Aria sulla quarta corda

di Anima90
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Felicity conduceva una vita relativamente tranquilla, quasi noiosa per una normale ragazza di 16 anni. Non aveva mai perso un giorno di scuola, i suoi voti rasentavano il 10 e aveva una smisurata passione per i computer. Non amava particolarmente stare al centro dell’attenzione, motivo per cui spesso e volentieri si ritrovava a trascorrere da sola i momenti liberi tra una lezione e l’altra, preferibilmente in compagnia di un buon libro e della sua musica preferita.
“Pssst”.
Caitlin tentò senza successo di attirare la sua attenzione, immersa com’era nella Quinta sinfonia di Beethoven per riuscire anche solo ad accorgersi della presenza della sua migliore amica.
“Hey!”
Stavolta la ragazza la strattonò per un braccio, con più veemenza del dovuto.
“Hey, Cait, che ti prende? Così mi fai venire un colpo!”
“Perchè ti ostini a tenere il volume di questo marchingegno così alto? Prima o poi i tuoi timpani ti citeranno per danni…”
“Ti sei resa conta di aver appena parlato dei miei timpani come fossero persone a cui potrei veramente fare del male, vero?”
“Quante volte devo dirti che tutte le nostre parti del corpo, anche le più piccole e insignificanti, hanno una loro importanza e devono essere rispettate?”
Felicity si limitò ad alzare gli occhi al cielo, conscia dell’insana passione dell’amica per tutto ciò che riguardasse la scienza e la biologia.
“Perché sei qui, Cait?”
“Lo so che venendo qui ho infranto almeno quattro delle nostre regole, tra cui quella di non interromperti mentre ascolti la tua musica deprimente…”
“E anche quella di non offendere la mia musica, a quanto pare”.
“Lo so, hai ragione, ti chiedo scusa, ma non perdiamo il punto del discorso. Stasera c’è la festa di metà anno scolastico. A casa Merlyn. Merlyn come Tommy Merlyn. Tommy Merlyn come il ragazzo più figo della scuola. E sinceramente non so ancora quale divinità andare a ringraziare più tardi, ma sono stata invitata. Cioè, io, Caitlin Snow, sono stata invitata alla sua festa, a casa sua. O meglio, credo di essere stata invitata. Prima tra i corridoi ci siamo incrociati e mi ha dato questo”.
Aveva tra le mani un volantino arancione, fatto al computer da mani sicuramente inesperte, che conteneva tutte le informazioni relative al “mega party” previsto per quella sera proprio a casa Merlyn.
“La grafica di questo volantino va contro tutte le regole più basilari. E’ assurdo di come nel 2015 ci sia ancora gente che non sappia usare photoshop!”.
“Felicity….”
“Ancora non riesco a credere che ti sia presa una sbandata per questo scansafatiche, Cait. Meriti di meglio, lo sai come la penso”.
“Però?...”
Caitlin iniziò a guardarla speranzosa, congiungendo le mani in segno di preghiera.
“Però… sei la mia migliore amica e non riesco a dirti di no. Quindi si, ti accompagnerò alla tua stupida festa”.
“Aaaaah, lo sapevo! Sei la migliore! Se non fosse stato importante non te lo avrei mai chiesto”.
Ed era la verità. Caitlin la conosceva meglio di chiunque altro e sapeva che non c’era persona al mondo che odiasse le feste più di Felicity Smoak.
“Ma la settimana prossima mi accompagnerai a vedere l’Otello a teatro, non mi interessa se ti addormenti a metà del primo atto!”
“Farò tutto quello che vuoi, giuro, sarò la tua schiavetta personale. Passo a prenderti alle sette, lascia a casa i tuoi jeans tristi e indossa un vestito, corto possibilmente. Sarai perfetta!”
Caitlin si allontanò da lei saltellando, senza nemmeno darle il tempo di rispondere.
Felicity ripensò incredula alla conversazione appena avvenuta con la sua migliore amica. Lei ad una festa. E non ad una festa qualunque, alla mega-festa di metà anno a casa di Tommy Merlyn, uno dei ragazzi più popolari della scuola. Le sembrava una cosa così assurda, così fuori posto. Come se il mondo avesse iniziato a girare al contrario.
Si lasciò cadere sul tronco dell’albero dietro di lei, sbuffando sonoramente.
“E’ solo una stupida festa, Felicity, puoi farcela”.
Le parole si persero in un sussurro quasi impercettibile, privo di convinzione. Ma Felicity decise di farsi forza ugualmente, andare ad una festa non aveva mai ucciso nessuno in fondo. E magari, con un po’ di fortuna, sarebbe riuscita anche a divertirsi.
Schiacciò play e si lasciò cullare dalle note del suo compositore preferito, decidendo per una volta di lasciarsi andare senza pensare troppo alle conseguenze.

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“Credo di aver perso la sensibilità all’indice destro, mi hai fatto appendere questi volantini in giro per tutto l’istituto”.
Oliver scrollò con decisione la mano davanti a sé, provando a svegliare il dito che sentiva ancora addormentato.
“Non ti rendi ancora conto dell’importanza di questo evento, amico”.
“Illuminami allora”.
“Stasera daremo la festa più sensazionale che sia mai esistita in un secolo di storia della Starling City High School. Una festa che sarà ricordata per sempre e riecheggerà nella memoria dei nostri figli, e dei figli dei loro figli, e dei figli dei figli dei loro figli…”
“Credo si chiamino nipoti… e poi non ti sembra di stare esagerando un po’? E’ una festa, Tommy. Quanto può essere diversa da quelle che abbiamo organizzato in questi cinque anni di liceo?”.
“Il tuo entusiasmo è quasi toccante, Oliver, sono commosso”.
“Hey, non fraintendermi, ok? Capisco che si tratta della festa invernale del nostro ultimo anno, che ci saranno barili di birra ovunque e ragazze mozzafiato in ogni angolo della casa. E’ solo che non riesco comunque a coglierne l’eccezionalità. Oh Dio, mi sto annoiando solo a sentirmi. Scusa amico, penso semplicemente di non essere dell’umore giusto oggi”.
“Guai con Laurel?”
Oliver per la prima volta interruppe il contatto visivo con il suo migliore amico, abbassando gli occhi al pavimento.
“Non li definirei proprio guai. Lo sai come va tra noi, un giorno ti senti in paradiso e un mese all’inferno”.
“Ti sta ancora con il fiato sul collo per il college, non è così?”
“E’ che tra lei e mio padre non so chi sia più insistente, a volte ho l'impressione di soffocare. Vorrei solo che mi lasciassero un po’ più di tempo per riflettere, capire cosa mi piace fare davvero senza per forza percorrere una strada già decisa prima del tempo”.
“Hey, amico, nessuno ti capisce meglio di me, con tutti i casini con mio padre e il resto. Ma conosci Laurel, è una ragazza con la testa sulle spalle. E conosci tuo padre, vuole solo il meglio per te”.
“E se il meglio che lui vuole per me non fosse quello di cui ho veramente bisogno?”
Tommy gli si avvicinò, dandogli una leggera pacca sulla spalla per incoraggiarlo.
“Ne verrai fuori, amico, sta tranquillo. Hai ancora altri sei mesi per prendere una decisione. E poi guarda al lato positivo”.
“Sarebbe?”
“Puoi sempre divertirti stasera alla festa e prenderti una sbronza che ti lascerà ko per tutto il weekend. Così non dovrai pensare a tuo padre, a Laurel e al college”.
Oliver scoppiò a ridere, consapevole che il suo migliore amico non sarebbe cambiato mai, ma anche convinto del fatto che avesse pienamente ragione.
“Sai che ti dico? Al diavolo tutto, stasera si festeggia”.
“Ben detto, amico. Ben detto”.
Fianco a fianco si incamminarono in direzione del parcheggio della scuola. Oliver con un balzo salì sul sedile della sua Porche Carrera grigio metallizzata, salutando l’amico con un cenno della mano.
Ormai era deciso. Stasera avrebbe pensato solo a divertirsi, lasciandosi alle spalle le preoccupazioni e le incertezze relative al futuro. O per lo meno ci avrebbe provato, a qualunque costo.


*NOTA DELL’AUTRICE*
Ciao a tutti!
Sono tornata con questa nuova storia teen AU, completamente sganciata dalla trama canon del telefilm. Voglio provare ad esplorare la conoscenza tra Oliver e Felicity mentre sono ancora adolescenti. I tratti caratteriali sono pressappoco gli stessi del telefilm, così come i rispettivi background culturali e familiari. Non ho ancora delineato nella mia testa le linee guida della trama ma come al solito mi lascerò trasportare dall’ispirazione del momento, lasciando che siano i personaggi a parlare per me :)
Spero di tenervi compagnia durante questa lunga pausa estiva e di riuscire ad aggiornare costantemente.
Alla prossima,
Anima90.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


~~Mancavano ancora dieci minuti alle sette ma Felicity era già pronta, seduta sul divano, in attesa dell'arrivo della sua migliore amica.
In preda ad uno strano nervosismo iniziò a torturare con le dita il bordo del suo vestito, un minidress rosso scollato sulla schiena e che le fasciava la vita in modo quasi impeccabile. Di solito non apprezzava i regali di sua madre, per via dei loro gusti completamente diversi, ma quella sera fu grata del fatto di averle comprato quel vestito per il matrimonio di suo cugino. In caso contrario avrebbe avuto serie difficoltà a trovare un outfit adatto per la festa.
Aveva deciso di indossare le lenti a contatto e di raccogliere i capelli ondulati in una coda morbida, posizionata a lato del collo, in modo da lasciarle la schiena completamente scoperta.  Osservandosi allo specchio si era trovata quasi carina, superando anche le sue più rosee aspettative.
Il suono di un clacson la ridestó dai suoi pensieri. Si infilò il soprabito e prima di aprire la porta si fermò per fare un respiro profondo. Doveva trovare un modo per rilassarsi al più presto o la festa sarebbe andata peggio di quanto si aspettava.
"Uh uuh, amica, sei uno schianto! Stasera avrai tutti gli occhi puntati su di te".
"Oh, piantala, Cait". Entrò in macchina sbattendo la portiera con un tonfo. "Sto già rimpiangendo di aver messo questi tacchi infernali".
"Aspetta a dirlo, domani sentirai dolore in punti che non avresti mai pensato esistessero".
"Tu si che sai come confortare un'amica..."
"Hey voglio solo prepararti. Ma stai tranquilla, dopo un paio di birre perderai la percezione del tuo corpo e nemmeno li sentirai più i piedi".
"E tu cosa ne sai? Non che tu abbia avuto modo di fare tanta pratica in questi anni..."
"Leggo molto, ok? E poi non è del tutto vero, ricordi al matrimonio di mio zio? Tornai a casa quasi sbronza".
"Sbronza? Con soda e acqua tonica? Non credevo nemmeno fossero alcolici".
"Ora chi è che pretende di saperne di alcool e sbronze senza aver fatto pratica?"
Felicity soffocò una risata, adorava stuzzicarsi con la sua migliore amica, ma sapeva anche che quello era l'atteggiamento tipico che Caitlin assumeva per camuffare ansia e preoccupazione.
"Andrà alla grande, Cait." Strinse con decisione la mano dell'amica poggiata sul cambio. "Sei la ragazza più bella che conosca, e di sicuro la più intelligente. Merlyn ti noterà e a quel punto si chiederà cosa di buono abbia mai potuto fare nella vita per meritare che una ragazza come te si accorgesse di uno come lui".
"E se non dovesse notarmi? O peggio, se dovesse notarmi e non dovessi piacergli?"
"E allora vorrà dire che si lascerà sfuggire l'occasione di conoscere una persona splendida e che non saprà mai quello che si è perso".
"Sei la migliore amica del mondo, Lis".
"Mi accontento di essere la tua".
Si scambiarono un sorriso sincero, grate di vivere insieme questa ennesima esperienza. Senza dire una parola si concentrarono solo sulla strada che le separava dalla loro destinazione, nervose ma anche stranamente eccitate al pensiero della serata che avrebbero trascorso di lì a poco.

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"Tommy Merlyn, tu si che sai come organizzare una festa!"
Tommy, intento a controllare che ci fossero birre posizionate in ogni angolo del salone, dedicò la sua attenzione alla ragazza che si era appena rivolta lui.
"Laurel Lance, splendida come sempre".
Si avvicinò per sfiorarle la guancia con un tocco delicato, quasi impercettibile, per poi rivolgersi all'amico che era rimasto fermo dietro di lei.
"Che te ne pare amico?"
"Di alcool ce n'è in abbondanza, quindi direi che sei stato impeccabile come sempre".
A quelle parole Laurel alzò gli occhi al cielo, visibilmente esasperata. Tommy vide Oliver irrigidirsi improvvisamente.
"Bene, bene, bene. Regola numero uno: niente musi lunghi alla mia festa, intesi? Si può sapere che diavolo vi prende? Sembra si sia scatenata la guerra fredda tra di voi da qualche giorno a questa parte".
"Niente di grave. E stai tranquillo, non infrangeremo la tua regola, siamo qui per divertirci".
"Ah davvero, Ollie? Sei qui per divertirti? Non mi dire, a quanto pare è l'unica cosa che ti riesce bene da qualche tempo a questa parte".
"Laurel, non mi sembra il caso di parlarne adesso..."
"E quando ti sembrerà il caso, sentiamo? Quando siamo a cena dai tuoi? O quando siamo da soli? No perché a me sembra che tutto abbia intenzione di fare meno che parlarne, quindi che ci sia Tommy presente o meno non fa questa grande differenza".
Tommy, visibilmente in imbarazzo per assistere suo malgrado a quella discussione, decise di intervenire per aiutare l'amico in evidente difficoltà.
"Scusate ragazzi non avrei mai dovuto intromettermi nelle vostre cose. Fate come se non vi avessi detto nulla, ok?"
"No, Tommy, non scusarti. La colpa non è tua, ma del tuo amico qui, troppo immaturo per comprendere che è arrivato il momento di decidere cosa fare della sua vita e troppo pieno di sé per rendersi conto della fortuna che ha avuto a nascere in una famiglia come la sua".
"Non essere così dura con lui, ha bisogno di un po' di tempo, ma ne verrà fuori".
Oliver, spazientito, si fece spazio tra i due, prendendo parte al discorso da cui da qualche minuto si sentiva tagliato fuori.
"La finite di parlare di me come se non fossi presente? Laurel ora basta, te l'ho già detto, non voglio pensare a questo adesso, ho ancora del tempo per decidere ed ho intenzione di sfruttarlo fino all'ultimo minuto, è meglio che inizi a fartene una ragione".
Laurel lo guardò interdetta, con una nota di delusione nello sguardo che non riuscì a celare.
"Me ne vado a casa, non sono dell'umore di festeggiare. Tommy, grazie per l'invito, la festa sembra essere deliziosa e sono sicura che andrà alla grande".
"Laurel..."
Oliver provò ad afferrarla per un braccio, ma la ragazza si scansò prima che la sua mano potesse raggiungerla.
"No, Ollie, va bene così. Me ne farò una ragione. Prenditi pure tutto il tempo che ti serve. Stai solo attento a non rimanere indietro, magari non tutti sono disposti ad aspettarti in eterno".
Oliver la guardò allontanarsi senza trovare il coraggio di fermarla. Solo in quel momento si rese conto di quanto avessero alzato il tono di voce, attirando le attenzioni dei presenti che ora bisbigliavano tra di loro incuriositi da quella situazione.
"Hey, amico, tutto ok?"
Oliver lo guardò con tristezza e con una leggera nota di esasperazione.
"No. Ma andrà meglio. Posso chiudermi nell'ufficio di tuo padre? Ho bisogno di stare da solo per un po'".
Oliver sapeva che quella sarebbe stata l'unica stanza off limits della casa, l'unica in cui avrebbe potuto trovare la tranquillità di cui aveva bisogno.
"Conosci la strada. Prenditi il tempo che ti serve. Mi trovi in giro per casa a rimorchiare qualche tipa mozzafiato".
Oliver gli sorrise debolmente, apprezzando il tentativo dell'amico di sdrammatizzare.
Si incamminò in direzione della parte opposta della villa, facendosi largo tra i corpi sudati e accaldati di compagni di scuola che non riusciva nemmeno a riconoscere. La musica rimbombava nella sua testa riproducendo un suono indistinto e fastidioso, le orecchie iniziarono a fischiargli ed accelerò il passo per allontanarsi il prima possibile da quello che gli sembrava un inferno di rumori e confusione. Quando finalmente raggiunse l'imponente studio del sig. Merlyn tirò un sospiro di sollievo. Ne aveva avuto abbastanza di quella festa, ancor prima che fosse iniziata.

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Felicity quella sera imparò che quando si trattava di far divertire le persone Tommy Merlyn era una vera garanzia. La festa sembrava aver superato le aspettative di tutti e vide ovunque persone felici e spensierate che sapevano sicuramente come godersi la serata.
"Avremmo dovuto prendere un taxi. Magari potresti lasciare la macchina qui e passarla a prendere domani".
"Sta tranquilla, Lis, è appena la mia seconda birra. Sto bene, fidati".
Felicity vide l'amica barcollare sui tacchi mentre raggiungevano un divanetto su cui appoggiarsi. Avevano ballato tutta la sera, senza quasi mai fermarsi. In quel momento decise che avrebbe guidato lei la macchina dell'amica, invitandola a dormire a casa sua. Non c'era altra soluzione.
"Con che coraggio le persone osano definire questo rumore musica? Mi sanguinano le orecchie."
"Dai, non lamentarti sempre. Ammetti che un po' ti stai divertendo. Ti ho vista persino accennare un sorriso prima, e non provare a negarlo".
Caitlin puntò l'indice contro il suo viso, con fare inquisitorio.
"E va bene..." Felicity sbuffó, trovandosi costretta a dare ragione all'amica "ammetto che mi aspettavo di peggio. Credo che tutta la questione relativa al lamentarsi faccia parte del pacchetto all-inclusive 'la mia migliore amica odia le feste con tutta se stessa'. Non sono nata per queste cose, semplicemente non fanno per me".
"Naaah, non stai andando così male invece. Non credevo avessi mai acconsentito a ballare su questi trampoli, ed invece mi hai stupita. Senza considerare le stragi di cuori fatte in pista poco fa. Quel tizio laggiù continua a squadrati come se volesse mangiarti".
"Caitlin!!!"
"È la verità..."
Felicity arrossì a quelle parole, ancora scossa ed infastidita dalla sfacciataggine mostrata dallo sconosciuto che le si era avvicinato mentre ballava in compagnia della sua amics. Evidentemente non aveva alcuna intenzione di arrendersi, nonostante il due di picche che gli aveva rifilato. Peggio per lui, ne avrebbe ricevuto presto un secondo.
"Sei riuscita ad adocchiare Merlyn?"
"Tommy, Felicity. Il suo nome è Tommy. Comunque no, da quando siamo qui non sono riuscita a vederlo nemmeno di sfuggita. Questa casa è immensa, ci saranno stanze di cui nemmeno sappiamo l'esistenza e che sicuramente non avremo occasione di raggiungere entro la fine della serata".
"Non perdere la speranza, Cait. Lo incontrerai e succederà quando meno te lo aspetti".
"Felicity Megan Smoak, da quando hai iniziato a credere nel destino? Sei sicura di stare bene? Ti è per caso salita la febbre?"
Felicity rivolse all'amica uno sguardo esasperato. Non c'era mica tutto questo bisogno di rimarcare la sua totale mancanza di romanticismo?
"Ma che ne so, tutta questa storia delle prime esperienze, prime cotte, prime feste, mi sta facendo rammollire. Di questo passo a fine anno mi verrà voglia di firmare gli annuari".
Caitlin rimase in silenzio, fissando l'amica con un'espressione a dir poco scettica.
"No, hai ragione, quello non succederà mai. Vado a cercare un bagno, ti dispiace se ti lascio sola per un po'? Non è che mi fai danni in giro che poi dobbiamo ripagare... Sono quasi sicura che un solo quadro presente in questa casa valga quanto tutto il mio appartamento".
"Vai tranquilla, io ti aspetto qui. Al massimo andrò a fare un giro di perlustrazione, sia mai il destino decida di assistermi".
Caitlin le fece un occhiolino, le stava facendo il verso, lo sapeva. Decise di stare al gioco e le fece una linguaccia.
Si incamminò facendosi largo tra la folla. Dopo aver girato a vuoto per qualche minuto si rese conto di non avere la più pallida idea di dove si trovasse il bagno. Caitlin aveva ragione, quella casa era praticamente una reggia e la fiumana di persone stipata in ogni suo angolo non aiutava di certo ad orientarsi.
Iniziò ad inoltrarsi in corridoi sempre più remoti e distanti  dall'ingresso da cui erano entrate ad inizio serata. Vide le persone man mano diradarsi, la musica diventare sempre più bassa ed impercettibile. Capì così di essersi persa e di aver raggiunto un'ala della villa interdetta ai festeggiamenti.
Fece per tornare indietro ma proprio in quel momento la sentì. Una melodia a lei familiare, che risuonava dall'interno di una stanza chiusa in fondo al corridoio. Come ipnotizzata, si sentì attratta da una forza invisibile alla fonte da cui proveniva quel suono così dolce ed armonico.  Aprì piano la porta, lottando invano contro l'istinto di vedere cosa si celasse al suo interno, di scoprire chi fosse l'artefice della magia a cui stava assistendo.
Fu a quel punto che lo vide. Un ragazzo biondo, in giacca e camicia, che suonava un elegante pianoforte a coda, che si ergeva imponente al centro della stanza. Teneva gli occhi serrati, trasportato dalla melodia da lui stesso intonata così egregiamente.
Felicity lo trovò bellissimo, da togliere il fiato.
"Aria sulla quarta corda". Le parole le sfuggirono di bocca prima che riuscisse a controllarle.
Vide il ragazzo pietrificarsi all'istante, allontanando le dita dai tasti come se fossero improvvisamente diventati roventi.
"Oddio, ti prego di scusarmi. Non era mia intenzione interromperti. Continua pure, io me ne vado, credo che non potrei nemmeno trovarmi qui in realtà, è solo che mi sono persa cercando il bagno, e oddio ora che ci ripenso devo davvero andare in bagno, sarà tutta questa birra che ho bevuto...."
"Scusami, ci conosciamo?"
Felicity pose fine di colpo al suo balbettio imbarazzante, colpita dal tono di voce pacato che il ragazzo le aveva riservato. Si concentrò meglio sui suoi lineamenti. Aveva un viso familiare, anche se non riusciva a collegarlo ad un nome preciso.
Si sentì a sua volta osservata e scrutata dai suoi bellissimi occhi blu, profondi e luminosi come due fanali. Solo in quel momento si ricordò che il ragazzo aspettava ancora una risposta da lei.
"Oh... Scusami... No, non credo ci conosciamo. Io sono Felicity. Felicity Smoak".
"Ciao, Felicity. Io mi chiamo Oliver, Oliver Queen".
Ma certo, ora ricordava perché il suo viso le era familiare. Era Queen, il migliore amico di Tommy, Caitlin diceva che erano praticamente inseparabili. Evidentemente il suo nome era Oliver. Annotò l'informazione in una parte remota del cervello, pur consapevole che difficilmente avrebbe dimenticato quel nome. E quel viso.
"Sei qui per la festa di metà anno della SCHS? Sono colpito dal fatto che ogni anno riusciate ad imbucarvi. Non che me ne stia lamentando, anzi. È un piacere accogliere ragazze carine come te alle nostre feste".
Felicity in un primo momento non riuscì a cogliere il senso di quelle parole. Credeva fosse un'imbucata? Forse l'invito era esteso solo a quelli dell'ultimo anno. Si sentì stupida per aver dato retta a Caitlin riguardo quella stupida storia del volantino.
"Oh... in realtà... non so se sono propriamente un'imbucata... insomma, sono qui con una mia amica e Merlyn... voglio dire Tommy, le ha dato il volantino incrociandola per i corridoi e così..."
"La tua amica frequenta la Starling City High School?"
"Beh, se per questo anche io...".
Oliver sembrò stupito da quella rivelazione, come se si aspettasse davvero che Felicity frequentasse una scuola diversa.
"Errore mio, sono mortificato. È solo che non mi spiego come abbia fatto a non notare una ragazza come te in tutti questi anni".
"Oh..." Felicity sentì le guance avvampare. Due complimenti in altrettanti minuti. Di questo passo avrebbero stabilito un record.
Scosse la testa velocemente provando a ricomporsi e a ritrovare la concentrazione.
"Non mi prenderei tutte le colpe fossi in te. Diciamo che di solito preferisco... stare per conto mio".
Si era sforzata di trovare parole diverse per rendere la frase meno patetica di quanto suonasse nel suo cervello, ma realizzò che ad ogni modo il succo del discorso non sarebbe cambiato poi così tanto.
"Beh, in questo caso, è un vero peccato non averti incontrata prima, Felicity".
E a quel punto, forse per la prima volta nella sua vita, Felicity rimase senza parole. Quel ragazzo aveva avuto la capacità di spiazzarla, doveva dargliene merito. Era una cosa che la infastidiva e stuzzicava allo stesso tempo.
"Vuoi che ti dia una mano a trovare il bagno? È difficile orientarsi in questa casa se non la si frequenta spesso".
Felicity si guardò intorno, grata che Oliver avesse cambiato velocemente discorso.
"Sarà per via di tutti questi corridoi... sono praticamente identici, stesse finestre, stessi tappeti, stessa moquette. Sembra di stare in uno di quei labirinti infernali dei film di fantascienza, sai di quelli che ti inghiottiscono al loro interno, solo meglio arredato e con qualche Van Gogh in più appeso alle pareti".
Oliver provò a trattenere una risata ma non ci riuscì. Alla fine le rivolse un sorriso abbagliante, uno di quelli che Felicity aveva visto solo nelle pubblicità dei dentifrici. Non credeva nemmeno esistessero sorrisi così belli.
"Sei buffa, sai?"
Felicity si irrigidì, non particolarmente convinta che stavolta si trattasse di un complimento.
"Ehm... grazie?"
Oliver la guardò divertito. Evidentemente ci stava provando gusto a metterla in difficoltà.
"Buffa in senso buono, stai tranquilla. Sei riuscita a strapparmi un sorriso. Il primo sorriso sincero che riesco a fare da un po' di giorni a questa parte".
"Ed è una cosa positiva?".
"Assolutamente".
Felicity fece un sospiro di sollievo.
"Meno male. Per un momento ho temuto che mi fosse spuntata una terza narice da qualche parte sulla faccia".
Lo vide sorridere di nuovo e ne fu stranamente compiaciuta. Forse iniziava ad essere dipendente dalla felicità di quel ragazzo. Ma poi riascoltó i suoi pensieri e si disse che era impossibile, lo aveva appena conosciuto.
"Quindi, Oliver, come mai sei rinchiuso in questa stanza, tutto solo, a suonare il pianoforte, nel bel mezzo di una festa? Non che abbia niente in contrario, per carità, sei molto bravo, veramente molto bravo. È solo che eri l'ultima persona che mi aspettavo di trovare aprendo questa porta. Mi hai sorpresa..."
Oliver alzò un sopracciglio con fare interrogativo, in attesa di un'ulteriore specificazione.
"...piacevolmente sorpresa".
Felicity si stupì del suo stesso atteggiamento. Evidentemente non aveva ancora realizzato quello che le stava accadendo perché fu in grado di ostententare una sicurezza ed un'audacia che non le appartenevano. O quanto meno credeva non le appartenessero.
"Sai com'è, tutti ogni tanto hanno bisogno di ritagliarsi dei momenti di solitudine. Magari potrà sembrarti strano che Oliver Queen abbia sentito questa particolare necessità durante una festa, e forse l'avrei pensata anche io allo stesso modo stando al tuo posto, ma la verità è che avevo semplicemente bisogno di schiarirmi un po' le idee. E suonare il piano aiuta a rilassarmi".
Felicity si chiese se si fosse reso conto di essersi riferito a se stesso in terza persona, come se non stesse parlando nemmeno di lui. Senza capire perché, iniziò a sentirsi un po' triste per lui.
"Da quanto tempo prendi lezioni di pianoforte?"
"Avrei dovuto diplomarmi al conservatorio quest'anno. Ma poi ho deciso di mollare per dedicarmi alle attività di recupero pomeridiane. Sai, per via del diploma, delle domande di ammissione al college e tutto il resto. La mia.... Laurel.... crede che sia meglio così. Le lezioni di piano non mi serviranno a mandare avanti l'azienda di famiglia".
Laurel, certo, doveva essere la sua ragazza. D'altronde era impensabile credere che Oliver Queen potesse restare single a vita. Insomma, era pur sempre Oliver Queen.
"Perché ho come l'impressione che la pensi diversamente da lei?"
Oliver abbassò gli occhi al pavimento. Felicity realizzò che con le sue parole aveva toccato un punto delicato, che probabilmente non era ancora pronto ad affrontare, e di sicuro non insieme ad una perfetta estranea.
"E così sei fan di Bach, eh? Buongustaio... Credo di essermi innamorata di lui mentre ero ancora nella pancia di mia madre".
Oliver sembrò apprezzare il repentino ritorno al precedente argomento di conversazione, e infatti ripose di nuovo il suo sguardo su di lei, sorridendole.
"Avrei dovuto capire di trovarmi di fronte ad un'esperta di musica classica. Ti è bastato solo qualche   accordo per riconoscere la sua sinfonia. Suoni qualche strumento?".
"Oh, no, per carità. Io e gli strumenti musicali viviamo su due pianeti differenti".
"Pensavo che la musica ti piacesse".
"Ed è proprio perché la musica mi piace troppo che ho deciso qualche tempo fa di appendere al chiodo la carriera da musicista prima ancora di intraprenderla".
"Oh, andiamo, non puoi essere così male".
"Fidati, sono anche peggio".
Oliver corrucciò la fronte, come ad elaborare un pensiero che gli era appena balenato nella mente.
"Avvicinati".
"Cosa?"
"Mi hai sentito, avvicinati. Siediti accanto a me. Ti farò una lezione di pianoforte. È raro trovare persone che apprezzino le mie limitate capacità, quindi consideralo come un modo per ringraziarti".
"Oliver.... Ma non c'è bisogno, credimi..."
"Non farti pregare, dai. C'è posto per entrambi".
La sua mano colpì per due volte il soffice velluto rosso dello sgabello. La stava invitando a prendere posto accanto a lui e a giudicare dalla sua espressione non avrebbe accettato tanto facilmente un no come risposta. Evidentemente non era abituato a sentirsi rifiutato.
"E va bene...." Felicity si arrese senza troppa convinzione "ma promettimi che non riderai di me".
"Promesso, non mi permetterei mai".
Felicity sbuffò sonoramente e prese posto accanto a lui. Fu solo in quel momento che si pentì amaramente di aver preso quella decisione. Oliver si sbagliava, lo sgabello non bastava ad accoglierli entrambi. Erano pericolosamente vicini e sentì la parte laterale della sua coscia scoperta sfregare contro la stoffa leggera dei suoi pantaloni. Per un secondo ebbe paura di prendere fuoco.
"Partiamo dalle basi, ti va? La cosa più semplice, la scala di Do. Innanzitutto, sai dove si trova il Do?"
Felicity spinse un tasto a caso sulla tastiera. Guardò speranzosa in direzione di Oliver, ma non ottenne alcuna risposta.
"Qualcosa mi dice che non era un Do..."
"Mmm.. mi dispiace deluderti ma credo proprio fosse un La".
"Lo sapevo" Felicity lo guardò mortificata. "Mi dispiace Oliver, sono un impiastro. È che proprio non sono portata per la pratica. Sono più il tipo che si trova a suoi agio con la teoria".
"Non so perché ma ti facevo un po' secchiona..."
"Ehi!!!"
"Senza offesa, naturalmente" si scambiarono uno sguardo divertito. "In fondo hai toppato solo di due tasti, non è questa grande tragedia. Ecco vedi, il Do è questo..."
Ed in quel momento successe una cosa che nessuno dei due avrebbe potuto prevedere. Le loro dita si mossero all'unisono in direzione dello stesso punto sulla tastiera, scontrandosi a mezz'aria. Prolungarono quel contatto più del necessario, entrambi incapaci di trovare la forza di tirarsi indietro.
Felicity iniziò a percepire tante piccole scariche elettriche avvampare a livello del suo indice destro, chiedendosi in che modo una parte così piccola del corpo fosse in grado di irradiare una tale quantità di energia.
Si ritrovò gli occhi di Oliver fissi su di lei. Scorse al loro interno stupore, interdizione, ma anche desiderio. Lo stesso desiderio che provava lei in quel momento, e che ritrovava riflesso sul suo viso, come se si stessero specchiando l'uno nell'altra.
Sentì le palpebre improvvisamente farsi pesanti, soccombere all'immane peso del flusso di emozioni diverse e contrastanti che la stavano travolgendo. Eccitazione, paura, desiderio, senso di colpa, stupore. Ma era il desiderio a prevalere su tutto il resto.
Avvertì uno cambiamento nell'ambiente circostante e percepì il viso di Oliver farsi sempre più vicino al suo. Sentiva il suo respiro, dolce e leggermente accelerato, accarezzarle la punta del naso.
La distanza tra di loro si ridusse ulteriormente, quando il corpo di Felicity iniziò a muoversi di conseguenza, per incastrarsi ed adattarsi meglio a quello di lui, già pronto ad accogliere il contatto tra le loro labbra che a quel punto sembrava inevitabile.
In quel preciso momento, però, sussultarono insieme al rimbombo di una cassa lontana - non troppo evidentemente - che quasi esplose a causa dei decibel raggiunti dal volume della musica che stava animando la festa ancora in corso.
Come ridestati da un incantesimo si ricomposero velocemente, ponendo tra di loro la maggiore distanza che fosse loro consentita in quella situazione.
"Il gran finale". Osservò Oliver, forse aspettandosi che Felicity capisse a cosa si stava riferendo. La sua voce era leggermente roca, il suo tono infastidito e sollevato allo stesso tempo. Forse più infastidito che sollevato.
Felicity decise che era arrivato il momento di congedsrsi. Imbarazzata come non mai, si schiarì la voce e fece per alzarsi. Oliver non la fermò.
"Io.... si.... è meglio che vada. La mia amica mi sta aspettando da un po', e devo trovarla per tornare a casa. Grazie.... per la lezione, e scusami ancora per essere piombata qui dentro e aver interrotto il tuo.... momento di riflessione".
Le parole si susseguirono in maniera confusa, Felicity le pronunciò velocemente, in preda all'improvvisa urgenza di lasciare quella stanza.
"Oh... ok.... Io.... beh.... è stato un piacere averti conosciuta, Felicity".
Oliver, ancora visibilmente scosso e provato per l'accaduto, le sorrise debolmente.
"È stato un piacere anche per me, Oliver".
Sforzandosi di non apparire più scombussolata del dovuto, provò a ricambiare quel sorriso, e con decisione si chiuse la pesante porta dello studio alle spalle.
Cosa diavolo era appena successo? Aveva quasi baciato un ragazzo. Un ragazzo che aveva conosciuto solo qualche minuto prima. E non un ragazzo qualsiasi, ma Oliver Queen in persona. Ci era andata così vicina. Ed in tutto ciò la cosa peggiore è che  si era ritrovata suo malgrado a volerlo fare con tutta se stessa.
Non era da lei. Era sempre stata una ragazza giudiziosa, con la testa sulle spalle, immune al fascino dei bellocci figli di papà che bazzicavano nella sua scuola. E adesso, nel giro di pochi minuti, tutto quello su cui aveva basato la sua intera esistenza era miseramente crollato come un castello fatto di sabbia. Le sue convinzioni, le sue privazioni, le sue regole. Era riuscita ad infrangerle tutte in un colpo solo.
Provò a scovare dentro di sé il senso di colpa che a quel punto avrebbe dovuto attanagliarle lo stomaco, ma al suo posto sentì solo delle stupide farfalle che la facevano sentire stupidamente bene. Non poteva prendersi una cotta per Oliver Queen. Non poteva permetterselo. Le avrebbe spezzato il cuore e lei non aveva tempo da sprecare in questioni così futili ed infantili. Aveva dei programmi da rispettare, dei progetti da portare a termine, dei sogni da realizzare, a qualunque costo. Che valore poteva avere una stupida cotta adolescenziale a confronto?
Sbuffò e ripensò al destino. Ecco perché aveva sempre evitato di crederci, delle volte sapeva giocare proprio brutti scherzi.
Ma se davvero si trattava di uno scherzo così brutto, perché Felicity non riusciva a fare a meno di pensare a quell'incontro come all'avvenimento più bello che le fosse capitato negli ultimi anni?

*NOTA DELL'AUTRICE*
Ho sentito l'esigenza di pubblicare i primi due capitoli a distanza così ravvicinata per chiudere un po' il discorso della festa e per affrontare il primo incontro tra Oliver è Felicity, punto nodale di questa storia, così come si può evincere da titolo.
Grazie per le vostre recensioni, non potete capire quanto mi faccia piacere riceverle e avere modo di conoscere il vostro punto di vista.
Non so quando ci sarà il prossimo aggiornamento, credo con ogni probabilità la prossima settimana, ma non posso promettervi nulla.
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e abbia soddisfatto le vostre aspettative.
Baci,
Anima90

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Oliver la mattina seguente si svegliò con un fortissimo mal di testa. Alla fine aveva deciso di dare alla festa una seconda possibilità, ritrovandosi così in mezzo alla folla a scolarsi qualche litro di birra di troppo e a flirtare con un paio di ragazze di cui non era sicuro di ricordare i nomi. In altre parole, comportandosi in perfetto stile Oliver Queen. Questo non gli aveva impedito di lanciare un paio (o forse una decina) di occhiate furtive all’ambiente circostante, alla ricerca della biondina che lo aveva sorpreso a suonare il pianoforte. Felicity. Evidentemente aveva lasciato la festa subito dopo il loro incontro perché non era riuscito a vederla da nessuna parte.
Si consolò al pensiero di avere ancora qualche ora a disposizione per poltrire nel letto, visto che la scuola era chiusa per l’inizio delle vacanze natalizie.
“Ollie! Svegliati! Dobbiamo andare a comprare i regali!”
La voce di sua sorella minore, Thea, gli rimbombò nel cervello riproducendo un suono così stridulo e fastidioso da fargli rimpiangere l’allarme della sveglia.
“Mmmm... che vuoi?" la voce risultò più roca di quanto intendesse. “E’ l’alba... lasciami dormire in pace!”
“Ma se sono le 10 e mezza! Alzati su, la colazione è già pronta e sul lavandino ti ho preparato due aspirine per il mal di testa”.
Anche se era più piccola di Oliver di cinque anni, Thea era stata costretta a crescere in fretta dovendo spesso e volentieri prendersi cura del fratello a causa delle sue bravate adolescenziali. Sicuramente tra i due era lei a ricoprire il ruolo di sorella maggiore. Tranne quando si trattava di ragazzi. In quel caso Oliver era più che felice di reimpossessarsi del titolo di fratello maggiore barra uomo delle caverne barra se-metti-una-mano-addosso-a-mia-sorella-te-la-faccio-a-pezzettini.
All’improvviso un bagliore accecante penetrò dalla grande finestra della sua camera, centrandolo in pieno volto. Quel risveglio diventava più traumatico ogni minuto che passava.
“Thea, per l’amor del cielo, chiudi quella cosa e lasciami dormire! Altri cinque minuti, ti prego..."
Con gli occhi ancora serrati, percepì la presenza di sua sorella accanto al letto. Sapeva che non si sarebbe arresa facilmente. Era una Queen dopotutto, e i Queen ottenevano sempre quello che volevano.
“Basta fare i capricci, Ollie. Mi avevi promesso che saresti venuto insieme a me”.
“Non può accompagnarti Dig?”
“Ah, certo, come no. Dig che mi accompagna ai grandi magazzini. Preferirebbe spararsi con la pistola di servizio piuttosto”.
Dig - John Diggle - era la giovane guardia del corpo incaricata alla protezione di entrambi i fratelli Queen. Nonché l’autista di fiducia dell’intera famiglia.
“Ollie….” Uh oh. Quel tono non prometteva nulla di buono. “Non costringermi a passare alle maniere forti…”
Oliver sapeva che la sua prossima mossa sarebbe stata sfilargli le coperte, lasciandolo morire di freddo. E non poteva permettere che accadesse, il suo corpo non avrebbe retto a quell’ennesimo trauma.
Aprì gli occhi con cautela, combattendo l’istinto di richiuderli alla vista della forte luce del sole.
“E va bene” si arrese, sbuffando sonoramente, cercando con fatica di mettersi seduto “ma niente Big Belly Burger per pranzo. L’ultima volta ho rischiato di rimanerci secco per tutta la senape che mettono in quei panini”.
“Tutto quello che vuoi, fratellone” Thea gli stampò un bacio al centro della fronte. “Ti voglio pronto in non più di venti minuti”.
Oliver osservò la sorella uscire dalla sua camera e per qualche minuto non riuscì a muoversi, ancora troppo assonnato e provato dai bagordi della sera precedente per trovarne la forza. Guardò fuori dalla finestra, il sole che si levava alto in cielo catturò la sua attenzione e si disse che dopotutto quella poteva essere una piacevole giornata da trascorrere in compagnia della sua sorellina.
Solo qualche ora più tardi, Oliver fu costretto a rimangiarsi quel pensiero.
“Speedy, ti avevo espressamente chiesto di non venire in questo posto”.
“Lo so, ma lo shopping mi fa venire voglia di patatine fritte e non ho saputo resistere. Poi, fratellone adorato, devo per caso ricordarti ancora una volta i termini del nostro accordo?”
“E da quando quella sottospecie di ricatto si chiama accordo?"
“Accordo, ricatto, chiamalo come ti pare. La sostanza non cambia. Io non dirò alla mamma dell’ammaccatura alla sua Lamborghini nuova, che ti aveva espressamente vietato di guidare, e tu farai tutto quello che ti chiedo fino alle vacanze di Pasqua. Mi sembra un giusto compromesso, dopotutto”.
“Sei diabolica”. Oliver grugnì, consapevole che la sorella con quella storia lo avesse praticamente in pugno. Si concentrò sul menù davanti a sé, provando a selezionare con accuratezza qualcosa che non gli provocasse l’attacco di pancia della volta scorsa. Non era mai stato in quel ristorante ma notò con disappunto che i piatti proposti da quella catena di fast food erano sempre gli stessi.
“Ciao ragazzi, benvenuti al Big Belly Burger. Avete già deciso cosa prendere o vi occorre più tempo?”
Oliver raggelò. Aveva già sentito quella voce. L’avrebbe riconosciuta ovunque.
Incredulo, alzò gli occhi dal menù e vide davanti a sé una cameriera bionda, con una coda di cavallo e spessi occhiali neri, intenta a digitare convulsamente sul display di un palmare, troppo assorta per degnare né lui né sua sorella di uno sguardo.
Era lei. Era Felicity.
“Mmm… vediamo…” fu Thea a prendere parola per prima ed Oliver gliene fu grato “io gradirei il menù doppio burger con patatine fritte e coca-cola. Naturalmente ketchup e majo in aggiunta”.
“Naturalmente. Invece per lei?”
Oliver sbattè le palpebre un paio di volte, come a costringersi a risvegliarsi dallo stato di trans in cui era piombato dopo aver scoperto che Felicity, la ragazza che aveva conosciuto la sera precedente, lavorava come cameriera in quel ristorante.
“Signore?”
Oliver vide Felicity alzare gli occhi dal display per la prima volta da quando si era avvicinata al loro tavolo. Il suo sguardo si posò immediatamente sul suo viso, celando stupore e una punta di imbarazzo.
 “Wo… Oliver…. che… che cosa ci fai tu qui?”
Che cosa ci faceva lui lì? Non avrebbe dovuto essere lui a farle quella domanda?
Dovette fare uno sforzo fisico non indifferente per costringere la sua bocca a parlare. Era come se il corpo non rispondesse più ai segnali inviati dal cervello. Probabilmente era andato in tilt anche quello.
“Tu… tu…. lavori qui?”
Fu la prima cosa che gli venne in mente di chiederle. Forse perché era la cosa che maggiormente gli premeva sapere.
La vide aggiustarsi nervosamente gli occhiali sulle narici. Non sapeva nemmeno che li indossasse. La facevano sembrare così… diversa rispetto alla sera precedente. Ma non per questo meno carina. Erano giusti su di lei, come se la rendessero più se stessa di quanto non lo fosse con il look adottato per la festa.
“Aspettate un attimo… voi due vi conoscete?”
Fu in quel momento che Oliver si ricordò di non essere solo. Il suo cervello provò ad elaborare  un modo per giustificare alla sorella l’accaduto ma Felicity lo battè sul tempo.
“No… cioè si… cioè è una lunga storia….” Thea le riservò uno sguardo a dir poco confuso e Felicity si affrettò a porre rimedio a quel mezzo disastro.  “Io e Oliver frequentiamo la stessa scuola”.
Giusto, frequentavano la stessa scuola. In fondo non era poi così strano che si conoscessero, no? O si?
"Capisco... Felicity, giusto? Lo leggo dal cartellino. Piacere, io sono Thea”.
Si strinsero la mano in segno di saluto. Oliver si limitò ad osservarle in silenzio.
“Sei la nuova conquista di mio fratello per caso? Questo giustificherebbe tutta la storia dell'imbarazzo se non altro…"
“Oh… assolutamente no… non sono la nuova conquista di tuo fra… aspetta, Oliver è tuo fratello?”
L’espressione stupita (e sollevata?) di Felicity fu il solo motivo che impedì ad Oliver sprofondare seduta stante per l’imbarazzo.
Credeva che Thea fosse la sua ragazza? E le sarebbe dispiaciuto se fosse stato così?
"Certo, io e Ollie siamo fratelli. Avevi paura che fossi la sua ragazza?"
Cavolo, era come se Thea gli avesse letto nel pensiero.
Le guance di Felicity avvamparono per la vergogna e a quel punto Oliver decise di intervenire. Voleva toglierla al più presto da quella scomoda situazione, conscio dell’invadenza della sorella.
“Smettila, Thea. Felicity è una mia compagna di scuola, niente di più”.
Suo malgrado si ritrovò a sperare che quelle parole non suonassero così categoriche come potevano apparire. Con cautela, analizzò la reazione di Felicity, pregando che non si fosse offesa.
“SMOAK! QUANTE ALTRE ORE TI OCCORRONO PER PRENDERE UN’ORDINAZIONE? IL TAVOLO 2 RICHIEDE LA TUA PRESENZA, VEDI DI SBRIGARTI!”
La vide sussultare alle grida di quella donna, decisamente troppo maleducata per i suoi gusti.
“E’ tutto ok?”
“Si, tranquillo. Se ti occorre più tempo passo più tardi. Ora devo davvero andare ad occuparmi di quel tavolo altrimenti la mia responsabile finirà per arrabbiarsi. E quello è il tono di voce che usa quando non è arrabbiata”.
“Prendo lo stesso che ha ordinato mia sorella”. Oliver si affrettò a dire senza pensarci molto. Voleva solo che Felicity non fosse più costretta a subire le ira di quella donna malefica. 
Ma poi perché gli importava tanto?
“Ollie, sei sicuro? Avevi detto che la senape…”
“Ho cambiato idea. Quello che hai preso tu andrà benissimo”.  Anche perché aveva perso completamente l’appetito, ma decise di tenerselo per sé.
Felicity gli sorrise debolmente e si allontanò senza aggiungere altro.
Dopo qualche minuto, una cameriera mora dai lunghi capelli ricci, si avvicinò al loro tavolo per servire il pranzo che avevano ordinanto. Pur avendolo previsto, Oliver rimase comunque deluso dal fatto di non aver potuto rivedere Felicity ancora una volta.
“E così è una tua amica di scuola, eh?”
“Già…”
Iniziò a tamburellare con le dita sul tavolo, non riuscendo a celare alla sorella il suo nervosismo.
“E da quando fai amicizia con le cameriere?”
Il tono sprezzante con cui Thea pronunciò quella parola lo infastidì più di quanto riuscisse ad ammettere. Fino a qualche minuto fa l’avrebbe pensata come lei, ma ora era tutto diverso. Ora si trattava di Felicity.
“E tu da quando sei diventata così snob?”
Thea lo guardò incredula.
“Da quando sono nata forse? Devo ricordarti a quale famiglia apparteniamo?”
“No, non serve. Sembra che non sappiate fare altro ultimamente…”
Il tono disgustato con cui pronunciò quelle parole lo sorprese. Evidentemente non era riuscito a controllarlo.
“Ollie, si può sapere che ti prende? Sei così… strano”.
Thea aveva ragione. Che gli prendeva? Nemmeno lui era in grado di rispondere a quella domanda.
Non lo sapeva. Semplicemente non lo sapeva. Non si riconosceva più. Era come se all’improvviso brancolasse al buio.  Ma era una sensazione che non aveva niente a che fare con il senso di paura e di incertezza per il futuro. No, quello gli sembrava ancora troppo lontano per riuscire anche solo a sentirlo veramente suo.
Stavolta si trattava della sua vita di tutti i giorni, della concezione che aveva di essa e del modo in cui l’aveva affrontata fino a quel momento. Ieri l’improvvisa voglia di ricominciare le lezioni di piano, oggi l’esigenza di difendere dal disprezzo della sorella una categoria di persone che fino a quel momento lui stesso avrebbe denigrato.
Se non fosse stato per Felicity.
Tutto riconduceva a lei.  L’incontro avvenuto con quella ragazza aveva messo in discussione tutte le certezze su cui si era basata la sua esistenza fino a quel momento. Ed era accaduto senza che nemmeno se ne rendesse conto. La realizzazione di quella nuova consapevolezza lo colpì in pieno, provocandogli un mal di stomaco che non aveva niente a che fare con la senape del  suo panino.
“Non lo so, ti giuro che non lo so”.
Era la sola risposta in grado di darle in quel momento. L’unica che rispecchiasse in qualche modo la realtà.
Continuarono a mangiare senza dire una parola, incapaci di trovare nuovi spunti di conversazione. Oliver fu grato a quel silenzio, se solo fosse servito a non dover affrontare più il discorso Felicity con sua sorella. E con se stesso.
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Felicity, per la restante parte della sua giornata lavorativa, non riuscì a concludere molto. Ormai non pensava a nient’altro che ad Oliver e all’incidente avvenuto qualche ora prima. Sapeva di aver fatto una brutta figura, nei riguardi suoi e della sorella, e si rassegnò all'idea che quella probabilmente sarebbe stata l'ultima volta in cui Oliver Queen le avrebbe rivolto la parola.
Ma forse era meglio così. In fondo non era esattamente ciò che voleva?
Fu proprio a causa di quella convinzione che, quando vide Oliver poggiato alla portiera della sua auto all’uscita dal ristorante, quasi non svenne per la sorpresa.
Che cosa ci faceva lì? Stava aspettando lei?
"Secondo te quante probabilità ci sono che due compagni di scuola che non si sono incontrati per anni lo facciano tre volte in meno di un giorno?"
Oliver si accorse del suo arrivo e le rivolse un sorriso che però non riuscì a raggiungere gli occhi. Sembrava teso. Preoccupato.
"Ti va se facciamo quattro passi?"
Felicity acconsentì, incapace di resistere all’idea di trascorrere del tempo in sua compagnia.
Passeggiarono fianco a fianco lungo la via che costeggiava il pontile, senza dire una parola. Per un po’ non si sentì altro che il rumore dei respiri che scandivano i loro passi.
 Fu Oliver a rompere finalmente il ghiaccio.
"Mi dispiace per prima. Non era mia intenzione metterti in difficoltà e se l'ho fatto ti chiedo scusa".
Felicity colse un’assoluta sincerità nelle sue parole, intendeva davvero ciò che stava dicendo.
"Non mi hai messa in difficoltà, Oliver. È solo che si è creata una situazione... strana, tutto qui".
"Già..."
Ripiombarono di nuovo nel silenzio. Felicity pensò che di questo passo avrebbero raggiunto Central City a piedi senza aver ancora affrontato un discorso di senso compiuto.
"Non sapevo avessi una sorella. Mi sembra simpatica".
"Oh si, quando non fa il terzo grado alle persone sembra davvero simpatica".
"Pfff, mica mi ha fatto il terzo grado! Diciamo solo che è molto curiosa, tutto qui".
Felicity provò ad essere quanto più educata possibile nei confronti di Thea. Non voleva che Oliver pensasse che ce l’avesse con lei o serbasse rancore nei suoi confronti. Anche perché non era così.
"Non sapevo lavorassi al fast food, sai?".
"Beh, considerando che ci conosciamo da meno di un giorno, mi sembra più che normale".
"Come fai a conciliare tutto? La scuola, i compiti e tutto il resto?"
Felcity di solito era restia a confidarsi su aspetti della sua vita privata con gli altri, in particolare con persone che non godessero della sua piena fiducia. Ed Oliver era inevitabilmente una di quelle persone, avendolo conosciuto non più di 24 ore prima.
Ma una vocina dentro di lei continuava a dirle che di lui poteva fidarsi, che con lui era diverso. Così decise di rischiare.
"Per lo più vengo a dare una mano nei weekend o nei periodi di festa, come in questo caso. Sai, giusto per arrotondare e dare una mano a casa".
Oliver sembrò confuso, come se gli mancasse un tassello.
"Frequentiamo la stessa scuola, giusto?".
"Giusto".
Evidentemente non riusciva a farsene una ragione.
"Giuro che l’ultima cosa che voglio è sembrare invadente… è solo che non riesco a capire come tu possa frequentare una scuola così costosa come la nostra".
Ecco il tassello che gli mancava. Felicity non era ingenua, sapeva di frequentare una scuola per ricconi figli di papà che non avrebbero avuto necessità di lavorare probabilmente per il resto delle loro vite.
"Mai sentito parlare di borse di studio?"
Dalla sua espressione Felicity dedusse che non aveva la più pallida idea di cosa fossero.
"Ho ottenuto una borsa di studio della durata di tre anni per meriti scolastici. Si prendono in considerazione la media dei voti, i crediti formativi accumulati e le varie attività extra-curricolari. E’ il solo modo che ho per entrare al MIT una volta diplomata. Di solito non accettano le domande di ammissione di chi proviene da una semplice scuola pubblica".
Vide Oliver irrigidirsi solo a sentire le parole “college” e “domande di ammissione”. Evidentemente rappresentavano per lui un nervo scoperto.
"Wow… noto che hai le idee molto chiare sul tuo futuro".
"È così. Ho intenzione di realizzare il mio sogno, a qualunque costo".
Scorse un’insana curiosità nell'espressione di Oliver e così decise di rispondere alla domanda che non aveva trovato il coraggio di farle.
"Vorrei diventare un’esperta informatica. Magari aprire un laboratorio di ricerca tutto mio per lo sviluppo delle scienze applicate e della cyber security. Costruisco computer da quando avevo sette anni e mi piacerebbe mettere la mia passione a servizio degli altri".
Oliver la guardò incantato, quasi sbalordito da quella rivelazione. La sua reazione la mise leggermente a disagio.
"Scusami, ti starò annoiando con tutte queste chiacchiere, ma quando parto a parlare di queste cose non riesco a fermarmi e..."
"Ehi..." Le poggiò una mano sulla spalla per tranquillizzarla. E ci riuscì. "Non mi sto annoiando, anzi… mi stai facendo scoprire un mondo che non sapevo nemmeno esistesse. E se devo essere sincero, mi piace più di quanto mi aspettassi".
L'uno di fronte all'altra, si guardarono con una tale intensità da riuscire a toccarsi l’anima. Felicity sentì la pelle a contatto con la sua mano farsi più calda.
"In fondo non è niente di che. Sono solo sogni adolescenziali di una ragazzina un po’ troppo ambiziosa per la sua età e che magari nemmeno si avvereranno".
"O magari si...."
Stavolta il suo sorriso riuscì a raggiungere anche i suoi splendidi occhi. Finalmente. Ricordava che fosse bellissimo ma a rivederlo forse lo era anche di più.
Ripresero a camminare e Felicity giurò che si fossero leggermente avvicinati rispetto a prima. Ora le loro braccia riuscivano a sfiorarsi mentre dondolavano a ritmo dei loro passi.
"Parliamo di te, invece. Progetti per il futuro?"
Per quanto potesse essere delicato per Oliver quel discorso, Felicity sperò che decidesse di confidarsi così come aveva fatto lei. Anche perché era sinceramente curiosa di conoscere la sua risposta.
"Praticamente ci troviamo agli antipodi. Non ho idea di quale college scegliere né di cosa fare della mia vita da grande. Un disastro su tutti i fronti".
"È normale essere confusi. L'anormalità sta nell'avere già le idee troppo chiare. Chiedilo a mia madre se non ci credi!"
Riuscì a strappargli una risata e ne fu felice.
"Credo che siano le aspettative che gli altri hanno su di me a bloccarmi. È come se avessero già tracciato per me una strada che non sono ancora sicuro di voler perseguire".
"E tu non farlo. Nessuno ti costringe".
"E invece si! Sono il primogenito della famiglia Queen, praticamente l’erede al trono dell’impero che hanno costruito in questi anni".
"La fai sembrare una cosa orribile".
"Magari la è".
Felicity si soffermò per un attimo a pensare alla risposta da dargli. Voleva trovare le parole giuste.
"Posso darti un consiglio sincero? Non confondere la riconoscenza con l'accondiscendenza. Non smettere mai di ringraziare i tuoi genitori per quello che ti hanno dato ma non credere che il modo giusto per ripagarli sia fare necessariamente tutto quello che ti dicono. Sono pur sempre i tuoi genitori, Oliver. Se ti vedranno felice loro lo saranno di conseguenza, perché ti amano più di qualsiasi cosa al mondo. Lotta per ciò in cui credi, rimboccati le maniche per ottenere quello che vuoi davvero per te stesso, e loro prima o poi lo accetteranno. La domanda a questo punto resta una: tu cosa vuoi veramente, Oliver?"
Quelle parole riecheggiarono sorde nell’aria, e per un po’ non ricevettero risposta.
Felicity vide Oliver impegnato in una lotta con se stesso, mentre una serie di emozioni diverse gli si stampavano sul volto, sfuggendo al suo controllo.
"Credo che nessuno, in quasi 18 anni, sia mai riuscito a capirmi come tu hai dimostrato di fare in questo momento".
La potenza di quell’affermazione colpì Felicity in pieno petto, tanto che per un attimo ebbe paura di perdere l’equilibrio.
Si chiese se Oliver fosse consapevole dell’importanza che quelle parole ebbero per lei.
"Che... che ne dici di tornare indietro? Si sta facendo tardi e credo proprio di dover rientrare".
Aveva bisogno di prendersi una pausa da tutto questo, o non avrebbe retto.
"Andiamo. Ti do un passaggio a casa".
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Felicity credeva che viaggiare su una delle auto sportive più belle in circolazione rappresentasse un’esperienza piacevole, quanto meno divertente. Suo malgrado, dovette ricredersi. Oliver era uno spericolato, a voler essere gentili, incurante di ogni regola della strada e del buonsenso. Si disse che la prossima volta avrebbe guidato lei. Poi pensò che magari nemmeno ci sarebbe stata una prossima volta.
"Gira a destra. È la seconda casa sulla sinistra, quella con il porticato".
L’ultima cosa che avrebbe voluto era che Oliver scoprisse in quale quartiere della città abitasse. I Glades erano tristemente noti tra i cittadini di Starling per l'elevato tasso di criminalità e la fatiscenza di strutture ed abitazioni.
"Vuoi che ti accompagni dentro?"
"Oh no, tranquillo. Non serve. Anzi grazie mille per il passaggio, è stato gentile da parte tua".
"Figurati, era il minimo che potessi fare per averti trattenuta oltre orario".
Felicity si apprestò a scendere, intenzionata a non far perdere ad Oliver altro tempo.
Fu sorpresa quando sentì una mano stringerle l’avambraccio, come a volerla fermare.
Guardò Oliver con aria interrogativa.
"Volevo solo augurarti buon Natale".
Vero. Tra qualche giorno era Natale. Lo aveva quasi dimenticato.
"Io.... io sono ebrea".
Le parole uscirono prima che potesse controllarle e si chiese se non fosse stato forse il caso di ringraziarlo semplicemente.
"Beh, in questo caso, felice Hanukkah, Felicity".
Senza alcun preavviso le si avvicinò e le diede un bacio sulla guancia.
Per un istante Felicity non riuscì a pensare ad altro che alle labbra morbide di Oliver a contatto con la sua pelle.
"È... È meglio che vada..." Ci vollero tre tentativi prima che riuscisse ad aprire la portiera della macchina. Si sentì una perfetta idiota e maledì la sua incredibile sbadataggine. "Grazie… grazie ancora e buon Natale anche a te".
Si incamminò in direzione della porta di ingresso senza più voltarsi indietro. Oliver aspettò che fosse al sicuro tra le mura di casa sua prima di ripartire. Fu solo allora che Felicity riuscì a liberare i polmoni di tutto l’ossigeno in eccesso che aveva trattenuto. Si sentì immediatamente più leggera.
La sua mano si posò sulla guancia ancora umida. Ripensò ad Oliver. Alle cose che aveva fatto. Alle cose che aveva detto.
Era da tempo che non si sentiva così… felice. O forse semplicemente non lo era mai stata davvero.
Non riuscì a controllare il sorriso che le comparve sul volto. E sinceramente nemmeno provò a farlo.



*NOTA DELL'AUTRICE*
Ta-daaaaan. Colpo di scena. Felicity lavora al fast food per mantenersi ed Oliver lo scopre nel modo più imbarazzante possibile. Sono diabolica lo so :)
Spero abbiate apprezzato l'inserimento di Thea nella trama e l'accenno a Dig, magari in futuro riuscirò a farlo interagire in prima persona.
Che ne pensate della chiacchierata avvenuta tra loro? Credete sia stata troppo precoce per i discorsi affrontati? Ho pensato fosse in linea con l'intesa e l'alchimia che hanno dimostrato di avere praticamente da subito.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e non abbia deluso le vostre aspettative.
Appuntamento al prossimo aggiornamento!
Baci,
Anima90
P.s.: grazie infinite per le vostre recensioni. Siete adorabili e mi date lo sprono giusto per continuare questa storia. Ve ne sono immensamente grata.

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


~~Il rientro a scuola dopo le feste natalizie fu traumatico per tutti gli studenti della Starling City High School. Per tutti tranne che per Felicity. Essendo ebrea, aveva approfittato dei giorni di vacanza scolastica per incrementare i turni al fast food e mettersi in pari con il programma potenziato che il preside le aveva assegnato per potersi diplomare con due anni di anticipo. Non poteva permettersi che le scadesse la borsa di studio e di sicuro non poteva permettersi di finire il liceo in una scuola pubblica, se aveva intenzione di essere ammessa al MIT.
“Non posso crederci, Lis. Io sbavo dietro Tommy Merlyn da anni e a te basta andare ad una festa per diventare pappa e ciccia con il suo migliore amico. E’ proprio vero che la vita delle volte è ingiusta…”
Le due amiche erano in biblioteca, a studiare alacremente in vista del test di chimica previsto per il giorno seguente. Caitlin aveva trascorso le vacanze a Philadelphia dai nonni, e nonostante Felicity l’avesse tenuta costantemente aggiornata sui vari sviluppi, aveva costretto l’amica a raccontarle ancora una volta ogni minimo dettaglio di quanto accaduto con Oliver qualche settimana prima.
“Non siamo pappa e ciccia, Cait. Non so nemmeno se siamo amici, ad essere sincera”.
“Ah, si? E come spieghi tutta la storia del confidarsi con te sulle sue paure, il discorso del nessuno è mai riuscito a capirmi come te….  Ti ha fatto persino salire sulla sua macchina!”
“Davvero stai mettendo sullo stesso piano la storia del nessuno è mai riuscito a capirmi come te e un passaggio nella sua macchina?”.
“Beh, non è una macchina qualunque, quindi si”.
Felicity alzò gli occhi al cielo, non riuscendo a comprendere l’esaltazione dell’amica. Era una semplice automobile in fondo, sicuramente più carina e veloce della media, ma pur sempre un’automobile. Non è che riuscisse ad andare sulla luna o cose del genere.
“Dopo quella sera non mi ha più cercata, Cait. E’ come se fosse praticamente sparito dalla circolazione. Completamente dileguato, scomparso, kaputt.  Quindi non ne farei questa gran cosa fossi in te…”
A Felicity non piaceva ammetterlo, ma il fatto che Oliver non si fosse più fatto nè vedere né sentire dopo la loro passeggiata sul pontile l’aveva resa più triste di quanto credesse possibile.
“Si ma…”
“Caitlin, ti prego, possiamo chiudere questo discorso? Non mi va di parlarne e vorrei concentrarmi sul test di domani”.
Se la sua vita sentimentale era un disastro non per questo doveva esserlo anche quella scolastica.
“Ok ok, come vuoi. Discorso chiuso. Non parliamone più”.
Per qualche minuto rimasero in silenzio, entrambe concentrate unicamente sulle reazioni chimiche che avevano da ripetere.
“Lis?”
“Mmhmm?”.
“Se davvero non devo farne questa gran cosa, perché Oliver Queen è appena entrato in biblioteca e sta venendo verso di noi?”
Felicity sbiancò. Non era possibile. Caitlin doveva aver preso un abbaglio. Per forza.
Si guardò intorno giusto per esserne sicura.
“A ore 6”.
Felicity la guardò con aria interrogativa. Non era mai stata un granchè brava ad orientarsi.
“Oh signore, dietro di te!”.
Si voltò e se lo ritrovò davanti. Più bello che mai, più di quanto ricordasse.
“Ciao!”.
La salutò e le sorrise con naturalezza, come se tutti quei giorni di lontananza non fossero trascorsi.
“Ciao! Co… cosa ci fai tu qui?”
Gli scappò una risatina.
“Mi farai questa domanda tutte le volte che ci incontriamo, non è così?”
Felicity arrossì leggermente per quella gaffe.
“Scusami, è che non mi aspettavo di vederti qui. Insomma non credevo fossi un tipo da biblioteca… Sei un tipo da biblioteca?”.
“Non lo sono, infatti. In realtà, sono qui per te”.
Ah davvero?
“Davvero! Non avrei altri motivi per entrare in questo posto…”
L’aveva detto ad alta voce? Prima o poi avrebbe dovuto imparare a regolare il filtro bocca-cervello, evidentemente era guasto.
“No è che….. è che non ti aspettavo, tutto qui. Sai, saranno passati giorni da quando ci siamo visti l’ultima volta e non è che ci sia stato modo di rivederci o risentirci o cose del genere…”
Doveva chiudere quella bocca. E doveva farlo in quel preciso momento.
“Hai ragione. Ma non avevo il tuo numero di telefono e piombare a lavoro o a casa tua senza preavviso sarebbe stato troppo… inquietante, persino per uno come me”.
Felicity si sentì una perfetta stupida. Aveva tratto le conclusioni sbagliate. Oliver avrebbe voluto cercarla, semplicemente non sapeva come fare. Improvvisamente si sentì più leggera, come liberata di un peso.
Prima che potesse rispondergli, Caitlin si schiarì la voce, come a segnalare la sua presenza.
“Oh…  giusto… Oliver, ti presento Caitlin, la mia migliore amica. Caitlin, lui è Oliver”.
Oliver, con estrema galanteria, le fece un baciamano da perfetto gentiluomo. Felicity ne fu piacevolmente colpita.
“Piacere di conoscerti, Caitlin”.
“Il piacere è tutto mio…”
Vide l’amica perdersi per un attimo nei suoi occhi blu. Lei stessa aveva sperimentato quanto riuscissero ad essere ipnotici.
“Okaaaay… allora, Oliver, come hai fatto a sapere che ero in biblioteca?”
“Ti cercavo così ho chiesto un po’ in giro, mi ci è voluto un po’ ma alla fine un ragazzo magrolino con gli occhiali mi ha detto che ti avrei trovata sicuramente qui”.
“Barry…” Doveva ricordarsi di fargli un bel discorsetto sul rispetto della privacy.
“Lo conosci?”
“Felicity e Barry sono amici da anni ormai, sono praticamente fratello e sorella. Se non consideriamo il periodo in cui sono stati insieme durante il primo anno, ovviamente…”
Felicity fulminò Caitlin con lo sguardo. Era una congiura contro di lei per caso? Si erano iscritti al club raccontiamo-in-giro-i-fatti-della-nostra-migliore-amica-come-se-non-ci-fosse-un-domani?
“Tu e Barry siete stati insieme?”
Era una sua impressione o Oliver sembrava… geloso? Che domanda stupida, era sicuramente una sua impressione.
“Ci siamo frequentati per un po’, niente di serio. Sai, a volte è difficile capire dove finisce l’amicizia ed inizia… qualcos’altro”.
Subito dopo aver pronunciato quelle parole Felicity si rese conto di quanto potessero venire fraintese.
“Non che mi stia riferendo a qualche situazione in particolare… insomma certo che mi sto riferendo a una situazione in particolare, ma alla situazione di me insieme a Barry, non di me insieme a qualcun altro… anche perché non è che ci sia qualcuno in particolare a cui possa riferirmi…”
“Felcity…” Caitlin le lanciò un avvertimento. Non stava facendo altro che peggiorare la situazione, se n’era resa conto.
“Quello che in realtà volevo dire è che siamo stati insieme per un po’, ma alla fine abbiamo deciso che era meglio restare amici”.
Mica era un concetto così difficile dopotutto? Forse era la presenza di Oliver a rendere tutto più complicato.
“Capisco… Ad ogni modo, se sono venuto qui è perché volevo ringraziarti”.
“Ringraziarmi? E di cosa?”
“Ringraziarti delle cose che mi hai detto durante la nostra chiacchierata al pontile”.
Il pensiero di Felicity viaggiò a briglie sciolte fino al ricordo di quella sera, della profondità dei loro sguardi, del calore della sua mano poggiata sulla spalla, delle labbra umide a contatto con la sua guancia. Non riusciva a pensare ad altro da giorni ormai.
“Mi hai aiutato ad aprire gli occhi e a risolvere delle… situazioni che da solo non sarei stato in grado di affrontare. So bene che non eri tenuta a dirmi quelle cose, ma ti sono grato di averlo fatto ugualmente”.
“Figurati, Oliver. Non c’è bisogno che mi ringrazi. L’ho fatto perché me lo sentivo”.
Felicity gli sorrise. Al di là di tutto quel gesto le aveva fatto piacere. Era stato molto carino da parte sua.
“Ollie?”
Una voce femminile proveniente dalla parte opposta della biblioteca catturò la sua attenzione. Vide una ragazza castana, dai lunghi capelli ondulati, camminare in direzione del loro banco. In direzione di Oliver, in realtà. Aveva un fisico perfetto ed un sorriso mozzafiato. Felicity la trovò semplicemente bellissima.
“Ecco dov’eri, ti ho cercato ovunque!”.
“Scusami, Laurel, temo di aver perso la cognizione del tempo. E’ già ora di andare?”
Laurel. Era lei la famosa Laurel. La stessa che Oliver aveva nominato durante il loro primo incontro alla festa. Non avrebbe dimenticato quel nome neanche se avesse voluto.
“Si, Tommy ci aspetta al parcheggio. Sei pronto?”
“Mi daresti solo un secondo?”
“Sicuro. Ti aspetto fuori, non metterci troppo…”.
Felicity per poco non cadde dalla sedia quando li vide scambiarsi un bacio sulle labbra.
Che si aspettava? Che bastavano una lezione di piano improvvisata e una passeggiata sul pontile per fare cadere Oliver ai suoi piedi? Non poteva essere così ingenua. Era sempre stata migliore di così.
Si sentì ancora più stupida per aver pensato anche solo per un istante che Oliver potesse essere interessato a lei. La storia del numero di telefono era solo un modo carino per giustificarsi e lei ci era cascata come una perfetta idiota.
Ma adesso aveva imparato la lezione. Stavolta ci avrebbe messo veramente una pietra sopra, senza più alcun ripensamento.
“Ragazze, temo di dovervi salutare. Caitlin, è stato un vero piacere conoscerti”.
“Anche per me, Oliver”.
Il suo sguardo si posò su di lei e il cuore le iniziò a battere più velocemente. Si sarebbe mai abituata all’effetto che gli faceva?
“E’ stato davvero bello rivederti, Felicity. Sai, mi farebbe piacere passare del tempo con te, conoscerti meglio… al di là della scuola o degli incontri casuali in giro per la città intendo…” Si chinò sul suo quaderno e scrisse a margine del foglio una serie di cifre apparentemente casuali. “Ascolta, questo è il mio numero di cellulare. Salvalo se ti va, così possiamo tenerci in contatto”.
Come amici, Felicity. Solo come amici. Prima se lo metteva in testa meglio era.
“Oh… ok... nessun problema… lo salverò, grazie”.
Sembrò quasi sollevato. Aveva paura che potesse rifiutare il suo numero di telefono?
“Bene, ci conto.” Non avrebbe dovuto, lo sapeva, ma trovò il sorriso che le rivolse di una bellezza sconvolgente.  “Allora a presto, Felicity”.
“A presto, Oliver”.
Felicity provò con tutta se stessa ad ignorare il magone che sentiva alla bocca dello stomaco.
“Tutto ok, Lis?”
Caitlin la conosceva troppo bene per non capire quanto le avesse fatto male vedere Oliver baciare un’altra ragazza. Ringraziò il fatto che, almeno con la sua migliore amica, non dovesse mostrarsi forte a tutti i costi.
“No… ma andrà meglio”.
Da quel momento decise di concentrarsi unicamente sullo studio. Un brutto voto in chimica era l’ultima cosa che le ci voleva.
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“Hey, amico, si può sapere che fine avevi fatto?”
Oliver arrivò alla macchina di Tommy quasi di corsa, aveva perso la cognizione del tempo e aveva fatto più tardi del previsto.
“Non ci crederai mai, ma prima ho trovato Ollie in... biblioteca”.
“Ma non mi dire… esiste anche una biblioteca nella nostra scuola adesso?”
Laurel diede a Tommy uno scappellotto alla base della nuca e scoppiarono a ridere divertiti. Oliver si unì a loro senza riuscire a controllarsi.
“Siamo di buon umore, eh amico?”.
Tommy ci aveva visto bene. Oliver era davvero di buon umore. Durante le vacanze di natale aveva riacquistato un po’ della serenità che da qualche tempo aveva perso.
Il rapporto con Laurel si era riconsolidato. Avevano avuto un lungo chiarimento in cui era riuscito a confidarle tutte le sue paure e preoccupazioni, con la promessa di impegnarsi seriamente a trovare la strada giusta da intraprendere per il suo futuro.
Erano migliorati anche i rapporti con i suoi genitori, che si erano mostrati stranamente comprensivi nei suoi riguardi, accettando la sua richiesta di rimandare la scelta del college ancora di qualche settimana, con in cambio la promessa di non precludersi a priori nessuna possibilità.
E proprio in virtù di tale promessa aveva accettato l’invito di suo padre ad affiancarlo per qualche ora alla Queen Consolidated, per capire in cosa consistesse effettivamente quel lavoro prima di scartarlo a prescindere.
“Ricordatemi ancora perché lo sto facendo”.
Laurel gli si avvicinò, accarezzandogli delicatamente la testa. “Ollie, non essere teso, andrai alla grande. Vedrai che alla fine quest’esperienza finirà anche per piacerti, ne sono sicura”.
Oliver non sapeva che pensare. Era sicuro solo di una cosa: se la sua vita aveva preso una piega diversa da qualche giorno a quella parte, era solo per merito di Felicity. Doveva molto a quella ragazza, le parole che gli aveva detto quella sera avevano smosso dentro di sè qualcosa di inaspettato. Improvvisamente aveva scoperto in lui la voglia di fare, di sperimentare, di capire, di imparare. C’erano ancora tante cose che non sapeva, tanti aspetti della vita che non aveva mai sperimentato. Era come se fosse stato cieco fino a quel momento, incapace di soffermarsi a guardare il mondo circostante, per vederlo invece solo di sfuggita.
“Laurel ha ragione, amico. Te la caverai. Ma ora sbrighiamoci o farai arrabbiare tuo padre prima del tempo. E sai meglio di me quanto rompe le scatole quando sei in ritardo”.
Oliver si fece coraggio e salì in macchina, pronto a dare una possibilità a quel lavoro e alle novità che avrebbe potuto portare nella sua vita.
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Dlin-Dlon.
“MAMMAAAAAA! LA PORTAAAAA!”
Felicity era in camera sua al piano di sopra. Stava terminando i suoi compiti, e la madre sapeva quanto odiasse essere interrotta.
Dlin-Dlon.
“Amore andresti ad aprire tu? Sono in un ritardo che non puoi neanche immaginare”.
Ed invece poteva immaginarlo benissimo. Sua madre possedeva il talento particolare di iniziare a prepararsi per andare a lavoro cinque minuti prima dell’inizio del turno.
Dlin-Dlon. Dlin-Dlon. Dlin-Dlon.
Quel campanello incominciava seriamente ad indisporla. Se avesse sentito quel suono ancora una volta si sarebbe messa ad urlare.
“Arrivo! Un momento!” Fece le scale di corsa e arrivò alla porta quasi in affanno. “Ma chi cavolo è a quest’or…. Oliver?!?”
“Ciao!”
Doveva smetterla di sorriderle in quel modo, come se fosse la cosa più naturale del mondo.
“E tu…”
“Che ci faccio qui... ho indovinato?”
Era vero che continuava a fargli sempre la stessa domanda, ma che altro avrebbe potuto chiedergli? Non aveva la più pallida idea del perché si trovasse a casa sua.
“Mi pare di ricordare che piombare a casa degli altri senza avvisare non fosse nel tuo stile…”
“Vero. Ma ho dovuto fare un’eccezione. Era l’unico modo per rivederti”.
“Oh…”
“Felicity, amore, chi è alla…. Oh! Ciao! E tu chi saresti?”. La madre gli si avvicinò e iniziò a squadrarlo da capo a  piedi.
“Salve, io sono Oliver, un amico di Felicity”.
 “Ah, un amico diverso da Barry e Caitlin, finalmente!  E anche molto carino aggiungerei…. Io sono Donna, la madre di Felicity”.
Felicity avrebbe voluto sprofondare in quel momento. Oliver non avrebbe potuto bussare solo cinque minuti più tardi?
“Mi dispiace essere passato senza avvisare, spero non abbia disturbato…”
“Non essere sciocco, tesoro. Gli amici di Felicity sono sempre i benvenuti in questa casa, ad ogni ora del giorno…. e della notte”.
Se l’era immaginato o sua madre aveva detto davvero una cosa del genere? Ad Oliver? Se avesse avuto un fucile a portata di mano si sarebbe sparata in quel preciso momento.
“Ad ogni modo, accomodati pure, evidentemente mia figlia deve aver dimenticato all’improvviso le buone maniere. Io scappo che sono in ritardo, il lavoro chiama”.
Salutò Felicity con un bacio sulla guancia e strinse Oliver in un abbraccio veloce.
“E’ stato un piacere conoscerla, signora Smoak”.
“Oh, ti prego, chiamami Donna. Se mi chiami signora mi fai sembrare più vecchia di quanto non sia. E non mi pare il caso, con il fisico che mi ritrovo, non so se mi spiego…”
“Mamma….”
“Hai ragione, sono in ritardo, vado. E’ stato un piacere anche per me Oliver, torna pure quando vuoi!”
Felicity aspettò che la madre uscisse e si richiuse velocemente la porta alle spalle.
“Simpatica, tua madre. Sembra tua sorella in realtà”.
“Oh, grazie, Oliver. Come sei carino. Hai appena detto che una donna quarantenne potrebbe essere una mia coetanea. Non sapevo di portarmi così male la mia età”.
Uh oh. Aveva appena confidato ad Oliver l’età di sua madre.
“Ti prego, non dire a mia mamma che ti ho detto quanti anni ha, potrebbe non rispondere più di se stessa e a quel punto sarei costretta a dormire con una mazza da baseball sotto il letto”.
Oliver rise di gusto. “Il tuo segreto è al sicuro con me, tranquilla. Tornando a noi, sei pronta a venire con me?”
Andare con lui?
“E dove?”
“Non posso dirtelo, è una sorpresa. Lo so che è un po’ improvvisa come cosa ma spero che deciderai comunque di fidarti e mi dirai di si”.
Felicity era spiazzata. Non esistevano altre parole per definire il suo stato d’animo.
“Perché tutto questo mistero? Io odio i misteri, non sai quanto. Sento sempre questa malsana esigenza di risolverli e fin quando non lo faccio non riesco a trovare pace….”
“Ti prometto che non ti ci vorrà molto per risolverlo, al massimo qualche minuto. Ti prego, Felicity. Ci tengo tanto che tu mi dica di si”.
Beh, se ci teneva così tanto…
“Dammi almeno il tempo di cambiarmi…” Aveva la tuta e i capelli raccolti in un mollettone. Si disse che dalla prossima volta avrebbe adottato un look un po’ meno trasandato per stare in casa.
“Sei perfetta anche così, credimi. Allora è un si?”
E come poteva dire di no a due occhi che la guardavano in quel modo?
Prima che avesse il tempo di ripensarci, prese il giubbotto e le chiavi di casa, e si diresse con Oliver verso l’ignoto.
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Oliver sapeva che Felicity non ci avrebbe messo molto tempo a capire dove erano diretti.
“Perché stiamo andando alla Queen Consolidated?”
“Te lo dicevo che ci avresti messo solo pochi minuti per scoprirlo”.
“Non hai risposto alla mia domanda…”
E non lo avrebbe fatto. Non fino a quando avrebbero raggiunto il posto che aveva intenzione di mostrarle.
Parcheggiò di fronte l’edificio, ormai svuotato di tutti i suoi dipendenti. Gli uomini del servizio della sicurezza lo conoscevano e lo fecero passare senza problemi.
“Oliver perché non mi hai fatto cambiare? Avrei potuto mettere qualcosa di più, che so, indicato”.
“Sta tranquilla, a quest’ora non c’è nessuno qui. Siamo soli”.
La guidò verso l’ascensore che conduceva direttamente all’ufficio di suo padre. Entrarono e attesero che li portasse a destinazione. Felicity sembrava tesa, così decise di tranquillizzarla.
“Non preoccuparti, a quest’ora tutti gli uffici sono chiusi, non ci vedrà nessuno”.
“E se scoprissero che siamo qui? Potrebbero sbatterci fuori, o arrestarci magari”.
“La sicurezza sa già che siamo qui e dubito che qualcuno chiamerà la polizia per farci arrestare. In fondo questo posto è anche mio”.
“Si ma…”
“Felicity…” Le poggiò la mano sulla spalla come la volta scorsa. E così come la volta scorsa riuscì a farla leggermente rilassare. “Stai tranquilla, non ci succederà niente. Ti fidi di me?”
“Si”.
Rispose senza battere ciglio, come se fidarsi di un ragazzo appena conosciuto, che ti chiede di andare in chissà quale posto e chissà per quale motivo, fosse la cosa più ovvia del mondo. D’altronde anche lui avrebbe risposto la stessa cosa al suo posto.
Quando giunsero all’ufficio di suo padre, Oliver lo ritrovò esattamente come lo aveva lasciato qualche ora prima.
“Wow…Oliver… questo ufficio è spettacolare!”
Felicity si guardò intorno, meravigliata come una bimba in un negozio di giocattoli. Oliver la trovò semplicemente adorabile.
“Da queste finestre si vede tutta la città! Che spettacolo, non ho mai visto niente di simile”.
“Aspetta a dirlo…”
“In che senso?”
Oliver nel frattempo aveva trovato le chiavi che gli occorrevano, esattamente nel posto in cui ricordava.
“Andiamo. Ti faccio vedere”.
Ci misero un po’, ma alla fine riuscirono a raggiungere il tetto del grattacielo. Oliver era già stato lì quel pomeriggio, ma si rese conto che il panorama di sera era semplicemente mozzafiato. Non c’era storia.
“Allora? Che te ne pare?” Oliver era più timoroso di quanto pensasse, Felicity non aveva ancora detto una parola e non sapeva come interpretare il suo silenzio.
“Io… io… sono senza parole, Oliver.” Incredula, iniziò a girare in tondo lungo il perimetro del tetto, per ammirare da ogni angolazione possibile lo spettacolo di una Starling City completamente illuminata. “Tutto questo è…. perfetto. Semplicemente perfetto”.
Oliver sorrise, compiaciuto del fatto di averla resa in qualche modo felice.
“Perché mi hai portata qui?”
“Oggi pomeriggio sono stato alla Queen Consolidated. Ho affiancato mio padre per qualche ora, sai per rendermi un po’conto del lavoro in azienda e cose varie”.
“Davvero? E come è andata?”
“Non lo avrei mai detto ma… bene. Insomma, mi aspettavo peggio. Trovo ancora questo lavoro terribilmente noioso, e non so ancora se si addica a me o se avrò mai le capacità per svolgerlo, ma oggi ho scoperto che non è poi tanto male. Anzi, sono riuscito a trovare anche degli aspetti positivi. Come questo posto, ad esempio”.
Evitò di dirle che la sensazione di libertà provata su quel tetto gli aveva fatto venire una voglia irrefrenabile di condividerla con lei. Con lei e nessun altro.
“Sono felice per te, Oliver, davvero. Ti trovo molto più sereno rispetto alla volta scorsa”.
“Lo sono. E solo grazie a te”.
Decise di avvicinarsi per poterla guardare meglio negli occhi. Voleva che capisse che le parole che le stava dicendo erano completamente sincere.
“Il fatto è che da quando ci siamo conosciuti hai riacceso in me un qualcosa che non sapevo nemmeno ci fosse. Una nuova voglia di fare, di impegnarmi, di rendere migliore la mia vita. Solo dopo aver ascoltato la tua storia, i tuoi progetti, i sogni che vuoi realizzare, ho capito quanto in realtà la stessi buttando via dietro cose inutili e prive di significato”.
“Oliver, in realtà non faccio niente di speciale…”
“E invece si!” Le afferrò entrambi le mani, stringendole nelle sue. “Tu sei speciale, Felicity”.
Scorse nei suoi occhi un leggero stupore, come se non si aspettasse quelle parole. Se solo avesse avuto una minima idea di come riusciva a farlo sentire, forse sarebbe stato più semplice per lui farle capire quello che pensava di lei.
Un vento gelido investì entrambi senza preavviso. Vide Felicity tremare, doveva essere infreddolita nonostante il giubbino.
“E’ meglio se rientriamo”.
“Si, inizia a fare un po’ freddo qui su. Fortuna che ho messo questo giubbino altrimenti mi sarei sicuramente ammalata, perché sai sono cagionevole e…”
Prima che riuscisse a controllarsi Oliver la tiro a sé e la strinse tra le sue braccia. Un po’ per riscaldarla, ma soprattutto perché voleva sentirla vicina, più di quanto non lo fosse mai stata prima. Più di quanto forse gli era consentito.
Decise di non pensarci. Voleva concentrarsi solo sul corpo di Felicity a contatto con il suo e sulle inaspettate sensazioni che quell’abbraccio gli stava regalando. Felicity, dal canto suo, forse perché presa alla sprovvista, non lo ricambiò subito, ma quando lo fece, Oliver provò un piacere e un benessere che non credeva possibili. Come se si trovasse nel posto giusto, al momento giusto. Insieme alla persona giusta.
Non seppe dire per quanto tempo rimasero così, aggrappati l’uno all’altra, come se ne dipendessero le loro stesse vite. Seppe solo che il vuoto che provò quando dovettero allontanarsi gli scavò una voragine che sarebbe stata difficile da colmare.
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Erano le 22.30 e Felicity non aveva ancora finito di studiare. Le era stato difficile, se non impossibile, ritrovare la concentrazione dopo la serata appena trascorsa.
Nessuno mai aveva fatto per lei un gesto simile. Così romantico, così speciale. Così perfetto.
Ad ogni modo, si disse che era meglio non farci l’abitudine. Oliver aveva una fidanzata, bellissima per giunta, quindi qualunque tipo di rapporto ci fosse tra di loro al momento (amicizia?) non avrebbe mai comportato alcuna implicazione romantica o sentimentale. Prima imparava a conviverci, meglio sarebbe stato per lei.
La sua attenzione fu catturata dal numero di telefono che Oliver le aveva scritto quella mattina sul quaderno di chimica.
Pensò che sarebbe stato carino chiamarlo, per ringraziarlo ancora una volta. Ma poi vide che era tardi e decise di non disturbarlo. Alla fine, optò per un messaggio.
“So di avertelo già detto miliardi di volte ma grazie, davvero. Credo sia stata una delle serate più belle della mia vita. Ps: salva il numero :) F.”
La risposta di Oliver arrivò dopo pochi minuti. Evidentemente anche lui era ancora sveglio.
“Non ringraziarmi, era il minimo che potessi fare. Ci vediamo domani. Sogni d’oro, Felicity. Ps: grazie per il numero :) O.”
Sentì il suo cuore mancare un battito. Rilesse quel messaggio tre volte prima di decidersi a posare il cellulare. Era nei guai. Si stava innamorando perdutamente di Oliver Queen. Ogni parte del suo corpo e della sua mente non smetteva di urlarglielo. Come se poi ce ne fosse bisogno. Lo sapeva già. Lo sapeva e ormai non poteva più negarlo a se stessa. Ma poteva negarlo ad Oliver. Ed era esattamente quello che avrebbe fatto, perché solo così Oliver avrebbe continuato a far parte della sua vita.
Poteva convivere con il fatto che rimanessero semplici amici, ma non poteva sopravvivere all’idea di perderlo per sempre.


*NOTA DELL’AUTRICE*
Eccoci con un nuovo capitolo!!! Giuro che più vado avanti più mi viene voglia di scrivere questa storia, è una sensazione splendida che sono felice di condividere con voi :)
Non odiatemi per aver fatto tornare Oliver e Laurel insieme, vi prometto che tutto avrà un senso alla fine, anche la loro storia. Vi chiedo di avere solo un po’ di pazienza.
Che dire, grazie come sempre per le vostre recensioni, fa sempre un immenso piacere riceverle.
Spero continuerete a seguirmi, ci sono ancora un po’ di cose da raccontare.
Baci,
Anima90

 

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 6 ***


Oliver una mattina di febbraio ebbe un violento litigio con i suoi genitori. Il tempo che gli avevano concesso per la scelta del college era scaduto, doveva prendere una decisione o l’avrebbero presa loro al posto suo. E Oliver sapeva che lo avrebbero fatto, non aspettavano altro a dir la verità. Il periodo di calma apparente del mese precedente era stato solo un’illusione. I suoi genitori non sarebbero mai cambiati in realtà. La sua vita non sarebbe mai cambiata.
Lasciò cadere la sua testa sul banco, sentendola incredibilmente pesante.
“Amico, senza offesa, ma hai un aspetto orribile stamattina”.
Rimase immobile quando Tommy prese posto accanto a lui. Se avesse potuto sarebbe rimasto in quella posizione per il resto della giornata. “Come puoi pretendere che non mi offenda dopo una frase del genere?”
“Che succede? Laurel ha già deciso di darci un taglio con la pausa di riflessione?"
Dopo la discussione avuta durante il falò, Oliver e Laurel erano arrivati alla conclusione di doversi separare per un po'. Oliver aveva bisogno di capire se il sentimento che provava per lei con il tempo era diventato solo semplice affetto. Le voleva un bene dell’anima ed era una delle persone più importanti della sua vita, ma iniziò a pensare che forse l'amore era un'altra cosa.
“Laurel non c'entra.” Si decise finalmente a sollevare la testa, trovando lo sguardo preoccupato dell’amico. “Sono i miei genitori, stamattina evidentemente si sono svegliati storti e hanno deciso di rovinare la giornata anche a me”.
“Fammi indovinare, ti hanno dato un aut aut per il college".
Oliver sbuffò pesantemente. “Per tutto questo tempo hanno fatto solo finta di essere comprensivi con me. Non è mai cambiato niente per loro in realtà”.
Per quanto si fosse sforzato di vedere del bene in loro, anche grazie a Felicity, constatò suo malgrado che quando si trattava della famiglia Queen l’impresa era più difficile di quanto si potesse pensare.
 “Sai cosa ti serve, amico?”
“Una nuova famiglia?”.
“No, un’intera giornata di cazzeggio. Hai bisogno di distrarti”.
“Già, peccato che siamo costretti a stare chiusi qui dentro almeno per le prossime otto ore. Gran bella distrazione….”
“E chi ti dice che dobbiamo farlo per forza?”
Oliver aveva quasi paura a chiedere all’amico cosa avesse in mente. “Tommy…”
“Andiamocene via di qui”.
“Che cosa?”
“Andiamocene via! Però dobbiamo sbrigarci, prima che arrivi la prof.”
“Mi spieghi che ti dice il cervello? Se lo scoprono i miei allora si che mi ammazzano”.
 “Torneremo a casa in orario, non si accorgeranno di nulla”. Tommy si era già rimesso lo zaino in spalla, in attesa. “Allora, vieni o no?”
Oliver non si mosse, combattuto tra senso del dovere e maledetta voglia di seguirlo. In realtà fingeva di riflettere su una decisione che aveva già preso. Sarebbe stato disposto a tutto pur di non pensare ai suoi genitori e ai casini della sua vita. Anche fare sega a scuola nel suo anno del diploma.
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Felicity non era mai arrivata così tardi a scuola in vita sua. Parcheggiò quando mancavano solo cinque minuti all’inizio delle lezioni.
“La prossima volta che decidiamo di cambiare strada, assicuriamoci di essere almeno in orario”.
“Tranquilla, Lis. Possiamo ancora arrivare in tempo, se iniziamo a correre da adesso”.
Felicity odiava correre con tutta se stessa. Quando poi si trattava di farlo di prima mattina avrebbe preferito inginocchiarsi sui ceci piuttosto.
Si preparò psicologicamente alla fatica ma sentì il suono di un clacson in lontananza. Lo riconobbe, era quello della porche di Oliver.
“Fiuuuu fiuuuu, ci conosciamo bellezze?”
“Perché riesci ad essere sempre così idiota, Tommy?”
“Sarà un mio talento naturale, probabilmente”.
Felicity alzò gli occhi al cielo. “Anche voi in ritardo? Neanche ci fossimo messi d’accordo”.
Ad Oliver scappò una risatina. "Cosa? Ho detto qualcosa di divertente e non me ne sono accorta?”
“In realtà, Smoak, ce ne stiamo andando”.
Felicity non era sicura di aver capito bene.
“Ve ne state andando? E dove?” Caitlin sembrava incredula quanto lei.
“Non abbiamo ancora deciso, in realtà”. Oliver si rivolse all’amico in un bisbiglio. “Non abbiamo ancora deciso, vero?”
“Lo sai che oggi c’è scuola, si?” Felicity si rivolse unicamente ad Oliver, sapeva che con Tommy non era rimasto un granchè da fare ormai, ma sperava di riuscire a far ragionare almeno lui.
“Perché non venite con noi?”
No, si sbagliava, non era rimasto un granchè da fare nemmeno con lui.
“Io non so cosa abbiate bevuto stamattina per colazione, e non credo nemmeno di volerlo sapere, ma noi ci avviamo dentro. E spero sinceramente che vi decidiate a seguirci se ci tenete alla vostra carriera scolastica”.
Caitlin però non si mosse. “Dai Lis, che c’è di male? Non è che facciamo una cosa del genere tutti i giorni….”
“Cait!!! Pensavo che almeno tu fossi dalla mia parte!!!” Felicity temeva di essere piombata all’improvviso in un universo parallelo. Ma che avevano tutti quella mattina?
“Caitlin Snow, sei il mio nuovo mito, sappilo”. Tommy le rivolse un sorriso a 36 denti. “Salta su, si parte”.
L’amica non se lo fece ripetere due volte. “Lis?”
“Dai… vieni anche tu…”. Oliver le fece il musetto imbronciato e gli occhi dolci. Sapeva che non era in grado di resistergli quando la guardava così. Lo stava facendo apposta.
“Oliver Queen! Non azzardarti a guardarmi in quel modo! Non è corretto!”
Il suo sorriso fu un misto di speranza e compiacimento. "Questo vuol dire che ti ho convinta?”
Si, l’aveva convinta. E ci era riuscito in un modo così spudoratamente semplice. L’influenza che esercitava su di lei la spaventava ogni giorno di più. L’avrebbe seguito persino nelle fiamme dell’inferno se glielo avesse chiesto. E forse era proprio lì che erano diretti quella mattina. Si sarebbe pentita di quella decisione per il resto della sua vita, lo sapeva. Ma decise di non pensarci e di godersi quelle poche ore di spensieratezza, ci sarebbe stato tempo per occuparsi delle conseguenze.
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Guidarono per un po' senza una meta precisa.
"Hey, a 20 km c'è il nuovo parco divertimenti, quello che hanno inaugurato l'estate scorsa".
"Pensavo avessi superato da un pezzo i cinque anni, Tommy".
"Hanno le montagne russe più alte dell'intero stato!"
"In questo caso allora..."
Oliver, senza rispondere, deviò in direzione del Bludhaven Magicland. Tommy aveva avuto un'idea geniale. Non avrebbero trovato molta folla, uno perché era un giorno scolastico, due perché era febbraio, non di certo il periodo dell'anno ideale per una gita fuori porta al luna park.
Presero i biglietti al botteghino (Tommy ed Oliver pagarono elegantemente anche per le ragazze) e fecero il loro ingresso dall'entrata principale.
"Wow, questo posto è immenso". Caitlin si guardò intorno meravigliata.
Aveva ragione, Oliver non aveva mai visto niente di simile. La mappa segnalava attrazioni di ogni tipo e adatte a qualunque età. Non mancavano negozi di souvenir e catene di ristoranti. Non aveva niente da invidiare a una piccola cittadina.
"Dunque..." Tommy studiò il pieghevole che avevano ricevuto insieme ai biglietti. "Che ne dite di iniziare dalla casa degli orrori?"
"Oppure dall'acquario... So che c'è una riproduzione fedelissima della barriera corallina".
Tommy sgranò gli occhi, guardando Caitlin come fosse un’aliena. “Ma certo… l’acquario… magari ci andiamo più tardi, eh?"
"Io voglio andare lì..." Felicity stava indicando una ruota panoramica che si ergeva imponente ai confini del parco.
"Smoak, come puoi preferire una noiosissima ruota panoramica a tutte le giostre fichissime che ci sono?".
Felicity non gli prestò attenzione, troppo concentrata a studiare da lontano le caratteristiche di quell'attrazione. "Da quella altezza dovrei essere in grado di vedere l'intera contea".
Solo Oliver poteva comprendere il debole che Felicity aveva per i panorami, l'incanto del suo sguardo quando la portò sul tetto della Queen Consolidated era marchiato a fuoco nella sua mente. Non lo avrebbe mai più dimenticato.
"Se vuoi ti ci porto..." Si pentì di quelle parole un secondo dopo averle pronunciate. E se avesse voluto andarci da sola?
"Lo faresti davvero?” Sembrò dubitare della sua sincerità. “E le montagne russe? La casa degli orrori?"
Come poteva credere che avrebbe preferito delle stupide giostre ad un giro sulla ruota panoramica con lei?
"Ha ragione amico. Ci sono anche le torri gemelle, vedi proprio in questo punto..."
"Possono aspettare, abbiamo tutta la giornata a disposizione".
In uno slancio di pura sconsideratezza, prese Felicity per mano. Quando lei ricambiò la stretta, si sentì decisamente meglio. "Allora, vuoi andare o no su questa ruota panoramica?"
"Si. Non vedo l’ora”.
Senza voltarsi indietro si incamminarono verso la parte Nord del parco, lasciandosi i loro amici alle spalle.
"Si, beh, divertitevi sulla vostra noiosissima e lentissima ruota panoramica! Noi troveremo altro da fare, tranquilli!"
Le parole di Tommy si persero nell'aria insieme a tutto il resto. Sembrava tutto così effimero ora che Felicity camminava al suo fianco, tenendogli la mano. Aveva lei, e ad Oliver non sarebbe servito nient'altro al mondo.
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"Allora, qual è la storia?"
Felicity aveva deciso di rimanere in piedi, la sua faccia letteralmente attaccata al vetro della cabina.
"Quale storia?"
"Quella del perché ti piacciono così tanto i panorami".
Si chiese da quando era diventata per lui così un libro aperto.
"In realtà non c'è una storia in particolare... Forse perché non avendo potuto viaggiare molto, guardare un luogo dall'alto mi da l'impressione di poter raggiungere tutti i posti che desidero. Mi fa sentire bene, credo".
Sapeva che quelle parole sarebbero sembrate patetiche dette a una persona qualunque, ma Oliver avrebbe capito. Lui non era una persona qualunque.
"Si, credo abbia senso. In quali posti ti piacerebbe andare se ne avessi la possibilità?"
"Mmm... in Canada, penso. Sono sempre stata curiosa di ammirare la vastità di paesaggi che offre".
"E così vuoi dirmi che il tuo sogno sarebbe andare in uno stato che si trova a qualche centinaia di km da qui? Dai, punta un po’ più in alto…"
Oliver non aveva tutti i torti, sicuramente aveva desiderato di vedere altri luoghi oltre il Canada, ma non voleva azzardarsi a confessare sogni  eccessivamente audaci, che sapeva non si sarebbero mai realizzati.
"Allora?"
Oh, al diavolo, tanto sapeva che in un modo o nell’altro l’avrebbe convinta a confidarsi.
"Eh va bene. Il mio sogno in realtà è quello di andare in Italia. Voglio vedere Roma, la culla della civiltà più antica che sia mai esistita. E poi... no niente lascia perdere".
Era una cosa troppo stupida, persino per lei.
"No, ora me lo dici invece, non puoi lasciarmi sulle spine così".
"Prometti di non ridere? Ricorda che sei tu ad aver insistito tanto, a me andava benissimo anche la risposta sul Canada..."
"Stai solo rimandando l'inevitabile così...."
Sbuffó è prese posto accanto a lui sulla panchina. "Voglio provare il loro caffè. Una volta mio cugino mi disse che era completamente diverso dal nostro e da allora non faccio altro che chiedermi come lo preparano".
Oliver non riuscì a trattenere un sorriso. "Davvero il tuo sogno è quello di  andare in Italia solo per bere un caffè?"
"Non dimenticare la parte su Roma..." Distolse lo sguardo da lui, troppo imbarazzata per la figura che sapeva di aver fatto. "È una cosa stupida lo so, ma mi hai chiesto di essere sincera e questa è la pura verità".
Oliver le accarezzò il dorso della mano e Felicity non riuscì a controllare il brivido che pervase tutto il suo corpo.
"Mia madre è stata in Italia l'anno scorso, sai? La prima cosa che ha detto una volta tornata è che il loro caffè è il migliore. Vuole ritornarci solo per quello".
Felicity gli sorrise debolmente, grata ad Oliver per quelle parole. Era riuscito a tranquillizzarla, come solo lui era in grado di fare. Si chiese come aveva fatto fino a quel momento senza di lui, ora che lo conosceva non riusciva a concepire un mondo in cui non esistesse Oliver Queen.
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Quando si ritrovarono con Tommy e Caitlin ai piedi delle montagne russe, Felicity non potè fare a meno di notare lo stato in cui riversava l’amica. Aveva un’acconciatura irriconoscibile, i capelli le si erano annodati in un ammasso informe e disordinato. Il viso aveva un colorito spaventoso, biancastro come quello di un cadavere.
“Caitlin! Stai bene?”
“Mmhmm…” Si mise una mano davanti alla bocca, come a combattere un conato di vomito.
“Tu. Che le hai fatto?”
“Io?” Tommy si indicò con espressione innocente. “E’ quel coso che l’ha ridotta così, mica io”.
“Quanti giri avete fatto?”
“Due?” Felicity lo guardò scettica. “E va bene, forse tre… Dai Smoak non farla tragica, ora andiamo a farci un hamburger così si riprende”.
Quelle parole provocarono in Caitlin un altro conato.
“Davvero ti sembra il caso di parlare di cibo davanti a lei in queste condizioni?”
Oliver si avvicinò ad entrambe, in apprensione. “Vuoi che la riaccompagni a casa? In ospedale magari?”
“No, Oliver. Non serve, davvero. Ora mi passa.” Caitlin mise una mano sulla spalla dell’amica, per rassicurarla. “Non prendertela con Tommy, Lis. E’ stata una mia scelta, non mi ha mica costretta?”
“Perché sei andata lì sopra, Cait? Non avevi paura dell’altezza tu?”
Oliver rimproverò immediatamente Tommy con lo sguardo. “Ehi, amico, non ne sapevo nulla. Giuro. Non l’avrei mai portata lì sopra altrimenti”.
Caitlin sorrise a quelle parole. Felicity pensò che in fondo la sua amica non si trovava in condizioni così diverse rispetto alle sue. Anche lei sarebbe stata disposta a seguire Tommy nelle fiamme dell’inferno se solo glielo avesse chiesto.
“Andiamo a darci una rinfrescata, ti va?”
Senza dire una parola, l’amica si lasciò condurre fino al bagno.  Una volta sole, poterono parlare con più discrezione dell’accaduto.
“Mi spieghi cosa ti è saltato in mente? Avresti potuto sentirti male… molto peggio di così...”
“Non ci ho pensato, ok? Tommy mi ha implorata di accompagnarlo, mi ha preso per mano e non me l’ha lasciata per tutto il tempo. Non puoi neanche immaginare quello che ho provato, Lis”.
E invece poteva immaginarlo benissimo. Era sicuramente la stessa sensazione che provava quando Oliver la teneva per mano.
“Ascolta, io capisco che Tommy ti piaccia, molto, ma tu vieni prima Caitlin. La tua salute viene prima. Non sai quanto mi sono spaventata a vederti così e…”
“Felicity Smoak che confessa i suoi sentimenti. E’ un giorno da segnare sul calendario”.
“Che cretina che sei”. Strinse la sua amica in un abbraccio. Non era solita esternare l’affetto che provava per lei con gesti plateali, ma in quella circostanza decise di fare un’eccezione.
“Scusa se ti ho fatta spaventare, Lis”.
“Prometti che non succederà più?”
“Promesso”. Si guardarono negli occhi per qualche istante, sentendosi fortunate a poter sempre contare l’una sull’altra. “Ti voglio bene, lo sai, si?”
Felicity la strinse di nuovo. “Lo so”.
Era il suo modo per dirlo te ne voglio anch’io, e Caitlin lo sapeva, con lei non c’era mai stato bisogno di tante parole.
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I ragazzi, dietro suggerimento di Tommy, decisero di farsi perdonare aspettandole all’uscita del bagno con due stecche di zucchero filato extra large. Uno blu per Felicity e uno rosa per Caitlin. Oliver pensò che il rosa non fosse propriamente indicato per lei. Aveva dimostrato di avere gusti differenti rispetto alla maggioranza delle ragazze. Anche perché lei non era affatto la maggioranza delle ragazze.
“Uh, wow, e questi da dove sbucano fuori?”
Tommy si diresse direttamente in direzione di Caitlin. La prese per mano. “Ti chiedo scusa Caitlin. Sono stato stupido, superficiale ed egoista, lo so, ma spero che potrai comunque perdonarmi”.
“Certo che ti perdono, Tommy. Dimentichi che è stata anche una mia scelta”.
“Ho pensato che un po’ di zucchero poteva aiutarti, sai a riprenderti”.
“Grazie, è stato un gesto carino da parte tua”.
Si sorrisero con dolcezza e Oliver decise di distogliere lo sguardo, per concedere loro un po’ di privacy. Tommy era un cretino il più delle volte ma quando decideva di mostrare la sua parte migliore agli altri diventava completamente un'altra persona. Fu felice del fatto che avesse finalmente deciso di mostrarla anche a Caitlin.
“E questo, invece?”. Non si accorse che Felicity si era avvicinata a lui. Stava indicando lo zucchero filato che aveva in mano.
“Oh, beh, questo è per te”.
“Devi farti perdonare qualcosa anche tu per caso?”
“No, ma mi andava di farlo”.
Felicity gli sorrise. Dio, quando sorrideva diventava ancora più bella. “Beh, in questo caso, grazie per il pensiero”.
Iniziarono a passeggiare per il parco. Caitlin e Tommy in testa, ancora mano nella mano. Oliver e Felicity mantennero qualche metro di distanza da loro, mentre lei continuava a mangiare il suo zucchero filato. Non capì come fosse possibile sporcarsi completamente di zucchero le mani e buona parte del viso, ma Oliver la trovò adorabile anche in quello stato.
Si decise ad immortalare quel momento. Azionò la fotocamera del cellulare e la impostò in modalità autoscatto. "Che diavolo pensi di fare con quel coso?" "Un selfie!" Si era già messo in posizione accanto a lei, sorridendo all'obbiettivo. Felicity continuò a guardarlo con espressione dubbiosa e leggermente esasperata. Oliver trovò questa cosa divertente. Non era una foto come tutte le altre. Era la loro prima foto, e non poteva venire meglio di così. Ricominciarono a camminare e fu lei dopo un po' a rompere il silenzio. “Starebbero bene insieme”.
“Chi?”
“Come chi? Tommy e Caitlin! Guardali, sembrano due fidanzatini al primo appuntamento”.
Aveva ragione. Era cambiato qualcosa in loro, come se fossero passati allo step successivo rispetto a una semplice amicizia. Oliver conosceva bene Tommy, quello era l’atteggiamento che assumeva quando voleva fare intendere a una ragazza che c’era qualcosa in più da parte sua.
“Tommy è partito, mi sa”.
“Dici? Non vorrei la prendesse in giro…”
I timori di Felicity erano fondatissimi. Conosceva la reputazione dell’amico, soprattutto quando si trattava di ragazze, ma Oliver non lo vedeva così preso dai tempi della sua prima (ed unica) ragazza. La sola persona con la quale era riuscito ad instaurare una relazione seria, durata di più di una sola notte.
“Lo conosco, non lo vedevo così coinvolto da un po’. Credo si sia finalmente reso conto di quanto Caitlin sia speciale e ora non riesce a fare a meno di lei. Magari farà fatica ad ammetterlo i primi tempi, ma le cose stanno così, e lo sa anche lui”.
Felicity rimase in silenzio, ragionando sulle parole che Oliver le aveva appena detto. Ci teneva moltissimo a Caitlin, probabilmente avrebbe dato la vita per la sua migliore amica, e l’ultima cosa che avrebbe voluto era vederla soffrire per amore.
“Puoi fidarti, Felicity. Non ti mentirei mai, soprattutto se riguarda Caitlin. So quanto ci tieni a lei”.
“Mi fido di te, Oliver”. Lo guardò negli occhi per fargli capire che era sincera. “E’ solo che quando si tratta di lei divento iper-protettiva, pedante e fastidiosa quanto una spina nel fianco. La sola cosa che voglio è che non si faccia male, tutto qui”.
Oliver si comportava allo stesso modo quando si trattava della sorella. Pensò che tra Caitlin e Felicity doveva esserci più di una semplice amicizia, il loro era un legame molto più profondo.
“Non posso prometterti che Tommy non farà cretinate, perché, ehi, sempre di Tommy parliamo. Ma posso assicurarti che a Caitlin ci tiene, più di quanto abbia mai tenuto a tutte le ragazze che gli ronzano intorno ogni giorno”.
“E comunque non l’ho mai capita questa storia”.
“Quale storia?”
“Quella di voi due che attirate ragazze manco foste due calamite”.
Oliver non sapeva come interpretare quelle parole. “Sarebbe il caso di offendermi per caso?”
La vide scuotere la testa. “Non fraintendermi, capisco tutta la questione della bellezza e della popolarità, ma il più delle volte la maggior parte di quelle ragazze neanche vi conosce”.
“Stai forse dicendo che se mi conoscessero smetterebbero di venirmi dietro?”.
“No. Sto dicendo che se ti conoscessero avrebbero veramente un motivo per farlo”.
Il cuore di Oliver mancò un battito. Forse era la cosa più bella che si era sentito dire da lei da quando l’aveva conosciuta. Era sempre stata in grado di andare oltre l’aspetto fisico, i soldi, il nome, la popolarità. L’aveva sempre visto per quello che era davvero, semplicemente Oliver, il ragazzo amante della musica classica e catapultato suo malgrado in una vita che probabilmente non aveva mai voluto. E ora gli stava dicendo che era per quel ragazzo che valeva la pena mostrare interesse. Perché era quella la parte migliore di lui.
“Oliver!” si sentì strattonare per un braccio. “Guarda!”
“Dove?” Provò a identificare il punto su cui era caduto il suo sguardo.
“Laggiù! Dove ci sono tutte quelle luci! Voglio andare a vedere cos’è, vieni…”
Non gli diede tempo di realizzare che lo aveva già preso per mano per condurlo in direzione di quel punto illuminato. Si trattava di una specie di tunnel dalle cui pareti uscivano tanti piccoli getti di vapore. Le lucine posizionate tutte intorno creavano un effetto bellissimo, come se il vapore formasse tante piccole nuvole su cui si potesse camminare.
“Oddio!!! E’ bellissimo qui!!!”
E lo era davvero. I getti di vapore caldo sul corpo erano rilassanti, sembrava di trovarsi in un’immensa vasca idromassaggio.
Oliver la vide ridere di gusto e non riuscì a controllarsi. La abbracciò da dietro e rise con lei, travolto dalla sensazione di benessere che stava provando in quel momento.
“Oliver! Sei completamente fradicio!”
Ma a lui non importava, non importava più niente che non fosse Felicity. La costrinse a voltarsi, voleva che capisse quanto si sentiva bene, come non lo era mai stato prima.
“Oliver…”
Prima che riuscisse a controllarsi la baciò. Il sapore delle sue labbra lo travolse, dolce come lo zucchero filato che aveva appena mangiato. Dio, si sentiva in paradiso. I loro corpi si incastrarono alla perfezione, come se finalmente avessero trovato l’altra metà della mela. Era tutto perfetto, quel bacio, quelle labbra, lei. Aveva baciato così tante ragazze in vita sua da averne perso il conto, ma quel bacio non aveva niente a che fare con gli altri. Oh no, questo era il bacio. Quello che ti fa esplodere un caleidoscopio di farfalle nello stomaco, che ti fa tremare le ginocchia, che ti fa battere il cuore così forte da farti sentire male al petto. Oliver non aveva mai provato niente del genere in tutta la sua vita, e sapeva anche il perché. Si era innamorato perdutamente e irrimediabilmente di Felicity Smoak. L’amava dal primo momento in cui l’aveva vista, e si sentì così stupido per averlo realizzato solo in quel momento.
Controvoglia, si costrinse ad interrompere quel contatto. Felicity teneva gli occhi ancora serrati, con un’espressione sognante sul volto.
“Dio, avrei voluto farlo dalla prima volta che ti ho vista…” Il sussurro di Oliver fu quasi impercettibile e per poco non si perse nel rumore dei loro respiri ancora accelerati.
Felicity si limitò a sorridere, come se non riuscisse a dare voce alle sue sensazioni. Forse erano troppo forti da gestire, anche per lei.
La vibrazione di un cellulare fece sussultare entrambi.
“E’ Tommy… vuole sapere dove ci siamo cacciati…”
“Raggiungiamoli, è ora di tornare a casa”.
Oliver la seguì senza aggiungere altro, ancora sopraffatto da quello che era appena successo. Aveva baciato Felicity, ed era stata la cosa più bella che fosse mai successa in tutta la sua vita.
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Per tutto il viaggio di ritorno Felicity rimase in silenzio. Stava provando a riordinare i suoi pensieri e a dare un nome alle sensazioni che il bacio di Oliver aveva scatenato in lei.
Prima di tutto c’era stata la sorpresa, non si sarebbe mai aspettata che Oliver la baciasse, non in quel momento. Dalla sorpresa era passata alla scoperta, del sapore delle sue labbra, della dolcezza dei suoi respiri, della perfezione del suo tocco su di lei. Poi era stato il piacere a prendere il sopravvento, l’inspiegabile voglia ed esigenza che quel contatto diventasse qualcosa di più profondo, di più intimo. Qualcosa di più. Ed infine la consapevolezza, non solo dei suoi sentimenti per lui, che non erano mai stati così forti, così tangibili, così reali. Ma anche di quello che Oliver provava per lei, di tutto ciò che era riuscito a dirle con quel semplice bacio.
“Dio, avrei voluto farlo dalla prima volta che ti ho vista”.
Felicity sapeva che era la verità, d'altronde era la stessa cosa che avrebbe voluto fare lei. Ne avevano fatta di strada da quel giorno, ma quel particolare non era mai cambiato. Dal primo momento erano stati legati da un’attrazione quasi fulminea, catalizzante, e che il tempo trascorso insieme non aveva fatto altro che rendere più profonda. Più importante.
“Smoak, sei silenziosa”. La voce di Tommy la fece ritornare sulla terra. “A che pensi?”
“Ripensavo alla giornata trascorsa, in realtà”.
“Allora, ne è valsa la pena perdersi questo giorno di scuola?”
Felicity incrociò lo sguardo di Oliver dallo specchietto retrovisore. Si sorrisero. “Sì, Tommy. Ne è valsa la pena”.
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Oliver tutto si aspettava di trovare al suo ritorno tranne che sua madre e sua sorella attenderlo dietro la porta di ingresso.
"Che succede? Mamma, Thea, state bene?"
Nessuna delle due rispose.
“Thea, mi spieghi per favore?”
"Oh, Ollie, sei così incredibilmente nei guai..."
Ad Oliver raggelò il sangue nelle vene. Possibile che la madre avesse già scoperto tutto? Forse non erano stati abbastanza prudenti.
"Vai di sopra a finire i tuoi compiti, Thea. Io e tuo fratello dobbiamo parlare".
La categoricità del suo tono di voce non lasciò ad Oliver altra scelta che seguire la madre nel grande salone.
"Come ti senti, figliolo? Stai un po' meglio?"
Oliver non riuscì a comprendere il senso di quelle parole. La mamma credeva che era stato male? Perché?
"Prima ho ricevuto una chiamata dal preside Steele. Mi chiedeva perché non ti fossi presentato a scuola nel giorno del test di recupero di matematica".
Cavolo, Thea aveva ragione. Era nei guai. Nei guai fino al collo.
"Mamma, io..."
"Gli ho spiegato che un virus intestinale ti aveva costretto a letto per tutto il giorno. Quindi, figliolo, te lo chiedo ancora una volta, come ti senti?"
Sapeva di dover stare al gioco, quando la madre si comportava così non aveva altra scelta.
"Sto... Sto meglio grazie".
"Bene. Spero che domani sarai pronto a tornare a scuola e a riprendere regolarmente le tue lezioni".
Tutto qui? A Oliver sembrò troppo bello per essere vero. Troppo semplice.
"Oh… assolutamente. Domani tornerò a scuola regolarmente".
"Bene, sono felice di sentirtelo dire". Oliver fece per alzarsi e raggiungere le scale, ma sua madre non aveva ancora terminato."Ah, figliolo, credo sia superfluo dirti che la ragazzina con gli occhiali non devi più vederla".
Oliver per poco non cadde a terra, non si sentiva più le gambe.
"Co... cosa?"
"Non sono intenzionata a ripeterlo due volte. Una cosa è volerti ribellare, un'altra è volerci punire frequentando cameriere in giro per la città".
"Lo fa per mantenersi! Per mettere da parte i soldi per il college!" Una lacrima minacciò di cadere dall'angolo del suo occhio, Oliver riusciva a percepirla.
"Questa ragazza non c'entra niente con te, con la tua vita. Per l'amor del cielo, Oliver, sei un Queen! Hai delle responsabilità, e prima lo accetti prima sarà meglio per te".
"Io la amo, mamma..." Le parole sfuggirono al suo controllo, per la prima volta aveva ammesso di amare Felicity, davanti a sua madre. Temeva di non essere in grado di farlo, ma evidentemente la paura di perderla era più forte di tutto il resto. "Se credi che rinuncerò a lei così facilmente ti sbagli di grosso!"
"In tal caso, non mi lasci altra scelta che informare il preside Steele del motivo per cui oggi è stata assente a scuola. E sai meglio di me che a quel punto dovrà dire addio alla sua borsa di studio e al college".
Oliver non poteva credere alle sue orecchie. Sua madre aveva avuto il coraggio di  minacciare il futuro della ragazza che le aveva detto di amare. Si poteva essere più mostri di così?
"Ti inviterei a non pensarci più del dovuto. Mettere a rischio il futuro di una persona per un capriccio sarebbe troppo egoista, persino per te".
Senza degnarla di uno sguardo salì in camera sua, sbattendosi la porta alle spalle. Per un momento pensò di averla scardinata.
Cosa avrebbe dovuto fare adesso? La testa gli diceva di dare ascolto alle parole di sua madre, di non mettere a rischio il suo futuro per una cosa così stupida.
Ma il cuore gli urlava di non rinunciare a lei, non ora che l'aveva trovata, non quando aveva finalmente capito di amarla. Se solo pensava a quanto si era sentito bene con lei solo qualche ora prima, e ora questo. Si sentì impotente, sconfitto, demoralizzato. Cosa aveva fatto di male per meritare una cosa del genere? Cosa aveva fatto di sbagliato per non meritare di essere felice?
Scorse la galleria del cellulare alla ricerca della foto che avevano fatto quel pomeriggio al parco. Dio, era così bella con tutto quello zucchero attorno alle labbra. Si soffermò a guardare il sorriso stampato sul suo volto, quello che solo lei era in grado di provocargli. Ormai la sua felicità dipendeva dalla sua presenza, dalla sua vicinanza. E il solo pensiero di dover rinunciare a tutto questo gli fece salire un magone alla bocca della stomaco.
Scaraventò il cellulare contro la parete, frantumandolo in tanti piccoli pezzi che si sparsero per il pavimento.
Sua madre aveva ragione. Non poteva essere egoista. Non con lei. Non quando c'era di mezzo il suo futuro, i suoi sogni, tutto quello per cui stava lavorando così duramente. Avrebbe risolto al più presto quella situazione, a costo di andare contro quello che il cuore gli diceva. A costo di andare contro se stesso.
 
 
*NOTA DELL'AUTRICE*
Innanzitutto mi scuso per aver aggiornato con leggero ritardo rispetto alle scorse volte, ma ogni tanto la vita reale prende il sopravvento e non ho potuto fare a meno di rispettare i miei impegni.
Ho ADORATO scrivere questo capitolo. Vi confesso che il bacio non era in programma ma prima che me ne rendessi conto le dita si erano già mosse sulla tastiera per scrivere quello che evidentemente il mio cervello mi suggeriva senza che nemmeno me ne fossi accorta.
Odiosa è l'unica parola che riesco a trovare per descrivere la madre di Oliver, veramente cattiva fino al midollo. Non odiatemi per l'angst, vi prego. In fondo cos'è un lieto fine senza qualche ostacolo lungo il cammino?
Grazie infinite per le recensioni e per le parole carinissime che spendete per me e questa storia. Spero abbiate apprezzato anche questo capitolo.
Al prossimo aggiornamento!
Baci,
Anima90

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Era trascorsa solo una settimana dalla magica serata sul tetto della Queen Consolidated, ma tanto era bastato perchè Oliver e Felicity diventassero praticamente inseparabili. Si sentivano tutti i giorni prima di addormentarsi, parlando al telefono per ore e continuando a mandarsi messaggi anche dopo aver attaccato. Lui aveva preso l’abitudine di passare a salutarla tutti i pomeriggi in biblioteca dopo le lezioni, trovandola sempre al solito banco a studiare in compagnia di Caitlin. Ogni volta partiva con l’intenzione di trattenersi per poco tempo ma alla fine si ritrovava a chiacchierare ininterrottamente insieme a loro del più e del meno: scuola, film, interessi vari. Il suo momento preferito arrivava quando si confrontava con lei su opera e musica classica. Era come se si estraniassero dall’ambiente circostante, escludendo Caitlin dal discorso e facendola sentire un terzo incomodo. Lei tutte le volte minacciava di lasciarli soli e Oliver puntualmente si sentiva una persona orribile per sperare che lo facesse davvero.
“Hai già parlato con il preside Steel?”
“No… ho appuntamento con lui alle 16.30”.
Felicity era particolarmente tesa quel venerdì, aveva appuntamento in presidenza per conoscere l’esito della sua richiesta di diplomarsi anticipatamente.
“Tanto si tratta di una formalità, no? Hai tutti i crediti che ti servono, la tua media rasenta la perfezione, direi che non ti manca nulla”.
“Shhhh!” Caitlin lo ammonì con un po’ troppo entusiasmo. “Non parlare prima del tempo, porta male”.
Oliver guardò sorpreso in direzione di Felicity. “Non sapevo fossi scaramantica…”
“Oh, io non lo sono. Evidentemente Caitlin lo è per entrambe”.
“Ma che dici, Lis? Mica sono scaramantica?”
“Ah no? Non eri tu quella che una volta ha accostato solo per aver visto un gatto nero attraversare la strada?”
Caitlin sgranò gli occhi in direzione dell’amica. “Non è assolutamente vero! Mi fermai solo per cambiare stazione radio! Sai che non riesco a fare due cose contemporaneamente!”
“Questa è la scusa più assurda che abbia mai sentito, Cait. Davvero, peggiori di giorno in giorno”.
Oliver non seppe trattenere una risata. Ogni giorno scopriva qualcosa di nuovo su quelle due ragazze, e più le conosceva più le trovava adorabili. Soprattutto Felicity.
“Ok ok, time out. Non litigate. Altre novità oltre all’incontro che non deve essere nominato e alla non scaramanzia di Caitlin?”
“Ah ah, Oliver, come sei simpatico. La vicinanza con Felicity ti fa male, te lo dico…”
Incontrò gli occhi di Felicity e si sorrisero. Si divertiva a prendere in giro Caitlin insieme a lei, mostrando una complicità senza precedenti. Quel tipo di complicità che Oliver non aveva mai provato con nessun altro prima di allora.
“Abbiamo preso A al test di chimica della settimana scorsa e la mia interrogazione di letteratura è andata abbastanza bene”.
“Cioè benissimo per i comuni mortali. Non so come faccio ancora a parlare con voi due, distruggete il mio ego ogni giorno che passa”.
“Lo fai perché in realtà non riesci a fare a meno di noi”.
Felicity lo disse in tono scherzoso, ma Oliver sapeva che era la verità. Ormai non riusciva a fare a meno di lei.
Non passò molto prima che Tommy si unisse a loro. Oliver lo aveva presentato ad entrambe qualche giorno prima, quando le incontrò nel parcheggio della scuola. Felicity gli raccontò che l’amica per poco non era svenuta per l’imbarazzo. Gli aveva accennato della cotta che aveva per il suo migliore amico, anche se Oliver lo aveva già intuito. Caitlin non era molto brava a camuffare le sue reazioni, soprattutto quando si nominava Tommy in sua presenza. Si chiese se non fosse stato il caso di mettere una buona parola per lei con il suo amico. In fondo era una ragazza seria, interessante e anche molto carina. Senza dubbio migliore delle ochette senza cervello che di solito gli ronzavano intorno.
“Allora, donzelle, stasera siete dei nostri?”
“Stasera?”
“Smoak, a volte mi chiedo se vivi davvero su questo pianeta. Stasera, la magica notte della squadra di hockey della SCHS. Ci sono i play off con quei ciarlatani di Coast City. E dopo aver vinto – perché li asfalteremo, è assodato – daremo un sensazionale falò sulla spiaggia. Siete invitate sia alla partita che al falò, naturalmente”.
Se Caitlin era scaramantica, Tommy era praticamente il suo esatto opposto. Estremamente ottimista e consapevole delle sue capacità, era sempre convinto di avere successo in tutte le sue imprese.
“Non sapevo giocaste ad hockey…”
La conclusione a cui era arrivata Felicity prese Oliver alla sprovvista. Credeva giocasse a hockey anche lui?
“Chi, Oliver che gioca ad hockey? Preferirebbe pugnalarsi con la lama dei pattini piuttosto. Non fraintendetemi, è brillante, carino e tutto quello che volete, ma a questo ragazzo manca la materia prima. Non come il sottoscritto: bello, prestante e capitano della squadra più titolata degli ultimi anni di campionati scolastici nazionali”.
Oliver alzò gli occhi al cielo. “Non vale quando i complimenti te li fai da solo, lo sai vero?”
“Oliver è un bravissimo musicista, però. Almeno questo devi riconoscerglielo”.
In quel momento ringraziò di aver preso lezioni di pianoforte per tutti quegli anni. Sapeva che Felicity ammirava quella parte di lui, e questa cosa lo rendeva stranamente fiero.
“E allora? Come se fosse la stessa cosa…. Io faccio magie sul ghiaccio tesoro, mica schiaccio quattro note su una tastiera?”
Felicity si limitò a scuotere la testa. Anche se sapeva che Tommy scherzava, il fatto che avesse provato a difendere il suo onore gli fece estremamente piacere.
“A che ora c’è la partita?” Caitlin, che non aveva aperto bocca dall’arrivo di Tommy, attirò l’attenzione di tutti su di sé.
“Ora si che iniziamo a ragionare! Smoak, prendi esempio da lei, una persona che sa apprezzare la vera arte. Ti aspetto alle 18.30 al palazzetto, dolcezza”.
“Non mancherò”. Le sue guance si colorarono di rosso. Oliver pensò che lei e Felicity fossero le uniche ragazze rimaste al mondo ancora capaci di arrossire. “E verrà anche Lis, naturalmente”.
“Ah, si? E quando lo avrei deciso esattamente? Magari ho altri programmi…”
“Cioè? Fare il bucato e passare la serata in compagnia di Derek Sheperd?”
Oliver non aveva la minima idea di chi fosse questo tizio. Sperò solo che si trattasse di un personaggio di un film e non di un ragazzo con cui avesse un appuntamento.
“Non ci credo che sto davvero rinunciando alla mia serata Grey's anatomy per una partita di hockey.... Tanto ci sarai anche tu, vero, Oliver? Così se mi annoio posso sempre iniziare a parlarti del Macbeth che hanno dato la sera scorsa su Classica tv".
“Oh, temo che Oliver dovrà esserci per forza. Laurel debutta come capitano delle cheerleader stasera”.
“Esistono le cheerleader anche per le squadre di hockey sul ghiaccio?”. Caitlin sembrava incredula, come se non lo ritenesse possibile.
“Certo! Sono le nostre piccole stelline. Si allenano duramente per riuscire a fare tutte quelle acrobazie con i pattini. Sono davvero brave, ti piaceranno”.
Oliver in realtà aveva smesso di ascoltarli da un po’. La sua attenzione fu completamente catturata dalla reazione di Felicity. Ogni volta che si nominava Laurel in sua presenza si straniva, come se improvvisamente si sentisse a disagio.
“Ehi… tutto ok?” Fece scivolare la mano sotto il banco fino a raggiungere la sua. Gliela strinse. “Se non ti va non devi sentirti costretta a venire per forza”.
Scosse il capo con decisione, come a volersi liberare la testa di tutti i pensieri che le avevano provocato quel momentaneo malessere.
“Ci sarò, tranquillo. Non mi perderei questi play non so che cosa di hockey per nessuna ragione al mondo”.
Tommy iniziò a brontolare qualcosa, evidentemente offeso che una persona non sapesse cosa fossero i play off, né come si chiamassero. Ma Oliver si concentrò solo su di lei e sulle loro mani ancora intrecciate. Le sorrise, grato che avesse accettato. Non era mai stato così eccitato di andare ad una partita di hockey in vita sua.
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Felicity non aveva la più pallida idea di cosa indossare, non era particolarmente amante dello sport e non era mai andata a vedere una partita di hockey in vita sua. Gli unici tornei che le ispirassero un minimo di curiosità erano quelli di scacchi.
Alla fine optò per dei leggins neri e per la felpa del MIT che la madre le aveva regalato per Natale. Oltre a trovarla estremamente comoda, si disse che era di buon auspicio in vista del nulla osta ottenuto dal preside solo qualche ora prima. Oliver, che aveva deciso di aspettarla fuori la presidenza,  l’aveva presa in braccio dalla contentezza quando seppe dell’esito positivo. Sembrava quasi più felice lui di lei, e questa cosa la fece sorridere.
Uno squillo sul cellulare la riportò sulla terra. Era Barry, appena arrivato sotto casa sua. Alla fine avevano deciso di chiedere anche a lui di venire, un po' perché Caitlin voleva avere una persona con cui parlare nel caso in cui si riaprisse il discorso musica classica durante la partita, ma soprattutto perché Felicity non vedeva l'ora di presentargli Oliver. Barry era come un fratello per lei e voleva che conoscesse la persona che in meno di un mese era riuscita a diventare una delle più importanti della sua vita.
"Tu a una partita di hockey, ancora non ci credo. Lo sai almeno pronunciare, hockey?"
"Non solo so pronunciarlo, ma ho fatto anche qualche ricerca su internet per capire le regole del gioco. Peccato che dopo aver letto le prime due righe stavo per addormentarmi sulla tastiera. Non so come farò ad arrivare viva a fine serata, te lo dico".
"Che nerd che sei Lis…"
"Hey, mister Bartowski, detto da te è quasi un complimento!"
Felicity gli sorrise, allungandosi per accendere la radio. Stavano dando No surprises dei Radiohead, uno dei pochi gruppi contemporanei che riusciva ad ascoltare senza dare di stomaco.
Il viaggio per il palazzetto dello sport di Starling City fu breve. Caitlin era già lì, abitava a qualche isolato di distanza e aveva deciso di arrivarci a piedi. La videro all'ingresso degli spalti, con una sciarpa e un berretto con scritto a caratteri cubitali SCHS.
"Ehi, groopie. Hai anche un megafono nascosto da qualche parte, per caso?"
"Non sei spiritosa, Lis. Non tutti hanno un senso di attaccamento alla nostra scuola inesistente come il tuo, fortunamente".
"Non ascoltarla Cait, è solo un po' più acida del solito perché le hai fatto saltare l'appuntamento col dottore bollenti spiriti".
"Innanzitutto è dottor bollore. E poi non sono acida…. Aspetta, veramente trovi che sia acida?"
Guardò Barry con un pizzico di apprensione. Non aveva mai creduto di essere acida. Pensò immediatamente a Oliver e si chiese se lo avesse notato anche lui.
"Naaaaaaaaah.... oddio a volte si, più che acida leggermente snobbettina...."
Felicity lo guardò a bocca aperta. "Come se snobbettina fosse meglio! Grazie, Barry, ti voglio bene anche io".
L'amico le diede un bacino sulla guancia. Era il suo modo per dirle che le voleva un bene dell'anima nonostante i suoi difetti. Anzi proprio grazie a quelli.
"Oliver, eccoti!" Vide Caitlin salutare qualcuno alle sue spalle. Naturalmente, tra i tanti momenti che aveva a disposizione, Oliver aveva deciso di avvicinarsi a loro proprio quando Barry l’aveva baciata. Il tempismo di questo ragazzo era disastroso.
Lui ad ogni modo sembrò non farci molto caso, o comunque non lo diede a vedere un granchè.
"Ciao ragazze. Ho trovato un traffico assurdo sulla quinta. Tu devi essere Barry, piacere, io sono Oliver".
Barry ricambiò la sua stretta di mano con una leggera indecisione.
"Ooooh... finalmente conosco il famoso Oliver... Felicity da un mese a questa parte non fa altro che parlarmi di te".
"Davvero?"
Felicity fulminó Barry con lo sguardo. Avrebbe voluto prendere la sciarpa di Caitlin e stringergliela al collo.
"Davvero. Oliver di qua, Oliver di là. I primi tempi in realtà ero convinto fossi il suo nuovo amico immaginario..."
"Amico immaginario?"
Felicity non ne poté più. Poteva sopportare tutto ma non il discorso sugli amici immaginari. Diede all’amico una gomitata nel fianco, felice di vederlo annaspare vistosamente.
"Okaaaay, Barry, credo basti così per il momento".
Oliver sorrise, le sembrò particolarmente compiaciuto, più delle altre volte se non altro.
"Ragazzi sono quasi le 18.30, ci conviene entrare se vogliamo trovare un posto decente".
Insieme si incamminarono verso l'ingresso del palazzetto. In tanti lungo il tragitto fermarono Oliver per salutarlo. A volte Felicity dimenticava quanto fosse popolare nella sua scuola. Con lei era semplicemente Oliver, non il miliardiario playboy che tutti credevano di conoscere. Alcuni sembrarono stupiti di vederlo insieme a lei, Caitlin e Barry, ma decise di non pensarci. Se stava bene a lui non vedeva perché farsene un problema.
Alla fine trovarono posto quasi in fondo, a metà degli spalti. Felicity ringraziò di aver indossato gli occhiali, la sua miopia non le avrebbe consentito di vedere nulla da quella distanza.
Ebbero solo pochi minuti per assestarsi prima dell'ingresso delle cheerleader, capitanate da una meravigliosa Laurel, luccicante nel suo completino rosso e oro, i colori della loro scuola. Involontariamente il suo sguardo cadde sul viso di Oliver. Stava sorridendo, sembrava soddisfatto della sua ragazza, così come era naturale che fosse.
"Laurel è stupenda, Oliver. Davvero bravissima".
"Già..."
Alla fine sorrise anche lei. Ormai era diventato quasi facile ignorare il dolore allo stomaco che provava ogni volta che li vedeva insieme. Faceva ancora malettamente male, ma si diceva che con il tempo sarebbe passato.
Fatta eccezione per quella breve esibizione iniziale, Felicity ebbe serissime difficoltà ad interessarsi alla partita. Aveva trovato molto più entusiasmante lo spettacolo delle cheerleader, che su quei pattini riuscivano a fare cose fuori dal comune, come lanciarsi in aria tra di loro e afferrarsi al volo prima di spappolarsi sul ghiaccio. La trovò una cosa sorprendente, considerato che lei a stento sapeva andare in bicicletta.
Il risultato finale diede ragione a Tommy. Alla fine riuscirono veramente ad asfaltare la squadra ospite con un risultato di 11 a 7, vincendo questi benedetti playoff. Il fatto che Felicity avesse imparato il loro nome non voleva dire che avesse capito in cosa consistessero. Né era minimamente intenzionata a scoprirlo.
“Wow! E’ stato… interessante”.
“Ma se ti sei annoiata a morte. Hai controllato la home di facebook almeno trenta volte durante la partita”.
“E tu come fai a…. Oliver Queen, hai spiato dal mio cellulare per caso?!?”
Gli diede una leggera botta sull’avambraccio. Non avrebbe fatto male a una mosca con quella forza ma non era riuscita comunque a controllarsi.
“Scusami… è che mi annoiavo maledettamente anch’io e a confronto i tuoi social network sembravano la cosa più interessante del mondo. Davvero fai parte di un gruppo chiuso che si chiama Hacktivist? Non trovi che sia inquietante come nome da dare a un gruppo?”
“Okay, mister, mettiamo per iscritto un paio di regole. Regola numero uno:  mai sbirciare dalle mie cose, incluso il display del mio telefonino. Per me è sacro più del diario segreto che avevo in terza elementare”.
“Avevi veramente un diario segreto?”
“Si, ma alla fine lo usavo sempre per scriverci codici e procedimenti per costruire computer, mi sembra di averti detto che so costruire computer da quando avevo 7 anni, mese più mese meno…. Ma non è questo il punto! Se vuoi sapere qualcosa di me, qualunque cosa, chiedimelo. Ma non curiosare di nascosto tra le mie cose o potrei non rispondere di me stessa”.
“Capito. Non succederà più. Regola numero due?”
“C’è una regola numero due? Ah si, giusto, c’è una regola numero due: mai mettere bocca nelle mie cose da nerd. Non mi aspetto che gli altri mi capiscano ma pretendo che almeno mi rispettino nelle mie scelte e nei miei interessi. Sono stata chiara?”
“Cristallina.”
“Bene. Ora offrimi un hot-dog, sto morendo di fame”.
A braccetto, raggiunsero Barry e Caitlin che li attendevano già al bar del palazzetto. Tra risate e commenti alla partita consumarono la loro cena, prima di dirigersi insieme al grande falò sulla spiaggia.
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Oliver doveva ammetterlo, quando si trattava di festeggiamenti la squadra di hockey ci sapeva davvero fare. Non avevano badato a spese, c’erano più barili di birra che all’oktoberfest e talmente tanta legna da mantenere accesso il fuoco acceso almeno una settimana.
Giocatori e cheerleader arrivarono con qualche minuto di ritardo rispetto agli altri e furono accolti dalle grida e dalle acclamazioni della folla. Oliver si unì a tutti gli altri, sinceramente felice sia per la vittoria di Tommy che per il debutto di Laurel.
Avrebbe dovuto avvicinarsi  a loro, andare a salutarli, ma non voleva mancare di rispetto alle persone con cui aveva trascorso la serata. E soprattutto non voleva allontanarsi da Felicity. Sentiva uno strano malessere ogni volta che non erano insieme.
“Va da lei, che aspetti?”
“Co… come?”
Alzò gli occhi al cielo. “Ho detto, va da lei. Stai con la tua ragazza Oliver, e per una volta non temere di sembrare irrispettoso. Anche perché non lo saresti, credimi”.
“Sicura?”
Felicity gli regalò un sorriso di incoraggiamento. “Al 100%. E’ stata una serata importante anche per Laurel dopotutto. Poi stiamo insieme già da troppo tempo, non ti sopporto più. Vai su, ci becchiamo più tardi”.
Una cosa che apprezzava particolarmente in Felicity era quella di non fargli mai pesare niente. Era incredibilmente altruista e tendeva a mettere sempre il benessere degli altri prima del suo.
“Come vuoi, ma se hai bisogno chiama”.
“Ti dirò, la tua iperprotettività ha raggiunto livelli imbarazzanti. Di cosa potrei mai aver bisogno? Di un cavaliere che mi salvi dalle fiamme?”
Sapeva che stava scherzando ma l’idea di lei ferita o in pericolo lo fece sussultare.
“Scherzavo, Oliver. Me la caverò, stai tranquillo. Ora va, prima che ti mandi via io, a calci”.
Le sorrise un’ultima prima di allontanarsi. Cercò di farsi largo tra la folla per raggiungere il punto della spiaggia in cui si erano radunati gli eroi della SCHS, così come erano stati ribattezzati quella sera.
“Ollie, alla fine ce l’hai fatta!”
“Non mi sarei perso il tuo debutto per niente al mondo. Sei stata fantastica”.
“Oh, che carino che sei... Grazie, significa molto per me”.
Si scambiarono un bacio veloce sulle labbra.
“Devo coprirmi gli occhi o posso guardare senza problemi?”
Oliver spostò immediatamente la sua attenzione su Tommy, che li aveva appena raggiunti.
“Eccolo, il campione in persona. Grande vittoria amico, complimenti”.
“Lo dicevo che li avremmo asfaltati. Quelli di Coast City sono tutto fumo e niente arrosto. Felicity e Caitlin? Sono già andate via?”
Laurel cambiò espressione non appena sentì Tommy pronunciare quei nomi.
“Ancora con quelle due sfigate, Ollie? Davvero? C’è gente che mi chiama preoccupata perché non ti riconosce più e tu decidi di venire alla partita dell’anno insieme a… quelle?”
Oliver sentì ribollire nello stomaco una rabbia che non si aspettava. Come si permetteva di rivolgersi in quel modo alle sue amiche?
“Nemmeno le conosci, Laurel. E poi chi se ne frega di quello che quei quattro figli di papà pensano di me”.
“Ti ricordo, Ollie, che quei quattro figli di papà un tempo erano le persone con cui ti frequentavi. Da giorni non ti fai sentire più con nessuno, mi lasci andare da sola alle feste e non ti fai più vedere in giro nemmeno a pagarti. E per chi poi? Per una cervellona con gli occhiali e la sua amichetta del cuore?”
Ancora una parola e Oliver sarebbe scoppiato. Davanti a tutti.
“Laurel, non c’è bisogno di parlare così. Io le ho conosciute, ok? Credimi sono apposto. Se Oliver vuole passare del tempo con loro è libero di farlo”.
“E’ carino da parte tua che voglia difenderlo a tutti i costi, ma temo che stavolta sia indifendibile. Non ci sono scuse per rinunciare di colpo alla sua vita di sempre, mi dispiace”.
A quel punto non riuscì più a trattenersi. Lo faceva da troppo tempo.
“E se fosse questa in realtà la mia vita? Pretendi sempre di sapere quello che è meglio per me, MA NON TI SEI MAI DEGNATA DI CHIEDERMI SE E’ QUELLO CHE VOGLIO VERAMENTE, MALEDIZIONE!”
Sapeva di aver alzato la voce, ma non se ne pentì minimamente. Si sentiva meglio, un po’ più libero.
“Amico, non mi sembra il caso di fare una scenata…”
“Deve smetterla, Tommy. Smetterla di giudicare me, la mia vita, le mie amicizie e scendere per una buona volta da questo dannatissimo piedistallo!”
Laurel lo guardò a bocca aperta, quasi sconvolta da quelle parole.
“Sai che ti dico? Vai pure dalla tua nerd da strapazzo. Questa è l’ultima volta che mi vedi, Oliver. E stavolta dico davvero”.
Non la fermò, nemmeno quando vide una lacrima rigarle il viso mentre andava via.
“L’hai fatta grossa stavolta, amico. Non so come, ma devi risolvere questo casino. Al più presto”.
Tommy aveva ragione, non poteva lasciare che le cose tra loro rimanessero così. Ci teneva a Laurel, stavano insieme da anni e a prescindere da tutto non meritava di essere trattata in quel modo.  Si sarebbe dato del tempo per sbollire e l’avrebbe cercata per un chiarimento. Ma non quella sera. Adesso aveva voglia di vedere solo una persona. L’unica che sarebbe stata in grado di calmarlo.
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C’era un motivo se Felicity odiava le feste. Non riusciva a parlare con nessuno – e non solo per via della musica spaccatimpani – e soprattutto si sentiva inadeguata come un pesce fuor d’acqua. Semplicemente non era quello il suo habitat naturale, era inutile provare a cambiare le cose.
Riuscì a resistere non più di mezz’ora accanto al falò prima di sentire il bisogno di restare da sola. Salutò i suoi amici e si rintanò in un luogo non troppo lontano dai festeggiamenti, ma che riuscisse comunque a garantirle un minimo di privacy. Adagiò il suo telo sulla sabbia e si distese appoggiandosi sulle braccia, con la testa rivolta in alto. Il cielo quella sera era splendido, completamente sereno e libero dalle nuvole. L’ideale per scovare le costellazioni che le stelle disegnavano in quella infinita distesa blu. Vide per prima la cintura di Orione, la più semplice da riconoscere, essendo formata solo da tre puntini in fila. Si mise alla ricerca dell’orsa minore, ma un rumore la distrasse.
“Ti dispiace se mi unisco a te?”
Si mise seduta e vide Oliver fermo accanto a lei. Sembrava… triste. Non sapeva come altro definirlo.
“Certo, vieni, c’è spazio per entrambi”.
Oliver, senza pensarci troppo, si distese a pancia in su, lasciando Felicity interdetta per un istante.
“Non ti stendi accanto a me?”
“Oh…. Sicuro… è la mia asciugamano dopotutto”.
Provò a sdrammatizzare per celare l’imbarazzo che provava in quel momento. A quel punto, era talmente vicina ad Oliver da riuscire a contarne i respiri. Quando sentì il suo cuore pompare il sangue troppo velocemente chiuse gli occhi, provando a rilassarsi e a pensare a qualunque cosa che non fosse il corpo di Oliver a cinque centimetri dal suo.
“Che fai qui tutta sola?”
“Mmm, niente di che, in realtà. Sai com’è, le feste mi mettono un po’ a disagio, avevo bisogno di stare un po’ per conto mio…”
“Vuoi che vada via?”
“Certo che no, Oliver”.
Come poteva pensare una cosa del genere?
“Bene. Perché non lo avrei fatto nemmeno se me lo avessi chiesto”.
Si girò leggermente per poterla guardare negli occhi, i loro visi si ritrovarono più vicini di quanto fosse loro consentito. Fu Felicity a interrompere per prima il contatto visivo. Già aveva difficoltà a controllarsi, poi se ci si metteva anche Oliver a guardarla in quel modo era la fine.
“In realtà, poco prima che arrivassi, stavo provando a individuare l’orsa minore”.
“Conosci le costellazioni?” Lo stupore nel suo tono di voce era tangibile. “Aspetta, domanda stupida, ovvio che conosci le costellazioni, conosci più cose tu che un’enciclopedia”.
“Tralasciando il fatto che sentirmi paragonare ad un’enciclopedia non è esaltante come si potrebbe pensare…. se le conosco è solo grazie a mio padre. Da piccola mi regalò un poster di un cielo stellato che appesi al soffitto della mia camera. Ogni sera mi addormentavo contando le stelle e imparando le varie costellazioni”.
Felicity fino ad allora aveva parlato di suo padre solo con tre persone in tutta la sua vita. Inclusa sua madre. Era un argomento che la toccava particolarmente, ancora a distanza di anni.
“Che tipo è? Tuo padre intendo”.
“Sinceramente? Non ne ho la più pallida idea”.
Oliver sembrò confuso da quella risposta, ma ebbe la delicatezza di non chiederle altro, evidentemente per evitare di forzarla a confidargli cose che magari non avrebbe voluto.
“L’ultima volta che l’ho visto avevo 7 anni. Una sera è uscito di casa e non è più tornato, abbandonando me e mia madre, come se per lui non contassimo niente”.
“Oddio Felicity, mi dispiace tanto. E’ una cosa… terribile”.
“Non dispiacerti, Oliver. Evidentemente aveva di meglio a cui pensare. Lo aspettai per tanto di quel tempo, per anni restai sveglia nel letto a contare le stelle, sperando che prima o poi comparisse dalla porta della mia camera e mi prendesse tra le sue braccia. Quanto sono stata stupida…”
“Non dirlo Felicity, non dirlo nemmeno per scherzo”.
Felicity trovò adorabile il modo in cui Oliver provava a consolarla. Ma aveva detto la verità, era stata stupida, debole e ingenua. Si era fatta rovinare la vita da un uomo che magari neanche ci aveva mai tenuto a lei. Da tempo si era ripromessa di non lasciarsi mai più trattare così da nessun altro. Lo doveva a se stessa.
“Sai perché mi piacciono i computer?”
“Perché sei una nerd ed è più forte di te?”
Felicity scoppiò a ridere. “No, idiota. Perché sono delle macchine. A differenza degli uomini non hanno difetti e anche se ce li avessero sarei in grado di aggiustarli. So che di loro potrò sempre fidarmi, e che non mi abbandoneranno mai”.
Per quanto provasse con tutta se stessa a non pensare al padre e a quello che le aveva fatto sapeva che quell'avvenimento  aveva condizionato per sempre la sua vita e rivoluzionato il suo modo di concepirla. Con il tempo aveva perso sempre più fiducia nel genere umano, arrivando a permettere a pochissime persone di conoscerla davvero per quello che era. Nel profondo.
E quella sera Oliver era diventato a tutti gli effetti una di quelle persone.
Oliver si allungò per asciugarle una lacrima che nemmeno sapeva fosse sfuggita al suo controllo. La dolcezza di quel gesto la colse di sorpresa e prima di riuscire a controllarsi si appoggiò sul suo petto, cercando conforto nel calore del suo corpo. Oliver la accolse tra le sue braccia senza opporsi, come se non aspettasse altro.
“Ora sei pronto a dirmi cosa ti è successo? Sembravi sconvolto quando sei arrivato qui”.
Non voleva sembrare invadente, ma era sinceramente preoccupata per lui. Avrebbe fatto qualunque cosa pur di fargli ritrovare la serenità.
“Niente di importante, tranquilla. Niente che non possa risolversi nel giro di qualche ora”.
Felicity decise di credergli, sapendo che appena si fosse sentito pronto gliene avrebbe parlato lui stesso.
Per un po’ nessuno dei due parlò. Si lasciarono cullare dal bagliore delle stelle, ancora stretti l’una tra le braccia dell’altro. Felicity pensò di non desiderare nient’altro al mondo che restare così per tutta la vita.
“Felicity?”
“Mmhmm?”
“Sai che io non ti abbandonerò mai, vero?”
Lo sapeva. Al di là di ogni logica, sapeva che Oliver le stava dicendo la verità. Lui non l’avrebbe mai abbandonata, perché se avesse provato per lei anche solo una minima parte di quello che Felicity provava per lui, sarebbe stato comunque abbastanza per volerla per sempre nella sua vita.
 
*NOTA DELL’AUTRICE*
Mi dovete credere, io ci provo pure a non far litigare Oliver e Laurel, ma non ci riesco, l’angst è più forte di me (muahahahhaha *risatina malefica*)
Siete contente che abbia deciso di esplorare maggiormente il passato di Felicity? Ho preso spunto dalla storia canon perché il vissuto di questo personaggio mi ha sempre incuriosita moltissimo, quindi non ho saputo resistere.
La storia piano piano si delinea nella mia mente, ho intenzione di rispettare vari passaggi prima di dare il via all’inevitabile. Spero che nel frattempo non vi stancherete della storia e che sarete abbastanza pazienti da attendere i miei tempi :)
Grazie infinite per le recensioni, me ne arrivano sempre di più e mi riempiono il cuore di gioia e soddisfazione. Credetemi, è la verità.
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto (ho finalmente coinvolto anche Barry, avete notato?) e vi do appuntamento come sempre al prossimo aggiornamento.
Baci,
Anima90

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Ciao, sono Oliver. Al momento non sono raggiungibile. Lasciatemi un messaggio e vi contatterò al più presto”.
La segreteria telefonica di Oliver continuò a risuonare incessante nell’orecchio di Felicity. Dopo essersi concessa una lunga e rigenerante doccia, aveva provato a contattarlo ripetute volte, senza mai ricevere risposta.
Per questo motivo, quando sentì la vibrazione del sue cellulare, si precipitò a rispondere senza nemmeno controllare il nome che appariva sul display.
“Oliver!!!”
“Lis? Sono io, Cait”.
La sua delusione fu cocente. Non era lui. “Ah… ciao Cait, scusa, pensavo fossi…”
“Oliver, si, l’ho immaginato. Tutto ok? Aspetti una chiamata da lui? Se vuoi ci sentiamo più tardi…”
“No, tranquilla. E’ solo che provo a contattarlo da quando sono tornata a casa ma niente, c’è sempre la segreteria…”
“Magari gli si è scaricato il telefono e non se ne accorto”.
“Non lo so, non vorrei che mi stesse ignorando…” Le sue parole diedero voce alla sua più grande paura. Che Oliver, dopo quel bacio, avesse deciso di comportarsi come se non fosse accaduto niente.
“Lis, ti rendi conto della stupidaggine che hai appena detto? Oliver ignorarti? Ma se praticamente ti adora! Vedrai che ci sarà sicuramente una spiegazione”.
Felicity voleva credere alle parole dell’amica, con tutto il suo cuore, ma c’era qualcosa che la turbava. Un malessere che aveva iniziato a covare e che non era più in grado di ignorare.
“Perché hai questa sensazione? È successo qualcosa di cui non mi sono accorta? Lo sai che puoi parlarmi di qualunque cosa”.
Non le restava altra scelta che parlarne con la sua migliore amica. Sentiva l’esigenza di sfogarsi, di avere la conferma che le sue fossero solo paranoie infondate e che in realtà non avesse motivo di preoccuparsi.
"In realtà qualcosa è successo. Oggi pomeriggio, sai quando ci siamo allontanati per un po’...”
“Si, quando siete andati in quella specie di tunnel tutto illuminato. Io e Tommy vi abbiamo cercato ovunque, siete praticamente scomparsi nel nulla”.
“Si,esatto. Eravamo lì dentro, insieme, in mezzo a tutto quel vapore… E Caitlin si stava così bene, credo di non aver mai provato una sensazione così bella… così sono scoppiata a ridere, Oliver si è avvicinato e ha iniziato a ridere con me… e poi…”
“E poi?”
Fece un respiro profondo prima di trovare il coraggio di proseguire. “E poi un attimo prima era dietro di me che mi abbracciava e un attimo dopo mi ha presa e mi ha baciata”.
“Cosa?!?”
Poteva percepire il tono sorpreso dell’amica fin dall’altro lato della cornetta. “Credimi, è una cosa che ha colto di sorpresa anche me... è stato tutto così veloce, prima che me ne rendessi conto avevo le labbra di Oliver sulle mie, e oddio non so nemmeno se sono in grado di spiegarti quello che ho provato… ci ho messo un po’a realizzare quello che era successo, e in realtà non sono ancora sicura di averlo fatto…”
“Oddio, Lis, ma è una cosa fantastica! E com’è stato? Il bacio dico…”
“E’ stato…. magico, Cait. Assolutamente magico”.
Felicity non aveva avuto molte esperienze in quel campo. Aveva baciato solo altri due ragazzi prima di Oliver. Barry, naturalmente, e Cooper, il suo primo fidanzatino delle medie. Un po’ poco per riuscire a fare un confronto con il bacio che Oliver le aveva dato. Ma era sicura che se anche ne avesse baciati trenta prima di lui, quel bacio sarebbe rimasto comunque imparagonabile.
“Oooooh Lis, è così romantico!”
“Beh, si, è quello che ho pensato anch’io lì per lì, ma ora è sparito, non si fa sentire da ore e sto dando praticamente di matto. E se si fosse pentito?”
“Oh, non essere stupida. A Oliver piaci, tanto, si vede lontano un miglio. Forse ha bisogno come te di realizzare quello che è successo, i ragazzi di solito sono più lenti rispetto a noi”.
“Ne sei sicura?” Caitlin era riuscita a tranquillizzarla leggermente, ma sentiva che non era ancora abbastanza.
“Senti, non ho avuto molte esperienze in questo campo, lo sai. Ma so riconoscere un sentimento quando mi si presenta davanti, e fidati, tu non gli sei per niente indifferente, non lo sei mai stata in realtà. Questo bacio non è sbucato dal nulla, è stato la diretta conseguenza di quello che avete costruito fino a questo momento, di quanto il vostro rapporto sia cresciuto con il tempo”.
Il suo ragionamento non faceva una piega.
“Mi ha detto che avrebbe voluto baciarmi dalla prima volta in cui mi ha vista…”
“Vedi? Non hai nulla di cui preoccuparti. Questo ragazzo ha perso la testa per te da quando ti ha incontrata quella sera alla festa. E te l’ha detto chiaramente, cosa vuoi di più?”
Effettivamente cosa poteva volere di più? Oliver l’aveva baciata, le aveva detto quelle parole, l’aveva accompagnata fino alla porta di casa tenendole la mano. Non aveva dato nessun segno di essersi in alcun modo pentito di quello che era successo tra di loro. Non aveva motivo di preoccuparsi. Magari aveva semplicemente dimenticato di mettere il cellulare sotto carica. Poteva succedere, a volte capitava anche a lei. L’avrebbe richiamata appena ne avrebbe avuto la possibilità, o al massimo si sarebbero rivisti il giorno seguente a scuola. Non c’era motivo di farsi rovinare una splendida giornata da stupide paranoie assolutamente infondate.
“Sai che c’è? Hai ragione. Oliver mi ha baciata, cavolo mi ha baciata, e l’ha fatto in un modo che nemmeno pensavo  fosse possibile. Non voglio credere sia una cosa a senso unico, mi ha dimostrato troppe volte che non è così…”
“E non è così, Lis. Ti voglio bene e se avessi notassi qualcosa di strano in lui te lo avrei detto”.
“Grazie, Cait”. Come avrebbe fatto senza la sua migliore amica? Sarebbe stata persa.
“Quando vuoi, Lis. Ora però devi dirmi assolutamente come bacia Oliver Queen. Si, insomma, se ha le labbra morbide, se ti ha morsa per sbaglio, dove ha messo le mani, se ha infilato la lingua…”
A Felicity scappò un mezzo sorriso. Sapeva che il prezzo da pagare per quella seduta psicoanalitica era raccontare all’amica ogni minimo particolare di quel bacio. E lo avrebbe fatto di buon grado, in fondo faceva piacere anche a lei rivivere quel momento così bello.
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La campanella segnò la fine di un’altra ora di lezione. Ad Oliver quella giornata sembrò non passare mai e fu grato del fatto di avere a disposizione un’ora buca prima di dover riprendere. Avrebbe sfruttato quel tempo per stendersi sul prato della palestra esterna e per provare a rilassarsi. Aveva i nervi tesi come corde di violino, sussultava ad ogni rumore o movimento improvviso e si sentiva particolarmente inquieto. In pratica, stava da schifo.
Quando uscì dalla classe, però, si ritrovò Felicity in corridoio ad aspettarlo. Stava aspettando lui, vero?
“Oliver, eccoti!”
Certo che stava aspettando lui.
“Oh… ciao…” Cercò di mantenere le distanze ma gli risultò più difficile di quanto sperasse. Soprattutto perché senza alcun preavviso Felicity gli si avvicinò per dargli un bacio sulle labbra. Se solo Oliver non avesse avuto la prontezza di scansarsi si sarebbero baciati in mezzo al corridoio, davanti a tutta la scuola.
Felicity, sorpresa, si tirò indietro immediatamente. “Oh… Giusto, hai ragione, evitiamo di dare spettacolo in pubblico”.
Oliver dopo quelle parole si sentì anche peggio. Come avrebbe fatto a risolvere  quella situazione senza ferirla? Semplice, non poteva.
“Ti ho provata a chiamare ieri, non so quante volte, partiva sempre la segreteria. Tutto ok? E’ successo qualcosa?”
Giusto, aveva quasi dimenticato di non avere più un cellulare. Dopo averlo scaraventato al muro era rimasto poco da fare per lui ormai.
“Oh.. giusto.. credo che il mio cellulare si sia rotto… in qualche modo”.
Felicity non sembrò aspettarsi una risposta del genere. “Credi sia un danno al sistema? Posso provare ad aggiustartelo, se vuoi. Sono i vantaggi di avere una nerd come amica, dopotutto”.
Amica. Quella parola gli suonò così strana, soprattutto dopo quello che era successo tra loro. Di sicuro non era una sua amica, non più. Ma poi ripensò a sua madre e capì che in ogni caso non avrebbe potuto più esserlo.
“No, non serve”. Oliver si costrinse a rifiutare. Quella conversazione gli stava richiedendo uno sforzo fisico non indifferente.
“Mmm…” Felicity lo guardò accigliata. “Sicuro di stare bene? Sei… strano”.
“Sto bene, Felicity”. Questa era forse la bugia più grande che le avesse detto. “Senti, ora devo andare… ci becchiamo in giro, okay?”
Senza attendere risposta si allontanò da lei. Sapeva che non avrebbe retto un minuto di più con Felicity così vicina a lui. Cavolo, aveva provato a baciarlo, e Dio solo sapeva quanto lo avrebbe desiderato. Ma doveva pensare a lei, al suo futuro, alla sua borsa di studio. Sua madre aveva occhi ovunque e non appena le sarebbe arrivata voce di un loro avvicinamento avrebbe agito senza pensarci due volte. E lui non poteva permettere che accadesse, non poteva permettere che i suoi sentimenti per lei lo facessero accadere.
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Okay…”
La voce di Felicity fu quasi un sussurro impercettibile, che si perse nel frastuono di rumori e di passi che la circondava. In ogni caso Oliver non avrebbe potuta sentirla, se n’era andato via, senza degnarla nemmeno di uno sguardo, lasciandola sola in mezzo al corridoio, completamente esterrefatta.
Cosa diavolo era appena successo? Per quanto si sforzasse di trovare una risposta non riuscì a spiegarselo. Era tutto così assurdo. Oliver si era comportato in modo assurdo. Non da lui. Stentò persino a credere che non fosse stato tutto frutto della sua immaginazione, un brutto sogno dal quale non era riuscita a svegliarsi.
Le balzò alla mente un film che aveva visto recentemente con sua madre sulla tv via cavo. Diverse coppie attraversavano ciascuna i loro problemi ma alla fine, per quante scuse i partner provassero a trovare, la conclusione era sempre la stessa: la verità è che non gli piaci abbastanza.
Era stata veramente così ingenua da credere che ad Oliver piacesse abbastanza da voler iniziare una storia con lei? Insomma, c'era un'attrazione inspiegabile tra loro, lei stessa riusciva a sentirla fin dentro le ossa. Ma da qui a voler stare con una persona ce ne passava.
Eppure aveva davvero creduto che potesse ricambiarla, che provasse i suoi stessi sentimenti. Era stato così convincente che alla fine ci era cascata con tutte le scarpe. Si sentì terribilmente stupida.
Drinnnnnn.
Il suono della campanella la riportò violentemente sulla terra. Doveva comportarsi come se nulla fosse successo, almeno per le prossime quattro ore. Poi sarebbe tornata a casa e avrebbe potuto finalmente lasciarsi andare a tutta la tristezza che provava in quel momento, al sicuro tra le mura della sua cameretta.
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Oliver non era dello spirito giusto per uscire quella sera, voleva solo infilarsi sotto le coperte e consumare le canzoni più strappalacrime che aveva sull' i-pod fino a farlo fondere per sovraccarico.
Per questo motivo, quando Tommy gli chiese di accompagnarlo al cinema, il suo primo istinto fu quello di dirgli di no.
"Oh, andiamo, amico, mi spieghi che ti succede? È da stamattina che sei più triste di un succo alla pera".
"Mi piace il succo alla pera…"
"Appunto, è di questo che parlo".
“Non sono dell’umore, ok? Poi devo finire la relazione di storia e…”
“Ti ricordi che domani è sabato e non c’è scuola, si? Dai passo a prenderti tra dieci minuti, non farmi aspettare".
Sapeva che Tommy non si sarebbe arreso tanto facilmente fino a quando non avesse ottenuto una risposta positiva da parte sua. Così, piuttosto che rimandare l’inevitabile, si decise a vestirsi e ad aspettare che venisse a prenderlo. Chissà, magari trascorrere una serata fuori l’avrebbe aiutato a distrarsi.
Quando arrivarono al botteghino del cinema, vide l’amico acquistare i biglietti per Lo hobbit 2 e ne fu a dir poco sconcertato.
"E da quando ti piacciono i film di Tolkien?"
Tommy sgranò gli occhi in risposta. "Uno, il fatto che tu sappia dell'esistenza di questo tizio mi preoccupa. E non poco. Che cavolo amico, da quando sei diventato così sfigato?"
Se conosceva Tolkien era solo per merito di Felicity. Non faceva altro che ripetergli quanto la saga del Signore degli anelli fosse eccezionale e non perdeva occasione di rivendicare con orgoglio il suo status di tolkieniana doc. Ripensare a lei gli fece venire mal di stomaco.
"Seconda cosa, Caitlin mi ha implorato di farti uscire di casa e portarti qui, a vedere questo film, stasera".
Oliver sbiancò. Se c'era Caitlin dietro tutta quella storia allora doveva c’entrarci in qualche modo anche Felicity, per forza. Non ci mise molto a fare due più due.
"Caitlin ti ha chiesto di portarmi qui? A vedere questo film? Stasera?"
"Si, amico. Ed è stata anche piuttosto categorica...” Si avvicinò a lui, abbassando il tono di voce. “Senti, questa cosa non avrei dovuto dirtela, vedi di non farmi fare brutta figura quando arrivano".
"Arrivano?" Ormai non c’era più alcun dubbio. Caitlin aveva combinato un appuntamento a quattro, forse Felicity le aveva raccontato del comportamento insolito che aveva avuto a scuola quella mattina e magari voleva aiutare a farli chiarire in qualche modo.
"Si, Ollie, arrivano. Ti ricordi dell'esistenza di una ragazzina bionda, bassina, con gli occhiali? Quella leggermente secchiona e con gusti musicali strambi? Beh, lei è la migliore amica di Caitlin, sono praticamente inseparabili, quindi stasera ci sarà anche lei. E poi, l'ultima volta che ho controllato, era anche la tua migliore amica".
Oh, era nei guai. In così tanti guai che non riusciva a quantificarli. Pensò seriamente di girare i tacchi e andare via ma fu preceduto dall'arrivo delle due ragazze.
"Ciao!" Caitlin si fiondò immediatamente da Tommy per salutarlo. Il modo in cui si sorrisero non fece altro che peggiorare il suo stato d'animo. "Oliver, tutto ok? Sembra che hai appena visto un fantasma...."
Nemmeno si era accorto di non aver tolto gli occhi di dosso da Felicity da quando era arrivata. Indossava un jeans e un maglioncino rosso scuro a collo alto. Era così semplice ma così bella, da togliere il respiro.
"Oh... scusami, ero sovrappensiero. Ciao Caitlin. Ciao... Felicity".
Felicity si limitò a fissarlo, senza dire una parola. Sembrava indecisa su come comportarsi, come se dopo quella mattina non sapesse cosa aspettarsi da lui. E forse non aveva tutti i torti.
Dio, perché doveva essere tutto così maledettamente difficile?
"Okaaaaay... Ragazze perché non iniziate a prendere pop-corn e coca per tutti? Noi vi raggiungiamo subito". Tommy diede a Caitlin un taglio da 20 dollari e le intimò con lo sguardo di tenere Felicity lontana da loro per un po'.
"Oh… certo…. ci vediamo all'ingresso della sala. Lis, vieni con me?"
Tommy attese che raggiungessero la giusta distanza di sicurezza prima di rivolgersi all’amico. “Ma che cavolo, Oliver, mi spieghi che avete tutti e due? Sembrava l’era glaciale poco fa. Mi sono perso qualcosa, per caso?”
Oliver non poteva dire nulla a Tommy della minaccia di sua madre. Lo conosceva bene, avrebbe fatto di tutto pur di aiutarlo, incluso chiedere al padre di intercedere con il preside Steele per Felicity. E a quel punto la loro vita sarebbe finita se sua madre lo avesse scoperto. Non poteva rischiare di coinvolgere anche lui in quella storia.
“Che ti viene in mente? Non è successo nulla. Ieri ci siamo baciati e ora è tutto un po’… strano. Tutto qui”.
“Aspetta un attimo… vi siete baciati e hai il coraggio di dire che non è successo nulla? Col cavolo che non è nulla, amico, questo è tutto”.
Sapeva che il senso che Tommy dava a quel tutto era diverso dal significato che quella parola assumeva per lui. Per Oliver quel bacio era stato veramente tutto, e continuava ad esserlo, anche a distanza di un giorno.
“Non facciamone questa gran cosa, ok?”
“Perché? Non ti è piaciuto? Non era come te lo aspettavi? Smoak soffre di alitosi o…”
“Tommy!”
“Hey, è solo che non riesco a spiegarmi perché il fatto di averla baciata ti fa stare così. Non era quello che volevi forse?”
Oliver si chiese se ce lo aveva scritto in fronte quanto desiderasse baciare Felicity. Sicuramente non doveva essere sfuggito all’attenzione dell’amico.
“Si…. cioè no… cioè non lo so. Devo ancora capirlo e ho bisogno di un po’ di tempo”. Quelle parole suonarono talmente assurde che quasi faticò a credere di averle pronunciate.
“Okay, penso di aver capito. Hai baciato la ragazza che ti piace e ora stai dando di matto perché lei vuole di più ma tu non sei pronto a darglielo?”
No, sei completamente fuori strada.
“Si, sei riuscito ad inquadrare il problema alla perfezione”.
“E allora quello che ti serve è trascorrere del tempo con lei, capire quanto questo bacio abbia cambiato le cose tra di voi, vedere se in ogni caso potete restare comunque amici. Una cosa è certa, comportarti da perfetto coglione ora come ora non ti porterà a nulla. Quindi muovi il culo e finiscila di fare lo strambo, giuro mi hai spaventato prima”.
“Forse è meglio che torno a casa…”
“Non hai ascoltato una parola di quello che ti ho detto, non è così? Andiamo, nemmeno tu puoi essere così fifone. E’ solo un bacio amico, non farla più complicata di quanto non sia”.
Tommy non aveva idea di quanto quella situazione fosse complicata, invece.
Non riuscì ad opporre resistenza quando l’amico lo trascinò di peso in direzione della sala dove Caitlin e Felicity li stavano aspettando. Si arrese all’idea di trascorrere una delle serate più difficili e disagevoli della sua vita.
-----------------------------------------------------
Felicity, naturalmente, capitò seduta di fianco ad Oliver. Avrebbe voluto scambiarsi di posto con Caitlin ma l’amica la fulminò con lo sguardo. Non avrebbe rinunciato per niente al mondo alla possibilità di stare vicina a Tommy per ben tre ore di film.
Così, si ritrovò per tutto il tempo gomito a gomito con l’ultima persona che avrebbe voluto vedere in quel momento. Era ancora troppo scottata per quello che era successo a scuola. E se solo avesse intuito i piani di Caitlin non avrebbe mai accettato la sua proposta di andare al cinema. Anche se si trattava di andare a vedere il nuovo film della sua saga preferita.
La confezione di pop-corn era poggiata sul bracciolo che avevano in comune, così quando si allungò per prenderne uno le loro mani si scontrarono.
“Oh… prima tu…”
Che bisogno aveva di fare tanto l'educato? Non che si fosse fatto tanti problemi a lasciarla sola come una cretina quella mattina nel corridoio.
“Quindi te le ricordi le buone maniere”.
Oliver si accigliò. “Scusami?”
“Sai, temevo le avessi dimenticate in un colpo solo durante la notte”.
“Io…” sembrò combattuto sulla risposta da darle. “Lasciamo perdere”.
“Si, Oliver, lasciamo perdere…”
Da quel momento in poi cercò di non prestargli più attenzione, di ignorare completamente la sua presenza e di concentrarsi solo sul film appena iniziato.
La posizione che si costrinse ad assumere era del tutto innaturale, ma voleva evitare ogni possibilità di contatto con Oliver, anche fortuito. Ignorò il brontolio del suo stomaco, non aveva alcuna intenzione di mangiare altri pop-corn se questo avesse comportato una situazione simile a quella di prima.
Non sapeva quanto tempo fosse passato, né quanto tempo mancasse alla fine del film. Sapeva solo che era ipertesa, che non riusciva a trovare il modo di rilassarsi e che dovette fare uno sforzo non indifferente per non perdere il filo della trama. La presenza di Oliver accanto a lei la rendeva nervosa, e il profumo al muschio che le inondava le narici non la aiutava di certo.
Per tutta questa serie di motivi, quando Oliver per sbaglio le sfiorò la spalla con il bicipite, rispose immediatamente al riflesso incondizionato di porre tra loro quanta più distanza possibile. Si alzò in piedi di scatto, già pronta a scappare via.
“Lis, tutto ok?”
“Io…. Io ho bisogno di un po’ d’aria. Scusate”.
A passo svelto, raggiunse l’uscita senza più voltarsi, cercando di non pestare i piedi di nessuno lungo il tragitto. Dopo pochi minuti si ritrovò nel piazzale esterno del cinema. Doveva decidersi a calmare i battiti del suo cuore o altrimenti le sarebbe venuto un infarto. Provò ad inspirare ed espirare profondamente. Camminò avanti e indietro percorrendo infinite volte la stessa striscia di asfalto.
Perché non riusciva a rilassarsi? Perché le faceva quell’effetto ogni volta che la sfiorava? Cavolo, era sempre stata una ragazza forte e indipendente, da quando aveva iniziato a vivere in funzione di Oliver Queen?
“Felicity!”
Era la voce di Oliver. L’aveva seguita. Ricominciò ad agitarsi, vanificando il training autogeno che aveva fatto fino a quel momento.
“Vai via, Oliver. Ritorna dentro a vedere il film”.
Come prevedibile non le diede ascolto. Al contrario, le si avvicinò e si posizionò di fronte a lei.
“Stai bene?”
“Come se ti importasse qualcosa…” Le sembrò così assurda quella domanda alla luce dei suoi comportamenti.
“Certo che mi importa!” Istintivamente chiuse gli occhi e serrò i pungi, come a voler ritrovare il controllo. Perché era così combattuto? Felicity non riusciva a spiegarselo.
“Non si direbbe in base a come ti comporti con me da stamattina”. Non avrebbe voluto dirglielo in maniera così esplicita ma si disse che ormai non aveva più importanza. Niente aveva più importanza.
“Io sono questo, Felicity. Avresti dovuto capirlo ormai”.
Ma che stava dicendo? Lui non era affatto questo. Oliver Queen era così, lo stronzo che non permetteva agli altri di conoscerlo per quello che realmente era. L’Oliver che aveva conosciuto lei non c’entrava niente con quella persona.
“No, non lo sei, Oliver. Non mi sarei mai potuta legare ad un coglione del genere, fidati”.
Le sue parole furono dure, forse più di quanto intendesse. Ma in fondo lui non si era fatto tanti problemi a ferirla, lo stava semplicemente ripagando con la stessa moneta.
“Mi hai baciata, Oliver”. Deglutì vistosamente, provando ad ignorare il magone che sentiva alla gola. “Mi hai baciata. Pensavo significasse qualcosa per te”.
Ormai non riuscì più a darsi un contegno. Lo stava praticamente implorando di dirle che in realtà si sbagliava, che davvero provava dei sentimenti per lei, che quel bacio era stato importante anche per lui, che aveva contato qualcosa. E la cosa peggiore in tutto questo era che non se ne pentì minimamente, voleva sentirsi dire quelle parole. Aveva bisogno di sentirsele dire.
“Ti ho baciata, è vero, e non me ne pento. Ma non so se sono pronto a dare un seguito a questa cosa tra noi…”
Fu come ricevere uno schiaffo in pieno volto. Oliver le aveva appena dato una pugnalata nel cuore e forse nemmeno se ne era accorto. Felicity si chiese persino se sarebbe rimasto a soccorrerla se avesse iniziato a sanguinare per davvero.
Per un attimo ebbe paura di aver perso la capacità di parola. Provò con tutte le sue forze a cercare la sua voce, ma al suo posto trovò solo un suono strozzato e innaturale. “Ho capito. In fondo basta saperlo, no? Così uno se ne fa una ragione e va avanti per la sua strada”.
“Felicity…” Oliver provò a fermarla, ma ormai Felicity aveva già messo tra loro troppa distanza per riuscire a colmarla. E non solo fisicamente.
“No, Oliver, non aggiungere altro. Ti prego”. Era già stata abbastanza umiliata per quella sera. “Io… credo che ora me ne andrò a casa. Salutami tu gli altri, ok?”
Guardò in direzione di Oliver per un’ultima volta prima di andare via  definitivamente. Forse aveva le allucinazioni ma giurò di aver visto di sfuggita una lacrima rigargli il viso. Probabilmente aveva la vista troppo offuscata dalle sue di lacrime per riuscire a mettere bene a fuoco.
Entrò nel sicuro della sua macchina e si lasciò andare finalmente al pianto che per troppo tempo aveva tentato di soffocare. Il suo corpo fu scosso da singhiozzi che ormai sfuggivano completamente al suo controllo. Si stupì di se stessa, di solito era sempre in grado di tenere a bada le sue emozioni. Era una delle sue qualità migliori. Non riuscì a ricordare l'ultima volta che aveva permesso a se stessa di sfogarsi in quel modo. Forse non era mai successo.
C'era una ragione se Felicity diceva che sarebbe stata meglio da sola. Non perché pensasse che sarebbe stata più felice. Tutti i film romantici che aveva visto, i suoi romanzi preferiti, i racconti di gioventù di sua madre, le erano serviti per capire che condividere la vita con qualcuno era di gran lunga migliore che decidere di trascorrerla in totale solitudine. La verità era che pensava che se solo avesse concesso a se stessa di innamorarsi di qualcuno, di farlo per davvero, e se poi non fosse stata ricambiata, avrebbe potuto non farcela.
Era più facile stare da soli.
Se impari che hai bisogno dell'amore, e scopri che in fondo ti piace, e inizi a far dipendere la tua vita da quella sensazione. Ma poi all’improvviso accade che quella stessa sensazione ti viene portata via al primo alito di vento, potresti sopravvivere ad un dolore del genere?
Felicity conosceva già la risposta, in fondo ci era già passata, quando suo padre aveva deciso di punto in bianco di abbandonarla. Ora aveva perso anche Oliver. Aveva perso la possibilità di stare con lui e di vivere quell'amore che si era concessa di provare. Quell'amore che lui stesso aveva fatto nascere in lei.
Era come se una parte di sé fosse morta quella sera. Con l'unica differenza che la morte è un attimo. Quel senso di vuoto, invece, poteva andare avanti per sempre.
 
 
*NOTA DELL’AUTRICE*
Ok, credo di essere caduta in depressione scrivendo questo capitolo. Ma quanto è dolce Felicity? Povera stella, mi maledico da sola per averla fatta soffrire così tanto.
Oliver, anche se a fatica, alla fine è riuscito ad ottenere il suo scopo, allontanarla da lui in ogni modo possibile. La domanda ora è: quanto riuscirà a resistere prima di crollare definitivamente?
Io non ho più parole per ringraziarvi per le vostre splendide recensioni, veramente mi date la voglia di continuare a scrivere questa storia e mi aiutate a trovare sempre nuovi spunti di riflessione.
Non so quando riuscirò ad aggiornare, sarò abbastanza impegnata in questi giorni ma da metà settimana prossima dovrei essere più libera e quindi avere modo di mettermi a scrivere con più regolarità.
Credo sia tutto. Alla prossima :)
Baci,
Anima90.
Ps: per la chiusa ho preso spunto da una delle quote più belle di Grey’s anatomy, mi sembrava perfetta per la situazione e così non ho saputo resistere :D

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Felicity, nei dieci giorni successivi alla discussione avuta con Oliver al cinema, aveva vissuto come rinchiusa in un'enorme bolla di sapone. Il mondo intorno a lei era privo di definizione, i suoni provenivano da un luogo troppo lontano per poter essere scanditi. Si sentiva apatica, depressa, spenta. Come se fosse in stand-by. In attesa di qualcosa senza avere alcuna idea di cosa fosse. Delle volte temeva di sgretolarsi in mille pezzi, e quando succedeva si stringeva forte al petto, come a volerlo evitare a tutti i costi.
Aveva provato a concentrarsi sugli unici punti fermi della sua vita, i soli che le erano rimasti: la scuola, il lavoro al fast food e i suoi migliori amici. Si sentì tremendamente fortunata per poter contare su di loro, per quanto spiacevole fosse quella situazione non la facevano mai sentire sola. Si davano il cambio per tenerle compagnia, come se temessero che potesse succederle qualcosa di brutto da un momento all'altro. Come se non le fosse già accaduto.
“Va bene, è arrivato il momento di dirvelo”. Alzò gli occhi dal libro di letteratura inglese che aveva davanti a sé e si rivolse a Caitlin e Barry, seduti dalla parte opposta della scrivania. “Questa storia di voi due che mi trattate come se fossi una neonata che ha bisogno di una baby-sitter inizia seriamente ad inquietarmi”.
I due si scambiarono uno sguardo colpevole, come se fossero appena stati beccati con le mani nella marmellata.
“Neanche dovete studiarle queste cose, sono argomenti dell’ultimo anno. Sono sicura che avete cose più divertenti e importanti da fare... quindi fatele!”
Felicity non intendeva sembrare scortese o ingrata nei confronti dei suoi amici, ma l’ultima cosa che le serviva in quel momento era sentirsi in colpa per trattenerli al chiuso della sua camera in un soleggiato pomeriggio di fine febbraio.
“Beh, la mia alternativa sarebbe girarmi Assassin’s creed alla x-box per la quinta volta, quindi...”
Felicity alzò gli occhi al cielo. Barry aveva seriamente bisogno di trovarsi una ragazza e di innamorarsi.
Innamorarsi. Il petto le fece male improvvisamente.
“Lo sai che ci fa piacere darti una mano, Lis. Tra poco hai gli esami per essere ammessa al diploma e persino tu hai bisogno di un po' di supporto morale. Poi conosci l’ossessione che ho per Shakespeare. Credimi, non mi pesa”.
“E a Tommy pesa?”
Caitlin e Tommy erano diventati ufficialmente una coppia. Per qualche strano scherzo del destino, se quella maledetta sera al cinema era stata per Felicity la fine di tutto, per Caitlin era stata l'inizio di qualcosa di magico. Felicity era davvero contenta per la sua migliore amica, e lo stesso valeva per Caitlin, anche se dopo aver saputo quanto successo con Oliver cercava in tutti i modi di contenersi, un po' per non sembrare indelicata, ma soprattutto perché era veramente dispiaciuta per lei.
“Pfff, ci vediamo quasi tutti i giorni... Per un pomeriggio che sto con te non viene mica la fine del mondo”.
Un pomeriggio?”
“E va bene, facciamo cinque...” Felicity, scettica, alzò un sopracciglio. “Oh santa pace, quanto sei pignola. Dieci pomeriggi, va meglio così? Il punto è che posso trascorrere con te tutto il tempo che mi pare, mica siamo come quelle coppie che si dimenticano ad un tratto di avere una vita al di fuori del compagno? Lui ha i suoi amici, io ho i miei”.
Felicity non potè fare a meno di percepire una nota di disprezzo nel suo tono di voce alla parola amici. Sapeva che si stava riferendo ad Oliver. Da quella sera aveva iniziato ad odiarlo con tutta se stessa per aver fatto soffrire la sua migliore amica. Aveva anche deciso di affrontarlo a viso aperto una mattina tra i corridoi di scuola. Erano insieme quando si imbatterono in Tommy ed Oliver, pochi giorni dopo il loro ultimo incontro. Oliver aveva chiesto di poterle parlare, forse per scusarsi, ma a quel punto Caitlin si era messa tra loro in sua difesa, come una mamma che protegge il suo cucciolo, intimandogli non molto educatamente di andarsene a quel paese. Felicity le fu estremamente grata, non sarebbe stata in grado di affrontarlo. Non ce l’avrebbe fatta. Da quel giorno lo aveva visto di sfuggita solo un paio di volte. Niente più incontri imbarazzanti o patetici tentativi di chiarimento. Tommy stava molto attento ad avvicinarsi a loro quando Oliver non era nei paraggi. Doveva essere stata una specifica richiesta di Caitlin, anche se Felicity non gliene aveva mai chiesto conferma.
“Certo, Cait, come no… ma se non fate altro che sbaciucchiarvi appena ne avete occasione? Questo non vuol dire avere una vita al di fuori del compagno, questo vuol dire stare appiccicati come due sanguisughe e staccarsi solo per prendere aria”.
Felicity non riuscì a non ridere alle parole di Barry. Aveva ragione, Tommy e Caitlin formavano la coppia più sdolcinata che avesse mai incontrato. Nemmeno nel film più strappalacrime si vedevano scene del genere. Ogni volta che si incontravano si salutavano come se non si vedessero da anni. Non lo avrebbe mai ammesso apertamente, perché insomma sempre di Felicity parliamo, ma guardarli le faceva venire voglia di vivere una storia come quella.
Il petto le fece male di nuovo.
“Siete gli amici più pessimi che mi potessero capitare. Davvero. Grazie. Di cuore”. Caitlin incrociò le braccia al petto arrabbiata, odiava essere presa in giro per la sua storia con Tommy.
“Cait… sei sicura che si possa dire più pessimi?”
L’amica scoccò a Felicity un’occhiata fulminea. “Era per rafforzare il concetto…”
“Certo. Domani dillo alla professoressa Martin, vedrai come ti darà ragione”.
“Sta zitto, Barry”.
Felicity sorrise, vedere i suoi due migliori amici punzecchiarsi la metteva sempre di buon umore. Trovò quel siparietto confortante. Come se non fosse cambiato nulla. Come se tutte le cose più importanti per lei fossero rimaste al loro posto.
Ma allora perché il vuoto che sentiva dentro di lei non voleva saperne di andare via?
---------------------------------------------------------
“Mi dici perché siamo ai Grandi magazzini di mercoledì pomeriggio?” Oliver, dopo la fine delle lezioni, aveva deciso di accompagnare Tommy senza farsi troppe domande, ma ora la curiosità lo stava divorando. L'amico non era mai stato patito per lo shopping e vederlo lì era a dir poco insolito.
“Tra due giorni è il compleanno di Caitlin e devo trovarle assolutamente un regalo”.
“Oh…” Sentì un tonfo al cuore. Era il compleanno di Caitlin e non ne sapeva nulla. Come se ne avesse bisogno, ebbe ulteriore conferma di quanto fosse distante da Felicity in quel momento. Si comportavano come se non si fossero mai conosciuti e non avessero condiviso niente di quello che c’era stato tra loro. Ma d’altronde era lui ad averlo voluto, non poteva incolpare nessuno al di fuori di se stesso. E di sua madre, naturalmente.
“Senti, amico, mi dispiace non avertelo detto prima, ma non so davvero come comportarmi… Insomma Caitlin è ancora parecchio incazzata con te per quello che è successo con…”
Felicity. Lo interruppe prima di dargli occasione di pronunciare quel nome. Non era ancora pronto a sentirlo.
“Hey, Tommy, stai tranquillo. Sai che con me non c'è bisogno di formalizzarsi. Semplicemente mi era passato di mente, credo. Forse ho perso un po’ la cognizione del tempo ultimamente…”
“Già… sei stato parecchio fuori in questi giorni… Delle volte ho avuto anche timore a darti a parlare, era come se nemmeno mi ascoltassi…”
Oliver aveva speso così tante energie per camuffare il suo malessere che nemmeno si era fermato a pensare a quanto doveva essere stato difficile per il suo migliore amico vederlo in quello stato. Si sentì terribilmente egoista e il senso di colpa iniziò ad attanagliargli il fegato.
“Mi dispiace, amico. Scommetto che ultimamente tenermi tra i piedi non deve essere stata questa gran cosa, eh?”
“No, non si tratta di questo… è che non sapevo come aiutarti, tu non avevi intenzione di dirmi niente, ho capito qualcosa per conto mio, senza contare che quando Cait è arrabbiata diventa praticamente un fiume in piena…. Ma mi è mancato poterne parlare con te, come abbiamo sempre fatto… per la prima volta ho capito che non sarei stato in grado di sistemare le cose come sempre, con una semplice pacca sulla spalla… Credo di essermi sentito inutile”.
Oliver scorse amarezza nei suoi occhi, come se in tutti quei giorni si fosse sforzato di trovare un modo per farlo stare meglio senza riuscirci.
“Hey, non è colpa tua… Sono stati dei giorni incasinati e credimi nemmeno tu avresti potuto trovare il modo di risolvere il macello che ho nella testa in questo momento.”
“Mi spieghi che cavolo è successo, Ollie? So che non vuoi parlarne, me lo hai ripetuto almeno cento volte, ma io non riesco a farmene una ragione. Non riesco a farmi una ragione del fatto che hai rinunciato a lei così… facilmente".
Oliver pensava di aver consumato tutte le sue lacrime quando era tornato a casa dopo il suo ultimo incontro con Felicity, ma evidentemente si sbagliava. I suoi occhi iniziarono ad appannarsi e tutto intorno a lui divenne sfocato. Confuso.
“Ho fatto un casino, Tommy. Uno di quei casini che rimpiangerò per tutta la vita”.
Si sentì stringere dall’amico in un abbraccio. Alla fine le lacrime si erano decise a cadere e non se n’era nemmeno accorto.
“Shhh, Ollie, non dire così… tutto si può risolvere, anche questo…”
Passanti incuriositi iniziarono a guardare nella loro direzione, trovando insolito un comportamento simile nel mezzo di un centro commerciale.
“Andiamocene da qui, ti va?”
Oliver lo seguì senza aggiungere altro, completamente in balia del suo amico. In balia di se stesso.
Alla fine decisero di tornare a casa e Oliver lungo il tragitto decise finalmente di raccontare tutto al suo migliore amico. La scoperta della madre, la minaccia di non vedere più Felicity, il rischio che le togliessero la borsa di studio e non la facessero diplomare.
“Ma che cavolo, Oliver! Perché non mi hai detto niente? Avrei potuto aiutarti… Avrei potuto dirlo a mio padre, sai il rapporto che ha con il preside Steele..."
"Rischiando di metterlo contro mia madre? No grazie. Lo sai l’ultima volta che è successo com’è andata a finire”.
Solo un paio di anni prima i loro genitori si scontrarono in una violenta discussione per una sospensione che Oliver si era procurato, a detta di sua madre, a causa di Tommy. Da allora i rapporti tra le due famiglie si erano guastati irrimediabilmente e i due ragazzi stavano sempre molto attenti ad evitare in tutti i modi che entrassero in contatto, per non mettere a rischio la loro amicizia. E Oliver non poteva permettersi di perdere anche Tommy. Non poteva permettersi di perdere nessun altro.
“Ok, forse dirlo a mio padre non sarebbe stata questa grande idea, ma ehi, esistono altri modi…”
“Tipo?”
“Dirlo al preside Steele? Lui adora Felicity, sarebbe stato sicuramente comprensivo. Scommetto che nemmeno ha notato che era assente quel giorno.”
“Oh, fidati, a quel punto mia madre sarebbe stata ben disposta a ricordarglielo”.
"Ok... allora parlane con lei, Smoak è un genio, riuscirebbe a trovare una soluzione in meno di cinque minuti".
"Non posso essere così egoista e caricarla di questo altro pensiero. Già ne ha troppi per una ragazza di 16 anni, l'ultima cosa che le serve è vivere nel terrore di non diplomarsi e di perdere l'opportunità di andare al college. Non me lo perdonerei mai".
Oliver si lasciò cadere sullo schienale, sconfitto. Non c’era soluzione a quel problema, prima si arrendeva a quell’idea prima avrebbe imparato a conviverci.
"E quindi cosa fai? Ti arrendi così? Dici che non vuoi darle un altro pensiero ma non credere che ora stia vivendo serenamente. Cait cerca di non lasciarla mai sola e ogni volta che la incontro stento a riconoscerla. Sta di merda amico, e detto francamente stai di merda anche tu".
Oliver non trovò la forza di rispondere. Aveva immaginato che Felicity potesse stare male, ma averne conferma da Tommy era stato un duro colpo. L'ultima cosa che avrebbe voluto al mondo era essere la causa del suo malessere.
L'amico accostò nel vialetto della tenuta Queen.
“Non puoi farti trattare così, amico. La vita è la tua, ed è ora che inizi a ricordartelo”.
“E con questo cosa vorresti dire?” Oliver lo guardò di sottecchi, preoccupato. Quello era il tono che Tommy usava quando gli passava qualche strana idea per la testa.
“Voglio dire, che è arrivato il momento di cacciare la testa fuori dal culo e di riconquistarla".
"Non hai ascoltato una parola di quello che ti ho detto, vero?"
"E invece si, amico, ho ascoltato benissimo, e a differenza tua sono arrivato alla conclusione che tua madre non può farla franca così… Tu inizia a scusarti con Smoak e a sfoderare le tue doti di latin lover, poi penseremo a come risolvere questa situazione. Non ne posso più di vederti in questo stato. Stai facendo cadere in depressione anche i miei capelli”.
“Hey…”
“Il punto è, basta fare storie, basta trovare scuse, basta mettere in mezzo altre persone solo per non affrontare la verità…”
Oliver non aveva veramente idea di quello di cui stava parlando. La verità? Era quella la verità, non c’era altro.
“E quale sarebbe questa verità?”
“Sai, Ollie, ho sempre saputo di essere il più intelligente tra i due, ma credevo che riuscissi a starmi dietro almeno per i concetti basilari”. Oliver alzò gli occhi al cielo, leggermente esasperato ma anche stranamente divertito. Si sentiva un po’ più libero dopo essersi confidato con lui. “La verità è che il sentimento che provi per lei ti spaventa da morire e hai paura di non saperlo gestire e di mandare tutto a puttane, non è forse così?”
Era davvero quello il problema? Davvero si era nascosto dietro la minaccia di sua madre per tutto quel tempo solo per non affrontare i suoi sentimenti per Felicity?
"Ammettiamo per un secondo che tu abbia ragione, ti sei perso un passaggio fondamentale. Non vuole più parlarmi, né vedermi, le ho detto delle cose orribili, delle cose che non pensavo assolutamente, ma dovevo allontanarla e non ho trovato altro modo… Ormai è troppo tardi".
“E io cosa ci sto a fare secondo te? Sono il ragazzo della sua migliore amica, ricordi? Ringrazia la tua buona stella e non stare sempre a lamentarti”.
Caitlin lo odiava, Oliver lo sapeva. D'altronde non poteva essere altrimenti, dopo quello che aveva fatto a Felicity.
“Lo sai che qualunque cosa tu abbia in mente Caitlin si arrabbierà a bestia con te, si?” L'ultima cosa che avrebbe voluto era causare problemi anche a loro.
“Oh, non preoccuparti di questo. So come farmi perdonare….” Alzò per due volte il sopracciglio, come se volesse fare intendere qualcosa.
“Ok, regola fondamentale, non parlarmi mai della tua vita sessuale con la migliore amica di Felicity, intesi?”. Erano giorni che non pronunciava quel nome ad alta voce. Gli fece uno strano effetto, strano ma piacevole. Lo adorava e gli era mancato terribilmente, insieme a tutto il resto.
“Va bene, come vuoi... non c’è bisogno di scandalizzarsi tanto. Da quando sei diventato una femminuccia?”
Oliver sorrise. Senza nemmeno rendersene conto. Un sorriso che gli partì dalla pancia. Come non succedeva da tempo. Per la prima volta in dieci giorni riuscì a scorgere una luce in fondo al tunnel. Era lontana, ma riusciva a vederla.
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Felicity solitamente cercava di concentrare i suoi turni al fast food nel weekend per non gravare sugli impegni scolastici, ma quel mercoledì sera si era proposta di sostituire una collega per liberarsi in occasione del compleanno di Caitlin. Senza contare che preferiva tenersi impegnata piuttosto che trascorrere la serata nel suo letto a pensare a quanto la sua vita facesse schifo in quel momento. Più del solito.
"Smoak, una persona al banco ha chiesto di te. Ti do al massimo cinque minuti, i clienti non possono aspettare i tuoi comodi".
Le parole della sua responsabile la presero alla sprovvista. Non aspettava nessuno, tanto meno a lavoro. Barry aveva una cena con i suoi, Cait quasi sicuramente era con Tommy da qualche parte. Non si azzardò nemmeno a pensare che si trattasse di Oliver, non voleva crearsi vane aspettative per poi restarci male.
Si diede una sistemata al grembiulino, sporco di fritto e sprite, e uscì dalle cucine. Vide un ragazzo moro poggiato al bancone della caffetteria, era alto quasi quanto un giocatore di basket. Felicity non riuscì a riconoscerlo, si guardò intorno credendo di aver sbagliato persona.
"Felicity Smoak, non sei cambiata per niente in questi anni".
Quella voce le sembrò maledettamente familiare, provò a fare mente locale e a ricordarsi a chi appartenesse.
"Cait mi aveva avvisato che avresti stentato a riconoscermi con i capelli così corti..."
"Aspetta un secondo…" Felicity fu colpita da un’improvvisa consapevolezza. "Ma tu sei Ray! Oddio che sorpresa! Non mi aspettavo di vederti qui, Cait non mi ha detto nulla". Si precipitò ad abbracciarlo. Ray era il cugino di Caitlin, era più grande di loro di qualche anno e  avevano trascorso gran parte dell'infanzia insieme. Felicity aveva una cotta per lui dai tempi della terza elementare.
"Non dovresti essere al MIT? Com'è andato il primo anno da matricola? Sono così terribili come dicono?"
"Hey, hey, hey, una cosa per volta... vedo che con il tempo la parlantina non è diminuita, anzi..."
Felicity arrossì per l'imbarazzo, sentendosi tremendamente inopportuna. "Oddio, scusami, è che mi hai colto di sorpresa. Poi saranno secoli che non ci sentiamo, non so quasi più niente di te, della tua vita, del college… Il fatto è che sono felice di rivederti, tutto qui".
Sospirò di sollievo quando vide Ray sorriderle. Lo trovò cambiato, più grande e consapevole, ma i suoi occhi erano sempre gli stessi, gentili e incredibilmente luminosi. Sprizzavano una felicità quasi contagiosa.
"Anche io sono contento di rivederti... Non lo avrei mai detto ma Starling City mi è mancata tanto, il college è fantastico, non fraintendermi, ma casa è sempre casa".
"Sei qui per il compleanno di Cait?"
"In realtà sono qui per una breve vacanza. Ho da poco concluso gli esami del primo semestre, ho ancora qualche giorno di libertà prima che ricomincino i corsi, così ne ho approfittato per passare un po' di tempo in famiglia. Se Cait non ti ha avvisata è solo perché nemmeno lei ne sapeva nulla, è stata una sorta di improvvisata da parte mia”.
“Ti ha detto lei che mi avresti trovato qui?”
“Si, e insieme a questo mi ha detto della festa di venerdì, mi ha parlato del suo ragazzo, del tuo diploma anticipato, insomma ha cercato di aggiornarmi sulle ultime novità, anche se è difficile stare al passo con tutti questi... cambiamenti".
"Già..." Felicity pensò immediatamente ad Oliver, senza riuscire a controllarsi. La sensazione di tristezza che aveva provato a mettere da parte la colpì in pieno all'improvviso, con ancora più violenza.
“Tu come stai, Lis? Ti vedo un po’… stanca. Non sarà che lavori troppo?”
Felicity provò a sfoderare uno dei suoi sorrisi migliori, cercando di non pensare quanta fatica le costasse. “Oh no, il lavoro è una distrazione per me in realtà. E’ che tra poco ho gli esami quindi sto intensificando le ore di studio, poi c’è l’ansia per il college, insomma normali problemi di una ragazza di 16 anni”.
“E io che pensavo che le sedicenni di oggi pensassero solo alla manicure e allo shopping. Ma tu d’altronde non sei mai stata come le altre ragazze, c’è sempre stato qualcosa di speciale in te”.
Felicity abbassò lo sguardo al pavimento, provando a celare l’imbarazzo.
“E’ confortante vedere che non sei cambiata per niente, i complimenti ti infastidiscono ancora eh?”.
“Non è questo, è che mi mettono a disagio. Lo sai che non mi piace stare al centro dell’attenzione…”
“Oh, me lo ricordo bene… Alla fine sei riuscita a fare pace con le recite di Natale?”
“Ah ah, non sei per niente simpatico”. Finirono per ridere insieme, complici, come se il tempo non fosse mai passato.
“SMOAK!!! TI AVEVO DETTO CINQUE MINUTI!!! VUOI CHE VI PORTI ANCHE UN THE CON DEI PASTICCINI PER CASO?”.
Felicity sbuffò, aveva quasi dimenticato di trovarsi a lavoro. “Ray, mi dispiace, ma…”
“Devi andare, lo so. Stai tranquilla, non fare arrabbiare il capo, ho come l’impressione che potrebbe morderti se non fai quello che dice”.
“Fidati di quell’impressione”. Gli fece un occhiolino, ricevendo in cambio uno sguardo divertito.
“Ci vediamo alla festa, allora… ci sarai vero?”
“Non potrei mai mancare al compleanno della mia migliore amica”.
“Vero, domanda stupida…” Ray abbassò lo sguardo, sembrando ad un tratto interessato a capire di che sfumatura di grigio fosse il bancone. “Si, beh, insomma… ci andrai… ci andrai da sola?”
“Da sola, nel senso…”
“Nel senso che ci verresti con me?”
Oh. Felicity non si sarebbe mai aspettata una domanda del genere. Vedeva Ray come un amico, e sicuramente non avrebbe mai pensato che lui fosse interessato a lei in quel senso.
“Ray, non vorrei sembrarti scortese, ma è un periodo un po’ particolare… l’ultima cosa che voglio è prenderti in giro e sinceramente ora come ora è quello che farei se ti dicessi di si… non vorrei che fraintendessi le mie intenzioni e così voglio essere chiara da subito… e oddio mi sento così stupida adesso…”
“Hey, frena, frena, frena. Non devi darmi tutte queste giustificazioni, Lis. In realtà sono io ad essere stato inopportuno, avrei dovuto chiederti se ti vedevi già con qualcuno…”
“Oh no, hai frainteso, non c’è nessuno in realtà…  Non mi vedo proprio con nessuno…” Felicity si rese conto troppo tardi di aver pronunciato quelle parole con eccessiva enfasi. “E’ che… si insomma, è una storia lunga… Facciamo che ci incontriamo direttamente lì, ok? Ora devo proprio andare, scusami”.
“Vai tranquilla, ma ricorda che mi devi un ballo, ok?”
Felicity fece finta di pensarci su. “Andata, direi che un ballo si possa fare. Assolutamente”.
Si scambiarono un abbraccio veloce e Felicity tornò svelta al suo lavoro. L’incontro con Ray le aveva lasciato delle strane sensazioni addosso. Strane ma piacevoli. Anche se per pochi minuti era stato in grado di distrarla dai pensieri negativi che la perseguitavano da giorni. Era stato in grado di distrarla dal pensiero di Oliver. Anche se Felicity sapeva che non sarebbe stato comunque abbastanza.
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Tommy sapeva che Felicity avrebbe terminato il suo turno al fast food non prima delle 22. Per questo motivo, una volta riaccompagnata Caitlin a casa, si diresse a casa sua e aspettò il suo ritorno seduto sull’altalena che si trovava sotto il porticato di casa Smoak. Aveva preso quella decisione all’insaputa di Oliver, anche perché se lui avesse saputo non glielo avrebbe mai permesso. Ma doveva fare qualcosa per aiutare il suo amico, altrimenti non si sarebbe sentito apposto con se stesso. Aveva intenzione di sondare il terreno prima di lanciare il suo amico nella missione suicida di riconquistare Felicity. Senza contare il fatto che desiderava davvero che quella situazione assurda si risolvesse al più presto, non ne poteva più di tutto quel gelo e quell’imbarazzo, voleva che le cose tornassero naturali come un tempo. Quando tutto era più semplice.
Non dovette aspettare molto prima di vedere Felicity parcheggiare la sua jeep di fronte casa. In un primo momento non sembrò accorgersi della sua presenza, e fu solo quando infilò le chiavi nella toppa che si voltò verso di lui, guardandolo con aria spaventata.
“Oddio, Tommy, hai intenzione di farmi venire un infarto?” Si mise una mano sul petto provando a controllare il respiro affannoso. “Che ci fai qui? Come fai a sapere dove abito?”
“Ciao anche a te, Smoak…” Il tono sarcastico di Tommy era tangibile, anche se non riuscì a controllare un sorrisino. “La settimana scorsa ho accompagnato Cait da te per… cos’era… una maratona di Harry Potter e il principe succhiasangue?”
Felicity alzò gli occhi al cielo: “Mezzosangue, Tommy, non sarebbe male se ti facessi una cultura prima o poi, sai?”
“Grazie del consiglio del tutto gratuito, Smoak, ma mi sa che passo. Ho paura che tutte queste cose da nerd mi facciano venire degli sfoghi sulla pelle, probabilmente sono allergico”.
“Perché sei qui? E’ successo qualcosa a Cait? Sta bene?” Felicity prese posto accanto a Tommy, si poteva leggere chiaramente la preoccupazione stampata sul suo volto.
“Con Cait va alla grande, tranquilla. L’ho appena riaccompagnata a casa”.
“Bene, sono contenta”. Annuì con decisione più a se stessa che a Tommy, come se avesse scongiurato il terrore di ricevere l'ennesima cattiva notizia. “Vuoi entrare? Ti offro una cioccolata, un the, starai congelando qui fuori… Da quanto tempo sei qui?”
“Da qualche minuto, Smoak, non disturbarti”. Tommy le sorrise, grato della sua gentilezza ma anche con l’intento di tranquillizzarla. “In realtà avevo bisogno di parlarti di una cosa. Mi concederesti qualche minuto? Non ci vorrà molto…”
“Certo, tutto il tempo che vuoi. Ti ascolto...”
Tommy prese un respiro profondo per farsi coraggio, non sapendo che reazione aspettarsi da lei una volta aperto quel discorso. “Riguarda Oliver”.
“Oh”. Il cuore di Felicity sembrò stopparsi per un istante, Tommy giurò di averlo sentito perdere un battito. “Sta… sta bene? Gli è successo qualcosa?”
Si stava preoccupando per la sua salute? Quella ragazza non avrebbe mai smesso di stupirlo. “Oh, si, si, sta bene… da un punto di vista fisico sta alla grande… è il suo stato psicologico a preoccuparmi, non l’ho mai visto così giù in 18 anni che ci conosciamo”.
Felicity non rispose subito, si prese un momento per ponderare le parole giuste da dire. “Mi dispiace per lui, Tommy, davvero... ma è stato lui a volere tutto questo. Io non ho avuto voce in capitolo a riguardo, sfortunatamente”.
“Lo so…” Tommy notò una profonda tristezza nello sguardo di Felicity. Se Oliver in quel periodo era miserabile, lei di certo non se la cavava meglio. “Sai, sono il suo migliore amico da quando siamo nati praticamente, e nessuno meglio di me può sapere quanto profondamente la sua testa possa conficcarsi nel suo colon”. Sperava di strappare un sorriso a Felicity, ma non ci riuscì. Decise di cambiare registro e parlare con maggiore serietà. “Quello che voglio dirti è che Oliver è sempre stato un campione nel rovinare le cose belle, sarà un suo superpotere, che ne so, magari è stato morso da un ragno pure lui e non se n’è mai accorto…” Stava perdendo ancora una volta il punto del discorso. “Ma questo non lo rende una cattiva persona. Un po' stupida, certo, ma non cattiva”.
“Non ho mai pensato che Oliver fosse cattivo, Tommy. Non mi sarei mai legata a lui altrimenti”.
“Oh… davvero?”
“Certo. Ho sempre avuto un’alta considerazione di lui, dal primo giorno in cui ci siamo conosciuti. Ho sempre provato a vedere cosa ci fosse oltre la parte viziata e infantile che mostrava di sé agli altri, e gli sono sempre stata grata per avermelo permesso”.
Tommy annuì vistosamente, non si aspettava una reazione così accomodante da parte di Felicity. Poi però un campanello d'allarme gli risuonò nella testa. “Perché ho come l’impressione che arriverà un ma da un momento all’altro?” Per forza doveva esserci un ma, sarebbe stato tutto troppo semplice altrimenti.
“Ma… proprio per questo motivo non mi spiego il suo comportamento. Credevo che il nostro legame andasse al di là di un bacio o di stupidi problemi di cuore. Non vuoi che la nostra amicizia diventi qualcosa di più? Ok, questo posso anche sopportarlo. Ma privarmi di punto in bianco della tua presenza nella mia vita? Questo per me è inconcepibile”.
Tommy non rispose, conosceva il motivo per cui Oliver si fosse allontanato da lei rompendo qualunque tipo di legame tra loro, ma non avrebbe mai potuto tradire la fiducia del suo amico raccontando tutto a Felicity. Era giusto che fosse lui a farlo, non appena si sarebbe sentito pronto.
“Mi aveva promesso che non mi avrebbe mai abbandonata…” Le sue parole furono quasi un sussurro impercettibile, Tommy pensò per un momento di averle solo immaginate. Quando Felicity iniziò a piangere, la strinse tra le sue braccia provando a confortarla. Si maledisse per non avere il potere di porre fine alle sofferenze dei suoi amici, odiava vederli in quel modo, lo odiava con tutto se stesso.
Rimasero in silenzio per qualche minuto, circondati solo dal rumore dei singhiozzi in cui Felicity stava provando a soffocare il suo pianto.
“Si sistemerà tutto, Felicity, fidati di me”.
La ragazza riemerse dal petto dell’amico e guardò Tommy con una leggera incredulità nello sguardo.
“Cosa?”
“Niente… è che mi hai chiamato per nome per la prima volta da quando ci siamo conosciuti”.
Tommy scoppiò a ridere e Felicity lo seguì a ruota. Felice di risentire finalmente quel suono ancora una volta. “Non farci l’abitudine, Smoak, è stata solo una piccola defaiance”. Le fece una linguaccia e ricevette un sorriso in cambio.
Oliver poteva anche non essere un campione nel mantenere le promesse, ma Tommy avrebbe fatto di tutto pur di far tornare il sorriso ai suoi amici. Era una promessa che aveva appena fatto a se stesso. E l’avrebbe mantenuta ad ogni costo.
 
 
 
*NOTA DELL’AUTRICE*
Io vi chiedo umilmente scusa per avervi fatto attendere così tanto per il nuovo capitolo. Ho avuto degli imprevisti di cui occuparmi e non sono riuscita a trovare cinque minuti liberi per sedermi al pc e mettermi a scrivere. Purtroppo con il proseguire dell’estate avrò sempre meno tempo libero e non riesco a prevedere quando sarò in grado di aggiornare. Vi prometto che farò del mio meglio, anche perché adoro scrivere questa storia e dispiace in primis a me non trovare il tempo per farlo :(
In questo capitolo ho provato ad affrontare un po’ le conseguenze di quanto successo nel precedente. Mi rendo conto che non aggiunge molto alla trama, è più di transizione che altro, ma dovevo scriverlo per non rischiare di affrettare troppo le cose e tralasciare passaggi comunque importanti.
Non odiatemi per aver inserito Ray, vi prometto che sarà del tutto innocuo, anche perché Felicity non riesce a togliersi Oliver dalla testa. Mi serve per mettere un po’ di pepe a tutta la situazione che si è creata. Nel prossimo ci sarà la festa di Caitlin, e vi prometto che ne vedremo delle belle :P
Io vi ringrazio come sempre per le recensioni bellissime che mi scrivete, spero che questa mia lunga pausa non vi abbia fatto perdere la curiosità nel sapere come questa storia andrà a finire. Ho ancora un po’ di cosette da raccontare e spero non mi abbandonerete :)
Non mi resta che darvi appuntamento al prossimo aggiornamento, sperando non si faccia attendere più del necessario.
Un bacio immenso,

Anima90.

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Non passò molto tempo prima dell’arrivo del compleanno di Caitlin. Come ogni anno era mancata da scuola per andare a pranzo insieme alla sua famiglia, e per questo Felicity riuscì a vederla solo nel tardo pomeriggio. La raggiunse a casa sua qualche ora prima dell’inizio della festa, essendosi proposta di aiutarla con i preparativi. Caitlin viveva in una tenuta immersa nella natura, non molto distante dal centro della città. Era una villa di tre piani arredata con gusto ed eleganza, priva delle eccessive ostentazioni che spesso caratterizzavano le dimore dei ricconi di Starling City. Nonostante Caitlin non volesse darlo a vedere, faceva parte di una delle famiglie più facoltose della città: il padre era un neurochirurgo molto rinomato del Seattle Memorial, la madre lavorava come interior design e possedeva un negozio di antiquariato. Le evidenti differenze economiche tra le due ragazze non avevano però mai minato la loro amicizia, al contrario Felicity non si era mai sentita così a suo agio come insieme a quella famiglia. Dal primo momento era stata trattata come una seconda figlia, la sorella che Caitlin non aveva mai avuto, e non poteva che esserne più felice.
“Allora ragazze, io e Sandra stasera andremo a teatro per lasciarvi casa libera. Mi auguro di trovarla ancora intatta al nostro ritorno”.
“Suvvia Marc, sono ragazzi, lasciali divertire”. Abbassò leggermente il tono di voce, rivolgendosi alle due amiche: “State tranquille, lo terrò lontano da qui il più a lungo possibile”. Fece loro un occhiolino colmo di complicità. Caitlin, e di conseguenza Felicity, la considerava più una sua amica che un vero e proprio genitore.
“Tesoro, quanto ti diverte farmi fare la parte del poliziotto cattivo tutte le volte?”
“Non sai quanto, tesoro. Non sai quanto”.
Sandra spinse con eccessiva enfasi suo marito fuori dalla porta di casa, ed un sorriso spontaneo comparve sul volto di Felicity. Non era abituata a vivere in una famiglia “sana” come quella di Caitlin e quando si trovava in loro compagnia non poteva fare a meno di guardarli con incanto e con una leggera invidia per la sua migliore amica. Aveva tutto quello che avrebbe sempre desiderato, l’amore di una mamma e di un  papà.
“Arrivederci signori Snow, passate una splendida serata!”
“Ciao mami, ciao papi! Andate piano!”
Detto questo, Caitlin si chiuse la porta di ingresso alle spalle.
“Siamo libere, finalmente! Andiamo a farci belle, Smoak. Stasera dovranno cadere tutti ai nostri piedi”.
Senza aggiungere altro prese Felicity per mano e la condusse al piano superiore, in direzione della sua cameretta. Fu difficile per lei non lasciarsi contagiare dall'eccitazione dell’amica. Una strana tensione pervase il suo corpo, tanto da farle venire quasi la pelle d’oca.
“Cosa c’è, Lis? Sembri più nervosa di me, il che è tutto dire dato che sto letteralmente impazzendo”.
“Pfff, io nervosa? Per una festa? Come se non mi conoscessi bene…”
“Ed è proprio perché ti conosco troppo bene che so che c’è qualcosa che ti preoccupa. Cosa c’è che non va?”
Felicity avrebbe voluto parlarle dell’incontro avuto con Tommy qualche sera prima, di come si fosse sfogata con lui facendogli capire senza mezzi termini di pensare ancora ad Oliver. Ma non voleva rovinare lo stato d’animo dell’amica, era pur sempre la sua festa, non faceva che parlare d’altro da settimane e non poteva essere così egoista. Non con lei. Decise di spostare il discorso su un argomento diverso.
“In realtà è una sciocchezza… Ti ricordi di Ray, tuo cugino?”
“Come potrei dimenticarmi di mio cugino, Lis? E’ successo qualcosa tra di voi?”
“No! Cioè si… ma niente di quello che credi… insomma, qualche giorno fa è passato al fast food e mi ha chiesto di fargli da accompagnatrice alla tua festa”.
Caitlin sgranò gli occhi per la sorpresa. “Non ci posso credere che abbia trovato il coraggio di chiedertelo!”
“Aspetta… tu lo sapevi e non mi hai detto nulla?”
“Hey, non ne avevo la certezza… Solo che l’altra sera era a cena da me e l’ho trovato più interessato al tuo stato sentimentale che al burrito di mia madre, e tu sai quanto è buono il burrito di mia madre… così ho fatto due più due… Ma non cambiamo discorso. Tu cosa gli hai risposto?”
Felicity decise di non andare troppo nei dettagli, altrimenti il discorso si sarebbe spostato inevitabilmente su Oliver e sui sentimenti che ancora provava per lui.
“Gli ho detto che mi avrebbe incontrata direttamente da te e alla fine gli ho promesso un ballo”.
“Wow. Tu e Ray. Un sogno che si avvera, eh Lis? Hai una cotta per lui da quanto? Nemmeno mi ricordo più”.
“Non ho una cotta per lui, Cait! Mi piace stare in sua compagnia, è sempre super simpatico e disponibile, l’unico con cui riesca parlare liberamente di virus e firewall senza passare per matta… ma niente di più”.
“Uh oh”.
“Cosa?”
“Stai sminuendo”.
“E…?”
“E… vuol dire che non ti è ancora passata”.
Felicity aveva fatto di tutto per evitare il discorso, dimenticando però quanto Caitlin fosse perspicace, e soprattutto quanto la conoscesse a fondo
“Si nota così tanto, eh?”
“Oh, Lis, pensavo ti fossi decisa a metterlo finalmente da parte. Non sono stupida, so che provi ancora tanto per Oliver, ma se nemmeno l’arrivo di Ray ha sortito effetto vuol dire che la situazione è più grave di quanto sperassi”.
Felicity si lasciò cadere sul letto, sfinita più da quella conversazione che da una maratona di 10 km. Caitlin la seguì a ruota, prendendo posto accanto a lei.
“Riuscirò mai a superarla, Cait?”
“Ne hai superate di peggiori, ricordi?”
In un colpo solo le tornò in mente l’immagine di suo padre che si allontanava da lei senza più voltarsi indietro. Sentì un improvviso dolore al petto.
“Già…”
“Forse ci vorrà un po’ di tempo, ma ti passerà. Hai pur sempre la scuola, il diploma, gli amici. Prova a concentrarti su questo. Poi hai me, non dimenticarlo”.
Felicity si accucciò tra le braccia dell’amica. Non era solita a questi improvvisi slanci d’affetto ma sentiva il bisogno di calore umano, mai come in quel momento.
“Ce la farai, Lis. Sei forte, intelligente, e Dio solo sa quanto coraggio e determinazione devi dimostrare ogni giorno per raggiungere i tuoi obiettivi e realizzare i tuoi sogni. C’è solo da imparare da una ragazza come te”.
“Grazie, Cait. Mi sento così stupida in questo momento…”
“Oh, credimi, lo stupido è lui che non sa quello che si è perso. E quando gli ricapita un’altra come te?”
Le amiche si lasciarono andare ad una risata liberatoria. A Felicity era servito parlarne con Caitlin, si sentiva liberata di un peso che le comprimeva il cuore.
“Ok, Snow, momento sentimentale concluso. Abbiamo una festa a cui partecipare e dobbiamo farci carine come non mai, ricordi?”
“Carine?!? Appena vedrai i look che ho scelto per noi ‘carine’ sarà l’ultima parola che ti verrà in mente per descriverci, credimi”.
Felicity non aveva idea di cosa quella serata avesse avuto in serbo per lei, ma decise di viversi ogni momento come fosse l’ultimo, di godersi al massimo quella festa liberando la mente dai cattivi pensieri. Si meritava un po’ di serenità, e avrebbe fatto di tutto per ottenerla, anche solo per qualche ora.
-------------------------------------------------------
“Sei sicuro che sia una buona idea?”
Oliver era nervosissimo, sapeva che presentarsi alla festa di Caitlin senza invito era da maleducati ma aveva deciso di dare ascolto per una volta al suo migliore amico. Anche se gli era bastato qualche minuto per pentirsene.
“Sta tranquillo, amico, fidati di me per una volta. Ti ho mai dato cattivi consigli io?”
Tommy ricevette in risposta un’occhiata scettica.
“Ok, se escludiamo quella volta in cui ti sei beccato un pugno in faccia dal ragazzo della tipa che ti avevo fatto rimorchiare… ma hey, quello era un cretino totale, non conta”.
“Mi fido di te, Tommy, lo sai. Credo di essere semplicemente… teso”.
“Fa un respiro profondo, libera la mente e pensa a divertirti. E cosa più importante pensa a riprenderti ciò che ti spetta. Ce la fai a non incasinare tutto almeno per una sera?”
“Ci proverò, te lo prometto. Anche perché non credo di essere in grado di incasinare le cose più di così”.
“E qui mi tocca darti ragione. Ora bussiamo a questo cavolo di campanello o finiremo per sembrare due perfetti idioti nelle registrazioni delle telecamere di sorveglianza”.
Oliver sbuffò rumorosamente, cercando dentro sé tutto il coraggio che gli occorreva per affrontare quella festa. Per affrontare Felicity.
Dopo qualche minuto, una splendida Caitlin, fasciata in un tubino nero aderente, aprì la porta.
“Tommy, eccoti finalmente, pensavo non saresti più arriva… Oh, Oliver. Ciao. Cosa… cosa ci fai qui?”
I due amici si scambiarono uno sguardo allarmato ma fu Tommy a prendere parola per primo.
“L’ho invitato io, Cait. E’ il mio migliore amico e doveva essere presente al compleanno della persona di cui sono follemente innamorato...”
Il cuore di Oliver mancò un battito. Era palese che l’amico ci tenesse parecchio a Caitlin, ma non sapeva fossero arrivati già a quel punto. Era come se nelle ultime settimane avesse vissuto con la testa completamente da un’altra parte.
L’amico provò ad intenerire la ragazza con uno dei suoi sorrisi più smaglianti e parve quasi riuscirci. Oliver decise di approfittare di quel momento di calma apparente, non sapendo per quanto tempo ancora sarebbe durato.
“Buon compleanno Caitlin. Scusami se mi sono presentato senza invito, se vuoi vado via, non voglio rovinarti la serata…”
“Oh, per l’amor del cielo Queen, entra senza fare troppe storie. Basta che ti togli questa faccia da funerale, non voglio musi lunghi alla mia festa, intesi?”
Caitlin si mise da parte facendo entrare entrambi. Bloccò Tommy per un braccio prima che si disperdesse nella folla.
“Con te facciamo i conti più tardi”.
“Tranquilla amore mio, ho già escogitato un piano per farmi perdonare”. Il ragazzo alzò per due volte le sopracciglia, rendendola partecipe delle sue ‘cattive’ intenzioni.
“Oh, sei disgustoso…”
“Lo so, ma mi ami anche per questo no?”
I due si persero in un bacio che durò a lungo, tanto da costringere Oliver a distogliere lo sguardo. Si sentiva di troppo.
Si guardò intorno per un po’, fin quando la sua attenzione non fu catturata da una ragazza bionda seduta accanto l'isola della cucina.
Era lei.
Era Felicity.
Bella come non mai, avvolta in un delizioso vestitino verde smeraldo, abbastanza corto da mettere in mostra le sue due splendide gambe senza però risultare volgare. Lei, dal canto suo, non sembrò accorgersi della sua presenza, intenta com'era a chiacchierare in compagnia del suo amico Barry. Oliver pensò di aver avuto una visione. Mai come in quel momento si rese conto dell’enorme sbaglio che aveva commesso a lasciarla andare così facilmente.
Fece un respiro profondo e si decise ad andare a salutarla.
“Ehm ehm… Ciao Barry, ciao Felicity”.
Per poco la ragazza non si lasciò cadere il bicchiere di Fanta dalle mani. La reazione di Barry non fu molto diversa, visto lo stupore stampato sul suo volto. Dopo qualche secondo di imbarazzante silenzio, fu proprio lui a rompere il ghiaccio: “O… Oliver… ciao… non sapevo ci fossi anche tu stasera…”
“Invitato dell’ultimo minuto, credo. Sai com’è, Tommy…”
“Non che volessi intendere che sei una persona indesiderata o altro… insomma mi hai colto di sorpresa ma non per questo mi dispiace rivederti…” Vide Felicity dare una gomitata all'amico per porre fine al suo inopportuno balbettio. “Giusto… la smetto… Ehm, vuoi qualcosa da bere? Una fanta, una coca? Da mangiare ci sono queste tartine al salmone talmente squisite che mangerei volentieri anche domani per colazione, e poi ci sono quelle focacce appena sfornate che, oddio, penso di non aver mai provato niente di simile in vita mia…”
“Magari più tardi, Barry, ti ringrazio. Potrei rubarti Felicity per qualche minuto, se non ti dispiace?”
Solo in quel momento la ragazza si azzardò a rivolgergli lo sguardo. Sembrava sorpresa e leggermente in tensione.
Barry aspettò un suo cenno di assenso prima di decidere se lasciare ad Oliver campo libero. Una volta ottenuto, gli diede una pacca sulla spalla, a mo’ di incoraggiamento. “E’ tutta tua amico”.
Una volta rimasti soli Oliver andò in panico. Sapeva di avere tante cose da dirle ma non riusciva a ricordarne nemmeno una.
“Noto con piacere che non perdi mai occasione di stupirmi. Sei l’ultima persona che mi aspettavo di vedere qui, Oliver”.
Il ragazzo non sapeva se interpretare positivamente o meno quelle parole.
“E ti è dispiaciuto? Vedermi qui, intendo”.
“Diciamo che mi ha spiazzato, o almeno credo… Immagino la faccia di Cait quando ti ha visto, avrà dato di matto”.
“Puoi scommetterci, pensavo mi cacciasse fuori a calci da un momento all’altro”.
Felicity rise debolmente, non riuscendo a camuffare del tutto l’imbarazzo che provava in quel momento.
“Come stai? Ti trovo… bellissima, come sempre”.
Le sue guance avvamparono improvvisamente, come succedeva tutte le volte che riceveva un complimento. Oliver sapeva che non si sarebbe mai abituato alla dolcezza di quella reazione.
“Grazie, Oliver, me la cavo in realtà. Tu come stai?”
“Domanda di riserva?”
I due si scambiarono un sorriso amaro, colmo di rimpianto, di rammarico per la piega che la situazione tra di loro aveva preso ultimamente.
“La scuola come va? Tra poco hai i test di ammissione al diploma se non sbaglio…”
Oliver non avrebbe mai voluto sprecare i pochi minuti che aveva a disposizione per parlarle di scuola ma si disse che doveva pur rompere il ghiaccio in qualche modo, non poteva di certo presentarsi dopo settimane di assoluto silenzio per dirle 'Hey ciao, sono stato un cretino, ricominciamo tutto daccapo come se niente fosse successo?'
“Beh, ormai sono solo una formalità, il preside Steele mi ha fatto capire di essere stata già ammessa a tutti gli effetti all’ultimo anno. Sembra proprio che ci diplomeremo insieme, anche se sembrerò una poppante in mezzo a voi stangoni di quinta… Pazienza, vorrà dire che mi procurerò delle asciugamani da mettere sotto il sedere durante la cerimonia”.
 “Oppure potresti provare a sederti vicino a McCall, credo che persino tu riesca a superarlo di qualche centimetro…”
“Ah ah, simpatico. Certo che sei sfacciato! Ed io ingenua che credevo di essere parte lesa e di dover ricevere da te solo carinerie per compiacermi”.
Oliver non riuscì a controllare il sorriso che gli comparve sul volto. Gli era mancato passare del tempo con Felicity, avere la possibilità di chiacchierare serenamente con lei senza drammi né complicazioni.
“A proposito di questo… mi dici perché sei qui, Oliver? Il vero motivo, e non la stupida scusa dell’invito last minute”.
Felicity era una persona estremamente pragmatica, odiava perdere tempo e Oliver lo sapeva bene. Si aspettava che prima o poi spostasse il discorso sul vero nocciolo della questione.
“In futuro dovrò decidermi ad esercitarmi per trovare scuse migliori”.
“Oliver…”
“Ok, hai ragione. Torno serio. Vuoi la verità? Il motivo per cui sono qui sei tu”. Felicity corrucciò la fronte, ma rimase in silenzio. “In queste settimane non ho fatto altro che pensare a quello che è successo tra di noi, alle parole che ti ho detto e sono arrivato alla conclusione che…”
“Ecco dove ti eri cacciata, Lis. Ti ho cercata ovunque.”
Una voce lo interruppe sul più bello. E come se ciò non bastasse si trattava di una voce maschile. Un ragazzo alto, moro e in completo elegante si avvicinò a loro, rivolgendo la sua attenzione a Felicity. Oliver lo osservò da capo a piedi. Credeva di essere ad un matrimonio per caso? E poi chi diavolo era? Ma soprattutto chi gli dava tutta quella confidenza?
“Non dirmi che hai avviato una ricerca al gps del mio cellulare... Sai che basterebbe questa prova per una denuncia per stolking?”
Oliver rimase impietrito da quelle parole. Denuncia? Stolking? Pensò istintivamente di allontanare Felicity da quel tipo ma poi vide un sorriso disteso comparire sul suo volto. Si trattava solo di uno scherzo. Non lo trovò per niente divertente.
“Oh… scusatemi… ho interrotto qualcosa?”
Si brutto idiota, hai interrotto qualcosa. Ora è meglio che vai a farti un giro se vuoi ritrovarti tutte e quattro le ruote della macchina ancora intatte.
“Oh, giusto. Ray, lui è Oliver Queen, un mio… compagno di scuola”.
Un tempo lo avrebbe presentato come un suo amico. Uno dei suoi migliori amici. Oliver sentì un dolore lancinante allo stomaco, come se lo avessero appena pugnalato.
“Ciao, io sono Ray Palmer, cugino di Caitlin, nonché amico di vecchia data di Felicity”.
Gli porse la mano in segno di saluto e Oliver gliela strinse, anche se farlo gli costò una certa fatica.
Vecchia data… abbiamo quarant’annin per caso?”
“Hey, dimentichi che sono vecchietto ormai… a differenza tua, piccola teenager spensierata e nel fiore degli anni..”
I due scoppiarono a ridere di gusto ma Oliver non trovò per niente divertente tutta quella storia. Quanti anni aveva quel tipo? Sapeva che oltre lo stolking esisteva il reato di pedofilia?
“Quindi, Oliver, che anno frequenti?”
Era evidente che Ray stesse facendo il possibile per non escluderlo dalla conversazione e Oliver decise di stare al suo gioco. Era arrivato prima di lui d'altronde e si sarebbe allontanato solo quando, e se, Felicity glielo avesse chiesto.
“Sono all’ultimo anno, io e Felicity ci diplomeremo insieme”.
Pronunciò quelle parole che eccessiva enfasi, come a voler marcare il territorio, un territorio che non era ancora suo ma che presto, con ogni buona probabilità, lo sarebbe diventato.
“Ehm… ok… hai già deciso a quale college iscriverti?”
“In verità ancora no… Felicity mi ha aiutato  fare un po’ di chiarezza e ora sto valutando diverse opzioni”.
“Oh… ok… sembra che siate più che semplici compagni di scuola, Lis non da consigli a chiunque, a meno che non sei una persona importante per lei”.
“Infatti è così”.
Oliver lo guardò con occhi di sfida. Sapeva che Felicity sarebbe stata infastidita da quell'atteggiamento, odiava essere trattata come un premio da contendersi, ma non riusciva a fare a meno di comportarsi così. Non si aspettava di dover competere con un altro ragazzo e quello era l’unico modo che aveva per difendere se stesso e ciò che più contava per lui, il suo rapporto con Felicity.
“Ray, che ne dici se vai a cercare Cait? E’ da un po’ che non la vedo in giro, voglio assicurarmi che sia tutto ok…”
Gli occhi di Ray si spostarono da Felicity a Oliver, e poi di nuovo sulla ragazza.
“Ok, vi lascio soli… Ci ribecchiamo più tardi in pista? Ricorda che mi devi un ballo, aspetto questo momento da due giorni”. Perfetto. Il cretino non solo avrebbe ballato con lei ma l’aveva incontrata anche due giorni prima. Oliver pensava di non poterlo odiare di più ma evidentemente si sbagliava. “E’ stato un piacere, Oliver. In bocca al lupo per il diploma e per il college. Ci si vede… in giro”.
Oliver si limitò a rispondergli con un cenno del capo. Sapeva di essersi comportato da perfetto idiota ma non se ne pentiva.
“E così… Ray… il tuo vecchio amico Ray, di cui chiaramente non sapevo nulla…”
“C’è qualche problema per caso? No perché l’ultima volta che ho controllato non ero tenuta a darti alcun tipo di spiegazione e non credo che sia cambiato qualcosa”.
“Volevo solo metterti in guardia. Sai com’è,  Ray è chiaramente interessato a te e non fa neanche un granché per nasconderlo…” Oliver si sforzò di parlarle con disinvoltura ma con scarsi risultati.
“Carino da parte tua volermi proteggere ma fidati, non c’è n’è bisogno. Io e Ray ci conosciamo da anni, non è un malintenzionato qualunque conosciuto per strada. E per quanto pensi che sia interessato a me, lo considero solo come un caro amico, nient’altro”.
“Così come consideri me solo un tuo compagno di scuola, nient’altro…”
Felicity sgranò gli occhi, incredula per quelle parole.
“Dici sul serio Oliver? Dimentichi come ci siamo lasciati l’ultima volta che ci siamo visti? Ringrazia che ti abbia definito così e non in un altro modo, anche perché, detto sinceramente, ne avrei avuto tutto il diritto”.
“Lo so, ok? Lo so e hai ragione. Cosa credi che stavo cercando di dirti prima che quell'idiota ci interrompesse?”
“La smetti di rivolgerti così nei suoi confronti? Ray è stato carino con  te e tu non hai fatto altro che metterlo in imbarazzo e sfidarlo a chi fa la pipì più lontano… Che bisogno c’era di comportarsi così?”
“Beh, innanzitutto… è veramente un idiota. E poi non mi piace, ok? Non ti toglieva gli occhi di dosso, per non parlare di tutta quella storia del gps e dello stolking… E quanti cavolo di anni ha? Trenta? Quaranta?”
“Ma cosa stai dicendo? Ha solo un anno in più di te! Ti rendi conto che stai facendo una scenata assolutamente immotivata, vero?”
Se ne era reso conto. Quella era una scenata di gelosia in piena regola. Oliver sapeva di non aver alcun diritto di comportarsi così ma era troppo accecato dalla rabbia e dal fastidio provato per la sola esistenza di quel ragazzo. L’intera situazione era ormai sfuggita al suo controllo e non riusciva più a tornare in sé.
“Sai cosa? Mi ero ripromessa di divertirmi stasera, volevo concedermi qualche ora di serenità e non consentirò alle tue stupide pretese ed insinuazioni di rovinarmi la serata”. Prima di andare via si rivolse ad Oliver ancora una volta: “Oliver, sei stata una persona importante della mia vita e voglio mantenere per quanto possibile un ricordo positivo di te. Cerca di non rovinare tutto, ok? Ci sei riuscito già una volta, non rifare lo stesso errore”.
Si voltò e il luccichio di una lacrima che sfuggì al suo controllo si disperse nell'aria. L’ultima cosa che Oliver avrebbe voluto era vederla piangere, di nuovo. Ed invece era riuscito ad incasinare tutto ancora una volta. Cosa c’era di sbagliato in lui? Possibile che non riuscisse più a trovare il modo di farla stare bene, così come succedeva un tempo?
Tutto quello che desiderava era tornare indietro al momento in cui erano entrambi felici, sereni, inseparabili. Per questo non era ancora arrivato il momento di arrendersi. Si sarebbe preso del tempo per calmarsi e avrebbe provato a parlarle ancora una volta. Stavolta le avrebbe raccontato tutta la verità, una volta e per sempre, e solo a quel punto l’avrebbe lasciata libera di decidere se perdonarlo o meno. Non era ancora finita. C’era ancora una speranza.
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Felicity stava provando a fare del suo meglio per non pensare alla discussione avuta con Oliver. Come faceva quel ragazzo ad avere ancora così tanto potere su di lei? Dopo tutto quello che le aveva fatto. Dopo tutto quello che era successo tra di loro. Odiava sentirsi così alla deriva, in balia di sensazioni che non riusciva più a controllare.
“Credo che la tua cannuccia stia tirando su solo aria da un bel po’ ormai..”
Felicity trasalì e con leggero stupore si rese conto che la sua soda era finita da un pezzo. Stava continuando a bere per inerzia.
“Cavolo, Ray, mi hai spaventata! Al MIT danno anche lezioni per diventare ninja per caso?”
“Hey, non è colpa mia se hai la testa da un’altra parte. Credo di aver visto almeno tre persone avvicinarsi a te senza ricevere risposta. Hai messo i tappi per le orecchie? Sai, per non sentire questa musica infernale…”
Sgranò gli occhi, interdetta. Come aveva fatto a non rendersi conto che tre persone le avevano rivolto la parola? Com'era potuto succedere?
“Tranquilla, stavo scherzando. Tranne che per la parte della testa da un’altra parte. E della cannuccia ovviamente”.
“Scusa Ray, ero semplicemente… sovrappensiero”.
 “Cos'hai, Lis? E’ successo qualcosa con quel ragazzo, Oliver? A proposito, tipetto particolare questo Queen, un tantino suscettibile, ma sembra apposto”.
“Suscettibile? Oliver? Figuriamoci, è solo la persona più permalosa che conosca. Mi dispiace si sia comportato in quel modo con te, non so veramente cosa gli sia preso”.
“Davvero non lo sai?”
Cos'era, una congiura nei suoi confronti? Si erano tutti messi d’accordo per richiamarla sui sentimenti che Oliver poteva ancora provare per lei?
“Sai cosa? Non mi va di parlare di questo. Che ne dici di buttarci in pista? Ti ho promesso un ballo e ho intenzione di mantenere quella promessa”.
“Sei sicura di volerlo fare su questa musica? Non ne eri allergica o roba simile?”
“Punto uno, definire questo scempio ‘musica’ mi sembra troppo generoso, persino per uno come te. Punto secondo, chi se ne frega? Siamo ad una festa e alle feste si balla. Quindi andiamo a ballare!”
La voce di Felicity risultò più isterica di quanto sperasse. Era evidente che stava provando a fare l'impossibile per togliersi dalla testa Oliver e tutto ciò che il loro precedente incontro avrebbe potuto implicare.
“O…kay. Non mi sembra una buona idea contraddirti in questo momento quindi… andiamo”.
Felicity alzò gli occhi al cielo e trascinò Ray per l'avambraccio. Arrivati a centro pista iniziarono a dimenarsi sulle note di un musica insopportabile. Felicity la sentì rimbombare nel cervello come un martello pneumatico.
 “Come fanno i ragazzi della mia età a trascorrere intere serate in questo modo?” Felicity fu quasi costretta ad urlare per farsi sentire dal suo accompagnatore. “A volte mi sento un’ottantenne, un torneo di bridge mi divertirebbe di più”.
“Considerando che la maggior parte dei tuoi coetanei nemmeno sa cosa sia il bridge, direi di si: sei un’ottantenne”.
“E io che speravo di trovare in te un po’ di conforto. Perché credi che abbia deciso di ballare con te, altrimenti?”
“Vuoi dirmi che non lo hai fatto per questo bel visino? Eppure avevo sempre creduto di fare un certo effetto alle signore ottantenni amanti del bridge”.
Felicity scoppiò a ridere divertita. Si stava divertendo in compagnia di Ray ed era proprio quello di cui aveva bisogno per distrarsi.
Finalmente una canzone dal ritmo più tranquillo consentì loro di rallentare i movimenti e di riprendere fiato. Ray ne approfittò per avvicinarsi ulteriormente a lei e senza alcun preavviso la strinse tra le sue braccia. Iniziarono a ballare sulle note di Just my immagination dei Cramberries. Felicity provò a rilassarsi ma una strana sensazione di disagio iniziò a divorarle lo stomaco. Le sembrava tutto così… sbagliato. Non voleva trovarsi lì in quel momento. Non così. Non con Ray. E il suo corpo glielo stava facendo capire chiaramente.
“Ray… scusami… non me la sento…”
La stretta del ragazzo però non si allentò.
“E’ solo un ballo, Lis. Credevo ci stessimo divertendo”.
“E infatti è così. E’ solo che non sono ancora pronta per questo. Potresti… per favore… lasciarmi…”
Felicity provò a liberarsi da sola ma il ragazzo sembrava non avere alcuna intenzione di lasciarla andare.
“Aspetta almeno che finisca la canzone… Che ti costa?”
“Ehi, tu. Non hai sentito quello che ti ha detto? Lasciala andare o dovrai vedertela con me”.
Felicity avrebbe riconosciuto quella voce ovunque. Era la voce di Oliver. Provò un’inspiegabile sensazione di sollievo.
“Oliver… è tutto ok… non preoccuparti…”
“Non è tutto ok, Felicity. Fin quando questo idiota non ti toglierà quelle luride mani di dosso non sarà per niente ok”.
“Hey, ragazzino, come osi rivolgerti così a me?”
Prima che Felicity potesse rendersene conto accadde l’inevitabile. Ray alla fine si decise a toglierle le mani dai fianchi ma solo per avvicinarsi ad Oliver ed affrontarlo faccia a faccia. I due iniziarono a spintonarsi a vicenda, attraversando tutta la sala da pranzo, fino a raggiungere la cucina. Felicity provò ad inseguirli, facendosi largo tra la folla, che sempre più numerosa si stava accalcando per godersi lo spettacolo.
“Ragazzi, per l’amor del cielo, smettetela!”
“Allontanati, Felicity. Questa cosa riguarda me e Palmer”.
“Hey ragazzo, mi dici qual è il tuo problema? Si può sapere che ti ho fatto?”
“Le hai messo le mani addosso senza il suo permesso, ecco cos’hai fatto”.
“Ma se mi hai dato contro da quando ci siamo presentati. Lo sai meglio di me che non è questo il problema”.
“E quale sarebbe il problema, Palmer? Dimmelo tu, forza”.
Oliver si avvicinò pericolosamente a Ray. Ormai i loro corpi erano a pochi centimetri di distanza. Felicity poteva percepire la tensione irradiarsi in tutto l’ambiente circostante.
“Ragazzi, per favore, state dando spettacolo…”
“Sei geloso, non è così?"
Oliver non mosse un solo muscolo.
"Lo sapevo. Sei innamorato di lei, dici la verità".
Felicity sentì una morsa allo stomaco. Non si aspettava che Ray usasse quelle parole.
Innamorato. Di lei.
No, non era possibile. Ray si sbagliava, ci doveva essere sicuramente un'altra spiegazione.
"Non sono affari che ti riguardano, Palmer".
“Te l’hanno mai detto che chi tace acconsente, Queen?”
Oliver non ci vide più e lo colpì con un pugno in pieno volto. Riversò in quel colpo tutta il fastidio e la frustrazione che aveva provato fin dall’arrivo di Ray alla festa. Felicity rimase immobile per qualche secondo, completamente impietrita. Si era resa conto che l’atmosfera si fosse scaldata un bel po’ tra i due ma non si aspettava che potessero addirittura arrivare alle mani.
Vide Ray ricomporsi ed avvicinarsi ad Oliver. Quando Felicity capì che aveva intenzione di ripagarlo con la stessa moneta, la sua reazione fu pressoché immediata. Si scagliò su di lui cingendogli le spalle, usando tutta la forza che avesse in corpo per provare a fermarlo.
“Ray, ti prego, fermati, non farlo…”
Prima che riuscisse a terminare la frase si sentì colpire in pieno volto. Ray le aveva inavvertitamente dato una gomitata sul naso per liberarsi della sua stretta. Felicity iniziò a sentirsi stordita, provava un dolore insopportabile, che si irradiava dal naso fino alle tempie. Si portò la mano al volto, ritrovandosela sporca del suo stesso sangue. Per poco non perse i sensi. Provò a mettere a fuoco l'ambiente circostante, ma ciò che vide fu solo un'enorme macchia indistinta e priva di definizione. Gli occhiali dovevano essersi rotti per la botta ricevuta. Il sangue continuava a colarle da un punto indefinito del volto, senza avere alcuna intenzione di fermarsi.
Chiuse gli occhi quando due mani delicate iniziarono ad ispezionarle il viso con attenzione, alla ricerca della fonte di quella fitta interminabile. Le stesse mani le sfilarono gli occhiali con cautela, provocandole uno spasmo incontrollato.
“Aaah…”
“Shhh, Lis… lo so, fa male… ma ora passa, tranquilla…”
Era Caitlin. Riconobbe la voce. Avrebbe voluto dirle qualcosa per tranquillizzarla, dirle che stava bene, che era cosciente, ma capì che le avrebbe fatto male pronunciare anche una sola sillaba, quindi decise di rimanere in silenzio.
Frastornata e leggermente stordita, si sentì sollevare dal pavimento. Con gli occhi ancora serrati, riuscì a percepire il calore di un corpo a contatto con il suo. Due braccia robuste la tenevano stretta, impedendole di cadere e farsi del male. Erano diretti al piano superiore, riusciva a distinguere lo scricchiolio dei gradini ad ogni passo.
“Sta tranquilla, Felicity. Andrà tutto bene”.
Fu sorpresa di sentire quella voce sussurrarle all’orecchio.
“O… oliver… sei… sei tu?" Avrebbe tanto voluto sorridergli, fargli capire che era contenta che fosse vicino a lei, ma il suo viso sembrava non rispondere ai segnali inviati dal cervello. Era come se fosse immobilizzato. "Ti prego... non lasciarmi... ti... ego..."
“Non ti lascerò, Felicity. Non ti lascerò mai più”.
Il suo tono di voce era così dolce, conciliante, sembrava quasi una ninna nanna. Per la prima volta dall’incidente, Felicity si sentì finalmente al sicuro. Permise al suo corpo di lasciarsi andare, di arrendersi all’oblio a cui stava provando a resistere da troppo tempo.
Perse conoscenza. Tra le braccia dell’unica persona al mondo che riuscisse a farla sentire protetta. L’unica persona al mondo con cui volesse stare in quel momento.
 
 
*NOTA DELL’AUTRICE*
Ciao a tutti! Finalmente sono tornata! Non sapete quanto mi sia dispiaciuto avervi fatto attendere tutto questo tempo per il nuovo aggiornamento, ma questo mese è stato per me abbastanza complicato per vari problemi familiari di cui mi sono dovuta occupare, che uniti ai giorni di vacanza che mi sono concessa, non mi hanno permesso di trovare la concentrazione giusta per sedermi al pc e mettermi a scrivere.
Mi sono ripromessa di non abbandonare questa storia e non lo farò, ci tengo troppo e proverò a ritagliarmi del tempo per lavorarci con costanza, così da non dovervi far attendere tempi eccessivamente lunghi.
Spero che le vostre vacanze siano andate alla grande e che abbiate avuto modo di divertirvi e rilassarvi prima dell’inizio degli impegni quotidiani.
Fatemi sapere se il capitolo vi è piaciuto e soprattutto se questa storia continua ad interessarvi, spero vivamente che non abbiate deciso di abbandonarla.
Grazie come sempre per le parole gentilissime che spendete per me, mi riempiono il cuore, davvero.
Un bacio immenso,
Anima90
 
 

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