Cacophony

di Mayth
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Atto primo. ***
Capitolo 2: *** Atto secondo. ***
Capitolo 3: *** Atto terzo. ***
Capitolo 4: *** Atto quarto. ***
Capitolo 5: *** Atto quinto. ***
Capitolo 6: *** Atto sesto. ***
Capitolo 7: *** Atto settimo. ***
Capitolo 8: *** Atto ottavo. ***



Capitolo 1
*** Atto primo. ***


Cacophony
 
 
Atto primo.
 
È al telefono.
Cammina per il negozio con un sorriso tirato stampato sul volto, bisbiglia, talvolta copre il microfono del suo telefonino (dev’essere un ultimo modello, super all’avanguardia, con tutte quelle applicazioni inutili che servono solo a decorare lo schermo. La gente può benissimo scegliersi un bel wallpaper e basta). Arriva di fronte agli scaffali dei microonde e sospira come se avesse concluso la maratona della sua vita. È arrivato sulla punta dell’Everest, o quasi. L’interlocutore al telefono gli grida qualcosa, o lo insulta, o fa entrambe le cose, e l’uomo gira gli occhi verso il soffitto e si morde il labbro inferiore. Sembra si stia mettendo in posa per un calendario, ma in realtà è solo pieno di esasperazione – ed Erik ne ha visti così tanti come lui che, davvero, non ci tiene ad offrirgli il suo aiuto.
«Uomo appena sposato, uomo fidanzato o tizio che vive ancora con la madre – o è tornato a vivere con la madre» gli bisbiglia in un orecchio Logan. Logan è uno stronzo; sì, avrebbe potuto fare una descrizione più accurata, forse dei suoi capelli strani che si ramificano in due punte sulla sua testa, del suo problema con il fumo e il corpo palestrato, ma Erik non ne vede il senso. Perciò ecco, è uno stronzo e come sempre entrambi cercano di affibbiare il cliente bisognoso all’altro.
«Vai tu, Lehnsherr, io sono in pausa»
«Tu sei sempre in pausa» qualcuno deve farglielo notare, non che a Logan interessi, comunque. Infatti alza le spalle e controlla l’orologio.
«Jean è in pausa, devo andare»
«Jean è fidanzata, dovresti lasciarla perdere». È un consiglio sincero, e in più il fidanzato di Jean, Scott, fa qualcosa d’importante nella vita. Erik non lo sa nei dettagli e neanche gli interessa, ma questo tizio viene a prendere la sua fidanzata guidando una Jaguar e una settimana dopo un’altra bella macchina, mentre Logan lavora in un negozio di elettronica, in un supermercato, non ci sono chance, insomma. «E in più lo sai che le persone come quel tizio mi fanno perennemente arrabbiare. Indossa un orologio che varrà tre volte tanto la mia paga, ma non sa scegliere un buon microonde o non sa riconoscere una marca dall’altra»
«Ognuno ha le proprie capacità. Dovresti essere fiero di quel che sai fare. Vai lì e dimostralo» e detto questo si gira ed esce dal negozio. Ingiustizia. Non avevano ancora concluso la discussione ed Erik è ancora convinto che se andrà a parlare con quel damerino inglese – solo lo stereotipo di un inglese può vestirsi così: camicia, cardigan legato intorno alle spalle, pantaloni a vita alta, occhiali da sole e, come detto in precedenza, un dannatissimo orologio dalla somma assurda –, avrà un’emicrania per tutto il weekend. Ad ogni modo, non ha scelta, non davvero. O ci va lui o ci manda il ragazzino dai capelli rossi adorato dalle vecchiette – che puntualmente non sa fare nulla di concreto.
Sospira, si sistema il cartellino appuntato sul petto – Erik Lehnsherr -, sospira di nuovo perché non crede di farcela, e infine si avvicina a grandi passi verso il cliente.
 
_
 
«Posso aiutarla?». Sabato è sempre un gran giorno per i centri commerciali. I negozi si riempiono di gente, sebbene in realtà la metà della folla non comprerà nulla, o deciderà di acquistare qualcosa di stupido per il solo ed entusiasmante gusto di farlo, trasportati dall’uragano del consumismo più sfrenato che prima o poi colpisce tutti in una grande città. Comunque, c’è tanta gente, il che significa che c’è tanta fila e tanto nervosismo. Perciò la risposta più frequente è no grazie, sto solo guardando, perché in realtà si vuole fare il più in fretta possibile per poter uscire a mangiare un gelato e non restare intrappolati nelle tecniche di vendita dei commessi.
Ovviamente questo tizio deve essere un’eccezione.
«Sì, grazie» mormora sorpreso e stranamente deliziato. Fa un segno con la mano che Erik pensa voglia significare attenda un attimo che concludo la chiamata (con la mamma, la nonna, la fidanzata, questo Erik ancora non lo sa) e riversa diversi saluti alla persona all’altro capo del telefono. «Okay» dice infine – un altro sospiro di vittoria - «sono un po’ in difficoltà».
Non si direbbe, davvero. Erik sorride e lo invita a spiegare il problema. Finisce che sì, sta cercando una marca specifica di microonde e può comprare solo quella (di nuovo: o la mamma, la nonna o la fidanzata), perché se torna a casa con un microonde diverso da quello che fanno vedere nella pubblicità con i due cagnolini morbidi («Perché la pubblicità di un microonde dovrebbe mostrare due cani, non capisco. Ma dev’essere una tecnica di marketing geniale, perché Raven vuole solo quella marca» gli dice), sarà il momento buono nel quale deve decidere l’iscrizione sulla propria lapide («Preferivo il forno» gli consiglia Erik, strappandogli una risata).
«Ho guardato su tutti gli scaffali, ma non lo trovo. Non ho molto tempo, spero voi ce l’abbiate» lo prega, quasi, frettoloso di pagare e scappare lontano. Erik lo capisce molto bene; è lui il primo a volere un gelato. Annuisce e gli indica un punto un po’ più avanti. Lo raggiungono ed eccolo lì, in tutto il suo splendore da microonde pubblicizzato da due cani, di dimensioni medie, funzionale, dagli qualche anno e dovrà essere sostituito.
«La ringrazio». Erik è sicuro che quell’uomo lo abbraccerebbe se potesse e non ci fosse una certa convenzione sociale a fermarlo. Menomale. Erik odia le convenzioni sociali, ma in alcuni casi lo proteggono dalle persone.
Si dirigono alla cassa per il pagamento, lo scontrino e la garanzia. Charles Xavier è il suo nome, gli calza a pennello. Quegli occhi blu, quelle labbra rosse, quel viso arrogante, hanno il sapore di Charles Xavier. Complimenti ai genitori.
«Grazie di nuovo Erik» gli sorride e se ne va trionfante con il suo acquisto. Erik abbassa gli occhi sul suo cartellino – ennesimo sospiro della giornata -, sta per tornare dietro al bancone quando la mano forte di una vecchietta lo immobilizza: «Ehi, giovanotto, ha per caso in mente qual è la lavastoviglie dove c’è un pappagallo nella pubblicità?».
 
 
 
_____Note:
Okay, questa storia non trova un senso concreto, se non il mio bisogno incessante di evidenti cliché per questa coppia. I capitoli sono davvero corti, ma meglio così! Ciò significa che dovrei postare puntualmente (la maggior parte sono già stati tutti scritti). Ad ogni modo, spero che l'idea di questi due dorks in amore in un centro commerciale (o quasi) vi piaccia XD (Per dare uno slancio alla storia, posto immediatamente anche il capitolo due). 

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Capitolo 2
*** Atto secondo. ***


Atto secondo.
 
«Ti sei fatto qualche amico?» gli chiede Edie Lehnsherr, sua madre, direttamente da Düsseldorf, con il buon aiuto di Skype. Erik vorrebbe prendere il suo portatile e scaraventarlo fuori dalla finestra, ma se osa trattare in questo modo sua madre è sicuro che gli rimangano poche ore di vita. Quindi ci pensa su. Potrebbe dire Cassidy – il ragazzino dal bosco rosso sulla testa – o persino Logan, basterebbe un nome per far felice sua madre, ma non ci riesce. Erik è un buon figlio, non può mentirle. E un po’ si vergogna, perché la sua lista finisce lì, non ha la più pallida idea di come si chiamino i suoi colleghi, all’infuori di Angel, ma lei lavora lì part-time e l’unica cosa che si sono detti è stata: «Benvenuta» «Grazie», e non pensa di poterla considerare un’amica per questo.
«Erik, vivi in quel posto da due anni» sospira sua madre, afflitta ed esasperata. Oramai è la condizione di default che ha acquisito nei suoi confronti. «Non puoi fare lavoro-casa-lavoro. Devi provare ad uscire, a divertirti, a trovare qualcuno»
«Sì che posso. Guardami, lo faccio e sono sano»
«Dopo Magda non hai avuto più nessuno e-»
«No, non affronterò questo argomento e soprattutto non lo affronterò con te».
Sua madre si zittisce e riapre poco dopo la bocca per parlare di ciò che le ha raccontato la parrucchiera, delle nuove pentole che ha comprato nel negozio dietro all’angolo, mentre Erik pensa che nella vita dovrà lavorare per sempre in quel stramaledetto negozio, perché gli artisti non fanno molta carriera, soprattutto quelli scontrosi come Erik. Ma forse chissà, arriverà il momento in cui un Lehnsherr varrà qualcosa, in un futuro lontano dove lui sarà seppellito diversi metri sotto terra.
 
_
 
«Erik, scusa» la voce proviene da dietro le sue spalle. Erik barcolla un po’, appoggia la macchinetta del caffè sullo scaffale apposito e dopodiché si gira. Lo aveva già riconosciuto, Charles, ancor prima di ritrovarselo faccia a faccia, e dev’essere dovuto al suo accento inconfondibile. Vuole dire, non se ne incontrano tanti con un marchio così prettamente inglese. Alza un sopracciglio e lo fissa sorpreso, Charles gli sorride e allunga la mano per salutarlo. «Charles Xavier, sono venuto ieri pomeriggio a comprare un microonde» spiega, come se Erik già non si ricordasse.
«Sì, ricordo»
«Ah» esclama sorpreso. Falso, Erik è sicuro che Charles sia abituato a rimanere impresso nella memoria della gente. «Avrei bisogno di un altro favore»
«Se cerchi la lavastoviglie nella cui pubblicità c’è un pappagallo, mi dispiace informarti che le abbiamo finite». Charles rimane a fissarlo per alcuni istanti, le sopracciglia gli si corrucciano e creano nel mezzo una piccola ruga d’espressione, s’inumidisce le labbra e poi scoppia a ridere.
«No, no. Volevo un consiglio. La miglior televisione? Me ne intendo, ma sono indeciso, volevo il parere di un esperto». Esperto. Erik ha un diploma in informatica, vero, ma non se ne fa molto perché vuole fare l’artista. Quando il fare fiero tuo padre si scontra col far fiero te stesso.
Le due televisioni messe a confronto costano un occhio della testa, se non più. C’era d’aspettarselo, pensa Erik, e sorride un po’ guardando Charles piegarsi per leggere nuovamente le etichette. Alla fine opta per quella che gli consiglia Erik, affermando la piena fiducia nei suoi confronti.
«Raven mi ha fatto scegliere almeno la televisione» borbotta fra sé e sé, poi alza lo sguardo e nota Erik e Logan che lo fissano confusi da dietro il bancone. «Raven è mia sorella, ci siamo appena trasferiti – beh, sarebbe più giusto precisare che siamo appena tornati – a New York». Logan si allunga e bisbiglia nell’orecchio di Erik «Sorella», sottolineando che entrambi si erano sbagliati. Meglio per Charles, forse.
«Grazie per i tuoi consigli» lo saluta Charles, e come l’ultima volta se ne esce contento dal negozio. 

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Capitolo 3
*** Atto terzo. ***


Atto terzo.
 
Charles Xavier torna il lunedì dopo e il giorno dopo ancora e tutti gli altri giorni a venire. Compra una macchinetta del caffè, una friggitrice, una piccola televisione per la camera da letto, un nuovo portatile, ed Erik si chiede perché non può fare la spesa in un giorno solo e farsi portare con un camion tutta quella roba. Quando esprime le sue perplessità a Sean (Cassidy) e Logan, entrambi alzano un sopracciglio e lo guardano come se fosse la persona più ottusa dell’universo – cosa che non è. Erik è abbastanza bravo a capire le persone, in generale.
«Sarà che vuole parlare con te» spiega Sean, continuando a guardare Charles che vaga per gli scaffali in cerca di solo Dio sa cosa.
«Non ci parliamo molto»
«Sa già che fai l’artista» gli tira una gomitata Logan. E quello cosa c’entra? È uscito fuori casualmente, in una conversazione corta e senza meta. «Gli interessi»
«E cosa? Viene continuamente qui a comprare cianfrusaglie che non gli servono per poter attirare la mia attenzione? È il flirt di una ragazzina di quattordici anni»
«Cosa vuoi saperne tu delle tecniche di abbordaggio di un ricco inglese» lo schernisce Sean. Lo picchierebbe, se non fosse contro il regolamento, se non fosse che, anche, Charles gli compare davanti sventolando un porta portatile nuovo di zecca. Inutile. Il portatile che gli ha venduto l’altro giorno ne aveva già uno in omaggio.
«Per mia sorella» spiega Charles, come se gli avesse letto nella mente.
«Okay» risponde. Non è che abbia molto da dirgli. Charles gli sorride e afferra il suo sacchetto.
«Ciao» dice, non possiede un briciolo di vergogna.
«A domani» risponde Erik, oramai c’è poco da tenere nascosto. Charles alza di scatto gli occhi e le sue guance si colorano di porpora. È ipnotizzante. Annuisce col capo ed esce dal negozio.
«Mi sta simpatico, quel Charlie» sorride Logan alle sue spalle.
_
 
«Erik, Raven. Raven, Erik» li presenta come se fosse una necessità. Come se Erik non fosse soltanto un commesso che ha dovuto sopportare Charles per una settimana intera, ma fosse tecnicamente un suo amico da dover presentare alla sorella. Erik non ne vede il senso, Charles è un buco nero di comportamenti complicati. «Raven è venuta perché deve scegliere il suo nuovo cellulare e dice che una sua amica lavora qui» gli spiega. Cosa c’è da spiegare, poi. Non è come se si fosse introdotta in un appuntamento.
«Angel?» chiede Erik, perché è la prima possibilità che gli salta nella mente – e sì, non conosce il nome delle altre commesse. Raven, capelli lunghi e biondi, occhi pungenti, volto curioso e imbronciato, annuisce, dà una pacca sulla spalla al fratello e li supera, raggiungendo Angel che la saluta con un sorriso. Sia lui che Charles rimangono a guardarle per qualche istante, poi tornano a fissarsi e c’è un po’ d’imbarazzo.
«Sono appena entrato in pausa» gli fa notare Erik. No, in realtà non sa perché l’ha detto, ma la vita è troppo corta per farci caso. Erik sa benissimo dove vuole arrivare, non è mai stato un uomo discreto o calmo.
«Io non ho nulla da fare. Ora che Raven sceglie il suo telefono passerà un’ora»
«Potremmo andare a mangiare un gelato qui di fianco» pondera Erik, senza mai distogliere lo sguardo dal viso magicamente illuminatosi di Charles.
«Sì, amico mio. Sembra un’ottima idea».
_
 
Charles prende un cono al mango e thè verde – oh wow -, mentre Erik bilancia la sua scelta sul cioccolato amaro e la nocciola. Jean fa i gelati e glieli passa, e quando Charles si gira per scegliere un tavolino dove andare a sedersi, lei guarda dritto negli occhi Erik e gli fa l’occhiolino. Per cosa, lo sa solo lei.
Sembrano due persone completamente diverse, lui e Charles. Charles ha ventiquattro anni, ha finito l’università ad Oxford con un diploma a pieni voti in genetica, è un professore o potrebbe farlo. Si è preso un anno di pausa per decidere e in realtà vorrebbe aprire la sua vecchia villa di famiglia per ospitare i bambini orfani, ma è occupata ancora dal fratellastro e non se la sente di sfrattarlo. Per Erik non ha senso, lo avrebbe buttato fuori di casa senza ripensamenti, visto che l’uomo non ha alcun diritto sulla villa, ma non dice nulla. Così, Charles, ha comprato un nuovo appartamento che ora condivide con sua sorella e che sta evidentemente arredando. Erik, dal canto suo, si è trasferito dalla Germania a New York in cerca di fortuna con i propri quadri, ha migliorato la propria tecnica e vive da solo nel suo modesto appartamentino, che riesce a pagarsi grazie al lavoro al negozio. Non sa cosa ci sia di affascinante in ciò che racconta, ma mentre spiega Charles lo guarda con due occhi enormi e sorride deliziato.
«Un artista» mormora contento, come se fosse il primo che abbia mai visto in vita sua. «Fai quadri? Con quale stile?»
«Dipinti caravaggeschi, perlopiù»
«Caravaggio», come fanno quegli occhi ad illuminarsi così tanto, Erik non può che sorprendersi ogni volta.
«Lo stile è quello» ammette.
Scoprono di avere idee politiche simili, seppur con sfumature abbastanza marcate. Discutono per una buona mezz’ora sulla pena di morte, alla quale Erik è assolutamente concorde, mentre Charles è assolutamente contrario. Erik ha sempre avuto una sopportazione di livello molto basso, poche persone riescono a discutere con lui senza far concludere il dibattito con un naso rotto, eppure Charles pare riuscirci. Litigano, praticamente, ma è interessante poter apostrofare al meglio il proprio punto di vista e ricevere con altrettanto entusiasmo una risposta. Non arrivano a un dunque, ma a fine giornata Charles lo chiama di nuovo amico mio e gli dice che spera di rivederlo molto presto. Raven gli sventola la mano e si porta al petto il suo nuovo iPhone 6, dopodiché segue il fratello fuori dal negozio.
«Ti sei fatto il tuo primo amico» lo schernisce Logan, prima di ricevere un pugno nello stomaco. 

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Capitolo 4
*** Atto quarto. ***


 
Atto quarto.
 
Fa caldo. Oggi è il giorno libero di Erik e fa così caldo che persino il cemento si potrebbe cuocere. Avrebbe dovuto restarsene a casa davanti al condizionatore d’aria a mangiare un’anguria o a sorseggiare una Coca-Cola ghiacciata, qualsiasi cosa, che ne sa, ma non di certo uscire e bruciare – letteralmente – sotto il sole. Invece no, si era stancato di stare rinchiuso fra quattro mura e, bermuda, maglietta a maniche corte e occhiali da sole, ha varcato la soglia di casa ed è andato in centro. Sbaglio. Enorme sbaglio. Central Park pare essere un luogo particolarmente quotato in estate. Famiglie, gruppi di amici, single coi loro cani, tutti sono in quel dannatissimo parco a farsi un giro ed occupare la sua panchina preferita. Si volta verso la casa degli scacchi a qualche metro di distanza: alcune persone anziane si stanno intrattenendo con una partita, un bambino gira fra le sedie entusiasta. Erik si passa una mano fra i capelli e si siede ad un tavolo – forse qualcuno lo raggiungerà e lo inviterà a giocare.
In realtà non accade nulla di tutto quello ed Erik rimane semplicemente seduto sulla sedia a guardarsi intorno. Il signore anziano che gli stava simpatico perde la partita e con aria afflitta dice di dover tornare da sua moglie, l’altro prende per il polso il bambino iperattivo – suo nipote? – e lo porta al chiosco per comprargli una coppetta di gelato. Erik gira il capo e ne segue il percorso, e proprio in quel momento non si accorge della figura che si accomoda nel posto dirimpetto al suo. Appena gira lo sguardo per afferrare la sua bottiglietta di acqua (purtroppo non più ghiacciata), che si era portato da casa, intravede Charles che fa poco per riuscire a trattenersi dal ridere. Ha un infarto. Perché non se l’aspettava e non è dannatamente normale comparire così all’improvviso dal nulla.
«Charles?» chiede titubante e un po’ stordito. Ma che è, uno stalker?
«Erik»
«Che cosa-­»
«Mio padre mi portava sempre qui, prima che morisse. Ero solo un bambino, ma adoravo venire qui la domenica pomeriggio e passarla allenando la mente. Certe abitudini non vanno mai via» spiega. Ah beh, quindi è Erik l’intruso, a dirla tutta. «Ti va una partita?» offre, tirando fuori un sacchetto di stoffa e rovesciando sul tavolo le pedine per lo scacchi. Erik prende quelle nere, le sue preferite, e inizia a posizionarle correttamente.
«È da un po’ che non gioco» sospira Charles.
«Ci andrò piano con te»
_.
 
«Quindi hai battuto Chuck a scacchi» ripete pazientemente Logan. «È bello che fai altro nella vita oltre che lamentarti del mio operato». Erik lo guarda torvo e poi torna a sistemare i CD negli appositi scompartimenti. In realtà odia raccontare la sua vita, ancor di più a Logan, ma sembra qualcosa che hanno iniziato a fare negli ultimi tempi e non si sente in grado di spezzare l’atmosfera felice del reparto. Logan incomincia a raccontare di un ultimo suo viaggio in Giappone («E questa famiglia giapponese mi ha invitato, chiedendo se potessi fare da guardia del corpo alla figlia»), ma Erik non lo ascolta davvero. Charles, prima di raccattare le sue cose e andarsene, gli aveva lasciato il numero di telefono scritto su un fogliettino – calligrafia perfetta, asciutta, elegante – e sorridendo gli aveva detto di chiamarlo se avesse avuto voglia di concedergli la rivincita. Ora Erik s’infila una mano in tasca e si rigira il foglietto stropicciato. Non sa cosa fare. Quando aveva conosciuto Magda la situazione era completamente diversa; erano compagni di classe dall’infanzia, era un’amica di famiglia. Avere il suo numero di telefono ed utilizzarlo era stata un’evenienza naturale ed anche necessaria. Ma Charles? Charles è ancora, tecnicamente, un cliente e uno sconosciuto. Erik non ha idea di cosa bisognerebbe fare o scrivere a qualcuno che ti passa volontariamente il suo numero di telefono. Non è nemmeno certo che quello sia un flirt, potrebbe essere una richiesta di amicizia.
Infila l’ultimo CD nella categoria Heavy Metal e tira fuori dall’altra tasca il suo cellulare. Si guarda intorno: il negozio è quasi vuoto, Logan è andato a parlare con un ragazzino interessato all’ultima Play Station o qualcosa del genere, Sean sta spiegando a un tizio che evidentemente l’ultimo X-Men è migliore dei precedenti (e non solo parlando di effetti speciali) e tutti gli altri paiono avere la situazione sotto controllo.
Rassicurato, Erik srotola il pezzo di carta e copia il numero di telefono di Charles nella rubrica.
Dovrebbe scrivergli, anche solo per gentilezza. In fondo, se Charles non voleva ricevere notizie da lui, non avrebbe dovuto scambiare qualcosa di così personale come il suo numero di cellulare.
Perciò potrebbe scrivergli e non sembrare un idiota. Anche se in realtà è un idiota comunque. Di nuovo: la vita è troppo corta e ti riserva sempre colpi di scena troppo spiacevoli per poter star a perdere tempo su indecisioni simili. Sta quasi per schiacciare sull’icona di Whattsapp (inutilizzata fino a quel momento ma scaricata perché «E andiamo, chi non ha Whatsapp»), quando una ragazzina gli compare di fianco.
«Buongiorno». Occhi nocciola, capelli castani, viso vispo e furbo.
«Ciao. Posso esserti utile?». Charles deve aspettare.
_
 
È lunedì pomeriggio. E il lunedì pomeriggio è orrendo perché a) è lunedì ed Erik non conosce ancora una persona vivente – che lavora – che non odi il lunedì, e b) è pomeriggio e fa caldo ed è estate. I condizionatori sono stati accesi in modo da poter creare, dagli qualche ora, un iglù direttamente sul pavimento del negozio. Il che renderebbe felice un sacco di gente, non ne dubita. Ma ad ogni modo il turno di Erik è stato spostato dietro le quinte, nel magazzino, e lì non ci sono condizionatori, bensì ventilatori che non fanno altro che rigirare aria calda. Potrebbe svenire per il caldo o morire disidratato, ma è sicuro che il capo non aggiungerà condizionatori anche in magazzino. Maledizione. Aiuta il magazziniere in questione a spostare gli scatoloni della nuova merce, discute col capo logistica perché è una sorta di normalità farlo e si chiede quando riuscirà a trovare un attimo di pausa per respirare. Sarà anche passata solo un’ora dalla pausa pranzo, ma lui la percepisce come un’eternità di sfortuna (e lo giura, non ha mai rotto uno specchio in vita sua).
Ad un certo punto, durante il controllo della scheda di magazzino, Sean sopraggiunge al suo fianco e lo osserva lavorare.
«Cosa vuoi?» chiede Erik. Non ha pazienza per questo genere di cose.
«Stanno aprendo un nuovo negozio al terzo piano. Proprio ora degli operai stanno installando il necessario»
«Quindi sono riusciti a vendere quello spazio. Finalmente. E?»
«E cosa, Erik? Gira voce che sia anch’esso un negozio di elettronica, è la concorrenza». Erik alza gli occhi dalle schede e lo guarda.
«I nostri clienti sono fidelizzati» scrolla le spalle, «non c’è nulla di cui preoccuparsi».
«Forse Charles, ma negli ultimi tempi stiamo perdendo colpi. Dobbiamo rinnovarci anche noi» borbotta e gesticola ed Erik si chiede sinceramente perché Sean si preoccupi così tanto per la Magnus, quando appena avrà terminato i suoi studi abbandonerà il posto di lavoro per quello dei suoi sogni. «Dobbiamo stare al passo con la moda del momento, e non solo nel campo dei telefoni cellulari»
«Okay, capisco, ma non dovresti parlarne con me» dice, indicando la strada che porta all’ufficio del capo. «Non prendo io le decisioni di marketing».
Sean alza le sopracciglia e sospira: «Sappiamo tutti che tu sei un megalomane ed ottieni sempre quel che vuoi, Erik, e in più sei il primo della lista per ottenere la poltrona di dirigente. Se porti avanti tu la proposta, di sicuro ti ascolteranno. Com’è successo col reparto musica» ricorda.
Prima che Erik possa replicare, Sean gli fa segno di tacere e continua: «Comunque si vocifera che sia una famosa filiale, probabilmente la Hellfire. Siamo nei guai, Erik» e detto questo si allontana e torna in negozio. Erik rimane con lo sguardo fermo sulla porta di uscita, chiedendosi come e perché.
_
 
Tornato nello spazio confortevole del suo appartamento, i pensieri di Erik tornano ad ammucchiarsi sul suo cellulare e, più precisamente, su Charles. Non gli ha ancora scritto e onestamente non sa che cosa dire, ma non volendo passare una serata promettente con un nodo in gola, Erik si affretta ad aprire una nuova chat e a scrivergli:
 
Ehi, sono Erik, il ragazzo del negozio al centro commerciale.
 
Erik si alza e va a tirar fuori dal frigo una birra fresca. Quando ritorna sul divano e afferra il telecomando, si accorge della spia luminosa del proprio cellulare, che lo avvisa di aver ricevuto una risposta.
 
Oh, Erik! Pensavo di aver deluso tutte le tue aspettative durante la nostra partita a scacchi,
e che non mi avresti più contattato.

 
 
Per nulla. Mi sono divertito, ma il lavoro mi ha tenuto un po’ impegnato.
 
 
Comprendo perfettamente. Purtroppo ora non posso restare a parlare, un mio caro amico
ha appena compiuto una scoperta entusiasmante nel suo campo e stiamo festeggiando.
Mi dispiace.

 
 
Nessun problema. Scusa, non volevo disturbarti.
 
 
No! Non è stato un disturbo. Anzi. Mi ha fatto piacere sentirti, davvero.
 
 
Qualche volta potremmo fare un’altra partita a scacchi, allora.
Sei un ottimo stratega, amico mio.
 
 
Mai quanto te.
Ah, Erik, lo vorrei tanto, ad ogni modo. 

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Capitolo 5
*** Atto quinto. ***


Atto quinto.
 
Qualche settimana dopo, una folla di gente si accalca sulle scale mobili per raggiungere il terzo piano. Logan, Sean, Angel ed Erik sono fuori dal Magnus e guardano la fila smaltirsi piano piano.
«Perché così tante persone?» chiede Sean infastidito. «Non hanno ancora finito di allestire per bene il negozio»
«C’è un aperitivo» taglia corto Erik. «Il cibo attrae sempre».
La concorrenza si rivela essere l’Hellfire, come presupposto da Sean, e il loro assortimento sembra essere decisamente migliore e innovativo. Erik si è imposto di non salire al piano superiore a guardare coi propri occhi, ma nel momento in cui si trova a qualche passo dall’entrata del nuovo negozio si rende conto che la sua forza di volontà non vale nulla di fronte alla possibilità di un taglio di stipendio. Cercando di nascondersi fra la folla di persone affamate, dà un’occhiata in giro. L’Hellfire è freddo ma elegante. La disposizione degli scaffali è studiata con accuratezza e lo spazio della stanza sembra molto più grande di quanto in realtà non sia. Erik si ritrova a pensare che presto perderà il lavoro se il suo capo non si muove a cambiare quel grigio topo che colora le pareti del Magnus.
Sospirando, si gira per uscire, ma una donna dai capelli biondi e vestita di bianco gli si para di fronte. Emma Frost, dice il cartellino appuntato sul suo petto, vice direttore. Erik tenta di scansarla e quasi ci riesce se non fosse per la mano di un uomo che gli afferra la spalla e lo immobilizza.
«Magnus» soffia sorridendo. Sebastian Shaw, legge Erik e, wow, ha appena incontrato il direttore e ora la sua faccia sarà ricordata come quella dell’intruso.
«È qui per spiarci» dice Frost seria. Erik rimane impassibile nella sua maglia grigia (che dovrebbe ricordare il metallo, sospetta, ma fa pensare alle giornate di pioggia), lo sguardo freddo e la bocca serrata.
«Oh no, piccola mia, non è così che accogliamo i nostri clienti» biascica Shaw, allungandosi verso la donna e mostrandogli un sorriso a trentadue denti. «Erik Lehnsherr, spero tu abbia apprezzato il nostro arredamento» l’uomo si gratta la guancia, pensieroso. «Mi piace l’iniziativa che hai preso. Quando il tuo negozietto da quattro soldi chiuderà, puoi passare da me, sarei felice di offrirti un lavoro qui» e, davvero, Erik non aveva già detto di avere una pazienza precaria? È normale che le sue nocche sbianchino quando le mani gli si chiudono in due pugni serrati e che lo sguardo si faccia pericoloso.
Ora, esiste una percentuale molto bassa nella quale Erik li ignorerà e con molta diplomazia se ne andrà, dimenticando l’accaduto. Ed esiste una percentuale molto più consistente che attesta il modo in cui Erik inizierà una discussione quasi infantile, lì, su territorio nemico, con un uomo la cui faccia è, secondo lui, fatta apposta per essere presa a pugni.
La decisione è semplice, ma è la mano che gli si posa sul braccio ad essere complicata.
«Calmati, Erik» dice una voce al suo fianco. Charles.
Quindi, i fatti sono un po’ questi: a) l’arrivo di Charles non migliora le cose, b) è ancora più arrabbiato perché cosa ci fa Charles a questa inaugurazione e c) all’arrivo di un possibile cliente sia Frost che Shaw hanno deciso di non continuare lo spettacolo e se ne sono andati riluttanti.
Halle-fottutissima-lujah.
«Charles?»
«Erik»
«Che cosa ci fai qui», Charles arriccia le labbra, ma non è fastidio, sta solo tentando di non ridere. Quel maledetto.
«Hai paura che il tuo miglior cliente ti abbandoni?» ci scherza su ed Erik vorrebbe potergli dare un pugno, davvero.
«Sei il mio peggior cliente, a dirla tutta»
«Se lo dici tu, amico mio». Si allontanano dalla folla, dirigendosi verso le scale mobili in silenzio. Charles ha i capelli scompigliati, un rivolo di sudore che gli percorre il collo – ehi, ad Erik è solo caduto l’occhio, nient’altro – e un paio di occhiali da sole penzolanti dal taschino della camicia. Sembra in forma, il traditore.
«Ti ho consigliato il miglior televisore sul mercato, sai» tenta di farlo sentire in colpa.
«Ne sono consapevole. I film in 3D si vedono che sono una meraviglia»
«Allora perché-» Charles ferma le sue parole con un gesto volativo della mano. Erik ricorda una sola persona nella sua vita che sia riuscita a zittirlo, e quella persone era sua madre. Quindi un po’ si sorprende di se stesso quando serra le labbra, lasciando parlare il presunto traditore.
«Ero venuto a cercarti» incomincia. Incuriosito, Erik gira busto nella sua direzione, trovandosi così il volto di Charles a pochi centimetri dal suo viso. Non aveva mai notato tutte quelle lentiggini, prima. Charles si porta le braccia al petto e lo guarda come se Erik avesse appena investito una vecchietta. «Non c’eri»
«No»
«Non è l’orario in cui sei in pausa»
«Sai le mie pause?» domanda allarmato, ma Charles allontana di nuovo la domanda con un’arricciatura infastidita del naso.
«Erik, non puoi lasciare il lavoro per andare a litigare con la concorrenza. Cosa insegni a Sean, ad Angel?»
«Cosa?»
«Sei la loro figura paterna»
«Ripeto: cosa?», Charles alza gli occhi al cielo e compie un salto per arrivare prima alla fine della scala. «Non sono bambini, sai?» gli dice Erik. Lo sapeva che Charles aveva qualche predisposizione paterna, ma non pensava che si estendesse così tanto. La cosa lo fa sorridere.
«Comunque, ero venuto per invitarti alla mia festa».
 
_
 
La “festa” di Charles si scopre essere una sorta di cena con buffet per inaugurare il suo nuovo appartamento, e visto che la maggior parte della roba elettrica l’ha comprata da Erik, gli era sembrato giusto invitarlo. E perché non accettare? Sua madre potrebbe iniziare ad essere fiera di lui se incomincia ad andare alle feste, a farsi degli amici, a non passare i weekend guardando Back to the future (che è un capolavoro, sia chiaro).
Quindi è sabato, poco dopo le otto di sera, fa così caldo che qualche metro prima ad Erik era sembrato di vedere un ragazzino crollare dal suo skateboard e lasciarsi cuocere al sole come un hamburger – perché è meglio morire d’hamburger, che restare in casa a mettere a posto la propria stanza. Lo può capire, poverino, aveva vissuto le stesse cose prima di trovare la propria scarsa indipendenza.
Ad ogni modo, il palazzo di Charles è grazioso, prorompente ed ha delle balconate da far girare la testa. Il suo nome spicca sopra tutti gli altri sul citofono. Erik pressa il bottonicino e attende.
«Sì?» arriva la voce metallica di Charles.
«Sono Erik»
«Oh, Sali!»
Sono sette piani di ascensore e un corridoio che lo indirizza all’ultima porta in fondo a sinistra. Erik percorre la distanza che lo separa dalla porta aperta a grandi passi; pochi attimi e si ritrova la faccia tonda e luminosa di Charles davanti agli occhi.
«Erik! Hai deciso di venire!»
«Così pare»
L’appartamento è ben arredato ed elegante. La sala è un enorme spazio illuminato dall’immensa vetrata che porta al balcone, ed è separata dalla cucina grazie ad uno scalino. È confortante, in qualche modo, e piacevole.
«Stiamo ancora mettendo a posto» gli fa osservare Charles, un po’ imbarazzato per gli scatoloni aperti di fronte ad una libreria. «Raven è sempre stata lenta in questo genere di cose». Un cuscino s’innalza all’improvviso dal divano e va a colpire sul petto Charles, che arrossisce e mormora qualcosa come “Non davanti agli ospiti, Raven”.
«Dove sono tutti gli altri» chiede Erik salutando la ragazza che lo raggiunge velocemente.
«Quali altri?» sbuffa quest’ultima, «Io sono l’unica amica di Charles, Hank a parte; ma Hank è sempre rinchiuso nel suo laboratorio»
«Oh, grazie tante» sibila Charles. Erik nota come le sue guance siano diventate purpuree durante lo scambio di battute.
Riscaldano una pizza per cena, ci sono tramezzini e persino una torta per concludere. Erik non ama molto andare ai party, ma sospetta che siano molto diversi da quello che stanno facendo ora.
«Potevamo andare in un bar» si lamenta Raven, mentre legge la trama di un film su Netflix, «ma Charles aveva paura di ubriacarsi e fare brutta impressione» al che Erik non può che sbuffare e nascondere un sorriso. Charles lo colpisce con un pugno sul braccio e lancia un’ennesima occhiataccia alla sorella.
«Così è molto più carino, no?» commenta, azzannando una fetta di torta.
Raven decide per una commedia romantica, infine. È stupidamente divertente, ma Erik non lo ammetterà mai. Charles invece non nasconde affatto quanto gli piaccia e ride come se ogni battuta fosse essenzialmente la cosa più simpatica che lui abbia mai sentito. È strano, eppure ad Erik non dà fastidio.
Passa un’ora e Raven, piena com’è, si addormenta placidamente sulla sua poltrona, lasciando Erik e Charles seduti sul divano a debita distanza. Questo finché Charles non utilizza la scusa di doversi avvicinare al suo angolo per poter scattare meglio una foto compromettente di Raven, e dopodiché non torna al suo posto, felice di se stesso. Erik rotea gli occhi verso l’alto e si appresta a mangiare la sua seconda fetta di torta.
«Grazia» mormora piano Charles a fine serata, vicino allo stipite della porta. «I tuoi commenti del film erano la cosa migliore» ammette. Erik lo saluta con un cenno della testa e va a casa.
Appena torna nell’appartamento prende una tela, amalgama i colori e dipinge. 

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Capitolo 6
*** Atto sesto. ***


Atto sesto.
 
Siccome la pausa pranzo di Erik non è eterna, e siccome uscire dal fresco conforto procurato dalle mura che lo circondano e lo proteggono dai raggi solari sarebbe una follia, il luogo che più gli fa comodo per trascorrere i sostanziali quarantacinque minuti di pace è il fast-food a qualche piano più in su. Durante gli anni persi lavorando al Magnus, Erik deve ammettere di essersi arbitrariamente affezionato ai mezzogiorni trascorsi nello schifo dei cibi fritti e potenzialmente cancerogeni. Un po’ come ci sia affeziona, volente o nolente, a quel componente di un gruppo di amici che impellente nutre il bisogno di dover raccontare una battuta («Ehi, ma l’avete mai sentita questa?») che farà ridere solo chi è affetto da un grande senso di pietà nei suoi confronti. Ossia, non di certo Erik. Ad ogni modo, il fast-food è divenuto nel tempo un compagno primario e pressoché essenziale nella sua quotidianità. Erik giunge al lavoro, saluta chi è obbligato a salutare, lancia qualche insulto in direzione di Logan (se questo passaggio salta Erik è certo che sarà una brutta giornata per i suoi nervi), lavora – occasionalmente; se proprio è richiesta la sua presenza – e infine si rilassa con delle patatine chiaramente affogate nell’olio e un buon panino dalle fattezze vomitevoli ma che nella foto appariva come il king dei panini, con la sua insalata perfetta e fresca e il pane di ottima consistenza. Uno schifo di bugia. Che cosa abbia la parola fast contro la parola sano è un mistero a cui Erik non è mai venuto a capo, comunque. Ma essendo lui un comune mortale, probabilmente non troverà mai la risposta alle sue domande. E se la trovasse forse diverrebbe milionario. Malgrado ciò una possibilità simile appare possibile tanto quanto l’eterosessualità associata al rapporto fra Chris Evans e RDJ; pressoché inesistente[1].
Ora, essendo evidente questo suo particolare e malsano amore, la reazione poco pacifica alla scoperta appena fatta è del tutto giustificata.
Erik sosta immobile con il portafoglio stretto fra le dita. Guarda davanti a sé ma non vede realmente. Nella sua mente balenano un ammontare indefinito di idee. Una in particolare, quella dove socchiude gli occhi, compie qualche falconata e intima a Sebastian Fottiti Shaw di togliersi di mezzo dal suo tavolo o se no dovrà vedersela con la magnum che tiene gelosamente custodita nel cassetto del comodino, è esattamente quello che sta per fare se non ci fosse Logan a trascinarlo per un braccio e strattonarlo verso il lato opposto del locale.
«Cerca di fare la persona decente,» gli dice lui. «Non puoi ammazzare un uomo perché è arrivato ad un tavolo cinque dannatissimi minuti prima di te, idiota»
«Tu uccideresti un uomo per molto meno. Scommetto che hai ucciso un uomo per molto meno» Logan, di tutta risposta, sorride sornione.
Di tutte le cose orribili che ad Erik sarebbero potute capitare, a) dover pranzare con Logan e b) dover rinunciare al confortevole tavolo vicino alla finestra sono di sicuro dei motivi buoni per decretare una giornata promettente oramai irrecuperabile.
 
_
 
 
C’è un momento, nella vita di ogni uomo, in cui
l’omicidio è un dovere. Persino sociale.

 
 
Erik, no.

 
Giuro che nasconderò le tracce.
Le autorità non scopriranno mai chi è stato.
 
Non preoccuparti, Charles, anche se mi arrestano di sicuro
ti permetteranno di portare una scacchiera in carcere.

 
Sei realmente l’idiota che sembravi di essere.

 
:^)

 
 
Da dove hai tirato fuori quella faccina.
 
E no. Non uccidere innocenti.

 
Nessuno che voglio uccidere è innocente.
 
Non lo capisci? Guardala meglio: :^)
Questo emoticon è il tuo gemello perduto.

 
 
Esattamente quale dettaglio mi accumunerebbe
a quello sgorbio?
 
No, aspetta, non dirlo!

 
Il naso :^)

 
 
Ti odio.
 
_
 
 
«Non consiste nessuna necessità che spieghi la tua presenza qui»
«Mi hai inviato dei segnali evidenti, Erik»
«Sì, si chiama ironia»
«Dalle storie che girano il tuo genere di ironia si trasforma in fretta in macabra realtà»
«Storie che-»
Da qualche parte in quelle battute, Erik è sicuro che il soggetto in questione che sparli di lui a Charles sia Sean. Sean è quel genere di adolescente il quale crede di poter far tanto il saputello per il solo fatto di aver ricevuto una A al compito di matematica il mese precedente. Sean è quel genere di adolescente che Erik rinchiuderebbe con estremo piacere in uno zoo per la propria sanità mentale. Sean è quel genere di ragazzo che ora sta alzando le mani e ridendo come un cretino. Erik si congratula con sé per aver scelto il Magnus come dannatissima buca nella quale infilarci la propria bara.
«Non ascoltare le cazzate che dicono». Charles scuote la testa e sorride. Erik si chiede sinceramente perché la sua vita sia la fotocopia del telefilm Chuck, senza che però sia presente una bella donna della CIA. Lui ha solo i cretini. Il pensiero è tutto fuorché confortante.
«Quindi, oltre a derubarti di una buona percentuale di clientela e perciò di fatturato, il direttore dell’Hellfire si è anche permesso di entrare in un fast-food e sedersi»
«Il mio fast-food» precisa Erik.
«Se fosse stato tuo avresti potuto cacciarlo»
«Lo stavo per fare. Una certa montagna piena di peli ha creduto fosse meglio fermarmi». Al che Logan compare da dietro a degli scaffali sollevando un sopracciglio e mimandogli sulle labbra un «Sei un pezzo di idiota» o qualcosa del genere. ‘Fanculo. Probabilmente dovrebbe lamentarsi di lui col capo e farlo licenziare una volta per tutte.
«Hai assunto il volto da stratega omicida» gli dice Charles con un' impronta d’esasperazione nella voce. Erik sorride. «Ed ora sei tale e quale allo squalo di Nemo»
«A ognuno i suoi privilegi».
 
_
 
 
La lettura di Charles del giorno è: Che specie di uccello ha fatto quella? Guida per automobilisti per individuare alcuni volatili comuni del nord America[2]. E sulla copertina: due tizi seduti in macchina che guardano una cacca di uccello spiaccicata sul parabrezza.
Erik, quel pomeriggio, è tutto un sarcasmo.
«Le filosofiche letture di un laureato ad Oxford» sogghigna verso Logan indicando Charles. Quest’ultimo, dall’alto del suo trono (composto da una sedia sgraffignata nell’ufficio del capo), prende l’adulta decisione di ignorarli. Peccato che come lezione di vita non funzioni.
«Non ti consiglio di continuarlo, bub» sorride meschino Logan, sempre rivolgendosi a un finto disattento Charles. «Quel libro è una vera e propria merda». Le risate di Angel colmano l’intero negozio. Al suo fianco Raven si piega sul bancone asciugandosi le lacrime dagli occhi. Charles non risponde. Charles storce il naso e se non fosse out of character di sicuro tirerebbe fuori la lingua. Charles è sinceramente interessato alle feci dei volatili.
«È una lettura puramente scientifica» si limita infine a dire, lanciando un’occhiataccia a tutti loro. Se non avete mai visto un uomo con una polo viola leggere un libro su come comprendere la dieta, le condizioni fisiche e lo stato dell’habitat di un uccello dalla sua cacca, allora non avete vissuto una vita degna di essere vissuta. Charles continua chiudendo con uno scatto il suo libro e alzandosi in piedi. «Ho il pomeriggio libero,» dice ad Erik, il quale ha appena concluso il suo turno. «Andiamo a farci un giro?»
«Davvero? Ti si è annullato il niente?» I ragazzi scoppiano di nuovo a ridere. Charles gli lancia addosso il libro. Erik sa di essere tanto cretino quanto i cretini che lo circondano.
 
*
 
A dreamsie, che è uno dei motivi per cui ho deciso di riprendere questa fic <3
 
[1] I press tour di Civil War sono così gay che io non.
[2] Di Peter Hansard & Burton Silver

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Capitolo 7
*** Atto settimo. ***


Atto settimo.

Charles Francis Xavier, Charles per gli amici e Chuck per quelle persone tanto infami – leggasi un certo Logan – da dover storpiare un nome tanto regale, è un uomo di rifiniture incredibilmente strane. Charles Francis Xavier siede in un bar un pomeriggio di un’estate afosa e ordina del thè caldo. E una fetta di torta di carote, per cortesia. Col sorriso largo e le fossette sulle guance vermiglie. È quel genere di uomo che si sporge verso la cameriera e la guarda come se fosse l’unica creatura di reale importanza mai apparsa sul pianeta terra, per poi voltare la sua concentrazione su di te, povero accompagnatore consumato da inglesi stereotipati, come se fossi tu il pezzo mancante della sua anima. Ed Erik non è più certo di nulla nella sua vita. A questo punto dovrebbe chiamare sua madre e chiedere un parere e lei, da donna saggia che di saggezza ha fatto la sua reputazione, gli direbbe di fuggire, lasciare a sé quel genere di errori e di trovarsi una buona ragazza ebrea, o un buon uomo ebreo, chiunque, basta che s’inclini senza fiatare alle tradizioni di famiglia.
Erik continua imperterrito ad assimilare dalla propria cannuccia la Coca-Cola ghiacciata e non dice niente. Charles, finto cieco o semplicemente disinteressato, non nota la sua momentanea assenza nella conversazione e sventolando mani di qua e di là continua imperterrito la sua teoria sul prossimo stadio evolutivo del genere umano. Aggiunge un Hank lì e un Hank là quando capita, qualcosa come un gene X e un sacco di roba che ad Erik interessa, eccome, solo che se andasse un poco più piano sarebbe di enorme utilità, poi si ferma, lo guarda dritto negli occhi, si inumidisce un labbro e chiede: «Tutto bene, Erik?»
«Perfettamente perfetto»
«Tuttavia mi appari perfettamente fuori schema. L’Erik Lehnsherr che conosco io è un uomo che di parole ne ha sempre fin troppe, anche quando farebbe bene a stare in silenzio»
«Solo perché questo tale, questo Erik Lehnsherr, non gradisce interrompere un monologo sulla storia dell’evoluzione umana e sulle possibili diramazione che quella strada prenderà, non significa che debba esserci un tassello fuori posto»
Charles alza un sopracciglio e sorseggia il suo thè. «Sarà,» dice, l’incertezza ben stampata nel tono di voce. «Non ti credo neanche un po’»
«Ci fosse mai una volta» scherza lui – che tanto uno scherzo poi non è.
Escono sotto il sole una mezzora più tardi. Con le mani in tasca passeggiano per Central Park e osservano una coppia di vecchietti lanciare del pane secco a delle anatre. Charles si domanda ad alta voce cosa sarà da vecchio, se per lui il cassetto dei sogni si sarà aperto allora oppure no.
«Il cassetto dei sogni?» chiede Erik con un mezzo sorriso stampato in volto.
«Sai, quel posto in cui tieni i tuoi desideri più agognati, amico mio»
«E quale sarebbe il tuo sogno, Charles»
Charles alza gli occhi nella sua direzione. Sta per dire qualcosa ma s’interrompe l’attimo dopo. Erik crede di vedere uno sguardo triste, tuttavia decide di distogliere l’attenzione.
«In parte speranze più o meno possibili, in parte desideri tanto sbagliati che sarebbe meglio non apostrofarli» dice infine. Entrambi non aggiungono altro finché non intravedono la casa degli scacchi.
 
_
 

«Non sono alcolista, sono inglese» Erik alza la testa e lo guarda negli occhi; le mani tengono ancora aperto il comodino degli alcolici erroneamente scovato. Solleva un sopracciglio e sfila da uno scaffale una bottiglia di scotch consumata a metà, seguita da un martini, da del vino, da alcune boccette di whisky.
«Non è nulla di che,» continua Charles imperterrito. Raven sceglie quell’esatto momento per sbucare fuori dalla sua camera e osservare entrambi con un cipiglio incuriosito. Vede Erik giocherellare con le bottiglie e mette su un sorriso tutto suo.
«Vedo che ha scoperto il tuo piccolo segreto,» dice, «il suo thè è sempre corretto»
«Mi pare che questa conversazione sia assolutamente fuori luogo,» alza una mano davanti a sé Charles. «Ho invitato qui Erik per cenare, non per accusare il mio rispettabile stile di vita»
«Rispettabile tanto quanto quello di Frank Gallagher in Shameless» sorride Erik.
«Erik,» Charles si volta per afferrare da un cassetto le posate e riporle sulla tavola, «sei un idiota praticamente per tutta la settimana, non potresti prenderti un giorno di pausa?»
Erik continua a sorridere. Charles gonfia le guance e ignora le risate di Raven alle sue spalle.
Mentre mangiano fanno un teatrino bizzarro, visti in prospettiva. Erik si rende conto che è da mesi che non si sente parte di qualcosa, una vita intera che non ha affetti tranne i suoi genitori. O Magda; un tempo c’era stata Magda, poi più nulla di serio. Osserva Charles lanciare uno sguardo di rimprovero a Raven e sente la mancanza di una casa, di una famiglia. Quella stessa sera dice a Charles che può bere quanto alcool crede di aver bisogno, ma che per raggiungere i sogni che tiene in quel stramaledetto cassetto deve smetterla di stare col culo in poltrona. Charles aggrinzisce la fronte.
«Non riesco a dormire la notte,» dice dopo diversi secondi trascorsi nel silenzio. «Una bottiglia di scotch è l’unica cosa che funziona per farmi prendere sonno».
Erik lo guarda uscire fuori in balcone e alzare il capo al cielo. Rimane fermo ad osservarlo per alcuni minuti, poi prende le sue cose ed esce dall’appartamento.
 
_
 

Una settimana più tardi Erik tira fuori di tasca le proprie chiavi della macchina e le sventola di fronte al naso di Charles. Charles le afferra con aria esasperata e le guarda male.
«Cosa significa?»
«Significa vacanze,» risponde Erik.

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Capitolo 8
*** Atto ottavo. ***


Atto ottavo.


Pomeriggio. Una donna che avrà sì e no sessant'anni e mezzo entra con in mano un computer portatile, di quelli che si vendono ai mercatini dell'usato e come sistema operativo utilizzano ancora Windows XP. Di per sé, Erik trova stranamente divertente – nel senso per cui si chiede se Dio sia un sadico nei suoi confronti, – quando questo genere di situazioni accadono e lui è l'addetto lamentele & problemi impossibili da risolvere. In queste situazioni il consiglio è bruciare il mostro che il cliente si ostina ancora ad usare per dimostrare che comunque ai suoi tempi tutto funzionava meglio; sì, bruciarlo e liberare il mondo da tale peso malefico, e poi comprare un computer vero, di grazia. La donna poggia le mani sui fianchi e sbuffa: «Non sono neanche otto anni che ce l'ho questo computer e già si rompe. Ladri, siete dei ladri» Erik nemmeno ci lavorava al Magnus otto anni fa. Erik non aveva nessuna intenzione di lavorarci, otto anni fa. Questa donna sa dove potrebbe inficcarseli, gli otto anni?
«Purtroppo questo sistema operativo è vecchio, signora. Molto vecchio. Davvero vecchio. E non solo, anche il suo computer ormai ha sorpassato la pensione. Da tomba, insomma. Dovrebbe comprarne uno nuovo. Ne vendiamo alcuni ad un prezzo ragionevole che farebbero proprio al caso suo». La vecchia si sporge oltre il bancone e poggia il suo indice bitorzoluto sul petto di Erik. Erik ha l'improvvisa memoria della signora Ziegler che si alza prepotentemente dal tavolo al cenone dell'hanukkah di sedici anni prima, strillando che il suo Lùbia bel kammùn non manca di sale e: «Edie, tuo figlio è un ingrato!». La vecchia, tuttavia, non urla, assottiglia gli occhi e increspa le sopracciglia.
«Non mi parli con quel tono da sapientone» dice.
«Lungi da me» risponde Erik.
«La pago per fare il suo lavoro e perciò risolva il problema»
La mente umana è pura magia ad intelletto zero.
«No, signora,» rincara Erik, «le ripeto che ciò non è possibile. Il suo pc è vecchio, non funziona. Mai più funzionerà»
«Ecco, lo sta facendo di nuovo! Secondo lei io sono troppo datata per capirci seriamente qualcosa e dunque mi tratta con condiscendenza e tenta di vendermi uno dei suoi arnesi nella speranza di essere eletto dipendente dell'anno. Io lo so cosa sta facendo, io lo so» La donna sposta il peso da un piede all'altro, muove in asincrono le sopracciglia, s'inumidisce le labbra; poi spara ancora: «E mo' voglio parlare col suo capo. Immediatamente»
«Non ne vale la pena, signora» Erik mette su uno di quei sorrisi che Charles definirebbe da serial killer. «Le ripeto che purtroppo, a dispetto della pulizia che potrei compiere in questo portatile, tra qualche giorno riscontrerebbe gli stessi errori. Lei può anche non comprarlo un nuovo pc, ma questo ben presto esalerà il suo ultimo bip»
«Ah, e adesso fa pure il saputello»
«Per nulla,» risponde Erik col tono più pacato che riesce a recuperare da un sé che sta quasi per salpare con la nave del frustrato cronico, «glielo dico perché ho una laurea certificata, perché guardando questo pc che nonostante sia stato acceso venti minuti, ancora deve caricare le icone sul desktop, ecco, in virtù di ciò posso affermarle che il suo computer mai più riuscirà ad aprire un browser. Io potrei anche soddisfarla, ma l'analisi non cesserà di essere: butti 'sto catorcio e si compri altro».
La signora barra l'unica strega che non è stata acchiappata dall'Inquisizione nel seicento si appresta a negare un suo qualunque cedimento di fronte a tecniche di vendita, le quali puntano a svuotarle il conto in banca e nient'altro. Erik si appresta a spaccarsi la testa contro quel maledetto personal computer, che al momento è riuscito a sfiatare fuori l'immagine logo del desktop di Windows.

Erik, quel pomeriggio, vende macchinette per il caffè. C'è una sorta di promozione che il negozio vuole fare, e giacché Erik ha richiesto una settimana di vacanza a partire da quel fine venerdì, è sembrato giusto al suo capo rifilargli il lavoro più denigrante che ci sia.
Quello che Erik sa delle macchinette per il caffè risale a tre mesi fa, quando sua madre gliene regalò una per il solo gusto di farlo e «Ormai le caffettiere sono passate di moda». Dunque, la sua ampia conoscenza è “ci metti dentro la capsula e questa ti fa il nettare degli dei in un quinto del tempo che ci voleva prima”; di emulsione a latte integrato & eleganza raffinata, non può che fregargli nulla. Quindi capisce benissimo il cromosoma Y che varca la porta del negozio accompagnato da neo moglie invaghita di qualche modello elegante che costerà al poveraccio un occhio ed entrambe le gambe, capisce la schiena curva, l'accenno di lacrime, lo sguardo implorante: “c'ho un mutuo da pagare, non darle corda”, capisce e ovviamente ignora le suppliche di aiuto.
La vecchia aveva ragione: tecniche di vendita diaboliche al fine di derubare clienti senza dignità.

Mancano ancora ben trenta minuti alla fine del suo turno. Alla fine dell'Inferno. A lui che fa le valige e parte con Charles e sorella annessa per una vacanza ristoratrice.
Entra un cliente. Da solo. Inusuale.
Erik lo guarda districarsi fra gli scaffali e raccattare roba. Una cosa è strana, è tutto a forma di gatto. La penna USB; gli auricolari; il cronometro da forno... Il tizio si avvicina alla cassa e lancia la merce sul tavolo. Poi allunga verso Erik una custodia per cellulari, anche quella decorata con gattini tutti verdi.
Il tizio dice: «Questa è l'unica che avete?»
«No, abbiamo anche altri colori, se vuole vado in magazzino e-» l'uomo si piega e tira fuori dalla tasca del pantalone il cellulare.
«Ne cerchi uno che ci assomigli.» E mostra ad Erik la foto di un gatto color carota.

Anno duemilasedici, ore 18:00, l'umanità non ha ancora sviluppato un accenno di intelligenza, Erik Lehnsherr non crede che accadrà tanto presto.

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