancora chiamarla così, non è vero?».
«Non dovevi uccidermi? Eh? Perché non lo fai? Semir ha detto che non verrà... perché non mi uccidi?».
«Quanta fretta... Diciamo che ho deciso di dare al turco un’altra possibilità...».
Così dicendo Erik afferrò il cellulare e compose di nuovo, con calma, il numero del comando.

«E anche se volessi?» fece infine Semir «Non so come ricontattare Gehlen.».
Ma non finì di pronunciare la frase che Susanne dalla porta a vetri gli fece cenno di avvicinarsi alla cornetta del telefono.
Aveva appena passato un’altra chiamata sulla linea del loro ufficio.

 

Sì o no, sì o no... boh!Forse Ben ancora non ha capito che razza di persona sia Gehlen...
Grazie ancora a tutti coloro che mi seguono e a Furia, Maty, Chiara, Tinta, Rebecca, Chlo, Miki per le recensioni, un bacione!
Sophie :D

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Capitolo 6
*** Paura ***


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Semir afferrò la cornetta per la seconda volta come se pesasse centocinquanta chili.
In verità era stato tentato di non rispondere direttamente ma l’occhiata che Ben gli aveva lanciato intuendo i suoi pensieri gli aveva fatto cambiare idea.
«Pronto?».
Il suo tono era più stanco che determinato e il più giovane lo notò, gli appoggiò una mano sulla spalla per incoraggiarlo e attivò il vivavoce al suo posto.
Allora le note della perfida risata di Gehlen si diffusero nell’aria chiusa della stanza.
«Allora Gerkhan, contento di risentirmi così presto?».
La domanda cadde nel vuoto.
Semir non aveva nemmeno intenzione di dargli la soddisfazione di rispondere.
«Scommetto che ha riflettuto su quello che le ho proposto.» continuò l’uomo «Immagino con il suo collega Jager che in questo momento mi starà ascoltando...».
Ben sospirò.
Non aveva mai visto quel criminale ma pensava di aver capito perfettamente di che tipo di persona si trattasse.
«Gehlen, che cosa vuole ancora?» intervenne secco il più giovane.
«Oh Jager, ecco, finalmente ho il piacere di conoscerla.» fece Erik, compiaciuto «Allora, avete ripensato alla mia proposta?».
Semir fece un sospiro e si appoggiò allo schienale della sedia «Perché tutto questo, Gehlen?» domandò poi semplicemente.
Di nuovo dalla cornetta uscì una risata malvagia che si insinuò fastidiosamente nella testa dei due ispettori.
«Perché? Credevo fosse chiaro il perché, Gerkhan. Lei otto anni fa mi ha ucciso.».
«Se lo avessi fatto sarebbe stato molto meglio.» puntualizzò il turco.
«Comunque quello era il suo intento, o sbaglio? Io voglio semplicemente vendicarmi...» continuò il criminale con voce melliflua.
«Allora vediamoci noi due soli e facciamola finita.» propose Semir, facendo finta di non notare l’eloquente occhiata di rimprovero del collega, terrorizzato all’idea di dover lasciare l’amico in pasto a quell’uomo.
«Negativo, Gerkhan. Le ho detto che ho preparato un gioco. Le regole le stabilisco io. Suvvia... so che in fondo lei non vede l’ora di scoprire se il suo ex collega è effettivamente vivo oppure no. Giochi con me, sarà divertente, glielo assicuro.».
«Voglio una garanzia.» disse l’ispettore.
«Negativo di nuovo.».
«Allora se lo scordi, Gehlen.».
Nella stanza calò il silenzio e Ben cercò una qualsiasi scusa per prendere in mano la situazione prima che il criminale riattaccasse, magari questa volta per non richiamare mai più.
«In cosa consisterebbe questo gioco?» chiese.
«Vedo che è interessato, Jager. Un percorso. Un percorso semplice semplice ideato apposta per voi. Vi spiegherò tutto a tempo debito, voi dovreste solo venire domani alle 18.00 alla vecchia fabbrica aldilà del Reno, quella vicino ai capannoni dove il vostro scienziato pazzo aveva identificato il sangue di Kranich.».
«Gehlen... sappia che non se la caverà tanto facilmente.» sibilò Semir fissando un punto indefinito davanti a sé e stringendo la cornetta del telefono.
«Lo prendo per un “sì”, Gerkhan. Porti la bambina e niente scherzi o Kranich è morto... Conto su di lei.» rispose Erik con un mezzo sorriso «E, dimenticavo, non cerchi di rintracciare la telefonata, sarebbe inutile, sto usando un telefono criptato. A presto, ispettore.».
Poi riattaccò semplicemente.

Semir staccò la cornetta dall’orecchio e si voltò verso la porta di vetro per incrociare lo sguardo di Susanne, che però gli fece un cenno negativo con il capo: Gehlen aveva detto la verità, di nuovo non era riuscita ad intercettare la telefonata.
L’ispettore posò quindi il telefono e sospirò guardando il collega «Temo che sia una follia.».
«Staremo attenti ad Aida, non le accadrà nulla.» ripeté Ben provando a sembrare convincente.
«Temo che sia una follia comunque. Pensi che quel pazzo una volta terminato il suo percorso ci lasci andare come se nulla fosse successo?».
«Ce la caveremo...».
«Non lo so.» fu il commento di Semir prima che entrambi si alzassero e si dirigessero nell’ufficio della Kruger per metterla al corrente dei fatti.
Dovettero raccontarle tutto di Gehlen e di Tom e solo in un secondo momento passarono a raccontarle delle due telefonate e del gioco di Erik.
«È una follia.» fece Kim intrecciando pensierosa le mani sulla scrivania.
«Mi creda commissario, sono perfettamente d’accordo con lei.» replicò Semir con un sorriso amaro «Ma non penso ci sia un altro modo per arrivare a quel bastardo.».
«È la sua priorità, non è vero Gerkhan?» domandò la donna a bruciapelo.
«Cosa?».
«Arrivare a lui. Toglierlo di mezzo.».
«Avrei dovuto farlo già molto tempo fa.».
«Sì ma consideri che qui si tratta di mettere in pericolo sia la sua vita, sia quella di Jager, sia e soprattutto quella di sua figlia.».
«Capo, non abbiamo altro modo per arrivare a lui!» intervenne Ben «Sappiamo bene quanto sia rischioso ma se non andiamo Gehlen sparirà per sempre e Tom Kranich, se è ancora vivo, verrà ucciso.».
«Altrimenti potremmo provare a presentarci direttamente senza Aida.» propose Semir, titubante.
«Non penso che ci lascerebbe fare come se niente fosse.» obiettò il più giovane storcendo appena le labbra.
«Lo so ma Ben, io non me la sento...».
«Ascoltatemi.» si intromise la Kruger con un lieve sospiro «Avete ragione. Potete scegliere come fare per la bambina, anche se personalmente dubito che a lui vada anche bene che voi non la portiate. In ogni caso io vi doterò di ricetrasmittenti, giubbotto antiproiettili e una squadra speciale pronta appena fuori dalla fabbrica. Se Gehlen uscirà dall’edificio cadrà direttamente nelle nostre mani.».
«Pensa davvero che serviranno? Ci farà togliere i giubbotti ancora prima di entrare.» affermò Semir girando irrequieto per la stanza.
«Tanto vale tentare, se vi minaccerà ordinandovi di toglierli, li toglierete.».
«Va bene.» accordò Ben lanciando poi un’occhiata verso il collega, che annuì a sua volta.
«Sì, va bene...».
«Gerkhan, si faccia forza, andrà tutto per il meglio.» disse il commissario con un sorriso sincero.
«Lo spero. Lo spero davvero.».

 

«Assolutamente no!» gridò Andrea con quanto fiato aveva in gola.
«Andrea, ti prego, di questo passo sveglierai le bambine.» mormorò Semir lanciando un’occhiata all’orologio, che segnava ormai le 21.47.
Una volta tornato a casa aveva parlato ad Andrea della telefonata di Gehlen e del suo piano e la sua reazione non era stata affatto delle migliori.
«Non me ne frega niente, Semir! Meglio che si sveglino ora ma che domani siano ancora entrambe vive, non credi?».
«Ma cosa dovrei fare secondo te? Pensi che sia contento di far correre questo rischio ad Aida?».
«Tu non le vuoi far correre un rischio, tu vuoi condannarla a morte!» ribatté la donna alzando ancora il tono di voce.
«Andrea, senti, almeno siediti e parliamone in modo normale.» fece Semir trascinando la moglie sul divano «Io non voglio condannare a morte proprio nessuno e tantomeno nostra figlia, ma non so come altro arrivare a Gehlen e questo lo sai anche tu.».
«E allora non arrivarci! Lascialo perdere! È un criminale come molti altri, non puoi pretendere di poterli sbattere in galera tutti, lascialo perdere.».
«Lui un criminale come molti altri? Lui?».
«Semir, pensi che a me non abbia fatto male la morte di Tom otto anni fa? Pensi che io non voglia quel bastardo in galera tanto quanto te? Ma questo non vuol dire che ci debba andare di mezzo Aida.».
«Ma se Tom fosse vivo? Capisci che non andando lui lo ucciderebbe? E se va bene poi ci farebbe anche ritrovare il suo cadavere, vero questa volta. Io non ce la faccio, non di nuovo.» fece Semir provando a far ragionare Andrea, che però aveva le lacrime agli occhi, era terrorizzata e non sembrava nemmeno ascoltarlo.
«E preferiresti che a fare quella fine fosse Aida?».
«Non permetterò che le accada qualcosa.»
«Come hai fatto con Tom?».
Nella stanza calò il silenzio.
Semir si alzò dal divano dando le spalle alla moglie, mentre la rabbia mista al senso di colpa e alla paura gli attanagliava lo stomaco.
Andrea si alzò raggiungendolo al centro della stanza «Scusami, non volevo dire questo. È che io ho paura, Semir.».
L’ispettore si voltò guardandola negli occhi, occhi che ora lanciavano fiamme «Anche io ho paura. Ho una paura enorme, Andrea. Ho paura di fare la cosa sbagliata, ho paura che Tom sia ancora vivo e che Gehlen lo uccida, ho paura che succeda qualcosa ad Aida, a Ben. Ho paura di non andare all’appuntamento e poi pentirmene ma ho paura anche di andarci. Pensi che io non mi sia posto il problema di Aida? Pensi che non sia terrorizzato all’idea che quel bastardo la possa anche solo sfiorare?» quasi gridò per poi allontanarsi da lei e tornare sul divano, prendendosi la testa tra le mani.
«Deve esserci un’altra soluzione.».
Semir scosse il capo.
Poi si alzò nuovamente, afferrò il cellulare e compose in fretta il numero di Ben.
«Ben? Sono io... ascoltami, ci ho pensato... non so cosa deciderà di fare Gehlen, ma domani andiamo solo noi due, Aida non viene.».

 










Il dado è tratto!

Semir alla fine ha deciso, ragionevolmente direi, di non portare la piccola. Ma siamo sicuri che a Gehlen la cosa vada bene?
Un bacione e grazie mille a voi che continuate a seguirmi, tra poco si passa all’azione!
Sophie :D

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Capitolo 7
*** No! ***


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«NO!» gridò Semir mettendosi a sedere sul letto all’improvviso, con la fronte madida di sudore e il terrore dipinto negli occhi.
Andrea si svegliò di soprassalto e accese in fretta la luce «Semir, che succede?».
L’ispettore respirò provando a riprendere fiato, mentre il cuore ancora gli batteva all’impazzata «Tom... Ben...» mormorò in preda al panico, tremando come una foglia.
«Semir, calmati, era solo un incubo... solo un incubo, non è successo niente, stai tranquillo.».
«Andrea... Tom... Tom è vivo davvero. Io... io l’ho sognato, lo sento che è vivo! Non posso non andare, Tom è vivo!».
«Infatti andrai, ti sei già messo d’accordo con la Kruger, ricordi? Ora però devi calmarti. Sono solo le quattro e mezza e tu hai bisogno di dormire.».
Semir riappoggiò la testa sul cuscino riprendendo a respirare normalmente e Andrea si sdraiò abbracciata a lui e spense la luce.
«Andrà tutto bene...».

13 ore dopo, 13 settembre, 17.23.

Semir scese dalla macchina, chiuse lo sportello e si appoggiò al cofano a braccia conserte.
Ben scese dal lato del guidatore e lo raggiunse con un sorriso «Allora, sei pronto?» mormorò.
«No, per niente.».
«Fantastico.».
Si trovavano nell’ex zona industriale di cui aveva parlato Gehlen il giorno prima ed erano in anticipo di più di mezz’ora.
Ben provava a stare tranquillo e a tenere a freno il collega, che invece aveva i nervi a fior di pelle e proprio non riusciva a fingere di non essere preoccupato.
Sussultò quando sentì il suo telefono squillare e rispose in quello che risultò poco più che un sussurro, facendo cenno all’amico di ascoltare.
«Sì?».
«Gerkhan, sono io. Metta il vivavoce.».
Semir annuì e si avvicinò di più al collega in modo che potesse sentire anche lui.
«Dunque, vedo con piacere che siete arrivati in anticipo. Ma noto, soprattutto, che non avete la mocciosetta con voi. Dov’è? Non pensate di fregarmi, sbirri.».
I due ispettori si guardarono intorno tentando di capire dove si potesse nascondere l’uomo per riuscire a seguire nel dettaglio tutti i loro movimenti senza essere visto.
«È in macchina.» mentì Semir nella disperata speranza che Gehlen ci credesse e smettesse di controllarli a vista «Ora ci dica quello che ci deve dire e iniziamo.».
«Nervoso, Gerkhan?» fece Erik con voce viscida «Le consiglio di darsi una calmata, o parte già in svantaggio, mi creda. Allora, innanzi tutto toglietevi sia giubbotti antiproiettile sia ricetrasmittenti, se pensavate di fregarmi così mi dispiace ma vi sbagliavate di grosso.».
«Detto ciò» continuò «sappiate che la squadra speciale che vi sta per raggiungere avrà un piccolissimo incidente di percorso e, quando arriverà, voi sarete già lontani. E soprattutto, quando e se vi troveranno, sarà già tutto finito. Eh sì, ho preso le mie precauzioni, il percorso non si svolgerà qua ma a una quindicina di chilometri di distanza, sempre nella zona industriale. Ora prendete quel telefono che vedete per terra dietro di voi a una ventina di metri di distanza e gettate i vostri nell’erba alta.».
Gli ispettori buttarono via contemporaneamente i cellulari e Ben corse a prendere il telefono che aveva indicato Gehlen e aprì la comunicazione rispondendo alla chiamata già in arrivo su quel nuovo dispositivo.
«Benissimo.» continuò il criminale compiaciuto «Ora salite di nuovo sulla vostra macchina e proseguite sulla strada principale per sette chilometri, nel frattempo vi spiegherò le regole del gioco. Ah dimenticavo, togliete la radio dall’auto e gettatela a terra.».
I due salirono in macchina e fecero come Erik aveva ordinato.
Quindi Ben partì a tutto gas continuando ad ascoltare le informazioni di Gehlen, mentre Semir, senza fiatare, reggeva il telefono tra le mani.
«Perfetto, ora ascoltatemi. Quello che troverete una volta arrivati a destinazione sarà un vecchio capannone in disuso che io ho modificato a mio piacimento, e vi assicuro che mi è servito tempo e denaro per farlo. Vi saranno due entrate distinte, dovrete dividervi e scegliere chi si porterà dietro la mocciosetta, che spero vivamente abbiate davvero portato con voi, cosa che comunque scoprirò presto. Entrambi troverete un corridoio che scende leggermente di livello e poi una stanza. In quella stanza, contemporaneamente, dovrete superare due prove differenti e solo se le supererete passerete alle stanze successive. Sono cinque stanze ciascuno e il percorso sarà da svolgere tutto separato, vi rincontrerete, se ci arriverete vivi, solo alla fine, dopo l’ultima prova.».
All’interno dell’auto non volava una mosca. La tensione era tangibile e i due poliziotti non avevano il coraggio di interrompere il lungo monologo di quel pazzo, che assaporava ogni parola provando uno strano senso di pace e soddisfazione nello spiegare alle sue vittime il suo originale gioco fatale.
«Infatti, i due percorsi si uniranno in un’unica stanza. In questa stanza troverete una porta, che potrete aprire con un codice, e al suo interno vi aspetterà Tom Kranich vivo e vegeto. Ogni stanza è dotata di un moderno sistema di altoparlanti, per cui io potrò comunicare con voi tranquillamente e tutto quello che dirò sarà sentito sia da lei, Gerkhan, sia da Jager. Tutto chiaro? Ecco, svoltate a destra ora e proseguite fino al cartello rosso, quindi svoltate a sinistra, nascondete l’auto tra gli alberi e raggiungete a piedi il piazzale antistante il capannone.».
I due fecero tutto ciò che l’uomo aveva ordinato e raggiunsero il luogo stabilito, sempre con il telefono con la comunicazione aperta in mano.
Quando furono nel piazzale, si fermarono e aspettarono nuovi ordini.
«Bene, siete arrivati. Ora dividetevi ed entrate. Gettate questo telefono, non vi servirà più. Dov’è la mocciosa?».
Nessuno rispose.
«Jager, Gerkhan, dov’è la mocciosa?» ripeté l’uomo dall’altro capo della linea, scandendo bene ogni parola.
«Sperava davvero che le avrei fatto rischiare la vita così inutilmente?» fece ad un tratto Semir, sempre guardandosi intorno nel tentativo di scorgerlo.
«E lei spera davvero che io vi faccia proseguire come se niente fosse? Mi pareva di essere stato chiaro. Niente mocciosa, niente percorso, niente Kranich. Peccato.» sibilò Gehlen ostentando sicurezza.
Ben e Semir udirono dall’altra parte il rumore di una sicura tolta dalla pistola e si prepararono a sentire lo sparo...
«Dica “ciao” al suo amico Gerkhan... sta per morire di nuovo, e senza ritorno questa volta.».
Il turco chiuse gli occhi attendendo il colpo e strinse il telefono come se potesse con quel gesto fermare lo sparo.
Tom era vivo.
Tom era vivo e stava per morire a causa sua...
«No!» gridò una voce nitida alle spalle dei due ispettori.
Entrambi si voltarono, e contemporaneamente sgranarono gli occhi, increduli.

 

Il gioco di Gehlen sta per cominciare!
Grazie a tutti voi che continuate a seguirmi e a recensire, ora si entra nel vivo...
Un bacione!
Sophie :D

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Capitolo 8
*** Prima prova ***


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«A... Aida...» balbettò Semir, senza sapere se dover cadere definitivamente nel panico oppure se essere felice della comparsa della figlia.
«Papà, ho sentito te e la mamma discutere ieri sera... so tutto, per questo vi ho seguito.» spiegò la bambina uscendo dalla macchina e chiudendo lo sportello.
«Principessa...» mormorò Ben temendo che il collega andasse in escandescenza «Vieni qui.» sussurrò facendola avvicinare.
«Oh, perfetto.» fece la gelida voce di Gehlen di cui momentaneamente i poliziotti si erano dimenticati «Ringrazi sua figlia se non ho sparato, Gerkhan. Ora dividetevi come vi ho detto e iniziate questo percorso... ora! A meno che lei non preferisca lasciare la mocciosetta qua fuori tutta sola... a portata di mano dei miei uomini.».
«Bastardo!» Semir gettò il cellulare a terra in uno slancio di rabbia, e la voce del criminale scomparve immediatamente.
«Aida, porca miseria, ma che diavolo ti è venuto in mente? Eh?» gridò mentre la bambina si rifugiava tra le braccia di Ben.
«Io volevo solo... solo...».
«Solo cosa? Non è un gioco questo, hai capito? Non è un gioco!».
«Ma papà io... tu...».
Semir scosse il capo stringendo i pugni e fissando la figlia con occhi che lanciavano fiamme.
«Semir, calmati ti prego, lei non poteva sapere, non è colpa sua. Ora ti devi calmare.» intervenne Ben difendendo la bambina.
«Calmarmi?» fece il turco mentre la voce gli si incrinava dalla disperazione «Ma come faccio a calmarmi? Come posso calmarmi? Ora non possiamo lasciarla qui, quel porco se la verrebbe a prendere!».
«Infatti faremo il percorso tutti e tre e andrà tutto bene, ma tu prima devi calmarti, perché altrimenti non concluderemo proprio nulla.».
«Papà...» mormorò Aida avvicinandosi a lui «Scusa... io volevo solo aiutare in qualche modo te e lo zio Ben e quando ho sentito che tu e la mamma parlavate di questo incontro e di me... scusami...».
Semir abbracciò la bambina e la guardò negli occhi, provando a calmarsi come gli aveva intimato l’amico.
Aveva perfettamente ragione.
«Va bene... va bene cucciolo, stai tranquilla, andiamo. Ben, sei pronto?» domandò poi rivolto al collega.
«Semir, sei tu che non sei ancora pronto.» sorrise Ben «Dai, andrà tutto bene.».
Semir alzò le spalle, lo sperava.


17.47.
Il luogo era totalmente deserto e davanti a loro le due porte di metallo lucide contrastavano con l’apparenza antica del capannone.
«Zio Ben, posso venire con te?» domandò Aida dopo qualche attimo, squarciando il silenzio.
«No.» rispose il turco in automatico al posto del collega «Cucciolo, tu vieni con me, non appena abbiamo finito tutto rivediamo Ben, va bene?».
L’ispettore più giovane annuì con un mezzo sorriso «Sì principessa, vai con papà, è meglio. Sarà una cosa veloce, vedrai.».
Non che non si fidasse dell’amico, al contrario era la persona di cui si fidava di più in assoluto, ma Semir aveva voluto tenere Aida con sé per evitare che Ben si caricasse eventuali sensi di colpa in futuro. E, forse, anche perché l’idea di poterla controllare direttamente lo rendeva un po’ più tranquillo.
«Andiamo?» propose quindi.
«Andiamo, socio.» rispose Ben «Ciao principessa, ci vediamo dopo.».
Aida sorrise annuendo e i due ispettori si scambiarono un “batti cinque” con forza.
Quindi si fissarono negli occhi per un ultimo istante ed aprirono le rispettive porte, richiudendosele poi alle spalle.

Come aveva preannunciato Gehlen, il corridoio scendeva leggermente di livello. Era stretto e totalmente buio.
Aida afferrò la mano del padre e non emise un fiato fino a quando entrambi non furono arrivati ad un’altra porta di metallo, da cui filtrava un  po’ di luce.
«Pronta, cucciolo?» domandò Semir abbassandosi per guardare negli occhi la bambina, che annuì con aria decisa. Era coraggiosa, straordinariamente coraggiosa per la sua età. L’ispettore avrebbe giurato che un’altra bambina al suo posto lo avrebbe pregato di uscire urlando di avere paura, ma lei invece non sembrava terrorizzata, curiosa piuttosto.
Improvvisamente una voce metallica riempì il silenzio con una specie di risata che fece rabbrividire entrambi.
«Dunque» fece Gehlen attraverso gli altoparlanti «Siete arrivati davanti alla porta della prima stanza. Qui svolgerete la prima prova. Sarà divertente, non temete. Aprite... e che il gioco cominci.».
«Fai sempre tutto quello che ti dico io, chiaro Aida?» fece Semir rivolto alla figlia «Sempre e solo quello che ti dico io.».
«Va bene papà.».
«Okay...».
Il turco schiacciò un pulsante e la porta scorrevole si aprì per poi richiudersi automaticamente alle loro spalle. I due si trovarono all’interno di una stanza quadrata dalle pareti lisce e metalliche, che assomigliava ad una specie di contenitore ermetico a forma di cubo.
Avanzarono fino a trovarsi al centro della stanza, sempre per mano, attendendo che accadesse qualcosa.
E poi lo udirono.
Un rumore, prima lontano e poi sempre più forte.
Si guardarono intorno e solo allora Semir si accorse di due buchi laterali sulle pareti e capì che il rumore che progressivamente stava aumentando veniva da lì.
«Acqua...».

 

Dopo aver percorso lo stretto corridoio, Ben schiacciò il pulsante luminoso sulla parete di fronte a lui e una volta che la porta si fu aperta e poi richiusa alle sue spalle, si meravigliò di ritrovarsi in una stanza ancora più buia dell’ambiente precedente.
Non vedeva nulla, se non la timida luce a qualche metro di distanza che indicava la porta di passaggio per la stanza successiva.
Ignaro di cosa dovesse fare, si avvicinò con circospezione al centro della stanza, camminando lentamente ed emettendo il minimo rumore possibile.
Si fermò solamente quando sotto al suo piede sinistro sentì qualcosa... qualcosa di lungo e circolare, sembrava una corda o qualcosa del genere.
Ma non ebbe nemmeno il tempo di provare a capire di cosa si trattasse, che la corda improvvisamente gli cinse la caviglia e cominciò a stringersi sempre di più attorno ad essa, tanto da costringerlo ad urlare.
Sempre nel buio più totale, Ben si accucciò portando le mani alla caviglia per provare a slegarsi ma un’altra fune venuta da chissà dove gli si attorcigliò intorno al polso destro e un’altra, come lanciata da un uomo che lui non poteva vedere, gli cinse la vita con forza.
L’ispettore cominciò a dimenarsi sul pavimento provando a sottrarsi alla stretta con il braccio e la gamba ancora liberi, ma ben presto anche la seconda caviglia venne imprigionata.
Le corde si stringevano sempre di più, tagliandogli la pelle e provocandogli dolori lancinanti in tutto il corpo.
Urlò e si dimenò ancora ma non ottenne nessun risultato.


«Mapporca!» imprecò Semir notando che l’acqua gli era ormai arrivata alle ginocchia.
Continuava ad uscire dalle bocche a lato sulle pareti in flutti che a lui parevano sempre più abbondanti e irrefrenabili.
In non molto tempo sarebbero stati letteralmente con l’acqua alla gola.
«Papà, cosa facciamo?» gridò Aida preoccupata alzandosi sulle punte nel vano tentativo di bagnarsi un po’ meno.
«Non lo so cucciolo, aspetta, adesso mi faccio venire in mente qualcosa.».
Ma per quanto si sforzasse, al poliziotto non veniva in mente proprio nulla.
Non c’erano aperture in quel cubo di metallo, non avevano via di scampo e l’acqua continuava ad alzarsi.
Semir prese Aida in braccio notando che alla bambina nel frattempo l’acqua era arrivata al petto.
Saliva velocemente, troppo velocemente...

 

Quando una corda si attorcigliò intorno alla gola di Ben e cominciò a stringersi sempre di più, il giovane ispettore cominciò seriamente a pensare che sarebbe morto soffocato. Era praticamente immobilizzato a terra e provava a tenere distanziata la fune dal suo collo con le dita della mano ancora libera ma senza molto risultato.
Nel frattempo continuava a scuotere le gambe, dimenandosi come un animale caduto nell’imboscata di un bracconiere.
La corda attorno al collo si stringeva, si stringeva, si stringeva...
Ben cominciò a fare veramente fatica a respirare e la vista piano piano gli si andò offuscando...
Fu solo allora che vide qualcosa di luminoso e lampeggiante attaccato alla parete di fronte a lui: un timer.
Segnava venti secondi... doveva resistere ancora per venti, interminabili secondi...

Aida gridò agitandosi nell’acqua e annaspando per rimanere a galla.
Ormai l’acqua aveva riempito quasi tutta la stanza e Semir e la bambina nuotavano con la vana speranza che quelle due bocche cessassero di sputare liquido prima che loro fossero morti annegati.
Semir trovò un appiglio al soffitto, che ormai toccavano facilmente, una sottile maniglia di metallo a cui fece aggrappare Aida perché non si dovesse stancare troppo continuando a stare a galla.
Continuò a guardarsi intorno disperato, quando finalmente vide una cosa, una cosa che si domandò come avesse fatto a non notare prima.
Si vedeva male a causa dell’acqua che lo separava da essa ma... sì, era una botola metallica, sul fondo di quella che ormai stava diventando una vasca di morte.
Come aveva potuto non vederla, prima, sul pavimento della stanza ancora asciutta?
«Aida, tieniti alla maniglia, non staccarti mai.» gridò.
La bambina annuì terrorizzata nonostante l’acqua le arrivasse ormai praticamente alla gola e la sua testa fosse a due centimetri dal soffitto della piccola stanza. L’acqua continuava a uscire.
Dovevano avere ancora pochissimi minuti.
Semir prese un respiro e si immerse, nuotando fino al pavimento e aggrappandosi alla piccola e scomoda maniglia della botola nel tentativo di aprirla.
Provò e provò, trattenendo il fiato, consapevole che presto sarebbe dovuto risalire a prendere ossigeno, perdendo però altro tempo.
Era bloccata.
La botola non si apriva.

 

Prima prova... la supereranno i nostri eroi?
Come cominciare l’anno nuovo in maniera rilassante...
Grazie mille a chi continua a seguirmi e a recensire e un bacione!
Sophie :D

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Capitolo 9
*** La legge degli opposti ***


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Tirò, tirò con quanta forza aveva in corpo, ormai senza ossigeno da troppo tempo.
Sperava solo che Aida non fosse stata ancora totalmente immersa dall’acqua.
Tirò ancora quella maledetta maniglia metallica che proprio non voleva sapere di aprirsi... e poi, finalmente, sentì uno scatto.
Ormai sfinito e in cerca di ossigeno, Semir mollò la presa e raggiunse la superficie, spalancando la bocca per assimilare più aria possibile non appena fu fuori dall’acqua.
Sospirò poi di sollievo vedendo Aida sana e salva ancora aggrappata alla sporgenza sul soffitto della piccola stanza e l’acqua che lentamente scendeva di livello convogliandosi verso quella piccola botola ora spalancata.
Ce l’avevano fatta.

 

00:05
00:04
00:03
00:02
00:01
Le corde si allentarono e per un lungo istante a Ben parve di non sentire nulla, assolutamente nulla.
Poi, lentamente, i suoi sensi ricominciarono a riprendersi e il giovane ispettore aprì gli occhi, sorprendendosi di essere ancora vivo e soprattutto, anche se a fatica, di riuscire finalmente a respirare.
Gli sembrava che quella prova fosse durata ore, quando in realtà probabilmente si era svolto tutto in un paio di minuti.
Ma era finita, ed era vivo.
L’aveva superata.
«Jager, Gerkhan, complimenti.» esordì ad un tratto la voce metallica che entrambi potevano sentire «Avete superato splendidamente la prima prova. Ora dirigetevi verso la prossima stanza... sarà divertente.».
Sia Ben che Semir e Aida, contemporaneamente ma in luoghi diversi, dopo qualche attimo che sfruttarono per riprendersi, si diressero a passo insicuro verso la seconda porta e premettero titubanti il pulsante di apertura.

 

Semir prese nuovamente per mano la figlia ed entrò nella seconda stanza temendo quello che avrebbe trovato.
Si stupì a provare, appena entrato, un freddo incredibile. Pensò che fosse dovuto ai vestiti fradici.
Poi guardò le pareti della stanza in cui ora si trovavano e il termometro appeso davanti ai suoi occhi gli chiarì la situazione: erano dentro ad una specie di cella frigorifera.

 

Ben entrò zoppicando nella seconda stanza, cominciando seriamente a dubitare che sarebbe uscito vivo da quel percorso.
L’afa che lo accolse gli fece subito pensare al peggio e quando lo sguardo gli cadde sul piccolo apparecchio appeso alla parete alla sua destra, il giovane ispettore non poté fare altro che emettere un sospiro a metà tra l’esausto e l’impaurito.
La temperatura lì dentro era in progressivo aumento.

 

«Bene bene, benvenuti nella seconda stanza, ispettori. Lei, Jager, dovrà avere a che fare con una temperatura piuttosto elevata... spero che riesca a resistere. Lei invece, Gerkhan, al contrario, con una temperatura... polare. Ma dato che sono stato magnanimo, all’angolo destro della stanza troverà due magliette e due felpe per lei e sua figlia, vi conviene spogliarvi dei vestiti bagnati se non volete assiderarvi più in fretta. Ah, quasi dimenticavo: potrete passare alla stanza successiva solo quando il pulsante d’ingresso si illuminerà, fino ad allora non potrete fare altro che provare a resistere. Carina l’idea, non trovate? Freddo e caldo... la legge degli opposti... Buona fortuna!» concluse la voce di Gehlen accompagnata dalle fastidiose note della sua risata malata e crudele.

 

Aida si avviò verso i quattro indumenti ammucchiati a terra in un angolo e rivolse uno sguardo interrogativo verso il padre «Ce li mettiamo, papà?».
Semir annuì, raggiungendo la figlia e togliendole la giacca fradicia e la maglietta, per infilarle il più velocemente possibile maglietta e felpa pulite.
La bambina rabbrividì a contatto con l’aria gelida della stanza ma non si lamentò, limitandosi invece a guardare in silenzio il padre che faceva altrettanto con gli indumenti puliti.
L’ispettore lanciò quindi un’occhiata al termometro, notando che la temperatura continuava a scendere: -1°C.
Semir sentì qualcosa che gli attanagliava lo stomaco e diresse preoccupato lo sguardo sulla figlia: era sicuro di aver letto tempo prima che se non protetti si poteva incorrere in ipotermia già a partire dai 10°C e che i soggetti più a rischio erano gli anziani e i bambini.
Si avvicinò ad Aida e la prese in braccio, rendendosi conto già di quanto la pelle della bambina fosse fredda «Cucciolo... andrà tutto bene, tra poco andremo via di qui, te lo prometto.».
Lei annuì con un mezzo sorriso, stringendosi di più al padre nel vano tentativo di riscaldarsi.

 

Ben si appoggiò alla parete e si lasciò scivolare lentamente a terra.
Gli sembrava ancora una volta di soffocare, lì dentro c’era troppo caldo e il giovane aveva la fronte imperlata di sudore e si sentiva bollente.
Pensò al collega e alla sua principessa che si trovavano probabilmente a pochi metri di distanza da lui in linea d’aria e sperò vivamente che a loro non accadesse nulla. Infondo era lui che aveva incoraggiato Semir ad assecondare il gioco di Gehlen, ma se ne era pentito non appena aveva messo piede all’interno di quello che una volta era stato un semplice capannone industriale.
Socchiuse gli occhi.
Faceva caldo, troppo caldo...

 

-17°C.
Semir si era tolto la felpa e l’aveva fatta indossare ad Aida nella speranza di riscaldarla ancora un po’ ma si trattava comunque di indumenti troppo leggeri.
Stringeva la bambina tra le braccia nel vano tentativo di farle disperdere meno calore possibile e la sentiva tremare.
Quando si accorse che la bambina aveva gli occhi chiusi, rabbrividì, e non per il freddo.
«Aida... Aida, mi senti?».
Lei annuì debolmente ma continuando a tenere gli occhi chiusi «Ho... freddo...».
«Lo so cucciolo, tra poco sarà tutto finito.» sussurrò il poliziotto lanciando un’occhiata disperata verso quel maledetto pulsante che non sembrava volerne sapere di illuminarsi.
Semir socchiuse gli occhi a sua volta, tentando di non far caso al freddo che ormai gli arrivava alle ossa e continuando come poteva a scaldare la figlia.

 

63°C.
Ben credette di morire.
Come avrebbe potuto resistere se la temperatura avesse continuato ad aumentare?
Aveva caldo, era pallido, gli si chiudevano gli occhi.
Ma no, lui non poteva chiuderli: doveva aspettare che quel pulsante si illuminasse... doveva aprire la porta e uscire da quella stanza infernale.
Ancora un po’... doveva resistere ancora un po’...
Fu mentre la lucidità lo stava per abbandonare che finalmente lo vide: un luccichio vicino alla porta di uscita.
Si alzò compiendo un ultimo immane sforzo e senza nemmeno sapere come, lo raggiunse.
Schiacciò il pulsante e come guidato da una forza da lui esterna, a fatica, lasciò la stanza.

 

Non appena lo vide, Semir spalancò gli occhi.
Finalmente il pulsante si era illuminato.
Si mosse a fatica a causa del freddo che gli intorpidiva i muscoli e, con Aida raggomitolata in braccio sempre più stretta, si alzò e si diresse il più in fretta possibile verso l’uscita della stanza.
La bambina aveva la fronte gelata.
«Aida... cucciolo, è tutto finito... è tutto finito...» sussurrò entrando nella nuova stanza.
La figlia non si mosse per un lungo, eterno istante.
Poi, quasi per miracolo, accolta dal tepore accogliente del nuovo ambiente, schiuse gli occhi e sorrise debolmente, mentre un brivido le percorreva tutto il corpo.
Semir le baciò la fronte dolcemente e la posò a terra continuandola a tenere tra le braccia.
«È finita cucciolo, ora siamo al caldo.».

 

Gehlen rise di gusto osservando le scene che si svolgevano parallele nelle due stanze.
Quanto si divertiva a portare avanti il suo gioco!
E il bello giungeva solamente a quel punto.
L’uomo si avvicinò con occhi che scintillavano al microfono per comunicare ai suoi giocatori in cosa sarebbe consistita la terza prova, mentre il prigioniero, alle sue spalle, tratteneva il respiro.
Conosceva quel percorso, Erik vi lavorava da mesi e glielo aveva illustrato più volte.
Aveva paura, tanta paura, e temeva che Semir e il collega questa volta non se la sarebbero cavata facilmente.

 

Scusate per l’attesa, ma finite le vacanze è finito anche il tempo a disposizione -.-
Grazie a chi continua a seguirmi e un bacione!
Sophie :D

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Capitolo 10
*** Solo contare ***


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«Ora.» esordì Gehlen dagli altoparlanti con tono compiaciuto «Siamo giunti a quella che direi è la mia prova preferita, ispettori. Fino ad ora ammetto che ve la siete cavata egregiamente, ma non avevo dubbi che sarete stati alla mia altezza. Adesso viene il bello: la stanza in cui vi trovate è dotata di tanti piccoli fori nelle quattro pareti laterali, che hanno una funzione molto molto divertente. Dai fori della sua sala, Jager, usciranno improvvisamente dieci lame piuttosto affilate grazie ad un meccanismo al quale ho lavorato parecchio, mi creda. Dieci colpi, lei dovrà schivarli ed ecco che la sua prova sarà terminata. Carino, no? Lo stesso vale per lei e per la bambina, Gerkhan, ma voi avrete a che fare con proiettili. Tutto chiaro?».

Semir si guardò intorno.
Avrebbe voluto gridare, rispondere a quella voce maledetta e affrontarlo faccia a faccia, ma non poteva. Era chiuso in quel cubo di metallo e non poteva far altro che eseguire ciò che quella mente malata gli dettava.
Strofinò ancora le mani di Aida nelle sue perché si scaldassero e notò con sollievo che la bambina sembrava essersi ripresa dalla sala gelata che avevano oltrepassato.
«Aida, hai sentito cosa ha detto quella voce?».
La figlia annuì con espressione seria.
«Ora devi fare tutto quello che ti dico io. Se ti dico “giù”, ti abbassi, se ti dico “salta”, salti, sempre e solo quello che ti dico io, va bene?».
«Sì papà... scusa se ti ho seguito ma avevo paura che ti succedesse qualcosa.».
«Lo so cucciolo, lo so. Ora finiamo questo percorso e torniamo a casa.».

 

Ben rimase immobile in piedi al centro della stanza, interdetto alle parole di Gehlen.
Tuttavia non ebbe il tempo di stare molto a pensare.
Sentì una specie di fischio alle sue spalle e d’istinto si accucciò a terra, schivando senza nemmeno accorgersene il primo dei dieci coltelli che avrebbero provato a colpirlo.
Doveva contare.
Doveva solo contare e schivare i colpi uno dopo l’altro.
Sentì un altro movimento alla sua destra e si spostò di scatto dalla parte opposta, ma un'altra lama provenne da sinistra sfiorandogli il braccio.
Tre...

 

Aida si gettò a terra come le aveva gridato il padre e schivò per un soffio un proiettile che le passò a qualche centimetro dalla testa.
Vedendolo, Semir smise di respirare per qualche istante, terrorizzato, ma poi si accorse che la bambina stava bene e tirò un sospiro di sollievo.
Schivò una pallottola che lo sorprese alle spalle e un’altra che gli passò davanti, poi prese in braccio Aida, che si salvò in questo modo da un altro colpo.
Vi fu un momento di calma assoluta.
Semir provò a fare mente locale: dovevano mancare ancora quattro proiettili, poi tutto sarebbe terminato.
Prese un bel respiro e posò a terra Aida, facendole cenno di rimanere in attesa lì vicina a lui, pronta a muoversi ad un minimo segnale.

 

Sei...
... Sette...
Ben si lanciò verso destra e schivò anche l’ottavo colpo, mentre il nono coltello si andava a conficcare proprio sul pavimento a qualche millimetro dai suoi occhi.
Il giovane poliziotto rimase lì, a terra, per qualche istante a riprendere fiato.
Poi, con estrema cautela, si mise seduto... e fu allora che lo sentì arrivare.
Si voltò e vide la lama dirigersi verso di lui e in una frazione di secondo si scaraventò dal lato opposto.
Quindi si rialzò a fatica.
Ce l’aveva fatta.

 

Ancora uno contò mentalmente Semir, ansimando e tentando di tenere d’occhio allo stesso tempo sia Aida sia i fori sulle pareti.
Erano ovunque, ad ogni altezza, persino raso terra.
E fu proprio da una delle bocche più vicine al pavimento che uscì il proiettile aspettato.
Con una velocità incredibile Semir si spostò dalla sua traiettoria e sollevò Aida in modo che la pallottola non le potesse nemmeno sfiorare i piedi.
Avevano finito.
Un silenzio assoluto piombò nella stanza e il piccolo ispettore non poté fare a meno di sorridere... era finita!
«Adesso passiamo alla quarta prova papi?» domandò Aida con un sottofondo di stanchezza nella voce.
«Sì cucciolo, siamo stati bravissimi, hai visto?» rispose il poliziotto avviandosi verso la porta di uscita.
Troppo tardi si accorse dell’ultimo foro che si apriva sulla parete per sparare un altro colpo. Sentì il sibilo della pallottola che sferzava l’aria chiusa della stanza e si voltò di scatto vedendo Aida perfettamente sulla traiettoria del proiettile.
D’istinto, si lanciò verso di lei e la gettò a terra.

 

Ben si guardò intorno per verificare che la prova fosse effettivamente finita e un leggero sorriso si dipinse sulle sue labbra.
Ancora due stanze, ancora due e poi sarebbero arrivati alla meta.
Già, la meta.
Ma quale era la loro meta? Cosa avrebbero trovato? E soprattutto, avrebbero trovato qualcosa?
Il suo pensiero volò improvvisamente al suo migliore amico e alla sua principessa. Chissà se stavano bene...

 

Semir si rialzò mettendosi in ginocchio e sollevandosi quindi all’altezza di Aida che invece era già scattata in piedi.
Le mise le mani sulle spalle controllandola terrorizzato.
«Aida, cucciolo, stai bene?».
La bambina annuì, ma era pallidissima e non parlava.
«Ehi, cucciolo, che succede?».
Aida indicò con gli occhi sbarrati e con il viso sempre più pallido un punto davanti a lei, verso il torace del padre.
Fu solo allora che Semir abbassò lo sguardo.
Fu solo allora che sentì il dolore.

 

Terza prova superata... più o meno!
Scusate se aggiorno saltuariamente ma ho davvero poco tempo, non appena posso recupero anche le storie che sto leggendo e rispondo alle vostre recensioni.
Grazie e un bacione!
Sophie :D

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Capitolo 11
*** Non piangere! ***


Da cap. X...

[«Ehi, cucciolo, che succede?».
Aida indicò con gli occhi sbarrati e con il viso sempre più pallido un punto davanti a lei, verso il torace del padre.
Fu solo allora che Semir abbassò lo sguardo.
Fu solo allora che sentì il dolore.].

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Semir si appoggiò alla parete della stanza, mentre la macchia scura sulla sua maglietta si allargava sempre di più.
«Aida... cucciolo, stai... stai tranquilla.».
La bambina lo fissava, pallida in volto e con gli occhi appena lucidi.
«Va... va tutto bene...» provò a tranquillizzarla il poliziotto cercando di non cedere al dolore.
Si premette la ferita come poteva tentando di fermare l’emorragia, ma ottenne solamente una nuova fitta di dolore. Il proiettile non era uscito dopo averlo colpito e Semir sapeva per esperienza che questo non era affatto un bene.
«Papà...» mormorò Aida mentre una lacrima cominciava a correrle silenziosa e discreta lungo la guancia.
«No, cucciolo.» sussurrò l’ispettore a fatica «Non piangere... va tutto bene...».
Ma la verità era che niente stava andando bene.
Il sangue continuava a sgorgare dalla ferita e Semir si sentiva sempre più debole.
Si sforzò di rimanere lucido.
Doveva farlo per sua figlia.

 

«Oh, Jager, complimenti, ha superato incolume anche questa prova.» cominciò l’ormai conosciuta voce metallica proveniente dai due altoparlanti «Lo stesso non si può dire di Gerkhan, a quanto vedo.».
A queste parole Ben sussultò: cosa voleva dire? Che cosa era successo? Il cuore cominciò a battergli all’impazzata, mentre in lui cresceva un forte senso di angoscia.
«Che succede ispettore, ha contato male i proiettili per caso?» continuò Gehlen con tono divertito «In ogni caso dovrà resistere, Gerkhan, non vorrà che sua figlia debba continuare il percorso da sola, no?».
No, no, no
cominciò a pensare Ben freneticamente ti prego Semir, dimmi che stai bene, ti prego!
«Buona fortuna Gerkhan.» concluse la voce con una risata malvagia.
Semir strinse i denti trattenendosi dal gridare. Per la rabbia, per il dolore, per la paura.
La ferita sulla parte destra del torace gli bruciava terribilmente e il sangue continuava a fuoriuscire, ma non poteva arrendersi, non poteva darla vinta a quel bastardo.
«Aida... ascoltami.» mormorò «Schiaccia il... il pulsante vicino alla porta e... e passiamo insieme nell’altra stanza, va... va bene?».
«Ma papà...» provò a protestare la bambina «Come...?».
«Non ti preoccupare cucciolo, schiaccia il... il pulsante.».
La ragazzina annuì ancora con gli occhi lucidi e fece come il padre le aveva detto.
La porta della stanza successiva si aprì con uno scatto e Semir sospirò: ora veniva il difficile. Facendo appello a tutte le forze che ancora gli rimanevano, si alzò senza riuscire a trattenere un lamento strozzato di dolore.
«Papà!» fece allarmata Aida, avvicinandosi in fretta.
«È... tutto... a posto...» mormorò a stento l’ispettore avanzando lentamente attaccato alla parete verso la nuova stanza.
Dopo un tempo che a lui parve infinito la raggiunse, e ciò che vide appena entrato lo lasciò interdetto: un tavolino con sopra appoggiati tre bicchieri di plastica identici contenenti un liquido inodore e trasparente.

 

Ben corrucciò la fronte trovandosi davanti a tre bicchieri uguali riempiti allo stesso livello di un liquido trasparente.
Aveva una paura terribile che all’amico fosse successo qualcosa di grave e non riusciva nemmeno a capire che cosa dovesse fare con quei bicchieri.
La risposta giunse ben presto, quando Gehlen ricominciò a parlare attraverso i due altoparlanti «Benvenuti alla vostra quarta prova. Jager, si trova davanti a tre bicchieri, due dei quali contengono acqua, il terzo invece un veleno scrupolosamente ideato da me con l’aiuto di un bravo dottore, che la ucciderà in circa settantadue ore. Lei deve semplicemente scegliere e bere il contenuto di uno dei tre bicchieri. Lo stesso vale anche per lei, Gerkhan, ma al posto del veleno nel suo “bicchiere fortunato” c’è dell’acido... un buon modo per porre fine alla sua sofferenza, volendo.» spiegò Erik ridendo.

 

Semir si appoggiò con entrambe le mani al tavolino.
Gli girava la testa, aveva la fronte imperlata di sudore e sentiva il sangue caldo colargli lungo il fianco destro.
Fece per afferrare il bicchiere più vicino a lui ma inaspettatamente Aida lo fermò «Papà, aspetta!».
L’ispettore guardò la figlia corrucciando lo sguardo.
«Prendi quello in mezzo... guarda, quello che stai prendendo tu è diverso, è più trasparente degli altri due.».
Semir guardò tutti e tre i bicchieri ma non vide alcuna differenza tra di essi.
«Aida...».
«Papà, ascoltami.» disse la bambina con espressione quasi implorante.
Il poliziotto non rispose.
Non riusciva nemmeno a connettere, non riusciva a pensare.
Prese il bicchiere che la bambina gli aveva indicato e ne bevve il contenuto in un solo sorso.

 

Ben rimase immobile davanti al tavolino per qualche lungo istante: erano identici, tutti e tre.
Stesso colore, stesso odore, stessa densità.
Doveva tentare e sperare di avere la fortuna dalla sua parte.
Ancora una volta il suo pensiero volò a Semir, ferito probabilmente a pochi metri di distanza da lui, e alla sua principessa, che doveva essere terrorizzata.
Chiuse gli occhi provando a mantenere la calma.
Quindi li riaprì, afferrò il bicchiere all’estrema sinistra e bevve quella che, a primo impatto, gli sembrò normalissima acqua.

 

17.57.
Kim Kruger sbatté la mano destra sulla scrivania con rabbia, mentre con la sinistra stringeva la cornetta del telefono.
«Non me ne frega niente delle sue supposizioni, Müller! Continuate a setacciare la zona, non possono essere lontani. No... per la miseria, mi ascolti! Ho capito che non è stata colpa vostra ma ora trovateli, maledizione! No... forse non sono stata abbastanza chiara: perlustrate tutti i capannoni uno per uno se necessario, ma trovateli, ora! Io vi raggiungo.».
La donna chiuse la comunicazione con gesto stizzito e afferrò la giacca uscendo quasi di corsa dall’ufficio.
«Bonrath, Jenny, con me. In fretta!».

 

 

Come farsi perdonare dopo due mesi di totale assenza?!
Scusate, scusate, scusate davvero, ma non ho nemmeno avuto il tempo di accedere al sito! Prometto che con un po’ di tempo recupererò tutte le storie da leggere, tutte le recensioni a cui devo rispondere e mi rimetterò in pari.
Scusate e grazie a chi ancora mi segue nonostante la mia “scomparsa”, adesso non sparirò più.
Un bacione grande e a presto!
Sophie :D


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Capitolo 12
*** Passi in avanti ***


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Ben fece una smorfia.
Ciò che aveva appena bevuto, qualsiasi cosa fosse, gli aveva lasciato in bocca un retrogusto amarognolo, certamente non proprio di una banale acqua naturale.
Scosse il capo.
Forse era solo una sua idea, forse era solo un po’ suggestionato.
Eppure quel gusto amaro era rimasto... lo sentiva, ne era sicuro.

 

Aida trattenne il fiato per un lungo istante, fino a quando non vide il padre rivolgerle un debole sorriso.
«Era acqua... solo acqua.» mormorò rassicurandola.
La bambina provò a sorridere, ma era troppo preoccupata per riuscirvi.
Suo papà stava male, era pallido come non lo aveva mai visto e riusciva a malapena a reggersi in piedi.

 

«Bene.» esordì Gehlen «Gerkhan ha scelto il bicchiere giusto, mentre Jager... mi dispiace, ma la fortuna non ha deciso di assisterla questa volta. Oh, ma non si preoccupi! Gli effetti del veleno cominceranno ad essere visibili solo tra una decina di ore, fino ad allora le assicuro che starà benissimo. Le farò avere un elenco dettagliato dei sintomi, ispettore. Ora passate alla stanza successiva.».

 

«Ben.» sussurrò Semir mentre a fatica attraversava l’ultima porta.
«Papà! Ma... vuol dire che zio Ben...?» cominciò Aida terrorizzata correndo dietro al padre.
«No, cucciolo, stai... stai tranquilla... ora zio Ben sta... sta bene.» fece il poliziotto, provando a calmare sia lei che se stesso.
La bambina annuì poco convinta.
«Andrà... andrà tutto bene.».

 

«Bastardo.» sibilò Ben tra i denti, spingendo con rabbia il tavolino con i restanti due bicchieri a terra.
Avvelenato... era appena stato avvelenato!
«Maledetto!» quasi gridò al vuoto in preda all’ira.
Con forza schiacciò il pulsante della porta successiva, mentre un enorme nodo di ansia gli si formava in gola.

 

«Ancora l’ultima prova, signori. Jager, non se la prenda troppo, pensi che in questo momento il suo collega è messo peggio di lei, mi creda. Ora la sua prova consisterà semplicemente nell’attraversare la stanza in cui si trova per raggiungere l’ultima porta, facendo attenzione alle mine che io ho accuratamente sistemato al posto di alcune piastrelle del pavimento. Si Jager, mine, ha capito bene. E se si chiede come sia possibile, posso risponderle che ho davvero molte conoscenze in differenti ambiti e sono riuscito addirittura a farmi creare questo speciale pavimento appositamente... che ne pensa? Lei invece, Gerkhan, sempre che ancora si regga in piedi, dovrà disinnescare la bomba che ha davanti. È un ordigno tradizionale, metta in pratica ciò che ha imparato negli anni. Una volta arrivati nell’ultima stanza tutti e tre insieme, se ci arriverete, dovrete aprire una porta attraverso un codice, e dietro di essa troverete Kranich. Buona fortuna.».

Gehlen staccò l’altoparlante, non lo avrebbe più utilizzato. Non gli rimaneva che assistere attraverso le telecamere agli ultimi due “giochi” che aveva ideato e al melodrammatico incontro con colui che era stato il suo ospite per tre mesi e poi trasferirsi in un luogo più sicuro.
Sperava davvero che Gerkhan non morisse a causa di quel proiettile, o la sua vendetta sarebbe stata troppo facile e soprattutto troppo breve. Voleva goderne un po’ di più.
Si assicurò che la nuova stanza in cui aveva rinchiuso il suo prigioniero fosse ben chiusa e sorrise tra sé e sé, soddisfatto di se stesso e del proprio piano.

 

Ben fece un titubante passo in avanti.
Aveva paura di saltare in aria. Ma avrebbe attraversato quella stanza.
L’avrebbe fatto solo per Semir e per la sua principessa, sapeva che a causa del veleno lui sarebbe stato spacciato in ogni caso.
Aveva le ore contate.
Un altro passo leggero.
Poi un altro ancora...

 

Semir si accasciò a terra senza più forze e con un dolore lancinante alla ferita, da cui ancora perdeva sangue.
Chiuse gli occhi, li strinse più che poté, ma il dolore non diminuì.
Quando li riaprì, si trovò davanti a quelli grandi e scuri di Aida, che lo scrutavano terrorizzati.
«A... Aida... devi fermare la... la...» riuscì a balbettare appena, lottando per rimanere lucido.
La bambina scosse il capo ad indicare di non avere capito cosa dovesse fare. Poi però lo sguardo le cadde su una scatoletta nera sistemata al centro della stanza dalla quale fuoriuscivano tre fili di colori diversi e un lampo di paura le passò negli occhi, che improvvisamente le divennero lucidi.
«Devi... devi...» riprovò Semir in un sussurro.
Provò a ricordare quel poco che sapeva sugli ordigni di quel tipo, che aveva imparato in qualche occasione stando a contatto con gli artificieri della polizia, ma in mente gli tornarono solo poche idee confuse. Doveva scegliere quale dei tre fili tagliare ma non sapeva di che innesco si trattasse esattamente e non aveva né le competenze né la forza per verificarlo.
«Tagliare... prova a... a tagliare il filo blu.» fece il turco indicando la tenaglia appoggiata sul pavimento davanti alla bomba. Non sapeva se fosse quello giusto, ma bisognava per forza tentare.
Il timer segnava cinquantotto secondi.
«Devi... devi tagliarlo... ora.».
Aida scosse inaspettatamente il capo e scoppiò in lacrime.
«Aida, cucciolo...».
«Non ce la faccio.» singhiozzò «Non ci riesco. Papà, ho paura!».
«Aida... ascoltami...» cominciò Semir con un filo di voce, tanto che la bambina dovette avvicinarsi per riuscire a sentirlo.
«Tu... tu sei la bambina più... più coraggiosa che io abbia mai incontrato. Hai superato questo... questo percorso senza... mai lamentarti e sei stata bravissima. Ora devi solo... solo tagliare quel filo. Fallo, Aida... so che ne sei capace.».
«No, non sono capace! È colpa mia se tu adesso stai male, è solo colpa mia, non sarei dovuta venire.» mormorò disperata la ragazzina.
«Se tu non fossi venuta, quell’uomo avrebbe... avrebbe ucciso una persona. Ora taglia quel filo... fallo per me, Aida! Ora!».
00: 17.
«Ora...».

 

Ancora due passi, giusto due passi e sarebbe arrivato a destinazione.
Ben si guardò indietro indeciso e poi si voltò di nuovo e fece un altro passo in avanti.
Le gambe gli tremavano, ancora mancava un passo, ma poteva essere quello fatale.
E se avesse sbagliato, sarebbe tutto finito.
Avrebbe abbandonato Semir e Aida.
Non poteva!
Chiuse gli occhi, prese un bel respiro e li riaprì.
Stese la gamba in avanti, leggermente diretta verso destra.
Alzò il ginocchio con calma, poi si slanciò leggermente verso la porta di uscita della stanza.
Appoggiò il piede e si bloccò, respirando di nuovo.
Ce l’aveva fatta.

 

00:03.
00:02.
00:01.
Il timer si azzerò.
Aida posò la tenaglia sul pavimento e si asciugò le lacrime che ancora le rigavano le guance con le maniche della maglietta.
Poi lanciò un’occhiata indecisa verso il padre e sorrise.
L’aveva disinnescata.
Lei ci era riuscita.

 

Alla faccia delle conoscenze, Gehlen deve aver lavorato per mesi a questo suo piano per essere arrivato a tanto... ma poi si chiarirà tutto.
Grazie a chi continua a seguirmi e un bacio grande a voi recensori che non mi abbandonate mai, grazie davvero!
A presto
Sophie :D

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Capitolo 13
*** Non mi dire le bugie ***


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Andrea si prese la testa tra le mani, seduta sulla sedia del marito al comando dell’autostradale.
«Stai tranquilla, li troveremo.» provò a consolarla Hartmut come meglio poteva.
Non era alla scientifica perché dalla sua postazione si sarebbe sentito ancora più inutile, ed era l’unico in quel momento in grado di poter sostenere Andrea, visto che il commissariato si era totalmente svuotato dopo che la Kruger aveva ordinato a tutti i suoi uomini di attivarsi nelle ricerche, andando con loro ad indagare sul posto.
«Aida deve aver sentito me e Semir litigare ieri sera... perché sono stata così stupida?!» gridò la donna tra le lacrime.
Il tecnico dai capelli rossi si sedette accanto a lei, preoccupato.
Non aveva mai pensato che consolare qualcuno fosse stato il suo forte, per nulla, ma almeno doveva tentare, viste le condizioni in cui si trovava la donna che aveva davanti.
«Andrà tutto bene, la Kruger è in gamba e il commissario dell’LKA la sta aiutando, li troveranno.».
Andrea scosse il capo continuando a piangere «Sapevo che sarebbe stata una follia... ho paura, Hartmut.».
Il ragazzo le cinse le spalle con un braccio «Dai, andrà tutto bene...».

 

Semir non seppe mosso da quale forza riuscì a raggiungere l’ultima stanza, ma appena oltrepassata la soglia della porta che si chiuse automaticamente alle sue spalle, si accasciò a terra lasciandosi scivolare lentamente con le spalle alla parete, senza nemmeno riuscire a dire mezza parola ad Aida, che lo seguì terrorizzata e si accucciò accanto a lui.
«Papà... papà, rispondimi, dii qualcosa!».
In quel momento la bambina sentì uno scatto alle sue spalle e vide la porta accanto a quella da cui erano arrivati lei e il padre, a cui prima non aveva fatto caso, aprirsi e da essa uscire una figura conosciuta.
«Zio Ben!» gridò correndogli incontro e rifugiandosi tra le sue braccia.
«Principessa!» esclamò l’ispettore, sollevato «Stai bene?» domandò inginocchiandosi davanti a lei.
«Io sì, ma papà sta male, fai qualcosa, per favore!» sussurrò la ragazzina con le lacrime agli occhi e indicando la sagoma del padre nella semioscurità della stanza.
Ben lanciò un’occhiata verso il punto indicato da Aida e poi tornò a fissarla negli occhi «Stai tranquilla, principessa, andrà tutto bene. Abbiamo finito il percorso e siamo stati bravissimi, andrà tutto bene.».
Poi si alzò e si avvicinò al collega che, il respiro pesante, gli occhi chiusi, nemmeno si era accorto della sua presenza.
Lo scosse appena con una mano e Semir schiuse gli occhi a fatica «B-Ben...».
«Semir, sono io, stai tranquillo.» mormorò il poliziotto più giovane, toccandogli col dorso della mano la fronte umida di sudore e bollente.
«Devi... devi...».
«Shh, Semir, non parlare, devi stare calmo.».
Il turco deglutì stringendo gli occhi «Devi... T-Tom... aprire la... porta...».
Ben guardò la ferita tra la spalla destra e il torace dell’amico che ancora non voleva saperne di smettere di sanguinare e si sfilò la maglietta cercando di arrestare l’emorragia, anche se sapeva che questo genere di provvedimento si sarebbe dovuto prendere all’inizio, ormai il poliziotto aveva perso troppo sangue.
«Ben... apri... la...».
«Semir, stai tranquillo, ora apro la porta di quella stanza, ma prima devo provare a fermare l’emorragia e tu devi stare calmo. Va bene?».
L’ispettore premette con la stoffa sulla ferita, provocando altro dolore all’amico, che però non aveva più nemmeno la forza di gridare.
Ben si rivolse per un attimo verso Aida, immobile un po’ distante da lui, prima di continuare ad occuparsi del collega «Principessa, tuo papà è forte, andrà tutto bene.».
La bambina annuì con un debole sorriso e si sedette in silenzio vicino alla parete, alle spalle del giovane poliziotto.
«Semir... ehi, mi senti? Devi rimanere sveglio.».
«Non... non...».
«Sì che ce la fai, devi solo rimanere sveglio, tieni gli occhi aperti. Fallo per... per Aida!».
«Aida... dille che... che...» fece Semir con voce appena udibile.
«Non le dirò proprio niente, perché tu ce la farai, chiaro? Ce la farai! Devi solo rimanere sveglio.».
«Dille... che mi... dispiace... tanto...».
«Semir! Ehi, socio, non arrenderti, rimani sveglio! Socio, ascoltami!» gridò Ben senza riuscire più a trattenere le lacrime e dimenticandosi totalmente della bambina dietro di lui che vedendolo in quello stato si sarebbe impressionata ancora di più «Socio... devi stare sveglio, ti prego!».
Ma Semir non lo sentiva più.
Ormai i sensi lo stavano abbandonando, il dolore sembrava diminuito, non sentiva più nulla.
Solo una voce che gridava il suo nome, che però si allontanava sempre di più.
Scusami Ben...

«Semir! Semir, maledizione!» gridò ancora il più giovane scuotendo il corpo del collega «Ti prego...».
Niente, non ottenne nessuna reazione.
«Semir!».

«Zio Ben! Zio Ben, che succede?» chiese terrorizzata Aida con le lacrime agli occhi, raggiungendo il giovane quasi di corsa.
L’ispettore non provò nemmeno ad asciugarsi gli occhi prima di guardarla «Papà è... è molto stanco... ma si riprenderà.» sussurrò accarezzandole la fronte con dolcezza.
La bambina si gettò tra le sue braccia lasciandosi andare ad un pianto disperato «Non... non mi dire le bugie, zio Ben! Se piangi anche tu vuol dire che... che...».
«No principessa, è che sono stanco anche io. Ma andrà tutto bene, te lo prometto.» singhiozzò il ragazzo stringendola forte a sé e accarezzandola piano.
Rimasero così, stretti l’una all’altro per un tempo interminabile, vicini al corpo ormai quasi completamente immobile di Semir, bianco come un cadavere.

Ben si staccò per primo dall’abbraccio, accarezzò la fronte di Aida con dolcezza e si passò una mano sugli occhi, dirigendo lo sguardo prima verso il collega, poi verso la porta che occupava una parte della parete opposta della stanza.
«Principessa, ora tu aspetta, devo provare ad aprire quella porta.» spiegò alzandosi e dirigendosi verso la porta metallica, vicino alla quale spiccava un meccanismo che assomigliava tanto a quello di apertura di una cassaforte non particolarmente protetta.
Lo esaminò per qualche istante e capì che avrebbe dovuto semplicemente inserire due cifre e ruotare la maniglia, e fosse stato necessario avrebbe provato tutte le combinazioni possibili.
Si guardò intorno: non una finestra, non una fessura nella parete, assolutamente nulla.
Doveva trovare il modo per uscire di lì e forse aprendo l’ultima porta avrebbe avuto qualche speranza.
Non sapeva nemmeno chi o cosa avrebbe visto, non sapeva se effettivamente lì dietro avrebbe trovato Tom Kranich, né in che condizioni lo avrebbe trovato.
Ma non gli importava, l’unico suo pensiero era Semir, e per salvarlo, sempre che fosse stato ancora possibile, doveva trovare una via d’uscita.
Lentamente girò la manopola tentando le prime combinazioni, ma poi si soffermò un attimo a riflettere.
Otto anni... Semir gli aveva detto che erano passati quasi esattamente otto anni dalla “morte” del suo ex collega.
Ben si morse il labbro inferiore con indecisione poi, mosso da una specie di intuizione, quasi avesse paura di tentare, girò la manopola con mano tremante.
Zero, otto.
Uno scatto, e la porta si aprì.
La stanza era vuota.

 

Semir sta sempre peggio e Ben è disperato... che dire poi della povera Aida?!
E poi la stanza vuota...
Grazie mille per le recensioni e un bacione, buona Pasqua a tutti!
Sophie :D

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Capitolo 14
*** Io non ho paura ***


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Ben scrutò all’interno della stanza buia con circospezione, sostando sulla soglia, convincendosi che questa fosse completamente vuota.
Per questo, quando vide invece la figura che avanzava lentamente verso di lui, apparendo da dietro una specie di mobile situato in mezzo all’ambiente, sussultò.
«Tom... Tom Kranich?» chiese cautamente, senza riuscire a nascondere un certo tremolio nella voce.
L’uomo sconosciuto si fermò di fronte all’ispettore ed entrambi rimasero per alcuni istanti immobili a fissarsi.
Poi il prigioniero rispose con un’altra domanda «Ben Jager?».
L’ispettore annuì e lo sconosciuto gli porse la mano con un mezzo sorriso «Tom, piacere.».
Ben rimase a guardare la mano tesa di fronte a lui per qualche secondo ma non ricambiò il saluto, era troppo sconvolto per pensare alle presentazioni e l’uomo ritirò la mano.
«Semir?» chiese poi, e a Ben sembrò che questa volta fosse la sua voce ad essere tremante.
Il ragazzo non rispose, semplicemente spostò lo sguardo alla sua destra, indicando con gli occhi una sagoma accasciata contro la parete della piccola stanza.
«Oh cielo.» mormorò l’uomo catapultandosi quindi verso il suo ex collega.
La parete e il pavimento sotto di lui erano sporchi di sangue e il poliziotto era ad occhi chiusi,
immobile e pallidissimo, non dava alcun segno di vita.
«Ma cosa è successo?» domandò Tom sgranando gli occhi nella semioscurità e schiudendo la bocca in un misto tra sorpresa e preoccupazione.
«È stato colpito da un proiettile durante il percorso e la pallottola è rimasta incastrata.» disse in fretta Ben, senza nemmeno chiedersi con chi effettivamente stesse parlando «Ho provato a fermare l’emorragia ma... dobbiamo trovare una via di fuga.».
«Gehlen non ha progettato una via di fuga.» rispose l’uomo stringendo la mascella «Ma dobbiamo inventarci qualcosa.».
Il più giovane sospirò scuotendo il capo «Cosa?» chiese con le lacrime agli occhi.
«Ben... possiamo darci del “tu”, non è vero?» cominciò Tom rialzandosi e avvicinandosi al ragazzo «Intanto non dobbiamo farci prendere dal panico. Pensiamo a qualcosa e intanto cerchiamo di risvegliare Semir, o riprende conoscenza adesso o rischia di non svegliarsi più.».
«Ci ho già provato, ma non sente nulla. Non vorrei che fosse...».
«No!» esclamò con forza colui che era stato per tutto quel tempo “ospite” di Gehlen «Non dirlo nemmeno per scherzo Ben, non è troppo tardi.».
Quindi l’uomo si inginocchiò di nuovo accanto a Semir e gli strinse la mano «Semir... ehi, svegliati Semir, sono io!».
«Non risponde, non...».
«Aspetta.» fece ancora Tom, risoluto «Semir... sono io, sono Tom. Apri gli occhi, sono tornato, ora non puoi abbandonarmi tu... Semir...».
«T-Tom...» farfugliò Semir, come per magia, schiudendo appena gli occhi «Tu... tu sei...».
«Io sto bene, collega.» sorrise l’uomo, sempre tenendogli la mano.
Il turco corrucciò appena la fronte: era vero ciò che aveva davanti, o era solo un sogno, un’allucinazione dovuta alla febbre? I suoni erano ovattati e distanti, la vista annebbiata.
«T-Tom...» ripeté a fatica, sforzandosi di non ricadere nelle tenebre.
«Resta sveglio, Semir. Non te ne andare, resta qui... resta sveglio!» continuò Tom mentre l’emozione prendeva il sopravvento anche su di lui.
Aveva appena ritrovato il suo migliore amico dopo otto anni e lo stava perdendo, di nuovo.
Semir chiuse gli occhi e reclinò la testa su un lato.

 

18.02.
«Non possono essere lontani, maledizione!» sibilò a denti stretti la Kruger girando senza una meta precisa tra i capannoni.
«Normalmente un commissario dovrebbe stare più attenta ai suoi uomini, Kim.» fece il capo dell’LKA comparendo alle sue spalle.
«Felice di vederti.» ironizzò la donna andando incontro all’uomo con sguardo di fuoco.
«Se sei qui per aiutarmi a cercarli, Constantin, fallo. Ma non accetto lezioni da te.».
«Uhm, siamo suscettibili.» commentò l’uomo con una punta di fastidiosa ironia nella voce.
Kim incatenò i suoi occhi a quelli dell’altro commissario e lo uccise con lo sguardo «Spero davvero che i tuoi uomini stiano già perlustrando la zona.».
«Certo, già da più di dieci minuti.» fece l’uomo voltandosi per sottrarsi da quegli occhi accusatori «Non te la prendere, stavo scherzando.».
«Non è il momento migliore per scherzare, nel caso non te ne fossi accorto.» replicò dura la Kruger «Ho due ispettori e una bambina nelle mani di un pazzo, non so se hai compreso la gravità della situazione.».
«Va bene, va bene, non ti scaldare... continuiamo a cercare.».
«Vedo che cominciamo a ragionare. Su, muoviamoci.» concluse la donna voltandosi di scatto e, la pistola spianata davanti a sé, entrando nell’ennesimo capannone.

 

«No, no, forza! Semir!» gridò ancora Tom con quanto fiato aveva in gola.
Ma l’ispettore non sentiva più nulla.
«Non ha quasi più polso...».
«La stanza dove eri tu è chiusa come la nostra?» domandò Ben girando nervosamente su se stesso.
«Sì, niente finestre.».
«Meraviglioso.» fece il più giovane «Quindi non abbiamo un passaggio.».
«Forse sì.» fece una voce sottile alle loro spalle.
«Principessa!» esclamò Ben sgranando gli occhi.
Era stata tanta l’agitazione e la disperazione di quegli ultimi minuti che si era totalmente dimenticato della bambina, che pallida come uno straccio, immobile e con la schiena incollata alla parete, aveva assistito a tutta la scena senza emettere un fiato.
Tom lanciò un’occhiata verso di lei, accorgendosi solo allora della sua presenza.
Nonostante tutto, gli venne da sorridere: la ragazzina non si ricordava di lui quasi sicuramente, ma lui invece se la ricordava perfettamente. Era cresciuta, certo, ma era identica a come l’aveva lasciata otto anni prima. Lo stesso sguardo, gli stessi lineamenti.
Senza che potesse fare nulla per fermarle, le lacrime gli salirono agli occhi, inumidendoli: era così bella! E così cresciuta!
Ancora ricordava il giorno in cui le aveva regalato la sua prima tutina della polizia.
Allora era uno scricciolo, adesso era quasi una signorina.
«Principessa, ti ho promesso che tra poco saremo fuori dai guai e così sarà, hai capito?» fece Ben con dolcezza, raggiungendo la bambina e chinandosi vicino a lei.
Aida annuì, provando a non guardare verso il punto in cui si trovava il padre «Zio Ben, guarda!» fece poi indicando il soffitto della stanza proprio sopra di lei.
«Cosa...?» si chiese il giovane alzando lo sguardo «Il... condotto di aerazione?».
«Ma certo!» intervenne Tom picchiandosi una mano sulla fronte «Come abbiamo fatto a non notarlo subito? Il condotto di aerazione, deve per forza condurre fuori da questo labirinto di cubi di metallo!».
Ben alzò un sopracciglio interdetto «Né tu né io passiamo attraverso quell’apertura, è perfettamente inutile.».
«No zio Ben, io ci passo.» affermò decisa Aida, facendo riportare l’attenzione dei due ispettori su di lei «Posso uscire e chiamare aiuto.».
«Non se ne parla proprio.» protestò il poliziotto scuotendo il capo risoluto.
«Ha ragione.» commentò però Tom «Conosco bene questo posto, dietro al capannone c’è una cabina telefonica ancora attiva. Se lei riuscisse a raggiungerla...».
«Ma stai scherzando? È troppo pericoloso.».
«Zio Ben, ti prego!» supplicò la ragazzina «Papà sta male, dobbiamo fare qualcosa. Lasciami andare!».
L’ispettore scosse ancora il capo «Aida, è pericoloso.».
«Anche rimanere qui è pericoloso.» ribatté la bambina con una logica innegabile.
«Ben, è l’unica possibilità che abbiamo.» mormorò Tom fissando negli occhi il più giovane.
«È pericoloso, potrebbe esserci Gehlen, potrebbero esserci i suoi scagnozzi.».
«No, dammi retta, Gehlen se ne è andato ormai da un pezzo, sa che la polizia è sulle nostre tracce e si è trasferito in un luogo più sicuro, non incontrerà nessuno. Ben, guardami: Semir ha bisogno d’aiuto e ne ha bisogno ora.».
«Ma è solo una bambina!».
«Zio Ben, io non ho paura.» intervenne di nuovo Aida, con la testardaggine tipica del padre «Davvero, il signore ha ragione, lasciami andare.».
Il signore.
A Tom si strinse il cuore ancora una volta, e in quell’attimo pensò di capire perfettamente le remore del nuovo collega di Semir nel lasciarla andare.
Da sola... sarebbe stata così indifesa! Ma non avevano altra scelta.
«Ti prego, zio Ben...».
Il giovane poliziotto cercò conferma negli occhi azzurri di quell’uomo che conosceva da sì e no tre minuti, e dopo che egli ebbe annuito per incoraggiarlo, posò le mani sulle spalle della bambina e la guardò seriamente.
«Principessa, promettimi che farai attenzione.».
«Sì zio Ben. Però davvero, io non ho paura.».
«Segui il condotto fino alla fine, poi corri alla cabina telefonica e fai il numero...».
«... Lo so a memoria il numero del comando.» lo interruppe la ragazzina con un mezzo sorriso.
«Va bene... dii che siamo nella vecchia zona industriale, in uno degli ultimi capannoni e che papà ha bisogno di un dottore in fretta... va bene principessa? Poi, quando hai finito ti nascondi nel posto più sicuro che trovi e non esci dal nascondiglio fino a quando non saranno arrivati i nostri colleghi, va bene?».
«Va bene zio Ben.».
L’ispettore sorrise con gli occhi lucidi prendendola in braccio in modo che arrivasse all’apertura del condotto di aerazione, per fortuna il soffitto era piuttosto basso.
La bambina tolse la leggera griglia che lo chiudeva e la lasciò cadere sul pavimento, dopodiché si fece dare una spinta da Ben, che la fece aggrappare alle pareti del piccolo tunnel in modo che potesse salire senza problemi.
«Fai attenzione.».
«Stai tranquillo, zio Ben.».
Aida si issò su per il condotto salutando per l’ultima volta il poliziotto con un sorriso, quasi fosse lei a doverlo rassicurare e non il contrario. Poi sparì lentamente alla vista del ragazzo.
Ben rimase a guardarla mordendosi il labbro, cosciente della pazzia che aveva appena permesso che accadesse.
Si asciugò gli occhi con il dorso della mano destra continuando a fissare il piccolo tunnel, ormai vuoto alla sua vista.
«Sei forte, principessa...».
L’ispettore tornò quindi a guardare quell’uomo che sosteneva di essere Tom Kranich: ora doveva capire.

 

Questa volta non dico nulla... a voi i commenti ;)
Grazie mille sempre a tutti i recensori e a coloro che mi seguono, un bacione!
Sophie :D

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Capitolo 15
*** Intervento ***


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«È una pazzia.» ripeté Ben per l’ennesima volta spiando all’interno del condotto di aerazione.
Era passato solo qualche minuto da quando Aida era scomparsa dalla sua visuale ma al giovane poliziotto pareva un’eternità. E più i secondi passavano, più l’angoscia gli attanagliava lo stomaco e la gola.
Con un sospiro, si voltò.
Alle sue spalle, Tom Kranich stava vegliando in silenzio sul corpo immobile di Semir, inginocchiato accanto a lui.
Tom Kranich... ancora non riusciva a crederci, eppure doveva essere proprio lui, Semir glielo aveva mostrato in fotografia e anche se un po’ più invecchiato, non era cambiato per niente.
Osservandolo, una marea infinita di domande gli salirono alla mente, ma Ben scosse il capo come per scacciare quegli interrogativi che in quel momento non erano certo prioritari.
Tom distolse lo sguardo dal suo ex collega per posarlo sulla figura del più giovane e accennò ad un lieve sorriso «Ce la farà, ha l’aria di essere in gamba.».
Ben corrucciò la fronte, capendo solo dopo qualche attimo che l’uomo si stesse riferendo ad Aida.
«Sì, è meravigliosa. Ma ho il terrore che le accada qualcosa. Se il condotto di aerazione non sbocca nel posto che...».
«Sbocca esattamente dove ti ho detto, all’esterno dell’edificio. Lo conosco bene questo posto, credimi.».
«E la cabina telefonica?» chiese ancora il poliziotto, rendendosi conto di non essere nemmeno stato in grado di formulare questi dubbi così logici prima di aver lasciato andare la sua principessa «Funziona ancora? Come è possibile? E poi...»
«Funziona ancora, stai tranquillo, e quelle monete che avevi in tasca erano più che sufficienti.».
«Se le accadesse qualcosa...».
«Andrà tutto bene.».
«Strano sentirselo dire da una persona che fino a poco fa credevamo morta e sepolta.».
Nella piccola stanza calò il silenzio per qualche istante.
«Mi dispiace di essere sparito nel nulla, ma se l’ho fatto è stato per questioni di sicurezza. Solo Anna Engelhardt sa che sono vivo.» disse ad un tratto l’uomo, alzandosi e avvicinandosi a Ben.
«La Engelhardt lo sa?! Avreste dovuto metterne al corrente almeno Semir.».
«Sarebbe stato un rischio troppo grande per lui e la sua famiglia. Inizialmente non ne conoscevo nemmeno io il motivo, ma poi la Engelhardt mi aveva spiegato che alcuni membri di quella banda di otto anni fa ce l’avevano direttamente con me e avrebbero fatto qualunque cosa per avermi. È una storia lunga... ma questo Semir non lo ha mai saputo, sarebbe stato troppo in pericolo se io non fossi stato inserito in questo speciale programma di protezione testimoni.».
Ben scosse il capo con un sorriso amaro «Ma tu sai quanto ha sofferto?».
«Lo so...».
Il più giovane scosse ancora il capo «Come hai fatto a salvarti quella notte? Semir mi ha detto che... che gli eri morto tra le braccia.».
«Me la sono vista brutta davvero. Ma poi mi sono ripreso, ed è stato mentre mi trasportavano via in ambulanza per fare un ultimo tentativo che ripresi conoscenza, non so per quale miracolo. Ma questo ovviamente Semir non lo seppe mai. Poi mi operarono e quando fui in grado di ricevere visite, la prima ed unica persona che vidi fu il commissario, che mi disse come stavano le cose. Io dovetti accettare. Mi disse anche che Semir era già convinto che io fossi morto.» spiegò Tom lanciando una rapida occhiata verso l’ispettore steso a terra.
«Spero che accetti le tue spiegazioni.» mormorò Ben avvicinandosi a sua volta al collega «E spero che si svegli...».

 

Aida rotolò nella polvere uscendo dal grande tubo che aveva percorso.
Ce l’aveva fatta.
Ora doveva solo trovare la cabina telefonica, comporre il numero e nascondersi da qualche parte.
Cauta, si guardò intorno e scoprì che la cabina era proprio a pochi passi di distanza da lei e soprattutto che non c’era anima viva in giro.
Raggiunse di corsa l’instabile struttura e, dopo aver inserito le poche monete, cominciò freneticamente a digitare le cifre sulla tastiera.

 

Lo squillo del telefono fece sobbalzare Andrea, che assorta com’era nei suoi pensieri, quasi si era dimenticata di trovarsi in un commissariato.
Lo sguardo le cadde sulla scrivania vuota: Susanne non c’era, era in un’altra stanza ad esaminare delle carte; Hartmut girava nervosamente per il comando e un altro agente digitava senza sosta sulla tastiera di un computer, ma nessuno pareva accorgersi dello squillo insistente del telefono.
La donna si avvicinò alla scrivania e, senza pensarci due volte, afferrò la cornetta.
«Polizia autostradale, buongiorno.».
«Sono Aida!» gridò una voce dall’altro capo del telefono.
Andrea quasi non credette alle proprie orecchie ed emise un suono soffocato di sorpresa, attirando l’attenzione del tecnico e della segretaria, che accorsero in fretta.
«Aida, tesoro, sono io, sono la mamma! Dove sei?».
«Mamma sbrigati, ti prego, dovete venire! Papà sta male e lui e zio Ben sono chiusi dentro ad una stanza senza finestre, dovete venire!».
«Cucciolo, dimmi dove sei!».
«Nella zona industriale, il penultimo capannone.» la bambina ripeté diligentemente ciò che le aveva detto Ben e Andrea non riuscì a trattenere un sorriso tra le lacrime.
«Mamma, devo nascondermi, venite presto!» gridò ancora Aida prima di riattaccare.
La donna annuì come se la ragazzina potesse vederla e sorrise ancora... sua figlia stava bene!
Fu solo allora però che si rese conto di ciò che la bambina le aveva appena detto: papà sta male...
Andrea rimase immobile con la cornetta del telefono in mano mentre Susanne le sfiorava da dietro una spalla e componeva in fretta il numero della Kruger.

 

«Uno... due... tre!».
La Kruger diede il via e subito le squadre speciali cominciarono a demolire la parete del capannone con minime dosi di esplosivo.
Era rischioso, ma quella specie di cubo di metallo corrispondente alla stanza in cui dovevano trovarsi i due ispettori non aveva aperture, era sicuramente stato restaurato e studiato apposta per essere difficilmente accessibile.
Fu un’operazione che richiese minuti interminabili, durante i quali il commissario non spostò di un millimetro le mani dal calcio della pistola, cercando di prepararsi a qualunque scena avesse assistito una volta entrata.
Subito dopo la telefonata di Susanne, tutte le squadre già nelle vicinanze avevano raggiunto il capannone e due uomini avevano recuperato la piccola Gerkhan nascosta tra i radi cespugli sul retro della struttura.
Sembrava sconvolta, ma per fortuna fisicamente stava bene e questo per la donna era già una conquista.
Mentre il buco che si era creato nella parete si allargava sempre di più, cercava di capire cosa vi fosse all’interno, e quando finalmente poté entrare, tirò un enorme respiro di sollievo.
Ben e un altro uomo, che la Kruger sospettò essere il famoso Tom Kranich, fissavano il buco sulla parete con aria terrorizzata, ma stavano bene.
Ma, poco distante, Semir era accasciato contro la parete opposta, totalmente privo di conoscenza.
«Gerkhan! Accidenti, un’ambulanza presto!» gridò avvicinandosi al suo ispettore.
«Commissario, grazie al cielo!» fece Ben con le lacrime agli occhi, alzandosi e accogliendo l’aiuto dei soccorritori, così come Tom.
I momenti che seguirono furono confusi, troppo confusi.
Grida, pianti, sirene, domande... tutto accadde in fretta, ad una velocità supersonica.
L’unica cosa che Ben distinse con chiarezza prima di perdere conoscenza e cedere al sonno dovuto allo shock e alla stanchezza, fu la barella di Semir che veniva caricata in fretta su un’autoambulanza.

Confusione per Ben e immagino un po’ di confusione anche per voi lettori... ma presto la storia recupererà un po’ di linearità.
Grazie davvero a chi continua a seguirmi e un bacione!
Sophie :D

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Capitolo 16
*** Tom... ***


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Dodici ore dopo, in ospedale...

Quando il medico uscì dalla piccola stanza con una cartella clinica stretta al petto, Andrea scattò in piedi abbandonando quella sedia su cui sostava ormai da troppo tempo.
«Ci sono novità?» chiese mentre il cuore ricominciava a batterle forte.
L’uomo scosse il capo, ma esibì un sorriso abbastanza rassicurante «No signora, nessuna novità, ma le condizioni di suo marito sono stabili. Come le ho già detto l’intervento è riuscito, abbiamo asportato il proiettile e siamo riusciti ad intervenire bene nonostante la copiosa perdita di sangue del paziente. Mi aspetto che si svegli nelle prossime ore, se vuole può stargli accanto ma la prego, non faccia rumore, lo lasci riposare. E mi chiami non appena nota qualche cambiamento, va bene?».
La donna sorrise e i suoi occhi si illuminarono «Grazie dottore, grazie davvero!».
«Si figuri, ho fatto solo il mio lavoro.» replicò il medico, allontanandosi poi in silenzio lungo il bianco corridoio.
Dopo averlo accompagnato con lo sguardo fino alla fine, Andrea si voltò verso la sedia su cui sostava ora l’uomo che per tutto il giorno le era stato accanto: Tom Kranich.
Quando lo aveva visto entrare in ospedale insieme a Semir non aveva creduto hai propri occhi, ma era troppo sconvolta e spaventata per realizzare davvero chi le fosse passato davanti.
Poi, dopo che anche lui ebbe fatto una serie infinita di controlli, la aveva raggiunta davanti alla sala operatoria, dove la donna stava aspettando l’esito dell’intervento del marito.
E allora Andrea era scoppiata a piangere tra le sue braccia chiedendosi come tutto ciò fosse possibile e lui l’aveva consolata dolcemente, esattamente come avrebbe fatto otto anni prima, e poi le aveva raccontato la sua storia.
I medici usciti dalla sala operatoria avevano poi dichiarato che Semir era fuori pericolo ma che si sarebbe svegliato dopo parecchie ore e Tom non aveva mai smesso di starle accanto.

«Io vado da lui.» mormorò la donna con un sorriso, e l’amico annuì senza aggiungere altro.

La stanza in cui Andrea entrò era piccola e semplice ma molto accogliente e l’unico letto presente era quello su cui giaceva immobile Semir.
La moglie del poliziotto si sedette accanto a lui guardandolo con dolcezza «Ehi Semir... mi hai fatto spaventare, di nuovo. Questa volta pensavo che non ce l’avreste fatta e poi ero così preoccupata per Aida! Mentre adesso lei sta bene...  e tu invece ti sei lasciato fregare. Ma appena ti sveglierai troverai una sorpresa, sai?».
La donna sistemò il cuscino di Semir con delicatezza, ricominciando poi a parlare «Tom è vivo e mi ha raccontato tutta la sua storia. Però adesso è terrorizzato, ha paura che tu non lo perdonerai... non sarà così vero? Dobbiamo tornare l’unica grande famiglia di un tempo: io, te, le bambine, Tom e... e Ben...».
Nominando il giovane ispettore, ad Andrea vennero gli occhi lucidi.
Ben...

«Già tornata?» domandò Tom vedendo Andrea uscire dalla stanza pochi minuti dopo e chiudersi la porta alle spalle.
«Tom, secondo me dovresti parlargli tu.».
A quelle parole l’uomo si irrigidì.
«Io... io penso che...».
«Sta ancora dormendo, vai solo a salutarlo...».
«Andrea, io non so quando si sveglierà quanto sarà contento di vedermi.».
«Scherzi?» replicò la donna alzando un sopracciglio «Non crederà ai suoi occhi. Vai!».
Tom sospirò, quindi si alzò a sua volta e raggiunse a passi lenti la piccola stanza.

 

Bip... bip... bip...
Quel suono intermittente gli dava fastidio.
Aveva mal di testa.
E non riusciva ad aprire gli occhi.
Provò a concentrarsi e gli parve di udire quel suono ancora più nitido.
Poi, lentamente, ebbe l’impressione di riuscire a distinguere qualche ombra.
Le palpebre erano pesantissime e non volevano saperne di alzarsi del tutto.
Un soffitto bianco... un comodino alla sua destra e accanto ad esso una sedia... e sopra di essa... sì, c’era un uomo, ma non era Ben.
Chi poteva essere?
Semir provò a schiudere di più gli occhi ma una fitta di dolore a tutta la parte destra del busto lo costrinse a richiuderli.
Li schiuse ancora: no, non era Ben.
Piuttosto sembrava...
Improvvisamente, mentre le immagini gli apparivano più nitide, una valanga di ricordi confusi gli invase la mente.
Resta sveglio, Semir... Non te ne andare, resta qui... Io sto bene, collega... No, no, forza, Semir!.. Non ha quasi più polso...
Tom.
Tom era vivo...
Senza che nemmeno se ne rendesse conto, un sussurro era già uscito dalla sua bocca. Un sussurro lievissimo, ma sufficiente a svegliare l’uomo seduto sulla sedia accanto al suo letto, che si era addormentato, vinto dalla stanchezza, e quasi saltò dallo spavento sentendo la sua voce.
«Tom...».
«Semir!» esclamò l’uomo alzandosi di scatto e avvicinandosi all’amico con gli occhi sgranati «Semir, come stai?».
Semir non rispose.
Ormai aveva aperto gli occhi completamente ma lo fissava senza emettere un fiato.
Che quella che aveva davanti fosse solo un’allucinazione, un effetto dei sedativi o dell’anestesia?
Quasi leggendogli nel pensiero, Tom gli strinse la mano appoggiata immobile sul lenzuolo bianco e gli sorrise «Semir sono io... sono Tom!».
Il poliziotto sbatté ancora le palpebre «Allora non... non sei un’allucinazione.».
«No... no, sono io...» rispose Kranich senza riuscire a trattenere una lacrima «Bentornato collega!».
Ma Semir ancora non sembrava aver realizzato «T... Tom...».
«Sì, sono io...».
«Io... credevo fossi morto.» riuscì a mormorare l’ispettore con voce appena udibile.
«Sto bene... io sto bene.».
Semir rimase ancora immobile a fissarlo. Non poteva davvero credere che quello che aveva davanti fosse una persona reale e non un fantasma o uno scherzetto provocato dai farmaci.
Non sapeva nemmeno se ridere o piangere, ma prima che se ne rendesse conto i suoi occhi si erano già riempiti di lacrime.
Tom sorrise, stringendo l’amico in un abbraccio.

 

«Come è possibile?» domandò il turco dopo qualche attimo, ripresosi almeno in parte dallo shock iniziale.
«La Engelhardt mi aveva fatto inserire all’interno del programma di protezione testimoni perché...».
«Un momento... la Engelhardt lo sapeva?».
Tom abbassò lo sguardo, rendendosi conto che la situazione cominciava già a complicarsi, e annuì «Sì era... è stata un’idea sua.».
Semir corrucciò la fronte e si rabbuiò immediatamente «E io non ne sapevo niente...».
«Semir, sarebbe stato pericoloso, e poi...».

L’uomo venne interrotto dal rumore della porta che si apriva.
Andrea entrò cauta nella stanza, e non appena vide che il marito aveva ripreso conoscenza, gli corse incontro sorridente, mentre Tom, lentamente, retrocedeva, fuggendo da una discussione che prima o poi avrebbe dovuto affrontare.

 

Tom sembra proprio Tom... non trovate?E di Ben invece non sappiamo nulla...
Grazie mille sempre a voi recensori, siete meravigliosi.
Un bacione!
Sophie :D

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Capitolo 17
*** Veleno ***


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«Direi che è tutto a posto.» costatò il medico con un sorriso, girando ancora una volta attorno al letto di Semir e ricontrollando le sue condizioni «La ferita le provocherà un po’ di dolore ma per il resto va tutto bene, deve solo riposarsi... e possibilmente non avere altri shock.» concluse lanciando un’occhiata severa a Tom, avendo intuito che qualcosa non quadrasse nella presenza di quell’uomo in ospedale.
«Stia tranquillo, dottore.» fece Andrea sorridendo a sua volta.
«Ora datemi retta, restate ancora un pochino se volete, ma poi lasciate riposare il paziente, che ne ha bisogno.» ribadì l’uomo in camice bianco, uscendo dalla stanza.
Semir sbuffò, irrequieto «Ma quale riposo, sto benissimo.» disse non appena il medico ebbe richiuso la porta, ma venne interrotto da una forte fitta di dolore alla ferita.
«Benissimo?» fece sarcastico Tom, ma l’altro sembrò totalmente ignorarlo, rivolgendosi invece alla moglie.
«Come sta Aida?».
«Sta bene.» rispose Andrea sedendosi accanto a lui «È con Lily e la nonna a casa.».
«E Ben?».
Nella stanza calò il silenzio. Andrea abbassò lo sguardo e Tom cominciò a fissare la parete con finto interesse.
«Allora? Come sta Ben?» ripeté l’ispettore mentre l’ansia iniziava ad assalirlo.
«Ben è... è... in ospedale anche lui, al piano di sopra. È stato avvelenato e...».
«Sì, me lo ricordo, ma come sta?» quasi gridò Semir provando a fatica a mettersi a sedere sul letto.
«I medici non hanno ancora trovato un antidoto e... be’, non bene, Semir.» intervenne Tom con un filo di voce.
«Devo andare da lui!».
«No Semir, non puoi!» esclamò Andrea, appoggiandogli una mano sulla spalla.
«Lasciami!» gridò il marito in preda al panico, agitandosi e provando in tutti i modi ad ignorare il dolore e a scendere dal letto.
«Fermo, non puoi alzarti.» fece Tom prendendolo per le spalle, ma senza riuscire ad evitare che il turco mettesse le gambe fuori dal letto e si sollevasse in piedi.
Semir provò a raggiungere la porta, ma la testa cominciò a girargli vorticosamente e in men che non si dica l’ispettore si ritrovò steso a terra, con il capo appoggiato sulle ginocchia del suo ex collega, che lo aveva afferrato e accompagnato al suolo in modo che non urtasse lo spigolo del comodino nella caduta.
Una fitta lancinante alla ferita costrinse l’ispettore a stringere gli occhi, che in fretta si riempirono di lacrime «Lasciami andare da Ben... lasciami!».
«Semir, calmati, ti devi calmare.».
«Lasciami andare.» continuò a ripetere provando a divincolarsi dalla forte stretta che lo costringeva a terra.
Spaventata, Andrea aveva nel frattempo chiamato nuovamente il medico, che raggiunse la stanza di corsa, e sistemò di nuovo Semir nel letto aiutato da due infermieri.
«Lasciatemi andare, devo andare da Ben! Vi prego, lasciatemi!» continuò a gridare il poliziotto, divincolandosi senza neppure far più caso al dolore «Devo andare da Ben...».
«Sediamolo.» ordinò il dottore tenendolo fermo «In fretta, rischia di farsi del male.».
«Lasciatemi andare...» mormorò ancora una volta Semir, prima che le tenebre si richiudessero su di lui.

 

Tom Kranich schiacciò il tasto che indicava il secondo piano e aspettò con pazienza che le porte scorrevoli dell’ascensore su cui era appena salito si richiudessero.
Vedere Semir in quello stato lo aveva abbastanza turbato e certamente aveva confermato ciò che pensava di aver intuito fin dall’inizio: lui e quel Jager dovevano avere davvero un legame molto forte, che probabilmente superava anche quello che c’era stato anni prima tra loro due.
L’uomo sospirò, uscendo dall’ascensore e percorrendo con calma il corridoio bianco del secondo piano, alla ricerca della stanza numero ventiquattro.
Cauto, entrò richiudendosi la porta alle spalle e raggiunse in silenzio la sedia posta accanto al letto su cui giaceva immobile Ben Jager: si era addormentato.
Tom lo osservò a lungo.
Era giovane, gli aveva fatto subito una buona impressione e adesso vederlo così lo faceva star male.
Ancora una volta maledisse Erik Gehlen e maledisse se stesso per aver in qualche modo trascinato sia Semir sia il suo collega in quel labirinto mortale, da cui nessuno dei due era riuscito ad uscire illeso.
Ma ciò che lo preoccupava di più era la sorte del ragazzo: conosceva Gehlen, sapeva che probabilmente avrebbe nascosto bene l’antidoto e forse non avrebbe mai dato loro l’occasione di trovarlo, ma bisognava almeno tentare.
Gli rimanevano ancora quarantotto ore...
Tom prese la mano del giovane poliziotto e la accarezzò piano, sorridendo appena.
«Sappi che troverò quel bastardo, Ben. E soprattutto troverò l’antidoto e tu guarirai, va bene? Però devi mettercela tutta, collega, altrimenti poi chi lo sente Semir?» sussurrò osservando il monitor che lanciava segnali regolari accanto al letto dell’ispettore «Forza Ben...».
Tom ritirò la mano e rimase ancora qualche minuto lì a vegliare sul poliziotto, facendo bene attenzione a non svegliarlo.
Ripensò alla telefonata che aveva ricevuto da Gehlen qualche ora prima, con cui il criminale gli aveva gentilmente spiegato quali sarebbero stati i sintomi del veleno, che in realtà si erano rivelati piuttosto semplici: febbre, dolori muscolari, sonnolenza, poi complicazioni varie e crisi respiratorie e infine morte certa. Gli aveva anche giurato di possedere un antidoto e aveva promesso che avrebbe dato loro una possibilità per ottenerlo e che si sarebbe rifatto vivo lui.
Tom aveva provato a richiamare quel numero e a farlo rintracciare, ma ovviamente non aveva ottenuto assolutamente nulla: sarebbe stato troppo semplice.
Demoralizzato, passò il dorso della mano sulla fronte del giovane, trovandola estremamente cada e umida di sudore.
Quindi si alzò dalla sedia e uscì lentamente dalla piccola stanza, non prima di aver salutato con un cenno rivolto al vuoto il giovane Ben Jager.

 

Ed ecco qui, avete notizie di Ben... non buone direi!
Un bacione e grazie sempre a tutti coloro che mi seguono e a chi recensisce.
Sophie

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Capitolo 18
*** Fuga ***


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Tredici ore dopo...

«Ehi, Semir! Come stai?» esclamò Tom entrando nella piccola stanza sforzandosi di sorridere.
L’uomo seduto sul letto, con due cuscini dietro alla testa, non rispose nemmeno.
Era pallido, due marcate occhiaie gli decoravano il volto e gli occhi erano rossi e piccoli.
«Come sta Ben?» domandò qualche attimo dopo in un sussurro.
Tom abbassò lo sguardo «Non bene. Vengo adesso dalla sua stanza, ci sono tornato per salutarlo, ha la febbre alta, dolori alle gambe e ha già avuto la prima crisi respiratoria.».
Il turco provò a impedire alle lacrime di presentarsi e scosse appena il capo «Voglio vederlo... perché non mi ci lasciano andare?».
«Ma Semir, guardati! È normale che i medici non ti vogliano far alzare e di sicuro non vogliono provocarti altri shock dopo quello che è successo ieri.».
«Ma non lo capisce nessuno che io sto peggio così? Eh? Nemmeno tu lo capisci?».
«Semir, calmati, o dovrò di nuovo chiamare il medico.».
«Va bene.» fece allora il poliziotto provando a controllarsi «Dimmi almeno che Gehlen si è fatto vivo...».
Tom scosse il capo «No, ma so che ha un antidoto. In realtà mi ha telefonato l’altra notte ma non mi ha detto altro, solo che ci darà una possibilità e che si farà vivo lui.».
Semir spalancò gli occhi «Ha un antidoto?».
«Sì ma...».
«Perché non me lo hai detto subito? Andiamo a cercarlo, Tom!».
L’uomo sospirò girando nervosamente per la stanza «Uno, non abbiamo idea di dove possa trovarsi; due, tu non vai proprio da nessuna parte.».
Semir sbuffò, incenerendo l’ex collega con un’occhiata «Io posso uscire di qui, sto bene. Aiutami, dobbiamo trovarlo, dobbiamo fare qualcosa.».
«Non ti daranno mai il consenso, lo sai. Sei troppo debilitato, hai subito un’importante operazione e...».
«Allora aiutami a fuggire.» ordinò il turco con tono deciso.
«Fuggire? Ma Semir, cosa dici? Non posso aiutarti a fuggire! E tu non puoi muoverti da qua.».
«Sai una cosa, Tom? So benissimo quello che posso o non posso fare, e tu sei l’ultima persona che può decidere al posto mio. Fai come vuoi, se non mi aiuti proverò per conto mio... ma io non lascio da solo il mio collega.».
Le ultime parole dell’ispettore tagliarono l’aria con la stessa potenza di una lama affilata.
Tom abbassò lo sguardo con un sospiro «Credi che farmi sentire in colpa perché me ne sono andato possa convincermi a farti fuggire?».
«Tom... ti prego. Una volta avremmo fatto qualsiasi cosa l’uno per l’altro, ti ricordi? O hai già dimenticato? Ci saremmo fatti ammazzare volentieri pur di aiutarci, non è così? Ora io ti sto chiedendo aiuto. Voglio solo salvare la vita al mio collega, al mio migliore amico, e tu sei l’unica persona che mi possa davvero aiutare.».
L’uomo scosse appena il capo «È una follia.».
Semir lanciò un’occhiata all’orologio «Abbiamo ancora quasi trentasei ore di tempo, Gehlen si farà vivo se vuole darci una possibilità, no? Fuggiamo stanotte.».
«Non sei nemmeno in grado di reggerti in piedi. Semir, ti ricordo che un giorno e mezzo fa tu eri sul punto di morire dissanguato.» obiettò ancora Tom, guardando negli occhi il suo ex collega.
«Sto bene... mi aiuterai tu e starò attento.».
L’ex ispettore sospirò ancora e si diresse verso l’uscita della stanza.
«Spero davvero di non pentirmene.».

 

Tre ore dopo, 22.43.
«Shhh! Mapporca! Fai piano con quella sedia!» sbottò Semir maledicendo l’uomo che stava cercando di uscire dalla stanza trasportandolo sopra ad una sedia a rotelle.
«Questa cosa ha le ruote mezze andate, Semir!» replicò Tom, guardandosi intorno circospetto e cominciando a muoversi silenziosamente lungo il corridoio deserto.
«Si vede che non sei più sulle autostrade da otto anni, non sei nemmeno in grado di guidare una sedia a rotelle.».
Tom alzò gli occhi al cielo, ma il cuore gli si riempì di gioia nel constatare che forse l’amico aveva diminuito almeno un po’ l’ostilità iniziale nei suoi confronti.
Lentamente, entrambi si diressero al buio verso l’ascensore, pregando di non incontrare nessun medico di turno. E furono fortunati, almeno per quanto riguardò la discesa al piano terra.
Una volta giunti in prossimità dell’uscita, la faccenda si rivelò più complicata del previsto. Alcuni medici giravano per il reparto, chi con aria professionale, chi con espressione assonnata, ma l’uscita distava da loro una decina di metri da percorrere interamente allo scoperto.
«Dimmi che hai un piano.» supplicò Semir in un sussurro, benedicendo l’idea dell’ex collega di trasportarlo sulla sedia a rotelle, dato che già aveva ripreso a girargli la testa.
«Ce la fai con la sedia ad arrivare fino all’uscita senza dare troppo nell’occhio?» domandò Tom in risposta.
Il turco annuì.
«Bene, allora io distraggo quei due medici nel salone.».
«E come?».
L’uomo alzò le spalle «Improvvisazione.».
Così dicendo, Tom si allontanò e cominciò a parlare con i due medici, facendo in modo che questi si voltassero dalla parte opposta rispetto all’uscita.
Semir, non appena i due si furono girati, cominciò a girare le ruote della sedia in direzione dell’uscita e si nascose come meglio poteva dietro ad una colonna accanto alla porta scorrevole.
Sentì l’ex collega salutare e ringraziare i medici, fingendo di aver sbagliato reparto e scusandosi per l’orario inconsueto dicendo di essere sconvolto, e poco dopo avvertì la sua presenza accanto a sé.
«Okay.» fece Tom «La mia macchina è parcheggiata qui fuori, lasciamo la sedia qua, ce la fai ad alzarti?».
L’ispettore annuì e si alzo a fatica, trattenendo a stento un grido di dolore.
Entrambi, lenti e silenziosi come felini, raggiunsero l’auto di Tom e una colta raggiunta vi salirono il più velocemente possibile.
Quindi partirono a tutto gas, lasciando un attonito medico che si era accorto di loro, immobile sul marciapiede, a guardare.

 

«Perfetto, adesso cosa hai intenzione di fare?» domandò Tom entrando in autostrada.
Semir guardò fuori dal finestrino tenendosi la spalla dolorante «Non ho mai detto di avere un piano.».
«Oh, fantastico.».
«Non l’ho nemmeno salutato...» mormorò il turco con un sospiro.
«Sarebbe stato rischioso girare per l’ospedale prima di scappare.» fece l’uomo al volante tenendo lo sguardo fisso davanti a sé «E comunque lo rivedrai, tranquillo.».
«Vivo, spero.».
Tom aprì bocca per replicare, ma lo squillo del suo cellulare posato sul sedile posteriore dell’auto gli tolse il respiro.

 

Scusate, ho saltato una settimana, ma eccomi qui!
Grazie  a chi continua a seguire e a recensire, un bacione.
Sophie :D

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Capitolo 19
*** Spiegazioni ***


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«Be’, che aspetti? Rispondi!» esclamò Semir, sentendo il cuore accelerare ad ogni squillo del cellulare.
Tom annuì lievemente e, senza togliere nemmeno per un istante lo sguardo dalla strada, aprì la comunicazione e impostò il vivavoce.
Le note della risata malvagia che ormai entrambi conoscevano fin troppo bene si diffusero nell’abitacolo dell’auto, creando improvvisamente un’atmosfera densa di tensione.
«E così, i due sbirri di nuovo insieme eh? La coppia d’oro!» rise Gehlen, prendendosi gioco dei due uomini.
Semir si impose di stare calmo nonostante avesse i nervi a fior di pelle, e si decise a parlare solo quando capì che l’ex collega accanto a lui non sembrava aver intenzione di proferire parola.
«Gehlen, basta con questa storia. Ti devi vendicare di me, non di Ben, dimmi dov’è l’antidoto.».
«Ma proprio per questo mi accanisco sul ragazzo, Gerkhan... dove sarebbe altrimenti il divertimento? Se ti uccidessi adesso non soffriresti abbastanza.».
«Dov’è l’antidoto?» ripeté il turco con voce ferma, nonostante le mani gli tremassero terribilmente.
«Quanta fretta, ispettore... prima dovrà giocare con me.».
Una tenaglia si serrò intorno alla gola di Semir. Giocare con lui? Ancora?
«Cosa... cosa vuoi dire...».
«Ho preparato un altro giochetto, Gerkhan. Considerando che hai risposto al cellulare di Kranich, immagino che voi due vi troviate vicini in questo momento, quindi ascoltatemi bene.».
Gehlen fece una pausa e i due uomini in macchina immaginarono il suo ghigno soddisfatto mentre si accingeva ad esporre un altro dei suoi giochi mortali.
«Voglio la vecchia squadra al completo.» disse poi, semplicemente.
«La vecchia squadra?» domandò Tom, intervenendo per la prima volta nella conversazione.
«Esatto.» confermò il criminale «La vecchia squadra, quella dei tempi in cui tu ed io, Kranich, siamo morti. Voglio il commissario di allora, la segretaria di allora, gli ispettori di allora e quello scienziato da strapazzo che lavora ancora con voi. Vi voglio tutti insieme.».
«Gehlen, alcune di quelle persone se ne sono andate.» obiettò Semir, mascherando il dolore che una fitta alla ferita gli aveva appena provocato.
«Gerkhan, niente squadra, niente antidoto. Entro le sei di stamattina dovrete essere tutti insieme e io mi farò vivo. Avete sette ore, dopo di che ve ne resteranno circa ventotto per salvare Jager. Tutto chiaro?».
«Gehlen, ascolta...» provò a rispondere Tom, ma l’uomo dall’altro capo del telefono aveva già riattaccato.

Tom accostò in una piazzola parallela all’autostrada e tirò giù il finestrino posteriore dell’auto per lasciare che nell’abitacolo entrasse un po’ d’aria.
Semir, accanto a lui, si prese la testa tra le mani cercando di riordinare le idee che gli affollavano la mente creando una grande confusione «Ci deve essere un modo per arrivare a quel maledetto antidoto e a Gehlen...» sussurrò.
«Assecondandolo.» fece Tom appoggiando i gomiti sul volante.
«Tom... non ho idea di dove sia la Engelhardt, non vedo Petra da anni e anni, Otto è morto... mi spieghi come facciamo a portargli quello che vuole? Le cose sono un po’ cambiate in otto anni, in caso non te ne fossi accorto.».
«Me ne sono accorto, certo, ma la Engelhardt mi ha sempre tenuto informato su tutto. Credi che in tutto questo tempo me ne sia fregato totalmente del comando, dei colleghi, di te?».
«Io non credo niente, so solo che in questo momento ho accanto a me una persona che dovrebbe essere morta e che se non fosse stato per te probabilmente adesso Ben starebbe bene!» replicò Semir trattenendo a stento le lacrime, che minacciavano troppo spesso di presentarsi per la rabbia, la paura, il dolore.
«Senti Semir, tra una cosa e l’altra non ti ho ancora spiegato come stanno le cose, d’altra parte è passato sì e no un giorno e mezzo da quando ci siamo incontrati, e prima non eri in condizioni di ascoltarmi.» cominciò Tom, fissando il turco negli occhi e parlando con un tono che non avrebbe ammesso repliche «Io ho finto di essere morto per sette anni e mezzo, per proteggere te, chiaro? Perché la Engelhardt mi aveva spiegato che per me e per chi mi conosceva sarebbe stato un rischio, ma solo quando ha detto il tuo nome io mi sono deciso ad accettare la sua proposta. Ho vissuto in un paesino sperduto, senza contatti con nessuno, tornando solo di tanto in tanto a Colonia per vedere, sempre di nascosto, come stavi tu, come stava mia sorella, come stavate voi. Poi la Engelhardt si è dimessa e io ho cominciato ad avere molte meno notizie. Ho pensato milioni di volte di farmi vivo, ma lo ammetto, avevo paura... paura di tutto. Poi, finalmente presi una decisione definitiva: sarei riemerso dal mondo dei morti e sarei tornato a vivere un’esistenza normale, dato che tra l’altro dopo così tanto tempo il rischio si era notevolmente ridotto. Presi questa decisione una notte di tre mesi fa, ma esattamente la mattina seguente venni rapito da Gehlen, che scoprii essere ancora vivo come me. Non so come diavolo avesse fatto a trovarmi, so solo che mi tenne chiuso in una stanza per tre mesi, aspettando di attuare la sua vendetta. All’epoca Gehlen lavorava per Hoffman, il Giaguaro, ma quando la questione con lui è terminata perché tu lo avevi arrestato, solo allora Erik ha deciso di venire allo scoperto. Vi ha fatto fare il percorso, tu sei stato ferito, Ben è stato avvelenato, e io mi sento in colpa già da solo, non c’è bisogno che tu mi dica che è merito mio se il tuo collega adesso è in bilico tra la vita e la morte. Vorrei solo che sapessi che tutto questo non era per nulla quello che avevo immaginato.».
Tom si fermò per riprendere fiato, aspettando la reazione dell’ex collega, che una volta terminato di ascoltare si voltò dall’altra parte sfuggendo al suo sguardo.
Gli attimi di silenzio che seguirono sembrarono interminabili, interrotti solo dal ticchettio delle lancette dell’orologio da polso di Tom, che ora segnavano le 23.12.
Semir sembrò voler ignorare il discorso dell’altro uomo.
«Andiamo, dobbiamo riunire la squadra.» mormorò, continuando a non guardarlo.

Una serie di capitoli soft, ma tranquilli che poi l’azione ricomincia. Grazie sempre a chi mi segue e in particolare a Chiara, Maty, Furia, Tinta e Miki che continuano a recensire.
Un bacione!
Sophie :D

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Capitolo 20
*** Riunione ***


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«No Susanne, hai capito benissimo!» gridò Semir al telefono «Devi cercarmi Petra Schubert... no, richiamami quando l’hai trovata e dille di andare in Freiss Straβe. Va bene, grazie.».
Il turco chiuse la comunicazione e vide che l’ex collega alla guida faceva altrettanto, tralasciando spudoratamente le regole della strada.
«Okay, io ho avvisato la Engelhardt che andiamo a casa sua.» fece Tom trasferendosi sulla corsia sinistra dell’autostrada.
«Io l’ho detto a Dieter e Hartmut e ho chiesto a Susanne di cercare Petra che evidentemente nel frattempo aveva cambiato scheda telefonica.» spiegò Semir «Povera Susanne, tra un po’ è mezzanotte e non le ho nemmeno spiegato cosa sta succedendo.».
«La Engelhardt invece si è trasferita da un po’, lo sapevi? È fuori Colonia, ma entro le cinque dovremmo esserci.».
«Anna Engelhardt... mi sembrerà strano rivederla non in veste di mio superiore.» commentò l’ispettore con un sospiro.
«Fidati, è sempre uguale.» sorrise Tom, premendo ancora con il piede sull’acceleratore.

Erano le quattro passate quando la Mercedes sulla quale viaggiavano i due ispettori si fermò davanti alla casetta indipendente illuminata in mezzo alla via in cui quasi tutti gli altri appartamenti avevano già le luci spente.
Semir fece per aprire lo sportello, ma si fermò notando che l’altro non si fosse ancora nemmeno slacciato la cintura, intento com’era nel fissare il vuoto davanti a sé.
La preoccupazione per quello che era stato il suo migliore amico un tempo prevalse sulla rabbia e la delusione che la persona che aveva affianco gli aveva provocato nelle ultime ore.
«Cosa c’è?» domandò in un sussurro.
Tom sembrò riscuotersi e guardò l’ex collega con un mezzo sorriso «Niente è solo... niente.».
«Ehi... penso di conoscerti abbastanza bene per capire che c’è qualcosa che non va...» replicò il turco richiudendo il proprio sportello.
«Ma no, niente, andiamo.».
Semir gli bloccò la mano prima che potesse togliersi la cintura «Petra?».
L’uomo lo fissò negli occhi con uno sguardo che fece comprendere all’ispettore di aver centrato il problema.
«Anche per lei dovrei essere morto.» cominciò Tom «E lei mi amava...».
«Infatti è stata malissimo.» confermò Semir «Ma vedrai che sarà contenta di vederti. Tutti saranno contenti di vederti.».
Tom annuì, sollevato dalle poche parole dell’amico «Grazie, collega.».
Semir provò a non far caso a quella parola. A quell’ultima parola che per troppo tempo non aveva sentito pronunciare da quelle labbra.

Il turco riaprì lo sportello e scese dalla macchina, ma un forte giramento di testa lo costrinse ad appoggiarsi al cofano dell’auto.
«Semir! Semir, che succede?» domandò Tom correndo accanto a lui.
«Niente... niente, mi gira solo un po’ la testa.».
«Più passano le ore e più mi pento di averti fatto uscire da quell’ospedale.».
«Sto bene.» ripeté Semir «Andiamo.».

 

Anna Engelhardt guardò un po’ spaesata i suoi ospiti.
Ormai erano tutti arrivati già da una decina di minuti, Hartmut, Dieter, Petra... era stato strano rivederli tutti insieme dopo tanto tempo.
Mancavano soltanto Tom e Semir, e la donna era sicura che rivederli insieme le avrebbe fatto un certo effetto.
Per questo quando sentì suonare il campanello quasi le balzò il cuore in gola.
Veloce, lasciò il salotto dove aveva fatto accomodare gli altri e raggiunse l’ingresso accendendo la luce.
Posò la mano sulla maniglia della porta e aprì con un sospiro.

 

Nessuno seppe quanto tempo trascorsero sulla soglia i due uomini prima di entrare.
Semir rimase immobile davanti al suo ex capo senza proferire parola e la Engelhardt restò altrettanto attonita nell’osservare insieme quelli che erano stati i suoi due uomini migliori molti anni prima.
Fu Tom a rompere il ghiaccio, dopo tutto era stato lui a vedere l’ex commissario più ultimamente tra i due.
«Gli altri sono già arrivati, capo?».
«Quando la smetterai di chiamarmi così?» sorrise la donna in risposta «Sì, sono tutti di là, venite.».
I due entrarono e la porta si chiuse alle loro spalle.
«Semir, come stai?».
«Lei come sta?» chiese il turco evitando così di rispondere alla domanda.
La Engelhardt annuì, preoccupata dalla cera del suo ex ispettore «Ma... ti senti bene?».
No. Semir non stava bene per niente. La testa aveva ripreso a girargli come una trottola, la ferita gli faceva male, aveva nausea e percepiva tutti i suoni lievemente ovattati.
«Sediamoci, ce l’ha un po’ di acqua e zucchero?» rispose Tom al suo posto «Ora le raccontiamo per bene cosa è successo.».

 

Un po’ di tempo dopo, seduti attorno alla piccola stufa che la padrona di casa aveva acceso al centro del salotto, i membri della squadra di otto anni prima si erano finalmente ripresi dallo shock.
Tutti meno Petra Schubert, che attonita guardava il pavimento per evitare di fissare troppo a lungo Tom Kranich.
L’ex ispettore aveva appena finito di raccontare loro tutta la storia.
Aveva parlato della sua morte, della sua scomparsa, di Gehlen, della prigionia, del percorso, di Ben.
Aveva anche spiegato cosa il criminale avesse chiesto loro di fare, ossia di riunire la squadra e aspettare che egli stesso li contattasse di nuovo.
L’atmosfera che si era creata in quella stanza era surreale, quasi magica. Uno strano alone di mistero aleggiava nell’aria e si diffondeva accompagnato dalle parole di Tom, che raccontava lentamente e si scusava con tutti i presenti per i precedenti, lunghi, otto anni.
Semir, nel frattempo, non aveva proferito parola.
Dopo aver salutato tutti aveva lasciato parlare Tom e si era seduto, concentrandosi sul tentare di non perdere conoscenza in quel momento, anche se la tentazione di chiudere gli occhi visto come si sentiva era grandissima.
Non udì nemmeno le ultime frasi pronunciate dall’ex collega, ma improvvisamente venne riscosso dallo squillo del cellulare che aveva in tasca.
Irrigidendosi per un istante, lo prese in mano e lesse il numero che era comparso sullo schermo.
Lanciò un’occhiata d’intesa a Tom e tutti si ammutolirono in un istante.
«Pronto?» rispose Semir temendo ciò che l’uomo dall’altro capo del telefono gli avrebbe chiesto.
«Gerkhan, eccoci di nuovo. Come prosegue la riunione, sentiamo?».
«Gehlen, dicci cosa dobbiamo fare e facciamola finita.».
«Io penso, Gerkhan, che dopo otto lunghi anni sia giunto finalmente il momento che vittima e carnefice si vedano, non trovi? Voglio incontrarti, Gerkhan.».
«Dove e quando?» domandò il turco sperando per un attimo che la questione si potesse risolvere solo tra loro due, senza coinvolgere gli altri colleghi.
«Non troppa fretta, Gerkhan. Allora... io voglio che veniate tutti voi al cinema abbandonato di Gülliver Straβe. È un’intera palazzina abbandonata su due piani in realtà, te la ricordi? Dopo di che vi dirò cosa fare e magari otterrete anche l’antidoto. La palazzina è molto in periferia, impiegherete circa due ore e mezza a raggiungerla, sempre che non troviate ostacoli, e visto che adesso sono quasi le sei e mezza del mattino, poi vi rimarranno circa venticinque ore per salvare Jager. Sono stato generoso, non trovate?».
«Non l’avrai vinta, Gehlen.».
«Vedremo Gerkhan, vedremo...» rise il criminale divertito «Dimenticavo, non portatevi la cavalleria. Sappiate che vi controllo, una sola mossa sbagliata e la mia unica boccetta di antidoto finisce tra la polvere. Chiaro?».
Semir fece per ribattere, ma l’uomo aveva già riattaccato.
L’ispettore guardò gli altri con aria stanca.
Poi Dieter e Hartmut si alzarono per primi, facendo cenno agli altri presenti di seguirli verso l’uscita.

 

Andrea si svegliò di soprassalto quando la sveglia suonò alle sette esatte del mattino.
Senza perdere tempo, gettò i piedi fuori dal letto e preparò il caffè per lei, prima di pensare alla colazione delle bambine che si sarebbero svegliate più tardi.
Aspettando che la bevanda fosse pronta, afferrò il telefono per comporre il numero del marito: era presto, ma lei era sicura che a quell’ora essendo in ospedale sarebbe stato già sveglio e in più aveva uno strano presentimento.
Aprì la comunicazione e rimase in attesa di una risposta che non arrivò.

 

Ci avviciniamo alla resa dei conti...
Grazie mille a tutti voi e un bacione!
Sophie :D

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Capitolo 21
*** Scuse & Ringraziamenti ***


Buongiorno a tutti!

Questo breve "capitolo" è dedicato interamente a voi lettori.
In realtà non è un capitolo vero e proprio, pare più una lettera di scuse, perché è proprio questo che voglio fare, scusarmi con voi. Scusarmi perché la mia storia, questa volta, termina qui.
Strana decisione da parte mia, e vi assicuro sospirata a lungo, perché io sono e sono sempre stata dell'idea che una cosa vada conclusa oppure nemmeno iniziata... questa volta temo però che interromperla sia la scelta migliore e ora proverò a spiegarvi il motivo.
Mi sono accorta di aver fatto un grosso errore ad andare a riprendere una storia già scritta anni fa e mai pubblicata e decidere di rispolverarla e postarla qui. Allora scrivevo sicuramente in modo diverso, ma soprattutto avevo le idee un po' poco chiare su molti argomenti e perciò ho trovato la storia originale colma di incoerenze, incoerenze che aumentavano man mano che ci avvicinavamo alla fine.
Per evitare queste incoerenze, cosa che ho provato a fare fin dall’inizio nascondendole come meglio ho potuto, sarebbe stato in realtà necessario riscrivere da capo la storia cambiando anche elementi fondamentali della trama, che quindi l’avrebbero fatta apparire totalmente diversa dall'originale: un altro racconto.
Dato che la mia idea, in origine, non era però quella di scrivere una nuova storia ma quella di rispolverarne appunto una già scritta, ho deciso di terminarla qui.
Ripeto, odio lasciare le cose a metà e il mio errore è stato quello di non cominciare direttamente con una storia nuova ma di riprenderne una vecchia e scritta in modo più “infantile”. Ho provato a portarla avanti come meglio ho potuto ma mi arrendo, non ci sono riuscita.
Credetemi se vi dico che mi dispiace, mi dispiace davvero molto perché mi piaceva l’idea di partenza: mi piaceva riuscire ad utilizzare i personaggi di Ben e di Tom contemporaneamente, mi piacevano molti spunti che già avevo creato tempo fa ma che oggi non sono riuscita a sviluppare per iscritto come avrei voluto.
Ciò non esclude che un giorno io possa riprendere in mano la storia, continuandola o magari provando a riscriverla in chiave diversa, mai dire mai.
Intanto, a maggior ragione perché mi sembra, fermandomi dopo e mesi e mesi di pubblicazioni di capitoli, di aver fatto perdere tempo a voi lettori, vorrei ringraziarvi.

Ringrazio davvero di cuore tutti voi che mi avete seguito fino a qui; ringrazio Maty, Chiara, Furia, MartiAntares, Miki, Reb, Chlo e Tinta che avete recensito; ringrazio chi ha messo la storia tra le preferite, seguite e ricordate e infine ringrazio anche voi, lettori “silenziosi”, per aver letto di volta in volta i miei scarabocchi... e metto la spunta alla casellina "completa" di questa storia.
Tornerò con altri racconti e ovviamente li porterò a termine, come ho sempre fatto prima d'ora, scrivendoli e ideandoli ora, con lo stile e le idee che ho adesso e non con quelli di quasi tre anni fa.
Non dimentichiamo che ho ancora una storia in sospeso e soprattutto in sospeso ho una serie, “Dieci ritagli di Cobra 11”: non vorrete per caso che io abbandoni Ben appena diventato papà e Semir appena diventato vedovo senza che nemmeno i nostri eroi abbiano acciuffato i responsabili di ciò che è successo in quel racconto? Naaaaah!

Grazie a tutti voi e scusate ancora... al prossimo scritto, più presto di quanto immaginiate!
Un bacione.
Sophie :D

P.S.: lo so, sono cattiva, perché probabilmente ora vi starete domandando come sarebbe andata a finire la storia... be’, il finale sarebbe stato probabilmente un po’ ambiguo... gli happy ending troppo happy non mi hanno mai dato soddisfazione ;)

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