Li vuoi i biglietti?

di Calya_16
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'arrivo in città ***
Capitolo 2: *** La roulotte ***
Capitolo 3: *** Fuoco e fiamme ***
Capitolo 4: *** Ritrovamenti ***
Capitolo 5: *** Preparativi ***
Capitolo 6: *** Si va ***
Capitolo 7: *** Il Grande Spettacolo ***



Capitolo 1
*** L'arrivo in città ***


Quello che vedete laggiù era un piccolo villaggio, poi un paesino, un paese ed infine è come lo vedete adesso: una piccola cittadina che sta cominciando a prosperare. La guerra è finita ma la crisi del ’29 ha comunque abbattuto tutti, in ogni caso.
Però qui potete ancora osservare i bambini che ridono e corrono spensierati e gli adulti che sorridendo li seguono da dietro. Sono passati solo due anni dalla crisi ma pochi, in questa cittadina, sembrano averla avvertita. Perché? Forse perché aleggia una strana aria su tutto, in questo luogo. Ed avvicinandoci ancora possiamo notare come la sua struttura urbanistica si sviluppi a spirale, come a voler risucchiare un attento osservatore. Sempre più verso il punto centrale del vortice: la piazza. Lì vi è il municipio, i negozi, le taverne, un ostello e due alberghi, senza contare il verde che fa da cornice a tutti gli edifici. Chi abita sulla piazza non si lamenta del frastuono, anzi, a volte chi abita un po’ fuori vorrebbe un po’ di vita, vorrebbe avere la stessa musica che vi è in piazza la notte, in certi periodi.
Ed è proprio questo uno di quei periodi: è appena giunto in città il circo! Gli abitanti di questa cittadina adorano i circhi e le carovane che ne seguono. Sono ospitali verso tutti e li divertono gli spettacoli.
Ma questo circo è particolare, non come tutti gli altri. Ma gli abitanti non ci fanno neanche caso, ed ogni sorriso regalato diventa un giorno in più verso la fine della gioia per la cittadina.
Svoltando lungo strade diverse, allontanandosi dalla piazza, ecco che ci si può trovare lungo un viale immenso, con alti alberi che ne risalgono i lati. Le macchine passano tranquille e sui marciapiedi la gente cammina guardando l’autunno che si avvicina. E proprio vicino a una coppia di anziani vi è un ragazzino, in vestiti anni ’30 - con i pantaloni marroni e la camicia arrotolata sulle braccia leggermente più chiara, mentre le bretelle logore stanno su a fatica - che volteggia tra una coppia e l’altra, tra gruppi di persone e solitari lavoratori. In mano ha tanti biglietti, grossi plichi: i biglietti del circo. Sul volto ha un’espressione furba, quasi maliziosa. Eppure la gente non vi da peso, gli sorride di rimando e tutti ridono ai suoi modi di fare e alle sue battute.
Al passaggio di un gruppo di ragazze, in tenuta da scuola – con le grigie gonne e le calze fino al ginocchio, incorniciate da un elegante bordo ocra, che riveste anche i lacci delle scarpette e la sciarpa leggera che portano al collo, sopra la camicetta grigia a mezze maniche – il bambino vi si tuffa in mezzo, facendole fermare e ridere. Queste ragazze si aprono a cerchio ed osservano divertite il bambino, che comincia a passare biglietti a caso, passando da una parte all’altra del perfetto cerchio senza sosta.
Anche la loro educatrice si ferma, ma dopo un po’ incita alle scolare di andare, non devono fare ritardo! Le ragazze, leggermente tristi poiché devono abbandonare il simpatico bambino, lo salutano tutte in coro. Mentre passano, rompendo il cerchio, il bambino lancia in aria altri biglietti, facendo ridere nuovamente tutti, compresi i passanti. Qualche scolara alza la mano per prendere dei biglietti, sventolandoli poi sopra il capo, sorridente.
Le ragazze passano e dietro di loro gli ultimi volantini cadono a terra, svolazzando. Uno di questi si lascia trasportare dal vento e si va a posare su di una panchina; qui è seduta una donna con una lunga gonna marrone, che tiene in mano molti fogli, sui quali ci sono diverse calligrafie: i bambini della scuola elementare avevano appena fatto un compito in classe e poiché era una bella giornata la maestra aveva deciso di restare fuori a correggerli. Lascia scorrere le lunghe dita affusolate sulle pagine scritte, corrucciando appena la fronte quando riscontra degli errori. Non si stupiva più di tanto, ormai: erano già cinque anni che insegnava e aveva visto errori ben maggiori.
Il piccolo pezzo di carta stampato a poco prezzo dal circo le si posa vicino e lei subito se ne accorge, come se un’indesiderata persona le si fosse seduta accanto e avesse cominciato a fissarla.
Gira leggermente il capo, scrutando torva il pezzettino di carta. Allunga la mano e comincia ad analizzarlo, rigirandolo più e più volte: non trova niente di anomalo e così se lo mette in borsa, decidendo di leggerlo meglio a casa.
Raduna i compiti dei suoi allievi e dopo essersi lisciata la gonna si alza e si avvia verso casa, poiché uno strano vento ha cominciato a salire. Essendo nuova si guarda attorno e nota una stradina che fino alle poche settimane prima, in cui si era trasferita lì, non aveva notato: decide così di imboccarla, ma appena poco dopo averne superato la metà, il vicolo si fa stranamente freddo e buio: in fondo, la donna scorge una piccola sagoma che si avvicina, che sibila cose senza senso a qualcosa che tiene in mano ed ogni tanto si porta all’orecchio, come per ascoltare.
La maestra si blocca e si stringe sempre più forte al petto i compiti dei suoi piccoli allievi, mentre la figura si avvicina, apparentemente senza aver notato la presenza della donna. Ma a quasi due metri da lei solleva il capo e allora sorride: il sole torna a risplendere nel vicolo, facendo tornare anche quel po’ di caldo che rimane della stagione passata.
- Salve signorina, posso lasciarle un biglietto per il circo? Siamo appena giunti in città e vorremmo far vedere le nostre meraviglie a tutti voi!
Esclama il bambino allargando sorridente le braccia, come a voler mostrare che la donna non deve aver paura di niente, non lo deve temere.
Ed improvvisamente, come la temperatura nel vicolo, anche l’umore della donna cambia: si rilassa, il suo volto si stende e diventa immensamente cordiale.
- Grazie piccolo. Verrò di sicuro a vedere il tuo circo. Sai, mi piacciono molto i circhi; e dimmi: avete anche leoni e altri animali feroci?
- Oh, di tutto, signorina. Davvero di tutto.
Quest’ultima frase viene accompagnata da un sorriso nero, freddo, ma la donna non se ne accorge, troppo presa ad osservare il biglietto del circo.
- Grazie. Ci vediamo al circo.
- Arrivederci signorina. Lo spettacolo sarà tra qualche sera.
Con questo scambio di battute i due prendono strade diverse e la donna se ne va serena, mentre il ragazzino torna sulle strade principali, finendo, per quel giorno, di distribuire volantini e sorrisi ingannevoli.
 

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Capitolo 2
*** La roulotte ***


La porta della roulotte si apre ed il ragazzino entra. Si gira e guarda fuori: aveva cominciato a piovere da poco, ma comunque, anche se già non vi era più nessuno in giro, controlla prima di chiudersi la porta alle spalle. Proprio nel momento in cui la porta scatta, il ragazzino smette di sorridere: il suo volto diventa scuro, con profonde occhiaie nere sotto gli occhi, divenuti gialli. Le sue labbra si tingono di azzurro ed il resto della sua pelle di bianco, come se fosse rimasto troppo tempo fuori al freddo e si fosse congelato.
Da un angolo non molto lontano giunge una voce profonda che lo chiama:
- Vieni qua e raccontami com’è andata la giornata. Ne hai dati via molti?
Questa figura si sporge un poco per poter tirare una cordicella che si collega al soffitto: subito una debole luce giallastra inonda la piccola roulotte.
Volute di denso fumo nero escono dalla pipa dell’anziano, per poi andarsi a scontrare con il basso soffitto, creando una strana atmosfera di nebbia fitta.
Il ragazzino si avvicina, tranquillo, e si siede su di una sedia accanto al vecchio.
- Eccome se ne ho dati via molti! Ogni persona che incontravo ne prendeva come minimo due! Siamo capitati in un paese strano, te lo dico io: qui sono tutti troppo ospitali, e anche un po’ stupidi.
- Meglio, perché l’ultima volta non abbiamo mangiato molto, poiché qualcuno aveva scelto il villaggio sbagliato.
Boccata dalla pipa.
- CANAGLIE ISTRUITE E DIFFIDENTI!
Il vecchio sbatte ferocemente la pipa sul tavolo di legno grezzo.
- Ecco dove siamo finiti l’ultima volta per colpa di quel clown idiota! Ma adesso non ci darà più nessun fastidio, adesso decideranno solo quelli che sono qui da più tempo dove andare. Stavamo quasi per essere scoperti!
Il ragazzino lo osserva con interesse, posando delicatamente i pochi biglietti rimasti su di una mensola sopra al tavolo.
- Giusto, il clown che fine ha fatto?
Non poteva dire che a lui stava simpatico, suo nonno di sicuro lo avrebbe picchiato e mandato a passar la notte legato nel recinto dei maiali.
Il vecchio tira ancora poche boccate di fumo dalla pipa, per poi alzarsi ed aprire una finestrella, scrollando fuori il poco tabacco rimasto: subito le ceneri ancora accese si spengono a contatto con il suolo bagnato. Subito dopo si rigira e appoggiandosi al lavello dell’angolo cucina scruta, con il capo inclinato, il ragazzino.
- Bè, si era messo in testa di visitare un villaggio su a nord – non chiedermi per quale motivo – ed ingenuamente noi lo abbiamo accontentato, poiché qui siamo tutti una grande famiglia: si decide una volta a testa e gli altri non fanno obiezioni.
- Davvero funziona così nelle famiglie?
Il ragazzino si sporge un poco dalla sedia, interessato.
- Penso di sì, è da tanto che non frequento più le relazioni ed i sentimenti umani. Comunque, per tornare al nostro clown: arrivammo in questa cittadina, come ti ricorderai, e subito notammo che la gente non era ospitale come al solito, ci guardava come se sapesse, come se sentisse che avevamo qualcosa di diverso. Ma lui no, non se ne voleva andare. Voleva continuare a girare quel buco pieno di gente dall’aria altezzosa e con grandi cervelli. Questo mi portò a pensare che avessero sentito o letto di noi da qualche parte. Glielo comunicai, ma ancora non se ne volle andare. Voleva che facessimo almeno uno spettacolo. Però anche gli altri membri della nostra grande famiglia se n’erano accorti, di quell’aria strana: cominciavano ad avere paura, premevano per scappare; e minacciavano di abbandonare il circo. Di abbandonare noi, la loro unica famiglia! Gli unici che li capisce e che affronta con loro tutto! A quel punto la situazione divenne insostenibile: decidemmo di far credere al clown che lo spettacolo si sarebbe svolto secondo i piani, ma quando tu tornasti dopo l’ultimo pomeriggio in piazza, se ti ricordi, ti misi a letto e quando ti svegliasti eravamo in un altro posto, ma nuovamente salvi. Ecco, in quelle ore prendemmo le mazze più rudimentali che trovammo e cominciammo a prendere a bastonate il clown. Solo riguardando i segni, il sangue sul suo corpo, si sarebbe ricordato del suo tradimento e che non avrebbe mai dovuto far ritorno a questo circo! Lo tramortimmo, preso e buttato in una di quelle belle fogne in cui gli umani non mettono quasi mai piede. E’ un posto anche troppo decente, secondo me. Ma finalmente ce n’eravamo liberati, e così in pochi minuti prendemmo su il nostro tendone e scappammo. Ma gli abitanti avevano capito benissimo come andavano qua le cose, il tutto, e così ci tesero un’imboscata: appiccarono il fuoco tutt’attorno a noi, bloccando la carovana. Siamo riusciti a scappare per un pelo.
Il vecchio si rigira verso la finestra, stringendosi le braccia al petto (gesto stranamente innaturale per lui) e rabbrividendo. Il ragazzino continua a guardarlo con interesse, e si chiede cosa volesse mai dire quel gesto, quel piccolo brivido dopo quell’ultima frase.
Come se vedesse e capisse alla perfezione lo sguardo del nipote riflesso nel vetro della piccola finestra, il vecchio si gira.
- Lei era là. La Zingara. L’ho vista in mezzo agli umani che rideva. Non l’è bastato quello che già ci ha fatto, doveva anche assistere alla nostra distruzione senza fare niente. Ma adesso siamo qui al sicuro, e nessuno più disturberà la nostra tranquillità. Adesso vai a dormire, non ci rimangono molte energie dall’ultimo pasto.
Il ragazzino si alza dalla sedia e fa per andare in camera sua, quando gli arriva spontanea una domanda:
- Ma cosa ci ha fatto lei? Perché ne hai così paura?
- Un giorno te lo racconterò.
Si avvicina così al bambino e lo sovrasta con la sua mole.
- Ora vai a dormire, come ti ho detto, o ti aspetterà una notte insieme ai maiali.
Senza ribattere, il bambino china il capo ed entra nella sua camera. 

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Capitolo 3
*** Fuoco e fiamme ***


La maestra arriva a casa e chiude la porta a chiave. Si sente tranquilla e rilassata, così si cambia mettendosi la camicia da notte verde e poi scende in cantina. Qui tiene molti scatoloni radunati tutti in un angolo: vi sono dentro dei vinili. Si avvicina e comincia a cercare quello che può fare al caso suo.
Sposta pochi scatoloni e finalmente lo trova: un vecchio vinile appartenuto a sua madre che è riuscita a portare via dalle mani di suo fratello. Sorride e avvicinandoselo al cuore, torna al piano di sopra.
Pochi minuti dopo la musica invade dolcemente la casa e la maestra, canticchiando, si prepara la cena. Ma proprio quando sta per aprire il cassetto delle posate qualcosa attira la sua attenzione: il biglietto del circo.
Si avvicina e lo solleva, scrutandolo, passandoselo di mano in mano, guardandoci attraverso puntandolo contro la luce. Le era parso di scorgere qualche ammiccamento nei volti dei personaggi presenti, qualche movimento in quelle forme nere che danzavano nella parte centrale del biglietto; ma adesso erano ferme, esattamente nelle stesse posizioni di prima.
Scrollando le spalle entra nel salotto e posa il biglietto sul piccolo tavolino basso accanto al divano: aveva promesso al bambino che sarebbe andata al circo e non voleva sporcare il biglietto. Eppure adesso quell’incontro le risultava strano, come sfocato; come se non fosse mai avvenuto, ma allo stesso tempo non voleva tradire la parola data.
Torna così in cucina, con il volto appena corrucciato e riprende a cucinare.
 
In una casa non molto lontana, a solo un quartiere di distanza, una bambina sta andando a dormire, portandosi nella sua cameretta il biglietto del circo, contenta di poter vedere il suo primo spettacolo tra poche serate: ha sempre sognato di leoni e ballerini con vestiti dai mille colori; così come glielo descriveva sua nonna.
La piccolina si mette a letto e nasconde il biglietto sotto il cuscino, ben al sicuro dalle fauci del proprio cane, che proprio in quel momento entra nella cameretta seguito dalla madre.
- Dormi tesoro, ci vediamo domani mattina.
- Buonanotte mamma, buonanotte Puffolo.
Il cane lecca allegramente il volto della bambina, mentre questa ride, per poi girarsi in modo che la madre possa darle il solito bacio sulla guancia. Le arruffa poi un attimo i capelli e le sistema le coperte, richiamando infine il cane ed uscendo dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle.
Ma appena nella cameretta cala il buio, il biglietto sotto il cuscino si trasforma: le piccole figure nere che sembrano saltare, al centro del biglietto, cominciano a danzare in modo frenetico, sgraziatamente, scontrandosi tra loro e aumentando di giro in giro il ritmo, travolgendosi. Le fiamme che ne percorrono il bordo cominciano a risplendere e a bruciare le figure danzanti più esterne, che si contorcono come se stessero continuando la loro macabra danza. Infine vi è il leone sul lato del biglietto da staccare: sembra immobile, ma poi il suo muso comincia a screpolarsi, e al teschio rimangono attaccati solo piccoli brandelli di pelle. Questo comincia a ruggire ed il suo verso riempie la stanza.
La bambina si sveglia all’improvviso e siede sul letto, spaventata. Non sente più niente, ma quando cerca di ristendersi un altro urlo squarcia il silenzio, seguito da un altro, ed un altro ancora: tutte le figure danzanti hanno cominciato a bruciare ed adesso urlano insieme il loro dolore, mentre il cuscino della bambina comincia a prendere fuoco. Questa si mette a urlare, invocando la madre. Il cane abbaia appena fuori dalla porta ed il primo ad arrivare è il padre: cerca di entrare, ma la porta bianca non si apre.
 
Il vecchio guarda la porta della camera di suo nipote chiudersi e si avvia verso la propria misera camera. Una volta possedeva una bella casa, circondata da fiori, ed una moglie dai capelli bruni e gli occhi così scuri che ti ci potevi perdere.
Ora la sua casa è una vecchia roulotte ingiallita dal tempo ed un tendone da circo pieno di pezze vecchie di decenni.
Si sbatte la porta alle spalle e vi si appoggia contro, per poi cominciare a sentire la puzza di bruciato: il suo biglietto del circo è posato sul comodino. Vi si avvicina e lo guarda dall’alto.
Il suo biglietto non è come quelli che vengono distribuiti nei paesi, è speciale: lo avvisa quando qualcosa di buono – per loro -  sta succedendo.
Ogni membro del circo ne ha uno. “Chissà se anche gli altri lo stanno guardando” pensa il vecchio Jobs.
E proprio in quel momento una doppia luce verde s’intromette nel suo campo visivo:
era il segnale e quindi sì, qualcun altro lo aveva notato. Qualcun altro stava gioendo come lui.
Sorride e chiude gli occhi, inspirando profondamente, mentre l’odore di bruciato lo avvolge, e non vede l’ora di leggere i giornali del mattino.
 
Il padre comincia a battere sulla porta, mentre da sotto questa inizia ad uscire un leggero filo di fumo.
- Che sta succedendo? Cosa le sta succedendo?
Urla la madre disperata.
- Non lo so, non ne ho idea! Piccola…tesoro…aprici!
Urla il padre rivolto alla piccola bambina imprigionata nella propria stanza, senza smettere di batter pugni alla porta.
Dentro la piccola camera, la bambina scende dal letto impotente, continuando a chiamare i genitori ma contemporaneamente coprendosi le orecchie con le piccole manine per far cessare quelle urla strazianti che hanno cominciato a provenire dal suo letto.
Calde lacrime iniziano a solcarle il viso, mentre freneticamente cerca di calciar via i pupazzi nell’angolo più lontano della sua cameretta. Finita quest’operazione, si siede a terra e chiude la testa tra le gambe, chiudendo gli occhi e sperando di risvegliarsi nel proprio letto.
“E’ solo un incubo; un brutto incubo da cui presto mi sveglierò e poi potrò chiamare la mamma e tutto si sistemerà. Così mi lascerà dormire con Puffolo e non avrò più paura.”
Continuando a ripetersi queste parole non si accorge che il letto ha preso fuoco e le fiamme sembrano danzare verso di lei, divorando ogni cosa che ne ostacola il passaggio. Alza la testa dal suo torpore solo quando sente un calore troppo forte vicino a sé: sbarra gli occhi alla vista delle fiamme che si fanno fauci e cercano di morderla.
Urla e si alza velocemente in piedi, provando a scappare in diverse direzioni, ma le fiamme non le danno via di scampo.
Comincia a tossire e a girare la piccola testa in cerca della finestra che sua mamma lascia sempre un po’ aperta. La individua in tutto quel fumo e salta sulla scrivania, pronta a darsi un po’ di slancio per poi buttarsi nel giardino, rompendo il vetro della finestra.
Piega le piccole gambine e guarda fisso la finestra, mentre calde lacrime le solcano il viso.
Salta, e sta quasi per raggiungere la finestra, quando una fiamma le sbarra la strada. Il fuoco fa esplodere la finestra, così che i vetri vengano buttati nel giardino a risplendere dei colori delle fiamme. La bambina urla e cade a terra, mentre la sua mente comincia ad annebbiarsi, a causa del troppo fumo nella stanza.
Tossendo si rialza e vede la stanza immersa nelle fiamme. Prova a cercare un’altra via di fuga, ma oramai anche la sua vista comincia ad annebbiarsi: i contorni sono indefiniti, e tutto ha un colore strano, lontano. Si muove sulle piccole gambe incerte e riesce a raggiungere il letto, dove stranamente le fiamme si sono allontanate, sostenendosi in piedi ancora per poco.
Il fuoco ruggisce di nuovo e lei urla, per quel poco che le è concesso. Si issa sul letto e si rannicchia, cercando di prendere quel poco ossigeno rimasto.
Lentamente i suoni, gli odori ed il calore la lasciano, mentre stringe al petto il suo pupazzo tutto bruciacchiato, ed il suo piccolo viso, da bianco latte, si tinge di nero fuliggine.
E pochi minuti dopo l’ultimo respiro, le fiamme, oramai compiuto il loro dovere, si spengono, tornando a dormire nel piccolo biglietto da circo, sotto al cuscino, facendo esplodere in un’ultima fiammata il piccolo letto.
 
Il padre continua a bussare incessantemente contro la porta della camera della propria figlia, sentendola sempre più calda. La moglie è in un angolo a piangere, non sentendo più le urla della figlia, mentre il cane ringhia contro la porta.
All’improvviso, dopo una spallata tra le più deboli che avesse tirato, il padre riesce a far aprire la porta; entrando, nota subito la camera immersa nel fumo.
- Clara, chiama la polizia!
Urla alla moglie, ancora singhiozzante.
Questa si alza strofinando la spalla ed il braccio destro contro la parete, chiudendo gli occhi. Non vuole ancora avvicinarsi alla camera, ha troppa paura. Cammina verso il telefono rosso sul piccolo tavolino dell’ingresso e sembra vedere solo quello, mentre tutto il resto, i contorni, sono sfocati dalle lacrime. Alzando la cornetta, compone il numero, e la voce femminile che le risponde sembra giungere da molto lontano. Quasi non sente il messaggio iniziale che subito inizia a parlare, molto lentamente, con lo sguardo perso nel vuoto.
- Mia figlia…mia figlia era in camera e poi quel fumo…fumo che usciva dalla stanza. Forse servono i vigili del fuoco, io non lo so. Io non l’ho ancora…vista.
Rimane in silenzio un attimo, per poi dire l’indirizzo a fil di voce e riattaccare, senza aspettare risposta.
Proprio nel momento in cui posa la cornetta e sente il suo rosso urtarle la vista, comincia a sentire i singhiozzi e gli urli di suo marito.
Questo la scuote e si volta, correndo verso la cameretta: il fumo ha cominciato ad andarsene, per lasciare lo spettacolo ad una camera devastata dalle fiamme, con pupazzi a terra carbonizzati e legno bruciato, con la moquette che da blu è diventata nera e con…
Clara lancia un urlo e si piega involontariamente sulle proprie ginocchia, mentre le mani le corrono al viso, cercando di coprire la vista, ma intanto continuando a guardare il corpo carbonizzato della figlia.
 
Quando i pompieri e la polizia arrivano, i genitori sono ancora nella stanza, seduti a terra e con lo sguardo appena oltre il corpo della piccola bambina.
Il primo agente che entra subito si ferma sulla soglia, con gli occhi sbarrati: non riesce a capire da dove sia potuto partire quell’incendio, e come quella stanza abbia fatto a ridursi così per poi inghiottire le fiamme.
I pompieri spengono le ultime fiammelle e poi tutti passano ad esaminare la scena ed il piccolo corpo che dimora sul letto: la bambina è morta con gli occhi aperti, stringendo il proprio pupazzo al petto – ora i due sembrano esser stati attaccati fin dalla nascita a causa della pelle bruciata – ed una piccola manina appena sotto il cuscino. Il corpo è completamente carbonizzato, quel poco che rimane dei capelli sembra dargli l’aspetto del corpo di un vecchio, accentuato dalle piaghe sulla poca pelle appena intatta che rimane in faccia.
Dopo vari controlli e mentre l’ambulanza cura i genitori sotto shock, il corpo viene spostato. Delicatamente, la piccola manina che era appena sotto il cuscino viene estratta, ma subito si nota qualcosa di strano: le dita che stringevano un biglietto sono intatte, senza nessuna traccia di bruciatura, ed anche il biglietto che la piccola aveva cercato di stringere era intatto, perfettamente lucido come se fosse nuovo: un biglietto del circo.

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Capitolo 4
*** Ritrovamenti ***


BAMBINA BRUCIATA NELLA PROPRIA STANZA
La scorsa notte, nel quartiere residenziale del centro, è andata in fiamme la camera da letto della piccola Luise, 5 anni. A quanto pare la bambina, dopo essere andata a letto, ha appiccato accidentalmente fuoco alla propria stanza, senza però trovarne poi via di fuga e morendo bruciata sul proprio letto.
La polizia indaga e non fornisce ulteriori informazioni; mentre i genitori della piccola sono ancora sotto shock.
I vicini affermano di non aver sentito niente fino all’arrivo dei vigili del fuoco e della polizia, immediatamente seguiti da un’ambulanza.”
Questo è quanto riporta il giornale del mattino subito dopo l’incendio. Non una nota di più: le informazioni sono davvero poche, e così devono essere, continua a pensare il vecchio.
La porta della roulotte viene aperta violentemente e praticamente tutti i circensi lo trascinano fuori a forza, continuando a ridere e a urlare di gioia.
- Forza Jobs, festeggia con noi!
Un uomo alto, dai capelli scuri e ingellati, con folti baffi arricciati ed un’espressione furba, gli porge una piccola bottiglia di birra, mentre tutti gli altri attorno a lui sollevano le proprie ed urlano, per poi bere tutto d’un fiato.
Jobs beve un sorso, ma senza sentire niente, come al solito. Si chiede perché ogni volta festeggino, bevano, pur sapendo che la loro vera sete non verrà mai placata.
Li guarda, uno ad uno, e dentro di sé sorride, vedendo quei volti che con gli anni si sono uniti a lui; quei volti maledetti come il suo, che devono stare insieme per poter sopravvivere, ma insieme sono più forti di un esercito intero.
- Adesso basta, se volete festeggiare fatelo nel tendone principale, ma in modo tale che non vi sentano. Per questa cittadina non è una bella notizia.
Gli altri si fermano e lo guardano, cominciando a spostarsi verso il tendone blu e giallo, su cui sventola una grande bandiera rossa con delle fauci sopra.
L’uomo che prima gli aveva dato la birra gli mette il braccio attorno alle spalle e Jobs viene investito dal suo profumo di alto rango: una delle poche cose che quel dannato si concede.
- Dimmi Fred, come stanno i tuoi coltelli?
- Oh bene, bene, grazie! Sempre al sicuro e pronti!
Fred gli fa l’occhiolino e continua a condurlo verso il tendone. Ogni tanto Jobs sente come stanno le preziose creature di ogni componente del suo circo: per loro quegli oggetti particolari, che si scelgono, sono più importanti della vita stessa.
- Ti trovi bene qui con noi?
- Benissimo! Anche perché non posso tornare indietro. E non voglio.
Il sorriso sparisce dal volto di entrambi e con il silenzio che ne segue si dichiara conclusa la conversazione.
- Nonno, nonno! Mi sento benissimo oggi!
Il ragazzino corre verso il suo unico parente e gli sorride, con quel volto falso che porta davanti ai mortali. Fred lascia andare il vecchio e torna ad unirsi agli altri circensi, mentre Jobs osserva il nipote.
- Sei stato bravissimo ieri. Che ne diresti oggi di fare un altro giro in città? Tanto per far anche dimenticare quel “brutto incidente” avvenuto ieri sera.
Entrambi sghignazzano malignamente, mentre il bambino annuisce.
 
 
- Giornale del mattino! Giornale del mattino! Notizie di questa notte: bambina morta bruciata in casa propria. Comprate l’edizione del mattino!
Lo strillone continua ad urlare le stesse parole, interrompendosi solo quando qualcuno gli si avvicina, per posargli i soldi nel palmo sporco della mano.
Una giovane donna, con i capelli raccolti accuratamente dietro la testa in una treccia bionda, gli si avvicina e lo strillone smette di urlare.
- Un giornale, per favore.
Lo strillone posa a terra i giornali e cerca di pulirsi le mani lungo lo scuro cappotto leggermente logoro.
- Solo uno, signora?
- Si, solamente uno, grazie. Ed è signorina.
Gli sorride la donna. Lui si toglie il cappello e le fa un inchino, sorridendo. Si piega infine per estrarre il giornale quando lei interrompe brevemente i suoi movimenti.
- Anzi, faccia due. A scuola farà piacere averne una copia.
- Oh, lavora alla scuola? Non sarà mica lei la nuova insegnante di cui si parla?
La donna si mette scherzosamente la mano davanti alla bocca mentre un risolino le esce da questa.
- Ma che paese è mai questo? Vi conoscete proprio tutti e ogni nuovo arrivo è documentato.
- Una rara novità è sempre ben gradita. E questa volta è anche bella.
Lo strillone torna a prendere i due giornali e glieli porge, mentre lei finisce di estrarre la mano dalla tasca.
- Uno glielo regalo.
- Ma i suoi capi poi che le diranno?
- Che sto facendo un buon lavoro!
Lei gli sorride e lo ringrazia. Si salutano e lui torna ad urlare le sue parole, mentre la giovane insegnante si sistema i giornali sotto il braccio.
Il vento sventola pigramente gli angoli dei giornali e la treccia della maestra le ricade ogni tanto su di una spalla e poi sull’altra. Cammina senza pensieri lungo un viale, con il rumore dei suoi tacchi bassi ad annunciarla.
Si ferma a bordo di un marciapiede per poter salutare una propria collega, che proprio in quel momento sta passando su una delle poche macchine che si vedono in città.
Appena questa passa, la maestra riprende a camminare, ma si ferma poco dopo: alla sua destra vi è il vicolo dove il giorno prima un bambino le aveva lasciato un biglietto per il circo. Si ricorda qualcosa di strano, che l’aveva fatta esitare un momento: ma il particolare le sfugge, le ritorna solo quella sensazione, seppur breve, che le aveva dato i brividi ed una gran voglia di correre via, lontano da quel posto e da quel bambino.
Senza distogliere lo sguardo dal vicolo, adesso illuminato dal riflesso del sole, posa a terra i giornali e cerca nella borsetta appesa al braccio il biglietto. Lo trova praticamente subito e lo guarda: niente di strano, è solo uno dei soliti stravaganti biglietti delle carovane. Continua a fissarlo sperando che le torni in mente qualcosa, un perché di quella strana sensazione. “Che stupida idea” pensa mentre sposta lo sguardo dal biglietto al vicolo: e se lei passasse per il vicolo con il biglietto in mano?
Si guarda attorno e in fretta recupera i propri giornali da terra ed entra nel vicolo: freme dallo scoprire qualcosa, ma neppure lei sa cosa. Si ferma e si guarda attorno: non sente niente e niente le torna in mente. Si ricorda solo quel bambino che le sorrideva, le dava il biglietto e lei che gli prometteva che sarebbe andata a vedere lo spettacolo. Ma c’era qualcos’altro, e lei lo sapeva.
Rimane lì per pochi altri minuti, poi sospirando scuote il capo e si avvia nuovamente verso la scuola.
“Sapevo che era una cosa ridicola. Sarà stata solo una mia impressione; non devo pensarci più”.
Giunta a scuola raggiunge gli altri suoi colleghi nella piccola sala professori, arredata con pochi ma comodi mobili: due divani l’uno di fronte all’altro, un semplice tavolino basso su cui venivano posati fogli e registri, un armadio di legno duro ed un lungo tavolo circondato da tante sedie quanto sono gli insegnanti.
- Buongiorno a tutti! Vi ho preso una copia del giornale.
Dice posando il blocco di fogli sul basso tavolino.
- Buongiorno a te, cara. Grazie mille.
Una delle sue colleghe più anziane si porta subito a leggerlo, mentre la ringrazia.
- Cos’hai lì, Caterina?
Un’altra le rivolge la parola, indicando la sua mano destra. Caterina abbassa lo sguardo e vede che stringe ancora il biglietto.
- Oh, è solo un biglietto del circo.
Sorride sventolandolo e mettendolo poi in fretta in borsa, chiudendola con un gesto deciso.
- Vorrei andarci con il mio fidanzato.
Le risponde l’altra giovane.
- Faresti solo bene. Io invece sono troppo vecchia per queste cose.
L’anziana continua a sfogliare il giornale mentre segue la conversazione e vi prende parte. Caterina la scruta e poi le risponde:
- Io ho un altro biglietto, possiamo andarci insieme.
- Davvero cara? Non sarebbe un problema per te accompagnare una vecchia maestra ad una serata di piacevole divertimento?
Caterina ride.
- Per niente, affatto. Anzi, sarebbe l’occasione giusta per conoscerci meglio.
- E per integrarti un po’ con la nostra cittadina. Sai, ci sono certi uomini che non sono per niente male.
La giovane le fa l’occhiolino mentre finisce di pronunciare quelle parole, per poi voltarsi verso l’orologio appeso alla parete ed esclamare:
- Perché nessuno mai mi avvisa quando devo andare in classe?! La lezione inizia tra meno di quindici minuti!
E così dicendo prende la sua borsa, posata in precedenza su uno dei divani ed il registro della propria classe. La maestra più anziana scuote il capo sorridendo e poi prendendo a sua volta le proprie cose.
- Tu quando inizi, cara?
- Tra un’ora.
- Potresti fare come tutti gli altri e stare a letto un po’ di più. Non sai quanto volentieri lo vorrei poter fare io. Guarda te: alla mia età mi assegnano gli orari più faticosi.
- Lo so, però a me piace stare qua. E poi ho del lavoro da finire.
- Allora ti lascio. Ci vediamo tra qualche ora. Buona giornata Caterina.
- Buona giornata anche a te Belle.
La donna esce dalla stanza e Caterina, assicuratasi che non vi sia più nessuno, chiude la porta della stanza. Si toglie il cappotto e lo va a riporre nell’armadio.
Subito nota qualcosa di strano: adesso erano solo in tre, ma nell’armadio vi è appeso un cappotto in più. Lentamente sposta tutti gli altri cappotti, isolando quello attualmente senza proprietario.
I bidelli non mettevano mai le loro cose in quell’armadio: avevano una loro stanza. Così, lo tira fuori e lo apre leggermente, giusto per poter vedere il nome del proprietario: M. Giles.
Quel nome non le dice niente, ma ripone cautamente il cappotto nell’armadio, ricordandosi di chiedere chi mai fosse quell’uomo. “Perché di un uomo si deve trattare, questo cappotto ha delle spalle troppo larghe per appartenere ad una donna”.
Così pensando si siede al tavolo e presa la borsa ne tira fuori i compiti dei suoi piccolo alunni: le mancavano pochi fogli da correggere, che la sera prima non era riuscita a finire. Qualcosa non andava da quando aveva visto quel barlume sul biglietto da circo.
Ed ecco che le tornò in mente: sempre più prepotente, quella strana sensazione che qualcosa non andasse.
- E’ permesso?
Caterina salta per lo spavento e si gira verso la porta con la mano sul cuore, le labbra leggermente dischiuse.
- Oh salve. Sì sì, prego.
- Mi dispiace, non volevo spaventarla. Ma se la disturbo posso andarmene, pulisco dopo.
- No no, prego. Spero di non esserle io di alcun disturbo. Me ne starò seduta buona al tavolo.
La bidella le sorride e si appresta subito a pulire quella superficie.
Caterina intanto si volta verso l’armadio e cautamente chiede alla sua nuova compagnia:
- Per caso lei sa chi è Giles?
- Intende per caso Mr. Giles?
- Penso di sì.
- Lui è un vostro collega. Ma a quanto pare avete orari differenti se non vi siete ancora incontrati.
- Già, è così.
La bidella ferma le sue pulizie e si rialza lentamente in piedi, lasciando lo straccio sul tavolino.
- Cosa vuole sapere di lui?
- Niente, è solo che avevo trovato il suo cappotto dentro l’armadio e mi domandavo chi mai lo avesse lasciato qui.
La bidella si sposta verso l’armadio e lo apre, estraendone poi il cappotto.
- Che strano, ieri sera faceva piuttosto freddo e non lascia e non dimentica mai niente di suo qua a scuola. E’ un uomo così preciso.
Lo ripone e richiude l’armadio, passandoci sopra un dito.
- Da pulire!
Caterina sorride e torna ai suoi compiti, archiviando momentaneamente la vicenda.

- Mi scusi.
- Dimmi piccolo.
Caterina sorride al bambino che le si è avvicinato nel giardino della scuola. E’ l’intervallo, e i bambini stanno correndo, mentre certe bambine se ne stanno semplicemente sedute sotto gli alberi o sui giochi a parlare e a fare collane con le foglie che cadono dagli alberi.
- Io dovrei andare in bagno.
Dice il bambino allungando timidamente la mano, sperando che la maestra la prenda e lo accompagni. Allora lei annuisce e gli prende la piccola mano candida che le è stata tesa.
Insieme entrano nel lungo corridoio della scuola elementare e si dirigono verso le scale, fino ai bagni.
- Che puzza!
Il bambino si porta la mano libera sul naso, con l’indice e il pollice a bloccare le narici, come una molletta. Anche Caterina distorce il viso.
- Dovremo chiamare qualcuno per far controllare cosa mai possa essere.
Ma mentre si avvicinano ai bagni, la puzza diviene sempre più forte ed intensa. Caterina allora si ferma e si abbassa sulle ginocchia, per poter osservare bene il bambino.
- Aspetta un attimo qui che vado a chiamare una bidella, va bene?
- Ma io non voglio rimanere solo.
- Non lo sarai, infatti. Io andrò esattamente a quella cattedra là in fondo, dove vedi seduta quella signora e poi torneremo subito insieme.
Il bambino sembra incerto, e stringe un poco di più la mano di Caterina. Lei gli sorride in maniera rassicurante.
- Guardami sempre, se questo ti fa sentire più sicuro. Torno subito.
- Ok.
Così detto le loro mani si lasciano e Caterina si rimette in piedi, dando una piccola carezza sulla testa del bambino, scompigliandogli appena i capelli castani.
Comincia a percorrere il breve corridoio che si snoda dai bagni e qui giunge alla cattedra della bidella.
- Salve. Vorrei avvisarla che vi è un problema in bagno: vi è una gran puzza e visto che i bambini vi devono andare – e noi li dobbiamo accompagnare - non sarebbe il caso di pulire, o fare qualcosa per quell’odore?
La bidella alza lo sguardo verso la maestra e si alza lentamente.
- E’ strano, io non ho sentito niente. Possiamo comunque dare un’occhiata.
Le due donne così si dirigono nuovamente verso i bagni e verso il bambino, che non si è mosso e non ha lasciato neppure per un attimo con lo sguardo la sagoma della maestra.
- Eccomi qui, piccolo. Hai visto, ho fatto in fretta.
- Grazie.
Così riprende la mano della maestra senza chiederglielo e la stringe, sbarrando gli occhi verso il bagno.
- Non c’è nulla di cui aver paura, adesso la gentile signora va a vedere che sia tutto a posto e poi possiamo andare in bagno.
Caterina cerca di rassicurare il bambino, ma questo non sembra comunque rilassato.
- Perché hai paura?
- Perché la mamma mi ha raccontato del mostro del bagno.
- Il mostro del bagno?
- Sì. Lui ti prende alle spalle e sale dalle tubature. Me lo dice tutte le volte che perdo tempo in bagno.
- Ma non esiste questo mostro. Puoi stare tranquillo. La tua mamma te lo dice solo per farti diventare più svelto.
Poco convinto, il bambino annuisce e rilascia un sospiro.
- Non riesco ad aprire una porta, potrebbe venire a darmi una mano?
Chiede la bidella comparendo dai bagni.
- Certamente.
Caterina rilascia la mano del bambino per raggiungere l’altra donna ed insieme si dirigono verso la porta.
- E’ da qui che proviene quell’infernale odore. Ho già controllato tutti gli altri gabinetti e non vi è niente di strano.
- E’ veramente insopportabile. Proviamo a tirare insieme.
La bidella annuisce ed entrambe prendono il pomello e cominciano a tirare. La porta comincia lentamente a scricchiolare, fino a che, improvvisamente, non si apre.
Le due donne spostano il loro peso per non cadere e si avvicinano poi al gabinetto, fino a poter osservarne l’interno ed emettere un urlo.
Accasciato tra la parete ed il piccolo water formato bambino vi è un uomo adulto, con le palpebre leggermente abbassate e la bocca spalancata. Da questa fuoriescono mosce nere come la pece, che gli ronzano tutt’attorno al corpo martoriato. Il cadavere continua a fissare inespressivo il soffitto del bagno, mentre le due donne, con le mani alle bocche e urli strozzati, osservano i suoi occhi leggermente celati dalle palpebre: completamente neri.

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Capitolo 5
*** Preparativi ***


I circensi stanno finendo di festeggiare con la terza bottiglia di birra quando uno di loro sale su un piccolo tavolo instabile e con un battito possente di mani richiama l’attenzione dei presenti. Tutti si girano a guardarlo: è intento a prender fuori un oggetto dalla propria tasca dei pantaloni. Come se si trattasse di un’azione contagiosa, subito anche tutti gli altri prendono a cercare un qualcosa nei propri vestiti, mentre i sorrisi si allargano.
- Lo sentite, vero?
Urla l’uomo sul tavolo, mentre con un ultimo gesto estrae il proprio biglietto del circo: le figure all’interno, da nere, sono diventate bianche.
Qualcuno chiude gli occhi, qualcun altro li rivolge al cielo e vi è chi si sorride a vicenda.
- Certo! Un altro colpo. Due in due giorni. Se continueremo così non dovremo stare qua molto.
Fred solleva sopra il capo il proprio biglietto e si mette a danzare. La sua aiutante, vestita di azzurro e con piume svolazzanti sulla testa e sul fondo schiena, si mette a ballare con lui.
Dall’ombra poco lontana spunta Jobs, con la sua solita pipa in bocca e sorride ai presenti.
- Non vedo davvero l’ora di andarmene, non sono per niente tranquillo dall’ultima volta. Speriamo che tu abbia ragione Fred.
Svuota la pipa ed allungando il braccio verso un palo del tendone così da sostenersi, la sbatte contro il tacco della scarpa.
- Ed ora pulite tutto e tornate al lavoro: abbiamo uno spettacolo da mettere in scena. 

Quando la polizia arriva alla scuola elementare, tutti i bambini sono già stati mandati a casa, tranne uno: Caterina lo tiene per la mano sinistra, mentre con tutto il suo piccolo corpo lui è schiacciato contro le gambe della maestra e con il braccio destro le avvolge per metà. Caterina non riesce a fare altro se non pettinare gentilmente, ma in modo assente i capelli del piccolo, che piange mentre aspetta la sua mamma.
La bidella che era con la maestra è seduta alla cattedra in fondo al corridoio e singhiozza attraverso un fazzoletto grigio sporco, mentre gli agenti cercano di capire qualche parola tra i suoi singhiozzi. Uno di loro continua a fissare Caterina e picchiettando leggermente con il gomito il braccio di un suo collega, gli fa cenno con la testa verso di lei. Senza dirsi una parola, l’altro agente annuisce e si dirige verso la sua direzione.
- Signorina, posso parlarle?
- Ma voi non state già parlando con…
- Con la signora che era con voi vi stanno già parlando i miei colleghi. Adesso vorrei sapere anche la sua versione.
- Ho il piccolo da tenere. Non posso parlare con lui qua.
Scuotendo il capo, Caterina aumenta leggermente le carezze sul capo. L’agente osserva la scena e vedendo che la maestra lo sta fissando, si china sulle ginocchia e si mette all’altezza del bambino.
- Ciao piccolo, io sono l’agente Simioli. Mi vuoi dire il tuo nome?
Il bambino lentamente si stacca dalle gambe di Caterina e si gira, ma senza lasciare la sua mano.
- Io…Io sono Carlo.
Dice tra un singhiozzo e l’altro.
- Anch’io mi chiamo Carlo! E devo dire che a te dona molto di più.
L’agente gli sorride ed il bambino si tranquillizza un po’.
- Perché piangi? Hai visto qualcosa?
- No, io sto solo aspettando la mia mamma. Arriverà presto?
- Certo, non ti devi preoccupare. Ora Carlo, dimmi, tu hai visto qualcosa?
Ma prima che Carlo possa rispondere Caterina gli tappa le orecchie e lo sposta di lato a sé.
- Non dovrebbe fare certe domande ad un bambino.
- E’ anche lui un testimone. Più ne sappiamo meglio è.
- Posso rispondere io per lui: no, non ha visto niente perché stava per arrivare quando gli sono corsa incontro e gli ho chiuso gli occhi. Un bambino non dovrebbe vedere niente del genere.
- Sono completamente d’accordo, ma vede devo fargli comunque delle domande. La prego, mi lasci fare il mio lavoro, signorina.
Leggermente titubante Caterina riposiziona il bambino davanti a sé e gentilmente gli solleva un poco il capo, inclinando leggermente la schiena verso di lui.
- Carlo, il signore vorrebbe parlarti. Ti va bene? Io sarò vicino a te e potrai tenermi la mano, se vuoi.
Gli sorride per incoraggiarlo e solo allora Carlo annuisce, prendendo un piccolo respiro.
- Va bene, però dopo voglio la mia mamma.
- Certamente. Adesso andiamo a parlare, magari ci sediamo così stai più a tuo agio, va bene?
Carlo annuisce ed il trio si avvia così lungo il corridoio che porta al cortile. Giunti davanti alla porta del cortile Caterina si dirige verso le basse panche che la circondano e si appoggia con la schiena alla vetrata. Carlo si siede molto vicino a lei e l’agente vicino a lui.
Il bambino alza uno sguardo preoccupato su entrambi gli adulti e si fissa poi sull’agente.
- Ehm… Allora Carlo, raccontami un po’ cos’è successo andando verso il bagno.
- Io e la maestra mentre andavamo verso il bagno abbiamo sentito una gran puzza! Così la maestra mi ha detto che sarebbe tornata subito e mi ha lasciato davanti alla porta del bagno e poi lei è tornata insieme alla bidella e insieme sono andate in bagno e poi le ho sentite gridare, così sono andato a vedere ma la maestra mi è corsa incontro appena mi ha visto e mi ha coperto gli occhi.
- Quindi tu non hai visto proprio niente?
- No.
L’agente sta scrivendo poche parole su di un piccolo quaderno quando Carlo gli chiede:
- Cosa c’è in bagno?
Simioli alza lo sguardo verso Caterina e lei scuote il capo.
- Non c’è niente in bagno, piccolo. Solo le fogne che fanno tanta puzza.
L’agente gli scuote allegramente i capelli, mentre Carlo torna un poco a sorridere. Proprio mentre l’agente Simioli sta togliendo la mano dal suo capo, entra di corsa una donna con i capelli completamente bagnati, come pure i vestiti, e gocce di pioggia che le ricadono in modo scomposto lungo i tratti accentuati del viso.
- E’ successo qualcosa a Carlo? Che cosa state facendo a mio figlio?
Caterina si alza e gentilmente prende per il braccio la donna.
- Non è successo niente, solo l’agente Simioli stava facendo qualche domanda a Carlo a proposito del bagno.
- Del bagno?
- Certo, sa, le fogne.
Così dicendo Caterina trascina la madre di Carlo lontano dalle orecchie del suo bambino e comincia a spiegarle quel che è accaduto. La donna, sconvolta, si porta una mano alla bocca.
- Lui non ha visto davvero niente?
- Assolutamente. Adesso è molto più tranquillo, lo può vedere anche lei.
La donna si gira verso il proprio figlio e sorride un poco, vedendolo scherzare con l’agente.
- E’ meglio che lo riporti a casa adesso, però. Devono ancora interrogarmi e spero di essere a casa prima delle diciotto.
La madre si volta verso Caterina ed annuisce.
- Certamente. Grazie mille, le manderò dei fiori per ringraziarla.
- Non deve, ho solo evitato che Carlo subisse un forte trauma. Adesso devo cercare di dimenticarmene io stessa.
Salutandosi, le due donne prendono però la stessa strada e quando Carlo se ne va via con la piccola manina stretta in quella delicata della madre, Caterina si siede accanto all’agente.
- Prego, mi interroghi pure.
L’agente Simioli si volta allora verso di lei e la studia attentamente.
- Bene, ho diverse domande da farle. Cominciamo con la prima: come mai stavate andando in bagno?
- Il piccolo Carlo, durante la ricreazione che oggi si è svolta in giardino, è venuto verso da me chiedendomi di andare in bagno. Così      ve l’ho accompagnato.
- Poi però l’ha lasciato davanti alla porta del bagno a causa di un odore che avevate sentito provenire da questo.
- Esattamente. Mentre lo stavamo per raggiungere ci ha sopraffatti questo odore e così ho tranquillizzato il bambino e sono andata a chiedere alla bidella in fondo al corridoio di venire con me a vedere cosa mai potesse essere. Sa, avevo paura che non avessero pulito bene.
L’agente Simioli annuisce e prende un po’ di appunti. Tirato nuovamente su il capo, fissa bene il volto di Caterina per un po’ e finalmente riprende a parlare.
- Mi racconti cos’è successo quando siete entrate in bagno. Il bambino non era con voi?
- No, è rimasto fuori dai bagni. La bidella mi ha chiamata per aiutarla ad aprire una porta e l’odore sembrava venire proprio da lì. Poi, quando l’abbiamo aperta, l’abbiamo trovato.
Caterina sbarra gli occhi e subito si porta una mano davanti a questi. L’agente Simioli le posa una mano attorno alle spalle per confortarla e le sussurra:
- Andrà tutto bene, lo dimenticherà in fretta. Vuole che la riaccompagni a casa?
Caterina, con la sinistra ancora sugli occhi, porta la destra alla tasca della gonna a cercare un fazzoletto, mentre piccoli singhiozzi iniziano a scuoterla. Soffiatasi il naso e pulitasi gli occhi scuote il capo.
- Non si preoccupi agente, posso cavarmela da sola. Ma grazie comunque.
Gli sorride e non fa caso al braccio che l’agente posa ancora sulle sue spalle. Questo lentamente lo ritira e si alza in piedi, porgendole la mano. Lei la prende e si alza, pulendosi poi un’ultima volta gli occhi.
- Ho solo un’altra domanda da farle.
Caterina gli fa cenno di continuare.
- E’ sposata? Ha qualcuno con cui sta?
- No, sono sola.
Simioli sorride leggermente e si porta una mano dietro il capo a lisciarsi una piccola ciocca di capelli.
- Ha da fare questa sera?

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Capitolo 6
*** Si va ***


Intanto al circo si stanno preparando tutti per il primo spettacolo e l’agitazione scorre da circense a circense. Le ballerine passano di gran fretta: chi con delle piume, chi con dei nastri colorati o i capelli al vento, mentre dietro di loro lasciano una lieve scia di brillantini, caduti dai corpi luccicanti e dai capelli cotonati.
- Nonno, nonno, non trovo il mio vestito!
Il bambino, con le sue solite occhiaie e la pelle cadaverica, si fa spazio tra la gente che sta finendo di prepararsi. Il vecchio Jobs da un ultimo taglio alla sua barba, prende un po’ di pasta per capelli e vi arriccia attorno l’indice, si ammira ed infine si gira verso il nipote:
- Edoardo, non costringermi a passare il resto della serata a frustarti! Guarda che tu non l’abbia lasciato sulla roulotte. Non ho tempo di occuparmi di queste cose adesso: stiamo per fare il Grande Spettacolo.
- Il Grande Spettacolo? Ma è solo la nostra prima serata.
- Prima ce ne andiamo meglio è, te l’ho già detto. E poi, sento che è tutto pronto.
Edoardo annuisce e corre fuori dal tendone più piccolo, connesso a quello più grande dove si sta finendo di sistemare le panche ed il fieno su cui si siederanno i più piccoli, forse insieme ai propri genitori. Corre verso la roulotte, mentre il sole tramonta e lascia solamente una linea di luce all’orizzonte.
Entrato, accende la fioca luce che illumina la sua stanza e subito nota di aver lasciato il vestito sul letto: un completo giacca e pantaloni blu con bottoni dorati. Si veste in fretta e sta per tornare ad aiutare gli altri quando qualcosa attira la sua attenzione: suo nonno ha dimenticato il proprio biglietto del circo sul piccolo tavolo della loro cucina. Incuriosito dalle figure danzanti bianche, si avvicina e lo prende in mano. Sa che non gli è permesso toccare le cose del nonno, ed in particolare il biglietto, ma pensa che una piccola sbirciatina a quello che è successo alla loro ultima vittima non possa fargli di certo male. Così posa entrambe le mani sul biglietto e chiude gli occhi, concentrandosi:
Vi è un uomo che cammina lungo una strada, sul cui lato vi sono tante vetrine. Questo si gira e su di una di queste nota una locandina: “E’ arrivato in città il circo!”. Contento della notizia l’uomo entra nel negozio per chiedere dove poter trovare i biglietti. La commessa gli dice che vi è un ragazzino che li sta distribuendo lungo il viale principale. Così saluta e raggiunge questo viale, trovando appunto il ragazzino che con aria allegra lancia biglietti a tutti i passanti. L’uomo gli si avvina e gli chiede di poter avere un biglietto.
- Solo uno, amico? Uno solo? Te ne do due, tre! Per la tua famiglia!
- Grazie ragazzo!
E così l’uomo torna sui suoi passi guardando i tre biglietti e rigirandoseli nelle mani. A lui ne serviva solo uno: non era molto socievole e non aveva né moglie, né compagna, né figli. Non aveva neanche più sua madre. Giunto davanti alla scuola elementare vi entra e va a posare il proprio cappotto, ripiegandolo per bene. Prende il proprio registro e si avvia a fare lezione. In un momento di pausa prende fuori dalla tasca dei pantaloni i biglietti e ne lascia due sulla cattedra, a disposizione dei suoi alunni, perché possano divertirsi anche loro.
Finita la lezione, fa per dirigersi verso la sala professori, mentre gioca con il biglietto del circo e si sofferma ancora una volta ad osservarlo. Le figure nere che vi sono stampate sopra sembrano muoversi, prima lentamente e scoordinate, ma poi più velocemente e con movimenti più fluidi. L’uomo strabuzza gli occhi mentre le figure gli si arrampicano sul braccio fino al capo. Qui l’uomo comincia a camminare indietro disperatamente e cerca di togliersele dal viso con le mani, ma niente sembra fare effetto.
Non capisce che gli stia succedendo, ha paura di essere impazzito. Sta per chiamare aiuto ma proprio in quel momento due figure gli entrano negli occhi e lui cominci a vedere strane ombre che gli danzano davanti, e sprazzi di colore si alternano ad un nero talmente intenso da potercisi perdere.
L’uomo comincia a camminare in avanti, senza notare la direzione che sta prendendo. Allunga le braccia davanti a sé cercando di trovare così un appiglio, ma attorno a lui vi è solo il corridoio vuoto che porta alle scale.
Davanti ai suoi occhi continuano a danzare in modo frenetico le figure nere, ed i pochi colori che ogni tanto gli giungono alla mente si mescolano in varie immagini: allucinazioni sempre più veloci a susseguirsi, una dietro l’altra, senza dargli il tempo di pensare se la realtà sia quella o un'altra.
Giunge ad un certo punto alle scale e mettendo un piede avanti all’altro sente che sotto la suola non vi è più il pavimento: prima di capire dove si trovi cade dalle scale, e proprio mentre atterra sulla schiena un’altra allucinazione lo coglie, e per cercare di scappare da quel che vede si rialza in piedi ma ricade quasi subito.
Le sue ginocchia urtano violentemente il pavimento di marmo e posa una mano a terra, mentre con l’altra si tiene il capo, colpendoselo contro il palmo della mano. Crolla sul gomito destro e comincia a strisciare verso una porta che compare anche nella sua allucinazione: quel posto è l’unica via di salvezza, in apparenza.
Entra così nel bagno dei bambini e si dirige verso l’ultima porta. Quando vi entra, sembra riacquistare un momento di lucidità e si guarda attorno, stordito.
Si alza su gambe instabili e tremanti e si siede sul piccolo water, mentre sente prima lo stomaco e poi la pancia gorgogliare. Seduto, si allunga di poco e chiude la porta tinta di azzurro del bagno fatto su misura: proprio nel momento in cui fa scattare la serratura, una terribile allucinazione gli fa scoppiare la testa e uno spruzzo di sangue gli esce dal naso.
Con uno spasmo la testa prima, ed il busto poi scattano in avanti. La testa gli sbatte così violentemente contro la porta e questo sembra dare via ad un picchiare del cranio continuo, incessante.
Nella mente dell’uomo le allucinazioni si seguono una dietro l’altra senza un attimo di tregua, e in queste sue visioni la pazzia prende poi il sopravvento sulla sua mente e poi sul suo corpo: la testa ad un certo punto, dopo le già innumerevoli botte, riceve il colpo finale: dentro questa il sangue fluisce fino a che il corpo dell’uomo non scivola all' indietro sul piccolo water e la testa gli ricade su una spalla, con la bocca aperta e gli occhi spalancati verso il nulla.
Le pupille nere cominciano a tremolare e a restringersi fino a scomparire del tutto. Dopo un po’ di minuti compaiono, lentamente, piccole figure nere dentro l’occhio: si aiutano l’un l’altra ad arrampicarsi lungo l’iride. Dietro di loro, al loro passaggio, lasciano un nero intenso e lucido. Si calano dall’occhio e come sfinite si ritirano nel biglietto da dove erano uscite, ancora stretto, anche se stropicciato, nella mano dell’uomo.
Ora però il biglietto ha un altro aspetto: le figure sono bianche, poiché il loro inchiostro è rimasto negli occhi della loro vittima. E così Mr. Giles rimane lì, in attesa di essere trovato, mentre il nero che ha negli occhi si moltiplica anche nei suoi organi, portandolo sempre più velocemente verso la decomposizione.
Edoardo sbarra gli occhi e lascia cadere il biglietto nuovamente sul tavolo.
- Ecco perché ci stavi mettendo così tanto.
Il bambino si gira verso la porta della roulotte e vede suo nonno tirare dalla pipa. Ha gli occhi socchiusi, come a voler scrutare bene il volto del nipote.
- Nonno, non volevo, è solo che c’era qualcosa di strano e così mi ha attirato.
- Stupido! I biglietti non attirano noi! E lo sai bene! Solo per quegli stupidi umani che ci danno la loro vita in modo che noi possiamo cibarci!
Edoardo comincia a ritirarsi in un angolo, pauroso di cosa possa mai capitargli. Jobs entra e sbatte violentemente la porta dietro di sé, per poi fermarsi e tornare a fumare la sua pipa.
- Sei abbastanza grande perché tu possa vedere, immagino.
Edoardo alza il capo e guarda sorpreso il vecchio.
- Ma tu hai sempre detto che non posso e non mi hai mai spiegato il motivo. Perché adesso posso?
- Perché sono passati talmente tanti anni che anche se non sei cresciuto nel vero senso della parola, sei abbastanza grande per poter sapere anche tu. Prima non potevi né vedere né avere un biglietto tuo perché avevo paura che ti affezionassi ad un umano e volessi tornare con loro. Cosa impossibile, lo sai bene. Ti sei mai affezionato ad uno di loro, Edo?
- No, nonno. Mai.
- Bravo, perché noi abbiamo una natura e sappiamo quello che vogliamo, sappiamo di chi fidarci o meno. Ma loro sono ancora più subdoli di noi: non si distinguono tra buoni e cattivi, hanno pensieri nascosti e non sai mai quale sia il loro scopo definitivo. Ti ricordi com’era essere umano?
- Non molto, ma non mi manca. Io sto bene qua! 
- Mi fa piacere sentirtelo dire. Ti meriti un tuo biglietto.
- Davvero?
Edoardo ora si alza in piedi e sorride, mentre i suoi piccoli occhi tornano alla consueta malizia.
- Oh sì. Te lo darò domani, perché quest’ora ed il resto della serata poi, dopo lo spettacolo, comunque, dovrai passarla insieme ai maiali.
Jobs si gira e posa la mano sulla porta, pronto ad uscire.
- Ma perché?
Il vecchio, a grandi passi, si dirige verso il nipote e lo prende per i capelli, portandolo fuori. Gira attorno alla roulotte e giunge al recinto fangoso dei maiali, che lo guardano affamati. Apre il recinto e ci butta dentro il nipote, che si mette ad urlare mentre i primi maiali si riversano golosi su di lui.
- Perché comunque mi hai disobbedito. Domani riceverai il tuo biglietto. E adesso vedi di urlare piano: non dobbiamo attirare l’attenzione.
E con queste ultime parole Jobs torna al tendone, mentre il nipote viene ancora una volta sbranato dai maiali.

Il campanello suona e Caterina corre ad aprire la porta principale, ancora scalza e con i capelli raccolti nella treccia della mattina.
- Belle, non ti aspettavo così presto. Non sono ancora pronta.
La vecchia insegnante sorride e mentre scuote il capo schiaffeggia l’aria con la mano.
- Non ti preoccupare, cara. Sono venuta per aiutarti in qualcosa, se hai bisogno.
Caterina si sposta e lascia entrare la sua nuova amica in casa.
- Per te sarebbe un problema non essere da sole questa sera?
La giovane insegnante si gira intanto verso la propria camera, mentre pronuncia queste parole.
- Nient’affatto. Dimmi: chi hai invitato di bello?
- Beh, è stato più un: chi mi ha invitato di bello? Avrai sentito quello che è successo oggi a scuola.
- Oh cielo! Che cosa orribile. Come ti senti?
Belle posa una mano sulla spalla della giovane donna e la guarda in modo materno. Caterina sospira e si lascia ricadere sul letto, per poi prendersi la treccia da dietro la schiena e cominciare a giocarci.
- Sono ancora sotto shock, ogni tanto quell’immagine mi torna alla mente e non posso farci niente.
- Il bambino come sta?
- Oh, lui sta bene. Non ha visto nulla e sua mamma è venuta a prenderlo quasi subito: si riprenderà in fretta. Anzi, sono sicura che lunedì mattina racconterà tutto ai suoi piccoli amici.
Caterina sorride e si volta verso Belle, proprio mentre questa le chiede:
- Ti hanno interrogata?
Caterina annuisce e poi abbozza un sorriso.
- Sì, e proprio da questo punto posso rispondere alla tua domanda.
Belle la guarda interessata, spostando leggermente il capo di lato, incuriosita.
- L’agente che mi ha interrogata mi ha chiesto di uscire, proprio questa sera; e così gli ho detto che dovevo andare al circo con un’amica e bè, non so come ma ho invitato anche lui.
La giovane sorride e nota lo sguardo contento dell’amica.
- Oh cara, sono così contenta! Dimmi, come si chiama? Sai che qui ci conosciamo tutti: anche solo di nome, ma se non è nuovo quanto te lo conosco di sicuro.
- Carlo Simioli.
Belle si porta una mano tra guancia e mento e distoglie lo sguardo nel nulla, pensando. Ad un certo punto solleva il capo e batte le mani tra di loro.
- Ho capito: è quel ragazzo alto, moro, molto carino?
L’anziana la guarda con un gran sorriso e gli occhi grandi.
- Esattamente lui.
Caterina sorride e si alza, dirigendosi verso l’armadio e mettendosi una giacca azzurra sulle spalle.
- Aspetta, tu hai intenzione di venire via vestita così?
Le chiede Belle alzandosi e raggiungendola, guardando il suo abbigliamento.
- Sì. Perché?
- Cara, una della mia età dovrebbe vestirsi così, dovrei farlo io, ma non si sento ancora così vecchia. Quindi adesso ti togli quella gonna monotona e quella giacca e ti cerchiamo qualcosa di colorato. L’ideale sarebbe un bel vestito leggero.
Caterina le sorride ed insieme cominciano a guardare i vari abiti nel suo guardaroba. Dopo mezz’ora di ricerca e di accostamento di colori, finalmente la giovane donna è pronta e mentre si sta ammirando nello specchio, il campanello suona di nuovo. Belle la guarda andare verso la porta sorridendo contenta.
- Signorina Lensi, questi sono per lei.
- Oh, non doveva!
Belle si avvia verso la porta e vede che l’agente, ora fuori servizio, porge alla sua giovane amica un piccolo ma ben curato mazzo di fiori. Vedendo il momento di leggero imbarazzo mentre Caterina prende i fiori e sorride al giovane, l’anziana decide di avvicinarsi e di presentarsi.
- Salve, io sono l’amica di Caterina: Belle.
- Salve signora. Io sono Carlo Simioli.
- Oh quante formalità. Diamoci del tu, che ne dici?
- Se a voi va bene.
- Se a te va bene, Carlo. E adesso porta al circo questa signora e quest’adorabile signorina.
Caterina arrossisce ancora una volta e posando i fiori in un vaso esce poi con l’uomo e l’anziana. Carlo avanza prima delle due donne fino alla strada ed apre la propria macchina, aprendo poi la portiera davanti.
- Prego, chi vuole venire davanti?
Caterina fa un passo indietro e guarda Belle.
- Vai tu, è giusto così.
- Nient’affatto cara. Gli abitanti devono vedere una bella ragazza accanto a questo giovanotto, non una vecchia maestra un po’ stramba. Io andrò dietro e ti indicherò il resto degli abitanti di questo piccolo paese.
- Grazie Belle.
Belle le sorride e le mette una mano sulla spalla e l’accompagna fino al suo posto. Carlo allora chiude delicatamente la portiera e apre quella dietro per Belle.
- Grazie.
- Figurati.
Dopo questo breve scambio l’agente si siede al volante e parte verso il circo.

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Capitolo 7
*** Il Grande Spettacolo ***


Edoardo si rialza dal fango ed esce dal recinto dei maiali, con la pelle ancora lacerata addosso. Comincia così a tirarla finché non compare quella nuova sotto e si dirige nuovamente verso la propria roulotte, per potersi rimettere il vestito da circo. Ne trova uno uguale a quello che gli era stato mangiato sul suo letto, ed in quel momento ringrazia mentalmente suo nonno per la gran scorta di abiti che gli fa sempre. “Certo, se non mi mandasse tutte le volte in mezzo ai maiali non avrebbe bisogno di fare tutti questi abiti uguali identici”. Si sistema la giacca e va verso la sua postazione: deve accogliere gli spettatori e timbrare i biglietti. Passa accanto al più piccolo tendone da circo, dove quasi tutti hanno finito di prepararsi, e poi vicino a quello più grande, centrale. Si avvicina all’entrata e guarda dentro: tutti sono pronti e si sorridono, sistemandosi i dettagli a vicenda.
- Tuo nonno ti ha dato un’altra lezione?
Edoardo si gira e si ritrova davanti Fred.
- Già, però mi ha promesso un biglietto del circo.
- Ce lo ha detto. Bè è la cosa giusta. Darti il biglietto.
- E cosa ne pensi dei maiali? Certi trovano che sia una giusta punizione a volte.
- Io li odio quei maiali! Puzzano e hanno sempre fame. Per fortuna non mi è mai capitato di finirci, come per esempio al clown o alla mia aiutante.
Fred si gira e guarda la sua aiutante: coperta da un vestitino azzurro, con un copricapo da cui sale una piuma colorata ed una piccola perlina che le ricade elegantemente sulla fronte. Sembra perfetta, lì a ridere insieme agli altri, se non fosse per quel piccolo brandello di pelle che le ricade dalla caviglia, a far intuire che da poco i maiali si sono cibati di lei.
Edoardo, guardando anche lui l’aiutante, rivolge un’ultima domanda a Fred.
- Tu avresti un’idea migliore? Intendo, come punizione.
- Certamente. Vi farei salire tutti sulla mia ruota e poi vi lancerei i coltelli contro.
Sorridendo malignamente scompiglia con una mano i capelli del ragazzo, senza però mai distogliere lo sguardo dalla caviglia della sua aiutante.
- E se non ti spiace, ora vado a toglierle quel pezzo di pelle. Non vorrei che mi rovinasse lo spettacolo.
Edoardo lo guarda entrare nel tendone e appena lo vede parlare con la sua assistente si rigira e torna a camminare verso la biglietteria.
Vi entra e si richiude la porta alle spalle, andandosi a sedere sulla piccola sedia girevole e tirando su la persiana giallo sporco.
L’ultimo raggio di sole del giorno entra a illuminargli il viso, e questo cambia, trasformandosi nella faccia che porta davanti agli umani. Si allunga e con un sorriso accende l’insegna sopra la biglietteria, per poi sporgersi ed urlare:
- Signore e Signori, siamo ufficialmente aperti! Che i balli abbiano inizio! 

L’auto arriva nel grande spiazzo di terreno battuto lungo la strada, dove viene parcheggiata. L’agente Simioli esce e fa per aprire la portiera a Belle, ma questa scuote il capo e con il dito indica la giovane seduta nel posto davanti. Lui sorride e si dirige ad aprirle la portiera, mentre l’anziana maestra scende da sola. Simioli allunga una mano a Caterina e questa scende accettando l’invito. Si sorridono, e quando lui la prende a braccetto Belle si volta verso l’amica e le fa l’occhiolino.
Quindi, pronti, tutti e tre si avviano verso la biglietteria che ha da poco aperto, a cui si sta già formando la fila.
- Dovremo incontrare anche Federica. Aveva detto che le sarebbe piaciuto venire con il suo fidanzato.
- Hai proprio ragione cara. Quella ragazza è piena di vita, e immagino che non si voglia perdere lo spettacolo per niente al mondo.
Finisce di dire Belle mentre si guarda attorno. Pochi minuti dopo ecco che da dietro di loro arriva una voce acuta.
- Belle! Caterina!
Entrambe le donne si girano e vedono la loro collega Federica avvicinarsi trascinando dietro di sé il proprio fidanzato.
- Vi voglio presentare il mio fidanzato: John. Alla fine l’ho convinto e questa sera ci divertiremo.
Lui sorride imbarazzato e saluta. Subito dopo Federica si sporge un poco in avanti e guarda l’agente e poi Caterina con fare interrogativo. Questa allora comincia a parlare.
- Federica, questo è il mio accompagnatore: l’agente Carlo Simioli.
- Ma io vi conosco! Di nome; però ho sentito parlare di voi.
Carlo sorride e mentre i due si stringono la mano parla.
- E in che occasione?
- Da mia sorella. Una sera aveva chiamato la polizia perché aveva sentito uno strano rumore in casa ed in giardino. Lei ha il terrore dei ladri, e così mi ha raccontato che siete andato da lei a controllare ma non c’era niente. Si ricorda benissimo il vostro nome perché dice che avete fatto fuggire quelle persone.
Sbuffa un attimo, per poi riprendere.
- E’ un po’ paranoica, ha sempre paura di tutto. Adesso voi per lei siete una specie di eroe. Ma dubito che voi ve la ricordiate.
- In effetti non mi ricordo questa storia, e nemmeno vostra sorella. Arrivano così tante chiamate strane a volte che dopo non ci si fa neanche più caso.
Carlo sorride e poi si gira verso Caterina.
- Tocca a noi. Tu e Belle andate avanti, io il biglietto devo farlo qua poiché non ne ho uno. Voi andate avanti e prendete i posti.
- Per noi non è un problema aspettare.
- Ah ah, niente da fare.
Si sorridono e Caterina prende amichevolmente a braccetto Belle. Fanno pochi passi verso la biglietteria e Caterina, sollevato lo sguardo dopo aver cercato il proprio biglietto nella borsa, riconosce il bambino.
- Ciao. Ti ricordi: me lo hai dato tu questo biglietto.
Il bambino la guarda e poi sorride.
- Me lo ricordo signora. Mi ricordo il viso di ognuno a cui ho dato il biglietto. Mi fa piacere che sia venuta a vedere il nostro spettacolo.
- Lo avevo promesso.
- Una crocetta in più sulle buone promesse mantenute.
Sorride il ragazzino, prendendo i biglietti di entrambe le signore con i rispettivi soldi, poi timbrando il biglietto di ognuna.
- Divertitevi. I posti davanti sono i migliori. Lì si fanno scintille.
Sorride maliziosamente ed entrambe sorridono di rimando, dirigendosi poi verso l’entrata del tendone e andando a sedersi.
- Cara, non preferisci i posti davanti come ci ha detto quel gentile bambino?
- Non mi sono mai piaciuti molto i posti in prima fila; e poi non vorrei rubare la visuale ai più piccoli.
- Hai ragione. Andiamo da quelle panche.
Le due donne si siedono e attendono l’agente. Questo arriva poco dopo con anche la loro collega ed il suo fidanzato.
- Venite, vi abbiamo tenuto i posti!
Caterina si alza in piedi e agita il braccio sopra la testa, aspettando a sedersi finché tutti non hanno preso posto. Carlo si siede accanto a lei e le sorride, per poi puntare con gli occhi il carrello dei popcorn.
- Ti andrebbe di condividere con me un po’ di popcorn?
L’agente si volta nuovamente verso Caterina e le sorride, continuando ad indicare il carrello.
- Volentieri!
Sorride lei, e così attende nuovamente che lui ritorni con i popcorn.
Poco dopo il suo ritorno e che già hanno preso a mangiarli il tendone si riempie del tutto, ed un piccola nebbiolina artificiale invade la pista al centro del tendone, attorno al quale i bambini fremono e gli adulti sorridono.
Le luci si spengono, ed il rumore di tamburi investe l’aria. Una voce allegra e profonda comincia a parlare, mentre i tamburi danno il loro ultimo tocco.
- Signore e signori, benvenuti! Benvenuti al nostro circo: il Circo Vita! Sedetevi, rilassatevi e preparatevi ad assistere al Grande Spettacolo! Abbiamo leoni, elefanti, scimmie e lama acrobati! Ballerine, acrobati, lanciatori di coltelli e ammaestratori e molto altro! Ed ora, diamo il via al primo numero: fate entrare i clown!
Uno scroscio di applausi parte dal pubblico e riempie il tendone. Le luci prendono a girare sulla pista di terra battuta, portando più colori ad intrecciarsi tra di loro, fino a che non si radunano al centro, dove la luce diviene bianca. Sotto il raggio di luce sbuca un clown, poi un altro, ed un altro ancora. Così lo spettacolo prende il via. Vari numeri passano sotto gli occhi attenti degli spettatori ed i volti divertiti. Arriva l’ora dei cavalli, poi delle scimmie al guinzaglio, del lanciatore di coltelli, che tiene tutti con il fiato sospeso e rimangono ad ammirare il coraggio della sua giovane e bella aiutante. Arrivati verso la fine si esibiscono gli acrobati: leggiadri, si lanciano senza un attimo di esitazione. Forti, si sorreggono l’un l’altro.
Lo spettacolo sembra finito e gli spettatori si alzano in piedi a battere le mani; a quel punto un uomo entra nel cerchio di terra battuta e sorridendo solleva le mani, per far cessare gli innumerevoli applausi.
- Spero che il nostro spettacolo vi sia piaciuto. Ma non andatevene: vi è l’ultimo numero, il più grande e spettacolare! Godetevelo…
E a questa parola pesanti portoni vengono chiusi e la luce dentro il tendone viene spenta, facendo calare il buio.
- … Perché sarà l’ultimo!
Finisce la voce nel denso buio e molte persone si mettono ad urlare, mentre i bambini iniziano a piangere.
Al centro del tendone esplode una scintilla e poi un cerchio di fuoco circonda l’arena, al cui interno compaiono figure nere, che si buttano sul pubblico blandendo mazze e lunghi coltelli affilati, che riflettono ogni singola fiamma, riempiendo il tendone con riflessi rossi e gialli.
I bambini si alzano in piedi e si buttano tra le braccia dei genitori, che a loro volta li stringono e, prendendo tutto il loro peso sul proprio corpo, corrono verso le uscite più vicine.
Queste però sono chiuse ed il fumo comincia ad addensarsi nel tendone. Le figure nere si buttano sulle persone e le tramortiscono, mentre tutti i circensi si buttano sui corpi svenuti a terra e cominciano a cibarsene.
Caterina tiene Carlo per una mano, che cerca di trovare una via d’uscita, e con l’altra stringe il braccio di Belle. Questa è terrorizzata, non capisce che stia succedendo e quando un bambino le cade davanti ai piedi si blocca e lo aiuta a rialzarsi, tenendolo fermo per le spalle.
- Dove sono i tuoi genitori? Dov’è la tua mamma?
Gli urla per farsi sentire, ed il bambino, con il volto solcato dalle lacrime, indica delle figure indistinte a terra.
- Non si alzano, non si vogliono alzare!
- Belle, dobbiamo andare!
Caterina ferma Carlo e senza lasciargli la mano riprende il braccio dell’anziana donna.
- Dobbiamo andare, Carlo ha trovato un punto dove possiamo passare.
- Non possiamo lasciarlo qua da solo!
L’anziana indica il bambino, che le guarda con paura e timore.
- Ce la fai a prenderlo in braccio?
Belle scuote il capo e gli prende la mano. Allora Caterina si china e prende il bambino, che lascia penzolare la mano della vecchia maestra e si aggrappa alle spalle della giovane. Carlo si intromette e prende le due signore per mano, per poi cominciare a spingere nella calca e dirigersi verso il punto da cui sono usciti i circensi. Dietro di loro vi sono Federica e il suo fidanzato, John, che cercano di seguirli.
- Fermatevi, non ce la facciamo!
Urla Federica sopra la folla, cercando di avvisare Caterina e l’altra maestra. Così loro si fermano, con Carlo che cerca di continuare a camminare verso una via d’uscita.
- Spingete!
Urlano in coro Belle e Caterina, ma non fanno in tempo e vedere lo stupore sul volto della collega che questa e John vengono presi alle spalle e le figure in nero cominciano a picchiarli, sbranandone anche le carni. Caterina si mette ad urlare, ma Carlo la strattona e la fissa negli occhi.
- Non devi urlare. Dobbiamo scappare, non dobbiamo farci vedere. Forza!
Così riprendono a correre e passano inosservati dalle figure nere, poiché questi sono impegnati a cibarsi dei cittadini. I quattro così si intrufolano in quell’unica via d’uscita e si ritrovano in un altro tendone, solo più piccolo e con mille oggetti che scendono anche dal soffitto. Vi sono solo loro e si guardano attorno.
- Presto, lì c’è una piccola uscita.
Carlo lascia le mani delle donne e corre verso uno squarcio nel tendone, aprendolo di più per farvi passare le due maestre. Queste si buttano fuori ed il bambino, appena fuori nell’aria fresca della sera, scalcia per scendere a terra.
- No, stai fermo, dobbiamo scappare!
Caterina cerca di tenerlo, mentre le lancia calci alla pancia.
- Ma io voglio la mamma!
- Dopo arriva anche lei! Ma adesso dobbiamo andare via da qui!
Così si rimettono a correre, e Carlo si dirige verso il parcheggio dove ha lasciato la sua auto.
Intanto, dal tendone, provengono strazianti urla ed un denso fumo nero si alza tutt’attorno.
- Presto, salite, forza!
Urla e mette in moto la macchina. Questa parte subito e quando tutti sono a bordo Carlo parte, cercando di allontanarsi il più in fretta possibile dal circo. Sfrecciano per le varie vie: la città è deserta, a parte per qualche rara finestra illuminata. Per strada non vi è nessuno e così Carlo preme ancora di più sull’acceleratore.
- Dove stiamo andando?
Belle si sporge da dietro e si guarda attorno, tenendo in grembo il piccolo bambino che si è un poco assopito.
- Fuori città. Almeno per questa notte.
- E tutta l’altra gente? Non possiamo lasciarli qui, senza che sappiano niente!
- Non possiamo farci niente. Non è il caso di fermarci e rischiare che ci prendano o altro.
Belle annuisce e poi guarda Caterina, girata verso il finestrino con la fronte a pochi centimetri da questo.
- Cara, come ti senti?
Belle allunga un mano e sfiora delicatamente la spalla dell’amica. Questa si gira scattando, con il volto teso e preoccupato.
- E’ successo qualcosa?
- No cara, ti ho solo chiesto come ti senti.
- Oh, scusami.
Caterina abbassa lo sguardo e si guarda le mani.
- Bene, penso. Insomma, siamo vivi, no? Almeno noi.
- Dispiace anche a me per Federica e John.
Caterina continua a fissarsi le mani e annuisce, nuovamente persa in sé stessa.
Carlo continua a guidare tra le varie vie finché sono sorride un po’:
- Ci siamo quasi, tra poco saremo fuori città!
Ma proprio in quel momento sentono un boato riempire l’aria e scuotere la macchina, le case, le strade attorno a loro. La macchina sussulta, e Carlo cerca di spingerla sempre più verso la fine della città. A pochi metri da quel bagliore di speranza il veicolo si ferma e il fuoco raggiunge tutto. La macchina viene risucchiata da questo, si ribalta e dentro Carlo cerca di prendere la mano di Caterina, che cerca di capire che stia succedendo. Il bambino si mette ad urlare, mentre Belle lo tiene stretto. Tutto succede in fretta, e neanche si accorgono che quel fuoco li a riportati al circo, dove la macchina viene risucchiata nel tendone, per poi esplodere completamente insieme a tutto.
 
Il tendone esplode nella notte, illuminando il buio circostante. Un cerchio di fuoco investe l’intera città, risucchiando al proprio interno il resto degli abitanti che quella sera non si sono recati al circo.
Nell’esplosione il circo è andato in pezzi, e brandelli colorati ridiscendono dal cielo bruciando ancora leggermente, posandosi poi sui corpi carbonizzati a terra. Alcuni di questi hanno gli occhi ancora aperti e fissano inespressivi i loro carnefici; i circensi sono vivi ed il loro corpo è intatto, immune al fumo, al fuoco e al calore che li circonda.
Questi si avventano sui corpi a terra e posate le mani sui corpi si nutrono delle briciole rimanenti di vita ed anima, prima che queste spariscano del tutto.
Edoardo alza il capo da terra e si guarda attorno, per poi alzarsi sui gomiti e scuotere il capo, lasciando così cadere a terra le ceneri che ha sulla testa. Si alza lentamente in piedi e guarda la devastazione attorno a lui: vi sono fiammelle sparse in giro, gente morta a terra, circensi che si cibano anche dei corpi carbonizzati ed altri che si trascinano verso questi sussurrando: “carne”, gli occhi brillanti per tutto quel cibo attorno a loro. Nessun umano è più vivo, e così gli abitanti del circo hanno fatto uscire il loro vero aspetto e adesso le loro profonde occhiaie vengono illuminate dal bagliore del fuoco.
Il ragazzino si alza in piedi e pigramente si spolvera gli abiti. E’ abituato allo spettacolo che lo circonda, le prime volte anche lui si avventava sui corpi, stupefatto del risultato e allo stesso tempo spaventato da tutto. Adesso comincia a camminare tra le ceneri, fino ad incontrare suo nonno:
- Gran bottino questa notte, direi che possiamo stare tranquilli per un paio d’anni.
Sorride al nipote e gli scompiglia i capelli, fissando poi un punto sopra la sua testa.
- Ti lascio un umano in camera, così poi potrai mangiare con calma prima che ci mettiamo a riposare.
- Grazie nonno.
Il vecchio cammina verso un corpo e lascia nuovamente solo il nipote. Questo si stiracchia e poi punta gli occhi su un pezzettino colorato che scende dal cielo. Si posa a terra poco distante da lui e così lo va a raccogliere: un biglietto del circo, integro e con i colori che risplendono come non mai.
Lentamente, si gira e ci guarda, cominciando a sorridere. Si incammina nella nostra direzione, tenendo ben alto ed in vista il biglietto.
- Salve Lettore. Guarda cos’ho qui per te: un biglietto del nostro circo! Vieni a farci un giro e poi fermati a guardare lo spettacolo: abbiamo acrobati, animali, clown e giocolieri! Non te lo vorrai perdere, vero? Forza, non farti pregare, su questo biglietto c’è il tuo nome.
Ci porge il biglietto e noi lo prendiamo.
- Bravo, così, non avere paura. Ti lasceremo senza fiato.
Ci fa l’occhiolino e tutta la notte svanisce in un enorme scoppio nero.





Nota dell’autrice:
Spero che questa storia vi sia piaciuta, e voglio ringraziare chi l’ha letta tutta, chi solamente il primo, l’ultimo o un singolo capitolo. In ogni caso ha preso un poco del vostro tempo e spero che vi abbia lasciato qualcosa.
Se volete continuate a leggere le mie storie e recensitele, fa semper piacere ed aiuta a migliorare! 
A presto!

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