Imirdyr

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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il passato di Elaera ***
Capitolo 2: *** Thyag ***
Capitolo 3: *** La magia di Sabya ***
Capitolo 4: *** L'inferno a Thyag ***
Capitolo 5: *** Sospetti e speranze ***
Capitolo 6: *** Una nuova casa ***
Capitolo 7: *** La strada verso casa ***
Capitolo 8: *** Persa ***
Capitolo 9: *** L'abisso ***
Capitolo 10: *** Rivelazioni ***
Capitolo 11: *** Un nuovo stile di vita ***
Capitolo 12: *** L'incubo e il divertimento ***
Capitolo 13: *** Il viaggio di Elaera - Verso il Nord ***
Capitolo 14: *** Grazie... ***
Capitolo 15: *** La profezia - Il viaggio ***
Capitolo 16: *** Verso le città innevate ***
Capitolo 17: *** Il cammino da percorrere ***
Capitolo 18: *** Cambio di piani ***
Capitolo 19: *** Donna Edel e il nuovo lavoro di Elaera ***
Capitolo 20: *** La figura misteriosa ***
Capitolo 21: *** La regina del Sud ***
Capitolo 22: *** La reliquia ***
Capitolo 23: *** Fiori ***
Capitolo 24: *** Incontri fastidiosi ***
Capitolo 25: *** Cattive Notizie ***
Capitolo 26: *** Conoscenze (in)desiderate ***
Capitolo 27: *** I nuovi compagni di viaggio ***
Capitolo 28: *** Qualcosa si muove - Notizie inaspettate ***
Capitolo 29: *** Gwendal ***
Capitolo 30: *** Lo straniero venuto da Ovest ***
Capitolo 31: *** Qualcosa si muove – Il peso della fede ***
Capitolo 32: *** Il passo di Ird ***
Capitolo 33: *** L'odio di Reyeha...e di Valerie. ***
Capitolo 34: *** Finalmente a Seska-sayril ***
Capitolo 35: *** Confessioni e incontri ***
Capitolo 36: *** Imbarazzi e offerte ***
Capitolo 37: *** Piani nascosti ***



Capitolo 1
*** Il passato di Elaera ***


NOTE DELLE AUTRICI
La storia vede come protagonisti più personaggi e si incentra nei vari capitoli su rami narrativi diversi. Ogni qualvolta la copertina cambierà, saprete su chi sarà incentrato il capitolo scritto. Noi ci alterneremo a scrivere a seconda del personaggio e del ramo narrativo, poiché la storia la portiamo avanti in tre, curandone trama e disegni, nonché i vari personaggi e i loro caratteri. Speriamo che nonostante questo la lettura possa risultarvi piacevole e facile. 
Ebbene, siete pronti ad irmergervi nel regno di Imirdyr? 
-Ele-




Capitolo 1°: Il passato di Elaera


In un tempo in cui gli uomini vivevano divisi, quattro regni, stanchi delle numerose battaglie per il predominio che li avevano coinvolti e vogliosi di raggiungere finalmente la pace, scesero ad un accordo. Nacque così un’alleanza. I regni del Nord, dell’Est, del Sud e dell’Ovest furono unificati sotto il governo di un consiglio. Quest’organo era capeggiato dai re umani e dai loro consiglieri. Il consiglio dell’alleanza fu incaricato di dirigere ogni relazione tra i vari popoli che abitavano quelle terre, garantendone la pace e impedendo a qualsiasi male di nuocere alla nuova nazione appena nata. Al neo regno, fu dato il nome di Imirdyr.

 

Vi era nel regno dell’Est una piccola cittadina posto al limitare dei confini della foresta, chiamata da quelli che l’abitavano “Fondo di palude.”

 La cittadina non era grande o di vitale importanza, non era nemmeno segnata sulle mappe ed era governata dal piccolo consiglio degli anziani del villaggio. Anche se pur sempre soggetti all’autorità suprema del re e del consiglio dell’alleanza, essendo così minuscola, la cittadina era dimenticata da tutto e da tutti.  Gli abitanti provvedevano a se stessi vivendo dello stretto necessario che riuscivano a produrre, portando avanti una vita semplice ma perlomeno felice.

Nel paesello viveva con la sua famiglia una bambina dagli occhi scuri come la notte e i lunghi capelli color bronzo. Il suo nome era Elaera ed era conosciuta da tutti gli abitanti come una ragazzina silenziosa e ubbidiente. La bimba cresceva libera e spensierata, giocando e ridendo felice, nonostante la miseria in cui versava la sua famiglia come il resto dei suoi compaesani.

 Nell’estate dei suoi 11 anni, un manipoli di soldati diretti in frontiera per contrastare le sempre più numerose incursioni dei barbari, venne a stabilirsi nel suo paesino trasformandolo in accampamento militare e sfruttandone tutte le risorse in cambio della loro “protezione”.

Gli abitanti della cittadina iniziarono a morire di fame, ad impazzire a causa della paura degli scontri che sembravano sempre più vicini e ad uccidersi tra di loro pur di sfamare le proprie famiglie.

Non passò molto tempo prima che  Fondo di palude finisse rasa al suolo durante una rappresaglia; l’esercito del re o meglio, il manipolo di soldati flaccidi e pigri che si erano stabiliti lì, venne sconfitto e l’avamposto raso al suolo. Fu un vero e proprio massacro.

Donne,uomini,vecchi e bambini furono chiusi nell’edificio maggiore e furono lasciati ardere nelle fiamme mentre i vili barbari banchettavano con le provviste rubate all’esercito.

Gli unici superstiti di quella carneficina, scampati chissà come al massacro, furono due bambini. Elaera e suo fratello minore Aeni. Grazie al coraggio della madre, i due ragazzini erano riusciti a fuggire nelle foreste dell’est e a non essere fiutati dai segugi dei barbari.

Purtroppo per loro, la fuga non era una vera e propria salvezza. Senza né cibo né acqua erano in seria difficoltà. Il destino li vedeva ad un bivio. Da un lato la morte crudele per mano barbara, dall’altro quella per disidratazione o fame nella foresta.

I due fratelli corsero e si nascosero nel folto della boscaglia, aspettando che i loro inseguitori rinunciassero alla ricerca. Erano in salvo, almeno per il momento.

Ma la fame non attende. E’ un verme che ti si annida dentro e ti rode le viscere fino a farti impazzire, ti fa perdere la razionalità e ti porta a rischiare il tutto per tutto.

 A causa di ciò, Aeni morì pochi giorni dopo ingerendo dei funghi velenosi.  Elaera,distrutta per lo shock, non riuscì ad allontanarsi dal corpo del fratellino, riverso con la bava alla bocca e gli occhi ancora aperti in un muto grido di aiuto. La bambina in lacrime, senza più speranza, svenne esausta sul suo piccolo corpicino.

Elaera si risvegliò dolorante e confusa in una piccola costruzione, situata nella parte più oscura e nascosta della foresta. Era stata salvata da qualcuno, ma da chi? Un’eremita, con una folta barba grigia e un corpo ancora tonico per la sua età, fece il suo ingresso qualche istante dopo nella casetta.

L’uomo aveva abbandonato la società, disgustato dall’animo umano e dai continui massacri, dalla così netta separazione tra status civili, decidendo di vivere quel che gli restava della sua vita a contatto con la forza primaria della natura. Forza che lui temeva e rispettava sopra ogni cosa.

 La solitudine e l’austerità del luogo l’avevano reso burbero, indurendone i lineamenti del viso. Il vecchio la fece mangiare, lavare, la curò e l’accudì quasi fosse una figlia, finché non fu di nuovo in forze. Nonostante le apparenze, l’uomo si rivelò assai gentile con la ragazzina in difficoltà. Quando fu completamente rimessa, il vecchio la condusse nel punto in cui aveva seppellito il corpo del suo fratellino. Una piccola e semplice fossa, larga poco più di un metro e abbastanza profonda, ricoperta da pietre e terra.

La bambina scoppiò in lacrime e lì stette, fino al mattino successivo. Quando finalmente la piccola si decise a rientrare nell’abitazione, l’uomo la mise davanti a una scelta: tornare da dove era venuta o sottostare alle sue regole, impegnandosi a lavorare per lui, per garantirsi vitto e alloggio. Invero, l’uomo sperava che la ragazza scegliesse la seconda opzione. Sentiva la mancanza dei suoi simili, gli mancava di sentire una voce umana tra quelle animali e in quel breve lasso di tempo trascorso con Elaera, in quei pochi giorni passati a contatto con lei, se ne era affezionato. Elaera, avendo perso ogni caro e comprendendo che se fosse tornata indietro sarebbe sicuramente morta, decise di restare a vivere con il vecchio eremita svolgendo i fin troppi numerosi lavori domestici che questo sembrava volutamente trascurare.

L’eremita le insegno tutto ciò che sapeva, allevandola e crescendola come meglio poteva.

Le insegnò a leggere, a disinfettare le ferite, a cucirle, a cauterizzarle; le insegnò quali erbe avevano poteri curativi e quali invece andavano evitate, gli fece imparare a memoria ogni nome di ogni singola pianta. Ogni volta che trovavano un animale ferito lo soccorrevano o se era troppo tardi per salvarlo, ponevano fine alle sue pene. Le insegnò ad impugnare la spada, a rotearla con maestria, a sferrare fendenti precisi e a difendersi.

Elaera non capiva per quale motivo dovesse imparare anche a combattere, ma fece ogni cosa che il suo salvatore senza nome gli chiedeva, diligente e seria, apprendendo da lui tutto ciò che quello era disposto ad insegnarle.

 Intanto il tempo passava e Elaera cresceva, facendosi più forte, bella ed esperta della foresta ogni giorno di più, mentre il vecchio si faceva sempre più debole, vecchio e lento.

 L’inverno in cui Elaera compì 17 anni, il vecchio si ammalò e nessun’erba o rimedio che la ragazza conoscesse riuscirono a curarlo. Morì pochi mesi dopo, dopo una lunga agonia, soffocato da  una crisi terribile. Elaera rimase di nuovo sola, a farle compagnia solo l’ultimo desiderio del vecchio. L’uomo sognava di vederla tornare dai suoi simili.

 “La foresta non è il tuo posto. Anche se ti ci trovi bene, altro ti aspetta. Un giorno capirai.”

Quelle parole che lui ripeteva sempre ora le rimbombavano in testa con una tale convinzione, che la lasciavano stupita, confusa e indecisa.

 Elaera seppellì quel vecchio che ormai era abituata a chiamare padre, il suo maestro, l’uomo che gli aveva dedicato gli ultimi anni della sua vita, proprio accanto alla tomba di suo fratello Aeni. Gli doveva tutto.

 Per riconoscenza, decise di esaudire il suo ultimo desiderio. Raccolse le sue cose, raccogliendo tutto ciò che potesse servirle per il viaggio e decise di partire. Poteva fare una sola cosa: viaggiare.

Con il suo enorme zaino sulle spalle, iniziò la sua avventura alla ricerca di se stessa e dei suoi simili. 

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Capitolo 2
*** Thyag ***


 

Capitolo 2: Thyag

Si trovava in una stanza in penombra, illuminata solo da poche candele, che emanavano una luce rossastra. 

Un individuo incappucciato, tutto nero. 

Un'ombra, si stava avvicinando a una piccola culla e sembrava non notarla. 

Le sue movenze erano lente e viscide e il suo respiro un suono infernale. 

Dalla culla, una piccola creaturina iniziò a emettere gemiti soffocati per poi scoppiare a piangere. La spaventosa figura si chinò sulla culla, ignorando i suoi tentativi di fermarlo, di cercare di salvare il bimbo. Ma non si poteva muovere, anche volendo non avrebbe potuto fare nulla. Era paralizzata. 

Il terrore? Anche, ma non solo, non era solo quello a fermarla. 

Guardò in basso, per vedere cos'era che non andava con il suo corpo ma non vide nulla. Non c'era un corpo. Lei non esisteva. Non era materiale e di conseguenza non poteva agire. Poteva solo restare a guardare quell'orrida figura avvicinare le sue mani al piccolo. Provò a urlare. Niente. Nessun suono uscì dalla sua bocca. Ora era certa di non poter fare nulla. Era soltanto uno spettatore. Uno spettatore privo di forma. La figura prese il bambino piangente in braccio e sul suo viso si disegnò uno spaventoso ghigno. 

-Aaaaaaaaaaaah!- Reyeha si svegliò si soprassalto, urlando. Era sudata e tremante e si sentiva debole. Erano un paio di giorni che faceva lo stesso incubo. Guardò fuori dalla finestra, era appena iniziata a sorgere l'alba. Provò a riaddormentarsi, era stanca siccome non riposava bene da un pò di tempo e due orette di sano sonno non le avrebbero fatto male... ma niente. 

Rimase a letto un'altra ora, girandosi e rigirandosi sul materasso di paglia cercando di riprendere sonno, invano. 

Allora, con un sonoro -mmmmmmmmmmmm- di protesta contro se stessa rotolò al margine del letto. Fece scivolare fuori dalle lenzuola le gambe, finendo in ginocchio accanto al letto con la testa ancora ficcata sotto le coperte e le braccia allungate in avanti. Poi si tirò su con il busto, portandosi appresso la coperta, ancora sulla testa e facendo scivolare le braccia sulle lenzuola, per poi abbandonarle lungo i fianchi, come se non ne avesse il controllo. Era il suo modo di "alzarsi dal letto" quando si destava stanca o quando non voleva svegliarsi, per poi mettersi in piedi e, barcollante andare in cucina, con la coperta ancora addosso a coprirle la visuale. Tanto non le sarebbe servita a molto visto che camminava con gli occhi chiusi. Non andava a sbattere contro ogni cosa solo perché ormai conosceva la casa a memoria. 

Arrivata in cucina, si sedette al tavolo lasciando cadere la testa, ancora avvolta nella coperta su di esso. I suoi genitori erano già svegli siccome al villaggio era festa. 

In quella data si festeggiava il Dio Raidy, protettore del villaggio. Era la festa più importante dell'anno e poteva durare anche diversi giorni, talvolta anche una settimana. 

Il paesino, di nome Thyag si riempiva di mercanti e la gente chiamava ogni anno un circo che restava un giorno solo, anche perchè i pesani non avevano abbastanza soldi per farli restare più a lungo. Tutti gli anni, il circo metteva in atto lo stesso spettacolo e bambini, adolesceti, adulti, anziani, cani, porci, gatti e specie estinte lo conoscevano a memoria. 

Tuttavia, solo nominare il circo era sufficiente per scatenare il putiferio tra i ragazzini. Putiferio che, più in là sarebbe stato scatenato anche da Reyeha, la ragazzina di 10 anni, paffutella con gli occhi da cerbiatto e capelli castani che sfumavano verso il rosso, che ora era mezza morta sul tavolo della cucina, avvolta ancora nella sua coperta, ma appunto, DOPO perchè prima doveva svegliarsi. 

-Ancora l'incubo?- Le chiese la madre sorridendo, mentre passava indaffarata per la cucina. 

-Mmmmm- Questa risposta era per Reyeha "la frase di senso compiuto" con la quale replicava a ogni domanda nelle mattinate sonnolente come quella, nella quale lo svegliarsi richiedeva ancora un’oretta. 

-Capisco... fammi finire di sistemare e ti porto il latte. -

-Mmhm.- 

La madre ridacchiò. Fu allora che entrò il padre in casa, tutto sorridente, come sempre d’altronde. 

Era un uomo alto, abbastanza piazzato, con capelli castani, tagliati molto corti e due occhietti vispi del colore del carbone. Un uomo ancora giovane e in forze e moderatamente di bell'aspetto, che dopo aver baciato la madre, una donna della sua stessa età e bell'aspetto, con dolci occhi castani e lunghi capelli color bronzo scuro tirati su in una cipolla, si fiondò sulla figlia, con l'energia che, data l'età, avrebbe dovuto avere lei... 

-Allora! Pronta per la grande festa!? Non sei contenta!? Oggi c'è il circo! Andiamo lo so che non vedi l'ora! Su su! Forza, voglio energia! -

Mmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmm. -

-Ci sono anche le bancarelle!- 

Reyeha sembrò sollevarsì un pò. Lei adorava le bancarelle, sopratutto quelle che vendevano roba dall'aspetto antico, magari vecchi gioielli che valevano poco o niente, che non indossava ma che amava avere in camera. Una specie di collezione. Una tra le tante... infatti ne aveva altre: collezioni di sassi, tappi di bottiglia, cose strane che trovava in giro, ecc... 

Il padre le passò accanto e le tolse al volo la coperta dalla testa, lasciandola spettinata e confusa. 

-Mmmmm la luce... troppa luce... -

-Lascia perdere la luce! Le vuoi le cose alle bancarelle? Allora su! Forza! Svegliati e vestiti! Poi vai a lavarti la faccia! -

-Ffffff questo è ricatto...-Brontolò 

Però per le bacarelle lo fece, anche se molto lentamente e traballante. Dopo, andò in cucina e bevette il suo latte, per poi uscire fuori e ficcare praticamente la testa dento il barile pieno di acqua gelata, che finalmente la svegliò. Fu allora che realizzò veramente tutto: festa, bancarelle, circo, niente scuola! L'euforia apparve tutta insieme e la ragazzina corse dal padre tutta allegra. 

-Allora!? Con cosa ti devo aiutare? -

-Con niente! Oggi è festa, va a divertirti!- 

Gli occhi dei Reyeha si fecero grandi per la gioia, si fiondò a casa dei suoi amici con uno "yohooo!" Questi però non facevano incubi che li svegliavano prima dell'alba, perciò alcuni erano ancora addormentati. A dirla tutta solo Bertiss, che doveva badare ai fratelli minori e Groych si erano già destati... Per gli altri, si fiondò alla loro finestra, urlando per svegliarli. Furono pochi a lamentarsi di essere stati svegliati così presto, perchè tutti non vedevano l'ora di curiosare tra bancarelle, mercanti e stranieri. Quando la banda fu al completo, i ragazzini si misero a correre da una parte all'altra del villaggio, infastidendo mercanti e cercando i circensi. Provavano a muoversi il più in fretta possibile, schivando carri, la gente del villaggio indaffarata, cassette e barili. Non erano tutti molto agili, tantomeno Reyeha che era la più tonda del gruppo. Però la seguivano, perchè era lei a capeggiare la comitiva. Il motivo? Non lo sapeva nemmeno lei... semplicemente era a lei che chiedevano sempre cosa fare e dove andare. 

Non trovarono il carretto di circensi e iniziarono a chiedersi se quell'anno non sarebbe venuto, anche perchè era solito arrivare all'alba per preparare il tutto. Decisero di andare alla taverna del villaggio, da Kamer, la barista che sembrava sapere sempre tutto. Non perchè fosse pettegola, ma perchè le pettegole andavano da lei e le dicevano tutto, con lei che annuiva non tanto sicura di ascoltarle. Fatto sta che il messaggio lo registrava e l'informazione restava. Quando il gruppetto si presentò sulla soglia della taverna, Kamer li guardò sconsolata. Era una donna mediamente alta, snella, sulla quarantina, con corti capelli castani e stanchi occhi marroni. 

-Oddio... ma quanti siete?!- Disse con voce calma che nascondeva una nota di disperazione.

Non amava particolarmente i bambini... ma con Reyeha si era sempre comportata in maniera gentile. Forse perchè era buona amica dei genitori, si diceva sempre lei. 

-Promettiamo di andarcene subito! Ma sai dirci se il circo viene quest'anno!?- Le chiese Reyeha visto che gli altri bambini si rifiutavano di parlare alla barista perchè intimoriti. 

-Si, ho sentito che sono solo in ritardo. In fondo è ancora presto... infatti non dovreste dormire voi a quest'ora?!- 

-Ho fatto un'incubo...- Borbottò Reyaha -Quindi mi sono svegliata prima dell'alba, e mezz'oretta fa sono uscita di casa e ho chiamato gli altri!- 

-Un'incubo... Hmm, capisco.- 

-Già è da circa una settimana che faccio lo stesso incubo...- 

Gli occhi di Kamer si posarono sulla bambina preoccupati, ma non disse nulla. Subito dopo , la comitiva di "mocciosetti" uscì dal locale lasciando in pace lei e i suoi clienti. Non appena iniziarono a giocare, Kamer, che a quell'ora non aveva molti clienti, andò calma alla porta della locanda e si apoggiò all'uscio, seguendo con lo sguardo i bambini. Poco dopo, una grande ombra passò veloce per il villaggio, che si zittì e fermò all'istante. Kamer alzò lo sguardo al cielo, vide un immenso drago rosso scuro volteggiare un paio di volte sopra il paesino per poi andarsene. 

I draghi erano creature abbastanza rare e in genere non attaccavano i villaggi dell'est, poichè non potevano fornire loro risorse di cibo, non avendo greggi di pecore o vacche. Al massimo, c'era una vacca o due per villaggio e il fortunato che l'aveva ne ricavava soldi vendendo il suo latte ai compaesani. Forse un paio di pecorelle qua e la, ma niente di più. 

Di norma, i villaggi più attaccati erano quelli dell' ovest, siccome possedevano grandi distese di terra, sulle quali pascolavano interi greggi di bestiame. Comunque sia, la paura c'era sempre e ogni volta che passava una drago (cosa che era diventata insolitamente più spessa nell'ultimo periodo) tutto nel paesino taceva, per non attirare la sua attenzione. Cessato il pericolo, Kamer tornò a guardare Reyeha e il mucchietto di ragazzini accanto a lei. Si stavano alzando da terra, ridendo, perchè quand'era passato il drago per guardare in aria e vederlo, si erano distratti e da bravi idioti non avevano smesso di correre, andando a sbattere contro un carro, più esattamente ci era andata a sbattere Reyeha, seguita a ruota dai suoi amici. L'unico che si era salvato dalla botta era Groych, il più agile del gruppo.

Da dietro il carro sbucò una testolina gialla, dalle orecchie a punta. Era una bambina, poco più piccola di loro e le orecchie a punta suggerivano che fosse un elfo. La bambina uscì dal carro preoccupata. 

Aveva lunghi capelli lisci e biondi, che finivano con dei gentili boccoli, grandi occhi verdastri che guardavano agitati il gruppetto e un vestitino grazioso, che le arrivava fino alle caviglie lasciandole scoperte un paio di scarpette leggermente a punta. La figura slanciata degli elfi la faceva sembrare più grande ed elegante di quanto non fosse in realtà. Era davvero carina, troppo carina e lo aveva notato anche Groych, cosa che a Reyeha non stava affatto bene. 

-Vi siete fatti male? Tutto a posto?.- Chiese preoccupata. 

-Fatto nulla tranquilla!- Fu Groych a rispondere questa volta. 

-Parla per te!- Intervenne subito Reyaha, fissandolo innervosita. Il suo sguardo però andò di nuovo a posarsi sull'elfetta, quando la sentì ridere di gusto. 

-Certo però che siete cretini eh! Siete andati a sbattere tipo in cinque contro un carro solo!- Disse allora la ragazzina divertita. Reyeha ora la stava guardando peggio di prima, fece per andarsene ma la bimba d'elfo la fermò. 

-Scusa! Scusa!- Disse, ancora divertita.- Ma eravate molto buffi! Comunque piacere! Io mi chiamo Sabya!.- 

Tese la mano a Reyeha che, per buona educazione, solo per quella, si era ripresentata a sua volta, per poi essere seguita a ruota dai compagni, maschietti sopratutto che si spingevano l'un l'altro per presentarsi per primi. Reyeha brofonchiò un -pfff... solo perchè ha un paio di boccoli!- per poi andarsene, seguita solo da Bertiss, che era quella che le stava più attaccata di tutti e sembrava avere una specie di cotta per lei. 

- Non ti piace Sabya verò!?.- Le chiese Bertiss. 

-Hmm... non tanto...ora vado un'attimo a casa da mamma, così mi ripulisce la sbucciatura al ginocchio. Ci vediamo dopo ok!? -

-Se vuoi ti accompagno! - 

-No tranquilla, non ci metto molto.- 

Reyeha iniziò a correre tintinnate verso casa. Una volta arrivata sulla soglia, fece per entrare ma la voce di Kamer che parlava con i suoi genirìtori la fermò. Lo sapeva che non era bello origliare ma era curiosa e se fosse entrata non avrebbero più continuato il discorso. Si mise all'ascolto. 

-Perché non mi avete detto dell'incubo?- Chiese la barista. 

-Non pensavamo fosse necessario.- Rispose la madre.- Non crediamo sia niente di preoccupante. 

-Ha detto che è da circa una settimana che continuano, no? Non vi sembra preoccupante? Non vi sembrano preoccupanti anche i bei draghetti che svolazzano qua in zona ultimamente?-  Il tono di voce di Kamer era sempre calmo ma aveva una nota accusatoria. A Reyeha dette fastidio, ma non intervenne. Stavano chiaramente parlando di lei e dei suoi incubi e voleva sapere perchè erano tanto "preoccupanti". Ma i draghi!? Cosa centravano i draghi in quel discorso? I suoi incubi erano tanto preoccupanti quanto i draghi che svolazzavano sopra la città!? Erano davvero tanto gravi!? Stava per morire, se lo sentiva. Poi, perchè era Kamer a rimproverare i suoi genitori?! Cosa centrava lei? 

- Non è detto che siano collegate le due cose! Secondo me non dobbiamo preoccuparci!.- Ora era il tono potente del padre a pronunciare quelle parole. 

-Si invece, Balton! Dobbiamo preoccuparci! I suoi poteri sono rimasti bloccati tanto a lungo! Cosa pensi succederebbe se di botto si riattivassero!? Lo sapevate sin dall'inizio che sarebbe potuto succedere e sapete anche cosa devo fare ora! Perciò non intralciatemi! Sto parlando per il vostro bene e per quello di tutto il villaggio!

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Capitolo 3
*** La magia di Sabya ***


Capitolo 3: La magia di Sabya


Uno stato d'ansia e confusione invase Reyeha. 

Poteri? Lo sapevano sin dall'inizio? Per il loro bene e quello del villaggio? Ma che stava succedendo? Cosa significava tutto ciò? 

Le domande si moltiplicavano nella testolina della bimba. 

Non capiva e non sapeva che fare. Doveva entrare e far capire loro che aveva sentito tutto? O se ne doveva semplicemente andare? Chi sa cosa le avrebbero fatto se fosse entrata... 

Il rumore di passi che si stava avvicinando alla porta però, la fece distogliere dai suoi pensieri. Corse subito via, con il cuore che batteva all'impazzata e dopo essersi nascosta dietro il primo barile che trovò, vide Kamer uscire dalla sua casa. Ora la barista faceva paura anche a lei. 

Stava ferma li dietro al barile, senza muoversi. Aveva paura di uscire allo scoperto. La tensione stava crescendo sempre più, quando sentì una mano toccarle la spalla. Tutti i muscoli del suo corpo s' irrigidirono sotto quel tocco, Kamer l'aveva trovata e ora avrebbe fatto quello che doveva fare per il bene del villaggio. Si girò lentamente terrorizzata, per scoprire che la persona che le aveva toccato la spalla era Sabya, l'elfetta antipatica di prima. 

-Mi hai fatto prendere un colpo! Ma che ti salta in mente di andare alle spalle della gente così?- L'elfetta si mise di nuovo a ridere. 

-Scusa non era mia intenzione. Ma come mai ti nascondi? Hai combinato qualcosa?- 

-Non lo so...- 

Sabya la guardò con aria interrogativa, ma non chiese altro. Sembrava essere una ragazzina abbastanza sveglia da capire quando doveva o non doveva parlare. L'occhio le cadde sul ginocchio di Reyeha. 

-Hey! Ma te stai perdendo sangue! E' per la botta di prima immagino...

 -Già...-

-Certo non è colpa mia se voi ci siete andati a sbattere contro ma era pur sempre il mio carro, perciò se vuoi possiamo andare li e fare qualcosa per quella ferita...-

A Reyeha non piaceva molto l'idea, ma era pur sempre meglio di tornare a casa. Almeno per ora. Arrivate al carro Sabya andò in contro a un'uomo di mezza età, sovrappeso, con occhi piccoli e l'assenza di capelli marroni al centro della nuca. 

-Papà! Papà, lei è Reyeha, una del gruppo di bambini che prima è andato a sbattere contro il nostro carro.-

Papà? Ma quel uomo non era chiaramente un'elfo. Non aveva nulla a che fare con gli elfi.... 

-Oh capisco!- Rispose l'uomo sorridendo in maniera gentile. Poi guardò la ferita di Reyeha e la invitò nel carro, così da poterla curare. 

-I miei genitori mi hanno detto di non salire sulle carrozze dei mercanti...- Disse guardando in maniera diffidente l'uomo. 

-Hey ma sul serio!?- Sbottò Sabya. Il mercante iniziò a ridacchiare. 

-Fa niente, fa niente! Calma Sabya! Allora ti fascerò il ginocchio qua fuori, va bene così?- Reyeha brontolò un -mhm- di consenso. Dopo che il padre di Sabya le fasciò il ginocchio, Reyeha e l'elfetta andarono a sedersi su una cassa poco distante dal carro. Allora Reyeha cercò di chiarire i suoi dubbi 

-Senti Sabya... maaa... tu sei un elfo?- Cosa che era abbastanza ovvia, ma lei chiese per sicurezza. 

-Si certo, perché non si vede?- Disse l'altra ridacchiando. 

-E tuo padre? Anche lui lo è?- Non lo era chiaramente, ma ancora una volta era sempre meglio chiedere. 

-No.-

-Quindi... somigli molto a tua madre?- 

-Io non ho una madre.

Reyeha ora era confusa, più di prima. 

-Ah.-

 Sabya iniziò a ridere di gusto, mentre Reyeha se la guardava perplessa. Una volta fermatasi dal ridere le disse: -Sapevo sin dall'inizio dove volevi andare a parare! Ma scusa era divertente! Avresti dovuto vedere la tua faccia!- E ri-iniziò a ridere. Non era una risata sonora, più che altro diventava tutta rossa e nonostante sembrava che ridesse a crepapelle, tutto ciò che emetteva erano una sottospecie carina di squittii. Senza accorgersene, anche Reyeha era scoppiata a ridere a causa della risata dell'elfetta. Una volta che si fermarono Sabya placò i dubbi di Reyeha. 

-Allora, tutto ciò che so è che mi ha trovata quando avevo 4 anni, e da allora mi ha cresciuta lui, perciò io lo chiamo papà. Di quello che è successo prima non ricordo nulla... mah forse avrò sbattuto la testa da qualche parte e ho perso i ricordi... o forse ero troppo piccola per ricordare. Non so.- 

-Aaaah ho capito.- Ora quella ragazza le stava più simpatica, ma non era ancora passata sopra il fatto che piacesse a Gorych. 

-So fare anche qualche trucchetto magico sai!?- Le bisbigliò all'orecchio. Reyeha spalancò gli occhi stupefatta. Le era sempre piaciuta la magia. Nonostante fossero in molti a descriverla come una cosa sbagliata, i suoi genitori erano sempre stati abbastanza indifferenti alla cosa, dandole libertà di pensiero. Reyeha era infatti abbastanza influenzabile da parte dei genitori. 

-Mi fai vedere qualcosa!?- Disse tutta eccitata. Sabya sorrise. 

-Ok, ma non qui!- Le due bambine cominciarono a correre furtive per il villaggio, cercando di arrivare al estremo vicino ai boschi senza farsi vedere.

 Per gioco secondo Sabya, sul serio per Reyeha. La ragazzina si guardava in giro in continuazione, per evitare di farsi vedere da Kamer o dai genitori. Durante il percorso vennero però sorprese dal gruppetto di bimbi con il quale Reyeha aveva giocato fino a poco tempo prima. 

-Reyeha! Reyeha dove stai andando!?- La chiamò Bertiss. -Tua madre ti stava cercando!- A quelle parole Reyeha si bloccò. 

-Oh... perché... doveva fasciarmi il ginocchio! Si! Ma vedi ormai ho risolto! -

-Non sarebbe meglio avvisarla?- Intervenne Gorych 

-Ma no... dai... tanto lo sa che... che poi...uff! L'avviso questa sera quando torno a casa! Ora non mi va di tornarci! - 

-Ok... dove stavate andando!?- Chiese a quel punto Raweny.

Reyeha guardò interrogativa Sabya, che le sorrise come per acconsentire, perciò la bimba parlò. 

-Andiamo vicino ai boschi! Sapete, Sabya sa usare la magia!- La reazione dei bambini fu varia. Gorych all'inizio esitante si lasciò convincere comunque molto facilmente, mentre Bertiss guardava Sabya con diffidenza, per poi dire: -I miei genitori dicono che i maghi sono dei mostri...-

-Forse... ma vedi, io non sono una maga bensì un'elfo! Gli elfi sono creature superiori!- E detto questo, Sabya girò i tacchi e continuò a camminare. Ok, ora era tornata un po di antipatia verso di lei. Reyeha odiava le persone fanatiche. Però la magia voleva vederla, perciò stette zitta e la seguì. Dietro a loro si aggregarono anche Gorych, Raweny e gli altri, e solo alla fine con diffidenza anche Bertiss, brontolando un -ma non ti stava antipatica!?- a bassa voce. I ragazzini arrivarono al margine del villaggio, dopo di chè si misero in cerchio attorno all'elfetta, che li guardò sorridendo furbamente. 

-Pronti?- Chiese, e quelli annuirono impazienti. A quel punto Sabya distese la mano al centro del anello di bambini che si era creato, e aprì il palmo sul quale una piccola scintilla cominciò ad apparire. I ragazzini si fecero sempre più attenti e concentrati sul minuto palmo dell'elfetta. La scintilla, che inizialmente era solo un piccolissimo puntino luminoso iniziò lentamente ad ingrandirsi, fino a diventare una palletta luminosa delle dimensioni del pugno di un uomo adulto. Ci fu un -Uoooh!- di meraviglia generale, poi il gruppetto si zittì di nuovo. La palla di luce aveva iniziato a fluttuare, dall'alto in basso e viceversa sul palmo di Sabya, per poi sollevarsi in volo, fluttuando per l'aria in maniera leggiadra e soffice. Il gruppetto guardava stupefatto la sfera fluttuante, mentre Reyeha fece una risatina euforica battendo le mani. 

-Solitamente lo uso per gli spostamenti notturni con papà, per illuminare la strada!- Disse Sabya. 

-Che cosa fantastica!- Esultò Reyeha. -Posso toccarlo!?- 

-Non so... a me non fa male, perché lo produco io... ma non so se sugli umani abbia qualche effetto, nessuno ha mai provato a toccarlo...-

 -Hmm... capisco... Bhè! Allora sarò la prima e lo scopriremo!- 

-Ok...-

Il piccolo globo luminoso si avvicinò a Reyeha, e quando fu a poca distanza da lei, la bambina iniziò al allungare lentamente il dito verso la palletta magica. La tensione stava crescendo, perciò la bambina socchiuse gli occhi per poi appoggiare finalmente il dito sulla sfera di energia magica. Nulla, non successe nulla. Reyeha aprì gli occhi ancora esitante, per poi guardare meravigliata il suo dito poggiato alla bolla magica. Presa dall'entusiasmo appoggiò l'intera mano. 

-Guardate! Guardate non è successo nulla! E ora io sto toccando la magia!- Disse tutta allegra. Poi un'urletto la fece sobbalzare. 

-Reyeha! Togli la mano!- Disse Saby agitata.

 -Perc...- Fece per chiedere la bambina, ma poi alla vista di quello che stava succedendo si bloccò e cominciò ad agitarsi. Dal globbo luminoso erano uscite tante piccole venature anch'esse luminose che si erano andate a diffondere sulla mano di Reyeha, e che sembravano pulsare. La bambina iniziò a urlare ed a agitare la mano. 

-Falla scomparire! Falla scomparire!- Disse a Sabya, la quale eseguì subito la richiesta. Dopo che il globo scomparve Reyeha si controllò la mano. Sembrava tutto a posto. 

-Oh mio Dio stai bene!?- Accorse Bertiss. 

-Si... credo. Non sembra sia successo nulla...-

 -Vedi cosa hai fatto!? Tu e la tua magia! Altro che essere superiore! Sei un mostro, proprio come aveva detto mamma!- Sbottò Bertiss contro Sabya. 

-Hey calma! Non è colpa sua! E poi Reyeha sembra stare bene!- Intervenne Gorych. 

-Si tranquilla, non è successo nulla! E poi sono stata io ad insistere per toccare la sfera...- Disse infine Reyeha. Quando le acque si furono calmate i ragazzini tornarono al villaggio, con una grande tensione sopratutto tra Bertiss, la quale teneva Reyeha distante da Sabya, e quest'ultima. Le cose migliorarono quando, arrivati in piazza videro il circo. Bastò quello a far dimenticare tutto ai bambini che iniziarono a correre verso il grande carro dei circensi. Ormai era pomerigio e il circo avrebbe finito di preparare il tutto tra poco, dopo di che sarebbe iniziato lo spettacolo. I bambini si tennero impegnati nei dintorni del circo per un pò, infastidendo i circensi che stavano cercando di prepararsi. Quando il tutto fu pronto si fiondarono sui primi posti davanti al palco allestito per lo spettacolo, che iniziò poco dopo. Stettero li fino a sera, a fissare quella gente strana, giocando li davanti e cercando di imitare qualche cosa di quello che stavano facendo, ma fallendo miseramente. Nonostante tutto la giornata era continuata bene ed era riuscita a tranquilizzare Reyeha, che la sera tornò a casa con un po più di coraggio. Entrò in casa timorosa, aspettandosi di vedere Kamer, che l'avrebbe presa e portata via dai suoi genitori, per qualcosa che non sapeva di aver fatto. Ma non trovò nessuno. O meglio nessuno che fosse fuori posto. Sua madre era in cucina, come la mattina. Stava preparando la zuppa per la cena. 

-Oh tesoro! Com'è andata la giornata!? Ti sei divertita?- 

-S-si...- 

-E' successo qualcosa?- Chiese la madre peroccupata a causa di quella risposta non molto convinta. Reyeha a quel punto, decise di non dire nulla delle sue preocupazioni. -No! Anzi, oggi ho anche fatto amicizia con una nuova bambina! Sai è un elfo! E' quella ragazina alta e bionda, con le orecchie a punta! E' figlia di un mercante, ma non proprio sua figlia, lui l'ha trovata....- E continuò così raccontandole tutta la giornata, mentre mangiava la sua zuppa. L'unico pezzo che saltò fu quello del globo luminoso, pensò che l'avrebbe solo fatta preoccupare e che nella situazione dubbia nella quale pensava di trovarsi era meglio tenere quel piccolo incidente per se... Dopo la cena andò subito in camera sua, quella sera non aveva voglia di stare con la madre. Prese il suo taccuino dei disegni e cominciò a scarabocchiare. Aveva iniziato a "disegnare" a cinque anni, e da allora aveva continuato su vari pezzi di carta e quadrenetti che i genitori le compravano. Non era chi sa chè brava, ma le piaceva farlo, la tranquilizzava. Stette li a disegnare la sfera luminosa di Sabya, quando a un certo punto la porta della camera si aprì piano. Era suo padre. 

-Posso?-

Reyeha acconsentì con un -Mhm.-

Il padre allora andò e si mise sul letto vicino a lei. 

-Hey, come è andata la giornata?-

-Bene!- 

-Sono contento!- Poi Balton tirò fuori qualcosa dalla tasca dei pantaloni e lo mostrò a Reyeha. Era una bellissimo ciondolo apribile, di forma ovale, decorato con vari motivetti ondulati incisi sulla superficie bronzea. 

-Guarda un po cosa ho qui!- 

-Ooooo papà! Che bello! E' per me!??- Disse tutta eccitata. 

-E per chi altri!? L'ho comprato da un mercante che già oggi se ne stava andando. Poi sono andato da un pittore, lo hai incontrato!?- 

-Uhhh noo!- Rispose la bimba triste! -Sai se rimane anche domani!? Voglio vedere i suoi disegni!- 

-Non so, ma è molto probabile... comunque, guarda qua!- Disse l'uomo per poi aprire il ciondolo. All'interno vi erano due piccole immagini, da una parte era disegnata, in maiera stilizzata, sua madre e dall'altra suo padre. 

-Sono andato da questo pittore e mi sono fatto fare questi due mini-ritratti, dovevi vederlo! Ci ha messo pochissimo, forse perchè sono così piccoli... E non è nemmeno costato tanto. Certo non si vedono benissimo... ma fare dei ritratti così piccoli non è facile...Ti piace?- 

-Tantissimo!- Reyeha adorava quel ciondolo. Nonostante le apparenze, che lo facevano sembrare pesante a causa della misura abbastanza grande, era leggero. Reyeha lo aferrò, per stringerlo megavigliata e poi salatare al collo del parde per abracciarlo. -Grazie è bellissimo! E' bellissimo! Io ho un bellissimo ciondolo con mamma e papà!- Cominciò a canticchiare. 

-Così potrai averci sempre con te.- Disse il padre accarezzandole la schiena, per poi staccarla da se, e baciarle la fronte. 

-Ora va a dormire! Domani ti aspetta un'altra giornata di festa!- 

-Ooook! Buona notte papà!- Disse Reyeha ficcandosi a letto con il ciondolo in mano. 

-Buona notte piccola.- Poi il padre uscì dalla stanza chiudendole la porta, e Reyeha si adormentò poco dopo con il ciondolo stretto in mano. Ora si era tranquilizzata, i suoi genitori non volevano farle del male, lo sapeva, e non lo avrebbero permesso a Kamer. 


***


 Un forte baccano la svegliò. Dalla finestra entrava la luce. Ma che succedeva? Non poteva essere mattina aveva ancora troppo sonno. Magari non aveva dormito bene e questa volta almeno non era stato a causa dell'incubo, siccome non aveva sognato. Voleva continuare a dormire, in fondo era festa, nessuno le avrebbe fatto una colpa se fosse rimasta a letto qualche altra ora. Questo sole però non l'avrebbe aiutata a riaddormentarsi, perciò decise di fare l'immane sforzo di alzarsi dal letto, sempre rotolando a terra da sotto le coperte, per poi andare traballante verso la finersta, così da chiudere le tende. Mentre si avvicinava alla alla finestrella che lasciava entrare quella fastidiosa luce nella sua camera, Reyeha, decise anche di guardare fuori, per vedere a cos'era dovuto tutto quel rumore. Ora che era un po più cosciente realizò anche che erano urla. Perchè la gente stava urlando? La ragazzina si afrettò ad arrivare alla finestra e quel che vide la sconvolse: non era giorno. La luce che tanto le dava fastidio proveniva dalle fiamme che si stavano mangiando il villaggio. 

L'inferno si era scatenato a Thyag.

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Capitolo 4
*** L'inferno a Thyag ***


 

Capitolo 4: L'inferno a Thyag


Thyag era in fiamme. Tutto era avvolto da quel rosso distruttore. Urla di dolore e disperazione ovunque. Le persone scappavano da una parte all'altra, chi già in fiamme e chi ancora integro. Una giovane madre in lacrime era uscita dalla sua casa ormai in preda al fuoco, con il suo neonato stretto a se. Reyeha la riconobbe, era la sua vicina Lidehy diventata mamma la luna scorsa. La ragazzina guardava terrorizzata quello che stava succedendo. Era pietrificata, con le lacrime che le rigavano le guance. Ora gli occhi erano fissi su Lidehy che stava cercando di scappare, da un nemico che Reyha non riusciva a vedere. Poi un'immenso animale planò sulla donna e la afferrò tra le possenti fauci. Un drago. Il villaggio era stato attaccato dall'enorme drago rosso che era passato il giorno prima di lì.  Reyeha cadde all'indietro spaventata a morte, per poi rialzarsi velocemente e correre giù, nella camera dei genitori. Non c'erano. Cominciò perciò a cercarli per tutta la casa, ma scoprì che questa era deserta. Fu allora che la madre entrò di colpo. Aveva il fiatone, i capelli fuori posto e la gonna bruciata da una parte. Era sporca di cenere ovunque, e stava tremando.

-Andiamo Reyeha! Dobbiamo scappare!-

-Ma fuori c'è il drago! E papà dov'è!?-

La donna ebbe un tremito più forte degli altri e poi disse semplicemente:

-Papà non verrà, è inutile che lo aspettiamo...Senti Reyeha, dobbiamo correre nel bosco! Hai capito!? Qualsiasi cosa accada tu vai nel bosco!- Reyeha annuì terrorizzata e confusa.

La donna aprì leggermente la porta per controllare la situazione fuori. Per ora potevano uscire, nessun immenso animale in quel momento oscurava il cielo. Prese la figlia per la mano e guardandola negli occhi ripeté ancora una volta scandendo bene le parole:

-Ricorda: qualsiasi cosa accada tu scappa nel bosco.-

Poi aprì la porta e cominciò a correre in fretta con la figlia attaccata a lei. Era una corsa disperata, contro il tempo e contro la morte. Dovevano fare in fretta, prima che il drago le puntasse. Sentirono un ruggito. Reyeha si girò, ma dietro di se non c'era nessun rettile volante gigante. Guardò in alto, e il terrore si amplificò a quella vista. Non era un solo drago che stava attaccando, bensì cinque! Ben sei draghi stavano volteggiando sopra Thyag. Cosa ci facevano tanti draghi li? Perchè li stavano attaccando!? Il terrore. Non era mai successo che un paesino dell'Est fosse attaccato da ben cinque draghi. Non era mai successo che nessun paesino in tutta Imirdyr fosse attaccato da cinque draghi! Anche perchè i draghi non attaccavano in gruppo, loro erano animali solitari. Tutto quello che stava succedendo era da non credere. Reyeha iniziò a piangere e le lacrime a offuscarle leggermente la visuale. 

La madre, alla vista delle lacrime della figlia guardò anch'essa il cielo notturno nel quale volavano le creature. La paura stava crescendo anche in lei. Ma si convinse a restare forte.  Si rigirò e aumentò la velocità del passo. Riuscirono a tenere quel ritmo per poco però, perché il panico, le lacrime e la scarsa agilità fecero inciampare Reyeha. La madre si fermò subito e tornò indietro dalla figlia. Reyeha, tese la mano alla madre per farsi aiutare ad alzarsi, ma la madre la prese da sotto le ascelle e con tutta la forza che aveva prese la bambina e la lanciò in avanti. Reyeha andò a sbattere violentemente contro il suolo, per poi rotolare per un altro metro e mezzo circa. Le faceva male tutto, però doveva rialzarsi. Era distesa a pancia in giù e si poggiò sui gomiti per riuscire a sollevarsi da terra. Lo sguardo le andò alla madre per capire perché l'aveva fatto, e tutto quello che vide quella sera fino ad allora non fu nulla paragonato a ciò stava per vedere. Anche la madre era distesa a terra, a pancia il giù con il peso poggiato sul gomito destro, mentre la mano sinistra era distesa verso lei.

-Scappa!- Fu tutto ciò che riuscì a urlarle prima che un'enorme drago d'acqua le venisse in contro e le staccasse di netto il busto. Tutto quello che rimaneva della madre erano le gambe in una pozza di sangue.

L'attimo dopo dentro Reyeha ci fu la devastazione totale. Ma fu subito riportata alla realtà quando vide l'enorme dragone bluastro girare e venirle in contro con le fauci aperte. Non sapeva se fosse il terrore che era diventato troppo grande o il trauma per ciò che aveva appena visto, ma non fece un passo. Si era arresa. Stava li distesa ad aspettare di essere mangiata. Non chiuse nemmeno gli occhi. Il dragone le veniva in contro a grande velocità, con le movenze sinuose, che solo i draghi d'acqua riuscivano ad avere. Quando pensava che fosse finita, il dragone la evitò di pochissimo e le volò sopra la testa, per poi rimanere a volteggiare in aria a poca distanza da lei. Era viva. Il perché non lo sapeva.

Vide altri draghi volare nella sua direzione e sentiva il loro battito d'ali che si fermava e rimaneva sopra di lei. 

Si girò lentamente e si distese sulla schiena, il viso rivolto verso l'alto, verso tutti e sei i draghi le che volteggiavano a diverse altezze sopra, come fossero un tornado. Un'improvvisa stanchezza la percorse da capo a piedi, sentiva ancora le lacrime scendere, non poteva e non voleva fermarle. Sentì una voce lontana che urlava qualcosa, ma nella confusione e nella distruzione che si era creata al villaggio poteva essere rivolta a chiunque. Voleva solo addormentarsi, lasciarsi andare al buio che il sonno portava con se. Era sfinita sia a livello fisico che psichico. Le gambe di sua madre erano a qualche metro da lei, ed erano tutto ciò che era rimasto della donna dolce e gentile che alla fine aveva dimostrato di possedere un coraggio disumano. Uno coraggio che lei non avrà mai pensò.

All'improvviso si ricordò. Sua madre! L'ultima cosa che le aveva detto era di scappare. Forse non avrà mai il suo coraggio, ma cercò di trovarne almeno un frammento, per potersi rialzare. Era in piedi. Ancora sotto i draghi, che non le prestarono molta attenzione. Fece un passo tremante, poi un altro, lenti per non attirare gli animali. Dopo il terzo passo iniziò a correre piano, e quando vide che i draghi non si mossero iniziò a correre velocemente. Era quasi arrivata al margine con la foresta e non ci avrebbe messo molto ad entrarci dentro. Una volta li sarebbe stata coperta dagli alberi, diventando un preda più difficile da individuare e da catturare. Correva come non mai, il terrore e la paura le avevano dato una velocità che non aveva mai avuto. Voleva ignorare il rumore delle possenti ali che muovevano l'aria tutt'intorno a se. Un rumore che non si allontanava ma la seguiva. Non si girò mai indietro, non voleva vederli e non voleva accettare che la seguissero. 

-E' solo il vento! E' solo il vento!-

Si ripeteva a bassa voce. Nonostante ciò non smise di correre. Era ormai l'alba quando giunse davanti a un enorme tumulo roccioso, ricoperto sulla sommità da muschio e altre piante. Aveva una piccola apertura, grande abbastanza da passarci e piccola abbastanza da tenere fuori i draghi. Decise di entrarci. Non sapeva cosa ci fosse dentro, ma era sfinita e non sarebbe riuscita ad andare avanti in ogni caso. Una volta dentro fece un'ultimo sforzo per allontanarsi un po dall'entrata e poi si lasciò andare alla stanchezza, cadendo in sonno senza sogni.

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Capitolo 5
*** Sospetti e speranze ***


 

 

 

Capitolo5: Sospetti e speranze

Si risvegliò tutta indolenzita, il materasso di paglia quella notte era stato particolarmente duro ed ora le faceva male tutto. Decise di dire al padre, non appena lo avrebbe visto, che era tempo di cambiare la paglia, poiché si era schiacciata troppo ed ora il letto risultava scomodo. Una volta alzatasi dal letto andò verso la porta, così da poter giungere in cucina. Aveva una fame tremenda. Arrivata sulla soglia però, capì che qualcosa non andava, c'era troppa luce; la sua cucina era luminosa, ma non così tanto! 

Si sforzò di aprire gli occhi per vedere cos'è che non andava e lì vide: la sua cucina era diversa; le sedie e il tavolo erano ritornati allo stato di alberi e qualcuno aveva sostituito il pavimento con un terreno cosparso di radici, erba e pietre che andava in discesa e ciò che più mancava in quel quadro era sua madre. Non c'era. Non era lì come tutte le mattine ad aspettarla sorridente e ad incoraggiarla a bere il suo latte e quella era la mancanza maggiore.

Subito dopo arrivarono tutti i ricordi, il dolore. La scena si ricollocò nel tempo. 

La sveglia improvvisa nel cuore della notte, il villaggio in fiamme, sua madre divorata da un drago.

Reyeha cominciò a tremare e le lacrime le invasero gli occhi. Ormai era sola, come avrebbe fatto? Come se la sarebbe cavata?! Non aveva idea di dove fosse o come tornare indietro.

Uno sbuffo di aria calda la distolse dai suoi pensieri. Il suo corpo si pietrificò, mentre la testa si girò lentamente in quella direzione. A poca distanza da lei una grande testa rossa di rettile la stava fissando. Il grande drago rosso. Era lì e lei lo stava guardando fisso negli occhi, a poco più di un metro di distanza. Cominciò ad urlare e si ributtò di scatto nella caverna. Cadde sul sedere e rimase immobile a guardare l'apertura della grotta, valutando se fosse abbastanza piccola da proteggerla. Poi la testa del drago apparve di fronte alla caverna, la guardò per un momento e passò oltre. L'apertura era decisamente troppo piccola per far passare quel drago. Era immenso, solo la testa era grande circa tre o quattro volte lei.

Reyeha si sentiva in trappola. Era chiusa lì, fuori l'aspettava morte certa. Restò lontana dall'entrata per qualche ora, in fondo alla caverna che, valutata alla luce del giorno era abbastanza ampia. Come rifugio sarebbe stata perfetta, se non per il fatto che era custodita da un immenso drago rosso scuro.

Dopo circa tre ore di puro panico e confusione, Reyeha decise di riprovare ad avvicinarsi all'entrata per vedere se il drago se ne fosse andato, o se almeno si fosse addormentato cosicché lei potesse scappare. Dove non lo sapeva, ma almeno sarebbe stata lontana dalla bestia.

Si mosse cauta, cercando di non fare rumore. Ma già il battito del suo cuore, troppo forte ed agitato le sembrava sufficiente ad avvisare quella creatura del suo spostamento. Una volta arrivata in corrispondenza dell'apertura, si poggiò alla parete e trattenendo il fiato, si sporse lentamente per vedere fuori. Il drago rosso non c'era, ma al suo posto ce n'erano altri due, uno era decisamente più piccolo, di un bianco argentato, probabilmente un drago delle nevi, disceso dalle montagne nella direzione opposta alla foresta, o almeno lo era quando stava a Thyag; ora non aveva idea di dove si trovasse. L'altro invece, era di un colore violaceo e marroncino e dalla corporatura robusta e piazzata, ornata di numerosi spuntoni, dai quali si capiva che era un drago volante delle rocce. Reyeha era sempre stata affascinata da quelle creature, le stesse che dopo aver distrutto il suo villaggio e ucciso i suoi cari, ora la stavano tenendo segregata dentro a una caverna dispersa in mezzo alla foresta. Prima però li aveva studiati, da un libro che le aveva comprato il padre da un mercante di passaggio. Glielo aveva regalato per il suo ottavo compleanno. Le aveva detto che secondo lui erano creature molto affascinanti e degne di ammirazione, perciò gli avrebbe fatto piacere se anche lei si fosse interessata a loro. 

Per Reyeha non fu un grande sforzo, anche a lei allora piacevano molto e il libro era per lo più composto da illustrazioni. Le poche descrizioni le riusciva a leggere grazie agli insegnamenti del signor Krefor che si dedicava all'istruzione culturale dei bambini del villaggio e ciò che non capiva lo chiedeva alla madre.

Scoppiò a piangere. Voleva la mamma, voleva tornare al villaggio a giocare con i suoi amici, voleva stare ancora sulle possenti spalle del papà e mettersi sui cavalli che usava per trascinare i tronchi d'albero, quelli che lui e gli altri uomini del villaggio tagliavano. Voleva leggere i libri che narravano di principesse e cavalieri insieme a lui prima di andare a dormire, voleva gli abbracci della mamma. Cose che non avrebbe più avuto d'ora in poi.

Ritornò dalla parte opposta della caverna e si rimise a piangere. Andò avanti con le lacrime per ore, ricordandosi del villaggio, dei suoi genitori, dei suoi amici e di tutti i suoi compaesani. Inclusa Kamer e con lei si ricordò ciò che le sentì dire ai genitori. Del suo incubo e del potenziale pericolo che lei era per il villaggio. 

Se tutto quello che era successo fosse stata colpa sua? Se tutti fossero morti per qualcosa che lei aveva fatto di male?! 

Scoppiò a piangere ancora di più, certa che la distruzione del villaggio fosse stata causata da lei, anche se come non lo sapeva.

Poi mentre si portò le ginocchia al petto per poterci affondare la testa sentì un peso nella tasca della camicia da notte. Ne estrasse fuori il ciondolo apribile regalatole dal padre l'ultimo giorno che lo vide in vita e si ricordò delle sue parole "così potrai averci sempre con te". Come aveva fatto a non accorgesi prima del ciondolo? Doveva essergli scivolato nella tasca mentre dormiva. Ora si sentiva meno sola, perché con lei aveva l'immagine di mamma e papà. Strinse l'oggetto più prezioso che aveva al petto, si rannicchiò ancora di più e come due notti fa si addormentò con il suo piccolo tesoro stretto in mano, solo che questa volta non se lo lasciò scivolare via.

Il giorno dopo si svegliò all'alba. Aveva fame, una fame tremenda, ma sopratutto sete. Non beveva da più di un giorno e cominciava a disidratarsi. Doveva uscire da quella caverna e alla svelta. 

Arrivò all'ingresso e guardò fuori, i draghi erano ancora lì, ma sembravano addormentati. Ora ne aveva contato uno in più: il drago d'acqua. Lo stesso che le aveva ucciso la madre. Sentì allora farsi vivo un misto di emozioni. Paura, dolore, frustrazione, confusione e sopratutto rabbia. Sentiva l’ira e l'odio crescere sempre di più verso quel drago. Lo avrebbe voluto morto, lo avrebbe voluto uccidere, come lui aveva fatto con sua madre. Ma il cervello le continuava a dire che se ci avesse provato sarebbe stato il drago ad uccidere lei, e aveva perfettamente ragione. 

Fu allora che accadde: i draghi si svegliarono all'improvviso, tutti insieme, avvicinandosi lentamente al drago d'acqua. La cosa agli occhi di Reyeha apparve completamente innaturale. Poi il tutto divenne ancora più strano, avevano iniziato a sbuffare. Stavano per attaccare. E così fu. A dare il via all'attacco fu il possente drago delle rocce il quale ficcò le zanne nel collo del drago d'acqua, che a vederlo ora, in confronto alle altre bestie era davvero piccolo, sopratutto paragonato al drago rosso, il quale era il più grande di tutti. Subito dopo l'attacco del drago delle rocce partirono alla carica anche gli altri. Perché l'avevano attaccato? Non capiva. Ma non era il momento di stare a guardare. Ora che i draghi erano concentrati sulla loro vittima, Reyeha uscì cautamente per poi iniziare a correre il più velocemente possibile. Doveva trovare dell'acqua. Si ricordò di aver sentito lo scorrere di un fiume quando stava scappando dal villaggio. Il guaio però, era che allora era buio e per di più era molto più agitata e terrorizzata rispetto ad ora. 

Cercò comunque di guardarsi in girò così da trovare un qualche punto di riferimento. Niente da fare, tutti gli alberi le sembravano uguali; cominciò di nuovo ad agitarsi tremendamente, convinta che non sarebbe mai più uscita da quella foresta e che sarebbe morta lì, se non per mano dei draghi, a causa della fame e della sete. 

Poi il terrore divenne più grande. Le sentiva, due grandi paia di ali che spostavano l'aria per arrivare da lei. Un drago l'aveva seguita. Cominciò a correre a perdifiato, ignara di dove stesse andando. Stava cercando di allontanarsi da quel rumore, ma questo non aveva intenzione di mollare. Si girava in continuazione per controllare dove fosse il drago, ma non lo vedeva. Questa distrazione però non le giovò. Finì per inciampare contro una radice e cadde rovinosamente rotolando per una ventina di metri, ferendosi ovunque, fino a quando il tronco di un albero fermò la sua corsa. Prima che riuscisse ad alzarsi ed a ricominciare a correre, il drago la raggiunse. Non era nessuno di quelli visti fino ad ora. Era grande poco meno del drago rosso ed interamente ricoperto da una specie di muschio. Le corna sembravano rami d'albero e le ali finivano con delle radici. Era perfettamente mimetizzato con l'ambiente circostante. Un drago della foresta. L'animale planò sulla ragazzina e a poca distanza da lei si posò al suolo. Avvicinò il muso a una Reyeha a dir poco terrorizzata che aveva gli occhi spalancati e tratteneva il fiato. Con uno sguardo minaccioso le sbuffo in faccia, ma non l’attaccò. Sembrava come bloccato. 

Perché i draghi non la attaccavano? Perché non era già morta come tutti quelli del suo villaggio? La continuavano a torturare, ma perché? Poi ricollegò. Kamer al villaggio che parlava di "poteri"; il drago blu che uccideva tutti, compresa sua madre ma non lei; le bestie che la seguivano mentre scappava dal villaggio; lo stesso drago d'acqua che tanto odiava, ucciso dagli altri draghi non appena lei lo aveva desiderato morto. Non era possibile! Non c'era mai stato nessun segnale, nulla che la riconducesse a eventuali poteri! Ma ormai non poteva fare altro che sperare di poterli controllare o di avere una qualche specie di contatto con loro. Così tentò.

-A...acqua- disse tutta tremante. Il drago restò un attimo a guardarla, peggio di prima. Reyeha ebbe l'impressione di essersi sbagliata, che l’animale fosse andato li per ucciderla e ora che aveva proferito parola aveva segnato la sua morte. Poi però il drago si girò lentamente, dandole le spalle, ma voltando poi la testa per vedere se la bambina lo stesse seguendo. Dolorante, Reyeha si rimise in piedi e senza staccare lo sguardo dal drago, iniziò ad avvicinarsi a lui. A quel punto l'animale rigirò la testa e piano si alzò in volo. Reyeha lo seguiva da terra, non tanto sicura di fare la cosa giusta, ma se fosse scappata il drago l'avrebbe raggiunta e se non lo avesse fatto, lei sarebbe morta di sete. Perciò avanzò rapida per non perdere di vista la bestia. Non aveva più nulla da perdere. 

Il tragitto non fu particolarmente lungo, quando sentì lo scorrere dell'acqua che poi si buttava nel vuoto. A quel magnifico suono Reyeha si rianimò e iniziò a correre per arrivare il più velocemente possibile alla tanto desiderata acqua. Quando il suono divenne sempre più potente, una cascata apparve da dietro gli alberi. Era alta poco più di cinque metri e finiva in un piccolo laghetto che poi si trasformava in fiume. Non sapeva se era la sete o altro, ma Reyeha la trovò incantevole. Si fiondò al margine del laghetto e bevve fino a quando si sentì scoppiare. 

Finì con l'entrare completamente dentro l'acqua e ci restò per una buona oretta, quasi dimenticandosi del drago che non la perdeva d'occhio.

Quando se ne accorse rimase sorpresa di come l'animale non si fosse mosso da lì e delusa allo stesso tempo. L'immenso drago verde la continuava a guardare male ma non l'attaccava.

Ora Reyeha era confusa, non sapeva cosa fare e sicuramente non poteva scappare, il bestione non le toglieva lo sguardo di dosso. Perciò decise di tentare la sorte. Si avvicinò il più lentamente possibile all'animale, il cuore le scoppiava per la potenza con la quale batteva ed a ogni passo le sembrava di avvicinarsi alla morte. Quando fu a circa un metro da lui, strinse gli occhi il più forte possibile e tremante, tese la mano verso il muso dell'animale. Più cercava di avvicinarsi, più era convinta che avrebbe perso un braccio. La sensazione di calore che sentì subito dopo aiutò a incrementare la sua paura. Il drago aveva rifiutato il suo contatto sbuffandole aria rovente sulla mano e procurandole una scottatura che finiva all'inizio del gomito. Con uno strillo si allontanò dal drago, gettandosi nell'acqua. Piangeva e tremava. Il drago della foresta si alzò e lento, iniziò a muoversi verso di lei. Ormai pensava che fosse veramente la fine, quando l'immenso drago rosso arrivò all'improvviso mettendosi tra lei e l'altra bestia, sbuffandogli in faccia per farlo indietreggiare. Quello rispose sbuffando a sua volta ma, vedendo la mola del suo avversario decise di ritirarsi. Non prima di aver fulminato di nuovo Reyeha con gli occhi.

Dopo l'animale rosso si girò verso di lei e la guardò. Questo però era uno sguardo diverso. Il rancore che c'era in quello del drago verde era stato sostituito da occhi inespressivi.

L'aveva protetta. La sua malsana idea si stava avvicinando alla realtà. Non sapeva se davvero avesse una qualche abilità magica ma piano piano, questa ipotesi si stava affermando nella sua testolina. Voleva credere che fosse così, perché era l'unica speranza che le rimaneva. L'ultima cosa a cui potersi aggrappare, nessuno la sarebbe venuta a cercare, non se ne sarebbe mai andata da li. Perciò tanto valeva convincersene siccome quei grossi rettili non le permettevano di scappare, né la uccidevano. Sarebbe rimasta a guardare come i suoi nuovi compagni avrebbero deciso per la sua vita.

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Capitolo 6
*** Una nuova casa ***


 

 

Capitolo 6: Una nuova casa

Il legame che Reyeha aveva immaginato con i draghi era vero. Non li controllava, ma le bestie la proteggevano e la aiutavano a sopravvivere. 

L'unico che non si faceva vedere era il drago verde. Sembrava provare una specie di rancore verso la ragazzina. La ferita che gli aveva procurato però restò. Reyeha riuscì a non farla infettare, mettendosi alla ricerca di alcune piante medicinali che la madre le aveva insegnato a riconoscere. Non erano certo un grande rimedio e nemmeno le sapeva usare bene, ma per fortuna fecero evitare alla bambina un'infezione che le avrebbe potuto causare la morte.  In seguito si strappò un pezzo della camicia da notte e se lo legò a torno al braccio così da cercare di proteggere la ferita, che dopo la guarigione le lasciò una brutta cicatrice.

I primi tempi le fu molto difficile. I draghi non erano ostili, ma nemmeno grandi simpaticoni. Ogni volta che passava vicino a uno di loro tratteneva il fiato e tremava, con ancora la paura che qualcuna delle bestie un giorno si stancasse di lei e la facesse diventare il suo pasto. Ebbe varie crisi e crolli nervosi, dovuti al fatto che si ricordava di aver perso tutto oppure pensava che non sarebbe mai uscita da quella foresta, costretta a stare la dentro fino alla sua morte, circondata dalle creature che le avevano rubato l'esistenza. La parte peggiore però, erano i pensieri che avevano iniziato a ronzarle in testa: se i draghi la seguivano, se erano legati a lei, c'era la possibilità che fossero andati al villaggio per cercarla e che quindi la morte di sua madre, del padre, di Kamer, dei suoi amici e dell'intero villaggio fosse tutta colpa sua. Sentiva il senso di colpa crescere sempre più e questo era il tormento che più la faceva impazzire.

A causa della solitudine che la opprimeva cominciò a parlare da sola o con i draghi e decise di dare un nome ad ognuno di quest'ultimi. Il grande rosso lo chiamò Draryoth, quello delle rocce Brorwl e quello delle nevi Eissyo. Diede un nome anche al drago della foresta: Verthor.

Col passare del tempo però le cose migliorarono. Reyeha cominciò a fidarsi di più dei draghi, sopratutto del drago rosso, il quale era stato il primo a portarle da mangiare. Infatti quando la bambina era al limite della sopportazione della fame la creatura si presentava con della selvaggina, avvolte anche con ovini o bovini. Grazie al padre, ora si ritrovava a saper scuoiare gli animali piccoli con una semplice incisione al collo, la quale la faceva con una roccia appuntita, mentre per quelli più grandi ci mise un po a trovare un metodo e anche con quello poi, aveva difficoltà. Il vero problema fu imparare ad accendere un fuoco, cercò di ricordarsi delle poche cose che aveva sentito dal padre. I risultati però furono pessimi, così gli animali cominciarono ad aiutarla sputacchiando qualche scintilla quando ne aveva bisogno. La prima volta lo fece Eissyo, facendo spaventare Reyeha a morte, la quale pensava avesse puntato a lei. Siccome i draghi la aiutavano solo quando stava allo stremo, cominciò a esplorare la foresta, seguita sempre da uno dei animali, in cerca di piante commestibili o frutta. I genitori si preoccuparono molto di farle conoscere la natura, infatti oltre ad insegnarle quali fossero le piante con effetto curativo, le mostrarono anche quali piante poteva mangiare e quali erano velenose. Quando però iniziò a nutrirsi di piante, non rimaneva più al limite della fame, perciò i draghi non cacciavano più per lei. Per un buon periodo, non sapendo cacciare, andò avanti con le piante. La mancanza di carne si fece sentire dopo circa 3 lune, così la ragazzina tentò ancora con la tattica del rimanere a digiuno, così che i draghi le portassero ancora della carne. Ma nulla, questa volta le bestie non si mossero. A quanto pareva l'aiutavano solamente se ne aveva veramente bisogno.

Ormai tutto aveva assunto colori caldi da un po, il che da una parte faceva sperare a Reyeha di trovare animali in letargo, da poter catturare e dall'altra la terrorizzava: la neve sarebbe potuta arrivare da un momento all'altro e gli inverni da quelle parti erano abbastanza rigidi. Non aveva idea di come sarebbe riuscita, con quei vestiti a sopravvivere all'inverno.

Comunque sia non voleva darsi per vinta e decise così di fare come gli animali, una sorta di letargo. Cominciò a farsi un'enorme scorta di piante da poter mangiare durante l'inverno, prima che la neve coprisse tutto. Preferì concentrarsi solo sulle piante e lasciare per il momento gli animali. La carne infatti si deteriorava da subito e non poteva aiutare a molto la sua sopravvivenza. Riuscì a trovare anche frutta secca come noci e ghiande in abbondanza. E durante la ricerca trovo anche qualche piccolo animale dormiente, che però mangiò di li a poco. In fine riempì la caverna con legna trovata per terra.

Qualche giorno dopo, ci fu la prima nevicata e la temperatura cominciò a farsi sempre più gelida. Uscì ancora una volta o due a cercare altri rifornimenti per poi chiudersi nella caverna cercando di sopravvivere.

Non passò molto però, prima di capire che il suo piano non avrebbe funzionato. Nonostante tenesse il fuoco sempre acceso aveva troppo freddo, le piante che aveva raccolto si stavano seccando, la frutta secca stava finendo e per idratarsi usava la neve, il che comportava metterci le mani dentro. Aveva anche capito che se avrebbe continuato così con il fuoco, nemmeno la grande quantità di legno che aveva raccolto le sarebbe bastata. Cercò così di razionare la legna per averne un po tutti i giorni e quando la porzione giornaliera sarebbe finita lei sarebbe rimasta al freddo. Il freddo però, era troppo pungente e stare senza fuoco era impossibile. 

Passate due settimane da quando si era rinchiusa, il cibo era già finito o rinsecchito e la legna per metà era stata usata. Reyeha iniziò ad avere nuovamente crisi di pianto mentre il suo corpo stava iniziando a cedere.

Quando ormai stava per crollare, Eissyo il più piccolo dei draghi e quindi l'unico che potesse farlo, entrò nella caverna e si a stese tutt'intorno a Reyeha, circondandola con il suo corpo. La temperatura sprigionata dal corpo dell'animale fece incrementare di molto anche quella della grotta, facendo riprendere la bambina, che ora non aveva più gli spasmi per il freddo. Inoltre Draryoth e Brorwl le portarono animali con i quali potersi sfamare. I draghi le avevano salvato la vita e se non fosse stato per loro, Reyeha non avrebbe sicuramente superato l'inverno, cosa che invece fece. Riuscì per miracolo ad arrivare alla primavera senza prendersi raffreddori o altro e non appena le nevi iniziarono a sciogliersi Reyeha ri-iniziò ad uscire.

Appena l'acqua glielo permise, andò alla cascata a lavarsi. Decise di togliersi anche la fascia al braccio, per vedere come era messa la cicatrice e ciò che vide la sconcertò:  la maggior parte della pelle dell'ex ferita ora era stata sostituita da...squame... Reyeha ci passò sopra la mano, e la sensazione era uguale a quando toccava un drago. Spaventata iniziò a toccare ogni parte del corpo per vedere se questa cosa l'aveva solo al braccio o si era estesa pure da altre parti. L'unica altra parte dove sentì la stessa sensazione fu sulla coscia destra, sotto la natica. Ora aveva iniziato a preoccuparsi seriamente. Cosa diamine era quella roba? Perché aveva delle squame?! Per la paura iniziò a grattare violentemente sul braccio ma non ebbe nessun risultato se non quello del farsi male. Decise così di rifasciarsi il braccio, coprire anche la gamba e di lasciare il tutto così per un po. 

In seguito cominciò a distrarsi dal pensiero delle squame dedicandosi all'allenamento per la caccia. Per prima cosa doveva costruirsi un'arma, così pensò allo strumento più facile da fare: una lancia. A differenza della punta, per la quale alla fine si accontentò di una pietra levigata dal fiume, trovare un bastone adatto non fu particolarmente facile. Vedendo però che non riusciva a far rimanere insieme pietra e legno, decise di cercare di appuntire il bastone. Con molta difficoltà alla fine riuscì ad ottenere un risultato decente. 

Cominciò ad allenarsi con la velocità, l'agilità e la mira, prendendosela con un albero li vicino e poco dopo iniziò a cercare qualche bestia da poter cacciare. Decise di iniziare con piccole taglie, così una volta trovato un coniglio iniziò a seguirlo. I suoi passi da elefante però, fecero sparire la bestiola in men che non si dica. Per sua fortuna poco dopo riuscì a trovare una volpe. Questa volta stette attenta a non farsi scoprire e una volta riuscitasi ad avvicinare a sufficienza, si mise in posizione e lanciò! 

Per poi scoprire che la sua mira faceva più schifo di quello che pensava e l'unico risultato che ottenne fu quello di farsi sfuggire anche quella preda.

I seguenti tentativi furono un disastro come i primi. La prima preda che riuscì a catturare fu cinghialetto, ma questo solo dopo circa due lune dai primi disastri.

Per potersi preparare al prossimo inverno, cominciò a non sprecare nulla degli animali catturati, anche se questo le faceva un po ribrezzo. Iniziò a tenersi le pellicce per potersi coprire; le ossa le usava per costruirsi armi o avvolte giochi; mentre con l'intestino si era improvvisata delle borracce per l'acqua. 

Stava lentamente, molto lentamente, iniziando ad adattarsi alla sua nuova "casa". Il rapporto con i draghi a questo punto era, per così dire, buono ed ormai ci parlava e litigava come fossero persone. Tutti tranne Verthor. Lo aveva visto in giro una volta o due, ma il drago non si faceva avvicinare.  

Il secondo inverno la trovò decisamente più preparata rispetto al precedente. Nonostante ciò, anche questa volta Eissyo dovette aiutarla con la temperatura della grotta. Ormai i draghi non cacciavano più per lei, perciò anche d'inverno usciva per fare scorte, anche se era ancora abbastanza inesperta e faticava a trovare le prede.

Passato anche quell'inverno, si sentì più sollevata. Ora aveva capito di essere capace di sopravvivere a quei mesi freddi, che per lei era il problema maggiore. Da quando la primavera prima aveva visto le squame, le controllava ogni settimana per vedere in che situazione stessero braccio e coscia. Si erano estese, ma di pochissimo. Non le provocavano dolore o altro quindi la ormai quasi dodicenne iniziò a tranquillizzarsi al riguardo. Apparve poi però un'altra stranezza: i suoi capelli erano cresciuti fino sotto il seno e le punte, man mano che la lunghezza dei capelli aumentava, diventavano sempre più chiare fino ad arrivare ad un rosso chiaro, roseo. Lo considerava strano, ma tutto sommato figo e dopo le squame, non si sorprendeva più poi così tanto dei mutamenti del suo corpo.

L'anno seguente la sua abilità a cacciare aumentò e siccome ormai aveva perso da molto i chili di troppo, riusciva persino a scalare gli alberi. Anche per quello le ci volle un po di pratica e se non fosse stato per i draghi qualcuna delle cadute avrebbero potuto causarle ferite davvero brutte. 

Aveva iniziato anche a "pescare" i pesci del fiume e a cercare le uova degli uccelli. 

La frequenza con la quale vedeva Verthor aumentò e non sapeva se prenderla come una cosa positiva o negativa.

L'estate di quell'anno aveva anche scoperto che Draryoth era di sesso femminile. Il drago infatti aveva iniziato a covare un uovo e, se Reyeha non si ricordava male, la covata dei  rossi durava all'incirca due anni.

Essendo in dolce attesa, Draryoth si muoveva molto meno, anche per andare a cacciare, perciò a volte, se Reyeha non stava attenta alle sue prede, l'animale si sfamava con quelle.

Come se non bastasse, passato anche il terzo inverno, Verthor aveva iniziato a farsi vedere molto più spesso e a interagire con lei...rubandole le prede.

Da quel momento in poi, ogni caccia era diventata una sfida tra i due. Verthor spaventava le prede di Reyeha, la quale lo insultava e lo seguiva, così che ogni volta che il drago planava su qualche cervo o cinghiale, Reyeha lo abbatteva per prima e si trascinava via la preda. 

Nonostante cacciare fosse diventato molto più faticoso, tutto ciò la divertiva anche e sembrava lo stesso per Verthor. Avevano instaurato uno strano rapporto, ma questo aiutava la ragazza a svagarsi un po. Quello era il modo dell'animale per dire a Reyeha che l'aveva accettata nella sua foresta.

***

Fu verso la fine del quarto inverno che accadde: Draryoth scomparve. Aveva lasciato l'uovo per andare a cacciare, ma solitamente tornava in un paio d' ore, così da non lasciare il piccolo al freddo troppo a lungo. Quella volta però non tornò. Erano passati due giorni quando Reyeha decise di prendere l'uovo nella caverna, sperando non fosse troppo tardi. Ora che lo guardava meglio rimase stupita di quanto piccolo e bello fosse. Le uova di drago, quando erano "in vita" emanavano luce e quando il feto era più sviluppato e il guscio diveniva più sottile, si poteva intravedere la forma del contenuto. Non essendosi mai potuta avvicinare molto a causa della madre, non era mai riuscita a vederlo bene e sopratutto a tenerlo in mano. Quest'ultimo gesto, infatti era molto pericoloso e se Draryoth fosse tornata, probabilmente avrebbe passato guai seri. L'uovo aveva perso un po della sua lucentezza, segno che stava pian piano morendo. 

Così Reyeha si sbrigò a portarlo nella grotta, accendere un fuoco (farselo accendere da Eissyo che, come ogni altro inverno si era ficcato la dentro. Ormai l'aveva presa come abitudine) sommergerlo di pellicce, stringerlo a se e appollaiarsi assieme all'uovo vicino al drago delle nevi.

Quando la mattina seguente si svegliò, la lucentezza del uovo era tornata alla normalità e la ragazza trasse un sospiro di sollievo. Draryoth non era ancora tornata e Reyeha aveva iniziato a pensare che non lo avrebbe più fatto...

Qualche mese dopo, verso la fine della primavera l'uovo era ancora vivo e Draryoth ancora assente. Ormai in una luna o due avrebbe dovuto schiudersi e finalmente anche Reyeha avrebbe visto come era un cucciolo di drago.

Un giorno, dopo essere tornata dal fiume, dove era andata per lavarsi e pescare qualche pesce, l'ormai quattordicenne capì che qualcosa non andava: Eissyo si era messo in posizione di difesa davanti alla caverna mentre Vrethor le passò in tutta fretta sopra la testa e Brorwl era assente.

Reyeha corse alla caverna per vedere se l'uovo fosse salvo, per fortuna era ancora nelle  pellicce come quando lo aveva lasciato. Poi si avvicinò a Eissyo per cercare di tranquillizzarlo. 

-Hey cosa succede? Tranquil...-

Venne interrotta dal suono di qualcosa che tagliò l'aria.

Nella corteccia dell'albero poco davanti alla caverna si era conficcata una freccia, che portava con se un piccolo affare legato. Reyeha si avvicinò per vedere meglio. Era un ciondolo con una strana pietra rossiccia circondata da una gabbia fatta di quello che sembrava oro. 

Reyeha estrasse la freccia dall'albero e toccò il ciondolo. Dopo di che tutto divenne nero, e lei perse i sensi.

 

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Capitolo 7
*** La strada verso casa ***



La strada verso casa
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Era una calda giornata di primavera. Il sole splendeva alto nel cielo e in un piccolo villaggio del regno ovest di Imirdyr, il cui nome, Bayfield non era nemmeno indicato sulle mappe, la giornata proseguiva calma.
I contadini si apprestavano a tornare dal mercato e i bambini giocavano felici per le stradine dissestate, tutti tranne una ragazza. Il suo nome era Valérie, ma nel villaggio la chiamavano “la strega”. 
Era appena dodicenne, di carnagione pallida, con occhi cangianti tendenti al marrone e i capelli, di un viola così scuro da sembrare nero, incorniciavano il suo viso paffuto. Al centro del petto portava una specie di voglia nera e blu, formata da tanti raggi radiali, stilizzati e di diverse grandezze. Era il simbolo del suo essere maga.

Avere quel tipo di potere era di per se considerato un pericolo e nel suo villaggio una vera e propria eresia. Una rinnegata dagli dei. In particolare da Qiraj, dio minore protettore del suo villaggio, a cui avevano anche dedicato un piccolo tempietto.
I suoi genitori la disprezzavano e le davano il minimo indispensabile per vivere, la gente la scherniva e la maltrattava e i ragazzi si divertivano a darle la caccia, come quelli da cui stava scappando ora.
Il loro capo, Fay, era il più crudele di tutti. La rincorreva spesso “per gioco” e quando riusciva a prenderla iniziava a picchiarla ed insultarla. Gli altri ragazzi gli andavano dietro, alcuni partecipavano al “gioco”, altri si limitavano ad incitare e poi c’erano alcuni che rimanevano semplicemente li, a guardare. Senza fare nulla per aiutarla.
Neanche quando iniziarono a prenderla a sassate. Il ricordo di quel giorno era ancora inciso sul suo occhio destro.  
L’ultima cosa che voleva Valérie era essere picchiata nuovamente da lui.
Per fortuna, gli anni passati a scappare avevano dato i loro frutti e adesso conosceva perfettamente tutte le stradine e i cunicoli che si articolavano per il villaggio.
Dopo aver corso per quello che le sembrava un tempo infinito, seguita solo dal rumore incessante di passi dei suoi inseguitori e dei loro insulti, arrivò finalmente ad una svolta, immettendosi in quello che all'apparenza sembrava in vicolo cieco.
Sul muro che lo chiudeva, nascosto dietro ad un pezzo di legname, c’era un buco che portava nella foresta li vicina. L’aveva scoperto una volta, per caso, dopo essere ruzzolata rovinosamente contro la parete ed essere finita con la testa dall'altra parte della fessura.
Vi si infilò velocemente dentro e, una volta uscita, corse a più non posso. 
Lì vicino si trovava una casa antica in cui si diceva abitasse una vecchia megera. 
In realtà era semplicemente un’anziana signora che, come lei, era considerata una strega perché maga.
Arrivata alla porta della vecchia casa, che a dispetto delle dicerie non era poi cosi malmessa, bussò tre volte con una pausa fra i primi due colpi e l’ultimo, era il loro codice segreto.
La porta si aprì lentamente, l’anziana signora che ora si trovava sull'uscio le sorrise dolcemente.

“Meyr!” l’abbracciò la ragazza, affondando la testa nella morbida treccia grigia che ricadeva sulla spalla della donna.
Non appena ebbe allentato la presa, un piccolo batuffolo bianco la accolse scodinzolante. Si chiamava Kiru, che nella loro lingua significava “coraggioso”. 
Era un cucciolo di Chien. Una razza che si diceva fosse molto rara.
La loro peculiarità era il soffice pelo bianco, brillanti occhi viola e un piccolo simbolo rosso sulla fronte, tre sfere da cui si diramavano lunghe scie stilizzate, ma la cosa che più risaltava erano le diverse code che possedevano. Man mano che crescevano le code aumentavano, arrivando a nove. Per il momento, Kiru ne aveva quattro.

Meyr le aveva detto che nonostante le piccole dimensioni, sarebbe cresciuto grande e forte poiché i Chien sono una razza di temibili cacciatori.
Le aveva anche mostrato un loro disegno. Erano rappresentati come enormi animali a quattro zampe, con lunghe e affilate zanne e piccoli occhi felini.
Valérie prese in braccio quella palla di pelo, che iniziò a leccarla felice.
Non le sembrava possibile che un simile ammasso di tenerezza potesse divenire un predatore tanto terribile.
“Kiru, basta, mi stai facendo il solletico.” rise per poi appoggiarlo delicatamente sul pavimento.
La vecchia le sorrise, invitandola ad entrare e sedersi in salone.
Valérie si accomodò, come faceva sempre, appoggiandosi ad una delle sedie di un piccolo tavolo circolare in quello che era il soggiorno della casa di Meyr.
Non era una casa particolarmente grande in più era anche polverosa e piena di ragnatele ma la sentiva molto più vicina e sua della casa dei suoi genitori.
Una volta, Meyr le aveva detto che c’era una differenza fra il luogo in cui si abita e una casa: il luogo in cui si abita è semplicemente una residenza mentre la casa è dove torniamo per trovare riposo e conforto. Dove risiedono l’amore, i sogni e la speranza. Aveva detto che non per forza la casa doveva essere un edificio.
Per quanto la riguardava, Meyr e Kiru erano la sua casa, presso loro avrebbe sempre trovato un riparo.
“Fay se l’è presa nuovamente con me.” si lamentò imbronciata.
“Valérie.” le sorrise l’anziana signora. “lo sai perché le persone ci maltrattano?”
“Perché siamo maghi.” borbottò l’altra, incrociando le braccia.
“No, è perché hanno paura.” 
Si alzò e prese un libro da uno scaffale lì vicino. 
“hanno paura di ciò che non conoscono.” riprese “di ciò che non possono controllare.”
Apri il tomo.
“E poiché non possono controllarci, cercano di schiacciarci. Di renderci i mostri che credono noi siamo.”
Le indicò una pagina. Mostrava un mago, vestito di rosso, intento in qualche incantesimo, dietro di lui, la gente lo guardava con paura.

Girò la pagina. Nel disegno successivo il mago veniva sconfitto da un prode eroe e si dissolveva nell'oscurità.
“Fin dalle ere precedenti, noi maghi siamo stati temuti, umiliati e tormentati.” 
Le mostrò un’altra pagina. 
Stavolta quel che vide illustrato era un mago, vestito di bianco, che creava stupendi animali e fiori, intorno a lui una luce lo circondava e la gente lo guardava con ammirazione.

“Ma non per tutti è cosi. Io e te abbiamo avuto la sfortuna di nascere in un piccolo villaggio in cui la poca gente che vi abita , isolata dal resto del mondo, ha sviluppato una mentalità chiusa. Spero e credo che un giorno riuscirai a lasciare questo posto, allora incontrerai delle persone che capiranno chi realmente sei.” 
Chiuse il libro e lo ripose nello scaffale. 
“Vedi, la magia è un’arma potente e la tua, Valérie, è molto speciale e forte. Ma proprio perché è cosi forte che è temuta. Su di te gravano pesanti responsabilità. Col tempo imparerai a controllare questa forza dentro di te e creerai cose magnifiche, proprio come il mago che hai visto nel libro.” 
La donna le sorrise, avvicinandosi. Indicò con il dito il simbolo sul suo petto. 
“Questo segno, che tu, io e tutti i maghi, portiamo inciso sul nostro petto è un peso che è nostro compito sostenere con orgoglio e fierezza.”
Valérie la guardò, incantata.
Meyr era per lei una mentore, un’amica, una sorella e una madre. La sua fonte di ispirazione.
Inoltre, le aveva insegnato molte cose ad esempio come leggere e scrivere. 
Come curare le ferite, cucinare, pulire, come riconoscere i diversi tipi di piante e di animali.
Le aveva instillato l’amore per la storia, raccontandole dei vari regni, dal torrido e ricco regno del sud, da cui si innalzavano stupende città turrite al freddo e potente regno del nord dove la neve ricopriva gran parte del territorio; delle leggende, delle imprese eroiche e delle sanguinose guerre; del dio Imir, figlio della Dea Terra e del fuoco che sciolse uno dei ghiacciai perenni, le aveva persino raccontato del dio minore Qiraj, venerato nel loro villaggio e protettore dei campi, nato dalla progenie del dio Imir.
Le aveva spiegato tutto sui maghi, sul segno che ognuno di loro aveva sul petto e di come ne esistessero diverse tipologie, alcune più rare di altre.
Meyr, per esempio, era una Guaritrice. Riusciva a curare anche le ferite più gravi grazie alla magia.
Valérie, invece, era una Maga della Creazione. Attraverso i quattro elementi creava oggetti e esseri che poteva animare a suo piacimento. Era un tipo di magia molto raro che richiedeva una grande concentrazione e solitamente una predisposizione verso un certo tipo di elemento. Lei era molto predisposta all'utilizzo del ghiaccio ma le sue creazioni non duravano molto poiché mancava completamente di concentrazione.
Meyr cercava di aiutarla come poteva negli allenamenti ma era limitata a semplici consigli su come concentrarsi. 
Ripensò alla prima volta in cui aveva dato vita a una delle sue creazioni.

Quel giorno, videro un’uccellino cadere ferito da un’albero.
Meyr lo prese delicatamente con le mani e chiuse gli occhi in un espressione concentrata, iniziò a cantare una lenta litania e una luce verde illuminò il piccolo volatile. Poco dopo, la ferita sulla sua ala si richiuse.
Valérie l'aveva vista fare quegli incantesimi dozzine di volte ma ne rimaneva sempre affascinata. 
L'uccellino apri le ali e le due lo guardarono spiccare il volo.
”Sai che uccello era quello?”
Valérie ripensò al volatile, non era grande ma neanche troppo piccolo, con il ventre fra l’azzurro e il bianco, la schiena viola e la coda rossiccia. 
“Era una Luscinia.” rispose sicura.
“Esatto.” sorrise l’altra. “Dicono che il loro canto sia così bello da commuovere persino le pietre.”
Fece una pausa, leggermente provata dall’incantesimo appena effettuato.
"Ora passiamo al vero obbiettivo di oggi.” cambiò discorso “La magia richiede concentrazione e forza di volontà. Devi desiderare ardentemente di fare una cosa perché questa si avveri. Nel mio caso, ho desiderato che la Luscinia spiccasse nuovamente il volo." 
Le prese le mani "Ora voglio che tu desideri di creare qualcosa. Puoi farlo, se ci credi veramente." 
Valérie chiuse gli occhi e quando la donna le lasciò le mani, una luce azzurra usci da esse.
Non sapeva bene cosa creare cosi optò per una figura simile alla Luscinia appena vista. 
"Ora cerca di isolarti, non pensare a nient'altro, solo alla tua creazione."
La voce di Meyr si affievoliva, rimpiazzata dai suoi pensieri. Ora c’erano solo lei e la Luscinia. Ripeteva il suo nome come un mantra. La dipingeva nella sua testa, la vedeva aprire le ali, librarsi in volo. Poi, senti i suoi pensieri scivolare verso le sue mani, impazienti di uscire.
Lentamente, dei sottili filamenti di ghiaccio iniziarono a formarsi nella sua mano, intrecciandosi e intersecandosi in delicate figure astratte. Sentiva la sua creazione prendere forma. Era un tutt’uno con la materia anzi, lei era la materia. Roteava e girava fluidamente da un filamento all'altro.
Il flusso di energia si fermò.
Quando apri gli occhi, una bellissima Luscinia di ghiaccio era appoggiata, dormiente, sulla sua mano. 
Valérie guardò Meyr, cercando la sua approvazione e quasi incredula davanti a quell’esserino trasparente.
"Forza, fallo volare." la incoraggiò l'anziana.
Valérie guardò intensamente quella piccola figura nella sua mano, in quel momento le era sembrata cosi fragile e delicata ma appena si librò in volo, apparì fiera e maestosa.
Volava intorno a lei in un'ipnotica danza di luci e colori che si riflettevano alla brillante luce del sole.
Non avrebbe mai creduto di poterci riuscire.

Improvvisamente, Kiru le saltò addosso, nel vano tentativo di raggiungere la Luscinia che andò in mille frantumi, rompendo la magia del momento.
Valérie guardò triste ciò che rimaneva della sua creazione.
"Non preoccuparti" la rassicurò Meyr  "Hai soltanto perso la concentrazione, è normale. La tua magia è capace di cose spettacolari. Questo è solo un’assaggio perciò non perdere le speranze. Sono sicura che un giorno farai la più bella fra le creazioni, devi solo continuare a tentare."
Valérie prese Kiru in braccio, accarezzandolo per sentirsi meglio. Sapeva che Meyr aveva ragione ma era comunque frustrante.
La donna la guardò affettuosamente
“Dai, entriamo che ti preparo un bel piatto di biscotti.” le aveva detto felice.
Valérie aveva sorriso, seguendola dentro casa.


Meyr era l’unica persona che le stesse vicino.
Negli ultimi tempi però, la sua condizione di salute, già precaria, era peggiorata vertiginosamente.
Lei aveva più volte negato, ma Valérie non poteva ignorare quegli gli attacchi di tosse sempre più frequenti, quando si portava la mano alla bocca e poi si nascondeva dentro casa per celare alla ragazza il sangue. Voleva aiutarla. Doveva aiutarla. Ma cosa poteva fare? Nessuno avrebbe fatto nulla al villaggio per aiutarle.
Passarono il pomeriggio a leggere.
“Devo andare.” disse Valérie sconsolata al pensiero che si fosse già fatta sera.
La vecchia le mise una mano sulla spalla, sorridendole dolcemente. 
“Aspetta, Valérie.” si alzò lentamente, per poi andare verso la camera da letto.
Nell’attesa, la ragazza si girò verso Kiru con sguardo perplesso, l’animale ricambiò flettendo leggermente la testa.
Meyr tornò poco dopo con qualcosa in mano.
“Cos'è?” chiese Valérie, incuriosita.
Quando aprì la mano, vide una bellissima molletta. Aveva la forma di due piccole ali argentate.

“Una molletta che appartenne prima a mia nonna, poi a mia madre ed infine a me. E’ un cimelio di famiglia che voglio donarti.” le prese le mani, appoggiandovi delicatamente l’oggetto sopra.
“Voglio che tu la tenga cara, è il simbolo del nostro legame. Per me sei come una figlia, sei la mia bambina.”
Le baciò la fronte.
Gli occhi di Valérie erano lucidi mentre tratteneva a stento le lacrime.
Aveva una madre biologica ma alla fine era come se non ci fosse, non l’aveva mai degnata di uno sguardo. Meyr era la madre che aveva sempre desiderato e sentire quelle parole l’aveva riempita di gioia.
La donna le diede una pacca sulla spalla. “Ora và o i tuoi genitori si arrabbieranno.”
Valérie salutò velocemente Kiru, che le leccò nuovamente tutta la faccia e prima di varcare la soglia, guardò un’ultima volta Meyr “Grazie”
Poi, chiuse la porta alle sue spalle.
Nascose la molletta nel palmo della mano.
Sulla strada del ritorno fu ben attenta a non farsi vedere da Fay, era difficile che si trattenesse fuori fino a quell'ora ma esperienze passate le avevano insegnato a non abbassare mai la guardia.
Dopo aver attraversato parecchie stradine arrivò davanti ad una piccola casupola in legno.
Prima di aprire la porta, indugiò per qualche minuto sulla soglia. Sapeva che dopo averlo fatto, l’avrebbero accolta a suon di botte e così fu.
Una mano le strinse il braccio, strattonandola dentro casa.
Un uomo robusto, vestito sobriamente, con una folta barba castana e piccoli occhi marroni iniziò ad urlarle contro. 
“Dove sei stata?!”
“A giocare nella foresta.” rispose Valérie, toccandosi il braccio arrossato.
Si girò verso la cucina, sua madre stava preparando qualcosa. Non si era neanche girata a guardarla. Non le era mai importato molto di lei, si limitava a pretendere che non esistesse.
Le arrivò uno schiaffo in faccia.
“Sei andata ancora da quella brutta strega!”
“Meyr non è una strega!”
Un altro schiaffo, stavolta abbastanza forte da farla cadere a terra.
“Guarda te, ora osi anche rispondermi! Dovresti portarci rispetto per esserci presi cura di te, invece. Lo sapevo, dovevamo ucciderti quando ne avevamo l’occasione.”
Valérie si toccò la guancia con lo sguardo rivolto verso terra.
Benché quelle parole fossero dure, la molletta che teneva stretta nel pugno le dava la forza di sopportarle.
“Ora vai in camera tua e niente cena stasera!”
Le intimò l’uomo.
Valérie salì velocemente le scale verso la sua stanza, ovvero la soffitta. Uno spazio angusto e pieno di polvere che era grande a malapena per il suo letto.
Si accasciò stanca su di esso, guardò un’ultima volta la molletta per cadere poco dopo in un sonno profondo.
I giorni successivi proseguirono monotoni. La maggior parte della giornata la passava a sbrigare faccende per i genitori, il pomeriggio lo passava da Meyr, la cui situazione non faceva altro che peggiorare, negli ultimi tempi si era anche allettata e la sera la passava in soffitta.
Cercava di sopportare come meglio poteva le angherie della gente del villaggio seguendo gli insegnamenti di Meyr.
Più volte le aveva detto che la migliore arma contro la violenza era l’amore e che rispondendo all’odio con l’odio non si faceva altro che accrescerlo.
Non era capace di mostrare amore ma non rispondeva mai quando la picchiavano o la insultavano. Cercava di nascondere le lacrime come meglio poteva. Finchè era lei ad essere maltrattata, allora poteva sopportare tutto. Doveva solo aspettare di essere abbastanza grande da potersi lasciare quel villaggio alle spalle.
Ma il destino aveva altro in serbo per lei e mai avrebbe immaginato quello che le sarebbe successo da li a poco.

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Capitolo 8
*** Persa ***



Persa

-
Quel giorno, Valérie si svegliò con groppo allo stomaco. Sentiva che sarebbe accaduto qualcosa di brutto.
Scese le scale della soffitta e andò in cucina.
La madre stava cucinando qualcosa ai fornelli. Forse uova, dall’odore mentre il padre era seduto al tavolo, con un bicchiere di latte in mano.
Sentendola arrivare, la donna si fermò per un’istante, per poi riprendere quello che stava facendo.
“Ti sei svegliata finalmente.” l’ammonì l’uomo. 
Si alzò dal tavolo di malavoglia, prese un pezzo di pane raffermo dalla dispensa e glielo gettò praticamente addosso.
“Appena hai finito di mangiare vai a prendere l’acqua al pozzo. E vedi di non metterci troppo!” ordinò rude.
Per la fame, Valérie divorò in un solo boccone il pezzo di pane e, veloce, usci di casa.
I suoi genitori le dicevano sempre che doveva rendersi utile in qualche modo se voleva mangiare e poiché andare a fare compere era fuori discussione perchè i contadini si rifiutavano di venderle qualsiasi genere di cibo, non le rimaneva che quello e le faccende di casa.
Quel giorno, prima di andare al pozzo fece una deviazione. Attraversando un piccolo sentiero dissestato, arrivò al tempio del villaggio.
In realtà, non si poteva definire tale poichè si trattava di una semplice roccia con sopra l’icona sacra del dio Qiraj dove la gente si recava per fargli offerte.
Negli ultimi tempi, aveva preso questa abitudine.
Andava al tempio, faceva un’offerta che solitamente consisteva nel pane che le davano da mangiare la sera, e pregava affinchè Meyr guarisse. Doveva sbrigarsi, altrimenti avrebbe ritardato troppo e suo padre l’avrebbe picchiata.
Finì velocemente le preghiere e si alzò rapida.
Ogni volta che andava al pozzo doveva stare attenta a Fay, più di una volta era capitato che la spingesse, facendola cadere e riversare tutta l’acqua a terra.
Mentre camminava, si scontrò con un ragazzo, rischiando quasi di cadere. Chiuse gli occhi, già preparata ad essere insultata, quello che senti invece, la stupi non poco.
“Scusa.” le disse quasi in un soffio il ragazzo. 
Valérie aprì gli occhi, stupita.
Era mingherlino, con la pelle piuttosto scura e i capelli ricci e biondi che coprivano in parte i grandi occhi argentati. Aveva numerose lentiggini sul viso. Valérie l’aveva gia visto da qualche parte. 

Era un membro della combriccola di Fay. L’unico che non l’avesse mai picchiata. Sebbene non avesse mai fatto molto per aiutarla. 
Prima che potesse dirgli qualcosa, il ragazzo si allontanò veloce. 
Se c’era lui forse c’era anche il resto del gruppo. Si guardò intorno preoccupata, ma di Fay e gli altri ragazzini non c’era traccia. Riprese il suo cammino verso casa. 
Quel giorno era stata fortunata.
Poco prima di arrivare però, non poté fare a meno di sentire la conversazione di due contadini là vicino.
Capitava spesso che le persone li si confidassero le cose ad alta voce, del resto era un paesino piccolo e tenere dei segreti era quasi impossibile.
“Ho sentito che quella vecchia megera si sta finalmente ammalando.” disse il più grasso dei due.
“Forse è perché molti di noi si rifiutano di venderle del cibo.” rispose l’altro, ridendo di gusto.
Valérie si fermò. Incredula. 
Non poteva essere. Non per quello.
“Meglio così, prima ce la togliamo di torno meglio è.”
Lasciò cadere i secchi a terra, gettandosi in lacrime su uno dei due uomini.
“Meyr non è una strega!” urlò.
L’uomo su cui si era avvinghiata la scostò violentemente, facendola cadere bruscamente a terra.
“Ma che problemi hai?” le disse disgustato.
“Cosa vi permette di umiliarci, di maltrattarci?” continuò incurante del sangue che sgorgava dai suoi gomiti.
“Cosa vi permette di decidere di noi? Della nostra vita? Vogliamo solo vivere in pace, invece voi ci schiacciate, ci uccidete. SIETE VOI I MOSTRI!”
Improvvisamente, qualcuno la strattonò violentemente per i capelli.
Il padre.
I due contadini la ignorarono completamente, rivolgendosi all’uomo.
“Sei arrivato finalmente. Riprenditi questa bestia e vedi di educarla meglio”
Venne letteralmente trascinata dentro casa.
Dopo aver richiuso la porta alla sue spalle, l’uomo inizio a picchiarla brutalmente.
Questa volta non furono solo schiaffi, ma calci e pugni.
“Non azzardarti mai più” urlava.
“Noi ti abbiamo accolto e cresciuto e tu continui a fare casini per il villaggio! Sei una disgrazia!”
Poi. La pugnalata.
“Dici a quei bravi uomini di essere dei mostri ma non è forse per dare da mangiare a te che quella brutta strega si priva di cibo?! Credi non sia a conoscenza di tutte le volte che sei andata da lei a scroccarle un pasto caldo?”
Era una cosa a cui Valérie non aveva mai fatto caso o forse non aveva mai voluto farci caso. Era per colpa sua se la sua condizione era peggiorata così velocemente, era per la sua avidità se ora Meyr stava morendo.
Senti il calore delle lacrime bagnarle il viso e poi il loro sapore amaro, mischiato a quello metallico del sangue, pungerle la bocca.
Le parve di morire.
I sensi di colpa le attanagliavano lo stomaco come tanti aghi.
Quando la tortura finì, Valérie era sdraiata a terra, in posizione fetale, con le mani sul ventre per il dolore.
Lentamente, si trascinò in soffitta.
Arrivò al letto e vi si accasciò sopra, piangendo.
Il giorno dopo riusciva a malapena a muoversi. Fu comunque costretta ad alzarsi e ad uscire di casa per andare a svolgere le sue mansioni.
Questa volta però, incurante di tutto, sgattaiolò via verso la casa di Meyr.
Quando bussò alla porta nessuno rispose.
Fortunatamente, Meyr teneva sempre la porta aperta anche se lei le aveva ripetutamente detto quanto la cosa fosse pericolosa. 
Corse velocemente verso la stanza da letto. 
Come pensava, Meyr dormiva e Kiru le faceva affettuosamente la veglia. 
Quando la vide, iniziò a scodinzolare e abbaiare.
Appena lo ebbe accarezzato, Meyr diede segno di svegliarsi.
Tossi, mettendosi un fazzoletto sulla bocca.
“Ah, sei tornata.” le sorrise.
"Aspetta, ti preparo qualcosa da mangiare" cercò di aiutarla Valérie, nascondendo come poteva la sua preoccupazione.
Quando arrivò in cucina, l’assenza quasi totale di cibo la distrusse.
Tutto ciò che le aveva detto suo padre era vero.
Se Meyr stava così era solo colpa sua e del suo egoismo.
Se non l’avesse incontrata, forse ora non avrebbe versato in quelle condizioni.
Meyr l'aveva sempre aiutata e lei non aveva fatto niente in cambio, anzi.
Appoggiò i pugni chiusi sul tavolo. 
Respirò profondamente e riprese a cercare qualcosa da mangiare.
Prese un pezzo di formaggio e un tocco di pane e li mise su un vassoio insieme a un bicchiere d’acqua.
Quando lo offrì a Meyr questa lo rifiutò.
“Non preoccuparti, non ho fame.” sorrise nuovamente.
“Devi mangiare!” insistette la ragazza “Sei debole, per favore.” la voce le si spezzò in gola. Il vassoio le scivolò dalle mani mentre cadeva senza forze ai piedi del letto.
"Scusa" disse fra le lacrime "E’ colpa mia, è tutta colpa mia."
La donna la guardò, triste.
"Non devi scusarti, Valérie.Tu non hai colpa."
”Si, invece!” urlò. “Non mi sono mai accorta di come stavi realmente, anzi, non volevo accorgermene. Preferivo farmi rassicurare dal tuo sorriso piuttosto che affrontare la realtà. Sono stata io a farti ammalare, è tutta colpa mia!” 
”No, bimba mia, tu mi hai fatto il regalo più grande.” le accarezzò una guancia.
“Mi hai donato amore. Mi hai voluto bene e hai pianto per me. Anche se non mi vedrai più, io ci sarò sempre, veglierò su di te." alzò debolmente un dito a indicare il cuore della ragazza "finché terrai il mio ricordo vivo qui." 
Lentamente e tremolante, le prese la molletta che Valérie si era sistemata sulla maglietta e gliela pose sui capelli.
Un sorriso sereno le dipinse il volte mentre perdeva gradualmente i sensi. Chiuse gli occhi per non riaprirli mai più.

Valérie iniziò a singhiozzare orribilmente, crollando vicino a lei. Non sarebbe tornata a casa quella sera, né mai più. 
Sentiva qualcosa mancare dentro di sè, come un vuoto. Il corpo le tremava, ma non per il freddo. Sapeva che Meyr non avrebbe più riaperto gli occhi.
Si sentiva morta. 
Si sentiva spezzata.
Si sentiva inutile.
Sapeva che Meyr non avrebbe mai più riaperto gli occhi.
Ma nonostante il dolore e la disperazione, nonostante quella sembrasse una situazione senza speranza, anche se voleva solo chiudere gli occhi e dormire per sempre, doveva andare avanti perché questa era la volontà di colei che era stata una maestra, un’amica, una sorella e una madre per lei.
Kiru si accosto al letto della sua padrona, cercando un segno, una carezza che non arrivò mai. Iniziò a guaire in un pianto disperato per poi avvicinarsi malinconicamente a Valérie che lo tenne stretto a se.
I due piansero fino ad addormentarsi, cadendo in un sonno senza sogni.

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Capitolo 9
*** L'abisso ***



L'abisso

-
-

Meyr era morta da giorni ormai. La gente non se ne era neanche accorta. Se non fosse stato per Valérie, sarebbe rimasta in quella casa a marcire.
La ragazza aveva lavorato giorno e notte per scavare una buca alla sua maestra, Kiru si era messo accanto a lei, cercando di aiutarla a scavare con le sue piccole zampine.
Ogni volta che la pala entrava nel terreno e prendeva un pezzo di terra, sembrava prendere anche un pezzo della sua anima.
Quando non scavava, puliva la casa e dava da mangiare quel poco che c’era al piccolo batuffolo bianco. Neanche una volta era tornata al villaggio.
La notte la passava a fare la veglia a Meyr, sperando invano che aprisse gli occhi. 
Aveva pregato Imir, la Dea Terra, Qiraj e tutti gli altri dei minori perché avvenisse un miracolo ma erano troppo lontani o semplicemente troppo occupati per prestarle ascolto.
Quando finì la buca fu come se una parte della sua anima fosse stata risucchiata da essa. Erano soli, lei e Kiru, in un mondo che li odiava.
Avvolse il corpo esanime di Meyr in un panno e l’appoggiò nella fossa, per poi seppellire tutto nella terra.
Decorò la tomba con dei piccoli sassolini, disponendoli in modo che formassero un sole. Il simbolo che i maghi come Meyr possedevano.
Al centro della figura fece una piccola ridondanza su cui pose un fiore di Pervinca.
Meyr le aveva spesso impartito lezioni sul significato dei fiori.
Le aveva detto che la Pervinca simboleggiava un prezioso ricordo.

I giorni passavano, il cibo era ormai quasi del tutto finito e la fame iniziava a farsi insopportabile.
Era costretta a tornare al villaggio. Non voleva che vedessero Kiru, l’avrebbero ucciso e se suo padre l’avesse vista, avrebbe ucciso anche lei.
Così decise di agire di notte. Aspettò che si facesse sera, prese il mantello che Meyr metteva sempre sulle spalle, aveva un piccolo cappuccio, e lo usò per coprirsi il capo.
Arrivata al villaggio, sgattaiolò agilmente da un vicolo all'altro. I bambini e le donne erano ormai dentro casa a quell'ora e gli uomini bevevano dentro le taverne oppure dormivano profondamente nei loro letti.
I campi coltivati erano numerosi e non particolarmente protetti, perciò fu abbastanza facile entrare in uno di essi.
Vedendo tutto quel cibo, iniziò a girarle la testa. Sentiva il suo stomaco ruggire per la fame.
Iniziò a raccogliere ciò che poteva e nel frattempo ingurgitava affamata qualche pomodoro.
Quando ne ebbe le mani e la veste pieni fuggi più veloce che poté.
Appena arrivata a casa, quasi sveni, sbattendo la schiena contro la porta.
Fino a quel momento aveva avuta l’adrenalina alle stelle ma ora si sentiva senza forze e respirava affannosamente. La stanchezza di quei giorni iniziava a farsi sentire.
Quando Kiru le si avvicino, eccitato dall'odore del cibo, riuscì a malapena ad aprire la mano per dargli ciò che aveva.
Poi, cadde addormentata.
Il giorno dopo, si svegliò indolenzita ma riposata, era la prima volta dalla morte di Meyr che riusciva a dormire bene e senza incubi.
Quel benessere finì appena senti Kiru tossire dall'altra stanza.
Corse per vedere cosa stesse succedendo e lo vide vomitare ciò che aveva mangiato la sera prima.
Lui era un cacciatore e un animale prevalentemente carnivoro. Il suo corpo rifiutava le verdure.
Se voleva aiutarlo, aveva bisogno di carne.
Ma questo significava anche uscire al villaggio di giorno.
Se l’avessero vista, sarebbe morta ma se non faceva niente, sarebbe morto Kiru.
Non poteva perdere anche lui.
Non importava quanto pregasse, la situazione non faceva che peggiorare. Forse era veramente un’eretica o forse gli dei erano semplicemente troppo occupati per darle ascolto.
In preda alla rabbia, corse verso il tempio del villaggio.
Si era privata del cibo e del sonno.
Pregava al tempio, di notte, di giorno.
Pregava quando camminava per strada e pregava quando entrava a casa di Meyr.
Ma non aveva importanza. Non per loro, gli essere superiori. Cosa erano gli esseri umani, se non formiche? E lei, l’eretica. La ripudiata.
“Cosa vi abbiamo fatto di male?!” urlò ai piedi dell’altare. 
“Cosa abbiamo noi maghi di diverso da loro? Non abbiamo anche noi due occhi, due braccia e due gambe? Non proviamo dolore e disperazione?” con uno schiaffo, fece cadere l’immagine sacra del dio .
“ALLORA PERCHE’ DOBBIAMO SOFFRIRE COSI?” sibilò, calpestando l’icona, ormai in frantumi.
“Che c’è? Non mi sentite? O forse sono troppo insignificante per voi?!”
La rabbia la divorava, mischiata a lacrime e dolore.
Gridò tutto ciò che si portava dentro. La solitudine, la delusione e la frustrazione.
Odiava tutti gli dei perchè dall’alto della loro perfezione li guardavano come fossero marionette di un loro deviato spettacolo.
Gridò ancora e ancora. La voce le si spezzava in gola.
Poi, sentì un rumore di passi avvicinarsi e fu costretta a scappare. Prima di tornare a casa però corse per la foresta, cercando di calmarsi.
Sentì il melodioso canto della Luscinia e decise di porre la sua rabbia e il suo odio da parte. Doveva salvare Kiru.
Così, una volta a casa, si avvicinò alla piccola palla di pelo, accarezzandolo. 
“Non ti lascerò morire. Dovessi rimetterci io stessa la vita.” sorrise.
Prese la mantella e veloce usci di casa.
Decise di sgattaiolare per la fessura da cui era solita farlo prima. Sarebbe sbucata in una strada con poca gente e avrebbe avuto miglior modo di pensare sul da farsi.
Il terrore l’assali quando si accorse di un rumore di passi dietro di lei.
Kiru l’aveva seguita.
Quando l’animale l’ebbe raggiunta, si abbassò, così da guardarlo negli occhi.
“Kiru!” cercò di bisbigliare più piano che poté “Dannazione! Torna a casa!” gli intimò.
Ma il piccolo animale le leccò una guancia.
Cercò anche di ficcarlo nel buco a forza ma invano.
Così lo nascose sotto la mantella e prosegui.
Teneva la testa china e la schiena ricurva cercando di passare per una vecchietta e niente di più.
Non sapeva ancora bene come si sarebbe procurata la carne.
Poteva rubarla ad una delle carovane di contadini che tornavano al villaggio oppure rubare dei soldi e usarli per comprare un piatto di carne all'unica osteria che avevano.
Entrambe le opzioni era dannatamente pericolose soprattutto considerando quella piccola palla di pelo che si portava dietro.
Grazie al cielo era relativamente silenzioso.
Decise per l’osteria. Rubare soldi le sembrava un compito relativamente semplice, sicuramente molto di più che rubare della carne ben sorvegliata da persone molto più grandi e forti di lei.
Mentre girava per il villaggio in cerca di una facile preda non poteva fare a meno di sentire i pettegolezzi che i vari abitanti si scambiavano ad alta voce. 
“Hai, sentito? Nel villaggio è arrivata una straniera.” disse una donna alla sua amica.
“Dicono sia solo di passaggio.” aggiunse una terza.
“Non mi ispira niente di buono, hai visto come va vestita in giro? Una donna non dovrebbe indossare dei pantaloni.” commentò la seconda.
“Si, si, e poi quei capelli rossi e quelle lentiggini, non può che essere una delinquente.”
Affrettò il passo per allontanarsi da quelle pettegole, a quanto pare i pregiudizi non erano riservati solo ai maghi.
Però, era strano che uno straniero visitasse il loro villaggio, poiché non era neanche indicato dalle mappe.
Scacciò quei pensieri, non poteva distrarsi in quel modo. Doveva rimanere concentrata.
Vide un carro che tornava dai villaggi vicini, aveva già scartato l’idea di rubare direttamente la carne ma si accorse di un piccolo borsellino attaccato a un lato dell’attrezzo. Era possibile che contenesse soldi.
Muovendosi più discretamente che poté, si avvicinò al carro.
Gli uomini che lo portavano erano cosi presi dalle loro chiacchiere che non si accorsero neanche di lei.
Velocemente, agguantò il borsellino per poi allontanarsi in fretta e furia.
Dopo pochi metri, riprese un’andatura normale e aprì il borsellino per controllarne il contenuto. Fortunatamente, c’era qualche moneta, sperò fossero sufficienti per un piatto di carne.
“Kiru, cerca di resistere ancora un po, ce l’ho quasi fatta.”
Entrò nell'osteria ,che a quell'ora era mezza vuota.
Si avvicinò al bancone, tenendo la testa basta.
L’oste, una donna grassa e segnata dall'età, con lunghi capelli grigi chiusi in una crocchia, la guardò con sospetto.
“Cosa desideri?” le disse brusca.
Valérie cercò di modulare la sua voce per sembrare il più vecchia possibile.
“Un piatto di carne, per favore.”
La donna la guardò perplessa per poi accingersi a prepararglielo.
L’attesa era snervante, l’ansia l’assaliva sempre più man mano che i minuti passavano.
Sentiva del sudore freddo bagnarle la fronte.
“Ecco a te.” arrivò la donna, servendole il piatto davanti.
Era una succosa bistecca. Valérie sentì nuovamente la testa girarle e la fame pungerle lo stomaco ma non era per lei quel pasto.
“Sono 10 denari.” 
La donna allungò la mano.
Valérie aprì tremante il borsellino. Ne estrasse il contenuto, 8 denari.
No, non era possibile.
L’oste la guardò poi ritrasse la mano e fece per prendere il piatto.
“Mi dispiace ma se non hai 10 denari non posso farti mangiare.”
Una mano la fermò, costringendola a rimettere il piatto sul bancone.
“Pago io per lei.” disse una voce femminile.
Valérie si girò a guardare la donna. Era vestita di nero con un cappuccio giallo, la pelle era punteggiata di lentiggini e i lunghi e ondulati capelli rossi incorniciavano un viso deciso dagli zigomi sporgenti. Doveva essere la straniera.

Questa, prese da un borsello che aveva attaccato alla cintura 10 denari e li appoggiò sul tavolo, rivolgendo un sorriso beffardo all'oste che, indispettita li prese bruscamente.
Valérie afferò velocemente la bistecca e la infilo dentro una borsa che si era portata dietro per poi scappare rapidamente da lì.
Avrebbe voluto ringraziare la donna ma non poteva permettere che nessuno la vedesse.
Kiru iniziò ad abbagliare, euforico per l’ odore gustoso che la carne emanava.
Cercò di azzittirlo come poté ma era tutto inutile così, prima che potesse causare danni, si fermò in un vicolo e tirò fuori la bistecca, dandogliela.
Benché anche il suo stomaco stesse brontolando, non ne prese un singolo pezzo. Guardare Kiru mangiare felice era abbastanza per lei.
Lo accarezzò dolcemente sulla testa.
“Siamo rimasti soli, ma non preoccuparti, ti proteggerò da tutto e da tutti.”
Non appena ebbe finito di mangiare, se lo rimise nella mantella, cercando di ritornare a casa.
Improvvisamente, sbatté violentemente contro qualcuno, cadde a terra, rovesciando indietro il cappuccio.
“Hey, guarda chi si rivede.”
Conosceva quella voce. La conosceva troppo bene. 
Era Fay.
Un brivido freddo le percorse la schiena. Si mise le mani al ventre, cercando di nascondere Kiru.
“Pensavamo fosti morta insieme a quella brutta strega invece eri solo fuggita come la codarda che sei.” rise.
Le tirò un calcio in faccia, spaccandole un labbro e facendola sbattere la testa sul terreno.
Kiru uscì rabbioso da sotto la mantella, abbaiando furiosamente.
I ragazzi dapprima indietreggiarono poi iniziarono a guardarlo divertiti.
L’avrebbero ucciso.
La ragazza scattò velocemente verso l’animale, prendendolo in braccio.
Riusciva a stento a trattenerlo.
“Oh...non dirmi che ora che è morta quella bestia te ne sei trovata un’altra?”
Faceva male, faceva cosi dannatamente male.
Fay guardò i suoi amici
“Che ne dite divertirci un po?”
Un paio di ragazzi la circondarono, costringendola a lasciare Kiru.
La spinsero a terra, bloccandole le braccia.
Presero la borsa che Valérie aveva con se e ve lo infilarono dentro.
“Cosa pensate di fare?!” urlò disperata.
“Niente, vogliamo solo giocare un po a palla.”
“No...no...non farlo.” sbottò improvvisamente uno dei ragazzi.
Era lo stesso contro cui aveva sbattuto al pozzo qualche giorno prima.
“E perché non dovrei? Sono dei mostri.” lo guardò indispettito Fay.
“E’ sbagliato. Come possono essere dei mostri? Guardala, è cosi simile a noi! Piange come noi, soffre come noi!” Pur tremanda, aveva un posa decisa e i pugni stretti dalla rabbia.
L’altro lo spinse violentemente a terra.
Il ragazzo guardò Fay con un misto fra odio, disgusto e paura. Si alzò velocemente e scappò via.
“Con te farò i conti dopo, Flynn!” lo minacciò.
Nel frattempo Kiru, da dentro al sacco, abbagliava con foga.
“Ma guarda come è vivace, credo voglia proprio giocare.”
Fay lo prese e lo lanciò per poi colpirlo forte con un calcio.
L’animale lanciò un guaito acuto.
I ragazzi lo calciavano con forza, passandoselo a vicenda.
Un calcio, un guaito e le urla di Valérie.
Un altro calcio.
Un altro guaito.
E ancora urla.
Man mano che lo colpivano i guaiti si affievolivano e più lo facevano più Valérie urlava forte.
Non aveva mantenuto la promessa, non l’aveva protetto.
Era inutile. Non importava cosa facessero la gente li odiava, li disprezzava, li umiliava.
Improvvisamente, i guaiti cessarono del tutto.
Smisero di calciarlo e il sacco cadde a terra rovinosamente.
Fay, seguito dai suoi compagni, iniziò a ridere di gusto.
“Vedi? Questo è quello che succede quando voi maghi toccate qualcosa, lo distruggete.”
Il ragazzo le si avvicinò, stringendole i capelli e strappandole la molletta di dosso per poi gettarla violentemente a terra.
Cadendo, una delle due ali saltò via.
Valérie guardava incredula l’immobile sacco da cui non proveniva più alcun rumore e la molletta spezzata che giaceva accanto ad esso.
Sentì l’amaro sapore delle lacrime sulle sue labbra.
Poi le risate.
La sensazione di terra sotto il suo corpo.
Infine, il nulla.
Non sentiva ne vedeva niente. 
Era rimasta sola con i suoi pensieri.
Erano loro i mostri o lo era lei? Non aveva più importanza. 
Li avrebbe sterminati tutti.
Odio, rancore, rabbia, si sarebbe lasciata andare a quei sentimenti.
Avrebbe ceduto a quella forza, quell'oblio dentro di sé.
No, non era cedere alla rabbia. Era di più. Era cedere all’insensibilità. Smettere di provare emozioni.
Se la credevano un mostro, allora lo sarebbe diventato.
Non ne avrebbe provato rimorso perchè non avrebbe provato nulla.
Prima che se ne potesse rendere conto, aveva perso il controllo dei suoi poteri, i suoi occhi avevano iniziato a brillare intensamente di blu, vortici di ghiaccio la circondavano e si intrecciavano a formare un essere mostruoso, un’enorme animale a quattro zampe e nove code. Su di esso, una donna senza testa portava in mano una lunga lancia affilata. Ma l’aspetto dell’essere Valérie non pote vederlo. In quel momento, non vedeva nulla, solo un nero scuro come l’abisso.

Non sentiva le urla o i passi veloci della gente terrorizzata e non si era neanche accorta della figura femminile che ora si stagliava contro di lei, evitando agilmente l’essere di ghiaccio.
Sentì un colpo alla bocca dello stomaco, poi i suoi sensi vacillarono.
Le forze le vennero meno e cadde nell'oscurità.


Si svegliò in quella che sembrava la stanza di un ostello.
Si alzò di scatto.
“Kiru!” urlò d’istinto.
“Ti sei svegliata, vedo.” La voce era quella di una donna, seduta su una sedia vicino alla finestra.
La stessa che aveva incontrato all’osteria.
Improvvisamente, la testa iniziò a farle male. Sembrava stesse per scoppiare.
“E’ normale, vedilo come il dopo sbronza dei maghi.”
“Dov'è Kiru?” 
La donna continuò a fissare la finestra con sguardo rammaricato.
Era morto.
Non l’aveva protetto, per di più aveva quasi ceduto all'oscurità. Avrebbe ucciso tutti se non fosse intervenuta quella donna.
“Grazie.” bisbigliò.
“Non devi ringraziare me, è stato un ragazzo ad avvertirmi.”
“Tu mi hai fermato. Se non fossi arrivata, li avrei uccisi tutti.” Si guardò le mani.
Pur essendo pulite le sembravano sporche di sangue.
“L’avrei fatto anch'io al posto tuo.” le sorrise l’altra. “Per poco non li ho uccisi anch'io.” chiuse un pugno. “Ti ho dovuta portare in fretta e furia fuori dal villaggio, sai? Volevano ucciderti. Ora ci troviamo in una locanda poco distante dalla foresta”
Valérie abbassò la testa.
“Perché mi hai salvato?” chiese.
“Perché avevi bisogno di aiuto.” rispose con noncuranza l’altra.
“Ma, sono una maga.”
“E allora?” 
Non capiva. Fino a quel momento nessuno, tranne Meyr che era anche lei una maga e Kiru che non era umano era stato così gentile con lei.
“Sai.” continuò la donna. “Poco tempo fa, mi è capitato di aiutare, anche se indirettamente, una maga che, come te aveva perso il controllo. Tanto tempo fa avevo anche un’amica maga. L’esperienza mi ha insegnato che siete persone come tutti gli altri. Anzi, lo sai che ti dico, siete anche meglio” rise per poi alzarsi e andarle incontro. 
“Il mio nome è Ida” le porse la mano “Viaggia con me, ti insegnerò un sacco di cose, incontrerai altri maghi e capirai quel che ora ti sembra incomprensibile. ”
Valérie scoppiò in lacrime. Erano troppi i sentimenti che provava in quel momento.
Aveva perso nel giro di pochi giorni le due persone più importanti della sua vita, aveva conosciuto l’abisso e si era quasi macchiata di un peccato imperdonabile ma ora aveva incontrato una persona che senza conoscerla l’aveva salvata, le aveva offerto una via di fuga, con lei avrebbe potuto viaggiare e vedere il mondo.
“Ehi, non piangere.” cercò di consolarla la donna.
“Scusa è che prima d’ora nessuno era stato cosi gentile con me.” disse fra i singhiozzi.
Ida la guardò per poi porle qualcosa. 
Quando lo ebbe messo a fuoco, riconobbe la molletta di Meyr. Subito l’afferrò, stringendola forte al petto. Era spezzata e mancava un’ala, ma era l’unica cosa che le rimanesse di quei giorni.
Quando si fu calmata. Ida le diede un bel pasto caldo su cui Valérie non attardò a fiondarsi. Mangiava con foga e tutto le sembrava cosi buono.
Ida si era seduta davanti a lei.
“Volevo fare una tomba per il tuo animaletto, ma non sapevo dove. Purtroppo, gli abitanti del villaggio hanno voluto disfarsi del corpo” le disse ad un certo punto.
Valérie la guardò, posando un pezzo di pane che stava per addentare sul tavolo.
Chiuse i pugni, in preda alla rabbia. Prese un profondo respiro, cercando di calmarsi.
“Io un’idea ce l’avrei.” disse poi “Vicino alla casa di Meyr, la mia maestra. Si trova nella foresta.” poi si accorse di quel che aveva detto. “però è vicina al villaggio.” Non potevano permettersi di avvicinarsi troppo.
“Che problema c’è? E’ vicino, mica dentro.” ghignò la donna.
“Su, finisci di mangiare e fatti un bel bagno. Ti ho anche preparato dei vestiti.”
“Grazie ancora” fece una pausa “grazie anche per il pasto alla locanda.”
La donna la guardò. 
“Allora eri tu!” sbottò sorpresa “ecco perché mi sembravi familiare.”
Le due scoppiarono a ridere.
Valérie si fece un lungo bagno ma i flash di ciò che era successo il giorno prima continuavano a tormentarla. Il sacco pieno di sangue, le risate di Fay e della sua combriccola, il sapore delle lacrime, il suo potere che andava fuori controllo.
Stava quasi per diventare il mostro che Meyr non voleva fosse. Stava per cedere all’abisso, alla disperazione.
Si immerse nella vasca, cercando di scacciare via quei pensieri.
I vestiti che le aveva preparato Ida erano bellissimi. Completamente diversi dagli stracci che era costretta ad indossare al villaggio.
Portava una maglietta blu con ricami neri e dorati, una cintura marrone sorreggeva quattro borselli e le stringeva i lunghi pantaloni neri alla vita.
Sulle mani, portava dei guanti blu scuro mentre ai piedi aveva di bellissimi stivali blu e grigi.
Guardandosi allo specchio, si riconobbe a stento.

“Quando avremmo finito, potrai comprarti altre cose.” 
“Questo è più che sufficiente.” le rispose in tono meravigliato.
Quando arrivarono alla casa di Meyr, Valérie fu sollevata dal vedere che la tomba era rimasta intatta, anche se il fiore di Pervinca era appassito.
Mentre costruivano un’altra piccola tomba circolare per Kiru, Valérie parlo ad Ida della sua maestra.
“Meyr era una maga guaritrice.” spiego mentre impilava il piccolo tumolo di terra.
“Anche volendo, non avrebbe mai potuto fare del male a nessuno. Mi ha insegnato la maggior parte delle cose che sò, per me è stata come una madre, un’amica, una sorella e una maestra. Fu lei a darmi questa molletta” le disse indicando la molletta argentata che portava ai capelli.
“Kiru invece era come un fratellino minore.” rise “Era sempre vivace e affettuoso.”
“Loro mi hanno insegnato a non arrendermi e ad andare sempre avanti. Voglio onorare il loro ricordo.” prese due fiori di Pervinca e li posò sulle tombe.
“Voglio continuare a camminare, andare avanti, sempre e comunque. Diventerò una delle più grandi maghe mai esistite, dimostrerò alla gente che si sbagliava, che non siamo mostri.”
Stava per alzarsi quando senti un canto melodioso.
Era il canto di una Luscinia.
Quel piccolo volatile sbucò da un albero ed inizio a volarle intorno, in una danza ipnotica.
Era il messaggio di Meyr. 
Era il suo incoraggiamento ad andare avanti. 
Era l’addio e il ringraziamento che l’avrebbero portata ad un nuovo inizio.
Valérie sorrise, trattenendo a stento le lacrime.
Ida le porse nuovamente la mano.
“Andiamo avanti, insieme.”
Valérie ricambiò la stretta.
Non sapeva cosa le avrebbe riservato il futuro e sentiva ancora l’abisso vicino a lei ma ora era pronta a portare quel simbolo a testa alta, avrebbe combattuto contro se stessa per continuare a vivere.

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Capitolo 10
*** Rivelazioni ***





Capitolo 10: Rivelazioni

-Signore, tutto questo è molto pericoloso! Non possiamo tenerla qui! Potrebbe portare alla distruzione della biblioteca! 
-Sono d'accordo, dovremmo sbarazzarci di quella ragazza il prima possibile. 
-In più, è selvatica ed irrispettosa. Non ha maniere e non sa nemmeno parlare per bene.
Il vecchio signore seduto a capotavola, ascoltava in silenzio i pareri degli altri presenti. Poi alzò lo sguardo, posandolo sul ragazzo che stava in piedi composto vicino la parete alle spalle dei consiglieri. Non aveva diritto di parola in quella riunione, troppo importante, ma l'espressione del suo volto, suggeriva chiaramente che aveva qualcosa da dire, così il saggio Bibliotecario lo interpellò.
-Tu cosa ne pensi Balkrev?-
I consiglieri si girarono sbalorditi verso il Gran Maestro.
-Signore, lui è solo un'apprendista! Per di più ancora giovane ed inesperto!
L'anziano alzò la mano come per fermare le parole dell'uomo ch'era intervenuto.
-L'ho interpellato io Yrel, vuoi forse contraddire la mia decisione?
L'uomo, irritato abbassò la testa come per scusarsi.
-No Signore.
-Bene, dunque Balkrev, dicci la tua opinione.-  Dopodiché tutti i consiglieri girarono il capo verso il ragazzo, il quale, se pur all'inizio tintinnante e chiaramente a disagio a causa di sguardi ostili, iniziò a parlare.
-Se le voci riguardo al possesso del Nuovo Ordine di un mago della stessa categoria, fossero vere, allora questa ragazza potrebbe esserci molto utile. A mio parere dovremmo occuparcene. Con un'adeguata istruzione e preparazione, potrebbe diventare un'ottima alleata e quale posto migliore della Quercia della Conoscenza, per darle gli insegnamenti ed il controllo necessari?!-
-E' instabile e pericolosa! Vuoi davvero mettere a rischio l'intera conoscenza di Imirdyr e non solo, per una ragazzina e una voce che hai sentito in giro!?- Controbatté un consigliere.
-Lasciatelo parlare!- La voce del Maestro echeggiò nella sala zittendo tutti.
-E'-è vero che è pericolosa e selvatica. Ma il suo potere è stato sigillato dalla Gran Messaggera ed i suoi sigilli, che io ricordi, non hanno mai ceduto. In più, io credo non sia colpa sua se è selvatica... da quel che ho sentito ha trascorso gli ultimi quattro anni nel cuore della foresta sud-orientale. E' stata costretta ad adeguarsi per sopravvivere...credo sia normale il suo comportamento...per di più è spaventata e confusa...-
-Quindi tu stai consigliando di tenerla qui e riportarla alla civiltà, così da potercela fare amica ed usarla contro l'Ordine?- Chiese il Gran Maestro.
-S-si, più o meno.-
-E saresti disposto ad occupartene tu?-
-Io? Cioè si! Certamente!-
-Bene, allora è deciso.-
Sul viso di Balkrev si disegnò un flebile sorriso, cancellato poi dalle parole con le quali Il Bibliotecario concluse la riunione:
-Ma nel caso lei perda il controllo e se la sua guardiana...- disse mentre indicava la donna, anch'essa presente alla riunione.-... non fosse nei dintorni, dovrai essere tu ad ucciderla.-
***
Reyeha si era risvegliata in una stanza non molto grande, dalle pareti bianche ed una finestra che lasciava intravedere di trovarsi molto in alto. Era una stanza vuota, arredata praticamente solo con un letto, un grande specchio e un comodino.
Da quando aveva toccato quel ciondolo, tutto era diventato oscurità fino al momento del risveglio. Ora non sapeva dove fosse, nè perchè stesse li ed oltre una donna che era venuta a portarle del cibo non aveva visto nessuno. Per di più qualcuno l'aveva cambiata, comprese le fasce sulle parti di pelle squamose ed ora indossava una vestaglia da notte bianca con dei fronzoli.
La prima cosa che fece una volta risvegliatasi fu controllare se aveva al collo il ciondolo apribile regalatole dal padre, per ricordarsi poi che era nella caverna quando lei aveva perso i sensi.
-Dannazione!-
Era seduta sul letto, sovrappensiero, quando la porta della stanza si aprì piano. Reyeha si strinse le ginocchia al petto e si attaccò con la schiena al muro. Da dietro la porta apparve un ragazzo esitante.
-H-hey... ciao...- Disse grattandosi la testa.
Era molto alto, ma dal viso si capiva che era ancora giovane. Aveva dei rossi capelli molto spettinati e gli occhi del colore dell'erba. 
Nonostante fosse alto e anche abbastanza piazzato, era impacciato e tintinnante. Anche se non sembrava essere una cattiva persona, Reyeha si strinse ancora di più e non gli rispose.
-Io sono Balkrev...e dovrei aiutart...cioè sono...ecco una specie di insegnante... vorrei fare conoscenza con te...ecco..hem..tu come ti chiami?-
Reyeha non rispose. Si limitò a guardarlo male. Aveva sempre sperato di ritornare alla civiltà, ma non in quella maniera. Non aveva idea di dove si trovasse, nè chi avesse difronte. 
-Non avere paura, non voglio farti del male.- Detto questo il ragazzo tentò di avvicinarsi ma lo sguardo ostile di Reyeha lo fermò.
-Puoi fidarti!-
-Non ti conosco!- Reyeha per la prima volta rispose. A Balkrev già sembrò un'enorme passo avanti.
-Lo so, ma sto solo cercando di aiutarti, vorrei esserti amico.- E detto questo le sorrise dolcemente.
Il sorriso di quel ragazzo aiutò Reyeha a rilassarsi un po', magari poteva provare a parlargli.

-Da quanto tempo sono qui?- Chiese.
-Non da molto, solo due giorni.-
-Quindi ho dormito due giorni?!-
-Bhè no... sommando anche i tre giorni di viaggio che hanno impiegato a portarti qua, sarebbero cinque giorni.-
Il viso di Reyeha si riempì di preoccupazione.
-Cosa c'è?- Le domandò Balkrev dopo averlo notato.
-Il mio uovo, lo avete lasciato nella foresta?- 
Questa domanda per il ragazzo era un problema, sapeva di cosa Reyeha stesse parlando. Delle due persone incaricate di andarla a riprendere, una aveva ben pensato di portarsi appresso anche l'uovo di drago, perchè considerato interessante e "sbrilluccicoso". Il problema era che i consiglieri volevano lasciarlo morire e il sommo Bibliotecario aveva aderito alla richiesta. Una persona con i poteri di Reyeha era molto pericolosa, per di più sapendo che i suoi poteri erano instabili, non le avrebbero mai permesso di tenere un drago con sé. Avrebbe potuto dirle che l'uovo era rimasto nella foresta e che avevano visto un altro drago iniziare a covarlo, ma essendo vissuta con quelle bestie tutto quel tempo, probabilmente sapeva che gli altri non si sarebbero mai avvicinati all'uovo di un altro per covarlo.
-Hem, vedi io ecco... l'uovo di drago lo hanno lasciato li...vedi prenderti da quelle bestie è stato difficile per chi è venuto a recuperarti e sono dovute scappare in fretta...-
-Devo andare a riprenderlo!-
-Cos..?-
-Morirà! Ti prego aiutami! Avevi detto che vuoi essere mio amico no!? Allora aiutami ad andare a riprenderlo! Dobbiamo partire subito!-
-Ecco io...-
-Reyeha!- Un'altra voce intervenne nella conversazione, una voce conosciuta. L'aveva già sentita e non ci mise molto a recuperare i ricordi passati per attribuirle un volto. Il suo sguardo, come anche quello di Balkrev, andò alla porta. Kamer la stava guardando con sguardo severo.
  
-Balkrev lasciaci da sole- Intimò al ragazzo, il quale obbedì non prima di aver lanciato uno sguardo preoccupato a Reyeha, che ormai era concentrata solo sulla donna.
Una volta che il ragazzo uscì, seguì un'attimo di silenzio, nel quale Reyeha stava guardando Kamer stupefatta. Non era cambiata per niente, stesso taglio corto, stesso sguardo cattivo.
-Pensavi fossi morta?- Chiese la donna alla ragazza, la quale annuì lentamente.
-Capisco. So che la mia presenza potrebbe essere uno shock per te, ma sono venuta qua per informarti della tua situazione attuale e raccontarti del tuo passato. Per quanto riguarda la tua situazione dovrai ascoltarmi ora, non è cosa che possa essere rimandata, poi sarai tu a decidere quando stare a sentire la tua storia.- Una cosa in Kamer era cambiata: il tono di voce con cui parlava. Ora era molto più freddo di quanto fosse in passato, come anche lo sguardo molto più impassibile.
-Bene iniziamo e stai attenta a quello che dico.-
-Aspetta!- Reyeha riuscì finalmente a proferire parola.- Il villaggio? Se tu sei sopravvissuta, allora ci sarà pure qualcun'altro che è riuscito a scappare dalle fiamme!- Gli occhi di Reyeha si riempirono di speranza mentre guardava la donna in attesa si una risposta.
-Non è questo l'importante adesso.- La sua freddezza faceva innervosire Reyeha sempre più.
-Si invece! So che i miei genitori sono morti... ma... qualcun'altro si sarà salvato! Hai detto che mi avresti raccontato del mio passato! Che significa!? Voglio capire che cosa sta succedendo!-
-Bene allora, se sei tanto ansiosa di scoprire tutto, inizierò dal principio, ma dovrai ascoltarmi fino alla fine.-
Reyeha non parlò, la stava guardando in attesa di una risposta.
- Reyeha, tu sei una maga dei draghi.- 
-Cosa...?-
-Non sono estinti come tutti pensavano, avrai notato che i draghi ti danno ascolto...-
-Ma non ho nessun simbolo!- L' interruppe ancora Reyeha. Ogni mago infatti era contraddistinto da un simbolo, ossia una specie di piccola voglia colorata che avevano sul petto, che cambiava da tipologia a tipologia di mago.
-Fammi continuare e capirai tutto. Prima che tu nascessi, ci fù un'altro mago dei draghi: Lenorl. In pochi erano a conoscenza della sua natura poiché esso la teneva ben nascosta. Un anno dopo che questo sparì dalla circolazione, io trovai te. Eri con una donna ferita che morì poco dopo. Il suo intento era quello di portarti in salvo. Tu sei figlia di Lenorl, quello è sicuro, poichè la magia è un gene che si trasmette e quella donna stava scappando con te dal Nuovo Ordine, sai di cosa si tratta?- Kamer si fermò un momento per far rispondere la ragazza che ora era più shockata di prima. Reyeha riuscì solo a scuotere la testa per dire di no.
-E' un gruppo terroristico di maghi che stanno cercando di prendere il controllo di Imirdyr. Probabilmente ti volevano e quella è possibile che fosse tua madre che stava cercando di portarti in salvo.-
-Quindi... io non sono figlia...di Balton e Syara?-
-No. Quando capii chi eri, contattai alcune persone e dopo aver fatto nascondere con un'incantesimo elfico il tuo marchio, ossia il simbolo, ti affidai a Balton e Syara, una giovane coppia sterile, volenterosa di avere figli, che pur conoscendo il pericolo che comportavi accettò di crescerti come fossi loro figlia.  Il tuo marchio era inattivo, segno che anche i tuoi poteri lo fossero. Questo però non è una garanzia di pace, un mago inattivo potrebbe restare tale per tutta la vita, come potrebbe anche darsi che i suoi poteri si risveglino. In quest'ultimo caso diventano un problema, in quanto non sanno controllare i propri poteri che sono anche più forti del normale, poichè stati sigillati per un tot di tempo ed a seconda del tempo di blocco dipende anche l'intensità del potere in eccesso. Per questo io sono rimasta a Thyag, per tenerti d'occhio e portati qui a Tailyris nel caso succedesse qualcosa o in casi estremi ucciderti. Ero la tua guardiana e lo sono tutt'ora. Ed ora, prima di andare avanti ho una cosa da chiederti, per cercare di chiarire alcune cose. Un mago inattivo, per diventare attivo ha bisogno di uno stimolo, da quel che ricordo negli ultimi giorni stavi avendo un incubo ricorrente, c'è lo hai avuto ancora o almeno te lo ricordi?
Reyeha ormai era sconvolta e confusa, ma voleva capire bene quello che era successo perciò si sforzò di pensare. L'incubo non lo aveva più avuto ma se lo ricordava stranamente bene, così lo raccontò alla donna.
-Bene, capisco.-
-Cosa c'entra?-
-Non lo so ancora per certo, oltre a quello ricordi qualcos'altro che possa aver attivato i tuoi poteri? Sei entrata in contatto con qualche tipo di magia?-
In quel momento Reyeha ritornò indietro nel tempo, rivivendo il momento nel quale toccò la sfera luminosa di Sabya...ora anche lei probabilmente era morta...
-Il giorno della festa, quello nel... nel quale i draghi attaccarono...- Parlare di quello era dannatamente doloroso. -Toccai una sfera luminosa... prodotta da un'elfa.-
Dopo un lungo sospiro Kamer disse a bassa voce -magia pura...-
-Kamer...- 
-Hm? che c'è?- Kamer posò lo sguardo su Reyeha, la quale aveva la testa bassa con lo sguardo vuoto e gli occhi pieni di lacrime.
-E' colpa mia vero? Sono stata io ad uccidere tutti?-
-No, non lo hai voluto, sono stati i tuoi poteri a farlo.-
Ora la ragazza aveva nascosto la testa tra le braccia e aveva iniziato a piangere.
-Reyeha, dovrei continuare. Hai bisogno di cinque minuti?- 
La ragazza non rispose. Cercò però di riprendersi, avrebbe pianto in seguito ora doveva sapere.
-Ok, puoi continuare- Disse dopo qualche minuto.
-Bene. Dopo che tu sei scappata nel bosco ho iniziato a cercarti, ma ti eri addentrata davvero a fondo della foresta e trovarti mi ci è voluto circa due anni. Ma non potevo avvicinarmi a causa dei draghi, loro ti proteggevano. Prima di poterti prendere ho dovuto cercare qualcuno che potesse sigillare i tuoi poteri. Così feci creare questo ciondolo.- E detto questo tirò fuori da una tasca laterale il ciondolo che Reyeha aveva visto nella foresta. 
-Poi ho dovuto cercare un buon arciere per mandartelo, perchè appunto non potevo avvicinarmi e quello ha impiegato ancora più tempo...Quando lo hai toccato, esso ha assorto e sigillato il 95% circa del tuo potere, per questo hai perso i sensi e sei svenuta. Dopo di che  due dei draghi hanno smesso di seguirci, mentre il guardiano della foresta no, questo probabilmente perchè quello è il suo territorio.-
-Verthor...-
-Cosa?-
-Il drago della foresta, si chiama Verthor.-
-...comunque sia, alla fine siamo riuscite a recuperarti ed a scappare, ed una volta uscite dal suo perimetro ha smesso di seguirci.- 
-Non posso...andare a recuperare l'uovo di drago? Magari non è troppo tardi... ti prego...-
-L'uovo di drago è qui, l'arciere che era con me lo ha preso...- Disse la donna, facendo un'espressione infastidita.
-Cosa? Ma il ragazzo di prima ha detto che non lo avevate preso!-
-Forse non voleva che ce l'avessi con la biblioteca. I consiglieri del Bibliotecario hanno ritenuto che darti l'uovo di drago fosse inopportuno e pericoloso. Già il fatto che ti hanno permesso restare qua o comunque non ti hanno uccisa è molto, ti trovi nella Quercia della Conoscenza, uno dei luoghi più importanti di tutta Imirdyr. Qui sono contenuti i saperi di tutto il regno e tu potresti attirare su questo luogo i draghi. Devi ringraziare quel ragazzo se sei ancora qui. In tutti i sensi. Quindi cerca di non creare problemi, lo dico per il tuo bene.-
Reyeha non reagiva più.
-Ti lascio il ciondolo, è tuo. Abbine cura come fosse la tua stessa vita, perchè lo è. Se si rompe, i tuoi poteri esploderanno di nuovo e questa volta non ti lascerò scappare.-

Detto questo, le lasciò il ciondolo sul letto e si diresse verso la porta.
-Ora vado. Se posso darti un consiglio, lasciati aiutare da quel ragazzo, è probabilmente l'unico amico che potresti avere qui dentro.-
Una volta che Kamer uscì, Reyeha si rannicchiò sul letto ed iniziò a piangere. 
Le lacrime smisero di uscire solo qualche ora dopo, lasciandola priva forze e voglia di vivere. Si sentiva pesante, una criminale, un mostro. Ora aveva avuto la certezza che fosse stata tutta colpa sua e questo la distruggeva.
Stava distesa sul letto con la faccia al muro quando sentì nuovamente la porta aprirsi. Si girò a malapena per vedere chi fosse, poi si rimise nella posizione di prima, ignorando la persona alle sue spalle.
-Posso...? La signora Kamer mi ha detto di aspettare un po prima di entrare...-
Reyeha lo ignorò finchè non lo sentì avvicinare.
-Vai via! Sei un bugiardo... come faccio a fidarmi?-
-Cosa...?-
-Per l'uovo! Avevi detto che lo avevano lasciato li! Invece volete farlo morire! Anche lui morirà a causa mia...non faccio altro che uccidere...perchè...?- Reyeha scoppiò di nuovo in lacrime.
Balkrev la guardò triste per poi uscire dalla stanza. Ora era diretto alla sala grande, dove solitamente si trovava il bibliotecario ed infatti era li. La sala grande era un'immensa aula circolare le cui pareti erano ricoperte da alti scaffali riempiti con i tomi meno importanti della biblioteca, poichè una delle sale più esposte e frequentate. Sapeva che il Gran Maestro era li poichè stava rileggendo tutti i libri della biblioteca e gli mancava quell'ultima sala.
-Maestro.- Balkrev si fermò dinanzi al vecchio uomo ed abbassò la testa in segno di rispetto.
-Oh Balkrev.- Disse il Bibliotecario sorridendo, mentre chiuse il libro che stava leggendo.- Avanti alza la testa, ti sei già presentato alla nostra ospite?-

-Si Maestro.-
L'uomo si girò verso Balkrev e ridacchiando disse: - Dal tuo tono non è andata molto bene eh...?-
-Non proprio...-
-E dimmi, sei venuto qui per l'uovo?-
-Come fa a saperlo!?- Chiese sorpreso.
-Ragazzo, io sono Il Bibliotecario, è mio compito sapere.- Rispose l'uomo in tono pacato.
L'ammirazione di Balkrev per quel uomo cresceva sempre più.
-Avanti ragazzo parla.- 
-Bene...ecco... Signore, le volevo chiederle se poteva permettere all'uovo di sopravvivere.-
-E perchè dovrei?-
-Bhè vede... quel uovo è molto importante per quella ragazza.-
-Non è l'unica ad aver perso qualcosa di importante, non credi?-
-Certo signore, ma se vogliamo che lei collabori con noi, dobbiamo farcela amica e non credo questo accadrà se le uccidiamo l'uovo e la teniamo rinchiusa in quella stanza. Potremmo ritrovarcela contro...-
-Figliolo ma non pensi sia molto pericoloso darle una cosa del genere? Poi tu sei molto carismatico, sono certo riuscirai a farci amicizia.-
-Grazie signore, ma trovo difficoltà a parlarle...-
L'anziano si girò con sguardo divertito ed interrogativo.
-Ecco...è una ragazza...e non ho mai parlato molto con le ragazze...-
Il Gran Maestro scoppiò a ridere. -Bhè forse è meglio se impari, non sarà l'unica con cui parlerai!-
Le orecchie di Balkrev arrossirono leggermente.
-Maestro, ritornando al discorso di prima...non credo sia poi tanto pericoloso, anzi forse la cosa ci gioca a favore.-
-Spiegati.-
-I suoi poteri sono sigillati ora, perciò non siamo sicuri che lei riesca a controllare un drago e in caso di attacco da parte di draghi potrebbe non riuscire a fermarli. Io credo che dandole l'uovo, riuscirà ad addomesticare quel drago, avendo un'arma con la quale contrattaccare. Poi la sua permanenza qui non è prevista per più di un anno, ed i draghi non crescono molto in fretta. Anche se il sigillo si rompesse, il drago che nascerà dal uovo non sarà abbastanza grande da infliggere danni alla biblioteca. Anche se fosse un drago verde, che ha la crescita più veloce di tutte, non sarebbe più lungo di mezzo metro. Per di più, se dobbiamo vedere fino a dove arriva il suo controllo, non crede sarebbe meglio farle testare i poteri su un draghetto piccolo ed inesperto? -
Il bibliotecario sorrise a Balkrev e poi si rivolse all'uomo che gli stava accanto per aiutarlo con i libri.- Capisci perchè l'ho scelto?- Ridacchiò di nuovo.- Tra le tante cose...questo ragazzetto è in grado di convincere persino me!-
Dopo aver posato il libro che stava leggendo in mano al suo aiutante, sospirò per poi dire a Balkrev di seguirlo. L'uomo portò Balkrev nelle sue stanze personali, luogo che il ragazzo non aveva mai visitato prima. La grande stanza emanava un dolce tepore ed era piena di oggetti e arredata per lo più in toni caldi, sui quali però prevaleva il rosso. 
L'uomo si diresse verso un cofanetto posto sulla sua scrivania. Una volta aperto, esso emanò molto calore e Balkrev indietreggiò leggermente.
-Un'altra magia elfica... era per tenerlo al caldo.- Mentre lo disse, mise la mano nel cofanetto e ne estrasse l'uovo.
Questa volta fu Balkrev a guardarlo interrogativo.
-Non potevo mica lasciarlo morire per davvero! Pensi sul serio che io segua sempre le decisioni del consiglio? Se era per quello avremmo dovuto uccidere anche la ragazza...- Sospirò.- Non sono tanto intelligenti e saggi come credono... per questo ti ho fatto parlare alla riunione, tu sei molto più saggio a 19 anni di quanto loro lo siano a 50... E poi questo uovo è molto importante.-
-Non capisco...-
-E' un uovo di drago rosso.-
-Cosa? E come fa a saperlo!?-
-Bisogna solo saper guardare bene...un giorno lo saprai fare anche tu. Fatto sta che non potevo lasciarlo pietrificare, come anche tu saprai, la specie dei rossi è in via di estinzione, questo potrebbe anche essere l'ultimo di loro. Avevo intenzione di farlo schiudere e poi affidarlo a qualcuno di fidato per farlo crescere fino a quando non sarebbe arrivato alla grandezza necessaria per sopravvivere da solo. Ma grazie alle tue giuste osservazioni, credo sia meglio riaffidarlo alla vera proprietaria.- Detto questo rimise l'uovo nel cofanetto e glielo diede a Balkrev.
-Sai che ora dovremmo subirci i consiglieri... vero?- Disse l'anziano.
-Oh si...- Rispose il ragazzo, per poi iniziare entrambi a ridacchiare.
***
Reyeha era nella stessa posizione nella quale Balkrev l'aveva lasciata. Quando entrò con il cofanetto però la ragazza non si mosse. Pensava lo stesse ignorando di nuovo, ma quando si avvicinò notò che Reyeha stava invece dormendo, così appoggiò il cofanetto sul comodino ed uscì cercando di non fare rumore.


 

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Capitolo 11
*** Un nuovo stile di vita ***





Capitolo 11: Un nuovo stile di vita (Le polpette di Reyeha)

Nota d'autrice: abbiamo deciso di usare le / per indicare i pensieri, non sempre molto profondi, dei nostri pg.

Quando il giorno dopo Balkrev riandò a trovare Reyeha, l'accoglienza era diversa. Invece di una ragazzina triste e ostile, ce n'era una sorridente che lo guardava timidamente.
-Grazie!- Gli disse.- Sei stato tu a riportarmelo, vero?- 
Balkrev annuì.
-Te l'ho detto che voglio esserti amico, parlare con il bibliotecario è una delle poche cose che mi sono concesse...e sono riuscito a convincerlo.- Le rispose sorridendo.
La ragazza esitò un attimo per poi dire, abbassando la testa:
-M...mi dispiace... per ieri...- 
-Non fa nulla, non è colpa tua. Piuttosto! Sai quando dovrebbe schiudersi, più o meno?-
-Oh si! Dovrebbe essere tra poco!-
-Fantastico! Quando accadrà dovrai prenderti molta cura di lui e se vorrai io potrei darti una mano.-  A quel ragazzo non mancava mai il sorriso.
Reyeha annuì timidamente.
Seguì un attimo di silenzio.
 /Ok...ok...ora... calmati e pensa! Allora, che faccio!? Glielo chiedo come sta? Ma ora sembra stare meglio! E se chiedendole come sta rispetto a ieri le facessi ricordare quelle cose e lei iniziasse ad avere una ricaduta e la facessi stare di nuovo male!? Oh Imyr! Allora... potrei dire tipo...hmmm visto che stai meglio, dobbiamo occuparci di te! Ma darei per scontato che lei stia meglio! E non credo sia così... ok...allora, come cambio discorso...? Sento il dovere di chiederle se sta bene... ma..ecco..allora forse ho trovato!/
-Reyeha, ieri ti ho detto che io sarei una sorta di tuo insegnante, ti istruirò a livello fisico e culturale, siccome la tua istruzione si è fermata a dieci anni da quel che ho capito.../Oh Imyr ho toccato quell’argomento! Dannazione!/-... hemm bene, non iniziamo subito, ma comunque dobbiamo occuparci un pò di te. Non puoi stare per sempre con quella vestaglia! E credo dovremmo tagliare i capelli...danno un pò nell'occhio... ed è meglio che tu non ti metta troppo in mostra...-
-Va bene...- Rispose insicura la ragazza.
-Che ne dici? Ti va di iniziare da oggi? Oppure vuoi un altro po di tempo per riprenderti? /Tks! Di nuovo!/- 
-No... va bene... però prima vorrei vedere una cosa...-
-Hum si certo!Che cosa?-
-Il mio sim...marchio.- Detto questo si mise di fronte allo specchio presente nella stanza ed aprì i bottoni della vestaglia da notte, guardando cosa avesse sul petto noncurante della presenza del ragazzo, il quale non appena capì cosa stesse succedendo si girò di scatto dandole le spalle imbarazzato.
Il suo marchio si presentava come un cerchio, tagliato in punti opposti da delle linee curve, messe quasi a formare la pupilla di un drago, attorno aveva delle specie di creste divise dalle linee curve e da altri due ornamenti ondulati. Per quanto riguardava il colore, sfumava dal nero al rosso e poi di nuovo al nero.

Dopo averlo guardato, richiuse lentamente la camicia e disse a Balkrev, con sguardo spento, che potevano andare. 
-Hem, ecco credo sia meglio che tu prima ti cambi, quindi se aspetti qualche minuto vado a prenderti dei vestiti di ricambio.-
Reyeha annuì di nuovo.
Non passarono nemmeno dieci minuti prima che il ragazzo tornasse. Sulle braccia aveva poggiate delle vesti che andavano su tonalità verdi e marroni, come anche quelle di Balkrev e della signora che vieniva a portarle il cibo. Una volta lasciatole i vestiti, il ragazzo uscì dalla stanza per dare a Reyeha la possibilità di cambiarsi.
La ragazza prese in mano gli abiti e rimase positivamente sorpresa. Non aveva mai toccato un tessuto tanto soffice. Lo portò al viso, sentendone la morbidezza con la guancia, per poi iniziare a vestirsi. Il completo era formato da un vestito verde pistacchio, lungo fin sopra le caviglie, con dei ricami di un colore simile all'oro sul colletto e dei grandi spacchi laterali. Sotto ad esso aveva dei lunghi pantaloni di un marrone scuro e sopra una giacchetta che andava fin sotto al seno, a maniche corte di un marrone chiaro, con un bordo di marrone scuro e vari ricami color oro, tra i quali uno sulla schiena che aveva la forma di un cerchio nel quale era inserito un albero. Le scarpe che Balkrev le aveva portato, anch'esse color oro erano comode come tutto il resto. 
Dopo il cambio d'abiti, Balkrev accompagnò Reyeha, la quale guardò meravigliata attorno per tutto il tempo del tragitto a causa della grandezza degli ambienti, qualche piano sotto a quello dove Reyeha era stata fino ad allora, da un individuo... particolare.
Non apena entrarono nella stanza, un piccolo salone circolare con pareti rosa e pieno di luce e specchi, l'uomo si precipiò a salutarli.
-Balkrevuccio!- 
Più che altro si precipiò a salutare Balkrev, quasi ignorando Reyeha inizalmente. Non appena si accorse anche della presenza di quest'ultima però, si fiondò su di lei con la stessa energia con la quale aveva salutato Balkrev.
-Oh, salve cara! Non vedevo l'ora di conoscerti, sai!?- Le disse stringendole la mano. Ora che lo guardava meglio, nemmeno lui era un uomo maturo, ma come Balkrev, soltanto un ragazzo, molto alto anch'esso. 
/Perchè sono tutti così alti qui...?/Iniziò a domandarsi Reyeha.
Solo che a differenza del roscio, esso non era piazzato, bensì slanciato ed aveva movenze eleganti. Aveva capelli castano chiaro e furbi occhi azzurri, incorniciati da una striscia nera. 
/Trucco./ Pensò Reyeha. Aveva visto qualcosa di simile sulle donne più benestanti di Thyag.
Portava piccoli orecchini color oro e dello stesso colore aveva ricoperte anche le unghie delle mani. A differenza di tutte le altre persone che Reyeha aveva visto fino ad allora, le quali erano vestite bi-colore, lui portava vestiti dai colori sgargianti ed accesi, sui quali però dominava il rosa.
-Io mi chiamo Jeremia- Disse fiero -E scommetto che Balkrevuccio caro non è venuto qui solo per presentarci, mia piccola Reyeha!- Affermò con un finto tono triste mentre mandò un'occhiata a Balkrev. 
-Ok allora la lascio nelle tue mani, togli tutto ciò che è ambiguo.- Disse il roscio rivolto a Jeremia, per poi rivolgersi a Reyeha, non tanto sicura di voler stare là. -Non ti preoccupare, è uno dei migliori parrucchieri di tutta Tailyris!-
Jeremia si schiarì la voce:- IL migliore!-
Balkrev sorrise:- Il migliore di tutta Tailyris.- Si corresse. - E' arrivato qui con uno stimato consigliere, del quale è molto amico, direttamente da Draine, la capitale del Sud.- Detto questo sorrise ad entrambi ed uscì.
Non appena Balkrev chiuse la porta, il sorriso a trentadue denti di Jeremia si spense per un attimo, il tempo di brontolare a bassa voce :-Si..."amico", io quello me lo sbatto tutte le sere!- Per poi girarsi verso Reyeha che lo guardava confusa ed anche un pochino spaventata e ri-sorridere.
-Oh, niente tesoro! Sei ancora troppo piccola! Un giorno capirai, intanto cerca di non dirlo in giro! Su andiamo siediti!- La incoraggiò spingendola delicatamente dalla schiena.-Non mordo mica! A meno che non me lo chiedano...- Si ri-schiarì la voce e dopo aver fatto sedere Reyeha su una sedia munita anche di comodi cuscinetti imbottiti, posta di fronte ad un immenso specchio che correva lungo le pareti curve della stanza, andò a prendere forbici e pettine e si mise alle spalle di Reyeha.
-Bene! "Togliamo tutto ciò che è ambiguo"- Disse sorridendole nello spechio.
***
Mezz'oretta dopo, quando Balkrev tornò, trovò Jeremia e Reyeha che parlavano tranquillamente. Nonostante Reyeha fosse ancora timida e abbastanza distaccata, Jeremia era comunque riuscito a farci amicizia in molto meno tempo rispetto a lui. Il carisma di quel ragazzo era incredibile.
-Oh eccolo! Che tempismo!Ho appena finito- Esclamò Jeremia.-Allora che ne pensi?- Gli chiese ponendogli davanti Reyeha. Ora i suoi capelli arrivavano fin sopra le spalle e dell'isolita sfumatura si vedeva solo l'inizio, di un rosso scuro. 
-Hai fatto un ottimo lavoro! Come sempre daltronde!- Rispose Balkrev sorridendo.
Jeremia s'irtò gonfiando il petto:- Bhè si modestamente!- Disse..
Dopo aver salutato il parrucchiere ed essere usciti dal salone, Balkrev estrasse dalla tasca il ciondolo che conteneva i poteri di Reyeha e glielo porse.
-Lo avevi lasciato sul letto in camera.-
-Non lo voglio...-
Balkrev guardò preoccupato la ragazza ed abbassò la mano contenente l'oggetto.
-Invece dovresti portarlo sempre con te ed averne molta cura.- Disse con tono dolce.- Capisco che tu non lo voglia perchè pensi che separandotene, ti separerai dai tuoi poteri, ma non è così. Se lo perdi non potrai più stare tranquilla. Se qualcuno lo trova, potrebbe usarlo contro di te. Rompendolo farebbe riscatenare i tuoi poteri e io dovr.... vedi... non metteresti in pericolo solo la tua vita... ma anche quella di queste persone. Non voglio spaventarti ma questa è la verità.- 
Reyeha abbassò la testa e tese la mano, affinchè Balkrev le desse il ciondolo.
Sorridendo, il ragazzo le posò l'artefatto in mano.
-Gli ho anche messo una cordicina, così lo puoi indossare come collana. Però tienila sempre dentro la maglietta.-
-Va bene.-
-Bene! Ora andiamo a farci un giro per la biblioteca! Così ti ambienti.-
Quel posto era enorme, per vederlo tutto o almeno, tutto quello che era permesso vedere a Reyeha, ci vollero circa cinque giorni e nemmeno vide i posti per bene. La perfetta convivenza tra gli umani e le altre razze, rendeva possibile lo spostamento da un luogo all'altro, poichè li, a differenza degli altri luoghi importanti di Imirdyr, anzi facciamo di qualsiasi altro luogo di Imirdyr, la magia era permessa, anzi, era indispensabile, siccome per spostarsi da un piano ad un altro utilizzavano una sorta di gabbie di legno ed acciaio, chiamati ascensori, che si muovevano grazie alla magia elfica. Era infatti stato posto su questi ascensori un incantesimo di levitazione, sigillato su delle piccole rune poste in cerchio su un pilastro, presente accanto ad ogni ascensore. 
-La Biblioteca non appartiene al uomo, ma al mondo intero e nessuno, qualsiasi sia il suo grado sociale e la sua influenza, può impedire ad un individuo in cerca di conoscenza indifferentemente dalla sua razza, età o sesso, di entrare qua dentro.- Le spiegò Balkrev. 
Il ragazzo tra le tante cose le mostrò l'immensa sala da pranzo, dove le numerosissime persone che abitavano nella Biblioteca mangiavano, posta al terzo piano; l'arena, uno spazio creato perchè i duecento P.D.Q. ossia Protettore della Quercia, uomini posti alla protezione della Quercia della Conoscenza potessero allenarsi, munito di moltissime armi; la sala grande, dove Balkrev e Reyeha avrebbero studiato; l'aula primaria o sala d'ingresso, che era il primo, enorme ambiente che s'incontrava entrando nella biblioteca occupato per lo più dai numerosi ascensori, nella quale c'era un via vai di persone appartenenti alle razze più varie. 
Gli alloggi del personale della biblioteca, più erano importanti, più in alto erano posti e quello più in alto, naturalmente era del Bibliotecario. Oltre il piano dove si tovavano i suoi alloggi, nessuno sapeva cosa ci fosse, poichè nessuno poteva superare quel piano, sempre se ci fosse qualcosa per cui superarlo.
In circa due settimane Reyeha aveva già iniziato a muoversi tranquillamente per quei posti. Il suo senso dell'orientamento a quanto pareva, era niente male. Anche se erano poche le volte nelle quali si muoveva da sola. Solitamente era sempre accompagnata da Balkrev e le poche volte nelle quali il ragazzo era assente non usciva, più che altro perchè non sapeva dove andare.
Una settimana dopo il suo risveglio, Balkrev iniziò ad istruirla teoricamente. Partì dalle basi, rispolverando la scrittura, lettura e matematica di base, poichè già quello che aveva imparato a Thyag non era moltissimo, ma con una pausa di quattro anni perfino quelle cose le riuscivano difficili. 
Tre settimane dopo l'inizio degli studi teorici, ci fu anche la prima lezione di combattimento. Balkrev portò Reyeha nell'arena e dopo averle illustrato un poòl'ambiente e le armi iniziò con gli allenamenti per rafforzare il fisico, i quali diventavano più pesanti lezione dopo lezione.
Quel mese, qualche giorno dopo i primi allenamenti che distrussero Reyeha, si schiuse anche l'uovo di drago. Successe di mattina presto e svegliò Reyeha che era in dormiveglia. Il contenitore del uovo iniziò a scuotersi, così la ragazza lo aprì. Proprio in quel momento una zampetta del cucciolo perforò il guscio. Quando uscì interamente dal uovo Reyeha rimase sorpresa da quanto piccolo fosse. La madre era immensa, ma ora di fronte a lei c'era una lucertolina rossa, priva di ali e con dei grandi occhioni gialli che la scutavano curiosi, il tutto grande quanto il suo indice.
Qunado Balkrev entrò nella stanza trovò Reyeha ancora con la camicia da notte, seduta per terra che rideva e si muoveva in maniera bizzarra.
-Balkrev è nato!- Esclamò Reyeha, dopodichè si guardò nella camicia da notte e cercò di invogliare il draghetto ad uscire fuori. Dopo un po quello sbucò dal colletto di Reyeha salendole sul collo, con movenze praticamente identiche a quelle delle lucertole.
-Non è adorabile!?- Chiese la ragazza tutta eccitata, mentre se lo staccava dal collo per farlo vedere meglio a Balkrev.
-Si- Disse sorridendo.-E a quanto pare ti ha focalizzato come sua mamma.-
-Uh? Perchè lo dici?-
-I draghetti rossi, come anche altre specie quando sono piccoli e sono così minuti stanno attaccati al corpo della mamma, per evitare di essere catturati ed uccisi.-
-Quindi vuoi dire che adesso starà appiccicato a me?-
-Credo proprio di si!- Le disse ridacchiando.
-Non so se trovarlo carino o fastidioso...credo tutt'e due...-
-Io credo sia carino! Allora come lo chiamerai? E' maschietto, sai!?-
-Davvero!? Come fai a saperlo?-
-La crestina.- Disse per poi andare ad accarezzare la piccola cresta che l'animaletto aveva sulla testa, al tocco la lucertolina chiuse gli occhi e fece un suono simile alle fusa dei gatti.
-I draghi maschi hanno la cresta, tipo i galli!- 
-Ooh, capito! Quindi è maschio... hmmm che ne dici di...Drayeho!?-
-Uh si carino! Mi piace, com'è questo nome però?-
-Bhè...ho fuso la parola "drago" e il maschile del mio nome, siccome è un drago di sesso maschile che appartiene a me...Lascia perdere...faccio raggionamenti strani...-
Balkrev ridacchiò.
-No secondo me sono carini. Hai fantasia! A me non sarebbe mai venuto in mente.- Un sorriso si disegnò sul volto di entrambi.
***
Dopo la nascita di Drayeho, Reyeha non era più sola nemmeno quando Balkrev mancava. L'animaletto non si staccava mai da lei, se non quando la ragazza si lavava, in quel caso era lui stesso a scappare ed ad aspettarla fuori dalla doccia o per fare i propri bisogni, ma solo perchè Reyeha glielo aveva insegnato...
Aveva anche iniziato a vagare per i corridoi, in assenza dall'amico, per evitare di annoiarsi, anche se spesso finiva col faticare a ritrovare la strada. Aveva anche reincontrato Jeremia, sempre mentre cercava di orentarsi, che l'aveva portata nel suo salone a bere del thè e chiaccherare. Le aveva detto che quando Balkrev mancava, poteva andare a stare con lui, e così fece. A meno che non avesse già un cliente del quale occuparsi, Jeremia aveva iniziato a prendersi cura dell’aspetto di Reyeha mentre stava con lui, era il suo modo per divertirsi e Reyeha lo lasciava fare. Le uniche volte nelle quali si lamentava era quando il ragazzo insisteva per occuparsi dei suoi peli. Quello era doloroso e a quanto pare lo percepiva anche Drayeho, poichè alzava la coda e soffiava verso Jeremia.
-Sembra più un gatto che un drago...e poi perchè tiene la coda alta quando vuole attaccare? Non dovrebbe tenerla bassa? Cioè... di norma la tengono bassa no...?- Le chiese una volta il ragazzo.
Un giorno, mentre Jeremia le curava le unghie, Reyeha gli chiese cosa facesse Balkrev quando mancava. Non per impicciarsi o altro, la domanda le uscì spontanea.
-Bhè, se non si allena con i P.D.Q. o non studia con il Bibliotecario, va a trovare sua madre.-
-Oh, non me ne ha mai parlato... ma non abita qui lei?-
-No, vedi lei non lavora alla Quercia, quindi abita in città. Balkrev ha fatto si che avesse una buona dimora al centro.-
-Io non so quasi nulla di lui...Non so nemmeno che ruolo ha qua! Insomma non credo che un semplice domestico o altro studi col Bibliotecario e si alleni con i Protettori...- Disse quasi triste.
-Bhè perchè non glielo chiedi!?-  Sugerì il ragazzo.
E così fece. Il giorno dopo, mentre pranzavano e Reyeha provava a staccarsi Drayeho di dosso per non essere costretta a buttarsi pezzettini di carne nella maglietta, affrontò tintinnante il discorso.
-Senti Bal...Tu sai un pò tutto di me... ma io non so praticamente nulla di te...-
Il ragazzo la guardò interrogativo.
Reyeha allora si mise dritta e con tono fiero disse: -Bhè, nonostante la tua storia non sarà avventurosa come la mia...- E si fermò a guardare un Balkrev divertito:- ...mi piacerebbe conoscerla.- Gli disse sorridendo.-Sempre su vuoi! Cioè... più che altro perchè non so nulla di te... non ho ancora capito nemmeno che ruolo hai qui!-
-Bhè ma naturalmente sono il tuo Baby Sitter!- Rispose con il tono che Reyeha usò precedentemente. 
Reyeha lo guardò male per un momento.
-E come mai il mio Baby Sitter deve prendere lezioni dal Gran Maestro ed allenarsi con i Protettori della Quercia?- E prima che Balkrev facesse domande aggiunse:- Me lo ha detto Jeremia.- 
Balkrev sospirò.
-Ok, allora ti dirò la mia mediocre storia...- Disse ancora in tono scherzoso.-In cambio di una polpetta!-
La ragazza lo guardò incredula e triste.
-Ma le polpette...mhhhmm...Aaaah e va bene!- Disse, per poi porgergli il piatto così che potesse prendere una delle polpette di carne.
Dopo aver mangiato la sua "riconpensa", Balkrev iniziò a spiegrarle come era arrivato alla biblioteca.
-Vedi, io sono nato nei bassifondi di Tailyris, il posto peggiore in cui vivere. E' il rifugio dove si annida la peggior specie d'individui e la gente più povera, che non può fare altro che subire e alla fine diventare anche loro in ladri, assasini e prostitute...Io sono nato da una di quest'ultime, sono diciamo "un incidente sul lavoro". Tuttavia non mi abbandonò e iniziò a crescermi nel bordello nel quale venii al mondo. Non avevo un istruzione, poichè mia madre non poteva permettersi di pagare i miei studi e a dirla tutta, nemmeno sembrava le importasse. Il nostro rapporto non era dei migliori...Comunque sia, visto che con i soldi che mia madre faceva sul lavoro non riuscivamo a fare molto, anche io divenni un ladro. Rubavo per lo più da mangiare o gioielli e altra roba da poter vendere e ricavare qualche soldo. Un giorno trovai un libro mal messo e siccome nessuno me lo avrebbe comprato, lo conservai. Volevo tenerlo lontano dalla gente del quartiere, lo avrebbero sicuramente usato per accendere il fuoco...Non riuscivo a leggere, ma mi piaceva sfogliarlo e osservare le illustrazioni e le lettere. Qualche giorno dopo, i P.D.Q. vennerò al bordello di mia madre per cercare me. Mi presero il libro e mi portarono dinanzi al Gran Maestro. Essi mi accusavano di furto, sopratutto il Protettore che lo aveva perso, ma il Bibliotecario mi ascoltò e capì che non era vero, così visto che mi ero impegnato a tenere al sicuro quel libro, decise di prendermi come suo pupillo ed alievo, adottandomi e dandomi il suo cognome visto che non ne avevo uno. Così ho potuto comprare una casa a mia madre nel centro e cambiare vita. Conclusione: sono stato molto fortunato.- 
Reyeha si era fermata ad ascoltarlo mentre Drayeho le ripuliva ciò che della carne rimaneva nel piatto.
-Uh! Quindi diventerai il prossimo Bibliotecario!? Da quel che ho capito è una persona molto importante...- Esclamò la ragazza.
-La più importante...e ciò mi spaventa...Comunque si, sto studiando per quello.-
-Perchè ti spaventa?-
-Bhè... ho paura di non essere all'altezza... insomma poi sarà tutto nelle mie mani e il Bibliotecario deve essere molto forte e molto intelligente...-
-Ma a me sembra che tu lo sia! Credo... se no comunque lo diventerai!
-Oh non sono nemmeno lontanamente paragonabile al Gran Maestro attuale! Ma grazie mille del sostegno.- Sorrise.
Dopo pochi istanti di silenzio Reyeha ricominciò a parlare.
-Per questo spesso manchi no? Per far visita a tua madre! Anche questo me lo ha detto Jeremia...- Poi abbassò lo sguardo come colpevole.
-Hey!- Esclamò non appena vide Drayeho nel piatto mentre tentava di rosicchiare l'ultima polpetta.- Ma ce l'avete tutti con me e le mie polpette!?-
Balkrev scoppiò a ridere e la risata del ragazzo influenzò anche Reyeha, che si agregò a lui qualche istante dopo.

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Capitolo 12
*** L'incubo e il divertimento ***



Nota d' autrice: Purtroppo il capitolo è uscito in ritardo a causa di alcuni problemi che ho avuto con il PC. Scusate.

Capitolo 12: L'incubo e il divertimento
Circa cinque lune dopo il suo arrivo alla Biblioteca, Reyeha si era abituata al nuovo stile di vita, passando le sue giornate con Balkrev che la ragazza aveva scoperto essere parecchio distratto, siccome andava spesso a sbattere contro porte o colonne. Aveva di certo avuto delle ricadute. Si ricordava di quello che era successo e dei dubbi e le colpe che Kamer le aveva confermato e scoppiava di nuovo a piangere. Ora non aveva nemmeno più il ciondolo che il padre le aveva donato prima di morire e nemmeno le permettevano di andare a recuperarlo. Se non fosse stato per Balkrev che tentava sempre di tirarla su e consolarla, sarebbe stata molto peggio. Quel ragazzo riusciva sempre a metterla di buon umore. Un suo abbraccio riusciva a fare molto per lei, poiché ora non si sentiva più sola. Per di più c’era anche Drayeho che quando la “mamma” era triste, si accasciava vicino a lei, accarezzandola con la testolina o “dandole bacetti”. Nonostante Kamer avesse detto di essere la sua guardiana, non l’aveva più vista dal suo arrivo, se non di sfuggita e solitamente in compagnia di altre persone. Non che ci tenesse molto a parlare con lei... provava un senso di ostilità nei suoi confronti.
Per il resto però, sembrava che andasse tutto per il meglio, fino a quando una notte la ragazza si risvegliò di soprassalto, urlando. L’incubo. 
Lo stesso incubo che anni prima aveva fatto di continuo, prima che la sua vita andasse in pezzi. La stessa stanza in penombra, lo stesso individuo incappucciato. L’unica differenza era il bambino e la culla. Al posto di quest’ultima ora c’era un letto e al posto del neonato un bambino di 4-5 anni. La figura nera ora svegliava il bambino e lo prendeva per la manina portandolo con se. La sua posizione, quella di Reyeha, era la stessa: nemmeno questa volta lei era materiale, ma solo uno spettatore incapace di fare qualsiasi cosa. Il terrore l’avvolse, considerando anche che quello poteva essere un segnale dell’attivazione dei suoi poteri. 
Prese Drayeho e corse a cercare Balkrev. Aveva visto dov’era collocata la sua stanza poche volte, per di più ora era notte fonda e lei non aveva una candela. Per fortuna non doveva arrivare all’ascensore siccome tre lune prima l’avevano trasferita allo stesso piano dove si trovava anche Balkrev. Il buio e il panico però offuscarono il suo senso dell’orientamento facendola perdere.
Le lacrime iniziarono a rigarle le guance e si accasciò a terra stringendo a se Drayeho, ancora mezzo addormentato. Iniziò piangere sempre di più, temendo potesse accadere quello che già in passato le aveva distrutto la vita e ucciso tutti quelli a cui voleva bene. Se avesse ucciso Balkrev? Se avesse ucciso le altre persone della Biblioteca!? Tra cui anche Jeremia. Sarebbe stata la causa della rovina della Biblioteca. Perchè!? Perchè doveva portare morte ovunque!? Non voleva fare del male a quelle persone. Non voleva fare del male a Balkrev. Non voleva vederlo divorato da un drago per colpa sua...
Un fiume in piena di pensieri negativi invase la testa della ragazza, quando una mano le toccò la spalla.
-Reyeha! Che succede!?-
Il buio permise a malapena alla ragazza di distinguere il volto di Balkrev.
-Balkrev il sogno!- Gli disse piangendo, poi iniziò a parlare in maniera agitata e confusa, cercando di spiegare all’amico cosa fosse successo. Quest’ultimo però la interruppe e la guidò verso la sua stanza, distante solo qualche passo. 
-Ora calmati e cerca di spiegarmi perchè sei in questo stato.-
-Prima dell’attacco da parte dei draghi a Thyag che causai quasi cinque anni fa, feci un incubo, lo stesso per una settimana intera. Allora avevo sentito Kamer che rimproverava i miei genitori perchè non glielo avevano detto. Poi quando sono arrivata qui e ho parlato con lei mi ha chiesto di questo incubo ricorrente. Non so cosa significhi, ma l’ho rifatto! E se fosse un avviso!? Qualcosa che succede prima dello scatenarsi dei miei poteri!? Non voglio che qualcun’altro muoia per colpa mia! Non voglio ucciderti!- Riscoppiò a piangere, mentre Balkrev la abbracciò accarezzandole la testa.
-Shh stai tranquilla. Non ucciderai nessuno, ora calmati. I tuoi poteri sono bloccati e domani andremo a parlare con il Maestro, così ci dirà cosa sono questi incubi. Per ora non possiamo fare nulla. Tranquilla!- Le disse il ragazzo con tono dolce.
-Non voglio Balkrev... non voglio più uccidere nessuno! Riportatemi nella foresta! Non sono fatta per vivere con gli umani...ti prego!-
-Non farai del male a nessuno, stai tranquilla. Ora calmati, se no starai male poi. Perchè non ti distendi fino a quando ti tranquillizzi un pò.-
La ragazza annuì e si distese. Balkrev continuò ad accarezzarle i capelli per calmarla. Alla fine Reyeha si addormentò con un forte mal di testa dovuto al pianto, mentre Balkrev vegliò su di lei le ore rimanenti della notte, sonnecchiando ogni tanto per cinque, dieci minuti.
Il giorno dopo, come dettole la notte prima, Balkrev accompagnò Reyeha a incontrare il Gran Maestro della Biblioteca. L’uomo, avvisato dal suo pupillo alle prime luci dell’alba, mentre Reyeha dormiva ancora, li aspettava nel suo ufficio. Un ampio salone semicircolare dalle pareti molto alte di un colore simile alla crema. Su un piano rialzato era posta un’enorme scrivania piena di libri, mentre altri scaffali, altrettanto pieni di libri, coprivano la parete dritta, la stessa sulla quale si trovava il grande ingresso a sesto acuto e due ante, ai lati del quale, sia all’interno dell’ufficio che all’esterno, si trovavano due colonne marmoree ricoperte da edera. La parete curva invece era ricoperta da piccoli ritratti, che si andavano a disporre circolarmente attorno ad uno più grande, posto al centro dell’immenso muro, rappresentante un elfo donna dai lunghi e lisci capelli bianchi tendenti leggermente al verde, che vegliava sull’ufficio e sembrava guardarli con occhi stanchi e saggi. Il soffitto era inclinato, per far sì che la parete contenente i quadri fosse molto più alta rispetto a quella del ingresso. La sala era illuminata da delle grandi porte di vetro che davano su un balcone anch’esso, come la stanza, semi-circolare.
-Reyeha, piacere di conoscerti! Mi chiamo Dekves Blecheyer, e sono il custode e protettore della Quercia della Conoscenza.- Un uomo molto vecchio, con argentei capelli e chiari occhi azzuri, ma dall’aria possente. Le andò in contro sorridendo.- Balkrev mi ha avvisato del nostro incontro. Mi scuso di non essermi fatto vedere fino ad ora, ma non credevo tu volessi. E poi non penso tu abbia sofferto nel non conoscermi.- Disse con un leggero tono scherzoso.
-Dunque cara, sei venuta per chiedermi dell’incubo giusto?-
La ragazza annuì.
-Balkrev, potresti uscire per favore?-
Reyeha si girò verso di lui, preoccupata.
-Tranquilla, andrà tutto bene.- Le sussurrò il ragazzo prima di annuire al Maestro e con permesso, uscire.
-Reyeha cara, rilassati, l’ho fatto uscire non perchè io voglia farti del male o perchè non mi fidi di lui, gli affiderei la mia vita. Ma le cose che sto per dirti sono un pò personali e sarai tu a decidere poi se parlargliene o meno.- L’uomo si fermò per vedere la reazione nulla di Reyeha.
-Bene, iniziamo dal sogno, siccome è quello che ora ti preoccupa.Prima di iniziare con qualsiasi spiegazione vorrei chiederti se l’incubo era uguale a quattro anni fa.-
-Mh, no.- Rispose la ragazza, per poi spiegare all’uomo le differenze.
Questo poi assunse un’espressione pensierosa per qualche secondo, poi iniziò a parlare.
-Capisco. Vedi quell’ incubo, non è come credi tu, una visione o un’annuncio della ripresa delle funzioni dei tuoi poteri bensì un collegamento a un altra persona.-
Reyeha era confusa, e l’uomo lo capì.
-La mia teoria è che i sogni sono stati un avviso della nascita di un altro dominatore di draghi che ha il tuo stesso sangue.-
-Un fratello...?-
-Esatto. Se il Nuovo Ordine aveva e magari tutt’ora ha, il tuo padre genetico, dopo la tua scomparsa non si saranno persi d’animo ed avranno provato a farlo riprodurre di nuovo. Purtroppo per loro, il gene che crea la vostra specie di maghi, è assai recessivo, perciò probabilmente, finchè avranno ritrovato una donna adatta ne è passato molto di tempo. All’incirca dieci anni... Quasi sicuramente avrai molti altri fratelli o sorelle, ma solo uno è nato dominatore di draghi, quattro anni fa.- Reyeha non fece particolari reazioni.
-L’influsso magico che questo bambino ha scatenato con la sua nascita, ti ha messa in una sorta di contatto con lui ed ha dato il via al processo di attivazione dei tuoi poteri. In pratica credo che il bambino che tu vedi nel sogno, sia lui.-
-E...quindi...non capisco... perchè faccio questo sogno? Cioè, perchè ora?-
-Di questo non ho una teoria stabile, quindi preferirei parlartene in seguito, per dirti qualcosa di attendibile.- Le rispose l' uomo sorridendole gentilmente ed inclinando leggermente la testa.
Reyeha annuì timorosa:- Va bene...-
-Perfetto!- Esclamò il bibliotecario.-Dunque, è ora di chiarire anche altri dei tuoi dubbi mia cara.-
La ragazza lo guardò con aria interrogativa.
-Non ti sei mai chiesta del perchè hai le squame?- Le chiese cupo.
La mano destra di Reyeha andò istintivamente a toccare il braccio sinistro, là dove era fasciato. Da quando aveva iniziato a vivere serena alla biblioteca, non ci aveva più fatto tanta attenzione. Qualche volta controllava mentre si faceva il bagno, felice poi di constatare che le squame non si erano più estese.
-Lei saprebbe dirmi cosa sono?- Chiese tra lo speranzoso e preoccupato. 
-Certo, mia cara. Io so molte cose e se mai avrai bisogno di qualche risposta, puoi venirmi a cercare. Magari io saprò dartela.- E detto questo le sorrise dolcemente. 
-Dunque, la signora Kamer ti ha detto che sei una maga. Più esattamente dominatrice dei draghi. Bene, devi sapere che la magia corrode chi la pratica. I maghi di basso livello, non hanno questo tipo di problema, poichè la loro energia magica è poca, ma quelli di alto livello come te... bhè, devono pagare un prezzo se usufruiscono troppo del loro potere. Questo prezzo varia a seconda del tipo di magia che uno ha e ciò che i dominatori di draghi devono dare in cambio, è il loro corpo.-
-In che senso? Mi trasformerò in drago o cosa?- Chiese agitata.
-Non esattamente... c’è stato in passato, un mago della tua stessa specie, molto potente che ha sfruttato il suo potere talmente tanto, che alla fine, dicono, si sia trasformato in un rettile umanoide con le ali.-
E vista la faccia scioccata e terrorizzata di Reyeha, Dekves si affrettò ad aggiungere: - Ma questi, sono solo racconti, leggende, ed anche se fosse vero è accaduto tempo or sono. Quindi tranquilla, non diventerai un rettile umanoide, soprattutto perché il tuo potere oramai è bloccato e dunque non puoi usarlo tanto da far avanzare la trasformazione. Comunque sia, il prezzo esiste realmente e le squame che hai sull’avambraccio sinistro e sulla coscia destra sono l’inizio della mutazione.-
Reyeha si stringeva sempre più l’avambraccio preoccupata.
-Questo è successo però perchè i tuoi poteri sono praticamente esplosi all’improvviso, ed hanno avuto una forte intensità per ben quattro anni. Se uno, li controlla, e non esagera, non ha particolari problemi. Comunque sia, io credo che le squame non siano gli unici cambiamenti.-
-Che vuol dire?-
-Tu non hai il ciclo giusto?-
-Cosa...?-
-Il sangiunamento lunare.-
-Hem, si...-
-Ma da quando sei arrivata qui, lo hai avuto?-
-No, dovrebbe tornare tra un luna...credo.-
-Quando ti è venuto la prima volta e ogni quanto torna?-
-Ce l’ho ogni sei lune circa, da quando avevo undici anni.-
-Capisco.Vedi, questa è un’altra mutazione. La perdita di sangue dovrebbe esserci ogni mese. Tu invece lo hai una volta ogni sei. Questo perché i draghi non lo hanno. Essendo ovipari il loro ciclo consiste nella creazione di vere e proprie uova interne perciò non hanno bisogno della perdita di sangue.-
-E che conseguenze avrà questo sul mio fisico? Farò le uova?- Chiese sconvolta.
Dekves iniziò a ridere:- No cara, no! Ma in futuro potrai avere bambini soltanto in determinati periodi dell’anno. Perciò diciamo che ti sarà più difficile procreare.-
-Non so comunque se voglio averli....- Disse triste.
L’uomo la osservò per un momento, poi le si avvicinò e le mise una mano sulla spalla.
-Non pensare che il tuo potere sia una maledizione.- le disse rassicurante.
-Come fa a non esserlo? Mi ha fatto uccidere tutte le persone a cui tenevo... e potrebbe farlo tutt’ora...- Gli occhi della ragazza erano bassi e spenti. Perciò il Bibliotecario decise che per quel giorno era sufficiente.
Prima che Reyeha uscisse però, le chiese se poteva vedere Drayeho. La ragazza riuscì a far uscire l’animaletto dalla maglietta e dopo che anche il Bibliotecario le disse che sembrava l’ avesse scambiata per la madre, aggiungendo però che non ne aveva dubbi, accarezzò la bestiolina ormai grande quasi quanto la mano della proprietaria, tutto contento, per poi lasciare uscire Reyeha, la quale era aspettata fuori dalla porta da Balkrev.

La ragazza raccontò tutto all’ amico, il quale vedendo la sua espressione abbattuta ebbe un’idea:
-Che ne dici se usciamo? Per oggi lasciamo stare gli allenamenti, lo studio e ti porto un po’ fuori a vedere Tayliris, infondo non sei mai uscita dalla biblioteca da quando sei arrivata...oggi ci divertiamo, così ti rilassi un po’ e non pensi a quello che hai appena saputo.-
Reyeha lo sguardo sorridente, limitandosi ad annuire contenta.
La prima cosa che fece una volta uscita dalla biblioteca fu girarsi e guardare l’aspetto esteriore di questa. Rimase sorpresa di constatare che il nome “Quercia della Conoscenza” le calzava a pennello.
Era davvero una grande quercia. Un’immensa quercia! Reyeha dovette alzare la testa fino quasi a perdere l’equilibrio e cadere all’indietro per poterne vedere la chioma, la quale si estendeva imponente su buona parte della città. Senza rendersene conto alla ragazza scappò un “wooooh” di stupore.
Voltatasì a guardare la città, lo spettacolo cambiò completamente. L’entrata rialzata della biblioteca le permetteva di avere una sorta di vista aerea. Tra le immense radici che, da quel che le aveva spiegato Balkrev, si estendevano per tutta la capitale sui quali si ammassavano agglomerati di case più o meno grandi, aventi stravaganti tetti spioventi con tegole delle più varie tonalità di giallo. Il colore dei tetti conferiva agli edifici un aspetto naturale, inserendoli nell’ambiente come se appartenessero ad esso.
Per le vie, la gente che passava indaffarata, era un fiume di colori e molti di loro sembravano conoscere Balkrev poichè lo salutavano allergri e questo li risalutava gentile e sorridente come al suo solito. Reyeha aveva notato che molte donne portavano bellissimi veli ornati con vari motivi in testa o sulle spalle e ogni volta che ne vedeva una si girava ad ammirarli.
-Noto che ti piacciono i veli!- Le disse Balkrev il quale si girò sorridente verso di lei per vederne l’espressione, ogni volta che vedeva passare una donna velata.
-Sono davvero belli!- Rispose la ragazza entusiasta.
-Sai, sono una tradizione e nell‘ultimo periodo anche una moda. Ogni velo é personale, poiché attraverso i ricami racconta la storia o comunque un qualcosa di importante per la persona che lo indossa. Andiamo! Conosco un negozietto davvero carino che li fa!-
-Cos...?-
Ma Reyeha non fece in tempo a contrastare l’offerta di Balkrev, che il ragazzo la prese per mano e iniziò a correre, trascinandosela appresso, proprio per non dare tempo all’amica di contraddirlo.
Balkrev passava agilmente tra una persona e l’altra, Reyeha invece, essendo più goffa e sicuramente meno agile, andò a sbattere chiedendo poi scusa contro una persona o due. Ad un certo punto la strada iniziò ad andare pericolosamente in discesa ed un dislivello di quest’ultima, fece perdere l’equilibrio a Reyeha, la quale inciampò e cadde rovinosamente a terra. Una volta fermatasi dalla caduta, si alzò in tutta fretta imbarazzata per la brutta figura, per poi scoprire che anche Balkrev si era fatto la discesa rotolando. Proprio in quel momento infatti, il ragazzo andò a sbattere contro un carretto, che fermò la sua caduta. Dopo essersi scusato con il proprietario raggiunse Reyeha con il naso pieno di graffi.
-Non ho proprio buon equilibrio...- Disse ridacchiando mentre si grattava la testa.
-Nemmeno io!- Rise Reyeha.
Arrivati al negozio, questa volta camminando onde evitare altri inconvenienti, il negoziante che sembrava anch’esso conoscere Balkrev, li accolse calorosamente. 
-Un altro velo per Gyris?- Chiese allegro.
-No, questa volta sono qui con lei.- Rispose indicando Reyeha.
-Oh, capisco!- Disse l’uomo passando lo sguardo dal giovane alla fanciulla.
-La fidanzata?- Chiese ammiccando a Balkrev, al quale s’infiammarono quasi istantaneamente orecchie e guance. Come anche a Reyeha d’altronde.
-Sai? Tua madre mi ha detto di questa ragazza con cui passi molto tempo ultimamente, è che t...-
-No, non è la mia fidanzata!- Si affretò a dire Balkrev, ancora più rosso di prima.
-Ooooooh, caapito, capito!- Disse l’uomo, per poi scusarsi della domanda inopportuna.
Dopo presentazioni e tutto, il negoziante, che Reyeha aveva scoperto si chiamasse Otrediksov, chiese alla ragazza di raccontargli la sua storia così che lui potesse ricamarla sul velo rosso che Reyeha aveva scelto.
A quella domanda la ragazza guardò in basso triste. Capito il problema, Balkrev intervenne per aiutare l’amica.
-Perché non inizi a raccontare da quando sei alla biblioteca?- Propose dolcemente.
-Si, forse è meglio...- Acconsentì Reyeha.
Finito di raccontare i punti principali della sua permanenza alla Quercia della Conoscenza, la ragazza fu libera di andarsene assieme all’amico. Sarebbero tornati a prendere il velo due giorni dopo.
Il resto della giornata fu davvero divertente per entrambi. Balkrev fece fare a Reyeha un giro turistico della città, per poi portarla ad un luogo poco fuori da essa che a lui piaceva molto: su un grande fiume calmo, si affacciava un pezzo di scogliera rocciosa abbastanza alta e inoltrata nel fiume da poter permettere a Balkrev di saltare nell’acqua sottostante.
Ci volle un po’ prima che il ragazzo convincesse Reyeha a tuffarsi. Cioè più che convincerla, la prese di peso in braccio e saltò assieme a lei. Passata la paura iniziale, la ragazza iniziò a tuffarsi di propria iniziativa.
Infine, tornarono alla biblioteca al tramonto ed entrambi non ci misero molto ad addormentarsi.
***

Nei mesi successivi, ci furono altre giornate come quella. Reyeha conobbe anche la madre di Balkrev, una bellissima donna che sembrava poco più che trentenne, dai lunghi capelli tinti di nero e gli occhi del figlio, molto diretta e sicura ma anche parecchio simpatica. A volte la donna le proponeva di fare qualche passeggiata con lei, “ per poter stare un po’ tra donne”  ed in quelle occasioni e non solo, Reyeha indossava il suo bellissimo velo rosso con ricami color oro che raccontavano un pezzettino della sua vita.
Negli allenamenti con Balkrev aveva iniziato a concentrarsi sull’uso dell’alabarda e della lancia, essendo le armi con cui aveva scoperto trovarsi meglio ed era arrivata ad un livello che le permise di riuscire un minimo a contrattaccare l’amico estremamente più forte ed allenato di lei.
Ebbe anche altri incontri con il Bibliotecario, che aveva scoperto essere un uomo pieno di spirito e conobbe anche Phaerl, la donna che le aveva sigillato i poteri. Essa era una mezzelfo, con lunghe orecchie a punta, ondulati capelli rossi ed un volto ornato da lentiggini. Sul corpo e viso aveva una sorta di tatuaggi blu, simboli della sua tribù elfica ed anche lei, come Jeremia, si distingueva dalle altre persone che lavoravano per la biblioteca poiché vestita maggiormente di celeste e nero.

La presenza di Kamer si fece più frequente o comunque Reyeha la notava di più. Nonostante ciò, la donna non le parlò fino a quasi undici mesi dal suo arrivo alla biblioteca ed anche allora non fu una delle chiacchierate più amichevoli che Reyeha avesse fatto e nemmeno una delle più felici... 
La donna era andata ad avvisarla che da lì ad un mese avrebbe lasciato la Quercia. Phaerl, sarebbe dovuta partire per il Nord, per consegnare un messaggio da parte del Bibliotecario al Consigliere che rappresentava l'Est. Essendo la donna che teneva a bada i suoi poteri, Reyeha avrebbe dovuto seguirla, da sola, senza nè Drayeho nè Balkrev e Kamer era andata per dirle di non fare troppe storie. Infondo la Biblioteca l'aveva aiutata molto, quindi l'avvertì di non causare ulteriori difficoltà.
Quando Dekves comunicò a Reyeha, sicuramente in maniera più gentile di Kamer, l'imminente partenza, la ragazza come dettole da Kamer, non fece storie. Le prepararono scarpe e indumenti da viaggio. Molti indumenti da viaggio. Questo non era incoraggiante, non sapeva quanto ci avrebbero messo, ma sicuramente i vestiti che le avevano fatto non lasciavano pensare ad un viaggio di qualche giorno...
Balkrev cercava di tirarla su, ma anche lui non era felice per quel viaggio e si notava. Comunque sia, il giorno prima della partenza, si presentò da Reyeha all'alba, dicendole che siccome non si sarebbero rivisti per un pò, quel giorno lo avrebbero passato interamente assieme divertendosi come non mai e così fù. Tra le tante cose, tornarono di nuovo al fiume, passarono a trovare la madre di Bal, così che Reyeha potesse salutarla e lo stesso valse per Jeremia, dal quale però riuscirono ad andarsene a malapena siccome si era messo in testa che doveva dare un' ultima sistematina a Reyeha, prima che questa partisse. Verso sera entrarono anche in una locanda. Ci erano già stati una volta o due e Reyeha, più per insistenza del robusto locandiere che di Balkrev, aveva assagiato bevande alcoliche anche se mai nulla di pesante.
Quella sera, quando l'uomo scoprì che la ragazza sarebbe partita, offrì ai due da parte della casa un nuovo prodotto. La bevada di colore rossastro aveva un buonissimo gusto dolce e non sembrava contenere alcool quasi per niente, perciò quando l'uomo offrì loro un altro giro (anche perchè sapeva che alla fine Balkrev pagava sempre, nonostante fosse "da parte della casa"), accettarono. Grande errore. Mentre i due ragazzi bevevano le loro bevande, non notarono gli sguardi divertiti del locandiere ed un altro paio di persone accanto ad esso e da quel momento in avanti, la serata per Balkrev e Reyeha divenne molto confusa. Nonostante la bevanda non sembrasse alccolica, lo era e anche molto! 
Pultroppo Reyeha se ne rese conto solo la mattina seguente, quando con un forte mal di testa si ritrovò nel letto di una delle stanze della locanda, mezza nuda e con un Balkrev coperto dal lenzuolo giallastro, ma chiaramente anche lui senza maglietta (e non voleva sapere se anche senza qualcos'altro), ancora profondamente addormentato accanto a lei.
/Oh, Cazzo!/.


^Due sketch random di Drayeho, giusto per farvi vedere com'è^

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Capitolo 13
*** Il viaggio di Elaera - Verso il Nord ***



NOTE DELLE AUTRICI
Finalmente torno anche io a pubblicare, non siete contenti? E già, perchè questa settimana avrete DUE capitoli. Quindi mi raccomando leggete e recensite o vi mando tutta la sfiga accumulata da Elaera nella sua vita. LOL Spero che scrittura e disegni vi piacciano.
-Ele-


Il viaggio di Elaera - Verso il Nord

Elaera impiegò un mese per uscire dalla foresta. In tutto il tempo trascorso con il vecchio, non si era mai resa conto di quanto potessero essere lontani i nuovi confini dettati dai barbari invasori. Questi infatti, avevano oramai conquistato quasi tutta la parte sud-est del regno dell’Est, sottomettendone tutte le piccole cittadine che il governo aveva deciso di cedere in cambio della salvezza delle grandi città.
 I barbari dal canto loro, non avevano risparmiato nessuno. Chiunque si oppose al loro dominio, non accettando la  nuova condizione di schiavo, venne ucciso.
Elaera fu costretta più volte a dover cambiare strada pur di non incrociare il passo di qualche manipolo di bruti barbari in cerca solo di divertimento o di sentinella ai numerosi piccoli accampamenti.
Riuscendo finalmente a raggiungere la cosiddetta “ via d’oro”, segnata sull’unica mappa a sua disposizione che l’eremita gli aveva lasciato per raggiungere così il passo di Ird e da lì dirigersi verso il sicuro al nord, Elaera era venuta a conoscenza delle nuove e fauste notizie riguardanti il regno grazie all’incontro con una gentile carovana di mercanti; per quegli uomini che tentavano di guadagnarsi da vivere, Ird sembrava quasi una salvezza, l’unica via ancora sicura verso le metropoli ricche e glaciali dei monti innevati del Nord.
Ormai l’est, fatta eccezione per la sua capitale, poteva considerarsi del tutto perduto.
Elaera si chiese per quale motivo il regno barbaro persistesse ancora. L’esercito di Imirdyr ,da come si diceva, contava molte migliaia di soldati in più di quello nemico. Forse i barbari avevano un’arma segreta, un qualcosa che poteva ancora sbaragliare la superiorità numerica imirdyriana annientando definitivamente qualsiasi esercito o forse i potenti non avevano preso sul serio quell’invasione. Elaera non ne era certa. A lei piaceva porsi domande, ma difficilmente senza un confronto diretto con il problema riusciva a trovarvi una risposta. Durante tutto il tragitto verso i monti, non fece altro che scervellarsi su più interrogativi, confrontando le sue tesi con quei pochi che volevano dialogarne tra i componenti della carovana.
Per raggiungere il lontano passo di Ird, ci impiegarono all’incirca una settimana. Grazie alla grande disponibilità della carovana che l’aveva accolta come manovale in cambio del vitto e alloggio, la ragazza era riuscita ad evitare di dover spendere quei pochi soldi di cui disponeva per il viaggio.
 Era stupita di come le rimanesse facile dialogare con gli altri. Essendo vissuta per così tanto tempo da sola, quasi in silenzio assoluto con un uomo burbero come il vecchio, si aspettava di avere almeno un minimo di impaccio nell’iniziare un discorso. Invece le venne naturale. Sembrava come se lei fosse stata fatta da sempre per parlare con gli altri. Forse il vecchiaccio aveva ragione, forse lei doveva davvero stare in mezzo alla gente, al contrario di ciò che lei pensava. Forse trovare il suo posto nel mondo l’avrebbe fatta sentire meno afflitta dai suoi interrogativi.
“Ancora con la testa tra le nuvole?” Il vecchio capo della carovana, Elduad, venne a sedersi vicino a lei dietro al carro, mentre gli altri montavano le tende per la notte ed accendevano il fuoco per la cena. Le prime stelle e la pallida luna già rischiaravano il firmamento.
“ Stavo pensando … quando non ho nulla da fare, il mio cervello si mette in moto. Come una ruota di un mulino spinta dall’acqua e non riesce più a fermarsi, almeno finché non porta a termine il suo lavoro. Ma difficilmente lo porta a termine. A volte questo mi fa un po’ rabbia, vorrei sapermi dare più risposte. Per esempio non riesco a capire come mi abbiate potuta accogliere così facilmente tra di voi.” Elaera sorrise a quel simpatico vecchio che di vecchio sembrava avere solo i capelli e le poche rughe del viso.
Infatti Elduad, aveva conservato nonostante la sua età avanzata, il fisico prestante che lo aveva caratterizzato da giovane e quei suoi occhi nocciola sempre vispi e pronti a cogliere qualsiasi inganno. Qualità che aveva dovuto apprendere per poter portare avanti l’attività di famiglia.
“ Mia dolce bambina, quante domande ti fai. Tante volte sarebbe meglio accettarsi per come si è, che domandarsi perché si è così.” Le disse dolcemente poggiandole la mano sulla spalla. “ Devi capire, che tutti al mondo nasciamo per uno scopo e anche se questo non ci è subito chiaro, prima o poi lo sarà. E’ inutile angosciarsi per scoprirlo prima del tempo. Quando ti abbiamo vista uscire dalla foresta, ti avevamo scambiata per uno spirito errante o per una spia dei barbari. Ma tu non hai i loro tratti, fortunatamente ed il tuo accento, per quanto potesse sembrare arrugginito, era chiaramente Imirdyriano. Certo, non ci hai raccontato tutta la tua storia…” La fissò con aria eloquente facendole intendere che non la stava rimproverando per questo, infondo, comprendeva che doveva avere le sue buone ragioni. L’uomo fece una pausa e si raddrizzò, volgendo altrove lo sguardo.
“Forse ci siamo fidati troppo presto … ma sono stanco di stare sempre in allerta. Ora che il nostro sommo re è riuscito a garantirci questa sporadica pace, non credi sia meglio godercela invece che porci domande senza risposta? E poi non so, forse mi fido di te perché mi ricordi tanto la mia amata figlia che ora è in celo con gli dei.” Un velo di tristezza gli calò sul volto al pensiero.

Poco dopo essersi ripreso, si diresse a svolgere le sue abituali mansioni nella tenda principale.
L’uomo la lasciò lì, di nuovo ai suoi pensieri. Almeno ora Elaera era molto più tranquilla.
 Sapeva di dover trovare il suo posto. Sapeva che questo avrebbe comportato problemi, che non tutte le persone erano come il vecchio Elduad, che ci sarebbero sicuramente state persone che l’avrebbe cacciata via. Soprattutto se avessero saputo del tutto la sua storia. L’avrebbero rinnegata come la peste, l’ultima sopravvissuta di una cittadina rasa al suolo. Cresciuta da sola insieme a un uomo nella foresta. Sarebbe sicuramente stata considerata maledetta o peggio. Ma non era questo il momento per abbattersi.
Mancava un unico giorno di marcia. Un giorno ed avrebbero superato il passo di Ird e potuto godere della vista dei monti innevati, del nord e magari delle grandi capitali dei re delle montagne. Il freddo che avvertiva era solo una delle nuove scoperte che l’attendevano. Il vecchio burbero eremita che l’aveva cresciuta le aveva raccontato talmente tante storie su quella terra innevata, che lei riusciva a vederla anche solo chiudendo gli occhi. Le mancavano le sue storie prima di dormire.
“Elaera! Puoi andare al fiume a prendere l’acqua?” Uno dei giovani allievi di Elduad la riportò alla realtà. Era un ragazzetto di circa vent’anni, poco più alto del vecchio e dalla folta chioma corvina. Elaera annuì  e una volta caricatasi i secchi in spalla, corse di folata al fiume non troppo distante. Le bastò discendere una scarpinata poco ripida. Lì, riempì i contenitori fin quasi all’orlo e se li caricò di nuovo in spalla percorrendo la strada a ritroso. Era abituata da una vita ai lavori pesanti, due secchi di acqua sembravano piume sulle sue forti spalle. Ringraziava di cuore gli allenamenti a cui era stata sottoposta da bambina. Stranamente, il vecchio teneva molto alla sua forma fisica, così l’aveva allenata fino a rendere il suo fisico abbastanza atletico.
Clangori metallici gli giunsero alle orecchie interrompendo i suoi ricordi. Rumori di spade che si incrociano e venivano sguainate, tonfi e grida l’allarmarono. Erano sotto attacco.
Corse con tutto il fiato che aveva in corpo per poi rimanere senza fiato alla vista dell’accampamento. I mercanti erano stati assaliti da dei… mostri. Non sapeva con che nome chiamarli. Non avevano le fattezze di nessuna razza che lei conoscesse, ma in un certo senso, le ricordavano tutte le razze che aveva visto nei libri conservati nella sua casa nel bosco. Alti sui due metri o forse più, con le spalle possenti  contornate da protuberante appuntite, i mostri incombevano su alcuni uomini, sogghignando divertiti. Il loro muso era contornato da capelli argentei  e gli occhi rossi e spettrali, erano circondati dal nero della notte più buia. I mostri dalla pelle scura, di un malsano nero, protendevano le mani culminanti in artigli verso gli uomini a terra, minacciandoli e ridacchiando alle loro grida. A renderli ancor più minacciosi, vi era l’armatura massiccia in bronzo e pelle che ne ricopriva parte del corpo. Del fumo nero aleggiava intorno ad essi, circondandone la figura come un velo protettivo.

Erano in cinque. Alcuni brandivano mazze, altri asce a doppia lama. Quello che sembrava essere il capo, vista la mole, restava dietro si loro ad osservare compiaciuto la scena. La vista di Elaera quasi si annebbiò per la paura e lo sgomento.
A terra, vicino ai piedi di quell’orrida creatura, vi erano già i corpi morti e smembrati di due giovanotti. I superstiti ancora in piedi, tentavano in vano di tener testa ai mostri per permettere alle donne, e ai più giovani del gruppo di salvarsi sellando i cavalli e fuggendo via verso i monti. Perché così funzionava la carovana.
I mercanti erano radunati lì con le loro famiglie, sui loro preziosi carri con la merce da vendere, ma mai la loro vita sarebbe valsa meno di quest’ultima.
Elaera corse. I secchi caddero a terra attirando l’attenzione di uno degli questi strani esseri, il quale incuriosito dal vedere una donna avanzare a spada tratta, restava quasi immobile e sarcasticamente aspettava il momento in cui l’avrebbe sbalzata indietro con il proprio fendente, lanciandola in aria o dividendola a metà. Ma Elaera fu più furba. Sapendo di non poter contare sulla sua forza fisica vista la mole dell’avversario, mirò sulla sua agilità. All’ultimo momento, quando stava per colpire, scartò di lato lasciando che il colpo del grande colosso si frangesse a terra, mancandola. Riuscì così a distrarre il mostro, facendolo irritare. Il suo piano stava funzionando. Il mostro che ora sembrava trovare più divertimento nel fronteggiarla, aveva ormai lasciato stare il giovane che stava torturando. Il ragazzo impaurito, era così riuscito a correre via ,seppur ferito verso i compagni.
“ Tu lurido figlio di….” Scartando di lato, la ragazza evitò un nuovo veloce affondo, per poi colpire con tutta la sua forza verso il braccio che impugnava l’arma. La spada affondò fino all’elsa nella carne scura che roteava la mazza ed il sangue nero e denso sgorgò dalla ferita. Il mostro lanciò un urlo. Elaera si concesse qualche secondo per guardarsi intorno.
La maggior parte dei suoi compagni erano riusciti a fuggire, ma c’era ancora qualcuno che faticava a montare sul cavallo perché rallentato dalla presenza del combattimento o ostacolato dagli altri mostri. Elaera estrasse la spada dalla ferita prima di essere colpita dal pugno del suo avversario. Con l’arma ancora in pugno, corse verso il carro sul quale viaggiava. Era sempre stato l’ultimo della carovana e da come vedeva,era anche l’ultimo al quale sembravano essere rimasti  sellati dei cavalli.
Le povere bestie nitrivano e scalciavano spaventati, tentando invano di liberarsi dalla morsa delle stringhe. Tra l’affanno, la ragazza si issò in groppa ad uno di essi, prendendo in spalla il suo zaino adagiato sul cocchio di legno. Ruotando la spada, tagliò i legacci che fissavano gli animali e prendendo in mano le redini li spinse via al galoppo. Mentre fuggiva, attirò con un fischio l’attenzione di due uomini, rimasti indietro per rallentare i nemici. Gli uomini abbandonarono la lotta sotto lo sguardo scocciato del mostro e le corsero incontro. I due, feriti e stremati, montarono quasi per miracolo sul secondo cavallo, volgendosi disperati verso la ragazza che li stava aiutando.
“ Fuggite! Andate via! Mette le donne e i bambini al sicuro!” Elduad, l’ultimo ancora in vita rimasto a combattere, sfiancato ormai dal combattimento e dalle numerose ferite, urlò l’ordine verso i tre superstiti. Non fecero in tempo a voltarsi, che un’ascia spense per sempre gli occhi del loro capo.
Uno di quegli schifosissimi vermi lo aveva colpito alle spalle, spaccandogli di netto la spina dorsale in due.
“Elduad!” Elaera spronò il cavallo contro la sua volontà verso il mostro, nel tentativo di soccorrere l’amico. Ma quando vide ciò che stava succedendo, frenò la sua corsa. Qualcosa che non aveva creduto possibile stava accadendo davanti ai suoi occhi.
Gli esseri, stavano mutando forma. Quei due metri di muscoli stavano lasciando spazio a tendini elastici e ossa flessibili che li avrebbero resi veloci su quelle quattro zampe possenti che ora tastavano il terreno. Il viso umanoide aveva lasciato spazio ad un muso animale e grottesco e la schiena arcuata gli garantiva una forma dinamica e slanciata. L’armatura e le vesti che li ricoprivano, comprese le armi, si fusero alle loro carni formandone il resistente esoscheletro e la folta pelliccia. Dovevano essere sicuramente veloci. Più veloci forse anche del suo cavallo. Talmente veloci che forse avrebbero raggiunto gli altri, uccidendoli tutti.

Elaera lanciò un ultimo sguardo al corpo scomposto di Elduad e prese una decisione. Con le lacrime che gli rigavano il volto, spronò il cavallo alla sua massima velocità verso il passo montano, guadagnando terreno sui mostri. La metamorfosi che sembrava essere innescata dal fumo nero che gli aleggiava intornto, sembrava procedere lenta ed i mostri attendavano ora l’ordine del maggiore per muoversi. Ragionavano come un branco. Un branco di macchine di morte, pronti a far massacri, peggio di qualsiasi barbaro che lei avesse mai visto. Ma lei non gliel’avrebbe permesso; non li avrebbe condotti ai compagni ormai già lontani, ma verso un altro passo, molto insicuro e con molti rischi di frana. Lì avrebbe trovato un modo di fuggire o di arrestare la loro corsa, o almeno sperava. Pregò che gli dei, se davvero esistevano, avessero a cuore la sua vita.
 I mostri iniziarono a seguirla, fiutandone l’odore e la paura, mettendo a dura prova le forze del cavallo che, non abituato a correre per così lunghe distanze, annaspava in cerca d’aria.
“Dai! Dai!” Elaera spronò la povera giumenta a correre fino allo stremo.
Dopo non molto, il passo pericolante apparve ai suoi occhi e lei vi ci si lanciò dentro senza remore. I ringhi dei mostri la seguivano, echeggiando sulle pareti di roccia, entravano nelle sue orecchie, terrorizzandola.
Il suo cavallo gemette e lei cadde. Uno di quegli esseri ripugnanti le aveva raggiunte e con le sue fauci aveva azzannato una delle gambe dell’animale, stringendola nella sua morsa d’avorio. Elaera ruzzolò rovinosamente dalla sella, finendo per rotolare giù per una scarpinata. Era la fine. L’avrebbero presa, sbranata e si sarebbero cibati delle sue carni per celebrare la vittoria. Era terrorizzata.
Utilizzando il peso dello zaino come leva per girarsi a pancia in su, la ragazza si volse verso i suoi assassini; li vedeva avvicinarsi velocemente, discendendo la scarpata e frenando di tanto in tanto la discesa con gli artigli anteriori delle zampe. Tentò di muoversi ma un dolore lancinante glielo impedì. Chiuse gli occhi, ormai rassegnata, le lacrime che non volevano smettere di scendere dai suoi occhi. Era pronta a morire, piena di rimpianti.
Una freccia trapasso l’occhio del primo mostro che stava per lanciarglisi contro. La bestia, pervasa dal dolore, ululò disperata verso i compagni, in cerca d’aiuto. L’urlo per metà umano e per metà animale fece riaprire gli occhi alla combattente, che sbigottita, osservava la bestia accasciarsi a terra dopo che un’altra freccia, seguita da una seconda e una terza, gli trapassavano il cranio uccidendolo.
Un’ennesima freccia venne scoccata, finendo per colpire alla gola il compagno più minuto del deceduto mostro. Il gruppo era in preda al panico, le bestie si giravano a destra e a manca in cerca del pazzo che pensava di poterla far franca dopo aver ucciso uno dei loro fratelli. Elaera utilizzando la loro momentanea confusione tentò di tirarsi su per fuggire, ma la gamba non glielo permise, cedendo sotto il suo peso.
La guardò e la vide in un’angolazione molto inusuale per essa. Cercò di muoverla ancora ma quasi svenne per il dolore di quel tentativo. Un’ultima freccia andò ad impiantarsi nella mascella del capo branco, che ululando, comandò la ritirata. Prima di correre via, lanciò un ultimo sguardo verso l’impaurita ragazza, ringhiando come a promettere vendetta.
Elaera li vide allontanarsi e tirò un sospiro di sollievo. Forse era salva. Ma non sapeva per merito di chi. 

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Capitolo 14
*** Grazie... ***



NOTE DELLE AUTRICI 
Mi scuso da subito per i pochi disegni, ma questa è stata una settimana un po' movimentata, spero apprezziate lo stesso il capitolo. :) -Ele-


Grazie...

Elaera fissava i corpi dei mostri. Da essi, ora sporgevano le frecce che l’avevano salvata e dalle ferite mortali sgorgava quella strana sostanza nera che, evidentemente, doveva essere il loro sangue. Era salva. Era viva. Ma per merito di chi?.
Si guardò intorno in cerca del suo misterioso salvatore, cercando in ogni possibile rifugio o anfratto, mentre tentava di rimettersi in piedi ignorando, o almeno provandoci, il dolore che le affliggeva la gamba.

 Doveva scappare, solo gli dei sanno come poi, o poteva sperare di ricevere l’aiuto che le serviva? Si sentiva impotente con la gamba ridotta in quello stato, che non rispondeva ai suoi comandi e con l’ansia nel petto che faticava a scemare. Arrancando, si trascinò fino alla parete di roccia vicina, da cui prima era scivolata ruzzolando giù e graffiandosi in più punti la pelle; con tutte le forze che le erano rimaste, si tirò su in piedi, digrignando i denti per le fitte dolorose. La gamba le toglieva il respiro ogni volta che abbozzava un accenno di movimento.

“C’è nessuno?” La domanda rimbombò sulle pareti dello strapiombo, ritornandole alle orecchie con un eco agghiacciante.
“C’è nessuno? Chi è stato a salvarmi?” Evitando di svenire per il dolore e lo sforzo di restare in piedi, la ragazza chiamava il suo oscuro salvatore, guardandosi intorno in cerca di una via di fuga da quella conca in cui era precipitata.
“Non dovresti urlare così. Attiri troppo l’attenzione.” La voce proveniva da dietro un gruppo di massi, poco distanti e nella completa penombra della parete rocciosa.

 La figura che ne emerse, apparteneva ad un ragazzo non molto alto ma ben piazzato, il quale indossava strani vestiti variopinti. L’estraneo impugnava nella mano sinistra un bastone abbastanza lungo, di quelli usati per fare solitamente scarpinate in montagna. Sulle spalle portava una faretra con delle frecce dallo stesso piumaggio azzurrino che avevano colpito i mostri, dettaglio che le fece subito capire a chi dovesse la sua gratitudine. I capelli neri come la pece gli ricadevano sul volto, a causa del loro taglio irregolare quasi non curato, coprendogli del tutto gli occhi imperscrutabili oltre quella cortina che ora, la fissavano incuriositi e dubbiosi.

“Chi sei?” Nonostante sapesse di dovere la vita a quel ragazzo, la ragazza non era sicura di potersi fidare. Dopotutto non era così stupida da fidarsi del primo giovane che incontrava.
Sentì su di sé la pressione di quegli occhi furtivi e ne fu attratta ed intimidita allo stesso tempo.
“Sei ferita?” Le chiese calmo con la sua voce quasi flebile il brunetto, avvicinandosi per controllarle la gamba. La guerriera indietreggiò d’istinto.
Aveva paura forse?
“Non ti farò del male. Voglio solo aiutarti.” La sua voce era così calma, così bassa e suadente che a lei, così stanca di reggersi sulle sue gambe e di provare dolore, le sembrò magnifica. All’improvviso, le parve di cadere dolcemente in un sonno buio e avvolgente.
 Ad impedirle di rompersi la testa con l’impatto col suolo, fu solo la prontezza del ragazzo che la prese al volo vedendola svenire. Elaera chiuse gli occhi. L’ultima cosa che vede prima di perdere i sensi, furono i suoi bellissimi occhi eterocromi.

***

Si svegliò disturbata da un piccolo raggio di sole. La gamba le mandava fitte allucinanti alla testa ogni secondo, le meningi le dolevano quasi come a voler esplodere da un momento all’altro. La ragazza, mezza stordita, aprì finalmente gli occhi. Cercò di far mente locale sugli ultimi avvenimenti, riordinando i ricordi ancora troppo confusi dalla stanchezza.

Mentre tentava di dissipare la sonnolenza, cercò di alzarsi dal comodo letto, tentando di muovere il meno possibile la gamba e mettendosi a sedere. Scostò le calde coperte di lana che la coprivano e, con movimenti malfermi, si portò fino alla sponda in legno del talamo. Si guardò intorno incuriosita.
 La stanza era piccola ma accogliente, di forma pressappoco rettangolare. L’arredamento  sobrio ma curato, consisteva oltre al letto nel comò in legno scuro di fronte ad esso, una libreria piena zeppa di volumi di vario genere, una piccola scrivania piena di scartoffie e una cassapanca aperta, dalla quale sporgevano indumenti simili a quelli che indossava il ragazzo che l’aveva salvata. Quel luogo così estraneo riuscì nonostante tutto a trasmetterle sicurezza.

 Era salva, ma i suoi amici erano morti oppure fuggiti… lasciandola indietro. Era di nuovo sola e non sapeva chi l’aveva salvata o dove fosse finita. Odiava la solitudine e la paura, ma ancor di più odiava piangere o essere vista mentre cedeva alle emozioni; facendo forza a se stessa, si costrinse a trattenere le lacrime e tentò finalmente di alzarsi in piedi.

 La gamba le fece male, ma come poteva vedere l’avevano sapientemente fasciata e steccata in modo tale che il dolore, per quanto forte fosse, risultasse quantomeno sopportabile; anche se così risultava un po’ problematico muoversi. Un dettaglio che notò solo ora, furono i suoi vestiti.
Non aveva i suoi abiti, ma bensì una candida tunica con uno spropositato scollo sul seno, il che le impacciava ancor di più i movimenti a causa dell’imbarazzo.
Sentì un bussare leggero e prima che potesse rispondere a quella richiesta, vide quasi istantaneamente la porta cigolare. Il legno si aprì lentamente, facendo entrare un piccolo vecchio ingobbito. L’anziano, vedendola alzata, subito si precipitò ad aiutarla.

“Bambina cara, cosa fai? Dovresti restartene buona a letto con questa gamba malridotta!” Il vecchio la costrinse a sedersi di nuovo e a stendere l’arto malandato sul letto.
“Mi scusi, ma volevo solo sapere dove mi trovo. Ero in pensiero perché non sapevo da che genere di persone fossi stata aiutata.” La ragazza fu del tutto spontanea nell’affermare ciò. Il vecchio le sorrise, sereno.
“Comprendo la tua ansia, mia giovane amica. Ma non c’è bisogno di preoccuparsi.” L’anziano le sorrise di nuovo ma questa volta più ampiamente, svelando una dentatura quasi del tutto mancante.  “Io sono Delito… e sono uno dei monaci che abitano la casa del dio Imyr. Questo, mia cara, è un monastero sperduto tra i monti, i quali ci separano dalle capitali nevose del nord. Qui, io e i miei fratelli, sotto la guida del grande saggio veneriamo il sommo dio Imyr, creatore del regno di Imirdyr e signore delle forze della natura; il divino, colui che è nato dal ghiaccio perenne sciolto dalla fiamma della vita sgorgata dai più oscuri meandri della madre Terra.” L’anziano monaco aveva proferito quelle parole con somma devozione nel tentativo di rasserenare Elaera, che non essendo mai venuta a contatto con la religione, ne era rimasta del tutto rapita. Molto incuriosita e vogliosa di saperne di più sui suoi salvatori, decise di potersi fidare dell’anziano che la guardava con quei suoi piccoli occhietti semichiusi.

“Mi dispiace, ma non conosco questo dio. Io provengo da molto lontano, dove non vi sono Dei, ma barbari assetati di sangue. Il mio viaggio mi ha spinto insieme ai miei amici lungo la via che conduceva al passo di Ird. Ma, durante il viaggio, siamo stati attaccati da quegli esseri che mi hanno braccata. Molti dei miei amici sono fuggiti, spero, mentre altri…. sono morti.” Il suo pensiero volò spontaneamente ad Elduad ed una lacrima le affiorò sul viso; la ragazza ostinata la ricacciò indietro, imponendosi d’essere forte.
Delito poggiò con compassione una mano sulla sua, comprensivo per la perdita.

“Quelli che ti hanno attaccato, sono i segugi del male, chiamati dalla antica gente di Imirdyr con l’appellativo di ‘Um'aw’. Sono esseri demoniaci usciti da una voragine di oscurità. Qualcuno deve avere rotto le catene che li tenevano imprigionati, sguinzagliandoli per le nostre terre e lasciandoli in totale libertà. Alcuni affermano di averne visti degli esemplari sotto il volere del regno barbaro. Sono esseri potenti, pericolosi, capaci di mutar forma e di proliferare come funghi. Noi li chiamiamo semplicemente demoni e come avrai intuito, ce ne teniamo a distanza.” L’uomo fece una pausa e fissò i suoi occhi seri in quelli della fanciulla. “Quelle creature attaccano per puro divertimento, per sete di sangue. Non si fermano, non puoi implorarli. Se ne uccidi uno, ne nasceranno altri a compensare la sua caduta.” A quelle parole, un brivido freddo corse lungo la schiena di Elaera.
“Vuol dire…che per quelli morti nella conca, ne sono nati altri?” Incredula, la ragazza sperava che ci fosse stato un modo per il quale quella sfortunata condizione non fosse avvenuta.

“No mia cara, non angustiarti. Se al corpo di quelle belve viene dato fuoco, il loro spirito non può ricongiungersi al nucleo oscuro di malvagità e non può dar vita ad altri suoi simili. A quello ci ha pensato Ryuga, il ragazzo che è venuto in tuo soccorso.” Furono le parole più rassicuranti che Elaera avesse mai sentito.
 “Non capisco bene come funzioni tutta questa storia o cosa questi esseri siano, ma se mai me li ritrovassi davanti e riuscissi ad ucciderli, saprò cosa fare delle loro membra.” La guerriera strinse i pugni fino a farli sbiancare, guardando con sicurezza il suo interlocutore.
Delito sorrise, rasserenato. “Imyr apprezzerà di sicuro questo tuo sforzo mia cara.” Detto questo, si alzò e si diresse con passo svelto alla porta. Nonostante l’età, sembrava ancora abbastanza arzillo.

“Ora devo andare, ho del lavoro da adempiere. Più tardi passerà Ryuga a prenderti. Ti condurrà nella sala grande, dove consumeremo il nostro pasto serale. Dovrai accontentarti di poco, noi monaci del monastero centrale del regno siamo abituati a una vita magra, ma piena d’amore verso il nostro dio e gli altri che ne necessitano.” Sorridendo, si volse per chiudere la porta, ma si fermò per precisare una cosa che forse gli era sfuggita. “Ryuga può sembrare un ragazzo chiuso e complicato, ma ha un cuore gentile. Ti ha portato qui in spalla tutto da solo dopo essersi occupato dei corpi dei demoni. Era anche molto preoccupato che tu ti rimettessi in forze e non faceva altro che chiedere quando ti saresti svegliata. Sai, questa è la sua stanza.” Chiuse gentilmente la porta, lasciando Elaera a rimuginare, sbalordita, sulle nuove informazioni a lei pervenute, in attesa di colmare il vuoto allo stomaco che iniziava a farsi sentire.

***

Seduto nel giardino, Ryuga era intento ad intagliare un ciocco di legna in una testa di lupo. Era ancora scosso per l’incontro con la ragazza e quelle strane creature, era la prima volta che vedeva esseri simili. Tornato al monastero, aveva affidato la ragazza malconcia alle cure di Delito, cedendo volentieri la sua stanza. Più tardi quella sera, si era recato dal grande saggio del monastero e da esso aveva appreso la natura degli esseri chiamati Um’aw; erano servi del male, nati da un incantesimo oscuro che aveva provocato una voragine, un’enorme spaccatura tra il nostro mondo e quello delle tenebre. La colpa di ogni cosa, a detta delle voci che circolavano, era da attribuire a quei rozzi barbari che non bramavano altro se non il potere e le ricchezze del dio Imyr e del suo regno. Il vecchio monaco non aveva proferito altro, se non l’avvertimento di bruciare i corpi di quegli esseri per evitare che la loro anima tornasse al nucleo per poi rinascere. Ryuga, a quelle parole, fu lieto di aver preso l’iniziativa ed aver bruciato le loro carcasse poco prima di trarre in salvo la ragazza. Ancora poteva sentire nitida nelle narici la puzza immane, l’odore di morte, che scaturì dalle carni dei mostri quando gli diede fuoco.  

Al termine del colloquio si era recato nel giardino che ormai rappresentava per lui la sua seconda casa, il suo luogo di pace e lì era rimasto finora.
 “La ragazza è sveglia.” Ryuga sobbalzò alla voce dell’anziano e si volse verso il vecchio dal volto gentile.
“Grazie Delito.” Il ragazzo posò gli oggetti da intaglio nella casetta in legno che aveva dinanzi ed alzandosi, la ripose nel ripostiglio che si trovava nel fondo del giardino.
“Ah Ryuga, sempre così in pena per gli altri, ma così poco per te stesso. Stai in guardia, figliolo. Il tuo cuore gentile è più propenso ad essere ferito.” Proferì saggiamente il maggiore mentre il ragazzo tornava verso di lui.
“Cosa intendi dire Delito?” Ryuga guardò confuso quello che ormai era abituato a considerare il suo padre adottivo, al quale doveva la vita e per il quale provava un infinito rispetto.

Era stato Delito a trovarlo ancora in fasce fuori dalle mura del monastero. Sua madre, la donna che lo aveva dato alla luce, l’aveva abbandonato lì probabilmente a causa dei suoi occhi. Si diceva infatti che chi nascesse con gli occhi di due colori diversi, fosse maledetto, che tale simbolo rappresentasse un segno di malasorte del dio.
Ma Delito lo aveva cresciuto e accettato come un figlio proprio, riuscendo a convincere anche il grande saggio a tenerlo nella loro casa; lo aveva sfamato, vestito, addestrato, istruito, lo aveva accolto regalandogli una famiglia e il calore che gli era stato negato alla nascita. In cambio delle loro gentilezze però, il grande monaco volle che il bambino fosse consacrato al dio Imyr e che adempisse alla missione del dio, cioè difendere i suoi possedimenti nel caso le forze oscure si fossero presentate nel regno.
Ryuga sapeva qual’era la sua missione, ma finora non c’erano stati segnali che indicassero che il momento della sua partenza e dell’inizio della sua missione fosse vicino.

“Dico solo, figliolo, che lungo la tua strada vedo molta sofferenza a causa del tuo cuore gentile. Imyr può guidarti, ma non può agire in nome tuo senza che tu glielo conceda. Lui è un dio che guida, che decide per noi un cammino, ma siamo noi come suoi figli a dover fare l’ultima mossa.” Rispose infine il saggio guardandolo con serietà.
“Ho compreso, Delito. Cercherò di usare saggiamente sia il mio cuore che la mia mente. Non ti deluderò.” Promise il giovane.
“Tu non mi deluderesti mai.” Delito lo lasciò con le sue parole affettuose, apprestandosi a raggiungere le sue mansioni.
Ryuga lo seguì con lo sguardo mentre si dirigeva alla sua stanza, dove ancora risiedeva la ragazza che aveva salvato. Non conosceva nemmeno il suo nome. Si era limitato a portarla al sicuro e ad affidarla alle sagge mani di Delito. Sperava solo di non spaventarla.
Giunto dinanzi alla porta della sua stanza, fu dubbioso se bussare prima di aprire oppure no. Alla fine, decise di accennare dei colpi leggeri alla porta, che però risuonarono troppo forti e lo fecero sentire un attimo a disagio.

“Chi è?” La voce di lei giunse flebile a causa del legno duro della porta.
Ryuga entrò nella stanza e la salutò con un cenno del capo.
“Ciao. Sono venuto a prenderti come mi è stato detto.” Il ragazzo sembrava trattarla con indifferenza, non abituato ad interagire con le donne in generale.
Finora aveva dialogato apertamente solo con i monaci del monastero e quei pochi studiosi che si spingevano fin lì per consultare la biblioteca del saggio o chiedergli di predirgli il futuro. inoltre molti di loro erano intimoriti dai suoi occhi, motivo per il quale si era anche fatto crescere i capelli così lunghi.
“Sì, il monaco di prima, Delito mi sembra, me lo aveva accennato. Potresti … ecco … però … ridarmi i miei vestiti? Mi trovo molto più a mio agio con quelli.” Elaera nascose la scollatura tirandosi le coperte fino al mento, abbassando lo sguardo imbarazzata.
“C-certo.” Ryuga si trovava leggermente in imbarazzo.
 Prese gli abiti della ragazza dal comò e glieli porse. I panni profumavano di una fresa essenza di muschio silvestre.
 “Tieni. Io esco. Dammi una voce quando hai finito.” Disse sbrigativo Ryuga, rosso in volto.

La ragazza si stupì nel notare che i vestiti erano stati rattoppati e sistemati con grande maestria.
Il giovane attese appoggiato goffamente contro lo stipite della porta, aspettando la chiamata dall’interno. Dopo circa dieci minuti, un tempo che parve infinito nell’immobilità in cui era stato lasciato, la ragazza lo richiamò concedendogli di entrare.
“Fatto?” Chiese per sicurezza prima di entrare del tutto nella stanza. “ Bene, allora andiamo.” La fece sedere su una strana sedia con delle ruote e un poggiapiedi per la gamba; era la prima volta che Elaera vedeva un aggeggio simile.
Una volta essere salita sulla strana seggiola, i due ragazzi si avviarono tra gli alti corridoi dell’edificio, in direzione della mensa. Tra i due, non riusciva a crearsi nessuna occasione buona per allacciare bottone. Alla fine, fu la ragazza a farsi avanti, seppur impaurita.
“Grazie, comunque. Per avermi salvata.” Disse semplicemente.
“Dovere. Mi fa piacere che tu stia bene.” Rispose il ragazzo che conduceva la sedia a passo spedito,  mentre Elaera si guardava intorno abbagliata dall’architettura imponente dell’edificio.

 Non si era resa conto di quanto grande fosse il monastero stando chiusa in quella camera.
“Mi chiamo Elaera, tu ti chiami Ryuga vero? Me lo ha detto Delito.” Continuò incalzante la giovane nel tentativo di coinvolgerlo nella conversazione.
“Sì.” Ryuga la fissava da dietro la folta frangia, cercando di non farle scorgere i suoi occhi, per paura di spaventarla.
“Non sei di molte parole, vero?”
“Non so di cosa parlare, scusami. Non mi sono mai trovato in una situazione del genere.” Il ragazzo arrossì leggermente.
“In che senso?” Lei lo guardava confusa e divertita. Doveva averlo messo in imbarazzo, pensò.
“Non sono mai stato a contatto con una donna, cioè, non ci ho mai parlato.”
“Oh. Bhè, io non sono mai stata a contatto con tanti tipi di gente. Ma se non provi, non saprai mai cosa ti perdi, no?” La ragazza lo guardò sorridendo.
“Hai ragione.” Le rispose il ragazzo abbozzando un sorriso.
“Da quanto tempo vivi qui?”
“Da sempre. Fui trovato abbandonato fuori dalle mura del monastero e Delito mi crebbe come un figlio. Gli devo tutto.”
“Mi dispiace… forse non avrei dovuto chiedere.” Elaera abbassò il capo sinceramente dispiaciuta.
“Di cosa ti dispiace? La mia è una vita felice! Il dio Imyr è stato clemente con me, mi ha regalato una famiglia che gli uomini mi hanno negato.” Quelle parole sorpresero Elaera. Delito aveva ragione. Ryuga era davvero un ragazzo buono e gentile.
“Delito aveva ragione.”
“Di cosa aveva ragione?” Ryuga fermò la sedia, incuriosito, fissandola perplesso.
“Dice che hai un cuore gentile. Bhè, le tue parole lo confermano. Se posso aggiungere poi... ecco… hai dei bellissimi occhi.” Elaera lo fissava ora attentamente, cercando di scorgere quegli splendidi occhi che l’avevano tormentata nel sonno.
Ryuga distolse lo sguardo e continuò a spingere la sedia e a camminare in silenzio, fino alla sala grande. Giunti lì, la fece accomodare ad un tavolo, dove un altro monaco le servi il pasto, mentre la sala si riempiva di vecchi, adulti, giovani e bambini affamati. Tutta la vita del monastero si era spostata all’interno di quella sala. Ryuga prese posto vicino a lei, lontano dagli sguardi dei monaci più giovani, non ancora abituati alla sua vista.

Durante il pasto, Elaera scambiò qualche parola con altri monaci incuriositi dalla sua presenza e dalla sua storia. Ogni tanto, si voltava per assicurarsi che Ryuga fosse ancora lì e lo ritrovava sempre intento a mangiare, perso nei suoi pensieri. Consumato il pasto, il ragazzo la riaccompagnò nella sua camera, dove l’aiutò a mettersi a letto per poter riposare.
“Questa in realtà sarebbe la tua camera.” Pensò ad alta voce la ragazza mentre lo vedeva uscire.
“Non preoccuparti. Non dormo molto e in più ho da fare ora. E poi, se dovesse venirmi sonno, ho un posto dove stare, non temere. La gamba dovrebbe guarire nel giro di qualche settimana, grazie anche ai nostri bravi guaritori.” Il ragazzo le sorrise di nuovo, gentilmente.
“Grazie. Mi sembra di sfruttarti e non poter ricambiare la tua cortesia.” Elaera si rigirò in mano una ciocca dei lunghi capelli, a disagio per tutta quella gentilezza.
“Ti ho detto di non preoccuparti.” Ryuga si fermò prima di uscire e si volse verso di lei, quasi esitante. “Grazie.”
 Elaera rimase di stucco. Per cosa la stava ringraziando? Stava ringraziando sul serio lei, quella che finora era stata solo aiutata?
“Di cosa?” Chiese spaesata.
“Del complimento.” Ryuga si spostò distrattamente i capelli corvini da davanti agli occhi. Un raggio di luce li fece risplendere. Oro e zaffiro. Due bellissime luci a confronto.
“E’-è vero. I tuoi occhi sono bellissimi, non ne avevo mai visti di simili.” Elaera arrossì.
 Non si aspettava che un complimento del genere potesse davvero averlo reso felice.

Il ragazzo la salutò, chiudendosi la porta alle spalle. Rimasta sola, si rannicchiò sotto le coperte , mettendosi a dormire. O almeno tentò di farlo.
 Ora i suoi sogni non erano più invasi solo dagli occhi del giovane monaco, ma anche dal suo tenero sorriso. 



 

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Capitolo 15
*** La profezia - Il viaggio ***


NOTE DELLE AUTRICI
Appena tornata dal Romics e carico il capitolo in perfetto orario...dovreste amarmi. LOL Cooomunque sia, causa assenza di tempo anche questa settimana ci sono pochi disegni...spero vi piacciano comunque ^^ Potrebbero esserci alcuni errori qua e là, se li notate siete pregati di avvisarmi visto che probabilmente non li ho notati ç_ç 
Io e Elaera vi auguriamo buona lettura!
-Ele-




La profezia - Il viaggio



Elaera si stava rimettendo in fretta. Anche se la gamba non era ancora del tutto guarita, la ragazza ora riusciva di nuovo a reggersi in piedi da sola e poteva fare a meno dell’aiuto degli altri per muoversi, nonostante avesse ancora bisogno di una stampella come appoggio.
Nei giorni di convalescenza, non aveva fatto altro che contare su Delito e Ryuga anche solo per arrivare al bagno, il che era stato molto imbarazzante per lei. D’altro canto, quei due si erano messi a completa disposizione della fanciulla anche se starle dietro, a suo parere, fosse molto stancante e noioso.
Ormai aveva visitato più o meno ogni luogo e anfratto di quel monastero in cui i suoi nuovi amici vivevano, compresa la parte adibita ad orfanotrofio per gli orfanelli. Aveva trascorso bei pomeriggi negli splendidi giardini in cui tante volte sentiva Ryuga e Delito discutere sul metodo migliore per prendersi cura delle piante, aveva visto le stelle negli osservatori collocati nelle torri più alte, dove i monaci più anziani si solevano trattenere la notte in cerca di segni dal loro dio ed aveva intrattenuto diverse interessanti conversazioni con i più svariati personaggi che si erano recati al monastero o che vi vivevano.
 Bambini, monaci, avventurieri, restavano sorpresi nel vedere quell’insolita ragazza aggirarsi con gli occhi vogliosi di sapere per le ampie sale  della biblioteca, prendendo di tanto in tanto in mano i più svariati libri che trovava e cibarsene nell’arco di poche ore.
Ryuga l'aveva anche portata a vedere la grande statua del dio Imyr nel tempio.

La statua, costruita in marmo e avorio, era posta sopra un grande piedistallo all'interno di un abside alla fine della navata maggiore. Il dio rappresentato in posa statica, con lineamenti spigolosi e seri, era vestito come un guerriero dallo sguardo caritatevole. La luce tenue e un po' lugubre del tempio conferiva allo sguardo dell'immenso blocco di pietra un che di spettrale, quasi come se esso possedesse una vera coscienza e potesse scrutare i suoi fedeli.

Il giovane monaco le aveva spiegato che il loro dio era un dio combattente, che debellava il male dal cuore degli uomini condannandoli all'oblio, ma che aveva anche il buon cuore di risparmiare quelli che si redimevano, concedendogli una seconda opportunità. Elaera era scettica sull'esistenza di un'entità del genere; per lei gli dei erano enti troppo lontani e difficili da capire o accettare. Preferiva concentrasi su ciò che vedeva dinanzi a sé.
E così il tempo era passato. Tra mille cose da fare, Elaera si era ambientata e aveva perso ormai completamente quella timidezza che la caratterizzava nel confrontarsi col prossimo, la stessa che l'aveva seguita fin da quando era uscita dalla foresta ed aveva incontrato i suoi cari amici della carovana.
Già i suoi amici della carovana. Chissà come stavano.
Dopo la morte di Elduad, Elaera aveva passato svariate giornate a pregare Ryuga per avere notizie sui suoi compagni perduti. Si sentiva in dovere di informarli che il loro capo non sarebbe tornato. Il monaco, provando un evidente debole per quella ragazza che non aveva mostrato timore nei suoi confronti, riuscì a convincere i saggi a lasciarlo partire in cerca della carovana.

 Il suo viaggio non durò a lungo. Oltrepassato il passo montano in cui era costruito il monastero, gli servirono solo altri tre giorni per giungere nella prima città del regno del Nord, Mera, dove ogni carovana era costretta a fermarsi per essere iscritta nel registro del paese. Sperò con tutto se stesso che la carovana non fosse già ripartita o sarebbe dovuto tornare con cattive nuove dalla speranzosa ragazza. Fortunatamente dopo aver chiesto informazioni, basandosi sulle accurate descrizioni che Elaera gli aveva fornito, era riuscito a trovarli.

***

La carovana era accampata poco distante dal confine ovest della città. Una grande tristezza avvolgeva ogni suo componente e nessuno sembrava dell'umore adatto per svolgere i suoi abituali compiti, ma purtroppo per loro, quello non era un buon motivo per starsene con le mani in mano. Gli ultimi avvenimenti li avevano distrutti, ma le regole antiche dei mercanti nomadi gli imponevano di farsi forza.
 Quando il monaco si presentò da loro quel pomeriggio, questi rimasero stupiti dalla sua visita, ma lo accolsero comunque benevolmente offrendogli quel poco che avevano.

 Ryuga, conscio anche della soggezione a cui erano sottoposti gli altri alla sua vista, usò tutto il tatto di cui era a disposizione per informarli della morte dei loro cari.
 La notizia arrivò alle orecchie degli sfortunati solo come una conferma, lasciando loro solo un velo di dispiacere. Non vedendoli tornare, ormai avevano già capito da sé quale sorte fosse toccata ai mal capitati finiti nelle grinfie dei mostri che li avevano attaccati. Il ragazzo li informò anche di Elaera. Raccontò della sua fuga, cercando di utilizzare le stesse parole che aveva usato lei quando gliel’aveva descritta il giorno seguente al suo arrivo nel monastero. Tutti lo ascoltarono, chi più chi meno attento. Alla fine del racconto, attese in silenzio una qualche risposta.
“La ringraziamo per le sue parole.” Disse uno degli uomini più anziani della carovana alzandosi dal posto che doveva essere quello che occupava una volta il vecchio capo Elduad.
Nell'asse di successione, lui doveva essere il nuovo capo, dedusse il monaco.

“Siamo grati a quella ragazza per aver tentato di salvare il nostro capo e ci dispiacciamo per ciò che le è capitato… ma aimhè, il nostro cuore ora può pensare solo alla perdita che lo attanaglia. Spero lei comprenda.” L'anziano fece un lungo sospiro prima di proseguire. “Non abbiamo corpi da seppellire e tornare indietro è fuori discussione... Non posso permettermi di mettere in pericolo la vita di chi vive ancora per onorare quella di chi ormai è morto.”
Ryuga comprese bene ciò che il vecchio cercava di dire. Tornare indietro significava uscire di nuovo dai confini sicuri e in quel periodo, era la scelta meno saggia da fare.
“Comprendo. Il mio compito qui è finito." Il ragazzo posò la tazza di tè che gentilmente gli era stata offerta, alzandosi in piedi. " Mi rammarico per il vostro lutto. Pregherò il dio Imyr affinché l’anima di Elduad possa raggiungere la pace e ricongiungersi con quella dei suoi cari.”
Il vecchio che ora stranamente lo guardava negli occhi, non celando però un leggero disagio al colore d'essi, lo ringraziò. Prima di congedarlo, fece prendere un foglio e una penna d'oca con dell'inchiostro da una delle sue figlie, per poi scriverci sopra qualcosa che Ryuga ebbe l'accortezza di non leggere. Quando il vecchio ebbe finito, lo accompagnò fuori dal campo dove soggiornavano, affidandogli la lettera prima scritta.
“Questa è per la giovane Elaera. Quella ragazza, sembrava tanto cara a Elduad... Mi raccomando, LA affido a te.”
Comprendendo ciò che quelle parole significavano e sentendone in cuor suo il carico, Ryuga ripartì verso casa, felice.

***

Quando Elaera vide il ragazzo di ritorno, quasi cadde dalle scale per corrergli incontro. Ormai mancava da più di una settimana e ogni giorno senza di lui era sembrato incredibilmente noioso e insulso.
 Appena la vide, Ryuga le sorrise dolcemente, felice di poterle dare buone notizie. Dopo essersi seduti in uno dei salottini delle biblioteca del monastero ed averle raccontato più o meno i fatti avvenuti, il giovane le consegnò la tanto importante scrittura. Ad Elaera non servì molto per leggerla.
Una lacrima fece capolino all’angolo dell’occhio destro, ma la ragazza la ricacciò indietro ostinatamente. Stavano bene. Non ce l’avevano con lei per non essere riuscita a salvare Elduad e le auguravano il meglio nella guarigione e nel futuro. Il suo cuore traboccava felicità.
“Ti ha fatto piacere riceverla?” Chiese Ryuga sedendosi meglio di fronte a lei con disinvoltura, per guardarla meglio.
“Si, molto. Ti ringrazio infinitamente per quello che hai fatto.” Un sincero sorriso addolcì il volto della ragazza, facendo arrossire lievemente il monaco, come sempre impreparato a quel genere di ringraziamenti.
“Non c’è bisogno di ringraziarmi.”
“Sei sempre così incline a rifiutare i ringraziamenti. Eh ?” Elaera rise, divertita da come il ragazzo evitava di incrociare ora il suo sguardo.
Ormai ci aveva fatto l’abitudine all’attitudine di Ryuga di rifiutare i suoi complimenti. Magari lo imbarazzavano, aveva pensato. Ma non sapeva dirlo con certezza.
“Mi fa piacere che tu mi ringrazi …. ma non so mai come reagire.” Ammise il monaco passandosi distrattamente una mano nei capelli.
In effetti non sapeva come comportarsi in questo genere di situazioni. Era la prima volta per lui che una persona al di fuori di Delito, lo prendesse così in simpatia fino al punto di guardarlo in viso senza paura.
“Siamo amici Ryuga! Smettila di vergognarti!” Poggiandogli una mano sulla spalla, la ragazza gli sorrise cercando di farlo uscire dal suo imbarazzo.
Un po’ comprendeva come si sentiva. Anche lei all’inizio non sapeva come rapportarsi con le persone, dopotutto era vissuta per anni con la sola compagnia del suo vecchio. Ma da quando aveva iniziato a muoversi nel nuovo mondo che le si era parato davanti, aveva capito che creare legami era qualcosa di estremamente affascinate. Anche se oltremodo complicato. Ma non rinunciando, era riuscita a comprendere il meccanismo con cui procedere e a farsi degli splendidi amici. Come Elduad, Delito, il monaco della biblioteca che la faceva restare fino a tardi per leggere, i compagni della carovana e Ryuga.
“Hai ragione. Scusami.” Ryuga, sorpreso dalla sua affermazione, si concesse di rilassarsi un po’ sul divanetto, continuando a chiacchierare piacevolmente con la sua nuova amica fino all’orario di cena.
Fu Delito a disturbarli per chiamarli per il pasto nella sala grande.
“Ah i giovani. Sempre in ritardo.” Aveva brontolato il vecchio monaco.

Li rimproverò lungo tutto il tragitto verso la mensa, ma i due giovani gli diedero poco peso. Conoscendolo, sapevano che ciò che diceva lo diceva in modo bonario.
Il pasto leggero passò tra discorsi sulla religione, a cui Elaera preferiva non partecipare per paura di dire qualcosa di inappropriato che desse fastidio ai due uomini di fede e tra le domande che Delito fece a Ryuga, in merito al suo breve viaggio fuori dalle mura della loro casa.
 Dopo la cena, quando quasi tutti si furono ritirati nelle loro camere, Delito li trattenne per condurli in una stanza appartata, lontano da eventuali sguardi indiscreti.

“Come mai tutta questa segretezza?” Ryuga era visibilmente stupito dai modi di fare del vecchio. Da quanto ricordava, non c'era mai stata nessuna occasione in cui gli avesse parlato in gran segreto.
Elaera era la più spaesata. Restando in piedi e cercando di poggiare il meno possibile l'ancora dolente gamba, aspettava ansiosa una spiegazione.
Delito sospirò animatamente prima di parlare.
“Il sommo saggio vuole vedervi. Questa notte. Dice di aver avuto una visione e ho il presentimento che questo non significhi nulla di buono.” Tormentandosi le mani, il monaco terminò la frase abbassando gli occhi con fare sconsolato.
“Oh… quindi dobbiamo aspettarci guai, giusto?” Elaera, scettica su qualsiasi discorso sulla religione, visioni o altro, non sembrò molto turbata.
 Al contrario, Ryuga era visibilmente spaventato. Il ragazzo sapeva che le visioni del saggio avevano sempre trovano un riscontro con la realtà.
 Vedendo entrambi gli uomini dinanzi a lei visibilmente preoccupati, Elaera fu colta improvvisamente da uno stato d’ansia e decise di non proferire più alcuna parola.
Più tardi quella notte, i due ragazzi furono condotti in una delle alte torri che ospitava uno degli osservatori in cui Elaera non era riuscita ad accedere. Ad attenderli nella stanza, c’era soltanto un vecchio seduto su una sedia a dondolo e con una coperta pesante a coprirgli le gambe magre.

 A prima vista, sembrava solo uno dei tanti monaci del monastero. Piccolo, rinsecchito, con troppe rughe a solcargli il viso, gli occhi spenti di chi ha vissuto ormai troppo e forse è pronto per una nuova vita.

Ciò che lasciò stupefatta Elaera, fu però la sua voce. Limpida, cristallina, senza i segni dell’età. Fu proprio quella voce a riferire ai suoi tre interlocutori il sunto della visione.
“Un enorme male minaccia le nostre terre. Questo male, proviene dai meandri della terra, dove si annidano ancora le forze ancestrali. Il vasto regno di Imirdyr, comprendente i quattro regni dei re degli uomini, è solo una parte del vasto creato degli dei che sarà minacciato. Gli influssi del caos sono già visibili ai nostri occhi. I barbari, aiutati dai demoni, spingono sui nostri confini e spargono sangue nell'est, ormai del tutto perduto. Ma questo sarà solo l’inizio. Altre sciagure, si abbatteranno sul regno, fino a coinvolgere tutti i suoi abitanti e le popolazioni che lo abitano. Imyr mi ha dato modo di vedere ciò che accadrà se non fermiamo questo male che dilaga. Dobbiamo intervenire ora, che è ancora giovane e la sua forza è ancora a freno. Ma per farlo, qualcuno dovrà mettersi in viaggio. Trovare la reliquia con il quale il male potrà essere sconfitto e affrontare il suo destino.” In quel momento il saggio alzò lo sguardo verso i due ragazzi guardandoli con compassione.

“Un momento. Woooho, fatemi capire.” Elaera stava sudando freddo.
Perché le parole del vecchio l’avevano colpita se non credeva minimamente agli dei? Forse perché aveva rivisto parte delle visioni del vecchio nei suoi ricordi? Forse per il tono in cui le aveva riferito il messaggio del suo Dio?
“Mi stai dicendo … che io...” Sottolineò quella parola con enfasi. “O Ryuga … dovremmo morire per salvare tutte le vite messe in pericolo da questo fantomatico male?”
“Sì.” La risposta secca del saggio lasciò di sasso la ragazza.
 Come potevano pensare che lei si sarebbe messa in viaggio solo per seguire una stupida visione?
 Si girò verso Ryuga in cerca di una vana speranza, nel tentativo di vedere qualcuno che ragionasse con mente lucida e razionale lì dentro. Ma il monaco la guardò con sguardo serio.

 Lui credeva a ogni singola parola, lui era stato cresciuto per morire in nome del dio Imyr e non aveva intenzione di opporsi al suo destino.
“Il mio compito è servire il dio. La mia vita gli appartiene.” Proferì seriemente guardando prima Elaera e poi Delito. “Ma Elaera non c’entra nulla con questo. Quando sarà guarita, sceglierà lei la sua strada.”Disse rivolto verso il saggio.
Il ragazzo non poteva decidere per la sua amica e mai l’avrebbe messa volutamente in pericolo. Il saggio annuì, distogliendo lo sguardo stanco. Elaera intanto, s'era avvicinata a Ryuga, nel tentativo di dissuaderlo da quella pazzia.
 Come poteva avere così poco interesse a vivere, per precipitarsi in una missione suicida, in giro per il paese alla ricerca di qualcosa in grado di fermare un male di cui non conoscevano nemmeno la natura?

“Non capisci … Ogni visione del saggio Loen finora si è rivelata esatta. Non possiamo permettere che anche questa avvenga. Il dio Imyr ci ha dato una possibilità per far sì che ciò non accada e se la mia missione o il mio sacrificio, possono impedire che tanti altri muoiano invano, bhè... sarò lieto di morire per questo scopo.” Chiarì il ragazzo.
Sconfitta, la ragazza abbandonò le braccia lungo i fianchi. Lui aveva deciso. Combattere con un uomo di fede non faceva per lei evidentemente. Combattere con lui, contro la sua bontà, non faceva per lei. Infondo, lei avrebbe dato di tutto per i suoi amici… ma per delle persone che nemmeno conosceva… non se la sentiva.

“Quindi hai deciso?” La giovane guardò il ragazzo con sguardo triste, conoscendone già la risposta.
“Sì.” Il monaco non avrebbe cambiato idea. Lei lo sapeva.
Elaera restò a sentire il resto delle parole di Loen in una sorta di trans. Si sentiva estranea a quel luogo, aveva la mente annebbiata e non riusciva a seguire il discorso. Sapeva solo che il saggio stava illustrando il luogo dove recarsi per trovare la reliquia e il modo in cui usarla per sconfiggere il male. Se lei non voleva partecipare alla missione perché allora era ancora lì?

Le gambe le si mossero da sole, trascinandola fuori dalla stanza e conducendola nella sua camera. La camera di Ryuga, quella che le aveva affidato e che una volta guarita avrebbe lasciato per procedere il suo viaggio. Già, dove sarebbe andata una volta guarita? Sapeva solo di voler viaggiare, conoscere, non voleva combattere. Non voleva vedere spargere altro sangue.

***

Ryuga era rimasto nella stanza e ascoltava le indicazioni del saggio con accurata attenzione. Mentalmente, annotò il luogo, il percorso da seguire, il processo da compiere per debellare il male e come riconoscerlo, poiché il male aveva mille vesti.
“Ryuga. Tu sei un ragazzo forte. Possiedi più forza di quanto immagini. In te scorre la volontà del dio Imyr, i tuoi occhi ne sono la prova. Io non voglio costringerti a questa missione... non voglio e non posso farlo. Ho visto la tua morte e non voglio che questo mio dono o meglio, questa mia maledizione, abbia di nuovo ragione. Ma sappi che se non andrai… questione di tempo e moriremo tutti.” Il saggio tacque e un silenzio agghiacciante scese nella stanza.
 Delito tremava nella poltrona su cui era seduto. Sapeva ciò che Ryuga avrebbe risposto, lo aveva cresciuto lui, sapeva che decisione avrebbe preso.
“Io andrò.” Confermò il ragazzo.
Delito sprofondò nella sua poltrona, col cuore in pezzi. Il saggio annuì e stanco, congedò i suoi ospiti.
 
***

La partenza del giovane fu fissata per il mattino seguente, non vi era tempo da perdere dopotutto. All'alba, Ryuga era già pronto e attendeva solo di sellare il cavallo per poter partire.
Elaera era corsa, per modo di dire vista la sua gamba, a salutarlo, cercando come meglio poteva di non ruzzolare a terra quando le sempre più rade fitte la immobilizzavano.
Giunta nel cortile, si era fermata dietro una colonna a riprendere fiato, mentre il ragazzo era intento a salutare Delito. Il monaco non indossava i suoi soliti abiti e della sua solita tunica variopinta non vi era più traccia. Portava abiti in pelle e cuoio, neri e marroni, sulle spalle aveva dei pezzi d'armatura. I vestiti aderivano al suo fisico, mettendone in evidenza i muscoli asciutti dell’addome e quelli sviluppati delle spalle e delle braccia. Non era più un monaco, la figura che la ragazza ora osservava apparteneva a un guerriero.
Il cavallo carico di provviste era al suo fianco, le frecce e l’amato arco erano caricate in spalla e lui era pronto e sicuro della sua decisione.
Le voci dei due uomini le arrivavano flebili, tutto ciò che riuscì a comprendere fu il saluto finale del giovane verso l'anziano, che le fece stringere il cuore.
“Tornerò padre.”

Era la prima volta che sentiva il suo amico rivolgersi in quella maniera all’uomo che lo aveva cresciuto. Perché aveva paura che quella promessa fosse solo una menzogna? Lui sarebbe tornato. La visione era falsa, non esisteva nessun male da sconfiggere e lui lo avrebbe capito. Gli serviva solo tempo. Sarebbe tornato quando non avrebbe trovato la reliquia e le avrebbe scritto, magari.
Delito mise una mano sulla spalla al ragazzo e gli diede la sua benedizione, incoraggiandolo a partire. Il guerriero montò in sella e assicuratosi che le cinghie fossero strette bene, diede un leggero colpo di tallone sui fianchi del cavallo, incitandolo a muoversi.
La ragazza non riuscì più a rimanere nascosta e affrettandosi, si precipitò fuori dal nascondiglio per fermarlo. Doveva almeno salutarlo prima che partisse. Non sapeva se lo avrebbe rivisto, dopotutto, dopo la sua guarigione lei se ne sarebbe andata.

“Aspetta!” Gli urlò dietro.
Ryuga si voltò con il cavallo in direzione della voce e vedendo Elaera correre in modo sghembo verso di lui, scese per aiutarla.
“Dove credi di correre tu?” Le chiese sorreggendola mentre questa riprendeva fiato.
“Dovevo salutarti.” Rispose la ragazza ansimando per lo sforzo della corsa.
“Ed ucciderti nell’intento?” Il ragazzo le sorrise asciugandole le goccioline di sudore dalla fronte.
 Tre settimane. In tre settimane quella ragazza era diventata una cara amica e ora doveva rinunciarvi forse per sempre. L’avrebbe mai rivista? Ryuga l’abbraccio d’impeto a quel pensiero.

“Promettimi che ci rivedremo. Prima o poi.” Disse la ragazza rossa in viso, stretta in quell’abbraccio che sapeva di cuoio e addio.
“Ehi. Tu sei una viaggiatrice. Magari ci rincontreremo in uno dei tuoi viaggi.” Scherzò il giovane, non tanto sicuro di ciò che affermava. Voleva crederci però in un certo senso.
“Non farti ammazzare per un dio. Non farti ammazzare per nessun motivo.” Lo scongiurò la ragazza.
“Promesso.” -Una promessa un po’ vana…- Pensò Ryuga conoscendo il suo destino.
Separatosi da quell’abbraccio, il ragazzo montò in sella e partì verso la sua meta.
 Elaera, rimasta di nuovo da sola, osservava un altro dei suoi amici andarsene, senza sapere se lo avrebbe mai più rivisto. 

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Capitolo 16
*** Verso le città innevate ***


NOTE DELLE AUTRICI
Scusate se l'immagine è in inglese, ma quella in italiano non la trovavo più ^^" 
*significato azalee* simboleggiano l'amore puro e sincero, rappresentano anche la donna e la femminilità.
-Ele-




Le città innevate


Elaera si svegliò di soprassalto madida di sudore e col fiato corto. Un incubo. Era stato solo un orribile incubo, fortunatamente. Portandosi una mano alla fronte per detergersi il sudore, Elaera si scostò di dosso le coperte per potersi sedere meglio sul letto. Spaesata, si guardò intorno come per accettarsi del luogo in cui si trovasse, un fischio acuto le rimbombava nelle orecchie insieme al battito impetuoso del suo cuore. Poteva ancora sentirle, quelle urla. Urla inumane, gridi di guerra, spasmi d’agonia. Le immagini del sogno le apparivano ancora vivide davanti agli occhi.
 
 Una guerra, sangue, morti, mostri orribili che appiccavano il fuoco ad una città. In lontananza lui. Lo avrebbe riconosciuto tra mille. Il suo salvatore, il suo amico, Ryuga. Gli si era avvicinata con passo svelto evitando possibili attacchi nemici, con l’unico intento di portarlo via da lì, al sicuro insieme a lei. Arrivatagli di fronte, lo aveva pregato di lasciare stare la battaglia e seguirla, ma lui non l’aveva ascoltata. Anzi, non l’aveva vista nemmeno. Sferrando un fendente con la sua spada, il ragazzo la trapassò da parte a parte, colpendo un barbaro dietro di lei e uccidendolo sul colpo. Elaera guardava la spada che la trapassava, confusa. Era ancora viva, ma perché? O era morta in principio e quello che ora vedeva non la riguardava? Guardando spaesata l’amico, non fece in tempo ad avvertirlo del pericolo che un altro dei compagni dell’uomo caduto lo colpì alle spalle, con un’ascia, provocandogli uno spasmo che gli fece perdere la presa sull’elsa della sua arma. Ryuga si accasciò inerme al suolo, dopo un ultimo colpo decisivo del suo assassino, sotto lo sguardo inorridito dell’amica che non poté far altro che urlare a squarciagola.
 
Ed era a quel punto che si era svegliata.
Massaggiandosi le tempie per tentare di scacciare via quelle brutte immagini, la ragazza sospirò stanca. Ormai aveva perso il sonno e non aveva la minima voglia di tornare a dormire col rischio di rientrare in quell’incubo. Alzatasi dal letto, si mosse alla cieca nella stanza in penombra, cercando una delle candele che aveva lasciato in giro prima di coricarsi. Trovatone una sulla larga scrivania, l’accese con un fiammifero appoggiato strategicamente lì di fianco e restò per qualche secondo a rimirare la fiammella che andava via via crescendo, fino a stabilizzarsi ed iniziare a consumare la cera.
Ryuga era partito ormai da due settimane e di lui non si erano avute più notizie. Per quanto ne sapeva, a quest’ora poteva anche essere morto. Scacciò subito quel pensiero scuotendo forte la testa.

I primi giorni senza di lui erano stati i più difficili. Senza nessuno con cui passare il tempo, Elaera si era rinchiusa nella solitudine della sua stanza, con la sola compagnia di qualche libro e di una o due sporadiche visite di Delito. Non che non gli facesse piacere passare del tempo con lui, sia chiaro, ma ultimamente l’uomo sembrava sempre perso nei suoi pensieri, con gli occhi perennemente rivolti altrove, invece che alla persona che gli rivolgeva la parola e questo la infastidiva. La ragazza poteva comprenderne il motivo però, dopotutto Ryuga per lui era come un figlio e per un uomo che credeva così fedelmente alle parole del saggio, sapere dell’imminente morte del suo rampollo non doveva essere stato facile.
Sospirando, la ragazza rivolse lo sguardo a quella che una volta era stata la camera del suo amico. Gli sarebbe mancata una volta partita? Ormai la gamba ferita non le dava più grandi problemi ed era giunto il momento di rimettersi in viaggio per la sua strada. Proprio come aveva scelto di fare Ryuga.

 Il suo sguardo si adombrò per qualche secondo al pensiero. Non riusciva ancora a credere che il ragazzo avesse deciso di intraprendere una missione suicida solo per il volere di un dio, di cui lei oltretutto nemmeno riconosceva l’esistenza.
Un altro sospiro le sfuggì dalle labbra. Nulla da fare, i suoi pensieri erano inutili, tanto il suo amico ormai era chissà dove a cercare chissà cosa per uccidere chissà chi. Perché lui era ancora vivo vero?

Spazientita per il sonno perso, per il troppo pensare e per l’ancora presente fischio che le infastidiva le orecchie, decise di iniziare a raccogliere le sue cose per l’imminente viaggio che aveva deciso di intraprendere verso i monti innevati e le loro imponenti città.
Messe in fila, le sue cose le ricordarono solo volti di altra gente. Oltre il cibo e gli utensili necessari che le avevano donato i monaci della cucina, c’erano la lettera della carovana, alcuni libri che le avevano permesso di tenere dalla biblioteca, i suoi vestiti per metà sistemati da Delito ed infine un piccolo fiore, un’azalea finemente intagliata in un pezzo di legno che le aveva donato Ryuga. Lei non sapeva cosa volesse dire quel gesto, ma aveva accettato con grande felicità quel regalo, custodendolo con cura. Allora non sapeva ancora che si sarebbe dovuta separare così presto da lui.
Riposto tutto nello zaino, essendo ancora presto per partire, decise di uscire un po’ a zonzo per il monastero e recarsi un’ultima volta nei suoi luoghi preferiti. Era ancora presto, mancavano più o meno due ore all’alba e i corridoi dell’edificio erano deserti. La ragazza si diresse in primo luogo ai giardini, dove insieme a Ryuga e Delito, aveva passato i migliori momenti della sua permanenza lì.
Uscita finalmente dal portico sotto il quale aveva percorso tutto il tragitto, si concesse di alzare lo sguardo al cielo, rimanendo come ogni volta senza fiato.
Non una nuvola oscurava quel manto infinito e lucente di stelle.
Si sedette su una delle due panchine in ferro battuto presenti, continuando a rimirare quel manto blu infinito, lasciando vagare la mente ormai serena. Con una calma irreale nel cuore, chiuse gli occhi, beandosi della brezza leggera che aveva iniziato a soffiare tra i rami degli alberi e tra i suoi capelli.

“Cosa ci fai in piedi a quest’ora?”
Per poco la ragazza non balzò in piedi al suono della voce di Delito. Cavolo, da dove era sbucato fuori il vecchio?
Girandosi verso di lui, che la guardava oltre la bassa siepe del portico, Elaera notò le enormi occhiaie che ora gravavano sotto i suoi occhi. Evidentemente non era l’unica a non riuscire a dormire.
Sistemandosi i capelli ribelli e sospirando, distolse lo sguardo portandolo di nuovo al cielo. Era inutile mentire a quell’uomo... ma forse se la sarebbe cavata con una mezza verità.

“Nulla… non riuscivo a dormire.” Il monaco le si fece vicino, fino a sedersi accanto a lei, osservandola con occhi stanchi ma comprensivi, come se questi avessero già capito cosa le sue parole nascondessero.

“Ansiosa per il viaggio?”

“Più o meno…” Ammise la ragazza.

“Vedrai. Andrà tutto bene. Dopotutto sei una ragazza fortunata ed io pregherò il dio Imyr affinché ti guidi verso il tuo destino.” Il vecchio sorrise, un sorriso pieno di fede, ma al contempo amaro. Che intendeva dire con il “guidarla al suo destino” ?
Scuotendo la testa, la ragazza si alzò per stiracchiarsi e sistemarsi il vestito che per l’umidità le era aderito alle gambe.

“Grazie ma… preferisco essere io a decidere il mio destino. Ma apprezzo il pensiero. Davvero.”  Il monaco rise di gusto a quell’affermazione. Era tanto che non lo vedeva ridere, pensò Elaera.

“Ahaha, bambina mia, ognuno di noi vorrebbe essere padrone del proprio destino. Ma a volte, il destino che noi cerchiamo e quello che ci è stato imposto dagli dei non è poi così dissimile.”  Se il destino deciso dagli dei per lei era quello di morire, no grazie, lei ne avrebbe fatto volentieri a meno.
 Nonostante non comprendesse a pieno le parole del vecchio, lo ringraziò con un sorriso sincero, forse l’ultimo che gli avrebbe rivolto.

“Meglio che vada. Il viaggio è lungo.” Congedandosi con un veloce segno della mano, decise che era giunto il momento per andare a prendere le sue cose e mettersi in marcia.

Delito guardò con occhi sconsolati la figura di Elaera farsi strada per il lungo corridoio mentre si dirigeva alla sua stanza. La ragazza non aveva ancora capito che ormai tutto era già scritto ed era inutile opporvisi.

/A nuotar contro corrente, si finisce solo col rimandare la propria fine./  Pensò l’anziano monaco mentre si avviava anche lui alla propria stanza, nel vano tentativo di riuscire finalmente a fare una lunga dormita dopo notti insonni inquinate da terribili incubi.
Incubi non molto dissimili da quelli che aveva fatto la ragazza quella notte.
 
***
 
Un fiocco di neve le cadde delicatamente sul naso. Ormai era in viaggio da due giorni e di città nemmeno l’ombra. Attraverso il passo montano in cui era costruito l’edificio del monastero si poteva giungere direttamente alla prima città del regno del Nord, Imril, evitando di fermarsi al posto di blocco imposto alle carovane.
 Elaera non vedeva l’ora di giungere alla meta, anche perché il viaggio si stava rivelando infinitamente noioso. A parte il freddo o qualche sporadica nevicata, non aveva riscontrato nessun evento particolare ed aveva passato la maggior parte del tempo a canticchiare mentre marciava a passo spedito tra le rocce della gola. Dovunque posasse lo sguardo non vedeva altro che rocce e arbusti, rocce e arbusti a perdita d’occhio. Di animali o persone non ce n’era anima viva.

Si strinse di più nel mantello, riparandosi la testa dai fiocchi che ora scendevano copiosamente. Dopo circa mezz’ora di lunga camminata, con la neve che ormai attecchiva al suolo e le affaticava i movimenti, la ragazza scorse in lontananza l’agognata uscita. Un sorriso pieno di gioia le si allargò sul volto all’idea di poter vedere presto gente nuova e fare nuove conoscenze.

Affrettando il passo per quello che la neve le consentiva, Elaera si portò oltre la fine della gola, fin dove le pareti rocciose si abbassavano e diventavano un tutt’uno con la strada sotto i suoi piedi. La vista che le si propinò davanti agli occhi la lasciò senza fiato.
L’aveva già vista la neve, certo, ma vedere un’intera città innevata, era tutta un’altra storia.
La città non era molto grande, composta da un agglomerato di piccole case ammassate l’una di fianco all’altra, occupava quella che era la distesa di una piccola conca a ridosso della gola. Una cinta muraria girava tutt’intorno ad essa, ma più che per difendere, sembrava che quelle mura fossero state costruite per bellezza. Basse e ricoperte dalla neve, si aprivano su più punti, lasciando libero accesso alle innumerevoli stradine che andavano a formare la rete urbana della città. Ed era proprio uno di quegli ingressi che l’avventuriera varcò, venendo prontamente fermata da una guardia un poco annoiata, che le chiese con uno sbadiglio di schedarsi.

 La città le si mostrò agli occhi placida, la gente che si riversava in strada non aveva fretta e camminava tranquilla e spensierata, come se la neve avesse coperto come un velo tutti i problemi cancellandoli dalle loro menti. Ogni tanto le capitava di scorgere qualche guardia, ma questa più che svolgere il suo regolare lavoro, se ne stava stancamente appoggiata ad un muro o a giocare con un compagno a dadi o a carte.
Passò la gran parte della giornata a curiosare in giro, entrando in svariati negozi per dare un’occhiata, ma solo quello… vista la scarsa quantità di liquidità di cui era a disposizione. La liquidità era stato per lei un problema grave appena uscita dal bosco. Ritrovarsi in un mondo regolato dalla moneta, non era stato affatto facile e ancor più difficile era stato imparare a gestire il denaro, cosa che aveva appreso nei pochi giorni trascorsi con la carovana, accumulando anche qualche spicciolo dai vari lavoretti che Elduad gli aveva affidato.

Giunta la sera, il freddo si fece più pesante e la neve smise di cadere, lasciando spazio a un gelido vento che spazzava le strade ormai vuote. A far luce erano solo i lumini esterni delle case che proiettavano ombre spettrali dalle più svariate forme  sui muri e sulla neve, in una danza dal ritmo bizzarro e in continuo mutamento. Con il freddo che oramai iniziava a filtrarle nelle ossa e notando di esser ormai la sola a vagare per la strada, Elaera decise che era giunto il momento di ritirarsi in qualche ostello o locanda e tentare di trovare una camera con il poco denaro a sua disposizione. Al peggio, avrebbe dormito all’aperto nella modesta tenda che possedeva, anche se l’idea di restare al freddo non la allettava per nulla.
Passando per le vie strette e poco illuminate, la sua ricerca la condusse a un palazzetto rumoroso, dal quale provenivano oltre alle urla divertite di uomini ubriachi, anche della musica e risate di qualche donna forse anch’essa un po’ brilla. Alzando lo sguardo sull’insegna, che portava scritto in ghirigori “Il braciere”, la ragazza decise di entrare più per dare un’occhiata che per cercare davvero una camera. Dopo aver varcato la porta, comprese appieno perché quel posto avesse quel nome.

Quattro grandi camini con brace scoppiettante erano disposti agli angolo della stanza, emanando calore e rendendo l’ambiente confortevole, mentre una birreria molto affollata e gestita da un uomo di mezz’età ne occupava il centro. L’interno del locale era occupato da gruppi di persone sparpagliate un po’ ovunque intenti a scolare calici di sidro o birra ai tavoli in quercia, coinvolti in conversazioni più o meno interessanti. Chi parlava di un affare andato male, chi di una delle tante donne che aveva conquistato, chi di un nuovo bambino in arrivo e del pensiero su come fare a mantenerlo. C’era addirittura qualcuno che accennava a un intero quartiere dato alle fiamme in una città dell’ovest. Elaera tendeva le orecchie ai discorsi curiosa, mentre gettava lo sguardo un po’ ovunque, affascinata dal locale per avvicinarsi al bancone della birreria, con l’intento di chiedere se fosse rimasta una stanza economica libera.

“Mi scusi…” La ragazza cercò di attirare l’attenzione del vecchio proprietario, il quale a causa della confusione, non sembrava però prestarle molta attenzione.

“Mi scusi!” Alzando la voce, Elaera era riuscita finalmente ad attirare la sua attenzione.

“Bene bene. Cosa abbiamo qui? Cosa posso fare per lei giovane fanciulla?”  Rigirandosi tra le dita uno dei lunghi baffi, il taverniere le si avvicinò per poterla scorgere meglio, attirando su di sè l’attenzione di alcuni clienti. Elaera si sentì leggermente osservata.

“Mi servirebbe una camera. Economica possibilmente. Sa… sono in viaggio e non ho molto den-.” Neanche il tempo di finire che l’uomo le stava già parlando sopra, continuando a giocare con i peli dei suoi baffi.

“Mi dispiace signorina, le economiche sono già tutte occupate. Ma se vuole posso farle uno sconto su una camera un po’ più costosa.” Un ghigno furbo comparve attraverso la sua barba.

Le intenzioni del taverniere erano evidenti. Tutto ciò a cui ambiva era fare un altro affare quella serata, scambiandole un’economica per una deluxe. Elera era nuova di quel mondo, ma non era di certo una sprovveduta. Girando sui tacchi, fece per andarsene, ma venne bloccata da una sonora risata che le soggiunse alle spalle.

“Ah! Slien! Vecchia volpe! Ancora provi a rifilare ai tuoi clienti un’economica al prezzo di una deluxe?” Ad aver parlato, era stato un ragazzo al bancone, uno di quelli che si erano voltati a guardare l’estranea quando il taverniere le aveva rivolto la sua attenzione.

Era alto, slanciato ma muscoloso, con i capelli color paglia e gli occhi del colore delle foglie sempreverdi. Il pallore roseo del viso spiccava sugli indumenti scuri, facendolo sembrare terribilmente pallido in confronto agli altri uomini che lo circondavano. Una piccola treccina con delle perline gli ricadeva a un lato del volto incorniciandone i lineamenti. Dopo aver guardato divertito il taverniere, stava ora osservando Elaera con un sorriso complice. Gli sussurrò muovendo le labbra un “ti do una mano io dolcezza”  cercando la sua complicità. La ragazza trattenne una risata.
 Che modi strani aveva quel tipo.

“Ahhhh…Kandara…tu mi manderai fallito prima o poi!” Protestò Slien al di là del bancone. poggiando le mani su di esso con finto fare sconsolato.

“Oh andiamo. Mi devi qualche favore dopotutto! E poi non vedi che la signorina è tutta infreddolita?” Con un gesto della mano indicò Elaera che se ne stava con le braccia incrociate a guardare la scena, divertita.

Il ragazzo sussurrò di nuovo qualcosa a fior di labbra, qualcosa come “su fa freddo…dì come fa freddo”. La ragazza, complice, capì dove quello voleva andare a parare e iniziò a sfregarsi le braccia come se avesse freddo nonostante il gran calore nella sala.

“Ohhhh… Sì! Fa così freddo! La prego signore…” Facendo un po’ gli occhi dolci e con l’aiuto del suo petulante complice, l’avventuriera riuscì  a guadagnarsi finalmente una stanza.

“Al diavolo. I giovani d’oggi…in bancarotta mi manderanno!” Continuò a borbottare Slein mentre serviva altri clienti, versando birra e idromele nei calici.
 Il ragazzo che l’aveva aiutata, le fece cenno di avvicinarsi e le offrì il posto di fianco al suo, porgendole un piatto e un calice di idromele. Porgendole poi la mano, le si presentò in modo galante ma altrettanto buffo, che fece sorridere Elaera inesperta come sempre nelle presentazioni.

“Piacere mio my lady. Kandara, per servirvi.” Per concludere, il ragazzo le baciò lievemente la mano.
“Lieta di conoscervi… Il mio nome è Elaera.” Rispose la ragazza a disagio.

“Elaera, bellissimo nome. E dimmi, cosa ci fa una bella ragazza come te in un posto come questo?” Guardandosi intorno, il ragazzo fece una finta smorfia di disgusto, procurandosi solo un’altra occhiataccia da parte del proprietario, al quale rispose con un annoiato cenno della mano ed un “sisi scusa”.

“Sono in viaggio. Mi piace girare per le città e conoscere gente nuova, vedere posti nuovi e vivere avventure.”  Quella frase così innocente e piena di passione fece sorridere il ragazzo, che ora la guardava divertito, ma che le rispose con fare quasi ironico.

“Ohhhh bell’intento. Ma dimmi… speri di viaggiare sempre con così pochi soldi?” Il volto di Elaera andò in fiamme per la vergogna.
Sapeva che viaggiare senza denaro era un’impresa impossibile… ma avrebbe lavorato. Se avesse trovato lavoro… certo.

“Io… posso lavorare. Mi guadagnerò i soldi per i miei viaggi, per poter dormire al coperto, eccetera.” Disse decisa.
Il discorso suscitò una risata al biondino. Non appena vide la sua occhiataccia però, si affrettò subito a scusarsi.

“Scusa scusa!” Riprese fiato il biondo per poi continuare. “Non si vedono tutti i giorni donne avventuriere. Tanto meno donne avventuriere squattrinate e con così tanta grinta. Ma se vuoi…mmm…” Con finto fare pensieroso, il giovane si portò una mano alla testa nel calcolato gesto di cercare un pensiero ormai perduto.

“Credo di poterti offrire un lavoro. Ho giusto un’amica che avrebbe bisogno di una mano per gestire la casa fino al momento del parto. Sai…con quel pancione che si ritrova è già tanto che non rotoli.” Imitando la donna in questione, Kandara scatenò un coro di risate tra i presenti al bancone, compresa Elaera.
“Dai su. Infondo ti ho salvato prima.” Il biondino indicò Slein il taverniere con uno sguardo di intesa, facendole l’occhiolino. “Puoi fidarti no? E poi gioverebbe solo a tuo favore.”

“Lo stai facendo sul serio per darmi una mano?” Chiese scettica la ragazza.
“No, in realtà soltanto perché sei carina.”

Elaera non ce la fece più. Gli esplose con poco riguardo a ridere in faccia, lasciandolo stupefatto.
“Scusa…” Si affrettò a dire la ragazza, asciugandosi una lacrima dagli occhi. “E’ solo che è la prima volta che mi capita di vedere una persona come te.”

“Dovrebbe essere un complimento…? Allora accetterai la mia proposta?” Chiese confuso il ragazzo. “Sul serio alla mia amica servirebbe la mano di una donna e in città nessuno a cui abbia chiesto ha accettato. Sai, tutti hanno un sacco da fare visti i tempi che corrono e nessuno vuole badare a una banda di bambini teppistelli.” Ammise poco dopo. “Io ho…i miei affari. Quindi non posso occuparmene personalmente. Mi salveresti se potessi lavorare per lei fintanto che resti in città. Sì, forse fidarsi di una sconosciuta non è proprio il massimo…ma mi ispiri fiducia e sei la mia ultima risorsa. E dopotutto, anche tu ti dovresti fidare di uno sconosciuto in ogni caso se cerchi lavoro, quindi… perché non io?” Ora il tono del ragazzo si era fatto serio e papale, nonostante l’occhiolino che le aveva lanciato sottolineando il “mi ispiri fiducia”. Evidentemente aveva sul serio bisogno d’aiuto per questa donna e si vedeva anche quanto ci tenesse a lei.

Elaera ne fu colpita.
“Dove e quando?” Si ritrovò a dire, ormai convinta di avere un’unica scelta. Infondo un po’ di fiducia se l’era guadagnata quel ragazzo risparmiandole di saltare la cena e di dormire all’agghiaccio.

Gli occhi verdi del ragazzo brillarono di entusiasmo e gratitudine alla risposta.
Dopo averle dato appuntamento l’indomani mattina, corse a dare la notizia alla sua amica, entusiasta per il peso di cui si era finalmente liberato.
“Domani la conoscerai e se lei ti accetterà … perché l’ultima parola è la sua, sia chiaro, io non potrò fare molto quando ti terrà a colloquio… allora potrai avere addirittura vitto e alloggio.” Promise prima di sparire in un attimo, con la giacca nera che sventolava infastidendo alcuni clienti seduti ai tavoli.

Alla ragazza non sembrava vero. Era quasi riuscita a trovare un alloggio, dei pasti regolari al giorno e un lavoro. Forse aveva già iniziato a percorrere la strada giusta verso il suo destino.
 

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Capitolo 17
*** Il cammino da percorrere ***




Capitolo 17: Il cammino da percorrere


Erano passati due anni da quando Valerie era stata salvata da Ida. Questa, le aveva presto rivelato di essere una ladra, le sue vittime erano la nobiltà. Quando il bottino era abbondante, ne dava parte ai quartieri poveri del luogo.
La donna , inizialmente, non voleva insegnare il mestiere a Valerie. diceva che il suo era un lavoro pericoloso e illegale, ma alla fine dovette cedere all'insistenza della ragazzina che trovava quello che lei faceva molto più nobile di quanto realmente fosse.
Del resto, le erano sempre piaciute le storie che raccontavano di impavidi eroi che combattevano per difendere i più deboli.
L’aveva allenata soprattutto nell'agilità e nello sviluppo dei riflessi. In un lavoro come quello, un semplice errore poteva portare alla morte. Doveva essere preparata a qualsiasi imprevisto e reagire prontamente. Per quanto prontamente potesse reagire Valerie, visto che stava sempre con la testa fra le nuvole.
Per imparare a schivare come si deve, ci mise quasi due mesi. Spesso si distraeva e finiva per prendere qualche colpo, molte volte in faccia.
Quando finalmente Ida l’aveva ritenuta abbastanza capace da poterla accompagnare nei suoi colpi (prima la lasciava in qualche ostello o in un accampamento improvvisato), le aveva spiegato come si doveva procedere nelle preparazioni, che richiedevano parecchio tempo e impegno.
Sceglievano una vittima a città, studiavano il bersaglio, le sue abitudini, disegnavano una mappa del luogo e facevano una tabella degli orari delle guardie. Solo dopo che tutti i dettagli erano curati alla perfezione potevano passare all'azione (alla fine, però avevano sempre qualche imprevisto). Solitamente ci volevano settimane, durante le quali Valerie faceva un giro della città. 
Le periferie erano state quasi uno shock per lei, abituata com'era alla tranquilla vita del suo villaggio di campagna. Li, invece, era tutto diverso, masse di gente si accalcavano per le strade, concentrate sulle loro vite caotiche. 
I primi tempi, sentiva spesso la testa girarle e l’aria mancarle. Ma poi ci aveva fatto l’abitudine, quasi iniziava a piacerle. 
Non di rado vedeva i mercatini allestiti nelle piazze. 
Anche se spesso finiva per non prendere nulla, dava sempre una sbirciatina agli oggetti in vendita. Quella che le piaceva di più era la bancarella dei libri, a volte vi trovava tomi antichi con bellissime illustrazioni. Le piaceva l’odore della carta. Forse era stata proprio Meyr a istillarle quella passione. 
Finiva spesso per essere trascinata dalla calca di persone per le bancarelle ed era sempre Ida che veniva a riprenderla.
Durante il periodo di tranquillità fra un lavoro e l’altro, Valerie imparava come cucinare, pulire e allestire un giaciglio decente per la notte. I primi tempi, avevano avuto non pochi problemi. Valerie si distraeva mentre cucinava e più di una volta aveva bruciato il cibo, ci metteva ore ad allestire il giaciglio perché pensava ad altro, stessa storia con le pulizie. 
Viaggiare era bello, ma c’erano piccoli dettagli che a volte lo rendevano un incubo, tipo gli insetti da cui spesso veniva circondata, le paludi umide che doveva attraversare bagnandosi tutti gli stivali, le ore passate a ritrovare la via per le foreste.
Quando si accampavano per la notte, prima di andare a dormire, Ida le raccontava delle imprese e avventure da ladra, molte delle quali esagerate e arricchite da elogi verso se stessa. Mai una volta aveva accennato a cosa facesse prima di diventare tale. Le aveva solo detto di provenire da una città dell’ovest ma niente di più. Non parlava neanche dei suoi genitori.
Una volta, Valérie aveva provato ad indagare più a fondo ma la conversazione non era andata nel migliore dei modi e le due avevano terminato la discussione in modo brusco.
La mattina dopo, Ida si era scusata e le aveva detto che a tempo debito le avrebbe raccontato tutto.
Non era raro che litigassero per cose stupide o semplicemente perchè entrambe erano nervose ma la tensione si scioglieva dopo poco tempo e tornavano a comportarsi come se nulla fosse successo.
Valerie amava quella sua nuova vita, c’era solo un problema, non riusciva ad usare più la magia. O meglio, poteva ma qualcosa la bloccava. Da quando aveva perso il controllo al villaggio, ogni volta che evocava qualcosa le vene le si ghiacciavano e quando si scongelavano il dolore era immenso. Poi c’erano le visioni dell’abisso che aveva sempre più frequentemente, il buio e il nulla. Ida aveva provato a tranquillizzarla dicendole che tutto si sarebbe risolto eventualmente ma Valerie sapeva che non era cosi. Che l’abisso avrebbe sempre fatto parte di lei e più lo combatteva, più quello la scrutava, la invadeva. Una presenza costante che la terrorizzava.
Nell'ultimo anno aveva smesso di provare a usare la sua magia. Aveva troppa paura. In compenso, si era potuta concentrare sugli allenamenti fisici.
Ormai, avevano visitato tutto il regno dell’ovest. 
Valérie aveva assaporato veramente le descrizioni che Meyr le aveva dato. Proprio come aveva visto dalle illustrazioni, era pieno di campi che si stendevano per ettari ed ettari, una vista mozzafiato, anche il bestiame non scarseggiava. Ogni miglio vedeva allevamenti e grandi mandrie di animali. 
L’aria in quei luoghi le ricordava del suo villaggio e della casa di Meyr. 
Era completamente diversa dall'aria sporca delle città.
La capitale però, era stupenda. Il grande palazzo reale, sfarzoso e magnifico, si stagliava al centro della città, sovrastando le case e i mercati circostanti. Agglomerati di persone di tutti i tipi camminavano quelle strade. Tratto particolare dell’ovest, era la divisione cosi netta fra i ricchi e i poveri, confinati in ghetti e costretti a vivere in piccole baracche, ignorati dal resto della società. Era da loro che Valérie e Ida si fermavano la maggior parte delle volte. Per prestare aiuto.
Il senso dell’orientamento non era una delle sue qualità migliori, anzi non era proprio una qualità che possedeva, perciò dopo ore e ore passate a cercare di insegnarle a leggere le mappe, Ida aveva deciso di occuparsi lei stessa degli spostamenti.
Inizialmente, Valérie aveva proposto di andare ad est ma la donna aveva scartato l’idea spiegandole dell’invasione di barbari che incombeva sul luogo.
Deviarono a sud.
Ci avrebbero messo all'incirca quattro mesi.
Il regno del sud era una semplice striscia di terra confinante con il mare. 
Da quello che le aveva detto Meyr, un caldo soffocante impregnava l’aria di quel luogo e sul paesaggio tropicale si stagliavano bellissime città turrite. 
Era una prerogativa unica di quella regione, dovevano essere uno spettacolo mozzafiato, almeno così le parve dalle illustrazioni che aveva visto.
Livelli su livelli di case e mercati, divisi da canali d’acqua che scorrevano limpidi.
La loro prima tappa sarebbe stata la città di Sandrith. Una città fortificata che possedeva diversi mercati. Ida si ricordava di un centro Farith, un mercante di schiavi che aveva incontrato quando era ancora una ladra inesperta e aveva perciò evitato di derubarlo. Ora, era la preda ideale.
Anche se non era detto sarebbe stata la loro prima. Incappavano spesso in imprevisti e pericoli (e gente che aveva sempre qualche richiesta) e per quanto evitasse di ammetterlo, Valérie amava quelle strane e pericolose avventure in posti a lei sconosciuti.

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Capitolo 18
*** Cambio di piani ***



Capitolo 18: Cambio di Piani


Phaerl e Reyeha, in viaggio già da tre giorni, stavano cavalcando moderatamente verso il passo montano che divideva l'ovest dall'est, così da potere poi, da quel che aveva intuito Reyeha, attraversare quello per il Nord, nella parte Nord-occidentale. La donna aveva spiegato a Reyeha che, nonostante la strada fosse più corta e diretta, l'Est era diventato più pericoloso a causa dell'invasione barbara perciò, onde sottrarsi a problemi e pericoli avrebbero dovuto perdere qualche settimana in più tra le montagne, così da evitarlo.
***
Dopo essersi ritrovata mezza nuda, nel letto di una locanda insieme a Balkrev, ricordando immagini frammentate di ciò che era successo la sera prima, la ragazza era praticamente scappata alla Quercia con la faccia in fiamme, mentre ripeteva in continuazione a bassa voce "Oh mio Dio!". Era entrata nel panico e non sapendo come comportarsi, fece ciò che l'istinto le disse di fare, ossia cercare di partire prima di re-incontrare Bal. 
I suoi bagagli erano già pronti e quasi venne sgridata per il ritardo. In fretta e furia, una delle badanti la portò nella sua stanza per farla vestire. Lì la attendeva una tuta di cuoio, senza maniche e lunga fino a metà coscia. Una volta indossata quella, la badante le passò dei pantaloni di un colore simile alla crema, ma più scuro e sporco.
-Vanno sopra la tuta.-Le spiegò.- Quello è l’indumento base, che puoi indossare quando fa caldo, se hai freddo alle gambe ci metti dei pantaloni sopra, se hai freddo alle braccia ci metti una camicia sotto. Mi hanno detto di farti indossare anche i pantaloni.-
Indossati anche quelli, la badante le aggiunse una cintura ai fianchi ,una sotto il seno ed uno spallaccio di cuoio sulla spalla destra, in seguito le fasciò il braccio squamoso, così da non lasciar intravedere nemmeno un pezzo della particolare parte di pelle e l’altro braccio lo coprì con un para braccio di cuoio coperto con lastre d’acciaio, dopo di che i comodi stivali vennero nascosti da degli scaldamuscoli e quasi fosse il tocco finale si sistemò il ciondolo al collo.
Finita di vestirsi, la badante le passò uno zaino con dentro i suoi altri indumenti.
-Se hai altro da portare con te mettilo qua dentro.-
La ragazza annuì e la donna uscì dalla stanza, lasciandola libera di raccogliere quei pochi effetti personali che possedeva, come il foulard regalatole da Balkrev. Al pensiero di lui arrossì nuovamente e ficcò velocemente il foulard dentro lo zaino, quasi a disfarsene.
Mentre stava cercando le ultime cose da portare con se, Dekves bussò alla porta.
-Posso?- Chiese sorridendole. 
-Certamente! Entri pure.- 
L'uomo si accomodò dentro con Drayeho sulla spalla. Dekves si era offerto di badare al draghetto in sua assenza, perciò per farlo abituare a stare con lui, quando Reyeha usciva fuori dalla Quercia, Drayeho rimaneva in sua custodia. All’animaletto stava di sicuro più simpatico il Bibliotecario rispetto a Balkrev, anche perchè l'uomo si era conquistato il suo affetto dandogli da mangiare, ogni volta che lo prendeva in custodia, le polpette di carne.
Tuttavia non appena vide Reyeha si agitò per andare da lei e una volta che la ragazza lo prese sul palmo della mano, Drayeho si arrampicò sino alla sua spalla per poi andare a strusciarsi con la testolina sul suo collo.
-Gli mancherai molto.- Disse Dekves.
- E lui mancherà a me...-
-Posso immaginare.-
Dopo un momento di silenzio, il Bibliotecario decise di cambiare argomento concentrandosi sui nuovi vestiti di Reyeha.
-Vedo che ti stanno bene, ne sono lieto.- Disse guardando gli indumenti della ragazza.
-Si e sono anche molto comodi e belli! La ringrazio.-
-Sono contento ti piacciano, sai ho fatto aggiungere quei bordini rossi appositamente per te! Volevano metterci qualcos'altro di verde, ma glielo impedito.- 
Nei giorni in cui andava a trovare Dekves, quest’ultimo è Reyeha avevano scoperto di avere in comune la passione per il colore rosso. L’uomo era stato parecchio felice di trovare qualcun’altro che non amasse vestirsi di verde, oro o marrone, non che avessero qualcosa in contrario a quei colori né lui e né la ragazza, ma vedendoli e vestendoli tutti i giorni avevano iniziato a stancare persino Reyeha, che stava lì da un anno, figuriamoci l’anziano signore, che li vestiva da una vita.
Dopo di quello, Dekves iniziò a darle dei consigli su come comportarsi durante il viaggio con Phearl e a cosa stare attenta. Tra queste ultime cose c'era naturalmente il tenere bene d'occhio il ciondolo e non perderlo assolutamente, stare attenta a come parlava con Phearl poiché se la prendeva male il suo viaggio sarebbe stato un inferno, non mostrare a nessuno le squame e stare attenta che nessuno le vedesse per sbaglio, siccome poteva metterla in pericolo e... di nuovo stare attenta a come si esprimeva con Phearl, il che inquietò leggermente la ragazza che ora si sentiva messa sotto pressione ed anche un po terrorizzata dalla sua futura compagna di viaggio. Una volta finito di consigliarla, Dekves si fermò e guardandola interrogativo le chiese:
-Ma Balkrev? Dov'è finito?-
Il cuore di Reyeha per un momento si fermò a quella domanda e il suo volto andò nuovamente in fiamme.
-Hmm! Ecco lui...vede è...mhm /E ora come diamine glielo spiego!? Cioè cosa gli dico?! Che sta alla locanda?! E se mi chiede perchè sta li!? Cosa faccio!?? Cosa faccio!??/...a dire il vero non so...-
-Oh. Capisco.- Disse Dekves nonostante avesse chiaramente capito che sapeva tutto. 
-Piuttosto! L'hai vista la tua arma da viaggio!?- Chiese nuovamente tutto allegro.
-Arma da viaggio!? Avrò un'arma?- Rispose interrogativa la ragazza.
-Certo, in caso di pericolo dovrai difenderti da sola, Phaerl interverrà, ma solo fino ad un certo punto.-
-Oh...-
-Balkrev mi ha detto che te la cavi con armi d'asta.-
-...-
-Cosa c'è?-
-Niente!-
-...Ok. Comunque sia, ho fatto preparare per te un'alabarda retrattile!
-....................-
-Sei sicura che vada tutto bene?- Chiese divertito.
-Si! Si si...Va tutto bene!-
-Bene, stavo dicendo, l'alabarda ha l'asta retrattile, così è più comoda in viaggio, diventando una sorta d' ascia. Non so quanto tu ti trovi bene con con quel tipo d'arma, ma nel corpo a corpo potrebbe esserti utile anche sotto quella forma. E' una sorta di due armi in una ed è più facile da maneggiare e trasportare.-
-Più...facile da maneggiare ...hmm....ok!-
Sapeva che Dekves non l'aveva fatto intenzionalmente, ma tutto le parse dannatamente ambiguo.
-Comunque sia, mi dispiace molto il fatto che tu sia costretta a partire, so che oramai ti eri abituata a stare qui con noi e sopratutto con Balkrev, ma purtroppo vedi: la mia priorità è quella di tutelare la Quercia della Conoscenza. Ne sono il Guardiano e dal momento nel quale sono diventato tale io appartengo alla Quercia. Ho rinunciato alla possibilità di una vita normale e tranquilla o a quella di potermi fare una famiglia, sposando la conoscenza. Ugualmente farà Balkrev, perciò lui deve restare qua a continuare la sua preparazione.-
-Capisco, non si preoccupi, so di essere pericolosa e voi siete già stato molto gentile e generoso con me, non voglio mettervi in difficoltà.- Disse sorridendo all’uomo anche se, pur non volendolo, in maniera triste. Si sentiva come se fosse un peso per tutti, non che l'avessero mai fatta sentire così li, a parte Kamer.
-E non vedo perché Balkrev dovrebbe partire con me... il suo posto è qui. Vorrei solo che Drayeho venisse con me ma so che non è possibile, perciò me ne sono fatta una ragione...Solo, mi prometta che ne avrà cura, la prego.- Concluse abbassando la testa. 
-Reyeha cara.- Iniziò a parlare Dekves
.-Lo so che non è possibile, ma nel caso il draghetto, troppo affezionato a te, si insinuasse nei tuoi bagagli? E se poi tu te ne accorgessi troppo tardi per tornare indietro e riportarlo qui? Non pensi sarebbe un problema?-
Reyeha alzò la testa e lo guardò confusa. Forse aveva capito o forse aveva frainteso perciò anche se timorosa della seconda possibilità chiese a Dekves se poteva chiarirsi meglio
-Mi sta dicendo che dovrei portare Drayeho con me di nascosto?-
-No. Io sono il Bibliotecario non posso dire cose del genere.-
L'espressione dell’uomo era tanto seria che confuse Reyeha ancora di più. Non appena Dekves lo capì, fece un occhiolino alla ragazza.

Così ora la ragazza si ritrovava ad attraversare il passo montano in sella ad un cavallo (che aveva imparato a cavalcare durante il viaggio), con Drayeho attaccato al suo petto così da tenersi caldo a vicenda e una Phaerl non tanto incavolata come pensava sarebbe stata per la scoperta di Drayeho, poiché avvisata precedentemente da Dekves. 
Era riuscita a partire, come aveva sperato, prima di re-incontrare Balkrev e ora se ne stava pentendo.
 Era praticante scappata, e adesso aveva una voglia matta di tornare indietro e chiarire con lui. Non sapeva nemmeno quando lo avrebbe rivisto e non lo aveva neppure salutato...non aveva salutato il suo migliore amico e la persona che più le era stata accanto durante quell'anno che era passato da quando era tornata alla civiltà. Si sentiva malissimo.
Il viaggio con Phaerl si rivelò abbastanza taciturno. A parte le cose che le diceva di fare, la donna non le rivolgeva molto la parola, il che faceva temere a Reyeha di starle già sulle "sfere" per essersi portata Drayeho appresso e le lasciava più tempo per pensare al suo madornale errore e alle scuse e i discorsi che avrebbe fatto a Balkrev una volta tornata alla Quercia. 
Restando perennemente con la testa tra le nuvole però, si accorse un po tardi del fatto che la temperatura era un pochino strana. Andando verso il Nord, dove era pieno di montagne innevate e di conseguenza faceva parecchio freddo la temperatura sarebbe dovuta man mano scendere. Invece stava accadendo il contrario. La temperatura stava gradualmente salendo e Reyeha iniziò ad avere dubbi.
-Phaerl...?-
-Mhm?-
-Com'è la temperatura è sempre più alta? Non dovrebbe abbassarsi visto che stiamo andando al Nord?-
-Ma noi non stiamo andando al Nord.-
-...cosa? E dove stiamo andando?-
-Al Sud. Mi sono scordata di avvisarti? Oh bhè...-
-Posso chiedere perché?-
-No, non puoi.-
Li finì il loro discorso, Reyeha avrebbe voluto insistere, ma si ricordò delle avvertenze di Dekves di stare attenta a come si sarebbe rivolta a Phaerl, perciò decise di tacere.
Da quando erano partite avevano sempre sostato all'aperto per la notte, se non durante il passo montano dove la neve ed il freddo lo impedivano. Si erano fermate nelle numerose e piccole taverne presenti lungo la strada, giusto il tempo di riposarsi qualche ora per poi ripartire. Da allora Phaerl aveva preferito dormire all'aperto, in primo luogo per risparmiare denaro ed in secondo luogo perché la strada che stavano percorrendo non era particolarmente nota, perciò c’era una locanda ogni tanto e pure quella era messa parecchio male.
Prima di entrare nel Sud però, a circa una ventina di miglia dal confine, furono costrette a fermarsi ad una taverna poiché Phaerl si era presa la febbre.
-Mi capita un viaggio si e l'altro pure, tranquilla. Qualche giorno e ripartiamo.- 
-Non...credo sia proprio una cosa sulla quale stare tranquilli...- Ribatté Reyeha, ma la donna la ignorò.
Il locale nel quale soggiornarono non era particolarmente grande, ma aveva un'atmosfera calorosa e un odore di dolci si estendeva per tutta la sua superficie.
Era gestito dalla famiglia Velikez, una famiglia di gnomi. Qust'ultimi a differenza dei nani, i quali come razza erano anche più bassi di essi, non eran sproporzionati e per così dire "schiacciati", bensì sembravano personcine in miniatura. Per la loro statura erano perfettamente proporzionati e tutto era al posto giusto. Reyeha ne aveva già visti in precedenza un paio alla Biblioteca, ma non ne aveva mai conosciuto uno. Phaerl invece sembrava conoscere la famiglia abbastanza bene, poiché la padrona del locale, una donna leggermente in carne ed abbastanza giovane, dai capelli corvini presi in una cipolla dietro la testa, la salutò come se il suo locale fosse una tappa fissa per Phaerl quand'era malata.
-Vedi di fartele amiche, non ti conviene farle arrabbiare.- Consigliò la mezz'elfa a Reyeha, parlando della padrona e della figlia Arynia. 
La ragazza inizialmente non capì, le due erano alte all'incirca un metro e quaranta, cosa avrebbero potuto farle? Aveva almeno trenta centimetri in più di loro. 
Nei giorni in cui stettero li però, conobbe Arynia. 
Era una ragazza della sua età, anch'ella con capelli corvini, lunghi fino alle spalle, graziose orecchiette a punta e pelle olivastra. Si vestiva solitamente con pantaloni lunghi fino al ginocchio, un toppino in cuoio che lasciava scoperto l'addome e scarpette coperte da scaldamuscoli. Il tutto era completato dai due grandi occhioni marroni, che le davano un'aria dolce ed innocente.
Anche Reyeha pensava questo di lei, fino a quando non la vide sollevare uno spadone bastardo alto quanto lei con estrema facilità. Non capiva il perchè dello spadone, ma il tutto era abbastanza spaventoso.
Phaerl le spiegò che i gnomi erano un popolo guerriero, perciò anche se gestivano tranquille taverne di periferia, a loro non mancavano mai le armi e l'allenamento fisico. Erano pronti alla battaglia in qualsiasi momento.
Tuttavia Arynia con lei si era sempre comportata in maniera gentile, anche se non era particolarmente sorridente, non aveva mai dato segni di aggressività o violenza, tranne per quando litigava con la madre... li Reyeha capì quanto quegli esserini potevano essere pericolosi.
Per quel che riguardava il padre, era il più tranquillo della famiglia. Si vedeva raramente ed era l'unico che sorrideva un pochino di più.
Phaerl e Reyeha rimasero li più del previsto, siccome le condizioni della donna erano peggiori di quel che aveva immaginato. Riuscirono comunque a ripartire dopo una settimana abbondate quando ormai Phaerl aveva riacquistato tutte le forze. Così dopo circa tre mesi di viaggio, riuscirono ad entrare nel Sud dove iniziarono a dirigersi verso Draine, la capitale del paese di mercanti.


AA: Scusate la qualità dell'immagine, ma la mia connessione internet ha deciso che oggi sta a riposo, perciò non sono riuscita a caricare una qualità più decente.

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Capitolo 19
*** Donna Edel e il nuovo lavoro di Elaera ***


 
Capitolo 19: Donna Edel e il nuovo lavoro di Elaera

“Stai scherzando, vero?“ La donna nerboruta fissava con gli occhi azzurri e sospettosi i giovani sulla porta, le sopracciglia alzate per la sorpresa e per la notizia che aveva appena ricevuto. I capelli castani e mossi che iniziavano ad ingrigire le incorniciavano il viso, risaltandone la pelle chiara. 
“Andiamo Edel. Te l’avevo detto che avrei trovato qualcuno che ti avrebbe aiutato! Lei è una mia carissima amica, non è vero Elaera?” Kandara la spinse in avanti tenendola per le spalle, quasi ad usarla come scudo contro lo sguardo intimidatorio della donna.
La ragazza, intimidita, fece solo segno di sì con il capo. Edel sbuffò, facendosi da parte per non ostacolare col pancione l’ingresso. 
“Forza entrate o farete uscire tutta l’aria calda.” I giovani non se lo fecero ripetere due volte. 
Quel mattino presto, Elaera e Kandara si erano ritrovati davanti la locanda, come stabilito. Dopo una veloce e frugale colazione, offerta sempre dal gentile ragazzo a discapito delle finanze del locandiere, i due si erano diretti verso il futuro luogo d’impiego dell’avventuriera. Da come aveva capito la ragazza, Kandara aveva un conto aperto e mai saldato con Slien, cosa che però sembrava non preoccupare minimamente il giovane, ma che indispettiva non poco il taverniere, il quale non aveva resistito ad imprecargli contro quando se ne erano andati. Elaera aveva anche compreso che il ragazzo era abbastanza conosciuto in giro, notando le svariate persone che lo avevano salutato cordiali o meno lungo tutto il cammino. Ora che si ritrovava in quell’enorme casa in legno e pietra però, sotto lo sguardo indagatore di quella donna, si sentiva leggermente a disagio e il suo solito buon umore era messo a dura prova.
La donna si posizionò davanti al cucinotto a legna, caricando qualche ciocco leggero nel fuoco ardente. Quand’ebbe finito, si volse a guardare i due giovani seduti al tavolo. 
“E dimmi Kan, se lei è una tua amica, perché non te ne ho mai sentito parlare? Di solito hai una fervida parlantina quando si tratta di donne, o sbaglio?” Elaera si strinse nelle spalle, conscia delle bugie che stavano raccontando.
/Ma chi me lo ha fatto fare…/ pensò guardando di sottecchi il ragazzo che le sorrise prima di rispondere alla donna. 
“Diciamo che me ne sono dimenticato. Allora posso affidarla alle tue cure e affidare TE alle sue? O hai intenzione di insistere ancora che non ne hai bisogno?” Il giovane, risoluto, attese solo il sospiro di rassegnazione della donna. Il quale non tardò molto ad arrivare. 
“Credevo non avresti trovato nessuno disposto ad ascoltarti. Avevo pregato tutti i miei conoscenti di dirti di no e di rifiutare, ma evidentemente non avevo tenuto conto della tua testardaggine.” La donna sorrise dolcemente, accarezzando distrattamente l’enorme pancia. 
“Ahahah. Hai ragione, non ne avevi tenuto conto!” Kandara sorrise, vittorioso. 
“Bene allora, mia cara. Credo di dovermi presentare.” La donna si sedette a capotavola, scostando silenziosamente la sedia in legno per non far rumore. 
“Il mio nome è Edel. Come puoi vedere, ho un’enorme pancione e tra poco nascerà il mio quinto figlio. Manca si e no un mese, se tutto andrà bene. Ma l’esperienza mi dice che in questo periodo della gravidanza potrebbe succedere anche da un momento all’altro visto il lavoro che svolgo.” 
“Che lavoro svolge, signora?” Chiese rilassata ora la ragazza incuriosita, sporgendosi sul tavolo. 
“Oh ti prego, dammi del tu.” Le rispose cordiale la donna.
“Edel è un’insegnante. Insegna all’orfanotrofio della città, che attualmente è sovraccarico di lavoro a causa della guerra.” Spiegò diligente il ragazzo. 
Elaera soppesò la notizia, comprendendo quanto la guerra stesse influendo sull’intero paese e non solo sul regno dell’Est. Edel sospirò, tornando ad accarezzarsi la pancia, fissandola con amore.
“Purtroppo questa guerra sta mietendo, seppur in modo tenue, delle vittime. Quei poveri bambini non hanno più una famiglia, quindi io e altri di questa città abbiamo deciso di regalargliene una. Abbiamo allestito un edificio in modo tale che possa accogliere quante più persone possibile, costruendo al fianco d’esso una scuola apposita ed una mensa. Ma purtroppo nell’ultimo periodo sono insorti sempre più problemi, la mia gravidanza è solo l’ultimo di essi.” La ragazza le prese la mano per rassicurarla, vedendo il suo sguardo preoccupato. 
La donna rispose alla presa, stringendole la mano saldamente.
“Non devi angustiarti così tanto, Edel. Ti ho già detto che risolveremo tutto pian piano. Abbiamo già riparato il tetto, è un buon passo avanti. Ed ora che con te c’è Elaera, potrai dedicarti al lavoro senza affaticarti troppo.” Il ragazzo si alzò stiracchiandosi dalla sedia. 
“Certo, conti pure su di me.” Rispose risoluta la ragazza. “Non ci sarà nemmeno bisogno di pagarmi. Solo se…emh…potrà garantirmi un posto in cui dormire, per me basterà quello!” Disse sincera, strappando una risata al giovane.
“Oh andiamo ti ho detto che per quello non c’è problema! Giusto?” Chiese rivolto alla donna.
“In questa casa abbiamo anche fin troppe stanze vuote ora. Per il pagamento, ovvio che sarai pagata. Stai comunque lavorando per me e il lavoro va retribuito!” Promise la donna.
“Ma…non serve…” Cercò di protestare la ragazza quasi in imbarazzo.
“Niente ma o ti mangia!” Scherzò Kandara prima di avviarsi verso la porta. “Ora scappo a lavorare. Credo starò via qualche giorno Edel, salutami tutti. Ciao Elaera, a presto!” Lanciandole un bacio e facendole l’occhiolino, il giovane uscì sotto la leggera neve che cadeva di fuori, chiudendosi la porta in legno alle spalle e producendo un sonoro boato. 



“KANDARA! Dannazione! Quante volte gli avrò detto di non chiudere la porta in quel modo. Maledetto scapestrato.” Elaera rise di gusto vedendo la donna imprecare, il che la fece un poco calmare. 
Edel si alzò per tornare al suo posto davanti i fornelli, continuando a preparare la colazione per la numerosa famiglia che iniziava a risvegliarsi al piano superiore. Infatti, Elaera poteva già sentire le voci assonnate e il tamburellare di vari piedi sopra la sua testa. Scambiando qualche chiacchiera con la donna, mentre la aiutava più o meno con quello che lei le lasciava fare, la ragazza cercò di rendersi utile. Quando poi, con la coda dell’occhio, vide un bimbetto fissarla seminascosto sulle scale facendole scappare una risata, Edel si concesse di lasciarle continuare la preparazione per convincere suo figlio a scendere. 
“Alois, forza scendi! Di cosa hai paura? Guarda che non ti mangia mica!” Alle parole della madre, il bimbo scese esitante dalle scale per abbracciarla, rimanendo a debita distanza però dall’estranea, nascondendosi dietro la gonna della donna.
Il bimbo dai folti e voluminosi capelli biondi, osservava l’intrusa con occhi grandi e verdi, incuriosito e timoroso. Doveva avere all’incirca 5 anni.  Elaera gli sorrise, facendogli ciao con la mano. Alois nascose la faccia nella stoffa del vestito della madre, arrossendo. 
“Scusalo.” Disse Edel prendendolo in braccio. “E’ un timidone.” Con una mano gli sposò i capelli da davanti alla faccia cercando di sistemarglieli. “Ti presento Alois, il mio figlio più piccolo.” 
“Mamma! Mamma! Cosa c’è per colazione?!” Nella stanza irruppero altri due ragazzini, urlando. Ma alla vista di Elaera, si bloccarono di colpo volgendo la testa verso la madre in attesa di spiegazioni. 
“Ed ecco qui gli altri diavoli. Loro sono Andreas e Fill. Forza piccole pesti, salutate.” Ordinò loro la madre, facendo scendere il piccolo Alois che si posizionò scappando al suo posto a tavola. 
I due ragazzini più grandi, molto simili d’aspetto al fratello, se non per gli occhi più scuri tendenti quasi al nocciola, si presentarono vivacemente, iniziando a tampinare la ragazza di domande. Quasi la stordirono per tutte le cose che le chiesero. 
/Inizia a farmi male la testa…!/ Pensò Elaera mentre aiutava a servire a tavola la colazione.
I bambini, voraci, si fiondarono sul cibo, spazzolandolo in poco tempo tutto sotto lo sguardo quasi stupefatto della ragazza.
“Non farci caso, sono maschi.” Le disse semplicemente la donna. Lei annuì, poco convinta.
Sovrappensiero, la ragazza notò che però a tavola c’erano solo 3 testoline. Dov’era l’altro figlio di Edel?
/Starà ancora dormendo?/ Per togliersi il dubbio, la ragazza decise di domandare. “Edel, scusa.” 
“Mmm?” Le rispose la donna mentre puliva la bocca al più piccolo dei figli.
“Manca qualcuno per caso? Hai detto che quello in arrivo è il tuo 5 figlio o sbaglio?” La donna annuì alla domanda. 
“La mia primogenita, Cassandra, è già uscita. Si alza sempre molto presto. Ha un anno in meno di Kandara e si occupa dell’insegnamento dei bambini più piccoli all’orfanotrofio. Così facendo io posso occuparmi di quelli che hanno bisogno di un insegnamento più complesso e vario.” Spiegò la donna mandando i figli che avevano terminato di mangiare a lavarsi e vestirsi. 
“Capisco… Sai, apprezzo molto quello che fai, Edel.” Le confessò la ragazza, togliendole di mano i piatti e occupandosi lei di lavarli. “Anche io sono un’orfana, ma sono stata fortunata. Ho avuto un buon maestro che mi ha cresciuto come sua figlia. Quindi apprezzo ciò che state cercando da offrire a quei bambini.” Le sorrise, il pensiero che tornava al passato.
“Oh, piccola. Ti ringrazio di cuore. Non sempre le persone apprezzano ciò che stiamo facendo. Molti ci considerano pazzi per ciò che abbiamo costruito.” Ammise la donna.
“Quelle persone non comprendono ciò che vuol dire perdere tutto da un momento all’altro e vedersi strappare via gli affetti. Non comprendono cosa significhi perdere il calore di una famiglia e ritrovarsi senza casa.” La ragazza fece una pausa, per poi riprendere a voce più bassa e finire la frase. “Non comprendono cosa significhi restare soli.” 
Edel la osservò in silenzio, comprendendo che non era il momento di approfondire il discorso, lasciandola immersa nei suoi ricordi.
Quando i tre figli tornarono, vestiti di tutto punto come piaceva alla madre, l’allegra combriccola fu pronta per uscire. 
Fuori aveva smesso di nevicare e un leggero manto bianco avvolgeva ogni cosa. Subito i bambini si riversarono in strada, lanciandosi palle di neve tra loro, coinvolgendo di tanto in tanto la ragazza ma stando attenti a non indirizzare i colpi verso la madre. Elaera si strinse il mantello attorno quando una folata gelida improvvisa la fece rabbrividire. 
“Sai cara, credo di avere a casa qualche vestito pesante di quando ero un po’ più giovane e meno in carne. Se vuoi puoi prenderlo. Le temperature stanno calando in fretta e non credo potrai andare avanti a lungo con gli indumenti che indossi ora.” La informò Edel vedendola nella stoffa leggera del soprabito in cerca di calore.
“G-Grazie.” Rispose la ragazza starnutendo poco dopo. 
Dopo una mezz’ora di camminata, dovuta anche all’andatura lenta della donna gravida, il gruppetto giunse ad un imponente edificio a cinque piani, i primi tre in pietra e i restanti in legno, molto a ridosso della conca della montagna dove il vento faticava quasi a giungere e la neve si addensava poco, rendendo il freddo meno estenuante. I bambini corsero verso l’entrata, incuranti delle proteste della madre, lasciando le due donne molto indietro.
“Ahhh. Bambini. Ci fosse una volta che mi danno retta senza che io debba alzare la voce.” Disse la donna facendo finta di esser arrabbiata, mentre osservava i figli allontanarsi. “Tanto sono sicura siano corsi dalla sorella. L’adorano quasi quanto adorano Kandara.” 
/Deve essere una bella persona e una brava ragazza, non vedo l’ora di conoscerla!/ Pensò Elaera, per poi spostare il suo interesse su un'altra domanda che la incuriosiva da quella mattina. “Senti Edel, posso chiederti una cosa?” 
“Dimmi pure.” Le rispose cordiale la donna.
“Come mai Kandara è così conosciuto in città? Questa mattina mi è capitato di vedergli salutare moltissima gente e mi è sorta questa domanda.” La domanda sembrò impensierire la donna, che però si riprese in poco e si decise a risponderle in tutta sincerità.
“Sai, avevo intuito che voi due vi conosceste poco, ma non mi aspettavo non sapessi nulla di lui.” Lo sguardo che le rivolse bloccò ogni protesta della ragazza, la quale si stava affrettando a coprire l’alibi dell’amico. “Non preoccuparti, non ce l’ho con Kandara. Ho fiducia nel suo metro di giudizio. Ha sempre avuto un dono nel capire le persone fin da piccolo.” 
Edel fece una pausa per sedersi un momento su una delle poltrone nell’ingresso dell’edificio. L’interno dello stabile era tiepido e le due donne furono liete di quel calore loro concessogli, soprattutto la più giovane. 
“Devi sapere…che anche Kandara è un orfano.” Continuò poi la maggiore. “Arrivò qui circa 6 anni fa, ma a differenza degli altri bambini che giungevano qui, lui non aveva una storia da raccontare.” 
“In che senso?” Chiese la ragazza non capendo ciò che intendesse dire.
“Nel senso…che lui non ricordava nulla. Né il suo nome, né la sua età, né da dove provenisse. Non sapeva chi fosse in sintesi. Ancora ricordo il nostro primo incontro. Era una giornata estiva e la neve iniziava finalmente a sciogliersi ed io ero insieme ai miei primi tre figli fuori dalle mura, insieme a mio marito di ritorno dalla guerra, finalmente in congedo. Eravamo andati a raccogliere dei bucaneve, uno dei nostri tanti sciocchi passatempi. Lo trovammo che vagava in una gola, affamato e infreddolito, con una grossa ferita sulla nuca e il sangue incrostato sul volto. Aveva all’incirca l’età di mia figlia. Lo portammo a casa e lo curammo, gli demmo da mangiare e aspettammo. Ma la sua memoria non tornò mai. Crebbe qui, in questo orfanotrofio. A causa del suo carattere ribelle e molto vivace però, finiva spesso per combinare qualche guaio. Mio marito sviluppò per lui un certo attaccamento proprio per questo. Quando lui combinava un guaio, il mio caro consorte era chiamato a risolverlo, finché un giorno non gli pose un limite. Prima di ripartire per la guerra quando gli scontri si riaccesero tre anni fa, lo portò con se da un suo conoscente, che gli procurò un lavoro; l’altra alternativa era quella di andare in guerra, ma mio marito non se la sentì di proporgliela. Scelta saggia, visto che lui rischia costantemente la vita ed è già tanto se riesce a tornare uno o due volte l’anno. Così, Kandara divenne un dipendente dello stato. L’amico di mio marito gli trovò un lavoro da esattore. Vivendo in quell’ambiente, Kandara conobbe molte realtà che fino ad allora non conosceva, che ne forgiarono il carattere, fino a renderlo la persona che è ora. Molti lo conoscono per il suo buon cuore mentre molti altri lo conoscono per la fermezza con cui riscuote le tasse. Diciamo che è al contempo l’esattore più docile e aggressivo che esista! A causa del lavoro è spesso via, ma almeno ha una vita abbastanza tranquilla. Come ti ho detto prima, quel ragazzo è molto sveglio e fin da piccolo ha avuto un dono nel capire le persone. A seconda della persona che ha di fronte, lui decide che strategia adottare, cercando sempre di rispettare i tempi che impone la Capitale. Grazie a lui non paghiamo le tasse per questo edificio, sai?” Il racconto aveva lasciato stupefatta la ragazza, riscaldandole il cuore. Ora capiva il vero ed immenso valore della persona che era Kandara. 
“E’ davvero un bravo ragazzo. L’ammiro molto per quello che è diventato.” Ammise la donna.
/Perché le persone a volte non sono altro che lo specchio di quello che hanno visto e vissuto. Quante realtà che esistono, quante persone diverse, quante storie! La vita è così varia, così fredda ma anche così calda a volte. Può regalarti sofferenze ma anche tante gioie, può sorprenderti facendoti incontrare delle persone stupende come loro./
“Sono contenta anche io di aver incontrato una persona come lui.” Elaera sorrise.
“Donna Edel! Le lezioni stanno per iniziare!” Gridò un ragazzo dal fondo del corridoio. 
La giovane aiutò la donna ad alzarsi, per poi dirigersi insieme a lei verso la sua impegnata giornata lavorativa.
Giornata che sarebbe stata, inaspettatamente, lunga, faticosa, ma allegra.

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Capitolo 20
*** La figura misteriosa ***




Capitolo 20: La figura misteriosa.



Erano in viaggio da tre mesi ormai. Proseguivano per lo più a piedi, non potendosi permettere un cavallo; Ida le aveva severamente vietato di rubarne uno, a meno che non avessero trovato un venditore particolarmente ricco. 
Loro infatti, rubavano soltanto ai ricchi.
Da quel poco che aveva potuto vedere, il Sud era formato prevalentemente da fiumi su cui ogni tanto aveva visto passare qualche nave mercantile.Avevano fatto tappa per lo più in piccoli paesini, dove la gente era vivace e ornata dai tatuaggi e dai piercing più svariati. 
Viaggiare risultava tutto sommato tranquillo, tranne che per qualche incontro occasionale con dei banditi. In quelle occasioni, scappavano; Ida preferiva non metterla troppo in pericolo se poteva evitare.  Valerie stessa non era un’amante del pericolo. A volte gli era capitato di doverli affrontare, ma la furbizia di Ida riusciva sempre a salvare la situazione in qualche modo.
L'unico problema del viaggio, era che Valerie mal sopportava il caldo afoso di quelle zone e, benché fingesse di no, anche la donna era nelle sue stesse condizioni.
L’acqua sembrava essere l’elemento prevalente in quella regione oltre al sole e ciò, dava all’aria un’umidità che rendeva entrambe nervose.
La sera non vedevano l'ora di trovare un ostello in cui rintanarsi per la notte. Ma la fortuna sembrava non essere mai dalla loro parte. 
Di ostelli ne avevano visti ben pochi e quello in cui si trovavano ora, aveva tutte le stanze occupate. Decisero comunque di fermarsi a fare provviste.
Mentre Ida contrattava con l'oste, un omone anziano che tutto sommato si portava bene gli anni che aveva, Valerie appoggiata al grosso bancone di legno, si guardava intorno. Le piaceva osservare le persone e qualche volta anche origliare le conversazioni.
"Amico, non ci crederai mai!" Due uomini, seduti a uno dei tavoli rotondi vicino al bancone, attirarono la sua attenzione.
Erano entrambi ben piazzati e portavano alle cinture delle sacche e qualche pugnale, uno dei due possedeva anche una spada. Probabilmente erano viaggiatori, come loro.
"Ieri sera” Spiegò quello con la spada “Mi ero accampato fuori per la notte. Mi ero messo a dormire tutto tranquillo, quando a un certo punto… apro gli occhi e vedo questo essere enorme davanti a me. Sarà stato alto due metri e mezzo."
”Non ci credo" Rise l'altro.
Per tutta risposta, l’amico sbatté il pugno sul tavolo.
"Ti giuro! Era enorme!” Si schiarì la gola quello. “Comunque, me lo vedo davanti e prima ancora che possa reagire, questo allunga la mano per afferrarmi. Ma io, con uno scatto felino lo evito e poi..."
Fece una pausa, probabilmente per rendere il tutto più teatrale.
"E poi?" Chiese impaziente l’altro.
L’uomo con la spada mise le mani dietro la testa. "Niente, poi sono scappato a gambe levate." Rise per poi beccarsi uno schiaffo in testa dal compagno.
“Idiota” 
Valerie non sapeva se credere o meno a quello che avevano detto i viaggiatori. Spesso, più che bestie erano semplici animali. Rimase però il fatto che lei e Ida avrebbero dovuto dormire fuori quella notte e lei non aveva la minima voglia di imbattersi in qualche animale feroce.
”Ah, viaggiatori" Sospirò il taverniere, scuotendo il capo." Ultimamente ne arrivano tanti che parlano di questo mostro che si aggira per i dintorni e spaventa i viandanti che si accampano fuori a dormire. Sinceramente penso sia solo un animale affamato ma innocuo, non ha ferito ancora nessuno, ma vi avverto comunque." 
"Non preoccuparti, non siamo cosi sprovvedute come potrebbe sembrare." lo rassicurò Ida, facendogli l’occhiolino.
Valerie non ne era tanto sicura.
La donna mise i soldi sul bancone e prese le provviste.
"Dai, andiamo.” La chiamò poi. “Credo che per oggi ti basti impicciarti degli affari altrui, no?" 
“Senti da che pulpito.” Le risposte sarcastica la ragazza.
“Io sono una donna matura e responsabile, che mai e poi mai oserebbe impicciarsi degli affari altrui.” Ribatté mettendosi una mano al petto la donna, con fare oltraggiato.
“Wow. Sicuramente.” Commentò acida la ragazza.
Ida rise.
“E’ stato un piacere.” Disse poi, salutando l’oste prima di uscire.
“Fate attenzione!” Le avverti lui.

***

Fecero ancora un po’ di strada prima che calasse il buio, poi decisero di accamparsi.
Accendere il fuoco non era mai cosa facile, specialmente perché Valerie, che ‘controllava’ il ghiaccio, alcune volte perdeva il controllo e congelava i ceppi di legno. 
Dopo un paio di fallimenti, Ida decise di occuparsene lei stessa. 
Mangiarono un po’ di pane con una zuppa semplice, una delle poche cose che Valerie sapeva cucinare. La donna spesso lasciava quella parte a lei, usando scuse tipo: ‘non mi sento bene’ , ‘mi fa male la testa’ o qualche volta un semplice ‘non mi va’. 
Sapeva cucinare (e anche bene), ma sembrava avere una sorta di avversione verso l’atto.
Dopo aver cenato, Valerie si sdraiò sulle pelli che usava come giaciglio.
“Credi che verrà anche da noi quel mostro?” Chiese, girandosi su di un fianco, in direzione della donna.
“Nah” La liquidò Ida che, ancora seduta, controllava l’arco e sistemava le frecce. Era una cosa che faceva ogni sera, era importante mantenere le armi in buono stato. Valerie aveva con sé un coltello, ma lo affilava una volta ogni tanto, poiché non lo usava poi molto.
“Ma ha attaccato gli altri viandanti...”
“Se dovesse farsi vivo, ci penseremo.” Ida si girò verso di lei. “E poi, hai una donna affascinante come me a proteggerti.” Disse pavoneggiandosi.
“Dammi un foglio che inizio a scrivere il testamento.” 
Ida rise alla battuta, buttandogli una coperta in faccia.
“Mettiti a dormire. Domani dovremmo camminare molto.”
“Camminiamo SEMPRE molto.” La rimbeccò lei.
Normalmente, Valerie ci metteva un po’ prima di addormentarsi, ma il caldo l'aveva stancata parecchio negli ultimi giorni per questo si addormentò subito. 
Il sonno non durò molto, però; dei rumori svegliarono la ragazza che, ancora mezza addormenta, ci mise un po’ ad elaborare l’enorme figura che le stava dinanzi.
Un’enorme figura incappucciata. 
Davanti a lei. 
Ci fu un lungo attimo di silenzio, interrotto dalla figura che allungò la mano verso di lei.
La ragazza scattò verso Ida, ancora addormentata. 
”I-intruso!” Gridò. Scuotendola nel vano tentativo di svegliarla.
“Ancora un minuto...” La scostò pigramente la donna.
“IDIOTA! C’è un coso grosso incappucciato, SVEGLIATI DANNAZIONE!” Strillò con voce acuta. Dannazione, perché era sempre cosi dannatamente difficile da svegliare?
Ida aprì gli occhi di malavoglia, posando lo sguardo sulla figura, che intanto era rimasta ferma sul posto.
La donna scattò in piedi e Valerie si nascose dietro di lei.
All'improvviso, il mostro incappucciato mosse la bocca come per dire qualcosa.
Valerie, quasi d’istinto, iniziò a correre, seguita a ruota da Ida.
La figura corse goffamente dietro alle due.
"Ci sta inseguendo!" Constatò disperata la ragazza. “Fa qualcosa! Non sei un’arciera??” 
“Ho scordato il mio arco all’accampamento.” Alzò le spalle l’altra.
“Ti odio.”
“Ops”
“Animale innocuo un corno! Quel coso è enorme!” Piagnucolò Valerie.
Corsero ancora per qualche metro. La ragazza si chiese quanto a lungo quell’essere le avrebbe inseguite. Iniziava a sentirsi stanca e le gambe stavano diventandole pesanti.
Poi, la figura inciampò su un sasso. E cadde, sbattendo la faccia.
Quasi senza volerlo, le due si fermarono; più che altro per vedere se era ancora vivo.
Nulla, non si muoveva.
"Secondo te é morto?" Chiese Valerie.
Ida alzò le spalle.
“Che dici, controlliamo?” 
“Ma che sei scema? E se poi è vivo e questo è tutto uno stratagemma per coglierci di sorp-”
Ida si fermò, guardando l'essere, che lentamente alzò il viso scoperto poiché il cappuccio gli era scivolato indietro a causa della caduta. 
Aveva gli occhi pieni di lacrime, che tratteneva a stento.
"Un orco" Osservò Ida mentre la figura si sedeva sul terreno, toccandosi il naso, rosso per la botta.
"Quello...é un orco?" Lo indicò Valerie quasi incredula.
Era molto, molto alto, più due metri. Aveva il volto squadrato, le arcate sopraccigliari erano molto sporgenti, così come il labbro inferiore. La corporatura era massiccia e la pelle verde. Nonostante questo, aveva dei grandi occhi azzurri e i capelli, biondi, gli ricadevano sul viso, spettinati.
“Beh si, almeno credo. Li ho visti in qualche libro, non dovrebbe trovarsi qui però. Loro abitano fuori dai confini del regno di Imirdyr.”
“Non dovremmo, che ne so...approfittarne? Per scappare tipo?” 
“Non sembra malintenzionato.”
“Ma se ci ha inseguite fino a due minuti fa!”
“Avrà avuto le sue ragioni.” Dichiarò semplicemente la donna.
Prima che potesse risponderle, l’orco le chiamò.
“A-aspettate! I-io non voglio farvi del male." Chinò alla fine il capo.
"E-ecco i-io...Non è c-che potreste avvicinarvi? E’ difficile p-parlare c-cosi” Chiese alle due che si trovavano almeno a dieci metri da lui.
Ida fu la prima ad avvicinarsi. Seguita, seppur controvoglia, da Valerie.
“Giuro che se ci uccide, ti tormento eternamente nell’aldilà:”
“Ecco... Io sono stato cacciato dal mio clan...” Confessò quello appena le due gli furono vicine. 
"E cosa vuoi dai viandanti?" Chiese Ida.
L'orco arrossì, chinando di nuovo la testa. Aspettò un po’ prima di rispondere.
“S-stavo cercando qualcuno che mi desse una mano....Magari a stabilirmi q-qui. Io n-non so dove andare...”
Ida si portò le mani ai fianchi, osservandolo.
“Un piano un po’ affrettato, non ti pare?” Commentò critica.
“Potevi rischiare di morire. E se un viandante avesse reagito male e ti avesse attaccato?”
L’orco sussultò.
Ida si massaggiò le tempie.
“I-io non c-ci avevo pensato.”
“Noto.” Sospirò.
Ogni tanto Ida riusciva a comportarsi in modo responsabile e qualche volta, era addirittura autoritaria. Quasi assumeva un’aria rispettabile. Ma questo accadeva raramente.
“Ok, non possiamo lasciarti qui ormai, quindi tanto vale che facciamo le presentazioni, ti va? Io sono Ida.”
“Valerie.” Salutò la ragazza, spostandosi piano da dietro la donna. 
Iniziava a non avere quasi più paura. Ora l’orco, le appariva quasi adorabile nella sua goffaggine.
“Mi c-chiamo Jon, p-piacere.” Cercò di sorridere l’altro.

“Allora Jon, perchè sei stato cacciato dal tuo clan?”
"Io...ecco..." Balbetto l'orco. "Sono gay." Disse tutto d'un fiato.
Ida e Valerie presero un momento per elaborare la cosa.
"Quindi...gli orchi sono omofobi?" Se ne usci la ragazza.
"Non tutte le tribù, ma la maggior parte si." Le spiegò ida. "Gli orchi sono un popolo pratico, non hanno il concetto di amore. Per loro l'atto dell'accoppiamento serve solo a fare figli, ecco perché vedono l'omosessualità come innaturale. Non la comprendono."
"Io- io sono sempre stato diverso." Confesso l'orco. "Non ho mai fatto veramente parte di quella tribù ." 
Valerie in un certo senso si riconosceva in Jon. Neanche lei aveva mai fatto parte del suo villaggio. Erano entrambi diversi. Soli.
"Non possiamo provare ad aiutarlo? " Chiese Valerie intromettendosi nella conversazione. 
"Non possiamo lasciarlo così, no?"
"Quello poco ma sicuro." Concordò Ida. "E’ un pericolo per se stesso e gli altri, se lasciato da solo. Fatto sta che non possiamo comunque  fidarci di lui, lo conosciamo da troppo poco tempo."
“Non v-voglio farvi del m-male” Si affrettò a dire Jon. “Voglio s-solo trovare u-un posto a cui appartenere.” Abbassò di nuovo la testa, triste.
Ida sospirò. “E va bene.”
Jon guardò le due speranzoso.
"Q-quindi mi a-aiuterete?"
"A quanto pare" Gli sorrise le donna.
Gli occhi di Jon si illuminarono.
"Grazie! Grazie davvero!"
Improvvisamente si alzò e le abbracciò entrambe, le due si bloccarono atterrite.
Jon si staccò subito, resosi conto del gesto un po’ troppo affettuoso. "Scusate, m-mi faccio prendere facilmente dall' e-entusiasmo" Si scusò.
Ida sospirò nuovamente. 
"Fa niente" Lo rassicurò Valerie "A me piacciono gli abbracci." 
Jon le sorrise felice. 
“Ok" Li interruppe Ida. Visto che é ancora notte e io sono parecchio stanca, direi di rimetterci a dormire. Per oggi ti dovrai accontentare di un letto improvvisato e visto che ti conosciamo da troppo poco, dormirai vicino a me" Avvertì Ida.
"Per oggi eh, dormiamo sempre su letti improvvisati." Commentò a bassa voce Valerie.
"Beh, se tu non facessi tante storie sul peso degli zaini, useremmo giacigli più decenti." La rimbeccò la donna.
Valerie le fece la linguaccia. “Ho una schiena delicata, io!”
"Comuque..." Continuò la maggiore schiarendosi la gola. "Domani contatterò una mia amica che potrebbe avere una soluzione al tuo problema."
"Grazie ancora!" Le strinse la mano l’orco.
"Si, si, andiamo a dormire, su." Disse quella, sentendo il grosso sbadiglio di Valerie. 
"Domani penseremo a tutto." Li rassicurò la donna. Spense il fuoco e i tre si addormentarono, ansiosi di arrivare al giorno successivo.

***

Il giorno dopo, Ida aveva contattato la sua amica, Phearl, attraverso un sistema di comunicazioni a distanza che utilizzava una sfera di vetro, resa magica dagli elfi, attraverso la quale si poteva comunicare con un altro possessore della suddetta sfera.
Avevano deciso di incontrarsi nella città di Sandrith. Phearl, che era la messaggera della Biblioteca di Tailyris, era dovuta andare a Draine per svolgere alcuni incarichi e poi sarebbe dovuta tornare indietro per andare al nord.
Ci avrebbero messo un altro mese e mezzo circa, vista l’assenza di cavalli o mezzi di trasporto. 
Jon avrebbe viaggiato incappucciato; una volta incontrata Phearl, avrebbero usato una carovana per nasconderlo.
Ida gli aveva detto che Phearl era una mezz’elfa dal carattere particolare e li aveva avvertiti di stare attenti a come le parlavano. La cosa inquietò non poco Valerie, che però non diede poi tanto peso alla cosa. Anche perché poco dopo, Ida cambiò discorso dicendogli che Phearl portava con sé un’altra ragazza maga, attirando così il suo interesse. Finalmente, avrebbe incontrato qualcun’altro come lei.

***

Jon, tutto sommato, era un tipo simpatico. Ma a Valerie c'era voluto molto per farlo aprire. Era timido e sensibile, in completo contrasto col suo aspetto rozzo. Amava i fiori e conosceva benissimo molti tipi di piante, dichiarando che era una delle sue passioni. 
Era molto creativo e amava raccontare storie. 
Valerie ne aveva approfittato , tartassandolo di domande sugli orchi. Amava imparare questo genere di cose. Scoprì che gli orchi erano divisi in tribù, ognuna capeggiata da un generale, cioè l'orco più forte. I generali spesso si scontravano e se uno veniva sconfitto, il suo clan veniva assorbito da quello vincitore. 
L'accoppiamento, come le aveva detto anche Ida, serviva solo a procreare; maschi e femmine votavano la loro vita al combattimento. Fin da piccoli venivano allenati a quest'arte. 
Anche fra loro però c'erano delle eccezioni. Oltre che guerrieri, alcuni orchi potevamo diventare medici, mestiere considerato al pari di quello militare. A differenza di quest’ultimo, però, non potevano diventare capi villaggio.
Le cure dei bambini, separati alla nascita dalla madre, venivano affidate a speciali insegnanti. 
La sera, gli orchi si riunivano davanti al fuoco e ascoltavano il capo villaggio raccontare storie sulla loro tribù.
Lo sguardo di Jon si illuminava ogni volta che lei gli poneva altre domande. I due non ci misero molto a fare amicizia.
Continuarono alcune settimane così, fermandosi ogni tanto in qualche locanda. Ogni volta la gente provava a fare domande su quella strana figura, ma Ida riusciva sempre a cavarsela. Una volta, a un oste troppo curioso aveva risposto :"Cosa? Ha problemi con il mio amico solo perché è un po’ diverso? Lei è veramente bigotto e chiuso!" 
L’oste si era sentito talmente tanto in colpa che gli aveva fatto anche uno sconto.
Mancava ormai poco a Sandrith e Valerie era eccitata all’idea dei futuri nuovi incontri. L’avventura si faceva sempre più interessante per lei.

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Capitolo 21
*** La regina del Sud ***



Capitolo 21 :La Regina del Sud


Il regno del Sud era una striscia di terra confinante con il mare inondato da fiumi abbastanza ampi e profondi da poterci passare tranquillamente con le navi mercantili. Le periferie erano estese e popolate di gente vivace ed indaffarata, ornate con agglomerati di case qua e là a formare piccoli paesini pieni di mercanti, posti sulle sponde dei fiumi. Più ci si avvicinava al centro urbano, più gli agglomerati di case erano estesi e rialzati a formare piccole città turrite. L'elemento perennemente presente in ogni luogo del Sud era l'acqua. Era ovunque e l'uomo si era adeguato ed aveva assecondato questa presenza: campagne e città erano piene di fiumi, laghetti e fontane. Le città più grandi ed importanti avevano anche degli acquedotti in pietra, elegantemente decorati, che portavano l'acqua nelle case dei più ricchi e nei luoghi di riunione comune tra i quali avvolte anche delle terme. Non perchè non fossero abbastanza avanzati da avere le tubature, ma più semplicemente per abbellire la città. Draine e le altre maggiori città del sud infatti, avevano i più avanzati sistemi idraulici di tutta Imirdyr.
Il viaggio nel regno del sud fu molto più rilassante e calmo rispetto a tutto il resto, anche perché Phaerl aveva iniziato a parlare con Reyeha ed avvolte faceva persino delle battute. La tensione e il disagio che la ragazza aveva sentito fino ad allora stavano man mano svanendo e il bel panorama e clima che c'erano in quella fazione del regno di Imirdyr distrassero Reyeha anche dalle sue preoccupazioni con Balkrev e la sua ignoranza sul perché della loro destinazione.
Il calore del regno del Sud infatti metteva di buon umore la ragazza. Si sentiva stranamente (poiché fino ad allora non aveva mai apprezzato particolarmente il caldo) a suo agio nel aria umida e calda caratteristica di quel territorio, sopratutto dopo le settimane trascorse tra il gelo delle montagne.  
Una volta arrivate a Draine, Reyeha quasi perse il fiato per lo spettacolo che le si presentò davanti: l'immensa città turrita portuale risplendeva di una luce azzurra, dovuta al sole che rifletteva l'acqua di un fiume, il quale contornava tutta la città scendendo verso un altro corso d'acqua immensamente più grande, nel quale affluiva. Draine infatti non era posta direttamente sulla riva del mare, come Reyeha aveva immaginato, ma sulla riva del punto dove Drainesil ed Eniar i due immensi fiumi che si estendevano su quella parte del Sud si fondevano insieme, per poi scindersi più in là ed affluire a delta nel mare, indipendentemente l'uno dall'altro. Tuttavia la parte più bassa della città era un via vai di mercanti delle razze più varie, impegnati a trasportare merci, imbarcarle e sbarcarle. Era qui che c'era il porto fluviale più importante di tutta Imirdyr: un'approdo di navi delle più svariate forme e colori, che si collegava direttamente con il porto di Arler, il porto più grande ed importante di Imirdyr in assoluto.
/Sembra quasi una versione ingrandita del ingresso della biblioteca./ Pensò Reyeha, riferendosi alla moltitudine di razze.
 La donna e la ragazza avrebbero dovuto raggiungere la parte più alta della città, quella nobiliare, coronata dal maestoso ed elegante palazzo reale, che si vedeva sin da giù.
Durante il tragitto, tra la preoccupazione di non perdere di vista Phearl e quella di far rimanere Drayeho nascosto nella piccola pseudo-borsa che aveva attaccata alla cintura, la ragazza riuscì anche ad ammirare quella movimentata città e i suoi cambiamenti man mano che si saliva di livello.
La maggior parte degli abitanti di Draine avevano la pelle scura ed i capelli chiari, in genere biondi, a causa del sole, ma visto l'affluire di gente che c'era nella capitale del Sud si vedevano persone delle più svariate carnagioni e colori di capelli. Molti di essi avevano interessanti tatuaggi e molteplici piercing, che affascinarono la ragazza. 
Reyeha e Phaerl stavano cavalcando su una strada che costeggiava la via fluviale della città sulla quale passavano traghetti con carichi di merci o pieni zeppi di persone. La vita li sembrava caotica quanto quella a Tailyris. 
/Sarà una caratteristica delle capitali.../Pensò Reyeha.
Man mano che si saliva però, la confusione ed il via-vai caotico diminuivano. Le modeste casupole e condomini, ammassati l'uno sull'altro assieme a vecchie botteghe e varie taverne venivano sostituite man mano da case sempre più grandi ed eleganti, disposte con ordine lungo la strada ed interrotte, nella parte più alta, quella vicino al castello, da sofisticate boutique e ristoranti. Gli indaffarati mercanti, i bambini urlanti e le agitate donne popolane, lasciavano il luogo a graziose signore che passeggiavano lungo le sponde del fiume, bambini in maggior parte più tranquilli ed eleganti signori che passavano sui loro destrieri, cavalli ben più grandi e curati dei loro, con pelo lungo e criniere lisce e perfette.
-Pff... buffoni! Vanno in giro con quelle sottospeci bisonti pettinati, ma se dovessero fare un viaggio più lungo di una settimana le loro bestie collasserebbero.- Detto questo Phaerl accarezzò il pelo del suo cavallo e avanzò con espressione schifata. 
Reyeha non disse nulla e la seguì, chiedendosi se davvero quei cavalli tanto imponenti fossero davvero così deboli.
Osservando le persone dei vari strati della capitale Reyeha si ricordò di Jeremia, che le aveva detto di essere originario di Draine e si chiese a quale livello appartenesse. Cercò qualche indizio, riportando a galla le descrizioni che il ragazzo le aveva fatto del suo quartiere, durante le varie "sedute di bellezza" alle quali la sottoponeva, ma non trovò nulla che potesse ricondurla a lui.
Dopo un'altra giornata abbondante di cammino, arrivarono finalmente al palazzo reale, il quale era uno spettacolo per gli occhi. Nonostante il sole fosse calato, il palazzo risplendeva nell'oscurità. Era sopraelevato rispetto alle altre case e una strada privata, che portava all'ingresso del complesso architettonico, costeggiata da lampioni elegantemente decorati che davano al tutto un'aria fiabesca, separava la reggia dal resto delle case. L'imponente ma elegante struttura si sviluppava in altezza, con una grande torre centrale coperta da una cupola di vetro finemente decorato con motivi che ricordavano lo scorrere dell'acqua. Attorno alla struttura centrale si sviluppavano in maniera asimmetrica altre torrette e capienze di varie dimensioni, sempre minori a quella primaria e ornate da finestre e portoni a sesto acuto. La cosa che più impressionò la ragazza però, fu un cascata laterale alla struttura, che sgorgava da sotto ad essa e che si trasformava poi nel fiume che contornava la città. Reyeha non aveva mai visto un castello fino ad allora e non sapeva paragonarlo ad altri, ma quello che si trovava di fronte le sembrava davvero stupendo.
L'interno non era da meno. Dopo che Phaerl si era identificata e le guardie l'avevano fatta passare, difronte alle due si aprì un corridoio monumentale le cui pareti erano adornate da sobrie colonne ed eleganti motivi geometrici, intagliati nel marmo bianco. Il corridoio era terminato da un portone anch'esso finemente decorato, ma al contrario delle pareti, i decori erano incisi su quello che sembrava essere marmo nero. Le altre due guardie poste ai lati del portone, salutarono con un cenno della testa Phaerl, dopo di che aprirono l'accesso alla sala del trono.
Davanti a Reyeha si presentò un'aula esagonale sorretta da sei colonne legate tra di loro da alti archi a sesto acuto, tre per ogni intervallo. Le colonne erano fatte dello stesso materiale del portone ed erano poste ognuna a quattro metri circa dai rispettivi angoli della sala. Quest'ultima era sormontata da un'altissimo soffitto dal quale pendeva un'imponente lampadario di cristallo. 
Dai loro piedi partiva un tappeto nero che portava ad un palco sopraelevato a forma semi-lunare sul quale era posto il trono ed i cui angoli si trasformavano in due scalinate. 
-Non dire una parola se non interpellata e fai esattamente ciò che faccio io.- Disse Phaerl a Reyeha, prima di iniziare ad avanzare con passo spedito per arrivare difronte al trono, dove le aspettava la regina, ed inchinarsi (cosa che Reyeha imitò all'istante).
-Maestà.- Pronunciò il mezz'elfo a capo chino, in segno di saluto alla regnante del Sud.
-Salve Phaerl, forza alzati.-Pronunciò una soave voce.
Reyeha non sapeva come comportarsi, non si era mai trovata davanti ad un regnante prima d'ora e d'istinto si alzò anche lei. La prima cosa che fece fu osservare, cercando di non farsi vedere, la regina. 
Era una donna molto bella e slanciata, sulla quarantina, ma molto ben portati. I capelli corvini erano raccolti in una semplice ma raffinata cipolla dietro la testa, dalla quale si salvava solo una ciocca che le incorniciava il viso dalla parte destra, mentre le labbra erano evidenziate da un rossetto rosso scuro. Aveva intelligenti occhi azzurri ed una pelle scura, come quella del suo popolo. Anche il suo vestito,(a differenza di quel che si era immaginata Reyeha) era come i capelli: niente di esagerato. Era una abito per lo più grigio scuro, ornato da strisce di tessuto nero e l'evidente decoltè non copriva molto l'abbondante seno, mentre un altrettanto abbondante spacco laterale le metteva in bella mostra la gamba destra. A completare il tutto, un trasparente velo nero posava delicatamente sulle braccia dando un tocco di eleganza in più alla donna. Non che ne avesse bisogno.
Non aveva una corona o sfarzosi gioielli ma si capiva subito che era una regina.

Si alzò dal trono ed andò in contro a Phaerl sorridendole gentilmente.
-Spero voi abbiate fatto un buon viaggio. Anche se vi attendevo una settimana fa.- Disse la donna lanciando un sorriso anche a Reyeha.
-Mi dispiace Maestà, ma purtroppo abbiamo avuto dei piccoli contrattempi.-
/Febbre quasi a quaranta, chiamalo piccolo contrattempo.../ Pensò Reyeha.
-Capisco.- Rispose la regnante con tono gentile.- Bhè, allora credo sia meglio, che per questa sera, vi siano mostrati i vostri alloggi, naturalmente dopo un delizioso banchetto. Prima però...- E si avvicinò a Reyeha. -Mi piacerebbe fare conoscenza ufficiale con questa giovane fanciulla.-
-P-piacere Maestà, mi chiamo Reyeha.-
-Piacere, il mio nome è Hina. Mi hanno parlato di te e non vedo l'ora di conoscerti meglio, ma credo che questa sera, non sia il momento migliore. Dovete essere molto stanche dopo un tale viaggio.- E dopo aver rivolto un altro sorriso alla ragazza tornò difronte a Phaerl.
-Evol.- Disse rivolta alla guardia immobile accanto al trono, un uomo probabilmente sulla trentina, con lunghi capelli blu scuro legati in una sottile coda bassa e taglienti occhi ambrati.- Accompagna Reyeha nelle sue stanze.-
Ma l'uomo sembrò indugiare. Hina si girò leggermente verso di lui e quasi dolcemente gli disse:- Tranquillo, starò bene, cosa vuoi che mi capiti in una mezz'oretta? E poi starò con Phaerl, di cui avresti dovuto imparare a fidarti. In più ci sono le altre guardie.-
Solo allora l'uomo si mosse e dopo aver fulminato Reyeha con uno sguardo truce, le disse: Seguimi!-
Il viaggio fino alla sua stanza non fu molto piacevole a causa di Evol. L'uomo andava a passo spedito, senza dire una parola, facendo crescere il disagio in Reyeha. Anche una volta arrivati a destinazione, la guardia le aprì la porta, la fece entrare in camera sua fissandola male e prima di chiudersi la porta dietro la avvisò di non uscire dalla sua stanza fino a quando non sarebbe stata chiamata.
***
Il giorno dopo Reyeha si svegliò completamente riposata e di buon umore. Il letto era comodissimo, o almeno così le era sembrato dopo tre mesi di viaggio, in più la regina le aveva fatto preparare una camicia da notte molto morbida che aveva gioito al suo riposo. Dopo averle servito un'abbondante e deliziosa colazione in camera (della quale mangiò solo metà, poiché Drayeho pensò all'altra), non sapendo cosa fare, visto che nessuno l'era andata a chiamare, Reyeha iniziò a guardarsi intorno. La prima cosa che cercò, siccome la natura chiamava, fu un bagno che fu ben lieta di scoprire abbastanza in fretta. Poi andò verso le tende che coprivano un'apparente immensa finestra e scostandole, scoprì un piccolo balconcino che dava sul fiume. 
Aprì la porta di vetro che la separava dal balcone e la prima cosa che udì fu il suono potente della cascata, poco distante. Cercò di guardare in basso per vedere se da dove si trovava lei riusciva a vederla, ma non appena si sporse e vide il dirupo su cui era sospesa, sentì un giramento di testa e fu costretta a ritirarsi subito, per poi chiudersi dietro anche la porta.
Per calmarsi si distese nuovamente sul letto e non appena si riprese cercò di giocare con Drayeho, giusto per far passare un po il tempo. Il draghetto però non era vivace come al solito, e quando Reyeha gli accarezzò la schiena, questo reagì trasalendo e mettendosi sulla difensiva, quasi il tocco di Reyeha gli avesse fatto male.
-Hey... ma cosa ti succede?-
Poi senza turbarlo ulteriormente cercò di capire cos'era che non andava. Fu allora che capì: i moncherini che aveva sulla schiena, quelli che sarebbero diventate poi le ali, stavano iniziando a svilupparsi, e da quel che aveva letto, quando le ali iniziavano ad uscire fuori non era tanto piacevole.
-Ahh... piccolo...-
Il draghetto si calmò poco dopo e dopo essersi lasciato accarezzare la testa, salì sulla spalla di Reyeha. 
Fu allora che qualcuno bussò alla porta e la ragazza si fese prendere dal panico.
-Un attimo!- Gridò quasi.
E prese subito la cintura alla quale aveva attaccata la borsetta nella quale teneva Drayeho, per poterlo mettere li nuovamente.
-Su forza entra qui, mi dispiace tenerti chiuso, ma non possiamo rischiare che qualcuno ti veda, non sappiamo come potrebbero reagire. Perciò ti prego di  resistere almeno fino a quando ce ne andremo dal palazzo.- Sussurrò poi a Drayeho, che seppur con uno sbuffetto, ubbidì.
Subito dopo entrò una guardia che le comunicò che l'avrebbe condotta dalla regina, la quale voleva vederla.
L'ansia. Reyeha sperò vivamente che ci fosse anche Phaerl, perché se si sarebbe trovata da sola con la regina non avrebbe saputo come comportarsi. 
/Ma, naturalmente, Phaerl non c'è.../
L'uomo la condusse ad un meraviglioso giardino posto su una sorta di immenso terrazzo, al centro del quale si trovava un gazebo sopraelevato, finemente decorato e sul quale stava iniziando ad arrampicarsi dell'edera. Hina era seduta su una maestosa sedia, di fronte ad un tavolino e la stava aspettando con un leggero sorriso. Evol era poco distante dal gazebo, abbastanza lontano da lasciare una leggera privacy, ma abbastanza vicino da intervenire all'istante in caso di necessità. La stava ignorando, fino a quando  non notò lo sguardo di Reyeha, allora anche lui la posò i suoi occhi su di lei, seppur non in maniera propriamente amichevole...
/Mr. Simpatia.../
Arrivata di fronte alla sovrana, Reyeha fece per inchinarsi nuovamente, ma questa la fermò.
-Tranquilla, non c'è n'è bisogno tutte le volte. Voglio solo conoscerti, siediti pure.- E indicò la sedia di fronte a lei, dall'altra parte del tavolino.
La ragazza obbedì sorridendo nervosa. 
-Come mai tutta questa tensione? Ti metto a disagio?- Chiede Hina avendo capito tutto.
-Hemm... il fatto è che non mi sono mai trovata di fronte a una regina o un re... perciò non so come comportarmi...- Ammise la ragazza.
Il sorriso sul volto di Hina si ampliò.- Bhè, se è per quello, io non mi sono mai trovata difronte ad un dominatore di draghi... Che ne dici se entrambe ci comportassimo normalmente?-
La donna riuscì quasi a mettere Reyeha a suo agio, che accettò con un "Va bene"
-Ti andrebbe una tazza di tè? Giusto per rilassarci un po.-
Reyeha accettò e poco dopo l'ordine di Hina, apparse un ragazzetto, che mise un vassoio con tazze e teiera sul tavolino, e dopo aver servito alle due il tè, venne congedato dalla sovrana.
-Potrei chiederti di vedere il tuo drago? Sai non ne ho mai visto uno rosso, sono molto antichi e rari.- Disse poi la regina, sorseggiando elegantemente dalla sua tazzina.
Reyeha rimase pietrificata. Hina lo sapeva. 
-Oh, certo. Lo tenevo nascosto, poiché pensavo che la sua presenza fosse sgradita qui...Mi spiace...-
-No, tranquilla. I draghi mi incuriosiscono, sono creature splendide a mio parere. Purtroppo fino ad ora ne ho visti solo d'acqua, poiché la maggior parte di essi si trovano qui al Sud.-
-...a me i draghi d'acqua non piacciono...-
-Oh e come mai? Se posso chiedere?-
-Bhè... è stato un drago d'acqua ad uccidere mia madre.-
-Oh, mi spiace. Ma ciò è strano...i draghi d'acqua sono i più docili tra queste creature. Rarissime volte attaccano l'uomo e solo in caso di estremo pericolo.-
-Già, purtroppo però ho visto la scena con i miei occhi... e mi è rimasta questa avversione verso di loro. Comunque...-Disse, per poi aprire il borsellino della cintura e far uscire delicatamente Drayeho, il quale si arrampicò sulla sua mano.-Le presento Drayeho, il mio drago rosso.-
Il draghetto scese dalla mano di Reyeha e si mise sul tavolino, guardandosi attorno incuriosito dalle tazzine.
-Ma è delizioso! Quanto tempo fa è nato? Sembra avere più o meno un anno.-
-Esatto, è nato l'estate scorsa, in più sta mattia ho notato che gli stanno uscendo le ali. Perciò se vuole toccarlo, la pregherei di evitare il dorso.-
-Oh! Posso?-
-Si, non è aggressivo. Faccia lentamente comunque, per sicurezza, non so come potrebbe reagire con gli estranei-
Così la donna provò a carezzargli la testolina, e dopo un primo momento di incertezza, Drayeho assecondò quel tocco delicato.
In quel momento Reyeha vide nuovamente Evol che guardando dalla loro parte, la fissava con sguardo omicida. Un brivido freddo le attraversò la schiena e avvicinandosi lentamente a Hina decise di chiederle:
-Mi scusi, Maestà... potrei chiederle perché la sua guardia del corpo mi guarda male in continuazione? E' da quando sono arrivata qui che sembra volermi uccidere...-
Hina guardò verso Evol, al quale s'indolcì di colpo lo sguardo.
-Tranquilla.- Disse riposando lo sguardo sulla ragazza.-Lui guarda male tutti quelli che si avvicinano troppo a me. E' iper-protettivo..- Continuò sospirando.- Per di più nemmeno ti conosce e questo è un punto in più a tuo sfavore.- E dopo una piccola pausa aggiunse: -E poi anche tu guardi male tutti.-
-Cosa? Davvero?-
Hina sorrise nuovamente.-Si, non te ne accorgi?-
-No... cioè non lo faccio intenzionalmente. Nessuno mi aveva mai detto nulla a proposito...-
-Forse è il tuo sguardo solito. Non sei l'unica persona che conosco che ha uno sguardo intimidatorio anche quando ti guarda normalmente.-
-Credo di si...-
-Comunque stai attenta a come gestirlo, non tutte le persone capiscono che non lo stai facendo apposta. Potresti ritrovarti nei guai per questa cosa.-
-Proverò a controllarlo... sopratutto quando entrerò nelle taverne...-
-Vedo che hai capito. Comunque ti conviene bere il tuo tè, è più buono quando è caldo, o per lo meno a me personalmente piace di più.-
La giornata, in seguito trascorse piacevolmente. Reyeha passò ancora un po di tempo con la regina per poi avere il permesso di visitare il castello, accompagnata da un servitore affinché non si perdesse.
Rimasero li ancora una settimana e la ragazza vedeva più spesso Hina che Phaerl. Infatti nei giorni seguenti, Reyeha aveva avuto altri incontri e passeggiate con la regina. Tra una chiacchiera e l'altra la ragazza ammise anche che trovava molto affascinanti i tatuaggi ed i piercing che il popolo di Draine aveva, così Hina le offrì la possibilità di farsene qualcuno e Reyeha accettò, se pur con dei dubbi. Tre giorni prima di ripartire la regina fece chiamare a palazzo un uomo che si occupava di piercing, considerato il migliore nel suo campo. Reyeha decise di farsene uno al sopracciglio siccome lo trovava particolarmente bello, ma la sua decisione tentennò quando vide l'ago con il quale le sarebbe stato fatto: lungo all'incirca 6 cm e abbastanza spesso. Alla scena era presente anche Phaerl, che se la rideva di gusto. Contro ogni aspettativa però, l'operazione non fu particolarmente dolorosa siccome l'uomo che la eseguì le mise una soluzione anestetica, che aiutò molto. Il dolore sarebbe arrivato dopo...
Nel frattempo le ali di Drayeho si stavano sviluppando sempre di più e il draghetto era man mano più indisposto e calmo. Da ciò che aveva letto, il tempo di uscita era intorno ad una settimana e mezzo circa, dopo di che non avrebbe più avuto problemi e le ali sarebbero cresciute con lui. Reyeha sperò vivamente che uscissero completamente prima di rimettersi in marcia, ma non fu così.
Ripartirono il pomeriggio del settimo giorno di permanenza, ma prima di farlo Hina volè prendere nuovamente un tè con Reyeha, come il primo giorno.
-Reyeha, ti aspetta un viaggio lungo, di cui ora tu non ne comprendi la portata. Anche se forse non te ne accorgi, hai una grande responsabilità sulle spalle ed è possibile che un giorno la tua sicurezza vacilli. Come donna, non vorrei mandartici, ma io non sono solo questo: sono una regina, e come tale devo pensare in primis al mio popolo.- Disse la sovrana a Reyeha in quella occasione, la quale, seppur non molto convinta di aver capito bene il messaggio le rispose comprensiva, dicendo:
-Lo so, non si scusi, non è colpa sua se la mia presenza è un pericolo continuo... capisco benissimo e so che minaccia rappresento. Lei è stata gentilissima, e la permanenza qui molto piacevole, perciò la ringrazio per questo.-
Hina la guardò seria per qualche istante, poi le sorrise. 
-Ne sono felice e spero voi possiate fare un buon viaggio, in tranquillità.-
Dopo quella occasione a Reyeha rimasero impresse le parole della regina, non sapeva perché ma continuava a ripensarci.
/Dio santo! Devo smetterla di farmi pippe mentali!/ Si ordinò sapendo che erano solo sue paranoie, mentre stavano cavalcando verso Arler, da dove avrebbero preso una nave in direzione di Sandrith, dove da quel che aveva capito avrebbero dovuto incontrare un'amica di Phaerl.

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Capitolo 22
*** La reliquia ***


NOTE DELLE AUTRICI
Spero stiate seguendo senza problemi i nostri salti temporali e narrativi, spero inoltre che il cambio tra noi tre scrittrici non vi ostacoli nel seguire la storia. Detto ciò, buon capitolo e buon weekend! 
-Ele-




Capitolo 21: La reliquia


Ryuga sobbalzò sulla groppa del cavallo. Non ricordava di essersi addormentato. Aveva chiuso solo un istante gli occhi al crepuscolo ed ora era già l’alba.

 Il giovane era in viaggio già da alcune settimane e alla capitale del grande regno montano del nord, Seska-Sayril , ormai mancava poco più che mezza giornata. Il viaggio era stato tutto sommato tranquillo, poche nevicate lo avevano rallentato e non era successo nulla di rilevante, nessun pericolo era insorto. Certo, il cavallo che si portava dietro non era forse il mezzo più veloce per proseguire in quella stagione nel paese, ma il fedele animale gli garantiva comunque un mezzo per il trasporto dei vivere o, in caso di battaglia, di un ferito.
Il ragazzo si stropicciò gli occhi, stiracchiandosi sulla rigida sella in cuoio. Rabbrividì subito per il gelo che filtrò attraverso la mantella di lana in cui era avvolto. Un sorriso gli rallegrò il viso. Amava l’inverno, era la sua stagione preferita.
 L’odore della legna bruciata, il rumore dello scoppiettare del fuoco nei camini, le zuppe calde della mensa, la neve, il freddo, i vestiti pesanti e il tepore delle coperte di primo mattino e alla sera nel momento di coricarsi. Adorava un po’ tutto di quella stagione che, nell’est a suo parere, durava fin troppo poco. Ma si accontentava.

 Di certo avrebbe preferito vivere in un paese come il Nord, piuttosto che al Sud, dove il caldo e l’afa erano presenti quasi dodici mesi l’anno. Ryuga detestava il caldo. Lo rendeva nervoso, irrequieto, lo faceva sudare ed affaticare senza una ragione precisa e capitava spesso anche, che durante il periodo estivo perdesse le staffe per un nonnulla.

Anche se stava apprezzando molto il viaggio nel regno nevoso, il monaco trovava alquanto scomodo dover trascorrere ore in sella. Non essendo abituato, le cosce gli dolevano quando si costringeva a restare in groppa all’animale più del dovuto. Così, durante la seconda settimana di viaggio, aveva imparato ad alternare le ore tra una leggera cavalcata e una ristoratrice camminata.
Un raggio mattutino si rifletté sulla neve, facendo capolino da dietro una montagna. La valle innevata che stava attraversando incominciava a rischiararsi e il cielo si stava ormai schiarendo, assumendo quella tonalità azzurrino biancastra tipica che preannunciava una nevicata.

/Farò meglio a sbrigarmi./ Pensò sereno, affrettando l’andatura.

A quella velocità, impiegò solo altre due ore per giungere in vista dell’imponente capitale.

Il sole era ora alto e illuminava i tetti scuri pendenti dell’agglomerato urbano; la neve imbiancava ulteriormente il marmo chiaro di cui erano costruiti i lussuosi palazzi dei nobili, facendoli risplendere quasi in maniera dolorosa. Da lontano, Ryuga riusciva a vedere la gente muoversi per le strade con rapidità, indaffarata nelle proprie mansioni, quasi come uno gli sciami di formiche. Pennacchi di fumo grigio si innalzavano dagli sfiatatoi delle fabbriche, disperdendosi quasi per magia nell’aria pura di quel luogo. Nel nord venivano estratti e lavorati la maggior parte dei metalli e dei materiali edilizi di cui tutto il regno usufruiva, per questo vi era la presenza di molte fabbriche e anche di molti posti di lavoro facili. Due edifici imponenti davano all’occhio più degli altri. Il palazzo reale, un edificio colossale che svettava sui palazzi sottostanti, plasmato nella forte e dura pietra della montagna, nel quale risiedeva il re del regno Nord ed anche la sede del consiglio, che si riuniva lì ogni due anni; poi, più in basso e lateralmente, vi era un edificio dalle facciate lisce e le colonne immense e vertiginose: il tempio di Imyr. Era quella la meta del giovane.

Ryuga era stato lì solo un’altra volta, Delito glielo aveva detto. Quando ancora era in fasce, il monaco lo aveva portato lì a benedire e consacrare al dio, per questo il giovane non conservava nessuna memoria di quel luogo.

Dopo aver superato la cinta muraria di cui era fornita la città ed essersi fatto schedare nei registri, pagando la tassa di ingresso stabilita dal re, il monaco s’avviò come ordinatogli verso il tempio, così da poter svolgere in fretta l’urgente incombenza che ora lo angustiava di nuovo.
Mentre percorreva le strade, parve stupito nel constatare che per esse vi fosse pochissima neve. Come poteva esserci poca neve in una città in cui nevicava quasi costantemente?

Incuriosito, si fermò a chiedere a un bottegaio che vide lì, intento a scrollare il ghiaccio dalla sua insegna.
“Non sei di qui, eh?” Rispose burbero il negoziante, scrutando il volto del ragazzo, coperto dal pesante cappuccio.
Ryuga aveva preferito celare il viso sotto l’ombra protettiva della stoffa, così da non destare paura nello sguardo di coloro che lo avrebbero visto passare. Non molti erano abituati a vedere in giro uno come lui o i suoi occhi.

Dopo un’ultima occhiata furtiva, l’uomo si decise a parlare, se ben restio ad indagare sulla provenienza dello straniero.
“Devi sapere, che sotto la città c’è un reticolo di tubi e caldaie, che percorre tuuuuutte le strade ed anche qualche muro, ma solo quelli dei più facoltosi. Questi tubi, portano il fumo prodotto dalle fabbriche e dalle loro fornaci verso l’esterno, ma prima di ciò, esso viene usato come fonte di calore e poi depurato attraverso delle pale. Il calore scioglie la neve che fluisce nelle fogne e viene usata, dopo trattamento, come acqua potabile. Ora…non so bene come facciano, non sono mica un ingegnere io! Ma spero di averti dato una risposta esauriente.” Concluse lapidario tornando al suo lavoro.
Il ragazzo rimase a bocca aperta per la spiegazione di quel complicato ed ingegnoso meccanismo.

“L-La ringrazio. E’ stupefacente.” Disse ancora, sorpreso dalla vastità di ciò che era nascosto sotto i suoi piedi e al quale a nessuno, stranamente a parer suo, dava peso. Forse l’abitudine privava di questa reazione.
“Puoi ben dirlo figliuolo!” Lo salutò l’altro rientrando in bottega.

Guardandosi intorno durante il tragitto, Ryuga ripensava a come l’uomo fosse capace di adattarsi a qualsiasi situazione e questo lo affascinava. Per uno come lui, che aveva bene o male vissuto rinchiuso, scoprire così tanto in così poco tempo era più unico che raro.
Giunto dinanzi al tempio, il ragazzo virò presso una via laterale, come da indicazioni. La via era schiacciata tra la parete dell’edificio e la montagna e conduceva ad un ingresso secondario, adibito solo al clero.

Una porta in legno, solida e robusta gli si presentò davanti quando giunse alla fine. Il ragazzo bussò tre volte, ma nessuno aprì. Attese qualche minuto immobile, paziente, poi sentì una chiave scorrere nella serratura. Sorrise speranzoso, attendendo che la porta si aprisse. Da dentro l’edificio venne fuori un uomo nerboruto, che lo osservò con sguardo serio ed altolocato, quasi ad accusarlo di averlo disturbato.

“Tu saresti… ? “ Chiese questo con voce velata di disprezzo.
Ryuga non rispose, intimidito. Porse come presentazione un’unica lettera, scritta di pugno dal saggio Loen, che gliel’aveva affidata.
Lo sguardo di quello che apprese essere un sacerdote, viste le insegne del vestito, mutò dallo scetticismo alla riverenza quasi, per poi ritornare ad uno, più imperscrutabile.

Con fare frettoloso, lo condusse prendendolo per un braccio all’interno, richiudendo dietro di sé la porta, in maniera guardinga.
“Qualcuno ti ha seguito? Hai parlato con qualcuno di ciò che sei venuto a fare qui?” Chiese lapidario e monotono l’uomo di fede.
“No, signore.” Rispose sincero il ragazzo, mentre seguiva la guida verso una nuova stanza più ampia e luminosa, in cui l’uomo si chiuse insieme a lui.
Il sacerdote doveva avere all’incirca quarant’anni, viste le poche rughe del volto e l’appena grigiore dei capelli, dedusse il giovane. Quello, si posizionò innanzi a lui, le braccia dietro la schiena e lo sguardo scrutatore serio. Gli ordinò giusto di togliersi il cappuccio, poi stette in silenzio per qualche secondo.
Ryuga obbedì controvoglia, infastidito dai suoi modi ambigui.

“Mmm…capisco. Ebbene dimmi, è vero che il saggio ha avuto una tale catastrofica visione?” Chiese con tono calmo il maggiore.
“Si, signore.” Rispose marziale Ryuga.
“Via con queste formalità.” Fece cenno con la mano l’altro, minimizzando. “ Il mio nome è Grago. Sono uno dei vescovi di questo tempio e si da il caso, mio caro, che tu sia stato fortunato che sia stato io ad aprirti. Se ti avesse aperto qualcun’altro, probabilmente ti avrebbero cacciato via a pedate, accusandoti di eresia.” Asserì quest’ultimo, sedendosi su di una poltrona del salottino in cui erano chiusi.
“Mi scusi, può spiegarmi il perché?” Il monaco parve disorientato.
Il maggiore sospirò, invitandolo a sedersi.

“Devi sapere…che da quando Samael, l’altro vescovo di questo tempio, è salito in carica di sommo sacerdote, tutti qui, chi più chi meno, sono stati influenzati dal suo pensiero. Complice la giovane età dei novizi, forse. In molti credono che le visioni del saggio Loen siano solo sogni che influenzano a tal punto gli altri, da riscontrarsi poi negli avvenimenti futuri a discapito dei malcapitati che hanno creduto in esse.” Spiegò il sacerdote.
“E’ una menzogna!” S’alterò il ragazzo. “Le visioni del saggio sono reali, non sono fantasticherie!”
“Lo so bene…” Proferì l’altro, quasi sospirando. “Or dunque. Nella lettera, che tu fortunatamente mi hai recapitato, era menzionato il mio nome.” Ryuga non aveva aperto la lettera per rispetto, quindi non aveva idea di cosa contenesse e come rispondere. Preferì restar zitto, in attesa di ordini o quant’altro.

“Loen vuole che te lo mostri.” Con un gesto, il vescovo lo invitò all’assoluto silenzio, indicandogli di seguirlo. Gli fece cenno anche di ricoprirsi il volto, onde evitare spiacevoli spiegazioni.
Lo condusse attraverso l’edificio, superando velocemente gli ambienti comuni a tutti i suoi abitanti. Fortuna volle, che incontrarono solo un giovane novizio disinteressato ai due incappucciati che camminavano verso le stanze adibite a museo delle reliquie.

“Eccoci.” Grago si arrestò tra le teche della stanza.

Il locale era ampio. Il pavimento era ricoperto da mattonelle pregiate e riccamente decorate con motivi geometrici e floreali, dai colori tenui ma vari. Teche e nicchie nascondevano i tesori e i manufatti che la sua religione venerava e ora, Ryuga era di fronte a quella che lo interessava e di cui aveva bisogno per compiere la sua missione e il suo destino.

Una teca quadrangolare, con all’interno uno sfarzoso cuscinetto rosso sangue. Su di esso, vi era un oggetto dall’apparenza inutile, ma contrariamente, era importante per uno come lui, nella cui vita la religione era stata ed era tuttora il fulcro.


Un sasso. O meglio una pietra tondeggiante. La prima pietra, che secondo la leggenda e le scritture, il potente Imyr avrebbe posato a terra dopo aver creato il suo regno, compiaciuto dal risultato. Quel mero pezzo di roccia grigia, dalle venature azzurrine sulla superficie all’apparenza liscia, le quali andavano a formare lo pseudo simbolo del dio, era l’oggetto, secondo Loen, più potente che potessero usare. L’unica arma, l’unica salvezza, l’unica ancora di speranza alla sua visione. Secondo la leggenda, la pietra, a causa del tocco della mano del dio, era stata imbevuta di parte del potere del dio e Loen sperava che esso fosse sufficiente a far richiudere la voragine maledetta.

Ryuga era immobile, sia affascinato che confuso. Sperava che Loen avesse ragione su quella pietra, come sperava che la sua fede e le sue preghiere avessero ascolto. Ma come poteva un sasso salvarli?

/Ruoterà sul serio tutto intorno ad esso?/ Si chiese, prima di rivolgersi al sacerdote che rimirava anche lui la reliquia.

-Quindi posso prenderlo?- Pose la domanda quasi come se fosse una banalità, credendo di poter continuare il viaggio, così come se nulla fosse.
-Ovviamente no! Sei impazzito?- Il ragazzo parve confuso dalla risposta schietta.
-Ma io…-
-Credi sul serio che non si accorgeranno che te l’ho dato? La chiave della teca la ha solo il sommo sacerdote, quindi anche volendo, non posso dartelo e non possiamo sfondare il vetro. E’ protetto da un incantesimo donato dagli elfi. - Spiegò paziente l’altro che lo aveva interrotto.
- Allora cosa devo fare?- Richiese ancor più confuso il giovane.
-Attendere. E cercarti un posto dove dormire. Ti consiglierò una buona locanda. Nel frattempo, cercherò di intercedere per te con Samael. Cercherò di fargli aprire gli occhi, spero. – Terminò il maggiore, facendogli segno di uscire.
-Mi fido del vostro giudizio.- Concesse Ryuga.

Dopo aver preso le indicazioni per il pernottamento, il ragazzo si avviò in strada, affidandosi alla cura del sacerdote per quanto riguardava la reliquia.
Mentre si dirigeva alla locanda, passò dinanzi un negozio di quadri. Uno, in particolare, attirò la sua attenzione per qualche attimo. Una ragazza dai capelli color mogano, vestita con gli abiti tipici del nord, giocava con la neve, sorridendo allegramente. Subito il pensiero volò alla sua amica Elaera, di cui nel viaggio aveva sentito spesso la mancanza.

/Chissà ora cosa starai facendo…/ Con la mente altrove, il ragazzo si perse tra la gente.

 
***
 
Una risata assordante coinvolse tutti i bambini nel cortile. Elaera aveva la capacità di far mettere tutti a ridere, solo ridendo ella stessa.
Si era abituata alla vita in città. Si alzava relativamente presto, svolgeva le consuete faccende domestiche senza fretta, aiutava Edel con i figli, la seguiva all’orfanotrofio e lì, passava buona parte della sua giornata. Per lo più giocava con i bambini o chiacchierava con Cassandra nei suoi momenti liberi. Aveva anche imparato molte cose che non conosceva nelle sue lezioni.
 Le piaceva la coetanea.

La ragazza insegnava a leggere, a scrivere e fare da conto ai bambini più piccoli, aiutandoli ad integrarsi come meglio poteva quando arrivavano lì, dopo aver perso la loro famiglia. Ai piccoli piaceva. I suoi occhi azzurri, così dolci e spensierati, erano un toccasana. Per non parlare del carattere frizzante che la caratterizzava. Definirla quasi un’eterna bambina era un eufemismo e le trecce che talvolta portava legate sul capo lo confermavano.
In più, all’avventuriera piaceva sentir raccontare dalla ragazza le avventure di lei e Kandara da ragazzini. Essendo cresciuti insieme, ne avevano passate di tutti i colori e questo faceva quasi invidia alla ragazza che nella sua infanzia non aveva avuto amici con cui giocare.
La ragazza ricacciò indietro le lacrime causate dal troppo ridere, salutando con la mano i bambini e dirigendosi insieme ai figli di Edel verso casa. La madre stava finendo una lezione e li avrebbe quindi raggiunti sul tardi.

-Elaera! Stasera tocca a te cucinare vero?- Le chiese il più grande dei figli della matrona.
-Si hai ragione, stasera tocca a me.- Le confermò la ragazza con un sorriso.
-Cosa farai?- Chiese il più piccolo, che teneva in braccio.
-Qualcosa di buono senz’altro!- Dichiarò ella, iniziando a correre, col bambino che subito le si aggrappò urlando al collo, mentre gli altri due la seguivano di corsa ridendo.

Elaera si chiese se quegli attimi di spensieratezza potessero durare per sempre.
Da quando si era stabilita lì, dopo essere venuta a conoscenza di realtà che le erano estranee, la ragazza si era continuamente chiesta se la guerra, il combattere per uno scopo o per qualcuno, uccidere o proteggere, creare orfani o aiutarli, fossero cose giuste. Chi aveva ragione e chi torto? Se magari, innalzarsi a difesa dei bambini in tutto il regno, benché estranei, non fosse sbagliato? E ciò le aveva fatto pensare a Ryuga. A quello che il ragazzo, restio di ogni dubbio, aveva accettato di difendere.

Se fosse esistito un modo per fermare i conflitti e regalare a molti più bambini un sorriso, sì…forse lei sarebbe stata disposta a cercarlo e magari, anche a combattere per esso. 
 

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Capitolo 23
*** Fiori ***



Capitolo 23: Fiori

Valerie, Ida e Jon erano ormai arrivati a Sandrith.
La mattina dopo si sarebbero incontrati con Phearl, l'amica di Ida e messaggera della biblioteca di Taylris e Reyeha, l'altra ragazza maga.
Valerie non vedeva l'ora d’incontrarla. 
Finalmente avrebbe conosciuto un'altra maga come lei. Qualcuno che potesse capirla. 
Per di più era vicina alla sua età. 
La ragazza non poteva fare a meno di chiedersi che aspetto e carattere avesse Reyeha, forse anche lei si stava facendo le stesse domande....allo stesso tempo, però non voleva farsi troppe aspettative che poi potessero rivelarsi deludenti.
Quando finalmente scacciò questi pensieri, Valerie si accorse di dove si trovasse realmente. 
Sandrith era una città stupenda, con alte costruzioni turrite, fiumi e fontane ovunque. 
Ce n’era una bellissima proprio al centro del mercato. 
Era costruita in quello che sembrava marmo grigio, si articolava su diversi piani, decorati ciascuno da piccoli lapislazzuli disposti in motivi marini e che con lo scorrere dell'acqua brillavano vivaci. Sull'ultimo piano era scolpita una sirena con in mano un vaso dal quale usciva l’acqua zampillante.
Il mercato, articolato intorno alla fontana, era gremito di persone per la maggior parte dalla pelle scura e i capelli chiari, probabilmente per via del sole. Non mancavano tuttavia forestieri e persino alcuni elfi, folletti e gnomi. 
Si vendeva di tutto, dal cibo ai piercing, c'erano persino dei tatuatori. 
Valerie avrebbe voluto tanto farsi fare un tatuaggio.... Ma non pensava che Ida glielo avrebbe lasciato fare. Comunque, si avvicinò lo stesso al tatuatore per guardarlo all'opera e gli chiese informazioni su quello che stava facendo, su come funzionasse, dove avesse imparato; guardò alcuni dei suoi schizzi e osservò mentre eseguiva il suo lavoro, dopo un po’ decise di guardarsi intorno per vedere dove fossero Ida e Jon.
La prima stava da un mercante di armi a contrattare mentre l’altro guardava una bancarella di fiori, affascinato.
Valerie si avvicinò a lui.
Jon iniziò a parlare prima ancora che Valerie potesse dire qualcosa. 
"Ci sono cosi tanti fiori diversi qui. Molti di questi li avevo visti solo nei libri."
"Non ci sono molte specie di fiori dalle tue parti?"
"Gli orchi non sono esattamente amanti della botanica."
“Immagino, con la storia del pragmatismo...”
L’orco annuì, si avvicinò ad un grosso vaso con dei fiori dallo stelo lungo all'incirca un metro che emergeva da una specie di rosetta di grosse foglie radicali, strette e lineari, dall'estremità appuntita. I petali, in cima alla stelo, iniziavano a sbocciare dal basso; erano bianchi con una striscia scura al centro.
“Sono Asfodeli” spiegò. “Qui sono molto comuni, o almeno cosi ho letto. La radice è commestibile, inoltre vengono spesso associati all'aldilà, per via del colore grigio dei petali.”
“Queste invece” disse indicando altri fiori, dai numerosi petali bianchi “sono Camelie. Vengono utilizzate per alcune bevande locali e simboleggiano la devozione fra gli amanti e il sacrificio d’amore. Sono fiori molto romantici.”
“Quelli sono Ciclamini...quelle invece sono Dalie” continuò, entusiasta. “Quelli sono Garofani, oh mio dio questi devono essere Gigli!” 
“Ok, ok calmati” cercò di tranquillizzarlo la ragazza “Cosi vai in iperventilazione... oltre ad attirare l’attenzione...” indicò alcune persone che si erano girate a guardarlo, turbate. 
Anche il fioraio, che era distratto da una cliente esigente, aveva interrotto la conversazione per osservare lo strano individuo.
“Ah, scusa.” Rispose Jon, coprendosi ancora di più il capo con il cappuccio, chiaramente a disagio. “E’ c-che è t-tutto cosi n-n-nuovo per me....”
“Lo capisco, è normale” lo rassicurò lei “Dai, andiamo a vedere cosa sta facendo Id-”
“Aspettate” Li interruppe il fioraio. 
Era un ragazzo giovane, sulla ventina probabilmente, alto e slanciato, dal fisico definito. I capelli ondulati, lunghi fino alle spalle, erano di un nero particolare che lasciava intravedere dei leggeri riflessi blu. Un colore peculiare per un umano, pensò la ragazza; che però decise di non fargli domande. Lei di certo era l’ultima che potesse parlare di capelli strani. 
Gli occhi, dalla forma allungata e leggermente a mandorla, erano di un azzurro penetrante, quasi viola sui bordi dell’iride. Benché abbronzato, aveva una carnagione insolitamente chiara per uno di quelle parti. Il viso, ovale, aveva lineamenti delicati, ma non femminili. Valerie notò anche la presenza un unico neo sotto l’occhio destro

“Scusatemi se prima non vi ho assistito, purtroppo la cliente aveva parecchie richieste. Non ho potuto fare a meno, tuttavia, di notare il suo interesse per i fiori.” Disse cordiale, rivolgendosi a Jon che, sorpreso dall'interesse del ragazzo, ci mise un po’ a rispondere e lo fece solo dopo essere stato sollecitato da una gomitata di Valerie 
“Eh, ah si...ecco, a me p-piacciono molto i f-fiori, solo c-che da d-d-dove v-vengo io n-non c-ce ne s-sono m-molti”
Il ragazzo sembro soppesare le sue parole ma non fece domande.
“Capisco... Beh, non sentirti messo in soggezione dalle persone del posto, qui siamo tutti molto aperti e nessuno fa più di tanto caso al tuo paese di appartenenza...o alla tua razza.” 
Guardandosi intorno, Valerie aveva notato che le persone erano già tornate ai loro affari, come se lo strano aspetto di Jon non fosse poi tanto inusuale.
“Prenditi il tuo tempo per guardare i fiori e sentiti libero di farmi tutte le domande che ritieni necessarie.” Gli disse, sorridendo gentilmente.
Jon non se lo fece ripetere due volte e si mise a osservare ogni singolo fiore con estrema attenzione ed entusiasmo.
Poi, il ragazzo guardò Valerie. 
“Immagino che anche tu non sia di queste parti.”
“Ehm...no, infatti. Vengo dall'ovest.”
“Hai dei colori inusuali, per una dell’ovest” Osservò.
“Anche tu non sembri del sud.” Cercò di controbattere Valerie; non poteva certo dirgli che era dovuto al suo essere una maga della creazione.
“Infatti, mia madre viene dal sud e mio padre dal nord. Diciamo che ho ripreso tutto da lui.” 
“Siete avventurieri?” Chiese curioso il ragazzo.
“Si, più o meno.” 
In un certo senso era cosi. Anche se si “avventuravano” alla ricerca di gente da derubare.
“Avete qualche meta in mente?”
/Cavolo, quante domande./ Pensò, leggermente infastidita.
“Niente di preciso, ancora.”
“Capisco...” Disse lui, scrutandola attentamente. Era come se stesse guardando la sua anima.
“Allora...lascia che ti dia un fiore in regalo, affinché ti porti fortuna.”
“Non è necessario, davvero.” Rispose modesta.
“Insisto.” 
Le porse un fiore composto da quattro grossi petali rosa, con macchie scure alla base. Valerie lo prese, incerta.
“Non morde mica.” Scherzò lui. 
“E’ un papavero. Di solito, i papaveri simboleggiano il sonno eterno, l’oblio, la stanchezza. Quelli di questo colore, tuttavia, simboleggiano serenità e vivacità. Cosi come questo papavero ha due significati, cosi anche tu hai davanti a te due strade. Ma stai attenta, nessuna può esistere senza l’altra. Il cammino è lungo e molte scelte difficili ti aspettano, Valerie.”
“Cos-” Prima che Valerie potesse chiedergli come facesse a sapere tutte quelle cose, Ida la prese per il braccio, trascinando via lei e Jon. 
Il ragazzo le sorrise, poco prima che lei lo perdesse di vista, nascosto dalla folla.
Dopo essersi allontanate abbastanza dal mercato, Ida si fermò, lasciandoli andare.
“Perché correvi?” Chiese infuriata la ragazza.
“Potrei, come non potrei, aver rubato una certa cosa...” 
“OHMIODIO IDA.” Esclamò esasperata.
”Suvvia! E’ che il mercante era ricco e l’arco era bello e...” Disse, mostrando l’arco in legno bianco, probabilmente abete. Intarsiato e decorato da diversi motivi che Valerie riconobbe essere elfici, li aveva visti in un qualche libro tempo prima, al centro aveva una pietra verde, forse smeraldo, incastonata in un cerchio d’oro a motivi floreali.
“E?” La esortò.
“E la pietra brillava. Tu sai quanto io ami le cose brillanti! Ero quasi riuscita a farmelo dare per due spicci, convincendolo che fosse falso, solo che è arrivato un tizio e mi ha scoperta, quindi ho preso l’arco e sono corsa via.”
Valerie si massaggiò le tempie, incredula, mentre Jon la esortava a respirare lentamente e a calmarsi.
“Tu, invece, che cos'hai preso?” Le disse la donna, cercando di cambiare discorso.
Indicò il papavero che Valerie teneva ancora in mano.
“Ah, me l’ha dato il fioraio....” Disse, senza aggiungere altro. 
Non voleva preoccupare Ida e Jon inutilmente. La discussione era stata strana, certo, ma Valerie aveva la sensazione di potersi fidare di quello strano ragazzo...che fosse un mago? 
Fatto sta, che ormai l’aveva perso di vista e non sapeva se lui sarebbe stato ancora lì il giorno dopo.
“Il fioraio te l’ha regalato?“ Chiese Ida.
“Si, è stato molto gentile, ha detto che era un regalo di buon augurio per il nostro viaggio. Si era anche offerto di aiutare Jon con i fiori.”
Ida la guardò, poco convinta.
“Ma per te tutti hanno sempre secondi fini?!” Rispose indignata Valerie.
“Non tutti.” ribatté la donna “la maggior parte. Comunque sia, stai attenta.”
“Si, si...” La assecondò lei.
“Io direi che per oggi abbiamo fatto fin troppo.” continuò, cambiando discorso. “Che ne dite di trovare qualche taverna, ostello o quant'altro? Sono esausta.”
“A-anch'io s-sono e-esausto ad essere s-sincero” l’appoggiò l’amico. “Non s-sono abituato a luoghi cosi affollati.”
“Ti capisco, era cosi anche per me all'inizio.”
“Ok” concordò la donna “correre mi ha stancata.”
“Ah, davvero? Allora forse non avresti dovuto prendere l’arco.” Commentò acida la ragazza.
“Troppo tardi” rise la donna “quel che è fatto, è fatto.”
Valerie sbuffò, infastidita.
Trovarono posto in una piccola taverna, dove l’oste, una donna matura ma a suo modo bella, con la pelle scura, gli occhi verdi e i corti arruffati capelli neri, li accolse calorosamente. Gestiva il posto insieme al fratello, non presente al momento perché occupato a comprare provviste per la taverna insieme alla moglie. Si faceva aiutare anche dal figlio ventenne e dal marito, soprattutto quella sera, poiché il fratello le aveva affidato le sue due figlie gemelle di appena dieci anni. 
Valerie parlò un po’ con la gente del posto, mentre Jon cercava di farsi notare il meno possibile. Più per timidezza che per altro.
Imparò che il Sud, e in particolare Draine, la capitale e le altre città importanti, avevano i più avanzati sistemi idraulici di Imirdyr.
Portavano l’acqua soprattutto nelle case dei ricchi e nelle terme, ce n’era una anche a Sandrith. Le spiegarono anche che non era strano per loro vedere elfi, folletti, gnomi e quant'altro. 
Essendo un regno portuale e commerciale, vi affluivano navi mercantili di ogni razza e popolo. Questo aveva reso le persone del posto aperte e cordiali con chiunque. Anche per questo motivo, non si poteva parlare di un abbigliamento comune, si riconoscevano influenze dall'est, ovest e c’era persino qualcosa del nord.
Ida, nel frattempo, aveva stretto amicizia con l’oste, alcuni avventurieri e qualche persona del posto e si era riuscita a far offrire da bere da alcuni di loro.
Le gemelle avevano iniziato a tempestare di domande Jon sul perché tenesse il cappuccio al chiuso, come facesse ad essere cosi grosso, perché balbettava, come mai avesse i guanti e cose del genere. Jon cercava di rispondere vago, ma la cosa gli riusciva difficile visto che lo interrompevano prima ancora che iniziasse a parlare.
Valerie si lasciò scappare una risata. 
Dopo un po’, il marito dell’oste, un uomo dalla carnagione abbronzata, i capelli rossi e diverse lentiggini sul viso, arrivò finalmente in suo soccorso.
“Scusale, sono delle pesti.” Disse mentre le prendeva per le orecchie e le portava dietro al bancone.
Un ragazzo, vicino a Valerie, sospirò esausto prima di porgerle un boccale d’acqua.
“Spero che questa fase gli passi presto, non stanno ferme un attimo.” Commentò, rivolto alla ragazza.
“Piacere, comunque, sono Gil, il figlio dell’oste.” Si presentò cordiale.
/Ma che vuole da me la gente oggi?!/
Era un ragazzo di media altezza, forse anche un po’ basso dal fisico muscoloso e la carnagione mulatta. Gli occhi erano dello stesso colore di quelli di Valerie e i capelli rossi, corti e scompigliati finivano in un lungo codino raccolto in una treccia che gli cadeva lungo la spalla. Il viso era contornato da alcune lentiggini e aveva un neo vicino alle labbra.

“Gabriele mi ha parlato di te.” Disse, prendendola alla sprovvista.
“Gabriele?” Chiese lei.
“Il fioraio che hai incontrato oggi.”
“Quindi lo conosci?!”
“Si....più o meno...” rispose come se volesse aggiungere altro. “Mi ha detto che se ti avessi incontrato in taverna ti avrei dovuto chiedere scusa da parte sua per oggi, il suo comportamento deve averti inquietato. Voleva anche dirti che aveva le migliori intenzioni” Spiegò.
“Lui è un mago.”Aggiunse, abbassando la voce cosi che solo lei potesse sentirlo. “Come te...Legge nel cuore delle persone, spesso lo fa in modo involontario. Si scusa anche per quello.”
“Gil! Ho bisogno di una mano!” Lo chiamo la madre.
“Eccomi!” rispose lui. “Un’ultima cosa: voleva dirti che non sei sola e che spera tu trovi quello che cerchi!” Le disse prima di congedarsi ed andare ad aiutare la madre lasciandola ammutolita.
Non sapeva che pensare. Era tutto cosi strano.
Il resto della serata proseguì tranquillo, si erano fatti benvolere da un po’ tutti li dentro e quando finalmente andarono nella loro stanza, le persone li salutarono contenti.

Ida si era già addormentata da un pezzo quando Valerie si buttò sul letto, esausta. Si ricordò del papavero che ancora si portava dietro. Lo osservò. 
Lei aveva due strade, una delle due era l’oblio, ma l’altra? Il suo sogno di diventare una grande maga si faceva sempre più lontano, a malapena riusciva a fare un bastoncino di ghiaccio... Ripensò alle parole di Gabriele, le aveva detto che nessuna delle due strade poteva esistere senza l’altra. Cosa voleva dire? Forse l’oblio non sarebbe mai scomparso. Sarebbe rimasto con lei per sempre....Si sedette, tormentata da quei pensieri. 
Era sempre stata sola fino a quel momento e ora aveva incontrato un altro mago come lei e l’indomani ne avrebbe conosciuta un’altra ancora, forse era per quello che le aveva detto che non era più sola, inoltre ora aveva Jon e Ida. Erano successe tante cose da quel giorno al villaggio ed era sicura che ne sarebbero successe tante altre ancora. 
Poi, notò Jon appoggiato al suo letto, con un quaderno su cui stava disegnando qualcosa.
“Cosa disegni?” Chiese lei, sbirciando da dietro le spalle dell’amico.
“Ah..ehm e-ecco m-mi piace f-fare s-schizzi di tu-tutti i f-fiori che vedo, m-mi appunto an-anche q-qualche informazione. Per a-averli s-sempre sottom-mano, e-ecco...” Disse, mostrandole il disegno del giglio che aveva visto oggi.
“Disegni molto bene!” si complimentò “Anche a me piace disegnare, sai? Però non ho molto tempo per farlo....” Aggiunse, mostrandogli un suo quadernino personale su cui schizzava volti più che altro.
“G-grazie.” rispose timido l’altro. “A-anche tu s-sei molto b-brava.” Disse, sfogliandolo.
“P-posso vederlo?” Disse, indicando il papavero in mano alla ragazza.
“Certo!” rispose lei, porgendoglielo.
“E’ bellissimo....” osservò. “S-sai, i p-papaveri s-sono frai i pochi f-fiori c-comuni d-d-dalle n-nostre p-parti.”
“Davvero?”
“S-si, n-ne ho diversi schizzi....” Disse, mostrandogli i disegni di vari tipi di papaveri.
“Wow..” Esclamò la ragazza.
“Ti lascio finire il disegno.” aggiunse poi “sono troppo esausta per rimanere sveglia oltre.”
“C-certo! E-ecco a te.” le rispose Jon, ridandole il fiore. “Buona notte.”
“Buona notte”
Prima di mettersi a dormire, decise di mettere il papavero fra le pagine del suo quaderno, voleva che si conservasse.
Poi si stese e cadde velocemente in un sonno profondo.

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Capitolo 24
*** Incontri fastidiosi ***



Capitolo 24: Incontri fastidiosi 


La nave dalla quale si erano fatte dare un passaggio era abbastanza confortevole e veloce, infatti arrivarono a Sandrith in poco meno di una settimana, durante la quale Reyeha poté intravedere qualche drago acquatico che si muoveva sinuoso ed elegante sulla superficie dell'acqua. 
Più che spaventosi rettili sembravano... papere, o per lo meno quello ricordarono a Reyeha a causa dei loro movimenti simili a quelli dei volatili. 
Al vederli nel loro ambiente naturale, la ragazza ripensò a ciò che le disse a proposito la regina e capì che effettivamente aveva ragione. In ogni caso, quegli animali le davano ancora fastidio, perciò ogni volta che ne vedeva uno rientrava nella piccola cabina che il capitano aveva assegnato loro. 
Non usciva molto in generale. O almeno non lo fece finché a Drayeho non spuntarono le ali. 
Preferiva non portarsi l'animaletto con sé, poiché avrebbe dovuto costringerlo a stare nel taschino, rischiando di fargli male ad ogni movimento. Perciò usciva giusto qualche minuto per riprendere aria e, anche allora, non si allontanava dalla porta della cabina. Il terrore che qualcuno potesse scoprire Drayeho e portarlo via per venderlo da qualche parte la angustiava. 
Da quel che aveva capito, un drago rosso valeva moltissimo, visto la loro rarità, sia vivo che morto. Una volta che le ali (molto piccole e diafane) spuntarono fuori, uscire divenne più facile, per certi versi...poiché l'euforia di aver passato finalmente quel fatidico periodo, fece diventare Drayeho alquanto irrequieto...
Il porto in cui approdarono si estendeva lungo la costa di un'ampia baia, affollata di svariate barche, traghetti e navi.
Fu una di quest'ultime ad attirare l'attenzione di Reyeha. Era una nave mercantile, molto grande con una polena a forma di dragone. 
Lo sguardo di Reyeha venne poi catturato da una ragazza che stava "passeggiando" barcollante su uno dei bordi della nave, con indosso dei vestiti che ricordavano quelli dei pirati. Dietro ad essa ce n'era un'altra che camminava tranquillamente al suo fianco, restando comunque attenta che l'amica non precipitasse in mare.
Una volta scese dalla nave, Reyeha seguì Phaerl che stava andando a incontrare un mercante consigliatole dalla regina, così da comprare una carovana. 
Il perché non lo sapeva. Di nuovo.
/Eeee siamo a...20 cose che non so perché le stiamo facendo?/
Il mercante era un uomo sulla trentina, con capelli neri e chiari occhi azzurri. Aveva un fisico androgino e un fascino alquanto femminile. 
-Salve, vorremmo comprare una carovana.- Disse Phaerl avvicinandosi all'uomo.-Ho sentito che ne ha di decenti. Spero.-
-Certo, sempre lieto di fare affari.- Rispose quello.- Le nostre carovane sono le migliori di Imirdyr.- 
Mentre Phaerl contrattava con il mercante, una voce alle spalle di Reyeha la inquietò.
-Tu sei una maga vero?-
Reyeha si girò lentamente per vedere chi fosse l’interlocutore e si ritrovò di fronte la stessa ragazza che aveva visto prima in equilibrio sul bordo della nave.
Era una sua coetanea, con grandi occhi verdi e capelli castano chiaro.
-No...- Rispose Reyeha con poca convinzione nella voce mentre la fulminava con lo sguardo.
-Ma i tuoi capelli dicono il contrario, a meno che quella sfumatura non sia un residuo di una passata tinta. E comunque tranquilla! Non sono mica razzista, eh.- Rispose quella tranquilla.
-Smettila di importunare gli estranei.- Disse una voce maschile alle spalle della perspicace coetanea. 
Con sorpresa di Reyeha, però, non comparve un ragazzo, bensì l’amica che le stava accanto prima. La quale, vista da vicino era davvero graziosa.
-Ma è divertente... Sopratutto metterli a disagio o sotto pressione. Guarda la sua faccia! Non lo trovi divertente?- Protestò l’altra.
-Vieni.-
-Ok...-
/Ma che diamine...?/
Fu allora che Phaerl si girò innervosita verso Reyeha.
-Andiamo! Sto tirchio non lascia un danaro! Arrivate a Sandrith troveremo noi da qualche parte un dannato carretto!-
-Sandrith?- Intervenne allora il mercante.
Phaerl si girò con aria interrogativa e alquanto infastidita.
-Vuole il caso che anche mia figlia si stia dirigendo a Sandrith e, se voi foste tanto gentili da accompagnarla, potrei abbassare il prezzo di cento danari.- Disse l’uomo, sorridendo furbamente.
-E sia...- Rispose l’elfa dopo qualche secondo di silenzio, durante il quale continuò a fissare malissimo l'uomo, per poi bisbigliare a denti stretti un “schifoso bastardo”, mentre il mercante faceva portare il mezzo.
-Natsuki, tesoro!- Chiamò allora l'uomo, facendo girare la ragazza che prima aveva infastidito Reyeha. -La signora è stata tanto gentile da offrirvi un passaggio fino a Sandrith.- 
-Uooh! Figo! Vieni Akira!- Disse questa precipitandosi nella carovana appena portata lì davanti da due facchini, trascinandosi appresso l’amica.
/No..../ Pensò sconsolata Reyeha.
-”Offrirvi”? “Akira”? Tu hai detto tua figlia, non tua figlia e compagni!- Sbraitò la mezzelfa.
-La vuoi la carovana o no?- 
Allora Phaerl buttò il sacchetto di danari all'uomo, stizzendo. Il mercante li prese al volo, sorridendole di nuovo. 
-Fare affari con lei è stato un piacere.- 


Durante il tragitto, Reyeha si ritrovò a dover stare dietro assieme alle due ragazze, il che la mise parecchio a disagio.
Natsuki infatti parlava molto, cercando di fare conversazione con lei, che dopo la scena della "maga" non era altrettanto entusiasta di dialogare. Inoltre, si era scoperta essere "il terzo incomodo" poiché le due erano una coppia e lo dimostravano abbastanza spesso... 
La cosa che più disturbava Reyeha però, era che Akira non solo aveva la voce bassa e mascolina ma parlava di sé al maschile. Avrebbe detto che era un transessuale, se non fosse stato per i lineamenti delicati che quella /credo/ ragazza possedeva.
Non volendo, finì col fissare di tanto in tanto Akira, per tentare di capire se davvero fosse maschio, fatto di cui si accorsero entrambe le fidanzatine. 
-Akira, credo tu abbia confuso anche Reyeha sai? Ti sta fissando da un po’...- Disse infatti Natsuki la quale era sdraiata, con la testa appoggiata sulle cosce della compagna.
-Ho notato...-Rispose quella.
-Oh! Scusa, non...volevo fissarti...- Cercò di rimediare Reyeha, in evidente imbarazzo.
-Si, sono un uomo.- Disse Akira ignorando le scuse della ragazza.
-Si lo è, e pure bravo, se sai che intendo.- Aggiunse Natsuki facendo l'occhiolino a Reyeha, la quale annuì sempre più a disagio.
-Mi piace vestirmi da donna, problemi?- Non era una minaccia o altro, lo disse con tono molto pacato, come d'altronde tutto ciò che diceva.
-No no! Nessun problema! E' che non capivo, scusa.- Si affrettò a rispondere Reyeha.
-Bhè, confondi un pò tutti... Sei riuscito a confondere pure papà Rai i primi tempi! Il che non è facile, per non parlare di babbo Takumi...secondo me ha ancora qualche dubbio sulla mia sessualità, sai?-Rise Natsuki.

-A proposito!- Esclamò la ragazza per poi alzarsi dalle cosce di Akira mettendosi seduta.- La cosa che hai nel taschino, l'ho vista muoversi, è legata al tuo potere da maga?-
Reyeha si pietrificò. 
Drayeho, una mercante aveva scoperto Drayeho. La sua mano andò lentamente alle sue spalle dove aveva l'alabarda e Natsuki se ne accorse, come sempre.
-Wow wow! Calma! Te l'ho già detto, non sono razzista. Uno dei miei padri, non quello che hai visto al porto, l'altro, è mago. Controlla la terra. In più raccoglie altri maghi che trova sparsi in giro, che hanno bisogno di lavoro e protezione e li fa lavorare per noi, come Akira ad esempio, anche lui è mago, anche lui della terra. La nostra flotta mercantile è praticamente composta solo da maghi, se non per me, povera sfigata senza poteri e per papà Rai, altro sfigato senza poteri.- Finì la giovane.
/Ok, essere amica dei maghi è una cosa, ma sei pur sempre la figlia di un mercante, quindi stai lontana. Che poi non è detto che ciò che hai detto sia vero.../ Da qui iniziò un'altra serie di confusioni mentali di una Reyeha ancora più a disagio ed agitata di prima.
-Non si fida.- Osservò Natsuki rivolta ad Akira. 
-No, per niente.- Rispose questo mentre Reyeha li continuava a guardare male.
-Uh! Ma perchè voi maghi siete così diffidenti e scorbutici oh!?- Disse riposandosi energicamente sulle cosce del ragazzo.
-Forse perché tutti ci discriminano?- Le rispose il fidanzato.
-Io no! Cioè dovrebbe fidarsi, no? Sono stata adottata da una coppia gay, di cui uno è un mago che va in giro a raccattare altri maghi mentre io e papà Rai collaboriamo e lo aiutiamo in tutto ciò! In più me la faccio con te, pure te mago! Duh!- Sbottò Natsuki.- Ok ok, io mi metto a dormire finché arriviamo, tanto ci metteremo ancora un pò.-
/Grazie al cielo.../ Pensò Reyeha.
Dopo che Natsuki si fu addormentata, si distese un pochino anche Reyeha, giusto per non stare faccia a faccia con Akira senza dirsi nulla. 
Era passato quasi un anno e mezzo da quando era uscita dalla foresta, ma si sentiva ancora un po’ fuori posto in quella realtà. Le riusciva difficile sopratutto relazionarsi con nuove persone, siccome fino ad allora era vissuta nella Biblioteca, con Balkrev e tutti quelli che aveva conosciuto le erano stati presentati dall'amico e aveva fatto amicizia con loro perché fortunatamente era presente anche lui. 
/Tranne per Jeremia, lui mi è solo stato presentato da Bal, per il resto ha fatto tutto lui./ Si ritrovò a sorridere pensando all'estroverso amico ed a come aveva fatto la sua conoscenza.
Inoltre prima del periodo della Biblioteca, aveva passato quattro anni nel cuore di una foresta, con dei draghi come soli compagni e ciò non aiutava sicuramente alla sua capacità di conversazione e al suo carisma.
Pensando ai suoi trascorsi nella foresta e alla Biblioteca, finì con l'assopirsi anche lei. Al suo risveglio, ciò che vide le fece salire il cuore in gola: Natsuki stava allegramente giocherellando con Drayeho.
Quando l'estroversa compagna di viaggio notò il suo risveglio, lo annunciò a tutti con un: 
-Giusto in tempo! Siamo quasi arrivati! Sapevo che se avessi fatto finta di addormentarmi avresti abbassato la guardia!-
-Drayeho vieni qua!- Disse Reyeha preoccupata, ignorando Natsuki. Il draghetto si girò allegro e andò dalla ragazza.
-Adesso capisco perché eri tanto diffidente, è la prima volta che vedo un drago rosso! Vivo intendo....-
-Stai lontana.-
-Uff! Guarda che non sono un tipo che ruba, anche se sarei tentata di prenderlo, ma solo perché è tanto carino, non voglio farci una borsa o altro. Soldi ne ho abbastanza, non mi serve vendere un drago per ricavare qualcosa.- 
Distratta dalla preoccupazione di quello che era appena successo, Reyeha non si era accorta della confusione che si era creata al di fuori della carovana. Fu Akira a dire che erano arrivati e Natsuki lo assecondò andandole di fronte e scostando la tendina che la separava da Phaerl, la quale stava guidando i cavalli.
-Finalmente!- Disse allegra, infastidendo Phaerl.
-Tornatene dietro, non voglio nessuno di voi tre qua davanti. Preferisco starmene tranquilla ancora per quanto posso...- Le disse la mezzelfa, che fu però completamente ignorata dalla ragazza.
-Se vi serve una locanda dove riposare ne conosco una ottima e conveniente! E' li che siamo diretti!-
-Sappiamo dove dobbiamo andare ed i patti erano che ti avrei portata fino a Sandrith, non ti scarrozzerò in giro per portarti dove ti pare.- Rispose alterata la donna.
-Ok ok! Sai sei l'elfo più scorbutico che io abbia mai incontrato e ne ho incontrati molti!-
Phaerl si girò verso la ragazza con aria omicida e Reyeha ebbe quasi paura per lei.
-Allora noi scendiamo, da qui ce la possiamo benissimo fare a piedi fino alla locanda, oppure al massimo metto Akira in mostra, magari attiriamo qualche vecchio pervertito che ci "scarrozza" fino a lì.- Poi si girò verso Reyeha ed aggiunse: -Sai, attira davvero molti uomini, dovresti vedere la loro faccia quando scoprono che ha il pene! Fantastici!-
Dopo un sospiro di disperazione (o almeno così lo interpretò Reyeha), Akira si portò via Natsuki ringraziando Phaerl del passaggio la quale rispose con tono sarcastico e seccato.
-E' stato un piacere...- Aggiungendo più tardi quando non furono più in vista: -Che non intendo ripetere.-


Per il resto del breve viaggio, Reyeha si mise a guardare Sandrith e l'immenso mercato lì collocato. La carovana avanzava lenta a causa della moltitudine di persone lì presenti perciò, mentre Phaerl imprecava contro i passanti che non si spostavano, Reyeha poté osservare alcune bancarelle. Per molte di esse avrebbe voluto saltare giù dal mezzo e mettersi a curiosare ed a osservare meglio gli oggetti. 
Sopratutto per quelle aventi oggetti antichi, medaglioni o strani gioielli, quadri, disegni o dipinti, libri e bambole. Anche vedere i vestiti oppure le armi le piaceva e quando arrivava un bancone con la frutta o comunque con del cibo quasi ci rimaneva male. Ad un certo punto vide spuntare da sopra le bancarelle una sirena di marmo avente in mano un vaso dal quale usciva fuori l'acqua, la quale indicò a Reyeha che erano arrivate al centro dell'immenso mercato, siccome quest'ultimo si estendeva attorno a quella fontana. Altra informazione appresa durante una delle lezioni di Balkrev.
La taverna dove si dovevano incontrare con l'amica di Phaerl si trovava verso i margini del mercato. Si articolava su due piani ma era modesta e sembrava accogliente, infatti era abbastanza frequentata.
Entrate dentro, Phaerl indicò a Reyeha un tavolo al quale sedersi ed aspettarla intanto che lei cercava la sua amica.
Mentre aspettava, la sua attenzione venne catturata da un grosso omone incappucciato che veniva importunato da delle bambine iperattive e poi ancora da un giovane oste che di spalle sembrava Balkrev.
/Oh mio Dio...ho perso vent'anni di vita.../ Pensò a causa dello spavento iniziale che il ragazzo le fece prendere.
Tuttavia, guardandolo meglio, notò che in comune con Balkrev aveva solo i capelli rossi e le spalle larghe. Infatti aveva la pelle scura ed era molto più basso rispetto all'amico, anzi sembrava essere alto quanto lei.
/Però è parecchio carino..../ Pensò, per poi farsi scappare a bassa voce un:
-Credo di essere attratta dai rossi...-
Qualcuno sospirò accanto a lei per poi aggiungere:
-Ehh, si...-
Facendola sussultare.
Una pallida ragazza dai capelli violacei le si era seduta vicino ed ammirava anche lei con sguardo sognante il ragazzo, solo quando si accorse che Reyeha la stava guardando distolse gli occhi dall'oste e le ricambiò stranita lo sguardo.
-Perché mi guardi male?- Chiese preoccupata l'estranea a Reyeha.


A.AScusate molto per l'immagine presente nel capitolo, fa schifo, ma non ho avuto il tempo per fare di meglio, e sopratutto scusate per il ritardo con il quale ho postato, ma purtroppo ho avuto dei problemi con il computer che mi hanno impedito di scrivere.
 

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Capitolo 25
*** Cattive Notizie ***



Cattive notizie 

Fuori albeggiava. Nella cucina il fuoco era già acceso e un piacevole tepore stava iniziando ad avvolgere la stanza. La colazione era già pronta per essere servita e l’acqua calda ribolliva nel pentolone del focolare. C’era ancora silenzio nella casa, segnale che i bambini ancora dormivano beatamente nel letto. Elaera sorrise grata per questo. Se si fossero alzati prima che tutto fosse pronto le avrebbero reso la mattinata un inferno. Per carità, li adorava, erano bambini educati ma a suo parere, fin troppo vivaci e chiacchieroni. 
/Spero che il nuovo arrivato non diventi così vivace./ Pensò la ragazza, versando l’acqua calda in una bacinella per farla raffreddare un poco prima di portarla nella stanza del nascituro. 
Edel aveva finalmente partorito e, per la gioia di tutti, o quasi, era un bel maschietto. La madre era un po’ dispiaciuta non fosse un’altra femmina, le sarebbe così piaciuto poter ricominciare a viziare una piccola principessa. I bambini d’altro canto, erano contenti di avere un futuro nuovo compagno di giochi. Cassandra, invece, non aveva battuto ciglio, sospirando soltanto un “Lo sapevo” quasi rassegnato. 
La nascita del bambino per Elaera, in realtà, era stata alquanto traumatica. Non ne aveva mai visto nascere uno, per questo non era preparata. Certo, sapeva come si facevano i bambini e come nascevano, ma non credeva fosse così complicato. Ai primi segnali di travaglio, donna Edel l’aveva spedita a chiamare il dottore che si era occupato di tutte le altre nascite. Quando si presentò davanti all’uomo, bastò pronunciare il nome della donna che quello arraffò la borsa e si precipito quasi più veloce di lei verso la casa, dove trovarono la partoriente già bella pronta e distesa sul letto. Infondo, non era il primo figlio che aveva. Le acque, come le spiegò calmo il dottore, si erano rotte e il letto era macchiato di un liquido scuro che impregnava tutte le coperte. Le successive ore, furono un incubo. Tra le urla di dolore di Edel e quelle dei bambini che non ne volevano sapere di starsene buoni, Elaera quasi ebbe un esaurimento nervoso. Fortunatamente però, il parto avvenne senza complicazioni e il bambino nacque sanissimo, iniziando subito a piangere in cerca della madre. Edel glielo fece tenere anche in braccio.
 Era così piccolo, così delicato, che la ragazza ebbe quasi paura gli si potesse spezzare tra le braccia se solo lo avesse stretto un po’ di più. Lui le sorrise, innocente, facendola sorridere a sua volta. La giovane si ripromise inconsciamente di non far accadere mai nulla di male né a lui, né alla sua famiglia e si chiese come si potesse nuocere a delle creature innocenti come quella. Un profondo odio verso chi commetteva quel crimine le si era acceso da quel giorno, ribollendole nel sangue fino a tormentarla durante il sonno. 
/Più tardi mi allenerò con la spada, è un po’ che non lo faccio, magari riuscirò a calmarmi./ Decise mentre saliva le scale in direzione della camera della matrona. 
Edel era già sveglia e cullava tra le braccia il figlioletto. 
“Buongiorno Elaera, dormito bene?” Chiese la donna sedendosi meglio sul letto.
“Più o meno.” Rispose la ragazza adagiando la bacinella sul grande comò vicino al letto. “Allora. Sicura di voler fare il bagnetto alla pulce da sola?” Chiese per l’ennesima volta conoscendo già la risposta.
“Santo Imyr, non sono mica nata ieri. Ho partorito più di tre giorni fa, mi sono ripresa ormai.” Protestò la donna borbottando. 
“Va bene, va bene. Allora vado a svegliare Cassandra e i ragazzi e li porto a fare colazione.” 
“Va bene, grazie mille del tuo aiuto cara.” Edel si alzò per carezzarle il viso, facendola sorridere, per poi dedicarsi al bagnetto del figlio che iniziava già a piagnucolare, protestando per il freddo della stanza. 
Elaera uscì serena, sospirando per il duro compito che ora l’attendeva. Svegliare l’allegra combriccola. Per i ragazzi non ci volle molto, il più grande era già mezzo sveglio e gli altri, quando lo videro alzarsi per scendere a mangiare, quasi si precipitarono dietro di lui come dei pulcini dietro a mamma chioccia. Per svegliare Cassandra, invece, ci volle quasi mezzora. 
“Cassie! Alzati è tardi!” La richiamò per l’ennesima volta la ragazza, scuotendola per una spalla.
“Cinque minuti…” Rispose biascicando l’altra. 
“Hai detto così anche mezzora fa! Forza muoviti o faccio venire su i ragazzi!” La minaccia sembrò funzionare.
Con i capelli arruffati e il cuscino ancora stampato in faccia, la ragazza si alzò, guardandola infastidita per alcuni momenti.
“Non guardarmi così, non è colpa mia se devi lavorare.” Le disse sorridendole l’amica. 
“Non mi capacito come tu faccia ad alzarti tutte le mattine alla stessa ora da sola, senza proteste. Non è che ti piace alzarti presto vero?!” 
“S-e-g-r-e-t-o.” In realtà, se fosse stato per lei avrebbe volentieri dormito tutti i giorni fino a mezzogiorno. 
L’amica le tirò un cuscino, che lei prontamente schivò, scappando giù per le scale e trovando i più piccoli che avevano quasi terminato di mangiare. 
“Elaera, oggi ci porti a scuola?” Chiese il mezzano, mentre la ragazza gli puliva la bocca sporca di latte. 
“No oggi andrete con Cassandra, io ho da fare in casa.” Rispose quella, gentilmente. 
Quando finalmente fu rimasta sola, dopo che tutti furono usciti e Edel si fu riaddormentata col piccolo, Elaera fu libera di prendere l’arma.
 La spada era poggiata a uno dei muri della sua stanza e non un granello di polvere la ricopriva. Ogni giorno la sera, la sfoderava per rimirarla e leggere il nome del suo vero proprietario sulla lama. Ertihel. L’eremita. L’uomo che nonostante l’avesse cresciuta, non le aveva poi raccontato molto del suo passato. Sapeva soltanto che era vissuto al nord e aveva combattuto come soldato e, disgustato dalle morti innocenti a cui aveva assistito e partecipato, si era rifugiato nella solitudine della foresta dell’est, al confine del regno Imirdyriano. 
La ragazza rimirò il suo riflesso sulla lama affilata.
/Chissà che uomo è stato prima che lo incontrassi./ Le sarebbe piaciuto chiedere informazioni in giro al riguardo, mostrando la spada come indizio, ma una parte di sé aveva paura di ciò che avrebbe potuto scoprire. Infondo, andava bene anche così.
Rinfoderò la lama e l’adagiò sul letto. Prima di fare esercizio, avrebbe fatto bene a cambiarsi d’abito; dopotutto roteare una spada come quella con addosso una gonna lunga fino ai piedi non era l’ideale. Già non le risultava facile con i suoi soliti abiti, figurarsi con quelli!
 Indossò un paio di pantaloni pesanti e stretti che Cassandra le aveva ceduto, i quali le andavano un po’ lunghi, ma erano gli unici della sua misura in quella casa. Con una camicia pesante e il corpetto a completare l’abbigliamento fu pronta. Non restava altro che mettersi in moto. 
Mettersi in moto per ragionare. Una delle tante lezioni che le aveva impartito Ertihel. Se avevi un problema e magari dovevi trovare una soluzione, era meglio scaricare la tensione facendo qualcosa, così la risposta veniva da sé. Lei come lui, trovava rilassante scaricare i nervi attraverso qualche esercizio con la spada. Nonostante fosse disgustato dalla guerra infatti, Erithel non riuscì mai del tutto ad abbandonare la sua arma. Ci provò più volte, anche quando viveva con lei bambina, ma non ci riuscì mai.
La ragazza scese nel cortile interno della grande casa, dove la neve faticava ad ammassarsi grazie al calore che si diffondeva dall’interno. Nonostante ciò non poté non rabbrividire per il freddo quando uscì sotto il cielo grigio. Fece qualche minuto di riscaldamento per sciogliere i muscoli e riscaldarsi, così da evitare sgradevoli infortuni e fu pronta. Sguainò la spada, facendola uscire dal pesante fodero e la protese in avanti, assumendo una posizione di guardia. Sorrise. Le era mancata. Come una parte del suo corpo, la spada si fuse alle braccia, donandole una sensazione di sicurezza indescrivibile. 

Partì all’attacco di un nemico immaginario, focalizzando di fronte a se l’immagine dei mostri che avevano attaccato la carovana o dei barbari che avevano raso al suolo il suo villaggio. Un affondo uccise il primo pseudo nemico, una parata le evitò una ferita mortale sul fianco. I muscoli si tesero, i tendini tirarono e l’adrenalina pompò nelle vene. Immaginarsi tutta una serie di imprevisti non era cosa da poco, serviva concentrazione, obbiettività, fantasia. Elaera non peccava di superbia. Sapeva benissimo che se si fosse trovata in un vero scontro, non sarebbe durata molto. Forse contro nemici come i barbari ce l’avrebbe fatta, ne avrebbe potuti uccidere anche cinque o magari dieci da sola, ma contro quei dannati demoni, non sapeva se avrebbe potuto avere la meglio. Era stata allenata a difendersi, ad uccidere nel caso fosse stata in pericolo, ma come poteva immaginare Ertihel che la ragazza si sarebbe dovuta fronteggiare con simili creature? 
/Non è colpa sua se non lo ha previsto. E poi non ci tengo a vedere un altro di quei mostri./  Pensò mentre scartava di lato per evitare l’ulteriore immaginario fendente.
Di colpo un applauso la bloccò. Si girò di scatto verso il suono, notando Kandara che poggiato alla porta la osservava sbalordito.
“Eccezionale. Sul serio. Tu mi stupisci ogni giorno di più.” Le disse il ragazzo avvicinandosi. 
“G-grazie, ma non è poi tanto difficile senza avversari.” Rispose lei in imbarazzo. 
“Tu dici?” Domandò quello abbassandosi a raccogliere due bastoni che piegò per testarne la resistenza. “ Bene, allora in guardia!” Urlò quello preparandosi a parare i colpi.
“Sul serio?” Fece lei scettica, rinfoderando la spada e poggiandola contro il muro esterno dell’abitazione.
“Certo. Mal che vada mi gonfierai di botte. Raccogli una spada forza.” Con lo sguardo le indicò alcuni legni che erano lì intorno. 
La ragazza prese quello che le sembrò essere il bastone più resistente e più adatto per lunghezza, posizionandosi per l’imminente attacco. Kandara, dal canto suo, fece un passo indietro pronto a fronteggiarla. Elaera scattò, tentando un affondo dall’alto. Il ragazzo scartò di lato, facendo finire a vuoto il debole tentativo della ragazza.
/Allora fa sul serio./ Sorrise la giovane incalzando l’amico con l’arma di legno. 
Il ragazzo parò con uno dei bastoni, tendendo l’arma in alto per farsi spazio e roteando dal basso il braccio libero, tentando di colpire così la giovane che però, scaltra, riuscì a saltare indietro e schivare così l’attacco. 
/E’ bravo./ Ammise Elaera, notando nei successivi attacchi e parate lo stile di combattimento dell’amico, frenetico e incalzante. 
/Ma non così bravo./ Con un colpo secco, nel quale infuse tutta la sua forza, Elaera ruotò su di un piede, sferrando un fendente laterale al fianco del ragazzo. Troppo veloce per essere parato e troppo potente per non fare male. Fortunatamente se ne accorse all’ultimo momento, diminuendo l’enfasi con cui l’aveva sferrato, evitando così di maciullare qualche costola al povero amico.
“Ahia! Porco Imyr che male, mi rimarrà il livido di sicuro!” Protestò il ragazzo quando rientrarono in casa, sedendosi con la coda tra le gambe ad una delle sedie della cucina. 
“Scusa, mi sono lasciata andare.” Si affrettò a scusarsi lei in imbarazzo. /Anche se sei stato tu ad insistere./
“Ahahah non preoccuparti. Un livido in più, uno in meno, che vuoi che sia.” Ironizzò quello per poi chiedere una tazza di caffè che prontamente la ragazza mise a fare. 
“Come è andato il viaggio? Hai finito di lavorare?” Gli chiese servendogli la bevanda nera e fumante.
“Grazie. Bhe, diciamo che poteva andare peggio, ma anche meglio. Ma non importa, per ora ho finito di gironzolare in giro.” 
“In che senso?” Rispose confusa la ragazza, sedendosi a capotavola con la spada messa di traverso sulle gambe. 
Il ragazzo indugiò, non sapendo se riferire l’accaduto. Dopo aver sorseggiato ulteriormente la bevanda sotto lo sguardo petulante dalla ragazza, si decise a parlare.
“Sulla via del ritorno, lungo una delle strade principali che collegano la città alla capitale, io e il mio superiore abbiamo incrociato un manipolo di soldati in congedo. Così abbiamo deciso di fermarci a mangiare in una taverna con loro, giusto per sentire che notizie ci fossero dal fronte.” Kandara fece una pausa, sospirando. “E non sono buone.” 
“Che cosa vi hanno detto i soldati?” Elaera era preoccupata.
“I barbari stanno vincendo. L’esercito perde sempre più terreno e nonostante possediamo i migliori strateghi di tutto il regno non riusciamo più a riguadagnare postazioni. Ogni casa, ogni avamposto, ogni centimetro di terra che cade sotto il loro controllo viene raso al suolo e dato in pasto alle fiamme. In più, quelle bestie usano dei…dei…mostri, per combattere. Li lanciano alla carica delle file dei nostri che non possono far altro che vedere i loro compagni massacrati. Li chiamano demoni e pare che uno di quelli da solo, sia in grado di uccidere venti dei nostri soldati. Anche i popoli dotati di magia pare li temano.”
Elaera si bloccò. Non avrebbe dovuto sentire, non voleva sentire. Il cuore sembrò fermarsi nel petto, ma in realtà fece l’esatto contrario, accelerò. La paura montò nella sua mente, avvinghiandola nei raggelanti ricordi di quando era bambina e in quelli più recenti di qualche mese addietro. Succedeva di nuovo. Succedeva continuamente. Succedeva ciò che era stato visto dal saggio. Non poteva fuggire per sempre. E lei sapeva perché. Era stata messa al corrente di cosa fossero quelle creature, di come nascessero e di come fermarle, ma lo aveva ignorato, aveva ignorato tutto ed era fuggita a ciò che definivano ‘destino’. Forse per colpa sua la gente ora continuava a morire e chissà quanto altro sangue veniva sparso. Non poteva continuare così. 
/E’ giusto preservare la proprio vita a questo modo? Mi vergogno da morire per la mia decisione./ 
“Elaera? Tutto ok? Ti ho spaventata?” Domandò Kandara, visibilmente in ansia per la faccia buia che aveva ora la ragazza.
“No no. Tutto bene. Solo…mi gira un poco la testa. Forse ho preso freddo. Credo andrò a letto se non ti dispiace.”
“Ok, va bene… Allora ripasserò più tardi a vedere il piccoletto. Riguardati.” Alzandosi, la salutò con un cenno della mano, per poi uscire abbacchiato per strada.
Rimasta sola in una sorta di trance, la ragazza nemmeno si accorse di essere tornata in camera sua, di aver posato la spada ed essersi seduta sul letto. 
/Non posso continuare così. Ho avuto una scelta, ho scelto la strada sbagliata, forse. Ma ora, cosa posso fare, come posso rintracciare Ryuga e aiutarlo se possibile?/ Intrecciò le dita nei capelli, scuotendo la testa terrorizzata all’idea che fosse troppo tardi per fermare tutto. Forse il destino aveva già messo in moto i suoi ingranaggi. 
Perché forse, a volte, ciò che vogliamo davvero non è altro che ciò che era già stato scritto e a noi non resta altro che la possibilità di accettarlo ed andare avanti, lottando. 


Note delle autrici
Ciao ragazzi, scusate del ritardo ma sono senza internet T.T ho dovuto passare il capitolo e lo sketch a Reb per farlo mettere e ho fatto tutto anche con eccessivo ritardo...spero mi perdonerete! Mi dispiace non regalarvi dì più, ma questo sono riuscita a fare. Spero vi piaccia il capitolo e buone feste!
 

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Capitolo 26
*** Conoscenze (in)desiderate ***




Capitolo 26: Conoscenze (in)desiderate

“Perchè mi guardi male?” Chiese Valerie alla ragazza che le stava accanto.
“Scusa…ma chi sei?” Chiese di rimando quella.
“Oh! Scusa! E’ che ero seduta qui accanto” disse indicando il tavolo li vicino, con un grosso individuo incappucciato seduto su una delle sedie, troppo piccola per lui. “e tu sembravi tanto interessante. Volevo chiederti il nome ma poi ho notato Gil e mi sono distratta! Sono Valerie comunque, piacere! Tu come ti chiami?” La assalì quella.
“Eh….” Cerco di rispondere incerta l’altra, guardando Valerie con diffidenza.
“Hai dei bellissimi capelli!” Continuò quest’ultima, allungando una mano per toccarli. La ragazza si scansò, lasciandola leggermente indispettita.
“Vedo che vi siete già incontrate.” Constatò Ida, avvicinandosi alle due. 
“Valerie, lei è Reyeha, la ragazza maga che viaggia con Phearl.” Poi si rivolse a Reyeha “Io sono Ida comunque, piacere.” La ragazza le guardò confusa.
“Ecco un'altra cosa che Phearl non mi ha detto.” Borbottò poco prima di essere assalita nuovamente da Valerie.
“Oh mio dio! Ecco il perché dei tuoi capelli! Sono cosi belli! Ti ho già detto che sono belli? Che potere hai? Io uso il ghiaccio, beh diciamo che creo le cose anche se al momento non riesco a creare nulla… storia lunga, però sono sicura che un giorno ci riuscirò. Ho sempre voluto incontrare un’altra maga come me! Beh conoscevo una maga ma anche quella è una storia lunga…dove volevo andare a parare?”
Reyeha la guardò fra lo scioccato e il disperato prima di tirare un sospiro rassegnato.
Phearl si avvicinò a loro.
“Piacere, sono Phearl.” Salutò Valerie.
“Oh, piacere!” rispose lei. 
“Lui deve essere Jon.” Disse la mezzelfa, rivolgendosi all’orco seduto al tavolo accanto a quello di Valerie e Reyeha.
“P-piacere..” Rispose lui impacciato.
“Non credete che anche io dovrei essere informata di quello che sta succedendo? Così, per dire….” Sbottò a quel punto Reyeha.
A quell’affermazione, Ida guardò male Phearl.
“Che c’è? Mica devo dirle per forza tutto.” Si giustificò quella.
“Ok.” Spiegò Ida. “Per farla breve: ho contattato Phearl perché mi serviva una mano con Jon, un orco che abbiamo trovato una notte e che ci ha chiesto aiuto perché non ha un posto dove andare, essendo stato cacciato dal suo clan perché gay. Phearl mi ha detto che voi due eravate dirette al nord e un consigliere che si trovava lì poteva aiutarci.”
“Beh, devi ammettere che ne incontriamo di gente strana, eh.” Commentò la mezzelfa rivolgendosi a Reyeha.
“Eh….” Rispose quella.
“Ok, ragazze, noi due andiamo a discutere sul da farsi, vi lasciamo soli così fate conoscenza.” Le salutò la donna prima di congedarsi.
Proprio in quel momento, la porta della locanda venne sbattuta violentemente. Tutti si girarono stupiti per capire chi fosse stato. 
Una ragazza dagli occhi smeraldo e i corti capelli castani si presentò baldanzosa: “Natsuki è qui, bella gente!” gridò in modo che tutti potessero sentirla. 
Dietro di lei stava un’altra ragazza dalla pelle scura e gli occhi gialli, impassibile all’estrosità della sua amica.
Entrando, Natsuki salutò con fare superiore una per una le persone nella locanda, la maggior parte delle quali neanche la conoscevano. Prima di finire però, notò la presenza di Gil e improvvisamente gli si fiondò al collo, salutandolo calorosamente. 
“Ecco qui il nostro Gil!” esclamò. 
L’altro ricambiò l’abbraccio.
"Gabriele dov'è?" chiese lei, leggermente indispettita, girando la testa come per guardarsi intorno. 
"É in ritardo" Rispose lui, incerto. "Aveva delle faccende da sbrigare, ma dovrebbe essere qui a momenti." L'altra fece una smorfia contrariata per poi rivolgere l'attenzione allo stormo di ragazze che, come sempre, si era creato intorno al giovane.
"Sciò, sciò!” Le scacciò con la mano. "Mi dispiace per voi ma é già preso" Le apostrofò soddisfatta. Gil fissava la scena confuso, non sembrava essere molto sveglio su quel tipo di cose. 
La ragazza dietro a Natsuki salutò a sua volta Gil, ignorando completamente l’amica. 
Nel frattempo Valerie aveva ripreso a tempestare di domande Reyeha, la quale per qualche motivo si fece piccola sulla sedia, attirando inevitabilmente l'attenzione di Natsuki che, avvicinatasi a loro, salutò Reyeha. 
"Hey! Ma tu sei la maghetta scontrosa!" Disse con un tono divertito, nel quale c'era un pizzico di cattiveria.
Reyeha si portò una mano alla tempia, con fare disperato. Sembrava voler sparire.
“Eh, già…”
“Ciao.” La salutò la ragazza dagli occhi gialli.
“Vi conoscete?” chiese Valerie curiosa.
“Oh si!” confermò Natsuki. “Ci ha dato un passaggio fin qui!” Fece una pausa. “Sei anche tu una maga? Dai tuoi capelli direi che lo sei.”
La ragazza rimase stizzita.
“Oh! Non ti preoccupare, non ho problemi con i maghi! Il mio ragazzo Akira è un mago.” Disse indicando la ragazza (ora Valerie non era più tanto sicura che fosse una ragazza) dietro di lei.
“Mio babbo è un mago e... ah, non mi va più di dirlo, in caso te lo dirà Reyeha dopo. Poi comunque sia stiamo al sud, voglio dire, a chi vuoi che importi?” Disse in modo casuale.
Reyeha continuava a rannicchiarsi nella sedia, nel disperato tentativo di nascondersi sotto il tavolo.
“Oh! Ok allora!” Si rassicurò Valerie sotto lo sguardo incredulo della sua compagna di tavolo.
“Io sono Valerie! Piacere di conoscerti!” Si presentò felice.
“Piacere!” Rispose Natsuki, prendendo una sedia e accostandola al loro tavolo con la chiara intenzione di sedersi vicino a loro. Akira, sempre impassibile, la seguì.
“Gil siediti con noi!” Esclamò l’eccentrica ragazza.
“Ma….starei servendo i tavoli…”
“Pfff, che aspettino!”
“Ma…”
“Daaaai, mica sto sempre qui io eh, loro puoi servirli anche dopo!”
“Veramente no…” Aggiunse sottovoce Akira.
Gil guardò la madre che con un gesto della testa gli diede il permesso di sedersi con loro.
“Mmh….ma….” Tentò di chiede Valerie, insicura se farlo o no. “Akira…tu…” 
“Si, sono un maschio.” Confermò lui. “E si, mi piace vestirmi da ragazza, problemi?”
“Oh no no!” Si affrettò a dire la ragazza. “Anzi, stai bene da ragazza…cioè non che tu non stia bene da ragazzo, volevo dire che sei carina, cioè non in quel senso, sei femminile, oh però sono sicura che tu sia anche mascolino oh mio dio cosa sto dicendo, ok sto zitta.”
Natsuki rise.
“Oh! Quanto è grosso quello!” Esclamò poi all’improvviso, indicando la grossa figura incappucciata al tavolo vicino al loro. Cioè Jon, che vista la situazione, aveva preferito rimanere in disparte.
“Oh, lui è Jon, è un mio amico!” Lo presentò Valerie. 
“Siediti con noi!” Lo invitò.
Jon, incerto, prese la sedia e l’accostò al loro tavolo.
“Oh! Ma sei un orco!” Esclamò Natsuki, lasciando tutti stizziti.
“Ops…” Si riprese poi. “Non dovevo dirlo, oh beh” Scrollò le spalle. “Chi vuoi che si avvicini a un orco, anche se fosse.”
“Tu lo hai fatto.” La rimbeccò Akira.
“Vabbè ma hai visto quanti elfi, folletti e nani ci sono qui in giro? Vuoi che si scandalizzano per un orco!”
Akira sospirò.
L’oste, in lontananza, guardava la scena divertita.
Jon si coprì ulteriormente il viso con il cappuccio, visibilmente in imbarazzo.
Valerie diede una leggera gomitata all’amico .
“Su! Si più aperto, dai che sono gente simpatica!” Lo esortò.
“Ragazze” Li chiamò poi Ida. “Phearl e io andiamo un attimo fuori, non per cattiveria ma c’è troppo rumore qui. Torneremo prima che faccia buio.” 
Reyeha guardò con disperazione Phearl mentre se ne andava. La mezzelfa, per risposta, fece spallucce.
In quel momento, entrò un ragazzo alto e dai capelli corvini che Valerie riconobbe essere Gabriele.
Natsuki si alzò bruscamente dal tavolo, facendo cadere la sedia, ma non curandosene affatto, per poi saltare addosso all’amico con esuberanza.
“Gabriele!” Lo salutò. “Beh, perché sei in ritardo? Sapevi che sarei tornata.” La ragazza scosse la testa. “Tsz, fare aspettare la tua migliore amica, che persona orribile sei.”
“Scusa” Disse l’altro. “Sono stato trattenuto, mi sono perso anche la tua entrata teatrale nella taverna, una vera disgrazia.”
“Già, stavolta ho lasciato tutti a bocca aperta.” Si pompò la ragazza."Infondo sono solo miseri mortali." Aggiunse poi a bassa voce, fiera.
“Tu lasci sempre tutti a bocca aperta.” Commentò Akira, il quale stava rialzando la sedia che la ragazza aveva fatto volare.
Una volta salutata Natsuki, Gabriele si avvicinò a Gil, baciandolo.
Alche, Natsuki salì sul loro tavolo, rivolgendosi alle ragazze che prima avevano circondato Gil esclamando: “Vedete? E’ gia preso, quindi smammate.”
Valerie guardava la scena a metà fra lo stupito e il confuso. 
“Oooooh!” Esclamò poi, rivolgendosi a Gil. “Ecco perché ieri sera tentennavi quando hai detto che era tuo amico!” 
“Oh ciao, scusami per ieri.” Le disse Gabriele che solo in quel momento sembrava essersi accorto della sua presenza. “Devo averti inquietato non poco.”
“Non ti preoccupare, “ Lo rassicurò lei. “Gil mi ha spiegato tutto.”
”Meno male.”
“Oh! Quindi vi conoscete già! Questa è Reyeha comunque!” Li presentò Natsuki. Reyeha continuava a tenere la mano sulla tempia, probabilmente per il mal di testa dovuto al casino di quella situazione. “E’ una maga scontrosa.” Disse sottovoce. “Questo invece è Jon! Però non parla molto, è un orco timido.”
Jon lo salutò timidamente con un gesto della mano.
“Non che tu gliene abbia dato il tempo...” Commentò Akira.
“Ho già incontrato anche lui, gli piacciono molto i fiori” Disse Gabriele.
“Siediti anche tu, su!” Lo esortò la ragazza, offrendogli una sedia vuota.
“Non penso di entrare al tavolo….” Commentò lui puntando il fatto che erano tutti schiacciati gli uni agli altri.
“Shhh, dettagli. Ci stringiamo un altro pò.” Insistette lei.
Gabriele si sedette al tavolo con un po’ di fatica.
“Allora, parliamo” Li esortò Natsuki
Ed effettivamente fu quello che fecero e anche per un bel po’.

Gil si congedò ad un certo punto e ricominciò a servire i tavoli. 
Guardando fuori da una delle finestre, Valerie si accorse che effettivamente si era fatta sera. Nel frattempo, i clienti della locanda li guardavano divertiti, a quanto pareva erano abituati a quelle scene.
“Ah!” Se ne uscì ad un certo punto Natsuki. “Ma Drayeho come sta?” Chiese rivolgendosi a Reyeha che la guardò con gli occhi sgranati. “Oh è vero! Non dovevo dirlo perché ci sono mercanti qui e il tuo è un drago rosso….Vabbè, dai ormai è troppo tardi, quel che è fatto, è fatto.” Alzò le spalle, noncurante dello sguardo omicida di Reyeha.
Prima che Valerie potesse chiedere di Drayeho, Ida e Phearl rientrarono alla taverna.
Ida le invitò ad andare a parlare con loro in disparte, così riuscirono a congedarsi dal gruppetto per andare dalle due donne.
“Resteremo qui stanotte, poi domani mattina ripartiremo con Phearl e Reyeha verso il nord, dove, come detto prima, c’è un consigliere che potrebbe essere disposto ad aiutare Jon.” Spiegò velocemente Ida.
“Prenderemo una stanza per voi tre e una per me e Ida. L’indomani mattina partiremo con la carovana. Jon.” Si rivolse allora all’orco. “Tu starai sul retro, insieme a Valerie e Reyeha, così attireremo meno l’attenzione.” Jon annuì.
“Io e Ida faremo a turni per guidarla.”
Ida andò dall’oste a prendere le camere.
”No no, aspetta.”Reyeha ne approfittò per fermare Phearl, portandola lontano da Valerie e Jon. “Tu veramente mi vuoi mettere in stanza con un orco e una ragazzina iperattiva sapendo che ho Drayeho e che oltretutto neanche li conosco?”
“Abbi pazienza, Reyeha. Sono malata, non posso stare troppo con loro.” Rispose quasi monotono la mezzelfa.
“Tu mi odi, di la verità.” Protestò la maga.
“Sono troppo vecchia per subirmi Valerie. Da quel poco che ho sentito, parla veramente troppo e la mia pazienza andrebbe in frantumi prima di giungere al nord.”
“E invece io posso resistere secondo te?” Chiese quasi disperata Reyeha.
“Ok, ho preso le camere!” Li avvertì Ida.
Reyeha sbuffò disperata.
“Credo che andrò in camera a sistemare delle cose prima di andare a dormire, fra un po’ fareste bene ad andare anche voi. Domani ci sveglieremo presto.” Si congedò allora la mezzelfa, ignorando completamente il muso lungo di Reyeha.
“Buona notte, ragazze. Vado anch’io che devo sistemare l’arco prima di andare a letto.” Le salutò dunque anche Ida.
“Buona notte.” Le risposero Jon e Valerie.
“Dormiremo tutti insieme, che bello!” Esultò Valerie, per poi ricongiungersi all’altro gruppetto, seguita da Jon.
Reyeha invece, riuscì a salire in camera e a fuggire da quella situazione.
Dopo un po’, anche Valerie e Jon salutarono il gruppetto di Natsuki.
 Valerie, distratta dalla faccenda del nord, si era completamente dimenticata di chiedere di Drayeho e solo una volta entrata in camera vide il piccolo draghetto rosso comodamente seduto sul letto vicino a Reyeha.
“Oh! E’ vero, tu hai un drago!” Esclamò. “Che cosa figa!” Disse avvicinandosi a Drayeho sotto lo sguardo diffidente di Reyeha. 
Jon seguì l’amica, anche lui incuriosito dal draghetto.
“Posso toccarlo?” Chiese Valerie.
Reyeha la guardò esausta e dopo un sospiro diede il permesso a Valerie di avvicinarsi al draghetto.
Valerie allungò incerta la mano sul dorso di Drayeho, che iniziò a emettere dei rumori bassi, come delle fusa, alche la ragazza iniziò ad accarezzarlo con più sicurezza. Il draghetto iniziò a muovere la coda in moto d’approvazione.
Jon vicino a lei, sembrava desideroso di accarezzarlo, ma aveva paura di chiedere.
“P-posso?” Riusci a domandare alla fine, quasi in un soffio, scovando chissà dove il coraggio.
“…Ok.” Concesse Reyeha.
“Sai, non ho mai dormito con un’altra ragazza della mia età, più o meno, sei della mia età? Io ho 14 anni.” Disse Valerie, una volta smesso di accarezzare Drayeho.
“15.” Rispose Reyeha.
“Stiamo lì! Poi sei maga come me!” Continuò in tono eccitato.
Jon dal canto suo, aveva preso molta confidenza con Drayeho e aveva iniziato a giocarci.
“Jon è molto sensibile per essere un orco.” Le spiegò Valerie. “E’ per questo che è stato cacciato dal suo clan, agli orchi importa solo di guerra e riproduzione. Lo sai che Jon disegna? Soprattutto fiori, è molto bravo. Anch’io disegno a tempo perso.”
"Ma tu respiri mentre parli?" Chiese Reyeha ignorando ciò che Valerie stava dicendo.
"Si perché? Cioè, a volte non tanto perchè non prendo abbastanza fiato."
"Ecco, appunto." Rispose l'altra, scocciata. "Anche a me piaceva disegnare….” Continuò dopo qualche istante la ragazza in tono nostalgico. “ Però non lo faccio da molto tempo…”
“Come mai?”
“Non ne ho più avuto la possibilità.”
“Perché?”
”Perché sono successe parecchie cose che me lo hanno impedito." E prima che Valerie potesse porre altre domande, Reyeha la fermò in tono arrabbiato. "Cose che non ti riguardano.” 
Stizzita prese Drayeho.
“Ora basta, sono stanca e vorrei andare a dormire. Drayeho non si tocca più. E se gli succede qualcosa o sparisce, me la prenderò con voi.” Li minacciò, secca, per poi mettersi a letto con Drayeho senza dire altro.
Valerie rimase a fissare la ragazza che si era coricata sul letto in posizione fetale, dandole le spalle. Jon le mise una mano sulla spalla per consolarla e Valerie lo guardò, trattenendo a stento le lacrime che le uscivano ogni qual volta era tesa. 
”Sono stata invadente…” Disse.
“Sei…solo un po’….esuberante.” Cercò di calmarla lui.
Valerie lo abbracciò per poi prepararsi per andare a dormire senza dire più una parola. Anche perché temeva di svegliare Reyeha che certamente non l’avrebbe presa bene.
La ragazza si addormentò con un groppo in gola quella notte.
La mattina dopo, il risveglio fu abbastanza silenzioso; Valerie aveva paura di rivolgere la parola a Reyeha o di toccare Drayeho, per quanto lo desiderasse. Jon cercò di allentare la situazione rivolgendo alla maga castana un timido “buongiorno”, al quale lei sembrò rispondere abbastanza cordialmente. 
Uscì dunque dalla stanza per primo e, poco prima di seguirlo, Valerie decise di fermarsi e chiedere scusa a Reyeha. 
“Ehm…mi dispiace per come mi sono comportata ieri….sono stata invadente e fastidiosa. Cercherò di controllarmi d’ora in poi. Non sono ancora molto brava con le persone…” Disse tenendo lo sguardo fisso sul pavimento nel tentativo di cacciare via le lacrime.
Reyeha la guardò per alcuni istanti, per poi sospirare.
“Dispiace anche a me, ho reagito male. Anche se il mio passato non ti riguarda, non dovevo prendermela con te, visto che non c’entri nulla.”
L’altra alzò lo sguardo, gli occhi grossi e lucidi.
“Quindi…possiamo ricominciare?” 
“Ok….” Rispose, QUASI sorridendo l’altra.
Valerie fece una pausa.
“Ma…ora posso toccarlo di nuovo Drayeho?”
L’altra la guardò sconsolata. “Vedremo.”
Poi, Phearl aprì la porta. 
“Avete deciso di prendere alloggio fisso o possiamo andare?” Proferì sull’uscio, guardandole con un sopracciglio alzato.
”Oh, scusa.” Rispose Valerie, mentre Reyeha infilava velocemente Drayeho nella borsetta.
Uscite dalla stanza, salutarono l’oste e la sua famiglia. Gil disse loro che Natsuki e Akira stavano ancora dormendo e che li avrebbe salutati al posto loro una volta che si fossero finalmente alzati, mentre Gabriele era già al mercato a vendere fiori. Il gentile ragazzo, riuscì a convincere anche la madre ad offrire loro alcune provviste, al che Phearl lo ringraziò sentitamente, poiché sembrava apprezzare il non dover spendere soldi.
Nonostante la serata precedente, ora che Valerie si era calmata, Reyeha sembrava più disponibile nei suoi confronti.
Finiti i preparativi, partirono quindi per il lungo viaggio che li avrebbe portati al nord.

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Capitolo 27
*** I nuovi compagni di viaggio ***



Capitolo 27: I nuovi compagni di viaggio



Da quando erano partite per il Nord assieme a Valerie, Ida e Jon, il viaggio si fece sicuramente meno rilassante, ma anche più allegro. Persino Phaerl, la quale si isolava più di tutti, era più serena e Reyeha intuì che lei e Ida dovevano conoscersi da un bel pò di tempo, poiché con la donna, Phaerl sembrava essere molto più nelle sue acque.
Per quanto riguardava lei, dopo il burrascoso inizio, le cose con Valerie migliorarono. Era invadente e appiccicosa, ma non era cattiva e Reyeha, dopo una settimana, ancora si sentiva in colpa ripensando a come l'aveva trattata la prima notte che si erano incontrate.
La nostalgia che era tornata quando Valerie aveva tirato fuori il discorso del disegno, il dolore alla bocca dello stomaco, il fatto di non essersi ancora perdonata ciò che era successo e la consapevolezza che mai lo farà, l'avevano fatta reagire male e comportarsi ancora "da selvaggia" per come la pensava lei.
In fondo capiva Valerie, nemmeno lei aveva mai incontrato una maga con la quale confrontarsi prima d'allora o con la quale instaurare un qualche minimo rapporto, ed ora che ne aveva la possibilità si sentiva un pochetto meno sola.
Il problema principale della sua coetanea era la parlantina e il troppo contatto fisico.
Certo, non era più come prima della sfuriata, ma comunque sia, Reyeha non era abituata ad essere toccata all'improvviso e la cosa la metteva sull'attenti ogni volta.
La situazione si fece complicata quando Valerie, appena Reyeha dimostrava una qualunque gentilezza, andava per abbracciarla. Da quando era entrata nella foresta, non aveva più dato nè ricevuto nessun abbraccio, se non da Balkrev quando tentava di calmarla durante le crisi di pianto, e nemmeno a Thyag era mai stata una persona particolarmente affettuosa. Ritrovarsi qualcuno che tentava di abbracciarla ogni giorno fu quasi uno shock. La prima volta che Valerie riuscì nel suo intento prese Reyeha praticamente alle spalle, bloccandola in una morsa paralizzante.
-Che...che stai facendo?- Le chiese molto stranita.
-Ti sto abbracciando!- Rispose spontaneamente l'altra.
-Quello lo vedo...ma perché?-
-Perché voglio darti affetto!-
Il discorso finì lì, con Reyeha molto a disagio, che stava zitta e si guardava in giro aspettando che Valerie finisse, o che qualcuno andasse ad aiutarla. Alla fine non accadde nessuna delle due cose. Fu Reyeha a doverle dire, nella maniera più gentile che poté, che era ora di staccarsi.
Jon, invece era tenerissimo e davvero timido. Ci mise un pò a farci amicizia, anche perchè non aveva la più pallida idea di come prenderlo. Non si era mai trovata davanti quel tipo di personalità, con la quale doveva essere lei a fare il primo passo.
La persona che più si avvicinava al carattere dell'orco era Balkrev, più che altro per il senso di bontà e tenerezza che entrambi esprimevano, solo che, anche nel caso del "vecchio amico", aveva fatto tutto lui.
Nonostante ciò, alla fine era riuscita a instaurare un minimo rapporto anche con Jon. Trascorrere qualche minuto con l'orco era un sollievo per la mente. La serenità calma di quel ragazzo era contagiosa ed era diventata quasi una cura per il suo cervello dopo che trascorreva troppo tempo a stretto contatto con Valerie, il che succedeva praticamente sempre, tranne per quando quest'ultima dormiva.
Ormai si fidava a lasciare anche a Drayeho più libertà ed l'umore del draghetto sembrava essere migliorato. Inoltre aveva finalmente iniziato a sputacchiare un pò di fuoco. Ad un certo punto indirizzò involontariamente la fiamma verso uno degli angoli del mantello di Jon. Fortunatamente riuscirono a placare le fiamme quasi subito, ma l'orco sembrò esserci rimasto comunque un pò male.
Reyeha, per tentare di sdrammatizzare la situazione, gli disse tra lo scherzoso e il sarcastico:
-Bhè...dai... il mantello bruciacchiato ti da un'aria da cattivo, nessuno ti darà fastidio! Poi possiamo usarti come "arma" contro quelli che vogliono darci rogne: ti mettiamo davanti e facciamo tipo "non vi conviene mettervi contro di lui "-
-Guarda che mi sa che stai peggiorando la situazione.- Intervenne Phaerl.- E poi se vogliamo intimidire qualcuno ci basta mettere davanti te con il tuo dolce sguardo.- Concluse con un mezzo sorriso.

***

La gioia più grande però, tra i tre nuovi compagni di viaggio gliela diede Ida.
Oramai usciti dal Sud, in una sera più fredda delle altre, decisero di accamparsi e accendere un fuoco con il quale riscaldarsi. Dopo essere riuscita a far sputare a Drayeho una fiammella sulla legna, aver aiutato a sistemare le varie cose ed essersi coperta con una camicia a maniche lunghe, si sedette accanto al fuoco, con Drayeho sulle cosce, il quale, dopo un pò che Reyeha lo carezzava iniziò a ronfare.
-E' davvero carino sai?- Le disse Ida avvicinandosi a lei, per poi sederle accanto.
-Posso?- Chiese poi, ponendo la mano sopra Drayeho e facendo intendere a Reyeha che voleva accarezzarlo.
-Si, certo.- Acconsentì la ragazza.
Dopo aver coccolato un pò il draghetto, Ida cominciò a tastarsi, come fosse in cerca di qualcosa che portava addosso.
-Dove l'ho messo....?- Brontolò infatti.
Quando finalmente sembrò aver trovato ciò che stava cercando le si illuminò il viso, per poi tirare fuori un oggettino di forma ovale.
-Oh eccolo!- Esclamò -Quando io e Kamer siamo venute a recuperarti nella foresta, ho trovato questo, volevo rivendermelo a dire il vero, ma Kamer me lo ha impedito. Perciò eccolo qui.- Disse per poi porle davanti un ciondolo bronzeo dalla superficie riccamente decorata con motivi floreali.
Il cuore di Reyeha perse un battito, era esattamente come se lo ricordava, Ida aveva conservato benissimo il ciondolo apribile che il padre le regalò ormai quasi sei anni addietro.
Lo prese in mano e lo fisso come fosse stata la prima volta che lo vedeva. Dopo di che fu la volta della lacrime, che iniziarono ad uscire da sole nonostante tentasse di trattenersi.
Alzò lo sguardo lucido verso Ida.
-Grazie, grazie davvero!-
-Non ringraziare me, ringrazia Kamer quando la vedrai.-
La ragazza annuì, poi prese Drayeho e andò nella carovana. Non voleva piangere davanti agli altri.
Valerie se ne accorse e fece per seguirla, ma Jon, che era stato un pochino più attento a ciò che stava succedendo, la fermò.
Reyeha si rannicchiò nella carovana con Drayeho che, svegliato dallo spostamento, stava cercando di capire cosa stesse succedendo.
La ragazza aprì lentamente il ciondolo, come se avesse paura che potesse rompersi altrimenti. I piccoli ritratti erano ancora intatti. Gli occhi allegri del padre la stavano guardando, dandole un senso di sicurezza e protezione, mentre il dolce sorriso della madre le riempì il cuore. Ora i suoi genitori erano di nuovo con lei e fu con loro stretti al cuore che si addormentò.
Venne svegliata il giorno seguente dai preparativi per la partenza e più che altro da Valerie che, come al solito, faceva casino. Solitamente si sarebbe svegliata infastidita, ma il suo umore era stato influenzato in maniera talmente positiva dall'avere di nuovo con se il ciondolo regalatole dal padre, che si alzò sorridente, diede un caloroso buongiorno a tutti, che rimasero perplessi, ed aiutò energicamente a mettere apposto. Canticchiando anche.
Phaerl la guardava con un sopracciglio alzato.
-A sapere che la prendeva così glielo ridavo prima il ciondolo.- Disse invece Ida divertita.
I più spaventati da quella Reyeha insolitamente di buon umore erano Valerie e Jon. Stavano in un angoletto a guardarla straniti, cercando di capire cosa fosse successo.
-Secondo te avrà mangiato qualcosa di andato a male?- Domandò Valerie all’amico.
-N-non credo... cioè s-se fosse così l'avremmo m-mangiata a-anche noi... e ora sta-staremo male come lei....-
-Hmm hai ragione... non conosci un qualche tipo di fiore che potrebbe aver ingerito a farle quell'effetto...?-
-Hm...q-qualcosa conosco... ma è davvero i-improbabile che cresca d-d-da queste parti... e che Reyeha lo abbia mangiato...-
-Allora, che fate!? Avete intenzione di stare li a fare niente mentre noi mettiamo apposto?- Li interruppe Phaerl.
-Arriviamo!- Risposero i due quasi in coro, sussultando per l'improvviso ammonimento.
Anche sulla carovana l'umore di Reyeha non peggiorò. La ragazza, seppur a voce bassissima, stava ancora canticchiando mentre giocava con Drayeho e non appena tirò fuori il ciondolo per riguardarlo, Valerie partì all'attacco.
-Cos'è quello?-
-Un ciondolo apribile, me lo ha regalato mio padre. Pensavo di averlo perso, ma Ida me lo ha ridato ieri sera.-
-Ohh, è per quello che oggi sei così felice?-
-Hmm? Si nota?-
-Bhè...si... stai canticchiando...-
-Oh... scusate.-
-Fa niente! Comunque, hai detto che è un ciondolo apribile…cosa c'è dentro? Posso vedere?-
-C'è l'immagine dei miei genitori, mio padre me lo diede così che potessi averli sempre con me...- Disse mentre apriva il ciondolo e lo girava nella direzione della ragazza e di Jon, così che entrambi potessero vedere. Sapeva che l'orco era curioso quanto Valerie, ma infinitamente più timido.
-Che carino! Dove sono ora i tuoi genitori?-
Reyeha sospirò.
-Sono morti...-
-Oh. Scusa...Non volevo...-
-Tranquilla, non potevi saperlo.-
Dopo un momento di silenzio, nel quale Reyeha mise il ciondolo apposto, Valerie stava disperatamente cercando di trovare un altro discorso con il quale cambiare argomento e ripensando a ciò che le aveva detto Reyeha prima, lo trovò.
-Hai detto che te lo ha ridato Ida. Come mai lo aveva lei?-
Quella domanda mise in crisi Reyeha, non le andava di raccontare a tutti la sua vita.
-Possiamo cambiare argomento?- Disse infine direttamente, siccome non trovò nessuna scusa migliore.
-Mi sta facendo diventare nostalgica... Non vorrete rovinare il mio buon umore, no? Quando vi ricapita!?- Disse scherzando.
Valerie alzò le mani. -Non parlo più!-
-Ma che davvero!?- Intervenne allora Phaerl.

***

A un mese o poco più dall'inizio del viaggio Phaerl tirò su col naso. Era di nuovo ammalata.
Sbuffò spazientita dalla febbre, sistemandosi meglio a sedere sul legno duro del sedile del cocchio.
/Che siate maledetti per le pene che patisco ogni mese./ Pensò rivolta a qualcuno di oramai distante.
-Ti capita spesso di ammalarti?-Una voce dal retro la fece voltare. Valerie la osservava con quei suoi occhi grandi e curiosi, in attesa di una risposta.
-Così pare.- Fu la risposta lapidaria della maggiore, che non aveva voglia di approfondire il discorso, soprattutto ora che si sentiva la testa esplodere e gli occhi in fiamme.
-Come mai?- Domandò di nuovo la giovane, che non aveva evidentemente nient’altro da fare durante il viaggio se non porre domande per qualsivoglia cosa.
-Perché si.- Rispose nuovamente lapidaria la mezz'elfa, che la folgorò quasi con lo sguardo.
-Perché non rispondi mai alle mie domande?- Chiese senza demordere Valerie.
-Perché ne fai anche fin troppe per i miei gusti. Dannazione Ida, come fai a sopportarla?-Domandò Phaerl alla donna che le sedeva accanto, guardandola come fosse una santa.
La donna rispose facendo spallucce e sorridendo, continuando a guidare i cavalli.
-Va bene, sto zitta…- Si arrese la ragazza, assumendo un’espressione tra il deluso e il corrucciato.
/Dannazione, perché deve fare quella faccia? / Pensò la mezz'elfa, tamburellando convulsamente con il piede sul legno.
Dopo qualche minuto di silenzio, quasi assordante, Phaerl decise di rimediare, sentendosi un po’ in colpa per la maniera in cui l’aveva trattata.
-Mi passeresti l’acqua?- Domandò in direzione di Valerie, mantenendo però la sua solita espressione greve.
La ragazza prese una borraccia e gliela porse, velocemente. Non le andava di parlarle dopo che non le aveva risposto a nessuna delle sue domande. La mezz'elfa bevve qualche sorso, poi le ripassò la borraccia, ringraziandola.
-Non c’è di che.- Rispose quasi ignorandola Valerie, ancora imbronciata.
-Pensi di tenere quel muso lungo fino al nord?- Domandò Phaerl alzando un sopracciglio e sospirando.
-Non sto tenendo nessun muso lungo io.- Protestò la ragazza, accigliandosi.
-Ok ok. Fa come vuoi. In ogni caso…- La donna fece una pausa prima di continuare, quasi a voler trovare le parole per parlare. -Forse ho esagerato a risponderti in quel modo. Quando sono ammalata divento più intrattabile del solito, me ne rendo conto.-
-Eh.- Sentirono dire a Reyeha, che si beccò una squadrata dalla mezz'elfa.
Valerie invece sorrise, contenta alle scuse della donna e lieta che il suo trucco dell’imbronciata avesse funzionato questa volta.
-Non preoccuparti, non me l’ero presa.- Mentì. -Quindi ora mi dirai perché stai sempre male?- Tentò di nuovo, incorreggibile.
Phaerl sbuffò per l’ennesima volta, scuotendo la testa e rivolgendo uno sguardo tra il disperato e il rassegnato a Reyeha, che assisteva alla conversazione come uno spettatore a uno spettacolo in fiera.
-Forse un giorno te lo dirò.- Rispose infine Phaerl, tornando a girarsi sul suo posto e facendo finta di mettersi a dormire. Così da evitare ulteriori rotture.
-Ehi! Così non vale!- Protestò Valerie, mentre Reyeha soffocava una risata per come l’amica era stata appena liquidata.
Prima di lasciare che la donna si addormentasse, Reyeha si offrì di scambiare il posto con lei, così che potesse riposarsi meglio. Inoltre voleva parlare un pò con Ida. Non appena anche Valerie e Jon si misero a dormire la ragazza iniziò a parlare.
-Quindi sei tu l'arciere che ha accompagnato Kamer a riprendermi.-
-Eh già, impresa eroica, quel dannatissimo guardiano della foresta ci ha seguite per un bel pò, era bello grosso il bestione e sembrava arrabbiato.-
-Si... era perennemente mestruato quel drago. Fu l'ultimo ad accettarmi.-
Dopo qualche istante Ida riprese a parlare.
-Perché di me non raccontano mai le cose buone che faccio? Vanno a dire in giro solo che rubo! Mah!- Disse con un finto tono arrabbiato la donna.
-Bhè, io ho sentito che sei stata tu a prendere l'uovo di Drayeho dalla foresta e lo hai portato alla Biblioteca.-
-Oh si! A dirla tutta, non era mia intenzione portarlo alla Biblioteca, l'avevo preso perché brillava tanto...- Ammise la donna.
-Bhè, in ogni caso gli hai salvato la vita, ti ringrazio tanto anche per quello, oltre che per avermi tirato fuori dalla foresta assieme a Kamer.-
-Eh, Kamer, brava donna...- fece una pausa –Comunque, di nulla, ragazza. Lavoro.-
-Ti sono comunque riconoscente. Tra un pò dovrebbe esserci un posto abitato se non sbaglio, ho visto sulla mappa.-
-Si non dovrebbe mancare molto.-
-Ci fermiamo li? Intendo per Phaerl.- Disse Reyeha facendo un cenno con la testa verso la donna.
-Sarebbe meglio fermarsi il meno possibile, ma se continua così dovremo per forza.-

***

Ma fu proprio quando arrivarono alla loro prima città che incontrarono problemi. Si fermarono all'ostello più vicino a mangiare, Phaerl era abbastanza in forze da permetterselo, poichè la febbre si era abbassata un pò.
Non fecero in tempo ad arrivare al bancone che un gruppo di uomini entrò di botto.
-Capo!- Gridò all'oste il più alto di loro
-Ne abbiamo preso un altro!- Disse, tirando fuori un barattolo, contenente un piccolo essere con le ali, una fatina, forse.
Lo sguardo di Ida si fece improvvisamente serio, quasi spaventoso.
Valerie non capì subito, poiché fino a due minuti prima stava nel suo mondo. Reyeha invece percepì la tensione e quando sentì Phaerl mugugnare un lamento mise la mano sull'alabarda, mentre pregava comunque di non dover scontrarsi con quegli individui, visto che non aveva mai combattuto veramente con nessuno.
-Che succede?- Chiese confusa Valerie.
-Cacciatori di fate- Sibilo Ida. -Non mi sarei mai aspettata ritrovarne qui-
Jon guardava la scena confuso quanto Valerie.
La fatina si dimenava dentro al barattolo scalpitando e urlando.
-LASCIATEMI ANDARE BASTARDI! BRUTTI FIGLI DI UN TROLL! GIURO CHE QUANDO ESCO..!-
-Sta zitto- Lo interruppe quello altro, scuotendo il barattolo con un ghigno.
-Voglio vedere se dirai ancora cosi quando ti strapperemo le ali.-
Valerie guardava la scena arrabbiata, mentre lo sguardo di Reyeha si fece più spaventoso del solito. Guardandosi intorno, vide che le persone ai tavoli facevano finta di non vedere mentre altri ridevano sotto i baffi. Le stava salendo la rabbia.
Ida stava per alzarsi quando Jon la precedette.
-Lasciatelo stare!- Urlò con tutto il fiato che aveva. Era terrorizzato, Reyeha lo intuiva, ma non poteva non fare nulla.
Gli uomini lo guardarono perplessi poi scoppiarono a ridere.
-E cosa pensi di fare contro di noi?- Lo scherni quello alto, supportato dalle risa dei compagni.
Loro erano in sei e per quanto Jon fosse grosso non era abituato a combattere, come anche le altre. Forse giusto Ida e Phaerl se la cavavano meglio, ma Reyeha non era tanto sicura nemmeno di quello. Poi anche se così fosse stato Phaerl era fuori gioco a causa della malattia.
Jon iniziò a sudare freddo stringendo i pugni. Ida fece cenno alle altre di aspettare, dopo di che si alzò, prese una cosa dallo zaino e la gettò fra Jon e gli uomini. Una bomba soporifera, se le fabbricava da sola.
Jon, mezzo stordito dalla bomba, caricò contro quello con il barattolo. Questo volò in aria e nella confusione Ida lo acciuffò e lo passò a Valerie che corse fuori dal locale assieme a Phaerl e Reyeha. Ida prese Jon e lo trascinò fuori. I cinque si fiondarono sulla carovana e iniziarono a spronare i cavalli a più non posso cercando di mettere più distanza possibile fra loro e i tizi del locale.
Quando si fermarono, erano in campo aperto e ormai era sera. Perciò si accamparono li.
-Il mantello bruciacchiato a quanto pare non ha funzionato...- La buttò sullo scherzo Reyeha.
-Faremo la guardia a turni per assicurarci che non ci abbiano seguiti.- Disse poi Ida
Valerie annuì, ancora agitata. Poi prese il barattolo e lo aprì.
-FANCULO- Urlò l'esserino, scrollandosi della polvere dai vestiti.

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Capitolo 28
*** Qualcosa si muove - Notizie inaspettate ***


NOTE DELLE AUTRICI
Salve a tutti! Questa settimana tocca a me scrivere e disegnare, spero quindi che il capitolo sia di vostro gradimento! Ci farebbe immensamente felici anche ricevere qualche vostr commento ogni tanto, così, giusto per sapere che siete vivi xD Buona lettura!  
-Ele-




Qualcosa si muove - Notizie inaspettate


Ryuga aveva atteso. Era rimasto pazientemente ad attendere che qualcuno si facesse vivo per conto di Grago, ma del sacerdote o di chi per lui nemmeno l’ombra.
Nei giorni di permanenza nella capitale, aveva deciso di farsi notare il meno possibile, restandosene per lo più nella stanza che aveva affittato al locandiere suggeritogli dal vescovo. Scendeva solo per i pasti, rimanendo comunque a volto coperto, o per brevi e veloci passeggiate nei dintorni, per evitare di non essere trovato nel caso qualcuno fosse venuto a cercarlo.
Gli dispiaceva non poter visitare la capitale e godere degli infiniti intrattenimenti che essa offriva ai visitatori, ma sapeva meglio di chiunque altro di non potersi permettere il lusso di perdere tempo a tergiversare. Ed era per questo che al terzo giorno d’attesa dal colloquio con il sacerdote, decise di tornare a bussare alla porta dell’immenso monastero.

Bussò con il pugno alla pesante e familiare porta in legno, con la speranza che fosse proprio il sacerdote ad aprire. Lo spioncino si aprì, rivelando una faccia paffuta su cui capeggiavano infinite efelidi e contornata da capelli ribelli di un nero smorto tendente al grigio. Gli occhi marroni e vivaci del ragazzo, che doveva avere all’incirca sedici anni, constatò Ryuga, lo stavano studiando ora da capo a piedi.

-Oh! E tu saresti?- Chiese con tono meravigliato il giovane, soffermandosi sul suo volto semicoperto, tentando di scorgerlo meglio.
/Speravo proprio di non dovermi presentare …/ Pensò l’altro sospirando.
-Mi chiamo Ryuga e sto cercando il vescovo Grago.- Rispose semplicemente, evitando di esporre il motivo della sua visita. Infondo si trattava di una missione segreta.
- E a quale pro? Sentiamo.- Disse con un mezzo tono di impertinenza e sospetto il ragazzo.
-Devo discutere con lui di un argomento urgente.-
-E quale sarebbe questo argomento?- Ribatté non soddisfatto il giovane.
/Di certo non lo vengo a dire a te…/ Disse tra sé e sé il maggiore, che iniziava a spazientirsi.

A dispetto delle apparenze, il monaco detestava dover sempre mantenere un comportamento placido ed educato, ma sapeva bene che per evitare grane doveva comportarsi in un determinato modo.
-Non ho il permesso di rivelartelo, mi dispiace.- Rispose dunque cordiale.

-Peccato. Comunque sia, il vescovo Grago è sotto inchiesta e il sommo Samael ha stabilito che non possa ricevere visite fintanto che il processo non sarà giunto al termine. Mi dispiace. Ora scusami, ma ho altro da fare.- Il ragazzo aveva parlato quasi tutto d’un fiato, assumendo quel fare altezzoso di chi si crede superiore alla massa e ora stava quasi per richiudere lo spioncino in faccia all’altro monaco, che lo guardava a bocca aperta, allibito da quella rivelazione.

-Un momento, aspetta!- Urlò il corvino, infilando una mano nell’apertura per impedirgli di chiuderla. –Come sarebbe a dire sotto inchiesta? E per quale motivo?- Chiese preoccupato.
-Non sono affari che ti riguardano!- Rispose spaventato l’altro. - Togli la mano da lì immediatamente!- Protestò questi, tentando invano di liberare lo sportello dalla presa ferrea dell’arciere.
-Ti prego! Ho bisogno di sapere che ne sarà di Grago, ci sono delle vite in ballo!- Sbraitò, facendo sobbalzare il ragazzo, che smise d’opporre resistenza, fissandolo con sgomento.

-Che...che intendi dire con “ci sono delle vite in ballo?”-
/Dannazione! Mi sono lasciato prendere troppo e ho dato fiato alla bocca… Meno male che mi ero ripromesso di restare calmo./ Ryuga stizzì, scansandosi dall’apertura sulla quale era ancora avvinghiato.
-Tu…sei un monaco, giusto?- Chiese giusto per accertarsene.
-Sono un novizio, ma questo cosa c’entra? Ti ho fatto una domanda, rispondimi o chiamo le guardie!- Intimò il ragazzo dalla sua posizione.
-Hai mai sentito parlare del saggio Loen e delle sue visioni? Che opinione ne hai al riguardo?- Proseguì Ryuga, guardingo, tastando il terreno per evitare di rivelare troppo così da mettersi nei guai o di dire troppo poco e non essere preso sul serio.

Il ragazzo ammutolì, sbiancando. I suoi occhi ora trasmettevano riverenza e rispetto.
-Conosco solo di fama il saggio Loen e il suo dono. Il sommo Samael ci ha sempre insegnato ad essere scettici riguardo alle sue visioni … però, il vescovo Grago invece … - Il ragazzo fece una pausa, deglutendo il groppone che aveva in gola. –Straniero, mostrami il tuo volto.- Proferì infine, spiazzando il suo interlocutore.
-Perché dovrei?- Chiese a disagio Ryuga, spostando il peso del corpo da un piede all’altro.
-Se vuoi che continui ad ascoltarti, togliti il cappuccio, in modo tale che io possa riconoscere la persona che mi sta di fronte.- Rispose serio il novizio.
Ryuga obbedì, anche se a malincuore. Sperava solo che una volta aver visto i suoi occhi, il ragazzo non si fosse spaventato o peggio, avesse chiamato le guardie facendolo arrestare con chissà quale accusa pur di mandarlo via.

-Contento?-
-N-Non è possibile.- Mormorò sotto voce il ragazzo, osservando i magnetici occhi eterocromi dell’uomo che aveva di fronte.
/Che gli prende ora?/ Pensò il monaco, interdetto dalla reazione del più giovane.
Dopo qualche istante, il ragazzo si riscosse, uscendo da quella sorta di trance in cui era caduto. Con uno scatto veloce, fece scattare la serratura della pesante porta, aprendola così da avvicinarsi al maggiore e tirarlo a sé.

-Ascolta!- Disse, abbassando di scatto la voce. –Non è luogo questo per parlare, se il vescovo Samael dovesse vederti passeresti sicuramente il resto della tua vita in una cella a marcire o peggio.-
-Ma io ho bisogno di parlare col vescovo Grago, ti ho detto!-
-Non è possibile ora! Ascolta. Ora devi andartene ma, se mi dici dove posso trovarti, ti prometto che cercherò di metterti in contatto con il vescovo da parte tua.- Promise il ragazzo, ad un soffio dal suo viso.
-L’ultima volta che mi hanno detto così, ho finito per attendere tre giorni invano l’arrivo di qualcuno, finché non sono venuto a sapere che il vescovo da cui attendevo notizie è stato messo sotto inquisizione.- Pensò ad alta voce il corvino, facendo ammutolire l’altro.
-Ti prego di fidarti di me.- Biascicò quasi quello, fissandolo.
Ryuga fissò i suoi occhi di rimando. Ardevano di una strana luce, gli parve determinazione. Poteva fidarsi di uno sconosciuto, vista la situazione? Il monaco appurò il da farsi, valutando i pro e i contro della sua risposta. A ragionamento compiuto, fece spallucce, sapendo che aveva dopotutto soltanto un’alternativa.
-Sembra che io non abbia scelta.- Rispose, facendo rallegrale l’altro, il quale gli sorrise sollevato. –Mi trovi alla locanda del “Monte innevato”, sono sempre lì.-

-Ok. Stasera porterò la cena al vescovo nella stanza in cui è rinchiuso. Appena avrò notizie, verrò a cercarti, hai la mia parola.- Promise, guardandolo fiero delle sue parole, mentre gli porgeva la mano.
-Va bene. Mi fido. Anche se non so perché mi stai aiutando.- Gli sorrise, stringendogli la mano.
-Diciamo che è una storia lunga…- Rispose l’altro, grattandosi distrattamente la testa.
Ryuga capì che era meglio non fare domande, almeno per il momento.
–Posso sapere il nome della persona alla quale sto affidando la mia vita?- Gli chiese, mentre si rialzava il cappuccio sul volto.
-Hero. Mi chiamo Hero.-

-Bene Hero, il mio destino e quello della mia missione sono nelle tue mani.- Disse l’incappucciato prima di andarsene, sperando in cuor suo di non doversi pentire delle sue scelte.
/Imyr fa che la mia missione non finisca ancor prima d’iniziare./ Pregò mentalmente.

***
Ormai nevicava da due giorni e in maniera quasi incessante. A Elaera piaceva la neve, si, ma ora credeva sul serio che fosse troppa. Si ammassava per le strade, ostruendo il cammino e costringendo gli abitanti della piccola città a spalare in continuazione per non rimanere bloccati fuori o dentro casa. Ed era quello che ora lei stava facendo, spalava.

-Aaaaaaaaaaah, non ne posso più! A che serve spalare se continua a nevicare?- Si lamentò il suo compagno di lavoro.
Kandara la stava aiutando da circa dieci minuti, nei quali non aveva fatto altro che lamentarsi, sbuffando sonoramente e facendo quasi uscire di testa la ragazza.

-Se non spaliamo la neve, l’ingresso di casa finirà per rimanere bloccato. Appena avremo liberato abbastanza spazio butteremo il sale, così la neve non attecchirà al suolo e potremo riposarci.- Ripeté per la quinta volta lei.
-Se fossimo stati nella capitale non avremmo dovuto spalare neve.- Protestò l’altro, mettendosi finalmente a spalare.

-Perché, non nevica anche nella capitale?- Chiese la ragazza, sorridendo nel vederlo sbraitare contro la massa bianca ai suoi piedi.
-Certo che nevica! Ma la neve non attecchisce mai al suolo. La capitale ha un complesso meccanismo di riscaldamento che…bhe..riscalda. Così la neve PUFF!- Spiegò sotto lo sguardo perplesso dell’amica.
-Non credo di aver ben capito…- Ammise quella incerta.

-Lascialo stare. Spiegare cose tanto complesse non è mai stato il suo forte. Vero Kan?- Una voce alle loro spalle li fece voltare.
Cassandra, la figlia maggiore di Edel, teneva in mano due tazze fumanti piene zeppe di cioccolata.

-Se è per questo nemmeno tu sei chissà cosa a spiegare, mia cara maestrina.- Rispose lui a tono, facendole la linguaccia.
-Ah sì? Allora per te niente cioccolata!- Protestò la sua migliore amica, porgendo una delle tazze ad Elaera e facendo per bere dall’altra.
-Scusa! Scusa! Rimangio ciò che ho detto! Su, dammi la cioccolata che sono un ghiacciolo.-
-Idiota.- Rispose quella, porgendogli però la bibita fumante con un sorriso rassegnato.

Elaera soffocò una risata. Ormai si era abituata a quei due e alla loro amicizia. Avendo un carattere simile l’uno all’altra, ad Elaera era rimasto facile relazionarsi con entrambi e capirli. Il loro rapporto era al pari di quello di due fratelli forse, però maschi, poiché a detta di Kandara: Cassandra non era una ragazza. Non nel senso in cui lui intendeva la parola ragazza. Non lo diceva con cattiveria, gli spiegò un giorno l’amico, ma soltanto perché in Cassandra lui non vedeva una delle tante prede disponibili, come considerava tutte quelle dell’universo femminile; Elaera fu grata di sapere quel giorno che anche lei ormai non entrava più nella lista, forse, aveva aggiunto il ragazzo guardandola con fare malizioso.
La ragazza sorrise al ricordo, scuotendo la testa.

/Chissà se quel tonto ha capito per quale motivo non la vede in quel modo./ Pensò tra sé e sé, osservando i suoi due amici chiacchierare animatamente tra loro, seduti vicini sul muretto del recinto.
Di certo non aveva confidenza con certi sentimenti, ma non era stupida e non le sfuggivano certi segnali impliciti. Ma sapeva, visti i suoi amici, che ci sarebbero voluti forse secoli prima che si accorgessero di ciò che realmente provavano.

-Sapete? Sareste una bella coppia voi due.- Disse a bruciapelo, facendo quasi bruciare Kandara con la cioccolata calda.
-Cheeeeeeeee?!- Urlarono in coro i due ragazzi.
-Ho detto che vi vedrei bene insieme. Perché mi guardate così ora?- Chiese quella sotto lo sguardo stralunato dei due.
-Sei impazzita? E’ il mio migliore amico! Gli voglio bene, moltissimo bene è vero, ma…no assolutamente no!- Sentenziò Cassie, scuotendo la testa animatamente.
-Concordo!- L’appoggiò il biondo.
-Oh ma andiamo! Ma se sei sempre tu quello che fulmina con lo sguardo qualsiasi ragazzo che le si avvicina con quelle intenzioni.- Continuò Elaera, assumendo un tono provocatorio.
-E’ solo perché lei è tanto tonta quanto perversa e non si accorge quando cercano di abbordarla.- Si difese il ragazzo, venendo fulminato però dall’amica per il “perversa”.

-Si certo, certo. Giuro che mi mancheranno le tue bugie campate in aria quando andrò via.- Ridacchiò Elaera, facendolo sbuffare.
-Sei sicura quindi di voler partire?- Chiese Cassie triste, essendosi ormai affezionata all’amica ed abituata alla sua presenza nella grande casa.
-Si. Appena avrò soldi e modo, partirò. Devo.- Rispose con nuovo spirito, ferma sulla sua decisione presa qualche giorno prima.

-Andiamo a spalare, va. Fintanto che resti qui voglio usarti come si deve, ragazzina!- Scherzò Kandara per terminare il discorso, notando la faccia triste di Cassie.
-Ehi! Ho solo qualche anno in meno di te, non sono una ragazzina.- Raccogliendo un po’ di neve, gliela lanciò contro, scatenando la parte infantile del ragazzo. La parte idiota.

-Guerraaaaaaaaaaaaa!- Urlò quello, prima di avventarsi su di un cumulo di neve e iniziare a lanciare a raffica palle più o meno grandi alle due ragazze, che non poterono far altro che scappare da un lato all’atro della strada.

Alla fine, dopo una sgridata della furente Edel, toccò loro rispalare tutto quel casino.

 

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Capitolo 29
*** Gwendal ***




Capitolo 29: Gwendal

"FANCULO" urlò la fatina, scrollandosi bruscamente la polvere dai vestiti. 
Era magro, con corti capelli arruffati di intense e varie tonalità, più che altro viola, rosse e gialle. I taglienti ma grandi occhi erano prima viola, poi azzurri accentuati dalla pupilla bianca. Il viso fine aveva lineamenti duri; sulla fronte capeggiava un simbolo ovale di un rosso vermiglio e le lunghe orecchie terminavano in due punte. Portava una lunga giacca verde, con ricami di una tonalità più chiara, chiusa fino alla cintura. I pantaloni erano larghi e trasandati, legati alla caviglie da sottili corde nere. Valerie notò anche che le sgargianti ali erano in qualche modo diverse: le due a sinistra sembravano essere più piccole di quelle a destra.

L’esserino alzò lo sguardo verso il gruppo, fulminandoli uno ad uno. Sbuffò per poi domandare un "Beh, che volete?" infastidito.
"In che senso?" Chiese di rimando Valerie, confusa dalla reazione ostile dell’altro.
"Nel senso che mi avete salvato perché volete qualcosa, no?" Spiegò quello, quasi come fosse ovvio.
Valerie lo guardò incredulo. 
“Wow, ci mancava giusto la fatina scorbutica.” Commentò Reyeha.
Phearl alzò, come suo solito il sopracciglio. “Tutti noi ce li becchiamo…”
“Noi volevamo solo aiutarti….” Cercò di chiarire Jon.
“Pffft, vallo a raccontare a qualcun altro, orco. Nessuno fa favori per nulla.” Rispose il piccoletto, acido.
L’orco abbassò la testa, ferito.
Valerie fece una smorfia di stizza di fronte al comportamento maleducato della fatina, per poi poggiare una mano sulla spalla dell’amico, per consolarlo.
Ida prese il piccoletto per la giacca, sollevandolo. “Cerchi rogne, eh?” Lo rimbeccò.
"METTIMI GIU!" Urlò l’altro, dimenandosi come poteva.
“Non finché non impari a comportarti meglio.” Lo ammonì la donna. “Avevo sentito dire che le fatine erano quasi estinte e che le poche rimaste si erano rifugiate fuori dai confini di Imirdyr. Da dove vieni tu?”
“Non sono cavoli tuoi.” Sibilò infastidito.
“Ah ah ah.” Lo corresse l’altra. “Non ti metterò giù finche non ti comporterai civilmente.” 
L’altro ringhiò per poi sbuffare rassegnato.
Reyeha guardava la scena quasi divertita, anzi, divertita e basta.
"Da fuori Imirdyr, a ovest. Oltre la foresta. La mia famiglia é stata uccisa dai cacciatori e io sono scappato, per un po’ sono riuscito a nascondermi, fingendomi umano con una pozione. Ero tornato fata per un po’ quando quei bastardi mi hanno scovato e catturato. Poi siete arrivati voi ed eccomi qui." Spiegò brevemente e di malavoglia.
Valerie sarebbe stata dispiaciuta per lui se non fosse stato per il suo caratteraccio.
Ida sembrò soppesare le parole del piccoletto.
"Come ti chiami?" Chiese poi.
"Gwendal" Sibilò il suo interlocutore. 
“Dimmi, Gwendal, quella pozione di cui parli...puoi crearla per Jon?" Disse improvvisamente.
"Neanche per sogno. Perché dovrei aiutarvi?"
"Mah, non so, forse perché ti abbiamo salvato al vita?" Lo rimbeccò sarcastica Phearl.
Gwendal sbuffò di nuovo per poi zittirsi in segno di protesta.
“Bene!” Disse allora Ida, posando la fatina a terra. “Vedo che non vuoi il nostro aiuto.” Continuò, portandosi le mani ai fianchi. Guardò tutti loro con sguardo significativo. “Direi che ora possiamo anche andarcene.” Affermò, lasciando Gwendal stizzito, il quale fece per protestare ma si fermò e rimase in silenzio. Gli altri la seguirono, tranne Jon, che invece sembrava non aver capito la tattica della donna.
“Ma…non possiamo lasciarlo qui!” Protestò.
“Se non vuole collaborare, noi non possiamo fare nulla.” Rispose Ida.
Jon guardò la donna con occhi tristi, per poi guardare Gwendal, che, incrociate le braccia, tamburellava il piede a terra, fingendo indifferenza. 
Valerie gli mise una mano sul braccio. “Dai” Lo esortò dolcemente.
Jon fece per seguirla, quando Gwendal bloccò il gruppo.
“Ok! Ok! Vi aiuterò!” Disse, strappando un sorriso soddisfatto ad Ida.
“Vedo che ci capiamo.”
“Tanto comunque ora come ora verrei solo catturato di nuovo, non avendo pozioni.”
Ida alzò un sopracciglio.
Osservandolo, valerie aveva notato che ora i capelli del piccoletto avevano cambiato tonalità diventando rossi alla radice poi viola chiaro poi azzurro. Erano colori molto più pacati rispetto a prima, perciò ne dedusse che probabilmente cambiavano a seconda dell’umore.
“A cosa vi serve, comunque?” chiese quello.
“Jon è stato cacciato dal suo clan e non sa dove andare, magari con la tua pozione potrebbe essere più facile per lui trovare un posto qui, magari al nord, dove siamo dirette.”
“Non ho gli ingredienti, ma dovrei essere in grado di procurarmeli al nord, a patto che troviate una sistemazione anche per me.”
“Vuoi veramente portarti dietro anche lui, Ida? Stai cercando di aprire un circo?” Si lamentò Phearl, rassegnata.
“A quanto pare.” Commentò Valerie, ancora infastidita dal comportamento della fatina.
“Due maghe, una ladra, un mezzelfo, un orco e una fatina, non sarebbe male.” Scherzò Reyeha.
“Hai dimenticato il drago.” La corresse Valerie, divertita.
“Giusto. Magari se uso le polpette riesco anche ad insegnargli qualche acrobazia.”
“Beh, non potevamo mica lasciarlo qui, ti pare?” Si giustificò la donna.
“Dillo che volevi una fatina.”
“Forse…”
“Beeene.” Continuò Ida. “Benvenuto in famiglia, Gwendal. Questa è Valerie” iniziò, indicando la giovane maga dai capelli corvini “lei è Phearl” passò alla donna mezz’elfo “lui è Jon” indicò l’orco “e infine questa è Reyeha.” Concluse con l’altra giovane maga. “Oh, e il piccoletto nella sua tasca è Drayeho, lo conoscerai presto.”
Gwendal grugnì.
“Beh, tu che hai da guardare?!” Invei verso Reyeha, che continuava a fissarlo divertita.
La ragazza alzò le mani, facendo una smorfia sarcastica. 
“Io? Niente.”
“Mi prendi per il culo?” rispose irritato l’altro.
“Cerchi botte?” lo pungolò di rimando la maga. I capelli dell’altro tornarono gialli, rossi e blu mentre le ringhiava.
“Beh, viecce!” continuò quest’ultima, aizzandolo con le braccia.
“Vai, Reyeha, picchialo!” esclamò Phearl, supportata da Valerie. Nel frattempo, Ida ridacchiava e Jon cercava un modo di calmare la situazione.
Poi, Reyeha scoppio a ridere di gusto, asciugandosi una lacrimuccia, soddisfatta.
“NON PREDERMI IN GIRO!” sbottò Gwendal, che era diventato rosso peperone.
“Beh, non è colpa mia se ti arrabbi tanto facilmente” si giustificò l’altra, alzando le spalle “sei divertente da infastidire.”
Gwendal grugnì, disperato e rassegnato per poi brontolare un “Fottiti”indignato.
Valerie si lasciò scappare una risatina. 
“E’ tutto molto commovente, ma ora possiamo mangiare cosi magari poi posso mettermi a dormire? Vi ricordo che non mi sono ancora del tutto ripresa.” Li interruppe Phearl.
Gli altri furono d’accordo e dopo aver cucinato velocemente qualcosa di semplice, mangiarono fra le brontolate di Gwendal e le battute di Reyeha che a quanto pare, pensò Valerie, aveva iniziato a farsi piacere la fatina e lo dimostrava in modo particolare. Durante una delle ‘conversazioni’ usci fuori che Gwendal non poteva volare, per via delle sue ali storpie. La maga mora aveva cercato di porgli ulteriori domande ma la fata l’aveva interrotta bruscamente. La serata passo in fretta e dopo Phearl, toccò agli altri coricarsi. Si divisero i turni di guardia, escludendo la mezzelfa che era ancora debole. La prima ad andare fu Reyeha, che preferiva non interrompere il suo sonno, poi fu il turno di Valerie.
Non appena fu sola, molti pensieri iniziarono ad affluire nella testa della ragazza. Si ritrovò a pensare alla sua vita prima di Ida; ai giorni trascorsi al villaggio, persino ai suoi genitori se cosi si potevano chiamare, si chiese se fossero stati fra quelli che volevano linciarla e se si fossero sentiti sollevati dal sapere che se ne sarebbe andata via. Pensò a Meyr, al calore del suo abbraccio e l’odore familiare della sua casa, l’affettuoso benvenuto che le riservava Kiru ogni qual volta faceva visita ai due…forse le cose sarebbero andate diversamente se lei fosse stata più attenta alle condizioni dell’anziana signora, forse avrebbe potuto salvare Kiru dalle grinfie di Fay e del suo gruppo se solo fosse stata più forte…poi si chiese che fine avesse fatto quel ragazzo che aveva avvertito Ida, evitando il peggio. In qualche modo, sentiva che era anche grazie a lui se ora si trovava li e non chissà dove, persa nell’oblio. 
Già, l’oblio, una presenza costante nella sua mente, un incubo eterno ma anche una tentazione. Abbandonarsi all’apatia e non sentire più nulla, niente sofferenza o dolore…ma in qualche modo, sentiva di dover resistere. Doveva essere forte…Almeno per Meyr, la sua insegnante, amica e madre e Ida, che l’aveva salvata e l’aveva portata con se, insegnandole tutto ciò che sapeva. 
Per più di due anni avevano viaggiato, attraversando l’ovest e poi il sud. Erano successe molte cose, le più delle quali negli ultimi mesi. L’incontro con Jon e le parole di Gabriele. 
L’apparsa di Reyeha, maga come lei e poi Phearl e ora Gwendal. Si chiese se tutto quello avesse un qualche significato. 
Anche se era passato molto tempo, non era riuscita a risolvere i problemi con la sua magia, figuriamoci quelli che riguardavano i maghi. Forse non spettava a lei quel compito…ma se cosi fosse stato, allora qual’era il suo scopo nella vita?
Proprio mentre veniva sopraffatta dai pensieri, Ida le posò una mano sulla spalla, riscuotendola da essi.
“E’ finito il tuo turno, puoi andare a dormire.” Le disse dolcemente.
Valerie la guardò, poco convinta.
“Posso rimanere un po’ qui con te?” chiese supplichevole “Non credo che riuscirei ad addormentarmi , ora come ora.”
"Sembri turbata." Osservò la donna, pronunciando le parole in un sussurro, per non svegliare gli altri.
"Già" rispose la ragazza, abbracciandosi le ginocchia. "Stavo pensando a tutto questo. Al suo significato." 
La donna la guardò, perplessa.
"Questo viaggio...stiamo aiutando Jon ad arrivare al nord, si...ma poi? Continueremo a viaggiare senza meta, come abbiamo fatto fin’ora?" spiegò la maga.
"Non é per forza una cosa negativa. Significa che hai sempre la libertà di cambiare idea" rispose semplicemente la donna
"Si, lo so.” Reagì l’altra “Ma non è giusto per me...sento che c'è qualcosa che devo fare. Qualcosa di più. DEVE esserci."
"Sei ancora giovane Valerie, hai tutta la vita davanti. Hai tempo per trovare la tua strada.”
"Ma ho paura che continuando a pensare che ci sia tempo, finirò per non fare mai nulla.” Ribattè la ragazza “Voglio dire, non ho ancora risolto il mio problema con l'oblio, sono passati due anni, Ida!" continuò agitata, alzando di molto il tono e suscitando il fastidio di Phearl che, mezza assonnata si rigirò nel suo giaciglio brontolando qualche insulto incomprensibile. 
"Ho la sensazione di stare perdendo il senso del mio viaggio." 
Cercò di calmarsi mentre gli occhi le diventavano lucidi.
"Quando ho iniziato volevo diventare una grande maga, dimostrare agli altri che non siamo mostri. Avevo promesso che avrei combattuto, che avrei cambiato le cose. Ma più vado avanti più diventa difficile." Confessò, asciugandosi le lacrime che non era riuscita a trattenere.
"Valerie” la chiamò dolce l’arciera “spesso la vita ci riserva situazioni inaspettate e complicate. 
La vita è difficile, questo è un fatto innegabile. Ma mai, mai farsi sopraffare da essa. Se vuoi raggiungere un obiettivo, se lo vuoi veramente, allora lotta e tieni duro. Se c’è una cosa che ho imparato è che se ti lasci andare, allora è finita. Non dimenticare che sei una ragazza intelligente, determinata e hai il cuore al posto giusto….” Si interruppe “ma penso che a volte tu ti sottovaluti." Considerò pensierosa.
Valerie annui, un po’ rincuorata. “Grazie, Ida.” 
La donna sorrise. "Dai, ora va a dormire. Manca poco al giorno e la mancanza di sonno certo non ti giova." La esortò per poi abbracciarla velocemente. Non era mai stata brava nel dimostrare affetto. 
Valerie sorrise. Poi si stese sul suo giaciglio e cadde addormentata.
La mattina dopo si svegliarono presto, chiamate da Jon, che aveva ricevuto l'ultimo turno do guardia. Si prepararono velocemente.
Ida e Phearl si piazzarono davanti mentre Jon, Valerie, Reyeha e Gwendal dovettero salire sul retro della carrozza. 
Fu li che Gwendal li fermò.
"..mmh...” cercò di dire, incerto. Sembrava che si stesse sforzando molto. “ho bisogno che mi aiutiate a salire…. " disse quasi in un soffio, come se l’ammissione fosse sofferta.
"Che vuoi dire?". Chiese Valerie. 
Gwendal la guardò male.
“Ooooh” esclamò l’altra, ricordandosi della sera prima. 
Poi, Reyeha lo prese e se lo mise in spalla. 
”Oi che fai??” chiese quello, senza però opporre troppa resistenza.
”Beh, cosi stai più comodo, no? Ringrazia, ti sto offrendo la mia morbida spalla invece del pavimento duro della carrozza.” Rispose l’altra.
Gwendal brontolò più per scena che per altro. Dopodichè, i quattro salirono sul carro.
Non resistendo, Valerie decise di interrogare la fata riguardo il suo popolo, pur sapendo che probabilmente non avrebbe ricevuto risposta.
Inaspettatamente, Gwendal rispose.
"Le fate vivevano in piccoli villaggi nelle foreste.” spiegò “Prima, gli uomini viveva insieme a loro poi iniziarono a catturarle e usarle a loro piacimento, molti villaggi vennero sterminati, compreso il mio.” Disse, con un tono che a Valerie sembrò quasi mesto. “Non che mi dispiaccia sia chiaro.” Si riprese, notando i sguardi puntati su di lui “Sono felice che quei bastardi siano morti tutti.”
“Come mai?” chiese la ragazza.
“Non mi va di parlarne.” Affermò lui, secco.
Valerie si trattenne dall’insistere ma non riuscì a nascondere la delusione sul suo volto. Delusione che probabilmente anche la fata notò e, a disagio, incrociò le braccia, guardando da un'altra parte.
Dopo qualche minuto di silenziò, fu proprio Gwendal a parlare.
“Le mie ali per loro erano segno di morte.” Spiegò inquieto. “Un'antica leggenda narrava che chi si fosse affezionato a una fata con ali diverse sarebbe morto. Perciò sono vissuto ignorato dai miei compaesani e a volte persino maltrattato. É divertente che in ogni caso siano morti." Concluse con tono ferito e amareggiato.
"Mi dispiace ..." disse dispiaciuto Jon, suscitando l’irritazione della fata, che a quanto pare sembrava non prendere bene la pietà
"C-cioè, t-ti capisco” cercò di chiarire l’orco “anch'io s-sono stato allontanato dalla gente del mio villaggio. Non capivano e od-diavano che f-fossi diverso.” Spiegò agitato “Alla fine mi h-h-hanno cacciato." 
Gwendal lo squadrò, ma Valerie capì che il suo sguardo si era addolcito.
“Sai, anche io venivo maltrattata al mio villaggio, i miei genitori mi odiavano e l’unica persona che avevo vicino era una maga anziana, Meyr.” Confessò allora Valerie, nostalgica “Lei mori e rimasi sola con Kiru, un cucciolo di Chien che viveva con lei.” Il suo tono si fece triste, era doloroso per lei ricordare “Purtroppo anche Kiru morì, ucciso da dei ragazzi al villaggio, è stato li che i miei poteri sono andati fuori controllo e sono quasi diventata il mostro che gli altri pensavano fossi. Ida mi ha salvato prima che questo accadesse e mi ha portata con se.” Sorrise, malinconica.
Nel frattempo, Reyeha, che stava giocherellando con Drayeho per impedirgli di arrivare a Gwendal si accorse degli sguardi del resto del gruppo puntati su di lei, come in attesa che dicesse qualcosa.
La ragazza li fissò di rimando.
“Che c’è?” disse “Io non sono stata maltrattata.”
“Cos’è, un confessionale?” se ne uscì allora Phearl, da davanti la carrozza. Ida le diede una leggera spallata per rimproverarla. 
”Che c’è?” replicò semplicemente la mezz’elfa.
L’altra la guardò severa, alzando un sopracciglio.
Nel frattempo, Valerie aveva iniziato a ridere, trascinando con se Jon mentre Gwendal era stato quasi investito da Drayeho, che approfittando del momento di distrazione di Reyeha, era riuscito a raggiungerlo. La maga lo acchiappò appena in tempo, ridendo agli insulti incomprensibili della fata, che cercava di rimettersi composto sulla sua spalla.
Passarono la giornata tranquillamente, si accamparono per la notte e la mattina dopo ripartirono presto, Phearl aveva iniziato a riprendersi per bene perciò iniziarono ad avere ritmi più serrati. Gwendal aveva iniziato ad aprirsi e, nonostante borbottasse ancora, era molto più disponibile. Lui e Reyeha avevano instaurato una specie di amicizia e passavano la maggior parte del tempo ad insultarsi con la maga che minacciava di farlo mangiare da Drayeho mentre Phearl incitava la rissa e Ida rideva divertita. Valerie invece, trovava difficile rapportarsi al carattere difficile di Gwendal ma, allo stesso momento, capiva perché si comportasse cosi.
Anche Jon aveva preso confidenza con lui e in qualche modo, la fata era più calma in compagnia dell’orco che, con il suo fare mite e amichevole, ben bilanciava il carattere impulsivo del piccoletto.
Il viaggio fu tranquillo, ormai Valerie conosceva l’ovest e aspettava con ansia di arrivare al nord. L’unica cosa era che Drayeho era cresciuto e a malapena entrava nel taschino di Reyeha, per il resto, le giornate trascorrevano abbastanza placide e senza imprevisti, nulla in confronto ai giorni precedenti. Quella calma routine non durò però a lungo.
Erano ormai passate due settimane, il gruppo stava conversando tranquillamente nel retro della carovana quando una voce maschile li interrupe.
“Ehyla! Disturbo?” disse un uomo, seduto vicino a loro.

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Capitolo 30
*** Lo straniero venuto da Ovest ***



Capitolo 30: Lo straniero venuto da Ovest

-Ehyla! Disturbo?- Disse un uomo, seduto vicino a loro. 
Tutti trasalirono. Quando diamine era entrato? 
Reyeha quasi fece cadere Gwendal dalla sua spalla a causa del movimento fatto per spostare Drayeho e afferrare l'alabarda, puntandola poi verso l'intruso. 
-Valerie! Jon!- La voce di Ida chiamò i due perchè andassero dietro di lei. Fece per chiamare anche Reyeha ma si fermò a metà nome, avendo visto che la ragazza aveva già puntato l'arma verso lo sconosciuto. Anche lei intanto, in meno di un secondo aveva puntato arco e freccia al collo dell'uomo, mentre Phaerl aveva sguainato la spada.
-Wow, wow!- Fece quello, alzando le mani. -Non voglio farvi del male!-
-Chi sei e cosa diamine vuoi?- Intervenne Ida.
-Mi chiamo Nathaniel; volevo solo un passaggio. Ho notato che stavate andando in direzione Nord ed essendo stanco ho pensato di salire sulla carovana.- L'uomo sembrava completamente rilassato, seppur con tre armi diverse puntate contro.
-Oddio no... ora pure quest'altro?- Intervenne Phaerl.
Reyeha intanto stava tentando di tenere Drayeho fermo alle sue spalle, bloccandolo con le gambe.
-Sono disposto a pagare!- Aggiunse Nathaniel.
Phaerl e Ida lo squadrarono, ma prima che l'arciera potesse dire qualcosa intervenne Phaerl, la quale rimise la spada nella guaina.
-Oh, ok allora.-
Tutti posarono gli occhi su di lei.
-Cosa?- Disse Ida.
-Sul serio!?- Esclamò poi Reyeha, che continuava a puntare l'arma alla gola del uomo.
-Oh andiamo! Abbiamo bisogno di soldi, cosa vi costa stringervi un pò, poi anche noi stiamo andando al Nord.-
-Perfetto!- Esclamò Nathaniel.
-No!- insistette Reyeha -Potrebbe essere un pazzo omicida per quel che ne sappiamo!- disse determinata.
-Ma dai, sembro cosi minaccioso?- Tentò di intervenire l'uomo per poi essere subito fermato dalla ragazza, che avvicinò ancora di più l’arma alla sua gola. Questo si ritrasse di conseguenza.
-O anche un mercante!- Continuò la maga buttando uno sguardo significativo a Phaerl.
-Andiamo! Guarda che visino simpatico! Non mi pare né un pazzo omicida e nemmeno un mercante.- replicò la mezz’elfa.
Nathaniel stava annuendo con un sorriso spontaneo, guardandosi intorno per cercare altre approvazioni.
-Hey tu!- Fece la mezz'elfa allo sconosciuto. -Quanto sei disposto a pagare?-
-Centocinquanta danari vanno bene?-
Phaerl lo guardò con un sopracciglio alzato.
-Duecento?- Salì dunque l'uomo.
-Così già si comincia a ragionare! Affare fatto ragazzo!-
-Phaerl!- Esclamò Reyeha.
-Anche se fosse pericoloso, è meglio averlo di fronte se intende farci del male, che alle spalle. E poi andiamo! Siamo in netta maggioranza!-
Fu così che si ritrovarono un nuovo compagno di viaggio.




***

Nathaniel non dava segni di ostilità o altro, anzi cercava di conversare e fare amicizia. Con Valerie e Jon non gli ci volle molto.  Sembrava essere una persona dalla mentalità aperta e il fatto che Jon fosse orco non gli creava alcun fastidio, al contrario se ne uscì con un "forte!" non appena lo scoprì. 
Per quanto riguardava Ida e Phaerl, le due donne erano indifferenti, quasi sempre alla guida dei cavalli, ignorando all'incirca completamente ciò che succedeva dietro di esse. Solo Ida sembrava essere più guardinga: si girava spesso a controllare la situazione ed era abbastanza visibile che stesse sull'attenti. Tutto questo però, solo per i primi giorni, dopo un pò si rilassò anche lei.
Il povero Nathaniel l'ebbe difficile però con Gwendal e Reyeha. La fata stava ancora sulla spalla dell'amica e ogni tanto borbottava qualche insulto allo straniero, che Reyeha gli appoggiava. 
Dal canto suo, la ragazza stava sempre con la mano sull'alabarda e tentava di tenere lontano e il più possibile nascosto Drayeho. La seconda delle cose però gli riuscì parecchio difficile, anche perchè ormai il draghetto era diventato lungo una quarantina ci centimetri, compresa la coda e nasconderlo era diventato problematico poiché non entrava più nel taschino. 
Quando Nathaniel lo vide esultò.
-Ma è un drago!-
Reyeha rispose guardandolo male.
-Dai, andiamo! Non ho fatto nulla! Perchè mi odi?- Esclamò poi l'uomo.- Sai? Mi ricordi tanto una certa persona...- Aggiunse, per poi rivolgersi a Valerie.
-Ma, ci si sta impegnando oppure ha sempre quello sguardo "dolce"?-
-Bhè... non è che tu abbia fatto un'ottima prima impressione...-
-Giusto...me lo dicono in molti in effetti qui...è che sono abituato agli elfi oscuri, sono tutti molto più aperti...beh quasi tutti-
-Comunque si, ha sempre uno sguardo molto "amichevole" ma quello che lancia a te è di un livello avanzato.- Aggiunse Valerie. - Aspetta, "qui"? "Elfi oscuri"? Da dove vieni?- chiese poi curiosa.
-Vengo da fuori Imirdyr, verso ovest. Sono cresciuto con gli elfi oscuri.-
-Wow, e come sono? Gli elfi oscuri intendo?-
-Gli elfi oscuri sono divisi in tribù, ognuna delle quali è diversa dall'altra ma hanno quasi tutte un capotribù che, insieme ad un consiglio di anziani, prende le decisioni più importanti. La società può essere sia matriarcale che patriarcale, ciò dipende dalla tribù nella quale ti trovi, ma in genere entrambi i sessi hanno potere decisionale.- Le rispose l'uomo.
-A parte il fattore "tribù", come vivono?- Continuò Valerie. 
Il discorso aveva preso visibilmente anche Jon, il quale però era troppo timido per intervenire.
-Si nutrono di selvaggina e del sostentamento che gli forniscono i muccerba e in genere si spostano in base alla necessità del bestiame.-
-Muccerba? Cosa sono?-
-Dei grandi animali con lunghe corna e manto zebrato da cui ricavano latte, carne e altro sostentamento. I muccebra sono anche animali da soma. Possenti e resistenti, sono l'ideale per i lavori pesanti e per i lunghi viaggi nelle praterie. Purtroppo la loro grande mole li rende inutili per scalate di montagne o l'attraversamento di luoghi impervi, oltre ad avere paura dell'acqua. Ogni elfo ne ha uno personale. Ne ho uno anche io...Rodrigo... ma l'ho dovuto lasciare alla tribù... per i motivi che vi ho indicato prima.- Disse triste- Comunque sia, le loro corna, simili a quelle dei cervi, sono un'arma inarrestabile quando decidono di caricare un potenziale rivale nel periodo dell'amore, per il resto, sono animali pacifici e facilmente addomesticabili.-
Valerie e Jon pendevano dalle sue labbra, vogliosi di assorbire informazioni.
Anche Reyeha era interessata, ma non lo dava a vedere. Più che altro era curiosa poiché aveva visto elfi oscuri a Tailyris, alla Grande Quercia, alcuni anche tra i Protettori. 
Gwendal invece sembrava ancora più infastidito e dopo uno "tks" quasi schifato disse a Reyeha che si sarebbe messo un pò a riposare, dopo di che, cercando di scampare a Drayeho, raggiunse velocemente il taschino appartenuto al drago e ci si chiuse dentro. La ragazza lo guardò con un sopracciglio alzato e un mezzo sorriso, poi si rimise ad ascoltare il discorso di Nathaniel, o meglio, le domande di Valerie.
-Dimmi – la interruppe ad un certo punto questo – ma tu non dovresti aver superato il periodo dei "perché"?- Chiese quasi disperato dopo che Valerie gli aveva chiesto dei tatuaggi che aveva sul corpo. Decise comunque di risponderle.
-Raggiunti i 14 anni, si viene sottoposti a un rito di passaggio che indica all'elfo qual è la sua via. Si viene lasciati soli con oggetti che, a seconda dello spirito dell'iniziato, danno loro segnali. Dopodichè si viene tatuati con i simboli della tribù, che variano a seconda della categoria. Essendo cresciuto con loro, anche io ho affrontato questo rito e questi sono i tatuaggi della mia tribù.- spiegò, indicando i tatuaggi bianchi sul suo viso.
-Che cosa figa!- Esclamò Valerie. -E ci sono molti altri umani in quelle tribù, oltre a te?-
-Oh, si! Essendo una specie piuttosto aperta, non è raro incontrare membri non elfi nelle varie tribù.-
-Che bello!- Intervenne Jon questa volta.
-Eh già!- Rispose l'uomo.- Ah, una cosa.- Continuò poi.- Parlando con la gente di queste parti, ho sentito che da voi Imyr è un dio...buono?-
-Si... è il dio più importante, perchè da voi no?- Chiese perplessa Valerie.
-Hem...non proprio. Da noi la religione è un'insieme delle altre, perciò Imyr non è il più importante. Noi lo consideriamo il dio della guerra che incita al massacro, fomentando il male nel cuore altrui, condannando all'oblio gli uomini che decantano il bene.-
-Diciamo che non è un tenerone li, eh?- Commentò sarcastica Reyeha, la quale aveva finalmente deciso di introdursi nel discorso. 
-Spero che stiamo sbagliando noi a dire il vero... perché se vi sbagliate voi... bhè state nella m...nei guai...- l’uomo si porto le mani dietro la testa, appoggiandosi a una delle pareti della carovana –Beh, diciamo che spesso la verità sta nel mezzo, no?-
-Ma gli altri De...- Partì poi in quarta Valerie, che venne subito fermata da Nathaniel.
-No, Valerie... basta, mi sta finendo la voce.- le disse esasperato.
-Oh...ok...- Rispose sconsolata la ragazza.

Era ormai scesa la notte e dopo la tempesta di domande ed informazioni, Valerie decise finalmente di mettersi a dormire, seguita come al solito da Jon. Reyeha invece  rimase alzata ancora un pò, più che altro perché, non appena provò a dormire, si distese sul fianco dove era collocato il taschino, schiacciando leggermente Gwendal, il quale iniziò subito a urlare insulti contro la ragazza. Questa si mise a ridere, chiedendogli scusa. Tutto ciò fece però svegliare gli altri, tranne Valerie che quando si metteva a dormire entrava praticamente in letargo. Non appena si svegliò Ida, che con una voce simile a quella che doveva avere un demone, disse loro di abbassare la voce, questi lo fecero, abbastanza terrorizzati dalla donna.
In seguito, Reyeha si tolse la cintura dove era collocato il taschino e la mise da parte, onde evitare di schiacciare ancora Gwendal. Prima di coricarsi però, si rivolse a Nathaniel, il quale era ancora sveglio perché, da ciò che diceva, non gli piaceva molto dormire.
-Comunque si.-
-Hm?- Fece l’uomo, indicandosi con il dito.
-Sembri minaccioso. – proseguì la ragazza -Andiamo! Sei un omone vestito quasi completamente di nero, con una spalliera di metallo immensa e appuntita, che va in giro con una pseudo-alabarda...strana e con tatuaggi in faccia. In più ti sei presentato all'improvviso sulla carovana. Quindi, per rispondere alla domanda di quel giorno: si, sembri minaccioso.-
-In effetti... messa così...- concordò pensieroso l’altro - Giuro che l'idea della carovana sembrava più carina nella mia testa...-
Reyeha sospirò per poi girarsi di spalle. Dopo aver aspettato che Drayeho si accomodasse su di lei, come faceva sempre quando si mettevano a dormire, chiuse gli occhi e si addormentò.

***

Qualche giorno dopo si fermarono in un piccolo villaggio per fare provviste. Ida rimase alla guardia della carovana, assieme a Valerie e Jon, mentre Phaerl si portò dietro Reyeha (che aveva lasciato Drayeho a Ida, poichè non aveva più modo di nasconderlo), Gwendal (nel taschino della ragazza) e Nathaniel che poteva essere, a parere di Phaerl un buon "trasporta-carichi" al piccolo mercato. Li Reyeha trovò uno zainetto che poteva, da quel momento in poi trasportare e nascondere Drayeho. Quando tornarono, con quasi tutte le provviste in mano a Nathaniel, trovarono Jon, seduto nella carovana con in braccio Drayeho, il quale era calmo e tranquillo, come se dormisse. La ragazza ne rimase sorpresa.
-Come...? Cosa stai facendo per tenerlo così calmo?-
-L-lo stavo ac-carezzando in diversi p-punti e ho n-notato che gli p-piaceva sot-to la c-coda.-
-Oh mio dio! Hai appena risolto un quarto dei miei problemi! Cioè guardalo! E' tipo il pulsante per spegnerlo! Ti adoro!- esclamò entusiasta la ragazza.
Jon la guardò, nel panico.
-G-g-g-grazie- Disse arrossendo.
Il pomeriggio si spostarono nella piazza centrale, attorno alla quale si andavano sviluppando le case. 
Mentre i cavalli si riposavano, il variopinto gruppo si mise a mangiare. 
A fine pasto, Reyeha, la quale era seduta sul bordo della fontana, si girò verso Nathaniel.
-Non ti abbiamo ancora chiesto come mai stai andando al Nord.- 
-Oh è vero!- Esclamò Valerie.-Come mai?-
- Giusto... - Osservò l'uomo - beh, dovrei incontrarmi con mia sorella Teliah al nord. -
-Oh, hai una sorella! - Disse entusiasta la minore delle ragazze.
-Si, è un mezzo folletto.- Poi, visti gli sguardi straniti di alcuni aggiunse.- Mamma l'ha trovata da piccola e l'ha cresciuta.-
-Quindi hai una sorella minore.- Dedusse questa volta Reyeha.
-No, al contrario è lei quella maggiore, ha trent'anni!-
-Perchè, tu quanti anni hai?- Domandò la castana.
L'uomo la guardò disperato.
-Ventiquattro... ho ventiquattro anni...- Disse quasi in un soffio e sull'orlo delle lacrime.- Sembro vecchio?-
-Hem... no, era per chiedere...- Reyeha lo guardò turbata.
-A chi hai dato del vecchio?- Intervenne Ida oltraggiata.- A trent'anni saresti vecchio?-
-No...non sto dicendo che sopra i trent'anni si è vecchi...- tentò di giustificarsi l’uomo, sotto lo sguardo omicida di Ida e Phaerl, mentre Reyeha assisteva divertita.- Maaaa, ve l'ho detto che sono un mago!?- Tentò di cambiare completamente discorso Nathaniel.
-Oh.- reagì pacata Valerie.
-Ok...- Commento Reyeha altrettanto calma.
-Tks!- Si sentì dal taschino della maga.
-Ma tu solo quello dici?- Esclamò questa rivolta a Gwendal. 
-Si, vabbè…ma tu ancora non hai risposto alla mia domanda di prima!- Continuò Ida.
-Mannaggia...- Sussurrò terrorizzato Nathaniel. -Hem..no... è che... non mi sento pronto come trentenne...però non vuol dire che a trent'anni si è vecchi, eh! Non sto dicendo quello, assolutamente.... voi non siete vecchie! Voi siete...mature! – spiegò, tentando di discolparsi, con poco successo -Vi prego non uccidetemi.-
-Ah, quindi stai dicendo che si vede chiaramente che stiamo sopra i tren'anni eh?!- Intervenne Phaerl, con la chiara intenzione di metterlo in difficoltà.
Nathaniel si schiarì la voce.- No! No! E' che si vede che siete donne con esperienza.-
Reyeha e Gwendal, il quale si era affacciato per vedere la scena, ridevano sotto i baffi, mentre Valerie era confusa.
-Basta, mi arrendo! Fate di me ciò che volete!- desistette infine Nathaniel, capendo che non ne sarebbe uscito.
-Buttiamolo nella fontana.- Suggerì Gwendal. 
-Ma, è la tua versione fatina?- Chiese il mago a Reyeha, indicando la fata.
-Io lo ammazzo- Sibilò quest'ultima.
-Si più o meno.- Rispose poi Reyeha.- Solo che lui ti sopporta ancora meno.-
Nel frattempo, Jon era ancora nella carovana con Drayeho, che dopo averlo preso in simpatia per i grattini, gli stava addosso.

***

Il suo corpo inesistente era circondato da una stanza in penombra che si ricordava fin troppo bene nonostante le poche volte che l'aveva vista. 
Era ferma, immobile, senza fiato. 
La stessa ombra viscida di sempre che si dirigeva verso il lettino sfatto del bambino, che ora doveva avere più o meno sei anni, fermo di spalle accanto ad esso. 
L'ombra lo prese per mano facendolo girare di profilo. Questa volta la ragazza notò qualcosa di diverso nel bambino. Piccole squame lucenti erano apparse sulla manina, mentre sulla fronte si intravedevano delle corna che stavano spingendo per uscire da sotto la pelle.
Un urlo svegliò tutti. Reyeha era seduta con gli occhi sgranati che fissavano il vuoto. 
Il sudore impregnava la sua fronte, mentre i suoi polmoni stavano disperatamente cercando aria. Phaerl arrivò subito da lei e dopo averle fatto riprendere fiato le domandò se fosse stato l'incubo. La ragazza rispose annuendo a fatica.
Dopo essersi calmata, la maga tranquillizzò gli altri che si rimisero a dormire. 
Reyeha però aveva paura di richiudere gli occhi, perciò decise di dare il cambio a Phaerl per il turno di guardia. 
Prese con se la borraccia d'acqua e si sedette sulla parte anteriore della carovana, quando sentì che uno dei membri del gruppetto era ancora sveglio.
-Vaffanculo.- mugugnò Gwendal mezzo addormentato, per poi sedersi accanto a lei. 
-Scusa se esisto, eh!- Rispose sarcastica la ragazza. -Perché non ti rimetti a dormire?-
-Perchè non posso. Se mi svegliano poi non riesco più a riaddormentarmi.-
-Brutta cosa. Scusa, non era mia intenzione.- Disse, questa volta seriamente, Reyeha.
La fata, sorpresa dalle scuse sincere della ragazza, borbottò un:
-Vabbè, ma non è colpa tua se hai gli incubi.-
-Intanto mi hai mandato a fanculo però...- lo stuzzicò divertita la maga.
Dopo altri borbottii di Gwendal, Reyeha decise di cambiare il soggetto della conversazione, per distrarsi.
-Senti Gwen ma...-
-Gwen?-
-Hem, si così accorcio. Dire ogni volta Gwendal è troppo lungo...-
-Quanto puoi essere pigra...-
-Capita.- Disse l'altra, incurante e divertita, facendo spallucce. -Comunque, stavo dicendo: come mai ti sta tanto antipatico Nathaniel?- Un sorriso furbo le stava affiorando sulle labbra.- Voglio dire, sta con noi da ormai una luna e si è dimostrato essere affidabile. –spiegò - Poi andiamo, è divertente!-
Il colore dei capelli della fata passò verso un giallo rosato e sulle guance apparì un leggero rossore.
-Ma un par di cazzi tuoi?- Si difese quello.
-Sai? Ho notato poi, che diventi più aggressivo quando Nathaniel parla con Jon...-
Il giallo dei capelli si fece molto più acceso.
-Cosa stai insinuando!?- 
-Chi, io? Nulla!- Esclamò Reyeha, alzando le mani in segno di discolpa.
-Comunque... sai... la spalla di Jon, penso sia più comoda del mio taschino...te la sto buttando la, eh...-
-Smettila.- cercò di fermarla Gwendal
-Se magari vai da lui e gli fai ‘Hey, stupido orco! Fammi stare sulla tua spalla!’, così sei meno ambiguo.-
-Reyeha, smettila!-
-Magari togli lo ‘stupido orco’ e prova ad essere più gentile...- Continuò Reyeha imperterrita.
-Reyeha!-
-Che c'è!? Ho capito che ti piace, eh!-
-Non mi piace!- rispose nervoso l’amico.
-Si che ti piace!- insistette la ragazza.
-Oh mio dio mi piace...- realizzò poi l’altro.
Seguì un momento di silenzio nel quale Gwendal elaborò la cosa.
-Ma è un'orco...-
-E tu una fatina. Sareste strani insieme... ma fighi! Certo... ci sarebbero problemi di dimensioni però... grossi problemi....-
-Le pozioni...-
-Oh è vero! Allora è fatta! Poi è anche gay, perfetto!-
-Non è questo il punto!-
-E qual'è?-
-Non lo so... mi hai confuso...-
Seguì un altro momento di silenzio.
-Vuoi dell'acqua?- Disse Reyeha per rompere la quiete.
-Mi servirebbe qualcosa di più forte in questo momento...- Le rispose Gwendal facendola ridere.
 
***

Due sere dopo l'incubo l'atmosfera nella carovana era serena e tranquilla. Reyeha faceva battutine implicite su Gwendal e Jon, che fortunatamente nè Valerie e nemmeno l'orco capivano. 
Tra le risate degli altri membri della carovana e gli insulti di Gwendal però, Reyeha sentì qualcos'altro. 
-Shhh!- Li zittì, per sentire meglio.
-Cosa c'è?- Chiese Valerie.
-Non lo sentite?-
-Cosa?- 
-Questa sorta di... brusio...-
Gli altri si fecero attenti ma soltanto dopo un pò riuscirono a percepire qualcosa.
-Oh diamine...- Sentirono dire a Nathaniel.
Dopo averlo guardato interrogativa, Reyeha si spostò verso il margine della carovana, provando a vedere se riusciva a capire da dove provenisse il suono. La poca luce della sera però, non facilitava la cosa. 
A un certo punto, all'orizzonte le sembrò di scorgere una striscia nera che si stava avvicinando. Stringendo gli occhi per capire cosa fosse, una brutta sensazione aveva iniziato ad invadere il suo corpo.
-Nathaniel, cosa sta succedendo?- Chiese all'uomo intuendo, dalla frase detta prima da esso, che doveva saperne qualcosa. 
Prima che il mago potesse rispondere però, Reyeha riuscì a distinguere le distanti figure, sempre più vicine.
-Oh, Imyr...- Bisbigliò la ragazza terrorizzata. -Phaerl! Sprona i cavali! Veloci! Dobbiamo scappare!-
-Che diamine sta succedendo?- Esclamò preoccupata la mezz'elfa.
-Ragni! Ragni giganti!- Urlò Reyeha.
-Oh merda!- I cavalli iniziarono a correre mentre tutti si stavano preparando a difendersi in qualche modo.
-COSA CAZZO CI FANNO DEI FOTTUTI RAGNI GIGANTI IN IMIRDYR!? Non pensavo esistessero all'interno dei confini! Nathaniel!-
-Bhè, tecnicamente vengono da fuori i confini... – disse quest’ultimo, in tono fin troppo calmo per la situazione - ma pensavo di averli seminati....-
-Mi stai dicendo che stanno inseguendo te?!- Sbottò Reyeha, girandosi verso l'uomo.
-Heeeeemmmm.....molto probabile.-
Gli animali si stavano avvicinando sempre più e sembravano essere parecchi, da quella distanza se ne contavano una trentina. Andando avanti di quel passo avrebbero dovuto affrontarli. 
La velocità della carovana ormai era divenuta pericolosa e tutti dovettero aggrapparsi per non rischiare di cadere giù e venire sommersi dalle bestie. Prima che Reyeha arrivasse a prendere Drayeho però, il draghetto rotolò giù dal veicolo a causa dell'ennesimo sasso sopra il quale passò una delle ruote della carovana.
-OH MIO DIO, DRAYEHO!- Quasi senza pensarci, Reyeha si buttò a terra, cadendo rovinosamente. Appena riuscì a rimettersi in piedi, corse a perdifiato verso Drayeho e contemporaneamente verso i ragni. Dopo essere riuscita ad afferrare l'animaletto, la ragazza fece uno sprint nella direzione opposta, cercando di raggiungere il più velocemente possibile la carovana ferma, che distava però circa un centinaio di metri. Il rumore delle immense e numerose zampe dietro la ragazza si fece sempre più potente. 
Cercando di capire quanta strada la separasse dalle bestie, Reyeha si girò. Il cuore le si fermò quando vide otto occhi grandi quanto la testa di Drayeho a un metro da lei e d'istinto si rannicchiò su se stessa stingendo gli occhi e coprendo Drayeho con il suo corpo. 
Stava aspettando il colpo finale, invece sentì il rumore di qualcosa che sfrecciava nell'aria e un forte calore la investì. Quando finalmente trovò il coraggio di aprire gli occhi un gemito le si ruppe in gola. 
I ragni erano spariti, ma al loro posto si alzavano al cielo grosse colonne di fuoco, che le riportarono alla mente la notte nella quale, sempre circondata dal fuoco vide la madre divorata per metà.





A.A. Heylà!  Siamo arrivate al trentesimo capitolo! Non pensavo saremmo arrivate tanto lontano! Cosa ne pensate della storia fino ad ora? Ci farebbe molto piacere sapere le vostre opinioni, perciò se ci lasciaste una recensioncina ci fareste molto felici <3

 

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Capitolo 31
*** Qualcosa si muove – Il peso della fede ***


NOTE DELLE AUTRICI
Mi scuso per il ritardo del mio capitolo ma è stata una settimana abbastanza difficile quella scorsa, in più ho una mano leggermente fuori uso, quindi scrivere/disegnare mi risulta ancora complicato tuttora, anche se sto molto meglio XD Spero apprezziate il nuovo capitolo e grazie di continuare a seguire le nostre avventure!
-Ele-




Capitolo 31: Qualcosa si muove - Il peso della fede

La luna risplendeva sui tetti della città, irradiando le strade col suo bagliore e rifrangendosi contro i cristalli elfici, che posti agli angoli d’esse, ne catturavano i raggi per poi spargerne la luminosa luce nell’ombra. Di notte, quando il numero delle enormi fornaci sotterranee accese diminuiva, l’impianto di riscaldamento della città veniva meno alla sua efficienza e la neve riusciva ad ammassarsi placida sui tetti della maggior parte degli edifici, imbiancandone le tegole e regalando ai forestieri uno splendido spettacolo. Alcuni lo avrebbero definito romantico, altri gli avrebbero attribuito un che di spettrale.

Era quello spettacolo che stava osservando ora Ryuga, seduto sul davanzale interno della sua stanza, con in mano un boccale pieno di liquido scuro. Non amava particolarmente bere, ma le notizie ricevute quel giorno e l’ansia accumulata in quelle ore lo avevano costretto a ripiegare su qualcosa di forte per schiarirsi le idee e calmarsi.

Aveva atteso tutta la giornata, seduto alla finestra della sua stanza con lo sguardo rivolto verso la strada ed ora che la notte incombeva sul marmo degli edifici, era più agitato che mai. Era preoccupato che il giovane novizio potesse non mantenere la promessa fattogli, finendo per venderlo al vescovo e condannando così lui, Grago e la sua missione a un triste destino. Quando vide Hero correre verso la taverna, i suoi occhi si illuminarono di felicità e un sospiro di sollievo gli sfuggi dalle labbra.

Di fretta, aprì la finestra per fargli cenno di salire, finendo per essere investito dal freddo pungente di un’improvvisa folata di vento. Il ragazzo, avvolto nella tonaca da novizio, annuì, affrettandosi ad entrare nell’edificio. Pochi istanti dopo, superata un’occhiata d’approvazione del taverniere che gli consentì di proseguire con un segno, il ragazzo venne accolto con fare circospetto nella stanza del forestiero.

 -Alla buon’ora.- Si lasciò sfuggire quasi Ryuga, calandosi il cappuccio sulle spalle. –Pensavo non saresti più venuto.-
 -Io tengo sempre fede alla mia parola!- Si affrettò a precisare il giovane, forse offeso dall’allusione. –Il taverniere non ha fatto domande…- Fece notare quello mentre si sedeva al tavolo con il suo interlocutore.
 -L’ho avvertito che attendevo visite. Su avanti, dimmi, hai saputo qualcosa? Sei riuscito a parlare con Grago?- Chiese con apprensione il ragazzo corvino, sporgendosi verso il più giovane.

Hero si guardò intorno nella penombra della stanza. L’alloggio del ragazzo consisteva in un’ampia stanza da letto, fornita di una scrivania, un tavolo con due sedie, un letto e un bellissimo armadio in legno con uno specchio su una delle ante, più, notò il ragazzino dalla porta in fondo alla sala, un bagno. L’occhio del giovane cadde casualmente anche sull’arco e le frecce ai piedi del letto, che subito Ryuga si affretto a spostare in disparte, notando lo sguardo di nervosismo che il novizio aveva rivolto alle armi.

-Una domanda alla volta.- Gli rispose il novizio, facendo un respiro profondo prima di proseguire. –Sono stato dal vescovo Grago poche ore fa, gli ho portato la cena e, gli ho chiesto di te e di cosa si è parlato al consiglio vescovile.-
-E allora? Che ti ha detto?- Lo incitò a continuare Ryuga.
 -Ci stavo arrivando. Durante il consiglio, Grago ha fatto cenno di una lettera ricevuta dal saggio Loen, illustrandone il fausto contenuto e facendo presente le sue considerazioni e ciò che secondo lui era il passo successivo da compiere: consegnare la reliquia nelle giuste mani. Il vescovo Samael ha preso la palla al balzo. Facendo leva sulla miscredenza che, grazie a lui, ultimamente dilaga nei confronti del saggio, ha accusato Grago di eresia, chiedendo che le più alte cariche vescovili si riuniscano per decretare la sua pena. Per questo è stato rinchiuso nei suoi alloggi. Grago mi ha detto di farti sapere che di te non ha fatto menzione e quindi che non devi preoccuparti di ripercussioni personali, ma… purtroppo … non ha idea di come aiutarti ora. Ha letteralmente le mani legate.- Concluse sconsolato il ragazzino, abbassando lo sguardo.

 -Dannazione…- Sospirò Ryuga, passandosi una mano sul viso.
/La situazione si sta facendo fin troppo complicata…me lo sarei dovuto aspettare che non sarebbe stato facile./ Pensò, rivolgendo un sorriso tirato al novizio che lo guardava con sguardo sinceramente preoccupato.
 -Ti ringrazio, Hero. Hai mantenuto la tua promessa rischiando tutto per uno sconosciuto, per di più per uno come me. Hai del fegato.- A quelle parole, Hero sorrise, arrossendo sulle gote lentigginose.

 -N-non ho fatto nulla di che. E poi…- Il ragazzino fece una pausa perdendosi per un attimo nei suoi pensieri. –E poi, era mio dovere e mio destino.- Ryuga rimase per un momento spaesato da quelle parole.
-Che intendi dire?-
 -Vedi, mi hai chiesto se credo alle visioni del saggio Loen, ricordi?- Ryuga annuì, permettendogli di continuare. –Se non ti avessi visto in volto, ti avrei probabilmente risposto di no.-
-Non capisco…- Rispose ancor più confuso il maggiore.

 -E’ una storia lunga… Devi sapere che prima che io nascessi, mia madre credeva di non poter avere figli. Sai, io appartengo a una famiglia abbastanza conosciuta di mercanti nell’ovest e mia madre, quindi, era disperata perché non riusciva a dare a mio padre un erede. Anche se mio padre non gliene ha mai fatto una colpa, a dire il vero.- Il ragazzino si grattò distrattamente la nuca, imbarazzato dalla storia che stava raccontando. –Per questo, avendole provate tutte, decise di recarsi in pellegrinaggio al monastero del saggio Loen, per pregare sotto la statua del dio Imyr. Chiese di poter avere un figlio con le lacrime agli occhi, mi raccontò mio padre. Fu per puro caso che incontrò quel giorno anche il saggio Loen, che di solito se ne restava in disparte nelle sue stanze. Nel momento in cui le toccò il ventre per benedirla, disse di aver avuto una visione. Mia madre è molto credente, mio padre invece è sempre un po’ scettico, ma dopo che la prima parte della visione si realizzò, divenne improvvisamente molto meno restio a credere.- Ryuga aveva seguito tutto il racconto con attenzione, rimanendo commosso dalla fede e dedizione della donna. Sapeva forse meglio di chiunque altro poi, che le visioni del saggio Loen erano sempre veritiere.

 -Cosa predisse Loen a tua madre?- Chiese allora, incuriosito.
-Le disse che avrebbe avuto non uno, bensì due figli, nei successivi dieci anni. L’anno dopo, nacque mio fratello, Theodor e allo scadere dei dieci anni, nacqui io. Mia madre fu felicissima di ciò, perché il suo sogno non solo era divenuto realtà, ma addirittura si era avverato per la seconda volta. Mio fratello fu indirizzato dunque a seguire le orme di mio padre ed io scelsi la via monacale, finendo qui. Il saggio aveva visto anche questo, mi disse mia madre. E le disse anche, di tenermi in guardia. Che un giorno sarebbe venuto un figlio del diavolo nel nome di Imyr, che avrebbe messo in dubbio la mia fede e cambiato la mia vita.- Ryuga collegò in quel momento tutto. Il perché il giovane fosse rimasto scioccato dopo averlo visto in volto, il perché volesse aiutarlo e il perché avesse creduto alla sua storia senza fare troppe domande.

 –Io in realtà, non ho mai creduto che prima o poi sarebbe successo.- Ammise Hero.- Ma nel momento in cui ti ho visto, ho capito che eri stato mandato lì perché io dovessi incontrarti.-
-Siamo tutti parte di un grande disegno, dopotutto. Delito, il monaco, o meglio, l’uomo che mi ha cresciuto, me lo ripeteva sempre. Ognuno di noi ha un suo ruolo nel gioco del destino, con cui prima o poi dovrà fare i conti. Sono felice che tu abbia deciso di aiutarmi, Hero.- Il ragazzino gli sorrise di rimando, fiero quasi d’essere stato accettato da quell’uomo dal quale dipendeva ora il suo futuro.

 -Allora, cosa pensi di fare ora? Non puoi di certo aspettare che Grago venga liberato, no?- Hero diede voce alla più grande preoccupazione di Ryuga.
 Tempo. Serviva tempo. Ma Ryuga non ne aveva. Doveva affrettarsi o la visione di Loen si sarebbe conclusa nel peggiore dei modi. Il corvino prese il boccale mezzo vuoto e si sedette di nuovo alla finestra, osservando fuori con sguardo assorto, rimuginando sul da farsi e scartando dapprima tutto ciò che gli veniva in mente.
 -Non ho idea di cosa fare. Potrei mandare un messaggio al saggio Loen per chiedergli di intercedere per Grago, ma ho paura che il suo intervento possa solo aggravare la situazione. Non capisco per quale motivo il vescovo Samael sia arrivato a tanto.- Sussurrò quasi l’ultima frase, il monaco.
 -Una volta il sommo Grago mi ha detto, che più gli uomini si avvicinano al potere, che sia esso politico o religioso, più ne rimangono affascinati e succubi.- Proferì saggiamente il ragazzino, facendo appello alle parole del suo maestro.

 -Parole molto sagge. Il potere spesso può dare alla testa, ma mai avrei pensato che un uomo che ha scelto la via della fede potesse essere così meschino, né che tantomeno il clero potesse nascondere così tanto marcio. Forse… forse conosco davvero poco il mondo e me ne rammarico.- Sospirò Ryuga, afflitto.
 -Non è colpa tua. Non sempre è tutto oro ciò che luccica. E’ colpa dell’uomo. Il dio Imyr ci ha dato facoltà di scelta, lasciandoci libero arbitrio. Sta a noi poi seguire o meno la sua via.- Gli fece notare Hero, avvicinandosi a lui. –Allora, hai un piano si o no?-

Ryuga rise, porgendogli il boccale in modo amichevole ed incitandolo a bere. Dopo un attimo di riluttanza, il ragazzo si lasciò andare a un timido sorso, non molto convinto dal sapore della bevanda e non essendo abituato a bere. Superata la riluttanza iniziale, quasi si scolò tutto il resto con un vigoroso sorso, volendo quasi apparire all’altezza del compito.

-Ehi!- Protestò il maggiore, ridendo, togliendogli di mano troppo tardi il boccale. –Così finirai per ubriacarti.-
-Ma no!- Minimizzò il ragazzino.
 -Comunque. Credo chiederò lo stesso a Loen di intercedere per il sommo Grago. Magari indirettamente. Sai, ha molti agganci anche tra le altre alte sfere. Alla peggio se la caverà con una scomunica.- Gli spiegò serio il monaco. –Per il resto… un piano lo avrei. Ma mi serve una mano.-
-E io qui che ci sono a fare?- Rispose allegro il ragazzino, eccitato dalla piega degli eventi. -Allora, cosa avevi in mente, Ryuga?-
Gli occhi del monaco sorrisero, rassicurati dal sentirsi chiamare per nome e dalla presenza di quel ragazzino dal volto rotondo e lentigginoso e dai capelli perennemente spettinati. L’avere un compagno in un momento così difficile, lo rallegrava.

 -Entreremo nel tempio e ruberemo la reliquia di Imyr.- Sentenziò infine, facendolo rimanere a bocca.
-COSA?!- Urlò l’altro, venendo ammonito dal maggiore ad abbassare la voce. –Scusa, ma come ti salta in mente comunque? Dopo il consiglio, Samael ha posto delle sentinelle a guardia della stanza delle reliquie, è impossibile superarle senza essere visti! Se ti prendono ti uccideranno, lo sai!-
-Mi fa piacere che ti preoccupi per me, ma nel mio piano loro non avranno modo di vedermi. Saranno troppo occupati a dormire per prestare attenzione a me.- Spiegò paziente Ryuga, sorridendo con complicità.

 -Non capisco…-
 -Chi porta il cibo alle sentinelle?- Chiese paziente il ragazzo, guidandolo verso la comprensione del piano.
-I novizi…- Rispose con semplicità Hero, soffermandosi a guardare il sorriso sicuro dell’altro. –No…non dirmi che vuoi che io…-
-Esatto!- Si congratulò il corvino, alzandosi e tirandogli una guancia. –Tu gli porterai una cenetta un po’ speciale, condita da una droga che ti fornirò a momento debito. Al resto penserò io.-

 -E’ un piano folle.- Fece notare il ragazzino dopo un attimo di silenzio.
 -Ma è l’unico piano che abbiamo. A meno che Imyr non decida di inviarci qualche aiuto imprevisto.- Rispose Ryuga, sperando sul serio che il dio stesse ancora vegliando sul suo cammino.

 

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Capitolo 32
*** Il passo di Ird ***



Capitolo 32: Il passo di Ird

Era successo tutto così velocemente. I ragni, la caduta di Drayeho dalla carovana e Reyeha che si gettava per riprenderlo, subito seguita da Nathaniel, corso in suo soccorso. 
Valerie era ancora confusa, aveva a malapena sentito Ida prenderla e portarla sopra la carovana, insieme a Jon e Gwendal, che sembrava urlare qualcosa, insulti probabilmente, ai ragni e a Nathaniel ed imprecava per il gesto avventato dell’amica. 
Ida, davanti a loro, puntava l’arco a quegli esseri, coprendo le spalle a Phearl che con gesti precisi e veloci,  uccideva quelli che erano riusciti a raggiungerli. 
Poi, colonne di fuoco alte e imponenti si innalzarono poco lontano. Brillavano come il sole e Valerie rimase abbagliata da esse; infine si accorse che provenivano dal punto in cui era fuggita Reyeha. Phearl anche si era distratta alla vista delle colonne e per poco non venne aggredita alle spalle da uno dei ragni, ma fortunatamente, Ida riuscì ad abbatterlo prima, urlando un: ”Fai attenzione!” alla mezzelfa, che subito riprese il combattimento. 
Valerie sentì la mano dell’orco posarsi delicatamente sulle sue spalle. Lo guardò, perplessa. “Stai tremando.” Le disse semplicemente. 
Era vero. Stava tremando. Preoccupazione, adrenalina, forse…Paura, sicuramente.
“Sto bene.” Disse, appoggiando la sua mano su quella dell’amico, per rassicurarlo. 
Poi, all’orizzonte apparvero due figure indistinte che correndo, si avvicinavano al gruppo. 
Erano Nathaniel e Reyeha, la quale sembrava molto scossa.
“REYEHA!” Urlò Gwendal, sporgendosi fino quasi a cadere dalla spalla di Jon. 
La maga si avvicinò loro e senza dire nulla, diede Drayeho a Jon per poi andare da Phearl, cercando in qualche modo di aiutarla a combattere. I suoi movimenti erano però impacciati e distratti; quando Phearl se ne accorse, la buttò praticamente in direzione di Ida, che, con l’aiuto di Nathaniel, la aiutò a salire sulla carovana.
 “Cosi ci farai solo ammazzare!” Le urlò la mezzelfa, fermandola dal tentare di scendere. 
Una volta sulla carovana, Jon le posò il proprio mantello sulle spalle, cercando di calmarla mentre Gwendal farfugliava in preda alla rabbia e alla felicità.  “Dannazione! Pensavo fossi morta!” Iniziò a sbraitare. “Cosa diavolo ti è saltato in mente!? Potevi morire, sai? Dannata ragazzina! Non farmi più preoccupare cosi!” Diceva, ma nel suo tono c’era del malcelato sollievo. 
Valerie non sapeva che fare invece. Odiava quel sentirsi impotente. 
Ida, Phearl e Nathaniel stavano combattendo e persino Reyeha, dal canto suo, aveva cercato di fare qualcosa, nonostante fosse ancora scossa. Lei, invece, non riusciva a fare nulla. Un po’ per paura, un po’ perché sapeva di non essere una buona combattente. Se solo fosse riuscita ad usare i poteri. Anche per poco. 
La sensazione di inutilità le bruciava alla bocca dello stomaco.
 “Prendi la carovana e allontanati da qui!” Gridò Nathaniel, rivolto a Phearl. 
La mezzelfa lo guardò sospettosa. 
“Le hai viste le colonne di fuoco prima, no?! VAI. NON C’E’ TEMPO.” 
La donna salì veloce sulla carovana e prese le redini dei cavalli. 
Si allontanarono abbastanza perché Nathaniel e i ragni diventassero un punto indistinto all’orizzonte. 
Poi, grosse palle di fuoco iniziarono a piovere dal cielo, piombando irruente sui ragni. Lo spettacolo era agghiacciante ma Valerie non poté fare a meno di esserne affascinata. 
Le nuvole riflettevano la luce rossastra emanata da quelle ipnotiche sfere infuocate, contrastando il colore nerastro del cielo. Sembrava che fosse giunta l’apocalisse. 
Al termine di tutto, rimase solo il fumo e un gran silenzio. 
Valerie si riprese dallo stupore iniziale e, girandosi verso l’amica maga, le chiese come stesse. L’altra la guardò, ancora mezza scossa. 
“Sto…” Rispose in un soffio, lasciando la frase a metà. Poi prese Drayeho e iniziò a controllare le sue condizioni. 
Dopo che furono finalmente scesi dalla carovana, Ida e Phearl si accertarono che Reyeha stesse effettivamente bene e dopo un po’, Nathaniel venne loro incontro, esausto probabilmente per l’uso dell’enorme quantitativo di magia. 
“Sono tutti morti, ho ispezionato per bene.” Disse quasi senza fiato. 
Quando Reyeha si accorse della sua presenza, alzò lo sguardo lanciandogli un’occhiata omicida per poi dirigersi verso di lui a passi pesanti.
 “TU!” Gridò, assalendolo quasi. “E’ TUTTA COLPA TUA!”
 “Mi dispiace..” Rispose l’uomo, guardandola sincero.
 “Ah! Ti dispiace?! Beh, allora potevi dircelo che eri seguito da dei fottuti ragni giganti!” Rispose a tono l’altra, ancora più furiosa e con le lacrime agli occhi per la tensione.
“Lo so, ho sbagliato. Ma non sapevo mi stessero seguendo.” Cercò di giustificarsi quello. La ragazza sembrò non sentirlo e si girò bruscamente verso Ida e Phearl. 
“NON LO VOGLIO PIU’ CON NOI. NON DOPO QUELLO CHE HA FATTO.” Nathaniel abbassò lo sguardo con aria colpevole. 
“Reyeha, per favore, calmati.” Disse Ida, avvicinandosi piano a Reyeha, nel tentativo di tranquillizzarla. “Calmarmi?! DRAYEHO E’ QUASI MORTO PER COLPA SUA.” L’attaccò allora la ragazza.
 “Reyeha, non lo stiamo difendendo. Ma tu ora devi calmarti.” Continuò imperterrita l’arciera, mettendole le mani sulle spalle. 
Reyeha si poggiò alla donna, cercando di riprendere il controllo, trattenendo a stento le lacrime. 
“Mi dispiace, davvero. Capisco se non volete che io continui il viaggio con voi.” Disse Nathaniel, rivolto a Ida e Phearl. “Se lo desiderate, me ne andrò in questo stesso momento.”
 Le donne si scambiarono sguardi significativi e tacquero per un po’, pensando al da farsi.
 “Siamo tutti scossi, ci accamperemo per la notte. Dopo aver allontanato ancora un altro po’ la carovana, per sicurezza.” Comunicò Ida. 
“Decideremo cosa fare con te l’indomani mattina.” Continuò la mezzelfa, guardando severa il mago. 
“Molto bene.” Rispose quello, chinando il capo in cenno di assenso. 
Dopo che si furono accampati, Ida e Phearl ripulirono le proprie armi per poi passare a controllare la situazione dei cavalli che solo grazie ad un qualche miracolo non erano scappati e sembravano non avere ferite gravi, ma solo qualche graffio superficiale. 
Reyeha, dopo essersi ripresa bene o male, inziò a verificare con scrupolo se Drayeho avesse qualche ferita che Jon, con le sue conoscenze sulle erbe mediche e Gwendal, con le sue abilità nel fare impacchi, aiutarono a curare. 
Valerie, invece, decise di preparare qualcosa per cena, cercando di rendersi utile in qualche modo. 
Guardandosi intorno, vide che Nathaniel era rimasto in disparte, cercando di non agitare ulteriormente le acque e forse troppo stanco per fare altrimenti. 
Quando la cena fu finalmente pronta, mangiarono tutti in silenzio. Reyeha toccò a malapena il cibo, preferì curarsi di Drayeho e assicurarsi che mangiasse abbastanza. 
Fu Ida ad andare da Nathaniel per porgergli la sua cena. 
“Tieni.” Disse cercando di assumere un tono rassicurante. “Devi essere affamato, dopo aver usato quella quantità di potere.”
L’uomo la guardò, poi prese il piatto. “Grazie.” 
La donna si sedette accanto a lui mentre mangiava. 
“Davvero non sapevi che quei ragni ti stavano inseguendo?” Chiese calma. 
“Lo giuro.” Confermò lui. 
La donna rimase per un po’ in silenzio.
“Sia chiaro.” Iniziò poi. “Oggi hai messo in grave pericolo la nostra vita, anche se non intenzionalmente e questo è grave.” L’uomo annuì. 
“Però hai anche fatto quanto in tuo potere per salvarci la vita, soprattutto quella di Reyeha e di questo te ne sono grata.” Continuò l’arciera, alzandosi e scrollandosi la terra dai vestiti. “Sei un uomo capace e buono Nathaniel e questo lo rispetto. Tutti fanno errori, non farne un fardello.” Concluse, per poi allontanarsi e ricongiungersi agli altri all’accampamento. 
Quella notte, persino Nathaniel cadde in un sonno profondo.
Reyeha, invece, si rigirava nel proprio giaciglio. Non riusciva a dormire, ogni volta che provava a chiudere gli occhi, le tornavano in mente i grandi occhi del ragno che la fissavano con quello sguardo terrificante, pronti ad inghiottirla. Era troppo per lei ed era anche chiaro che continuando così non sarebbe mai riuscita a dormire. Perciò si mise a sedere. Avrebbe aspettato di essere talmente stanca da crollare dal sonno. 
“Non riesci a dormire?” Chiese una voce femminile alle sue spalle. 
Valerie si avvicinò lentamente a lei per poi sederle accanto. 
“Non ci riesco.” Rispose l’altra. “Ogni volta che ci provo, ho incubi sui ragni e sui loro ‘begli’occhioni.” Continuò poi con un accenno di sarcasmo, sotto lo sguardo perplesso dell’amica. 
“Preferisco aspettare di essere abbastanza stanca da crollare dal sonno.” 
“Allora aspetto un po’ con te, neanche io riesco a dormire.” Le spiegò Valerie. In effetti era vero, era ancora piena di adrenalina e poi, non sarebbe riuscita a dormire sapendo che Reyeha era sveglia e inquieta.
“Ma…cosa è successo quando ti sei gettata dalla carovana?” Chiese. “Non devi rispondere per forza eh!” Si affrettò a dire poi, accorgendosi dell’avventatezza della domanda. “Se non vuoi, fa niente.” 
L’altra scosse il capo. “Sono stata circondata e in men che non si dica, avevo un ragno proprio davanti la faccia e i suoi grandi occhi mi fissavano. Dal terrore, ho stretto Drayeho e chiuso gli occhi, aspettando la fine. Poi, vedendo che non era accaduto nulla, li ho riaperti e intorno a me ho visto solo fuoco…” Fece una pausa “Beh, e sai, visto che al mio villaggio sono morti tutti… a causa del fuoco, non è una cosa carina.” 
“Mi dispiace…” Disse Valerie per poi abbracciare l’amica che, ormai abituata, ricambiò senza problemi. 
Quando si divisero, Reyeha si stese, poggiando la testa sulle gambe di Valerie. 
“Ti sto usando come cuscino, visto che sono stanca.”
 La ragazza dai capelli corvini rise. “Ok.” 
Non sentendo più l’amica parlare, provò a chiamarla, solo per poi accorgersi che si era addormentata. Sulle sue gambe. Poteva svegliarla certo, ma finalmente era riuscita a dormire e non le sembrava una cosa carina da fare. Però così sarebbe stata lei a non dormire. Doveva svegliarla. 
/Però dorme cosi bene….dannazione./ Alla fine, si rassegnò all’idea che avrebbe passato la notte insonne. 
La mattina dopo, Reyeha si svegliò decisamente di umore migliore rispetto alla sera prima, anche perché era riuscita a dormire per bene. V
alerie invece era praticamente morta dal sonno, le occhiaie le arrivavano fino al naso e tutto era tranne che di buon umore. 
Dopo averne discusso, Reyeha decise di far continuare il viaggio a Nathaniel. 
“Ci sono altre cose che dobbiamo sapere?” Chiese minacciosa. 
“No, no.” Rispose l’altro. 
La maga lo continuò a guardare, sospettosa.
 “Andiamo, certo non mi gioverebbe per niente, soprattutto ora, tenervi nascosto altro, no?” Spiegò quello. 
La ragazza sbuffò per poi salire sulla carovana. 
Ripresero il viaggio come se nulla della sera precedente fosse mai accaduto. Valerie approfittò del momento di calma per stendersi sulle gambe di Reyeha, che la guardò perplessa. 
“Ieri non ho dormito per colpa tua, ora tocca a me.” Disse, chiudendo gli occhi. 
“Questa è vendetta.” Borbottò per poi addormentarsi quasi all’istante. 
Reyeha si lasciò scappare un risatina, per poi mettersi a giocare con i capelli dell'amica, facendola così rilassare ancora di più. 
Gwendal le si poggiò sulla spalla e lei lo interruppe prima ancora che potesse aprire bocca per parlare. 
“Cioè” Sussurrò “Io ho quasi rischiato la morte per farti andare sulla spalla di Jon, e ora torni qui?” Gwendal borbottò qualcosa. 
“Sciò, sciò, torna da Jon, io ho la spalla dolorante a causa della caduta di ieri.” Lo cacciò via con una scusa. 
La fata tornò dall’orco, accennando della spalla sofferente dell’amica. 
Le rivolse uno sguardo accusatorio ma Reyeha si limitò a sorridergli, facendo spallucce. 
“Così…” Chiese improvvisamente Ida, da davanti la carovana. “Nathaniel, come diavolo hai fatto a farti inseguire da dei ragni giganti?” 
”Hem… diciamo che ho rubato a un ragno il suo uovo, convinto che non mi avrebbe visto.” Rispose l’uomo. 
“Un uovo di ragno? Perché hai rubato un uovo di ragno?” Domandò Reyeha, leggermente schifata.
“Beh, sono carini…e poi sono molto buoni da mangiare, cotti ovviamente.” 
Gwendal fece un verso di disgusto. 
“Beh, si effettivamente capisco….” Commentò la donna. “Reyeha, dai non puoi biasimarlo, anche io ti stavo per rubare l’uovo. Io l’avrei venduto, non mangiato, ma quelle sono preferenze.” Disse, giustificando il mago. 
”Voglio uccidervi.” Disse esasperata la ragazza. “Dai, sentiamo, voglio sapere per quale diavolo di motivo sei stato inseguito poi.” Continuò, accarezzandosi le tempie. 
“Ok, allora, riprendendo il discorso…io ho mangiato l’uovo, che fra parentesi era molto buono e ho ripreso il mio cammino come se nulla fosse, solo per poi accorgermi che la madre mi aveva seguito.” 
”Che idiota…”Commentò sottovoce Gwendal. 
“E poi?” Chiese interessato Jon. 
La fata sbuffò. 
“Beh, e poi sono scappato per la mia vita.”
“Perché non ucciderli? Da quanto ho visto la scorsa sera, sembri più che capace di cavartela da solo.” Intervenne Phearl. 
“La scorsa sera non ero solo. Se avessi usato i miei poteri da solo, avrei rischiato di stancarmi troppo prima di riuscire ad ucciderli tutti. Erano molti.” Spiegò l’altro. “Comunque…pensavo sinceramente di averli seminati, quindi ho proseguito tranquillo il mio cammino.” L’uomo fece una pausa prima di proseguire. “In effetti, chissà come avranno fatto a seguirmi fin qui…” si domandò pensieroso. 
“Quindi io e Drayeho abbiamo rischiato la morte perché tu ti sei mangiato un uovo di ragno.” Appurò Reyeha.
“Esatto!” 
La maga grugnì, snervata.
Dopo quella conversazione, la giornata proseguì tranquilla e, a parte alcuni incubi che Reyeha fece, uno dei quali era quello con il bambino, anche tutte le altre giornate a seguire passarono tranquille. 
L’unica cosa che Valerie non capiva, erano tutte quelle occhiate che Reyeha lanciava a Gwendal ora che la fata si era stabilita sulle spalle dell’amico Jon. 
Il paesaggio cambiava rapidamente e anche il clima si fece un po’ più freddo. Almeno a detta degli altri, per Valerie non era cambiato poi molto. Sembrava non avere particolari problemi con le temperature basse, forse per via dei suoi poteri legati al ghiaccio. 
Decisero di prendere un’arteria della via d’oro che univa l’ovest al passo montano di Ird, cosi da evitare di tagliare per l’est. Tappa, a detta di Ida e Phearl, che era meglio non fare. 
Nathaniel comunicò loro che la sorella Teliah si era fermata in un piccolo villaggio su quell’arteria, cosi da passare il più inosservata possibile. Del resto, il nord sembrava non essere aperto alle razze quanto gli altri regni. 
“Siamo arrivati.” Comunicò loro Phearl, fermando la carovana all’entrata del piccolo villaggio. 
“Jon, Gwendal, è meglio se rimanete dentro la carovana, insieme a Drayeho.” Li istruì l’arciera. “Qui le cose sono leggermente diverse dagli altri regni, anche se è un piccolo villaggio.” 
“Lo so, sono venuto più volte al nord.” Ribatté acida la fata. 
“Mah, in effetti fa leggermente più freddo…forse dovevo prendermi la maglietta a maniche lunghe.” Osservò Valerie. 
“Come fa?” Chiese Nathaniel, stringendosi il cappotto e la giacca che aveva sotto per il freddo. “Non lo so, ma vorrei tanto essere lei in questo momento.” Rispose Reyeha, tremante nonostante i diversi strati di vestiti che indossava. 
“Odio il nord.” Sibilò Phearl, digrignando i denti. 
“Teliah ha detto che ci sarebbe venuta incontro lei stessa all’entrata del villaggio.” Comunicò Nathaniel.
“Spero vivamente che si sbrighi….” Commentò Reyeha. 
Grazie al cielo, dopo poco venne loro incontro una figura incappucciata. Arrivatagli davanti, si fermò e si tolse il cappuccio. 
“Teliah!” La salutò Nathaniel, abbracciandola con forza. La sorella rispose all’abbraccio con altrettanta forza. 
Erano strani da vedere, lui era cosi alto e la sovrastava ma lei sembrava potergli tenere facilmente testa, nonostante le piccole dimensioni. 
“Piacere.” Disse poi, presentandosi a tutti loro. “Grazie per aver sopportato mio fratello, può essere un vero dolore a volte.” Proseguì, poggiando le mani sui fianchi. 
“Eh…” Confermò Reyeha. 
Effettivamente, pensò Valerie, era più alta dei folletti, se non fosse stato per le orecchie a punta, sarebbe passata benissimo per un’umana. I capelli erano neri e spettinati, come quelli del fratello e le arrivavano alle spalle. Il viso però aveva lineamenti dolci, quasi infantili e i grandi occhi erano verde smeraldo. Il corpo, benché di costituzione minuta, era tonico e allenato. Le orecchie a punta la facevano sembrare solo più carina. La pelle chiara, poi, la faceva sembrare solo più giovane. /Non sembra proprio trentenne/ Pensò Valerie. 

“Hai trovato qualcosa per mamma?” Chiese Nathaniel. 
“Forse si, ma dobbiamo agire con cautela.” Rispose seria la sorella. 
L’altro annuì. 
“Per tua madre?” Chiese Valerie, incuriosita. 
“Oh, è vero, non ve l’ho detto.” Osservò il mago. “Il motivo per cui ho intrapreso questo viaggio, è che nostra madre si è gravemente ammalata negli ultimi tempi e nulla nella nostra tribù sembra funzionare, perciò abbiamo deciso di cercare fuori dai nostri territori.” Rivelò loro. 
“Spero si riprenda allora!”
“Lo spero anch’io…” replicò Nathaniel. “Comunque grazie.” Riprese poi. “Sono profondamente in debito con voi, soprattutto dopo tutto quello che vi ho fatto passare.” 
Mise le mani nel taschino che portava allacciato alla cintura, alla ricerca di qualcosa. Tirò fuori un piccolo cristallo blu, di forma ottagonale, che porse poi a Reyeha. “E’ uno strumento di comunicazione elfico, o meglio, appartiene alle tribù di elfi oscuri. Attraverso esso potete contattare qualcuno a distanza. L’unica cosa che dovete fare è recitare questa formula.” Prese un piccolo pezzo di carta da un’altra delle sue tasche, porgendolo sempre a Reyeha. “L’ho scritta nel vostro linguaggio. Usatelo qualora avrete bisogno del mio aiuto. E’ il minimo che possa fare per sdebitarmi.” 
“Devi fare tanto per sdebitarti.” Lo ammonì Reyeha. 
Nathaniel sorrise, per poi rivolgersi a Teliah. 
“Di, non ti ricorda Fenril?” La sorella incrociò le braccia, guardando pensierosa Reyeha. 
”Beh si, a giudicare dal tono e dallo sguardo…” 
“Chi è Fenril?” chiese Valerie. 
“E’ il mio ragazzo.” La informò l’uomo. 
Reyeha roteò gli occhi. “Ma gli uomini in Imirdyr sono tutti gay?” Asserì, esasperata. “Vi vorrei far notare che in tutto il viaggio abbiamo incontrato un solo maschio etero ed era vestito da donna!” Precisò poi. 
“Beh dai, non durante il viaggio, ma a Balkrev, almeno a quanto ne so io, le ragazze piacciono.” Le fece notare Phearl a bruciapelo. 
“Chi è Balkrev?” Chiese nuovamente Valerie. 
“Non è nessuno.” Replicò prontamente l’amica maga. 
La ragazza dai capelli corvini fece per ribattere ma venne interrotta dalla mano che Reyeha le mise in faccia.
“Shhhh, spegniti.” Le disse. 
“Dobbiamo andare” Comunicò Teliah, rivolta al fratello. “Prima partiamo, meglio è.” 
“Hai ragione.” Concordò quello, per poi girarsi un’ultima volta verso il gruppo. “Grazie ancora.” 
Diede un sacchetto con dei soldi a Phearl, la quale si illuminò, per poi allontanarsi finalmente insieme alla sorella. 
“Grazie cielo.” Commentò Gwendal da dentro la carovana.
“Dai che non è stato cosi male.” Ribatté Valerie. 
“A parte i ragni, vuoi dire.” Puntualizzò Reyeha. 
“A parte i ragni.” 
“A me stava simpatico…” Confidò Jon, che era riuscito di nuovo a far addormentare Drayeho.
“Oh, anche a me, soprattutto ora .” Disse Phearl, dirigendosi verso la carovana con il sacchetto in mano.
 “Immagino.” Rise Ida. “Dai, tutti a bordo, si riparte.”

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Capitolo 33
*** L'odio di Reyeha...e di Valerie. ***



Capitolo 33: L'odio di Reyeha...e di Valerie



"Fa freddo. Molto freddo. Troppo freddo. Valerie vaffanculo. Odio la neve. Odio tutto." 
Era ciò che, a mente, Reyeha si ripeteva in continuazione, avvolta in tutti i vestiti che aveva trovato nella sua borsa, più alcuni di Valerie, visto che lei a quanto sembrava, non ne aveva bisogno.
 La ragazza infatti, nonostante la neve e il freddo gelido del Nord, stava con semplicemente addosso solo una maglietta a maniche lunghe. Leggera per giunta. Reyeha non capiva. 
Non era lei che non andava bene, visto che anche gli altri erano ben vestiti, ma Valerie. Sembrava quasi fosse immune al freddo. 
Una volta che il panorama cominciò a dipingersi di bianco e tutti iniziarono a coprirsi per bene (sopratutto Reyeha, visto che ora , per quanti vestiti aveva indosso, quasi faticava a muoversi) l'unica cosa che Valerie fece, fu appunto cambiare maglietta, con una a maniche lunghe, dicendo: -Non sembra anche a voi che la temperatura sia scesa un pochino?- 
Tuttavia, anche lei era esagerata: non solo aveva sei strati di vestiti addosso, ma tra di essi c'era anche Drayeho. Per prima cosa, per tenere caldo anche a lui, siccome il Nord, per un drago che non fosse delle nevi, non era l'ideale; in secondo luogo, perchè siccome oramai era un po’ che aveva imparato a produrre il fuoco, il suo corpo emanava calore e lo usava per riscaldarsi, come aveva fatto tempo addietro con Eissyo, quando ancora stava nella foresta dell'Est. 
Non era mai stata al Nord, ma non pensava di sopportare così poco il freddo, anche perchè negli inverni passati nella caverna assieme ai draghi, se l'era cavata, ed era vestita molto leggera rispetto ad adesso. 
/Quasi mi mancano quei quattro draghi adulti, che emanavano tanto calore.../ si ritrovò a pensare.
 In più, l'incubo con il bambino, le faceva visita ormai un volta ogni due settimane circa, il che sommato al freddo e alle sue paranoie, non favorivano per nulla il suo buon umore. 
*** 
Dopo essersi separati da Nathaniel, continuarono a seguire un’arteria della via d’oro, fino al passo di Ird, una stretta gola innevata, che portava alla prima cittadella del nord, Imril. 
Le basse mura che circondavano la città avevano varie aperture, che lasciavano il passo ad altrettante stradine. Una volta arrivati al passaggio cui conduceva il loro sentiero, due uomini con lunghi mantelli e cappelli di pelliccia, fermarono la loro marcia.
 -Dannazione...- Sentirono imprecare a denti stretti Phaerl, la quale si girò poi verso l'interno della carovana:- Via tutto ciò che è fuori posto.- Disse a bassa voce.
 Reyeha fortunatamente aveva già Drayeho nascosto tra i strati dei suoi vestiti. Gwendal invece, si ritrasse all'interno del cappuccio che Jon si era tirato sulla testa fino a coprirsi il volto ed anche Valerie si coprì i capelli per sicurezza.
 -Buongiorno.- Salutò cortesemente la guardia, ricambiata poi dalle due donne. -Cosa trasportate?- Chiese poi l'uomo.
 -Nulla, è solo una carovana per i nostri spostamenti.- Rispose Ida. L'uomo si avvicinò poi all'entrata posteriore del mezzo, per controllarne il contenuto e, dopo aver salutato con un cenno della testa anche gli altri passeggeri all'interno, ritornò dalle due donne sul davanti.
 -Devo schedarvi e farvi pagare la dogana per i mezzi di trasporto. Cento danari.-
 -Cosa?- Il tono di Phaerl non prometteva bene, al che Ida le diede una gomitata.
 -No, non pagherò cento danari per entrare in un paesino!-
 -La dogana è per l'entrata nel Nord.- Aggiunse l'uomo spazientito.
-Sti cavoli per cos'è!- 
Ida prese la mezzelfa da parte per tentare di convincerla che fare resistenza nelle loro condizioni non era la migliore delle idee. 
-Phaerl!- 
-Che c'è? Io non do un centesimo in più a quelli del Nord! Tutte carogne sono! In più non ricordo dove ho messo i soldi...- Fece poi con una finta aria colpevole, finendo così per essere fulminata da Ida. 
-Lascia stare, Liktor!- Una voce maschile differente da quella della guardia si intromise nella problematica situazione nella quale si trovavano.
 Un giovane ragazzo incappucciato, stava battendo una mano sulla spalla del guardiano, il quale aveva assunto un'espressione infastidita.
 -Non essere così sgarbato con queste belle donne, garantisco io su!- L'uomo si spostò senza opporre troppa resistenza, roteando gli occhi. Non appena sorpassarono il guardiano, Ida e Phaerl ringraziarono sospettose il ragazzo, chiedendogli perchè l'avesse fatto. 
-Bhè, ma naturalmente perchè donne belle come voi non se ne vedono tutti i giorni!- Disse avvicinandosi alle due, ammiccando, al che, Phaerl e Ida si guardarono ancora più confuse; poi, Ida allontanò il busto dal dongiovanni e lo spinse lontano da lei con un dito, quasi schifata. 
-Senti feto, calmati.- 
Phaerl invece, se ne andò direttamente, ignorandolo. 
Entrati nella città, Reyeha, Valerie e Jon, con addosso Gwendal, decisero di scendere dalla carovana per poter ammirare meglio il paesaggio che li circondava. Nonostante fosse una delle città-frontiera verso in Nord, Imril non era molto grande, nè molto affollata. Le varie strade si disperdevano tra gli agglomerati di case ed edifici, i quali erano completamente, o quasi, dipinti di bianco dalla neve. Gli unici colori differenti dal bianco li si poteva vedere solo in ciò che non erano tetti o strade. Il ragazzo che li aveva fatti passare, si avvicinò al gruppetto dei giovani e con aria divertita chiese a Reyeha: -Qui qualcuno non sopporta molto il freddo eh!?- Poi il suo sguardo si posò su Jon. -Wow! Sei bello grosso tu! Non oso immaginare quanto lo sei là sotto!- Disse, facendo un cenno con la testa verso le parti basse dell'orco, il quale per l'imbarazzo, si fermò di botto. 
Velerie e Reyeha si fermarono per calmare Jon, anzi, più che altro Gwendal, il quale aveva iniziato ad imprecare contro il giovane, dicendo tra le altre cose di volerlo morto. Un sentimento a quanto sembrava condiviso da Valerie. 
Per la prima volta da quando Reyeha la conosceva, infatti, Valerie stava emanando istinti omicidi verso il "simpaticone". -Questo tipo non mi piace...- Disse infatti guardandolo malissimo. 
Il ragazzo conquistò un pochino Reyeha invece, siccome li portò a una taverna, chiamata "Il Braciere", nome che a detta della ragazza non rendeva giustizia al posto. Di bracieri infatti, ne aveva quattro e appena varcata la soglia si sentì rinascere. Il calore di quel posto la travolse piacevolmente facendole tornare il buon umore. Inoltre, dopo essere riuscita a trovare il bagno, tolse Drayeho da sotto gli strati di vestiti e lo mise nello zainetto, così da potersi togliere un altro paio d'abiti.
 Ora che si era messa a proprio agio, poté guardarsi attorno meglio. La locanda nella quale si trovavano era abbastanza ampia, di forma quasi rettangolare, con tavoli rotondi e un bancone centrale, dietro il quale un uomo robusto di mezza età dai folti baffi, prendeva gli ordini e serviva da bere ai clienti. La birra, là dentro, era come i fiumi nel Sud. Troppa. Tornata di là, trovò i suoi compagni già seduti ad un grande tavolo in legno, posto in uno degli angoli meno chiassosi del locale. La ragazza andò a posare i preziosi vestiti vicino a Valerie, seduta in una delle parti più esterne del sedile semicircolare che circondava parte del tavolo. 
Dopo aver posato cautamente anche lo zaino contenente Drayeho (che aveva addormentato toccandogli il punto sensibile sotto la coda, lì dove le aveva mostrato Jon), Reyeha si ritirò su per potersi sistemare una delle magliette, la quale le si era leggermente alzata a causa del movimento. 
-Ah però!- Sentì alle sue spalle. Il ragazzo che li aveva aiutati a passare la frontiera e aveva traumatizzato Jon, si trovava dietro di lei, un po’ troppo vicino. -Quindi sotto tutti quei vestiti c'era tutto...questo?- Disse per poi indicare tutta lei. 
Reyeha, la quale non si era mai trovata in una situazione del genere, si ritrasse ridacchiando nervosa, mettendosi a sedere vicino a Valerie, la quale aveva incrociato le braccia al petto e si stava pian piano ritraendo, fissando nel frattempo male il giovane. Esso però, prese una sedia e si sedette accanto a Reyeha, continuando con le varie lusinghe. Si riscosse solo quando da dietro passò Ida, che diede un calcio alla sedia, rischiando di farlo cadere. 
A quel punto si alzò e, dopo aver fatto qualche altra lusinga alla figlia del taverniere solo per provocare fastidio all'uomo, visto che poi si girò verso esso sghignazzando sotto i baffi, si schiarì la voce e parlò. 
-Bene! Io, non mi sono ancora presentato, perciò, siccome scommetto che volete conoscere il nome del vostro bel salvatore, ve lo dirò! Il mio nome è Kandara, felice di fare la vostra conoscenza, mie signore. E tu, amico.- Disse per poi guardare sorridente una ad una le facce dei componenti della carovana. 
Reyeha trovò tutto ciò abbastanza divertente, soprattutto per le varie espressioni dei suoi compagni: da Valerie che ancora lo guardava male, a Phaerl che lo stava fissando con un sopracciglio alzato leggermente disgustata. In più, di sottofondo, sentiva la vocina di Gwendal che lo insultava a bassa voce. Siccome il silenzio che si era andato a creare stava diventando disagiante, Reyeha decise di presentarsi a sua volta. Inoltre presentò anche Valerie e Jon, aggiungendo, per quest'ultimo, che era troppo timido per togliersi il cappuccio. Ida e Phaerl invece fecero da sole. 
-Hey feto!- Lo chiamò in seguito Ida. -Sai per caso quale sia la via migliore per raggiungere Seska-Sayril? Ho notato che il cielo preannuncia nevicate.-
 -Non sei solo bella, ma anche intelligente quindi! Ebbene si, nell'ultimo periodo ci sono parecchie nevicate, alcune anche pesanti.-
 -Che gioia...-Commentò sarcastica Reyeha.
 -Tranquilla, ti riscaldo io se vuoi...- 
-Feto!- Lo richiamò Ida. 
-Ah sì, continuando verso nord-ovest, sulla via Kroksta, dovreste raggiungere, calcolando che avete la carovana e in più ci sono le nevi, il fiume Hiktra, in circa una luna. Da lì siete a metà percorso. Dopo continuate sempre verso nord-ovest, prendendo la Via del Passaggio Nevoso, ve la consiglio, è un po’ più lunga, ma è quella più frequentata e per certi versi sicura.-
 -Ce ne sono altre di vie? Più veloci intendo?- Chiese poi Phaerl. 
-Certo dolcezza, ma non ve le consiglio. Potreste imbattervi in banditi, brutte bufere di neve oppure vari animali poco amichevoli, tipo i draghi delle nevi.
/Se pensi che quelli delle nevi siano poco amichevoli, non hai mai incontrato un guardiano della foresta.../  Pensò Reyeha, paragonando Verthor ed Eissyo.
 -Ho capito...- Sospirò la mezzelfa. Il pensiero di passare tutto quel tempo nel freddo del Nord, aveva demoralizzato un po' tutti, sopratutto Reyeha.
 -Immagino siate affamati!- Esclamò poi Kandara, cambiando argomento. -Offro io, servitevi! Slein! Fai portare qualcosa di buono a questo tavolo!- Urlò il ragazzo verso il taverniere, il quale lo guardò quasi ringhiando. 
Mentre mangiavano, continuarono il discorso su come arrivare a destinazione. 
-Comunque sia, dovreste mettere una slitta alla vostra carovana. Qua nel nord, le ruote non servono a molto.- Disse il biondo. 
-E dove potremmo trovare qualcuno che ci monti una slitta?- Chiese Ida.
 -Dopo il pranzo vi porterò da un mio amico che si occupa di queste cose.- Rispose, per poi fare un occhiolino alla donna.
 -Il prezzo? E' abbordabile?- Domandò Phaerl, alché Ida e Reyeha fecero un sospiro disperato. 
-Certo che si! Lo garantisco io!- Continuarono il pranzo con Kandara che ci provava incessantemente con tutti, tranne che con Valerie. Era messo a disagio infatti dalla maga, che mostrava evidentemente di non apprezzare la sua compagnia. 
Aveva attenuato anche le battute su Jon, siccome glielo aveva chiesto Reyeha, dicendogli che altrimenti lo avrebbe traumatizzato irrimediabilmente. Tuttavia, l'attenzione del ragazzo rimase ancora per un po’ dedita all'orco. Jon infatti, nel tentativo di passare cibo a Gwendal, faceva finta di portare la forchetta con il cibo alla bocca, per poi però deviarla e la mandarla nel cappuccio. Fu di questo che Kandara si accorse, ma prima che potesse chiedere qualsiasi cosa o che potesse interessarsi troppo alla cosa, Reyeha lo distrasse.
 -Kandara, sai per caso dove possiamo trovare anche una mappa aggiornata del Nord?- Ma prima che il ragazzo potesse rispondere, come al solito, intervenne Phaerl, chiedendo il perchè di questa domanda.
 -Bhè, facendo conto che la nostra mappa è molto relativa.... suppongo ce ne serva una più dettagliata....-
 -Hey! Non è mica la prima volta che vengo nel Nord io!-
 -E allora perchè Ida prima ha chiesto come si arrivasse alla capitale? Se lo sapevate già che bisogno c'era di farlo?- 
-E' perchè finora non sono mai passata di qui, prendevo sempre un altro passo, più veloce, ma essendo in tanti sarebbe stato molto più scomodo! E poi è Ida che lo ha chiesto, non io!- 
-Comunque sia ci serve una mappa. Non ci tengo a perdermi, sopratutto al Nord.- Concluse Reyeha. 
-Bhè, non so da quando è che non visitate il Nord, ma ultimamente ci sono state parecchie nevicate che hanno bloccato alcuni passaggi.- Intervenne Kandara.- Se volete io posso indicarvi qualcuno che si occupa di aggiornare costantemente la mappa urbana mercantile.- 
-Ecco.- Disse poi Reyeha, facendo un cenno con la testa verso Kandara, guardando Phaerl. La mezzelfa sospirò. 
-Va bene, compreremo una mappa, ma solo perchè ci è indispensabile. Però, lo faremo se il ragazzino...- ed indicò Kandara.- Ci fa avere uno sconto sulla slitta.-
 -Non ci credo...- Disse esasperata Reyeha.
 -Certamente! Non ti preoccupare cara mia, ci penso io!- Disse il ragazzo, ammiccando verso la castana. 
Finito di pranzare, andarono a cercare il ragazzo che si sarebbe occupato di montare la slitta alla carovana. Mentre stavano camminando per raggiungere la destinazione, Kandara si precipitò a salutare due ragazze, praticamente saltando addosso ad una di loro. La povera vittima dell'affetto del giovane era una ragazza bassina, con la pelle stranamente scura per un abitante del nord e lunghi capelli color mogano, raccolti in una coda alta che le ricadeva poi fin oltre metà schiena. Mentre essa cercava con un mezzo sorriso disperato di levarsi di dosso il ragazzo, l'altra, una ragazza poco più alta della prima, con i capelli castani acconciati sulla nuca e la pelle chiara, aveva fatto un passo di lato per allontanarsi dai due, sospirando.
 -Care donzelle...e Jon, vi presento Cassandra...- Disse Kandara indicando la più alta delle due.-...ed Elaera.-
 Reyeha sorrise loro quasi imbarazzata, mentre Valerie sembrò ri-attivarsi immediatamente.
 -Due ragazze della nostra età!- Sussurrò entusiasta verso Reyeha. -Potremo farci amicizia!- 
-Lo sai vero che tra poco dobbiamo ripartire...?- Rispose la castana girandosi verso l'amica.
 Dopo che Kandara ebbe ultimato le presentazioni, condusse Ida e una Phaerl ormai spazientita, nell'officina. Reyeha, Valeire e Jon invece, rimasero fuori con le amiche di Kandara.
 - Non siete di qui. Come mai conoscete Kandara?- Chiese loro Cassandra per tentare di aprire una conversazione.
 -Ci ha aiutato a passare senza pagare la dogana per la carovana.- Le rispose Reyeha. 
-Capisco...- 
-Già...- Il silenzio imbarazzante che si era andato a creare per un po’ a causa dell'assenza di argomentazioni da affrontare, venne interrotto dall'altra ragazza.
 -Hai dei capelli davvero strani! Sembrano quasi viola!- Disse infatti Elaera rivolta a Valerie, la quale non si era rimessa il cappuccio sulla testa. 
-Hehehe......già....sarà la luce.... in realtà sono neri...- Tentò rovinosamente Valerie di dare una spiegazione, senza imbattersi nel fattore "magia". 
Poi Elaera osservò per un po’ Reyeha, però quando quest'ultima ricambiò il suo sguardo, la rossa spostò il suo. Vedendo che la castana si era stranita, Elera intervenne dicendo: -Scusa, è che hai uno sguardo cattivo...mi fa paura...- Prima che Reyeha potesse rispondere però, la voce di Phaerl la interruppe. 
-Abbiamo la slitta per Seska-Sayril!- Quasi urlò loro una Phaerl avente un sorriso a 32 denti. Poi si avvicinò alle giovani e aggiunse soddisfatta: -E ad un prezzo bassissimo!-
 -State andando alla capitale?- Si intromise discretamente Elaera. L'allegria di Phaerl sembrò svanire all'istante, poi guardò con sufficienza la giovane e rispose di sì.
 -Potrei approfittare del passaggio...? Sapete, anche io dovrei arrivare lì...ma non ho i soldi necessari...- 
-Lo sapevo...-Disse Phaerl con un smorfia, per poi essere subito ammonita da Ida. 
-Bhè, potrebbe aiutarvi in altro modo... ad esempio è bravissima a cucinare!- Intervenne Kandara in aiuto dell'amica, poggiandole le mani sulle spalle. La cosa a quanto sembrava stava interessando le due donne, che infatti si guardarono l'un l'altra. Nell'attuale gruppo infatti, sapevano cucinare solo loro due e a loro non andava quasi mai. Avevano provato a fare cucinare a Valerie, ma lo fa con talmente tanta fatica che la voglia di mangiare passava finchè finiva,  mentre Reyeha cucinava come lo faceva quand'era nella foresta. Le cose erano commestibili, ma non molto saporite... E Jon era vegetariano.... perciò non cucinava carne.
 -In più, ha delle cartine abbastanza recenti del nord! Non ve ne serviva una!? Così non la dovete comprare sprecando soldi inutilmente!- Aggiunse Kandara, ammiccando verso Phaerl. 
Dopo un momento di silenzio, nel quale Phaerl ci pensò su, la donna disse: -Eh sia! Però per il tempo che starai con noi cucinerai tu! E ci metterai a disposizione le tue cartine!- Elaera comincio a saltellare di gioia, per poi abbracciare Kandara. 
-Grazie! Grazie! Grazie! Potete contare su di me!-

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Capitolo 34
*** Finalmente a Seska-sayril ***


NOTE DELLE AUTRICI

Mi scuso per il ritardo, ma era Pasqua e mi hanno costretta a fare pubbliche relazioni in famiglia LOL Detto ciò, spero che il capitolo sia di vostro gradimento!

-Ele-




Capitolo 34:
Finalmente a Seska-sayril
 

“Sei sicura di voler partire? Mi sentirò sola senza di te.” Ripeté per l’ennesima volta quella mattina Cassandra.
 “Cassie, te l’ho già detto, DEVO partire.” Ripeté Elaera, sorridendole poi dolcemente, vedendola imbronciarsi per le sue parole.
“Elaera ha ragione, Cas, ha la sua strada da percorrere. Però mancherai anche a me!” Cinguettò Kandara abbracciando l’amica e tentando di baciarla sulla guancia, venendo però prontamente fermato da uno scappellotto sulla testa.

 “Kandara! Vuoi smetterla una buona volta di fare l’idiota?” Lo rimproverò donna Edel col suo sguardo severo, suscitando le risate ilari delle due ragazze.
 “Edel, le tue mani sono delicate come sempre!” Rispose sarcastico il ragazzo, massaggiandosi la nuca e guardando storto la donna che lo aveva cresciuto quegli ultimi anni.
 “Smettila di dire cavolate e vai a vedere se la slitta è già stata montata.” Ordinò l’austera donna, indicando la porta e cacciando quasi via il figlioccio.
 “Ok, ok, vado, non c’è bisogno di insistere. Ci vediamo dopo ragazze.” Salutò con un segno del capo il giovane, avviandosi verso l’officina della cittadina, dove il gruppo della carovana si era dato incontro.

 “Cosa devo fare con quel ragazzo…” Sbuffò la donna una volta che questo fu uscito, rimanendo da sola con la figlia e l’avventuriera. “Allora cara, hai preso tutto?”
 “Credo di sì.” Rispose la ragazza chiudendo l’ultima tasca del suo enorme zaino. “Devo solo prendere la spada.” Concluse, facendo un cenno con la testa verso un enorme fagotto poggiato in un angolo, il quale nascondeva l’enorme lama che l’avventuriera usava.
 “Vedo che hai seguito il mio consiglio.” Notò allora la donna avvicinandosi alla sedia della figlia, ancora imbronciata per la partenza dell’amica.
 “In effetti ho pensato fosse meglio. Hai ragione tu, non posso fidarmi del primo che incontro. Anche se vorrei fidarmi della gente, ci sono cose che è meglio rivelare col tempo.” Proferì saggiamente Elaera ricordando la discussione avuta il giorno prima con la donna.

La sera precedente, dopo la cena, Edel aveva discusso con la ragazza del viaggio che ella s’apprestava a fare con quella stramba combriccola che Kandara aveva fatto entrare in città. Conoscendo le serie ragioni del viaggio di Elaera, la donna le aveva consigliato di nascondere la spada, finché non avesse avuto certezza di potersi fidare di loro. La ragazza aveva acconsentito, comprendendo che non poteva sempre affidarsi al suo intuito nel giudicare le persone. Così aveva preso l’enorme pezzo di stoffa verde che la donna le aveva offerto e vi aveva incartato dentro la pesante spada, accarezzandone poi la stoffa che la ricopriva con sguardo malinconico, ripensando all’uomo che gliel’aveva donata in punto di morte.

 “Hai salutato i bambini?” Domandò donna Edel aiutando la ragazza ad issarsi lo zaino sulle spalle.
 “Sì, li ho salutati poco fa, prima che uscissero per andare a scuola. Ieri ho salutato i bimbi dell’orfanotrofio. Mi mancherete tutti.” Ammise la ragazza guardando le due amiche. “Ok, sono pronta.” Dichiarò allora, issandosi l’enorme fagotto sullo zaino.
 “Vieni qui, lasciati abbracciare.” Dopo un abbraccio serrato della donna, fu il turno dell’abbraccio più dolce della figlia con gli occhi lucidi per le lacrime.
 “Mi raccomando torna a trovarci.”
 “Lo farò.” Promise Elaera prima di varcare la soglia della porta e lasciarsi altri amici alle spalle.

 Con passo svelto, si diresse finalmente verso l’officina, forse un po’ in ritardo, facendo ben attenzione a non cadere nella neve da cui non si sarebbe alzata facilmente visto il peso di ciò che portava sulle spalle. Quando giunse in vista del negozio, vide il gruppetto accampato intorno alla carovana, alla quale era stata già montata la slitta e i cavalli. Gli animali, due bellissime bestie aitanti, sbuffavano nuvolette di vapore dalle narici e scalpitavano frenetiche per mettersi in marcia.

“Alla buon ora ragazzina! Sei in ritardo.” La rimproverò la mezzelfa, incrociando le braccia al petto e fulminando con lo sguardo Kandara che tentava invano di attirare la sua attenzione.
“Mi dispiace.” Si scusò Elaera osservando poi uno ad uno i suoi nuovi compagni di viaggio.
Le due ragazze sue coetanee erano sul retro insieme al tizio alto che le stava aiutando a caricare le provviste, mentre l’altra donna era intenta a parlare con il proprietario del negozio. Quando quest’ultima si accorse dell’arrivo della giovane e del tono della mezzelfa, le venne incontro per salutarla o meglio per soccorrerla, come pensò Elaera.
 “Meglio tardi che mai Phaerl. Allora, partiamo?” Chiese rivolta verso quest’ultima, facendo l’occhiolino alla giovane. Phaerl non poté far altro che sbuffare e salire davanti sul mezzo, seguita poi a ruota dall’altra.

Elaera fece per seguirle, ma venne prontamente agguantata da due forti braccia.
“Ehi, non vorrai andartene senza salutarmi!” La rimproverò Kandara fingendo di essere offeso.
 L’avventuriera sorrise, stringendolo poi in un forte abbraccio.
“Mi mancherai idiota.” Gli disse vicino all’orecchio, facendo sorridere il ragazzo.
 “Anche tu. Mi raccomando, stai attenta.” Si raccomandò l’amico. “E occhio di chi ti fidi.” Aggiunse poi sotto voce.
 “Credevo ti fidassi di loro.” Rispose confusa Elaera.
 “Più o meno. Di solito il mio istinto non fa cilecca, però... Diciamo che mi fido di più della tua forza e del tuo buonsenso.” Ammise un po’ in imbarazzo Kandara, per poi stringerla ancora. “Su, ora va, o potrei essere tentato a non farti partire.”
 “Sei senza speranze. A presto.” Lo salutò prima di issarsi su, insieme ai suoi nuovi compagni e forse amici.

Un colpo di cinghie e la slitta partì, lasciando in poco la cittadina e sfrecciando nella neve alta del regno ghiacciato.

 
***


Mentre la slitta partiva lasciandosi alle spalle le case innevate, Elaera ripensava al tempo passato in città con una certa malinconia, ma si ripromise di non mettersi a piangere, infondo, non era la prima volta che si separava da qualcuno che aveva imparato ad amare. Quando Kandara non fu più in vista, si voltò verso le due ragazze e l’uomo incappucciato, facendo un mezzo sorriso nervoso, non sapendo come attaccar bottone. Fortunatamente, fu la ragazza dallo sguardo perennemente arrabbiato a prendere parola per prima.

 “Allora, senti, siccome passeremo molto tempo insieme e non mi va di fare giri di parole o di nasconderlo, questo è Drayeho.” Disse, mostrando lo zainetto dal quale spuntava la testolina del tenero draghetto rosso. “E si, se te lo stai chiedendo è proprio un drago. Oh, quasi dimenticavo, io mi chiamo Reyeha.”
 “Piacere, io sono Elaera.” Rispose titubante la ragazza, facendo aggrottare la fronte dell’altra. “Scusa, è che… mi fa un po’ paura come mi guardi.” Rise nervosamente ammettendo ciò che la preoccupava.

 “E’ il suo solito tenero sguardo. Non ce l’ha con te o altro. Comunque, io sono Phaerl e lei è Ida.” Continuò le presentazioni la mezzelfa, indicando con la testa l’altra donna seduta vicino a lei che sorrise nella sua direzione. “Cos’hai in quel fagotto?” Domandò poi con diffidenza.
“Oh, nulla di che, un cimelio di famiglia.” Mentì la giovane, facendo inarcare il sopracciglio dell’altra.

 “Io sono Valerie! Mentre questo qui è Jon, è un po’ timido.” Disse la più giovane nel gruppo, indicando l’incappucciato che pareva in imbarazzo. Ad un’occhiata più accurata, Elaera notò che si trattava di un orco. Era la prima volta che ne vedeva uno dal vivo.
 Un borbottare provenne dalla cappa del timido orco, incuriosendo l’avventuriera.
 “Oh già, manca Gwendal.” Disse Reyeha, accarezzando distrattamente Drayeho.

Alle parole della ragazza, una minuscola creaturina dagli insoliti capelli fece capolino dalla cappa dell’orco, sedendosi sulla sua spalla.
 “Ciao.” Salutò seccamente la fatina.
“Oh mio dio, ma è una fata! Che carino!” Si lasciò sfuggire Elaera, venendo folgorata dal piccoletto che iniziò a borbottarle contro qualcosa che non afferrò, mentre i suoi capelli cambiavano colore. “Oddio, guardate i capelli!”
“Si lo so, è figo vero?” Rispose Reyeha mentre cercava di tranquillizzare il piccolo amico.

 Dopo che ci fu riuscita, il gruppetto continuò a parlottare per conoscersi meglio, fortunatamente, l’imbarazzo generale sembrava essersi sciolto ma, ciò nonostante, Gwendal continuava a guardare storto la nuova arrivata, almeno finché questa non si scusò per avergli dato del “carino”, allora si limitò a borbottare ogni tanto. Fu allora che Valerie colse la palla al balzo per tartassare di domande la nuova arrivata.

“Senti, quanti anni hai? Più o meno dovresti essere nostra coetanea no?”
“Ne ho diciassette, quindi si.” Rispose gentile l’altra.
“E come mai sei in viaggio verso la capitale?” Fu la prossima domanda.
“Perché amo viaggiare e perché sto cercando una persona che ho l’urgenza di incontrare.” Rispose di nuovo cordiale Elaera, cercando però di non far trapelare nulla della sua missione. Subito lo sguardo dell’altra ragazza si fece più attento e incuriosito, notando che l’altra rispondeva accondiscendete alle sue domande.
“E come mai cerchi questa persona alla capitale?”
“Bhe, è l’ultimo posto in cui so che sarebbe andato. In effetti non so nemmeno se lui sia ancora lì.” Ammise la più grande.
“Lui?”
“Un mio amico, si chiama Ryuga.”
“Ooooh capito. Senti invece che tipo di cimelio di famiglia ti porti dietro? Sembra bello grosso!” Valerie spostò allora il suo interesse sul misterioso oggetto nel fagotto, avvicinandoglisi pericolosamente.
“E’ un ricordo di mio padre.” Mentì di nuovo l’avventuriera, scansandosi in modo tale da impedire all’altra ragazza di avvicinarsi oltre. “Senti ma tu fai sempre tutte queste domande?” Chiese allora un tantino alle strette.
“E ti sta andando anche bene, direi.” Rispose sarcastica Reyeha, ricevendo un’occhiataccia dall’amica.

“Ahhhh, dannate mappe! Dove aveva detto che dovevamo andare il ragazzino?” Sentì distrattamente dire Elaera dal davanti della carovana.
A parlare era stata Phaerl, la quale stava ora osservando le carte che Elaera aveva messo volentieri a disposizione in cambio del passaggio.
 “Aveva parlato di una certa via Kroksta e di un fiume mi pare.” Le rispose la compagna dalla coda alta scrutando la mappa.
 “Posso dare un’occhiata?” Chiese allora Reyeha, sporgendosi in avanti per osservare la pergamena.
“Accomodati pure.” Concesse Phaerl porgendole la carta.
“Arrivati a quell’altura laggiù dovremmo svoltare, per poi seguire il letto di un fiume, probabilmente ora ghiacciato, vedi?” Fece notare la ragazza indicando alla mezzelfa qualcosa sulla cartina.
 “Oh! Hai ragione.” Notò la mezzelfa.
 “Senti ma perché non la tieni tu, così evitiamo di perderci?” Propose Ida, guardando poi con sguardo serio Phaerl, la quale sembrava sul punto di protestare.
 “Sì, tienile tu le carte, forse è meglio.” Concesse allora la mezzelfa.

Fu così che Reyeha si ritrovò ad essere la bussola di quella strana compagnia e grazie al cielo, sembrava davvero saperci fare con le mappe. Fu merito suo se il gruppo riuscì a giungere abbastanza in fretta in vista della capitale. Fortuna volle infatti, che nessuna brutale nevicata ostacolasse la loro marcia più del dovuto, facendogli impiegare poco più di un mese e mezzo per far si che all’orizzonte si stagliasse il profilo di Seska-sayril. La città dalle imponenti mura lasciò del tutto senza parole i componenti più giovani del gruppo.

 “Benvenuti nella capitale ragazzi.” Proclamò Ida con fare quasi solenne.
 “Quanto spreco, bah.” Proferì Phaerl in direzione della città, mentre conduceva il carro verso il portone principale. “Mi raccomando, tiratevi su il cappuccio. Vorrei evitare rogne.” Tutti obbedirono, anche Elaera, nonostante non comprendesse quale rogne quell’accozzaglia di gente potesse creare.

Superato l’imponente ingresso munito di portone anti-ariete, non senza qualche storia da parte delle guardie, indispettite dall’atteggiamento della mezzelfa, il gruppo si diresse verso un enorme spiazzo nel lato ovest della città, adibito al transito dei carri e delle slitte, proseguendo diligenti per le vie sgombre di neve.

“Non fa abbastanza caldo qui?” Si lamentò Valerie alzandosi le maniche della maglietta che indossava.
“Vorrai dire che si sta abbastanza bene! Siano lodati gli dei, finalmente una temperatura decente.” Ringraziò il cielo Reyeha, che come aveva imparato Elaera durante il viaggio, non sopportava molto il freddo.
“Ringrazia il sistema di riscaldamento di questa fottuta città. Hanno qualcosa di buono anche qui infondo.” Ironizzò Phaerl, la quale sembrava di malumore da quando erano entrati in città.

Giunti nello spiazzo, posteggiarono il mezzo in un angolo libero, scendendo finalmente a sgranchirsi le gambe ma facendo ben attenzione a tenere il viso celato. Le ragazze si guardavano intorno, curiose, con una voglia sempre più crescente di andare ad esplorare di qua e di là.
 Elaera osservava le imponenti mura bianche degli edifici, che sembravano risplendere della luce del sole, creando un suggestivo contrasto coi tetti neri e il fumo dei comignoli di cui ogni casa sembrava munita. Agli angoli delle strade, si innalzavano alti pali che sorreggevano dei cristalli scuri, della grandezza quasi della testa di un bambino. La neve che riusciva faticosamente a cadere a terra, si scioglieva ancor prima di poter attecchire, fluendo poi nei canali di scolo ai lati delle strade lastricate, dove un via vai di gente camminava frettolosa, verso le sue quotidiane occupazioni. L’avventuriera, estasiata, si guardava intorno postando lo sguardo su ogni cosa nuova che l’attirasse, dagli strani abiti delle persone, alle facce curiose dei bambini che la osservavano, finché notò la mezzelfa ferma davanti un muro, intenta ad osservare qualcosa lì affisso.

 “Phaerl, cosa guardi?” Chiese dunque, attirando l’attenzione degli altri, in special modo di Ida che s’accostò all’altra donna.
 “Oh ma guarda, sono io.” Disse con disinvoltura la donna, osservando ciò che l’altra guardava con sguardo assorto.
Era un avviso di taglia.



 “Ricercata per furto?” Lesse Elaera un tantino sconvolta.
 -Con chi diavolo ho viaggiato finora?- Si chiese preoccupata.

 “Oh bhe, sai com’è, ognuno fa quel che deve nella vita.” Minimizzò l’arciera, facendo spallucce.
“La taglia è aumentata parecchio però! Quasi quasi…”
“Non pensarci minimamente Phaerl. Ti ricordo che l’ultima volta che hai tentato di prendermi sono riuscita a fuggire facilmente.” Le ricordò allora, raccontando poi ai curiosi ragazzi di come lei e la mezzelfa si fossero conosciute.

 Qualche anno addietro, prima di incontrare Valerie, l’arciera aveva tentato di derubare la mezzelfa, riuscendoci e guadagnando un profumato bottino, finendo però inseguita da quest’ultima per una giornata intera. Il tutto si era concluso poi con un’amicizia profonda che ora le legava.

“Credo sia colpa mia se Phaerl nasconde i soldi a quel modo.” Ammise sinceramente dispiaciuta Ida.
“Puoi dirlo forte.” Confermò allora la mezzelfa, strappando dei manifesti affissi su un altro muro, prima che le ragazze potessero vedere chi raffigurassero o di che cosa si trattasse.

 “Che diavolo fai ora?” Chiese Reyeha con sguardo indagatore, venendo però interrotta da Ida, che attirò la sua attenzione così da permettere all’amica di disfarsi delle cartacce.

 “Bene allora, credo sia giunto il momento di dividerci. Io e Phaerl andremo dal consigliere e poi a cercare un posto in cui soggiornare, nel frattempo voi potete gironzolare dove vi pare, l’importante è che siate qui al calar della sera. Elaera, tu invece puoi fare ciò che vuoi, i patti erano che restassi con noi finchè fossimo giunti alla capitale dopotutto.” Fece notare alla ragazza la maggiore.

 “Emh, se non vi dispiace, potrei restare con voi un altro pò? Infondo la persona che sto cercando non so nemmeno se sia ancora qui.”
 “Per me va bene, basta che il conto della camera lo paghi tu.” Concesse Phaerl, venendo fulminata dal gruppo, ma facendo sorridere la piccola avventuriera.
“Certo!” Rispose contenta, sorridendo a Reyeha e Valerie che parevano felici di rimanere ancora in sua compagnia.

Quando il gruppetto dei più giovani restò da solo senza le due adulte, i componenti si guardarono leggermente spaesati, non sapendo da che parte iniziare ad esplorare o cosa fare. Infondo, avevano un’immensa capitale a portata di mano.


 

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Capitolo 35
*** Confessioni e incontri ***



Capitolo 35: Confessioni e incontri.

Quando le donne ebbero lasciato il gruppo per andare dal consigliere e cercare un posto in cui soggiornare, i restanti membri, un po’ spaesati, iniziarono a pensare sul da farsi. La prima a parlare fu Valerie, che molto curiosa, non vedeva l’ora di visitare la città.
“Esploriamo la capitale!” suggerì, con un bagliore di eccitazione negli occhi.
La ragazza aveva viaggiato abbastanza da sapere che le capitali, rispetto al resto dei regni, erano tutt’altra cosa. Un vero spettacolo a cui la giovane non si stancava mai di assistere.
“Si, ma…” intervenne Reyeha, guardando leggermente turbata Jon. “Jon, tesoro…non è cattiveria eh, ma da quanto ho capito qui al nord non sono molto aperti, per di più siamo nella capitale, quindi credo daresti un po’ nell’occhio. Non so quanto tu possa girare liberamente, senza che qualcuno ci fermi.” Spiegò.
“In effetti…” commentò Elaera.
“Mh.” L’orco annuì, sapendo bene che la propria mole non era facilmente trascurabile e che un cappuccio in testa certo non bastava a camuffarlo, anzi. 
Il problema che la ragazza aveva portato a galla non era di poco conto e la comitiva si trovò di nuovo a dover ragionare su come agire. Stavolta il primo a intervenire fu Gwendal, che uscì per dire la sua dal taschino dell’amica maga. 
“Ci sarà nella capitale un negozio decente dove trovare gli ingredienti per delle pozioni, no?” disse. “Se riusciamo a procurarci gli ingredienti, posso fare la pozione per sembrare umani, poi non dovrebbero esserci problemi.” Fece notare. 
“Giusto.” osservò Reyeha.
 “Però qualcuno dovrebbe rimanere con Jon fino ad allora, non possiamo lasciarlo solo, no?” Suggerì Eleara. 
Reyeha ci pensò su. “Valerie?” disse rivolta alla più giovane del gruppo che per tutta risposta esclamò: “Cosa? No!” 
“Voglio vedere la citta!” obbiettò, corrucciandosi. 
L’amica sospirò, per poi spiegare. “Valerie, per favore, si tratta di una cosa di massimo due ore.” L’altra continuò a tenerle il muso. 
“Non ti avrei chiesto di rimanere, ma sei l’unica alternativa possibile. Io devo portare Gwendal e Jon si trova più a suo agio con te.” Continuò, cercando di essere il più diplomatica possibile.
La ragazza dai capelli corvini la guardò.
 “Va bene, però fate in fretta.” Disse, malcelando il suo disappunto. 
Reyeha tirò un sospiro di sollievo, poi guardò verso la nuova arrivata. “Andiamo, prima facciamo e meglio è.” L’altra annuì e il trio si avviò sulle strade della capitale.

 ---- 

Rimasta sola con l’amico, Valerie decise che tanto valeva trovare un modo per passare il tempo. 
“Mmmh…ho notato che te e Gwendal avete fatto amicizia.” Disse. 
Era l’unica cosa che le era venuta in mente sul momento. 
Jon arrossì. 
“S-si.”
 “Non capisco come hai fatto.” Continuò la maga. “Voglio dire, Gwendal ha un caratteraccio…io non mi ci prendo proprio.” Si lamentò
. “No!…” la contraddisse l’orco, alzando leggermente la voce, per poi riprendersi subito notando la faccia perplessa dell’amica. “E’ che…ha paura…non è b-bravo a r-relazionarsi con l-le persone p-per v-via del s-suo passato…” Valerie annuì, ancora leggermente dubbiosa sulla strana reazione dell’amico, che non aveva mai alzato la voce prima di allora. “Jon, sei strano oggi, stai bene?” chiese.
 “Si…” rispose l’altro, incerto. 
“Sicuro di non avere nulla?” insistette l’amica.
 “Non ho nulla!” controbatté lui “s-solo c-che…” continuò, per poi interrompersi subito. 
“Solo che?” domandò ancora più sospettosa Valerie. 
Jon esitò, toccandosi le mani per il nervosismo. “I-io….e-ecco…i-i-io…”
 “Tu?” lo esortò l’amica, sempre più impaziente. 
“Mi piace Gwendal!” confidò tutto d’un fiato l’orco, lasciando la maga a bocca aperto. 
“Ma è una fata!” fu la prima cosa che disse, quasi senza pensarci.
 “L-lo so…è q-questo i-il problema….” Disse l’altro, continuando a martoriarsi le mani e tenendo la testa bassa, incapace di guardare l’amica negli occhi. 
Valerie si prese un attimo per riflettere sulla cosa. Ora che ci pensava era tutto così chiaro e lei non si era mai accorta di nulla! Non era mai stata una grande osservatrice del resto, però… Poi, non si immaginava di certo che un orco si prendesse una cotta per una fata… 
Guardò infine l’amico, pronta a rispondergli. “Credi che Gwendal, voglio dire, pensi che provi anche lui le stesse cose?” decise di indagare sulla questione.
 “N-non l-lo so…” rispose l’altro “…forse…credo di si…” portandosi le mani sulla faccia per l’imbarazzo. Tutto ciò era molto difficile per lui. 
“Forse…dovresti dirglielo?” provò a proporre la maga. 
Non era esperta di queste cose, anzi non ne sapeva nulla, ma non poteva lasciare solo Jon.
 “No! N-non ne avrei m-mai il c-c-coraggio…” rispose subito quello. 
Valerie si grattò la testa, confusa. “Però…Gwendal non mi sembra il tipo da fare la prima mossa…” osservò, parlando fra se e se.
 Si chiese se Reyeha lo sapesse, no, sicuramente lo sapeva. Non le aveva detto nulla! Lo sapeva e non le aveva detto nulla! Rimase indispettita dalla cosa.
 “N-non so c-che fare.” Si lamentò Jon, affondando la faccia nelle mani.
 “Diglielo!” lo esortò Valerie. 
Jon la guardò supplichevole. 
“So che ne hai il coraggio! Poi, anche se andasse male, ti toglieresti un peso dallo stomaco, no?”cercò di incoraggiarlo l’amica. 
L’orco annuì, ancora titubante. Per il resto del tempo, accantonata quella scottante questione, i due continuarono a parlare del più e del meno. 

----

 Ida e Phearl, dopo essere andate a prenotare un ostello per la notte, si recarono al luogo dell’incontro con il consigliere. 
L’appuntamento, era stato fissato in una delle zone meno affollate della città, dinanzi a un ostello dal nome impronunciabile e dalla dubbia moralità, il quale offriva ai clienti anche comode sale private dove poter discutere di qualsivoglia argomento. 
La maggior parte usate da politici che incontravano loschi figuri per chissà quali malevoli piani. Non era il loro caso ovviamente, ma comunque, la riservatezza di quel luogo era una valida alleata per le loro faccende. Lungo il tragitto Ida, che portava un cappuccio per evitare di farsi riconoscere, commentò su quanto non le fosse mancata la città e il freddo di quelle strade, con il pieno appoggio dell’amica Phearl. Nonostante infatti la città fosse riscaldata per la maggior parte dall’immenso agglomerato di tubature sotterranee, per le due donne faceva ancora troppo freddo. Arrivate sul posto dell’incontro, entrarono nell’edificio e trovarono l’uomo ad attenderle di fronte a due stanze insieme ad un ragazzo che lo accompagnava.
 “Galain, tesoro!” Phearl partì subito in quarta e andò ad abbracciare l’uomo, che rise di gusto al saluto della donna. 
“Phearl!” la salutò a sua volta lui. “Sei bella come sempre.” Ammiccò.
 “Faccio del mio meglio.” Ribatté la donna, sorridendo.
 “Vedo che c’è anche Ida.” Proseguì Galain, salutando con altrettanto affetto l’arciera. “Da quanto tempo!” mise le mani sulle spalle della donna, ridendo nuovamente. 
“Vedo che non hai perso il tuo buonuomore.” Osservò Ida.
 “Ah…ragazza, il buonumore, a questa età, è tutto quello che mi rimane ormai.” 
“Comunque” proseguì l’anziano, cambiando discorso. “Questo è Flynn, il mio apprendista. Lo porto ormai un po’ ovunque assieme a me. Il miglior modo di imparare è sul campo, del resto.” Indicò infine il giovane dietro di lui, che sorrise incerto alle due donne.

 “Lei deve essere la messaggera della biblioteca.” Disse serioso rivolto a Phearl. 
“Senti, ragazzino.” Ribatté la mezz’elfa, inarcando, come suo solito il sopracciglio. “intanto non darmi del lei, mi fai sentire vecchia.” 
“Scusi, non volevo, io…” Flynn, rimasto interdetto dalla reazione della donna, cercò di scusarsi come poteva.
 “Phearl! Non mettere in imbarazzo il ragazzo, è ancora molto timido.” La ammonì scherzando Galain.
 L’altra si limitò a fare spallucce, non credendo di aver causato chissà quale danno, per poi farsi seria.
 “Comunque, sono venuta qui per conto del bibliotecario, come ben sai, per una faccenda di cui preferirei discutere…in privato.” 
“Certamente.” Acconsentì l’uomo, esortando con un gesto della mano la donna a seguirla in un’altra stanza. 
Quando Ida e Flynn furono soli, la donna attaccò subito bottone col ragazzo, per rompere il ghiaccio. 
“Flynn! Ecco perché mi sembravi familiare, sei il ragazzino che mi era venuto ad avvertire di Valerie quella volta!” osservò l’arciera, in tono gioviale.
 “Si…” confermò il ragazzo, incerto. “E’ un piacere rincontrarla, Ida.”
 “Su, su, non darmi del lei.” Lo rassicurò la donna, dandogli pacche sulle spalle. “Sei cresciuto bene, vedo.” Constatò poi, squadrando il ragazzo. “Allora c’era una faccia, e pure carina, dietro tutti quei capelli.” Flynn arrossì, leggermente a disagio.  Non era cambiato molto da quando era piccolo, in realtà. Era rimasto esile di corporatura, se pure alto. Gli occhi, grandi e grigi, si vedevano meglio, ora che non erano più coperti dell’abbondante  frangia. Seppur più modellato nei lineamenti, il viso era rimasto comunque leggermente femminile. 
“Mh…posso chiederl-ehm chiederti di Valerie? Come sta?” Domandò poi titubante il giovane.
 “Oh, sta bene, è qui nella capitale, viaggia con me. Vuoi incontrarla?” propose la donna.
 Flynn sgranò gli occhi, preso in contropiede, non sapendo che fare. Ci pensò su, incerto su come rispondere. 
“Dai! Non hai nulla di cui preoccuparti!” lo esortò l’arciera. 
“Si, mi piacerebbe.” Rispose allora il giovane. 
Proprio in quel momento, Galain e Phearl si ricongiunsero al duo.
 “Ah, Galain” chiese la mezzelfa, ricordandosi del problema di Gwendal e Jon. “C’è un’altra cosa che devo chiederti.” 
“Vai pure.”
 “Mi chiedevo, se avessi posto per….due umani…” 
“Che non sono umani, ovviamente.” Disse l’uomo che aveva chiaramente capito come stavano le cose, conoscendo le due donne molto bene
. “Si, dai, un orco e una fata. Non guardiamo i dettagli, suvvia.” Si affrettò a rispondere la donna, sotto lo sguardo perplesso di Flynn e Galain. 
L’uomo, poco dopo, scoppiò a ridere. “Ah” disse, asciugandosi un occhio, lucido per le risate. “Voi due non smetterete mai di sorprendermi. Va bene, vedrò cosa posso fare.” Le due donne ringraziarono l’anziano consigliere con felicità. 
“Quindi, come accordato, Phearl.” Continuò “ci incontreremo domani nel pomeriggio cosi che possa vedere la ragazza con i miei occhi.” 
“Potrai vedere anche Valerie così, non sei contento?” Commentò Ida, dando un’altra pacca sulla spalla del giovane che sorrise debolmente. 
“Questa me la devi spiegare.” Se ne uscì Phearl, rivolgendosi all’amica arciera.
 “Ti racconto tutto sulla strada del ritorno.” Rispose l’altra, facendole l’occhiolino. 
Le donne salutarono l’uomo e il giovane, ponendo fine all’incontro ed avviandosi verso lo spiazzo in cui avevano appuntamento con gli altri.

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Gwendal, Elaera e Reyeha avevano attraversato ormai una bella porzione della capitale, ma di erboristerie che fossero decenti, almeno secondo il giudizio di Gwendal, non se ne vedeva traccia.
 “L’ho già detto che odio Seska-Sayril, il nord, e il freddo in generale? Perché lo odio con tutta me stessa.” Sibilò Reyeha, abbracciandosi da sola per il freddo delle stradine secondarie di quella parte ci città. 
“Un paio di volte, si.” Rise Elaera. “Non capisco però, fa freddo, ma non cosi freddo, dai. Non è possibile che con venti strati di vestiti addosso tu stia ancora congelando. Oltretutto qui nella capitale fa anche meno freddo delle altre città” 
“Ehm…sono molto sensibile al freddo” tentò di spiegare Reyeha.
 “Che ne dite di quello?” disse poi Gwendal, indicando un negozio piuttosto grande, il quale portava una grossa scritta sopra l’ingresso.  “LA MANDRAGORA”. 
“Era ora” ringraziò Reyeha, sollevata di aver finalmente terminato le ricerche.
 “Gwendal” disse poi “prima che entriamo, dimmi cosa devo chiedere al proprietario, altrimenti la vedo brutta.” La fatina le diede un foglio con scritti sopra degli ingredienti.
 “L’ho fatto scrivere ieri a Jon, sono nomi complicati.”
 ”Pensi che non possa ricordarmeli?” chiese indispettita Reyeha. 
“Reyeha, sono sicuro che tu non possa ricordarteli.” La rimbeccò Gwendal.
 “Dai, entriamo.” Li esortò Elaera, con l’espressione divertita a causa del battibeccare dei due amici. 
Quando la ragazza dai lunghi capelli mogano aprì la porta, un campanello sulla loro testa avvertì il proprietario della loro presenza. 
L’uomo, basso e dalla corporatura molto tozza, rivolse alle due ragazze appena uno sguardo diffidente, facendo venire leggermente i brividi ad Elaera, per poi tornare a parlare sommessamente con il cliente col cappuccio dinanzi a lui , il quale parlava piano rispetto all’altro e sembrava non essere interessato ai nuovi arrivati. 
“Mi sa che dovremmo aspettare.” Esordì Elaera quasi sottovoce verso l’amica, facendo sbuffare la maga già abbastanza frustrata per la ricerca della bottega. 
Le due ragazze si guardarono intorno nell’attesa, girovagando con lo sguardo di qua e di là, cercando di muoversi e toccare però il meno possibile, onde evitare che il proprietario si indispettisse. Senza quasi accorgersene, guidata dagli odori delle erbe secche appese sul soffitto che, a quanto pareva, disturbavano il naso fino di Reyeha, Elaera si era avvicinata a tal punto alla cassa da poter sentire le voci dei due uomini. 
“Credo di poter avere ciò che cerca entro due giorni. Purtroppo ho finito le scorte, sa, di solito la valeriana è sufficiente per far dormire la gente. Pochi mi richiedono quel potente sonnifero.” Rispose con voce lasciva il proprietario, rivolgendo un’occhiata sghemba e sospettosa alla ragazza che ora lo fissava di nascosto, curiosa. “Però con quello dovrebbe star sicuro di dormire bene tutta la notte.” 
“La ringrazio della comprensione. Non sa quanto sia faticoso prendere sonno durante il viaggio con un padre che russa costantemente tutta la notte.” Ribatté il cliente cordiale, sospirando con voce che alle orecchie di Elaera parve molto familiare. 
Il proprietario rise gutturalmente. “Immagino!” Poi gli porse la mano per salutarlo, dandogli appuntamento tra due giorni.
Quando il giovane incappucciato si volse per andarsene, quasi sbatté contro l’avventuriera che, incuriosita dalla sua voce, si era effettivamente avvicinata troppo.
“Ah, scusami… Aspetta. Elaera? Sei tu?” La ragazza rimase di sasso, la bocca spalancata per il semishock di quell’incontro. 
“Che ci fai qui?” Chiese Ryuga, anch’esso visibilmente spaesato. 
“Dovrei essere io a chiedertelo!” Rispose la ragazza per poi saltargli al collo ed abbracciarlo. “Mi sei mancato tantissimo.”
“Emh, che succede?” Chiese Reyeha avvicinandosi ai due, confusa per la reazione della ragazza.  
“Ah, nulla! Ricordi la persona che cercavo? Bhè, l’ho trovata!” Le rispose felice la ragazza, sotto lo sguardo ancora confuso dell’altra e quello infastidito del commerciante. 
“Oh. Sono contenta per te allora.” 
Il proprietario tossì, facendo tornare seri i tre giovani. “Se permettete, avrei altro da fare, quindi, se vi serve qualcosa vi pregherei di non sprecare il mio tempo.” 
“Ci scusi.” Si scusò per tutti il ragazzo, ricomponendosi dopo l’energico abbraccio dell’amica.
“Mi servirebbero queste, ne avete?” Domandò finalmente Reyeha, indispettita però per l’atteggiamento prepotente del proprietario. 
“Mmh…che strana lista, bha. Credo di avere tutto però. Qualcosa è nel retro bottega, dovrete aspettare un po’.” Le rispose l’uomo sparendo poi alla vista dietro una porta con una tendina.
“Perfetto… io amo aspettare.” Protestò sarcastica la ragazza, girando le spalle alla cassa per accorgersi solo allora di essere rimasta sola. “Dove diavolo sono andati?”
“Credo siano usciti.” Borbottò sottovoce Gwendal dal suo nascondiglio. 
Nel frattempo, Elaera e Ryuga, approfittando della situazione, erano usciti fuori dal negozio, rifugiandosi sotto consiglio del ragazzo in un vicolo dietro al palazzetto. 
“Ehi, aspetta. Come mai tutta questa segretezza?” Domandò impaziente Elaera, che non aveva altra voglia se non quella di sapere tutto ciò che aveva fatto il ragazzo durante quei mesi di lontananza. 
“Per precauzione.” Rispose enigmatico l’altro, facendola accigliare, al che questo sospirò, passandosi una mano sul viso. 
Quando fu sicuro di essere da solo con lei e al sicuro da orecchie indiscrete, le spiegò i motivi della sua diffidenza e segretezza. Sapeva di potersi fidare di lei, in più, se Loen aveva ragione e, lui aveva sempre ragione con le sue visioni, Elaera doveva essere messa al corrente di come procedeva la missione. Perché infondo, era in gioco anche il suo destino. 
Le parlò di Grago, del suo arresto, di come il vescovo Samael si fosse opposto alle parole del saggio Loen e, le parlò anche di ciò che intendeva fare. 
“Ho atteso che Loen inviasse una missiva al consiglio vescovile perché non ho intenzione di mettere a rischio la vita di Grago, ma, ora che è arrivata e che molti sono in favore della sua liberazione, credo sia giunto il momento di muoversi e prendere la pietra.” Spiegò paziente il ragazzo. “Nonostante la sorveglianza sia aumentata.”
“Ma è una follia! Non potresti attendere la liberazione di Grago e tentare di nuovo di convincerli a cederti la reliquia?” Propose preoccupata la ragazza. 
“Non credo ci darebbero ascolto. Samael ha comunque una grande influenza sulle alte cariche e, dopo la liberazione di Grago, farà qualsiasi cosa per rendere la vita impossibile a chiunque gli si opponga.” 
“Stiamo parlando di rubare uno dei manufatti più preziosi nel regno Ryuga.” Gli fece notare l’altra.
“Lo so, ma sai benissimo che non ho scelta.” Ribatté l’altro, facendola stizzire.
A suo parere, la scelta di opporsi a quella missione insensata la aveva, ma in cuor suo, sapeva benissimo che non poteva, come del resto, aveva accettato di non potersi opporre nemmeno lei.
“Hmh…” Mugugnò Elaera, osservando il viso serio e preoccupato, ma pronto ad agire, dell’amico. Si fermò un attimo a pensare al piano del ragazzo, alla possibilità che ce la facesse sul serio e ne uscisse incolume. 
/Ma lui non è un ladro…/ Pensò e di colpo, qualcosa le venne in mente. 
Un avviso di taglia. 
“Ma certo!” Esclamò Elaera ricevendo un’occhiata confusa come risposta dall’amico. “Ho un piano, vieni!” Strattonandolo per un braccio, lo ricondusse all’interno della bottega in cui Reyeha stava ormai pagando il commerciante. 
“Reyeha, hai finito? Ho bisogno di parlare con Ida di una cosa, insieme a lui.” La maga spostò lo sguardo da uno all’altro con malcelata preoccupazione. 
"Scommetto che nuove fantastiche avventure ci attendono!" Rispose con fintissimo entusiasmo, per poi uscire con loro e dirigersi verso il resto del gruppo, conscia che qualcosa di grosso bolliva in pentola.

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Capitolo 36
*** Imbarazzi e offerte ***



Capitolo 36: Imbarazzi e offerte


Quando tornarono alla carovana, dove li attendevano Jon, Drayeho e Valerie, quest'ultima corse incontro a Reyeha per poi saltarle addosso, abbracciandola.
-Ce ne avete messo di tempo!- Si lamentò la ragazza, senza però staccarsi da Reyeha, la quale cercò in un qualche modo di ricambiare l'abbraccio, fallendo nel suo intento a causa della presa dell'amica, che le bloccava anche le braccia. Qualche secondo dopo, Valerie notò che c'era qualcuno in più rispetto a quando se n'erano andati.
-E questo?- Esclamò sempre attaccata a Reyeha, che aveva ormai rinunciato a provare di ricambiare o di staccarla da sé.
-Di cosa ti sorprendi?- Le rispose Reyeha esasperata. - Ci siamo separati un attimo quindi è normale tornare con qualche aggiunta, infondo è quello che facciamo da quando siamo in viaggio!- Il freddo la inacidiva.
-Ok, si tanti saluti, baci baci, facciamo la pozione che io avrei una certa fretta, sapete? Vorrei evitare di essere ucciso!- Si sentì proferire dal taschino di Reyeha. Dopo un sospiro, Reyeha si rivolse a Valerie.
-Valerie, l'hai sentito no? Potresti lasciarmi ora? Così lo porto nella carovana.- Mentre Valerie si staccava da Reyeha, Ryuga, il quale a causa di Gwendal non era stato ancora presentato, si irrigidì per poi voltarsi verso Elaera.
-Quel taschino ha appena...parlato?- Le chiese confuso a bassa voce. Alla domanda, la ragazza sorrise.
-Ti spiego dopo.- -Ok...- Reyeha salì sul carro posando Gwendal, poi andò a fare una carezza a Drayeho per salutarlo, il draghetto, come suo solito quando Reyeha mancava, era addosso a Jon. Ormai il drago aveva quasi due anni e stava diventando ingombrante per essere trasportato in giro. La ragazza stava iniziando a preoccuparsi per la sua grandezza. I draghi rossi infatti, dopo i due anni di vita acceleravano di molto la loro crescita e quasi sicuramente, tra un anno l'avrebbe superata in altezza, a quel punto sarebbe stato davvero difficile da portare in uno zaino... /Devo insegnargli a volare il prima possibile, in qualche modo.../Pensò.
Gwendal, dopo aver predisposto sul pavimento della carovana tutte le erbe a lui necessarie, si voltò verso Reyeha chiedendole di uscire e chiudere bene la tenda. Dopo che la ragazza ebbe finito di sistemare le tende, guardò gli altri ammiccando.
-Vogliono un attimo d'intimità.- Non aveva terminato di parlare che Valerie la prese per un braccio e in fretta e furia la trascinò strattonandola abbastanza lontana dalla carovana, così da evitare di essere sentite.
-Perchè non me l'hai detto?!- Domandò petulante
-Dirti cosa?-
-DI JO...hem di Jon e Gwendal!- Stava tentando di parlare a bassa voce, ma l'agitazione la tradiva.
-Perchè mi sembrava abbastanza esplicito.- Rispose Reyeha semplicemente, come se fosse ovvio.
-Cosa è esplicito?- Chiese Elaera confusa, la quale si era avvicinata incuriosita dal comportamento delle due.
-Che orchetto e fatina si piacciano.- Rispose di nuovo tranquillamente Reyeha.
-Ooooh. Bhe si, avevo notato una certa affinità.- Disse la rossa annuendo leggermente. Al che Reyeha indicò Elaera a Valerie.
-Eh? Vedi? E lei sta con noi da meno di due mesi.- Valerie mise il broncio e iniziò offesa a mugugnare tra sè cose incomprensibili. Il gruppo, al quale in quel momento si stava unendo anche Ryuga, magari per tentare di presentarsi questa volta, venne interrotto da un urletto di ragazzo proveniente dalla carovana. Appena si girarono per capire cosa stesse succedendo, videro un ragazzone biondo uscire velocemente e tremolante dalla carovana, con le mani che gli nascondevano il viso. Nonostante ciò, il gruppo intuì dalla stazza, dal colore dei capelli e dai vestiti troppo larghi, che fosse Jon.
-Dici la pozione non avrà funzionato sul viso?- Chiese Reyeha piano a Valerie, senza staccare lo sguardo da Jon, quasi non volesse dare a notare che stesse parlando. Ma prima che l'altra potesse esporre la propria opinione, Jon li raggiunse quasi correndo e si diresse verso Reyeha.
-E-e-e-ecco...c-c'è Gw-Gwendal c-c-che avrebbe b-bisogno di...di u-una mano...- Balbettò senza fiato.
-Umh...ok.- Poi si avvicinò all'orecchio di Valerie.
-A quanto pare quello che è uscito con qualche malformazione è Gwendal...- Poi si avvicinò al tendone sollevandolo e riabbassandolo di colpo.
-Oh mio dio sei nudo.-
-Genia! Non lo avevo notato sai?- Rispose Gwendal alquanto irritato.
-Jon a quanto pare si però.- Controbatté Reyeha divertita, la quale ora aveva capito il comportamento dell'ormai non più orco. Dopo ci fu un istante di silenzio da parte di Gwendal, il quale probabilmente stava morendo per l'imbarazzo.
-Potrei avere dei cazzo di vestiti?! Ho freddo!- Disse dopo, ignorando la battuta dell'amica.
-Anch'io. Comunque, dovrebbe esserci il mio zaino lì, sicuramente troverai qualcosa della tua taglia.-
-Perchè dai per scontato che la tua taglia mi stia?-
-Bhè non mi sei sembrato troppo grande eh...E stai zitto è non fare lo schizzinoso! Non avevi freddo!? Su, muoviti!- Dopo essersi vestito, non senza brontolare e insultare Reyeha, Gwendal alzò il tendone.
-Qualcuno ha delle scarpe in più?- Chiese alle ragazze e a Ryuga, al che questi cominciarono a guardarsi l'un l'altro per vedere se qualcuno stava per rispondere, ma niente. A quel punto Gwendal se ne tornò dentro la carovana sbuffando, apparentemente nervoso per l'assenza di scarpe, ma dal rossore che gli si era disegnato in faccia, Reyeha intuì che doveva essersi scambiato uno sguardo con Jon.
-Certo che avremmo potuto anche preparare prima i vestiti eh...- Fece notare Elaera pensando a dove trovare le scarpe.
-Bhè lui avrebbe potuto avvisarci che sarebbe rimasto nudo, doveva preoccuparsene lui...- Controbatté Reyeha.
-Io ne ho un paio in più, sempre che stiano a uno dei due.- Intervenne Ryuga. -In più credo di sapere dove procurarci l'altro paio.-
-Ehm...e per i soldi? Quelli che ci aveva lasciato Phaerl li abbiamo spesi per le erbe.- Fece notare Reyeha.
-Non c'è problema, posso anticiparli io.- Rispose cordiale il ragazzo.
-Phaerl ti amerebbe.- Commentò Reyeha vedendo la disponibilità economica di Ryuga, poi si girò verso Jon, il quale stava bisbigliando qualcosa con Valerie, ancora un pò imbarazzato.
-Jon tesoro, che ne dici di entrare nella carovana? Gwen adesso è vestito, fa troppo freddo perchè tu possa stare fuori tutto il tempo.-
-M-ma io n-non ho molto fr-freddo...- Reyeha sospirò, poi si scambiò un 'occhiata d'intesa con Valerie.
-Su Jon!- Disse l'amica quasi spingendolo. -Non vorrai mica rimanere qua fuori tutto solo tutto il tempo, no?-
-T-tu n-non rimani q-qui!?- Chise Jon, agitandosi nuovamente.
-No no, ormai siete umani, non c'è più bisogno di qualcuno che vi facci la guardia!- Intervenne Reyeha. -Inoltre Gwendal non può venire con noi siccome non ha le scarpe, e tu non sei messo meglio... cammini come una papeniglio con quelle scarpone! E poi non vorrai mica lasciare davvero soli Gwendal e Drayeho...- Fece con tono di rimprovero, al che il biondo si decise timoroso ad andare verso la carovana, accompagnato dalle due ragazze. Fu Reyeha che alzò i tendoni del veicolo e quando Gwendal la vide imprecò di nuovo contro di lei e contro Drayeho, il quale lo stava infastidendo.
-Dannazione! Non hai nient'altro che mi possa mettere addosso?!- Disse dall'angolo nel quale era rannicchiato .
-No, ho tutto addosso io, è già un miracolo che siano scampati quelli di vestiti!-
-Maledetta!-
-Prendi il mio poncho se vuoi!- Valerie, sbucò da dietro Reyeha. -A me non serve!-
-Ecco! Prendi il suo poncho e zitto! Ora fai spazio a Jon, che non può restare qua fuori al freddo!- Disse Reyeha ghignando, sapendo che il colorito di Gwendal sarebbe cambiato, come infatti accadde.
-Perché, dove andate?- Disse cercando di sembrare indifferente alla cosa.
-A cercarvi delle scarpe.- Gli rispose Reyeha, tenendo la tenda alzata a Jon, così che potesse entrare.
-Fate i bravi eh!- li salutò, facendo un occhiolino a Gwendal prima di andarsene, mentre Valerie accanto a lei ammiccò a Jon, facendo pollicioni in su.
***
Tornate alla carovana parcheggiata in un vicoletto non particolarmente frequentato, Phaerl e Ida sospirarono costatando che il gruppetto di adolescenti non era ancora tornato.
-Li andiamo a cercare o li aspettiamo qui?- Chiese Ida a Phaerl, la quale non le rispose nemmeno, siccome lo sguardo che le mandò rispose per lei.
-Ok, allora io entro nella carovana.- Quando alzò la tenda però, vi trovò all'interno due ragazzetti: uno molto robusto che tuttavia aveva un viso dolce, occhi celesti e capelli biondi, mentre l'altro era mingherlino, con grandi labbra carnose, capelli castano chiaro e occhi azzurri. Stavano seduti uno di fronte all'altro, il biondo con Drayeho dormiente sulle gambe e si stavano avvicinando pericolosamente l'uno al volto dell'altro.
- A quanto pare la pozione ha funzionato!- Disse Ida a Phaerl, senza però distogliere lo sguardo dai due.- e credo che abbiamo interrotto qualcosa...- Sorrise. I due ragazzi la stavano guardando uno più rosso in viso dell'altro, quasi scioccati, ma nessuno dei due disse nulla.
-Chi ha interrotto cosa?!- Si sentì esclamare alle spalle di Ida. Il gruppo dei giovani era appena ritornato con le scarpe.
-Tanto lo sanno tutti che si piacciono!- Rispose Ida con nonchalance alla castana, facendo quasi morire i due all'interno della carovana e venendo ammonita da uno sguardo di Reyeha.
-Ah i giovani d'oggi.- Sospirò Ida facendosi da parte per far dare le scarpe ai poveri ragazzi imbarazzati. Reyeha si avvicinò in fretta alla carovana, mentre Jon ne scendeva altrettanto in fretta, correndo da Valerie. Dopo aver posato le scarpe in braccio a Gwendal, Reyeha alzò su di lui uno sguardo tristemente disperato.
-Cosa hanno interrotto, Gwendal?- Chiese all'amico.
-Fatti i cazzi tuoi!- Disse ancora rosso mentre si metteva le scarpe apparentemente arrabbiato. Nel mentre, Phaerl si era girata verso il misterioso incappucciato.
-Qualcuno mi spiega questo chi è ora?-
-Oh giusto. Lui è Ryuga, un mio amico.- Lo presentò Elaera, messa a disagio dallo sguardo che Phaerl stava rivolgendo al ragazzo, il quale restò in silenzio, intimidito.
-Ecco, avremmo bisogno di chiedervi una cosa...-
-No.- Rispose Phaerl senza nemmeno lasciare che i ragazzi ponessero la domanda, venendo fulminata da un'occhiataccia di Ida.
-Vorrei far notare che ha pagato le scarpe per Jon e prestato un paio delle sue a Gwendal.- Cercò di intervenire Reyeha in aiuto dei due.
-Davvero?- Phaerl, come immaginò Reyeha, sembrava interessata alla cosa.
- Allora ok, sputa il rospo.- Ormai la conosceva.
-Magari ne parliamo a cena, vista l'ora?- Fece notare Ida.
-Cibo!- Esclamò Valerie, che sembrava essere finalmente interessata al discorso e, giudicando dalla bavetta che già aveva alla bocca e dagli occhi sognanti, già si stava figurando il pasto.
***
Il gruppo andò ad un ostello indicato da Ida. Era un luogo abbastanza appartato, non molto lontano dal vicoletto dove avevano parcheggiato la carovana e i cavalli. Non era molto conosciuto e di conseguenza non molto frequentato, perciò perfetto per poter stare tranquilli. Inoltre era gestito da un vecchio amico della donna. Da ciò che si era capito, anche l'uomo in gioventù era stato un ladro e a volte, faceva colpi assieme alla donna; ma ora era in pensione e con i soldi accumulati durante l'ultimo grande furto, si era aperto quel piccolo e tranquillo ostello, il sogno della sua vita. Dopo i vari saluti commossi e un pò ridicoli tra Ida e l'oste, un omone grande, grosso e muscoloso, con uno sguardo minaccioso, dei folti baffi all'insù e una brutta cicatrice su uno degli occhi, la donna riuscì a farsi dare dall'amico dei posti in una saletta appartata al prezzo di normali tavoli. "Giusto perchè non ti vedo da anni! La prossima volta paghi pieno stronzetta" Le disse con tono affettuoso, che poco ci stava con la frase. Visto il posto apparentemente privo di pericoli, le maghe, la ladra, la mezz'elfa e il nuovo arrivato poterono finalmente togliersi i cappucci, chi più e chi meno con titubanza.
-Finalmente!- Esclamò Valerie, che quasi butto via il suo mantello, prontamente agguantato da Reyeha, che aveva sviluppato il bisogno fisico di avvolgersi intorno ogni indumento che poteva riscaldarla. Valerie, non curante dell'accaduto, fiondò il suo sguardo su Ryuga. Non avendone mai visto il viso, la maga era molto curiosa di capirne l’ aspetto e il perchè di tanto mistero.
-Ma tu...OH MIO IMYR CHE BEGLI OCCHI!- Urlò quasi Valerie non appena notò l'eterocromia del ragazzo. Ryuga vedendo l'atteggiamento invadente della ragazza, indietreggiò impercettibilmente verso la parete dietro se, quasi spaventato.
-Ecco...grazie...- Rispose titubante.
-Oh, perfetto, ci mancava solo un figlio del diavolo.- Esclamò Phaerl scocciata. L'affermazione della donna fece abbassare di colpo gli occhi al ragazzo, quasi fosse stato colpevole di chissà quale crimine.
-Cos'è un figlio del diavolo?- Chiese Valerie innocentemente, terribilmente opportuna per una volta, siccome impedì l'ascesa di un silenzio imbarazzante.
-Lascia perdere, troppo complesso per te.- Rispose la mezz'elfa ricevendo un calcio sotto il tavolo da Ida.
-Ehi!- Protestò guardandola male.
-Un figlio del diavolo è un umano maledetto al momento della nascita che porta sciagura ovunque vada. Sono riconoscibili per il colore diverso dei loro occhi.- Spiegò pazientemente Ida alla ragazza.
-Ooooh!- Fece allora Valerie quasi incantata, poi realizzò il vero significato di quelle parole e dopo aver cambiato espressione improvvisamente, si girò verso Ryuga con sguardo triste. -Mi dispiace-
-Non preoccuparti.- Le rispose lui, sorridendole.
-Mi ricorda qualcosa...- Mugugnò Gwenda, seduto accanto a Reyeha, ben lontano da Jon, mentre beveva birra dal suo boccale.
-Sorvolando...cosa dovevi chiederci Elaera?- Si rivolse Ida alla ragazza.
-Ecco, vorrei che rubaste una cosa per noi.- Rispose diretta la ragazza facendo strozzare Ryuga con la birra. Finita la tosse del ragazzo, nella saletta scese un silenzio pieno di tensione.
-Ok.- Ripose abbastanza in fretta l'arciera.-E cosa?-
-Oh nulla, una cosa da niente...è un colpo facile in verità- Elaera lo disse vagheggiando, il che fece intuire che si trattava di tutto il contrario.
-Elaera dacci un taglio, cosa devono rubare?- Sbottò Phaerl infastidita dal divagare della conversazione. La ragazza fece un enorme respiro ad occhi bassi prima di rispondere, poi alzò lo sguardo, posandolo in quello di Ida, dando al momento un tono quasi solenne.
-Una reliquia sacra.-
-COSA?!- Esclamò Phaerl facendo spaventare mezzo gruppo. Reyeha roteò gli occhi esasperata, per poi prendere il boccale di birra di Gwendal, nonostante la bevanda non le piacesse particolarmente. Ida invece sembrava interessata dalla piega degli eventi, mentre Valerie la stava guardando confusa. Elaera guardò Ryuga per spronarlo a parlare e dopo un po' di insicurezza, si decise a farlo, raccontando per filo e per segno la sua missione e le sue intenzioni .
-Wow.- Esclamò Valerie alla fine di tutto. Aveva uno sguardo rapito e Jon sedutogli accanto le faceva compagnia, guardando Ryuga con gli stessi occhi della ragazzina.
-Facciamolo, sembra interessante.- Propose Ida allettata dall'idea.
-Sei idiota? Stiamo parlando di rubare uno degli oggetti più importanti per i credenti umani e non solo!- Le fece notare Phaerl snervata.
-Appunto! Non senti l'adrenalina scorrerti nelle vene all'idea?!- Gli occhi di Ida sembravano quelli di Valerie quando vedeva del cibo. Reyeha sospirò nuovamente, sconsolata, ordinando poi un altro boccale di birra da spartirsi con Gwendal.
-Tu sei matta.- L'apostrofò Phaerl.
-Se non potete aiutarmi me la caverò in qualche modo.- Si intromise allora Ryuga.
-Non se ne parla! Verresti sicuramente arrestato!- Lo rimproverò subito Elaera girandosi verso di lui. Phaerl si girò verso i due giovani con sguardo stanco e disperato, per quanto lo sguardo della mezz'elfa potesse esserlo.
-Sentite. Prima di fare qualsiasi cosa, devo mettermi in contatto col vecchio. Non so se vi rendete conto di ciò che vi accingete a fare e delle conseguenze che questo comporterà, ma se proprio dobbiamo metterci in gioco e rischiare la testa, preferisco avere le spalle parate e magari, in giudizio, avere una voce dalla nostra parte. Ci state?- Propose massaggiandosi le tempie e guardando ora con sguardo greve Ida, quasi ad intimarle di attendere.
-Oh giusto, prima di fare qualsiasi cosa, sempre se qualcosa sarà fatto, dobbiamo anche trovare sistemazione a Gwendal e Jon.- Aggiunse poi la donna.
-Grazie della considerazione...- Rispose sarcastico la non più fatina, la quale aveva ormai, assieme a Reyeha, finito anche l'altro boccale di birra.
-Quindi, ci aiuterete?- Domandò allora Elaera ancora sulle spine, guardando speranzosa la mezz'elfa dallo sguardo severo. Anche il ragazzo dagli occhi eterocromi la guardava con una certa speranza insita nello sguardo, non essendo sicuro nemmeno ora di voler realmente rischiare di rubare l'oggetto sacro con le sue sole forze e quelle di Hero.
-Vedremo domani. Per ora finiamo di mangiare, che sto ancora sul serio morendo di fame.-Concesse infine Phaerl fiondandosi sul cibo, seguita a ruota da Valerie e il resto del gruppo.

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Capitolo 37
*** Piani nascosti ***


NOTE DELLE AUTRICI
Si lo sappiamo, siamo in ritardo madornale, ma abbiamo avuto seri problemi ad incontrarci tutte per poter scrivere queste dannate pagine. In più sono riuscita solo ad abbozzarvi un disegno striminzito, chiedo venia. Si spera che con l'arrivo dell'estate e le vacanze la nostra puntualità migliori ehehe.
Note:  Sulla sfera ci sono dei pezzi di frasi, scritte in un alfabeto che molto probabilmente riconoscerete. Le tre frasi recitano: Possa essere la fortuna tua compagnia, sussurra con discrezione le parole, la dea sorda sente ogni cosa. Tutto ciò è riferito alla segretezza e allo scopo per cui sono utilizzati i cristalli. 
-Ele-




Piani nascosti 

Decisamente svegliarsi presto non era tra i passatempi preferiti di nessuna delle due, ma dopotutto, a causa della vita che conducevano ci avevano fatto il callo. Phaerl e Ida sedevano sui loro letti, una di fronte all’altra. Era da poco passata l’alba e nella confortevole camera filtravano dai vetri delle finestre dei tenui raggi mattutini, rischiarando l’ambiente ma non riuscendo, sfortunatamente, a rallegrare l’umore della mezzelfa.

-Forza, prima chiamiamo il vecchio e prima potremo scendere a fare colazione.- Proferì Phaerl sbuffando.
-A forza d’essere di cattivo umore ti farai venire le rughe.  Ah no, troppo tardi. – Scherzò l’arciera nel vano tentativo di sdrammatizzare. L’altra si limitò ad alzare il sopracciglio, infastidita.

-Non potresti essere seria per una volta? E poi io non ho le rughe. - Protestò la messaggera prendendo in mano il cristallo elfico da utilizzare per contattare il bibliotecario: una sfera di vetro opaca, dal colore tendente all’azzurrino e poco più piccola di un’arancia, con la superficie percorsa da circoli di rune intricate, incise tramite la magia nel duro materiale.

La mezzelfa strinse la sfera tra le mani, chiudendo gli occhi per concentrarsi meglio, liberando  del tutto la mente e focalizzando i suoi pensieri verso la persona che desiderava contattare. Dekves. Dopo pochi istanti, le rune iniziarono a brillare di una fioca luce azzurrina, filtrando tra le dita della donna. La luce che emettevano però, sembrava affievolirsi a tratti per poi brillare troppo intensamente poco dopo, facendo spazientire la donna che stava tentando di stabilire il contatto.

-Dannazione. Maledetto Nord e maledette interferenze.- Sbraitò ad un tratto Phaerl.
-Qual è il problema? Si è rotto?- Chiese Ida confusa.

-Macché. E’ colpa di questo dannato paese. Questo sistema di comunicazione è stato creato appositamente per non essere intercettato tramite magia esterna, comunicando solo tra due cristalli per volta, ma purtroppo il meccanismo ha delle pecche. Se si cerca di comunicare a grandi distanze mentre si è in luoghi pieni di influssi magici il segnale diventa debole. E in questa città ci sono cristalli elfici più o meno ovunque.  Per non parlare di quelle dannate tempeste di neve, ci si mettono anche loro!- Spiegò esaurientemente la mezzelfa, pronunciando infine due parole nella sua lingua che parvero ad Ida simili ad un’imprecazione, ma che sembrarono servire per far si che l’oggetto tenuto in mano dall’amica funzionasse meglio. –Oh, ce l’abbiamo fatta. Forse. Dekves, riesci a sentirmi?- Chiese, rivolta verso la sfera che ora brillava in modo costante.

-Sì Phaerl , ti sento. Anche se male.- La risposta del bibliotecario strappò un sospiro esasperato alla donna.
-Yoh, Dekves caro! Quanto tempo!- Lo salutò energicamente Ida, rivolgendogli un cenno di saluto con la mano nonostante l’ascoltatore non potesse vederla.
-Ida, mia cara. Sono felice di sentire di nuovo la tua voce. Come va la vita?- Chiese Dekves, affabile come sempre.
-Non c’è male. Ma credo potremo parlarne poi, abbiamo qualcosa di più urgente da discutere ora, sai… Phaerl mi sta guardando in cagnesco.- La mezzelfa la folgorò con lo sguardo, tossendo poi per schiarirsi la voce e prendere le redini del discorso.

-Dekves, abbiamo un problema.- Iniziò calma la messaggera, per poi spiegare per filo e per segno la gravità delle informazioni di cui erano venute a conoscenza. Il suo tono di voce si fece leggermente più serio e greve quando giunse alla parte riguardante la profezia e le relative conseguenze che essa avrebbe avuto sul paese, in caso si fosse avverata. –Vorrei sapere cosa ne pensi. Sappi che Ida non vede l’ora di andare a rubare quella reliquia.-

Il vecchio bibliotecario, seduto nel suo studio con la sfera che gli brillava in grembo, si prese qualche minuto per riflettere, ponderando a fondo ogni possibile conseguenza dei futuri passi che di li a poco avrebbero compiuto e che, probabilmente, li avrebbero portati a un periodo avvolto nel caos.



-Allora?- Lo incalzò Phaerl, temendo seriamente dopo tutto quel silenzio di aver perso il collegamento.

-Chiudere la voragine ed eliminare una delle minacce più vicine a noi ha la priorità. Credo sia la scelta migliore ora. Non so quanto sia giusto affidarsi ad una profezia, ma riconosco il potere che risiede nelle reliquie e, visto che tutti i tentativi fatti finora per risolvere il problema sono andati a vuoto, questa è la nostra occasione per debellare la minaccia dei demoni. Procedete con il furto, poi seguite i due giovani in questa delicata impresa. Mi affido a voi.- Proferì metodico l’uomo, segnando con quelle parole il destino degli eventi.

-Evviva! Reliquia bella sto arrivando!- Esclamò contenta l’arciera alzandosi dal letto. 
-Ne sei sicuro? E Reyeha? Non posso mica portarmela in giro per mezzo mondo ad affrontare chissà quale sorta di pericoli. Non è mica un sacco di patate!- Fece notare Phaerl all’anziano.
-Attualmente il posto più sicuro per lei è al tuo fianco.- Rispose sereno Dekves, facendola stizzire.
-E il consiglio? Non dovresti chiedere a loro prima di decidere?- Puntualizzò la mezzelfa di rimando.
-Sono pur sempre il bibliotecario, posso prendere una decisione da solo se lo reputo opportuno.- Controbatté laconico l’uomo.

-Dekves, toglimi una curiosità. Non che mi dispiaccia rubare un manufatto religioso dall’inestimabile valore, ma… perché la chiesa non ha ceduto la reliquia se sa che così potrebbe eliminare la minaccia dei demoni? Infondo, ci sono molti membri del clero che credono alle profezie del saggio, no?- Chiese Ida curiosa, interrompendo lo pseudo battibecco dei due.

-Giochi di potere.- Rispose serio alla domanda il vecchio.
-Mhm?- Mugugnò confusa l’arciera, osservando la sfera tenuta ancora in mano dall’amica.

-Vedi, la chiesa ha raggiunto un’importanza tale da essere considerata un vero e proprio organo politico che basa il suo potere sul numero di fedeli. Come tale, deve far fronte ai problemi che secernono l’amministrazione interna dello stato e il benessere dei cittadini che lo abitano. Avrai sicuramente notato in quale situazione interna versa il regno, tu che più di me lo hai percorso in lungo e in largo, aiutando chi più ne aveva bisogno. Discriminazione, disparità sociali, sovrappopolazione, malcontento generale, crollo dell’economia, svalutazione della moneta, rivolta civile, sono solo alcuni dei problemi che devono affrontare le parti in causa ogni giorno. Ebbene, per far fronte al problema interno, la chiesa ha ben pensato di spostare l’attenzione dei fedeli sui problemi esterni, come le invasioni barbare o la minaccia dei demoni, accrescendo negli uomini la paura ed aumento così il proprio stuolo di seguaci. Non dare retta alla visione del saggio gli conviene. Probabilmente secondo il loro giudizio, la minaccia è attualmente sotto controllo e frenabile in ogni momento.- Chiarì la questione saggiamente Dekves, facendo accigliare le sue ascoltatrici.

-Bella merda.- Sospirò Phaerl, aggrottando la fronte.
-In effetti.- Concordò Ida, tornando ad armeggiare con alcuni utensili tirati fuori dalle sue cose.

-Questi sono i fatti. Ora devo lasciarvi, il tempo del collegamento sta per scadere. Phaerl, tienimi aggiornato come sempre sugli sviluppi.- Ordinò sbrigativo il bibliotecario, osservando la luce della sua sfera farsi via via più fioca.

-Non mi paghi abbastanza per tutto questo.- Protestò brontolando la mezzelfa, sollevando gli occhi al cielo al pensiero dei pericoli che avrebbero dovuto correre in quella nuova missione.
-In verità ti pago abbastanza bene. A presto mie care.- Le rispose Dekves, congedandosi, un istante prima che il collegamento si interrompesse e che le due sfere tornassero all’aspetto smorto originario.

-Ma no! Volevo salutarlo come si deve!- Brontolò Ida, dispiaciuta di non essere riuscita a salutare il vecchio amico.

Nel frattempo, al piano inferiore della taverna in cui le donne soggiornavano, il resto del gruppo si era già riunito ad un tavolo per fare colazione, in attesa di uscire per recarsi ad incontrare il consigliere Galain e risolvere un’altra gravosa ed incombente faccenda: trovare una sistemazione a Gwendal e Jon.

Le due donne si unirono agli altri dopo la chiamata al bibliotecario, evitando bene di aprire il discorso e aggirando le domande relative ad un’eventuale risposta affermativa riguardo il furto. Fatto sta che a nessuno sfuggì l’occhiolino felice che Ida rivolse a Valerie quando questa chiese se infine, il furto si sarebbe veramente svolto. Finirono di mangiare in fretta, ansiosi di aiutare i due amici ora umani seduti con loro, che non chiedevano altro se non vivere una vita normale.  Mentre uscivano dall’edificio, Phaerl avvertì tutti di attirare il meno possibile l’attenzione mentre camminavano per le strade della città, evitando di suscitare gli sguardi curiosi dei passanti e possibili guai. Al che, Reyeha si girò d’istinto verso la fata per invogliarla a nascondersi come faceva usualmente.

-Ehi Gwendal, forza, entra nel mio taschino.-  Disse, bloccandosi sul posto nel momento in cui realizzò le attuali dimensioni dell’amico. –Oh…- Sospirò, un po’ delusa, suscitando un sorriso generale e lo sguardo accigliato della fata.

Lo strambo gruppo si diresse infine all’appuntamento con il consigliere, percorrendo le strade lastricate della capitale ma stando ben attento ad evitare le vie maggiori e più affollate, così da non incappare in un eventuale controllo di qualche guardia attirata dai loro cappucci calati fin troppo sul viso.
Quando giunsero nel luogo dell’incontro, lo stesso nel quale il giorno prima Ida e Phaerl avevano già discusso con il consigliere, il gruppo venne accolto nell’edificio e fatto accomodare in una stanza appartata. Phaerl, che capeggiava il gruppo, aprì la porta della stanza, al che i giovani si fecero più attenti e curiosi, osservando le due figure comodamente sedute ad un grande tavolo in legno.

-Oh! Ben trovate mie care!- Salutò cordiale l’anziano del duo, alzandosi dalla sedia per venirgli incontri.
Il più giovane, un ragazzo snello, con la pelle ambrata e folti capelli dorati, lo seguì nei gesti, alzandosi a sua volta, anche se un po’ impacciato nei movimenti e con un leggero rossore ad imporporargli le gote.

-Solo a me sembra imbranato?- Sussurrò Elaera parlando del giovane alle due amiche.
-Chissene, ma lo hai visto?- Ribatté Valerie che sembrava visibilmente attratta dal bel faccino dello sconosciuto, arrossendo subito dopo per il timore di essere stata sentita da quest’ultimo.

-Ragazzi, lui è Galain, il consigliere dell’est. Le ragazze sono Valerie, la mia aiutante, Reyeha, che viaggia con Phaerl e Elaera. I due ragazzi invece, sono quelli a cui servirebbe una mano ora. Il piccoletto si chiama Gwendal, il tipo robusto è Jon. - Li presentò Ida, facendo un veloce riepilogo dei nomi. I ragazzi si affrettarono a salutare, chi più e chi meno con eloquenza.

-Piacere mio ragazzi.- Rispose cordiale Galain, per poi osservare attento Reyeha per qualche istante, la quale, sentendosi sotto esame, corrugò la fronte come suo solito. –Phaerl!- Esclamò Galain, attirando l’attenzione della donna che era andata ad appoggiarsi alla parete. –Sei sicura non sia una tua parente? Avete lo stesso sguardo rabbioso!- Scherzò il consigliere, facendole soffocare una risata.

Reyeha guardò la mezzelfa stupita, per poi girarsi verso Valerie, guardandola seria.
-Ho davvero il suo sguardo?- Chiese, visibilmente preoccupata.
-Bhe, in effetti…- Minimizzò Valerie, trattenendo le risate.

-Continuando le presentazioni, questo è Flynn, il mio assistente.- Alla presentazione, il ragazzo si fece avanti imbarazzato.
-Piacere di conoscervi.- Sospirò quasi, a disagio per chissà quale motivo.
-Piacere mio!- Rispose affrettandosi, un po’ troppo ad alta voce Valerie, attirando così l’attenzione delle amiche e lo sguardo curioso di Ida e del consigliere, facendo arrossire ulteriormente il giovane.

-Probabilmente non te ne ricorderai, ma questo qui è il tipo che mi venne a chiamare quando successe quel casino al tuo villaggio. Dovresti ringraziare lui se ora sei qui con me.- Spiegò Ida con un filo di malizia nell’ultima frase, accomodandosi seguita da parte del gruppetto al tavolo.
-Oh, davvero?- Chiese scettica Valerie, guardandolo attentamente per ricordarselo, ma non riuscendo nell’impresa.

-Forse non te lo ricordi perché prima portava i capelli lunghi fino a coprirgli il viso, il che era un vero peccato a mio parere. Ora sta molto meglio, non trovi?- Fece notare l’arciera, godendo dell’espressione di puro disagio del giovane.
Valerie a quelle parole ebbe come un’illuminazione, collegando i ricordi del suo passato con il volto del giovane nel suo presente.

-Allora ecco cosa si nascondeva dietro quella valanga di capelli!- Esclamò, pentendosene un poco.
-G-già eheh.- Ridacchiò nervoso l’aspirante consigliere.

-Comunque, Ida ha ragione. Ti sono enormemente grata per ciò che feci quel giorno. Si può dire che ti debba la vita. Grazie.- Continuò Valerie, arrossendo nel momento in cui incrociò gli occhi profondi del ragazzo, sentendo il suo cuore iniziarle a galoppare nel petto.
-Non devi ringraziarmi. - si affrettò a rispondere Flynn - Sono felice di essere stato d’aiuto e che tu ora stia bene.- Le sorrise, facendola sussultare.
Il giovane aprì la bocca, come per aggiungere qualcos’altro, ma subito la richiuse, per poi rivolgere il proprio sguardo altrove, rosso in viso.

I due restarono fermi sul posto a guardarsi di sottecchi per qualche istante, imbarazzati l’uno più dell’altra, con il discorso che sembrava ormai essere morto ed ogni speranza di proferire parola tra loro persa.

-Oh no, vi prego…- Sospirò Reyeha, frustrata.
-Dai non fare così, io li trovo carini.- Confessò Elaera guardandoli scambiarsi occhiate fugaci.
Fu quando Galain tossì che tutti si girarono verso di lui e lasciarono perdere “l’attrazione del momento”.

-Ebbene. Phaerl e Ida mi hanno accennato il problema. Voi due…- Ed indicò i due ragazzi seduti ai lati opposti del tavolo. –Avete bisogno di un lavoro qui in città e di una sistemazione, giusto?-
I due interessati annuirono, in attesa che il discorso proseguisse.

-Vediamo… Tu, che da come vedo dovresti avere buone braccia, potresti lavorare in miniera o sottoterra nel piano caldaie. Anche se propenderei più per la miniera, il locale caldaie è un vero e proprio inferno e preferirei evitare di spedirci anche il mio peggior nemico!- Spiegò allegramente il consigliere.
-V-va bene qualsiasi c-cosa.- Si affrettò a dire Jon, balbettando.

-Invece tu… non credo di poterti far lavorare con lui, vista la corporatura.- Notò Galain, ricevendo un’occhiataccia da parte della fata. –Che ne diresti di lavorare in cucina? Un mio conoscente sta giusto cercando qualcuno che gli dia una mano. Non è un lavoro troppo impegnativo e l’orario è abbastanza flessibile.- Propose l’anziano, aspettandosi anche da lui una risposta affermativa.
-Oppure potrei fare l’erborista, no?- Rispose stizzito Gwendal, sentendosi sottovalutato.

-Il tipetto qui ci sa fare con le erbe.- Garantì per lui Phaerl, facendo incuriosire il consigliere.

-Oooh. Non male come idea.- Soppesò Galain, pensando a come utilizzare in futuro queste informazioni. –Bene, credo possa andare. Dopotutto in una grande città c’è sempre richiesta per dei bravi apprendisti in bottega e gli erboristi da che io  ricordi, pagano molto bene.-

-Quindi per il resto possiamo fare affidamento su di te Galain?- Chiese per sicurezza Phaerl, leggermente sulle spine.
-Mia cara, lascia fare a me.- Promise l’uomo, alzandosi in piedi. –Entro questa sera questi due avranno trovato un lavoro e una sistemazione. Ricorda però che poi mi dovrete un favore!-
-Non sarebbe il primo.- Sorrise la mezzelfa, facendo sorride l’amica arciera seduta al suo fianco.

Dopo aver scambiato ulteriori quattro chiacchiere parlottando del più e del meno, durante le quali Valerie e Flynn, allentatasi la pressione, riuscirono anche a guardarsi dritti in faccia, il gruppo si congedò, dividendosi da Gwendal e Jon che seguirono il consigliere e il suo assistente, in cerca di un posto di lavoro.

-E ora che si fa?- Domandò Valerie, annoiata e dispiaciuta di essersi dovuta separare così presto da quell’affascinante ragazzo lentigginoso.
-Elaera, puoi portarci da Ryuga? Credo sia ora di dargli una risposta.- Rispose Phaerl all’interrogativo, facendo brillare gli occhi di Ida.
-Certamente! Quindi ci darete una mano?- Chiese euforica la ragazza.
-Una cosa alla volta. Non credo sia il luogo e il momento adatto per parlarne.- Concluse la mezzelfa sbrigativa, guardandosi intorno con sospetto.
-Oh. Giusto- Concordò allora Elaera, facendo strada alle altre verso la taverna nella quale soggiornava il ragazzo.

Camminarono per una buona mezzora, il sole già alto nel cielo ad indicare ormai la tarda mattinata e l’imminente orario del pranzo. Quando attraversarono una delle vie più affollate, incrociando con gli occhi due guardie che parlottavano davanti una bottega, tutte affrettarono istintivamente il passo, ansiose di togliersi dai piedi prima di essere notate.

Una volta arrivate a pochi passi dalla meta, Elaera corse avanti, scaraventandosi quasi all’interno del locale e lasciando indietro le altre, correndo ad avvertire il caro amico che probabilmente stava aspettando nell’appartamento da lui affittato, in preda all’ansia. La ragazza, varcata la soglia della taverna, venne accolta dall’oste, un uomo cordiale e dallo sguardo poco curioso, che, riconoscendola, si affrettò a tirare una cordicciola in un angolo, facendo suonare un campanello.

-Certo che potevi anche aspettarci.- Borbottarono Reyeha e Valerie, raggiungendola insieme alle due donne.
-Ehm… scusate… - Mugugnò la ragazza, dispiaciuta.
-Ragazzo, ci sono visite.- Esclamò il taverniere, rivolto a qualcuno alle loro spalle.

Ryuga era dietro di loro e sembrava felicissimo di vederle. Indossava una maglia a collo alto nera sopra dei pantaloni chiari aderenti, tendenti al grigio-azzurro, che ne risaltavano la muscolatura; sul viso, nascosta tra i capelli, si poteva intravedere una benda, che serviva molto probabilmente a celare l’occhio giallo del giovane, segno distintivo dei figli del diavolo. Dovendo passare lì molto tempo, il ragazzo aveva ben pensato di prendere qualche precauzione.

 -Se avete intenzione di salire tutti mi raccomando a cosa combinate, intesi?- Si raccomandò con tono annoiato il locandiere. –Se volete da bere o da mangiare fatemi un fischio.- Concluse sentendo il suono di una campanella e congedandosi così per andare a servire un altro cliente. 
-Saliamo di sopra, così potremo parlare con calma.- Propose Ryuga.
Nell’appartamento, trovarono ad attenderli anche un ragazzo dalle guance paffute e i capelli scompigliati.

-Ah!- Esclamò vedendoli, alzandosi in piedi di scatto e sistemandosi quella che pareva una toga.
-Non temere, sono amiche. Lui è Hero. E’ il novizio del tempio di cui vi avevo accennato.- Lo presentò il corvino, avvicinandosi al suo fianco per trasmettergli sicurezza.

-Piacere Hero. Io sono un’amica di Ryuga, mi chiamo Elaera. Loro sono Reyeha, Valerie, Phaerl e Ida.- Le si presentò l’avventuriera, avvicinandosi per stringergli la mano.
-Piacere mio.- Rispose titubante il ragazzino.

-Oooooh, bando alle ciance! Quando dovremmo fare il colpo?- Si intromise nella discussione l’arciera, facendo sospirare la mezzelfa.
-Quindi ci darete una mano?!- Esclamarono increduli i due ragazzi in coro.
-Certo! Lasciate fare a me, dopotutto questo è il mio lavoro.- Si vantò Ida, venendo fulminata dagli occhi severi di Phaerl.

-Mi raccomando vantatene pure, eh.- La rimproverò quest’ultima. –Comunque, siamo qui per discutere dei dettagli del colpo. Dopotutto non conosciamo minimamente il luogo della rapina, quindi ci servono tutte le informazioni utili che potete darci.-

-Allora…- Si schiarì la voce l’arciera dalla lunga coda di cavallo, sedendosi su una delle sedie del tavolo. –Prima di tutto mi serve una descrizione dettagliata del luogo, del numero di guardie e dei possibili imprevisti che potrebbero capitare. Poi mi direte cosa avevate pensato di fare da soli, non si sa mai, potrebbe tornarci utile il piano che già stavate progettando.- Sentenziò, facendosi seria e calcolatrice.

I due ragazzi si guardarono, indecisi su chi dovesse parlare per primo, finchè Ryuga fece un segno al più piccolo, invogliandolo a rispondere.

-Ecco… la reliquia in questione è custodita all’interno di una teca, nell’ala est del tempio, al primo piano. Percorso tutto il corpo centrale dell’edificio, bisogna camminare lungo un grande corridoio e salire una piccola rampa di scale mattonate; l’ultima stanza è quella dove si trovano i manufatti. Da quando c’è stato il processo di carcerazione di Grago, la sorveglianza è aumentata notevolmente. Tutte le uscite e le entrate vengono chiuse dopo il coprifuoco e delle sentinelle sono sempre di ronda nei corridoi.- Spiegò Hero, sciogliendosi man mano che parlava.

-Quante sono le sentinelle?- Domandò diretta Ida. Gli altri iniziavano ad agitarsi sentendo le informazioni che uscivano dalla bocca del novizio.
-Due di fronte all’ingresso principale del tempio, che non può essere mai chiuso completamente a causa dei fedeli che vengono a pregare a qualsiasi ora, altre due invece controllano costantemente la teca e non si allontanano mai di lì. Sono gli uomini più fidati di Samael e non girano belle voci sul loro conto. Invece per i corridoi di ogni piano dell’edificio di solito gira sempre una guardia. Ah, all’esterno di solito girano sempre tre guardie, a turnazione, ma sono quasi sempre assonnate e poco attente.- Rispose diligentemente il giovane.

-Mmmmh… ho capito. Credo di avere una mezza idea su cosa fare. E sentiamo, voi come pensavate di muovervi?- Chiese infine, guardandoli curiosa.
-Quello che vi ho detto ieri a cena. Pensavo di introdurmi nell’edificio con l’aiuto di Hero e rubare la reliquia, favorito dal fatto che le due guardie di pattuglia sarebbero state addormentate grazie a un potente sonnifero mescolato nel cibo che Hero gli avrebbe servito a cena.- Proclamò poco convinto Ryuga, facendo ridere Ida per la fragilità del piano.

-Oh mamma, vi avrebbero beccati di sicuro. Anche se l’idea del sonnifero può tornarci utile.- Disse, per poi accavallare le gambe ed incrociare le braccia dietro la testa. –Sentite invece il piano che avevo in mente.-
Il gruppo si fece più attento, pendendo dalle labbra della donna.

-Siccome le guardie di pattuglia all’esterno sono tre, vuol dire che uno dei lati del tempio resta costantemente scoperto, dico bene Hero?- Si accertò l’arciera.
-Si il lato dell’ala sud non è sorvegliato visto che non ha entrate, a parte le finestre dei dormitori, al secondo piano.- Le confermò il novizio.

–Perfetto. Prima di tutto dobbiamo pensare alle guardie che controllano la teca, quelle ci serve che dormano mentre io scassino la serratura e rubo la reliquia senza far scattare eventuali allarmi o meccanismi strani, il che non sarebbe bello. Qui forse il sonnifero ci farebbe comodo. A quello penserà il nostro giovane amico, visto che è l’addetto alla loro cena. Quello che ci serve poi, non sarà altro che un piccolo aiuto ad entrare. Una finestra lasciata casualmente aperta magari. Dopodiché, dovrai ritirarti nella tua stanza e non uscire per nessuna ragione, così da essere escluso dalla lista dei sospettati in caso succeda qualcosa. Io e Valerie siamo abituate ad arrampicarci, quindi non avremo problemi. Ryuga dovrà venire con noi, onde evitare che rubiamo il manufatto sbagliato. Non preoccuparti, non pretendiamo che ti arrampichi come noi, useremo un rampino. Una volta dentro, Valerie farà da esca ed io e Ryuga penseremo a rubare il manufatto. A colpo concluso, ci caleremo dalla stessa finestra, faremo un segnale a Valerie che potrà finire di farsi inseguire in giro e raggiungerci. Poi ce la daremo a gambe levate il più in fretta possibile.- Espose il piano la donna, osservando le espressioni tra lo stupore e lo scettico dei suoi ascoltatori.

-E noi? Che dobbiamo fare? – Chiese allora Elaera, preoccupata per non essere stata citata nel piano.
-Tu mia cara, insieme a Phaerl e Reyeha, fate parte del piano B.- Dichiarò con teatralità Ida.

-Piano B?- Chiese Hero, confuso. A lui già il piano A sembrava mille volte migliore di quello escogitato con Ryuga, anzi, forse era addirittura infallibile rispetto al loro.

-In caso di imprevisto,ad un segnale Phaerl, seguita da Reyeha e Elaera, irromperanno nel tempio per coprirci le spalle dalle guardie e darci manforte per fuggire. Non preoccuparti, qui tutti sappiamo il fatto nostro in quanto a salvarci le penne. Comunque sia, se tutto va bene il piano A funzionerà perfettamente, liscio come l’olio.- Concluse la donna, guardandoli mentre sorrideva compiaciuta.

-Si può sapere perchè ci cacciamo in situazioni sempre peggiori?- Sospirò stressata Reyeha, venendo rabbonita da Valerie, che tentava di rassicurarla elencandole tutte i piani riusciti di Ida a cui aveva partecipato.
-Reyeha, nemmeno a me piace la piega che ha preso questa storia. Ma sono ordini dall’alto.- Concluse sospirando la mezzelfa. –Quando avete intenzione di fare il tutto?- Domandò esasperata alla ladra, con una leggera nausea che iniziava a farsi sentire a causa del nervoso.

-Il sonnifero sarà qui tra qualche giorno.- Si intromise Ryuga, precisando quell’importante particolare.
-Perfetto. Abbiamo il tempo di fare qualche sopralluogo, più conosciamo il posto meglio è.- Dichiarò Ida, stiracchiandosi soddisfatta.

-Un momento. E Grago? Di lui cosa ne sarà?- Chiese visibilmente preoccupato il novizio.
Nella stanza calò il silenzio. Nessuno, tra loro, poteva sapere che conseguenze avrebbero avuto le loro azioni sulle sorti dell’ancora imprigionato vescovo. Nella migliore delle ipotesi, il consiglio avrebbe pensato che, essendo imprigionato, non avrebbe mai potuto organizzare il colpo, ma di sicuro Samael avrebbe attribuito in un modo o nell’altro a lui tutta la colpa, guadagnandosi in qualche modo la fiducia degli altri monaci. Per un uomo affabile e meschino come lui sarebbe stato un gioco da ragazzi. D’altro canto, non era nemmeno sicuro che, una volta che il consiglio avesse ricevuto le lettere del saggio si sarebbe convinto finalmente a rilasciarlo, chiudendo la faccenda ed attribuendo il furto solo ad un capriccio della fantomatica ladra Ida “La saetta” e alla sua assistente.  Non erano stupidi. Lo sapevano che ci sarebbero state delle conseguenze. Speravano solo che, a colpo concluso, queste non fossero l’esecuzione di qualcuno.

-Non avevate detto che intercederà per lui proprio il saggio?- Spezzò il silenzio la messaggera, attirando su di se lo sguardo di tutti. - Non preoccuparti, vedrai che andrà tutto bene.- Mentì per rassicurarlo Phaerl, sorridendogli, facendo finta d’essere sicura delle proprie parole, in uno dei suoi rari momenti di dolcezza.

Ida la guardò, sorridendo amaramente nell’aver intuito le sue intenzioni e forse la conclusione dei suoi pensieri, ma al ragazzino bastarono quelle semplici parole per sentirsi meglio. Infondo perché no, forse anche a loro conveniva aggrapparsi ad una, seppur flebile, speranza. 

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