Olympus Chapter 2

di SagaFrirry
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I- l'erede ***
Capitolo 2: *** II- viaggio ***
Capitolo 3: *** III- guida ***
Capitolo 4: *** IV- sospetti ***
Capitolo 5: *** V- amor sacro ***
Capitolo 6: *** VI- Preveggenza ***
Capitolo 7: *** VII- Legami divini ***
Capitolo 8: *** VIII- Scorre la sabbia ***
Capitolo 9: *** IX- inseguendo un sogno ***
Capitolo 10: *** X- lungo il fiume ***
Capitolo 11: *** XI- giudizio ***
Capitolo 12: *** XII- incontro di religioni ***
Capitolo 13: *** XIII- angeli e Dei ***
Capitolo 14: *** XIV- rivelazioni e fuoco ***
Capitolo 15: *** XV- melodie da un nuovo mondo ***
Capitolo 16: *** XVI- sapienza ***
Capitolo 17: *** XVII- la vittoria dell'arciere ***
Capitolo 18: *** XVIII- guerra ***
Capitolo 19: *** XIX- luce e ombra ***
Capitolo 20: *** XX- fratelli ***
Capitolo 21: *** XXI- vita ***
Capitolo 22: *** XXII- sogno e realtà ***



Capitolo 1
*** I- l'erede ***


DOVE ERAVAMO RIMASTI? (piccolo riassunto del capitolo precedente)

 

Divinità Greche e Romane si affrontano per la supremazia sull’Olimpo. A fatica, e con non pochi problemi, le Greche riescono ad avere la meglio. Gli anni sono trascorsi. Tolomeo ed Ipazia, giovani e promettenti rampolli della famiglia delle divinità guerriere, sono ormai adolescenti. Saga, rimasto imprigionato nella sua stessa illusione, giace privo di sensi in una sorta di bara di cristallo da cui si dice che non si risveglierà mai. Tolomeo, il suo primogenito, però non ci crede e lotta per ottenere un’armatura. Una volta ottenute le vestigia, parte alla ricerca di una soluzione nonostante le raccomandazioni degli adulti del tempio. E questa e la sua avventura.

 

I

L’EREDE

 

“Ancora non lo avete trovato?” domandò Ares.

Ormai stava scendendo il buio sul Grande Tempio ed il Dio non riusciva a nascondere la sua preoccupazione, anche se negava ogni coinvolgimento emotivo. Tolomeo risultava scomparso da ore e molti sapevano quali idee frullassero nella testa di quel giovane.

“No, nessuna traccia” scosse la testa Phobos.

“Non che tu con quell’occhio possa aiutare..” quasi sfotté Zeus, il piccolo della famiglia, figlio di Ares e Athena.

Si riferiva all’occhio che Phobos aveva danneggiato nella grande battaglia contro i romani e che da quel giorno non si apriva più.

“Grazie per rigirare il coltello nella piaga, marmocchio viziato!” sbottò il Dio.

“Non siamo qui per litigare!” li zittì Atena “Siamo qui per trovare un ragazzo che si è allontanato verso chissà quale missione impossibile. Che vi ricordo è vostro nipote”.

“E mica dico niente io..” borbottò Zeus e Phobos lo fulminò con l’unico occhio.

“Nemmeno tu hai trovato qualcosa, Marte?” ignorò tutti Kanon.

Il Dio romano scosse la testa.

“Ci hai provato almeno?” sibilò Ares “Visto quanto poco frega a tua sorella della sua progenie..”.

“Aoh! Ma che stai a dì? Fijo di una marmotta..è anco nipote mio! E gli vojo un bene dell’anima!” rimbeccò Marte, offeso.

“Hai appena dato della marmotta a mia madre?!” ringhiò Ares, che si infiammava subito quando qualcuno osava toccargli la mamma.

“Ma piantatela! Rimandate ad un altro momento le risse, coglioni!” li zittì Kanon.

“Tu non mi dai ordini! Dove cazzo stavi? Non era forse compito tuo sorvegliarlo?” gli rispose il genitore.

“Sono il suo tutore, ma non posso pedinarlo tutto il giorno! Era andato a trovare Saga e pensavo avesse bisogno di qualche momento da solo. Non pensavo scappasse! Era l’ultima cosa che volevo!”.

“E allora è colpa di quel bastardo di Gran Sacerdote, che gli ha dato l’armatura, offrendogli la possibilità di andarsene”.

“Kiki non c’entra. Avrebbe ottenuto l’armatura lo stesso e tu lo sai”.

“Spero non gli succeda qualcosa. Non capisco perché la mia progenie abbia così tanta voglia di morire”.

Ares sospirò. Era il primo che sperava nel risveglio di colui che avrebbe sempre chiamato Arles, ma mai a costo della vita del nipote. Si stupiva di se stesso, per provare quei sentimenti. Ma del resto, si disse, i legami di sangue sono cose importanti!

“Ho cercato di spiegargli che quel che aveva in mente era una follia” riprese Kanon “Che non ne valeva la pena struggersi tanto per Saga. Alla fine..io non credo soffra. Ma Tolomeo non ha fatto altro che pensare ad un modo per aiutarlo fin da bambino. Ed ho fallito come tutore, lo ammetto. Ma ora non serve a nulla darci le colpe l’un con l’altro! Dobbiamo ritrovarlo, prima che gli succeda qualcosa di grave!”.

“Ricordiamoci che è solo un ragazzo..” annuì Athena “Ipazia! Tu sei la sua gemella, non hai idea di dove possa essere andato? Non ti ha mai parlato di quel che aveva in mente?”.

“No” rispose la giovane, visibilmente in collera con il fratello “Quel cretino chissà cosa si è messo in testa! Anche io vorrei aiutare papà, ma se tutti ti dicono che non c’è niente da fare perché sei così testardo da andare chissà dove a fare chissà cosa?!”.

“Calmati, Ipazia..stai cambiando colore” le sorrise Kanon.

“Scusate..”.

“Non la reprimere!” scosse la testa Ares “Non vedi che il suo sguardo è quello da fiera lupa tipica della mia discendenza? Certo, spero che pure a lei non frullino in testa strane cose..”.

“Tipo fuggire?” ghignò Ipazia “Tranquillo, nonno. Se mai un giorno fuggirò da qui, sarà perché mi avete rotto tutti quanti le palle, non certo perché voglio compiere missioni impossibili!”.

“Sei proprio la figlia di Arles” rise Deimos.

“Però..rivoglio Tolomeo a casa. È pur sempre mio fratello!”.

“Lo troveremo. Abbi fiducia” le accarezzò la testa Kanon.

 

Tolomeo camminava convinto. Ignorando il fatto che ormai era sceso il buio, si addentro nella fitta foresta. Il rosso vivo dei suoi capelli pareva splendere fra il verde cupo della vegetazione. Conosceva la strada ormai perché più volte aveva tentato di intraprendere quel cammino, senza però mai andare oltre il limiti che un qualsiasi essere umano desiderava varcare. Un vento gelido lo avviso di aver oltrepassato quel limite e l’aria si fece pesante. Il cielo e la foresta, d’un tratto oscuri, incutevano timore ma non abbastanza da far indietreggiare il giovane. Finalmente riusciva a scorgere l’ingresso della caverna che stava cercando. Continuò, nonostante le grida che vi udiva dalle profondità e i brividi gelidi che ogni tanto gli attraversavano la schiena.  Passò oltre la folla, ammassata in fila, con facilità. Si ritrovò di nuovo di solo al buio ed una voce rimbombò più volte.

“Hai sconfinato, anima. Come sei arrivata fin qui?”.

“Non sono un’anima” rispose subito Tolomeo.

“Sei in vita? Ed hai attraversato uno degli ingressi dell’oltretomba?! Perché mai?”.

“Sto cercando una persona”.

“Chi sei? Non in molti possono compiere una simile impresa”.

“Sono un cavaliere di Athena”.

“Ah..”. Dal buio, apparve un giovane, dissolvendo la nebbia nera che lo celava. “..siete peggio del prezzemolo voialtri cavalieri d’Athena. Che cosa vuoi tu, questa volta?”.

“Sei il figlio di Hades, giusto?”.

“L’unico ed il solo. Te lo ripeto: che cosa vuoi?”.

“Voglio verificare se l’anima di una persona a me legata si trova qui”.

“Questa persona è morta?”.

“No”.

“E allora non è qui”.

“La faccenda è complicata..”.

“Non è affar mio. Di certo, però, non ti è concesso giungere fino a qui impunito”.

“Sono pronto a subire ogni punizione, ma prima voglio verificare se..”.

“Tu qui non puoi far niente. È il regno di mio padre, non quello della tua Dea!”.

“Oh, andiamo! Sono il nipote di Ares e Marte! In un certo modo..siamo parenti!”.

“E la cosa dovrebbe importarmi?”.

“Non lo so..”.

I due rimasero qualche istante in silenzio. Poi il figlio di Hades scosse la testa, annoiato da certi discorsi di parentela. Ma forse a suo padre importava..quindi decise di accompagnarlo.

“Ma se a Padre Hades tu non vai a genio..finirai nei guai!”.

“Sono sempre nei guai..”.

 

Camus continuava imperturbabilmente a leggere, nonostante Kanon cercasse in ogni modo di dargli fastidio.

“Tu sei l’ultimo che lo hai visto!” parlava il figlio di Ares.

“Non credo sia corretto..” rispose, con calma, l’Acquario “..l’ho visto, questo è vero, prima che sparisse. Ma non credo che Tolomeo non sia stato visto da altri, dopo di me”.

“Che gli hai detto?”.

“Io?”.

“E chi?! Gli hai fatto i soliti discorsi sulla ricerca della verità?”.

“Veramente gli ho consigliato di lasciar perdere. Sta combattendo una guerra persa in partenza, cercando di ridare sanità mentale a chi non l’ha avuta mai”.

“Attento a quel che dici..parli comunque di mio fratello”.

“Saga ha sempre sofferto di quel che definirei mal di vivere. Ho caldamente suggerito a quel ragazzino di lasciar suo padre a galleggiare nel mondo immaginario che si è creato. Senza calcolare che l’anima potrebbe averlo anche già lasciato e sia l’ikor a farne battere ancora il cuore”.

“E questo Tomeo lo sa? Tomy sa che l’anima potrebbe essere già nel regno dei morti?”.

“Non è un ragazzo idiota, Kanon. Saga deficitava di sanità mentale ma riconosco pure io la sua intelligenza e Tolomeo ha ereditato tale qualità”.

“Ho paura..paura che quel piccolo stupido sia andato a cercare l’anima del padre da Hades”.

“In questo caso, puoi iniziare ad incidere la sua lapide..”.

 

Nella sala del trono, Hades non era presente. Sedeva, in silenzio, una donna al suo posto.

“Madre” la salutò l’erede di Hades, con un inchino rispettoso.

“Chi è il giovane che porti con te, figlio mio?” domandò lei.

“Un cavaliere di Athena. Sta cercando una persona ed ho pensato che Padre Hades potesse..”.

“Tuo padre non è presente al momento, lascia che me ne occupi io. Torna pure alle tue faccende”.

Con un altro inchino, Tolomeo fu lasciato solo con quella donna, che non parlò per qualche istante.

“Sai chi sono io, cavaliere d’Athena?” domandò poi, rompendo il silenzio.

“Immagino una delle consorti di Hades” ipotizzò Tolomeo.

“Sono Eleonore, seconda moglie del signore di questo luogo. E tu? Chi sei?”.

“Drakos mi faccio chiamare ora. Cavaliere d’oro dei Gemelli”.

“Drakos? Ed il tuo vero nome?”.

“Perché lo volete sapere? Un cavaliere non lo usa, solitamente..”.

“Dimmi chi sei e cosa sei venuto a fare qui”.

“Mi chiamo Tolomeo. Tolomeo Arkeiros, discendente di Ares, al servizio di Athena. Sono qui per l’anima di mio padre Aristotles, Arles, Saga dei Gemelli”.

“Lo sospettavo che fossi tu” ammise la donna, dopo qualche istante di silenzio “Quegli occhi..vieni con me!”.

Il ragazzo era indeciso. Doveva seguire oppure no la regina degli inferi? Beh..alla fine era giunto fin lì, perciò non aveva niente da perdere!

“Tuo padre non è qui” parlò lei, camminando.

“Ah..io..”.

“So quel che gli è successo. E voglio aiutarti, Tomeo”.

“Davvero?”.

La donna camminava davanti al giovanissimo cavaliere, lungo i corridoi dell’immenso palazzo di Hades. Giunti davanti ad una porta scura, Eleonore usò una piccola chiave che portava al collo e l’aprì.

“Queste..” mormorò Tolomeo “..sono le Vostre stanze private?”.

“C’è una cosa che devo mostrarti”.

Dentro quella sala buia, si sentiva odore di polvere e antichità. La regina aprì un armadio, in cerca di qualcosa.

“Quell’abito appeso..” domandò il cavaliere “..è quello che avete indossato al Vostro matrimonio con Hades?”.

Eleonore ne sfiorò le maniche. Erano ricamate d’argento. Con quel tocco, la stoffa mostrò i suoi riflessi azzurri.

“No” rispose poi, girandosi con fra le mani uno scrigno, che aprì.

Al suo interno vi erano delle foto ed una scatolina.

“Hades crede che mi sia dimenticata e sbarazzata di tutto questo. Ma non è così..”.

In una foto che mostrò, lei indossava quell’abito e lo sposo al suo fianco non era certo Hades. Pur avendo i capelli blu, e non neri come era abituato a vedere, in quell’uomo Tolomeo facilmente riconobbe suo padre. E sorrideva.

“Non capisco..” ammise il ragazzo.

“Prima di morire e divenire la sposa di Hades, io ero la moglie di tuo padre. Per questo ti voglio aiutare”.

“Ma ora..siete viva!”.

“Sono viva per volere di Hades, che per un periodo ha cancellato i ricordi del mio passato. Ma poi questi sono riaffiorati. Ed a nulla valgono le frecce di nere di tuo zio Eros! Io amo Saga, Arles, o qualsiasi nome voglia usare per identificarsi. E lui..non so. Alla fine ha avuto te e tua sorella..”.

“Non lo so. Però questa foto mi ha dato un motivo in più. Tutti non hanno fatto altro che ripetermi che mio padre non sorrideva mai e che quindi risvegliarlo è un errore, perché lo farei soffrire. Ma qui sorride! Ed anche in queste altre foto che avete! Con Voi sorrideva! Voi..tornereste? Se io riuscissi a risvegliarlo, tornereste al suo fianco?”.

“La faccenda è complicata..” ammise Eleonore “..Hades non credo lo permetta. Ma..sarei felice se si risvegliasse e fosse felice”.

Aprì la piccola scatolina ed all’interno vi era un anello d’oro. Tolomeo lo riconobbe subito. Suo padre, mai risposato, indossava ancora l’anello identico, assieme a quello nero da vedovo. Fin ora il figlio non si era mai chiesto cosa rappresentassero. Pensava fossero simboli legato al lavoro del genitore e non ad un passato da uomo normale.

“Se riuscirai a risvegliarlo..” riprese lei “..mostragli pure questo anello. E digli che..colei che lo indossava fieramente un tempo, ha il cuore che ancora sussulta quando lo vede”.

“Perché non lo dite Voi stessa? Lo sveglierò, ci riuscirò, e potrete dirlo di persona!”.

“Lo ripeto: è una faccenda complicata. Non so se potrà mai accadere una cosa simile..senza contare il rischio che corro nel conservare questi oggetti!”.

“Ma..non vi mancherà? Questo anello, intendo”.

“Mi manca tuo padre. Non mi importa dell’anello. Se vorrà riportarmelo, quale figlio di un Dio quale è, troverà il modo. Ma ora l’importante è che si risvegli e che sorrida. Non so se il mio amore potrà ancora farlo sorridere ma..lo spero. Ora seguimi. Ti porto da chi può aiutarti”.

“Chi?”.

“Hypnos”.

“Da quel che ne so, ha già provato ad aiutarci in passato..”.

“Ma non aveva la giusta motivazione..”.

 

“E che ci posso fare io, scusa?” borbottò Deathmask, piuttosto assonnato vista l’ora tarda.

“Tu apri le porte del regno dei morti, no?” rispose Phobos “Non mi sembra un gran ragionamento difficile! Se Tolomeo è andato nel regno dei morti, tu vai a prenderlo!”.

“Fermo, genio mancato! Io ti posso portare nello Yomotzu ma non è tutto lì il regno dei morti. Hades non vive in quel postaccio dove ti posso condurre io..e nemmeno molti altri personaggi che quello strano ragazzino può aver avuto l’idea di andare a cercare”.

“Quello stupido..appena lo trovo, lo riempio di botte!”.

“Se lo trovi. Sai..per uscire dall’oltretomba, solitamente viene sempre richiesto qualcosa in cambio. E quel qualcosa a volte è la vita!”.

“Stupido marmocchio. Uno fa tanta fatica per crescerlo e renderlo degno discendente di Ares e questo mi vien su sentimentale e suicida!”.

“Come, in parte, era suo padre..”.

“Non parlare al passato di Arychan!”.

“Arychan?! No, scusa, così non potrò mai chiamarlo..”

“Chiamalo come ti pare!”.

“Tanto ognuno lo chiama come cazzo vuole! A me Arles piace..”.

“Stava iniziando a piacermi. Ha sbarellato troppo presto. Mi ci volevo divertire ancora un po’..”.

“Chi? Tolomeo o Arles?”.

“Tutti e due mi sa..”.

 

“Mia signora..” si inchinò leggermente Hypnos “..ho già spiegato agli abitanti del tempio di Athena che non posso risvegliare Arles. O Saga..quel che è! Essendo lui il Dio delle illusioni, nessun Dio greco potrà mai sopraffarlo nella sua stessa mansione”.

“Ed allora vedi di escogitare un’alternativa! So che ce l’hai!” sbottò Eleonore.

“Regina Eleonore..io..”.

“Non voglio scuse! Usa il tuo cervellino millenario!”.

Hypnos trattenne una bestemmia. Era una divinità normalmente tranquilla ma le femmine che Hades si portava appresso trovavano sempre il modo di innervosirlo. Tolomeo lo percepì ed un pochino si spaventò. Però lo sguardo furioso di Eleonore metteva più paura.

“Che palle..” si rassegnò Hypnos “Saga, Gemini, Arles o come cazzo ti chiami..cosa avrai mai di così speciale che tutti si agitano per te?! Comunque, marmocchio dai capelli rossi..un modo forse c’è”.

“Davvero?!” sorrise Tolomeo.

“Sì ma non è affatto semplice”.

“Fa niente. Che devo fare?”.

Eleonore sorrise, compiaciuta.

“Ho parlato di divinità greche..” riprese il Dio dei Sogni “..ma non esistono solo quelle. Esiste una divinità indiana che ha come mansione le illusioni. Essendo divinità da millenni, è di certo più esperta di tuo padre, che si è illusionato da solo! Quindi immagino sia in grado di sgarbugliare la faccenda”.

“Perfetto! E dove la trovo questa divinità?”.

“Non ne ho idea. Non sono né indiano né induista!”.

“E chi lo sa?”.

“Shaka?”.

“Non sta più al tempio da anni ormai. Io lo ricordo solo vagamente”.

“Perfetto. Sarà tornato in India! Meglio di così?”.

“Sì ma..l’India è grande!”.

Hypnos sbuffò. Che toccava fare per compiacere la sposa del datore di lavoro!

 

“Io non ci torno là!” esclamò Aphrodite “Che si fottano tutti! Voglio bene a Tolomeo, ma non rischio di nuovo la vita per recuperarlo! Che ci vadano i suoi parenti divini!”.

“Ti do perfettamente ragione” annuì Deathmask “Ma i suddetti parenti divini stanno rompendo la minchia a me, capisci? Ed io da solo non vado da Hades!”.

“E perché proprio io?!”.

“Perché sei l’amante di Persefone!”.

“Lo so, non serve gridarlo a tutti!”.

“Tanto lo sanno tutti!”.

“Uffa..”.

Aphrodite sospirò. Non aveva scuse..

 

Aiaco fissò con profondo fastidio quel ragazzetto dai capelli rossi, preferendo evitare di incrociare con lo stesso sguardo il Dio del Sonno.

“E che dovrei farci io?” sibilò il giudice.

“La regina Eleonore è stata chiara” spiegò Hypnos “Adesso è tornata al suo posto, dato che Hades non gradisce molto che se ne vada in giro, ma mi ha lasciato ordini precisi”.

“Ma perché proprio io? E questo qui chi è? Il toy boy della regina?”.

“No, è il figlio dell’ex toy boy della regina. Deve andare in India e tu sei indiano”.

“Ma non mi dire..”.

“Portalo da Shaka. Che se la sbrighi lui!”.

“Io non ci vado dove sta Shaka! Al massimo ce lo sbatto vicino e gli dico come arrivarci”.

“Va benissimo” interruppe Tolomeo.

“Come vuoi, piccolo mortaluccio” ghignò Aiaco “Preparati, perché non sarà un viaggio piacevole”.

“Sono pronto”.

“Che armatura hai in quello scrigno?”.

“Gemini”.

“Ah, niente ali. Che armatura inutile!”.

“Chiedo perdono..” storse il naso Tolomeo “..la devo indossare?”.

“Se vuoi dare MOLTO nell’occhio, ok. Ma te lo sconsiglio. Poi non voglio rovinarmi la reputazione facendomi vedere con un coso d’Athena. Ma non farmi perdere tempo, aptero! Andiamo!”.

“Sì..”.

“Solo una domanda: come pensi di uscire dagli inferi?”.

“In che senso?”.

“Devi lasciare qualcosa, o avere qualcosa che protegge la tua anima”.

“Io..”.

“Ha l’anello della regina” rispose Hypnos “Cavaliere, non devi temere. Con quell’oggetto potrai lasciare questo luogo senza alcuna conseguenza. Ora via, sparite dalla mia vista che ho voglia di poltrire in pace!”.

“Ah..sei figlio di QUEL toy boy!” sorrise Aiaco “Ora mi sono chiare molte cose! Andiamo, va. Prima che cambi idea..”.

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Capitolo 2
*** II- viaggio ***


II

VIAGGIO

 

“Scusa se ti disturbo” parlò, sarcasticamente, Ares “Ma dovrei parlare con te, Discordia”.

La Dea, una delle poche romane a cui era stato concesso di stare sull’Olimpo, si stupì di quella visita. Ares, Dio della guerra, non era molto amato in famiglia. Sull’Olimpo veniva raramente e vederlo voleva dire che era successo qualcosa.

“Ares?” domandò lei “Cosa mai ti porta qui? Problemi al Grande Tempio?”.

“Sì e no. Si tratta di Tolomeo, se ti importa vagamente di sentire qualcosa a riguardo” rispose Ares.

“Sei cinico, guerrafondaio. Tolomeo è mio figlio, certo che mi importa! Che è successo?”.

“Ha ottenuto l’armatura”.

“Bello. Fai i complimenti da parte mia”.

“ ..ed è fuggito”.

“Fuggito? Per andare dove?”.

“Non lo sappiamo. È fuggito, però, per tentare di risvegliare il padre”.

“Quel piccolo stupido..”.

Discordia sospirò.

“Ma voi..” riprese “..non dovreste prendervi cura di lui? È solo un bambino! Come ha permesso il Grande Tempio che fuggisse?”.

“Non è più un bambino!”.

“Di certo non è ancora un uomo..”.

“No, quello no. Ti volevo avvisare. Potresti aiutarci a cercarlo”.

“Non lo vedo da anni. Non so se è una buona idea. Del resto..quasi nessuna divinità si prende cura dei propri figli”.

“A me non interessa se ti importa o meno di Arles, come invece ho fatto in passato. Non ho approvato il fatto che lo ignorassi, anche se dicevi di amarlo. Ma Tolomeo..”.

“Ero legata a lui perché mi aveva salvato la vita, Ares. A che serve che lo sia ancora? Non posso salvargli la vita. E starmene a piangere sotto un uomo sottovetro non fa per me. Anche se, lo ammetto, mi manca. Per quel che riguarda Tolomeo..”.

“Senti..non ho tempo da perdere, donna! Se hai voglia di aiutarmi, muovi il culo. Altrimenti resta pure dove sei, mentre io torno a cercarlo”.

“Come sei tenero. Ti sei rammollito parecchio..”.

“Allora, cosetta..io posso sorvolare sul fatto che tu sia sorella di quel burino di Marte, e posso sorvolare sul fatto che tu sia romana. Posso anche chiudere un occhio su quanto sei troia da quando sei qui sull’olimpo e chiudere l’altro su molte altre cose. Ma non tollero le offese. Non devi osare”.

“Non ti sto offendendo! È la verità!”.

“Farei lo stesso per tutti i miei figli ed i miei nipoti! Questo credi mi renda debole? Pensi che esiterei anche solo un istante se tu osassi metterti contro di me? Ti ammazzerei seduta stante”.

“I sentimenti ti rendono debole”.

“Cazzate!”.

“Hai fatto un sacco di figure di merda per amore..”.

“Ma che farnetichi?!”.

“Afrodite..”.

Ares si morse il labbro. Con gli occhi ormai del tutto rossi, faceva una gran fatica a non scaraventare quella donna giù dall’Olimpo. Ma gli serviva! Era comunque la madre di suo nipote!

“Tolomeo è partito per aiutare suo padre. Ammiro la sua dedizione, anche se mi fa incazzare la sua stupidità. Lo perdono solo perché è un ragazzino. Sono in pensiero e dovresti esserlo anche tu, Discordia!”.

“Lo sono. Ma se mio figlio è testardo anche solo la metà di te e di suo padre..l’unico modo è farlo andare per la sua strada. O si perderà per sempre, oppure otterrà quel che vuole”.

“E tu te ne starai lì con le mani in mano?”.

“Di certo non mi metterò a cercarlo con TE”.

“E chi ti vuole fra i piedi?! Io ti ho detto solo che lo devi cercare”.

“Sono la Dea della Discordia, non mi metto a fare la sentimentale”.

“Crepa”.

“Anch’io ti voglio bene, suocerino”.

“Non sono tuo suocero! Arles non ti ha mai sposata!”.

“E non lo avrebbe mai fatto. Lui è l’eterno sposo di Eleonore”.

“Conosco vagamente la storia. Non mi interessa più di tanto..”.

“Peccato. Al tuo lato sentimentalmente coccoloso piacerebbe. Lo cercherò , comunque. Cercherò di capire dove Tolomeo possa essere. Sono sua madre..”.

“Benissimo..”.

“Ci si vede..”.

“Solo una cosa..se Arles si svegliasse, se Tolomeo raggiungesse il suo scopo, tu cosa faresti?”.

“Ho giurato di servirlo. Io mantengo le promesse. Mi sono allontanata perché ogni istante mi ricordava quanto mi sentissi protetta. Non mi amava, perché quel povero coglione non si è tolto dalla mente Eleonore nemmeno per un istante, ma mi sosteneva. Mi difendeva, mi..beh..lo ammetto: mi eccitava. Ma ha preferito perdersi nelle sue illusioni piuttosto che vivere, perciò che dovrei fare? Struggermi? Lui ha preferito un sogno a me!”.

“Non si rende conto che è un’illusione”.

“E tu come lo sai? Come ne sei certo? E se restasse di sua volontà in quella chimera creata dal suo cervello? Ci hai mai pensato?”.

“Tu sei pazza”.

“Può darsi. Ma staremo a vedere come andranno le cose..”.

Ares non aggiunse altro. Non vedeva l’ora di andarsene da lì! Piuttosto, era meglio stare all’inferno!

 

“Sei lento, ragazzo” commentò Aiaco, camminando a passo spedito per vicoli dell’oltretomba.

“Scusa..” sbotto, sarcastico, Tolomeo “Ma quanto ci vuole?”.

“Pensi che l’India sia dietro l’angolo? Anche se le strade degli inferi sono più brevi, non puoi certo arrivarci in cinque minuti!”.

“E non c’è una scorciatoia?”.

“Questa è già una scorciatoia, sbarbatello! Sei irritante..”.

“Mi sembra di camminare da una vita!”.

“Il tempo e lo spazio non sono gli stessi a cui sei abituato. Per questo possiamo raggiungere la meta a piedi senza metterci un’eternità..”.

“Se lo dici tu..”.

“Oh ma che hai? Dieci anni?! Che marmocchio petulante..”.

“Scusa se ti importuno, nonno..”.

“Bada a come parli! Stiamo per entrare in terre pericolose, dove la tua amata Athena non può fare proprio nulla, perciò ti consiglio di darti una regolata. Se ci tieni a tornare vivo..”.

“Perché? Dove stiamo andando?”.

“Dove STAI andando! Io ti accompagno fino ad un certo punto, poi ti arrangi! Ma non ti preoccupare..ti lascerò da chi saprà darti qualche dritta in più!”.

“Erano questi gli accordi? Tu devi portarmi da Shaka!”.

“Credi per caso che me ne freghi anche solo un minimo degli accordi?”.

 

Phobos sbadigliò. Non capiva tutta l’agitazione nata per la sparizione di Tolomeo.  Alla fine, si diceva, ha sangue di guerriero perciò non correva alcun rischio. Non era pronto a giurarlo, ma veder agitare mezzo Olimpo per un ragazzino era decisamente eccessivo! Era ormai certo che non fosse morto, perciò proprio non comprendeva.. Ringraziò di non avere figli e si poggiò ad una colonna, braccia incrociate, osservando il gemello Deimos che svolazzava grazie all’armatura e perlustrava la zona. Il lupo che sedeva al suo fianco di colpo iniziò a scodinzolare. Phobos lo fissò con aria interrogativa e poi vide apparire Ipazia e comprese il perché di quella dimostrazione di contentezza.

“Ma chi è il mio cucciolo cuccioloso?!” esclamò la giovane, coccolando il lupo che si mise a pancia all’aria.

“Non fa con nessun’altro certe cose..” commentò Phobos.

“Mi vuole bene! Posso portarlo a spasso?”.

“Certo. Dovrei farlo io ma non mi va..”.

“A te non va mai di far niente, zio!”.

“Già..”.

Ipazia colse una certa nota malinconica in quella risposta.

“Sei preoccupato per Tolomeo?” domandò lei.

“E perché dovrei? Ha sangue di drago, vedrai che tornerà sano e salvo. E più forte”.

“Allora perché quell’aria triste?”.

“Ma di che parli?! Porta a spasso sto animale va, che è meglio!”.

Ipazia ridacchiò. Adorava il suo zio scorbutico! Si mise a correre, seguita dal lupo. La capigliatura e l’abito scuro si persero presto nel buio della notte e Phobos si chiese fosse saggio mandare in giro una ragazzina a certe ora ma poi si rispose dicendosi che non era affar suo e si accese una sigaretta.

“Quello sì che è un brutto vizio, amico!” si sentì dire.

Il figlio di Ares ruotò gli occhi al cielo. Da quando viveva al Tempio, non aveva un attimo di privacy! E tutti si facevano gli affaracci degli altri!

“Buonasera, cognato” salutò Milo.

“Quale delle mie sorelle hai sposato tu, scusa? Non ricordo”.

“Mirina”.

“Ah, già. Chiedo perdono, è che ne ho troppi di parenti da ricordare”.

“Sarà la vecchiaia..”.

“Ma..come osi?!”.

“Ti sei visto?! Stai invecchiando”.

“Sono un Dio! Gli Dei non invecchiano!”.

“Beh, tu sì! Credimi: dalla guerra contro i romani, sei cambiato. A Deimos non è successa la stessa cosa”.

“Sarà forse perché quel simpaticone del Leone, detto in tono sarcastico, mi ha trafitto con la daga che uccide gli Dei proprio nella battaglia finale?”.

“Dici? Non lo so. Ero impegnato in altre faccende”.

Phobos scosse la testa, ignorando lo Scorpione. Però..e se quel cavaliere avesse ragione? Se davvero quella coltellata avesse avuto così gravi conseguenze? Si guardò la mano, che giurò veder tremare leggermente. Subito la richiuse a pugno.

“Con le amazzoni ho ispezionato un’ampia zona” parlò di nuovo Milo “Senza però trovare alcuna traccia. È addestrato bene..”.

“Sa come non lasciare indizi. Anche se è solo un moccioso, ci ha fottuti tutti quanti”.

“Come ha fatto suo padre, del resto..”.

“Già. Come ha potuto il Tempio non accorgersi che aveva preso il posto di Shion proprio non lo capisco..”.

“Io ero solo un bambino. Ed il tuo fratellino sa essere davvero subdolo..”.

“Parli del lato Saga o Arles?”.

“Entrambi..”.

 

“Non sentirti in colpa, Kiki. Sarebbe fuggito comunque” parlò Shura, nell’insolita veste di rassicuratore.

“Non so” rispose il Gran Sacerdote “Forse senza l’armatura di Gemini non si sarebbe allontanato”.

“L’avrebbe ottenuta. Sai bene che sono le armature a sceglierci, anche se c’è chi crede qualcosa di diverso”.

“Hai controllato la zona a nord del Santuario?”.

“Certo. Il ragazzo sembra svanito nel nulla”.

“Si muove alla velocità della luce, come ogni cavaliere. Chissà dove sarà adesso..”.

“Non possiamo paralizzare l’intero Santuario per un singolo individuo, anche se è il figlio di Saga”.

“Sono d’accordo. Ma a questo punto credo non ci sia modo di focalizzare l’attenzione su altro”.

Kiki sorrise, quasi divertito. I tempi di pace provocavano sempre tanta noia. Erano piacevoli ma anche tanto noiosi!

 

“Psiche! Che fai qui?” domandò Kanon, raggiungendo il luogo dove il gemello era custodito.

“Cerco di percepire il suo animo” rispose lei, ad occhi chiusi.

“E perché?”.

“Forse in qualche modo ha capito dove andava il figlio o forse è stato il figlio stesso a dirglielo”.

Kanon alzò lo sguardo. Il gemello a braccia spalancate nell’ikor, che pareva serenamente addormentato, lo turbava. Più volte aveva dovuto resistere alla tentazione di frantumare quella bacheca di cristallo per togliergli quel sorriso irreale dal volto.

“E senti qualcosa?” domandò poi, avvicinandosi alla donna.

“No” ammise lei “La sua mente è avvolta da mille veli per me impenetrabili. Sarebbe stato un Dio molto potente, se fosse stato in grado di controllarsi”.

“Sarebbe stato tante cose, se fosse stato in grado di controllarsi!”.

La sposa di Eros sorrise, teneramente. Percepiva nel tono di Kanon l’affetto che cercava di celare per quel gemello addormentato.

“Saga..” borbottò Kanon, sfiorandone la teca “..anche da privo di sensi riesci a far casino al Santuario. Sei davvero incredibile!”.

 

Canticchiando, Deathmask era giunto davanti al cancello dietro a cui si aprivano le stanze di Hades. Le aprì con un calcio, senza togliere le mani dalle tasche.

“Ma non si fa così!” sbottò Aphrodite.

“Non ho tempo da perdere, io! Hades! Dove sei?! A cercare qualche altro piccolo gay vergine a cui rubare il corpo?!”.

Assieme a Cancro e Pesci, c’era Persefone che, come consorte del re di quel luogo, aveva libero accesso. Hades, seduto e mezzo addormentato sul suo trono, inclinò solo la testa. Si sforzò di rimanere calmo, perché al momento non aveva motivi validi per scatenare una guerra. Inoltre sua moglie Persefone l’avrebbe massacrato di insulti se avesse osato toccare il suo amante ed il suo amico. A volte il Dio degli inferi aveva il dubbio che vi fossero strani intrecci non del tutto eterosessuali da quelle parti.

“Non serve gridare” sbottò “Ci sento benissimo. Che cosa volete? Solo perché Persefone vi ha dato il permesso, questo non vuol dire che possiate gironzolare per il mio regno come fosse un parco giochi!”.

“Scusaci” ridacchio, sarcastico, il Cancro “Cerchiamo un ragazzo”.

“Un ragazzo?” si stupì Hades, aggiungendo nella sua mente “lo sapevo che questi due non erano etero!”.

“Si chiama Tolomeo. È passato da queste parti?”.

“Non posso sapere il nome di tutti quelli che entrano nell’aldilà”.

“Questo te lo ricorderesti. È il figlio di Saga”.

“E chi è?”.

“Il piagnucolone a cui hai affidato una surplice”.

“Ah, il depresso pieno di sensi di colpa! Me lo ricordo! Suo figlio è come lui? Che ha combinato? Si è suicidato?”.

“No. È scappato e temiamo possa aver commesso la minchiata di venire fin qui a cercare l’anima del padre”.

“L’anima del padre non ce l’ho io. Altrimenti, fidati, sarebbe uno dei miei guerrieri. Un cosmo simile non me lo lascio di certo sfuggire”.

“Ma noi vogliamo sapere di Tolomeo. È passato per qui?”.

“Per di qua non penso. Non che io sappia. Ma forse..Eleonore!” chiamò a gran voce.

La donna comparve dopo qualche istante, scansando la pesante tenda. Subito intuì perché i due cavalieri fossero lì ed un po’ si spaventò. Hades non doveva sapere certe cose!

“Eleonore, mia cara..è passato per caso un certo Tolomeo da queste parti?” domandò Hades.

“Tolomeo? Non so..” fece la vaga lei.

“Ha i capelli rossi” spiegò Aphrodite “Gli occhi verdi come quelli di Saga e portava con sé l’armatura dei Gemelli”.

“Una cosa del genere me la ricorderei” sorrise lei “No, non è passato per di qua”.

“Perfetto. Questo ci bastava” ghignò Deathmask “Grazie mille!”.

Hades fissò il gruppetto piuttosto perplesso. Dov’era finito il rispetto per le divinità?! Incrociò lo sguardo della seconda moglie ed alzò un sopracciglio, mentre Pesci, Cancro e Persefone si allontanavano.

“Qualcosa non va?” domandò ed Eleonore sorrise, scuotendo la testa.

“Sono solo stanca. Poi rivedere i cavalieri mi fa sempre uno strano effetto. Mi spavento perché tempo una guerra..”.

“Oh, mia cara! Non devi temere! Anche se scoppiasse una guerra, io ti difenderei e tu lo sai”.

“Sì. Lo so..”.

Hades non pareva del tutto convinto ma lasciò che Eleonore tornasse nelle sue stanze. La osservò, trovandola bella come il primo momento in cui l’aveva vista. Però ultimamente era strana. Forse era meglio tenerla d’occhio.

E che Eleonore fosse strana non l’aveva notato solo Hades.

“Lei mentiva” commentò Persefone, camminando fra Pesci e Cancro.

“Eleonore?” chiese conferma Aphrodite.

“Sì. Non era sincera. Nasconde qualcosa..”.

“Credi abbia a che fare con Tolomeo?”.

“Non lo so. Ma le conviene stare molto attenta perché il confine fra odio ed amore è labile e l’odio di Hades non è una cosa gestibile..”.

 

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Capitolo 3
*** III- guida ***


III

 

GUIDA

 

 

“Io non proseguo oltre, ragazzo” si fermò Aiaco.

“Ma..dove siamo adesso?” domandò il giovane cavaliere.

“Prosegui dritto e lo capirai”.

Tolomeo si voltò. Attorno a lui vi era solo buio, come faceva a capire quale fosse la direzione da seguire?

“Ma io..”.

“Moccioso..sei un cavaliere, giusto? E allora lascia che il tuo cosmo ti guidi. La tua armatura sa dove si trova, perché sicuramente almeno una volta ci è già stata. Perciò smettila di perdere tempo e..”.

“Io sono un cavaliere da pochissimo. Non so se sono in grado di..”.

“E allora non dovevi metterti in viaggio”.

Aiaco ghignò, divertito, prima di voltarsi per tornare sui suoi passi.

“Aspetta! Dimmi almeno per quale motivo tu non vieni con me. Cosa c’è di così terribile che mi attende?”.

“Dipenderà da te. Io so per certo che, superando certe soglie, farei una fine orribile. Ma tu..forse tu sei diverso. Chi lo sa. Se ti rivedrò fra gli spettri, lo capirò. Non che mi importi più di tanto..”.

Il cavaliere non tentò ulteriormente di fermare il giudice degli inferi, capendo che non avrebbe ricevuto altro aiuto. Rimasto da solo nel buio, ricominciò a camminare.

“L’armatura..” si diceva “..e il cosmo. Mi guideranno. Mah..speriamo!”.

Si concentrò, tentando di percepire qualcosa. Ancora molto inesperto, faticava a fare quello che per un cavaliere di lunga data era semplice. Sospirò. Era anche piuttosto stanco.

“Ci devo riuscire!” si disse.

Si fermò ed aprì la Pandora che si portava sulla schiena. Prese fra le mani l’elmo dell’armatura dei Gemelli e ne osservò il volto triste.

“Tu sai dove dobbiamo andare?” le domandò “Per favore..so che sono ancora un indegno portatore ma ho bisogno del tuo aiuto. Atena..non so se sei stata tu a donarmi questo cosmo o se è stata un’altra divinità, e non so se sarò mai all’altezza dei miei predecessori ma..”.

L’armatura brillò, qualche secondo. Tolomeo lo vide e sobbalzò, non abituato a vederla reagire.

“Probabilmente aveva ragione Aiaco..” disse “..non dovevo partire. Sono ancora così fottutamente inesperto ed imbranato! Inutile che mi esalti perché sono un cavaliere..ci sono tante cose che ancora non so”.

L’armatura brillò, questa volta più intensamente e lasciò la Pandora, ricomponendosi come se qualcuno la suo interno la stesse indossando. Il giovane alzò lo sguardo e si rimise in piedi. Era più basso di quelle vestigia di quasi una testa, segno evidente che ancora doveva crescere prima di poterle indossare senza che queste sembrassero troppo larghe. Nel buio all’interno dell’elmo non vi era un volto ma, pur non sapendo perché, Tolomeo aveva l’impressione che la sua armatura lo stesse fissando.

“Guidami” mormorò il ragazzo e l’armatura iniziò a camminare.

 

“Dici stesse mentendo?” chiese conferma Ares.

Nella stessa stanza, il Dio della guerra ascoltava quel che i cavalieri appena rientrati dal regno degli inferi stavano raccontando. Assieme a lui, stavano Deimos, Kanon ed Ipazia.

“Così crede Persefone” confermò Aphrodite.

“Pensate che Eleonore stesse in qualche modo coprendo Tolomeo?”.

“Coprendo non saprei. Ma penso sapesse qualche cosa, che non voleva che Hades sapesse”.

“La cosa non mi piace. Hades se si incazza diventa una vera scocciatura e non so quanto quella donna possa riuscire ad ingannarlo o aggirarlo..”.

“Potrebbe anche non essere niente. Magari non riguarda Tolomeo..”.

“Potrebbe però riguardare Saga..” interruppe Kanon “..sappiamo bene che non è argomento che Hades gradisce”.

“Ma può anche tacere!” sbottò Ares “In questo caso è lui che ha fottuto la moglie a qualcun altro e non viceversa quindi può solo che star zitto!”.

“Papà, rilassati” scosse la testa Deimos “Ti scaldi sempre a cazzo..”.

“Non è vero”.

“Sì, lo è”.

“Già. Hai ragione. Ma quell’uomo mi fa girare le palle..”.

“Hades? Le fa girare a molti..”.

Deathmask annuì ed Aphrodite trattenne una risata. Pesci aveva, volente o nolente, spesso a che fare con il re degli inferi ed ormai ne conosceva gli sbalzi d’umore.

“Spero per lui..” ringhiò Ares “..che non sappia qualcosa su Tolomeo o Arles e lo tenga nascosto..”.

“Ma non è tuo zio?” riprese Kanon.

“E con ciò? Tecnicamente tu hai zii e zie sparsi ovunque. Con quanti di loro parli?”.

“Con nessuno. Solo ad Atena, ogni tanto”.

“Visto? Io con Hades mi ci rapporto fino ad un certo limite. Come del resto con la maggior parte della famiglia. Finirebbe con il non svelarmi nulla..”.

“Hai paura di andare nel regno dei morti?”.

“Vedi di non parlare sempre a vanvera, Kanon! C’è la paura e c’è la prudenza. Nessuno, nemmeno un Dio, è al sicuro una volta varcate certe soglie. Ed io spero che Tomeo non sia stato così stupido da intraprendere certi viaggi..”.

“Forse Eleonore lo ha aiutato” azzardò Aphrodite.

“Ma perché avrebbe dovuto? Eros ha usato la freccia dell’odio contro di lei. Non ama più Arles”.

“Non è che tutti agiscono per puro rendiconto e si muovono solo quando qualcuno gli tocca i parenti..”.

“È una velata critica?”.

“Non mi azzarderei mai. Dico solo che forse lo ha aiutato perché desiderosa di aiutare, non perché legata sentimentalmente a qualcuno. Eleonore mi è sembrata una donna di buon cuore..”.

“Concordo con Aphrodite” annuì Deathmask “Magari le ha fatto pena un marmocchio sperduto e lo ha aiutato. Ma sa che Hades non approverebbe una cosa del genere e quindi lo tiene nascosto”.

“Poi..” parlò Ipazia “..la freccia nera..siamo sicuri che funzioni sempre?”.

“Eros è una divinità molto potente, nipote mia..”.

“Sì ma magari il Fato vuole diversamente”.

“Che romantica sei ancora. Si sente che sei giovane..”.

“E tu sei pessimista. Triste. Non sogni più..”.

“Sono vecchio, bambina”.

“Ma allora che facciamo?” si intromise Deimos, stanco di discorsi irrilevanti.

“Continuiamo a cercarlo, che domande!” sbottò Ares “Dov’è tuo fratello?”.

“Phobos? Non ne ho idea..”.

“Che strano. Di solito voi due bazzicate sempre insieme”.

“Non è che me lo sono sposato. Sarà a femmine..”.

“Quando lo vedi, avvisalo che gli vorrei parlare”.

“Papà..da quando sei così educato? Stai bene?” ridacchiò Deimos.

“C’è qualcosa che non va. E sto cercando di capire che cosa. Tu torna pure a grattarti le palle”.

“Hei! Ho cercato Tolomeo esattamente come tutti gli altri! Non capisco perché ti dai tanta pena per un ragazzino, figlio di un uomo che si è incasinato la mente DA SOLO come un povero coglione! Non ti riconosco più. Forse è tempo che tu vada in pensione”.

Ares si voltò di scatto e colpì violentemente il figlio, spedendolo contro il muro.

“Non osare parlarmi così!” tuonò il Dio della guerra “Non osare mai più!”.

Deimos ringhiò. Si pulì la bocca dal sangue e si rialzò, lasciando la stanza. Era sceso uno strano silenzio.

“Siamo tutti nervosi..” mormorò Ipazia e Kanon annuì.

“Per me siete tutti fuori di testa in famiglia” sbottò Deathmask, osservando il buco nel muro lasciato dalla testa dura di Deimos.

“Normale amministrazione” tagliò corto Ares “Ed ora ricominciamo le ricerche”.

 

Tolomeo seguiva l’armatura, che camminava di qualche metro davanti a lui. Si chiedeva se era stato veramente lui in grado di risvegliarla o se era stato qualcun altro. Forse Atena..

Ora che l’oscurità si stava diradando, il cavaliere si rendeva conto di star camminando fra ossa e cadaveri, anime che gemevano in cerca di pace. Non se ne stupì molto. Dopotutto era pur sempre su una strada che conduceva nel regno dei morti.. Strinse fra le mani l’anello della regina Eleonore e quelle anime tormentate parvero aprir loro la strada.

“Le stelle!” esclamò Tolomeo, guardando in su.

Aveva lasciato il regno di Hades? Ma vedeva ancora anime e cadaveri..

“Chissà quanto tempo ho trascorso in quel luogo..dicono che il tempo nell’oltretomba scorra in modo diverso..spero non troppo. Saranno tutti preoccupati..”.

Le tenebre e la nebbia si stavano diradando. Le vestigia erano rientrate nella Pandora e davanti a Tolomeo finalmente si mostrò un edificio che il ragazzo riconobbe: il palazzo di Mur!

“Ah, mi sembrava di percepire un cosmo familiare” sorrise proprio Mur, affacciato ad una delle balconate “Quella che porti è l’armatura dei Gemelli, vero?”.

“È così”.

“Era da tanto che quell’armatura non passava dalle mie parti. Cosa le è successo?”.

“Nulla. Non necessita riparazioni. Sono giunto fin qui per un’altra ragione..”.

“E quale, ragazzo?”.

“Cerco Shaka”.

“E per quale motivo?”.

“La storia è lunga ed io sono piuttosto stanco ed affamato. Chiedo scusa..concedetemi qualche istante e poi sarò lieto di raccontarvi tutto, Grande Mur”.

Il Lemuriano usò il teletrasporto, apparve a pochi passi da Tolomeo e lo squadrò per bene.

“Vieni con me, cavaliere” parlò Mur, dopo qualche istante.

 

Eleonore camminava lentamente. Non voleva dare nell’occhio fra le strade dell’oltretomba. Tutti erano piuttosto impegnati o indifferenti quindi nessuno fece caso alla regina. Solo qualche anima parve guardarla. Aveva deciso di uscire allo scoperto quella sera di luna piena. Non aveva mai lasciato il regno da quando era finita nel mondo dei morti e sapeva che Hades non avrebbe approvato. Non appena i capelli di lei furono illuminati dalla pallida Luna, cambiarono colore, divenendo bianchi. Come Somma Sacerdotessa di Artemide, era questa una caratteristica che aveva sempre posseduto. Da molto non pregava la luna però in quella notte aveva percepito qualcosa dentro di sé che la spingeva a rivolgere di nuovo parole di fede al satellite nel cielo ed alla Dea ad esso legato.

“Oh, Dea..” mormorò, guardando il perfetto cerchio bianco pallido “..non so se ancora vuoi ascoltarmi. Forse troppo a lungo non ho rivolto lo sguardo ed il cuore verso te. Ma se la tua misericordia può ancora avvolgermi, allora ti prego di ascoltare questa mia supplica”.

Spalancò le braccia, lasciando che la luce del plenilunio l’avvolgesse.

“Proteggi Tolomeo. Guidalo lungo il suo viaggio, con la saggezza di anziana e maga. Aiutalo a realizzare il suo desiderio e culla i suoi sogni, come madre nel buio della notte. Accarezza il suo cuore, donandogli l’amore di fanciulla, mantenendolo luminoso e buono. Ascolta le parole di questa tua figlia che è stata fanciulla fra le braccia di un uomo che follemente l’ha amata, che è stata madre per opera di un Dio di morte e che ora è maga, forse stanca del buio, che anela a tornare ad essere fanciulla, rinnovandosi proprio come fai tu, Madre Luna”.

Non sapeva per quale ragione, ma stava cantando. Non conosceva quelle parole, ma le sembrava di conoscere quel testo da sempre. Un rumore fra gli alberi la interruppe.

“Madre..?” domandò, piuttosto confusa.

Si voltò, cercando di scorgere qualcuno nel buio. Qualcosa rifletté la luce della luna.

“Chi sei tu?” spalancò gli occhi, sentendosi afferrare e trascinare via.

 

Tolomeo riaprì gli occhi. Stava albeggiando. Dopo essersi rinfrescato e rifocillato doveva essersi addormentato. Si guardò attorno. Mur lo fissava con tenerezza, seduto a terra con le gambe incrociate.

“Un po’ di tè?” chiese.

“Io..ecco..grazie. Mi sono addormentato..chiedo scusa”.

“Non c’è problema. Sei giovane e dormire ti aiuta a crescere. Altrimenti quell’armatura ti andrà sempre larga” fece l’occhiolino il padrone di casa, versando del tè in una tazza.

“Grazie” ripeté il ragazzo, mettendosi seduto.

“Allora, giovanotto..qual è il tuo nome? E che cosa ti spinge fin qui in cerca di Shaka?”.

“Io sono Tolomeo. Non vi ricordate di me?”.

“Tolomeo? Tomeo? Quel piccoletto pel di carota che non mi arrivava manco alla cinta? Sei davvero tu?”.

“C’è forse qualcun altro con un nome come il mio? Un altro genitore così sadico al mondo da dare un nome simile?!”.

“No, non credo” ridacchiò Mur “Vedendoti, mi rendo conto di mancare da tanto al santuario. Almeno una decina di anni. Com’è la situazione? Come se la cava Kiki?”.

“Direi tutto tranquillo. E Kiki se la cava egregiamente, a mio parere”.

“Ottimo. Ora parlami di te e della tua missione”.

“Io..sto cercando Shaka. Mi è stato detto che lui potrebbe aiutarmi a risvegliare mio padre”.

“Arles? Ancora vive?”.

“Se stare rinchiuso sottovetro si può definire vivere..”.

“Pensavo che dopo un po’ cedesse. Tu sei testardo e tenace quanto lui?”.

“Dicono di sì” ghignò Tolomeo, poggiando la tazza ormai vuota.

Mur rispose a quella specie di sorriso e poi tornò serio, fissando Tolomeo.

“Hai gli occhi di tuo padre” commentò “Cambiano colore?”.

“A volte..”.

“Perché vuoi svegliarlo? Perché vuoi aiutare tuo padre? Alla fine, già era perso nella sua illusione quando sei nato..

“E allora? Perché volete saperlo?”.

“Perché io posso svelarti dove sta Shaka ma sarà un viaggio inutile se non avrai la giusta motivazione”.

“Direi che la motivazione è ovvia. Io sono un cavaliere. Ed ho giurato di aiutare le persone. Lui ha bisogno di aiuto ed io devo fare tutto il possibile”.

“Non lo fai solo per un tuo rendiconto personale? Solo perché è tuo padre?”.

“No. Certo che no. Come avete già detto, era già intrappolato quando io sono nato perciò non ho ricordi legati a lui. L’ho sempre visto in quel baccello d’ikor e non so come sia veramente, se non tramite storie raccontate. Non mi interessano le voci che lo descrivono come un pazzo o un depresso. Non sono affari miei”.

“E se ti dicessi che il suo comportamento ha portato alla morte di molti?”.

“Non mi interessa nemmeno quello. Quel che mi interessa è quello che lo ha portato a ridursi così com’è. Io sono un cavaliere e davanti a me non vedo un padre ma un cavaliere come me. Ha combattuto per proteggere quello in cui credeva e per questo non è stato in grado di controllare il suo potere. Non merita di essere abbandonato. Ha dato tutto se stesso per una ragione giusta e mi sentirei un ingrato se non facessi qualcosa per aiutarlo. Mi è stato insegnato che un cavaliere deve aiutare chi è in difficoltà”.

“Quindi lo faresti anche se non fosse suo padre?”.

“Ovviamente. Non è forse così che agisce un Saint? Io lo sono da poco, ma tento di seguire le orme dei miei predecessori e camminare su un sentiero di giustizia”.

“Come parli strano per essere solo un ragazzino..”.

“Io..”.

“Non ti giustificare. Se il tuo fosse un gesto puramente egoistico, per riavere tuo padre come potente apripista della tua vita, non ti avrei aiutato. Ma sembra che il tuo cuore sia puro e buono. Perciò ti aiuterò”.

“Grazie” chinò il capo Tolomeo.

“Chi ti ha indirizzato qui?”.

“Hypnos”.

“Sei stato da Hypnos? Nel regno di Hades?”.

“Sì”.

“Hai fegato. Oppure sei completamente pazzo..”.

“Forse entrambe le cose..”.

“Comunque di certo le tue capacità sono notevoli. Vieni..meglio che ti cambi, ragazzo. Quei vestiti sono troppo leggeri per dove ti devo condurre”.

“Mi guiderete fino da Shaka?”.

“Sì, lo farò. Ma dobbiamo per forza camminare per un tratto, perché così impone l’antico cavaliere della Vergine. Ed il clima non è dei migliori per uno come te, abituato al sole di Grecia”.

“Vi ringrazio!” sorrise sinceramente Tolomeo.

“Mi piace quel che vedo in te, Tomy. Non cambiare mai”.

 

Ed eccoci qua..piccola parentesi al termine di questo terzo capitolo. Come state? Vi sono mancate le mie storie deprimenti? XD spero vi possiate affezionare al piccolo Tolomeo. So che un OC non potrà mai sostituire i personaggi originali ma spero di riuscire a narrare il suo percorso in modo da renderlo apprezzabile. Il cammino è ancora lungo..

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Capitolo 4
*** IV- sospetti ***


IV

 

SOSPETTI

 

Ares stava sfogando la sua frustrazione contro un ignaro ed innocente capitello con cui si divertiva a giocare, come fosse un pallone. Rideva soddisfatto, dopo averlo scagliato lontano, quando un’ombra coprì il sole. Guardò verso l’alto, con aria interrogativa, giusto in tempo per vedersi Hades piombargli addosso. Furioso, il Dio degli inferi brandiva la spada. Per fortuna Ares è una divinità difficile da cogliere di sorpresa in battaglia e quindi aveva facilmente parato il colpo.

“Ma che problemi hai!? Sei impazzito?!” ringhiò, mentre lo zio lo attaccava di nuovo.

Il potere di Hades era notevole ed Ares sapeva bene di non potergli tenere testa molto a lungo. Si fissarono negli occhi, lama contro lama. Hades lanciò un grido ed Ares finì spinto indietro. Poi il Dio degli inferi saltò , sollevando la spada dietro la testa, pronto ad abbassarla sul corpo del nipote.  Il Dio della guerra spalancò gli occhi e riuscì solo per un soffio a schivare quel colpo, che fece tremare tutto il santuario e lasciò un profondo solco in terra.

“Ma vaffanculo!” sbraitò Ares “Si può sapere che ti ho fatto?!”.

“Dov’è mia moglie?”.

“Sotto a Pesci, credo!”.

“Non lei! Non parlo di Persefone! Dov’è Eleonore?”.

“E io che cazzo ne so?!?”.

Hades ricominciò ad attaccare. Atena, allarmata dal trambusto, osservava la scena. Aveva paura che, intervenendo, potesse dare il via all’ennesima guerra santa. Phobos e Deimos si fissarono. Non era la prima volta che il loro padre litigava con qualche altro Dio ma era meglio comunque restare all’erta.

“Dov’è mia moglie?” domandò ancora Hades.

“Non lo so” confermò Ares “Perché mai dovrei saperlo?!”.

“Basta con le cazzate!”.

“Ma quali cazzate?! Oh, fatti curare!”.

Hades gridò di nuovo. Il suo cosmo oscuro bruciava e si espandeva in fretta, avvolgendo Ares. Il Dio della guerra reagì, respingendolo con la propria aura rossa. Quando entrambi ebbero raggiunto la massima potenza, esplosero con un boato che risuonò più volte al Tempio.

“Fate qualcosa!” supplicò Atena, raggiungendo Phobos e Deimos.

“E perché?” domandò Deimos “A papà fanno bene un po’ di sberle ogni tanto..”.

“Ma..”.

“Ti ammazzo se non me lo dici!” sbraitava Hades e pareva davvero intenzionato a fare quanto detto.

Saltò per colpire di nuovo il nipote, che riuscì a schivare di nuovo per un pelo, questa volta grazie all’armatura alata. Il Dio degli inferi ghignò, indossando a sua volta le vestigia divine e spiccando il volo. Dopo uno scambio di colpi in aria, il re degli inferi scagliò Ares in terra. Al centro di un cratere appena formato dalla sua stessa testa, il Dio della guerra si scosse. Steso a terra, la vista gli si appannò per qualche istante. Quando rimise a fuoco, davanti a sé stava Phobos.

“Adesso basta!” lo sentì dire.

Hades ringhiò di rabbia e partì in picchiata, con la spada sguainata. Phobos non si mosse. Guardò, con il solo occhio buono, il Dio dell’oltretomba. Questi scendeva sempre di più ma, quando fu giunto abbastanza vicino all’obbiettivo, sussultò. Quello sguardo..

Ares non gli diede modo di riflettere e lo colpì con un poderoso cazzotto, che lo ribaltò in terra.

“Vedi di darti una calmata, zio. Io la tua adorata mogliettina non l’ho vista, così come nessuno di noi” sbottò il Dio della guerra.

Hades si rialzò. Le due divinità ansimavano per la fatica.

“Se non è qui..” parlò di nuovo il Dio degli inferi “..allora dov’è?”.

“Non ne ho idea. Dimmi..perché dovrei saperlo io?!”

“Non è qui dal tuo marmocchio imbarattolato?”.

“Parli di Arles? Intanto non offendere e poi no, non è qui da lui. La freccia dell’odio, ricordi?”.

Hades parve calmarsi. Fissò di nuovo Phobos, avvicinandosi con la mano al volto del Dio della paura. Questi si ritrasse, tenendo le braccia incrociate.

“Da quando la vita sta scorrendo via da te, Phobos?”.

 

Il freddo era pungente. Tolomeo osservava Mur con una certa invidia, perché se ne stava con le maniche corte e camminava tranquillo come se niente fosse. Si arrampicava agilmente lungo quel sentiero ripido e ghiacciato con rapidità ed il giovane faticava a seguirlo. Però non voleva certo mostrare di essere in difficoltà! Quando scivolò, sentì la mano di Mur sorreggerlo saldamente.

“Scusa, ragazzo” sorrise il Lemuriano “Io vivo qui da anni e non mi rendo conto di quanto possa essere complicato camminarci per qualcuno che non è abituato”.

“Grazie per l’aiuto..”.

“Non ti vergognare, sei solo un cucciolo. Ne hai di strada fare ancora! Il fatto che tu riconosca ed affronti le tue debolezze è una grande cosa”.

“Voi dite?”.

“Non darmi del voi, per favore! Mi fai sentire vecchio!”.

“Scusate..”.

“Oh, Tolomeo! Chissà se anche tuo padre era così da giovane!” rise divertito Mur.

“Non lo ricordate?”.

“Io sono più giovane di tuo padre. Ricordo solo vagamente alcune cose ma comunque era già grandicello. Ed a quindici anni era Gran Sacerdote..”.

“E poi si stupiscono se uno non si sente all’altezza..”.

“Erano altri tempi. Quelli della mia generazione hanno ricevuto l’armatura di piccolissimi. Io a sette anni, per esempio. Una cosa inconcepibile adesso. Ma al tempo era prossima una guerra santa”.

“Ho sentito storie straordinarie sui cavalieri della vostra generazione..”.

“Non credere a tutto quello che ti dicono”.

“Non avete forse abbattuto il muro del pianto, affrontato i giudici infernali e..”.

“Ah sì, quelle cose le abbiamo fatte!”.

“Straordinario”.

“Beh, ora tocca a voi! Noi vecchietti ci siamo fatti da parte. Largo alle nuove generazioni! Tocca  a voi scrivere un nuovo capitolo che i posteri leggeranno meravigliati”.

“Lo spero..”.

“Tu a quanto pare sai tutto di me, Tomeo. Ma io non so nulla di te, se non il fatto che sei figlio di Gemini. Dimmi qualcos’altro. Qualcosa che non so..”.

“Tipo?”.

“Non lo so..amici al tempio? Altri nuovi cavalieri? Gusto di gelato preferito?”.

“Vaniglia e stracciatella. Amici..non direi. I giovani sono pochi. Mia sorella non ha mai affrontato l’addestramento quindi non saprei..il figlio di Ares ed Atena è sempre per le sue..diciamo che ho passato molto più tempo con Phobos e Deimos che con altri cavalieri”.

“Non so se spaventarmi oppure compiacermi. Avere a che fare con molte divinità è un bene, a volte”.

“Kanon mi ha sempre guidato”.

“Altra cosa che non capisco sia un bene o un male ma..va bene! A me piace la fragola”.

“Eh?”.

“Come gusto di gelato!”

“Ah!”.

 

“Eleonore..scomparsa..” mormorò Atena.

“Non so davvero che pensare” annuì Hades.

“Sei preoccupato?”.

“Certo! È mia moglie! Io la amo! Me l’hanno rapita, ne sono certo..”.

“Oh, su, non essere melodrammatico adesso! Magari si è solo allontanata un attimo. Aveva bisogno di un po’ d’aria o che ne so io..”.

“Non sono convinto..comunque mi dispiace di averti colpito, Ares”.

“Anche a me dispiace” mentì Ares, che si stava fasciando seduto in un angolo.

Hades si passò una mano sul volto, ferito.

“Che hai detto a mio figlio, Hades?” continuò il Dio della guerra.

“A Phobos? Sono affari privati, non trovi? Se vorrà, te lo dirà”.

“Qualcosa di grave? Adesso mi preoccupa pure lui”.

“Ho saputo che avete smarrito Tolomeo..preoccupazioni su preoccupazioni..”.

“Sfotti?”.

“No, affatto. Se mio figlio partisse per missioni impossibili sarei preoccupato quanto voi”.

“Bene..credo..”.

“Ti ammazzerò con le mie mani se scopro che c’entri qualcosa con Eleonore”.

“Ti scuoierò a partire dalle palle se scopro che c’entri qualcosa con Tolomeo”.

“Ma quanto amore c’è nell’aria..” sospirò Atena.

 

Mur e Tolomeo raggiunsero quello che aveva tutta l’aria di essere un tempio abbandonato. Tra la neve, sperduto fra le rocce di una delle vette più alte del mondo, il ragazzo percepì un cosmo molto potente.

“Percepisco un potere..è quello di Shaka?” domandò e Mur annuì.

Il giovane si guardò attorno, continuando a camminare.

“Di chi sono quelle ossa in terra?”.

“Di tutti coloro che hanno infastidito questo luogo inutilmente. Spero che le tue non si uniscano al mucchio”.

Tolomeo non rispose, non sapendo che cos’altro dire.

“Shaka..” chiamò Mur “..scusa se ti disturbo”.

Il cavaliere della Vergine era seduto nella sua solita posa, di fronte ad una statua consumata dalle intemperie e dal tempo. Vestito in modo leggero, Tolomeo rabbrividì nel vederlo. Però ammirò la forza di volontà di quell’uomo.

“Chi è quel ragazzo che porti con te, Mur? Il suo cosmo..è quasi familiare” domandò Shaka, senza aprire gli occhi.

“Il nuovo cavaliere dei Gemelli. Deve parlare con te”.

“Ha una buona motivazione oppure finirà cadavere?”.

“Io credo che le sue ragioni siano alte e meritevoli”.

“Vedremo. Lasciaci soli”.

Tolomeo si voltò, osservando Mur mentre si allontanava senza porsi un solo problema. Poi tornò a guardare Shaka, che gli fece segno di avvicinarsi con una mano.

“Siediti qui accanto a me, ragazzo. Lascia che i nostri cosmi comunichino”.

L’ospite fissò perplesso il cavaliere della Vergine ma poi si avvicinò e sedette. Shaka, ad occhi chiusi, non cambiò posizione. Uno di fronte all’altro, il cosmo oro della Vergine si espanse, sfiorando Tolomeo. Il ragazzo ne fu intimorito, non sapendo cosa aspettarsi. Ma tentò di rilassarsi.

“Tu sei..legato ad Arles” parlò, dopo un po’, Shaka.

“Sono suo figlio. Siete andato via dal Grande Tempio poco prima che nascessi. Da cosa lo avete capito?”.

“Il tuo cosmo ha qualcosa in comune con il tuo genitore”.

“Ah sì? Beh, sono il cavaliere dei Gemelli, come lo era lui”.

“No. C’è dell’altro”.

“E che cosa?”.

“Spero nulla di troppo negativo..”.

“Negativo?”.

“Perdi mai il controllo, Gemini?”.

“No”.

“Nemmeno quando sei parecchio arrabbiato o turbato?”.

“Cambio colore ma non perdo il controllo”.

“Sicuro?”.

“Sicurissimo, signore”.

“Bene..più o meno..”.

Il cosmo di Shaka brillò ancora accanto a quello di Tolomeo e poi si ritrasse, su ordine del suo padrone.

“Che cosa vuoi da me, Gemini?”.

“Il mio nome è Tolomeo. Arkeiros Tolomeo. Potete chiamarmi così”.

“Va bene, Tolomeo. Ma rispondi alla mia domanda”.

“Sono qui perché mi è stato detto che una divinità indiana può aiutare mio padre e nessuno meglio di voi è in grado di indirizzarmi sulla strada giusta”.

“Per aiutare tuo padre? E cosa ti fa pensare che io voglia aiutarlo?”.

“Niente. Di fatti, se è vero quel che mi hanno detto, immagino potevate aiutarlo tempo fa, senza far venire me fin qui a supplicarvi”.

“Sei un ragazzo sveglio..”.

“Perché?”.

“Perché che cosa?”.

“Perché non lo avete aiutato? Se davvero esiste questa divinità, perché non avete fatto in modo che risvegliasse mio padre?”.

“Perché Arles è un uomo pericoloso. Chiuso in quella teca, può mondarsi dai suoi peccati ed evitare di commetterne altri”.

“Ma..non credo sia giusto questo ragionamento”.

“Tu che ne sai? Pensi forse, con la tua inesperienza, di saperne di più di chi si è ritrovato contro l’uomo che vuoi salvare? ”.

“Contro?”.

“Come nemico, ragazzino. Ho dovuto affrontarlo e l’unico motivo per cui non mi ha vinto è stato perché la forza delle Surplici non è alla pari di quella di un’armatura d’oro”.

“Surplici?”.

“Vedo che nessuno ti ha raccontato tutta la storia..”.

“A me non interessa tutta la storia. Io voglio aiutare un uomo che è ridotto in quello stato per salvare delle vite e per far terminare una guerra”.

“Sembri molto sicuro di te. TI prenderesti ogni responsabilità delle tue azioni?”.

“Ovviamente”.

“In te non percepisco malvagità. Ma del resto, non ne percepivo nemmeno nel Gran Sacerdote Arles. Perciò potrei sbagliarmi..”.

“Credete che io possa avere intenzioni malvagie?”.

“Credo che un Arles in questo universo sia più che sufficiente e se tu sei come lui e lo risvegli..”.

“Non credo che voi possiate essere nella posizione di giudicarmi. Sono gli Dei che lo fanno, non gli uomini. Fatemi parlare con questa divinità e vedremo cosa sarà deciso. Se non vorrà risvegliarlo perché troppo pericoloso, allora accetterò la cosa. Ma sarà un Dio a dirmelo, non un mortale”.

“E se questa divinità vedesse in te qualcosa di pericoloso e decidesse di eliminarti?”.

“Non so. Non sono quel genere di persona che accetta pienamente la volontà divina. Ma di certo so accettare di più un giudizio divino rispetto ad uno umano”.

“Sei cresciuto in mezzo agli Dei. Loro che dicono?”.

“Non sono molto d’aiuto. Passano il tempo a picchiarsi, litigare ed accoppiarsi”.

“E questo ti fa disprezzare il divino?”.

“No. Mi fa disprezzare chi resta seduto sul proprio culo invece di aiutare. E questo lo fanno in troppi!”.

“Beh..se non vuoi essere giudicato da me, ma se Atena fin ora non ha fatto nulla contro di te..allora lascerò che sia qualcun altro a lavorare al posto mio. Ti svelerò dove trovare la Dea che ti serve ma toccherà a te convincerla ad agire. E non credo sia un’impresa facile”.

“Non era impresa facile nemmeno attraversare l’inferno e giungere qui. Eppure l’ho fatto. Ci provo, almeno. Non mi posso scoraggiare, a questo punto del viaggio”.

“Vuoi sfidare la sorte?”.

“Voglio viverla”.

“Vivere il proprio destino..anche se fosse a te avverso?”.

“Almeno ci avrei provato. Se dovessi ascoltare le voci che circolano sul mio destino, allora non sarei mai dovuto divenire cavaliere”.

“In questo caso..lascerò che sia la Dea a giudicarti”.

 

“Phobos?” chiamò Deimos, intravedendo il gemello fra le colonne “Eccoti, finalmente!”.

“C’è qualche problema?”.

“Hades ti ha ferito?”.

“No..perché?”.

“Sei sparito..”.

“E allora?”.

“Ah, niente. È che sai che papà è paranoico ultimamente. Non so proprio che abbia..”.

“Il piccolo della famiglia è partito a salvare il pazzo della famiglia. Immagina che senso di inferiorità se Tolomeo riesce nell’intento, dopo che papà ci ha provato per più di dieci anni..”.

“Che acidità, Phobos!”.

Phobos non rispose. Aveva altro per la testa. Cosa intendeva Hades con quella frase? La vita stava scorrendo via? Pur essendo vissuto migliaia di anni, non aveva alcuna intenzione di morire! E, se proprio doveva morire, non di certo con il corpo invecchiato ed indebolito! Ma in quel tempo di pace, lui che altro poteva fare?

“Che schifo quest’Era!” borbottò.

 

Ho come il presentimento che qualche Shakiano mi starà odiando..chiedo scusa. Vi faccio una domanda: quale personaggio volere assolutamente apparire e quale invece già non sopportate (o non avete sopportato) e vi incazzate se lo faccio ricomparire? XD nei limiti del possibile, vi posso accontentare

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Capitolo 5
*** V- amor sacro ***


V

 

AMOR SACRO

 

Da solo, Tolomeo aveva seguito le indicazione di Shaka ed aveva raggiunto una città fra le montagne. Celata agli occhi del Mondo, aveva un’aria molto antica.

“Sono dei templi?” si chiese il giovane, sempre con l’armatura sulle spalle “Ed in quale dovrò mai entrare io?!”.

Camminò ancora per un piccolo tratto quando una voce lo fermò.

“Come sei arrivato qui? E chi stai cercando?” domandò l’uomo, che pareva una guardia del posto.

Tolomeo non sapeva bene cosa rispondere, o da dove incominciare, quindi prese fiato e rifletté. Nel frattempo l’uomo, convinto che l’intruso non comprendesse la sua lingua, ripeté la domanda in vari idiomi.

“Ah, no! Non serve!” lo interruppe il ragazzo “Sto solo cercando la risposta giusta. È una storia lunga..”.

“Lunga?”.

“Sì, Shaka mi ha..”.

“Shaka? Ti ha mandato lui qui?”.

“Sì, esatto”.

“Allora vieni con me”.

Il ragazzo annuì e seguì la guardia fra le strade in pietra.

“Questa città è magnifica” commentò, guardandosi attorno.

“Sì..non è male..”.

Statue in pietra e vegetazione rampicante sfidavano il freddo e Tolomeo le osservava con curiosità. Giunsero davanti all’edificio più imponente della città.

“Prego, entra” indicò la guardia, prima di andarsene.

Il giovane tentò di cogliere qualche simbolo o segno che lo aiutasse a comprendere chi vivesse in quel luogo. Non ne trovò perciò prese coraggio ed entrò. Illuminato dalle candele, quell’immenso tempio poteva far invidia alle dimore poste sull’Olimpo.

“C’è qualcuno? Scusate?” domandò, udendo le sue parole ripetersi come eco.

Senza ricevere alcuna risposta, camminò ancora. Dinnanzi a sé, una parete di candele. Sospirò e, inavvertitamente, ne spense qualcuna. Subito si mosse per riaccenderle, mormorando parole di scusa.

“Maldestro..” disse qualcuno.

“Chiedo scusa..”.

“..ma ben educato”.

Dal buio, si mostrò una figura. Tolomeo sobbalzò. Quell’uomo era parecchio più alto di lui, aveva lunghissimi capelli neri raccolti in una crocchia ed aveva la pelle blu.

“Salve..” salutò il giovane, non sapendo che altro dire.

“Non tremare” ridacchiò lo sconosciuto “Non ti farò del male..forse..”.

“Forse?”.

“Chi sei? E che ci sei venuto a fare qui? Senza una ragione valida..danzerò sul tuo cadavere”.

“Io..Shaka mi ha mandato qui perché..”.

“Shaka?! Ancora?! Quell’essere sta iniziando ad infastidirmi. Non può scaricare sempre al piano di sopra tutti i suoi problemi! Vieni con me..”.

Tolomeo seguì lo sconosciuto restando in silenzio. Dopo un corridoio buio, entrarono in un’altra stanza piena di candele. Il giovane capì che l’intero edificio era scavato nella roccia e doveva essere davvero molto antico. Al centro di quello spazio immenso, un uomo stava seduto ad occhi chiusi, nella posizione del loto.

“Hey!” lo chiamò colui che aveva condotto Tolomeo fino a quel punto “C’è qui un altro degli amichetti di Shaka. Non sarebbe ora di dirgli di smetterla? Che se le sbrighi lui le sue faccende..”.

“Prima di protestare, non dovremmo ascoltare quel che ha da dire?” ribatté il seduto, senza aprire gli occhi.

“Bene..però te ne occupi tu. Invece di startene tutto il giorno a poltrire”.

“Sto meditando. E lo fai anche tu”.

“Sì, ma io dopo un po’ mi annoio..”.

Tolomeo osservò il primo uomo mentre si allontanava di qualche passo.

“Siediti, Tolomeo” ordinò il secondo uomo.

“Come sapete il mio nome?”.

“Il mio compito è preservare questo mondo, perciò so tutto quel che accade su di esso. Tu sei Tolomeo di Gemini e sei qui perché cerchi un aiuto per tuo padre”.

“Sì..esattamente! Voi..preservate il mondo? Quindi voi siete..”.

“Una divinità, certo”.

“Questo l’avevo capito..”.

“E la cosa non ti spaventa?”.

“Sono tecnicamente un semidio e sono cresciuto in mezzo alle divinità. Mi inchino con rispetto dinnanzi a voi ma non provo paura”.

“Ed immagino tu abbia capito che divinità io sia..”.

“Non conosco molto il panteon indiano però..deduco che siate Vishnu”.

“Molto bene..”.

“E lui..deve essere Shiva..” ipotizzò Tolomeo, indicando il primo uomo che aveva incontrato, ora messo in una posa che solo un Dio danzante poteva avere.

“Bravo..”.

“Chi di voi mi può aiutare?”.

Shiva si voltò, ruotando in modo strano. Tolomeo era incantato dai quei movimenti, come un serpente ipnotizzato. Ma si scosse, tentando di restare concentrato.

“Purtroppo io non controllo le illusioni, e nemmeno Shiva” parlò Vishnu “C’è però una Dea da cui potremmo mandarti..”.

“Scherzi?!” si stupì Shiva “Non vorrai mica scomodare una Dea per salvare un semidio di una religione morta?!”.

“Rilassati!”.

“Sono rilassato..”.

“Si vede..”.

“Pft..”.

“Sarà lei a decidere. Se lo vorrà, ti aiuterà. In caso contrario, dovrai tornartene a casa, Tomeo”.

“Va bene. Dove posso trovarla?”.

“Ha un palazzo in questa città. Shiva, lo accompagni?”.

“Io?!”.

“Sei lì a far niente..”.

“Ha parlato..”.

“Dai, muovi il culo!”.

“Lo muovo molto più di te!”.

“Hem..” interruppe Tolomeo “..non voglio farvi litigare. Posso andare anche da solo..”.

“Hai idea di quanti Dei ci siano nell’induismo?” domandò Vishnu.

“No..”.

“Molti. Moltissimi. Ed ognuno di loro ha un palazzo in questo luogo. Ci metteresti dei mesi per entrare in tutti e trovarla”.

“Oh..”.

“Avanti, Shiva, MUOVITI!”.

“Fottiti!”.

Tolomeo trattenne un grido di rabbia. Stava solo perdendo tempo! Shiva notò il cambio di colore della chioma del ragazzo e sorrise divertito.

“A quanto pare anche fra i greci c’è chi fa così..” ridacchiò, sollevando uno dei ciuffi, ora quasi nero.

“Anche a voi succede?” domandò il ragazzo.

“Certo. Mia moglie, per esempio, quando è di buon umore è la dolcissima e benevola Durga. Ma se la fai incazzare, avrai a che fare con la nera Kalì”.

Il giovane greco riprese il controllo e tornò al suo rosso naturale, calmandosi.

“Piantatela di fare casino!” si unì una terza voce, che Tolomeo intuì fosse di Brahma “Shiva! Portalo subito al tempio che cerca”.

“Ma perché io?!”.

“Perché sei il più piccolo quindi obbedisci”.

“Che ingiustizia..”.

Brahma, con la pelle leggermente rossiccia, osservò i due uscire dal tempio e poi scomparve di nuovo, un po’ infastidito da tutti questi “turisti”.

“Sono felice che non solo da noi si litighi..” ammise Tolomeo, una volta fuori.

“Ti rende felice vedere la gente che litiga?!” inclinò la testa Shiva.

“No..mi rende felice sapere che la mia famiglia non è l’unica. Temevo questo..”.

“Quando ci si conosce e si convive dalla notte dei tempi, è inevitabile che si finisca col discutere ogni tanto. Non trovi?”.

Il ragazzo annuì. Sapeva che doveva essere cauto con Shiva. Era famoso per essere un Dio piuttosto irascibile e dagli scatti di rabbia improvvisi. Lo osservò, seguendolo lungo le strade. Il suo aspetto era giovane, ma di certo non doveva stupirsene: era un Dio! Non era molto vestito, nonostante il freddo, e ad ogni passo che compiva si udiva il tintinnio prodotto dai gioielli che indossava.

“Cos’è quell’anello che porti con te?” domandò il Dio.

“L’anello della regina Eleonore. Me lo ha dato per uscire dal regno dei morti”.

“Appartiene ad una Dea?”.

“Non proprio. Alla consorte di Hades..”.

“Il potere che emana è notevole. Strano non appartenga ad una divinità..stai attento a non farlo cadere in mani sbagliate”.

“Serve a risvegliare mio padre..Eleonore è stata sua moglie, prima di morire”.

Shiva rimase in silenzio qualche istante poi si voltò e fissò Tolomeo.

“Eleonore è tua madre?” chiese.

“No. Mio padre ha avuto un’altra donna. Ma non si è mai risposato ed ha sempre pensato a lei..”.

“Un errore, a mio avviso. Ma ci vuole tempo per capirlo. Quando la mia prima moglie morì, rimasi chiuso in una grotta per anni e disintegrai il Dio dell’amore che aveva osato venirmi a disturbare. Ma poi conobbi la mia attuale consorte e riuscii ad andare oltre..”.

“Mia madre non credo possa riuscire in un’impresa simile..”.

“Se non sarà quella donna, allora sarà l’aiuto di qualcun altro. Ma ricorda: far uscire qualcuno dal buio che da solo si è generato è un’impresa ardua. Forse nemmeno Maya potrà aiutarti..”.

“Maya?”.

“La Dea da cui ti sto portando”.

 

“Ancora nessuna traccia, Signore” parlò Radamante, dopo essersi inginocchiato dinnanzi ad Hades.

“Avete pattugliato la foresta che cela l’entrata vicino al fiume?” ribatté il Dio degli inferi.

“Sì, altezza. Purtroppo nessun indizio. Sembra svanita nel nulla”.

“Continuate a cercare!”.

Radamante si congedò con un cenno del capo e rispettosamente si allontanò. Hades si alzò dal trono ed iniziò a camminare nervosamente avanti ed indietro. Più passava il tempo, e più era certo che qualcuno avesse rapito Eleonore.

“Signore..” mormorò una fanciulla, inchinandosi profondamente e tenendo la testa bassa.

“Che c’è?” sbottò lui, infastidito.

“Mi spiace disturbarvi. Ho sistemato la stanza privata della regina Eleonore ed ho trovato una cosa”.

“Che cosa? Mostrami!”.

La serva mostrò quel che aveva fra le mani. Era un piccolo scrigno.

“Cosa contiene quella scatolina?”.

“Nulla. Ora. Ma penso che fino a pochissimo tempo fa ci fosse un anello. Vedete come è segnato il velluto? E quella scatola non era mai stata fuori posto. L’ho trovata sul tavolino..”.

Hades prese la scatolina fra le mani e l’osservò.

“Un anello? E che anello poteva essere?” si chiese “Hai qualche idea?”.

“Io sono solo una serva, signore. Non conosco la regina Eleonore, se non nei limiti entro i quali una serva deve conoscere la sua regina”.

“Torna pure alle tue faccende..”.

Rimasto solo, il re rigirò ancora la scatola, tentando di cogliere degli indizi. Un anello mancante..che avesse un qualche nesso con la sparizione di Eleonore?

“Che hai in mano?” domandò Persefone, scostando la tenda e raggiungendo il marito.

“Una scatola”.

“Che anello conteneva?”.

“Come sai che dentro c’era un anello?!”.

“Questa è la scatola di un anello..”.

“Era nella stanza di Eleonore”.

“Dici l’abbia indossato prima di allontanarsi? O che qualcuno l’abbia rubato?”.

“Non si è allontanata! L’hanno rapita!”.

“Convinto tu..”.

“Sai qualcosa che io non so?”.

“Sei tu il marito. Dovresti conoscerla, giusto?”.

“Non posso sapere tutto..”.

“Ma almeno l’indispensabile..”.

“Donna, non mi irritare!”.

“Posso farti una domanda? Perché l’avete sposata? Cosa vi ha attratto tanto?”.

“Lo sai bene..”.

“Il suo aspetto esteriore? Mi risulta solo quello..”.

“Per te è così grave? Anche tu sei stata rapita perché eri bella..”.

“Ero?”.

“Lo sei ancora. Non mi importava un cazzo chi tu fossi. Eri bella, mi piacevi, ti ho rapita. Eleonore stessa cosa. L’ho vista, mi piaceva, me la son sposata”.

“E non potrebbe aver deciso di..”.

“Deciso niente! Qualcuno me l’ha portata via ed io la ritroverò, perché nessuno tocca la mia roba!”.

“Roba?”.

Persefone fissò il marito e rimase in silenzio. Lo amava, ma certe volte non riusciva proprio a comprenderlo.

 

“Me repeti un po’ che stamo a fà?” domandò Marte, seguendo Ares.

“Stiamo andando al tempio di Apollo”.

“E er pollo a che ce serve?”.

“Apollo! Non "er pollo"! Quel Dio ha il potere della preveggenza. Perciò di certo saprà dove si trova Tolomeo..”.

“E se er pollo non collabora?”.

“Lo pestiamo. Tu che dici?”.

“ ‘NNAMO!”.

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Capitolo 6
*** VI- Preveggenza ***


VI

 

PREVEGGENZA

 

Shiva ondeggiava la testa come stesse ascoltando una musica immaginaria. Tolomeo lo seguì in silenzio lungo le strade in pietra e ciottoli.

“E così..” borbottò il Dio indiano “..sei un semidio..”.

“Non mi definirei proprio così, comunque sì. Anche se, come avete giustamente detto, la mia religione è morta da tempo”.

“Sai perché la mia è ancora viva, dopo tanti millenni?”.

“No, Signore”.

“La morte del politeismo da voi è stata decretata dall’arrivo dei culti monoteisti, primo fra tutti il cristianesimo. Non chiedermi perché..per me non ha senso il monoteismo! Qui si è tentato ma la storia del Cristo è pressoché identica a quella di Krishna quindi per la gente non c’era nulla di nuovo”.

“Come possono esserci due storie identiche nate in luoghi così distanti?”.

“Le religioni sono tutte uguali, ragazzo. Ed il Dio è sempre lo stesso, che si mostra in forme diverse. Probabilmente perché gli piace veder azzuffare la gente”.

“Questo è un discorso complicato..”.

“Lo so. Specie per un ragazzino. Ad ogni modo..quello è il tempio in cui devi entrare. Per me, non ti aiuterà. Insomma..non avrebbe senso che lo facesse! Scomodarsi per un essere di una religione morta che nessun beneficio può portare al mondo..”.

“Non importa. È mio dovere di figlio tentare. Vostro figlio non lo farebbe?”.

“Mio figlio ha una testa d’elefante perché io gliel’ho staccata..non credo lo farebbe..però buona fortuna!”.

Tolomeo fissò il Dio qualche istante, non sapendo bene che cosa dire. Poi annuì e si mosse: era tempo finalmente di poter parlare con qualcuno in grado di aiutarlo!

 

“Fratellino..qual buon vento?” sorrise Apollo, vedendo giungere Ares al suo tempio, a Delfi.

“E me lo chiedi?!” sbottò il Dio della guerra “Non sei forse tu il preveggente?!”.

“Non butto i miei poteri per scoprire che ti frulla in quella testolina iraconda”.

“La verità è che sei pigro!”.

“Ed il tuo amico chi è?”.

“Marte. Non te lo ricordi?!”

“Come t’arza?” salutò Marte ed Apollo alzò un sopracciglio.

“Entrate..” borbottò il Dio del sole “..e ditemi che volete”.

“Ammazza che bbona..” commentò Marte, intravedendo una delle ancelle di Apollo.

“Sono delle vergini, datti una calmata!”.

“Che spreco..”.

Il Dio del sole sospirò, mentre Marte girava per il suo tempio toccando ogni cosa e facendo commenti impropri sulle pizie.

“Parla, Ares. Dimmi che vuoi e poi sparite, razza di zotici..”.

“Come sei maleducato! Io mica ti chiamo perdigiorno solo perché perdi tempo a fissare lucertole e suonare..”.

“I tuoi insulti velati sono davvero fastidiosi..”.

“Non so insultare velatamente. I miei insulti sono qualcosa di peggio..”.

“Bene..ma ora dimmi che c’è”.

“Mio nipote è sparito e vorrei mi dicessi dove sta. Più che vorrei..pretendo che tu me lo dica!”.

“Fratellino, il mio potere non è un libro stampato. Io vedo quel che vedo e non sempre è quel che si vuole”.

“Posso dire che me ne sbatto le palle?! Tu muoviti, lavora!”.

“Oh ma come sei scorbutico”.

“Oh ma come sei inutile!”.

“Smettila di offendere! Hai qualcosa del ragazzo? Cercherò di aiutarti..”.

“Ho questo..”.

Ares porse ad Apollo una canotta indossata da Tolomeo.

“Ma non ha una gemella? Il legame fra loro dovrebbe farli ritrovare..”.

“Lo pensavo pure io. Ma Ipazia non riesce ad individuarlo”.

“Forse è nascosto da qualche barriera generata da divinità. Vedo che posso fare..”.

 

Camminando per l’ennesimo corridoio buio, Tolomeo sbuffò. Era stanco di misteri e gente ignota. Inoltre quella dannata armatura sulle spalle iniziava a divenire davvero pesante..

“Lascia le tue vestigia in terra” parlò una voce femminile “..non ti serviranno”.

“Sono un cavaliere, non posso separarmi dall’armatura, mi dispiace. Non la indosserò..”.

Si udì un verso di protesta, forse disprezzo, e Tolomeo si sentì trascinare in terra. Le sue vestigia lo avevano fatto cadere in ginocchio per il peso, di colpo ingestibile. Capendo che la divinità non voleva che l’armatura proseguisse, Tolomeo se la tolse dalle spalle e proseguì. Sapeva che era una cosa stupida, perché così era piuttosto scoperto ed indifeso, ma l’irruenza adolescenziale prese il sopravvento. Raggiunse finalmente una sala dove una donna sedeva su un trono d’oro, con il volto coperto da un velo dello stesso colore.

“Sei disposto ad esporti così tanto pur di raggiungere il tuo scopo, mortale?” parlò lei.

“Sono arrivato fino a qui. E poi so che la mia armatura comunque mi proteggerà, se sarà necessario”.

“Io sono una Dea. Potrei mandarla in frantumi in pochi istanti”.

“Non vedo perché dovreste farlo. Non ho intenzioni cattive..”.

“Questo lo devi dimostrare..”.

“In che modo?”.

“Lo vedrai. Io sono Maya, Signora del Velo delle Illusioni. E tu, chi sei?”.

“Mi chiamo Tolomeo. Sono un cavaliere d’Atena”.

“Ma non è a nome di Atena che sei qui..”.

“No..”.

“Spiegami allora..”.

 

“Non ci credo..sei già a terra?!” si stupì Deimos.

Phobos non rispose. Come sempre, stava combattendo con il gemello, per mantenersi in allenamento e per passare il tempo, ma l’energia del fratello lo aveva sopraffatto, facendolo finire con la faccia contro il pavimento.

“Sei ubriaco?” continuò Deimos, ridacchiando.

“Sono distratto” tentò di giustificarsi Phobos, rialzandosi e scuotendosi dalla polvere.

“Ah sì, come no. Sono il tuo gemello..non puoi nascondermi certe cose!”.

“Quali cose?”.

“Il tuo potere..”.

“Non rompere, Deimos!”.

Scocciato, Phobos si allontanò. Il gemello, scuotendo la testa, decise di ignorarlo e continuare ad allenarsi  con Kanon, per nulla consenziente.

 

Tolomeo si scosse. Ma dov’era finito?! Che posto era quello?!

“Papà?” domandò, intravedendo una figura che camminava, allontanandosi.

Com’era possibile? Però, forse..che la Dea lo stesse aiutando?

“Papà! Aspetta!” gridò, iniziando a correre per raggiungerlo.

Tolomeo non si accorse che, ad ogni passo, svaniva il paesaggio, lasciando spazio al bianco. Camminava nel nulla quando raggiunse il padre, afferrandolo per un braccio. Questi si voltò e lo fissò, con occhi vuoti.

“Sono Tolomeo” insistette il ragazzo “Sono tuo figlio! Voglio aiutarti”.

Il padre fissò ancora non si sa dove, ben lontano da Tolomeo. Il giovane lo scosse, chiamandolo ancora. Per qualche istante, parve riprendersi. Fissò il figlio con aria interrogativa ed aprì lievemente le labbra, come a voler parlare, ma non riuscì a dire nulla. Qualcuno, o qualcosa, stava separando i due. Tolomeo gridò e si ritrovò in terra, con la schiena contro il pavimento del tempio di Maya.

“Cos’è successo?!” esclamò, alzandosi.

“Respira. Va tutto bene” rispose, lentamente, la Dea.

“Che cos’era quello?! Un’illusione?!”.

“Sì e no. Volevo verificare una cosa. Tuo padre ha mostrato qualche attimo di lucidità, questo significa che è possibile, teoricamente, riportarlo al mondo reale. Dico teoricamente, perché non ne sono sicura”.

“Quello era realmente mio padre? Nella sua illusione?”.

“La mente di tuo padre è contorta ed il suo potere notevole. Sarebbe stato un Dio dalle notevoli capacità..”.

“E non può più esserlo?”.

“Forse..se si sveglia..”.

“Che devo fare?”.

“Sai che cos’è il Velo delle Illusioni?”.

“No..” ammise Tolomeo.

“Il Velo è quel che io creo e pongo dinnanzi lo sguardo di molti. I mortali spesso desiderano ardentemente ammantare lo sguardo con veli di falsità, di oscurare lo sguardo e non accettare la realtà. Quante persone vivono in un’illusione? Un finto amore, una finta amicizia, una finta felicità..l’illusione di essere amati, importanti, speciali..”.

“Non mi piacciono questi discorsi..”.

“Tuo padre ha le stesse illusioni, solo che da Dio queste sono amplificate”.

“E voi potete dissolverle?”.

“Forse..”.

“Forse?!”.

“Dovrei vederlo. Avvicinarmi. E comune avrei bisogno dell’aiuto di chi ama”.

“Io posso aiutarvi. Posso accompagnarvi da lui e..”.

“Non so se una Dea come me debba alzarsi per salvare una creatura che..”.

“Oh, andiamo! Ho fatto tantissima strada. Alla fine, che mai vi costa provare?!”.

“Giovane cavaliere, non sempre le cose vanno come desideriamo”.

“E se io vi costringessi a venire con me?”.

“E come pensi di fare? Io sono una Dea..”.

“Troverei un modo..”.

 

“Scusa, fratellino, se ledo la tua privacy” ghignò Phobos “Ma almeno qui nessuno mi rompe il cazzo”.

Accendendosi una sigaretta, il figlio maggiore di Ares sedette in terra e guardò in su, verso la teca dove il fratello Arles era rinchiuso. Avvolto nel silenzio, riuscì quasi a rilassarsi, ascoltando in cuffia metal tedesco.

“Siamo tutti messi bene, eh? Forse è ora che gli Dei si estinguano..la gente non vuole più credere a nulla. Però ha paura, tanta paura. Riesco a percepirlo e mi piace..”.

Sorrise ancora ed espirò, creando una piccola nuvoletta con il fumo.

“Mi sto ammazzando da solo..” commentò “Deimos ha ragione: il mio potere è diminuito e non fa che continuare a diminuire. E non posso fare niente per impedirlo, a quanto pare. Con un occhio soltanto e quella coltellata, sono divenuto l’ombra di me stesso. Ma che lo dico a fare a te, che sei sottovetro? Peccato. Secondo me io e te ci saremmo divertiti parecchio”.

Phobos si alzò e si avvicinò alla teca. Tocco con una mano la superficie lucida.

“Non credo che fosse tuo desiderio finire così. I figli di Ares sognano sempre morti epiche, in battaglia. Non in un barattolone gigante di Ikor! Forse..dovrei fare in modo che tu possa finalmente morire..”.

Guardò il volto del fratello, estremamente pallido e con gli occhi chiusi. Con i lunghi capelli che fluttuavano nell’ikor, aveva un’espressione tranquilla. Phobos fece scorrere la mano sul vetro.

“Fiero drago..non è questo il posto adatto e te..”.

Fece per colpire la teca quando l’espressione di Arles mutò di colpo. Spalancò gli occhi ed incrociò quelli del fratello. Phobos sobbalzò ed indietreggiò di qualche passo. Lo sguardo di supplica dell’imprigionato lo lasciarono qualche istante senza parole. Stava forse cercando di parlare? Lo vide aprire la bocca ma poi Arles ruotò gli occhi verso l’alto e tornò a chiuderli, abbandonandosi di nuovo ed addormentandosi.

“A..Arles?” lo chiamò Phobos “Che è successo? Che hai? AIUTO! Qualcuno venga qui! SUBITO!”.

Dopo un tempo che gli parve un’eternità, apparvero Athena seguita dal figlio.

“Che ti prende?” domandò Athena, infastidita dalla confusione inutile.

“Lui..ha aperto gli occhi!”.

“Lo fa spesso..”.

“No, questa volta era diverso. Mi ha guardato. Non era il solito sguardo perso. Mi ha guardato, capite?!”.

“Calmati. Te lo sei immaginato”.

“No, non è vero! C’è qualcosa che..”.

“Non c’è niente! Ed ora smettila. È la tua mente che gioca brutti scherzi, viste le tue condizioni”.

“Quale condizioni?!”.

“Stai morendo, Phobos! E la paura sta avendo il sopravvento su di te! Non lo vedi?”.

“Ma cosa c’entra questo adesso?!”.

“Calmati..”.

Phobos ringhiò. Maledetta donna! Come la odiava! L’aveva sempre odiata e non capiva che ci trovasse suo padre di così speciale.

“Phobos..fratello..stai bene?” domandò il giovane figlio delle divinità della guerra.

“Sto benissimo! Piuttosto, perché non..”.

“Respira e vedrai che starai meglio”.

“Io sto bene!”.

Phobos sbraitò l’ultima frase. Odiava essere trattato come un malato! E detestava sopra ogni cosa il fatto che, nonostante tentasse di incutere il terrore di sempre, quel suo occhio malato lo rendesse poco credibile.

“So quel che ho visto. Arles ha tentato di parlarmi!”.

“Arles è imprigionato nella sua illusione” cercò di calmarlo Athena “Non può averti visto per davvero”.

“Mi stai dando del pazzo?!”.

“No, forse dello stressato..un pochino..”.

Phobos iniziò a farfugliare, furibondo ed in preda ad una strana crisi isterica. Athena gli si avvicinò, tentando di toccarlo per calmarlo. Lui si scostò di colpo e poi gemette.

“Che succede?” si allarmò la Dea.

“Stupido corpo..” mormorò Phobos, con la vista che si appannava.

“Phobos?” lo chiamò il fratello minore e questi perse i sensi.

 

“Tuo nipote..” scandì lentamente Apollo, concentrato su strane visioni “..sta affrontando un viaggio più pericoloso di quanto lui creda”.

“Che intendi?” domandò Ares.

“Ha ancora molte prove da superare. E..passerà attraverso la clessidra..”.

“Ma che cazzo vuol dire?!”.

“La clessidra..il tempo..e la luna..”.

“Sei un drogato?! Per caso ti sniffi roba buona per avere le visioni?”.

“Le mie visioni non sono mai chiare, e tu lo sai”.

“Ma che significano?!”.

“Non lo so”.

“Mio nipote tornerà a casa?”.

“Sta già tornando ma..qualcosa non gli appartiene..”.

 

Tolomeo si mosse deciso verso il trono su cui sedeva Maya. Non la raggiunse però, perché un numeroso esercito entrò nella stanza e lo attaccò. Richiamò a sé l’armatura dei Gemelli ed iniziò ad affrontarli. Poi si fermò e si girò verso la Dea.

“Sono illusioni” parlò il ragazzo, scattando rapido verso di lei.

In pochi istanti, riuscì a strapparle il velo d’oro e saltare indietro. Lei spalancò gli occhi. Nessuno aveva mai osato tanto, nemmeno i componenti della trimurti!

“Come hai fatto?” sussurrò.

“Gemini mi ha svelato che sono illusioni e, una volta capita la tua tecnica, è stato facile raggiungerti. Ora ho il tuo velo e non puoi più usare strani giochetti con me. Se lo rivuoi, dovrai venire con me”.

“Sei ridicolo, moccioso. Io sono una Dea, potrei spazzarti via con un dito..”.

Tolomeo rimase in silenzio, stringendo il velo oro in una mano e risollevando l’elmo che gli cadeva sugli occhi perché ancora troppo largo.

“Tuttavia..” riprese lei “..se l’unico stato in grado di guardare il mio vero volto. Perciò voglio premiarti. Verrò con te e ti aiuterò. Se tu fossi stato un uomo, ti avrei donato un altro tipo di ricompensa, ma sei solo un bambino perciò..”.

“Eh?”.

“Sei troppo piccolo per capire..”.

La bellissima Dea, vestita in strati composti da ricami d’oro e trasparenze, si alzò e raggiunse Tolomeo, allungando una mano nel tentativo di farsi ridare quel che le apparteneva. Il cavaliere scosse la testa.

“Ho detto che vengo con te, ragazzo..”.

“Lo so. Ma preferisco non fidarmi. Questo velo lo tengo io, finché la mia missione non sarà compiuta”.

“Come preferisci..”.

La Dea scosse la testa e riprese a camminare, questa volta verso l’uscita. Si voltò verso Tolomeo, che era rimasto fermo.

“Andiamo, cavaliere. Mostrami che altro sai fare”.

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Capitolo 7
*** VII- Legami divini ***


VII

LEGAMI DIVINI

 

“Guarda che, anche se mi stai attaccato al culo tutto il giorno, io non posso cambiare le cose!” sbottò Thanatos.

“Voglio sapere che avete architettato voialtri stronzi” ribatté Ares.

“Noialtri stronzi, chi?”.

“Tutti coloro che stanno dalla parte di Hades. So che siete contro la progenie di Zeus”.

“E questo che avrebbe a che fare con me?!”.

“Sei un sottoposto di Hades!”.

“Bello..” parve infastidirsi il Dio della morte “..io combatto a fianco di Hades, ma non sono un suo sottoposto. Governavo pienamente i miei poteri quando lui non era manco nelle palle di suo padre, perciò non mi considero un suo sottoposto. E degli affari di famiglia dei tre fratelli esaltati poco mi importa”.

“Io so bene che Hades odia mio figlio Arles, per la faccenda di Eleonore..”.

“Sai quanto me ne frega!”.

“..ma non capisco questo accanirsi contro Phobos. Lui è rimasto sempre accanto a me fin da giovanissimo ed insieme abbiamo affrontato mille e più battaglie! Che mai può farsene Hades della sua anima?!”.

“E chi ti dice che la colpa sia di Hades?”.

“Non è forse lui che governa i morti?”.

“Sì, ma non uccide nessuno. È mia sorella che fa invecchiare..”.

“Tua sorella?!”.

“Ares, mi hanno sempre detto che sei ignorante, ma ora ne ho la conferma. Geras, mia sorella, una delle astrazioni, governa la vecchiaia ed è lei che fa invecchiare”.

“Non l’ho mai vista..”.

“E lo credo bene. Gli Dei non la vedono mai, perché non invecchiano”.

“E dove la posso trovare?”.

Thanatos ruotò gli occhi. Voleva continuare a starsene bello comodo spaparanzato negli Elisi circondato da belle muse e invece quel rompi di Ares lo stava tartassando.

“Non la puoi trovare. Sei un Dio! Gli Dei non invecchiano!”.

“Devo parlarle! Non vedi quanto sono testardo? Sono arrivato fino a qui, attraversando l’oltretomba”.

“Non capisco questo tuo gesto, ma..”.

“Io posso accettare che miei figli mortali muoiano. Ne ho visti crepare parecchi. Ma Phobos..lui no! Non potrei accettarlo”.

“È il tuo primogenito?”.

“Non lo so..non lo ricordo..penso di sì”.

“Io non ho figli, o perlomeno non mi risulta. Perciò non ti capisco. Però, ad ogni modo, per parlare con mia sorella ti serve un mortale. O un semimortale. Insomma..uno che possa invecchiare!”.

“E dove lo devo condurre?”.

“Lei sta con le Parche. Perciò sempre nel regno degli inferi”.

“Che palle..come posso portare un mortale qui?!”.

“Un semidio potrebbe passarci senza riportare troppe conseguenze..”.

Ares storse il naso. In famiglia aveva un paio di opzioni ma non sarebbe stato facile convincerli..

 

“Sai una cosa, Tolomeo?” sorrise Maya “Ti aiuterò volentieri. Sai perché? Anche se tecnicamente mi hai rapita, sottraendomi il velo, sei stato gentile. Per tutto il viaggio, mi hai fatto stare a mio agio”.

“Grazie. Ma lo so che la tratta si è notevolmente accorciata per merito dei vostri poteri..”.

“Non mi sembrava il caso di metterci dei mesi. Il Grande Tempio è vicino?”.

“Sì, ci siamo quasi..”.

Il giovane cavaliere camminava convinto, facendo strada alla Dea, che non aveva bisogno di alcun aiuto. Lui però, rispettosamente, le porgeva la mano in caso di terreno impervio e le indicava la via più sicura. Attraversando un fiume, la sollevò da terra per non farla bagnare.

“Sei una creatura gentile, come ormai non ne nascono più” commentò lei, una volta con i piedi di nuovo per terra “Peccato tu sia solo un bambino..”.

Tolomeo fissò la Dea, in silenzio, e poi proseguì.

“Ed il tuo cuore è ancora così puro..” rise Maya “..da non comprendere per quale motivo potrei desiderare che tu fossi un uomo”.

 

“Ti aiuto io” subito si propose Ipazia, una volta appresa la storia del nonno “Vengo io con te da Geras! Sono una semidea e non mi fa paura l’oltretomba”.

“Non so..” borbottò Ares “..sei così piccola..”.

“Andiamo! Riponi un po’ di fiducia in me! Lascia che ti dimostri che sono una tua degna nipote!”.

“Non lo metto in dubbio, Ipazia. Però non è un luogo adatto ad una bambina”.

“Non sono una bambina! E poi..chi altro potresti portare?”.

“Pensavo più a tuo zio Kanon. Ancora non si è risvegliato del tutto e..”.

“Ti manderà a fanculo prima ancora che glielo proponga! Dai, nonno! Andiamo e torniamo. Non lo diremo a nessuno e nessuno se ne accorgerà. Ti prego! Ho bisogno di un po’ di avventura..”.

“Non resisto a quel faccino, nipote mia. Però devi promettermi che non lo dirai ad anima viva. Altrimenti finiremo nei guai..”.

“Di cosa hai paura?”.

“Non lo esattamente. Ma è come se il destino si accanisse contro la mia stirpe, quindi preferisco stare all’erta..”.

Ipazia sorrise, raggiante all’idea di poter fare qualcosa che non fosse aspettare o cercare suo fratello. Poi il fatto di dover agire di nascosto, seppur sotto il controllo del nonno, le piaceva un sacco!

“Che devo portare?” domandò, indecisa.

“L’indispensabile. Non staremo via molto..”.

 

Kanon vide suo padre Are allontanarsi con Ipazia. La cosa lo infastidì ma non fece in tempo ad intervenire, perché qualcos’altro attirò la sua attenzione. Quel ciuffo rosso lontano era inconfondibile!

“Tomeo!” gridò, riconoscendolo.

Il ragazzo udì la voce dello zio ma lo ignorò, preferendo portare subito Maya da suo padre. La Dea lo seguì, pur guardando verso l’alto, cercando di capire chi avesse parlato. Camminarono ancora per un tratto, raggiungendo quella piccola grotta dove era custodita la teca creata per Arles.

“Lui è mio padre” indicò Tolomeo.

Maya superò il ragazzo, lentamente. La veste oro della Dea brillò, riflettendo la luce dell’ikor, e lei chiuse gli occhi qualche istante.

“Riesco a percepire il suo potere..” commentò Maya “..è molto confuso e instabile. Non so se sia saggio tentare di risvegliarlo..”.

“Mi avete detto che lo avreste aiutato..”.

“Ho detto che avrei aiutato te. Devo capire qual è il modo più giusto per farlo”.

“Io..io mi fido. Però voglio una soluzione definitiva. Se mio padre non può risvegliarsi, allora..”.

“Se sarà così, lo accompagnerò con una delle mie illusioni, in modo che non si accorga di nulla”.

“Grazie”.

“Ora però lascia che io capisca quel che devo fare”.

Tolomeo annui. Osservò la divinità, mentre si avvicinava alla teca del padre. Attorno a lei vide una luce, probabilmente segno che stava sfruttando i propri poteri. Sfiorò la teca e l’ikor all’interno brillò più intensamente.

“Che succede?” domandò Kanon, entrando “Chi è quella donna?”.

“Lei è una Dea” spiegò Tolomeo “E sta cercando di aiutare papà”.

“Una Dea?”.

Kanon era perplesso. Non amava le intromissioni divine, meno che mai le intromissioni da parte di Dee a lui sconosciute. Lo sguardo di Tolomeo però era colmo di speranza e non voleva abbatterlo con la sua solita franchezza perfida , perciò si trattenne nel commentare dicendo che per lui era una perdita di tempo.

“Eravamo tutti in pensiero per te” preferì dire, rimproverando il nipote.

“Ho tentato di fare più in fretta possibile” rispose il ragazzo, per nulla pentito.

Poi d’un tratto la terra tremò. Subito Kanon pensò fosse colpa di quella Dea e la fissò, accigliato. Lo sguardo di lei però era spaventato e stupito esattamente come quello di Tolomeo e quindi l’uomo capì che probabilmente era innocente.

“Usciamo da qui!” ordinò “Non è sicuro!”.

All’ingresso della grotta una figura oscurò la poca luce che vi entrava. Camminò lenta e con sguardo severo fissò Tolomeo, che non capì.

“Shiva..” lo riconobbe il ragazzo.

Subito intuì che doveva essere in collera. La pelle del Dio era molto più scura rispetto a quando l’aveva incontrato la prima volta ed inoltre attorno al collo portava un cobra decisamente agitato. Con il collare ben aperto, simbolo di nervosismo, l’animale pareva incitare il suo padrone ad usare il tridente contro quel mortale. Kanon si avvicinò al nipote, sfidando il Dio con uno sguardo ancora più duro e severo.

“Shiva!” lo riconobbe anche Maya “Che succede?”.

“Questi mortali ti hanno infastidita?” domandò il Dio, con voce profonda.

“No. Io..”.

“Dov’è il tuo velo?”.

“Lo ha quel ragazzo che..”.

“Lo sapevo! Ti ha rapita!”.

“No. Cioè..ecco..è una storia lunga”.

“Mi annoiano le storie lunghe. Andiamo. Ti riporto a casa. Per questa volta fingerò che nulla sia successo”.

“Ho un compito da svolgere qui”.

“Sei solo soggiogata dal volere di questo ladro, che si è appropriato del tuo velo”.

“No, non è così. Lascia che provi ad aiutare quest’uomo che..”.

Shiva si avvicinò alla teca, perplesso. Guardò all’interno, senza capire perché si stesse facendo tanto casino per una creatura simile.

“Quest’uomo è ormai perduto” disse “Maya, che stai..?”.

“Sto cercando di capire se è effettivamente così”.

“Se te lo dico, è per una ragione. Io conosco il principio delle cose e la loro fine. Quest’uomo non è in grado di intraprendere un percorso tale da portarlo a ricominciare a vivere”.

“Ne sei sicuro?”.

“Il suo cuore a malapena batte..”.

Con la mano sulla teca, Shiva parve un po’ calmarsi.

“Uccidilo, allora” parlò, inaspettatamente, Kanon.

“Prego?!” alzò un sopracciglio il Dio, stupito da una tale proposta.

“Da anni penso sia giusto che finalmente mio fratello sia libero. Però nessuno qui ha il coraggio di..”.

“Zio!” lo interruppe Tolomeo “Non puoi! Tu..”.

“Sta zitto, Tomeo! Questa storia è andata avanti anche troppo. Hai sentito quel che ha detto? Nessuno lo può risvegliare. Nessuno lo può aiutare! Lascia che Shiva ponga fine alla sua vita, così che finalmente tutto questo termini”.

Tolomeo guardò verso il padre. Possibile che quel lungo viaggio non fosse servito? Possibile che non ci fosse speranza? Guardò poi Shiva e capì che probabilmente quel Dio ne capiva molto più di lui. Chinò il capo, arrendendosi. Chiuse gli occhi, mentre Shiva con il tridente infrangeva la teca, distruggendola. L’ikor rimase qualche istante sospeso e poi si riversò per la grotta, mentre Kanon afferrò il corpo del fratello. Si accorse di quanto fosse incredibilmente leggero.

“Riposa, fratello mio” gli disse, chinandosi a terra e tenendolo fra le braccia “Io so che mai avresti voluto una vita rinchiuso in una bolla di finta esistenza”.

Percepiva il lieve respiro del fratello e lo trovò straziante. Perché era così testardo e non moriva?!

“Grazie” mormorò comunque, rivolto a Shiva “Dovevamo farlo tanto tempo fa”.

Shiva non fece in tempo a voltarsi: qualcosa di alquanto fastidioso lo aveva colpito. Si fissò il petto, vedendoci una freccia, che disintegrò con due dita. Si voltò, infastidito, e vide Atena all’entrata della grotta.

“Come hai osato?!” sbraitò lei.

“Potrei chiedere la stessa cosa!” sibilò lui.

“La pagherai!”.

Shiva ringhiò, scurendosi. Come osava quella femmina, Dea di una religione ormai morta, sfidarlo?

“Ma porca puttana” sussurrò Kanon “Ma perché Atena sa fare solo casino?”.

“Shiva..” tentò di calmare gli animi Maya, ma venne subito zittita da un gesto stizzito del Dio.

Atena rimaneva immobile, sull’uscio della grotta. Shiva la fissò, ormai nel pieno di uno dei suoi attacchi di rabbia. Strinse entrambe le mani a pugno, facendone schioccare le nocche. Poi, di colpo, scattò verso la Dea lanciando un grido di sfida.

“Tomy!” ordinò Kanon “Resta qui con Maya! Obbediscimi, questa volta!”.

Il ragazzo annuì, avvicinandosi al padre steso in terra. Kanon si alzò e si apprestò a raggiungere quella che ormai considerava una stupida, ovvero Atena: gli toccava comunque proteggerla.

“Che possiamo fare?” domandò il ragazzo.

“Nulla” rispose Maya, quando rimasero soli “Shiva non può essere fermato, finché non ha sfogato la sua rabbia. Resta qui, accanto a me. Prega per tuo padre”.

Tolomeo annuì. Del resto, suo zio si era preso l’armatura dei Gemelli e quindi lui, senza vestigia, non poteva fare molto. Non sopportava questi continui prestiti ma si rendeva conto che, in quel momento, era molto più utile Kanon dei Gemelli. Guardò suo padre, provando una certa rabbia. Perché si ostinava a vivere? Frugò nella piccola borsa che aveva con sé e ne estrasse l’anello di Eleonore.

“Mi è stato detto di dartelo” sussurrò, poggiandolo sulla mano del genitore.

Maya sobbalzò, vedendo la reazione che seguì quel gesto. Il gioiello brillò ed Arles parve reagire, stringendo il pugno.

“Ragazzo!” esclamò Maya “Shiva si sbagliava! Reagisce! Qualcosa lo sta chiamando e lo tiene a questo mondo! Ma dobbiamo agire in fretta per aiutarlo..”.

“Dobbiamo?”.

“Aiutami. Aiutami ed io farò tutto il possibile per riportarlo qui”.

“Che devo fare?”.

“Ridammi il velo..”.

 

“Ipazia! Non ti allontanare!” la rimproverò Ares, trovando inquietante l’oltretomba.

Per la ragazza non era così, probabilmente perché ancora incosciente a causa dell’età. Cerbero, come sempre a guardia dell’ingresso, ringhiò. Ipazia non si spaventò e guardò il grosso animale con curiosità. La bestia, addestrata per respingere le anime che tentavano di fuggire ed impedire l’ingresso ai mortali ancora in vita, fissò la giovane. Ares, essendo un Dio, non attirava la sua attenzione mentre invece Ipazia suscitava parecchio interesse nel canide.

“Ipazia, attenta” la chiamò ancora Ares.

“Ma che c’è?! É solo un cane!”.

“Con tre teste!”.

“E con ciò? È sempre un cane..”.

Ares aprì la bocca e la richiuse. Ma non era lui lo sprovveduto dell’Olimpo?! Accelerò, per raggiungere la nipote, che nel frattempo si era avvicinata a Cerbero. Il mantello rosso di Ares spiccava fra le anime ed il nero di quel luogo. L’animaletto di Hades scattò, ringhiando, ma si fermò a pochi centimetri da Ipazia, che si era limitata ad allungare una mano. I due si guardarono negli occhi per quella che ad Ares parve un’eternità. Con un certo stupore, vide l’aspetto della nipote mutare per qualche istante. Lo sguardo era quello di una lupa, fiera e potente, e Cerbero lo capì. Non la attaccò e si lasciò toccare sul muso della testa centrale.

“Stupefacente” esclamò una voce, che Ares riconobbe immediatamente.

Hades si mostrò, rivelandosi fra le ombre della sua dimora. Era strano che si trovasse lì, così vicino all’uscita.

“Hades?” domandò Ares, stupito di vedere lo zio lì.

“Vengo sempre informato” spiegò il padrone di casa “Se qualche Dio varca quella soglia. Visto che ultimamente pare che questo posto sia diventato un parco giochi, ho deciso di verificare di persona chi osa girellare tanto in questi luoghi proibiti e, pensavo, spiacevoli”.

“Dobbiamo vedere Geras” spiegò il Dio della guerra, mentre Hades si avvicinava alla giovane.

“Mai prima d’ora ho visto una cosa simile. Mai una creatura è riuscita ad approcciarsi in questo modo al mio amato Cerbero. Signorina, permettetemi di dirvi che sono colpito”.

“Ah..grazie..” mormorò Ipazia, senza sapere bene che dire.

“Mi hai sentito?!” sbottò Ares “Dobbiamo vedere Geras!”.

“Ed è davvero difficile colpire uno come me, che ne ha viste anche troppe. Siete una fanciulla speciale” continuò imperterrito Hades, con un baciamano.

“La pianti di provarci con mia nipote, vecchio pervertito?!” sbraitò Ares “E ascoltami, che non ho tempo da perdere!”.

“Rilassati, non farti scoppiare le vene sulla fronte” ghignò il padrone di casa “Per quanto riguarda tua nipote..è piccola, è vero. Ma sai..io so aspettare”.

“Toglitelo dalla testa! Finiamola con sti incesti Olimpici”.

“Devo forse rammentarti che ti sei sposato Atena, tua sorella?”.

“Ma..ma..questa è un’altra cosa! E non l’ho sposata!”.

“Ci hai fatto un figlio”.

“Piantiamola di parlare di questo! E fai due passi indietro da mia nipote!”.

Hades si girò di nuovo verso Ipazia. Era vero, era molto giovane, con forme ancora acerbe, ma già si intuiva che sarebbe divenuta una splendida donna. Certo, ora era praticamente piatta e con il volto da bambina, ma quello sguardo..

“Hades!” ringhiò ancora Ares, mentre Ipazia arrossiva per l’imbarazzo.

“Ho capito!” sbuffò il Dio dell’oltretomba “Da quando fai il bravo nonnino?! Venite con me, vi accompagno da Geras”.

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Capitolo 8
*** VIII- Scorre la sabbia ***


VIII

 

SCORRE LA SABBIA

 

Le tre parche tessevano ed intrecciavano i fili dell’esistenza, recidendoli quando era il tempo. Erano abituate alle visite di Hades, specie ultimamente, in cui il Dio si era fatto insistente. Compariva spesso, per scoprire eventuali indizi su dove potesse trovarsi Eleonore, senza però ottenere nulla. Erano donne solitarie ed anche in quell’occasione non parlarono. Si limitarono a fissare Ares ed Ipazia, con indifferenza. Geras sedeva in un angolo, avvolta in pesanti mantelli,e fissava distrattamente il muro. Alzò lo sguardo, mostrando gli stessi occhi argento di Thanatos.

“Fra voi c’è chi subirà il mio tocco” sussurrò, fissando Ipazia.

“Già” confermò lei “Io sono una semidea e, se la cosa non cambia, invecchierò e morirò. In più tempo rispetto ad un mortale normale, ma succederà. Dovrei parlarti, posso?”.

“Certo, bambina. La gioventù mai mi rivolge la parola, perché mi vede come qualcosa di distante ed astratto. Dimmi pure..”.

Ipazia si avvicinò, mostrando un notevole coraggio, inginocchiandosi accanto alla Dea, come una nipotina accanto alla nonna che racconta una fiaba. Ares la guardo, non potendo rivolgere la parola a Geras. Hades sorrise, sempre più colpito da quella fanciulla, e di risposta ricevette una gomitata dal Dio della guerra.

“Sono preoccupata per mio zio Phobos” parlò Ipazia.

“Phobos..” rifletté Geras “..fammi pensare..ah, sì! Phobos!”.

 

“Indossalo” ordinò Maya, una volta che Tolomeo le porse il velo “Non avere paura”.

“Cosa mi succederà?”.

“Va a riprendere tuo padre. Io ti guiderò..”.

Il ragazzo annuì ed indossò il velo. Subito davanti a sé apparve una forte luce. Iniziò a camminare ed intorno si formò un paesaggio sempre più dettagliato. C’erano degli alberi e Tolomeo camminò sull’erba.

“Papà?” chiamò.

Di risposta, udì la risata di un bambino. Si guardò attorno e finalmente lo vide. Era un bimbo che giocava vicino al piccolo fiume, lanciandovi sassolini e sentendo il rumore che facevano. Era pericolosamente vicino al bordo ma Tolomeo intravide, nascosto fra gli alberi, una figura.

“Ares..” lo riconobbe.

Era stranamente con i capelli raccolti e non vestiva da guerriero. Osservava attentamente quel bimbo, che non rimase solo a lungo. Dopo qualche istante lo raggiunse un altro bambino, identico. Ed allora Tolomeo capì: quelli erano suo padre e suo zio da piccini! Ed Ares li sorvegliava, attento che non si facessero male? Che cosa strana..

Il giovane fece per avvicinarsi e fece un rumore. Il piccolo Saga si girò e gli sorrise. Scoppiò a ridere e gli porse un sassolino, invitandolo a lanciarlo nel fiume. Tolomeo obbedì. Osservò ipnotizzato le increspature dell’acqua e, quando rialzò lo sguardo, si accorse che tutto era cambiato. L’acqua non era più un fiume bensì una fontana e si trovava in mezzo ad una piazza gremita di gente. Si guardò attorno. Dov’era finito? Si incamminò lungo la strada lastricata e qualcuno sfrecciò al suo fianco.

“Papà!” lo riconobbe.

Era un bambino, di qualche anno più grande di prima, ma era lui, ne era certo.

“Aspetta!” chiamò ancora Tolomeo, ed iniziò ad inseguirlo.

Fra la gente però era difficile seguire quella figuretta, che conosceva bene le strade del posto. Per fortuna la folla si diradò e Tolomeo riuscì quasi a raggiungere il piccolo, che però saltò e sparì dietro quella che sembrava una ripida discesa. Il ragazzo fece lo stesso e sobbalzò, vedendo il nero sotto di sé. Precipitò e, quando atterrò, capì subito di essere all’anfiteatro del Tempio.

“Dov’è finito adesso?” si chiese, iniziando a scocciarsi.

Poi vide che colui che stava al centro dell’anfiteatro era proprio suo padre, un bambino un po’ malconcio che riceveva l’armatura d’oro. Tolomeo capì che non dovevano avere molti anni di differenza, forse due o tre. Si stupì nel non vedere altri futuri cavalieri ma poi si ricordò che suo padre era il più anziano e, vista l’età di quel bambino, all’epoca Deathmask, Shura ed Aphrodite dovevano avere quattro o cinque anni. Il bambino si voltò, guardando in su. Tolomeo si girò nella direzione in cui guardava il padre ed intravide Kanon. I due fratelli si sorrisero e Tolomeo riconobbe il legame che lo avvicinava a sua sorella Ipazia, che chissà che stava combinando in quel momento! Si alzò di colpo un vento gelido, che spazzò via la scena che aveva davanti, rimpiazzandola con qualcosa di poco diverso. Ora l’anfiteatro era pieno e riuscì ad intravedere qualche altro futuro cavaliere. Vide Aiolos, con il fratellino, assieme a molti altri futuri saint. In cima all’anfiteatro, in disparte, vide suo padre. La gente lo vide arrivare e sorrise, lui salutò con un cenno, con un lieve sorriso. Tolomeo sentì distintamente dire a più di qualcuno “Lui sarà il futuro Gran Sacerdote”. Poi apparve Shion, con fra le mani un lungo bastone, che batté a terra. Quel gesto, che provocò un gran botto, fu accompagnato da un tuono ed iniziò a piovere. Il giovane capì che la scena era cambiata ancora, si era fatta più buia. Era all’ingresso della tredicesima e corse un po’, per proteggersi dalla pioggia. Da lì, fra le colonne, riuscì ad intravedere suo padre. Camminava lentamente e Tolomeo lo vide cadere a terra, in ginocchio, tenendosi la testa. Con le vesti da Gran Sacerdote, il figlio intuì che il genitore stava lottando contro sé stesso in quel momento. Lo vide piangere ma si riprese in fretta. Fra le sue dita scintillava la daga d’oro che più volte Tolomeo aveva sentito nominare: la daga deicida! Suo padre stava andando ad uccidere Atena! Indeciso sul da farsi, il ragazzo non sapeva esattamente quanto potesse interferire. Poi prese coraggio e scattò, deciso ad intervenire. Fece solo pochi passi però, prima che Aiolos gli venisse addosso, spintonandolo. Il Sagittario stringeva fra le mani la neonata Atena e stava fuggendo lontano, inseguito dalla voce di Arles che lo definiva “traditore”. Dietro si sé, lasciava tracce di sangue. Tolomeo si voltò verso quella voce familiare, corse sotto la pioggia ed aprì la porta. Davanti a sé però non trovò la dimora di Atena bensì la tredicesima. Suo padre sedeva sul trono. Alzandosi, tolse la maschera e camminò lentamente verso Tolomeo. Il ragazzo rimase immobile, vedendolo mutare. La tunica del Sacerdote cadde, lasciando il posto all’armatura d’oro. Poi anche questa cadde, mentre i capelli del padre tornavano gradatamente blu e sul suo petto si formava una cicatrice: quella che ancora oggi aveva, provocata dal suicidio. Riapparve l’armatura, che si fece sempre più scura, divenendo surplice. Il paesaggio sullo sfondo mutava continuamente, così come mutava suo padre, mostrando la guerra santa, il muro del pianto e la battaglia contro Shaka. L’armatura cambiò ancora, divenendo quella rossa della stirpe di Ares. Alle sue spalle, Tolomeo vide accadimenti di cui aveva solo vagamente sentito parlare. Vide suo padre mentre si sposava con Eleonore e vide la morte di lei. Il matrimonio di Hades, Phobos, Deimos, sua madre Discordia, la guerra con i romani..poi divenne tutto bianco. Davanti a sé aveva solo suo padre, che lo fissava. In tutto quel percorso mai aveva mutato espressione. Tolomeo ne percepì un’indicibile tristezza. Aveva compreso che aveva vissuto un’illusione? Quello sguardo, stanco e triste, era spento e sconsolato. Vide una lacrima rigare il volto del padre ed allora il figlio lo strinse a sé.

“Era un’illusione ma ti prometto che ti aiuterò. Vieni con me, vieni a VIVERE finalmente!”.

Tolomeo sentiva tra le sue braccia la fragilità del genitore, provato dagli anni appena trascorsi. Lo sentì tremare e non riuscì a reggerlo, mentre cadeva.

“Papà!” chiamò e lo vide chiudere gli occhi, mentre i suoi si spalancarono, tornando alla realtà.

“No!” gridò “Ci ero riuscito! Che è successo?!”.

“Temo che Shiva avesse ragione” rispose Maya, parlando piano “Il cuore di tuo padre non batte più”.

 

“Esiste un modo” spiegò Geras “Di rallentare il processo. Purtroppo tuo zio è stato colpito dalla daga deicida, e questo ha in parte scalfito la sua immortalità. Ma c’è un modo per riavere il tempo e renderlo di nuovo immortale”.

“Come? Come faccio?” domandò Ipazia, impaziente.

“Devi andare da chi governa il tempo. Facendo scorrere la sua sabbia, se il Dio te lo permetterà”.

“Cronos? Colui che dai romani è legato al tempo?”.

“Sì, bambina. Colui che come Romano ha acquisito anche la possibilità di controllo sullo scorrere delle ore. Se lo vorrà, ti concederà questo piacere..”.

“Scordatelo!” interruppe Ares “Cronos è un sanguinario mangia bambini! Non ti ci manderò mai!”.

“Non fa più queste cose” lo interruppe Geras “Ora è incatenato nelle profondità del Tartaro e non può fare molto, anche se il suo potere è immenso”.

“Allora..non è distante da qui!” sorrise, raggiante, Ipazia.

Si alzò, ringraziando Geras, e subito corse, senza lasciare possibilità ad Ares o Hades di dire o fare qualcosa.

 

Shiva vide Tolomeo sfrecciare fuori dalla grotta, lo seguì solo qualche istante con lo sguardo e poi tornò a concentrarsi sui suoi avversari. Atena pareva non accorgersi dell’immensa differenza di potere fra lei, di una religione estinta, e Shiva. Kanon stava attento, non volendo di nuovo trovarsi con il tridente nel petto come con Poseidone. Per fortuna, in suo soccorso, giunsero altri abitanti del santuario e divinità.

“Stai indietro, Phobos!” ordinò Deimos “Non sei in condizione”.

“Stai zitto! Non chiedo di meglio! Crepare in battaglia!”.

“Fratello..”.

“Zitto!”.

Incurante della debolezza di quel corpo mortale, Phobos iniziò ad attaccare e Deimos lo seguì. Dietro di loro apparve il figlio di Ares ed Atena, mostrando che non aveva solo ereditato il nome del nonno ma anche qualche sua capacità, tirando fulmini. Nonostante i colpi combinati di Dei e cavalieri, Shiva respinse i colpi e ghignò.

“La differenza fra me e voi è la fede. Io sono un Dio venerato, sarò sempre più forte di voialtri” spiegò.

“Ma noi siamo in tanti!” ribatté Atena.

“Anche noi..”.

Il sorriso di Shiva divenne ancora di più un ghigno, mentre le sue braccia si moltiplicavano, in una danza quasi ipnotica.

 

L’enorme clessidra di Cronos si mostrò davanti agli occhi di Tolomeo. Di sfuggita, notò Tartaros e Nix, che dimoravano nel buio totale di quel luogo. Li guardò solo vagamente, riconoscendo in lei la madre di Hypnos, Thanatos e tutte le Astrazioni. L’enorme Cronos se ne stava, incatenato, al centro della sala.

“Sorella!” chiamò il giovane, vedendo Ipazia  sulla cima di quella clessidra.

“Tolomeo!”.

“Cosa fai lì?”.

“Storia lunga. E tu?”.

“Idem..”.

“So che ti porta qui..” parlò Cronos, con una voce profonda ed inquietante “..quanti ospiti, sono quasi commosso. Come dissi a tua sorella, il tempo che ti serve lo puoi ottenere grazie alla sabbia di quella clessidra. Prendila, se ci riesci”.

Tolomeo annuì, iniziando ad arrampicarsi fin sulla cima dell’enorme oggetto, raggiungendo la sorella. Con un gesto, Cronos aveva scoperchiato leggermente la sua clessidra ed i due gemelli ne vedevano il contenuto.

“Ne basterà una manciata soltanto” continuò il Dio incatenato.

“Coraggio” annuì Ipazia, chinandosi per raggiungere la preziosa sabbia.

“Ti tengo io” la rassicurò Tolomeo, permettendole di scendere più in basso.

La clessidra però si scosse violentemente e Tolomeo barcollò ,senza però perdere la presa. Sotto i suoi piedi, la base si mosse. Poi, con un sussulto, fu sollevato e sobbalzato oltre il bordo. Riuscì ad ancorarsi al bordo con una mano, tenendo stretto la sorella con l’altra.

“Non si può rubare il tempo, ragazzini incoscienti!” tuonò Cronos, facendo tremare ogni cosa.

La base a cui si sorreggeva Tolomeo si sgretolò ed i gemelli caddero, trovandosi immersi nella sabbia.

“Ipazia! Tolomeo!” chiamò Ares, d’un tratto ricordando la profezia di Apollo che aveva parlato di sabbia.

I due sprofondavano rapidamente nell’immensa clessidra ed il Dio della guerra non sapeva che fare. Nel panico, non trovò altra soluzione se non minacciare l’enorme Cronos di lasciarli andare. Ovviamente questi non obbedì e ridacchiò.

“Vi vengo a prendere!” gridò allora Ares.

“Ares! Brutto coglione!” gli urlò Hades “Se tocchi quella sabbia invecchierai e morirai! Non si può uscire da lì!”.

“Taci, menagramo!”.

Si arrampicò, ringhiando contro la mancanza della sua armatura alata. Arrancò fino alla cima e vide solo una mano ormai fuori dalla sabbia. Fece per allungarsi verso di essa quando un uomo sfrecciò fuori proprio da quella sabbia. Sbilanciato, Ares precipitò. Guardò in su, meravigliato. Due enormi ali nere, simili a quelle di un drago, sorreggevano quell’uomo dai capelli rossi che stringeva fra le braccia una donna priva di sensi. Atterrò a pochi passi dal Dio della guerra e fissò Cronos.

“Mi devi del tempo” esclamò, rivolto all’incatenato che non rispose subito.

“Mai nessuno era riuscito in questo” ammise, poi “Perciò..e sia! donerò il tempo che entrambi chiedete”.

“Tolomeo?” azzardò Ares, ancora seduto a terra.

“Nonno” lo riconobbe lui “Perché mi guardi così?”.

Poi Tolomeo osservò la sorella, che stringeva, e capì che il tempo era passato per entrambi. Ipazia era una splendida donna e quindi probabilmente lui ora era un uomo, con scintillanti occhi divini. Lei tossì un paio di volte, risvegliandosi.

“Dobbiamo rientrare” esclamò Ares, riprendendosi di colpo “Sta succedendo un casino al Tempio”.

“Andiamo”.

Tolomeo spiccò il volo di nuovo, uscendo rapidamente dal regno dagli Inferi. Una volta fuori, Ares poté indossare l’armatura e si librò in aria a sua volta, notando con piacere che suo nipote aveva ereditato la stessa bravura del padre nel volare.

“L’uomo drago e la donna lupo. I miei nipoti mi stupiscono ogni giorno di più!” commentò, volando.

 

Phobos sobbalzò. Che gli stava succedendo? Si sentiva strano..si sentiva BENE! Si guardò le mani, percependo un frizzo dovuto all’ikor. Poi si toccò l’occhio, che di colpo gli lanciò una scossa di dolore. Quando scostò la mano, si accorse che si era riaperto e ci vedeva. Ghignò.

“Phobos! Sei di nuovo tu!” esclamò Deimos, notando lo sguardo rosso fiammeggiante del fratello.

“Sì, e sono pronto a spaccare culi” rise Phobos.

Nonostante il notevole potere dei due gemelli ora al massimo, Shiva riusciva comunque a non farsi scalfire. Solo l’ennesima freccia lo colpì.

“Oh, che palle! Non sono un puntaspilli!” sbottò, girandosi e notando che a lanciarla non era stato uno dei seguaci di Atena.

“Krishna” lo riconobbe “Vishnu..cosa ti fa giungere fin qui per interrompere il mio divertimento?”.

“Adesso calmati” rispose Krishna, il Dio dalla pelle blu e l’arco “Non è successo nulla, puoi anche placare la tua ira”.

“Quanto siete noiosi. Lo sapete che ho bisogno di sfogarmi..”.

“C’è tua moglie per questo..”.

“Ho bisogno di sangue. Questi hanno osato sfidarmi..”.

“E tu cerca di essere superiore. Alla fine sei tu il venerato, non loro..”.

 

Ipazia sorrise. Sorretta dal fratello, dall’alto vedeva lo zio Phobos combattere come un tempo e ne fu felice.  Anche Ares fu sollevato nel vedere quella scena, stupendosi di se stesso per questi strani attacchi.

“Chi è quello mezzo nudo con la pelle blu?” domandò il Dio della guerra.

“Shiva. È in collera per una questione che non sto a spiegarti” rispose Tolomeo.

“Ha qualcosa a che vedere con Atena?”.

“Come sempre..in parte..”.

“Lo sapevo..”.

Atterrando, Ares si scagliò contro Shiva che però lo ricacciò indietro, accanto ad Atena.

“Che vuole?” domando il Dio della guerra “Conquistarci?”.

“No..veramente..” mormorò lei, lievemente in imbarazzo “..sono stata io ad attaccarlo per prima”.

“E perché?!”.

“Lui ha..infranto la bacheca di Arles”.

“Ha fatto cosa?!”.

Il Dio della guerra ricominciò subito ad attaccare, ancor più pieno di rabbia. Lo seguirono i suoi figli, tranne Kanon che rimase vicino ad Atena. Altri suoi cavalieri la raggiunsero, allarmati dal trambusto, e si unirono alla lotta. Shiva trovò la cosa alquanto noiosa. Alla fine, quei mortali non facevano altro che infastidirlo e gli Dei solo vagamente ferirlo.

“Basta adesso, Shiva” tuonò di nuovo la voce di Krishna, che Shiva ignorò “Shakti non approverebbe mai”.

“Non parliamo di mia moglie, adesso! E fatti gli affari tuoi”.

“Non costringermi a tirarti un’altra freccia”.

“Oro che so che sei lì, non mi faccio prendere alla sprovvista”.

“Ma sai bene che io con le frecce sono bravo..”.

Il Dio ignorò il suo collega e contrattaccò, muovendo tutte le braccia in un’onda che travolse i presenti, scagliandoli per varie parti. Ares gridò, furioso e desideroso di dimostrare a quell’indiano che pure lui sapeva fare male, se voleva.

“Non farai altro che prenderle!” commentò Kanon “Lui ha il potere della fede dalla sua parte, non lo vincerai”.

“Ha infranto la teca di Arles!”.

“Su mia richiesta”.

“Che cosa?!”.

“Gli ho chiesto io di farlo! E lo richiederei di nuovo!”.

“Traditore!”.

Ares si scagliò contro Kanon. Atena indietreggiò, spaventata, mentre Ipazia e Tolomeo tentarono invano di separarli. Il tutto fra le risate di Shiva, che si divertiva sempre a vedere la gente litigare.

“Chiedo perdono..tutto questo casino per me..” parlò Krishna.

“Ma che dici?” ghignò Shiva, girandosi.

Krishna..c’era qualcosa di diverso..lo osservò un po’ meglio  e si stupì.

“Illusione!” esclamò e Krishna si dissolse “Maya!”.

Voltandosi verso la grotta, Shiva vide che al suo ingresso stava proprio Maya, avvolta di luce oro. Ma non era sola. Al suo fianco, un uomo dai lunghi capelli neri osservava la scena, sorridendo.

“Me l’hai fatta, Maya” commentò l’indiano.

“Non da sola, vero Arles?”.

Alla parola “Arles”, Kanon ed Ares smisero di azzuffarsi e tutti si voltarono verso la grotta.

“Shiva..” riprese Maya “..calmati”.

“Se sei tu a chiederlo..” scherzò il Dio, avvicinandosi e sfiorando Arles con una mano “Evidentemente mi sbagliavo. Qualcosa ti ha spinto a rimanere in vita. Non so cosa sia ma..spero non getterai alle ortiche la nuova opportunità che hai. E spero che non ricadrai nelle tue stesse illusioni come un coglione..”.

“Ora controlla il suo potere perfettamente” assicurò Maya.

“Ma potrebbe scegliere di ricaderci spontaneamente”.

La Dea fissò Arles qualche istante. Probabilmente c’era quel rischio ma era certa che ora vi erano molte persone disposte ad aiutarlo a scongiurare quel pericolo.

“Andiamo a casa, Maya” invitò Shiva, porgendole la mano.

La Dea scosse la testa, spiegando che aveva ancora qualche cosa da fare. Ma assicurò il Dio che sarebbe tornata presto. Shiva alzò le spalle, non capendo perché perdesse tempo in posti tanto noiosi.

Una volta che Shiva se ne fu andato, Ares fu il primo a raggiungere il figlio, che lo fissò senza aprire bocca.

“Hai dei figli davvero in gamba. Tolomeo ti ha salvato e Ipazia ha aiutato Phobos. Spero che te ne ricorderai, nel caso ti venisse in mente di infilarti in un’altra illusione senza uscita” gli disse.

“Sei stata tu ad a ridarmi l’immortalità?” si stupì Phobos, fissando la nipote.

“Sì..” ammise lei, sorridendo.

“Non so come tu abbia fatto e cosa ti sia successo ma..”.

“Niente piagnistei. Batti il cinque, e siamo pari”.

Phobos rise ed Arles fissò i ragazzi, confuso.

“Papà!” salutò Tolomeo “Sono il tuo primogenito. È fantastico vederti in piedi”.

“Tu..” mormorò finalmente Arles “..mi hai risvegliato dall’illusione”.

“Già. Mi spiace se magari preferivi rimanerci..”.

“Ah, no. Era giusto che ne uscissi però..sei così grande..”.

“La clessidra di Cronos ha accelerato un po’ le cose. Meglio, no? Almeno così riesco ad indossare l’armatura senza sembrare ridicolo. Anche se..dovrai insegnarmi come ci si rade!”.

“Ed i tuoi occhi..ricordavo lo sguardo di vostra madre..”.

“No, io ed Ipazia abbiamo sempre avuto gli occhi tuoi, papà”.

Arles sorrise, sfiorandosi la testa con una mano.

“Qualcosa non va?” si preoccupò Ipazia.

“Sono stanco” ammise Arles “E piuttosto confuso”.

“Normale” lo rassicurò Ares “Non so nemmeno come tu faccia a stare in piedi..”.

“Non sto in piedi. Sto fluttuando..”.

“Ah..vero..”.

Appena provò a toccare terra con i piedi scalzi, Arles barcollò e fu Tolomeo a prenderlo al volo. Forte abbastanza per fare questo ed altro, il giovane sorrise soddisfatto.

“Ti portiamo in un posto sicuro dove riposare e magari mangiare un boccone” commentò.

“Grazie” annuì Arles,percependo solo ora di avere qualcosa fra le mani.

Aprì il pugno e riconobbe l’anello di Eleonore, stupendosi nel vederlo.

“Me lo ha dato” spiegò Tolomeo “Per te..mi ha guidato ed aiutato”.

“Lei sta bene?”.

“Non lo sappiamo. È scomparsa. Hades l’ha fatta cercare ovunque ma senza risultato”.

“Eleonore scomparsa?”.

Arles tornò a fissare l’anello: brillava ancora.

“Lei è viva, ne sono certo. La troverò..ecco come userò la mia nuova vita”.

“Non dire minchiate!” sbottò Ares “Hades ti ucciderà all’istante se osi avvicinarti”.

“Ho detto che la troverò, non che me la porterò a letto! La troverò e la riporterò al sicuro”.

“E se si è allontanata volontariamente?”.

“Mi basterà sapere che è felice. La ringrazierò, per aver aiutato mio figlio, e la lascerò vivere la sua vita. Sono passati tanti anni, non mi aspetto di certo il lieto fine da favoletta adolescenziale”.

“Come vuoi..”.

Ares non era convinto, ma era inutile discutere adesso. Arles non era in condizioni di andarsene a spasso a cercare la sua bella e così sarebbe stato per un po’. L’unica sua preoccupazione era che potesse cercare di immergersi di nuovo in strane illusioni.

“Sarà meglio sorvegliarlo” disse a Phobos e Deimos, mentre Tolomeo ed Ipazia si allontanavano con il padre.

“Ci penso io. A costo di legarlo al letto” rassicurò Kanon, stanco di fare i salti mortali per quel fratello dal cervello ballerino.

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Capitolo 9
*** IX- inseguendo un sogno ***


IX

INSEGUENDO UN SOGNO

 

Tolomeo camminava per i corridoi della tredicesima. Essendo immensa, il Gran Sacerdote Kiki aveva acconsentito a concedere un’ala alla strana famiglia del suo predecessore. Il giovane, di passaggio, era ormai stabile nella casa dei Gemelli ma spesso si recava a far visita al padre, obbligato a restare a riposo, anche se era l’ultima cosa che desiderava. Non sapeva spiegarselo ma, quel pomeriggio, quei corridoi sembravano più lunghi e tortuosi del solito. Si fermò qualche istante, chinandosi leggermente in avanti, sentendo un gran caldo improvviso.

“Tutto bene?” si sentì chiedere.

Alzò lo sguardo, incrociando quello della gemella Ipazia.

“Certo” sbottò Tolomeo, rimettendosi dritto di colpo.

“Ne sei sicuro? Ultimamente ti vedo sempre più strano”.

“Le tue sono solo paranoie. E poi io..”.

Il loro discorso fu interrotto da un grido rabbioso e da un boato. Voltandosi entrambi, allarmati, videro giungere di corsa, lungo il corridoio, Phobos e Deimos. Dai loro ghigni, i due giovani non capirono se gli zii si trovassero in una situazione d’emergenza o stessero semplicemente facendo casino. Poi videro, dietro alle due divinità, una terza figura che raggiunse le prime due con rapidità. Subito Tolomeo si mise in posizione in difesa, proteggendo la sorella. La figura misteriosa scattò, andando oltre Phobos e Deimos. Saltò, sfiorando una colonna con i piedi e dandosi la spinta, compiendo un movimento insolito che la fece atterrare a pochi centimetri dal giovane Tolomeo. Questi sobbalzò, vedendo solo una massa di capelli neri che si dava lo slancio e colpiva con un calcio il primo dei gemelli che sopraggiungeva. Deimos, per proteggersi, incrociò le braccia davanti al petto ma fu comunque rispedito indietro, travolgendo Phobos. Entrambi rimasero in piedi, nonostante il segno lasciato sul pavimento.

“Grandioso” ghignò Deimos, con sul volto un’espressione da pazzo ed un leggero rigolo di sangue sul lato della bocca.

Tolomeo, con ancora il braccio teso a difesa della sorella, vide la figura davanti a sé rialzarsi e la sentì ridere.

“Dai, prova ancora a sfidarmi!" rise questa, dandogli le spalle, allungando un braccio.

“Ma..” esclamò Tolomeo “..papà?! Sei tu?”.

Questi si voltò, come se fino a quel momento non si fosse accorto della presenza del ragazzo. Il giovane rimase comunque sulla difensiva, non capendo bene quel che stava accadendo. Il genitore, circondato da una tempesta scomposta di capelli neri, fissava il figlio con aria interrogativa e poi gli sorrise.

“Sto solo facendo riscaldamento” spiegò, con una luce divina negli occhi.

“Dovresti riposare, papà” lo rimproverò Ipazia.

“Non mi serve riposare. Come vedi, sono in grado di  affrontare il mondo” rimbeccò lui, mentre Phobos e Deimos si avvicinavano con un ghigno orgoglioso.

“Sei scalzo! E ti sei visto?” scosse la testa Tolomeo “Sembri appena uscito da un manicomio! Sei tutto scombinato!”.

“Mica devo andare ad una sfilata di moda!” rise Arles, rigirandosi e trascinando dietro di sé i capelli, che con il tempo trascorso nella teca di Ikor si era allungati ulteriormente.

Tolomeo sospirò, alla fine felice che il padre stesse bene. Notò che al collo, assicurato ad una sottile catenella, portava l’anello di Eleonore. Che fosse ancora intenzionato a cercarla? Lo era sicuramente..suo padre era testardo, oltre che pazzo.

“Ma che combinate?! Volete abbattere la tredicesima?! Poi chi la sente Atena?!” sbottò Ares, gridando da un punto imprecisato della casa.

“Scusa” gridò di rimando Arles.

Il Dio della guerra raggiunse i figli ed i nipoti con sul volto un’espressione piuttosto annoiata.

“Cosa ci fai in piedi, TU?!” si accigliò, fissando Arles.

“Sto bene. Stavo pestando questi due”.

“Non è un gran segno di sanità mentale, sai?”.

“Non ho mai avuto sanità mentale”.

“Dovevi vederlo” rise Phobos “Come muove le gambe adesso. Ci ha colpiti entrambi. La sua energia sta aumentando di molto”.

“Spero, però, che tu sappia gestirla” incrociò le braccia Ares.

“Maya mi ha spiegato come fare” annuì Arles “Prima di andar via. Tranquillo..non mi perderò di nuovo nelle mie illusioni”.

Il padre si avvicinò, rigirandosi fra le mani il piccolo anello di Eleonore.

“Non cominciare!” sbottò il figlio “Non cominciare anche a tu a dirmi che sono un coglione perché rivoglio la mia donna accanto a me e voglio cercarla!”.

“Non ho detto e non dirò mai una cosa del genere. Sei un Dio adesso e quel che fai sono del tutto affari tuoi. Inoltre conosco la sensazione che una donna può dare ad una mente come la nostra, perseguitata dalle battaglie. Conosco bene l’angoscia che si prova quando non si deve far altro che combattere ma non lo si desidera”.

“Ma..tu sei il Dio della guerra! Devi combattere!”.

“Certo. Sono il Dio della guerra. Ma questo non significa che voglio solo guerra nella mia vita. E quando sei sfinito ed angosciato, so quanta pace possa dare il tocco della donna che ami. Anche se, nel mio caso, è una donna sposata con un altro ed una gran puttana. Non ci posso fare nulla..dal primo momento in cui l’ho vista, ho amato Afrodite ed ho sfidato Zeus stesso pur di starle accanto. Perciò ti capisco. Temo però che tu sia inseguendo un sogno impossibile. E se lei fosse morta? Ci hai pensato? È scomparsa nel nulla e nemmeno Hades è riuscito a scovarla..”.

“Voglio saperlo. Se è morta, voglio saperlo”.

“E poi? Se è morta, che farai?”.

“Non lo so..” ammise Arles.

“Ho paura che, se fosse così, la tentazione di rintanarti nuovamente in un mondo immaginario possa avere il sopravvento su di te”.

“Non accadrà. Te lo prometto. Ma devo sapere la verità. Che altro dovrei fare?”.

“Non posso suggeriti nulla, perché io ancora adesso compio indicibili stupidaggini pur di vedere Afrodite. Immagino che sia di famiglia. Del resto, Eros è mio figlio mica per niente! Non sai quante volte Zeus ed altre divinità hanno tentato di convincermi a frequentare altre Dee, nel tentativo di rabbonirmi..”.

“E allora Atena?”.

“Beh..” Ares parve un po’ indeciso su che cosa dire, ma poi riprese “..lei ha mansioni simili alle mie. Quando sono in vena di combattimenti, è il genere di Dea che voglio al mio fianco. Ma non è sempre così. così come non voglio sempre quella pettegola di Afrodite attaccata addosso tutto il giorno”.

“E mia madre?”.

“E Discordia?” rispose il Dio della guerra, dopo un attimo di esitazione “Tu non sei diverso da me, ragazzo. Per questo ti controllo. Perché so di che cazzate siamo capaci, io e te”.

“Voglio solo sapere la verità..”.

“E spero che questo non ti conduca alla pazzia..”.

 

Kiki sobbalzò all’ennesimo rumore improvviso alla tredicesima. Dalla sala del trono, scosse la testa divertito. Telepaticamente si era messo in contatto con Mur, avvisandolo che Tolomeo era rientrato sano e salvo al tempio e la notizia rallegrò il passato cavaliere dell’Ariete. Quel ragazzo però aveva combinato un bel po’ di guai, andando ad infastidire divinità varie.

“Come ogni cavaliere dei Gemelli, deve creare qualche piccolo problema” ridacchiò Kanon, intuendo le perplessità del Sacerdote.

“Piccolo? A momenti Shiva disintegrava il santuario. Per fortuna Maya è riuscita a calmarlo..”.

“Lo terrò più sott’occhio..”.

“Tieni sott’occhio tuo fratello, ora. Tuo nipote pare abbia messo la testa a posto. Ma Arles..”.

“Che ha Arles?”.

“È inquieto..”.

“Lo è sempre stato”.

“Già..ma ora è un Dio..”.

Kanon rimase in silenzio, capendo perfettamente quel che intendeva Kiki.

“E tu?” riprese il Sacerdote.

“Io cosa?”.

“Non sei figlio anche tu di Ares? La tua armatura è mutata ma il tuo ruolo qual è?”.

“Attendo di scoprirlo. Sinceramente, posso anche farne a meno”.

Il figlio del Dio della guerra sorrise, però concordò con Kiki: doveva tenere sotto controllo un po’ tutta la famiglia. Molti prendevano troppo alla leggera il fatto di possedere sangue divino.

 

“Che leggi?” domandò Milo, non molto interessato ma desideroso di fare conversazione.

“Niente di che” rispose Camus, senza alzare lo sguardo.

“Di che parla il libro?” insistette lo Scorpione.

“Di niente di speciale..”.

“E perché lo leggi?”.

“E tu perché parli sempre?”.

Milo storse il naso, infastidito da quella risposta. Cercò di sbirciare la copertina, ma non capì. Fissò il collega, trovando irritante il fatto che non avesse accettato l’immortalità concessagli da Atena. Così facendo, l’Acquario invecchiava inesorabilmente, come era destino accadesse ad ogni essere umano. Milo invece aveva preso una strada diversa ed il tempo su di lui non scorreva. Non aveva mai compreso la scelta di Camus, che si limitava a dire che una vita gli bastava e gli avanzava. Lo Scorpione continuò a fissarlo, stranamente in silenzio, mentre l’Acquario lo ignorava. La porta dell’immensa biblioteca del tempio si aprì e con passi impercettibili entrò Arles, ignorando completamente i due cavalieri. Al suo fianco, Thanatos fissò solo di sfuggita Camus ed Hypnos sbadigliò, annoiato.

“Qui troveremo informazioni utili?” domandò il Dio della morte.

“Questa è la biblioteca più grande ed antica che conosco. Se esiste un luogo dove i simboli sull’anello possono essere spiegati, è questo!”.

“E questo ci aiuterà a trovare Eleonore?”.

“Lo spero..”.

“Bene! Perché non ne posso più di Hades e le sue lagne continue per quella femmina. Prima gliela riportiamo e meglio è”.

“Thanatos!” sbottò Hypnos.

“Che vuoi?” ribatté il Dio della morte.

“La signora Eleonore ci ha sempre trattato con rispetto..”.

“Ovvio. È una mortale! Ci mancherebbe altro..”.

“È la sposa di Hades..”.

“Potrebbe anche essere sua sorella!”.

“Ma riuscite a chiudere la bocca un momento?!” li zittì Arles, cercando fra gli scaffali.

“Bada a come parli, moccioso!” rispose Thanatos.

“Vai fuori se vuoi solo distrarmi!” gli tenne testa Arles.

Camus e Milo fissavano il tutto con una certa curiosità, senza capire molto bene che stesse accadendo.

“Che libro cercate?” tentò di rendersi utile Camus.

“Uno che spieghi cosa sono i simboli su questo anello” spiegò Arles, prendendolo fra le mani.

Così facendo, il gioiello si illuminò e mostrò dei glifi poco chiari. Camus però, con una certa sicurezza, indicò un punto preciso della biblioteca.

“A me sembrano molto legati all’Egitto antico” spiegò l’Acquario “Perciò si trovano in quell’ala della biblioteca tutti i volumi a riguardo”.

“Egitto? Sei sicuro?”.

“Così a me sembra. Certo, i simboli non sono molto chiari..”.

“Eleonore che ha a che fare con l’Egitto?!”.

“Non lo so. Era tua moglie, non la mia..”.

“Che aspettiamo?” si mosse Hypnos “Per salvare la fanciulla, tocca cercare nei volumi sull’Egitto”.

“Ma..” mormorò Milo, quando Arles gli passo accanto “..quella ragazza..Hades la sta cercando da un sacco di tempo”.

“Appunto. Non è morta!” interruppe Thanatos.

“Non so. E se la sua anima fosse andata perduta? Non sarebbe il primo caso. Altrimenti penso che il Dio delle anime e dell’oltretomba dovrebbe trovarla subito!”.

“Inseguiamo ogni pista” rispose Arles.

“Ma perché? È la sposa di Hades! La freccia dell’odio l’ha colpita! Perché la cerchi? Insegui un sogno?”.

Hypnos sorrise leggermente, forse concordando con Milo.

“Non sarebbe meglio vivere nella realtà, ora che puoi?” continuò lo Scorpione.

“Che cos’è la realtà?” furono le parole di Arles, compiendo un piccolo gesto con la mano.

Così facendo, le tre divinità presenti mutarono dinnanzi allo sguardo dei cavalieri. Per qualche istante, i due mortali videro come queste dovevano essere veramente. Di un bel pezzo più alti di Milo, i tre Dei lo fissarono. Lo Scorpione non provò timore alcuno, ritrovandosi di fronte tre giovani. Si stupì molto. Thanatos ed Hypnos, che esistevano da Ere intere, non erano che due fanciulli. Il Dio dei sogni aveva ali fra i capelli e fra le mani stringeva un papavero. Thanatos invece era alato. Sulla sua spalla stava posata una farfalla e con la mano destra portava una torcia capovolta, simbolo della vita che si spegneva. Per quel che riguardava Arles, i mortali non riuscirono ad individuarne molto bene i tratti principali. Probabilmente perché non del tutto risvegliato, non portava con sé alcun oggetto ma il suo aspetto era da adolescente, fin troppo gracile per assomigliare ad un guerriero, con i capelli che si agitavano del tutto a caso. Eppure Camus e Milo sapevano bene fino a che punto poteva giungere la sua potenza in battaglia. Quella rapida visione si concluse, e le tre divinità ripresero il solito aspetto a cui tutti erano abituati.

“E adesso vediamo cosa l’Egitto può svelarci..” sorrise Hypnos, approfittando del momentaneo silenzio dei due mortali.

 

Camus si offrì più che volentieri di aiutare a cercare i simboli. Erano sempre più sbiaditi, forse segno che il legame fra l’anello e chi lo stringeva, o lo aveva indossato, si stava sciogliendo.

“Mi sembra di sentire la sua voce ogni volta che questi simboli appaiono..” ammise Arles “..forse sono pazzo, come dicono tutti..”.

“E che dice sta voce?” si incuriosì Milo, appollaiato sulla sedia di fronte al collega.

“La Luna sta sorgendo. Sta per vestirsi di nuova luce”.

“Sì, sei pazzo” annuì Thanatos, mettendo una mano sulla testa del figlio di Ares  “Ma non preoccuparti, lo sono un po’ tutti gli Dei!”.

“Ma certo!” esclamò Arles, alzandosi di colpo “La Luna!”.

“Eh?” alzò un sopracciglio Hypnos, vedendolo correre scalzo e guadagnare l’uscita.

I due gemelli di fissarono, sconcertati. Seguirono con calma Arles, che guardava il cielo fra le colonne. C’erano tante nuvole quella notte ma, finalmente, uno spiraglio di luce lunare si mostrò. Arles allungò la mano verso di essa, porgendo l’anello al satellite. Il gioiello si mise a brillare in modo sempre più acceso e poi proiettò una serie raggi verso l’esterno. Questi disegnarono un luogo esotico, a cui lati prendevano vita segni sempre più simili a geroglifici.

“Ma che roba è?” domandò Milo.

“Sembra un antico tempio egizio..” azzardò Camus “..ma non sono così bravo da riuscire a leggere i geroglifici, mi spiace”.

“Quindi Eleonore potrebbe trovarsi in Egitto? In questo tempio?” si chiese Arles.

“Forse. Di certo quell’anello ha a che fare con quel luogo” annuì l’Acquario.

“Perfetto. Allora posso partire per l’Egitto!”.

“Hei! Un attimo, figlio di Ares!” lo bloccò Hypnos “Apprezzo che uno insegua i propri sogni, però questa mi sembra un po’ una follia. Non hai nemmeno idea di dove si trovi quel tempio! L’Egitto è grande, sai? E non sai che cosa possa esserci all’interno!”.

“Ma che potrebbe mai esserci?!”.

“Nemici?”.

“Capirai..”.

“Ragazzo..”.

Il rimprovero della divinità fu interrotto da una voce femminile. Alzando lo sguardo, il gruppetto vide una donna alata in piedi sul tetto dell’edificio in cui si trovavano.

“Nike?” azzardò Camus ma Hypnos scosse il capo, tentando di capire chi fosse.

La donna indicò il porto.

“Le risposte..” parlò, con voce calma e limpida “..le troverai solo oltre il mare. In quella terra d’Egitto, in cui Ponto poté riavere il suo antico corpo, non devi avere timore alcuno. Poiché c’è qualcuno che ti attende e ti proteggerà, se saprai fare le scelte giuste”.

“Le scelte giuste?” si chiese Arles, cercando pure lui di capire chi fosse quella donna avvolta da stoffe leggere che si agitavano alla lieve brezza della notte.

“La vita è un cammino. Spetta a te scegliere a quale meta giungere. Ma non è restando qui che la raggiungerai” concluse la creatura alata, svanendo in un lampo di luce.

“Non me la sono sognata, vero?” si affrettò a chiedere il figlio di Ares ed i due gemelli scossero la testa.

“Bene. Devo giungere in Egitto per mare. Quindi mi servirà un esperto del settore. Meno male che mio fratello è amico di Poseidone..mi farò dare qualche dritta”.

“Sei proprio convinto? La tua vita è stata già salvata una volta, intendi metterla di nuovo a repentaglio per inseguire una donna?” domandò Hypnos.

“Riporterò ad Hades la sua sposa. Non troverò pace finché non la troverò e non saprò la verità”.

“Le divinità egizie credi che c’entrino qualcosa? In quel caso..non saprei come aiutarti, perché ammetto di non conoscerle molto bene”.

“Nemmeno io..”.

“Un salto nel buio?”.

Arles sorrise. Nel buio della notte, brillava leggermente. Doveva partire il prima possibile, non riuscendo più sopportare il fatto di restarsene lì immobile mentre il resto del Mondo andava avanti! Era rimasto fermo fin troppo tempo, in quella teca di Ikor. La luna scomparve dietro le nubi ed i glifi sull’anello scomparvero. L’oscurità si fece d’un tratto pesante ma Arles non ci fece più di tanto caso, incamminandosi lungo la scalinata del tempio, diretto al porto.

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Capitolo 10
*** X- lungo il fiume ***


X

LUNGO IL FIUME

 

“Perché mi segui?” domandò, stizzito, Arles.

Alle sue spalle, Ipazia lo braccava stretto, senza parlare.

“Verrò con te” rispose lei “Ovunque tu vada”.

“E perché?”.

“Perché ho bisogno di avventura”.

“E se io te lo vietassi?”.

“Non hai modo di farlo. A malapena ci conosciamo, io e te. Tu non puoi darmi ordini, così come io non posso importi di ragionare e non fare cazzate”.

“Non intralciarmi” si limitò a dire Arles, dopo qualche istante di silenzio.

Al porto, il figlio di Ares sapeva bene dove procurarsi una barca “in nome di Atena”. Vi salì, senza porsi troppi problemi.

“Ma..” borbottò Ipazia “..la stai rubando?!”.

“È notte. Non ci vede nessuno..”.

“Ma è sbagliato!”.

“Monta su! Oppure resta lì dove sei! Vuoi forse andare a nuoto? O a piedi?!”.

Ipazia ebbe un istante di titubanza e poi raggiunse il padre.

“Sai almeno dove dobbiamo andare?” domandò, parlando piano per non farsi scoprire.

Arles prese fra le mani l’anello, che teneva nascosto sotto la veste. Il gioiello brillò e, splendendo con la luce della luna, lanciò un piccolo raggio oro. Ipazia fissò la cosa e sorrise. Incantesimi, fanciulle in pericolo..le mancava solo il principe azzurro pronta a salvarla!

“Perdonami..” parlò il padre, dopo esserci allontanato dal porto con il mezzo rubato.

“Per cosa?”.

“Per come sono..è che devo ancora abituarmi a tante cose”.

“Sono così diversa da come mi immaginavi nella tua illusione?”.

“Beh..sei una donna! Nella mia illusione eri una ragazzina. Ed avevi gli occhi di tua madre”.

“E che ruolo avevo? Avevo un’armatura?”.

“Eri così piccola! No. Né tu né tuo fratello avevate un’armatura”.

“Però mi allenavo con Tolomeo?”.

“Sì. Nella mia illusione, ho voluto fare in modo che tu potessi essere abbastanza forte da difenderti da sola, quando io non ci fossi stato..”.

“Lo zio ha voluto che io fossi forte, ma non che avessi un’armatura..”.

“Se è destino che tu l’abbia, allora l’avrai”.

“E se il mio destino fosse diverso?”.

“Ci andrai a sbattere contro, prima o poi..”.

Ipazia sorrise e notò che il padre faceva lo stesso.

“Ti manca la tua illusione, papà?”.

“No” ammise Arles, dopo qualche momento di riflessione “La realtà è un’altra cosa!”.

 

“Che leggi?” domandò Phobos, trovando strano vedere Kanon chino su un libro.

“Un libro sull’antico Egitto” rispose il fratello, senza alzare lo sguardo.

“Ha le figure?”.

“Lo sapevo che non sapevi leggere..”.

Phobos trattenne il fiato per la rabbia, non sapendo bene che rispondere.

“Non è vero!” infine disse “Io so leggere! Però non ho voglia di far fatica”.

“Ha le figure, capra! Non mi scocciare..”.

Il fratello maggiore si trattenne, non volendo picchiare Kanon per il momento. Però la maleducazione di quell’essere lo irritava. Non c’era più rispetto! Allungò lo sguardo verso quel volume e storse il naso.

“Chi è quello con un birillo in testa?” domandò.

“È il faraone”.

“E perché ha un birillo in testa?”.

“Non è un birillo!! È la corona!”.

“E perché in mano ha un bastoncino di zucchero ed un frustino? Sadomaso con spuntino?”.

“Ma la smetti di sparare stronzate?!”.

“Hei, mica serve offendersi! Non sto insultando te! O ti senti faraone?!”.

“Sto solo cercando di capire che relazione può esserci fra l’Egitto e la femmina di mio fratello”.

“NOSTRO fratello. Ed EX femmina. Diciamo le cose come stanno”.

“È lo stesso. Quell’idiota si è cacciato nell’ennesimo guaio. Il tutto senza dire niente! Si è rinchiuso nella sua bella stanza per giorni ed appena ne è stato in grado è partito. Bella riconoscenza!”.

“E che ti doveva dire?! Che ci azzecchi tu?!”.

“Siamo gemelli!”.

“E allora?! Io non sto sempre a dire a Deimos dove vado!”.

“Ovvio. Lo hai sempre attaccato al culo!”.

“Oggi sei offensivo..più del solito..”.

“Non ti devi allenare? O non devi infastidire qualcun altro?”.

“Non posso darti una mano? Ari-chan è anche mio fratello!”.

“Ari-chan?!”.

“Molti chiamano Ari nostro padre Ares. Quindi, per non far confusione..”.

“Meno male che mi chiamo Kanon..”.

“Che non ti dico quanto suoni simile ad una bestemmia quando ti chiamano, zio Kanon!”.

Kanon alzò lo sguardo, sollevando un sopracciglio. Ma perché aveva sempre a che fare con gente insana?!

“Ma tu..” riprese il maggiore “..non sei sposato con la gemella di quella femmina?”.

“Sì” ammise Kanon “Sono sposato con Sarah, la gemella di Eleonore. E lei mi ha confermato che la gemella non ha mai avuto alcuna relazione con l’Egitto. È confusa quanto me, perciò sto spulciando libri ma non trovo nulla!”.

“Ti tocca spulciare più a fondo..”.

“Grazie, genio..”.

“Sempre felice di essere utile”.

 

L’oscurità si faceva sempre più fitta. L’unica luce era quel flebile raggio oro prodotto dall’anello che Arles teneva sul palmo della mano. Poi, di colpo, anche quel raggio si spense.

“Che succede?” si allarmò Ipazia.

“Non ne ho idea..” ammise suo padre, concentrando parte del suo cosmo per illuminarsi leggermente, impedendo di sprofondare nel buio totale.

Si erano spente tutte le luci e la barca si era fermata. In cielo, erano scomparse le stelle.

“Papà..non sento più il rumore delle onde..”.

“Nemmeno io..”.

La giovane si avvicinò al genitore, non nascondendo un certo timore. Erano molto al largo, il porto e le rive di Grecia non si vedevano, e davanti a sé scorgeva solo il nero. Arles tentava di far ripartire la barca, bestemmiando a denti stretti perché non aveva una grande pratica a riguardo. Si fermò dopo qualche istante, percependo qualcosa. Cercò di capire che cosa fosse, sporgendosi leggermente ed illuminandosi ancora un po’.

“Hai qualcosa che possa buttare in acqua?” domandò alla figlia.

“Qualcosa di che tipo?”.

“Che faccia rumore..”.

Lei scosse la testa.

“Che ti serve fare rumore?” domandò Ipazia.

“Non sento il mare. Non vedo le stelle..dove siamo?”.

“Credi di non essere più in mare?”.

“Non vedo il riverbero della mia luce fra le onde. Sembra quasi..un’illusione!”.

Ipazia si sporse, guardando giù. Rifletté solo pochi istanti e poi sputò di sotto.

“Oh, che principessa..” ridacchiò Arles.

“Non ha fatto rumore” commentò la giovane “Strano..vuoi provare tu?”.

“Non farò una gara a chi sputa più lontano con mia figlia!”.

“Tanto vincerei io!”.

“Ah..Ipazia..ma..”.

La barca si scosse violentemente, senza dare tempo ad Arles di dire altro. All’inizio pensò al motore che ripartiva ma subito capì che non era così. Un altro scossone ed un grosso serpente spuntò dall’acqua, spalancando le fauci. Il figlio di Ares indietreggiò, a protezione di Ipazia, che sobbalzò nel vedere una simile enorme bestia. L’animale avanzò ancora e la barca si rovesciò. Padre e figlia si aspettavano di percepire l’acqua sui loro corpi ma non accadde: solo oscurità, in cui iniziarono a precipitare.

 

Camminando distrattamente accanto alla stata di Atena, Ares di colpo si arrestò, girando il capo verso il mare. Per qualche istante, trattenne il respiro. Con le mani incrociate dietro la schiena, si voltò d’istinto verso la dimora di Atena, cercando di percepirne un segno. Non solo il dio della guerra aveva avvertito quel qualcosa che lo aveva fatto fermare. Phobos, Deimos e Kanon si guardarono, in silenzio, come a chiedere conferma l’uno con l’altro di aver percepito il giusto.

“Merda..” esclamò Milo e Camus lo fissò, senza sapere che rispondere.

Atena, uscendo dalla sua dimora, fissò sconcertata Ares.

“Ma..è..” riuscì a dire, avvicinandosi al dio della guerra.

“Non dovevo lasciarlo andare. Dovevo sorvegliarlo..” rispose lui.

“Atena!” irruppe Tolomeo, dopo una corsa dalla terza casa “Atena, perché non percepisco più il cosmo di mio padre? E dov’è mia sorella? Dov’è Ipazia?!”.

“Ipazia?” si stupì la dea “Non è al tempio?”.

“No. L’ho cercata, ma non c’è..”.

“Che sia partita con Arles? In questo caso forse è..”.

“È?! È che cosa?!”.

“Tomy, calmati!”.

“Come faccio a calmarmi?! Ho sempre percepito il cosmo di papà, anche quando era in quella dannata teca! E ora, di colpo, non lo percepisco più. E perché mia sorella non si trova?!”.

“Ragazzo..” si avvicinò Ares “..esiste solo una spiegazione per cui il cosmo di un dio di colpo si spegne. E mi auguro che tua sorella sia estranea alla faccenda, e si trovi altrove. Mi spiacerebbe dover..salutare anche lei”.

“Salutare?!”.

Tolomeo fissò le due divinità in silenzio.

“Tomy..” tentò di parlare Atena ma il giovane si scosse, mostrando un’indole decisamente poco pacifica.

“Non avvicinarti” ringhiò “Io ho combattuto per questa famiglia! Ho rischiato la mia vita, anche se tutti mi dicevano che ero un coglione e stavo commettendo un errore. Non mi sono arreso ed ho riportato mio padre a casa. Ed ora mi state dicendo che, ora che mi avevate detto che era sorvegliato, è andato a morire in una qualche missione assurda per recuperare quella donna?!”.

“Quanto strilli, cazzo!” sbraitò Deimos, il primo a raggiungere la statua della dea “Urlare non serve proprio a niente, sai?”.

“Ed allora perché stai urlando anche tu?” gridò, di rimando, Tolomeo.

“Perché io posso!”.

“Vaffanculo!”.

“Piantatela di urlare!” sovrastò tutti Ares, con un tono di voce che non permetteva repliche.

Il gruppetto era stato raggiunto da Phobos, Kanon ed alcuni cavalieri d’oro.

“Sono stati gli Egizi, ne sono sicuro!” commentò Phobos.

“Come lo sai?” domandò Aphrodite.

“Non trovo altre spiegazioni. La faccenda di Eleonore è tutta una trappola. Kanon, lo hai confermato pure tu, no? Quella femmina non ha mai avuto alcuna connessione con l’Egitto! Eppure è in Egitto che lo ha spinto ad andare”.

“Lo confermo” annuì Kanon “Ed in effetti, l’idea della trappola ormai mi sembra l’unica soluzione”.

“Egitto?! E..una trappola per cosa?!” spalancò le braccia Ares.

“Per Arles. O forse per Hade. Per chi era legato ad Eleonore. Non saprei..sta di fatto che ci è caduto in pieno ed ora il suo cosmo è svanito”.

“Potrebbe averlo volutamente celato” ipotizzò Atena, aggrappandosi alla speranza “Oppure è in un luogo in cui non riusciamo a percepirlo. Non è che detto che sia..”.

“Crepato? Non sarebbe la prima volta” si portò una mano sul viso Deathmask, scuotendo la testa.

“Propongo di organizzare una squadra di ricognizione” riprese la Dea “Sia per cercare ulteriori indizi su quel che accade e sia per verificare quel che gli Egizi combinano. Se è vero quel che dite, potrebbero essersi risvegliate delle divinità e questo potrebbe portare dei problemi..”.

“Lasciate che me ne occupi io!” si propose Tolomeo.

“No. Sei troppo coinvolto. E poi devi cercare Ipazia. Potrebbe essere rimasta nei paraggi..”.

“Però poi metto un guinzaglio a tutti quanti” sbuffò Deimos, stanco di dover sempre cercare qualcuno.

“Milo..” parlò Atena “..voglio che tu Aiolia e Kanon partiate per l’Egitto e..”.

“Io?! E perché Aiolia?! Io non voglio Aiolia! E poi..dove cazzo è Aiolia?!”.

“Sì, tu” sorrise Phobos “Gli artropodi stanno bene nel deserto”.

“E Aiolia..” continuò Deimos “..sarà a dormire. Si sa che i mici dormono in media 20 ore al giorno”.

“Voi due!” sbottò Atena “Siete proprio cattivi! Ad ogni modo, Milo, ho scelto voi tre perché siete quelli che presentano meno problemi con il caldo. Il legame fra Saga ed il gemello renderà più facile il suo eventuale ritrovamento. Aiolos, con le sue frecce, meglio resti a guardia del tempio. Ci sono strani cosmi oltre il mare..”.

“Allora gli Egizi si sono risvegliati per davvero?” si informò Camus, curioso.

“Non lo so, Acquario. Meglio controllare..”.

“Bene..” sospirò Milo “..vado a svegliare il micio”.

“Padre, noi che facciamo?” volle sapere Phobos.

“Per ora nulla” rispose Ares “Devo capirci prima qualcosa. Lasciate che i Saint vadano in ricognizione. Se davvero gli Egizi sono coinvolti, sarò lieto di guidarvi in battaglia per sterminarli”.

“Io non voglio starmene qui con le mani in mano!” protestò Tolomeo.

“Ragazzo..io sono sempre il primo ad agire senza pensare. Ma ti prego di non commettere cazzate, che in famiglia ne abbiamo fatte fin troppe”.

“Ma così mi sento inutile!”.

“Il tuo compito è proteggere il santuario ed è quello che farai. Egregiamente”.

“Da quando sei saggio?”.

“Da mai..e ora sparite! Avete tutti qualcosa da fare!”.

“Ma papà è..”.

“Aggrappati alla speranza di Atena, nipote. Spera che sia come lei dice e vai a sorvegliare la terza casa. E se vorrai piangere..fallo! Non credere a chi dice che gli uomini non piangono. Non fare come me, che non ricordo più come si faccia”.

“Ma, nonno..”.

“Fila, Tomeo! Obbedisci! Torna alla terza casa ed attendi nuovi ordini!”.

“Dai, ragazzo” lo colpì leggermente sulla spalla Deimos “Vieni a fare un po’ di lotta con noi. Ti farà bene!”.

“Sì” annuì Atena “Tornate tutti ai vostri posti, tranne Milo,Aiolia e Kanon, che partiranno appena possibile. Attendiamo nuove notizie..non abbandonate la speranza!”.

Rimasti soli, Ares ed Atena si guardarono qualche istante.

“Tutto bene?” chiese lei.

“Certo. L’avvicinarsi di una battaglia sai che mi aggrada sempre”.

“Non mi riferivo a quello..”.

“Inizio a pensare che Arles sia immortale. In qualche modo lo ritrovo, vedrai..”.

Atena sorrise, quasi divertita, e si congedò. Il dio della guerra sospirò, tornando a volgere lo sguardo verso il mare. Le luci di Atene parevano così lontane.. Una piuma volò dinnanzi al suo viso e d’istinto guardò in su. Sulla statua di Atena, accanto a Nike, una donna alata si nascondeva da occhi indiscreti.

“Ma guarda un po’..” commentò Ares “..da quando sei lì? Qual buon vento ti porta?”.

La donna scese, con un singolo battito d’ali, e raggiunse il dio della guerra. Nel buio della notte, il suo sguardo brillò leggermente.

“Sei invecchiato, Ares” disse, con un sorriso.

“Già. Tu, invece, sei rimasta immutata..”.

“Ma che dici? Invecchiano tutti..”.

“A quanto pare..”.

Lei guardò a sua volta verso il mare. Il paesaggio era mozzafiato e le stelle splendevano nel cielo, ben visibili dall’altezza in cui si trovavano.

“Atena, eh?” riprese lei “Non l’avrei mai detto..”.

“Nemmeno io. Ma non avrei mai detto un sacco di cose. Cosa ci fai qui? Se ti dovessero scoprire..”.

“Non combattere, Ares”.

“Sono il dio della guerra! È come chiedere a Dioniso di non bere!”.

“Rinuncia a questa battaglia. Non è una battaglia che devi affrontare con gli Egizi”.

“E allora che cosa?!”.

“Non devi interferire. Arles, come lo chiamate voialtri, ha il suo destino da compiere”.

“Quindi..è vivo?”.

“Non te lo so dire. Nel posto in cui si trova, non mi è dato sapere..”.

“Il fatto che TU non lo sappia, mi preoccupa”.

“Non ne hai motivo. Non sono onniscente”.

“Ah, no?”.

Lei sorrise e lui ghignò, quasi divertito.

“Gli ho detto io di partite. Io l’ho spinto a lasciare il tempio” ammise la donna.

“Che cosa?! Perché?!”.

“Perché è giusto così. Devi fidarti di me”.

“Non mi fido di nessuno. E tu lo sai..”.

“Ti sei trovato un bel posto dove vivere, Ares. Non rovinare tutto con la tua irruenza. Non sempre una guerra può risolvere ogni cosa. Direi che mai una guerra risolve le cose..”.

“Mia cara pacifista, la guerra è ciò che sono..”.

“Lo so bene. Ma so che sei anche un uomo che farebbe tutto per la sua famiglia. Ti chiedo di non entrare in guerra, per il bene dei tuoi figli. Un giorno capirai..”.

“Io sono stupido, e tu lo sai. Perciò non capirò”.

“Te lo spiegherò, allora”.

“Troppo buona”.

Rimasero in silenzio ancora qualche istante, osservando le prime luci dell’alba.

“Me lo prometti?” riprese lei.

“Non posso..”.

“Sforzati”.

“Farò il possibile..”.

“Questo mi basta”.

Con un sorriso malinconico, la donna aprì le ali e scomparve. Ares alzò lo sguardo. Non combattere..la faceva facile lei!

 

“Stai bene, Ipazia?” domandò Arles, rialzandosi a fatica.

“Dove siamo?” rispose lei.

“Non lo so..”.

Si guardarono attorno. Altissime spighe li circondavano ed il cielo era completamente nero.

“Forse..ho battuto la testa..” si scosse la giovane “Spighe? Un campo coltivato sotto il mare?”.

“Non siamo sotto il mare..”.

“E allora dove siamo?”.

“Non lo so”.

“E cosa facciamo?”.

“Troviamo il modo di andar via da qui..”.

 

Ragazzi!! Sono ancora viva, anche se faccio ancora un po’ fatica. Non aggiorno i capitoli rapidamente come un tempo, chiedo perdono. Ad ogni modo, spero che il futuro di questa storia vi possa piacere. Intanto chi conosce la mitologia dell’antico Egitto forse dove si trovino padre e figlia l’ha già capito.. ;)

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Capitolo 11
*** XI- giudizio ***


XI

GIUDIZIO

 

“Ma io non ho capito..” si lagnò Milo, fra le sabbia del deserto “..perché non mi ha fatto viaggiare con Deathmask? Quello è stato addestrato in un vulcano, di certo non soffre il caldo! Perché con Aiolia, dico io?! È noioso e mi irrita..”.

Il Leone camminava in silenzio, cercando di resistere alla provocazione dello Scorpione. Davanti ad entrambi, ruotando gli occhi al cielo, Kanon ripeteva a se stesso di non sprecare le energie litigando.

“Sai dove stiamo andando, almeno?” riprese Milo.

“Seguo i cosmi che percepisco” rispose il figlio di Ares “E, forse, se voi due non perdeste tempo a  stuzzicarvi, potreste fare lo stesso. Non vi si asciuga la bocca, a parlar tanto?!”.

“Stai zitto tu, che di certo non puoi dire che dai l’esempio”.

“Io sto zitto!” sbottò Kanon.

“Adesso..vedremo davanti a Saga quanto tempo ci metterai per picchiarlo ed insultarlo”.

“Quello sicuro. Impara a fare il cretino che ci tocca andare a cercare per il Mondo!”.

“Io non insulterei mai mio fratello!” si intromise Aiolia.

“Perché tuo fratello è quasi sempre morto o ben lontano da te” sorrise Kanon “Dovessi sopportarlo tutto il giorno, credimi, lo insulteresti. Per tutti i fratelli è così!”.

“Non per me ed Aiolos!”.

“Ma sentitelo..sembra quasi uno di quegli innamorati convinti che la sua storia d’amore sia diversa da quella di tutte le altre..”.

“Sei cinico”.

“Sono il fratello di Eros..”.

 

“Ma che razza di posto è mai questo?” si chiese Ipazia, facendosi spazio fra le spighe a fatica “Come ci siamo capitati?”.

“Non me lo chiedere. Se fossi da solo, darei la colpa al mio cervello ma ci sei tu..perciò..” rispose Arles, guardandosi attorno.

“C’è una luce laggiù” indicò la giovane “Proviamo a raggiungerla?”.

“Non vedo alternative. Però queste spighe..che roba sono?!”.

“Cerco di non rovinarle. Magari sono di qualcuno che poi si incazza..”.

“Hai ragione. Però sembrano pronte per essere mietute”.

“Vuoi fare il contadino?” rise Ipazia.

“Magari avrei un futuro. Che ne sai..”.

I due risero e ripresero il cammino, verso quella luce. Nel nero del cielo apparve una porta.

“Che sia l’uscita?” si chiese Arles, ormai non stupendosi più.

Ma la porta era sbarrata e davanti ad essa erano poggiate due falci.

“Ma che..”.

“Papà! Forse..” ipotizzò Ipazia “..forse dobbiamo usare quelle falci per mietere il grano”.

“Che?! Piuttosto mando le spighe in un’altra dimensione!”.

“Cerca di collaborare! Qualcuno ci ha spedito qui..tentiamo di seguire quel che ci ordina e vediamo”.

“Dici sul serio?!”.

“Dai, che ti costa? Quanto tempo ci metterai mai a finire un campo?”.

“Perché parli al singolare, scusa?! Le falci sono due! E questo campo è piuttosto gigante..”.

“Chi ben comincia, è a metà dell’opera!” sorrise Ipazia, stringendo fra le mani una delle falci e porgendo l’altra al padre.

 

Deathmask guardò in giù, verso la terza casa. L’inquieto Tolomeo lanciava piccole scosse di cosmo, nervoso e infuriato.

“Hei!” gridò il Cancro “Ti dai una calmata o vengo giù io a calmarti?!”.

“Non dirmi quel che devo fare!” ribatté il giovane.

“Mi infastidisci! Tieni a bada il tuo cosmo!”.

“Migra!”.

Deathmask lasciò la sua casa, camminando a passo deciso fino alla terza.

“Che vuoi?!” ringhiò Tolomeo “Sono nervoso, lasciami in pace”.

“Lo vedo che sei nervoso. I tuoi capelli hanno cambiato colore. Ma non è una scusa per insultarmi e restare impunito!”.

“Vuoi mettermi in punizione?”.

“Senti, moccioso! Anche se sei un semidio, a me la cosa non interessa! Vedi di darti una calmata ed una regolata altrimenti ti faccio vedere come i vecchietti del tempio risolvono le questioni!”.

“Cioè?”.

“Non provocarmi”.

“Ma scusa, che vuoi?! Intanto questa è casa mia e faccio quel che voglio e poi ho le mie ragioni per essere incazzato. Atena ha mandato Kanon in missione e non me! Ha detto che io sono troppo coinvolto”.

“E mi pare abbia proprio ragione! Ma ti sei visto?! Stai sragionando!”.

“Mio padre potrebbe essere morto e con lui mia sorella!”.

“E allora?! La morte è un passaggio che tutti dobbiamo affrontare e poi, anche se fosse, che potresti fare? Ha mandato in missione quei tre per cercare informazioni su possibili nemici, non per attaccar briga in preda all’isteria!”.

“Mi stai dando dell’isterico?!”.

“Ti sto dando del pazzo isterico, esattamente com’è tuo padre quando perde il controllo”.

Tolomeo, di tutta risposta, urlò in faccia a Deathmask. Deathmask, mostrando uno strano autocontrollo, rimase fermo per qualche secondo. Poi colpì con un violento cazzotto il giovane, che finì in terra.

“Ecco” ghignò il Cancro “Così risolviamo le questioni noi vecchietti!”.

Gemini si rialzò subito ed aggredì il Cancro, prendendolo per il collo.

“Ti ammazzo, vecchio!” urlò.

Deathmask si stupì, percependo un così notevole potere attorno a quel giovane. Ma, si disse, era del tutto normale! Tolomeo non era più un ragazzino, era un uomo, ed era per giunta un semidio. Per liberarsi, il Cancro lanciò un calcio al collega, che però ricominciò subito ad attaccare. Fra insulti e colpi, i due litiganti non percepirono un terzo cosmo entrare nella casa.

“Ma la volete finire voi due?!” tuonò una voce.

“Aldebaran!” si arrestò Deathmask “Da quando sei di nuovo al Tempio?”.

“Da pochissimo. Atena ci ha fatti richiamare per una presunta emergenza. E voi mi state dando fastidio”.

“Scusa” ridacchiò Tolomeo, steso a terra, tirando i capelli al Cancro.

Il giovane pareva aver ripreso un certo autocontrollo, forse sfogandosi si sentiva meglio, ed i suoi capelli stavano tornando al solito rosso.

“Mi meraviglio di te, Deathmask” incrociò le braccia Aldebaran “Non dovresti dare l’esempio alle nuove generazioni?”.

“Ma per favore! Quale esempio?!” rise il Cancro, rialzandosi e lasciando il collo di Tolomeo “Bentornato a casa, Toro!”.

“Grazie..voi due però non litigate più”.

“Va bene” annuì Tolomeo, sentendosi come uno scolaretto sgridato dalla maestra “Chiedo perdono. È che..si tratta comunque di mio padre. Anche se mi ha quasi del tutto ignorato, pur avendogli salvato la vita, mi preoccupo. Per non parlare di mia sorella, a cui sono molto legato e non sopporterei di perdere!”.

“Io non ho fratelli..” ammise Aldebaran “..ma posso capire”.

“Però..il cosmo di mio padre è svanito da pochissimo. Come hai potuto tu, Toro, raggiungere il Tempio tanto in fretta?!”.

“Sono stato convocato giorni fa!”.

“Ah..ma..” si stupì Deathmask “..quindi Atena aveva già percepito qualcosa di strano e non ce lo aveva detto?!”.

“Te ne stupisci?” storse il naso Tolomeo “Gli Dei agiscono sempre in modo strano..”.

“Sì ed io sono vecchio per queste cose” concluse il Toro, divertito dall’occhio nero di Deathmask.

 

“Sembro l’oscuro mietitore” rise Arles, con la falce fra le mani.

il campo era ormai quasi del tutto raccolto. Ipazia, lasciando che il padre svolgesse il lavoro più pesante, aveva raggruppato le spighe in fasci.

“Pensavo fosse più facile” ammise lui, dando le ultime falciate a quel campo apparentemente infinito.

“Ma come, non ti sei divertito?” sorrise la figlia “Mi sembra un ottimo allenamento”.

Si fissarono, entrambi piuttosto stanchi, ma senza aver perso il buon umore.

“Papà! La porta!” indicò Ipazia, vedendola aprire.

Subito corsero per raggiungerla, temendo di vederla chiudere di nuovo. Una volta che l’ebbero attraversata, essa si chiuse alle loro spalle e piombarono di nuovo nel buio.

“Riponete pure la falce” si sentirono dire “Ed accendete le torce”.

“Come?” domandò Arles.

“Non avete qualcosa di apposito con voi?”.

“No..”.

“Capisco..in questo caso, dovrete seguirmi al buio”.

Il figlio di Ares si illuminò leggermente, usando il cosmo e capì che di fronte non aveva di certo un essere umano. Di sicuro la sua testa non era umana.

“Oh..la tua luce mi sa che deve essere stata scambiata da Seth per quella di Ra e per questo ha ribaltato la vostra barca..uno spiacevole equivoco che vi ha condotto nel regno dei morti”.

“Regno dei morti?!” sobbalzò Ipazia “Siamo..morti?”.

“Mi duole confermarvelo. Sì, siete morti..”.

“E tu dunque sei..Anubis?”.

“E voi..voi non siete Egizi! Curioso che siate finiti qui. Immagino sia sempre colpa del serpentone..”.

“No, aspetta!” sbottò Arles “Io non posso essere morto! Ho un sacco di cose da fare!”.

“Lo dicono quasi tutti, sai? Seguitemi..”.

Ipazia prese per mano il padre ed insieme si incamminarono dietro alla divinità dal volto di sciacallo, che camminò convinto per un tratto.

“Siete pronti ad essere giudicati?” domandò l’Egizio, davanti ad una porta ricoperta di geroglifici oro.

“Giudicate prima me” rispose il figlio di Ares.

“Come mai tanta fretta?”.

“Perché qualsiasi peccato abbia mai commesso mia figlia, sarà di certo perdonato dopo aver udito tutto quello che ho combinato io in questi anni!”.

“Come preferisci..”.

“Che devo fare? Come mi devi giudicare?”.

“Ah ma non sarò io a giudicarti” ghignò, forse divertito, Anubis “Ma loro!”.

L’Egizio accompagnò quell’ultima frase all’apertura della porta, che rivelò un’immensa sala decorata. In essa, su due balconate che percorrevano i due lati più lunghi della stanza, sedevano in silenzio delle creature di varia natura, che si voltarono simultaneamente verso coloro che stavano entrando. Al centro della grande sala, sulla parete di fondo, un trono vuoto ed una bilancia erano sorvegliati da colei che pareva essere una Dea. Fra i capelli di lei si vedeva una grossa piuma azzurra.

“La conosco questa storia..” commentò Arles “..e vi dico subito che il mio cuore pesa molto di più di quella piumetta!”.

 

Ares era perso nei suoi pensieri, cosa rara. Distrattamente, lucidava uno dei tanti pezzi della sua armatura, seduto sul divanetto della tredicesima, posto sulla terrazza che dava sull’anfiteatro.

“Signor Ares?” parlò qualcuno ed il Dio sobbalzò.

“Scusa. Non ti volevo spaventare” ridacchiò la voce.

“Non mi sono spaventato” mentì la divinità, girandosi e vedendo un piccolo gruppo di cavalieri d’oro.

A parlare era stato Aphrodite, accanto ad altri suoi colleghi.

“Che volete?” esclamò Ares.

“Vorremmo chiedervi una cosa..” rispose Shura.

“E non è una cosa a cui potrebbe rispondere il vostro Gran Sacerdote?”.

“No”.

“Capisco..”.

Storcendo il naso, il Dio ripose il pezzo della sua armatura.

“Vi ascolto” disse, ed i cavalieri si fissarono a vicenda, come a decidere chi dovesse parlare.

“Noi..siamo stati richiamati tutti qui..” parlò di nuovo Aphrodite “..e piano piano stiamo rientrando al Tempio. Però non in seguito al cosmo svanito di Arles ed il dubbio che gli Egizi lo abbiano attirato in una trappola. Atena forse sa qualcosa che non ci dice?”.

“Perché lo chiedete a me?!”.

“Beh..siete il suo consorte..quasi..”.

“Ecco, QUASI! Molto QUASI! Non è mia moglie e non ho idea di che le passi per la testa. Dovreste chiedere direttamente a lei..”.

“Non ci pare rispettoso” rispose Aiolos.

“Capisco. Ed è per voi più rispettoso che sia io il pirla di turno che va a chiedere?”.

Qualche gold sorrise in modo stupido, mascherando un certo imbarazzo ed annuendo.

 

“Che devo fare? Mi togliete voi il cuore o faccio da me?” chiese Arles.

“Prima devi rispondere ad alcune domande” spiegò Anubis “I 42 giudici della Dea Maat ti chiederanno delle cose a cui tu dovrai rispondere sinceramene. Non puoi mentire, o la Dea ti punirà. Normalmente, dovreste voialtri pronunciare i giuramenti e promettere dinnanzi a loro di non aver commesso determinati reati ma, visto che non siete Egizi, non potete conoscere questo rituale. Perciò saranno loro a chiedere”.

“Sono pronto”.

“Poi toccherà alla ragazza..”.

“Iniziamo, per favore!”.

Il primo giudice, che si definì “dal lungo passo”, fu il primo ad alzarsi e parlare: “Hai commesso ingiustizie?”.

“Io? Direi un sacco” ammise Arles.

“Hai commesso furti o cattiverie?” domandò il secondo giudice, “colui che abbraccia la fiamma”.

“Certo. L’ultimo furto che ho commesso è stata la barca che mi ha condotto qui e per quel che riguarda le cattiverie..si sprecano!”.

Uno dopo l’altro, i giudici si alzarono e porsero la loro domanda. Il figlio di Ares, senza alcun timore, rispose con sincerità.

Il volto ritorto: “Hai mai commesso un omicidio?”.

“Sì. Commesso omicidio e non solo uno”.

Il fiammeggiante: “Hai rubato dei beni alle divinità?”.

“Ad Atena un sacco..spero non lo scopra..”.

Il rompi-ossa: “Hai ingannato qualcuno con le tue menzogne?”.

“Più di qualcuno”.

Aady: “Hai chiacchierato e dato voce a malelingue?”.

“Colpa di Aphrodite ma sì, sono un pettegolo”.

La voce incantatrice: “Ti sei lasciato sopraffare dall’ira, causando timore nel cuore della gente?”.

“Un sacco di volte..”.

Il signore della verità: “Ti sei lasciato andare ai piaceri dell’alcol, alterando le razioni di birra?”.

“A volte, è capitato..”.

Uammety: “Hai avuto rapporti carnali con una donna sposata?”.

“Questo è un punto delicato..non facile rispondere..ma diciamo che se dovesse capitarmi chi penso io davanti..lo farei senza alcun dubbio”.

Colui il cui viso è sulle sue spalle: “Hai avuto rapporti carnali con dei fanciulli?”.

“No, quello no! Almeno una cosa che non ho fatto. Non tocco i bambini..”.

Colui che vede: “Hai avuto rapporti carnali, anche solo parziali, con persone del sesso opposto a quello per cui il tuo corpo prova attrazione?”.

“Cioè? Mi state chiedendo se ho limonato con qualche uomo? In gioventù..ammetto che è successo”.

Colui che porta offerte: “Sei stato violento?”.

“Parecchio”.

Il signore dei volti: “Sei stato impaziente?”.

“Lo sono anche adesso”.

Il signore dalle corna: “Hai danneggiato l’immagine delle divinità”.

“Direi proprio di sì..”.

Colui che comanda la gente: “Hai insultato le divinità?”.

“Sì. Questa cosa continuerà ancora a lungo? Ho commesso tutti i peccati possibili! Punitemi e facciamola finita!”.

I giudici si fissarono. Mai prima d’ora si erano trovati davanti un uomo con così tante colpe nel cuore!

“Compisti un’opera buona nella tua intera esistenza?”.

Arles indicò Ipazia. “Lei e Tolomeo, i miei figli, penso siano le uniche cose positive compiute nella mia vita. Anche se sono stati concepiti con una donna che non è mia moglie”.

I giudici rimasero in silenzio qualche istante, fissandosi. Era giunto il tempo di pronunciare il verdetto..

Non riuscirono a parlare però, perché la terra tremò e qualcuno entrò di colpo nella stanza, sfondando la porta da cui padre e figlia erano entrati.

 

“I tuoi cavalieri sono dei piccoli rompi cazzi” commentò Ares.

“Lo hai capito solo ora?” sorrise Atena.

“Però mi hanno fatto sapere una cosa. Perché hai richiamato gli oro al Tempio? Che cosa hai percepito?”.

“Io sono a capo di tutte le divinità, al posto di mio padre Zeus. Quel che faccio, non sempre può essere chiaro a chi sta ad un livello inferiore”.

“Grazie per avermi dato dell’inferiore..”.

“Da tempo avevo percepito il cosmo degli Egizi. Aspettavo l’occasione per controllare..”.

“E perché non lo hai detto?”.

“Non era ancora il tempo”.

“Credi scoppierà una guerra?”.

“Penso che la cosa a te faccia piacere..”.

“Non molto, lo ammetto”.

“Come sarebbe a dire?!”.

Ares non rispose. Atena lo fissò, dubbiosa e stupita.

“Cosa mi nascondi?” si dissero, al’unisono.

 

“Meioo!” esclamò Ipazia, capendo chi era appena entrato.

“Hades..” commentò Arles.

“Che sta succedendo qui?!” esclamò il Dio dell’oltretomba greco “Questi due non sono Egizi! Sono sotto la mia giurisdizione!”.

“Queste due anime sono giunte da noi” rispose Anubis “Perciò..”.

“Senti, Dio Canide, vedi di non farmi incazzare! Il trono del tuo signore, Osiride, è vuoto. Perciò, tecnicamente, il vostro mondo dei morti non è completo o attivo. Non sconfinate voialtri, perché se mi girano le palle son dolori per tutti!”.

“Hades, io non cerco di rubarti il lavoro. Sono loro venuti qui, non io che me li sono andati a prendere!”.

“Ed io me li porto via!”.

“No, aspetta! Perché sono arrivati qui?!”.

“Ho seguito la luce del mio anello” si intromise Arles.

“Quale anello?” chiese Maat.

Il figlio di Ares lo estrasse, tirando la catenina che teneva celata sotto la veste. Si avvicinò alla Dea, che voleva vederlo, e tentò di toglierselo di dosso per facilitare l’operazione. Appena toccò il gioiello, però, questi bruciò ed Arles dovette lasciarlo.

“Come hai avuto quell’anello?!” domandò la Dea, stupendosi.

“Era l’anello di mia moglie..”.

Maat chiamò Anubis ed entrambi osservarono il gioiello. Si fissarono qualche istante.

“Devi venire con noi” parlò poi il Dio dalla testa di sciacallo.

“Dove?!”.

“A palazzo. Tranquillo. La tua anima è salva, sarai ancora in vita. Ma dovrai venire con noi”.

“E mia figlia?”.

“Lei è morta”.

“Lei me la porto via io!” sbottò Hades “Giù le zampacce, egiziano!”.

“Come preferite. Al risveglio di Osiride, staremo a vedere..”.

“Lo aspetterò a braccia aperte!”.

Con un tono che non ammetteva repliche, Hades afferrò Ipazia e la strinse a sé, facendo arrossire la giovane. Spalancò le ali, simpatico orpello che spuntava grazie all’armatura nera ed argento, sollevandosi.

“Vai pure con loro senza timore, Arles” parlò “Penso io alla tua bambina. La riporterò al Tempio di Atena sana e salva”.

“Posso fidarmi?!”.

“Di me sì. Tu trova Eleonore, e saremo pari!”.

Arles annuì. Ipazia protestò, volendo continuare l’avventura con il padre, osservandolo mentre veniva portato altrove, attraverso un’altra porta apparsa alle spalle del trono vuoto.

“Non essere triste” le disse Hades, riportandola in fretta nel mondo dei vivi “C’è qualcosa che posso fare per tirarti su il morale?”.

“Io..mmm..posso giocare con Cerbero?” ghignò lei.

 

Spero che questa piccola cosa vi piaccia J i 42 giudici sono tratti dal “libro dei morti” egizio, una delle tante interpretazione che ho trovato. Spero sia di vostro gradimento ;)

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Capitolo 12
*** XII- incontro di religioni ***


XII

 

INCONTRO DI RELIGIONI

 

“Dove mi state portando?” domandò Arles, seguendo Anubis fra stretti corridoi decorati e labirintici.

“A palazzo” rispose il Dio, semplicemente.

“Quale palazzo?”.

“Lo vedrete”.

“Posso togliermi una curiosità? Se Hades non fosse intervenuto..che mi sarebbe capitato?”.

“Con un tale carico di peccati, la vostra anima sarebbe stata sbranata e distrutta”.

“Bello..”.

“Ma non credo che il giudizio di fine vita sia una novità per voi, dico bene?”.

“In che senso?”.

“Siete già morto altre volte. Giusto?”.

“Sì. Vero..”.

“Vedo la vostra anima. Piange..”.

“Me ne sbatto se piange! Io devo tenere alta la testa, nonostante le molte ragioni che avrei per chinarla”.

“Siete un uomo forte..”.

“No, sono un uomo riconoscente. I miei figli hanno rischiato la vita per salvarmi, perciò il minimo che posso fare è andare avanti e combattere”.

“Questo vi rende felice?”.

“Non penso che ti riguardi, Anubis”.

L’Egizio non rispose. Si erano fermato dinnanzi l’ennesima porta.

“Prego..” indicò, facendo segno ad Arles di entrare.

“Solo io?”.

“Io devo tornare al lavoro..sbrigatevi. La regina vi attende”.

Il figlio di Ares spinse la porta e questa si aprì, brillando di luce oro. Si ritrovò in una stanza di quel colore, riccamente decorata a geroglifici e tendaggi, con statue e colonne terminanti con petali di pietra dura. Si guardò attorno, quasi accecato dalla luminosità di quel luogo. L’anello bruciava sempre di più, illuminandosi.

“ Ary!” si sentì dire.

Si girò verso quella voce, riuscendo finalmente a vedere nonostante la luce, e trattenne il fiato.

“Eleonore!” esclamò.

 

Dopo aver sedato l’ennesima rissa fra Milo ed Aiolia, Kanon distolse lo sguardo dai colleghi. Avvolto da una nebbiolina simile ad un miraggio, scorgeva un gruppo di persone oltre le rovine. Era reale o sono uno scherzo che subiva la sua vista?

“Che ti prende?” chiese lo Scorpione, prima di scorgere anche lui la stessa cosa.

“Un esercito?” si allarmò il Leone “Lo vediamo solo noi?”.

“Probabilmente..” ipotizzò Kanon “..è celato da una sorta di barriera, simile a quella che avvolge il Santuario. Per chi possiede un cosmo, è visibile. Ma per gli altri è solo un mucchio di rovine..”.

L’enorme tempio di Abu Simbel, con le imponenti statue, fissava i tre cavalieri. Ma era molto diverso rispetto a come lo vedevano i comuni mortali: le statue erano integre e colorate, come se i millenni non fossero trascorsi. Poco distante, un esercito si stava radunando.

“Che significa?” chiese Aiolia “Dobbiamo informare subito Atena!”.

“Un attimo! Forse è meglio prima verificare certe cose. Facciamo un giro..” lo fermò Milo.

“Cosa c’è da verificare?! Non lo vedi che è un esercito?!”.

“Lo vedo ma..magari..”.

“Magari?”.

“Non so. Non mi viene in mente niente di buono da fare con un esercito”.

“Tentiamo di scoprire qualcosa di più” propose Kanon “Così da fornire ad Atena più informazioni possibili”.

“Hai ragione..ma cerchiamo di non farci notare. Siamo solo in tre contro..millemila!” rispose lo Scorpione.

“Millemila?!”.

 

“Eleonore!” mormorò Arles, vedendola.

Era diversa. Era vestita, pettinata e truccata come un’egiziana. Però era viva! E stava bene! Lei rimase qualche istante immobile, fissandolo, poi corse e lo abbracciò, chiamandolo per nome.

“Sei sveglio. Stai bene!” parlò “Che bello vedere che sei sfuggito dalla tua illusione!”.

“Sì..è stato..anche merito tuo”.

Il figlio di Ares si lasciò abbracciare. Dopotutto le era tanto mancata quella donna, colei che tanto tempo prima era stata la sua sposa.

“Cosa ci fai qui, Eleonore? E..i tuoi capelli..le tue vesti..il tuo viso..”.

“Ti piacciono? È una lunga, lunghissima storia. Ma non so se avrò il tempo di raccontartela”.

“Perché?”.

“Quanto manca alla luna piena?”.

“Non lo so. Però sono partito in una notte senza luna quindi credo che manchino almeno una decina di giorni, forse anche di più. Perché lo chiedi? Che succede?”.

Lei tornò a farsi stringere e lui capì che qualcosa la spaventava.

“Non temere” tentò di rassicurarla, pregando che Hades non lo vedesse mentre abbracciava la consorte “Ora ci sono io qui e ti porterò al sicuro”.

“Non puoi portarmi via da qui..”.

“Hades ti sta aspettando. Devo riportarti da lui”.

“Hades?” esclamò lei, allontanandosi “Lo fai per Hades, non per me?”.

“Eleonore, tu non sei più mia moglie. Ora appartieni ad Hades”.

“Io appartengo solo a me stessa!”.

“Lo so..”.

“E allora perché sei qui?”.

“Perché ho fatto una promessa. E perché ti amo come il primo giorno in cui ti ho vista. Però..la morte ci ha separati. Ed io non posso far altro che tentare di renderti felice entro le mie possibilità. Non sono più tuo marito, non sono più il tuo amato ma..voglio saperti al sicuro”.

“Però mi ami ancora?”.

“Certo..ma tuo figlio nell’oltretomba ha bisogno di te”.

“Mio figlio è adulto ormai. Non ha bisogno di me. Nessuno ha bisogno di me”.

“Hades ti cerca disperatamente. E poi..io ho bisogno di te! Ho bisogno di sentirti al sicuro e felice”.

“E se ti dicessi che da Hades non sono felice?”.

“Tenterei con ogni mezzo di ridarti la felicità”.

“Anche a costo di sfidare Hades?”.

“Io..se tu lo desideri, sì, lo farei”.

“Però..ormai è tardi”.

“In che senso è tardi?! Per cosa è tardi?! Eleonore..”.

“Zitto! Forse abbiamo ancora un po’ di tempo per noi..”.

Lei si avvicinò, poggiandosi nuovamente al petto del suo antico compagno, che la fissò.

“L’hai tenuto..” commentò Eleonore, trovando l’anello appeso alla catenella.

“È tuo. Appartiene a te. E mi ha guidato qui. Puoi riaverlo..”.

“Tienilo tu. Così ti ricorderai sempre di me..”.

“Non potrei comunque mai dimenticarti. Mai. Qualsiasi cosa accada, io ti penserò sempre”.

“Quanto sai essere schifosamente romantico”.

“Già. Quasi nauseabondo..”.

“Nel tutto nauseabondo”.

Lei rialzò leggermente il capo e si alzò sulle punte. In questo modo, sfiorò le labbra di Arles, che però si ritrasse.

“Eleonore..”mormorò “..la morte ci ha separati”.

“Chiederò ad Anubis di rimediare..”.

“Eleonore..”.

“Amore mio..”.

Nuovamente le loro labbra si avvicinarono e questa volta Arles non oppose resistenza. Con un lievissimo scatto del viso, la baciò e la strinse a sé. Non sapeva dov’era, quel che stava accadendo, perché si trovasse in quel luogo e perché lei dicesse di avere poco tempo, ma non gli importava. Voleva solo sentire quelle labbra contro le sue. Lei allungò una mano, per affondarla nei capelli di lui e, così facendo, gli ornamenti egizi che decoravano la capigliatura della sposa di Hades tintinnarono.

“Dei, quanto mi sei mancato” sospirò lei, sempre rimanendo abbracciata ad Arles.

“Anche tu mi sei mancata..ma questa rientra nelle frasi fatte che si dicono, giusto?”.

“Quelle schifosamente romantiche, sì..”.

“Perché piangi, Eleonore?”.

“Non piango..”.

In realtà, lei stava versando calde e piccole lacrime, pur cercando di celarlo.

“Perché piangi, Eleonore?”.

“Te lo spiegherò..ora però stringimi forte, come se non dovessi lasciarmi mai!”.

Il figlio di Ares la strinse forte e la sentì tremare, forse singhiozzando. Ma che succedeva? Perché non voleva dargli spiegazioni?!

“Ary!” esclamò lei, di colpo, con un tono quasi di supplica “Stringimi forte, tienimi stretta, non lasciarmi più!”.

“Eleonore..”.

“Ho bisogno di te! Ho bisogno di te, amore mio”.

“Sono qui, non avere paura..”.

“Io ho tentato! Ho tentato di combattere ma..non ci sono riuscita!”.

“Combattere? Contro chi? Spiegami..”.

“Oh, Ary..baciami. Baciami ancora. Il tuo amore..mi rende forte! Questo contatto con te..mi dona serenità. Ed è bellissimo. Mi sento più..potente!”.

“Un mio bacio ti fa sentire più potente?!”.

“Figlio di Dio. Figlio della guerra. Il tuo tocco mi spinge a combattere!”.

“Lieto di saperlo, ma..”.

“Baciami!”.

Eleonore lo zittì, con un bacio appassionato, mentre con le mani stringeva forte a sé chi aveva di fronte.

“Ho bisogno di questo tuo potere” mormorò lei “Voglio combattere”.

“Se è questo che desideri, e se questo ti aiuta, io..”.

“Fammi tua!”.

“Che..?”.

“Prendimi e fammi tua. Sai bene come si fa! Se un solo bacio mi dona una tale forza, allora se io facessi l’amore con te so che potrei sconfiggere chiunque! Perfino un Dio!”.

“Devi lottare contro un Dio?!”.

“Arles! Smettila di parlare!” con quell’esclamazione, lei guardò negli occhi chi aveva di fronte con la decisione di chi non ammetteva repliche “Smettila di parlare” ripeté più dolcemente.

“Oh, piccola mia..io..non posso! Io non..”.

“Hades non lo verrà mai a sapere! Lo sguardo degli Dei Greci non può penetrare la barriera di questo palazzo. L’unico modo che hanno per vederci è entrarci e scoprirci. Ma qui non ci sono altre persone, se non noi due”.

Arles rimase qualche istante in silenzio. Era confuso e, doveva ammetterlo, l’idea di soddisfare i desideri di Eleonore non gli dispiaceva affatto. Però sapeva che era in un certo modo sbagliato. Del resto..aveva commesso praticamente tutti i peccati dei 42 giudici..perché non confermare quello che riguardava il giacere con una donna sposata?

“Amore mio..” sussurrò ancora lei, accarezzandogli i capelli e dandogli piccoli baci.

“Mia dolcissima Eleonore” rispose lui “..mia sposa..”.

Lei sorrise, mentre lui la baciava e la stringeva sempre di più. Contro una di quelle pareti decorate a geroglifici, Arles la sentì fremere e non dai singhiozzi o dalla paura. Fremeva di piacere e la cosa lo faceva impazzire. Fanculo anche Hades! Poteva venire lui a salvarsela, se davvero l’amava come diceva! E fanculo il mondo intero e quel che diceva! Lei era sua! Quella donna era sua, e di nessun’altro!

“Nessun’altro ti avrà” le disse, in un sospiro “Sei solo mia, mia Eleonore”.

“Io voglio te. Voglio solo te” rispose lei, ansimando.

Il figlio di Ares la sentiva gemere di piacere e la stringeva più forte. Le braccia di lei si allungarono, fra i capelli neri di lui e poi si strinsero. Si strinsero forte attorno al collo di Arles. Lui la fissò, tentando di capire se fosse uno strano giochetto erotico o altro. Lei ghignò e poi ringhiò di rabbia. I suoi occhi avevano cambiato colore e quelle mani stringevano forte, sempre di più.

“Chi cazzo sei?!” riuscì a dire lui, liberandosi e finendo in terra, tossendo per recuperare ossigeno.

 

“Atena!” chiamò Aiolos, inginocchiandosi poi rispettosamente dinnanzi la sua Dea.

“Che succede?” si allarmò lei, che se ne stava sulla terrazza della tredicesima a discutere con Ares.

I due Dei si erano fatti raccontare dalla appena rientrata Ipazia quanto successo e stavano decidendo il da farsi. La faccenda dell’oltretomba Egizio non gli piaceva per niente..

“Mia signora, è stata catturata una donna che si aggirava per il santuario” spiegò il Sagittario.

“Una donna?”.

“Sì. Non è una di noi. Pensiamo ci stesse spiando. È stata ferita dalle rose di Aphrodite, non può fuggire”.

“Dove si nascondeva?”.

“Volava di notte..”.

“Volava?!”.

“Sì..lei ha..le ali”.

Ares girò leggermente la testa ma non commentò.

“Le ali?” chiese conferma Atena “Sicuri non sia Nike?”.

“Sì, siamo sicuri. Camus dice di averla vista dare ordine a Saga di lasciare il Tempio”.

“Lo ha spinto a cadere in trappola? Chi è costei?”.

“Non vuole parlare. Ma non è in grado di volare per ora”.

“Portami da lei. Voglio vedere di persona questa simpaticona che spedisce i miei cavalieri a morire”.

 

“Come osi toccarmi, mortale?” parlò Eleonore, con una voce che non le apparteneva.

“Non sono un mortale. E tocco quanto mi pare!”.

“Hum..non sei mortale..già..è vero”.

Lei si pulì la bocca, come se fosse entrata in contatto con qualcosa di disgustoso.

“Chi sei? E che hai fatto ed Eleonore?”.

“Eleonore? Ah..immagino sia il nome di questa ragazza che mi ospita”.

“Ospita?!”.

Arles si rialzò, sfiorandosi il collo dove erano rimasti i segni delle mani della donna.

“Io sono Iside, Greco. E colei che tu chiami Eleonore è il corpo che ho scelto. Si adatta perfettamente a me e presto, alla prossima luna piena, avrò il pieno controllo e l’essenza di questa mortale svanirà del tutto dalla mia testa.

“Svanirà?!”.

“Sei stupido o sordo? Svanirà, sì. Resterà solo un corpo vuoto, che apparterrà solo a me, Iside”.

“E non puoi usare il tuo vero corpo, scusa?”.

“Il mio vero corpo era custodito ad Abu Simbel, nella sua collocazione originale. Ma, come spero tu sappia, quel luogo non esiste più. Le rovine sono state spostate, ma il mio corpo è rimasto dove stava”.

“Sotto l’acqua della diga di Assuan?”.

“Almeno la storia la sai..”.

“E..perché proprio Eleonore?”.

“Non l’ho scelta io. Non guardarmi come un cucciolo bastonato. È estremamente difficile trovare un corpo che si adatti perfettamente alle esigenze divine. Questa ragazza è nata per questo. Ho aspettato secoli e secoli prima di riuscire nel mio intento”.

“Ma..io..”.

“Tu la ami, lo percepisco. E ti capisco. Anch’io ho perso il mio amato Osiride e non riesco a trovarlo. Cerco un corpo ospite per lui o la sua rinascita, ma fin ora senza successo. Tu potresti anche andare bene, non fosse per il fatto che sei già in possesso di un potere divino ben diverso da quello del mio consorte. Un potere divino che non conosco..chi sei?”.

“Sono il figlio di Ares, Dio Greco della guerra. Un tempo Sacerdote e cavaliere di Atena”.

“Greco..sì..ma c’è dell’altro..qual è il tuo nome?”.

“Vengo chiamato in tanti modi. I più gettonati sono Saga o Arles”.

“Intendo il tuo vero nome”.

“Quale vero nome?”.

“Tutti gli Dei ne hanno uno. Tuo padre, per esempio, se dovesse morire e rinascere in un corpo ospite di nome Pompolo avrebbe comunque come vero nome quello di Ares. Comprendi? Non voglio il nome del tuo corpo, ma quello della tua essenza divina”.

“Non so di che parli. Io non sono una rinascita. Sono una divinità nuova, nata da Ares e da una mortale, in quest’epoca”.

“Comprendo. Un Dio nuovo. Che cosa carina..e che cosa governi?”.

“Le illusioni”.

“Bello. Però immagino che ora per te sia giunto il tempo di tornare a casa. Non è il tuo posto qui, Greco..”.

“Iside..” mormorò Arles, inchinandosi “..permettetemi di restare qui, fino alla luna piena”.

“Per quale motivo?”.

“Fino alla luna piena, potrò ancora scorgere l’essenza della mia amata. Anche se solo per poco, permettetemi di poterle stare accanto negli ultimi giorni della sua esistenza. Permettetemi di dirle addio”.

Iside rimase in silenzio.

 “Un Greco..” mormorò “..figlio di un Dio e Sacerdote di Atena..a mio servizio..per amore? Sì..potresti risultarmi utile. Strascorsa la luna piena, fa quel che credi”.

Arles alzò la testa e vide sul volto di lei scorrere una piccola lacrima. La Dea si voltò, forse vergognandosene.

“Però fatti vestire in modo decente” aggiunse, congedando il figlio di Ares “Non li sopporto gli stracci greci”.

 

“Ha riaperto gli occhi” esclamò Deathmask, con un sorriso sadico.

“Dove sono?” domandò la donna, gemendo poi per il dolore che percepiva all’ala, colpita dalla rosa di Pesci.

“Chi sei?” le chiese Atena “Non sei Egizia. E nemmeno Greca”.

“Esistono forse solo due religioni?” rispose l’alata.

“Non rispondere alla mia domanda con un’altra domanda! Chi sei?”.

“Lasciatemi andare. Non ho intenzioni cattive”.

“Cosa ci facevi al mio Tempio? E perché hai spinto Saga ad andare in Egitto? A cadere in trappola?”.

“Io non ho spinto Saga a cadere in trappola! L’ho spinto a seguire la sua strada. Credevi forse di tenerlo imprigionato qui? La sua anima non ti appartiene!”.

“La sua anima non sono affari tuoi!”.

“Atena..” si intromise Ares “..cerca di calmarti”.

“Tu non puoi dire una frase del genere!” quasi rise la Dea “Questa donna è un’intrusa e per giunta non è Greca. Non appartiene al nostro culto ed ha spinto tuo figlio verso la morte. Non vuoi sapere perché?”.

“Atena..io..”.

Ares fissò l’alata negli occhi. Lei sostenne quello sguardo e scosse leggermente la testa.

“Pft!” sbottò allora Ares “Non è compito mio perché mio figlio sia votato al suicidio! Non è certo colpa di questa femmina se si è allontanato. Poteva usare il cervello e restare qui”.

“Tu ora mi dirai quel che sai..” lo ignorò Atena, ricominciando a porre domande all’alata “..e, se non lo farai, ti terrò qui al Tempio. Prima o poi parlerai!”.

“Io non ho niente da dirti”.

“Chi sei? Chi ti manda?”.

“Non mi manda nessuno e chi io sia non deve importarti!”.

“Benissimo..Aiolos, sorvegliala. Sa sicuramente qualcosa che non vuole dirci! Sai quali siano le nostre prigioni”.

Il Sagittario annuì. Atena si congedò, lanciando solo un’ultima occhiata verso Ares.

 

“Ah, capelli da Greco!” sospirò una delle serve egizie, spazzolando vigorosamente i capelli di Arles.

“Cerca di essere delicata” commentò Thot, che fissava incuriosito quell’intruso “Non devi mica torturarlo”.

“Non sono lisci. E tutti questi boccoli che se ne vanno in giro a caso..” continuò la serva, storcendo il naso.

“Abbi un po’ di pazienza..”.

Arles rimaneva in silenzio, fissando l’anello che ora non bruciava più e nemmeno brillava. Sospirò, non sapendo che altro fare.

“Non siate triste, Greco. Ci sono migliaia di buone ragione per sorridere su questa Terra!” gli parlò Thot.

“E voi chi sareste? Scusi, non ho molta voglia di conversare..”.

“Io sono Thot..”.

“Il Dio dalla testa di..cosa? Mi perdoni, ma non riconosco la bestia..”.

“Ibis. È una testa di Ibis ed io sono il messaggero di Ra, nonché guida di Osiride. Attendo il suo ritorno, esattamente come la regina Iside”.

“Buon per voi..”.

“La regina è stata molto misericordiosa con voi. Come Greco, avrebbe potuto dare ordine di uccidervi”.

“Ha fatto di peggio..”.

“La vita è un bene prezioso. Non dovreste parlarne come non fosse di alcun valore..”.

“Non ho voglia di parlare..”.

“Conosco la vostra storia. E so perché la regina vi ha risparmiato. Lei conosce bene quel che significa soffrire per la persona amata. La conoscete la storia di Iside ed Osiride?”.

“L’uomo fatto a pezzi nel fiume e la donna che lo ricompone? Sì..vagamente..”.

“Voi siete un Dio. L’essenza di quella femmina che amate si dissolverà alla prossima luna piena ma prima o poi tornerà. E voi non avete forse l’eternità per attenderla? Come sta facendo ora Iside con Osiride?”.

“Non sono sicuro di avere l’eternità. Sono figlio di un Dio e di una mortale, e ancora il mio potere non si è risvegliato del tutto”.

“In questo posso darti una mano. I miei poteri magici sono famosi..”.

“No grazie. Mi spaventa l’idea di avere i miei poteri nel massimo della loro forza”.

“Per quale motivo?”.

“Non so se sono in grado di controllarli..”.

“Un potere altalenante è più complesso da gestire rispetto ad una forza stabile”.

“Starò qui solo fino alla luna piena, non fatevi troppi problemi per me”.

“Maledetti capelli..” protestò ancora la serva “..sono così dannatamente lunghi!”.

“Non osare tagliarli!” sibilò Arles “So che a voialtri piacciono le parrucche!”.

“Non li taglio. Ma forse li potrei coprire con un copricapo..per coprire questi ciuffi a casaccio!”.

“Mettigli il copricapo blu. Tanto non ci sono faraoni da queste parti a reclamarlo” suggerì Thot.

“Hai ragione”.

Arles non disse nulla. Doveva sopportare tutto solo fino alla luna piena. E nel frattempo doveva trovare una soluzione..

 

Aiolos intravide nel buio tre figure avvicinarsi. A guardia di Capo Sunio, il luogo dove un tempo era stato rinchiuso Kanon, controllava che nessuno si avvicinasse alla prigioniera.

“Chi va là?” domandò, non riuscendo bene a distinguere nel buio chi si stesse avvicinando.

“Liberate subito nostra madre!” rispose una voce femminile “Non costringeteci a smuovere le schiere Celesti!”.

Aiolos preparò il suo arco. Si fermò, notando che davanti a sé aveva 3 donne, alate come colei che se ne stava imprigionata.

“Chi siete?” insistette il cavaliere.

“Io sono Vera, la fede. Loro sono le mie sorelle: Nadijeshda, la speranza e Ljubow, l’amore. E siamo qui per liberare nostra madre, senza coinvolgere altre milizie non necessarie. Un atto di pace. La liberate e non accadrà nulla di male”.

“Pensate forse di spaventarmi? Fate un passo indietro. Non libererò colei che dite essere vostra madre”.

“Ne pagherai le conseguenze, misero uomo!”.

“Io sono un cavaliere di Atena, non un misero uomo! Tornatevene da dove siete venute, o vi colpirò con le mie frecce e mirerò al cuore!”.

Poi un rumore improvviso lo fece voltare. E preparò l’arco, pronto a colpire.

 

“Pare proprio un esercito. Immenso..” commentò Aiolia.

“Chissà chi hanno in mente di attaccare!” si unì Milo “Se solo capissimo una sola parola di egiziano..”.

“Sono capacissimi di parlare anche altre lingue. Fra divinità comunicano, anche se di religioni diverse! Quindi qualcuno che possa parlare con noi ci deve essere!” esclamò Kanon “Continuiamo ad esplorare”.

Voltandosi, i tre si accorsero che davanti a loro, fra la sabbia, erano celati degli scorpioni. Erano di dimensioni notevoli, rispetto al normale.

“Sono i tuoi parenti venuti a trovarti?” ridacchiò Aiolia, rivolto a Milo, mascherando il timore che gli provocavano quelle bestie.

“Ma taci. E pensa ai parenti tuoi!” gli rispose lo Scorpione, indicando una figura che era apparsa alle loro spalle.

“Greci” sbottò la figura “Greci dappertutto. Spuntate come funghi”.

“Bastet?” ipotizzò Kanon, vedendo sopraggiungere una donna con testa di gatto.

“Avete sconfinato, belli!” esclamò la Dea Egizia “Quel che accade qui non sono affari vostri o delle vostre divinità impiccione!”.

 

Ares sorrise. quelle tre femmine avevano distratto Aiolos al momento giusto! Fra le rocce, sbirciò all’interno della prigione di Capo Sunio. La donna alata se ne stava rannicchiata in un angolo, probabilmente sofferente a causa della ferita provocatole dalle rose di Aphrodite.

“Avanti! Ti porto fuori!” la chiamò Ares.

“Ma cosa ci fai qui?! Se ti dovessero scoprire..” rispose lei “E poi..io non posso volare. La mia ala destra è danneggiata”.

“Volo io per te” ghignò il Dio, spalancando le ali della sua armatura.

Usò il suo cosmo per aprire un varco nella cella, permettendo all’alata di uscire.

“Il prestante cavaliere in armatura..” ridacchiò lei, mentre lui la sollevava e si librava in aria.

“Fai silenzio! Aiolos è distratto ma non lo sarà a lungo”.

“Va bene..ti ringrazio..”.

“Zitta! Guarda te cosa mi tocca fare..”.

Il Dio si alzò in volo, tenendo stretta la donna, che trattenne il fiato, provando un’improvvisa stilettata di dolore all’ala.

“Fuga!” sentì gridare il Sagittario “Qualcuno sta portando via la prigioniera!”.

Avvolto e celato dal buio, Ares si sollevò in cielo, schivando le frecce ed i colpi delle guardie. Quei soldati semplici non potevano sperare di colpirlo! Si allontanò in fretta, seguendo la linea degli scogli. Doveva solo portarla al sicuro e tornare al Tempio..senza che nessuno lo collegasse a quella faccenda!

“Scendi” parlò lei “Lasciami pure qui, me la caverò. Qui è sicuro”.

“Ne sei certa?”.

“Sì. Torna al Tempio. Non ci inseguono più”.

Ares guardò lungo la costa e non vide pericoli. Doveva essere riuscito a seminare le guardie. Ancora un paio di colpi d’ali con la scintillante armatura, cercando un luogo dove atterrare senza dare nell’occhio.. Poi ringhiò e sobbalzò di colpo. Qualcosa aveva trapassato il suo corpo e si era piantato in una delle ali dell’armatura, danneggiandola.

“Fottiti, Aiolos!” ringhiò, riconoscendone la freccia d’oro.

Scuotendosi, riuscì a liberarsene, facendola cadere fra gli scogli sottostanti.

“Ares!” lo chiamò, preoccupata, la donna alata.

“Non agitarti..” si sforzò di fare lo splendido lui.

In realtà non riusciva più a rimanere in aria con l’armatura in quello stato. Iniziò a precipitare, tentando però di guidare la discesa verso un luogo adatto. Cadde in malo modo, però si voltò in modo tale da proteggere la donna.

“Ares!” chiamò ancora lei.

“Sto bene” mentì, ancora sforzandosi di sembrare invincibile “Dobbiamo nascondersi. Verranno a cercare la freccia..”.

“Per di qua” indicò la donna, prendendo per mano il Dio e tirandolo.

Insieme corsero per un breve tratto, udendo voci di guardie e cavalieri.

“Presto, va via!” parlò ancora l’alata, nascondendosi fra gli scogli “Lasciami pure qui. Se ti dovessero trovare..”.

“Ma che dici? Avanti, andiamo. Conosco un posto”.

Ares conosceva bene la terra di Grecia, l’aveva vista ed attraversata più e più volte, perciò non ebbe difficoltà a trovare un nascondiglio lì vicino. Uno dei tanti posti dove andava a divertirsi con la Dea Afrodite, lontano da sguardi indiscreti e divini. L’alata entrò in quel luogo, una piccola grotta scavata fra gli scogli, dopo aver percorso a piedi scalzi la salita che la precedeva. Si voltò e vide Ares arrancare leggermente ma poi sorrise, quando la raggiunse.

“Qui saremo al sicuro?” chiese lei.

“Solo io ed Afrodite conosciamo questo luogo. Da millenni” sorrise lui “Puoi stare tranquilla”.

“Sì. Resterò qui finché il pericolo non sarà passato. Tu, però, devi tornare al Santuario! O noteranno la tua assenza”.

“Non posso tornare al Santuario”.

“Perché?”.

Ares gemette.

“Fottiti, Aiolos..” riuscì a dire soltanto, cadendo in avanti, con l’armatura danneggiata che lo lasciava per ricomporsi a totem poco più in là.

 

Sì..ho studiato storia delle religioni perciò aspettatevi parecchio casino mitologico/religioso XD spero di vostro gradimento!

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Capitolo 13
*** XIII- angeli e Dei ***


XIII

 

ANGELI E DEI

 

Con negli occhi l’entusiasmo di chi è stato buttato giù dal letto a forza molto prima del solito, Phobos attendeva ordini. Sapeva che muoversi dal Santuario senza il permesso di chi lo comandava avrebbe solo accentuato gli attacchi isterici di Atena, e lui certe cose le detestava! Troppe volte si era dovuto trattenere dall’ucciderla scaraventandola giù fin alla prima casa. Stava affilando una delle spade del padre, vedendo Deimos spiccare il volo per andare chissà dove, alla ricerca della fuggitiva e del genitore.

“Chiunque tu sia..” disse, senza voltarsi “..ti consiglio di farti vedere. So che sei lì..”.

Un’ombra si fece strada fra le colonne. Il figlio di Ares girò solo leggermente la testa, vedendosi raggiungere da una donna abbigliata con una lunga veste bianca.

“Chi sei?” domandò “E come ci sei arrivata fino alla tredicesima?”.

“Sono venuta a cercare mia madre. Dimmi dove si trova!”.

“Allora..punto primo: non ho idea di chi sia tua madre. Punto secondo: non puoi darmi ordini!”.

“Mia madre è stata catturata dal Santuario”.

“Ah, capisco. È quella donna alata, dico bene?”.

“Sì, è lei. Dove si trova?”.

“Non ne ho idea!”.

“Dimmelo subito!”.

“Datti una calmata, femmina!” ghignò Phobos, alzandosi e cercando di andare altrove.

“Come osi parlarmi in questo modo?!”.

“E come altro dovrei parlarti?! Sei una nanerottola in camicia da notte con il faccino imbronciato!”.

La donna scattò e tirò una sberla a Phobos, che ringhiò.

“Hai commesso il tuo ultimo errore, nanetta!” la minacciò, afferrandola per i polsi “Ti massacrerò! Credi forse che mi fermi dinnanzi al fatto che sei una donna?!”.

“Lasciami! Non costringermi a richiamare le schiere celesti!”.

“Ma che cazzo stai blaterando?! Pensi forse di spaventare me, Dio della paura?!”.

La donna si agitò e, sollevata da terra da Phobos, fece apparire le sue ali e le spalancò. Questo provocò uno spostamento d’aria improvviso. Il Dio, d’istinto, la lasciò andare.

“Ma tu..” commentò “..tu hai le ali!”.

“Sì. Anche se riesco a celarle in modo da passare inosservata. Sono giunta volando fino a qui, spilungone dal cervello fino”.

“Non offendere il mio cervello, cornacchia fastidiosa!”.

“Sciocco politeista! Dio di una religione ormai morta!”.

“Io ti spiumo, ocaccia starnazzante!”.

La donna lo respinse sbattendo le ali e Phobos la fissò, con occhi fiammeggianti, pronto a saltare ed affrontarla.

“Io voglio solo sapere dov’è mia madre!” tentò di fermarlo lei.

“E allora?! Anche mio padre è sparito, ma non per questo vado in  giro a scassare i coglioni!”.

“Oh..anche tuo padre è..fermiamoci un attimo! Siamo partiti con il piede sbagliato”.

Phobos fissò la donna, alzando un sopracciglio.

“Io mi chiamo Nadijeshda e sono venuta qui a cercare mia madre. Mi avevano detto che era stata rinchiusa, ma ora non si trova più in prigione così io le mie sorelle ci siamo divise per cercarla. Perdona il mio atteggiamento sconveniente ed irritante. È che sono nervosa..mamma mi ripete sempre che ho un caratteraccio..non mi picchiare..”.

“Non lo faccio solo perché ho sonno. Mi hanno svegliato per dirmi che la prigioniera, la tua amata mammina, era fuggita. La stanno tutti cercando”.

“E tuo padre?”.

“Mio padre pure è scomparso ma non mi preoccupo troppo. È un uomo adulto. Più che adulto..”.

“E se fossero insieme?”.

“Non so. Avrebbe un senso? Mio padre è il Dio della guerra”.

“In effetti..che ci va a fare in giro mia madre con il Dio della guerra?”.

“Posso farti una domanda, pennuta?”.

“Solo se non mi appioppi più epiteti scemi!”.

“Ok. Volevo sapere..tu e tua madre, siete angeli veri? Intendo dire..quelli al servizio del monoteista?”.

“La faccenda è un po’ intrecciata, comunque sì”.

“E come mai siete qui al Santuario?”.

“Lo ha voluto mia madre. Non so dirti bene il perché. Ma ora voglio riportarla a casa!”.

“Non saprei come aiutarti..”.

“Perché non mi aiuti a cercarla? Forse così troviamo anche tuo padre!”.

“Mio padre sarà che si sbronza da qualche parte! O che si diverte con qualche puttana!”.

“E se invece fosse successo qualcosa ad entrambi?!”.

“Posso accompagnarti a fare un giro. Ma solo perché mi annoio, sia chiaro! E perché potrei trovare mio padre nudo da qualche parte in preda ai fumi dell’alcol!”.

“Bene. Da che parte voliamo?”.

“Voliamo?!”.

“Sì. La tua armatura ha le ali. O vedo male io?”.

“Sì, ha le ali ma..io non ci so volare!”.

“Ma come?! Dovrebbe essere l’armatura stessa a condurti!”.

“E non lo fa!”.

“Ah..va bene..posso insegnarti, se vuoi. Per farmi perdonare dallo schiaffo..”.

“Io..tu..dici sul serio?!”.

“Non è difficile. Però prima vorrei ritrovare mia madre..”.

“Tu puoi volare. Io ti seguo”.

“A piedi?! Guarda che volo veloce..”.

“Con il cavallo di mio padre. Quello di certo mi condurrà da lui e, se si trova assieme a tua madre, troveremo entrambi. Spero non in atteggiamenti compromettenti..”.

“Mia madre è un angelo! Non fa certe cose!”.

“E tu e le tue sorelle come siete nate, scusa?!”.

“Ci ha generate usando i suoi poteri”.

“Oh ma che tristezza!”.

“Non ti voglio rispondere, pervertito! Andiamo..”.

“Ah, ad ogni modo..io mi chiamo Phobos”.

 

Arles camminava per i corridoi del palazzo di Iside. Abbigliato come un egiziano, si sentiva decisamente a disagio. Però non poteva farci niente.. Notava gli sguardi stupidi o infastiditi su di lui e tentava di passare oltre, senza insultare nessuno.

“Sei il Greco?” si sentì chiedere.

Voltandosi, Arles incrociò gli occhi più belli che avesse mai visto. In realtà, guardando meglio, era un solo occhio ad essere così magnifico. Era profondo, magico, e dalle migliaia di colori.

“Sì..solo il greco” rispose “E voi chi siete?”.

“Sono Ra” sorrise l’uomo.

“L’occhio di Ra..”.

“Già, lo hai notato? Ti piace?”.

“Io..sì, l’ho notato. Voi siete..una sorta di capo, qui? Da quel che ricordo, nella religione Egizia siete importante”.

“Lo ammetto. È così. E tu, Greco, che cosa resti a fare qui? Ho sentito che vuoi restare accanto alla tua amata, che è il corpo che ospita Iside”.

“Eleonore. Lei si chiama Eleonore”.

“Capisco..credo. Anche se la vedo come una follia. Non si può separare una divinità dal suo corpo ospite perché altrimenti la divinità muore, se non trova subito un altro corpo. E qui nessuno è disposto a farti ammazzare Iside, perciò penso dovresti andartene”.

“Io non la voglio uccidere. Io la voglio servire. Voglio cogliere gli ultimi istanti della vita della mia amata. E cosa volete che mi importi se al grande Amon-Ra questo da fastidio?!”.

“Io comando qui, marmocchio! Con un solo gesto potrei farti uccidere! Ma poi ricordo la mia signora, che aveva un debole per le storie romantiche. Non ti farò del male..solo in onor suo. Ma non innervosirmi”.

“Chiedo perdono..sono nervoso pure io..la vostra signora non ha ancora trovato un corpo, come Osiride?”.

“Esattamente. Ma il suo vero corpo non è stato spazzato via dalla diga come quello di Iside ed Osiride. Attendo solo la prossima luna piena per compiere il rituale per risvegliarla”.

“Comprendo..”.

“Hai dei figli?”.

“Io? Sì, ne ho due”.

“Avuti con questa Eleonore?”.

“No..”.

“Capisco..le mie bambine si sono entrambe risvegliate. Sekhmet l’ho incrociata poco fa. E Bastet..quella non so dove sia! Ad ogni modo, devo scusarmi. So che sei stato spedito nell’oltretomba a causa di uno spiacevole equivoco. La tua lieve luminescenza ha fatto sì che Seth ti scambiasse per me, che tenta sempre di mangiare per non far sorgere più il sole”.

“Grazie a questo inconveniente, ho scoperto la verità sulla donna che amo”.

“Che però non ti appartiene. O sbaglio? Questo è quel che ho sentito..”.

“Avete sentito bene. Non è più mia moglie. La morte ci ha separati..”.

“I corpi si deteriorano. Il tempo passa. Ma se davvero le vostre anime sono legate, allora vi incontrerete ancora”.

Arles non rispose. Annuì semplicemente, e continuò la sua camminata.

 

“Tolomeo!” chiamò Ipazia “Tolomeo, dove sei?”.

La giovane entrò alla terza casa, guardandosi attorno.

“Tolomeo!” chiamò ancora, senza vederlo “Atena sta richiamando i cavalieri. La prigioniera è fuggita e tu non hai risposto. Dove ti sei cacciato?”.

Percependo un rumore, Ipazia si voltò ma riconobbe subito la figura di Deathmask.

“L’avete trovata?” domandò, riferendosi alla fuggitiva.

“Ho controllato la mia zona” rispose il Cancro “E di lei nessuna traccia. Tu che fai qui?”.

“Cerco mio fratello. Non ha risposto alla chiamata di Atena”.

“Sarà partito alla ricerca per conto suo..”.

“Non so..in effetti..qui non c’è anima viva..”.

Deathmask alzò le spalle e tornò ad incamminarsi verso la sua casa. Poi si voltò, tornando indietro.

“Che c’è?” domandò Ipazia ed il Cancro le fece segno di seguirla.

In un angolo, nascosto fra le pietre, all’esterno della terza casa, Tolomeo guardava l’alba.

“Tomy!” lo chiamò la gemella, irata “Brutto maleducato! Non si risponde più?”.

“Il sole sta sorgendo” si limitò a dire il giovane.

“Sì..e allora?!”.

“Guarda com’è bello. Così..tondo e..rosso..sembra quasi una gustosa mela..”.

“Ti senti bene? Hai bevuto, per caso?”.

Tolomeo non rispose e Deathmask ridacchiò. Che ragazzo strano!

“Tomeo! Atena ti aspetta!” sbottò ancora Ipazia.

“Atena! Giusto..Atena! Sono qui per lei!”.

“Ma non mi dire! Sei il cavaliere dei Gemelli ed il tuo compito è servirla, perciò fila immediatamente da lei ed obbedisci ai suoi ordini!”.

“Hai ragione. Devo andare subito da lei..mi sono distratto guardando il sole, scusate”.

Il giovane si girò e Deathmask, il più vicino, ebbe un sussulto.

“Che ti sei fumato, ragazzo?” chiese il Cancro.

“Perché lo chiedi?”.

“Hai degli occhi..assurdi!”.

“Assurdi?”.

“Sì. Sono..gialli?! O d’oro..brillano e..non sembrano umani!”.

“Per caso assomigliano a quelli di un serpente?” domandò Tolomeo.

“Sì, perché?” alzò un sopracciglio Deathmask, stupito da quell’improvvisa Esse sibilante.

Il giovane sorrise, con una bocca decisamente più larga del solito, e Ipazia svenne.

 

“Finalmente ti sei svegliato. Mi stavo preoccupando..” ammise l’alata, quando vide Ares riaprire gli occhi.

“Che ore sono? È già l’alba?” gemette il Dio, mettendosi a sedere e tenendosi la testa.

“Quasi. Ma stai calmo. La tua ferita ancora sanguina..”.

“Non è niente. L’ikor la guarirà. Tu piuttosto..il veleno di Aphrodite nell’ala..”.

“Guarirà. Sta già meglio..”.

“Tornerai a volare?”.

“Ma certo, per chi mi hai preso? Tu, piuttosto..la tua armatura è messa male..”.

“Già. Non posso riportarla al Tempio così. Devo lasciarla qui e sperare che Efesto mi aiuti senza ciarlare troppo in giro..ma Efesto mi odia quindi è impossibile!”.

“Non ci sono altre persone in grado di ripararla?”.

“Sì..ma non so se mi aiuterebbero..”.

“Ci penseremo dopo. Ora riposa. Devi guarire..”.

“Sto benissimo! Devo rientrare al Tempio”.

“Perché tanta fretta?”.

“Se non mi trovano, inizieranno a cercarmi. Specie perché sono sparito senza la mia armatura. Ed i miei figli sanno di questo posto. Quindi troverebbero anche te..”.

“Capisco..”.

“Devi chiamare qualcuno dei tuoi amici pennuti per farti portar via da qui..”.

“Non posso volare. Dovrei comunque rimanere ferma fino alla mia guarigione. Mi porteranno del cibo ma resterò nascosta qui almeno un paio di giorni”.

“Prenditi il tempo che ti serve. Nessuno verrà mai a cercare un angelo qui!”.

“Lascia almeno che ti bendi!”.

Non volendo dare ascolto alle obiezioni, l’alata usò parte della sua veste candida per medicare Ares, che protestò vivacemente.

“Da quando ho a che fare con il Santuario di Atena..” borbottò il Dio “..ho sempre qualcosa che non va. Prima ho quasi perso le gambe ed adesso sono trapassato da parte a parte da una freccia. Devo andarmene da quel posto: porta sfiga!”.

“O forse sei tu che vai a cercartele!”.

“La prossima volta ti lascio rinchiusa a capo Sunio!”.

“Ti risparmi una freccia quasi nel petto. Se fosse stato giorno, quell’arciere non ti avrebbe dato scampo”.

“Non sono così stupido da progettare una fuga in pieno giorno! Sono stupido, lo ammetto, ma non così tanto! Ed una volta tornato a casa dovrò mettermi d’impegno per capirci qualcosa della faccenda dell’Egitto. Perché in Egitto, dico io?! Perché i miei figli sono in Egitto?!”.

“Le vie del Signore sono infinite..”.

Arles storse il naso a quella frase e lei rise.

“Lo sai che il monoteismo mi da sui nervi..” commentò il Dio “..è una gran cagata! Non voglio offenderti, per carità, ma se noialtri Dei antichi ci unissimo..questi deucoli non avrebbero futuro”.

“Le religioni discendono tutte l’una dalle altre..”.

“Lo so bene. Ed ho perfino dovuto allearmi con quei copioni dei Romani..”.

“E allora una vale l’altra!”.

“Non direi. Non dico che siamo noi i più forti ma..”.

“Ma di sicuro siete più simpatici”.

“Io non sono simpatico!”.

“Sì che lo sei. Di certo di più del mio capo..”.

“Te l’ho detto che il monoteismo è una cagata!”.

“Smettila! È quello in cui credo!”.

“Sareste meravigliose divinità minori, tu e le tue figlie. E tutti i tuoi amichetti..”.

“Ma non lo siamo. Serviamo l’unico Dio e questo è quanto!”.

“Solo una domanda: se lui è l’unico Dio..io cosa sono? Perché sai che io sono un Dio e, come me, ce ne sono molti altri”.

“Non voglio fare discorsi teologici con te!”.

“Meglio mi concentri sull’Egitto..”.

“Non scervellarti troppo”.

“Ma io non c’entro niente con l’Egitto! Perché Arles ci è andato per compiere il suo destino?! A volte mi chiedo se davvero sia figlio mio..”.

“Ti somiglia un po’ troppo, non trovi?”.

“Forse..ma magari la madre si è scopata un egiziano e non ha voluto dirmelo”.

“Quanto sei stupido!” rise l’alata “Vedrai che troveranno la loro strada quei due e ne sarai orgoglioso”.

“Lo sono già. Ma mi stanno facendo invecchiare di secoli in pochi mesi..ed ora è meglio che vada. Il sole sorge..”.

“Ma..”.

Lei tentò di trattenerlo ma Ares si dimostrò molto più testardo. Si alzò ed uscì, un po’ barcollante. Si avvolse nel mantello, per celare il petto fasciato, ed arrancò fino al Tempio.

 

“Lasciate a me gli scorpioni” ordinò Milo “A me non fa alcun effetto il loro veleno. Occupatevi della micia!”.

“Micia?!” digrignò i denti Bastet “Te la do io la micia!”.

L’Egizia fece per attaccare Milo, ma Aiolia la bloccò.

“Siete tre umani contro due Dee..” rise la divinità dalla testa di gatto.

“Quali due Dee?” domandò Kanon e Milo si voltò di scatto, mentre una donna con uno scorpione sul capo emergeva dalla sabbia.

“Ad ogni modo..” strinse i pugni il Leone “..siete due Dee contro due cavalieri d’oro ed un semidio”.

“Un semidio?” si stupì Bastet, poi incrociando lo sguardo di Kanon “A quanto pare è un’invasione..”.

“Di che parli?!”.

La Dea non aggiunse altro e lanciò il primo attacco, con artigli affilati. Kanon e Aiolia saltarono all’indietro, capendo fin da subito che avevano a che fare con una divinità potente. Aiolia si liberò della veste e dei mantelli che proteggevano il suo corpo dal gran caldo e richiamò l’armatura del Leone.

“Non uccidiamola” commentò Kanon “Ha parlato di semidei. Forse sa qualcosa su mio fratello”.

“Va bene..ma tu indossa l’armatura!”.

“Non posso. Non riesco a controllarla ancora del tutto e rischio di fare un casino. Non preoccuparti per me, me la caverò più che bene”.

“Sciocchi idioti che sperate addirittura di dovervi trattenere per non uccidermi” rise Bastet “Vi spedirò nel regno di Osiride!”.

“Ho già visto quello di Hades, non sarà nulla di nuovo!” replicò Kanon.

Alle loro spalle, nel frattempo, Milo fissava quella donna emersa dalla sabbia.

“Io sono Selkis” si presentò “Come puoi intuire, lo scorpione è il mio simbolo”.

“Io sono Milo e, come potrai presto notare, lo Scorpione appartiene a me!”.

Con un grido, il cavaliere indossò l’armatura e puntò il dito contro la Dea, mostrando la sua temibile unghia.

“Interessante..” sorrise lei “..è dunque questo che ti rende immune al veleno dei miei piccoli? Ma vediamo un po’ se sei immune anche al mio di veleno!”.

L’animale che portava sul capo si mosse, puntando la coda contro Milo. Questi non indietreggiò, pur non sapendo cosa aspettarsi.  

“Muori, Greco invasore!” gridò Selkis.

Una raffica di colpi, molto simili alle Needle di Milo, colpirono il cavaliere, che riuscì a schivarne solo una parte. Dove fu colpito, provò una sensazione di bruciore crescente. Che cosa strana..ricordava bene quel che si provava ad essere colpiti da uno scorpione ma non ricordava tanto dolore! Il suo addestramento da piccolo era stato così..

“Ora tocca a me!” rispose Milo, lasciando la sua tecnica.

La Dea parve meravigliata, ma per nulla intimorita.

Poco più in là, il Leone stava affrontando Bastet. I loro artigli e zanne si incrociavano. Kanon cercava di capire chi dei suoi colleghi fosse più in difficoltà, per poter dare manforte. Alla fine, stanco di aspettare, lanciò colpi a destra ed a manca, desideroso di ricevere informazioni sul fratello.

“Non ti intromettere!” lo fermò Aiolia “Lascia fare a me!”.

“Ed io che dovrei fare, scusa?!”.

“Nulla! Resta lì. Intervieni solo in caso d’emergenza!”.

“Ma..”.

“Se vuoi combattere..” parlò una voce “..io sono qui!”.

Kanon si guardò attorno ed iniziò a sprofondare. Qualcosa lo stava trascinano verso il basso, avvolgendolo nella sabbia.

“Chi sei?!” sbraitò il figlio di Ares.

“Io sono Hapi, personificazione del Nilo, e ti inghiottirò nelle mie acque!”.

 

“L’avete trovata?” domandò Atena, vedendo giungere Deimos al suo cospetto.

“Ho cercato a lungo, ma della prigioniera nessuna traccia. Né indizio” rispose lui.

“Come può esser svanita nel nulla?! E chi può averla aiutata?! Non può aver lasciato Capo Sunio da sola!”.

“Non lo so. Ora sta albeggiando e non mi fido a girare troppo volando con l’armatura addosso”.

“Sì, capisco..e Ares? Dov’è?”.

“Non lo so. Ma la sua armatura non c’è. Forse cerca anche lui la prigioniera..”.

“Forse..”.

Atena non era convinta e sospirò, accigliata. Deimos fece per congedarsi quando una potente luce apparve in cielo.

“State indietro!” ordinò, d’istinto, alla Dea.

Si udì un rumore sordo, un tonfo, e dei passi. Qualcuno doveva indossare un’armatura, dal rumore.. L’aria si mosse e Atena fece fatica a restare in piedi. Quando la luce si affievolì, comparve la figura di un angelo, coperto da un’armatura simile a quella degli antichi romani.

“Lucifero!” esclamò, puntando la lancia contro Deimos “Dove tieni nascosta la mia Signora?”.

“Io non mi chiamo Lucifero!” sbottò Deimos “E non so di che parli!”.

“Posso farti molto male, demone”.

“Non sono un demone! Sono un Dio, bada a come parli!”.

“Esiste un solo Dio e non sei certo tu, demone”.

“Ancora?! Non sono un demone! E non mi fai certo paura!”.

“Preparati a morire, dunque!”.

“Non se ti spiumo prima io!”.

“Un momento!” interruppe Atena “Chi state cercando?! Chi è la vostra Signora?!”

“L’avete catturata” rispose l’angelo “Il suo divino nome non è affar vostro”.

“Parli di quell’alata che ha mandato il mio cavaliere a morire in Egitto e non ha voluto dare spiegazioni a riguardo? La sto cercando pure io. È fuggita”.

“Posso fidarmi di te, pagana?”.

“Punta la tua lancia da un’altra parte!” sibilò Deimos.

“Se no che fai?”.

Il figlio di Are ringhiò, mostrando gli occhi fiammeggianti e spalancando le ali dell’armatura.

“Faccio subito” commentò rivolto ad Atena, scrocchiandosi le nocche “Riempio di botte questo moccioso e poi torno..”.

 

Phobos non fece in tempo a raggiungere il cavallo che una sagoma familiare apparve all’orizzonte.

“Padre?” domandò, vedendolo avvicinare a passi lenti ed un po’ sbilenchi.

“Figlio..” rispose Ares, continuando a camminare.

“Dove sei stato?”.

“A puttane, perché?”.

“Barcolli..”.

“E poi mi sono sbronzato..”.

“Ah..ecco..”.

Ares avanzò ancora un po’, fino a giungere alla pari del figlio, notando Nadijeshda.

“Dove vai con questa alata, ragazzo?” domandò.

“A cercare sua madre, la prigioniera fuggita. Per caso l’hai vista?”.

“Forse. Ma ero ubriaco..potrei aver visto chiunque..”.

“Dove?”.

“Verso la spiaggia..”.

Ares non voleva dare indicazioni precise, rischiando di venire coinvolto, però sapeva di potersi fidare di suo figlio e la figlia di colei che aveva salvato non poteva volerle fare del male. Sperava che in qualche modo Phobos potesse aiutarla..

“Sentito, Nadijeshda? Andiamo per là” indicò il Dio della paura.

“Sì!” annuì l’alata.

“Solo una cosa, papà..” continuò Phobos “..su di te..sento l’odore del sangue”.

“Avrò picchiato qualcuno. Te l’ho detto, mi sono sbronzato..”.

“Il tuo sangue. Sento il tuo ikor. Sei ferito”.

“Phobos..a volte è meglio non ficcare troppo il naso negli affari degli altri!”.

“Ti serve una mano?”.

“No. Non ho bisogno di niente e di nessuno. E ora vattene, vai a cercare la prigioniera. E ricorda: le unioni fa religioni diverse sono proibite”.

“Ma a che cazzo stai dicendo? Quali unioni?!”.

“Ti avviso. Nel caso sentissi la testa girare per quella graziosa fanciulla..”.

“Ma per chi mi hai preso?! Non mi sono mai innamorato in oltre 2000 anni e dovrei farlo ora?! Di lei, poi. È odiosa, credimi!”.

“Che ne so io..intanto avviso..ed ora vado a dormire”.

“Non so se ti sarà possibile. Al Tempio c’è un po’ di casino..”.

“Vorrà dire che ammazzerò qualcuno e poi dormirò”.

“Ma se nemmeno ti reggi in piedi!”.

Ares non rispose. Arrancò ancora, iniziando a salire le scale.

“Dov’è la tua armatura?” aggiunse Phobos “Non l’avevi con te?”.

“No, perché avrei dovuto?”.

“Al Tempio non c’è!”.

“Ah..ok..forse l’ho persa. Non lo so..lascia che mi passi la sbronza”.

“Papà!”.

Sconcertato da un simile comportamento, il figlio scosse la testa. Ignorandolo, salì a cavallo.

“Ti seguo” commentò l’alata “Guidami tu”.

“Va bene. Seguimi..”.

 

 

Volevo aggiungere un altro pezzetto ma il capitolo risultava troppo lungo. Perciò..vi lascio così, con un po’ di gola per il seguito J

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Capitolo 14
*** XIV- rivelazioni e fuoco ***


XIV

 

RIVELAZIONI E FUOCO

 

 

“Hai chiamato gli amichetti..” notò Deimos, vedendo altri angeli apparire a supporto del primo arrivato “Non importa. Spiumerò tutti, dal primo all’ultimo”.

“Staremo a vedere” sorrise l’angelo.

“Posso almeno sapere come ti chiami? O posso continuare a chiamarti piccione?”.

“Mihael è il mio nome. L’arcangelo Mihael. Uccido demoni da quando sono un ragazzino, tu sarai il prossimo!”.

“Pft. Non mi impressioni. Tu imparavi a volare che io già avevo combattuto in un numero di guerre impossibile da conteggiare”.

“Sarebbe educazione però rispondere col proprio nome a chi si è appena presentato”.

“Hai ragione, Mihael. Io sono Deimos, figlio di Ares, divinità del terrore e della pena. Contento?”.

“In guardia, Deimos!”.

L’angelo spiccò il volo e puntò la lancia verso il Dio, che riuscì a deviare il colpo ma intuì subito che chi aveva di fronte non scherzava. Lo credeva veramente un demone e, di conseguenza, non si risparmiava. Con la punta della lancia, Mihael riuscì a ferire di striscio Deimos, che si infuriò nel vedere il proprio sangue. D’istinto si lanciò contro l’angelo che però chiamò a sé altri alati, pronti a combattere.

“Deimos!” gridò una voce, ed un potente attacco riuscì a disperdere il gruppetto angelico.

Il figlio di Ares si guardò attorno, intravedendo suo nipote Tolomeo.

“Non mi serve il tuo aiuto, moccioso” parlò lo zio, esaltandosi inutilmente.

“E chi ti aiuta?” ghignò Tolomeo “Io solo scaccio questi qui dal Tempio”.

“Posso farlo anche da solo!”.

“Allora sbrigati!”.

Il ghigno del ragazzo aveva un che di innaturale, che Deimos percepì ma non volle commentare. Lo vide di nuovo scagliarsi contro il nemico, con un’agilità insolita. Poi notò il tatuaggio del drago, simbolo distintivo dei guerrieri di famiglia, che compariva solamente quando il suo possessore era riuscito a risvegliare pianamente il suo potere. In Tolomeo era apparso sulla spalla e si allungava poi lungo il braccio e parte del petto con la coda e le zampe.

“Invece di fissarmi..” commentò il giovane “..perché non combatti, figlio di Ares?”.

 

“Ma taci e guarda i professionisti all’opera!” rise Deimos “Φωτιά και πόλεμος! [fotià ke pòlemos. Fuoco e guerra]” urlò, lanciando il suo colpo.

Le ali di alcuni angeli bruciarono ed altri finirono travolti dall’onda di calore provocata dal fuoco.

“Non male..” ammise Tolomeo.

“E ora datti da fare tu, invece di sfottere e salterellare!”.

Gemini ghignò ancora, con quel sorriso inquietante. Poi fissò i suoi avversari ed allungò le mani verso di loro, incanalando il cosmo.

“BLOOD OF HUMAN SACRIFICE!” gridò ed i suoi occhi, fino a quel momento di colore giallo-oro, divennero rossi come il sangue.

I nemici furono avvolti dal cosmo di Tolomeo, che ne risucchiò il sangue e lo portò dal giovane. Questi sorrise, passandosi la lingua sulle labbra. E Deimos, Dio del Terrore della guerra, per la prima volta nella sua vita ebbe paura.

 

Kanon si dibatté con rabbia. Quell’essere lo stava trascinando nella sabbia, come avvolgendolo in delle sabbie mobili.

“Lasciami!” ordinò, concentrando il suo cosmo in modo da danneggiare il nemico che lo toccava.

“Il tuo cosmo è potente..” ammise Hapi “..ma non alla pari di quello di un Dio!”.

L’Egiziano lasciò andare Kanon e rise, mentre questi si liberava dalla sabbia. Il copricapo che proteggeva il figlio di Ares dal sole cocente si tolse, lasciando liberi i capelli color dell’oceano. Bastet lo osservò per qualche istante, intuendo la connessione fra lui ed il forestiero ospite di Iside.

“Ammazzalo, Hapi” diede ordine la Dea dal volto felino “Ne abbiamo già abbastanza di semidei Greci da queste parti!”.

Dopo aver detto quelle poche frasi, subito ricominciò ad attaccare Aiolia. Il Leone usava i suoi colpi più forti ma quella Dea era estremamente agile e schivava i fulmini alla velocità della luce.

“Peccato che io e te siamo nemici..” sorrise lei “..in altre circostanze, penso avrei potuto reputarti interessante!”.

“Non ti ho mica attaccato io!” ringhiò Aiolia.

“No, ma avete sconfinato!”.

Anche Selkis provava una certa curiosità ed interesse nei confronti di Milo, che nonostante le numerose punture ricevute restava in piedi e continuava a combattere. Notevole, per un umano.

“Un mortale qualunque sarebbe morto con una sola delle mie punture” spiegò la Dea “Comunque vada questo scontro, ti riconosco notevoli capacità. Ti farò seppellire con tutti gli onori di un guerriero”.

“Seppellirmi?! Tu vaneggi! Io non morirò in terra d’Egitto, fidati!”.

“Peccato. Perché come mummia faresti la tua bella figura in quel sarcofago d’oro che indossi..”.

“Questa è la mia armatura! Non è un sarcofago!”.

“Fa lo stesso! Lì dentro ci morirai! Forse non per mano mia..ma ci morirai!”.

“Può anche essere. Ma so per certo che non sarà per mano tua!”.

Milo lanciò un’altra raffica di cuspidi. La Dea egizia fu colpita e storse il naso, percependo il bruciore delle punture. Come riusciva quel mortale a far provare a lei, Dea Scorpione, il dolore del veleno? Aveva davanti davvero un temibile avversario, ora furioso ed infastidito a causa dei colpi ricevuti.

“ANTARES!” gridò Milo, colpendo la Dea e spedendola fra la sabbia.

“Me la pagherai!” rispose lei “Prendi questo!”.

Una luce nera sfrecciò verso lo Scorpione ed il cavaliere non riuscì a schivarla. Nonostante questo, saltò verso l’egiziana e la ferì ancora.

Bastet era altrettanto feroce contro Aiolia, che si era stancato di comportarsi da signore. Si stava scontrando con ferocia quando una voce femminile interruppe la battaglia.

“Sorella!” gridò qualcuno.

Una Dea dal volto di leonessa stava fissando il gruppetto di litiganti.

“Sorella, basta! Nostro padre Ra ha ordinato di non spargere sangue senza una ragione”.

“Sono degli intrusi” si giustificò Bastet.

“Padre Ra ha dato degli ordini. Portiamoli a palazzo, che sia la regina a decidere!”.

“Ma..sorella!”.

Protestando, Bastet obbedì.

“Verrete a palazzo con noi, senza discutere! Siete prigionieri!” parlò Selkis.

 

Distratto dall’improvviso disagio provocatogli dall’insolito comportamento di Tolomeo, Deimos non notò il colpo di Shura, che lo raggiunse di striscio.

“Hei! Attento!” sbottò il Dio, vedendo un grosso ciuffo di capelli abbandonarlo.

Il Capricorno lo ignorò e saltellò, lanciando Excalibur a destra ed a sinistra. Colpì uno degli angeli, lasciandogli la “S” si Shura sulla veste.

“Shura della Vega..” lo cantilenò Deimos, ricordandosi di Zorro “..guardati alle spalle”.

Mihael impugnava una spada fiammeggiante ed era pronto ad affrontare il cavaliere e la sua arma sacra.  Shura accettò la sfida ed iniziarono a combattere come spadaccini. Nel frattempo, Deimos e Tolomeo affrontavano gli altri nemici.

“Ma quanti sono?” domandò il giovane “Si riproducono mentre noi non li guardiamo?”.

Gli angeli erano sempre di più e la sicurezza degli abitanti del Tempio vacillò. Erano un vero e proprio esercito, che continuava ad aumentare di numero.

“Ci travolgeranno! Sono in troppi!” si preoccupò Atena.

La Dea cercava di capire come intervenire quando vide Phobos risalire le scale, con a fianco una delle creature angeliche.

“Che succede?” chiese il figlio di Ares “Sono corso qui appena ho sentito gli sproloqui di mio fratello”.

Non lasciò il tempo alla Dea di spiegare. Trascinò con sé l’alata e l’afferrò.

“Fermi!” gridò “Andatevene tutti o la uccido!”.

“Signorina Nadijeshda!” si allarmò Mihael, fermando la sua spada.

“Andatevene subito” ripeté Phobos “O vedrete il suo sangue sgorgare copioso”.

L’alata si agitò, invano. Mihael fissò con odio Phobos e ricevette, di rimando, lo stesso guardo ma ben più crudele.

“Andiamo” disse, infine, l’angelo “Ma non finisce qui”.

“Vi aspetto. Magari a lei piace morire..”.

Gli angeli scomparvero, lasciando solo qualche piuma. Nadijeshda si agitò e Phobos la lasciò andare momentaneamente.

“Sei un bastardo!” gridò lei.

“I miei genitori so bene chi siano!” rispose il Dio “Piuttosto..che modi sono?! Noi ti aiutiamo ed i tuoi amichetti ci attaccano?”.

“E tu?! Che mi usi come ostaggio?!”.

“Ci stavano distruggendo casa, razza di..”.

“Non osare usare aggettivi riguardanti uccelli o altre cose piumate!”.

“Come vuoi, stronza. Ingrata..”.

“Ma io..che c’entro?!”.

“Hai forse provato a fermarli? No!”.

Nadijeshda scosse la testa, infastidita.

“Resterai qui al tempio, bella mia! Finché non troviamo una soluzione a questa infestazione di angeli!” concluse Phobos, poi voltandosi verso il fratello.

Deimos era furioso, perché Shura ne aveva rovinato la pettinatura ed ora avrebbe dovuto sistemarla. Ma poi tutti gli sguardi finirono su Tolomeo.

“Tu chi cazzo sei?” scandì ogni parola Deimos.

“Tuo nipote” alzò le spalle Tolomeo.

“Tu non sei mio nipote! Mio nipote non risucchia il sangue dei nemici con il cosmo e non è..come te! Quel ghigno, quegli occhi..e perché hai delle piume rosse fra i capelli?!”.

“Immagino faccia parte del mio risveglio..”.

“Quale risveglio? Di che parli?”.

Atena si era fatta avanti, pur rimanendo alle spalle dei figli di Ares. Tolomeo la salutò con un inchino.

“Perdonate la maleducazione” parlò il giovane “Secoli fa avete aiutato la mia gente, il mio popolo, quindi ora io mi sono risvegliato in quest’epoca per servire voi, Atena, e la vostra gente. Permettete di presentarmi: sono Quetzalcóatl, il serpente piumato”.

 

I tra cavalieri camminavano lungo i corridoi del palazzo degli Egizi. Dietro di loro, le divinità che li avevano attaccati li sorvegliavano. Ra li vide e subito riconobbe in Kanon un parente del Greco con cui aveva appena parlato. Chiese conferma e poi ordinò che i tre fossero lasciati liberi di agire come meglio credevano. I cavalieri non capirono il motivo di quell’ordine, ma ringraziarono.

Vari strumenti musicali di colpo si udirono e la gente si scostò, facendo passare un piccolo corteo, alla cui testa camminava Iside.

“Eleonore!” la riconobbe Kanon e la chiamò.

La Dea girò il capo e guardò il cavaliere con indifferenza, per poi proseguire il suo cammino.

“Ma..che significa?” insistette lui, senza capire.

Il corteo proseguì e, fra enormi ventagli e servitù, Kanon si ritrovò faccia a faccia con un volto familiare, che lo fissò, stranito.

“Arles?”.

“Kanon?”.

“Che ci fai qui?!” si chiesero all’unisono.

“Ma come cazzo sei conciato?!” scoppiò a ridere Kanon “Che combini?! Giochi a fare il piccolo Tutankhamon?! Hai perfino gli occhi truccati!”.

“Storia lunga..”.

Il corteo passò oltre, ed Arles rimase con i tre cavalieri.

“Ho visto Eleonore..” riprese il gemello più giovane “..che sta succedendo?”.

“Lei non è del tutto Eleonore. Lascia che ti spieghi..”.

Dopo aver raccontato quanto successo, Kanon era perplesso.

“Perché resti in Egitto, fratello?” chiese “Sai bene che, senza un corpo alternativo, non si può estrarre una divinità dall’ospite. E, anche se ci riuscissi, l’ospite quasi certamente ne morirebbe! Che resti a fare qui? Lei nemmeno sa chi tu sia..”.

“A volte lo sa. A volte la mia Eleonore c’è e mi sorride. E poi, scusa, se tua moglie si trovasse in una situazione simile, tu non faresti lo stesso?”.

Kanon rifletté qualche istante e poi annuì.

“Ma che pensi di fare? Lascerai il Tempio?”.

“Rimarrò qui, fino a quando la coscienza di Eleonore non si spegnerà. Farò tutto il possibile per riportarla da me, sto cercando ovunque possibili soluzioni ma, se non dovessi farcela, voglio vedere i suoi occhi che si spengono per l’ultima volta, lasciando spazio in modo definitivo a Iside”.

“Dobbiamo subito informare Hades di questa cosa. Magari lui sa che cosa fare. E ovviamente mettere al corrente Atena dell’esercito nemico”.

“Questo rischia di far scoppiare una guerra..”.

“Lo so..e tu da che parte starai?”.

“Dalla parte di nessuno”.

“Ma mi prometti che tornerai al santuario?”.

“E tu..prometti che mi aiuterai, una volta che sarò tornato?”.

“Certo..che dovrei fare?”.

“Aiutarmi a non ricadere nell’ombra delle mie illusioni. Io ora sono aggrappato ad ogni singolo sguardo, ogni singolo sorriso, ogni singola parola che Eleonore riesce a rivolgermi. E non sono pronto a perdere tutto questo di nuovo. Ci sto provando, con tutte le mie forze, a vivere la vita reale ed ignorare i piani della mia mente ma temo potrei vacillare, se la dovessi perdere. Tuttavia, non è quello che voglio. Io voglio vivere, fratello. Vivere nel mondo reale, anche se mi toglie ciò che amo. Mi aiuterai?”.

“Sono fiero del fatto che chieda il mio aiuto e ti dimostri davvero convinto a vivere. Ti aiuterò senz’altro!”.

“Anche io” annuì Milo “A costo di tirarti una cuspide in faccia ogni volta che provi a stralunarti lontano dalla vita vera!”.

“Grazie” annuì Arles “Ed ora venite con me. Vi faccio uscire da palazzo. Ma siate prudenti, d’ora in poi. Questi non scherzano mica!”.

Una volta all’esterno, i due gemelli di fissarono ancora qualche istante.

“Tornerò, fratello” commentò Kanon “Tornerò e ti starò vicino quel giorno di luna piena..perché non ti lascerò impazzire in terra d’Egitto,capito? Se devi impazzire del tutto, allora devi farlo a casa, chiaro?”.

“Chiaro” sorrise il gemello.

“Intanto informeremo Hades. Vedrai che una soluzione si trova! Sii ottimista”.

“Non lo sono mai stato..”.

“Impara!”.

 

Ares era riuscito finalmente a raggiungere la tredicesima. Dannate scale, dannato Tempio! aveva superato Ipazia svenuta alla terza casa ed ignorato il casino che accadeva oltre, fra angeli e Dei incazzati. Aveva raggiunto la sua stanza e si era buttato a letto, sfinito.

“Fottiti, Aiolos..” aveva mormorato, cercando di concentrarsi per permettere all’ikor di guarirlo.

La ferita bruciava e lo trapassava da parte a parte. Di certo tutte quelle scale non avevano aiutato.. Per fortuna fuori avevano smesso di litigare e quindi, con il silenzio, sperava di riposare un po’.

“Oh, ma quindi ci sei!” si sentì invece dire.

Ares coprì le bende con il mantello ed ostentò indifferenza, fissando Atena. La Dea rispose a quello sguardo, con ira.

“Fuori stavamo combattendo!” insistette lei.

“E con ciò?” commento Ares.

“Perché non sei intervenuto?”.

“Probabilmente dormivo..”.

“Io non so che ti prenda ultimamente ma sono davvero incazzata con te! Vedi di darti una regolata o ti rispedisco in Tessaglia!”.

“Ci tornerei volentieri in questo momento in Tessaglia. Almeno non dovrei sopportarti..”.

“Come se io non dovessi faticare per sopportare te, inutile pelandrone! Giù dalla branda, dobbiamo parlare!”.

“Di cosa, dolcezza? Se è per dirmi che il nostro rapporto non funziona, lo so bene..”.

“Idiota! È per parlare di guerra. Gli angeli ci hanno attaccati e sono sicura che lo rifaranno..”.

“Vuoi combattere gli angeli?!”.

“Sì”.

“Vuoi sfidare il monoteista?!”.

“Sì!”.

“Mia cara, sei pazza!”.

“Io devo difendere questo Tempio”.

“Difendilo, per Giove Pluvio! Ma non iniziare una guerra”.

“Perché?”.

“Andiamo, dovresti saperlo meglio di me..”.

“Se non mi darai tu una mano a proteggere questo luogo, allora chiederò aiuto a qualcun altro”.

“A chi?”.

 “A Marte!”.

“Non puoi dire sul serio!”.

“Lo farò..”.

“Non puoi farmi questo!”.

“E perché no, scusa?”.

“Fottuta femmina, io ti detesto!”.

“Quanto sei stupido, Ares. E poi non sei convincente. Per quanto alzi la voce, te ne resti lì steso..fai quasi ridere..”.

Ares si accigliò, non sapendo che altro fare. Marte? Solo l’idea di averlo di nuovo fra i piedi lo faceva impazzire di rabbia e fastidio.

“Lo fai apposta ad irritarmi..” borbottò il Dio.

“Lo so. Perché ti odio. Ti odio tanto! E ora alza il culo da lì”.

“Non mi va!”.

“Fa quel che vuoi, moccioso cocciuto!”.

“Hei! Solo perché sei la mia sorella maggiore non hai il diritto di dirmi questo!”.

“Io ho il diritto di dirti questo perché, nel caso te lo fossi dimenticato, comando io sull’Olimpo adesso. Perciò datti una regolata, o ti sbatto fuori sul serio”.

Atena uscì, quasi rompendo la porta. Ares mugugnò qualche altra protesta e poi tornò a concentrarsi sulla ferita. Però era stanco morto, quindi in poco tempo crollò dal sonno.

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Capitolo 15
*** XV- melodie da un nuovo mondo ***


XV

 

MELODIE DA UN NUOVO MONDO

 

“In Egitto..” ripeteva perplessa Persefone, giocando con una delle rose del cavaliere dei Pesci.

“Così hanno detto Kanon, Milo ed Aiolia..” annuì l’amante della prima sposa di Hades.

“E quindi è certo che morirà?”.

“Eleonore? Temo di sì. Purtroppo, da quel che ho capito, Iside non ha un corpo dove tornare e solo Eleonore è in grado di ospitarla”.

“Agli inferi ci stanno solo anime..non saprei come aiutare. Ed Hades è frustrato a dir poco..”.

“Posso capirlo”.

“Ma mica solo lui! Eleonore mi piaceva. Era una brava ragazza, mi stava simpatica. E poi..essere l’unica sposa di Hades..di nuovo..rischio di impazzire”.

“Perché dici questo?”.

“Aphro..tu non immagini come possa essere quando le cose non vanno come vuole lui”.

“Credimi se ti dico che lo so..”.

Persefone sorrise ed Aphrodite fece altrettanto. Atena, allarmata dalle ultime notizie ricevute e dall’attacco degli angeli, aveva convocato le divinità. Lentamente si stavano radunando al Tempio e questo metteva un po’ in soggezione i cavalieri più sospettosi, convinti che fra lori si celassero ancora nemici.

“Fiorellino, posso passare?” chiese Deathmask, sull’uscio della dodicesima.

“Certo, a te non serve chiedere” scherzò Pesci “Dove vai di bello?”.

“A guardare da vicino la Dea che porta il tuo stesso nome..l’ho intravista soltanto..”.

“Afrodite? Ti piacciono le Milf?”.

“Tu non dovresti parlare..”.

Persefone rise. Adorava passare i mesi estivi al Grande Tempio!

“E come pensi di farti notare? Cantando una serenata in siciliano?” continuò Pesci “Ti ricordo che la Dea della bellezza ha a disposizione delle divinità ben più prestanti di te!”.

“Mi stai dicendo che sono più brutto di Ares?”.

“Ares è uno degli Dei più belli che ci siano..anche se è uno zotico che non cura per niente il suo aspetto! Con una sistemata da parte mia, farebbe invidia ad Apollo”.

“Stai delirando..fai pensieri perversi sul padre di Saga. Oscena questa cosa..”.

“Ma che dici?! Dico solo che sarebbe spaventosamente bello se si curasse un po’ di più, tutto qui..”.

Deathmask fissò Aphrodite, che rispose allo sguardo senza capire.

“Potresti provare adesso” rise il Cancro “Dicono che ultimamente sia rincoglionito all’ennesima potenza!”.

“Vero” annuì Persefone “Sono un po’ in pensiero. Ares che non freme all’idea di entrare in guerra..”.

“Un problema alla volta, mia cara” sospirò Pesci “Tanto qui non ci si annoia mai!”.

 

Eros e Deimos stavano facevano l’ultima cosa che riuscivano a fare insieme senza litigare: ballare disco anni ’80. Ed erano anche abbastanza coordinati fra loro. Ares osservava la scena, mezzo spaparanzato su un divanetto della tredicesima, non sapendo se ridere o piangere davanti ad uno spettacolo simile. Al suo fianco, altrettanto spaparanzata, stava Afrodite, che si stava divertendo come una pazza. Con le gambe nude, si era mezza allungata sul Dio della guerra. Che ne tormentava i piedini fra un sorso di vino ed un altro. Deimos, ora con i capelli corti a causa dell’Excalibur di Shura, sperava che al suo balletto idiota si unisse anche Phobos, che però non si faceva vedere.

“Hei!” sbottò Atena, parandosi davanti ad Ares “Ho convocato gli Dei per motivi seri, non perché si divertano. Cerca di avere un contegno!”.

“Oh, padre” sospirò il Dio, ruotando gi occhi al cielo “Un fulmine! Un fulmine soltanto! Nella tua infinita benevolenza..”.

“Piantala!”.

“Ma che vuoi?! Non sono arrivati ancora tutti, giusto? E allora me ne sto qui a godermi il vino ed i piaceri della vita finché posso. Suvvia..mica stanno ballando Lady Gaga..anche se prima o poi mi aspetto di vedere una simile cosa..”.

Atena non disse altro. Fissò solo con fastidio Afrodite e poi se ne andò per la sua strada.

 

“Datti una calmata e piantala di lagnarti!” sbottò Phobos “Alla fine vincono tutti! Tutto il Tempio sta cercando tua madre e, se viene trovata, viene condotta qui. Se invece la trovano i tuoi amichetti piumati, non avrebbero più motivo di attaccare il Tempio e quindi saresti libera!”.

“Dovrei pure essere felice? Felice di essere prigioniera?” rispose Nadijeshda, accigliandosi.

“Non sei prigioniera..”.

“Se provo a fuggire, le guardie mi colpiscono!”.

“Non sei in gabbia! Se vuoi ti ci sbatto! Perché non provi ad occupare il tuo tempo in modo costruttivo?!”.

“Tipo?!”.

“Che ne so! Aerobica, Karaoke, mosca cieca in autostrada..”.

“Ci sono strumenti musicali qui?” chiese lei, dopo qualche istante di silenzio.

“Un sacco di pifferi” ridacchiò lui, intuendo che lei non avrebbe colto il doppio senso “Per il resto..posso provare a chiedere. Andiamo..”.

Lei provò a protestare ma lui la trascinò per il Tempio, supponendo che nella stanza di Atena doveva esserci qualcosa di utile. La Dea, troppo distratta dai balletti e dagli ospiti, non notò il figlio di Ares che rimestava fra gli appartamenti privati ed il suo erede Zeus, che Phobos odiava con tutto se stesso, se ne fregava altamente.

“Questa cosa può andare?” chiese il ladro, trovando una specie di cetra.

Lo sguardo dell’alata si illuminò. Una volta fuori da quelle stanze proibite, sfiorò le corde e sorrise, dopo tanto tempo.

“Ha un suono meraviglioso!”.

“Sì, ma vedi di non strimpellare a caso dove potrebbe sentirti Atena. Anche se dubito si accorga di quel che accada. È distratta da altre cose..”.

“Prova anche tu!”.

“Che?!”.

Nadijeshda sedette fra le colonne ed iniziò a suonare. Phobos, con un pessimo orecchio per la musica, la fissò sorridere. Il perché non lo sapeva nemmeno lui.

“Dai, prova” insistette lei “Solo una nota..”.

“Le mie mani non sono adatte a certe cose..”.

“Fatemi vedere”.

Phobos sospirò. Quella femmina era peggio di una zanzara affamata! Sedette e mostrò le mani all’alata, che allungò le sue, toccando le dita del Dio. Questi la fissò piuttosto perplesso e lei rispose a quello sguardo, senza provare alcun timore.

“Ognuno ha mani per uno scopo diverso” parlò Nadijeshda “Le mie sono mani da musicista mentre queste sono mani forti, adatte ad impugnare una spada o stringere le redini di un cavallo. Io in entrambe le cose sarei del tutto negata..”.

Dopo aver lasciato il Dio, ricominciò a suonare una melodia dolce. Phobos si rialzò, non amando particolarmente le nenie lagnose. Camminò lungo i colonnati della tredicesima. Si fermò, sporgendosi appoggiato ad un terrazzino. Nemmeno si accorse che Anteros, il suo irritante fratellino, gemello di Eros, lo osservava incuriosito.

“Che vuoi?” sbottò il maggiore, infastidito.

“Tutto bene? siete tutti strani in famiglia  ho notato”.

“Che intendi, lepidottero?”.

Anteros si imbronciò, non sopportando battute sulle sue ali da farfalla.

“Intendo..” riprese poi “..che Deimos sembra che si senta solo e cerca disperatamente compagnia mentre papà non vuole combattere. E poi vedo te, con la testa fra le nuvole, che sospira al balcone stile Giulietta”.

“Deimos fa così perché io sto molto tempo con quella pennuta fastidiosa per evitare che scappi e lui si sente solo. Papà credo sia in crisi di mezza età ed io non sto sospirando. E non so chi sia Giulietta!”.

“Ok. Supponevo che tu non leggessi libri..ad ogni modo..che ti preoccupa?”.

“Temo di star perdendo di nuovo i miei poteri. Purtroppo è una sensazione che conosco fin troppo bene. Dopo quella pugnalata con la daga d’oro, ho rischiato di divenire mortale e mi ero indebolito ed ora temo stia accadendo di nuovo”.

“Perché lo pensi?”.

“Perché quella donna non ha paura di me. La guardo e lei non si scuote. E non solo lei. È come se non incutessi più paura ed io DEVO incutere paura!”.

“Quale donna?”.

“QUELLA donna!”.

Phobos la indicò. In basso, fra le colonne del piano inferiore, Nadijeshda ancora suonava.

“Sarà la vecchiaia” rise Anteros.

Phobos si voltò di scatto ed il fratello minore sobbalzò dinnanzi a quello sguardo minaccioso.

“Ad ogni modo..” riprese poi, quando il maggiore smise di fissarlo “..secondo me ti preoccupi troppo”.

“Sono andato così vicino a divenire mortale che mi viene la nausea al solo pensiero! Ho lo stomaco sottosopra, credimi..”.

“Oh, ti credo..”.

“Perché sorridi come un coglione?!”.

“Senza un motivo..fatti vedere da Hermes, se pensi di essere malato. Ma secondo me ti dirà quel che ti ho detto io..”.

“Alla vigilia di una guerra non posso essere senza poteri! Non capisci?!”.

“Non urlare! Ti sento benissimo..”.

Anteros sorrise di nuovo, guardando verso l’alata che suonava.

“È carina..” commentò.

“Non saprei..” borbottò Phobos.

“Come sarebbe a dire?!”.

“È la donna più irritante della galassia!”.

“Più irritante di Atena?”.

“No. Fino a quel punto, no!”.

“Allora dai..non è tanto male..”.

“Che discorsi del cazzo fai, Anty? È una prigioniera ed è già tanto che non l’abbia appesa per i piedi alla meridiana del Tempio da quanto rompe i coglioni!”.

“Così. Facevo per dire..”.

“So a che gioco stai giocando! Tu ed Eros è da quando siete nati che cercate di farmi innamorare. Ogni volta che mi vedete parlare con una femmina pensate che ci sia chissà che cosa e provate a convincermi che è la donna della mia vita. Ma vi ricordo che la paura ha sempre vinto sull’amore. Non siete mai riusciti nei vostri intenti idioti”.

“Lo so. Era per ridere! Permaloso!”.

“Non mi diverto con certi discorsi..”.

“Perché sei noioso, ecco perché. E non sai volare”.

“E questo che c’entra?!”.

“Niente. Ma è bello sfotterti”.

“Senti un po’..se io imparassi a volare, tu ed Eros mi lascereste in pace?”.

“Niente più tentativi di farti trovare la morosa in cambio di un tuo volo?”.

“Io imparo a volare e voi la smettete. Siete ridicoli. Lo faccio per risparmiarvi il ripetersi di sconfitte imbarazzanti”.

“Però se non ci riesci, se non impari, ti tormenteremo il doppio!”.

“Affare fatto”.

Anteros ghignò, stringendo la mano al fratello. Sapeva quanto Phobos fosse imbranato e, soprattutto, spaventato a morte dalle altezze. Lo osservò allontanarsi ed a sua volta se ne andò dal terrazzino, diretto verso gli appartamenti interni, dove il gemello stava ballando. I due si scambiarono solo uno sguardo, ridendo, e poi anche Anteros si unì alla danza idiota.

“Insegnami, come avevi promesso” sbottò Phobos, tutto d’un fiato, rivolto alla prigioniera.

“Dopo tutto quello che mi state facendo, dovrei pure farti un favore?!” rispose lei.

“Se ci riesci, se riesci a farmi volare, ti lascio libera. Hai la mia parola”.

“Oh..allora in questo caso le cose si fanno interessanti. Ci sto”.

 

Arles si doveva davvero concentrare per non rimanere a fissare le teste delle divinità Egizie. Erano decisamente pittoresche, non poteva negarlo. Però non riusciva a coglierne l’espressività, salvo quando ringhiavano o soffiavano. La cosa era frustrante. Temeva sempre di essere frainteso o di aver offeso qualcuno senza volerlo. Poi però si ricordò che doveva resistere ancora per poco quindi fissò pure lui con fastidio quel gruppetto di Dei che lo squadravano. Che andassero tutti quanti a farsi fottere! Nessuno voleva  aiutarlo, e questo se lo aspettava, ed il tempo scorreva rapido.

“Non puoi trovare un rimedio” gli aveva ripetuto Thot “La regina Iside ha trovato in Eleonore un corpo ospite e non potrai cambiare questa cosa”.

Alla ricerca di indizi o indicazioni su cosa dovesse avere di così speciale un corpo ospite, Arles stava impazzendo. La luna era sempre più grande in cielo, aumentando il suo spicchio ogni notte.

“Anche se la fissi così..” rise Iside “..la luna non si farà più piccola ed il tempo non scorrerà nel senso opposto”.

“Sono certo che una soluzione esiste. Ho solo bisogno di più tempo!”.

“Che non hai. Ormai è tutto pronto. Il rituale si svolgerà in questa luna piena e tu non potrai fare alcunché. Ti consiglio di metterti l’animo in pace..”.

“Il mio animo non è mai stato in pace!”.

“Ecco: è questo il tuo problema!”.

Arles vide Iside sorridere e provò rabbia, che represse a fatica. Greci, Egizi, Romani..qualsiasi divinità a cui si ritrovava a pensare faceva nascere in lui un’ira difficilmente controllabile. Poi una strana musica lo distrasse.

“La magia può fare molte cose..” parlò colui che suonava, pizzicando le corde di quella che sembrava un’arpa allungata.

“Non credo nella magia” rispose Arles.

“Il cosmo non è forse magia?”.

“No. Il cosmo è il cosmo”.

“E che cos’è?”.

“Anche se fosse magia, come tu dici, che dovrei farci con il mio cosmo?”.

“Nel cosmo è rinchiuso ciò che siamo. Tutti ne hanno uno..magari in quello di Lady Eleonore vi è rinchiuso qualcosa di speciale che può aiutare..”.

“Ma il suo cosmo è mescolato a quello sempre più potente di Iside..”.

“Un modo ci deve essere”.

“A te che importa, perdona la maleducazione?”.

“Hades mi ha inviato qui apposta. Sono in incognito..”.

“Sei uno specter?”.

“Sono conosciuto come Pharaon, ma in questo caso il cappello del faraone lo hai tu..”.

Il musico sorrise ed Arles tentò di ricordarlo. Purtroppo il suo soggiorno fra le armate di Hades era stato breve, perciò non era sicuro di potersi fidare o meno di quell’individuo.

“Hades..” riprese Pharaon “..ovviamente non può recarsi qui personalmente ma ha mandato me, che sono egiziano”.

“E come ci sei finito fra le schiere Greche?”.

“E tu come ci sei finito in quelle Egizie? Capitano tante cose lungo il camino e non sempre il sangue ci tiene legati per l’eternità”.

“Cosa suggerisci di fare? Di certo te la cavi molto meglio di me in questo mondo..”.

“Il libro dei morti”.

“Che dovrei farci?”.

“Troviamo quello di Eleonore. È già morta una volta, giusto? Per legare la sua anima, Iside ha bisogno del libro della sposa di re Hades quindi..”.

“E dove pensi lo tengano?”.

“Lascia fare a me!”.

“Posso fidarmi?”.

“Lo faccio per Eleonore, la mia regina. E per il mio Signore Hades”.

“Va bene. Però..”.

Pharaon scattò in avanti di colpo, quasi sfiorando il volto di Arles, mentre due guardie del palazzo attraversavano il corridoio.

“Che c’è?” sbottò il figlio di Ares.

“Meglio non attirare l’attenzione..”.

“Ed è quasi limonando con me che non attiri l’attenzione?!”.

“Quasi che cosa?!”.

“Lascia perdere..”.

Lo Specter afferrò il capo di Arles, senza che questi avesse il tempo di reagire, e lo baciò, divertito.

“Se voglio una cosa, la faccio” rise l’Egizio “Non sono mica come voialtri al Tempio..”.

“Ma..tu..vuoi morire, vero?”.

“Sono già morto, tecnicamente. Se no non sarei all’inferno. Perciò rilassati un po’ e vieni, troviamo il libro dei morti della regina Eleonore”.

 

Accanto ad Apollo, sedeva Tolomeo. I due si fissavano in modo strano.

“Dimmi, Quetzalcóatl..” parlò Apollo “..è vero che, secondo una profezia, nel 2012 avresti dovuto mangiare il sole e far finire il mondo?”.

“Vuoi che ti mangi?”.

“No!”.

“Perché se vuoi lo faccio..”.

“Ragazzi!” li interruppe Hermes “Fate i seri!”.

“Tu sei il primogenito figlio maschio di Zeus..dico bene, Apollo?” riprese Tolomeo.

“Sì, dici bene”.

“E non sei geloso del fatto che sia Ares a regnare, assieme ad Atena?”.

“Ares non regna proprio su un bel niente. È Atena che comanda”.

“E la cosa non ti fa arrabbiare?”.

“Perché? Ho sempre considerato Atena come la più saggia e poi è la volontà di Era e quel che voleva Padre Zeus. E allontanati, per favore. Ho sempre paura che tu voglia mangiarmi davvero”.

Tolomeo sorrise, con quel ghigno di dimensioni anormali.

“Che senso mi fa quella bocca..” rabbrividì Artemide “..senza offesa”.

“Nessuna offesa” ridacchiò Quetzalcóatl .

“Chi manca? Stanno arrivando anche i romani..” interruppe Hermes.

“Sì, ne ho visti un paio. Atena ha chiamato proprio tutti..” annuì Apollo.

“Mi spiegate una cosa?” chiese Ipazia, timidamente “..prima di fare la figura della scema, mi spiegate come può un Dio possedere un corpo? Mio fratello si è risvegliato come Dio ma è ancora lui, è ancora mio fratello, anche se con un aspetto inquietante. Perché con Eleonore è diverso?”.

“Bambina, nessuna figura della scema, tranquilla” sorrise Apollo “Vedi..in tuo fratello risiedeva latente la divinità dal nome lunghissimo e complicato che non ricordo mai..”.

“Chiamami Quetzy” commentò Tolomeo.

“..ok..in tuo fratello il Dio era latente. È nato così, solo che il Dio aveva bisogno di un certo livello di cosmo per potersi risvegliare. In questo caso, Tolomeo e..Quetzy..sono la stessa cosa. Nello stesso corpo risiedono i ricordi di Tolomeo e dell’antico Dio. È una rinascita. Nel caso di Eleonore invece è una possessione. Qualcuno, probabilmente i suoi sottoposti con un corpo fisico a disposizione, hanno liberato Iside, scovando per lei il corpo più adatto. Ma Eleonore non è nata con questo cosmo nel cuore, è qualcosa di estraneo e la Dea ha solo un modo per prevalere: annullare Eleonore. Altrimenti dovrà sempre lottare con una sorta di parassita umana che cercherà di controllarla, come nel cado di Hades e Shun. Poi ci sono quelli, come me per esempio, che occupano il proprio vero corpo. L’involucro è per chi ha paura di rovinare l’originale ed io voglio proprio vedere chi può fare del male al sole..salvo sto qua a fianco con sto sorriso inquietante!”.

“Ma dai!” rise Tolomeo “Non ti mangio per davvero!”.

“Non si sa mai..”.

Tolomeo mostrò la lingua, da serpente e Apollo indietreggiò ancora.

“Rilassati, zio. Tu hai i capelli che prendono fuoco, mica dico niente..”.

Il Dio del sole sospirò. Che fatica gestire le nuove generazioni!

 

Efesto, Dio fabbro, era rimasto alla prima casa. Lì, grazie ai materiali di Mur, stava dando una controllata alle armature divine. Al suo fianco, Kiki cercava di assisterlo, incuriosito.

“Gran Sacerdote..avete idea di dove sia l’armatura di Ares?” chiese il Dio.

“No” ammise Kiki “Proverò ad informarmi”.

“Non serve che mi aiutiate. Le Armature sono in buono stato, salvo qualche raro caso”.

“Mi diverto. L’alternativa e sorbirmi filippiche divine..”.

“Comprendo..anche troppo!”.

Kiki sorrise, osservando ammirato i movimenti del Dio. Poi diversi cosmi attirarono la sua attenzione. Guardò fuori, verso l’ingresso del Tempio, stupendosi nel non vedere le guardie.

“Mur!” esclamò, riconoscendo immediatamente il suo maestro “Shaka!”.

Entrambi i cavalieri camminavano, con una lentezza quasi irritante, verso la prima casa. Dietro di loro, altre due figure che Kiki riconobbe. Erano state da poco al Tempio e non si aspettava di vederle di nuovo.

“Maya..” mormorò, salutandola con un lieve inchino “..Lord Shiva..” aggiunse poi.

Il Dio indiano non aveva l’aria di chi era giunto fin lì di sua volontà ma rispose al saluto, mente il gruppetto iniziò a salire le scale.

 

Come siete silenziosi ultimamente. Mi sembra di parlare da sola..il che è quasi normale per me XD Allora? Che ne pensate? State per rinchiudermi o vi siete rotti le palle? :P

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Capitolo 16
*** XVI- sapienza ***


XVI

SAPIENZA

 

 

“Hei, occhioni blu!” sbraitò Deimos, piombando nella stanza del gemello.

Phobos sobbalzò. Perso nei propri pensieri, stava sonnecchiando affacciato alla finestra.

“Occhioni blu?” biascicò, assonnato.

“Da quando non ti guardi allo specchio? Hai una faccia..”.

“Di che parli, Demy?”.

“Non chiamarmi così! E muoviti. Ti devi allenare! Non so che ti passi per la testa ultimamente, ma sono stanco di come questa famiglia si stia rammollendo. Fra papà che con Afrodite ragiona con il cazzo e te che passi le giornate sognando unicorni..”.

“Non passo le giornate così! Che dici?!”.

“Alzati. Andiamo”.

“Deimos..”.

“Sì?”.

“Dimmi la verità. Tu credi che io..stia perdendo i miei poteri?”.

“Perché me lo chiedi?”.

“Lo hai detto anche tu. Sono strano ultimamente. Il mio sguardo non incute più il timore di un tempo”.

“In effetti..”.

“Ho paura, fratello. So che è una cosa inusuale da dire per me, ma sono spaventato. Non voglio divenire mortale. Non voglio perdere i miei poteri!”.

“Ne hai parlato con Hermes? O Apollo?”.

“No. Temo possano ridermi in faccia”.

“Sempre meglio una risata che magari ti tranquillizza piuttosto che startene qui a penare, no?”.

“Non so. Non voglio sembrare ridicolo”.

“Ma già lo sei. Con quello sguardo così..puccioso”.

“Non esiste come termine!”.

“Hai lo sguardo..da mortale. E non lo hai mai avuto. Nemmeno quando il tuo occhio era danneggiato dalla daga, aveva quell’aspetto!”.

“Che dovrei fare?”.

“Parlare con qualcuno. Ci sono tutti gli Dei possibili ed immaginabili ora al Tempio. Approfittane! E ora muoviti. Meglio allenarsi, ti farà bene”.

“A dir la verità..sono un po’ stanco”.

“Stanco?! Ma hai poltrito fin adesso!”.

“Lo so. Ma sono stanco”.

Deimos storse il naso, infastidito.

“Come vuoi” commentò poi “Resta pure lì a ronfare”.

Phobos, rimasto da solo, tornò a buttarsi sul letto. Era sfinito ma perché aveva dormito molto poco. Nadijeshda cercava di insegnargli a volare con il buio, così da evitare i curiosi. Doveva però sforzarsi molto, per far capire al cosmo come entrare in sintonia con l’armatura in modo da poter volare. Non pensava fosse così complicato!

 

“Sto iniziando ad odiare tutti questi disegnini..” borbottò Arles.

“Non sono disegnini!” replicò Pharaon “Sono geroglifici!”

“Quello che sono!”.

“Dai, impegnati! Che cosa leggi qui?”.

“Dunque..omino seduto, uccello, ricciolo, acqua..un uomo fa la permanente ad un uccello mentre c’è un’alluvione?”.

“Ma fai il serio! Coglione!”.

“Non offendere! Io non ti prendo in giro perché non sai leggere il greco”.

“Lingua insensata. Questa va a concetti”.

“Lingua morta!”.

“Greco di merda!”.

“Ok..basta..siamo qui per trovare una soluzione, giusto? Ti insulterò a dovere più tardi, ora il tempo stringe”.

“Hai ragione. Hades potrebbe distruggermi se Eleonore non dovesse tornare per colpa di queste cazzate! È da giorni che cerchiamo..dove possono averlo nascosto quel maledetto libro dei morti?”.

Dopo altre ricerche, i due si erano messi a sfogliare un grosso volume che parlava del rituale di risveglio che avrebbe dovuto affrontare Iside, in cerca di nuove possibili informazioni. Sedevano ad un tavolo e Pharaon leggeva ad alta voce, sapendo che Arles non poteva imparare i geroglifici in pochi giorni, nonostante si sforzasse. Allo stesso tavolo sedeva un altro uomo, a gambe incrociate, che leggeva distrattamente un libricino.

“Forse..” mormorò Pharaon, cercando di non infastidire lo sconosciuto “..tu non dovresti sapere certe cose, Arles. Sei un Greco e questi sono rituali Egizi. Potresti essere punito”.

“Ma cosa cazzo vuoi che mi freghi? E poi, chi dovrebbe punirmi? E per quale motivo?”.

“Perché ci sono delle cose che non devi sapere. Forse nemmeno io dovrei..”.

Incitato da Arles, lo specter ricominciò a leggere. Lo sconosciuto sorrise.

“Qualcosa ti diverte?” commentò il figlio di Ares, irritato, voltandosi verso quell’uomo.

“No” ammise lui “Qualcosa mi rende felice”.

“E per quale motivo, di grazia?”.

“È sempre bello vedere uno spirito affine..”.

“Affine con chi?”.

“Rilassati. Non serve arrabbiarsi”.

L’uomo ripose il libricino che stava leggendo, poggiandolo sul tavolo, e sorrise. Dall’accento, si capiva subito che non era uno degli Egizi.

“Perché celi il tuo aspetto dietro un’illusione?” riprese Arles.

“Oh, ma che bravo. Riesci a percepirlo. Allora non sei debole come dicono..”.

“Chi dice che sono debole, scusa?”.

“Del resto..sei il Dio delle illusioni, se non ho capito male. Perciò non mi dovrei stupire..”.

“Pare mi conosciate molto bene..”.

"Siamo simili, io e te. Conosciamo la gloria e la sconfitta, il dolore e l'orgoglio”.

“Ah sì?”. Arles fissò lo sconosciuto, piuttosto scettico. “Nessuno è come me!”.

“Eravamo i più luminosi, i più forti..magnifici, sopra chiunque altro! Dicevano che eravamo simili agli Dei, o dei veri e propri Dei. Ma a noi è stata preferita una più misera ombra e così l'ombra è apparsa in noi. Risucchiati dalle tenebre, siamo caduti. Le nostre mani si sono macchiate di sangue ed i nostri occhi si sono riempiti di lacrime. Ma questo non ci ha impedito di camminare ancora, seppur con inferiore splendore dinnanzi allo sguardo di chi ci circondava un tempo. Noi non apparteniamo a nessuno, nessuno può piegarci e, allo stesso, nessuno può comprenderci. Non siamo nulla, perché abbiamo visto tutto. Ma mai chiederemo perdono, mai il nostro capo si chinerà, mai il nostro antico splendore verrà dimenticato. Perché  noi siamo la luce, noi ricerchiamo la verità oltre a ciò che è stato imposto”.

“Quante belle parole. Direi esagerate. Ed io non la conosco..”.

“Figlio della guerra, rispondi a questa domanda: perché sei qui?”.

“Se sai tutto, risponditi da solo!”.

“Ti hanno detto che è impossibile salvare quella donna. Eppure sei qui, alla disperata ricerca di una soluzione che sai esistere. Lo fai..per quale motivo?”.

“Perché voglio che lei sia felice. Voglio che lei sia viva”.

“Vuoi che lei sia tua”.

“No. Lei è la sposa di Hades”.

“Hai intenzione di riportagliela?”.

“Certo. Anche perché lei è già morta una volta. Se io la portassi via dal signore dell’oltretomba, lui potrebbe decidere di richiamarla a sé in qualsiasi momento, uccidendola di nuovo”.

“Ho dunque davanti un coniglio, non un guerriero”.

“Un coniglio?!”.

“Sì, un vigliacco. Lottare per una femmina, infrangere ogni regola possibile per riaverla, per poi lasciarla andare da un tizio che nemmeno muove un dito? Non è questo un comportamento da coniglio?”.

“Senti, coso..io non so chi tu sia e che cosa voglia, ma se mi fai incazzare è a tuo rischio e pericolo!”.

“Non puoi farmi paura. Sei solo un bambino..”.

“Un bambino?!”.

Lo sconosciuto sorrise di nuovo. Il suo sguardo brillò per qualche istante. Si alzò lentamente, con i capelli mossi che si agitarono non si sa per quale misterioso motivo. Era bello quell’individuo, inquietantemente bello, e si avvicinò a passi lenti verso Arles e Pharaon. Lanciò una rapida occhiata al libro che i due stavano leggendo e sedette sul tavolo, incrociando le gambe, accanto al figlio di Ares.

“Imparare a memoria il rituale non ti servirà..” parlò.

“Stavamo cercando il libro dei morti di Eleonore, in effetti” rispose, acido, Arles.

“Idea già migliore. Quello ti permetterà ti leggere la sua anima”.

“Quello impedirà ad Iside di controllare del tutto la sua essenza”.

“Sbagliato. Iside ha Eleonore in sé. Sa tutto di lei e può farci ciò che vuole. Quel libro le risparmia solo un po’ di fatica”.

“Ma..allora..”.

“Voglio farti una domanda. Fino a che punto sei disposto a spingerti, coniglio?”.

“Smettila di chiamarmi così!”.

“Sei disposto a giungere fino a quale limite? Quante regole sei disposto ad infrangere per riavere quella femmina?”.

Arles alzò lo sguardo, fissando quello sconosciuto. Esternamente, sembrava un Egizio. Era truccato ed abbigliato come uno di loro, salvo per i capelli sciolti. Ma il figlio di Ares coglieva sfumature del suo aspetto celate da un’illusione, da uno schermo, e capiva che non era di certo un egiziano.

“Che cosa vuoi da me?” chiese il Greco.

“Aiutarti. O meglio, spingerti verso la verità. La sapienza è a tua disposizione. La soluzione è solo un passetto oltre..”.

“Oltre a che cosa?”.

“Al limite consentito”.

“Parla. Se hai qualcosa da dirmi, se sai come posso aiutare Eleonore, apri la bocca. Altrimenti taci, che ho poco tempo”.

“Posso aiutarti. Ma non se in cambio lascerai che se la riprenda Hades. Posso aiutarti, ma solo per te. Solo se quella femmina resterà con te”.

“Questo non è possibile”.

“Allora mi spiace ma non posso aiutarti”.

“Come sarebbe a dire?!”.

“Non sono disposto a perdere tempo con chi non ha spina dorsale”.

“Prestami la tua”.

“Non fare lo spiritoso”.

“Sai davvero come salvare Eleonore?”.

“Iside vuole un corpo. Nell’anima non se ne fa niente..”.

“L’anima? Quindi..ma certo!”.

“Certo, che cosa?!” si stupì Pharaon.

“L’anima! Non capisci? Iside ha bisogno solo di un corpo. Se io riesco a recuperare l’anima e metterla altrove, Iside avrà il suo corpo e Eleonore..”.

“Stai dicendo cose che vanno oltre il limite consentito!” lo interruppe Pharaon “Stai parlando di prendere un’anima e spostarla in un corpo vuoto. E visto che deve essere vuoto, dev’essere morto”.

“No. Cioè..sì..ma..anche no! Io potrei..”.

“Credi che Eleonore sarebbe disposta a starsene in un corpo che non gli appartiene?”.

“L’alternativa è che svanisca per sempre. Se non la salvo, la sua anima svanirà per sempre”.

“La sua anima potrebbe essere già danneggiata. E poi..sei serio?! Usare un cadavere per..”.

“Io..forse hai ragione..”.

“Idiota!” si intromise lo sconosciuto “Guarda oltre! Sei intrappolato fra ciò che ti è stato detto che è sbagliato e ciò che dai per scontato che lo sia. Ma guarda oltre. Spingiti solo un pochino più in là”.

“Verso dove?”.

“Verso la luce. Quante catene ti hanno messo, ragazzo? Come credi di poter volare, se sei inchiodato a terra da mille regole?”.

“Andiamo! Non posso costringere Eleonore a vivere in un cadavere altrui!”.

“Non te l’ho mai detto”.

“E che dovrei fare, secondo te?”.

“Greco..so che puoi giungere alla soluzione. Cerca solo di vedere le cose da una prospettiva meno..ortodossa!”.

“Meno ortodossa? Dunque..un corpo vuoto che non sia un cadavere..o prendo un corpo vivo, ne elimino l’anima e ci faccio entrare quello di Eleonore, oppure..”.

“Oppure..”.

“Oppure faccio in modo che lei abbia un corpo nuovo! La Dea della bellezza, Afrodite, sa creare dei corpi. E anche Gaia. Sono corpi vuoti, ma con l’anima di Eleonore sarebbe..”.

“Sarebbe una follia!” quasi gridò Pharaon “Parli di compiere atti che competono solo ad un Dio creatore!”.

“E allora?”.

“Come?! Saresti punito secondo qualsiasi religione dell’Universo!”.

“Rilassati..l’idea è buona. Però..”.

“Però? Che succede?” domandò lo sconosciuto.

“Io non so come maneggiare le anime. Potrei chiedere a Deathmask ma non so se sarebbe in grado di fare una cosa del genere..lui le anime le ruba, non le impianta altrove!”.

“Posso aiutarti io. Sono un esperto di anime” sorrise l’uomo.

“Davvero? E perché lo faresti?”.

“Perché? Beh..diciamo che devo un favore ad una persona”.

“A chi?”.

“Prima o poi lo saprai. Sta di fatto che, se tu mi saprai fornire il corpo, io vi trasferirò l’anima. Il giorno del rituale, quando Iside la richiamerà per distruggerla, sarà mia”.

“Ed in cambio che vuoi?”.

“In cambio voglio che tu te la tenga, quella femmina. Se mi giuri che sfiderai Hades, io ti aiuterò. Salvando la sua anima, lei apparterrà solo a te e Hades non potrà più fare nulla”.

“Farmi nemico Hades?”.

“È un così grosso problema?”.

Arles rimase qualche istante in silenzio.

“Se hai intenzione di tradire il sommo Hades..” parlò Pharaon “..allora avrai contro anche qualsiasi altra divinità che lo sostiene. Ti farai molti nemici, Arles”.

“Io sono il figlio di Ares. Io GODO quando sono circondato da nemici”.

“Sei pazzo?!”.

“Sì”.

“Grandioso! Ma dovrò informare il mio signore. Non ti permetterà di fare cazzate”.

“Benissimo. Parte la sfida..”.

“E poi..pensi davvero che Eleonore potrebbe stare nel corpo ricreato da Afrodite o da Gaia?!”.

“Se vorrà morire, perché l’alternativa è questa, l’aiuterò io. Ma lo farò io con queste mani, non una Dea Egizia”.

“Sarai dannato. Dannato per sempre. A nessuno è permesso giocare con ciò che compete alle divinità creatrici”.

“Chiudi la bocca” lo interruppe l’intruso “Se tutti pensassero come te, se tutti avessero paura, sai quante cose mancherebbero fra gli umani? Il fuoco, per esempio. Zeus non voleva che lo avessero gli uomini. Ricordi come è stato punito colui che ha osato rubarlo, per donarlo ai mortali? Sapeva che era proibito, eppure lo ha fatto. Quante volte gli Dei hanno dato dei divieti che una volta infranti hanno portato dei benefici al mondo?”.

“E che beneficio potrebbe mai portare al mondo la regina Eleonore?” sbottò Pharaon.

“E che beneficio potrebbe mai portare al mondo avere per esso un’anima come quella di Arles? Si sta risvegliando e voialtri stolti non ve ne accorgente di quanto il suo cosmo bruci e si espanda. Cosa pensi possa accadere, se dovesse perdere il controllo e questo suo potere si riversasse sul tuo prezioso mondo?”.

“Di che parli?”.

“Parlo di un’onda di energia carica di odio, rabbia, disperazione divina che si riversa su chiunque osi avvicinarsi troppo”.

“Lui è un semidio. Non può spaventarmi il suo potere”.

“Continua pure a vivere nel tuo piccolo universo buio, specter. A portare questa creatura verso la luce, ci penso io”.

“Sarete entrambi dannati per sempre!”.

“Dannati per sempre?” ripeté Arles, fissando lo sconosciuto.

“La dannazione è una parola. Solo una parola. Chi può dannare te, Greco figlio di Ares? Hades? Ma tu non hai paura di Hades. Non esiste un posto vero e proprio per  te, nessuno ti ha mai accettato veramente. Nessuno tranne quella donna, vero? Eleonore! Eleonore è il tuo angelo, colei che in ogni luogo ti fa sentire a casa. Se questo significa essere dannati per sempre, principe, allora credo che io e te condividiamo la stessa strada...".

“In che senso?”.

“Non nel senso che voglio la tua donna. Nel senso che nella nostra vita non vi è un vero luogo per noi ma una donna lenisce ogni nostro turbamento. Con lei accanto, siamo in pace. E non importa tutto ciò che accade attorno. Nel mio caso, la donna è mia sorella. Nel tuo, Eleonore. Ci stai, allora?”.

“Non ho niente da perdere, no?”.

“Esatto. Ma devi agire in fretta”.

“Come faccio ad andare da Afrodite? Mi è vietato uscire da qui. Mi sorvegliano..”.

“Che domanda cretina! Sei il Dio delle illusioni! Crea l’illusione di te stesso e corri dalla Dea. Ti copro io”.

“Posso rendere te come me? Va bene. Farò in fretta..”.

“Afrodite è al Grande Tempio. Atena sta radunando tutti gli Dei”.

Arles annuì. Poteva fidarsi? Incrociò di nuovo lo sguardo di quello sconosciuto, mentre Pharaon protestava sommessamente. Con il potere delle illusioni, ora in quella stanza vi erano due Arles. Il figlio di Ares osservò colui che aveva di fronte, identico a sé, e sorrise compiaciuto.

“Sì, sei bello” ridacchiò lo sconosciuto.

“Hai proprio ragione..” annuì Arles, allontanandosi poi di corsa.

Rimasti soli, lo sconosciuto e Pharaon si fissarono qualche istante. Lo specter si accigliò. Doveva informare quanto prima il suo signore Hades delle intenzioni di quel Greco psicotico! Ma colui che aveva di fronte non aveva alcuna intenzione di fargli lasciare il palazzo egiziano. Con uno scatto rapido, colpì il servo dell’oltretomba. Questi cadde in terra, senza avere neppure il tempo di gridare. Lo sconosciuto sorrise, soddisfatto, e si sbarazzò del cadavere.

 

“Ma quanto era grande questo esercito di cui parlate?” domandò Camus.

“Non saprei dirti” rispose Milo “Poco rassicurante, ad ogni modo”.

“Già” annuì Aiolia “E molte delle loro divinità erano sveglie ed attive. E pericolose. Quelle contro cui abbiamo avuto a che fare non sono state facili da contrastare”.

In una grande sala, nella dimora di Atena, la Dea aveva convocato i cavalieri e gli Dei per discutere del pericolo imminente.

“Sono preoccupata” ammise la padrona di casa “Fra gli angeli e gli Egizi, siamo in pericolo”.

“Ma noi siamo qui!” esclamò Aiolos “E anche le divinità. Shiva, Maya e Quetzalcóatl, oltre a Greci e Romani, saranno un’ottima difesa”.

“Dobbiamo attaccare prima che l’esercito si mobiliti” si intromise Artemide “Rischia di portare distruzione e morte fra popoli innocenti. Attacchiamo ora, che non è pienamente organizzato e pronto”.

“Concordo con mia sorella” annuì Apollo.

“Hei, calmi! Da quando siete così guerrafondai?” domandò Ares.

“E da quando tu non lo sei, fratellino?” ribatté il primogenito di Zeus.

“Sono affari miei! Ma, ad ogni modo, cosa ci importa se questi eserciti attaccano altri? Chissenefrega! Ci mettiamo a fare le guerre preventive?”.

“Dovrebbero piacerti..”.

“Può darsi. Ma io devo odiare il mio nemico e gli Egizi non mi irritano per niente”.

“Troveremo il modo di farteli odiare..”.

“Ho altre cose per la testa..”.

“Per esempio?”.

“Mio figlio disperso, il mio primogenito rincoglionito..tanto per citarne un paio..”.

“Primogenito? Parli di Phobos?”.

“Non sta bene ultimamente. Ed io ci tengo alla mia famiglia”.

“Noi siamo la tua famiglia!”.

“Non del tutto, bastardello”.

“Come ti permetti?!”.

“Non cominciate!” li interruppe Hera “Siete quasi tutti bastardi qui!”.

Ares tacque, obbedendo sempre a sua madre. Apollo invece voleva continuare la discussione e fu Artemide a fermarlo. Il pavone di Hera emise il suo tipico suono, minacciando i presenti.

“Le ricerche dell’alata continuano?” volle sapere Shiva, capendo di non essere il solo con una famiglia un pochino incasinata.

“Sì” annuì Atena “Ma pare svanita nel nulla”.

“Ma questo è impossibile!”.

“Eppure è così. Se ha raggiunto luoghi riservati alla sua religione, noi non possiamo vederla”.

“Capisco..spero non abbia sottratto oggetti preziosi o altro..”.

“Non credo. Ad ogni modo, speriamo di trovarla. I miei cavalieri pattugliano continuamente varie zone, alla ricerca di indizi”.

“Incredibile. Perdere una fanciulla, potrei capirlo. Ma una donna alata..”.

“Cercala tu!” protestò Deathmask “Io sono stanco di vagare nel nulla!”.

“Death!” sibilò Aphrodite “Cerca di controllarti..”.

“Atena!” interruppe Kanon “Io devo tornare in Egitto”.

“E perché?” chiese la Dea.

“Mio fratello è là. E non se la passa molto bene. Voglio essere sicuro che torni qui”.

“Ci hai spiegato la situazione, Kanon. Ma non è molto ciò che possiamo fare a riguardo. Tornando, cosa credi di risolvere?”.

“Voglio solo stargli vicino. So che potrebbe di nuovo perdere la testa e perdersi in illusioni assurde”.

“Credi sia solo questo il punto?” interruppe Ares.

“Padre..?”.

“Tuo fratello non è più un semplice mortale con un cosmo. È un Dio”.

“Semidio” precisò Atena.

“Quel che è! Ma il suo potere è superiore a quello che aveva manifestato durante la guerra contro i romani. Non è ferito, non è in punto di morte. Se dovesse perdere il controllo ora, le conseguenze non si sa quali possano essere”.

“In che senso? Che potrebbe succedere?” domandò Aiolos.

“Non lo so” alzò le spalle Ares, fingendo indifferenza “Ma non vorrei trovarmi nei paraggi. Perciò Kanon ha ragione. Bisogna riportarlo a casa. Eleonore è perduta ed è meglio che se ne renda conto gradatamente, circondato da chi può mantenerlo con una certa stabilità mentale. Solo, in Egitto, non so..”.

“Io non voglio riportarlo a casa adesso” precisò Kanon “Lui vuole vedere l’ultimo barlume di vita della sua donna e glielo concederò. Ma poi lo porterò via. La mia presenza, forse..”.

“Bella sfida, ragazzo mio..”.

“Lui è il mio gemello. Non lo lascerò perdersi nelle tenebre”.

“E se ci fosse già caduto, inesorabilmente?”.

“Allora voglio essere io colui che lo ucciderà”.

Nella sala scese uno strano silenzio. Nessuno aveva idea di che cosa dire e gli sguardi erano rivolti verso Kanon ed Ares.

“Va bene” annuì Atena “Porta con te tua moglie Sarah, se non lo ritieni troppo pericoloso. È la gemella di Eleonore, vorrà pure lei salutare la sorella. Parti non appena sarai guarito dalle ferite inferte dagli Egizi. E noi..prepariamoci. Iside vuole risvegliarsi con la luna piena e quello sarà il momento in cui noi attaccheremo. Ares, restatene pure a letto se non hai voglia di combattere. Non voglio palle al piede nei miei eserciti e tu, se non vuoi fare la guerra, sei inutile”.

Ares, stranamente, non rispose.

“Che silenzio..” borbottò Tolomeo.

“Concordo” gli rispose Shiva, fissandolo incuriosito “Cambiando argomento..che cosa strana che sei diventato..”.

“Parla quello con la pelle blu..ed un fiume in testa!”.

“Hei, il mondo è bello perché è vario” ridacchiò l’Indiano e Maya rise a sua volta “Però ora basta perdere tempo in chiacchiere. Alla luna piena manca poco, prepariamoci a menare le mani!”.

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Capitolo 17
*** XVII- la vittoria dell'arciere ***


XVII

LA VITTORIA DELL’ARCIERE

 

“Ora questa armatura è perfetta, senza nemmeno un graffio” commentò Efesto e Phobos annuì.

“Pronta per la battaglia” fu la risposta del figlio di Ares.

“Sì, ma l’armatura di tuo padre non c’è. Dov’è andata a finire?”.

“Non ne ho idea. Quando gliel’ho chiesto, mi ha detto che l’ha persa”.

“Persa?! Come persa?! Ma che..”.

“Non so che cosa dirti. Questo è quel che mi ha detto”.

“Bah. Devo continuare ad ignorarlo, come ho sempre fatto!”.

“Ma zio, come potrebbe combattere senza armatura?”.

“A testate. È talmente cocciuto che ne ammazza molti di più così!”.

Phobos tentò di trattenere una risata a stento, immaginandosi suo padre combattere a testate.

“Mi spiace però..” ridacchiò “..mio padre è dei Pesci, non dell’Ariete!”.

“Lo so, lo so!”.

“Ad ogni modo..”.

“Principe!” gridò una delle guardie, piombando di corsa alla prima casa “Principe Phobos! La prigioniera! L’ostaggio! È fuggita!”.

“Nadijeshda?!”.

“Sissignore. Si sta allontanando dal Tempio, diretta verso lo Star Hill!”.

“Dannata! Me ne occupo io! E questa volta la incateno!”.

“Mobilito l’esercito, signore?”.

“Per una mocciosa volante? No, non è necessario. Era sotto la mia custodia, è compito mio riportarla qui!”.

La guardia chinò il capo, mentre Phobos lasciava la prima casa e risaliva in fretta tutte le altre. Lo Star Hill si trovava oltre il Tempio, e non era un luogo facilmente raggiungibile.

“Che pensa di fare quella femmina?” si chiese il Dio, saltando lungo le scale “Ha osato sfidare la misericordia del sottoscritto. La spiumerò del tutto!”.

 

Avvolto in un mantello, Arles guardò il Tempio. Gli sembrava fosse trascorsa un’eternità da quando lo aveva lasciato! Sapeva di dover raggiungere la tredicesima ma sapeva anche quali stradine nascoste percorrere, per non dover attraversare tutte le case. Così riuscì in fretta a risalire fino a quella che un tempo era la sua dimora. Anche se Atena aveva richiamato tutte le divinità, di certo Afrodite non era interessata  a partecipare a riunioni noiose e complicate. Girando per le stanze, riuscì finalmente  a scovare quella dove lei riposava. La Dea, come sempre poco vestita, stava stesa a letto. Il suo viso era coperto dal velo del baldacchino e Arles ne scorgeva solo le gambe scoperte, che si mossero.

“Ares..” mormorò lei “..chiudi la porta, fa corrente. Non vorrai mica che mi prenda il raffreddore?!”.

“Non sono Ares..”.

La Dea si tirò su, mettendosi a sedere e sbirciando da dietro la tendina.

“Ciao..” salutò, con il tipico tono di voce sensuale.

“Salve” rispose Arles, rimanendo sulla porta e chiudendola dietro di sé. Allo stesso tempo, abbassò la stoffa che gli copriva il volto.

“Che cosa cerchi?” sorrise lei.

“Avrei un favore da chiedervi, Afrodite”.

“Un favore? A me? Va bene. Ti ascolto”.

La Dea si rigirò, mettendosi seduta con le gambe a ciondoloni sul letto. Iniziò poi a pettinarsi, usando una spazzola che stava sul piccolo comò.

“Mi servirebbe un corpo” iniziò a spiegare Arles, stando attento a non alzare troppo la voce.

“Un corpo? Che genere di corpo?”.

“Eleonore. Mi servirebbe una copia esatta di Eleonore”.

“Ho vagamente sentito quel che sta accadendo. Lei muore e tu vuoi una bambola con cui giocare..porcellino..”.

“Voglio una..bambola..con ogni dettaglio. Una bambola in grado di vivere, se avesse un’anima”.

“Intendi perfetta esteriormente ed interiormente? Non è una cosa facile. Ma posso parlare con Gaia e farmi aiutare. Come mai una richiesta simile, se mi è permesso saperlo?”.

“Storia lunga..”.

“Piccino..non ti sarai mica messo a giocare con le anime, vero?”.

“E come potrei farlo? Io governo le illusioni, non la morte”.

“Ah, meno male. Per un attimo mi ero spaventata. Quando ti serve questo giocattolo?”.

“Per la luna piena”.

“Questa? Ma è fra pochi giorni!”.

“Lo so.  È urgente. E gradirei anche che prima vi dedicaste a questo e poi a spettegolarci sopra”.

“Prego?!”.

“So che vi è difficile mantenere un segreto, e non pretendo che sappiate mantenerlo. Però, visto che ho fretta, vorrei prima avere la mia bambola e poi sentirne parlare in giro dalle altre divinità”.

“Ho capito..sei impaziente. Sei come tuo padre”.

La Dea si alzò, stiracchiandosi. Era coperta solo da una sottile stoffa chiara e si avvicinò ad Arles.

“Io e te..” parlò “..non abbiamo mai avuto modo di conoscerci meglio, di fare una chiacchierata. Dico bene?”.

“Già..”.

“Sei come tuo padre. Diciamo che sei il suo..modello più giovane!”.

“Che strana descrizione..”.

“Poverino..” continuò lei, allungando le mani verso i capelli di Arles e giocandoci un po’ “Ho saputo quel che accade con Eleonore. Sono sempre triste quando qualcuno soffre per amore..”.

“Mi aiuterete? Posso contarci?”.

“Ma certo! Tu, piuttosto..rilassati un po’! Sembri un soldatino sull’attenti! Non ti mangio mica!”.

La Dea rise ed Arles alzò un sopracciglio, perplesso. Quella donna non l’aveva mai capita, probabilmente perché il suo aspetto mozzafiato impediva alle sinapsi di lavorare.

“Mettiti comodo” riprese lei “Un po’ di vino?”.

“No, grazie. Devo rientrare in fretta”.

“E perché? Fretta..sempre fretta! E come la mettiamo con il pagamento?”.

“Pagamento?”.

“Non vorrai mica che lavori gratis, spero!”.

“No, certo che no. Ma che potrei darvi in cambio?”.

“Non hai immaginazione? Io creo una bambola per te..tu che potresti mai fare per me?”.

“Se cercate una Barbie, quello è Shaka..”.

“Come sei divertente..” ghignò sarcastica “..se tu vuoi una bambola, allora tu sarai il mio bambolotto!”.

“In che senso?!”.

“Ma come?! Davvero non ci arrivi?! Sono la Dea dell’amore e del sesso, secondo te in che senso vuoi che lo intenda?!”.

“Come siete spiritosa” sorrise Arles “Sul serio..che volete in cambio?”.

“Non sto scherzando”.

“Siete l’amante di mio padre. Che fra l’altro sta nella stanza accanto..”.

“Io sono l’amante di tutto l’Olimpo, ragazzino! E amo l’idea di provare qualcosa di nuovo. Lo trovo eccitante. Tu no? Non mi trovi eccitante?”.

“Siete la Dea greca più bella. Certo che vi trovo eccitante. Ma siete comunque l’amante di mio padre e la madre di molti miei fratelli”.

“Come se questo fosse mai stato un problema per gli Dei..”.

“Non sarà un problema per gli Dei..ma per me sì!”.

“Sei divertente..”.

“Io? Ma..”.

Afrodite rise ancora. Sfiorò con le mani il petto di Arles e girò attorno all’uomo, osservandolo. Lui mosse distrattamente gli occhi, poi tornando immediatamente a rivolgerli altrove. Il fondoschiena di Afrodite, per quanto “datato”, era comunque un gran belvedere!

“Quanti anni hai?” chiese la Dea.

“Bella domanda..sono morto e rinato talmente tante volte..”.

“Povero caro..”.

Dopo aver completato il giro, Afrodite prese una coppa di vino e sorseggio con voluttà.

“Sicuro di non volere un goccio?” offrì di nuovo ad Arles, che scosse la testa.

La Dea scosse la testa, annoiata. Bevve ancora un goccio.

“Dioniso non si smentisce mai” sorrise soddisfatta “Ma tu, piuttosto..sei un uomo?”.

“Le sembro una donna?”.

“No, per niente. Hai le spalle di tuo padre e le sue grandi mani da guerriero. Quello sguardo..ricorda quello di Hera: fiero e profondo. I capelli, il petto..”.

“Vi prego. So come sono fatto. E mi trovo bello anche senza troppe lusinghe”.

“Ah, Narciso!”.

“Un pochino, in effetti. Voi non lo siete?”.

“Io sono la Dea più bella. Non mi sono conferita da sola questo titolo..”.

“Che voi siate bella, è innegabile”.

Con un ghigno divertito, Arles prese un sorso dalla coppa della Dea. Quello sì che era un vino con i fiocchi!

“Non dirmi che ti ubriachi” sfotté la Dea “Perché altrimenti so per certo che non sei un vero uomo”.

“Ci vuole ben altro, splendore. Ma è vero che siete nata dal mare?”.

“Sì, è vero. E tu? Semidio nato normalmente?”.

“Da quel che ne so, sì. Non mi è mai stato narrato qualcosa di diverso..”.

“Nato come un comune mortale, vissuto come un cavaliere..forse hai ragione. Non sei all’altezza”.

“Non sono all’altezza?!”.

“Sì, non sei abbastanza per me. Ho soddisfatto tutto l’Olimpo, non è facile essere all’altezza. Comprendo la tua titubanza”.

“Che state blaterando?!”.

“Tranquillo..” sussurrò Afrodite, avvicinandosi ancora di più ad Arles “..non lo dirò in giro”.

Il figlio di Ares l’afferrò e la fissò, con gli occhi che di colpo di tinsero di rosso.

“Che mai dovreste dire, Afrodite?” scandì, infastidito.

Lei sorrise, si agitò fingendo di voler essere rilasciata.

“Vuoi giocare, donzella?” ghignò lui “O forse sei troppo vecchia per uno come me?”.

Afrodite, di tutta risposta, tolse quel poco che la copriva.

“Ti sembra che queste siano le tette di una troppo vecchia?”  commentò lei “Fammi vedere come sei messo tu, piuttosto, poppante!”.

Arles, che di orgoglio ne aveva a fiumi, non poteva di certo tirarsi indietro. E poi..lo faceva per Eleonore! Afrodite rise ancora. Sollevò leggermente uno dei propri piedini e allungò di nuovo le mani.

“Ti spoglio io” sussurrò,  divertita “Mettiti comodo! Ora ti faccio vedere come si scopa per davvero!”.

 

Phobos vedeva chiaramente Nadijeshda sospesa in aria. Maledetta! Sapeva volare e pareva prenderlo in giro, sorridendo.

“Torna qui, dannata!” gridò il figlio di Ares “Avevamo un patto! Mi sono fidato! Lascia che ti prenda e ti incatenerò al muro, stronza!”.

“Prima mi devi prendere!” rispose lei, volando più in alto.

“Bastarda..” borbottò Phobos.

Saltò da una roccia ad un’altra, con il dirupo alle spalle della dimora di Atena che si apriva sotto i suoi piedi.

Deimos aveva visto il fratello sfrecciare lungo le scale e lo raggiunse allarmato. Lo chiamò, vedendolo in bilico fra le rocce.

“Lascia fare a me!” gridò Phobos “Va via! È una questione personale!”.

“Fratello, rischi di finire di sotto! Non sai volare! Piantala di fare l’idiota e torna qui, la riprendo io quella femmina”.

“Fatti i cazzi tuoi!”.

Deimos si stupì nel sentire il fratello così alterato e quindi lo lasciò fare. Fermò anche le guardie, che erano accorse. Era una questione d’orgoglio e sapeva che Phobos non avrebbe mai perdonato un eventuale intervento.

“Torna qui!” continuò l’inseguimento Phobos, sempre fra una roccia ed un’altra.

“Vienimi a prendere” incitò ancora lei, allungando una mano verso di lui.

“Te lo sogni, bella!” ridacchiò Deimos, a bassa voce.

Phobos rimase immobile, guardando verso l’alto. Lei fluttuava ed una di quelle piume sfiorò il volto del primogenito di Ares. Questi chiuse gli occhi.

“Fratello?” piegò la testa Deimos, a braccia incrociate.

Nadijeshda mosse leggermente le ali e si allontanò di qualche metro.

“Aspetta!” chiamò Phobos “Tu non..”.

Era indeciso, sotto di sé aveva il nulla, tirava vento e quella donna lo stava prendendo chiaramente per il culo. Inoltre, suo fratello e le guardie lo stavano fissando. Il tempo pareva essersi fermato, c’era un insolito silenzio. Poi Phobos lanciò un grido e saltò.

“Fratello!” esclamò Deimos, allarmato.

Phobos rimase sospeso qualche istante nel nulla poi l’armatura si mosse e sbatté le ali, sollevando il suo proprietario. Volava! Stava volando! In un istante, raggiunse Nadijeshda, che indietreggiò ancora. Ora fluttuava proprio sopra lo Star Hill. Phobos allungò una mano, quasi sfiorò la prigioniera.

“Va via” le mormorò.

“Come?!” si stupì .

“Hai rispettato il tuo patto. Sto volando! Perciò sei libera! Vattene!”.

L’alata rimase immobile, con gli occhi leggermente lucidi.

“Phobos..”.

Il Dio guardò giù. Non si trovava troppo in alto, con lo Star Hill sotto i piedi. Piuttosto goffamente, stava perdendo quota. Una raffica di vento improvviso spostò l’ala dell’armatura e finì di sotto. Con uno strano verso, Phobos cadde e perse i sensi.

Quando riaprì gli occhi, il gemello lo fissava preoccupato.

“Stai bene, Phobos?” chiese Deimos.

“Sì..io..”.

“Alla fine sei riuscito a catturarla! Bravo!”.

“Ma di che parli?”.

“Di quella femmina! L’hai ferita ed è caduta anche lei. E ora puniscila come meglio ti aggrada!”.

Nadijeshda era lì, sorvegliata e con le spalle contro il muro.

“Sparite!” ordinò Phobos “La prigioniera è sotto la mia custodia, non mi serve il vostro aiuto!”.

“Come vuoi!” sorrise Deimos “Vado ad avvisare papà. Hai volato! Te ne rendi conto?! Hai volato! Dobbiamo festeggiare!”.

Ridendo, il gemello uscì e così fecero le guardie. Phobos si scosse, rialzandosi. Era di nuovo al Tempio.

“Che cosa fai?” chiese all’alata “Ti ho detto che puoi andartene. Sei libera. Sei ferita gravemente?”.

“Non sono ferita”.

“E allora cosa ci fai qui? Vattene!”.

“No..” rispose lei “..ho ancora una cosa da fare”.

“E sarebbe?”.

“Insegnarti ad atterrare!”.

“Che..?”.

“Sei atterrato di faccia. Sei un imbranato”.

Lei scoppiò a ridere e lui si unì a quella risata.

“Perché sto ridendo?” chiese Phobos.

“Non lo so” rispose lei.

“Comunque puoi andartene” riprese lui, di colpo di nuovo serio “Io rispetto i patti”.

Fissò negli occhi l’alata, che sostenne il suo sguardo ed annuì.

“Mi hai capito, donna? Perché resti qui?!”.

“Me ne andrò quando vorrò. Smettila di agitarti per niente”.

Con un inchino, Nadijeshda lasciò la stanza e Phobos rimase lì, alquanto perplesso.

 

Lo sconosciuto nel corpo di Arles era di buon umore. Disfarsi dei cadaveri era sempre stata una cosa che lo divertiva. Camminava lungo il corridoio del palazzo egizio, ignorando ogni sguardo.

“Ary!” chiamò una voce femminile.

Ignorò anche quella voce, che però si fece insistente. Poi si sentì strattonare e, voltandosi, si ritrovò faccia a faccia con Eleonore.

“Sei sordo?” rise lei.

“Sono..sovrappensiero” rispose lo sconosciuto.

“Iside mi ha concesso un po’ di tempo..”.

L’uomo la osservò. Era dunque quella la famosa Eleonore, per cui Arles stava smuovendo l’intero cosmo! Era carina, lo doveva ammettere. Ed il suo sguardo trasmetteva un calore dolce, molto piacevole.

“Beh?” sorrise lei “Non mi dici niente?”.

“Io..ecco..la luna piena è vicina”.

“Lo so..non essere triste. Sei un semidio, la tua vita sarà ancora lunga. Ti prego, promettimi che non la trascorrerai a rimpiangermi”.

“La trascorrerò con te. Ho trovato una soluzione”.

“Davvero?”.

“Sì, non ti fidi?”.

“Mi fido ma..non è qualcosa che ti metterà in pericolo, vero? Non è qualcosa che ti farà del male? Arles..non potrei mai vivere se per farlo so di necessitare il tuo sacrificio”.

“Stai tranquilla”.

“Sei strano. Ti senti bene?”.

“Sì. Sto pensando a tante altre cose, scusa..ma ho trovato la soluzione. Ti salverò. Starai bene”.

“E tu?”.

“Io che cosa..”.

“Tu starai bene?”.

“Certo..”.

Eleonore sorrise, sollevata.

“Ary..” esclamò, felice “..ti amo da morire”.

“Non mi pare il caso di inserire la morte in questa conversazione..”.

“Stupido! Dai, non me lo dai un bacio? Prima che Iside torni”.

“Hem..un bacio..ma Iside..”.

“Iside non c’è per adesso. Approfittane”.

Lei fece l’occhiolino e si avvicinò, poggiandosi contro colui che credeva Arles. Lo sconosciuto non sapeva bene come comportarsi però doveva sembrare il più naturale possibile. Non poteva correre il rischio di venire scoperto! Così strinse a sé Eleonore, abbracciandola.

“Ti ho mentito, Arles” mormorò lei “Ti ho mentito. Io non voglio morire. So di aver detto che non importa, perché sono già morta una volta, ma non è così. Io voglio vivere, voglio ancora poter sorridere, ballare, cantare. E sentire il profumo dei fiori, il rumore del mare, il calore di un bacio. Sono felice che tu ora sia accanto a me”.

“Vivrai. Vedrai che..vivrai ancora!”.

“Promettimi che sarai felice. Qualsiasi cosa accada. Se vivrò e tornerò da Hades, sarai felice. Se morirò, sarai felice”.

“E se restassi accanto a me?”.

“Allora lo vedrò di persona se sarai felice”.

Sollevando lievemente la testa, lei sfiorò le labbra dell’uomo. Lo sconosciuto, sapendo che Iside avrebbe potuto sospettare, sorrise leggermente e rispose a quel bacio. Era quello dunque l’amore di cui tanto sentiva parlare? Che bella sensazione. Quel calore dolce, lo stesso che Eleonore avevo nello sguardo, era bellissimo..

 

“Sono molto stupita dal comportamento di alcuni di noi..” ammise Atena.

“Forse non si rendono conto della gravità della situazione” commentò Aiolia “Noi abbiamo visto quell’esercito, con i nostri occhi!”.

“Sì, ed era immenso” annuì Milo.

“Ma che c’entra?” storse il naso Deathmask “Non ci stanno attaccando, perché dovremmo agire prima? Tanto per fare fatica?”.

“Lo sappiamo che sei pigro” lo interruppe Aiolos.

“Sono pigro, è vero. Ma questo non ha nulla a che vedere con l’esercito”.

“E allora che dovremmo fare, secondo te?” chiese Shura.

“Mi puzza che Ares non voglia avere a che fare con questa faccenda..” mormorò Shaka “..lui dovrebbe essere il primo ad agire. E invece..”.

“Non pensate a questo” interruppe Atena “Il comportamento di Ares non mi è chiaro, per niente. Del resto, con Afrodite nei paraggi, quel Dio ha sempre altro da fare. Perciò..”.

“Noi siamo pronti” annuì Milo “Se ordinerete di attaccare, noi vi seguiremo”.

“Alla luna piena, quando saranno tutti distratti da quel rituale..”.

 

“Madre?” chiamò gentilmente Phobos.

Dopo aver trascorso del tempo da solo, tentando invano di riordinarsi le idee, aveva deciso che la cosa migliore da fare era parlare con l’unica donna con cui era mai stato in grado di confidarsi: sua madre. Entrò in stanza e la trovò sul letto, addormentata. La chiamò di nuovo e lei si svegliò, sorridendo.

“Piccolo mio” lo salutò “Vieni qui accanto a me”.

Phobos obbedì e raggiunse la madre. Non sedette sul letto e la guardò.

“Ho saputo che oggi è successa una cosa speciale” parlò la Dea, alzandosi ed avvicinandosi al Dio “Hai volato! Tesoro, sono fiera di te”.

“Madre, potreste evitare tutti questi epiteti teneri?!”.

“Oh, cucciolo, non fare lo scorbutico!”.

Afrodite iniziò a sistemare i capelli e le vesti del figlio, che protestò senza successo.

“Cosa ti porta qui, bambino mio?”.

“Madre io..sono un po’ preoccupato”.

“Per che cosa? Siediti..”.

Obbediente, Phobos sedette su un piccolo sgabello, di fronte al letto della madre, su cui si accomodò lei.

“I miei poteri. Sono preoccupato”.

“Qualcosa non va?”.

“Non funzionano. Quella donna..poteva andarsene e invece è rimasta! Non sono riuscito ad usare il mio dono su di lei”.

“Forse..” ghignò lei “..il tuo potere non funziona solo con lei. Ci hai pensato?”.

“Con lei? E chi è? Una strega? Un Demonio?”.

“Ma che dici? Sciocchino!”.

“Mamma, non c’è niente da ridere! Lei era libera ma è tornata indietro. Una persona normale non ha senso faccia una cosa de genere! Specie dopo avermi guardato negli occhi. Io dovrei terrorizzare la gente con lo sguardo, non farla tornare!”.

“Ed il fatto che questa fanciulla sia tornata, ti fa tanto preoccupare?”.

“Se nemmeno una femmina inadatta alla guerra prova terrore nell’incrociare il mio sguardo, direi che ho validi motivi per preoccuparmi, no?”.

“E non pensi che potrebbe esserci un’altra ragione?”.

“Madre, vi prego! Basta con i giochini, non sono in vena! Se sapete qualcosa, ditemelo e smettiamola con questo inutile cianciare!”.

Afrodite rise divertita. Phobos, per nulla contento di questo, si alzò. Scocciato, fece per andarsene. Poi si fermò, sospirando.

“Perché vi prendete gioco di me?” domandò “Lo trovate divertente? Io non mi diverto! Non voglio essere un mortale senza potere”.

“Ma non lo sei e non lo sarai! Sei solo paranoico”.

“Paranoico?”.

“Sì. Come tuo fratello. È stato qui, sai?”.

“Specificate quale dei fratelli, madre. Ne ho parecchi..”.

“Quello mezzo matto. Arles?”.

“Arles è in Egitto. Vi riferite a Kanon?”.

“No, Arles. Arles è stato qui”.

“Arles? Ma..”.

“Gli serviva un favore. Ma non posso svelarti altro. Poi è tornato di corsa in Egitto”.

“Ma perché ci è tornato?”.

“Dalla sua amata. Sta cercando di salvarla, vuole starle vicino”.

“Ma lo sappiamo tutti che non ci riuscirà..”.

“Sei pessimista! Devi sperare! Almeno lui combatte, non se ne sta lì come un’ameba come fai te!”.

“Che c’entro io?!”.

“Oh, ragazzo mio, sei divertente”.

“Non è vero! Che state dicendo?!”.

“Ah, quell’Arles! Ha il fuoco dentro! Un fuoco che forse è tempo che accenda anche tu”.

“Mamma, ti prego! Non farmi pensare a te ed il mio fratellastro che copulate, che schifo!”.

“Ho copulato con tutto l’Olimpo, bambino mio!”.

“Sì ma..ah, lascia stare!”.

“Vieni qui, Phobos”.

Afrodite si alzò, affacciandosi alla finestra, facendo segno al figlio di raggiungerla. Da lì, si poteva vedere Nadijeshda al piano inferiore.

“Che cosa vedi?” domandò la Dea.

“Una femmina pennuta con indosso uno dei tuoi abiti, mamma. Come mai?”.

“Un mio regalo. Per averti insegnato a volare. Le ho anche fatto l’acconciatura. Ma non soffermarti su quello. Dimmi che cosa vedi”.

“Che dovrei vedere?”.

“Dimmelo tu”.

“Non lo so. Vedo una donna..che cammina..”.

“Una donna. Una donna..come?”.

“Madre, che volete da me? Non capisco..”.

“Non la trovi bella?”.

“Bella? Che domanda è? L’avete vestita, pettinata..è ovvio che è splendida!”.

“E prima non lo era? Prima ti faceva schifo?”.

“No. Anche prima lei era..”.

“Sì?”.

“..era bellissima. Non ci avevo mai pensato. È una prigioniera..”.

“Figlio mio..il tuo potere non sta scemando. Semplicemente contro di lei non riesci ad usarlo. E non perché lei sia un demone o altro. Ti piace..ecco perché! Lei ti piace e non riesci a farle del male”.

“Lei mi piace? Ma..mai prima d’ora io..”.

“Il mio piccino sta crescendo” sorrise Afrodite, appoggiandosi contro la schiena del figlio “E percepisco in te quel fuoco. È ancora una piccola fiamma ma c’è. Che meravigliosa sensazione!”.

“E che dovrei fare?”.

“Và da lei, tanto per cominciare. Il fatto che lei sia tornata, mi pare un buon segno”.

“Potrebbe essere una trappola”.

“Ma che dici?! Dai, muoviti! Fuori di qui e raggiungila!”.

“Ma..io non so che..”.

“Muoviti!”

La Dea rise, spingendo il figlio. Gli diede un’ultima occhiata, sistemandogli di nuovo capelli e vestiti, e poi gli sbatté la porta in faccia, sempre ridendo.

 

“Sei tornato! Era ora! Dove sei stato?!” esclamò lo sconosciuto, raggiunto da Arles.

“Ho avuto un contrattempo. Ma comunque Afrodite mi aiuterà ed avrò quel corpo”.

“Perfetto”.

“Dov’è Pharaon?”.

“Non lo so”.

Arles dissolse l’illusione e guardò lo sconosciuto. Sapeva che stava mentendo, ma preferì non indagare. Era troppo stanco per discutere. Si incamminò verso la sua stanza, seguito dal forestiero ignoto. Una volta entrato, si buttò sul letto e girò lo sguardo verso quell’uomo enigmatico.

“Perché mi segui?”.

“Non abbiamo molto tempo. Meglio che ti spieghi quel che dovrai fare durante il rituale, per permettermi di trasferire l’anima di Eleonore”.

“Ti ascolto”.

“Ne sei sicuro? Che ti è successo? Hai dovuto combattere?”.

“Non proprio..”.

“Spiegati meglio”.

“Afrodite ha voluto un pagamento anticipato”.

“E che mai ti ha fatto? Sembra ti abbia risucchiato l’energia vitale!”.

“Beh..quasi..”.

Arles ghignò, fissando il soffitto.

“Avete fatto..?”.

“È stata la scopata più stremante della mia vita. Comprendo perché tutto l’Olimpo se la voglia portare a letto”.

“Ti sei divertito, eh? Ed io qui ad aspettarti”.

“Ma guarda che l’ho fatto perché altrimenti non avrebbe mai realizzato il corpo per l’anima di Eleonore!”.

“Eh sì, ed immagino che sia stato un immenso sacrificio..” sghignazzò lo sconosciuto, sarcastico.

“Oh, sì. Immenso, puoi dirlo. Cazzo, non ho mai goduto così tanto in vita mia. Ed anche lei ha gradito. Mi sento ancora le sue grosse tette fra le dita! E quel culo..”.

“Che signore..”.

“Che vuoi? Sono un Dio, e tutti gli Dei si scopano Afrodite!”.

“Non dico nulla io. Ma Eleonore..”.

“Io amo Eleonore. Il sesso e l’amore sono due cose diverse. Afrodite preferirà sempre Ares a chiunque altro, perché lo ama. Stessa cosa vale per me ed Eleonore”.

“Anche se le scopate non saranno allo stesso livello?”.

“Sì. Lei mi manca..”.

“È molto bella..”.

“L’hai incontrata?”.

“Sì. Io e lei abbiamo avuto un incontro ravvicinato”.

Ares sollevò il busto di botto, accigliandosi.

“Non in quel senso!” si affrettò a dire lo sconosciuto “Anche se non dovresti parlare proprio tu, scopa-milf! Mi ha solo dato un bacio. Ho tentato di resistere ma poi ho pensato che facesse saltare la copertura”.

“Hai fatto bene. Anche se un po’ mi irrita..”.

“Gelosone romanticone, che carino”.

“Sfotti?”.

“No”.

Lo sconosciuto addentò una mela e ne porse una ad Arles, che però scosse la testa, ributtandosi sul cuscino.

“Ti ha spompato quella femmina, eh? Un giorno vorrei provarla anch’io”.

“Se vuoi te la presento..”.

“Magari! Sarebbe uno splendido pagamento per i miei servigi”.

“Affare fatto allora”.

I due si fissarono ed iniziarono a ridere.

“Prima che tu riprenda a spiegarmi quel che devo fare al rituale..” parlò Arles “..posso sapere almeno il tuo nome?”.

“Io ho tanti nomi, ragazzo”.

“A me sembri più giovane di me!”.

“Perché tu non mostri il tuo vero aspetto divino, per ora. E poi io adoro mantenermi giovane. In realtà..sono piuttosto datato”.

“Ma il nome?”.

“È così importante?”.

“Abbastanza, direi. Tu sembri sapere vita, morte e miracoli del sottoscritto mentre io di te non so un cazzo. Solo che hai una sorella”.

“Ah, la mia splendida sorella! Penso sia la donna più bella che abbia mai conosciuto”.

“Sei innamorato di tua sorella?”.

“Sull’Olimpo non succede continuamente? Ad ogni modo sì, lo sono. E non immagini quanto sia stato geloso quando lei ha conosciuto un uomo. Ero follemente geloso ed ho odiato con ferocia quell’individuo ed i marmocchi che ha generato”.

“Poveri i tuoi nipoti! E povera tua sorella!”.

“Li ho odiati. Per anni e anni. Ma poi..”.

“Poi?”.

“Sai, io non ho figli. Non ho una discendenza. O almeno così mi risulta. Forse qualche moccioso sparso qua e là ma di nessuno posso dire che mi assomigli. Nei figli di mia sorella invece vedo qualcosa di mio, vedo comunque del sangue di famiglia”.

“Forse perché assomigliano a lei. Se tu sei innamorato di lei, la rivedi nei figli”.

“Può darsi..”.

“Ha le ali come te?”.

“Vedi le mie ali?”.

“Certo. Te l’ho detto. Io vedo oltre la tua illusione”.

“Sì, ha le ali. Ma non sono nere come le mie”.

“Ti somiglia?”.

“Lei ha gli occhi come il cielo ed i capelli come il mare. Quando canta, le stelle brillano più intensamente. La sua veste candida le avvolge il corpo in modo perfetto e potrei perdermi nel suo sguardo per ore. In un certo senso, quello di Eleonore è simile. Deve essere simbolo di una donna davvero speciale”.

“Immagino di sì..”.

“Spesso mi sono pentito di averla lasciata sola, quella notte, in riva al mare. Se io non avessi deciso di andarmene a cazzeggiare in barca, facendola preoccupare, lei non avrebbe mai incontrato quel tizio con cui ha fatto dei figli. Ma poi, ho capito che ho fatto la cosa giusta. Anche se mi ci sono voluti parecchi anni!”.

“In tutto questo, però, non mi hai ancora detto il tuo nome”.

“Non ha importanza. E poi, nemmeno tu mi hai detto il tuo”.

“Lo sapevi già!”.

“No, non è vero. Il Tuo nome divino, io non lo so”.

“Non lo so nemmeno io. Io sono un Dio nuovo, non ho un nome divino com’era Atena per Saori. Immagino sia sempre Arles. Aristotles. O Saga. Quel che è..”.

“Anche tu hai molti nomi”.

“Già..magari siamo fratelli. Mio padre si è scopato l’universo..”.

“Interessante teoria. Ma non credo”.

“Somigli a mio padre. Sei sicuro?”.

“Tu dici?”.

“Capelli neri, occhi rossi, ghigno strano..”.

“Chi lo sa. Mi informerò. Forse Dio aveva uno stampino e lo ha usato..”.

“Dio?  Di quale Dio parli? Ce ne sono tanti”.

“Io sono un angelo, più o meno. Posso chiamare Dio un’entità soltanto. Oltre a me stessa, ovviamente”.

“Parli del monoteista?”.

“Hai preso del tutto la stupidità di tuo padre, sai?”.

“Eh dai, non sfottermi. Io non ci capisco un granché di monoteismo. E poi sono stanco”.

“Scopa-milf!”.

 “E basta! Ad ogni modo..comincio a capire chi sia tu. Per caso tua sorella..”.

“Sì, è la donna che ti ha detto di venire qui in Egitto”.

“E come mai tutto questo interesse nei miei confronti?”.

“Per quel che mi riguarda, ti ho già elencato ciò che ci accomuna. Non posso abbandonare uno spirito affine. Voglio vedere fino a che punto puoi risplendere”.

“Io sono già precipitato, sono già caduto, figlio dell’aurora”.

“Oh, da quanto tempo non venivo chiamato così. Ma non credo tu sia caduto. O meglio..sì, lo sei. Ma ti sei rialzato. Ora sei un Dio, con grandi cose davanti a sé”.

“Non saprei..”.

“Niente piagnistei! Io non piagnucolo, qualsiasi cosa mi accada”.

“E ci mancherebbe altro, Lucifero!”.

“Non pronunciare il mio nome con disprezzo. E poi, ad ogni modo, nemmeno tu dovresti piangerti addosso. Arles! Ho visto quel che puoi fare! Sbattitene di quanti hai calpestato per giungere dove sei! Pensa a quanti hanno calpestato te! Pensa a quante volte sei morto per difendere una Dea che nemmeno ti ha mai ringraziato. Pensa a quanti sacrifici hai dovuto fare fin dall’infanzia! Io pretendo di vedere la tua luce! Hai fatto sufficiente ammenda per le quattro cazzate che hai fatto da Gran Sacerdote. Andiamo! Tutti commettono degli errori, se errori si possono definire. Se quei cavalieri di bronzo avessero perso, ora tu saresti un grande eroe”.

“Ma tu sei peggio di uno stalker!”.

“Sì, è vero. Ad ogni modo, ora che sai chi sono, non mi aspetto che tu voglia seguirmi e fidarti di me”.

“E perché no? Tu non hai nulla a che fare con la mia religione, se religione la si può definire. Per quel che mi riguarda, sei solo un figlio che si è ribellato al padre. Che è quasi la stessa cosa che feci io con Shion, in un certo senso. Anzi, direi che è proprio la stessa identica cosa!”.

“Angelo sul viso, demone nel cuore..”.

“Esatto, vedo che ci siamo capiti. Non mi interessa chi tu sia e che cosa tu abbia fatto. Se mi aiuterai con Eleonore, io ti considererò un amico. In caso contrario, solo un altro nemico in più. Non mi spaventa affrontarti”.

“Non ho alcuna intenzione di essere tuo nemico. Anzi. Saresti un prezioso alleato”.

“Contro chi?”.

“Contro nessuno. Alla fine, la mia è una religione morta come la tua. È più che altro un gioco. Ma avere vicino una persona che ti comprende e non ti giudica uno psicopatico malvagio è bello, no?”.

“Già. Hai ragione”.

Arles rise e l’angelo nero fece lo stesso.

“Parlami del rituale” riprese poi il figlio di Ares “Se mi addormento, scusami”.

“Sei perdonato..”.

Ed entrambi si scambiarono un ghigno d’intesa.

 

“Hei” chiamò Phobos, rivolto all’alata.

“Sì?”.

“Posso parlarti un attimo?”.

“Certamente. Che cosa c’è? Immagino tu sia incazzato perché sono fuggita..”.

“Lo hai fatto per farmi volare, dico bene? Altrimenti non avrebbe senso”.

“È così”.

“Bene..”.

“Ti sei sbucciato il naso” rise lei “Che imbranato, cadere così! D’istinto si mettono le mani in avanti ma tu no, in piena faccia!”.

“Chiedo scusa, vostra signoria!”.

“Dai, non ti offendere! Vuoi un bacino sulla bua, così guarisci prima?”.

Phobos la fissò, alquanto perplesso.

“Che dovevi dirmi? Ti ascolto”.

“Sto cercando di capire. Il nostro patto era chiaro, ma tu sei tornata. Perché?”.

“Mi pare di avertelo già detto, no? Per insegnarti ad atterrare”.

“Non rientrava nei programmi..”.

“Ce l’ho aggiunto io. Crediti extra. Ma se vuoi così tanto che me ne vada, lo faccio”.

“No, io..non voglio che tu vada via!”.

“Oh..e perché?”.

“Perché sei la mia prigioniera. Se ti lasciassi fuggire così, mi prenderebbero tutti in giro”.

“Tanto ti prendono tutti in giro perché sei caduto con il naso”.

“Ah, grazie..”.

“Siete una bella famiglia. Dov’è il famoso Zeus? Non si fa vedere?”.

“Zeus è morto. Mio nonno è stato ucciso. Ma credo sia già rinato nel moccioso di Atena..”.

“Ah ma quindi tu lo hai visto!”.

“Io ho visto tutti gli Dei Greci. Nel corso della mia vita, un po’ alla volta, li ho visti e conosciuti tutti. Più o meno approfonditamente, ma tutti quanti. Perché lo chiedi?”.

“Io non ho mai visto Dio”.

“E come fai a sapere che esiste?”.

“Non sai che significa avere fede?”.

“Non proprio..”.

“Quindi, se qualcosa non va, chi preghi? O chi ringrazi, quando ti capita qualcosa di bello?”.

“Abbiamo un Dio per ogni cosa. Me la prendo con lui direttamente”.

“Bel sistema..”.

“Già..è comodo! Saluta mio fratello..ci sta spiando”.

Deimos finse indifferenza e fece qualche passo, allontanandosi di poco.

“Tuo fratello era terrorizzato quando ha visto che ti buttavi” sorrise lei.

“Cosa che dovresti essere anche tu, in mia presenza. Ma il mio potere perde colpi” sospirò Phobos.

“La prima volta che ti ho visto lo ero..”.

“Davvero?”.

“Sì. Ero spaventata a morte. Tremavo dentro di me. Però mi sono fatta forza, perché volevo sapere dove fosse mia madre”.

“E ti facevo paura?”.

“Tantissima”.

“E poi..poi cosa è cambiato?”.

“Non saprei dirtelo con certezza. Ho scorto qualcosa in te che mi ha fatto tranquillizzare”.

“Ah sì? Che cosa?”.

“Non lo so. Di certo il tuo sguardo si è fatto meno minaccioso. Come mai?”.

“Io..che domanda difficile che mi fai”.

“A tutto c’è una risposta..”.

“Beh sì, immagino di sì. Però io..”.

“Sei strano a volte. Fai tanto il pomposo arrogante ma poi non hai tutte le risposte come sembra”.

“Non ho mai detto di avere tutte le risposte. Sono il figlio di Ares ed Afrodite..non sono di certo famoso per la mia spiccata intelligenza!”.

“In compenso sei famoso per altro..”.

“Sì, lo so”.

“Vedo la somiglianza con tua madre”.

“Questa è una cazzata. Io assomiglio a papà, non a lei. Riccioli d’oro Eros assomiglia a mamma”.

“Ma anche tu. Quel naso, per esempio. E gli occhi. Hanno una forma diversa da quelli di tuo padre. Poi altre piccole cose. Ad ogni modo, nell’insieme, sei venuto fuori abbastanza bene”.

“Abbastanza bene? Dovrebbe essere un velato complimento?”.

“Sì..velato..”.

“In questo caso, anche tu nell’insieme sei uscita abbastanza bene. E l’abito di mia madre accentua questa cosa”.

“È per caso un modo nascosto per dire che questo vestito mi sta bene?”.

“Sì..nascosto..”.

“Grazie. Sei gentile”.

“Prego”.

“Se dovevi dirmi solo questo, ora posso andare. Sono un po’ affamata. Con permesso..”.

Phobos la osservò qualche istante, vedendola allontanare.  Rimase in silenzio qualche istante e poi si mosse pure lui.

“Aspetta” le disse, allungano una mano, senza toccarla.

“Sì?”.

“Io..ho mentito. Non sei uscita abbastanza bene..”.

“Prego..?”.

“Sei bellissima”.

L’alata arrossì, voltandosi per nasconderlo.

“Sì..beh..” riuscì poi a commentare “..anch’io dovrei togliere l’abbastanza di prima”.

Il silenzio che seguì fu abbastanza imbarazzante. Nadijeshda non si voltava. Dava le spalle al figlio di Ares, che non sopportava proprio i silenzi imbarazzanti. Non sapeva bene che cosa fare e quindi agì un po’ a caso. Le si avvicinò di colpo e le diede un bacio, il primo che avesse mai dato provando dei sentimenti. Poi rimasero a fissarsi, uno accanto all’altro.

“Io..” mormorò lei, arrossendo “..non sono mai stata così vicino ad un uomo prima d’ora”.

“Se vuoi me ne vado..”.

“Sei proprio stupido” scosse la testa l’alata “Però..ti prego..non combattere!”.

“Che..”.

“Non combattere contro gli Egizi. Mia madre ha detto che non si deve lottare contro di loro ed io mi fido. Per favore, non andare in guerra”.

“Nemmeno mio padre vuole prendere parte a quel conflitto”.

“Allora non lo farai? Resterai qui?”.

“Vedremo come si evolveranno le cose. Per ora..preferisco stare qui”.

Nadijeshda sorrise e, sollevando una gamba, pretese un altro bacio.

 

“Che stai guardando?” domandò Eros, raggiungendo Deimos.

“Uno spettacolo che mi disgusta” rispose il fratello, con una smorfia.

Eros ghignò, divertito.

“Che hai da ridere, nanerottolo?”.

“Niente. Solo che..ho vinto, fratellone. Paga!”.

“Insopportabile tirafrecce piumato..”.

“Ma su, non essere geloso..”.

“Non sono geloso! Guarda come hai ridotto mio fratello! Mi vien da vomitare!”.

“E non stare qui! Razza di guardone impiccione..”.

“Ma fatti gli affari tuoi!”.

“Pagami! Ho vinto! PAGAMI!”.

Eros gridò, allungando tutte le vocali nelle parole che pronunciava. Deimos ruotò gli occhi verso il cielo e allungò un mucchietto di monete verso il fratello minore. Poi si allontanò scocciato. Passò rapido davanti ai suoi genitori, che passeggiavano per il colonnato.

“Che ti prende?” chiese Afrodite.

“Niente, madre. È che questa famiglia sta diventando tutta cuoricini e scemenze”.

“Ti riferisci a Phobos e quell’alata?”.

“Schifo..” rabbrividì Deimos, ricominciando il suo cammino in fretta.

“Phobos e l’alata?” ripeté Ares.

“Sì, mio caro. Come sono fiera del mio bambino! Vola ed ama, è diventato grande”.

“Ma..l’alata è di un’altra religione. Sai bene che certe unioni sono proibite. I loro eventuali figli verrebbero uccisi..”.

“Si sono appena conosciuti e già pensi ai figli! Che esagerato..”.

“Metto le mani in avanti. Visti i precedenti in famiglia..”.

“Dammi un bacio e rilassati, Ares”.

 

E ci avviciniamo al casino finale. Ah, per chi se lo è chiesto, Ares è nato il 19 marzo. Questa data l’ho trovata scovando dei rituali compiuti in suo onore e proprio in quella data vi era il culmine delle celebrazioni e si benedicevano gli scudi per andare in guerra.

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Capitolo 18
*** XVIII- guerra ***


XVIII

 

GUERRA

 

 

“Signor Minos!” si udì una voce, che interruppe la conversazione fra i tre giudici degli inferi ed il loro re Hades.

Il giudice che udiva il suo nome a gran voce si spazientì. Non sopportava quando i suoi sottoposti osavano mancare di rispetto! Lo Specter di rango inferiore si gettò in ginocchio, implorando pietà.

“Signor Minos! Perdonatemi. So che non mi è concesso entrare in questa sala e so che non dovrei mai osare interrompere ma..è un’emergenza!”.

“Prega sia qualcosa di davvero grave” ringhiò Radamante “O il sommo Hades ti punirà, verme”.

“Si tratta di Pharaon. Lo Specter inviato in Egitto come supporto” spiegò il sottoposto, sempre prostrato in terra.

“Che è successo? Parla!” sbottò Minos.

“È morto, signore. Ho visto il figlio di Ares disfarsi del cadavere”.

“Come?! Fallo venire qui, voglio parlarci e sapere cosa è successo”.

“Purtroppo la sua essenza non è ancora rientrata agli inferi..”.

“Ma..non è possibile! Pharaon, una volta morto, doveva tornare qui! Per volere di Hades ha potuto aggirarsi in superficie!”.

“Non abbiamo trovato la sua anima”.

“Il figlio di Ares?” si alzò Hades “Intendi Arles?”.

“Sì..” balbettò il sottoposto, rannicchiandosi ancora di più.

“Quel pezzo di merda ha osato uccidere Pharaon dopo che io, Hades, con infinita benevolenza ho concesso allo Specter di aiutarlo?”.

“Lasciate che ci pensi io” si propose Minos “Pharaon era fra le mie schiere..”.

“Arles, ingrato! Hai forse scoperto qualche cosa riguardo ed Eleonore ed hai ucciso Pharaon per impedire che me lo riferisse?”.

“Pensate abbia agito per tenersi la femmina?” azzardò Radamante.

“Non trovo altre spiegazioni..”.

“Un attimo!” interruppe Persefone “Hades! Non hai prove di questo! È stato visto che si liberava del cadavere ma non è detto che lo abbia ucciso lui. Forse gli Egizi lo hanno costretto ad agire contro la sua volontà”.

“Donna, a volte la tua bontà mi disgusta. Ma so che lo dici solo per salvare l’amico del tuo amante”.

“Il mio amante non ha niente a che vedere con tutto questo! Io penso ad Eleonore. Se Arles ha trovato un modo per aiutarla, ucciderlo sarebbe un errore”.

“Ma prima mi faccio dire come fare, ovviamente. Poi lo squarto con le mie mani!”.

“Smettila! Cerca di ragionare!” insistette lei ma Hades non voleva sentir ragioni.

“Mandate gli eserciti a supporto di quelli Olimpici, come richiesto da Atena” ordinò il signore degli inferi “Io ho dei conti da sistemare. Sono faccende personali”.

“Signore..” si inchinò Minos “..non serve che vi sporchiate le mani! Lasciate che ci pensiamo noi giudici a sistemare quel semidio e riportarvi la vostra sposa”.

“No. È una cosa che voglio risolvere da solo. Alla fine, ci ritroveremo tutti dagli Egizi, dato che Atena intende guidarci contro le armate olimpiche ed alleate”.

“Signore..”.

“Fate silenzio! In questo momento la mia ira è con fatica sotto controllo! Non stuzzicatemi o vi distruggo esattamente come farò con Arles! Se crede di poter prendere in giro me, re dell’oltretomba, si sbaglia. Vado a riprendermi la moglie ed a massacrare qualche moccioso impertinente!”.

“Fate attenzione” commentò Aiaco “Si tratta di un cavaliere d’oro di Atena, semidio, figlio di Ares. Non è un avversario da poco”.

“Gli infilerò la mia spada dove dico io! Nessuno può imbrogliare Hades, o provarci, e restare in vita!”.

 

“Sono perplesso, ecco!” ammise Camus “Io ho visto quella donna, quell’angelo. Il suo cosmo non era malvagio, minaccioso o ostile. Se lei pensa che non si debba fare la guerra..”.

“Mia madre non ha spiegato il perché” mormorò Nadijeshda “Ma ha sempre ripetuto che la guerra in Egitto non la dobbiamo fare. Non la deve fare nemmeno Atena o chi per lei”.

“Io l’ho visto quell’esercito!” rimbeccò Milo “Era immenso e per nulla amichevole!”.

“Ho capito!” gli rispose Camus “Ma forse non è come pensiamo. Andiamo..non ti fidi degli angeli?”.

“E perché dovrei? Sono come noi, solo che hanno le ali”.

“Appunto. Sono come noi. Non sono nemici”.

“Non in quel senso!”.

“Per una volta sono d’accordo con Milo” annuì Aiolia “Quell’esercito ci attaccherà oppure compirà stragi contro popolazioni innocenti e non preparate”.

“E chi lo ha stabilito?” interruppe Shaka “Leggi forse nel futuro, Leone?”.

“No. E tu? Puoi dirlo con certezza che quei soldati non attaccheranno? A che serve crearsi un esercito immenso se non per uccidere e combattere?”.

“O per difendere. Noi siamo un immenso esercito eppure non attacchiamo o combattiamo a caso. Difendiamo i deboli e la Terra”.

“Ma è per questo che ora stiamo per partire ad annientare gli Egizi”.

“Colpendo uomini innocenti” parlò Nadijeshda “Che non hanno mosso un dito contro il Santuario o contro altri, che a casa hanno famiglie che li aspettano e che li amano. È forse giusto?”.

“Ed è forse giusto lasciare che si rafforzino ed attacchino creature incapaci di difendersi?”.

“Ma chi ti dice che lo faranno?”.

“Dimmi un solo motivo per avere un esercito così se non per attaccare e conquistare”.

“Difendere” insistette Shaka “Difendersi da religioni che hanno cancellato gli Egizi in passato”.

“Sono stati i Romani, non noi Greci!”.

“Fa lo stesso. Ora che i loro Dei sono tornati, non vogliono farsi ammazzare di nuovo”.

“Dici?”.

Il Leone non era per nulla convinto. Milo incrociò le braccia, deciso a lottare al fianco di Atena. Poco più in là, Deimos fissava il gemello, che pareva deciso a seguire le idee pacifiste di Nadijeshda.

“I dodici dovrebbero agire tutti assieme” commentò Kiki, stanco di non avere molta autorità.

“Già..” annuì Mur.

“E allora farete ciò che la vostra Dea ordina!” sbottò il Sacerdote “Che vi piaccia oppure no. Io stesso, con l’armatura affidatami dal mio predecessore, andrò in guerra”.

“Quel che non capisco..” storse il naso Camus “..è perché quell’alata sia apparsa, indicando la via ad Arles. Che cosa sperava di ottenere? E come mai insiste tanto nel non fare la guerra?”.

“Questo non lo so” ammise Nadijeshda “Che legame ci sia fra mia madre, Arles e l’Egitto mi è ignoto..”.

 

La Dea Atena se ne stava in silenzio, davanti a quello che considerava un altare in onore di suo padre Zeus. Nella sua mente, pregava affinché i suoi propositi andassero a buon fine.

“Non è mia intenzione fare del male, padre” mormorò, a mani giunte “Ma temo che gli eserciti nemici possano colpire degli innocenti ed è mio compito preservare la pace nel Mondo. Spero tu possa comprendere, ovunque il tuo spirito riposi”.

“Atena!” interruppe Hermes “Gli eserciti di Hades ci stanno raggiungendo per marciare sull’Egitto. Quelli di Poseidone ci attendono sulle rive del regno nemico. Gli alleati indiani e il Dio che risiede in Tolomeo sono pronti a combattere”.

“Ottimo” annuì la Dea “Vi raggiungo subito. Concedetemi solo qualche altro istante da sola..”.

Hermes si congedò e la Dea ricominciò la sua preghiera. Ma fu interrotta da un flebile rumore. Si girò di scatto e si ritrovò l’alata, la madre di Nadijeshda, la fuggitiva, a pochi passi di distanza.

“Tu..” si accigliò la Dea “..vuoi uccidermi?”.

“No” scosse il capo l’alata “Solo parlarvi. Vi prego, Dea Atena, fermate questa guerra”.

“E perché dovrei? Non sai che gli Egizi hanno un potente esercito pronto?”.

“Lo so. Ma non è come pensate”.

“E com’è, allora?”.

L’alata fece per parlare ma le due vennero interrotte da dei passi decisamente meno delicati degli ultimi uditi in quella stanza.

“Ares?” parlò l’angelo, voltandosi.

“Sophia?” si stupì il Dio “Che ci fai qui?”.

“Sophia? È questo il tuo nome?” chiese Atena e l’alata annuì.

“Sophia..” parlò piano la Dea “..che nome familiare..”.

Ares girò gli occhi d’istinto, fingendo indifferenza e fastidio

“Non sono qui per parlare di me!” riprese l’alata “Ma per chiedervi di non andare in guerra”.

“Sophia..Sophia..” continuava a rimuginare Atena “..eppure..”.

“Smettila!” sbottò Ares “Non è importante”.

“Ma Sophia..non era il nome della madre di Saga e Kanon? Sì, lo so..ci sono tante Sophia a questo mondo, però..”.

“Atena..ti prego..so che sei la Dea della saggezza perciò smettila di rigirare il dito nella piaga..”.

“Mi avevi detto che era una mortale!”.

“Ma non ha importanza ora!”.

“Certo, invece! Perché non me lo hai detto?!”.

“Perché..non ci arrivi? Lei è di una religione diversa! È proibito!”.

“Per questo l’assecondi? Cosa non fa nel tuo cervello la lussuria..”.

“Atena, questo non ha niente a che vedere con la lussuria!”.

“Per averci fatto Saga e Kanon devi aver avuto certi pensieri..”.

“Ma è stato il secolo scorso, ti vuoi concentrare?! Qui stiamo parlando della guerra attuale!”.

Sophia guardò entrambi in silenzio, senza sapere bene che cosa dire.

 

Poco distante, la Dea Afrodite era appena apparsa. Vide Ares, Atena e l’alata parlare fra loro. Pensò stessero conversando di affari riguardanti la guerra e non indagò. Poi una piuma rossa la distrasse. Guardò in su.

“Angelo..” chiamò “..chi stai spiando?”.

L’angelo rimase in silenzio. Non era sua intenzione farsi scoprire!

“Tranquillo” sorrise la Dea “Non dirò agli altri che sei lì. Che fai?”.

“Controllo la signora Sophia”.

“Sophia?”.

“Sì, l’angelo che avete catturato. Cerco di tenerla al sicuro”.

“Sophia? Ma..”.

Afrodite osservò meglio quell’alata. Quei capelli..avevano lo stesso colore dell’oceano. Come quelli di Kanon!

“Prestami la tua lancia!” sibilò Afrodite.

“Prego?!” si stupì l’angelo.

“Mihael ti chiami, giusto? Prestami la tua lancia, giuro che te la torno e non la uso contro Sophia”.

“Ma allora..?”.

“Dammi la tua lancia! Oppure dico a tutti che sei lì!”.

L’angelo sospirò, rassegnato. Gli Dei erano decisamente strani..

 

“Atena..cerca di..” tentò di parlare Ares, quando una lancia quasi lo colpì.

“Ares!” sbraitò Afrodite “Mi avevi detto che era mortale!”.

“Maledette femmine, vi date una calmata?! Non è importante adesso!” sbuffò il Dio.

“Afrodite, lascialo a me!” ordinò Atena “Ha ingannato l’intero Santuario”.

“Ma che dici! Io..” tentò di giustificarsi Ares.

“Spiacente, Atena! Ma voglio fargliela pagare!”.

“Afrodite, tesoro, cerca di stare calma! Litighiamo spesso e dopo potrai pestarmi ,ma non è questo il momento! Per favore!”.

“Taci!”.

“Sì, taci!” annuì Atena “Non peggiorare la tua situazione!”.

“Oh, ma fottetevi!”.

Le due Dee, già furiose da un pezzo, si accigliarono ulteriormente.

“Ragazze..” mise le mani in avanti Ares, tentando di calmarle “..andiamo! State scherzando? Non ho voglia di discutere adesso!”.

Poi vide Afrodite ed Atena caricare i loro cosmi. Tentò ancora di fermarle ma invano. Le Dee lanciarono i loro colpi, distruggendo completamente la stanza dove stavano. Ares, salvato dal volo di Sophia, si ritrovò a dover affrontare due pazze furiose. Perso il controllo, Afrodite ed Atena continuavano a colpire il Dio. Le truppe Olimpiche osservavano la scena, senza ben capire. Era forse il caso di intervenire?

“Signora Sophia!” chiamò Mihael “Andiamo via. Questi sono malati di mente!”.

L’alata scosse la testa, preoccupata per la sorte di Ares.

“Che succede?” chiese più di qualcuno.

“Angeli!” commentò qualcun altro.

“Adesso basta!” esclamò Sophia “Per favore! Non usiamo la violenza!”.

“Taci, non sono affari tuoi!”.

Atena era quella più vicina ad Ares e lo stava affrontando senza timore, spingendolo fino sull’orlo del precipizio che circondava l’ultima delle case. Afrodite, poco distante, era furiosa e non ascoltava le voci dei suoi figli che tentavano di capire che stesse succedendo. Sempre più angeli apparivano in cielo, preoccupati per la sorte dei loro colleghi. Sicura che tanto l’armatura lo avrebbe protetto, la Dea della bellezza strinse la lancia di Mihael fra le mani e si apprestò a lanciarla di nuovo verso Ares. Sapeva di avere una pessima mira, perciò usò quell’arma con la certezza di dare solo una lezione al traditore. Sophia questo non lo sapeva e, vedendo la Dea lanciare la lancia, volò in fretta per coprire il Dio della guerra. Ares si voltò. L’arma aveva trafitto l’alata e colpito di striscio il Dio, che si distrasse.

“Sophia!” chiamò, preoccupato.

Atena non riuscì a reagire in tempo e colpì il collega della guerra. Questi, che si trovava sull’orlo del baratro, con quel colpo finì di sotto assieme all’alata.

“Padre!” chiamò Phobos.

“Tranquillo, l’armatura lo riporterà su” mormorò Atena, ora più calma.

L’armatura di Ares però non servì a molto. Ancora danneggiata dalla freccia di Aiolos, non riuscì a dispiegare le ali. Coprì il corpo del suo padrone ma solo in parte, tentando di prendere il volo invano. Ares gridò, stringendo a sé Sophia, e precipitò.

 

Il corpo che Afrodite aveva portato da Arles in Egitto era perfetto. Il figlio di Ares lo guardò, meravigliato. Con Gaia, la Dea della bellezza aveva compiuto un ottimo lavoro!

“Perfetto..” commentò Lucifero “L’evocazione inizierà fra poco. Tieniti pronto”.

“Sì” annuì Arles “Spero vada tutto bene..”.

“Ma certo. Non ti fidi?”.

“Io..”.

Un potente suono simile a quello di una tromba si espanse per l’intero palazzo. Il rituale stava iniziando.

“Andiamo” parlò l’angelo.

Iside, illuminata dalla luna, sorrideva. Davanti a sé, vasi canopi e sacri oggetti Egizi. Alle sue spalle, dopo una piccola rampa di scale, altri Dei la osservavano. Kanon e Sarah si guardavano in giro, in cerca di Arles. Questi stava raggiungendo la sala dell’evocazione con il corpo vuoto creato da Afrodite. Accanto a lui, Lucifero lo incitava a far presto. Il rituale stava per iniziare! Un’ombra nera però li fermò. Pieno di rabbia, Hades puntò la spada contro Arles.

“Non è proprio il momento!” sbottò il figlio di Ares “Adesso io..”.

“Taci! Che cosa pensi di fare? Hai uccido Pharaon!”.

“Che?! Io non ho uccido il tuo Specter!”.

“Dove stai portando la mia Eleonore?”.

“La tua..?”.

Arles capì che Hades vedeva in quel corpo senza vita la sua sposa.

“Lasciala subito andare! E preparati a morire!”.

“Ma non potremmo rimandare? Io..”.

Hades gridò di rabbia. Il figlio di Ares riuscì giusto in tempo a poggiare l’involucro vuoto prima che il Dio dell’oltretomba lanciasse il suo attacco.

“Se necessario..” parlò a Lucifero “..compi tu il rituale”.

L’angelo annuì e prese con sé il corpo fittizio, proteggendolo.

“Pensavi di imbrogliarmi?!” ringhiò Hades.

“Ma che stai dicendo?!”.

“La stai salvando e non vuoi riportarmela, non è così?”.

“In effetti, non ho tanta voglia di ridartela”.

“Bene! In questo caso ti ammazzerò! E me la riprenderò con la forza!”.

“Fatti sotto!”.

Lo sguardo di Arles si fece rosso come il sangue. Lucifero sorrise, ghignò felice. Era proprio quello che voleva! Un semidio fuori controllo che seminava morte!

“Espandi la tua luce, Arles!” gridò.

“Farò il possibile..” ghignò a sua volta il figlio di Ares, preparandosi ad attaccare il Dio dell’oltretomba.

“Bruciali con la tua luce” mormorò l’angelo “Bruciali e distruggili tutti!”.

 

“Sophia..” mormorò Ares.

Precipitato da un’altezza notevole, il Dio stringeva ancora a sé l’alata, che però non rispondeva.

“Sophia?” chiamò ancora, senza risultato.

Girò la testa, per guardarla.

“Ares..” sentì bisbigliare.

“Sophia! Sei viva?”.

“Salvali! Salvali, ti prego!”.

“Chi? Chi devo salvare?”.

“I nostri bambini. Arles e Kanon..verranno uccisi! Perché sono sanguemisto! Salvali..”.

“Oh, Sophia..li salverò! Ma non preoccuparti troppo. Sono grandi e potenti. Ora riposa, devi guarire”.

“Non dimenticarmi, mio bel Dio incontrato sulla spiaggia”.

“Certo che non ti dimentico! Ti rivedrò ancora!”.

“No, non credo..”.

L’alata emise un lungo sospiro. Ares conosceva bene quel suono e riconosceva quello sguardo. Aveva tolto troppe vite lungo la sua esistenza: Sophia era morta.

“Sophia” la chiamò un’ultima volta, mentre lei si dissolveva in polvere di luce.

“Mamma!” gridò Nadijeshda, la prima ad avere il coraggio di discendere lungo il precipizio, seguita da Phobos.

Ares stava tentando di rialzarsi, sfidando il dolore e le ferite.

“Che fai?!” lo rimproverò il figlio “Dove credi di andare?!”.

“Devo riprendermi Arles e Kanon, prima che sia tardi” spiegò il Dio della guerra.

“Conciato così non puoi andare proprio in alcun lungo!”.

Il Dio, testardo, tentò ancora di rialzarsi. Arrancò ed il figlio lo sostenne, fissandolo accigliato.

“Valli a prendere” esclamò allora il padre “Phobos, ti prego, fallo tu per me”.

“Ci vado, va bene. Ma non so se riuscirò a convincerli..”.

“Tramortiscili, se necessario! Ma portali qui”.

“Tu però te ne stai buono, intesi? Tornerò in fretta”.

“Sì..se non riusciamo a fermare questa guerra, almeno salviamo la famiglia..”.

Phobos stese il padre, piuttosto preoccupato. I punti in cui l’armatura era stata danneggiata avevano lasciato scoperto il corpo del genitore, che riportava gravi ferite.

“Sto io con lui” parlò Nadijeshda “Tu và. Non ti preoccupare”.

“Sei sicura?”.

Lei annuì, con una piccola lacrima che le rigava le guancie.

 

“L’armatura!” commentò Atena “Era danneggiata! Ma allora..”.

“È l’uomo che ho colpito!” spiegò Aiolos “Colui che aveva fatto fuggire la prigioniera alata!”.

“A tal punto mi hai ingannata. Ed a tal punto è giunta la tua stupidità, Ares! Se avessi saputo che la tua armatura era..”.

“Atena!” interruppe Artemide “La luna! Ci siamo! Inizia l’evocazione degli Egizi, dobbiamo muoverci”.

“Penseremo dopo ad Ares e tutto il resto” commentò Apollo “Presto!”.

Il gruppo di divinità si mosse, diretto in Egitto. Gli angeli, rimasti soli, piangevano per la sorte di Sophia.

“Signor Mihael..” interruppe uno di loro “..porto notizie dall’Egitto. Lucifero è stato avvistato in zona”.

“Lucifero?!” chiese conferma, incredulo, Mihael “Ma che senso ha? Che ci è andato a fare?”.

“Non lo sappiamo”.

“Capisco. Meglio muoverci, allora”.

 

“Sorella..” mormorò Lucifero “..sorella mia..”.

Legato alla gemella, aveva percepito la sua morte. Si voltò verso Arles, che lottava furiosamente contro Hades. Alle spalle del Dio degli inferi, i tre giudici erano accorsi. Senza proferire parola, l’angelo attaccò.

“Ancora tu?!” si stupì Hades “Maledetto, quante volte ancora dovrò lottare contro di te?! Tornatene all’inferno!”.

“La tua è solo invidia perché il mio inferno è più bello” ghignò Lucifero, non riuscendo a nascondere del tutto la tristezza che provava.

“Mi occuperò dopo di te!”.

“Lascia stare Arles! Ha più diritto di te di tenersi quella femmina!”.

“A te che importa?! La vuoi pure tu?!”.

“No. Me la sono già limonata, mi piace un altro genere”.

Hades, nel sentire questo, si lanciò contro l’angelo con rabbia. Lucifero, per contrastare la potenza del Dio, si disfò del’illusione che ne celava il vero aspetto. Rise, sadicamente, dinnanzi ad Hades ma, dal suo occhio destro, scendevano delle lacrime.

“Oggi ho perso l’unica persona che sia mai riuscita ad amarmi” parlò l’angelo “Non permetterò che ad Arles accada lo stesso! Vattene!”.

“Lucifero!” lo interruppe Arles “Questa è una faccenda privata. I vostri problemucci d’affitto del sottosuolo ve li sistemate dopo! Tu hai un’evocazione da portare a termine. Riportami Eleonore e lascia che risolva la faccenda con Hades una volta per tutte”.

“Sei ottimista” ghignò il Dio dell’oltretomba “Sei solo un semidio. Non puoi nulla contro di me ed i miei giudici! Ti ucciderò!”.

“Bene! Così non vedrò mai più la tua brutta faccia!”.

“Arles..” tentò di fermarlo l’angelo, senza successo.

“Salvala! Tu puoi farlo, io no!” gli rispose il figlio di Ares e questo convinse l’angelo, che riprese il suo cammino verso la sala dell’evocazione.

“Arles!” aggiunse soltanto “Usa la tua luce! Risveglia il tuo pieno potere!”.

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Capitolo 19
*** XIX- luce e ombra ***


XIX

LUCE E OMBRA

 

“Lucifero..” mormorò Nadijeshda, visibilmente preoccupata.

Ares, steso a terra, la fissò senza capire. Tentò invano di rialzarsi ma in quel momento il dolore era insopportabile e ricadde fra le rocce.

“Cercate di non sforzarvi” commentò l’alata.

“Perché sei tanto spaventata? Lucifero ti preoccupa?”.

“Lo zio Lucifero è..beh, lo sapete! Lo sanno tutti com’è mio zio! È il male assoluto”.

“Ah, che stronzata. Bambina, non esiste il male assoluto. Così come non esiste il bene assoluto”.

“Dio è il bene assoluto”.

“Ne sei certa? Ed i primogeniti d’Egitto? Che colpa avevano quei bambini? Un bene assoluto non dovrebbe uccidere innocenti, no?”.

“Questi sono discorsi teologici che non devo fare con te, politeista pagano idolatra di idoli!”.

“Hei, piano! Io sono un Dio, non un idolo”.

“Questo è tutto da dimostrare..”.

“Ma sentiamo un po’..il tuo Dio dove sta? Ora che sei nei guai, tu e gli altri angeli, dov’è?”.

“Io..lui è in ogni luogo!”.

“Io non lo vero”.

“Perché tu non ci credi”.

“E perché non fa niente?”.

“Tu non capisci!”.

“Ma lo hai almeno mai visto? Com’è fatto?”.

“Non so”.

“Ah, vedi? Io credevo in mio padre Zeus e sapevo bene com’era fatto. E credo nei miei fratelli e nei miei parenti. Non siamo perfetti, non lo siamo mai stati..e quindi ti posso dire che non esiste il male assoluto ed il bene assoluto”.

“Tu non lo consci. Tu non sai che cosa è in grado di fare Lucifero”.

“Voialtri lo odiate, così come molti miei fratelli odiano me. Mi odiano perché sono irascibile, guerrafondaio, testa calda. C’è differenza?”.

“Certo. Lucifero è caduto. E non perché bisticciava con noialtri angeli”.

“Scusami, io certe storie non le conosco..”.

“Lo zio Lucifero è caduto perché amava. Amava troppo. In modo diverso”.

“..amava? Parli di sua sorella Sophia? So che mi odia ferocemente perché ci ho fatto due figli”.

“Io non ne sapevo niente. Ma non parlo solo di questo. Sì, è vero..amava Sophia e per lei provava desideri che un angelo non dovrebbe provare, specie l’angelo più luminoso e bello del cielo. Ma non amava solo lei. Lucifero è caduto perché amava Dio”.

“E questo non dovrebbe essere normale?”.

“No, il suo amore era malato. Era ossessivo. Era geloso. Voleva essere l’unico, il più amato ed il più importante. Ma Dio non poteva amare lui più degli altri e questo ha portato Lucifero alla follia. L’amore e l’odio sono sentimenti che facilmente si interscambiano. Tanto più ami una persona, tanto più ti ritrovi ad odiarla se questa non ricambia come vorresti. E la sua luce, la più bella del cielo, lentamente divenne ombra”.

“Capisco..però, se uno dei miei figli provasse un tale malessere, me ne accorgerei e cercherei di aiutarlo. Perché può capitare che un giovane perda la strada, ma un genitore dovrebbe..”.

“Tu non sai di che parli!”.

“Vero. Io sono un politeista malato di mente. E sai cosa ti dico? Sono felice che mio figlio abbia incontrato te”.

“Sul serio?”.

“Non abbiate paura delle regole. Se io non le avessi infrante, non avrei figli meravigliosi. Li ho avuti con donne sposate o di religione diversa..e non me ne pento! Tornassi indietro, rifarei tutto”.

“Tutto? Tutto quanto?”.

“Sì, certo. Tutto quanto”.

“E davvero siete felice che una come me ami vostro figlio?”.

“Sì. Almeno so per certo che, nel caso non potessi più aiutarlo, ci saresti tu a tenerlo in carreggiata”.

“E perché voi non dovreste esserci?!”.

“Vedi..è vero che noi Dei torniamo sempre, ci reincarniamo, ma questo è il mio vero corpo quindi..”.

“Quindi che cosa?!”.

“Se io morissi, ci vorrà del tempo prima di farmi tornare. Molto tempo. Senza contare che la mia essenza solitamente riposava nell’armatura, in attesa di un corpo. Ma la mia armatura è mezza distrutta..”.

“E allora riposatevi, invece di usare energie per cianciare. Così guarite. Mi dispiace, perché non sono una guaritrice come mia madre. Altrimenti..”.

“Tua madre era perfetta. E lo sei anche tu. Solo in modo diverso”.

Nadijeshda piangeva, ricordando la madre. Ares gemette, socchiudendo gli occhi, e l’alata si spaventò, avvicinandosi e chinandosi sul Dio.

“Phobos tornerà presto” parlò lei “State tranquillo, andrà tutto bene”.

 

“Dove vai tu con mia moglie?!” sibilò Hades, puntando la spada contro Lucifero.

“Sono io il tuo avversario!” gli rispose Arles.

“Hai ragione. Ti schiaccerò, ti farò a pezzi, e mi riprenderò Eleonore. Pensavi forse di ingannarmi?”.

“Io non so di che parli. Ma sarà un vero onore battermi con te!”.

Il Dio dell’oltretomba attaccò e Arles ne deviò il colpo, rispondendo immediatamente.

“Sei veloce” sorrise, compiaciuto, Hades “Del resto non posso aspettarmi altro dal figlio del Dio della guerra. Ma resta il fatto che io sono un Dio e tu no!”.

“Non temo gli Dei. Non li ho mai temuti”.

“Dovresti iniziare!”.

“No, non credo proprio!”.

Con un ghigno, Arles iniziò a concentrare il suo potere. Era impaziente, pronto a lottare. Lo dimostrò lanciando una potente sfera  di cosmo contro l’avversario, che deviò con la spada.

“Sei un pazzo..” commentò Hades.

“Lo so. Smettetela di ripetermelo tutti!”.

Dopo un rapido scambio di colpi, il Dio comprese che era tempo di agire in modo diverso.

“Vuoi fare sul serio, dunque..molto bene” commentò.

Alle sue spalle, i tre giudici rimanevano in attesa, pronti ad intervenire, in caso di pericolo per il loro signore. Questo pareva non infastidire Arles, che anzi trovò lo scontro più stimolante.

“Sei un pazzo assetato di sangue come tuo padre”.

“Almeno il mio non si mangia i proprio figli..”.

“Insolente!”.

“Vecchio”.

“Ti strapperò l’anima e me la mangerò!”.

“Accomodati! Deve avere un sapore di merda!”.

Hades spalancò le ali della sua Kamui e si lanciò contro il suo avversario, brandendo la spada. Arles, incapace di richiamare l’armatura in quel luogo difeso da divinità non greche, era consapevole di essere in svantaggio. Ma doveva dare a Lucifero il tempo di salvare Eleonore, senza interruzioni. Scattò, riuscendo a schivare quel primo fendente. Il Dio però reagì subito e mosse di scatto il braccio armato. Il gesto provocò un’onda d’urto che colpì Arles, anche se solo di striscio.

“Pensi di battermi in gonnella?” sfotté Hades.

“Problemi tecnici, ma non ti preoccupare. Se ti da fastidio la gonna, posso spogliarmi..”.

“Ma..”.

“Perdonami. Non è l’ideale per uno come te, che venera i corpi puri. Ma almeno so che non puoi possedermi!”.

“Taci, irritante bastardello!”.

Attaccando di nuovo, il Dio si fece più feroce ed aumentò la velocità dei colpi. Arles rispose, stupendosi di che livello riuscisse a raggiungere.

“Muori!” si gridarono, all’unisono, lanciandosi uno contro l’altro.

 

Iside era in piedi e guardava la luna, dando le spalle al suo popolo. Alzò le braccia al cielo, raccogliendo il potere del satellite ormai quasi al culmine della luce. Pronunciava complicate formule nella sua antica lingua, percependo lo spirito di Eleonore farsi sempre più fievole. Kanon e Sarah si erano mescolati fra la folla, cercando con lo sguardo Arles.

“Sorella..” mormorò Sarah, cercando di avvicinarsi ancora un po’, per salutarla un’ultima volta.

“Ferma!” la bloccò Kanon “Non ti avvicinare. È pericoloso”.

Lei annuì, rassegnata.

“Dov’è Arles? Dove si è cacciato?” brontolò lui “Cazzo, è da quando è nato che non fa che stressarmi!”.

“Rilassati, per favore..” lo ammonì velatamente la moglie.

“Rilassarmi?! Non ho intenzione di ritrovarmelo di nuovo chiuso in una teca con il cervello in pappa!”.

“Ma non..”.

Un forte boato interruppe la cerimonia. Parte di muro crollò e nel salone piombarono Hades ed Arles, continuando ad affrontarsi.

“Eleonore?” si stupì il Dio dell’oltretomba, vedendo Iside voltarsi di colpo “Ma allora..quel corpo..”.

D’un tratto comprendendo quel che il suo avversario aveva in mente, Hades gridò, scagliando il figlio di Ares contro una delle pareti laterali. Subito camminò a passo deciso verso Lucifero ed il corpo vuoto che stringeva. Alzò la spada e fece per calarla sull’involucro proibito, ma l’angelo caduto fermò l’arma con entrambe le mani. Fissò il Dio negli occhi, con aria di sfida, e ringhiò. I due rimasero a fissarsi, tentando l’uno di prevalere sull’altro.

“Abominio!” sibilò Hades “Solo da una mente come la tua poteva uscire un’idea simile. Solo un’ombra come te poteva progettare una tale follia!”.

“Vattene! Stiamo solo cercando di aiutare la donna che, in teoria, ami. Non è lei tua moglie?”.

“Sì, ma non posso permettere che vi paragoniate a divinità creatrici”.

“Fanculo!”.

Il loro incontro di sguardi fu interrotto dall’intervento dei tre giudici, che attaccarono simultaneamente Lucifero. Questi, impegnato a trattenere la spada di Hades, finì sbalzato di lato. Carponi in terra, vide Hades avvicinarsi all’involucro creato da Afrodite.

“Fermo!” ringhiò Lucifero, sfoggiando canini appuntiti ben poco adatti ad un angelo.

Ma Hades non ascoltò e con la sua spada tagliò a metà la finta Eleonore senza anima.

“Eleonore non potrebbe mai essere felice in un finto corpo maledetto” commentò, sfidando lo sguardo di odio che gli stava lanciando Lucifero.

Distratto da quello sguardo di pura rabbia, dimenticò che era Arles il suo avversario. Questi, ripresosi dal colpo ricevuto, aveva assistito alla scena e si era subito scagliato contro Hades, gettandolo a terra e colpendolo al volto con i pugni.

“Ti ammazzo!” continuava a ripetere.

Il Dio reagì e lo ricacciò indietro. Si rialzò, pulendosi la bocca dal sangue. Arles digrignò i denti, con lo sguardo rosso come il sangue. Ansimando, il figlio di Ares rimase immobile a fissare il Dio.

“Smettila” suggerì Hades “Non puoi vincere contro di me”.

“Allora vorrà dire che scompariremo insieme”.

“Che..?”.

“Labirinth Illusion”.

Pronunciando quelle parole, il cosmo di Arles si tinse di rosso ed avvolse Hades. Ed entrambi scomparvero, fra lo stupore dei presenti.

 

“Dove sono finiti?!” esclamò Sarah, aggrappandosi alla veste del marito.

Lui però non parve preoccupato. Il suo sguardo era fisso e rivolto verso Iside. Iside faceva lo stesso. Le altre persone presenti, distratte da quanto accaduto fra Hades ed Arles, non ci fecero caso. Per Kanon fu quindi facile avanzare fra la folla.

“Cosa fai?!” lo chiamò la moglie “Dove vai?! Kanon!”.

Questi non ascoltava e raggiunse Iside, senza distogliere lo sguardo nemmeno per un istante.

“Cosa fai?!” gridò ancora Sarah, tentando di stargli vicino.

Kanon ed Iside rimasero in silenzio qualche istante.

“Hai preso il corpo sbagliato” parlò lui, in una lingua che Sarah non comprese.

“Come..?” balbettò Iside, confusa.

“Lascia che ti mostri..”.

 

Lucifero si scosse, rialzandosi. Dov’era finito Arles? I tre giudici si stavano chiedendo la stessa cosa e fissarono l’angelo caduto con aria minacciosa. Questi li ignorò e si girò verso l’altare. Che stava combinando Kanon? Cosa ci faceva a pochi centimetri da Iside?!

“Oh, sorella..” gemette Lucifero “..perché la tua progenie ha così poca voglia di vivere?!”.

Vedendolo come un dovere nei confronti di Sophia, si mosse convinto, alzandosi in volo, con l’intento di raggiungere in tempo il nipote.

 

“Lascia che ti mostri..” parlò piano Kanon, avvicinandosi ancora di più.

Iside rimase immobile, come ipnotizzata. Lui si chinò leggermente e la baciò.

“Kanon!” gridò Sarah, infuriata.

Poi una luce avvolse sia lei che i due accanto all’altare.

“Kanon!” chiamò Lucifero, atterrando giusto in tempo per afferrare il corpo di Eleonore prima che questi cadesse in terra.

L’angelo non fece in tempo a comprendere quel che stava accadendo perché una potente forza lo respinse. Stringendo a sé la donna, finì di nuovo sbalzato all’indietro. Girandosi verso l’altare, vide Kanon e Sarah sorridersi. Attorno a loro però vi era un’insolita energia e tutti gli sguardi erano puntati su di loro.

“Osiride” parlò Sarah, a mezza voce.

“Iside” rispose Kanon, sorridendole “Hai capito, ora? Non dovevi privare dell’anima il corpo di Eleonore ma risvegliarti nella sua gemella”.

“Non avevo considerato un corpo gemello, amor mio”.

“Sarah..”.

“Kanon!”.

Entrambi sull’altare, si scambiarono un altro bacio. Entrambi pienamente coscienti di ciò che erano, risvegliati come divinità, interruppero la loro unione quando cosmi ostili si manifestarono in cielo.

“Atena!”.

 

“Ma che cazz..” iniziò a borbottare Lucifero, quando una mano lo sfiorò.

“Dobbiamo fare presto!” parlò l’uomo che aveva di fronte “O morirà”.

“Parli di Eleonore? E tu chi sei?”.

“Io sono Ra e sì, parlo di Eleonore. La sua anima è solo un soffio e morirà, se non l’aiutiamo”.

“Che dovrei fare io, scusa?”.

“Sei un angelo! Non hai poteri di guarigione?!”.

“Guarda che non abbiamo tutti quel potere! E poi..io non sono propriamente un angelo!”.

“E non conosci qualcuno che possa aiutare? Qualcuno che curi le anime?”.

“Io..purtroppo non posso chiedere ai miei fratelli”.

“Problemi in paradiso?”.

“Lasciamo perdere! Però..ora che ci penso..quel rubapoltrona di Hades dovrebbe essere in grado di curare le anime danneggiate”.

“E dove si trova?”.

“Bella domanda..”.

“Io posso tentare, ma non è il mio campo. E gli altri Egizi si stanno preparando per difendere il palazzo invaso. Cerca di trovare questo Hades!”.

L’angelo scosse la testa. Ma perché stava facendo tutto questo? L’amore per una sorella poteva condurre a tanto?

 

“Dove siamo?” domandò Hades, guardandosi attorno.

“In un luogo da cui non usciremo” sorrise Arles, mostrando però uno sguardo estremamente triste.

“Che cosa?! Non puoi tenere imprigionato qui me, re dell’oltretomba!”.

“Scommetti?”.

Quel luogo era strano. Un salone immenso si stava creando attorno a loro. Scale, colonne e colori presero forma. Eleonore, con un bellissimo abito, sorrideva ad entrambi. Indossando eleganti guanti bianchi, allungò la mano verso i due uomini, invitandoli ad avvicinarsi.

“Questa è un’illusione! Smettila!” sbottò Hades.

“Non ne ho alcuna intenzione” rispose Arles, raggiungendo Eleonore ed iniziando a danzare con lei al ritmo di una musica lenta che seguì i loro passi.

“Non voglio rimanere bloccato nel tuo cervello! Lasciami subito andare!” protestò il Dio dell’oltretomba.

“Ti ci abituerai. Ti piacerà” sorrise il figlio di Ares “Da qui all’eternità!”.

 

 

Chiedo perdono per “l’incanonico” di certi personaggi (Lucifero per primo). Spero li gradiate comunque! A prestissimo con il seguito!

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Capitolo 20
*** XX- fratelli ***


 

XX

FRATELLI

 

Atena apparve, indossando l’armatura. Dietro di sé, il suo seguito oscurò la luna piena. Gli Dei, quasi tutti con armature alate, si libravano a mezz’aria. Allo stesso tempo, eserciti di terra avanzavano, marciando e seguendo i cavalli di Deimos e Marte, che da sotto l’elmo con il pennacchio fingevano di sopportarsi.

“Signore!” esclamò Anubis, raggiungendo Kanon e Sarah “Meglio vi ritiriate. Un risveglio non del tutto completo non vi permette di combattere!”.

“Non del tutto completo?” sorrise Kanon “Questo corpo è nato per combattere! Piuttosto porta al sicuro Iside..”.

“Sì, Osiride”.

Il Dio con il capo da sciacallo prese con sé Sarah, che però protestò.

“Non sono una semplice umana!” protestò “Sono Iside e lotterò a fianco del mio sposo!”.

“Ma..”.

“Annienterò l’esercito che hai creato, Iside!” interruppe Atena, sconcertata dal fatto di trovarsi di fronte Sarah e Kanon come Egizi “Non ti premetterò di fare del male a degli innocenti!”.

“Ed io non ti permetterò di distruggere il mio palazzo!”

 

“Fammi uscire di qui!” protestava Hades.

Arles lo ignorava, continuando a danzare con l’illusione che si era creato.

“Non è reale!” gli gridò ancora il Dio dell’oltretomba “Non è la vera Eleonore”.

“Non ti lascerò andare, Hades..”.

Il Dio tentò di colpire le pareti ed il creatore di quell’illusione, senza risultato. Come faceva ad uscire da lì?! urlò, sperando che qualcuno dei sui Specter potesse udirlo. Poi si fermò, inclinando la testa.

“Chi è quella donna?” domandò.

Arles si voltò nella direzione indicata da Hades e vide avvicinarsi una figura femminile. Con passi leggeri, impalpabili, avanzava.

“Un angelo?” si stupì il figlio di Ares “Non l’ho creata io..non è una mia illusione”.

“Ma allora..”.

La donna, avvolta dalla luce, si avvicinò ancora.

“Sei tu!” la riconobbe Arles “Sei quella donna che mi ha detto di venire in Egitto, giusto?”.

“Sì, sono io” sorrise lei.

“E come sei arrivata qui?”.

“Ci sono tante cose che devo dirti, se le vorrai ascoltare”.

“Io..veramente..”.

“Io so chi sei e ora te lo svelerò, figlio mio. Io sono Sophia. Sono tua madre”.

Arles rimase in silenzio, senza sapere bene che cosa dire.

“Ed ho molte cose da dirti. Ascolta” riprese l’alata.

 

“Zio?” si stupì, perplesso, Tolomeo.

Vedeva Kanon e Sarah accanto all’altare. E Eleonore? Dov’era? Non riusciva a scorgerla..

“Che fai?” lo riportò alla realtà Deimos “Questa è la tua prima, vera guerra. Cerca di non farti ammazzare”.

“Come Tolomeo sì, è vero. Ma come Quetzalcóatl  me la cavo..”.

“Allora vedi di Questzalcoalarti in fretta e non tergiversare..”.

“Sissignore” ridacchiò il giovane.

Concentrandosi, richiamò a sé l’armatura che per secoli aveva atteso il suo ritorno. Era verde smeraldo, con degli spuntoni rossi rappresentanti le penne del serpente piumato. Sulla superficie, disegni color oro che creavano intricati motivi in stile precolombiano. L’elmo, a piume rosse, ne coprì solo in parte il viso ed i capelli, dello stesso colore, si confusero in mezzo al groviglio di dettagli. Perfino il tatuaggio, quel drago che condivideva con il resto della famiglia, si era modificato. Ora era più geometrico, riprendendo le forme della cultura azteca.

“Il sangue degli Egizi non è carico di odio” commentò “Che cosa ha spinto Iside a richiamare un simile esercito?”.

Sull’altare, Kanon stava chiedendo la stessa cosa alla sua consorte.

“Per ritrovare te” confessò Iside.

“Me?!”.

“Sì, te. Osiride, il cui animo era andato smarrito. Ho richiamato questo immenso esercito per spargerlo per la Terra per ritrovarti, amor mio”.

“Per ritrovarmi?! Ma allora..tutto questo..”.

Aiolos, vicino ad Atena, era riuscito a cogliere quelle poche frasi. Fece per avvisare la sua Dea quando notò qualcos’altro, che lo allarmò ancora di più.

 

Sconcertato dopo aver udito certi racconti, Arles era perplesso. Era tutto vero? Fissò l’alata, senza riuscire a crederle del tutto. Poi una luce diversa apparve nel salone e si mostrò Lucifero.

“A quanto pare con gli angeli le illusioni non servono..” commentò, acido, Arles.

“Mi ha richiamato qui lei” spiegò Lucifero “E poi..anche io me la cavo discretamente con le illusioni. E lei..lei è morta perciò lo spazio ed il tempo funzionano in modo diverso. Vieni, dobbiamo andare”.

“Morta? Andare? Ma che..”.

“Non c’è tempo! Mi serve Hades, adesso! O Eleonore morirà”.

“Eleonore?”.

“Smettila di fare domande e muoviti! Dissolvi tutto questo e vieni con me!”.

“Io..”.

“Sbrigati” lo incoraggiò la madre.

Arles si girò verso Hades. Non sapeva quel che stava accadendo, ma per salvare Eleonore avrebbe fatto qualsiasi cosa.

“Corri” parlò ancora Sophia “La tua luce deve ancora risplendere!”.

Il figlio la fissò, provando il desiderio di parlarle ancora, di sapere altro. Lei però iniziava a dissolversi.

“Addio” le sussurrò Lucifero “Addio, sorella”.

Sophia sorrise e svanì, così come svanì l’illusione di Arles. Così facendo, Hades, Arles e Lucifero si ritrovarono di nuovo accanto al corpo privo di sensi di Eleonore. Ra li fissò tutti quanti, invitandoli ad intervenire.

“Hades!” sbottò Lucifero “La sua anima ed il suo corpo sono danneggiati. Tu sei in grado di guarirla?”.

“Sì ma..sono debole ora! Non so se ne ci riesco..” ammise il Dio.

“Concentrati!”.

“Se ti serve il mio potere..” commentò Arles “..se hai bisogno di cosmo, sentiti pure libero di prendere il mio”.

“Lucifero!” tuonò una voce.

“Non ora, Miki” sibilò Lucifero, prendendo un grosso respiro.

“Che stai facendo?! Il corpo fittizio, l’abominio in cui inserire l’anima, e adesso? Che stai facendo?”.

“Ho da fare. Dopo te lo spiego. Gira al largo!”.

“Cosa fai? Che intenzioni hai? E perché aiuti quel semidio greco?”.

“Lui è il figlio di Sophia. Lo devo aiutare, non trovi?”.

“Figlio di Sophia? Ma che stai dicendo?!”.

“Sparisci!”.

Mihael puntò la spada contro il fratello maggiore e Lucifero sospirò.

“Voi tre..” parlò, rivolto a Ra, Arles ed Hades “..vedete di salvarla perché tutto questo casino per niente sarebbe frustrante”.

Iniziò a lottare con Mihael, pur essendo decisamente stanco. Non aveva alternative: era quello il suo destino! Lottare contro il fratello fino alla fine dei tempi! Arles osservò quella lotta e la trovò strana. Poi ripensò ai suoi litigi con Kanon e quasi si rivide in quei due. Si voltò di nuovo verso Eleonore. Hades, chino su di lei, stava usando il suo potere per curarla ma aveva un’aria piuttosto provata.

“Ah..” sospirò Arles, chinandosi a sua volta “..che posso fare? Giungere così vicino alla meta e poi..”.

“Temo sia tardi” commentò Ra “Buona parte dell’anima di questa giovane si era già spenta a causa del tempo trascorso sotto il controllo di Iside..”

“Tardi? No! Non è tardi!” si accigliò il figlio di Ares.

“Io..temo di sì, invece” sospirò Hades “Percepisco un’anima così flebile..è morta..”.

“Che? No, senti..tu sei il Dio dei morti!”.

“Sì ma non controllo la morte! La sua anima è dissolta, capisci? È talmente minuscola che è impossibile per me fare qualcosa. Avrei bisogno di un’enorme quantità di energia, che non ho”.

“Eleonore..”.

Lo sguardo di Arles si fece malinconico. Lo percepiva pure lui quanto debole fosse quell’anima e sentì la sua mente vacillare. Alzò la testa, verso il cielo. Possibile che non ci fosse davvero nulla da fare?

“Non perdere il controllo!” lo rimproverò Hades.

Arles avevo lo sguardo perso nel vuoto. Gli angeli..gli angeli combattevano! Piume di vario colore volavano per la sala e grondava il sangue.

“Un angelo..” parlò piano, vedendo una creatura alata raggiungerlo.

“Non proprio” si sentì rispondere.

“Aiolos?”.

“Guardami negli occhi. Non lasciare che la tua mente vacilli. Controlla il tuo cosmo”.

“Il mio cosmo?”.

Senza accorgersene, il figlio di Ares aveva richiamato a sé la sua energia, che vibrava senza controllo.

“Non lasciare che esploda, perché non so che conseguenze possa avere. Guardami!” ordinò, gentilmente, Aiolos.

“Saga!” si unì un’altra voce, e poi un’altra ancora.

I cavalieri d’oro, richiamati da quel cosmo familiare e inquieto, stavano circondando il collega semidivino.

“Va tutto bene” parlò Aphrodite, chinandosi e sfidando l’energia bruciante di quel semidio fuori controllo.

“Sì, questa volta non ti lasceremo dare i numeri!” sorrise Shura.

“Che ti serve, Hades?” domandò invece Deathmask “Problemi con un’anima?”.

“La sua anima..” sospirò Hades, a capo chino “..non riesco a risvegliarla”.

Il Cancro allungò la mano verso il Dio, che lo fissò con aria interrogativa.

“Usa il mio cosmo” spiegò Deathmask “Usa le mie capacità. Unite alle tue, potrebbero..”.

“Ho bisogno di energia. E questa donna è..”.

“Fallo e basta! Provaci, almeno! Da quando gli Dei si arrendono per qualsiasi stronzata? Avanti!”.

Hades annuì, iniziando ad assorbire il cosmo legato alle anime del Cancro.

“Saga!” chiamò Aiolia, dopo aver appreso i motivi dell’esercito Egizio dal fratello “Non vacillare! Tutta questa guerra non ha alcun senso! Abbiamo bisogno anche di te per fermarla!”.

“Sì, Saga!” annuì Mur “Abbiamo bisogno anche di te!”.

“Nessuno di noi deve rimanere indietro! Nessuno di noi si perderà nel buio!” aggiunse Milo.

“Non perderti nelle tenebre!” parve ordinare Shaka “Non di nuovo! Io la vedo la tua luce, Saga. O in qualsiasi altro modo ti devo chiamare”.

“La mia luce?” si stupì Arles, ritrovando in parte la lucidità.

Si fissò le mani. La luce? Sì, voleva la luce. Lanciò un gridò, espandendo e controllando il suo strano cosmo che si illuminò sempre più intensamente. Sul petto del figlio di Ares, proprio accanto alla cicatrice lasciata dal suo suicidio davanti ad Atena tanti anni fa, comparve finalmente il drago che portavano tutti i guerrieri della famiglia. Era color del sangue e brillò, assieme al cosmo.

“Ho bisogno di un miracolo!” urlò, mentre sulla schiena nuda si aprivano delle ali di colore identico a quello del drago “Ho bisogno di un miracolo! Io rivoglio Eleonore! Voglio che apra gli occhi! Voglio che viva! Eleonore! Prendi la mia luce! Lasciami pure al buio, ma prendi tutta la mia luce e vivi!”.

Hades spalancò gli occhi. Chino sulla donna, con a fianco Deathmask, raggiunse le mani che Arles aveva poggiato sul petto di Eleonore, all’altezza del cuore.

“Donami la forza di fare questo, soltanto questo” mormorò Arles “Madre..”.

Lucifero e Mihael si fermarono, vedendo l’immensa luce espandersi ed avvolgere Eleonore. Hades e Deathmask fecero lo stesso, espandendo al massimo il loro potere e gridando.

“Un miracolo?” sorrise Lucifero “Strano desiderio..”.

E lei, di colpo, spalancò gli occhi, lanciando a sua volta un grido.

 

“Avete ucciso Sophia!” gridavano gli angeli, aggredendo l’esercito di Atena.

Le divinità lottavano, mentre la notte proseguiva.

“Fratello!” chiamò Ipazia, raggiungendo Tolomeo nella confusione generale.

“Che ci fai qui?!” domandò lui.

“Pensavi forse che ti lasciassi tutto il divertimento ,fratello? Ad ogni modo, per accrescere il tuo potere c’è bisogno di un sacrificio. Scegli uno di questi umani..”.

“Ma che dici?! Di che parli?! Io ho sempre rifiutato i sacrifici umani! E poi..come lo sai?”.

Ipazia sorrise, mentre su di lei comparivano vestigia azteche. Sul volto calò un elmo dalle sembianze canine e vari teschi scuri andarono a proteggere la giovane.

“Xolotl!” capì Tolomeo, il risvegliato Quetzalcóatl “Gemello mio..”.

“Non potevo certo lasciarti da solo, serpente piumato. Ora però, dobbiamo..”.

“Ci sono già abbastanza morti qui, senza che io ne provochi altri per puro rendiconto personale!”.

“Come vuoi..”.

 

Hades, sfinito, guardò negli occhi Arles, altrettanto privo di forze. Accanto al loro padrone, comparvero i tre giudici, pronti a difendere il Dio dell’oltretomba da qualsiasi nemico.

“Riportatelo a casa” parlò Arles, sorridendo nel vedere Deathmask addormentato per la fatica “Riportate agli inferi il sommo Hades e la sua signora”.

“Ma..” si stupì Aiaco “..Eleonore..”.

“Eleonore è la sua regina. Credevo non gli importasse, ma ha usato tutte le sue energie per salvarla perciò..portate al sicuro entrambi”.

Radamante, già stufo di tutte quelle ciance, sollevò Hades da terra. Aiaco invece prese fra le braccia Eleonore, che iniziava a riaprire gli occhi.

“Fratello!” comparve Phobos, atterrando accanto ad Arles e vedendo i tre giudici allontanarsi di corsa “Fratello, qui crolla tutto. Devo portarti al sicuro, ordine di padre Ares”.

“Ma che combini?!” interruppe Lucifero, raggiungendo il nipote “Perché l’hai lasciata andare?!”.

“Non mi tormentare, per favore..” sospirò Arles.

“Piuttosto..tu!” l’angelo caduto puntò il dito verso Phobos “Tu sai chi l’ha uccisa?”.

“Uccisa chi?”.

“Mia sorella. Chi ha ucciso Sophia?”.

“Sono stati due colpi combinati a determinarne la fine”.

“Lanciati da chi?”.

“Perché dovrei dirtelo?”.

“Sono state Atena ed Afrodite” parlò Mihael “Fratello, per una volta combatterei al tuo fianco, se tu decidessi di alzar mano contro di loro. Dio dice sempre di perdonare ma la divina Sophia è morta e non riesco a perdonare queste divinità pagane”.

Lucifero rispose con un largo sorriso. Nel frattempo i cavalieri d’oro, capendo che Arles aveva ripreso un certo autocontrollo, tentavano di diffondere il messaggio ascoltato da Aiolos. Quella guerra non aveva senso: gli eserciti Egizi non erano nati per combattere!

“Lucifero!” si voltò Arles, riuscendo a fatica ad alzarsi in piedi “Fermati! So che a muoverti è l’odio. Io stesso non sono felice di apprendere che Sophia sia stata uccisa dalla Dea che ho servito per anni, ma muoverti contro di lei non farà che mostrati come nemico di Greci e Romani. Agiranno in massa per eliminarti”.

“Nemico..sai che novità! Io sono sempre un nemico, anche della mia stessa gente”.

“Anche io lo sono stato, e probabilmente lo sarò ancora. Ma desideri così ardentemente la morte?”.

“Tu non sai che cosa significa perdere l’unica persona in grado di amarti!”.

“Ah no?”.

Arles e l’angelo caduto si fissarono in silenzio, qualche istante.

“Fermati. Fermatevi, tutti quanti. Non ha senso quel che fate..” continuò il figlio di Ares, anche se a fatica.

“Tu..non puoi capire! E non fare il saggio con me!” ringhiò Lucifero, spalancando le ali e sollevandosi.

Mihael, convinto dalle parole di Arles, rimase a fissare il cavaliere con aria interrogativa.

“Chi ho di fronte?” si chiese.

“Possiamo rimandare a più tardi le domande su chi o che cosa sia io?!” sbottò il fissato “E concentrarci per fermare questa guerra?”.

“Come tutti i conflitti, è frutto di odio ed incomprensioni..sono con te. Come la possiamo fermare?”.

“Tu sei a capo dell’esercito degli angeli, perciò la tua parte la puoi fare con semplicità..”.

“E che potrei dire, per farli fermare? Avranno bisogno di una motivazione!”.

“Dì loro che il primo figlio maschio della loro preziosa divina Sophia li prende a calci in culo fino a farli svenire se non si danno una calmata!”.

“A proposito di questo..” commentò Mihael, facendosi serio “..stando alle regole, dovrei eliminarti. Tu sei un figlio proibito, frutto di due religioni diverse”.

“Non è questo il momento, non ti pare?”.

“Io devo far rispettare le regole, mi spiace”.

“Ed io ti spacco la faccia!” si intromise Phobos “Gira al largo!”.

“Principesse, la smettiamo di discutere?” interruppe Tolomeo.

“E tu chi cazzo sei?!” domandò Arles, mentre il figlio gli poggiava un braccio sulla spalla e sfoggiava il miglior ghigno possibile.

“Sono Tolomeo, Quetzalcóatl. Sono cambiato un po’, eh? Ma pure tu..carine le ali..”.

Il figlio di Ares non aveva ancora realizzato di averle quindi le fissò, piuttosto sconcertato. Al gruppetto si unì Ipazia, Xolotl.

“Perché i miei figli sono Dei aztechi?”.

“Aztechi, Tolmechi.. a volte anche Maya” sorrise il figlio “Ma non è questo il punto”.

“Ti do ragione..”.

Il padre, sfinito, si reggeva in piedi a fatica. Alzò lo sguardo, vedendo Lucifero in cielo che tentava di avvicinarsi ad Atena, abbattendo chi gli si parava davanti con una ferocia impressionante.

“Tutti questi morti..” commentò, amareggiato, Ra “..solo perché Iside ha richiamato un esercito per ritrovare il suo amato..”.

“Perdonami ma poteva trovare qualcosa di meno minaccioso per ritrovare l’amato!” sbottò Phobos.

Maya, Dea induista, non amava la guerra. Shiva, al contrario, pareva divertirsi un sacco. Quando però il Dio capì che era una battaglia insensata, il suo entusiasmo andò scemando.

“Ho un’idea..” sussurrò allora Maya e si concentrò.

In cielo apparve una forte luce, quasi pari a quella del sole.

“Un’illusione..” capì subito Arles, prima che Phobos lo trascinasse via.

“Mi spiace..” spiegò il fratello maggiore “..ma devo obbedire a papà e ti porterò lontano da qui!”.

 

“Hai ucciso mia sorella!” sbraitò Lucifero, combattendo contro Atena “Non ti perdonerò mai!”.

Continuarono a contrarsi in cielo, mentre la luce creata dall’illusione di Maya si espandeva. Creati dalla mente della Dea induista, comparvero Sophia e Zeus. Quella visione, fermò i conflitti. Sul viso dell’alata e del padre degli Dei si scorgeva chiaramente una nota di disappunto.

“Padre..” mormorò Atena, ingannata dalla visione.

“Sorella?” si stupì Lucifero, non del tutto convinto.

“Adesso basta!” tuonò Zeus “Quante vite volete ancora far sfumare, prima di fermarvi?”.

“Questa battaglia è sempre stata un errore, come ho ripetuto fino alla nausea” continuò Sophia “Mi meraviglio di voi, angeli, che predicate l’amore ma siete disposti ad uccidere per vendetta. Non piangete la mia morte, gioitene piuttosto. Ora veglierò su ognuno di voi, come fa Dio”.

“Atena!” si voltò il padre degli Dei “Figlia mia adorata! Deponi le armi, ordina ai tuoi eserciti di fermarsi. So bene che hai agito per la pace della Terra, ma adesso basta”.

Atena guardò verso Zeus ed una lacrima scese dal suo volto.

“Mihael! Lucifero!” supplicò Sophia “Fratelli miei! Basta!”.

“Per te, sorella..” mormorò l’angelo caduto, chinando il capo in segno di resa.

Le due illusioni sorrisero e scomparvero, lasciando i combattenti in un palazzo buio, con ai piedi migliaia di cadaveri.

 

“Padre!” chiamò Phobos, raggiungendolo “Padre, sono qui!”.

Arles subito comprese che qualcosa non andava. Che ci faceva Ares in un dirupo, con corpo ed armatura a pezzi? E chi era quella ragazza alata al suo fianco?

“Phobos!” esclamò Nadijeshda “Sei arrivato!”.

“Sì..come stai, papà? TI ho riportato Arles con la forza. Kanon non serve..quello è Egizio! Kanon è Osiride”.

“Osiride?!” mormorò Ares, perplesso, poi voltando lo sguardo verso il figlio più piccolo “Ma che..”.

“A quanto pare dovrò insegnare a volare anche a qualcun altro” sorrise l’alata.

“Papà!” parlò piano Arles “Che mi combini? Non vorrai mica morire?”.

“Dov’è Eleonore? È..morta?”.

“No. È con Hades, il suo sposo”.

“Ma..perché? Piccolo mio, perché? Hai tanto lottato per lei..”.

“Perché è giusto così, papà. È giusto così..”.

“Se lo dici tu. Però..il tuo animo..”.

“Mi rialzerò..”.

"Quelli come noi si rialzano sempre, non dimenticarlo mai".
"Lo so. Io sono pronto a rialzarmi. Ho visto la mia luce. Non è spenta, come molti pensano, ma brucia e splende, assieme ad ogni singola goccia di sangue divino. Lascia solo che trovi nuova linfa, nel mio corpo stremato, e ti dimostrerò quanto in alto questo tuo figlio maledetto può giungere".
"Non ti ho mai considerato maledetto. O sbagliato..".
"Nemmeno io ti considero così".
"Quelli come noi devono sempre combattere".
"Lo so. E allora tu..perché hai deposto le armi?".
"Io..".
"Tornano sempre..ricordi?".
"Già..alla fine, tornano tutti".
"E allora noi attenderemo. Dovesse trascorrere un'eternità. Lotteremo, cadremo, ci rialzeremo..ma non ci arrenderemo mai. Torneranno..perché tornano sempre!".
“Ary..”.

“Ed ora, lascia che ti mostri quel che so fare!”.

Arles concentrò di nuovo quella luce che aveva risvegliato per salvare Eleonore. Percepiva la vita del padre sempre più flebile e usò il suo potere per aiutarlo.

“Un guaritore?” si stupì Nadijeshda “Hei, vacci piano però! Per fare quel che stai facendo, consumi la tua energia vitale!”.

Senza ascoltare, Arles continuò a guarire il padre finché poté. Ares, udite le parole dell’alata, afferrò entrambe le mani del figlio e le allontanò.

“Ora so guarirmi da solo..” gemette.

“Padre..”.

“Sei..come tua madre..”.

Arles respirava affannosamente per la fatica. Osservò il genitore.
"..papà...” commentò, sussurrando “..piangi...?".
"No..io...io non piango mai..." mentì Ares.

La stanchezza prese il sopravvento. Il figlio si poggiò contro il padre, sentendosi inaspettatamente stringere a sé e vedendo piangere l'uomo che credeva incapace di versale lacrime. 
"Sono tanto stanco.." ammise il Dio della guerra.
"Riposa, allora. Non ci sono più battaglie da combattere. È tutto finito”.

“Hai ragione..” sorrise il padre, poggiando una mano sul capo del figlio “Sai..stando qui in punto di morte mi son ritrovato a pensare. Che ho fatto per tutta la vita? La guerra. Solo la guerra. Ma anche dei figli meravigliosi..”.

“No, ti prego, non diventarmi sentimentale..” sorrise anche Arles, poi chiudendo gli occhi, sfinito.

Il padre rise e fece lo stesso, dopo aver visto che in cielo brillavano di nuovo le stelle.

 

“Tutti questi morti..” parlò Ra, non nascondendo il suo disappunto “..a che scopo?”.

“Gli angeli non dovrebbero cadere per simili, stupidi, motivi” concordò Mihael.

“Nessuno dovrebbe!” incrociò le braccia Tolomeo “Io e Ipazia, forse..”.

“Sì..forse potremmo fare qualche cosa” annuì lei “Però..servirebbe un’enorme quantità di energia!”.

“Per fare che?” si incuriosì Shiva.

“Per riportare in vita queste ossa morte” spiegò il ragazzo, senza scomporsi.

“Ma voi..non siete creatori”.

“Singolarmente no. Ma l’unione delle forze opposte che rappresentiamo, come luce ed ombra, possono donarci questa capacità per qualche istante. Però, ripeto, serve un’enorme quantità di energia. Che l’unione di cosmi stremati dalla battaglia non può fornire..”.

“Ma allora..”.

Si udì un gemito, fra la folla di divinità. Discordia, che fino a quel momento era rimasta in disparte, fissava i figli.

“Tutto questo..” parlò “..è colpa del sospetto e della sfiducia che il mio potere crea. Come ammenda, figli miei, prendete il mio cuore”.

“Madre?” alzò un sopracciglio Quetzalcóatl, senza capire.

“Il sacrificio vi rende potenti. Prendete, dunque. Ultimo gesto, di una madre che non è mai stata tale”.

“Ma no, aspettate! Io..”.

Discordia non lasciò al figlio il tempo di continuare e si trapassò il petto,  estraendone il petto pulsante.

“Questo è per te, figlio mio, Tolomeo..Quetzalcóatl!” gemette.

“Madre!” urlò lui, correndo per raggiungerla.

Le prese le mani, ed il sangue lo bagnò. Il liquido rosso iniziò a risalire, lungo l’armatura, seguendo i motivi intagliati in oro. Subito mutarono di colore, divenendo scarlatti. A partire dalle dita, risalirono gli incavi e tinsero l’intera armatura. Discordia cadde in terra, priva di vita, ed il figlio si voltò verso la gemella, con occhi lucenti carichi di energia.

“Serve anche a te?” chiese Atena, rivolta ad Ipazia.

La ragazza era confusa, risvegliata da troppo poco per capire del tutto quel che accadeva. Si voltò verso la Dea della saggezza, che le sorrise. Con uno scatto, ella ripeté il gesto di discordia e porse il cuore alla giovane.

“Per rimediare a tutto questo..” mormorò Atena.

Ipazia si ritrovò il cuore pulsante della Dea fra le mani e la propria energia aumentò, così come era successo al fratello.

“Xolotl..” parlò Tolomeo “..andiamo?”.

“Sì, Quetzalcóatl” annuì Ipazia.

I due gemelli, richiamata a sé quell’enorme quantità di energia, usarono il proprio sangue, che sparsero fra le vittime. Bastarono poche gocce per ogni corpo. Shiva osservava la scena, incuriosito. Pure lui, assieme alla moglie, riusciva ad essere un creatore ma lui usava la danza, non il sangue ed i sacrifici umani. Era comunque qualcosa di affascinante.. Vide i morti nella battaglia rialzarsi e riprendere vita, mentre le due divinità al cento si liberavano del sangue ottenuto dal sacrificio, facendo tornare i glifi sulle loro vestigia del colore originale. Gli angeli ripresero il volo, i soldati si rimisero in piedi. Rimasero in terra solo Atena e Discordia, sacrificate.

“Fantastico..” ammise Lucifero, quasi geloso di quel potere.

Una volta che quel macabro rituale fu completato, Tolomeo ed Ipazia barcollarono e caddero, uno accanto all’altro, sfiniti.

“Meglio tornare a casa” propose Deimos, raccogliendo il nipote “Kanon, vieni?”.

Kanon scosse la testa. Con Sarah accanto, si voltò verso gli Dei Egizi.

“Io sono Osiride ora, zio” rispose “Il mio posto è qui”.

“Come vuoi. Passa a trovarci”.

“Sarà fatto. Prima, però, devo ricostruire questo luogo. Lo avete distrutto..”.

“Scusa..”.

“So che non lo pensi davvero! Prenditi cura di mio fratello Arles”.

“Certo”.

Aiolos sollevò Ipazia, dopo aver visto il corpo di Atena dissolversi in polvere d’oro. Non poté fare a meno di piangere, prima di spiccare il volo.

“Fai il bravo, mi raccomando” si congedò Milo, salutando Kanon.

“Lo farò. E se tu e Aiolia vorrete venire a trovare una tale Dea scorpione o Dea leone..”.

“Ah, così mi tenti! Ciao, Kanon”.

Lo Scorpione non pareva affatto turbato dalla morte della sua Dea. Aveva compreso che si è sacrificata per qualcosa di giusto e per una volta non doveva salvarla o proteggerla. Ma ora non voleva pensare alle conseguenze di quel gesto: voleva solo tornare a casa e dormire!

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Capitolo 21
*** XXI- vita ***


XXI

VITA

Riaprendo gli occhi, Arles percepì subito il calore del sole sul viso. Girò gli occhi, vedendo degli angeli accanto al letto.

“Sono morto?” mormorò.

“No” rise Lucifero “Però ci sei andato vicino. Ok, sei un guaritore, ma per aiutare tuo padre hai consumato moltissima energia vitale”.

“E lui ora dov’è? Sta bene?”.

“È nella sua stanza. Stanco e malconcio ma, grazie a te, non in pericolo di vita” informò Mihael.

“Che fate voi due qui, se non sto morendo? Che volete?”.

“Niente. Solo sapere che intenzioni hai” rispose Lucifero.

“In che senso? Che intenzioni dovrei avere?”.

“Sei un angelo, un Dio, un Greco, un guaritore..che pensi di fare? Cosa pensi di essere?”.

“Chi sono io? È questo quel che mi stai chiedendo?”.

“Domanda già sentita, dico bene?”.

“Già. Ma, ad ogni modo, ora so la risposta”.

“Davvero?”.

“Io sono io. Sono unico ed irripetibile e così devo rimanere. Perché scegliere? Perché limitarsi? Sono stato in Egitto, dopo una vita da Greco, ed in pochi giorni ho conosciuto religioni di tutto il Mondo. Indiani, Precolombiani, Monoteisti, Greci, Romani, Egizi..come faccio a sapere che strada è giusto che io prenda? Non lo posso sapere! Ma quel che so è che voglio provare e vedere altro. Voglio andare in alto, vedere di più, conoscere di più. Intanto potrei iniziare spostandomi in Tessaglia, la terra di mio padre, in modo da comprendere almeno quel lato della famiglia. Poi chi lo sa..”.

“Poi potresti venire a trovare me” ghignò Lucifero “Non come anima da torturare, ovviamente. Come ospite..”.

“A questo proposito, dato che siete qui..”.

“Parla pure” lo incitò Mihael.

“Io dove andrò, una volta morto? Intendo dire..non so davvero a chi dovrei rivolgermi. Più divinità conosco e più comprendo che, alla fine, amano solo loro stesse. Perciò..”.

“Anche tu ami solo te stesso?”.

“Me stesso e chi ho vicino. Sinceramente, del resto dell’umanità me ne sbatto le palle!”.

“Ottimo..” borbottò Mihael, sarcastico.

“Ma rispondete alla mia domanda. La mia anima dove andrà, quando morirò? In quale regno ultraterreno?”.

“Domanda difficile..” ghignò l’angelo caduto “..però, sappilo, io lotterò per avere la tua anima! Sarei troppo felice di averti fra le mie schiere come demone!”.

“Come se te lo lasciassi fare!” sibilò Mihael.

“E come pensi di impedirmelo?!” lo sfidò Lucifero, chinandosi sul nipote.

“A suon di legnate penso di impedirtelo, diavolo!” fu la risposta.

“Hei, basta!” li zittì Arles “Non sono ancora morto!”.

“Parlando seriamente..” riprese il caduto, incrociando le gambe e sedendo sul letto del nipote “..io non credo che ti dovresti preoccupare. Sei un Dio, gli Dei invecchiano molto lentamente. Sei un angelo, un guaritore, quindi il tuo corpo si rigenera. Sei un Greco, con dei figli avuti con una Romana, che si sono risvegliati come Precolombiani. Non voglio anticiparti niente ma..in questi giorni mi pare di aver scorto un certo affetto fra il tuo primogenito e Maya, l’Indiana. Il tuo gemello è un Egiziano ed i parenti di tua madre sono angeli. Detto questo, mi sento di dire che sia un po’ difficile che qualcuno ti ammazzi”.

“Eh?” riuscì solo a dire Arles, non sapendo molte delle cose che lo zio gli aveva appena svelato.

“Povero piccolo, quanto casino in poche settimane, vero? Comunque sono qui per dirti che, se vorrai, da me ci sarà sempre lavoro per te”.

“Vale lo stesso per noi angeli del cielo” aggiunse Mihael “Abbiamo visto quel che hai fatto. Il sangue di Sophia è in te e saremmo felici di vederti fra le nostre truppe”.

“Grazie, ma per ora pensavo a qualcosa di più..terreno” annuì Arles.

“Bene, in futuro..”.

“Già, in futuro” dissero i due angeli, il caduto ed il capo delle milizie celesti.

“Ma per ora sparite!” interruppe Nadijeshda, entrando nella stanza con accanto Phobos “Lasciatelo riposare. Ne riparlerete fra un po’, ragazzacci!”.

“Ma..un attimo!” protestò Arles, ricadendo sul letto per la stanchezza “..che è successo? La guerra?”.

“Tranquillo” lo tenne giù Phobos, usando due dita premute sulla fronte del fratello minore “Ora ti racconto tutto. Anche se forse dovresti riposare ancora un po’..”.

“Tu racconta. Al massimo mi addormento e continui la prossima volta..”.

“Hem..ok..”.

 

Ares si sentiva decisamente stordito, nonostante fosse trascorsa qualche settimana dalla battaglia. Ancora debole, camminava lungo il colonnato, gustandosi il sole. Quel Tempio si stava gradatamente svuotando e presto anche lui sarebbe partito, assieme ai suoi figli guerrieri. Con la morte di Atena, molti cavalieri si erano allontanati. Alcuni, come Mur, Shaka ed Aldebaran, erano tornati nelle loro terre natie. Altri, come Milo, Deathmask, Shura ed Aphrodite, avevano deciso di godersi il sospirato congedo e si erano comprati delle casette in posti tranquilli. Camus, Aiolos ed Aiolia, assieme a Kiki come Sacerdote, avevano preferito rimanere al Tempio per studiare e proteggerlo. Tolomeo, Quetzalcoatl, aveva raggiunto l’America, in cerca di altre divinità del suo tempo. Assieme a lui, era partita Maya, come sua consorte. Ipazia non aveva seguito il fratello ma, come il padre, aveva deciso di esplorare i dintorni. Ad Apollo, primogenito di Zeus, erano andate le redini dell’Olimpo e questo rendeva felice Ares, liberato di molte responsabilità non volute.

“Cosa vedi di così interessante?” rise poi il Dio, girando solo di poco la testa.

“Niente” parlò una donna alata “Mi chiedevo cosa ci avesse provato mia mamma in te..”.

“Sei una delle figlie di Sophia?”.

“Sì. Sono Vera”.

“Non lo so nemmeno io che cosa ci abbia visto”.

“Io invece qualcosa ho capito. Non siete malvagio”.

“Sono il Dio della guerra, padre di Paura e Terrore..”.

“Ma anche di Eros, l’Amore”.

“Quello suppongo sia merito di Afrodite..”.

“Chi lo sa. Comunque..dovrai tenere d’occhio la mia sorellina Nadijeshda”.

“A quello ci penserà Phobos”.

“Allora a te affido il fratellino Arles”.

“Quello lo posso fare..”.

“Vera!” chiamò Mihael “Dobbiamo andare. Lascia perdere quel pagano”.

“Hei, angioletto” rise Ares “Un giorno, lo sai, sarai mitologia pure tu!”.

“Lo so, non ti offendere” rise a sua volta Mihael.

“Aspetterò quel giorno. Quando potrò chiamarti pivellino perché sarai l’ultimo arrivato”.

“Ti offrirò da bere”.

“E giocheremo a carte”.

“Da bravi vecchietti in pensione..”.

 

“Questa è Spartaaaaa!” gridò Deathmask, divertito.

Arles riconobbe la voce ed interruppe momentaneamente l’allenamento con Phobos e Deimos. Con l’elmo con il pennacchio  ed il vestiario scarso, effettivamente assomigliava ad un tipico spartano filmico. Aveva celato le ali, trovandole scomode contro i fratelli.

“Ma vivi davvero qui?” storse il naso Aphrodite, guardandosi attorno.

“Benvenuti al tempio di Ares” ridacchiò Arles, togliendo l’elmo.

Una volta ripresosi, era partito assieme al genitore ed i fratelli e da quel giorno era rimasto in Tessaglia, per allenarsi. Quella era la prima volta che rivedeva i suoi colleghi cavalieri, dopo molti mesi.

“Ti vedo bene, come va?” sorrise Death.

“Passo le mie giornate prendendole dai miei fratelli maggiori, non male direi. Ma pensavo di partire presto”.

“Partire? Per dove?”.

“Non lo so. Basta partire”.

“Ah, che bello” rise Aphrodite “Io aspetto che compaia Persefone. Tra poco inizia la primavera!”.

“Bravo, pesciolino. Al Tempio? Tutto ok?”.

“Non ne abbiamo idea” confessò Deathmask “Non ci passiamo. Però c’è Aiolia, Aiolos e compagnia bella. Non credo ci sia problemi”.

“Sì, noi cavalieri non serviamo finché Atena non rinasce” aggiunse Pesci.

“Lo farà, non dubitate” parlò Arles “Che dite? Andiamo a farci una birra?”.

Non riuscì a sentire la risposta perché Phobos e Deimos, stanchi di vederlo cianciare, lo avevano attaccato contemporaneamente, saltandogli addosso e stendendolo.

“Devi sempre stare all’erta!” rise Deimos.

“Sì, non si sa mai cosa può accadere!” sfotté Phobos.

“Levatevi, ciccioni!” protestò, divertito, il fratello piccolo.

Death ed Aphro si limitarono ad osservare la scena. Una volta atterrato, Arles era diventato il giocattolo dei gemelli più anziani, che iniziarono a tormentarlo.

“Guanciottine guanciottose!” stuzzicò Phobos, punzecchiando la faccia del fratellino.

“Vai a cagare” tentò di reagire Arles, che però era tenuto fermo a suon di solletico e piccole torture.

Nel frattempo, Ares era nella sua casa. Udiva il caos che creavano i suoi figli e rise. Si stava concedendo un caffè, gentilmente portato da Death e Aphro. Dopo pochi istanti di relax però, notò un cosmo familiare. Quante visite quel giorno, in un luogo in cui solitamente non compariva anima viva se non i suoi eredi! Subito il Dio della guerra storse il naso. Che ci faceva Hades lì? E perché con lui c’erano Persefone, Eleonore ed Ipazia?

“Ciao, nipote” sorrise Hades.

“Che cosa vuoi?” rispose Ares, sospettoso e consapevole che a nessun Dio veniva in mente di  venirlo a trovare per puro diletto.

“Devo parlare a tuo figlio, quello piccolo”.

“Arles? Scordatelo!”.

“Non è mica una richiesta!”.

“Evapora! Adesso che finalmente pare abbastanza sano di mente e controllato, gli sventoli di nuovo davanti la ex moglie?! Smamma!”.

“Oh, su, non rompere le palle, ragazzino! Ho altro da fare!”.

“Ti ricaccio agli inferi a suon di botte, se non te ne vai!”.

“Ma che pensi di fare? Moccioso..”.

“Forse ha ragione” interruppe Eleonore “Potete andare voi, sommo Hades, a parlare con Arles ed io resto qua, in modo che non mi veda. Nemmeno io, lo ammetto, fremo all’idea di incontrare di nuovo il suo sguardo”.

“Mia sposa, smettila per favore. Persefone non si lamenta!”.

“Torna a casa tua!” sbottò Ares, accigliandosi.

“Altrimenti?”.

Il Dio della guerra ringhiò, accendendo il suo cosmo rosso e sfidando Hades.

“Non farmi diventare cattivo” si infastidì Hades “Non preoccuparti. Non farò del male a qui figli di puttana dei tuoi eredi..”.

“Come li hai chiamati?!”.

“Ares! Andiamo! Vuoi forse negare che Afrodite sia una puttana?! Se la sono scopati tutti! Compreso il tuo caro figlio Arles”.

“Mio figlio che cosa?!”.

“Buongiorno, ciccio!”.

“Comunque non sono cazzi tuoi! Migra!”.

“Fatti da parte!”.

Il Dio della guerra non aveva alcuna intenzione di retrocedere e tentò di colpire lo zio, che si stupì. Solitamente gli Dei non osavano sfidarlo! Quanto era strano Ares quando si cercava di fare del male ai suoi cuccioli! Colpito di striscio, il Dio dell’oltretomba rispose subito ed i due iniziarono a lottare.

“Ma che fate?!”esclamò Persefone, mentre zio e nipote tentavano di strangolarsi a vicenda.

“Vattene!” ordinò di nuovo Ares ad Hades e questi, di tutta risposta, lo scaraventò contro la parete.

Il muro si sgretolò ed il Dio della guerra finì all’aperto. I figli osservarono il genitore, stupiti. Poi, dalla polvere, emerse lentamente il Dio dell’oltretomba, seguito dalle spose e da Ipazia. Phobos e Deimos lasciarono andare Arles, che si rialzò.

“Devo parlare con te” indicò Hades.

“Lascialo stare, brutto sadico!” ringhiò Ares, ancora in terra e ricoperto di polvere e detriti.

“Tranquillo, padre” sorrise Arles, poco convinto “Non preoccupatevi sempre per niente”.

“Ma..”.

“Arles, sono qui per chiedere umilmente la mano di tua figlia Ipazia” si inchinò leggermente Hades.

“Ipazia?!”.

“Oh, papà!” esclamò la giovane, raggiante “Dì di sì, per favore! Ti prego!”.

“Beh..” rimase un po’ sconcertato Arles “..io non posso rispondere in modo negativo dinnanzi allo sguardo sognante di mia figlia”.

“È dunque un sì?” sorrise Ipazia.

“Certo, bambina mia. Chi sono io per impedirti di fare qualcosa?”.

“Grazie” si inchinò di nuovo Hades.

“Congratulazioni. E complimenti, Hades. Tutte le donne che conosco, finiscono con l’avere qualcosa a che fare con te. Se vuoi, ho anche molte sorelle..”.

“Noto il sarcasmo nella tua voce. Ma non ho finito..”.

“Io sì” interruppe Arles “Ho altro da fare, scusate. Auguri”.

Raccogliendo l’elmo da terra e fingendo indifferenza, il figlio di Ares mostrò le spalle al gruppetto di divinità.

“Dove pensi di andare?” ghignò Hades.

“Da Lucifero. Almeno sono certo che nel suo inferno tu non compari!”.

“Prima però lascia che ti dica una cosa. Prima di conoscere Ipazia, non ero mai stato amato veramente. Lei è la prima donna che sceglie me, senza che io la rapisca o la inganni”.

“Buon per te..”.

“La mia dolce Ipazia mi ha fatto capire che significa essere amato per davvero. Lei sorride quando mi vede, il suo sguardo brilla. Non è triste, nostalgica o malinconica. Ed è questo che voglio vedere d’ora in poi. E basta”.

Arles si fermò, senza però voltarsi. Che stava blaterando?

“Persefone..Eleonore..” riprese Hades “Siete libere. So che i vostri occhi brillano quando scorgete il volto di altri. Nessun rancore, andate pure. L’amore di Ipazia è tutto ciò che desidero”.

“Ha..Hades..” balbettò Persefone, confusa.

“Vai dal tuo cavaliere dei Pesci, mia cara. E tu, Eleonore.. Arles! Ti rendo la tua sposa! Ho passato splendidi momenti con lei, ma il suo cuore non mi appartiene”.

Il figlio di Ares non rispose e non ebbe il coraggio di girare il capo. Doveva essere un sogno, la sua mente doveva aver ceduto!

“Che stai dicendo?! È un inganno, forse?” domandò Ares.

“Nessun inganno, nipote. Eleonore è libera. Solo una cosa, Arles: deve sorridere! Se piangerà, anche solo una volta, per colpa tua..me la riprenderò. Chiaro? Girati!”.

Arles si voltò lentamente.

“Mi hai capito, Dio delle illusioni?” incalzò Hades.

“Sì” mormorò il figlio di Ares “Io..ho capito”.

“Và pure, mia cara” la incitò il Dio dell’oltretomba, notando la titubanza di Eleonore.

“Siete sicuro?” domandò lei “Io..davvero posso..?”.

“Dai! Sbrigati!” rise il Dio.

“Eleonore..” la chiamò piano Arles e lei iniziò a correre, raggiungendolo ad abbracciandolo forte “Eleonore! Non è un sogno? Io..”.

“No, non lo è. Amore mio..”.

“Siate felici” si congedò Hades, mentre anche Persefone raggiungeva Aphrodite.

“Ma davvero è reale?” continuò a chiedere Arles.

“Vuoi un pugno?!” sbottò Deimos.

“Eleonore..”.

“Dimmi, Ary” sorrise lei.

“Vuoi davvero essere ancora mia moglie?”.

“Per tutta l’eternità. Camminare al tuo fianco ovunque andrai”.

“Però..” interruppe Aphrodite “..questa volta voglio una cerimonia come si deve! Voglio farti da testimone!”.

Arles annuì, senza sapere che altro dire. Lei gli sorrideva, prima che lui finalmente la stringesse a sé e la baciasse.

“Vivi qui?” domandò poi Eleonore.

“Sì..”.

“Mi mostri..la tua camera?” sussurrò “Ho viaggiato a lungo, vorrei riposare”.

“Ma certo, vieni”.

Le stanze di Arles erano semplici, in netto contrasto con quelle da Gran Sacerdote in cui aveva vissuto per anni. Il proprietario accese un paio di candele, fuori il sole stava tramontando.

“Non sarà un hotel di lusso..” parlò lui “..ma a me piace”.

“Va bene così”.

“Forse tu, come regina, sei abituata a..”.

“Va bene così!” ripeté lei, ridendo e baciando di nuovo suo marito.

“Eleonore..” confessò lui “..perdonami. Non sono romantico, sentimentale o dolce ma..vorrei tanto buttarti su quel letto e farti mia fino all’alba di domani!”.

“Hai ragione: non sei romantico! Sarò all’altezza? Dicono che tu abbia fatto sesso con Afrodite..”.

“Ed io? Sarò all’altezza di un Dio con millenni di esperienza?”.

“Fammi vedere..”.

Ripresero a baciarsi, con sempre più foga e poi lei di fermò.

“Arles..” mormorò.

“Sì?”.

“Dove sono le tue ali?”.

Arles si concentrò qualche istante ed esse apparvero sulla schiena del loro padrone. Erano molto più grandi rispetto al giorno della battaglia, pronte per il volo.

“Ti piacciono?” domandò lui.

“Sì, sono bellissime”.

“Ti..eccitano?” ghignò Arles, stringendola di nuovo a sé.

“Oh, Ary! Mostrami come fanno l’amore gli angeli!” gemette lei, trascinandolo a letto.

 

Quel giorno tirava vento e la cosa non era gradita al figlio di Ares.

“Ma siamo sicuri?” alzò un sopracciglio Arles, guardando in giù.

“Fidati!” sorrise Lucifero.

“Perché mai dovrei fidarmi di te, con quel ghigno malefico sulla faccia?!”.

“Questo è il mio modo di sorridere! Ad ogni modo..muoviti! Non hai nulla da temere”.

“Sei sicuro?”.

“Staccati da quella roccia!”.

Il figlio di Ares guardò di nuovo giù. Sospeso nel vuoto, sotto di sé il crepaccio che circondava la casa del padre, non si sentiva affatto sicuro.

“Muoviti o ti spingo di sotto!” minacciò Lucifero.

“Dai, cerca di essere delicato” ridacchiò Nadijeshda.

“Coraggio, è come volare con l’armatura” rassicurò Phobos “Credo..”.

“Cosa ne sai tu?!” sibilò Arles.

“Prima o poi da lì dovrai scendere perciò..apri le ali e lanciati! Vedrai che agirai d’istinto” annuì Eros.

“Mi sento osservato..” borbottò Arles “E poi parlare d’istinto a me, che sono malato di mente, non mi sembra una cosa bella..”.

“Vola, mio angelo!” sorrise Eleonore “Voglio vederti volare!”.

“Ok..ma non vuoi vedermi spiaccicato, vero?”.

“Certo che no! Ma sono sicura che saprai volare benissimo”.

“Le tua ali sono pronte” insistette Lucifero “Hai perso tutto il piumino tenero e ora è tempo di spiccare il volo! È una cosa elementare! I piccoli angeli imparano a farlo ancora prima di camminare!”.

“Io non sono un piccolo putto pacioccoso ma un omone di più di ottanta chili e la forza di gravità, che io sappia, adora richiamare verso il basso!”.

“Muoviti, ciccione!”.

“Non sono ciccione!”.

Lucifero ghignò di nuovo. Sospeso a mezz’aria, era molto divertito da quel che stava accadendo. Arles mosse un piede, mentre sotto di sé alcune rocce cadevano nel vuoto.

“Capisco la sensazione” lo incoraggiò Phobos.

“E che hai fatto per vincerla?”.

“Niente. Mi son buttato e basta”.

“Spero, però, che non atterri come te..” rise Nadijeshda.

“Perché?! Com’è atterrato lui?” si allarmò Arles.

“Non importa!”.

“Come non importa?!”.

“Hai intenzione di stare lì tutto il pomeriggio?!” incrociò le braccia Lucifero “A differenza di te, io ho un lavoro, sai? Non posso perdere tempo!”.

“E chi ti dice di stare lì?!” si accigliò il nipote.

“Ma su, mi diverto!”.

“Va all’inferno!”.

“Dopo, come sempre. Tu ora però vola!”.

Arles sospirò. Poi guardò verso l’alto, dove Phobos e Nadijeshda si inseguivano volando.

“È la stessa cosa” si disse “Come volare con l’armatura, stessa cosa”.

Incoraggiato, anche se non del tutto convinto, da quei pensieri, finalmente si decise a compiere un piccolo balzello. Spalancò le ali e subito percepì l’aria avvolgerlo e spingerlo verso l’alto. In effetti, era molto simile a quando volava con l’armatura ma, in questo caso, le vere ali erano più sensibili. Percepiva il vento su di esse ed il calore del sole. Le sbatté un paio di volte, con il chiaro intento di raggiungere Lucifero, che però si ritrasse in fretta.

“Prendimi, cucciolo!” lo sfidò ed Arles raccolse la sfida, pur volando in modo ben più impacciato dello zio.

Si alzarono e girarono un paio di volte attorno alla statua di Ares che sorvegliava il Tempio del Dio della guerra. Il nipote si posò sul pennacchio dell’elmo della statua, non sentendosi ancora pronto a fare strane acrobazie.

“Bravo. Ora però scendi” ghignò Lucifero.

Arles gli mostrò la lingua e saltò sulla spalla in pietra.

“Non così!” lo rimproverò lo zio, ostacolandolo.

“Ma và via!” protestò il nipote “Ho volato! Lasciami in pace!”.

“Sei uno scansafatiche!”.

“Non è vero!”.

Agitandosi un po’ troppo, Arles finì col perdere l’equilibrio. Ad un passo dalla pavimentazione, si rigirò avvolto dalle ali e riuscì a riprendere quota. Lucifero lo fissò con un mezzo sorriso, chiudendo gli occhi ed annuendo soddisfatto. Dovette però riaprirli in fretta perché il nipote stava sfrecciando verso di lui.

“Ti levo quel ghigno dalla faccia, vediamo se ci riesco!” ghignò a sua volta Arles.

Lucifero si voltò e scese in picchiata, poi volando all’interno delle stanze di Ares. Il Dio della guerra li vide solo passare, a velocità sostenuta, e scosse la testa.

“Aspettatemi!” si unì Phobos, seguito da Eros, Nadijeshda e Deimos.

“Ma che..?” alzò un sopracciglio Ares ed Eleonore rise.

“Tuo marito è fuori di testa” commentò il Dio.

“Lo so” annuì lei “Tutto il suo papà”.

“Hai ragione, mia cara”.

 

Steso a terra, sfinito, Arles rideva. Eleonore lo raggiunse, scuotendo la testa.

“Ti diverto, moglie mia?” rise lui.

“Sei peggio dei bambini”.

“Ah sì, è vero. Ma per gli Dei io sono un bambino!”.

“Che scuse..dai, alzati”.

“Partiamo, amor mio?”.

“Partiamo? Per dove?”.

“Per dove vuoi. Tanto, ovunque andremo, con te al mio fianco io mi sentirò a casa”.

“Ma..sei sicuro? Non ti piace qui?”.

“Mi piace, ma ho l’eternità davanti! Allora..dove ti piacerebbe andare?”.

“Non saprei. Che ne dici dell’Oriente? Non ho mai incontrato divinità Scintoiste!”.

“Bello”.

“E ora alzati, non fare il marmocchio!”.

“Marmocchio?”.

Arles si alzò a sedere ed osservò lei, che si allontanava con i capelli mossi dal vento.

“Eleonore!” la chiamò e lei si voltò solo leggermente, cercando di non fasi spettinare completamente dalle correnti “Eleonore io..ne voglio tanti di marmocchi! Un piccolo esercito di marmocchi. E tu?”.

“Da farne nascere uno in ogni luogo che visiteremo!” rise lei e Arles si alzò di scatto, raggiungendola e stringendola a sé, mentre il vento spargeva qualche piuma rossa per il tempio di Ares.

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Capitolo 22
*** XXII- sogno e realtà ***


XXII

SOGNO E REALTÁ

 

“Oh, Ares” gemette la Dea Afrodite, stringendolo a sé “Sei il migliore!”.

“Questo lo sapevo” ghignò lui, abbandonandosi sul cuscino.

“Non ti stanchi mai di fare l’amore con me?” si rigirò lei, poggiandosi sulla spalla del Dio.

“Sei la Dea del sesso, come potrei stancarmi?!”.

“Sei molto poco romantico”.

“Non lo sono mai stato, donna!”.

“Uff..”.

Afrodite rimase in silenzio, giocherellando con la mano lungo il petto di Ares, che borbottò. Lei lo ignorò e continuò a “camminare” con indice e medio, risalendo fino al viso di lui, schiacciandogli il naso con un versetto.

“Afrodite!” sbottò Ares “Dai! Lo sai che dopo il sesso io dormo, non parlotto o gioco!”.

“Lo so, ma io non riesco a dormire”.

“Ma cosa vuoi che mi freghi?! Basta che stai zitta e ferma, così fai dormire me. Te fai quel che vuoi!”.

“Cattivo!”.

“Sempre stato..”.

“Brutto cattivo!”.

“No, brutto no. E tu lo sai!”.

Afrodite si alzò a sedere di scatto e tirò una cuscinata ad Ares, che rispose scaraventandola giù dal letto. Lei subito si rialzò e saltò di nuovo dentro, venendo immobilizzata con un solo braccio dal Dio.

“Lasciami!” si lagnò lei e lui sbuffò, lasciandola, senza nemmeno aprire gli occhi.

“Ma dormi?” riprese a parlare la Dea.

“Ci sto provando..” biascicò lui.

“Io no..sai..da quando Phobos è diventato padre..io mi sento vecchia”.

“E perché? Non è mica il nostro primo nipotino”.

“Lo so ma..ho nostalgia”.

“Nostalgia?”.

“Sì. Ares..amore..facciamo un altro bambino?”.

Ares scoppiò a ridere e rise per un po’, poi si fece serio, notando che Afrodite non trovava la cosa divertente.

“Ma dici sul serio?!” si stupì lui.

“Sì..”.

“Mia cara, siamo vecchi! E poi..non ti bastano i nipotini a cui badare?”.

“Intanto il vecchio sarai tu!”.

“Sei nata molto prima di me..”.

“Il vecchio SEI TU! E poi..io voglio un bambino! È diverso dai nipotini..ma tu sei un uomo, di certe cose non capisci un cazzo”.

“So solo che ho perso più di mille anni della mia vita in meno di un secolo a causa dei figli e sinceramente preferirei starmene un pochino in pace..”.

“In pace? Ma tu sei il dio della guerra..”.

“Si fa per dire..”.

“Ma non lo vuoi un cucciolottino? Un altro piccolo bimbo?”.

“Sinceramente? No! Se vuoi ti compro un cane”.

“Ma non è la stessa cosa!” quasi sbraitò Afrodite, incrociando le braccia e facendo sobbalzare il seno, con somma soddisfazione di Ares.

“Non abbiamo l’età per certe cose..” commentò poi lui, richiudendo gli occhi.

Afrodite parve rassegnata e si accoccolo di nuovo accanto al Dio.

“Sai..” riprese poi e Ares ruotò gli occhi al cielo, senza sapere contro chi inveire “..ho sentito che tuo figlio, Arles o qualsiasi altro nome abbia, si da parecchio da fare con quella Eleonore”.

“Già..”.

“Hanno avuto molti figli e ne avranno ancora..”.

“Chiedi di poter fare da baby sitter..”.

“Mmm..no..pensavo piuttosto di chiedere ad Arles”.

“Chiedergli cosa?!”.

“Se accontenta il mio desiderio. Quando abbiamo fatto sesso, io e lui, mi sono proprio divertita”.

“Afrodite..ti prego..”.

“Sono in pochi quelli che mi fanno divertire. Di solito, al solo pensiero di avere Afrodite vicino, arrivano subito al dunque. È noioso. Con lui no. È stato come farlo con te”.

“Questo è impossibile”.

“Perché?”.

“Perché io sono il migliore, ricordi?”.

“Vero. Però Arles..non so..non mi è dispiaciuto affatto. Anzi. È stato..”.

“Non mi interessa!” la interruppe Ares “Per favore!”.

“Non essere geloso. Mi son fatta tutta l’Olimpo e poi..sei anche tu un mio amante! Io sono sposata con Efesto!”.

“Lo so..”.

“E allora?! Ti sconvolgi se ti dico che un tuo erede mi ha afferrato e mi ha fatto godere? Lo rifarei..sì, con lui lo rifarei”.

“E piantala!”.

“Oh ma quanto sei irritante!”.

“Con tante persone ci sono al mondo, con mio figlio ci devi provare..”.

“Mi ha ricordato te quando eri più giovane”.

“Intendi quando ci hanno beccato ed intrappolato in quella rete?”.

“Ma anche prima..sono certa che, se glielo chiedessi, mi soddisferebbe. In tutti i sensi”.

“Adesso basta!” sbottò Ares, scattando di colpo ed afferrando Afrodite per i polsi.

La Dea per qualche istante si spaventò. Era abituata agli scatti d’ira del Dio, ma solitamente non si sfogava mai contro di lei. Vedendo poi che il Dio non le avrebbe fatto alcun male, ghignò divertita.

“Cosa c’è?” rise “Se non ti senti all’altezza..magari il modello più giovane è più..”.

Ares la zittì, tappandole la bocca con una mano e salendole sopra. Lei di dimenò qualche istante e poi rimase ferma, fissando negli occhi il Dio della guerra. Tentò di impietosirlo, sfoggiando grandi occhi da cerbiatta ma lui non mutò espressione. Accigliato, non le voleva togliere la mano dalla bocca. Lo sguardo di lei si fece lucido, prossimo alle lacrime. Cercava di soffocarla?  Spaventata, singhiozzò ed allora lui la lasciò, senza però darle tempo di parlare di nuovo, zittendola con un bacio.

“Mi hai fatto paura” ammise la Dea, piagnucolando, appena quel lungo bacio fu finito.

“Stai zitta” sussurrò lui e la strinse a sé, ricordandole per quale motivo erano millenni che non si stancavano mai far l’amore l’uno con l’altro.

 

“Rose!” chiamò Aphrodite, Pesci “Vieni a salutare lo zio Deathmask!”.

La bimba, bella come una piccola principessa, corse felice verso colui che chiamava zio e si fece abbracciare. Figlia di Aphrodite e Persefone, era un delicato fiore della primavera ed erano tutti certi che sarebbe divenuta, crescendo, una fra le più belle donne del mondo. In lei scorreva in parte sangue divino e per questo non provava alcun timore nel cogliere le rose del padre con il loro veleno.

“Hai notizie di Saguccio?” chiese Aphrodite, rivolto a Deathmask “Degli altri, più o meno, ho saputo qualcosa. Di lui invece..”.

“Eh ma che vuoi farci?” ghignò il Cancro “Lui è un Dio adesso. È un uomo impegnato”.

“Beh, potrebbe almeno inviarmi una cartolina ogni tanto!”.

“Ma su, non ti offendere! Lo rivedremo di certo da Tolomeo”.

“Lo spero..altrimenti invierò Hermes a cercarlo e, appena la trova, spero gli pianti una delle mie rose nel sedere!”.

“Ma degli altri? Che si sa?”.

“Shaka e Mur sono tornati a casa loro. Ho sentito che Mur sta addestrando dei piccoli lemuriani per trovare nuovi cavalieri. Camus è rimasto al Tempio assieme a Kiki, Aiolos ed il Leone”.

“Che noia. Non hanno mai voglia di andare altrove?!”.

“Si vede di no..”.

“E Shura?”.

“Shura sono andato a trovarlo da poco. Si è preso casa vicino al mare, in Spagna”.

“Bravo, lui sì che ha capito tutto!”.

“Milo ho saputo che è in Tessaglia, ha raggiunto una delle figlie di Ares”.

“Sì, sapevo che aveva simpatia per una delle amazzoni..”.

“Aldebaran è tornato in Brasile. Mi pare si sia messo a fare l’allenatore”.

“Di calcio?”.

“Non so. Non ne ho idea. Può darsi! Poi Dohko si sa che dalla Cina non si schioda e così penso di averti detto tutto”.

“E poi ci sei tu, Pesci, che vivi con la tua bella Persefone”.

“E tu, Cancro, che ti sei sistemato con l’insopportabile Shaina”.

“Dici che un giorno ci incontreremo di nuovo tutti insieme?”.

“Non so. Alcuni di noi, come me, te o Milo, abbiamo la possibilità di restare sempre giovani grazie al dono di Atena nella famosa guerra contro i romani. E perché abbiamo dei contatti con le divinità. Altri che hanno rifiutato quel dono..”.

“Ma su, una bella cena di classe”.

“Cena di classe?!”.

“Sì, una cena fra colleghi di lavoro. Si fanno queste cose, no?”.

“Hai ragione. Spero che i nostri figli vadano d’accordo”.

“Che domande..certo che no! Noi gold non facevamo che litigare!”.

 

“Allora, cosa ve ne pare?” rise Tolomeo, mostrando con orgoglio il suo nuovo palazzo in America centrale.

“Niente male, fratellone” sorrise Ipazia “Anche se io avrei aggiunto particolari più macabri”.

“Tu, mia cara, sei troppo legata agli inferi!”.

“Sono la sposa di Hades e reincarnazione di Xolotl, il signore delle ossa. Che pretendi?”.

Tolomeo rise. Ipazia era la fiera consorte di Hades e madre di un paio di suoi marmocchi. Tolomeo, con Maya, aveva avuto una figlia, protetta dalle divinità Indiane, Greche e Precolombiane. Attorno a sé, il giovane dai capelli rossi era riuscito a risvegliare molte divinità del suo tempo e finalmente si era ricreato l’antico palazzo, la piramide a gradoni.

“Mio signore..” si inchinò il suo Gran Sacerdote, vestito di piume variopinte “..vostro zio, l’Egiziano Kanon, è giunto”.

“Fallo passare”.

“Kanon?” si stupì Ipazia “Anche lui qui?!”.

“Ho invitato tutti” ghignò Tolomeo “Una sorta di inaugurazione”.

“Bella idea”.

Lentamente, molte divinità e loro cavalieri comparvero nel nuovo palazzo di Quetzalcóatl. Kanon, con Sarah, si guardava attorno incuriosito. In abiti Egizi, e seguito dal figlio Horus, ammetteva di non sapere molto di cultura precolombiana. Ammirava le incisioni lungo le pareti del palazzo, tentando di interpretarne il senso.

“Vi ho fatto scolpire le guerre che ho vissuto” spiegò il padrone di casa “La battaglia in cui mi sono risvegliato, in cui mia madre e la Dea Atena hanno dato la vita per salvare degli innocenti”.

“Atena..dici tornerà? Quello era il suo vero corpo..”.

“Tornano tutti. L’esistenza non è lineare, è un ciclo, una ruota. Tutto inizia e ricomincia”.

“Sei quasi tenero quando fai il saggio..”.

Tolomeo mostrò la lingua, con quel sorriso serpentino, e sedette sul trono. Sul capo portava una corona di piume colorate e, dietro di sé, altre piume spuntavano alla fine del lungo mantello che teneva sulle spalle. Porse una coppa prima alla propria figlia e poi a Kanon

“Alla nostra, zio” sorrise “Tranquillo, non è alcolico: è cioccolata”

 

“Ma guarda un po’ chi si vede..” si stupì Phobos, riconoscendo Arles di spalle, che fissava l’orizzonte dalla cima della tipica piramide tronca delle divinità precolombiane “Era da un bel pezzo che non incrociavo il tuo faccino, Arychan”.

“Hey, vecchio” ghignò Arles “Come ti va la vita?”.

“Non mi posso lamentare”.

“Mi è stato detto che sei un papà ora”.

“Esatto. Ho un bel bimbo con le ali della mamma. Ma anche tu, da quel che mi risulta, ti sei divertito parecchio..”.

“Eleonore desiderava tanto una figlia femmina”.

“E l’hai avuta?”.

“Certo. Avevi dubbi?”.

“Nome?”.

“Sophia”.

“Lo immaginavo..ma perché non ti fai mai sentire? Apollo è contrariato. Dice che come divinità Greca dovresti fare rapporto all’Olimpo ogni tanto”.

“E perché”.

“Che domande fai?! Apollo ora è a capo dell’Olimpo e, che ti piaccia o no, devi obbedire”.

“E perché?”.

“Ancora?! Che è?! Ti sei incantato?!”.

“Io..non mi sento Greco”.

“Ah no?”.

“No. E nemmeno un angelo. Anche se una birra con zio Lucifero o una briscola con zia Eris sono simpatici passatempi ogni tanto”.

“E allora..?”.

“Io sono io. Sono unico”.

“E che pensi di fare? Fondare una religione tutta tua?” rise Phobos, raggiungendo il fratello e osservando pure lui l’orizzonte.

“Ah, che idea carina..”.

“E come la chiameresti? Arlesismo? Arlesimo? Arlismo?”.

“E perché no? Sarebbe divertente. Tanto..le religioni  nascono e muoiono continuamente a questo mondo”.

“Hai ragione”.

“Pensi che non avrei seguaci?”.

“No, al contrario. Percepisco il tuo potere. La gente crede in te”.

“La gente al giorno d’oggi preferisce illudersi piuttosto che sperare. Rinchiudersi nell’immobilità, convinta che vada tutto bene anche quando non è così. E questo accresce il mio potere”.

“Triste, direi”.

“Triste?”.

“Sì, triste. Ma, del resto, pure io vivo così. I mortali non smetteranno di avere paura, perciò io vivrò per sempre. Anche se morissi, tornerei. Stessa cosa vale per la guerra”.

“Dici che con la saggezza la cosa si faccia più complicata?”.

“Parli di Atena? Quella torna sempre, vedrai che tra un po’ rispunterà”.

“Sembra che parliamo di un fungo”.

“Un fungo fastidioso..”.

“Dai, dipende dalle reincarnazioni. Saori era una scassacazzi che si faceva rapire sempre ma il corpo originale non era male”.

“Io meglio non mi esprima. Padre Ares si è sempre divertito a stuzzicarla, perdendo..”.

“Nostro padre non brilla d’intelligenza”.

“Già. E, visto come va il mondo ora, non mi stupirei se un giorno divenisse il Dio più potente”.

“Al posto di Apollo?”.

“Apollo non ama il comando. Non sarebbe una grande sorpresa se decidesse di abdicare a favore di qualcun altro”.

“La cosa non mi riguarda”.

“Ah, questo è sicuro! E non riguarda manco me! Io sono un cosiddetto Dio minore, perciò che nessuno mi rompa le palle”.

“Così si fa. Che dici? Facciamo un giro?”.

“Scendere di nuovo tutte quelle scale?!”.

“Ma che dici?!”.

Arles spalancò le ali, facendole comparire sulla sua schiena, e prese il volo.

“Pft..” storse il naso Phobos, divertito “..l’arlesismo, che idea assurda”.

 

FINE

 

 

 

Sì, siamo giunti alla fine. Ho iniziato questa storia mesi fa e si è sviluppata lungo quello che definirei il periodo più orrendo della mia vita e per questo è proseguita “a singhiozzo”, fra ricoveri e depressione. Ho dovuto lottare con il mio inconscio per giungere al “lieto fine”, nonostante una parte di me già si fosse creata la mazzata che i fan odiano (come alla fine della prima parte). Mi sono sforzata di credere che ci possa essere il lieto fine. Lo auguro per me, per Arles e per voi che leggete. Per tutti. Vi ringrazio di aver seguito la storia fin qui. Al momento ho una piccola idea per un eventuale seguito ma devo riflettere al riguardo perché i gold “classici” avrebbero un ruolo più che marginale. Staremo a vedere. Per ora, spero di guarire e riprendermi e dedicarmi al disegno, ma non escludo un “ritorno di fiamma”. A presto!

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