Happy B-day Starchan

di Lyerenshadow_nekkun
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** A day with niisan ***
Capitolo 2: *** Oblio ***
Capitolo 3: *** For you ***
Capitolo 4: *** I like the way you are ***



Capitolo 1
*** A day with niisan ***


Ai si aggrappò al bordo della maglietta di suo fratello, facendo scorrere lo sguardo ciano da una macchina all'altra.
"Io devo salire su queste cose?", si chiese osservando dei ragazzi sui sedili di una torre cadere giù in picchiata. Da un'altra parte delle piccole automobili si scontravano l'una con l'altra e le persone gridavano degli insulti… quasi giocosi però.
«Aiyan», sentì la voce dolce di suo fratello chiamarlo. Alzò lo sguardo e incontrò gli occhi di un colore così simile al suo.
«Cos'è quella faccia così seria? Sorridi un po'», continuò accucciandosi davanti a lui per arrivare alla sua stessa altezza. Ai non lasciò la sua maglia, anzi la afferrò anche con l'altra mano e gli si avvicinò tanto da arrivare quasi tra le sue braccia.
«Aiyan…», sospiró il maggiore. «Tutti i bambini amano andare al Luna Park: guarda quante belle giostre!», disse cercando di passargli un po' d'entusiasmo, ma il suo piccolo fratellino non sembrava avere intenzione di muovere un solo passo.
C'era troppo gente lì. Ai, dal basso del suo metro e undici, vedeva così tante gambe che si confondevano tra loro, mentre le persone gridavano, si spintonavano...
Si avvicinò nuovamente ad Aine, cercando un appiglio dal quale provare a capirci qualcosa in quella confusione. «Ne-nii», chiamò il fratello con un tono vagamente lamentoso. «Voglio tornare a casa.»
Lo sentì sospirare e scuotere la testa. «Ma Aiyan, abbiamo fatto tanta strada per arrivare fino a qui. Non vuoi provare niente? Nemmeno quella giostra?», propose indicando uno scivolo altissimo e ripido, dal quale le persone si lanciavano con urla euforiche.
Il piccolo Ai le guardò arrivare a terra ridendo e si imbronciò: che cosa c'era da ridere se si erano buttati su quello scivolo enorme, instabile, pericoloso, non sicuro…?
Vide Aine alzarsi per stiracchiarsi e sgranchirsi le ossa, prima di guardarlo con una certa tenerezza. «Da qui a casa la strada è lunga. Pronto per la passeggiata?», gli chiese facendogli un occhiolino complice mentre gli tendeva la mano.
Ai la afferrò con le dita già esili e delicate di un pianista, avvicinandosi a lui in cerca di una sorta di protezione. Come sempre suo fratello lo accontentava e come sempre lui ne approfittava: sperava che questo non sarebbe mai cambiato.
«Dici che lo zio ha preparato la merenda? Magari abbiamo ancora a casa una di quelle torte che hanno portato Kei-kun e Hibi-kun l'altro giorno…», considerò pronto per imboccare la strada del ritorno.
«Quelle torte non mi piacciono.»
Uno sbuffo divertito. «Ci fermiamo a comprare un gelato per strada?»
«Mm-mh… nella gelateria vicino a casa di Kei.»
«Agli ordini, capo.»



    Note d'autrice:
Buondí, cara neesan. Questa piccola fic è per il tuo compleanno, scritta con quasi nessuna pretesa, solo quella che ti piaccia. Chiedo scusa se ho preso in affitto il rapporto tra fratelli di Aine e Ai, ma te lo riconsegno subito *porge la confezione con dentro l'idea*.
Spero che il tuo blocco passi e che riesca a superare al meglio questo periodo stressante! *abbraccia forte*
Auguri per un buon compleanno, neesan~
Lyel

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Capitolo 2
*** Oblio ***


Un passo. Un altro passo.
Gli alberi verdi a circondarli. Un sole accecante che accarezzava loro il viso. Un sorriso luminoso sui volti di entrambi.
Kei adorava quei pomeriggi passati con lui al parco. Gli sembrava una sorta di paradiso, un piccolo eden nel quale rifugiarsi di tanto in tanto. E, nonostante il suo essere un po' solitario, non gli dispiaceva stare in compagnia, se si trattava di lui naturalmente.
Aine gli camminava a fianco, lo sguardo puntato in alto, verso le fronde di quegli alberi che filtravano la luce del sole. I raggi che si insinuavano tra i rami parevano ricamare trame sempre diverse sul volto di Aine, che cambiavano a ogni suo passo. Kei si scoprì assorto nell'ammirarle, perdendo completamente cognizione del tempo e del luogo in cui si trovava. C'era solo quel volto baciato dal sole.
《Kei... Kei! Ma mi stai ascoltando?》 Aine si era arrestato, fissandolo un po' imbronciato per quell'inaspettata mancanza di attenzione da parte dell'amico. Ciò fece riscuotere Kei dal suo stato di trance momentaneo, facendogli riprendere contatto con la realtà.
《Sì... sì, scusa, ero un attimo assorto. Stavi dicendo?》, chiese velocemente, cercando di non far indagare ulteriormente Aine sull'oggetto della sua distrazione.
L'altro riprese a camminare, di nuovo col sorriso sulle labbra. Era difficile che si arrabbiasse, Kei poteva giurare di non averlo mai visto perdere le staffe con nessuno, sapeva risolvere questioni spinose senza bisogno di innervosirsi inutilmente. In questo lo ammirava molto.
《Stavo dicendo che dobbiamo terminare la canzone entro l'inizio dell'estate. Pensi di poter riuscire a comporre la musica per fine mese? Così mi potrei già occupare del testo...》
Giusto, la musica. La sua musica. Kei adorava comporre per Aine, era come se riuscisse a dargli il mezzo attraverso il quale lui potesse esprimersi. Si sentiva onorato.
《Certo, farò in tempo, vedrai》, gli sorrise impercettibilmente mentre si sedeva su una panchina, subito seguito dall'altro ragazzo.
Presero in mano gli spartiti e cominciarono a lavorare, insieme, decidendo come strutturare la canzone. Per Kei era difficile ma allo stesso tempo appagante, era ciò che più amava fare, e mettere a disposizione il suo talento per Aine lo faceva sentire importante, faceva assumere un significato a ciò che componeva.
Con Aine accanto gli sembrava di trovare il suo posto nel mondo.
Ma l'inizio dell'estate per loro non arrivò mai.


Un passo. Un altro passo.
I muri bianchi che sembravano infiniti. La pioggia scrosciante al di fuori della finestra. Questa volta, nessun sorriso era pronto ad accoglierlo al suo ingresso. Solo una moltitudine di tubi e un bip continuo, segnale di chi, nonostante tutto, stava lottando per rimanere in vita.
Perché era così, si diceva sempre Kei, Aine stava lottando per restare in vita, stava cercando un qualche appiglio, un punto fermo. Ciò che lui stesso non aveva saputo dargli.
Si odiava per questo. Aine, il suo amico, in un letto d'ospedale. Ancora non ci credeva. Quello stesso Aine che aveva sempre un sorriso sulle labbra, che era sempre pronto a tirargli su il morale anche se solo sospettava che avesse qualcosa che non andava. Con Aine non aveva mai avuto bisogno di aprirsi, lo capiva sempre al volo, gli bastava uno sguardo.
Quell'Aine che non si arrabbiava mai, ma che forse - e questo l'aveva capito troppo tardi - si teneva tutto il suo dolore dentro, lo rinchiudeva nel suo cuore, fino a quando questo non riusciva più sopportarlo, e allora gli invadeva l'anima, distruggendogliela. Come gli era successo quella volta.
Il sorriso che sempre aveva indossato, quasi fosse stata una maschera, aveva cominciato a stargli stretto, ma non sapeva come toglierselo, non ne aveva i mezzi. E allora lo aveva semplicemente cancellato, tra le onde scure di un mare che lo aveva inghiottito. Kei si malediceva per non averlo capito prima, per non aver intuito quanto falsi potessero essere quei sorrisi così luminosi, ma al tempo stesso così stanchi.
Si avvicinò al letto, ogni passo verso l'amico era una fitta di dolore al petto. Perché doveva fargli così male?
《Ho... finito di comporre il pezzo, A... Aine》, e perché adesso sentiva le guance bagnate da calde lacrime? Perché stava succedendo tutto ciò?
Loro non sarebbero dovuti essere lì, dovevano essere in un parco, a pensare al prossimo lavoro; avrebbe dovuto aiutarlo con le parole da scrivere, avrebbero provato e riprovato il pezzo un milione di volte prima che venisse perfetto.
Eppure... come era successo che tutto gli sfuggisse di mano fino a quel punto? Come era successo che Aine si perdesse nella sua stessa mente? Che la solitudine - che tanto piaceva a Kei - lo inglobasse lasciandolo a terra?
Ad Aine non piaceva la solitudine, questo l'aveva sempre saputo. Aine era gioia, era luce, era vita.
E allora perché adesso una macchina respirava per lui?


I minuti scorrevano veloci, portandosi via giorni, mesi... anni.
Un passo, un altro passo, cinque anni dopo ancora tra le mura bianche di quell'ospedale. Una parte di lui era morta lì dentro, aspettando che Aine si risvegliasse. Ma non era mai successo.
Il suo sorriso. Aveva flebili ricordi di esso, come un avvenimento lontano del quale non riusciva a captare i minimi particolari. Non voleva dimenticare, ma non sapeva come fare a ricordare.
Non riusciva più a guardare le vecchie foto, troppi momenti gli tornavano in mente e facevano male, perché non sapeva se mai avrebbe potuto di nuovo viverli con lui.
Quanto dolore poteva celarsi dietro la fitta trama dei ricordi, nei meandri della memoria. Si insinuava in lui uno stranissimo senso di malinconia e stillava, goccia dopo goccia, la speranza, facendola scivolare addosso, come un vestito smesso o un cappotto troppo largo per essere ancora portato.
Non c'era più speranza, si era col passare del tempo, fino a non restarne più nulla. Avrebbe solo atteso.
Rifiutava anche di ascoltare le canzoni di Aine, quelle che lo avevano reso felice ma che al tempo stesso lo avevano distrutto. Forse la sua felicità si era fermata nel momento in cui quelle canzoni erano diventate di dominio pubblico, quando quelle parole, così intime per lui, erano sulla bocca di tutti. Forse si era sentito come se qualcosa che gli era sempre appartenuto gli fosse stato strappato via.
Ma adesso non poteva più far nulla, non poteva impedirgli di scrivere, non poteva impedirgli di cantare, non poteva impedirgli di buttarsi... non poteva salvarlo.
E si odiava per questo, perché la loro estate non era ancora arrivata o forse non era mai arrivata. Aine non l'aveva mai vissuta, era cresciuto nell'illusione che la musica fosse tutto per lui ma non aveva tenuto conto delle conseguenze del successo.
E adesso si trovava ancora lì, dopo cinque anni dall'accaduto, su quel letto d'ospedale. La vita andava avanti mentre l'appiglio che cercava ancora non era arrivato. E restava lì, immobile, a perdersi momenti, attimi. A dividersi per sempre dalla vita, ad abbandonarsi alla morte.
Tutto stava svanendo. Come scomparivano i ricordi, scompariva anche l'immagine di quell'Aine che aveva conosciuto e che tanto aveva amato.
Più di una volta aveva pensato di scrivergli qualcosa, un diario, delle lettere, non lo sapeva nemmeno lui. Ma Kei non era bravo con le parole, come non era bravo con le persone. Si trovava bene con Aine perché lui lo capiva al volo e non aveva sempre il bisogno di parlare: i loro discorsi fatti di sguardi a volte erano stati più profondi di tanti altri.
Ma nonostante tutto, Kei non era bravo con le persone, quindi non aveva saputo capire Aine. Non era bravo con le parole, quindi non aveva scritto nessun diario.
Sapeva comporre, ma dopo quell'ultimo testo non ne aveva più scritti, aspettando quell'estate che ancora per loro due doveva arrivare.
Poteva solo ricordare, ma non sapeva come fare perché tutto, nel suo passato con Aine, faceva male morire.
E lentamente, senza che se rendesse mai conto davvero, aveva dimenticato anche il suono della sua voce.


Non c'è oblio più grande che sentirsi soli in un mare di gente, quando in realtà mi sentivo bene soltanto con te.
Ti prego, torna. Ti aspetto.




Note dell'autrice: lo so, non è propriamente in atmosfera da compleanno, ma tenendo conto del soggetto a cui è dedicata *lancia occhiatina a Starishadow*... spero che vada bene ^^"
Insomma, dato che sei un'amante dell'angst ho scelto questo genere e questa coppia perché direi che richiama angst da tutti i pori! XD Spero di averne reso giustizia!
E comunque qui la Keine può essere vista sia nel senso che Kei è innamorato - non ricambiato - di Aine, sia semplicemente come fossero due amici - io ho puntato più sulla seconda XD -, a scelta di chi legge quindi!
Per il resto... AUGURI STARCHAN! *^*
Un bacione!
Pinky_neko

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Capitolo 3
*** For you ***


For You



«Scusi, signora! Prometto che non correrrò più per i corridoi! E-eh? No, no! Questa mascherina non la metto per moda, sto male! Come? Anche la scorsa volta non stavo bene? B-Beh, sono cagionevole di salute, signora! Le auguro una buona giornata, arrivederci!» sospirando, Reiji si chiuse la porta alle spalle, togliendosi poi dal viso mascherina e occhiali da sole. Avrebbero finito col riconoscerlo se fosse uscito senza. Dopo averli infilati nella tasca della giacca posizionò le mani sui fianchi.
«Ehi! Ancora a nanna?» con un sorriso percorse la stanza, diretto verso la finestra. Spostò la tendina e aprì le ante, respirando a pieni polmoni una boccata d'aria.
«È così una bella giornata, oggi! Facciamo entrare un po' di sole!» stiracchiò per bene le braccia e le incrociò al petto, voltandosi verso il ragazzo disteso su quel letto da fin troppo tempo, ormai. 
«Ne, ma possibile che ogni volta che vengo qua incontro sempre la stessa infermiera!? Sarà la quarta volta che mi vede con la mascherina, crederà che sono eternamente malato!» esclamò sbuffando, non nascondendo un timore all'amico. «E se decidesse di entrare e iniettarmi qualcosa con una di quelle siringhe spaventose?! Tu ti sveglieresti e mi proteggeresti, vero?» si avvicinò al suo letto, sollevando di poco una sedia lì vicino e posandola di fianco al letto d'ospedale. Si sedette e rimase a contemplare per qualche istante Aine in silenzio, cercando di fare il possibile per tenere gli angoli della bocca alzati, nonostante questi stessero già tremando per far scemare quel maledettissimo sorriso. 
Strinse le mani a pugno sopra le gambe, premendo con forza le unghie nella carne dei palmi delle mani. Non sopportava di vederlo in quello stato, però... 
«Chi tace acconsente, giusto? Sei sempre di poche parole, Ne-Ne! Allora anche questa volta sarò io a parlare, ma che sia l'ultima~» lo riprese scherzosamente, passandosi una mano sul volto.
«Scusa se in questo periodo non sono venuto a trovarti più così spesso.» 
Sorrise quasi ironicamente per il motivo. «Il lavoro in questi giorni è diventato sempre più intenso.»
Probabilmente se Aine avesse potuto rispondergli, gli avrebbe rinfacciato quella volta. 
"No, sei troppo buono per poterlo fare" contraddisse prontamente il suo stesso pensiero, allungando una mano verso quella dell'altro, distesa immobile al suo fianco. Si bloccò prima di poterla sfiorare e ritrasse la propria, strizzando le palpebre. 
"Se solo quella volta avessi risposto, forse le cose sarebbero andate diversamente."
Riaprì gli occhi, scacciando per il momento certi pensieri. 
«Siamo in competizione, Ne-Ne!» provò a continuare tranquillamente. «C'è un gruppo che ci sta dando parecchio filo da torcere! E, indovina un po', si tratta degli STARISH! Quello di cui fanno parte i miei Otoyan e Tokki!» esclamò entusiasta. 
Già, i suoi adorati kohai. 
Era da una vita che non abbracciava né l'uno né l'altro, o che che come minimo riuscissero a parlare senza scambiarsi occhiate cariche di sfida.
Reiji soffriva di questa situazione così anomala per lui e i suoi "protetti", ma non poteva farci nulla: sebbene tutti, compresi loro, i Quartet Night, avessero ben notato la crescita dei sette idol, non poteva permettere che questi ultimi li superassero... non ora che i rapporti sembravano migliorare all'interno del loro di gruppo. Sperava che Otoya e Tokiya potessero perdonare questo suo comportamento egoistico.
«Sai, Ne-Ne, nonostante l'aria piena di tensione che si respira in questi giorni e la stanchezza, sono felice. Io, Ran-Ran, Ai-Ai e Myu-chan non abbiamo mai lavorato così bene e in sintonia come adesso. Credo che anche loro abbiano finalmente capito cosa significhi fare gioco di squadra! E, cosa più importante, non mi zittiscono più così spesso! Non è fantastico?!» ridacchiò tutto contento, appoggiando le mani sopra le lenzuola candide e inclinando di poco da un lato il corpo dell'azzurro, sempre inerme. 
«Aine...» sussurrò con voce flebile, avvertendo già gli occhi pizzicargli e inumidirsi. 
«Domani ci sarà il Triple S, Ne-Ne. Promettimi che ci sarai anche tu con noi, con me, su quel palco.» disse, e questa volta gliela afferrò davvero la mano, intrecciando le loro dita. La alzò di poco e la avvicinò alle labbra, baciandogli il dorso. «Ora devo andare, Ne-Ne. Domani, non appena finirà tutto, verrò qui e ti racconterò ogni cosa, perciò aspettami.» promise, rimettendosi in piedi. 
«Ah!» si abbassò sul suo viso, sussurrandogli all'orecchio con fare complice: «Se l'infermiera di prima sarà qui da te, domani, svegliati e urla, così so che c'è lei e aspetto che esca!» rialzò il busto, stringendosi nelle spalle, rabbrividendo.
«Non voglio che usi una siringa gigante su di me!» fece, fintamente spaventato. 
Dopo non aver ricevuto, come c'era d'aspettarselo, alcun tipo di reazione da parte di Aine, riprese a sorridere, scostandogli una ciocca di capelli dalla fronte prima di avviarsi verso la porta. 
Mise mano alla maniglia, stringendola forte. «Ricorda che domani voglio sentirti parlare! L'ho detto, no? Questa sarebbe stata l'ultima volta...» sospirò dal naso, voltando il capo di profilo. «Ciao, Ne-Ne.» disse, dedicandogli un' ultima occhiata con la coda dell'occhio e uscendo. Riprese dalla tasca della giacca mascherina e occhiali da sole, indossandoli, e inspirando profondamente, si diresse verso l'ascensore che lo avrebbe condotto al pianoterra, e da lì sarebbe andato al parcheggio, dove il suo fedele maggiolino lo stava aspettando. 
Sorrise. 
«Gah-gahn, Ne-Ne~ Non ho resistito nemmeno fino all'ascensore...» si strofinò gli occhi da sotto gli occhiali, tentando di asciugare le lacrime che aveva provato a ricacciare dentro fino ad ora.

§§§§
 
Ranmaru grugnì, appoggiandosi di schiena a quel catorcio che Reiji osava chiamare automobile.
Incrociò i piedi e si infilò le mani in tasca, attendendo pazientemente la fine di quella visita.
«Ran-Ran?» 
L'albino indirizzò lo sguardo verso quella voce. In fondo non aveva dovuto aspettare così tanto. 
«Cosa... perché sei qui?» tirò impercettibilmente su col naso, grato che le lenti scure riuscissero a nascondere gli occhi ormai arrossati. 
«Immaginavo che fossi venuto da Kisaragi.» confessò, sospirando. «Insomma, quando ti conci così per passare inosservato, so di poterti trovare all'ospedale.» spiegò, staccandosi dal maggiolino. 
Ranmaru non aveva avuto il piacere di fare la conoscenza di Aine, ma grazie a Reiji, sapeva dell'amicizia che li aveva legati in passato e, soprattutto, del mancato suicidio che l'aveva portato al coma.
«Come sta?» domandò, squadrando il castano da capo a piedi. Se credeva davvero di potergliela fare, si stava sbagliando di grosso.
Reiji si abbassò la mascherina, alzando un angolo della bocca in un mezzo sorriso. 
«È ancora piuttosto taciturno. Però, non so, forse è stata una mia impressione, ma ho sentito la sua mano più calda rispetto all'ultima volta...» si passò una mano tra i capelli, il labbro inferiore prese a tremargli.
«Ran-Ran, d-domani voglio d-dare il meglio di me p-per noi e per l-lui... ci farà c-compagnia sul p-palco, s-sai? N-non me l'ha p-promesso a p-parole, però i-io...» si interruppe, cominciando ad asciugarsi le guance nuovamente umide con i palmi delle mani, e una risata non fece a meno di sfuggirgli. 
Finiva sempre così con Ranmaru, non riusciva mai a fingere totalmente con lui, e non si risparmiava mai dal piangere in sua presenza, quando ne sentiva il bisogno e si trattava solo di loro due.
Il personaggio del clown veniva ogniqualvolta abbattuto dal rocker senza troppe difficoltà. 
«Vieni qui.» l'albino gli fece segno di avvicinarsi con l'indice. Reiji ubbidì silenziosamente, avanzando verso di lui con le spalle sobbalzanti.
Quando fu abbastanza vicino, Ranmaru gli tolse di dosso gli occhiali da sole, afferrandogli il viso tra le mani. 
«Ran-Ran...» disse tra un singhiozzo e l'altro, aggrappandosi ai suoi avambracci. «Ne-Ne c-ci sarà s-sempre a-accanto a me, i-io lo s-so. Dimmi c-che non p-pensi che s-sia una delle m-mie i-idiozie...» 
L'interpellato gli fece premere il viso contro il suo petto, cingendogli le spalle con le braccia. 
«Stranamente non lo è.» rispose, regalando sulle labbra del maggiore un leggero sorriso. 
«Dovremmo andare a provare.» gli ricordò Reiji. 
«Il conte e Mikaze aspetteranno un'altra mezz'ora. La colpa del ritardo va a te, comunque. Non credere che mi faccia impietosire.» 
Reiji strinse maggiormente tra le mani il tessuto della sua maglietta, allargando di poco gli angoli della bocca. 
«Diamo il meglio domani, Ran-Ran.»
«Come ogni volta.» 








Angolo autrice:

Della serie: è il pensiero che conta XD
Io e l'originalità andiamo poco d'accordo, e per quanto avessi voluto scriverti un momento Reine non ce l'ho fatta ç.ç 
Spero comunque che possa piacerti dato che c'è quella vena leggermente angst che so gradisci molto! XD 
Ti faccio ancora un sacco di auguri con tanto di abbracci e coccole varie! Buon compleanno! :33 


Takkun~

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Capitolo 4
*** I like the way you are ***


Il mercato degli idol continuava a crescere, soprattutto col successo che gli Starish e i Quartet Night avevano recentemente ottenuto. Erano nate nuove agenzie e il numero di talenti provenienti dall'Accademia Saotome era raddoppiato. La concorrenza aveva iniziato a farsi spietata e il lavoro iniziava ad esser "raro" da trovare. Solo i migliori manager riuscivano a procurarsi più di un ingaggio alla volta nel giro di breve tempo, ma, appunto, era questione di abilità, l'elemento che caratterizzava i migliori. Essere idol si era fatto sempre più difficile e soltanto i più “forti” sopravvivevano a quella che sembrava ormai essere una lotta alla "sopravvivenza". Darwin aveva ragione... heh.
-Tokiya, ben tornato!-
Attendevo il suo ritorno con entusiasmo, ogni sera, sulla soglia della porta. Le nostre giornate erano fitte di impegni e riuscivamo a vederci soltanto quando il cielo si faceva scuro. Attendevo con ansia il suo ritorno, poiché soffrivo moltissimo quelle lunghe ore senza di lui. Tokiya era il più quotato degli Starish e riceveva moltissime offerte di lavoro, nonostante la crisi. Era fantastico, perfetto, appsionato: non c'era da stupirsi sulla sua fama! Tra l'altro, era l'ex-idol Hayato e questo gli dava un certo... vantaggio. Continuava ancora ad esibirsi come tale, quando gli veniva chiesto. Nonostante la sua decisione e lo scandalo di qualche anno fa, aveva ancora dei fan che attendevano il ritorno del loro beniamino. Inutile dire che Tokiya non aveva il benché minimo interesse al ritorno alla sua carriera in qualità di Hayato, eppure, aveva molto a cuore i suoi precedenti fan e non gli dispiaceva accettare la loro richiesta, ogni tanto. Tuttavia, c'era solo una regola alla quale non poteva obbedire: rimanere single. Per noi idol era la regola più importante da seguire, poiché l'idol è solo e soltanto l'amante dei propri fan, ma si trattava di una richiesta impossibile perché l'amore colpisce quando meno te l'aspetti. Ed era stato proprio così per me e Tokiya, un amore inaspettato nato tra i "banchi di scuola". Tokiya mi rispose con voce debole, sventolando la mano per salutarmi. Si tolse le scarpe e le lasciò nell'ingresso, inflandosi poi le ciabatte. Dopodiché si avviò veso di me, dandomi un sorriso. Si fermò giusto a qualche centimetro e mi fissò, mentre il suo sorriso si allargava sul suo volto.
-Spero che tu non abbia piagnucolato durante la mia assenza.- disse, dandomi un colpetto sulla fronte. -Eh dai, Tokiya, smettila di prendermi in giro! Per tua informazione, sappi che non mi sei mancato affatto.- Voltai la testa facendo finta di essermi arrabbiato, gonfiando appena la guance.
-Oh, allora è così che stanno le cose, eh? Beh, credo che allora mi ritirerò nella mia stanza per non infastidirti con la mia presenza.- fece, accennando una leggera delusione nel suo tono di voce. -Ma prima...-
Con gesti rapidi portò una mano al mio volto, tenendo il mento tra il pollice e l'indice, e chinò il capo sul mio, rubandomi un bacio. Chiusi gli occhi, abbandonandomi ai miei sentimenti e gli portai le braccia dietro il collo, spingendolo verso di me per un bacio più passionale.
-Mi sei mancato molto, stupido.- bisbigliai, non appena mi separai da lui per riprendere fiato.
-Anche tu, Otoya.-
Ci guardammo brevemente negli occhi, in silenzio. I suoi bellissimi occhi azzurri erano marcati da occhiaie violacee. Era stanco e provato da quel ritmo serrato, ma non poteva farci nulla: cantare era la sua passione, dopotutto. Ciononostante, il suo sorriso era smagliante; la verità era che Tokiya si sforzava tantissimo di sembrare naturale nel sorridere, anche quando la bocca cercava di contorcersi involontariamente in uno sbadiglio.
-Sai, ti ho preparato una cenetta coi fiocchi.- aggiunsi, compiaciuto, sfoderando un sorriso a trentadue denti.
-Ecco...- incominciò, facendo subito una pausa.
Il suo sorriso si appiattì ed esitò prima di rispondermi.
Sapevo benissimo cosa significava. Tokiya era un fissato della dieta, della cucina salutare ed aveva una specie di complesso riguardo il suo fisico: doveva rimanere in forma a qualunque costo. Non osava mangiare cibo spazzatura, né qualsiasi tipo di cibo che potesse farlo ingrassare. Persino ai compleanni e alle feste si guardava intorno con sguardo perplesso, prima di fingere di fiondarsi su un piatto e “mangiare” qualcosa. Ne ero conscio e cercavo spesso di preparare qualcosa che incontrasse i suoi “gusti.”
Ma questa insana fissazione aveva radici ben più profonde e ultimamente la cosa si era fatta inspiegabilmente più seria.
-Ho capito, hai già mangiato fuori, vero?- dissi, continuando a sorridergli.
Sapevo che la sua era una bugia e sapevo benissimo che non voleva rifiutare, ma non importava. Ero ben conscio del fatto che per lui fosse un momento difficile e che stava attraversando una brutta fase, proprio per questo, io, non potevo lasciarlo solo. Volevo dargli tutto il mio supporto e ricordargli che ero lì, sempre pronto a dargli una mano, sempre pronto ad essere il suo sostegno numero io. Perché lo amavo.
Tokiya abbassò lo sguardo e fece un cenno con la voce in segno di conferma.
-Tranquillo! Lascerò gli avanzi per domani, allora!-
Rimase alquanto sorpreso da quelle parole, ma si ricompose subito rivolgendomi un sorriso.
-Devi essere stanco. Ti preparo del té e andiamo a dormire, che dici?-
-Ma avevamo in programma di vedere...-
Schioccai la lingua. -No no, non voglio affaticarti. Hai bisogno di riposare, giusto? Perciò... Ti terrò compagnia. Ti sorveglierò mentre dormirai.-
Con un sorriso leggermente compiaciuto, Tokiya mi diede un’occhiata, come se volesse rimproverarmi. Ma non osò fiatare. Gli piaceva e mi era grato per il modo in cui gli dimostravo il mio affetto e per come volessi prendermi cura di lui. E forse, aveva capito...?
Dopo un altro bacio, ci staccammo e rientrammo.
*** Avevo finito di preparare il té. Era caldissimo, perciò lo versai in alcune tazze e lo portai in camera da letto. Tokiya stava facendo degli esercizi ginnici. Poggiai le tazze sul comodino e rimasi in attesa, in silenzio, mentre scrutavo il suo torso scoperto leggermente grondante di sudore. Era davvero magro e nonostante la muscolatura, si poteva notare che il corpo era leggermente deperito: le ossa del costato erano leggermente visibili. Non mangiava molto e si sottoponeva ad esercizi quotidiani che il suo corpo non poteva reggere, a causa della stanchezza e dell’apporto di sostanze nutritive inadeguato.
-Tokiya?-
Smise per un momento e mi rivolse lo sguardo.
-Sì, Otoya?-domandò lui.
-Dobbiamo parlare.- gli dissi, con voce grave e sguardo serio.
-E’ successo qualcosa?-
Sembrava preoccupato. Scossi la testa, poiché non era ciò a cui stava pensando, il tema della nostra discussione. Il che sembrò lasciarlo di stucco.
-Sai, ultimamente mi sembri un po’ diverso. Credo che dipenda dal lavoro, ma non ho davvero idea di che cosa si tratti. Ho l’impressione che tu stia cercando di portarti dietro un peso difficile da reggere. Vorrei solo chiederti di condividere quel peso con me. Non voglio vederti soffrire e se posso fare qualcosa per aiutarti, devi soltanto dirmelo.-
Fece un respiro profondo. Sembrava spiazzato dalle mie parole.
Diminuii la distanza tra di noi, e lo presi per un braccio.
-So che è difficile parlarne, ma qualunque cosa sia, sappi che sarò sempre con te. Io sosterrò ogni tua scelta e sarò con te fino alla fine. Tuttavia, non posso sopportare che tu sia infelice.-
Mi fissò dritto negli occhi e aprì appena la bocca, come per dire qualcosa, ma attese.
-...Credimi, non si tratta di te. Hai già abbastanza problemi di tuo e aggiungerne un altro mi sembra ingiusto.-
Scossi la testa. - Non potresti mai infastidirmi. Se hai bisogno di aiuto, è normale che io sia lì a dartene. Dopotutto, siamo una coppia, no?-
Mi guardò, dandomi un sorriso, e annuì.
-Sì, è vero. Ed è proprio per questo che non voglio assillarti.-
-Si tratta del lavoro, vero?-
Annuì. -Sai meglio di me qual è la situazione. Non è sufficiente. Dobbiamo lavorare tanto se vogliamo rimanere in vetta. E per lavorare dobbiamo anche fare dei sacrifici....-
Sacrifici...
-Per sacrifici... Parli della nostra relazione?-
-No, no!- si affrettò a chiarire. -Non parlavo di noi. Non saresti mai un problema per me. Ma vedi, per essere un idol non bisogna sacrificare soltanto i sentimenti. Veniamo scelti in base alla nostre capacità, in base al nostro aspetto e in base alle preferenze dei fan. E queste, purtroppo, dipendono da come appariamo...- -Tokiya...- mormorai. Iniziavo a comprendere meglio la situazione. Per il bene del suo lavoro, e soprattutto, della sua passione, faceva del suo aspetto un importante punto debole a cui doveva prestare particolare attenzione. Non ci voleva un genio per capire cosa intendesse con quelle parole: il fisico. A causa della malata idea secondo cui un idol più era magro, più era affascinante, Tokiya era caduto vittima di un complesso difficile da risolvere.
-Ma, Tokiya, tu non hai problemi a riguardo, no?- domandai, cercando di capire da dove provenisse la sua preoccupazione.
-Ecco...- fece un risolino, dovuto all’imbarazzo. -Si parlava di me in una rivista e secondo alcune fan ho messo su qualche chilo. Non riesco a spiegarmi come se ne siano accorte loro, ma non io.-
Scossi la testa espirando profondamente.
-Tokiya... Sai che sulle riviste pubblicano un mucchio di fesserie!- esclamai, cercando di non assumere un tono di biasimo.
Inclinai appena la testa e lo guardai con pietà, portando le mani sui fianchi. -Avresti dovuto parlarmene, sai? I media sono capaci di scrivere qualsiasi cosa pur di distruggerci e tu sei caduto vittima della loro trappola. So benissimo che il nostro aspetto conta parecchio e che questo si ripercuote sul nostro lavoro, però non devi darci peso. Quello che più conta è che piaci a me.-
Gli rivolsi un mite sorriso, spalancando le braccia per abbracciarlo.
-A me piaci così come sei. Non hai bisogno di dimagrire, sottoporti a diete ed eserci fisici estenunati o stancare il tuo corpo per avere un nuovo incarico. Mi interessa sapere che tu stia bene con te stesso e che possa goderti un po’ di meritato riposo tra un incarico e l’altro... E vorrei che passassi più tempo con me.-
-O...otoya...-
Ricambiò l’abbraccio, portando una mano sul capo e accarezzandolo.
-Scusami tanto. Non era davvero mia intenzione farti preoccupare. Ti ringrazio per le tue parole e per essermi stato vicino, nonostante tutto. Le tue parole sono state di conforto. Grazie.- disse, baciandomi sulla fronte.
-So che le mie parole ci metteranno del tempo per raggiungerti, ma... Non esitare a chiedermi aiuto in futuro, okay?-
Mi accarezzò una guancia, facendo scorrere il pollice fino al labbro superiore, poi si chinò sulle mie labbra.
-Lo farò, tranquillo.-
La sua voce si bloccò non appena le nostre labbra si incontrarono per un bacio, premendo dolcemente le une sulle altre.

Angolino dell’autrice: Ooooccciiù! Dobrij den’ Stariiii, auguri di buon compleanno!!!! :D Scusaci per il ritardo, ma ci tenevo a fare qualcosa di buono... Anche se ho fallito miseramente *ride* Non potendo fare un regalo migliore, mi è venuto in mente di torturare i miei adorati ragazzi. Spero che la storiella ti piaccia comunque! Un bacione, Leren! :3 (ps con tutto questo fluff, posso stare un mese senza dolci!)

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