Quando tutto sembra perso

di Piccolodante98
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Tra la vita e la morte ***
Capitolo 2: *** "Primo" incontro ***
Capitolo 3: *** Incubi ***
Capitolo 4: *** Sogni o quasi... ***
Capitolo 5: *** Inutile ***
Capitolo 6: *** Speranza ***
Capitolo 7: *** Lui è con me ***
Capitolo 8: *** Compleanno ***
Capitolo 9: *** Combattuta ***
Capitolo 10: *** Appuntamento ***
Capitolo 11: *** Sorriso ***
Capitolo 12: *** Incanto ***
Capitolo 13: *** Difficoltà ***
Capitolo 14: *** Perversione ***
Capitolo 15: *** Contro tutto ***
Capitolo 16: *** Necessità ***
Capitolo 17: *** Saluti ***
Capitolo 18: *** Viaggio ***
Capitolo 19: *** Partenza ***
Capitolo 20: *** Papà ***
Capitolo 21: *** Famiglia ***
Capitolo 22: *** Relazione difficile ***
Capitolo 23: *** Stelle ***
Capitolo 24: *** Un senso ***
Capitolo 25: *** Ti amo Elison ***
Capitolo 26: *** Ultimi giorni ***
Capitolo 27: *** Ultimi giorni ***
Capitolo 28: *** E' finita ***
Capitolo 29: *** S. Valentino ***
Capitolo 30: *** Errore ***
Capitolo 31: *** Stop! ***
Capitolo 32: *** Fiato sospeso ***



Capitolo 1
*** Tra la vita e la morte ***


Non avrei mai pensato che sarebbe andata a finire in questo modo ne tanto meno che sarebbe stato così difficile fare delle scelte ma è così che è andata e non poteva andare altrimenti. Non rimpiango nulla delle mie scelte passate. Non le rimpiango perché so che sarebbe inutile, ma, soprattutto perché so che non cambierei nulla: nemmeno una virgola. Certo, magari non sto vivendo uno dei momenti più felici al mondo ma so che starò bene. 'Non può piovere per sempre e mio padre lo sa: è lui che me lo ha insegnato. Mio padre, già. Non lo vedo da sei mesi ormai. Chissà cosa starà facendo in questo momento mentre io sono seduta per terra dietro ad un cassonetto nella notte di capodanno a New York quando tutti sono da qualche parte a divertirsi. Ah, dimenticavo! Io non ho il diritto di divertirmi. Io ho scelto di stare con Aron, l'ex della mia amica, e ora vedi com'è andata a finire: lui con la sua amante e io a rimpiangere l'uomo che
amavo. Se l'autocommiserazione venisse cambiata in denaro in questo momento sarei ricca.

«Mamma guarda una signora che piange tanto, diamole dei soldini!»
«Jeffry, no! Seguimi...». Lo strattona.
«Ma mamma... nonno dice sempre di aiutare i bisognosi» 
«Su! Non fare storie, andiamo!».

Il bambino mi fissa con gli occhi arrossati. Perfetto... adesso faccio impietosire pure i bambini.

«Buona sera Signorina, ha bisogno di qualcosa?». Sobbalzo. Alzo la testa e vedo un anziano. "E lui da dove spunta?". Lo guardo con le lacrime agli occhi. 
«No, grazie» rispondo singhiozzando. 
«Prego». Mi porge un fazzoletto. Soffio il naso e mi asciugo le lacrime dal volto. 
«Ora va meglio?»
«Sì, grazie». Fa un cenno col capo. 
«Cara, si vede lontano un miglio che lei ha bisogno di aiuto... lo ha capito
pure il bambino!». Fa una grande risata. 
«Sono Elison». Sorride.
«Mr. Brown.». Mi porge la mano. «Le va di fare due passi?». Continuo a sentire la voce di mia madre che mi dice di non andare in giro con gli sconosciuti ma c'è qualcosa nel suo sguardo che mi tranquillizza. Esito per un attimo. 
«Signorina?». La sua voce calda e rauca mi fa sentire a mio agio
«Va bene. Andiamo». Mi alzo brancolante e lo seguo. 
«E' per un uomo, vero?» chiede imbarazzato. Annuisco. «Sai Elison? Mi ricordi tanto la mia nipotina, Eva». Abbasso la testa.. «Aveva proprio i tuoi stessi occhi». Sorride. «Ed era bellissima proprio come te ma....». I suoi occhi si spengono. 
«E' morta?», chiedo impulsiva. 
«Sì, lei... non ce l'ha fatta». Iniziano a comparire delle lacrime anche sul suo volto. «Scusi, non volevo farle ricordare...». 
«Non si preoccupi, non è colpa sua». Continuiamo a camminare. «E' stato il suo ragazzo ad ucciderla. L'ha accoltellata....». "Cristo". Fa un sospiro profondo. «Come se fosse un animale»
«Oh,mi dispiace». Si ferma e mi fissa. 
«Lei è una così bella ragazza». Mi afferra le braccia. «Stia attenta». Lo guardo attonita, non mi immaginavo tale reazione. 
«Va bene, stia tranquillo». Lo rassicuro. 
«Scusi, non volevo farla spaventare». Una lacrima scende dalla sua guancia
«No, niente». Molla il mio braccio e sorride. 
«Dove eravamo rimasti?»
«Beh stavamo dicendo...».

Sento un brivido attraversarmi la schiena e raggelarmi i fianchi. Giro lentamente la testa per capire cosa sta succedendo.

«Non muoverti se non vuoi che il vecchio faccia una brutta fine!» un grido assordante mi trapana l'orecchio.

Una glock 17 a calibro 9 mm è puntata alla mia schiena. "Maledetta io e il mio sesto senso che non mi porta altro che guai". Inizio a gridare. L'uomo spara in aria. Intimorita dal colpo di pistola resto ferma.

«Dove tieni i soldi?» urla il malvivente all'anziano. 
«Di certo non qui»
«Non ti ricordi di me?». L'uomo sorride, si avvicina a Mr. Brown e scopre lentamente il suo viso togliendosi il passamontagna: gli occhi di Mr, Brown si spalancano.

«Farabutto, come hai fatto ad uscire di prigione?! No, non puoi essere tu! Non puoi»
«La prigione di certo non è uno dei migliori luoghi di questo mondo ma induce a riflettere. Non sono assolutamente pentito di ciò che ho fatto lo rifarei di nuovo se solo ne avessi l'occasione»
«Perché Jonathan? Perché?»
«Perché?». Sorride. 
«Lei mi ha tradito lurido bastardo». Gli da un calcio sulla pancia. Si ricopre il viso e gli infligge un deciso colpo sulle tempie facendolo svenire. «Ecco fatto». Infila le sue mani nella tasca posteriore dei pantaloni dell'anziano e ne trae il portafogli. Si rialza e inizia a ridere in mia direzione. 
«Adesso tocca a te».Si inchina e mi guarda negli occhi. 
«Piccioncina che c'è? Il mostro ti ha forse morso la lingua?»
«Verme schifoso». Sputo. Il suo volto acquisisce lineamenti spaventosi. 
«No, no. Questo non si fa» mi ammonisce. Sputo di nuovo. Si asciuga la saliva con la sua mano sinistra. 
«Allora vuoi costringermi a utilizzare le maniere forti, Miss... aspetta,
com'è che ti aveva chiamato il vecchio? Ah, sì! Elison. Che ne diresti di divertirti un po' con me?». 
«No!!!». Sogghigna.

Si butta su di me e inizia a sfilarmi la gonna. La sua erezione preme sulla mia coscia mentre il suo alito ansima sul mio collo. "Questo è troppo". Urlo con tutta la forza che ho in gola ma lui non si ferma. Intravedo una figura dietro di lui. Penso che si tratti di un suo complice ma non ne sono sicura. La figura avanza molto lentamente evitando qualsiasi tipo di rumore. La mia unica speranza di salvezza è dietro di me. Smetto di scalciare.

«Brava, vedo che hai capito chi è che comanda».

L'uomo affianca l'indice al suo naso. Continuo a rimanere in silenzio. Avanza ancora più lentamente. -La mia speranza si riaccende- con un rapido movimento l'uomo scaraventa un pugno sulla guancia destra di Jonathan e prendendolo per i capelli lo trascina a pochi metri da me.
«Scappa, presto!». Non ci ripenso due volte. Mi rialzo e inizio a correre. Sto per girare l'angolo. "No, non puoi andartene, quell'uomo sta rischiando la sua vita per te". Il mio buon senso ha ragione. Ritorno indietro correndo. Tra gomitate e pugni intravedo la glock scivolare dalle mani dello stupratore e cadere vicino a un cassonetto. "Stupida fa qualcosa". Non riesco a muovermi. Il criminale è inginocchiato in un angolo. L'uomo si sta avvicinando a lui. Intravedo i suoi occhi verdi. La situazione si inverte nuovamente: il criminale butta rapidamente per terra l'uomo, rotola verso il cassonetto, afferra la sua amata pistola e spara. Il proiettile viene verso la mia direzione. 'Nero'. 'Ovunque'.

Mi risveglio. Apro lentamente le palpebre. Per un attimo ho paura di
aver perso la vista. Intravedo delle figure. Prima sfocate, poi nitide. Sono affamata. Mi sembra di non mangiare da almeno un mese. Un forte dolore mi risale dalla spina dorsale e mi trapana il cervello. A un tratto iniziano a riaffiorare delle immagini confuse che offuscano la mia memoria e così, inizio a recuperare i ricordi. "Mr. Brown, l'uomo, il criminale". Improvvisamente cerco di alzarmi ma avverto una forte pressione sulla mia spalla destra. Sono in ospedale. Un'infermiera passa per controllare la mia cartella clinica.

«Cosa faccio qui? Cosa è successo?»
«Ha rischiato di morire per ferita da arma da fuoco» risponde stizzita. 
«E Mr. Brown?»
«Per il momento si rilassi»
«No, voglio sapere» insisto. 
«Ah... e va bene. E' in sala operatoria»
«Capisco». L'unica parola che riesco a dire.
«Adesso però deve riposare».

Si allontana. Ho sempre odiato stare in ospedale. Cerco di ascoltare l'infermiera e affondo la testa nel cuscino ma non riesco a far altro che pensare a quella figura che mi ha salvato. L'unica cosa che ricordo sono i suoi inconfondibili occhi verdi. Così,
accompagnata dal suo sguardo penetrante, mi addormento. Al mio
risveglio mi sento già meglio, gli infermieri mi aiutano a scendere
dal letto e mi accompagnano in un altro reparto. Mi mettono nuovamente a sedere come se fossi una bambina e mi dicono di riposare
ma io decido di alzarmi a fare due passi non appena loro si allontanano. Cammino per i corridoi alla ricerca di qualche medico.
Voglio sapere dov'è Mister Brown. Vedo un'infermiera.

«Scusi sa dirmi in quale stanza si trovi Mr. Brown?»
«Lei è una sua parente?». Diamine! Non avevo pensato a una domanda del genere. 
«Sì, lontana parente». Controlla la cartella clinica. 
«Le conviene affrettarsi. E' appena uscito dalla sala operatoria. E'
stato un lungo intervento. L'esito si noterà nei primi giorni. Di norma non permettiamo ad una parente di visitare i pazienti subito dopo l'operazione ma sento il bisogno di affrettarla. L'operazione non è andata come dovrebbe: potrebbe riscontrarsi un arresto cardiaco tra pochi secondi»
«In quale stanza si trova?»
«Terzo reparto stanza numero 12»
«Grazie». Devo sbrigarmi non posso permettere che muoia prima di non avermi dato
delle spiegazioni.
«Presto, presto!»
«E uno e due... libera! E uno e due...libera!». No, non può essere lui. Inizio a correre. Apro la porta. 
«No!». Urlo. 
«Signorina si calmi» un infermiera mi afferra le spalle. 
«Termina sequenza». I dottori si fermano. 
«Non c'è più nulla da fare...sta andando». Risponde l'assistente. Il dottore mi fissa. 
«Signorina se vuole dirgli qualcosa può farlo, non va contro a delle infezioni». L'infermiera mi lascia entrare. 
«Sapevo che sarebbe ritornata». Lo fisso. 
«Mi raccomando». Tossisce. «Si chiama Jonathan... Jonathan Riddle».

Il suo fiato rallenta. Sorride e perde i sensi. Non so per quanto. 
Non so se per sempre.

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Capitolo 2
*** "Primo" incontro ***


Bussano alla porta della mia stanza. «Avanti!» «Buon giorno signorina, c'è una consegna speciale per lei. La poso sul tavolo» «Grazie». Un regalo? Non mi sembra di aver detto a nessuno di essere in ospedale. Mi siedo sul letto e intravedo un mazzo di fiori. L'odore è inconfondibile: primule. Il mio intuito non sbaglia mai: è il mio sesto senso che scarseggia. Come volevasi dimostrare è un mazzo di fiori. Lo prendo in mano e noto un biglietto alla base. "Per Miss Elison". Non aspetto nemmeno un attimo e decido di aprirlo. "Buon giorno Miss Elison, forse non si ricorderà di me ma sono l'uomo che l'ha salvata. Le auguro una veloce guarigione". Mr. Ackley. «E si ricomincia così con un'altra avventura amorosa». "Stento a crederci". «April...». I miei occhi si gonfiano di lacrime. «Elison» dice lei con il suo solito sorriso vivace. «Io... volevo dirti... che mi dispiace... io... non sapevo che tu e Aron...beh...ecco avevate una storia e...» «Non preoccuparti ormai è acqua passata». Così mi stringe in un lungo abbraccio. Avevo ritrovato la mia amica. Non poteva capitare cosa migliore. "O forse sì?". «Tu adesso devi raccontarmi un bel po' di cose. Cosa ti è saltato in mente sabato sera? Sei scomparsa e hai fatto preoccupare tutti.» «Io...» «No, adesso cuciti le labbra e ascolta me. Punto primo: sì ammetto di aver esagerato. Punto secondo: non avrei dovuto gridare contro di te in quel modo e punto terzo... dannazione perché ci deve essere sempre un punto terzo?». Mi alzo e l'abbraccio. Lei debole e io più fragile di lei. «Scusa, sono stata insensibile. Credevo di amarlo ma in realtà mi faceva impazzire solo la sensazione di essere desiderata da un uomo: non voglio più stare lontana da te.» «Sei incredibile! Stavi per morire e non pensi altro che a dare delle giustificazioni!». Iniziano a scendere delle lacrime. «Lo sai come sono fatta, no?». Sorrido. «Sei stupida...ecco cosa sei» «Lo so» «Aspetta che ti aiuto a metterti a letto. Hai bisogno di riposo mi ha detto l'infermiera... però prima... si può sapere chi è Mr. Ackley?». Faccio un sospiro profondo. «Sabato sera, dopo che ho lasciato il bar, ho preso un taxi e mi sono fatta accompagnare il più lontano possibile da quel posto, sono scesa e mi sono buttata in un angolo. Dopo sono successe delle cose stranissime: prima uno sconosciuto mi porge la mano, poi per poco non vengo uccisa e infine vengo salvata da un uomo che non conosco» «Mr. Ackley?» «Sì» «E tu avresti intenzione di liberarti così di tutto quello che mi dovresti spiegare?» -sorrido- «In realtà sì, visto che il dottore ha detto che devo riposare» «Sappi che è solo una breve pausa» -strizza l'occhio- «Va bene» «Io vado ci sentiamo Ely». Affondo la testa nel cuscino e mi addormento. Squilla il telefono. «Chi è a quest'ora? Sono le 11 a.m.». Piagnucolo. Dopo un paio di tentativi riesco ad afferrare il cellulare. «Maledizione Elison dove sei finita?!». "Perfetto, il mio datore di lavoro ". «Beh...io...sono in ospedale». «In ospedale?! Perché?! Cosa?!». Sospira. «Non importa. Mercoledì in ufficio alle sette in punto oppure ritieniti licenziata » riattacca. "Se il buon giorno si vede dal mattino direi che la mia giornata sarà una delle migliori in assoluto". «Sempre così scorbutico il tuo capo?». Sbatto velocemente le palpebre e volto il capo. È lui, Lo riconosco dagli occhi. «Scusa, dimenticavo. Prima le presentazioni. Sono Evan....». Si ferma. «Mr. Ackley...». Il suo sguardo penetrante mi coglie alla sprovvista, non credo di riuscire a reggere. «Ehm...io sono Elis...». «Lo so chi sei». Mi volge un leggero sorriso. «Come stai?». "Che domande". «Lieve ferita da arma da fuoco, ma sto bene». «Ne sono felice». Annuisco tralasciando un breve sospiro. Sono piena di domande ma la mia bocca non riesce a emettere alcun suono. «Mi dispiace per suo nonno». "Ecco ci risiamo". «Non era mio nonno. Perché sei passato a controllare se stessi bene? Cosa te ne importa?» «Non lo so». «Grazie ma non ho bisogno di nessuno». Lui si avvicina. La mia gola secca. Il suo mento pronunciato e i lineamenti della sua mandibola provocano in me un non so che di strano. Alzo la mia testa alla sua e i miei occhi incrociano i suoi. Le mie mani sudano, i miei piedi tremano e sento i battiti del mio cuore. Uno per uno. Per la prima volta nella mia vita credo che si tratti di amore. Vero amore. «La signorina Scarlet ha bisogno di riposare». "Maledetto Dottore". «Oh...ecco, me ne stavo andando. Arrivederci Miss Scarlett». Evito il suo sguardo e faccio un leggero cenno col capo mentre lo vedo allontanarsi. Così lontano. Così vicino.

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Capitolo 3
*** Incubi ***


«Cosa c'è piccioncina? Ti sei forse dimenticata di me?». Grido. «No! Stai lontano da me! Non mi toccare! No, no, no». «Signorina si calmi!» «No, no, no» «Signorina!» «Lasciami andare!» «Si svegli! E' solo un incubo, è in ospedale!». Apro gli occhi e la fisso. «Le vado a prendere un po' d'acqua». Sono le 2 p.m. Era solo un incubo. Devo sapere di più. Evan. Solo lui sa che fine abbia fatto il criminale. «Ecco, adesso riposi». Prendo il bicchiere d'acqua, aspetto che l'infermiera si allontani abbastanza e lo poso. Non ho sete. Voglio solo tornare a casa. Provo ad alzarmi ma la ferita sulla spalla destra mi fa ricordare che devo rimanere qui almeno finché non mi riprendo. Le mie palpebre iniziano a chiudersi. Non reggo e crollo. Sento dei dottori parlare accanto al mio letto. Mi sveglio, faccio un lungo sbadiglio e mi perdo nel rumore del traffico mattutino di New York. Bussano. «Buon giorno, scusi se la disturbo signorina Scarlett, sono l'ispettore Russeau» «Salve», «Potrebbe raccontarmi esattamente cosa è successo tre giorni fa?». Lo guardo impietrita. «Signorina?» «Scusi. Stavo andando a casa quando Mr. Brown mi ha proposto di andare a prendere una cioccolata calda a casa sua e...». Mi ferma. «Conosceva Mr. Brown?» «No». Dal suo sguardo contrariato capisco che non approva. «E...?» «Uno sconosciuto con una pistola ha minacciato di ucciderci se non avessimo fatto come diceva lui» «Continui» «Mr.Brown si è rifiutato ed è stato colpito. Una volta svenuto il criminale ha preso il suo portafogli e ha cercato di violentarmi» «Poi?» «Evan è comparso da dietro un cassonetto e mi ha salvato, anche se non è riuscito a evitare il colpo di pistola» «E' tutto?». Mi guarda riprovevole. «Sì. E' tutto» «Grazie. Arrivederci». Gli afferro il polso della mano sinistra. «Dov'è il criminale?» «E' riuscito a fuggire. Stiamo facendo il possibile. Mi dispiace, arrivederci». "Diamine". Ho bisogno di parlare con Evan. Voglio sapere cosa è successo. "Ma come?". Mi affaccio alla finestra e osservo New York: fiumi di persone inferocite che camminano all'impazzata senza sapere cosa vogliono realmente, così senza una meta, come me d'altronde. Il mio telefono vibra. Distolgo lo sguardo dal vetro e mi avvicino al comodino. Apro il cassetto e rispondo. «Pronto?» «Oh, grazie al cielo! Come stai cara? April ci ha raccontato tutto». "Non cambierà mai". «Mamma stai tranquilla, è solo una leggera ferita ma niente di grave» «Sei sicura?» «Sì, non ti preoccupare per me. Uscirò fuori dall'ospedale tra una o due settimane circa» «E l'assicurazione sanitaria?» «Tranquilla» «Michael aspetta voglio... solo un... attimo». Sento mio padre borbottare qualcosa in protesta. Mia madre sospira. «Aspetta che ti passo papà». «Ely?» «Sì?» «Come stai principessa?» «Ho un leggero dolore sulla spalla ma niente di preoccupante» «Capisco. Tuo fratello è andato a lavoro» «Salutamelo» «Ricordati di telefonare, va bene?» «Va bene» «Ti lascio riposare, buona giornata piccola mia». Mia madre borbotta qualcosa. «Grazie». Riattacca. Poso il telefono. Non vedo l'ora di uscire da questo inferno. Il giorno successivo è stato molto meno traumatico di quello precedente. Le mie domande riguardo il criminale continuano a rimanere irrisolte ma per lo meno i miei sogni hanno iniziato a rasserenarsi. I dottori continuano a dire che se continuo così sarò fuori da questo posto entro sabato. Sono passati altri due giorni dalla mia permanenza, purtroppo il lavoro in ufficio ostacola April dal venire a farmi visita, ciò nonostante, lei è riuscita a spostare la presentazione della mia relazione di due settimane. Fortunatamente ci sono le telefonate giornaliere della mia famiglia che mi tengono compagnia e mi rallegrano, anche se quando parlo con mio padre mi sembra che qualcosa sia cambiata. Martedì mattina. Un'infermiera passa dinanzi al mio letto e mi mostra una documento. «Verrà dimessa domani, Miss Scarlet». Mi porge una penna. Firmo. Mette il tutto nella cartella e se ne va. Chiamo April e le ricordo di venirmi a prendere. Sono al settimo cielo, un altro giorno qui e sarei diventata pazza. Il rumore della maniglia blocca il mio flusso di pensieri. Un mazzo di fiori sbuca da dietro la porta. «Elison». Mi guarda. Arrossisco mentre un perfetto sconosciuto decide di regalarmi altri fiori. La mia vocina salta e urla da tutte le parti. Abbassa lo sguardo. «Non volevo disturbarti». Per un attimo sembra essere a disagio. «No, non disturbi affatto». Mi porge i fiori. Li prendo, li avvicino a me e li annuso delicatamente. «Grazie, sono bellissimi» «Sono i migliori di tutta New York». Non so che dire, mi sembra al di fuori dell'ordinario. "Questa volta no". Il mio buon senso si ribella. Poso i fiori sul comodino. «Cosa è successo dopo che sono svenuta?» «Perché lo vuoi sapere? L'importante è che stai bene e che domani verrai dimessa». "Come diavolo fa a saperlo?". «Dov'è il criminale e come si chiama?» «Non posso dirtelo io...l'ho lasciato andare». "Cosa?!". «Perché?» «Ognuno di noi commette degli sbagli, nessuno escluso» «Ha ucciso un anziano». Mi guarda severo. «Non voleva» «Hai lasciato uno schizzo frenico a piede libero?». Ride. «Che c'è da ridere?» «Certo che non l'ho lasciato libero, lo schizzo frenico sarei stato io in questo caso, non credi?» «Ma l'ispettore mi ha detto che non è stato ancora ritrovato» «Ci sono numerosi modi per aiutare qualcuno. In questo momento è ad un centro di salute mentale. Puoi stare tranquilla». Continuo ad osservare le sue labbra carnose. «Adesso devo andare ho un importante appuntamento fra 20 minuti esatti». E così scompare nel nulla. Un'altra volta.

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Capitolo 4
*** Sogni o quasi... ***


New York. River Cafe'. Con il suo sorriso è in grado di farmi fare qualunque cosa lui voglia. Non importa perché. Non importa come. Ci riesce... sempre. Fissa perennemente i miei occhi e io i suoi mentre il sole sta tramontando. Si alza di scatto, mi prende la mano e mi costringe a seguirlo. Io non resisto, non ne sono capace. Mi porta nel bagno del ristorante e inizia delicatamente ad abbassare la zip del mio abito da sera. «No, Evan. Non qui». Arrossisco. Appoggia il suo marcato mento sulla mia spalla e pronuncia una semplice frase che riesce a sciogliermi in qualsiasi situazione: «Sei fantastica». Tutto è perfetto. «Elison! Elison!». "April?". Apro gli occhi e mi rintano sotto il cuscino. «Voglio dormire, sono stanca. Non voglio alzarmi» «E invece devi! Se non ti affretti a fare le valige rischi di perdere il tuo posto di lavoro». Accidenti al lavoro. «Roderick vuole la tua relazione entro le 7 di Mercoledì mattina». Alzo di scatto la mia schiena. «La relazione! Me ne ero dimenticata!». Cerco di recuperare le forze. "Almeno ha deciso di aumentare la data di scadenza". «Meno male che ci sei tu April». Sorride. «Sì, ma adesso dobbiamo prepararci questo posto non ti gradirà per molto». Rassegnata dalla realtà dei fatti mi ricompongo e inizio una lunga doccia calda. Ripenso al mio sogno mentre che l'acqua scende rumorosamente sulla mia pelle. "Chissà se Evan... no, non penso proprio che lo rivedrò più... Bussano. «Un minuto April!» «Sbrigati a uscire le infermiere hanno intenzione di aumentare il saldo della tua assicurazione sanitaria!». Esco immediatamente dalla doccia con i capelli ancora bagnati. Mi vesto e istantaneamente abbandoniamo l'ospedale. "Non posso permettermi di pagare un extra imprevisto mio padre non... oddio mio padre!". Abbasso il volume dell'auto e frugo nella borsa alla ricerca del cellulare. Lo trovo e chiamo mia madre ... niente. Richiamo una seconda volta. «Ehi tesoro...» mi risponde con una nota drammatica, sento che è successo qualcosa. «Mamma che c'è?» «Niente» «Mamma» «Tuo padre non sta bene» «Che significa?». Scoppia a piangere. «Ha contratto un tumore al cervello». "Non può essere vero". Inizio a singhiozzare. «E quando avevi in mente di dirmelo?» «Non lo so». «Scusa amore, non ce la faccio» «...» «Mamma! Mamma?!» Ha attaccato. Sbatto ripetutamente il busto allo schienale dell'auto e piangendo a dirotto continuo a ripetermi che non è vero. Sento un dolore che non avevo mai provato -un'altra prima volta-. April sconcertata accosta immediatamente l'auto, guarda i miei occhi gonfi di lacrime e mi stringe in un abbraccio. La sua morsa è letale. Non riesco più a far nulla. «Devo ritornare a casa! Devo andare a Jackson! Devo andare da mia madre! Maledizione!».

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Capitolo 5
*** Inutile ***


La notte sembra non finire mai. I secondi diventano minuti e i minuti ore. Non riesco a dormire per più di un'ora consecutiva. Il mio stomaco è in subbuglio, ho ormai perso il conto di quante volte ho vomitato. Non mi importa più di niente, ne di quello stupido ufficio ne della mia migliore amica. "Non riesco a credere che l'ho appena pensato". L'unica cosa di cui mi importa in questo momento è mio padre. Sono le 8. Mi vesto velocemente, prendo la mia sciarpa e i miei guanti e sgattaiolo fuori come una fuggitiva nel tentativo di non svegliare April. Mi reco di corsa alla prima agenzia che mi capita per le mani. Non osservo il cartello ne tanto meno quello che mi circonda ed entro. «Buon giorno signorina» «Salve, Vorrei sapere qual è il treno più vicino per Jackson» "Vado subito al sodo ". «Mi dispiace signorina ma per il momento non è disponibile nessuna linea di trasporto a causa della condizione atmosferica». "Odio New York in questo periodo dell'anno". «Non ci sono altri metodi per poter proseguire...?» «No, mi dispiace». "Sì, come no". «La prego è importante!» supplico. «Non posso fare niente» conclude. "Che vada al diavolo". «Grazie egualmente» accenno un finto sorriso e ritorno a casa. L'inverno di New York è freddo quanto caldo e triste quanto magico. Sento il telefono vibrare e, nonostante le mie mani sono quasi in ipotermia, decido di controllare. Quattro chiamate perse e tre messaggi non letti. "Bene". "Dove sei??? April 8: 54". "Ely sono preoccupata. April 8:55." "Richiamami. April 8:55." "Ma come fa? Il suo tono è dolce quanto autorevole. Vorrei essere un po' più come lei". La richiamo. «Finalmente Ely! Stavo iniziando a chiamare la polizia o qualche ambulanza». Sogghigno «Vedo che ti senti meglio. Dove sei stata?» «In Agenzia per cercare di trovare un metodo per ritornare a Jackson ma niente» «Ho visto in Tv che le prossime due settimane saranno invase da una forte bufera di neve». Mi chiudo in silenzio. «Io... non volevo... dirtelo ma...» «Non fa niente April, davvero. Sto facendo abitudine a questo tipo di cose». "Quali tipi di cose?" «Vediamo un po': Io che per poco non vengo uccisa, mio padre che sta per morire, il mio lavoro che sta per andare a rotoli... devo continuare?» «Oh, ma smettila! Ti sto aspettando a casa con la tua bevanda preferita e smettila di rimuginare: finirà che ti condizioni.» «Va bene, arrivo». "Incredibile! Riesce sempre a mettermi di buon umore!". Passo per Times Square, il rinomato centro economico e mi sembra di vederlo. Non ne sono certa. Mi faccio largo tra la folla. "È lui". Rallento il passo e decido di continuare a seguirlo. Si accende così una parte di me che mi rimprovera. "Stalker". La ignoro. Il mio folle inseguimento continua. Lo intravedo parlare con una donna. Rabbia. "O almeno lo credo, mentendo a me stessa". Continuo a pedinarlo. Il mio buon senso sta per gettarsi da un aereo e la mia autostima inizia a decedere. Per un attimo mi sembra di averlo perso di vista. Giro di corsa l'angolo e lo intravedo dal finestrino di una elegante limousine. Si riaccende la mia vocina come per dire: "Visto? Te l'avevo detto!".

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Capitolo 6
*** Speranza ***


Passata un'altra notte insonne - poco meno di quella precedente- mi sveglio, "O almeno così si fa per dire", e sento dalla cucina uno strano odore di fritto accompagnato dall'allegro canticchiare di April. Ancora più meravigliata del suono causato dal tostapane, mi rizzo in piedi, cerco le ciabatte e con indosso il pigiama rosa vado in cucina. «Cosa stai facendo?» «La colazione... perché?». Sorrido. «Non mi sembra vero, la signorina Boner alle prese con la cucina» ride. «E la signorina Scarlet alle prese con la sua relazione». «Diamine, lo avevo dimenticato». «Non ce la farò mai!» «Guardami Elison! Ce l'hai sempre fatta e continuerai a farcela». Ha ragione. «Devi solo stringere i denti Ely.» «Va bene» «Adesso però ti consiglio di prepararti sono le sette». "Cristo". Apro l'armadio. Prendo le prime cose che vedo e mi precipito in bagno alla ricerca della spazzola. "Non posso e non devo presentarmi così". Raccolgo i miei capelli in un elegante chignon. Metto un leggero filo di rossetto sulle labbra ed esco fuori. «Elison, i tacchi!!». April mi lancia le scarpe dalle scale. Sono uscita con le pantofole rosa a forma di coniglio. Saltellando arrivo a stento in macchina mentre stringo nella mano sinistra il tacco da 12 centimetri. "April e le sue manie dell'eleganza". Premo l'acceleratore a tavoletta e mi faccio largo nel traffico ma purtroppo si presenta una lunga coda a circa 800 metri dal mio ufficio. "Non posso perdere altro tempo". Apro lo sportello della mia auto e ansimando corro verso l'ufficio. Inciampo tre volte e cercando di non farmi investire da alcun veicolo, entro. Attraverso il lungo corridoio e arrivo a destinazione. I lunghi pantaloni grigi che mi cadono perfettamente sui fianchi, mi infondono sicurezza e mi danno un non so che di autoritario. "Posso farcela". Abbasso la maniglia del mio ufficio. Gli sguardi sono rivolti tutti verso di me. "Mi sembra di essere sul red carpet". Il mio capo mi intravede dal vetro. I suoi occhi si irrigidiscono. Sono le 7:44. «Miss Scarlet, alla fine ce l'ha fatta ad arrivare» «Sì». Dico con determinazione. «Con un po' di ritardo sulla tabella di marcia ma c'è l'ha fatta». Sorride. «Ho avuto molti imprevisti ultimamente». Proseguo. «Non importa a nessuno della sua vita privata» il suo tono diviene ferreo. «La sua relazione?». Maledizione...come faccio a dirgli che non l'ho nemmeno iniziata? «La sua relazione... non lo ripeterò una seconda volta.». Elison, calma. Inventati qualcosa. Anzi, no. Digli la verità. Cattiva idea ha appena detto che non gli importa affatto della mia vita privata figurati di mio padre. «Allora?» «Io... ho... sbagliato borsa». Chiudo gli occhi. «Ha sbagliato borsa?!» urla. «Lei forse non ha capito l'importanza di quella relazione!» «Io non volevo è solo che...mio padre si ha avuto un tumore eh... ecco... io» «Le ho già detto che non mi interessa minimamente della sua vita privata». Sbraita. Adesso basta. Mi alzo e lo guarda fissa negli occhi. «Lei-è-un-mostro». Si spalanca la porta. «Rod, ma che sta succedendo qui dentro?». Entra la moglie del capo. «La signorina, qui presente, non è riuscita a terminare la relazione entro la data prevista e...» «Oh, caro. Credo che avrà avuto le sue valide motivazione. Guardala meglio: ti sembra forse una persona incompetente?» «Forse hai ragione tesoro. Le darò solo un'opportunità». Agita il dito. «Una sola, chiaro?». SI rivolge a me. «Sì, grazie». Balbetto. «Non mi deluda ma per evitare che una cosa del genere si ripeta lei è sospesa dal suo incarico. Adesso vada via» «Io...» «Fuori dal mio ufficio ora se non vuole essere licenziata!». Stupido Capo. Il mio buon senso riemerge. 'La colpa è tua'. Cercando di rimettere insieme ciò che rimane di me stessa, prendo la borsa e vado via. Apro la porta d'entrata: giusto in tempo per vedere la mia auto che viene prelevato dal carro attrezzi. Affretto il passo e mi dirigo verso il veicolo. Il tacco della scarpa sinistra si incastra nel tombino e si rompe. "Non importa. Nemmeno questa volta". Con un piede nudo arrivo dal vigile incaricato a sgombrare la strada. «La mia auto!» urlo. «Ah è sua?» risponde impassibile. «Ecco la multa. Sono $500». «Cosa?! Lei non può...» respiro. «Senta è stata una giornata difficile e... ho un bisogno disperato di quell'auto, la prego». «Mi dispiace». "La parola dell'anno". «Capisco». Una fitta di dolore si deposita sul mio stomaco. Ne ho abbastanza. Esplodo e inizio a urlare mentre il vigile inizia a prendere nota. «Ha finito?». Sospiro. Mi rilascia un ulteriore sanzione per "oltraggio a pubblico ufficiale". «Lei è...ah lasci perdere!». Imbocco la prima svolta a destra. Tiro la borsa in un cassonetto, mi accovaccio e piango... Prima Aron, poi Jonathan, dopo mio padre e adesso il lavoro. La mia vita fa proprio schifo. Sento dei passi venire verso di me ma non ho nessuna intenzione di capire chi è. Siamo a New York. Nessuno conosce nessuno. «Proprio non riesci a capire che questi quartieri sono pericolosi».

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Capitolo 7
*** Lui è con me ***


Evan. La sua voce rimbomba nella mia testa sino a fermare la realtà delle cose. Ma non cambia niente, non riesco egualmente a smettere di piangere e di dimenarmi. Non ce la faccio. Alzo la testa per pochi istanti ma il mio collo non regge. "Che dica quello che vuole. Non importa". Si inginocchia ai miei piedi. Allunga la sua mano verso il mio volto e lo alza delicatamente facendomi una leggera pressione sul mento. Sta fissando i miei occhi ne sono certa ma io non ho più la forza di aprirli. I miei sentimenti si astengono. Un portone si posiziona tra me e lui. Ogni porta, però - grande o piccola che essa sia - possiede una fessura in cui poter infilare la chiave giusta. Lui è la mia chiave. Facendo pressione col pollice, cerca di asciugare le lacrime sul mio viso. Ma il mio viso è come un mare in tempesta. La mia vocina sussurra di alzare le palpebre. Decido di ascoltarla. Apro gli occhi. Lui li sbatte e sorride come per dire "finalmente ti sei svegliata" e capisco che le sue intenzioni sono buone e ho paura. Ho paura di perderlo ancora prima di averlo. Infila la mano destra in tasca e mi offre un fazzoletto di seta. «Prendilo». Il suo tono è dolce. Esito ma la mia vocina continua a ripetermi di farlo. «Grazie». Si drizza in piedi e mi porge la sua mano. «Vieni con me...». Il mio buonsenso mi vieta di seguire uno sconosciuto tanto meno in un posto come questo. Asciugo le lacrime e tento di rischiarire la voce. «Non posso» «Non puoi o non vuoi?» «Entrambe» «Seguimi... te ne prego». Vedo nei suoi occhi luccicare una scintilla di speranza. Non riesco a resistere alla sua supplica. "Che il mio buon senso vada al diavolo". Poso la mia mano sulla sua. È caldo, molto caldo. Lui la stringe e mi tira a sé. Il mio viso si schianta contro il suo collo e lui protende le sue muscolose braccia intorno a me. Il suo respiro a un tratto diviene il mio. Sento che nulla può più farmi male e sbotto a piangere... un'altra volta. Credo di non riuscire più a smettere. «Shhhh... va tutto bene, ci sono io con te» sussurra dolcemente la sua bocca al mio orecchio. «No, non va per niente bene. Mio padre, il lavoro...» «Shhh... adesso calmati». Rimango in silenzio. È riuscito a salvarmi anche questa volta. Un grazie non sarà mai abbastanza. Improvvisamente il suo abbraccio si scioglie e prendendomi la mano mi trascina fuori dal vicolo in cui mi sono cacciata. Intravedo la limousine della sera precedente. «Sali». "Questo è troppo. Non posso". «No» «Non credo che una vita di esitazioni faccia al caso suo Miss Scarlet». Ha stra maledettamente ragione. Con gli occhi gonfi di lacrime, accenno un sorriso e salgo. Evan mi stringe a sé mentre io appoggio la testa sul suo petto. «L'odore dei tuoi capelli è delizioso». Alzo leggermente il capo in segno di gratitudine. Lui sospende le braccia verso la mia schiena e scioglie il mio elegante chignon. Afferra i miei morbidi capelli e piano piano avvicina le sue labbra alle mie. Sento il mio corpo prender fuoco. "Fallo, fallo! La mia vocina esulta". Chiudo gli occhi. Brr...Brr... "Ti prego fa che sia un messaggio" Brr...Brr... «Credo che tu debba rispondere». "Al diavolo". «Sì». «Dove sei Elison?» «April» «Hai una minima idea di che ore sono?» «No» «Non voglio turbarti ma torna, sono preoccupata per te» «D'accordo» «Ti voglio bene» riattacca. «Evan scusa ma io...» arrossisco «Lo so, devi tornare a casa. Non ti preoccupare possiamo vederci domani sera sempre se per te va bene» «Oh, sì» «Non devi essere troppo dura con te stessa». Si china e mi dà un innocente bacio sulla guancia. «John, 8th Ave ora!». "Come fa a sapere dove vivo? ". «Sissignore!».

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Capitolo 8
*** Compleanno ***


April mi sta aspettando. Devo muovermi. Per la prima volta decido di prendere l'ascensore, non voglio farmi vedere dai coinquilini né saltellando con una gamba sola né tanto meno con il trucco sbavato, specialmente da quella vipera biondo splendente di Mackenzie. La odio con tutta me stessa. Si aprono le porte. "Non c'è l'ombra di nessuno, grazie a Dio!". Arrivo al sesto piano. Sporgo la testa fuori dall'ascensore assicurandomi che non ci sia alcun spiacevole incontro e corro verso la porta del mio appartamento. Sento uno strano silenzio. Infilo la chiave nella serratura e si accendono le luci. «Sorpresa!!!». Leggo lo striscione appeso. "Buon Compleanno Ely". Voglio morire. Il mio buon senso sta continuando a sbattersi la testa al muro in cerca di qualcuno disponibile a premere il grilletto. April purtroppo non si è data a spese e ha invitato tutto il vicinato inclusa Mackenzie. "Uccidetemi". Molti sogghignano mentre altri chiudono gli occhi per l'imbarazzo. "Imbarazzo". Dovrei essere io quella che vorrebbe morire ma a quanto pare sembra non spettarmi nemmeno questo diritto. In cinque minuti la barriera creata da April si dilaga. Chiusa la porta sento Mackenzie ridere come un oca con il nostro nuovo vicino di casa Alex. "Vipera". April, sconvolta si avvicina. "Perfetto, come se la giornata non potrebbe andare meglio, adesso mi tocca pure il suo quarto grado". «M-m-m-a cosa è successo?». "April che balbetta, nuova questa". «Niente» «Elison ti concedo non più di due minuti per raccontarmi la tua intera giornata». "Ora la riconosco. Sto ancora riformulando la risposta". «Allora?» «...» «Aspetta un attimo... com'è andata la relazione di oggi?». "Come riesce a capire sempre cosa è successo?". «Male» «Quanto male?» «Sono stata sospesa dal mio incarico» «Oh, piccola lasciati abbracciare!». Mi arrendo all'abbraccio smisurato di April ma questa volta dai miei occhi non esce nemmeno una lacrima. «Elison, mi sembri strana». Impallidisco. «C'è qualcosa che non mi vuoi dire o qualcuno di cui non vuoi parlare?» Arrossisco. «L'ho rivisto poco dopo che ho ricevuto la notizia da Roderick». «Aha! Lo sapevo» esulta. «Racconta tutto. Voglio i particolari». Sospiro. «Eh va bene...». Dopo la lunga spiegazione. «Ricapitoliamo tu vieni licenziata. Vieni multata. Perdi l'auto. E compare questo... com'è che si chiama...Evan?» «Sì» «Tutto in mezza giornata?» Sospiro «Sì» «E vorresti cercare di dirmi che hai accettato subito la sua prima richiesta?» «Sì» «No, Elison tu adesso ti inventi una scusa, una qualsiasi e gli dici che non puoi andare» «Perché?» «Fidati di me, è come se gli avessi offerto il dessert su un piatto d'argento saltando gli antipasti». Mi lascio convincere anche se la mia vocina è contraria. «E cosa posso inventarmi Miss so tutto io?» «Che hai avuto un imprevisto raffreddore che ti ha colto alla sprovvista.» «Sei incorreggibile!» «Lo so» sorride. Brr... Brr... sfilo il cellulare dalla tasca dei miei pantaloni. Accendo lo schermo. Nuovo messaggio. "Amore sono molto preoccupata per te. Tuo padre vuole vederti chiama quando puoi. Chiede sempre se hai problemi economici quindi se hai bisogno di soldi per l'affitto fammi sapere. Un bacio". Mamma 6.22 p.m. Mi precipito in bagno e chiamo a papà. «Pronto?» «Papà?» «Oh, principessa!». Per un attimo dimentico della sua malattia. «Come va con il lavoro?» «Ecco non mi va di parlarne...sono stata sospesa». «Non ti preoccupare, lo sai che puoi venire qui a Jackson quando vuoi» «Ti volevo parlare di questo» esito. «Tua mamma vero?» «Sì, tesoro io...» «Non fa niente papà» «Elison...» «Sì?» «Solo fai in fretta. Ti manderò dei soldi quando potrò» «Ti voglio bene» «Anch'io» termino la chiamata e mi precipito in bagno. Guardo lo specchio e vedo una ragazza. Una ragazza che in questo preciso momento ha le lacrime agli occhi e vorrebbe gridare ma capisce che non serve a nulla. Perché in questa vita nessuno ti ascolta. Arriva un grido dal salotto. «Elison, esci dal bagno! C'è un tizio al citofono che chiede di te». Mi affretto, mi asciugo le lacrime, esco e mi reco verso il salotto a rispondere. «La signorina Scarlet?» «Sì, lei chi è?» «Sono John, l'autista personale di Mr. Ackley. La sta aspettando». "Qualcosa di galante, pensa Elison, pensa". «Riferisca a Mr. Ackley che non sono in grado di affrontare la serata e gli porga i miei più cordiali saluti». «Ossequi». A un tratto mi sembra di essere catapultata nella Londra dell'800. «Ossequi?! che significa?»

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Capitolo 9
*** Combattuta ***


'Ely sono andato da Joshua a fare un colloquio di lavoro. Non aspettarmi' April. Joshua? Credo che abbia trovato un nuovo pretendente. Decido di fare una doccia e mentre l'acqua scorre sulla mia pelle, ripenso a Evan. "Riesce a condizionarmi anche qui". Forse non avrei dovuto ascoltare April e sarei dovuta andare senza esitare ma ormai non ha più importanza. Credo di averlo perso. "No". La mia vocina si riaccende, esplodendo una volta per tutte. «Non devi essere troppo dura con te stessa». Aveva ragione. Non voglio passare la mia vita tra un "sì" e un "no". Devo riprendere il controllo. Basta esitazioni, Basta riflessioni. È arrivato il momento di agire. La mia vocina esulta ma il mio buon senso interviene, come sempre del resto. "Tuo padre sta per morire e l'unica cosa a cui pensi è quell'uomo". "Egoista". Ha ragione anche lei. Esco dalla doccia mi avvolgo un asciugamano e vado verso l'armadio. Suona il campanello. "Cristo". Frugo tra le mie cose alla ricerca del reggiseno ma niente. Sento bussare. Non ho altra scelta. Prendo le pantofole a forma di coniglio da sotto il letto e mi rifugio dietro la porta. Scorgo dall'occhiello un volto familiare. John. Bussa di nuovo. «Sono l'autista personale di Mr. Ackley... la prego, apra. Ho una pacco per lei.». "Oddio un pacco". «Non sono presentabile. Lasci il pacco dietro la porta» «Non posso. Mr. Ackley non acconsentirebbe». "Adesso ne ho abbastanza di subordinati". «Dica a Mr. Ackley che se vuole essere sicuro di avere consegnato il pacco, che venga di persona», «Signora...» sospira «Mr. Ackley è impegnato in una riunione attualmente». Apro la porta. «Io l'avevo avvisata». Con un'espressione rigida mi porge il pacco, accenna un segno di saluto e si allontana. Chiudo la porta e come una scolaretta mi butto sul letto e lo apro. C'è una scatola con una lettera sopra. "Spero che il regalo le piaccia. Mr. Ackley." Sbarrando gli occhi, leggo quello che c'è scritto sulla confezione. "Valentino". La mia vocina mi dice di aprirlo ma non posso farlo. Ricordo le sue parole. «Non credo che una vita di esitazioni faccia al caso suo». "Al diavolo!". Apro la confezione. È l'ultimo vestito della collezione di moda Autunno-Inverno di Valentino. "Non ci posso credere". Richiudo la confezione e la metto in un angolo. No, non posso accettarlo". La risatina di April interrompe la mia riflessione. «April?». Sta saltellando da una stanza all'altra, non la vedo così da molto tempo. Vado in cucina con ancora solo indosso l'asciugamano. Le sorrido. «Josh... vero?» «Sì, abbiamo passato tutta la mattinata insieme. Sono al settimo cielo» «E scommetto che è anche il tuo datore di lavoro...» «Cosa vorresti dire?». Scoppiamo entrambe a ridere. «Adesso però vai a vestirti!» mi tira un cuscino in faccia. «Ah, e mentre che vai ti consiglio di formulare una valida spiegazione sulla confezione all'angolo». "Meraviglioso". «È stato Evan» «Evan!?» «Sì» «Cos'è?» «Un regalo ma non ho intenzione di accettarlo». «Elison, ti devo dire una cosa... Ho chiesto a Josh di Evan. È il miglior uomo di affari di tutta Times Square» «Perché sento che sta arrivando un ma?» «Non lo so c'è qualcosa in lui che rimane... non lo so... indecifrabile» «Indecifrabile?». Alzo un sopracciglio. «Hai capito cosa voglio dire!» «April, ascolta... io...». April va in salotto e afferra la confezione. La apre e ne sfila il vestito. È un fantastico abito da sera a fascia. È a sirena di colore blu intenso, il mio stile preferito, con delle pochette che ricoprono la parte superiore alla fascia che cinge la vita. Resto estasiata. "È decisamente troppo". «Elison se non lo indossi tu, lo indosso io» «Ma...». Bussano. «Elison sono io... Evan» «Ti prego aiutami... non ce la faccio ora» bisbiglio. «Vai in bagno, ci penso io». Mi strizza l'occhio. Sento la porta aprirsi. «Dov'è Elison, Miss Booner?». "Sa anche il suo nome". «È in bagno» «Bene, le dia questa lettera da parte mia» «Va bene» «La ringrazio. Arrivederci». Si chiude la porta. Dissolto... nel nulla. Vado da April, le strappo la busta dalle mani e la scarto immediatamente. "Non sono molto bravo con le parole ma tenevo a dirle che vorrei passare un po' di tempo in sua compagnia e la prego di accettare il mio regalo. L'aspetto al centro di Times Square questa sera alle 11 p. m.". Mr. Ackley.

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Capitolo 10
*** Appuntamento ***


«Cosa hai intenzione di fare?» «Non lo so» «Ely, qualsiasi cosa tu stia pensando in questo momento, ti consiglio di prendere la decisione giusta. E' della tua felicita che si sta parlando». "Perfetto, ci mancava solo che iniziasse a parlare come lui". «Scusa ma devo andare, sono le 8» «Josh?». Chiedo. «Come hai capito che...?» «...Il tuo sorriso» «Devo imparare a mascherarlo... cosi non va». Sorrido. «Solo un'ultima cosa... Buona fortuna!» «Grazie». "Anche se credo che la fortuna non possa fare qualcosa in questo caso". Mi distendo sul divano. Sono stanca. Molto stanca. L'unica cosa che mi riesce a persuadere è il ricordo della sua voce, calda e profonda. Semplicemente perfetta. Vorrei andare ma il mio buonsenso in questo momento prevale su ogni cosa mentre la mia vocina sembra scomparsa nel nulla, come se non fosse mai esistita. Al ricordo dell' ultimo momento trascorso insieme, la mia carne freme e diviene bollente senza alcuna spiegazione razionale. E' un qualcosa che non posso controllare e ne ho paura. Ho paura di amare. Forse è il suo sguardo che mi rende nervosa. Penetrante ma delicato. La mia vocina riaffiora. Non riesce a far altro che urlare con tutta la sua forza. La ignoro. "Devi andare. Non è colpa tua". Vado in bagno e mi sciacquo la faccia. Sento una leggera pressione dentro la tasca destra del giubbotto. C'è qualcosa. Chiudo il rubinetto. Lo sfilo. E' il fazzoletto di seta che mi aveva dato Evan. Lo annuso stringendolo al petto. Il suo profumo è inebriante e mi ricorda lui. "Al Diavolo! Adesso ne ho abbastanza dei miei stupidi dilemmi!". Esco l'elegante abito da sera firmato Valentino e lo stringo tra le braccia. Ho deciso, ci andrò. Si accende lo schermo del mio cellulare con su scritto "Nuovo Messaggio". "Sono sicura che tu ti stia preparando. Manca più o meno un'ora per l'appuntamento. Fammi sapere come va... April." L'ottica dell'appuntamento non era proprio quello che mi immaginavo ma al solo pensiero arrossisco. Abbasso gli occhi e guardo l'orario di arrivo. Le 10. 31 p. m. «no, no, no...» bisbiglio. «Non ce la farò mai!». Inizia così una nuova sfida contro il tempo. Questa volta però ce la devo fare. E' della mia vita che... "la devo proprio finire di frequentare persone così...complicate". Mi getto sotto il vapore dell'acqua calda che sale e faccio la doccia più veloce della mia vita. Esco dalla vasca, indosso velocemente l'accappatoio e asciugo i miei lunghi capelli color castano. Metto la biancheria intima di pizzo nera che mi ha regalato April e indosso l'abito di Evan. Calzo i tacchi e mi guardo alla specchio. "Cavolo il trucco!". Cerco le riserve di April ma niente. "Aspetta un attimo, Sopra l'armadio!". Prendo la sedia e mi cimento a fare l'equilibrista. "Non male come prima volta direi". Afferro la beauty e inizio a truccarmi. Un leggero filo di rossetto, un po' di fondotinta e il gioco è fatto. Sono pronta. Guardo l'orologio del mio cellulare. Le 11.03. "Calma Elison, calma ce la puoi fare". Prendo la giacca e mi precipito fuori. Questa volta scelgo di scendere in ascensore con la speranza di evitare di rompere qualche tacco. Si aprono le porte e sento ansimare. Vedo Mackenzie e Alex con solo indosso la biancheria intima. Si richiudono le porte. «Uhm...Credo che le scale vadano benissimo». Scendo la rampa senza inciampare, apro il portone e chiamo il primo taxi che passa. Chiudo bruscamente la portiera. «Times Square, ora!» «Si calmi signorina...» «Le do il doppio della mancia prevista». Accelera a tavoletta senza esitare. "Incredibile quanto oggi sia importante il denaro". Intravedo il mio volto dal finestrino mentre che osservo New York di notte, un continuo via vai di persone che continuano a camminare come impazzite senza sapere di preciso dove stiano andando. «Siamo arrivati» Gli lancio i soldi e mi precipito fuori. «Ehi, la mancia!» «Tenga pure il resto» urlo con un sorriso stampato in faccia. Le 11. 17. Solo pochi minuti di ritardo. Corro sino a giungere il centro esatto di Times Square e non vedo nessuno o meglio non vedo Evan. Mi preoccupo. Il mio buon senso esulta. Mi siedo alla panchina più vicina e guardo fissa nel vuoto. "Lo sapevo che non sarei dovuta venire". «Miss Scarlett?».

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Capitolo 11
*** Sorriso ***


Mi guarda con aria impassibile quasi ironica. Io non riesco a astenermi dal suo sguardo e lo fisso. Passano pochi attimi e non riesco più a trattenermi. Devo ridere. Non so perché ma devo farlo. Mi trattengo per pochi secondi e poi sbotto. Evan aggrotta le sopracciglia ma io non riesco a fermarmi e continuo. Un sorrisetto compare sul suo suo volto. La mia follia sta degenerando, più lo guardo e più rido. Si passa la mano destra sul volto, abbassa per un attimo gli occhi a terra e inizia a ridere anche lui. «Elison, sei bellissima quando ridi». Arrossisco. "Mi ha chiamato per nome" la mia vocina esulta. Trattengo le lacrime e dopo un po' riprendo il controllo di me stessa. «Perché hai smesso di ridere?». Mi guarda incuriosito, si siede sulla panchina, mi prende la mano e mi fissa gli occhi. Di nuovo. Scoppia ridere. Lo guardo e sbotto di nuovo. Pazzia. Pura. Evan a un tratto si alza, si inginocchia ai miei piedi e mi porge una mano. «Vieni con me». Il suo tono è ferreo e arrogante. Non accetterebbe un 'No' come risposta. La mia bocca non è più in grado di emettere alcun suono. Di nuovo. Riesco solo a sorridere. Mi alzo e lo seguo. Con la mia mano nella sua. Lui ha le redini. Può fare di me tutto quello che vuole, lo sento. Attraversiamo tutta Times Square correndo tra la folla. «Vieni, ora!». Capisco presto a chi era indirizzata la telefonata. John. Vedo comparire la limousine da dietro l'angolo. «Dove stiamo andando?» «Seguimi». Non esito e, tirata dalle sue possenti braccia vengo catapultata in un mondo non mio. "Sono a New York di notte su di una limousine con un perfetto sconosciuto, non potrei desiderare di meglio". Sorrido. «A cosa sta pensando Miss Scarlet?». Mi ha colto di sprovvista. Non so che dire. Arrossisco. «Allora?». Si avvicina e mi prende la mano. «Perché sei arrossita? Ti faccio sentire a disagio?» «No, certo che no... tu...». Accidenti, devo imparare a controllarmi. Sorride. «Il tuo piede... sta tremando, sei sicura che ti senti bene perché posso portarti all'ospedale più vicino» «Ospedale? Cos...? No!» «Calmati, non volevo allarmarti». "Cristo, è così autoritario". «Signore, siamo arrivati». Le Bernardine. E' un sogno, non può essere vero. «Spero che le piaccia il posto». "Se mi piace?! E' il migliore ristorante di tutta la metropoli!". Sono senza parole. «Adesso andiamo». Mi porge il braccio. «Su, non preoccuparti». «Questo è troppo, io non posso accettare». Riemerge il mio buon senso. «Sono sicuro che puoi». Il suo tono si indurisce. Sospira. «Ti prego». Non riesco a capire se si tratti di una supplica o di un ordine ma decido di accettare. La coda del ristorante inizia a preoccuparmi. In segno di resa mi fermo ma lui continua a avanzare. «E' pieno!» «Fidati di me». «Monsieur Ackley, Madame» «Salve François, come procede la serata?» «Bene signore, grazie» «Ne sono felice, qual è il tavolo che ho prenotato ieri sera?». "Ieri sera?!? Un mio amico ha dovuto prenotare sei mesi prima!". «Tavolo numero 12. Monsieur, Madame. Ora se vogliate scusarmi». Si gira verso di me. «Andiamo». Tutto è curato nei minimi dettagli, dalla cucina sino a giungere la sala, la perfezione vige ovunque. Nessuno commette alcun errore e io ho paura di sbagliare. «Elison». Alzo il mento. «Rilassati». Non so cosa rispondere, decido di rimanere in silenzio. A Evan è tutto così assurdamente naturale mentre io continuo a estraniarmi dal luogo in cui sono immergendomi continuamente nei miei pensieri. Sono quasi al tavolo prenotato. «Fermati» dice con voce pacatamente tranquilla. Per un breve attimo sento il suo fiato dietro al collo. Sposta delicatamente la sedia e mi invita a sedere. Rimane immobile dietro di me. «La giacca» sussurra. Non capisco. «Alza le braccia». Come un bambina infinitamente impacciata eseguo i suoi comandi senza esitare. Mi sfila la giacca. «Sei stupenda con addosso l'abito che ti ho regalato».Arrossisco. Il suo sussurro fa fremere la mia carne e non riesco a far altro che pensare a lui. Il mondo che mi circonda non esiste più. Schiocca le dita. «Russeau! La giacca». In un batti baleno il cameriere viene a recuperare il soprabito - se così si può definire -. Si accomoda e mi fissa ma questa volta cerco di evitare il suo sguardo ammirando la vista mozzafiato di cui gode il ristorante. «Bello, vero?». Lo ignoro. «Elison?». "Sveglia Elison". E' la mia vocina. «Oh...Sì» «E' il mio secondo luogo preferito di New York... cosa ne pensi?». "Bello? No, troppo banale". «Elison?» mi tocca la mano. «Che è bello». "Stupida, stupida, stupida!". Sorride. «Russeau, Menu se il vous plaît!». Chef Eric Rupert PRIMI PIATTI (Quasi crudo) Caviale ( $130 per porzione)Caviale reale ( $120 per porzione)Ostriche Singolo di varietà o assortimento (sei pezzi)Chilled Beausoleil ; Sea Grape e marinato Scalogno Gelée Seaweed Water...." Non ho intenzione di continuare a leggere. Non conosco nessuno dei piatti elencati e di certo la parentesi iniziale non conforta molto. «Hai già scelto? Cosa prendi?». "Cavolo e adesso?". «Quello che prendi tu» «Sei sicura? Io ho dei gusti forti, molto forti» Annuisco in segno di sfida. «Russeau, due porzioni di caviale accompagnato da escargot» «Come desidera». Il pasto non tarda a presentarsi. L'aspetto sembra delizioso. Afferro il guscio di caviale e ingerisco. O almeno così sembrava. Sputo. «Sapevo che non ti sarebbe piaciuto» «Non ho fame». Smette di mangiare. «Se non hai fame tu, non ho fame io». "Idiota". Sorride. «Questo non è proprio il posto adatto a te» «Le facture, vite vite!». Si alza di scatto, paga il conto, mi afferra la mano e ci precipitiamo fuori. «John ci sta aspettando» «No!». 'Questa volta voglio dire cosa ne penso'. «Perché?» «In qualunque luogo tu mi stia portando ne ho abbastanza di quella limousine, mi fa sentire a disagio» «Finalmente un giudizio concreto, Taxi!». "Ma che fa?". Se ne avvicina uno «Questo va bene, Miss Scarlet?» «Sì» «Dove vi porto?». Stacca un foglietto dal suo block notes. «Qui». Mi guarda, sfila un fazzoletto dalla sua tasca e me lo porge. «Mettilo agli occhi» «Perché?» «Quante domande se ti fidi di me, fallo». Cedo e me lo avvolgo al capo. «Siamo Arrivati, sono $25...» «Ecco $100 e tenga pure il resto». Con il suo aiuto scendo dal taxi. Da questo momento lui è la mia unica e sola guida. «Dove mi stai portando?». Non riesco a non fare quella domanda. La curiosità aumenta di secondo in secondo. «Ora lo vedrai». Sento delle luci accendersi. "Manca poco". Cammino guidata dalla sua mano. Sono quasi sicura di essere appena entrata su un ascensore. Sento le porte aprirsi. «Adesso puoi togliere il fazzoletto». Apro gli occhi. Sono in cima all'Empire State Building.

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Capitolo 12
*** Incanto ***


Non credo ai miei occhi è riuscito a sorprendermi. Di nuovo. Siamo solo io e lui. Nessun altro. «Ho chiuso l'intera struttura al pubblico solo per te» «Io...». Si illumina il display del suo I-phone. «Sì? Capisco» riattacca. «Scusa, devo andare». Lo guardo allontanarsi. Il mondo intorno a me scompare, sento solo il rumore dei suoi passi che diviene sempre più debole. "No. Questa volta no". Corro verso di lui e gli afferro un braccio. «Evan! Non andare... ti prego». Lo voglio. Una lacrima cade sul mio viso. «Io...» «Evan» la mia voce trema. Ho bisogno di abbracciarlo. Allungo una mano verso di lui. Chiudo gli occhi. Scivolo. "Maledetti tacchi".Lui mi afferra e Mi salva. Un'altra volta. Sorride. Arrossisco. Mi lascia cadere dalle sue braccia. «Perché?» «Cosa?» «Perché mi hai portata qui?» «Non lo so». Gli prendo la mano. «Non andartene, non lasciarmi sola». Il suo sguardo per un attimo si incupisce. La sua bocca si sta avvicinando alla mia. Esita. «Apri gli occhi». Mi discosta i capelli dall'orecchio. «Sei magnifica» sussurra. «Io...» «Shhh». Il suo indice mi sfiora le labbra e inizia a scendere. Ti prego. Fermati. Il mio corpo freme. Lo voglio. Come non ho mai voluto niente prima d'ora. Gemo. «Shhh». Inclina leggermente il suo volto e lo affonda nel mio collo. Sento un leggero pizzico di dolore. «Sei mia» sussurra. Le sue mani scendono lungo i miei fianchi. Il mio sangue ribolle. "So che è sbagliato...". «Smettila di pensare». «Oh...». Mi bacia. La mia bocca e la sua diventano un tutt'uno. La mia mano si posa sulla sua spalla. Lo sento. Sento i suoi addominali premere contro il mio corpo. Sento il suo sospiro. Sento la sua gamba. Sento ogni minima sua parte divenire mia. Solo mia. Mi stringe i fianchi. Tasto i suoi bicipiti . Mentre che continua a baciarmi inizia a sfilarsi la giacca di seta nel gelo della notte. Con il palmo della mia mano premo sui suoi pettorali. Inizio a sbottonargli la camicia. Il mio corpo è in fiamme. Voglio solo essere sua e di nessun altro. Le sue mani scendono lentamente sino a toccarmi le natiche. "Non puoi assecondarlo, non qui. Ci sono solo cinque gradi". "Al Diavolo!". Salto su di lui, discosto i capelli a sinistra e lo bacio. Ci ritroviamo fuori dall'ascensore circondati dal panorama di New York. «Ti voglio. Qui. Ora». La freddezza delle sue parole per un attimo mi incute terrore ma cedo. Mi sbatte con delicatezza al muro. Con la sua mano destra mi accarezza i capelli, inclina il volto e mi bacia dolcemente l'orecchio. Chiudo gli occhi. Ogni mio singolo neurone pulsa solo per lui. La sua bocca si sposta sulla mia. Vengo violata dalla sua lingua. Una sensazione che non avevo mai provato. Per un attimo si allontana da me. Gemo. Apro gli occhi. Il suo sguardo si posa sul mio. «Non te ne andare». Mi morde il labbro superiore. Le sue mani mi cingono i fianchi. «Non ti lascerò. Mai». Mi afferra per le anche e mi solleva. Come un papà solleva la sua bambina. «Lasciami andare!». Nel mio viso compare un futile movimento involontario. Un sorriso. «No se continui a fare così». Sorride anche lui. Inizio ad agitare le gambe e le braccia e lui con un rapido movimento mi fa scivolare dalla sua presa. Mi ritrovo sottosopra con le mie natiche all'altezza del suo volto a formare un angolo acuto. Inizio a dare pugni alla sua schiena. «Lasciami!» Scoppio a ridere. «Smettila di muoverti o ti sculaccio». La mia vocina acconsente. «Fallo». La sua risata scompare. Mi rimette giù e mi fissa. Evito i suoi occhi e abbasso il capo. «Guardami». Apro leggermente la bocca. Mi bacia mentre le sue mani scendono sulle mie cosce. Divento rossa ma non riesco a impedirglielo. Sono sua. «Girati». Obbedisco. Mi abbassa la cerniera della zip. Il mio abito scivola lungo il mio corpo. Indosso solo la biancheria intima. «Sei stupenda». Mi giro verso di lui col capo rivolto in basso. «No, non farlo». Alzo gli occhi a lui e lo bacio. Lo voglio. Si allenta la fibbia del suo cinturino e i suoi pantaloni cadono. Mi abbassa le coppe del reggiseno. I miei capezzoli si irrigidiscono. Pazzia. Pura. La sua erezione preme sulla mia coscia. Una serie di immagini compaiono nella mia testa. "Lo stupratore, Mr. Brown". I ricordi riemergono. «Evan non ce la faccio». Il suo volto si inclina. Ho paura di perderlo. «Il criminale vero?» «Sì». I suoi lineamenti si rilassano. «Prenditi il tempo che vuoi». Si inginocchia, prende l'abito e me lo porge. «Scusa...» «Tranquilla». Si avvicina e mi da un casto bacio sulla guancia. «Forse è meglio che ci vestiamo dentro, qui fuori si gela». "Ha ragione". Mi afferra la mano e ci allontaniamo da quel magico scenario. Entriamo in ascensore con sole le mutande. Ci scambiamo un sorriso e ci vestiamo velocemente. Si aprono le porte dell'ascensore. «Elison, so che non apprezzi molto la mia limousine ma ti prego di lasciarti accompagnare da John. Io devo concludere un affare» «Va bene» «Mi farò vivo io. Te lo prometto». Lo guardo allontanarsi. «Signorina, mi segua, l'automobile è parcheggiata qui fuori». Sobbalzo. «Oh, John non sapevo che fossi nei dintorni» «Non si preoccupi. Andiamo, l'accompagno». Annuisco. «Prego» mi apre la portiera. «Grazie, non sono abituata a questo genere di cose». La limousine parte e io mi perdo nei miei pensieri guardando New York City dal finestrino. «Come è andata?» «Scusi?» «Non volevo essere invadente, mi perdoni» «No, non lo è affatto» «Solo non rinunci a lui alle prime difficoltà». "Cosa?". Una nota amara traspare dal suo sguardo. «Perché?» «Non posso riferirle altro». Si ferma il veicolo. «Siamo arrivati».

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Capitolo 13
*** Difficoltà ***


Una flebile luce filtra dalle tende della mia camera. Non è una luce qualsiasi. Si tratta di speranza. Si tratta di un qualcosa che non puoi toccare ma sai che c'è. Non hai bisogno di vederla. E' lì. Nel profondo del tuo cuore sai che sarà sempre con te. In qualsiasi circostanza. Perché questo è amore. Esserci sempre. L'uno per l'altro. «Elison ti ho vista! Non fare finta di dormire». Mi giro dall'altro lato. «No, non ci provare, aiutami a preparare la colazione». "April". Mi infilo sotto le coperte. «Va bene, mi hai costretta». Sento le piante dei suoi piedi posarsi al suolo e venire verso di me. Abbraccio il cuscino e assumo la posizione di un bambino. "Tutto ma non i piatti". Ha preso i piatti. «Ok, ok arrivo!». Mi alzo brancolante dal letto e mentre che mi gratto la schiena vado in bagno. Prendo lo spazzolino e mi lavo i denti. Mi sciacquo la bocca e mi guardo allo specchio. Ripenso alla notte precedente. Sorrido «Oh mio Dio. Non-ci-posso-credere. Tu che mostri il tuo sorriso. Credo che mi devi raccontare qualcosa». "Oh non ora ti prego". «Anche tu se non sbaglio dovresti parlarmi di un certo Joshua». Arrossisce. «Va bene. Tregua. Ne riparliamo questo pomeriggio ma per il momento, in cucina!» «Accordato» «Che ne dici di un po' di musica?» «No, April...» «Dai che ci divertiamo!» «Come vuoi» «Non mettermi il broncio» «Ok, Ok!». Accende lo stereo al massimo e mi prende per le mani. «Sei incredibile» «Come sempre». «Abbassate il volume!». E' il proprietario. «Cristo l'affitto». Bussa. «Aprite! Signorine ho bisogno dei soldi». Non rispondiamo. Bussa di nuovo. «Vado io». April apre la porta. «Oh Miss Boner, quanto tempo! Forse ha dimenticato di passarmi la busta» «Ci dia solo altre due settimane la prego» «Una e ci rimetto». Mi guarda severo. «Adesso devo andare». "Grazie al cielo". «Un ultima cosa...». "Gesù!". «... non alzi di nuovo la musica se non vuole che cambi idea. Arrivederci». Sbatte la porta. «Se ne è andato?» «Chi? Mister non alzi di nuovo la musica?» borbotta. «Sei incredibile!» sogghigno. «Lo so» «Sento una strana puzza di bruciato» «L'omelette!». Spengo il fuoco ma la nostra colazione è andata persa. «Bar qui sotto?» «Bar qui sotto». Ci vestiamo e usciamo. Di certo non è il migliore ristorante di tutta New York ma è caldo e accogliente. Lo stile rustico mi fa sentire perennemente a casa e io mi sento bene. «Buon giorno Joyce» «Oh, lasciatevi abbracciare!». La cassiera è una nostra cara amica, dalla prima volta che siamo entrate qui ci ha sempre accolte come se fossimo di famiglia. «April, sei stupenda e tu Elison, mi sembri un po' giù di morale c'è forse qualcosa che non va? I tuoi genitori come stanno?». "Bersaglio centrato". «Bene, grazie». "April fa qualcosa non ho voglia di parlarne". «Ci sediamo a quel tavolo Joyce» «Prego fate pure. Cosa vi porto?» «Due cornetti» «Arriveranno fra 10 minuti!» «Grazie» «Se no, a che cosa servono gli amici?». Ci sediamo al tavolo. April si alza un attimo a parlare con la cassiera. Mi suona il telefono. E' mio fratello. «Jason!» «Ely...» «Come sta papà?» «E' di questo che ti volevo parlare...». Rimango col fiato sospeso. «Allora?» «I dottori dicono che le prossime settimane saranno cruciali per comprendere le condizioni del tumore» «E papà cosa ne pensa?» «Lo sai com'è papà, non accetta mai quello che dicono i medici. Preferisce morire piuttosto che prendersi quelle stramaledette pillole» «Oh, vorrei tanto tornare ma sono a corto di fondi e una bufera di neve me lo impedisce» «Cerca di far presto, abbiamo tutti bisogno di te ora». Arriva il cameriere. «Scusa adesso devo attaccare» «Chiama papà quando puoi. Ciao». La mia migliore amica nota il mio sguardo perplesso e si avvicina. «Chi era?». Si siede. «Mio fratello» «Tuo padre vero? Come sta?» «I medici non lo sanno ancora, lo chiamerò più tardi» «Capisco. Adesso sbrighiamoci, questi cornetti non si mangiano da soli» «E' buonissimo» «Decisamente». In due minuti divoriamo i cornetti di crema al cioccolato e andiamo a pagare il conto. «Venite quando volete!» urla Joyce. «Contaci!». Entriamo nell'edificio del nostro appartamento e prendiamo l'ascensore. Sentiamo ansimare. Ci guardiamo stranamente. Si aprono le porte. Mackenzie sta limonando con Raul. "Non dico tanto, cambia almeno posto". Si richiudono le porte. «Credo che abbia visto più piselli lei che mia nonna mentre cucina il minestrone». Iniziamo a ridere. Apriamo la porta, posiamo le borse e ci buttiamo sul divano. «Allora?» «Cosa?» «Noi non avevamo fatto un patto o sbaglio?». Sospiro. «Cosa vuoi sapere?» «Tutto» «E' stata solo una semplice cena in un ristorante» «Quale?» «La Bernardine» «Sì, una semplice cena nel ristorante più costoso di New York» «Vi siete baciati almeno?». Arrossisco. «Sì» «Cosa ti piace di lui?». "Tutto". «Non lo so con esattezza. Forse è il suo sguardo che mi fa impazzire» «Non ci credo per la prima volta vedo che ti sei innamorata. Sul serio». Squilla il telefono. «Pronto?» «Sono Roderick il tuo lavoro riprenderà Giovedì alle 8. Puntuale» «Graz...» riattacca. "Scorbutico". April mi abbraccia. «Te l'avevo detto di stare tranquilla» «Già» «Adesso devo andare Josh e io abbiamo un appuntamento. So che non dovrei lasciarti sola ma...» «Non ti preoccupare, perdonata» le strizzo l'occhio. Così mi ritrovo nuovamente sola. Squilla di nuovo il telefono. Sospiro. «Chi è stavolta?». Rispondo. «Principessa...». Tossisce. «Ti ho mandato dei soldi per pagare l'affitto, non è molto ma è tutto quello che sono riuscito a raccogliere». "Anche in questa condizione continua a pensare a me". Il mio cuore si indebolisce. «Papà...» «Tesoro non ho molto credito telefonico». Tossisce un'altra volta. «Volevo solo dirti che Giovedì riprendo il lavoro» «Sono fiero di te. Ti voglio bene». Riattacca.

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Capitolo 14
*** Perversione ***


Intravedo da sotto il piumone lo schermo del mio cellulare illuminarsi. Esco la mano da sotto le coperte, allungo il braccio, afferro il telefono e lo porto davanti al mio volto. Il mio cuore sale in gola. "Elison sono Evan. Ho bisogno di parlarti. Questa sera passo a prenderti alle 8". Mi alzo immediatamente dal letto facendo cadere le coperte. "Come fa ad avere il mio numero?". Mi guardo intorno. Il mio corpo ribolle, non capisco cosa mi sta succedendo. "Amore". La mia vocina si ripresenta. Ho bisogno di assemblare i pezzi del puzzle. Il mio buon senso si rifiuta di pensare. Ricorda solo e unicamente il suo viso e i suoi addominali scolpiti. Lui è troppo per me e io sono troppo poco per lui. Riesce a spiazzarmi, sempre. "Cosa faccio, rispondo?". Non lo so. Vorrei negargli tutto questo, vorrei dirgli di no. Vorrei farlo aspettare, vorrei farlo soffrire. Vorrei non concedergli sempre tutto quello che mi chiede ma non ce la faccio. Io lo desidero e lui desidera me. L'amore è come un vortice, una volta entrati non se ne esce più. E io non voglio uscirne. Lo amo. E' una cosa che non riesco a spiegare a me stessa e ne ho paura. Ho paura di amare. E' l'unica cosa che il mio buon senso è riuscito a concepire. La sua immagine mi perseguita. Il mio corpo freme, la mia pelle rabbrividisce e i miei capezzoli si irrigidiscono. Tocco il lato destro del mio collo con la mia mano sinistro e premo. Sento un lieve dolore. Mi mordo il labbro e piego le ginocchia. La mia mano destra scende lentamente. Il mio corpo è in fibrillazione. Infilo la mano sotto le mutandine, sfioro il pube e con il dito medio mentre con l'indice accarezzo il clitoride. Tutto quello che fa parte di lui mi eccita. Socchiudo gli occhi e esplodo in un potente orgasmo. Il mio primo orgasmo in ventun' anni di vita. "Puttana". Sto solo ascoltando il mio corpo. Se provare piacere significa essere puttana allora sì, sono una puttana. Lo voglio. Ora. Non posso aspettare. Lo chiamo. Interviene il mio buon senso. "Termina la chiamata. Lui non ha tempo per te". La ignoro. La telefonata si stacca. Aveva ragione. Il telefono vibra di nuovo. «Elison perché hai chiamato?» «Mi manchi» «Sono in ufficio». "Inventati qualcosa". «Non mi sento bene» «Sto arrivando». Riattacca. "Stupida". Cosa gli dirò appena arriva?. Sto avendo un calo di zuccheri. Vado in cucina alla ricerca di qualche bevande energetica. «Elison, apri sono Evan!». Sono passati appena dieci minuti. "Impossibile". Apro la porta. Lo guardo e svengo. Evan protende le braccia e mi percuote delicatamente. «Elison! Elison». Per la prima volta la sua voce è esitante. Sento il calore del suo respiro. Sono sulle sue braccia. «Resisti stiamo arrivando in ospedale». "In ospedale?!". Il mio buon senso mi abbandona. Perdo i sensi. Sento una voce in lontananza. «Non si preoccupi Mr. Ackley ha solamente bisogno di riposare, la riporti a casa». Sto per riaprire gli occhi. Lui si avvicina a me. Mi prende in braccio, mi guarda. «Tu verrai con me». Sorride. Svengo di nuovo. Sento una mano accarezzarmi i capelli. Mi sveglio. Sto per aprir bocca. «Shhh». Il suo indice scorre sul suo naso. "Cristo, perché deve essere così dannatamente sexy?". Chiude gli occhi e mi bacia il collo. Ansimo. Mi perdo nel suo viso e mi nascondo dietro le sue labbra. Lo voglio. Mi sorride. «Non ora». Lo guardo severa. «Il dottore ha detto che devi riposare per almeno una settimana». Niente riesce a eliminare la sua eleganza nemmeno la sua camicia sbottonata. Scivolo fuori dal letto e gli do un rapido bacio sulla guancia. «Di certo non devi dirmi tu cosa devo fare». Mi allontano da lui ma vengo fermata dalla sua mano che mi afferra il polso. «Finché starai a casa mia, sì». Esito. «Oppure cosa mi fai?» «Non mi provocate Miss Elison». I suoi cambiamenti di umore sono incontrollabili. «Dov'è il bagno, Signore?». Accentuo l'ultima parola. «In fondo al corridoio» dice inflessibile. Le pareti bianche della sua casa sono colorate da dei strani quadri di arte astratta. Il blu oceano è ovunque. Intenso e allo stesso tempo profondo. Il bagno è arredato con diversi specchi che rendono spaziosa la stanza. Mi avvicino al lavabo in pietra e apro il rubinetto. Mi sciacquo la faccia. Il vapore dell'acqua calda sale velocemente e offusca il mio riflesso. Un'idea perversa mi passa per la testa.

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Capitolo 15
*** Contro tutto ***


Chiudo il rubinetto. Poso entrambe le mani sul lavabo, sbatto le palpebre e vedo una donna allo specchio. Una donna che ne ha abbastanza di far felice gli altri mentre lei muore dentro, una donna che ne ha abbastanza di essere quello che gli altri vogliono che sia, una donna che ne ha abbastanza di comportarsi seguendo le regole perché sa che seguire le regole non porta alla felicità. Bussano. «Elison se ti stai facendo una doccia dirò a Miss Bancroft di portarti degli abiti puliti» «Sì, grazie...». Avvicino l'orecchio alla porta e lo sento allontanarsi. Il bagno padronale è meraviglioso. E' tutto così...moderno. E io mi sento lontana anni luce dalla realtà in cui sto vivendo. Decido di fare a meno della doccia e faccio scorrere l'acqua calda nella vasca. "Cosa stai facendo?". Sei in un bagno di una persona che conosci appena, probabilmente un depravato e stai disperatamente cercando un modo per stuzzicarlo. "Stupida". Sorrido al mio buon senso e mi tolgo i vestiti Immergo prima un piede nella vasca poi l'altro. Sprofondo nell'acqua calda facendomi accarezzare dalle bolle prodotte dal sapone. E' inebriante. Piego un ginocchio e alzo la gamba destra raccogliendo un po' di schiuma. Socchiudo gli occhi. La sua immagine mi pervade il corpo. Esco dalla vasca e mi avvolgo nell'asciugamano. Cerco qualcosa per i miei capelli ma non trovo nulla. «Elison?». Distendo delicatamente le mie dita sull'unica cosa che ci separa. "Cosa sto facendo?". «Elison!». Abbasso la maniglia e apro lentamente la porta. Indossa degli eleganti pantaloni che gli cadono sui fianchi e una camicia firmata Valentino. Abbasso la testa in gesto di resa. "Non lo capisci che sono tua?". La mia vocina grida. Mi fissa. Non riesco a percepire nessun sentimento. Lascio cadere l'asciugamano. Socchiude la bocca e mi guarda. E' così schifosamente sensuale. Fa dei passi verso di me. "Ci siamo quasi". Il suo sospiro si posa sul mio. Lo sento. Chiudo gli occhi e protendo le labbra. Piega le ginocchia, afferra l'asciugamano e me lo porge. «Tieni». Arrossisco. «Vestiti. Ti riporto a casa». Chiude la porta. Cosa ho fatto di sbagliato?. "Hai appena mostrato il tuo corpo a un perfetto sconosciuto". Ecco cosa hai fatto. Stupida. Mi vesto e attraverso il corridoio tornando nel salotto. «Sono la signora Bancroft. Si accomodi. Mr Ackley verrà a momenti» «Grazie». La mia passione si sta man mano raffreddando e io ne sono dispiaciuta. Devo chiedere delle spiegazioni. Primo: come ha fatto ad avere il mio numero. Secondo: perché mi ha portato qui. Terzo... Non lo so! Diamine perché ci deve sempre essere un terzo?. «Miss Scarlet?» «Sì?» «In genere non mi è permesso parlare con gli ospiti ma non importa. Non si faccia ingannare dalla rigidità dei suoi movimenti o dai suoi modi un po' antiquati. Lo so. Può sembrare assurdo ma non è un uomo senza cuore. E' solo un uomo che ha bisogno di attenzioni». Sorride. «Elison?». Sobbalzo. «Se adesso vuole seguirmi, John aspetta nel parcheggio». Mi alzo e lo seguo. Ammiro estasiata la vista che si gode da questa altezza. Avverto la sua mano vicino la mia. Le nostre dita si intersecano tra di loro. Mi bacia sulla fronte. «Sei stupenda». Allora non sono passata poi tanto inosservata. «Oh,ma grazie Mister Gentilezza». Si ferma. Mi guarda divertito e mi bacia sulla guancia. Arriviamo al parcheggio. John apre la portiera e ci invita a salire. Il sorriso accennato poco prima scompare dalle sue labbra. Ritorna così un uomo di quarant'anni. Rigido e inflessibile. La limousine si ferma. «Siamo arrivati». Mi alzo dal sedile e lo guardo. «Arrivederci» «Arrivederci». Salgo le scale, apro la porta e ritorno così alla mia vecchia vita. «Dove sei stata tutto il giorno?». E' April, Inventati qualcosa!. «A cercare qualcuno che mi potesse riportare a Jackson» «Oh, Ely. Mi dispiace». E' andata. «La prossima volta però portati questo». Sventola il cellulare. "Dannazione!". «Senti io...» «Ely ti ho sempre conosciuta meglio delle mie tasche e non mi hai mai mentito neppure...». Si blocca. I suoi occhi brillano. «...neppure quando abbiamo litigato» «April... mi dispiace». Faccio un passo per abbracciarla. «No! Stai lontana da me» «Io... non volevo». Mi guarda irritata. «Buona notte». Si gira e se ne va a letto. Guardo il display del cellulare. Il mio cuore sobbalza in gola. "Abbiamo portato papà al pronto soccorso. I dottori hanno detto che non vivrà più di quindici giorni. Elison chiamami. Ti prego". Jason. Compongo immediatamente il numero di mio fratello. Lo sento singhiozzare. Il mio cuore si frantuma in una miriade di pezzi. «Jason, per favore non piangere». Singhiozzo. «Elison, perché noi? Cosa abbiamo fatto per meritarci tutto questo?» «Nulla Jason, nulla. A volte La vita ci mette a dura prova e questa è una di quelle volte». Trattengo le lacrime. «No! Non può finire così». Grida. Il suo urlo è come una saetta che mi attraversa le viscere. «Ti prego non piangere. Arriverò presto. Te lo prometto». Stacco la telefonata. Prendo il cellulare e lo tiro alla televisione. Mi alzo e do pugni al muro. «Perché? Perché? Dio! Cosa ti ho fatto? Perché? Perché? Perché?». La mano di April mi accarezza i capelli. Da quanto tempo è vicina a me?. «Ely... ti voglio bene». Mi giro e la stringo a me. «Scusa per prima». Le ultime parole che riesco a pronunciare. April mi accompagna nella sua camera e mi mette le coperte come solo lei sa fare. Mi abbraccia. Il mio respiro inizia a rallentare. Penso a mio padre. Penso a mia madre. Penso a mio fratello. Perché Dio? Perché?

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Capitolo 16
*** Necessità ***


Ho bisogno di denaro per andare a Jackson e il denaro non te lo regala nessuno. April dorme. Mi siedo sul letto, apro il suo cassetto e cerco il suo salvadanaio. Ritrovo una foto che ci eravamo scattate durante la consegna dei diplomi. Eravamo così belle, così felici. Si gira verso l'altro lato. Devo sbrigarmi. Poso la foto, trovo il salvadanaio, sfilo novanta dollari e li metto in tasca. "Ladra". I sensi di colpa mi attanagliano. Sbadiglia. «Buon giorno». Balza accanto a me. «Cosa stai facendo?» «Stavo cercando una pinza che non trovavo. Pensavo che avresti potuta prenderla tu» «Non farei mai una cosa del genere» «Hai ragione, scusa». Si alza dal letto. «Fa niente... ma che ore sono...?». Guarda l'orologio appeso al muro. «Mi sono addormentata! Non ce la farò mai!». Si precipita in bagno e apre il rubinetto. Vado in salotto per recuperare il telefono. Lo intravedo dietro la televisione. Mi chino e lo afferro. Ti prego funziona, ti prego. Si accende. "Grazie al cielo". Sento la porta aprirsi. «Vuoi un caffè?» «No, sono in ritardo pazzesco». Lancia la sciarpa dietro le spalle e sbatte la porta. Mi siedo e accendo la televisione. No! Non posso fare questo a April. Tiro i soldi dalla mia tasca e li metto sul tavolo. No, non se lo merita. Lei c'è stata sempre per me. Non posso ferirla così e io non posso vivere con un rimorso così grande. Faccio la cosa che il mio buon senso ritiene più giusta. Rimetto i soldi nel salvadanaio. Devo trovare una soluzione per ritornare a casa. Evan. La mia vocina grida. "E' ricco, stra maledettamente ricco". Lo conosco appena non posso assolutamente chiedergli dei soldi. Tiro un lungo sospiro. Mi manca. Aspetta un attimo mio padre aveva detto che mi aveva mandato dei soldi e se fossero arrivati? Mi vesto velocemente e scendo le scale. Nella casella della posta mi sembra di vedere una lettera. Apro la casella. Scarlet Michael. E' mio padre. Scarto la busta. Ci sono centodieci dollari. Non bastano per pagare l'affitto e il volo per Jackson. Andrò a stare dai miei. Non importa. Al diavolo il lavoro, al diavolo Evan, al diavolo April. Ho bisogno di stare con mio padre. Salgo le scale, prendo il cappotto e vado in agenzia per prenotare il volo. Il paesaggio di New York è completamente diverso dalla vita tranquilla che trascorrevo nel mio paese natale. Ne ho sempre avuto nostalgia. Chissà se avrò anche nostalgia di New York. Chissà se avrò nostalgia di Evan. Non lo avrei mai detto ma il mio volto continua a fremere al solo suo pensiero. Mi manca ma l'amore per mio padre è più intenso. Entro in agenzia, questa volta ad assistermi non c'è lo scorbutico dell'altra volta bensì una signora alta con i dei lunghi capelli neri che mi osserva. «Ciao, come posso aiutarti?» «Avrei bisogno di un biglietto aereo per Jackson» «Un attimo che controllo» «Allora le condizioni meteorologiche ti permetteranno di partire la prossima settimana, va bene?» «Sì» «Il volo più vicino sarà martedì» «Ok» «Solo andata?». Esito. «Sì» «Il costo è di settantacinque dollari». Le do il denaro di mio padre e rimango con soli quindici dollari. «Grazie, arrivederci». Mi porge il biglietto e mi allontano. Il mio telefono squilla. Evan. Adesso ne ho le tasche piene. «Pronto?» «Cosa vuoi?». Rimane sbalordito dalla mia risposta. «Che è successo?». Come fa a capire sempre tutto di me?. «Niente». Ringhio. «Dove sei? Ti vengo a prendere» risponde con voce pacatamente tranquilla. «Non ti importa» «Perché?» «E' la mia vita, non la tua stanne fuori» «Io... non capisco». L'ho spiazzato. «Evan...». Sospiro. «Non ora». Stacco la chiamata. Richiama. Spengo il telefono. Non può comparire e scomparire come se niente fosse. Lo deve capire. Salgo le scale del mio edificio. Entro. Sento il rumore dell'acqua cadere nella doccia. "April?". Vado nella mia camera prendo la mazza da sotto il letto e mi metto dietro la porta del bagno. L'acqua smette di scendere. Una persona è entrata nel mio appartamento e non so di chi si tratta. La maniglia si abbassa lentamente. «Evan...». Sorride. La mazza mi scivola dalle mani mentre che lo guardo. Indossa solo un asciugamano che gli cade sui fianchi. I miei occhi si gonfiano di lacrime. Esplodo. Un'altra volta. La sua pelle inumidita si attacca alla mia. Mi accarezza dolcemente i capelli. «Cosa è successo?». Lo guardo. «Non te lo chiederò una seconda volta» «Non la fare più! Ho avuto paura!». Gli do dei pugni sui pettorali. Mi stringe a se. «Te lo prometto ma tu...». Esita. «Non farlo un'altra volta». Le mie lacrime non hanno intenzione di fermarsi. «Adesso calmati e spiegami cosa è successo. Sediamoci». Mi afferra la mano e mi porta nella mia camera. Si siede, mi mette sul ginocchio e mi cinge la vita. «Mio padre...». Sbotto. No, non ce la faccio. «Non aggiungere altro». Discosta i miei capelli e mi bacia il collo mentre il suo petto preme sulla mia schiena. «Dove vive?» «Jackson» «Capisco». "Cosa ha in mente?". Mi asciugo le lacrime con un suo fazzoletto di seta. «Perché?» «Abbi pazienza». Mi desidera. Lo sento. Ma io non desidero lui. «Interrompo qualcosa?». April? Quando è entrata? Arrossisco. «No, certo che...» «La prossima appendete un qualcosa alla porta». Sbatte la porta. Mi alzo dalle sue ginocchia. «Vestiti, io vado a parlare con lei». Prima che esco dalla porta mi da un veloce bacio sulle guancia destra. «Muoviti». La sento canticchiare. «April, senti non volevo farti sentire in imbarazzo». Mi ignora. «April». Le prendo le mani. «Scusa» «E di cosa?» «Lo sai di cosa». Ride. «Dobbiamo elaborare un sistema per non invadere la nostra... "privacy"» «Credo proprio di sì» «Signore?». E' bellissimo. I suoi capelli perfettamente pettinati mi danno l'impressione di fissare un dio greco. Cristo! E' così professionale e io invece così inutile. «Vorrei portarti con me». Annuisco mentre April si gode l'intera scena divertita. Finalmente capirò cosa ha in mente. Entriamo nella limousine e John è al volante, come sempre del resto. «Allora dove andiamo?» domando. «Ora vedrai». Metto il broncio. «Ti prego non assumere quella espressione». Lo guardo incuriosita. «Mi fa stare male». Continuo a stare con il broncio. «Stiamo andando verso il mio jet privato».

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Capitolo 17
*** Saluti ***


«Fermati» «Perché? Voglio solo portarti da tuo padre» «Fermati. Ora». «Perché devi essere sempre così testarda?». Sospira. «La mia non è una richiesta». La limousine si ferma. Colgo l'attimo e apro la portiera dell'auto. «Non farlo». Mi tocca il braccio. Il mio sguardo è determinato. «Non...farlo». I suoi occhi si perdono nei miei. Una parte di me vorrebbe restare con lui ma non si tratta del mio buonsenso. Si tratta della mia passione. «Mi dispiace». Esco fuori dall'auto e scivolo nel traffico di New York bloccato da un semaforo. Non posso lasciare che mi salvi anche questa volta. Deve stare lontano da me. Tutte le persone che mi stanno vicine presto o tardi precipitano nell'abisso. «Fermati!». I miei occhi si gonfiano. Perché devo sempre piangere per qualsiasi cosa? Mi trattengo anche se sono consapevole che non ci riuscirò per molto. «Aspetta». Perché non mi lascia andare? Sarebbe più facile la sua vita senza di me. Inizio a correre come una bambina indifesa. Devo evitare il suo contatto. A qualsiasi costo. Sta per raggiungermi. «Elison!». Corro più in fretta che posso. «Togliti dai piedi!». Mi giro. Un taxi punta dritto in mi direzione. «No!». Chiudo gli occhi. Non darò più fastidio a nessuno. Sorrido. «Dio, sto arrivando». La mia vita viene stretta saldamente. Mi ritrovo a terra con Evan al mio fianco. «Mi farai impazzire Elison». Rido. «Te l'avevo detto di stare lontano da me». Si incupisce. «Perché hai tentato il suicidio?». Sono solo un peso ecco cosa sono. Sospira. «Sono così brutto da uccidersi?». Non credo alle mie orecchie. Lo fisso nelle pupille degli occhi. Scoppiamo a ridere. «Grazie per avermi salvato ancora e ancora e ancora» «Non c'è di che». Rotola verso di me e viola la mia bocca con la sua lingua esperta. Sto bene. Come non mai. Lui è la mia medicina. «Muovetevi! Ci sono delle persone che devono andare a lavorare!» «Credo che stia parlando di noi» «Dici? Stupido» «Detto da te lo ritengo un complimento» Accenna un sorriso. «Oh ma grazie» «Allora? Muovetevi!» «Non farlo mai più». Diviene un uomo di sessant'anni. Imprevedibile. Come sempre. «Togliamoci da qui adesso prima che qualcuno ci uccida» «Almeno finiremo sui giornali». Mi guarda con aria severa. "Che ho detto?". «Andiamo». Si alza e mi porge la mano. Entriamo nella limousine in cui John ci sta aspettando pazientemente leggendo un giornale. Ci guarda stupito. Mano nella mano. «Mr. Ackley, Miss Scarlet». Alza leggermente il cappello. Questa volta mi siedo accanto a lui. «Cosa hai deciso?». "Oh, bene finalmente anche io possiedo il libero arbitrio mentre lui... beh ecco gli concederò il beneficio del dubbio. «Devo dirlo ad April» «Va bene» «John riportaci all'appartamento della signorina Elison» «Come desiderate». Infila la mano nella tasca dei suoi pantaloni grigi e ne estrae un cofanetto. «Questo è per te». Lo metto in mano e l'osservo incuriosita. «Aprilo» «Non posso» «Quante storie. Non sai semplicemente dire grazie?». Fisso il cofanetto. «Lo apro io dammelo». "Quanta premura!". «Girati». Un brivido freddo mi attraversa il collo. Allungo le mani e tocco lo strano oggetto. E' un ciondolo a forma di cuore. Lo prendo in pugno. «Grazie». Sorride. «Elison sei una donna magnifica non dimenticarlo mai». Arrossisco. Cristo! Perché non capisco se è il mio corpo che lo vuole o se è il mio spirito che lo desidera? «A cosa pensi?» «Niente» «Elison Scarlet sei una donna molto astuta ma c'è una cosa che non riuscirai mai a mascherare» «Davvero? Cosa?» «I tuoi dolori dietro ai tuoi sorrisi». Deglutisco. Quest'uomo è capace di leggermi l'anima ma la mia anima sarà mai in grado di leggere la sua? Annuisco. Vengo distratta dalla pioggia che picchietta contro il vetro. «Se vuoi puoi venire a stare con me per un po' se ti va». "Dio! mi ha praticamente offerto di andare a vivere con lui". «Devo prima dire ad April che andrò a Jackson Domani» «Ma tu devi dire sempre tutto ad April?» «Sì». Rido. «Voglio stare un po' con la mia amica prima della partenza» «Accordato». Sono a pochi metri dal mio appartamento. «John fermati qui, va bene». Mi guarda stupefatto. «A sta sera», «A sta sera». Chiudo la portiera. Sono le 12. Passo da Joyce. Mi mancherà. «Tesoro!». L'abbraccio. «Sono passata a salutarti». Il suo volto è dispiaciuto. «Oh, prenditi una fetta di torta. Offre la casa». E' praticamente impossibile rifiutare un suo invito. «Accomodati» «Grazie» «Di niente piccioncina. Mark! Una fetta di torta» dice acida. Sa cambiare da uno stato d'animo ad un altro come se niente fosse. «Arriva!» «Ecco qua zuccherino, la nostra specialità». La guardo. «Dai mangia e non fare complimenti» Annuisco. Finalmente vedrò mio papà ancora non mi sembra vero. «Avevo detto una porzione di lasagna non di pasta a forno!». Un uomo urla contro il piccolo Jimmy. «Scusa vado un attimo a sistemare il tizio del tavolo numero sedici. Chi diavolo crede di essere? Solo perché abbiamo sbagliato piatto non significa che puoi trattare il mio personale come se fosse spazzatura». E' Joyce, non cambierà mai. La sento urlare come una pazza. L'uomo al tavolo sedici si alza infuriato e gira i tacchi. Lei sì, che ci sa fare. «Ecco sistemato». Sogghigno. «Tesoro con gli uomini ci vuole tatto, ricordalo». Sorrido ma un attimo dopo cala di nuovo il silenzio. «Ora tu mi racconti cosa sta succedendo» «Mio padre ha contratto un tumore» «Oh, Piccola vedrai che tutto ritornerà al suo posto». Lo spero. Davvero.

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Capitolo 18
*** Viaggio ***


«April sono a casa», «Arrivo!». Apre la porta del bagno. La guardo. «Che c'è?». Mi trattengo. «Perché mi stai fissando?». Scoppio a ridere. «E' solo che... la tua faccia». Non riesco a parlare. «Questa, mia cara è la maschera di bellezza più costosa di tutta New York». «Sembri Fiona» «Non è vero!». Mi tira la spazzola. Continuo a ridere. «Almeno togliti le fettine di cetrioli dagli occhi». Mi tira anche le fettine. «Che schifo!» «Mi hai costretto». Sbotto un'altra volta. Sospira. «Hai ragione. Sono ridicola con questa maschera» «Dici?» «Però ammettilo. Non somiglio lontanamente a Fiona» «Ok, ok lo ammetto». Sorride. «Vado a togliermi questa... "cosa" dalla faccia» «April sei bellissima così per come sei non ne hai bisogno» «Grazie». Mi strizza l'occhio. "Oh, devo avvisare papà". Cerco il telefono nella mia borsa. Come al solito sono costretta a uscire tutto. Chiamo mio fratello. «Jason, volevo dirti che domani...» «Scusa Ely devo staccare sono appena entrato in ospedale» «No! Non provare a staccarmi il telefono in faccia. Che cosa sta succedendo?». Riattacca. "Maledizione!". April apre la porta del bagno e si precipita in salotto. «Che sta succedendo?» «Io... non lo so». Piango. «Oh, vieni qui». Mi abbraccia. «Mi dispiace» «No, non lo dire più! Non trattatemi tutti come se fosse già morto!» urlo «Oh, Ely...» «Lui ce la farà!». Singhiozzo. Mi stringe a sé. «Perché? Perché?». Inizia a piangere anche lei. In fondo questa è amicizia. Condividere tutto. Anche i dolori. «Ti preparo una cioccolata calda» dice con le lacrime agli occhi. "L'ultima persona che me lo ha proposto è morta". «No» «E' la tua preferita» «Era». Mi stringe più forte. Bussano. «Sono passato per l'affitto» «Vado io». Le prendo il braccio. Ne ho abbastanza di rimanere dietro le quinte. Vado nella mia camera, prendo i soldi dell'affitto che mi ha dato mio padre. Bussa di nuovo. Adesso basta. Apro la porta. «Ci voleva tanto?». Inarca un sopracciglio e fa un sorriso forzato. Prendo le banconote e gliele tiro in aria. Il suo sorriso forzato scompare. Sta per dire qualcosa. Gli sbatto la porta in faccia. "Che vada al diavolo". «Questa me la pagherete» urla. April è appoggiata al muro che si sta godendo lo spettacolo. «Dice sempre così». "Già dice sempre così". «Credo che domani non uscirà di casa» «Perché?» «Non lo hai sentito da dietro la porta? Gli hai praticamente rotto il setto nasale!». Le lacrime scompaiono. Squilla il telefono. "Ti prego fa che sia Jason!". April mi passa il telefono. «Pronto?» «Jason, non farlo mai più». L'ho spiazzato. «Scusa» «Dov'è papà?» «In terapia intensiva. Il tumore ha colpito i suoi polmoni. Stava per morire soffocato. E' mancato davvero poco e sarebbe...» «Non lo dire. Se continuiamo a dire così finirà che... No! Non ci voglio nemmeno pensare. Lui non ci lascerà. Chiaro?». Singhiozza. «Jason ti prego non piangere vedrai che...» «Cosa vedrò? Cosa?» urla. «Che i dottori continuano a darmi false speranze? Dicono che se vuole vivere più a lungo deve iniziare la chemioterapia. Morirà in un freddo letto d'ospedale». Inveisce. Non lo sento inveire da quando aveva quindici anni. Da quando ha smesso di sniffare. Respiro profondamente. «Quando possibilità ha di riprendersi?» «Una su un milione!». Sbotta. «Ti prego torna abbiamo bisogno di te. La mamma non ce la fa. Papà non ce la fa. Noi non ce la facciamo». Deglutisco. «Sarò lì domani» «Come farai con il lavoro?» «Non me ne frega niente. Sarò lì domani sera. Resisti». Riattacco. April mi guarda sconvolta. «Come farai ad andare senza il becco di un quattrino?» «Evan. Mi accompagnerà lui» «Quindi te ne andrai e mi lascerai qui sola?» «Sì». Ti prego. Non piangere. «Ti aiuto a fare le valigie. Quando partirai?» «Fra due ore» «Sarà meglio che ci sbrighiamo allora». Abbandonare April è un altro colpo al cuore ma non ho altra scelta. Apro il cassetto e prendo le foto che ci siamo scattate quando siamo arrivate a New York per la prima volta. Le stringo al petto. Mi mancherà tutto quello che c'è in questa stanza. Hanno fatto parte della mia vita per tre lunghi anni. "Ho deciso di partire tra due ore se per te va ancora bene Elison." 'Messaggio inviato'. Poso il telefono. «Ely te lo ricordi?» mi mostra il ciondolo del portachiavi di Parigi. «Sì... perché?». Si siede. «Adesso è tuo» «No, non posso accettarlo. Tieni molto a quel ciondolo». Abbassa lo sguardo dispiaciuta. «Tengo di più a te. Credimi» «Grazie». L'abbraccio. «Fai buon viaggio». Annuisco. Si alza. «Devo andare a lavoro. Ho un appuntamento». Mi strizza un occhio. Si accende il display del cellulare. "Come desidera. Passerò alle 6 p.m. Mr. Ackley". "Grazie XX. Elison." Premo invio. Così dovrebbe andare. Cerco disperatamente di chiudere la valigia. Sospiro. Faccio una rincorsa e ci salto sopra. Niente. Il telefono vibra. "XX... cosa significa? Mr. Ackley". «Oh, andiamo!». "Lascia stare. Elison". "No, davvero. Mr. Ackley". Sospiro. E va bene Mr. So tutto io. "Sono i baci inglesi. Elison". "Oh, grazie. Mr. Ackley". Tutto qui...grazie? Perché cosa ti aspettavi? La mia vocina ogni tanto si rifà viva. Al diavolo. Finisco di preparare le valigie e mi butto sul divano. Mio padre, Evan, sta succedendo tutto così in fretta che non ho avuto il tempo di riordinare il tutto e dare un senso logico al succedersi delle cose. Decido di farmi una doccia calda e di rilassarmi. Ho ancora un'ora e mezza per rilassarmi. Entro nel bagno e apro il rubinetto dell'acqua calda. Mi è sempre piaciuto perdermi nel calore delle goccioline d'acqua che salgono. Aspetto che la vasca si riempia ed entro. Il vapore per me è come droga. Appoggio la schiena e chiudo gli occhi. «Elison! Elison!» «Che c'è? Voglio dormire» «Apri la porta». Evan? Sussulto. Schiudo le palpebre. Devo essermi addormentata. L'acqua è congelata. Esco immediatamente dalla vasca. «Come hai fatto ad entrare?» «Diciamo che ho le mie fonti. Adesso vestiti non posso modificare il volo da un'ora all'altra come se niente fosse» «D'accordo». Mi vesto velocemente ed abbasso la maniglia. Lui mi guarda incuriosito. E' impeccabile, indossa dei lunghi pantaloni neri e una giacca elegante con una cravatta grigia. «Vogliamo andare?». Mi porge il braccio. «Sì, ma i bagagli?» «Sono già in macchina» «In macchina? E la limousine?» «Considerando il fatto che tu odi le limousine, ho pensato di guidare io» «E John?» «E' il suo giorno libero» «E' finito l'interrogatorio?». Arrossisco. «Può darsi» «Vuoi rimanere ancora qui o ti devo costringere a venire con me?». Afferro il suo braccio. «No, grazie». Usciamo dall'appartamento, scendiamo le scale e apriamo la porta principale. Apre la portiera. Ha una Lamborghini. Di cosa ti meravigli? E' ricco. «Prego». Entro impacciatamene. «Ti piace?». Sbatto le palpebre. «Cosa?» «La macchina. E' il modello Asterion LPI 910-4 con tecnologia ibrida Plug-in è una concept car che ospita un fantastico gruppo motopropulsore». "Che diamine ha detto?". Mi fissa. «Allora? Che ne dici?» «Sì». "Stupida!" Mi tocca il mento. «Non devi sentirti a disagio. E' una cosa che non sopporto». "Oh, fantastico!". «Scusa». Arrossisco. «Avvia musica» "Riproduzione in corso". Sorride. Niccolò Paganini. Sonata N°6. Le mie orecchie vengono attraversate da una soave musica che mi tocca nel profondo. Lo stridore delle corde suscita in me calma, tranquillità, pace. I pensieri scompaiono, le preoccupazioni si dissolvono. «E' bellissima». Il suo sguardo rimane fisso nel vuoto. «Lo so».

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Capitolo 19
*** Partenza ***


A volte la vita non ci concede una scelta bensì un obbligo. E io sono contenta dell'obbligo che Dio mi ha concesso. «Elison? Cosa pensi?». Rimango sorpresa dall'improvvisa domanda ma questa volta il mio subconscio elabora una risposta immediata. «Te». Un sorriso spunta sulle sue labbra. Quell'espressione del volto che accenna un riso e fa riflettere perché ancora non è travolto dalla passione che logora dentro. Continua a non distogliere lo sguardo dalla strada. «Mettiti composta». Ne ho abbastanza dei suoi sbalzi d'umore. Questo è un gioco che si può fare in due. «E se non lo facessi?». Inarca un sopracciglio. «E' una sfida?» «Può darsi». Mi lancia un sorriso malizioso. Frena. «Sfida accolta Miss Scarlet». Si slaccia la cintura di sicurezza e mi bacia. La vocina sta facendo la tripla capriola mortale. «Stupido». Si allontana e fa una faccia stupida. «Perché? Così mi offendi» «Ma smettila!». I miei capelli scivolano tra le sue dita mentre la mia bocca si attrae alla sua. «Sei stupenda. Perché dovrei?» «Perché sei in mezzo la strada» «Non mi hai ancora convinto». Mi morde dolcemente il labbro superiore. Chiudo gli occhi. Lo amo. Con tutta me stessa. Mi stacco dalla sua bocca. «Non eri tu quello che diceva che non puoi partire quando ti pare e piace». Sorride. «Vorrà dire che faremo un'eccezione questa volta» «Un'eccezione eh?» «Sì». Stringo i capelli della sua nuca. «Grazie» sussurro al suo orecchio. «Prego». «Muovetevi!!» suona il clacson. «Credo che dica a noi» «D'accordo mi hai convinto». Si allaccia la cintura e mi da un casto bacio sulla guancia. Prende il volante e riparte. Guarda fisso nel vuoto. Di nuovo. I suoi occhi, i suoi capelli, i suoi vestiti: è perfetto in tutti i suoi particolari. «Mi stai forse fissando Miss Scarlet?». Oh, accidenti. «Non oserei mai Mr. Ackley» «Invece credo proprio di sì». Mi giro dall'altro lato del finestrino. Jason! Devo mandargli un messaggio per dirgli a che ora arrivo e Evan dove andrà?. «Evan...» «Uh?» «Dove andrai dopo che... ecco mi avrai accompagnata a casa?» «Verrò con te». Spalanco gli occhi. «E cosa dirò ai miei genitori?». Esita. «Che sono il tuo ragazzo» «Oh...». Arrossisco. «Scusa, non volevo se ti da fastidio la mia presenza posso sempre andare da un'altra parte» «Davvero?». Annuisce. «Tutto quello che vuoi». "E adesso?". «Allora?» «No». Mi guarda incuriosito. «Voglio che vieni con me» «D'accordo». Nasconde un sorriso. Lo capisco, è la stessa espressione che assumo io. Prendo la mia borsa dal sedile posteriore e estraggo il telefono. "Arriveremo questa sera verso le 11". Invio in corso. Inviato. Papà, mamma, Jason, sto arrivando. «Quanto manca all'aeroporto?» «Molto meno di quanto tu possa immaginare». Sospiro. Gira la curva e vado in lontananza un jet con del personale che sta pazientemente aspettando ai suoi piedi. Tra loro c'è anche John, sembra contento di rivedermi. «Come vede siamo arrivati». Faccio una smorfia. Apro la portiera dell'auto e scendo. «Muoviamoci, non abbiamo molto tempo». Riesco a stento a rimanere al suo passo. I tacchi sono una maledizione. «Signori». L'intero personale fa un gesto di saluto alzando il cappello. «John?» «Sì, signore?» «Accendiamo i motori, che ne dici?» «Che è una splendida idea. Prego signorina» «Oh, grazie». Salgo brancolante la scaletta e entro. Tutto è semplicemente perfetto, come tutto del resto. Non credo di essere su di in jet ma su una suite di lusso. Le poltrone sono in pelle, i tavoli in legno mentre la superficie su cui cammino è costituita da un lussuoso parquet. «C'è qualcosa che non va?» «No, è solo che...» «Che?» «Non lo so, grazie». Lo bacio sulla guancia. «Hai voglia di qualcosa da mangiare?» «Beh, veramente...sì» «Jess?». Esce da una stanza una bellissima donna bionda. «Sì?» «Portaci qualcosa da mangiare non appena partiamo» «Sarà fatto». Annuisce e ci lascia. Ci sediamo l'uno di fronte all'altro. «Chi è?». Alza lo sguardo. «Chi?» «Quella» «Non sarai forse gelosa dell'hostess?». Arrossisco. «Guardami. Non lo farei mai... chiaro?». Sa essere così possessivo. «Chiaro» "Si prega di allacciarsi le cinture di sicurezza stiamo per decollare". Diamine non sono mai andata su un jet! Non so dove mettere mani prima. Cerco la cintura ma non riesco a prenderla. Sorride, si alza e mi aiuta come se fossi una bambina di due anni. «Ecco fatto» «Grazie» «Posa la testa sullo schienale la partenza non durerà molto». Faccio quello che mi dice lui senza esitare. Avverto una leggera pressione sul collo. Passano pochi minuti. «Signori abbiamo preso quota potete stare tranquilli». Grazie al cielo!. «Vogliate scusarmi». Jess prende il vaso di vetro con dell'uva sopra e lo toglie dal tavolo in modo da poter apparecchiare. Prende del vino dal carrello e lo posa al centro. «Cabernet di Screaming Eagle 1992, il migliore della sua annata». Lo stappa. «Ne vuoi un po'?», «Sì, grazie». Prende il calice e me lo versa. «Spero ti piaccia». Ne prendo un sorso. E' buonissimo. «Com'è?» «Buono». Jess serve dell'insalata rustica accompagnata con della salsa su delle conchiglie. Io odio l'insalata. Evan si sfila la giacca e prende la forchetta. «Perché non mangi?» «Non mi piace». Fa cadere la forchetta. Prende un grissino e lo attinge nella salsa. Allunga la mano e me lo posa sulle labbra. «Mangia». E' così sensuale. Non posso rifiutarmi. Apro leggermente la bocca e mastico lentamente. «E' buono» «Elison mi farai impazzire». Sorrido. Sono sempre stata io quella a prendermi cura degli altri. E' così strano. Il mio corpo non è abituato a certe attenzioni. «La visione che si gode dal jet non è una delle migliori ma per lo meno arriveremo prima» «Già». Chissà se mio padre. «Ehi piccola stai tranquilla vedrai che tutto si risistemerà. Jess!» sbatte le mani. «Io e la signorina Scarlet vogliamo riposarci pensaci tu» «Va bene signore» «Che ne dici di spostarci nelle altre poltrone mentre Jess sistema?». Annuisco. Evan si slaccia le cinture , si alza e viene verso di me. «Lasciami non c'è ne bisogno. So benissimo cavarmela da sola». Ce la faccio. «Visto?». Mi slaccio la cintura trionfante e mi siedo vicino al finestrino. Il buio domina incontrastato. «Ehi». Con il pollice mi asciuga una lacrima ancora prima di scorrere. Appoggio la mia testa sul suo petto e accarezzata dalla sua mano chiudo gli occhi.

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Capitolo 20
*** Papà ***


Intravedo delle luci intermittenti sotto le mie palpebre. "Sikeston Memorial Municipal Airport". Non metto piede in questo posto da molto tempo. «Siamo arrivati». Fingo di dormire. «Elison?». Brontolo qualcosa e mi stringo al suo petto. Sorride e mi accarezza i capelli. "Si prega di allacciarsi le cinture di sicurezza, stiamo per atterrare". Vengo sfiorata sui fianchi dalla sua mano. Arrossisco. Mi allaccia la cintura. Oh... Evan. Mi tratta come se fossi una bambina. "O forse come se fossi una principessa?". Il mio buonsenso approva. Apro gli occhi. «Grazie». Sorride. «Appoggia la testa sul sedile ora». Mi tocca la mano. Obbedisco Siamo sulla pista di atterraggio a circa 40 miglia da Jackson. Manca poco. Davvero poco. Stacco la testa dal sedile e fisso dal finestrino le luci rosse che illuminano il nostro cammino. "Signori, potete slacciare le cinture. Il nostro viaggio è terminato" «Credo che John ci trovi un certo...gusto a guidare il jet, non trovi?» «Sì». Si abbassa la maniglia e John esce con passo svelto, fa un lieve cenno col capo e apre la porta del jet abbassando la scaletta rivestita da del parquet rosso. «Signori». Evan si alza per primo e io lo seguo. Mano nella mano. «Senti freddo?». Mi guarda impassibile. «Io... beh». Si toglie la giacca. «Tieni». La metto impacciatamente mentre si avvicina una piccola automobile. «Sono le due di notte: meglio sbrigarci». Caspita ho calcolato male i tempi, avevo detto a mio fratello che sarei arrivata a mezzanotte. Sale sul veicolo. «Andiamo?». Mi porge la mano e salgo sui sedili posteriori accanto a lui. Fisso la pista illuminata chiedendomi se sia legale che un mezzo privato sia all'interno dell'aeroporto. Sono stanca. Non vedo l'ora di ritornare a casa. «Non manca molto, stiamo arrivando piccola». Mi bacia dolcemente l'orecchio. «Siete stati fortunati, altre due ore dopo e non saresti qui adesso» «Già ma noi siamo partiti prima» afferma Evan con aria di sfida. L'autista lo fissa dallo specchietto retrovisore, sembra voglia dire qualcosa ma poi distoglie lo sguardo da lui, porgendo maggiore attenzione sulla pista. Non vedo l'ora di scendere e di riposare su una di quelle sue lussuose macchine. Il veicolo si ferma. «Arrivederci e fate buon viaggio» «Arr...». Il suo viso si irrigidisce quando sto per pronunciare quelle parole. «Andiamo». Allunga il passo lasciando la mia mano. «Evan... aspetta». Fa finta di non sentirmi. «Non correre». Continua ad ignorarmi. «Senti...scusa». Non so cosa ho fatto di sbagliato ma sono stanca e non ho voglio discutere. Rallenta il passo. Oh, finalmente, grazie al cielo! Mi rivolge un sorriso malizioso e alza il braccio. «Sono stanca». «Oh...». Mi guarda spiazzato. «Ho un idea». Cosa? Sono le due di notte come fa a pensare e tanto meno avere... idee?. «Chiudi gli occhi». Abbasso le palpebre. «Non li riaprire». Sospiro. «Uno...due...tre». Mi solleva e mi mette in braccio. Arrossisco. Siamo appena entrati nell'aeroporto, quante persone ci staranno guardando 10? 20? 30? «Rilassati». Stringo la sua spalla. Mi sento così inutile. E' una sensazione di cui il mio essere non è abituato. Lui è perfetto, come sempre del resto. Non importa in quale situazione si trovi, sa sempre cosa fare. Mi stringo al suo petto e alla sua camicia. Mi sento al sicuro. Mi sento protetta. Credo che nulla può scalfirmi se lui è al mio fianco. Eccomi qui. Un'altra volta inerme e indifesa di fronte a lui. Lui è il mio guscio e io sono la sua noce. Se crolla lui, crollo io. Cristo! Lo amo più di me stessa. Riesce a eliminare tutti i miei affanni, tutti i miei dolori. Non è una medicina, è una brutta droga che porta indipendenza e io non voglio essere dipendente. Apre la porta. Lo sento. La sua mano si è distaccata dai miei capelli e io sto per cadere. Ma non a terra. «Riposati». Mi da un leggero bacio sulla fronte. «Ti amo» sussurra, e mi posa sul sedile posteriore. Chiude la portiera senza fare rumore. Apro gli occhi. «Evan...dove sei? Evan!». Lo rivoglio indietro. «Non te ne andare!» singhiozzo. «Ti prego». Sbotto. Mi ha abbandonato. «Elison». Vedo una luce in fondo a un tunnel. Farfuglia qualcosa. «Elison». Seguo la sua voce. «Sono qui». Apro gli occhi, questa volta quelli miei. Sono tra le sue braccia. Mi stringo a lui. «Era solo un incubo». Mi bacia il capo. «Lo so» «Era così vero» «Shhh». Con l'indice mi sfiora il naso. «Va tutto bene». Lo abbraccio. Sorride. Per un attimo ho paura di averlo intimorito. Poi mi stringe a sé fino a farmi mancare il respiro. Sbotto. Devo piangere. So cosa si può pensare, ma non importa. A volte tutti abbiamo bisogno di piangere. Perché piangere non significa essere deboli, piangere significa esternare i propri sentimenti. Piangere significa dire al mondo io ci sono. Significa tenerci, non con le parole ma con l'anima. Mi accarezza i capelli «Ci sono io con te». Prende un fazzoletto dalla sua tasca e mi asciuga le guance. «Siamo arrivati. Andiamo». Mi porge la mano. E' tutto esattamente come mi ricordavo. Una flebile luce è accesa in cucina. Apro il cancello del giardino ed entro con a fianco Evan. «Coraggio». Mi accarezza la spalla. Sospiro. Busso. Fisso la vetrata da cui si intravede la luce accesa. Si discostano le tende. E' mio padre. «E' Elison! E' Elison!» urla. Si aprono le porte. «Papà» «Piccola mia». Sta per piangere. No, papà ti prego ho appena smesso. Stavo per perdere Evan e adesso sto per perdere te. Ti prego. Alza le braccia molto lentamente. I suoi capelli stanno scomparendo e le sue rughe sono più accentuate. Perché me lo devi togliere Dio? Perché? Sprofondo tra le sue braccia. «Ti voglio bene» «Anch'io tesoro. Anch'io» «Elison!» «Ely?» dice mio fratello. «Sì, tua sorella è arrivata». Scompaio nei loro abbracci. Evan rimane in disparte. Sorride. «E questo bel giovanotto chi è?» «Papà!» «Che ho detto?» «Lui è Evan». Fa un passo avanti e protende la mano «Piacere signor...» «Signore? Chiamami pure Michael» «Michael». Fa un cenno col capo. «Hai un posto dove dormire questa notte, caro?» Interviene mia mamma. «Puoi sempre dormire con noi per il momento». Abbraccia mio padre. Sorridono entrambi come la prima volta che si sono visti, come se non fosse cambiato nulla, e in effetti non è cambiato nulla. Sono semplicemente loro. Si ameranno per sempre. Nemmeno la morte potrà separarli, ne sono sicura. «Oh, grazie accetto volentieri l'invito» «Vieni con me, sarai stanco, non è facile sopportare mia sorella». Faccio una smorfia. «Allora è deciso, dormirai con Jason». Un po' mi dispiace mi sarebbe piaciuto dormire con lui ma fa niente. «Elison...». Mi volto. Mi da un casto bacio sulla guancia. Sorrido. «Buona notte».

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Capitolo 21
*** Famiglia ***


Sento dei strani rumori. Apro gli occhi. «Oh, Mamma!» «Ma tu guarda che mi tocca sentire dalla mia bambina». Mi siedo sul letto e sbadiglio. «Non sono più una bambina da tempo ormai» «Già, è vero». Posa la cesta della biancheria e si siede vicino a me. «Sei grande adesso». La abbraccio. «Oh...mi sei mancata tanto». La stringo più forte. «Sono qui adesso». Si stacca da me. «E il lavoro?» «Mamma io non ho più un lavoro dal momento in cui ho deciso di venire qui» «Tu... non dovevi...tu» «Mamma, sto bene te lo assicuro. L'unica cosa che voglio fare in questo momento è stare a Jackson con voi. Nient'altro» «Tesoro ma come farai?» «Troverò qualcosa non ti preoccupare, pensa solo a papà». Sorrido. «Ti voglio bene Elison» «Anch'io». Si alza e riprende la cesta. «Dai su! Aiutami a stendere questi vestiti» «Ma mi devo ancora sistemare!» «Ti aspetto in cucina non ti preoccupare» «E poi devo ancora fare colazione!» «Fra mezz'ora si pranza!». Chiude la porta. «Ma che ore sono?». Guardo l'orologio digitale sul comodino. E' l'una. Ma quanto ho dormito? Indosso le pantofole a forma di coniglietto rosa e vado in bagno. Mi lavo la faccia, mi sistemo i capelli e scendo le scale con indosso i primi vestiti che capito. Da lontano sento il profumino della torta alle fragole di mia mamma. Mi sembra di ritornare piccola. Scendo le scale come quando ero bambina e corro per il corridoio ricordandomi di mio padre quando mi ammoniva perché aveva paura che cadevo. Ogni singolo angolo di questa casa è un ricordo. E' qui che i miei genitori mi hanno preparato alla vita. E' qui che mio padre e mia madre mi hanno insegnato ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Quando ero piccola non riuscivo a capirlo ma adesso tutto appare chiaro come se riflettesse in uno specchio. Attraverso l'arco che mi conduce in cucina e vedo mia mamma che sta controllando se la torta fosse pronta. «Allora ce l'hai fatta» «Mamma!» «Ti ricordi come ti chiamava tuo fratello?» «Sì, bradipo. Dov'è Jason?» «E' con tuo padre a spaccare la legna» «Ma...» «Ely è tuo padre lo sai com'è fatto. Finché avrà un minimo di sangue nelle vene continuerà a fare quello che ha sempre fatto» «Lo so. Si deciderà mai a comprare una stufa elettrica?» «Non credo proprio» «E Evan?» «Evan ha detto che sarà di ritorno nel tardo pomeriggio, tranquilla». Ripenso a lui e a tutto quello che ha fatto. Non lo ringrazierò mai abbastanza. «Adesso però basta preoccupazioni andiamo fuori e mettiti qualcosa di pesante che si gela» «Sì, mamma». Mi infilo il cappotto di mio fratello e afferro la bacinella. «Tesoro se vuoi la prendo io» «No, faccio io». Andiamo in cortile. «Più forte Jason!» «Va bene papà» «Aspetta c'è qualcuno che si è svegliato finalmente». Esito nell'andare da loro. «Posa pure la bacinella, ci penso io». Non ci penso due volte e vado a salutare mio padre e mio fratello. «Buon giorno». Mi abbraccia. Gli do un bacio sulla guancia. «Dormito bene?» «Come sempre» «Buon giorno bradipo» «Jason!». Gli do una pacca sulla spalla. «Come è andata con Evan?» «Uh? Non ho avuto nemmeno il tempo di parlargli. Quando mi sono alzato ho trovato solo un biglietto che mi diceva che era andato via perché aveva una riunione» «Oh...» «C'è forse qualcosa che non va?» «No, papà è solo che lui è sempre così impegnato» «Per lo meno lavora». Ride. «Da quanto tempo è che vi conoscete?» «Non lo so... io...» «Elison! Pausa finita! Vieni a darmi una mano» «Vai pure tesoro, e tu Jason perché ti sei fermato?» «E si ricomincia...». Grazie al cielo che c'è mia mamma. «Devo dire che sei diventata più veloce rispetto alle altre volte». Sorrido. Lei non è mia madre, lei è la mia migliore amica. «Passami la cesta». La prendo e l'aiuto ad appendere i vestiti. «Allora non c'è proprio nulla di cui tu mi voglia raccontare?». Esito. «Nulla, nulla?» «Beh, qualcosa sì» «Sapevo che avresti fatto la scelta giusta» «Come lo hai conosciuto?» «Ecco...» «Cambiamo domanda... cosa ti piace di lui?» «Il suo sguardo». Le parole sono uscite sole. «Ah, il suo sguardo... nient'altro?» «La sua compostezza» «E?» «La sua capacità di capire quello che penso» «Dato il fatto che tu sia un enigma vivente, un punto a suo favore». Sorrido. «E questo è l'ultimo» «Andiamo ad apparecchiare la tavola». Entriamo in cucina. «Mamma che freddo... io vado un attimo in bagno, tu nel frattempo inizia ad apparecchiare» «Va bene... aspetta un attimo dove sono le posate?» «Nel terzo cassetto in fondo a sinistra!». Chiude la porta. E' mia madre conosce la cucina meglio delle sue tasche. E' stato il suo regalo di nozze. Papà ha passato notti e giorni per capire cosa volesse veramente mia madre ma non aveva ancora capito che non le interessassero gli oggetti e che tutto ciò che ha sempre voluto è stato solo uno: avere una famiglia. E adesso Dio le stava togliendo uno dei doni più preziosi. Suo marito. Mio padre. Lui ha dato e Lui ha tolto che sia fatta la sua volontà. Anche se a volte è ingiusto. «Le hai trovate poi le posate?» «Sì, grazie. Non potevo non trovarle con le tue indicazioni da manuale» «Grazie tesoro aspetta che tolgo le patate dal forno, prima che si brucino». Si apre la porta e entra mio padre seguito da Jason. «Che profumino... Cosa hai cucinato Rose?» «La tua specialità». La bacia in bocca e mia madre arrossisce. «Vado a cambiarmi prima che si raffreddi» «Fate in fretta». Li guardiamo allontanarsi. «Mamma posso farti una domanda?» «Sì, certo» «Come hai fatto a capire che papà era quello giusto». Sospira. «Tesoro devi sapere che nessuna coppia è perfetta all'inizio ma ciò non significa che non possa diventare perfetta». La fisso. «Hai ancora tanto da imparare. La cosa più importante è andare avanti. Perché amare una persona significa esserci sempre, soprattutto nei momenti più difficili. Chi ama rimane, non se ne va». «Mamma io non lo so se lo amo, io non ne sono sicura» «Non eri tu quella che aveva detto che lui ti riesce a capire sempre?» «Sì, ma io non capisco lui» «Ely, per amare una persona non si deve sempre capire tutto. Non è un libro di cui tu puoi analizzare i suoi pregi e i suoi difetti. Questa è la vita. Si scrive da sola. Senza una carta e senza una penna» «Lo so... ma vorrei sapere di più» «Ti ha appena portato fino a Jackson nonostante fosse pieno di impegni lavorativi. Solo per te. Se c'è nei momenti brutti, figurati in quelli belli» «Interrompo forse qualcosa?». Mia madre inarca gli occhi. «Certo che no». «Via libera Jason, la confessione è finita». Sorrido. Sediamo tutti a tavola e ci prendiamo per mano come quando eravamo piccoli. Chiudiamo gli occhi. Mia mamma esita, poi le parole escono titubanti. «Signore grazie per il cibo che ci hai concesso anche oggi. Preservaci dal male per ora e per sempre. Amen». «Amen!».

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Capitolo 22
*** Relazione difficile ***


«Jason e io abbiamo del lavoro da fare adesso» «Ma papà abbiamo appena finito di...». Mia mamma lo fissa. «E va bene». Incredibile quanto effetto faccia lo sguardo di mia madre. «Dai tesoro noi nel frattempo laviamo i piatti». Faccio un cenno con il capo e mi alzo. «Allora dove eravamo arrivate poco fa?» «Mamma non mi va di parlarne adesso. Voglio solo stare con te» «Accordato». Mi strizza l'occhio. «Solo per questa volta» «Va bene». Squilla il telefono. «Cara è il tuo?». Urla mio padre dal garage. «E' il mio papà!». Lascio tutto e corro su per le scale. Prendo il telefono da sopra il comodino. «Pronto?» «Elison, tutto bene?». C'è qualcosa di strano nella sua voce. «Cosa è successo?» «Niente di che» «April?» «Sono stata mollata un'altra volta» «Oh... significa che non era quello giusto» «Anche Joyce mi ha detto così ma non è cambiato nulla» «Solo un idiota può rifiutare una donna stupenda come te» «E' un uomo sposato come ho fatto a non accorgermene?» «E tu glielo hai fatta passare liscia?» «Sono innamorata, non stupida. Ho mandato una lettera con in allegato una nostra foto alla moglie». Singhiozza. "Mi viene in mente un'idea". «Perché non vieni per un po' di giorni a Jackson? Mia madre sarebbe felicissima di conoscerti» «In realtà io...» «Allora?» «Ecco...chiederò una vacanza di quattordici giorni» «Fammi sapere» «D'accordo». Riattacca. «Tesoro chi era?» «April» «Quella April?» «Sì, la mia spericolata compagna di avventure» «Ah, sì le devo ancora dire di quella volta che mi ha chiamato e voi due eravate ubriache fradicie». Rido. «Vorrebbe venire qui per un po' di giorni. Cosa ne pensi?» «Che vado a preparare le lenzuola». Sorrido. «Dillo a tuo padre». Scendo le scale mentre mia madre va in bagno a riordinare. «Papà?» «Sì, principessa?» «April vorrebbe venire a stare qui per un po' di giorni e...» «Accordato» «Grazie». Gli do un bacio sulla guancia. Sono stanca. Salgo le scale per l'ennesima volta e vado nella mia vecchia camera. La porta è socchiusa. La spingo ed entro. E' tutto esattamente per come era rimasto. Mia mamma non ha cambiato niente . Alla porta ci sono ancora appese le foto con Aron. Le prendo e le butto sul letto analizzandole una per una. «Aron». Tralascio un sospiro. Il mio vecchio migliore amico. Frequentavamo gli stessi corsi all'università. Lui era così trasandato ma carino e simpatico. Mentre io beh, io ero la secchiona della classe. Quella insopportabile. Quella che sapeva sempre tutto. Quella che non aiutava mai nessuno per paura di essere scoperta. Gli anni universitari sono stati molto difficili ma con Aron tutto era più semplice. Lui provava amore nei miei confronti e io invece non lo sapevo cosa provavo. Ci siamo laureati insieme e abbiamo deciso insieme di partire per New York, dove ho conosciuto April. Tutto è stato come una doccia fredda. Lei si è subito innamorata di Aron per la sua semplicità, ma io ero ceca o facevo finta di esserlo. Perché? Perché non ho mai avuto qualcuno che mi stesse vicino se non lui. Io non lo amavo e lui sì. Lei lo amava e lui no. L'universo a volte sembra prendersi gioco di noi. Se il mondo non andasse al contrario ciò non accadrebbe ma purtroppo è così che va. Al contrario. Mi alzo, raccolgo tutte le foto e le strappo. Controllo la casella dei messaggi sul mio telefono. Evan. La mia vocina sta ballando il tanga. Lo apro. "Scusa se me ne sono andato senza preavviso, non volevo svegliarti nel cuore della notte. Perdonami Evan". Rispondi. "E perché non mi hai svegliata? Ely". Invio. "Se è questo quello che vuoi la prossima volta sarà fatto. Come sta tuo padre? Evan" "Bene, anche se i dottori hanno detto che gli restano sole due settimane di vita non sembra Ely". "Cosa? Mi occuperò io stesso della faccenda Evan" "Grazie. Quando torni? Ely" "Non lo so. Sarà una sorpresa Evan". Ne ho abbastanza delle sue "sorprese". Poso il telefono , mi tolgo le scarpe e mi distendo sul letto. Mi sembra di ritornare ad avere quindici anni quando rimanevo segregata in casa perché avevo paura di essere vista per quello che ero, la tipica topa da biblioteca. Non avevo ancora capito che le persone ti giudicano sempre e comunque. Non importa quale sia il preteso, se una persona ti odia dirà di te quello che vuole e tu non potrai fare nulla per impedirglielo. Se non ricambiare della stessa moneta ma e di narcisismo che si sta parlando e io non voglio essere narcisista. Non importa quello che rifletti alla società, è quello che risiede nel tuo carattere che ha davvero importanza. «Elison c'è la signora Chrissyche vuole vederti!». Urla mia madre dalle scale. E' a casa che sono ritornata. Sbadiglio e vado in cucina. «Oh, quanto sei cresciuta! Vieni qui». Il suo abbraccio mi soffoca. Le strofino le spalle. «Allora, come mai da queste parti?» «Ho deciso di rientrare per mio padre» «Capisco, fatti coraggio tesoro». Guarda l'orologio. «Si è fatto tardi è meglio che vada ora» «Non posso fare proprio niente per farla rimanere signora Chrissy?» «No, no Rose grazie lo stesso. Sono passata solo per rivedere Elison» «Va bene, venga pure quando vuole» «Grazie, grazie». Nonostante l'età rimane pur sempre una donna bellissima. Le sue rughe sono poche ma ben definite e i suoi capelli lunghi e bianchi. E' stata molto importante durante la mia infanzia. Io non ho mai avuto l'opportunità di conoscere i miei nonni. Non era una vicina di casa, era mia nonna. Squilla il telefono. «Pronto?» «Ma dove sei finita?». E' Roderick. «A Jackson da mio padre» «A Jackson? Ok adesso ne ho abbastanza. Lei è licenziata». Riattacca. Sbotto a piangere. «Tesoro... che c'è?» «Niente». Continuo a piangere. Mia mamma si avvicina e mi avvolge in un lungo abbraccio. Sono a casa.

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Capitolo 23
*** Stelle ***


«Tesoro io e papà andiamo a dormire» «Va bene. Buona notte». Mi alzo e do una bacio sulla guancia ad entrambi. Mi accantono davanti la stufa come quando ero piccola e guardo il fuoco muoversi, scoppiettare: indomabile. Come la passione d'altronde. Sospiro. E se i medici si sbagliassero? E se fosse tutto solo uno stupido equivoco? Sento uno strano scricchiolio dalla cucina. Mi alzo e decido di andare a controllare. Bussano. Guardo l'orologio è quasi mezzanotte. «Elison?». Sobbalzo. «No, non può essere». Apro la porta. «Evan?».Tiene qualcosa tra le mani. «Questo è per te» «Una scatola di cioccolatini...grazie ma perché?» «Per farmi perdonare per essermene andato senza dirti nulla» «Oh...ma non ce n'era di bisogno e...». Mi stampa un bacio sulle labbra. Arrossisco. «Ti va di fare due passi?». Lo guardo per pochi secondi. Sorride. «Va bene però non per molto» «Acconsentito Miss Scarlett». Mi aggrappo al suo braccio e camminiamo come se fossimo una coppia felice. Forse lo siamo. Inizio a tremare. «Senti freddo?». La proposta sta per diventare banale ma non riesco a non rifiutare e mi metto la sua giacca di lana. «Si gode di una vista magnifica a Jackson. Si possono vedere tutte le costellazioni ad occhio nudo» «Non sapevo che fossi un esperto di astronomia» «Perché a te non piacciono?» «Io... in realtà non mi hanno mai affascinato» «Capisco». Abbassa gli occhi. «Ci sono mi è venuta un'idea, seguimi!». Mi prende la mano e si trasforma in un bambino, sorridente e spensierato. Attraversiamo l'intero viale correndo mentre tutti dormono. La città diviene solo nostra. Io sono la regina e lui il re. «Ma dove mi stai portando?». Sogghigno. «Hai detto che non ti piacciono le costellazioni e io ho intenzione di mostrarti il contrario» «Oh... ma no. Evan è tardi io... posso far preoccupare i miei genitori così» «Non ti preoccupare ho dato il mio numero a Jason per qualsiasi evenienza» «Non lo so io...». Ansimo. «Stiamo arrivando, tieni duro Elison» «Evan...». Prendo fiato «Vai più piano» «Hai detto tu stessa che non puoi allontanarti per molto» «Sì, è vero l'ho detto ma...» «In tal caso...». Si avvicina. «Cosa hai in mente di fare?». Vuole prendermi in braccio. Glielo leggo negli occhi. «Evan. No. Non ti azzardare a fare un altro passo» «E' una sfida?». Poso una mano sui suoi pettorali cercando di allontanarlo da me. Lui si ferma. Posa la sua mano sulla mia e la fa scendere sui suoi addominali. Il mio corpo ribolle. Ti prego fermati. Mi afferra. E mi ritrovo tra le sue braccia. «Lasciami andare» «Oppure?». Sorride. «Ti ho detto di lasciarmi andare» «Non prima di essere arrivati» «Dove stiamo andando?» «Abbi pazienza». Smetto di muovermi, tanto è inutile non mi lascerà finché non lo dice lui. Sposto leggermente la testa: stiamo andando verso il Palazzo di Giustizia. Che cosa ha intenzione di fare? Gira a destra continuando a correre. «Siamo arrivati» «Adesso posso scendere?» «Sì, scusa». Mi lascia andare io mi giro dall'altro lato dandogli le spalle. «Ti ho già detto scusa». Alzo le spalle. Non può' fare quello che vuole quando vuole. «Ti prometto che ne è valsa la pena». Squilla il suo telefono. «Sì, fra dieci minuti esatti». Riattacca. «Cosa stai facendo?» «Seguimi». Mi porge la mano. Voglio sapere cosa ha in mente di fare e di certo non lo scoprirò andandomene. Afferro la sua mano. Svolto l'angolo. "Il gazebo comunale". Me ne ero quasi dimenticata. «Entriamo. Questa sera è tutto nostro». Sorrido. «Come facevi a sapere che era il mio luogo preferito?» «Non lo sapevo». Appoggia le mani sul corrimano. «Manca poco». Farfuglia. Si spengono le luci di tutto il quartiere. Sobbalzo e mi aggrappo al suo braccio. «Tranquilla Elison» «Ho paura» «Non devi averne ci sono io con te». Mi accarezza i capelli. «Apri gli occhi» sussurra. «Non è solo buio». Schiudo le palpebre. Ha ragione. Non è solo buio. Ci sono le stelle: dei piccoli e minuscoli puntini luminosi che rischiarano il cielo nonostante le tenebre, nonostante la mancanza del sole, nonostante molti non le degnino di uno sguardo poiché è scontato che esistano. Io appartenevo ad una di quei "molti", popolo che cerca di brillare di luce propria senza l'aiuto di nessuno. «Quella è la stella polare» «Quale?» «Non la vedi? Quella». indica con il dito. «Vedo solo un ammasso di puntini. Sospira. Lascia le sue mani dalla ringhiera e si avvicina dietro di me. Mi discosta i capelli. «Non cercare ciò che non conosci» sussurra. Che vuol dire? «Dammi la mano». Alza il mio braccio e appoggia la sua testa sulla mia spalla sinistra. Sussulto. Muove lentamente il mio braccio. «La vedi quella stella luminosissima?» «Sì» «Quella è la stella polare. L'estremità dell' orsa minore». La sua calda voce mi solletica i timpani. «Scendendo un po', puoi osservare invece l'orsa maggiore» «E invece quella?». Indico con il dito. «Quella è la costellazione di Orione. Si narra che Orione era un gigante bellissimo, figlio di Poseidone ed Euriale. Venne sedotto da Artemide e in poco tempo i due si amarono perdutamente. Apollo, geloso della sorella, le tese una trappola, facendole schioccare una delle sue indistruttibili frecce d'argento contro il gigante e lo uccise. Zeus provò passione e decise di far ascendere al cielo l'eroe che, da allora, splende nell'Emisfero Boreale mentre affronta la carica del Toro» «Oh... ma è una storia triste». Si stacca dalle mie spalle e mi alza il mento. «Sono le storie più tristi ad essere ricordate» «E tu cosa ne pensi?» «Che è vero». Mi fissa. China la sua testa verso la mia. Chiudo gli occhi, inclino il viso e le nostre labbra entrano in contatto. Mi morde il labbro inferiore. «Non abbiamo molto tempo le luci stanno per riaccendersi». Sorride mentre le sue mani scendono lungo i miei fianchi. «Hai ragione, andiamo. Ti accompagno». Attraversiamo il viale con la mia mano nella sua. «Grazie per essere venuto». Mi bacia. Si accendono le luci. «Forse è meglio che tu vada si è fatto tardi» «Perché non dormi a casa mia?» «A casa tua?» «Sì, cosa c'è che non va?» «Dovresti sentire tuo fratello mentre russa» «Evan!». Sorridiamo entrambi. «Va bene entro, però dormo nel divano non vorrei svegliare nessuno» «Non vuoi dormire con me?» «Sì, ma non ora» «D'accordo». Apro la porta. «Buona notte Elison» «Buona notte Evan».

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Capitolo 24
*** Un senso ***


«Più in fretta con quell'ascia» «Sissignore». Mia madre sorride. «Non credi che papà stia un po' esagerando con Evan?». Chiedo preoccupata. «Lo sai com'è fatto, ti ricordi con Aron?» «Sì, ma è solo da due giorni che lo conosce e già lo ha messo a tagliare legna» «Tesoro stai tranquilla, se la sta cavando benissimo» «Lo so» «La signora Chrissy ha detto che ieri notte c'è stato un blackout verso mezzanotte: per poco non cadeva mentre stava andando in cucina a prendere un po' d'acqua». Sorrido. «Vado a controllare la lavatrice. Se cerchi i cereali sono nello sportello in alto accanto i fornelli». «Va bene». Discosto le tende della porta della cucina. E' incredibilmente sexy anche in tenuta da boscaiolo. Indossa dei jeans con degli svoltini e una camicia quadrettata rossa e nera con degli scarponi beige. «Ancora altri tre ceppi e abbiamo finito!». «E questo è l'ultimo». E' bellissimo persino quando è sudato. Si asciuga la fronte e il suo sguardo viene verso la mia direzione. Mi vede e sorride. Mia madre tossisce. Mi nascondo dietro le tende. «Deve proprio piacerti tesoro». Mi da un bacio sulla fronte. «Mi raccomando solo di stare attenta». Squilla il telefono. April. «Ely ma dove avevi il telefono? E' da ieri sera che ti chiamo!» «Era sotto carica» «Ho parlato con il mio capo e mi ha concesso due settimane di vacanze» «Ma non era Josh il tuo capo?» «Sì...» «Oh, vi siete presi un pausa?» «Così pare... sarò lì lunedì» «Ti aspetto» «Va bene ci sentiamo». Riattacco. Poso il telefono sul tavolo del salotto mi alzo e vado in cucina. Giro l'angolo, chiudo gli occhi e mi ritrovo a terra. «La mia povera testa. Ma cosa è stato?». Alzo gli occhi per vedere dove sono sbattuta. Evan. Arrossisco. «Scusa non volevo farti cadere». Mi prende il braccio e mi solleva attirandomi a sé. «Grazie» «Adesso devo andare ho un'altra riunione importante questa sera». Abbasso la testa. «Ehi...». Mi giro dall'altro lato. «Non voglio che tu te ne vada di nuovo» «Ritornerò» «Quando?» «Questa sera che ne dici di andare a cena fuori?» «Va bene». Gli do un bacio sulla guancia. Rimane sorpreso. «A dopo Elison». «A dopo». Lo guardo allontanarsi: non avrei dovuto fargli capire che sono tranquilla. Crederà che dipendo da lui e questo non va bene. Devo cercare di mostrarmi impassibile e di non mostrare nessun sentimento: forse solo così riuscirò a capirlo. Farei di tutto per poter capire l'uomo che è. Non importa quanto tempo impiegherò. Ho una vita a disposizione. Devo farcela. Lui è tutto ciò che io voglio e io ne voglio tante di cose. Voglio una vita libera, una vita con pace, una vita con serenità ma questo è il mondo: difficile come non mai. Nasciamo senza volerlo, moriamo senza volerlo e pensiamo di vivere come vogliamo. Si viene alla luce ,così, un giorno e già da quel giorno tutto sarà più difficile: dall'iniziare a respirare con i propri polmoni al guardare con i nostri occhi, dal saper mangiare con la nostra bocca al saper camminare con i nostri piedi. Cresciamo e tutto diviene ancora più difficile: gli amici, la famiglia, la scuola. Cerchiamo di capire qual è il nostro posto ma in fondo non lo capiremo mai, quindi, vaghiamo in cerca di qualcosa che non possiamo trovare ma la cerchiamo lo stesso: convinti che un giorno tutto andrà per il verso giusto e, finalmente io ho trovato quel "verso giusto" o almeno credo. Non sai mai ciò che la vita riserbi per te e viviamo aspettando che da un giorno all'altro accada qualcosa. Beh, ecco forse quel qualcosa nella mia vita è già accaduto: sta a me accettarlo e non ci riesco. Sarò forse paranoica ma tutto ciò che voglio è essere felice ed esserlo è qualcosa che sembra impossibile. Il mio obbiettivo non è il denaro ma l'amore. Certo l'amore di Evan tampona ma non guarisce del tutto, o meglio, non guarisce mio padre. Ecco, è proprio qui che si vede la sottile differenza tra la felicità e la pace. La felicità è data dalle circostanze ma la pace se la ottieni è per sempre. «Tesoro!» «Sì, mamma arrivo!» «Ma dov'è andato questa volta?» «Aveva un impegno importante. Mi ha detto che questa sera andiamo a cena fuori» «Spero che non sia tutti i giorni così con lui!». Sospira. «Lo so mamma dovrebbe essere più presente...» «Mi sottovaluti. Non sono qui per giudicarti: si ormai grande per questo, non credi?». Sorride. «Oh,....». Mi da un bacio sulla fronte. «Mamma, April ha detto che sarà qui la prossima settimana» «Ma è bellissimo . Così finalmente conoscerò la famosa April! Vado a vedere cosa ha combinato tuo padre. Quell'uomo mi darà da fare fino all'ultimo giorno!» 'Già, fino all'ultimo giorno'.

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Capitolo 25
*** Ti amo Elison ***


"Mi dispiace non posso venire all'appuntamento, ho avuto un imprevisto" Evan. 9. 45 p.m. 'Cosa ti aspettavi da lui? Che sarebbe stato presente? Che sarebbe stato lì, con te ad asciugarti ogni singola goccia che pende dalle tue labbra? Cosa ti aspettavi? Che non ti avrebbe deluso mai? Cosa volevi da lui? E' un uomo, non un dio.' La mia vocina ha ragione. Cosa potevo volere da una persona come lui? Credo sempre di essere paranoica ma in realtà non lo sono. Io voglio tutto ed è proprio per questo che non merito nulla. Voglio lui e lo voglio con tutta me stessa ma a volte mi chiedo se riuscirò mai a sopportare tutto questo. Le sue lunghe assenze e le sue brevi e intense presenze. E' un uomo d'affari non posso prendergli tutto il tempo che desidero. Il suo tempo non è per me, è per il suo lavoro. A volte mi chiedo se non mi stia usando solo per un suo divertimento: solo perché a voglia di divertirsi un po' per poi lasciarmi andare come una pezza vecchia. So che questi pensieri non dovrebbero lontanamente passarmi per la testa ma sono stanca. Stanca di essere l'ancora di tutti e il porto di nessuno. Ne ho passate tante e continuo a passarne tante oggi. Vorrei solo chiudere gli occhi e ritornare piccola. Vorrei solo correre nel giardino di casa con Jason. Vorrei solo stare di nuovo tra le braccia di mio padre e aggrapparmi alle gambe di mia madre. E' forse chiedere troppo? Vorrei solo riavere un padre. Un padre che stia bene. Un padre che mi accarezzasse e mi dicesse che va tutto bene perché è guarito. Forse dovrei trovare il modo per eliminare. Forse dovrei cercare di far finta di nulla come se niente fosse ma se c'è una cosa che non si può eliminare è di certo il passato. Studiamo tanto la storia dei nostri predecessori e non riusciamo per lo più delle volte a capire a cosa serve. Crediamo che sia inutile e che non sia altro che una perdita di tempo ma conoscere il passato è essenziale perché è da lì che noi proveniamo e, gli storici lo sanno bene. Uomini che cercano le risposte alle loro domande e nostalgici di tempi a noi sconosciuti ma alla fine la nostalgia non è solo che un'assuefazione inversa. Una dipendenza che nessun altro può cancellare perché è con il passato che ha a che fare. E convivere con il passato è inevitabile. Ci sono piccoli e grandi uomini. Solo i grandi accettano il passato. I piccoli lo dimenticano. Bussano alla porta. «Tesoro, è permesso?». Spalanco gli occhi, prendo un fazzoletto e mi asciugo le lacrime. «Tesoro?» «Sì, mamma... un attimo». Apre la porta. «Ma che fai?». 'Dannazione Elison, stai calma. «Niente». Sorrido. «Hai finito di fingere?». Sospira. «Cosa c'è che non va?». Si siede accanto a me. «Evan...» «Cosa c'è questa volta che non va?» «E' solo che è sempre così impegnato e io lo vorrei più accanto». Mi fissa. «Non sarà sempre così, vedrai che quando andrete a vivere insieme tutto si sistemerà e tu imparerai a condividere con lui ogni singolo attimo» «Dici sul serio? Io... ho paura di non averlo con me» «Lo devi amare davvero tanto...». Mi da un bacio sulla fronte. «Sì». Arrossisco. «Non essere timida! Ormai sei una donna. Una meravigliosa donna devo aggiungere!» «Mamma!». Mi fa la linguaccia «Vedrai che si rifarà vivo magari con un bel mazzo di fiori e si farà perdonare». Mi strizza l'occhio e si alza dal letto. «Vado giù da tuo padre vieni?» «Va bene, arrivo fra qualche minuto» «Ok, ti aspetto in salotto». Sorride. Mi alzo dal letto e mi avvicino al cofanetto della collana che mi aveva regalato poco fa. Lo apro e fisso il cuoricino d'oro al centro, lo prendo e lo poso sulla mia mano toccandolo molto delicatamente come se fosse qualcosa di prezioso e in effetti lo era. Giro il cuoricino e noto una scritta piccolissima. Avvicino il cuoricino agli occhi per leggere meglio cosa c'è inciso. Rimango a bocca aperta. "Ti amo Elison" Come avevo fatto a non accorgermene prima? Un sorriso compare sul mio viso. Era così chiaro che non ero riuscita a capirlo prima. Lui mi ama. Come se non fosse un inizio come se non ci fosse una fine. Bussano. «Mamma scendo a minuti!». Si abbassa la maniglia. «Mamma ti ho detto che...». Sorride. Si avvicina a me e mi da un piccolo bacio sulla bocca mordendo delicatamente le mie labbra. Mi stacco da lui e lo fisso. «Scusa...» «No...». Faccio una cosa che non avevo mai fatto con un uomo. Alzo il braccio e con l'indice sfioro il suo naso e le sue labbra. «Scusa tu per aver dubitato di te». Si avvicina e mi da un altro bacio. «Ti amo» «Anch'io». Vede la collana che mi ha regalato sul comodino, fa un passo avanti e la prende. «E questa?» «L'avevo presa per pensare a te e....» «Vieni qui. Siediti». Mi siedo sul letto ed incrocio le gambe. «Solo un attimo» Sento i suoi pettorali premere sopra la mia schiena. Il mio corpo freme. Prende la collana tra le mani e mentre me l'avvolge al collo sento le sue possenti braccia sfiorarmi le spalle. Chiudo gli occhi. «Girati». Mi bacia su una guancia. «Sei bellissima». Lo abbraccio e inizio a dargli dei piccoli baci sul collo. Chiude gli occhi. «Mi farai impazzire» «Lo so». Sorrido e bussano. «Tesoro» «Cristo, mia madre». Sussurro. «Tranquilla». Mi da un rapido bacio sulla guancia. «Ci penso io». Apre la porta. «E' un po' imbarazzante ma mio marito non accetterebbe certe "cose" ecco». Strizza l'occhio a Evan. «Non si preoccupi, stiamo scendendo» «Va bene». 'Ha ipnotizzato anche mia madre'.

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Capitolo 26
*** Ultimi giorni ***


«Ti porterò dove non sei mai stata». Mi dà un bacio sulla guancia destra. «Ti farò vedere cose che nessuno ti ha mai mostrato». Posa le sue labbra sulla mia guancia sinistra. «E ti farò provare sensazioni che nessun altro sarà mai in grado di darti». Mi afferra molto lentamente le braccia e le porta nei suoi zigomi, facendomi mettere tra le mani il suo viso. Il mio respiro rallenta. Lo guardo e chiudo gli occhi. Mi sfiora il naso con il suo, arrossisco, tolgo le mani dal suo viso e abbasso leggermente il capo. Lui si avvicina, mi discosta i capelli e mi dà un casto bacio sulla fronte. Mi fissa per un attimo e sbatte le palpebre. E' mio e di nessun altra. Lo amo. Scende con la sua bocca sino a posarla sulla mia e mi mordicchia dolcemente il labbro inferiore. Inclino il mio viso e mi lascio andare. Sono sua: può fare di me quello che vuole. Abbandono la mia bocca e lui inizia a leccarmi il viso. «Ma che fai?». Inizio a ridere e lui continua. «Smettila!». Grido con un sorriso sul mio volto. «Evan no. Davvero. Adesso basta!». Lo respingo. «Basta!». Apro gli occhi, smetto di respirare e sobbalzo. Era solo un sogno. «Mamma! Cosa ci fa un gatto nella mia camera?!». Sento una risata contagiosa da dietro la porta. «Certo che ce ne hai messo di tempo per capire che era un gatto!». Le tiro il cuscino. «Ehi!». «Quando sei arrivata?». Mi strofino gli occhi. «E cosa ci fa un gatto qui?». «Quella palla di pelo, dici? Mia mamma mi ha costretto a riprenderlo da casa. Volevo abbandonarlo ma come si fa a lasciare un gatto così piccolo e indifeso per strada? Così ho pensato di regalarlo a voi...» «No, grazie ma noi non possiamo e poi...» «Invece sì che possiamo mia cara». Intravedo mia madre che passa dinanzi la porta della mia camera con una bacinella piena di vestiti appena usciti dalla lavatrice. «Hai finito con il terzo grado?». Dice April. «Direi di sì». Mi alzo e l'abbraccio. «Ma tu accogli sempre così i tuoi amici?» «Più o meno sì». Alzo le spalle. «Andiamo ti aiuto a fare i bagagli...» «Ma se sei ancora in pigiama!» «E tu sei sempre la solita!». Mi fa la linguaccia ed esce dalla mia stanza. Sorrido. Adesso sì che mi sento a casa. «Solo un'ultima cosa... dove hai detto che è la mia stanza?». Aggrotta la fronte. «Seconda porta a destra» «Grazie». Mi gratto la schiena e mi alzo dal letto per andare in bagno a rimettermi un po' in sesto. Ancora non riesco a credere che sia già lunedì anche se, magari, sarei stata più contenta con Evan al mio fianco. Non lo sento da due giorni. Arrivo in bagno, chiudo la porta e prendo lo spazzolino per lavarmi i denti. Mi manca e non c'è storia da raccontare senza di lui. Metto il dentifricio sullo spazzolino e inizio a strofinare. Lo amo e non ho dubbi ma mi chiedo per quanto ancora potrà andare avanti. Gli unici momenti al giorno in cui è "presente" sono quando mi invia dei messaggi. Bevo dell'acqua e sputo. Ripeto, mi sciacquo il viso e lo asciugo. Lo vorrei vicino a me ma non è così. Apro la porta e sento delle lacrime. April. Corro per il corridoio in pigiama e vado nella sua stanza, apro la porta e vedo il suo mascara scendere dalle sue guance. «Oh, cosa è successo?». Mi siedo sul letto accanto a lei avvolgendola in un abbraccio. «Joshua... Perché gli uomini devono essere così... così... stupidi?». Continua a piangere. Deglutisco. Non so cosa dire. Siamo entrambe stanche di sogni che non si realizzano e che sono destinati a scomparire... ma alla fine i sogni non sono altro che delle illusioni create dal nostro subconscio per poter realizzare ciò che non accadrà mai nella nostra vita e io lo so. Lo so bene. Le accarezzo i capelli. «Andrà tutto bene». I suoi respiri rallentano. «Hai ragione». Inspira con il naso e si asciuga le lacrime con i polsi. «Avresti un fazzoletto?» «Sì, certo». Apro il cassetto vicino al letto, prendo il pacchetto, lo apro e do il fazzoletto a April. «Grazie. Adesso vado a farmi una doccia. Ne ho proprio bisogno». «Oh, va bene io scendo in cucina». Attraverso il corridoio e vedo il display del mio cellulare illuminarsi. 'Ti prego fa che sia lui'. Entro nella mia stanza e lo prendo tra le mia mani. 'Batteria quasi scarica'. Perfetto,credo che si sia rotto pure il mio caricabatterie. Scendo le scale e vado in cucina. «Mamma?» «Sì, cara?». «Abbiamo un altro caricabatterie?» «Non ricordo bene ma tuo fratello dovrebbe averne uno nella sua stanza dentro il primo o il secondo cassetto del comodino». Strano, non vedo mio padre. «Tesoro, c'è altro?» «Ehm, sì... dov'è papà?». Abbassa la testa. «Mamma?» «E' rimasto a letto... non sta bene». Sospiro. «Vado a prendere il caricabatterie». Entro nella camera di Jason e frugo dentro il primo cassetto senza trovar nulla se non della calze sporche. Apro il secondo cassetto e trovo il caricabatterie. Lo chiudo ma qualcosa si è incastrato e lo riapro. Il mio sguardo si perde nel vuoto. Metto la mano nel cassetto e ne sfilo una confezione strana di medicine ma non sono medicine. Sono pasticche. Droga. Frugo tra le sue cose e vedo un altro sacchetto e lo apro: Ci sono delle siringhe di svariata forma e misura. Metto il tutto nel sacchetto e mi siedo per un po' sul letto di mio fratello. Dovrei, anzi, devo parlare con Jason. Faccio un lungo respiro, mi rialzo e vado a nascondere tutto nel mio armadio. «Ely!». Mia mamma mi chiama. «Arrivo!» «Sbrigati sono qui sotto le scale che ti aspetto». Vado al piano di sotto e vedo mia madre con un sorriso scolpito sulle sue labbra e con un vassoio tra le mani. «Tieni, forse è meglio che glielo porti tu anche se devo dire che è un po' tardi» «Oh, certo» «Solo fai attenzione». Prendo il vassoio e vado al piano di sopra. Mia madre non si smentisce mai: ha fatto i pancakes con il miele accompagnati da del caffè. La mia colazione preferita da ragazza anche se mia madre evitava sempre d farmi bere del caffè: dice sempre che fa male. Faccio un lungo respiro e busso due volte rapidamente. «Entra cara». Tossisce. Abbasso la maniglia e lo guardo. «Tesoro». Tossisce di nuovo cercando di sedersi. Vuole apparire il mio supereroe anche ora. «Allora? Arriva o no questa colazione?» «Tieni». Poso delicatamente il vassoio sulle sue ginocchia e gli do un bacio sulla guancia. «Grazie principessa». Tossisce, si soffia il naso e il suo fazzoletto si macchia. Non di un colore qualsiasi, non di giallo, non di verde, non di blu ma di rosso. Rosso come il sole al tramonto, rosso come una tempera o forse dovrei dire la cosa più corretta. Rosso come il sangue. Non ce la faccio, non posso continuare a vederlo soffrire così. «Scusa papà, scendo giù la mamma potrebbe avere bisogno di me». «Vai pure». Esco e chiudo la porta. Se ne sta andando. Quanti giorni potranno restargli ancora. Uno. Due? Ormai è andato. Sto per perdere colui che mi ha praticamente dato tuttonella mia vita e ora mi sta abbandonando. «Ely! Come cavolo si apre questa porta?». Alzo gli occhi al cielo. «Ci penso io, ho una chiave di riserva». Apro il cassetto del salotto, prendo la chiave e vado in soccorso di April. «Ecco fatto». Mi guarda in accappatoio. «Ci voleva tanto?». Sorrido. «Vado a vestirmi». «E io a cercare mia madre» «Ok, a dopo». Esco in giardino ma nessuna traccia, non trovo mia madre da nessuna parte. Sento dei piccoli singhiozzi. Credo di aver capito dov'è. E' in bagno. Il luogo in cui si è sempre rifugiata per non mostrare le sue debolezze. Busso. Lei apre la porta e mi guarda. «Ti prego dimmi che non ha soffiato di nuovo sangue». Non riesco a mentire. Non a mia madre. Faccio un cenno con il capo. Scoppia a piangere, mi avvicino e l'abbraccio. Non riesco a far nulla. Sto esaurendo le lacrime.

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Capitolo 27
*** Ultimi giorni ***


«Ti porterò dove non sei mai stata». Mi dà un bacio sulla guancia destra. «Ti farò vedere cose che nessuno ti ha mai mostrato». Posa le sue labbra sulla mia guancia sinistra. «E ti farò provare sensazioni che nessun altro sarà mai in grado di darti». Mi afferra molto lentamente le braccia e le porta nei suoi zigomi, facendomi mettere tra le mani il suo viso. Il mio respiro rallenta. Lo guardo e chiudo gli occhi. Mi sfiora il naso con il suo, arrossisco, tolgo le mani dal suo viso e abbasso leggermente il capo. Lui si avvicina, mi discosta i capelli e mi dà un casto bacio sulla fronte. Mi fissa per un attimo e sbatte le palpebre. E' mio e di nessun altra. Lo amo. Scende con la sua bocca sino a posarla sulla mia e mi mordicchia dolcemente il labbro inferiore. Inclino il mio viso e mi lascio andare. Sono sua: può fare di me quello che vuole. Abbandono la mia bocca e lui inizia a leccarmi il viso. «Ma che fai?». Inizio a ridere e lui continua. «Smettila!». Grido con un sorriso sul mio volto. «Evan no. Davvero. Adesso basta!». Lo respingo. «Basta!». Apro gli occhi, smetto di respirare e sobbalzo. Era solo un sogno. «Mamma! Cosa ci fa un gatto nella mia camera?!». Sento una risata contagiosa da dietro la porta. «Certo che ce ne hai messo di tempo per capire che era un gatto!». Le tiro il cuscino. «Ehi!». «Quando sei arrivata?». Mi strofino gli occhi. «E cosa ci fa un gatto qui?». «Quella palla di pelo, dici? Mia mamma mi ha costretto a riprenderlo da casa. Volevo abbandonarlo ma come si fa a lasciare un gatto così piccolo e indifeso per strada? Così ho pensato di regalarlo a voi...» «No, grazie ma noi non possiamo e poi...» «Invece sì che possiamo mia cara». Intravedo mia madre che passa dinanzi la porta della mia camera con una bacinella piena di vestiti appena usciti dalla lavatrice. «Hai finito con il terzo grado?». Dice April. «Direi di sì». Mi alzo e l'abbraccio. «Ma tu accogli sempre così i tuoi amici?» «Più o meno sì». Alzo le spalle. «Andiamo ti aiuto a fare i bagagli...» «Ma se sei ancora in pigiama!» «E tu sei sempre la solita!». Mi fa la linguaccia ed esce dalla mia stanza. Sorrido. Adesso sì che mi sento a casa. «Solo un'ultima cosa... dove hai detto che è la mia stanza?». Aggrotta la fronte. «Seconda porta a destra» «Grazie». Mi gratto la schiena e mi alzo dal letto per andare in bagno a rimettermi un po' in sesto. Ancora non riesco a credere che sia già lunedì anche se, magari, sarei stata più contenta con Evan al mio fianco. Non lo sento da due giorni. Arrivo in bagno, chiudo la porta e prendo lo spazzolino per lavarmi i denti. Mi manca e non c'è storia da raccontare senza di lui. Metto il dentifricio sullo spazzolino e inizio a strofinare. Lo amo e non ho dubbi ma mi chiedo per quanto ancora potrà andare avanti. Gli unici momenti al giorno in cui è "presente" sono quando mi invia dei messaggi. Bevo dell'acqua e sputo. Ripeto, mi sciacquo il viso e lo asciugo. Lo vorrei vicino a me ma non è così. Apro la porta e sento delle lacrime. April. Corro per il corridoio in pigiama e vado nella sua stanza, apro la porta e vedo il suo mascara scendere dalle sue guance. «Oh, cosa è successo?». Mi siedo sul letto accanto a lei avvolgendola in un abbraccio. «Joshua... Perché gli uomini devono essere così... così... stupidi?». Continua a piangere. Deglutisco. Non so cosa dire. Siamo entrambe stanche di sogni che non si realizzano e che sono destinati a scomparire... ma alla fine i sogni non sono altro che delle illusioni create dal nostro subconscio per poter realizzare ciò che non accadrà mai nella nostra vita e io lo so. Lo so bene. Le accarezzo i capelli. «Andrà tutto bene». I suoi respiri rallentano. «Hai ragione». Inspira con il naso e si asciuga le lacrime con i polsi. «Avresti un fazzoletto?» «Sì, certo». Apro il cassetto vicino al letto, prendo il pacchetto, lo apro e do il fazzoletto a April. «Grazie. Adesso vado a farmi una doccia. Ne ho proprio bisogno». «Oh, va bene io scendo in cucina». Attraverso il corridoio e vedo il display del mio cellulare illuminarsi. 'Ti prego fa che sia lui'. Entro nella mia stanza e lo prendo tra le mia mani. 'Batteria quasi scarica'. Perfetto,credo che si sia rotto pure il mio caricabatterie. Scendo le scale e vado in cucina. «Mamma?» «Sì, cara?». «Abbiamo un altro caricabatterie?» «Non ricordo bene ma tuo fratello dovrebbe averne uno nella sua stanza dentro il primo o il secondo cassetto del comodino». Strano, non vedo mio padre. «Tesoro, c'è altro?» «Ehm, sì... dov'è papà?». Abbassa la testa. «Mamma?» «E' rimasto a letto... non sta bene». Sospiro. «Vado a prendere il caricabatterie». Entro nella camera di Jason e frugo dentro il primo cassetto senza trovar nulla se non della calze sporche. Apro il secondo cassetto e trovo il caricabatterie. Lo chiudo ma qualcosa si è incastrato e lo riapro. Il mio sguardo si perde nel vuoto. Metto la mano nel cassetto e ne sfilo una confezione strana di medicine ma non sono medicine. Sono pasticche. Droga. Frugo tra le sue cose e vedo un altro sacchetto e lo apro: Ci sono delle siringhe di svariata forma e misura. Metto il tutto nel sacchetto e mi siedo per un po' sul letto di mio fratello. Dovrei, anzi, devo parlare con Jason. Faccio un lungo respiro, mi rialzo e vado a nascondere tutto nel mio armadio. «Ely!». Mia mamma mi chiama. «Arrivo!» «Sbrigati sono qui sotto le scale che ti aspetto». Vado al piano di sotto e vedo mia madre con un sorriso scolpito sulle sue labbra e con un vassoio tra le mani. «Tieni, forse è meglio che glielo porti tu anche se devo dire che è un po' tardi» «Oh, certo» «Solo fai attenzione». Prendo il vassoio e vado al piano di sopra. Mia madre non si smentisce mai: ha fatto i pancakes con il miele accompagnati da del caffè. La mia colazione preferita da ragazza anche se mia madre evitava sempre d farmi bere del caffè: dice sempre che fa male. Faccio un lungo respiro e busso due volte rapidamente. «Entra cara». Tossisce. Abbasso la maniglia e lo guardo. «Tesoro». Tossisce di nuovo cercando di sedersi. Vuole apparire il mio supereroe anche ora. «Allora? Arriva o no questa colazione?» «Tieni». Poso delicatamente il vassoio sulle sue ginocchia e gli do un bacio sulla guancia. «Grazie principessa». Tossisce, si soffia il naso e il suo fazzoletto si macchia. Non di un colore qualsiasi, non di giallo, non di verde, non di blu ma di rosso. Rosso come il sole al tramonto, rosso come una tempera o forse dovrei dire la cosa più corretta. Rosso come il sangue. Non ce la faccio, non posso continuare a vederlo soffrire così. «Scusa papà, scendo giù la mamma potrebbe avere bisogno di me». «Vai pure». Esco e chiudo la porta. Se ne sta andando. Quanti giorni potranno restargli ancora. Uno. Due? Ormai è andato. Sto per perdere colui che mi ha praticamente dato tuttonella mia vita e ora mi sta abbandonando. «Ely! Come cavolo si apre questa porta?». Alzo gli occhi al cielo. «Ci penso io, ho una chiave di riserva». Apro il cassetto del salotto, prendo la chiave e vado in soccorso di April. «Ecco fatto». Mi guarda in accappatoio. «Ci voleva tanto?». Sorrido. «Vado a vestirmi». «E io a cercare mia madre» «Ok, a dopo». Esco in giardino ma nessuna traccia, non trovo mia madre da nessuna parte. Sento dei piccoli singhiozzi. Credo di aver capito dov'è. E' in bagno. Il luogo in cui si è sempre rifugiata per non mostrare le sue debolezze. Busso. Lei apre la porta e mi guarda. «Ti prego dimmi che non ha soffiato di nuovo sangue». Non riesco a mentire. Non a mia madre. Faccio un cenno con il capo. Scoppia a piangere, mi avvicino e l'abbraccio. Non riesco a far nulla. Sto esaurendo le lacrime.

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Capitolo 28
*** E' finita ***


«Ottimo cara».Alza la forchetta e prende un fazzoletto per pulirsi la bocca. «Grazie, tesoro». Mia madre arrossisce e abbassa la testa con un amaro di tristezza in bocca. Lo sento. Riesco a capirlo. E' lo stesso che ho io. April mi tocca con il gomito in maniera disinvolta. «Sono davvero carini». Sussurra. «Chi?». La guardo sorpresa. «I tuoi genitori, stupida!». I miei genitori ci fissano. «Avete finito di bisbigliare?». Interviene mia madre. «Scusi, signora Johnson». «Non preoccuparti». Tocca la mano di mio padre. «Finiamo di cenare su! Non perdiamoci in chiacchiere!». Dice mio padre. «Hai ragione papà». Prendo dell'insalata e la metto nel mio piatto. «Allora avete visto Jason? Perché oggi non è venuto a pranzo e ancora non è tornato?». «Oh...». Mia madre si asciuga le labbra. «Ha detto di stare tranquilli e non aspettarlo. Ha avuto un impegno di lavoro». «Un impegno?». «Già, che c'è di strano?». Risponde mia madre. «No, nulla». Guardo il piatto. Lei lo sa. Sa tutto. Sa di Jason. Sa di papà. Sa di me. Vuole solo vivere nel suo mondo, fingendo che tutto vada per il meglio ma io no. Io non riesco affatto a fingere. «Mamma». Lascio cadere le posate. «Dobbiamo parlare». Mi fissa. «Ora». «Va bene». Si pulisce il viso. «C'è qualcosa che non va?». Le tocca il braccio mio padre. «Ne riparliamo dopo Michael». «Ne sei sicura? Se volete io... posso anche...» «No, è una cosa madre-figlia». Ci alziamo entrambe e andiamo in corridoio. «Allora di cosa vuoi parlare Elison?» «Jason...» «Lui sta solo vivendo un periodo difficile, lo sai com'è fatto!» «Mamma dimmi che non lo sta coprendo facendo finta che tutto vada per il verso giusto». Sorride. «Oh, beh è quello che sto facendo». Si volta e io le afferro i polsi. «Mamma si sta drogando. Ho visto delle pasticche e delle siringhe nel cassetto della sua camera. Sappiamo entrambe quanto tempo ci ha messo per uscire da questo tunnel. Non voglio che ci ritorni». Sospira. «Nessuno vuole che ci ritorni ma ormai Jason è un uomo e può fare della sua vita quello che ne vuole». La fisso «Dimmi che è tutto uno scherzo» «No, cara. Questa è la vita: fai un favore a te stessa e impara a vivere la tua domani potrebbe essere troppo tardi, la devi smettere di preoccuparti degli altri» «Io m'interesso della mia vita» «Ah, sì? Che fine ha fatto Evan?». Mi guarda e se ne va. Non so per quanto potrò ancora continuare in questo modo. «Elison». Sobbalzo. «Jason». Ti prego fa che non abbia ascoltato tutta la discussione. «Finiscila». Socchiudo la bocca. «No, davvero smettila di pensare a me. Frugare tra le mie cose? Seriamente?». «Io... io stavo cercando il caricabatterie». Balbetto «Pensi davvero che io sia così stupido? Apri un po' gli occhi! Non ho più dodici anni». Sbatte la sua spalla alla mia e sale le scale. «Jason! No! Non ti permetto di trattarmi così!». Sbatte la porta. «Elison! Vieni a finire di mangiare!». Mi chiama mio padre. «Non ho fame, vado a fare due passi!». Esco fuori e mi siedo sul gradino del porta d'entrata. Che stupida che sono stata a credere di poter riuscire a rimediare a tutto ciò che sta succedendo. Cosa vuoi che faccia? Sono solo una ridicola ragazzina che crede sempre di riuscire a rimettere tutto in ordine ma non è così. Ho sempre creduto che se avessi aiutato le persone avrei potuto guadagnare la loro fiducia ma non è esattamente così che funziona. Non va mai per il verso giusto. Si apre la porta. «Non credi di dovermi dare delle spiegazioni?». «April io non lo so... e mio padre? Cosa avete detto a mio padre?». Si siede accanto a me. «Tranquilla tua madre è fenomenale! Gli ha detto che avete avuto una stupida lite perché tu hai frugato tra le sue cose e gli hai spostato i suoi calzini». Sorrido. «E' così che gli ha detto?» «Già». Fisso il pavimento. «Ok, cosa c'è che non va?». Mi tocca il mento. «Guardami negli occhi». Inizio a ridere ma la mia risata non è una qualunque: è una risata isterica. Una risata destinata a divenire pianto ancora prima di iniziare. April mi abbraccia e io non riesco a trattenermi un secondo in più e inizio a singhiozzare. «Va tutto bene». Mi stringe a sé. «No!». Grido. «Non va tutto bene! Non potrebbe andare peggio». Mi strofina le spalle. «Sono un'idiota. Io che credo che uno come Evan mi possa amare. Io che credo che mio padre guarirà. Io che credo che Jason e mia madre stiano bene. Io che credo che tutto vada bene!». «Credevo che almeno con Evan andasse tutto nel verso giusto». Chiude gli occhi e mi stringe più forte. «Lo credevo anch'io». Inizio a piangere. «Sai che ti dico?». Si alza. «Sono venuta per te e non per me. E' giunto il momento di divertirci. Noi sta sera usciamo» «Cosa?». Spalanco gli occhi. «Ti sembra forse il momento giusto per andare a divertirsi?». «Vedi! è questo il tuo problema. Non è MAI il momento giusto!» «Forse hai ragione!» «Certo che ho ragione... avevi dei dubbi?». Asciugo le lacrime con i polsi. «Ma sì, andiamo!» «Questo è lo spirito giusto!». Mi da la mano per alzarmi. «Grazie» «Di nulla». Sorride. «Allora andiamo o no?» «Va bene, ho afferrato il concetto». Alzo leggermente le mani in segno di resa. «Pero prima devo andare a dirlo ai miei genitori. Solo un minuto» «Ok, sbrigati però!». Alzo gli occhi e apro la porta per. «Tesoro, va tutto bene..?». La guardo. «Non potrebbe andare meglio». «Scusa per prima sono stata troppo dura». «Riprova più tardi April ed io stiamo andando a prendere una boccata d'aria e magari un po' di droga tanto e per alleviare il dolore giusto?». Continuo a cercare il mio cappotto sull'attaccapanni che sembra una giungla senza degnarla di uno sguardo. «Solo... stai attenta e non commettere gli stessi sbagli di tuo fratello e...». Trovo quello che mi serve. «Sì, certo». Le sbatto la porta in faccia, tanto ormai è normale in questa casa. «Oh, ce l'hai fatta finalmente!». La guardo. «Andiamo, su!» «A piedi?» «Ho chiamato un taxi, di certo queste scarpe non sono fatte per camminare». Alza la gamba mostrando i suoi tacchi. «Sei sempre la solita». Oscillo il capo rivolto verso il basso e infilo la mano destra nel cappotto e tocco qualcosa. Il mio cellulare. Decido di prenderlo tra le mie mani e accendo il display. 'Sei chiamate perse e 15 nuovi messaggi' Evan. Adesso è giunto il momento di farla finita. Una relazione tra due persone non può essere sviluppata così. Non è nel mondo virtuale che si svolge una vita ma in quello reale. Il vero 'mondo' in cui una persona può conoscerne un'altra. Il vero 'mondo' fatto di sorrisi e di pianti. Non ne esiste uno migliore. Dovremmo rendercene conto. Faccio un lungo respiro e decido di scrivergli un messaggio. E' un gioco che può farsi in due. "Non so come dirtelo ne tanto meno come sperare che tu capisca questo messaggio. Non è in questo modo che voglio stare con te. Se tu credi che la nostra relazione potrà continuare a funzionare sei un vero idiota. Non voglio 'sentirti' una volta al giorno perché voglio stare con te almeno una volta al giorno. Credi forse che io stia vivendo uno dei momenti più felici della mia vita? Mio padre sta morendo, mio fratello si droga, mia madre sta avendo una crisi di nervi e io non lo so cosa mi sta succedendo. E' assurdo pensare come io mi sia potuto innamorare di uno come te. Ti amo ma non voglio una storia così. Evan non so come dirtelo. E' finita." Invio messaggio in corso. «Ely è arrivato il taxi, andiamo!» «Sì, un minuto». Guardo il display del cellulare. 'Messaggio inviato'. «Andiamo».

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Capitolo 29
*** S. Valentino ***


Non avrei mai creduto di potercela fare e invece eccomi qui. Ho lasciato tutto. Voglio solo divertirmi. Mia madre, mio fratello, April... forse hanno ragione. La devo smettere di preoccuparmi di tutto e di tutti. E' la mia vita non degli altri e devo imparare a viverla. Non avrei mai immaginato di pensare una cosa del genere ma l'ho fatto e ne sono fiera. Al diavolo mio fratello se vuole essere un tossico dipendente e al diavolo anche Evan se pensa che il lavoro sia tutto quello di cui ha bisogno. Fisso il finestrino perdendo il mio sguardo nel vuoto. «Signorine dove vi porto?». Chiede il tassista. «Ely...». Mi da una piccola pacca sulla spalla destra. «Uh?» «Dovremmo dire la destinazione» «Vorresti dirmi che sino ad ora abbiamo girato a vuoto?» «Sai com'è sei tu che vivi qui» «Ci penso io... ho capito». Mi sporgo dal sedile posteriore. «Scusi?» «Vedo che finalmente avete deciso dove andare». Sospiro. «Io e la mia amica vorremo andare un po' a divertirci saprebbe darci qualche consiglio?» «Sì, certo. Allora mi lasci un attimo pensare... ah, ecco! Questa sera al Wings c'è il "S. Valentino's party". Cosa ne dice?» «S. Valentino?» «Sì, perché me lo chiede in maniera così strana? Oggi è il 14 Febbraio». Esito per un attimo. «Va bene, ci porti lì». Appoggio la schiena al sedile. «April dimmi che lo sapevi che oggi è S. Valentino» «Diciamo che non ci avevo fatto caso». Gira il capo dall'altro lato. «April...» «Che c'è?» «E va bene... avevo pensato che potremmo trovare qualcuno questa sera e divertirci» «Certo, per la serata "Cuori infranti"» «Non essere così pessimista! Vedrai che ci divertiremo... te lo prometto» «Speriamo» «Signorine siamo quasi arrivati. Sono 37$». Guardo April. «Ok, pago io». Il taxi si ferma, April prende il portafogli e paga la corsa. «Contenta? Adesso andiamo!». Esco dal taxi e osservo il Wings. Non è cambiato di una virgola: è tutto perfettamente per come lo avevo lasciato. E' come se sia rimasto confezionato: dal vecchio cartello: "Wings Etc. Grill & Pub Locations" alla strana mascotte di pollo gigante appesa al muro, visibile anche da fuori. Fortunatamente ha tutta l'aria di una festa per vecchi scapoli. L'unica cosa che fa pensare ad un S. Valentino's party è l'enorme manifesto appeso fuori. «Dai, muoviti». April mi strattona il braccio e ci mettiamo a correre come due ragazzine come se fossimo ritornate al liceo. La musica si fa sempre più forte sino a divenire assordante. Iniziamo a ballare tutte e due. L'una più spensierata dell'altra... alla fine era questo lo scopo, no? Divertirsi. Noi siamo qui per divertirci. April inizia a saltare agitando i suoi meravigliosi capelli biondi da un lato all'altro. E' praticamente al centro dell'attenzione, come sempre... dovrei essere gelosa e forse un po' lo sono ma lei è la mia migliore amica: quello che mi importa è solo che sia con me. Inizio a saltare anch'io facendole delle smorfie. «April!!». Grido. «Non ti sento! La musica è troppo alta!». Fa degli strani segni con le mani. «Vado a prende da bere!! Bere!». Gesticolo anch'io, mi volto e inizio a farmi largo tra la folla e così tra gomitate e pugni riesco ad arrivare alla cassa. «Scusi?». Alzo la mano. «Scusi?». Un uomo mi spinge. «Scusi?!!». Si avvicina la barista. «Come posso aiutarla!?» «Vorrei due bicchieri di vodka!!». Urlo. «Arrivano subito!». Riesco a trovare posto e mi siedo. Sento dei grugniti un po' strani. «Ely!!». Mi tocca la spalla. «April? Che c'è? Sto prendendo un po' da bere». Avvicina la sua bocca al mio orecchio. «Lo vedi quel tipo carino là in fondo?». Muove la testa in sua direzione. «Sì!!». Urlo al suo orecchio. «Credo che gli piaccio!!» «E' proprio sexy!!» «Lo so... perdonami è solo che io...» «Ho capito tutto, vai pure a divertirti!!». Mi prende le mani. «Grazie, grazie, grazie ci vediamo dopo!!!». Un enorme sorriso compare sul suo volto e io lo ricambio anche se l'idea di rimanere sola la notte di S. Valentino non è che sia la migliore delle cose ma comunque sono felice per lei. «Ecco qui!!». Il barista mi passa i due bicchieri di vodka e adesso come faccio a berne due? Mi rilasso e abbasso le spalle. Sarà una serata davvero lunga. «Scusi, ha una cannuccia e del ghiaccio?» «Certo». «Che velocità e...» «Senta... mi piacerebbe molto continuare a parlare con lei ma ho dei clienti che mi aspettano e non vorrei perdere il lavoro... lei mi capisce vero?» «Sì, vada pure». Prendo il bicchiere in mano e inizio a bere il vodka molto lentamente guardando April che si diverte con quel tizio. «Non deve essere una bella serata per te, vero?!». Sobbalzo. «Non una delle migliori... scusa ma ci conosciamo?» «Può darsi... io so chi sei tu». Un sorriso sfugge dalla mia bocca. «Che c'è da ridere?» «Mi sembrava che avresti avuto delle battute migliori per rimorchiare, tutto qui». Aggrotta la fronte e mi fissa. «Ok, ho esagerato adesso smettila». Continua a fissarmi. «Dai!!». Tocco la sua spalla e continuo a sorridere. «Non sto scherzando... davvero non mi riconosci? Sono Paul.». Il vodka mi va di traverso e tossisco, lui si avvicina e mi batte la spalle. «Dovresti andarci piano con questa roba» «Sei quel Paul?» «Esatto» «Quello che era sempre preso in giro perché era... robusto?» «Sì» «Oh-mio-Dio! Ma cosa hai fatto? Sei stupendo!» «Non quanto te!» «Che carino che sei!». Arrossisco. La situazione inizia a divenire imbarazzante. «Ti va di ballare?». Il telefono vibra. '3 chiamate perse' Evan. «Allora?». «Ma sì, andiamo!». Poso la mia mano sulla sua e andiamo a ballare. E' proprio cambiato: non è più lo stesso di prima. E' vestito come un vero e proprio campagnolo e, in effetti, lo era. Si abbassa la musica e la luce diviene più tenue. «Signori e signore adesso aggrappatevi al vostro partner perché è giunto il momento dei balli di coppia... è o non è S. Valentino?! Ecco a voi "A Love That Will Last"». Cristo! Volevo divertirmi ma non in questo modo... non credo di essere pronta per un altro ragazzo. Alzo la testa. Diamine, mi sta fissando... cosa faccio ora? April... è tutta colpa sua! «Vuoi concedermi questo ballo?». Annuisco e gli prendo la mano. Lui mi stringe a sé e io poso la mia testa sulla sua spalla. Mi sento al sicuro. «Credo che la tua amica abbia fatto colpo». Sorrido «Lo credo anch'io». Sussurro, chiudo gli occhi e li riapro. Evan. Il mio battito diminuisce, credo che sto per morire. «C'è qualcosa che non va?». Evan lascia cadere i fiori a terra. «Scusa, devo andare» «E mi lasci così?» «Scusa». Mollo la sua mano e corro fuori mentre lui se ne sta andando. «Evan! Evan!». Urlo con tutta la forza che ho in gola . «No, ti prego non andartene!». Mi ignora. «Evan!!». Lo raggiungo e gli afferro il braccio. «Ti prego!» Urlo. «Dovevi pensarci prima e io...» «Cosa?». Inizio a piangere. «Io che pensavo di venire a vivere qui con te e abbandonare la carriera solo per avere una vita felice e tranquilla insieme a te». Spalanco gli occhi. «Ma tu vedo che hai trovato di meglio con chi stare» «No, Evan io posso spiegarti...» «Spiegarmi cosa? Ho deciso di divertirmi un po' perché sentivo la tua mancanza?» «Evan!! Ti prego fermati!!». Sento i miei battiti uno ad uno. Arriva al suo taxi e apre la porta. «Sai una cosa? Avevi proprio ragione...». Ti prego non dirlo. «E' finita». Quelle parole iniziano a rimbombare nella mia testa una dietro l'altra. Non ce la faccio più, cado a terra e perdo i sensi. «Elison, non fare finta di stare male». Socchiudo gli occhi. «Elison! Elison!». Urla. Chiudo gli occhi. Adesso credo che sia davvero finita.

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Capitolo 30
*** Errore ***


Schiudo lentamente le palpebre e vedo il suo volto accanto al mio. Non ricordo più nulla di ieri sera, non so cosa sia successo ne tanto meno cosa sta per succedere: so solo che lui è accanto a me. Non importa cosa io abbia passato le ultime due settimane, non importa se è stato assente, non importa se abbiamo litigato. L'unica cosa che veramente importa è che lui è qui con me. Ora. Nessuno può distruggere questo momento. Nessuno. Nemmeno io. Nemmeno lui. Mi sta fissando dal momento in cui ha visto sbattere le mie palpebre, ne sono sicura. Si avvicina ancora di più a me. Lo sento. Socchiudo gli occhi per osservarlo cercando di non farmi vedere. Non riesco ad essere indifferente. Non con lui. Apro gli occhi e lo guardo per un istante: troppo poco per osservarlo, troppo per sognarlo. E' coricato di fianco e sostiene il capo con la mano sinistra appoggiando il gomito sul cuscino. Non indossa la sua solita camicia da ufficio ne la sua cravatta. E' a torso nudo mostrando il suo corpo tonico in ogni sua parte. E' perfetto proprio come un dio greco ma lui non è un dio greco qualunque. E' il mio dio greco. «Per quanto hai ancora intenzione di dormire?». Credo di essere appena stata scoperta. «Allora?». Sento il suo caldo respiro accanto al mio volto. Si avvicina ancora di più e con la mano destra inizia a spostarmi i capelli. «Sei stupenda anche quando dormi». Sorrido. «Sbaglio o ti sei mossa la bocca?». Sarà un altro dei miei soliti sogni. Non possiamo avere tutto quello che vogliamo e noi lo sappiamo. Lo sappiamo bene. Non potrò averlo nella vita reale ma io mi accontento. Anche dei sogni. Non ho mai preteso l'impossibile ma il possibile e adesso mi è stato tolto. Non capisco perché devo continuare a soffrire quando ci sono i sogni. «Elison non credi che sia il momento di svegliarsi?».Ha proprio ragione, meglio godermelo finché posso, finché dormo. «E va bene, scoperta!». Sbadiglio e alzo le mani al cielo buttandomi nuovamente sul letto. «Non sei molto brava a fingere a quanto vedo». Mi sfiora con l'indice la spalla continuando a scendere sino a giungere nei fianchi. «Mi fai il solletico!». Rido. «Mi piace quando ridi». Gli afferro delicatamente i polsi. «Ma questo non ti autorizza a fare di me quello che vuoi». Chiudo gli occhi per un attimo. Mi da un rapido bacio sulla bocca. Riapro gli occhi e lo fisso. E' bellissimo. Lo bacio mordicchiandogli il labbro superiore. Lascia per un attimo la mia bocca e inizia a riempirmi di piccoli baci sul collo facendo fremere il mio corpo. Mi butto su di lui e accavallo le mie gambe sopra le sue. Ci guardiamo per qualche secondo e io inizio a dargli dei piccoli baci sull'addome salendo molto lentamente. Lui mette le mani dietro la testa, chiude gli occhi e sorride. Farei di tutto per quel suo sorriso. Mi avvicino al suo collo e bacio le sue labbra carnose come se fossero mie. Lui viola la mia bocca con la sua lingua e inizia ad ansimare mentre il mio corpo ribolle. Si alza di scatto, mia braccia e si butta su di me. Ad un tratto finisco sotto di lui. Evan mi da un bacio sulla guancia destra e mi guarda. «Buon giorno principessa». Impietrisco e perdo il mio sguardo nel vuoto. «C'è qualcosa che non va?».Esito per un attimo «No... ecco vedi... è solo che anche mio padre mi chiama così e...». Arrossisco. «Ho capito, non ti preoccupare». Mi da un bacio. «Aspetta Evan. Tu non sei un sogno, vero?». Mi guarda divertito. «Cosa ti fa pensare che lo sia?». 'E adesso che rispondo? Che lo sogno ogni qualvolta ne sento la mancanza?' «No, niente e che...». Faccio un lungo sospiro. «Cosa è successo ieri sera?» «Davvero non ti ricordi nulla?». Faccio cenno di 'no'con la testa. «Ieri sera dopo che ti sei messa ad urlare hai avuto una crisi di nervi e sei svenuta così ti ho portato in ospedale. Il dottore ha detto che avevi solamente bisogno di riposo e di ridurre al minimo lo stress, niente di preoccupante. così ho deciso di portarti in hotel» «E i miei genitori?». Chiedo turbata. «Loro lo sanno, tranquilla li ho avvisati io ieri sera». Abbasso lo sguardo. «Ti vedo perplessa c'è forse qualcosa che non va?» «Se noi due ieri sera abbiamo dormito insieme abbiamo per caso fatto...?» «Oh, no, no non abbiamo fatto nulla. Ti ho semplicemente portato a letto». Faccio un sospiro di sollievo.Abbassa lo sguardo lui. «Evan?». Chiedo timidamente. «Sì?» «Volevo scusarmi, ieri è stato solo uno sbaglio... io credevo solo che rimpiazzandosi forse avrei rimediato e invece non è stato così e.. vedi... solo l'idea di provare a sostituirti di nuovo con qualcun altro mi fa letteralmente impazzire e...» «Adesso basta». Dice con voce pacatamente calma. «No, Evan che tu voglia ascoltare o no, non m'importa perché io ho bisogno di dirlo e tu di sentirlo». Una lacrima scende dal mio viso. «Io. Ti. Amo. Fattene una ragione, non m'interessa se tu lavorerai fino a tardi ne che tu sia poco presente io voglio solo te e nessun altro e il solo pensiero di farla finita mi fa sentire una persona inutile, tu sei il mio tutto e io non lo so... cosa fossi senza di te. Ti amo come non ho mai amato nessuno sino ad ora e voglio che tu lo capisca... perché se dobbiamo vivere una vita insieme non posso non viverla senza prima dirti tutto questo». Per la prima volta vedo scendere una lacrima dai suoi splendidi occhi. Mi manca il respiro, non so più che dire ne come dirlo. «Ti amo anch'io e farei di tutto per te ma ti prego non provare mai più a tradirmi ne tanto meno a pensare ad una vita senza di me perché io sono nella tua vita e voglio continuare a farne parte» «Scusa». Mi da una bacio sulla fronte poggiando un ginocchio sul letto. «Perdonata». Mi sussurra all'orecchio e si alza. «Vado a farmi una doccia». 'Come fa in un momento così a pensare a lavarsi?'. Chiude la porta del bagno, mi alzo di scatto emi avvicino alla porta. Sento il rubinetto aprirsi e il rumore dell'acqua che scende dalla doccia. Non posso più resistere un minuto di più. Lo voglio. Ora. Entro nella stanza da letto e mi tolgo prima la maglietta e poi i jeans. Mi guardo allo specchio voltandomi da un lato all'altro per capire se sono veramente pronta.'Lo vuoi veramente?'. La mia vocina si ripresenta dopo non so quando e io rispondo. Lo voglio come non ho mai voluto nulla prima d'ora.Slaccio gli agganci del reggiseno, abbasso le mutandine di pizzo e le lascio cadere a terra. Prendo l'accappatoio e lo indosso lasciandolo socchiuso. Mi guardo allo specchio per l'ultima volta e mi sistemo i capelli. E' il momento. Faccio un altro lungo respiro e mi avvicino alla porta del bagno. Poso il palmo della mia mano sinistra sulla porta facendolo scendere lentamente sulla maniglia della porta.L'abbasso ed entro. Avanzo con un piede evitando di fare rumore. Lui mi intravede dal vetro della doccia e apre lo sportellino che ci separa. Mi guarda e io inizio a sentire i miei battiti. Uno ad uno.Lascio cadere l'asciugamano. Sono sua. Continuo ad avvicinarmi con il capo rivolto verso il basso. Lui con la sua mano destra mi alza il mento rivolgendolo verso l'alto. Verso di lui. Che vadano tutti al diavolo! Lo bacio e gli afferro il collo. Entriamo entrambi nella doccia continuando a baciarci. Lui prende la spugna e mi bacia il collo sotto l'acqua calda che scende rumorosamente sui nostri corpi.Follia. Pura. «Girati». Sussurra. Lui posa la spugna sulla mia schiena e inizia a strofinare delicatamente ma non ho questo quello che voglio. Mi volto di scatto, gli prendo la spugna e la poso. Lui rimane sorpreso dalla mia azione e sorride. «Mi farai impazzire». Inizia a darmi dei piccoli e sensuali baci sulla guancia scendendo verso il mio seno. Con la mano destra afferra la parte sinistra del mio seno e inizia delicatamente a leccarmi il capezzolo facendolo irrigidire mentre con la mano sinistra avvolge la parte destra del mio seno in una stretta dolce ma anche ferrea. Inarco la schiena. «Se lo volevi potevi dirlo». Sussurra. «Io aspettavo il tuo permesso ricordi?». 'Incredibile ha aspettato solo ed unicamente me'. Il mio fiato si fa sempre più pesante. Abbandona il mio seno e prende la mia mano destra portandomi fuori dalla doccia. «Ma dove andiamo?» «Fidati di me». Sorride. Si avvicina ad un mobile continuando a baciarmi. Senza interrompere alcun legame. Con un mano mi tocca il viso mentre con l'altra fa largo sul mobile, si gira e mi prende in bacio palpandomi i glutei. Mi posa sul mobile e inizia a scendere con la sua bocca sino a giungere sul mio clitoride. Si inginocchia e mi allarga le gambe infilando la sua lingua all'interno della mia vagina. Il mio fiato inizia ad aumentare, mi aggrappo ai due estremi del mobile e stringo più forte che posso. Credo di stare arrivando già al culmine. Stacca la sua bocca dalla mia vagina, mi afferra entrambe le braccia e le solleva insieme alle sue in alto e mi bacia. Questo però non è il bacio di sempre. E' un bacio diverso. E' un bacio pieno di passione e di lussuria e io lo amo. Mi abbassa le braccia e mi mette in braccio afferrando le mie cose ai lati. Sento il suo membro sfiorarmi la vagina. Si siede e mi morde le labbra. Io prendo il controllo spingendolo verso il letto. Lui si corica ed io mi siedo sulle sue gambe, scendo con la mia bocca prima sul suo addome, poi sul suo possente membro e faccio una cosa che non ho mai fatto con nessun altro. Afferro il suo membro, lo metto in bocca e inizio a succhiare. Non amo farlo ma lo ama lui. Lo leggo nei suoi occhi. Vado in alto e in basso il più lentamente possibile tenendo ben salda la presa. «Oh, Elison.». Ansima e io continuo un po' più forte mordicchiandogli il glande. «Se continui così finirà che ti vengo in bocca». Si alza di scatto e mi ferma. Mi fissa e inizia a leccarmi i capezzoli.E' giunto il momento. Mi corico di fianco a lui, Evan si alza mi allarga le gambe e penetra con il suo membro la mia vagina. Si sporge sempre più verso di me. Aumentando il proprio fiato ad ogni secondo.Del resto come me. «Mi farai impazzire». Sorride. «Lo so». Sorrido anch'io. Non credo di riuscire aresistere ancora per molto. «Evan io non ce la faccio. Rallenta». Ansimo. «Se non ce la fai tu allora non ce la faccio nemmeno io». Ci siamo quasi. Afferro i lati del letto. «Resisti ancora un po'». Mi mordo il labbro. Solo un altro po'. Gemo ed esplodiamo insieme in un potente orgasmo. Lascio andare le lenzuola e inizio a rilassarmi mentre lui si distende accanto a me. «Ti amo». Lo bacio e lo abbraccio. Entrambi impotenti l'uno di fronte all'altro.

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Capitolo 31
*** Stop! ***


Si era preso la mia anima. Adesso possiede anche il mio corpo. Non so dare una spiegazione razionale a tutto questo. Forse è l'unico modo che il mio essere riesce a trovare per andare avanti, o meglio, per cercare di dimenticare tutto. Le mie complicazioni, i miei problemi, le mie situazioni... quando sono con lui svaniscono nel nulla come se non fossero mai esistite. Forse è per questo che lo amo. Mi fa stare bene. E' una caratteristica che non molti hanno. Per la prima volta nella mia vita non mi sento in colpa per quello che ho fatto. Non lo so spiegare. Eravamo solo io e lui. E' stato come se fosse scomparsa la razionalità delle cose. Non eravamo uomini ma animali. Solo carne senza alcun tipo di anima. Solo ora capisco perché l'essere umano viene definito l'animale culturale. Siamo degli animali in grado di parlare e di utilizzare al meglio il nostro intelletto ma pur sempre degli animali che sanno rispondere agli istinti della carne tanto quanto gli animali.Che gli altri pensino quello che vogliano! Che pensino che sia sbagliato, che pensino che non debba mai accadere o meglio. Che nascondino la loro parte più perversa mostrando un sorriso fuori morendo dentro. Non serve a nulla. Adesso l'ho capito. Continuo a fissare il finestrino mentre Evan mi sta riportando a casa. Mi sento strana. Diversa. E nemmeno lui è lo stesso di prima: lo leggo nei suoi occhi. Non mi ha rivolta più parola, se non qualche domanda di routine, da questa mattina. «Evan...». Continua a fissare la strada. «Evan?». Gli tocco il braccio. «Scusa stavo solo pensando a...». Pendo dalle sue labbra. «A...?» «Niente». Si ricompone. «Ieri sera».Guardo il finestrino. «Cosa ?». «Stavi pensando a ieri sera?». Esita per un attimo. «Sì» «Lo so perché stavo pensando anch'io la stessa cosa» «E cosa pensi?». Si ferma. «Che nonostante tutto, nonostante sia sbagliato, lo rifarei». Mi guarda. «Tu?». «Vuoi sapere a cosa stavo pensando?». Annuisco. «Stavo pensando che non mi sono mai innamorato di una persona come tu sei riuscita a farecon me. Ti amo». Chiudo gli occhi e mi bacia velocemente. «Allora vogliamo scendere?». Apro la portiera. «Elison... io dovevo dirti che.. non posso venire con te». Spalanco gli occhi. «Cosa? Sbaglio o mi avevi promesso che avresti messo me al primo posto sempre e comunque?Che fine hanno fatto le tue promesse?» «Lo so ma non posso non mancare» «Certo» «Elison ti prego non andartene così...». Mi afferra il braccio. «Lasciami andare, farai tardi al lavoro». «Elison...». Scendo dalla macchina. «Aspetta». Scende anche lui. «Io ti ho dato il mio corpo... non era forse questo quello che volevi? Adesso l'haiottenuto. Vattene!» «Sei incredibile!Dopo tutto quello che ho fatto per te, tu mi tratti in questo modo?» «Io non ho mai voluto il tuo aiuto!» «Sai che c'è? Tiauguro una vita felice. Addio» «Bene!» «Bene!». Sbatte losportello e se ne va. Non mi importa. Che vada al diavolo lui e il suo stupido lavoro! Apro la porta e rientro in casa con le lacrime agli occhi. «Elison?». Mio fratello mi fissa all'entrata. «Jason?». Miasciugo velocemente le lacrime. «Cosa ci fai qui? Non dovresti essere a lavoro?» «Certo finché non mi hanno licenziato» «Cosa hai combinato?» «Il capo mi ha visto mentre vendevo della cocaina». Abbassa lo sguardo. «E hai pure il coraggio di dirmelo?». Urlo. «Io almeno cerco di fare qualcosa per papà. Per pagare la chemio... tu invece cosa stai facendo per lui?». Grida con gli occhi arrossati come se avesse smesso di piangere poco fa. Come me d'altronde. «Allora?». Urlapiù forte. «Innanzitutto abbassa il tono della voce...». Sorrido e oscillo il capo. «Faresoldi, eh? Sul serio? Di certo così perdendo il lavoro guadagnerai tanto!». «Proprio tu mi parli di guadagnare? Tu che sei stata licenziata e adesso vai dietro a quel tizio perché credi di amarlo... sveglia!». Agita le mani inalto facendomi una smorfia. «Non siamo più nel mondo delle favole».Ne ho le scatole piene adesso. «Io, almeno qualcosa ho cercato di farla nella mia vita e... per tua informazione con quell'uomo è finita» «Quando? Dopo che ieri notte ti ha scopata a dovere? Ti ho visto ieri sera quando gridavi fuori il suo nome piangendo... Evan, Evan!». Imita la mia voce. «Adesso hai superato ogni limite, non ti permetto di commentare ciò che accadenella mia vita privata. E' la mia vita, non la tua» «Sei solo una troia ecco cosa sei». «Non provare a ripeterlo solo un'altra volta.» «Perché se no? Che mi fai?» «Non sfidarmi, ti giuro che...». Un bicchiere cade a terra e si frantuma in milioni di frammenti. Non è un bicchiere qualunque. E' il bicchiere di mio padre. Cade a terra e rotola per le scale sino a giungere ai nostri piedi sbattendo la testa allo spigolo. Le mie gambe non riescono più a reggere e crollano. «Papà! Papà!Svegliati! Svegliati!». Lo strattono baciando. «No, no, no, no. No!!!». Arriva mia madre e si butta su di lui «Michael no!! Jason presto chiama il 911!! PRESTO!». Singhiozza e si tira i capelli. «Su, non puoi andartene!!» «Ma che succede?».April esce dal bagno con l'accappatoio, si inginocchia accanto a me e mi abbraccia. Sento Jason parlare al telefono mentre vedo mia madre in preda da una crisi nervosa. Lo bacia, lo abbraccia, gli parla, gli racconta degli aneddoti della nostra infanzia. Non sa più cosa fare. Alla fine gli prendo la mano e la porta al suo orecchio. Mi guarda. «Non sento i battiti. Il suo cuore non pulsa». Butta la testa sul petto di miopadre e sbotta a piangere. «Mi ha lasciata». Provo ad abbracciare mia mamma ma mi allontana, mi volto e vengo stretta da un lungo abbraccio da April. «Sta arrivando un elicottero... vedrete che andrà tutto bene... no? E' così che dice sempre papà. Giusto?». Nessuno risponde. Non ne abbiamo più la forza. «Giusto?». La sua voce diventa isterica. Mi alzo e lo guardo. «E' morto Jason. Morto» «No, vedrai che i medici lo rianimeranno e poi tutti saremo felici come lo siamo sempre stati». Mi avvicino e lo abbraccio. Lui si allontana e poi cede. Lo stringo a me mentre lui urla e si dimena. Io invece non so più che fare. L'unica persona che ho sempre amato se ne è andata, Evan se ne è andato. Sembra che tutti quelli a cui voglio bene prima o poi se ne vanno. Chi in un modo chi in un altro. Bussano. «Elison! Elison!Sono io, Evan!». Mi alzo brancolante e lo guardo dall'occhiello.Forse per l'ultima volta, forse per sempre. «Ti prego, apri!!».Continua a bussare sempre più forte. «Vai via!!». Urlo con tutta la forza che ho in gola» «Apri questa maledetta porta!!». Urla. «No!!». Delle lacrime continuano a scendere sul mio viso. «Apri!». Sbatto la schiena alla porta e scivolo lentamente per terra. «Elison, apri. Per favore» «No».

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Capitolo 32
*** Fiato sospeso ***


Sono stretta ed ancorata al suolo. Ci sono delle catene che mi stringono i polsi e delle catene intorno alle mie caviglie che mi portano sempre più giù nei grandi abissi dell'oceano. Mi manca l'aria, non respiro. Preferisco morire piuttosto che affogare. Sono circondata da squali che mi osservano scommettendo se in un certo qual modo riuscirò a battere ogni frontiera o se riuscirò mai a spezzare le catene che mi legano al suolo per poter così abbattere la grande barriera corallina. Io, però, non riesco a capire se lo voglio o meno, sono solamente qui, in quell'enorme oceano di squali che è la vita. E' un po' come un grido. Solo che questo grido non ha bisogno di essere udito perché penetra nel profondo senza che te ne accorgi. E' un urlo di disperazione, di umiliazione e di ingiustizia in un mondo in cui nulla va come dovrebbe andare. Un mondo senza Dio è un po' come la pianta senza sole e senza acqua. Si indebolisce, invecchia, esala l'ultimo respiro e poi muore. Cosi come se non fosse mai esistita, appassisce, si spezza e diviene polvere e, noi tutti sappiamo che fine fa la polvere. Viene calpestata, spazzata via, gettata nella terra o trascinata dal vento scomparendo e, così un giorno, acquisendo l'anonimato. In effetti è questo che noi siamo. Polvere. Magari non lo capiamo subito, magari non ce ne rendiamo conto ma prima o poi lo capiremo tutti. Uno per uno. Chi prima chi dopo. Viviamo con la convinzione di essere immortali e il solo pensiero della morte suscita in noi timore. Già, timore di un qualcosa che in realtà non sappiamo nemmeno cos'è ma siamo convinti che sia solo male. Io non so cosa sia esattamente la morte. Nessuno e dico nessuno lo sa. Vogliono farci credere che sia brutto, che sia una cosa orrenda ma io vi chiedo: “E se fosse migliore della vita?”. Pensateci un attimo... abbiamo costantemente paura di non esistere più ma in realtà non sappiamo cosa ci aspetta di preciso dopo. Nemmeno i cristiani lo sanno. Sono passate esattamente due settimane dalla morte di mio padre, April è ritornata a New York mentre Evan ha smesso di chiamarmi. Non so perché ma ho paura. Ho paura di perderlo. Mio padre è morto, mia madre è in di una crisi di nervi e mio fratello è di nuovo un tossico-dipendente mentre io... non so cosa so cosa sono. Tutti quelli che amo si stanno allontanando da me. Uno ad uno. Non vedo, quindi perché io dovrei amare. Non vedo perché dovrei amare Evan. Prima o poi si dimenticherà di me e io ne sono felice. Non voglio fare soffrire colui che amo e allontanarlo è l'unica soluzione. «Tesoro?». Vengo distratta da mia madre. Mi volto e la fisso. Non mi chiamava così dal funerale. «Tuo padre aveva scritto una lettera prima di morire... mi aveva detto di dartela ma io non ne ho avuto la forza così, ecco tieni». Prende una busta dalla sua tasca e me la porge. «Grazie mamma». Mi sforzo a sorridere in modo che anche lei possa sentirsi meglio. «Io salgo di sopra». Mi alzo. «Elison, aspetta». Mi afferra il braccio. «Credo che dovresti chiamare Evan. Non se lo merita». Mi fissa. «Non me la sento» «Tesoro quell'uomo non ti aspetterà a vita» «Lo so». Mi volto e salgo le scale, attraverso il corridoio sino a giungere nella mia stanza, mi siedo sul letto e faccio un lungo respiro. Continuo a fissare la busta ripensando a tutto quello che è successo in così poco tempo, esco la lettera e la osservo con il cuore in gola. Ricordati di essere felice -Papà.

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