capitolo 1
***
Ora mi alzo dalla spiaggia e vado a sedere sullo scoglio.
Inizia a soffiare vento di scirocco di sera, ma non fa freddo.
A volte penso che i miei genitori abbiano un rapporto
incostante, che si siano sposati solo perché si sentissero obbligati nei
confronti di un nascituro.
Me.
Sì, dopo circa quattro mesi nacqui io, a sconvolgere le loro
miserabili esistenze.
C’erano invece delle volte in cui credevo davvero che fossero ancora
una coppia e non due persone unite solo da un vincolo religioso.
Pian piano loro hanno imparato ad amare me e a rispettarsi l’uno
con l’altro; anche se mi hanno voluto bene in modo diverso.
Mio padre era quasi un migliore amico per me, che mi accompagnava
ai concerti e mi dava anche qualche consiglio.
Tuttavia se ci penso lui non è sempre stato così, come io cerco di
ricordarlo e com’è la sua immagine incisa nella mia mente.
Aveva un carattere forte, determinato, ma era anche molto
irascibile e sapeva arrabbiarsi per un nonnulla.
Ripenso a quando durante un loro solito litigio, si adirò
talmente tanto da alzare le mani su mia madre.
Una volta li ho anche sentiti parlare di separazione.
Solo in seguito ad aver rischiato di perderci entrambe, decise
di cambiare.
Dopo non averci viste per qualche settimana, chiamò la mamma e
le promise che sarebbe cambiato. Fu da quel momento che entrò di nuovo a far
parte della mia vita e in modo notevolmente migliore.
***
Credo che sia ora di tornare a casa.
Non riesco più a piangere come quel giorno, e ricordare mi fa
solo stare male.
Scendo dallo scoglio, stavolta senza il tuo aiuto e decido
d’incamminarmi verso casa.
Il sole adesso è calato del tutto, e in cielo sta spuntando la
luna.
È talmente bella, nel pieno del suo splendore, sembra che abbia
qualcosa di magico, ma soprattutto sembra che mi stia scrutando.
La osservo e noto che la sua superficie non è così liscia come
la disegnano i bambini.
Vi sono delle macchie scure su di lei che talvolta, non lasciano
comprendere a molti, il vero significato della sua bellezza. Sinceramente
anch’io so, che in questo momento, ho dentro di me delle “chiazze opache” oltre
le quali le persone superficiali non riescono ad andare.
Credetemi, vi sono moltissime persone così; gente che non mostra
il minimo interesse per qualcuno che non si amalgami alla folla, indifferente a
tutti tranne che a loro stessi.
Cammino e mentre percorro la strada si accendono fioche le luci
dei lampioni che, piano, proiettano la mia ombra sul marciapiede.
I negozi stanno per chiudere tutti, e da lontano vedo la signora
Paola mentre si accinge ad abbassare le serrande del suo floreale negozio. Mi
vede e sorridendo mi saluta con la sua tonda mano. È molto simpatica e mi
conosce da quando sono nata, molte volte sono andata da lei quando avevo
bisogno di parlare, è come una nonna per me, buona e gentile e sempre
disponibile con tutti. Forse è il suo altruismo che mi ha spinta, da sempre, a
comportarmi in maniera cordiale e affettuosa.
Mi mancano pochi passi e sono già arrivata. Una bella villetta a
due piani che papà aveva ristrutturato, e un ampio giardino dove a volte il
nonno faceva nascere un nuovo fiore o un gustoso ortaggio, faceva da cornice a
quella che era ormai da quasi diciassette anni la mia casa.
Mamma è lì che mi aspetta in veranda, ma non mi sorprende, sono
uscita in maniera brusca e credo che si sia anche preoccupata. «Va tutto bene, Sabry?»,
mi chiede, ma come facevo a risponderle, mi mancavano le parole e anche se le
avessi avute, non so proprio cosa dire.
Aveva fatto una domanda alquanto inopportuna in quel momento, ma
lei era così. Credeva di agire per il mio bene, ma il più delle volte o lei mi
faceva stare peggio o aggravava la situazione dicendo frasi inadatte quando
invece a me sarebbe bastato saperla vicina. Proprio come in quell’istante.
Non potevo di certo biasimarla però, era sempre al lavoro e
quando era a casa io non sopportavo quel suo modo di cercare di essermi amica,
oltre che sforzarsi di essere una buona madre.
Le sorrido ed entro in casa. Non ho neppure fame.
Domani inizia la scuola e non ne sono affatto entusiasta.
Quindici settembre.
È strano ritornare a scuola, dopo intere settimane trascorse al
mare con le amiche aspettando che tramonti il sole, per andare a ballare sotto
le stelle.
Mia mamma mi augura una buona giornata.
Non so quanto questo primo giorno avrà di buono, ma di sicuro
non me ne sarei stata a casa con le mani in mano.
Cammino per strada, e un soffio di vento mi scompiglia i
capelli.
L’estate ha lasciato il posto ad una nuova stagione e a
pomeriggi ricchi di cose da fare; agende, nuovi insegnanti, compiti da svolgere
a casa e il ballo di fine anno.
Nonostante questo, nell’aria c’è la sensazione che manchi
qualcosa, l’assenza di un elemento fondamentale per l’equilibrio della natura.
Esattamente ciò che manca in me adesso: te al mio fianco.
Ecco lì. I miei compagni di classe, tutti ansiosi di vedere in
che aula andranno, in che banco sederanno per tutta la durata dell’anno
scolastico.
Io in volto non ho più la gioia di rivedere i miei amici, o di
scoprire dalla mia nuova prof di religione, dove andrà l’anima di mio padre.
In fondo, se li guardo con maggiore attenzione, anche loro
rivolgono i propri pensieri altrove; magari ai mesi precedenti, passati in
compagnia di chissà quale ragazza, conosciuta in chissà quale villaggio estivo.
Pensieri che ora molto probabilmente vorrebbero uscire, fuggire
da questi posti in cui ti apprezzano per come lodi falsamente la gente e non
per come sei.
Forse però, tutto questo, è ciò che i miei pensieri vorrebbero,
e non i loro, forse…
Finalmente il suono puntuale della campanella riporta i miei
desideri a quella futile realtà.
Quest’anno ci hanno assegnato l’aula accanto alla presidenza,
l’unica grande abbastanza da tenerci tutti senza far irritare i nostri
professori con continui spostamenti di banchi perché la classe è troppo stretta
o troppo piccola.
Una volta che siamo entrati tutti e decisi i rispettivi posti,
ecco che entra il preside ad augurarci un buon anno scolastico, con i suoi
soliti discorsi ben fatti.
Ludovica ed io, ci sediamo vicine, come ormai da sempre da
quando è iniziato il liceo.
Lei sa tutto e per questo preferisce non dire nulla
sull’argomento perché sa bene che un sorriso potrà farmi stare meglio di mille
parole.
In realtà per tutta la mattinata non abbiamo parlato granché,
abbiamo lasciato che fosse il silenzio a parlare per noi, oggi.
Un po’ le sono grata, di saper essere discreta quando serve e capire
quando era il caso di lasciarmi da sola.
Era per questo motivo che le volevo bene e la consideravo come
una sorella, mi sapeva capire e non parlava mai a sproposito e quando invece ci
si doveva divertire, lei era sempre la prima!
Lo so, non è giusto il modo in cui io mi comportavo con lei.
Potevo sfogarmi con la mia migliore amica, piangere sulla sua spalla e magari
dopo mi sarei sentita un po’ meglio, ma io non ci riuscivo e lei lo sapeva.
Preferivo sigillare il dolore dentro di me, alzare una barriera
e non permettere a nessuno di poterla superare. Così di certo non mi aiutavo,
ma a volte era sufficiente una delusione per farti cambiare idea su tutti,
senza neppure che ci si conosceva.
Alla fine delle lezioni, Ludovica mi abbraccia e, quasi
sottovoce, mi dice che mi vuol bene. «Lo so», sono le uniche parole che sono
riuscita a dirle, anche se meritava molto di più‒lo so, te ne voglio tanto
anch’io, sei la persona migliore che conosca‒magari questo sarebbe bastato, ma
prima che potessi ripensarci stavo già andando verso casa.
Come primo giorno di scuola non è poi andato così male, spero
che Ludovica abbia capito anche stavolta e non se la prenda, ma non posso
sperare che lei capisca per sempre.
Arrivo a casa, mamma non c’è, entro in cucina e sul frigorifero,
mi ha lasciato un bigliettino dicendo che avrebbe fatto tardi, per lavoro.
A volte non la invidiavo affatto.
Mia madre era una donna affascinante: ha la pelle scura, gli
occhi corvini e i capelli del colore delle nocciole. E’ una famosa scrittrice, e
lo stress e il lavoro, con gli anni, hanno reso meno la sua bellezza, facendola
apparire più stanca e vecchia di quanto è in realtà.
Prendo qualcosa da mangiare e poi vado in camera a preparare la
lista dei libri da comprare. Chiamo Ludovica e usciamo per andare a prendere
tutto l’occorrente che ci servirà per la scuola, compreso i libri che
quest’anno sono aumentati e anche i loro prezzi…
Torno a casa e mia madre ancora non è rientrata così la telefono
e le dico che Ludovica resterà a cena stasera.
Guardiamo un po’ di televisione, ma ancora non me la sento di parlarle
di mio padre o di come mi posso sentire, e lei non va mai su qualche argomento
che potrebbe ferirmi.
Così aspettiamo che venga mia madre, ma siccome abbiamo fame
decidiamo di ordinare la pizza, una anche per lei ovviamente. Poco dopo
arrivano contemporaneamente mamma…e le pizze!
Finito di cenare guardiamo un film e poi, dopo che Ludovica è
andata a casa, vado a dormire, augurando una buona notte a mia madre.
Il giorno successivo, a scuola una nostra amica, Eleonora, ci
dice di aver organizzato una festa per i suoi prossimi diciotto anni, e ci dà
l’invito, un grazioso foglio con sopra stampato il suo animaletto preferito. L’avrebbe
fatta il sabato seguente.
Sinceramente non so se vi andrò, non mi sembra giusto nei
confronti di mio padre…non mi sembra il momento opportuno.
Giunta a casa, ne parlo con la mamma e «Sì, probabilmente non è
giusto; ma sicuramente papà non avrebbe mai voluto sapermi triste», mi dice. Mi
ripete la stessa cosa anche Ludovica, e dopo molte esitazioni, decido che una
festa non poteva che farmi bene.
Così parlo con la mia migliore amica e le dico di passarmi a
prendere sabato alle otto e mezza perché andremo al compleanno insieme.
Ludovica è felice della notizia che io le ho data, anche perché dovrei
accompagnarla a comprare un nuovo vestito; per questo però mi oppongo dicendole
che può anche fare a meno di me, stavolta.
Il giorno della festa.
Stasera ci sarà il compleanno d’Elly, e tra cinque ore verrà a
prendermi Ludovica.
Non sono molto entusiasta di andarci, non ho intenzione di
andare a comprarmi un nuovo vestito, ma di certo non potrò presentarmi con
indosso un paio di jeans.
Così questo è un altro bel problema.
Vado in camera e apro l’armadio, non sono una fanatica della
moda, ma mi piace avere un abito per ogni occasione. Scorro le grucce e scorgo
quel paio di bianchi pantaloni che comprammo insieme. Andrà benissimo per la
festa; non sono neppure ingrassata quindi non dovrebbe starmi male.
Sopra ci abbino un corpino nero e metto dei decolleté neri.
È ora. Ludovica dovrebbe arrivare a momenti. Ecco, infatti, che
suona il campanello, sarà proprio lei.
Vado ad aprire e mentre esco mamma mi dà un bacio e mi dice di
divertirmi.
Senz’altro ci proverò… anche se non sarà affatto semplice.
Il fratello di Ludo ci ha prestato la sua auto, siccome lei è
maggiorenne e ha da poco presa la patente, ma con la promessa di riportarla a
casa integra!
Ci salutiamo ed entriamo nell’auto, giusto in tempo per
ripararci dalla pioggia che è appena iniziata a cadere lenta.
Ludovica indossa un bel vestitino nero, con dei ricami sul
fondo, un paio di scarpe con un tacco altissimo e ha un nuovo taglio di
capelli; tutti questi particolari mi lasciano capire che stasera abbia voglia
di abbordare ragazzi.
Non glielo dico ma sorrido, guardandole l’ampia scollatura a
barca, che prima non ho notato.
Lei capisce e iniziamo entrambe a ridere.
Così per un po’ restiamo lì, nel giardino di casa, a ridere come
non mi succedeva già da molto, ormai. Era un momento magico quello, e niente lo
avrebbe rovinato, neppure la pioggia che di lì a poco era diventata un
temporale.
Dopo un po’ decidiamo di partire, e siamo arrivate al locale una
ventina di minuti più tardi, per alcune sue manovre, mal eseguite, che per
strada ci hanno fatto perdere un bel po’ di tempo.
Eleonora è lì che ci attende, felice come il solito, anche se
oggi ha un motivo in più per esserlo.
Le diamo gli auguri e il regalo che aprirà a mezzanotte insieme
con gli altri.
Le abbiamo comprato, insieme con altri suoi amici, un bel paio
d’occhiali da sole di Versace, e sono sicura che le staranno divinamente, sono
anche del suo colore preferito.
Ludovica prende da bere per entrambe e andiamo a sederci ad uno
dei tavoli poco accanto alla pista da ballo, per sua richiesta che non voleva
fare molta strada nel caso che qualcuno l’avesse invitata a ballare, a causa
dei tacchi che subito poco le diedero maledettamente fastidio.
Elly ci aveva parlato d’alcuni suoi amici di città che aveva poi
invitato alla festa.
Ludovica era entusiasta all’idea di conoscere gente nuova, soprattutto
se erano di sesso maschile e avevano anche un bel fisico palestrato!
Vide delle persone che non conosceva, (di sicuro non si trattava
di ragazze!), e pregò Elly che glieli presentasse.
Non trascorsero neppure pochi minuti che dei ragazzi si diressero
verso di noi, preceduti dalla festeggiata, spruzzante di felicità, convinta di
esser stata la causa di chissà quale futura uscita, ma si sbagliava nel
pensarlo, e forse anch’io mi sbagliavo nell’esser così diffidente, chissà…
Questi si presentano ad
entrambe, sebbene io non abbia mostrato alcun interesse, anzi…
Si chiamano Giulio, Emilio e Andrea.
Non sono particolarmente belli; magari se Ludovica fosse stata
cosciente li avrebbe definiti dei ‹tipi›.
Per quanto mi riguarda quella conoscenza è finita lì, ma
evidentemente la mia migliore amica non è della mia stessa opinione.
Sto finendo la mia birra e quando mi volto per chiederle se
voleva ballare, lei non c’è più.
La cerco per un po’ con lo sguardo e non mi ci vuole molto per
trovarla.
Eccola, infatti, al centro della sala con Emilio e Andrea.
Almeno lei sembra si diverta.
Accanto a loro c’è Elly che si dimena come una folle su di una
sedia, accerchiata da un gruppo di ragazzi che battono le mani a tempo di
musica e alcune ragazze che ballano, mentre invece altre cercano di imitare la
festeggiata, ma con pessimi risultati… nessuno può superarla, è talmente
buffa!!
Ora sono sprofondata su un comodo divanetto che ha il tessuto dello stesso
colore del cielo quando cala la notte.
Improvvisamente vedo Giulio dirigersi verso di me.
Forse, non mi avrà vista, non credo venga per parlare con me;
d’altra parte se anche fosse così, mi darebbe molto fastidio stare in sua
compagnia, dal momento che ha fatto il filo a tutte le ragazze, escludendo Elly,
troppo impegnata a fare spettacolo per accorgersi della sua corte, sua madre e
la nonna, comodamente sedute a chiacchierare e troppo cresciute per dei
corteggiamenti puerili.
Invece era proprio così, stava venendo per me.
Chissà cosa voleva; non avrei potuto neppure usare Ludo come
pretesto per andarmene, siccome lei non aveva intenzione di mollare quei due
ragazzi.
Si siede accanto a me e inizia a parlare. Vorrebbe fare una conversazione,
ma non m’importa granché. Si accorge che non lo sto ascoltando, e dopo non
molto smette.
Adesso mi sta fissando. Ha uno sguardo così intenso che mi
sembra di perdermi nell’azzurro dei suoi occhi. Sembra quasi vi contengono il
mare.
Passano pochi secondi, ma a me è sembrato un tempo sconfinato,
un tempo in cui due cuori riescono ad avere lo stesso battito o due respiri che
coincidono. Sarei rimasta lì a guardarlo anche per ore.
Non avrei mai creduto che potesse sorprendermi tanto, e ancora…
Ora che è sicuro di aver catturato la mia attenzione, si decide
nuovamente a parlare.
Non dice affatto cose stupide.
Non parla solo perché ha la facoltà di poterlo fare. Racconta.
Mi parla di sé ed è una cosa meravigliosa.
Forse avevo sbagliato a giudicarlo senza ancor prima di averlo
conosciuto…
Qualcuno interrompe la magia di quel momento: le nostre amiche
ci stanno chiamando, manca poco a mezzanotte e tra un po’ Elly scarterà i
regali.
Ludovica è ansiosa di vedere la sua faccia mentre aprirà i
pacchi. Così mi prende per mano e andiamo nell’altra stanza. Mi spiace lasciare
Giulio; mi stavo divertendo con lui, e poi quel suo sguardo, i suoi occhi, e il
suo sorriso…
Ludovica mi parla ma si accorge che non l’ascolto e si rende
conto che sto pensando ad altro, forse a qualcun altro. Non ha tutti i torti…ma
non può saperlo.
È ancora presto per dirlo. Ancora non posso sbilanciarmi.
«Che cosa ti succede? Non mi stai per niente ascoltando… a cosa
pensi, o meglio, a chi pensi?», Ludovica mi guarda come fossi venuta dalla
luna, «chi, io? …non sto pensando proprio a nessuno…» le dico cercando di
trovare le parole migliori che non la facciano insospettire e cercando di non
farmi tradire da alcun’emozione.
È vero che è la mia migliore amica, ma ogni cosa ha un suo tempo
e poi è troppo presto per dirlo.
Una voce mi coglie di sorpresa e mi fa saltare, facendo sparire ogni
mio pensiero.
«Scusami Sabrina, non volevo spaventarti… è solo che… magari ci
vediamo in giro qualche giorno…».
È Giulio, ha una voce così sicura e rassicurante che nasconde
bene anche il suo imbarazzo. «Beh sì,
immagino di sì», non avrei potuto dirgli niente di più stupido e scontato, o
quasi niente…
«Che ne dici se ci scambiamo il numero di telefono…». Ehm Giulio
mi ha chiesto il numero telefonico, però chissà se l’ha chiesto anche a tutte
le altre, vorrei darglielo, ma forse non gli interesso davvero, domani mi avrà
già dimenticato.
Così alla fine gli dico di non saperlo, ma quando ci salutiamo
perché deve andar via e me lo chiede nuovamente non glielo do.
Probabilmente me ne pentirò per tutta la vita; ma almeno in
questo modo gli ho fatto capire che non sono come le altre ragazze… quantomeno
ci ho provato.
È mezzanotte passata: Giulio è andato via già da un po’ e con
lui anche molti altri ragazzi di città.
Ludo si sta annoiando, visto che non c’è più nessuno che le
presti attenzione, tranne me, ovviamente…
Finalmente anche Elly sembra essersi stufata ed è crollata su
uno di quei morbidi divanetti.
Dal momento che anch’io non mi sto affatto divertendo, propongo
a Ludo di andarcene e accoglie la mia proposta ben volentieri.
Salutiamo Elly, che non sembra per niente dispiaciuta che noi ce
n’andiamo, ma non posso biasimarla, si è fatto tardi anche per lei.
Prendo le chiavi dell’auto dalla mia borsa nera e le do a Ludo
che intanto si è già avviata verso la Mini Cooper blu di Paolo, suo fratello.
Siamo arrivate nel vialetto di casa mia, e all’improvviso Ludo
si ferma in mezzo alla strada: «Dimmi che cosa hai, altrimenti ti lascio a
piedi», sembra proprio facesse sul serio, ma non ci riesce a fare la dura con
me, così scoppia in un’allegra risata, e anch’io con lei.
Non rispondo alla sua richiesta, le auguro una dolce notte, apro
la portiera dell’auto e mi dirigo verso casa: «Guarda che non te la cavi
così!», mi urla dietro, leggendomi quasi nel pensiero.
Non mi giro a guardarla ma scuoto la testa e sorrido, pensando
che forse abbia ragione…
Apro piano la porta, non voglio che la mamma si svegli.
Sento delle voci in salone, così entro per vedere chi sono e mi
accorgo che si tratta della televisione. Mi stupisco che la mamma l’abbia
lasciata accesa.
Solitamente prima di andare a letto, spegne qualunque cosa che
può aumentare inutilmente il consumo dell’elettricità.
Mi tolgo le scarpe per fare meno rumore nel camminare, e la vedo
sul divano; è lì che dorme con un plaid sulle gambe.
Mi ha aspettato tutta la sera, ma alla fine deve essere
crollata. Nelle ultime settimane è sempre molto stanca perché sta lavorando ad
un manoscritto. Ciò nonostante, sebbene la stanchezza, mi ha aspettato lo
stesso.
Prima era mio padre che mi attendeva, sveglio, che tornassi da
una festa.
Sta proprio cambiando, e io ammiro il suo sforzo di starmi
vicino, e so che non è per niente una cosa semplice. Tutte le volte che
qualcuno ha cercato di starmi accanto, in un modo o nell’altro l’ho sempre
allontanato.
Mi avvicino, le do un bacio sulla guancia, le sussurro che sono
tornata, cercando in ogni caso di non fare molto chiasso, e le alzo la coperta
in modo tale che mamma non senta freddo.
Apre gli occhi e mi sorride.
«Ciao tesoro, ti sei divertita?», mi chiede alzandosi dal divano,
ancora un po’ insonnolita. «Sì mamma,
non volevo svegliarti, scusa… torna a dormire… a domani mamma...». «Tranquilla
cara, ora però andiamo a letto», e così dicendo spegne il televisore e si avvia
verso la sua stanza da letto.
Per un attimo mi è sembrato che si fosse fermata davanti alla
porta, come se avesse timore di entrarvi; come se avesse paura di vedere
qualcosa o molto probabilmente qualcuno che sapeva non ci sarebbe più stato.
Lei sa nascondere meglio di chiunque altro il suo dolore, ma poi
quando va a letto piange di continuo. Una mattina trovai il suo cuscino tutto
bagnato e siccome non avrei mai creduto che l’avesse fatto di proposito,
restava solo da pensare che avesse pianto.
Tuttavia, quando le chiesi come mai il suo cuscino non fosse
molto asciutto, lei dapprima sorpresa per la mia domanda che evidentemente non
si aspettava, mi disse di aver sudato in seguito ad un incubo.
Me n’andai, lasciandola nelle sue bugie; non l’avevo creduta, è
ovvio.
Di quei tempi sudare era molto difficile, ma da quel giorno non
andammo più sull’argomento e lei probabilmente mi fu molto grata.
Sai da quando non ci sei a me invece capita spesso di starmene
più tempo da sola.
Mi affaccio al balcone, con l’i-pod e me ne sto lì a guardare le
stelle, la notte, l’immensità infinita e la capacità di stare in uno spazio
senza limiti per loro….
Mi piace pensare che in quel misterioso splendore, fatto di
piccoli luccichii, ci sia anche un po’ di te. Pensare che se fisso intensamente
una stella, magari è la stessa che guardi tu.
Una sera ne ho anche vista una cadere. Una di quelle che si dice
esprimano i desideri.
Io non ci credo a queste cose. Ma la magia di questa dolce
fantasia mi ha incuriosita e attratta.
Così, una notte di San Lorenzo, mentre ascoltavo la tua canzone
preferita- quella che cantavi a squarciagola e non te ne fregava niente se
stonavi e non seguivi il giusto ritmo della melodia- mi sei venuto in mente.
All’improvviso, davanti agli occhi me n’è passata una. Era velocissima. Più di
un battito d’ali.
Ho desiderato una cosa. Ti volevo vedere.
Mi sono addormentata e ci credevo più che mai.
Al mattino mi sono svegliata e allora ho creduto di aver
vissuto, per tutto il tempo, un maledetto incubo. Veloce, sono saltata fuori
del letto e mi sono precipitata nella tua stanza. Ho guardato il letto e tu non
c’eri. È stata una sensazione tremenda.
Credere, anche solo per un attimo, che il mio dolore non fosse
reale. Ho chiuso gli occhi. Volevo riaddormentarmi e rivivere ancora una volta
quel sogno. Tutto inutile.
Non mi è più stato possibile.
passata una. anti agli occhi me n'usto ritmo
della melodia, mi se venuto in mente te eall'a squarciagola e non te ne fregava
n
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