Continuare a vivere

di illusion90
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** PROLOGO ***
Capitolo 2: *** ricordi... ***
Capitolo 3: *** ...scuola... ***



Capitolo 1
*** PROLOGO ***


prologo-l'importanza di una vita

PROLOGO

 

È possibile restare imprigionati in un ricordo?

Credere fermamente di poter trovare la propria felicità solo vivendo in lui?

Sabrina, una ragazza di città che ancora non aveva raggiunto la maggiore età, diede alla sua vita la risposta a queste domande.

Aveva la pelle sempre abbronzata e gli occhi dello stesso colore dell’ambra; un carattere forte ma messo costantemente alla prova.

La risposta la diede una mattina che, apparentemente, sembrava identica alle altre.

Una calda mattina che anticipava l’arrivo dell’estate, ma non aveva gli stessi colori delle altre giornate, e neppure gli stessi odori.

Quella fu però, una mattina che sconvolse del tutto una tipica famiglia di città: con genitori troppo impegnati alla carriera per affrontare i loro problemi o dedicarsi ai propri figli. Presto se ne sarebbero accorti anche loro.

È bastata una telefonata ed una lettera a far crollare tutte le sue certezze e la fiducia che nutriva nell’unico posto che la faceva sentire veramente a casa: il mare.

Ha dovuto ricominciare una nuova vita, con la consapevolezza che una sua parte era scomparsa, come scompare uno stormo d’uccelli alla ricerca di luoghi più caldi in cui poter stare, o come sparisce il sole durante un temporale.

Poi una foto; conteneva tutto il necessario per vivere.

Capì, grazie anche ad un inaspettato incontro ed una festa, che lui non se n’era andato del tutto, ma era dentro di lei, nel suo cuore e nei suoi pensieri.

Quell’incontro l’aveva salvata.

L’aveva salvata dalla follia in cui purtroppo era caduta sua madre. Lei però, nella sua follia, riusciva ad essere felice, ed era ciò che più contava al mondo.

Non tutti hanno la fortuna, nella propria vita, di saper cogliere il meglio per la propria serenità da un evento doloroso.

Ogni volta che credi che tutto sia andato via con la sua vita, succede qualcosa di bello e speciale per te, da farti apprezzare i piccoli doni che ogni giorno la vita ci offre: l’amore, ad esempio.

E se riesci a trovare l’amore, hai trovato tutto.

Lui t’insegnerà di nuovo a credere nelle cose magiche e ti farà capire che le persone a cui tieni, se vanno via resteranno sempre in almeno due posti: nel tuo cuore e nella tua mente.

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Capitolo 2
*** ricordi... ***


capI

Capitolo I

Sola. È così che mi sento da quando non ci sei più. Lo senti il suono del mare?

E’ forte. Vorrebbe farmi capire che c’è. Inutile.

Ascolto il suono delle onde e mi sembra di averti ancora qua, vicino a me, come l’ultima volta che ci siamo venuti, poi però, mi rendo conto che non succederà più.

Mi stendo sulla dorata sabbia, riscaldata dai caldi raggi del sole; probabilmente scotta, ma la mia mente è ormai altrove ed è immune a quel bruciore, che rispetto a ciò che brucia dentro è solo un lieve fastidio.

Niente ha importanza perché non posso condividerlo con te.

Ora che posso guardare il cielo, vedo le nuvole, e ricordo dei giorni in cui noi immaginavamo che avessero delle forme e potessero prendere vita; allora vorrei immaginare che una di queste avesse il tuo aspetto così da poterti vedere di nuovo sorridere, accanto a me.

Finalmente chiudo gli occhi e iniziano a scorrere delle figure davanti a me e sono tantissime, si muovono velocemente, quasi come se volessero scappare, poi d’improvviso mi appare una scena... è simile alle altre, veloce, ma dopo poco si ferma, vuole che ricordi, insensibile alle mie sofferenze.

***

Tre mesi fa…

Era un giorno come tanti o almeno così sembrava a tutti.

Una calda mattinata, che annunciava una stagione estiva; io mi stavo preparando per andare a scuola, avevo appena finito di sistemare l’ultimo libro nello zaino quando sentii squillare il telefono.

Mia mamma era appena uscita per andare a trovare il nonno, ci passava sempre ogni giorno, prima di andare a lavoro.

Così risposi io. Alzai la cornetta del telefono: «Pronto, chi è?» risposi forse un po’ scortese ma avevo fretta, quel giorno avevo un compito in classe alla prima ora e non volevo di certo arrivare in ritardo.

La persona che parlò aveva una voce calda, credo dovesse essere un uomo sulla trentina, ma non era felice della telefonata e non perché avesse fretta di andare da qualche parte…e presto ne capii il motivo anche io.

Mi presentai e sebbene avesse preferito parlare con mia madre credendomi abbastanza adulta decise di dirlo a me.

Che stupida, se lo avessi saputo prima gli avrei detto che poteva aspettare la mia mamma perché a me non interessava affatto saperlo.

Rimasi allibita di ciò che mi aveva detto, e lo fece con una tale fermezza come se avesse preparato un dialogo e lo avesse recitato per giorni davanti allo specchio.

Poco dopo mia madre entrò nella cucina, dove aveva lasciato le chiavi della sua grigia Audi e probabilmente, si spaventò nel vedermi così.

Non mi aveva mai vista in quel modo, ferma e immobile con il cordless in mano, con il mio sguardo perso nel vuoto, alla ricerca di un qualcosa che ora non esisteva più.

 

Mi prende il telefono dalla mano. Si presenta all’uomo e iniziano a parlare.

«Buongiorno, sono la signora Alice Nicerini. Ha appena parlato con mia figlia e se vuole spiegarmi la sua telefonata gliene sarei grata, anche perché devo andare in ufficio.»—«Salve, io sono il comandante De Luca, un collega di vostro marito, oltre che un fidato amico». L’uomo ora aveva un nome; ma questo non aiuterà affatto a sopportare il carico che stava per dare a mia madre.

Per un attimo la vidi svenire, gli occhi persi anch’essi, chissà dove, forse in un ricordo ormai troppo lontano da prendere e immortalare.

Il comandante aveva raccontato tutto, per filo e per segno come se lui avesse seguito la scena, insieme a mio padre. « Resti calma, anche se ciò che sto per dirle potrebbe essere devastante…» le aveva detto di restare calma, in un momento come quello; evidentemente era così abituato a dare simili notizie da restare impassibile al dolore degli altri.

«Vede, mi riesce difficile dirlo… durante il volo per Praga, c’è stata un’avaria del motore e nonostante i vari tentativi di Sergio di riparare il guasto, purtroppo non è stato possibile fare niente per evitare il disastro»; continua a parlare, cercando di mantenere lo stesso tono di voce con cui aveva iniziato.

«Non c’erano piste d’atterraggio nelle vicinanze, così i piloti dovevano tentare una discesa di fortuna e la sorte non fu dalla loro parte quel giorno».

«Decisero di scendere su un ampio terreno, ma poco dopo hanno perso il controllo del velivolo e si schiantarono contro una vecchia fabbrica. Il pilota che gli stava accanto fece di tutto per tirarlo fuori, ma si accorse che Sergio aveva un arto bloccato ed era svenuto per lo scontro. Dovevano fare presto perché di lì a poco sarebbe esploso. Così era riuscito a tirare tutti fuori dell’aereo, e quando cercava di salvare lui, sapendo che potevano morire entrambi, suo marito, rinvenuto, gli disse di andarsene e raccontarvi tutto. La morte di una sola persona era più sopportabile di quella d’altre».

Finito di parlare mia madre ringraziò il comandante con una flebile voce, quasi come se non n’avesse più in gola. Si girò e mi vide ancora ferma e gelida nello sguardo; aprì le braccia, voleva abbracciarmi.

Non fece in tempo a dir niente che io ero già fuori. Iniziai a correre, con una forza che non sapevo di avere; se mi fossi trovata davanti quel motore mi dissi che l’avrei fatto in mille piccoli pezzi.

Questo però, non me lo avrebbe fatto riavere, così corsi più veloce; sfrecciavo via e mi lasciavo alle spalle i bar, i vialetti…

Mi fermai di colpo, ansimante; avevo corso proprio parecchio.

Arrivai nel posto che cercavo.

Era il nostro luogo preferito. Ricordo ancora quando, per mano, mi aiutavi a salire sullo scoglio, da lì potevo vedere il mare e l’orizzonte che diventavano un’unica cosa. Ancora ricordo quando litigai con mamma, e dopo essermene andata, di corsa, proprio come oggi, mi cercò per tutta la città e mi trovò, qua, dove ero adesso.                

Era strano ritornarvi senza di te, ma mi ci dovevo abituare; tu non saresti più venuto con me…

 

 

 

 

Qualcosa mi distrae dai ricordi e mi fa trasalire.

Poco lontano da me, una bambina ha dato un calcio ad un pallone e questo, inavvertitamente, si è fermato vicino a me.

Mi alzo e con un sorriso malinconico le restituisco il suo gioco.

Si chiama Emy.

Ha un volto paffuto e una gran voglia di vivere in quei suoi occhi color verde smeraldo, mi dico, mentre la guardo tornare verso qualcuno.

È un uomo, con corti capelli corvini e dei lunghi baffi, uno sguardo severo e profondo, ma in fondo ha un aspetto simpatico.

La bacia dolcemente e insieme ritornano a giocare.

Probabilmente sarà suo padre.

***

Altri ricordi…

Il giorno del tuo funerale, vennero in Chiesa e poi a casa, molte persone che non avevo mai visto prima, altre con cui noi non avevamo un buon rapporto e altre invece, sebbene poche, che erano sinceramente dispiaciute per la grave perdita di un caro amico.

Eravamo in salone e il mio sguardo scrutava ogni singolo volto.

Le signore più anziane, che vivevano poco distanti da noi, non facevano altro che parlare dello svolgimento della funzione religiosa e degli abiti che indossavano i presenti.

Poi qualcuno mi distrasse dai miei pensieri. Era un bell’uomo e aveva gli occhi chiari come il cielo e i capelli biondi come il grano. Teneva il volto basso e si guardava i piedi.

Forse era l’unico che in quel momento aveva l’aria di chi era realmente dispiaciuto.

Decisi di avvicinarmi perché ero incuriosita e volevo sapere chi fosse.

Mi disse che era un collega di mio padre, si chiamava Roberto, era con lui quel giorno, era a lui che papà ha salvato la vita, mandandolo via. Dopo un po’, pensai di averlo già visto.

In realtà, Roberto era il migliore amico di papà; quando ero bambina, trascorreva molto tempo con noi. Ogni volta che veniva m’insegnava a fare aeroplani di carta e ci divertivamo tanto a farli volare. Mi sembrava di non avere lacrime da versare e che il mio dolore, pietrificatosi nel buio dell’anima chiedeva d’esser dimenticato; ormai consapevole di affondare le sue radici, ogni giorno sempre più solide. Ma quest’atroce sofferenza si nutre di parole… e lui parlava di quanto fu forte e coraggioso il mio papà, che persona meravigliosa si fosse dimostrata sino all’ultimo giorno.

Raccontava e mentre lo faceva, una lacrima mi rigò il viso, volevo rispondergli dicendo che quella che lui stava descrivendo era la persona che più aveva imparato a capirmi.

Per me non era semplice, esternare ciò che sentivo, mostrare il mio dolore era una cosa che non capitava quasi mai. Lui, con la sua semplicità, riuscì a trasformare in un fiume in piena il mio dolore incitandomi a continuare. Lì, tra le sue braccia, mi sentivo al sicuro e decisi che valeva la pena, per quella volta, essere me stessa…

 

 

 

Ora i miei ricordi sono altrove.

Vedo delle altre immagini, e anche se sono meno nitide e i colori sembrano fondersi tra loro, riesco perfettamente a rendermi conto di ciò che stava accadendo; e la sensazione che provo anche solo rivedendo quella scena, come quando la vissi, non era per niente piacevole.

Sono nella mia stanza e li sento. Stanno litigando, di nuovo.

Non riesco bene a sentire quello che dicono, così decido di uscire dalla camera e mi avvicino alla cucina per capire meglio, ma senza alcun risultato.

In ogni caso mamma deve essersi davvero arrabbiata.

Il giorno seguente, infatti, ha preparato la valigia e vedendo che la fissavo, nell’attesa forse di qualche spiegazione, mi ha detto che sarebbe andata a stare dal nonno e, per qualunque cosa potevo andare là.

Restai sull’uscio della porta, stupita perché mamma non si era mai comportata così.

Chiesi a mio padre il motivo della discussione ma mi liquidò dicendo semplicemente che non mi riguardava perché ero piccola per capire.

Mamma tornò solo quando papà andò da lei, le diede un gran bel mazzo di rose e si fu scusato.

***

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Capitolo 3
*** ...scuola... ***


capitolo 1

***

Ora mi alzo dalla spiaggia e vado a sedere sullo scoglio.

Inizia a soffiare vento di scirocco di sera, ma non fa freddo.

A volte penso che i miei genitori abbiano un rapporto incostante, che si siano sposati solo perché si sentissero obbligati nei confronti di un nascituro.

Me.

Sì, dopo circa quattro mesi nacqui io, a sconvolgere le loro miserabili esistenze.

C’erano invece delle volte in cui credevo davvero che fossero ancora una coppia e non due persone unite solo da un vincolo religioso.

Pian piano loro hanno imparato ad amare me e a rispettarsi l’uno con l’altro; anche se mi hanno voluto bene in modo diverso.

Mio padre era quasi un migliore amico per me, che mi accompagnava ai concerti e mi dava anche qualche consiglio.

 

Tuttavia se ci penso lui non è sempre stato così, come io cerco di ricordarlo e com’è la sua immagine incisa nella mia mente.

Aveva un carattere forte, determinato, ma era anche molto irascibile e sapeva arrabbiarsi per un nonnulla.

Ripenso a quando durante un loro solito litigio, si adirò talmente tanto da alzare le mani su mia madre.

Una volta li ho anche sentiti parlare di separazione.

Solo in seguito ad aver rischiato di perderci entrambe, decise di cambiare.

Dopo non averci viste per qualche settimana, chiamò la mamma e le promise che sarebbe cambiato. Fu da quel momento che entrò di nuovo a far parte della mia vita e in modo notevolmente migliore.

***

 

Credo che sia ora di tornare a casa.

Non riesco più a piangere come quel giorno, e ricordare mi fa solo stare male.

Scendo dallo scoglio, stavolta senza il tuo aiuto e decido d’incamminarmi verso casa.

Il sole adesso è calato del tutto, e in cielo sta spuntando la luna.

È talmente bella, nel pieno del suo splendore, sembra che abbia qualcosa di magico, ma soprattutto sembra che mi stia scrutando.

La osservo e noto che la sua superficie non è così liscia come la disegnano i bambini.

Vi sono delle macchie scure su di lei che talvolta, non lasciano comprendere a molti, il vero significato della sua bellezza. Sinceramente anch’io so, che in questo momento, ho dentro di me delle “chiazze opache” oltre le quali le persone superficiali non riescono ad andare.

Credetemi, vi sono moltissime persone così; gente che non mostra il minimo interesse per qualcuno che non si amalgami alla folla, indifferente a tutti tranne che a loro stessi.

Cammino e mentre percorro la strada si accendono fioche le luci dei lampioni che, piano, proiettano la mia ombra sul marciapiede.

I negozi stanno per chiudere tutti, e da lontano vedo la signora Paola mentre si accinge ad abbassare le serrande del suo floreale negozio. Mi vede e sorridendo mi saluta con la sua tonda mano. È molto simpatica e mi conosce da quando sono nata, molte volte sono andata da lei quando avevo bisogno di parlare, è come una nonna per me, buona e gentile e sempre disponibile con tutti. Forse è il suo altruismo che mi ha spinta, da sempre, a comportarmi in maniera cordiale e affettuosa.

Mi mancano pochi passi e sono già arrivata. Una bella villetta a due piani che papà aveva ristrutturato, e un ampio giardino dove a volte il nonno faceva nascere un nuovo fiore o un gustoso ortaggio, faceva da cornice a quella che era ormai da quasi diciassette anni la mia casa.

Mamma è lì che mi aspetta in veranda, ma non mi sorprende, sono uscita in maniera brusca e credo che si sia anche preoccupata. «Va tutto bene, Sabry?», mi chiede, ma come facevo a risponderle, mi mancavano le parole e anche se le avessi avute, non so proprio cosa dire.

Aveva fatto una domanda alquanto inopportuna in quel momento, ma lei era così. Credeva di agire per il mio bene, ma il più delle volte o lei mi faceva stare peggio o aggravava la situazione dicendo frasi inadatte quando invece a me sarebbe bastato saperla vicina. Proprio come in quell’istante.

Non potevo di certo biasimarla però, era sempre al lavoro e quando era a casa io non sopportavo quel suo modo di cercare di essermi amica, oltre che sforzarsi di essere una buona madre.

Le sorrido ed entro in casa. Non ho neppure fame.

Domani inizia la scuola e non ne sono affatto entusiasta.

 

 

 

 

 

 

Quindici settembre.

È strano ritornare a scuola, dopo intere settimane trascorse al mare con le amiche aspettando che tramonti il sole, per andare a ballare sotto le stelle.

Mia mamma mi augura una buona giornata.

Non so quanto questo primo giorno avrà di buono, ma di sicuro non me ne sarei stata a casa con le mani in mano.

Cammino per strada, e un soffio di vento mi scompiglia i capelli.

L’estate ha lasciato il posto ad una nuova stagione e a pomeriggi ricchi di cose da fare; agende, nuovi insegnanti, compiti da svolgere a casa e il ballo di fine anno.

Nonostante questo, nell’aria c’è la sensazione che manchi qualcosa, l’assenza di un elemento fondamentale per l’equilibrio della natura.

Esattamente ciò che manca in me adesso: te al mio fianco.

 

Ecco lì. I miei compagni di classe, tutti ansiosi di vedere in che aula andranno, in che banco sederanno per tutta la durata dell’anno scolastico.

Io in volto non ho più la gioia di rivedere i miei amici, o di scoprire dalla mia nuova prof di religione, dove andrà l’anima di mio padre.

In fondo, se li guardo con maggiore attenzione, anche loro rivolgono i propri pensieri altrove; magari ai mesi precedenti, passati in compagnia di chissà quale ragazza, conosciuta in chissà quale villaggio estivo.

Pensieri che ora molto probabilmente vorrebbero uscire, fuggire da questi posti in cui ti apprezzano per come lodi falsamente la gente e non per come sei.

Forse però, tutto questo, è ciò che i miei pensieri vorrebbero, e non i loro, forse…

Finalmente il suono puntuale della campanella riporta i miei desideri a quella futile realtà.

Quest’anno ci hanno assegnato l’aula accanto alla presidenza, l’unica grande abbastanza da tenerci tutti senza far irritare i nostri professori con continui spostamenti di banchi perché la classe è troppo stretta o troppo piccola.

Una volta che siamo entrati tutti e decisi i rispettivi posti, ecco che entra il preside ad augurarci un buon anno scolastico, con i suoi soliti discorsi ben fatti.

Ludovica ed io, ci sediamo vicine, come ormai da sempre da quando è iniziato il liceo.

Lei sa tutto e per questo preferisce non dire nulla sull’argomento perché sa bene che un sorriso potrà farmi stare meglio di mille parole.

In realtà per tutta la mattinata non abbiamo parlato granché, abbiamo lasciato che fosse il silenzio a parlare per noi, oggi.

Un po’ le sono grata, di saper essere discreta quando serve e capire quando era il caso di lasciarmi da sola.

Era per questo motivo che le volevo bene e la consideravo come una sorella, mi sapeva capire e non parlava mai a sproposito e quando invece ci si doveva divertire, lei era sempre la prima!

 

Lo so, non è giusto il modo in cui io mi comportavo con lei. Potevo sfogarmi con la mia migliore amica, piangere sulla sua spalla e magari dopo mi sarei sentita un po’ meglio, ma io non ci riuscivo e lei lo sapeva.

Preferivo sigillare il dolore dentro di me, alzare una barriera e non permettere a nessuno di poterla superare. Così di certo non mi aiutavo, ma a volte era sufficiente una delusione per farti cambiare idea su tutti, senza neppure che ci si conosceva.

 

Alla fine delle lezioni, Ludovica mi abbraccia e, quasi sottovoce, mi dice che mi vuol bene. «Lo so», sono le uniche parole che sono riuscita a dirle, anche se meritava molto di più‒lo so, te ne voglio tanto anch’io, sei la persona migliore che conosca‒magari questo sarebbe bastato, ma prima che potessi ripensarci stavo già andando verso casa.

Come primo giorno di scuola non è poi andato così male, spero che Ludovica abbia capito anche stavolta e non se la prenda, ma non posso sperare che lei capisca per sempre.

 

Arrivo a casa, mamma non c’è, entro in cucina e sul frigorifero, mi ha lasciato un bigliettino dicendo che avrebbe fatto tardi, per lavoro.

A volte non la invidiavo affatto.

Mia madre era una donna affascinante: ha la pelle scura, gli occhi corvini e i capelli del colore delle nocciole. E’ una famosa scrittrice, e lo stress e il lavoro, con gli anni, hanno reso meno la sua bellezza, facendola apparire più stanca e vecchia di quanto è in realtà.

 

Prendo qualcosa da mangiare e poi vado in camera a preparare la lista dei libri da comprare. Chiamo Ludovica e usciamo per andare a prendere tutto l’occorrente che ci servirà per la scuola, compreso i libri che quest’anno sono aumentati e anche i loro prezzi…

Torno a casa e mia madre ancora non è rientrata così la telefono e le dico che Ludovica resterà a cena stasera.

Guardiamo un po’ di televisione, ma ancora non me la sento di parlarle di mio padre o di come mi posso sentire, e lei non va mai su qualche argomento che potrebbe ferirmi.

Così aspettiamo che venga mia madre, ma siccome abbiamo fame decidiamo di ordinare la pizza, una anche per lei ovviamente. Poco dopo arrivano contemporaneamente mamma…e le pizze!

Finito di cenare guardiamo un film e poi, dopo che Ludovica è andata a casa, vado a dormire, augurando una buona notte a mia madre.

 

Il giorno successivo, a scuola una nostra amica, Eleonora, ci dice di aver organizzato una festa per i suoi prossimi diciotto anni, e ci dà l’invito, un grazioso foglio con sopra stampato il suo animaletto preferito. L’avrebbe fatta il sabato seguente.

Sinceramente non so se vi andrò, non mi sembra giusto nei confronti di mio padre…non mi sembra il momento opportuno.

Giunta a casa, ne parlo con la mamma e «Sì, probabilmente non è giusto; ma sicuramente papà non avrebbe mai voluto sapermi triste», mi dice. Mi ripete la stessa cosa anche Ludovica, e dopo molte esitazioni, decido che una festa non poteva che farmi bene.

Così parlo con la mia migliore amica e le dico di passarmi a prendere sabato alle otto e mezza perché andremo al compleanno insieme.

Ludovica è felice della notizia che io le ho data, anche perché dovrei accompagnarla a comprare un nuovo vestito; per questo però mi oppongo dicendole che può anche fare a meno di me, stavolta.

 

Il giorno della festa.

Stasera ci sarà il compleanno d’Elly, e tra cinque ore verrà a prendermi Ludovica.

Non sono molto entusiasta di andarci, non ho intenzione di andare a comprarmi un nuovo vestito, ma di certo non potrò presentarmi con indosso un paio di jeans.

Così questo è un altro bel problema.

Vado in camera e apro l’armadio, non sono una fanatica della moda, ma mi piace avere un abito per ogni occasione. Scorro le grucce e scorgo quel paio di bianchi pantaloni che comprammo insieme. Andrà benissimo per la festa; non sono neppure ingrassata quindi non dovrebbe starmi male.

Sopra ci abbino un corpino nero e metto dei decolleté neri.

È ora. Ludovica dovrebbe arrivare a momenti. Ecco, infatti, che suona il campanello, sarà proprio lei.

Vado ad aprire e mentre esco mamma mi dà un bacio e mi dice di divertirmi.

Senz’altro ci proverò… anche se non sarà affatto semplice.

Il fratello di Ludo ci ha prestato la sua auto, siccome lei è maggiorenne e ha da poco presa la patente, ma con la promessa di riportarla a casa integra!

Ci salutiamo ed entriamo nell’auto, giusto in tempo per ripararci dalla pioggia che è appena iniziata a cadere lenta.

Ludovica indossa un bel vestitino nero, con dei ricami sul fondo, un paio di scarpe con un tacco altissimo e ha un nuovo taglio di capelli; tutti questi particolari mi lasciano capire che stasera abbia voglia di abbordare ragazzi.

Non glielo dico ma sorrido, guardandole l’ampia scollatura a barca, che prima non ho notato.

Lei capisce e iniziamo entrambe a ridere.

Così per un po’ restiamo lì, nel giardino di casa, a ridere come non mi succedeva già da molto, ormai. Era un momento magico quello, e niente lo avrebbe rovinato, neppure la pioggia che di lì a poco era diventata un temporale.

Dopo un po’ decidiamo di partire, e siamo arrivate al locale una ventina di minuti più tardi, per alcune sue manovre, mal eseguite, che per strada ci hanno fatto perdere un bel po’ di tempo.

Eleonora è lì che ci attende, felice come il solito, anche se oggi ha un motivo in più per esserlo.

Le diamo gli auguri e il regalo che aprirà a mezzanotte insieme con gli altri.

Le abbiamo comprato, insieme con altri suoi amici, un bel paio d’occhiali da sole di Versace, e sono sicura che le staranno divinamente, sono anche del suo colore preferito.

 

 

Ludovica prende da bere per entrambe e andiamo a sederci ad uno dei tavoli poco accanto alla pista da ballo, per sua richiesta che non voleva fare molta strada nel caso che qualcuno l’avesse invitata a ballare, a causa dei tacchi che subito poco le diedero maledettamente fastidio.

Elly ci aveva parlato d’alcuni suoi amici di città che aveva poi invitato alla festa.

Ludovica era entusiasta all’idea di conoscere gente nuova, soprattutto se erano di sesso maschile e avevano anche un bel fisico palestrato!

Vide delle persone che non conosceva, (di sicuro non si trattava di ragazze!), e pregò Elly che glieli presentasse.

Non trascorsero neppure pochi minuti che dei ragazzi si diressero verso di noi, preceduti dalla festeggiata, spruzzante di felicità, convinta di esser stata la causa di chissà quale futura uscita, ma si sbagliava nel pensarlo, e forse anch’io mi sbagliavo nell’esser così diffidente, chissà…

 Questi si presentano ad entrambe, sebbene io non abbia mostrato alcun interesse, anzi…

Si chiamano Giulio, Emilio e Andrea.

Non sono particolarmente belli; magari se Ludovica fosse stata cosciente li avrebbe definiti dei ‹tipi›.

Per quanto mi riguarda quella conoscenza è finita lì, ma evidentemente la mia migliore amica non è della mia stessa opinione.

Sto finendo la mia birra e quando mi volto per chiederle se voleva ballare, lei non c’è più.

La cerco per un po’ con lo sguardo e non mi ci vuole molto per trovarla.

Eccola, infatti, al centro della sala con Emilio e Andrea.

Almeno lei sembra si diverta.

Accanto a loro c’è Elly che si dimena come una folle su di una sedia, accerchiata da un gruppo di ragazzi che battono le mani a tempo di musica e alcune ragazze che ballano, mentre invece altre cercano di imitare la festeggiata, ma con pessimi risultati… nessuno può superarla, è talmente buffa!!
Ora sono sprofondata su un comodo divanetto che ha il tessuto dello stesso colore del cielo quando cala la notte.

Improvvisamente vedo Giulio dirigersi verso di me.

Forse, non mi avrà vista, non credo venga per parlare con me; d’altra parte se anche fosse così, mi darebbe molto fastidio stare in sua compagnia, dal momento che ha fatto il filo a tutte le ragazze, escludendo Elly, troppo impegnata a fare spettacolo per accorgersi della sua corte, sua madre e la nonna, comodamente sedute a chiacchierare e troppo cresciute per dei corteggiamenti puerili.

Invece era proprio così, stava venendo per me.

Chissà cosa voleva; non avrei potuto neppure usare Ludo come pretesto per andarmene, siccome lei non aveva intenzione di mollare quei due ragazzi.

Si siede accanto a me e inizia a parlare. Vorrebbe fare una conversazione, ma non m’importa granché. Si accorge che non lo sto ascoltando, e dopo non molto smette.

Adesso mi sta fissando. Ha uno sguardo così intenso che mi sembra di perdermi nell’azzurro dei suoi occhi. Sembra quasi vi contengono il mare.

Passano pochi secondi, ma a me è sembrato un tempo sconfinato, un tempo in cui due cuori riescono ad avere lo stesso battito o due respiri che coincidono. Sarei rimasta lì a guardarlo anche per ore.

Non avrei mai creduto che potesse sorprendermi tanto, e ancora…

Ora che è sicuro di aver catturato la mia attenzione, si decide nuovamente a parlare.

Non dice affatto cose stupide.

Non parla solo perché ha la facoltà di poterlo fare. Racconta.

Mi parla di sé ed è una cosa meravigliosa.

Forse avevo sbagliato a giudicarlo senza ancor prima di averlo conosciuto…

Qualcuno interrompe la magia di quel momento: le nostre amiche ci stanno chiamando, manca poco a mezzanotte e tra un po’ Elly scarterà i regali.

Ludovica è ansiosa di vedere la sua faccia mentre aprirà i pacchi. Così mi prende per mano e andiamo nell’altra stanza. Mi spiace lasciare Giulio; mi stavo divertendo con lui, e poi quel suo sguardo, i suoi occhi, e il suo sorriso…

Ludovica mi parla ma si accorge che non l’ascolto e si rende conto che sto pensando ad altro, forse a qualcun altro. Non ha tutti i torti…ma non può saperlo.

È ancora presto per dirlo. Ancora non posso sbilanciarmi.

«Che cosa ti succede? Non mi stai per niente ascoltando… a cosa pensi, o meglio, a chi pensi?», Ludovica mi guarda come fossi venuta dalla luna, «chi, io? …non sto pensando proprio a nessuno…» le dico cercando di trovare le parole migliori che non la facciano insospettire e cercando di non farmi tradire da alcun’emozione.

È vero che è la mia migliore amica, ma ogni cosa ha un suo tempo e poi è troppo presto per dirlo.

Una voce mi coglie di sorpresa e mi fa saltare, facendo sparire ogni mio pensiero.

«Scusami Sabrina, non volevo spaventarti… è solo che… magari ci vediamo in giro qualche giorno…».

È Giulio, ha una voce così sicura e rassicurante che nasconde bene anche il suo imbarazzo.  «Beh sì, immagino di sì», non avrei potuto dirgli niente di più stupido e scontato, o quasi niente…

«Che ne dici se ci scambiamo il numero di telefono…». Ehm Giulio mi ha chiesto il numero telefonico, però chissà se l’ha chiesto anche a tutte le altre, vorrei darglielo, ma forse non gli interesso davvero, domani mi avrà già dimenticato.

Così alla fine gli dico di non saperlo, ma quando ci salutiamo perché deve andar via e me lo chiede nuovamente non glielo do.

Probabilmente me ne pentirò per tutta la vita; ma almeno in questo modo gli ho fatto capire che non sono come le altre ragazze… quantomeno ci ho provato.

È mezzanotte passata: Giulio è andato via già da un po’ e con lui anche molti altri ragazzi di città.

Ludo si sta annoiando, visto che non c’è più nessuno che le presti attenzione, tranne me, ovviamente…

Finalmente anche Elly sembra essersi stufata ed è crollata su uno di quei morbidi divanetti.

Dal momento che anch’io non mi sto affatto divertendo, propongo a Ludo di andarcene e accoglie la mia proposta ben volentieri.

Salutiamo Elly, che non sembra per niente dispiaciuta che noi ce n’andiamo, ma non posso biasimarla, si è fatto tardi anche per lei.

Prendo le chiavi dell’auto dalla mia borsa nera e le do a Ludo che intanto si è già avviata verso la Mini Cooper blu di Paolo, suo fratello.

Siamo arrivate nel vialetto di casa mia, e all’improvviso Ludo si ferma in mezzo alla strada: «Dimmi che cosa hai, altrimenti ti lascio a piedi», sembra proprio facesse sul serio, ma non ci riesce a fare la dura con me, così scoppia in un’allegra risata, e anch’io con lei.

Non rispondo alla sua richiesta, le auguro una dolce notte, apro la portiera dell’auto e mi dirigo verso casa: «Guarda che non te la cavi così!», mi urla dietro, leggendomi quasi nel pensiero.

Non mi giro a guardarla ma scuoto la testa e sorrido, pensando che forse abbia ragione…

Apro piano la porta, non voglio che la mamma si svegli.

Sento delle voci in salone, così entro per vedere chi sono e mi accorgo che si tratta della televisione. Mi stupisco che la mamma l’abbia lasciata accesa.

Solitamente prima di andare a letto, spegne qualunque cosa che può aumentare inutilmente il consumo dell’elettricità.

Mi tolgo le scarpe per fare meno rumore nel camminare, e la vedo sul divano; è lì che dorme con un plaid sulle gambe.

Mi ha aspettato tutta la sera, ma alla fine deve essere crollata. Nelle ultime settimane è sempre molto stanca perché sta lavorando ad un manoscritto. Ciò nonostante, sebbene la stanchezza, mi ha aspettato lo stesso.

Prima era mio padre che mi attendeva, sveglio, che tornassi da una festa.

Sta proprio cambiando, e io ammiro il suo sforzo di starmi vicino, e so che non è per niente una cosa semplice. Tutte le volte che qualcuno ha cercato di starmi accanto, in un modo o nell’altro l’ho sempre allontanato.

Mi avvicino, le do un bacio sulla guancia, le sussurro che sono tornata, cercando in ogni caso di non fare molto chiasso, e le alzo la coperta in modo tale che mamma non senta freddo.

Apre gli occhi e mi sorride.

«Ciao tesoro, ti sei divertita?», mi chiede alzandosi dal divano, ancora un po’ insonnolita.  «Sì mamma, non volevo svegliarti, scusa… torna a dormire… a domani mamma...». «Tranquilla cara, ora però andiamo a letto», e così dicendo spegne il televisore e si avvia verso la sua stanza da letto.

 

Per un attimo mi è sembrato che si fosse fermata davanti alla porta, come se avesse timore di entrarvi; come se avesse paura di vedere qualcosa o molto probabilmente qualcuno che sapeva non ci sarebbe più stato.

Lei sa nascondere meglio di chiunque altro il suo dolore, ma poi quando va a letto piange di continuo. Una mattina trovai il suo cuscino tutto bagnato e siccome non avrei mai creduto che l’avesse fatto di proposito, restava solo da pensare che avesse pianto.

Tuttavia, quando le chiesi come mai il suo cuscino non fosse molto asciutto, lei dapprima sorpresa per la mia domanda che evidentemente non si aspettava, mi disse di aver sudato in seguito ad un incubo.

Me n’andai, lasciandola nelle sue bugie; non l’avevo creduta, è ovvio.

Di quei tempi sudare era molto difficile, ma da quel giorno non andammo più sull’argomento e lei probabilmente mi fu molto grata.

 

Sai da quando non ci sei a me invece capita spesso di starmene più tempo da sola.

Mi affaccio al balcone, con l’i-pod e me ne sto lì a guardare le stelle, la notte, l’immensità infinita e la capacità di stare in uno spazio senza limiti per loro….

Mi piace pensare che in quel misterioso splendore, fatto di piccoli luccichii, ci sia anche un po’ di te. Pensare che se fisso intensamente una stella, magari è la stessa che guardi tu.

Una sera ne ho anche vista una cadere. Una di quelle che si dice esprimano i desideri.

Io non ci credo a queste cose. Ma la magia di questa dolce fantasia mi ha incuriosita e attratta.

Così, una notte di San Lorenzo, mentre ascoltavo la tua canzone preferita- quella che cantavi a squarciagola e non te ne fregava niente se stonavi e non seguivi il giusto ritmo della melodia- mi sei venuto in mente. All’improvviso, davanti agli occhi me n’è passata una. Era velocissima. Più di un battito d’ali.

Ho desiderato una cosa. Ti volevo vedere.

Mi sono addormentata e ci credevo più che mai.

Al mattino mi sono svegliata e allora ho creduto di aver vissuto, per tutto il tempo, un maledetto incubo. Veloce, sono saltata fuori del letto e mi sono precipitata nella tua stanza. Ho guardato il letto e tu non c’eri. È stata una sensazione tremenda.

Credere, anche solo per un attimo, che il mio dolore non fosse reale. Ho chiuso gli occhi. Volevo riaddormentarmi e rivivere ancora una volta quel sogno. Tutto inutile.

Non mi è più stato possibile.

 passata una. anti agli occhi me n'usto ritmo della melodia, mi se venuto in mente te eall'a squarciagola e non te ne fregava n

 

 

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