First rule of the Fazbear Club

di TheHellraiser
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** A poor career choice ***
Capitolo 2: *** Poveri amici miei ***



Capitolo 1
*** A poor career choice ***


Salve, persone belle che sono entrate a leggere questa fan fiction. Sì, sono sempre io, quella tizia a caso che non ha ancora finito quell’altra fan fiction, ma finirò anche quella, promesso :c Tuttavia, dovevo cominciare pure questa prima di partire per Parigi, o andava a finire che mi passava l’ispirazione. u.u” Prima di mettere il primo capitolo, alcune precisazioni sulla storia che seguirà:
-È basata su una teoria che ho letto su internet e mi è piaciuta un sacco, per cui potrebbe assomigliare ad altre fan fiction che magari sono già state postate su questa teoria. Spero di no, ma non mi andava di controllare tutte le altre 138 fan fic della sezione per vedere se non fosse già stata postata x°D
-I capitoli si alterneranno fra capitoli in terza persona (che parla del presente e dei protagonisti) e in prima persona (che sono flashback di un personaggio di cui probabilmente capirete presto l’identità)
-È meno banale di quello che sembra. Promesso. u.u”
-Come nella mia fan fic precedente, anche qui si parte dal presupposto che Mike e Jeremy si conoscano, e sul fatto che Jeremy NON sia stato la vittima del morso dell’87.
-Non avendo giocato a tutto FNaF 3 (sono arrivata solo alla seconda notte) potrei aver commesso incongruenze sulle parti che non ho giocato. Se ne faccio, indicatemele pure, così che possa correggerle.
Detto questo visto che la premessa sta diventando più lunga del capitolo stesso posto qui l’introduzione.
 
Era mattina presto, un’ora in cui sarebbe stato anticostituzionale alzarsi in qualsiasi stagione, figurarsi in estate. Victor, infatti, stava ancora dormendo beatamente, contento di essere in vacanza dopo aver sputato sangue sui libri di ingegneria per i precedenti mesi. Fosse stato per lui, avrebbe potuto continuare a dormire per il resto dell’eternità con la faccia affondata fra i cuscini, ma fu svegliato ben presto dallo sbattere della porta. Victor fece una smorfia contrariata, alzando il viso appena un po’, giusto abbastanza per veder entrare la sua compagna di stanza nell’appartamento. Nonostante fossero le cinque e mezza di mattina e fosse pieno Luglio, lei era più sveglia che mai, al contrario di Victor che al momento aveva la stessa reattività di un bradipo paraplegico. Con la coda dell’occhio, Victor vide che la ragazza aveva in mano una lettera, e la stava leggendo mentre sorseggiava distrattamente del caffè da una grossa tazza con su scritto “There’s no place like 127.0.0.1” che reggeva con l’altra mano. La tazza di Victor, per la precisione.
-Ehi, Lilja, quella è mia- brontolò Victor con tono contrariato. Lei alzò gli occhi al cielo e rise divertita, continuando però a bere in tutta tranquillità, ignorando ciò che Victor le aveva detto. Lui si limitò ad emettere un imprecisato brontolio, riaffondando il viso fra i cuscini. Dopo pochi secondi, tuttavia, Victor poté sentire chiaramente Lily che avanzava verso la sua stanza, e gli toccò girarsi di nuovo verso di lei. Non aveva più un’espressione molto allegra, però. Anzi, al contrario, sembrava piuttosto contrariata.
-Mh… Niente colazione a letto?- chiese Victor, con un sorrisetto divertito stampato sul viso assonnato.
-Se vuoi la colazione a letto vai a dormire in cucina. Sai cos’è questa, Vic?- chiese Lily, mostrandogli la lettera. Per Victor, ancora assonnato, quella cosa era poco più di un mare indistinto di caratteri su un rettangolo bianco, quindi scosse stancamente la testa.
-È del padrone di casa. Dobbiamo pagare l’affitto. E io non ho più un centesimo. Immagino che a te non serva neppure chiedere- disse Lily con tono sarcastico. Victor le rifilò un’occhiataccia.
-E chiedi soldi a tuo padre, no?- brontolò contrariato. Sapeva già cosa Lily stava per dirgli, dovevano trovarsi qualche lavoretto estivo, ma Victor non aveva proprio nessuna voglia di mettersi a tagliare l’erba dei vicini o stronzate varie per tirare su un paio di dollari. E poi, i vicini non avevano nemmeno un prato da tosare per bene, visto che Victor e Lily abitavano in un condominio.
-Ma non credo proprio. Mi hai presa per una che si fa mantenere? Dobbiamo trovarci un lavoro- replicò lei prontamente.
-Dobbiamo? Io non posso dormire e basta? Faccio da supporto morale, dai- rispose Victor con un sorriso entusiasta che puzzava di falso da un miglio. Lei si limitò a rivolgergli uno sguardo scettico, il che fece capire a Victor che non aveva troppa voglia di scherzare al riguardo. Lily sospirò scuotendo la testa e se ne tornò in sala, lasciando che Victor si alzasse e si desse una sistemata. Mentre lui faceva le sue cose, lei si mise in poltrona, leggendo il giornale del giorno precedente sulla pagina degli annunci di lavoro. Quasi tutti gli annunci richiedevano la mitica figura dell’apprendista con esperienza, una razza la cui esistenza era meno realistica di quella degli unicorni, e quindi erano fuori dalla loro portata. Fu distratta dalla voce in sottofondo di Victor che cantava Love me Tender facendo la doccia, che le strappò un sorriso prima che tornasse a concentrarsi sulle offerte di lavoro. Barrò con una matita tutte quelle che non le sembravano plausibili mentre scorreva la pagina, finché dopo qualche minuto di ricerca non riuscì a trovare un’offerta che le sembrava abbastanza accettabile. La cerchiò in modo da evidenziarla bene, e aspettò che Victor finisse di fare la doccia per chiedergli un parere. Lui uscì dal bagno dopo pochi minuti, in accappatoio, e si accorse subito che Lily lo stava aspettando.
-Ehi, Elvis. Bella performance. Ho trovato un annuncio che mi sembrava abbastanza decente- disse lei, con tono divertito.
-N-non è che sia indispensabile che  tu mi ascolti mentre faccio la doccia, eh- brontolò Victor, distogliendo lo sguardo e voltandosi per evitare che Lily vedesse il rossore che gli stava colorando il viso. Lily scoppiò a ridere.
-Ma sei bravo- commentò.
-…Fammi vedere quell’annuncio e basta, dimentica l’argomento- disse Victor, avvicinandosi a lei e gettando uno sguardo al giornale. Lei indicò l’annuncio sul giornale, corredato anche da una foto di quella che sembrava essere la testa di orso.
-Uhm. Avevo sentito parlare di questo posto, sì. Il Fazbear’s Fright, un’attrazione horror basata su quelle pizzerie. Io ci andavo, da piccolo. Mio padre ci lavorava. Anche il tuo, mi sembra, no? Volevo prenotare i biglietti, apre fra circa una settimana- disse Victor, esaminando l’articolo.
-Sì. Beh, cercano guardie notturne. Potremmo provare, prendila come una “versione ad accesso anticipato”- rise Lily. Victor annuì, pensandoci su.
-Ma sì, perché no. Fai una telefonata e vedi se possiamo fissare un colloquio con questi, io intanto vado a vestirmi. Sii convincente, miss Schmidt, che qua ci giochiamo l’affitto- rise Victor, tornando poi in camera per vestirsi. Lily rimase in silenzio per parecchi secondi, cercando di capire se Victor avesse fatto una battuta o no. Dopo un po’, si limitò semplicemente a ignorare il tutto, prendendo il cellulare e digitando il numero che era stampato nell’annuncio sul giornale. Attese per qualche secondo, in fondo erano le cinque di mattina, e non si sarebbe di certo stupita se nessuno le avesse risposto. Invece, dopo due o tre squilli, qualcuno le rispose.
-Fazbear Entertainment. Come posso esserle utile?- le chiese una atona voce femminile dall’altra parte del telefono. Lily fece una smorfia, il tono di quella che probabilmente era una centralinista la seccava un po’. Le sembrava quasi di parlare con un robot, ma si limitò a scacciare semplicemente la sensazione, prendendo un respiro.
-Uh, chiamo per l’annuncio che avevate messo sul giornale, quello per il lavoro come guardia notturna. Sarebbe possibile fissare un colloquio?- chiese, attendendo poi una risposta.
-Aspetti, le passo il responsabile di questo progetto. Attenda in linea- rispose la centralinista. Subito dopo partì una di quelle classiche musichette da ascensore che Lily odiava da morire, indicando che era stata messa in attesa. Lei, aspettando, cominciò a maltrattarsi un dito pizzicandolo con le unghie, ma l’attesa durò meno del previsto.
-Hey-hey! Ciao, mi hanno detto che volevi fissare un colloquio per l’offerta di lavoro! Io sono il responsabile del progetto- disse un tizio, facendo quasi sobbalzare Lily per l’uscita iniziale. Lei ci mise qualche secondo a processare la situazione, chiedendosi se fosse uno scherzo oppure no, visto il tono totalmente informale che aveva quel tizio. Lei esitò un attimo, ma infine si decise a rispondere.
-S-Sì. Sono Lily Schmidt, io e il mio amico Victor Fitzgerald vorremmo candidarci per l’offerta di lavoro come guardie notturne che abbiamo visto sul giornale. Dobbiamo prenotare un colloquio, mandare un curriculum o…?- cominciò, lasciando in sospeso la frase e aspettando che fosse il suo interlocutore a dirle cosa serviva. Lui probabilmente ci stava pensando su, e dopo lunghi secondi di silenzio riprese a parlare.
-Uh. A dire il vero no. Siete gli unici che si sono presentati per il lavoro, e quindi visto che ci servono impiegati per stasera, potete anche saltare il colloquio. Presentatevi qui stasera verso le undici, ok? Vi darò le istruzioni che vi serviranno! Sarà figo! Vi va bene?- chiese il responsabile, entusiasta. Lily ci pensò. Sì, per quella sera non avevano impegni, e poteva andare più che bene.
-Sì. Va bene, passeremo stasera al Fazbear’s Fright, serve qualc…-
-Siamo d’accordo, ci si vede stasera!- concluse il tipo interrompendo Lily, e chiudendo la chiamata subito dopo. Lei rimase immobile, con il telefono ancora alla mano. Beh, non aveva mai visto un responsabile con un tale atteggiamento in vita sua, e non sapeva se fosse un bene o un male. Victor spuntò dalla camera, ormai vestito, con i capelli ancora bagnati tutti sparati in giro e un’espressione curiosa.
-Allora?- chiese. Lily si limitò ad un’alzata di spalle.
-Abbiamo un lavoro-

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Capitolo 2
*** Poveri amici miei ***


Ok, bene. Questo, a differenza dell’introduzione, è un “flashback” di un personaggio il cui nome sarà rivelato più avanti nel corso della storia (se già lo sapete perché magari conoscete la teoria non spoileratelo pls xD). Questi flashback saranno più corti rispetto ai capitoli normali perché hanno poco dialogo, e questo in particolar modo perché è una specie di “introduzione” del personaggio :’3
 
Io ho sempre odiato i bambini. Davvero, li ho odiati. Ma non una cosa tipo fastidio, quando ti fanno cadere il gelato addosso per sbaglio al parco, o quando ti rompono qualche vetro con il pallone, o quando al ristorante senti il neonato seduto al tavolo vicino che non la smette di frignare. Non una sensazione del genere, no. Quella non si avvicina nemmeno minimamente a cosa provo io nei loro confronti. È che nemmeno io so davvero spiegare cosa sia quella sensazione. Ogni volta che sento uno di loro ridere, vorrei prenderlo a schiaffi. Ogni volta che sento uno di loro piangere, farei qualsiasi cosa pur di farlo smettere. Ogni volta che sento uno di loro fare i capricci, vorrei solo prenderlo a calci. Non capiscono niente, sono come degli stupidi animaletti senza un cervello che sanno solo sbavare, pretendere e distruggere tutto quello che gli capita a tiro. Ovviamente, tutto questo non è nato a caso, no. Voi potreste pensare che li ho sempre odiati a caso, ma non è così. Prima li detestavo semplicemente, poi ho cominciato ad odiarli quando ho cominciato a lavorare al Fredbear’s, e lì ho capito che non hanno rispetto di niente, quelle piccole bestie, nemmeno del mio lavoro. Passano tutto il tempo a mettere quelle loro manacce ovunque, a sporcare, a mettere in disordine, a fare a pezzi i miei amici animatronics. Sì. Sì, i miei amici. Ricordo come, da quando avevo cominciato a lavorare al Fredbear’s – cristo, chi me l’aveva fatto fare di candidarmi per un lavoro in quel buco pieno di bimbetti? – loro fossero l’unica cosa che poteva distrarmi. Se mi sentivo male per via di quegli affarini, potevo sempre lasciare un attimo il lavoro e andare vicino al palco per guardare Bonnie e Fredbear che cantavano e ballavano. Erano così belli, con quelle loro pellicce dorate. Ogni tanto Bonnie andava un po’ fuori tempo ballando, probabilmente perché l’avevo programmato male o aveva qualche malfunzionamento, ma ogni volta mi dicevo che non era poi un problema, perché alla fine della giornata l’avrei riparato, come ho sempre fatto e continuerò sempre a fare. Del resto loro sono i miei amici, e chi altro potrebbe aiutarli se non io? Quasi mi impietosivo, a vederli costretti lì sul palco. Una tale meraviglia della tecnologia, impiegata per intrattenere quegli stupidi ragazzini irrispettosi. Io mi sarei sentito un po’ offeso, se fossi stato in loro. Ma a loro sembrava andare bene così, quindi io non mi sono mai lamentato, e mi sono solo limitato a continuare ad applicare toppe di pelliccia, stringere viti, riverniciare musi e riprogrammare circuiti. Vederli nel backstage, puliti e lucidi, mi ha sempre dato una certa soddisfazione, quasi quanto l’idea di dare quattro ceffoni a quegli stupidi bambini quando gli mettevano le loro lerce manacce addosso. Tsk. Dovrebbero avere più rispetto di queste meraviglie, dopo tutto l’impegno che qualcuno ci ha messo a costruirle e io ci metto a mantenerli sempre in stato perfetto. Poveri amici miei. Mi sono sempre detto che presto o tardi sareste stati dismessi, quindi non vi sarebbe più servito sopportare quelli là. Anzi, non sarebbe servito né a voi né a me, perché senza di voi io non avevo alcuna ragione di restare in quel ristorante. Pensate, amici, stavo persino risparmiando soldi, perché coltivavo il desiderio di comprarvi se vi avessero messi all’asta dopo avervi dismesso, così non avreste più rischiato di dover subire abusi del genere. Ovviamente, pensandoci ora, non so come pensassi di riuscire a comprarvi, vista quella miseria di paga che mi davano per mantenervi in funzione. Non che mi sia mai importato un granché del denaro in sé, la soddisfazione di ripararvi e vedervi esibire era già abbastanza, e se avessi chiesto un aumento avrebbero potuto licenziarmi. Ah, non credo che avrei potuto sopportare il pensiero di voi amici miei soli contro quel branco di animaletti, senza più nessuno ad aiutarvi. Tre dollari all’ora erano una miseria, ma una miseria sopportabile. La vera cosa insopportabile erano quei piccoli animali. Ma sto divagando, e magari voi direte sì, e perché non gli hai detto solo di smetterla di fare danni, visto che eri dello staff? Beh, sapete, non sono mai stato un tipo molto spaventoso o che potesse sembrare autoritario per un bambino, insomma. Quelli non hanno rispetto di nessuno, e se gliel’avessi detto probabilmente mi avrebbero soltanto riso in faccia. Sapete come sono, i bambini. A stento ubbidiscono ai loro genitori, figurarsi ad un tipo random in un ristorante random dall’aspetto timido e la voce debole. Ah. Saranno pure passati trent’anni, ma li ricorderò per sempre. È tutta colpa loro se sono finito così, se ho fatto le cose orribili che ora mi perseguiteranno per il resto della mia vita. Vabbeh, ok, forse non tutta, probabilmente è anche colpa mia, ma quel ragazzino avrebbe dovuto pensarci due volte prima di farmi innervosire, ok? Ma io... Non dovete dare la colpa a me. Volete sapere cos’è successo? Bene. D’accordo, come volete. Vi racconterò ciò che ho fatto, dei miei amici, di quel tipo inquietante che lavorava con me, di quelle povere guardie notturne che sono finite nei guai al posto mio, dei miei amici animatronics che ho sempre curato come se fossero la mia famiglia e di quegli animaletti bast... seccanti. Seccanti, sì. Intendevo dire seccanti, davvero. Non dico brutte parole. Mettetevi tranquilli e vi racconterò tutto, se non capite qualcosa chiedetemi pure di ripetere, so di non parlare proprio tanto bene. Del resto, mi sento schiacciato dentro questo affare, si soffoca. Scusatemi, ma ormai non posso più farci un granchè. Spero che vi vada bene comunque.

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