I've seen your eyes before

di Tigre Rossa
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 – Oblio ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2- Vuoto ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 – Calore ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 – Occhi blu ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 – Incontro inaspettato ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6- Seconde possibilità sul palmo di una mano ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 – Tu puoi vedermi ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 – Perduto -prima parte- ***
Capitolo 10: *** capitolo 8 - Perduto -seconda parte- ***
Capitolo 11: *** Capitolo 9 – Ossigeno ***
Capitolo 12: *** Capitolo 10 – Avere te ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo
 


I legami che ci vincolano a volte sono impossibili da spiegare
ci uniscono anche quando sembra che i legami si debbano spezzare
certi legami sfidano le distanze e il tempo e la logica
perchè ci sono legami che sono semplicemente destinati ad esistere!
- Grey’s Anatomy
 
 
 
 
“Dunque, questo è lo hobbit.”
 
 
“Tu. Cosa credevi di fare? Ti sei quasi fatto uccidere.”
 
“Thorin, io . . .”
 
“Non ti avevo detto che saresti stato un peso? Che non saresti sopravvissuto alle Terre Selvagge? Che non c'è posto per te tra noi? Non mi sono mai sbagliato tanto in vita mia.”
 
 
“Tu sei cambiato, Thorin.”
 
“Tu non venirmi a parlare di lealtà.”
 
 
“Bilbo . . . Sei qui, sono contento. Voglio separarmi da te in ... amicizia.”
 
“Non andrai da nessuna parte, Thorin. Tu vivrai.”
 
 
“Addio, mastro scassinatore.”
 
 
“No! No, no, no! Thorin! Thorin, non lasciarmi! Thorin! No, tieni duro Thorin, tieni duro. Vedi? Le aquile. Le aquile. Le aquile sono qui. Thorin! Io . . .”
 
 
 
“Signor Bilbo? Sta bene?”
 
Quella voce, gentile e familiare, mi trascina via dai miei pensieri e mi riporta quasi crudelmente alla realtà.
 
Sbatto le palpebre un paio di volte per mettere a fuoco il viso confuso del mio buon Ham, che mi osserva quasi con apprensione, le cesoie ancora in mano e le guance sporche di terra.
“Io . . . si, certo.” mi affretto a dire, passandomi una mano sugli occhi con fare stanco.
Il sopracciglio del mio giardiniere si solleva così tanto da raggiungere quasi l’attaccatura dei radi capelli biondi “Ne è sicuro? E’ quasi mezzora che fissa il vuoto, ed è abbastanza bizzarro anche per lei. . .” si blocca e le orecchie gli diventano rosse, mentre si affretta a porgermi delle maldestre scuse, che però rifiuto con un sorriso.
“Non si preoccupi, Ham, non c’è bisogno di scusarsi.” dico tranquillamente, per nulla urtato da quel commento. So di essere considerato strano da più di tre quarti delle persone che mi conoscono, ma ciò non mi disturba particolarmente. E’ il minimo, quando si vive di parole e si trascorre la maggior parte del proprio tempo in giardino, con l’unica compagnia di un portatile e di qualche quintale di tazze di the. “Stavo ... pensando.”.
Ham annuisce, le orecchie ancora rosse come pallidi pomodori, e si solleva da terra spazzolandosi i pantaloni “A che cosa, se posso chiedere?” domanda spontaneamente.
Mi mordo l’interno della guancia, incerto su cosa dire.
“Ecco . . . a un sogno ricorrente, ad essere sincero.”.
Aggrotta le sopraciglia, confuso “Un sogno ricorrente?”.
Annuisco, e dopo un attimo di esitazione riprendo a parlare, nel quasi ansioso desiderio di togliermi finalmente quel peso di dosso.
 
“Continuo da un po’ di tempo a fare lo stesso sogno. Sogno sempre un uomo, un uomo basso, dai lunghi capelli scuri e dagli occhi penetranti, color del ghiaccio. Un uomo che, in qualche modo . . . mi accende qualcosa, qui, nell’anima. Quest’uomo mi scruta con attenzione girandomi attorno, mi sorride – e Dio, quanto mi fa male solo il pensiero di quel sorriso-, mi stringe con forza a sé in un abbraccio caldo e rassicurante, mi guarda con dolore e delusione nello sguardo. E poi eccolo, improvvisamente, è steso su una lastra di ghiaccio, immobile, il petto lacerato, il volto macchiato di sangue, del suo sangue, gli occhi fissi nei miei. Io sono lì, al suo fianco, e lo vedo morire di fronte ai miei occhi, la sua mano stretta nella mia. E ogni volta mi sento come . . . come se una parte di me mi fosse stata strappata via, capisci? Non so chi sia quell’uomo, eppure so che è importante. Lo so. Lo sento dentro.”
Mi porto una mano al cuore, e attraverso la stoffa leggera della maglietta posso avvertirne il battito accelerato. Me la faccio ricadere in grembo e continuo, abbassando inconsciamente la voce “E poi, continuo a sentire delle frasi. Parole lontane, che non riesco a comprendere. E un nome, un nome che ripeto all’infinito, come se fosse una preghiera, mentre vedo quell’uomo morire tra le mie braccia. Thorin.
Chiudo gli occhi con un fremito spontaneo, come se quel semplice nome avesse un peso nella mia anima, come se rappresentasse qualcosa di più grande, di immensamente più grande.
 
Ham rimane in silenzio per qualche momento, e solo quando riapro gli occhi mormora, passandosi una mano tra i capelli “Non so molto di sogni e roba simile, signor Bilbo, ma il mio vecchio mi ripeteva sempre, quando ero bambino, che se qualcuno entra nella nostra mente mentre dormiamo, vuol dire che è già entrata nella nostra vita e noi ancora non ce ne rendiamo conto.”.
Un lieve sorriso mi si forma sulle labbra “E’ un bel pensiero, ma sono abbastanza sicuro di non aver mai incontrato quell’uomo in vita mia.”.
Il mio giardiniere si stringe nelle spalle “Non so che dirle, allora. Magari è solo una sua fantasia che vuole far parte a forza di uno dei suoi romanzi.” commenta, per poi prendere il suo zaino ed infilarselo sulle spalle “Comunque, per oggi ho finito. A domani, signor Bilbo.”.
Lo saluto con un cenno della mano e lo osservo uscire dal cancello ed avviarsi in taxi verso casa sua, per poi sospirare e chiudere gli occhi.
Il volto dell’uomo dagli occhi di ghiaccio mi compare di nuovo davanti, e per un attimo è come se il suo sguardo mi trapassasse e mi volesse dire qualcosa. Si, ma cosa?
 
“Thorin.” sussurro, il nome stranamente familiare sulle mie labbra “Thorin...”.
 
 
 
All’inizio è solo un dolore lancinante nel fianco destro, un dolore così forte da togliermi voce e respiro, ma non più grande di un penny, e poi improvvisamente si diffonde in tutto il corpo mentre cado a terra, sotto gli occhi scioccati dei miei uomini, e nel momento in cui tocco il terreno sporco di sangue tutto diventa confuso e lontano.
Le uniche cose che riesco ad avvertire distintamente sono delle voci e quel dolore straziante che, a quanto pare, ha deciso di essere la mia ultima sensazione in questa vita.
 
“Capitano!”
“Merda, capitano!”
“Capitano! Capitano!”
 
Delle braccia mi circondano, provano a sollevarmi dal terreno, sfiorano con le dita la macchia di sangue che si fa di secondo in secondo più ampia sulla mia tuta mimetica.
 
 “Ehi, resti con noi, capitano. Mi sente? Resti con noi!”
“Chiamate subito aiuto! Scudodiquercia è ferito!”
“Toglietegli la camicia, presto!”
 
Sento delle mani che mi strattonano i vestiti, che mi sfiorano la pelle, che stringono e tamponano la mia ferita, ma non riesco a riconoscere, così come non riesco a riconoscere quelle voci, mentre pian piano tutto diventa lontano ed intangibile e le palpebre, semplicemente, diventano troppo pesanti per restare sollevate.
E sembra tutto così strano, eppure così familiare, come se non fosse la prima volta che la vita mi scivola via dal corpo insieme al sangue.
 
 
“No, no, no! Cazzo, capitano, resista!”
“Scudodiquercia, tenga duro, tenga duro!”
“Andiamo, Durin, non fare scherzi!”
 
 
“Thorin, non lasciarmi! Thorin!”
 
 
Questa voce . . . dove ho già . . . sentito, questa voce?
 
 
“Thorin!”
 
 
L’ultima cosa che riesco a vedere sono un paio di occhi blu intenso, terrorizzati e pieni di dolore, fissi nei miei.
 E poi tutto, dolcemente, svanisce.
 
 
 
 
 
La tana dell’autrice
 
 
Ed eccomi qui con un’altra long. Non imparo mai, eh? Me ne pentirò, oh, lo so che me ne pentirò. Sarà il mio tormento, la mia ansia per i prossimi mesi a venire. Oh beh, ma chi se ne frega!

Ok, per questa storia ho preso un po’ ispirazione da numerose fan art, fan video e fan fiction basate su un possibile scenario Reincarnation AU, ma mi sono anche collegata ad un altro mio lavoro, di cui modestamente sono abbastanza fiera, che tratta di un simile argomento, sebbene presentato in maniera diversa, nel fandom Sherlock (BBC), ‘Ho attraversato gli oceani del tempo per trovarti”– ma si Tigre, facciamoci un po’ di auto pubblicità, andiamo-.

Cosa dire altro? Spero solo che il prologo abbia catturato il vostro interesse, e che i prossimi capitoli non tradiscano le vostre aspettative!
Ah, il titolo è provvisorio, visto che non sono molto convinta di questa scelta. . . se avete consigli o suggerimenti, li ascolterò molto volentieri :)
 
A presto –spero-
 
T.r.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 – Oblio ***


Capitolo 1 – Oblio
 
 
 
 
 
“Mai abbastanza vicini per tenersi.
Mai abbastanza lontani per lasciarsi andare.”
- cit.
 
 
“E come procede il tuo nuovo libro?”
 
Lancio un’occhiataccia a Bofur, che in equilibrio alquanto precario su una sedia cerca di rimettere a posto una catasta di libri alta quanto un bambino delle medie.
E’ il mio migliore amico da quando ne ho memoria e mi conosce meglio di quanto io conosca me stesso, ma comunque riesco a stento a resistere all’istinto di tiragli addosso tutti i dannatissimi romanzi della sua dannatissima libreria.
“Ti ho detto mille volte che . . .”
“... non vuoi parlare di quello che scrivi fino a quando non è sugli scaffali, lo so, lo so.” mi interrompe prontamente, infilando un tomo di Hugo grosso quasi quanto una Bibbia in uno spazietto minuscolo ed improbabile “Sei fin troppo superstizioso, Bilbo.”.
Sbruffo, un po’ seccato da quel commento. “La mia non è superstizione, ma previdenza. Ogni volta che parlo con qualcuno di un progetto a cui sto lavorando va sempre a finire che non riesco a completarlo o che mi viene rubato e devo buttare mesi di fatica nel cestino, come nel caso de ‘Il riflesso della luna’ o ‘Cinquanta giorni’. Quindi, ho imparato a tenere la bocca chiusa.”.
Bofur trattiene a stento un sorrisetto “Ah, questi scrittori, sempre così melodrammatici.”.
“Ah, questi librai, sempre così strafottenti.” replico tranquillamente, sorseggiando il mio the ormai freddo.
Per ripicca, mi lancia maldestramente addosso un’edizione tascabile de ‘Il gabbiano Jonathan Livingston’, che afferro con la mano libera per poi riporla sul bancone  “Se tratti così i tuoi libri non voglio pensare al trattamento che riservi ai tuoi clienti.”.
“Sicuramente è migliore di quello che riservo agli amici rompiballe come te.” risponde, mentre scende dalla sedia e si sistema meglio il suo amato cappello sulla testa “Tornando al discorso di prima, stai lavorando a qualcosa o sei ancora fermo?”.
Mi mordo l’interno della guancia, indeciso se ammetterlo o no “Mi sto . . . prendendo del tempo per pensare un po’.” borbotto infine “Sai, ho alcune trame interessanti in mente e . . .”
“E non riesci a buttare su carta nemmeno un parola.” completa per me Bofur, sedendosi sul bancone e facendo dondolare le gambe come un bambino.
Faccio per obbiettare, ma lo sguardo che mi lancia blocca tute le mie possibili proteste o scuse “Si, è così.” ammetto infine, stringendo con forza la mia tazza tra le mani.
Mi da’ una pacca amichevole sulla spalla “Non c’è da farne un dramma, sai? Per tutti gli scrittori, prima o poi, arriva il momento del fatidico blocco. E’ praticamente una legge cosmica. Doveva succedere anche a te, prima o poi. E’ metà della tua vita che sforni best-seller come se fossero crostate di mele, insomma!”.
Un live sorrisetto divertito si forma sulle mie labbra per essere subito cancellato da una smorfia “E se non riuscissi più a trovare l’ispirazione?” domando, quasi esitante.
Bofur mi guarda, e deve leggere la paura nei miei occhi, perchè il suo volto si fa improvvisamente serio. Sa quasi meglio di me che la scrittura è tutta la mia vita, la ragione per cui mi alzo la mattina da quindici anni a questa parte. Non potrei immaginare un’esistenza senza di essa. Se non riuscissi più a scrivere, sarei perduto, completamente perduto.
“La troverai quando meno te lo aspetti, vedrai. E’ solo un momento di stanchezza, che passerà con la stessa velocità con cui si dimentica un bel sogno. Magari le tue dita hanno semplicemente deciso di prendersi una meritata vacanza, o forse la tua mente è fin troppo presa da qualcos’altro. O qualcun altro.”.
A quell’ultima frase sobbalzo, mentre lui mi lancia un’occhiata d’intesa, e subito la mia mente torna a un paio di occhi di ghiaccio.

Bofur è l’unico, oltre a Ham, ad essere a conoscenza del sogno che ormai mi tormenta da qualche settimana. E, cosa forse più importante, è il solo a sapere che da quando quegli occhi si sono infilati nelle mie ore notturne non riesco più a scrivere.

“Io . . .” inizio, ma non so cosa dire. Come potrei descrivere l’agitazione e i sentimenti infuocati che quel sogno continua a mettermi dentro? Come posso parlare dell’emozione, sconosciuta e fin troppo tangibile, che quei occhi mi scatenano dentro? Come posso spiegare che quel nome mai sentito prima, quel ‘Thorin’ che continuo a pronunciare ogni volta che chiudo gli occhi, mi sta divorando vivo senza che io riesca ad opporre resistenza?
Bofur si stringe nelle spalle e continua a parlare, quasi incurante della confusione e dell’agitazione che solo il pensiero di quel volto mi scatena dentro “Comunque, sono certo che ti sbloccherai una volta che smetterai di pensarci su. Devi dimenticare il portatile e la penna per un po’, distrarti, magari incontrare qualche bella ragazza... oh, che idea!” sbatte le mani insieme, gli occhi che gli brillano come quelli di un ragazzino all’idea di una giornata di vacanza inaspettata “Dobbiamo uscire, Bilbo! Io, te e qualcuno del vecchio gruppo! Si, ecco cosa ci vuole, una bella serata vecchio stile, come ai tempi del liceo o dell’università! Oh, sarà una cosa mitica, veramente!”.
Sganghero gli occhi, quasi terrorizzato per ciò che ha appena detto “Co-cosa? No no, Bofur, davvero non c’è . . .”
Senza nemmeno ascoltarmi, salta giù dal bancone e si mette e girovagare per la stanza, gesticolando animatamente e parlando senza mai fermarsi “Si si, faremo così! Oh, sarà fantastico, organizzeremo una serata incredibile! Devo contattare Gloin, Bifur, Bofur, Oin, . . . oh, e Gandalf, assolutamente! E chissà, magari posso chiedere anche a quelle mie cugine del Sussex di fare un salto, e . . .”

Mi prendo la testa tra le mani, sconfitto, e il mio ultimo pensiero prima di perdermi in quel fiume incontrollato di parole e progetti è per un paio di occhi color del ghiaccio.
 
 
.o0O0o.
 
 
Sono steso su una lastra di ghiaccio, gli occhi persi nel cielo lontano, il respiro interrotto da forti colpi di tosse ed ansimi, un dolore forte e lancinante nel fianco.
Sono qui, in attesa.
Sto morendo, ma non sto aspettando la nera falciatrice.
Sto aspettando qualcos’altro.
Qualcun altro.
 
Sento dei passi lontani, affrettati, farsi sempre più vicini, ed accanto a me una figura familiare si inginocchia al mio fianco, il viso spaventato, la paura e il dolore negli occhi.
Una figura che, in qualche modo, mi riaccende qualcosa nel cuore.
 
“Bilbo...”
 
Lo chiamo, e dentro di me so che è giusto, che è lui che stavo aspettando, e che adesso manca davvero poco per andarmene.
Il piccolo uomo dai capelli ramati e dagli occhi blu si mette ad armeggiare con le mie vesti, alla ricerca della mia ferita.
 
“Non muoverti. Non muoverti, sta fermo. Oh!”
 
La sua voce è calma, contrariamente al suo sguardo, e sento in essa un tremore solo quando scorge la mia ferita, che subito si affretta a tamponare, come per fermare la fuoriuscita del sangue.
Parlo ancora, nonostante mi costi fatica, nonostante mi faccia male, perché so che è l’ultima possibilità che ho per farlo, è l’ultima vota che potrò parlare con lui, con colui che mi sta facendo battere il cuore in questo modo innaturale, quasi come se volesse usare tutti i suoi battiti prima della fine.
 
“Sei qui, sono contento.”
 
Sussurro, la dolcezza nella voce, la gratitudine, l’affetto, e qualcosa che non sono mai riuscito ad esprimere e, lo so, non ci riuscirò nemmeno adesso.
 
“Shh!”
 
Mi fa quasi con tenerezza, ben attento a non guardarmi in viso per non mostrarmi la paura che lo attanaglia.
 
“Voglio separarmi da te in . . .”
Esito, anche se so di non potermi permettere esitazioni o dubbi, non più
” ... amicizia . . .”
 
Si volta a guardarmi, il volto deciso, la voce controllata, come un vero guerriero, e dentro di me non posso far altro che stupirmi ancora un’ultima volta di quanto in realtà, nonostante l’aspetto fragile, sia forte come l’acciaio.
 
“Non andrai da nessuna parte, Thorin. Tu vivrai.”
 
Torna a concentrare la sua attenzione alla mai ferita, ma so di non avere più tempo e quindi continuo, lentamente, con fatica, a parlare.
 
“Mi rimangio le mie parole e le mie azioni. Hai fatto quello che . . . un vero amico ... avrebbe fatto. Perdonami. Ero troppo cieco per vedere. Mi dispiace tanto di averti messo in un tale pericolo.”
 
C’è dolore, e pentimento, e tutto quello che non sono mai stato capace di dire in quelle parole, e lui lo avverte, glielo leggo negli occhi, e lo sento afferrarmi la mano e farsi più vicino, e posso sentire il calore del suo corpo premere contro il mio, sempre più freddo.
 
“No, sono contento di aver condiviso i tuoi pericoli, Thorin. Dal primo all’ultimo. E’ molto più di quanto meriti un Baggins qualsiasi.”
 
Sussurra con dolcezza, e posso sentire tutto ciò che provo dentro di me nella sua voce, e sorrido, perché sono stato cieco, veramente cieco, e stupido, a non essermene mai accorto prima.
 
Un dolore ancora più intenso mi travolge, ma quasi non ci faccio caso.
 
E’ tardi, lo so, lo sento. Ho stretto i denti più del dovuto, sto facendo aspettare troppo la nera signora.
Devo andare, adesso.
 
“Addio, mastro scassinatore.”
 
Chiude gli occhi e sospira, incapace di trattenere oltre il dolore e la paura, ma non ha bisogno di nasconderle a me, non più, perché ho visto anche altro nel suo sguardo, e ciò mi basta per farmi accettare il mio destino.
 
Apri gli occhi e guardami, perché se devo andarmene voglio farlo con l’immagine del tuo viso ad accompagnarmi.
 
“Torna ai tuoi libri e alla tua poltrona. Pianta i tuoi alberi. Guardali crescere.”
 
Ansimo, ormai senza più forse, la vista quasi del tutto oscurata.
E’ tempo, ormai.
 
“ Se più persone considerassero la casa prima dell’oro il mondo sarebbe un posto più felice.”
 
Gemo, e sento la vita scivolarmi via dal corpo, lontana, e subito lui si tende verso di me, la disperazione ormai palpabile nella voce.
 
“No! No, no, no! Thorin! Thorin, non lasciarmi!”
 
La sua voce è l’ultimo suono che sento e i suoi occhi blu l’ultima cosa che vedo, prima che tutto, semplicemente, finisca.
 
“Thorin!”
 
 
Apro gli occhi di scatto e faccio per mettermi a sedere, ma una fitta dolorosa al fianco e delle braccia robuste me lo impediscono e mi tengono fermo, mentre una voce burbera mi ammonisce.
 
“Con calma, Capitano! Stia giù, se non vuole tornare nel mondo dei morti.”
 
Sbatto le palpebre una, due, tre volte, e il mondo attorno a me prende forma.
Sono steso in una brandina, e di fronte a me un uomo basso dai folti capelli rossicci e numerose cicatrici ad attraversargli il volto mi fissa, lo sguardo duro ma in qualche modo sollevato.
 
“Dàin . . .”
mormoro, scrutandolo con aria confusa, mentre lentamente mi appoggio allo schienale della brandina.
Il mio attendente grugnisce e si tira un po’ indietro, incorniciando le braccia, ma dal luccichio dei suoi occhi capisco che è contento.
“Era ora che si svegliasse, sa? Ci ha fatto prendere uno spavento. Credevamo che ormai avesse tirato le cuoia, non so se mi spiego.”
In un attimo, tutto mi torna in mente.
Il combattimento, i colpi, la pallottola. Le braccia dei miei uomini che mi sollevano da terra. Le urla. I mio cuore che smette di battere. Il mondo che svanisce.
“Cosa è successo?” domando piano, passandomi una mano sugli occhi.
“L’hanno colpita al fianco durante l’ultima missione.” risponde, infilandosi uno stuzzicadenti tra le labbra gonfie “Era una brutta ferita ed ha perso i sensi quasi subito. L’abbiamo portata al campo immediatamente, io e un paio di ragazzi. I medici erano preoccupati, pensavano che non ce l’avrebbe fatta, ma hanno comunque tentato il tutto per tutto, e alla fine le sue condizioni si sono stabilizzate. Ha dormito per, tre, quattro giorni, ma be’, eccola qui!” fa un sorriso storto , ed io istintivamente allungo la mano verso il fianco, dove avverto un dolore intensissimo, anche se molto più leggero rispetto a quello sul campo di battaglia.
Il volto di Dàin si scurisce, e mi ferma la mano con un gesto imperioso, in modo che non possa sollevare la maglia per osservare la ferita “E’ meglio che non guardi, è uno brutto spettacolo. Profonda, infetta e non so che altro. Per sapere qualcosa di questa robaccia dovrà aspettare il dottor Watson, temo. A proposito, vado a chiamarlo e a dire ai ragazzi che si è svegliato. Erano preoccupatissimi, sa?”.
Si alza dalla sedia pieghevole e si stiracchia, per poi allontanarsi con un altro grugnito ed uscire dalla tenda medica dopo avermi lanciato un ultimo sguardo sollevato.
 
Sospiro e chiudo gli occhi, mentre dentro di me ripenso a quel poco che ricordo di quel momento, e ciò che mi colpisce per prima sono l’ultima voce che ho sentito, quella voce che mi chiamava per nome, e quegli occhi che mi è parso di vedere prima di perdere i sensi.
Gli stessi che ho ritrovato in quello strano sogno, prima di risvegliarmi dal mio sonno di morte.

“Bilbo . . .”

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Capitolo 3
*** Capitolo 2- Vuoto ***


Capitolo 2 – Vuoto
 
 
 
E ti senti il vuoto dentro.
 
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“Finalmente hai deciso di tornare tra noi, Durin.”.
Nel sentire quella voce, familiare e confortante, apro gli occhi, per vedere un medico militare osservarmi con un lieve sorriso sul volto abbronzato, gli occhi scuri attenti ma sollevati.
“Watson” lo saluto, con voce roca, un accenno di sorriso sulle labbra “Dain mi ha detto che mi avete praticamente tirato fuori dalla tomba, tu e gli altri.”
“Già, mi devi un favore. Di nuovo.” commenta lui, passandosi una mano tra i corti capelli color biondo cenere.
Conosco Watson da anni; l’ho visto ricucire e riportare alla vita più ragazzi di quanto voglia ricordare, e più volte ha rimesso insieme i miei pezzi, da quando siamo entrambi qui in Afghanistan.
Faccio per mettermi a sedere, trattenendo a stento un gemito di dolore, e subito lui inizia a controllarmi il battito e alcune ferite superficiali che ho riportato nello scontro “Come ti senti?”.
 “Pronto a ritornare subito sul campo.” ribatto, ignorando le intense fitte che avverto al fianco e i forti brividi che mi attraversano la pelle.
Una smorfia triste si forma sul viso del medico “Dubito che potrai farlo molto presto, Scudodiquercia.”.
Gli lancio uno sguardo affilato, quello che fa scattare immediatamente sull’attenti i miei uomini, quasi terrorizzati “Stai scherzando.”
Lui scuote la testa, lentamente “Negativo. Sei conciato molto male. In teoria, non dovresti nemmeno essere vivo.”.
“In teoria.” ringhio “Eppure sono qui, e non ho alcuna intenzione di lasciare i miei uomini a combattere da soli.”
”Ai tuoi uomini non servirai a molto, se non riesci nemmeno a reggerti in piedi.” commenta, dopo aver poggiato una mano sulla fronte per sentirmi la temperatura “Su, sollevati la maglia, così vedo in che condizioni è il fianco.” .
Sbruffo, ma con un po’ di fatica faccio come mi ha detto.
Lui inizia subito a togliermi le bende, macchiate di sangue secco e di una strana sostanza verde che non riesco a riconoscere, e quando finalmente la ferita compare entrambi tratteniamo il fiato.
E’ grande, ricoperta di sangue fresco e secco e di quello stesso liquido verde-giallino presente sul tessuto sporco, e gran parte della pelle attorno ad essa è rossa e nera, e brucia come se fosse stata troppo tempo a contatto con un ferro ardente.
“Merda!” impreca Watson tra i denti, gli occhi che lanciano scintille, e si affretta a disinfettare la ferita e a cambiare le bende.
Quando finalmente finisce, solleva lo sguardo e mi guarda con serietà in volto “Te la senti di viaggiare, Durin?”.
Il tono, improvvisamente teso e duro, mi fa capire che senza ombra di dubbio che la situazione è anche peggiore del previsto.
“Per andare dove?”
“A Peshawar.” risponde quasi con un ringhio, stringendo i pugni.
Dentro di me ho un lieve fremito.
Peshawar.
 “Se parti subito, forse hai ancora qualche possibilità.”
L’ospedale militare per i casi disperati.
Stringo i denti, mentre dentro di me maledico ogni divinità esistente e non.
“D’accordo.”
L’ospedale da cui si esce solo in due modi.
Su una sedia a rotelle o in una bara.
 
 
.o0O0o.
 
 
Mi agito nel letto, gli occhi chiusi e le labbra semiaperte, mentre sento tutto il corpo come avvolto da un terribile incendio, ma allo stesso tempo scosso da incontrollabili tremiti.
 
Non so da quanto tempo sono in questo stato, non so nemmeno dove sono di preciso; i miei ricordi e i miei stessi pensieri sono confusi dalla febbre che mi ha assalito dopo il mio risveglio.
L’ultima cosa che riesco a ricordare con chiarezza è che ho iniziato ad avvertire i dolori diventare sempre più forti durante il mio veloce trasferimento a Peshawar, e poi tutto è diventato confuso.
 
Non solo i pensieri e i ricordi, ma anche le sensazioni, gli odori, le immagini, i suoni.
 
Tutto si mescola insieme, trascinandomi in qualcosa che non riesco, non posso comprendere, simile a una gigantesca ragnatela fatta di oscurità, dove non posso orientarmi né muovermi.
 
La realtà, o almeno quella che credo sia la realtà, si fonda con altro, parti malati della mia mente sofferente, forse, tanto che ormai faccio fatica a distinguerla da tutto il resto, da tutto ciò che non può, non deve essere reale.
 
Momenti di agitazione e di lotta si alternano a placidi e sofferenti attimi di abbandono al dolore, di resa, di silenzioso annullamento costellato di sofferenza, di vuoto pieno di tutto.
 
Ansimo, alla ricerca d’aria e sollievo, stringo le mani e tiro calci all’aria, e poi mi lascio andare ai fili di questa gigantesca ragnatela, mi accascio tra le lenzuola zuppe del mio sudore e sprofondo nella confusione che mi culla, incurante che le figure che mi circondano, vestite di bianco o di colori vivaci e pesanti pellicce, siano reali o meno.
 
E così, in bilico tra due limbi che ormai hanno smarrito i rispettivi confini, io mi perdo, e dentro di me invoco la fine di tutto.
 
 
Bilbo Baggins, vorrei presentarti il capo della nostra compagnia, Thorin Scudodiquercia.”
 
Una figurina esile, dai ricci capelli ramati, mi osserva confusa, e io faccio altrettanto, scrutando ogni suo singolo dettaglio come se stessi studiando una merce preziosa.
 
“Dunque, questo è lo hobbit.”
 
Lentamente prendo a girargli attorno, e posso leggere nel suo sguardo intenso e profondo la confusione, lo smarrimento, la suggestione.
 
E, dentro di me, so già che quella creaturina così insignificante avrà un ruolo importante d’ora in avanti, nel bene e nel male.
 
 
Un ago mi viene infilato nella pelle, ma quasi non lo avverto, il dolore troppo forte per dar peso a quel lieve pizzicore.
 
Un paio di occhiali riflettono la luce del sole e per un attimo mi ricordarono la brillantezza e la purezza del cristallo, prima che una nuova fitta al fianco mi strappi un gemito.
 
“Andrà tutto bene, soldato.”
 
Una voce gutturale, lontana, cerca di confortarmi, ma la mie mente è già di nuovo preda della confusione e della febbre, e tutto quello che posso fare è stringere con forza i pugni, nella speranza che tutto finisca presto.
 
 
“So che dubiti di me. Lo so, lo so. Lo hai sempre fatto.”
 
Un paio di occhi blu, sinceri, limpidi, senza rancore o rabbia, sono fissi nei miei, mentre quel piccolo uomo dal volto buono e dalla voce serena mi scruta senza timore, parlando liberamente nonostante conosca fin troppo bene la poca fiducia che ripongo in lui.
 
“E hai ragione: penso spesso a Casa Baggins. Mi mancano i miei libri. E la mia poltrona. E il mio giardino. Vedi quello è il mio posto. È casa mia. Perciò sono tornato. Perché... voi non ce l'avete... una casa. Vi è stata portata via. E voglio aiutarvi a riprendervela se posso.”
 
C’è sincerità, nelle sue parole, e coraggio, e dolcezza, e improvvisamente non riesco più a sostenere quello sguardo così sincero e puro, lo sguardo di chi è disposto a tutto per aiutare qualcuno che ha bisogno, qualcuno a cui, in qualche strano, malsano modo, tiene.
 
Noi.
 
Me.
 
Abbasso gli occhi, mentre dentro di me sento bruciare un’emozione che mai avevo avvertito prima di quel momento, e quando li rialzo per incontrare di nuovo quelli di lui qualcosa, tra noi, scatta.
 
Ed è lui, ora, a non riuscire a sostenere il mio sguardo.
 
 
Gemo, mentre qualcuno mi posa un panno umido sulla testa, come se un po’ d’acqua potesse spegnere il calore infernale che mi sta distruggendo dentro.
 
“L’avvelenamento del sangue è più esteso del previsto, e la febbre non vuole saperne di scendere. Se continua così, non resisterà ancora a lungo.”
 
Forse è delusione, quella che fa quasi incrinare quella voce sconosciuta, o è solo stanchezza per un altro, lungo lavoro inutile.
 
Non ho nemmeno la forza di voltarmi verso la voce secca che ha appena dichiarato il mio destino.
 
Tutto quello che riesco a fare è socchiudere gli occhi per guardarmi attorno un’ultima volta, o almeno provarci.
 
I camici bianchi, simili a pallidi spettri, continuano a muoversi veloci attorno a me, nel rumore soffuso della notte, e l’unica cosa che riesco a pensare distintamente è perché semplicemente non mi lasciano andare.
 
Dopotutto, è compito di un buon soldato rendersi conto di quando è ora di arrendersi.
 
E questo è il momento di farlo.
 
 
“Thorin.”
 
Lo sguardo del piccolo uomo dai capelli ramati mi trapassa, simile a un pugnale, mentre la sua voce decisa mi ancora di più lo squarcio che sento nel cuore.
 
Mi avvicino a lui e gli sbatto malamente la mappa sul petto, non riuscendo a sostenere quello sguardo sempre così fiducioso.
 
“Non puoi abbandonare ora.”
 
Sono queste parole che mi seguono mentre mi allontanano, mentre sto abbandonando tutto quello per cui ho lottato.
 
Sono queste le parole che mi fanno fermare, l’anima divisa tra fiducia e sconforto.
 
Sono queste le parole che mi fanno voltare per tornare indietro, indietro dalla mia speranza.
 
Indietro da lui.
 
 
Delle lunghe dita sottili mi sfiorano la fronte calda e mi spingono indietro alcuni ciuffi di capelli.
 
La voce che mi raggiunge è molto più dolce e delicata delle precedenti, e le sue parole, lievi, ma calde come tinozze ardenti, mi riaccendono qualcosa dentro.
 
Una mano, la sua mano, è stretta attorno alla mia, e posso avvertire il suo corpo caldo premuto contro il mio,  il suo respiro sul mio viso, la disperazione e quel sentimento così spaventosamente grande nella sua voce.
 
“Si faccia forza, capitano Durin. Resista. Ci sono delle persone da cui deve tornare. Persone che la stanno aspettando. Persone che hanno bisogno di lei.”
 
E il mio pensiero va a un paio di occhi blu intenso.
 
“Non lasciarmi.”
 
 
‘Tornerò da te, amore mio. Te lo prometto.’
 
 
Un nome, un solo nome, sfugge alle mie labbra esangui.
 
“Bilbo . . .”
 
 
.o0O0o.
 
 
La luce mi ferisce gli occhi, e devo aprirli e chiuderli numerose volte per riuscire a mettere a fuoco, con fatica, ciò che mi circonda.
La prima cosa che riesco a notare è il viso, dolce e gentile, di una donna dai lunghi capelli biondi ed intrecciati.
Faccio per sollevare il viso, ma ogni mio gesto viene anticipato dalla voce musicale della donna.
“Finalmente si è svegliato, capitano Durin.”
 “Dove . .  cosa . . .” la mia voce esce fuori a fatica, come se non mi appartenesse più, e la giovane donna muove appena la testa per impedirmi di continuare.
“Non si sforzi, non è il caso. Si trova a Peshawar da quasi una settimana, ed è stato in bilico tra la vita e la morte a lungo. In seguito alla ferita ha contratto una forte infezione, che ha causato una febbre smisurata e uno sproporzionato avvelenamento del sangue. Il responsabile del reparto si occuperà di spiegarle tutti i particolari della sua situazione appena sarà un po’ più in forze.”
La dottoressa – o almeno credo sia una dottoressa- mi fa un piccolo sorriso luminoso e rassicurante e continua a parlare, mentre si tira indietro un ciuffo ribelle di capelli.
“Per ora posso dirle solo che è fuori pericolo. Ormai la febbre è molto più bassa di prima e i farmaci stanno finalmente facendo effetto. Non dovrebbero esserci altre complicazioni.”
“Io . . . devo tornare sul campo.” mormoro, cercando di mettermi a sedere “I miei ragazzi . . .”
Il suo volto si scurisce, e nei suoi occhi chiari posso scorgere, almeno per un attimo, una punta di tristezza.
“Di questo ne parleremo più avanti, quando starà meglio.” sussurra, mentre con una mano ferma il mio tentativo.
“Ora lei pensi solo a riposare. Dorma un po’, se ci riesce.”.
  Il suo sguardo trema per un attimo e si sofferma esitante sul mio fianco fasciato, con una punta di esitazione negli occhi.
Come se ...
Si alza dal mio capezzale e fa per andarsene, ma poi si volta verso di me e mi guarda con un lieve sorriso sulle labbra sottili.
“Ha lottato molto duramente, capitano. Chiunque sia la persona per cui si è attaccata così disperatamente alla vita, sono certa che ne è valsa la pena.”
A quelle parole il mio pensiero non va, come avrei immaginato in simili occasioni, ai miei uomini o alla mia famiglia rimasta in patria, ma a quel paio di occhi blu intenso, sconosciuti eppure familiari, e a quel nome dal suono così lontano eppure così vicino, ed all’improvviso mi ritrovo ad abbassare lo sguardo.
E, dentro di me, stranamente, avverto qualcosa che credevo impossibile da provare, almeno in questa vita.
 
 
.o0O0o.
 
 
Osservo con aria torva il responsabile del reparto, un uomo alto, dai lunghi capelli castani, che mi scruta con aria illeggibile, e la dottoressa dal volto dolce al suo fianco.
“Come lei sa, capitano” inizia a dire il medico, senza alcun preambolo o esitazione “Sul campo, oltre a una serie di ferite minori ottenute durante lo scontro, è stato colpito da un proiettile nemico al fianco destro. La ferita era molto grave e profonda, ma con il soccorso quasi immediato del suo medico militare è riuscito a sopravvivere alcuni giorni ed a riprendere i sensi.
Purtroppo, però, in quei giorni di incoscienza la ferita si è infettata, causando non solo una forte febbre che ha iniziato ad avvertire durante il suo trasferimento, ma un esteso avvelenamento del sangue, che l’ha quasi portata al decesso.
Fortunatamente, i farmaci e le cure hanno avuto un effetto quasi miracoloso su di lei, tanto che la febbre è completamente scomparsa nel giro di una settimana e siamo riusciti ad evitare danni esageratamente gravi agli organi vitali.”
 
Una piccola fiamma di sollievo mi si accende dentro.
Quelle parole, per quanto fredde, mi rassicurano un po’.
Niente danni a cuore e polmoni. Niente danni importanti, per lo meno.
Più di quanto potessi sperare.
 
Il medico deve aver notato il sollievo sul mio volto, perché sollevaimpercettibilmente un sopraciglio e continua a parlare, con lo stesso tono di prima.
“Nonostante ciò, gli effetti della ferita e di questo prolungato ed oltremodo aggressivo avvelenamento sul suo organismo sono abbastanza estesi.”
Sobbalzo, confuso “Ma avete appena detto che . .”
“... non ci sono danni eccessivamente gravi agli organi vitali, ed è così.” completa per me l’uomo  “E’ l’interezza del suo organismo ad essere danneggiata, anche se non in modo molto evidente. Nelle sue vene il sangue infetto ha scorso per troppo tempo, lasciando danni considerevoli al suo corpo in generale. Troppo sangue infetto, troppi virus per troppo tempo l’hanno attaccato ed indebolito per troppo tempo.”
Il sollievo che avevo avvertito poco prima scompare, per essere sostituito solo dal gelo.
“La sua salute è irrimediabilmente compromessa. Il suo sistema immunitario non sarà mai più come quello di una volta, così come le abilità del suo corpo, e la debolezza sarà una costante nel suo corpo. Per non considerare la profondità della ferita, che ci metterà mesi a guarire del tutto e che limiterà moltissimo i suoi movimenti. Azioni prima semplici potranno essere faticose o pesanti, anche se ciò migliorerà con il passare del tempo, e la possibilità di malattie future è incredibilmente alta.”
Per un attimo, mi sembra di vedere un barlume di esitazione nel suo sguardo, che volta la testa verso la donna, mentre io, lentamente, unisco i puntini.
“Purtroppo, alla luce di questa nuova situazione” continua per lui la bionda, con la voce piena di rimorso  “per lei anche un paio di giorni sul campo di battaglia sarebbero fatali.”
Dentro di me, qualcosa si spezza.
“Mi state dicendo che non potrò . . .” la voce per un attimo mi si blocca in gola, ma quasi facendo violenza contro me stesso mi costringo a buttarla fuori, stringendo con forza il lenzuolo tra le mani come se volessi strapparlo “ . . . non potrò più combattere.”.
La dottoressa ha la decenza di abbassare lo sguardo, mentre l’uomo non ha alcun tipo di reazione.
“Mi dispiace.” mormora lei, e nella sua voce posso avvertire vera tristezza, ma è come se non la sentissi. “Mi dispiace tantissimo.”.
Resto in silenzio, lo sguardo vuoto fisso sui loro volti.
 
Non ho più parole, dentro di me, non più.
In fondo, cosa si può dire, quando il proprio mondo cade a pezzi?
 
Il medico riprende a parlare, come per riempire quel silenzio scomodo, pieno di troppo e di niente, ma le sue parole mi scivolano addosso come acqua.
“Ci siamo già occupati di preparare tutto per il suo rientro in patria. La sua famiglia, o meglio i pochi membri che siamo riusciti a contattare, sa già tutto. Potrà partire tra una settimana al massimo, insieme ad altri pazienti di questo ospedale.”
Mi fissa, come se si aspettasse una risposta da parte mia, ma io non apro bocca, e dopo un po’, con qualche fredda frase di circostanza, i due messaggeri di morte vestiti di bianco se ne vanno.
 
E io resto da solo, con i frammenti spezzati della mia vita ormai inutile tra le mani e il vuoto dentro di me.
 
 
 
 
 
 
 
La tana dell’autrice
 
I’m back! Miss me?
 
D’accordo, questa volta le note saranno mooolto lunghe, ma durante l’ultimo aggiornamento non ho avuto modo di aggiungere molto, quindi devo rimediare ora.
Per prima cosa mi scuso per il ritardo sia nel pubblicare sia nel rispondere alle recensioni. Purtroppo sono costretta a limitare il mio tempo al computer e quel poco che ho lo uso principalmente, oltre che per trascrivere ciò che scrivo a mano, per vedere le puntate di Merlin –perché si, adesso mi sono fissata con Merlin, non so nemmeno io il motivo- prima che la mia partenza per Catanzaro, perché non POSSO aspettare di tornare a metà agosto per vedere come va a finire –cioè, più o meno lo so già, perché non sono mai riuscita a stare lontana dagli spoiler in vita mia, ma beh, mi avete capito, spero-.
Per le recensioni, che comunque ho letto e di cui vi ringrazio già ora, farò in modo di rispondere il prima possibile, promesso!
 
Tornando alla storia . . .ecco, qui abbiamo di nuovo i nostri idioti preferiti, lontani in tutto, come lo erano già in passato, eppure vicini dentro. Bilbo è uno scrittore di successo, al momento senza ispirazione a causa di noi-sappiamo-chi (no, non Voldemort), che però conduce una vita silenziosa e tranquilla, mentre il nostro Thorin è un Capitano in stanza in Afghanistan, ferito gravemente in combattimento e, beh, costretto a rinunciare per questo a tutto il suo mondo.
Si, da questo capitolo in avanti prediligerò volta per volto il punto di vista di un solo personaggio –magari ad eccezione dei momenti più importanti-.
Il dottor Watson che fa la sua comparsa all’inizio capitolo è un piccolo cameo a un altro, meraviglioso ruolo del nostro caro Martin, il John Watson della serie BBC Sherlock, che io venero e stravenero. E’ vero, come avete notato voi nelle vostre recensioni, fa un po’ strano avere sia John che Bilbo nella stessa fic, ma non ho potuto davvero resistere alla tentazione di inserirlo. In fondo, per quanto siano interpretati dallo stesso fantastico attore sono due personaggi moooolto diversi –cioè, hanno entrambi ‘na sfiga pazzesca in amore, cioè, prendiamo la fine che fa Thorin e la quasi fine che fa Sherlock (perché si, per chi non lo sapesse shippo alla follia anche la Johnlock), ma anyway- . E poi, visto che nella mia fantasia questa fic è ambientata più o meno nel 2008-2009 e al momento dell’inizio di questa storia Thorin si trova a combattere in Afghanistan mi sembrava quasi obbligatorio fare una scena con loro due insieme.
Per quanto riguarda la ferita di Thorin e il suo successivo congedo dall’esercito, beh, mi sono informata su internet, ma non sono una studentessa di Medicina o roba simile, quindi dubito di essermi espressa bene nel spiegare la natura della sua ferita e le sue complicazioni . . . se ci sono imprecisioni o sbagli –e sono certa che ce ne sono-, vi chiedo scusa e cercherò di chiarire più avanti.
 
Ok, credo che sia tutto . . . come al solito, grazie di cuore di aver letto! Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e per qualsiasi consiglio o suggerimento non esitate a contattarmi.
 
Un abbraccio
 
T.r.

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 – Calore ***


Capitolo 3 – Calore
 
 
Anche quando non ci sei, io mi giro a cercarti.
-Grey’s Anatomy
 
 
 
“Tu. Cosa credevi di fare?”
 
“Thorin, io . . .”
 
La voce forte e roca dell’uomo che mi sta davanti mi ferisce come una lama affilata, e mi ritrovo costretto ad abbassare lo sguardo, incapace di sostenere quel vuoto che mi sembra di scorgere nei suoi occhi color del ghiaccio.
 
“Non ti avevo detto che saresti stato un peso? Che non saresti sopravvissuto alle Terre Selvagge? Che non c'è posto per te tra noi?”
 
Continua a parlare, avvicinandosi impercettibilmente a me, incurante del gelo che le sue parole mi insinuano dentro, ma quando improvvisamente il suo tono cambia mi ritrovo ad alzare stupito lo sguardo, prima di venir stretto dalle sue braccia forti e stranamente calde.
 
“ Non mi sono mai sbagliato tanto in vita mia.”
 
Sussurra, e dentro di me quel gelo svanisce, per essere sostituito dall’incredulità, dal sollievo, dalla felicità.
 
Mi ritrovo a rispondere quasi timidamente all’abbraccio, e posso sentire addosso a me il suo calore, quel calore che mi accende un fuoco dentro di cui, lo sento, non riuscirò a liberarmi nemmeno dopo la morte.
 
 
“Th-Thorin . . .”
 
 
“Dovresti dormire, mastro Baggins.”
 
Nel sentire quella voce sobbalzo appena, e quando mi volto incontro lo sguardo profondo ed insondabile di un uomo dai lunghi capelli color della notte, quello sguardo che ogni volta mi fa tremare il cuore.
 
“Si, l-lo so, ma ecco, io..”
 
Non so cosa rispondere e resto in silenzio, mentre mi strofino le mani livide l’una contro l’altra, nel vano tentativo di alleviare un po’ il freddo pungente che mi impedisce di chiudere occhio.
 
Lui mi scruta per qualche secondo, si avvicina a me e, inaspettatamente, si sfila la pesante pelliccia di cui non si priva mai e me la poggia sulle spalle, in un gesto inaspettato e dolce.
 
Sollevo lo sguardo su di lui, confuso, le guance improvvisamente rosse, e nei suoi occhi vedo chiaramente lo stesso fuoco che ormai da tempo mi brucia dentro.
 
“Non voglio che il mio scassinatore si riduca a un ghiacciolo tremante.”
 
Spiega, ma nella sua voce c’è qualcosa di trattenuto, e tremo impercettibilmente nel sentire quelle parole lasciare le sue labbra.
 
Il mio scassinatore.
 
“Vedi di riposare, domani ci attende una lunga giornata.”
 
Mi dice con un piccolo sorriso, mentre mi sfiora delicatamente una mano con le dita, e poi se ne va, silenziosamente come è arrivato, lasciandomi avvolto in quel mantello che sa di lui.
 
Mi stringo nella pelliccia, chiudendo gli occhi e perdendomi nel calore che emana, il cuore stretto teneramente in una morsa tutta sua.
 
 
 
‘Tornerò da te, amore mio. Te lo prometto.’
 
 
“No, ti prego, no . . .”
 
 
Stringo disperatamente quel corpo sempre più freddo tra le mie braccia, come se volessi donargli io stesso il calore di cui ha bisogno per continuare ad esistere, anche se dentro di me so che è tutto inutile, e continuo a chiamare, a chiamare il mio re, ad invocarlo, a pregarlo.
 
“Non lasciarmi! Ti prego, non lasciarmi!”
 
Ormai non può più sentirmi, eppure continuo a pregare, trattenendo con testarda ostinazione il dolore, che però diventa sempre più forte man mano che scende la neve sul mondo e sulla mia anima.
 
“Le aquile, vedi? Le aquile stanno arrivando. Thorin, io . . .”
 
Nascondo il volto nel petto ormai silenzioso e scoppio in lacrime silenziose, mentre il fuoco che ho dentro, divenuto ghiacciato, annulla tutto il resto.
 
“Io . .  io ti .  . . ”
 
 
Spalanco gli occhi e mi metto a sedere, la mano stretta a pungo sopra il cuore, come se mi facesse male.
Resto a fissare il vuoto per qualche istante, le immagini di quel sogno così dannatamente vivido impresse a fuoco nei miei occhi, fino a quando un lungo, prolungato suono, probabilmente la causa del mio improvviso risveglio, mi fa saltare in piedi.
 
“Driiiing!”
 
“Arrivo, arrivo!” esclamo, mentre nella foga di andare ad aprire inciampo nel tavolino ed impreco tra me e me.
Saltellando sull’unico piede sano e tenendomi quello dolorante, attraverso il soggiorno ed arrivo alla porta d’ingresso, che apro con un grugnito esasperato.
Due limpidi occhi azzurri mi scrutano divertiti.
“Brutto momento?” chiede una voce profonda e divertita, arricciando un angolo della bocca.
“Solo un tavolino dispettoso.” rispondo, passandomi una mano tra i capelli con una smorfia “Entra pure, Gandalf.”.
Il mio amico sorride ed si infila dentro fischiettando sommessamente.
Una volta arrivati in salotto, si accomoda sulla vecchia poltrona verde muschio di mio padre, mentre io mi lascio cadere nuovamente sul divano sotto il suo sguardo attento.
“Hai una brutta cera, mio caro Bilbo.” osserva, aggrottando le sopraciglia cespugliose.
Faccio un segno di diniego “E’ solo un po’ di stanchezza.” mormoro, cercando di liquidare in fretta la faccenda. Non mi va di parlare anche con lui di ciò che mi sta accadendo, non con Bofur che praticamente insiste a discuterne un giorno si e l’altro pure.
“Un po’?” ripete il vecchio “Sembra che tu stia per svenire da un momento all’altro, e quel pallore e quelle occhiaie non aiutano certamente.”.
Stringo le labbra, infastidito da quelle osservazioni, anche se vere “Sono sotto stress per il nuovo libro.” ammetto infine, sperando così di zittirlo “E ho difficoltà a dormire, ma oltre a questo non è niente, davvero.”.
“Uhm.” non sembra molto convinto, ma qualcosa nel mio sguardo lo convince a lasciare stare e così si china a prendere un foglio accartocciato per terra “Stavi lavorando?” domanda incuriosito, lisciando la carta ed osservando i segni incomprensibili scarabocchiati sopra.
“Ci stavo provando.” lancio uno sguardo scoraggiato al portatile poggiato sul pavimento e alla marea di fogli e penne che quasi lo nascondono “Ma il sonno arretrato non aiuta.”.
Un sorrisetto sbieco gli si forma sul volto rugoso “Immagino. Comunque non demoralizzarti, da una di queste pennichelle fuori programma potrebbe nascere qualcosa.”.
“Stile ‘Lo strano caso del dottor Jekyll e mister Hyde’, intendi?” scuoto appena la testa “Dubito di poter essere così fortunato. E poi, servirebbe un sogno davvero straordinario per essere trasformato in una buona storia degna di essere pubblicata da ‘la Montagna e il Drago’.”.
Lo psichiatra si allunga per prendere un altro foglio, caduto poco prima dal divano “Andiamo, sappiamo entrambi che sei la punta di diamante di quella casa editrice. Sono certo che . . .”
Improvvisamente si interrompe e spalanca gli occhi, mentre un’ombra scura scende sul suo viso gioviale.
“Cosa c’è?” chiedo, osservandolo sorpreso e sporgendomi verso di lui.
Il vecchio alza lo sguardo e nei suoi occhi, improvvisamente seri. “Cos’è questo?” domanda, porgendomi il foglio.
Lo osservo e per un attimo mi sento sprofondare.
Su quel foglio c’è scritta una sola parola, un solo nome, ripetuto all’infinito.
Thorin.
“Non . . .” mi inumidisco le labbra, improvvisamente incerto “ . . . non è niente. Devo averlo scritto prima, soprapensiero, senza rendermene conto.“.
Il suo sguardo è così serio da farmi quasi indietreggiare “E perché l’avresti scritto?”.
“Io . . . non lo so. E’ solo un nome che ricorre spesso, nei miei sogni, e mi è uscito così.”
Per un momento mi sembra quasi che sia impallidito, ma poi, quando riprende a parlare, il suo tono è fermo e deciso “E da quanto tempo continui a fare questi sogni, Bilbo?”.
Esito, il respiro bloccato in gola “Tre mesi e mezzo.” mormoro infine “Ogni volta che mi addormento.”
Le sue pupille si allargano dallo stupore “E perché non me lo hai detto prima?!” esclama, gli occhi che mandano lampi. Per un attimo, la stanza diventa un po’ più scura, come se il timido sole di aprile fosse scomparso.
“Perché non ne vedevo e non ne vedo neanche adesso l’importanza!” ribatto, stanco di quel tono e di quella specie di interrogatorio “Sono solo sogni, Gandalf, ok? Forti, e travolgenti, e a tratti così dolorosi da farmi male, ma sono solo sogni. Solo sogni. E questa non è una delle tue sedute da strizzacervelli, quindi, di grazia, smettila! Smettila!”.
Quasi senza accorgermene, mi ritrovo in piedi, a urlare contro la persona che più mi ha aiutato in questi lunghi anni di amicizia e che è sempre, sempre stata dalla mia parte.
Mi accascio sul divano, coprendomi il viso con una mano e sentendo il rimorso pungermi forte il cuore.
“Scusami, Gandalf.” sussurro, la voce spenta “Io . . . è una cosa di cui non mi va di parlare. Cioè, prima forse di più, ma adesso . . . non posso, semplicemente. E’qualcosa . . . che devo tenere per me, in qualche strano modo. Scusa.”.
Gandalf sospira, un sospiro piccolo eppure pesante, che sa di cose non dette e di passato “Non devi scusarti, ragazzo mio. Hai ragione, ho esagerato un po’.” Mi scruta, i grandi occhi limpidi che mostrano tutto il peso dei suoi anni e delle sue preoccupazioni “Voglio solo aiutarti, tutto qua. Dopotutto, ho promesso a tua madre di prendermi cura di te.”
Le mie labbra si piegano in un piccolo, impercettibile sorriso “Lo so. Ma dovresti sapere che non sono più un ragazzino, Gandalf. So badare a me stesso.”.
Lui annuisce, silenziosamente “Purtroppo, a volte ho difficoltà a ricordarmelo. Un classico e fastidioso problema dei vecchi malinconici come me, suppongo.”.
Sollevo appena un sopraciglio “Malinconico, tu?”.
“Non sai quanti ricordi si porta dietro questo vecchio cuore.” mi dice, indicandosi il petto “Molti dei quali non proprio dolcissimi. Dopo tanti anni, iniziano a pesare, sai?”.
Mi sorride con dolcezza e si alza, stringendo con forza il suo vecchio e malandato bastone da passeggio “E’ ora che io vada, ho un paziente tra mezz’ora.”.
A quelle parole, mi sbatto una mano sulla fronte “Cielo, la riunione con Balin di mezzogiorno!” esclamo, saltando in piedi e controllando l’orologio “Me n’ero completamente dimenticato.”.
Gandalf scuote lievemente la testa, divertito “Cosa mai ci metterai in quella tua testolina per dimenticarti sempre tutto, io non l’ho ancora capito.” borbotta, mentre lo accompagno alla porta “Meglio che fili a prepararti. Non credo che il tuo editore, per quanto affezionato, sia molto propenso a perdonare un tuo ennesimo ritardo.”.
Prima di uscire, il mio amico si volta verso di me un’ultima volta, lo sguardo serio come poco fa “Se mai sentissi bisogno di parlare, comunque, ricordati che puoi contare su di me.”.
Non ho nemmeno modo di rispondergli che lui si allontana, il naso per aria e il bastone stretto tra le mani come una spada.
 
 
.o0O0o.
 
 
Il sorriso di Balin è gentile come al solito quando mi fa segno di sedermi di fronte a lui, ma comunque non mi sento a mio agio e mi passo distrattamente una mano tra i capelli, come a volerlo nascondere.
Borbotto una parvenza di saluto e lui mi sorride, offrendomi una tazza di caffè –macchiato, con tre zollette, come ogni venerdì da quindici anni a questa parte-.
“Hai l’aria sciupata.” commenta, osservandomi con un sopraciglio alzato mentre rigiro con un cucchiaino la bevanda “Stai bene?”.
Annuisco, cercando di sembrare più tranquillo di quanto io sia in realtà “Solo un po’ di stanchezza.” spiego, utilizzando la stessa mezza verità rifilata poco prima a Galdalf.
Il volto del mio editori si scurisce “Dovresti riposare un po’, ragazzo.” commenta con fare paterno “Saranno settimane che quelle brutte occhiaie ti circondano gli occhi. Ormai stanno diventando così scure da farti sembrare quasi un panda.”
Fingo un sorriso divertito e sorseggio il caffé, per poi poggiare la tazzina sul tavolo “Recupererò presto, non si preoccupi.”.
I suoi occhi gentili mi scrutano seri “Lo spero davvero.” mormora, il tono cupo “L’unica persona che ho visto in uno stato simile al tuo è mio cugino, e questo non è affatto un bene, da’ retta a me.”.
Qualcosa, in quelle parole, mi fa sobbalzare, e dentro di me è come se sentissi un campanello di allarme.
Improvvisamente, un paio di occhi color del ghiaccio mi riempiono la mente.
“Suo cugino?” domando, e devo concentrami per non farmi tremare la voce.
Balin annuisce, stringendo con forza le labbra “Si, mio cugino più giovane. E’ tornato un paio di mesi fa, più o meno, da un lungo servizio in Afghanistan.”.
Abbassa lo sguardo, come se avesse detto troppo, e prima che possa aggiungere qualcosa lo risolleva ed esclama “Ma tornando a noi, come procede con il nuovo manoscritto?”.
Mi ci vuole qualche istante per ricollegarmi con il mondo reale e tornare nell’ufficio del mio editore, ma quando ci riesco mi limito a stringere con forza le mani in una morsa e a scuotere la testa “Sono ancora bloccato.” mormoro, con voce strozzata “Cioè, ho in mente un paio di idee, ma non riesco proprio a svilupparle, né a metterle su carta.”.
Lui annuisce, come se se lo aspettasse “Capisco.”.
Mi affretto a continuare a parlare, agitandomi man mano che le parole mi escono dalle labbra, quasi dotate di volontà propria “Ho provato alcuni dei classici trucchi, sa, rileggere vecchi libri, tirare fuori vecchie bozze, spunti abbandonati o racconti di infanzia, giocare con proverbi e poesie, roba così, e sono certo che presto riuscirò a portarle almeno le brutte di qualcosa, per vedere se, ecco . . .”
“Bilbo, calmati.” mi fa dolcemente, sporgendosi verso di me “Va bene così. Sta tranquillo. So che per te è difficile da accettare, ma è normale che tu abbia un periodo di blocco. Succede a tutti, sai? Dopotutto, scrivi senza mai alcuna interruzione da tanti anni. Un paio di mesi senza ispirazione cosa vuoi che siano nella lunga vita di uno scrittore abile come te?”
“Io non sono mai stato senza scrivere, Balin.” sbotto “E sono già passati quasi quattro mesi . . .”
“Quattro mesi che ti hanno ridotto a un rottame.” mi interrompe lui “Ascoltami, ragazzo: stai prendendo questa cosa troppo seriamente. Ti stai auto-distruggendo. Fermati per un po’. Metti via penna e computer e per qualche tempo pensa solo a riposarti. Lascia la città, magari, e vai in vacanza da qualche parte. Dimenticati delle parole e vedrai che saranno le parole a cercare te. Meno ci penserai, e prima l’ispirazione tornerà. Lascia stare la scrittura, e vedrai che sarà la scrittura a cercare te. D’accordo?”
“Io . . .” esito, il cuore che urla a quelle parole che, seppur gentili, mi stanno uccidendo dentro.
Balin si alza e mi si avvicina, posandomi affettuosamente una mano su una spalla “Non te lo dico solo come editore, ragazzo, ma come tuo amico. Riposati. Prenditi il tuo tempo. Sono certo che, prima di quanto immaginiamo, sarai qui con un altro splendido romanzo tra le mani. Anzi, con il tuo capolavoro.”.
Ci sono così tanta fiducia ed affetto che non posso far altro che annuire e alzarmi dalla sedia, per venir guidato con gentilezza fuori dall’ufficio, mentre dentro di me ho come la terribile paura che questo segni la fine di qualcosa.
Quando, con un ultimo sorriso, Balin mi saluta e ritorna dentro, io resto lì, in mezzo a quel corridoio che tante volte ho attraversato, pieno di sogni, di speranze e di storie, negli ultimi anni, a fissare il nulla.
 
Ed è in quel momento che mi sento trafiggere da uno sguardo affilato e freddo, eppure in qualche modo terribilmente familiare.
Mi volto improvvisamente verso le scale, con il cuore che batte forte, e per un attimo mi sembra di scorgere un viso severo e bellissimo ed un paio di occhi color del ghiaccio fissi nei miei.
Sbatto velocemente le palpebre, il respiro bloccato in gola, e quando riapro gli occhi al loro posto ritrovo solo il vuoto.
 
Mi porto una mano al cuore, mentre avverto quello stesso calore e quel fuoco che tanto mi tormentano ardermi dentro con la stessa intensità dei miei sogni.
 
La mia mente vola a una frase che, in questi lunghi mesi, ho sentito tante volte nel sonno, pronunciata da quella voce lontana a cui tanto vorrei dare un proprietario.
 
‘Tornerò da te, amore mio. Te lo prometto.’
 
Qualcosa, dentro di me, mi dice che, qualsiasi cosa stia per accadere, ho smesso di aspettare.


 

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 – Occhi blu ***


Capitolo 4 – Occhi blu
 
 
 
"And I remember you
(And all the things that we have planned)
And I remember you
(And all the things that set us free)
I will come back for you
And me

I've seen your eyes before"
 
-You and me
 
 
 
 
Il primo volto che vedo quando apro gli occhi è quello teso, ma in qualche modo sollevato, di un vecchio dai capelli grigi.
 
“Il mezzuomo?”
 
Domando in un sussurro con le poche forze che ho, mentre il mio cuore inizia a battere in modo innaturale al pensiero di ciò che può essere successo a quella incosciente e dannatamente sconsiderata creatura.
 
Il vecchio sorride ed indietreggia, mentre attorno a me i miei compagni mi aiutano ad alzarmi.
 
“Lui sta bene. Bilbo è qui, è salvo.”
 
Solo allora vedo il viso sollevato e luminoso del giovane hobbit, che sta di fronte a me e non riesce a trattenere un sorriso.
 
Il mio cuore si risolleva, ma solo per un attimo, perchè tutta la preoccupazione, l’ansia e la rabbia per quel suo gesto sconsiderato che poteva costargli la vita crescono così tanto da soffocare il sollievo che provo nel rivedere quei grandi ed ingenui occhi blu che mi fissano come se fossi un miracolo.
 
“Tu.”
 
Esclamo rude, la voce tesa, mentre lentamente avanzo verso il piccolo mezzuomo.
 
“Cosa credevi di fare? Ti sei quasi fatto uccidere.”
 
Lo hobbit sobbalza, spaventato dal mio tono e dall’oscurità che vede nel mio sguardo.
 
Il silenzio ci circonda, mentre l’aria diviene elettrica e tutti, compreso colui che mi sta davanti ed inizia impercettibilmente a tremare, trattengono il fiato.
 
“Non ti avevo detto che saresti stato un peso? Che non saresti sopravvissuto alle Terre Selvagge? Che non c'è posto per te tra noi?”
 
Ad ogni frase vedo il volto dello scassinatore diventare più teso e più triste, come se ogni mia parola fosse una pugnalata, ed alla fine lui abbassa lo sguardo a terra, l’anima piena di amarezza e di dolore.
 
Ed è in quel momento che il sollievo, la gratitudine e quella strana sensazione infuocata mai provata prima a cui non so dare un nome ritornano in superfice, ed il mio tono si trasforma totalmente.
 
 “Non mi sono mai sbagliato tanto in vita mia.”
 
Sussurro, per poi finalmente annullare la distanza che separa i nostri due corpi e stringerlo in una stretta che a lungo mi sono negato e che mai, prima di questo momento, ho donato a qualcuno.
 
Lo stringo contro il mio petto, sorridendo, e per un attimo lo sento tendersi e trattenere il respiro, prima di sorridere a sua volta e lasciarsi andare tra le mie braccia, mentre i battiti dei nostri cuori, ora così innaturalmente vicini, si mischiano tra loro in una sinfonia unica ed indiscernibile.
 
E, quando ci stacchiamo, i suoi occhi blu sono l’unica cosa che vedo.
 
 
 
 
“Bi-Bilbo . . .”
 
 
 
Un anziano guerriero dalla lunga barba mi osserva, mentre le alte guardie mi fanno entrare a forza nella mia cella.
 
“Allora? Ti ha offerto un accordo?”
 
Domanda subito, il tono concitato ed urgente.
 
“Si, l’ha fatto.”
 
Rispondo sbrigativo, la rabbia che ancora mi pervade dopo l’incontro con il sovrano dai lunghi capelli dorati e dalla voce di serpente.
 
“Gli ho detto di andare ishkh khakfe andu null! Lui e tutta la sua stirpe!”
 
Il vecchio sospira e chiude gli occhi, sconfortato.
 
 “Bene, è fatta. Un accordo era la nostra sola speranza.”
 
Sussurra, mentre riapre gli occhi e mi lancia uno sguardo quasi di biasimo.
 
Mi avvicino alle dure sbarre e guardo fuori, mentre improvvisamente al posto della rabbia torna una placida tranquillità e fiducia al pensiero dell’unico, tra noi, ancora libero.
 
“Non la nostra sola speranza.”
 
Ribatto fiducioso, mentre il volto del piccolo scassinatore dai riccioli ramati mi pervade la mente, ed i suoi grandi occhi blu scuro mi rassicurano dentro.
 
La mia vera ed unica speranza.
 
 
“Bilbo . . .”
 
 
“Mi hai fatto chiamare, Thorin?”
 
Mi volto lentamente verso quella voce tesa, quella voce che conosco fin troppo bene, ed i miei occhi si posano sulla figura piccola ed impacciata del giovane mezzuomo, che mi osserva con aria preoccupata.
 
Lascio scorrere il mio sguardo lungo tutto il suo corpo.
 
La cotta di mithril, che gli ho donato appena poche ore prima, spunta da sotto la sua casacca blu, avvolgendogli il torace con quella sua luce bianca e pura che tanto a lungo è stata decantata nei miti del mio popolo.
 
Ma nemmeno lui, l’oggetto più prezioso contenuto in questa Montagna dopo l’Arkengemma, riesce a distrarmi a lungo da quei suoi occhi blu gentili e fissi su di me, quegli occhi che valgono più di tutto l’oro che mi circonda, quegli occhi che tanto hanno visto e che nonostante questo mantengono la loro ingenuità e la loro luce.
 
“Si Bilbo, ti ho fatto chiamare. Volevo parlarti.”
 
Rispondo piano, mentre mi avvicino un po’ a lui, e vedo il suo viso vacillare per un attimo.
 
“Beh, sono qui, quindi dimmi pure!”
 
Esclama subito dopo con un sorriso appena accennato, allargando un po’ le braccia e fingendo che la prospettiva del domani non lo terrorizzi come invece sta facendo.
 
Il mio piccolo e coraggioso scassinatore.
 
Resisito a stento all’impulso di allungare una mano e di posarla sul suo collo, perchè so che altrimenti non la toglierei mai più, e mi costringo a continuare.
 
“Domani, quando combatteremo, voglio che tu resti qui, nella sala del trono.”
 
Lui spalanca gli occhi, preso alla sprovvista da quelle parole.
 
“Cosa?” esclama, incredulo, per poi scuotere con decisione la testa. “No, non se ne parla neanche.”
 
“Bilbo . . .”
 
 “Se ci sarà una battaglia, domani, io sarò al tuo fianco, come sempre. Non ho alcuna intenzione di restare qui a vederti rischiare la tua vita senza fare nulla. Non sono un guerriero, d’accordo, ma questo non significa che ti lascerò solo proprio ora.”
 
Ribatte con decisione, gli occhi grandi che gli brillano e le mani strette a pugno.
 
Mi avvicino ancora un po’ a lui, tanto che i nostri respiri finiscono per mescolarsi.
 
“No, mastro scassinatore. Tu resterai qui, al sicuro, ed aspetterai fino a quando non tornerò a prenderti, dopo che avremo vinto.”
 
Lo hobbit scuote di nuovo la testa e mi sfida con gli occhi.
 
“Non puoi costringermi, Thorin. Io verrò con te, che ti piaccia o meno.”
 
“Tu resterai qui.” sibilo, mentre dentro mi sento avvolgere dalle fiamme “E non ti allontanerai da questa sala per niente al mondo. Qui sarai al sicuro. Nessuno potrà raggiungerti. Nessuno potrà farti del male. Nessuno ti porterà via da me.”
 
Lo stupore attraversa i suoi occhi, ma solo per un secondo.
 
“Thorin, cosa . . .?”
 
“Tu sei mio.” ringhio, mentre gli afferro i polsi e li stringo forte “E non permetterò a nessuno di portarti via da me, fosse l’ultima cosa che faccio. A nessuno.”
 
I suoi occhi blu sono spalancati e fissi nei miei, e forse riesce a leggerci dentro, perchè resta in silenzio e poi, con un piccolo brivido, abbassa lo sguardo.
 
Mi costringo a lasciargli i polsi ed ad indietreggiare di un passo, mentre studio il suo viso teso.
 
“Ho la tua parola?”
 
Il piccolo mezzuomo esita, ma poi annuisce, senza alzare il viso.
 
 “Se domattina ci sarà una guerrra contro Bard e Thranduil, io non combatterò. Te lo prometto.”
 
Le labbra mi si curvano in un sorriso sollevato, e solo allora allungo una mano e con due dita gli sollevo il mento, in modo che i nostri occhi possano incontrarsi un’ultima volta.
 
“Tutto andrà bene, vedrai.”
 
Gli sussurro, non sopportando di vedere quell’ombra che gli oscura lo sguardo.
 
La sua mano si sposta impercettibilmente sulla tasca del suo vestito, ma non ci faccio molto caso.
 
Tutto quello che vedo sono i suoi occhi preoccupati fissi nei miei,
 
“Lo spero.”
 
 
 
“Bilbo!”
 
 
 “L’Arkengemma è in questa Montagna! E’ un trucco!”
 
“No, non è un trucco, Thorin.“
 
Il mio nome, pronunciato da quella voce, dalla sua voce.
 
“La gemma è vera.”
 
Il cuore  si ferma.
 
“Gliel’ho . . . gliel’ho data io.”
 
Il mondo si ferma.
 
Lentamente mi volto, pregando che no, non sarà lui a restituirmi lo sguardo.
 
Ma non è così.
 
Sono gli occhi blu, tristi ed addolorati, del mio scassinatore ad incontrare i miei.
 
“Tu.”
 
 
 
“No! No, no, no! Thorin! Thorin, non lasciarmi!”
 
I suoi occhi blu pieni di lacrime represse, pieni di dolore, pieni di quel dolce sentimento che ha segnato la nostra sorte e che mai avrei creduto di poter provare.
 
“Thorin! No, tieni duro Thorin, tieni duro. Vedi? Le aquile. Le aquile. Le aquile sono qui. Thorin! Io . . .”
 
I suoi occhi, l’ultima cosa che porterò con me dall’altra parte.
 
 
 
‘Tornerò da te, amore mio. Te lo prometto.’
 
 
 
Apro gli occhi di scatto e mi metto a sedere, per poi poggiarmi d’istinto una mano sul fianco, che pulsa e brucia come il fuoco.
Ansimo pesantemente, cercando di riprendere fiato ed un po’ di lucidità, e mi copro il viso con le mani, mentre la mia mente continua ad essere invasa da quella voce che è come un pugnale nell’anima e quegli occhi che mi straziano dentro.
 
‘Thorin! Ti prego, Thorin!’
 
Basta.
Concentrati.
Non è reale, niente di tutto questo è reale.
Ignoralo.
Chiudi gli occhi.
Concentrati sul respiro, calma i battiti del tuo cuore.
Inspira ed espira.
Non ascoltare.
Concentrati.
Inspira ed espira.
Inspira ed espira.
Inspira ed espira.
 
Quando finalmente riesco a normalizzare il respiro e quella voce lontana che continua a ripetere il mio nome diviene sempre più flebile, mi sforzo di alzare lo sguardo.
Sobbalzo nel rendermi conto di non essere nella mia tenda con i ragazzi che dormono attorno a me e Dain che russa poco distante, e mi guardo attorno con crescente ansia, scrutando il locale buio e chiedendomi dove diavolo sono finito.
Solo quando vedo un vecchia foto incorniciata sul comodino accanto a me ricordo.
Stringo i pugni, mentre il mio cuore sprofonda un’altra volta.
Ma certo.
Sono passati tre mesi da quando, durante uno scontro a fuoco con la mia squadra, sono stato ferito da un cecchino nemico.
Due mesi e tre settimane da quando sono ritornato dal mondo dei morti.
Due mesi e due settimane e mezzo da quando mi hanno detto che non avrei mai più potuto combattere.
Due mesi e due settimane da quando ho preso quello stramaledetto aereo per tornare in Inghilterra.
Due mesi da quando il mio medico curante mi ha confermato che non c’è nulla da fare per permettermi di ritornare sul campo.
Due mesi, da quando la mia vita ha smesso d’esistere.
 
Trattengo a stento un urlo di frustrazione, e mi limito a prendere a pugni il cuscino.
 
Sono in trappola da tre mesi, eppure ogni volta che mi sveglio e mi guardo attorno e mi rendo di nuovo conto di tutto quanto il dolore è sempre lo stesso, anzi aumenta ogni giorno di più.
Sono qui, chiuso in gabbia, in un corpo che ormai serve a poco o niente, derubato della vita che era mia e sentivo mia, dell’unica vita che abbia mai voluto.
Sono qui, e desidero solo che sia tutto falso, un incubo dal quale potermi risvegliare, da cui poter scappare.
Sono qui, a lottare contro quella che è diventata la mia realtà, perché non mi è rimasta nessun’altra lotta da affrontare.
Sono qui, ed invece vorrei essere laggiù, sul campo di battaglia, con i miei ragazzi, a guidarli verso lo scontro, a far rigare dritto le reclute, a ridere delle barzellette sconce e alle battute di Dain, a vivere solo un altro giorno di tutto quello che una volta mi apparteneva.
Sono qui, ed invece vorrei essere morto laggiù, per quel maledetto colpo.
Perché davvero, a che serve avere un cuore che batte e dei polmoni che prendono e buttano fuori l’aria, se tutto quello che mi rendeva vivo è svanito?
 
Mi blocco, le braccia già scosse dai fremiti per lo sforzo, mi prendo la testa tra le mani e, stremato, chiudo gli occhi.
Grave errore.
Appena le palpebre scendono a coprirli, subito ritornano le immagini dei miei sogni, così forti e travolgenti da farmi ancora più male di tutto il resto, ed io non posso fare a meno di riaprire gli occhi ed alzarmi, cercando disperatamente di allontanarli.
 
Da quando mi sono svegliato dopo l’incidente, anzi no, da quando ho perso conoscenza a causa della ferita e stavo per andarmene, continuo a fare questi . . . cosa sono? Sogni? Incubi? Non lo so, non riesco a capirlo.
Il più delle volte si tratta di sogni notturni e confusi, altre volte di brevi e travolgenti flash che arrivano e se ne vanno nella frazione di pochi secondi, durante il giorno, ma comunque si presentino, qualsiasi cosa portino con sé, c’è sempre, eterna e pressante, quella presenza.
Quella voce che continuo a sentire ogni giorno, e che spesso mi chiama.
Quel volto che mi è sconosciuto, eppure sento di conoscere.
Quel nome che continuo a ripetere, e so che è importante, in qualche strano modo.
E, soprattutto, quei grandi occhi blu scuro che non riesco a togliermi dalla mente.
 
Non riesco a capire cosa voglia significare, cosa mi stia succedendo.
Non capisco di cosa si tratti.
Non capisco perché continuo a vedere queste cose, e perché mi turbino così tanto.
So solo che c’è questo tizio che continua ad infilarsi nella mia coscienza, che ha iniziato quando stavo per morire, e che per qualche strano motivo mi ha spinto a resistere e – Dio, se avessi saputo che sarebbe finita così forse avrei chiesto a Dain di spararmi un colpo in testa appena mi sono risvegliato la prima volta.
So solo che è a causa di quella persona, di quel Bilbo, se non mi sono lasciato andare quando ne avevo la possibilità, a Peshawar, perché era come se non … non potessi tradirlo.
Come se non potessi fargli una cosa del genere.
Come se non potessi abbandonarlo.
 
Non di nuovo.
 
Scuoto la testa, cercando di scacciare quel pensiero illogico che è uscito come dal nulla, e stringo con forza i pugni.
 
So solo che quella persona, quella voce, quegli occhi io, in qualche strano modo, li avverto familiari.
Quell’uomo dai capelli ramati e gli occhi profondi, quel Bilbo, è …. è come se lo conoscessi e lo stessi aspettando da
beh, sempre.
So che sembra completamente folle, ma . . .
 
Un lieve bussare alla porta mi distoglie dai miei pensieri, e subito i miei occhi scattano verso l’ingresso chiuso a chiave.
Non rispondo, però, e chiunque sia non insiste, forse pensando che sia ancora addormentato.
Sento dei passi leggeri allontanarsi, e allora mi costringo a spingermi verso il piccolo bagno di questa vecchia camera, rimasta esattamente come l’avevo lasciata quando sono entrato nell’esercito, per prepararmi.
 
Anche per oggi, si riprende con la recita.
 
 
o0O0o.
 
 
“Che progetti avete per questa mattina?” chiede Kili, il mio nipote più giovane, agguantando una fetta di pane praticamente sotterrata dalla Nutella e divorandola prima che qualcuno di noi possa rispondere alla sua domanda.
Il fratello gli porge un fazzoletto, accennando col mento alle macchie sul suo volto, per poi versarsi una tazza di caffè.
“A dire il vero io ancora non lo so.”  risponde tranquillamente, sorseggiando la bevanda calda “E’ il mio giorno libero, quindi pensavo di fare un salto da Sigrid più tardi o qualcosa del genere, prima di stasera. Tu?”.
Lui alza le spalle “Non ne ho idea. La vita è così noiosa senza un po’ di brivido!” esclama, stiracchiandosi ed appoggiandosi allo schienale della sedia.
Fili lo fulmina con lo sguardo “Hai avuto abbastanza brividi per quest’anno, Mister Vita Spericolata. Devo ricordarti che sei stato cacciato dal college dopo nemmeno un mese dall’inizio delle lezioni?”.
Kili ridacchia appena “Ancora con questa storia? Tanto lo sapete tutti che lo studio non fa per me ed avrei mollato comunque dopo qualche settimana. Vi ho solo fatto risparmiare tempo e soldi, ed adesso trascorro il mio tempo in modo più proficuo.”
“Si, a fare infiniti giri in moto, a gettarti in ogni rissa disponibile ed a molestare ogni ragazza che incontri.” mio nipote alza lo sguardo al cielo ‘Mooolto proficuo.”
“Oh, andiamo Fee, rilassati.”
“Finirai in guai seri un giorno di questi, ne sono certo.”
“Come se a te non piacerebbe fare lo stesso, mollare tutto e seguirmi a ruota. Quella Sigrid ti ha rovinato, dai retta a me.”
“Kee, smettila.”
“Dura accettare la realtà, vero fratellone?”
 
Non so di preciso a che punto finisco di ascoltare, ma mi ritrovo a fissare il vuoto in silenzio come ogni mattina.
Eccolo qua.
Lo stesso teatrino di tutti i giorni.
Mi alzo, mi lavo, mi vesto e raggiungo la mia famiglia in cugina, per poi restare a fissare il muro, perdermi dietro le loro chiacchiere, ritornare a chiudermi in camera e non uscire fino all’ora di cena.
E’ fastidioso, essere incatenati a questa routine che non mi appartiene, senza poter evadere da questa crudele monotonia.
Tutto quello che vorrei, in questo momento, è stare da solo, ma non posso. Da quando sono tornato sono praticamente confinato da mia sorella Dis, tenuto sott’occhio non solo da lei ma da tutto il resto della mia famiglia.
Uno degli ordini del nostro medico Oin, se non sbaglio.
‘Per i prossimi mesi, non dovrà fare sforzi eccessivi ed evitare con cura di ammalarsi, o le conseguenze sarebbero gravi. E soprattutto deve restare a casa di qualche parente o di un amico fidato, in modo da essere sempre controllato. Non è il caso di farlo rimanere da solo, nelle sue condizioni.’
 
Da Capitano di una delle migliori squadre dell’esercito britannico ad invalido da controllare in poche settimane.
Semplicemente fantastico.
 
E così mi ritrovo qui, a dormire nella mia vecchia stanza, a girare per la vecchia casa di famiglia sapendo di essere controllato anche dalle donne delle pulizie e dal postino, senza avere la possibilità di accettare tutto questo da solo.
Non voglio sembrare ingrato. Mia sorella cerca sempre di farmi sentire a mio agio, e i miei cugini, soprattutto Dwalin, tentano di non intromettersi. Ma sono così eternamente preoccupati, e soffocanti, e la loro presenza mi fa innervosire molto facilmente.
E’ come se fossi rotto, per loro.
Ma io non sono rotto.
Non nel modo in cui credono, almeno.
 
“Zio?”
 
Sbatto le palpebre un paio di volte, notando i ragazzi che mi fissano.
“Cosa?” grugnisco, risvegliandomi dal mio torpore.
Kili sorride, afferrando un bombolone – sempre al cioccolato, ovviamente- ”Ti avevamo chiesto cosa volevi fare oggi. Non hai un incontro dallo strizzacervelli?”
Trattengo una smorfia di fastidio al solo pensiero ed annuisco “Si, ma non ci andrò.”
E’ circa un mese, cioè da quando le mie difese immunitarie sono abbastanza stabili da permettermi uscite regolari, che Dis ha preso per me una serie di appuntamenti da uno psichiatra suo amico. Inutile dire che non ci sono andato nemmeno una volta, e che continuo a dargli buca.
Non ho bisogno di uno strizzacervelli, non mi importa di quale sorta di disturbo post traumatico la mia sorellina crede che abbia, e non ho alcuna intenzione di prestarmi a questa falsa. Ormai è passata da un pezzo l’età in cui poteva costringermi a fare ciò che voleva.
Fili fa una smorfia divertita, come se se lo aspettasse “Lo immaginavamo.”
Non prova a convincermi a cambiare idea. Non ci prova mai. Sa che quando decido qualcosa nessuno può riuscirci. Ma comunque lo apprezzo.
E’ una delle poche cose che mi rende sopportabile questa situazione, ed uno dei motivi per cui l’unica presenza che riesco a tollerare sia quella dei miei nipoti.
Il fatto che loro non mi vedano come un bambino capriccioso che va rieducato, ma come lo stesso Thorin di sempre, e come tale mi trattino.
Kili spalanca gli occhi, felice “Ma allora puoi venire con noi! Dobbiamo andare ad organizzare una festa con un paio di amici.”
Aggrotto la fronte. Oltre i vari controlli obbligatori all’ospedale, non sono mai uscito di casa da quando sono tornato, sia per la mia situazione sia perché, sinceramente, solo l’idea di vedere altre persone mi da’ sui nervi “Una festa?”.
“Si, quella di cui parlavamo ieri sera a cena, per un nostro amico un po’ giù di morale.” spiega Fili, passandosi una mano tra i capelli biondi “Ma prima dobbiamo passare da Dwalin a ‘La montagna e il drago’, ho dimenticato di dargli dei documenti.”
Sto per scuotere la testa, ma Kili mi interrompe “Se vuoi, puoi solo venire con noi alla casa editrice, ti facciamo fare un giro e poi ti riportiamo a casa prima di raggiungere gli altri.”
“Un giro veloce.” aggiunge Fili “Solo per mostrarti com’è cambiato tutto dall’ultima volta e per cambiare un po’ d’aria.”
“Non sei praticamente uscito in questi mesi.” si infila Kili, gli occhi accessi come quelli di un bambino.
“Ed a noi farebbe tanto piacere.” annuisce Fili, anche lui la speranza che gli illumina lo sguardo “Anche se sei qui, non ti vediamo praticamente mai.”
“Sarà divertente.” promette Kili.
“E non sei costretto ad incontrare Dwalin, Balin o la mamma.” aggiunge Fili.
“Per favore!!” esclamano entrambi all’unisono, guardandomi con i volti speranzosi e quasi trattenendosi da unire le mani in segno di preghiera.
Li guardo a lungo, attentamente.
Diciotto e ventitre anni, eppure in questo momento sembrano gli stessi bambini che mi supplicavano di mostrargli la mia pistola e di raccontargli tutto del campo di battaglia.
Non sono mai riuscito a negargli niente, a queste due piccole pesti.
E non ci riesco nemmeno ora.
“Un giro veloce.” cedo, lanciandogli uno sguardo serio “E poi torniamo subito indietro.”
I miei nipoti si portano immediatamente la mano alla testa in un saluto militare, come facevano per scherzo da piccoli, e rispondono entusiasti “Sissignore!”.
Trattengo a stento un sorrisetto.
Forse, per un’oretta riuscirò a dimenticare il veleno che mi scorre nell’anima.
 
 
o0O0o.
 
 
“Allora siete riusciti a fare uscire l’orso, eh?”
 
Lancio un’occhiataccia a Dwalin che dietro alla sua scrivania se la ride tutta, mentre scorre lo sguardo su pagine e pagine ricoperte da una scrittura fittissima e spaventosamente contorta.
 
Siamo ne ‘La montagna e il drago’, la casa editrice di mio cugino Balin, dove lavora almeno metà della nostra famiglia e dei nostri amici più intimi.
E’ un bell’edificio, elegante e moderno, e la sua fama va ben oltre i confini dell’Inghilterra. Si occupa di ristampare classici della letteratura ed opere di gran prestigio accademico, ma il suo vero punto di forza è l’abilità di scovare i più talentuosi ed improbabili scrittori del nostro tempo e di farne circolare gli scritti.
C’è un’intera sezione dedicata proprio a questa ‘occupazione’, un gruppo di professionisti che vanno alla ricerca di autori sconosciuti, ne individuano i più originali e poi sottopongono le loro opere a Dwalin, il caporeparto, e solo successivamente a Balin, che stipula i contratti e da’ il via alle pubblicazioni. Fili è uno di loro, il più zelante e quello con il miglior intuito, a giudicare da quello che mi racconta Dis, e proprio lui mi ha mostrato con orgoglio tutta la costruzione, e poi quando Kili è scomparso dietro la scia di una giovane segretaria dagli occhi di cerbiatto mi ha chiesto di accompagnarlo a Dwalin, a cui doveva consegnare un manoscritto.
 
Inutile dire che mi sono pentito di aver accettato nel momento in cui ho messo piede nel suo ufficio.
 
“Sta zitto, Dwalin.” sbotto, incrociando le braccia e guardandolo storto, mentre Fili trattiene a stento un sorrisetto.
Mio cugino prende una sigaretta con una mano sola e se l’accende tranquillamente “Certo, raggio di sole.”
“Non dovrebbe essere vietato fumare qui?” domando, facendo un cenno verso di lui.
Dwalin ghigna “In teoria. Ma sono il capo, nessuno può dirmi niente.” risponde, ispirando profondamente e ritornando a concentrare almeno all’apparenza la sua attenzione sul documento che ha davanti “Allora, come ti hanno corrotto per farti uscire?”.
Trattengo un ringhio, e le mie dita salgono automaticamente a torturare le mie piastrine, che porto ancora al collo nonostante tutto questo tempo.
Non si smette mai di essere un soldato, in fondo.
“Nessuno ha corrotto nessuno.” si infila mio nipote, appoggiandosi alla scrivania “Allora, cosa ne pensi?”.
Dwalin fa un cenno con la testa “La trama e l’introduzione non sembrano male, ma lo stile è un po’ grossolano, almeno all’inizio. Ci darò un’occhiata approfondita durante il pomeriggio, credo, e ti farò sapere tra un paio di giorni.”
Fili annuisce, un po’ più rilassato “D’accordo. Allora credo che possiamo andare.” aggiunge, lanciandomi uno sguardo e notando che praticamente sto fremendo pe poter uscire.
Io annuisco, e lui si alza e si rivolge di nuovo a Dwalin “Ci sarai, stasera?”.
Scuote la testa, un po’ malinconico “Meglio di no. Il ragazzo ha bisogno di distrarsi, e dubito che la presenza di uno dei suoi datori di lavoro glielo permetterebbe. Chi altro avete coinvolto, a proposito?”
Fili si lancia in un lungo ed eccitato elenco degli invitati di questa grande festa a sorpresa – di cui lui e Kili non hanno smesso di parlare un attimo durante il viaggio- .
Sbruffo e dopo aver borbottato un ‘Ti aspetto sotto’, esco dalla stanza e mi dirigo più velocemente possibile verso le scale, deciso a tornarmene a casa anche a piedi se serve.
Non ne posso più.
 
Sono già con un piede sul primo gradino, quando improvvisamente il mio sguardo viene attirato da una figurina immobile nel corridoio poco distante da me, vestita semplicemente e con una zazzera di riccioli ramati che lo fanno spiccare in mezzo a tutto quel vuoto.
Indietreggio, improvvisamente senza fiato.
 
Non è possibile.
Non può essere possibile.
Non può.
Non può, e basta.
 
La figura, come se avvertisse il mio sguardo, solleva di scatto in volto da terra e si gira, ed in quel momento lo vedo.
Vedo il suo volto, vedo le sue labbra, e, soprattutto, vedo i suoi occhi.
 
Grandi occhi blu scuro.
 
Trattengo il respiro, mentre di me tutto impazzisce.
 
Io ho già visto i suoi occhi.
 
E’ lui.
L’uomo che continuo a sognare da quel dannato incidente.
L’uomo che continuo a chiamare nel sonno.
L’uomo che non mi da’ pace da quando sono scampato alla morte.
L’uomo che . . . che . . .
 
Resto immobile, incredulo ed incapace di pensare razionalmente, mentre quegli occhi vagano sperduti fino a quando non mi scorgono e si spalancano per lo stupore.
Finalmente indietreggio, cercando di controllare il brivido che mi attraversa la spina dorsale, mentre lui chiude per un attimo le palpebre, quasi a voler scacciare un’illusione.
Prima che possa riaprirli e io mi perda un’altra volta in quelle iridi profonde, sono di nuovo dentro all’ufficio di Dwalin.
 
Mio nipote e mio cugino mi guardano confusi, incuriositi da quell’improvviso e violento dietrofront e dalla agitazione che devono leggere nel mio volto e che non riesco a controllare, ma non ci faccio caso, troppo preso da quell’intensa stretta che sento all’altezza del petto e dai mille riflessi in cui compaiono quei grandi occhi blu, frammenti di sogni e di realtà.
“Chi è?” domando, cercando di controllare il cuore che sembra voler uscire dalla gabbia toracica ”Quell’uomo dai capelli ramati di fronte alla porta di Balin, chi è ?”
Dwalin si alza zoppicando dalla sedia e si affaccia con Fili fuori dall’ufficio, per poi tirarsi indietro e rigirarsi la sigaretta tra le dita.
“Ah, parli della nostra gallinella dalle uova d’oro.” fa con un ghigno che dovrebbe essere un sorriso divertito “Balin l’ha scoperto quando era poco più di un marmocchio, e da allora produce per noi uno, anche due best seller all’anno. Un ottimo affare, per la nostra casa editrice.”
“E’ una bravissima persona, ed uno scrittore incredibile.” Aggiunge Fili, chiudendo la porta e scrutandomi con aria incuriosita “E’ diventato un nostro caro amico, con il tempo. Kili e Balin lo adorano, e anche Bifur e la mamma.”.
Si passa una mano tra i capelli, come dispiaciuto per poi continuare “Ultimamente sta passando un brutto periodo, però. E’ per lui che organizziamo la festa, stasera, anche se non sa ancora nulla. Perché ce lo chiedi, comunque?”
Non presto attenzione alla sua domanda e, imponendo ai miei polmoni di continuare a prendere abbastanza aria, mi faccio scivolare un’ultima, esitante domanda dalle labbra.
 
“Qual’è il suo nome?”
 
Mio nipote fa una faccia sorpresa, che poi si affretta a mutare in un sorriso gentile.
 
“Bilbo. Bilbo Baggins.”
 
 
 
 
 


La tana dell’autrice
 
 
Ed eccomi ritornata, dopo secoli e secoli!
Si, lo so, sono praticamente scomparsa non solo da questo fandom, ma anche da EFP. Ma davvero, non ho avuto proprio modo di farmi viva, in mezzo a tutti gli imprevisti che sono sorti. Settimane dai nonni, cinquant’anni, matrimoni ed impegni vari mi hanno tenuto lontano da casa per un mese e cosa succede appena ritorno? MI MUORE IL COMPUTER!
E si, ragazzi. Sono rimasta senza pc, il mio amico fedele che ha affrontato con me tante peripezie e ha visto la stesura di tutte le mie storie. Sono riuscita a recuperare alcuni dei documenti più importanti, per fortuna, ma questo non mi aiuta molto, perché ci sto davvero male. Avevo da secoli quel computer e non mi aveva mai tradita, mi ci ero molto affezionata. Ed ora mi ritrovo a dover rimediare prestiti e minuti preziosi per scrivere su quelli della mia famiglia e dei miei amici e mandare avanti queste storie. E’ un po’ deprimente in realtà, perché non ho idea di quando riuscirò a trovare un sostituto per il mio amico fedele –riposi in pace nel paradiso dei pc coraggiosi-, sicuramente non prima di Natale, ma non per questo vi lascerò soli, promesso! Continuerò ad aggiornare, anche se magari con meno frequenza, costi quel che costi!
 
Tornando alla storia, avevamo lasciato Bilbo alla casa editrice di Balin, a cui era sembrato di vedere  - no, non un gatto, Bofur- il suo Thorin, che poi però aveva catalogato come suggestione. Ed adesso scopriamo che non era così . . . eheheheh!
Si, il nostro capitano sta prendendo male la sua nuova situazione, tormentato da quei sogni senza significato e da una vita che non sente sua, anche se la sua famiglia e i nostri adorati fratelli si fanno in quattro per lui – tra l’altro, non sono molto convinta della caratterizzazione di Kili, ma io lo vedo così, un po’ sconsiderato e abbastanza ‘donnaiolo’ XD-. E presto, molto presto, i nostri protagonisti si incontreranno! Siete pronti? Io si!
 
Un abbraccio e a presto –spero-
 
La vostra T.r.
 
 
P.s. Purtroppo, potendo collegarmi raramente ad internet e sfruttando questo tempo solo per aggiornare, avrò molta difficoltà a rispondere ad eventuali recensioni o messaggi privati, se non ne sarò proprio impossibilitata come adesso. . . mi scuso di cuore, ma è oltre alle mie possibilità al momento –computerino mio, quanto mi manchi!-.

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 – Incontro inaspettato ***


 

Capitolo 5 – Incontro inaspettato

 

 

 

“Ci rivedremo, ci ritroveremo e ci riconosceremo fra tutti.”

-cit

 


Ci sono tre modi per superare un momento di tristezza e scoraggiamento, semplici ma incredibilmente efficienti, come ho scoperto dei miei lunghi anni da solitario.
Primo: aprire la dispensa ed il frigo e fare fuori tutto ciò che solitamente si dovrebbe evitare.
Secondo: infilarsi sotto le coperte o raggomitolarsi in un angolino con un libro divertente ed appassionante in mano.
Terzo: fare una supermega maratona di film, saghe e serie tv.
Credo che sia inutile dire che, visto la gravità della situazione, li sto provando tutti e tre.

Quando sono tornato dall’incontro-disastro con Balin mi sono rifugiato in cucina senza nemmeno cambiarmi d’abito od infilarmi le pantofole, ma dopo una decina di minuti ho chiuso tutto, disgustato e con lo stomaco chiuso. Quindi mi sono sdraiato in giardino a leggere un po’, ma non ha fatto altro che farmi stare ancora più male. Così, mi sono rifugiato in casa, ho afferrato la vecchia coperta patchwork di mia madre, me la sono avvolta attorno a mo’ di mantello, ho afferrato un dvd e ho passato l’intero pomeriggio a non pensare ed a divorare la prima stagione di ‘Merlin’ della BBC.
Ed eccomi qua, alle otto e mezza passate, ancora raggomitolato sul divano, con accanto un pacchetto mezzo vuoto di patatine e una tazza di thè ormai freddo, ad annegare il dolore per questa pausa forzata nelle avventure di un giovane e simpatico mago dai grandi problemi e dalle orecchie ancora più grandi.
Ed ovviamente, quando l’ultimo episodio raggiunge il suo punto clou e io sono totalmente preso da Merlin che da’ il suo addio ad Arthur con quella fantastica frase ‘Sarò felice di servirvi fino alla morte.’, il telefono suona.
Trattengo a stento una serie di fantasiose bestemmie che coinvolgono tipo tre quarti dei santi del Paradiso, per poi afferrare quel malefico oggetto e rispondere con un ringhio.
“Si?”
“Oh, Bilbo!” La voce squillante di Bofur mi trafigge i timpani “Era ora che rispondessi! Senti, sto andando da Bifur, ma visto che sono quasi da te non è che puoi uscire un attimo, così ti restituisco quel romanzo della settimana scorsa?”.
L’ultima cosa che voglio fare adesso è uscire dal caldo bozzolo che è la mia casa, soprattutto per vedere Bofur, che da mesi ormai cerca di trascinarmi fuori e portarmi a qualsiasi tipo di uscite o feste ogni volta che può. Ha preso questa faccenda di distrarmi dal lavoro fin troppo seriamente, per i miei gusti.
“Non preoccuparti” provo a dire, cercando di sembrare coinvolgente “me lo puoi dare anche . . .”
“Nonono” mi interrompe lui, quasi urlando “Ormai ci sono, mancano solo un paio di curve . . . aspettami in strada, eh? Va bene? D’accordo? Ok?”.
Sbruffo e sollevo gli occhi al cielo, ma lui continua a ciarlare instancabilmente finché non sbotto un ‘Okay’ e chiudo la telefonata.
Sospiro e metto in pausa il dvd, per poi sgusciare fuori dalla mia coperta e lisciarmi malamente la camicia che ancora ho addosso. Mi passo una mano tra i capelli ed afferro le chiavi, borbottando tra me e me e lamentandomi della testardaggine e della petulanza del mio migliore amico. Mi infilo un giacchettino leggero ed esco fuori, il colletto alzato per coprirmi dal vento. Attraverso il piccolo giardino e mi appoggio al cancello, scrutando con aria seccata la strada buia per individuare la piccola utilitaria verde fagiolo di Bofur e chiedendomi quanto mi farà aspettare.

Passano circa due minuti, quando all’improvviso una macchina sportiva si ferma di botto davanti a me. Indietreggio di un passo, confuso, ma qualcuno alle mie spalle mi afferra e mi spinge verso di essa. Una portiera si apre immediatamente e senza nemmeno sapere come ci finisco dentro. Faccio per alzarmi ed uscire, ma lo sportello si è chiuso dietro di me e la macchina ha ripreso a muoversi a tutta velocità.
Sto per mettermi ad urlare e fare qualcosa di enormemente stupido-tipo scendere dalla macchina in corsa o roba simile- quando una voce allegra mi blocca.
Una voce allegra e, soprattutto, conosciuta.

“Ti avevo detto che stavo arrivando!”.

Salto sul posto, come colpito da un fulmine, e mi volto verso l’altro sedile, dove Bofur mi fissa sorridente e con un luccichio divertito negli occhi scuri.
“Tu!” grido, incredulo e senza parole, mentre cerco di mettere insieme una frase di senso compiuto “Che . .  ma . . . cosa . . .?”
“Ci siamo anche noi, eh!” esclama un’altra voce dalla parte del guidatore, e quando mi giro trovo il viso sorridente di Kili, un giovane cugino di secondo grado di Balin.
“Kili?” credo che gli occhi stiano per uscirmi dalle orbite, ma a quanto pare le sorprese non sono ancora finite, perché una terza voce mi interrompe.
“E io che sono, l’autista?” sbotta Fili, il fratello maggiore del giovane Durin, girandosi verso di me giusto il tempo di scorgere i suoi capelli biondi e gli occhi chiari e divertiti, prima che torni a prestare attenzione alla strada ed a premere sull’acceleratore con una forza esagerata.
“Bofur, Kili, Fili . . .” mentalmente, conto fino a dieci prima di esplodere. Mi fermo a tre. “Ma che cosa diavolo vi è saltato in mente?!” grido, incavolato nero, così forte da farmi paura da solo.
“Ehi, calma, amico.” mi fa tranquillamente Bofur, mettendomi una mano sulla spalla “Non c’è motivo di agitarti. Stiamo andando da Gloin, ad una super mega incredibile festa organizzata proprio in tuo onore! Non sei contento?”
Credo di essere sul punto si strangolarlo. O di buttarlo giù dalla macchina. Od entrambe le cose. “Contento? Contento?? Mi avete praticamente trascinato via da casa mia!”.
“Beh, si, era l’unico modo.” si intromette Fili dal davanti, continuando a guidare come se fosse su una pista dell’auto scontro “Sono mesi che cerchiamo di farti uscire, senza successo tra l’altro. Sapevamo che per portarti fuori avevamo bisogno di un diversivo ed, ecco, questa è la prima cosa che ci è venuta in mente.”
“Già.” aggiunge Kili, annuendo con convinzione “Dopotutto, fanno sempre così, nelle storie di spie e supereroi, no?”.
Mi porto le mani alla testa, chiedendomi se sono io che sto impazzendo o se i miei amici abbiamo preso qualche nuova e potente droga. Qualcosa chiamata ‘Essenza di idiozia’, magari.
“Cioè, la ragione di questo rapimento e del mio mancato infarto è . . . questo? Una semplice festa?”.
“Non è una semplice festa.” obbietta Bofur, quasi offeso “E’ una super mega incredibile festa! Una serata di completa spensieratezza in compagnia dei tuoi amici di sempre, per dimenticare i problemi del lavoro e tirarti un po’ su di morale! Sono settimane che la stiamo organizzando!”.
Ok, ora lo strangolo e poi lo butto giù, giuro.
“Mi avete rapito per portarmi ad una festa?” ripeto, cercando di controllarmi.
“Rapito, che parola grossa.” fa Fili, fingendosi serio “Noi preferiamo . . .”
“ . . . prelevato!” completa il fratello, battendogli il cinque mentre Bofur annuisce compiaciuto.
“E’ stato un piano studiato nei minimi dettagli, sai? Gandalf ha contribuito molto.” aggiunge il mio amico, sistemandosi il cappello.
Mi sento girare la testa “Gandalf? Centra anche lui, in questa storia?” domando, anche se ho paura della risposta.
“Certo!” risponde Kili, ridendo “Anzi, è stata la vera e propria mente del piano. Ha organizzato tutto lui. Pensa che si è addirittura nascosto in giardino dieci minuti prima che ti chiamassimo, per poi uscire quando tu non gli prestavi attenzione e spingerti in macchina.”
Fili si aggiunge al discorso, trattenendo a stento una risatina e guardandomi dallo specchietto “Ah, si è fatto dare le chiavi dal buon vecchio Ham, ci penserà lui a chiudere tutto prima di raggiungerci alla festa, quindi non preoccuparti, nessuno ti svuoterà la dispensa o ti distruggerà le tubature mentre sei via.”
Mi accascio contro lo schienale, coprendomi gli occhi con le mani “Sono circondato da pazzi.” sussurro, sconfortato.
“Oh, andiamo, Bilbo. E’ per questo che ci adori, dopotutto.” scherza Bofur, posandomi una mano sul braccio “Noi diamo pepe alla tua vita.”.
Gli lancio un’occhiataccia tra le dita “Voi stravolgete e devastate la mia vita.”.
Lui ride “Anche.”.
Scuoto la testa e chiudo gli occhi, appoggiano la testa allo schienale.
“Allora, chi ci sarà a questa festa?” mi arrendo, perché davvero, cos’altro posso fare?
Bofur sorride “Oh, il solito gruppo. Oin, Gloin, Bifur, Nori, Ori, Dori . . . anche Bombur, è riuscito a chiudere il ristorante per stasera. Nessun cugina del Sussex però, mi spiace.”.
“Probabilmente nemmeno Balin e Dwalin ci saranno.” interviene Fili, prendendo una curva ad una velocità improponibile “Gliel’ho chiesto stamattina. Ah, forse ci sarà anche lo zio. L’ho invitato, oggi pomeriggio, e stranamente sembrava propenso a venire.” aggiunge, rivolto per di più al fratello.
L’altro spalanca gli occhi, colpito “Davvero? Oggi è la giornata dei miracoli, allora.”.
Trattengo il fiato, mentre quelle parole, in qualche strano modo, mi pungolano l’anima, proprio come è successo stamattina nell’ufficio di Balin.
“Intendete Frerin?” domando esitante, anche se so che no, non può trattarsi di Frerin, perché altrimenti non sentirei il mio cuore battere come se fosse sul punto di scoppiare e non avrei in mente quei maledetti occhi color ghiaccio che continuano a tormentare i miei giorni.
I fratelli scuotono la testa, ma non danno spiegazioni e prendono a chiacchierare allegramente di altro, e così io mi lascio sprofondare nel sedile e chiudo gli occhi, mentre tutto quanto, dentro di me, trema.

Sta per succedere qualcosa.
Lo so.
Lo sento.
E, di qualsiasi cosa si tratti, non so se la mia anima sarà capace di reggerlo.
Ma so che, nonostante ciò, desidera questo qualcosa con tutta sé stessa.

 

o0O0o.


Quando entriamo nel locale super moderno di Gloin non ho il tempo di guardarmi attorno che mi sento praticamente travolgere da una specie di mandria di elefanti e mi ritrovo schiacciato contro la porta, mentre i miei amici si prodigano nel loro solito abbraccio stritolatore.
“Bilbo!”
“Era ora che ti facessi vivo, scribacchino dei miei stivali!”
“Allora non eri morto come credevamo, imbroglioncello!”
“Sono secoli che non ci vediamo!”
“Bilbo, Bilbo!”
Ci metto almeno cinque minuti buoni a scivolare fuori da questa specie di prigione vivente fatta su  misura, sgusciando fuori da intrecci di braccia, strette e urla, ma anche quando ci riesco i ragazzi continuano a stringersi attorno a me, senza smettere di parlare.
Kili e Fili stanno al mio lato destro, a ridere e ripetere ‘Missione compiuta!’, mentre Bofur a sinistra si vanta per la riuscita del suo piano con il fratello Bombur, che allo stesso tempo annuisce e cerca di trascinarmi di nuovo nel suo abbraccio soffocante. Davanti a me, Bifur e Oin mi rimproverano per non essermi fatto vivo così a lungo, l’uno mischiano inglese e tedesco e l’altro praticamente gridando – deve aver dimenticato di nuovo l’apparecchio acustico a casa-, mentre Gloin elenca le bevande disponibili per la serata, tutto fiero di sé. Dietro, Ori mi chiede se sto lavorando a qualcosa di nuovo, Dori mi sgrida per aver saltato il pranzo che aveva organizzato a casa sua la settimana scorsa e Nori sbruffa dicendo che ho bisogno di tagliarmi i capelli e di ‘dimenticare un po’ il mondo della penna e dell’inchiostro.’.

E poi si chiedono perché ho il terrore delle serate organizzate da Bofur e perché ho la tendenza quasi disperata di evitarle. Chissà quale sarà mai il motivo, mah.

Prima che possa fare qualsiasi cosa che sia diversa da cercare di ascoltare tutti de allo stesso tempo di zittirli, un’altra voce, profonda ma divertita, riesce a sovrapporsi su tutto questo vociare.
“Lasciatelo respirare ora, su! O il nostro scrittore scapperà via così com’è venuto, e sarebbe davvero un peccato, con tutta la fatica che abbiamo fatto per portarlo fin qui!”.
Il gruppetto attorno a me finalmente si placa e Oin, Bifur e Gloin scivolano di lato in modo che possa vedere il mio salvatore, o principale torturatore, dipende dai punti di vista.
Sospiro, mentre incontro gli occhi chiari e divertiti dell’ideatore di questa pazzia “Gandalf. Mi hanno detto che devo ringraziare te per questa festa inaspettata.” sbruffo, mettendo in quelle parole tutta l’ironia di cui sono capace.
Lo psicologo sorride “Non lamentarti tanto, ragazzo mio. Dopotutto, sono sempre le cose inaspettate che ci portano a vivere le esperienze più belle ed importanti.” mormora, e per un attimo mi sembra che nei suoi occhi ci sia un barlume di tristezza, di dolore e di rimpianto.
Ma è solo un momento, perché subito dopo gli occhi gli si illuminano e lui batte le mani, esclamando “Allora, diamo il via a questa festa, che ne dite?”.
Intorno a me si alza un grido spaccatimpani di consenso e io mi porto di scatto le mani alle orecchie per non perdere l’uso dell’udito, per poi sospirare quando i ragazzi mi afferrano per le braccia e mi trascinano verso il bancone.

Sarà una lunga, lunghissima serata.

 

o0O0o.


Credo che tutti, nel periodo delle superiori o del college, abbiano avuto un proprio gruppetto di amici, quel branco di almeno tre-quattro persone dal quale non ci si staccava mai, con cui si andava alle feste, si saltava le lezioni, si combinavano guai e via dicendo.
Ecco, la nostra combriccola, che Bofur ama chiamare ‘La compagnia della follia’- mai nome è stato più azzeccato, sul serio-, all’inizio apparteneva a quella categoria, ed ancora adesso ha la mentalità di un gruppo di adolescenti senza neuroni funzionanti.

All’inizio c’eravamo solo io e Bofur, che ci conoscevamo praticamente dall’asilo; poi, con le superiori, sono arrivati anche Bifur e Bombur, ed eravamo il classico gruppetto di sfigati che non calcolava nessuno. Facevamo cose non propriamente intelligenti, come quella volta che per errore chiudemmo Bombur della cucina della scuola per una notte intera, o io e Bofur demmo fuoco al laboratorio di chimica, o Bifur buttò nel bagno della scuola -non chiedetemi perché- le verifiche dell’ultimo quadrimestre al primo anno, però, in fondo, all’epoca eravamo ancora un normale gruppetto di amici, o almeno a me piace pensarla così.
Poi, arrivò il college, e il gruppo iniziò a prendere una forma definitiva. Io e Bofur seguivamo gli stessi corsi, Bifur no ma era nel nostro stesso istituto, e Bombur aveva lasciato gli studi e lavorava in un locale a dieci minuti di distanza. Sul lavoro divenne amico di Gloin, un tranquillo irlandese da poco arrivato in città, e ce lo fece conoscere insieme a suo fratello Oin, che era all’ultimo anno di medicina e ben presto divenne assieme al più giovane una presenza abituale. Io, invece, incontrai per caso Ori, un diciasettenne che aveva dovuto lasciare una rinomata scuola di disegno per la morte improvvisa del padre, e grazie a Balin e Dwalin gli trovai un posto come illustratore nella loro casa editrice. I suoi due fratelli più grandi, Nori e Dori, erano così felici che vennero a cercarmi sotto casa per ringraziarmi, e da allora furono nel giro anche loro. Passavamo ogni momento libero tutti insieme, in giro, al locale dove lavoravano Gloin e Bombur, al college, ed ovunque andavamo, ehm, ci facevamo riconoscere, diciamolo.
Dopo la laurea, prendemmo tutti strade diverse, ma ci mantenemmo in contatto, tant’è che finivamo per vederci tutti quanti a casa di uno di noi almeno una volta al mese, e continuiamo a farlo tutt’ora. Poiché dopo la scuola anche Bifur è stato assunto da ‘La montagna e il drago’ come traduttore, io, lui ed Ori abbiamo stretto una bella amicizia sia con i due cugini Durin che con i giovani Fili e Kili, che essendo i più piccoli sono diventati ben presto l’anima del gruppo.
Per quanto riguarda Gandalf, un mio vecchio amico di famiglia, beh, sinceramente non ricordo bene come ha fatto lui a finirci dentro, ma credo che dipenda dal fatto che non riesca proprio a farsi gli affari suoi.
E quindi eccoci qui, un’allegra e pazza combriccola di uomini di tutte le specie ed età, legati da un affetto e da un’amicizia indissolubili.
Siamo più dei fratelli, che degli amici. E si, voglio un bene dell’anima a tutti quanti, ma c’è una cosa che bisogna dire su di loro.

Quando festeggiano, sono peggio di una mandria di bufali impazziti.
Sul serio, distruggono tutto quello che gli sta attorno nel raggio di diecimila chilometri, ed anche oltre.

Una prova? Basta guardarsi attorno.

Sono passate poco più di due ore da quando mi hanno rapito e portato qui, eppure hanno già svuotato tre quarti delle bottiglie, rotto almeno sette bicchieri e nove piatti, fatto cadere il lampadario, lanciato la pizza che avevamo ordinato contro le pareti, rovesciato ogni sedia e sgabello presente nella stanza, cercato di tagliare i capelli a Nori che già dorme steso sul bancone e fatto svegliare come minimo otto volte il piccolo Gimli, il figlioletto di un anno di Gloin, che dorme di sopra con sua madre Freya, o almeno ci prova.
Per fortuna che Gloin ha riservato il locale solo per noi, stasera, altrimenti dubito che in futuro avrebbe avuto molti clienti, dopo tutto questo.

Scuoto la testa, mentre osservo con un sorrisetto divertito Fili e Kili che improvvisano una specie di tarantella con in sottofondo gli applausi e le risate di Dori, Bofur e Balin, che ha fatto giusto un salto per controllare che non avessimo ancora dato fuoco a tutto ed ovviamente si è fermato. Oin e Gloin cantano con voce sommessa ‘I kissed a girl’, seduti abbracciati su un tavolino, mentre Ori si aggira per la stanza con un bicchierino di prosecco in mano e buttandosi su chiunque incontra gridando ‘Ti voglio tanto bene!’. Bombur, nascosto in un angolino, sta finendo l’ultimo pezzo di pizza sopravvissuto al Volo Contro la Parete, sperando che nessuno se ne accorga, e Bifur, accanto ad un addormentato Nori, si rigira l’ennesimo bicchiere di vino tra le mani borbottando a mezza voce versi della Dickinson, terzine dell’Inferno di Dante e frasi tratte da Pierino Porcospino.
Gandalf, dopo essere tornato da dietro il bancone con un bicchiere di vino rosso grande quanto la mia testa, si siede affianco a me, gli occhi che brillano di divertimento e le labbra atteggiate in un sorriso storto.
“Ancora con quello, ragazzo mio?” domanda, facendo un cenno al mio bicchiere di limonata mezzo pieno.
Mi stringo nelle spalle “Sai che sono astemio, Gandalf. Non reggo nemmeno un sorso di vino, io.”.
Lui storce il naso, e manda giù tutto quanto in un sorso “Dimentico sempre che sei il più normale tra tutti noi.”.
Trattengo a stento una risatina “Se sono io il più normale, allora siamo messi proprio bene.”.
Lo psicologo sorride, e si concentra per un po’ su i due fratelli Durin, che adesso hanno strascinato nella danza anche Ori, ancora attaccato saldamente al suo bicchiere ormai vuoto.
“Come mai hai organizzato tutto questo, comunque?” domando, perché il rapimento non mi è ancora andato giù, per niente.
Si volta verso di me e aggrotta le sopracciglia, come se avessi appena chiesto perché al mattino ci si saluta dicendo ‘buongiorno’.
“Mi sembra abbastanza ovvio. Avevi bisogno di distrarti, Bilbo, e quale migliore modo per farlo è un’allegra combriccola  di combinaguai ed una serata senza regole?”.
“Perché continuate tutti a dire che ho bisogno di distrarmi?” sbotto, poggiando il bicchiere sul tavolo “Io sto bene, ok?”.
Gandalf fa una faccia a metà tra l’esasperato e lo sconfortato “Continui a ripeterlo, ma sappiamo tutti che non è così. Basta guardarti. Sei teso, stanco, stressato, non dormi la notte e il giorno ti torturi per scrivere qualcosa che a quanto pare non è ancora pronto per essere scritto. Questa non è proprio la definizione che darei alla frase ‘stare bene’.”
Alzo gli occhi al cielo “Senti, ne abbiamo già parlato.” dico, cercando di non arrabbiarmi od innervosirmi “E’ solo un brutto periodo, ma passerà, come sempre. Devo solo riprendere . . .”
“A scrivere?” mi interrompe, scrutandomi con quei occhi chiari che sembrano saper penetrare nei miei pensieri “No, Bilbo. La scrittura è parte essenziale del problema, stavolta. Il blocco e la tua decisione ad annullarlo stanno annullando te. Devi lasciare da parte le parole, almeno fino a quando non avrai risolto quello che ti tormenta di più. Perché c’è qualcosa che ti tormenta, e non negarlo. Ti si può leggere negli occhi. E non puoi continuare a far finta di niente.”.
Trattengo a stento un ringhio, quelle frasi che mi feriscono dentro più di quanto voglia andare a vedere.
“Te lo ripeto, Gandalf. Non sono più un tuo paziente e questa non è una seduta da strizzacervelli.” dico freddamente, forse troppo freddamente, ma incapace di controllarmi.
“Forse invece dovresti riprendere. Con le sedute, intendo.” aggiunge lo psichiatra, sorvolando sul mio tono “Già in passato ti sono state utili.”.
“E’ vero.” ammetto, il gelo nel cuore “In passato. Ma non sono più un bambino tormentato dagli incubi, né un adolescente con desideri di fuga o un giovane uomo afflitto da sensi di colpa e di rimorso. Sto bene, ora. Sto bene, sto bene e starò bene.” lo fisso con decisione, lo sguardo duro e la voce ferma, fino a quando non è lui a distoglierlo ed a sospirare.
“D’accordo.” mormora, quasi stancamente “Ma credo che . . .”

Il resto della sua frase viene interrotto dal rumore della porta che si apre di scatto, ed improvvisamente il silenzio attraversa la sala, mentre tutti si concentrano sulle figure che sono appena entrate, inattese e quasi fuori luogo.
La prima è Dwalin, nella sua solita giacca di pelle, lo sguardo divertito ed in qualche strano modo complice, con una mano stretta sul braccio della figura, ancora in penombra, che lo segue.
Fanno un passo in avanti, lui e la figura sconosciuta, e . . . e . . .

Mi irrigidisco sulla sedia, l’aria improvvisamente scomparsa, il cuore che batte come se volesse esaurire tutti i battiti di una vita in questo esatto momento.

No.
Non è possibile.
Non può essere possibile.
Non può . . .  essere . . .

Guardo quella figura alta, imponente, fiera, reale eppure in qualche strano modo lontana ed evanescente, come il barlume di una vita passata, di un sogno infantile, di un ricordo ormai smarrito ma ancora caro e prezioso.
I suoi capelli neri sono corti, troppo corti, dal taglio militare, il suo viso è abbronzato e segnato da qualcosa di troppo profondo da poter essere visto ad occhi nudi, le sue labbra tirate in una linea sottile ed amareggiata, e la sua barba cortissima, quasi inesistente, ma mi ci vuole meno di niente per riconoscerlo.

Stringo forte i pugni, dicendomi che no, è tutto un’illusione, solo un semplice scherzo della mia mente stanca e stressata, un ennesimo sogno ad occhi aperti.

Ma poi, quando quell’uomo alza il viso e i miei occhi scorgono davvero i suoi per la prima volta, qualcosa dentro di me si accende, e io mi sento morire e ritornare alla vita allo stesso tempo, in quegli occhi color del ghiaccio che tanto a lungo ho cercato, e che adesso sono incatenati ai miei, e tutto quello che riesco a pensare è finalmente.

E’ lui, l’uomo che continuo a vedere ogni notte.
L’uomo che invoco piangendo, e di cui non riesco a liberarmi.
L’uomo il cui viso mi è impresso a fuoco nella mente ed i cui occhi mi sono tatuati nell’anima.
E’ lui, l’uomo che . . . che . . .

La voce allegra e felice di Kili, esplode nell’aria come un fuoco d’artificio ritardatario.

“Zio Thorin!”

Trattengo a stento un gemito, mentre un brivido mi scorre lungo tutta la spina dorsale, simile ad un serpente di ghiaccio.

Thorin.

Il mio Thorin.

Scuoto appena la testa per scacciare quel pensiero improvviso e senza senso, o almeno ci provo. Al mio fianco Gandalf stranamente si irrigidisce, ma non ci faccio caso, perché tutta la mia attenzione è concentrata su di lui, che entra della sala quasi controvoglia mentre Dwalin lo trascina e i due giovani Durin gli corrono incontro, con Balin alle calcagna, e la mia anima trema, senza controllo ed incredibilmente fragile, sul punto di spezzarsi.
“Io ve l’ho portato.” grugnisce Dwalin, mentre i due ragazzi praticamente gli saltellano attorno dalla gioia, come due cuccioli “E, giuro, non è stato facile.”.
“Ma è fantastico!” esclama Fili, con gli occhi che gli brillano “Vedrai zio, ti divertirai.”. Lo afferra per il braccio, mentre Kili gli si attacca ridendo all’altro. Balin fa al trio un cenno con la testa, sorridendo ma con gli occhi colpi di stupore, e borbotta rivolto al fratello “Io credo che tornerò a casa, ora. Ci pensate voi due a riportare indietro i ragazzi, Dwalin?”.
L’uomo scuote la testa, deciso “Ah no, io sono stato assunto come autista stasera, non baby sitter. E se pensi che ti dia uno strappo, sei completamente fuori strada.”.
L’altro ride, divertito, e commenta con un vispo “Allora meglio che mi metta in cammino, se voglio arrivare prima di Natale” afferra la giacca e fa un giro ad abbracciare tutti, per poi salutare me e Gandalf con un cenno della mano.
Dwalin, che mi vede solo in quel momento, fa un inquietante sorriso a trentadue denti – un sorriso molto poco da Dwalin, a dire il vero- e mi grida dall’altra parte della sala, così forte che lo potrebbero sentire anche in Cina “Buon divertimento, Bilbo!”.
Al suono del mio nome, lui si immobilizza, ed i suoi occhi saettano per tutta la stanza, come alla ricerca di qualcosa di importante, e quando finalmente mi scorgono, è, beh . . . è come precipitare da una montagna innevata in un vulcano caldissimo che nemmeno sapevi esistesse. Ogni cosa scompare, e non restano altro che i suoi occhi fissi su di me, che mi trafiggono, mi attraversano, prendono tutto e lo riducono in cenere. Il fuoco mi brucia l’anima, le mente viene stretta nel calore e nel fumo, e tutto quello che riesco a fare è abbassare lo sguardo per impedire che possa rivelare troppo dell’incendio che mi sta devastando.

Balin e Dwalin se ne vanno senza dire altro, e Kili e Fili lo trascinano per la sala, presentandogli tutti con entusiasmo quasi infantile. Ma i suoi occhi sono ancora fissi su di me, e io non posso fare a meno che seguirli con i miei, anche se con timore e quasi paura.
Accanto a me, Gandalf prova a richiamare la mia attenzione, ma è tutto inutile. Io vedo solo lui e nella mia testa sento solo la tempesta che sta infuriando, e grida, frasi e momenti appartenenti a frammenti ora più reali che mai, e che mi fanno male più di quanto riesca a concepire.
Trattengo il fiato, il cuore che trema, fino a quando l’insolito trio ci si para davanti e Kili si affretta a presentare Gandalf, e io cerco di riacquistare un po’ di autocontrollo.
Per tutto il tempo, lo sguardo di lui è ancora fisso su di me, come se non riuscisse a credere che io sia qui sul serio. O forse sono io a non riuscire a crederlo. Insomma, sono io che continuo a sognarlo da quasi quattro mesi, non sicuramente lui. Eppure, perché ho come la sensazione che, in qualche modo, lui . . . ?
“E questo, zio” esclama Fili, voltandosi verso di me con un sorriso ed uno strano scintillio negli occhi “E’ il famoso Bilbo Baggins!”.
Lui lentamente gira la testa, e devo trattenermi dal deglutire mentre quei occhi di ghiaccio, più vicini che mai, analizzano ogni dettaglio della mia figura e del mio viso.
“P-piacere di c-conoscervi, signor . . .” cielo, sto balbettando come un bambino! Cervello, ricollegati alla lingua, maledizione!
“ . . . Durin.” finisce lui, la voce profonda e cupa che per un attimo mi fa tremare, e non solo dentro. La sua mano destra sale a stringere le piastrine che porta al collo e che prima non avevo notato, mentre nel suo sguardo per un attimo scorgo qualcosa che non riesco a decifrare.
“Dunque, questo è lui.” sussurra quasi tra sé, per poi distogliere appena lo sguardo e sbottare con un tono più alto e duro, quasi severo, rivolto ai nipoti “Sembra più uno scolaretto che uno scrittore.”.

Quelle parole, inaspettate quanto indifferenti, mi colpiscono come un pugno nello stomaco. Tutto il calore dolce che sento dentro si spegne, o forse è meglio dire che passa in secondo piano rispetto al fuoco che la rabbia mi fa salire dentro. Quella frase mi ferisce in un modo che non avrei potuto immaginare, non io, di solito così incurante del giudizio altrui. E’ come se avesse sbagliato tutto, se avesse spezzato qualcosa. Era cattivo da dire, e maleducato, e in qualche modo rompe questo momento, e se il mio cuore batte forte adesso è solo per il risentimento.

“E voi siete incredibilmente scortese a sputare così sentenze su una persona che non conoscete. “  sbotto a voce alta, incapace di controllarmi, l’imbarazzo completamente scomparso per un secondo, ed ho di nuovo i suoi occhi su di me “ Ma almeno io non ve lo sbatto in faccia come avete appena fatto voi.”.
Un lampo di stupore gli attraversa il volto, ma prima che possa ribattere e la mia improvvisa decisione cedere mi alzo ed afferro la mia giacca “Beh, è ora che vada. Si è fatto tardi, ameno per me.”.
Fili, che si stava scambiando con Kili strani sguardi confusi, sobbalza  ”Aspetta, sei a piedi, ti portiamo noi!” esclama.
Faccio un segno di diniego “Non preoccuparti, prenderò un taxi. E poi, non è il caso che tu o tuo fratello vi mettiate al volante, pieni di alcool come siete.”.
Il biondo fa una smorfia, mentre Kili strabuzza gli occhi “Osi insinuare forse che siamo ubriachi?”.
“Io non insinuo. “obbietto divertito, infilandomi la giacca “So per certo che siete ubriachi. E poi, non è che la vostra guida sia tanto migliore da sobri, in tutta sincerità.”.
Kili mi fa una linguaccia, mentre Fili ridacchia colpevole.
“Touché.” ghigna il maggiore, per poi salutarmi con cenno del capo “Allora ciao, Bilbo!”.
“Non distruggete il locale.”  dico ai fratelli a mo’ di saluto, prima di dare una pacca a Gandalf e salutare anche lui.
Poi, prima di dirigermi verso il resto del gruppo che già mi sta aspettando per il loro solito abbraccio stritolatore, guardo con la coda dell’occhio lui, che mi sta ancora osservando con lo stesso sguardo stupito di prima.
“Arrivederci, signor Durin.” sussurro tutto d’un fiato, per poi allontanarmi senza aspettare la sua risposta, e costringendomi a non cedere a quella parte di me che sta già gridando per questo mio comportamento senza logica.
Saluto tutti, ma senza entusiasmo, perché sento quello sguardo freddo e ardente insieme bucarmi il cuore ancora, e quando finalmente esco fuori e riesco ad infilarmi nel primo taxi disponibile, mi accaglio contro il sedile e gemo, chiudendo gli occhi e ripensando a quel nome che continua a rimbombarmi nelle orecchie, nonostante la rabbia.

Thorin Durin.


‘Thorin!’

‘Oh, Thorin.’

‘Th-Thorin, per favore . . .’

‘Smettila, Thorin.’

‘Thorin, io . . .’

‘Mi hai fatto chiamare, Thorin?’

‘Tu sei cambiato, Thorin.’


‘Thorin! Ti prego, non lasciarmi, Thorin!’


Mi copro disperatamente le mani con le orecchie, cercando di allontanare quelle voci che no, non mi appartengono e non mi sono mai appartenute, non ora, né in passato, né in futuro. Ma è tutto inutile.


“Zio Thorin!”


Era lì. Era lui. Potrei scommetterci l’anima.


“P-piacere di c-conoscervi, signor . . .”

“…Durin.”


Ed io . . .

Dentro di me, qualcosa si spezza.

Sciocco, sciocco, dannato e matto Baggins con quella tua linguaccia! Non potevi starti zitto, no? No, ovvio che no. E’ chiedere troppo trattenerti per una buona volta, non è vero?


“Sembra più uno scolaretto che uno scrittore.”


Beh, se è per questo arrogante che hai perso il sonno e le parole negli ultimi mesi e che tanto desideravi incontrare, allora direi che hai sprecato il tuo tempo, Bilbo.

Sospiro e mi tolgo le mani dalle orecchie, cercando di scacciare quei pensieri.

Beh, ormai è fatta. Tanto non lo rivedrò più, poco ma sicuro.


‘Tornerò da te, amore mio. Te lo prometto.’

‘Sai che non puoi fare una promessa simile, Thorin.’

‘Posso, invece. Tornerò, Bilbo. Dovessi metterci mille secoli, tornerò da te.’


Mi porto una mano sul cuore, che ha ripreso a battere all’impazzata, e non più per la rabbia.

Il pensiero vola ai suoi occhi, quando hanno incontrato i miei per la prima volta, alla loro luce, al loro calore.

Forse non è detto.
Forse questa non è la fine, ma l’inizio di qualcosa di nuovo.
Qualcosa di buono.
Qualcosa di antico e nuovo insieme.

‘Thorin…’ sussurro tra me, e il suono che il suo nome ha sulle mie labbra è troppo familiare per essere ignorato.

Qualcosa che stavo aspettando da tanto, troppo tempo.

 

 

 

La tana dell’autrice


E rieccomi qua, dopo secoli di solitudine! Vi sono mancata? Voi a me si, tanto!

Allora allora allora, per prima cosa ci tengo tantissimo a ringraziare tutte le anime coraggiose che stanno leggendo questa storia, e quelle ancora più pie che lasciano il loro pensiero alla sciagurata autrice qui presente! Un grazie particolare a tutti coloro che, nonostante tutto, hanno recensito lo scorso capitolo, e uno doppio per Benni, che ha anche lasciato una piccola recensione a una short pubblicata così per caso e mi ha ricordato affettuosamente di ‘ pensare alla tua long!’. Attenta cara, se non esprimo in altre storie i miei istinti angst potrei rifarmi su questa, e non credo che sia un bene . . .

Ci siamo, finalmente!
Eccolo qui, il primo incontro dei nostri fagottini di angst! Allora, è stato come ve l’aspettavate? Vi è piaciuto? Vi ha deluso? Aveva gridato ‘alleluia’? Vi ha fatto alzare gli occhi al cielo dall’esasperazione ? Avete preso a sbattere la testa al muro come la sottoscritta? XD
Ok, incontrare la propria anima gemella ad una festa a cui magari non si voleva nemmeno andare è un clichè vecchio e stravecchio, ma volevo rifarmi al loro vero primo incontro, con la festa inaspettata a casa di Bilbo e Thorin che arriva come un fulmine a ciel sereno. E poi, ci sarà un motivo se ‘la festa del destino’ è un gran clichè, no?
Si, i ragazzi non sanno proprio come comportarsi, comunque. Mesi a sognarsi a vicenda e poi . . . mah, io non ho parole! Dopotutto, non è che all’inizio inizio tra loro sia andato sempre tutto bene. Ma non temete, perché presto Bilbo correrà al riparo per entrambi!
Oltre a questo ambito avvenimento vediamo Bilbo che si relaziona con i suoi amici, che affronta Gandalf – e si, a quanto pare la vita del nostro scrittore non è rosea come potevamo immaginare all’inizio, se faceva sedute da uno psicanalista- e che risponde a Thorin, per poi pentirsi della sua linguaccia lunga e decidere –in cuor suo- che farà qualcosa per rimediare a il casino di questa sera.
Ne vedremo delle belle d’ora in avanti, state sicuri!
Mi sono divertita a fare abbastanza riferimenti non solo alle opere originali, ma anche ad altre opere, di cui troverete qualche accenno sotto il titolo ‘note’. Vediamo chi riesce ad individuarli tutti!
Ah, molte delle scene d’ubriacatura della festa sono prese da cose vere che ho visto succedere a un matrimonio di poche settimane fa, compresa la tarantella improvvisata di cui ho fatto parte io –faccina orgogliosa-. La pizza e Bifur che recita poesie famose invece sono farina andata a male del mio sacco. Si, perché nella mia immaginazione Bifur è un traduttore professionista che conosce una decina di lingue, che usa mischiando tra loro nella vita di tutti i giorni, e quando si ubriaca inizia a recitare versi di ciò che traduce e più lo colpisce.
A proposito, la storia nella mia mente sta prendendo due direzioni differenti, per cui mi trovo a un bivio . . . finale triste o finale allegro? Questo è il problema! – e per fortuna che sta fic era nata come una cosa dolce e leggera, mah-
Mi scuso per la grafica, ma il pc di mio fratello ha problemi con EFP, ed è già tanto se riesco ad aggiornare ad ogni morte di Papa.
Oh, ultima cosa e poi vi lascio alle note: come sapete, il titolo attuale è provvisorio, e ne sto ideando altri alternativi. Ma sono profondamente indecisa, per cui vorrei sapere la vostra opinione! Che ne pensate di questi? O potete anche suggerirmi varianti o altri completamente nuovi, se volete!

-Ci rivedremo, ci ritroveremo e ci riconosceremo tra tutti
-Una seconda possibilità
-Di nuovo nei tuoi occhi
- Un giorno ci ritroveremo
-In un'altra vita
-Loving you forever can’t be wrong
- I've seen your eyes before
-A Thousand Years


Note:

-Merlin: telefilm famosissimo della BBC e una delle mie fisse più moderne, come già sapete, è iniziato nel 2009 ed è finito qualche anno fa, in un modo che ricorda tanto quello di Bofta ed in un certo senso anche l’inizio di questa mia fic. . .
-Freya: non conosco il nome della mamma di Gimli alias signora Gloin, quindi l’ho preso in prestito da uno dei miei personaggi preferiti di ‘Merlin’, appunto.
-‘I kissed a girl’: è una canzone del 2008 della mitica Katy Perry, una delle mie cantanti preferite – volevo qualcosa di più moderno, ma avendo come data limite il 2009 mi sono dovuta accontentare-.
-Emily Dickinson: è una delle più grandi poetesse della storia, e la mia preferita in assoluto. In pratica ha vissuto quasi tutta la vita chiusa in una stanza, certa che con la fantasia si potesse ottenere tutto e vivere le emozioni e le esperienze più vere, e dopo la sua morte in quella stessa camera sono stati ritrovati quasi 2000 poesie mai lette da nessuno, ed ancora oggi sono considerate tra le più belle poesie di tutti i tempi.
- Pierino Porcospino: è la traduzione in italiano di una raccolta tedesca di storie in rima per bambini – non fatemi mettere il titolo originale, vi prego, è uno scioglilingua spaventoso- . Erano storie essenzialmente educative, ed attraverso i racconti di bambini con vari vizi che venivano prontamente puniti si voleva spaventare il piccolo lettore e spingerlo a comportarsi bene. Mia madre, che ha passato l’infanzia in Germania, ce le leggeva sempre quando andavamo a dormire, e me le ricordo ancora tutte. C’era quella del bimbo che si succhiava i pollici e il sarto glieli tagliava di netto, quella del ragazzino che non voleva mangiare la zuppa e che dopo una settimana moriva, quella – forse la più brutta- della bambina che giocava con i fiammiferi e moriva bruciata viva . . .insomma, tutte cosette allegre. E la gente si chiede ancora perché sono così, mah  .

 

 

 

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Capitolo 7
*** Capitolo 6- Seconde possibilità sul palmo di una mano ***


 

Capitolo 6- Seconde possibilità sul palmo di una mano

 

 

 

 

“E dimmi che un giorno ci ritroveremo. Dimmi che ritorneremo, magari anche più invincibili di prima. Dimmi che ancora non è finita, dimmelo amore mio.”

 

-          Il giovane Holden

 

 

 

‘Mio cugino più giovane è tornato un paio di mesi fa, più o meno, da un lungo servizio in Afghanistan.’

 

 

 

Accanto a me, l’uomo dai capelli color della notte si alza, lo sguardo fisso sul grande orco pallido, ed il mio cuore resta senza battiti.

 

Lo seguo con gli occhi mentre avanza, fiero e senza paura, tra le fiamme, la sua spada stretta in una mano ed un ramo di quercia nell’altra, simile ad un eroe leggendario il cui nome è stato smarrito nei secoli.

 

Veloce, sempre più veloce, corre contro il nemico sotto i nostri sguardi intimoriti, e tutti noi tratteniamo il fiato quando vediamo il bianco lupo e il mostro dal cuore di tenebra saltargli addosso.

 

Il mondo attorno a loro trema, mentre il guerriero dagli occhi di ghiaccio si rialza con fatica, ma deciso a non cedere, ma viene ributtato a terra da un violento colpo di mazza.

                                                                                                                                   

Una voce, alle mie spalle, grida anche per me, ormai senza più fiato.

 

Mi alzo in piedi sul legno instabile, le labbra strette tra loro, e trattenendo un gemito quando sento l’urlo di dolore dell’uomo dai capelli corvini, stretto nelle mandibole possenti di quel lupo albino.

 

Qualcuno prova a sollevarsi, ad intervenire, ad andare in suo aiuto, ma non può, e nella sua voce sconfitta che grida il suo nome sento tutta la disperazione che mi sta straziando l’anima.

 

Il lupo lo agita in aria, le sue zanne che penetrano ancora di più nelle sue carni, per poi lanciarlo contro un masso e lascialo lì, stordito ed indifeso.

 

L’orco si rivolge ad uno dei suoi seguaci, e sibila in quella lingua maledetta una frase che può avere un solo significato, che diventa anche fin troppo chiaro quando quell’ultimo si avvicina a lui, l’arma che brilla di una luce malvagia stretta in pugno.

 

Prima che possa pensare lucidamente, la mia mano corre all’elsa del mio piccolo pugnale, che estraggo senza esitazione.

 

No.

 

Prendo un respiro, mentre quell’orrida creatura gli poggia con gioia maligna la lama sulla gola, che poi solleva in aria per sferrare il suo attacco letale.

 

I miei piedi si muovono senza bisogno di alcun comando, mentre la lama brilla malvagia nella notte, promessa di morte e di buio, e brilla nei suoi occhi ancora pronti ad un’ultima resistenza, e non alla sconfitta.

 

Non posso guardarlo morire.

 

Non posso!

 

E con questo pensiero, mi lancio contro la creatura che ha avuto l’arroganza di sfiorarlo.

 

Lo butto a terra con me, e quando prova ad attaccarmi grido con una rabbia finora sconosciuta e rispondo con la mia spada, per poi salire su di lui e piantargliela dritto nel cuore, rubandogli l’ultimo grido della sua vita infame.

 

Mi rialzo, la mia arma sporca di sangue fermamente stretta in mano, e con un ringhio mal trattenuto mi posiziono davanti al corpo senza forze dell’uomo dai capelli color della notte, frapponendomi tra lui ed un branco di lupi ed orchi che aspettano solo di saltargli alla gola.

 

Non l’avranno.

 

Non avranno Thorin.

 

Dovessi proteggerlo con la mia vita, non gli permetterò di portarmelo via.

 

Mai.

 

 

‘Ah, forse ci sarà anche lo zio. L’ho invitato, oggi pomeriggio, e stranamente sembrava propenso a venire.’

 

 

Il mio cuore è stretto in una morsa dolorosa, mentre guardo l’uomo dai capelli corvini osservare l’orizzonte scuro con lo sguardo di chi si è smarrito molto, troppo tempo fa.

 

Mi avvicino piano a lui, e la voce mi esce incerta dalle labbra, nel certo inutile tentativo di raggiungerlo lì dove si trova ora.

 

“Thorin?”

 

Egli resta in silenzio per un attimo, ma poi lentamente si volta verso di me, l’accenno di un sorriso sul volto stanco e teso.

 

“Bilbo.”

 

Pronuncia il mio nome, solo il mio nome, come fa di raro, quando siamo soli, e dentro di me un piccolo pezzo d’anima trema.

 

“Credevo fossi addormentato da tempo, ormai.”

 

Il suo sguardo mi trafigge, ma è come se lui non fosse realmente qui, come se fosse altrove, in un altro tempo, in un altro posto.

 

“No, a dire il vero io, io… tu, sembri pensieroso, ed io . . . io volevo solo sapere se è tutto a posto.”

 

Balbetto, mentre un grande calore mi avvolge le orecchie e mi pizzica le guance.

 

Lui sbatte le palpebre, una volta, due, tre volte, e finalmente sembra aver messo a fuoco il mondo che ci circonda.

 

Muove appena la testa, in un cenno che non so interpretare.

 

“Sto bene.”

 

Mormora, la voce bassa e così dannatamente lontana.

 

Faccio un passo in avanti, improvvisamente senza più imbarazzo o timore.

 

“No, non è vero.” obbietto, il cuore che batte come un tamburo impazzito “Tu non stai bene. Non ora, almeno. Il tuo corpo è qui, ma la tua mente è altrove, persa nei giorni lontani che non hai mai abbandonato, e la tua anima corre verso la Montagna, spinta dal desiderio di ciò che è andato perduto e che mai hai smesso di desiderare. Non stai bene, Thorin, e non devi fingere il contrario. Non con me, almeno.”

 

Lui mi guarda come se fossi impazzito, ma dura solo per qualche momento. Poi, la sua maschera cade, e posso leggere nei suoi occhi la profondità del suo dolore.

 

Mi avvicino piano a lui, e dopo un istante di esitazione gli afferro la mano e la stringo forte tra le mie.

 

“Resta qui.”

 

Gli sussurro, senza mai staccare gli occhi dai suoi, confusi e persi.

 

“Il passato è passato, ormai. Non inseguirlo. Resta qui con noi. Resta qui con me.”.

 

Lui mi guarda, mi guarda a lungo, e pian piano l’ombra che gli oscura lo sguardo scompare, e la mano libera sale a posarsi sulle mie.

 

Sussurra lentamente, avvicinandosi ancora di più a me, tanto che i nostri respiri finiscono per mischiarsi.

 

“Sono qui.”

 

 

‘E questo, zio, è il famoso Bilbo Baggins!’

 

 

“Thorin..”

 

L’uomo dai capelli corvini si volta verso di me e mi scruta con i suoi occhi color del ghiaccio, che come sempre mi fanno tremare dentro.

 

“Mastro Baggins.”

 

Risponde, studiandomi con lo sguardo e facendosi più vicino.

 

Stringo tra le mani con più forza la ciotola che porto con me, per poi porgergliela in un gesto orami familiare.

 

“Ti ho portato la cena. E’ da quando siamo arrivati qui che non tocchi cibo e ho pensato, beh, che avessi fame.”

 

Lui fa scorrere lo sguardo da me alla zuppa fumante che gli ho offerto, per poi riportarlo sul mio viso.

 

“Ti ringrazio, ma non ce n’è bisogno. Sto bene così.”

 

Dice, mentre un riflesso dell’antico calore gli illumina per un attimo il volto.

 

“Non dire stupidaggini, non puoi stare bene. Non mandi giù qualcosa di decente da giorni.” obbietto seriamente, sbruffando “Devi mangiare, Thorin. Hai bisogno di tutte le tue forze, in questo momento.”.

 

Il guerriero aggrotta la fronte “Non posso perdere tempo con qualcosa di così poco importante come il cibo, ora. L’arkengemma . . .“

 

Il gelo mi attraversa il cuore, mentre quella maledetta pietra sembra diventare ancora più pesante all’interno della mia tasca.

 

Ancora l’arkengemma. Sempre l’arkengemma.

 

“L’arkengemma non va da nessuna parte, Thorin. Se è in questa Montanga, la troveremo presto. Stiamo cercando tutti, giorno e notte, in ogni angolo di Erebor. Ma certo tu non faciliterai le cose se ti rifiuti di mangiare e poi cadi a terra come un sacco di patate.”

 

Lui mi lancia uno sguardo a metà tra l’irritato ed il divertito.

 

“Io non cado a terra come un sacco di patate, Bilbo.”

 

Obbietta, gli angoli delle labbra atteggiati in un principio di una risata trattenuta.

 

“Ma succederà, se ti ostini a non mangiare. Che devo fare per convincerti, imboccarti io stesso?”

 

Sbruffo, alzando gli occhi al cielo e fingendo un faccia da esasperazione, nemmeno troppo finta tra l’altro.

 

Il principe dagli occhi di ghiaccio mi osserva per qualche secondo, per poi domandare con aria quasi dolcemente sorpresa “Ti interessa così tanto la mia salute?”

 

Quella domanda mi prende alla sprovvista.

 

“Co . . .? Certo che la tua salute mi interessa, andiamo! Insomma, io . . . Perché non . . . oh, lasciamo stare.”

 

Scuoto la testa, imbarazzato e confuso, mentre le gote iniziano a pizzicarmi.

 

“Senti, facciamo così: tu mangi con calma la zuppa e io vado a vedere come vanno le ricerche e mi fermo a dare una mano, d’accordo?”

 

Tento, cercando almeno di ottenere il mio obbiettivo con questo compromesso.

 

Lui storce la bocca, ma poi allunga la mano ed afferra ciotola e cucchiaio.

 

Sorrido vittorioso e faccio per andarmene, ma la sua voce profonda mi blocca.

 

“Resta qui.”

 

Mi volto verso di lui, certo di non aver capito.

 

“Cosa?”

 

“Resta qui” ripete il guerriero, afferrando il cucchiaio e prendendo un po’ di zuppa “Gli altri non hanno bisogno del tuo aiuto nelle ricerche. Hai fatto già più di quanto dovessi, per tutti noi.”

 

Mi regala un piccolo sorriso, e per un attimo mi sembra di rivedere il mio Thorin, quel Thorin che non vedevo più da quando siamo entrati in questa maledetta Montagna.

 

Ed il mio cuore si spezza un altro po’.

 

 

‘P-piacere di c-conoscervi, signor . . .’

 

‘…Durin.’

 

 

Un vecchio dalla lunga barba bianca si avvicina piano a me, tormentandosi le mani rovinate quasi con ansia.

 

“Allora?”

 

Domanda, preoccupato.

 

“Sono riuscito a convincerlo a mangiare la zuppa. Ho provato a mandarlo anche a dormire, dopo, ma ha detto che riposerà solo quando le ricerche saranno ultimate.”

 

Spiego con un pizzico di tristezza, stringendomi nelle spalle.

 

Lui sospira, un po’ sollevato.

 

“Almeno sei riuscito a farlo mangiare. Ormai erano tre giorni che non toccava cibo.”

 

“Lo so.” commento con fatica, mordendomi il labbro.

 

L’anziano deve notare il mio sconforto, perché mi posa una mano sulla spalla.

 

“Hai fatto più di quanto siamo riusciti tutti noi messi insieme in questi lunghi giorni. Tu sei l’unico che ancora riesce a farlo ragionare ed a toccare il suo cuore, ormai. Sei una benedizione, Bilbo. La nostra unica, piccola luce in queste ora di oscurità.”

 

Commenta con dolcezza, tentando di tirarmi su.

 

Abbasso lo sguardo e stringo con forza i pungi, mentre la mia mente torna agli occhi dell’uomo dai capelli corvini, più freddi e lontani che mai.

 

“Vorrei solo fare di più, Balin. Vorrei . . .”

 

La voce mi si spezza, ma lui annuisce, cogliendo anche quelle parole chiuse nella mia gola e troppo dolorose per riuscire ad uscire.

 

“Lo so, ragazzo. Lo vorremmo tutti.”

 

 

‘Dunque, questo è lui.’

 

 

‘Tornerò da te, amore mio. Te lo prometto.’

 

La sua mano mi sfiora dolcemente la guancia, e io la copro con le mie, cercando di trattenerla con me il più a lungo possibile.

 

‘Sai che non puoi fare una promessa simile, Thorin.’

 

Una lacrima mi scivola via dal cuore.

 

E’ una lacrima di sangue.

 

I suoi occhi color del ghiaccio mi trafiggono per l’ultima volta.

 

‘Posso, invece. Tornerò, Bilbo. Dovessi metterci mille secoli, tornerò da te.’

 

 

Mi sveglio di soprassalto, il cuore che batte come un tamburo impazzito ed il respiro affannoso, mentre davanti ai miei occhi continua a bruciare quello sguardo che fino a pochi secondi fa mi attraversava l’anima.

Nell’aria rimbombano con ironica allegria le note della mia suoneria, ma io resto a fissare il vuoto ed a cercare di calmarmi fino a quando non diventano troppo fastidiose per essere ignorate.

Mi alzo dal divano, facendo cadere almeno tre decine di fogli, cinque o sei penne nere e blu ed un blocchetto degli appunti, per poi arrancare fino alla poltrona dove il mio cellulare continua implacabile a suonare.

Lo afferro e sblocco lo schermo, per poi ritrovarmi davanti la faccia sorridente di un ragazzo che mi fissa con aria quasi complice e sotto un nome che lampeggia fino a far male agli occhi.

Alzo lo sguardo al cielo ed accetto con un sospiro la chiamata.

“Kili.” gemo mentre mi passo una mano sulla faccia, il principio di un’emicrania che inizia a farsi sentire.

“Allora sei vivo!” esclama la voce squillante del giovane Durin dall’altra parte del telefono “Sono secoli che busso alla porta, ti credevo a terra con la testa spaccata.”

“Non sono mo- aspetta, sei fuori dalla porta?” domando confuso, mentre tra me e me mi domando se addormentarmi durante i mie tentativi di scrittura stia diventando un’abitudine.

“Si, ed a proposito, ti dispiacerebbe aprire? Dopo venti minuti passati a fissarla, la tua interessantissima porta sta diventando abbastanza antipatica e potrei finire per prenderla a calci.” sbruffa il ragazzo, e posso immaginarlo con chiarezza tirarsi indietro i lunghi capelli scuri per lanciare uno sguardo assassino in direzione del mio ingresso.

“Ok, arrivo.” chiudo la telefonata e vado alla porta, dove mi ritrovo un vispissimo e giusto un po’ infreddolito Kili che mi saluta con uno strillo – Dio, perché i miei amici hanno tutti questa propensione al gridare?- e si infila dentro casa senza nemmeno aspettare un cenno da parte mia.

Sospiro e richiudo l’uscio, mentre l’adolescente si precipita in salotto, dove fa un fischio di ammirazione.

“E poi Fili dice a me che sono disordinato!” esclama, indicando il mio divano ed il tavolino, ricoperti di fogli, appunti e quaderni “Tu mi batti alla grande, amico.”.

Arriccio l’angolo delle labbra nel fantasma di un sorriso  “E’ solo il casino pre-stesura.” spiego “Il resto del tempo la mia casa splende di pulizia ed ordine.”.

“Si, ed io ci credo.” si butta sulla poltrona, per poi lanciarmi uno sguardo confuso “Ma perché, stai scrivendo? Balin non ti aveva dato un periodo di pausa, una volta tanto?”.

Mi mordo l’interno della guancia. Ecco il problema di avere la maggior parte dei propri amici che fanno parte della tua vita lavorativa; sanno tutto quello che vorresti nascondere.

“Si, ma preferisco sfruttare questo tempo per buttare giù qualcosa.” rispondo quasi con esitazione “E poi non so stare con le mani in mano.”.

Non è questo il vero motivo, e io lo si bene. Ma non è importante, non ora.

Kili fa una smorfia, ma non mi contraddice “Come preferisci. Ah.” si toglie il borsellino di pelle che porta addosso e inizia a trafficarci “Stavo per dimenticarmelo ... sono venuto a riportarti questo da parte di mamma. Si scusa per non avertelo restituito di persona, questa volta, ma aveva un altro impegno importante.”.

Estrae dalla minuscola borsa un ancora più piccolo romanzo, che riconosco come la mia copia di ‘Coraline’, e me lo porge.

“L’ha finito solo ora?” domando incuriosito, afferrando sorpreso il volume “Glielo avrò prestato come minimo due settimane fa. Di solito divora libri grandi come grattacieli alla velocità della luce.”.

“Lo so, ma sta avendo molto da fare a casa ed a lavoro, ed ha poco tempo per letture di diletto.” solleva gli occhi al cielo, seccato “Non fa che lamentarsene. Comunque, come ti è sembrata la festa, ieri? Ti sei divertito?” domanda di nuovo allegro.

 

Al pensiero di ieri sera, e soprattutto di chi ho incontrato ieri sera, mi corre un brivido lungo la schiena. E’ da quando sono uscito dal locale di Gloin, la scorsa notte, che non ho smesso di pensarci.

Quel volto. Quegli occhi. Quel nome.

 

Thorin Durin.

 

Ieri sera ho incontrato l’uomo dei miei sogni. Oddio, detto così sembro una qualche sedicenne depressa e con gli ormoni a mille che ha letto troppe volte ‘Romeo e Giulietta’, ma è davvero così. Ieri sera ho incontrato l’uomo che continuo a vedere ogni volta che mi addormento, ogni singola volta che chiudo gli occhi.

 

E, come al mio solito, ho rovinato tutto dando retta alla mia solita testa calda.

 

Bravo Bilbo, davvero bravo. Beh, bisogna dire che non è che lui si sia comportato tanto meglio di me. Quel commento se lo poteva davvero risparmiare.

Però .  . .

 

 

“S-si, è stata carina.” esito, incerto se osare o meno. Mi basta ripensare a quegli occhi color del ghiaccio per decidermi  “A proposito, quell’uomo che mi avete presentato ieri . . .”

Lascio la frase a metà, ma sembra quasi che Kili abbia aspettato quella domanda da quando ha messo il piede in casa, perché i suoi occhi si illuminano di quella luce maliziosa che ho imparato ad associare alla parola ‘guai’ e le sue labbra si piegano in un sorrisetto furbo.

“Ah, era mio zio Thorin.” fa in un finto tono indifferente “Dubito che io o Fee te ne abbiamo mai parlato, a dire il vero.”.

Scuoto la testa “No, non l’avete mai fatto.” Altrimenti me lo ricorderei. Oh, se me lo ricorderei.

Lui annuisce “Beh, sai che non parliamo molto della nostra famiglia. Comunque è il fratello minore di mamma e zio Frerin. E’ un capitano, sai? O meglio, era un capitano.” Il suo viso si scurisce un po’, ed i suoi occhi diventano malinconici, il che fa quasi paura, visto che si tratta di Kili, il sempre allegro e spensierato Kili, la risata vivente, il sorriso che cammina, il luminoso e semplicemente Kili.

“Cosa è successo?” domando, quasi con paura di chiedere troppo.

Il ragazzo si stringe nelle spalle “Si è lanciato davanti ad un novellino per proteggerlo durante un attacco a sorpresa, prendendosi una pallottola dritto nel fianco. Si è salvato miracolosamente, ma le sue condizioni di salute non sono molto buone, e così l’esercito l’ha rispedito a casa.” Stringe le labbra in una smorfia mal trattenuta, per poi sospirare “Non l’ha presa molto bene. Nessuno di noi l’ha presa bene. Ma la vita va avanti, no?”

Annuisco, mentre dentro di me inizio a collegare i puntini. Le parole di Balin. La sua aria severa e quasi fuori posto quando è entrato ieri sera. Il suo portamento militare. Il taglio di capelli corto e curato. Le piastrine, al loro posto ancora dopo settimane dal congedo.

Kili si passa una mano tra i capelli, prima di fare un sorrisetto e continuare “Comunque scusalo per ieri, ma vedi, lui tratta così tutti. Non è mai stato molto socievole, nemmeno prima di entrare nell’esercito. Dopo che è stato rimandato qui poi, non ne parliamo. Ha ridotto i contatti umani a quelli strettamente necessari, parla a monosillabi ed esce solo per i controlli all’ospedale, trascinato dalla mamma e da me e Fili. Credo che quella di ieri sera sia stata la prima vera uscita da quando è ritornato. Dwalin l’ha dovuto praticamente trascinare in macchina.”.

Ah.

“Io ... non importa, anzi, f-forse ho esagerato a prendermela così tanto.” borbotto, mentre nuove vergogna ed imbarazzo si aggiungo a quelle che mi porto dietro dalla sera precedente.

“Oh no, hai fatto bene.” ribatte il ragazzo allegramente, finalmente di nuovo sereno “E’ rarissimo trovare qualcuno capace non solo di tenere testa allo zio, ma anche di zittirlo. Io e Fili non riuscivamo a credere alle nostre orecchie! A proposito . . .” e si, quel sorrisetto che gli si è appena formato sul volto promette male, molto male “E’ strano che tu abbia chiesto di lui.”.

“Perché?” domando, aggrottando la fronte.

Il suo sorriso diventa ancora più grande “Perché lui ha chiesto di te, stamattina.”.

Il mio cuore perde un battito “C-come?” chiedo, certo di aver capito male.

“Mentre facevamo colazione, ci ha domandato se ‘il signor Baggins’ se l’era presa davvero così tanto per il suo commento di ieri. “ spiega, mentre gli occhi gli brillano. “Aveva una faccia tesissima e degli occhi da cucciolo bastonato. Da come ce l’ha chiesto, sembrava che fosse una questione di vita o di morte. Non l’ho mai visto… beh, in quel modo.”.

 

Non riesco a crederci. Lui . . . lui ha chiesto di me. Voleva sapere se me l’ero presa per ieri.

Lui ha chiesto di me.

Di me.

 

“Davvero?” mormoro, non riuscendo a credere alle miei orecchie.

L’adolescente annuisce, con un sorriso che va’ da un orecchio all’altro, stile Stregato di Alice nel Paese delle Meraviglie. O Joker di Batman, forse. Si, è molto più simile a Joker. Ha lo stesso sguardo che promette male. Molto, molto male.

“Mm-mm. Noi gli abbiamo detto che forse, sul momento, si, perché sei abbastanza suscettibile sul tuo lavoro –non guardarmi così, è la verità-, ma che probabilmente entro poco tempo ti saresti dimenticato tutto. E lui ha sospirato. Sospirato. Lui non sospira mai.” Mi lancia un sguardo a metà tra il complice, lo stupito ed il malizioso “Abbiamo fatto colpo, eh?”.

Le guance iniziano a pizzicarmi, e io mi passo imbarazzato una mano tra i capelli “M-ma cosa dici? Ci siamo a malapena rivolti la parola. Per insultarci, poi.”.

Il ragazzo annuisce “Già, e so quanto ti da’ fastidio avere cattivi rapporti con qualcuno. E credo proprio che in questo caso anche il nostro particolare qualcuno voglia una seconda chance.”.

Aggrotto la fronte, confuso “Che cosa vuoi dire?”.

Lui sorride di nuovo “Solo che, a volte, bisogna iniziare una seconda volta per far si che le cose vadano per il verso giusto.” I suoi occhi parlano più delle sue labbra, e la mia anima trema un po’ a quello che mi sta proponendo.

Kili si alza, stiracchiandosi appena “Beh, io vado a casa, ora.” borbotta, rinfilandosi il borsellino, per poi voltarsi verso di me e lanciarmi un ultimo sguardo pieno di aspettativa.

 

Io rimango in silenzio per un attimo, la mente confusa e divisa tra le due diverse strade che mi si stanno aprendo davanti. Le mie due possibilità. Le vaglio attentamente per qualche secondo, il mondo immobile assieme al mio respiro, ma mi basta un battito del cuore e il ricordo di quei pochi istanti in cui i nostri occhi si sono incontrati, per spingermi verso quella che, in realtà, dentro me è stata sempre l’unica vera opzione.

 

‘Bilbo . . .’

 

Mi alzo di scatto, stringendomi forte le mani.

“Aspetta.” rispondo, la voce insolitamente ferma “Vengo con te.”

 

 

o0O0o.

 

 

“Thorin?”

 

Una voce mi riscuote dai miei pensieri, ed io alzo appena lo sguardo su mia sorella Dis, che mi osserva con aria interrogativa.

”Cosa?” domando, costringendomi a prestarle attenzione.

Lei sbruffa, alzando per un attimo gli occhi scuri al cielo e tirandosi indietro un ciuffo ribelle di capelli biondi sfuggito alla lunga coda ”Si può sapere che cos’hai? È tutto il giorno che sembri perso in un mondo tuo.” commenta, con quel tono che da adolescente tanto mi infastidiva e che non è da meno ora.

Scuoto appena la testa “Non è niente.” rispondo freddo, mentre la mia mente ritorna inevitabilmente ad un paio di occhi blu scuro e un nome dal suono familiare, le cause della mia distrazione.

 “Certo, e io ci credo.” si mette ad armeggiare con la sua borsa, alla ricerca delle chiavi di casa, senza aggiungere altro.

Fin da quando eravamo piccoli è sempre stata lei l’unica capace di vedere attraverso la mia armatura d’acciaio e leggermi dentro, ma quando non voglio assolutamente parlare di qualcosa è inutile tentare di farmi cambiare idea, e lei lo sa anche fin troppo bene.

E quello che è successo ieri sera non è assolutamente qualcosa di cui mi va di discutere.

Deglutisco, mentre il mio pensiero si rivolge ancora agli eventi della sera precedente.

 

 

‘E questo, zio, è il famoso Bilbo Baggins!’

 

 

Dio, se avessi saputo che, che . . . oh, ma chi voglio prendere in giro.

Sapevo che avrei trovato lui lì.

Lo sapevo.

È per questo che mi sono fatto convincere da Fili a considerare la sua proposta di raggiungerlo a quella maledetta festa. È per questo che alla fine mi sono fatto trascinare da Dwalin fino a quel dannatissimo locale.

Per questo.

Per trovarlo, finalmente.

Per poterlo vedere.

Per poterlo incontrare.

Per poter sentire la sua voce.
Per poter sfiorare con i miei i suoi occhi.

 

Per lui

 

Semplicemente per lui.

 

Un sospiro mal trattenuto mi sfugge dalla gola, attirando l’attenzione di mia sorella, di cui però fingo di non vedere lo sguardo pieno di parole e sospetti

 

Era lì.

Era veramente lì, dopo settimane passate a vederlo nei miei sonni e in rapidi riflessi durante il giorno, era lì, davanti a me.

Dopo tanto tempo, finalmente era davanti ai miei occhi, vivo e concreto e reale, così vicino che se solo avessi alzato la mano avrei potuto toccarlo.

Era davanti a me, lo sguardo pieno di aspettativa, come se sapesse, come se anche lui avesse aspettato tanto.

Ed io ho rovinato tutto, come al mio solito.

Quel commento incontrollato e senza senso, sfuggito dalle mie labbra quasi contro la mia volontà, per paura, per ansia, per cosa io non lo so, ha spezzato quel momento, e per un attimo ho potuto vedere lo stupore, il dolore ed infine la rabbia riflettersi in quegli occhi blu che la mia mente ha impresso a fuoco dentro, prima che mi rispondesse con voce ferma e poche parole ed andarsene, lasciando il vuoto sia fuori che dentro me.

 

Un breve rumore mi ritrascina quasi benevolmente al presente, e mi ci vuole qualche secondo per realizzare che Dis ha finalmente trovato le chiavi ed aperto la porta, e mi sta fissando in attesa che mi decida ad entrare.

Facendo finta di niente mi infilo con aria seria nell’appartamento, fortunatamente vuoto, ed alle mie spalle sento la porta chiudersi.

Inizio a sfilarmi la giacca, mentre mia sorella si butta con aria noncurante sul grande divano al centro del salotto, e si scioglie i capelli con un sospiro.

 

Le lancio uno sguardo a metà tra l’infastidito e l’affettuoso.

 

Anche adesso, con due figli ormai grandi ed una grande fama di critica letteraria alle spalle, oltre ad una serie di lutti che porta stretti nell’anima come se fossero tesori preziosi da custodire e proteggere, Dis sembra la ragazzina libera e spumeggiante dei miei ricordi.

Bellissima ed intelligente, con quel suo cervello da genio che si ritrova, i lunghi capelli biondi, il sorriso sarcastico e quegli occhi da aquila, è sempre stata considerata la principessa della nostra famiglia. Una principessa guerriera, ovvio.

Da piccola faceva a botte con i bulletti della scuola, mandandone a casa piangendo la maggior parte, frequentava corsi di difesa personale e se ne fregava altamente di tutte quelle cose che interessavano alle sue coetanee, come i fiori, le fatine o i vestiti. Da adolescente girava in motorino, studiava ad un college per cervelloni e passava il suo tempo libero ad insegnare a me ed a Frerin le basi della lotta, per poi accompagnarci ogni pomeriggio a lasciare dei fiori sulla tomba della mamma.

Poi, quando nostro padre scomparve, Dis abbandonò il titolo di principessa, per essere esclusivamente una guerriera.

Lottò a lungo per avere la custodia mia e di Frerin, prese a fare due lavori allo stesso tempo e la notte, quando Balin e Dwalin davano una mano a finire le faccende ed a tenere d’occhio noi due, si metteva sui libri per andare avanti con gli studi.

Alla fine, terminato il college con il massimo dei voti, iniziò a lavorare nella casa editrice dei nostri cugini e su vari giornali e quotidiani con articoli di critica, ed iniziò rapidamente a farsi un nome.

Divenne la famigerata Dis Durin, il terrore degli scrittori, l’esigente critica letteraria che, con arguzia ed un pizzico di ironia, riusciva a scovare i veri capolavori dalla massa di opere di poco conto, gettando nell’ovvio e nello scontato le altre e distruggendo intere carriere per portare alla luce gli autori che davvero contano.

Certo, una vita del genere, con una carriera bella ma complicata, due fratelli ancora giovani a casa e due figli piccoli arrivati da poco, più un marito assente sposato a poco più di vent’anni, non era facile.

Ma lei sembra fatta per le cose difficili.

Anche adesso, sembra soltanto una normalissima giovane donna appena tornata da una mattinata noiosa, e non una che sta cercando di riprendersi dall’ennesimo colpo basso di questa guerra chiamata vita.

 

“Allora” fa, stiracchiandosi “non è andata molto male, no?”

Aggrotto la fronte “Definisci ‘non molto male’, prego.”.

Lei alza gli occhi al cielo “Come sei drammatico. Andiamo, il medico ci ha dato solo belle notizie.”

“Il suo alito puzzava ancora di alcool.” obbietto quasi con astio, incrociando le braccia “Non so quanto le sue belle notizie siano affidabili.”

“Oin avrà anche bevuto, ieri sera, ma è stato professionale ed attento come sempre, ” ribatte fredda, lanciandomi un’occhiata di ammonimento. “ La situazione è sotto controllo, i valori sono stabili anche se la conta dei globuli bianchi è ancora molto bassa, soffri di debolezza persistente ma superabile e le tue possibilità di recupero sono sempre più rosee. Cosa vuoi di più?”

Cosa voglio di più?

Vorrei non essermi mai ritrovato in questa situazione.

Vorrei che quella maledetta pallottola avesse fatto bene il suo lavoro.

Vorrei essere morto sul campo, quando ancora ero me stesso e non ridotto ad una semplice ombra.

Ecco cosa voglio.

Trattengo a stento un ringhio e resto in silenzio, le mani strette forte a pungo e le parole non dette bloccate a metà strada tra cuore e gola, ma a Dis basta uno sguardo dei suoi occhi d’aquila per capire.

Sospira, il volto teso “Lo sai che, se ti curi bene e se la situazione continua a migliorare, c’è ancora una possibilità di poter fare ritorno nell’esercito.”.

Se gli sguardi potessero uccidere, adesso mia sorella sarebbe stesa per terra in una pozza di sangue, una pozza di sangue pericolosamente grande “Lo sai che è una possibilità praticamente impossibile. I medici sono stati chiari.” ribatto con voce tagliente, mentre le parole di quei demoni vestiti di bianco mi tornano alla mente, crudeli come pugnali.

 

 ‘La sua salute è irrimediabilmente compromessa. Il suo sistema immunitario non sarà mai più come quello di una volta, così come le sue abilità, e la debolezza sarà una costante nel suo corpo.’

 ‘Purtroppo, alla luce di questa nuova situazione, per lei anche un paio di giorni sul campo di battaglia sarebbero fatali.’

 ‘Mi state dicendo che non potrò . . . non potrò più combattere.’.

 ‘Mi dispiace. Mi dispiace tantissimo.’

 

“Anche troppo chiari.” concludo, le unghie così conficcate all’interno del mio palmo da farmi male.

Dis scuote la testa “Forse. Ma Oin ha detto che, se il tuo sistema immunitario risponde bene alle cure e riuscirai a rimetterti in forze, potresti ritornare al tuo stato normale di salute, e da lì, tentare di essere riarruolato. Ma se continui a deprimerti ed a ripeterti che non c’è alcuna possibilità di guarigione e di ritornare alla tua vecchia vita, questa evanescente e remota possibilità diventerà sul serio impossibile.”.

Trattengo a stento un moto di stizza.

 

È da quando sono tornata che, fedele al suo ruolo di brava sorella maggiore, continua a ripetermi questa specie di favola della buonanotte per convincermi a seguirla tra medici, centri ed ospedali, a perdermi tra nutrizionisti e farmaci, a tirarmi avanti un giorno dopo l’altro. Continua a fare forza su questo mio desiderio di ritornare a prima, ma non capisce che quel prima non esiste più.

Lei non vede, non può vedere.

Lei non può, perché lei, per sua fortuna, non è me.

Non sa che questo mio corpo, che vede come una macchina semplicemente un po’ rovinata e da riparare, ormai non mi appartiene più. Non sa che, anche se venisse aggiustato, non potrei comunque ritornare, perché l’esercito non prende mai gli scarti, soprattutto quelli creati da lui stesso. Non sa che, se non posso ritornare, non ha senso continuare a tirarsi avanti in questa vita che sa di grigio, di monotonia e di vuoto.

E io vorrei dirglielo tutto questo, davvero. Vorrei gridarle tutto quanto e travolgerla e farla sentire, e vedere, e capire.

Ma non dico niente, nemmeno stavolta.

Perché lei, nonostante tutto, a quella favola della buonanotte ci crede. E se questo può aiutarla ad affrontare i giorni che continuano a scorrere, allora fingerò di crederci anche io.

Almeno fino a quando questo bel castello di vetro si romperà e, come al solito, io sarò lì per prendermi al posto della mia famiglia tutti i frammenti infranti.

 

“E cosa dovrei fare per ritornare magicamente in sesto?” le domando, non senza un pizzico di dolorosa ironia ed amarezza “Fare quelle passeggiatine obbligatorie che oggi mi ha tanto raccomandato il dottor Oin?”.

È da quando il mio sistema immunitario ha iniziato a dare segni di miglioramento che il medico continua a spingermi a fare queste uscite giornaliere di almeno mezz’ora all’aperto, per rinforzare fisico e salute. Inutile dire che non gli ho mai dato retta. Ma oggi ha insistito così tanto che Dis ha iniziato a farmi una testa tanta fin da quando siamo usciti dall’ambulatorio, per ‘convincermi’ a seguire gli ordini da bravo soldatino.

Mi fulmina con lo sguardo “Smettila di fare il martire. È importante per la tua salute, e poi non è niente di che. Cosa vuoi che sia passare mezz’ora fuori? Non è mica come andare in guerra.” ribatte, per poi bloccarsi come congelata quando realizza le parole che le sono appena sfuggite di bocca.

I suoi occhi si allargano, e le sue labbra si muovono, forse per cercare di rimediare a quel commento fuori luogo, ma prima che possa parlare la blocco con un cenno della testa.

“Preferirei che lo fosse.” rispondo semplicemente, sedendomi accanto a lei.

Dis sposta ansiosamente lo sguardo al mio viso, il rimorso e il rimpianto dipinti in volto “Scusami, io . . .”

Dimentico sempre che per te combattere era tutto il tuo mondo.

Non riesco a comprendere veramente che il campo da battaglia sia ancora al centro dei tuoi pensieri, nonostante tutto quello che ci ha portato via.

Tento di ricordare che a te la guerra manca, e non ti tormenta come tormenta me, ma non ci riesco, perché per me è stata la causa di tutto quello che è andato storto nella nostra vita.

Ci sarebbero così tanti modi in cui potrebbe terminare quella frase, e glieli leggo tutti negli occhi da aquila, ma prima che possa farlo, la porta dell’ingresso si apre.

La voce allegra e squillante di Kili si espande nell’aria, mentre lo vediamo trafficare con chiave e borsellino ed infilarsi in casa.

“No, non preoccuparti, Fili è ancora al lavoro, non torna nemmeno per pranzo ora che sta uscendo con quella Sigrid. Pessima scelta, secondo me, insomma, ha solo un bel visino e nient’altro, come fa a starci insieme proprio non lo so. . .” chiacchiera ad alta voce mio nipote, e ho appena un paio di secondi per realizzare che deve esserci qualcun’altro con lui prima di riuscire a vedere di chi si tratta.

 

Ed il mio cuore, improvvisamente, si ferma.

 

Mia sorella si alza di scatto, andandogli incontro ed esclamando ad alta voce quel nome che è la conferma inutile di quello che la mia anima ha intuito ancora prima di vederlo del tutto in viso.

 

“Bilbo!”

 

Dentro di me, tutto va in subbuglio, e le mie mani si stringo a pungo, mentre i miei occhi vagano su quella figurina minuta che no, non mi ha ancora visto, ma che è qui, a pochi passi di me.

 

Bilbo Baggins.

 

È qui.

Lui è qui di fronte a me, con la sua camicia stropicciata, i riccioli disordinati ed il volto stanco, ma gli occhi luminosi.

Lui è qui.

 

La mia mente viene trascinata indietro, alla scorsa sera, quando per la prima volta ho potuto osservare sul serio il suo volto, incontrare i suoi occhi, sentire la sua voce, ed a molto prima, in un tempo passato e forse a lungo dimenticato che, non so come né so perché, sta lentamente tornando a galla.

 

“P-piacere di c-conoscervi, signor . . .”

 

“…Durin.”

 

 

‘Thorin!’

 

‘Oh, Thorin.’

 

‘Th-Thorin, per favore . . .’

 

‘Smettila, Thorin.’

 

‘Thorin, io . . .’

 

‘Mi hai fatto chiamare, Thorin?’

 

‘Tu sei cambiato, Thorin.’

 

 

‘Thorin! Ti prego, non lasciarmi, Thorin!’

 

 

Deglutisco, mentre lotto contro me stesso per ritornare qui, adesso, e con difficoltà i miei occhi tornano a vedere Dis che lo abbraccia come se fosse il più caro degli amici, e Kili cercarmi con lo sguardo e farmi un segno di intesa che non riesco e non voglio interpretare.

“E’ da un secolo che non ci vediamo!” dice sorridendo mia sorella, mentre si tira indietro, e per un attimo il suo viso diventa serio “Come stai? Balin mi ha detto del tuo blocco . . .”.

Lui si stringe nelle spalle, come a voler dissimulare un peso troppo grande “Non è niente di che,

 non preoccuparti.” fa, e per un attimo nel risentire la sua voce mi manca il fiato “I ragazzi si stanno impegnando parecchio per non farmici pensare troppo, ad essere sincero.”.

Dis ride, scuotendo al testa “Si, Fili e Kili non hanno fatto che parlare della loro famosa festa a tradimento da giorni. Sarei voluta venire, ma dovevo terminare una recensione importante e . . .”

Fa un gesto di diniego “Non preoccuparti, non è un problema. Beh, forse avrei preferito avere al mio fianco un’altra persona sana di mente durante la serata, ma beh, ormai è andata.” scherza, e delle piccole rughe gli si formano agli angoli degli occhi mentre lo fa, e quasi mi spaventa il fatto che riesca a riconoscerle una per una.

“A proposito, com’è stata?” domanda mia sorella, infilandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio “Stamattina Fili e Kili erano stranamente criptici, Balin è andato subito a lavoro e Thorin . . . beh, ormai dovrei rinunciare a chiedergli le cose, visto che è più muto di un morto.” fa, indicando quasi senza pensarci con il capo verso di me.

Quando sente il mio nome, lui sobbalza, ed il suo sguardo corre a cercarmi, e quando mi trova le punte delle orecchie gli si colorano di una lieve tonalità di rosa.

Deglutisco e, quasi facendo violenza contro il mio corpo, mi alzo dal divano e mi avvicino lievemente al gruppetto, mentre Dis mi osserva interrogativa e Kili sorride in un modo a dir poco inquietante.

“Salve, signor Baggins.” mormoro, la voce rauca ed il cuore improvvisamente più vivo che mai “Sono sorpreso di vedervi qui.”.

Lui muove la bocca una, due, tre volte prima che la voce gli esca finalmente dalle labbra “S-signor Durin . . . “ i suoi occhi sfuggono ai miei, come se cercasse in ogni modo di non incrociarli, e dentro di me qualcosa per un attimo si spezza.

Con la coda dell’occhio vedo Dis voltarsi verso Kili, che le si avvicina ed inizia a sussurrarle qualcosa all’orecchio, ma la mia attenzione è tutta su di lui, che ha preso un grande respiro ed ha ricominciato a parlare.

 “Ecco . . . sono venuto per scusarmi per il mio comportamento di ieri.” borbotta abbassando appena lo sguardo, le guance tinte di un bel rosso vivo “Non ero al mio meglio, e il vostro commento mi ha preso male, ecco. Mi spiace.” dice tutto di un fiato, e per un attimo posso leggere sul suo volto profondità, e sincerità, e . . . e . . .

Scuoto la testa, un po’ imbarazzato “Di grazia, non importa.” rispondo in modo forse un po’ troppo rude, tentando di controllare il mio cuore che, davvero, adesso sembra impazzito  “Io . . . credo di dovervi delle scuse anch’io.” aggiungo poi, ripensando al modo in cui ieri sera mi sono rivolto a lui, a quelle parole crudeli ed inadeguate pronunciate senza davvero volerlo.

“Ah, questo è sicuro.” alza il mento in un moto spontaneo quasi d’orgoglio ”Non dovevate avere la delicatezza di un rinoceronte su una lastra di ghiaccio, ma beh, non è che io mi sia comportato tanto meglio.”

Un rinoceronte. . .?

La mia faccia deve riflettere il mio stupore e la mia confusione, perché accenna ad un sorriso, ed i suoi occhi, finalmente, accettano di sfiorare i miei.

 

Ed è . . . è molto più intenso della scorsa sera.

 

Quando i nostri sguardi si incontrano, tutto, attorno a me, svanisce, e resta solo lui che mi restituisce lo sguardo, ed i suoi occhi che avvolgono tutto, e quell’incendio che è partito dal petto e sta stringendo tutto il resto nelle sue spire in una morsa soffocante ma proprio per questo travolgente.

È . . . è . . Non so spiegarlo. È come se conoscessi già questo sguardo, queste emozioni, questa situazione. È come se ci fossi già passato, ed allo stesso tempo non l’avessi mai fatto. È come se avessi sempre saputo che questo momento sarebbe arrivato, eppure non ci avessi mai sperato fino in fondo.

È come se ... se tutto questo, io lo stessi aspettando da sempre.

Ma poi, l’incanto finisce quando lui distoglie lo sguardo, imbarazzato, prende a torturarsi le mani e resta in silenzio, ed io so cosa gli sta passando per la testa, perché è lo stesso che sta tormentando me.

 

E adesso?

 

 Un forte rumore di mani sbattute esplode come un petardo, e ci voltiamo quasi contemporaneamente verso Dis, che ci osserva con un sorriso gigantesco che conosco fin troppo bene – un sorriso che ha sempre e solo un significato- e le mani unite.

“So io come risolvere questa situazione.” esclama, e dentro di me inizio ad avere paura.

Lui fa una faccia confusa “Scusa, Dis, ma qual situ-“ non ha il tempo di finire che Kili lo blocca “Oh, sai, l’esservi quasi sbranati ieri ed adesso non sapere come rimediare e ricominciare, eccetera eccetera.” fa con quasi con noncuranza, avvicinandosi in modo circospetto a me.

“Esatto.” fa Dis affiancandosi a lui, e dio, non mi ero mai accorto di quanto i ghigni suoi e di mio nipote fossero simili “Visto che il mio signor fratello qui deve uscire per la sua passeggiata obbligatoria, e che uscire da soli è così noioso ...”

“E visto che entrambi vorrete di certo farvi perdonare e ricominciare da capo . . .” continua per lei Kili, raggiungendomi e mettendosi esattamente alle mie spalle “fare una bella passeggiatina insieme può essere un ottimo modo per ottenere tutte e due le cose.”.

Mi ci vogliono un paio di secondi per permettere al mio cervello di comprendere le loro folli intenzioni, e prima che decida quale sia l’opzione migliore tra strangolarli o buttarli giù dalla finestra, lui apre la bocca per obbiettare.

“N-non mi sembra il caso, a dire il vero...” balbetta, innervosito, rivolgendosi a Dis che, guarda caso, è proprio dietro di lui e lo sta spingendo abbastanza insistentemente verso la porta, esattamente come sta facendo con me Kili.

Mia sorella sorride “Oh, ma invece si.”.

 Spalanca velocemente l’ingresso e prima che uno di noi possa fare dietro front lei ed il suo diabolico figlio ci spingono fuori e la richiudono alle nostre spalle.

Io e lui ci voltiamo di scatto, increduli della strana ed innaturale svolta che hanno preso gli eventi, e mi trovo a tiare un maldestro pungo alla porta ed ad tuonare “Aprite, voi due!”.

Da dietro l’uscio, giungono le risate mal trattenute dei miei parenti.

“Certo zio” questo è Kili –cielo, perché non l’ho affogato quando era ancora nella culla? Mi sarei risparmiato molte di queste situazioni- “quando la mezz’ora sarà finita e sarete ritornati da una piacevole passeggiatina amichevole.”.

“Già” ed ecco mia sorella “divertitevi, ragazzi!”

Mi correggo: non sono dei parenti, sono dei demoni travestiti da esseri umani.

Riprovo a colpire la porta, ma la mano inizia già a tremarmi e la abbasso prima che possa diventare evidente, chiudendola stretta a pungo, e con un sospiro mal trattenuto mi volto verso di lui, che sta ancora osservando la maniglia con incredulità.

“Non ci credo.” borbotta tra sé e sé, portandosi una mano alla fronte “Ci hanno buttati fuori. Letteralmente.”.

Mi stringo nelle spalle, un po’ imbarazzato ed ancora parecchio arrabbiato “Si, e se li conosco bene ci lasceranno marcire qui fuori per la prossima mezz’ora, ed anche di più.”.

Lui mi lancia uno sguardo sconfortato e scuote appena la testa “Questa è pura pazzia.”.

Sollevo un sopracciglio “Benvenuto nel mio mondo.”.

Per qualche strano motivo, le orecchie gli si colorano di un rosa leggero e lui fa un piccolo sorriso imbarazzato e . . . com’è possibile che mi sembri tutto così dannatamente familiare?

“Q-quindi...” fa, abbassando lo sguardo a terra e mordicchiandosi appena il labbro “..visto che dobbiamo aspettare comunque, c-che ne dite di f-farla davvero, questa passeggiata?”.

Per un momento, tutto attorno a me si ferma, ed io trattengo il fiato, senza riuscire davvero a credere che me l’abbia chiesto sul serio.

Il mio prolungato silenzio deve in qualche modo allarmarlo, perché solleva ansioso lo sguardo e solo allora, quando incontro di nuovo i suoi occhi blu, quegli stessi occhi blu che tormentano le mie notti ed i miei giorni, riesco a riscuotermi dal mio stupore.

“Sarebbe bello.” rispondo e, per la prima volta da quando sono tornato, parlo senza fingere.

Il suo viso si illumina, e la tensione sembra svanire dal suo sguardo mentre ci avviamo, lentamente e non senza imbarazzo, verso l’uscita.

 

 

Non camminiamo a lungo, alla fine. Arriviamo nel cortile della casa, per poi sederci su una vecchia panchina semidistrutta a rigirarci i pollici ed a non sapere cosa dire o fare.

La vergogna è forte, e la mia mente è completamente vuota. Non so cosa dire, non so come comportarmi. Riesco solo a concentrarmi sul mio respiro, ed a rubare con timore ed esitazione frammenti di sguardi al mio giovane accompagnatore, che sembra ancora più imbarazzato di me.

 

Cosa dovrei fare? Iniziare un discorso? Fare una battuta? Comportarmi come se non fosse successo niente?

Non so, non ne ho idea.

Non sono mai stato bravo in situazioni del genere.

Non sono un tipo adatto alle parole, alle relazioni umane e roba simili.

Anzi, non sono proprio adatto alle persone.

Non lo sono mai stato.

Era uno dei tanti motivi per cui mi trovavo tanto bene in guerra. Lì non devi stringere legami, devi solo pensare a come restare vivo.

 

Per cui, sono veramente sollevato quando è lui, di nuovo, a prendere in mano la situazione.

 

“Sa, su una cosa Kili ha ragione, però.” borbotta, fissandosi le mani.

Aggrotto la fronte, abbastanza confuso da questo suo commento “Su cosa?” domando.

Lui fa un movimento strano, come se si stesse mordendo l’interno della guancia ed allo stesso tempo stesse cercando di non farlo, ed aggiunge “Sul ricominciare. Non è che la scorsa sera abbiamo, ehm, fatto proprio un buon inizio. Con l’insultarci e tutto, ecco.”.

Qualcosa mi si inizia a muovere nello stomaco, e oh, a quanto pare sa anche mordere.

“Io, a dire il vero, non intendevo sul serio quello che ho detto ieri sera, comunque.” faccio, stringendomi le mani in una morsa.

Alza appena la testa ed annuisce “Lo so, e nemmeno io.” risponde, alleviando per un momento la fitta che mi attraversa lo stomaco  “Ed è per questo che dico che, beh, dovremmo ... non so, tipo cancellare ieri e comportarci come se niente fosse accaduto ed oggi fosse la prima volta che ci incontriamo?”.

La proposta, bislacca ma non del tutto senza senso, mi prende alla sprovvista per qualche secondo, ma poi annuisco, con quasi un pizzico di sollievo.

“Va bene.” concedo, guadagnandomi così un’altro, sorprendente e mozzafiato sguardo da parte sua.

Si gira verso di me, gli occhi illuminati di una luce finalmente rilassata, ed i lati dei suoi occhi si increspano.

“Allora, ricominciamo da capo.”esclama, allegro, per poi fare un piccolo cenno amichevole con la testa “Bilbo Baggins, lieto di conoscervi.”

Per un attimo resto sorpreso ed incerto su come comportarmi, ma i suoi grandi occhi speranzosi mi osservano fissi, e non posso fare a meno di cedere.

“Thorin Scudodiquercia Durin.” rispondo tutto di un fiato, la voce un po’ strozzata.

Lui aggrotta appena la fronte “Scudodiquercia?” ripete, confuso.

Oh.

“E’ . . . era il modo in cui mi chiamavano i miei ragazzi, sul campo di battaglia.” mormoro, non senza un pizzico di dolore e nostalgia.

Le pupille di lui si dilatano, ma solo per un secondo. Poi annuisce tranquillamente, come se si trattasse della cosa più naturale del mondo.

“Ah, giusto. Voi siete un capitano, dopotutto.” commenta, passandosi una mano tra i capelli.

Per un attimo mi chieda come lo sappia –probabilmente avrà parlato con Kili-, ma tutto passa in secondo piano rispetto al nodo fastidioso mi si forma in gola.

Io sono un niente, in realtà.

“Ero un capitano.” lo correggo, per quanto faccia male.

Lui mi lancia uno sguardo a metà tra il comprensivo e . . .  possibile, il dolce?, per poi scuotere appena la testa.

“Oh, non direi così. Un soldato resta sempre un soldato, anche senza pistola e tuta mimetica. E, anche lontano dal campo di battaglia,  un capitano resta sempre un capitano.” commenta con un pizzico di dolcezza, per poi alzare lo sguardo al cielo “Le etichette e gli abiti non cambiano le vere essenze delle persone, in fondo. Voi eravate e siete un capitano, e lo sarete sempre, dentro.”.

 

Qualcosa, dentro di me, improvvisamente si alleggerisce, come se fossero queste le parole che avevo bisogno di sentire, da quel maledetto giorno di tanti mesi prima.

Come se la mia anima stesse aspettando queste parole, vuote di qualsiasi pietà e sincere fino all’inverosimile, da tanto, troppo tempo.

 

“Io . . .” vorrei dire qualcosa, ma la mia voce rifiuta di collaborare, e così mi limito a stringere forte i pugni ed restare a guardarlo, mentre lui osserva con serenità il cielo.

Restiamo così a lungo, ma l’imbarazzo di prima è scomparso, per lasciare posto solo ad una placida calma, una calma che non provavo da non so nemmeno io quanto.

Restiamo così, l’uno seduto acanto all’altro, lui ad osservare il cielo ed io ad osservare lui, in silenzio, e va bene, sul serio.

Dopo un bel po’, come colto da un pensiero improvviso, lui distoglie lo sguardo dalle nuvole e si stiracchia, e dopo domanda con voce leggera “A proposito, cos’è questa storia delle passeggiate obbligatorie? È un’altra delle chiacchiere senza senso di Kili?”.

In un altro momento, con un’altra persona, mi rifiuterei di aprire bocca, e mi limiterei ad ucciderlo con lo sguardo anche solo per aver osato pensare di chiedere una cosa così vicina alla mia sfera personale. Ma adesso, con lui, questo sconosciuto dagli occhi blu scuro, non riesco a tirarmi indietro. Non so perché, non so cosa mi spinge a farlo, cosa mi porta contro ogni mio istinto e barriera. Semplicemente, dopo un breve momento di indecisione, parlo.

“No, purtroppo. Io... non sto molto bene fisicamente e devo fare per un po’ di tempo delle passeggiate all’aria aperta per rafforzare corpo e sistema immunitario.” spiego, non senza fatica, facendo violenza contro il mio corpo e la mia natura.

Il suo volto si trasfigura “Oh, mi spiace, non immaginavo . . .” sussurra, dispiaciuto dalla sua domanda infelice “Io.. ecco, ci mancava la mia solita figura di merda giornaliera. Vi chiedo scusa, non ho pensato . . .” si passa una mano tra i capelli, ed i suoi occhi sono sul serio dispiaciuti di aver toccato un tema tanto delicato e privato, così sul serio da farmi per un attimo male al cuore.

Scuoto appena la testa “Non si preoccupi, non poteva sapere.” ribatto con qualcosa che si avvicina stranamente alla tranquillità “E la smetta di darmi del voi, mi fa sentire vecchio. Ho trentacinque anni, non novanta.”.

Le orecchie gli si colorano di un rosso intenso, ma dopo un momento l’angolo destro della bocca si solleva in un accenno di sorriso “Allora dovrete chiamarmi per nome, visto che siamo quasi coetanei. Io ne ho trenta e si, lo so, sembro più giovane, ma non tanto da assomigliare ad uno scolaretto, comunque.”.

Quella frecciatina, che è più una battuta uscita male che altro, in un’altra occasione mi prenderebbe male, molto male. Mi sentirei attaccato, o preso in giro, o roba simile, e reagirei in modo aggressivo e scontroso. Ma, stranamente, adesso non succede. Adesso, di fronte a quei occhi blu che si, ho già visto prima - lo so, lo sento- semplicemente mi solletica l’anima, e prima che posso rendermene conto mi scappa una risata.

Piccola, breve, esitante e timida, ma pur sempre una risata.

 

È la prima volta che rido da quando sono tornato.

 

Gli occhi di lui si illuminano, nel sentire la mia risata, e quando questa si spegne da sola lancia uno sguardo vago all’orologio e mormora, a metà tra l’incerto ed l’imbarazzato “Beh, forse, visto che la mezz’ora è passata da un po’, adesso quelle pesti travestite da persone normali ti faranno entrare.”.

Noto con un pizzico di sorpresa che ha preso sul serio la mia affermazione di prima, utilizzando il tu, e ciò mi fa piacere in modo a dir poco strano.

“Forse, ma non ci conterei troppo.” faccio, per poi aggiungere, ricambiandolo con la stessa moneta “Tu non entri?”.

Lui si stringe nelle spalle “Sinceramente, ho un po’ paura di Dis e Kili quando sono insieme, potrebbero essere capaci di distruggere l’intero continente in meno di mezz’ora. Non dirgli che l’ho detto, però, o me lo rinfaccerebbero per l’eternità.”.

Accenno ad un sorriso “Tranquillo, il tuo segreto è al sicuro con me.”

Dio, ho detto davvero una cosa del genere? Ma cosa mi è preso?

Lui ridacchia “Ci conto, eh.” si solleva dalla panchina, ed io faccio altrettanto.

Ci guardiamo attentamente per qualche secondo, imbarazzati, come se nessuno di noi due sapesse come continuare, e così, almeno per una volta, provo a prendere io l’iniziativa.

 

“Allora, arrivederci . . . Bilbo.”

 

Lui mi fissa stupito per qualche secondo, come se non riuscisse a credere che il suo nome sia realmente uscito dalle mie labbra, ma poi sul suo viso si forma un sorriso grandissimo e sincero.

Un sorriso stupendo, che mi accende qualcosa dentro e mi brucia l‘anima, non di un calore fastidioso, ma rassicurante e travolgente.

Un sorriso vero.

Un sorriso che ho già visto.

Che sento di aver già visto.

 

“Arrivederci, Thorin.”

 

Sussurra, gli occhi che gli brillano come diamanti.

Mi fa un cenno di saluto e due passi esitanti verso il cancello, per poi bloccarsi e restare a fissare il vuoto davanti a sé per un paio di secondi.

Lo osservo, confuso, mentre si volta e mi raggiunge di nuovo quasi di corsa, sfilandosi dalla tasca interna della giacca una penna a dir poco minuscola.

Dopo un attimo di esitazione, mi afferra con delicatezza la mano destra – e sentire la sua pelle contro la mia mi fa correre piccoli brividi lungo tutta la spina dorsale- per poi scarabocchiarmi un serie di numeri sul palmo, la grafia frettolosa e tremante ma chiara.

“Se . . .” inizia, tendendo lo sguardo fisso sul mio palmo, per poi deglutire e ricominciare “.. se avessi bisogno di un po’ di compagnia per queste tue passeggiate obbligatorie.”.

Spalanco gli occhi, stupefatto e senza parole, ma prima che possa fare qualsiasi altra cosa lui mi lancia uno sguardo che mi toglie il fiato e poi mi lascia quasi con fatica la mano, si volta e se ne va senza dire nient’altro.

 

Rimango per qualche minuto a fissare il punto dove è scomparso, solo con quelle poche cifre scritte sulla mia pelle, il cuore che batte come se fossi di nuovo sul fronte.

I miei occhi corrono sul mio palmo, dove quel numero di telefono sembra bruciare come una ferita, ma di un dolore dolce e rassicurante.

 

La stretta attorno alla mia anima che da tanto, troppo tempo non mi da’ più pace, si allenta finalmente un po’.

 

 

 

 

La tana dell’autrice

 

E rieccomi qui, finalmente!

 

Si, lo so, vi ho fatto aspettare un secolo, ma questa volta si è trattato di un parto, non di una stesura. Un dannatissimo parto. Non finiva più, diavolo, e non è venuto per niente come lo volevo, tranne qualche piccola parte –come i ricordi di Bilbo o la descrizione della cara Dis-, ma spero che possa piacervi comunque.

 

Ok, cosa dire . . . i nostri piccioncini finalmente hanno risolto, ovviamente grazie a Bilbo, perché lo sappiamo che se aspettiamo il nostro bel tenebroso diventiamo vecchi. Ma si darà da fare anche lui, non preoccupatevi. Quei grandi occhioni blu hanno fatto colpo, oh si. :)

Kili e Dis, che ha fatto oggi la sua prima apparizione, sono ovviamente dei diabolici fanboy e fangirl con un piano malvagio in mente, ma in ogni fan fiction che si rispetti ce ne vogliono almeno due così, andiamo! E poi, la piccola peste dovrà pur aver preso da qualcuno, no?

Ah si, per motivi pratici ho trasformato Thorin dal fratello maggiore in casa Durin al minore, ma vi spiegherò meglio il perché in seguito, promesso.

Inoltre, volevo avvisarvi che i prossimi aggiornamenti probabilmente saranno lenti sia per i miei problemi con il computer –ora ho un vecchio pc passatomi da mio cugino, ma ha anche lui qualche difetto ed ancora non funziona come si deve, quindi probabilmente dovrò farlo aggiustare -, sia perché ho iniziato un’altra fic, ‘Figlio di Erebor’, sempre su questo fandom e ne devo continuare altre due su due fandom diversi, sia perché, ragazzi, il 19 esce l’ultimo di Hunger Games e sarò ovviamente a lutto. E sclererò. E piangerò. E scriverò quei finali che tutti avremmo voluto vedere. E piangerò di nuovo. E dedicherò sfoghi a Finnik, ad Annie, a Prim, a Gale, a Johanna, al mio povero Peeta –Katniss no, ha avuto tre libri per sfogarsi-. E piangerò ancora ed ancora. Oh, piangerò tanto questo mese, già lo so.

 

Comunque, tornando a cose serie, questo aggiornamento è un po’ particolare, una sorta di regalo commemorativo possiamo dire: oggi infatti la mia pagina, dopo mille avventure, peripezie e problemi, spegne la sua terza candelina. Ho voluto ‘festeggiare’ questo giorno pubblicando questo capitolo lunghissimo e sudatissimo, anche perché sinceramente non pensavo di arrivare fino a questo punto, io che ho così poca perseveranza e mi butto giù facilmente, insicura come sono. Eppure eccomi qui, dopo così tanto tempo.

Mi piace pensare di essere cresciuta non solo stilisticamente, ma anche psicologicamente ed umanamente in questo lungo arco di tempo: quando ho iniziato ero una tredicenne ingenua, appena entrata al liceo, troppo fiduciosa verso il mondo che mi circondava e con uno stile a dir poco infantile ed imbarazzante. Ed ora sono qui, a poco meno di due settimane dal mio 17esimo compleanno, alla penultima classe di superiori, il cuore segnato dalle cicatrici lasciate di questi anni di delusioni e disillusioni, ma che batte più forte di quanto abbia fatto prima, e, spero, un po’ meno imbranata con le parole di allora.

Quindi, questo è il mio regalo per voi, per quanto ci sia poco da festeggiare.

 

Un abbraccio

 

Tigre Rossa

 

 

 

Note

 

Coraline: bellissimo e tremendo romanzetto dell’orrore, è stato scritto per bambini più grandi o pre-adolescenti ma è abbastanza macabro –geniale e grande successo letterario comunque, ma davvero macabro- anche per me. Ci è stato fatto anche un film di animazione e, vi giuro, quando io e mio fratello l’abbiamo visto per la prima volta non abbiamo dormito per tre giorni di seguito; vabbè, io avevo dieci anni e lui otto, ma è stato comunque un trauma. Soprattutto perché stavamo anche noi per traferirci, esattamente come la protagonista della storia. Pensate che ha terrorizzato così tanto mio fratello che ancora adesso, se solo glielo nomino inizia a tirarmi addosso tutto quello che trova. Non mi hai mai perdonato per averlo costretto a vederselo con me, mi sa. Oh beh, è a questo che servono le sorelle maggiori, dopotutto. A traumatizzare a vita i più piccoli, ahahah.-

Stregatto: uno dei personaggi simbolo del libro ‘Alice nel Paese delle Meraviglie’, dubito che abbia bisogno di presentazioni.

Joker: ok, credo di non aver nemmeno bisogno di spiegarvi chi sia Joker. Penso che sia l’unica cosa che mi fa apprezzare Batman, supereroe da me abbastanza odiato - non so nemmeno il motivo, sinceramente-

Numero scritto sulla mano: probabilmente un altro vecchissimo clichè, degno dei più sdolcinati ed adolescenziali romanzetti rosa, ma che usato nel modo giusto fa sempre nascere un sorriso sulle labbra. Ho immaginato che Bilbo tenga sempre in tasca un block note e una penna per segnare spunti improvvisi, da bravo scrittore, e da qui è uscita fuori l’idea del numero di telefono segnato sul palmo della mano del nostro Thorin. Ripensandoci somiglia un po’ ad una scena di Percy Jackson, dove Rachel gli scrive sulla mano il suo numero . . . ma il riferimento non è assolutamente voluto, anche perché io detesto Rachel –Annabeth forever!!-

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 – Tu puoi vedermi ***


 

Capitolo 7 – Tu puoi vedermi

 


 

 

 

Le uniche volte in cui non mi sento un fantasma è quando mi guardi tu, perché tu mi guardi e vedi me.

-Grey’s Anatomy

 


 

Dalla visita inaspettata di Bilbo Baggins passa un giorno.

Un giorno silenzioso, e noioso, ed odioso, come tutti quelli che l’hanno preceduto.

Poi ne passa un altro, tale e quale al primo.

E poi un altro ancora.

 

Tutto procede lentamente, come se niente fosse cambiato.

Come se il fantasma che continua a tormentarmi da quando sono scivolato via dalle braccia della Morte non avesse mai preso forma umana e non si fosse infilato nella mia vita così, all’improvviso. Eppure, qualcosa di diverso c’è.

E non nelle battutine che mi lancia Kili, o nella curiosità senza limiti di Dis, e nemmeno nelle occhiate indagatrici di Fili.

E qualcosa qui dentro. Qui, che brucia e urla e fa male, Dio, se fa male.

E come se, dopo quel momento, tutto fosse diventato ancora più difficile di prima.

Come se, dopo una ventata d’aria fresca, le fiamme abbiano ripreso a strapparmi le carni dell’anima con ancora maggiore intensità.

Come se, dopo un sorso di acqua fredda, il calore del fuoco abbia ripreso a consumare tutto ciò che tocca ancora peggio di prima.

Come se, ora che li ho finalmente incontrati, non potessi più andare avanti senza quegli occhi blu scuro.

 

Passano i giorni, ed io non faccio nessun rumore.

La stretta attorno al mio cuore si rafforza sempre di più, un po’ di più ad ogni battito, fino a farlo sanguinare.

Gli incubi notturni peggiorano.

Alle immagini evanescenti di giorni mai vissuti si mischiano quelle più concrete e reali dei suoi occhi, del suo sorriso sincero, della sua mano che stringe la mia.

Alle grida indistinte nel sonno si aggiunge la sua voce che mi chiama per la prima volta con il mio nome.

Al peso di mille sogni spezzati si mescola anche questa sensazione, un misto di desiderio, malinconia e paura, che non mi lascia un attimo, e mi strazia dentro ogni momento di più, senza lasciarmi mai tregua.

Ma io resto qui, in silenzio, la mano stretta a pugno su quel numero di telefono che sta lentamente sbiadendo, ma che non smette di bruciare.

Resto qui, a lungo, a lottare contro me stesso. A lottare contro questa mia debolezza che sì, vuole spingermi ad alleviare questo inferno che mi strazia l’anima, vuole dar sfogo a questo bisogno incolmabile di risentire la sua voce, rivedere il suo viso, incontrare di nuovo i suoi occhi.

Lotto,  lotto fino a non farcela più, lotto contro me stesso e contro quel dolore, quel bisogno che diventa di giorno in giorno più forte, quel bisogno che non posso, non devo assecondare.

Ma, alla fine, cedo.

Non so perché, non so come mai.

So solo che non posso resistere, se non voglio perdermi nell’oblio.

So solo che tutto, dentro di me, mi ordina di farlo, e io non riesco ad impedirmelo.

 

I suoi occhi mi stanno chiamando da davvero troppo tempo.

 

Così,  la mattina del quarto giorno afferro il mio cellulare e, con dita esitanti, digito quel numero ancora impresso sulla mia pelle, ma ormai quasi scomparso.

Mi porto il telefonino all’orecchio ed aspetto, il cuore che batte come se fossi di nuovo sul campo di battaglia.

Uno squillo.

Due squilli.

Tre squilli.

Sto per arrendermi, sto per abbassare la mano e lasciar perdere, quando improvvisamente il cellulare smette di suonare.

 

“Sì, pronto, chi parla?”

Una voce allegra, ma allo stesso tempo profonda, risponde. Una voce sconosciuta che no, non appartiene a lui.

“Scusi, devo aver sbagliato numero. Cercavo il signor Baggins...” faccio, pensando di aver digitato male il numero e facendo per chiudere la chiamata, ma quella voce mi interrompe, come se nulla fosse.

“Oh, certo, ‘spetti ‘n’ attimo . . . Bilbooo! Ti vogliono!”.

Ci sono una serie di rumori, e poi, all’improvviso, in sottofondo, sento una voce leggera e un po’ seccata sbruffare.

La sua voce.

“Si può sapere perché devi sempre mettere le mani sulle mie cose? Dai, chi è?”

Lo sconosciuto ribatte velocemente, quasi completamente coperto da alcuni rumori di sottofondo “E che ne sono, uno con una voce da attore tragico. To’, tieni.”.

Altri rumori e poi, finalmente, la voce di Bilbo, chiara e limpida, mi raggiunge.

“Pronto?”

Zitto, cuore maledetto, sta’ zitto.

“Salve, Bilbo.”

Mormoro, cercando di controllare il mio tono di voce, e  dall’altra parte lo sento trattenere il fiato per un momento, per poi affrettarsi a rispondere con qualcosa misto all’entusiasmo e alla tensione.

“Th- ehm, che sorpresa! Io non ... non mi aspettavo di risentirti.”

Sembra davvero sorpreso, ma di una sorpresa piacevole, o almeno lo spero.

“Mi hai dato tu il tuo numero.”

Obbietto, non senza un pizzico di imbarazzo.

“S-sì, ma pensavo, beh . . .” lascia la frase in sospeso, come se si vergognasse, e una improvvisa certezza mi colpisce nello stomaco come un pungo.

Pensava che non l’avrei richiamato.

“Sono felice che tu mi abbia cercato, comunque.” aggiunge, e anche così, attraverso il telefono, per un attimo riesco a sentire il calore nascosto dietro quelle parole, e lo immagino davanti a me con un piccolo sorriso che gli illumina il volto, ed il cuore mi si stringe in una morsa che è tutto tranne che dolorosa.

“Ti disturbo? Sei occupato, forse?” domando, cercando di cambiare argomento.

“Oh, no, non preoccuparti. Stavo solo dando una mano in libreria a Bofur, un mio amico. Dovresti averlo incontrato da Gloin, l’altra sera. Basso, faccia da riccio e cappello stupido, non so se ricordi.”

Provo a fare mente locale, ma non mi viene in mente nessun Bofur. Non che alla fine abbia prestato così tanta attenzione ad altro che non fosse lui, quella sera.

“Non ce l’ho presente, ad essere sincero.” rispondo, rigirandomi tra le dita le piastrine quasi senza rendermene conto “Senti, mi stavo chiedendo. . . riguardo la tua proposta dell’altro giorno . . .”

Esito, e Bilbo mormora un gentile “Sì?”.

Prendo un respiro profondo e, facendomi forza, mi costringo a continuare.

“È ancora valida?”.

Dall’altra parte c’è qualche secondo di silenzio che mi fa letteralmente tremare dentro, e all’improvviso vorrei tornare indietro e cancellare tutto questo, queste parole, questa telefonata, tutto quanto. Ma poi la sua voce mi raggiunge di nuovo, così calda e confortante da cancellare subito qualsiasi timore.

“Certo. Dimmi solo dove e quando.”

Mi sfugge un piccolo sorriso, spontaneo ed inaspettato, a quella risposta così sincera e rassicurante, e mi affretto a continuare.

“Avevo pensato oggi pomeriggio di fronte al Beorn’s, a cinque minuti da casa mia, intorno alle quattro. Non so se conosci il posto. . .”

Non è vero, non avevo pensato a nessun posto ed a nessun orario. Avevo dato per scontato che non mi avrebbe risposto, o che non avrebbe accettato. Perché mai avrebbe dovuto farlo, dopotutto? Siamo appena due sconosciuti. Ed invece . .  .

“Sì sì, lo conosco bene.” risponde allegro “Allora ci vediamo dopo.”

La sicurezza con cui dice quelle parole per un attimo mi lascia sorpreso, ma poi mi ritrovo ad annuire al nulla, la mano stretta attorno alle piastrine come a voler cercare conferma che tutto questo – questo momento, questa conversazione, la sua voce dall’altra parte- sia reale.

“Sì, a dopo.” mormoro, e dopo un breve saluto a metà tra un sussurro ed un ringhio imbarazzato chiudo la chiamata.

 

Il cuore batte, se è possibile, ancora più forte di prima.

 

 

o0O0o.

 

 

Mi premo il cellulare contro le labbra, incredulo.

Al mio fianco Bofur mi fissa con un’aria a metà tra il confuso e l’incuriosito, ma cerco di ignorarlo, concentrandomi solo su questa strana e calda sensazione che mi sta avvolgendo, e che non voglio assolutamente lasciare andare.

 

Lui mi ha cercato.

Thorin mi ha cercato.

 

Io . . . non me lo aspettavo proprio.

Insomma, sì, gli avevo lasciato il mio numero, in un momento di follia che ho rimpianto subito dopo –già in taxi, mentre tornavo verso casa, avevo iniziato a sbattere la testa contro il sedile, maledicendomi per il mio gesto stupido ed irrazionale-.

Ho agito d’istinto, spinto da una sensazione davvero troppo forte per poter essere controllata, come se non potessi allontanarmi da lui senza dargli modo di ritrovarmi, se l’avesse voluto.

Come se non volessi lasciarlo andare.

Ma, dopo, mi era sembrato un gesto così sciocco, così dannatamente sciocco, insensato ed infantile . . . andiamo, gli avevo scritto il mio dannatissimo numero di telefono sul palmo della mano! Cioè, nemmeno fossi stato uno stupido adolescente in un romanzetto rosa!

Dio, avrei voluto morire dalla vergogna.

Mi arroventavo su cosa diavolo avesse pensato di me, e mentre man mano passavano i giorni il mio tormento aumentava sempre di più.

Credevo di aver rovinato tutto, con quel gesto.

Lo immaginavo pensarci con disprezzo e alzare gli occhi al cielo.

Lo immaginavo mentre scuoteva la testa e si puliva la mano con più sapone possibile per cancellare quelle cifre frettolose dalla sua pelle.

Immaginavo ogni possibile reazione da parte sua, arroventandomi su quel che avevo combinato, e più ci pensavo più stavo male.

E poi, all’improvviso, questa telefonata.

 

Quando ho preso il cellulare-che Bofur ovviamente mi aveva fregato senza che me ne accorgessi, come al suo solito- e risposto, senza sospettare nulla, ed all’improvviso ho sentito la sua voce dall’altra parte, tutto si è fermato.

Non riuscivo a crederci. Non mi sembrava possibile.

Mi aveva chiamato. Lui. Aveva guardato quelle cifre impresse sulla sua pelle e probabilmente ormai quasi del tutto scomparse, decifrato il numero da comporre, l’aveva digitato e mi aveva chiamato.

Era . . . inaspettato, davvero. Inaspettato. Incredibile, ed inaspettato.

E non mi ha semplicemente chiamato, no. Mi ha chiesto di rivederci. Ok, non sono state proprio queste le sue parole, ma me l’ha chiesto.

Ed io . . . ho accettato, senza nemmeno pensarci. Il tempo di realizzare che era tutto vero, che era reale, ed ho accettato. Senza riserve, senza remore. Cioè, con qualsiasi altro avrei sicuramente trovato mille scuse, mille altre cose da fare, avrei detto di no, in un modo o nell’altro, come faccio sempre.

Ma a lui . . . non so perché, ma è come se non potessi negargli nulla. È come se . . . oh, non so spiegarmi. È una sensazione qui, in fondo al cuore, che mi tormenta da quando i nostri occhi si sono sfiorati la prima volta, da Gloin.

Come se niente potesse tenermi lontano da lui.

 

Non ora.

 

Una mano mi viene sventolata davanti agli occhi, riportandomi al presente.

“Ehi Bilbo, sei ancora qui con noi?” mi strilla Bofur nelle orecchie, e mi costringo a scuotere la testa, a mettere da parte per un momento tutto questo ed a prestargli attenzione.

“Scusa, cosa c’è?” faccio, voltandomi verso di lui mentre mi infilo il cellulare nella tasca dei jeans.

Il mio amico osserva attentamente il mio viso, come se si fosse appena riempito di rughe o qualcosa del genere “Chi era il tenebroso al telefono?” mi domanda subito, la curiosità non del tutto nascosta dalla voce apparentemente incurante.

“Nessuno.”  faccio subito io, evitando il suo sguardo, certo che comunque la mia frettolosa risposta non servirà a nulla. Bofur mi conosce meglio di me stesso, sa riconoscere quando mento e quando cerco di nascondere qualcosa. Ma, sinceramente, cos’altro dovrei dirgli? ‘Oh, era solo lo zio di Fili e Kili di cui nessuno di noi era a conoscenza, quello che è spuntato fuori l’altra sera, causandomi un mezzo infarto,  hai presente? Ma sì, quello con cui prima mi sono quasi menato, e poi sono andato a recuperarlo ed a chiedergli scusa a casa sua e gli ho lasciato il mio numero scritto sulla mano. Ah, guarda caso è uguale spicciato all’uomo che sogno da mesi e a cui non riesco a smettere di pensare. E, pensa un po’, mi ha appena chiesto di uscire oggi pomeriggio!”.

Bofur solleva un sopraciglio, tirando fuori il suo classico sguardo ‘ma-chi-vuoi-prendere-in-giro’, e obbietta “Beh, ci ho parlato, quindi dubito che possa essere ‘nessuno’. E, da come il tuo sguardo si è illuminato quando hai risposto, dubito che sia un giornalista o qualcosa del genere. Quindi, te lo ripeto: chi è?”.

Sospiro, cercando velocemente una scappatoia a questa situazione, e mormoro quasi senza pensarci “È un mio amico.”.

 

Il mio respiro per un attimo si blocca.

 

Perché ho scelto, tra tante, proprio quella parola? Lui non è un amico, è poco più di uno sconosciuto. L’ho visto appena due volte, insomma!

La mia è stata una risposta spontanea, qualcosa di non controllato.

Come se avessi già risposto ad una domanda simile, in passato.

 

Chi è questa persona a cui hai promesso i tuoi servigi, Thorin Scudodiquercia?’

‘Lui è . . . era mio amico.’

 

Queste parole mi tornano indietro come un alito di aria fredda, e con loro così tanta sofferenza, e dolore, e rimpianto, e qualcosa di troppo forte per essere chiamato per nome da farmi tremare un attimo, ma Bofur non sembra accorgersene, perché storce la bocca e dice “Non è vero.”

Sbatto un paio di volte le palpebre, tentando di recuperare la lucidità perduta “Cosa?”.

“Non è vero che è un tuo amico. Nessuno dei tuoi amici ha una voce così. Ricordi che sono nella tua cerchia di amicizie da quando la facevamo ancora nei pannolini, sì?” ripete, scrutandomi con attenzione.

“È uno nuovo, che non conosci.” ribatto, cercando di trovare una scusante migliore, ma limitandomi ad imprecare mentalmente.

“Uhm, ne dubito.” fa lui, incrociando le braccia, le sopracciglia ormai scomparse sotto il cappello “Sai chi mi ha ricordato, con quella voce profonda e tutto? “.

Oh-oh. Ha di nuovo quella espressione. La tanto odiata e temuta espressione ‘a me non puoi nascondere niente’ e ‘ti ho beccato’, mista a quella ‘pensavi davvero di potermi ingannare?’ e ‘adesso sì che sei nei guai’ che conosco tanto bene.

Pensa in fretta, mi dico, mentre analizzo le mie opzioni. Restare lì e subire il sicuro interrogatorio, o scappare subito senza guardarmi indentro. Beh, la scelta è fin troppo scontata.

“Non lo so, Batman?” butto lì, mentre cerco con lo sguardo la giacca, optando per la modalità fuga immediata.

Bofur scuote appena la testa “Quel tipo che ci hanno presentato l’altra volta i ragazzi. Come si chiamava? Thor? Tarin?” fa, in tono solo fintamente casuale.

Individuo la giacca, sepolta dietro al bancone, e subito inizio a scivolare, velocemente ma non in modo eccessivo, verso di essa, tentando di controllare la voce mentre rispondo “Non ho idea di chi tu stia parlando.”.

“Ma sì, quello con cui ti sei litigato da Gloin.” insiste, seguendomi con fare attento “Strano che abbia il tuo numero, comunque. Mi chiedo come abbia fatto ad ottenerlo. E, soprattutto, perché mai ti abbia chiamato.”.

Ah no, non giocherò a questo gioco.

Afferro al volo la giacca e me la infilo ”Te lo ripeto, non capisco cosa tu stia dicendo. Scusa, ma ora devo andare, avevo promesso a Gandalf che avrei fatto un salto da lui prima di mezzogiorno.” rispondo in fretta, pronto per sgusciare via dalla porta il più velocemente possibile.

Prima che possa sgattaiolare via, però, lui mi si para davanti, le mani sui fianchi “A me non la fai, Bilbo Baggins. Mi vuoi dire perché il tenebroso zio sconosciuto di Kili e Fili ti ha chiamato al cellulare, sì o no?”.

Prendo un bel respiro “No, e se fossi in te non insisterei.” faccio, la voce stranamente ferma “Ora se permetti. . .”

Provo a passare di lato, e stranamente Bofur non fa alcuna resistenza, ma si limita a fissarmi con gli occhi spalancati.

“Non pensare che te la caverai così, scribacchino dei mie stivali!” mi grida dietro, ma lo ignoro ed accenno ad un sbrigativo segno di saluto con la mano, prima di uscire quasi di corsa dalla libreria.

 Apro velocemente la macchina, mi infilo dentro, metto in moto e solo una volta che sono in mezzo al traffico e sono certo che non mi abbia seguito mi lascio andare a un sospiro di sollievo.

Ok, è fatta.

Adesso devo solo sopravvivere all’incontro delle quattro con Thorin.

 

In un attimo, mi tornano in mente i suoi occhi chiari fissi nei miei, la sua voce profonda che pronuncia il mio nome, e la mia anima trema.

 

Va bene, forse è meglio che prima faccia testamento. Sì, tanto per sicurezza. Giusto in caso il mio cuore non regga, ecco.

 

 

o0O0o.

 

 

Se pensavo di poter uscire di casa senza essere notato, la mia era una vana illusione, a quanto pare.

Ho appena il tempo di infilarmi nel salotto il più silenziosamente possibile ed avvicinarmi alla porta, che una voce, alta e squillante, mi ferma.

“E tu dove credi d’andare?”

Mentalmente maledico tutte le divinità esistenti o meno, mentre lentamente chiudo gli occhi, prendo un bel respiro e mi volto.

Dis è appoggiata allo stipite della cucina, i capelli raccolti e tenuti su da una o due matite, le braccia incrociate ed un sopracciglio sollevato in un arco perfetto.

“Esco a prendere un po’ d’aria, come mi ha comandato il medico.” rispondo, cercando di sembrare naturale e di mascherare la mia mezza bugia “Non è per questo che hai insistito tanto, in queste settimane?”.

Il sopracciglio sale a raggiungere l’altro “Da quando tu ascolti quello che ti dico?” insiste, il tono di chi non se l’è bevuta.

“Da quando questa casa è diventata un carcere di massima sicurezza?” ribatto, abbastanza bruscamente, rendendo i miei occhi ed il mio viso di pietra “Sei mia sorella, non il mio controllore, per quanto ormai per te sia la stessa cosa. Smettila di ossessionarmi così. Se voglio uscire per distrarre la mente un paio di ore, non sono affari tuoi.”.

Mi pento di quelle parole nel momento stesso in cui escono dalla mia bocca, soprattutto quando vedo il suo viso raggelarsi.

Leggo il dolore nei suoi occhi, ma sono troppo stanco e troppo amareggiato per fare qualcosa per alleviarlo, stavolta.

 

Mi volto e, sordo alla sua voce che mi chiama ancora una volta, esco dall’appartamento che sta diventando la mia prigione e corro fuori.

Corro fino a quando i miei polmoni non si riempiono di aria fresca e le gambe non iniziano a tremarmi e mi vedo costretto a poggiarmi di schiena contro un muro, a riprendere fiato ed a cercare di zittire il rimorso che già urla dentro di me.

 

Ecco, ora sono anche un codardo, oltre che un niente.

Fantastico.

 

Ringhio e chiudo gli occhi, mentre cerco di far scendere il silenzio dentro di me. Una volta bastava così poco. Il volto di mio fratello e di mia sorella, i racconti di mio nonno e di mio padre, le ninna nanne di mia madre.

Le pacche sulle spalle di Vili, gli scherzi di Balin e Dwalin, i sorrisi dei miei nipoti.

Le battute di Dain, i siparietti di Jackson e John, le risate dei miei ragazzi.

Frammenti di ricordi semplici e vari, ma più preziosi dell’oro.

Ed adesso neppure in essi trovo pace.

È come se quel maledetto colpo si fosse portato via tutto quanto, il quel giorno di sangue ed oblio.

Il mio passato.

Il mio presente.

Il mio futuro.

Le mie speranze.

Le mie vittorie.

Le mie sicurezze.

La mia serenità.

La mia pace.

Si è impossessato di tutto quello che avevo con me fino a quel momento, e quel poco che mi ha lasciato si sta avvelenando pian piano, sotto i miei stessi occhi.

E non posso fare nulla per impedirlo.

Sono inutile, impotente, e spezzato.

E niente e nessuno potrà aiutarmi a vincere questa battaglia, stavolta.

 

“Thorin?”

 

Una voce, improvvisa e lontana, mi trascina all’indietro, e un altro dolore, un altro tormento prendono posto nel mio cuore, mentre di fronte agli occhi serrati scorrono immagini di momenti che non ricordo, eppure si fanno strada nella mia memoria con prepotenza e forza tali da togliermi il fiato . . .

 

 

Per un lungo, interminabile momento resto immobile a guardare l’orizzonte senza realmente vederlo, per poi costringermi a voltarmi verso quella voce timida che ormai conosco quasi meglio della mia.

 

Il piccolo mezzuomo è di fronte a me, i capelli arruffati di chi si è appena svegliato da un sonno agitato e uno sguardo preoccupato che non gli si addice, ma che ultimamente vedo fin troppo spesso sul suo viso pallido.

 

“Bilbo.”

 

Lo chiamo per nome, permettendomi quella piccola confidenza che mi riservo solo quando siamo soli, e vedo le sue orecchie imporporirsi appena al suono del suo nome sulle mie labbra.

 

 Se in un altro momento questo mi avrebbe intrigato, o perlomeno intenerito, ora mi è quasi indifferente.

Quasi.

 

“Credevo fossi addormentato da tempo, ormai.”aggiungo, tentando di concentrarmi su di lui e non sugli spettri che continuano a chiamarmi per nome, decisi a non lasciarmi andare.

 

“No, a dire il vero io, io . . . tu, sembri pensieroso, ed io . . . io volevo solo sapere se è tutto a posto.”

 

Balbetta, mentre un rossore ancora più accesso e inequivocabile gli colora le guance, e questo, assieme alle sue parole premurose –le prime che ricevo da tanto, troppo tempo- riesce a strapparmi da quella nebbia che mi sta trascinando sempre più indietro, a quei giorni lontani che ancora tormentano le mie veglie e le mie notti.

 

Appena un po’ stordito, sbatto qualche volta le palpebre, tentando di riappropriarmi di ciò che mi circonda, e solo quando ci riesco, e le voci dei fantasmi sono solamente un pallido urlo in lontananza, riesco a fare un cenno di diniego con la testa.

 

“Sto bene.”

 

Mento, come ho imparato a fare per non permettere a nessuno, nemmeno a me stesso, di vedere quanto sia profonda l’oscurità che mi porto dentro, né quanto siano numerosi i demoni che straziano quel posto straziato che è il mio cuore.

 

Mento, perché è questo che un capo deve fare, quando non può permettersi di crollare, e deve andare avanti sempre e comunque.

 

Mento, perché tanto non avrebbe senso dire la verità. Nessuno vuole vederla, e anche se non fosse così, nessuno riuscirebbe a comprendere il vuoto che il fuoco del drago mi ha lasciato dentro.

 

Mento, perché nessuno, nemmeno chi mi è vicino, riesce a comprendere la sottile differenza tra una coraggiosa menzogna e una crudele verità.

 

Ma qualcosa, in quella risposta, non lo convince.

 

Lo leggo nel suo sguardo, che si fa improvvisamente consapevole, e lo vedo nel modo in cui si avvicina a me, il volto ancora arrossato ma deciso.

 

“No, non è vero.” obbietta, prendendomi completamente di sorpresa “Tu non stai bene. Non ora, almeno. Il tuo corpo è qui, ma la tua mente è altrove, persa nei giorni lontani che non hai mai abbandonato, e la tua anima corre verso la Montagna, spinta dal desiderio di ciò che è andato perduto e che mai hai smesso di desiderare. Non stai bene, Thorin, e non devi fingere il contrario. Non con me, almeno.”

 

Lo osservo, incapace di fare altro, e ci metto qualche momento per realizzare completamente il significato delle sue parole.

M, quando questo mi colpisce come un pugno allo stomaco, ogni mia certezza si sgretola, e con essa qualunque menzogna.

 

Lui ha visto oltre la mia maschera.

Ha visto oltre le mie bugie.

Lui ha visto oltre ai fantasmi del mio passato.

 

Lentamente, si avvicina ancora di più a me e, con una delicatezza che nessuno mi ha mai riservato, mi prende una mano, segnata da tanti anni di lotte e da interminabili cicatrici. La stringe tra le sue, morbide e gentili, come se fosse il suo tesoro più prezioso, qualcosa da proteggere e da custodire.

 

“Resta qui.”

 

La sua voce è ridotta ad un sussurro, ed i suoi grandi occhi blu sono fissi nei miei, unica luce in questa infinita oscurità, e mi rubano il fiato.

 

Non stanno guardando il grande Thorin Scuodiquercia, il principe senza regno, il re senza popolo.

Non stanno guardando il mio passato, né i mie fantasmi, né il mio futuro tenebroso.

 

I suoi occhi blu stanno guardando me, e me soltanto.

 

“Il passato è passato, ormai. Non inseguirlo. Resta qui con noi. Resta qui con me.”.

 

La sua è una preghiera che mi stringe forte il cuore, quasi più del dolore.

 

 Una supplica piena di qualcosa, qualcosa di grande ed indefinito che ora, con i suoi occhi profondi incatenati ai miei, sembra poter riempire quel vuoto che mi porto dentro da sempre.

 

Piano, come se non volessi spezzare un fragile sogno travestito da realtà, sollevo l’altra mano per coprire le sue, in una tacita promessa che so di non poter spezzare.

 

Mi avvicino a lui tanto che i nostri respiri si fondono in uno solo, mentre due semplici parole sfuggono dalle mie labbra, con la stessa dolcezza che uso solamente nel pronunciare il suo nome.

 

“Sono qui.”

 

“Sono qui.”

 

Nel sentire quella voce ripetere quelle parole d’ombra, apro di scatto gli occhi, stordito, e davanti a me vedo Bilbo osservarmi con un pizzico di imbarazzo.

 

Ci metto un po’ a realizzare che l’uomo che ho di fronte è reale, veramente reale, e non una mia fantasia; probabilmente ci impiego qualche momento di troppo, perché vedo il suo viso, prima semplicemente teso, farsi preoccupato, e i suoi grandi occhi blu studiarmi con ansia.

“E’ tutto a posto? C’è qualcosa che non va?” chiede subito, ricordandomi ancora di più il Bilbo della mia fantasia, e devo fare un enorme sforzo per reprimere l’impulso inspiegabile di piegarmi in avanti e stringerlo forte tra le mie braccia, per non lasciarlo più andare.

“Sì, sì. Scusami. Stavo . . .” mi stacco dalla parete, pensando ad una scusa che possa andar bene e sia abbastanza credibile “ . . . pensando ad altro, e mi hai preso alla sprovvista. Tutto qui.” borbotto in tono burbero, stringendomi nelle spalle e sperando che non noti il lieve tremore delle mie labbra.

Lui non sembra particolarmente convinto, ed infatti inclina la testa, senza mai distogliere gli occhi dai miei.

 “Sei così pallido . . . sei certo di stare bene?” chiede, la preoccupazione ancora più che evidente sul suo viso. Non se l’è bevuta proprio per niente, anzi.

Da chiunque altro, quella domanda mi avrebbe spinto a rispondere in malo modo, a sentirmi trattato come un malato, un infermo incapace di cavarsela da solo e bisognoso della compassione degli altri, ma stranamente con lui non succede. Semplicemente, questa sua preoccupazione mi intenerisce un po’, e in qualche modo permette al mio cuore, ancora frenetico dopo la corsa e quella scena mai avvenuta ma impressa a fuoco nella mia mente, di calmarsi un po’.

“Certo, non preoccuparti.”

Un piccolo sorriso si forma sulle mie labbra prima che io possa fermarlo e le parole mi sfuggono spontanee “Sono felice che tu sia venuto.”.

Le orecchie di Bilbo si tingono lievemente di rosso, e quella reazione talmente innocente, talmente pura, alle mie parole mi scatena nel petto un calore mai provato prima d’ora, ma stranamente piacevole e in qualche modo familiare.

Si passa una mano tra i capelli ramati, senza riuscire più a sostenere il mio sguardo, e chiede con voce esitante “Mi aspetti da tanto?”

 

Ti aspetto da sempre.

 

Questo pensiero, spontaneo, incontrollato, si fa strada nella mia anima e quasi giunge alle mie labbra, ma fortunatamente riesco a sopprimerlo, anche se mi lascia dentro una strana sensazione, che non riesco né forse voglio davvero decifrare.

“No, affatto.” borbotto, stringendomi nelle spalle e tentando di scacciarla via, nel timore che possa in qualche modo tradire le mie ancora per nulla chiare emozioni.

“Vogliamo andare?” chiedo. Non so nemmeno io dove, ma voglio solamente scacciare questa sensazione, in qualsiasi modo possibile.

Si limita ad annuire, ed allora inizio a camminare senza un’idea precisa in mente, lasciandomi guidare dai miei ricordi adolescenziali di Londra. Mi segue, senza fare domande, senza parlare, quasi senza guardarmi. Semplicemente, cammina al mio fianco, come un’ombra silenziosa, e in qualche modo averlo semplicemente accanto a me placa la rabbia e il rimorso scaturiti dalla mia discussione con Dis.

E, in un certo senso, la sua sola presenza affievolisce, almeno un po’, tutto quel bagaglio di frustrazione ed impotenza che mi ha portato a questo.

 

Continuiamo a camminare a lungo, senza quasi rivolgerci la parola, come se avessimo entrambi paura di rovinare ogni cosa.

Tutto quello che faccio è lanciargli di nascosto lunghi sguardi, e solo quando sento i suoi occhi blu bruciarmi la pelle mi rendo conto che sta facendo lo stesso, e non so bene come questo mi faccia sentire.

 

Sfuggendo a quei zaffiri penetranti, lo osservo, concentrandomi per la prima volta non più sul suo viso o solamente sui suoi occhi, ma studiandolo in tutta la sua figura, come se fosse un mistero avvolto nell’oscurità da svelare ad ogni costo.

È letteralmente uno scricciolo, non mi arriva nemmeno alle spalle, e sembra tremendamente fragile, capace di spezzarsi se solo lo stringessi tra le mia braccia.

Il viso, rotondo e con due guance che sembrano fatte apposta per arrossire, è impreziosito da una lieve spruzzatina di lentiggini, quei due grandi occhi blu che si rifiutano di incontrare i miei e da qualche ricciolo che li incornicia, troppo ribelle per restare al proprio posto.

Ha indosso un semplice jeans scuro, che richiama un po’ il colore dei suoi occhi, ed una camicia bianca, il cui ultimo bottone è stato lasciato aperto, e in quello spazio di pelle rubato una sottile e delicata clavicola richiama la mia attenzione in modo naturale, quasi senza che me ne rendi conto.

Non ho idea di cosa indossasse di preciso le volte precedenti, non ci avevo fatto particolarmente caso, per cui non posso dire se sia un abbinamento diverso dal solito, ma di certo, beh, è . . . sta veramente bene.

Per un attimo mi sento quasi inadeguato, avendo addosso solo un semplice pantalone e una vecchia maglietta verde militare risalente ai miei giorni d’addestramento, ma a giudicare dai lunghi sguardi imbarazzati che Bilbo mi lancia e dalle sue orecchie che diventano di secondo in secondo più rosse non si tratta poi di un abbigliamento così patetico.

 

Le gambe iniziano a tremarmi impercettibilmente, ancora non abituate a percorrere distanze tanto lunghe, ma tento di mascherarlo, nella speranza che non se ne accorga.

 

Non voglio sembrargli debole, fragile, patetico come invece sono in realtà.

Non voglio che veda il fantasma che sono diventato.

 

Comunque, non deve riuscirmi troppo bene, o forse semplicemente lui riesce a vedere attraverso le mie finzioni, perché quando passiamo di fronte a un piccolo parco si volta verso di me e mi propone, con le orecchie e le guance sempre più rosse, di fermarci un po’ lì.

“Conosco questo parco, è davvero carino, e ti distrae da qualsiasi pensiero.” spiega, mordicchiandosi appena le labbra come se fosse teso, quasi temesse la mia risposta “Che ne dici?”

Annuisco, perché non me la sento di fare altro, e lo seguo mentre mi guida all’interno di questo angolino verde, ricco di fontane, querce e persone, rifugiatosi qui per sfuggire, almeno per un po’, alla monotonia della vita di una metropoli.

Ci sediamo su una panchina e restiamo in silenzio per un po’, incerti su cosa dire, e alla fine  mi faccio forza e mi decido ad iniziare un discorso qualunque.

“Quindi, sei uno scrittore.” dico, come se stessi riprendendo una conversazione già iniziata in precedenza, ed in un certo senso è così.

Bilbo sembra un po’ sorpreso, ma si affretta ad annuire “Ho iniziato a scrivere da adolescente.” spiega, stringendosi nelle spalle “E, molto semplicemente, da allora non ho più smesso.”

C’è un leggero velo di tristezza nella sua voce, di cui non riesco a comprendere la ragione, ma almeno il suo imbarazzo sembra essere notevolmente diminuito, per cui decido di continuare su questo argomento. Di solito, la gente si sente a suo agio a parlare di qualcosa che ama. O almeno, Frerin una volta mi ha detto così.

“Devi aver scritto tanto, allora.” commento, sentendomi vagamente stupido appena queste parole lasciano la mia bocca e lo vedo aggrottare la fronte e fissarmi in modo confuso. Mi passo una mano tra i capelli, imbarazzato, ed aggiungo senza nemmeno sapere cosa sto dicendo “Da ragazzo leggevo molto, ma ho smesso quando mi sono arruolato. Non sono, ecco, molto esperto sulla letteratura degli ultimi anni. Diciamo meglio, sono completamente ignorante. Per cui, ecco...”

Un piccolo sorriso gli illumina il volto, bloccando quel fiume senza senso di parole.

 “Non preoccuparti, ho capito.” mi dice, molto semplicemente.

Sembra quasi divertito dal mio imbarazzo, e questo mi confonde un po’. Se ne rende conto, e subito riprende a parlare “Scusami, sono abituato ad essere circondato da persone che conoscono a memoria tutti i miei libri e non fanno che parlarne.” spiega, mentre il suo sorriso si allarga ancora di più “Ed è strano quando incontro qualcuno che non ha la benché minima idea di chi io sia. Strano, ma piacevole. Posso smettere di essere Bilbo Baggins lo scrittore, ed essere semplicemente Bilbo, almeno per un po’.”

La semplicità e la tranquillità con cui dice una cosa del genere mi lascia un po’ spiazzato, ma in qualche modo mi rassicura e mi fa’ sentire un po’ meno stupido. E il modo in cui mi guarda, come se fossi una sorpresa, inaspettata ma non per questo sgradita, mi da’ il coraggio di scherzare un po’ sulla mia evidente gaffe.

“Sono in compagnia di autentico dio letterario, quindi?” borbotto, e vederlo arrossire ancora una volta alle mie parole ed evitare il mio sguardo mi riaccende di nuovo dentro quel calore di prima, in maniera forse ancora più intensa.

“N-no, certo che no.”  ribatte, ma dal tono capisco che vuole solo essere modesto. Dev’essere famoso, e molto. E sicuramente deve essersela più che guadagnata, questa fama.

Mi segno mentalmente di cercare il suo nome su internet, questa sera, ora più incuriosito che mai, ma prima che possa riaprire bocca Bilbo sussurra qualcosa che cancella qualsiasi altro pensiero e che mi lascia senza fiato come un pungo nello stomaco.

 

“Comunque, perché mi hai richiamato?”

 

“Scusami?” chiedo, certo di aver capito male.

Lo scrittore alza lo sguardo, cercando con quei zaffiri blu i miei occhi, e ripete con attenzione la domanda “Perché mi hai richiamato? Non che mi dispiaccia, ma . . . non me l’aspettavo, ecco. E volevo sapere il perché.” aggiunge, torturandosi appena il labbro inferiore con i denti.

 

Perché mi hai richiamato?

 

Diecimila risposte mi affollano la mente, ognuna diversa dall’altra, ma comunque terribilmente vera e sincera, risposte che non posso dargli, ma che la mia anima urla come se fossero il suo testamento.

 

Perché il tuo nome mi sussurra qualcosa che non riesco a comprendere, qualcosa di terribilmente familiare che voglio ricordare in qualsiasi modo.

Perché quando ti ho visto la prima volta ho improvvisamente ricordato come si fa a respirare.

Perché i tuoi occhi tormentano i miei sogni, e ho continuato a cercarli per tutto questo tempo.

Perché è per te che sono rimasto in vita, anche se non ti conoscevo.

Perché mi tocchi dentro in un modo mai provato prima, e voglio comprendere come questo sia possibile.

Perché la tua voce è rinchiusa nella mia memoria e sa raggiungere quella parte di me nascosta al resto del mondo.

Perché sei la prima persona che mi ha riacceso dentro qualcosa, da quando sono tornato.

Perché il tuo sorriso mi ha permesso di restare sano di mente fino ad ora.

Perché è come se ti conoscessi da sempre, come se ti avessi cercato per tutta la vita.

Perché sentirti pronunciare il mio nome è come tornare a casa.

Perché non riesco a togliermi dalla mente il tuo riflesso.

Perché ogni volta che arrossisci mi sento come se aspettassi questo momento da sempre.

Perché ti vedo ogni volta che chiudo gli occhi.

Perché, anche se sei solo nei mie sogni, sento che sei qualcuno di importante, qualcuno che ho perso tanto tempo fa, ma che voglio ricordare con tutto me stesso.

Perché, quando sei tu a guardarmi, non mi sento più un fantasma.

Perché so, dentro di me, di non poterti perdere ancora una volta. Non questa volta.

 

“Perché volevo rivederti.”

 

Sussurro questa risposta, quasi temendo di fare uno sbaglio, nel timore che queste parole, così semplici in confronto alla tempesta che sento dentro, siano in realtà troppo e possano cancellare ogni cosa.

 

“Perché dovevo rivederti. Non so nemmeno io come, ma è così.”

 

Vedo i suoi grandi occhi blu spalancarsi a quella risposta, e ho paura di aver rischiato troppo, di aver rovinato tutto.

Ma poi un piccolo sorriso sincero si fa strada sulle sue labbra, e mi rendo conto che ha capito quello che voglio dire. Come se non ci fosse bisogno di spiegarlo, come se fosse capace di leggermi dentro, in profondità, dove nessun altro può arrivare, nemmeno io.

Come se avesse dentro di sé la stessa tempesta.

 

Ed è adesso che me ne rendo conto.

 

Lui riesce davvero a vedermi.

 

Non vede il fantasma che sento di essere diventato, lo spettro che tutti credono io sia.

 

Come il Bilbo dei miei riflessi, riesce a vedere me per quello che sono.

 

Si fa inavvertitamente più vicino e la sua voce è stranamente bassa quando sussurra, come se mi stesse rivelando un segreto

“Mi crederesti se ti dicessi che per me è lo stesso?”.

 

Annuisco prima ancora di realizzarlo, mentre un sorriso sincero mi illumina il volto, e dentro di me sento che è giusto, che questa follia forse non è più così tanto folle.

 

Forse, essere rimasto ha avuto un qualche valore.

 

Forse, non ho sbagliato a scommettere tutto su questi occhi blu che riescono a vedermi davvero.

 

 

 

 

La tana dell’autrice

 

Yeah, sono tornata. Un po’ in ritardo, forse. Ok, ok, parecchio in ritardo. Non voglio nemmeno vedere a quando risalga l’ultimo aggiornamento. Mi sento già abbastanza in colpa così.

Vi chiedo profondamente scusa. A tutti voi. L’ultimo è stato un anno decisamente pieno e duro, e il tempo che ho trascorso a scrivere per puro piacere è stato davvero pochissimo. Purtroppo mi trovo in una fase delicata della mia vita, sto finendo le superiori e presto dovrò affrontare il futuro, l’università e tutte quelle cose da ‘grandi’ che mi spaventano enormemente. E quindi diecimila pensieri, problemi ed impegni mi hanno presa in ostaggio, e dire che ancora adesso si danna parecchio sa fare per stressarmi e buttarmi giù.

Ma mi sono resa conto che mettere da parte la scrittura peggiora solo le cose. Ho bisogno di staccare, almeno per un po’, tra un’interrogazione e una lezione di scuola guida. Non posso prendermi così tanto tempo, ma devo riservare almeno qualcosina per me e quelle cose che mi fanno bene. E tra queste ci siete voi, questo fandom e questa fanfiction.

Per cui sì, sono tornata. Non so con quanta frequenza aggiornerò, risponderò alle recensioni o via dicendo, ma on sparirò, promesso.

La figlia prodiga è tornata davvero.

 

T.r.

 

 

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 – Perduto -prima parte- ***



 

Capitolo 8 – Perduto –prima parte-

 

 

 

Ci sono volte, quando mi sveglio la mattina che . . . non so per quale motivo, ma mi ritrovo con le lacrime agli occhi . . .

Il solito sogno che ho già fatto, ma che non riesco mai a ricordare, però . . .

Però . . . la sensazione di aver perso qualcosa, quella rimane anche dopo molto tempo.

 

-Your name

 

 

 

Percorro la strada quasi di corsa, sbirciando con urgenza l’orologio. Le quattro e mezza. Maledizione. Sono in ritardo, dannatamente in ritardo.

Accelero il passo, rischiando quasi di finire addosso ad una donna col passeggino e a un venditore ambulante di giornali, e non mi fermo nemmeno per scusarmi come si deve  –non che me ne vada come un maleducato senza dire niente, eh. Sussurro un ‘mi scusi’ nel momento in cui li incrocio e poi corro subitovia, quasi fossi inseguito da un branco di chihuahua arrabbiati.-.

Vengo quasi messo sotto tre volte rispettivamente da due taxi e da un tram, e per la fretta non sento nemmeno le loro certe bestemmie.

Corro fino a quando non raggiungo Oxford Street, colma di gente come sempre. Con un sospiro sollevato, giro a destra alla quinta traversa e mi addentro in uno di quei vicoletti tanto sconosciuti ai turisti e anche a molti dei londinesi veri e propri, fino a quando arrivo in una strada aperta e tranquilla.

Continuo a correre, fino a quando non scorgo, appesa alla parete verde come una bandiera vittoriosa, quell’insegna a forma di birra che ormai è diventata così familiare, e sotto di essa una figura alta e silenziosa che lo è ancora di più.

Cerco di accelerare ancora, ma il mio corpo è ormai allo stremo, e così raggiungo il locale un po’ camminando e un po’ trascinandomi, tentando allo stesso tempo di recuperare fiato per non cadere lungo disteso a terra e di non sembrare troppo patetico. Fallendo, ovviamente.

 

“Scusami.” ansimo, senza nemmeno alzare lo sguardo nel tentativo di non sembrare ancora più pateticamente esausto di quanto già sia “Ho dovuto fare da babysitter al piccolo Gimli, ma Gloin sembrava non avere alcuna intensione di tornare e . . .”

Un sbruffo divertito mi interrompe, e non riesco a trattenermi dal lanciare un’occhiataccia offesa all’alta figura tenebrosa, che mi osserva con aria divertita e sta palesemente cercando di non ridere, come se fossi un buffo spettacolo a cui non si può resistere. Indispettito, mi tiro su e cerco di assumere l’aria più minacciosa e offesa possibile, mentre ribatto freddamente  “Se è questa l’accoglienza che mi riserva dopo essermi fatto mezza Londra a piedi, d’ora in poi potrà passare i suoi pomeriggi da solo, capitano Durin.”

Thorin scuote appena la testa, mentre quegli occhi di ghiaccio spesso illeggibili brillano di divertimento e l’angolo sinistro della bocca è sollevato nel discreto accenno di un sorriso. “Le mie scuse, signor Baggins.” ribatte a bassa voce “Ma le consiglio immensamente di prendere un taxi, la prossima volta. Sembra un pulcino bagnato, in questo momento.”

Un pulcino bagnato! Ma come si permette, questo, questo . . . “Bene! Allora, se permette, il pulcino bagnato va’ ad asciugarsi a casa sua!” esclamo offeso, voltandomi come se volessi davvero andarmene via.

L’ex soldato sobbalza, seppur in modo quasi impercettibile, e subito si affretta a tornare serio “Dai Bilbo, sto scherzando. Non volevo offenderti davvero.” si scusa, staccandosi dalla parete e tormentando con le dita le sue piastrine, come fa’ ogni volta che è nervoso.

Sbruffo, per poi voltarmi nuovamente verso di lui con le braccia incrociate e lo sguardo minaccioso “Chiamami un’altra volta pulcino, e giuro che non mi vedrai mai più in tutta la tua vita.” prometto, ma col tono morbido di chi non crede davvero a quello che sta dicendo, e solo allora il viso imperscrutabile dell’altro si rasserena.

“Afferrato.” risponde, gli occhi che sorridono e mi studiano attentamente, come se temessero di vedermi scomparire se solo mi perdessero di vista per mezzo secondo.

Scuoto appena la testa e mi lascio sfuggire un sorriso divertito, passandomi una mano tra i capelli fradici, mentre ripenso per l’ennesima volta come sia assurdo ed irreale tutto questo.

 

Non avrei mai creduto che uscire con Thorin Scudodiquercia Durin potesse diventare parte della mia routine, un’abitudine quotidiana ed indispensabile.

Eppure, è così.

Alla fine di quel pomeriggio così insolito eppure così stranamente sereno, trascorso insieme tra lunghi silenzi e poche parole colme di troppo, stavo per andarmene, quando Thorin mi ha afferrato delicatamente per il polso e ha cercato con gli occhi i miei.

A voce bassa, quasi stesse mormorando una preghiera a un qualche dio lontano ed incapace di ascoltarlo, ha sussurrato due parole che per un attimo mi hanno fatto tremare dentro, come se non stessi aspettando altro, come se tutto il mio corpo e la mia anima fossero in attesa proprio di questo.

 

“Posso rivederti?”

 

Gli ho risposto di sì senza nemmeno pensarci, esattamente come la prima volta.

E ci siamo rivisti il giorno dopo, e quello dopo, e quello dopo ancora.

Da circa tre settimane, continuiamo a trovarci nello stesso posto, alla stessa ora, ogni singolo pomeriggio. Ogni volta, Thorin arriva prima di me e si ferma lì, ad aspettarmi con la schiena poggiata contro la parete di quel angolo solitario e lo sguardo fisso sulla strada, come una silente sentinella di ghiaccio. Resta lì ad aspettarmi, e appena mi vede sulle sue labbra si forma un sorriso spontaneo di cui non sembra nemmeno rendersi davvero conto. Si stacca dalla parete e mi viene incontro, sempre con quel piccolo dannato sorriso sulle labbra e gli occhi incatenati ai miei. A volte parliamo un po’, prima di iniziare a camminare, a volte quasi non ci rivolgiamo la parola fino a quando non arriviamo in quel piccolo parco e ci sediamo su quella stessa panchina. Oppure, quando ci va’, andiamo in posti diversi, qualche negozietto vintage, qualche posticino nascosto dall’aria antica, in tutti quegli angoli dimenticati di Londra che sembrano affascinare lui quanto me.

 

All’inizio era un po’ strano, e forse lo è anche ora, ma nessuno dei due sembrava volerci davvero fare caso e poi, beh, quella sensazione è svanita da sola.

Giorno dopo giorno, quella sottile tensione che avvertivamo tra noi è diminuita sempre di più, tanto che adesso si è praticamente ridotta ad un’ombra che riusciamo il più delle volte ad ignorare senza problemi.

Giorno dopo giorno, questa strana sensazione di esserci visti da qualche parte in un sogno è stata sostituita da qualcosa di nuovo, a cui non riesco a dare un nome, un qualcosa fatto di piccole confidenze e lunghe passeggiate silenziose di cui entrambi abbiamo bisogno.

Pian piano, abbiamo smesso di definirci come due sconosciuti, anche se dentro di me lui non lo è stato nemmeno la prima volta che ci siamo incontrati, nel modo più assoluto, nonostante non riesca a comprenderne il perché.

Stiamo diventando. . . cosa? Amici, forse. O forse è troppo presto per poter usare una parola così grande. Ma non saprei quale altra usare sinceramente, per cui preferisco optare per questa. Un bella parola di sicurezza, che può significare tutto e niente, e mi permette di non pensare, almeno un po’, alla sensazione che in queste tre settimane si è fatta sempre più forte, fino a togliermi con delicatezza e lento languore il fiato.

 

Non so bene come sia possibile, eppure . . . quando siamo insieme, anche per poco, anche se semplicemente camminiamo l’uno accanto all’altro senza una meta, sembra così naturale, come se dovesse solo essere così.

Come se stessimo aspettando solamente questo, poter essere insieme.

Non importa se parliamo poco o niente, se a volte finiamo semplicemente per studiarci in silenzio e stupirci di questa strana armonia nata senza che potessimo rendercene conto.  Perché è vero, tra noi è sbocciata un’armonia insolita, quasi senza che facessimo nulla. Me ne rendo conto ogni volta che lo vedo fermo ad aspettarmi e appena sente il mio passo alza subito il viso nella mia direzione. Lo vedo nel modo in cui i nostri respiri sembrano sincronizzarsi quando siamo vicini, me ne accorgo quando cerco i suoi occhi e li trovo già in attesa dei miei, come se non facessero altro da fin troppo tempo.

È come . . . so che sembra assurdo, ma è come se stessimo ricominciando qualcosa, qualcosa che si era interrotto tanto tempo prima, ma che non si è mai spezzato. Come se ci conoscessimo da una vita intera, o forse anche di più, e dovessimo solo ricordare com’era muoversi, respirare, vivere in quest’armonia che siamo incapaci di controllare.

Come se tutto questo, in qualche strano modo, fosse destinato ad accadere.

 

La suoneria bassa di un cellulare mi distoglie dai miei pensieri, giusto in tempo per vedere Thorin sbruffare, sfilare il proprio telefono dalla tasca e rifiutare con decisione la chiamata, con una veemenza e una furia tali da far credere che quel povero smartphone abbia appena insultato lui e tutta la sua famiglia. Sotto il mio sguardo confuso, spegne del tutto il telefono e con un gesto di stizza se lo lascia scivolare nuovamente in tasca, la fronte aggrottata e gli occhi improvvisamente tempestosi. Non l’avevo mai visto così, prima. E non mi piace.

 “Chi è il povero disgraziato che ha commesso l’errore di farti arrabbiare così tanto da non meritare la tua considerazione?” chiedo, tentando di strappargli un sorriso e allo stesso tempo non essere troppo invadente.

Saranno passate anche tre settimane, ma lui è comunque rimasto particolarmente riservato su ciò che gli sta più a cuore o che più lo fa soffrire. O, in generale, ciò che prova e pensa davvero. Non parla mai di quello che sente, e capire cosa ci sia dietro quella maschera di ghiaccio solamente da piccoli dettagli, senza superare quella sottile linea di confine che ha tracciato tra sé e il resto del mondo, è davvero difficile.

Per un momento Thorin non risponde, quasi non mi avesse sentito, ma poi si passa una mano sul viso, in un chiaro gesto di stanchezza, e in quel momento mi rendo conto di quanto quella maschera che si ostina ad indossare ogni singolo momento della sua giornata sia sul punto di spezzarsi.

Teso, mi avvicino un po’ a lui, incapace di vederlo così “Cosa c’è che non va? Puoi parlarmi di qualsiasi cosa, sai. Se vuoi, ovviamente.” sussurro, senza riuscire a trattenermi e oltrepassando, quasi senza rendermene conto, quella sottile linea dietro la quale sono sempre rimasto, timoroso di infrangere con un passo indiscreto quell’armonia così delicata. Ma non mi interessa, non ora, non di fronte a quello sguardo che sta gridando aiuto senza però avere la forza di trasformare il suo dolore in parole “Io sono qui. E sono sorprendentemente bravo ad ascoltare. Davvero.”

Il capitano mi osserva attentamente, con quei grandi occhi che sembrano capaci di scrutarmi l’anima, come se stesse cercando di capire se può fidarsi o meno. Se può lasciarsi andare.

Restiamo immobili l’uno di fronte l’altro per un momento quasi infinito, fino a quando Thorin non si lascia sfuggire un sospiro rassegnato e distoglie lo sguardo, stringendosi nelle spalle.

“È Dis.” mormora, tenendo lo sguardo fisso sulla strada affollata pur di non dover sostenere il mio “Avrei una seduta in questo momento, ma gli ho dato buca come al solito. E ovviamente ora è furiosa.” Lo dice come se fosse una cosa scontata, di poco conto, ma è chiaro da quella vena che gli pulsa sul collo come se fosse sul punto di esplodere che non lo è, non lo è affatto.

“Una seduta?” ripeto, un po’ confuso  “Vai da uno psicologo?”

Un altro sbruffo, questa volta più profondo e amaro “Dis lo vorrebbe. È convinta che io soffra di qualche disturbo post traumatico.” Adesso l’amarezza nella sua voce è palese, e non tenta nemmeno di nasconderla “Ha pagato un specialista di sua conoscenza per seguirmi, ma non mi sono presentato nemmeno a una seduta. Non ho bisogno di uno strizzacervelli che continui a dirmi che sono al sicuro, che va tutto bene e che devo solo abituarmi a questa vita. Ma a quanto pare, la mia cara sorellona è incapace di accettarlo.”.

Oh. Inizio a capire, ora.

Faccio un altro passo nella sua direzione, incerto su quanto possa osare “Dis è solo preoccupata. Lo so che è una frase banale, ma è tua sorella, ha il diritto e il dovere di preoccuparsi per te e prendersi cura di te. O almeno di provarci.” dico con attenta prudenza, cercando di non far crescere la sua rabbia e la sua irritazione ancora di più, e quando non ottengo da lui alcuna reazione se non il puro silenzio, aggiungo “E poi, uno psicologo non ti direbbe mai qualcosa del genere. Cioè, forse uno di quelli che non ha la benché minima idea di come fare il suo lavoro sì, ma un vero psicologo no.”

Thorin fa un sorrisetto sarcastico, come se le mie parole gli sembrassero assurde al limite del ridicolo “Come lo sai?” ribatte, molto semplicemente.

Esito prima di rispondere, incerto su cosa e quanto dire. Non mi piace parlare di quella parte della mia vita, non mi piace nemmeno pensarci, ma . . .

“Sono dovuto andare da uno di loro per parecchio tempo, quando ero ragazzo.” butto fuori alla fine, non senza un pizzico di amarezza.

Questo sembra catturare l’attenzione del capitano, perché i suoi occhi di ghiaccio saettano verso di me e restano in silenzio a studiarmi, quasi a cercare una conferma di quell’ammissione e della sua veridicità, ed è tutto ciò di cui ho bisogno per continuare a parlare.

Mi stringo nelle spalle “All’inizio ero della tua stessa idea e non volevo averne nulla a che fare, ma poi mi sono reso conto che non era così. Non sono come nei film, sai, quegli strizzacervelli odiosi che ti entrano in testa e non fanno altro che confonderti di più le idee. Sono più come degli amici con cui confidarti, o meglio degli sconosciuti a cui poter dire qualsiasi cosa e sapere di non essere mai giudicato. Ed è una cosa buona, per superare un trauma, ma anche solo per sfogarsi e buttare fuori tutto quello schifo che ci si porta dentro, parlare e aver qualcuno con cui farlo. Anche se si tratta solo di stupidate, anche se è una cosa che a te sembra senza senso.”

I ricordi di quei giorni ritornano forti e travolgenti come una marea, ma mi affretto a  reprimerli e a cacciarli indietro, come ogni singola volta, prima che possano arrivare abbastanza in profondità da farmi male.

“Non mi ha guarito, ma mi sono reso conto che nessuno può davvero guarire dalle proprie ferite. Può solo imparare a sopportare il dolore, accettare i propri fantasmi ed andare avanti.” continuo, sostenendo con decisione quegli occhi di ghiaccio che sembrano pronti a tutto, tranne lasciare andare i miei “Ma mi ha aiutato molto, alla fine. Parlare, intendo. O anche solo passare del tempo con qualcuno. E credo che potrebbe aiutare anche te, almeno un po’.”

Thorin resta in silenzio per pochi secondi che però sembrano senza fine, il viso severo che mi studia attentamente come se fossi una qualche sorpresa inaspettata e un po’ buffa. Poi, lentamente, le sue spalle si rilassano e qualcosa, in quei grandi occhi di ghiaccio, torna a brillare.

“Non ho bisogno di uno sconosciuto per questo.” sussurra molto semplicemente, come se si trattasse di qualcosa di così ovvio da non meritare nemmeno di essere confermato a voce “Ho te.”.

 

Sento distintamente il mio cuore smettere di battere  a quelle parole per un lungo, inaspettato momento, e prima che possa riprendermi Thorin sorride con una semplicità e sincerità così disarmanti e si avvicina a me di un altro passo, tanto che posso quasi sentire il suo fiato caldo sul mio viso, e allora trattenere il respiro viene naturale e, e . . . Dio, sto per morire di infarto, me lo sento!

 

“Allora, vogliamo andare?” chiede con un altro piccolo e mortale sorriso, facendomi cenno verso la strada con aria del tutto innocente, come se non mi stesse per far letteralmente esplodere il cuore nel petto.

Mi costringo ad annuire per evitare di dire qualcosa di certamente imbarazzate e terribilmente stupido, e solo quando si gira ed inizia a camminare riesco a lasciare andare un profondo respiro, forse non completamente di sollievo.

 

Ok, infarto scongiurato, per il momento.

Ma, dannazione, come può dire una cosa del genere, così assurda, così letteralmente sconvolgente, e poi comportarsi come se fosse la cosa più naturale del mondo? E soprattutto, come può Thorin Scudodiquercia Durin portarmi praticamente alla morte solo con uno sguardo e qualche parola sussurrata con un sorriso?

 

Come può avere un simile effetto su di me, questo stramaledetto capitano dagli occhi di ghiaccio?

 

Mi affretto a seguirlo, tentando di calmare il cuore che ha ripreso a battere come un pazzo, e cercando di non pensare a quanto quelle parole mi suonino familiari, terribilmente familiari.

 

‘Non ho bisogno di nessuno. Ho te.’

 

 

 

o0O0o.

 

 

E’ un pomeriggio grigio sul punto di finire quando, tornato dall’ennesima passeggiata con Bilbo, mi infilo in casa senza far rumore e mi ritrovo Kili steso in camera mia, con l’aria annoiata e una rivista di moto in mano.

“Kili? Cosa ci fai qui?” chiedo confuso, togliendomi la giacca di pelle dalle spalle e studiandolo attentamente.

Mio nipote, che in un primo momento sembrava quasi non essersi accorto di me, butta con noncuranza la rivista sul materasso, salta in piedi come una molla e mi rivolge un inquietante sorriso a trentadue denti, molto simile a quello di uno squalo prima di divorare la propria preda.

“Ti stavo aspettando.” dice soltanto, e  il suo sorriso si fa, se possibile, ancora più grande “Allora zietto, come sta andando?”

Aggrotto la fronte, mente butto la giacca su letto ora libero “Come sta andando cosa?”

“Come cosa?” fa, sembrando sinceramente sorpreso, per poi assumere un’aria complice “Dai, non fare il finto tonto con me. Lo sai benissimo.”

“Non so proprio nulla.” ribatto freddamente, non sapendo dove voglia arrivare a parare, o forse preferisco fingere di non saperlo. In fondo, conosco fin troppo bene mio nipote.

Kee incrocia le braccia, studiandomi con aria attenta per poi ribattere dopo un lungo silenzio “Sono più di tre settimane che continui a vederti con Bilbo ogni singolo giorno.” mi ferma prima che io possa anche solo aprire bocca per negare, alzando la mano in un gesto annoiato “E non dirmi che non è lui, lo so benissimo. Ho le mie fonti.”

Mi lancia un lungo sguardo indagatore, come in attesa di qualcosa, di qualsiasi cosa.

 

Ecco, lo sapevo. Come ho detto, conosco mio nipote. E so cosa vuole sapere.

Ma non ho alcuna intenzione di parlare di Bilbo, sopratutto non con lui.

Così, decido di fare la cosa che mi viene meglio.

Il mio sguardo si fa’ indecifrabile e lascio che il mio volto diventi di pietra, come se fosse una cosa di poca importanza. Ma non lo è. Per niente.

Bilbo è tutto, tranne che insignificante.

 

“Quindi?”

“Quindi?” ripete incredulo, per poi allargare le braccia in un gesto plateale “Zio, tu non sopporti le persone! Ti è appena sopportabile vedere tutti i giorni il mio bel faccino e quello un po’ meno bello di Fili, figuriamoci stare con una persona praticamente sconosciuta per più di cinque minuti!” esclama, per poi continuare con un tono più basso e controllato, come se stesse pesando le sue stesse parole “Eppure continui ad uscire insieme a lui ogni giorno, e ogni volta che torni a casa dopo essere stato con lui gli occhi ti brillano.”

 

Vorrei negare, lo vorrei davvero, ma non posso.

Ho chiesto a Bilbo di poterlo vedere ancora, dopo quella prima volta, incapace di lasciarlo andare, incapace per qualche motivo anche solo di pensare di lasciarlo andare.

Continuo a cercarlo ancora dopo settimane, e solo la sua presenza mi rasserena abbastanza da tornare a casa ad affrontare il silente calvario che è diventata la mia vita.

E quando torno, tengo stretto a me con forza il riflesso dei suoi grandi occhi blu scuro e di quel sorriso timido e luminoso, e tutto diventa più sopportabile.

Kili non ha torto, e lo so bene. Ma non ho alcuna intenzione di ammetterlo.

Né a lui, né a me stesso.

 

“Bilbo non è una persona praticamente sconosciuta.” ribatto d’istinto, per poi affrettarmi ad aggiungere con tono duro “E hai ragione, mi è appena sopportabile vedere te, e se vuoi che sia ancora così ti conviene sparire prima che gli anni sul campo ritornino a farsi sentire.”

Kili ridacchia, come se gli avessi appena raccontato una barzelletta stupida “Dai, non fare il capitano tenebroso e senza cuore.” fa, tirandomi un leggera gomitata, ben attento però a non farmi male “Confidati col tuo nipotino preferito.”

“Tu non sei il mio nipotino preferito.” ribatto, e il ragazzo si tira indietro, guardandomi scioccato.

“Cosa, preferisci Fili a me?” chiede inorridito, e nell’annuire non riesco quasi a trattenere una smorfia divertita. Quasi. “Decisamente.”.

Si porta le mani al petto, come un attore tragico offeso a morte “Argh, questo è un colpo al cuore.” esclama con voce grave, senza alcuna difficoltà a fingersi sconvolto “Come puoi preferire quel damerino del mio fratellone a me?”

“Ho molte ragioni.” rispondo, imponendomi di non sorridere alla sua faccia traumatizzata “Ad esempio, lui non mette su discussioni insensate e pretende che gli dia’ credito.”.

Kee fa un sorrisetto colpevole “Touchè. Ma questa non è una discussione insensata.” aggiunge poi, tornando serio “Zio, tu sei la persona meno amichevole del mondo, eppure da quando hai conosciuto Bilbo –o meglio, da quando vi siete chiariti, visto che la prima volta stavate per saltarvi addosso- sei . . . diverso. Più sereno, calmo, e hai ripreso a scherzare come facevi prima . . .”

Si ferma, non sapendo come andare avanti, ma non c’è bisogno che continui a parlare per capire.

Prima dell’incidente.

“Prima.” ripete, come se bastasse, e forse è così.  “E non pensare che sia solo una mia fantasia, perché ce ne siamo accorti tutti. Quando sei tornato a casa, mesi fa, sembravi il fantasma di te stesso. Eri completamente inerme, e solo io e Fili riuscivamo a farti tornare te stesso, ogni tanto, ma per poco, troppo poco.”

Gli lancio uno sguardo sorpreso, non aspettandomi che il più piccolo e spensierato dei miei nipoti fosse consapevole dell’enorme potere che questi due diavoli travestiti da ragazzi hanno su di me.

Kili accenna un sorriso, come se si aspettasse la mia sorpresa, e poi riprende a parlare, con il tono più consapevole e dolce che io gli abbia mai sentito usare “Invece, da quando è arrivato Bilbo, sembri ogni giorno di meno quel fantasma, e ogni giorno di più te stesso. Sembri sempre di più il vecchio Thorin, quello zio che ci raccontava le storie prima di andare a dormire e ci faceva vincere quando facevamo la lotta. Riesce a farti sorridere come non hai mai sorriso prima con nessun altro.”

Esita, come se gli costasse ammettere che qualcun’altro oltre a lui e alla mia famiglia possa essere la causa dei miei sorrisi, per poi aggiungere con un sorriso ancora più grande, un sorriso spontaneo e genuino che sembra provenire dagli anni passati, quando tutto era più semplice e nessuna cicatrice era ancora abbastanza profonda da fare male “Non so come o perché, ma Bilbo ha la capacità di far riemergere in te qualcosa che credevi perduto tanto tempo fa.”

 

Bilbo ha la capacità di far riemergere in te qualcosa che credevi perduto tanto tempo fa . . .

 

Quelle parole in qualche strano, incomprensibile modo, mi turbano. Vanno in profondità, quasi volessero dire qualcos’altro, quasi il loro vero senso fosse un altro, e la mia anima l’avesse già capito ma non volesse ammetterlo nemmeno a se stessa.

 

La mia mente corre d’istinto ai suoi occhi profondi che mi hanno strappato dalla morte e a quel sorriso che ormai saprei riconoscere tra mille.

Risento sulla mia pelle quella strana emozione che ho provato quando l’ho visto la prima volta, quella sensazione di stupore e di sollievo, e quel pensiero, spontaneo ma non colto del tutto, nato dal profondo del mio cuore.

Ti ho trovato.

 

Qualcosa che credevo perduto da tempo . . .

 

Che cosa ho perduto tanto tempo fa, e Bilbo sta facendo tornare alla luce?

 

Che cosa?

 

 

o0O0o.

 

Thorin tormenta le sue piastrine con le dita, mentre i suoi occhi di ghiaccio studiano con attenzione tutte le persone nel piccolo parco, quasi stesse cercando una preda rara e difficile da catturare.

È una bella giornata soleggiata, e siamo venuti a trascorrere il tempo nel nostro solito parco, questo pomeriggio più affollato del solito, probabilmente grazie al sole che sembra quasi annunciare una primavera spesso fin troppo lontana. Bambini di tutte l’età corrono ridendo tra l’erba, seguiti dagli sguardi ansiosi dei genitori e da quelli dolci degli anziani, inteneriti da tanta spontanea spensieratezza che ormai da tempo hanno perduto. Chissà quanto tempo è passato da quando hanno visto un bambino sorridergli . . .

Mi costringo a distogliermi da simili pensieri e mi rivolgo a Thorin, che sembra ancora completamente preso dalla sua ricerca silenziosa. “Allora?” chiedo, passandomi una mano tra i capelli “Dai, scegli qualcuno.”

Nessuno di noi aveva voglia di parlare granché oggi, e così questo numero insolito di persone sconosciute mi ha spinto a proporre al silenzioso capitano un gioco che di solito faccio da solo, ma che forse è mille volte più divertente se condiviso. Anche se, lo ammetto, spiegarglielo la prima volta è stato abbastanza imbarazzante. Fin troppo, forse.

L’ex soldato si stringe nelle spalle, per poi osservare per mezzo minuto una figura a qualche panchina di noi, con in braccio un bimbo piccolissimo e lo sguardo fisso fisso sui bambini che vanno e vengono dalle altalene. “Quella signora?” propone, alla fine, finalmente convinto della sua scelta.

“Uhm . . .” la studio attentamente, felice di riconoscere in lei una delle poche frequentatrici abituali di questo parchetto. È bella, non troppo alta, con corti capelli biondi e un viso dolcissimo, da mamma. Sorrido, perché non ho davvero bisogno di giocare eccessivamente con la fantasia, questa volta.  “Ha quattro figli, si è sposata giovanissima, forse subito dopo essere rimasta incinta la prima volta. Amava alla follia suo marito, e anche se è morto non riesce né vuole dimenticarlo. È molto gentile, ha un forte istinto materno, ama i cani ma non può permettersene uno.” affermo con sicurezza, incrociando le braccia e lanciando a Thorin uno sguardo vittorioso, per vedermi restituire soltanto un’espressione dubbiosa e un po’divertita.

“Si può sapere come fai ad inventarti cose così assurde?” borbotta con un mezzo sorriso, scuotendo la testa come ogni singola volta che giochiamo a questo gioco.

Osservare le persone e indovinare la loro storia e il loro carattere; non è propriamente un gioco, ma più un esercizio di scrittura che facevo quando ero alle prime armi e dovevo imparare a vedere la realtà e descriverla nelle mie storie. Col tempo, però, è diventato più un passatempo divertente che altro e un pomeriggio di una, forse due settimane fa, una volta che ho visto Thorin particolarmente giù di morale, è stata l’unica cosa che mi è venuta in mente per strappargli un sorriso. Ha funzionato, e nonostante lui rida sempre di quello che dico abbiamo continuato a farlo, all’inizio quasi per noia, ed ora è diventata una di quelle buffe e strane abitudini che si stanno pian piano creando tra di noi.

Sbruffo, fingendomi offeso, e forse essendolo davvero un pochetto “Io non invento nulla.” ribatto per quella che è forse la quattordicesima volta “Osservo le persone e immagino come sarebbe la loro storia se fossero dei personaggi di un libro. Da lì, parto a immaginarne una sorta di scheda, con tutte le loro caratteristiche e la loro storia, e beh, esce davvero da sé.”

“In pratica, inventi.” ripete di nuovo il capitano, gli occhi che brillano come ogni volta che mi prende in giro. Un’altra cosa che sta diventando un’abitudine, tra noi, ed una delle poche a piacermi poco o niente.

“Uffa.” alzo esasperato gli occhi al cielo, per poi indicargli con un cenno della testa la donna dai capelli biondi  “Senti, osserva bene quella signora. Viene qui tutti i giorni, accompagnando due gemelli dai capelli ricci e un bimbo piccolo dai capelli neri neri, e a volte è anche in compagnia di un adolescente un po’ in carne. Tutti e quattro le somigliano molto, quindi probabilmente si tratta dei suoi figli, e da come li guarda e si comporta con loro si vede subito che è una persona dal cuore buono. In più è molto giovane, quindi doveva essere appena una ragazza quando ha avuto il figlio più grande. Spesso gioca con i cani randagi che girano per il parco e gli porta del cibo da casa, ma nonostante li adori non può portarsene via nemmeno uno, altrimenti lo farebbe subito.” spiego tutto d’un fiato, ripetendo soltanto quello che ho osservato nelle settimane precedenti e ho potuto capire con appena un pizzico di attenzione.

Il soldato mi ascolta ed osserva a sua volta con attenzione la signora, rendendosi conto che in effetti le mie idee non sono completamente campate in aria. Resta in silenzio per un lungo momento e poi chiedo, il tono di voce appena più basso del solito, quasi non volesse dire quello che sta per dire “E la storia del marito?”

Mi mordo le labbra, incerto su cosa dire. Non avrei voluto spiegare questa parte, essendo effettivamente più che altro guidata dall’istinto che dall’osservazione, ma poi, come per ogni sua singola richiesta, cedo.

“Guardala bene.” mi sfugge un piccolo sospiro che nemmeno mi ero accorto di aver trattenuto fino a quel momento, e allora mi affretto ad andare avanti, seppur ogni parola pesi come un macigno.

“Quando non è con i figli ha sempre lo sguardo triste, e continua a tormentare quella catenina che porta al collo ed a cui è infilato un anello.” Quasi senza rendermene conto mi porto una mano al collo, come se anche io stessi indossando qualcosa di molto simile, e per un attimo ho un momento di smarrimento quando le mie dita non trovano niente.

Continuo, cercando di ignorare quella strana sensazione “È una fede, e anche lei ne indossa una identica, ma molto più piccola, tanto da andarle stretta. È ovviamente del marito morto. Se si fossero solo lasciati, lei non porterebbe né la sua fede né quella di lui. A volte, quando i suoi figli giocano insieme e non possono vederla, li guarda con intensità e si asciuga gli occhi, per poi baciare l’anello che porta al collo e raggiungerli. Evidentemente amava davvero tanto suo marito, e anche se è morto non riesce a dimenticarlo e il suo unico sollievo sono i bambini che le ha lasciato. Che devono essere tutti suoi, perché se osservi bene lei ha degli intensi occhi verdi, mentre i ragazzi hanno tutti dei chiarissimi occhi azzurri. Quando li guarda, rivede lui e si sente più serena, come se tutto potesse andare bene”.

Mi fermo un momento, e cerco con lo sguardo i due gemellini della donna. Due autentici combinaguai con l’argento vivo addosso, e che non somigliano per niente al bimbo sereno che stringe tra le braccia o al calmo ragazzo che ogni tanto bada a loro, ma hanno nei visi vispi un qualcosa della madre, qualcosa che ricorda tempi più felici e sereni. Nel complesso, sono una bella famiglia, incasinata forse, ma molto bella. Sorrido, un sorriso appena accennato, che si spegne mentre pronuncio le parole successive.

“Ma poi si rende conto che niente può andare davvero bene, che lui non tornerà più, mai più, e si sente precipitare. Per questo porta sempre con sé quell’anello, per avere un qualcosa, un qualunque qualcosa che la faccia sentire vicina al suo amore perduto.”

La voce mi si spezza sulla fine e devo chiudere gli occhi, mentre sento le mie mani iniziare a tremare senza che possa fermarle e una serie di immagini, senza senso né ragione, scorrermi davanti gli occhi chiusi, dolorose come pugnalate.

I miei palmi sporchi di sangue, sangue che continua a restarmi incollato addosso anche una volta che l’ho lavato via, sangue che continuo a vedere ovunque sulla mia pelle sporca di morte.

Una ghianda stretta nella mia mano come un amuleto, mentre singhiozzi incontrollati mi sfuggono dalle labbra.

Gli occhi azzurri di un bambino dai riccioli neri, occhi che mi ricordano quelli di qualcuno perduto tanto, troppo tempo fa . . .

 

‘Perché stai piangendo, zio Bilbo?’

 

Forse resterei intrappolato in quel pallido e malinconico fantasma ancora a lungo, se un lieve tocco gentile non mi raggiungesse nel baratro in cui, lo sento, sto precipitando.

Riapro gli occhi, seppur facendo quasi violenza contro me stesso, e Thorin è al mio fianco, la sua mano ferma attorno alla mia spalla, come un appiglio capace di tenermi legato alla realtà e allontanare tutti i miei spettri senza forma.

Cerco d’istinto il suo sguardo, e dietro a quelle iridi di ghiaccio che spesso simulano totale indifferenza c’è qualcosa di profondo, qualcosa che non riesco a comprendere, ma che in qualche modo mi calma ancora di più della sua silenziosa presenza e di quella calda mano stretta attorno alla mia spalla.

Restiamo così, in silenzio, per dei lunghi momenti, fino a quando quel qualcosa nel suo sguardo si affievolisce fino a scomparire, e il capitano si ritira, il calore sulla mia spalla sostituito improvvisamente dal vuoto.

“È . . . è una bella storia, anche se un po’ triste.”  fa’ a bassa voce, senza più guardarmi, e sembra quasi sul punto di dire altro, per poi cambiare idea ed aggiungere con tono forzatamente più leggero “Ma continua a sembrarmi assurdo il modo in cui l’hai creata.”

Sbruffo, scuotendo appena la testa e tentando di ignorare la consapevolezza di avere gli occhi umidi

“Non è assurdo.” ribatto, aggrappandomi a quella flebile possibilità di poter fingere che non sia successo niente, nonostante quella stretta dolorosa che mi stringe il cuore e non vuole saperne di svanire “Sta tutto nel saper osservare la gente e lasciare che siano i loro gesti a parlare al loro posto. È un esercizio molto utile, e quando si prende la mano è anche divertente. Spesso, quando sono fermo su un punto che non riesco a risolvere, vengo qui, mi siedo e guardo la gente, e lascio che le loro storie parlino al loro posto. Poi, torno a casa e le parole riprendono a correre di nuovo.”

L’ex soldato si stringe delle spalle “Bah, a me sembra solo un gioco molto fantasioso e molto campato in aria.” commenta, questa volta in maniera molto più naturale.

“Non è vero. Non sai quante volte ho indovinato sul serio la vita o il carattere di una persona, solo leggendola come se fosse un qualsiasi personaggio.” replico, per poi aggiungere spontaneamente e con un piccolo sorriso che mi aiuta in qualche modo a scacciare quella sensazione di perdita che non riesco a spiegarmi “Ognuno nasconde una storia, dentro di sé. Bisogna solo essere capaci di vedere, saper guardare oltre.”.

A questo punto, quasi risvegliato dalle mie parole, Thorin cerca nuovamente il mio sguardo, gli occhi di ghiaccio che incatenano subito i miei, e dalle sue labbra esce una domanda, l’ultima che mi sarei aspettato in questo momento.

“E quando guardi me, cosa vedi?”

Trattengo il fiato nel sentire quella domanda, e per un lungo momento resto in silenzio a restituire il suo sguardo, pensando quasi di aver capito male, di aver semplicemente immaginato una richiesta simile. Ma i suoi occhi sono sinceri fino all’inverosimile, in questo momento, e richiedono a gran voce una risposta.

Abbasso lo sguardo, incapace di pensare. Non so cosa dire, cosa fare . . . semplicemente, non so, e basta. Ma non posso restare in silenzio, e lasciare che quella domanda pronunciata con lo stesso tono di quel ‘Posso rivederti?’ di appena poche settimane fa resti sospesa nel vuoto.

Sento gli occhi di ghiaccio di Thorin bruciarmi la pelle, come se volessero scendere più in profondità e vedere quella tempesta che mi stanno scatenando dentro.

Riavverto quella sensazione, quella sensazione mista di dolore e pace che ho provato nel primo momento in cui l’ho visto la prima volta.

Risento la sua voce chiamarmi col mio nome per la prima volta, e poi di nuovo quella domanda, una volta, e poi un’altra, e poi un’altra ancora.

 

‘E quando guardi me, cosa vedi?’

 

Socchiudo le labbra, incerto su cosa dire, incapace di mettere in ordine i pensieri nella mia testa, incapace di formare una qualsiasi idea coerente, una qualsiasi frase di senso compiuto. Ma non posso restare in silenzio, non con quegli occhi fiduciosi che mi scrutano come se custodissi in me i segreti dell’universo.

Allora, inizio a parlare, senza sapere nemmeno quello che sto dicendo, lasciandomi guidare da quell’assurdo fuoco che mi stravolge l’anima, da quella parte di me che sembra anche in questo momento così sicura, che sembra quasi sussurrarmi sì, tu quest’uomo lo conosci, conosci la sua natura più segreta, il suo io più nascosto. Lo conosci da sempre, e sarà così per sempre.

Semplicemente, le parole iniziano a sfuggirmi dalle labbra prima che io possa rendermene conto, e non riesco quasi a fermarle, o forse semplicemente non voglio.

 

“Vedo un mistero avvolto nel dolore.” È la prima cosa che sussurro, a voce così bassa che per un attimo temo che non mi abbia sentito. Ma ha sentito eccome, e si fa inavvertitamente più vicino, come per non perdersi nemmeno un respiro. Ed è davvero tutto ciò di cui ho bisogno per continuare a parlare, di nuovo.

“Vedo un uomo dagli occhi di ghiaccio che cela un passato difficile e mai dimenticato, ma su cui è basata tutta la sua forza.” mormoro esitante, incapace di incontrare il suo sguardo “Vedo un combattente dal cuore colmo d’amore ed onore, un cuore ferito che vuole nascondere a tutti i costi per paura che riceva un ultimo colpo mortale.”

Lo sento distintamente trattenere il fiato a queste parole, ma i suoi occhi di ghiaccio continuano a bruciarmi la pelle e mi spingono ad andare avanti, la voce ancora bassa ma sempre più chiara sillaba dopo sillaba, come se stessi rivelando una realtà che conosco fin troppo bene e che ho tenuto nascosta dentro di me per davvero fin troppo tempo.

“Vedo un soldato che ha passato tutta la sua vita a combattere, un capitano con la guerra che gli scorre nelle vene. Vedo un combattente costretto ad abbandonare il campo di battaglia contro la sua volontà, ma incapace di accettare la perdita di ciò che ama di più al mondo.”

Esito e mi sento quasi mancare il respiro, prima di sussurrare, quasi con riverenza, quell’ultima frase, quell’ultima consapevolezza, quell’ultima realtà “Vedo un guerriero perduto, eppure ancora disposto a lottare e che tornerà a combattere, quando ritroverà se stesso.”.

Scende il silenzio per un lunghissimo momento, e solo adesso oso sollevare gli occhi per cercare i suoi e . . . oh.

Il viso di Thorin è pallido, ma il suo viso è straordinariamente spontaneo e sincero da star male, per una volta libero da quella maschera di sicurezza e freddezza che si ostina ad indossare. Dimostra emozioni contrastanti, stupore, tensione, imbarazzo, sorpresa . . . ma sono i suoi occhi a stregarmi più di qualsiasi cosa. Sono così colmi di vita, e di consapevolezza, e di . . . dolcezza, forse? C’è qualcosa di inaspettato nel suo sguardo, quasi non credesse che qualcuno potesse leggerlo così in profondità come un libro aperto, e comprendere quello che forse nessun altro ha davvero capito fino a quel momento. Come se le mie parole gli avessero aperto gli occhi e vedesse tutto quando, anche me, sotto una luce diversa.

Thorin si rende conto del mio sguardo e tenta i tutti i modi di simulare un po’ di controllo. Si passa una mano tra i capelli e distoglie lo sguardo, quasi imbarazzato, ma in quelle iridi fredde brucia ancora quell’infinito troppo, ed è con voce stranamente provata che mormora, quasi stesse rivelando un segreto riservato a pochi eletti “Dannazione, ci sai davvero fare con le parole, sai?”

Sorrido, un sorriso piccolo ma spontaneo, e nella mia risposta c’è l’accenno di una risata “Per fortuna, visto che la mia vita dipende dalle mie parole.” commento, quasi divertito dalla sua reazione “Sono uno scrittore, ricordi?”.

“Non è quello che intendevo.” ribatte debolmente il capitano, mentre una mano sale a stringere con forza le sue piastrine, quasi alla ricerca di qualcosa di certo a cui affidarsi “Esistono tanti scrittori che sanno descrivere una storia, un ambiente, una persona. Persone capaci di tratteggiare qualcosa nei minimi dettagli, come se stessero facendo una fotografia con le parole. Ma tu . . .” scuote appena la testa, e i suoi occhi vanno, quasi timidi, alla ricerca dei miei “ . . tu riesci ad arrivare in profondità, a descrivere quell’essenza elementare che sta alla base di ogni cosa, a far sentire qualcosa come non dovrebbe essere possibile semplicemente attraverso le parole. Eppure, tu ne sei capace. Riesci ad arrivare lì dove quasi nessuno è mai arrivato, e in modo del tutto naturale, quasi senza che te ne renda conto.”

I suoi occhi di ghiaccio intrappolano i miei, e per un attimo mi sento precipitare nella loro profondità senza fondo, e quando Thorin sorride e parla ancora, beh, il mio cervello semplicemente smette di funzionare.

“Tu riesci a farmi sentire i brividi nell’anima.”

Ed ora è il mio, di turno, di restare senza fiato.

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Capitolo 10
*** capitolo 8 - Perduto -seconda parte- ***


Capitolo 8 – Perduto –seconda parte-

 

 

 

Ci sono volte, quando mi sveglio la mattina che . . . non so per quale motivo, ma mi ritrovo con le lacrime agli occhi . . .

 

Il solito sogno che ho già fatto, ma che non riesco mai a ricordare, però . . .

 

Però . . . la sensazione di aver perso qualcosa, quella rimane anche dopo molto tempo.

 

 

 

-Your name

 

‘Qual è il suo nome?’

 

 

 

‘Bilbo. Bilbo Baggins.’

 

 

 

“Dovresti dormire, mastro Baggins.”

 

 

Le mie parole, basse ed inaspettate nella notte, colgono il piccolo scassinatore di sorpresa, facendolo sobbalzare.

 

Si gira verso di me quasi con esitazione, imbarazzato da quella reazione e un po’ nervoso per la  mia presenza accanto a lui, adesso che ogni cosa tace.

 

Incontra il mio sguardo e subito lo distoglie, tentando di formulare una qualsiasi risposta di senso compiuto.

 

 

 

“Si, l-lo so, ma ecco, io..”

 

 

 

Incapace di continuare, rimane in silenzio a strofinarsi con forza le mani l’una contro l’altra, alla ricerca di un po’ di calore.

 

Una sensazione di dolcezza infinita mi stringe il cuore ancora più del solito, e per un attimo ho il folle istinto di allungarmi verso di lui, tirarlo contro il mio petto e stringerlo tra le mie braccia fino a quando non avrà smesso di tremare.

 

Scaccio con decisione quel pensiero, ma non riesco proprio a guardarlo così.

 

In momento di folle coraggio, mi avvicino a lui e di fronte al suo sguardo confuso mi sfilo la pelliccia.

 

Con delicatezza, gliela poggio sulle spalle, e a questo mio gesto le guance, già arrossate per il gelo, gli si fanno ancora più rosse.

 

I suoi grandi occhi sorpresi salgono a cercare i miei, come a volersi assicurare di non essere in un sogno, in un’illusione fugace che svanirà al mattino.

 

 

 

Lo sguardo che quegli occhi blu mi rivolgono è qualcosa di così dolce e delicato, eppure di così ardente, che io posso letteralmente sentire il mio cuore tremare.

 

 

 

“Non voglio che il mio scassinatore si riduca a un ghiacciolo tremante.”

 

 

 

Riesco appena a sussurrare, anche se vorrei poter dire molto di più, soprattutto quando vedo i suoi occhi rabbrividire nel sentire quelle parole soffocate, quasi come se non aspettassero altro, come se anche il suo cuore non  ce la facesse più.

 

 

 

Oh, Bilbo, tu non hai idea . . .

 

 

 

“Vedi di riposare, domani ci attende una lunga giornata.”

 

 

 

Mi costringo ad andarmene prima di perdere il controllo, prima di lasciare che quegli occhi blu mi streghino, prima di dimenticare qualsiasi altra cosa che non sia lui e solamente lui.

 

Prima di scivolare via, però, non riesco a trattenermi dal sfiorargli una mano con la punta delle dita, alla ricerca del più flebile contatto che possa in qualche modo placare la mia anima in fiamme.

 

 

 

Mi allontano, ma non posso non lanciargli un’ultima furtiva occhiata alle mie spalle, e quello che vedo –lui, piccolissimo e fragile, stretto ad occhi chiusi nella mia pelliccia e con un sorriso spontaneo sulle labbra- mi calma e mi infuoca dentro.

 

Il mio piccolo scassinatore.

 

Sorrido, non visto, a quel piccolo miracolo che mai avrei creduto di poter ricevere.

 

 

 

Un giorno, forse, avrò davvero il diritto di chiamarlo mio.

 

 

 

 

 

‘E questo, zio, è il famoso Bilbo Baggins!’

 

 

 

‘P-piacere di c-conoscervi, signor . . .’

 

‘…Durin.’

 

 

 

 

 

Un mugolio sommesso richiama la mia attenzione, e i miei occhi attenti scattano alle mie gambe, sulle quali è poggiata con delicatezza una matassa disordinata di riccioli ramati, così scomposti da nascondere quegli occhi blu mozzafiato, chiusi per il sonno e la stanchezza, che ormai conosco tanto bene.

 

 

 

Scosto appena qualche ciocca ribelle, per poter osservare alla pallida luce delle stelle il viso addormentato del mezzuomo.

 

Nonostante tutta la sua buona volontà e il suo proposito di farmi compagnia nel mio turno di guardia, è comunque crollato, assopendosi letteralmente sulla mia spalla.

 

Avrei potuto svegliarlo, ma ho preferito lasciarlo riposare, dopo averlo sistemo in una posizione un po’ meno scomoda rispetto a quella in cui si era addormentato e averlo coperto con la mia pelliccia, in modo da ripararlo dal freddo della notte.

 

 

 

Il piccolo scassinatore si lascia sfuggire nuovamente dalle labbra socchiuse un lamento soffocato e si agita un po’, come se stesse cercando di scacciare qualcosa di intangibile.

 

Sta avendo un incubo, senza dubbio.

 

 

 

“Shhh.” sussurro, anche se so che non può sentirmi, accarezzandogli delicatamente i lenti ricci in timide carezze “Stai tranquillo. E’ tutto a posto.”

 

Sembra quasi sentirmi, o forse avverte semplicemente il tocco della mia mano, perché smette pian piano di agitarsi e si spinge ancora di più contro di me, alla ricerca del calore del mio corpo, come un bimbo addormentato bisognoso di sicurezza.

 

Questo gesto, così inconsapevole eppure così tenero e colmo di spontanea fiducia, mi accende dentro un calore incontrollabile, e non posso fare a meno di chinarmi su di lui e sfiorargli la fronte con le labbra, in un bacio delicato celato dalla notte e dal silenzio.

 

“Dormi sereno, amrâlimê.” mormoro con voce roca, anche se so che non potrà sentirmi, e anche se potesse non capirebbe mai il significato profondo nascosto dalla mia lingua natia “Ci sono io, con te.”

 

 

 

‘Arrivederci, Thorin.’

 

 

 

 

Lo spingo contro la parete, in modo che non possa allontanarsi ancora, che non possa sgusciarmi via tra le dita un’altra volta. Le mie mani sono strette attorno ai suoi polsi, che premo contro il muro senza eccessiva forza, ma abbastanza per impedirgli di liberarsi.

 

Il mezzuomo si dimena, cercando di sottrarsi alla mia stretta, ma la sua forza non è nulla in confronto alla mia, e alla fine non può fare altro che irrigidirsi e serrare la mascella, mentre i suoi occhi blu scattano verso i miei.

 

“Lasciami.”

 

Sibila, ma la sua voce trema, spezzata da qualcosa che per qualche momento ho difficoltà ad identificare. Ma, quando vedo le sue labbra tremare appena e il suo volto farsi sempre più pallido, capisco.

 

Mi avvicino ancora di più, tanto che i nostri respiri finiscono per mescolarsi e la punta del mio naso quasi sfiora la sua, e lo sento sussultare per l’eccessiva vicinanza. Posso quasi sentire il suo cuore battere disperatamente a pochi centimetri dal mio, come se volesse uscire dal petto e fuggire via, il più lontano possibile.

 

 

 

“Hai paura di me, Bilbo?”

 

 

 

Gli chiedo, la voce bassa e roca, mentre studio quegli occhi in cui tante volte mi sono perso e che negli ultimi giorni continuano a sottrarsi ai miei, come se non potessero più reggerne il confronto.

A quella domanda trattiene il fiato, preso alla sprovvista, e deglutisce visibilmente. Resta in silenzio per un lungo, interminabile momento, e deve bagnarsi più volte le labbra per riuscire finalmente a parlare.

 

 

“No, non ho paura di te.”

 

 

 

Mormora, e dai suoi occhi mi rendo conto che è sincero, che lui non potrebbe mai avere veramente paura di me,e per un attimo mi sento rincuorato, ma poi lo vedo respirare a fondo, come se stesse raccogliendo coraggio, e il dubbio torna a sussurrarmi all’orecchio.

 

Parla di nuovo, ma quasi costringendosi, come se non volesse davvero farlo, e la voce gli esce spezzata dalle labbra.

 

 

 “Ma q-questo, questo non sei tu. Non sei più tu, Thorin. Non sei più il mio Thorin.”

 

Quelle parole mi colpiscono come una pugnalata, anche se non riesco a capirne il senso, anche se vedo che lui stesso sta soffrendo nel pronunciarle.

 

“Il Thorin che conosco, lui non si comporterebbe mai così. Il Thorin che io . . . d-di cui. . . di cui io . . .”

 

 

 

Si ferma, incapace di continuare, e distoglie gli occhi che hanno iniziato a tremargli, mordendosi le labbra e cercando di calmarsi, di recuperare il controllo di sé.

 

 Sta crollando di fronte ai miei occhi, me ne rendo conto.

 

Ma non posso lasciare che quella frase resti in sospeso nell’aria, non ora che l’incendio che lui mi ha acceso dentro e di cui è responsabile brucia ed arde come non mai, come il fuoco implacabile del drago.

 

 

 

“Di cui tu . . .?” ripeto, spingendolo silenziosamente a parlare ancora, bramando con tutto me stesso di poter finalmente sentire quelle parole dalle sue labbra. Ma queste restano sigillate, e lui volta il viso dall’altra parte, schiacciandosi contro la parete e rifiutandosi di incontrare il mio sguardo.

 

 

 

Irritato da questo suo silenzio, gli stringo entrambi i polsi con una sola mano e con quella libera gli afferro con decisione il mento e lo volto verso di me, costringendolo a guardarmi di nuovo negli occhi.

 

Avvicino ancora di più il viso al suo, tanto che potrei aprirgli quelle labbra serrate con la forza, solo con pochi, rapidi movimenti della mia bocca, e costringerle in una danza infuocata di cui a lungo mi sono privato, ma che adesso ogni singola parte di me pretende, insieme a quelle parole a lungo attese che lui si rifiuta di pronunciare.

 

 

“Continua.”

 

Gli ordino, la voce dura di un sovrano, di un re che pretende ciò che gli spetta di diritto.

 

Il mezzuomo sostiene il mio sguardo, e per un attimo mi sembra quasi di perdermi nei suoi occhi, colmi semplicemente di troppo.

 

Quando parla, la sua voce è di nuovo ferma, ma trasmette un dolore e una sofferenza che mai, prima di questo momento, avrei creduto potesse provare.

 

 

“Non costringermi a dirlo. Non ora.”

 

 

I suoi occhi diventano un po’ più lucidi ad ogni sillaba pronunciata, come se non stesse ferendo solo me ma anche se stesso, e quando dalle sue labbra sfuggono due parole, simili a gemiti, che mai avrei voluto sentire pronunciate da lui, sento ogni cosa crollarmi addosso.

 

“Ti prego.”

 

Come se mi stessi risvegliando da un lungo sonno, lascio andare lentamente il suo viso e allento la stretta attorno ai suoi polsi, per poi lasciarlo libero del tutto ed indietreggiare di qualche passo.

 

Lo scassinatore riprende piano a respirare e si stacca appena dalla parete, toccandosi i polsi come se gli facessero male e continuando a seguire ogni mio movimento con lo sguardo, quasi temendo un altro attacco da parte mia.

 

 

 

Allora, gli avvolgo con urgenza la vita con un braccio e lo stringo contro il mio petto, e per un lungo, terribile momento lo stento irrigidirsi e tremare sotto il mio tocco.

 

 “Perdonami.”

 

Sussurro tra i suoi capelli mentre continuo a stringerlo, incapace di lasciarlo andare, in un abbraccio amaro che sa di pentimento e di rimpianto.

 

“Perdonami, amrâlimê.”

 

 

 

Bilbo rimane immobile e in silenzio per un tempo che sembra eterno, ma poi le sue mani salgono ad intrecciarsi tra i mie capelli, stringendomi, anche se con esitazione, più vicino a lui, e si lascia sfuggire il mio nome, come una preghiera affidata agli dei e mai ascoltata.

 

 

 

“Thorin . . .”

 

 

 

 

 

‘Mi aspetti da tanto?’

-Ti aspetto da sempre-

 

 

 

 

 

“No!”

 

 

 

La sua voce, soffocata dalla lacrime che non riesce più a nascondere, mi strazia dentro, ma non posso fare nulla per placarla, per calmare quel grido di dolore che mai avrei voluto ascoltare.

 

 

 

“No, no, no! Thorin!”

 

 

 

I suoi occhi, ormai lucidi, cercano i miei, tentando di tenermi in qualsiasi modo ancora aggrappato alla vita, anche se la sento abbandonarmi sempre di più, al ritmo del suo cuore sul punto di spezzarsi.

 


 “Thorin, non lasciarmi!”

 

 

 

Mi dispiace, Bilbo.

 

Non posso restare, anche se è tutto quello che vorrei.

 

Sarei disposto a qualsiasi cosa, pur di non lasciarti.

 

 
“Thorin! No, tieni duro Thorin, tieni duro.”

 

 

 

Ma te lo giuro, troverò un modo per tornare da te, e aspetterò fino a quando non potremo stare di nuovo insieme.

 

“Vedi? Le aquile. Le aquile sono qui. Thorin! Io . . .”

 

Ti aspetterò anche per sempre, se sarà questo il volere di Mahal.

 

 

 

 

 

‘Comunque, perché mi hai richiamato?’

 

 

 

‘Perché volevo rivederti. Perché dovevo rivederti. Non so nemmeno io come, ma è così.’

 

 

 

‘Mi crederesti se ti dicessi che per me è lo stesso?’

 

 

 

 

 

‘Tornerò da te, amore mio. Te lo prometto.’

 

 

 

Sfioro la sua guancia per quella che, lo so, sarà per lungo tempo l’ultima volta.

 

Il mio piccolo mezzuomo chiude gli occhi e, perdendosi in quella carezza fugace, mi stringe la mano tra le sue, cercando di far durare quel flebile contatto il più a lungo possibile, prima che l’oblio ci separi.

 

‘Sai che non puoi fare una promessa simile, Thorin.’

 

Sussurra, la voce spezzata di chi ha smesso di sperare.

 

Incapace di sentirlo parlare in questo modo, gli sollevo delicatamente il mento con due dita ed aspetto che riapra esitante quei grandi occhi blu di cui mi sono innamorato.

 

‘Posso, invece.’

 

Mormoro dolcemente, affidandogli il mio giuramento.

 

Non lo perderò, non più, mai più.

 

‘Tornerò, Bilbo. Dovessi metterci mille secoli, tornerò da te.’

 

 

 

 

 

Mi sveglio soffocando un urlo, il cuore che batte come mai prima d’ora e la ferita che brucia e brucia, come se mi fosse stata appena inferta.

 

Ci metto qualche momento per realizzare che si è trattato solamente di un sogno, un’illusione, un incubo, ma comunque il mio respiro non vuole saperne di calmarsi.

 

Mi passo una mano sul volto, quasi cercando di scacciare quelle immagini che continuano a danzare di fronte al mio sguardo –quel sorriso luminoso di cui mi sento dipendente, quegli occhi blu che mi fissano ora con sorpresa, ora con dolcezza, ora con timore, ora ancora con disperazione-, e sento i polpastrelli inumidirsi.

 

Confuso, apro gli occhi e osservo le mie dita, e solo allora me ne rendo conto.

 

Lacrime.

 

 

 

Ho pianto.

 

 

 

Ho pianto nel sonno, vedendo quei fantasmi di eventi mai realmente avvenuti, eppure così tangibili e reali.

 

 

 

Ho pianto per la prima volta dopo anni.

 

 

 

Angosciato, mi passo entrambe le mani sul viso, come se volessi cercare di cancellare le tracce di quelle lacrime, come se potessi in questo modo annullare tutte le emozioni che questi sogni folli mi accendono dentro e che non riesco mai a soffocare.

 

Non serve a niente, e quando mi alzo e mi sento girare la testa l’unica cosa a cui posso pensare sono un paio di occhi blu scuro che studiano i miei e il mio nome, sussurrato nella notte da una voce che sto imparando a temere ed amare allo stesso tempo.

 

 

 

‘Thorin...’

 

 

 

 

 

Senza nemmeno rendermi conto di quello che sto facendo, accendo la piccola lampada sul comodino, afferro il mio cellulare e compongo un numero che ormai conosco a memoria, per poi aspettare, aggrappandomi a quel telefono come se fosse l’unica zattera sicura in mezzo a questa tempesta.

 

Resto col fiato sospeso, a pregare silenziosamente qualcuno che non c’è e a contare.

 

Uno squillo.

 

Due, tre, quattro, cinque squilli.

 

Sei, sette squilli.

 

All’ottavo squillo, la telefonata viene accettata, e una voce, bassa e stanca ma reale, veramente reale, risponde, pronunciando piano il mio nome.

 

 

 

“Thorin?”

 

 

 

La voce di Bilbo mi raggiunge, non più pallida illusione dei miei tormenti notturni, ma calda e tangibile e reale, e nel sentirla un sospiro di sollievo mi sfugge dalle labbra, e il mio cuore riprende a battere un po’ più piano.

 

“Bilbo . . .”

 

Mormoro, chiudendo gli occhi ed aggrappandomi a quella voce, capace di fare da scudo da quei fantasmi dolorosi che urlano il mio nome e vorrebbero trascinarmi di nuovo indietro tra le loro grinfie.

 

“Thorin, è successo qualcosa?” chiede il piccolo scrittore, lievemente allarmato dal mio tono, e mi costringo a riaprire gli occhi e a tornare in me, o almeno provarci.

 

“N-no. Scusami, io. . . avevo solo bisogno di sentirti.” tento di spiegarmi, incapace di riuscirci davvero.

 

Avevo bisogno di sentire la tua voce.

 

Un piccolo momento di silenzio, e poi lui osserva, con un tono vagamente confuso ed un po’ divertito “ Sono le tre di notte, lo sai sì? “.

 

“Oh.” lancio un rapido sguardo alla sveglia, e nel vedere il quadrante luminoso confermare le sue parole per un istante mi sento un completo idiota.

 

L’ho chiamato nel bel mezzo della notte, senza pensare alla logicità del mio gesto, all’ora, alla possibilità che lui stesse dormendo, a niente se non quell’ardente bisogno di avere la certezza che lui fosse lì fuori, da qualche parte, sereno e al sicuro, che non l’avessi perso, che . . .

 

Tentando di fermare quel flusso incontrollato di pensieri, prendo a tormentare le piastrine che porto al collo e borbotto delle scuse, imbarazzato.

 

“Scusa, non mi sono proprio reso conto dell’orario. Io. . .”

 

“Non preoccuparti, non fa niente.” mi ferma gentilmente, e dal suo tono riesco a rendermi conto che sta sorridendo “Non stavo dormendo, comunque. “.

 

Poi, la sua voce cambia, facendosi nuovamente seria e preoccupata, e posso quasi vedere la sua fronte aggrottarsi e il suo sguardo farsi scuro e pensoso “Sei sicuro di star bene? Hai il respiro affannato.”

 

Mi affretto ad annuire e poi, ricordandomi che non può vedermi, sussurro un teso “S-sto bene.”

 

Ora.

 

Segue una piccola pausa in cui mi lascio cadere sul letto e penso a cos’altro potrei dire per giustificare quella telefonata random ad un orario improponibile, ma dall’altra parte lui mi procede, chiedendomi con un pizzico di tensione “Brutti sogni?”

 

Per un attimo resto senza fiato, e il cuore cerca di nuovo d’uscire dal mio petto.

 

“Come fai a saperlo?” domando, il tono più aggressivo di quanto vorrei, ma incapace di non mettermi sulla difensiva.

 

“Semplice logica.” spiega, senza all’apparenza notare il mio nervosismo “Se non è successo nulla, la ragione non può che essere qualcosa che ti ha turbato nel sonno, ma avevi bisogno di una voce amica per renderti conto che non era reale. Mi sbaglio?” dice, e per un attimo mi sembra una spiegazione così elementare da sentirmi un idiota per la seconda volta.

 

Stringo con un po’ più di forza le piastrine, cercando di scacciare le immagini di quei sogni che, una volta nominati, stanno facendo di tutto per tornare ad oscurare la realtà.

 

“No, non sbagli.” ammetto, senza però avere la forza di dire altro.

 

Lo sento esitare e poi domandare, il tono delicato e teso che usa solamente quando mi chiede qualcosa del mio passato e teme di osare troppo “Era la guerra?”.

 

Abbasso lo sguardo sulla mia ferita, che continua a bruciare come fuoco, e per un attimo sono tentato di dire di sì, sapendo che in quel caso non approfondirebbe, per rispetto nei miei confronti. Ma non voglio mentire. Non posso mentire, non a lui.

 

“Non questa volta.” ammetto, anche se non voglio rivelargli che è lui la ragione dei miei incubi, delle mie urla nella notte, di quelle lacrime di cui avevo quasi dimenticato il sapore amaro.

 

“Uh...” mormora pensoso, e per un attimo me lo immagino mentre ruota il naso in quel gesto inconsapevole che fa ogni tanto, quando è sovrappensiero.

 

“Sai, a volte quando parli così sembri quasi un vero strizzacervelli, con tanto di studio e via dicendo.” commento, tentando in qualche modo di cambiare argomento.

 

Lo sento soffocare uno sbruffo divertito “Diciamo che sono praticamente uno psicologo onorario ormai, quindi non sei troppo lontano dalla realtà. Ho abbastanza esperienza in queste cose.”

 

 “Quali cose?”

 

“Reazioni a situazioni traumatiche. Terrori notturni. Insonnia o incubi generati da un trauma o semplicemente dallo stress.” elenca con tono freddo e meccanico, come se stesse leggendo una lista della spesa “Ne ho visti gli effetti sulle persone che amavo, e in molti casi li ho vissuti sulla mia pelle.”

 

Quella risposta, sincera ma inaspettata, mi lascia di sasso, e mi ritornano in mente le sue parole di qualche settimana fa, durante quella discussione su Dis e il suo amico strizzacervelli.

 

“Per questo una volta mi hai detto che sei andato da uno psicologo? Hai dovuto affrontare una situazione traumatica?” chiedo, e immaginare Bilbo dover affrontare qualcosa che l’ha spezzato dentro mi fa stranamente ed incredibilmente male.

 

Esita, incerto se continuare o meno “Ecco, non . . . non è un argomento di cui parlare al telefono.”

 

Mi rendo conto della sua tensione, e subito mi ritrovo a borbottare un frettoloso ed imbarazzato “Scusami.”

 

“No, va bene. E smettila di scusarti, è la terza volta nell’arco di dieci minuti.” mi rimprovera con tono leggero, prendendomi un po’ in giro per poi rassicurarmi “Non hai niente di cui scusarti.”.

 

Trattengo a stento un piccolo sorriso imbarazzato nel rendermi conto che in effetti mi sono scusato un numero assurdo di volte in brevissimo tempo, e non posso fare a meno di sputare fuori un altro e questa volta mezzo ironico “Scusa.”.

 

Bilbo ridacchia, e non mi serve vederlo per sapere che ha alzato gli occhi al cielo e si è passato una mano tra i lenti ricci ramati, come ogni volta che qualcuno riesce ad esasperarlo e divertirlo insieme.

 

L’ho studiato così attentamente, nell’ultimo mese, che potrei descrivere ogni suo singolo movimento con una precisione scientifica. Il che forse è un po’ inquietante, lo ammetto, ma non ho potuto farci niente.

 

Questo piccolo uomo pieno di lentiggini e dagli occhi di zaffiro ha semplicemente qualcosa dentro che mi fa perdere il controllo, che mi fa dimenticare me stesso e mi trasforma in qualcun’altro, qualcuno che credevo aver ucciso sul campo di battaglia tanti anni prima, e qualsiasi cosa sia non riesco a farne a meno.

 

“Sei un idiota.” commenta riconquistando la mia attenzione, per poi tornare serio “Te la senti di parlare dei tuoi incubi? So che non è piacevole, ma può aiutare, a volte.”.

 

A quella proposta mi irrigidisco. Mi rendo conto che vuole solamente aiutarmi, ma l’idea di raccontare a qualcuno di quello che vedo ogni volta che chiudo gli occhi, e soprattutto raccontarlo a lui . . . no, non posso farlo. Forse un giorno, in un lontano futuro. Ma ora no. Non credo che reggerei.

 

“No, meglio di no.”

 

“D’accordo allora.” accetta subito lui, per poi restare in un pensieroso silenzio per qualche secondo “ Uhm.. vuoi parlare di qualcosa?”

 

“Sì.” rispondo semplicemente, perché non voglio ancora dover mettere giù il telefono e tornare dai miei spettri.

 

“Cosa?”

 

“Qualsiasi cosa.”

 

Sì, qualsiasi cosa va bene, pur di non dover affrontare di nuovo le ombre.

 

“Qualsiasi cosa.” ripete, pensoso “Ok, vediamo... aspetta un attimo, faccio una cosa prima.”

 

Prima che io possa ribattere, lo scrittore chiude la telefonata, e io resto per un attimo a fissare lo schermo scuro del cellulare, senza voler ammettere a me stesso di esserci rimasto un po’ male, ma quando lo schermo si illumina di nuovo e vedo la richiesta di una videochiamata proprio da Bilbo, l’accetto senza pensarci, e senza poter nascondere il sorriso spontaneo che è riuscito a strapparmi con questo gesto inaspettato.

 

Il suo viso un po’ assonnato riempie lo schermo, e subito cerco quei grandi occhi blu capaci di scacciare qualsiasi incubo.

 

Bilbo mi sorride e la sua voce mi raggiunge forte e chiara, come se fosse davvero qui, a qualche passo da me, a riempire questo vuoto.

 

“Ecco. Meglio, no?” chiede, tirandosi indietro un ciuffo ribelle di capelli e cercando di capire se la sua improvvisata mi abbia fatto piacere o meno.

 

Il mio sorriso si fa, se è possibile, ancora più grande.

 

“Molto.” annuisco, mentre sistemo meglio il cellulare, in modo che possa vedermi anche con la scarsa luce nella stanza.

 

Lo scrittore sorride, e poi i suoi occhi saettano verso il basso, per allontanarsi subito imbarazzati mentre la guance gli si tingono di una lieve tonalità di rosso.

 

“Ehm . . .” borbotta, super imbarazzato “. . . ma t-tu dormi n-nudo?”

 

Aggrotto la fronte, confuso da quella strana domanda.

 

 “No, perch- . . . “ mi blocco, rendendomi improvvisamente conto del perché di quella timida domanda. Con questa angolatura, si vede soltanto il mio viso e una parte del mio torace, completamente nudo a parte le mie piastrine e quelle pallide cicatrici a cui non faccio più nemmeno caso.  

 

“Ah.” mi lascio sfuggire, accorgendomi che in effetti Bilbo non ha tutti i torti a fare una simile supposizione, per poi affrettarmi a negare ancora e a spiegare “No, comunque. Mi sono abituato a dormire senza maglia perché il tessuto mi irrita ancora la ferita, ma per il resto sono completamente vestito.”

 

Bilbo arrossisce ancora di più e prende a tormentarsi una ciocca di capelli, evitando con fermezza di guardarmi “Ah, o-ok...” borbotta, non sapendo cos’altro dire.

 

Sorrido un po’ al suo imbarazzo, e mi permetto di sfruttare questi momenti di silenzio per osservarlo meglio. A differenza mia, indossa una magliettina leggera di un pallido azzurro, e dietro di lui mi sembra di scorgere un cuscino alzato a sorreggere la testa.

 

“Non è vero che non stavi dormendo.” obbietto, i capelli arruffati e il viso pallido che confermano la mia ipotesi e smentiscono la sua educata bugia.

 

Subito Bilbo rialza lo sguardo e ribatte, un po’ offeso dalla mia mancanza di fiducia “Non stavo dormendo quando mi hai chiamato tu. Mi sono svegliato da poco più di mezz’ora, e stavo leggendo un po’ nella speranza di riaddormentarmi.”

 

“Se vuoi riposare ti lascio stare.” propongo seppur a malincuore, rendendomi conto che ha davvero bisogno di dormire, a giudicare dalle occhiaie scure che sottolineano i suoi occhi blu.

 

“No no, mi fa piacere parlare con te.” si oppone subito, scuotendo la testa e accennando a un sorriso, mentre le guance tornano pian piano al loro coloro naturale. E sembra così sincero nel dirlo, come se davvero volesse solamente chiacchierare con me alle tre di notte, che una piacevole sensazione di pace mi stringe dolcemente il cuore, come succede solo quando sono con lui.

 

Restiamo per un attimo in silenzio a guardarci, e alla fine cerco qualcosa su cui continuare a parlare, qualsiasi cosa, pur di non smarrirmi in quei grandi occhi blu scuro di cui ho un disperato bisogno ma a cui non posso lasciarmi andare.

 

“Uhm . . . cosa stavi leggendo?”

 

Lo scrittore sembra per un momento sorpreso dalla mia domanda, ma poi si mette ad armeggiare con le coperte e tira fuori un volume per mostrarmelo e permettermi di leggere da me il titolo. Non riesco a trattenere un sorrisetto, nel farlo.

 

Harry Potter e l’ordine della fenice.

 

Avrei dovuto aspettarmi che il nerdissimo Bilbo Baggins fosse un Potterheard, dopotutto.

 

“Allora non ti saresti mai addormentato.” commento, sistemandomi un po’ più comodamente sul letto, mentre Bilbo poggia il libro su un probabile comodino che però non posso vedere.

 

 “Perché?”

 

“Fidati, la Rowling è capace di tutto, ma non far addormentare chi legge i suoi romanzi.”

 

“Oh?” un piccolo sorriso divertito gli illumina il viso, e posso giurare di vedere i suoi occhi brillare di gradita sorpresa “Non eri tu ‘Mister Isolato dal mondo intero- Ignorante della letteratura contemporanea’?” chiede, prendendomi palesemente in giro.

 

Sbruffo, anche se nelle scorse settimane ho sentito quel soprannome raccapricciante così tante volte da esserci quasi affezionato “Sì, ma si dovrebbe proprio essere degli ignoranti cronici per non conoscere Harry Potter. Quando tornavo a casa, lo leggevo a Fili e Kili per farli addormentare. Finiva sempre che restavamo svegli a  leggere fino alle due di notte e Dis veniva a sgridarci e a sequestrarci tutta la saga.” aggiungo poi, con un pizzico di tenerezza mal celata, senza rendermi conto di star rivelandogli qualcosa di così intimo e privato da non averne mai accennato a nessun altro. Per l’ennesima volta, tra l’altro.

 

Bilbo sorride, come se quella piccola confessione spontanea l’avesse intenerito.

 

“Posso immaginarlo fin troppo bene.” sussurra, per poi lasciare trasparire un velo di preoccupazione quando chiede “A proposito, non è che sto svegliando gli altri così?”

 

Scuoto appena la testa “Non preoccuparti. Kili credo sia ancora in discoteca a molestare qualche povera ragazza di turno, Dis è fuori per quel seminario di una settimana e Fili è rimasto a dormire dalla sua fidanzata.”

 

“Oh.” si lascia sfuggire “Quindi sei completamente solo?” chiede, e sembra così sinceramente dispiaciuto di sapermi da solo che non posso fare a meno di vedere in lui il riflesso di quel Bilbo che continua a beare e tormentare le mie notti, senza mai darmi pace.

 

Mi stringo nelle spalle, mostrando indifferenza e tentando di scacciare quelle immagini che mi stanno di nuovo affollando la mente, chiamandomi per nome “Sì, una volta tanto.”

 

Il suo viso si incupisce e i suoi occhi si fanno più scuri, come se non sopportasse l’idea della mia momentanea solitudine, e subito borbotta, forse senza nemmeno rendersene davvero conto “Ti inviterei a venire qui, ma la casa è disordinata da far schifo e dubito troveresti un angolino dove poterti anche solo sedere . . .”

 

Quella proposta, spontanea ed inaspettata, ma dolce proprio per questo, mi coglie completamente impreparato, e posso giurare di sentire il mio cuore battere un po’ più velocemente, come succede ogni singola volta che Bilbo fa o dice qualcosa di assolutamente incredibile eppure semplice come questo.

 

Trattengo il fiato, sperando che non si accorga della mia reazione e tentando disperatamente di riprendere il controllo di me.

 

 

 

Come può avere un simile effetto su di me, questo piccolo scrittore dagli occhi di zaffiro e dai capelli ramati?

 

 

 

Cerco quasi disperatamente un modo per riprendere la conversazione, e decido di buttarla sullo scherzo, per quanto non sia nelle mie corde. Qualsiasi cosa, pur di non fargli capire che . . .

 

“È fortunato che nessun altro abbia sentito le sue parole, signor Baggins, o il suo invito avrebbe potuto essere frainteso in maniera imbarazzante.” mormoro, assumendo un finto tono formale e tentando di nascondere i battiti accelerati che non vogliono saperne di zittirsi.

 

Bilbo mi osserva con aria confusa e la fronte aggrottata, preso in contropiede dalle mie parole “Cos..?”

 

“Dopo avermi chiesto se dormo nudo, mi ha invitato di notte, alle tre di notte tra l’altro, a casa sua, da solo, perché qui non c’è nessuno . . .” mormoro, abbassando progressivamente la voce come se stessi rivelando qualcosa di segreto, per poi aggiungere con un sorrisetto che dice tutto e niente “Devo ammettere che dietro quel visino da scolaretto nasconde una vena maliziosa che mai mi sarei aspettato di trovare in uno scrittore tanto affermato come lei.”

 

Non solo le guance, ma anche le orecchie gli si tingono immediatamente del rosso più intenso che io abbia mai visto, quando capisce cosa voglio dire. I suoi occhi blu sono spalancati per lo shock, e subito prende a balbettare, cercando di spiegarsi ma incapace di formare una frase di senso compiuto a causa dell’imbarazzo.

 

“I-io non . . . non stavo . . . n-non i-intendevo . . . “

 

 Non resisto oltre e scoppio a ridere, incapace di restare serio di fronte a quel visino sconvolto e a quegli occhioni colmi di imbarazzo.

 

Bilbo resta di sasso, capendo di essere stato preso in giro.

 

“Oh, smettila di prenderti gioco di me, idiota di un Durin!” sbotta alla fine irritato, il rossore sul suo viso che non accenna a diminuire.

 

“Non è colpa mia, signor Baggins. Lei tira fuori il peggio di me, con la sua aria da falso innocente . . .” aggiungo dopo aver smesso di ridere, incapace di porre fine a quello scherzo tanto infantile, ma che comunque ha lasciato senza parole lo scrittore dalla risposta sempre pronta.

 

Le sue orecchie sembrano letteralmente andare a fuoco ora, e con un tono di stizza sibila “Sì, vedo che stai molto meglio, ti lascio ora, ciao . . .” e fa davvero per chiudere la chiamata.

 

Mi affretto subito a tornare davvero serio e dico, temendo per un attimo di averlo veramente offeso “Sto solamente scherzando. Davvero.”

 

Lo scrittore si ferma, mi lancia un’occhiataccia e si lascia cadere contro il cuscino, sconvolgendo ancora di più quella matassa ramata che ha in testa.

 

“Lo spero bene per te.” ringhia, il viso che sembra puro fuoco, ma gli occhi che tornano pian piano ad essere sereni, e questo mi rassicura.

 

“Scusa, ma mi piace stuzzicarti.” mormoro passandomi una mano tra i capelli, per poi aggiungere a mo’ di spiegazione “Sono anni che non incontro qualcuno che si imbarazza in questo modo. Nel mio reparto non c’era il minimo di pudore, il mio secondo se ne usciva con le più assurde barzellette sconce anche sul campo di battaglia, nel bel mezzo dell’offensiva.”

 

È tutto semplicemente vero, e continua a sembrarmi strano incontrare una persona capace di imbarazzarsi così facilmente, senza riuscire a celarlo.

 

Dain uno così se lo sarebbe spolpato in meno di un secondo, senza alcun dubbio. Ma a me quest’innocenza quasi adolescenziale non dispiace. È bello vedere che in un mondo così sporco c’è ancora qualcuno talmente puro da imbarazzarsi per una pessima battuta.

 

E poi, influisce anche parecchio il fatto che adoro letteralmente vederlo arrossire, ma questo non ho intenzione di ammetterlo nemmeno sotto tortura.

 

Lui non sembra particolarmente convinto, ma sceglie di credermi, anche questa volta.

 

“Non oso immaginare.” commenta, per poi lanciarmi uno sguardo attento e chiedere, con un velo di ironia nella voce ”Mi stai dicendo in modo indiretto che tra loro tu eri un esempio di classe e compostezza, allora?”

 

Annuisco senza un momento di esitazione “Ovviamente, e lo sono ancora.”

 

“Ho i miei dubbi.” ribatte, le orecchie che stanno lentamente tornando del loro colore, l’angolo destro della bocca sollevato nell’accenno di un sorriso.

 

Mi porto una mano al petto, fingendomi teatralmente offeso “Così mi ferisce, signor Baggins. Non pensavo che, oltre a malizioso, fosse anche crudele . . .”

 

Bilbo sbruffa e alza gli occhi al cielo, scuotendo appena la testa “Oh, finiscila, o chiudo davvero.” borbotta stanco, ma quell’accenno di sorriso non vuole proprio saperne di scomparire “Non hai qualcun’altro da importunare?”

 

Non ho nessuno, oltre a te. Non davvero.

 

Scaccio quel pensiero e butto fuori, stringendo nelle spalle come se fosse una cosa scontata, e forse lo è davvero “Dubito che qualcuno sia disposto a sopportarmi alle tre di notte.”

 

“A parte il sottoscritto.” sottolinea lui, con un sorrisetto a metà tra l’ironico e il sarcastico.

 

“Esatto.”

 

Bilbo sbruffa, come se non credesse a una singola parola di quanto detto fino a questo momento “Allora dovresti trattenere le battutacce da campo, o resterai a parlare al nulla la prossima volta.”

 

“Queste non sono battutacce da campo.” lo correggo, per poi non resistere ed aggiungere in tono un filino canzonatorio “Quelle le conserverò per un’altra occasione . . . sto scherzando, sto scherzando!” mi affretto ad aggiungere, quando lo vedo armeggiare per chiudere la chiamata.

 

Lo scrittore mi fulmina con lo sguardo, ma poi poggia il cellulare con un gesto stanco sul comodino in modo che una lampada o qualcosa del genere possa tenerlo sollevato e si stende su un lato, così che possiamo continuare a vederci e a parlare anche in questo modo.

 

“Continua così, e la prossima volta che vedrai la mia faccia sarà quando pubblicherò un nuovo libro e ci sarà la pubblicità dappertutto.” mi minaccia, ma dal suo sguardo capisco che non è serio, non ora almeno.

 

“Addirittura, che minacce.” lo prendo in giro, e quando lui mi risponde con una linguaccia non riesco a trattenere un sorriso, l’ennesimo spontaneo sorriso.

 

Forse Kili non ha poi tutti i torti, in fondo.

 

 

 

Restiamo un attimo in silenzio e allora, stringendo con forza le mie piastrine, mi decido a domandare, come se il pensiero mi avesse sfiorato adesso per la prima volta, nonostante in realtà lo stia rimandando praticamente dalla nostra prima passeggiata “A proposito di libri, mi stavo chiedendo . . . qual è il primo che hai scritto?”

 

Inclina appena la testa, un po’ come un gufo curioso, i profondi occhi blu colmi curiosità “Perché?”

 

Esito, incerto su cosa dire. Ecco, avrei potuto evitare questa conversazione, se solo avessi cercato i suoi libri su internet come mi ero ripromesso di fare. Però, volevo che lui in qualche modo sapesse che in realtà mi interessa la sua attività di scrittore, che sapere della sua capacità di dare vita a delle storie mi affascina, che le sue parole e il modo in cui le usa mi strega e affascina allo stesso tempo, che . . .

 

“Vorrei leggerlo.” rispondo molto semplicemente, ammettendo quella che è in fondo la pura e semplice verità.

 

A quella risposta, Bilbo spalanca gli occhi e mi osserva a lungo senza parlare, e posso leggere nel suo sguardo la sua sorpresa, mentre le sue orecchie tornano di nuovo a colorarsi, come se quell’ammissione lo cogliesse di sorpresa e lo lusingasse allo stesso tempo.

 

“Così smetterai di prendermi in giro sulla mia scarsità di conoscenze letterarie contemporanee e potrò rinfacciarti ogni singolo errore ed imprecisione dei tuoi primi lavori.” aggiungo, cercando di riportare un po’ di leggerezza e di non smarrirmi in quei occhi blu colmi semplicemente di troppo.

 

Abbassa lo sguardo, mentre le orecchie gli diventano sempre più rosse, e si passa una mano tra i ricci ramati, senza riuscire più a guardarmi.

 

 “ Cuore di inchiostro.” sussurra alla fine, così piano che per un attimo non sono sicuro di aver sentito bene.

 

“Hai rubato il titolo a Cornelia Funke?” chiedo, cercando di strappargli un sorriso, ma la reazione che ottengo è completamente diversa.

 

Alza il viso di scatto e mi fissa con intensità, quasi l’avessi offeso a morte “Non ho rubato niente a nessuno. È una storia completamente diversa.” Poi, abbassa appena lo sguardo e si morde le labbra, mentre anche le guance gli si colorano di rosso “Avevo quindici anni quando l’ho scritto, ero giovanissimo ed insicuro e con un’ingenuità stilistica non da poco e . . .” balbetta, senza riuscire a fermarsi, e nella sua voce ora posso chiaramente sentire l’insicurezza e l’imbarazzo e la tensione e mille altre cose insieme.

 

“Ehi, ehi.” faccio, tentando di calmarlo “Sarà sicuramente bellissimo.” dico, e non ho davvero alcun dubbio a riguardo.

 

Bilbo diventa ancora più rosso, ma finalmente alza lo sguardo e i suoi occhi, timidi ed impacciati, ma emozionati, sfiorano delicatamente i miei, in un timido contatto che mi fa tremare il cuore e allo stesso tempo me lo riscalda.

 

“E ti prometto che non sarò così cattivo con le critiche.” aggiungo poi, tentando di distrarlo e forse anche di distrarre un po’ me stesso da quella strana sensazione, e finalmente riesco ad ottenere una reazione normale –un sopracciglio alzato a mo’ di sfida, come ogni volta che dico qualcosa, per lui, di assurdo-.

 

“Perché, hai la capacità di fare critiche letterarie?” borbotta, a metà strada tra l’ironico e il teso.

 

“Ora mi sento offeso davvero, signor Baggins.” ribatto, riprendendo il tono finto formale di poco prima “Vengo da una famiglia di editori, critici e letterati. Sono cresciuto leggendo Dickens, Dante, Shakespeare, Dumas, Poe, Wilde e D’Annunzio. Sono più che capace di giudicare un libro.”

 

Lo scrittore mi studia per un lungo secondo, le orecchie e le guance ancora di un rosso intenso “Uhm, abbiamo un intellettuale allora.” commenta, prendendomi velatamente in giro.

 

 “È così assurdo?” chiedo, perché in fondo non è troppo lontano dalla realtà.

 

“Beh, no.” risponde, per poi passarsi una mano tra i capelli e continuare “Ok, forse non sei proprio la tipica persona che identificherei come un topo da biblioteca.”.

 

I suoi occhi, forse senza nemmeno rendersene conto, scorrono lentamente sulla mia figura, per poi fermarsi sulle mie piastrine e scattare velocemente in alto, ancora più imbarazzati di prima “Di solito, i veri topi da biblioteca assomigliano di più a quelli come me.” mormora in aggiunta, stringendosi appena nelle spalle, come se volesse scomparire.

 

“Non c’è niente di male ad essere come te.” mi affretto a dire, sincero, la voce bassa di chi sta rivelando un segreto noto a pochi “Anzi.”.

 

A quelle parole, gli occhi blu di Bilbo tremano, e il suo viso diventa ancora più rosso di prima. Resta in silenzio per un lunghissimo momento e ho paura di aver detto qualcosa di profondamente sbagliato, ma poi lo sento balbettare “Oh, i-io . . .”

 

Esita, e i suoi occhi, quei grandi occhi blu scuro che sono allo stesso tempo la mia salvezza e la mia dannazione, cercano i miei, come se non potessero farne a meno. Solo quando i nostri sguardi sono fusi insieme, e sento il mio cuore battere forte, come se stesse solo aspettando questo flebile contatto, Bilbo si lascia sfuggire un sospiro e dopo, con un piccolo sorriso, sussurra piano un’unica parola, semplice, ma che sembra nascondere molto di più “Grazie.”

 

 

 

Allora, anche io sorrido, perché semplicemente non c’è alcun motivo per non farlo.

 

 

 

“Sono io a doverti ringraziare, Bilbo.” sussurro, e so che c’è semplicemente troppo, dietro questa semplice frase, che nemmeno io posso coglierlo del tutto.

 

Ma Bilbo è qui ad ascoltarla, i suoi occhi di zaffiro che illuminano l’oscurità da cui sto lottando per risollevarmi, e questo basta.

 

 

 

Grazie, Thorin.’

 

‘Sono io a doverti ringraziare, mastro scassinatore.’

 

 

 

Basterà sempre.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Piccolo avviso: Voglio solo ringraziarvi per il vostro accogliente ‘bentornata’! Siete stati tutti gentilissimi e dolciosi, mi avete accolta con tanto affetto e devo ammettere che non me lo sarei mai aspettata dopo tanto tempo. Davvero, grazie! <3

 

 Ah, ho dovuto dividere il capitolo in due parti a causa di problemi tecnici con la pubblicazione, ma è comunque uno scritto unito ed infatti per questo ho preferito lasciare la stessa citazioni sia qui che nel capitolo precedente. Mi scuso per il disagio.

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Capitolo 11
*** Capitolo 9 – Ossigeno ***


Capitolo 9 – Ossigeno

 

 

 

Tu sei stato ossigeno puro. Stavo annegando e mi hai salvato, ti sembra poco?

—  Grey’s anatomy

 

 

 

 

 

 

Oin si sistema gli occhiali spessi come fondi di bottiglia sul lungo naso storto, mentre i suoi occhi vigili ed esperti mi studiano in modo enigmatico mentre mi rimetto la maglia.

Dis sembra accorgersene, perché gli chiede con tono urgente, tentando però di nascondere almeno in parte le sua preoccupazione “Va tutto bene, dottore?”.

Il medico soppesa la domanda per un lungo momento, e sia io che mia sorella restiamo in silenzio, attendendo non senza tensione la sua risposta.

“A livello medico la situazione è rimasta invariata.” borbotta alla fine, senza mai distogliere lo sguardo indagatore da me  “La conta dei globuli bianchi è ancora molto bassa e i valori sono rimasti in generale più o meno gli stessi dell’ultima volta. Eppure in qualche modo sembri molto più sano rispetto a due mesi fa, e il tuo volto sta riacquistando colore.”.

Lo dice come se fosse un qualcosa di straordinario, che non si sarebbe mai aspettato, e ammetto che per un momento io stesso rimango un po’ stranito.

Io, sano? Ma se non riesco a camminare per più di quindici minuti senza dovermi sedere, se non riesco a sollevare niente di più pesante di una busta della spesa, se anche prendere a pugni il cuscino dopo un incubo mi fa restare senza fiato e con le mani tremanti!

Però . . . in effetti, a pensarci, mi sento un po’ meglio rispetto a quando sono tornato. Non in maniera eclatante, ma in qualche modo . . . non so, è come se pian piano mi stessi abituando a questa nuova condizione del mio corpo, come se stessi scendendo a parti con esso ed accettandone i ritmi e i limiti.

Sento lo sguardo d’aquila di Dis perforarmi la pelle, quasi stesse cercando il più piccolo indizio di questo praticamente invisibile miglioramento, ma Oin richiama di nuovo la mia attenzione, chiedendomi con lo stesso tono che un detective riserverebbe ad un testimone chiave “Stai mangiando adeguatamente? Fai pasti regolari?”

“Diciamo che ci provo.” rispondo stringendomi nelle spalle, per quanto non sia affatto vero. Non sono mai stato un grande amante della buona cucina nemmeno prima dell’arruolamento, e da quando sono tornato ho perso completamente l’appetito e evito il cibo il più possibile. Ma questo non è certo qualcosa da rivelare al proprio medico curante, specialmente se si vuole evitare un  cazziatone da Oscar e una nuova dieta categorica e controllata al milligrammo.

Mia sorella mi fulmina con lo sguardo e nega subito la mia bugia, incrociando le braccia “No. Anzi, salta molto spesso pranzo e cena.”.

Le lancio un’occhiataccia, ma ormai il danno è fatto. Il dottore però non sembra arrabbiato per quella rivelazione, ma solo confuso.

Tirandosi soprappensiero la barba, chiede ancora “Allora stai facendo quelle passeggiate che ti avevo consigliato?”

Sorpreso, mi ritrovo ad annuire “Sì, in effetti. Esco un po’ tutti i pomeriggi.” ammetto, evitando accuratamente di rivelare perché o con chi esco ogni singolo giorno da quasi due mesi ormai. Dis non mi darebbe più pace, se venisse a scoprirlo. Sono già fortunato che, dopo quell’interrogatorio a sorpresa in camera mia, Kili abbia lasciato cadere nel dimenticatoio la cosa e non abbia più detto niente. Meglio non tentare troppo la sorte.

Oin si lascia sfuggire un piccolo vittorioso sorriso “Bene!” esclama, battendo le mani dalla soddisfazione.

 “È un’ottima cosa. Probabilmente è per questo che sembri stare meglio, seppur leggermente. Uscire alla luce del sole aiuta il tuo corpo a riabituarsi alla vita quotidiana e a riprendere le sue normali funzioni più in fretta. Inoltre, instaurare una nuova abitudine e crearsi una routine ha un grande impatto sulla psiche, ed influisce molto anche sulla ripresa fisica di un individuo dopo un forte trauma.” dice tutto soddisfatto, per poi farsi più serio “In cosa consistono queste passeggiate e quanto durano? Provi forte affaticamento?”

Mi prendo un attimo prima di rispondere “Non sono nulla di che. Semplicemente esco fuori da casa, cammino fino a quando le gambe non iniziano a tremarmi, mi siedo in un parco, aspetto che la stanchezza si attenui e poi ritorno a casa. Tutto qui. Non sto fuori mai meno di mezz’ora, a volte anche un po’ di più.” mi limito a dire, ignorando volutamente tutte quelle volte che sono stato via una o due ore e il fatto che queste passeggiate non abbiano affatto la finalità di riprendermi più in fretta, ma piuttosto di staccare un po’ la mente da tutto questo. L’incidente, il rientro in patria, l’ospedale, le cure, questa sensazione di essere rinchiuso in una gabbia da cui non potrò mai uscire e in cui ogni mio movimento viene monitorato, nemmeno fossi un animale selvatico e pericoloso.

“Uhm.” commenta, aggrottando la fronte “Vai mai con qualcuno?”

La mia mente corre per un breve momento a Bilbo, al suo sorriso luminoso e a quegli occhi blu che aspetto con ansia di rivedere ogni singolo pomeriggio. Bilbo, che ieri per distrarmi dal pensiero del controllo da Oin mi ha portato in una piccola libreria che vende libri antichi e prime edizioni di grandi classici, e mi ha strappato la promessa di scrivergli subito dopo la visita. Bilbo, che da quando è arrivato sta rendendo sopportabile tutto questo.

“No.” mento, e al mio fianco sento Dis studiarmi attentamente, come se non credesse alla mia risposta.

Dopo un secondo di silenzio, il dottore scuote appena la testa “E’ una buona cosa che tu esca, ma non va bene così. Non dovresti mai spingerti al limite, aspettare di stare male per riposarti. E, soprattutto, dovresti uscire con qualcuno. Giusto per sicurezza, in caso di un improvviso attacco di debolezza o una crisi. Non è sicuro che tu resti solo tanto a lungo.”

Quest’ultima frase tocca un nervo scoperto e mi fa scattare , quasi senza rendermene conto “Io faccio quello che mi sento di fare. Se voglio uscire e quando voglio uscire sono affari miei. E sono libero di scegliere con chi passare o non passare il mio tempo. Se voglio uscire da solo, posso farlo come un qualsiasi uomo adulto. Non ho bisogno di nessuna balia, nessun infermiere, nessuna babysitter.”

Afferro la mia giacca, me la infilo e con un cenno gelido mi congedo dal medico, sbottando un freddo “Buona giornata.”.

Me ne vado senza degnare nessuno di un secondo sguardo, nemmeno Dis che, dopo delle scuse frettolose, mi segue di corsa, i tacchi alti che battono velocemente sul pavimento lucido dello studio.

“Thorin, aspetta!” mi chiama, il tono abbastanza forte per raggiungermi ma non troppo per disturbare gli altri pazienti in attesa.

Continuo testardamente a camminare, fino ad uscire dallo studio e raggiungere la macchina, dove però sono costretto ad aspettare mia sorella, che mi raggiunge con un’espressione a metà strada tra l’irritato e il confuso.

“Si può sapere perché hai reagito in quel modo? Oin non ha detto niente di male, anzi, è stato molto gentile.” mi rimprovera, portandosi dietro alle orecchie una ciocca di capelli sfuggita dal suo chignon sbarazzino “Devi smetterla di buttare addosso il tuo malumore sugli altri. Non è giusto, e non fa bene a nessuno.”

 

Incrocio le braccia e mi appoggio allo sportello della macchina, le gambe che iniziano a tremare impercettibilmente per quella mezza corsa senza preavviso “Non è malumore. E anche se fosse, ne avrei tutte le ragioni. Il tuo caro medico voleva appiopparmi un controllore che mi seguisse ogni volta che metto piede fuori di casa, nemmeno fossi un carcerato durante l’ora d’aria. Ora non posso avere trenta minuti per me senza dover essere tenuto d’occhio?” sibilo, non senza rancore.

Capisco che, a livello medico, Oin non abbia tutti i torti, ma il pensiero di dover essere seguito da qualcuno per forza, anche per quel poco tempo che riesco a prendermi per me e che mi fa sentire ancora bene . . . no, non riesco a sopportarlo.

Dis stringe le labbra, come se le mie parole fossero uno schiaffo doloroso ma non inatteso “Lo sai che è necessario. Finché il tuo corpo non si riprenderà completamente, dobbiamo stare tutti molto attenti a qualsiasi cosa. So che è stressante, ma presto finirà, vedrai.”

Scuoto la testa con amarezza “Non succederà. Potrò anche migliorare, seppur di poco, ma non mi riprenderò mai del tutto. Questo, tutto questo, non finirà mai, non completamente. Sono stati abbastanza chiari a Peshawar.” stringo con forza le mie piastrine, fredde al tatto e in questo momento stranamente estranee “Quindi cosa dovrei fare, passare il resto della mia esistenza a vivere con te e i ragazzi, farmi controllare ed assistere in qualsiasi cosa per paura di cadere a terra e spaccarmi la testa? Questo non è vivere, Dis. E lo sai anche tu.”

La mia sorellona resta in silenzio, i grandi occhi d’aquila fissi nei miei ma incapaci di negare quella realtà, fino a quando non riescono più a sostenere quel contatto. Prende ad armeggiare con la borsa e, senza una parola, tira fuori le chiavi ed apre la macchina, facendomi cenno di entrare.

Lo faccio con meccanicità, aprendo lo sportello e sedendomi quasi senza rendermene conto.

Solo quando Dis mette in moto e ci infiliamo nel traffico mattiniero di Londra poggio la fronte contro il finestrino.

Chiudo gli occhi, lasciando che quella sensazione di vuoto si espanda dentro il mio petto fino a impadronirsi di tutto quanto e lasciarmi solo con quella certezza, quell’unica, fredda certezza di essere prigioniero in un corpo che mi tradisce giorno dopo giorno, un destino che mai avrei scelto per me, una vita che non sento mia, e che forse non lo sarà mai più.

Resto solo con la consapevolezza di essere spezzato, e di non poter in nessun modo essere aggiustato.

 

 

o0O0o.

 

 

Da: Bilbo a:Thorin 13:40

Ehi, non ti sei fatto sentire tutto il giorno. Tutto ok?

 

Da: Thorin a: Bilbo 13: 48

Sì, certo. Scusa, ho avuto altro per la mente.

 

Da: Bilbo a:Thorin 13:50

Non preoccuparti. Com’è andata la visita?

 

Da: Thorin a: Bilbo 13:53

Come al solito. Senti, possiamo incontrarci? Ho bisogno di vederti.

 

Da: Bilbo a: Thorin 13:54

Ma certo. Sei sicuro di star bene?

 

Da: Thorin a: Bilbo 13:59

Sì. Ho solo avuto una mattina pesante.

 

Da: Bilbo a: Thorin 14:00

Ho capito. Ti ci vuole un po’ di svago, allora!

 

Da: Thorin a: Bilbo 14:01

Bilbo, non credo proprio che sia il caso.

 

Da: Bilbo a: Thorin 14:02

Ah, no no. Devi assolutamente distrarti. Fidati di me. Ti fidi di me, no?

 

Da: Thorin a: Bilbo 14:03

Sì, ma . . .

 

Da: Bilbo a: Thorin 14:04

Allora niente ma. Ci penso io a te, ora.

Fatti trovare tra un’oretta all’indirizzo che ti invierò fra poco. Possibilmente, senza tutti quei pensieri neri che ti stai sicuramente trascinando dietro da dopo la visita. Non accetto scuse o ritardi.

 

Da: Thorin a: Bilbo 14:06

Mio Dio, sei impossibile.

 

Da: Bilbo a: Thorin 14:07

Lo prendo come un complimento.

 

o0O0o.

 

 

Osservo attentamente fuori dal finestrino la fila ordinata di case che si ripetono tutte uguali, l’una accanto all’altra, copie perfette di una realtà finta. È facile trovare zone residenziali così, in questa parte di Londra. Infinite piccole case con un ancora più piccolo giardino, le finestre minuscole e il camino che non viene mai accesso perché conviene di più usare il riscaldamento. Niente che le distingua, niente che permetta a chi le guarda di intuire che ci vive davvero qualcuno, là dentro.

Sbruffo e sto per distogliere lo sguardo, quando una piccola casetta, diversa dalle altre, colpisce la mia attenzione in maniera quasi magnetica.

Come tutte le sue gemelle, è piccolina e circondata da un minuscolo giardino, eppure è completamente diversa; sa’ di vero, di vissuto e un po’ di follia.

Il tetto è fatto da mattoni rossi e le pareti sono di un intenso giallo giunchiglia, mentre la porta, minuscola e probabilmente dipinta a mano, è verde come l’erba. Il giardino, a differenza degli altri poco curati e spenti, è un’esplosione di colori. Piccolissimo ma tenuto con cura, è completamente in fiore. Girasoli, lilla e non so cos’altro riempiono quel fazzolettino di terreno, e una pianta arrampicante è attorcigliata attorno al tronco di una rigogliosa quercia, quasi posta a mo’ di scudo per difendere la casa e chi ci abita. La recinzione che divide quel minuscolo universo a sé stante è di un lucente verde smeraldo, e una cassetta della posta a forma di scrigno fa bella mostra di sé accanto al cancello, sempre verdissimo. Tutta la casa sembra quasi uscita da un romanzo, da una storia fantastica colma di luce e colori, dal sogno di un bambino mai cresciuto, e riesce per un momento a strapparmi un sorriso, e per un attimo resto confuso quando il taxi si ferma proprio di fronte ad essa.

Mi volto verso l’autista, che mi lancia un’occhiata strana e, notando la mia confusione, borbotta “Siamo arrivati, signore. Questo è l’indirizzo che mi ha dato.”.

Aggrotto la fonte, tornando a osservare l’insolita casetta. Ho dato al tassista l’indirizzo inviatomi da Bilbo, immaginando che fosse quello di un qualche negozietto vintage o roba simile come al solito, e non . . . beh, questo.

“Signore?” mi chiama di nuovo l’autista, evidentemente impaziente di riprendere il suo lavoro.

Pago la corsa e scendo dal taxi, e mentre riparte e si allontana resto per qualche lungo momento immobile di fronte a questa strana casa.

Alla fine mi riscuoto e mi avvicino al cancello verdissimo, che è socchiuso e ha attaccato proprio al centro un foglietto di carta, dove una elegante scrittura quasi indecifrabile, da scrittore, recita :”So cosa stai pensando e sì, questo è l’indirizzo giusto. Muoviti ad entrare ora, ti prometto che la casa non ti divorerà e che non comparirà nessun coniglio bianco o cappellaio pazzo.’

Scuoto appena la testa divertito, mentre stacco il foglio dal cancello e lo piego con attenzione per poi infilarmelo in tasca. Anche se non è firmato e se non avevo mai visto questa scrittura prima d’ora –se si escludono quei numeri tracciati di fretta sul palmo della mia mano, ovviamente-, non mi ci vuole niente per indovinare chi abbia scritto quel buffo bigliettino.

Senza riuscire a reprimere un sorriso spontaneo, entro nel piccolo giardino e mi guardo un attimo attorno, perdendomi in quel minuscolo angolino verde che esplode di vita. Mi viene spontaneo sfiorare con una mano il tronco della quercia, che sembra giovane ed antica allo stesso tempo, e quando raggiungo la porticina verde per un attimo esito, prima di bussare due volte.

Tempo cinque secondi netti e il viso sorridente di Bilbo fa capolino dall’uscio, i grandi occhi blu che brillano come lapislazzuli e le mani macchiate d’inchiostro nero.

“Sei venuto!” esclama in modo quasi luminoso, come se non si aspettasse davvero di vedermi lì.

Mi stringo delle spalle, un po’ preso alla sprovvista da questa reazione.

 “Sempre questo tono sorpreso.” mi limito a ribattere, per poi aggiungere “E poi, cos’altro avrei potuto fare? Mi hai praticamente costretto a venire, o sbaglio?”

 

Non sarei riuscito a stargli lontano comunque, nemmeno se lui non mi avesse imposto di raggiungerlo subito dopo quel messaggio, scritto d’istinto ma che non rinnego. Avevo un tale bisogno di vederlo, ho un tale bisogno di stargli vicino, dopo quello che è successo stamattina, che . . . semplicemente, non avrei potuto non venire.

 

Lo scrittore mi fa una linguaccia, per poi spalancare completamente la porta e farmi cenno di entrare “Dai vieni, almeno la smetti di brontolare.”

Entro, lasciandomi guidare da lui in quella che sembra più una microscopica tana che una vera casa.

L’ingresso è minuscolo e pieno di piante, mentre un numero sproporzionato di capotti e giacche è appeso alla parete vicino ad uno specchio lunghissimo ma semplice. Un lungo corridoio pieno di quadri e scaffali colmi di roba lo collega al resto della casa; sui due lati ci sono quattro porte chiuse, e alla fine c’è un gigantesco salotto- cucina.

Resto fermo per un momento, osservando un po’ stupito la stanza. Al centro, attorno ad un tavolino in mogano, stanno una poltrona verde malva e un divano rosso papavero dall’aria comoda e stra-usata, sul lato dentro c’è l’angolo cottura  e un tavolo semplice ma robusto, mentre su quell’opposto si apre un’ampia finestra dalle tende dorate. In fondo c’è un grande camino, come quelli di una volta, e accanto una televisione e una collezione di dvd da fare invidia a un vero cinema.

Ma la cosa più straordinaria sono i libri. Sono letteralmente ovunque, in ogni angolo disponibile; sopra il camino, per terra in colonne ordinate, su mobiletti sparsi qua e là, su degli scaffali random attaccati alla parete. Sembra fatta praticamente da soli libri, e nonostante la singolarità ispira una sensazione di tale pace, di tanta quieta serenità, che quasi non mi rendo conto di essermi lasciato sfuggire un sospiro.

“Questa è casa tua?” chiedo spontaneamente a Bilbo, che sta osservando la mia sorpresa un po’ compiaciuto.

Sbruffa, incrociando le braccia “No. È la casa di un vecchio pazzo che ho ucciso e seppellito sotto la quercia per poterla usare solo questo pomeriggio.” risponde con un pizzico di sarcasmo, per poi sollevare un sopracciglio e  ribattere, chiaramente divertito ora “Secondo te?”

“Ok, domanda un po’ stupida.” ammetto, passandomi una mano tra i capelli e cercando di non fare caso a come mi senta già più leggero rispetto a questa mattina, nonostante sia in compagnia di Bilbo da appena mezzo minuto.

“Solo un po’?” ripete con l’accenno di un sorriso, e poi il suo viso si fa più serio, mentre i suoi occhi vagano pensierosi per la stanza “A essere precisi, era la casa dei miei genitori. È passata a me quando è morto mio padre, ma in origine l’aveva fatta costruire per la mamma come regalo di nozze.”

“Oh.” Non so cosa dire, soprattutto quando accenna alla morte dei suoi genitori, con un tono quasi malinconico che non gli avevo mai sentito usare prima d’ora. Non mi aveva mai parlato della sua famiglia e avevo dato per scontato che i suoi fossero ancora vivi, considerando la sua età. Non avrei mai immaginato che così giovane si portasse già dietro un lutto talmente grande.

 “Doveva amarla molto.” È tutto quello che riesco a dire, e mi rendo conto nel momento in cui quelle parole lasciano le mie labbra che forse è la cosa più sbagliata che potesse uscirmi fuori.

Si limita ad annuire, lo sguardo perso oltre la finestra, nel giardino pieno di vita “Probabilmente l’amava anche troppo.” commenta, e la voce quasi fredda e lontana, di chi avrebbe tanto da dire ma non può, non se non vuole precipitare di nuovo nel baratro.

Per un attimo esito, incerto su cosa dire e cosa fare, ma poi, quell’ombra che gli oscura lo sguardo si attenua, e quando si volta di nuovo verso di me il suo tono si fa più leggero e un piccolo sorriso fa capolino sul suo viso “Siediti, dai.”.

Un po’ stordito, faccio come mi dice e mi siedo al lato sinistro del divano, che è ancora più comodo di quanto già sembri, mentre Bilbo va nella zona cucina ed apre il frigorifero, studiandone accuratamente il contenuto.

“Vuoi qualcosa da bere?” chiede senza voltarsi, per poi elencare svelto “Ho the, limonata, aranciata, succo d’uva e un po’ di vino rosso. . . non so se puoi bere alcool, però.” aggiunge poi, un po’ incerto.

La mia mente corre immediatamente a Oin e a Dis, alla visita di quella mattina e a tutte le cose che dovrei e non dovrei fare, e per un attimo mi sento di nuovo infiammare dentro.

Fanculo mi dico, scacciando via quei pensieri.

Ho seguito abbastanza ordini per tutta una vita nell’esercito, e non ho intenzione di continuare a farlo ora che non sono più un soldato. Sopratutto non da chi non ha idea della battaglia che sto combattendo.

“Tecnicamente non potrei, ma sono sempre stato un cattivo ragazzo.” rispondo, desiderando in quel momento più che mai qualcosa che possa aiutarmi a scacciare questo fuoco doloroso che mi brucia dentro. O che lo faccia aumentare tanto da cancellare qualsiasi altra cosa, in alternativa.

Il padrone di casa sbruffa.

 “Beh, io no.” ribatte, per poi tirare fuori una caraffa piena di un denso liquido viola. Prende un bicchiere pulito dal lavello lì accanto e chiude la porta del frigo con un disinvolto movimento del fianco, che per un attimo mi ipnotizza letteralmente.

Versa la bevanda nel bicchiere, lascia la caraffa sul tavolo e mi raggiungere, porgendomelo con aria quasi irritata, se non fosse per il leggero scintillio nel suo sguardo “Toh, succo d’uva. Così impari ad infrangere le regole e a coinvolgermi come tuo complice.”.

Alzo gli occhi al cielo, un po’ infastidito da come abbia completamente ignorato la mia richiesta e un po’ divertito dalla sua espressione a metà strada tra il serio e il giocoso.

“Non c’è bisogno che anche tu mi faccia da infermiere.”  ribatto con le braccia incrociate, seppur senza freddezza “Non lo verrà a sapere nessuno, e poi a chi importa se bevo qualcosa che non dovrei?”.

Bilbo aggrotta la fronte, come se avessi appena detto la cosa più stupida del mondo.

“Non ho alcuna intenzione di farti da infermiere. Sei grande e grosso abbastanza da saper badare a te stesso.” ribatte deciso, per poi aggiungere “Ma questo non significa che io possa lasciarti fare tutto quello che ti pare indiscriminatamente. Non fa niente che non ci sia nessun altro a vederlo e a cui possa importare se infrangi le tue direttive. Se ti fa stare male, importa a me, e questo basta. ”

La sua risposta, concisa e sospendente, mi coglie completamente impreparato, e resto per un lungo momento a fissarlo, perso in quei risoluti occhi blu che non hanno alcuna intenzione di darmela vinta, e non per senso di colpa, dovere o altro.

No.

A lui importa davvero se mi faccio o non mi faccio del male.

A lui, molto semplicemente, importa di me.

 

‘A chi importa?’

‘A me. A me importa se ti fai del male. A me importa di te, dannato Thorin Scudodiquercia. Mi importa, e non ho alcuna intenzione di vederti distruggere te stesso in questo modo!’

 

Gli importa da sempre.

 

Scuoto appena la testa, quasi a voler scacciare quel pensiero, ma alla fine allungo una mano e prendo quel dannato succo. Nel farlo, le mie dita sfiorano appena le sue, e per un attimo lo vedo trattenere il fiato, ma i suoi occhi restano fissi nei miei, fieri ed impossibili da spezzare.

Porto il bicchiere alla bocca e mando giù tutto in un fiato, ignorando completamente il sapore acerbo ed orribile della bevanda e senza mai distogliere lo sguardo dal suo, quasi in una sfida silenziosa.

Quando finisco, stringo il bicchiere vuoto tra le mani e osservo il suo viso illuminarsi di un sorriso vittorioso, e resisto a stento all’istinto di alzare nuovamente gli occhi al cielo.

“Contento ora?” mi limito a sbruffare, e Bilbo annuisce, il sorriso che si fa ancora più grande.

“Molto.” si allunga verso di me e si riprende il bicchiere, attento questa volta a non toccarmi nemmeno per sbaglio nonostante la mia pelle sia già tesa e formicolante, quasi in attesa del suo tocco “Era così terribile come temevi, allora?”.

“Mille volte di più.”

Lo scrittore si lascia sfuggire un sbruffo divertito “Su, non lamentarti, poteva andarti molto peggio.” dice, tornando in cucina per lasciare il bicchiere nel lavandino ed aprire la dispensa “Potevo rifilarti una tisana al sambuco.”

“Perché, hai davvero delle tisane?” chiedo, mentre mi sistemo più comodamente sul divano e lo osservo iniziare a tirare fuori scatole di biscotti, dolci, cioccolata e confezioni di patatine a non finire.

“Ho tutti i generi di tisane esistenti. E di the. E di camomille. Di questo settore non manca niente, in casa mia.” conferma fieramente, mentre raccoglie tutto quel bendiddio e lo deposita sul tavolino di fronte al divano.

“E nemmeno del settore ‘schifezze varie’, vedo.” commento, mentre l’osservo tornare ancora in cucina e tirare fuori pasticcini e frittelle “Pensare che ho sempre ritenuto le tisane un genere di bevande riservato solamente alle vecchiette con tanti gatti e fin troppo tempo libero.”

Fa una smorfia, mentre apre un mobile lungo lungo e si mette in punta di piedi per aggiungere lo scaffale più alto. La corta maglietta verde si solleva, lasciando intravedere una candida striscia proibita di pelle da cui tento di distogliere, seppur con difficoltà, lo sguardo.

 “Beh, io sono l’eccezione che conferma la regola, allora. E poi, devo compensare in qualche modo la quasi completa assenza di alcool nei miei scaffali, no?” aggiunge senza rendersi conto di nulla, tentando di afferrare un qualcosa di indefinito fuori dalla sua portata e rischiando quasi di perdere l’equilibrio.

“Ehi, lascia stare, c’é roba più che a sufficienza.” gli faccio, notando la sua difficoltà e l’imponente quantità di cibo che sta raccogliendo.

“Ma se non basta nemmeno per un aperitivo.” obbietta incerto, ma alla fine si arrende e rimedia alla sua sconfitta tirando fuori da non so dove delle ciambelle e dei cornetti, che coronano il piccolo banchetto che ha messo su nel giro di . . . non so, tre minuti forse?

Osservo un po’ stordito il tavolino ormai pieno, mentre lui batte allegro le mani e annuncia un vittorioso ‘buon appetito’, per poi lasciarsi scivolare sul divano a meno di quindici centimetri da me.

“Ma quanto cibo hai?” chiedo, da una parte sinceramente sorpreso, e dall’altra solo per non pensare a quell’eccessiva vicinanza e al fatto che mi basterebbe allungare una mano per stringere le sue e . . .

Lo scrittore si stringe nelle spalle, all’apparenza senza accorgersi della tempesta che questa fragile vicinanza tra di noi mi sta improvvisamente scatenando dentro. “Mai abbastanza.” È la sua spontanea risposta, mentre apre un pacchetto di patatine e ne divora una manciata bella piena nel giro di mezzo secondo.

Questo mi strappa un sorriso, seppur esitante e quasi timido “Non riesco a credere che con un tale assortimento di cibo tu non sia fortemente obeso, invece di essere sottile come un ragazzino.” commento, studiandolo per un attimo e tentando di non soffermarmi eccessivamente sulle clavicole che danno mostra di sé dal collo a v della maglia. Fallendo, ovviamente.

“Devo ringraziare il mio metabolismo per questo immenso privilegio.” risponde con semplicità, prendendo un’altra generosa porzione di patatine e staccando un bel pezzo di cioccolata “Dai, serviti.”

Dopo un momento di incertezza, mi allungo per prendere un paio di patatine, per quanto il cibo sia realmente il mio ultimo pensiero al momento. Lascio vagare un po’ lo sguardo per la stanza, e quando raggiungo l’angolo cucina la conversazione di prima mi ritorna alla mente e quindi decido di continuarla.

“Quindi non bevi?” chiedo, sinceramente incuriosito.

“No no, non reggo nemmeno un goccio.” nega quasi con entusiasmo, mandando al contempo giù un pasticcino  “Quella bottiglia di vino la conservo solo per gli ospiti. Ho un brutto rapporto con l’alcool.” Di fronte al mio sguardo interrogativo, si limita a fare un’espressione colpevole “Mi sono ubriacato con una lattina di birra una volta, e da allora lo evito come se fosse il demonio.”

Questo è talmente ridicolo che non riesco a fermare uno sbruffo divertito, che ovviamente nota e gli fa aggrottare la fronte.

“Perché ridi?” fa, afferrando una ciambella.

Scuoto la testa, quasi a voler negare di star trattenendo la risate, ma poi non posso fare a meno di commentare “Niente, è che non ho mai sentito di un uomo adulto incapace di reggere l’alcool e fiero di ciò.”

Bilbo fa una smorfietta che non può essere descritta in nessun modo se non adorabile e borbotta,  continuando a mangiare in piccoli morsi la sua ciambella “Oh, ma io non sono un uomo adulto.”.  Mi fa l’occhiolino, prendendomi ora palesemente in giro “Sono uno scolaretto ancora ingenuo ed innocente secondo i suoi occhi da falco, non è vero capitano Durin?”.

Mi lascio sfuggire l’ennesimo sbruffo, l’angolo della bocca che si solleva all’insù di propria volontà.

 “Sfotti, sfotti pure.” ribatto mentre lui ridacchia, e per un attimo mi sento così semplicemente sereno e senza pensieri che quasi non riesco a ricordare quanto intense fossero la mia rabbia e la mia rassegnazione questa mattina.

Ma, all’improvviso, lo scrittore si passa quasi nervosamente una mano tra i ricci ramati e per un attimo temo che mi stia per chiedere la ragione dell’urgenza nei miei messaggi, la spiegazione di questo mio bisogno quasi doloroso di vederlo.

Si lecca le labbra e quando le socchiude per parlare mi preparo psicologicamente a dire un’altra bugia, perché non potrei sopportare di ammettere anche con lui la mia debolezza, la mia ennesima sconfitta, ma poi mi prende completamente di sorpresa per l’ennesima volta.

“Io, ehm, avevo pensato che potevamo fare un pomeriggio pop-corn, chiacchiere e film.” balbetta, senza riuscire stranamente a incontrare il mio sguardo “Un classico pomeriggio non sense, che risolve sempre tutti i problemi e non ti fa pensare a nulla. S-se a te va bene, ovviamente.”.

Una morsa delicata e piacevole mi stringe il cuore, lasciandomi dolcemente senza fiato.

Non solo ha capito che non sono in vena di rispondere a nessuna domanda e che non ho alcuna voglia di parlare.

Non solo ha deciso di lasciarmi i miei spazi e di non pretendere spiegazioni nemmeno se mi sono praticamente precipitato a casa sua alla ricerca di sollievo.

Ha capito che ho bisogno con tutto me stesso di non pensare, di allontanarmi da tutto e semplicemente perdermi in una beata leggerezza, almeno per un po’.

Ha cercato il modo migliore per farmi sentire al mio agio. Ha pensato a un modo reale per distrarmi e farmi stare bene.

Come diavolo fa a leggermi dentro in questo modo ogni singola volta?

Come fa a sapere sempre quello di cui ho bisogno, quello che provo e sento?

Come fa a conoscermi tanto bene da togliermi sempre il fiato?

Sorrido, un sorriso sincero e sollevato questa volta.

 “Ci sto.” rispondo, e subito i suoi grandi occhi blu guizzando, quasi increduli, al mio volto “Hai già scelto il film?”.

“No, non avevo idea di cosa potesse piacerti.” nega, stringendosi nelle braccia per poi fare una piccola smorfia ironica “Anche se, a occhio a croce, non credo tu sia un tipo da commedia romantica.”

“No, decisamente no.” confermo divertito e poi lo seguo fino alla tv, dove mi mostra con aria feria la sua collezione di film, invitandomi a scegliere qualcosa.

Salto immediatamente tutti i titoli di guerra che conosco, deciso a non pensare almeno per qualche ora  alla vita che mi sono lasciato alle spalle e che non potrò più riavere, e un numero sorprendente di fantasy e film storici che ho già visto o con i ragazzi o con Frerin. Alla fine entrambi concordiamo per un thriller dal titolo accattivante e ci sistemiamo sul divano mentre il film inizia, entrambi seduti ai lati opposti.

Bilbo a dire il vero è praticamente rannicchiato su se stesso e stringe tra le mani una ciotola di pop corn che finiscono nell’arco dei primi dieci minuti, ma a parte qualche commento qua e là non sembra seguire davvero il lungometraggio. E nemmeno io lo faccio.

Passiamo tutte e due le lunghe ore del film a lanciarci sguardi di nascosto, un po’ come la prima volta che siamo usciti insieme e ho concesso a me stesso di credere davvero di poter trovare qualcosa di buono in tutto questo casino che è diventata la mia attuale vita.

Gli occhi di Bilbo, timidi e impacciati, mi cercano quando credono che sia preso dal film, e quando li colgo fissi sulle mie labbra scattano subito via, le guance che gli si colorano lievemente di rosso, e da quel momento restano fissi sullo schermo.

Io, invece, mi prendo tutto il tempo che voglio per osservarlo come non ho mai fatto prima d’ora. Lascio stare completamente il film dopo i primi venti minuti, e i miei occhi non fanno che sfiorare lentamente e con attenzione quasi maniacale ogni suo più piccolo dettaglio, le minuscole lentiggini che gli attraversano la pelle candida, i lenti ricci ramati, quegli occhi blu troppo imbarazzati per incontrare i miei.

Lui non se ne accorge, o forse semplicemente non gliene importa, oppure è troppo imbarazzato per rendersene conto, e io rimango a guardarlo, e questo mi calma più di quanto voglia ammettere anche solo a me stesso.

Poterlo guardare, guardare il suo corpo minuto e sottile da ragazzino e il suo viso così familiare nonostante l’abbia visto relativamente poche volte, mi infonde una serenità e una sensazione di pace incredibili.

Resto così, lo sguardo perso su di lui, fino a quando i titoli di coda non mi richiamano alla realtà e Bilbo non si stiracchia, simulando una tranquillità che a giudicare dal rossore sulle sue orecchie non prova davvero, e io mi costringo a distogliere lo sguardo.

“Bel film.” commenta semplicemente, come se l’avesse davvero seguito con attenzione “Anche se c’erano dei buchi di trama enormi. Lo sceneggiatore dovrebbe allenarsi un po’ di più.”.

“Scommetto che tu avresti saputo come riempirli.” lo prendo lievemente in giro, tentando di adattarmi al suo tono normale e rilassato.

“Certo.” afferma sicuro di sé “Tempo fa ho scritto una sceneggiatura per un film d’azione. È divertente e non troppo difficile, se uno riesce a ricordarsi che sta scrivendo per degli spettatori e non dei lettori.”

Accenno un sorriso di fronte alla sua sicurezza e a quell’orgoglio malcelato che traspare dalle sue parole solo quando parla della scrittura. Poi, mi viene in mente una cosa e aggiungo, con finta noncuranza “Sai, Fili mi ha prestato la sua copia di ‘Cuore d’inchiostro’. Ha detto che glielo leggevi la sera quando gli facevi da babysitter. Davvero gli facevi da babysitter?”

Bilbo sobbalza, sorpreso, e finalmente si volta verso di me “Oddio, ce l’ha ancora? Credevo l’avesse buttata.” commenta abbastanza stupito, per poi stringersi nelle spalle “Comunque sì, davvero. Ho conosciuto Dis quando ho iniziato a scrivere, e tra una cosa e l’altra le ho dato una mano con i ragazzi quando erano ancora piccoli.”.

Un piccolo sorriso spontaneo gli illumina il volto, mentre ripensa a quel periodo ormai così lontano, e continua quasi intenerito “Fili aveva otto anni, Kili appena tre. Erano due piccole pesti adorabili, e più che essere un babysitter ero una sorta di complice di giochi ed avventure. Pian piano siamo cresciuti insieme, anche se la differenza d’età era comunque abbastanza. Abbiamo finito per passare molto tempo insieme quando sono diventati adolescenti, sono entrati nella mia cerchia di amicizie come delle piccole mascotte e ora siamo la tipica pazza combriccola che sembra uscita da una scadente commedia americana.”.

“È una bella cosa.” osservo, e lo penso davvero, e in qualche modo il pensiero che i miei ragazzi abbiano avuto Bilbo a tenerli d’occhio quando io e Vili non potevamo farlo mi fa sentire stranamente in pace.  Mi costringo a tentare di scacciare quella sensazione e osservo, cercando di prenderlo in giro “Anche se così devo considerarti una sorta di nipote adottivo, e la mia già citata teoria sulla tua somiglianza con uno scolaretto si rafforza sempre di più.”

“Ehi!”

Ridacchio alla sua espressione offesa, ma vedendo che non accenna a scomparire decido di riprendere la questione romanzo, nel tentativo di rimetterlo a suo agio “Comunque quel libro è davvero ancora esistente . . . non del tutto integro, però.”

Il viso dello scrittore si rilassa finalmente, almeno un po’, e fa una smorfia divertita mentre si tamburella l’indice sulle labbra, quasi stesse cercando di ricordare qualcosa. “È vero, una volta Kili e Fili hanno giocato a tiro alla fune con il libro al posto della fune. Gli hanno strappato la copertina e l’introduzione.” spiega “E Fili si divertiva a tagliare con le forbici gli angoli delle pagine. Ah, e Kili ha vomitato sulle prime pagine del terzo capitolo dopo una scorpacciata di caramelle gommose. Sì, direi che ne ha passate proprio tante, quel povero libricino.”

“Uhm” non avendo ancora sfogliato il volume, non mi ero ancora reso conto di questi particolari “Eviterò quella parte, allora.”

Questo coglie di sorpresa Bilbo, che mi lancia un lungo sguardo sorpreso “Quindi hai davvero intenzione di leggerlo?” chiede infine, inclinando appena la testa.

“Sì, certo.” rispondo molto semplicemente “Perché, non dovrei?”

Improvvisamente le guance gli si colorano di rosa e i suoi grandi occhi blu fuggono lontano, come se non avessero la forza di incontrare i miei “No, cioè, sì, c-cioè . . .” balbetta, senza riuscire a trovare le parole “N-non devi sentirti costretto solo perché l’ho scritto io o roba simile.”

L’ennesimo sorriso spontaneo, di nuovo. Non posso trattenerlo, non di fronte a un Bilbo imbarazzato e balbettante. Mi faccio appena più vicino, non troppo per non sembrare invadente, ma abbastanza perché lui possa rendersene conto “Voglio leggerlo perché sono sinceramente curioso.” ribatto, anche se si sarebbero infinite altre ragioni, ragioni che però lui non è pronto a sentire e forse nemmeno io ad ammettere davvero “E poi voglio sapere come mai il rinomato signor Baggins, dalla vena maliziosa così marcata, sia diventato uno scrittore di tanto successo senza scrivere romanzi erotici.” aggiungo, il tono volutamente scherzoso.

Lo scrittore a questo punto diventa completamente rosso e grida un scandalizzato “Thorin!”.

Scoppio a ridere, senza più riuscire a trattenermi, e lui mi rifila immediatamente una gomitata vendicatrice nel fianco sinistro, forse nel tentativo di zittirmi.

 

Quasi senza rendermene conto, mi porto la mano al fianco, che pulsa piacevolmente.

Quando ero sul campo gomitate, schiaffi, pugni e piccole risse erano un po’ il nostro linguaggio segreto, l’unico modo che avevamo per scherzare, mostrare affetto o sollievo, sostenere quel peso insopportabile che eravamo costretti a portarci dietro giorno dopo giorno.

Non si parla, in guerra. In mezzo al sangue e la morte le parole perdono senso e significato, e tutto quello che ci resta sono le azioni, i piccoli gesti. Qualsiasi contatto andava bene, per noi soldati, purché ci ricordasse che non eravamo soli, in quell’inferno fin troppo tangibile.

Non parlavo mai, prima di guidare un’offensiva, ma stringevo il braccio ad ognuno dei miei ragazzi, una silente promessa che sarebbero tornati. Quando tornavamo da un missione, Dain mi rifilava sempre lo stesso doloroso pugno alla spalla, e Watson rassicurava i feriti con pacche delicate e minuscoli sorrisi. E quando ero appena una recluta, Vili mi scompigliava sempre i capelli cortissimi.

Sono passati mesi dall’ultima volta che qualcuno mi ha toccato così.

Erano mesi che nessuno mi colpiva per scherzo, quasi temendo che un semplice tocco potesse mandarmi in frantumi. Erano mesi che nessuno mi toccava davvero, se non per assicurarsi che stessi bene o per stringermi la mano.

E poi, ecco Bilbo, che lo fa come se fosse la cosa più naturale del mondo.

Lui, l’unico a non trattarmi come se fossi qualcosa di delicato, sul punto di rompersi da un momento all’altro.

 

Mi poggio contro lo schienale del divano, borbottando un “Dai, lo sai che scherzo.” e trattenendo l’ennesimo sorriso alle sue promesse di vendetta.

Lascio che il mio sguardo scivoli da lui al resto della stanza, che è così dannatamente piena di Bilbo da lasciarmi senza fiato, e mi viene spontaneo dire “Mi piace la tua casa. Ha un che di confortevole.”.

Questo sembra placarlo, perché mi lancia un’occhiata sorpresa ma anche lievemente soddisfatta, mentre il rossore diminuisce piano piano, e un piccolo sorriso gli incurva le labbra carnose.

“Grazie.” risponde, guardandosi attorno quasi con affetto “È un po’ piccola, incasinata e folle, ma è comunque casa.”

Come te. penso, ma non ho il coraggio di dirlo, non ad alta voce almeno.

“Mi piace proprio per questo.” mi limito a ribattere, e qualcosa di caldo illumina quegli occhi di zaffiro, adesso di nuovo fissi su di me.

Un momento di silenzio, e poi Bilbo sussurra con voce seria e senza mai distogliere lo sguardo dal mio “Allora puoi venire qui quando vuoi. Prendilo un po’ come un rifugio segreto quando il resto del mondo si fa troppo opprimente.”.

Questa offerta, così spontanea e così inaspettata, mi coglie completamente di sorpresa come quando, quasi un mese fa, durante quella videochiamata improvvisata mi aveva offerto la sicurezza di casa sua senza quasi pensarci.

“Perché?” non posso fare a meno di chiedere.

Si passa una mano tra i ricci ramati, scompigliandoli un po’ “So bene come ci si sente quando si ha bisogno di scappare almeno un po’ in un posto sicuro.” spiega molto semplicemente “E se vuoi, questo può essere il tuo, di posto sicuro.  Almeno ogni tanto, fino a quando non ne troverai uno migliore. Possibilmente che non somigli a una soffitta un po’ grande trasformata in libreria.” aggiunge, accennando a un sorrisetto complice.

“E il tuo rifugio qual è?” chiedo, perché non voglio soffermarmi su tutto quello che queste parole potrebbero nascondere, né sulla tempesta che hanno appena scatenato dentro di me, né sul modo in cui i suoi occhi sembrano letteralmente incapaci di lasciare andare i miei.

La sua risposta è immediata, e rivelata senza un pizzico di incertezza “Le storie. Tutti quei mondi fantastici che nascono dalla fantasia sono sempre stati il mio rifugio segreto, fin da quando ho memoria.”.

Inclino appena la testa, studiandolo attentamente. In qualche modo, lo sapevo già. Ma sentirglielo ammettere, stranamente, fa quasi male. E non capisco perché. “È per questo che sei diventato uno scrittore? Per avere sempre nuovi posti sicuri in cui scappare?”.

“Non esattamente.” si stringe nelle spalle, e dopo un momento di esitazione chiede “Tu perché sei diventato un soldato?”.

Trattengo il fiato, e per un attimo sono tentato di rifiutarmi di rispondere. Ma poi mi perdo ancora nei suoi occhi, e le parole escono da sole dalle mie labbra prima che io possa fermarle “Perché era l’unica strada per uno come me. L’unico vero futuro che vedevo davanti. Perché rendeva la mia vita completa, e gli dava un senso, un valore, un significato. Perché combattere era tutto quello che sapevo fare, e mi fa . . . mi faceva sentire vivo.”.

Bilbo annuisce, come se l’avesse sempre saputo e stesse soltanto cercando una conferma “Per me è lo stesso.” ammette, ripagando la mia sincerità “Scrivere non è solo un modo per fuggire, è il mio giubbotto di salvataggio. Senza di essa, affogo. La scrittura è l’arma di chi è spezzato dentro e nonostante tutto cerca ancora di rimettere insieme i pezzi. Le parole mi hanno sempre tenuto vivo, nonostante tutte le ferite, e così ho fatto delle parole la mia vita.”.

Qualcosa, in quelle parole, mi colpisce come una pugnalata, e non posso fare a meno che avvicinarmi un altro po’ a lui e a cercare i suoi grandi occhi blu.

“Sei spezzato dentro, Bilbo Baggins?” sussurro quasi con urgenza, e quando vedo i suoi occhi chiudersi per un momento sento qualcosa dentro di me urlare.

Ma poi, lo scrittore riapre gli occhi, e in essi vedo riflesse solo una calma rassegnazione e una forza antica, impossibile da incrinare.

“Tutti abbiamo le nostre ferite.” afferma con decisione, senza però rispondere davvero alla mia domanda “Sta a noi impedirgli di buttarci a terra e cercare di curarle nei migliori dei modi.”.

Ripenso a tutte quelle ferite mai guarite che mi porto addosso e dentro, e in questo momento mi sembra così impossibile vederle rimarginarsi che le sue parole mi appaiono solo delle vuote promesse, simili ai fantasmi dolci e dolorosi che vedo ogni volta che chiudo gli occhi.

“E quando non siamo capaci di curarle?” mormoro, distogliendo lo sguardo e stringendo con forza i pugni.

Bilbo resta in silenzio, ma poi le sue mani macchiate di inchiostro si posano sulle mie e le stringono delicatamente, come se stessero sfiorando il più prezioso dei tesori. Non posso fare altro che osservare quasi incantato le mie mani, le mani che hanno stretto tante armi e portato tanta morte ormai inutili, strette tra le sue dolci e gentili, il cuore prigioniero di una sensazione che ho provato così forte solamente nei miei sogni.

La voce di Bilbo, quando riprende a parlare, è dolce come un canto antico e mi spinge a rialzare lo sguardo per perdermi di nuovo in quei grandi occhi blu.

“Bisogna trovare qualcosa che le addolcisca, almeno un po’.” sussurra, accarezzandomi appena il dorso della mano destra col pollice, in una timida e tenera carezza “Qualcosa che ci insegni di nuovo come respirare.”

Puoi essere tu il mio qualcosa?

Puoi essere tu a salvarmi, ora che non ho la forza di salvare me stesso?

Potrei dirlo, potrei davvero dirlo.

Quelle parole sono lì, sulle mie labbra, pronte per essere pronunciate, ma alla fine restano incastrate tra un respiro e l’altro.

Ma non c’è veramente bisogno che io lo dica. Perché dentro di me so già la risposta. Forse l’ho sempre saputa, fin da quando ho guardato in questi maledetti occhi di zaffiro per la prima volta.

 

Ho sempre fatto attenzione a chi lasciavo entrare nella mia vita e soprattutto nel mio cuore, quella vecchia cosa rovinata che mi porto dietro come un peso e di cui spesso vorrei liberarmi.

Ho sempre limitato i miei sorrisi a poche persone, i pochi capaci di conquistarsi la mia fiducia e quell’affetto che ho negato per tutta la vita, se non a quella manciata di persone che mi porto dentro.

Ho sempre posto un muro di cemento tra me e il resto del mondo, per timore di un’altra pugnalata, un’altra delusione, un’altra ferita.

 

Eppure, con Bilbo sento di non averne più bisogno.

Con lui, so di potermi fidare.

Non so come o perché, ma è così.

Non ha bisogno di conquistarsi la mia stima o il mio affetto, perché già gli spettano, in modo incondizionato.

Non ho idea di come abbia fatto, ma si è infiltrato nella mia vita senza che potessi tenerlo lontano, sta buttando giù quel muro con i suoi sorrisi spontanei, i suoi ricci ramati e quei occhi che gridano al mondo sincerità.

Non ha bisogno di lottare per un mio sorriso, perché ne è diventato l’unica ragione quasi senza che me ne rendessi conto.

Non deve entrare nel mio cuore, perché sento che giorno dopo giorno, sorriso dopo sorriso, sguardo dopo sguardo, lo sta facendo, lentamente ma inesorabilmente, suo.

Non so come o in che modo, ma questa sensazione è così forte, dentro di me, e al contempo così stranamente antica, che non ho difficoltà a capire che in realtà è così.

Bilbo Baggins mi sta rubando il cuore, e io non ho alcuna intenzione di impedirglielo.

 

 

o0O0o.

 

 

Da: Thorin a: Bilbo 05:02

Davvero hai iniziato il tuo primo libro con ‘c’era una volta’?

 

Da: Bilbo a: Thorin 05:10

Non ci credo, lo stai leggendo sul serio!

 

Da: Thorin a: Bilbo 05:12

Certo. Ti avevo detto che l’avrei fatto. Ma davvero, ‘c’era una volta’?

 

Da: Bilbo a: Thorin 05:13

Oh, finiscila. È un inizio classico, ma funziona sempre.

 

Da: Thorin a: Bilbo 05:14

Per chi non ha fantasia, forse.

 

Da: Bilbo a: Thorin 05:15

Supera la prima riga, e poi ne riparliamo. Mi hai scritto solo per criticare l’incipit del mio primo romanzo scritto quando avevo appena 15 anni?

 

Da: Thorin a: Bilbo 05:17

Sono già al quinto capitolo, veramente. Quando il protagonista salva la vita a quel ragazzo dagli occhi di ghiaccio, per essere precisi. E comunque no, non ti ho scritto solo per questo. Volevo ringraziarti.

 

Da: Bilbo a: Thorin 05:18

Per cosa?

 

Da: Thorin a: Bilbo 05:20

Per oggi. Mi hai fatto stare bene come non mi succedeva da tanto tempo. Sei stato come una boccata di ossigeno dopo ore ed ore sott’acqua.

 

Da: Bilbo a: Thorin 05:22

Non devi ringraziarmi. Volevo solo farti sorridere, almeno un po’.

 

Da: Thorin a: Bilbo 05:23

Ci sei riuscito. Ci riesci sempre.

 

 

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Capitolo 12
*** Capitolo 10 – Avere te ***


Capitolo 10 – Avere te

 

 

 

Riesco a non arrendermi, se ci sei tu a difendermi.

-  Tiziano Ferro

 

 

 

“Allora, come sta andando con il tuo capitano tenebroso?”

“Per l’ultima volta, Bofur, non ho nessun capitano tenebroso.”

“Sì, e io sono un nano dalla barba chilometrica. Allora, come sta andando?”

Sospiro sconsolato, mentre cancello con forza l’ennesimo rigo del racconto che sto scrivendo. È una storia stupida e senza senso né stile, ma almeno più interessante di questa telefonata.

Avrei dovuto sapere, dopo quella prima chiamata di Thorin, che Bofur non mi avrebbe più dato pace. Non si è bevuto nessuna delle mie scuse e delle mie bugie e ha scoperto in meno di un battito di ciglia che abbiamo continuato a vederci. Non gli ho confermato né detto nulla, ma non è servito e da allora mi sta letteralmente facendo impazzire. Ogni volta che ci vediamo mi chiede di lui, quando lo lascio mi dice di salutarglielo, mi fa domande insistenti e battutine stupide. Una volta l’ho anche sorpreso a pedinarmi. Non vuole assolutamente lasciare stare, e questo atteggiamento è un filino esagerato anche per lui. Probabilmente tutto questo è causato dal fatto che abbia cercato di tenere tutta questa faccenda un segreto. Cosa che non riesce ad accettare, visto che io e lui non abbiamo mai avuto segreti. È il mio migliore amico da sempre. Mi è stato vicino quando non avevo nessun altro e conosce ogni cosa di me, come io di lui. È stato il primo a cui abbia mai parlato dei miei sogni. Eppure, questa volta è diverso.

Non so nemmeno io perché, ma . . . semplicemente, ho cercato di tenere tutto questo per me e di non dire nulla a nessuno, neanche a chi mi conosce da sempre. Non ho una ragione per tutto ciò, ma mi è venuto così spontaneo e naturale che non ho nemmeno pensato di fare diversamente. È qualcosa di privato, di personale, che deve restare assolutamente tra noi. Ed ho come la sensazione che anche Thorin stia facendo lo stesso.

Butto sconfortato la penna sul foglio e mi allungo a prendere la mia tazza di the, mentre rispondo secco “Non sta andando niente, caro il mio pettegolo, perché non sta succedendo niente. Smettila di dire cose che non stanno né in cielo né in terra.”.

“Uhm.” borbotta dall’altra parte, mentre sorseggio la mia bevanda ancora calda “Allora, te lo sei scopato?”.

Preso completamente alla sprovvista, sputo fuori tutto il the, che va puntualmente a finire sul racconto su cui stavo lavorando. “Bofur!” esclamò scandalizzato, tossendo e sentendo le mie orecchie colorarsi di rosso. Ma cosa diavolo sta dicendo, dannazione?

“Che c’è?” chiese in tono fintamente innocente, come se avesse detto la cosa più normale del mondo.

“Q-queste n-non sono assol-assolutamente cose da dire!” balbetto, troppo scosso da farmi venire in mente qualcos’altro, mentre poggio malamente la tazza sul tavolino.

“Perché no?” insiste, sembrando genuinamente confuso, per poi esclamare “Oh, non dirmi che ci ho preso!”

“C-certo che no!” grido, mentre sento il mio intero volto raggiungere la tonalità di un pomodoro maturo. Per un attimo, la mia fantasia traditrice si lascia influenzare da quelle parole, e delle immagini completamente assurde iniziano a formarsi nella mia testa, facendomi arrossire ancora di più. “E’ solo . . . del tutto inappropriato, ecco!” insisto, scacciandole con decisone e un pizzico di stizza.

“Ah-ah! Ho capito perché ogni mio tentativo di trovarti qualcuno andava a vuoto!” fa Bofur, letteralmente vittorioso “A te piace il tipico soldato rude e dal viso severo. Chi l’avrebbe mai detto? E pensare che Nan ti moriva dietro ed era la più figa dell’università! Ora capisco come sei riuscito a liquidarla senza morire dentro.”.

“A me non piace . . . oh, lasciamo perdere.” gemo, non sapendo come diavolo reagire alla piega che sta prendendo la situazione “Nan era veramente carina e mi piaceva tantissimo, ma sai fin troppo bene perché le ho detto di no.”

Sbruffa, quasi seccato “Andiamo, ancora con quella storia del ‘vorrei trovare qualcuno, ma non riesco ad innamorarmi, perché non riesco a non pensare che tutto finirà male e non voglio ferire nessuno e bla bla bla’?”.

“Sì, ancora con quella storia.” annuisco, paziente “Te l’ho già spiegato. Sono una bomba ad orologeria di cui nessuno conosce la carica né il momento dell’esplosione, e quando questo arriverà voglio il più possibile limitare i danni.”.

Lo sento trattenere per un attimo il fiato “Per l’ultima volta, Bilbo.” dice, il tono improvvisamente serio “Tu non sei una bomba, non esploderai e non farai danni. Non puoi chiudere il tuo cuore dentro una cassaforte per paura. Sei la persona migliore che conosca e vorrei tanto vederti felice ed innamorato, almeno una volta nella tua vita. Meriti un po’ di pace, dopo tutto quello che hai passato.”.

So che è sincero, lo so benissimo. Ne abbiamo parlato tantissime volte e so bene come la pensa. Ma lui sa anche che sono irremovibile, almeno su questo.

“La pace è l’assenza di turbamento, per gli epicurei.” replicò meccanicamente e appena un po’ ironico, cercando di porre fine alle questione “E posso affermare con certezza di non essere mai stato meno turbato come in questo periodo. Non proprio in questo preciso momento, magari –dovresti imparare a limitare le tue strambe ipotesi, davvero-, ma sì, posso dire che ho finalmente un po’ della tua tanto agognata pace. E poi, l’amore non porta pace, ma al contrario, è spesso causa di una sconvolgente tempesta. L’amore distrugge ogni cosa. E io vorrei evitare altre tempeste ed altra distruzione per il resto della mia vita, grazie tante.”.

Posso quasi sentirlo alzare gli occhi al cielo “Il solito intellettuale che si atteggia a macchina senza emozioni.” borbotta, esasperato “E’ inutile discutere con te. Sei diventato ancora più acido da quando hai iniziato ad uscire con quel Durin. Non credo che ti faccia davvero bene, arrivato a questo punto.”.

Trattengo a stento un sospiro frustato “Per l’ultima volta, Bofur.” faccio, imitando il suo tono di poco prima “Non sto uscendo con nessuno e di certo anche se lo facessi non si tratterebbero di uscite come le intendi tu. “

“Certo, certo.” Forse Bofur dice dell’altro, ma il suono del campanello copre la sua voce e mi affretto a dire “Scusa, devo andare, stanno suonando alla porta. Ci vediamo domani alla libreria.”.

“A domani, a meno che io non venga a farti un’improvvisata durante il pomeriggio.”  risponde lui un po’ a mo’ di minaccia, come se non credesse del tutto alle mie parole, che in effetti sanno un po’ di scusa. “Salutami il tuo capitano tenebroso.”.

“Non . . .” attacca la chiamata prima che possa replicare, e così mi limito a scuotere la testa e a buttare il telefono nella parte asciutta del tavolo, per poi alzarmi e andare all’entrata.

Apro lo porta e mi ritrovo davanti un viso gentile e degli occhi azzurri insolitamente seri.

“Fili, che sorpresa!” dico con un sorriso.

Il ragazzo ricambia, ma in modo quasi meccanico “Scusa questa visita a sorpresa. Posso entrare?” chiede.

Inclino appena la testa, confuso dal suo comportamento, così inusuale per lui, sempre allegro e luminoso come il sole. “Certo.” rispondo, facendogli segno di entrare “C’è un po’ di casino in salotto temo, ma nulla a cui tu non sia già abituato.”.

Mi aspetto la solita risata limpida, ma lui si limita ad annuire ed a seguirmi in silenzio in cucina, per poi sedersi sul divano ed osservare incuriosito il piccolo delitto avvenuto sul tavolino.

“Sì, quello è il risultato di una telefonata con Bofur.” spiego, non senza un pizzico di imbarazzo nel ripensare alla discussione di qualche momento prima “Comunque, posso offrirti qualcosa?”.

“No, grazie.” risponde, passandosi una mano tra i capelli biondi. È stranamente nervoso, e non riesco a comprendere perché. Prende un profondo respiro e poi, come se avesse raccolto tutto il suo coraggio, dichiara con fermezza “Sono qui per parlarti di mio zio Thorin.”.

Resto per un attimo senza parole, guardandolo senza sapere bene cosa fare “I-io non capisco cosa intendi.” borbotto, cercando di sembrare sincero “Non lo vedo dal pomeriggio dopo quella festa improvvisata . . .”

Mi blocca prima che possa dire altro con un cenno del capo “So che vi state vedendo tutti i giorni da più di due mesi. Lo sappiamo sia io che mio fratello, a dire il vero. Lui ha già affrontato lo zio il mese scorso, mentre io ho preferito far passare un po’ di tempo per parlare con te, in modo da vedere come si sarebbe evoluto tutto questo.” spiega, studiandomi con i suoi occhi acuti, così simili a quelli di sua madre.

“Perché?” chiedo dopo un lungo momento di silenzio “Non mi sembra che stiamo facendo nulla di illegale. Semplicemente passiamo un po’ di tempo insieme. È proibito, ora?”.

“No, certo che no.” nega, scuotendo appena la testa “Anzi. Ma arrivati a questo punto credo che tu debba sapere alcune cose. Ormai mi sembra ovvio che tu non sia per lo zio solo una semplice conoscenza con cui sta per ingannare il tempo, e dubito che per te sia diverso. Voglio che tu sappia con chi hai a che fare e capisca che non è tutto facile come sembra.”.

Mi lasciò scivolare sull’altro lato del divano “Da come ne parli, sembra quasi che debba rivelarmi un terribile segreto.” cerco di ironizzare, almeno un pochettino “Non stai per dirmi che tuo zio è un serial killer o roba simile, vero?”.

Finalmente l’angolo destro della sua bocca si solleva nell’accenno di un sorriso “Nah. Però si tratta di una faccenda seria e vorrei che tu mi ascoltassi attentamente.”.

“D’accordo, allora.” dico infine, osservandolo attentamente. Poco più di vent’anni, eppure in questo momento sembra reggere sulle sue spalle il peso del mondo.

Fili mi studia per un’ultima volta, prima di iniziare a parlare con un pizzico di esitazione “Sai già che mio zio era un capitano, ovviamente.”.

Annuisco in fretta “Sì, me l’ha detto Kili il giorno dopo la vostra festa e mi ha anche spiegato il perché del suo comportamento.” confermo, per poi aggiungere “Mi ha raccontato che è sempre stato un tipo chiuso, ma che da quando è tornato a casa lo è diventato ancora di più.”.

“Esatto.” si allontana da davanti gli occhi un ciuffo biondo più lungo degli altri “Vedi, lui ha sempre voluto combattere. Il campo di battaglia era il suo grande obbiettivo e quando è diventato maggiorenne si è arruolato nonostante la mamma non fosse d’accordo. Papà, che era capitano in Iraq, ha fatto in modo che finisse nel suo reparto e l’ha tenuto d’occhio per anni, perché sapeva bene che nessuno di noi sarebbe riuscito a convincerlo ad abbandonare quella strada. Ogni volta che tornava a casa ci raccontava di quanto fosse forte e di come si trovasse praticamente nel suo elemento, come se fosse nato per quella vita. E quando invece era lo zio a tornare a casa ci raccontava storie del fronte con gli occhi che gli brillavano e un piccolo sorriso. Era tra i migliori del suo reparto, e pa’ non dubitava che avrebbe fatto strada, e nemmeno noi. E infatti avevamo ragione. È diventato capitano sei anni fa ed è stato mandato in Afganistan.”

Un sorriso malinconico si fa strada sulle sue labbra, ma lui non sembra accorgersene e continua a raccontare, lo sguardo perso nel vuoto “Lì ha trovato una sorta di seconda famiglia. Dovevano affrontare una vita dura e piena di difficoltà, ma a lui andava bene, perché in qualche strano modo era felice laggiù, con loro. Tutto quello che voleva era combattere e proteggere quei ragazzi che erano diventati i suoi ragazzi, più vicini di fratelli, più cari di figli. Avrebbe fatto di tutto per loro. E l’ha fatto.”.

Si ferma solo per un momento, mordendosi l’interno della guancia, come alla ricerca delle parole giuste “Cinque mesi fa stavano tornando da una missione di pace. Era stata una giornata tranquilla, una delle poche, e sembrava che tutto andasse bene. Poi, però, sono stati colti alla sprovvista da un attacco a sorpresa a pochi chilometri dall’accampamento. Lo zio ha guidato la difesa e sono riusciti a tenergli testa abbastanza bene. Ma a un certo punto un cecchino nemico ha mirato ad un ragazzo della sua squadra. Un novellino, non era lì da nemmeno tre mesi. Non si era reso conto di essere in pericolo, ma lo zio vide il cecchino prendere la mira e sparare.”.

Esita, come se continuare fosse troppo difficile per lui, ma alla fine ce la fa e sussurra “Non avrebbe mai lasciato che qualcuno ferisse uno dei suoi ragazzi, ma non poteva fare nulla. Nulla tranne mettersi tra quel soldato e la pallottola mortale.”

Lo sapevo già, sapevo già il motivo per cui era stato rimandato a casa, eppure sentire Fili parlarne in questo modo, raccontarlo in maniera talmente vivida da farmelo vedere di fronte agli occhi mi fa male. Posso vederlo con in mano un fucile e la tuta mimetica addosso, mentre i suoi occhi di ghiaccio studiano in fretta il campo e vedono quel cecchino mirare al ragazzo e sparare. Riesco ad immaginare le sue pupille dilatarsi e poi il suo corpo balzare in avanti con un grido, ponendosi come uno scudo tra la morte ed una vita troppo giovane per essere portata via. Vedo il fiotto di sangue sporcargli la tuta e lui cadere in ginocchio e poi a terra tra la polvere, senza nemmeno tentare di tamponare la ferita. Lo vedo morire di fronte ai miei occhi . . .

-un’altra volta-

Lo vedo morire di fronte ai miei occhi e il mio cuore, incredibilmente, si stringe, come se non potesse sopportare una cosa simile –non di nuovo.-

Fili abbassa lo sguardo, stringendo con forza i pugni “E’ stato colpito al fianco destro ed è caduto a terra quasi immediatamente, perdendo conoscenza. I suoi compagni sono riusciti a portarlo all’accampamento in fretta e così il medico militare ha potuto salvarlo, ma poi è insorta un’infezione gravissima. L’hanno mandato a Peshawar, l’ospedale per i casi persi, e lì ha lottato tra la vita e la morte per giorni. I dottori credevano che non ce l’avrebbe fatta, e solo allora ci hanno chiamato, per dirci che non avrebbe visto un’altra alba.”

La sua voce si spezza e d’istinto mi sporgo in avanti e gli poso una mano sulla spalla, tentando di rassicurarlo. Posso capire cosa prova nel ripensare a quel momento, posso capirlo fin troppo bene, e vedere il dolore sul suo viso non fa che aumentare la stretta attorno al mio cuore.

Alla fine si calma e, dopo un respiro profondo, riprende a parlare “Ma Thorin gli ha dato filo da torcere ancora una volta. Si è risvegliato la mattina dopo. Era vivo, a dispetto di ogni nostro timore.” Un’ombra grigia scende a coprirgli lo sguardo “Ma se avesse saputo quello che avrebbe dovuto affrontare dopo, forse non avrebbe continuato a lottare. L’infezione aveva causato un aggressivo avvelenamento del sangue, che ha danneggiato tutto il suo corpo e ha letteralmente distrutto il suo sistema immunitario. Tutto, dalla sua resistenza alla sua forza, è stato alterato in maniera drastica. Non può fare sforzi e deve tenersi sempre sotto controllo, perché anche un po’ di febbre o un insignificante virus, con il sistema immunitario che adesso si ritrova, potrebbe essergli pericolosissimo, addirittura letale. Un uomo che poteva battere senza problemi mio zio Frerin in una lotta a corpo libero e che era capace di correre per chilometri senza mai sentirsi mancare il fiato, ora è indifeso come un bambino.”.

Stringe ancora di più i pugni, come se si stesse trattenendo dal fracassare qualcosa “Dopo averlo ridotto ad un rottame, l’esercito ha avuto la bella idea di buttarlo via. Anni di servizio e sacrifico, una vita spesa a combattere, e la sua ricompensa è stato un ‘Adesso sei inutile, non sappiamo cosa farcene di te’.  E’ stato rimandato a casa senza che potesse salutare un’ultima volta i suoi ragazzi, senza alcuna prospettiva davanti a sé se non una vita da quasi invalido. Ha dovuto sottoporsi a terapie, cure su cure, farmaci infiniti. Oin gli ha detto che c’è una remotissima possibilità che il suo sistema immunitario possa riprendere forza e stabilizzarsi, permettendogli con molto lavoro e un po’ di fortuna di tornare a combattere, ma è qualcosa di troppo vago per diventare reale.”.

“Non avevo idea che fosse così grave.” mormoro, quasi senza fiato “Mi aveva detto di non stare troppo bene e l’ho visto più volte tremare o avere difficoltà a camminare, ma non sapevo che . . .”.

Fili annuisce, come se capisse benissimo il mio sgomento. “Non è la sua salute la cosa che ci preoccupa di più, però.” sussurra, mordendosi il labbro inferiore “È il vuoto che quella maledetta pallottola gli ha aperto dentro. Combattere era tutto, per lui. Lo è sempre stato. Quando è tornato con la consapevolezza di non poter mai più affrontare una nuova battaglia, è come . . . morto dentro. Era freddo, apatico, insofferente. Sembrava perso, completamente smarrito.”.

Si ferma un attimo, prima di ammettere con un sospiro “Avevamo molta paura, i primi mesi. Non solo per le sue condizioni fisiche, ma anche per il modo in cui stava reagendo. Non sembrava preoccuparsi più di niente. Era come se avrebbe preferito morire su quel campo di battaglia, piuttosto che continuare a vivere in questo modo. Temevamo che non l’avrebbe sopportato a lungo.”.

Il mio cuore per un attimo si ferma, mentre la mia immaginazione dipinge in fretta il peggiore scenario possibile. “Credevate che lui . . . lui potesse . . . “ non ho la forza di continuare, ma lui capisce anche fin troppo bene, glielo posso leggere nello sguardo.

“La mamma sì.” conferma, ma con difficoltà, come se gli facesse male “Pensava che non avrebbe sopportato una vita del genere. Credeva che si sarebbe sparato alla tempia il giorno stesso in cui è tornato a casa.” La sua voce trema, solamente per un momento, ma dopo riprende, più forte e sicura di prima “Ma io e Kili sapevamo che non l’avrebbe fatto. Non solo perché è fottutamente orgoglioso, e non sarebbe mai stato capace di ammettere di non farcela a vivere tutto questo e cedere alla scelta più rapida. Ma soprattutto perché sa bene cosa significa per chi resta perdere qualcuno. Chi muore, beh, pochi attimi imprecisabili e tutto finisce, ma per chi resta quella esistenza spezzata rimane una ferita a vita, qualcosa che non guarirà mai.”.

Sì, conosco fin troppo bene quel dolore, e conosco abbastanza Thorin da sapere che non si sarebbe mai perdonato se avesse causato una sofferenza del genere a sua sorella o ai suoi nipoti.

Il ragazzo continua, dando senza saperlo conferma ai miei pensieri “Lui ne ha abbastanza, di ferite di questo tipo, per rendersi conto di quanto facciano male. Ha sofferto abbastanza per non voler causare quello stesso dolore ancora una volta alle poche persone che ama. A me, a Kili, alla mamma, allo zio Fre, a Balin e Dwalin. Abbiamo tutti perso troppo, e lui non sarebbe mai così egoista da costringerci ad un’altra perdita.”. Lo dice con un sorriso, lieve e timido, ma comunque un sorriso, come se ancora si stupisse della profondità dell’affetto innegabile di Thorin per tutti loro.

Quel sorriso si scioglie come neve al sole quando riprende a parlare “Ma quello che ha dovuto sacrificare per noi non ha prezzo. Per non perderci ha rinunciato a ciò che lo faceva felice, all’unica vita che sentiva sua. Per non farci soffrire ha rinunciato al quieto oblio della morte e del silenzio. Ha perso tutto quello che amava e aveva sempre voluto, e si porterà dietro quel vuoto fino a quando il suo cuore cederà e si rifiuterà di continuare a battere.”.

Ricordo le sue parole, quella volta che si è rifugiato a casa mia come un bambino smarrito ‘Era l’unica strada per uno come me. L’unico vero futuro che vedevo davanti. Perché rendeva la mia vita completa, e gli dava un senso, un valore, un significato. Perché combattere era tutto quello che sapevo fare, e mi fa . . . mi faceva sentire vivo.’. Avevo visto i suoi occhi spezzati, il suo coraggio distrutto, e mi aveva fatto male. Quanto è profondo il dolore che si porta dentro?

Fili abbassa lo sguardo sui suoi pugni ancora serrati e dopo un lungo momento di silenzio mormora “So che anche tu hai perso tanto, Bilbo. E per qualche strana ragione, lo zio ha scelto di fidarsi a te. e la sua fiducia non è qualcosa che dà a cuor leggero. Bisogna sudarsela, guadagnarsela, conquistarla. Eppure tu ce l’hai, e questo ti dà un enorme potere ed influenza su di lui.”.

“I-io non credo che sia così.” borbotto, completamente preso alla sprovvista da quelle parole “Sì, ci vediamo il pomeriggio e via dicendo, ma non credo di essere talmente importante per lui come dici tu.”.

Un piccolo sorriso si forma sul suo viso preoccupato “Oh sì, invece. Conosco mio zio, ed è la persona più chiusa e asociale del mondo. Non ha problemi a gridare in faccia a chiunque di togliersi dalle scatole, e ogni rapporto che per lui non è strettamente necessario alla proprio sopravvivenza zac!” mima con le dita delle formici che tagliano l’aria in due “Eccolo reciderlo senza alcuna esitazione.”.

Abbassa la mano e aggiunge, con un pizzico di tenerezza nella voce “Quindi no, per lui non sei solo il tipo con cui passa i pomeriggi perché non ha nessun altro con cui stare. Non so come o perché, ma per lui sei così importante da non riuscire a stare anche solo un giorno senza vederti. Non ha mai detto nulla a casa, ma quando torna i suoi occhi brillano come stelle, e solo per un attimo sembra il vecchio Thorin di un tempo. A volte lo vedo fissare il cellulare con un sorriso, e posso vedere dal suo viso che sei già qualcosa di troppo essenziale nella sua vita per poterti tagliare via. Perché, e te lo posso giurare su tutto quello che ho di più caro, tu riesci a farlo sorridere come non ha mai sorriso prima con nessun altro. Non ho idea del perché o del come, ma posso vederlo. Sta ancora male, troppo, ma da quando ti ha conosciuto . . . non lo so, è come se . . . avesse ripreso a respirare.”.

Le sue parole mi colgono completamente impreparato. Non so cosa dire, non so cosa pensare. Non avrei mai potuto immaginare un cosa del genere, mai, nemmeno nei miei sogni più remoti. Ci siamo avvicinati molto e molto in fretta, questo è vero, ma mai avrei creduto che . . . insomma, non sono mai stato importante per nessuno, non davvero. Eppure Thorin . . .

Ripenso alla sua telefonata e alla sua voce tesa quando mi ha chiesto di vedermi, alla sua mano stretta attorno al mio polso e al modo in cui i suoi occhi sembrano alleggerirsi ogni volta che incontrano i miei e le sue labbra si piegano in un piccolo sorriso. Risento quel ‘Tu riesci a farmi sentire i brividi nell’anima.’, rivedo quei messaggi scritti nel bel mezzo della notte ‘Mi hai fatto stare bene come non mi succedeva da tanto tempo. Sei stato come una boccata di ossigeno dopo ore ed ore sott’acqua.’ ‘Non devi ringraziarmi. Volevo solo farti sorridere, almeno un po’.’ ‘Ci sei riuscito. Ci riesci sempre.’. Lo vedo mentre, le nostre mani strette insieme, mi guarda come se fossi un qualche tipo di miracolo che non aspettava più da fin troppo tempo.

Possibile che io sia talmente importante per lui?

Possibile che Thorin . . .

Dopo un attimo di silenzio, Fili mi strappa dai miei pensieri, sussurrando con tono serio e quasi urgente “E io ti chiedo di fare ancora di più, perché so che potresti farlo, potresti farlo davvero.”. Esita come un momento, quasi sopraffatto dall’enormità della sua richiesta “Puoi aiutarlo ad uscire fuori da tutto questo schifo che sta affrontando, puoi capirlo come io e Kee non possiamo fare. Ed è questo che ti chiedo. Stargli vicino, veramente vicino. Aiutarlo a tornare il Thorin di una volta. Aiutarlo a stare bene. Prenderti cura di lui come nessuno di noi può fare.”.

Quella richiesta, quella preghiera, mi toglie completamente il fiato e mi lascia tramortito, a fissare il viso preoccupato e allo stesso tempo speranzoso di Fili, così simile a quello di suo zio da farmi quasi tremare.

Quello che mi sta chiedendo è qualcosa di troppo, veramente troppo grande per me. Io sono solo un piccolo scrittore, un esserino del tutto insignificante. Se sparissi, a nessuno importerebbe più di tanto. Non sono nulla di speciale, e non posso fare qualcosa del genere.

Posso essere al suo fianco, ascoltarlo quando vuole sfogarsi, distrarlo quando vuole distrarsi, ma cos’altro posso fare? Non so proteggere nemmeno me stesso, figuriamoci qualcun’altro. Non posso prendermi cura di qualcuno, non così, non di nuovo. Non di lui. Gli farei solo del male, ed è l’ultima cosa che voglio. Lui è già abbastanza ferito, non voglio lasciargli altre cicatrici.

Ma . . .

Delle voci lontane, che non sapevo di ricordare, mi raggiungono, chiamandomi a sé come il canto di sirene ingannatrici e crudeli, fondendosi con le mie paure e i miei dubbi, contaminando la realtà, infilandosi tra i miei ricordi.

‘Tu non stai bene. Non ora, almeno. Il tuo corpo è qui, ma la tua mente è altrove, persa nei giorni lontani che non hai mai abbandonato, e la tua anima corre verso la Montagna, spinta dal desiderio di ciò che è andato perduto e che mai hai smesso di desiderare. Non stai bene, Thorin, e non devi fingere il contrario. Non con me, almeno.’

Vedo lo sguardo spezzato di Thorin, i suoi occhi di ghiaccio sul punto di incrinarsi per sempre, e vedo il piccolo, impercettibile sollievo che gli impedisce di tremare quando sente la mia voce.

 ‘Hai fatto più di quanto siamo riusciti tutti noi messi insieme in questi lunghi giorni. Tu sei l’unico che ancora riesce a farlo ragionare ed a toccare il suo cuore, ormai. Sei una benedizione, Bilbo. La nostra unica, piccola luce in queste ora di oscurità.’

Lo sento confidarsi, ammettere ancora una volta tutte le sue debolezze, le sue fragilità, quella rabbia che si porta dentro e lo sta consumando assieme a quel vuoto incolmabile che non lo fa dormire la notte e lo spinge a chiamarmi quando tutto tace, tranne i suoi fantasmi.

‘Non ho bisogno di nessuno. Ho te.’

Lo vedo cercarmi con lo sguardo nella strada affollata, voltarsi verso di me e sorridermi come se mi stesse aspettando da sempre. Lo vedo studiarmi attentamente e chiedermi chi è ai miei occhi, e lo vedo trattenere il fiato alle mie parole e distogliere lo sguardo. Lo vedo seguirmi mentre mi allontano con quegli intensi occhi di ghiaccio che mi sembra di conoscere da sempre, e lo vedo sorridere quasi con nostalgia, come se temesse di vedermi svanire da un momento all’altro ma allo stesso tempo sapesse che troverei sempre un modo per tornare da lui

‘Tu sei mio. E non permetterò a nessuno di portarti via da me, fosse l’ultima cosa che faccio. A nessuno.’

Lo vedo come se fosse di nuovo qui, seduto su questo divano, esattamente come l’ultima volta che è stato a casa mia. È di fronte a me, lo sguardo basso e un’ombra cupa ad oscurargli il viso. Mi sporgo verso di lui per prendere le sue mani tra le mie e lo sento trattenere il fiato, mentre i suoi occhi si soffermano a osservare, quasi stregati, le nostre mani unite.

‘Tu sei mio. E ho bisogno di te.’

Quando parlo, alza lo sguardo per cercare il mio, e solo adesso, solo in questo momento, riesco a leggere quella domanda che non ero riuscito a decifrare allora, quella supplica nascosta in quei occhi che mi chiamano per nome.

Puoi essere tu a salvarmi, ora che non ho la forza di salvare me stesso?

Chiudo gli occhi, cercando di calmarmi e di allontanare alle immagini e quelle voci dalla mia testa per prendere una decisione, ma dentro di me so che ho già deciso. Ho deciso già molto tempo fa, senza nemmeno rendermene conto. E non posso più tirarmi indietro, ormai.

“Ci proverò” sussurro, riaprendo piano gli occhi “Non posso prometterti nulla, ma ci proverò. Farò tutto quello che posso per aiutarlo.”.

Fili sorride, un grande sorriso sincero e rassicurato, questa volta. “Sapevo che avresti risposto così.” dice, la voce colma di sollievo e fiducia, alzandosi e dirigendosi verso l’ingresso. Mi affretto a seguirlo, il passo un po’ malfermo, e gli spalanco la porta.

Prima di uscire, però, il ragazzo dai capelli dorati si volta verso di me e mi scruta con quegli occhi così spaventosamente simili a quelli di Dis “Ci riuscirai. Ne sono sicuro. E sai perché?” chiede, come se fosse sul punto di rivelarmi il più grande dei segreti.

Scuoto appena la testa e il sorriso di Fili si fa ancora più grande. “Perché, quando la dottoressa mi ha chiamato per dirmi che si era risvegliato, mi ha anche detto che, mentre lottava tra la vita e la morte, ha continuato a sussurrare un nome, aggrappandosi ad esso come se fosse l’unica cosa che potesse aiutarlo a resistere.” Fa un piccola pausa, prima di aggiungere con un sussurro “Il tuo nome.”.

Resto completamente senza fiato, senza riuscire a credere alle sue parole. Questo . . . questo non può essere. Non può.

“Com’è possibile?” mormoro, la voce tremante dallo stupore e da qualcosa che non riesco a cogliere, non davvero.

Il ragazzo si stringe nelle spalle “Non lo so. Non aveva idea di chi fossi, non aveva nemmeno mai letto uno dei tuoi libri. Eppure, quando è venuto con me e Kili alla casa editrice, ti ha notato in corridoio e subito, con l’aria di chi aveva appena visto un fantasma, mi ha chiesto il tuo nome.”.

Mi porto quasi senza rendermene conto la mano al petto, mentre ricordo l’ultima volta che sono andato a parlare con Balin. Mi ero sentito come trafitto da uno sguardo freddo ma familiare e, girandomi, avevo creduto di vedere un volto che tormentava ormai i miei sogni da settimane e degli occhi che ormai avevo impresso a fuoco nella memoria. Credevo di aver visto Thorin, quel Thorin che continuavo a sognare da mesi.

Pensavo di essermelo solo immaginato, ma lui era lì. Era lì davvero. Mi ha visto, e io l’ho sentito. Ho sentito che era lui. È scivolato via prima che potessi davvero rendermene conto. Ha chiesto il mio nome a Fili. E forse è proprio per questo che si è presentato alla festa, quella sera. Per vedermi un’altra volta. Per provare a conoscermi.

Fili riprende a parlare, un tono dolce che non gli avevo mai sentito usare, prima di quel momento “In qualche modo, sapeva di te ancora prima di incontrarti. E tu gli hai salvato al vita prima ancora di conoscerlo.”.

Allora, per l’ennesima volta, risento quella promessa avvolta dalle ombre e dal dolore che mette ogni notte fine ai miei incubi.

 

‘Tornerò da te, amore mio. Te lo prometto.’

‘Sai che non puoi fare una promessa simile, Thorin.’

‘Posso, invece. Tornerò, Bilbo. Dovessi metterci mille secoli, tornerò da te.’

 

E, per un folle, straordinario momento, ho come la sensazione che in qualche strano modo, senza nemmeno saperlo, lui abbia mantenuto quella promessa.

 

 

o0O0o.

 

Da: Bilbo a: Thorin 12:08

Thorin?

 

Da: Thorin  a: Bilbo 12:09

Bilbo, tutto a posto?

 

Da: Bilbo a: Thorin 12:11

Sì, volevo solo sentirti. Cosa stai facendo?

 

Da: Thorin  a: Bilbo 12:12

Ho accompagnato Kili a fare alcune commissioni. A dire il vero mi ha costretto, ma è un dettaglio poco rilevante. Sicuro che sia tutto ok? Sembri strano.

 

Da: Bilbo a: Thorin 12:14

Ah, ho capito. Sì, te l’ho detto . . . sentiamo, come faresti a dedurre una cosa del genere da appena due messaggi?

 

Da: Thorin  a: Bilbo 12:15

Ti conosco. Allora, cosa è successo?

 

Da: Bilbo a: Thorin 12:16

Non è successo nulla. Avevo solo voglia di sentirti, tutto qui.

 

Da: Thorin  a: Bilbo 12:17

Non me la dai a bere. Sei a casa? Vuoi che venga lì?

 

Da: Bilbo a: Thorin 12:18

Parli sul serio? Thorin, dannato uomo testardo, va tutto bene! Stai tranquillo, non devi preoccuparti per me.

 

Da: Thorin  a: Bilbo 12:20

Sì, invece. Sei l’unico per cui riesco a preoccuparmi, in questo periodo.

[messaggio non inviato]

 

Da: Thorin a: Bilbo 12:21

Tu ti preoccupi per me, perché non dovrei farlo io?

 

Da: Bilbo a: Thorin 12:22

Perché non ne hai motivo. Comunque, ci vediamo da Beorn pomeriggio?

 

Da: Thorin a: Bilbo 12:23

Nei sei sicuro? D’accordo . . . solita ora?

 

Da: Bilbo a: Thorin 12:24

Per l’ennesima volta, sì. Solita ora, e ti faccio vedere quella libreria dove vendono alcuni Dickens di prima edizione.

 

Da: Thorin a: Bilbo 12:25

Va bene. Allora a più tardi.

 

Da: Bilbo a: Thorin 12:27

A più tardi. Ah, Thorin . . .

 

Da: Thorin a: Bilbo 12:28

Cosa?

 

Da: Bilbo a: Thorin 12:32

Perché hai chiamato il mio nome mentre lottavi tra la vita e la morte?

[messaggio non inviato]

 

Da: Bilbo a: Thorin 12:33

Perché hai scelto di fidarti di me?

[messaggio non inviato]

 

Da: Bilbo a: Thorin 12:34

Perché sono così importante per te?

[messaggio non inviato]

 

Da: Bilbo a: Thorin 12:35

Sono felice che tu sia qui. Davvero. So che tu saresti ben più contento di essere ancora sul campo di battaglia, ma . . . sono felice di averti incontrato. Chiamami egoista, se vuoi, ma è così.

 

 

o0O0o.

 

 

“Zio, ci sei?”

Sospiro e alzo lo sguardo quasi forzatamente per incontrare il viso divertito e strafottente di Kili, che ha appena parcheggiato sotto casa.

“Sì che ci sono.” rispondo, facendomi scivolare il cellulare in tasca ma senza smettere di pensare a ciò che Bilbo mi ha appena scritto e che mi ha fatto fissare lo schermo senza fiato per cinque minuti buoni.

Non mi avrebbe mai scritto una cosa del genere così all’improvviso, senza una ragione. Pesa bene le parole, sa come usarle e soprattutto è ben attento a quando e come dire qualcosa. E scrivere una cosa del genere così non è affatto da lui.

È successo qualcosa, ne sono certo, anche se lo conosco abbastanza da sapere che non lo ammetterà mai.

È sempre disposto ad ascoltare ed è sempre presente per chi ha bisogno di una mano o anche solo di una parola gentile. Ma quando è lui ad aver bisogno di qualcosa, a non stare bene o anche a doversi sfogare non permette a nessuno di avvicinarlo, non davvero. Preferisce restare da solo, chiuso al sicuro nella sua solitudine, dove non può fare del male a nessuno e niente può toccarlo.

È disposto a buttarsi tra le fiamme per salvare qualcun’altro, ma se fosse lui a bruciare non farebbe nulla per non diventare cenere.

Un po’ come me.

Forse è per questo che riesce a capirmi così bene e riesce a toccarmi lì dove nessuno è mai arrivato prima.

Quando sono accanto a lui, il dolore e la nostalgia si attenuano fino a non fare più male. Vicino a lui, dimentico il campo di battaglia, e non vedo altro che i suoi occhi.

Quello che fa per me ogni singolo giorno, quasi senza rendersene conto, senza farci nemmeno caso, è incredibile.

Probabilmente se sto lentamente ma inesorabilmente accettando questa vita lo devo a lui e a lui soltanto.

È sempre accanto a me quando ho bisogno, ad aiutarmi a respirare quando non riesco più a farlo, ad impedirmi di arrendermi.

Ma non mi permette di ricambiarlo in nessuna maniera. Lui c’è per me, ma non mi permette mai di essere lì per lui, non quando è davvero importante.

Un paio di settimane fa, quando sono stato a casa sua, sono riuscito appena ad intravedere un’ombra nel suo sguardo, il segno di una ferita aperta nella sua vita, ma non mi ha permesso di avvicinarmi ulteriormente, e temo che non lo farà mai.

E questo, lo ammetto, mi fa male, e non poco.

Kili toglie la chiave della macchina e spalanca lo sportello, balzando fuori come un gatto randagio.

Da quando ha lasciato l’università Dis , suo fratello, Dwalin e Balin cercano di tenerlo sempre occupato, in modo che non abbia il tempo di infilarsi in troppi guai. Un tentativo un po’, ma in parte funziona. Credo di averlo visto prendere la moto quattro volte a settimana, nell’ultimo mese, e da quando sono tornato mi ha parlato solo di cinque ragazze. Un record, per lui.

Stamattina, Fili gli ha dato una serie di commissioni da fare per la casa editrice al posto suo. Di solito, quando gli rifilano questo genere di incarichi lui borbotta e si lamenta fino a quando tutti noi non raggiungiamo il sottile confine tra l’esasperazione e l’esaurimento nervoso, ma questa volta non ha fatto la benché minima obbiezione e mi ha praticamente trascinato con lui, e non sono riuscito ad oppormi. Siamo stati fuori per tutta la mattinata, e non ha fatto altro che ridacchiare, scherzare e parlare a ruota libera quando faceva quando era piccolo, prima che suo padre morisse. È stato abbastanza piacevole, anche se non ho alcuna intenzione di ammetterlo.

“Era Bilbo?” chiede mentre a mia volta scivolo fuori dalla macchina. Ha promesso di non dire di lui a nessuno, ma questo non gli ha impedito di sollevare in continuazione la questione ogni singola volta che ci ritroviamo da soli. Cerca di strapparmi anche solo una mezza parola su di lui, ma da quella conversazione di settimane fa non è riuscito ad ottenere più nulla da me, nonostante la sua insistenza.

Mi limito a stringermi nelle spalle e a salire la breve scalinata che porta al condominio, mentre lui mi saltella letteralmente dietro.

“Dai zio, calcolami! Era Bilbo, vero? Solo lui può farti fissare il cellulare in quel modo, come se ti avesse appena fatto la più meravigliosa dichiarazione d’amore del mondo. Cosa ti ha scritto?”.

“Non era lui.” mento, dandogli le spalle e controllando la posta, oggi particolarmente numerosa. Tre bollette, la quinta cartolina nell’arco di una settimana da parte di Frerin, la pubblicità di un nuovo cinema.

“Sì che era lui, a meno che tu non abbia qualche amante segreta da qualche parte.” insiste, raggiungendomi e mettendosi al mio fianco.

Il nuovo numero della rivista di Kili, che gli passo nella vana speranza di riuscire così a distrarlo e zittirlo.

L’afferra ma non sbircia nemmeno la copertina, continuando a studiare il mio viso alla ricerca di anche il più piccolo indizio che tradisca la realtà “Cosa ti ha scritto di così stupefacente da farti sorridere in quel modo? Ti ha invitato a casa sua questa sera? Sarebbe anche ora, ormai sono secoli che vi frequentate!”.

Una lettera per Dis, il volantino del cinese dietro l’angolo, le offerte del supermercato più vicino.

“Non era Bilbo.” ripeto ancora, continuando ad armeggiare con la posta “E per l’ennesima volta, non ci stiamo frequentando. Passiamo un po’ di tempo insieme, tutto qua.”.

C’è un’altra busta sul fondo della cassetta, piccola e sporca di caffé, e solo quando mi sono giù allungato per prenderla mi rendo conto che c’è scritto il mio nome.

“Sì, passate del tempo insieme tutti i giorni, quando non vi vedete mi messaggiate e vi telefonate anche nel cuore della notte, e non dire il contrario perché l’ultima volta ti ho sentito.” obbietta, incrociando la braccia come se il mio continuo negare fosse un’offesa alla sua intelligenza “Questo i comuni mortali lo chiamano frequentarsi.”.

Sto per ribattere, quando stringo l’ultima busta tra le mani e leggo il mittente.

Dain Ironfoot.

Per il breve, interminabile momento, il mondo smette di esistere.

 

 

o0O0o.

 

 

Sto cercando da quasi un’ora un paio di jeans che sembrano essersi letteralmente volatilizzati quando il campanello suona di nuovo, facendomi saltare gli ultimi nervi non ancora esauriti.

“Giuro che se è Bofur . . .” borbotto seccato, chiudendo l’armadio con foga.

Non mi prendo nemmeno la briga di mettermi addosso i pantaloni che indossavo prima e mi avvio verso l’ingresso solo col lungo maglioncino azzurro smunto che mi arriva quasi alle ginocchia, i boxer che nemmeno si vedono e un paio di calzini consumati. Chiunque si presenti a casa mia subito prima o dopo pranzo non può aspettarsi un benvenuto, lo sanno tutti.

“Arrivo, arrivo!” sbotto quando sento il campanello suonare ancora una volta, e quando arrivo alla porta la spalanco senza nemmeno guardare dallo spioncino.

Apro la bocca, pronto a riempire Bofur di insulti, ma l’uomo alto e dallo sguardo cupo che mi ritrovo davanti non è Bofur.

È Thorin.

“Th-Thorin . . .” balbetto, arrossendo e rendendomi improvvisamente conto delle condizioni in cui sono messo. Con una mano cerco di allungare il maglioncino in modo di coprirmi meglio che posso “I-io non ti aspettavo. Credevo dovessimo vederci tra qualche ora . . .”.

Lui sembra quasi non sentire le mie parole e il suo sguardo, terribilmente teso e scuro, è fisso su di me, come se non vedesse nient’altro, come se non volesse vedere nient’altro.

Restiamo immobili l’uno di fronte all’altro per un lunghissimo momento, e quando alla fine parla la sua voce è roca, bassa ed esitante “Scusami, io . . . io dovevo . . .”.

Non riesce a dire altro, perché la sua voce si attenua e il lieve vento che soffia tra i suoi capelli corvini si porta via quelle parole spezzate, ma io capisco lo stesso. Mi basta guardare in quei grandi occhi di ghiaccio sul punto di incrinarsi per capire che è successo qualcosa, e all’improvviso, senza nemmeno pensare, so cosa devo fare.

Lentamente, mi allungo verso di lui e gli prendo con delicatezza la mano destra nella mia. I suoi occhi azzurri scattano verso le nostre mani intrecciate, e per un attimo sembrano rasserenarsi almeno un pochino, come se quel semplice contatto potesse in qualche modo placare la tempesta che infuria dentro di lui.

“Vieni.” gli dico in un sussurro, tirandolo leggermente verso di me, e lo guido dentro, mano nella mano come due bambini. Mi segue docile, senza protestare, e sento ricambiare piano quella stretta delicata.

Lo porto in salotto e lo faccio sedere sul divano, senza rendermi conto che è proprio nello stesso identico posto dell’ultima volta. Resto in piedi, continuando a tenerlo per meno, e quando finalmente alza di nuovo lo sguardo alla ricerca del mio borbotto “Dammi un attimo per rendermi presentabile, e poi mi spieghi ogni cosa. Ok?”. Ha bisogno di qualcuno in questo momento, me ne rendo conto, ma non mi sembra giusto sostenere una conversazione talmente seria vestito così.

Faccio per sciogliere quella stretta e scivolare il più velocemente possibile nella mia stanza, ma Thorin non me lo permettere. La sua mano si stringe come acciaio attorno la mia, impedendomi di allontanarmi di lui anche solo di un passo.

“No.” ribatte, nella voce così tanta decisione e allo stesso tempo fragilità da farmi tremare dentro “Resta.”.

I suoi occhi, così dannatamente pieni di troppo, brillano come il ghiaccio più freddo e fragile, e ho talmente paura che siano sul punto di spezzarsi per sempre che resto immobile per non so nemmeno quanto tempo.

“D’accordo.” cedo alla fine, incapace di fare altro “Resto.”.

L’ombra di un lieve sollievo passa sul suo viso, ma è solo un secondo, e poi è lui a tirarmi verso il divano, e finisco a sedergli accanto, più vicino che mai, le nostre mani ancora unite tra di noi.

Lo osservo, alla ricerca di qualcosa che mi faccia capire come comportarmi, adesso, ma il suo sguardo è di nuovo fisso sulle nostre mani e non riesco più a leggerlo. Così, un po’ esitante, mi limito a chiedere “Cosa è successo?”.

Thorin rimane in silenzio così a lungo che temo non voglia affatto parlare, ma solo avere un po’ di contatto umano e di vicinanza. Quando inizia a parlare, quindi, vengo quasi preso alla sprovvista dalla sua voce bassa, ma straordinariamente controllata, come se avermi vicino gli avesse dato un po’ di stabilità.

“Questa mattina mi è arrivata una lettera.” spiega, senza mai distogliere lo sguardo dalle nostre mani “Una lettera dal fronte.”.

Ah. Capisco tutto, allora. Il suo sguardo perso, il suo viso cupo, la sua voce tesa.

Non so cosa dire e così resto in silenzio, ad aspettare che continui, e lo fa, lentamente e con fatica, ma lo fa.

“Era da parte del mio secondo, Dain.” spiega, e c’è un accenno di affetto nella sua voce, subito soffocato, ma non abbastanza velocemente da permettermi di coglierlo.

Dain, sì, me ne aveva già accennato. Il suo secondo dai capelli rossi che riempiva il campo di risate e battute sconce. Mi ci era voluto poco per capire che non era solo un compagno, ma il suo migliore amico. Come deve sentirsi al pensiero di averlo lasciato laggiù ad affrontare l’inferno da solo?

“È arrivato un nuovo capitano nel reparto, e solo con il suo arrivo hanno saputo che sono stato mandato a casa in maniera permanente. Credevano che sarei tornato appena le mie condizioni sarebbero migliorate. Non pensavano che mi avessero mandato via per sempre. Non glielo aveva detto nessuno.” stringe i denti, quasi a voler trattenere un ringhio “I ragazzi sono sotto shock, o almeno così ha scritto. Watson crede che sia colpa sua, che se avesse fatto qualcosa di diverso sarebbe riuscito ad evitare l’infezione. Il novellino, Jackson, si da’ la colpa e si è messo in testa di rinunciare a tutto e di tornare a casa. E Dain, quel maledetto testardo, si è convinto che se fosse riuscito a riportarmi indietro in tempo o a mettersi tra me e la pallottola niente di tutto questo sarebbe successo.”.

Si blocca, rendendosi conto che in teoria io non dovrei sapere nulla di tutto questo. Dell’attacco, del suo gesto coraggioso e quasi mortale, del prezzo che ha dovuto pagare.

Fa per spiegarmi, ma non voglio che a causa mia debba rivivere quei terribili momenti ancora una volta, quando di certo tormentano tutte le sue notti.

“So cosa è successo.” lo fermo, prima che possa dire qualcosa “Mi è stato spiegato.”.

Non faccio il nome né di Kili né di Fili. Quello che ha passato è qualcosa di profondamente personale, e non voglio che si arrabbi con loro per averlo condiviso con me.

Sospira, come se se lo aspettasse. “Avrei dovuto immaginarlo.” Non mi chiede chi è stato a parlarmene, probabilmente perché in questo momento è troppo distrutto anche solo per arrabbiarsi.

Si porta una mano al volto con la stanchezza di chi ha visto troppo orrore e non ha mai dimenticato nulla “Da quando l’ho letta, non sono riuscito a pensare ad altro che a loro, da soli laggiù, che si danno la colpa di qualcosa che è dipeso solo da me e da una stupida pallottola.”.

 Chiude gli occhi, come se non riuscisse più a reggere la luce del sole “Scusami, non sarei dovuto venire qui e buttarti addosso tutto questo, ma è stata la prima cosa che mi è venuta in mente.”.

Scuoto la testa con decisione “Non devi scusarti di nulla.” ribatto, deciso “Sono stati io a dirti che potevi venire da me ogni volta che ne sentivi la necessità, no?”.

Thorin resta in silenzio e lo vedo stringere con forza la mascella “Sarei dovuto morire quel giorno.” sussurra, così flebile che per un attimo credo di essermelo immaginato “Sarei dovuto morire. Sarebbe stato molto meglio. Ora i miei ragazzi stanno cadendo a pezzi, ed è tutta colpa mia.”

Quelle parole mi colpiscono come pugni nello stomaco, lasciandomi per un attimo senza fiato.

“Ah no, questo non ti permetto di dirlo.” sbotto con decisone e un pizzico di stizza, allungandomi verso di lui e togliendogli quella mano dalla fronte  in modo da poterlo guardare in faccia “Ora ascoltami, dannato melodrammatico. Niente di tutto questo è colpa tua. Niente, hai capito? Se proprio vogliamo cercare un colpevole, è quel maledetto cecchino. Lui e basta. Tu non hai alcuna colpa.”.

Le sue palpebre, sottili come pallide farfalle, tremano prima di sollevarsi e scoprire quegli intensi occhi azzurri che hanno rischiato di spegnersi per sempre, e vederli mi spinge a continuare con ancora più foga.

“Non voglio più sentirti dire una cosa del genere. ‘Sarei dovuto morire’? Pensa a cosa sarebbe successo, se fossi morto davvero. I tuoi ragazzi si sarebbero sentiti mille volte più in colpa. Il novellino si sarebbe sicuramente rifiutato di combattere ancora e chissà, forse una volta tornato a casa si sarebbe ucciso, pensando che non era giusto che tu fossi morto al posto tuo. Dain avrebbe visto morire non solo il suo capitano, ma il suo migliore amico, tra le sue braccia. E la tua famiglia? Avete perso già così tanto. Come pensi che sarebbero stati Dwalin e Balin a vederti tornare in una bara? E i ragazzi non hanno più un padre, come pensi che avrebbero sopportato doverti dire addio?”

Il mio tono è troppo duro, le miei parole fin troppo forti, me ne rendo conto. Ma non mi fermo, anzi, continuo ad andare avanti imperterrito. Capisco il suo dolore e il suo senso di colpa, ma deve capire quanto profondamente sbagliato sia quello che ha appena detto. Quanto, se ciò fosse avvenuto davvero, avrebbe ferito tutti coloro che ama.

“E a Dis non ci pensi?” insisto, nonostante veda i suoi occhi tremare impercettibilmente “Ha già perso un nonno, un padre e una madre. Ha perso il marito. Se avesse perso anche te, non si sarebbe più ripresa. Si sarebbe data la colpa per tutta la vita, per non essere riuscita a farti cambiare idea quando hai deciso di arruolarti, per non essere riuscita a proteggerti.”

Faccio una piccola pausa per riprendere fiato e poi sussurro, la voce appena esitante, come sul punto di spezzarsi “Come osi anche solo pensare che sarebbe stata meglio, senza di te? Che tutti loro starebbero meglio, se tu fossi morto? Come?”.

Per un breve, terribile attimo, un’immagine fatta d’ombra mi offusca la vista.

Vedo un corpo disteso sulla fredda pietra, vestito come un grande re del passato, una spada stretta tra le mani ormai fredde e gli occhi chiusi per sempre. Vedo attorno a lui una vera e propria folla di persone, il cui silenzio è interrotto solo da dei singhiozzi. Tutti hanno gli occhi lucidi, le labbra gli tremano come se volessero parlare ma avessero perso tutte le parole. Vedo una donna dai lunghi capelli biondi chinarmi su di lui e sfiorargli la fronte con le labbra, mormorando qualcosa contro la sua pelle e lasciando che un’unica, solitaria lacrima le righi il viso. Vedo le mie dita stringersi attorno alle mani del defunto e lasciar scivolare tra di esse una piccola ghianda.

‘Ti aspetterò per sempre, mio re.’

Mi costringo a fuggire via da quell’immagine, mentre sento il mio cuore stringersi dolorosamente, come se quei fantasmi, quelle parole avessero aperto di nuovo una ferita mai del tutto rimarginata.

Mi costringo a ritornare al presente, e quando ci riesco mi ritrovo davanti il viso di Thorin, pallido ma vivo, vivo, vivo, i suoi occhi di ghiaccio fissi nei miei come alla ricerca di qualcosa.

Mi rendo conto di star ansimando e, con difficoltà, distolgo lo sguardo dal suo per tentare di calmarmi. Solo in quel momento lo sento sospirare e la sua mano si stringe ancora di più alla mia.

“Scusami.” mormora, la voce bassissima ma improvvisamente consapevole, e allora so che le mie parole l’hanno colpito proprio come speravo, gli hanno aperto gli occhi e fatto vedere quello che il rimpianto gli celava con meticolosa crudeltà.

Scuoto appena la testa “Non devi chiedere scusa a me.” ribatto, ma con un pizzico di dolcezza che non riesco a nascondere “Devi chiedere scusa a te stesso. E devi perdonarti.”.

Thorin resta in silenzio per un po’, e poi stringe con forza la mano libera “Non ci riesco.” ammette, quasi con difficoltà “Non riesco a perdonarmi per aver fatto del male a chi mi è vicino. E non riesco a perdonarmi per non sapere cosa fare ora.”.

A quel punto non riesco più a trattenermi e i miei occhi scattano alla ricerca dei suoi, e subito li trovano lì, ad aspettarmi.

“Cosa devo fare?” mi chiede, come se io fossi l’unico a potergli dare una risposta, l’unico a potergli indicare la strada da percorrere, il modo di uscire da questa oscurità.

Dopo qualche momento di esitazione, sussurro una risposta senza nemmeno rendermene conto.

“Devi combattere.”.

Probabilmente non era quello che si aspettava di sentire, perché le sue pupille si dilatano dalla sorpresa, ma io costringo a continuare, quasi testardamente. “Ti ricordi cosa ti ho detto la seconda volta che ci siamo visti?”.

Sì, se lo ricorda fin troppo bene, posso capirlo dal suo viso.

“Un soldato resta sempre un soldato, anche senza pistola e tuta mimetica. E, anche lontano dal campo di battaglia,  un capitano resta sempre un capitano.” mormora piano dopo qualche momento, come se stesse cercando di ricordare con la massima accuratezza le parole esatte.

Annuisco “Tu sei ancora un soldato, Thorin. Non importa se sei lontano dal vero fronte. Sei un soldato e lo sarai sempre.” mi allungo verso di lui e, sotto il suo sguardo sorpreso ed attento, sfioro delicatamente con la mano libera le piastrine che porta al collo, come se quel semplice gesto potesse fargli ricordare chi è davvero e chi sarà sempre “La tua battaglia è qui, ora. I tuoi avversari sono una vita normale, la quotidianità, la fragilità fisica e i rimpianti. Il tuo unico, vero nemico è te stesso. Devi continuare a combattere, devi farti forza ed andare avanti, imparare a mettere insieme i tuoi pezzi spezzati e vivere un vita piena e soprattutto tua. Questa è la tua battaglia ora. E devi combatterla fino in fondo.”.

Siamo talmente vicini che posso sentire il suo cuore battere all’impazzata, ma cerco di ignorarlo e di concentrarmi solo sul suo volto, talmente colmo di troppo da essere illeggibile. Cerco di cogliere anche solo un frammento dei suoi pensieri, ma non ci riesco, e tutto quello che posso fare è restare in bilico, ad attendere una sua qualsiasi mossa.

“Come?” chiede dopo qualche momento, gli occhi che lentamente iniziano ad ardere come due piccoli fuochi perfetti, e mi rendo conto che qualsiasi cosa dirò in questo momento lui la farà, la farà sul serio.

Thorin ha deciso di non arrendersi. Ha deciso di ritornare a lottare. Ha deciso di essere ancora un guerriero. Un soldato a cui non importa se cadrà, nel tentare di combattere la sua battaglia, e continuerà a lottare fino alla fine.

Mi prendo qualche momento per parlare, ma quando lo faccio la mia voce è ferma. “Cercando di stare sempre meglio.” affermo con decisione, iniziando ad elencare tutto quello che credo possa fargli bene “Ascoltando i medici e seguendo le loro indicazioni. Curandoti e prendendoti cura di te in tutto e per tutto. Tentando di accettare questa vita e di trovarne tutto il bello che puoi. Permettendo alla tua famiglia di starti vicino e di aiutarti quando hai bisogno. Andando da uno psicologo, magari, che possa aiutarti a fare ordine nella tua testa e a cacciare via tutti quei pensieri che non ti fanno bene. Trovando sempre nuovi modi di tenerti occupato e di stare bene. Imparando ad essere un soldato nella tua quotidianità. Cercando di accettare quello che è successo e quello che questa nuova vita potrebbe portarti.”.

Sembra soppesare con attenzione le mie parole, come alla ricerca di qualcosa che solo lui conosce, ma poi annuisce, convinto, e vedo la pesante ombra che gli oscura lo sguardo sollevarsi pian piano, ma non svanire ancora del tutto.

Allora, con un piccolo sorriso, mi avvicino un altro po’, tanto che devo portarmi le nostre mani in grembo per farlo. “Ma prima di ogni cosa scrivi ai tuoi uomini. Scrivigli esattamente quello che vorresti dirgli. Sono i tuoi uomini, gli unici che possano davvero capirti fino in fondo, e hanno bisogno di te come tu hai bisogno di loro. Starai molto meglio, dopo, e loro avranno la forza finalmente di accettare tutto questo.” sussurro, e vedo il suo volto riempirsi di stupore, e man mano che vado avanti l’ombra sui suoi occhi attenuarsi sempre di più “Digli che non hanno colpa di niente, e che quello che hai fatto è stata una scelta tua e tua soltanto, e che la rifaresti ancora ed ancora. Digli che ti mancano, che vorresti essere con loro su quel maledetto campo ogni singolo momento. Digli di stare attenti e di prendersi cura gli uni degli altri soprattutto ora che non puoi più badare a loro. Dì al novellino che niente di tutto questo è colpa sua e che sai che lui avrebbe fatto lo stesso. Digli di non rinunciare alla sua felicità e, se proprio vuole ripagarti, di essere prudente e di tenere al sicuro la propria vita, la cosa più importante che ha. Dì a Watson che lo ringrazi per averti tenuto in vita e che gli auguri il meglio. Dì a Dain di smetterla di farsi simili paranoie, di ubbidire al nuovo capitano come se fossi tu, di prendersi cura dei vostri ragazzi e di non smettere mai di portare un po’ di leggerezza in quell’inferno.”

Mi fermo un momento, ma notando il modo in cui i suoi occhi mi fissano concludo piano “Digli che, anche se è dura, lotterai per loro, per renderli fieri ancora una volta del loro capitano.”.

Thorin chiude per un momento gli occhi ed espira piano, come se le mie parole l’avessero privato di un enorme perso. Quando li riapre, l’oscurità è scomparsa, e il suo sguardo è limpido come mai prima d’ora.

“Come fai a sapere sempre cosa ho bisogno di sentire?” chiede in un sussurro, e nella sua voce riesco a cogliere una dolcezza che mai avrei creduto potesse avere.

D’istinto abbasso lo sguardo, sentendomi improvvisamente intimorito, e non riesco a fare altro che stringermi nelle spalle.

Posso sentire i suoi occhi bruciarmi la pelle come fuoco ardente, ma lui si limita a continuare a guardarmi per un bel po’, senza fare alcun movimento, fino a quando non mormora a bassa voce  “L’ultima volta che sono stato qui ti ho chiesto se eri spezzato, e tu non mi hai dato una vera risposta. Perché?”.

Trattengo il fiato per un momento. Credevo di essere riuscito a sfuggire alla sua domanda, quella volta, ma a quanto pare non ha dimenticato. Avrei dovuto sapere che non l’avrebbe mai fatto, dopotutto.

Mi ritrovo ad esitare, prima di rispondere lentamente, quasi incerto “Perché non lo so davvero nemmeno io. So solo che c’è qualcosa di rotto in me, che nessuno può aggiustare, e che so riconoscere gli altri come me.”

Alzo appena lo sguardo per sfiorare i suoi occhi un momento. “E tu lo sei.” lascio che il mio sguardo scivoli via, mentre aggiungo “Ma ho imparato ad andare avanti nonostante le cicatrici a vita che mi porto dentro, e ci riuscirai anche tu.”.

“Chi ti ha inferto quelle cicatrici?” chiede subito lui, ignorando tutto il resto, il tono talmente serio da cogliermi impreparato “I tuoi genitori?”.

Oh, si ricorda anche quello. Probabilmente si è già creato una teoria tutta sua sulla loro morte e il trauma che devono avermi causato. Non riesco a non trattenere un piccolo sbruffo divertito “In un certo senso. Ma non nel modo che pensi tu.”.

“Spiegami, allora.” replica quasi all’istante, come se stesse aspettando solo questo.

Scuoto la testa, deciso “Non credo sia il caso.”. Non parlo di loro più da anni ormai. Cerco addirittura di pensarci il meno possibile. No, non dirò nemmeno una parola su di loro.

Sento Thorin sospirare, e poi la sua mano si sposta sotto il mio mento e lo solleva delicatamente ma con fermezza, in modo che possa guardarmi negli occhi. Mi immobilizzo, preso completamente alla sprovvista, senza riuscire a fare assolutamente nulla, mentre il cuore prende a battermi forte.

“Bilbo.” mi chiama piano, i suoi occhi che incatenano i miei e non li lasciano andare “Non sono solo io a potermi affidare a te. Anche tu puoi farlo. Anzi, devi farlo.”.

Restiamo così, lui con una mano sotto il mio mento e io a pochi centimetri dal suo viso, i nostri occhi incatenati insieme come se non volessero più separarsi. Mi rendo conto di star tremando impercettibilmente ma allo stesso tempo di non riuscire a muovermi. Vorrei allontanarmi e fuggire via, lontano, in modo che quegli occhi non possano più trafiggermi così, come se potessero raggiungere la mia anima e toccarmi il cuore senza alcuna difficoltà. Eppure, dall’altro lato, vorrei solo restare così per sempre, al sicuro in questo momento così assurdo da non poter essere reale.

Sento i suoi polpastrelli accarezzarmi piano la pelle in lente, timide e brevi carezze, e a quel punto tutta la mia resistenza crolla.

Chiudo gli occhi con un sospiro, un gesto che lui prende come una resa. Lentamente e con delicatezza mi lascia andare il viso, ma si avvicina ancora di più a me e, in un gesto imperioso, si porta le nostre mani intrecciare sulle sue cosce. Resta così, in silenziosa attesa, dandomi tutto il tempo che mi serve per raccogliere il mio coraggio e la mia forza.

Potrei ancora tirarmi indietro. Potrei alzarmi, strappare la mia mano dalla sua, dirgli di andarsene, che questi non sono affari fuori, e proteggere così quei fragili frammenti che mi sono rimasti del mio cuore spezzato. Potrei farlo, davvero. Ma qualcosa me lo impedisce e, in qualche strano, malsano modo, mi sussurra che sto facendo la cosa giusta, che lasciarsi andare con qualcuno dopo tanti anni non mi ucciderà, che tanto nessuno può ferirmi più di quanto io lo sia già.

Così, lottando letteralmente contro me stesso, mi costringo a riaprire gli occhi, che scivolano subito sulle nostre mani unite. Poi, la voce incredibilmente fredda di chi cerca disperatamente di non farsi travolgere da quello che sta per dire, inizio a raccontare qualcosa che avevo promesso a me stesso di dimenticare.

“I miei genitori si conobbero grazie al loro lavoro. Mamma era una critica letteraria, papà un autore di romanzi storici. Fu praticamente amore a priva vista.” mormoro piano, cercando di mantenere più controllo possibile “Sembravano fatti l’uno per l’altra e bastavano a loro stessi. Erano persone buone e talentuose, e a tutti sembravano un po’ dei personaggi di un romanzo, di una bella storia d’amore a lieto fine. Anche io li ho visti così per tanto tempo. Ma la loro non era una favola, e il loro amore non era destinato a un lieto fine.”.

Lo dico senza amarezza, perché è la verità e ormai non posso fare nulla per cambiarla. Esito un attimo, ma Thorin non mi mette alcuna fretta.

“Mamma si ammalò quando avevo dodici anni. Di Alzheimer.” sbotto alla fine, buttando fuori quella parola che ha cambiato tutta la mia vita per sempre quando ero fin troppo giovane per sopravvivere indenne a tutti quei cambiamenti “Anche sua nonna dovette affrontare giovanissima la stessa malattia, e la sua bis nonna prima di lei. Sapeva di potersi ammalare, ma non l’aveva mai davvero considerato possibile. O almeno, lei diceva così a mio padre. In realtà, l’idea di potersi ammalare la terrorizzava così tanto da tenere dei diari, dei diari infiniti dove scriveva nel dettaglio ogni singolo giorno della sua vita, per paura di dimenticare. E quando iniziò davvero a dimenticare non le servirono a niente, se non a rendersi consapevole di quello che avrebbe perso.”.

Li conservo ancora, quei diari. Sono nella sua stanza, ordinati con meticolosità. Non li ho mai toccati e non ho mai osato leggerli. Ho troppo paura di cosa potrei trovare in quelle pagine.

“Iniziò piano piano. Non ricordava nomi, date, scadenze, cose che doveva fare o aveva già fatto. Non ce ne curammo quasi, all’inizio. Poi, tutto degenerò. I medici non potevano fare niente. Noi non potevamo fare niente. Nell’arco di tre anni, dimenticò metà della sua vita, lentamente, un pezzettino alla volta. Quando avevo quindici anni, tornai a casa dopo una vacanza di un mese in montagna con Bofur, e lei prese ad urlare e a chiedermi chi fossi e cosa ci facessi in casa sua. Si era completamente dimenticata di me, della mia esistenza.”.

Mi fermo per un momento e Thorin mi stringe con ancora più forza la mano, come a volermi rassicurare. Nessuno lo sa, se non quei pochi che erano coinvolti nella sua malattia, all’epoca. Mi fa strano parlarne così, ad alta voce. Ma la presenza di Thorin al mio fianco e la sua mano stretta con decisione attorno alla mia mi spingono ad andare avanti.

“Papà, l’unica persona che ancora riconosceva ed amava, non era lì per rassicurarla e spiegarle tutto. Così, per calmarla, le dissi di essere lì per aiutarla con il giardino e che mi aveva chiamata lei il giorno precedente. Mi credette. Per non confonderla, andai a vivere momentaneamente prima da Bofur e poi da Gandalf, un vecchio amico di famiglia che per anni era stato il nostro psicologo. Ogni giorno andavo da lei, fingendomi una persona che non ero e aiutandola con il giardino, pur di starle vicino. Era orribile, guardarla negli occhi e rendermi conto che non aveva veramente idea di chi fossi, che non avrebbe mai capito chi ero davvero. Ma sopportavo in silenzio, perché non potevo fare altro, e la notte scrivevo, per buttare via tutto quello schifo che mi portavo dentro. Fu allora che nacque ‘Cuore di inchiostro’. Lo presentai senza crederci a una casa editrice, ‘La montagna e il drago’, e Balin vide qualcosa in quel mucchio di pagine senza senso, e decise di pubblicarlo.”.

Ecco l’unica cosa che mi ha dato la forza di andare avanti, in quel periodo. Avevo sempre amato scrivere, ma mai avrei creduto che la scrittura mi avrebbe protetto quando più ne avevo bisogno. È stata il mio scudo contro tutto, contro la malattia di mia madre, la lontananza da casa, l’assenza di papà. Anche contro me stesso.

Stringo con forza la mano libera, prima di mormorare, la voce che si incrina appena “Esattamente un mese dopo , mia madre ebbe un incidente in giardino, mentre non c’ero. Cadde a terra e sbatté la testa. Papà chiamò subito l’ambulanza, ma non poterono fare niente. Era già morta nel momento stesso in cui l’aveva stretta tra le braccia.”.

Sento Thorin trattenere il fiato e per un attimo ho l’istinto di serrare gli occhi, ma so che se lo facessi vedrei quella scena come l’ho sempre immaginata e l’ho vista per anni nei miei sogni. Mamma che inciampa e cade, i lunghi capelli neri che l’accompagnano nella sua caduta come la coda di una stella. Papà che, sporco di terra, grida il suo nome e corre da lei, cercando di farla svegliare. Il telefono che squilla, ma inutilmente. Lui che la stringe tra le sue braccia, pregandola di aprire gli occhi, di restare con lui anche quando il suo cuore aveva smesso da tempo di battere.

Mi impongo di andare avanti, sperando di riuscire così a non pensare a quel momento in cui tutto è crollato per sempre, e la mia voce diviene ancora più fredda, come se stesse raccontando qualcosa di completamente estraneo, qualcosa successa a qualcun’altro, in un’altra vita.

“Da quel momento, tutto cambiò. Io tornai a casa, una casa improvvisamente vuota, e mio padre si chiuse in se stesso. Smise di parlare, di scrivere, di uscire di casa. Le spese si accumulavano, e senza il suo lavoro non avevamo entrate. Sfruttai il mio bisogno di scrivere, di curarmi attraverso le parole, per pubblicare altri libri che ci permisero all’inizio di sopravvivere e poi di mantenerci senza problemi. La mattina andavo a scuola, dopo aver controllato che mio padre stesse bene, e al ritorno badavo a lui, pulivo la casa, facevo la spesa, pagavo le bollette, studiavo e solo a notte fonda scrivevo. Portavo papà da Gandalf nella speranza che potesse in qualche modo aiutarlo, e lui mi convinse a sottopormi anche io a delle sedute. All’inizio fu orribile. Dopo andò sempre meglio. Ma non per mio padre. Io volevo imparare a sopravvivere, volevo andare avanti. Lui no. Si era arreso a tutto questo. La mamma era tutta la sua vita. Perderla l’aveva distrutto, e non aveva la forza di rimettere insieme i pezzi. Restava fermo tutto il giorno, a volte a guardare le vecchie foto, altre ad osservare il vuoto, altre ancora chiuso nella loro vecchia stanza a sfogliare i suoi diari. Ogni tanto sussurrava il suo nome oppure piangeva in silenzio, raggomitolato nella sua parte di letto. Aveva completamente perso la voglia di vivere. Iniziai ad avere paura per lui.”.

Sì, se c’è una cosa che ricordo bene di quel periodo non è la tristezza, ma la paura. Paura di perdere anche lui.

Lo guardavo negli occhi, in quei occhi un tempo così pieni di luce da riempire tutta la stanza, e li trovavo spaventosamente freddi, colmi solo di rimpianto e dolore.

Avevo paura, una paura folle, perché dentro di me era come se sapessi cosa stesse passando e cosa avrebbe potuto fare. A cosa il dolore per quell’amore perduto l’avrebbe potuto spingere.

“Pagai una persona affinché gli facesse compagnia mentre ero a scuola e nascosi tutte le cose pericolose, i coltelli, anche le lamette della barba. Lo costringevo a fare visite su visite ed a parlare con Gandalf tutti i giorni. Cercavo di farlo scrivere ancora, nella speranza che la scrittura potesse aiutarlo come aveva aiutato me. Non lo lasciavo solo un secondo. Temevo che se ne sarebbe andato anche lui come la mamma, ma di sua volontà, questa volta. Non riusciva a farcela senza di lei. Aveva perso la sua ragione di vivere, e non potevo rimproverare la sua disperazione. Ma speravo che il fatto che ci fossi ancora io, il fatto che io gli volessi bene e avessi ancora bisogno di lui l’avrebbe spinto, col tempo, a farsi forza. Ma ero solo un illuso. Per lui esisteva solo la mamma. Era tutto il suo mondo, e senza di lei non aveva ragione di vivere.”.

Lo sapevo allora, anche se non volevo accettarlo, e lo so ancora di più ora. Capivo cosa provava, lo capivo così tanto da avere i brividi. Se l’avessi accettato, forse le cose sarebbero andate diversamente? Se gli avessi parlato, avrebbe trovato la forza di lottare e andare avanti? No, non credo. Quell’amore perduto l’aveva spezzato, e nessuno poteva salvarlo, non più.

Faccio fatica a continuare, a pronunciare quelle parole che nella mia testa suonano tanto come una condanna, ma alla fine lo faccio, le butto fuori come se fossero un veleno, e il cuore mi si stringe un po’ di più “E così, decise di non farlo più.”.

Thorin capisce. Ovvio che capisce. La sua mano stringe con ancora più forza la mia e delicatamente sussurra “Non devi continuare, se non vuoi.”.

Scuoto appena la testa. Ora che ho iniziato non riesco più a fermarmi. È come se avesse rotto il lucchetto che teneva al sicuro tutta questa storia dal resto del mondo, e adesso tutto quanto stesse scorrendo fuori, inarrestabile, libero di poter uscire e far sentire forte la propria voce.

“Una sera, quando avevo diciotto anni, tornai a casa molto più tardi del solito. Avevo avuto dei test per il college e mi ero dovuto recare fuori città, e non ero riuscito a tornare presto. La persona che badava a papà se n’era già andata, ma non credevo fosse un grande problema, perché da più di un anno si comportava in maniera più tranquilla, quasi si fosse rassegnato. Non avrei mai immaginato cosa avrei trovato, una volta sceso da quel bus.”

Indico con il mento una delle finestre “Hai visto quella quercia, nel mio giardino?” chiedo, a quando lui annuisce spiego “Non è sempre stata lì. Prima al suo posto c’era un grandissimo salice piangente, l’albero preferito di mia madre, che copriva quasi tutta la casa. Quando tornai, mio padre penzolava da uno dei rami, seminascosto dalle foglie, una corda fatta con le lenzuola del letto matrimoniale stretta attorno al suo collo magro. Sotto di lui, una sedia caduta e un biglietto. ‘Ora non farà più tanto male, amore mio.’.

Mi trema impercettibilmente la voce e ho bisogno di fermarmi un attimo, perché in quel momento è come se rivedessi quella stessa scena al rallentatore. Mi ha tormentato per quasi un decennio, ogni giorno, ogni singola notte. Il corpo di mio padre, nascosto da quei lunghi rami verdi e traditori, il suo viso pallido, la sedia buttata per terra. Quel maledetto biglietto, così estraneo eppure così familiare. ‘‘Ora non farà più tanto male, amore mio.’’

‘Perché fa tanto male?’

Mi impongo di scacciare tutto questo e di tornare al presente, prima che quelle ombre si accorgano di me e riescano a trascinarmi giù, in quel baratro da cui sono riuscito a fuggire a stento. La mia voce è di nuovo sorprendentemente ferma quando mormoro “Dopo il funerale, ho buttato giù quel salice e l’ho sostituito con qualcosa che non mi ricordasse né mia madre, morta lì sotto, né mio padre, morto appeso ai suoi rami. Volevo qualcosa che mi desse una sensazione di protezione e di rinascita, qualcosa che, guardandolo, mi facesse pensare ‘C’é ancora speranza. C’è ancora qualcosa per cui vale la pensa vivere’.”.

Un piccolo sorriso spunta sulle mie labbra, un po’ malinconico forse, ma comunque un sorriso”Scelsi una piccola quercia, praticamente un alberello rinsecchito, e mi sono imposto di crescere con lei, di tenere duro con lei anche a dispetto della pioggia, del vento e della tempesta. Sono entrato di nuovo in terapia. Ho continuato a scrivere. Ho guardato la mia quercia crescere.”.

Noto le sue pupille dilatarsi appena, ma non riesco a capire perché. Aspetto per un attimo qualcosa, ma lui mi fa segno di andare avanti, e quindi continuo, con una serenità che in realtà non provo “Non ho guarito le mie ferite, ma ho fatto in modo che non mi condizionassero per sempre. Ho lottato per non spezzarmi. Non è stato facile, e forse non ci sono completamente riuscito e non ci riuscirò mai del tutto, ma provare era tutto quello che potevo fare. E continuo a farlo ogni giorno. Ogni singolo giorno.”.

Mi fermo, e mi rendo conto che mi manca il respiro. Thorin mi stringe le mani come se avesse paura di vedermi scivolare via da un momento all’altro.

“Mi dispiace tanto.” sussurra, ed è così straordinariamente sincero da strapparmi un piccolo sorriso sorpreso e calmare un po’ i battiti sempre più veloci del mio cuore.

“Non devi.” mi affretto a dire, sollevando appena lo sguardo “Cioè, è qualcosa che non augurerei nemmeno al mio peggior nemico, ma non c’è motivo di dispiacersi. Sono ancora qui, no?”.

Rimango un po’ stupito dal vedere il suo viso farsi cupo e pensieroso. Per un attimo temo di aver detto qualcosa di sbagliato, ma poi mi chiede, con voce terribilmente preoccupata “Potresti ammalarti anche tu?”.

Non riesco a crederci. Davvero lo preoccupa una cosa del genere?

Oh, Thorin . . .

Dopo qualche momento di incertezza, spinto da quegli occhi profondi che mi pungolano come tante sottili spade, ammetto lentamente “Sì. Al momento non sembro essere particolarmente a rischio, ma questa malattia si trasmette da generazione in generazione nella mia famiglia, e quindi non si può mai stare del tutto tranquilli.”. Vedo il suo sguardo farsi nuovamente scuro ed allora mi affretto ad aggiungere, sfoggiando il sorriso più luminoso che riesco a tirare fuori in questo momento “Ma sono positivo a riguardo. E anche i medici lo sono. Ho una buona dose di fortuna dalla mia parte, sai?”

Non è vero, non è vero per niente, ma non voglio che si preoccupi per me, non ora.

Thorin mi studia attentamente, come se sapesse che gli sto mentendo, ma alla fine sospira “Grazie di avermi detto tutto questo.”.

Sorrido e cerco di dire qualcosa, ma le parole non mi vengono e così resto in silenzio e lascio che il mio sguardo vaghi di nuovo sulle nostre mani, ancora intrecciate insieme. Sembra tutto così surreale, stare qui seduti vicini, tenendoci per mano mentre io parlo dei miei genitori. Sembra la scena di un sogno dimenticato e sul punto di svanire, e ho quasi paura che una parola di troppo o un movimento sbagliato possa mandarla in frantumi, e così resto immobile, in silenzio, come in attesa. Di cosa, non so lo nemmeno io.

Alla fine, però, è proprio Thorin a rompere il silenzio, senza però spezzare questo strano sogno. Il suo pollice passa delicatamente sul mio dorso una volta, due, tre volte, in una dolce e timida carezza che mi toglie letteralmente il fiato, e poi la sua voce si fa strada nell’aria, accarezzandomi le orecchie come una ninna nanna lontana di cui non ho più ricordo.

“Sai, ho ricevuto la lettera subito dopo aver visto il tuo messaggio, e non ho potuto rispondere.” mormora piano. Posso sentire i suoi occhi fissi sul mio viso, e mi impongo di non sollevare lo sguardo, non adesso, per alcun motivo.

Un’altra lenta carezza, un altro brivido che mi scorre lungo la schiena.

“Ma voglio che tu sappia che se c’è qualcosa che mi rende sopportabile essere qui, quel qualcosa sei tu.” La sua voce è appena un sussurro e mi fa tremare quasi impercettibilmente, mentre mi sfiora il dorso ancora una volta. Non resisto più e i miei occhi volano increduli verso i suoi, e li trovo di nuovo lì, ad aspettarmi ed ad accogliermi. Come sempre.

Thorin sorride, e il suo è un vero sorriso, di quelli capaci di farti dimenticare ogni cicatrice e di curare ogni ferita “Sono felice di averti. Davvero.”.

Un’altra carezza, un altro tremito. I suoi occhi danzano, e io li seguo, lasciando che mi conducano ovunque vogliano. Possono anche portarmi dritto all’inferno, non mi interessa.

Il suo sorriso si fa ancora più grande, e nella sua voce c’è un accenno di dolcezza “Se non ti avessi incontrato, non ho idea di cosa ne sarebbe stato di me.”.

Vorrei negare, ma non ci riesco. Non riesco a fare assolutamente nulla, se non restare a guardarlo come se fosse un autentico miracolo, e forse un po’ lo è. Sento il mio cuore battere appena un po’ più forte e, oh, è forse sul punto di scoppiare? Non lo so, e non mi interessa nemmeno.

Poi Thorin fa qualcosa di incredibilmente inaspettato ed assurdo. Con una tale lentezza da sembrare quasi studiata, solleva le nostre mani intrecciate e se le porta al viso, per poi sfiorarmi delicatamente il dorso con le labbra e sussurrare contro la mia pelle “Chiamami egoista, se vuoi, ma stai diventando terribilmente necessario alla mia sopravvivenza, Bilbo Baggins.”.

Oh.

Trattengo di colpo il fiato, mentre sento distintamente il mio cuore bloccarsi e le guance e le orecchie tingersi della più intensa tonalità di rosso possibile.

Resto immobile, incapace di fare qualsiasi cosa, mentre il mio cuore riprendere a battere più forte di prima al ritmo del suo e la pelle a contatto con le sue labbra inizia a bruciarmi piacevolmente, e per un attimo penso ‘Ecco, potrei morire in questo preciso momento, e non lo rimpiangerei nemmeno in diecimila anni.’.

 

 

 

 

 

 

La tana dell’autrice

 

E rieccomi qua, questa volta con un bell’aggiornamento corposo!

Beh, cosa dire? Finalmente abbiamo scoperto qualcosa di più sul passato di Thorin e soprattutto di Bilbo e abbiamo intravisto alcuni dei suoi scheletri nell’armadio.

Mi dispiace se non sono stata molto precisa nel trattare di una malattia talmente complessa come l’Alzheimer, probabilmente ho riempito il capitolo di imprecisioni, ma ho davvero cercato di fare del mio meglio.

Ah, avrei voluto aggiungere anche la lettera di Dain in questo capitolo, ma per esigenze tecniche ho dovuto tagliarla, altrimenti sarebbe uscito un capitolo di circa 30 pagine. Però sto pensando di pubblicarla a parte, come una sorta di OS collegata a questa storia, insieme ad un altro paio di lavori. Ho parecchio materiale che non sono riuscita ad infilare nella long, e mi piacerebbe condividerlo con voi in un modo o nell’altro. Voi cosa ne pensate, vi interesserebbe? Fatemi sapere

Un abbraccio

La vostra

T.r.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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