L'ultimo viaggio

di _Elwing
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Verso la Montagna Solitaria ***
Capitolo 2: *** Un ricordo sempreverde ***



Capitolo 1
*** Verso la Montagna Solitaria ***


Sessanta anni erano passati da quando la minaccia del feroce drago Smaug era stata sventata e Bilbo era tornato a vivere a Casa Baggins, nella Contea. Ci aveva messo un po’ all’inizio, ma poi era riuscito a riprendere la sua vita normale, la quotidianità serena e talvolta monotona degli hobbit della Contea, senza imprevisti e senza avventure.

In realtà non si era mai riabituato completamente a questa vita tranquilla che, prima del suo viaggio, aveva sempre amato tanto. Non riusciva a spiegarsi come ciò fosse possibile: tutto era tornato uguale a com’era prima del viaggio, o almeno lo era in apparenza. Che fosse lui ad essere cambiato?
«Desidero rivedere Erebor, Gandalf! La Montagna Solitaria! – esclamò Bilbo quella mattina del 22 settembre, mentre consumava la sua seconda colazione insieme allo stregone, che fumava la lunga pipa.
« Smaug non è più nella Montagna da ben sessant’anni. »
Era stato un modo gentile per dirgli che lui non era più quello di una volta, che il tempo, benché esteriormente non si notasse, l’aveva cambiato e aveva cambiato anche la Montagna. Non era più lo scassinatore della compagnia di Thorin Scudodiquercia, né lo sarebbe stato più. Ma Bilbo non l’aveva ascoltato.
« Sono stanco della gente che mi sta intorno. – aveva sbottato – Sempre tutti a impicciarsi e io non riesco a trovare la pace che vorrei per finire di scrivere il mio libro. Per questo ho deciso: lascerò la Contea. »

Così aveva fatto. La notte era ormai calata da molto e lui, munito di mantello, di uno zaino pieno di provviste e dei bagagli necessari (tra i quali, ovviamente, il suo Libro Rosso dei Confini Occidentali) e di un bastone di legno era in viaggio già da due ore.

Ridacchiava ancora delle facce che avevano fatto gli hobbit invitati alla festa per il suo centoundicesimo compleanno quando, dopo quel suo discorso troppo sottile e ironico per la loro intelligenza ottusa, infilandosi l’anello al dito, era sparito.
L’anello, il tessoro trovato nelle gallerie buie delle Montagne Nebbiose che aveva conservato con cura durante quei lunghi anni: fece una smorfia ripensando alla fatica che gli era costata lasciarlo, come chiestogli da Gandalf, in eredità a Frodo.
Ora non gli sarebbe più servito: avrebbe rivisto l’amata Montagna, ripercorrendo tutte le tappe del suo viaggio seguendo una delle tante mappe che aveva disegnato e portato con sé. Questo pensiero lo confortò largamente.

Riuscì a percorrere più o meno la stessa strada fatta sessant’anni prima con i nani, senza però imbattersi negli stessi pericoli. Fu un viaggio, quindi, decisamente più tranquillo, forse meno avventuroso e più tranquillo, ma non noioso, poiché ogni posto che vedeva gli riportava alla mente un ricordo di quel viaggio e gli strappava un sorriso.
Più di tutti, rise molto quando si trovò davanti alle statue di pietra di tre grossi troll: quella notte in cui li infilarono nei sacchi con l’intenzione di mangiarseli non rise affatto, ma ora poteva permetterselo, perché i tre troll erano del tutto innocui. Per quella sera, addirittura, si fermò lì: consumò tranquillo la sua cena e giunta l’ora di coricarsi si addormentò contro una gamba di Maso (sì, ancora gli pareva di riconoscerli) sistemandovi sopra lo zaino come cuscino.
Mattine e sere si susseguirono rapide, ma durante il viaggio qualcosa cambiò. Ogni volta che all’alba si svegliava Bilbo si sentiva sempre più stanco. Una strana stanchezza, diversa da quella che si prova quando si dorme poco o male la notte. Era una stanchezza delle ossa, del corpo, e contrastava con la forza e la vivacità che Bilbo ancora sentiva – e aveva – nel cuore.

Quando una mattina Bilbo trovò una piccola pozza d’acqua e, con l’intenzione di rinfrescarsi, vi si specchiò comprese guardando il suo riflesso di cosa si trattava: stava invecchiando.

Si rimirò a lungo prima di ripartire, questa volta accompagnato da un senso di ansiosa urgenza, come se qualcuno o qualcosa lo stesse inseguendo, che cercava con tutte le forze di ignorare.
Le sue soste si fecero più frequenti e più lunghe, mentre alla notte faticava sempre di più a prendere sonno e quando ci riusciva si svegliava al minimo rumore.
« Se non altro non correrò il rischio di essere colto di sorpresa nel sonno da qualche forestiero malintenzionato. – si disse.
Fu proprio durante una di queste soste che fece un incontro, inaspettato ma molto desiderato, e che credeva avrebbe fatto solo una volta giunto a Gran Burrone.
Sul finire del giorno si imbatté in una piccola compagnia di elfi: non avevano cavalli con loro, ma come lui si muovevano a piedi. Siccome lo riconobbero, o meglio indovinarono chi fosse, si fermarono e uno di loro, alto e dai lunghi capelli scuri, gli chiese:
« Dove sta andando tutto solo uno hobbit della Contea? »
« Me ne vado dalla Contea. – rispose Bilbo, scherzando – E a voi, quali questioni vi hanno portato sin qui? »
« Una spedizione nelle Terre Selvagge. »
« Il tuo viso mi è familiare... – disse Bilbo, toccandosi il mento come se stesse pensando.
« Io non ti ho mai visto, ma se sei chi penso tu sia conosci mio padre ed è lui che ti ricordo probabilmente: io sono Elladan, figlio di Elrond il Mezzelfo, Signore di Imladris. Lui è mio fratello Elrohir. E se non sbaglio tu sei Bilbo Baggins della Contea. »

« Che sorpresa! Non sbagli affatto, messere di Gran Burrone. Vi state recando alla casa di vostro padre? »

« Sì, - rispose Elrohir questa volta – stiamo tornando proprio da lui. »
« Anche io sono in cammino per Gran Burrone. »
« Faremo quel che resta della strada insieme, allora. Sarà bello per noi parlare con uno hobbit per cui nostro padre nutre stima e affetto e di cui abbiamo sentito tanto parlare. »
Giunsero a Gran Burrone dopo sei giorni e mezzo di viaggio: l’avrebbero potuto raggiungere anche prima, con un anticipo di un giorno almeno, ma gli elfi furono costretti a rallentare per permettere a Bilbo di stare al passo con loro.
Quando la sera prima di arrivare Bilbo aveva detto loro che Gran Burrone era solo una tappa del suo viaggio e che la meta era invece Erebor sui volti degli elfi si accesero stupore e perplessità; ma notarono anche quanto Bilbo sembrasse felice al pensiero della Montagna e la nostalgia che provava per lei li commosse al punto di non parlare allo hobbit dei loro dubbi su quel viaggio prima di essere arrivati a Imladris.
All’Ultima Casa Accogliente, Bilbo fu accolto allo stesso modo o perfino meglio di come l’avessero accolto le precedenti due volte che vi si era recato.
« Mae govannen, mellon. – con queste parole Elrond il Mezzelfo accolse Bilbo nella sua casa.
Inutile cercare di descrivere la felicità che lo hobbit provò in quel momento. Era contentissimo, come non lo era da sessant’anni, e la presenza degli elfi, la loro musica, i loro canti, la loro compagnia erano impareggiabili. Se in lui non fosse albergato il desiderio di arrivare alla Montagna Solitaria sarebbe stato più che felice di fermarsi lì per sempre.
C’era ansietà in fondo ai suoi occhi, benché velata dalla grande gioia, e non sfuggì al penetrante sguardo di Elrond.
« I miei figli mi hanno raccontato che vorresti riprendere presto il viaggio verso Erebor. – disse a Bilbo quando si incontrarono nel pomeriggio del secondo giorno dal suo arrivo.
« Sono partito dalla Contea per questo, proprio come sessant’anni fa. Per i primi anni dopo il mio viaggio ho creduto che sarei potuto stare di nuovo bene a Casa Baggins... avevo desiderato tanto rivederla e ritornarci durante le numerose avventure che mi hanno portato ad affrontare il drago Smaug. Invece, è come se con il tempo la Contea abbia cominciato a starmi stretta. Non che io non la ami più! Solo... volevo rivedere i luoghi del passato, e la Montagna più di tutti. »
« Non si possono ripercorrere le strade del passato. – disse con un tono dolce e al contempo grave Elrond – Il tuo incarico da scassinatore è terminato quel giorno sulle pendici della Montagna, durante la Battaglia delle Cinque Armate. Non c’è più un drago che dorme sui tesori dei nani, non c’è più nessuno che reclami l’Arkengemma. »
« Lo so, lo so. – rispose Bilbo, sollevando le spalle ed evitando lo sguardo dell’elfo. Nonostante la risposta, il tono della sua voce tradiva il dubbio che stava prendendo piede nella sua mente.
« Cosa pensi di trovare alla Montagna, allora, se sei così consapevole di quello che di sicuro non troverai? »
Non se n’era reso conto Bilbo fino a quel momento; eppure, perfino Gandalf gliel’aveva detto, o meglio, aveva cercato di farglielo capire.
Lo hobbit chinò il capo, stringendosi nelle spalle, e non parlò più.



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Angolo Autrice
Salve a tutti!
L'idea per questa fan fiction mi è venuta l'anno scorso, in un periodo in cui i miei sentimenti erano molto simili a quelli che prova Bilbo in questa storia.
Bolbo è uno dei miei personaggi preferiti di quelli creati da Tolkien e forse quello in cui maggiormente mi rispecchio: per questo desideravo rendergli un piccolo omaggio con questa storia, che non sarà particolarmente lunga.
Spero possa piacervi. I commenti sono molto graditi, anche le critiche, purché siano costruttive e non volte unicamente ad offendere.
A presto!
_Elwing

 

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Capitolo 2
*** Un ricordo sempreverde ***


Il Signore di Imladris si avvicinò al piccolo hobbit: era seduto su una delle sedie della veranda dove si trovavano, troppo alte per lui, motivo per cui le sue gambe ciondolavano senza toccare il pavimento. Si inginocchiò davanti a lui, prendendogli le mani.
« Diventi vecchio Bilbo Baggins, - disse a mezza voce – le tue gambe sono stanche, non ti sosterrebbero fino a Erebor. »
« Tu sei più vecchio di me. – rispose lo hobbit. Nemmeno adesso riusciva a perdere la sua solita vena ironica.
« La nostra natura è diversa, ma vale anche per me ciò che ti ho detto: posso rivivere il passato nei ricordi, ma la mia vita prosegue. »
« Se non posso tornare a Erebor, se non posso essere di nuovo uno scassinatore, il quattordicesimo membro della compagnia di Thorin Scudodiquercia, cosa farò? Cosa sarà di me adesso e in futuro? »
« Non lo posso dire io per te. Ciò che posso dirti è che sebbene i tuoi piedi non siano più in grado di condurti alla Montagna Solitaria, ci sono ancora passi che puoi muovere nel mondo, se vuoi. »
Bilbo rivolse uno sguardo interrogativo e curioso al mezzelfo.
« Presto, anche se a te potrà sembrare ci voglia ancora molto tempo, io lascerò Imladris. Molti dei miei elfi verranno con me, pochi resteranno, così come sempre meno rimarrà di questo luogo.»
« Dove andrete? »
« Torneremo a casa, nella casa degli elfi che i nostri avi abbandonarono per recarsi nella Terra di Mezzo. Verranno le navi e ci porteranno via. Se lo vorrai ci sarà un posto per te su una di quelle navi, un posto che solo tu potrai occupare. Potrai venire con noi, con me. »
Era una triste immagine quella che gli aveva descritto Elrond. Pensare agli elfi che abbandonavano la Terra di Mezzo, privandola della loro bellezza, della loro saggezza, dei loro canti, della loro stessa vita lasciava nel cuore di Bilbo grande amarezza, sebbene ciò non sarebbe avvenuto nell’immediato.
« Laggiù, nella terra che si estende ad Ovest del Grande Mare, il ricordo di Erebor rimarrà sempreverde, scolpito in eterno nella tua memoria. Nessuno, nemmeno la morte, potrà sottrartelo. »

Rimase spesso da solo Bilbo nei giorni che seguirono e nella solitudine si immergeva in pensieri che sembravano angosciarlo e renderlo inquieto. Gli elfi lo vedevano e percepivano il suo stato d’animo, ma, discreti, non osavano disturbarlo e interrompere il flusso di quei pensieri.
Aveva pianto, a volte, in solitudine, quando era certo che nessuno potesse vederlo o sentirlo. Le lacrime che aveva versato rappresentavano la presa di coscienza che qualunque sforzo avesse fatto non sarebbe mai potuto tornare indietro.
Una sera, sul far del crepuscolo, mentre il sole ad ovest veniva inghiottito dalla terra e una leggera e sottilissima pioggerellina si riversava su Imladris, Bilbo passeggiava in uno dei molti boschi della terra di Elrond, avvolto da capo a piedi in un mantello grigio che lo faceva sembrare un giovane tronchetto di betulla tra i fusti secolari.
Oltre la sottile cortina di pioggia ebbe l’impressione a un certo punto di vedere qualcuno: una figura esile, che si profilava sotto le foglie di una betulla. Diresse i suoi passi verso di lei e si fermò quando l’ebbe raggiunta. Era una fanciulla, o questo sembrava, vestita di un abito semplice, argento e blu come il crepuscolo d’inverno; i capelli neri come il manto delle notti senza stelle si riversavano sulle sue spalle, facendo sembrare la sua bianca pelle alabastro. Gli occhi, grigi, erano luminosi come le stelle del cielo.
« Salute, bella dama. – disse Bilbo – Anche se non ti ho mai visto, sono quasi sicuro di non sbagliare se provo a indovinare chi sei: sei la figlia di Elrond, la Stella del Vespro della gente di Imladris. »
La fanciulla rivolse un sorriso al vecchio hobbit.
« Sono Arwen Undomiel; e tu sei sicuramente Bilbo Baggins, hobbit della Contea. »
« Onorato che la mia fama si sia spinta sino a una così alta dama. – disse Bilbo, inchinandosi rispettosamente verso di lei. – Cosa fai qui tutta sola sotto la pioggia, mia signora? »
« Quello che facevi anche tu e che tutti ti vedono fare da quando sei arrivato: ripercorrevo le vie del passato. »
Bilbo si accorse che la dama portava alla mano destra un anello prezioso, dalla forma di due serpenti intrecciati dagli occhi di smeraldo, le cui teste si univano sotto una corona di fiori d’oro, che uno reggeva e l’altro divorava. Gli sembrava di averlo già visto nelle illustrazioni di qualche libro, forse proprio nella libreria di Elrond, ma non ebbe il tempo di ricordare.
Non rimase sorpreso da ciò che lei gli disse: dal momento in cui i loro sguardi si erano incrociati si era sentito scrutare nel cuore dagli occhi della dama.
« Ed era piacevole? – domandò Bilbo.
Arwen Undomiel si sedette in ginocchio, incurante dell’erba bagnata e fredda.
« Sì e no. Era bello ciò che ricordavo, ma non il fatto che fosse un ricordo. Forse, è destino che rimanga tale per sempre ed è questo che mi angoscia.»
Dopo le enigmatiche parole dell’elfa, Bilbo assunse un’espressione turbata.
« Di cosa parli, mia signora? »
« Di una cosa che accadde proprio qui, in questo bosco di betulle, nella penombra del crepuscolo di una sera d’estate. Incontrai un uomo... a quel tempo non lo considerai più di un giovane filo d’erba e provai solo tenerezza nei confronti dei sentimenti che manifestò per me. La seconda volta che lo vidi, altrove rispetto a qui, mi accorsi che in lui c’era molto più di quello che avevo saputo vedere nel nostro primo incontro. Gli giurai il mio amore e da allora, sebbene sia passato molto tempo, non sono mai venuta meno alla mia promessa. »
Bilbo riusciva a comprendere solo in parte i sentimenti della dama.
« Perché ti rattrista pensare a questo, se anche lui ricambia i tuoi sentimenti? »
« Perché adesso potrebbe essere giunto per me il momento di infrangere quel giuramento. Lui non appartiene alla razza elfica: è un uomo, sebbene discendente di una stirpe che in passato si è legata alla mia, di lignaggio inferiore solo a mio padre. Tra quelli della sua razza nessuno possiede la metà della sua nobiltà. Però, rimane un uomo e come tale mortale. Per questo mio padre desidera che io non mi leghi a lui e che parta verso le Terre Immortali: là, dice, il mio amore per lui rimarrà un ricordo sempreverde. Condividerò il destino immortale della mia razza, mentre lui seguirà il corso della vita degli uomini mortali. »
Improvvisamente, Bilbo si sentì trafitto da una profonda tristezza e per un istante dimenticò la sua pena per l’impossibilità di raggiungere la Montagna Solitaria.
« Perché andartene quando hai ancora tanto da vivere con lui? – disse; forse non doveva contraddire la volontà di Elrond, ma era ciò che pensava e doveva esprimerlo, perché trovava ingiusta la sofferenza che la dama stava provando. – Io so che non potrò più rivedere ciò che desidero: sono troppo vecchio ormai, come mi ha ricordato tuo padre, tutto ciò che posso fare è partire, portando con me quel ricordo. Perché ciò che desidero è rivedere la Montagna Solitaria com’era sessant’anni fa, e rivivere un’altra volta l’avventura con la compagnia dei nani e incontrare il drago. Non potrei farlo né se restassi, né se partissi. Ma per te Arwen Stella del Vespro non vale lo stesso. »
Una luce brillò nelle limpide profondità dello sguardo della bella dama; una luce di consapevolezza, distante, troppo distante perché Bilbo potesse comprenderla appieno.
« Perderò qualcosa in entrambi i casi. Se me ne andassi con mio padre perderei l’uomo che amo, se decidessi di rimanere perderei mio padre. »
Bilbo rimase sorpreso nell’ascoltare le ultime parole di Arwen: aveva creduto che il cuore della dama fosse diviso tra l’obbedienza e l’amore, invece la questione era addirittura peggiore, poiché era diviso tra l’amore per il padre e l’amore per l’uomo con cui desiderava condividere la vita. In quel momento comprese che anche Elrond doveva star soffrendo molto nel pensare alla possibile separazione dalla figlia e si dispiacque di aver pensato, anche solo per un istante, che egli fosse crudele nell’ostacolare i due innamorati: la realtà era che il Mezzelfo stava lasciando alla figlia la libertà di decidere, pur senza astenersi dal consigliarla come qualunque padre al suo posto avrebbe fatto. Bilbo non immaginava che altri motivi, addirittura più gravi, contrastavano questa unione e che i dubbi di Arwen dipendevano proprio da questi.
« Cosa mi rimarrà quando lui avrà esaurito i giorni della sua vita e io avrò ancora i miei, lunghissimi, da vivere in solitudine?  Non è sofferenza anche questa? »
« Soffrirai, sì, ma se ora lo lasci per andartene la tua sofferenza sarà aggravata dal rimpianto. Se resti invece, la sofferenza sarà addolcita dal ricordo del tempo trascorso insieme e dalla condivisione del destino del tuo amato. »
Senza nemmeno rendersene conto, nel tentativo di aiutare Arwen a fare chiarezza nel suo cuore, Bilbo aveva preso la sua decisione, aveva capito che su di lui Elrond aveva ragione. Si sentiva in qualche modo sollevato, come libero da un peso che l’aveva oppresso.
« Tu cosa farai Bilbo, se non proseguirai verso la Montagna? – chiese Arwen.
Esitò a rispondere, ma non perché in lui ci fossero dubbi: semplicemente, cercava le parole giuste.
« Me ne sono andato dalla Contea con l’intenzione di non tornarci più. E non ci tornerò, lo so. Se tuo padre non mi caccerà dalla sua bella terra resterò qui e mi dedicherò ad una cosa che ho spesso dovuto interrompere: finire il mio Libro. »
Anche Arwen quella sera prese la sua decisione e non ebbe più dubbi: sarebbe rimasta e fedele alla sua promessa avrebbe continuato a sperare in colui che della speranza portava il nome, custodendo quella decisione in fondo al suo cuore.
« Come si chiama lui? – domandò Bilbo mentre si incamminava verso la casa di Elrond al fianco di Arwen.
« Noi elfi lo chiamiamo Estel, che significa “speranza” nella nostra lingua. Ma il suo vero nome è Aragorn, ed è l’erede di Isildur, colui che alla fine di quest’era dovrà sedere sul trono più alto dei re degli uomini. »
Gli occhi di Bilbo, sgranati, rimasero a fissare a lungo il volto della dama, sorpresi e quasi increduli.
« E tu, signora, siederai un giorno come regina al suo fianco. – disse con voce tremante, come se già potesse vederlo.

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Angolo Autrice
Eccomi con il secondo capitolo. Cercherò di inserirli senza far passare mesi tra uno e l'altro, cosa che adesso che è estate riuscirò senz'altro a fare. A parte questo, volevo ringraziare le persone che hanno letto il primo capitolo e quelle che hanno commentato. Spero leggiate e apprezziate anche questo capitolo :3 Un saluto a tutti,
_Elwing

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