Chi non muore si rivede di sophie97 (/viewuser.php?uid=142936)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Io non mi fermo! ***
Capitolo 2: *** Lacrime di gioia ***
Capitolo 3: *** A carte scoperte ***
Capitolo 4: *** Sì o no ***
Capitolo 5: *** I morti non tornano ***
Capitolo 6: *** Paura ***
Capitolo 7: *** No! ***
Capitolo 8: *** Prima prova ***
Capitolo 9: *** La legge degli opposti ***
Capitolo 10: *** Solo contare ***
Capitolo 11: *** Non piangere! ***
Capitolo 12: *** Passi in avanti ***
Capitolo 13: *** Non mi dire le bugie ***
Capitolo 14: *** Io non ho paura ***
Capitolo 15: *** Intervento ***
Capitolo 16: *** Tom... ***
Capitolo 17: *** Veleno ***
Capitolo 18: *** Fuga ***
Capitolo 19: *** Spiegazioni ***
Capitolo 20: *** Riunione ***
Capitolo 21: *** Scuse & Ringraziamenti ***
Capitolo 1 *** Io non mi fermo! ***
Otto
giorni dopo, 12 settembre, ore 12.17.
Il tempo.
Era impressionante il tempo.
Prima sembrava scorrere ad una velocità supersonica e un
momento dopo le
lancette parevano quasi fermarsi.
Ben guardò annoiato l’orologio che portava al
polso ed entrò nell’ufficio
richiudendosi la porta alle spalle e posando il pacchetto che aveva tra
le mani
sulla scrivania, davanti al suo collega che però non
alzò nemmeno lo sguardo.
«Novità?» fece il più giovane
sedendosi davanti al computer.
Semir scosse il capo, guardandolo finalmente negli occhi ma senza
proferire
parola.
Ben alzò le spalle «In compenso io ho portato il
pranzo.» esclamò estraendo dal
pacchetto due panini incartati singolarmente.
Semir abbozzò un sorriso afferrando uno dei due panini per
poi però posarlo
nuovamente sulla scrivania.
«Semir...» cominciò il più
giovane con un lieve sospiro «Dovresti mangiare
qualcosa, sai?».
«Ben, non iniziare per favore.» fu il semplice
commento del turco, che tornò a
scorrere con lo sguardo i numerosi fogli che aveva tra le mani.
«Dico davvero, mangia qualcosa, non puoi andare avanti
così.».
«Non ho fame.».
«Semir, dammi retta...».
«Ben, dacci un taglio.».
Ben si ammutolì, tornando a fissare lo schermo del computer
e afferrando il
proprio panino, mentre nella stanza si creava un silenzio innaturale
che in
quegli ultimi giorni si era verificato fin troppo spesso. Per quanto il
più
giovane provasse a parlare con l’amico oppure a convincerlo a
fare altrettanto,
Semir non sembrava voler sentir ragioni di alcun tipo.
Si era totalmente chiuso in se stesso, non voleva farsi aiutare ma il
suo
silenzio era in realtà molto più forte di una
banale richiesta di aiuto.
Quella strana situazione di quiete venne tuttavia presto interrotta da
Susanne,
che fece capolino dalla porta dopo aver bussato leggermente sul vetro.
«Ragazzi, la Kruger vi vuole nel suo ufficio.»
comunicò la bionda segretaria
con un breve sorriso.
I poliziotti si alzarono all’istante e a Ben balzò
il cuore in gola: sapeva
benissimo quale sarebbe stato il discorso del commissario, era stato
rimandato
per troppo tempo. E già immaginava la reazione del suo
collega.
I due ispettori entrarono nell’ufficio del commissario e
rifiutarono l’invito
della donna a sedersi, preferendo invece rimanere in piedi, appoggiati
a
braccia conserte alla parete.
«Dunque» esordì Kim sedendosi alla
propria scrivania «Signori, vi ho chiamato
per parlarvi del caso Gehlen... del caso di Aida, insomma. Le indagini
sono di
competenza dell’LKA, ma questo già voi lo sapete.
Tuttavia noi abbiamo
continuato ad occuparcene fino ad oggi...».
La Kruger fece una breve pausa e scrutò attentamente i suoi
ispettori.
Semir pareva concentrato, mentre Ben non faceva altro che spiare il
collega
alla sua sinistra con la coda dell’occhio.
«Ma adesso sono passati diciassette giorni dalla scomparsa
della bambina e
ancora non abbiamo nemmeno un indizio che ci possa ricondurre in
qualche modo a
lei. L’LKA continuerà ovviamente ad occuparsi del
caso, ma noi dobbiamo
riprendere ad occuparci degli ambiti di nostra competenza.».
«Scusi?!» fece Semir staccandosi appena dalla
parete.
«Gerkhan, io capisco il suo coinvolgimento personale, ma il
nostro commissariato
deve tornare ad occuparsi di altri casi che abbiano come oggetto di
riferimento
le autostrade, il capo della polizia mi ha già ripreso per
l’andamento di
questi ultimi giorni.».
«Io me ne frego del capo della polizia, in gioco
c’è la vita di mia figlia!»
ribatté
Semir, mentre Ben si prendeva la testa tra le mani, pregando tra
sé e sé che
quella riunione si concludesse in fretta e senza causare ulteriori
danni.
«Gerkhan, sono passate più di due settimane e
Gehlen non si è ancora fatto
vivo.».
«E questo cosa vorrebbe dire? Quel bastardo non ha nessuna
fretta di farsi
vivo, non vuole chiedere un riscatto, vuole solo vendicarsi di
me.».
«Sì, ma cerchi di capire che io...».
«Lei cosa, commissario? Io non smetto di cercarla, passasse
anche un mese, un
anno, non smetterò mai di cercarla!».
«Gerkhan, abbiamo perquisito tutti i luoghi possibili
e...».
«Non so se è chiaro capo, io non mi
fermo!» gridò Semir, ormai rosso in volto.
Seguì un attimo di silenzio, poi Kim respirò
profondamente per riprendersi da
quel rapido scambio di battute e tentare di far ragionare il suo
sottoposto «Intanto
lei deve calmarsi. Vada a casa per favore, stacchi per un attimo il
cervello
dalle indagini, perché nello stato in cui si trova ora,
qualsiasi sforzo
sarebbe comunque inutile.».
«Il capo ha ragione, Semir.» intervenne Ben per la
prima volta, con voce
tranquilla «Vai a casa, non puoi lavorare ventiquattro ore su
ventiquattro
senza mangiare né dormire, è solo
controproducente.».
«Anche tu?!» riprese il turco ora rivolto verso
l’amico «Allora non capisci. Voi
non capite! Io troverò mia figlia
dovessi arrivare da solo in capo al mondo. E potete stare certi che non
appena
avrò davanti quel bastardo di Gehlen non lo
risparmierò come ho fatto con il
suo amico Hoffman, ma anzi rimpiangerà di non essere morto
quando gli avevo
sparato otto anni fa.».
Quindi Semir aprì la porta e, sbattendola alle sue spalle,
uscì dall’ufficio.
La Kruger si
appoggiò
allo schienale della propria sedia chiudendo per un attimo gli occhi e
lasciandosi andare ad un profondo sospiro.
Quando riaprì gli occhi, si trovò davanti a
quelli contrariati di Ben, che la
fissavano con aria di rimprovero.
«Jager, non mi guardi così per favore. Nemmeno io
so più da che parte girarmi,
crede che non sia dispiaciuta per questa situazione?».
«Capo, guardi che sta facendo tutto da sola, io non le ho
detto niente.».
«Sì, ma sta pensando.»
replicò la donna spingendosi leggermente col busto in
avanti e intrecciando le dita sulla scrivania «Non so davvero
come muovermi.».
«Si aspettava una reazione diversa da parte di
Semir?» domandò l’ispettore
alzando appena un sopracciglio.
«No, assolutamente.» fece Kim con un altro sospiro
«Anzi, credevo peggio
sinceramente. Al posto suo io probabilmente non avrei nemmeno la forza
di
continuare a cercare.».
Ben si avviò senza ribattere verso l’uscita.
«Dove va Jager?».
«A recuperare il mio collega.».
Ben corse dietro
all’amico e lo seguì fuori dal commissariato,
fermandosi a pochi metri di
distanza da lui.
«Semir, aspettami!» gridò, ma
l’altro poliziotto non sembrò nemmeno sentirlo e
non accennò a voltarsi.
Il più giovane scosse il capo, ricominciando a camminare
velocemente per
raggiungerlo.
Ma si fermò di nuovo, notando che Semir si era bloccato
improvvisamente davanti
a lui in mezzo al parcheggio e che non muoveva più nemmeno
un muscolo.
Corrucciò la fronte e strinse gli occhi, fino a vedere
ciò che sicuramente
aveva notato anche il suo collega.
Quindi aprì la bocca e rimase senza fiato.
Ed eccomi
qui con la
nuova storia, seguito di “Vittima Innocente”,
intitolata, se preferite, “Agonia
e Disperazione 2”, come direbbe ChiaraBJ ;)
Che
dire? Ringrazio in anticipo tutti coloro che leggeranno e chi
vorrà
lasciare un commento e vi ricordo che non è necessario,
anche se consigliabile,
aver letto la prima parte per capire l’andamento della trama
(in caso di dubbi
potete chiedere a me se non volete cimentarvi nella lettura dei
trentadue capitoli
del racconto precedente).
Grazie
e al prossimo capitolo.
Sophie
:D
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Capitolo 2 *** Lacrime di gioia ***
Semir si
bloccò
all’improvviso in mezzo al parcheggio e rimase immobile a
bocca aperta per
alcuni istanti.
Non era vero.
Non poteva crederci.
Strinse gli occhi per mettere bene a fuoco la piccola figura che si
avvicinava
di corsa e si accorse che non poteva essere solo una sua allucinazione.
No, era vera... lei era vera!
Mentre qualunque pensiero razionale si interrompeva
all’interno della sua
mente, l’ispettore cominciò a correre a perdifiato
verso quella figura che
nella limpida aria settembrina si faceva sempre più nitida.
E quando le fu abbastanza vicino, si inginocchiò e la
accolse tra le sue
braccia ancora senza credere ai propri occhi.
«Aida...»
mormorò stringendo
a sé l’esile corpicino della bambina, lasciando
che lacrime di liberazione gli
scorressero senza freno sulle guance «Aida, cucciolo
mio!».
«Papà!» esclamò lei ridendo
dalla gioia e divincolandosi poi dall’abbraccio del
padre, che però sembrava non volerne sapere di lasciarla
andare.
Passarono attimi interminabili prima che finalmente Semir si
distanziasse
appena da lei rimanendo in ginocchio, le prendesse le mani tra le sue e
la fissasse
negli occhi per un lungo istante, scostandole una ciocca di capelli da
davanti
al viso.
«Cucciolo mio, stai bene?» domandò in un
soffio accarezzandole la fronte senza
distogliere lo sguardo dai suoi profondi occhi scuri.
Aida annuì con un sorriso, nonostante la sua espressione
tradisse una forte
stanchezza «Ma papà, perché
piangi?».
Semir sorrise asciugandosi le lacrime e senza rispondere alla domanda
della
figlia «Ti voglio bene cucciolo... non sai quanto ti voglio
bene!»
«Anche io papà.».
L’ispettore sorrise ancora, quindi lentamente prese in
braccio la bambina e si voltò
per avviarsi verso l’entrata del commissariato, quando vide
Ben corrergli
incontro sbalordito.
Il più giovane aveva l’aria stupita e sconvolta.
«Principessa!» sussurrò prima che Aida
si gettasse tra le sue braccia per
salutarlo.
Ben la prese in braccio togliendola a Semir, che ne fu sollevato
perché non
sapeva per quanto la avrebbe retta ancora, gli tremavano troppo le
gambe, era
troppo agitato.
Gli sembrava di non riuscire più a respirare, di non
riuscire a muoversi e non
riusciva ad impedire alle lacrime di scendere.
Rideva e piangeva contemporaneamente, non capiva nemmeno cosa stesse
succedendo.
Per la prima volta dopo tre mesi e mezzo stava riscoprendo il
significato della
parola “felicità” e ancora non capiva
come tutto ciò potesse essere possibile.
Mezz’ora
dopo, i due
ispettori erano seduti nel loro ufficio e Aida era comodamente
sistemata a
cavalcioni delle gambe del padre.
Nemmeno la Kruger e il resto del distretto aveva creduto ai propri
occhi non
appena l’aveva vista entrare al comando tra le braccia di
Ben, ma dopo che il
commissario si era assicurata che la bambina stesse bene, aveva
concesso ai
suoi uomini di portarla con loro nell’ufficio per fare in
modo che la piccola
raccontasse tutto solo a loro due e che così si sentisse
più libera di parlare.
«Quanto è buio questo ufficio papà, non
possiamo accendere la luce?» esordì
Aida guardandosi intorno.
«La principessa è servita.» fece
scherzosamente Ben schiacciando con il dito
l’interruttore. E improvvisamente una luce bianca invase la
stanza rendendola
più allegra, sostituendo la penombra e la tristezza che
l’avevano riempita
nelle ultime settimane.
Poi il poliziotto uscì dall’ufficio in fretta e
rientrò pochi secondi dopo con
una tazza di tè fumante che pose delicatamente tra le mani
della bambina.
«Grazie zio Ben.».
«Prego tesoro. Allora, ci racconti tutto o sei stanca e vuoi
prima riposarti?».
«No no, vi racconto.» disse lei sorseggiando la
bevanda bollente con calma,
sempre in braccio a Semir, che ancora non riusciva a proferire parola.
«Però non so dirvi dove mi abbia tenuto
quell’uomo. Era una stanza buia e
quadrata ma non si sentiva nessun rumore dall’esterno e
quando mi ha liberata
mi ha portata prima bendata in centro e solo lì mi ha
lasciato andare perché venissi
in commissariato.».
«Ti ha liberato?» fece Ben corrucciando la fronte
«Ma non sei scappata?».
Aida scosse il capo posando la tazza ancora mezza piena sulla scrivania
«Ha
detto che mi avrebbe liberato perché ha cambiato i suoi
piani e che vi chiamerà
perché ha in mente un gioco...».
«Un... gioco?».
«Sì ma non so altro zio Ben, quell’uomo
non mi ha detto nulla.».
L’ispettore più giovane storse la bocca in una
smorfia di incomprensione «Vai
avanti, principessa.».
«Non è che abbia molto da raccontare, in
realtà. In fondo mi ha trattata bene,
mi dava da mangiare e da bere normalmente e mi lasciava libera di
girare per la
stanza, poi ogni tanto passava a controllarmi. Non mi ha fatto del male
e ha
parlato poco con me, ha solo accennato ad un altro suo ospite.».
A queste parole Semir si irrigidì visibilmente e finalmente
trovò il coraggio
di parlare «Un... un altro ospite?».
«Sì papà, ma non mi ha detto il suo
nome e io non l’ho mai visto.».
L’ispettore annuì ma a Ben non sfuggì
l’ombra di preoccupazione che tornò ad
impossessarsi dei suoi occhi sostituendo la serenità che era
stata l’unico
sentimento alleggiante nell’aria in quell’ultima
mezz’ora.
«Tu sei sicura di stare bene, cucciolo?»
domandò ancora Semir accarezzandole i
capelli.
Aida annuì scendendo dalle ginocchia del padre e guardandolo
negli occhi
«Possiamo andare da Lily e dalla mamma?».
«Ma certo che possiamo, anzi ci andiamo subito. Ben, va bene
se porto Aida a
casa e torno? Lo dici tu alla Kruger?».
Ben annuì comprensivo «Se mi dai retta Semir, tu a
casa ci rimani e passi
l’intero pomeriggio con Andrea e le tue splendide
bambine.» propose facendogli
l’occhiolino.
«Grazie.» sorrise Semir uscendo
dall’ufficio con la figlia per mano.
Comincio
con il
ringraziare tutti voi che state leggendo. Grazie a chi ha
già inserito la
storia tra le seguite o le preferite e a chi ha recensito.
Piccola
parentesi di felicità... riprenderemo presto con agonia e
disperazione
;)
Un
bacione!
Sophie
:D
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Capitolo 3 *** A carte scoperte ***
Due
ore e mezza dopo...
«Cosa
ci fai tu di
nuovo qui?» esclamò Ben corrucciando la fronte
all’entrata del collega in
ufficio.
Semir sorrise sedendosi alla scrivania «Mi
mancavi.».
Il più giovane sorrise a sua volta notando che finalmente
l’amico rispondeva in
modo ironico ad una sua domanda. Quanto gli erano mancati i loro
stupidi
dialoghi, le battute, i battibecchi in quei mesi!
«Sii serio.» protestò mettendo il
broncio.
Semir alzò le spalle segnando con un dito il profilo della
tazza da tè che
aveva usato Aida e che era rimasta lì, immobile sulla
scrivania.
«Aida dorme, era stanchissima. Andrea è felice
come non mai e Lily non fa altro
che saltellare per la casa, se continua così non
lascerà nemmeno chiudere
occhio a sua sorella.».
«E non eravamo rimasti che te ne stavi a casa anche
tu?».
«Sì.» annuì il turco
«Ma poi ho pensato che dovevo parlarti.».
Ben chinò la testa da un lato e appoggiò le mani
intrecciate sulla scrivania,
mettendosi in posizione di ascolto «Mi devo
preoccupare?».
«No ma... ecco, tu mi hai chiesto un sacco di volte, in
questi giorni e anche
prima del carcere, tre mesi fa, di raccontarti di Gehlen ed io non
l’ho mai
fatto, semplicemente perché mi faceva troppo male rivangare
il passato. Ma
adesso penso che si farà vivo, o almeno è quanto
ha detto Aida, quindi è
arrivato il momento di scoprire le carte.».
«Vuoi raccontarmi della morte di Tom?»
intuì il più giovane appoggiandosi allo
schienale della sedia.
Semir annuì.
«Io e lui eravamo davvero tanto amici.»
cominciò, con un sospiro «Lui era
arrivato al comando dopo la morte di Andrè ed era stato
l’unico in grado di
tirarmi su di morale. Abbiamo lavorato insieme per anni ma poi lui ha
lasciato
la polizia a causa della morte della sua fidanzata, che era incinta.
Sono stato
io poi, anni dopo, ad andarlo a ricercare perché mi aiutasse
a risolvere un
caso e Tom finì per recuperare pistola e distintivo e
tornare a far parte della
squadra. Nel frattempo erano cambiate parecchie cose, era passato molto
tempo, io
e Andrea ci eravamo sposati, ma la nostra amicizia tornò ad
essere ancora più
forte di prima. Mentre lavoravo con lui nacque Aida...»
sorrise e fece una
pausa, rendendosi conto che adesso arrivava il punto più
difficile della sua
narrazione.
Ben lo intuì e rivolse all’amico un timido sorriso
di incoraggiamento. Gli
faceva piacere che gli raccontasse come erano andate le cose: in tanti
anni di
servizio accanto a lui aveva intuito quanto fosse stato importante
l’ex collega
per Semir, ma lui non gliene aveva quasi mai parlato apertamente.
«Poi un giorno cominciammo ad occuparci di un caso che
risultò complesso fin
dall’inizio ma che non pensavo avrebbe portato a... a quella fine.»
continuò il turco fissando un punto indefinito alle
spalle del collega «In realtà forse non avremmo
nemmeno dovuto occuparcene noi,
ma ci imbattemmo, fermandolo in autostrada, in un camion che
trasportava
clandestinamente una ragazza cinese, che venne subito trasferita in un
orfanotrofio su ordine del responsabile delle indagini. Quella sera io
e Andrea
avevamo organizzato una festa a casa nostra invitando tutti i colleghi
e
naturalmente anche Tom, che però volle, prima di venire,
andare a controllare
la situazione della ragazza. Andò
all’orfanotrofio, da solo, e scoprì che
alcuni uomini si erano messi sulle sue tracce, quindi provò
a portare la cinese
in salvo ma durante la fuga, appena fuori dall’edificio,
vennero uccisi
entrambi. Io arrivai giusto in tempo per... per salutarlo...»
la voce di Semir si incrinò appena ma l’ispettore
non
esitò a proseguire «Io cominciai a cercare il suo
assassino, convinto che si
trattasse di Chris, che invece era un agente sotto copertura e che poi
sarebbe
diventato il mio nuovo collega. Poi però finalmente riuscii
a capire, anche
grazie proprio a Chris, che in realtà dietro al traffico di
ragazze c’erano
Erik Gehlen e suo padre, e che era stato Erik a sparare a Tom. Non ti
sto a
raccontare come, perché sarebbe lungo e inutile, fatto sta
che io e Chris
arrivammo a quei due e alla fine sparammo a Gehlen da un elicottero,
ferendolo a
morte, o almeno così pensavo, e arrestammo suo
padre.».
Ben annuì mordendosi il labbro inferiore «Ma a
quanto pare Gehlen non è affatto
morto.».
«No. Ma quello che mi preoccupa è
Tom...».
«Tom?».
Semir annuì fissando il collega negli occhi «Ti ho
detto delle analisi di
Hartmut di due settimane fa, no? Lui continua sostenere che siano
assolutamente
corrette.».
«E pensi che sia possibile?» domandò il
più giovane, scettico.
«Fino a poco fa non volevo nemmeno pensarci, ma Aida ha detto
che Gehlen ha
parlato di un ospite, hai sentito? Però no, è
assurdo, è assolutamente
assurdo...».
«Magari è stato sotto copertura, magari
è vivo davvero.» ipotizzò Ben
muovendosi sulla sedia, agitato.
«Ma sono passati otto anni, Ben! A me sembra impossibile, è impossibile!».
Tra i due calò il silenzio, mentre entrambi tentavano di
concentrarsi su cosa
davvero potesse essere successo così tanti anni prima.
I loro ragionamenti furono interrotti dal ritmico bussare di Susanne
alla porta
dell’ufficio.
Ben le fece cenno di entrare e la segretaria aprì la porta
con sguardo a dir
poco terrorizzato.
«Cosa succede Susanne? Sembra che tu abbia appena visto un
fantasma.».
La ragazza non sembrò nemmeno ascoltarlo, rivolgendosi
direttamente all’altro
ispettore «Semir... ha appena chiamato un uomo che sostiene
di essere Erik Gehlen,
vuole parlare con te, te lo passo sulla tua linea.».
Ancora
calma prima
della tempesta. Ma ora entra in gioco Gehlen…
Un
bacio e grazie a chi mi segue e a Tinta, Chiara, Maty, Furia, Reb e
capitanmiki per le recensioni!
Sophie
:D
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Capitolo 4 *** Sì o no ***
Semir prese in
mano la
cornetta del telefono come se questa potesse esplodere da un momento
all’altro.
La portò all’orecchio lentamente, occupando un
tempo che sia a lui sia a Ben
parve infinito, ed esitò ancora prima di parlare, sperando
che il suo tono
sicuro non venisse tradito da alcun tremolio nella voce.
«Pronto?» fece in quello che, suo malgrado,
risultò poco più di un sussurro,
mentre azionava il vivavoce e faceva cenno al collega di chiudere la
porta e di
non parlare.
La risata che giunse dall’altro capo della linea lo fece
rabbrividire.
«Gerkhan? Ma che piacere, quanto tempo...».
«Gehlen.».
«Suvvia, non mi saluti con quella voce arida. In fondo sono
otto anni che non
ci vediamo né ci sentiamo, potrebbe essere un po’
più cordiale con me,
ispettore.».
«Che cosa vuole?».
«Uhm...» fece Erik con voce melliflua
«Provo a indovinare, non sarà mica ancora
irato con me per quell’affaruccio del suo collega?
Eh?».
«L’unica cosa per la quale io potrei essere ancora
irato con me stesso, più che
con lei, è di non essere riuscito a farla fuori otto anni
fa.».
«Vedo che non siamo in vena di gentilezze oggi,
Gerkhan.» commentò ancora
l’uomo «E dire che mi era sembrato di fare un gesto
carino rimandandole
indietro sua figlia sana e salva.».
«Non lo ripeterò ancora: che cosa
vuole?» ripeté Semir stringendo la cornetta
nella mano destra, quasi volesse distruggerla.
«Va bene, va bene.» acconsentì Gehlen
«Giungiamo dritti al punto: penso di
avere una cosa che le appartiene, ispettore.».
Il poliziotto non rispose aspettando che il criminale continuasse e nel
frattempo cercò negli occhi di Ben un po’ di
sostegno.
E lo trovò, come sempre.
«Sa, non sono stato l’unico a salvarmi otto anni
fa, pare che ci sia riuscito
anche il suo amico, Tom Kranich. Peccato che io ne sia venuto a
conoscenza solo
tre mesi fa, altrimenti mi sarei potuto divertire un po’ con
lui molto prima.».
Erik fece una pausa, lasciando che le parole entrassero bene nella
testa del
suo interlocutore, quindi continuò.
«Lei invece non ne sapeva nulla, vero ispettore? Certo, non
che da parte sua
sia stato un bel comportamento quello di nascondere la sua
sopravvivenza al suo
migliore amico. Tuttavia sarebbe bello che vi rincontraste, non trova
Gerkhan?».
«Gehlen, mi ascolti...».
«No, mi ascolti lei Gerkhan. Adesso faremo a modo mio. Ho
organizzato un bel
gioco, sono sicuro che le piacerà. Potrà
partecipare anche il suo collega, anzi
dovrà obbligatoriamente. E dovrà venire con lei
anche sua figlia... diciamo la
più grande, sì, la piccola non sopravivrebbe di
certo. E poi mi pare che la sua
Aida abbia già dimostrato abbastanza coraggio in queste due
settimane, sarà
felice di aiutarla.».
«Ma di che diavolo sta parlando?» sbottò
Semir alzando lievemente la voce e
mandando in frantumi il proposito di rimanere calmo che si era fissato
prima di
alzare la cornetta del telefono.
«Della mia vendetta, Gerkhan. Le offro la
possibilità di venirsi a prendere Tom
Kranich vivo e vegeto ad una sola condizione: che lei giochi con me. E
il gioco
consiste semplicemente nell’attraversare un breve percorso
realizzato
accuratamente da me stesso, che la porterà dritto dritto al
suo ex collega. Se
lo raggiungerà, potrà portarselo via senza
problemi. Ma con lei dovrà portare
anche il suo collega Ben Jager e sua figlia.»
«Lei è pazzo.».
«Le assicuro» fece Gehlen «di essere
perfettamente sano di mente.».
«Lei è pazzo se pensa che io voglia rischiare la
vita mia, di mia figlia e del
mio migliore amico per salvare quella di una persona morta otto anni
fa.».
«Quale parte del concetto “Kranich è
ancora vivo” non le è chiara, Gerkhan?».
«Tom è morto davanti ai miei occhi.»
asserì Semir con tono irremovibile.
«E se io invece le dicessi che il suo amichetto è
qui davanti a me, ora?».
«Le ripeto che non ci credo.».
«Gerkhan, sappia che sta facendo un errore. Anche io dovevo
essere morto e non
lo sono, dopo tutto. E Kranich è ora qui davanti a me ed
è vivo.».
«Benissimo.» disse il turco con un lieve sospiro
«Allora me lo dimostri. Me lo
passi, mi faccia parlare con lui.».
Si sentì un attimo di silenzio dall’altra parte.
«Negativo, Gerkhan. Le regole del gioco le stabilisco io. O
lei si fida di me e
viene a salvarlo, oppure io lo faccio fuori senza problemi. A lei la
scelta.».
Semir deglutì cercando ancora una volta una risposta negli
occhi di Ben, che
però adesso lo guardavano confusi.
«Forza Gerkhan. Lo vuole salvare? Vuole rischiare per riavere
quell’amicizia
speciale di un tempo? Oppure l’ha già dimenticata?
Deve scegliere se provare o
no, ispettore. Semplicemente questo. Solo sì o
no.» lo incalzò Erik sempre con
voce melliflua, ma ferma.
Semir serrò la mascella e strinse ancora la cornetta nella
mano destra.
Guardò il collega di fronte a lui e si morse il labbro con
agitazione.
Ma poi chiuse gli occhi, e pronunciò quella sillaba provando
a non pensarci
più.
«No.».
“No”...
Finalmente
Gehlen entra in gioco attivamente, il che non sarà un bene
ne per
Semir né per Ben.
Grazie
mille a chi continua a seguirmi e a recensire, un bacione!
Sophie
:D
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Capitolo 5 *** I morti non tornano ***
Semir
posò la cornetta
del telefono dopo che Gehlen gli ebbe chiuso la comunicazione in faccia
senza
dargli il tempo di aggiungere altro.
Era bastata quella sillabala, quel semplice “no”,
ed ecco che Erik aveva deciso
che i loro contatti potessero terminare così.
Semir deglutì sedendosi e guardando il collega in cerca di
approvazione, ma
trovò un Ben intento a mordicchiarsi il labbro inferiore
senza sapere cosa dire
né come muoversi.
Gli ci volle qualche istante per capire cosa aveva fatto pronunciando
quella
sillaba.
Poteva aver appena condannato a morte una persona.
Una persona che forse stava ancora aspettando il suo aiuto.
«Semir...» cominciò Ben «Sei
sicuro che... che Tom...».
Semir appoggiò i gomiti sulla scrivania e si prese la testa
tra le mani «Non lo
so... non ci capisco più niente!».
«Mi hai detto prima anche tu che mentre ero in carcere
Hartmut ti aveva detto
che il sangue in quel capannone non era di Aida ma di Tom,
no?» proseguì il più
giovane provando a riflettere, cosa che l’amico in quel
momento non sembrava
essere in grado di fare.
«Ma Ben, Tom è morto! Non può essere
sparito dalla circolazione per otto anni,
non ha alcun senso.».
«Sì ma qui sembra che i fatti parlino piuttosto
chiaro.» continuò a ragionare
Ben «Pensaci: le analisi di Hartmut, la telefonata di Gehlen,
questo ospite
misterioso... Tu l’hai visto proprio morire?».
Il turco annuì «È morto tra le mie
braccia, chiedendomi chi mi avrebbe protetto
da quel momento in poi, quando lui non ci sarebbe più
stato.».
Il più giovane sospirò «Non so, magari
poi si è ripreso.».
«Il medico legale ha accertato la sua morte.»
obiettò Semir.
«Forse è successo qualcos’altro. Forse
il tuo collega voleva far credere a
tutti di essere morto per qualche ragione.».
«Ma per quale ragione? E
poi perché
nasconderlo anche a me? A parte che non può aver fatto tutto
da solo, era
ferito davvero, ti assicuro di essermi dovuto lavare le mani del suo
sangue.».
Ben alzò leggermente le spalle «Comunque sia, non
possiamo essere certi che sia
morto davvero.».
Semir chiuse gli occhi appoggiandosi allo schienale della sedia, ma li
riaprì
subito per evitare che le immagini di quella sera lontana gli
affollassero la
mente.
«Mi stai dicendo che non avrei dovuto rispondere
così a Gehlen?» domandò poi
mentre una strana angoscia cresceva a dismisura dentro di lui.
«Secondo me dovremmo rischiare.» fu la secca,
disarmante risposta.
Ben notò lo sguardo confuso e interrogativo del collega e
provò a spiegarsi
«Gehlen vuole che io e te andiamo a prendere il tuo ex
collega, altrimenti lo
ucciderà. Ma così non solo rifiutando tu
perderesti la possibilità di, se è
vivo, rivedere Tom; rifiutando noi perderemmo per sempre le tracce di
Gehlen! Anche
perché Susanne non è riuscita a rintracciare la
telefonata... Secondo me
dovremmo rischiare, provare a stare al suo gioco e magari incastrarlo
in
qualche modo.».
Semir scosse il capo «Dimentichi che quel pazzo vuole che ci
portiamo dietro
Aida e io non voglio rischiare che le accada qualcosa, è
appena uscita da più
di due settimane di prigionia con lui.».
«Ma Semir, davvero vuoi lasciare che Tom venga ucciso senza
nemmeno provare a
salvarlo?».
«Ben... per quanto mi riguarda Tom è morto otto
anni fa... e i morti non
tornano dall’aldilà.».
«Semir, ascoltami...».
«No.» fece il turco alzandosi e cominciando a
girare nervosamente per la stanza
«Ascoltami tu. Non rischio la vita del mio migliore amico e
di mia figlia per
salvare quella di un mio ex collega morto. E vuoi sapere di
più? Per me Tom è
morto nello stesso esatto istante in cui ha deciso di farmi credere che
lo
fosse davvero.».
«Semir, tu non pensi queste cose davvero, sei solo arrabbiato
e hai paura. Ma
sono sicuro che se adesso Tom fosse qui, nonostante tutto tu ne saresti
felice.» ribatté Ben alzandosi a sua volta
«Dammi retta, dobbiamo tentare.
Staremo attenti ad Aida, ti prometto che non le accadrà
nulla.».
Semir scosse il capo senza rispondere e guardando il cielo attraverso
il vetro
della finestra. Stava diventando sempre più scuro, di
lì a poco avrebbe
cominciato a piovere e il sole splendente di poche ore prima presto
sarebbe
diventato solo un ricordo.
«Dammi retta...» ripeté il
più giovane avvicinandosi a lui.
Gehlen rise
girando per
la stanza buia.
«Che cosa credi? Di aver vinto davvero?» fece una
voce alle sue spalle.
Erik si voltò andando ad incontrare lo sguardo del suo
prigioniero, legato ad
una sedia in mezzo alla stanza.
«Il suo amichetto a quanto pare non si preoccupa troppo per
lei...» disse il
criminale, continuando a sghignazzare.
L’uomo legato strinse i pugni con forza «Tu sei un
maledetto...».
«Shh!» lo zittì Gehlen «Non
infierisca, ispettore. Posso ancora chiamarla così,
non è vero?».
«Non dovevi uccidermi? Eh? Perché non lo fai?
Semir ha detto che non verrà...
perché non mi uccidi?».
«Quanta fretta... Diciamo che ho deciso di dare al turco
un’altra possibilità...».
Così dicendo Erik afferrò il cellulare e compose
di nuovo, con calma, il numero
del comando.
«E
anche se volessi?» fece infine Semir «Non so come
ricontattare Gehlen.».
Ma non finì di pronunciare la frase che Susanne dalla porta
a vetri gli fece
cenno di avvicinarsi alla cornetta del telefono.
Aveva appena passato un’altra chiamata sulla linea del loro
ufficio.
Sì
o no, sì o no...
boh!Forse Ben ancora non ha capito che razza di persona sia Gehlen...
Grazie
ancora a tutti coloro che mi seguono e a Furia, Maty, Chiara, Tinta,
Rebecca, Chlo, Miki per le recensioni, un bacione!
Sophie
:D
|
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Capitolo 6 *** Paura ***
Semir
afferrò la
cornetta per la seconda volta come se pesasse centocinquanta chili.
In verità era stato tentato di non rispondere direttamente
ma l’occhiata che
Ben gli aveva lanciato intuendo i suoi pensieri gli aveva fatto
cambiare idea.
«Pronto?».
Il suo tono era più stanco che determinato e il
più giovane lo notò, gli
appoggiò una mano sulla spalla per incoraggiarlo e
attivò il vivavoce al suo
posto.
Allora le note della perfida risata di Gehlen si diffusero
nell’aria chiusa
della stanza.
«Allora Gerkhan, contento di risentirmi così
presto?».
La domanda cadde nel vuoto.
Semir non aveva nemmeno intenzione di dargli la soddisfazione di
rispondere.
«Scommetto che ha riflettuto su quello che le ho
proposto.» continuò l’uomo
«Immagino con il suo collega Jager che in questo momento mi
starà
ascoltando...».
Ben sospirò.
Non aveva mai visto quel criminale ma pensava di aver capito
perfettamente di
che tipo di persona si trattasse.
«Gehlen, che cosa vuole ancora?» intervenne secco
il più giovane.
«Oh Jager, ecco, finalmente ho il piacere di
conoscerla.» fece Erik,
compiaciuto «Allora, avete ripensato alla mia
proposta?».
Semir fece un sospiro e si appoggiò allo schienale della
sedia «Perché tutto
questo, Gehlen?» domandò poi semplicemente.
Di nuovo dalla cornetta uscì una risata malvagia che si
insinuò fastidiosamente
nella testa dei due ispettori.
«Perché? Credevo fosse chiaro il
perché, Gerkhan. Lei otto anni fa mi ha
ucciso.».
«Se lo avessi fatto sarebbe stato molto meglio.»
puntualizzò il turco.
«Comunque quello era il suo intento, o sbaglio? Io voglio
semplicemente
vendicarmi...» continuò il criminale con voce
melliflua.
«Allora vediamoci noi due soli e facciamola
finita.» propose Semir, facendo
finta di non notare l’eloquente occhiata di rimprovero del
collega,
terrorizzato all’idea di dover lasciare l’amico in
pasto a quell’uomo.
«Negativo, Gerkhan. Le ho detto che ho preparato un gioco. Le
regole le
stabilisco io. Suvvia... so che in fondo lei non vede l’ora
di scoprire se il
suo ex collega è effettivamente vivo oppure no. Giochi con
me, sarà divertente,
glielo assicuro.».
«Voglio una garanzia.» disse l’ispettore.
«Negativo di nuovo.».
«Allora se lo scordi, Gehlen.».
Nella stanza calò il silenzio e Ben cercò una
qualsiasi scusa per prendere in
mano la situazione prima che il criminale riattaccasse, magari questa
volta per
non richiamare mai più.
«In cosa consisterebbe questo gioco?» chiese.
«Vedo che è interessato, Jager. Un percorso. Un
percorso semplice semplice
ideato apposta per voi. Vi spiegherò tutto a tempo debito,
voi dovreste solo
venire domani alle 18.00 alla vecchia fabbrica aldilà del
Reno, quella vicino
ai capannoni dove il vostro scienziato pazzo aveva identificato il
sangue di
Kranich.».
«Gehlen... sappia che non se la caverà tanto
facilmente.» sibilò Semir fissando
un punto indefinito davanti a sé e stringendo la cornetta
del telefono.
«Lo prendo per un “sì”,
Gerkhan. Porti la bambina e niente scherzi o Kranich è
morto... Conto su di lei.» rispose Erik con un mezzo sorriso
«E, dimenticavo,
non cerchi di rintracciare la telefonata, sarebbe inutile, sto usando
un
telefono criptato. A presto, ispettore.».
Poi riattaccò semplicemente.
Semir
staccò la
cornetta dall’orecchio e si voltò verso la porta
di vetro per incrociare lo
sguardo di Susanne, che però gli fece un cenno negativo con
il capo: Gehlen
aveva detto la verità, di nuovo non era riuscita ad
intercettare la telefonata.
L’ispettore posò quindi il telefono e
sospirò guardando il collega «Temo che
sia una follia.».
«Staremo attenti ad Aida, non le accadrà
nulla.» ripeté Ben provando a sembrare
convincente.
«Temo che sia una follia comunque. Pensi che quel pazzo una
volta terminato il
suo percorso ci lasci andare come se nulla fosse successo?».
«Ce la caveremo...».
«Non lo so.» fu il commento di Semir prima che
entrambi si alzassero e si
dirigessero nell’ufficio della Kruger per metterla al
corrente dei fatti.
Dovettero raccontarle tutto di Gehlen e di Tom e solo in un secondo
momento
passarono a raccontarle delle due telefonate e del gioco di Erik.
«È una follia.» fece Kim intrecciando
pensierosa le mani sulla scrivania.
«Mi creda commissario, sono perfettamente d’accordo
con lei.» replicò Semir con
un sorriso amaro «Ma non penso ci sia un altro modo per
arrivare a quel
bastardo.».
«È la sua priorità, non è
vero Gerkhan?» domandò la donna a bruciapelo.
«Cosa?».
«Arrivare a lui. Toglierlo di mezzo.».
«Avrei dovuto farlo già molto tempo fa.».
«Sì ma consideri che qui si tratta di mettere in
pericolo sia la sua vita, sia
quella di Jager, sia e soprattutto quella di sua figlia.».
«Capo, non abbiamo altro modo per arrivare a lui!»
intervenne Ben «Sappiamo
bene quanto sia rischioso ma se non andiamo Gehlen sparirà
per sempre e Tom
Kranich, se è ancora vivo, verrà
ucciso.».
«Altrimenti potremmo provare a presentarci direttamente senza
Aida.» propose
Semir, titubante.
«Non penso che ci lascerebbe fare come se niente
fosse.» obiettò il più giovane
storcendo appena le labbra.
«Lo so ma Ben, io non me la sento...».
«Ascoltatemi.» si intromise la Kruger con un lieve
sospiro «Avete ragione. Potete
scegliere come fare per la bambina, anche se personalmente dubito che a
lui vada anche bene che voi non la
portiate. In ogni caso io vi doterò di ricetrasmittenti,
giubbotto
antiproiettili e una squadra speciale pronta appena fuori dalla
fabbrica. Se
Gehlen uscirà dall’edificio cadrà
direttamente nelle nostre mani.».
«Pensa davvero che serviranno? Ci farà togliere i
giubbotti ancora prima di
entrare.» affermò Semir girando irrequieto per la
stanza.
«Tanto vale tentare, se vi minaccerà ordinandovi
di toglierli, li toglierete.».
«Va bene.» accordò Ben lanciando poi
un’occhiata verso il collega, che annuì a
sua volta.
«Sì, va bene...».
«Gerkhan, si faccia forza, andrà tutto per il
meglio.» disse il commissario con
un sorriso sincero.
«Lo spero. Lo spero davvero.».
«Assolutamente
no!»
gridò Andrea con quanto fiato aveva in gola.
«Andrea, ti prego, di questo passo sveglierai le
bambine.» mormorò Semir lanciando
un’occhiata all’orologio, che segnava ormai le
21.47.
Una volta tornato a casa aveva parlato ad Andrea della telefonata di
Gehlen e
del suo piano e la sua reazione non era stata affatto delle migliori.
«Non me ne frega niente, Semir! Meglio che si sveglino ora ma
che domani siano
ancora entrambe vive, non credi?».
«Ma cosa dovrei fare secondo te? Pensi che sia contento di
far correre questo
rischio ad Aida?».
«Tu non le vuoi far correre un rischio, tu vuoi condannarla a
morte!» ribatté
la donna alzando ancora il tono di voce.
«Andrea, senti, almeno siediti e parliamone in modo
normale.» fece Semir
trascinando la moglie sul divano «Io non voglio condannare a
morte proprio
nessuno e tantomeno nostra figlia, ma non so come altro arrivare a
Gehlen e questo
lo sai anche tu.».
«E allora non arrivarci! Lascialo perdere! È un
criminale come molti altri, non
puoi pretendere di poterli sbattere in galera tutti, lascialo
perdere.».
«Lui un criminale come
molti altri? Lui?».
«Semir, pensi che a me non abbia fatto male la morte di Tom
otto anni fa? Pensi
che io non voglia quel bastardo in galera tanto quanto te? Ma questo
non vuol
dire che ci debba andare di mezzo Aida.».
«Ma se Tom fosse vivo? Capisci che non andando lui lo
ucciderebbe? E se va bene
poi ci farebbe anche ritrovare il suo cadavere, vero questa volta. Io
non ce la
faccio, non di nuovo.» fece Semir provando a far ragionare
Andrea, che però
aveva le lacrime agli occhi, era terrorizzata e non sembrava nemmeno
ascoltarlo.
«E preferiresti che a fare quella fine fosse Aida?».
«Non permetterò che le accada qualcosa.»
«Come hai fatto con Tom?».
Nella stanza calò il silenzio.
Semir si alzò dal divano dando le spalle alla moglie, mentre
la rabbia mista al
senso di colpa e alla paura gli attanagliava lo stomaco.
Andrea si alzò raggiungendolo al centro della stanza
«Scusami, non volevo dire
questo. È che io ho paura, Semir.».
L’ispettore si voltò guardandola negli occhi,
occhi che ora lanciavano fiamme «Anche
io ho paura. Ho una paura enorme, Andrea. Ho paura di fare la cosa
sbagliata,
ho paura che Tom sia ancora vivo e che Gehlen lo uccida, ho paura che
succeda
qualcosa ad Aida, a Ben. Ho paura di non andare
all’appuntamento e poi
pentirmene ma ho paura anche di andarci. Pensi che io non mi sia posto
il
problema di Aida? Pensi che non sia terrorizzato all’idea che
quel bastardo la
possa anche solo sfiorare?» quasi gridò per poi
allontanarsi da lei e tornare
sul divano, prendendosi la testa tra le mani.
«Deve esserci un’altra soluzione.».
Semir scosse il capo.
Poi si alzò nuovamente, afferrò il cellulare e
compose in fretta il numero di
Ben.
«Ben? Sono io... ascoltami, ci ho pensato... non so cosa
deciderà di fare
Gehlen, ma domani andiamo solo noi due, Aida non viene.».
Il dado è
tratto!
Semir
alla fine ha deciso, ragionevolmente direi, di non portare la piccola.
Ma
siamo sicuri che a Gehlen la cosa vada bene?
Un
bacione e grazie mille a voi che continuate a seguirmi, tra poco si
passa
all’azione!
Sophie
:D
|
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Capitolo 7 *** No! ***
«NO!»
gridò Semir
mettendosi a sedere sul letto all’improvviso, con la fronte
madida di sudore e
il terrore dipinto negli occhi.
Andrea si svegliò di soprassalto e accese in fretta la luce
«Semir, che succede?».
L’ispettore respirò provando a riprendere fiato,
mentre il cuore ancora gli
batteva all’impazzata «Tom... Ben...»
mormorò in preda al panico, tremando come
una foglia.
«Semir, calmati, era solo un incubo... solo un incubo, non
è successo niente,
stai tranquillo.».
«Andrea... Tom... Tom è vivo davvero. Io... io
l’ho sognato, lo sento che è
vivo! Non posso non andare, Tom è vivo!».
«Infatti andrai, ti sei già messo
d’accordo con la Kruger, ricordi? Ora però
devi calmarti. Sono solo le quattro e mezza e tu hai bisogno di
dormire.».
Semir riappoggiò la testa sul cuscino riprendendo a
respirare normalmente e
Andrea si sdraiò abbracciata a lui e spense la luce.
«Andrà tutto bene...».
13
ore dopo, 13 settembre, 17.23.
Semir scese
dalla
macchina, chiuse lo sportello e si appoggiò al cofano a
braccia conserte.
Ben scese dal lato del guidatore e lo raggiunse con un sorriso
«Allora, sei
pronto?» mormorò.
«No, per niente.».
«Fantastico.».
Si trovavano nell’ex zona industriale di cui aveva parlato
Gehlen il giorno
prima ed erano in anticipo di più di mezz’ora.
Ben provava a stare tranquillo e a tenere a freno il collega, che
invece aveva
i nervi a fior di pelle e proprio non riusciva a fingere di non essere
preoccupato.
Sussultò quando sentì il suo telefono squillare e
rispose in quello che risultò
poco più che un sussurro, facendo cenno all’amico
di ascoltare.
«Sì?».
«Gerkhan, sono io. Metta il vivavoce.».
Semir annuì e si avvicinò di più al
collega in modo che potesse sentire anche
lui.
«Dunque, vedo con piacere che siete arrivati in anticipo. Ma
noto, soprattutto,
che non avete la mocciosetta con voi. Dov’è? Non
pensate di fregarmi, sbirri.».
I due ispettori si guardarono intorno tentando di capire dove si
potesse
nascondere l’uomo per riuscire a seguire nel dettaglio tutti
i loro movimenti
senza essere visto.
«È in macchina.» mentì Semir
nella disperata speranza che Gehlen ci credesse e
smettesse di controllarli a vista «Ora ci dica quello che ci
deve dire e
iniziamo.».
«Nervoso, Gerkhan?» fece Erik con voce viscida
«Le consiglio di darsi una
calmata, o parte già in svantaggio, mi creda. Allora,
innanzi tutto toglietevi
sia giubbotti antiproiettile sia ricetrasmittenti, se pensavate di
fregarmi
così mi dispiace ma vi sbagliavate di grosso.».
«Detto ciò» continuò
«sappiate che la squadra speciale che vi sta per
raggiungere avrà un piccolissimo incidente di percorso e,
quando arriverà, voi
sarete già lontani. E soprattutto, quando e se vi
troveranno, sarà già tutto
finito. Eh sì, ho preso le mie precauzioni, il percorso non
si svolgerà qua ma
a una quindicina di chilometri di distanza, sempre nella zona
industriale. Ora
prendete quel telefono che vedete per terra dietro di voi a una ventina
di
metri di distanza e gettate i vostri nell’erba
alta.».
Gli ispettori buttarono via contemporaneamente i cellulari e Ben corse
a
prendere il telefono che aveva indicato Gehlen e aprì la
comunicazione
rispondendo alla chiamata già in arrivo su quel nuovo
dispositivo.
«Benissimo.» continuò il criminale
compiaciuto «Ora salite di nuovo sulla
vostra macchina e proseguite sulla strada principale per sette
chilometri, nel
frattempo vi spiegherò le regole del gioco. Ah dimenticavo,
togliete la radio
dall’auto e gettatela a terra.».
I due salirono in macchina e fecero come Erik aveva ordinato.
Quindi Ben partì a tutto gas continuando ad ascoltare le
informazioni di
Gehlen, mentre Semir, senza fiatare, reggeva il telefono tra le mani.
«Perfetto, ora ascoltatemi. Quello che troverete una volta
arrivati a
destinazione sarà un vecchio capannone in disuso che io ho
modificato a mio
piacimento, e vi assicuro che mi è servito tempo e denaro
per farlo. Vi saranno
due entrate distinte, dovrete dividervi e scegliere chi si
porterà dietro la
mocciosetta, che spero vivamente abbiate davvero portato con voi, cosa
che
comunque scoprirò presto. Entrambi troverete un corridoio
che scende
leggermente di livello e poi una stanza. In quella stanza,
contemporaneamente,
dovrete superare due prove differenti e solo se le supererete passerete
alle
stanze successive. Sono cinque stanze ciascuno e il percorso
sarà da svolgere
tutto separato, vi rincontrerete, se ci arriverete vivi, solo alla
fine, dopo
l’ultima prova.».
All’interno dell’auto non volava una mosca. La
tensione era tangibile e i due
poliziotti non avevano il coraggio di interrompere il lungo monologo di
quel
pazzo, che assaporava ogni parola provando uno strano senso di pace e
soddisfazione nello spiegare alle sue vittime il suo originale gioco
fatale.
«Infatti, i due percorsi si uniranno in un’unica
stanza. In questa stanza
troverete una porta, che potrete aprire con un codice, e al suo interno
vi
aspetterà Tom Kranich vivo e vegeto. Ogni stanza
è dotata di un moderno sistema
di altoparlanti, per cui io potrò comunicare con voi
tranquillamente e tutto
quello che dirò sarà sentito sia da lei, Gerkhan,
sia da Jager. Tutto chiaro?
Ecco, svoltate a destra ora e proseguite fino al cartello rosso, quindi
svoltate a sinistra, nascondete l’auto tra gli alberi e
raggiungete a piedi il
piazzale antistante il capannone.».
I due fecero tutto ciò che l’uomo aveva ordinato e
raggiunsero il luogo
stabilito, sempre con il telefono con la comunicazione aperta in mano.
Quando furono nel piazzale, si fermarono e aspettarono nuovi ordini.
«Bene, siete arrivati. Ora dividetevi ed entrate. Gettate
questo telefono, non
vi servirà più. Dov’è la
mocciosa?».
Nessuno rispose.
«Jager, Gerkhan, dov’è la
mocciosa?» ripeté l’uomo
dall’altro capo della linea,
scandendo bene ogni parola.
«Sperava davvero che le avrei fatto rischiare la vita
così inutilmente?» fece
ad un tratto Semir, sempre guardandosi intorno nel tentativo di
scorgerlo.
«E lei spera davvero che io vi faccia proseguire come se
niente fosse? Mi
pareva di essere stato chiaro. Niente mocciosa, niente percorso, niente
Kranich. Peccato.» sibilò Gehlen ostentando
sicurezza.
Ben e Semir udirono dall’altra parte il rumore di una sicura
tolta dalla
pistola e si prepararono a sentire lo sparo...
«Dica “ciao” al suo amico Gerkhan... sta
per morire di nuovo, e senza ritorno
questa volta.».
Il turco chiuse gli occhi attendendo il colpo e strinse il telefono
come se
potesse con quel gesto fermare lo sparo.
Tom era vivo.
Tom era vivo e stava per morire a causa sua...
«No!» gridò una voce nitida alle spalle
dei due ispettori.
Entrambi si voltarono, e contemporaneamente sgranarono gli occhi,
increduli.
Il gioco di Gehlen sta
per cominciare!
Grazie a tutti
voi che continuate a seguirmi e a recensire, ora si entra nel
vivo...
Un bacione!
Sophie :D
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Capitolo 8 *** Prima prova ***
«A...
Aida...» balbettò
Semir, senza sapere se dover cadere definitivamente nel panico oppure
se essere
felice della comparsa della figlia.
«Papà, ho sentito te e la mamma discutere ieri
sera... so tutto, per questo vi
ho seguito.» spiegò la bambina uscendo dalla
macchina e chiudendo lo sportello.
«Principessa...» mormorò Ben temendo che
il collega andasse in escandescenza
«Vieni qui.» sussurrò facendola
avvicinare.
«Oh, perfetto.» fece la gelida voce di Gehlen di
cui momentaneamente i
poliziotti si erano dimenticati «Ringrazi sua figlia se non
ho sparato,
Gerkhan. Ora dividetevi come vi ho detto e iniziate questo percorso... ora! A meno che lei non preferisca
lasciare
la mocciosetta qua fuori tutta sola... a portata di mano dei miei
uomini.».
«Bastardo!» Semir gettò il cellulare a
terra in uno slancio di rabbia, e la
voce del criminale scomparve immediatamente.
«Aida, porca miseria, ma che diavolo ti è venuto
in mente? Eh?» gridò mentre la
bambina si rifugiava tra le braccia di Ben.
«Io volevo solo... solo...».
«Solo cosa? Non è un gioco questo, hai capito? Non
è un gioco!».
«Ma papà io... tu...».
Semir scosse il capo stringendo i pugni e fissando la figlia con occhi
che
lanciavano fiamme.
«Semir, calmati ti prego, lei non poteva sapere, non
è colpa sua. Ora ti devi
calmare.» intervenne Ben difendendo la bambina.
«Calmarmi?» fece il turco mentre la voce gli si
incrinava dalla disperazione
«Ma come faccio a calmarmi? Come posso calmarmi? Ora non
possiamo lasciarla
qui, quel porco se la verrebbe a prendere!».
«Infatti faremo il percorso tutti e tre e andrà
tutto bene, ma tu prima devi
calmarti, perché altrimenti non concluderemo proprio
nulla.».
«Papà...» mormorò Aida
avvicinandosi a lui «Scusa... io volevo solo aiutare in
qualche modo te e lo zio Ben e quando ho sentito che tu e la mamma
parlavate di
questo incontro e di me... scusami...».
Semir abbracciò la bambina e la guardò negli
occhi, provando a calmarsi come
gli aveva intimato l’amico.
Aveva perfettamente ragione.
«Va bene... va bene cucciolo, stai tranquilla, andiamo. Ben,
sei pronto?»
domandò poi rivolto al collega.
«Semir, sei tu che non sei ancora pronto.» sorrise
Ben «Dai, andrà tutto
bene.».
Semir alzò le spalle, lo sperava.
17.47.
Il luogo era totalmente deserto e davanti a loro le due porte di
metallo lucide
contrastavano con l’apparenza antica del capannone.
«Zio Ben, posso venire con te?» domandò
Aida dopo qualche attimo, squarciando
il silenzio.
«No.» rispose il turco in automatico al posto del
collega «Cucciolo, tu vieni
con me, non appena abbiamo finito tutto rivediamo Ben, va
bene?».
L’ispettore più giovane annuì con un
mezzo sorriso «Sì principessa, vai con
papà, è meglio. Sarà una cosa veloce,
vedrai.».
Non che non si fidasse dell’amico, al contrario era la
persona di cui si fidava
di più in assoluto, ma Semir aveva voluto tenere Aida con
sé per evitare che
Ben si caricasse eventuali sensi di colpa in futuro. E, forse, anche
perché
l’idea di poterla controllare direttamente lo rendeva un
po’ più tranquillo.
«Andiamo?» propose quindi.
«Andiamo, socio.» rispose Ben «Ciao
principessa, ci vediamo dopo.».
Aida sorrise annuendo e i due ispettori si scambiarono un
“batti cinque” con
forza.
Quindi si fissarono negli occhi per un ultimo istante ed aprirono le
rispettive
porte, richiudendosele poi alle spalle.
Come aveva
preannunciato Gehlen, il corridoio scendeva leggermente di livello. Era
stretto
e totalmente buio.
Aida afferrò la mano del padre e non emise un fiato fino a
quando entrambi non
furono arrivati ad un’altra porta di metallo, da cui filtrava
un po’ di
luce.
«Pronta, cucciolo?» domandò Semir
abbassandosi per guardare negli occhi la
bambina, che annuì con aria decisa. Era coraggiosa,
straordinariamente
coraggiosa per la sua età. L’ispettore avrebbe
giurato che un’altra bambina al
suo posto lo avrebbe pregato di uscire urlando di avere paura, ma lei
invece
non sembrava terrorizzata, curiosa piuttosto.
Improvvisamente una voce metallica riempì il silenzio con
una specie di risata
che fece rabbrividire entrambi.
«Dunque» fece
Gehlen attraverso gli
altoparlanti «Siete arrivati davanti
alla
porta della prima stanza. Qui svolgerete la prima prova.
Sarà divertente, non
temete. Aprite... e che il gioco cominci.».
«Fai sempre tutto quello che ti dico io, chiaro
Aida?» fece Semir rivolto alla
figlia «Sempre e solo quello che ti dico io.».
«Va bene papà.».
«Okay...».
Il turco schiacciò un pulsante e la porta scorrevole si
aprì per poi
richiudersi automaticamente alle loro spalle. I due si trovarono
all’interno di
una stanza quadrata dalle pareti lisce e metalliche, che assomigliava
ad una
specie di contenitore ermetico a forma di cubo.
Avanzarono fino a trovarsi al centro della stanza, sempre per mano,
attendendo
che accadesse qualcosa.
E poi lo udirono.
Un rumore, prima lontano e poi sempre più forte.
Si guardarono intorno e solo allora Semir si accorse di due buchi
laterali
sulle pareti e capì che il rumore che progressivamente stava
aumentando veniva
da lì.
«Acqua...».
Dopo aver
percorso lo
stretto corridoio, Ben schiacciò il pulsante luminoso sulla
parete di fronte a
lui e una volta che la porta si fu aperta e poi richiusa alle sue
spalle, si
meravigliò di ritrovarsi in una stanza ancora più
buia dell’ambiente
precedente.
Non vedeva nulla, se non la timida luce a qualche metro di distanza che
indicava la porta di passaggio per la stanza successiva.
Ignaro di cosa dovesse fare, si avvicinò con circospezione
al centro della
stanza, camminando lentamente ed emettendo il minimo rumore possibile.
Si fermò solamente quando sotto al suo piede sinistro
sentì qualcosa...
qualcosa di lungo e circolare, sembrava una corda o qualcosa del genere.
Ma non ebbe nemmeno il tempo di provare a capire di cosa si trattasse,
che la
corda improvvisamente gli cinse la caviglia e cominciò a
stringersi sempre di
più attorno ad essa, tanto da costringerlo ad urlare.
Sempre nel buio più totale, Ben si accucciò
portando le mani alla caviglia per
provare a slegarsi ma un’altra fune venuta da
chissà dove gli si attorcigliò
intorno al polso destro e un’altra, come lanciata da un uomo
che lui non poteva
vedere, gli cinse la vita con forza.
L’ispettore cominciò a dimenarsi sul pavimento
provando a sottrarsi alla
stretta con il braccio e la gamba ancora liberi, ma ben presto anche la
seconda
caviglia venne imprigionata.
Le corde si stringevano sempre di più, tagliandogli la pelle
e provocandogli
dolori lancinanti in tutto il corpo.
Urlò e si dimenò ancora ma non ottenne nessun
risultato.
«Mapporca!»
imprecò Semir notando che l’acqua gli era ormai
arrivata alle ginocchia.
Continuava ad uscire dalle bocche a lato sulle pareti in flutti che a
lui
parevano sempre più abbondanti e irrefrenabili.
In non molto tempo sarebbero stati letteralmente con l’acqua
alla gola.
«Papà, cosa facciamo?» gridò
Aida preoccupata alzandosi sulle punte nel vano
tentativo di bagnarsi un po’ meno.
«Non lo so cucciolo, aspetta, adesso mi faccio venire in
mente qualcosa.».
Ma per quanto si sforzasse, al poliziotto non veniva in mente proprio
nulla.
Non c’erano aperture in quel cubo di metallo, non avevano via
di scampo e
l’acqua continuava ad alzarsi.
Semir prese Aida in braccio notando che alla bambina nel frattempo
l’acqua era
arrivata al petto.
Saliva velocemente, troppo velocemente...
Quando una corda
si
attorcigliò intorno alla gola di Ben e cominciò a
stringersi sempre di più, il
giovane ispettore cominciò seriamente a pensare che sarebbe
morto soffocato.
Era praticamente immobilizzato a terra e provava a tenere distanziata
la fune
dal suo collo con le dita della mano ancora libera ma senza molto
risultato.
Nel frattempo continuava a scuotere le gambe, dimenandosi come un
animale
caduto nell’imboscata di un bracconiere.
La corda attorno al collo si stringeva, si stringeva, si stringeva...
Ben cominciò a fare veramente fatica a respirare e la vista
piano piano gli si andò
offuscando...
Fu solo allora che vide qualcosa di luminoso e lampeggiante attaccato
alla
parete di fronte a lui: un timer.
Segnava venti secondi... doveva resistere ancora per venti,
interminabili
secondi...
Aida
gridò agitandosi
nell’acqua e annaspando per rimanere a galla.
Ormai l’acqua aveva riempito quasi tutta la stanza e Semir e
la bambina
nuotavano con la vana speranza che quelle due bocche cessassero di
sputare
liquido prima che loro fossero morti annegati.
Semir trovò un appiglio al soffitto, che ormai toccavano
facilmente, una
sottile maniglia di metallo a cui fece aggrappare Aida
perché non si dovesse
stancare troppo continuando a stare a galla.
Continuò a guardarsi intorno disperato, quando finalmente
vide una cosa, una
cosa che si domandò come avesse fatto a non notare prima.
Si vedeva male a causa dell’acqua che lo separava da essa
ma... sì, era una
botola metallica, sul fondo di quella che ormai stava diventando una
vasca di
morte.
Come aveva potuto non vederla, prima, sul pavimento della stanza ancora
asciutta?
«Aida, tieniti alla maniglia, non staccarti mai.»
gridò.
La bambina annuì terrorizzata nonostante l’acqua
le arrivasse ormai
praticamente alla gola e la sua testa fosse a due centimetri dal
soffitto della
piccola stanza. L’acqua continuava a uscire.
Dovevano avere ancora pochissimi minuti.
Semir prese un respiro e si immerse, nuotando fino al pavimento e
aggrappandosi
alla piccola e scomoda maniglia della botola nel tentativo di aprirla.
Provò e provò, trattenendo il fiato, consapevole
che presto sarebbe dovuto
risalire a prendere ossigeno, perdendo però altro tempo.
Era bloccata.
La botola non si apriva.
Prima
prova... la
supereranno i nostri eroi?
Come
cominciare l’anno nuovo in maniera rilassante...
Grazie
mille a chi continua a seguirmi e a recensire e un bacione!
Sophie
:D
|
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Capitolo 9 *** La legge degli opposti ***
Tirò,
tirò con quanta forza aveva in corpo, ormai senza ossigeno
da troppo tempo.
Sperava solo che Aida non fosse stata ancora totalmente immersa
dall’acqua.
Tirò ancora quella maledetta maniglia metallica che proprio
non voleva sapere
di aprirsi... e poi, finalmente, sentì uno scatto.
Ormai sfinito e in cerca di ossigeno, Semir mollò la presa e
raggiunse la
superficie, spalancando la bocca per assimilare più aria
possibile non appena
fu fuori dall’acqua.
Sospirò poi di sollievo vedendo Aida sana e salva ancora
aggrappata alla
sporgenza sul soffitto della piccola stanza e l’acqua che
lentamente scendeva
di livello convogliandosi verso quella piccola botola ora spalancata.
Ce l’avevano fatta.
00:05
00:04
00:03
00:02
00:01
Le corde si allentarono e per un lungo istante a Ben parve di non
sentire
nulla, assolutamente nulla.
Poi, lentamente, i suoi sensi ricominciarono a riprendersi e il giovane
ispettore aprì gli occhi, sorprendendosi di essere ancora
vivo e soprattutto,
anche se a fatica, di riuscire finalmente a respirare.
Gli sembrava che quella prova fosse durata ore, quando in
realtà probabilmente
si era svolto tutto in un paio di minuti.
Ma era finita, ed era vivo.
L’aveva superata.
«Jager, Gerkhan,
complimenti.» esordì
ad un tratto la voce metallica che entrambi potevano sentire «Avete superato splendidamente la prima
prova. Ora dirigetevi verso la prossima stanza... sarà
divertente.».
Sia Ben che Semir e Aida, contemporaneamente ma in luoghi
diversi, dopo
qualche attimo che sfruttarono per riprendersi, si diressero a passo
insicuro
verso la seconda porta e premettero titubanti il pulsante di apertura.
Semir
prese nuovamente per mano la figlia ed entrò nella seconda
stanza temendo
quello che avrebbe trovato.
Si stupì a provare, appena entrato, un freddo incredibile.
Pensò che fosse
dovuto ai vestiti fradici.
Poi guardò le pareti della stanza in cui ora si trovavano e
il termometro
appeso davanti ai suoi occhi gli chiarì la situazione: erano
dentro ad una
specie di cella frigorifera.
Ben
entrò zoppicando nella seconda stanza, cominciando
seriamente a dubitare che
sarebbe uscito vivo da quel percorso.
L’afa che lo accolse gli fece subito pensare al peggio e
quando lo sguardo gli
cadde sul piccolo apparecchio appeso alla parete alla sua destra, il
giovane
ispettore non poté fare altro che emettere un sospiro a
metà tra l’esausto e
l’impaurito.
La temperatura lì dentro era in progressivo aumento.
«Bene
bene, benvenuti nella seconda
stanza, ispettori. Lei, Jager, dovrà avere a che fare con
una temperatura
piuttosto elevata... spero che riesca a resistere. Lei invece, Gerkhan,
al
contrario, con una temperatura... polare. Ma dato che sono stato
magnanimo,
all’angolo destro della stanza troverà due
magliette e due felpe per lei e sua
figlia, vi conviene spogliarvi dei vestiti bagnati se non volete
assiderarvi
più in fretta. Ah, quasi dimenticavo: potrete passare alla
stanza successiva
solo quando il pulsante d’ingresso si illuminerà,
fino ad allora non potrete
fare altro che provare a resistere. Carina l’idea, non
trovate? Freddo e
caldo... la legge degli opposti... Buona fortuna!»
concluse la voce di Gehlen accompagnata dalle fastidiose note della sua
risata
malata e crudele.
Aida
si avviò verso i quattro indumenti ammucchiati a terra in un
angolo e rivolse
uno sguardo interrogativo verso il padre «Ce li mettiamo,
papà?».
Semir annuì, raggiungendo la figlia e togliendole la giacca
fradicia e la
maglietta, per infilarle il più velocemente possibile
maglietta e felpa pulite.
La bambina rabbrividì a contatto con l’aria gelida
della stanza ma non si
lamentò, limitandosi invece a guardare in silenzio il padre
che faceva altrettanto
con gli indumenti puliti.
L’ispettore lanciò quindi un’occhiata al
termometro, notando che la temperatura
continuava a scendere: -1°C.
Semir sentì qualcosa che gli attanagliava lo stomaco e
diresse preoccupato lo
sguardo sulla figlia: era sicuro di aver letto tempo prima che se non
protetti
si poteva incorrere in ipotermia già a partire dai
10°C e che i soggetti più a
rischio erano gli anziani e i bambini.
Si avvicinò ad Aida e la prese in braccio, rendendosi conto
già di quanto la
pelle della bambina fosse fredda «Cucciolo...
andrà tutto bene, tra poco
andremo via di qui, te lo prometto.».
Lei annuì con un mezzo sorriso, stringendosi di
più al padre nel vano tentativo
di riscaldarsi.
Ben
si appoggiò alla parete e si lasciò scivolare
lentamente a terra.
Gli sembrava ancora una volta di soffocare, lì dentro
c’era troppo caldo e il
giovane aveva la fronte imperlata di sudore e si sentiva bollente.
Pensò al collega e alla sua principessa che si trovavano
probabilmente a pochi
metri di distanza da lui in linea d’aria e sperò
vivamente che a loro non
accadesse nulla. Infondo era lui che aveva incoraggiato Semir ad
assecondare il
gioco di Gehlen, ma se ne era pentito non appena aveva messo piede
all’interno
di quello che una volta era stato un semplice capannone industriale.
Socchiuse gli occhi.
Faceva caldo, troppo caldo...
-17°C.
Semir si era tolto la felpa e l’aveva fatta indossare ad Aida
nella speranza di
riscaldarla ancora un po’ ma si trattava comunque di
indumenti troppo leggeri.
Stringeva la bambina tra le braccia nel vano tentativo di farle
disperdere meno
calore possibile e la sentiva tremare.
Quando si accorse che la bambina aveva gli occhi chiusi,
rabbrividì, e non per
il freddo.
«Aida... Aida, mi senti?».
Lei annuì debolmente ma continuando a tenere gli occhi
chiusi «Ho...
freddo...».
«Lo so cucciolo, tra poco sarà tutto
finito.» sussurrò il poliziotto lanciando
un’occhiata disperata verso quel maledetto pulsante che non
sembrava volerne
sapere di illuminarsi.
Semir socchiuse gli occhi a sua volta, tentando di non far caso al
freddo che
ormai gli arrivava alle ossa e continuando come poteva a scaldare la
figlia.
63°C.
Ben credette di morire.
Come avrebbe potuto resistere se la temperatura avesse continuato ad
aumentare?
Aveva caldo, era pallido, gli si chiudevano gli occhi.
Ma no, lui non poteva chiuderli: doveva aspettare che quel pulsante si
illuminasse... doveva aprire la porta e uscire da quella stanza
infernale.
Ancora un po’... doveva resistere ancora un po’...
Fu mentre la lucidità lo stava per abbandonare che
finalmente lo vide: un
luccichio vicino alla porta di uscita.
Si alzò compiendo un ultimo immane sforzo e senza nemmeno
sapere come, lo
raggiunse.
Schiacciò il pulsante e come guidato da una forza da lui
esterna, a fatica,
lasciò la stanza.
Non
appena lo vide, Semir spalancò gli occhi.
Finalmente il pulsante si era illuminato.
Si mosse a fatica a causa del freddo che gli intorpidiva i muscoli e,
con Aida
raggomitolata in braccio sempre più stretta, si
alzò e si diresse il più in
fretta possibile verso l’uscita della stanza.
La bambina aveva la fronte gelata.
«Aida... cucciolo, è tutto finito... è
tutto finito...» sussurrò entrando nella
nuova stanza.
La figlia non si mosse per un lungo, eterno istante.
Poi, quasi per miracolo, accolta dal tepore accogliente del nuovo
ambiente,
schiuse gli occhi e sorrise debolmente, mentre un brivido le percorreva
tutto
il corpo.
Semir le baciò la fronte dolcemente e la posò a
terra continuandola a tenere
tra le braccia.
«È finita cucciolo, ora siamo al caldo.».
Gehlen
rise di gusto osservando le scene che si svolgevano parallele nelle due
stanze.
Quanto si divertiva a portare avanti il suo gioco!
E il bello giungeva solamente a quel punto.
L’uomo si avvicinò con occhi che scintillavano al
microfono per comunicare ai
suoi giocatori in cosa sarebbe consistita la terza prova, mentre il
prigioniero, alle sue spalle, tratteneva il respiro.
Conosceva quel percorso, Erik vi lavorava da mesi e glielo aveva
illustrato più
volte.
Aveva paura, tanta paura, e temeva che Semir e il collega questa volta
non se
la sarebbero cavata facilmente.
Scusate
per l’attesa, ma finite le vacanze è finito anche
il tempo a disposizione -.-
Grazie a chi continua a seguirmi e un bacione!
Sophie :D
|
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Capitolo 10 *** Solo contare ***
«Ora.»
esordì Gehlen dagli altoparlanti con tono compiaciuto «Siamo giunti a quella che direi
è la mia prova preferita, ispettori. Fino
ad ora ammetto che ve la siete cavata egregiamente, ma non avevo dubbi
che
sarete stati alla mia altezza. Adesso viene il bello: la stanza in cui
vi
trovate è dotata di tanti piccoli fori nelle quattro pareti
laterali, che hanno
una funzione molto molto divertente. Dai fori della sua sala, Jager,
usciranno
improvvisamente dieci lame piuttosto affilate grazie ad un meccanismo
al quale
ho lavorato parecchio, mi creda. Dieci colpi, lei dovrà
schivarli ed ecco che
la sua prova sarà terminata. Carino, no? Lo stesso vale per
lei e per la
bambina, Gerkhan, ma voi avrete a che fare con proiettili. Tutto
chiaro?».
Semir
si guardò intorno.
Avrebbe voluto gridare, rispondere a quella voce maledetta e
affrontarlo faccia
a faccia, ma non poteva. Era chiuso in quel cubo di metallo e non
poteva far
altro che eseguire ciò che quella mente malata gli dettava.
Strofinò ancora le mani di Aida nelle sue perché
si scaldassero e notò con
sollievo che la bambina sembrava essersi ripresa dalla sala gelata che
avevano
oltrepassato.
«Aida, hai sentito cosa ha detto quella voce?».
La figlia annuì con espressione seria.
«Ora devi fare tutto quello che ti dico io. Se ti dico
“giù”, ti abbassi, se ti
dico “salta”, salti, sempre e solo quello che ti
dico io, va bene?».
«Sì papà... scusa se ti ho seguito ma
avevo paura che ti succedesse qualcosa.».
«Lo so cucciolo, lo so. Ora finiamo questo percorso e
torniamo a casa.».
Ben
rimase immobile in piedi al centro della stanza, interdetto alle parole
di
Gehlen.
Tuttavia non ebbe il tempo di stare molto a pensare.
Sentì una specie di fischio alle sue spalle e
d’istinto si accucciò a terra,
schivando senza nemmeno accorgersene il primo dei dieci coltelli che
avrebbero
provato a colpirlo.
Doveva contare.
Doveva solo contare e schivare i colpi uno dopo l’altro.
Sentì un altro movimento alla sua destra e si
spostò di scatto dalla parte
opposta, ma un'altra lama provenne da sinistra sfiorandogli il braccio.
Tre...
Aida
si gettò a terra come le aveva gridato il padre e
schivò per un soffio un
proiettile che le passò a qualche centimetro dalla testa.
Vedendolo, Semir smise di respirare per qualche istante, terrorizzato,
ma poi
si accorse che la bambina stava bene e tirò un sospiro di
sollievo.
Schivò una pallottola che lo sorprese alle spalle e
un’altra che gli passò
davanti, poi prese in braccio Aida, che si salvò in questo
modo da un altro
colpo.
Vi fu un momento di calma assoluta.
Semir provò a fare mente locale: dovevano mancare ancora
quattro proiettili,
poi tutto sarebbe terminato.
Prese un bel respiro e posò a terra Aida, facendole cenno di
rimanere in attesa
lì vicina a lui, pronta a muoversi ad un minimo segnale.
Sei...
... Sette...
Ben si lanciò verso destra e schivò anche
l’ottavo colpo, mentre il nono
coltello si andava a conficcare proprio sul pavimento a qualche
millimetro dai
suoi occhi.
Il giovane poliziotto rimase lì, a terra, per qualche
istante a riprendere
fiato.
Poi, con estrema cautela, si mise seduto... e fu allora che lo
sentì arrivare.
Si voltò e vide la lama dirigersi verso di lui e in una
frazione di secondo si
scaraventò dal lato opposto.
Quindi si rialzò a fatica.
Ce l’aveva fatta.
Ancora
uno
contò mentalmente Semir, ansimando e tentando di tenere
d’occhio allo stesso
tempo sia Aida sia i fori sulle pareti.
Erano ovunque, ad ogni altezza, persino raso terra.
E fu proprio da una delle bocche più vicine al pavimento che
uscì il proiettile
aspettato.
Con una velocità incredibile Semir si spostò
dalla sua traiettoria e sollevò
Aida in modo che la pallottola non le potesse nemmeno sfiorare i piedi.
Avevano finito.
Un silenzio assoluto piombò nella stanza e il piccolo
ispettore non poté fare a
meno di sorridere... era finita!
«Adesso passiamo alla quarta prova papi?»
domandò Aida con un sottofondo di
stanchezza nella voce.
«Sì cucciolo, siamo stati bravissimi, hai
visto?» rispose il poliziotto
avviandosi verso la porta di uscita.
Troppo tardi si accorse dell’ultimo foro che si apriva sulla
parete per sparare
un altro colpo. Sentì il sibilo della pallottola che
sferzava l’aria chiusa
della stanza e si voltò di scatto vedendo Aida perfettamente
sulla traiettoria
del proiettile.
D’istinto, si lanciò verso di lei e la
gettò a terra.
Ben
si guardò intorno per verificare che la prova fosse
effettivamente finita e un
leggero sorriso si dipinse sulle sue labbra.
Ancora due stanze, ancora due e poi sarebbero arrivati alla meta.
Già, la meta.
Ma quale era la loro meta? Cosa avrebbero trovato? E soprattutto,
avrebbero
trovato qualcosa?
Il suo pensiero volò improvvisamente al suo migliore amico e
alla sua
principessa. Chissà se stavano bene...
Semir
si rialzò mettendosi in ginocchio e sollevandosi quindi
all’altezza di Aida che
invece era già scattata in piedi.
Le mise le mani sulle spalle controllandola terrorizzato.
«Aida, cucciolo, stai bene?».
La bambina annuì, ma era pallidissima e non parlava.
«Ehi, cucciolo, che succede?».
Aida indicò con gli occhi sbarrati e con il viso sempre
più pallido un punto
davanti a lei, verso il torace del padre.
Fu solo allora che Semir abbassò lo sguardo.
Fu solo allora che sentì il dolore.
Terza
prova superata... più o meno!
Scusate se aggiorno saltuariamente ma ho davvero poco tempo, non appena
posso
recupero anche le storie che sto leggendo e rispondo alle vostre
recensioni.
Grazie e un bacione!
Sophie :D
|
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Capitolo 11 *** Non piangere! ***
Da
cap. X...
[«Ehi,
cucciolo, che succede?».
Aida indicò con gli occhi sbarrati e con il viso sempre
più pallido un punto
davanti a lei, verso il torace del padre.
Fu solo allora che Semir abbassò lo sguardo.
Fu solo allora che sentì il dolore.].
Semir
si appoggiò alla parete della stanza, mentre la macchia
scura sulla sua
maglietta si allargava sempre di più.
«Aida... cucciolo, stai... stai tranquilla.».
La bambina lo fissava, pallida in volto e con gli occhi appena lucidi.
«Va... va tutto bene...» provò a
tranquillizzarla il poliziotto cercando di non
cedere al dolore.
Si premette la ferita come poteva tentando di fermare
l’emorragia, ma ottenne
solamente una nuova fitta di dolore. Il proiettile non era uscito dopo
averlo
colpito e Semir sapeva per esperienza che questo non era affatto un
bene.
«Papà...» mormorò Aida mentre
una lacrima cominciava a correrle silenziosa e
discreta lungo la guancia.
«No, cucciolo.» sussurrò
l’ispettore a fatica «Non piangere... va tutto
bene...».
Ma la verità era che niente stava andando bene.
Il sangue continuava a sgorgare dalla ferita e Semir si sentiva sempre
più
debole.
Si sforzò di rimanere lucido.
Doveva farlo per sua figlia.
«Oh,
Jager, complimenti, ha
superato incolume anche questa prova.»
cominciò l’ormai
conosciuta voce metallica proveniente dai due altoparlanti «Lo stesso non si può dire di
Gerkhan, a quanto vedo.».
A queste parole Ben sussultò: cosa voleva dire?
Che cosa era successo? Il
cuore cominciò a battergli all’impazzata, mentre
in lui cresceva un forte senso
di angoscia.
«Che succede ispettore, ha contato
male i
proiettili per caso?» continuò Gehlen
con tono divertito «In ogni caso
dovrà resistere, Gerkhan, non
vorrà che sua figlia debba continuare il percorso da sola,
no?».
No, no, no cominciò a pensare Ben freneticamente ti prego Semir, dimmi che stai bene, ti prego!
«Buona fortuna Gerkhan.»
concluse la
voce con una risata malvagia.
Semir strinse i denti trattenendosi dal gridare. Per la rabbia, per il
dolore,
per la paura.
La ferita sulla parte destra del torace gli bruciava terribilmente e il
sangue
continuava a fuoriuscire, ma non poteva arrendersi, non poteva darla
vinta a
quel bastardo.
«Aida... ascoltami.» mormorò
«Schiaccia il... il pulsante vicino alla porta
e... e passiamo insieme nell’altra stanza, va... va
bene?».
«Ma papà...» provò a
protestare la bambina «Come...?».
«Non ti preoccupare cucciolo, schiaccia il... il
pulsante.».
La ragazzina annuì ancora con gli occhi lucidi e fece come
il padre le aveva
detto.
La porta della stanza successiva si aprì con uno scatto e
Semir sospirò: ora
veniva il difficile. Facendo appello a tutte le forze che ancora gli
rimanevano, si alzò senza riuscire a trattenere un lamento
strozzato di dolore.
«Papà!» fece allarmata Aida,
avvicinandosi in fretta.
«È... tutto... a posto...»
mormorò a stento l’ispettore avanzando lentamente
attaccato alla parete verso la nuova stanza.
Dopo un tempo che a lui parve infinito la raggiunse, e ciò
che vide appena
entrato lo lasciò interdetto: un tavolino con sopra
appoggiati tre bicchieri di
plastica identici contenenti un liquido inodore e trasparente.
Ben
corrucciò la fronte trovandosi davanti a tre bicchieri
uguali riempiti allo
stesso livello di un liquido trasparente.
Aveva una paura terribile che all’amico fosse successo
qualcosa di grave e non
riusciva nemmeno a capire che cosa dovesse fare con quei bicchieri.
La risposta giunse ben presto, quando Gehlen ricominciò a
parlare attraverso i
due altoparlanti «Benvenuti alla
vostra
quarta prova. Jager, si trova davanti a tre bicchieri, due dei quali
contengono
acqua, il terzo invece un veleno scrupolosamente ideato da me con
l’aiuto di un
bravo dottore, che la ucciderà in circa settantadue ore. Lei
deve semplicemente
scegliere e bere il contenuto di uno dei tre bicchieri. Lo stesso vale
anche
per lei, Gerkhan, ma al posto del veleno nel suo “bicchiere
fortunato” c’è
dell’acido... un buon modo per porre fine alla sua
sofferenza, volendo.»
spiegò Erik ridendo.
Semir
si appoggiò con entrambe le mani al tavolino.
Gli girava la testa, aveva la fronte imperlata di sudore e sentiva il
sangue
caldo colargli lungo il fianco destro.
Fece per afferrare il bicchiere più vicino a lui ma
inaspettatamente Aida lo
fermò «Papà, aspetta!».
L’ispettore guardò la figlia corrucciando lo
sguardo.
«Prendi quello in mezzo... guarda, quello che stai prendendo
tu è diverso, è
più trasparente degli altri due.».
Semir guardò tutti e tre i bicchieri ma non vide alcuna
differenza tra di essi.
«Aida...».
«Papà, ascoltami.» disse la bambina con
espressione quasi implorante.
Il poliziotto non rispose.
Non riusciva nemmeno a connettere, non riusciva a pensare.
Prese il bicchiere che la bambina gli aveva indicato e ne bevve il
contenuto in
un solo sorso.
Ben
rimase immobile davanti al tavolino per qualche lungo istante: erano
identici,
tutti e tre.
Stesso colore, stesso odore, stessa densità.
Doveva tentare e sperare di avere la fortuna dalla sua parte.
Ancora una volta il suo pensiero volò a Semir, ferito
probabilmente a pochi
metri di distanza da lui, e alla sua principessa, che doveva essere
terrorizzata.
Chiuse gli occhi provando a mantenere la calma.
Quindi li riaprì, afferrò il bicchiere
all’estrema sinistra e bevve quella che,
a primo impatto, gli sembrò normalissima acqua.
17.57.
Kim Kruger sbatté la mano destra sulla scrivania con rabbia,
mentre con la
sinistra stringeva la cornetta del telefono.
«Non me ne frega niente delle sue supposizioni,
Müller! Continuate a setacciare
la zona, non possono essere lontani. No... per la miseria, mi ascolti!
Ho
capito che non è stata colpa vostra ma ora trovateli,
maledizione! No... forse
non sono stata abbastanza chiara: perlustrate tutti i capannoni uno per
uno se
necessario, ma trovateli, ora! Io vi raggiungo.».
La donna chiuse la comunicazione con gesto stizzito e
afferrò la giacca uscendo
quasi di corsa dall’ufficio.
«Bonrath, Jenny, con me. In fretta!».
Come
farsi perdonare dopo due mesi di totale assenza?!
Scusate, scusate, scusate davvero, ma non ho nemmeno avuto il tempo di
accedere
al sito! Prometto che con un po’ di tempo
recupererò tutte le storie da
leggere, tutte le recensioni a cui devo rispondere e mi
rimetterò in pari.
Scusate e grazie a chi ancora mi segue nonostante la mia
“scomparsa”, adesso
non sparirò più.
Un bacione grande e a presto!
Sophie :D
|
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Capitolo 12 *** Passi in avanti ***
Ben
fece una smorfia.
Ciò che aveva appena bevuto, qualsiasi cosa fosse, gli aveva
lasciato in bocca
un retrogusto amarognolo, certamente non proprio di una banale acqua
naturale.
Scosse il capo.
Forse era solo una sua idea, forse era solo un po’
suggestionato.
Eppure quel gusto amaro era rimasto... lo sentiva, ne era sicuro.
Aida
trattenne il fiato per un lungo istante, fino a quando non vide il
padre
rivolgerle un debole sorriso.
«Era acqua... solo acqua.» mormorò
rassicurandola.
La bambina provò a sorridere, ma era troppo preoccupata per
riuscirvi.
Suo papà stava male, era pallido come non lo aveva mai visto
e riusciva a
malapena a reggersi in piedi.
«Bene.»
esordì Gehlen «Gerkhan
ha scelto il
bicchiere giusto, mentre Jager... mi dispiace, ma la fortuna non ha
deciso di
assisterla questa volta. Oh, ma non si preoccupi! Gli effetti del
veleno
cominceranno ad essere visibili solo tra una decina di ore, fino ad
allora le
assicuro che starà benissimo. Le farò avere un
elenco dettagliato dei sintomi,
ispettore. Ora passate alla stanza successiva.».
«Ben.»
sussurrò Semir mentre a fatica attraversava
l’ultima porta.
«Papà! Ma... vuol dire che zio Ben...?»
cominciò Aida terrorizzata correndo
dietro al padre.
«No, cucciolo, stai... stai tranquilla... ora zio Ben sta...
sta bene.» fece il
poliziotto, provando a calmare sia lei che se stesso.
La bambina annuì poco convinta.
«Andrà... andrà tutto bene.».
«Bastardo.»
sibilò Ben tra i denti, spingendo con rabbia il tavolino con
i restanti due
bicchieri a terra.
Avvelenato... era appena stato avvelenato!
«Maledetto!» quasi gridò al vuoto in
preda all’ira.
Con forza schiacciò il pulsante della porta successiva,
mentre un enorme nodo
di ansia gli si formava in gola.
«Ancora
l’ultima prova, signori.
Jager, non se la prenda troppo, pensi che in questo momento il suo
collega è
messo peggio di lei, mi creda. Ora la sua prova consisterà
semplicemente
nell’attraversare la stanza in cui si trova per raggiungere
l’ultima porta,
facendo attenzione alle mine che io ho accuratamente sistemato al posto
di
alcune piastrelle del pavimento. Si Jager, mine, ha capito bene. E se
si chiede
come sia possibile, posso risponderle che ho davvero molte conoscenze
in
differenti ambiti e sono riuscito addirittura a farmi creare questo
speciale
pavimento appositamente... che ne pensa? Lei invece, Gerkhan, sempre
che ancora
si regga in piedi, dovrà disinnescare la bomba che ha
davanti. È un ordigno
tradizionale, metta in pratica ciò che ha imparato negli
anni. Una volta
arrivati nell’ultima stanza tutti e tre insieme, se ci
arriverete, dovrete
aprire una porta attraverso un codice, e dietro di essa troverete
Kranich.
Buona fortuna.».
Gehlen
staccò l’altoparlante, non lo avrebbe
più utilizzato. Non gli rimaneva che
assistere attraverso le telecamere agli ultimi due
“giochi” che aveva ideato e
al melodrammatico incontro con colui che era stato il suo ospite per
tre mesi e
poi trasferirsi in un luogo più sicuro.
Sperava davvero che Gerkhan non morisse a causa di quel proiettile, o
la sua
vendetta sarebbe stata troppo facile e soprattutto troppo breve. Voleva
goderne
un po’ di più.
Si assicurò che la nuova stanza in cui aveva rinchiuso il
suo prigioniero fosse
ben chiusa e sorrise tra sé e sé, soddisfatto di
se stesso e del proprio piano.
Ben
fece un titubante passo in avanti.
Aveva paura di saltare in aria. Ma avrebbe attraversato quella stanza.
L’avrebbe fatto solo per Semir e per la sua principessa,
sapeva che a causa del
veleno lui sarebbe stato spacciato in ogni caso.
Aveva le ore contate.
Un altro passo leggero.
Poi un altro ancora...
Semir
si accasciò a terra senza più forze e con un
dolore lancinante alla ferita, da
cui ancora perdeva sangue.
Chiuse gli occhi, li strinse più che poté, ma il
dolore non diminuì.
Quando li riaprì, si trovò davanti a quelli
grandi e scuri di Aida, che lo
scrutavano terrorizzati.
«A... Aida... devi fermare la... la...»
riuscì a balbettare appena, lottando
per rimanere lucido.
La bambina scosse il capo ad indicare di non avere capito cosa dovesse
fare.
Poi però lo sguardo le cadde su una scatoletta nera
sistemata al centro della
stanza dalla quale fuoriuscivano tre fili di colori diversi e un lampo
di paura
le passò negli occhi, che improvvisamente le divennero
lucidi.
«Devi... devi...» riprovò Semir in un
sussurro.
Provò a ricordare quel poco che sapeva sugli ordigni di quel
tipo, che aveva
imparato in qualche occasione stando a contatto con gli artificieri
della
polizia, ma in mente gli tornarono solo poche idee confuse. Doveva
scegliere
quale dei tre fili tagliare ma non sapeva di che innesco si trattasse
esattamente e non aveva né le competenze né la
forza per verificarlo.
«Tagliare... prova a... a tagliare il filo blu.»
fece il turco indicando la
tenaglia appoggiata sul pavimento davanti alla bomba. Non sapeva se
fosse
quello giusto, ma bisognava per forza tentare.
Il timer segnava cinquantotto secondi.
«Devi... devi tagliarlo... ora.».
Aida scosse inaspettatamente il capo e scoppiò in lacrime.
«Aida, cucciolo...».
«Non ce la faccio.» singhiozzò
«Non ci riesco. Papà, ho paura!».
«Aida... ascoltami...» cominciò Semir
con un filo di voce, tanto che la bambina
dovette avvicinarsi per riuscire a sentirlo.
«Tu... tu sei la bambina più... più
coraggiosa che io abbia mai incontrato. Hai
superato questo... questo percorso senza... mai lamentarti e sei stata
bravissima. Ora devi solo... solo tagliare quel filo. Fallo, Aida... so
che ne
sei capace.».
«No, non sono capace! È colpa mia se tu adesso
stai male, è solo colpa mia, non
sarei dovuta venire.» mormorò disperata la
ragazzina.
«Se tu non fossi venuta, quell’uomo avrebbe...
avrebbe ucciso una persona. Ora
taglia quel filo... fallo per me, Aida! Ora!».
00: 17.
«Ora...».
Ancora
due passi, giusto due passi e sarebbe arrivato a destinazione.
Ben si guardò indietro indeciso e poi si voltò di
nuovo e fece un altro passo
in avanti.
Le gambe gli tremavano, ancora mancava un passo, ma poteva essere
quello
fatale.
E se avesse sbagliato, sarebbe tutto finito.
Avrebbe abbandonato Semir e Aida.
Non poteva!
Chiuse gli occhi, prese un bel respiro e li riaprì.
Stese la gamba in avanti, leggermente diretta verso destra.
Alzò il ginocchio con calma, poi si slanciò
leggermente verso la porta di
uscita della stanza.
Appoggiò il piede e si bloccò, respirando di
nuovo.
Ce l’aveva fatta.
00:03.
00:02.
00:01.
Il timer si azzerò.
Aida posò la tenaglia sul pavimento e si asciugò
le lacrime che ancora le
rigavano le guance con le maniche della maglietta.
Poi lanciò un’occhiata indecisa verso il padre e
sorrise.
L’aveva disinnescata.
Lei ci era riuscita.
Alla
faccia delle conoscenze, Gehlen deve aver lavorato per mesi a questo
suo piano
per essere arrivato a tanto... ma poi si chiarirà tutto.
Grazie a chi continua a seguirmi e un bacio grande a voi recensori che
non mi
abbandonate mai, grazie davvero!
A presto
Sophie :D
|
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Capitolo 13 *** Non mi dire le bugie ***
Andrea
si prese la testa tra le mani, seduta sulla sedia del marito al comando
dell’autostradale.
«Stai tranquilla, li troveremo.» provò a
consolarla Hartmut come meglio poteva.
Non era alla scientifica perché dalla sua postazione si
sarebbe sentito ancora
più inutile, ed era l’unico in quel momento in
grado di poter sostenere Andrea,
visto che il commissariato si era totalmente svuotato dopo che la
Kruger aveva
ordinato a tutti i suoi uomini di attivarsi nelle ricerche, andando con
loro ad
indagare sul posto.
«Aida deve aver sentito me e Semir litigare ieri sera...
perché sono stata così
stupida?!» gridò la donna tra le lacrime.
Il tecnico dai capelli rossi si sedette accanto a lei, preoccupato.
Non aveva mai pensato che consolare qualcuno fosse stato il suo forte,
per
nulla, ma almeno doveva tentare, viste le condizioni in cui si trovava
la donna
che aveva davanti.
«Andrà tutto bene, la Kruger è in gamba
e il commissario dell’LKA la sta
aiutando, li troveranno.».
Andrea scosse il capo continuando a piangere «Sapevo che
sarebbe stata una follia...
ho paura, Hartmut.».
Il ragazzo le cinse le spalle con un braccio «Dai,
andrà tutto bene...».
Semir
non seppe mosso da quale forza riuscì a raggiungere
l’ultima stanza, ma appena
oltrepassata la soglia della porta che si chiuse automaticamente alle
sue
spalle, si accasciò a terra lasciandosi scivolare lentamente
con le spalle alla
parete, senza nemmeno riuscire a dire mezza parola ad Aida, che lo
seguì
terrorizzata e si accucciò accanto a lui.
«Papà... papà, rispondimi, dii
qualcosa!».
In quel momento la bambina sentì uno scatto alle sue spalle
e vide la porta
accanto a quella da cui erano arrivati lei e il padre, a cui prima non
aveva
fatto caso, aprirsi e da essa uscire una figura conosciuta.
«Zio Ben!» gridò correndogli incontro e
rifugiandosi tra le sue braccia.
«Principessa!» esclamò
l’ispettore, sollevato «Stai bene?»
domandò
inginocchiandosi davanti a lei.
«Io sì, ma papà sta male, fai qualcosa,
per favore!» sussurrò la ragazzina con
le lacrime agli occhi e indicando la sagoma del padre nella
semioscurità della
stanza.
Ben lanciò un’occhiata verso il punto indicato da
Aida e poi tornò a fissarla
negli occhi «Stai tranquilla, principessa, andrà
tutto bene. Abbiamo finito il
percorso e siamo stati bravissimi, andrà tutto
bene.».
Poi si alzò e si avvicinò al collega che, il
respiro pesante, gli occhi chiusi,
nemmeno si era accorto della sua presenza.
Lo scosse appena con una mano e Semir schiuse gli occhi a fatica
«B-Ben...».
«Semir, sono io, stai tranquillo.»
mormorò il poliziotto più giovane, toccandogli
col dorso della mano la fronte umida di sudore e bollente.
«Devi... devi...».
«Shh, Semir, non parlare, devi stare calmo.».
Il turco deglutì stringendo gli occhi «Devi...
T-Tom... aprire la... porta...».
Ben guardò la ferita tra la spalla destra e il torace
dell’amico che ancora non
voleva saperne di smettere di sanguinare e si sfilò la
maglietta cercando di
arrestare l’emorragia, anche se sapeva che questo genere di
provvedimento si
sarebbe dovuto prendere all’inizio, ormai il poliziotto aveva
perso troppo
sangue.
«Ben... apri... la...».
«Semir, stai tranquillo, ora apro la porta di quella stanza,
ma prima devo
provare a fermare l’emorragia e tu devi stare calmo. Va
bene?».
L’ispettore premette con la stoffa sulla ferita, provocando
altro dolore
all’amico, che però non aveva più
nemmeno la forza di gridare.
Ben si rivolse per un attimo verso Aida, immobile un po’
distante da lui, prima
di continuare ad occuparsi del collega «Principessa, tuo
papà è forte, andrà
tutto bene.».
La bambina annuì con un debole sorriso e si sedette in
silenzio vicino alla
parete, alle spalle del giovane poliziotto.
«Semir... ehi, mi senti? Devi rimanere sveglio.».
«Non... non...».
«Sì che ce la fai, devi solo rimanere sveglio,
tieni gli occhi aperti. Fallo
per... per Aida!».
«Aida... dille che... che...» fece Semir con voce
appena udibile.
«Non le dirò proprio niente, perché tu
ce la farai, chiaro? Ce la farai! Devi
solo rimanere sveglio.».
«Dille... che mi... dispiace... tanto...».
«Semir! Ehi, socio, non arrenderti, rimani sveglio! Socio,
ascoltami!» gridò
Ben senza riuscire più a trattenere le lacrime e
dimenticandosi totalmente
della bambina dietro di lui che vedendolo in quello stato si sarebbe
impressionata ancora di più «Socio... devi stare
sveglio, ti prego!».
Ma Semir non lo sentiva più.
Ormai i sensi lo stavano abbandonando, il dolore sembrava diminuito,
non
sentiva più nulla.
Solo una voce che gridava il suo nome, che però si
allontanava sempre di più.
Scusami Ben...
«Semir!
Semir, maledizione!» gridò ancora il
più giovane scuotendo il corpo del collega
«Ti prego...».
Niente, non ottenne nessuna reazione.
«Semir!».
«Zio
Ben! Zio Ben, che succede?» chiese terrorizzata Aida con le
lacrime agli occhi,
raggiungendo il giovane quasi di corsa.
L’ispettore non provò nemmeno ad asciugarsi gli
occhi prima di guardarla «Papà
è... è molto stanco... ma si
riprenderà.» sussurrò accarezzandole la
fronte con
dolcezza.
La bambina si gettò tra le sue braccia lasciandosi andare ad
un pianto
disperato «Non... non mi dire le bugie, zio Ben! Se piangi
anche tu vuol dire
che... che...».
«No principessa, è che sono stanco anche io. Ma
andrà tutto bene, te lo
prometto.» singhiozzò il ragazzo stringendola
forte a sé e accarezzandola
piano.
Rimasero così, stretti l’una all’altro
per un tempo interminabile, vicini al
corpo ormai quasi completamente immobile di Semir, bianco come un
cadavere.
Ben
si staccò per primo dall’abbraccio,
accarezzò la fronte di Aida con dolcezza e
si passò una mano sugli occhi, dirigendo lo sguardo prima
verso il collega, poi
verso la porta che occupava una parte della parete opposta della stanza.
«Principessa, ora tu aspetta, devo provare ad aprire quella
porta.» spiegò
alzandosi e dirigendosi verso la porta metallica, vicino alla quale
spiccava un
meccanismo che assomigliava tanto a quello di apertura di una
cassaforte non
particolarmente protetta.
Lo esaminò per qualche istante e capì che avrebbe
dovuto semplicemente inserire
due cifre e ruotare la maniglia, e fosse stato necessario avrebbe
provato tutte
le combinazioni possibili.
Si guardò intorno: non una finestra, non una fessura nella
parete,
assolutamente nulla.
Doveva trovare il modo per uscire di lì e forse aprendo
l’ultima porta avrebbe
avuto qualche speranza.
Non sapeva nemmeno chi o cosa avrebbe visto, non sapeva se
effettivamente lì
dietro avrebbe trovato Tom Kranich, né in che condizioni lo
avrebbe trovato.
Ma non gli importava, l’unico suo pensiero era Semir, e per
salvarlo, sempre
che fosse stato ancora possibile, doveva trovare una via
d’uscita.
Lentamente girò la manopola tentando le prime combinazioni,
ma poi si soffermò
un attimo a riflettere.
Otto anni... Semir gli aveva detto che erano passati quasi esattamente
otto
anni dalla “morte” del suo ex collega.
Ben si morse il labbro inferiore con indecisione poi, mosso da una
specie di
intuizione, quasi avesse paura di tentare, girò la manopola
con mano tremante.
Zero, otto.
Uno scatto, e la porta si aprì.
La stanza era vuota.
Semir
sta sempre peggio e Ben è disperato... che dire poi della
povera Aida?!
E
poi la stanza vuota...
Grazie
mille per le recensioni e un bacione, buona Pasqua a tutti!
Sophie
:D
|
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Capitolo 14 *** Io non ho paura ***
Ben
scrutò all’interno della stanza buia con
circospezione, sostando sulla soglia, convincendosi
che questa fosse completamente vuota.
Per questo, quando vide invece la figura che avanzava lentamente verso
di lui,
apparendo da dietro una specie di mobile situato in mezzo
all’ambiente,
sussultò.
«Tom... Tom Kranich?» chiese cautamente, senza
riuscire a nascondere un certo
tremolio nella voce.
L’uomo sconosciuto si fermò di fronte
all’ispettore ed entrambi rimasero per
alcuni istanti immobili a fissarsi.
Poi il prigioniero rispose con un’altra domanda
«Ben Jager?».
L’ispettore annuì e lo sconosciuto gli porse la
mano con un mezzo sorriso «Tom,
piacere.».
Ben rimase a guardare la mano tesa di fronte a lui per qualche secondo
ma non
ricambiò il saluto, era troppo sconvolto per pensare alle
presentazioni e l’uomo
ritirò la mano.
«Semir?» chiese poi, e a Ben sembrò che
questa volta fosse la sua voce ad
essere tremante.
Il ragazzo non rispose, semplicemente spostò lo sguardo alla
sua destra,
indicando con gli occhi una sagoma accasciata contro la parete della
piccola
stanza.
«Oh cielo.» mormorò l’uomo
catapultandosi quindi verso il suo ex collega.
La parete e il pavimento sotto di lui erano sporchi di sangue e il
poliziotto
era ad occhi chiusi,
immobile e pallidissimo, non dava alcun segno di vita.
«Ma cosa è successo?» domandò
Tom sgranando gli occhi nella semioscurità e
schiudendo la bocca in un misto tra sorpresa e preoccupazione.
«È stato colpito da un proiettile durante il
percorso e la pallottola è rimasta
incastrata.» disse in fretta Ben, senza nemmeno chiedersi con
chi
effettivamente stesse parlando «Ho provato a fermare
l’emorragia ma... dobbiamo
trovare una via di fuga.».
«Gehlen non ha progettato una via di fuga.» rispose
l’uomo stringendo la
mascella «Ma dobbiamo inventarci qualcosa.».
Il più giovane sospirò scuotendo il capo
«Cosa?» chiese con le lacrime agli
occhi.
«Ben... possiamo darci del “tu”, non
è vero?» cominciò Tom rialzandosi e
avvicinandosi al ragazzo «Intanto non dobbiamo farci prendere
dal panico.
Pensiamo a qualcosa e intanto cerchiamo di risvegliare Semir, o
riprende
conoscenza adesso o rischia di non svegliarsi
più.».
«Ci ho già provato, ma non sente nulla. Non vorrei
che fosse...».
«No!» esclamò con forza colui che era
stato per tutto quel tempo “ospite” di
Gehlen «Non dirlo nemmeno per scherzo Ben, non è
troppo tardi.».
Quindi l’uomo si inginocchiò di nuovo accanto a
Semir e gli strinse la mano
«Semir... ehi, svegliati Semir, sono io!».
«Non risponde, non...».
«Aspetta.» fece ancora Tom, risoluto
«Semir... sono io, sono Tom. Apri gli
occhi, sono tornato, ora non puoi abbandonarmi tu...
Semir...».
«T-Tom...» farfugliò Semir, come per
magia, schiudendo appena gli occhi «Tu...
tu sei...».
«Io sto bene, collega.» sorrise l’uomo,
sempre tenendogli la mano.
Il turco corrucciò appena la fronte: era vero ciò
che aveva davanti, o era solo
un sogno, un’allucinazione dovuta alla febbre? I suoni erano
ovattati e
distanti, la vista annebbiata.
«T-Tom...» ripeté a fatica, sforzandosi
di non ricadere nelle tenebre.
«Resta sveglio, Semir. Non te ne andare, resta qui... resta
sveglio!» continuò
Tom mentre l’emozione prendeva il sopravvento anche su di lui.
Aveva appena ritrovato il suo migliore amico dopo otto anni e lo stava
perdendo,
di nuovo.
Semir chiuse gli occhi e reclinò la testa su un lato.
18.02.
«Non possono essere lontani, maledizione!»
sibilò a denti stretti la Kruger
girando senza una meta precisa tra i capannoni.
«Normalmente un commissario dovrebbe stare più
attenta ai suoi uomini, Kim.»
fece il capo dell’LKA comparendo alle sue spalle.
«Felice di vederti.» ironizzò la donna
andando incontro all’uomo con sguardo di
fuoco.
«Se sei qui per aiutarmi a cercarli, Constantin, fallo. Ma
non accetto lezioni
da te.».
«Uhm, siamo suscettibili.» commentò
l’uomo con una punta di fastidiosa ironia
nella voce.
Kim incatenò i suoi occhi a quelli dell’altro
commissario e lo uccise con lo
sguardo «Spero davvero che i tuoi uomini stiano
già perlustrando la zona.».
«Certo, già da più di dieci
minuti.» fece l’uomo voltandosi per sottrarsi da
quegli occhi accusatori «Non te la prendere, stavo
scherzando.».
«Non è il momento migliore per scherzare, nel caso
non te ne fossi accorto.»
replicò dura la Kruger «Ho due ispettori e una
bambina nelle mani di un pazzo,
non so se hai compreso la gravità della
situazione.».
«Va bene, va bene, non ti scaldare... continuiamo a
cercare.».
«Vedo che cominciamo a ragionare. Su, muoviamoci.»
concluse la donna voltandosi
di scatto e, la pistola spianata davanti a sé, entrando
nell’ennesimo
capannone.
«No,
no, forza! Semir!» gridò ancora Tom con quanto
fiato aveva in gola.
Ma l’ispettore non sentiva più nulla.
«Non ha quasi più polso...».
«La stanza dove eri tu è chiusa come la
nostra?» domandò Ben girando
nervosamente su se stesso.
«Sì, niente finestre.».
«Meraviglioso.» fece il più giovane
«Quindi non abbiamo un passaggio.».
«Forse sì.» fece una voce sottile alle
loro spalle.
«Principessa!» esclamò Ben sgranando gli
occhi.
Era stata tanta l’agitazione e la disperazione di quegli
ultimi minuti che si
era totalmente dimenticato della bambina, che pallida come uno
straccio,
immobile e con la schiena incollata alla parete, aveva assistito a
tutta la
scena senza emettere un fiato.
Tom lanciò un’occhiata verso di lei, accorgendosi
solo allora della sua
presenza.
Nonostante tutto, gli venne da sorridere: la ragazzina non si ricordava
di lui
quasi sicuramente, ma lui invece se la ricordava perfettamente. Era
cresciuta,
certo, ma era identica a come l’aveva lasciata otto anni
prima. Lo stesso
sguardo, gli stessi lineamenti.
Senza che potesse fare nulla per fermarle, le lacrime gli salirono agli
occhi,
inumidendoli: era così bella! E così cresciuta!
Ancora ricordava il giorno in cui le aveva regalato la sua prima tutina
della
polizia.
Allora era uno scricciolo, adesso era quasi una signorina.
«Principessa, ti ho promesso che tra poco saremo fuori dai
guai e così sarà,
hai capito?» fece Ben con dolcezza, raggiungendo la bambina e
chinandosi vicino
a lei.
Aida annuì, provando a non guardare verso il punto in cui si
trovava il padre
«Zio Ben, guarda!» fece poi indicando il soffitto
della stanza proprio sopra di
lei.
«Cosa...?» si chiese il giovane alzando lo sguardo
«Il... condotto di
aerazione?».
«Ma certo!» intervenne Tom picchiandosi una mano
sulla fronte «Come abbiamo
fatto a non notarlo subito? Il condotto di aerazione, deve per forza
condurre
fuori da questo labirinto di cubi di metallo!».
Ben alzò un sopracciglio interdetto «Né
tu né io passiamo attraverso
quell’apertura, è perfettamente
inutile.».
«No zio Ben, io ci passo.» affermò
decisa Aida, facendo riportare l’attenzione
dei due ispettori su di lei «Posso uscire e chiamare
aiuto.».
«Non se ne parla proprio.» protestò il
poliziotto scuotendo il capo risoluto.
«Ha ragione.» commentò però
Tom «Conosco bene questo posto, dietro al capannone
c’è una cabina telefonica ancora attiva. Se lei
riuscisse a raggiungerla...».
«Ma stai scherzando? È troppo
pericoloso.».
«Zio Ben, ti prego!» supplicò la
ragazzina «Papà sta male, dobbiamo fare
qualcosa. Lasciami andare!».
L’ispettore scosse ancora il capo «Aida,
è pericoloso.».
«Anche rimanere qui è pericoloso.»
ribatté la bambina con una logica
innegabile.
«Ben, è l’unica possibilità
che abbiamo.» mormorò Tom fissando negli occhi il
più giovane.
«È pericoloso, potrebbe esserci Gehlen, potrebbero
esserci i suoi scagnozzi.».
«No, dammi retta, Gehlen se ne è andato ormai da
un pezzo, sa che la polizia è
sulle nostre tracce e si è trasferito in un luogo
più sicuro, non incontrerà
nessuno. Ben, guardami: Semir ha bisogno d’aiuto e ne ha
bisogno ora.».
«Ma è solo una bambina!».
«Zio Ben, io non ho paura.» intervenne di nuovo
Aida, con la testardaggine
tipica del padre «Davvero, il signore ha ragione, lasciami
andare.».
Il signore.
A Tom si strinse il cuore ancora una volta, e in quell’attimo
pensò di capire
perfettamente le remore del nuovo collega di Semir nel lasciarla andare.
Da sola... sarebbe stata così indifesa! Ma non avevano altra
scelta.
«Ti prego, zio Ben...».
Il giovane poliziotto cercò conferma negli occhi azzurri di
quell’uomo che
conosceva da sì e no tre minuti, e dopo che egli ebbe
annuito per
incoraggiarlo, posò le mani sulle spalle della bambina e la
guardò seriamente.
«Principessa, promettimi che farai attenzione.».
«Sì zio Ben. Però davvero, io non ho
paura.».
«Segui il condotto fino alla fine, poi corri alla cabina
telefonica e fai il
numero...».
«... Lo so a memoria il numero del comando.» lo
interruppe la ragazzina con un
mezzo sorriso.
«Va bene... dii che siamo nella vecchia zona industriale, in
uno degli ultimi
capannoni e che papà ha bisogno di un dottore in fretta...
va bene principessa?
Poi, quando hai finito ti nascondi nel posto più sicuro che
trovi e non esci
dal nascondiglio fino a quando non saranno arrivati i nostri colleghi,
va
bene?».
«Va bene zio Ben.».
L’ispettore sorrise con gli occhi lucidi prendendola in
braccio in modo che
arrivasse all’apertura del condotto di aerazione, per fortuna
il soffitto era
piuttosto basso.
La bambina tolse la leggera griglia che lo chiudeva e la
lasciò cadere sul
pavimento, dopodiché si fece dare una spinta da Ben, che la
fece aggrappare
alle pareti del piccolo tunnel in modo che potesse salire senza
problemi.
«Fai attenzione.».
«Stai tranquillo, zio Ben.».
Aida si issò su per il condotto salutando per
l’ultima volta il poliziotto con
un sorriso, quasi fosse lei a doverlo rassicurare e non il contrario.
Poi sparì
lentamente alla vista del ragazzo.
Ben rimase a guardarla mordendosi il labbro, cosciente della pazzia che
aveva
appena permesso che accadesse.
Si asciugò gli occhi con il dorso della mano destra
continuando a fissare il
piccolo tunnel, ormai vuoto alla sua vista.
«Sei forte, principessa...».
L’ispettore tornò quindi a guardare
quell’uomo che sosteneva di essere Tom
Kranich: ora doveva capire.
Questa
volta non dico nulla... a voi i commenti ;)
Grazie
mille sempre a tutti i recensori e a coloro che mi seguono, un bacione!
Sophie
:D
|
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Capitolo 15 *** Intervento ***
«È
una pazzia.» ripeté Ben per l’ennesima
volta spiando all’interno del condotto
di aerazione.
Era passato solo qualche minuto da quando Aida era scomparsa dalla sua
visuale
ma al giovane poliziotto pareva un’eternità. E
più i secondi passavano, più
l’angoscia gli attanagliava lo stomaco e la gola.
Con un sospiro, si voltò.
Alle sue spalle, Tom Kranich stava vegliando in silenzio sul corpo
immobile di
Semir, inginocchiato accanto a lui.
Tom Kranich... ancora non riusciva a crederci, eppure doveva essere
proprio
lui, Semir glielo aveva mostrato in fotografia e anche se un
po’ più
invecchiato, non era cambiato per niente.
Osservandolo, una marea infinita di domande gli salirono alla mente, ma
Ben
scosse il capo come per scacciare quegli interrogativi che in quel
momento non
erano certo prioritari.
Tom distolse lo sguardo dal suo ex collega per posarlo sulla figura del
più
giovane e accennò ad un lieve sorriso «Ce la
farà, ha l’aria di essere in
gamba.».
Ben corrucciò la fronte, capendo solo dopo qualche attimo
che l’uomo si stesse
riferendo ad Aida.
«Sì, è meravigliosa. Ma ho il terrore
che le accada qualcosa. Se il condotto di
aerazione non sbocca nel posto che...».
«Sbocca esattamente dove ti ho detto, all’esterno
dell’edificio. Lo conosco
bene questo posto, credimi.».
«E la cabina telefonica?» chiese ancora il
poliziotto, rendendosi conto di non
essere nemmeno stato in grado di formulare questi dubbi così
logici prima di
aver lasciato andare la sua principessa «Funziona ancora?
Come è possibile? E poi...»
«Funziona ancora, stai tranquillo, e quelle monete che avevi
in tasca erano più
che sufficienti.».
«Se le accadesse qualcosa...».
«Andrà tutto bene.».
«Strano sentirselo dire da una persona che fino a poco fa
credevamo morta e
sepolta.».
Nella piccola stanza calò il silenzio per qualche istante.
«Mi dispiace di essere sparito nel nulla, ma se
l’ho fatto è stato per
questioni di sicurezza. Solo Anna Engelhardt sa che sono
vivo.» disse ad un
tratto l’uomo, alzandosi e avvicinandosi a Ben.
«La Engelhardt lo sa?! Avreste dovuto metterne al corrente
almeno Semir.».
«Sarebbe stato un rischio troppo grande per lui e la sua
famiglia. Inizialmente
non ne conoscevo nemmeno io il motivo, ma poi la Engelhardt mi aveva
spiegato
che alcuni membri di quella banda di otto anni fa ce
l’avevano direttamente con
me e avrebbero fatto qualunque cosa per avermi. È una storia
lunga... ma questo
Semir non lo ha mai saputo, sarebbe stato troppo in pericolo se io non
fossi
stato inserito in questo speciale
programma di protezione testimoni.».
Ben scosse il capo con un sorriso amaro «Ma tu sai quanto ha
sofferto?».
«Lo so...».
Il più giovane scosse ancora il capo «Come hai
fatto a salvarti quella notte?
Semir mi ha detto che... che gli eri morto tra le braccia.».
«Me la sono vista brutta davvero. Ma poi mi sono ripreso, ed
è stato mentre mi
trasportavano via in ambulanza per fare un ultimo tentativo che ripresi
conoscenza, non so per quale miracolo. Ma questo ovviamente Semir non
lo seppe
mai. Poi mi operarono e quando fui in grado di ricevere visite, la
prima ed
unica persona che vidi fu il commissario, che mi disse come stavano le
cose. Io
dovetti accettare. Mi disse anche che Semir era già convinto
che io fossi
morto.» spiegò Tom lanciando una rapida occhiata
verso l’ispettore steso a
terra.
«Spero che accetti le tue spiegazioni.»
mormorò Ben avvicinandosi a sua volta
al collega «E spero che si svegli...».
Aida
rotolò nella polvere uscendo dal grande tubo che aveva
percorso.
Ce l’aveva fatta.
Ora doveva solo trovare la cabina telefonica, comporre il numero e
nascondersi
da qualche parte.
Cauta, si guardò intorno e scoprì che la cabina
era proprio a pochi passi di
distanza da lei e soprattutto che non c’era anima viva in
giro.
Raggiunse di corsa l’instabile struttura e, dopo aver
inserito le poche monete,
cominciò freneticamente a digitare le cifre sulla tastiera.
Lo
squillo del telefono fece sobbalzare Andrea, che assorta
com’era nei suoi
pensieri, quasi si era dimenticata di trovarsi in un commissariato.
Lo sguardo le cadde sulla scrivania vuota: Susanne non c’era,
era in un’altra
stanza ad esaminare delle carte; Hartmut girava nervosamente per il
comando e
un altro agente digitava senza sosta sulla tastiera di un computer, ma
nessuno
pareva accorgersi dello squillo insistente del telefono.
La donna si avvicinò alla scrivania e, senza pensarci due
volte, afferrò la
cornetta.
«Polizia autostradale, buongiorno.».
«Sono Aida!» gridò una voce
dall’altro capo del telefono.
Andrea quasi non credette alle proprie orecchie ed emise un suono
soffocato di
sorpresa, attirando l’attenzione del tecnico e della
segretaria, che accorsero
in fretta.
«Aida, tesoro, sono io, sono la mamma! Dove sei?».
«Mamma sbrigati, ti prego, dovete venire! Papà sta
male e lui e zio Ben sono
chiusi dentro ad una stanza senza finestre, dovete venire!».
«Cucciolo, dimmi dove sei!».
«Nella zona industriale, il penultimo capannone.»
la bambina ripeté
diligentemente ciò che le aveva detto Ben e Andrea non
riuscì a trattenere un
sorriso tra le lacrime.
«Mamma, devo nascondermi, venite presto!»
gridò ancora Aida prima di
riattaccare.
La donna annuì come se la ragazzina potesse vederla e
sorrise ancora... sua
figlia stava bene!
Fu solo allora però che si rese conto di ciò che
la bambina le aveva appena
detto: papà sta male...
Andrea rimase immobile con la cornetta del telefono in mano mentre
Susanne le
sfiorava da dietro una spalla e componeva in fretta il numero della
Kruger.
«Uno...
due... tre!».
La Kruger diede il via e subito le squadre speciali cominciarono a
demolire la
parete del capannone con minime dosi di esplosivo.
Era rischioso, ma quella specie di cubo di metallo corrispondente alla
stanza
in cui dovevano trovarsi i due ispettori non aveva aperture, era
sicuramente
stato restaurato e studiato apposta per essere difficilmente
accessibile.
Fu un’operazione che richiese minuti interminabili, durante i
quali il
commissario non spostò di un millimetro le mani dal calcio
della pistola,
cercando di prepararsi a qualunque scena avesse assistito una volta
entrata.
Subito dopo la telefonata di Susanne, tutte le squadre già
nelle vicinanze
avevano raggiunto il capannone e due uomini avevano recuperato la
piccola
Gerkhan nascosta tra i radi cespugli sul retro della struttura.
Sembrava sconvolta, ma per fortuna fisicamente stava bene e questo per
la donna
era già una conquista.
Mentre il buco che si era creato nella parete si allargava sempre di
più,
cercava di capire cosa vi fosse all’interno, e quando
finalmente poté entrare,
tirò un enorme respiro di sollievo.
Ben e un altro uomo, che la Kruger sospettò essere il famoso
Tom Kranich,
fissavano il buco sulla parete con aria terrorizzata, ma stavano bene.
Ma, poco distante, Semir era accasciato contro la parete opposta,
totalmente
privo di conoscenza.
«Gerkhan! Accidenti, un’ambulanza
presto!» gridò avvicinandosi al suo
ispettore.
«Commissario, grazie al cielo!» fece Ben con le
lacrime agli occhi, alzandosi e
accogliendo l’aiuto dei soccorritori, così come
Tom.
I momenti che seguirono furono confusi, troppo confusi.
Grida, pianti, sirene, domande... tutto accadde in fretta, ad una
velocità
supersonica.
L’unica cosa che Ben distinse con chiarezza prima di perdere
conoscenza e
cedere al sonno dovuto allo shock e alla stanchezza, fu la barella di
Semir che
veniva caricata in fretta su un’autoambulanza.
Confusione
per Ben e immagino un po’ di confusione anche per voi
lettori... ma presto la
storia recupererà un po’ di linearità.
Grazie
davvero a chi continua a seguirmi e un bacione!
Sophie
:D
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Capitolo 16 *** Tom... ***
Dodici
ore dopo, in ospedale...
Quando
il medico uscì dalla piccola stanza con una cartella clinica
stretta al petto,
Andrea scattò in piedi abbandonando quella sedia su cui
sostava ormai da troppo
tempo.
«Ci sono novità?» chiese mentre il cuore
ricominciava a batterle forte.
L’uomo scosse il capo, ma esibì un sorriso
abbastanza rassicurante «No signora,
nessuna novità, ma le condizioni di suo marito sono stabili.
Come le ho già
detto l’intervento è riuscito, abbiamo asportato
il proiettile e siamo riusciti
ad intervenire bene nonostante la copiosa perdita di sangue del
paziente. Mi
aspetto che si svegli nelle prossime ore, se vuole può
stargli accanto ma la
prego, non faccia rumore, lo lasci riposare. E mi chiami non appena
nota
qualche cambiamento, va bene?».
La donna sorrise e i suoi occhi si illuminarono «Grazie
dottore, grazie
davvero!».
«Si figuri, ho fatto solo il mio lavoro.»
replicò il medico, allontanandosi poi
in silenzio lungo il bianco corridoio.
Dopo averlo accompagnato con lo sguardo fino alla fine, Andrea si
voltò verso
la sedia su cui sostava ora l’uomo che per tutto il giorno le
era stato
accanto: Tom Kranich.
Quando lo aveva visto entrare in ospedale insieme a Semir non aveva
creduto hai
propri occhi, ma era troppo sconvolta e spaventata per realizzare
davvero chi
le fosse passato davanti.
Poi, dopo che anche lui ebbe fatto una serie infinita di controlli, la
aveva
raggiunta davanti alla sala operatoria, dove la donna stava aspettando
l’esito
dell’intervento del marito.
E allora Andrea era scoppiata a piangere tra le sue braccia chiedendosi
come
tutto ciò fosse possibile e lui l’aveva consolata
dolcemente, esattamente come
avrebbe fatto otto anni prima, e poi le aveva raccontato la sua storia.
I medici usciti dalla sala operatoria avevano poi dichiarato che Semir
era
fuori pericolo ma che si sarebbe svegliato dopo parecchie ore e Tom non
aveva
mai smesso di starle accanto.
«Io
vado da lui.» mormorò la donna con un sorriso, e
l’amico annuì senza aggiungere
altro.
La
stanza in cui Andrea entrò era piccola e semplice ma molto
accogliente e
l’unico letto presente era quello su cui giaceva immobile
Semir.
La moglie del poliziotto si sedette accanto a lui guardandolo con
dolcezza «Ehi
Semir... mi hai fatto spaventare, di nuovo. Questa volta pensavo che
non ce
l’avreste fatta e poi ero così preoccupata per
Aida! Mentre adesso lei sta
bene... e tu invece
ti sei lasciato fregare.
Ma appena ti sveglierai troverai una sorpresa, sai?».
La donna sistemò il cuscino di Semir con delicatezza,
ricominciando poi a
parlare «Tom è vivo e mi ha raccontato tutta la
sua storia. Però adesso è
terrorizzato, ha paura che tu non lo perdonerai... non sarà
così vero? Dobbiamo
tornare l’unica grande famiglia di un tempo: io, te, le
bambine, Tom e... e
Ben...».
Nominando il giovane ispettore, ad Andrea vennero gli occhi lucidi.
Ben...
«Già
tornata?» domandò Tom vedendo Andrea uscire dalla
stanza pochi minuti dopo e
chiudersi la porta alle spalle.
«Tom, secondo me dovresti parlargli tu.».
A quelle parole l’uomo si irrigidì.
«Io... io penso che...».
«Sta ancora dormendo, vai solo a salutarlo...».
«Andrea, io non so quando si sveglierà quanto
sarà contento di vedermi.».
«Scherzi?» replicò la donna alzando un
sopracciglio «Non crederà ai suoi occhi.
Vai!».
Tom sospirò, quindi si alzò a sua volta e
raggiunse a passi lenti la piccola
stanza.
Bip...
bip... bip...
Quel
suono intermittente gli dava fastidio.
Aveva mal di testa.
E non riusciva ad aprire gli occhi.
Provò a concentrarsi e gli parve di udire quel suono ancora
più nitido.
Poi, lentamente, ebbe l’impressione di riuscire a distinguere
qualche ombra.
Le palpebre erano pesantissime e non volevano saperne di alzarsi del
tutto.
Un soffitto bianco... un comodino alla sua destra e accanto ad esso una
sedia... e sopra di essa... sì, c’era un uomo, ma
non era Ben.
Chi poteva essere?
Semir provò a schiudere di più gli occhi ma una
fitta di dolore a tutta la parte
destra del busto lo costrinse a richiuderli.
Li schiuse ancora: no, non era Ben.
Piuttosto sembrava...
Improvvisamente, mentre le immagini gli apparivano più
nitide, una valanga di
ricordi confusi gli invase la mente.
Resta sveglio, Semir... Non te ne andare,
resta qui... Io sto bene, collega... No, no, forza, Semir!.. Non ha
quasi più
polso...
Tom.
Tom era vivo...
Senza che nemmeno se ne rendesse conto, un sussurro era già
uscito dalla sua
bocca. Un sussurro lievissimo, ma sufficiente a svegliare
l’uomo seduto sulla
sedia accanto al suo letto, che si era addormentato, vinto dalla
stanchezza, e
quasi saltò dallo spavento sentendo la sua voce.
«Tom...».
«Semir!» esclamò l’uomo
alzandosi di scatto e avvicinandosi all’amico con gli
occhi sgranati «Semir, come stai?».
Semir non rispose.
Ormai aveva aperto gli occhi completamente ma lo fissava senza emettere
un
fiato.
Che quella che aveva davanti fosse solo un’allucinazione, un
effetto dei
sedativi o dell’anestesia?
Quasi leggendogli nel pensiero, Tom gli strinse la mano appoggiata
immobile sul
lenzuolo bianco e gli sorrise «Semir sono io... sono
Tom!».
Il poliziotto sbatté ancora le palpebre «Allora
non... non sei
un’allucinazione.».
«No... no, sono io...» rispose Kranich senza
riuscire a trattenere una lacrima «Bentornato
collega!».
Ma Semir ancora non sembrava aver realizzato «T...
Tom...».
«Sì, sono io...».
«Io... credevo fossi morto.» riuscì a
mormorare l’ispettore con voce appena
udibile.
«Sto bene... io sto bene.».
Semir rimase ancora immobile a fissarlo. Non poteva davvero credere che
quello
che aveva davanti fosse una persona reale e non un fantasma o uno
scherzetto
provocato dai farmaci.
Non sapeva nemmeno se ridere o piangere, ma prima che se ne rendesse
conto i
suoi occhi si erano già riempiti di lacrime.
Tom sorrise, stringendo l’amico in un abbraccio.
«Come
è possibile?» domandò il turco dopo
qualche attimo, ripresosi almeno in parte dallo
shock iniziale.
«La Engelhardt mi aveva fatto inserire all’interno
del programma di protezione
testimoni perché...».
«Un momento... la Engelhardt lo sapeva?».
Tom abbassò lo sguardo, rendendosi conto che la situazione
cominciava già a
complicarsi, e annuì «Sì era...
è stata un’idea sua.».
Semir corrucciò la fronte e si rabbuiò
immediatamente «E io non ne sapevo
niente...».
«Semir, sarebbe stato pericoloso, e poi...».
L’uomo
venne interrotto dal rumore della porta che si apriva.
Andrea entrò cauta nella stanza, e non appena vide che il
marito aveva ripreso
conoscenza, gli corse incontro sorridente, mentre Tom, lentamente,
retrocedeva,
fuggendo da una discussione che prima o poi avrebbe dovuto affrontare.
Tom
sembra proprio Tom... non trovate?E di Ben invece non sappiamo nulla...
Grazie
mille sempre a voi recensori, siete meravigliosi.
Un
bacione!
Sophie
:D
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Capitolo 17 *** Veleno ***
«Direi
che è tutto a posto.» costatò il medico
con un sorriso, girando ancora una
volta attorno al letto di Semir e ricontrollando le sue condizioni
«La ferita
le provocherà un po’ di dolore ma per il resto va
tutto bene, deve solo
riposarsi... e possibilmente non avere altri shock.» concluse
lanciando
un’occhiata severa a Tom, avendo intuito che qualcosa non
quadrasse nella
presenza di quell’uomo in ospedale.
«Stia tranquillo, dottore.» fece Andrea sorridendo
a sua volta.
«Ora datemi retta, restate ancora un pochino se volete, ma
poi lasciate
riposare il paziente, che ne ha bisogno.» ribadì
l’uomo in camice bianco,
uscendo dalla stanza.
Semir sbuffò, irrequieto «Ma quale riposo, sto
benissimo.» disse non appena il
medico ebbe richiuso la porta, ma venne interrotto da una forte fitta
di dolore
alla ferita.
«Benissimo?» fece sarcastico Tom, ma
l’altro sembrò totalmente ignorarlo,
rivolgendosi invece alla moglie.
«Come sta Aida?».
«Sta bene.» rispose Andrea sedendosi accanto a lui
«È con Lily e la nonna a
casa.».
«E Ben?».
Nella stanza calò il silenzio. Andrea abbassò lo
sguardo e Tom cominciò a
fissare la parete con finto interesse.
«Allora? Come sta Ben?» ripeté
l’ispettore mentre l’ansia iniziava ad
assalirlo.
«Ben è... è... in ospedale anche lui,
al piano di sopra. È stato avvelenato
e...».
«Sì, me lo ricordo, ma come sta?» quasi
gridò Semir provando a fatica a
mettersi a sedere sul letto.
«I medici non hanno ancora trovato un antidoto e...
be’, non bene, Semir.»
intervenne Tom con un filo di voce.
«Devo andare da lui!».
«No Semir, non puoi!» esclamò Andrea,
appoggiandogli una mano sulla spalla.
«Lasciami!» gridò il marito in preda al
panico, agitandosi e provando in tutti
i modi ad ignorare il dolore e a scendere dal letto.
«Fermo, non puoi alzarti.» fece Tom prendendolo per
le spalle, ma senza
riuscire ad evitare che il turco mettesse le gambe fuori dal letto e si
sollevasse in piedi.
Semir provò a raggiungere la porta, ma la testa
cominciò a girargli
vorticosamente e in men che non si dica l’ispettore si
ritrovò steso a terra,
con il capo appoggiato sulle ginocchia del suo ex collega, che lo aveva
afferrato e accompagnato al suolo in modo che non urtasse lo spigolo
del
comodino nella caduta.
Una fitta lancinante alla ferita costrinse l’ispettore a
stringere gli occhi,
che in fretta si riempirono di lacrime «Lasciami andare da
Ben... lasciami!».
«Semir, calmati, ti devi calmare.».
«Lasciami andare.» continuò a ripetere
provando a divincolarsi dalla forte
stretta che lo costringeva a terra.
Spaventata, Andrea aveva nel frattempo chiamato nuovamente il medico,
che
raggiunse la stanza di corsa, e sistemò di nuovo Semir nel
letto aiutato da due
infermieri.
«Lasciatemi andare, devo andare da Ben! Vi prego,
lasciatemi!» continuò a
gridare il poliziotto, divincolandosi senza neppure far più
caso al dolore
«Devo andare da Ben...».
«Sediamolo.» ordinò il dottore tenendolo
fermo «In fretta, rischia di farsi del
male.».
«Lasciatemi andare...» mormorò ancora
una volta Semir, prima che le tenebre si
richiudessero su di lui.
Tom
Kranich schiacciò il tasto che indicava il secondo piano e
aspettò con pazienza
che le porte scorrevoli dell’ascensore su cui era appena
salito si
richiudessero.
Vedere Semir in quello stato lo aveva abbastanza turbato e certamente
aveva confermato
ciò che pensava di aver intuito fin dall’inizio:
lui e quel Jager dovevano
avere davvero un legame molto forte, che probabilmente superava anche
quello
che c’era stato anni prima tra loro due.
L’uomo sospirò, uscendo dall’ascensore e
percorrendo con calma il corridoio
bianco del secondo piano, alla ricerca della stanza numero ventiquattro.
Cauto, entrò richiudendosi la porta alle spalle e raggiunse
in silenzio la
sedia posta accanto al letto su cui giaceva immobile Ben Jager: si era
addormentato.
Tom lo osservò a lungo.
Era giovane, gli aveva fatto subito una buona impressione e adesso
vederlo così
lo faceva star male.
Ancora una volta maledisse Erik Gehlen e maledisse se stesso per aver
in
qualche modo trascinato sia Semir sia il suo collega in quel labirinto
mortale,
da cui nessuno dei due era riuscito ad uscire illeso.
Ma ciò che lo preoccupava di più era la sorte del
ragazzo: conosceva Gehlen,
sapeva che probabilmente avrebbe nascosto bene l’antidoto e
forse non avrebbe
mai dato loro l’occasione di trovarlo, ma bisognava almeno
tentare.
Gli rimanevano ancora quarantotto ore...
Tom prese la mano del giovane poliziotto e la accarezzò
piano, sorridendo
appena.
«Sappi che troverò quel bastardo, Ben. E
soprattutto troverò l’antidoto e tu
guarirai, va bene? Però devi mettercela tutta, collega, altrimenti poi chi lo sente
Semir?» sussurrò osservando il
monitor che lanciava segnali regolari accanto al letto
dell’ispettore «Forza
Ben...».
Tom ritirò la mano e rimase ancora qualche minuto
lì a vegliare sul poliziotto,
facendo bene attenzione a non svegliarlo.
Ripensò alla telefonata che aveva ricevuto da Gehlen qualche
ora prima, con cui
il criminale gli aveva gentilmente spiegato quali sarebbero stati i
sintomi del
veleno, che in realtà si erano rivelati piuttosto semplici:
febbre, dolori
muscolari, sonnolenza, poi complicazioni varie e crisi respiratorie e
infine
morte certa. Gli aveva anche giurato di possedere un antidoto e aveva
promesso
che avrebbe dato loro una possibilità per ottenerlo e che si
sarebbe rifatto
vivo lui.
Tom aveva provato a richiamare quel numero e a farlo rintracciare, ma
ovviamente non aveva ottenuto assolutamente nulla: sarebbe stato troppo
semplice.
Demoralizzato, passò il dorso della mano sulla fronte del
giovane, trovandola
estremamente cada e umida di sudore.
Quindi si alzò dalla sedia e uscì lentamente
dalla piccola stanza, non prima di
aver salutato con un cenno rivolto al vuoto il giovane Ben Jager.
Ed
ecco qui, avete notizie di Ben... non buone direi!
Un
bacione e grazie sempre a tutti coloro che mi seguono e a chi
recensisce.
Sophie
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Capitolo 18 *** Fuga ***
Tredici
ore dopo...
«Ehi,
Semir! Come stai?» esclamò Tom entrando nella
piccola stanza sforzandosi di
sorridere.
L’uomo seduto sul letto, con due cuscini dietro alla testa,
non rispose
nemmeno.
Era pallido, due marcate occhiaie gli decoravano il volto e gli occhi
erano
rossi e piccoli.
«Come sta Ben?» domandò qualche attimo
dopo in un sussurro.
Tom abbassò lo sguardo «Non bene. Vengo adesso
dalla sua stanza, ci sono
tornato per salutarlo, ha la febbre alta, dolori alle gambe e ha
già avuto la
prima crisi respiratoria.».
Il turco provò a impedire alle lacrime di presentarsi e
scosse appena il capo
«Voglio vederlo... perché non mi ci lasciano
andare?».
«Ma Semir, guardati! È normale che i medici non ti
vogliano far alzare e di
sicuro non vogliono provocarti altri shock dopo quello che è
successo ieri.».
«Ma non lo capisce nessuno che io sto peggio così?
Eh? Nemmeno tu lo capisci?».
«Semir, calmati, o dovrò di nuovo chiamare il
medico.».
«Va bene.» fece allora il poliziotto provando a
controllarsi «Dimmi almeno che
Gehlen si è fatto vivo...».
Tom scosse il capo «No, ma so che ha un antidoto. In
realtà mi ha telefonato
l’altra notte ma non mi ha detto altro, solo che ci
darà una possibilità e che
si farà vivo lui.».
Semir spalancò gli occhi «Ha un
antidoto?».
«Sì ma...».
«Perché non me lo hai detto subito? Andiamo a
cercarlo, Tom!».
L’uomo sospirò girando nervosamente per la stanza
«Uno, non abbiamo idea di
dove possa trovarsi; due, tu non vai proprio da nessuna
parte.».
Semir sbuffò, incenerendo l’ex collega con
un’occhiata «Io posso uscire di qui,
sto bene. Aiutami, dobbiamo trovarlo, dobbiamo fare
qualcosa.».
«Non ti daranno mai il consenso, lo sai. Sei troppo
debilitato, hai subito
un’importante operazione e...».
«Allora aiutami a fuggire.» ordinò il
turco con tono deciso.
«Fuggire? Ma Semir, cosa dici? Non posso aiutarti a fuggire!
E tu non puoi
muoverti da qua.».
«Sai una cosa, Tom? So benissimo quello che posso o non posso
fare, e tu sei
l’ultima persona che può decidere al posto mio.
Fai come vuoi, se non mi aiuti
proverò per conto mio... ma io
non
lascio da solo il mio collega.».
Le ultime parole dell’ispettore tagliarono l’aria
con la stessa potenza di una
lama affilata.
Tom abbassò lo sguardo con un sospiro «Credi che
farmi sentire in colpa perché
me ne sono andato possa convincermi a farti fuggire?».
«Tom... ti prego. Una volta avremmo fatto qualsiasi cosa
l’uno per l’altro, ti
ricordi? O hai già dimenticato? Ci saremmo fatti ammazzare
volentieri pur di
aiutarci, non è così? Ora io ti sto chiedendo
aiuto. Voglio solo salvare la
vita al mio collega, al mio migliore amico, e tu sei l’unica
persona che mi
possa davvero aiutare.».
L’uomo scosse appena il capo «È una
follia.».
Semir lanciò un’occhiata all’orologio
«Abbiamo ancora quasi trentasei ore di
tempo, Gehlen si farà vivo se vuole darci una
possibilità, no? Fuggiamo
stanotte.».
«Non sei nemmeno in grado di reggerti in piedi. Semir, ti
ricordo che un giorno
e mezzo fa tu eri sul punto di morire dissanguato.»
obiettò ancora Tom,
guardando negli occhi il suo ex collega.
«Sto bene... mi aiuterai tu e starò
attento.».
L’ex ispettore sospirò ancora e si diresse verso
l’uscita della stanza.
«Spero davvero di non pentirmene.».
Tre
ore dopo, 22.43.
«Shhh! Mapporca! Fai piano con quella sedia!»
sbottò Semir maledicendo l’uomo
che stava cercando di uscire dalla stanza trasportandolo sopra ad una
sedia a
rotelle.
«Questa cosa ha le ruote
mezze
andate, Semir!» replicò Tom, guardandosi intorno
circospetto e cominciando a
muoversi silenziosamente lungo il corridoio deserto.
«Si vede che non sei più sulle autostrade da otto
anni, non sei nemmeno in
grado di guidare una sedia a rotelle.».
Tom alzò gli occhi al cielo, ma il cuore gli si
riempì di gioia nel constatare
che forse l’amico aveva diminuito almeno un po’
l’ostilità iniziale nei suoi
confronti.
Lentamente, entrambi si diressero al buio verso l’ascensore,
pregando di non
incontrare nessun medico di turno. E furono fortunati, almeno per
quanto
riguardò la discesa al piano terra.
Una volta giunti in prossimità dell’uscita, la
faccenda si rivelò più
complicata del previsto. Alcuni medici giravano per il reparto, chi con
aria
professionale, chi con espressione assonnata, ma l’uscita
distava da loro una
decina di metri da percorrere interamente allo scoperto.
«Dimmi che hai un piano.» supplicò Semir
in un sussurro, benedicendo l’idea
dell’ex collega di trasportarlo sulla sedia a rotelle, dato
che già aveva
ripreso a girargli la testa.
«Ce la fai con la sedia ad arrivare fino all’uscita
senza dare troppo
nell’occhio?» domandò Tom in risposta.
Il turco annuì.
«Bene, allora io distraggo quei due medici nel
salone.».
«E come?».
L’uomo alzò le spalle
«Improvvisazione.».
Così dicendo, Tom si allontanò e
cominciò a parlare con i due medici, facendo
in modo che questi si voltassero dalla parte opposta rispetto
all’uscita.
Semir, non appena i due si furono girati, cominciò a girare
le ruote della
sedia in direzione dell’uscita e si nascose come meglio
poteva dietro ad una
colonna accanto alla porta scorrevole.
Sentì l’ex collega salutare e ringraziare i
medici, fingendo di aver sbagliato
reparto e scusandosi per l’orario inconsueto dicendo di
essere sconvolto, e
poco dopo avvertì la sua presenza accanto a sé.
«Okay.» fece Tom «La mia macchina
è parcheggiata qui fuori, lasciamo la sedia
qua, ce la fai ad alzarti?».
L’ispettore annuì e si alzo a fatica, trattenendo
a stento un grido di dolore.
Entrambi, lenti e silenziosi come felini, raggiunsero l’auto
di Tom e una colta
raggiunta vi salirono il più velocemente possibile.
Quindi partirono a tutto gas, lasciando un attonito medico che si era
accorto
di loro, immobile sul marciapiede, a guardare.
«Perfetto,
adesso cosa hai intenzione di fare?» domandò Tom
entrando in autostrada.
Semir guardò fuori dal finestrino tenendosi la spalla
dolorante «Non ho mai
detto di avere un piano.».
«Oh, fantastico.».
«Non l’ho nemmeno salutato...»
mormorò il turco con un sospiro.
«Sarebbe stato rischioso girare per l’ospedale
prima di scappare.» fece l’uomo
al volante tenendo lo sguardo fisso davanti a sé
«E comunque lo rivedrai,
tranquillo.».
«Vivo, spero.».
Tom aprì bocca per replicare, ma lo squillo del suo
cellulare posato sul sedile
posteriore dell’auto gli tolse il respiro.
Scusate,
ho saltato una settimana, ma eccomi qui!
Grazie
a chi continua a seguire e a
recensire, un bacione.
Sophie
:D
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Capitolo 19 *** Spiegazioni ***
«Be’,
che aspetti? Rispondi!» esclamò Semir, sentendo il
cuore accelerare ad ogni
squillo del cellulare.
Tom annuì lievemente e, senza togliere nemmeno per un
istante lo sguardo dalla
strada, aprì la comunicazione e impostò il
vivavoce.
Le note della risata malvagia che ormai entrambi conoscevano fin troppo
bene si
diffusero nell’abitacolo dell’auto, creando
improvvisamente un’atmosfera densa
di tensione.
«E così, i due sbirri di nuovo insieme eh? La
coppia d’oro!» rise Gehlen,
prendendosi gioco dei due uomini.
Semir si impose di stare calmo nonostante avesse i nervi a fior di
pelle, e si
decise a parlare solo quando capì che l’ex collega
accanto a lui non sembrava
aver intenzione di proferire parola.
«Gehlen, basta con questa storia. Ti devi vendicare di me,
non di Ben, dimmi
dov’è l’antidoto.».
«Ma proprio per questo mi accanisco sul ragazzo, Gerkhan...
dove sarebbe
altrimenti il divertimento? Se ti uccidessi adesso non soffriresti
abbastanza.».
«Dov’è l’antidoto?»
ripeté il turco con voce ferma, nonostante le mani gli
tremassero terribilmente.
«Quanta fretta, ispettore... prima dovrà giocare
con me.».
Una tenaglia si serrò intorno alla gola di Semir. Giocare
con lui? Ancora?
«Cosa... cosa vuoi dire...».
«Ho preparato un altro giochetto, Gerkhan. Considerando che
hai risposto al
cellulare di Kranich, immagino che voi due vi troviate vicini in questo
momento, quindi ascoltatemi bene.».
Gehlen fece una pausa e i due uomini in macchina immaginarono il suo
ghigno
soddisfatto mentre si accingeva ad esporre un altro dei suoi giochi
mortali.
«Voglio la vecchia squadra al completo.» disse poi,
semplicemente.
«La vecchia squadra?» domandò Tom,
intervenendo per la prima volta nella
conversazione.
«Esatto.» confermò il criminale
«La vecchia squadra, quella dei tempi in cui tu
ed io, Kranich, siamo morti. Voglio
il commissario di allora, la segretaria di allora, gli ispettori di
allora e
quello scienziato da strapazzo che lavora ancora con voi. Vi voglio
tutti
insieme.».
«Gehlen, alcune di quelle persone se ne sono
andate.» obiettò Semir,
mascherando il dolore che una fitta alla ferita gli aveva appena
provocato.
«Gerkhan, niente squadra, niente antidoto. Entro le sei di
stamattina dovrete
essere tutti insieme e io mi farò vivo. Avete sette ore,
dopo di che ve ne
resteranno circa ventotto per salvare Jager. Tutto chiaro?».
«Gehlen, ascolta...» provò a rispondere
Tom, ma l’uomo dall’altro capo del
telefono aveva già riattaccato.
Tom
accostò in una piazzola parallela all’autostrada e
tirò giù il finestrino
posteriore dell’auto per lasciare che
nell’abitacolo entrasse un po’ d’aria.
Semir, accanto a lui, si prese la testa tra le mani cercando di
riordinare le
idee che gli affollavano la mente creando una grande confusione
«Ci deve essere
un modo per arrivare a quel maledetto antidoto e a Gehlen...»
sussurrò.
«Assecondandolo.» fece Tom appoggiando i gomiti sul
volante.
«Tom... non ho idea di dove sia la Engelhardt, non vedo Petra
da anni e anni,
Otto è morto... mi spieghi come facciamo a portargli quello
che vuole? Le cose
sono un po’ cambiate in otto anni, in caso non te ne fossi
accorto.».
«Me ne sono accorto, certo, ma la Engelhardt mi ha sempre
tenuto informato su
tutto. Credi che in tutto questo tempo me ne sia fregato totalmente del
comando, dei colleghi, di te?».
«Io non credo niente, so solo che in questo momento ho
accanto a me una persona
che dovrebbe essere morta e che se non fosse stato per te probabilmente
adesso
Ben starebbe bene!» replicò Semir trattenendo a
stento le lacrime, che
minacciavano troppo spesso di presentarsi per la rabbia, la paura, il
dolore.
«Senti Semir, tra una cosa e l’altra non ti ho
ancora spiegato come stanno le
cose, d’altra parte è passato sì e no
un giorno e mezzo da quando ci siamo
incontrati, e prima non eri in condizioni di ascoltarmi.»
cominciò Tom,
fissando il turco negli occhi e parlando con un tono che non avrebbe
ammesso
repliche «Io ho finto di essere morto per sette anni e mezzo,
per proteggere te, chiaro?
Perché la Engelhardt mi
aveva spiegato che per me e per chi mi conosceva sarebbe stato un
rischio, ma
solo quando ha detto il tuo nome io mi sono deciso ad accettare la sua
proposta. Ho vissuto in un paesino sperduto, senza contatti con
nessuno,
tornando solo di tanto in tanto a Colonia per vedere, sempre di
nascosto, come
stavi tu, come stava mia sorella, come stavate voi.
Poi la Engelhardt si è dimessa e io ho cominciato ad avere
molte meno notizie. Ho pensato milioni di volte di farmi vivo, ma lo
ammetto,
avevo paura... paura di tutto. Poi, finalmente presi una decisione
definitiva:
sarei riemerso dal mondo dei morti e sarei tornato a vivere
un’esistenza
normale, dato che tra l’altro dopo così tanto
tempo il rischio si era
notevolmente ridotto. Presi questa decisione una notte di tre mesi fa,
ma
esattamente la mattina seguente venni rapito da Gehlen, che scoprii
essere
ancora vivo come me. Non so come diavolo avesse fatto a trovarmi, so
solo che
mi tenne chiuso in una stanza per tre mesi, aspettando di attuare la
sua
vendetta. All’epoca Gehlen lavorava per Hoffman, il Giaguaro, ma quando la questione con lui
è terminata perché tu lo
avevi arrestato, solo allora Erik ha deciso di venire allo scoperto. Vi
ha
fatto fare il percorso, tu sei stato ferito, Ben è stato
avvelenato, e io mi
sento in colpa già da solo, non c’è
bisogno che tu mi dica che è merito mio se
il tuo collega adesso è in bilico tra la vita e la morte.
Vorrei solo che
sapessi che tutto questo
non era per nulla quello che avevo
immaginato.».
Tom si fermò per riprendere fiato, aspettando la reazione
dell’ex collega, che
una volta terminato di ascoltare si voltò
dall’altra parte sfuggendo al suo
sguardo.
Gli attimi di silenzio che seguirono sembrarono interminabili,
interrotti solo
dal ticchettio delle lancette dell’orologio da polso di Tom,
che ora segnavano
le 23.12.
Semir sembrò voler ignorare il discorso dell’altro
uomo.
«Andiamo, dobbiamo riunire la squadra.»
mormorò, continuando a non guardarlo.
Una
serie di capitoli soft, ma tranquilli che poi l’azione
ricomincia. Grazie sempre
a chi mi segue e in particolare a Chiara, Maty, Furia, Tinta e Miki che
continuano a recensire.
Un
bacione!
Sophie
:D
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Capitolo 20 *** Riunione ***
«No
Susanne, hai capito
benissimo!» gridò Semir al telefono
«Devi cercarmi Petra Schubert... no,
richiamami quando l’hai trovata e dille di andare in Freiss
Straβe. Va bene,
grazie.».
Il turco chiuse la comunicazione e vide che l’ex collega alla
guida faceva
altrettanto, tralasciando spudoratamente le regole della strada.
«Okay, io ho avvisato la Engelhardt che andiamo a casa
sua.» fece Tom
trasferendosi sulla corsia sinistra dell’autostrada.
«Io l’ho detto a Dieter e Hartmut e ho chiesto a
Susanne di cercare Petra che
evidentemente nel frattempo aveva cambiato scheda
telefonica.» spiegò Semir
«Povera Susanne, tra un po’ è mezzanotte
e non le ho nemmeno spiegato cosa sta
succedendo.».
«La Engelhardt invece si è trasferita da un
po’, lo sapevi? È fuori Colonia, ma
entro le cinque dovremmo esserci.».
«Anna Engelhardt... mi sembrerà strano rivederla
non in veste di mio
superiore.» commentò l’ispettore con un
sospiro.
«Fidati, è sempre uguale.» sorrise Tom,
premendo ancora con il piede
sull’acceleratore.
Erano le quattro
passate quando la Mercedes sulla quale viaggiavano i due ispettori si
fermò
davanti alla casetta indipendente illuminata in mezzo alla via in cui
quasi
tutti gli altri appartamenti avevano già le luci spente.
Semir fece per aprire lo sportello, ma si fermò notando che
l’altro non si
fosse ancora nemmeno slacciato la cintura, intento com’era
nel fissare il vuoto
davanti a sé.
La preoccupazione per quello che era stato il suo migliore amico un
tempo
prevalse sulla rabbia e la delusione che la persona che aveva affianco
gli
aveva provocato nelle ultime ore.
«Cosa c’è?» domandò
in un sussurro.
Tom sembrò riscuotersi e guardò l’ex
collega con un mezzo sorriso «Niente è
solo... niente.».
«Ehi... penso di conoscerti abbastanza bene per capire che
c’è qualcosa che non
va...» replicò il turco richiudendo il proprio
sportello.
«Ma no, niente, andiamo.».
Semir gli bloccò la mano prima che potesse togliersi la
cintura «Petra?».
L’uomo lo fissò negli occhi con uno sguardo che
fece comprendere all’ispettore
di aver centrato il problema.
«Anche per lei dovrei essere morto.»
cominciò Tom «E lei mi amava...».
«Infatti è stata malissimo.»
confermò Semir «Ma vedrai che sarà
contenta di
vederti. Tutti saranno contenti di vederti.».
Tom annuì, sollevato dalle poche parole dell’amico
«Grazie, collega.».
Semir provò a non far caso a quella parola. A
quell’ultima parola che per
troppo tempo non aveva sentito pronunciare da quelle labbra.
Il turco
riaprì lo
sportello e scese dalla macchina, ma un forte giramento di testa lo
costrinse ad
appoggiarsi al cofano dell’auto.
«Semir! Semir, che succede?» domandò Tom
correndo accanto a lui.
«Niente... niente, mi gira solo un po’ la
testa.».
«Più passano le ore e più mi pento di
averti fatto uscire da quell’ospedale.».
«Sto bene.» ripeté Semir
«Andiamo.».
Anna Engelhardt
guardò
un po’ spaesata i suoi ospiti.
Ormai erano tutti arrivati già da una decina di minuti,
Hartmut, Dieter,
Petra... era stato strano rivederli tutti insieme dopo tanto tempo.
Mancavano soltanto Tom e Semir, e la donna era sicura che rivederli
insieme le
avrebbe fatto un certo effetto.
Per questo quando sentì suonare il campanello quasi le
balzò il cuore in gola.
Veloce, lasciò il salotto dove aveva fatto accomodare gli
altri e raggiunse
l’ingresso accendendo la luce.
Posò la mano sulla maniglia della porta e aprì
con un sospiro.
Nessuno seppe
quanto
tempo trascorsero sulla soglia i due uomini prima di entrare.
Semir rimase immobile davanti al suo ex capo senza proferire parola e
la
Engelhardt restò altrettanto attonita
nell’osservare insieme quelli che erano
stati i suoi due uomini migliori molti anni prima.
Fu Tom a rompere il ghiaccio, dopo tutto era stato lui a vedere
l’ex
commissario più ultimamente tra i due.
«Gli altri sono già arrivati, capo?».
«Quando la smetterai di chiamarmi così?»
sorrise la donna in risposta «Sì, sono
tutti di là, venite.».
I due entrarono e la porta si chiuse alle loro spalle.
«Semir, come stai?».
«Lei come sta?» chiese il turco evitando
così di rispondere alla domanda.
La Engelhardt annuì, preoccupata dalla cera del suo ex
ispettore «Ma... ti
senti bene?».
No. Semir non stava bene per niente. La testa aveva ripreso a girargli
come una
trottola, la ferita gli faceva male, aveva nausea e percepiva tutti i
suoni
lievemente ovattati.
«Sediamoci, ce l’ha un po’ di acqua e
zucchero?» rispose Tom al suo posto «Ora
le raccontiamo per bene cosa è successo.».
Un po’
di tempo dopo, seduti
attorno alla piccola stufa che la padrona di casa aveva acceso al
centro del
salotto, i membri della squadra di otto anni prima si erano finalmente
ripresi
dallo shock.
Tutti meno Petra Schubert, che attonita guardava il pavimento per
evitare di
fissare troppo a lungo Tom Kranich.
L’ex ispettore aveva appena finito di raccontare loro tutta
la storia.
Aveva parlato della sua morte, della sua scomparsa, di Gehlen, della
prigionia,
del percorso, di Ben.
Aveva anche spiegato cosa il criminale avesse chiesto loro di fare,
ossia di
riunire la squadra e aspettare che egli stesso li contattasse di nuovo.
L’atmosfera che si era creata in quella stanza era surreale,
quasi magica. Uno
strano alone di mistero aleggiava nell’aria e si diffondeva
accompagnato dalle
parole di Tom, che raccontava lentamente e si scusava con tutti i
presenti per
i precedenti, lunghi, otto anni.
Semir, nel frattempo, non aveva proferito parola.
Dopo aver salutato tutti aveva lasciato parlare Tom e si era seduto,
concentrandosi sul tentare di non perdere conoscenza in quel momento,
anche se
la tentazione di chiudere gli occhi visto come si sentiva era
grandissima.
Non udì nemmeno le ultime frasi pronunciate
dall’ex collega, ma improvvisamente
venne riscosso dallo squillo del cellulare che aveva in tasca.
Irrigidendosi per un istante, lo prese in mano e lesse il numero che
era
comparso sullo schermo.
Lanciò un’occhiata d’intesa a Tom e
tutti si ammutolirono in un istante.
«Pronto?» rispose Semir temendo ciò che
l’uomo dall’altro capo del telefono gli
avrebbe chiesto.
«Gerkhan, eccoci di nuovo. Come prosegue la riunione,
sentiamo?».
«Gehlen, dicci cosa dobbiamo fare e facciamola
finita.».
«Io penso, Gerkhan, che dopo otto lunghi anni sia giunto
finalmente il momento
che vittima e carnefice si vedano, non trovi? Voglio incontrarti,
Gerkhan.».
«Dove e quando?» domandò il turco
sperando per un attimo che la questione si
potesse risolvere solo tra loro due, senza coinvolgere gli altri
colleghi.
«Non troppa fretta, Gerkhan. Allora... io voglio che veniate
tutti voi al
cinema abbandonato di Gülliver Straβe. È
un’intera palazzina abbandonata su due
piani in realtà, te la ricordi? Dopo di che vi
dirò cosa fare e magari
otterrete anche l’antidoto. La palazzina è molto
in periferia, impiegherete
circa due ore e mezza a raggiungerla, sempre che non troviate ostacoli,
e visto
che adesso sono quasi le sei e mezza del mattino, poi vi rimarranno
circa
venticinque ore per salvare Jager. Sono stato generoso, non
trovate?».
«Non l’avrai vinta, Gehlen.».
«Vedremo Gerkhan, vedremo...» rise il criminale
divertito «Dimenticavo, non
portatevi la cavalleria. Sappiate che vi controllo, una sola mossa
sbagliata e
la mia unica boccetta di antidoto finisce tra la polvere.
Chiaro?».
Semir fece per ribattere, ma l’uomo aveva già
riattaccato.
L’ispettore guardò gli altri con aria stanca.
Poi Dieter e Hartmut si alzarono per primi, facendo cenno agli altri
presenti
di seguirli verso l’uscita.
Andrea si
svegliò di
soprassalto quando la sveglia suonò alle sette esatte del
mattino.
Senza perdere tempo, gettò i piedi fuori dal letto e
preparò il caffè per lei,
prima di pensare alla colazione delle bambine che si sarebbero
svegliate più
tardi.
Aspettando che la bevanda fosse pronta, afferrò il telefono
per comporre il
numero del marito: era presto, ma lei era sicura che a
quell’ora essendo in
ospedale sarebbe stato già sveglio e in più aveva
uno strano presentimento.
Aprì la comunicazione e rimase in attesa di una risposta che
non arrivò.
Ci
avviciniamo alla
resa dei conti...
Grazie
mille a tutti voi e un bacione!
Sophie
:D
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Capitolo 21 *** Scuse & Ringraziamenti ***
Buongiorno
a tutti!
Questo
breve "capitolo" è dedicato interamente a voi lettori.
In realtà non è un capitolo vero e proprio, pare
più una lettera di scuse,
perché è proprio questo che voglio fare, scusarmi
con voi. Scusarmi perché la
mia storia, questa volta, termina qui.
Strana decisione da parte mia, e vi assicuro sospirata a lungo,
perché io sono
e sono sempre stata dell'idea che una cosa vada conclusa oppure nemmeno
iniziata... questa
volta temo però che
interromperla sia la scelta migliore e ora proverò a
spiegarvi il motivo.
Mi sono accorta di aver fatto un grosso errore ad andare a riprendere
una
storia già scritta anni fa e mai pubblicata e decidere di
rispolverarla e
postarla qui. Allora scrivevo sicuramente in modo diverso, ma
soprattutto avevo
le idee un po' poco chiare su molti argomenti e perciò ho
trovato la storia
originale colma di incoerenze, incoerenze che aumentavano man mano che
ci
avvicinavamo alla fine.
Per evitare queste incoerenze, cosa che ho provato a fare fin
dall’inizio
nascondendole come meglio ho potuto, sarebbe stato in realtà
necessario
riscrivere da capo la storia cambiando anche elementi fondamentali
della trama,
che quindi l’avrebbero fatta apparire totalmente diversa
dall'originale: un
altro racconto.
Dato che la mia idea, in origine, non era però quella di
scrivere una nuova
storia ma quella di rispolverarne appunto una già scritta,
ho deciso di
terminarla qui.
Ripeto, odio lasciare le cose a metà e il mio errore
è stato quello di non
cominciare direttamente con una storia nuova ma di riprenderne una
vecchia e
scritta in modo più “infantile”. Ho provato
a portarla avanti come meglio ho potuto ma mi arrendo, non ci sono
riuscita.
Credetemi se vi dico che mi dispiace, mi dispiace davvero molto
perché mi
piaceva l’idea di partenza: mi piaceva riuscire ad utilizzare
i personaggi di
Ben e di Tom contemporaneamente, mi piacevano molti spunti che
già avevo creato
tempo fa ma che oggi non sono riuscita a sviluppare per iscritto come
avrei
voluto.
Ciò non esclude che un giorno io possa riprendere in mano la
storia,
continuandola o magari provando a riscriverla in chiave diversa, mai
dire mai.
Intanto, a maggior ragione perché mi sembra, fermandomi dopo
e mesi e mesi di
pubblicazioni di capitoli, di aver fatto perdere tempo a voi lettori,
vorrei
ringraziarvi.
Ringrazio davvero di cuore tutti voi che mi avete seguito fino a qui;
ringrazio
Maty, Chiara, Furia, MartiAntares, Miki, Reb, Chlo e Tinta che avete recensito; ringrazio
chi ha
messo la storia tra le preferite, seguite e ricordate e infine
ringrazio anche
voi, lettori “silenziosi”, per aver letto di volta
in volta i miei scarabocchi...
e metto la spunta alla casellina "completa" di questa storia.
Tornerò con altri racconti e ovviamente li
porterò a termine, come ho sempre
fatto prima d'ora, scrivendoli e ideandoli ora, con lo stile e le idee
che ho
adesso e non con quelli di quasi tre anni fa.
Non dimentichiamo che ho ancora una storia in sospeso e soprattutto in
sospeso
ho una serie, “Dieci ritagli di Cobra 11”: non
vorrete per caso che io
abbandoni Ben appena diventato papà e Semir appena diventato
vedovo senza che
nemmeno i nostri eroi abbiano acciuffato i responsabili di
ciò che è successo
in quel racconto? Naaaaah!
Grazie a tutti voi e scusate ancora... al prossimo scritto,
più presto di
quanto immaginiate!
Un bacione.
Sophie :D
P.S.: lo
so, sono cattiva, perché probabilmente ora vi starete
domandando come sarebbe
andata a finire la storia... be’, il finale sarebbe stato
probabilmente un po’
ambiguo... gli happy ending troppo happy non mi hanno mai dato
soddisfazione ;)
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