Olympus Chapter 2 di SagaFrirry (/viewuser.php?uid=819857)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I- l'erede ***
Capitolo 2: *** II- viaggio ***
Capitolo 3: *** III- guida ***
Capitolo 4: *** IV- sospetti ***
Capitolo 5: *** V- amor sacro ***
Capitolo 6: *** VI- Preveggenza ***
Capitolo 7: *** VII- Legami divini ***
Capitolo 8: *** VIII- Scorre la sabbia ***
Capitolo 9: *** IX- inseguendo un sogno ***
Capitolo 10: *** X- lungo il fiume ***
Capitolo 11: *** XI- giudizio ***
Capitolo 12: *** XII- incontro di religioni ***
Capitolo 13: *** XIII- angeli e Dei ***
Capitolo 14: *** XIV- rivelazioni e fuoco ***
Capitolo 15: *** XV- melodie da un nuovo mondo ***
Capitolo 16: *** XVI- sapienza ***
Capitolo 17: *** XVII- la vittoria dell'arciere ***
Capitolo 18: *** XVIII- guerra ***
Capitolo 19: *** XIX- luce e ombra ***
Capitolo 20: *** XX- fratelli ***
Capitolo 21: *** XXI- vita ***
Capitolo 22: *** XXII- sogno e realtà ***
Capitolo 1 *** I- l'erede ***
DOVE ERAVAMO RIMASTI? (piccolo riassunto del
capitolo precedente)
Divinità Greche e Romane si affrontano
per
la supremazia sull’Olimpo. A fatica, e con non pochi
problemi, le Greche
riescono ad avere la meglio. Gli anni sono trascorsi. Tolomeo ed
Ipazia, giovani
e promettenti rampolli della famiglia delle divinità
guerriere, sono ormai
adolescenti. Saga, rimasto imprigionato nella sua stessa illusione,
giace privo
di sensi in una sorta di bara di cristallo da cui si dice che non si
risveglierà mai. Tolomeo, il suo primogenito,
però non ci crede e lotta per
ottenere un’armatura. Una volta ottenute le vestigia, parte
alla ricerca di una
soluzione nonostante le raccomandazioni degli adulti del tempio. E
questa e la
sua avventura.
I
L’EREDE
“Ancora
non
lo avete trovato?” domandò Ares.
Ormai
stava
scendendo il buio sul Grande Tempio ed il Dio non riusciva a nascondere
la sua
preoccupazione, anche se negava ogni coinvolgimento emotivo. Tolomeo
risultava
scomparso da ore e molti sapevano quali idee frullassero nella testa di
quel
giovane.
“No,
nessuna
traccia” scosse la testa Phobos.
“Non
che tu
con quell’occhio possa aiutare..” quasi
sfotté Zeus, il piccolo della famiglia,
figlio di Ares e Athena.
Si
riferiva
all’occhio che Phobos aveva danneggiato nella grande
battaglia contro i romani
e che da quel giorno non si apriva più.
“Grazie
per
rigirare il coltello nella piaga, marmocchio viziato!”
sbottò il Dio.
“Non
siamo
qui per litigare!” li zittì Atena “Siamo
qui per trovare un ragazzo che si è
allontanato verso chissà quale missione impossibile. Che vi
ricordo è vostro
nipote”.
“E
mica dico
niente io..” borbottò Zeus e Phobos lo
fulminò con l’unico occhio.
“Nemmeno
tu
hai trovato qualcosa, Marte?” ignorò tutti Kanon.
Il
Dio
romano scosse la testa.
“Ci
hai
provato almeno?” sibilò Ares “Visto
quanto poco frega a tua sorella della sua
progenie..”.
“Aoh!
Ma che
stai a dì? Fijo di una marmotta..è anco nipote
mio! E gli vojo un bene
dell’anima!” rimbeccò Marte, offeso.
“Hai
appena
dato della marmotta a mia madre?!” ringhiò Ares,
che si infiammava subito
quando qualcuno osava toccargli la mamma.
“Ma
piantatela! Rimandate ad un altro momento le risse,
coglioni!” li zittì Kanon.
“Tu
non mi
dai ordini! Dove cazzo stavi? Non era forse compito tuo
sorvegliarlo?” gli
rispose il genitore.
“Sono
il suo
tutore, ma non posso pedinarlo tutto il giorno! Era andato a trovare
Saga e
pensavo avesse bisogno di qualche momento da solo. Non pensavo
scappasse! Era
l’ultima cosa che volevo!”.
“E
allora è
colpa di quel bastardo di Gran Sacerdote, che gli ha dato
l’armatura,
offrendogli la possibilità di andarsene”.
“Kiki
non
c’entra. Avrebbe ottenuto l’armatura lo stesso e tu
lo sai”.
“Spero
non
gli succeda qualcosa. Non capisco perché la mia progenie
abbia così tanta
voglia di morire”.
Ares
sospirò. Era il primo che sperava nel risveglio di colui che
avrebbe sempre
chiamato Arles, ma mai a costo della vita del nipote. Si stupiva di se
stesso,
per provare quei sentimenti. Ma del resto, si disse, i legami di sangue
sono
cose importanti!
“Ho
cercato
di spiegargli che quel che aveva in mente era una follia”
riprese Kanon “Che
non ne valeva la pena struggersi tanto per Saga. Alla fine..io non
credo
soffra. Ma Tolomeo non ha fatto altro che pensare ad un modo per
aiutarlo fin
da bambino. Ed ho fallito come tutore, lo ammetto. Ma ora non serve a
nulla
darci le colpe l’un con l’altro! Dobbiamo
ritrovarlo, prima che gli succeda
qualcosa di grave!”.
“Ricordiamoci
che è solo un ragazzo..” annuì Athena
“Ipazia! Tu sei la sua gemella, non hai
idea di dove possa essere andato? Non ti ha mai parlato di quel che
aveva in
mente?”.
“No”
rispose
la giovane, visibilmente in collera con il fratello “Quel
cretino chissà cosa
si è messo in testa! Anche io vorrei aiutare
papà, ma se tutti ti dicono che
non c’è niente da fare perché sei
così testardo da andare chissà dove a fare
chissà cosa?!”.
“Calmati,
Ipazia..stai cambiando colore” le sorrise Kanon.
“Scusate..”.
“Non
la
reprimere!” scosse la testa Ares “Non vedi che il
suo sguardo è quello da fiera
lupa tipica della mia discendenza? Certo, spero che pure a lei non
frullino in
testa strane cose..”.
“Tipo
fuggire?” ghignò Ipazia “Tranquillo,
nonno. Se mai un giorno fuggirò da qui,
sarà perché mi avete rotto tutti quanti le palle,
non certo perché voglio
compiere missioni impossibili!”.
“Sei
proprio
la figlia di Arles” rise Deimos.
“Però..rivoglio
Tolomeo a casa. È pur sempre mio fratello!”.
“Lo
troveremo. Abbi fiducia” le accarezzò la testa
Kanon.
Tolomeo
camminava convinto. Ignorando il fatto che ormai era sceso il buio, si
addentro
nella fitta foresta. Il rosso vivo dei suoi capelli pareva splendere
fra il
verde cupo della vegetazione. Conosceva la strada ormai
perché più volte aveva
tentato di intraprendere quel cammino, senza però mai andare
oltre il limiti
che un qualsiasi essere umano desiderava varcare. Un vento gelido lo
avviso di
aver oltrepassato quel limite e l’aria si fece pesante. Il
cielo e la foresta,
d’un tratto oscuri, incutevano timore ma non abbastanza da
far indietreggiare
il giovane. Finalmente riusciva a scorgere l’ingresso della
caverna che stava
cercando. Continuò, nonostante le grida che vi udiva dalle
profondità e i
brividi gelidi che ogni tanto gli attraversavano la schiena. Passò oltre la
folla, ammassata in fila, con
facilità. Si ritrovò di nuovo di solo al buio ed
una voce rimbombò più volte.
“Hai
sconfinato, anima. Come sei arrivata fin qui?”.
“Non
sono
un’anima” rispose subito Tolomeo.
“Sei
in
vita? Ed hai attraversato uno degli ingressi
dell’oltretomba?! Perché mai?”.
“Sto
cercando una persona”.
“Chi
sei? Non
in molti possono compiere una simile impresa”.
“Sono
un
cavaliere di Athena”.
“Ah..”.
Dal
buio, apparve un giovane, dissolvendo la nebbia nera che lo celava.
“..siete
peggio del prezzemolo voialtri cavalieri d’Athena. Che cosa
vuoi tu, questa
volta?”.
“Sei
il
figlio di Hades, giusto?”.
“L’unico
ed
il solo. Te lo ripeto: che cosa vuoi?”.
“Voglio
verificare se l’anima di una persona a me legata si trova
qui”.
“Questa
persona è morta?”.
“No”.
“E
allora
non è qui”.
“La
faccenda
è complicata..”.
“Non
è affar
mio. Di certo, però, non ti è concesso giungere
fino a qui impunito”.
“Sono
pronto
a subire ogni punizione, ma prima voglio verificare se..”.
“Tu
qui non
puoi far niente. È il regno di mio padre, non quello della
tua Dea!”.
“Oh,
andiamo! Sono il nipote di Ares e Marte! In un certo modo..siamo
parenti!”.
“E
la cosa
dovrebbe importarmi?”.
“Non
lo
so..”.
I
due
rimasero qualche istante in silenzio. Poi il figlio di Hades scosse la
testa,
annoiato da certi discorsi di parentela. Ma forse a suo padre
importava..quindi
decise di accompagnarlo.
“Ma
se a
Padre Hades tu non vai a genio..finirai nei guai!”.
“Sono
sempre
nei guai..”.
Camus
continuava imperturbabilmente a leggere, nonostante Kanon cercasse in
ogni modo
di dargli fastidio.
“Tu
sei
l’ultimo che lo hai visto!” parlava il figlio di
Ares.
“Non
credo
sia corretto..” rispose, con calma, l’Acquario
“..l’ho visto, questo è vero,
prima che sparisse. Ma non credo che Tolomeo non sia stato visto da
altri, dopo
di me”.
“Che
gli hai
detto?”.
“Io?”.
“E
chi?! Gli
hai fatto i soliti discorsi sulla ricerca della
verità?”.
“Veramente
gli ho consigliato di lasciar perdere. Sta combattendo una guerra persa
in
partenza, cercando di ridare sanità mentale a chi non
l’ha avuta mai”.
“Attento
a
quel che dici..parli comunque di mio fratello”.
“Saga
ha
sempre sofferto di quel che definirei mal di vivere. Ho caldamente
suggerito a
quel ragazzino di lasciar suo padre a galleggiare nel mondo immaginario
che si
è creato. Senza calcolare che l’anima potrebbe
averlo anche già lasciato e sia
l’ikor a farne battere ancora il cuore”.
“E
questo
Tomeo lo sa? Tomy sa che l’anima potrebbe essere
già nel regno dei morti?”.
“Non
è un
ragazzo idiota, Kanon. Saga deficitava di sanità mentale ma
riconosco pure io
la sua intelligenza e Tolomeo ha ereditato tale
qualità”.
“Ho
paura..paura che quel piccolo stupido sia andato a cercare
l’anima del padre da
Hades”.
“In
questo
caso, puoi iniziare ad incidere la sua lapide..”.
Nella
sala
del trono, Hades non era presente. Sedeva, in silenzio, una donna al
suo posto.
“Madre”
la
salutò l’erede di Hades, con un inchino rispettoso.
“Chi
è il
giovane che porti con te, figlio mio?” domandò lei.
“Un
cavaliere di Athena. Sta cercando una persona ed ho pensato che Padre
Hades
potesse..”.
“Tuo
padre
non è presente al momento, lascia che me ne occupi io. Torna
pure alle tue
faccende”.
Con
un altro
inchino, Tolomeo fu lasciato solo con quella donna, che non
parlò per qualche
istante.
“Sai
chi
sono io, cavaliere d’Athena?” domandò
poi, rompendo il silenzio.
“Immagino
una delle consorti di Hades” ipotizzò Tolomeo.
“Sono
Eleonore, seconda moglie del signore di questo luogo. E tu? Chi
sei?”.
“Drakos
mi
faccio chiamare ora. Cavaliere d’oro dei Gemelli”.
“Drakos?
Ed
il tuo vero nome?”.
“Perché
lo
volete sapere? Un cavaliere non lo usa, solitamente..”.
“Dimmi
chi
sei e cosa sei venuto a fare qui”.
“Mi
chiamo
Tolomeo. Tolomeo Arkeiros, discendente di Ares, al servizio di Athena.
Sono qui
per l’anima di mio padre Aristotles, Arles, Saga dei
Gemelli”.
“Lo
sospettavo che fossi tu” ammise la donna, dopo qualche
istante di silenzio “Quegli
occhi..vieni con me!”.
Il
ragazzo
era indeciso. Doveva seguire oppure no la regina degli inferi?
Beh..alla fine
era giunto fin lì, perciò non aveva niente da
perdere!
“Tuo
padre
non è qui” parlò lei, camminando.
“Ah..io..”.
“So
quel che
gli è successo. E voglio aiutarti, Tomeo”.
“Davvero?”.
La
donna
camminava davanti al giovanissimo cavaliere, lungo i corridoi
dell’immenso
palazzo di Hades. Giunti davanti ad una porta scura, Eleonore
usò una piccola
chiave che portava al collo e l’aprì.
“Queste..”
mormorò Tolomeo “..sono le Vostre stanze
private?”.
“C’è
una
cosa che devo mostrarti”.
Dentro
quella sala buia, si sentiva odore di polvere e antichità.
La regina aprì un
armadio, in cerca di qualcosa.
“Quell’abito
appeso..” domandò il cavaliere
“..è quello che avete indossato al Vostro
matrimonio con Hades?”.
Eleonore
ne
sfiorò le maniche. Erano ricamate d’argento. Con
quel tocco, la stoffa mostrò i
suoi riflessi azzurri.
“No”
rispose
poi, girandosi con fra le mani uno scrigno, che aprì.
Al
suo
interno vi erano delle foto ed una scatolina.
“Hades
crede
che mi sia dimenticata e sbarazzata di tutto questo. Ma non
è così..”.
In
una foto
che mostrò, lei indossava quell’abito e lo sposo
al suo fianco non era certo
Hades. Pur avendo i capelli blu, e non neri come era abituato a vedere,
in
quell’uomo Tolomeo facilmente riconobbe suo padre. E
sorrideva.
“Non
capisco..” ammise il ragazzo.
“Prima
di
morire e divenire la sposa di Hades, io ero la moglie di tuo padre. Per
questo
ti voglio aiutare”.
“Ma
ora..siete viva!”.
“Sono
viva
per volere di Hades, che per un periodo ha cancellato i ricordi del mio
passato. Ma poi questi sono riaffiorati. Ed a nulla valgono le frecce
di nere
di tuo zio Eros! Io amo Saga, Arles, o qualsiasi nome voglia usare per
identificarsi. E lui..non so. Alla fine ha avuto te e tua
sorella..”.
“Non
lo so.
Però questa foto mi ha dato un motivo in più.
Tutti non hanno fatto altro che
ripetermi che mio padre non sorrideva mai e che quindi risvegliarlo
è un
errore, perché lo farei soffrire. Ma qui sorride! Ed anche
in queste altre foto
che avete! Con Voi sorrideva! Voi..tornereste? Se io riuscissi a
risvegliarlo,
tornereste al suo fianco?”.
“La
faccenda
è complicata..” ammise Eleonore “..Hades
non credo lo permetta. Ma..sarei
felice se si risvegliasse e fosse felice”.
Aprì
la
piccola scatolina ed all’interno vi era un anello
d’oro. Tolomeo lo riconobbe
subito. Suo padre, mai risposato, indossava ancora l’anello
identico, assieme a
quello nero da vedovo. Fin ora il figlio non si era mai chiesto cosa
rappresentassero. Pensava fossero simboli legato al lavoro del genitore
e non
ad un passato da uomo normale.
“Se
riuscirai a risvegliarlo..” riprese lei
“..mostragli pure questo anello. E
digli che..colei che lo indossava fieramente un tempo, ha il cuore che
ancora
sussulta quando lo vede”.
“Perché
non
lo dite Voi stessa? Lo sveglierò, ci riuscirò, e
potrete dirlo di persona!”.
“Lo
ripeto:
è una faccenda complicata. Non so se potrà mai
accadere una cosa simile..senza
contare il rischio che corro nel conservare questi oggetti!”.
“Ma..non
vi
mancherà? Questo anello, intendo”.
“Mi
manca
tuo padre. Non mi importa dell’anello. Se vorrà
riportarmelo, quale figlio di
un Dio quale è, troverà il modo. Ma ora
l’importante è che si risvegli e che
sorrida. Non so se il mio amore potrà ancora farlo sorridere
ma..lo spero. Ora
seguimi. Ti porto da chi può aiutarti”.
“Chi?”.
“Hypnos”.
“Da
quel che
ne so, ha già provato ad aiutarci in passato..”.
“Ma
non
aveva la giusta motivazione..”.
“E
che ci
posso fare io, scusa?” borbottò Deathmask,
piuttosto assonnato vista l’ora
tarda.
“Tu
apri le
porte del regno dei morti, no?” rispose Phobos “Non
mi sembra un gran
ragionamento difficile! Se Tolomeo è andato nel regno dei
morti, tu vai a
prenderlo!”.
“Fermo,
genio mancato! Io ti posso portare nello Yomotzu ma non è
tutto lì il regno dei
morti. Hades non vive in quel postaccio dove ti posso condurre io..e
nemmeno
molti altri personaggi che quello strano ragazzino può aver
avuto l’idea di
andare a cercare”.
“Quello
stupido..appena lo trovo, lo riempio di botte!”.
“Se
lo
trovi. Sai..per uscire dall’oltretomba, solitamente viene
sempre richiesto
qualcosa in cambio. E quel qualcosa a volte è la
vita!”.
“Stupido
marmocchio. Uno fa tanta fatica per crescerlo e renderlo degno
discendente di
Ares e questo mi vien su sentimentale e suicida!”.
“Come,
in
parte, era suo padre..”.
“Non
parlare
al passato di Arychan!”.
“Arychan?!
No, scusa, così non potrò mai
chiamarlo..”
“Chiamalo
come ti pare!”.
“Tanto
ognuno lo chiama come cazzo vuole! A me Arles piace..”.
“Stava
iniziando a piacermi. Ha sbarellato troppo presto. Mi ci volevo
divertire
ancora un po’..”.
“Chi?
Tolomeo o Arles?”.
“Tutti
e due
mi sa..”.
“Mia
signora..” si inchinò leggermente Hypnos
“..ho già spiegato agli abitanti del
tempio di Athena che non posso risvegliare Arles. O Saga..quel che
è! Essendo
lui il Dio delle illusioni, nessun Dio greco potrà mai
sopraffarlo nella sua
stessa mansione”.
“Ed
allora
vedi di escogitare un’alternativa! So che ce
l’hai!” sbottò Eleonore.
“Regina
Eleonore..io..”.
“Non
voglio
scuse! Usa il tuo cervellino millenario!”.
Hypnos
trattenne una bestemmia. Era una divinità normalmente
tranquilla ma le femmine
che Hades si portava appresso trovavano sempre il modo di innervosirlo.
Tolomeo
lo percepì ed un pochino si spaventò.
Però lo sguardo furioso di Eleonore
metteva più paura.
“Che
palle..” si rassegnò Hypnos “Saga,
Gemini, Arles o come cazzo ti chiami..cosa
avrai mai di così speciale che tutti si agitano per te?!
Comunque, marmocchio dai
capelli rossi..un modo forse c’è”.
“Davvero?!”
sorrise Tolomeo.
“Sì
ma non è
affatto semplice”.
“Fa
niente.
Che devo fare?”.
Eleonore
sorrise, compiaciuta.
“Ho
parlato
di divinità greche..” riprese il Dio dei Sogni
“..ma non esistono solo quelle. Esiste
una divinità indiana che ha come mansione le illusioni.
Essendo divinità da
millenni, è di certo più esperta di tuo padre,
che si è illusionato da solo!
Quindi immagino sia in grado di sgarbugliare la faccenda”.
“Perfetto!
E
dove la trovo questa divinità?”.
“Non
ne ho
idea. Non sono né indiano né induista!”.
“E
chi lo
sa?”.
“Shaka?”.
“Non
sta più
al tempio da anni ormai. Io lo ricordo solo vagamente”.
“Perfetto.
Sarà tornato in India! Meglio di così?”.
“Sì
ma..l’India è grande!”.
Hypnos
sbuffò. Che toccava fare per compiacere la sposa del datore
di lavoro!
“Io
non ci
torno là!” esclamò Aphrodite
“Che si fottano tutti! Voglio bene a Tolomeo, ma
non rischio di nuovo la vita per recuperarlo! Che ci vadano i suoi
parenti
divini!”.
“Ti
do
perfettamente ragione” annuì Deathmask
“Ma i suddetti parenti divini stanno
rompendo la minchia a me, capisci? Ed io da solo non vado da
Hades!”.
“E
perché
proprio io?!”.
“Perché
sei
l’amante di Persefone!”.
“Lo
so, non
serve gridarlo a tutti!”.
“Tanto
lo
sanno tutti!”.
“Uffa..”.
Aphrodite
sospirò. Non aveva scuse..
Aiaco
fissò
con profondo fastidio quel ragazzetto dai capelli rossi, preferendo
evitare di
incrociare con lo stesso sguardo il Dio del Sonno.
“E
che
dovrei farci io?” sibilò il giudice.
“La
regina
Eleonore è stata chiara” spiegò Hypnos
“Adesso è tornata al suo posto, dato che
Hades non gradisce molto che se ne vada in giro, ma mi ha lasciato
ordini
precisi”.
“Ma
perché
proprio io? E questo qui chi è? Il toy boy della
regina?”.
“No,
è il
figlio dell’ex toy boy della regina. Deve andare in India e
tu sei indiano”.
“Ma
non mi
dire..”.
“Portalo
da
Shaka. Che se la sbrighi lui!”.
“Io
non ci
vado dove sta Shaka! Al massimo ce lo sbatto vicino e gli dico come
arrivarci”.
“Va
benissimo” interruppe Tolomeo.
“Come
vuoi,
piccolo mortaluccio” ghignò Aiaco
“Preparati, perché non sarà un viaggio
piacevole”.
“Sono
pronto”.
“Che
armatura hai in quello scrigno?”.
“Gemini”.
“Ah,
niente
ali. Che armatura inutile!”.
“Chiedo
perdono..” storse il naso Tolomeo “..la devo
indossare?”.
“Se
vuoi
dare MOLTO nell’occhio, ok. Ma te lo sconsiglio. Poi non
voglio rovinarmi la
reputazione facendomi vedere con un coso d’Athena. Ma non
farmi perdere tempo,
aptero! Andiamo!”.
“Sì..”.
“Solo
una
domanda: come pensi di uscire dagli inferi?”.
“In
che senso?”.
“Devi
lasciare qualcosa, o avere qualcosa che protegge la tua
anima”.
“Io..”.
“Ha
l’anello
della regina” rispose Hypnos “Cavaliere, non devi
temere. Con quell’oggetto
potrai lasciare questo luogo senza alcuna conseguenza. Ora via, sparite
dalla
mia vista che ho voglia di poltrire in pace!”.
“Ah..sei
figlio di QUEL toy boy!” sorrise Aiaco “Ora mi sono
chiare molte cose! Andiamo,
va. Prima che cambi idea..”.
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Capitolo 2 *** II- viaggio ***
II
VIAGGIO
“Scusa
se ti
disturbo” parlò, sarcasticamente, Ares
“Ma dovrei parlare con te, Discordia”.
La
Dea, una
delle poche romane a cui era stato concesso di stare
sull’Olimpo, si stupì di
quella visita. Ares, Dio della guerra, non era molto amato in famiglia.
Sull’Olimpo veniva raramente e vederlo voleva dire che era
successo qualcosa.
“Ares?”
domandò lei “Cosa mai ti porta qui? Problemi al
Grande Tempio?”.
“Sì
e no. Si
tratta di Tolomeo, se ti importa vagamente di sentire qualcosa a
riguardo”
rispose Ares.
“Sei
cinico,
guerrafondaio. Tolomeo è mio figlio, certo che mi importa!
Che è successo?”.
“Ha
ottenuto
l’armatura”.
“Bello.
Fai i
complimenti da parte mia”.
“
..ed è
fuggito”.
“Fuggito?
Per andare dove?”.
“Non
lo
sappiamo. È fuggito, però, per tentare di
risvegliare il padre”.
“Quel
piccolo stupido..”.
Discordia
sospirò.
“Ma
voi..”
riprese “..non dovreste prendervi cura di lui? È
solo un bambino! Come ha
permesso il Grande Tempio che fuggisse?”.
“Non
è più
un bambino!”.
“Di
certo
non è ancora un uomo..”.
“No,
quello
no. Ti volevo avvisare. Potresti aiutarci a cercarlo”.
“Non
lo vedo
da anni. Non so se è una buona idea. Del resto..quasi
nessuna divinità si
prende cura dei propri figli”.
“A
me non
interessa se ti importa o meno di Arles, come invece ho fatto in
passato. Non
ho approvato il fatto che lo ignorassi, anche se dicevi di amarlo. Ma
Tolomeo..”.
“Ero
legata
a lui perché mi aveva salvato la vita, Ares. A che serve che
lo sia ancora? Non
posso salvargli la vita. E starmene a piangere sotto un uomo sottovetro
non fa
per me. Anche se, lo ammetto, mi manca. Per quel che riguarda
Tolomeo..”.
“Senti..non
ho tempo da perdere, donna! Se hai voglia di aiutarmi, muovi il culo.
Altrimenti resta pure dove sei, mentre io torno a cercarlo”.
“Come
sei
tenero. Ti sei rammollito parecchio..”.
“Allora,
cosetta..io posso sorvolare sul fatto che tu sia sorella di quel burino
di
Marte, e posso sorvolare sul fatto che tu sia romana. Posso anche
chiudere un
occhio su quanto sei troia da quando sei qui sull’olimpo e
chiudere l’altro su
molte altre cose. Ma non tollero le offese. Non devi osare”.
“Non
ti sto
offendendo! È la verità!”.
“Farei
lo
stesso per tutti i miei figli ed i miei nipoti! Questo credi mi renda
debole?
Pensi che esiterei anche solo un istante se tu osassi metterti contro
di me? Ti
ammazzerei seduta stante”.
“I
sentimenti ti rendono debole”.
“Cazzate!”.
“Hai
fatto
un sacco di figure di merda per amore..”.
“Ma
che
farnetichi?!”.
“Afrodite..”.
Ares
si
morse il labbro. Con gli occhi ormai del tutto rossi, faceva una gran
fatica a
non scaraventare quella donna giù dall’Olimpo. Ma
gli serviva! Era comunque la
madre di suo nipote!
“Tolomeo
è
partito per aiutare suo padre. Ammiro la sua dedizione, anche se mi fa
incazzare la sua stupidità. Lo perdono solo
perché è un ragazzino. Sono in
pensiero e dovresti esserlo anche tu, Discordia!”.
“Lo
sono. Ma
se mio figlio è testardo anche solo la metà di te
e di suo padre..l’unico modo
è farlo andare per la sua strada. O si perderà
per sempre, oppure otterrà quel
che vuole”.
“E
tu te ne
starai lì con le mani in mano?”.
“Di
certo
non mi metterò a cercarlo con TE”.
“E
chi ti
vuole fra i piedi?! Io ti ho detto solo che lo devi cercare”.
“Sono
la Dea
della Discordia, non mi metto a fare la sentimentale”.
“Crepa”.
“Anch’io
ti
voglio bene, suocerino”.
“Non
sono
tuo suocero! Arles non ti ha mai sposata!”.
“E
non lo
avrebbe mai fatto. Lui è l’eterno sposo di
Eleonore”.
“Conosco
vagamente la storia. Non mi interessa più di
tanto..”.
“Peccato.
Al
tuo lato sentimentalmente coccoloso piacerebbe. Lo cercherò
, comunque.
Cercherò di capire dove Tolomeo possa essere. Sono sua
madre..”.
“Benissimo..”.
“Ci
si
vede..”.
“Solo
una
cosa..se Arles si svegliasse, se Tolomeo raggiungesse il suo scopo, tu
cosa
faresti?”.
“Ho
giurato
di servirlo. Io mantengo le promesse. Mi sono allontanata
perché ogni istante
mi ricordava quanto mi sentissi protetta. Non mi amava,
perché quel povero
coglione non si è tolto dalla mente Eleonore nemmeno per un
istante, ma mi
sosteneva. Mi difendeva, mi..beh..lo ammetto: mi eccitava. Ma ha
preferito
perdersi nelle sue illusioni piuttosto che vivere, perciò
che dovrei fare? Struggermi?
Lui ha preferito un sogno a me!”.
“Non
si
rende conto che è un’illusione”.
“E
tu come
lo sai? Come ne sei certo? E se restasse di sua volontà in
quella chimera
creata dal suo cervello? Ci hai mai pensato?”.
“Tu
sei
pazza”.
“Può
darsi.
Ma staremo a vedere come andranno le cose..”.
Ares
non
aggiunse altro. Non vedeva l’ora di andarsene da
lì! Piuttosto, era meglio
stare all’inferno!
“Sei
lento,
ragazzo” commentò Aiaco, camminando a passo
spedito per vicoli dell’oltretomba.
“Scusa..”
sbotto, sarcastico, Tolomeo “Ma quanto ci vuole?”.
“Pensi
che
l’India sia dietro l’angolo? Anche se le strade
degli inferi sono più brevi,
non puoi certo arrivarci in cinque minuti!”.
“E
non c’è
una scorciatoia?”.
“Questa
è
già una scorciatoia, sbarbatello! Sei irritante..”.
“Mi
sembra di
camminare da una vita!”.
“Il
tempo e
lo spazio non sono gli stessi a cui sei abituato. Per questo possiamo
raggiungere la meta a piedi senza metterci
un’eternità..”.
“Se
lo dici
tu..”.
“Oh
ma che
hai? Dieci anni?! Che marmocchio petulante..”.
“Scusa
se ti
importuno, nonno..”.
“Bada
a come
parli! Stiamo per entrare in terre pericolose, dove la tua amata Athena
non può
fare proprio nulla, perciò ti consiglio di darti una
regolata. Se ci tieni a
tornare vivo..”.
“Perché?
Dove stiamo andando?”.
“Dove
STAI
andando! Io ti accompagno fino ad un certo punto, poi ti arrangi! Ma
non ti
preoccupare..ti lascerò da chi saprà darti
qualche dritta in più!”.
“Erano
questi gli accordi? Tu devi portarmi da Shaka!”.
“Credi
per
caso che me ne freghi anche solo un minimo degli accordi?”.
Phobos
sbadigliò. Non capiva tutta l’agitazione nata per
la sparizione di Tolomeo. Alla
fine, si diceva, ha sangue di guerriero
perciò non correva alcun rischio. Non era pronto a giurarlo,
ma veder agitare
mezzo Olimpo per un ragazzino era decisamente eccessivo! Era ormai
certo che
non fosse morto, perciò proprio non comprendeva..
Ringraziò di non avere figli e
si poggiò ad una colonna, braccia incrociate, osservando il
gemello Deimos che
svolazzava grazie all’armatura e perlustrava la zona. Il lupo
che sedeva al suo
fianco di colpo iniziò a scodinzolare. Phobos lo
fissò con aria interrogativa e
poi vide apparire Ipazia e comprese il perché di quella
dimostrazione di
contentezza.
“Ma
chi è il
mio cucciolo cuccioloso?!” esclamò la giovane,
coccolando il lupo che si mise a
pancia all’aria.
“Non
fa con
nessun’altro certe cose..” commentò
Phobos.
“Mi
vuole
bene! Posso portarlo a spasso?”.
“Certo.
Dovrei
farlo io ma non mi va..”.
“A
te non va
mai di far niente, zio!”.
“Già..”.
Ipazia
colse
una certa nota malinconica in quella risposta.
“Sei
preoccupato per Tolomeo?” domandò lei.
“E
perché dovrei?
Ha sangue di drago, vedrai che tornerà sano e salvo. E
più forte”.
“Allora
perché
quell’aria triste?”.
“Ma
di che
parli?! Porta a spasso sto animale va, che è
meglio!”.
Ipazia
ridacchiò. Adorava il suo zio scorbutico! Si mise a correre,
seguita dal lupo. La
capigliatura e l’abito scuro si persero presto nel buio della
notte e Phobos si
chiese fosse saggio mandare in giro una ragazzina a certe ora ma poi si
rispose
dicendosi che non era affar suo e si accese una sigaretta.
“Quello
sì
che è un brutto vizio, amico!” si sentì
dire.
Il
figlio di
Ares ruotò gli occhi al cielo. Da quando viveva al Tempio,
non aveva un attimo
di privacy! E tutti si facevano gli affaracci degli altri!
“Buonasera,
cognato” salutò Milo.
“Quale
delle
mie sorelle hai sposato tu, scusa? Non ricordo”.
“Mirina”.
“Ah,
già. Chiedo
perdono, è che ne ho troppi di parenti da
ricordare”.
“Sarà
la
vecchiaia..”.
“Ma..come
osi?!”.
“Ti
sei
visto?! Stai invecchiando”.
“Sono
un
Dio! Gli Dei non invecchiano!”.
“Beh,
tu sì!
Credimi: dalla guerra contro i romani, sei cambiato. A Deimos non
è successa la
stessa cosa”.
“Sarà
forse perché
quel simpaticone del Leone, detto in tono sarcastico, mi ha trafitto
con la
daga che uccide gli Dei proprio nella battaglia finale?”.
“Dici?
Non lo
so. Ero impegnato in altre faccende”.
Phobos
scosse la testa, ignorando lo Scorpione. Però..e se quel
cavaliere avesse
ragione? Se davvero quella coltellata avesse avuto così
gravi conseguenze? Si guardò
la mano, che giurò veder tremare leggermente. Subito la
richiuse a pugno.
“Con
le
amazzoni ho ispezionato un’ampia zona”
parlò di nuovo Milo “Senza però trovare
alcuna traccia. È addestrato bene..”.
“Sa
come non
lasciare indizi. Anche se è solo un moccioso, ci ha fottuti
tutti quanti”.
“Come
ha
fatto suo padre, del resto..”.
“Già.
Come ha
potuto il Tempio non accorgersi che aveva preso il posto di Shion
proprio non
lo capisco..”.
“Io
ero solo
un bambino. Ed il tuo fratellino sa essere davvero subdolo..”.
“Parli
del
lato Saga o Arles?”.
“Entrambi..”.
“Non
sentirti in colpa, Kiki. Sarebbe fuggito comunque”
parlò Shura, nell’insolita
veste di rassicuratore.
“Non
so”
rispose il Gran Sacerdote “Forse senza l’armatura
di Gemini non si sarebbe
allontanato”.
“L’avrebbe
ottenuta. Sai bene che sono le armature a sceglierci, anche se
c’è chi crede
qualcosa di diverso”.
“Hai
controllato
la zona a nord del Santuario?”.
“Certo.
Il ragazzo
sembra svanito nel nulla”.
“Si
muove
alla velocità della luce, come ogni cavaliere.
Chissà dove sarà adesso..”.
“Non
possiamo paralizzare l’intero Santuario per un singolo
individuo, anche se è il
figlio di Saga”.
“Sono
d’accordo.
Ma a questo punto credo non ci sia modo di focalizzare
l’attenzione su altro”.
Kiki
sorrise, quasi divertito. I tempi di pace provocavano sempre tanta
noia. Erano piacevoli
ma anche tanto noiosi!
“Psiche!
Che
fai qui?” domandò Kanon, raggiungendo il luogo
dove il gemello era custodito.
“Cerco
di
percepire il suo animo” rispose lei, ad occhi chiusi.
“E
perché?”.
“Forse
in
qualche modo ha capito dove andava il figlio o forse è stato
il figlio stesso a
dirglielo”.
Kanon
alzò
lo sguardo. Il gemello a braccia spalancate nell’ikor, che
pareva serenamente
addormentato, lo turbava. Più volte aveva dovuto resistere
alla tentazione di
frantumare quella bacheca di cristallo per togliergli quel sorriso
irreale dal
volto.
“E
senti
qualcosa?” domandò poi, avvicinandosi alla donna.
“No”
ammise
lei “La sua mente è avvolta da mille veli per me
impenetrabili. Sarebbe stato
un Dio molto potente, se fosse stato in grado di
controllarsi”.
“Sarebbe
stato tante cose, se fosse stato in grado di controllarsi!”.
La
sposa di
Eros sorrise, teneramente. Percepiva nel tono di Kanon
l’affetto che cercava di
celare per quel gemello addormentato.
“Saga..”
borbottò Kanon, sfiorandone la teca “..anche da
privo di sensi riesci a far
casino al Santuario. Sei davvero incredibile!”.
Canticchiando,
Deathmask era giunto davanti al cancello dietro a cui si aprivano le
stanze di
Hades. Le aprì con un calcio, senza togliere le mani dalle
tasche.
“Ma
non si
fa così!” sbottò Aphrodite.
“Non
ho
tempo da perdere, io! Hades! Dove sei?! A cercare qualche altro piccolo
gay
vergine a cui rubare il corpo?!”.
Assieme
a
Cancro e Pesci, c’era Persefone che, come consorte del re di
quel luogo, aveva
libero accesso. Hades, seduto e mezzo addormentato sul suo trono,
inclinò solo
la testa. Si sforzò di rimanere calmo, perché al
momento non aveva motivi
validi per scatenare una guerra. Inoltre sua moglie Persefone
l’avrebbe
massacrato di insulti se avesse osato toccare il suo amante ed il suo
amico. A volte
il Dio degli inferi aveva il dubbio che vi fossero strani intrecci non
del tutto
eterosessuali da quelle parti.
“Non
serve
gridare” sbottò “Ci sento benissimo. Che
cosa volete? Solo perché Persefone vi
ha dato il permesso, questo non vuol dire che possiate gironzolare per
il mio
regno come fosse un parco giochi!”.
“Scusaci”
ridacchio, sarcastico, il Cancro “Cerchiamo un
ragazzo”.
“Un
ragazzo?”
si stupì Hades, aggiungendo nella sua mente “lo
sapevo che questi due non erano
etero!”.
“Si
chiama
Tolomeo. È passato da queste parti?”.
“Non
posso
sapere il nome di tutti quelli che entrano
nell’aldilà”.
“Questo
te
lo ricorderesti. È il figlio di Saga”.
“E
chi è?”.
“Il
piagnucolone
a cui hai affidato una surplice”.
“Ah,
il
depresso pieno di sensi di colpa! Me lo ricordo! Suo figlio
è come lui? Che ha
combinato? Si è suicidato?”.
“No.
È scappato
e temiamo possa aver commesso la minchiata di venire fin qui a cercare
l’anima
del padre”.
“L’anima
del
padre non ce l’ho io. Altrimenti, fidati, sarebbe uno dei
miei guerrieri. Un cosmo
simile non me lo lascio di certo sfuggire”.
“Ma
noi
vogliamo sapere di Tolomeo. È passato per qui?”.
“Per
di qua
non penso. Non che io sappia. Ma forse..Eleonore!”
chiamò a gran voce.
La
donna
comparve dopo qualche istante, scansando la pesante tenda. Subito
intuì perché i
due cavalieri fossero lì ed un po’ si
spaventò. Hades non doveva sapere certe
cose!
“Eleonore,
mia cara..è passato per caso un certo Tolomeo da queste
parti?” domandò Hades.
“Tolomeo?
Non
so..” fece la vaga lei.
“Ha
i
capelli rossi” spiegò Aphrodite “Gli
occhi verdi come quelli di Saga e portava
con sé l’armatura dei Gemelli”.
“Una
cosa
del genere me la ricorderei” sorrise lei “No, non
è passato per di qua”.
“Perfetto.
Questo
ci bastava” ghignò Deathmask “Grazie
mille!”.
Hades
fissò
il gruppetto piuttosto perplesso. Dov’era finito il rispetto
per le divinità?! Incrociò
lo sguardo della seconda moglie ed alzò un sopracciglio,
mentre Pesci, Cancro e
Persefone si allontanavano.
“Qualcosa
non va?” domandò ed Eleonore sorrise, scuotendo la
testa.
“Sono
solo
stanca. Poi rivedere i cavalieri mi fa sempre uno strano effetto. Mi
spavento perché
tempo una guerra..”.
“Oh,
mia
cara! Non devi temere! Anche se scoppiasse una guerra, io ti difenderei
e tu lo
sai”.
“Sì.
Lo so..”.
Hades
non
pareva del tutto convinto ma lasciò che Eleonore tornasse
nelle sue stanze. La osservò,
trovandola bella come il primo momento in cui l’aveva vista.
Però ultimamente
era strana. Forse era meglio tenerla d’occhio.
E
che
Eleonore fosse strana non l’aveva notato solo Hades.
“Lei
mentiva”
commentò Persefone, camminando fra Pesci e Cancro.
“Eleonore?”
chiese conferma Aphrodite.
“Sì.
Non era
sincera. Nasconde qualcosa..”.
“Credi
abbia
a che fare con Tolomeo?”.
“Non
lo so.
Ma le conviene stare molto attenta perché il confine fra
odio ed amore è labile
e l’odio di Hades non è una cosa
gestibile..”.
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Capitolo 3 *** III- guida ***
III
GUIDA
“Io
non
proseguo oltre, ragazzo” si fermò Aiaco.
“Ma..dove
siamo adesso?” domandò il giovane cavaliere.
“Prosegui
dritto e lo capirai”.
Tolomeo
si
voltò. Attorno a lui vi era solo buio, come faceva a capire
quale fosse la
direzione da seguire?
“Ma
io..”.
“Moccioso..sei
un cavaliere, giusto? E allora lascia che il tuo cosmo ti guidi. La tua
armatura sa dove si trova, perché sicuramente almeno una
volta ci è già stata.
Perciò smettila di perdere tempo e..”.
“Io
sono un
cavaliere da pochissimo. Non so se sono in grado di..”.
“E
allora
non dovevi metterti in viaggio”.
Aiaco
ghignò, divertito, prima di voltarsi per tornare sui suoi
passi.
“Aspetta!
Dimmi almeno per quale motivo tu non vieni con me. Cosa
c’è di così terribile
che mi attende?”.
“Dipenderà
da te. Io so per certo che, superando certe soglie, farei una fine
orribile. Ma
tu..forse tu sei diverso. Chi lo sa. Se ti rivedrò fra gli
spettri, lo capirò.
Non che mi importi più di tanto..”.
Il
cavaliere
non tentò ulteriormente di fermare il giudice degli inferi,
capendo che non
avrebbe ricevuto altro aiuto. Rimasto da solo nel buio,
ricominciò a camminare.
“L’armatura..”
si diceva “..e il cosmo. Mi guideranno.
Mah..speriamo!”.
Si
concentrò, tentando di percepire qualcosa. Ancora molto
inesperto, faticava a fare
quello che per un cavaliere di lunga data era semplice.
Sospirò. Era anche
piuttosto stanco.
“Ci
devo
riuscire!” si disse.
Si
fermò ed
aprì la Pandora che si portava sulla schiena. Prese fra le
mani l’elmo
dell’armatura dei Gemelli e ne osservò il volto
triste.
“Tu
sai dove
dobbiamo andare?” le domandò “Per
favore..so che sono ancora un indegno
portatore ma ho bisogno del tuo aiuto. Atena..non so se sei stata tu a
donarmi
questo cosmo o se è stata un’altra
divinità, e non so se sarò mai
all’altezza
dei miei predecessori ma..”.
L’armatura
brillò, qualche secondo. Tolomeo lo vide e
sobbalzò, non abituato a vederla
reagire.
“Probabilmente
aveva ragione Aiaco..” disse “..non dovevo partire.
Sono ancora così
fottutamente inesperto ed imbranato! Inutile che mi esalti
perché sono un
cavaliere..ci sono tante cose che ancora non so”.
L’armatura
brillò, questa volta più intensamente e
lasciò la Pandora, ricomponendosi come
se qualcuno la suo interno la stesse indossando. Il giovane
alzò lo sguardo e
si rimise in piedi. Era più basso di quelle vestigia di
quasi una testa, segno
evidente che ancora doveva crescere prima di poterle indossare senza
che queste
sembrassero troppo larghe. Nel buio all’interno
dell’elmo non vi era un volto
ma, pur non sapendo perché, Tolomeo aveva
l’impressione che la sua armatura lo
stesse fissando.
“Guidami”
mormorò il ragazzo e l’armatura iniziò
a camminare.
“Dici
stesse
mentendo?” chiese conferma Ares.
Nella
stessa
stanza, il Dio della guerra ascoltava quel che i cavalieri appena
rientrati dal
regno degli inferi stavano raccontando. Assieme a lui, stavano Deimos,
Kanon ed
Ipazia.
“Così
crede
Persefone” confermò Aphrodite.
“Pensate
che
Eleonore stesse in qualche modo coprendo Tolomeo?”.
“Coprendo
non saprei. Ma penso sapesse qualche cosa, che non voleva che Hades
sapesse”.
“La
cosa non
mi piace. Hades se si incazza diventa una vera scocciatura e non so
quanto
quella donna possa riuscire ad ingannarlo o aggirarlo..”.
“Potrebbe
anche non essere niente. Magari non riguarda Tolomeo..”.
“Potrebbe
però riguardare Saga..” interruppe Kanon
“..sappiamo bene che non è argomento
che Hades gradisce”.
“Ma
può
anche tacere!” sbottò Ares “In questo
caso è lui che ha fottuto la moglie a
qualcun altro e non viceversa quindi può solo che star
zitto!”.
“Papà,
rilassati” scosse la testa Deimos “Ti scaldi sempre
a cazzo..”.
“Non
è
vero”.
“Sì,
lo è”.
“Già.
Hai
ragione. Ma quell’uomo mi fa girare le palle..”.
“Hades?
Le
fa girare a molti..”.
Deathmask
annuì ed Aphrodite trattenne una risata. Pesci aveva,
volente o nolente, spesso
a che fare con il re degli inferi ed ormai ne conosceva gli sbalzi
d’umore.
“Spero
per
lui..” ringhiò Ares “..che non sappia
qualcosa su Tolomeo o Arles e lo tenga
nascosto..”.
“Ma
non è
tuo zio?” riprese Kanon.
“E
con ciò?
Tecnicamente tu hai zii e zie sparsi ovunque. Con quanti di loro
parli?”.
“Con
nessuno. Solo ad Atena, ogni tanto”.
“Visto?
Io
con Hades mi ci rapporto fino ad un certo limite. Come del resto con la
maggior
parte della famiglia. Finirebbe con il non svelarmi nulla..”.
“Hai
paura
di andare nel regno dei morti?”.
“Vedi
di non
parlare sempre a vanvera, Kanon! C’è la paura e
c’è la prudenza. Nessuno,
nemmeno un Dio, è al sicuro una volta varcate certe soglie.
Ed io spero che
Tomeo non sia stato così stupido da intraprendere certi
viaggi..”.
“Forse
Eleonore lo ha aiutato” azzardò Aphrodite.
“Ma
perché
avrebbe dovuto? Eros ha usato la freccia dell’odio contro di
lei. Non ama più
Arles”.
“Non
è che
tutti agiscono per puro rendiconto e si muovono solo quando qualcuno
gli tocca i
parenti..”.
“È
una
velata critica?”.
“Non
mi
azzarderei mai. Dico solo che forse lo ha aiutato perché
desiderosa di aiutare,
non perché legata sentimentalmente a qualcuno. Eleonore mi
è sembrata una donna
di buon cuore..”.
“Concordo
con Aphrodite” annuì Deathmask “Magari
le ha fatto pena un marmocchio sperduto
e lo ha aiutato. Ma sa che Hades non approverebbe una cosa del genere e
quindi
lo tiene nascosto”.
“Poi..”
parlò Ipazia “..la freccia nera..siamo sicuri che
funzioni sempre?”.
“Eros
è una
divinità molto potente, nipote mia..”.
“Sì
ma
magari il Fato vuole diversamente”.
“Che
romantica sei ancora. Si sente che sei giovane..”.
“E
tu sei
pessimista. Triste. Non sogni più..”.
“Sono
vecchio, bambina”.
“Ma
allora
che facciamo?” si intromise Deimos, stanco di discorsi
irrilevanti.
“Continuiamo
a cercarlo, che domande!” sbottò Ares
“Dov’è tuo fratello?”.
“Phobos?
Non
ne ho idea..”.
“Che
strano.
Di solito voi due bazzicate sempre insieme”.
“Non
è che
me lo sono sposato. Sarà a femmine..”.
“Quando
lo
vedi, avvisalo che gli vorrei parlare”.
“Papà..da
quando sei così educato? Stai bene?”
ridacchiò Deimos.
“C’è
qualcosa che non va. E sto cercando di capire che cosa. Tu torna pure a
grattarti le palle”.
“Hei!
Ho
cercato Tolomeo esattamente come tutti gli altri! Non capisco
perché ti dai
tanta pena per un ragazzino, figlio di un uomo che si è
incasinato la mente DA
SOLO come un povero coglione! Non ti riconosco più. Forse
è tempo che tu vada
in pensione”.
Ares
si
voltò di scatto e colpì violentemente il figlio,
spedendolo contro il muro.
“Non
osare
parlarmi così!” tuonò il Dio della
guerra “Non osare mai più!”.
Deimos
ringhiò. Si pulì la bocca dal sangue e si
rialzò, lasciando la stanza. Era
sceso uno strano silenzio.
“Siamo
tutti
nervosi..” mormorò Ipazia e Kanon annuì.
“Per
me
siete tutti fuori di testa in famiglia” sbottò
Deathmask, osservando il buco
nel muro lasciato dalla testa dura di Deimos.
“Normale
amministrazione” tagliò corto Ares “Ed
ora ricominciamo le ricerche”.
Tolomeo
seguiva l’armatura, che camminava di qualche metro davanti a
lui. Si chiedeva
se era stato veramente lui in grado di risvegliarla o se era stato
qualcun
altro. Forse Atena..
Ora
che
l’oscurità si stava diradando, il cavaliere si
rendeva conto di star camminando
fra ossa e cadaveri, anime che gemevano in cerca di pace. Non se ne
stupì
molto. Dopotutto era pur sempre su una strada che conduceva nel regno
dei
morti.. Strinse fra le mani l’anello della regina Eleonore e
quelle anime
tormentate parvero aprir loro la strada.
“Le
stelle!”
esclamò Tolomeo, guardando in su.
Aveva
lasciato il regno di Hades? Ma vedeva ancora anime e cadaveri..
“Chissà
quanto tempo ho trascorso in quel luogo..dicono che il tempo
nell’oltretomba scorra
in modo diverso..spero non troppo. Saranno tutti
preoccupati..”.
Le
tenebre e
la nebbia si stavano diradando. Le vestigia erano rientrate nella
Pandora e
davanti a Tolomeo finalmente si mostrò un edificio che il
ragazzo riconobbe: il
palazzo di Mur!
“Ah,
mi
sembrava di percepire un cosmo familiare” sorrise proprio
Mur, affacciato ad
una delle balconate “Quella che porti è
l’armatura dei Gemelli, vero?”.
“È
così”.
“Era
da tanto
che quell’armatura non passava dalle mie parti. Cosa le
è successo?”.
“Nulla.
Non necessita
riparazioni. Sono giunto fin qui per un’altra
ragione..”.
“E
quale,
ragazzo?”.
“Cerco
Shaka”.
“E
per quale
motivo?”.
“La
storia è
lunga ed io sono piuttosto stanco ed affamato. Chiedo
scusa..concedetemi
qualche istante e poi sarò lieto di raccontarvi tutto,
Grande Mur”.
Il
Lemuriano
usò il teletrasporto, apparve a pochi passi da Tolomeo e lo
squadrò per bene.
“Vieni
con
me, cavaliere” parlò Mur, dopo qualche istante.
Eleonore
camminava
lentamente. Non voleva dare nell’occhio fra le strade
dell’oltretomba. Tutti erano
piuttosto impegnati o indifferenti quindi nessuno fece caso alla
regina. Solo qualche
anima parve guardarla. Aveva deciso di uscire allo scoperto quella sera
di luna
piena. Non aveva mai lasciato il regno da quando era finita nel mondo
dei morti
e sapeva che Hades non avrebbe approvato. Non appena i capelli di lei
furono
illuminati dalla pallida Luna, cambiarono colore, divenendo bianchi.
Come Somma
Sacerdotessa di Artemide, era questa una caratteristica che aveva
sempre
posseduto. Da molto non pregava la luna però in quella notte
aveva percepito
qualcosa dentro di sé che la spingeva a rivolgere di nuovo
parole di fede al
satellite nel cielo ed alla Dea ad esso legato.
“Oh,
Dea..”
mormorò, guardando il perfetto cerchio bianco pallido
“..non so se ancora vuoi
ascoltarmi. Forse troppo a lungo non ho rivolto lo sguardo ed il cuore
verso
te. Ma se la tua misericordia può ancora avvolgermi, allora
ti prego di
ascoltare questa mia supplica”.
Spalancò
le
braccia, lasciando che la luce del plenilunio l’avvolgesse.
“Proteggi
Tolomeo. Guidalo lungo il suo viaggio, con la saggezza di anziana e
maga. Aiutalo
a realizzare il suo desiderio e culla i suoi sogni, come madre nel buio
della
notte. Accarezza il suo cuore, donandogli l’amore di
fanciulla, mantenendolo
luminoso e buono. Ascolta le parole di questa tua figlia che
è stata fanciulla
fra le braccia di un uomo che follemente l’ha amata, che
è stata madre per
opera di un Dio di morte e che ora è maga, forse stanca del
buio, che anela a
tornare ad essere fanciulla, rinnovandosi proprio come fai tu, Madre
Luna”.
Non
sapeva
per quale ragione, ma stava cantando. Non conosceva quelle parole, ma
le
sembrava di conoscere quel testo da sempre. Un rumore fra gli alberi la
interruppe.
“Madre..?”
domandò,
piuttosto confusa.
Si
voltò,
cercando di scorgere qualcuno nel buio. Qualcosa rifletté la
luce della luna.
“Chi
sei tu?”
spalancò gli occhi, sentendosi afferrare e trascinare via.
Tolomeo
riaprì gli occhi. Stava albeggiando. Dopo essersi
rinfrescato e rifocillato
doveva essersi addormentato. Si guardò attorno. Mur lo
fissava con tenerezza,
seduto a terra con le gambe incrociate.
“Un
po’ di
tè?” chiese.
“Io..ecco..grazie.
Mi sono addormentato..chiedo scusa”.
“Non
c’è
problema. Sei giovane e dormire ti aiuta a crescere. Altrimenti
quell’armatura
ti andrà sempre larga” fece l’occhiolino
il padrone di casa, versando del tè in
una tazza.
“Grazie”
ripeté il ragazzo, mettendosi seduto.
“Allora,
giovanotto..qual è il tuo nome? E che cosa ti spinge fin qui
in cerca di Shaka?”.
“Io
sono
Tolomeo. Non vi ricordate di me?”.
“Tolomeo?
Tomeo? Quel piccoletto pel di carota che non mi arrivava manco alla
cinta? Sei davvero
tu?”.
“C’è
forse qualcun
altro con un nome come il mio? Un altro genitore così sadico
al mondo da dare
un nome simile?!”.
“No,
non
credo” ridacchiò Mur “Vedendoti, mi
rendo conto di mancare da tanto al
santuario. Almeno una decina di anni. Com’è la
situazione? Come se la cava
Kiki?”.
“Direi
tutto
tranquillo. E Kiki se la cava egregiamente, a mio parere”.
“Ottimo.
Ora
parlami di te e della tua missione”.
“Io..sto
cercando Shaka. Mi è stato detto che lui potrebbe aiutarmi a
risvegliare mio
padre”.
“Arles?
Ancora
vive?”.
“Se
stare
rinchiuso sottovetro si può definire vivere..”.
“Pensavo
che
dopo un po’ cedesse. Tu sei testardo e tenace quanto
lui?”.
“Dicono
di
sì” ghignò Tolomeo, poggiando la tazza
ormai vuota.
Mur
rispose
a quella specie di sorriso e poi tornò serio, fissando
Tolomeo.
“Hai
gli
occhi di tuo padre” commentò “Cambiano
colore?”.
“A
volte..”.
“Perché
vuoi
svegliarlo? Perché vuoi aiutare tuo padre? Alla fine,
già era perso nella sua
illusione quando sei nato..
“E
allora? Perché
volete saperlo?”.
“Perché
io
posso svelarti dove sta Shaka ma sarà un viaggio inutile se
non avrai la giusta
motivazione”.
“Direi
che
la motivazione è ovvia. Io sono un cavaliere. Ed ho giurato
di aiutare le
persone. Lui ha bisogno di aiuto ed io devo fare tutto il
possibile”.
“Non
lo fai
solo per un tuo rendiconto personale? Solo perché
è tuo padre?”.
“No.
Certo
che no. Come avete già detto, era già
intrappolato quando io sono nato perciò
non ho ricordi legati a lui. L’ho sempre visto in quel
baccello d’ikor e non so
come sia veramente, se non tramite storie raccontate. Non mi
interessano le
voci che lo descrivono come un pazzo o un depresso. Non sono affari
miei”.
“E
se ti
dicessi che il suo comportamento ha portato alla morte di
molti?”.
“Non
mi
interessa nemmeno quello. Quel che mi interessa è quello che
lo ha portato a
ridursi così com’è. Io sono un
cavaliere e davanti a me non vedo un padre ma un
cavaliere come me. Ha combattuto per proteggere quello in cui credeva e
per
questo non è stato in grado di controllare il suo potere.
Non merita di essere
abbandonato. Ha dato tutto se stesso per una ragione giusta e mi
sentirei un
ingrato se non facessi qualcosa per aiutarlo. Mi è stato
insegnato che un
cavaliere deve aiutare chi è in
difficoltà”.
“Quindi
lo
faresti anche se non fosse suo padre?”.
“Ovviamente.
Non è forse così che agisce un Saint? Io lo sono
da poco, ma tento di seguire
le orme dei miei predecessori e camminare su un sentiero di
giustizia”.
“Come
parli
strano per essere solo un ragazzino..”.
“Io..”.
“Non
ti
giustificare. Se il tuo fosse un gesto puramente egoistico, per riavere
tuo
padre come potente apripista della tua vita, non ti avrei aiutato. Ma
sembra
che il tuo cuore sia puro e buono. Perciò ti
aiuterò”.
“Grazie”
chinò il capo Tolomeo.
“Chi
ti ha
indirizzato qui?”.
“Hypnos”.
“Sei
stato
da Hypnos? Nel regno di Hades?”.
“Sì”.
“Hai
fegato.
Oppure sei completamente pazzo..”.
“Forse
entrambe le cose..”.
“Comunque
di
certo le tue capacità sono notevoli. Vieni..meglio che ti
cambi, ragazzo. Quei vestiti
sono troppo leggeri per dove ti devo condurre”.
“Mi
guiderete
fino da Shaka?”.
“Sì,
lo
farò. Ma dobbiamo per forza camminare per un tratto,
perché così impone l’antico
cavaliere della Vergine. Ed il clima non è dei migliori per
uno come te,
abituato al sole di Grecia”.
“Vi
ringrazio!” sorrise sinceramente Tolomeo.
“Mi
piace
quel che vedo in te, Tomy. Non cambiare mai”.
Ed eccoci qua..piccola parentesi al termine
di questo terzo capitolo. Come state? Vi sono mancate le mie storie
deprimenti?
XD spero vi possiate affezionare al piccolo Tolomeo. So che un OC non
potrà mai
sostituire i personaggi originali ma spero di riuscire a narrare il suo
percorso in modo da renderlo apprezzabile. Il cammino è
ancora lungo..
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Capitolo 4 *** IV- sospetti ***
IV
SOSPETTI
Ares
stava
sfogando la sua frustrazione contro un ignaro ed innocente capitello
con cui si
divertiva a giocare, come fosse un pallone. Rideva soddisfatto, dopo
averlo
scagliato lontano, quando un’ombra coprì il sole.
Guardò verso l’alto, con aria
interrogativa, giusto in tempo per vedersi Hades piombargli addosso.
Furioso,
il Dio degli inferi brandiva la spada. Per fortuna Ares è
una divinità
difficile da cogliere di sorpresa in battaglia e quindi aveva
facilmente parato
il colpo.
“Ma
che
problemi hai!? Sei impazzito?!” ringhiò, mentre lo
zio lo attaccava di nuovo.
Il
potere di
Hades era notevole ed Ares sapeva bene di non potergli tenere testa
molto a
lungo. Si fissarono negli occhi, lama contro lama. Hades
lanciò un grido ed
Ares finì spinto indietro. Poi il Dio degli inferi
saltò , sollevando la spada
dietro la testa, pronto ad abbassarla sul corpo del nipote. Il Dio della guerra
spalancò gli occhi e
riuscì solo per un soffio a schivare quel colpo, che fece
tremare tutto il
santuario e lasciò un profondo solco in terra.
“Ma
vaffanculo!” sbraitò Ares “Si
può sapere che ti ho fatto?!”.
“Dov’è
mia
moglie?”.
“Sotto
a
Pesci, credo!”.
“Non
lei!
Non parlo di Persefone! Dov’è Eleonore?”.
“E
io che
cazzo ne so?!?”.
Hades
ricominciò
ad attaccare. Atena, allarmata dal trambusto, osservava la scena. Aveva
paura
che, intervenendo, potesse dare il via all’ennesima guerra
santa. Phobos e
Deimos si fissarono. Non era la prima volta che il loro padre litigava
con
qualche altro Dio ma era meglio comunque restare all’erta.
“Dov’è
mia
moglie?” domandò ancora Hades.
“Non
lo so”
confermò Ares “Perché mai dovrei
saperlo?!”.
“Basta
con
le cazzate!”.
“Ma
quali
cazzate?! Oh, fatti curare!”.
Hades
gridò
di nuovo. Il suo cosmo oscuro bruciava e si espandeva in fretta,
avvolgendo
Ares. Il Dio della guerra reagì, respingendolo con la
propria aura rossa.
Quando entrambi ebbero raggiunto la massima potenza, esplosero con un
boato che
risuonò più volte al Tempio.
“Fate
qualcosa!” supplicò Atena, raggiungendo Phobos e
Deimos.
“E
perché?”
domandò Deimos “A papà fanno bene un
po’ di sberle ogni tanto..”.
“Ma..”.
“Ti
ammazzo
se non me lo dici!” sbraitava Hades e pareva davvero
intenzionato a fare quanto
detto.
Saltò
per
colpire di nuovo il nipote, che riuscì a schivare di nuovo
per un pelo, questa
volta grazie all’armatura alata. Il Dio degli inferi
ghignò, indossando a sua
volta le vestigia divine e spiccando il volo. Dopo uno scambio di colpi
in
aria, il re degli inferi scagliò Ares in terra. Al centro di
un cratere appena
formato dalla sua stessa testa, il Dio della guerra si scosse. Steso a
terra,
la vista gli si appannò per qualche istante. Quando rimise a
fuoco, davanti a
sé stava Phobos.
“Adesso
basta!” lo sentì dire.
Hades
ringhiò di rabbia e partì in picchiata, con la
spada sguainata. Phobos non si
mosse. Guardò, con il solo occhio buono, il Dio
dell’oltretomba. Questi
scendeva sempre di più ma, quando fu giunto abbastanza
vicino all’obbiettivo,
sussultò. Quello sguardo..
Ares
non gli
diede modo di riflettere e lo colpì con un poderoso
cazzotto, che lo ribaltò in
terra.
“Vedi
di
darti una calmata, zio. Io la tua adorata mogliettina non
l’ho vista, così come
nessuno di noi” sbottò il Dio della guerra.
Hades
si
rialzò. Le due divinità ansimavano per la fatica.
“Se
non è
qui..” parlò di nuovo il Dio degli inferi
“..allora dov’è?”.
“Non
ne ho
idea. Dimmi..perché dovrei saperlo io?!”
“Non
è qui
dal tuo marmocchio imbarattolato?”.
“Parli
di
Arles? Intanto non offendere e poi no, non è qui da lui. La
freccia dell’odio,
ricordi?”.
Hades
parve
calmarsi. Fissò di nuovo Phobos, avvicinandosi con la mano
al volto del Dio
della paura. Questi si ritrasse, tenendo le braccia incrociate.
“Da
quando
la vita sta scorrendo via da te, Phobos?”.
Il
freddo
era pungente. Tolomeo osservava Mur con una certa invidia,
perché se ne stava
con le maniche corte e camminava tranquillo come se niente fosse. Si
arrampicava agilmente lungo quel sentiero ripido e ghiacciato con
rapidità ed
il giovane faticava a seguirlo. Però non voleva certo
mostrare di essere in
difficoltà! Quando scivolò, sentì la
mano di Mur sorreggerlo saldamente.
“Scusa,
ragazzo” sorrise il Lemuriano “Io vivo qui da anni
e non mi rendo conto di
quanto possa essere complicato camminarci per qualcuno che non
è abituato”.
“Grazie
per
l’aiuto..”.
“Non
ti
vergognare, sei solo un cucciolo. Ne hai di strada fare ancora! Il
fatto che tu
riconosca ed affronti le tue debolezze è una grande
cosa”.
“Voi
dite?”.
“Non
darmi
del voi, per favore! Mi fai sentire vecchio!”.
“Scusate..”.
“Oh,
Tolomeo! Chissà se anche tuo padre era così da
giovane!” rise divertito Mur.
“Non
lo
ricordate?”.
“Io
sono più
giovane di tuo padre. Ricordo solo vagamente alcune cose ma comunque
era già
grandicello. Ed a quindici anni era Gran Sacerdote..”.
“E
poi si
stupiscono se uno non si sente all’altezza..”.
“Erano
altri
tempi. Quelli della mia generazione hanno ricevuto l’armatura
di piccolissimi.
Io a sette anni, per esempio. Una cosa inconcepibile adesso. Ma al
tempo era
prossima una guerra santa”.
“Ho
sentito
storie straordinarie sui cavalieri della vostra
generazione..”.
“Non
credere
a tutto quello che ti dicono”.
“Non
avete
forse abbattuto il muro del pianto, affrontato i giudici infernali
e..”.
“Ah
sì,
quelle cose le abbiamo fatte!”.
“Straordinario”.
“Beh,
ora
tocca a voi! Noi vecchietti ci siamo fatti da parte. Largo alle nuove
generazioni! Tocca a
voi scrivere un
nuovo capitolo che i posteri leggeranno meravigliati”.
“Lo
spero..”.
“Tu
a quanto
pare sai tutto di me, Tomeo. Ma io non so nulla di te, se non il fatto
che sei
figlio di Gemini. Dimmi qualcos’altro. Qualcosa che non
so..”.
“Tipo?”.
“Non
lo so..amici
al tempio? Altri nuovi cavalieri? Gusto di gelato preferito?”.
“Vaniglia
e
stracciatella. Amici..non direi. I giovani sono pochi. Mia sorella non
ha mai
affrontato l’addestramento quindi non saprei..il figlio di
Ares ed Atena è
sempre per le sue..diciamo che ho passato molto più tempo
con Phobos e Deimos
che con altri cavalieri”.
“Non
so se
spaventarmi oppure compiacermi. Avere a che fare con molte
divinità è un bene,
a volte”.
“Kanon
mi ha
sempre guidato”.
“Altra
cosa
che non capisco sia un bene o un male ma..va bene! A me piace la
fragola”.
“Eh?”.
“Come
gusto
di gelato!”
“Ah!”.
“Eleonore..scomparsa..”
mormorò Atena.
“Non
so
davvero che pensare” annuì Hades.
“Sei
preoccupato?”.
“Certo!
È mia
moglie! Io la amo! Me l’hanno rapita, ne sono
certo..”.
“Oh,
su, non
essere melodrammatico adesso! Magari si è solo allontanata
un attimo. Aveva
bisogno di un po’ d’aria o che ne so
io..”.
“Non
sono
convinto..comunque mi dispiace di averti colpito, Ares”.
“Anche
a me
dispiace” mentì Ares, che si stava fasciando
seduto in un angolo.
Hades
si
passò una mano sul volto, ferito.
“Che
hai
detto a mio figlio, Hades?” continuò il Dio della
guerra.
“A
Phobos?
Sono affari privati, non trovi? Se vorrà, te lo
dirà”.
“Qualcosa
di
grave? Adesso mi preoccupa pure lui”.
“Ho
saputo
che avete smarrito Tolomeo..preoccupazioni su
preoccupazioni..”.
“Sfotti?”.
“No,
affatto. Se mio figlio partisse per missioni impossibili sarei
preoccupato
quanto voi”.
“Bene..credo..”.
“Ti
ammazzerò con le mie mani se scopro che c’entri
qualcosa con Eleonore”.
“Ti
scuoierò
a partire dalle palle se scopro che c’entri qualcosa con
Tolomeo”.
“Ma
quanto
amore c’è nell’aria..”
sospirò Atena.
Mur
e
Tolomeo raggiunsero quello che aveva tutta l’aria di essere
un tempio
abbandonato. Tra la neve, sperduto fra le rocce di una delle vette
più alte del
mondo, il ragazzo percepì un cosmo molto potente.
“Percepisco
un potere..è quello di Shaka?” domandò
e Mur annuì.
Il
giovane
si guardò attorno, continuando a camminare.
“Di
chi sono
quelle ossa in terra?”.
“Di
tutti
coloro che hanno infastidito questo luogo inutilmente. Spero che le tue
non si
uniscano al mucchio”.
Tolomeo
non
rispose, non sapendo che cos’altro dire.
“Shaka..”
chiamò Mur “..scusa se ti disturbo”.
Il
cavaliere
della Vergine era seduto nella sua solita posa, di fronte ad una statua
consumata
dalle intemperie e dal tempo. Vestito in modo leggero, Tolomeo
rabbrividì nel
vederlo. Però ammirò la forza di
volontà di quell’uomo.
“Chi
è quel
ragazzo che porti con te, Mur? Il suo cosmo..è quasi
familiare” domandò Shaka,
senza aprire gli occhi.
“Il
nuovo
cavaliere dei Gemelli. Deve parlare con te”.
“Ha
una
buona motivazione oppure finirà cadavere?”.
“Io
credo
che le sue ragioni siano alte e meritevoli”.
“Vedremo.
Lasciaci
soli”.
Tolomeo
si
voltò, osservando Mur mentre si allontanava senza porsi un
solo problema. Poi tornò
a guardare Shaka, che gli fece segno di avvicinarsi con una mano.
“Siediti
qui
accanto a me, ragazzo. Lascia che i nostri cosmi comunichino”.
L’ospite
fissò perplesso il cavaliere della Vergine ma poi si
avvicinò e sedette. Shaka,
ad occhi chiusi, non cambiò posizione. Uno di fronte
all’altro, il cosmo oro
della Vergine si espanse, sfiorando Tolomeo. Il ragazzo ne fu
intimorito, non
sapendo cosa aspettarsi. Ma tentò di rilassarsi.
“Tu
sei..legato
ad Arles” parlò, dopo un po’, Shaka.
“Sono
suo
figlio. Siete andato via dal Grande Tempio poco prima che nascessi. Da
cosa lo
avete capito?”.
“Il
tuo
cosmo ha qualcosa in comune con il tuo genitore”.
“Ah
sì? Beh,
sono il cavaliere dei Gemelli, come lo era lui”.
“No.
C’è
dell’altro”.
“E
che cosa?”.
“Spero
nulla
di troppo negativo..”.
“Negativo?”.
“Perdi
mai
il controllo, Gemini?”.
“No”.
“Nemmeno
quando sei parecchio arrabbiato o turbato?”.
“Cambio
colore ma non perdo il controllo”.
“Sicuro?”.
“Sicurissimo,
signore”.
“Bene..più
o
meno..”.
Il
cosmo di
Shaka brillò ancora accanto a quello di Tolomeo e poi si
ritrasse, su ordine
del suo padrone.
“Che
cosa
vuoi da me, Gemini?”.
“Il
mio nome
è Tolomeo. Arkeiros Tolomeo. Potete chiamarmi
così”.
“Va
bene,
Tolomeo. Ma rispondi alla mia domanda”.
“Sono
qui perché
mi è stato detto che una divinità indiana
può aiutare mio padre e nessuno
meglio di voi è in grado di indirizzarmi sulla strada
giusta”.
“Per
aiutare
tuo padre? E cosa ti fa pensare che io voglia aiutarlo?”.
“Niente.
Di fatti,
se è vero quel che mi hanno detto, immagino potevate
aiutarlo tempo fa, senza
far venire me fin qui a supplicarvi”.
“Sei
un
ragazzo sveglio..”.
“Perché?”.
“Perché
che
cosa?”.
“Perché
non
lo avete aiutato? Se davvero esiste questa divinità,
perché non avete fatto in
modo che risvegliasse mio padre?”.
“Perché
Arles
è un uomo pericoloso. Chiuso in quella teca, può
mondarsi dai suoi peccati ed
evitare di commetterne altri”.
“Ma..non
credo sia giusto questo ragionamento”.
“Tu
che ne
sai? Pensi forse, con la tua inesperienza, di saperne di più
di chi si è
ritrovato contro l’uomo che vuoi salvare? ”.
“Contro?”.
“Come
nemico,
ragazzino. Ho dovuto affrontarlo e l’unico motivo per cui non
mi ha vinto è
stato perché la forza delle Surplici non è alla
pari di quella di un’armatura d’oro”.
“Surplici?”.
“Vedo
che
nessuno ti ha raccontato tutta la storia..”.
“A
me non
interessa tutta la storia. Io voglio aiutare un uomo che è
ridotto in quello
stato per salvare delle vite e per far terminare una guerra”.
“Sembri
molto sicuro di te. TI prenderesti ogni responsabilità delle
tue azioni?”.
“Ovviamente”.
“In
te non
percepisco malvagità. Ma del resto, non ne percepivo nemmeno
nel Gran Sacerdote
Arles. Perciò potrei sbagliarmi..”.
“Credete
che
io possa avere intenzioni malvagie?”.
“Credo
che
un Arles in questo universo sia più che sufficiente e se tu
sei come lui e lo
risvegli..”.
“Non
credo
che voi possiate essere nella posizione di giudicarmi. Sono gli Dei che
lo
fanno, non gli uomini. Fatemi parlare con questa divinità e
vedremo cosa sarà
deciso. Se non vorrà risvegliarlo perché troppo
pericoloso, allora accetterò la
cosa. Ma sarà un Dio a dirmelo, non un mortale”.
“E
se questa
divinità vedesse in te qualcosa di pericoloso e decidesse di
eliminarti?”.
“Non
so. Non
sono quel genere di persona che accetta pienamente la
volontà divina. Ma di
certo so accettare di più un giudizio divino rispetto ad uno
umano”.
“Sei
cresciuto in mezzo agli Dei. Loro che dicono?”.
“Non
sono
molto d’aiuto. Passano il tempo a picchiarsi, litigare ed
accoppiarsi”.
“E
questo ti
fa disprezzare il divino?”.
“No.
Mi fa
disprezzare chi resta seduto sul proprio culo invece di aiutare. E
questo lo
fanno in troppi!”.
“Beh..se
non
vuoi essere giudicato da me, ma se Atena fin ora non ha fatto nulla
contro di
te..allora lascerò che sia qualcun altro a lavorare al posto
mio. Ti svelerò
dove trovare la Dea che ti serve ma toccherà a te
convincerla ad agire. E non
credo sia un’impresa facile”.
“Non
era
impresa facile nemmeno attraversare l’inferno e giungere qui.
Eppure l’ho
fatto. Ci provo, almeno. Non mi posso scoraggiare, a questo punto del
viaggio”.
“Vuoi
sfidare la sorte?”.
“Voglio
viverla”.
“Vivere
il
proprio destino..anche se fosse a te avverso?”.
“Almeno
ci
avrei provato. Se dovessi ascoltare le voci che circolano sul mio
destino,
allora non sarei mai dovuto divenire cavaliere”.
“In
questo
caso..lascerò che sia la Dea a giudicarti”.
“Phobos?”
chiamò Deimos, intravedendo il gemello fra le colonne
“Eccoti, finalmente!”.
“C’è
qualche
problema?”.
“Hades
ti ha
ferito?”.
“No..perché?”.
“Sei
sparito..”.
“E
allora?”.
“Ah,
niente.
È che sai che papà è paranoico
ultimamente. Non so proprio che abbia..”.
“Il
piccolo
della famiglia è partito a salvare il pazzo della famiglia.
Immagina che senso
di inferiorità se Tolomeo riesce nell’intento,
dopo che papà ci ha provato per
più di dieci anni..”.
“Che
acidità, Phobos!”.
Phobos
non
rispose. Aveva altro per la testa. Cosa intendeva Hades con quella
frase? La vita
stava scorrendo via? Pur essendo vissuto migliaia di anni, non aveva
alcuna
intenzione di morire! E, se proprio doveva morire, non di certo con il
corpo
invecchiato ed indebolito! Ma in quel tempo di pace, lui che altro
poteva fare?
“Che
schifo
quest’Era!” borbottò.
Ho come il presentimento che qualche
Shakiano mi starà odiando..chiedo scusa. Vi faccio una
domanda: quale
personaggio volere assolutamente apparire e quale invece già
non sopportate (o
non avete sopportato) e vi incazzate se lo faccio ricomparire? XD nei
limiti
del possibile, vi posso accontentare
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Capitolo 5 *** V- amor sacro ***
V
AMOR SACRO
Da
solo,
Tolomeo aveva seguito le indicazione di Shaka ed aveva raggiunto una
città fra
le montagne. Celata agli occhi del Mondo, aveva un’aria molto
antica.
“Sono
dei
templi?” si chiese il giovane, sempre con
l’armatura sulle spalle “Ed in quale
dovrò mai entrare io?!”.
Camminò
ancora per un piccolo tratto quando una voce lo fermò.
“Come
sei
arrivato qui? E chi stai cercando?” domandò
l’uomo, che pareva una guardia del
posto.
Tolomeo
non
sapeva bene cosa rispondere, o da dove incominciare, quindi prese fiato
e
rifletté. Nel frattempo l’uomo, convinto che
l’intruso non comprendesse la sua
lingua, ripeté la domanda in vari idiomi.
“Ah,
no! Non
serve!” lo interruppe il ragazzo “Sto solo cercando
la risposta giusta. È una
storia lunga..”.
“Lunga?”.
“Sì,
Shaka
mi ha..”.
“Shaka?
Ti
ha mandato lui qui?”.
“Sì,
esatto”.
“Allora
vieni con me”.
Il
ragazzo
annuì e seguì la guardia fra le strade in pietra.
“Questa
città è magnifica” commentò,
guardandosi attorno.
“Sì..non
è
male..”.
Statue
in
pietra e vegetazione rampicante sfidavano il freddo e Tolomeo le
osservava con
curiosità. Giunsero davanti all’edificio
più imponente della città.
“Prego,
entra” indicò la guardia, prima di andarsene.
Il
giovane
tentò di cogliere qualche simbolo o segno che lo aiutasse a
comprendere chi
vivesse in quel luogo. Non ne trovò perciò prese
coraggio ed entrò. Illuminato
dalle candele, quell’immenso tempio poteva far invidia alle
dimore poste
sull’Olimpo.
“C’è
qualcuno? Scusate?” domandò, udendo le sue parole
ripetersi come eco.
Senza
ricevere alcuna risposta, camminò ancora. Dinnanzi a
sé, una parete di candele.
Sospirò e, inavvertitamente, ne spense qualcuna. Subito si
mosse per
riaccenderle, mormorando parole di scusa.
“Maldestro..”
disse qualcuno.
“Chiedo
scusa..”.
“..ma
ben
educato”.
Dal
buio, si
mostrò una figura. Tolomeo sobbalzò.
Quell’uomo era parecchio più alto di lui,
aveva lunghissimi capelli neri raccolti in una crocchia ed aveva la
pelle blu.
“Salve..”
salutò il giovane, non sapendo che altro dire.
“Non
tremare” ridacchiò lo sconosciuto “Non
ti farò del male..forse..”.
“Forse?”.
“Chi
sei? E
che ci sei venuto a fare qui? Senza una ragione
valida..danzerò sul tuo
cadavere”.
“Io..Shaka
mi ha mandato qui perché..”.
“Shaka?!
Ancora?! Quell’essere sta iniziando ad infastidirmi. Non
può scaricare sempre
al piano di sopra tutti i suoi problemi! Vieni con me..”.
Tolomeo
seguì lo sconosciuto restando in silenzio. Dopo un corridoio
buio, entrarono in
un’altra stanza piena di candele. Il giovane capì
che l’intero edificio era
scavato nella roccia e doveva essere davvero molto antico. Al centro di
quello
spazio immenso, un uomo stava seduto ad occhi chiusi, nella posizione
del loto.
“Hey!”
lo
chiamò colui che aveva condotto Tolomeo fino a quel punto
“C’è qui un altro
degli amichetti di Shaka. Non sarebbe ora di dirgli di smetterla? Che
se le
sbrighi lui le sue faccende..”.
“Prima
di protestare,
non dovremmo ascoltare quel che ha da dire?”
ribatté il seduto, senza aprire
gli occhi.
“Bene..però
te ne occupi tu. Invece di startene tutto il giorno a
poltrire”.
“Sto
meditando. E lo fai anche tu”.
“Sì,
ma io
dopo un po’ mi annoio..”.
Tolomeo
osservò il primo uomo mentre si allontanava di qualche
passo.
“Siediti,
Tolomeo” ordinò il secondo uomo.
“Come
sapete
il mio nome?”.
“Il
mio
compito è preservare questo mondo, perciò so
tutto quel che accade su di esso.
Tu sei Tolomeo di Gemini e sei qui perché cerchi un aiuto
per tuo padre”.
“Sì..esattamente!
Voi..preservate il mondo? Quindi voi siete..”.
“Una
divinità, certo”.
“Questo
l’avevo capito..”.
“E
la cosa
non ti spaventa?”.
“Sono
tecnicamente un semidio e sono cresciuto in mezzo alle
divinità. Mi inchino con
rispetto dinnanzi a voi ma non provo paura”.
“Ed
immagino
tu abbia capito che divinità io sia..”.
“Non
conosco
molto il panteon indiano però..deduco che siate
Vishnu”.
“Molto
bene..”.
“E
lui..deve
essere Shiva..” ipotizzò Tolomeo, indicando il
primo uomo che aveva incontrato,
ora messo in una posa che solo un Dio danzante poteva avere.
“Bravo..”.
“Chi
di voi
mi può aiutare?”.
Shiva
si
voltò, ruotando in modo strano. Tolomeo era incantato dai
quei movimenti, come
un serpente ipnotizzato. Ma si scosse, tentando di restare concentrato.
“Purtroppo
io non controllo le illusioni, e nemmeno Shiva”
parlò Vishnu “C’è
però una Dea
da cui potremmo mandarti..”.
“Scherzi?!”
si stupì Shiva “Non vorrai mica scomodare una Dea
per salvare un semidio di una
religione morta?!”.
“Rilassati!”.
“Sono
rilassato..”.
“Si
vede..”.
“Pft..”.
“Sarà
lei a
decidere. Se lo vorrà, ti aiuterà. In caso
contrario, dovrai tornartene a casa,
Tomeo”.
“Va
bene.
Dove posso trovarla?”.
“Ha
un
palazzo in questa città. Shiva, lo accompagni?”.
“Io?!”.
“Sei
lì a
far niente..”.
“Ha
parlato..”.
“Dai,
muovi
il culo!”.
“Lo
muovo
molto più di te!”.
“Hem..”
interruppe Tolomeo “..non voglio farvi litigare. Posso andare
anche da solo..”.
“Hai
idea di
quanti Dei ci siano nell’induismo?”
domandò Vishnu.
“No..”.
“Molti.
Moltissimi. Ed ognuno di loro ha un palazzo in questo luogo. Ci
metteresti dei
mesi per entrare in tutti e trovarla”.
“Oh..”.
“Avanti,
Shiva, MUOVITI!”.
“Fottiti!”.
Tolomeo
trattenne un grido di rabbia. Stava solo perdendo tempo! Shiva
notò il cambio
di colore della chioma del ragazzo e sorrise divertito.
“A
quanto
pare anche fra i greci c’è chi fa
così..” ridacchiò, sollevando uno dei
ciuffi,
ora quasi nero.
“Anche
a voi
succede?” domandò il ragazzo.
“Certo.
Mia
moglie, per esempio, quando è di buon umore è la
dolcissima e benevola Durga. Ma
se la fai incazzare, avrai a che fare con la nera
Kalì”.
Il
giovane
greco riprese il controllo e tornò al suo rosso naturale,
calmandosi.
“Piantatela
di fare casino!” si unì una terza voce, che
Tolomeo intuì fosse di Brahma
“Shiva! Portalo subito al tempio che cerca”.
“Ma
perché
io?!”.
“Perché
sei
il più piccolo quindi obbedisci”.
“Che
ingiustizia..”.
Brahma,
con
la pelle leggermente rossiccia, osservò i due uscire dal
tempio e poi scomparve
di nuovo, un po’ infastidito da tutti questi
“turisti”.
“Sono
felice
che non solo da noi si litighi..” ammise Tolomeo, una volta
fuori.
“Ti
rende
felice vedere la gente che litiga?!” inclinò la
testa Shiva.
“No..mi
rende felice sapere che la mia famiglia non è
l’unica. Temevo questo..”.
“Quando
ci
si conosce e si convive dalla notte dei tempi, è inevitabile
che si finisca col
discutere ogni tanto. Non trovi?”.
Il
ragazzo
annuì. Sapeva che doveva essere cauto con Shiva. Era famoso
per essere un Dio
piuttosto irascibile e dagli scatti di rabbia improvvisi. Lo
osservò, seguendolo
lungo le strade. Il suo aspetto era giovane, ma di certo non doveva
stupirsene:
era un Dio! Non era molto vestito, nonostante il freddo, e ad ogni
passo che
compiva si udiva il tintinnio prodotto dai gioielli che indossava.
“Cos’è
quell’anello che porti con te?” domandò
il Dio.
“L’anello
della regina Eleonore. Me lo ha dato per uscire dal regno dei
morti”.
“Appartiene
ad una Dea?”.
“Non
proprio. Alla consorte di Hades..”.
“Il
potere
che emana è notevole. Strano non appartenga ad una
divinità..stai attento a non
farlo cadere in mani sbagliate”.
“Serve
a
risvegliare mio padre..Eleonore è stata sua moglie, prima di
morire”.
Shiva
rimase
in silenzio qualche istante poi si voltò e fissò
Tolomeo.
“Eleonore
è
tua madre?” chiese.
“No.
Mio
padre ha avuto un’altra donna. Ma non si è mai
risposato ed ha sempre pensato a
lei..”.
“Un
errore,
a mio avviso. Ma ci vuole tempo per capirlo. Quando la mia prima moglie
morì,
rimasi chiuso in una grotta per anni e disintegrai il Dio
dell’amore che aveva
osato venirmi a disturbare. Ma poi conobbi la mia attuale consorte e
riuscii ad
andare oltre..”.
“Mia
madre
non credo possa riuscire in un’impresa simile..”.
“Se
non sarà
quella donna, allora sarà l’aiuto di qualcun
altro. Ma ricorda: far uscire
qualcuno dal buio che da solo si è generato è
un’impresa ardua. Forse nemmeno
Maya potrà aiutarti..”.
“Maya?”.
“La
Dea da
cui ti sto portando”.
“Ancora
nessuna traccia, Signore” parlò Radamante, dopo
essersi inginocchiato dinnanzi
ad Hades.
“Avete
pattugliato la foresta che cela l’entrata vicino al
fiume?” ribatté il Dio
degli inferi.
“Sì,
altezza. Purtroppo nessun indizio. Sembra svanita nel nulla”.
“Continuate
a
cercare!”.
Radamante
si
congedò con un cenno del capo e rispettosamente si
allontanò. Hades si alzò dal
trono ed iniziò a camminare nervosamente avanti ed indietro.
Più passava il
tempo, e più era certo che qualcuno avesse rapito Eleonore.
“Signore..”
mormorò una fanciulla, inchinandosi profondamente e tenendo
la testa bassa.
“Che
c’è?”
sbottò lui, infastidito.
“Mi
spiace
disturbarvi. Ho sistemato la stanza privata della regina Eleonore ed ho
trovato
una cosa”.
“Che
cosa? Mostrami!”.
La
serva
mostrò quel che aveva fra le mani. Era un piccolo scrigno.
“Cosa
contiene quella scatolina?”.
“Nulla.
Ora.
Ma penso che fino a pochissimo tempo fa ci fosse un anello. Vedete come
è
segnato il velluto? E quella scatola non era mai stata fuori posto.
L’ho
trovata sul tavolino..”.
Hades
prese
la scatolina fra le mani e l’osservò.
“Un
anello? E
che anello poteva essere?” si chiese “Hai qualche
idea?”.
“Io
sono
solo una serva, signore. Non conosco la regina Eleonore, se non nei
limiti
entro i quali una serva deve conoscere la sua regina”.
“Torna
pure
alle tue faccende..”.
Rimasto
solo,
il re rigirò ancora la scatola, tentando di cogliere degli
indizi. Un anello
mancante..che avesse un qualche nesso con la sparizione di Eleonore?
“Che
hai in
mano?” domandò Persefone, scostando la tenda e
raggiungendo il marito.
“Una
scatola”.
“Che
anello
conteneva?”.
“Come
sai che
dentro c’era un anello?!”.
“Questa
è la
scatola di un anello..”.
“Era
nella
stanza di Eleonore”.
“Dici
l’abbia
indossato prima di allontanarsi? O che qualcuno l’abbia
rubato?”.
“Non
si è
allontanata! L’hanno rapita!”.
“Convinto
tu..”.
“Sai
qualcosa che io non so?”.
“Sei
tu il
marito. Dovresti conoscerla, giusto?”.
“Non
posso
sapere tutto..”.
“Ma
almeno l’indispensabile..”.
“Donna,
non
mi irritare!”.
“Posso
farti
una domanda? Perché l’avete sposata? Cosa vi ha
attratto tanto?”.
“Lo
sai
bene..”.
“Il
suo
aspetto esteriore? Mi risulta solo quello..”.
“Per
te è
così grave? Anche tu sei stata rapita perché eri
bella..”.
“Ero?”.
“Lo
sei
ancora. Non mi importava un cazzo chi tu fossi. Eri bella, mi piacevi,
ti ho
rapita. Eleonore stessa cosa. L’ho vista, mi piaceva, me la
son sposata”.
“E
non
potrebbe aver deciso di..”.
“Deciso
niente! Qualcuno me l’ha portata via ed io la
ritroverò, perché nessuno tocca
la mia roba!”.
“Roba?”.
Persefone
fissò
il marito e rimase in silenzio. Lo amava, ma certe volte non riusciva
proprio a
comprenderlo.
“Me
repeti
un po’ che stamo a fà?”
domandò Marte, seguendo Ares.
“Stiamo
andando al tempio di Apollo”.
“E
er pollo
a che ce serve?”.
“Apollo!
Non
"er pollo"! Quel Dio ha il
potere della preveggenza. Perciò di certo saprà
dove si trova Tolomeo..”.
“E se er pollo non collabora?”.
“Lo pestiamo. Tu che dici?”.
“ ‘NNAMO!”.
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Capitolo 6 *** VI- Preveggenza ***
VI
PREVEGGENZA
Shiva ondeggiava la testa come stesse
ascoltando una musica immaginaria. Tolomeo lo seguì in
silenzio lungo le strade
in pietra e ciottoli.
“E così..”
borbottò il Dio indiano “..sei
un semidio..”.
“Non mi definirei proprio
così, comunque
sì. Anche se, come avete giustamente detto, la mia religione
è morta da tempo”.
“Sai perché la mia
è ancora viva, dopo
tanti millenni?”.
“No, Signore”.
“La morte del politeismo da voi
è stata
decretata dall’arrivo dei culti monoteisti, primo fra tutti
il cristianesimo.
Non chiedermi perché..per me non ha senso il monoteismo! Qui
si è tentato ma la
storia del Cristo è pressoché identica a quella
di Krishna quindi per la gente
non c’era nulla di nuovo”.
“Come possono esserci due storie
identiche
nate in luoghi così distanti?”.
“Le religioni sono tutte uguali, ragazzo.
Ed il Dio è sempre lo stesso, che si mostra in forme
diverse. Probabilmente
perché gli piace veder azzuffare la gente”.
“Questo è un discorso
complicato..”.
“Lo so. Specie per un ragazzino. Ad ogni
modo..quello è il tempio in cui devi entrare. Per me, non ti
aiuterà.
Insomma..non avrebbe senso che lo facesse! Scomodarsi per un essere di
una
religione morta che nessun beneficio può portare al
mondo..”.
“Non importa. È mio dovere di
figlio
tentare. Vostro figlio non lo farebbe?”.
“Mio figlio ha una testa
d’elefante perché
io gliel’ho staccata..non credo lo farebbe..però
buona fortuna!”.
Tolomeo fissò il Dio qualche istante,
non
sapendo bene che cosa dire. Poi annuì e si mosse: era tempo
finalmente di poter
parlare con qualcuno in grado di aiutarlo!
“Fratellino..qual buon vento?”
sorrise
Apollo, vedendo giungere Ares al suo tempio, a Delfi.
“E me lo chiedi?!”
sbottò il Dio della guerra
“Non sei forse tu il preveggente?!”.
“Non butto i miei poteri per scoprire che
ti frulla in quella testolina iraconda”.
“La verità è che
sei pigro!”.
“Ed il tuo amico chi
è?”.
“Marte. Non te lo ricordi?!”
“Come t’arza?”
salutò Marte ed Apollo alzò
un sopracciglio.
“Entrate..” borbottò
il Dio del sole “..e
ditemi che volete”.
“Ammazza che bbona..”
commentò Marte,
intravedendo una delle ancelle di Apollo.
“Sono delle vergini, datti una
calmata!”.
“Che spreco..”.
Il Dio del sole sospirò, mentre Marte
girava per il suo tempio toccando ogni cosa e facendo commenti impropri
sulle
pizie.
“Parla, Ares. Dimmi che vuoi e poi
sparite, razza di zotici..”.
“Come sei maleducato! Io mica ti chiamo
perdigiorno solo perché perdi tempo a fissare lucertole e
suonare..”.
“I tuoi insulti velati sono davvero
fastidiosi..”.
“Non so insultare velatamente. I miei
insulti sono qualcosa di peggio..”.
“Bene..ma ora dimmi che
c’è”.
“Mio nipote è sparito e vorrei
mi dicessi
dove sta. Più che vorrei..pretendo che tu me lo
dica!”.
“Fratellino, il mio potere non
è un libro
stampato. Io vedo quel che vedo e non sempre è quel che si
vuole”.
“Posso dire che me ne sbatto le palle?!
Tu
muoviti, lavora!”.
“Oh ma come sei scorbutico”.
“Oh ma come sei inutile!”.
“Smettila di offendere! Hai qualcosa del
ragazzo? Cercherò di aiutarti..”.
“Ho questo..”.
Ares porse ad Apollo una canotta indossata
da Tolomeo.
“Ma non ha una gemella? Il legame fra
loro
dovrebbe farli ritrovare..”.
“Lo pensavo pure io. Ma Ipazia non riesce
ad individuarlo”.
“Forse è nascosto da qualche
barriera
generata da divinità. Vedo che posso fare..”.
Camminando per l’ennesimo corridoio buio,
Tolomeo sbuffò. Era stanco di misteri e gente ignota.
Inoltre quella dannata
armatura sulle spalle iniziava a divenire davvero pesante..
“Lascia le tue vestigia in
terra” parlò
una voce femminile “..non ti serviranno”.
“Sono un cavaliere, non posso separarmi
dall’armatura, mi dispiace. Non la
indosserò..”.
Si udì un verso di protesta, forse
disprezzo, e Tolomeo si sentì trascinare in terra. Le sue
vestigia lo avevano
fatto cadere in ginocchio per il peso, di colpo ingestibile. Capendo
che la
divinità non voleva che l’armatura proseguisse,
Tolomeo se la tolse dalle
spalle e proseguì. Sapeva che era una cosa stupida,
perché così era piuttosto
scoperto ed indifeso, ma l’irruenza adolescenziale prese il
sopravvento.
Raggiunse finalmente una sala dove una donna sedeva su un trono
d’oro, con il
volto coperto da un velo dello stesso colore.
“Sei disposto ad esporti così
tanto pur di
raggiungere il tuo scopo, mortale?” parlò lei.
“Sono arrivato fino a qui. E poi so che
la
mia armatura comunque mi proteggerà, se sarà
necessario”.
“Io sono una Dea. Potrei mandarla in
frantumi in pochi istanti”.
“Non vedo perché dovreste
farlo. Non ho
intenzioni cattive..”.
“Questo lo devi dimostrare..”.
“In che modo?”.
“Lo vedrai. Io sono Maya, Signora del
Velo
delle Illusioni. E tu, chi sei?”.
“Mi chiamo Tolomeo. Sono un cavaliere
d’Atena”.
“Ma non è a nome di Atena che
sei qui..”.
“No..”.
“Spiegami allora..”.
“Non ci credo..sei già a
terra?!” si stupì
Deimos.
Phobos non rispose. Come sempre, stava
combattendo con il gemello, per mantenersi in allenamento e per passare
il
tempo, ma l’energia del fratello lo aveva sopraffatto,
facendolo finire con la
faccia contro il pavimento.
“Sei ubriaco?”
continuò Deimos,
ridacchiando.
“Sono distratto”
tentò di giustificarsi
Phobos, rialzandosi e scuotendosi dalla polvere.
“Ah sì, come no. Sono il tuo
gemello..non
puoi nascondermi certe cose!”.
“Quali cose?”.
“Il tuo potere..”.
“Non rompere, Deimos!”.
Scocciato, Phobos si allontanò. Il
gemello, scuotendo la testa, decise di ignorarlo e continuare ad
allenarsi con
Kanon, per nulla consenziente.
Tolomeo si scosse. Ma dov’era finito?!
Che
posto era quello?!
“Papà?”
domandò, intravedendo una figura
che camminava, allontanandosi.
Com’era possibile? Però,
forse..che la Dea
lo stesse aiutando?
“Papà! Aspetta!”
gridò, iniziando a
correre per raggiungerlo.
Tolomeo non si accorse che, ad ogni passo,
svaniva il paesaggio, lasciando spazio al bianco. Camminava nel nulla
quando
raggiunse il padre, afferrandolo per un braccio. Questi si
voltò e lo fissò,
con occhi vuoti.
“Sono Tolomeo” insistette il
ragazzo “Sono
tuo figlio! Voglio aiutarti”.
Il padre fissò ancora non si sa dove,
ben
lontano da Tolomeo. Il giovane lo scosse, chiamandolo ancora. Per
qualche
istante, parve riprendersi. Fissò il figlio con aria
interrogativa ed aprì
lievemente le labbra, come a voler parlare, ma non riuscì a
dire nulla.
Qualcuno, o qualcosa, stava separando i due. Tolomeo gridò e
si ritrovò in
terra, con la schiena contro il pavimento del tempio di Maya.
“Cos’è
successo?!” esclamò, alzandosi.
“Respira. Va tutto bene”
rispose,
lentamente, la Dea.
“Che cos’era quello?!
Un’illusione?!”.
“Sì e no. Volevo verificare
una cosa. Tuo
padre ha mostrato qualche attimo di lucidità, questo
significa che è possibile,
teoricamente, riportarlo al mondo reale. Dico teoricamente,
perché non ne sono
sicura”.
“Quello era realmente mio padre? Nella
sua
illusione?”.
“La mente di tuo padre è
contorta ed il
suo potere notevole. Sarebbe stato un Dio dalle notevoli
capacità..”.
“E non può più
esserlo?”.
“Forse..se si sveglia..”.
“Che devo fare?”.
“Sai che cos’è il
Velo delle Illusioni?”.
“No..” ammise Tolomeo.
“Il Velo è quel che io creo e
pongo
dinnanzi lo sguardo di molti. I mortali spesso desiderano ardentemente
ammantare lo sguardo con veli di falsità, di oscurare lo
sguardo e non
accettare la realtà. Quante persone vivono in
un’illusione? Un finto amore, una
finta amicizia, una finta felicità..l’illusione di
essere amati, importanti,
speciali..”.
“Non mi piacciono questi
discorsi..”.
“Tuo padre ha le stesse illusioni, solo
che da Dio queste sono amplificate”.
“E voi potete dissolverle?”.
“Forse..”.
“Forse?!”.
“Dovrei vederlo. Avvicinarmi. E comune
avrei bisogno dell’aiuto di chi ama”.
“Io posso aiutarvi. Posso accompagnarvi
da
lui e..”.
“Non so se una Dea come me debba alzarsi
per salvare una creatura che..”.
“Oh, andiamo! Ho fatto tantissima strada.
Alla fine, che mai vi costa provare?!”.
“Giovane cavaliere, non sempre le cose
vanno come desideriamo”.
“E se io vi costringessi a venire con
me?”.
“E come pensi di fare? Io sono una
Dea..”.
“Troverei un modo..”.
“Scusa, fratellino, se ledo la tua
privacy” ghignò Phobos “Ma almeno qui
nessuno mi rompe il cazzo”.
Accendendosi una sigaretta, il figlio
maggiore di Ares sedette in terra e guardò in su, verso la
teca dove il
fratello Arles era rinchiuso. Avvolto nel silenzio, riuscì
quasi a rilassarsi,
ascoltando in cuffia metal tedesco.
“Siamo tutti messi bene, eh? Forse
è ora
che gli Dei si estinguano..la gente non vuole più credere a
nulla. Però ha
paura, tanta paura. Riesco a percepirlo e mi piace..”.
Sorrise ancora ed espirò, creando una
piccola nuvoletta con il fumo.
“Mi sto ammazzando da solo..”
commentò
“Deimos ha ragione: il mio potere è diminuito e
non fa che continuare a
diminuire. E non posso fare niente per impedirlo, a quanto pare. Con un
occhio
soltanto e quella coltellata, sono divenuto l’ombra di me
stesso. Ma che lo
dico a fare a te, che sei sottovetro? Peccato. Secondo me io e te ci
saremmo
divertiti parecchio”.
Phobos si alzò e si avvicinò
alla teca.
Tocco con una mano la superficie lucida.
“Non credo che fosse tuo desiderio finire
così. I figli di Ares sognano sempre morti epiche, in
battaglia. Non in un
barattolone gigante di Ikor! Forse..dovrei fare in modo che tu possa
finalmente
morire..”.
Guardò il volto del fratello,
estremamente
pallido e con gli occhi chiusi. Con i lunghi capelli che fluttuavano
nell’ikor,
aveva un’espressione tranquilla. Phobos fece scorrere la mano
sul vetro.
“Fiero drago..non è questo il
posto adatto
e te..”.
Fece per colpire la teca quando
l’espressione di Arles mutò di colpo.
Spalancò gli occhi ed incrociò quelli del
fratello. Phobos sobbalzò ed indietreggiò di
qualche passo. Lo sguardo di
supplica dell’imprigionato lo lasciarono qualche istante
senza parole. Stava
forse cercando di parlare? Lo vide aprire la bocca ma poi Arles
ruotò gli occhi
verso l’alto e tornò a chiuderli, abbandonandosi
di nuovo ed addormentandosi.
“A..Arles?” lo
chiamò Phobos “Che è
successo? Che hai? AIUTO! Qualcuno venga qui! SUBITO!”.
Dopo un tempo che gli parve
un’eternità,
apparvero Athena seguita dal figlio.
“Che ti prende?”
domandò Athena,
infastidita dalla confusione inutile.
“Lui..ha aperto gli occhi!”.
“Lo fa spesso..”.
“No, questa volta era diverso. Mi ha
guardato. Non era il solito sguardo perso. Mi ha guardato,
capite?!”.
“Calmati. Te lo sei immaginato”.
“No, non è vero!
C’è qualcosa che..”.
“Non c’è niente! Ed
ora smettila. È la tua
mente che gioca brutti scherzi, viste le tue condizioni”.
“Quale condizioni?!”.
“Stai morendo, Phobos! E la paura sta
avendo il sopravvento su di te! Non lo vedi?”.
“Ma cosa c’entra questo
adesso?!”.
“Calmati..”.
Phobos ringhiò. Maledetta donna! Come la
odiava! L’aveva sempre odiata e non capiva che ci trovasse
suo padre di così
speciale.
“Phobos..fratello..stai bene?”
domandò il
giovane figlio delle divinità della guerra.
“Sto benissimo! Piuttosto,
perché non..”.
“Respira e vedrai che starai
meglio”.
“Io sto bene!”.
Phobos sbraitò l’ultima frase.
Odiava
essere trattato come un malato! E detestava sopra ogni cosa il fatto
che,
nonostante tentasse di incutere il terrore di sempre, quel suo occhio
malato lo
rendesse poco credibile.
“So quel che ho visto. Arles ha tentato
di
parlarmi!”.
“Arles è imprigionato nella
sua illusione”
cercò di calmarlo Athena “Non può
averti visto per davvero”.
“Mi stai dando del pazzo?!”.
“No, forse dello stressato..un
pochino..”.
Phobos iniziò a farfugliare, furibondo
ed
in preda ad una strana crisi isterica. Athena gli si
avvicinò, tentando di
toccarlo per calmarlo. Lui si scostò di colpo e poi gemette.
“Che succede?” si
allarmò la Dea.
“Stupido corpo..”
mormorò Phobos, con la
vista che si appannava.
“Phobos?” lo chiamò
il fratello minore e
questi perse i sensi.
“Tuo nipote..”
scandì lentamente Apollo,
concentrato su strane visioni “..sta affrontando un viaggio
più pericoloso di
quanto lui creda”.
“Che intendi?”
domandò Ares.
“Ha ancora molte prove da superare.
E..passerà
attraverso la clessidra..”.
“Ma che cazzo vuol dire?!”.
“La clessidra..il tempo..e la
luna..”.
“Sei un drogato?! Per caso ti sniffi roba
buona per avere le visioni?”.
“Le mie visioni non sono mai chiare, e tu
lo sai”.
“Ma che significano?!”.
“Non lo so”.
“Mio nipote tornerà a
casa?”.
“Sta già tornando ma..qualcosa
non gli
appartiene..”.
Tolomeo si mosse deciso verso il trono su
cui sedeva Maya. Non la raggiunse però, perché un
numeroso esercito entrò nella
stanza e lo attaccò. Richiamò a sé
l’armatura dei Gemelli ed iniziò ad
affrontarli. Poi si fermò e si girò verso la Dea.
“Sono illusioni”
parlò il ragazzo,
scattando rapido verso di lei.
In pochi istanti, riuscì a strapparle il
velo d’oro e saltare indietro. Lei spalancò gli
occhi. Nessuno aveva mai osato
tanto, nemmeno i componenti della trimurti!
“Come hai fatto?”
sussurrò.
“Gemini mi ha svelato che sono illusioni
e, una volta capita la tua tecnica, è stato facile
raggiungerti. Ora ho il tuo
velo e non puoi più usare strani giochetti con me. Se lo
rivuoi, dovrai venire
con me”.
“Sei ridicolo, moccioso. Io sono una Dea,
potrei spazzarti via con un dito..”.
Tolomeo rimase in silenzio, stringendo il
velo oro in una mano e risollevando l’elmo che gli cadeva
sugli occhi perché ancora
troppo largo.
“Tuttavia..” riprese lei
“..se l’unico
stato in grado di guardare il mio vero volto. Perciò voglio
premiarti. Verrò con
te e ti aiuterò. Se tu fossi stato un uomo, ti avrei donato
un altro tipo di
ricompensa, ma sei solo un bambino perciò..”.
“Eh?”.
“Sei troppo piccolo per
capire..”.
La bellissima Dea, vestita in strati composti
da ricami d’oro e trasparenze, si alzò e raggiunse
Tolomeo, allungando una mano
nel tentativo di farsi ridare quel che le apparteneva. Il cavaliere
scosse la
testa.
“Ho detto che vengo con te,
ragazzo..”.
“Lo so. Ma preferisco non fidarmi. Questo
velo
lo tengo io, finché la mia missione non sarà
compiuta”.
“Come preferisci..”.
La Dea scosse la testa e riprese a
camminare, questa volta verso l’uscita. Si voltò
verso Tolomeo, che era rimasto
fermo.
“Andiamo, cavaliere. Mostrami che altro
sai fare”.
|
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Capitolo 7 *** VII- Legami divini ***
VII
LEGAMI
DIVINI
“Guarda che, anche se mi stai attaccato
al
culo tutto il giorno, io non posso cambiare le cose!”
sbottò Thanatos.
“Voglio sapere che avete architettato
voialtri stronzi” ribatté Ares.
“Noialtri stronzi, chi?”.
“Tutti coloro che stanno dalla parte di
Hades. So che siete contro la progenie di Zeus”.
“E questo che avrebbe a che fare con
me?!”.
“Sei un sottoposto di Hades!”.
“Bello..” parve infastidirsi il
Dio della
morte “..io combatto a fianco di Hades, ma non sono un suo
sottoposto. Governavo
pienamente i miei poteri quando lui non era manco nelle palle di suo
padre,
perciò non mi considero un suo sottoposto. E degli affari di
famiglia dei tre
fratelli esaltati poco mi importa”.
“Io so bene che Hades odia mio figlio
Arles, per la faccenda di Eleonore..”.
“Sai quanto me ne frega!”.
“..ma non capisco questo accanirsi contro
Phobos. Lui è rimasto sempre accanto a me fin da
giovanissimo ed insieme
abbiamo affrontato mille e più battaglie! Che mai
può farsene Hades della sua
anima?!”.
“E chi ti dice che la colpa sia di
Hades?”.
“Non è forse lui che governa i
morti?”.
“Sì, ma non uccide nessuno.
È mia sorella
che fa invecchiare..”.
“Tua sorella?!”.
“Ares, mi hanno sempre detto che sei
ignorante, ma ora ne ho la conferma. Geras, mia sorella, una delle
astrazioni,
governa la vecchiaia ed è lei che fa invecchiare”.
“Non l’ho mai
vista..”.
“E lo credo bene. Gli Dei non la vedono
mai, perché non invecchiano”.
“E dove la posso trovare?”.
Thanatos ruotò gli occhi. Voleva
continuare a starsene bello comodo spaparanzato negli Elisi circondato
da belle
muse e invece quel rompi di Ares lo stava tartassando.
“Non la puoi trovare. Sei un Dio! Gli Dei
non invecchiano!”.
“Devo parlarle! Non vedi quanto sono
testardo? Sono arrivato fino a qui, attraversando
l’oltretomba”.
“Non capisco questo tuo gesto,
ma..”.
“Io posso accettare che miei figli
mortali
muoiano. Ne ho visti crepare parecchi. Ma Phobos..lui no! Non potrei
accettarlo”.
“È il tuo
primogenito?”.
“Non lo so..non lo ricordo..penso di
sì”.
“Io non ho figli, o perlomeno non mi
risulta. Perciò non ti capisco. Però, ad ogni
modo, per parlare con mia sorella
ti serve un mortale. O un semimortale. Insomma..uno che possa
invecchiare!”.
“E dove lo devo condurre?”.
“Lei sta con le Parche. Perciò
sempre nel
regno degli inferi”.
“Che palle..come posso portare un mortale
qui?!”.
“Un semidio potrebbe passarci senza
riportare troppe conseguenze..”.
Ares storse il naso. In famiglia aveva un
paio di opzioni ma non sarebbe stato facile convincerli..
“Sai una cosa, Tolomeo?”
sorrise Maya “Ti
aiuterò volentieri. Sai perché? Anche se
tecnicamente mi hai rapita,
sottraendomi il velo, sei stato gentile. Per tutto il viaggio, mi hai
fatto
stare a mio agio”.
“Grazie. Ma lo so che la tratta si
è
notevolmente accorciata per merito dei vostri poteri..”.
“Non mi sembrava il caso di metterci dei
mesi. Il Grande Tempio è vicino?”.
“Sì, ci siamo
quasi..”.
Il giovane cavaliere camminava convinto,
facendo strada alla Dea, che non aveva bisogno di alcun aiuto. Lui
però, rispettosamente,
le porgeva la mano in caso di terreno impervio e le indicava la via
più sicura.
Attraversando un fiume, la sollevò da terra per non farla
bagnare.
“Sei una creatura gentile, come ormai non
ne nascono più” commentò lei, una volta
con i piedi di nuovo per terra “Peccato
tu sia solo un bambino..”.
Tolomeo fissò la Dea, in silenzio, e poi
proseguì.
“Ed il tuo cuore è ancora
così puro..”
rise Maya “..da non comprendere per quale motivo potrei
desiderare che tu fossi
un uomo”.
“Ti aiuto io” subito si propose
Ipazia,
una volta appresa la storia del nonno “Vengo io con te da
Geras! Sono una
semidea e non mi fa paura l’oltretomba”.
“Non so..” borbottò
Ares “..sei così
piccola..”.
“Andiamo! Riponi un po’ di
fiducia in me!
Lascia che ti dimostri che sono una tua degna nipote!”.
“Non lo metto in dubbio, Ipazia.
Però non
è un luogo adatto ad una bambina”.
“Non sono una bambina! E poi..chi altro
potresti portare?”.
“Pensavo più a tuo zio Kanon.
Ancora non
si è risvegliato del tutto e..”.
“Ti manderà a fanculo prima
ancora che
glielo proponga! Dai, nonno! Andiamo e torniamo. Non lo diremo a
nessuno e
nessuno se ne accorgerà. Ti prego! Ho bisogno di un
po’ di avventura..”.
“Non resisto a quel faccino, nipote mia.
Però devi promettermi che non lo dirai ad anima viva.
Altrimenti finiremo nei
guai..”.
“Di cosa hai paura?”.
“Non lo esattamente. Ma è come
se il
destino si accanisse contro la mia stirpe, quindi preferisco stare
all’erta..”.
Ipazia sorrise, raggiante all’idea di
poter fare qualcosa che non fosse aspettare o cercare suo fratello. Poi
il
fatto di dover agire di nascosto, seppur sotto il controllo del nonno,
le
piaceva un sacco!
“Che devo portare?”
domandò, indecisa.
“L’indispensabile. Non staremo
via
molto..”.
Kanon vide suo padre Are allontanarsi con
Ipazia. La cosa lo infastidì ma non fece in tempo ad
intervenire, perché
qualcos’altro attirò la sua attenzione. Quel
ciuffo rosso lontano era
inconfondibile!
“Tomeo!” gridò,
riconoscendolo.
Il ragazzo udì la voce dello zio ma lo
ignorò, preferendo portare subito Maya da suo padre. La Dea
lo seguì, pur
guardando verso l’alto, cercando di capire chi avesse
parlato. Camminarono
ancora per un tratto, raggiungendo quella piccola grotta dove era
custodita la
teca creata per Arles.
“Lui è mio padre”
indicò Tolomeo.
Maya superò il ragazzo, lentamente. La
veste oro della Dea brillò, riflettendo la luce
dell’ikor, e lei chiuse gli
occhi qualche istante.
“Riesco a percepire il suo
potere..”
commentò Maya “..è molto confuso e
instabile. Non so se sia saggio tentare di
risvegliarlo..”.
“Mi avete detto che lo avreste
aiutato..”.
“Ho detto che avrei aiutato te. Devo
capire qual è il modo più giusto per
farlo”.
“Io..io mi fido. Però voglio
una soluzione
definitiva. Se mio padre non può risvegliarsi,
allora..”.
“Se sarà così, lo
accompagnerò con una
delle mie illusioni, in modo che non si accorga di nulla”.
“Grazie”.
“Ora però lascia che io
capisca quel che
devo fare”.
Tolomeo annui. Osservò la
divinità, mentre
si avvicinava alla teca del padre. Attorno a lei vide una luce,
probabilmente
segno che stava sfruttando i propri poteri. Sfiorò la teca e
l’ikor all’interno
brillò più intensamente.
“Che succede?”
domandò Kanon, entrando
“Chi è quella donna?”.
“Lei è una Dea”
spiegò Tolomeo “E sta
cercando di aiutare papà”.
“Una Dea?”.
Kanon era perplesso. Non amava le
intromissioni divine, meno che mai le intromissioni da parte di Dee a
lui
sconosciute. Lo sguardo di Tolomeo però era colmo di
speranza e non voleva
abbatterlo con la sua solita franchezza perfida , perciò si
trattenne nel
commentare dicendo che per lui era una perdita di tempo.
“Eravamo tutti in pensiero per
te” preferì
dire, rimproverando il nipote.
“Ho tentato di fare più in
fretta
possibile” rispose il ragazzo, per nulla pentito.
Poi d’un tratto la terra
tremò. Subito
Kanon pensò fosse colpa di quella Dea e la fissò,
accigliato. Lo sguardo di lei
però era spaventato e stupito esattamente come quello di
Tolomeo e quindi
l’uomo capì che probabilmente era innocente.
“Usciamo da qui!”
ordinò “Non è sicuro!”.
All’ingresso della grotta una figura
oscurò la poca luce che vi entrava. Camminò lenta
e con sguardo severo fissò
Tolomeo, che non capì.
“Shiva..” lo riconobbe il
ragazzo.
Subito intuì che doveva essere in
collera.
La pelle del Dio era molto più scura rispetto a quando
l’aveva incontrato la
prima volta ed inoltre attorno al collo portava un cobra decisamente
agitato.
Con il collare ben aperto, simbolo di nervosismo, l’animale
pareva incitare il
suo padrone ad usare il tridente contro quel mortale. Kanon si
avvicinò al
nipote, sfidando il Dio con uno sguardo ancora più duro e
severo.
“Shiva!” lo riconobbe anche
Maya “Che
succede?”.
“Questi mortali ti hanno
infastidita?”
domandò il Dio, con voce profonda.
“No. Io..”.
“Dov’è il tuo
velo?”.
“Lo ha quel ragazzo che..”.
“Lo sapevo! Ti ha rapita!”.
“No. Cioè..ecco..è
una storia lunga”.
“Mi annoiano le storie lunghe. Andiamo.
Ti
riporto a casa. Per questa volta fingerò che nulla sia
successo”.
“Ho un compito da svolgere qui”.
“Sei solo soggiogata dal volere di questo
ladro, che si è appropriato del tuo velo”.
“No, non è così.
Lascia che provi ad
aiutare quest’uomo che..”.
Shiva si avvicinò alla teca, perplesso.
Guardò all’interno, senza capire perché
si stesse facendo tanto casino per una
creatura simile.
“Quest’uomo è ormai
perduto” disse “Maya,
che stai..?”.
“Sto cercando di capire se è
effettivamente così”.
“Se te lo dico, è per una
ragione. Io
conosco il principio delle cose e la loro fine. Quest’uomo
non è in grado di
intraprendere un percorso tale da portarlo a ricominciare a
vivere”.
“Ne sei sicuro?”.
“Il suo cuore a malapena
batte..”.
Con la mano sulla teca, Shiva parve un
po’
calmarsi.
“Uccidilo, allora”
parlò,
inaspettatamente, Kanon.
“Prego?!” alzò un
sopracciglio il Dio,
stupito da una tale proposta.
“Da anni penso sia giusto che finalmente
mio fratello sia libero. Però nessuno qui ha il coraggio
di..”.
“Zio!” lo interruppe Tolomeo
“Non puoi!
Tu..”.
“Sta zitto, Tomeo! Questa storia
è andata
avanti anche troppo. Hai sentito quel che ha detto? Nessuno lo
può risvegliare.
Nessuno lo può aiutare! Lascia che Shiva ponga fine alla sua
vita, così che
finalmente tutto questo termini”.
Tolomeo guardò verso il padre. Possibile
che quel lungo viaggio non fosse servito? Possibile che non ci fosse
speranza?
Guardò poi Shiva e capì che probabilmente quel
Dio ne capiva molto più di lui.
Chinò il capo, arrendendosi. Chiuse gli occhi, mentre Shiva
con il tridente
infrangeva la teca, distruggendola. L’ikor rimase qualche
istante sospeso e poi
si riversò per la grotta, mentre Kanon afferrò il
corpo del fratello. Si
accorse di quanto fosse incredibilmente leggero.
“Riposa, fratello mio” gli
disse,
chinandosi a terra e tenendolo fra le braccia “Io so che mai
avresti voluto una
vita rinchiuso in una bolla di finta esistenza”.
Percepiva il lieve respiro del fratello e
lo trovò straziante. Perché era così
testardo e non moriva?!
“Grazie” mormorò
comunque, rivolto a Shiva
“Dovevamo farlo tanto tempo fa”.
Shiva non fece in tempo a voltarsi:
qualcosa di alquanto fastidioso lo aveva colpito. Si fissò
il petto, vedendoci
una freccia, che disintegrò con due dita. Si
voltò, infastidito, e vide Atena
all’entrata della grotta.
“Come hai osato?!”
sbraitò lei.
“Potrei chiedere la stessa
cosa!” sibilò
lui.
“La pagherai!”.
Shiva ringhiò, scurendosi. Come osava
quella femmina, Dea di una religione ormai morta, sfidarlo?
“Ma porca puttana”
sussurrò Kanon “Ma
perché Atena sa fare solo casino?”.
“Shiva..” tentò di
calmare gli animi Maya,
ma venne subito zittita da un gesto stizzito del Dio.
Atena rimaneva immobile, sull’uscio della
grotta. Shiva la fissò, ormai nel pieno di uno dei suoi
attacchi di rabbia.
Strinse entrambe le mani a pugno, facendone schioccare le nocche. Poi,
di
colpo, scattò verso la Dea lanciando un grido di sfida.
“Tomy!” ordinò Kanon
“Resta qui con Maya!
Obbediscimi, questa volta!”.
Il ragazzo annuì, avvicinandosi al padre
steso in terra. Kanon si alzò e si apprestò a
raggiungere quella che ormai
considerava una stupida, ovvero Atena: gli toccava comunque proteggerla.
“Che possiamo fare?”
domandò il ragazzo.
“Nulla” rispose Maya, quando
rimasero soli
“Shiva non può essere fermato, finché
non ha sfogato la sua rabbia. Resta qui,
accanto a me. Prega per tuo padre”.
Tolomeo annuì. Del resto, suo zio si era
preso l’armatura dei Gemelli e quindi lui, senza vestigia,
non poteva fare
molto. Non sopportava questi continui prestiti ma si rendeva conto che,
in quel
momento, era molto più utile Kanon dei Gemelli.
Guardò suo padre, provando una
certa rabbia. Perché si ostinava a vivere? Frugò
nella piccola borsa che aveva
con sé e ne estrasse l’anello di Eleonore.
“Mi è stato detto di
dartelo” sussurrò,
poggiandolo sulla mano del genitore.
Maya sobbalzò, vedendo la reazione che
seguì quel gesto. Il gioiello brillò ed Arles
parve reagire, stringendo il pugno.
“Ragazzo!” esclamò
Maya “Shiva si
sbagliava! Reagisce! Qualcosa lo sta chiamando e lo tiene a questo
mondo! Ma
dobbiamo agire in fretta per aiutarlo..”.
“Dobbiamo?”.
“Aiutami. Aiutami ed io farò
tutto il
possibile per riportarlo qui”.
“Che devo fare?”.
“Ridammi il velo..”.
“Ipazia! Non ti allontanare!”
la
rimproverò Ares, trovando inquietante l’oltretomba.
Per la ragazza non era così,
probabilmente
perché ancora incosciente a causa
dell’età. Cerbero, come sempre a guardia
dell’ingresso,
ringhiò. Ipazia non si spaventò e
guardò il grosso animale con curiosità. La
bestia,
addestrata per respingere le anime che tentavano di fuggire ed impedire
l’ingresso
ai mortali ancora in vita, fissò la giovane. Ares, essendo
un Dio, non attirava
la sua attenzione mentre invece Ipazia suscitava parecchio interesse
nel
canide.
“Ipazia, attenta” la
chiamò ancora Ares.
“Ma che c’è?!
É solo un cane!”.
“Con tre teste!”.
“E con ciò? È
sempre un cane..”.
Ares aprì la bocca e la richiuse. Ma non
era lui lo sprovveduto dell’Olimpo?! Accelerò, per
raggiungere la nipote, che
nel frattempo si era avvicinata a Cerbero. Il mantello rosso di Ares
spiccava
fra le anime ed il nero di quel luogo. L’animaletto di Hades
scattò,
ringhiando, ma si fermò a pochi centimetri da Ipazia, che si
era limitata ad
allungare una mano. I due si guardarono negli occhi per quella che ad
Ares
parve un’eternità. Con un certo stupore, vide
l’aspetto della nipote mutare per
qualche istante. Lo sguardo era quello di una lupa, fiera e potente, e
Cerbero
lo capì. Non la attaccò e si lasciò
toccare sul muso della testa centrale.
“Stupefacente”
esclamò una voce, che Ares
riconobbe immediatamente.
Hades si mostrò, rivelandosi fra le
ombre
della sua dimora. Era strano che si trovasse lì,
così vicino all’uscita.
“Hades?” domandò
Ares, stupito di vedere
lo zio lì.
“Vengo sempre informato”
spiegò il padrone
di casa “Se qualche Dio varca quella soglia. Visto che
ultimamente pare che
questo posto sia diventato un parco giochi, ho deciso di verificare di
persona
chi osa girellare tanto in questi luoghi proibiti e, pensavo,
spiacevoli”.
“Dobbiamo vedere Geras”
spiegò il Dio
della guerra, mentre Hades si avvicinava alla giovane.
“Mai prima d’ora ho visto una
cosa simile.
Mai una creatura è riuscita ad approcciarsi in questo modo
al mio amato
Cerbero. Signorina, permettetemi di dirvi che sono colpito”.
“Ah..grazie..”
mormorò Ipazia, senza
sapere bene che dire.
“Mi hai sentito?!”
sbottò Ares “Dobbiamo
vedere Geras!”.
“Ed è davvero difficile
colpire uno come
me, che ne ha viste anche troppe. Siete una fanciulla
speciale” continuò
imperterrito Hades, con un baciamano.
“La pianti di provarci con mia nipote,
vecchio
pervertito?!” sbraitò Ares “E ascoltami,
che non ho tempo da perdere!”.
“Rilassati, non farti scoppiare le vene
sulla fronte” ghignò il padrone di casa
“Per quanto riguarda tua nipote..è
piccola, è vero. Ma sai..io so aspettare”.
“Toglitelo dalla testa! Finiamola con sti
incesti Olimpici”.
“Devo forse rammentarti che ti sei
sposato
Atena, tua sorella?”.
“Ma..ma..questa è
un’altra cosa! E non l’ho
sposata!”.
“Ci hai fatto un figlio”.
“Piantiamola di parlare di questo! E fai
due passi indietro da mia nipote!”.
Hades si girò di nuovo verso Ipazia. Era
vero,
era molto giovane, con forme ancora acerbe, ma già si
intuiva che sarebbe
divenuta una splendida donna. Certo, ora era praticamente piatta e con
il volto
da bambina, ma quello sguardo..
“Hades!” ringhiò
ancora Ares, mentre
Ipazia arrossiva per l’imbarazzo.
“Ho capito!” sbuffò
il Dio dell’oltretomba
“Da quando fai il bravo nonnino?! Venite con me, vi
accompagno da Geras”.
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Capitolo 8 *** VIII- Scorre la sabbia ***
VIII
SCORRE
LA SABBIA
Le tre parche tessevano ed intrecciavano i
fili dell’esistenza, recidendoli quando era il tempo. Erano
abituate alle
visite di Hades, specie ultimamente, in cui il Dio si era fatto
insistente.
Compariva spesso, per scoprire eventuali indizi su dove potesse
trovarsi
Eleonore, senza però ottenere nulla. Erano donne solitarie
ed anche in
quell’occasione non parlarono. Si limitarono a fissare Ares
ed Ipazia, con indifferenza.
Geras sedeva in un angolo, avvolta in pesanti mantelli,e fissava
distrattamente
il muro. Alzò lo sguardo, mostrando gli stessi occhi argento
di Thanatos.
“Fra voi c’è chi
subirà il mio tocco”
sussurrò, fissando Ipazia.
“Già”
confermò lei “Io sono una semidea e,
se la cosa non cambia, invecchierò e morirò. In
più tempo rispetto ad un
mortale normale, ma succederà. Dovrei parlarti,
posso?”.
“Certo, bambina. La gioventù
mai mi
rivolge la parola, perché mi vede come qualcosa di distante
ed astratto. Dimmi
pure..”.
Ipazia si avvicinò, mostrando un
notevole
coraggio, inginocchiandosi accanto alla Dea, come una nipotina accanto
alla
nonna che racconta una fiaba. Ares la guardo, non potendo rivolgere la
parola a
Geras. Hades sorrise, sempre più colpito da quella
fanciulla, e di risposta
ricevette una gomitata dal Dio della guerra.
“Sono preoccupata per mio zio
Phobos”
parlò Ipazia.
“Phobos..” rifletté
Geras “..fammi
pensare..ah, sì! Phobos!”.
“Indossalo” ordinò
Maya, una volta che
Tolomeo le porse il velo “Non avere paura”.
“Cosa mi succederà?”.
“Va a riprendere tuo padre. Io ti
guiderò..”.
Il ragazzo annuì ed indossò
il velo.
Subito davanti a sé apparve una forte luce.
Iniziò a camminare ed intorno si
formò un paesaggio sempre più dettagliato.
C’erano degli alberi e Tolomeo
camminò sull’erba.
“Papà?”
chiamò.
Di risposta, udì la risata di un
bambino.
Si guardò attorno e finalmente lo vide. Era un bimbo che
giocava vicino al
piccolo fiume, lanciandovi sassolini e sentendo il rumore che facevano.
Era
pericolosamente vicino al bordo ma Tolomeo intravide, nascosto fra gli
alberi,
una figura.
“Ares..” lo riconobbe.
Era stranamente con i capelli raccolti e
non vestiva da guerriero. Osservava attentamente quel bimbo, che non
rimase
solo a lungo. Dopo qualche istante lo raggiunse un altro bambino,
identico. Ed
allora Tolomeo capì: quelli erano suo padre e suo zio da
piccini! Ed Ares li
sorvegliava, attento che non si facessero male? Che cosa strana..
Il giovane fece per avvicinarsi e fece un
rumore. Il piccolo Saga si girò e gli sorrise.
Scoppiò a ridere e gli porse un
sassolino, invitandolo a lanciarlo nel fiume. Tolomeo
obbedì. Osservò ipnotizzato
le increspature dell’acqua e, quando rialzò lo
sguardo, si accorse che tutto
era cambiato. L’acqua non era più un fiume
bensì una fontana e si trovava in
mezzo ad una piazza gremita di gente. Si guardò attorno.
Dov’era finito? Si
incamminò lungo la strada lastricata e qualcuno
sfrecciò al suo fianco.
“Papà!” lo riconobbe.
Era un bambino, di qualche anno più
grande
di prima, ma era lui, ne era certo.
“Aspetta!” chiamò
ancora Tolomeo, ed
iniziò ad inseguirlo.
Fra la gente però era difficile seguire
quella figuretta, che conosceva bene le strade del posto. Per fortuna
la folla
si diradò e Tolomeo riuscì quasi a raggiungere il
piccolo, che però saltò e
sparì dietro quella che sembrava una ripida discesa. Il
ragazzo fece lo stesso
e sobbalzò, vedendo il nero sotto di sé.
Precipitò e, quando atterrò, capì
subito di essere all’anfiteatro del Tempio.
“Dov’è finito
adesso?” si chiese,
iniziando a scocciarsi.
Poi vide che colui che stava al centro
dell’anfiteatro era proprio suo padre, un bambino un
po’ malconcio che riceveva
l’armatura d’oro. Tolomeo capì che non
dovevano avere molti anni di differenza,
forse due o tre. Si stupì nel non vedere altri futuri
cavalieri ma poi si ricordò
che suo padre era il più anziano e, vista
l’età di quel bambino, all’epoca
Deathmask, Shura ed Aphrodite dovevano avere quattro o cinque anni. Il
bambino
si voltò, guardando in su. Tolomeo si girò nella
direzione in cui guardava il
padre ed intravide Kanon. I due fratelli si sorrisero e Tolomeo
riconobbe il
legame che lo avvicinava a sua sorella Ipazia, che chissà
che stava combinando
in quel momento! Si alzò di colpo un vento gelido, che
spazzò via la scena che
aveva davanti, rimpiazzandola con qualcosa di poco diverso. Ora
l’anfiteatro
era pieno e riuscì ad intravedere qualche altro futuro
cavaliere. Vide Aiolos,
con il fratellino, assieme a molti altri futuri saint. In cima
all’anfiteatro,
in disparte, vide suo padre. La gente lo vide arrivare e sorrise, lui
salutò
con un cenno, con un lieve sorriso. Tolomeo sentì
distintamente dire a più di
qualcuno “Lui sarà il futuro Gran
Sacerdote”. Poi apparve Shion, con fra le
mani un lungo bastone, che batté a terra. Quel gesto, che
provocò un gran
botto, fu accompagnato da un tuono ed iniziò a piovere. Il
giovane capì che la
scena era cambiata ancora, si era fatta più buia. Era
all’ingresso della
tredicesima e corse un po’, per proteggersi dalla pioggia. Da
lì, fra le
colonne, riuscì ad intravedere suo padre. Camminava
lentamente e Tolomeo lo
vide cadere a terra, in ginocchio, tenendosi la testa. Con le vesti da
Gran
Sacerdote, il figlio intuì che il genitore stava lottando
contro sé stesso in
quel momento. Lo vide piangere ma si riprese in fretta. Fra le sue dita
scintillava la daga d’oro che più volte Tolomeo
aveva sentito nominare: la daga
deicida! Suo padre stava andando ad uccidere Atena! Indeciso sul da
farsi, il
ragazzo non sapeva esattamente quanto potesse interferire. Poi prese
coraggio e
scattò, deciso ad intervenire. Fece solo pochi passi
però, prima che Aiolos gli
venisse addosso, spintonandolo. Il Sagittario stringeva fra le mani la
neonata
Atena e stava fuggendo lontano, inseguito dalla voce di Arles che lo
definiva
“traditore”. Dietro si sé, lasciava
tracce di sangue. Tolomeo si voltò verso
quella voce familiare, corse sotto la pioggia ed aprì la
porta. Davanti a sé
però non trovò la dimora di Atena
bensì la tredicesima. Suo padre sedeva sul
trono. Alzandosi, tolse la maschera e camminò lentamente
verso Tolomeo. Il
ragazzo rimase immobile, vedendolo mutare. La tunica del Sacerdote
cadde,
lasciando il posto all’armatura d’oro. Poi anche
questa cadde, mentre i capelli
del padre tornavano gradatamente blu e sul suo petto si formava una
cicatrice:
quella che ancora oggi aveva, provocata dal suicidio. Riapparve
l’armatura, che
si fece sempre più scura, divenendo surplice. Il paesaggio
sullo sfondo mutava
continuamente, così come mutava suo padre, mostrando la
guerra santa, il muro
del pianto e la battaglia contro Shaka. L’armatura
cambiò ancora, divenendo
quella rossa della stirpe di Ares. Alle sue spalle, Tolomeo vide
accadimenti di
cui aveva solo vagamente sentito parlare. Vide suo padre mentre si
sposava con
Eleonore e vide la morte di lei. Il matrimonio di Hades, Phobos,
Deimos, sua
madre Discordia, la guerra con i romani..poi divenne tutto bianco.
Davanti a sé
aveva solo suo padre, che lo fissava. In tutto quel percorso mai aveva
mutato
espressione. Tolomeo ne percepì un’indicibile
tristezza. Aveva compreso che
aveva vissuto un’illusione? Quello sguardo, stanco e triste,
era spento e
sconsolato. Vide una lacrima rigare il volto del padre ed allora il
figlio lo
strinse a sé.
“Era un’illusione ma ti
prometto che ti
aiuterò. Vieni con me, vieni a VIVERE finalmente!”.
Tolomeo sentiva tra le sue braccia la
fragilità del genitore, provato dagli anni appena trascorsi.
Lo sentì tremare e
non riuscì a reggerlo, mentre cadeva.
“Papà!”
chiamò e lo vide chiudere gli
occhi, mentre i suoi si spalancarono, tornando alla realtà.
“No!” gridò
“Ci ero riuscito! Che è
successo?!”.
“Temo che Shiva avesse ragione”
rispose
Maya, parlando piano “Il cuore di tuo padre non batte
più”.
“Esiste un modo”
spiegò Geras “Di
rallentare il processo. Purtroppo tuo zio è stato colpito
dalla daga deicida, e
questo ha in parte scalfito la sua immortalità. Ma
c’è un modo per riavere il
tempo e renderlo di nuovo immortale”.
“Come? Come faccio?”
domandò Ipazia,
impaziente.
“Devi andare da chi governa il tempo.
Facendo scorrere la sua sabbia, se il Dio te lo
permetterà”.
“Cronos? Colui che dai romani
è legato al
tempo?”.
“Sì, bambina. Colui che come
Romano ha
acquisito anche la possibilità di controllo sullo scorrere
delle ore. Se lo
vorrà, ti concederà questo piacere..”.
“Scordatelo!” interruppe Ares
“Cronos è un
sanguinario mangia bambini! Non ti ci manderò
mai!”.
“Non fa più queste
cose” lo interruppe
Geras “Ora è incatenato nelle
profondità del Tartaro e non può fare molto,
anche se il suo potere è immenso”.
“Allora..non è distante da
qui!” sorrise,
raggiante, Ipazia.
Si alzò, ringraziando Geras, e subito
corse, senza lasciare possibilità ad Ares o Hades di dire o
fare qualcosa.
Shiva vide Tolomeo sfrecciare fuori dalla
grotta, lo seguì solo qualche istante con lo sguardo e poi
tornò a concentrarsi
sui suoi avversari. Atena pareva non accorgersi dell’immensa
differenza di
potere fra lei, di una religione estinta, e Shiva. Kanon stava attento,
non
volendo di nuovo trovarsi con il tridente nel petto come con Poseidone.
Per
fortuna, in suo soccorso, giunsero altri abitanti del santuario e
divinità.
“Stai indietro, Phobos!”
ordinò Deimos
“Non sei in condizione”.
“Stai zitto! Non chiedo di meglio!
Crepare
in battaglia!”.
“Fratello..”.
“Zitto!”.
Incurante della debolezza di quel corpo
mortale, Phobos iniziò ad attaccare e Deimos lo
seguì. Dietro di loro apparve
il figlio di Ares ed Atena, mostrando che non aveva solo ereditato il
nome del
nonno ma anche qualche sua capacità, tirando fulmini.
Nonostante i colpi
combinati di Dei e cavalieri, Shiva respinse i colpi e
ghignò.
“La differenza fra me e voi è
la fede. Io
sono un Dio venerato, sarò sempre più forte di
voialtri” spiegò.
“Ma noi siamo in tanti!”
ribatté Atena.
“Anche noi..”.
Il sorriso di Shiva divenne ancora di
più
un ghigno, mentre le sue braccia si moltiplicavano, in una danza quasi
ipnotica.
L’enorme clessidra di Cronos si
mostrò
davanti agli occhi di Tolomeo. Di sfuggita, notò Tartaros e
Nix, che dimoravano
nel buio totale di quel luogo. Li guardò solo vagamente,
riconoscendo in lei la
madre di Hypnos, Thanatos e tutte le Astrazioni. L’enorme
Cronos se ne stava,
incatenato, al centro della sala.
“Sorella!” chiamò il
giovane, vedendo
Ipazia sulla cima
di quella clessidra.
“Tolomeo!”.
“Cosa fai lì?”.
“Storia lunga. E tu?”.
“Idem..”.
“So che ti porta qui..”
parlò Cronos, con
una voce profonda ed inquietante “..quanti ospiti, sono quasi
commosso. Come
dissi a tua sorella, il tempo che ti serve lo puoi ottenere grazie alla
sabbia
di quella clessidra. Prendila, se ci riesci”.
Tolomeo annuì, iniziando ad arrampicarsi
fin sulla cima dell’enorme oggetto, raggiungendo la sorella.
Con un gesto,
Cronos aveva scoperchiato leggermente la sua clessidra ed i due gemelli
ne
vedevano il contenuto.
“Ne basterà una manciata
soltanto”
continuò il Dio incatenato.
“Coraggio” annuì
Ipazia, chinandosi per
raggiungere la preziosa sabbia.
“Ti tengo io” la
rassicurò Tolomeo,
permettendole di scendere più in basso.
La clessidra però si scosse
violentemente
e Tolomeo barcollò ,senza però perdere la presa.
Sotto i suoi piedi, la base si
mosse. Poi, con un sussulto, fu sollevato e sobbalzato oltre il bordo.
Riuscì
ad ancorarsi al bordo con una mano, tenendo stretto la sorella con
l’altra.
“Non si può rubare il tempo,
ragazzini
incoscienti!” tuonò Cronos, facendo tremare ogni
cosa.
La base a cui si sorreggeva Tolomeo si
sgretolò ed i gemelli caddero, trovandosi immersi nella
sabbia.
“Ipazia! Tolomeo!”
chiamò Ares, d’un
tratto ricordando la profezia di Apollo che aveva parlato di sabbia.
I due sprofondavano rapidamente
nell’immensa clessidra ed il Dio della guerra non sapeva che
fare. Nel panico,
non trovò altra soluzione se non minacciare
l’enorme Cronos di lasciarli
andare. Ovviamente questi non obbedì e ridacchiò.
“Vi vengo a prendere!”
gridò allora Ares.
“Ares! Brutto coglione!” gli
urlò Hades
“Se tocchi quella sabbia invecchierai e morirai! Non si
può uscire da lì!”.
“Taci, menagramo!”.
Si arrampicò, ringhiando contro la
mancanza della sua armatura alata. Arrancò fino alla cima e
vide solo una mano
ormai fuori dalla sabbia. Fece per allungarsi verso di essa quando un
uomo
sfrecciò fuori proprio da quella sabbia. Sbilanciato, Ares
precipitò. Guardò in
su, meravigliato. Due enormi ali nere, simili a quelle di un drago,
sorreggevano quell’uomo dai capelli rossi che stringeva fra
le braccia una
donna priva di sensi. Atterrò a pochi passi dal Dio della
guerra e fissò
Cronos.
“Mi devi del tempo”
esclamò, rivolto
all’incatenato che non rispose subito.
“Mai nessuno era riuscito in
questo”
ammise, poi “Perciò..e sia! donerò il
tempo che entrambi chiedete”.
“Tolomeo?” azzardò
Ares, ancora seduto a
terra.
“Nonno” lo riconobbe lui
“Perché mi guardi
così?”.
Poi Tolomeo osservò la sorella, che
stringeva, e capì che il tempo era passato per entrambi.
Ipazia era una
splendida donna e quindi probabilmente lui ora era un uomo, con
scintillanti
occhi divini. Lei tossì un paio di volte, risvegliandosi.
“Dobbiamo rientrare”
esclamò Ares,
riprendendosi di colpo “Sta succedendo un casino al
Tempio”.
“Andiamo”.
Tolomeo spiccò il volo di nuovo, uscendo
rapidamente dal regno dagli Inferi. Una volta fuori, Ares
poté indossare
l’armatura e si librò in aria a sua volta, notando
con piacere che suo nipote
aveva ereditato la stessa bravura del padre nel volare.
“L’uomo drago e la donna lupo.
I miei
nipoti mi stupiscono ogni giorno di più!”
commentò, volando.
Phobos sobbalzò. Che gli stava
succedendo?
Si sentiva strano..si sentiva BENE! Si guardò le mani,
percependo un frizzo
dovuto all’ikor. Poi si toccò l’occhio,
che di colpo gli lanciò una scossa di
dolore. Quando scostò la mano, si accorse che si era
riaperto e ci vedeva.
Ghignò.
“Phobos! Sei di nuovo tu!”
esclamò Deimos,
notando lo sguardo rosso fiammeggiante del fratello.
“Sì, e sono pronto a spaccare
culi” rise
Phobos.
Nonostante il notevole potere dei due
gemelli ora al massimo, Shiva riusciva comunque a non farsi scalfire.
Solo
l’ennesima freccia lo colpì.
“Oh, che palle! Non sono un
puntaspilli!”
sbottò, girandosi e notando che a lanciarla non era stato
uno dei seguaci di
Atena.
“Krishna” lo riconobbe
“Vishnu..cosa ti fa
giungere fin qui per interrompere il mio divertimento?”.
“Adesso calmati” rispose
Krishna, il Dio
dalla pelle blu e l’arco “Non è successo
nulla, puoi anche placare la tua ira”.
“Quanto siete noiosi. Lo sapete che ho
bisogno di sfogarmi..”.
“C’è tua moglie per
questo..”.
“Ho bisogno di sangue. Questi hanno osato
sfidarmi..”.
“E tu cerca di essere superiore. Alla
fine
sei tu il venerato, non loro..”.
Ipazia sorrise. Sorretta dal fratello,
dall’alto
vedeva lo zio Phobos combattere come un tempo e ne fu felice. Anche Ares fu sollevato nel
vedere quella
scena, stupendosi di se stesso per questi strani attacchi.
“Chi è quello mezzo nudo con
la pelle blu?”
domandò il Dio della guerra.
“Shiva. È in collera per una
questione che
non sto a spiegarti” rispose Tolomeo.
“Ha qualcosa a che vedere con
Atena?”.
“Come sempre..in parte..”.
“Lo sapevo..”.
Atterrando, Ares si scagliò contro Shiva
che però lo ricacciò indietro, accanto ad Atena.
“Che vuole?” domando il Dio
della guerra “Conquistarci?”.
“No..veramente..”
mormorò lei, lievemente
in imbarazzo “..sono stata io ad attaccarlo per
prima”.
“E perché?!”.
“Lui ha..infranto la bacheca di
Arles”.
“Ha fatto cosa?!”.
Il Dio della guerra ricominciò subito ad
attaccare, ancor più pieno di rabbia. Lo seguirono i suoi
figli, tranne Kanon
che rimase vicino ad Atena. Altri suoi cavalieri la raggiunsero,
allarmati dal
trambusto, e si unirono alla lotta. Shiva trovò la cosa
alquanto noiosa. Alla fine,
quei mortali non facevano altro che infastidirlo e gli Dei solo
vagamente
ferirlo.
“Basta adesso, Shiva”
tuonò di nuovo la
voce di Krishna, che Shiva ignorò “Shakti non
approverebbe mai”.
“Non parliamo di mia moglie, adesso! E
fatti
gli affari tuoi”.
“Non costringermi a tirarti
un’altra
freccia”.
“Oro che so che sei lì, non mi
faccio
prendere alla sprovvista”.
“Ma sai bene che io con le frecce sono
bravo..”.
Il Dio ignorò il suo collega e
contrattaccò, muovendo tutte le braccia in un’onda
che travolse i presenti,
scagliandoli per varie parti. Ares gridò, furioso e
desideroso di dimostrare a
quell’indiano che pure lui sapeva fare male, se voleva.
“Non farai altro che
prenderle!” commentò
Kanon “Lui ha il potere della fede dalla sua parte, non lo
vincerai”.
“Ha infranto la teca di Arles!”.
“Su mia richiesta”.
“Che cosa?!”.
“Gli ho chiesto io di farlo! E lo
richiederei di nuovo!”.
“Traditore!”.
Ares si scagliò contro Kanon. Atena
indietreggiò, spaventata, mentre Ipazia e Tolomeo tentarono
invano di
separarli. Il tutto fra le risate di Shiva, che si divertiva sempre a
vedere la
gente litigare.
“Chiedo perdono..tutto questo casino per
me..” parlò Krishna.
“Ma che dici?”
ghignò Shiva, girandosi.
Krishna..c’era qualcosa di diverso..lo
osservò un po’ meglio
e si stupì.
“Illusione!” esclamò
e Krishna si dissolse
“Maya!”.
Voltandosi verso la grotta, Shiva vide che
al suo ingresso stava proprio Maya, avvolta di luce oro. Ma non era
sola. Al suo
fianco, un uomo dai lunghi capelli neri osservava la scena, sorridendo.
“Me l’hai fatta,
Maya” commentò l’indiano.
“Non da sola, vero Arles?”.
Alla parola “Arles”, Kanon ed
Ares smisero
di azzuffarsi e tutti si voltarono verso la grotta.
“Shiva..” riprese Maya
“..calmati”.
“Se sei tu a chiederlo..”
scherzò il Dio, avvicinandosi
e sfiorando Arles con una mano “Evidentemente mi sbagliavo.
Qualcosa ti ha
spinto a rimanere in vita. Non so cosa sia ma..spero non getterai alle
ortiche
la nuova opportunità che hai. E spero che non ricadrai nelle
tue stesse
illusioni come un coglione..”.
“Ora controlla il suo potere
perfettamente”
assicurò Maya.
“Ma potrebbe scegliere di ricaderci
spontaneamente”.
La Dea fissò Arles qualche istante.
Probabilmente
c’era quel rischio ma era certa che ora vi erano molte
persone disposte ad
aiutarlo a scongiurare quel pericolo.
“Andiamo a casa, Maya”
invitò Shiva,
porgendole la mano.
La Dea scosse la testa, spiegando che
aveva ancora qualche cosa da fare. Ma assicurò il Dio che
sarebbe tornata
presto. Shiva alzò le spalle, non capendo perché
perdesse tempo in posti tanto
noiosi.
Una volta che Shiva se ne fu andato, Ares
fu il primo a raggiungere il figlio, che lo fissò senza
aprire bocca.
“Hai dei figli davvero in gamba. Tolomeo
ti ha salvato e Ipazia ha aiutato Phobos. Spero che te ne ricorderai,
nel caso
ti venisse in mente di infilarti in un’altra illusione senza
uscita” gli disse.
“Sei stata tu ad a ridarmi
l’immortalità?”
si stupì Phobos, fissando la nipote.
“Sì..” ammise lei,
sorridendo.
“Non so come tu abbia fatto e cosa ti sia
successo ma..”.
“Niente piagnistei. Batti il cinque, e
siamo pari”.
Phobos rise ed Arles fissò i ragazzi,
confuso.
“Papà!”
salutò Tolomeo “Sono il tuo
primogenito. È fantastico vederti in piedi”.
“Tu..” mormorò
finalmente Arles “..mi hai
risvegliato dall’illusione”.
“Già. Mi spiace se magari
preferivi
rimanerci..”.
“Ah, no. Era giusto che ne uscissi
però..sei
così grande..”.
“La clessidra di Cronos ha accelerato un
po’ le cose. Meglio, no? Almeno così riesco ad
indossare l’armatura senza
sembrare ridicolo. Anche se..dovrai insegnarmi come ci si
rade!”.
“Ed i tuoi occhi..ricordavo lo sguardo di
vostra madre..”.
“No, io ed Ipazia abbiamo sempre avuto
gli
occhi tuoi, papà”.
Arles sorrise, sfiorandosi la testa con
una mano.
“Qualcosa non va?” si
preoccupò Ipazia.
“Sono stanco” ammise Arles
“E piuttosto
confuso”.
“Normale” lo
rassicurò Ares “Non so
nemmeno come tu faccia a stare in piedi..”.
“Non sto in piedi. Sto
fluttuando..”.
“Ah..vero..”.
Appena provò a toccare terra con i piedi
scalzi, Arles barcollò e fu Tolomeo a prenderlo al volo.
Forte abbastanza per
fare questo ed altro, il giovane sorrise soddisfatto.
“Ti portiamo in un posto sicuro dove
riposare e magari mangiare un boccone” commentò.
“Grazie” annuì
Arles,percependo solo ora
di avere qualcosa fra le mani.
Aprì il pugno e riconobbe
l’anello di
Eleonore, stupendosi nel vederlo.
“Me lo ha dato”
spiegò Tolomeo “Per te..mi
ha guidato ed aiutato”.
“Lei sta bene?”.
“Non lo sappiamo. È scomparsa.
Hades l’ha
fatta cercare ovunque ma senza risultato”.
“Eleonore scomparsa?”.
Arles tornò a fissare
l’anello: brillava ancora.
“Lei è viva, ne sono certo. La
troverò..ecco
come userò la mia nuova vita”.
“Non dire minchiate!”
sbottò Ares “Hades
ti ucciderà all’istante se osi
avvicinarti”.
“Ho detto che la troverò, non
che me la
porterò a letto! La troverò e la
riporterò al sicuro”.
“E se si è allontanata
volontariamente?”.
“Mi basterà sapere che
è felice. La
ringrazierò, per aver aiutato mio figlio, e la
lascerò vivere la sua vita. Sono
passati tanti anni, non mi aspetto di certo il lieto fine da favoletta
adolescenziale”.
“Come vuoi..”.
Ares non era convinto, ma era inutile
discutere adesso. Arles non era in condizioni di andarsene a spasso a
cercare
la sua bella e così sarebbe stato per un po’.
L’unica sua preoccupazione era
che potesse cercare di immergersi di nuovo in strane illusioni.
“Sarà meglio
sorvegliarlo” disse a Phobos
e Deimos, mentre Tolomeo ed Ipazia si allontanavano con il padre.
“Ci penso io. A costo di legarlo al
letto”
rassicurò Kanon, stanco di fare i salti mortali per quel
fratello dal cervello
ballerino.
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Capitolo 9 *** IX- inseguendo un sogno ***
IX
INSEGUENDO
UN SOGNO
Tolomeo camminava per i corridoi della
tredicesima. Essendo immensa, il Gran Sacerdote Kiki aveva acconsentito
a
concedere un’ala alla strana famiglia del suo predecessore.
Il giovane, di
passaggio, era ormai stabile nella casa dei Gemelli ma spesso si recava
a far
visita al padre, obbligato a restare a riposo, anche se era
l’ultima cosa che
desiderava. Non sapeva spiegarselo ma, quel pomeriggio, quei corridoi
sembravano più lunghi e tortuosi del solito. Si
fermò qualche istante,
chinandosi leggermente in avanti, sentendo un gran caldo improvviso.
“Tutto bene?” si
sentì chiedere.
Alzò lo sguardo, incrociando quello
della
gemella Ipazia.
“Certo” sbottò
Tolomeo, rimettendosi
dritto di colpo.
“Ne sei sicuro? Ultimamente ti vedo
sempre
più strano”.
“Le tue sono solo paranoie. E poi
io..”.
Il loro discorso fu interrotto da un grido
rabbioso e da un boato. Voltandosi entrambi, allarmati, videro giungere
di
corsa, lungo il corridoio, Phobos e Deimos. Dai loro ghigni, i due
giovani non
capirono se gli zii si trovassero in una situazione
d’emergenza o stessero
semplicemente facendo casino. Poi videro, dietro alle due
divinità, una terza
figura che raggiunse le prime due con rapidità. Subito
Tolomeo si mise in
posizione in difesa, proteggendo la sorella. La figura misteriosa
scattò,
andando oltre Phobos e Deimos. Saltò, sfiorando una colonna
con i piedi e
dandosi la spinta, compiendo un movimento insolito che la fece
atterrare a
pochi centimetri dal giovane Tolomeo. Questi sobbalzò,
vedendo solo una massa
di capelli neri che si dava lo slancio e colpiva con un calcio il primo
dei
gemelli che sopraggiungeva. Deimos, per proteggersi,
incrociò le braccia
davanti al petto ma fu comunque rispedito indietro, travolgendo Phobos.
Entrambi rimasero in piedi, nonostante il segno lasciato sul pavimento.
“Grandioso” ghignò
Deimos, con sul volto
un’espressione da pazzo ed un leggero rigolo di sangue sul
lato della bocca.
Tolomeo, con ancora il braccio teso a
difesa della sorella, vide la figura davanti a sé rialzarsi
e la sentì ridere.
“Dai, prova ancora a sfidarmi!"
rise questa, dandogli le spalle, allungando un braccio.
“Ma..” esclamò
Tolomeo “..papà?! Sei tu?”.
Questi si voltò, come se fino a quel
momento non si fosse accorto della presenza del ragazzo. Il giovane
rimase
comunque sulla difensiva, non capendo bene quel che stava accadendo. Il
genitore, circondato da una tempesta scomposta di capelli neri, fissava
il
figlio con aria interrogativa e poi gli sorrise.
“Sto solo facendo
riscaldamento” spiegò,
con una luce divina negli occhi.
“Dovresti riposare,
papà” lo rimproverò
Ipazia.
“Non mi serve riposare. Come vedi, sono
in
grado di affrontare
il mondo” rimbeccò
lui, mentre Phobos e Deimos si avvicinavano con un ghigno orgoglioso.
“Sei scalzo! E ti sei visto?”
scosse la
testa Tolomeo “Sembri appena uscito da un manicomio! Sei
tutto scombinato!”.
“Mica devo andare ad una sfilata di
moda!”
rise Arles, rigirandosi e trascinando dietro di sé i
capelli, che con il tempo
trascorso nella teca di Ikor si era allungati ulteriormente.
Tolomeo sospirò, alla fine felice che il
padre stesse bene. Notò che al collo, assicurato ad una
sottile catenella,
portava l’anello di Eleonore. Che fosse ancora intenzionato a
cercarla? Lo era
sicuramente..suo padre era testardo, oltre che pazzo.
“Ma che combinate?! Volete abbattere la
tredicesima?! Poi chi la sente Atena?!” sbottò
Ares, gridando da un punto
imprecisato della casa.
“Scusa” gridò di
rimando Arles.
Il Dio della guerra raggiunse i figli ed i
nipoti con sul volto un’espressione piuttosto annoiata.
“Cosa ci fai in piedi, TU?!” si
accigliò,
fissando Arles.
“Sto bene. Stavo pestando questi
due”.
“Non è un gran segno di
sanità mentale,
sai?”.
“Non ho mai avuto sanità
mentale”.
“Dovevi vederlo” rise Phobos
“Come muove
le gambe adesso. Ci ha colpiti entrambi. La sua energia sta aumentando
di
molto”.
“Spero, però, che tu sappia
gestirla”
incrociò le braccia Ares.
“Maya mi ha spiegato come fare”
annuì
Arles “Prima di andar via. Tranquillo..non mi
perderò di nuovo nelle mie
illusioni”.
Il padre si avvicinò, rigirandosi fra le
mani il piccolo anello di Eleonore.
“Non cominciare!”
sbottò il figlio “Non
cominciare anche a tu a dirmi che sono un coglione perché
rivoglio la mia donna
accanto a me e voglio cercarla!”.
“Non ho detto e non dirò mai
una cosa del
genere. Sei un Dio adesso e quel che fai sono del tutto affari tuoi.
Inoltre
conosco la sensazione che una donna può dare ad una mente
come la nostra,
perseguitata dalle battaglie. Conosco bene l’angoscia che si
prova quando non
si deve far altro che combattere ma non lo si desidera”.
“Ma..tu sei il Dio della guerra! Devi
combattere!”.
“Certo. Sono il Dio della guerra. Ma
questo non significa che voglio solo guerra nella mia vita. E quando
sei
sfinito ed angosciato, so quanta pace possa dare il tocco della donna
che ami.
Anche se, nel mio caso, è una donna sposata con un altro ed
una gran puttana.
Non ci posso fare nulla..dal primo momento in cui l’ho vista,
ho amato Afrodite
ed ho sfidato Zeus stesso pur di starle accanto. Perciò ti
capisco. Temo però
che tu sia inseguendo un sogno impossibile. E se lei fosse morta? Ci
hai
pensato? È scomparsa nel nulla e nemmeno Hades è
riuscito a scovarla..”.
“Voglio saperlo. Se è morta,
voglio
saperlo”.
“E poi? Se è morta, che
farai?”.
“Non lo so..” ammise Arles.
“Ho paura che, se fosse così,
la
tentazione di rintanarti nuovamente in un mondo immaginario possa avere
il
sopravvento su di te”.
“Non accadrà. Te lo prometto.
Ma devo
sapere la verità. Che altro dovrei fare?”.
“Non posso suggeriti nulla,
perché io
ancora adesso compio indicibili stupidaggini pur di vedere Afrodite.
Immagino
che sia di famiglia. Del resto, Eros è mio figlio mica per
niente! Non sai
quante volte Zeus ed altre divinità hanno tentato di
convincermi a frequentare
altre Dee, nel tentativo di rabbonirmi..”.
“E allora Atena?”.
“Beh..” Ares parve un
po’ indeciso su che
cosa dire, ma poi riprese “..lei ha mansioni simili alle mie.
Quando sono in
vena di combattimenti, è il genere di Dea che voglio al mio
fianco. Ma non è sempre
così. così come non voglio sempre quella
pettegola di Afrodite attaccata addosso
tutto il giorno”.
“E mia madre?”.
“E Discordia?” rispose il Dio
della
guerra, dopo un attimo di esitazione “Tu non sei diverso da
me, ragazzo. Per
questo ti controllo. Perché so di che cazzate siamo capaci,
io e te”.
“Voglio solo sapere la
verità..”.
“E spero che questo non ti conduca alla
pazzia..”.
Kiki sobbalzò all’ennesimo
rumore
improvviso alla tredicesima. Dalla sala del trono, scosse la testa
divertito.
Telepaticamente si era messo in contatto con Mur, avvisandolo che
Tolomeo era
rientrato sano e salvo al tempio e la notizia rallegrò il
passato cavaliere
dell’Ariete. Quel ragazzo però aveva combinato un
bel po’ di guai, andando ad
infastidire divinità varie.
“Come ogni cavaliere dei Gemelli, deve
creare qualche piccolo problema” ridacchiò Kanon,
intuendo le perplessità del
Sacerdote.
“Piccolo? A momenti Shiva disintegrava il
santuario. Per fortuna Maya è riuscita a
calmarlo..”.
“Lo terrò più
sott’occhio..”.
“Tieni sott’occhio tuo
fratello, ora. Tuo
nipote pare abbia messo la testa a posto. Ma Arles..”.
“Che ha Arles?”.
“È inquieto..”.
“Lo è sempre stato”.
“Già..ma ora è un
Dio..”.
Kanon rimase in silenzio, capendo
perfettamente quel che intendeva Kiki.
“E tu?” riprese il Sacerdote.
“Io cosa?”.
“Non sei figlio anche tu di Ares? La tua
armatura è mutata ma il tuo ruolo qual
è?”.
“Attendo di scoprirlo. Sinceramente,
posso
anche farne a meno”.
Il figlio del Dio della guerra sorrise,
però
concordò con Kiki: doveva tenere sotto controllo un
po’ tutta la famiglia.
Molti prendevano troppo alla leggera il fatto di possedere sangue
divino.
“Che leggi?” domandò
Milo, non molto
interessato ma desideroso di fare conversazione.
“Niente di che” rispose Camus,
senza
alzare lo sguardo.
“Di che parla il libro?”
insistette lo
Scorpione.
“Di niente di speciale..”.
“E perché lo leggi?”.
“E tu perché parli
sempre?”.
Milo storse il naso, infastidito da quella
risposta. Cercò di sbirciare la copertina, ma non
capì. Fissò il collega,
trovando irritante il fatto che non avesse accettato
l’immortalità concessagli
da Atena. Così facendo, l’Acquario invecchiava
inesorabilmente, come era
destino accadesse ad ogni essere umano. Milo invece aveva preso una
strada
diversa ed il tempo su di lui non scorreva. Non aveva mai compreso la
scelta di
Camus, che si limitava a dire che una vita gli bastava e gli avanzava.
Lo
Scorpione continuò a fissarlo, stranamente in silenzio,
mentre l’Acquario lo
ignorava. La porta dell’immensa biblioteca del tempio si
aprì e con passi
impercettibili entrò Arles, ignorando completamente i due
cavalieri. Al suo
fianco, Thanatos fissò solo di sfuggita Camus ed Hypnos
sbadigliò, annoiato.
“Qui troveremo informazioni
utili?”
domandò il Dio della morte.
“Questa è la biblioteca
più grande ed antica
che conosco. Se esiste un luogo dove i simboli sull’anello
possono essere
spiegati, è questo!”.
“E questo ci aiuterà a trovare
Eleonore?”.
“Lo spero..”.
“Bene! Perché non ne posso
più di Hades e
le sue lagne continue per quella femmina. Prima gliela riportiamo e
meglio è”.
“Thanatos!” sbottò
Hypnos.
“Che vuoi?” ribatté
il Dio della morte.
“La signora Eleonore ci ha sempre
trattato
con rispetto..”.
“Ovvio. È una mortale! Ci
mancherebbe
altro..”.
“È la sposa di
Hades..”.
“Potrebbe anche essere sua
sorella!”.
“Ma riuscite a chiudere la bocca un
momento?!” li zittì Arles, cercando fra gli
scaffali.
“Bada a come parli, moccioso!”
rispose
Thanatos.
“Vai fuori se vuoi solo
distrarmi!” gli
tenne testa Arles.
Camus e Milo fissavano il tutto con una
certa curiosità, senza capire molto bene che stesse
accadendo.
“Che libro cercate?”
tentò di rendersi
utile Camus.
“Uno che spieghi cosa sono i simboli su
questo anello” spiegò Arles, prendendolo fra le
mani.
Così facendo, il gioiello si
illuminò e
mostrò dei glifi poco chiari. Camus però, con una
certa sicurezza, indicò un
punto preciso della biblioteca.
“A me sembrano molto legati
all’Egitto
antico” spiegò l’Acquario
“Perciò si trovano in quell’ala della
biblioteca
tutti i volumi a riguardo”.
“Egitto? Sei sicuro?”.
“Così a me sembra. Certo, i
simboli non
sono molto chiari..”.
“Eleonore che ha a che fare con
l’Egitto?!”.
“Non lo so. Era tua moglie, non la
mia..”.
“Che aspettiamo?” si mosse
Hypnos “Per
salvare la fanciulla, tocca cercare nei volumi
sull’Egitto”.
“Ma..” mormorò Milo,
quando Arles gli passo
accanto “..quella ragazza..Hades la sta cercando da un sacco
di tempo”.
“Appunto. Non è
morta!” interruppe
Thanatos.
“Non so. E se la sua anima fosse andata
perduta? Non sarebbe il primo caso. Altrimenti penso che il Dio delle
anime e
dell’oltretomba dovrebbe trovarla subito!”.
“Inseguiamo ogni pista” rispose
Arles.
“Ma perché? È la
sposa di Hades! La freccia
dell’odio l’ha colpita! Perché la
cerchi? Insegui un sogno?”.
Hypnos sorrise leggermente, forse
concordando con Milo.
“Non sarebbe meglio vivere nella
realtà,
ora che puoi?” continuò lo Scorpione.
“Che cos’è la
realtà?” furono le parole di
Arles, compiendo un piccolo gesto con la mano.
Così facendo, le tre divinità
presenti
mutarono dinnanzi allo sguardo dei cavalieri. Per qualche istante, i
due
mortali videro come queste dovevano essere veramente. Di un bel pezzo
più alti
di Milo, i tre Dei lo fissarono. Lo Scorpione non provò
timore alcuno,
ritrovandosi di fronte tre giovani. Si stupì molto. Thanatos
ed Hypnos, che
esistevano da Ere intere, non erano che due fanciulli. Il Dio dei sogni
aveva
ali fra i capelli e fra le mani stringeva un papavero. Thanatos invece
era
alato. Sulla sua spalla stava posata una farfalla e con la mano destra
portava
una torcia capovolta, simbolo della vita che si spegneva. Per quel che
riguardava Arles, i mortali non riuscirono ad individuarne molto bene i
tratti
principali. Probabilmente perché non del tutto risvegliato,
non portava con sé
alcun oggetto ma il suo aspetto era da adolescente, fin troppo gracile
per
assomigliare ad un guerriero, con i capelli che si agitavano del tutto
a caso. Eppure
Camus e Milo sapevano bene fino a che punto poteva giungere la sua
potenza in
battaglia. Quella rapida visione si concluse, e le tre
divinità ripresero il
solito aspetto a cui tutti erano abituati.
“E adesso vediamo cosa l’Egitto
può
svelarci..” sorrise Hypnos, approfittando del momentaneo
silenzio dei due
mortali.
Camus si offrì più che
volentieri di
aiutare a cercare i simboli. Erano sempre più sbiaditi,
forse segno che il
legame fra l’anello e chi lo stringeva, o lo aveva indossato,
si stava
sciogliendo.
“Mi sembra di sentire la sua voce ogni
volta che questi simboli appaiono..” ammise Arles
“..forse sono pazzo, come
dicono tutti..”.
“E che dice sta voce?” si
incuriosì Milo, appollaiato
sulla sedia di fronte al collega.
“La Luna sta sorgendo. Sta per vestirsi
di
nuova luce”.
“Sì, sei pazzo”
annuì Thanatos, mettendo
una mano sulla testa del figlio di Ares “Ma
non preoccuparti, lo sono un po’ tutti gli Dei!”.
“Ma certo!” esclamò
Arles, alzandosi di
colpo “La Luna!”.
“Eh?” alzò un
sopracciglio Hypnos,
vedendolo correre scalzo e guadagnare l’uscita.
I due gemelli di fissarono, sconcertati. Seguirono
con calma Arles, che guardava il cielo fra le colonne.
C’erano tante nuvole
quella notte ma, finalmente, uno spiraglio di luce lunare si
mostrò. Arles allungò
la mano verso di essa, porgendo l’anello al satellite. Il
gioiello si mise a
brillare in modo sempre più acceso e poi proiettò
una serie raggi verso l’esterno.
Questi disegnarono un luogo esotico, a cui lati prendevano vita segni
sempre
più simili a geroglifici.
“Ma che roba è?”
domandò Milo.
“Sembra un antico tempio
egizio..” azzardò
Camus “..ma non sono così bravo da riuscire a
leggere i geroglifici, mi spiace”.
“Quindi Eleonore potrebbe trovarsi in
Egitto? In questo tempio?” si chiese Arles.
“Forse. Di certo quell’anello
ha a che fare
con quel luogo” annuì l’Acquario.
“Perfetto. Allora posso partire per
l’Egitto!”.
“Hei! Un attimo, figlio di
Ares!” lo
bloccò Hypnos “Apprezzo che uno insegua i propri
sogni, però questa mi sembra
un po’ una follia. Non hai nemmeno idea di dove si trovi quel
tempio! L’Egitto
è grande, sai? E non sai che cosa possa esserci
all’interno!”.
“Ma che potrebbe mai esserci?!”.
“Nemici?”.
“Capirai..”.
“Ragazzo..”.
Il rimprovero della divinità fu
interrotto
da una voce femminile. Alzando lo sguardo, il gruppetto vide una donna
alata in
piedi sul tetto dell’edificio in cui si trovavano.
“Nike?” azzardò
Camus ma Hypnos scosse il
capo, tentando di capire chi fosse.
La donna indicò il porto.
“Le risposte..”
parlò, con voce calma e limpida
“..le troverai solo oltre il mare. In quella terra
d’Egitto, in cui Ponto poté
riavere il suo antico corpo, non devi avere timore alcuno.
Poiché c’è qualcuno
che ti attende e ti proteggerà, se saprai fare le scelte
giuste”.
“Le scelte giuste?” si chiese
Arles,
cercando pure lui di capire chi fosse quella donna avvolta da stoffe
leggere
che si agitavano alla lieve brezza della notte.
“La vita è un cammino. Spetta
a te
scegliere a quale meta giungere. Ma non è restando qui che
la raggiungerai”
concluse la creatura alata, svanendo in un lampo di luce.
“Non me la sono sognata, vero?”
si
affrettò a chiedere il figlio di Ares ed i due gemelli
scossero la testa.
“Bene. Devo giungere in Egitto per mare.
Quindi
mi servirà un esperto del settore. Meno male che mio
fratello è amico di
Poseidone..mi farò dare qualche dritta”.
“Sei proprio convinto? La tua vita
è stata
già salvata una volta, intendi metterla di nuovo a
repentaglio per inseguire
una donna?” domandò Hypnos.
“Riporterò ad Hades la sua
sposa. Non troverò
pace finché non la troverò e non saprò
la verità”.
“Le divinità egizie credi che
c’entrino
qualcosa? In quel caso..non saprei come aiutarti, perché
ammetto di non
conoscerle molto bene”.
“Nemmeno io..”.
“Un salto nel buio?”.
Arles sorrise. Nel buio della notte, brillava
leggermente. Doveva partire il prima possibile, non riuscendo
più sopportare il
fatto di restarsene lì immobile mentre il resto del Mondo
andava avanti! Era rimasto
fermo fin troppo tempo, in quella teca di Ikor. La luna scomparve
dietro le
nubi ed i glifi sull’anello scomparvero.
L’oscurità si fece d’un tratto pesante
ma Arles non ci fece più di tanto caso, incamminandosi lungo
la scalinata del
tempio, diretto al porto.
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Capitolo 10 *** X- lungo il fiume ***
X
LUNGO
IL FIUME
“Perché mi segui?”
domandò, stizzito,
Arles.
Alle sue spalle, Ipazia lo braccava
stretto, senza parlare.
“Verrò con te”
rispose lei “Ovunque tu
vada”.
“E perché?”.
“Perché ho bisogno di
avventura”.
“E se io te lo vietassi?”.
“Non hai modo di farlo. A malapena ci
conosciamo, io e te. Tu non puoi darmi ordini, così come io
non posso importi
di ragionare e non fare cazzate”.
“Non intralciarmi” si
limitò a dire Arles,
dopo qualche istante di silenzio.
Al porto, il figlio di Ares sapeva bene
dove procurarsi una barca “in nome di Atena”. Vi
salì, senza porsi troppi
problemi.
“Ma..” borbottò
Ipazia “..la stai
rubando?!”.
“È notte. Non ci vede
nessuno..”.
“Ma è sbagliato!”.
“Monta su! Oppure resta lì
dove sei! Vuoi
forse andare a nuoto? O a piedi?!”.
Ipazia ebbe un istante di titubanza e poi
raggiunse il padre.
“Sai almeno dove dobbiamo
andare?”
domandò, parlando piano per non farsi scoprire.
Arles prese fra le mani l’anello, che
teneva nascosto sotto la veste. Il gioiello brillò e,
splendendo con la luce
della luna, lanciò un piccolo raggio oro. Ipazia
fissò la cosa e sorrise.
Incantesimi, fanciulle in pericolo..le mancava solo il principe azzurro
pronta
a salvarla!
“Perdonami..” parlò
il padre, dopo esserci
allontanato dal porto con il mezzo rubato.
“Per cosa?”.
“Per come sono..è che devo
ancora
abituarmi a tante cose”.
“Sono così diversa da come mi
immaginavi
nella tua illusione?”.
“Beh..sei una donna! Nella mia illusione
eri una ragazzina. Ed avevi gli occhi di tua madre”.
“E che ruolo avevo? Avevo
un’armatura?”.
“Eri così piccola! No.
Né tu né tuo
fratello avevate un’armatura”.
“Però mi allenavo con
Tolomeo?”.
“Sì. Nella mia illusione, ho
voluto fare
in modo che tu potessi essere abbastanza forte da difenderti da sola,
quando io
non ci fossi stato..”.
“Lo zio ha voluto che io fossi forte, ma
non che avessi un’armatura..”.
“Se è destino che tu
l’abbia, allora
l’avrai”.
“E se il mio destino fosse
diverso?”.
“Ci andrai a sbattere contro, prima o
poi..”.
Ipazia sorrise e notò che il padre
faceva
lo stesso.
“Ti manca la tua illusione,
papà?”.
“No” ammise Arles, dopo qualche
momento di
riflessione “La realtà è
un’altra cosa!”.
“Che leggi?” domandò
Phobos, trovando
strano vedere Kanon chino su un libro.
“Un libro sull’antico
Egitto” rispose il
fratello, senza alzare lo sguardo.
“Ha le figure?”.
“Lo sapevo che non sapevi
leggere..”.
Phobos trattenne il fiato per la rabbia,
non sapendo bene che rispondere.
“Non è vero!” infine
disse “Io so leggere!
Però non ho voglia di far fatica”.
“Ha le figure, capra! Non mi
scocciare..”.
Il fratello maggiore si trattenne, non
volendo picchiare Kanon per il momento. Però la
maleducazione di quell’essere
lo irritava. Non c’era più rispetto!
Allungò lo sguardo verso quel volume e
storse il naso.
“Chi è quello con un birillo
in testa?”
domandò.
“È il faraone”.
“E perché ha un birillo in
testa?”.
“Non è un birillo!!
È la corona!”.
“E perché in mano ha un
bastoncino di
zucchero ed un frustino? Sadomaso con spuntino?”.
“Ma la smetti di sparare
stronzate?!”.
“Hei, mica serve offendersi! Non sto
insultando te! O ti senti faraone?!”.
“Sto solo cercando di capire che
relazione
può esserci fra l’Egitto e la femmina di mio
fratello”.
“NOSTRO fratello. Ed EX femmina. Diciamo
le cose come stanno”.
“È lo stesso.
Quell’idiota si è cacciato
nell’ennesimo guaio. Il tutto senza dire niente! Si
è rinchiuso nella sua bella
stanza per giorni ed appena ne è stato in grado è
partito. Bella
riconoscenza!”.
“E che ti doveva dire?! Che ci azzecchi
tu?!”.
“Siamo gemelli!”.
“E allora?! Io non sto sempre a dire a
Deimos dove vado!”.
“Ovvio. Lo hai sempre attaccato al
culo!”.
“Oggi sei offensivo..più del
solito..”.
“Non ti devi allenare? O non devi
infastidire qualcun altro?”.
“Non posso darti una mano? Ari-chan
è
anche mio fratello!”.
“Ari-chan?!”.
“Molti chiamano Ari nostro padre Ares.
Quindi, per non far confusione..”.
“Meno male che mi chiamo
Kanon..”.
“Che non ti dico quanto suoni simile ad
una bestemmia quando ti chiamano, zio Kanon!”.
Kanon alzò lo sguardo, sollevando un
sopracciglio. Ma perché aveva sempre a che fare con gente
insana?!
“Ma tu..” riprese il maggiore
“..non sei
sposato con la gemella di quella femmina?”.
“Sì” ammise Kanon
“Sono sposato con Sarah,
la gemella di Eleonore. E lei mi ha confermato che la gemella non ha
mai avuto
alcuna relazione con l’Egitto. È confusa quanto
me, perciò sto spulciando libri
ma non trovo nulla!”.
“Ti tocca spulciare più a
fondo..”.
“Grazie, genio..”.
“Sempre felice di essere utile”.
L’oscurità si faceva sempre
più fitta.
L’unica luce era quel flebile raggio oro prodotto
dall’anello che Arles teneva
sul palmo della mano. Poi, di colpo, anche quel raggio si spense.
“Che succede?” si
allarmò Ipazia.
“Non ne ho idea..” ammise suo
padre,
concentrando parte del suo cosmo per illuminarsi leggermente, impedendo
di
sprofondare nel buio totale.
Si erano spente tutte le luci e la barca
si era fermata. In cielo, erano scomparse le stelle.
“Papà..non sento
più il rumore delle
onde..”.
“Nemmeno io..”.
La giovane si avvicinò al genitore, non
nascondendo un certo timore. Erano molto al largo, il porto e le rive
di Grecia
non si vedevano, e davanti a sé scorgeva solo il nero. Arles
tentava di far
ripartire la barca, bestemmiando a denti stretti perché non
aveva una grande
pratica a riguardo. Si fermò dopo qualche istante,
percependo qualcosa. Cercò
di capire che cosa fosse, sporgendosi leggermente ed illuminandosi
ancora un
po’.
“Hai qualcosa che possa buttare in
acqua?”
domandò alla figlia.
“Qualcosa di che tipo?”.
“Che faccia rumore..”.
Lei scosse la testa.
“Che ti serve fare rumore?”
domandò
Ipazia.
“Non sento il mare. Non vedo le
stelle..dove siamo?”.
“Credi di non essere più in
mare?”.
“Non vedo il riverbero della mia luce fra
le onde. Sembra quasi..un’illusione!”.
Ipazia si sporse, guardando giù.
Rifletté
solo pochi istanti e poi sputò di sotto.
“Oh, che principessa..”
ridacchiò Arles.
“Non ha fatto rumore”
commentò la giovane
“Strano..vuoi provare tu?”.
“Non farò una gara a chi sputa
più lontano
con mia figlia!”.
“Tanto vincerei io!”.
“Ah..Ipazia..ma..”.
La barca si scosse violentemente, senza
dare tempo ad Arles di dire altro. All’inizio
pensò al motore che ripartiva ma
subito capì che non era così. Un altro scossone
ed un grosso serpente spuntò
dall’acqua, spalancando le fauci. Il figlio di Ares
indietreggiò, a protezione
di Ipazia, che sobbalzò nel vedere una simile enorme bestia.
L’animale avanzò
ancora e la barca si rovesciò. Padre e figlia si aspettavano
di percepire
l’acqua sui loro corpi ma non accadde: solo
oscurità, in cui iniziarono a
precipitare.
Camminando distrattamente accanto alla
stata di Atena, Ares di colpo si arrestò, girando il capo
verso il mare. Per
qualche istante, trattenne il respiro. Con le mani incrociate dietro la
schiena, si voltò d’istinto verso la dimora di
Atena, cercando di percepirne un
segno. Non solo il dio della guerra aveva avvertito quel qualcosa che
lo aveva
fatto fermare. Phobos, Deimos e Kanon si guardarono, in silenzio, come
a
chiedere conferma l’uno con l’altro di aver
percepito il giusto.
“Merda..” esclamò
Milo e Camus lo fissò,
senza sapere che rispondere.
Atena, uscendo dalla sua dimora, fissò
sconcertata Ares.
“Ma..è..”
riuscì a dire, avvicinandosi al
dio della guerra.
“Non dovevo lasciarlo andare. Dovevo
sorvegliarlo..” rispose lui.
“Atena!” irruppe Tolomeo, dopo
una corsa
dalla terza casa “Atena, perché non percepisco
più il cosmo di mio padre? E
dov’è mia sorella? Dov’è
Ipazia?!”.
“Ipazia?” si stupì
la dea “Non è al
tempio?”.
“No. L’ho cercata, ma non
c’è..”.
“Che sia partita con Arles? In questo
caso
forse è..”.
“È?! È che
cosa?!”.
“Tomy, calmati!”.
“Come faccio a calmarmi?! Ho sempre
percepito il cosmo di papà, anche quando era in quella
dannata teca! E ora, di
colpo, non lo percepisco più. E perché mia
sorella non si trova?!”.
“Ragazzo..” si
avvicinò Ares “..esiste
solo una spiegazione per cui il cosmo di un dio di colpo si spegne. E
mi auguro
che tua sorella sia estranea alla faccenda, e si trovi altrove. Mi
spiacerebbe
dover..salutare anche lei”.
“Salutare?!”.
Tolomeo fissò le due divinità
in silenzio.
“Tomy..” tentò di
parlare Atena ma il
giovane si scosse, mostrando un’indole decisamente poco
pacifica.
“Non avvicinarti”
ringhiò “Io ho
combattuto per questa famiglia! Ho rischiato la mia vita, anche se
tutti mi
dicevano che ero un coglione e stavo commettendo un errore. Non mi sono
arreso
ed ho riportato mio padre a casa. Ed ora mi state dicendo che, ora che
mi
avevate detto che era sorvegliato, è andato a morire in una
qualche missione
assurda per recuperare quella donna?!”.
“Quanto strilli, cazzo!”
sbraitò Deimos,
il primo a raggiungere la statua della dea “Urlare non serve
proprio a niente,
sai?”.
“Ed allora perché stai urlando
anche tu?”
gridò, di rimando, Tolomeo.
“Perché io posso!”.
“Vaffanculo!”.
“Piantatela di urlare!”
sovrastò tutti
Ares, con un tono di voce che non permetteva repliche.
Il gruppetto era stato raggiunto da
Phobos, Kanon ed alcuni cavalieri d’oro.
“Sono stati gli Egizi, ne sono
sicuro!”
commentò Phobos.
“Come lo sai?”
domandò Aphrodite.
“Non trovo altre spiegazioni. La faccenda
di Eleonore è tutta una trappola. Kanon, lo hai confermato
pure tu, no? Quella
femmina non ha mai avuto alcuna connessione con l’Egitto!
Eppure è in Egitto
che lo ha spinto ad andare”.
“Lo confermo” annuì
Kanon “Ed in effetti,
l’idea della trappola ormai mi sembra l’unica
soluzione”.
“Egitto?! E..una trappola per
cosa?!”
spalancò le braccia Ares.
“Per Arles. O forse per Hade. Per chi era
legato ad Eleonore. Non saprei..sta di fatto che ci è caduto
in pieno ed ora il
suo cosmo è svanito”.
“Potrebbe averlo volutamente
celato”
ipotizzò Atena, aggrappandosi alla speranza
“Oppure è in un luogo in cui non
riusciamo a percepirlo. Non è che detto che sia..”.
“Crepato? Non sarebbe la prima
volta” si
portò una mano sul viso Deathmask, scuotendo la testa.
“Propongo di organizzare una squadra di
ricognizione” riprese la Dea “Sia per cercare
ulteriori indizi su quel che
accade e sia per verificare quel che gli Egizi combinano. Se
è vero quel che
dite, potrebbero essersi risvegliate delle divinità e questo
potrebbe portare
dei problemi..”.
“Lasciate che me ne occupi io!”
si propose
Tolomeo.
“No. Sei troppo coinvolto. E poi devi
cercare Ipazia. Potrebbe essere rimasta nei paraggi..”.
“Però poi metto un guinzaglio
a tutti
quanti” sbuffò Deimos, stanco di dover sempre
cercare qualcuno.
“Milo..” parlò Atena
“..voglio che tu
Aiolia e Kanon partiate per l’Egitto e..”.
“Io?! E perché Aiolia?! Io non
voglio
Aiolia! E poi..dove cazzo è Aiolia?!”.
“Sì, tu” sorrise
Phobos “Gli artropodi
stanno bene nel deserto”.
“E Aiolia..”
continuò Deimos “..sarà a
dormire. Si sa che i mici dormono in media 20 ore al giorno”.
“Voi due!” sbottò
Atena “Siete proprio
cattivi! Ad ogni modo, Milo, ho scelto voi tre perché siete
quelli che
presentano meno problemi con il caldo. Il legame fra Saga ed il gemello
renderà
più facile il suo eventuale ritrovamento. Aiolos, con le sue
frecce, meglio
resti a guardia del tempio. Ci sono strani cosmi oltre il
mare..”.
“Allora gli Egizi si sono risvegliati per
davvero?” si informò Camus, curioso.
“Non lo so, Acquario. Meglio
controllare..”.
“Bene..” sospirò
Milo “..vado a svegliare
il micio”.
“Padre, noi che facciamo?”
volle sapere
Phobos.
“Per ora nulla” rispose Ares
“Devo capirci
prima qualcosa. Lasciate che i Saint vadano in ricognizione. Se davvero
gli
Egizi sono coinvolti, sarò lieto di guidarvi in battaglia
per sterminarli”.
“Io non voglio starmene qui con le mani
in
mano!” protestò Tolomeo.
“Ragazzo..io sono sempre il primo ad
agire
senza pensare. Ma ti prego di non commettere cazzate, che in famiglia
ne
abbiamo fatte fin troppe”.
“Ma così mi sento
inutile!”.
“Il tuo compito è proteggere
il santuario
ed è quello che farai. Egregiamente”.
“Da quando sei saggio?”.
“Da mai..e ora sparite! Avete tutti
qualcosa da fare!”.
“Ma papà
è..”.
“Aggrappati alla speranza di Atena,
nipote. Spera che sia come lei dice e vai a sorvegliare la terza casa.
E se
vorrai piangere..fallo! Non credere a chi dice che gli uomini non
piangono. Non
fare come me, che non ricordo più come si faccia”.
“Ma, nonno..”.
“Fila, Tomeo! Obbedisci! Torna alla terza
casa ed attendi nuovi ordini!”.
“Dai, ragazzo” lo
colpì leggermente sulla
spalla Deimos “Vieni a fare un po’ di lotta con
noi. Ti farà bene!”.
“Sì”
annuì Atena “Tornate tutti ai vostri
posti, tranne Milo,Aiolia e Kanon, che partiranno appena possibile.
Attendiamo
nuove notizie..non abbandonate la speranza!”.
Rimasti soli, Ares ed Atena si guardarono
qualche istante.
“Tutto bene?” chiese lei.
“Certo. L’avvicinarsi di una
battaglia sai
che mi aggrada sempre”.
“Non mi riferivo a quello..”.
“Inizio a pensare che Arles sia
immortale.
In qualche modo lo ritrovo, vedrai..”.
Atena sorrise, quasi divertita, e si
congedò. Il dio della guerra sospirò, tornando a
volgere lo sguardo verso il
mare. Le luci di Atene parevano così lontane.. Una piuma
volò dinnanzi al suo
viso e d’istinto guardò in su. Sulla statua di
Atena, accanto a Nike, una donna
alata si nascondeva da occhi indiscreti.
“Ma guarda un po’..”
commentò Ares “..da
quando sei lì? Qual buon vento ti porta?”.
La donna scese, con un singolo battito
d’ali, e raggiunse il dio della guerra. Nel buio della notte,
il suo sguardo
brillò leggermente.
“Sei invecchiato, Ares” disse,
con un
sorriso.
“Già. Tu, invece, sei rimasta
immutata..”.
“Ma che dici? Invecchiano
tutti..”.
“A quanto pare..”.
Lei guardò a sua volta verso il mare. Il
paesaggio era mozzafiato e le stelle splendevano nel cielo, ben
visibili
dall’altezza in cui si trovavano.
“Atena, eh?” riprese lei
“Non l’avrei mai
detto..”.
“Nemmeno io. Ma non avrei mai detto un
sacco di cose. Cosa ci fai qui? Se ti dovessero scoprire..”.
“Non combattere, Ares”.
“Sono il dio della guerra! È
come chiedere
a Dioniso di non bere!”.
“Rinuncia a questa battaglia. Non
è una
battaglia che devi affrontare con gli Egizi”.
“E allora che cosa?!”.
“Non devi interferire. Arles, come lo
chiamate voialtri, ha il suo destino da compiere”.
“Quindi..è vivo?”.
“Non te lo so dire. Nel posto in cui si
trova, non mi è dato sapere..”.
“Il fatto che TU non lo sappia, mi
preoccupa”.
“Non ne hai motivo. Non sono
onniscente”.
“Ah, no?”.
Lei sorrise e lui ghignò, quasi
divertito.
“Gli ho detto io di partite. Io
l’ho
spinto a lasciare il tempio” ammise la donna.
“Che cosa?!
Perché?!”.
“Perché è giusto
così. Devi fidarti di
me”.
“Non mi fido di nessuno. E tu lo
sai..”.
“Ti sei trovato un bel posto dove vivere,
Ares. Non rovinare tutto con la tua irruenza. Non sempre una guerra
può
risolvere ogni cosa. Direi che mai una guerra risolve le
cose..”.
“Mia cara pacifista, la guerra
è ciò che
sono..”.
“Lo so bene. Ma so che sei anche un uomo
che farebbe tutto per la sua famiglia. Ti chiedo di non entrare in
guerra, per
il bene dei tuoi figli. Un giorno capirai..”.
“Io sono stupido, e tu lo sai.
Perciò non
capirò”.
“Te lo spiegherò,
allora”.
“Troppo buona”.
Rimasero in silenzio ancora qualche
istante, osservando le prime luci dell’alba.
“Me lo prometti?” riprese lei.
“Non posso..”.
“Sforzati”.
“Farò il
possibile..”.
“Questo mi basta”.
Con un sorriso malinconico, la donna
aprì
le ali e scomparve. Ares alzò lo sguardo. Non
combattere..la faceva facile
lei!
“Stai bene, Ipazia?”
domandò Arles,
rialzandosi a fatica.
“Dove siamo?” rispose lei.
“Non lo so..”.
Si guardarono attorno. Altissime spighe li
circondavano ed il cielo era completamente nero.
“Forse..ho battuto la testa..”
si scosse
la giovane “Spighe? Un campo coltivato sotto il
mare?”.
“Non siamo sotto il mare..”.
“E allora dove siamo?”.
“Non lo so”.
“E cosa facciamo?”.
“Troviamo il modo di andar via da
qui..”.
Ragazzi!!
Sono ancora viva, anche se faccio ancora un po’ fatica. Non
aggiorno i capitoli
rapidamente come un tempo, chiedo perdono. Ad ogni modo, spero che il
futuro di
questa storia vi possa piacere. Intanto chi conosce la mitologia
dell’antico
Egitto forse dove si trovino padre e figlia l’ha
già capito.. ;)
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Capitolo 11 *** XI- giudizio ***
XI
GIUDIZIO
“Ma io non ho capito..” si
lagnò Milo, fra
le sabbia del deserto “..perché non mi ha fatto
viaggiare con Deathmask? Quello
è stato addestrato in un vulcano, di certo non soffre il
caldo! Perché con
Aiolia, dico io?! È noioso e mi irrita..”.
Il Leone camminava in silenzio, cercando
di resistere alla provocazione dello Scorpione. Davanti ad entrambi,
ruotando
gli occhi al cielo, Kanon ripeteva a se stesso di non sprecare le
energie
litigando.
“Sai dove stiamo andando,
almeno?” riprese
Milo.
“Seguo i cosmi che percepisco”
rispose il
figlio di Ares “E, forse, se voi due non perdeste tempo a stuzzicarvi, potreste fare
lo stesso. Non vi
si asciuga la bocca, a parlar tanto?!”.
“Stai zitto tu, che di certo non puoi
dire
che dai l’esempio”.
“Io sto zitto!”
sbottò Kanon.
“Adesso..vedremo davanti a Saga quanto
tempo ci metterai per picchiarlo ed insultarlo”.
“Quello sicuro. Impara a fare il cretino
che ci tocca andare a cercare per il Mondo!”.
“Io non insulterei mai mio
fratello!” si
intromise Aiolia.
“Perché tuo fratello
è quasi sempre morto
o ben lontano da te” sorrise Kanon “Dovessi
sopportarlo tutto il giorno,
credimi, lo insulteresti. Per tutti i fratelli è
così!”.
“Non per me ed Aiolos!”.
“Ma sentitelo..sembra quasi uno di quegli
innamorati convinti che la sua storia d’amore sia diversa da
quella di tutte le
altre..”.
“Sei cinico”.
“Sono il fratello di Eros..”.
“Ma che razza di posto è mai
questo?” si
chiese Ipazia, facendosi spazio fra le spighe a fatica “Come
ci siamo
capitati?”.
“Non me lo chiedere. Se fossi da solo,
darei la colpa al mio cervello ma ci sei
tu..perciò..” rispose Arles,
guardandosi attorno.
“C’è una luce
laggiù” indicò la giovane
“Proviamo a raggiungerla?”.
“Non vedo alternative. Però
queste
spighe..che roba sono?!”.
“Cerco di non rovinarle. Magari sono di
qualcuno che poi si incazza..”.
“Hai ragione. Però sembrano
pronte per
essere mietute”.
“Vuoi fare il contadino?” rise
Ipazia.
“Magari avrei un futuro. Che ne
sai..”.
I due risero e ripresero il cammino, verso
quella luce. Nel nero del cielo apparve una porta.
“Che sia l’uscita?”
si chiese Arles, ormai
non stupendosi più.
Ma la porta era sbarrata e davanti ad essa
erano poggiate due falci.
“Ma che..”.
“Papà! Forse..”
ipotizzò Ipazia “..forse
dobbiamo usare quelle falci per mietere il grano”.
“Che?! Piuttosto mando le spighe in
un’altra dimensione!”.
“Cerca di collaborare! Qualcuno ci ha
spedito qui..tentiamo di seguire quel che ci ordina e
vediamo”.
“Dici sul serio?!”.
“Dai, che ti costa? Quanto tempo ci
metterai mai a finire un campo?”.
“Perché parli al singolare,
scusa?! Le
falci sono due! E questo campo è piuttosto
gigante..”.
“Chi ben comincia, è a
metà dell’opera!”
sorrise Ipazia, stringendo fra le mani una delle falci e porgendo
l’altra al
padre.
Deathmask guardò in giù,
verso la terza
casa. L’inquieto Tolomeo lanciava piccole scosse di cosmo,
nervoso e infuriato.
“Hei!” gridò il
Cancro “Ti dai una calmata
o vengo giù io a calmarti?!”.
“Non dirmi quel che devo fare!”
ribatté il
giovane.
“Mi infastidisci! Tieni a bada il tuo
cosmo!”.
“Migra!”.
Deathmask lasciò la sua casa, camminando
a
passo deciso fino alla terza.
“Che vuoi?!” ringhiò
Tolomeo “Sono
nervoso, lasciami in pace”.
“Lo vedo che sei nervoso. I tuoi capelli
hanno cambiato colore. Ma non è una scusa per insultarmi e
restare impunito!”.
“Vuoi mettermi in punizione?”.
“Senti, moccioso! Anche se sei un
semidio,
a me la cosa non interessa! Vedi di darti una calmata ed una regolata
altrimenti ti faccio vedere come i vecchietti del tempio risolvono le
questioni!”.
“Cioè?”.
“Non provocarmi”.
“Ma scusa, che vuoi?! Intanto questa
è
casa mia e faccio quel che voglio e poi ho le mie ragioni per essere
incazzato.
Atena ha mandato Kanon in missione e non me! Ha detto che io sono
troppo
coinvolto”.
“E mi pare abbia proprio ragione! Ma ti
sei visto?! Stai sragionando!”.
“Mio padre potrebbe essere morto e con
lui
mia sorella!”.
“E allora?! La morte è un
passaggio che
tutti dobbiamo affrontare e poi, anche se fosse, che potresti fare? Ha
mandato
in missione quei tre per cercare informazioni su possibili nemici, non
per
attaccar briga in preda all’isteria!”.
“Mi stai dando
dell’isterico?!”.
“Ti sto dando del pazzo isterico,
esattamente com’è tuo padre quando perde il
controllo”.
Tolomeo, di tutta risposta, urlò in
faccia
a Deathmask. Deathmask, mostrando uno strano autocontrollo, rimase
fermo per
qualche secondo. Poi colpì con un violento cazzotto il
giovane, che finì in
terra.
“Ecco” ghignò il
Cancro “Così risolviamo
le questioni noi vecchietti!”.
Gemini si rialzò subito ed
aggredì il
Cancro, prendendolo per il collo.
“Ti ammazzo, vecchio!”
urlò.
Deathmask si stupì, percependo un
così
notevole potere attorno a quel giovane. Ma, si disse, era del tutto
normale!
Tolomeo non era più un ragazzino, era un uomo, ed era per
giunta un semidio.
Per liberarsi, il Cancro lanciò un calcio al collega, che
però ricominciò
subito ad attaccare. Fra insulti e colpi, i due litiganti non
percepirono un
terzo cosmo entrare nella casa.
“Ma la volete finire voi due?!”
tuonò una
voce.
“Aldebaran!” si
arrestò Deathmask “Da
quando sei di nuovo al Tempio?”.
“Da pochissimo. Atena ci ha fatti
richiamare per una presunta emergenza. E voi mi state dando
fastidio”.
“Scusa” ridacchiò
Tolomeo, steso a terra,
tirando i capelli al Cancro.
Il giovane pareva aver ripreso un certo
autocontrollo, forse sfogandosi si sentiva meglio, ed i suoi capelli
stavano
tornando al solito rosso.
“Mi meraviglio di te,
Deathmask” incrociò
le braccia Aldebaran “Non dovresti dare l’esempio
alle nuove generazioni?”.
“Ma per favore! Quale
esempio?!” rise il
Cancro, rialzandosi e lasciando il collo di Tolomeo
“Bentornato a casa, Toro!”.
“Grazie..voi due però non
litigate più”.
“Va bene” annuì
Tolomeo, sentendosi come
uno scolaretto sgridato dalla maestra “Chiedo perdono.
È che..si tratta
comunque di mio padre. Anche se mi ha quasi del tutto ignorato, pur
avendogli
salvato la vita, mi preoccupo. Per non parlare di mia sorella, a cui
sono molto
legato e non sopporterei di perdere!”.
“Io non ho fratelli..” ammise
Aldebaran
“..ma posso capire”.
“Però..il cosmo di mio padre
è svanito da
pochissimo. Come hai potuto tu, Toro, raggiungere il Tempio tanto in
fretta?!”.
“Sono stato convocato giorni
fa!”.
“Ah..ma..” si stupì
Deathmask “..quindi
Atena aveva già percepito qualcosa di strano e non ce lo
aveva detto?!”.
“Te ne stupisci?” storse il
naso Tolomeo
“Gli Dei agiscono sempre in modo strano..”.
“Sì ed io sono vecchio per
queste cose”
concluse il Toro, divertito dall’occhio nero di Deathmask.
“Sembro l’oscuro
mietitore” rise Arles,
con la falce fra le mani.
il campo era ormai quasi del tutto
raccolto. Ipazia, lasciando che il padre svolgesse il lavoro
più pesante, aveva
raggruppato le spighe in fasci.
“Pensavo fosse più
facile” ammise lui,
dando le ultime falciate a quel campo apparentemente infinito.
“Ma come, non ti sei
divertito?” sorrise
la figlia “Mi sembra un ottimo allenamento”.
Si fissarono, entrambi piuttosto stanchi,
ma senza aver perso il buon umore.
“Papà! La porta!”
indicò Ipazia, vedendola
aprire.
Subito corsero per raggiungerla, temendo
di vederla chiudere di nuovo. Una volta che l’ebbero
attraversata, essa si
chiuse alle loro spalle e piombarono di nuovo nel buio.
“Riponete pure la falce” si
sentirono dire
“Ed accendete le torce”.
“Come?” domandò
Arles.
“Non avete qualcosa di apposito con
voi?”.
“No..”.
“Capisco..in questo caso, dovrete
seguirmi
al buio”.
Il figlio di Ares si illuminò
leggermente,
usando il cosmo e capì che di fronte non aveva di certo un
essere umano. Di
sicuro la sua testa non era umana.
“Oh..la tua luce mi sa che deve essere
stata scambiata da Seth per quella di Ra e per questo ha ribaltato la
vostra
barca..uno spiacevole equivoco che vi ha condotto nel regno dei
morti”.
“Regno dei morti?!”
sobbalzò Ipazia
“Siamo..morti?”.
“Mi duole confermarvelo. Sì,
siete
morti..”.
“E tu dunque sei..Anubis?”.
“E voi..voi non siete Egizi! Curioso che
siate finiti qui. Immagino sia sempre colpa del serpentone..”.
“No, aspetta!”
sbottò Arles “Io non posso
essere morto! Ho un sacco di cose da fare!”.
“Lo dicono quasi tutti, sai?
Seguitemi..”.
Ipazia prese per mano il padre ed insieme
si incamminarono dietro alla divinità dal volto di
sciacallo, che camminò
convinto per un tratto.
“Siete pronti ad essere
giudicati?”
domandò l’Egizio, davanti ad una porta ricoperta
di geroglifici oro.
“Giudicate prima me” rispose il
figlio di
Ares.
“Come mai tanta fretta?”.
“Perché qualsiasi peccato
abbia mai
commesso mia figlia, sarà di certo perdonato dopo aver udito
tutto quello che
ho combinato io in questi anni!”.
“Come preferisci..”.
“Che devo fare? Come mi devi
giudicare?”.
“Ah ma non sarò io a
giudicarti” ghignò,
forse divertito, Anubis “Ma loro!”.
L’Egizio accompagnò
quell’ultima frase
all’apertura della porta, che rivelò
un’immensa sala decorata. In essa, su due
balconate che percorrevano i due lati più lunghi della
stanza, sedevano in
silenzio delle creature di varia natura, che si voltarono
simultaneamente verso
coloro che stavano entrando. Al centro della grande sala, sulla parete
di
fondo, un trono vuoto ed una bilancia erano sorvegliati da colei che
pareva
essere una Dea. Fra i capelli di lei si vedeva una grossa piuma azzurra.
“La conosco questa storia..”
commentò
Arles “..e vi dico subito che il mio cuore pesa molto di
più di quella
piumetta!”.
Ares era perso nei suoi pensieri, cosa
rara. Distrattamente, lucidava uno dei tanti pezzi della sua armatura,
seduto
sul divanetto della tredicesima, posto sulla terrazza che dava
sull’anfiteatro.
“Signor Ares?” parlò
qualcuno ed il Dio
sobbalzò.
“Scusa. Non ti volevo
spaventare”
ridacchiò la voce.
“Non mi sono spaventato”
mentì la
divinità, girandosi e vedendo un piccolo gruppo di cavalieri
d’oro.
A parlare era stato Aphrodite, accanto ad
altri suoi colleghi.
“Che volete?”
esclamò Ares.
“Vorremmo chiedervi una cosa..”
rispose
Shura.
“E non è una cosa a cui
potrebbe
rispondere il vostro Gran Sacerdote?”.
“No”.
“Capisco..”.
Storcendo il naso, il Dio ripose il pezzo
della sua armatura.
“Vi ascolto” disse, ed i
cavalieri si
fissarono a vicenda, come a decidere chi dovesse parlare.
“Noi..siamo stati richiamati tutti
qui..”
parlò di nuovo Aphrodite “..e piano piano stiamo
rientrando al Tempio. Però non
in seguito al cosmo svanito di Arles ed il dubbio che gli Egizi lo
abbiano
attirato in una trappola. Atena forse sa qualcosa che non ci
dice?”.
“Perché lo chiedete a
me?!”.
“Beh..siete il suo
consorte..quasi..”.
“Ecco, QUASI! Molto QUASI! Non
è mia
moglie e non ho idea di che le passi per la testa. Dovreste chiedere
direttamente a lei..”.
“Non ci pare rispettoso”
rispose Aiolos.
“Capisco. Ed è per voi
più rispettoso che
sia io il pirla di turno che va a chiedere?”.
Qualche gold sorrise in modo stupido,
mascherando un certo imbarazzo ed annuendo.
“Che devo fare? Mi togliete voi il cuore
o
faccio da me?” chiese Arles.
“Prima devi rispondere ad alcune
domande”
spiegò Anubis “I 42 giudici della Dea Maat ti
chiederanno delle cose a cui tu
dovrai rispondere sinceramene. Non puoi mentire, o la Dea ti
punirà.
Normalmente, dovreste voialtri pronunciare i giuramenti e promettere
dinnanzi a
loro di non aver commesso determinati reati ma, visto che non siete
Egizi, non
potete conoscere questo rituale. Perciò saranno loro a
chiedere”.
“Sono pronto”.
“Poi toccherà alla
ragazza..”.
“Iniziamo, per favore!”.
Il primo giudice, che si definì
“dal lungo
passo”, fu il primo ad alzarsi e parlare: “Hai
commesso ingiustizie?”.
“Io? Direi un sacco” ammise
Arles.
“Hai commesso furti o
cattiverie?” domandò
il secondo giudice, “colui che abbraccia la fiamma”.
“Certo. L’ultimo furto che ho
commesso è
stata la barca che mi ha condotto qui e per quel che riguarda le
cattiverie..si
sprecano!”.
Uno dopo l’altro, i giudici si alzarono e
porsero la loro domanda. Il figlio di Ares, senza alcun timore, rispose
con
sincerità.
Il volto ritorto: “Hai mai commesso un
omicidio?”.
“Sì. Commesso omicidio e non
solo uno”.
Il fiammeggiante: “Hai rubato dei beni
alle divinità?”.
“Ad Atena un sacco..spero non lo
scopra..”.
Il rompi-ossa: “Hai ingannato qualcuno
con
le tue menzogne?”.
“Più di qualcuno”.
Aady: “Hai chiacchierato e dato voce a
malelingue?”.
“Colpa di Aphrodite ma sì,
sono un
pettegolo”.
La voce incantatrice: “Ti sei lasciato
sopraffare dall’ira, causando timore nel cuore della
gente?”.
“Un sacco di volte..”.
Il signore della verità: “Ti
sei lasciato
andare ai piaceri dell’alcol, alterando le razioni di
birra?”.
“A volte, è
capitato..”.
Uammety: “Hai avuto rapporti carnali con
una donna sposata?”.
“Questo è un punto
delicato..non facile
rispondere..ma diciamo che se dovesse capitarmi chi penso io
davanti..lo farei
senza alcun dubbio”.
Colui il cui viso è sulle sue spalle:
“Hai
avuto rapporti carnali con dei fanciulli?”.
“No, quello no! Almeno una cosa che non
ho
fatto. Non tocco i bambini..”.
Colui che vede: “Hai avuto rapporti
carnali, anche solo parziali, con persone del sesso opposto a quello
per cui il
tuo corpo prova attrazione?”.
“Cioè? Mi state chiedendo se
ho limonato
con qualche uomo? In gioventù..ammetto che è
successo”.
Colui che porta offerte: “Sei stato
violento?”.
“Parecchio”.
Il signore dei volti: “Sei stato
impaziente?”.
“Lo sono anche adesso”.
Il signore dalle corna: “Hai danneggiato
l’immagine
delle divinità”.
“Direi proprio di
sì..”.
Colui che comanda la gente: “Hai
insultato
le divinità?”.
“Sì. Questa cosa
continuerà ancora a
lungo? Ho commesso tutti i peccati possibili! Punitemi e facciamola
finita!”.
I giudici si fissarono. Mai prima d’ora
si
erano trovati davanti un uomo con così tante colpe nel cuore!
“Compisti un’opera buona nella
tua intera
esistenza?”.
Arles indicò Ipazia. “Lei e
Tolomeo, i
miei figli, penso siano le uniche cose positive compiute nella mia
vita. Anche se
sono stati concepiti con una donna che non è mia
moglie”.
I giudici rimasero in silenzio qualche
istante, fissandosi. Era giunto il tempo di pronunciare il verdetto..
Non riuscirono a parlare però,
perché la
terra tremò e qualcuno entrò di colpo nella
stanza, sfondando la porta da cui
padre e figlia erano entrati.
“I tuoi cavalieri sono dei piccoli rompi
cazzi” commentò Ares.
“Lo hai capito solo ora?”
sorrise Atena.
“Però mi hanno fatto sapere
una cosa. Perché
hai richiamato gli oro al Tempio? Che cosa hai percepito?”.
“Io sono a capo di tutte le
divinità, al
posto di mio padre Zeus. Quel che faccio, non sempre può
essere chiaro a chi
sta ad un livello inferiore”.
“Grazie per avermi dato
dell’inferiore..”.
“Da tempo avevo percepito il cosmo degli
Egizi. Aspettavo l’occasione per controllare..”.
“E perché non lo hai
detto?”.
“Non era ancora il tempo”.
“Credi scoppierà una
guerra?”.
“Penso che la cosa a te faccia
piacere..”.
“Non molto, lo ammetto”.
“Come sarebbe a dire?!”.
Ares non rispose. Atena lo fissò,
dubbiosa
e stupita.
“Cosa mi nascondi?” si dissero,
al’unisono.
“Meioo!” esclamò
Ipazia, capendo chi era appena
entrato.
“Hades..” commentò
Arles.
“Che sta succedendo qui?!”
esclamò il Dio
dell’oltretomba greco “Questi due non sono Egizi!
Sono sotto la mia
giurisdizione!”.
“Queste due anime sono giunte da
noi”
rispose Anubis “Perciò..”.
“Senti, Dio Canide, vedi di non farmi
incazzare! Il trono del tuo signore, Osiride, è vuoto.
Perciò, tecnicamente, il
vostro mondo dei morti non è completo o attivo. Non
sconfinate voialtri, perché
se mi girano le palle son dolori per tutti!”.
“Hades, io non cerco di rubarti il
lavoro.
Sono loro venuti qui, non io che me li sono andati a
prendere!”.
“Ed io me li porto via!”.
“No, aspetta! Perché sono
arrivati qui?!”.
“Ho seguito la luce del mio
anello” si
intromise Arles.
“Quale anello?” chiese Maat.
Il figlio di Ares lo estrasse, tirando la
catenina che teneva celata sotto la veste. Si avvicinò alla
Dea, che voleva
vederlo, e tentò di toglierselo di dosso per facilitare
l’operazione. Appena toccò
il gioiello, però, questi bruciò ed Arles dovette
lasciarlo.
“Come hai avuto
quell’anello?!” domandò la
Dea, stupendosi.
“Era l’anello di mia
moglie..”.
Maat chiamò Anubis ed entrambi
osservarono
il gioiello. Si fissarono qualche istante.
“Devi venire con noi”
parlò poi il Dio
dalla testa di sciacallo.
“Dove?!”.
“A palazzo. Tranquillo. La tua anima
è
salva, sarai ancora in vita. Ma dovrai venire con noi”.
“E mia figlia?”.
“Lei è morta”.
“Lei me la porto via io!”
sbottò Hades “Giù
le zampacce, egiziano!”.
“Come preferite. Al risveglio di Osiride,
staremo a vedere..”.
“Lo aspetterò a braccia
aperte!”.
Con un tono che non ammetteva repliche,
Hades afferrò Ipazia e la strinse a sé, facendo
arrossire la giovane. Spalancò le
ali, simpatico orpello che spuntava grazie all’armatura nera
ed argento, sollevandosi.
“Vai pure con loro senza timore,
Arles”
parlò “Penso io alla tua bambina. La
riporterò al Tempio di Atena sana e salva”.
“Posso fidarmi?!”.
“Di me sì. Tu trova Eleonore,
e saremo
pari!”.
Arles annuì. Ipazia protestò,
volendo
continuare l’avventura con il padre, osservandolo mentre
veniva portato
altrove, attraverso un’altra porta apparsa alle spalle del
trono vuoto.
“Non essere triste” le disse
Hades,
riportandola in fretta nel mondo dei vivi
“C’è qualcosa che posso fare per
tirarti su il morale?”.
“Io..mmm..posso giocare con
Cerbero?”
ghignò lei.
Spero
che questa piccola cosa vi piaccia J i 42 giudici sono tratti dal “libro dei
morti” egizio, una delle tante interpretazione che ho
trovato. Spero sia di
vostro gradimento ;)
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Capitolo 12 *** XII- incontro di religioni ***
XII
INCONTRO
DI RELIGIONI
“Dove mi state portando?”
domandò Arles,
seguendo Anubis fra stretti corridoi decorati e labirintici.
“A palazzo” rispose il Dio,
semplicemente.
“Quale palazzo?”.
“Lo vedrete”.
“Posso togliermi una
curiosità? Se Hades
non fosse intervenuto..che mi sarebbe capitato?”.
“Con un tale carico di peccati, la vostra
anima sarebbe stata sbranata e distrutta”.
“Bello..”.
“Ma non credo che il giudizio di fine
vita
sia una novità per voi, dico bene?”.
“In che senso?”.
“Siete già morto altre volte.
Giusto?”.
“Sì. Vero..”.
“Vedo la vostra anima.
Piange..”.
“Me ne sbatto se piange! Io devo tenere
alta
la testa, nonostante le molte ragioni che avrei per chinarla”.
“Siete un uomo forte..”.
“No, sono un uomo riconoscente. I miei
figli hanno rischiato la vita per salvarmi, perciò il minimo
che posso fare è
andare avanti e combattere”.
“Questo vi rende felice?”.
“Non penso che ti riguardi,
Anubis”.
L’Egizio non rispose. Si erano fermato
dinnanzi l’ennesima porta.
“Prego..” indicò,
facendo segno ad Arles
di entrare.
“Solo io?”.
“Io devo tornare al lavoro..sbrigatevi.
La
regina vi attende”.
Il figlio di Ares spinse la porta e questa
si aprì, brillando di luce oro. Si ritrovò in una
stanza di quel colore,
riccamente decorata a geroglifici e tendaggi, con statue e colonne
terminanti
con petali di pietra dura. Si guardò attorno, quasi accecato
dalla luminosità
di quel luogo. L’anello bruciava sempre di più,
illuminandosi.
“ Ary!” si sentì
dire.
Si girò verso quella voce, riuscendo
finalmente a vedere nonostante la luce, e trattenne il fiato.
“Eleonore!” esclamò.
Dopo aver sedato l’ennesima rissa fra
Milo
ed Aiolia, Kanon distolse lo sguardo dai colleghi. Avvolto da una
nebbiolina
simile ad un miraggio, scorgeva un gruppo di persone oltre le rovine.
Era reale
o sono uno scherzo che subiva la sua vista?
“Che ti prende?” chiese lo
Scorpione,
prima di scorgere anche lui la stessa cosa.
“Un esercito?” si
allarmò il Leone “Lo
vediamo solo noi?”.
“Probabilmente..”
ipotizzò Kanon “..è
celato da una sorta di barriera, simile a quella che avvolge il
Santuario. Per
chi possiede un cosmo, è visibile. Ma per gli altri
è solo un mucchio di
rovine..”.
L’enorme tempio di Abu Simbel, con le
imponenti statue, fissava i tre cavalieri. Ma era molto diverso
rispetto a come
lo vedevano i comuni mortali: le statue erano integre e colorate, come
se i
millenni non fossero trascorsi. Poco distante, un esercito si stava
radunando.
“Che significa?” chiese Aiolia
“Dobbiamo
informare subito Atena!”.
“Un attimo! Forse è meglio
prima
verificare certe cose. Facciamo un giro..” lo
fermò Milo.
“Cosa c’è da
verificare?! Non lo vedi che
è un esercito?!”.
“Lo vedo ma..magari..”.
“Magari?”.
“Non so. Non mi viene in mente niente di
buono da fare con un esercito”.
“Tentiamo di scoprire qualcosa di
più”
propose Kanon “Così da fornire ad Atena
più informazioni possibili”.
“Hai ragione..ma cerchiamo di non farci
notare. Siamo solo in tre contro..millemila!” rispose lo
Scorpione.
“Millemila?!”.
“Eleonore!” mormorò
Arles, vedendola.
Era diversa. Era vestita, pettinata e
truccata come un’egiziana. Però era viva! E stava
bene! Lei rimase qualche
istante immobile, fissandolo, poi corse e lo abbracciò,
chiamandolo per nome.
“Sei sveglio. Stai bene!”
parlò “Che bello
vedere che sei sfuggito dalla tua illusione!”.
“Sì..è stato..anche
merito tuo”.
Il figlio di Ares si lasciò abbracciare.
Dopotutto le era tanto mancata quella donna, colei che tanto tempo
prima era
stata la sua sposa.
“Cosa ci fai qui, Eleonore? E..i tuoi
capelli..le tue vesti..il tuo viso..”.
“Ti piacciono? È una lunga,
lunghissima
storia. Ma non so se avrò il tempo di
raccontartela”.
“Perché?”.
“Quanto manca alla luna piena?”.
“Non lo so. Però sono partito
in una notte
senza luna quindi credo che manchino almeno una decina di giorni, forse
anche
di più. Perché lo chiedi? Che succede?”.
Lei tornò a farsi stringere e lui
capì che
qualcosa la spaventava.
“Non temere” tentò
di rassicurarla,
pregando che Hades non lo vedesse mentre abbracciava la consorte
“Ora ci sono io
qui e ti porterò al sicuro”.
“Non puoi portarmi via da
qui..”.
“Hades ti sta aspettando. Devo riportarti
da lui”.
“Hades?” esclamò
lei, allontanandosi “Lo
fai per Hades, non per me?”.
“Eleonore, tu non sei più mia
moglie. Ora
appartieni ad Hades”.
“Io appartengo solo a me
stessa!”.
“Lo so..”.
“E allora perché sei
qui?”.
“Perché ho fatto una promessa.
E perché ti
amo come il primo giorno in cui ti ho vista. Però..la morte
ci ha separati. Ed
io non posso far altro che tentare di renderti felice entro le mie
possibilità.
Non sono più tuo marito, non sono più il tuo
amato ma..voglio saperti al
sicuro”.
“Però mi ami
ancora?”.
“Certo..ma tuo figlio
nell’oltretomba ha
bisogno di te”.
“Mio figlio è adulto ormai.
Non ha bisogno
di me. Nessuno ha bisogno di me”.
“Hades ti cerca disperatamente. E poi..io
ho bisogno di te! Ho bisogno di sentirti al sicuro e felice”.
“E se ti dicessi che da Hades non sono
felice?”.
“Tenterei con ogni mezzo di ridarti la
felicità”.
“Anche a costo di sfidare
Hades?”.
“Io..se tu lo desideri, sì, lo
farei”.
“Però..ormai è
tardi”.
“In che senso è tardi?! Per
cosa è tardi?!
Eleonore..”.
“Zitto! Forse abbiamo ancora un
po’ di
tempo per noi..”.
Lei si avvicinò, poggiandosi nuovamente
al
petto del suo antico compagno, che la fissò.
“L’hai tenuto..”
commentò Eleonore,
trovando l’anello appeso alla catenella.
“È tuo. Appartiene a te. E mi
ha guidato
qui. Puoi riaverlo..”.
“Tienilo tu. Così ti
ricorderai sempre di
me..”.
“Non potrei comunque mai dimenticarti.
Mai. Qualsiasi cosa accada, io ti penserò sempre”.
“Quanto sai essere schifosamente
romantico”.
“Già. Quasi
nauseabondo..”.
“Nel tutto nauseabondo”.
Lei rialzò leggermente il capo e si
alzò
sulle punte. In questo modo, sfiorò le labbra di Arles, che
però si ritrasse.
“Eleonore..”mormorò
“..la morte ci ha
separati”.
“Chiederò ad Anubis di
rimediare..”.
“Eleonore..”.
“Amore mio..”.
Nuovamente le loro labbra si avvicinarono
e questa volta Arles non oppose resistenza. Con un lievissimo scatto
del viso,
la baciò e la strinse a sé. Non sapeva
dov’era, quel che stava accadendo,
perché si trovasse in quel luogo e perché lei
dicesse di avere poco tempo, ma
non gli importava. Voleva solo sentire quelle labbra contro le sue. Lei
allungò
una mano, per affondarla nei capelli di lui e, così facendo,
gli ornamenti
egizi che decoravano la capigliatura della sposa di Hades tintinnarono.
“Dei, quanto mi sei mancato”
sospirò lei,
sempre rimanendo abbracciata ad Arles.
“Anche tu mi sei mancata..ma questa
rientra nelle frasi fatte che si dicono, giusto?”.
“Quelle schifosamente romantiche,
sì..”.
“Perché piangi,
Eleonore?”.
“Non piango..”.
In realtà, lei stava versando calde e
piccole lacrime, pur cercando di celarlo.
“Perché piangi,
Eleonore?”.
“Te lo spiegherò..ora
però stringimi
forte, come se non dovessi lasciarmi mai!”.
Il figlio di Ares la strinse forte e la
sentì tremare, forse singhiozzando. Ma che succedeva?
Perché non voleva dargli
spiegazioni?!
“Ary!” esclamò lei,
di colpo, con un tono
quasi di supplica “Stringimi forte, tienimi stretta, non
lasciarmi più!”.
“Eleonore..”.
“Ho bisogno di te! Ho bisogno di te,
amore
mio”.
“Sono qui, non avere paura..”.
“Io ho tentato! Ho tentato di combattere
ma..non ci sono riuscita!”.
“Combattere? Contro chi?
Spiegami..”.
“Oh, Ary..baciami. Baciami ancora. Il tuo
amore..mi rende forte! Questo contatto con te..mi dona
serenità. Ed è
bellissimo. Mi sento più..potente!”.
“Un mio bacio ti fa sentire
più
potente?!”.
“Figlio di Dio. Figlio della guerra. Il
tuo tocco mi spinge a combattere!”.
“Lieto di saperlo, ma..”.
“Baciami!”.
Eleonore lo zittì, con un bacio
appassionato, mentre con le mani stringeva forte a sé chi
aveva di fronte.
“Ho bisogno di questo tuo
potere” mormorò
lei “Voglio combattere”.
“Se è questo che desideri, e
se questo ti
aiuta, io..”.
“Fammi tua!”.
“Che..?”.
“Prendimi e fammi tua. Sai bene come si
fa! Se un solo bacio mi dona una tale forza, allora se io facessi
l’amore con
te so che potrei sconfiggere chiunque! Perfino un Dio!”.
“Devi lottare contro un Dio?!”.
“Arles! Smettila di parlare!”
con
quell’esclamazione, lei guardò negli occhi chi
aveva di fronte con la decisione
di chi non ammetteva repliche “Smettila di parlare”
ripeté più dolcemente.
“Oh, piccola mia..io..non posso! Io
non..”.
“Hades non lo verrà mai a
sapere! Lo
sguardo degli Dei Greci non può penetrare la barriera di
questo palazzo.
L’unico modo che hanno per vederci è entrarci e
scoprirci. Ma qui non ci sono
altre persone, se non noi due”.
Arles rimase qualche istante in silenzio.
Era confuso e, doveva ammetterlo, l’idea di soddisfare i
desideri di Eleonore
non gli dispiaceva affatto. Però sapeva che era in un certo
modo sbagliato. Del
resto..aveva commesso praticamente tutti i peccati dei 42
giudici..perché non
confermare quello che riguardava il giacere con una donna sposata?
“Amore mio..”
sussurrò ancora lei,
accarezzandogli i capelli e dandogli piccoli baci.
“Mia dolcissima Eleonore”
rispose lui
“..mia sposa..”.
Lei sorrise, mentre lui la baciava e la
stringeva sempre di più. Contro una di quelle pareti
decorate a geroglifici,
Arles la sentì fremere e non dai singhiozzi o dalla paura.
Fremeva di piacere e
la cosa lo faceva impazzire. Fanculo anche Hades! Poteva venire lui a
salvarsela, se davvero l’amava come diceva! E fanculo il
mondo intero e quel
che diceva! Lei era sua! Quella donna era sua, e di
nessun’altro!
“Nessun’altro ti
avrà” le disse, in un
sospiro “Sei solo mia, mia Eleonore”.
“Io voglio te. Voglio solo te”
rispose lei,
ansimando.
Il figlio di Ares la sentiva gemere di
piacere e la stringeva più forte. Le braccia di lei si
allungarono, fra i capelli
neri di lui e poi si strinsero. Si strinsero forte attorno al collo di
Arles.
Lui la fissò, tentando di capire se fosse uno strano
giochetto erotico o altro.
Lei ghignò e poi ringhiò di rabbia. I suoi occhi
avevano cambiato colore e
quelle mani stringevano forte, sempre di più.
“Chi cazzo sei?!”
riuscì a dire lui,
liberandosi e finendo in terra, tossendo per recuperare ossigeno.
“Atena!” chiamò
Aiolos, inginocchiandosi
poi rispettosamente dinnanzi la sua Dea.
“Che succede?” si
allarmò lei, che se ne
stava sulla terrazza della tredicesima a discutere con Ares.
I due Dei si erano fatti raccontare dalla
appena rientrata Ipazia quanto successo e stavano decidendo il da
farsi. La
faccenda dell’oltretomba Egizio non gli piaceva per niente..
“Mia signora, è stata
catturata una donna
che si aggirava per il santuario” spiegò il
Sagittario.
“Una donna?”.
“Sì. Non è una di
noi. Pensiamo ci stesse
spiando. È stata ferita dalle rose di Aphrodite, non
può fuggire”.
“Dove si nascondeva?”.
“Volava di notte..”.
“Volava?!”.
“Sì..lei ha..le ali”.
Ares girò leggermente la testa ma non
commentò.
“Le ali?” chiese conferma Atena
“Sicuri
non sia Nike?”.
“Sì, siamo sicuri. Camus dice
di averla
vista dare ordine a Saga di lasciare il Tempio”.
“Lo ha spinto a cadere in trappola? Chi
è
costei?”.
“Non vuole parlare. Ma non è
in grado di
volare per ora”.
“Portami da lei. Voglio vedere di persona
questa simpaticona che spedisce i miei cavalieri a morire”.
“Come osi toccarmi, mortale?”
parlò
Eleonore, con una voce che non le apparteneva.
“Non sono un mortale. E tocco quanto mi
pare!”.
“Hum..non sei
mortale..già..è vero”.
Lei si pulì la bocca, come se fosse
entrata in contatto con qualcosa di disgustoso.
“Chi sei? E che hai fatto ed
Eleonore?”.
“Eleonore? Ah..immagino sia il nome di
questa
ragazza che mi ospita”.
“Ospita?!”.
Arles si rialzò, sfiorandosi il collo
dove
erano rimasti i segni delle mani della donna.
“Io sono Iside, Greco. E colei che tu
chiami Eleonore è il corpo che ho scelto. Si adatta
perfettamente a me e
presto, alla prossima luna piena, avrò il pieno controllo e
l’essenza di questa
mortale svanirà del tutto dalla mia testa.
“Svanirà?!”.
“Sei stupido o sordo? Svanirà,
sì. Resterà
solo un corpo vuoto, che apparterrà solo a me,
Iside”.
“E non puoi usare il tuo vero corpo,
scusa?”.
“Il mio vero corpo era custodito ad Abu
Simbel, nella sua collocazione originale. Ma, come spero tu sappia,
quel luogo
non esiste più. Le rovine sono state spostate, ma il mio
corpo è rimasto dove
stava”.
“Sotto l’acqua della diga di
Assuan?”.
“Almeno la storia la sai..”.
“E..perché proprio
Eleonore?”.
“Non l’ho scelta io. Non
guardarmi come un
cucciolo bastonato. È estremamente difficile trovare un
corpo che si adatti
perfettamente alle esigenze divine. Questa ragazza è nata
per questo. Ho aspettato
secoli e secoli prima di riuscire nel mio intento”.
“Ma..io..”.
“Tu la ami, lo percepisco. E ti capisco.
Anch’io ho perso il mio amato Osiride e non riesco a
trovarlo. Cerco un corpo
ospite per lui o la sua rinascita, ma fin ora senza successo. Tu
potresti anche
andare bene, non fosse per il fatto che sei già in possesso
di un potere divino
ben diverso da quello del mio consorte. Un potere divino che non
conosco..chi
sei?”.
“Sono il figlio di Ares, Dio Greco della
guerra. Un tempo Sacerdote e cavaliere di Atena”.
“Greco..sì..ma
c’è dell’altro..qual è il
tuo nome?”.
“Vengo chiamato in tanti modi. I
più
gettonati sono Saga o Arles”.
“Intendo il tuo vero nome”.
“Quale vero nome?”.
“Tutti gli Dei ne hanno uno. Tuo padre,
per esempio, se dovesse morire e rinascere in un corpo ospite di nome
Pompolo
avrebbe comunque come vero nome quello di Ares. Comprendi? Non voglio
il nome
del tuo corpo, ma quello della tua essenza divina”.
“Non so di che parli. Io non sono una
rinascita. Sono una divinità nuova, nata da Ares e da una
mortale, in
quest’epoca”.
“Comprendo. Un Dio nuovo. Che cosa
carina..e che cosa governi?”.
“Le illusioni”.
“Bello. Però immagino che ora
per te sia
giunto il tempo di tornare a casa. Non è il tuo posto qui,
Greco..”.
“Iside..” mormorò
Arles, inchinandosi
“..permettetemi di restare qui, fino alla luna
piena”.
“Per quale motivo?”.
“Fino alla luna piena, potrò
ancora
scorgere l’essenza della mia amata. Anche se solo per poco,
permettetemi di
poterle stare accanto negli ultimi giorni della sua esistenza.
Permettetemi di
dirle addio”.
Iside rimase in silenzio.
“Un
Greco..” mormorò “..figlio di un Dio e
Sacerdote di Atena..a mio servizio..per
amore? Sì..potresti risultarmi utile. Strascorsa la luna
piena, fa quel che
credi”.
Arles alzò la testa e vide sul volto di
lei scorrere una piccola lacrima. La Dea si voltò, forse
vergognandosene.
“Però fatti vestire in modo
decente”
aggiunse, congedando il figlio di Ares “Non li sopporto gli
stracci greci”.
“Ha riaperto gli occhi”
esclamò Deathmask,
con un sorriso sadico.
“Dove sono?” domandò
la donna, gemendo poi
per il dolore che percepiva all’ala, colpita dalla rosa di
Pesci.
“Chi sei?” le chiese Atena
“Non sei
Egizia. E nemmeno Greca”.
“Esistono forse solo due
religioni?”
rispose l’alata.
“Non rispondere alla mia domanda con
un’altra domanda! Chi sei?”.
“Lasciatemi andare. Non ho intenzioni
cattive”.
“Cosa ci facevi al mio Tempio? E
perché
hai spinto Saga ad andare in Egitto? A cadere in trappola?”.
“Io non ho spinto Saga a cadere in
trappola! L’ho spinto a seguire la sua strada. Credevi forse
di tenerlo
imprigionato qui? La sua anima non ti appartiene!”.
“La sua anima non sono affari
tuoi!”.
“Atena..” si intromise Ares
“..cerca di
calmarti”.
“Tu non puoi dire una frase del
genere!”
quasi rise la Dea “Questa donna è
un’intrusa e per giunta non è Greca. Non
appartiene al nostro culto ed ha spinto tuo figlio verso la morte. Non
vuoi
sapere perché?”.
“Atena..io..”.
Ares fissò l’alata negli
occhi. Lei
sostenne quello sguardo e scosse leggermente la testa.
“Pft!” sbottò allora
Ares “Non è compito
mio perché mio figlio sia votato al suicidio! Non
è certo colpa di questa
femmina se si è allontanato. Poteva usare il cervello e
restare qui”.
“Tu ora mi dirai quel che
sai..” lo ignorò
Atena, ricominciando a porre domande all’alata
“..e, se non lo farai, ti terrò
qui al Tempio. Prima o poi parlerai!”.
“Io non ho niente da dirti”.
“Chi sei? Chi ti manda?”.
“Non mi manda nessuno e chi io sia non
deve importarti!”.
“Benissimo..Aiolos, sorvegliala. Sa
sicuramente qualcosa che non vuole dirci! Sai quali siano le nostre
prigioni”.
Il Sagittario annuì. Atena si
congedò,
lanciando solo un’ultima occhiata verso Ares.
“Ah, capelli da Greco!”
sospirò una delle serve
egizie, spazzolando vigorosamente i capelli di Arles.
“Cerca di essere delicata”
commentò Thot,
che fissava incuriosito quell’intruso “Non devi
mica torturarlo”.
“Non sono lisci. E tutti questi boccoli
che se ne vanno in giro a caso..” continuò la
serva, storcendo il naso.
“Abbi un po’ di
pazienza..”.
Arles rimaneva in silenzio, fissando
l’anello
che ora non bruciava più e nemmeno brillava.
Sospirò, non sapendo che altro
fare.
“Non siate triste, Greco. Ci sono
migliaia
di buone ragione per sorridere su questa Terra!” gli
parlò Thot.
“E voi chi sareste? Scusi, non ho molta
voglia di conversare..”.
“Io sono Thot..”.
“Il Dio dalla testa di..cosa? Mi perdoni,
ma non riconosco la bestia..”.
“Ibis. È una testa di Ibis ed
io sono il
messaggero di Ra, nonché guida di Osiride. Attendo il suo
ritorno, esattamente
come la regina Iside”.
“Buon per voi..”.
“La regina è stata molto
misericordiosa
con voi. Come Greco, avrebbe potuto dare ordine di uccidervi”.
“Ha fatto di peggio..”.
“La vita è un bene prezioso.
Non dovreste
parlarne come non fosse di alcun valore..”.
“Non ho voglia di parlare..”.
“Conosco la vostra storia. E so
perché la
regina vi ha risparmiato. Lei conosce bene quel che significa soffrire
per la
persona amata. La conoscete la storia di Iside ed Osiride?”.
“L’uomo fatto a pezzi nel fiume
e la donna
che lo ricompone? Sì..vagamente..”.
“Voi siete un Dio. L’essenza di
quella
femmina che amate si dissolverà alla prossima luna piena ma
prima o poi
tornerà. E voi non avete forse
l’eternità per attenderla? Come sta facendo ora
Iside con Osiride?”.
“Non sono sicuro di avere
l’eternità. Sono
figlio di un Dio e di una mortale, e ancora il mio potere non si
è risvegliato
del tutto”.
“In questo posso darti una mano. I miei
poteri magici sono famosi..”.
“No grazie. Mi spaventa l’idea
di avere i
miei poteri nel massimo della loro forza”.
“Per quale motivo?”.
“Non so se sono in grado di
controllarli..”.
“Un potere altalenante è
più complesso da
gestire rispetto ad una forza stabile”.
“Starò qui solo fino alla luna
piena, non
fatevi troppi problemi per me”.
“Maledetti capelli..”
protestò ancora la
serva “..sono così dannatamente lunghi!”.
“Non osare tagliarli!”
sibilò Arles “So
che a voialtri piacciono le parrucche!”.
“Non li taglio. Ma forse li potrei
coprire
con un copricapo..per coprire questi ciuffi a casaccio!”.
“Mettigli il copricapo blu. Tanto non ci
sono faraoni da queste parti a reclamarlo” suggerì
Thot.
“Hai ragione”.
Arles non disse nulla. Doveva sopportare
tutto solo fino alla luna piena. E nel frattempo doveva trovare una
soluzione..
Aiolos intravide nel buio tre figure
avvicinarsi. A guardia di Capo Sunio, il luogo dove un tempo era stato
rinchiuso Kanon, controllava che nessuno si avvicinasse alla
prigioniera.
“Chi va là?”
domandò, non riuscendo bene a
distinguere nel buio chi si stesse avvicinando.
“Liberate subito nostra madre!”
rispose
una voce femminile “Non costringeteci a smuovere le schiere
Celesti!”.
Aiolos preparò il suo arco. Si
fermò,
notando che davanti a sé aveva 3 donne, alate come colei che
se ne stava
imprigionata.
“Chi siete?” insistette il
cavaliere.
“Io sono Vera, la fede. Loro sono le mie
sorelle: Nadijeshda, la speranza e Ljubow,
l’amore. E siamo qui per
liberare nostra madre, senza coinvolgere altre milizie non necessarie.
Un atto
di pace. La liberate e non accadrà nulla di male”.
“Pensate
forse di spaventarmi? Fate un passo indietro. Non libererò
colei che dite
essere vostra madre”.
“Ne
pagherai
le conseguenze, misero uomo!”.
“Io
sono un
cavaliere di Atena, non un misero uomo! Tornatevene da dove siete
venute, o vi
colpirò con le mie frecce e mirerò al
cuore!”.
Poi un rumore improvviso lo fece voltare. E
preparò l’arco, pronto a colpire.
“Pare proprio un esercito.
Immenso..”
commentò Aiolia.
“Chissà chi hanno in mente di
attaccare!”
si unì Milo “Se solo capissimo una sola parola di
egiziano..”.
“Sono capacissimi di parlare anche altre
lingue. Fra divinità comunicano, anche se di religioni
diverse! Quindi qualcuno
che possa parlare con noi ci deve essere!” esclamò
Kanon “Continuiamo ad
esplorare”.
Voltandosi, i tre si accorsero che davanti
a loro, fra la sabbia, erano celati degli scorpioni. Erano di
dimensioni
notevoli, rispetto al normale.
“Sono i tuoi parenti venuti a
trovarti?”
ridacchiò Aiolia, rivolto a Milo, mascherando il timore che
gli provocavano
quelle bestie.
“Ma taci. E pensa ai parenti
tuoi!” gli
rispose lo Scorpione, indicando una figura che era apparsa alle loro
spalle.
“Greci” sbottò la
figura “Greci
dappertutto. Spuntate come funghi”.
“Bastet?” ipotizzò
Kanon, vedendo
sopraggiungere una donna con testa di gatto.
“Avete sconfinato, belli!”
esclamò la Dea
Egizia “Quel che accade qui non sono affari vostri o delle
vostre divinità
impiccione!”.
Ares sorrise. quelle tre femmine avevano
distratto Aiolos al momento giusto! Fra le rocce, sbirciò
all’interno della prigione
di Capo Sunio. La donna alata se ne stava rannicchiata in un angolo,
probabilmente sofferente a causa della ferita provocatole dalle rose di
Aphrodite.
“Avanti! Ti porto fuori!” la
chiamò Ares.
“Ma cosa ci fai qui?! Se ti dovessero
scoprire..” rispose lei “E poi..io non posso
volare. La mia ala destra è
danneggiata”.
“Volo io per te”
ghignò il Dio,
spalancando le ali della sua armatura.
Usò il suo cosmo per aprire un varco
nella
cella, permettendo all’alata di uscire.
“Il prestante cavaliere in
armatura..”
ridacchiò lei, mentre lui la sollevava e si librava in aria.
“Fai silenzio! Aiolos è
distratto ma non
lo sarà a lungo”.
“Va bene..ti ringrazio..”.
“Zitta! Guarda te cosa mi tocca
fare..”.
Il Dio si alzò in volo, tenendo stretta
la
donna, che trattenne il fiato, provando un’improvvisa
stilettata di dolore all’ala.
“Fuga!” sentì
gridare il Sagittario “Qualcuno
sta portando via la prigioniera!”.
Avvolto e celato dal buio, Ares si
sollevò
in cielo, schivando le frecce ed i colpi delle guardie. Quei soldati
semplici
non potevano sperare di colpirlo! Si allontanò in fretta,
seguendo la linea
degli scogli. Doveva solo portarla al sicuro e tornare al Tempio..senza
che
nessuno lo collegasse a quella faccenda!
“Scendi” parlò lei
“Lasciami pure qui, me
la caverò. Qui è sicuro”.
“Ne sei certa?”.
“Sì. Torna al Tempio. Non ci
inseguono più”.
Ares guardò lungo la costa e non vide
pericoli. Doveva essere riuscito a seminare le guardie. Ancora un paio
di colpi
d’ali con la scintillante armatura, cercando un luogo dove
atterrare senza dare
nell’occhio.. Poi ringhiò e sobbalzò di
colpo. Qualcosa aveva trapassato il suo
corpo e si era piantato in una delle ali dell’armatura,
danneggiandola.
“Fottiti, Aiolos!”
ringhiò, riconoscendone
la freccia d’oro.
Scuotendosi, riuscì a liberarsene,
facendola cadere fra gli scogli sottostanti.
“Ares!” lo chiamò,
preoccupata, la donna
alata.
“Non agitarti..” si
sforzò di fare lo
splendido lui.
In realtà non riusciva più a
rimanere in
aria con l’armatura in quello stato. Iniziò a
precipitare, tentando però di
guidare la discesa verso un luogo adatto. Cadde in malo modo,
però si voltò in
modo tale da proteggere la donna.
“Ares!” chiamò
ancora lei.
“Sto bene” mentì,
ancora sforzandosi di
sembrare invincibile “Dobbiamo nascondersi. Verranno a
cercare la freccia..”.
“Per di qua” indicò
la donna, prendendo
per mano il Dio e tirandolo.
Insieme corsero per un breve tratto,
udendo voci di guardie e cavalieri.
“Presto, va via!”
parlò ancora l’alata,
nascondendosi fra gli scogli “Lasciami pure qui. Se ti
dovessero trovare..”.
“Ma che dici? Avanti, andiamo. Conosco un
posto”.
Ares conosceva bene la terra di Grecia,
l’aveva
vista ed attraversata più e più volte,
perciò non ebbe difficoltà a trovare un
nascondiglio lì vicino. Uno dei tanti posti dove andava a
divertirsi con la Dea
Afrodite, lontano da sguardi indiscreti e divini. L’alata
entrò in quel luogo,
una piccola grotta scavata fra gli scogli, dopo aver percorso a piedi
scalzi la
salita che la precedeva. Si voltò e vide Ares arrancare
leggermente ma poi
sorrise, quando la raggiunse.
“Qui saremo al sicuro?” chiese
lei.
“Solo io ed Afrodite conosciamo questo
luogo. Da millenni” sorrise lui “Puoi stare
tranquilla”.
“Sì. Resterò qui
finché il pericolo non
sarà passato. Tu, però, devi tornare al
Santuario! O noteranno la tua assenza”.
“Non posso tornare al
Santuario”.
“Perché?”.
Ares gemette.
“Fottiti, Aiolos..”
riuscì a dire
soltanto, cadendo in avanti, con l’armatura danneggiata che
lo lasciava per
ricomporsi a totem poco più in là.
Sì..ho
studiato storia delle religioni perciò aspettatevi parecchio
casino mitologico/religioso
XD spero di vostro gradimento!
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Capitolo 13 *** XIII- angeli e Dei ***
XIII
ANGELI
E DEI
Con negli occhi l’entusiasmo di chi
è
stato buttato giù dal letto a forza molto prima del solito,
Phobos attendeva
ordini. Sapeva che muoversi dal Santuario senza il permesso di chi lo
comandava
avrebbe solo accentuato gli attacchi isterici di Atena, e lui certe
cose le
detestava! Troppe volte si era dovuto trattenere
dall’ucciderla scaraventandola
giù fin alla prima casa. Stava affilando una delle spade del
padre, vedendo
Deimos spiccare il volo per andare chissà dove, alla ricerca
della fuggitiva e
del genitore.
“Chiunque tu sia..” disse,
senza voltarsi
“..ti consiglio di farti vedere. So che sei
lì..”.
Un’ombra si fece strada fra le colonne.
Il
figlio di Ares girò solo leggermente la testa, vedendosi
raggiungere da una
donna abbigliata con una lunga veste bianca.
“Chi sei?” domandò
“E come ci sei arrivata
fino alla tredicesima?”.
“Sono venuta a cercare mia madre. Dimmi
dove si trova!”.
“Allora..punto primo: non ho idea di chi
sia tua madre. Punto secondo: non puoi darmi ordini!”.
“Mia madre è stata catturata
dal
Santuario”.
“Ah, capisco. È quella donna
alata, dico
bene?”.
“Sì, è lei. Dove si
trova?”.
“Non ne ho idea!”.
“Dimmelo subito!”.
“Datti una calmata, femmina!”
ghignò
Phobos, alzandosi e cercando di andare altrove.
“Come osi parlarmi in questo
modo?!”.
“E come altro dovrei parlarti?! Sei una
nanerottola in camicia da notte con il faccino imbronciato!”.
La donna scattò e tirò una
sberla a
Phobos, che ringhiò.
“Hai commesso il tuo ultimo errore,
nanetta!” la minacciò, afferrandola per i polsi
“Ti massacrerò! Credi forse che
mi fermi dinnanzi al fatto che sei una donna?!”.
“Lasciami! Non costringermi a richiamare
le schiere celesti!”.
“Ma che cazzo stai blaterando?! Pensi
forse di spaventare me, Dio della paura?!”.
La donna si agitò e, sollevata da terra
da
Phobos, fece apparire le sue ali e le spalancò. Questo
provocò uno spostamento
d’aria improvviso. Il Dio, d’istinto, la
lasciò andare.
“Ma tu..” commentò
“..tu hai le ali!”.
“Sì. Anche se riesco a celarle
in modo da
passare inosservata. Sono giunta volando fino a qui, spilungone dal
cervello
fino”.
“Non offendere il mio cervello,
cornacchia
fastidiosa!”.
“Sciocco politeista! Dio di una religione
ormai morta!”.
“Io ti spiumo, ocaccia
starnazzante!”.
La donna lo respinse sbattendo le ali e
Phobos la fissò, con occhi fiammeggianti, pronto a saltare
ed affrontarla.
“Io voglio solo sapere
dov’è mia madre!” tentò
di fermarlo lei.
“E allora?! Anche mio padre è
sparito, ma
non per questo vado in giro
a scassare i
coglioni!”.
“Oh..anche tuo padre
è..fermiamoci un
attimo! Siamo partiti con il piede sbagliato”.
Phobos fissò la donna, alzando un
sopracciglio.
“Io mi chiamo Nadijeshda e sono venuta
qui
a cercare mia madre. Mi avevano detto che era stata rinchiusa, ma ora
non si
trova più in prigione così io le mie sorelle ci
siamo divise per cercarla.
Perdona il mio atteggiamento sconveniente ed irritante. È
che sono
nervosa..mamma mi ripete sempre che ho un caratteraccio..non mi
picchiare..”.
“Non lo faccio solo perché ho
sonno. Mi
hanno svegliato per dirmi che la prigioniera, la tua amata mammina, era
fuggita. La stanno tutti cercando”.
“E tuo padre?”.
“Mio padre pure è scomparso ma
non mi
preoccupo troppo. È un uomo adulto. Più che
adulto..”.
“E se fossero insieme?”.
“Non so. Avrebbe un senso? Mio padre
è il
Dio della guerra”.
“In effetti..che ci va a fare in giro mia
madre con il Dio della guerra?”.
“Posso farti una domanda,
pennuta?”.
“Solo se non mi appioppi più
epiteti
scemi!”.
“Ok. Volevo sapere..tu e tua madre, siete
angeli veri? Intendo dire..quelli al servizio del
monoteista?”.
“La faccenda è un
po’ intrecciata,
comunque sì”.
“E come mai siete qui al
Santuario?”.
“Lo ha voluto mia madre. Non so dirti
bene
il perché. Ma ora voglio riportarla a casa!”.
“Non saprei come aiutarti..”.
“Perché non mi aiuti a
cercarla? Forse
così troviamo anche tuo padre!”.
“Mio padre sarà che si sbronza
da qualche
parte! O che si diverte con qualche puttana!”.
“E se invece fosse successo qualcosa ad
entrambi?!”.
“Posso accompagnarti a fare un giro. Ma
solo perché mi annoio, sia chiaro! E perché
potrei trovare mio padre nudo da
qualche parte in preda ai fumi dell’alcol!”.
“Bene. Da che parte voliamo?”.
“Voliamo?!”.
“Sì. La tua armatura ha le
ali. O vedo
male io?”.
“Sì, ha le ali ma..io non ci
so volare!”.
“Ma come?! Dovrebbe essere
l’armatura
stessa a condurti!”.
“E non lo fa!”.
“Ah..va bene..posso insegnarti, se vuoi.
Per farmi perdonare dallo schiaffo..”.
“Io..tu..dici sul serio?!”.
“Non è difficile.
Però prima vorrei
ritrovare mia madre..”.
“Tu puoi volare. Io ti seguo”.
“A piedi?! Guarda che volo
veloce..”.
“Con il cavallo di mio padre. Quello di
certo mi condurrà da lui e, se si trova assieme a tua madre,
troveremo
entrambi. Spero non in atteggiamenti compromettenti..”.
“Mia madre è un angelo! Non fa
certe
cose!”.
“E tu e le tue sorelle come siete nate,
scusa?!”.
“Ci ha generate usando i suoi
poteri”.
“Oh ma che tristezza!”.
“Non ti voglio rispondere, pervertito!
Andiamo..”.
“Ah, ad ogni modo..io mi chiamo
Phobos”.
Arles camminava per i corridoi del palazzo
di Iside. Abbigliato come un egiziano, si sentiva decisamente a
disagio. Però
non poteva farci niente.. Notava gli sguardi stupidi o infastiditi su
di lui e
tentava di passare oltre, senza insultare nessuno.
“Sei il Greco?” si
sentì chiedere.
Voltandosi, Arles incrociò gli occhi
più
belli che avesse mai visto. In realtà, guardando meglio, era
un solo occhio ad
essere così magnifico. Era profondo, magico, e dalle
migliaia di colori.
“Sì..solo il greco”
rispose “E voi chi
siete?”.
“Sono Ra” sorrise
l’uomo.
“L’occhio di Ra..”.
“Già, lo hai notato? Ti
piace?”.
“Io..sì, l’ho
notato. Voi siete..una sorta
di capo, qui? Da quel che ricordo, nella religione Egizia siete
importante”.
“Lo ammetto. È
così. E tu, Greco, che cosa
resti a fare qui? Ho sentito che vuoi restare accanto alla tua amata,
che è il
corpo che ospita Iside”.
“Eleonore. Lei si chiama
Eleonore”.
“Capisco..credo. Anche se la vedo come
una
follia. Non si può separare una divinità dal suo
corpo ospite perché altrimenti
la divinità muore, se non trova subito un altro corpo. E qui
nessuno è disposto
a farti ammazzare Iside, perciò penso dovresti
andartene”.
“Io non la voglio uccidere. Io la voglio
servire. Voglio cogliere gli ultimi istanti della vita della mia amata.
E cosa
volete che mi importi se al grande Amon-Ra questo da
fastidio?!”.
“Io comando qui, marmocchio! Con un solo
gesto potrei farti uccidere! Ma poi ricordo la mia signora, che aveva
un debole
per le storie romantiche. Non ti farò del male..solo in onor
suo. Ma non
innervosirmi”.
“Chiedo perdono..sono nervoso pure io..la
vostra signora non ha ancora trovato un corpo, come Osiride?”.
“Esattamente. Ma il suo vero corpo non
è
stato spazzato via dalla diga come quello di Iside ed Osiride. Attendo
solo la
prossima luna piena per compiere il rituale per risvegliarla”.
“Comprendo..”.
“Hai dei figli?”.
“Io? Sì, ne ho due”.
“Avuti con questa Eleonore?”.
“No..”.
“Capisco..le mie bambine si sono entrambe
risvegliate. Sekhmet l’ho incrociata poco fa. E
Bastet..quella non so dove sia!
Ad ogni modo, devo scusarmi. So che sei stato spedito
nell’oltretomba a causa di
uno spiacevole equivoco. La tua lieve luminescenza ha fatto
sì che Seth ti
scambiasse per me, che tenta sempre di mangiare per non far sorgere
più il
sole”.
“Grazie a questo inconveniente, ho
scoperto la verità sulla donna che amo”.
“Che però non ti appartiene. O
sbaglio?
Questo è quel che ho sentito..”.
“Avete sentito bene. Non è
più mia moglie.
La morte ci ha separati..”.
“I corpi si deteriorano. Il tempo passa.
Ma se davvero le vostre anime sono legate, allora vi incontrerete
ancora”.
Arles non rispose. Annuì semplicemente,
e
continuò la sua camminata.
“Tolomeo!” chiamò
Ipazia “Tolomeo, dove
sei?”.
La giovane entrò alla terza casa,
guardandosi attorno.
“Tolomeo!” chiamò
ancora, senza vederlo
“Atena sta richiamando i cavalieri. La prigioniera
è fuggita e tu non hai
risposto. Dove ti sei cacciato?”.
Percependo un rumore, Ipazia si voltò ma
riconobbe subito la figura di Deathmask.
“L’avete trovata?”
domandò, riferendosi
alla fuggitiva.
“Ho controllato la mia zona”
rispose il
Cancro “E di lei nessuna traccia. Tu che fai qui?”.
“Cerco mio fratello. Non ha risposto alla
chiamata di Atena”.
“Sarà partito alla ricerca per
conto
suo..”.
“Non so..in effetti..qui non
c’è anima
viva..”.
Deathmask alzò le spalle e
tornò ad
incamminarsi verso la sua casa. Poi si voltò, tornando
indietro.
“Che c’è?”
domandò Ipazia ed il Cancro le
fece segno di seguirla.
In un angolo, nascosto fra le pietre,
all’esterno della terza casa, Tolomeo guardava
l’alba.
“Tomy!” lo chiamò la
gemella, irata
“Brutto maleducato! Non si risponde
più?”.
“Il sole sta sorgendo” si
limitò a dire il
giovane.
“Sì..e allora?!”.
“Guarda com’è bello.
Così..tondo
e..rosso..sembra quasi una gustosa mela..”.
“Ti senti bene? Hai bevuto, per
caso?”.
Tolomeo non rispose e Deathmask
ridacchiò.
Che ragazzo strano!
“Tomeo! Atena ti aspetta!”
sbottò ancora
Ipazia.
“Atena! Giusto..Atena! Sono qui per
lei!”.
“Ma non mi dire! Sei il cavaliere dei
Gemelli ed il tuo compito è servirla, perciò fila
immediatamente da lei ed
obbedisci ai suoi ordini!”.
“Hai ragione. Devo andare subito da
lei..mi sono distratto guardando il sole, scusate”.
Il giovane si girò e Deathmask, il
più
vicino, ebbe un sussulto.
“Che ti sei fumato, ragazzo?”
chiese il
Cancro.
“Perché lo chiedi?”.
“Hai degli occhi..assurdi!”.
“Assurdi?”.
“Sì. Sono..gialli?! O
d’oro..brillano
e..non sembrano umani!”.
“Per caso assomigliano a quelli di un
serpente?” domandò Tolomeo.
“Sì,
perché?” alzò un sopracciglio
Deathmask, stupito da quell’improvvisa Esse sibilante.
Il giovane sorrise, con una bocca
decisamente più larga del solito, e Ipazia svenne.
“Finalmente ti sei svegliato. Mi stavo
preoccupando..” ammise l’alata, quando vide Ares
riaprire gli occhi.
“Che ore sono? È
già l’alba?” gemette il
Dio, mettendosi a sedere e tenendosi la testa.
“Quasi. Ma stai calmo. La tua ferita
ancora sanguina..”.
“Non è niente.
L’ikor la guarirà. Tu
piuttosto..il veleno di Aphrodite nell’ala..”.
“Guarirà. Sta già
meglio..”.
“Tornerai a volare?”.
“Ma certo, per chi mi hai preso? Tu,
piuttosto..la tua armatura è messa male..”.
“Già. Non posso riportarla al
Tempio così.
Devo lasciarla qui e sperare che Efesto mi aiuti senza ciarlare troppo
in
giro..ma Efesto mi odia quindi è impossibile!”.
“Non ci sono altre persone in grado di
ripararla?”.
“Sì..ma non so se mi
aiuterebbero..”.
“Ci penseremo dopo. Ora riposa. Devi
guarire..”.
“Sto benissimo! Devo rientrare al
Tempio”.
“Perché tanta
fretta?”.
“Se non mi trovano, inizieranno a
cercarmi. Specie perché sono sparito senza la mia armatura.
Ed i miei figli
sanno di questo posto. Quindi troverebbero anche te..”.
“Capisco..”.
“Devi chiamare qualcuno dei tuoi amici
pennuti per farti portar via da qui..”.
“Non posso volare. Dovrei comunque
rimanere ferma fino alla mia guarigione. Mi porteranno del cibo ma
resterò
nascosta qui almeno un paio di giorni”.
“Prenditi il tempo che ti serve. Nessuno
verrà mai a cercare un angelo qui!”.
“Lascia almeno che ti bendi!”.
Non volendo dare ascolto alle obiezioni,
l’alata usò parte della sua veste candida per
medicare Ares, che protestò
vivacemente.
“Da quando ho a che fare con il Santuario
di Atena..” borbottò il Dio “..ho sempre
qualcosa che non va. Prima ho quasi
perso le gambe ed adesso sono trapassato da parte a parte da una
freccia. Devo
andarmene da quel posto: porta sfiga!”.
“O forse sei tu che vai a
cercartele!”.
“La prossima volta ti lascio rinchiusa a
capo Sunio!”.
“Ti risparmi una freccia quasi nel petto.
Se fosse stato giorno, quell’arciere non ti avrebbe dato
scampo”.
“Non sono così stupido da
progettare una
fuga in pieno giorno! Sono stupido, lo ammetto, ma non così
tanto! Ed una volta
tornato a casa dovrò mettermi d’impegno per
capirci qualcosa della faccenda
dell’Egitto. Perché in Egitto, dico io?!
Perché i miei figli sono in Egitto?!”.
“Le vie del Signore sono
infinite..”.
Arles storse il naso a quella frase e lei
rise.
“Lo sai che il monoteismo mi da sui
nervi..” commentò il Dio “..è
una gran cagata! Non voglio offenderti, per
carità, ma se noialtri Dei antichi ci unissimo..questi
deucoli non avrebbero
futuro”.
“Le religioni discendono tutte
l’una dalle
altre..”.
“Lo so bene. Ed ho perfino dovuto
allearmi
con quei copioni dei Romani..”.
“E allora una vale
l’altra!”.
“Non direi. Non dico che siamo noi i
più
forti ma..”.
“Ma di sicuro siete più
simpatici”.
“Io non sono simpatico!”.
“Sì che lo sei. Di certo di
più del mio
capo..”.
“Te l’ho detto che il
monoteismo è una
cagata!”.
“Smettila! È quello in cui
credo!”.
“Sareste meravigliose divinità
minori, tu
e le tue figlie. E tutti i tuoi amichetti..”.
“Ma non lo siamo. Serviamo
l’unico Dio e
questo è quanto!”.
“Solo una domanda: se lui è
l’unico
Dio..io cosa sono? Perché sai che io sono un Dio e, come me,
ce ne sono molti
altri”.
“Non voglio fare discorsi teologici con
te!”.
“Meglio mi concentri
sull’Egitto..”.
“Non scervellarti troppo”.
“Ma io non c’entro niente con
l’Egitto!
Perché Arles ci è andato per compiere il suo
destino?! A volte mi chiedo se
davvero sia figlio mio..”.
“Ti somiglia un po’ troppo, non
trovi?”.
“Forse..ma magari la madre si
è scopata un
egiziano e non ha voluto dirmelo”.
“Quanto sei stupido!” rise
l’alata “Vedrai
che troveranno la loro strada quei due e ne sarai orgoglioso”.
“Lo sono già. Ma mi stanno
facendo invecchiare
di secoli in pochi mesi..ed ora è meglio che vada. Il sole
sorge..”.
“Ma..”.
Lei tentò di trattenerlo ma Ares si
dimostrò molto più testardo. Si alzò
ed uscì, un po’ barcollante. Si avvolse
nel mantello, per celare il petto fasciato, ed arrancò fino
al Tempio.
“Lasciate a me gli scorpioni”
ordinò Milo
“A me non fa alcun effetto il loro veleno. Occupatevi della
micia!”.
“Micia?!” digrignò i
denti Bastet “Te la
do io la micia!”.
L’Egizia fece per attaccare Milo, ma
Aiolia la bloccò.
“Siete tre umani contro due
Dee..” rise la
divinità dalla testa di gatto.
“Quali due Dee?”
domandò Kanon e Milo si
voltò di scatto, mentre una donna con uno scorpione sul capo
emergeva dalla
sabbia.
“Ad ogni modo..” strinse i
pugni il Leone
“..siete due Dee contro due cavalieri d’oro ed un
semidio”.
“Un semidio?” si
stupì Bastet, poi
incrociando lo sguardo di Kanon “A quanto pare è
un’invasione..”.
“Di che parli?!”.
La Dea non aggiunse altro e lanciò il
primo attacco, con artigli affilati. Kanon e Aiolia saltarono
all’indietro,
capendo fin da subito che avevano a che fare con una
divinità potente. Aiolia
si liberò della veste e dei mantelli che proteggevano il suo
corpo dal gran
caldo e richiamò l’armatura del Leone.
“Non uccidiamola”
commentò Kanon “Ha
parlato di semidei. Forse sa qualcosa su mio fratello”.
“Va bene..ma tu indossa
l’armatura!”.
“Non posso. Non riesco a controllarla
ancora del tutto e rischio di fare un casino. Non preoccuparti per me,
me la
caverò più che bene”.
“Sciocchi idioti che sperate addirittura
di
dovervi trattenere per non uccidermi” rise Bastet
“Vi spedirò nel regno di
Osiride!”.
“Ho già visto quello di Hades,
non sarà
nulla di nuovo!” replicò Kanon.
Alle loro spalle, nel frattempo, Milo
fissava quella donna emersa dalla sabbia.
“Io sono Selkis” si
presentò “Come puoi
intuire, lo scorpione è il mio simbolo”.
“Io sono Milo e, come potrai presto
notare, lo Scorpione appartiene a me!”.
Con un grido, il cavaliere indossò
l’armatura e puntò il dito contro la Dea,
mostrando la sua temibile unghia.
“Interessante..” sorrise lei
“..è dunque
questo che ti rende immune al veleno dei miei piccoli? Ma vediamo un
po’ se sei
immune anche al mio di veleno!”.
L’animale che portava sul capo si mosse,
puntando la coda contro Milo. Questi non indietreggiò, pur
non sapendo cosa
aspettarsi.
“Muori, Greco invasore!”
gridò Selkis.
Una raffica di colpi, molto simili alle
Needle di Milo, colpirono il cavaliere, che riuscì a
schivarne solo una parte. Dove
fu colpito, provò una sensazione di bruciore crescente. Che
cosa
strana..ricordava bene quel che si provava ad essere colpiti da uno
scorpione
ma non ricordava tanto dolore! Il suo addestramento da piccolo era
stato così..
“Ora tocca a me!” rispose Milo,
lasciando
la sua tecnica.
La Dea parve meravigliata, ma per nulla
intimorita.
Poco più in là, il Leone
stava affrontando
Bastet. I loro artigli e zanne si incrociavano. Kanon cercava di capire
chi dei
suoi colleghi fosse più in difficoltà, per poter
dare manforte. Alla fine,
stanco di aspettare, lanciò colpi a destra ed a manca,
desideroso di ricevere
informazioni sul fratello.
“Non ti intromettere!” lo
fermò Aiolia “Lascia
fare a me!”.
“Ed io che dovrei fare,
scusa?!”.
“Nulla! Resta lì. Intervieni
solo in caso
d’emergenza!”.
“Ma..”.
“Se vuoi combattere..”
parlò una voce “..io
sono qui!”.
Kanon si guardò attorno ed
iniziò a
sprofondare. Qualcosa lo stava trascinano verso il basso, avvolgendolo
nella
sabbia.
“Chi sei?!” sbraitò
il figlio di Ares.
“Io sono Hapi, personificazione del Nilo,
e ti inghiottirò nelle mie acque!”.
“L’avete trovata?”
domandò Atena, vedendo
giungere Deimos al suo cospetto.
“Ho cercato a lungo, ma della prigioniera
nessuna traccia. Né indizio” rispose lui.
“Come può esser svanita nel
nulla?! E chi
può averla aiutata?! Non può aver lasciato Capo
Sunio da sola!”.
“Non lo so. Ora sta albeggiando e non mi
fido a girare troppo volando con l’armatura
addosso”.
“Sì, capisco..e Ares?
Dov’è?”.
“Non lo so. Ma la sua armatura non
c’è.
Forse cerca anche lui la prigioniera..”.
“Forse..”.
Atena non era convinta e sospirò,
accigliata. Deimos fece per congedarsi quando una potente luce apparve
in
cielo.
“State indietro!”
ordinò, d’istinto, alla
Dea.
Si udì un rumore sordo, un tonfo, e dei
passi. Qualcuno doveva indossare un’armatura, dal rumore..
L’aria si mosse e Atena
fece fatica a restare in piedi. Quando la luce si affievolì,
comparve la figura
di un angelo, coperto da un’armatura simile a quella degli
antichi romani.
“Lucifero!” esclamò,
puntando la lancia
contro Deimos “Dove tieni nascosta la mia Signora?”.
“Io non mi chiamo Lucifero!”
sbottò Deimos
“E non so di che parli!”.
“Posso farti molto male,
demone”.
“Non sono un demone! Sono un Dio, bada a
come parli!”.
“Esiste un solo Dio e non sei certo tu,
demone”.
“Ancora?! Non sono un demone! E non mi
fai
certo paura!”.
“Preparati a morire, dunque!”.
“Non se ti spiumo prima io!”.
“Un momento!” interruppe Atena
“Chi state
cercando?! Chi è la vostra Signora?!”
“L’avete catturata”
rispose l’angelo “Il
suo divino nome non è affar vostro”.
“Parli di quell’alata che ha
mandato il
mio cavaliere a morire in Egitto e non ha voluto dare spiegazioni a
riguardo? La
sto cercando pure io. È fuggita”.
“Posso fidarmi di te, pagana?”.
“Punta la tua lancia da
un’altra parte!”
sibilò Deimos.
“Se no che fai?”.
Il figlio di Are ringhiò, mostrando gli
occhi fiammeggianti e spalancando le ali dell’armatura.
“Faccio subito”
commentò rivolto ad Atena,
scrocchiandosi le nocche “Riempio di botte questo moccioso e
poi torno..”.
Phobos non fece in tempo a raggiungere il
cavallo che una sagoma familiare apparve all’orizzonte.
“Padre?” domandò,
vedendolo avvicinare a
passi lenti ed un po’ sbilenchi.
“Figlio..” rispose Ares,
continuando a
camminare.
“Dove sei stato?”.
“A puttane, perché?”.
“Barcolli..”.
“E poi mi sono sbronzato..”.
“Ah..ecco..”.
Ares avanzò ancora un po’,
fino a giungere
alla pari del figlio, notando Nadijeshda.
“Dove
vai
con questa alata, ragazzo?” domandò.
“A
cercare
sua madre, la prigioniera fuggita. Per caso l’hai
vista?”.
“Forse.
Ma ero
ubriaco..potrei aver visto chiunque..”.
“Dove?”.
“Verso
la
spiaggia..”.
Ares
non
voleva dare indicazioni precise, rischiando di venire coinvolto,
però sapeva di
potersi fidare di suo figlio e la figlia di colei che aveva salvato non
poteva
volerle fare del male. Sperava che in qualche modo Phobos potesse
aiutarla..
“Sentito,
Nadijeshda?
Andiamo per là” indicò il Dio della
paura.
“Sì!”
annuì
l’alata.
“Solo
una
cosa, papà..” continuò Phobos
“..su di te..sento l’odore del sangue”.
“Avrò
picchiato qualcuno. Te l’ho detto, mi sono
sbronzato..”.
“Il
tuo
sangue. Sento il tuo ikor. Sei ferito”.
“Phobos..a
volte è meglio non ficcare troppo il naso negli affari degli
altri!”.
“Ti
serve
una mano?”.
“No.
Non ho
bisogno di niente e di nessuno. E ora vattene, vai a cercare la
prigioniera. E ricorda:
le unioni fa religioni diverse sono proibite”.
“Ma
a che
cazzo stai dicendo? Quali unioni?!”.
“Ti
avviso. Nel
caso sentissi la testa girare per quella graziosa
fanciulla..”.
“Ma
per chi
mi hai preso?! Non mi sono mai innamorato in oltre 2000 anni e dovrei
farlo
ora?! Di lei, poi. È odiosa, credimi!”.
“Che
ne so
io..intanto avviso..ed ora vado a dormire”.
“Non
so se
ti sarà possibile. Al Tempio c’è un
po’ di casino..”.
“Vorrà
dire
che ammazzerò qualcuno e poi dormirò”.
“Ma
se
nemmeno ti reggi in piedi!”.
Ares
non
rispose. Arrancò ancora, iniziando a salire le scale.
“Dov’è
la
tua armatura?” aggiunse Phobos “Non
l’avevi con te?”.
“No,
perché avrei
dovuto?”.
“Al
Tempio
non c’è!”.
“Ah..ok..forse
l’ho persa. Non lo so..lascia che mi passi la
sbronza”.
“Papà!”.
Sconcertato
da
un simile comportamento, il figlio scosse la testa. Ignorandolo,
salì a
cavallo.
“Ti
seguo”
commentò l’alata “Guidami tu”.
“Va
bene. Seguimi..”.
Volevo aggiungere un altro pezzetto ma il
capitolo risultava troppo lungo. Perciò..vi lascio
così, con un po’ di gola per
il seguito J
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Capitolo 14 *** XIV- rivelazioni e fuoco ***
XIV
RIVELAZIONI E FUOCO
“Hai
chiamato gli amichetti..” notò Deimos, vedendo
altri angeli apparire a supporto
del primo arrivato “Non importa. Spiumerò tutti,
dal primo all’ultimo”.
“Staremo
a
vedere” sorrise l’angelo.
“Posso
almeno sapere come ti chiami? O posso continuare a chiamarti
piccione?”.
“Mihael
è il
mio nome. L’arcangelo Mihael. Uccido demoni da quando sono un
ragazzino, tu
sarai il prossimo!”.
“Pft.
Non mi
impressioni. Tu imparavi a volare che io già avevo
combattuto in un numero di
guerre impossibile da conteggiare”.
“Sarebbe
educazione però rispondere col proprio nome a chi si
è appena presentato”.
“Hai
ragione, Mihael. Io sono Deimos, figlio di Ares, divinità
del terrore e della
pena. Contento?”.
“In
guardia,
Deimos!”.
L’angelo
spiccò il volo e puntò la lancia verso il Dio,
che riuscì a deviare il colpo ma
intuì subito che chi aveva di fronte non scherzava. Lo
credeva veramente un
demone e, di conseguenza, non si risparmiava. Con la punta della
lancia, Mihael
riuscì a ferire di striscio Deimos, che si
infuriò nel vedere il proprio
sangue. D’istinto si lanciò contro
l’angelo che però chiamò a
sé altri alati,
pronti a combattere.
“Deimos!”
gridò una voce, ed un potente attacco riuscì a
disperdere il gruppetto
angelico.
Il
figlio di
Ares si guardò attorno, intravedendo suo nipote Tolomeo.
“Non
mi
serve il tuo aiuto, moccioso” parlò lo zio,
esaltandosi inutilmente.
“E
chi ti
aiuta?” ghignò Tolomeo “Io solo scaccio
questi qui dal Tempio”.
“Posso
farlo
anche da solo!”.
“Allora
sbrigati!”.
Il
ghigno
del ragazzo aveva un che di innaturale, che Deimos percepì
ma non volle
commentare. Lo vide di nuovo scagliarsi contro il nemico, con
un’agilità
insolita. Poi notò il tatuaggio del drago, simbolo
distintivo dei guerrieri di
famiglia, che compariva solamente quando il suo possessore era riuscito
a
risvegliare pianamente il suo potere. In Tolomeo era apparso sulla
spalla e si
allungava poi lungo il braccio e parte del petto con la coda e le
zampe.
“Invece
di
fissarmi..” commentò il giovane
“..perché non combatti, figlio di Ares?”.
“Ma
taci e
guarda i professionisti all’opera!” rise Deimos “Φωτιά
και
πόλεμος!
[fotià ke pòlemos. Fuoco e guerra]”
urlò, lanciando il suo colpo.
Le ali di alcuni angeli bruciarono ed
altri finirono travolti dall’onda di calore provocata dal
fuoco.
“Non male..” ammise Tolomeo.
“E ora datti da fare tu, invece di
sfottere
e salterellare!”.
Gemini ghignò ancora, con quel sorriso
inquietante. Poi fissò i suoi avversari ed
allungò le mani verso di loro,
incanalando il cosmo.
“BLOOD OF HUMAN SACRIFICE!”
gridò ed i
suoi occhi, fino a quel momento di colore giallo-oro, divennero rossi
come il
sangue.
I nemici furono avvolti dal cosmo di
Tolomeo, che ne risucchiò il sangue e lo portò
dal giovane. Questi sorrise,
passandosi la lingua sulle labbra. E Deimos, Dio del Terrore della
guerra, per
la prima volta nella sua vita ebbe paura.
Kanon
si
dibatté con rabbia. Quell’essere lo stava
trascinando nella sabbia, come
avvolgendolo in delle sabbie mobili.
“Lasciami!”
ordinò, concentrando il suo cosmo in modo da danneggiare il
nemico che lo
toccava.
“Il
tuo
cosmo è potente..” ammise Hapi “..ma non
alla pari di quello di un Dio!”.
L’Egiziano
lasciò andare Kanon e rise, mentre questi si liberava dalla
sabbia. Il
copricapo che proteggeva il figlio di Ares dal sole cocente si tolse,
lasciando
liberi i capelli color dell’oceano. Bastet lo
osservò per qualche istante,
intuendo la connessione fra lui ed il forestiero ospite di Iside.
“Ammazzalo,
Hapi” diede ordine la Dea dal volto felino “Ne
abbiamo già abbastanza di
semidei Greci da queste parti!”.
Dopo
aver
detto quelle poche frasi, subito ricominciò ad attaccare
Aiolia. Il Leone usava
i suoi colpi più forti ma quella Dea era estremamente agile
e schivava i
fulmini alla velocità della luce.
“Peccato
che
io e te siamo nemici..” sorrise lei “..in altre
circostanze, penso avrei potuto
reputarti interessante!”.
“Non
ti ho
mica attaccato io!” ringhiò Aiolia.
“No,
ma
avete sconfinato!”.
Anche
Selkis
provava una certa curiosità ed interesse nei confronti di
Milo, che nonostante
le numerose punture ricevute restava in piedi e continuava a
combattere. Notevole,
per un umano.
“Un
mortale
qualunque sarebbe morto con una sola delle mie punture”
spiegò la Dea “Comunque
vada questo scontro, ti riconosco notevoli capacità. Ti
farò seppellire con
tutti gli onori di un guerriero”.
“Seppellirmi?!
Tu vaneggi! Io non morirò in terra d’Egitto,
fidati!”.
“Peccato.
Perché come mummia faresti la tua bella figura in quel
sarcofago d’oro che
indossi..”.
“Questa
è la
mia armatura! Non è un sarcofago!”.
“Fa
lo
stesso! Lì dentro ci morirai! Forse non per mano mia..ma ci
morirai!”.
“Può
anche
essere. Ma so per certo che non sarà per mano
tua!”.
Milo
lanciò
un’altra raffica di cuspidi. La Dea egizia fu colpita e
storse il naso,
percependo il bruciore delle punture. Come riusciva quel mortale a far
provare
a lei, Dea Scorpione, il dolore del veleno? Aveva davanti davvero un
temibile
avversario, ora furioso ed infastidito a causa dei colpi ricevuti.
“ANTARES!”
gridò Milo, colpendo la Dea e spedendola fra la sabbia.
“Me
la
pagherai!” rispose lei “Prendi questo!”.
Una
luce
nera sfrecciò verso lo Scorpione ed il cavaliere non
riuscì a schivarla.
Nonostante questo, saltò verso l’egiziana e la
ferì ancora.
Bastet
era
altrettanto feroce contro Aiolia, che si era stancato di comportarsi da
signore. Si stava scontrando con ferocia quando una voce femminile
interruppe
la battaglia.
“Sorella!”
gridò qualcuno.
Una
Dea dal
volto di leonessa stava fissando il gruppetto di litiganti.
“Sorella,
basta! Nostro padre Ra ha ordinato di non spargere sangue senza una
ragione”.
“Sono
degli
intrusi” si giustificò Bastet.
“Padre
Ra ha
dato degli ordini. Portiamoli a palazzo, che sia la regina a
decidere!”.
“Ma..sorella!”.
Protestando,
Bastet obbedì.
“Verrete
a
palazzo con noi, senza discutere! Siete prigionieri!”
parlò Selkis.
Distratto
dall’improvviso disagio provocatogli dall’insolito
comportamento di Tolomeo,
Deimos non notò il colpo di Shura, che lo raggiunse di
striscio.
“Hei!
Attento!” sbottò il Dio, vedendo un grosso ciuffo
di capelli abbandonarlo.
Il
Capricorno lo ignorò e saltellò, lanciando
Excalibur a destra ed a sinistra.
Colpì uno degli angeli, lasciandogli la
“S” si Shura sulla veste.
“Shura
della
Vega..” lo cantilenò Deimos, ricordandosi di Zorro
“..guardati alle spalle”.
Mihael
impugnava una spada fiammeggiante ed era pronto ad affrontare il
cavaliere e la
sua arma sacra. Shura
accettò la sfida
ed iniziarono a combattere come spadaccini. Nel frattempo, Deimos e
Tolomeo
affrontavano gli altri nemici.
“Ma
quanti
sono?” domandò il giovane “Si
riproducono mentre noi non li guardiamo?”.
Gli
angeli
erano sempre di più e la sicurezza degli abitanti del Tempio
vacillò. Erano un
vero e proprio esercito, che continuava ad aumentare di numero.
“Ci
travolgeranno! Sono in troppi!” si preoccupò Atena.
La
Dea
cercava di capire come intervenire quando vide Phobos risalire le
scale, con a
fianco una delle creature angeliche.
“Che
succede?” chiese il figlio di Ares “Sono corso qui
appena ho sentito gli
sproloqui di mio fratello”.
Non
lasciò
il tempo alla Dea di spiegare. Trascinò con sé
l’alata e l’afferrò.
“Fermi!”
gridò “Andatevene tutti o la uccido!”.
“Signorina
Nadijeshda!” si allarmò Mihael, fermando la sua
spada.
“Andatevene
subito” ripeté Phobos “O vedrete il suo
sangue sgorgare copioso”.
L’alata
si
agitò, invano. Mihael fissò con odio Phobos e
ricevette, di rimando, lo stesso
guardo ma ben più crudele.
“Andiamo”
disse, infine, l’angelo “Ma non finisce
qui”.
“Vi
aspetto.
Magari a lei piace morire..”.
Gli
angeli
scomparvero, lasciando solo qualche piuma. Nadijeshda si
agitò e Phobos la
lasciò andare momentaneamente.
“Sei
un
bastardo!” gridò lei.
“I
miei
genitori so bene chi siano!” rispose il Dio
“Piuttosto..che modi sono?! Noi ti
aiutiamo ed i tuoi amichetti ci attaccano?”.
“E
tu?! Che
mi usi come ostaggio?!”.
“Ci
stavano
distruggendo casa, razza di..”.
“Non
osare
usare aggettivi riguardanti uccelli o altre cose piumate!”.
“Come
vuoi,
stronza. Ingrata..”.
“Ma
io..che
c’entro?!”.
“Hai
forse
provato a fermarli? No!”.
Nadijeshda
scosse
la testa, infastidita.
“Resterai
qui al tempio, bella mia! Finché non troviamo una soluzione
a questa
infestazione di angeli!” concluse Phobos, poi voltandosi
verso il fratello.
Deimos
era
furioso, perché Shura ne aveva rovinato la pettinatura ed
ora avrebbe dovuto
sistemarla. Ma poi tutti gli sguardi finirono su Tolomeo.
“Tu
chi
cazzo sei?” scandì ogni parola Deimos.
“Tuo
nipote”
alzò le spalle Tolomeo.
“Tu
non sei
mio nipote! Mio nipote non risucchia il sangue dei nemici con il cosmo
e non
è..come te! Quel ghigno, quegli occhi..e perché
hai delle piume rosse fra i
capelli?!”.
“Immagino
faccia parte del mio risveglio..”.
“Quale
risveglio? Di che parli?”.
Atena
si era
fatta avanti, pur rimanendo alle spalle dei figli di Ares. Tolomeo la
salutò
con un inchino.
“Perdonate
la maleducazione” parlò il giovane
“Secoli fa avete aiutato la mia gente, il
mio popolo, quindi ora io mi sono risvegliato in quest’epoca
per servire voi,
Atena, e la vostra gente. Permettete di presentarmi: sono
Quetzalcóatl, il
serpente piumato”.
I
tra
cavalieri camminavano lungo i corridoi del palazzo degli Egizi. Dietro
di loro,
le divinità che li avevano attaccati li sorvegliavano. Ra li
vide e subito
riconobbe in Kanon un parente del Greco con cui aveva appena parlato.
Chiese
conferma e poi ordinò che i tre fossero lasciati liberi di
agire come meglio
credevano. I cavalieri non capirono il motivo di
quell’ordine, ma
ringraziarono.
Vari
strumenti musicali di colpo si udirono e la gente si scostò,
facendo passare un
piccolo corteo, alla cui testa camminava Iside.
“Eleonore!”
la riconobbe Kanon e la chiamò.
La
Dea girò
il capo e guardò il cavaliere con indifferenza, per poi
proseguire il suo
cammino.
“Ma..che
significa?” insistette lui, senza capire.
Il
corteo
proseguì e, fra enormi ventagli e servitù, Kanon
si ritrovò faccia a faccia con
un volto familiare, che lo fissò, stranito.
“Arles?”.
“Kanon?”.
“Che
ci fai
qui?!” si chiesero all’unisono.
“Ma
come
cazzo sei conciato?!” scoppiò a ridere Kanon
“Che combini?! Giochi a fare il
piccolo Tutankhamon?! Hai perfino gli occhi truccati!”.
“Storia
lunga..”.
Il
corteo
passò oltre, ed Arles rimase con i tre cavalieri.
“Ho
visto
Eleonore..” riprese il gemello più giovane
“..che sta succedendo?”.
“Lei
non è
del tutto Eleonore. Lascia che ti spieghi..”.
Dopo
aver
raccontato quanto successo, Kanon era perplesso.
“Perché
resti in Egitto, fratello?” chiese “Sai bene che,
senza un corpo alternativo,
non si può estrarre una divinità
dall’ospite. E, anche se ci riuscissi,
l’ospite quasi certamente ne morirebbe! Che resti a fare qui?
Lei nemmeno sa
chi tu sia..”.
“A
volte lo
sa. A volte la mia Eleonore c’è e mi sorride. E
poi, scusa, se tua moglie si
trovasse in una situazione simile, tu non faresti lo stesso?”.
Kanon
rifletté qualche istante e poi annuì.
“Ma
che
pensi di fare? Lascerai il Tempio?”.
“Rimarrò
qui, fino a quando la coscienza di Eleonore non si spegnerà.
Farò tutto il
possibile per riportarla da me, sto cercando ovunque possibili
soluzioni ma, se
non dovessi farcela, voglio vedere i suoi occhi che si spengono per
l’ultima
volta, lasciando spazio in modo definitivo a Iside”.
“Dobbiamo
subito informare Hades di questa cosa. Magari lui sa che cosa fare. E
ovviamente mettere al corrente Atena dell’esercito
nemico”.
“Questo
rischia di far scoppiare una guerra..”.
“Lo
so..e tu
da che parte starai?”.
“Dalla
parte
di nessuno”.
“Ma
mi
prometti che tornerai al santuario?”.
“E
tu..prometti che mi aiuterai, una volta che sarò
tornato?”.
“Certo..che
dovrei fare?”.
“Aiutarmi
a
non ricadere nell’ombra delle mie illusioni. Io ora sono
aggrappato ad ogni
singolo sguardo, ogni singolo sorriso, ogni singola parola che Eleonore
riesce
a rivolgermi. E non sono pronto a perdere tutto questo di nuovo. Ci sto
provando, con tutte le mie forze, a vivere la vita reale ed ignorare i
piani
della mia mente ma temo potrei vacillare, se la dovessi perdere.
Tuttavia, non
è quello che voglio. Io voglio vivere, fratello. Vivere nel
mondo reale, anche
se mi toglie ciò che amo. Mi aiuterai?”.
“Sono
fiero
del fatto che chieda il mio aiuto e ti dimostri davvero convinto a
vivere. Ti
aiuterò senz’altro!”.
“Anche
io”
annuì Milo “A costo di tirarti una cuspide in
faccia ogni volta che provi a
stralunarti lontano dalla vita vera!”.
“Grazie”
annuì Arles “Ed ora venite con me. Vi faccio
uscire da palazzo. Ma siate
prudenti, d’ora in poi. Questi non scherzano mica!”.
Una
volta
all’esterno, i due gemelli di fissarono ancora qualche
istante.
“Tornerò,
fratello” commentò Kanon
“Tornerò e ti starò vicino quel giorno
di luna piena..perché
non ti lascerò impazzire in terra d’Egitto,capito?
Se devi impazzire del tutto,
allora devi farlo a casa, chiaro?”.
“Chiaro”
sorrise il gemello.
“Intanto
informeremo Hades. Vedrai che una soluzione si trova! Sii
ottimista”.
“Non
lo sono
mai stato..”.
“Impara!”.
Ares
era
riuscito finalmente a raggiungere la tredicesima. Dannate scale,
dannato Tempio!
aveva superato Ipazia svenuta alla terza casa ed ignorato il casino che
accadeva oltre, fra angeli e Dei incazzati. Aveva raggiunto la sua
stanza e si
era buttato a letto, sfinito.
“Fottiti,
Aiolos..” aveva mormorato, cercando di concentrarsi per
permettere all’ikor di
guarirlo.
La
ferita
bruciava e lo trapassava da parte a parte. Di certo tutte quelle scale
non
avevano aiutato.. Per fortuna fuori avevano smesso di litigare e
quindi, con il
silenzio, sperava di riposare un po’.
“Oh,
ma
quindi ci sei!” si sentì invece dire.
Ares
coprì
le bende con il mantello ed ostentò indifferenza, fissando
Atena. La Dea
rispose a quello sguardo, con ira.
“Fuori
stavamo combattendo!” insistette lei.
“E
con ciò?”
commento Ares.
“Perché
non
sei intervenuto?”.
“Probabilmente
dormivo..”.
“Io
non so
che ti prenda ultimamente ma sono davvero incazzata con te! Vedi di
darti una
regolata o ti rispedisco in Tessaglia!”.
“Ci
tornerei
volentieri in questo momento in Tessaglia. Almeno non dovrei
sopportarti..”.
“Come
se io
non dovessi faticare per sopportare te, inutile pelandrone!
Giù dalla branda,
dobbiamo parlare!”.
“Di
cosa,
dolcezza? Se è per dirmi che il nostro rapporto non
funziona, lo so bene..”.
“Idiota!
È
per parlare di guerra. Gli angeli ci hanno attaccati e sono sicura che
lo
rifaranno..”.
“Vuoi
combattere gli angeli?!”.
“Sì”.
“Vuoi
sfidare il monoteista?!”.
“Sì!”.
“Mia
cara,
sei pazza!”.
“Io
devo
difendere questo Tempio”.
“Difendilo,
per Giove Pluvio! Ma non iniziare una guerra”.
“Perché?”.
“Andiamo,
dovresti saperlo meglio di me..”.
“Se
non mi
darai tu una mano a proteggere questo luogo, allora chiederò
aiuto a qualcun
altro”.
“A
chi?”.
“A
Marte!”.
“Non
puoi
dire sul serio!”.
“Lo
farò..”.
“Non
puoi
farmi questo!”.
“E
perché
no, scusa?”.
“Fottuta
femmina, io ti detesto!”.
“Quanto
sei
stupido, Ares. E poi non sei convincente. Per quanto alzi la voce, te
ne resti
lì steso..fai quasi ridere..”.
Ares
si
accigliò, non sapendo che altro fare. Marte? Solo
l’idea di averlo di nuovo fra
i piedi lo faceva impazzire di rabbia e fastidio.
“Lo
fai
apposta ad irritarmi..” borbottò il Dio.
“Lo
so.
Perché ti odio. Ti odio tanto! E ora alza il culo da
lì”.
“Non
mi
va!”.
“Fa
quel che
vuoi, moccioso cocciuto!”.
“Hei!
Solo
perché sei la mia sorella maggiore non hai il diritto di
dirmi questo!”.
“Io
ho il
diritto di dirti questo perché, nel caso te lo fossi
dimenticato, comando io
sull’Olimpo adesso. Perciò datti una regolata, o
ti sbatto fuori sul serio”.
Atena
uscì, quasi
rompendo la porta. Ares mugugnò qualche altra protesta e poi
tornò a
concentrarsi sulla ferita. Però era stanco morto, quindi in
poco tempo crollò
dal sonno.
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Capitolo 15 *** XV- melodie da un nuovo mondo ***
XV
MELODIE DA UN NUOVO
MONDO
“In
Egitto..” ripeteva perplessa Persefone, giocando con una
delle rose del
cavaliere dei Pesci.
“Così
hanno
detto Kanon, Milo ed Aiolia..” annuì
l’amante della prima sposa di Hades.
“E
quindi è
certo che morirà?”.
“Eleonore?
Temo di sì. Purtroppo, da quel che ho capito, Iside non ha
un corpo dove
tornare e solo Eleonore è in grado di ospitarla”.
“Agli
inferi
ci stanno solo anime..non saprei come aiutare. Ed Hades è
frustrato a dir
poco..”.
“Posso
capirlo”.
“Ma
mica
solo lui! Eleonore mi piaceva. Era una brava ragazza, mi stava
simpatica. E
poi..essere l’unica sposa di Hades..di nuovo..rischio di
impazzire”.
“Perché
dici
questo?”.
“Aphro..tu
non immagini come possa essere quando le cose non vanno come vuole
lui”.
“Credimi
se
ti dico che lo so..”.
Persefone
sorrise ed Aphrodite fece altrettanto. Atena, allarmata dalle ultime
notizie
ricevute e dall’attacco degli angeli, aveva convocato le
divinità. Lentamente
si stavano radunando al Tempio e questo metteva un po’ in
soggezione i
cavalieri più sospettosi, convinti che fra lori si celassero
ancora nemici.
“Fiorellino,
posso passare?” chiese Deathmask, sull’uscio della
dodicesima.
“Certo,
a te
non serve chiedere” scherzò Pesci “Dove
vai di bello?”.
“A
guardare
da vicino la Dea che porta il tuo stesso nome..l’ho
intravista soltanto..”.
“Afrodite?
Ti
piacciono le Milf?”.
“Tu
non
dovresti parlare..”.
Persefone
rise. Adorava passare i mesi estivi al Grande Tempio!
“E
come
pensi di farti notare? Cantando una serenata in siciliano?”
continuò Pesci “Ti
ricordo che la Dea della bellezza ha a disposizione delle
divinità ben più
prestanti di te!”.
“Mi
stai
dicendo che sono più brutto di Ares?”.
“Ares
è uno
degli Dei più belli che ci siano..anche se è uno
zotico che non cura per niente
il suo aspetto! Con una sistemata da parte mia, farebbe invidia ad
Apollo”.
“Stai
delirando..fai pensieri perversi sul padre di Saga. Oscena questa
cosa..”.
“Ma
che dici?!
Dico solo che sarebbe spaventosamente bello se si curasse un
po’ di più, tutto
qui..”.
Deathmask
fissò Aphrodite, che rispose allo sguardo senza capire.
“Potresti
provare adesso” rise il Cancro “Dicono che
ultimamente sia rincoglionito
all’ennesima potenza!”.
“Vero”
annuì
Persefone “Sono un po’ in pensiero. Ares che non
freme all’idea di entrare in
guerra..”.
“Un
problema
alla volta, mia cara” sospirò Pesci
“Tanto qui non ci si annoia mai!”.
Eros
e
Deimos stavano facevano l’ultima cosa che riuscivano a fare
insieme senza
litigare: ballare disco anni ’80. Ed erano anche abbastanza
coordinati fra
loro. Ares osservava la scena, mezzo spaparanzato su un divanetto della
tredicesima, non sapendo se ridere o piangere davanti ad uno spettacolo
simile.
Al suo fianco, altrettanto spaparanzata, stava Afrodite, che si stava
divertendo come una pazza. Con le gambe nude, si era mezza allungata
sul Dio
della guerra. Che ne tormentava i piedini fra un sorso di vino ed un
altro.
Deimos, ora con i capelli corti a causa dell’Excalibur di
Shura, sperava che al
suo balletto idiota si unisse anche Phobos, che però non si
faceva vedere.
“Hei!”
sbottò Atena, parandosi davanti ad Ares “Ho
convocato gli Dei per motivi seri,
non perché si divertano. Cerca di avere un
contegno!”.
“Oh,
padre”
sospirò il Dio, ruotando gi occhi al cielo “Un
fulmine! Un fulmine soltanto!
Nella tua infinita benevolenza..”.
“Piantala!”.
“Ma
che
vuoi?! Non sono arrivati ancora tutti, giusto? E allora me ne sto qui a
godermi
il vino ed i piaceri della vita finché posso. Suvvia..mica
stanno ballando Lady
Gaga..anche se prima o poi mi aspetto di vedere una simile
cosa..”.
Atena
non
disse altro. Fissò solo con fastidio Afrodite e poi se ne
andò per la sua
strada.
“Datti
una
calmata e piantala di lagnarti!” sbottò Phobos
“Alla fine vincono tutti! Tutto
il Tempio sta cercando tua madre e, se viene trovata, viene condotta
qui. Se
invece la trovano i tuoi amichetti piumati, non avrebbero
più motivo di
attaccare il Tempio e quindi saresti libera!”.
“Dovrei
pure
essere felice? Felice di essere prigioniera?” rispose
Nadijeshda,
accigliandosi.
“Non
sei
prigioniera..”.
“Se
provo a
fuggire, le guardie mi colpiscono!”.
“Non
sei in
gabbia! Se vuoi ti ci sbatto! Perché non provi ad occupare
il tuo tempo in modo
costruttivo?!”.
“Tipo?!”.
“Che
ne so!
Aerobica, Karaoke, mosca cieca in autostrada..”.
“Ci
sono
strumenti musicali qui?” chiese lei, dopo qualche istante di
silenzio.
“Un
sacco di
pifferi” ridacchiò lui, intuendo che lei non
avrebbe colto il doppio senso “Per
il resto..posso provare a chiedere. Andiamo..”.
Lei
provò a
protestare ma lui la trascinò per il Tempio, supponendo che
nella stanza di
Atena doveva esserci qualcosa di utile. La Dea, troppo distratta dai
balletti e
dagli ospiti, non notò il figlio di Ares che rimestava fra
gli appartamenti
privati ed il suo erede Zeus, che Phobos odiava con tutto se stesso, se
ne
fregava altamente.
“Questa
cosa
può andare?” chiese il ladro, trovando una specie
di cetra.
Lo
sguardo
dell’alata si illuminò. Una volta fuori da quelle
stanze proibite, sfiorò le
corde e sorrise, dopo tanto tempo.
“Ha
un suono
meraviglioso!”.
“Sì,
ma vedi
di non strimpellare a caso dove potrebbe sentirti Atena. Anche se
dubito si
accorga di quel che accada. È distratta da altre
cose..”.
“Prova
anche
tu!”.
“Che?!”.
Nadijeshda
sedette fra le colonne ed iniziò a suonare. Phobos, con un
pessimo orecchio per
la musica, la fissò sorridere. Il perché non lo
sapeva nemmeno lui.
“Dai,
prova”
insistette lei “Solo una nota..”.
“Le
mie mani
non sono adatte a certe cose..”.
“Fatemi
vedere”.
Phobos
sospirò. Quella femmina era peggio di una zanzara affamata!
Sedette e mostrò le
mani all’alata, che allungò le sue, toccando le
dita del Dio. Questi la fissò
piuttosto perplesso e lei rispose a quello sguardo, senza provare alcun
timore.
“Ognuno
ha
mani per uno scopo diverso” parlò Nadijeshda
“Le mie sono mani da musicista
mentre queste sono mani forti, adatte ad impugnare una spada o
stringere le
redini di un cavallo. Io in entrambe le cose sarei del tutto
negata..”.
Dopo
aver
lasciato il Dio, ricominciò a suonare una melodia dolce.
Phobos si rialzò, non
amando particolarmente le nenie lagnose. Camminò lungo i
colonnati della
tredicesima. Si fermò, sporgendosi appoggiato ad un
terrazzino. Nemmeno si
accorse che Anteros, il suo irritante fratellino, gemello di Eros, lo
osservava
incuriosito.
“Che
vuoi?”
sbottò il maggiore, infastidito.
“Tutto
bene?
siete tutti strani in famiglia ho
notato”.
“Che
intendi, lepidottero?”.
Anteros
si
imbronciò, non sopportando battute sulle sue ali da farfalla.
“Intendo..”
riprese poi “..che Deimos sembra che si senta solo e cerca
disperatamente
compagnia mentre papà non vuole combattere. E poi vedo te,
con la testa fra le
nuvole, che sospira al balcone stile Giulietta”.
“Deimos
fa
così perché io sto molto tempo con quella pennuta
fastidiosa per evitare che
scappi e lui si sente solo. Papà credo sia in crisi di mezza
età ed io non sto
sospirando. E non so chi sia Giulietta!”.
“Ok.
Supponevo che tu non leggessi libri..ad ogni modo..che ti
preoccupa?”.
“Temo
di
star perdendo di nuovo i miei poteri. Purtroppo è una
sensazione che conosco
fin troppo bene. Dopo quella pugnalata con la daga d’oro, ho
rischiato di
divenire mortale e mi ero indebolito ed ora temo stia accadendo di
nuovo”.
“Perché
lo
pensi?”.
“Perché
quella donna non ha paura di me. La guardo e lei non si scuote. E non
solo lei.
È come se non incutessi più paura ed io DEVO
incutere paura!”.
“Quale
donna?”.
“QUELLA
donna!”.
Phobos
la
indicò. In basso, fra le colonne del piano inferiore,
Nadijeshda ancora
suonava.
“Sarà
la
vecchiaia” rise Anteros.
Phobos
si
voltò di scatto ed il fratello minore sobbalzò
dinnanzi a quello sguardo
minaccioso.
“Ad
ogni
modo..” riprese poi, quando il maggiore smise di fissarlo
“..secondo me ti
preoccupi troppo”.
“Sono
andato
così vicino a divenire mortale che mi viene la nausea al
solo pensiero! Ho lo
stomaco sottosopra, credimi..”.
“Oh,
ti
credo..”.
“Perché
sorridi come un coglione?!”.
“Senza
un
motivo..fatti vedere da Hermes, se pensi di essere malato. Ma secondo
me ti
dirà quel che ti ho detto io..”.
“Alla
vigilia di una guerra non posso essere senza poteri! Non
capisci?!”.
“Non
urlare!
Ti sento benissimo..”.
Anteros
sorrise di nuovo, guardando verso l’alata che suonava.
“È
carina..”
commentò.
“Non
saprei..” borbottò Phobos.
“Come
sarebbe a dire?!”.
“È
la donna
più irritante della galassia!”.
“Più
irritante
di Atena?”.
“No.
Fino a
quel punto, no!”.
“Allora
dai..non è tanto male..”.
“Che
discorsi del cazzo fai, Anty? È una prigioniera ed
è già tanto che non l’abbia appesa
per i piedi alla meridiana del Tempio da quanto rompe i
coglioni!”.
“Così.
Facevo per dire..”.
“So
a che
gioco stai giocando! Tu ed Eros è da quando siete nati che
cercate di farmi
innamorare. Ogni volta che mi vedete parlare con una femmina pensate
che ci sia
chissà che cosa e provate a convincermi che è la
donna della mia vita. Ma vi
ricordo che la paura ha sempre vinto sull’amore. Non siete
mai riusciti nei
vostri intenti idioti”.
“Lo
so. Era
per ridere! Permaloso!”.
“Non
mi
diverto con certi discorsi..”.
“Perché
sei
noioso, ecco perché. E non sai volare”.
“E
questo
che c’entra?!”.
“Niente.
Ma
è bello sfotterti”.
“Senti
un
po’..se io imparassi a volare, tu ed Eros mi lascereste in
pace?”.
“Niente
più
tentativi di farti trovare la morosa in cambio di un tuo
volo?”.
“Io
imparo a
volare e voi la smettete. Siete ridicoli. Lo faccio per risparmiarvi il
ripetersi di sconfitte imbarazzanti”.
“Però
se non
ci riesci, se non impari, ti tormenteremo il doppio!”.
“Affare
fatto”.
Anteros
ghignò, stringendo la mano al fratello. Sapeva quanto Phobos
fosse imbranato e,
soprattutto, spaventato a morte dalle altezze. Lo osservò
allontanarsi ed a sua
volta se ne andò dal terrazzino, diretto verso gli
appartamenti interni, dove
il gemello stava ballando. I due si scambiarono solo uno sguardo,
ridendo, e
poi anche Anteros si unì alla danza idiota.
“Insegnami,
come avevi promesso” sbottò Phobos, tutto
d’un fiato, rivolto alla prigioniera.
“Dopo
tutto
quello che mi state facendo, dovrei pure farti un favore?!”
rispose lei.
“Se
ci
riesci, se riesci a farmi volare, ti lascio libera. Hai la mia
parola”.
“Oh..allora
in questo caso le cose si fanno interessanti. Ci sto”.
Arles
si
doveva davvero concentrare per non rimanere a fissare le teste delle
divinità
Egizie. Erano decisamente pittoresche, non poteva negarlo.
Però non riusciva a
coglierne l’espressività, salvo quando ringhiavano
o soffiavano. La cosa era
frustrante. Temeva sempre di essere frainteso o di aver offeso qualcuno
senza
volerlo. Poi però si ricordò che doveva resistere
ancora per poco quindi fissò
pure lui con fastidio quel gruppetto di Dei che lo squadravano. Che
andassero
tutti quanti a farsi fottere! Nessuno voleva aiutarlo,
e questo se lo aspettava, ed il
tempo scorreva rapido.
“Non
puoi
trovare un rimedio” gli aveva ripetuto Thot “La
regina Iside ha trovato in
Eleonore un corpo ospite e non potrai cambiare questa cosa”.
Alla
ricerca
di indizi o indicazioni su cosa dovesse avere di così
speciale un corpo ospite,
Arles stava impazzendo. La luna era sempre più grande in
cielo, aumentando il
suo spicchio ogni notte.
“Anche
se la
fissi così..” rise Iside “..la luna non
si farà più piccola ed il tempo non
scorrerà nel senso opposto”.
“Sono
certo
che una soluzione esiste. Ho solo bisogno di più
tempo!”.
“Che
non
hai. Ormai è tutto pronto. Il rituale si svolgerà
in questa luna piena e tu non
potrai fare alcunché. Ti consiglio di metterti
l’animo in pace..”.
“Il
mio
animo non è mai stato in pace!”.
“Ecco:
è
questo il tuo problema!”.
Arles
vide
Iside sorridere e provò rabbia, che represse a fatica.
Greci, Egizi,
Romani..qualsiasi divinità a cui si ritrovava a pensare
faceva nascere in lui
un’ira difficilmente controllabile. Poi una strana musica lo
distrasse.
“La
magia
può fare molte cose..” parlò colui che
suonava, pizzicando le corde di quella
che sembrava un’arpa allungata.
“Non
credo
nella magia” rispose Arles.
“Il
cosmo
non è forse magia?”.
“No.
Il
cosmo è il cosmo”.
“E
che cos’è?”.
“Anche
se
fosse magia, come tu dici, che dovrei farci con il mio
cosmo?”.
“Nel
cosmo è
rinchiuso ciò che siamo. Tutti ne hanno uno..magari in
quello di Lady Eleonore
vi è rinchiuso qualcosa di speciale che può
aiutare..”.
“Ma
il suo
cosmo è mescolato a quello sempre più potente di
Iside..”.
“Un
modo ci
deve essere”.
“A
te che
importa, perdona la maleducazione?”.
“Hades
mi ha
inviato qui apposta. Sono in incognito..”.
“Sei
uno
specter?”.
“Sono
conosciuto come Pharaon, ma in questo caso il cappello del faraone lo
hai tu..”.
Il
musico
sorrise ed Arles tentò di ricordarlo. Purtroppo il suo
soggiorno fra le armate
di Hades era stato breve, perciò non era sicuro di potersi
fidare o meno di quell’individuo.
“Hades..”
riprese Pharaon “..ovviamente non può recarsi qui
personalmente ma ha mandato
me, che sono egiziano”.
“E
come ci
sei finito fra le schiere Greche?”.
“E
tu come
ci sei finito in quelle Egizie? Capitano tante cose lungo il camino e
non
sempre il sangue ci tiene legati per
l’eternità”.
“Cosa
suggerisci di fare? Di certo te la cavi molto meglio di me in questo
mondo..”.
“Il
libro
dei morti”.
“Che
dovrei
farci?”.
“Troviamo
quello di Eleonore. È già morta una volta,
giusto? Per legare la sua anima,
Iside ha bisogno del libro della sposa di re Hades quindi..”.
“E
dove
pensi lo tengano?”.
“Lascia
fare
a me!”.
“Posso
fidarmi?”.
“Lo
faccio
per Eleonore, la mia regina. E per il mio Signore Hades”.
“Va
bene.
Però..”.
Pharaon
scattò in avanti di colpo, quasi sfiorando il volto di
Arles, mentre due
guardie del palazzo attraversavano il corridoio.
“Che
c’è?”
sbottò il figlio di Ares.
“Meglio
non
attirare l’attenzione..”.
“Ed
è quasi
limonando con me che non attiri l’attenzione?!”.
“Quasi
che cosa?!”.
“Lascia
perdere..”.
Lo
Specter
afferrò il capo di Arles, senza che questi avesse il tempo
di reagire, e lo
baciò, divertito.
“Se
voglio
una cosa, la faccio” rise l’Egizio “Non
sono mica come voialtri al Tempio..”.
“Ma..tu..vuoi
morire, vero?”.
“Sono
già
morto, tecnicamente. Se no non sarei all’inferno.
Perciò rilassati un po’ e
vieni, troviamo il libro dei morti della regina Eleonore”.
Accanto
ad
Apollo, sedeva Tolomeo. I due si fissavano in modo strano.
“Dimmi,
Quetzalcóatl..”
parlò Apollo “..è vero che, secondo una
profezia, nel 2012 avresti dovuto
mangiare il sole e far finire il mondo?”.
“Vuoi
che ti
mangi?”.
“No!”.
“Perché
se
vuoi lo faccio..”.
“Ragazzi!”
li interruppe Hermes “Fate i seri!”.
“Tu
sei il
primogenito figlio maschio di Zeus..dico bene, Apollo?”
riprese Tolomeo.
“Sì,
dici
bene”.
“E
non sei
geloso del fatto che sia Ares a regnare, assieme ad Atena?”.
“Ares
non
regna proprio su un bel niente. È Atena che
comanda”.
“E
la cosa
non ti fa arrabbiare?”.
“Perché?
Ho sempre
considerato Atena come la più saggia e poi è la
volontà di Era e quel che
voleva Padre Zeus. E allontanati, per favore. Ho sempre paura che tu
voglia
mangiarmi davvero”.
Tolomeo
sorrise, con quel ghigno di dimensioni anormali.
“Che
senso
mi fa quella bocca..” rabbrividì Artemide
“..senza offesa”.
“Nessuna
offesa” ridacchiò Quetzalcóatl .
“Chi
manca? Stanno
arrivando anche i romani..” interruppe Hermes.
“Sì,
ne ho
visti un paio. Atena ha chiamato proprio tutti..”
annuì Apollo.
“Mi
spiegate
una cosa?” chiese Ipazia, timidamente “..prima di
fare la figura della scema,
mi spiegate come può un Dio possedere un corpo? Mio fratello
si è risvegliato
come Dio ma è ancora lui, è ancora mio fratello,
anche se con un aspetto
inquietante. Perché con Eleonore è
diverso?”.
“Bambina,
nessuna figura della scema, tranquilla” sorrise Apollo
“Vedi..in tuo fratello
risiedeva latente la divinità dal nome lunghissimo e
complicato che non ricordo
mai..”.
“Chiamami
Quetzy” commentò Tolomeo.
“..ok..in
tuo fratello il Dio era latente. È nato così,
solo che il Dio aveva bisogno di
un certo livello di cosmo per potersi risvegliare. In questo caso,
Tolomeo e..Quetzy..sono
la stessa cosa. Nello stesso corpo risiedono i ricordi di Tolomeo e
dell’antico
Dio. È una rinascita. Nel caso di Eleonore invece
è una possessione. Qualcuno,
probabilmente i suoi sottoposti con un corpo fisico a disposizione,
hanno
liberato Iside, scovando per lei il corpo più adatto. Ma
Eleonore non è nata
con questo cosmo nel cuore, è qualcosa di estraneo e la Dea
ha solo un modo per
prevalere: annullare Eleonore. Altrimenti dovrà sempre
lottare con una sorta di
parassita umana che cercherà di controllarla, come nel cado
di Hades e Shun.
Poi ci sono quelli, come me per esempio, che occupano il proprio vero
corpo. L’involucro
è per chi ha paura di rovinare l’originale ed io
voglio proprio vedere chi può
fare del male al sole..salvo sto qua a fianco con sto sorriso
inquietante!”.
“Ma
dai!”
rise Tolomeo “Non ti mangio per davvero!”.
“Non
si sa
mai..”.
Tolomeo
mostrò la lingua, da serpente e Apollo
indietreggiò ancora.
“Rilassati,
zio. Tu hai i capelli che prendono fuoco, mica dico niente..”.
Il
Dio del
sole sospirò. Che fatica gestire le nuove generazioni!
Efesto,
Dio
fabbro, era rimasto alla prima casa. Lì, grazie ai materiali
di Mur, stava
dando una controllata alle armature divine. Al suo fianco, Kiki cercava
di
assisterlo, incuriosito.
“Gran
Sacerdote..avete idea di dove sia l’armatura di
Ares?” chiese il Dio.
“No”
ammise
Kiki “Proverò ad informarmi”.
“Non
serve
che mi aiutiate. Le Armature sono in buono stato, salvo qualche raro
caso”.
“Mi
diverto.
L’alternativa e sorbirmi filippiche divine..”.
“Comprendo..anche
troppo!”.
Kiki
sorrise, osservando ammirato i movimenti del Dio. Poi diversi cosmi
attirarono
la sua attenzione. Guardò fuori, verso l’ingresso
del Tempio, stupendosi nel
non vedere le guardie.
“Mur!”
esclamò, riconoscendo immediatamente il suo maestro
“Shaka!”.
Entrambi
i
cavalieri camminavano, con una lentezza quasi irritante, verso la prima
casa. Dietro
di loro, altre due figure che Kiki riconobbe. Erano state da poco al
Tempio e
non si aspettava di vederle di nuovo.
“Maya..”
mormorò, salutandola con un lieve inchino “..Lord
Shiva..” aggiunse poi.
Il
Dio
indiano non aveva l’aria di chi era giunto fin lì
di sua volontà ma rispose al
saluto, mente il gruppetto iniziò a salire le scale.
Come siete silenziosi ultimamente. Mi sembra
di parlare da sola..il che è quasi normale per me XD Allora?
Che ne pensate? State
per rinchiudermi o vi siete rotti le palle? :P
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Capitolo 16 *** XVI- sapienza ***
XVI
SAPIENZA
“Hei,
occhioni blu!” sbraitò Deimos, piombando nella
stanza del gemello.
Phobos
sobbalzò. Perso nei propri pensieri, stava sonnecchiando
affacciato alla
finestra.
“Occhioni
blu?” biascicò, assonnato.
“Da
quando
non ti guardi allo specchio? Hai una faccia..”.
“Di
che
parli, Demy?”.
“Non
chiamarmi così! E muoviti. Ti devi allenare! Non so che ti
passi per la testa
ultimamente, ma sono stanco di come questa famiglia si stia
rammollendo. Fra papà
che con Afrodite ragiona con il cazzo e te che passi le giornate
sognando
unicorni..”.
“Non
passo
le giornate così! Che dici?!”.
“Alzati.
Andiamo”.
“Deimos..”.
“Sì?”.
“Dimmi
la
verità. Tu credi che io..stia perdendo i miei
poteri?”.
“Perché
me
lo chiedi?”.
“Lo
hai
detto anche tu. Sono strano ultimamente. Il mio sguardo non incute
più il
timore di un tempo”.
“In
effetti..”.
“Ho
paura,
fratello. So che è una cosa inusuale da dire per me, ma sono
spaventato. Non
voglio divenire mortale. Non voglio perdere i miei poteri!”.
“Ne
hai
parlato con Hermes? O Apollo?”.
“No.
Temo
possano ridermi in faccia”.
“Sempre
meglio una risata che magari ti tranquillizza piuttosto che startene
qui a
penare, no?”.
“Non
so.
Non voglio sembrare ridicolo”.
“Ma
già lo
sei. Con quello sguardo così..puccioso”.
“Non
esiste
come termine!”.
“Hai
lo
sguardo..da mortale. E non lo hai mai avuto. Nemmeno quando il tuo
occhio era
danneggiato dalla daga, aveva quell’aspetto!”.
“Che
dovrei
fare?”.
“Parlare
con qualcuno. Ci sono tutti gli Dei possibili ed immaginabili ora al
Tempio.
Approfittane! E ora muoviti. Meglio allenarsi, ti farà
bene”.
“A
dir la
verità..sono un po’ stanco”.
“Stanco?!
Ma hai poltrito fin adesso!”.
“Lo
so. Ma
sono stanco”.
Deimos
storse il naso, infastidito.
“Come
vuoi”
commentò poi “Resta pure lì a
ronfare”.
Phobos,
rimasto da solo, tornò a buttarsi sul letto. Era sfinito ma
perché aveva
dormito molto poco. Nadijeshda cercava di insegnargli a volare con il
buio,
così da evitare i curiosi. Doveva però sforzarsi
molto, per far capire al cosmo
come entrare in sintonia con l’armatura in modo da poter
volare. Non pensava
fosse così complicato!
“Sto
iniziando ad odiare tutti questi disegnini..”
borbottò Arles.
“Non
sono
disegnini!” replicò Pharaon “Sono
geroglifici!”
“Quello
che
sono!”.
“Dai,
impegnati! Che cosa leggi qui?”.
“Dunque..omino
seduto, uccello, ricciolo, acqua..un uomo fa la permanente ad un
uccello mentre
c’è un’alluvione?”.
“Ma
fai il
serio! Coglione!”.
“Non
offendere! Io non ti prendo in giro perché non sai leggere
il greco”.
“Lingua
insensata. Questa va a concetti”.
“Lingua
morta!”.
“Greco
di
merda!”.
“Ok..basta..siamo
qui per trovare una soluzione, giusto? Ti insulterò a dovere
più tardi, ora il
tempo stringe”.
“Hai
ragione. Hades potrebbe distruggermi se Eleonore non dovesse tornare
per colpa
di queste cazzate! È da giorni che cerchiamo..dove possono
averlo nascosto quel
maledetto libro dei morti?”.
Dopo
altre
ricerche, i due si erano messi a sfogliare un grosso volume che parlava
del
rituale di risveglio che avrebbe dovuto affrontare Iside, in cerca di
nuove
possibili informazioni. Sedevano ad un tavolo e Pharaon leggeva ad alta
voce,
sapendo che Arles non poteva imparare i geroglifici in pochi giorni,
nonostante
si sforzasse. Allo stesso tavolo sedeva un altro uomo, a gambe
incrociate, che
leggeva distrattamente un libricino.
“Forse..”
mormorò Pharaon, cercando di non infastidire lo sconosciuto
“..tu non dovresti
sapere certe cose, Arles. Sei un Greco e questi sono rituali Egizi.
Potresti
essere punito”.
“Ma
cosa
cazzo vuoi che mi freghi? E poi, chi dovrebbe punirmi? E per quale
motivo?”.
“Perché
ci
sono delle cose che non devi sapere. Forse nemmeno io
dovrei..”.
Incitato
da
Arles, lo specter ricominciò a leggere. Lo sconosciuto
sorrise.
“Qualcosa
ti
diverte?” commentò il figlio di Ares, irritato,
voltandosi verso quell’uomo.
“No”
ammise
lui “Qualcosa mi rende felice”.
“E
per quale
motivo, di grazia?”.
“È
sempre
bello vedere uno spirito affine..”.
“Affine
con
chi?”.
“Rilassati.
Non serve arrabbiarsi”.
L’uomo
ripose
il libricino che stava leggendo, poggiandolo sul tavolo, e sorrise.
Dall’accento, si capiva subito che non era uno degli Egizi.
“Perché
celi
il tuo aspetto dietro un’illusione?” riprese Arles.
“Oh,
ma che
bravo. Riesci a percepirlo. Allora non sei debole come
dicono..”.
“Chi
dice
che sono debole, scusa?”.
“Del
resto..sei il Dio delle illusioni, se non ho capito male.
Perciò non mi dovrei
stupire..”.
“Pare
mi
conosciate molto bene..”.
"Siamo
simili, io e te. Conosciamo la gloria e la sconfitta, il dolore e
l'orgoglio”.
“Ah
sì?”. Arles
fissò lo sconosciuto, piuttosto scettico. “Nessuno
è come me!”.
“Eravamo
i
più luminosi, i più forti..magnifici, sopra
chiunque altro! Dicevano che
eravamo simili agli Dei, o dei veri e propri Dei. Ma a noi è
stata preferita una
più misera ombra e così l'ombra è
apparsa in noi. Risucchiati dalle tenebre,
siamo caduti. Le nostre mani si sono macchiate di sangue ed i nostri
occhi si
sono riempiti di lacrime. Ma questo non ci ha impedito di camminare
ancora, seppur con inferiore splendore dinnanzi allo sguardo di chi ci
circondava un tempo. Noi non apparteniamo a nessuno, nessuno
può piegarci e,
allo stesso, nessuno può comprenderci. Non siamo nulla,
perché abbiamo visto
tutto. Ma mai chiederemo perdono, mai il nostro capo si
chinerà, mai il nostro
antico splendore verrà dimenticato. Perché noi siamo la luce, noi
ricerchiamo la verità
oltre a ciò che è stato imposto”.
“Quante
belle parole. Direi esagerate. Ed io non la
conosco..”.
“Figlio
della guerra, rispondi a questa domanda: perché sei
qui?”.
“Se
sai tutto, risponditi da solo!”.
“Ti
hanno detto che è impossibile salvare quella donna.
Eppure sei qui, alla disperata ricerca di una soluzione che sai
esistere. Lo
fai..per quale motivo?”.
“Perché
voglio che lei sia felice. Voglio che lei sia viva”.
“Vuoi
che lei sia tua”.
“No.
Lei è la sposa di Hades”.
“Hai
intenzione di riportagliela?”.
“Certo.
Anche perché lei è già morta una
volta. Se io la
portassi via dal signore dell’oltretomba, lui potrebbe
decidere di richiamarla
a sé in qualsiasi momento, uccidendola di nuovo”.
“Ho
dunque davanti un coniglio, non un guerriero”.
“Un
coniglio?!”.
“Sì,
un vigliacco. Lottare per una femmina, infrangere ogni
regola possibile per riaverla, per poi lasciarla andare da un tizio che
nemmeno
muove un dito? Non è questo un comportamento da
coniglio?”.
“Senti,
coso..io non so chi tu sia e che cosa voglia, ma se
mi fai incazzare è a tuo rischio e pericolo!”.
“Non
puoi farmi paura. Sei solo un bambino..”.
“Un
bambino?!”.
Lo
sconosciuto sorrise di nuovo. Il suo sguardo brillò per
qualche istante. Si alzò lentamente, con i capelli mossi che
si agitarono non
si sa per quale misterioso motivo. Era bello quell’individuo,
inquietantemente
bello, e si avvicinò a passi lenti verso Arles e Pharaon.
Lanciò una rapida
occhiata al libro che i due stavano leggendo e sedette sul tavolo,
incrociando
le gambe, accanto al figlio di Ares.
“Imparare
a memoria il rituale non ti servirà..”
parlò.
“Stavamo
cercando il libro dei morti di Eleonore, in effetti”
rispose, acido, Arles.
“Idea
già migliore. Quello ti permetterà ti leggere la
sua
anima”.
“Quello
impedirà ad Iside di controllare del tutto la sua
essenza”.
“Sbagliato.
Iside ha Eleonore in sé. Sa tutto di lei e può
farci ciò che vuole. Quel libro le risparmia solo un
po’ di fatica”.
“Ma..allora..”.
“Voglio
farti una domanda. Fino a che punto sei disposto a
spingerti, coniglio?”.
“Smettila
di chiamarmi così!”.
“Sei
disposto a giungere fino a quale limite? Quante regole
sei disposto ad infrangere per riavere quella femmina?”.
Arles
alzò lo sguardo, fissando quello sconosciuto.
Esternamente, sembrava un Egizio. Era truccato ed abbigliato come uno
di loro,
salvo per i capelli sciolti. Ma il figlio di Ares coglieva sfumature
del suo
aspetto celate da un’illusione, da uno schermo, e capiva che
non era di certo
un egiziano.
“Che
cosa vuoi da me?” chiese il Greco.
“Aiutarti.
O meglio, spingerti verso la verità. La sapienza
è
a tua disposizione. La soluzione è solo un passetto
oltre..”.
“Oltre
a che cosa?”.
“Al
limite consentito”.
“Parla.
Se hai qualcosa da dirmi, se sai come posso aiutare
Eleonore, apri la bocca. Altrimenti taci, che ho poco tempo”.
“Posso
aiutarti. Ma non se in cambio lascerai che se la
riprenda Hades. Posso aiutarti, ma solo per te. Solo se quella femmina
resterà
con te”.
“Questo
non è possibile”.
“Allora
mi spiace ma non posso aiutarti”.
“Come
sarebbe a dire?!”.
“Non
sono disposto a perdere tempo con chi non ha spina
dorsale”.
“Prestami
la tua”.
“Non
fare lo spiritoso”.
“Sai
davvero come salvare Eleonore?”.
“Iside
vuole un corpo. Nell’anima non se ne fa niente..”.
“L’anima?
Quindi..ma certo!”.
“Certo,
che cosa?!” si stupì Pharaon.
“L’anima!
Non capisci? Iside ha bisogno solo di un corpo. Se
io riesco a recuperare l’anima e metterla altrove, Iside
avrà il suo corpo e
Eleonore..”.
“Stai
dicendo cose che vanno oltre il limite consentito!” lo
interruppe Pharaon “Stai parlando di prendere
un’anima e spostarla in un corpo
vuoto. E visto che deve essere vuoto, dev’essere
morto”.
“No.
Cioè..sì..ma..anche no! Io potrei..”.
“Credi
che Eleonore sarebbe disposta a starsene in un corpo
che non gli appartiene?”.
“L’alternativa
è che svanisca per sempre. Se non la salvo, la
sua anima svanirà per sempre”.
“La
sua anima potrebbe essere già danneggiata. E poi..sei
serio?! Usare un cadavere per..”.
“Io..forse
hai ragione..”.
“Idiota!”
si intromise lo sconosciuto “Guarda oltre! Sei
intrappolato fra ciò che ti è stato detto che
è sbagliato e ciò che dai per
scontato che lo sia. Ma guarda oltre. Spingiti solo un pochino
più in là”.
“Verso
dove?”.
“Verso
la luce. Quante catene ti hanno messo, ragazzo? Come
credi di poter volare, se sei inchiodato a terra da mille
regole?”.
“Andiamo!
Non posso costringere Eleonore a vivere in un
cadavere altrui!”.
“Non
te l’ho mai detto”.
“E
che dovrei fare, secondo te?”.
“Greco..so
che puoi giungere alla soluzione. Cerca solo di
vedere le cose da una prospettiva meno..ortodossa!”.
“Meno
ortodossa? Dunque..un corpo vuoto che non sia un
cadavere..o prendo un corpo vivo, ne elimino l’anima e ci
faccio entrare quello
di Eleonore, oppure..”.
“Oppure..”.
“Oppure
faccio in modo che lei abbia un corpo nuovo! La Dea
della bellezza, Afrodite, sa creare dei corpi. E anche Gaia. Sono corpi
vuoti,
ma con l’anima di Eleonore sarebbe..”.
“Sarebbe
una follia!” quasi gridò Pharaon “Parli
di compiere
atti che competono solo ad un Dio creatore!”.
“E
allora?”.
“Come?!
Saresti punito secondo qualsiasi religione
dell’Universo!”.
“Rilassati..l’idea
è buona. Però..”.
“Però?
Che succede?” domandò lo sconosciuto.
“Io
non so come maneggiare le anime. Potrei chiedere a
Deathmask ma non so se sarebbe in grado di fare una cosa del
genere..lui le
anime le ruba, non le impianta altrove!”.
“Posso
aiutarti io. Sono un esperto di anime” sorrise
l’uomo.
“Davvero?
E perché lo faresti?”.
“Perché?
Beh..diciamo che devo un favore ad una persona”.
“A
chi?”.
“Prima
o poi lo saprai. Sta di fatto che, se tu mi saprai
fornire il corpo, io vi trasferirò l’anima. Il
giorno del rituale, quando Iside
la richiamerà per distruggerla, sarà
mia”.
“Ed
in cambio che vuoi?”.
“In
cambio voglio che tu te la tenga, quella femmina. Se mi
giuri che sfiderai Hades, io ti aiuterò. Salvando la sua
anima, lei apparterrà
solo a te e Hades non potrà più fare
nulla”.
“Farmi
nemico Hades?”.
“È
un così grosso problema?”.
Arles
rimase qualche istante in silenzio.
“Se
hai intenzione di tradire il sommo Hades..” parlò
Pharaon
“..allora avrai contro anche qualsiasi altra
divinità che lo sostiene. Ti farai
molti nemici, Arles”.
“Io
sono il figlio di Ares. Io GODO quando sono circondato da
nemici”.
“Sei
pazzo?!”.
“Sì”.
“Grandioso!
Ma dovrò informare il mio signore. Non ti
permetterà di fare cazzate”.
“Benissimo.
Parte la sfida..”.
“E
poi..pensi davvero che Eleonore potrebbe stare nel corpo
ricreato da Afrodite o da Gaia?!”.
“Se
vorrà morire, perché l’alternativa
è questa, l’aiuterò
io. Ma lo farò io con queste mani, non una Dea
Egizia”.
“Sarai
dannato. Dannato per sempre. A nessuno è permesso
giocare con ciò che compete alle divinità
creatrici”.
“Chiudi
la bocca” lo interruppe l’intruso “Se
tutti
pensassero come te, se tutti avessero paura, sai quante cose
mancherebbero fra
gli umani? Il fuoco, per esempio. Zeus non voleva che lo avessero gli
uomini.
Ricordi come è stato punito colui che ha osato rubarlo, per
donarlo ai mortali?
Sapeva che era proibito, eppure lo ha fatto. Quante volte gli Dei hanno
dato
dei divieti che una volta infranti hanno portato dei benefici al
mondo?”.
“E
che beneficio potrebbe mai portare al mondo la regina
Eleonore?” sbottò Pharaon.
“E
che beneficio potrebbe mai portare al mondo avere per esso
un’anima come quella di Arles? Si sta risvegliando e voialtri
stolti non ve ne
accorgente di quanto il suo cosmo bruci e si espanda. Cosa pensi possa
accadere, se dovesse perdere il controllo e questo suo potere si
riversasse sul
tuo prezioso mondo?”.
“Di
che parli?”.
“Parlo
di un’onda di energia carica di odio, rabbia,
disperazione divina che si riversa su chiunque osi avvicinarsi
troppo”.
“Lui
è un semidio. Non può spaventarmi il suo
potere”.
“Continua
pure a vivere nel tuo piccolo universo buio, specter.
A portare questa creatura verso la luce, ci penso io”.
“Sarete
entrambi dannati per sempre!”.
“Dannati
per sempre?” ripeté Arles, fissando lo sconosciuto.
“La
dannazione è una parola. Solo una parola. Chi può
dannare
te, Greco figlio di Ares? Hades? Ma tu non hai paura di Hades. Non
esiste un
posto vero e proprio per te,
nessuno ti
ha mai accettato veramente. Nessuno tranne quella donna, vero?
Eleonore!
Eleonore è il tuo angelo, colei che in ogni luogo ti fa
sentire a casa. Se
questo significa essere dannati per sempre, principe, allora credo che
io e te
condividiamo la stessa strada...".
“In
che
senso?”.
“Non
nel
senso che voglio la tua donna. Nel senso che nella nostra vita non vi
è un vero
luogo per noi ma una donna lenisce ogni nostro turbamento. Con lei
accanto,
siamo in pace. E non importa tutto ciò che accade attorno.
Nel mio caso, la
donna è mia sorella. Nel tuo, Eleonore. Ci stai,
allora?”.
“Non
ho
niente da perdere, no?”.
“Esatto.
Ma
devi agire in fretta”.
“Come
faccio ad andare da Afrodite? Mi è vietato uscire da qui. Mi
sorvegliano..”.
“Che
domanda cretina! Sei il Dio delle illusioni! Crea l’illusione
di te stesso e
corri dalla Dea. Ti copro io”.
“Posso
rendere te come me? Va bene. Farò in fretta..”.
“Afrodite
è
al Grande Tempio. Atena sta radunando tutti gli Dei”.
Arles
annuì. Poteva fidarsi? Incrociò di nuovo lo
sguardo di quello sconosciuto,
mentre Pharaon protestava sommessamente. Con il potere delle illusioni,
ora in
quella stanza vi erano due Arles. Il figlio di Ares osservò
colui che aveva di
fronte, identico a sé, e sorrise compiaciuto.
“Sì,
sei
bello” ridacchiò lo sconosciuto.
“Hai
proprio ragione..” annuì Arles, allontanandosi poi
di corsa.
Rimasti
soli, lo sconosciuto e Pharaon si fissarono qualche istante. Lo specter
si
accigliò. Doveva informare quanto prima il suo signore Hades
delle intenzioni
di quel Greco psicotico! Ma colui che aveva di fronte non aveva alcuna
intenzione di fargli lasciare il palazzo egiziano. Con uno scatto
rapido, colpì
il servo dell’oltretomba. Questi cadde in terra, senza avere
neppure il tempo
di gridare. Lo sconosciuto sorrise, soddisfatto, e si
sbarazzò del cadavere.
“Ma
quanto
era grande questo esercito di cui parlate?”
domandò Camus.
“Non
saprei
dirti” rispose Milo “Poco rassicurante, ad ogni
modo”.
“Già”
annuì
Aiolia “E molte delle loro divinità erano sveglie
ed attive. E pericolose.
Quelle contro cui abbiamo avuto a che fare non sono state facili da
contrastare”.
In
una
grande sala, nella dimora di Atena, la Dea aveva convocato i cavalieri
e gli
Dei per discutere del pericolo imminente.
“Sono
preoccupata” ammise la padrona di casa “Fra gli
angeli e gli Egizi, siamo in
pericolo”.
“Ma
noi
siamo qui!” esclamò Aiolos “E anche le
divinità. Shiva, Maya e Quetzalcóatl,
oltre a Greci e Romani, saranno un’ottima difesa”.
“Dobbiamo
attaccare
prima che l’esercito si mobiliti” si intromise
Artemide “Rischia di portare
distruzione e morte fra popoli innocenti. Attacchiamo ora, che non
è pienamente
organizzato e pronto”.
“Concordo
con mia sorella” annuì Apollo.
“Hei,
calmi! Da quando siete così guerrafondai?”
domandò Ares.
“E
da
quando tu non lo sei, fratellino?” ribatté il
primogenito di Zeus.
“Sono
affari miei! Ma, ad ogni modo, cosa ci importa se questi eserciti
attaccano
altri? Chissenefrega! Ci mettiamo a fare le guerre
preventive?”.
“Dovrebbero
piacerti..”.
“Può
darsi.
Ma io devo odiare il mio nemico e gli Egizi non mi irritano per
niente”.
“Troveremo
il modo di farteli odiare..”.
“Ho
altre
cose per la testa..”.
“Per
esempio?”.
“Mio
figlio
disperso, il mio primogenito rincoglionito..tanto per citarne un
paio..”.
“Primogenito?
Parli di Phobos?”.
“Non
sta
bene ultimamente. Ed io ci tengo alla mia famiglia”.
“Noi
siamo
la tua famiglia!”.
“Non
del
tutto, bastardello”.
“Come
ti
permetti?!”.
“Non
cominciate!” li interruppe Hera “Siete quasi tutti
bastardi qui!”.
Ares
tacque,
obbedendo sempre a sua madre. Apollo invece voleva continuare la
discussione e
fu Artemide a fermarlo. Il pavone di Hera emise il suo tipico suono,
minacciando i presenti.
“Le
ricerche dell’alata continuano?” volle sapere
Shiva, capendo di non essere il
solo con una famiglia un pochino incasinata.
“Sì”
annuì
Atena “Ma pare svanita nel nulla”.
“Ma
questo
è impossibile!”.
“Eppure
è
così. Se ha raggiunto luoghi riservati alla sua religione,
noi non possiamo
vederla”.
“Capisco..spero
non abbia sottratto oggetti preziosi o altro..”.
“Non
credo.
Ad ogni modo, speriamo di trovarla. I miei cavalieri pattugliano
continuamente
varie zone, alla ricerca di indizi”.
“Incredibile.
Perdere una fanciulla, potrei capirlo. Ma una donna alata..”.
“Cercala
tu!” protestò Deathmask “Io sono stanco
di vagare nel nulla!”.
“Death!”
sibilò Aphrodite “Cerca di
controllarti..”.
“Atena!”
interruppe Kanon “Io devo tornare in Egitto”.
“E
perché?”
chiese la Dea.
“Mio
fratello è là. E non se la passa molto bene.
Voglio essere sicuro che torni qui”.
“Ci
hai spiegato
la situazione, Kanon. Ma non è molto ciò che
possiamo fare a riguardo. Tornando,
cosa credi di risolvere?”.
“Voglio
solo stargli vicino. So che potrebbe di nuovo perdere la testa e
perdersi in
illusioni assurde”.
“Credi
sia
solo questo il punto?” interruppe Ares.
“Padre..?”.
“Tuo
fratello non è più un semplice mortale con un
cosmo. È un Dio”.
“Semidio”
precisò Atena.
“Quel
che
è! Ma il suo potere è superiore a quello che
aveva manifestato durante la
guerra contro i romani. Non è ferito, non è in
punto di morte. Se dovesse
perdere il controllo ora, le conseguenze non si sa quali possano
essere”.
“In
che
senso? Che potrebbe succedere?” domandò Aiolos.
“Non
lo so”
alzò le spalle Ares, fingendo indifferenza “Ma non
vorrei trovarmi nei paraggi.
Perciò Kanon ha ragione. Bisogna riportarlo a casa. Eleonore
è perduta ed è
meglio che se ne renda conto gradatamente, circondato da chi
può mantenerlo con
una certa stabilità mentale. Solo, in Egitto, non
so..”.
“Io
non
voglio riportarlo a casa adesso” precisò Kanon
“Lui vuole vedere l’ultimo
barlume di vita della sua donna e glielo concederò. Ma poi
lo porterò via. La mia
presenza, forse..”.
“Bella
sfida, ragazzo mio..”.
“Lui
è il
mio gemello. Non lo lascerò perdersi nelle
tenebre”.
“E
se ci
fosse già caduto, inesorabilmente?”.
“Allora
voglio essere io colui che lo ucciderà”.
Nella
sala
scese uno strano silenzio. Nessuno aveva idea di che cosa dire e gli
sguardi
erano rivolti verso Kanon ed Ares.
“Va
bene”
annuì Atena “Porta con te tua moglie Sarah, se non
lo ritieni troppo
pericoloso. È la gemella di Eleonore, vorrà pure
lei salutare la sorella. Parti
non appena sarai guarito dalle ferite inferte dagli Egizi. E
noi..prepariamoci.
Iside vuole risvegliarsi con la luna piena e quello sarà il
momento in cui noi
attaccheremo. Ares, restatene pure a letto se non hai voglia di
combattere. Non
voglio palle al piede nei miei eserciti e tu, se non vuoi fare la
guerra, sei
inutile”.
Ares,
stranamente, non rispose.
“Che
silenzio..” borbottò Tolomeo.
“Concordo”
gli rispose Shiva, fissandolo incuriosito “Cambiando
argomento..che cosa strana
che sei diventato..”.
“Parla
quello con la pelle blu..ed un fiume in testa!”.
“Hei,
il mondo
è bello perché è vario”
ridacchiò l’Indiano e Maya rise a sua volta
“Però ora
basta perdere tempo in chiacchiere. Alla luna piena manca poco,
prepariamoci a
menare le mani!”.
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Capitolo 17 *** XVII- la vittoria dell'arciere ***
XVII
LA
VITTORIA
DELL’ARCIERE
“Ora
questa
armatura è perfetta, senza nemmeno un graffio”
commentò Efesto e Phobos annuì.
“Pronta
per
la battaglia” fu la risposta del figlio di Ares.
“Sì,
ma
l’armatura di tuo padre non c’è.
Dov’è andata a finire?”.
“Non
ne ho
idea. Quando gliel’ho chiesto, mi ha detto che l’ha
persa”.
“Persa?!
Come persa?! Ma che..”.
“Non
so che
cosa dirti. Questo è quel che mi ha detto”.
“Bah.
Devo
continuare ad ignorarlo, come ho sempre fatto!”.
“Ma
zio,
come potrebbe combattere senza armatura?”.
“A
testate.
È talmente cocciuto che ne ammazza molti di più
così!”.
Phobos
tentò di trattenere una risata a stento, immaginandosi suo
padre combattere a
testate.
“Mi
spiace
però..” ridacchiò “..mio
padre è dei Pesci, non dell’Ariete!”.
“Lo
so, lo
so!”.
“Ad
ogni
modo..”.
“Principe!”
gridò una delle guardie, piombando di corsa alla prima casa
“Principe Phobos!
La prigioniera! L’ostaggio! È fuggita!”.
“Nadijeshda?!”.
“Sissignore.
Si sta allontanando dal Tempio, diretta verso lo Star Hill!”.
“Dannata!
Me ne occupo io! E questa volta la incateno!”.
“Mobilito
l’esercito, signore?”.
“Per
una
mocciosa volante? No, non è necessario. Era sotto la mia
custodia, è compito
mio riportarla qui!”.
La
guardia
chinò il capo, mentre Phobos lasciava la prima casa e
risaliva in fretta tutte
le altre. Lo Star Hill si trovava oltre il Tempio, e non era un luogo
facilmente raggiungibile.
“Che
pensa
di fare quella femmina?” si chiese il Dio, saltando lungo le
scale “Ha osato
sfidare la misericordia del sottoscritto. La spiumerò del
tutto!”.
Avvolto
in
un mantello, Arles guardò il Tempio. Gli sembrava fosse
trascorsa un’eternità
da quando lo aveva lasciato! Sapeva di dover raggiungere la tredicesima
ma
sapeva anche quali stradine nascoste percorrere, per non dover
attraversare
tutte le case. Così riuscì in fretta a risalire
fino a quella che un tempo era
la sua dimora. Anche se Atena aveva richiamato tutte le
divinità, di certo Afrodite
non era interessata a
partecipare a
riunioni noiose e complicate. Girando per le stanze, riuscì
finalmente a
scovare quella dove lei riposava. La Dea, come
sempre poco vestita, stava stesa a letto. Il suo viso era coperto dal
velo del
baldacchino e Arles ne scorgeva solo le gambe scoperte, che si mossero.
“Ares..”
mormorò lei “..chiudi la porta, fa corrente. Non
vorrai mica che mi prenda il
raffreddore?!”.
“Non
sono
Ares..”.
La
Dea si
tirò su, mettendosi a sedere e sbirciando da dietro la
tendina.
“Ciao..”
salutò, con il tipico tono di voce sensuale.
“Salve”
rispose Arles, rimanendo sulla porta e chiudendola dietro di
sé. Allo stesso
tempo, abbassò la stoffa che gli copriva il volto.
“Che
cosa
cerchi?” sorrise lei.
“Avrei
un
favore da chiedervi, Afrodite”.
“Un
favore?
A me? Va bene. Ti ascolto”.
La
Dea si
rigirò, mettendosi seduta con le gambe a ciondoloni sul
letto. Iniziò poi a
pettinarsi, usando una spazzola che stava sul piccolo comò.
“Mi
servirebbe un corpo” iniziò a spiegare Arles,
stando attento a non alzare
troppo la voce.
“Un
corpo?
Che genere di corpo?”.
“Eleonore.
Mi servirebbe una copia esatta di Eleonore”.
“Ho
vagamente sentito quel che sta accadendo. Lei muore e tu vuoi una
bambola con
cui giocare..porcellino..”.
“Voglio
una..bambola..con ogni dettaglio. Una bambola in grado di vivere, se
avesse
un’anima”.
“Intendi
perfetta esteriormente ed interiormente? Non è una cosa
facile. Ma posso
parlare con Gaia e farmi aiutare. Come mai una richiesta simile, se mi
è
permesso saperlo?”.
“Storia
lunga..”.
“Piccino..non
ti sarai mica messo a giocare con le anime, vero?”.
“E
come
potrei farlo? Io governo le illusioni, non la morte”.
“Ah,
meno
male. Per un attimo mi ero spaventata. Quando ti serve questo
giocattolo?”.
“Per
la
luna piena”.
“Questa?
Ma
è fra pochi giorni!”.
“Lo
so. È
urgente. E gradirei anche che
prima vi dedicaste a questo e poi a spettegolarci sopra”.
“Prego?!”.
“So
che vi
è difficile mantenere un segreto, e non pretendo che
sappiate mantenerlo. Però,
visto che ho fretta, vorrei prima avere la mia bambola e poi sentirne
parlare
in giro dalle altre divinità”.
“Ho
capito..sei impaziente. Sei come tuo padre”.
La
Dea si
alzò, stiracchiandosi. Era coperta solo da una sottile
stoffa chiara e si
avvicinò ad Arles.
“Io
e te..”
parlò “..non abbiamo mai avuto modo di conoscerci
meglio, di fare una
chiacchierata. Dico bene?”.
“Già..”.
“Sei
come
tuo padre. Diciamo che sei il suo..modello più
giovane!”.
“Che
strana
descrizione..”.
“Poverino..”
continuò lei, allungando le mani verso i capelli di Arles e
giocandoci un po’
“Ho saputo quel che accade con Eleonore. Sono sempre triste
quando qualcuno
soffre per amore..”.
“Mi
aiuterete? Posso contarci?”.
“Ma
certo!
Tu, piuttosto..rilassati un po’! Sembri un soldatino
sull’attenti! Non ti
mangio mica!”.
La
Dea rise
ed Arles alzò un sopracciglio, perplesso. Quella donna non
l’aveva mai capita,
probabilmente perché il suo aspetto mozzafiato impediva alle
sinapsi di lavorare.
“Mettiti
comodo” riprese lei “Un po’ di
vino?”.
“No,
grazie. Devo rientrare in fretta”.
“E
perché?
Fretta..sempre fretta! E come la mettiamo con il pagamento?”.
“Pagamento?”.
“Non
vorrai
mica che lavori gratis, spero!”.
“No,
certo
che no. Ma che potrei darvi in cambio?”.
“Non
hai
immaginazione? Io creo una bambola per te..tu che potresti mai fare per
me?”.
“Se
cercate
una Barbie, quello è Shaka..”.
“Come
sei
divertente..” ghignò sarcastica “..se tu
vuoi una bambola, allora tu sarai il
mio bambolotto!”.
“In
che
senso?!”.
“Ma
come?!
Davvero non ci arrivi?! Sono la Dea dell’amore e del sesso,
secondo te in che
senso vuoi che lo intenda?!”.
“Come
siete
spiritosa” sorrise Arles “Sul serio..che volete in
cambio?”.
“Non
sto
scherzando”.
“Siete
l’amante di mio padre. Che fra l’altro sta nella
stanza accanto..”.
“Io
sono
l’amante di tutto l’Olimpo, ragazzino! E amo
l’idea di provare qualcosa di
nuovo. Lo trovo eccitante. Tu no? Non mi trovi eccitante?”.
“Siete
la
Dea greca più bella. Certo che vi trovo eccitante. Ma siete
comunque l’amante
di mio padre e la madre di molti miei fratelli”.
“Come
se
questo fosse mai stato un problema per gli Dei..”.
“Non
sarà
un problema per gli Dei..ma per me sì!”.
“Sei
divertente..”.
“Io?
Ma..”.
Afrodite
rise ancora. Sfiorò con le mani il petto di Arles e
girò attorno all’uomo,
osservandolo. Lui mosse distrattamente gli occhi, poi tornando
immediatamente a
rivolgerli altrove. Il fondoschiena di Afrodite, per quanto
“datato”, era
comunque un gran belvedere!
“Quanti
anni hai?” chiese la Dea.
“Bella
domanda..sono morto e rinato talmente tante volte..”.
“Povero
caro..”.
Dopo
aver
completato il giro, Afrodite prese una coppa di vino e sorseggio con
voluttà.
“Sicuro
di
non volere un goccio?” offrì di nuovo ad Arles,
che scosse la testa.
La
Dea
scosse la testa, annoiata. Bevve ancora un goccio.
“Dioniso
non si smentisce mai” sorrise soddisfatta “Ma tu,
piuttosto..sei un uomo?”.
“Le
sembro
una donna?”.
“No,
per
niente. Hai le spalle di tuo padre e le sue grandi mani da guerriero.
Quello sguardo..ricorda
quello di Hera: fiero e profondo. I capelli, il petto..”.
“Vi
prego.
So come sono fatto. E mi trovo bello anche senza troppe
lusinghe”.
“Ah,
Narciso!”.
“Un
pochino, in effetti. Voi non lo siete?”.
“Io
sono la
Dea più bella. Non mi sono conferita da sola questo
titolo..”.
“Che
voi
siate bella, è innegabile”.
Con
un
ghigno divertito, Arles prese un sorso dalla coppa della Dea. Quello
sì che era
un vino con i fiocchi!
“Non
dirmi
che ti ubriachi” sfotté la Dea
“Perché altrimenti so per certo che non sei un
vero uomo”.
“Ci
vuole
ben altro, splendore. Ma è vero che siete nata dal
mare?”.
“Sì,
è
vero. E tu? Semidio nato normalmente?”.
“Da
quel
che ne so, sì. Non mi è mai stato narrato
qualcosa di diverso..”.
“Nato
come
un comune mortale, vissuto come un cavaliere..forse hai ragione. Non
sei
all’altezza”.
“Non
sono
all’altezza?!”.
“Sì,
non
sei abbastanza per me. Ho soddisfatto tutto l’Olimpo, non
è facile essere
all’altezza. Comprendo la tua titubanza”.
“Che
state
blaterando?!”.
“Tranquillo..”
sussurrò Afrodite, avvicinandosi ancora di più ad
Arles “..non lo dirò in
giro”.
Il
figlio
di Ares l’afferrò e la fissò, con gli
occhi che di colpo di tinsero di rosso.
“Che
mai
dovreste dire, Afrodite?” scandì, infastidito.
Lei
sorrise, si agitò fingendo di voler essere rilasciata.
“Vuoi
giocare, donzella?” ghignò lui “O forse
sei troppo vecchia per uno come me?”.
Afrodite,
di tutta risposta, tolse quel poco che la copriva.
“Ti
sembra
che queste siano le tette di una troppo vecchia?” commentò lei
“Fammi vedere come sei messo tu,
piuttosto, poppante!”.
Arles,
che
di orgoglio ne aveva a fiumi, non poteva di certo tirarsi indietro. E
poi..lo
faceva per Eleonore! Afrodite rise ancora. Sollevò
leggermente uno dei propri
piedini e allungò di nuovo le mani.
“Ti
spoglio
io” sussurrò, divertita
“Mettiti comodo!
Ora ti faccio vedere come si scopa per davvero!”.
Phobos
vedeva chiaramente Nadijeshda sospesa in aria. Maledetta! Sapeva volare
e
pareva prenderlo in giro, sorridendo.
“Torna
qui,
dannata!” gridò il figlio di Ares
“Avevamo un patto! Mi sono fidato! Lascia che
ti prenda e ti incatenerò al muro, stronza!”.
“Prima
mi
devi prendere!” rispose lei, volando più in alto.
“Bastarda..”
borbottò Phobos.
Saltò
da
una roccia ad un’altra, con il dirupo alle spalle della
dimora di Atena che si
apriva sotto i suoi piedi.
Deimos
aveva visto il fratello sfrecciare lungo le scale e lo raggiunse
allarmato. Lo
chiamò, vedendolo in bilico fra le rocce.
“Lascia
fare a me!” gridò Phobos “Va via!
È una questione personale!”.
“Fratello,
rischi di finire di sotto! Non sai volare! Piantala di fare
l’idiota e torna
qui, la riprendo io quella femmina”.
“Fatti
i
cazzi tuoi!”.
Deimos
si
stupì nel sentire il fratello così alterato e
quindi lo lasciò fare. Fermò
anche le guardie, che erano accorse. Era una questione
d’orgoglio e sapeva che
Phobos non avrebbe mai perdonato un eventuale intervento.
“Torna
qui!” continuò l’inseguimento Phobos,
sempre fra una roccia ed un’altra.
“Vienimi
a
prendere” incitò ancora lei, allungando una mano
verso di lui.
“Te
lo
sogni, bella!” ridacchiò Deimos, a bassa voce.
Phobos
rimase immobile, guardando verso l’alto. Lei fluttuava ed una
di quelle piume
sfiorò il volto del primogenito di Ares. Questi chiuse gli
occhi.
“Fratello?”
piegò la testa Deimos, a braccia incrociate.
Nadijeshda
mosse
leggermente le ali e si allontanò di qualche metro.
“Aspetta!”
chiamò Phobos “Tu non..”.
Era
indeciso, sotto di sé aveva il nulla, tirava vento e quella
donna lo stava
prendendo chiaramente per il culo. Inoltre, suo fratello e le guardie
lo
stavano fissando. Il tempo pareva essersi fermato, c’era un
insolito silenzio.
Poi Phobos lanciò un grido e saltò.
“Fratello!”
esclamò Deimos, allarmato.
Phobos
rimase sospeso qualche istante nel nulla poi l’armatura si
mosse e sbatté le
ali, sollevando il suo proprietario. Volava! Stava volando! In un
istante,
raggiunse Nadijeshda, che indietreggiò ancora. Ora fluttuava
proprio sopra lo
Star Hill. Phobos allungò una mano, quasi sfiorò
la prigioniera.
“Va
via” le
mormorò.
“Come?!”
si
stupì .
“Hai
rispettato il tuo patto. Sto volando! Perciò sei libera!
Vattene!”.
L’alata
rimase immobile, con gli occhi leggermente lucidi.
“Phobos..”.
Il
Dio
guardò giù. Non si trovava troppo in alto, con lo
Star Hill sotto i piedi.
Piuttosto goffamente, stava perdendo quota. Una raffica di vento
improvviso
spostò l’ala dell’armatura e
finì di sotto. Con uno strano verso, Phobos cadde
e perse i sensi.
Quando
riaprì gli occhi, il gemello lo fissava preoccupato.
“Stai
bene,
Phobos?” chiese Deimos.
“Sì..io..”.
“Alla
fine
sei riuscito a catturarla! Bravo!”.
“Ma
di che
parli?”.
“Di
quella
femmina! L’hai ferita ed è caduta anche lei. E ora
puniscila come meglio ti
aggrada!”.
Nadijeshda
era lì, sorvegliata e con le spalle contro il muro.
“Sparite!”
ordinò Phobos “La prigioniera è sotto
la mia custodia, non mi serve il vostro
aiuto!”.
“Come
vuoi!” sorrise Deimos “Vado ad avvisare
papà. Hai volato! Te ne rendi conto?!
Hai volato! Dobbiamo festeggiare!”.
Ridendo,
il
gemello uscì e così fecero le guardie. Phobos si
scosse, rialzandosi. Era di
nuovo al Tempio.
“Che
cosa
fai?” chiese all’alata “Ti ho detto che
puoi andartene. Sei libera. Sei ferita
gravemente?”.
“Non
sono
ferita”.
“E
allora
cosa ci fai qui? Vattene!”.
“No..”
rispose lei “..ho ancora una cosa da fare”.
“E
sarebbe?”.
“Insegnarti
ad atterrare!”.
“Che..?”.
“Sei
atterrato di faccia. Sei un imbranato”.
Lei
scoppiò
a ridere e lui si unì a quella risata.
“Perché
sto
ridendo?” chiese Phobos.
“Non
lo so”
rispose lei.
“Comunque
puoi andartene” riprese lui, di colpo di nuovo serio
“Io rispetto i patti”.
Fissò
negli
occhi l’alata, che sostenne il suo sguardo ed
annuì.
“Mi
hai
capito, donna? Perché resti qui?!”.
“Me
ne
andrò quando vorrò. Smettila di agitarti per
niente”.
Con
un
inchino, Nadijeshda lasciò la stanza e Phobos rimase
lì, alquanto perplesso.
Lo
sconosciuto nel corpo di Arles era di buon umore. Disfarsi dei cadaveri
era
sempre stata una cosa che lo divertiva. Camminava lungo il corridoio
del
palazzo egizio, ignorando ogni sguardo.
“Ary!”
chiamò una voce femminile.
Ignorò
anche quella voce, che però si fece insistente. Poi si
sentì strattonare e,
voltandosi, si ritrovò faccia a faccia con Eleonore.
“Sei
sordo?” rise lei.
“Sono..sovrappensiero”
rispose lo sconosciuto.
“Iside
mi
ha concesso un po’ di tempo..”.
L’uomo
la osservò.
Era dunque quella la famosa Eleonore, per cui Arles stava smuovendo
l’intero
cosmo! Era carina, lo doveva ammettere. Ed il suo sguardo trasmetteva
un calore
dolce, molto piacevole.
“Beh?”
sorrise lei “Non mi dici niente?”.
“Io..ecco..la
luna piena è vicina”.
“Lo
so..non
essere triste. Sei un semidio, la tua vita sarà ancora
lunga. Ti prego,
promettimi che non la trascorrerai a rimpiangermi”.
“La
trascorrerò con te. Ho trovato una soluzione”.
“Davvero?”.
“Sì,
non ti
fidi?”.
“Mi
fido
ma..non è qualcosa che ti metterà in pericolo,
vero? Non è qualcosa che ti farà
del male? Arles..non potrei mai vivere se per farlo so di necessitare
il tuo
sacrificio”.
“Stai
tranquilla”.
“Sei
strano. Ti senti bene?”.
“Sì.
Sto
pensando a tante altre cose, scusa..ma ho trovato la soluzione. Ti
salverò.
Starai bene”.
“E
tu?”.
“Io
che
cosa..”.
“Tu
starai
bene?”.
“Certo..”.
Eleonore
sorrise, sollevata.
“Ary..”
esclamò, felice “..ti amo da morire”.
“Non
mi
pare il caso di inserire la morte in questa conversazione..”.
“Stupido!
Dai, non me lo dai un bacio? Prima che Iside torni”.
“Hem..un
bacio..ma Iside..”.
“Iside
non
c’è per adesso. Approfittane”.
Lei
fece
l’occhiolino e si avvicinò, poggiandosi contro
colui che credeva Arles. Lo
sconosciuto non sapeva bene come comportarsi però doveva
sembrare il più
naturale possibile. Non poteva correre il rischio di venire scoperto!
Così
strinse a sé Eleonore, abbracciandola.
“Ti
ho
mentito, Arles” mormorò lei “Ti ho
mentito. Io non voglio morire. So di aver
detto che non importa, perché sono già morta una
volta, ma non è così. Io
voglio vivere, voglio ancora poter sorridere, ballare, cantare. E
sentire il
profumo dei fiori, il rumore del mare, il calore di un bacio. Sono
felice che
tu ora sia accanto a me”.
“Vivrai.
Vedrai che..vivrai ancora!”.
“Promettimi
che sarai felice. Qualsiasi cosa accada. Se vivrò e
tornerò da Hades, sarai
felice. Se morirò, sarai felice”.
“E
se
restassi accanto a me?”.
“Allora
lo
vedrò di persona se sarai felice”.
Sollevando
lievemente la testa, lei sfiorò le labbra
dell’uomo. Lo sconosciuto, sapendo
che Iside avrebbe potuto sospettare, sorrise leggermente e rispose a
quel
bacio. Era quello dunque l’amore di cui tanto sentiva
parlare? Che bella
sensazione. Quel calore dolce, lo stesso che Eleonore avevo nello
sguardo, era
bellissimo..
“Sono
molto
stupita dal comportamento di alcuni di noi..” ammise Atena.
“Forse
non
si rendono conto della gravità della situazione”
commentò Aiolia “Noi abbiamo
visto quell’esercito, con i nostri occhi!”.
“Sì,
ed era
immenso” annuì Milo.
“Ma
che
c’entra?” storse il naso Deathmask “Non
ci stanno attaccando, perché dovremmo
agire prima? Tanto per fare fatica?”.
“Lo
sappiamo che sei pigro” lo interruppe Aiolos.
“Sono
pigro, è vero. Ma questo non ha nulla a che vedere con
l’esercito”.
“E
allora
che dovremmo fare, secondo te?” chiese Shura.
“Mi
puzza
che Ares non voglia avere a che fare con questa faccenda..”
mormorò Shaka
“..lui dovrebbe essere il primo ad agire. E
invece..”.
“Non
pensate a questo” interruppe Atena “Il
comportamento di Ares non mi è chiaro,
per niente. Del resto, con Afrodite nei paraggi, quel Dio ha sempre
altro da
fare. Perciò..”.
“Noi
siamo
pronti” annuì Milo “Se ordinerete di
attaccare, noi vi seguiremo”.
“Alla
luna
piena, quando saranno tutti distratti da quel rituale..”.
“Madre?”
chiamò gentilmente Phobos.
Dopo
aver
trascorso del tempo da solo, tentando invano di riordinarsi le idee,
aveva
deciso che la cosa migliore da fare era parlare con l’unica
donna con cui era
mai stato in grado di confidarsi: sua madre. Entrò in stanza
e la trovò sul
letto, addormentata. La chiamò di nuovo e lei si
svegliò, sorridendo.
“Piccolo
mio” lo salutò “Vieni qui accanto a
me”.
Phobos
obbedì e raggiunse la madre. Non sedette sul letto e la
guardò.
“Ho
saputo
che oggi è successa una cosa speciale”
parlò la Dea, alzandosi ed avvicinandosi
al Dio “Hai volato! Tesoro, sono fiera di te”.
“Madre,
potreste evitare tutti questi epiteti teneri?!”.
“Oh,
cucciolo, non fare lo scorbutico!”.
Afrodite
iniziò
a sistemare i capelli e le vesti del figlio, che protestò
senza successo.
“Cosa
ti
porta qui, bambino mio?”.
“Madre
io..sono un po’ preoccupato”.
“Per
che
cosa? Siediti..”.
Obbediente,
Phobos sedette su un piccolo sgabello, di fronte al letto della madre,
su cui
si accomodò lei.
“I
miei
poteri. Sono preoccupato”.
“Qualcosa
non va?”.
“Non
funzionano. Quella donna..poteva andarsene e invece è
rimasta! Non sono
riuscito ad usare il mio dono su di lei”.
“Forse..”
ghignò lei “..il tuo potere non funziona solo con
lei. Ci hai pensato?”.
“Con
lei? E
chi è? Una strega? Un Demonio?”.
“Ma
che
dici? Sciocchino!”.
“Mamma,
non
c’è niente da ridere! Lei era libera ma
è tornata indietro. Una persona normale
non ha senso faccia una cosa de genere! Specie dopo avermi guardato
negli
occhi. Io dovrei terrorizzare la gente con lo sguardo, non farla
tornare!”.
“Ed
il
fatto che questa fanciulla sia tornata, ti fa tanto
preoccupare?”.
“Se
nemmeno
una femmina inadatta alla guerra prova terrore
nell’incrociare il mio sguardo,
direi che ho validi motivi per preoccuparmi, no?”.
“E
non
pensi che potrebbe esserci un’altra ragione?”.
“Madre,
vi
prego! Basta con i giochini, non sono in vena! Se sapete qualcosa,
ditemelo e
smettiamola con questo inutile cianciare!”.
Afrodite
rise divertita. Phobos, per nulla contento di questo, si
alzò. Scocciato, fece
per andarsene. Poi si fermò, sospirando.
“Perché
vi
prendete gioco di me?” domandò “Lo
trovate divertente? Io non mi diverto! Non
voglio essere un mortale senza potere”.
“Ma
non lo
sei e non lo sarai! Sei solo paranoico”.
“Paranoico?”.
“Sì.
Come
tuo fratello. È stato qui, sai?”.
“Specificate
quale dei fratelli, madre. Ne ho parecchi..”.
“Quello
mezzo matto. Arles?”.
“Arles
è in
Egitto. Vi riferite a Kanon?”.
“No,
Arles.
Arles è stato qui”.
“Arles?
Ma..”.
“Gli
serviva un favore. Ma non posso svelarti altro. Poi è
tornato di corsa in
Egitto”.
“Ma
perché
ci è tornato?”.
“Dalla
sua
amata. Sta cercando di salvarla, vuole starle vicino”.
“Ma
lo
sappiamo tutti che non ci riuscirà..”.
“Sei
pessimista! Devi sperare! Almeno lui combatte, non se ne sta
lì come un’ameba
come fai te!”.
“Che
c’entro io?!”.
“Oh,
ragazzo mio, sei divertente”.
“Non
è
vero! Che state dicendo?!”.
“Ah,
quell’Arles! Ha il fuoco dentro! Un fuoco che forse
è tempo che accenda anche
tu”.
“Mamma,
ti
prego! Non farmi pensare a te ed il mio fratellastro che copulate, che
schifo!”.
“Ho
copulato con tutto l’Olimpo, bambino mio!”.
“Sì
ma..ah,
lascia stare!”.
“Vieni
qui,
Phobos”.
Afrodite
si
alzò, affacciandosi alla finestra, facendo segno al figlio
di raggiungerla. Da
lì, si poteva vedere Nadijeshda al piano inferiore.
“Che
cosa
vedi?” domandò la Dea.
“Una
femmina pennuta con indosso uno dei tuoi abiti, mamma. Come
mai?”.
“Un
mio
regalo. Per averti insegnato a volare. Le ho anche fatto
l’acconciatura. Ma non
soffermarti su quello. Dimmi che cosa vedi”.
“Che
dovrei
vedere?”.
“Dimmelo
tu”.
“Non
lo so.
Vedo una donna..che cammina..”.
“Una
donna.
Una donna..come?”.
“Madre,
che
volete da me? Non capisco..”.
“Non
la
trovi bella?”.
“Bella?
Che
domanda è? L’avete vestita,
pettinata..è ovvio che è splendida!”.
“E
prima
non lo era? Prima ti faceva schifo?”.
“No.
Anche
prima lei era..”.
“Sì?”.
“..era
bellissima. Non ci avevo mai pensato. È una
prigioniera..”.
“Figlio
mio..il tuo potere non sta scemando. Semplicemente contro di lei non
riesci ad
usarlo. E non perché lei sia un demone o altro. Ti
piace..ecco perché! Lei ti
piace e non riesci a farle del male”.
“Lei
mi
piace? Ma..mai prima d’ora io..”.
“Il
mio
piccino sta crescendo” sorrise Afrodite, appoggiandosi contro
la schiena del
figlio “E percepisco in te quel fuoco. È ancora
una piccola fiamma ma c’è. Che
meravigliosa sensazione!”.
“E
che
dovrei fare?”.
“Và
da lei,
tanto per cominciare. Il fatto che lei sia tornata, mi pare un buon
segno”.
“Potrebbe
essere una trappola”.
“Ma
che
dici?! Dai, muoviti! Fuori di qui e raggiungila!”.
“Ma..io
non
so che..”.
“Muoviti!”
La
Dea
rise, spingendo il figlio. Gli diede un’ultima occhiata,
sistemandogli di nuovo
capelli e vestiti, e poi gli sbatté la porta in faccia,
sempre ridendo.
“Sei
tornato! Era ora! Dove sei stato?!” esclamò lo
sconosciuto, raggiunto da Arles.
“Ho
avuto
un contrattempo. Ma comunque Afrodite mi aiuterà ed
avrò quel corpo”.
“Perfetto”.
“Dov’è
Pharaon?”.
“Non
lo
so”.
Arles
dissolse l’illusione e guardò lo sconosciuto.
Sapeva che stava mentendo, ma
preferì non indagare. Era troppo stanco per discutere. Si
incamminò verso la
sua stanza, seguito dal forestiero ignoto. Una volta entrato, si
buttò sul
letto e girò lo sguardo verso quell’uomo
enigmatico.
“Perché
mi
segui?”.
“Non
abbiamo molto tempo. Meglio che ti spieghi quel che dovrai fare durante
il
rituale, per permettermi di trasferire l’anima di
Eleonore”.
“Ti
ascolto”.
“Ne
sei
sicuro? Che ti è successo? Hai dovuto combattere?”.
“Non
proprio..”.
“Spiegati
meglio”.
“Afrodite
ha voluto un pagamento anticipato”.
“E
che mai
ti ha fatto? Sembra ti abbia risucchiato l’energia
vitale!”.
“Beh..quasi..”.
Arles
ghignò, fissando il soffitto.
“Avete
fatto..?”.
“È
stata la
scopata più stremante della mia vita. Comprendo
perché tutto l’Olimpo se la
voglia portare a letto”.
“Ti
sei
divertito, eh? Ed io qui ad aspettarti”.
“Ma
guarda
che l’ho fatto perché altrimenti non avrebbe mai
realizzato il corpo per
l’anima di Eleonore!”.
“Eh
sì, ed
immagino che sia stato un immenso sacrificio..”
sghignazzò lo sconosciuto, sarcastico.
“Oh,
sì.
Immenso, puoi dirlo. Cazzo, non ho mai goduto così tanto in
vita mia. Ed anche
lei ha gradito. Mi sento ancora le sue grosse tette fra le dita! E quel
culo..”.
“Che
signore..”.
“Che
vuoi?
Sono un Dio, e tutti gli Dei si scopano Afrodite!”.
“Non
dico
nulla io. Ma Eleonore..”.
“Io
amo
Eleonore. Il sesso e l’amore sono due cose diverse. Afrodite
preferirà sempre
Ares a chiunque altro, perché lo ama. Stessa cosa vale per
me ed Eleonore”.
“Anche
se
le scopate non saranno allo stesso livello?”.
“Sì.
Lei mi
manca..”.
“È
molto
bella..”.
“L’hai
incontrata?”.
“Sì.
Io e
lei abbiamo avuto un incontro ravvicinato”.
Ares
sollevò il busto di botto, accigliandosi.
“Non
in
quel senso!” si affrettò a dire lo sconosciuto
“Anche se non dovresti parlare
proprio tu, scopa-milf! Mi ha solo dato un bacio. Ho tentato di
resistere ma
poi ho pensato che facesse saltare la copertura”.
“Hai
fatto
bene. Anche se un po’ mi irrita..”.
“Gelosone
romanticone, che carino”.
“Sfotti?”.
“No”.
Lo
sconosciuto addentò una mela e ne porse una ad Arles, che
però scosse la testa,
ributtandosi sul cuscino.
“Ti
ha
spompato quella femmina, eh? Un giorno vorrei provarla
anch’io”.
“Se
vuoi te
la presento..”.
“Magari!
Sarebbe uno splendido pagamento per i miei servigi”.
“Affare
fatto
allora”.
I
due si
fissarono ed iniziarono a ridere.
“Prima
che
tu riprenda a spiegarmi quel che devo fare al rituale..”
parlò Arles “..posso
sapere almeno il tuo nome?”.
“Io
ho
tanti nomi, ragazzo”.
“A
me sembri
più giovane di me!”.
“Perché
tu
non mostri il tuo vero aspetto divino, per ora. E poi io adoro
mantenermi
giovane. In realtà..sono piuttosto datato”.
“Ma
il
nome?”.
“È
così
importante?”.
“Abbastanza,
direi. Tu sembri sapere vita, morte e miracoli del sottoscritto mentre
io di te
non so un cazzo. Solo che hai una sorella”.
“Ah,
la mia
splendida sorella! Penso sia la donna più bella che abbia
mai conosciuto”.
“Sei
innamorato di tua sorella?”.
“Sull’Olimpo
non succede continuamente? Ad ogni modo sì, lo sono. E non
immagini quanto sia
stato geloso quando lei ha conosciuto un uomo. Ero follemente geloso ed
ho
odiato con ferocia quell’individuo ed i marmocchi che ha
generato”.
“Poveri
i
tuoi nipoti! E povera tua sorella!”.
“Li
ho odiati.
Per anni e anni. Ma poi..”.
“Poi?”.
“Sai,
io
non ho figli. Non ho una discendenza. O almeno così mi
risulta. Forse qualche
moccioso sparso qua e là ma di nessuno posso dire che mi
assomigli. Nei figli
di mia sorella invece vedo qualcosa di mio, vedo comunque del sangue di
famiglia”.
“Forse
perché assomigliano a lei. Se tu sei innamorato di lei, la
rivedi nei figli”.
“Può
darsi..”.
“Ha
le ali
come te?”.
“Vedi
le
mie ali?”.
“Certo.
Te
l’ho detto. Io vedo oltre la tua illusione”.
“Sì,
ha le
ali. Ma non sono nere come le mie”.
“Ti
somiglia?”.
“Lei
ha gli
occhi come il cielo ed i capelli come il mare. Quando canta, le stelle
brillano
più intensamente. La sua veste candida le avvolge il corpo
in modo perfetto e
potrei perdermi nel suo sguardo per ore. In un certo senso, quello di
Eleonore
è simile. Deve essere simbolo di una donna davvero
speciale”.
“Immagino
di sì..”.
“Spesso
mi
sono pentito di averla lasciata sola, quella notte, in riva al mare. Se
io non
avessi deciso di andarmene a cazzeggiare in barca, facendola
preoccupare, lei
non avrebbe mai incontrato quel tizio con cui ha fatto dei figli. Ma
poi, ho
capito che ho fatto la cosa giusta. Anche se mi ci sono voluti parecchi
anni!”.
“In
tutto
questo, però, non mi hai ancora detto il tuo nome”.
“Non
ha
importanza. E poi, nemmeno tu mi hai detto il tuo”.
“Lo
sapevi
già!”.
“No,
non è
vero. Il Tuo nome divino, io non lo so”.
“Non
lo so
nemmeno io. Io sono un Dio nuovo, non ho un nome divino
com’era Atena per
Saori. Immagino sia sempre Arles. Aristotles. O Saga. Quel che
è..”.
“Anche
tu
hai molti nomi”.
“Già..magari
siamo fratelli. Mio padre si è scopato
l’universo..”.
“Interessante
teoria. Ma non credo”.
“Somigli
a
mio padre. Sei sicuro?”.
“Tu
dici?”.
“Capelli
neri, occhi rossi, ghigno strano..”.
“Chi
lo sa.
Mi informerò. Forse Dio aveva uno stampino e lo ha
usato..”.
“Dio? Di quale Dio parli? Ce ne
sono tanti”.
“Io
sono un
angelo, più o meno. Posso chiamare Dio
un’entità soltanto. Oltre a me stessa,
ovviamente”.
“Parli
del
monoteista?”.
“Hai
preso
del tutto la stupidità di tuo padre, sai?”.
“Eh
dai,
non sfottermi. Io non ci capisco un granché di monoteismo. E
poi sono stanco”.
“Scopa-milf!”.
“E basta! Ad ogni
modo..comincio a capire chi
sia tu. Per caso tua sorella..”.
“Sì,
è la
donna che ti ha detto di venire qui in Egitto”.
“E
come mai
tutto questo interesse nei miei confronti?”.
“Per
quel
che mi riguarda, ti ho già elencato ciò che ci
accomuna. Non posso abbandonare
uno spirito affine. Voglio vedere fino a che punto puoi
risplendere”.
“Io
sono
già precipitato, sono già caduto, figlio
dell’aurora”.
“Oh,
da
quanto tempo non venivo chiamato così. Ma non credo tu sia
caduto. O
meglio..sì, lo sei. Ma ti sei rialzato. Ora sei un Dio, con
grandi cose davanti
a sé”.
“Non
saprei..”.
“Niente
piagnistei! Io non piagnucolo, qualsiasi cosa mi accada”.
“E
ci
mancherebbe altro, Lucifero!”.
“Non
pronunciare il mio nome con disprezzo. E poi, ad ogni modo, nemmeno tu
dovresti
piangerti addosso. Arles! Ho visto quel che puoi fare! Sbattitene di
quanti hai
calpestato per giungere dove sei! Pensa a quanti hanno calpestato te!
Pensa a
quante volte sei morto per difendere una Dea che nemmeno ti ha mai
ringraziato.
Pensa a quanti sacrifici hai dovuto fare fin dall’infanzia!
Io pretendo di
vedere la tua luce! Hai fatto sufficiente ammenda per le quattro
cazzate che
hai fatto da Gran Sacerdote. Andiamo! Tutti commettono degli errori, se
errori si
possono definire. Se quei cavalieri di bronzo avessero perso, ora tu
saresti un
grande eroe”.
“Ma
tu sei
peggio di uno stalker!”.
“Sì,
è
vero. Ad ogni modo, ora che sai chi sono, non mi aspetto che tu voglia
seguirmi
e fidarti di me”.
“E
perché
no? Tu non hai nulla a che fare con la mia religione, se religione la
si può
definire. Per quel che mi riguarda, sei solo un figlio che si
è ribellato al
padre. Che è quasi la stessa cosa che feci io con Shion, in
un certo senso. Anzi,
direi che è proprio la stessa identica cosa!”.
“Angelo
sul
viso, demone nel cuore..”.
“Esatto,
vedo che ci siamo capiti. Non mi interessa chi tu sia e che cosa tu
abbia
fatto. Se mi aiuterai con Eleonore, io ti considererò un
amico. In caso
contrario, solo un altro nemico in più. Non mi spaventa
affrontarti”.
“Non
ho
alcuna intenzione di essere tuo nemico. Anzi. Saresti un prezioso
alleato”.
“Contro
chi?”.
“Contro
nessuno. Alla fine, la mia è una religione morta come la
tua. È più che altro
un gioco. Ma avere vicino una persona che ti comprende e non ti giudica
uno
psicopatico malvagio è bello, no?”.
“Già.
Hai
ragione”.
Arles
rise
e l’angelo nero fece lo stesso.
“Parlami
del rituale” riprese poi il figlio di Ares “Se mi
addormento, scusami”.
“Sei
perdonato..”.
Ed
entrambi
si scambiarono un ghigno d’intesa.
“Hei”
chiamò Phobos, rivolto all’alata.
“Sì?”.
“Posso
parlarti un attimo?”.
“Certamente.
Che cosa c’è? Immagino tu sia incazzato
perché sono fuggita..”.
“Lo
hai
fatto per farmi volare, dico bene? Altrimenti non avrebbe
senso”.
“È
così”.
“Bene..”.
“Ti
sei
sbucciato il naso” rise lei “Che imbranato, cadere
così! D’istinto si mettono
le mani in avanti ma tu no, in piena faccia!”.
“Chiedo
scusa, vostra signoria!”.
“Dai,
non
ti offendere! Vuoi un bacino sulla bua, così guarisci
prima?”.
Phobos
la
fissò, alquanto perplesso.
“Che
dovevi
dirmi? Ti ascolto”.
“Sto
cercando di capire. Il nostro patto era chiaro, ma tu sei tornata.
Perché?”.
“Mi
pare di
avertelo già detto, no? Per insegnarti ad
atterrare”.
“Non
rientrava nei programmi..”.
“Ce
l’ho
aggiunto io. Crediti extra. Ma se vuoi così tanto che me ne
vada, lo faccio”.
“No,
io..non voglio che tu vada via!”.
“Oh..e
perché?”.
“Perché
sei
la mia prigioniera. Se ti lasciassi fuggire così, mi
prenderebbero tutti in
giro”.
“Tanto
ti
prendono tutti in giro perché sei caduto con il
naso”.
“Ah,
grazie..”.
“Siete
una
bella famiglia. Dov’è il famoso Zeus? Non si fa
vedere?”.
“Zeus
è
morto. Mio nonno è stato ucciso. Ma credo sia già
rinato nel moccioso di
Atena..”.
“Ah
ma
quindi tu lo hai visto!”.
“Io
ho
visto tutti gli Dei Greci. Nel corso della mia vita, un po’
alla volta, li ho
visti e conosciuti tutti. Più o meno approfonditamente, ma
tutti quanti. Perché
lo chiedi?”.
“Io
non ho
mai visto Dio”.
“E
come fai
a sapere che esiste?”.
“Non
sai
che significa avere fede?”.
“Non
proprio..”.
“Quindi,
se
qualcosa non va, chi preghi? O chi ringrazi, quando ti capita qualcosa
di
bello?”.
“Abbiamo
un
Dio per ogni cosa. Me la prendo con lui direttamente”.
“Bel
sistema..”.
“Già..è
comodo! Saluta mio fratello..ci sta spiando”.
Deimos
finse indifferenza e fece qualche passo, allontanandosi di poco.
“Tuo
fratello era terrorizzato quando ha visto che ti buttavi”
sorrise lei.
“Cosa
che
dovresti essere anche tu, in mia presenza. Ma il mio potere perde
colpi”
sospirò Phobos.
“La
prima
volta che ti ho visto lo ero..”.
“Davvero?”.
“Sì.
Ero
spaventata a morte. Tremavo dentro di me. Però mi sono fatta
forza, perché volevo
sapere dove fosse mia madre”.
“E
ti
facevo paura?”.
“Tantissima”.
“E
poi..poi
cosa è cambiato?”.
“Non
saprei
dirtelo con certezza. Ho scorto qualcosa in te che mi ha fatto
tranquillizzare”.
“Ah
sì? Che
cosa?”.
“Non
lo so.
Di certo il tuo sguardo si è fatto meno minaccioso. Come
mai?”.
“Io..che
domanda difficile che mi fai”.
“A
tutto c’è
una risposta..”.
“Beh
sì,
immagino di sì. Però io..”.
“Sei
strano
a volte. Fai tanto il pomposo arrogante ma poi non hai tutte le
risposte come
sembra”.
“Non
ho mai
detto di avere tutte le risposte. Sono il figlio di Ares ed
Afrodite..non sono
di certo famoso per la mia spiccata intelligenza!”.
“In
compenso sei famoso per altro..”.
“Sì,
lo so”.
“Vedo
la
somiglianza con tua madre”.
“Questa
è
una cazzata. Io assomiglio a papà, non a lei. Riccioli
d’oro Eros assomiglia a
mamma”.
“Ma
anche
tu. Quel naso, per esempio. E gli occhi. Hanno una forma diversa da
quelli di
tuo padre. Poi altre piccole cose. Ad ogni modo,
nell’insieme, sei venuto fuori
abbastanza bene”.
“Abbastanza
bene? Dovrebbe essere un velato complimento?”.
“Sì..velato..”.
“In
questo
caso, anche tu nell’insieme sei uscita abbastanza bene. E
l’abito di mia madre
accentua questa cosa”.
“È
per caso
un modo nascosto per dire che questo vestito mi sta bene?”.
“Sì..nascosto..”.
“Grazie.
Sei gentile”.
“Prego”.
“Se
dovevi
dirmi solo questo, ora posso andare. Sono un po’ affamata.
Con permesso..”.
Phobos
la
osservò qualche istante, vedendola allontanare. Rimase in silenzio qualche
istante e poi si
mosse pure lui.
“Aspetta”
le disse, allungano una mano, senza toccarla.
“Sì?”.
“Io..ho
mentito.
Non sei uscita abbastanza bene..”.
“Prego..?”.
“Sei
bellissima”.
L’alata
arrossì, voltandosi per nasconderlo.
“Sì..beh..”
riuscì poi a commentare “..anch’io
dovrei togliere l’abbastanza di prima”.
Il
silenzio
che seguì fu abbastanza imbarazzante. Nadijeshda non si
voltava. Dava le spalle
al figlio di Ares, che non sopportava proprio i silenzi imbarazzanti.
Non
sapeva bene che cosa fare e quindi agì un po’ a
caso. Le si avvicinò di colpo e
le diede un bacio, il primo che avesse mai dato provando dei
sentimenti. Poi rimasero
a fissarsi, uno accanto all’altro.
“Io..”
mormorò lei, arrossendo “..non sono mai stata
così vicino ad un uomo prima d’ora”.
“Se
vuoi me
ne vado..”.
“Sei
proprio stupido” scosse la testa l’alata
“Però..ti prego..non combattere!”.
“Che..”.
“Non
combattere contro gli Egizi. Mia madre ha detto che non si deve lottare
contro
di loro ed io mi fido. Per favore, non andare in guerra”.
“Nemmeno
mio padre vuole prendere parte a quel conflitto”.
“Allora
non
lo farai? Resterai qui?”.
“Vedremo
come si evolveranno le cose. Per ora..preferisco stare qui”.
Nadijeshda
sorrise e, sollevando una gamba, pretese un altro bacio.
“Che
stai
guardando?” domandò Eros, raggiungendo Deimos.
“Uno
spettacolo che mi disgusta” rispose il fratello, con una
smorfia.
Eros
ghignò,
divertito.
“Che
hai da
ridere, nanerottolo?”.
“Niente.
Solo che..ho vinto, fratellone. Paga!”.
“Insopportabile
tirafrecce piumato..”.
“Ma
su, non
essere geloso..”.
“Non
sono
geloso! Guarda come hai ridotto mio fratello! Mi vien da
vomitare!”.
“E
non
stare qui! Razza di guardone impiccione..”.
“Ma
fatti
gli affari tuoi!”.
“Pagami!
Ho
vinto! PAGAMI!”.
Eros
gridò,
allungando tutte le vocali nelle parole che pronunciava. Deimos
ruotò gli occhi
verso il cielo e allungò un mucchietto di monete verso il
fratello minore. Poi si
allontanò scocciato. Passò rapido davanti ai suoi
genitori, che passeggiavano
per il colonnato.
“Che
ti
prende?” chiese Afrodite.
“Niente,
madre. È che questa famiglia sta diventando tutta cuoricini
e scemenze”.
“Ti
riferisci a Phobos e quell’alata?”.
“Schifo..”
rabbrividì Deimos, ricominciando il suo cammino in fretta.
“Phobos
e l’alata?”
ripeté Ares.
“Sì,
mio
caro. Come sono fiera del mio bambino! Vola ed ama, è
diventato grande”.
“Ma..l’alata
è di un’altra religione. Sai bene che certe unioni
sono proibite. I loro
eventuali figli verrebbero uccisi..”.
“Si
sono
appena conosciuti e già pensi ai figli! Che
esagerato..”.
“Metto
le
mani in avanti. Visti i precedenti in famiglia..”.
“Dammi
un
bacio e rilassati, Ares”.
E
ci avviciniamo al casino finale. Ah, per chi
se lo è chiesto, Ares è nato il 19 marzo. Questa
data l’ho trovata scovando dei
rituali compiuti in suo onore e proprio in quella data vi era il
culmine delle celebrazioni e si benedicevano gli
scudi per andare in guerra.
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Capitolo 18 *** XVIII- guerra ***
XVIII
GUERRA
“Signor
Minos!” si udì una voce, che interruppe la
conversazione fra i tre giudici
degli inferi ed il loro re Hades.
Il
giudice
che udiva il suo nome a gran voce si spazientì. Non
sopportava quando i suoi
sottoposti osavano mancare di rispetto! Lo Specter di rango inferiore
si gettò
in ginocchio, implorando pietà.
“Signor
Minos! Perdonatemi. So che non mi è concesso entrare in
questa sala e so che
non dovrei mai osare interrompere ma..è
un’emergenza!”.
“Prega
sia
qualcosa di davvero grave” ringhiò Radamante
“O il sommo Hades ti punirà,
verme”.
“Si
tratta di
Pharaon. Lo Specter inviato in Egitto come supporto”
spiegò il sottoposto,
sempre prostrato in terra.
“Che
è
successo? Parla!” sbottò Minos.
“È
morto,
signore. Ho visto il figlio di Ares disfarsi del cadavere”.
“Come?!
Fallo venire qui, voglio parlarci e sapere cosa è
successo”.
“Purtroppo
la sua essenza non è ancora rientrata agli
inferi..”.
“Ma..non
è
possibile! Pharaon, una volta morto, doveva tornare qui! Per volere di
Hades ha
potuto aggirarsi in superficie!”.
“Non
abbiamo trovato la sua anima”.
“Il
figlio
di Ares?” si alzò Hades “Intendi
Arles?”.
“Sì..”
balbettò il sottoposto, rannicchiandosi ancora di
più.
“Quel
pezzo
di merda ha osato uccidere Pharaon dopo che io, Hades, con infinita
benevolenza
ho concesso allo Specter di aiutarlo?”.
“Lasciate
che ci pensi io” si propose Minos “Pharaon era fra
le mie schiere..”.
“Arles,
ingrato! Hai forse scoperto qualche cosa riguardo ed Eleonore ed hai
ucciso
Pharaon per impedire che me lo riferisse?”.
“Pensate
abbia agito per tenersi la femmina?” azzardò
Radamante.
“Non
trovo
altre spiegazioni..”.
“Un
attimo!” interruppe Persefone “Hades! Non hai prove
di questo! È stato visto
che si liberava del cadavere ma non è detto che lo abbia
ucciso lui. Forse gli
Egizi lo hanno costretto ad agire contro la sua
volontà”.
“Donna,
a
volte la tua bontà mi disgusta. Ma so che lo dici solo per
salvare l’amico del
tuo amante”.
“Il
mio
amante non ha niente a che vedere con tutto questo! Io penso ad
Eleonore. Se
Arles ha trovato un modo per aiutarla, ucciderlo sarebbe un
errore”.
“Ma
prima
mi faccio dire come fare, ovviamente. Poi lo squarto con le mie
mani!”.
“Smettila!
Cerca di ragionare!” insistette lei ma Hades non voleva
sentir ragioni.
“Mandate
gli eserciti a supporto di quelli Olimpici, come richiesto da
Atena” ordinò il
signore degli inferi “Io ho dei conti da sistemare. Sono
faccende personali”.
“Signore..”
si inchinò Minos “..non serve che vi sporchiate le
mani! Lasciate che ci
pensiamo noi giudici a sistemare quel semidio e riportarvi la vostra
sposa”.
“No.
È una
cosa che voglio risolvere da solo. Alla fine, ci ritroveremo tutti
dagli Egizi,
dato che Atena intende guidarci contro le armate olimpiche ed
alleate”.
“Signore..”.
“Fate
silenzio! In questo momento la mia ira è con fatica sotto
controllo! Non
stuzzicatemi o vi distruggo esattamente come farò con Arles!
Se crede di poter
prendere in giro me, re dell’oltretomba, si sbaglia. Vado a
riprendermi la
moglie ed a massacrare qualche moccioso impertinente!”.
“Fate
attenzione” commentò Aiaco “Si tratta di
un cavaliere d’oro di Atena, semidio,
figlio di Ares. Non è un avversario da poco”.
“Gli
infilerò la mia spada dove dico io! Nessuno può
imbrogliare Hades, o provarci,
e restare in vita!”.
“Sono
perplesso, ecco!” ammise Camus “Io ho visto quella
donna, quell’angelo. Il suo
cosmo non era malvagio, minaccioso o ostile. Se lei pensa che non si
debba fare
la guerra..”.
“Mia
madre
non ha spiegato il perché” mormorò
Nadijeshda “Ma ha sempre ripetuto che la
guerra in Egitto non la dobbiamo fare. Non la deve fare nemmeno Atena o
chi per
lei”.
“Io
l’ho
visto quell’esercito!” rimbeccò Milo
“Era immenso e per nulla amichevole!”.
“Ho
capito!” gli rispose Camus “Ma forse non
è come pensiamo. Andiamo..non ti fidi
degli angeli?”.
“E
perché
dovrei? Sono come noi, solo che hanno le ali”.
“Appunto.
Sono come noi. Non sono nemici”.
“Non
in
quel senso!”.
“Per
una
volta sono d’accordo con Milo” annuì
Aiolia “Quell’esercito ci attaccherà
oppure compirà stragi contro popolazioni innocenti e non
preparate”.
“E
chi lo
ha stabilito?” interruppe Shaka “Leggi forse nel
futuro, Leone?”.
“No.
E tu?
Puoi dirlo con certezza che quei soldati non attaccheranno? A che serve
crearsi
un esercito immenso se non per uccidere e combattere?”.
“O
per
difendere. Noi siamo un immenso esercito eppure non attacchiamo o
combattiamo a
caso. Difendiamo i deboli e la Terra”.
“Ma
è per
questo che ora stiamo per partire ad annientare gli Egizi”.
“Colpendo
uomini
innocenti” parlò Nadijeshda “Che non
hanno mosso un dito contro il Santuario o
contro altri, che a casa hanno famiglie che li aspettano e che li
amano. È
forse giusto?”.
“Ed
è forse
giusto lasciare che si rafforzino ed attacchino creature incapaci di
difendersi?”.
“Ma
chi ti
dice che lo faranno?”.
“Dimmi
un
solo motivo per avere un esercito così se non per attaccare
e conquistare”.
“Difendere”
insistette Shaka “Difendersi da religioni che hanno
cancellato gli Egizi in
passato”.
“Sono
stati
i Romani, non noi Greci!”.
“Fa
lo
stesso. Ora che i loro Dei sono tornati, non vogliono farsi ammazzare
di
nuovo”.
“Dici?”.
Il
Leone
non era per nulla convinto. Milo incrociò le braccia, deciso
a lottare al
fianco di Atena. Poco più in là, Deimos fissava
il gemello, che pareva deciso a
seguire le idee pacifiste di Nadijeshda.
“I
dodici
dovrebbero agire tutti assieme” commentò Kiki,
stanco di non avere molta
autorità.
“Già..”
annuì Mur.
“E
allora
farete ciò che la vostra Dea ordina!”
sbottò il Sacerdote “Che vi piaccia
oppure no. Io stesso, con l’armatura affidatami dal mio
predecessore, andrò in
guerra”.
“Quel
che
non capisco..” storse il naso Camus “..è
perché quell’alata sia apparsa,
indicando la via ad Arles. Che cosa sperava di ottenere? E come mai
insiste
tanto nel non fare la guerra?”.
“Questo
non
lo so” ammise Nadijeshda “Che legame ci sia fra mia
madre, Arles e l’Egitto mi
è ignoto..”.
La
Dea
Atena se ne stava in silenzio, davanti a quello che considerava un
altare in
onore di suo padre Zeus. Nella sua mente, pregava affinché i
suoi propositi
andassero a buon fine.
“Non
è mia
intenzione fare del male, padre” mormorò, a mani
giunte “Ma temo che gli
eserciti nemici possano colpire degli innocenti ed è mio
compito preservare la
pace nel Mondo. Spero tu possa comprendere, ovunque il tuo spirito
riposi”.
“Atena!”
interruppe Hermes “Gli eserciti di Hades ci stanno
raggiungendo per marciare
sull’Egitto. Quelli di Poseidone ci attendono sulle rive del
regno nemico. Gli
alleati indiani e il Dio che risiede in Tolomeo sono pronti a
combattere”.
“Ottimo”
annuì la Dea “Vi raggiungo subito. Concedetemi
solo qualche altro istante da
sola..”.
Hermes
si
congedò e la Dea ricominciò la sua preghiera. Ma
fu interrotta da un flebile
rumore. Si girò di scatto e si ritrovò
l’alata, la madre di Nadijeshda, la
fuggitiva, a pochi passi di distanza.
“Tu..”
si
accigliò la Dea “..vuoi uccidermi?”.
“No”
scosse
il capo l’alata “Solo parlarvi. Vi prego, Dea
Atena, fermate questa guerra”.
“E
perché
dovrei? Non sai che gli Egizi hanno un potente esercito
pronto?”.
“Lo
so. Ma
non è come pensate”.
“E
com’è,
allora?”.
L’alata
fece per parlare ma le due vennero interrotte da dei passi decisamente
meno
delicati degli ultimi uditi in quella stanza.
“Ares?”
parlò l’angelo, voltandosi.
“Sophia?”
si stupì il Dio “Che ci fai qui?”.
“Sophia?
È
questo il tuo nome?” chiese Atena e l’alata
annuì.
“Sophia..”
parlò piano la Dea “..che nome
familiare..”.
Ares
girò
gli occhi d’istinto, fingendo indifferenza e fastidio
“Non
sono qui
per parlare di me!” riprese l’alata “Ma
per chiedervi di non andare in guerra”.
“Sophia..Sophia..”
continuava a rimuginare Atena “..eppure..”.
“Smettila!”
sbottò Ares “Non è
importante”.
“Ma
Sophia..non era il nome della madre di Saga e Kanon? Sì, lo
so..ci sono tante
Sophia a questo mondo, però..”.
“Atena..ti
prego..so che sei la Dea della saggezza perciò smettila di
rigirare il dito
nella piaga..”.
“Mi
avevi
detto che era una mortale!”.
“Ma
non ha
importanza ora!”.
“Certo,
invece! Perché non me lo hai detto?!”.
“Perché..non
ci arrivi? Lei è di una religione diversa! È
proibito!”.
“Per
questo
l’assecondi? Cosa non fa nel tuo cervello la
lussuria..”.
“Atena,
questo non ha niente a che vedere con la lussuria!”.
“Per
averci
fatto Saga e Kanon devi aver avuto certi pensieri..”.
“Ma
è stato
il secolo scorso, ti vuoi concentrare?! Qui stiamo parlando della
guerra
attuale!”.
Sophia
guardò entrambi in silenzio, senza sapere bene che cosa dire.
Poco
distante, la Dea Afrodite era appena apparsa. Vide Ares, Atena e
l’alata
parlare fra loro. Pensò stessero conversando di affari
riguardanti la guerra e
non indagò. Poi una piuma rossa la distrasse.
Guardò in su.
“Angelo..”
chiamò “..chi stai spiando?”.
L’angelo
rimase in silenzio. Non era sua intenzione farsi scoprire!
“Tranquillo”
sorrise la Dea “Non dirò agli altri che sei
lì. Che fai?”.
“Controllo
la signora Sophia”.
“Sophia?”.
“Sì,
l’angelo che avete catturato. Cerco di tenerla al
sicuro”.
“Sophia?
Ma..”.
Afrodite
osservò meglio quell’alata. Quei capelli..avevano
lo stesso colore dell’oceano.
Come quelli di Kanon!
“Prestami
la tua lancia!” sibilò Afrodite.
“Prego?!”
si stupì l’angelo.
“Mihael
ti
chiami, giusto? Prestami la tua lancia, giuro che te la torno e non la
uso
contro Sophia”.
“Ma
allora..?”.
“Dammi
la
tua lancia! Oppure dico a tutti che sei lì!”.
L’angelo
sospirò, rassegnato. Gli Dei erano decisamente strani..
“Atena..cerca
di..” tentò di parlare Ares, quando una lancia
quasi lo colpì.
“Ares!”
sbraitò Afrodite “Mi avevi detto che era
mortale!”.
“Maledette
femmine,
vi date una calmata?! Non è importante adesso!”
sbuffò il Dio.
“Afrodite,
lascialo a me!” ordinò Atena “Ha
ingannato l’intero Santuario”.
“Ma
che
dici! Io..” tentò di giustificarsi Ares.
“Spiacente,
Atena! Ma voglio fargliela pagare!”.
“Afrodite,
tesoro,
cerca di stare calma! Litighiamo spesso e dopo potrai pestarmi ,ma non
è questo
il momento! Per favore!”.
“Taci!”.
“Sì,
taci!”
annuì Atena “Non peggiorare la tua
situazione!”.
“Oh,
ma
fottetevi!”.
Le
due Dee,
già furiose da un pezzo, si accigliarono ulteriormente.
“Ragazze..”
mise le mani in avanti Ares, tentando di calmarle “..andiamo!
State scherzando?
Non ho voglia di discutere adesso!”.
Poi
vide
Afrodite ed Atena caricare i loro cosmi. Tentò ancora di
fermarle ma invano. Le
Dee lanciarono i loro colpi, distruggendo completamente la stanza dove
stavano.
Ares, salvato dal volo di Sophia, si ritrovò a dover
affrontare due pazze
furiose. Perso il controllo, Afrodite ed Atena continuavano a colpire
il Dio.
Le truppe Olimpiche osservavano la scena, senza ben capire. Era forse
il caso
di intervenire?
“Signora
Sophia!” chiamò Mihael “Andiamo via.
Questi sono malati di mente!”.
L’alata
scosse la testa, preoccupata per la sorte di Ares.
“Che
succede?” chiese più di qualcuno.
“Angeli!”
commentò qualcun altro.
“Adesso
basta!” esclamò Sophia “Per favore! Non
usiamo la violenza!”.
“Taci,
non
sono affari tuoi!”.
Atena
era
quella più vicina ad Ares e lo stava affrontando senza
timore, spingendolo fino
sull’orlo del precipizio che circondava l’ultima
delle case. Afrodite, poco
distante, era furiosa e non ascoltava le voci dei suoi figli che
tentavano di
capire che stesse succedendo. Sempre più angeli apparivano
in cielo,
preoccupati per la sorte dei loro colleghi. Sicura che tanto
l’armatura lo
avrebbe protetto, la Dea della bellezza strinse la lancia di Mihael fra
le mani
e si apprestò a lanciarla di nuovo verso Ares. Sapeva di
avere una pessima
mira, perciò usò quell’arma con la
certezza di dare solo una lezione al
traditore. Sophia questo non lo sapeva e, vedendo la Dea lanciare la
lancia,
volò in fretta per coprire il Dio della guerra. Ares si
voltò. L’arma aveva
trafitto l’alata e colpito di striscio il Dio, che si
distrasse.
“Sophia!”
chiamò, preoccupato.
Atena
non
riuscì a reagire in tempo e colpì il collega
della guerra. Questi, che si
trovava sull’orlo del baratro, con quel colpo finì
di sotto assieme all’alata.
“Padre!”
chiamò Phobos.
“Tranquillo,
l’armatura lo riporterà su”
mormorò Atena, ora più calma.
L’armatura
di Ares però non servì a molto. Ancora
danneggiata dalla freccia di Aiolos, non
riuscì a dispiegare le ali. Coprì il corpo del
suo padrone ma solo in parte,
tentando di prendere il volo invano. Ares gridò, stringendo
a sé Sophia, e
precipitò.
Il
corpo
che Afrodite aveva portato da Arles in Egitto era perfetto. Il figlio
di Ares
lo guardò, meravigliato. Con Gaia, la Dea della bellezza
aveva compiuto un
ottimo lavoro!
“Perfetto..”
commentò Lucifero “L’evocazione
inizierà fra poco. Tieniti pronto”.
“Sì”
annuì
Arles “Spero vada tutto bene..”.
“Ma
certo.
Non ti fidi?”.
“Io..”.
Un
potente
suono simile a quello di una tromba si espanse per l’intero
palazzo. Il rituale
stava iniziando.
“Andiamo”
parlò l’angelo.
Iside,
illuminata dalla luna, sorrideva. Davanti a sé, vasi canopi
e sacri oggetti
Egizi. Alle sue spalle, dopo una piccola rampa di scale, altri Dei la
osservavano. Kanon e Sarah si guardavano in giro, in cerca di Arles.
Questi
stava raggiungendo la sala dell’evocazione con il corpo vuoto
creato da
Afrodite. Accanto a lui, Lucifero lo incitava a far presto. Il rituale
stava
per iniziare! Un’ombra nera però li
fermò. Pieno di rabbia, Hades puntò la
spada contro Arles.
“Non
è
proprio il momento!” sbottò il figlio di Ares
“Adesso io..”.
“Taci!
Che
cosa pensi di fare? Hai uccido Pharaon!”.
“Che?!
Io
non ho uccido il tuo Specter!”.
“Dove
stai
portando la mia Eleonore?”.
“La
tua..?”.
Arles
capì
che Hades vedeva in quel corpo senza vita la sua sposa.
“Lasciala
subito andare! E preparati a morire!”.
“Ma
non
potremmo rimandare? Io..”.
Hades
gridò
di rabbia. Il figlio di Ares riuscì giusto in tempo a
poggiare l’involucro
vuoto prima che il Dio dell’oltretomba lanciasse il suo
attacco.
“Se
necessario..” parlò a Lucifero “..compi
tu il rituale”.
L’angelo
annuì e prese con sé il corpo fittizio,
proteggendolo.
“Pensavi
di
imbrogliarmi?!” ringhiò Hades.
“Ma
che
stai dicendo?!”.
“La
stai
salvando e non vuoi riportarmela, non è
così?”.
“In
effetti, non ho tanta voglia di ridartela”.
“Bene!
In
questo caso ti ammazzerò! E me la riprenderò con
la forza!”.
“Fatti
sotto!”.
Lo
sguardo
di Arles si fece rosso come il sangue. Lucifero sorrise,
ghignò felice. Era
proprio quello che voleva! Un semidio fuori controllo che seminava
morte!
“Espandi
la
tua luce, Arles!” gridò.
“Farò
il
possibile..” ghignò a sua volta il figlio di Ares,
preparandosi ad attaccare il
Dio dell’oltretomba.
“Bruciali
con la tua luce” mormorò l’angelo
“Bruciali e distruggili tutti!”.
“Sophia..”
mormorò Ares.
Precipitato
da un’altezza notevole, il Dio stringeva ancora a
sé l’alata, che però non
rispondeva.
“Sophia?”
chiamò ancora, senza risultato.
Girò
la
testa, per guardarla.
“Ares..”
sentì bisbigliare.
“Sophia!
Sei viva?”.
“Salvali!
Salvali, ti prego!”.
“Chi?
Chi
devo salvare?”.
“I
nostri
bambini. Arles e Kanon..verranno uccisi! Perché sono
sanguemisto! Salvali..”.
“Oh,
Sophia..li salverò! Ma non preoccuparti troppo. Sono grandi
e potenti. Ora
riposa, devi guarire”.
“Non
dimenticarmi, mio bel Dio incontrato sulla spiaggia”.
“Certo
che
non ti dimentico! Ti rivedrò ancora!”.
“No,
non
credo..”.
L’alata
emise un lungo sospiro. Ares conosceva bene quel suono e riconosceva
quello
sguardo. Aveva tolto troppe vite lungo la sua esistenza: Sophia era
morta.
“Sophia”
la
chiamò un’ultima volta, mentre lei si dissolveva
in polvere di luce.
“Mamma!”
gridò Nadijeshda, la prima ad avere il coraggio di
discendere lungo il precipizio,
seguita da Phobos.
Ares
stava
tentando di rialzarsi, sfidando il dolore e le ferite.
“Che
fai?!”
lo rimproverò il figlio “Dove credi di
andare?!”.
“Devo
riprendermi Arles e Kanon, prima che sia tardi”
spiegò il Dio della guerra.
“Conciato
così non puoi andare proprio in alcun lungo!”.
Il
Dio,
testardo, tentò ancora di rialzarsi. Arrancò ed
il figlio lo sostenne,
fissandolo accigliato.
“Valli
a
prendere” esclamò allora il padre
“Phobos, ti prego, fallo tu per me”.
“Ci
vado,
va bene. Ma non so se riuscirò a convincerli..”.
“Tramortiscili,
se necessario! Ma portali qui”.
“Tu
però te
ne stai buono, intesi? Tornerò in fretta”.
“Sì..se
non
riusciamo a fermare questa guerra, almeno salviamo la
famiglia..”.
Phobos
stese il padre, piuttosto preoccupato. I punti in cui
l’armatura era stata
danneggiata avevano lasciato scoperto il corpo del genitore, che
riportava
gravi ferite.
“Sto
io con
lui” parlò Nadijeshda “Tu và.
Non ti preoccupare”.
“Sei
sicura?”.
Lei
annuì,
con una piccola lacrima che le rigava le guancie.
“L’armatura!”
commentò Atena “Era danneggiata! Ma
allora..”.
“È
l’uomo
che ho colpito!” spiegò Aiolos “Colui
che aveva fatto fuggire la prigioniera alata!”.
“A
tal
punto mi hai ingannata. Ed a tal punto è giunta la tua
stupidità, Ares! Se avessi
saputo che la tua armatura era..”.
“Atena!”
interruppe Artemide “La luna! Ci siamo! Inizia
l’evocazione degli Egizi,
dobbiamo muoverci”.
“Penseremo
dopo ad Ares e tutto il resto” commentò Apollo
“Presto!”.
Il
gruppo
di divinità si mosse, diretto in Egitto. Gli angeli, rimasti
soli, piangevano
per la sorte di Sophia.
“Signor
Mihael..” interruppe uno di loro “..porto notizie
dall’Egitto. Lucifero è stato
avvistato in zona”.
“Lucifero?!”
chiese conferma, incredulo, Mihael “Ma che senso ha? Che ci
è andato a fare?”.
“Non
lo
sappiamo”.
“Capisco.
Meglio
muoverci, allora”.
“Sorella..”
mormorò Lucifero “..sorella mia..”.
Legato
alla
gemella, aveva percepito la sua morte. Si voltò verso Arles,
che lottava
furiosamente contro Hades. Alle spalle del Dio degli inferi, i tre
giudici
erano accorsi. Senza proferire parola, l’angelo
attaccò.
“Ancora
tu?!” si stupì Hades “Maledetto, quante
volte ancora dovrò lottare contro di
te?! Tornatene all’inferno!”.
“La
tua è
solo invidia perché il mio inferno è
più bello” ghignò Lucifero, non
riuscendo
a nascondere del tutto la tristezza che provava.
“Mi
occuperò dopo di te!”.
“Lascia
stare Arles! Ha più diritto di te di tenersi quella
femmina!”.
“A
te che
importa?! La vuoi pure tu?!”.
“No.
Me la
sono già limonata, mi piace un altro genere”.
Hades,
nel
sentire questo, si lanciò contro l’angelo con
rabbia. Lucifero, per contrastare
la potenza del Dio, si disfò del’illusione che ne
celava il vero aspetto. Rise,
sadicamente, dinnanzi ad Hades ma, dal suo occhio destro, scendevano
delle
lacrime.
“Oggi
ho
perso l’unica persona che sia mai riuscita ad
amarmi” parlò l’angelo “Non
permetterò che ad Arles accada lo stesso!
Vattene!”.
“Lucifero!”
lo interruppe Arles “Questa è una faccenda
privata. I vostri problemucci d’affitto
del sottosuolo ve li sistemate dopo! Tu hai un’evocazione da
portare a termine.
Riportami Eleonore e lascia che risolva la faccenda con Hades una volta
per
tutte”.
“Sei
ottimista” ghignò il Dio dell’oltretomba
“Sei solo un semidio. Non puoi nulla
contro di me ed i miei giudici! Ti ucciderò!”.
“Bene!
Così
non vedrò mai più la tua brutta
faccia!”.
“Arles..”
tentò di fermarlo l’angelo, senza successo.
“Salvala!
Tu
puoi farlo, io no!” gli rispose il figlio di Ares e questo
convinse l’angelo,
che riprese il suo cammino verso la sala dell’evocazione.
“Arles!”
aggiunse soltanto “Usa la tua luce! Risveglia il tuo pieno
potere!”.
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Capitolo 19 *** XIX- luce e ombra ***
XIX
LUCE
E OMBRA
“Lucifero..”
mormorò Nadijeshda, visibilmente preoccupata.
Ares,
steso
a terra, la fissò senza capire. Tentò invano di
rialzarsi ma in quel momento il
dolore era insopportabile e ricadde fra le rocce.
“Cercate
di
non sforzarvi” commentò l’alata.
“Perché
sei
tanto spaventata? Lucifero ti preoccupa?”.
“Lo
zio
Lucifero è..beh, lo sapete! Lo sanno tutti
com’è mio zio! È il male
assoluto”.
“Ah,
che
stronzata. Bambina, non esiste il male assoluto. Così come
non esiste il bene
assoluto”.
“Dio
è il
bene assoluto”.
“Ne
sei
certa? Ed i primogeniti d’Egitto? Che colpa avevano quei
bambini? Un bene
assoluto non dovrebbe uccidere innocenti, no?”.
“Questi
sono discorsi teologici che non devo fare con te, politeista pagano
idolatra di
idoli!”.
“Hei,
piano! Io sono un Dio, non un idolo”.
“Questo
è
tutto da dimostrare..”.
“Ma
sentiamo un po’..il tuo Dio dove sta? Ora che sei nei guai,
tu e gli altri
angeli, dov’è?”.
“Io..lui
è
in ogni luogo!”.
“Io
non lo
vero”.
“Perché
tu
non ci credi”.
“E
perché
non fa niente?”.
“Tu
non capisci!”.
“Ma
lo hai
almeno mai visto? Com’è fatto?”.
“Non
so”.
“Ah,
vedi?
Io credevo in mio padre Zeus e sapevo bene com’era fatto. E
credo nei miei
fratelli e nei miei parenti. Non siamo perfetti, non lo siamo mai
stati..e
quindi ti posso dire che non esiste il male assoluto ed il bene
assoluto”.
“Tu
non lo
consci. Tu non sai che cosa è in grado di fare
Lucifero”.
“Voialtri
lo odiate, così come molti miei fratelli odiano me. Mi
odiano perché sono
irascibile, guerrafondaio, testa calda. C’è
differenza?”.
“Certo.
Lucifero è caduto. E non perché bisticciava con
noialtri angeli”.
“Scusami,
io certe storie non le conosco..”.
“Lo
zio
Lucifero è caduto perché amava. Amava troppo. In
modo diverso”.
“..amava?
Parli di sua sorella Sophia? So che mi odia ferocemente
perché ci ho fatto due
figli”.
“Io
non ne
sapevo niente. Ma non parlo solo di questo. Sì, è
vero..amava Sophia e per lei
provava desideri che un angelo non dovrebbe provare, specie
l’angelo più
luminoso e bello del cielo. Ma non amava solo lei. Lucifero
è caduto perché
amava Dio”.
“E
questo
non dovrebbe essere normale?”.
“No,
il suo
amore era malato. Era ossessivo. Era geloso. Voleva essere
l’unico, il più
amato ed il più importante. Ma Dio non poteva amare lui
più degli altri e
questo ha portato Lucifero alla follia. L’amore e
l’odio sono sentimenti che
facilmente si interscambiano. Tanto più ami una persona,
tanto più ti ritrovi
ad odiarla se questa non ricambia come vorresti. E la sua luce, la
più bella
del cielo, lentamente divenne ombra”.
“Capisco..però,
se uno dei miei figli provasse un tale malessere, me ne accorgerei e
cercherei
di aiutarlo. Perché può capitare che un giovane
perda la strada, ma un genitore
dovrebbe..”.
“Tu
non sai
di che parli!”.
“Vero.
Io
sono un politeista malato di mente. E sai cosa ti dico? Sono felice che
mio
figlio abbia incontrato te”.
“Sul
serio?”.
“Non
abbiate paura delle regole. Se io non le avessi infrante, non avrei
figli
meravigliosi. Li ho avuti con donne sposate o di religione diversa..e
non me ne
pento! Tornassi indietro, rifarei tutto”.
“Tutto?
Tutto quanto?”.
“Sì,
certo.
Tutto quanto”.
“E
davvero
siete felice che una come me ami vostro figlio?”.
“Sì.
Almeno
so per certo che, nel caso non potessi più aiutarlo, ci
saresti tu a tenerlo in
carreggiata”.
“E
perché
voi non dovreste esserci?!”.
“Vedi..è
vero che noi Dei torniamo sempre, ci reincarniamo, ma questo
è il mio vero
corpo quindi..”.
“Quindi
che
cosa?!”.
“Se
io
morissi, ci vorrà del tempo prima di farmi tornare. Molto
tempo. Senza contare
che la mia essenza solitamente riposava nell’armatura, in
attesa di un corpo.
Ma la mia armatura è mezza distrutta..”.
“E
allora
riposatevi, invece di usare energie per cianciare. Così
guarite. Mi dispiace,
perché non sono una guaritrice come mia madre.
Altrimenti..”.
“Tua
madre
era perfetta. E lo sei anche tu. Solo in modo diverso”.
Nadijeshda
piangeva,
ricordando la madre. Ares gemette, socchiudendo gli occhi, e
l’alata si
spaventò, avvicinandosi e chinandosi sul Dio.
“Phobos
tornerà presto” parlò lei
“State tranquillo, andrà tutto bene”.
“Dove
vai
tu con mia moglie?!” sibilò Hades, puntando la
spada contro Lucifero.
“Sono
io il
tuo avversario!” gli rispose Arles.
“Hai
ragione. Ti schiaccerò, ti farò a pezzi, e mi
riprenderò Eleonore. Pensavi
forse di ingannarmi?”.
“Io
non so
di che parli. Ma sarà un vero onore battermi con
te!”.
Il
Dio
dell’oltretomba attaccò e Arles ne
deviò il colpo, rispondendo immediatamente.
“Sei
veloce” sorrise, compiaciuto, Hades “Del resto non
posso aspettarmi altro dal
figlio del Dio della guerra. Ma resta il fatto che io sono un Dio e tu
no!”.
“Non
temo
gli Dei. Non li ho mai temuti”.
“Dovresti
iniziare!”.
“No,
non
credo proprio!”.
Con
un
ghigno, Arles iniziò a concentrare il suo potere. Era
impaziente, pronto a
lottare. Lo dimostrò lanciando una potente sfera di cosmo contro
l’avversario, che deviò con
la spada.
“Sei
un
pazzo..” commentò Hades.
“Lo
so.
Smettetela di ripetermelo tutti!”.
Dopo
un
rapido scambio di colpi, il Dio comprese che era tempo di agire in modo
diverso.
“Vuoi
fare
sul serio, dunque..molto bene” commentò.
Alle
sue
spalle, i tre giudici rimanevano in attesa, pronti ad intervenire, in
caso di
pericolo per il loro signore. Questo pareva non infastidire Arles, che
anzi
trovò lo scontro più stimolante.
“Sei
un
pazzo assetato di sangue come tuo padre”.
“Almeno
il
mio non si mangia i proprio figli..”.
“Insolente!”.
“Vecchio”.
“Ti
strapperò l’anima e me la
mangerò!”.
“Accomodati!
Deve avere un sapore di merda!”.
Hades
spalancò le ali della sua Kamui e si lanciò
contro il suo avversario, brandendo
la spada. Arles, incapace di richiamare l’armatura in quel
luogo difeso da
divinità non greche, era consapevole di essere in
svantaggio. Ma doveva dare a
Lucifero il tempo di salvare Eleonore, senza interruzioni.
Scattò, riuscendo a
schivare quel primo fendente. Il Dio però reagì
subito e mosse di scatto il
braccio armato. Il gesto provocò un’onda
d’urto che colpì Arles, anche se solo
di striscio.
“Pensi
di
battermi in gonnella?” sfotté Hades.
“Problemi
tecnici, ma non ti preoccupare. Se ti da fastidio la gonna, posso
spogliarmi..”.
“Ma..”.
“Perdonami.
Non è l’ideale per uno come te, che venera i corpi
puri. Ma almeno so che non
puoi possedermi!”.
“Taci,
irritante bastardello!”.
Attaccando
di nuovo, il Dio si fece più feroce ed aumentò la
velocità dei colpi. Arles
rispose, stupendosi di che livello riuscisse a raggiungere.
“Muori!”
si
gridarono, all’unisono, lanciandosi uno contro
l’altro.
Iside
era
in piedi e guardava la luna, dando le spalle al suo popolo.
Alzò le braccia al
cielo, raccogliendo il potere del satellite ormai quasi al culmine
della luce.
Pronunciava complicate formule nella sua antica lingua, percependo lo
spirito
di Eleonore farsi sempre più fievole. Kanon e Sarah si erano
mescolati fra la
folla, cercando con lo sguardo Arles.
“Sorella..”
mormorò Sarah, cercando di avvicinarsi ancora un
po’, per salutarla un’ultima
volta.
“Ferma!”
la
bloccò Kanon “Non ti avvicinare. È
pericoloso”.
Lei
annuì,
rassegnata.
“Dov’è
Arles? Dove si è cacciato?” brontolò
lui “Cazzo, è da quando è nato che non
fa
che stressarmi!”.
“Rilassati,
per favore..” lo ammonì velatamente la moglie.
“Rilassarmi?!
Non ho intenzione di ritrovarmelo di nuovo chiuso in una teca con il
cervello
in pappa!”.
“Ma
non..”.
Un
forte
boato interruppe la cerimonia. Parte di muro crollò e nel
salone piombarono
Hades ed Arles, continuando ad affrontarsi.
“Eleonore?”
si stupì il Dio dell’oltretomba, vedendo Iside
voltarsi di colpo “Ma
allora..quel corpo..”.
D’un
tratto
comprendendo quel che il suo avversario aveva in mente, Hades
gridò, scagliando
il figlio di Ares contro una delle pareti laterali. Subito
camminò a passo
deciso verso Lucifero ed il corpo vuoto che stringeva. Alzò
la spada e fece per
calarla sull’involucro proibito, ma l’angelo caduto
fermò l’arma con entrambe
le mani. Fissò il Dio negli occhi, con aria di sfida, e
ringhiò. I due rimasero
a fissarsi, tentando l’uno di prevalere sull’altro.
“Abominio!”
sibilò Hades “Solo da una mente come la tua poteva
uscire un’idea simile. Solo un’ombra
come te poteva progettare una tale follia!”.
“Vattene!
Stiamo solo cercando di aiutare la donna che, in teoria, ami. Non
è lei tua
moglie?”.
“Sì,
ma non
posso permettere che vi paragoniate a divinità
creatrici”.
“Fanculo!”.
Il
loro
incontro di sguardi fu interrotto dall’intervento dei tre
giudici, che
attaccarono simultaneamente Lucifero. Questi, impegnato a trattenere la
spada
di Hades, finì sbalzato di lato. Carponi in terra, vide
Hades avvicinarsi
all’involucro creato da Afrodite.
“Fermo!”
ringhiò Lucifero, sfoggiando canini appuntiti ben poco
adatti ad un angelo.
Ma
Hades
non ascoltò e con la sua spada tagliò a
metà la finta Eleonore senza anima.
“Eleonore
non potrebbe mai essere felice in un finto corpo maledetto”
commentò, sfidando
lo sguardo di odio che gli stava lanciando Lucifero.
Distratto
da quello sguardo di pura rabbia, dimenticò che era Arles il
suo avversario.
Questi, ripresosi dal colpo ricevuto, aveva assistito alla scena e si
era
subito scagliato contro Hades, gettandolo a terra e colpendolo al volto
con i
pugni.
“Ti
ammazzo!” continuava a ripetere.
Il
Dio
reagì e lo ricacciò indietro. Si
rialzò, pulendosi la bocca dal sangue. Arles
digrignò i denti, con lo sguardo rosso come il sangue.
Ansimando, il figlio di
Ares rimase immobile a fissare il Dio.
“Smettila”
suggerì Hades “Non puoi vincere contro di
me”.
“Allora
vorrà dire che scompariremo insieme”.
“Che..?”.
“Labirinth
Illusion”.
Pronunciando
quelle parole, il cosmo di Arles si tinse di rosso ed avvolse Hades. Ed
entrambi scomparvero, fra lo stupore dei presenti.
“Dove
sono
finiti?!” esclamò Sarah, aggrappandosi alla veste
del marito.
Lui
però
non parve preoccupato. Il suo sguardo era fisso e rivolto verso Iside.
Iside
faceva lo stesso. Le altre persone presenti, distratte da quanto
accaduto fra
Hades ed Arles, non ci fecero caso. Per Kanon fu quindi facile avanzare
fra la
folla.
“Cosa
fai?!” lo chiamò la moglie “Dove vai?!
Kanon!”.
Questi
non ascoltava
e raggiunse Iside, senza distogliere lo sguardo nemmeno per un istante.
“Cosa
fai?!” gridò ancora Sarah, tentando di stargli
vicino.
Kanon
ed
Iside rimasero in silenzio qualche istante.
“Hai
preso
il corpo sbagliato” parlò lui, in una lingua che
Sarah non comprese.
“Come..?”
balbettò Iside, confusa.
“Lascia
che
ti mostri..”.
Lucifero
si
scosse, rialzandosi. Dov’era finito Arles? I tre giudici si
stavano chiedendo
la stessa cosa e fissarono l’angelo caduto con aria
minacciosa. Questi li
ignorò e si girò verso l’altare. Che
stava combinando Kanon? Cosa ci faceva a
pochi centimetri da Iside?!
“Oh,
sorella..” gemette Lucifero “..perché la
tua progenie ha così poca voglia di
vivere?!”.
Vedendolo
come un dovere nei confronti di Sophia, si mosse convinto, alzandosi in
volo,
con l’intento di raggiungere in tempo il nipote.
“Lascia
che
ti mostri..” parlò piano Kanon, avvicinandosi
ancora di più.
Iside
rimase immobile, come ipnotizzata. Lui si chinò leggermente
e la baciò.
“Kanon!”
gridò Sarah, infuriata.
Poi
una
luce avvolse sia lei che i due accanto all’altare.
“Kanon!”
chiamò Lucifero, atterrando giusto in tempo per afferrare il
corpo di Eleonore
prima che questi cadesse in terra.
L’angelo
non fece in tempo a comprendere quel che stava accadendo
perché una potente
forza lo respinse. Stringendo a sé la donna, finì
di nuovo sbalzato
all’indietro. Girandosi verso l’altare, vide Kanon
e Sarah sorridersi. Attorno
a loro però vi era un’insolita energia e tutti gli
sguardi erano puntati su di
loro.
“Osiride”
parlò
Sarah, a mezza voce.
“Iside”
rispose Kanon, sorridendole “Hai capito, ora? Non dovevi
privare dell’anima il
corpo di Eleonore ma risvegliarti nella sua gemella”.
“Non
avevo
considerato un corpo gemello, amor mio”.
“Sarah..”.
“Kanon!”.
Entrambi
sull’altare, si scambiarono un altro bacio. Entrambi
pienamente coscienti di
ciò che erano, risvegliati come divinità,
interruppero la loro unione quando
cosmi ostili si manifestarono in cielo.
“Atena!”.
“Ma
che
cazz..” iniziò a borbottare Lucifero, quando una
mano lo sfiorò.
“Dobbiamo
fare presto!” parlò l’uomo che aveva di
fronte “O morirà”.
“Parli
di
Eleonore? E tu chi sei?”.
“Io
sono Ra
e sì, parlo di Eleonore. La sua anima è solo un
soffio e morirà, se non l’aiutiamo”.
“Che
dovrei
fare io, scusa?”.
“Sei
un
angelo! Non hai poteri di guarigione?!”.
“Guarda
che
non abbiamo tutti quel potere! E poi..io non sono propriamente un
angelo!”.
“E
non
conosci qualcuno che possa aiutare? Qualcuno che curi le
anime?”.
“Io..purtroppo
non posso chiedere ai miei fratelli”.
“Problemi
in paradiso?”.
“Lasciamo
perdere! Però..ora che ci penso..quel rubapoltrona di Hades
dovrebbe essere in
grado di curare le anime danneggiate”.
“E
dove si
trova?”.
“Bella
domanda..”.
“Io
posso
tentare, ma non è il mio campo. E gli altri Egizi si stanno
preparando per
difendere il palazzo invaso. Cerca di trovare questo Hades!”.
L’angelo
scosse la testa. Ma perché stava facendo tutto questo?
L’amore per una sorella
poteva condurre a tanto?
“Dove
siamo?” domandò Hades, guardandosi attorno.
“In
un
luogo da cui non usciremo” sorrise Arles, mostrando
però uno sguardo
estremamente triste.
“Che
cosa?!
Non puoi tenere imprigionato qui me, re
dell’oltretomba!”.
“Scommetti?”.
Quel
luogo
era strano. Un salone immenso si stava creando attorno a loro. Scale,
colonne e
colori presero forma. Eleonore, con un bellissimo abito, sorrideva ad
entrambi.
Indossando eleganti guanti bianchi, allungò la mano verso i
due uomini,
invitandoli ad avvicinarsi.
“Questa
è
un’illusione! Smettila!” sbottò Hades.
“Non
ne ho
alcuna intenzione” rispose Arles, raggiungendo Eleonore ed
iniziando a danzare
con lei al ritmo di una musica lenta che seguì i loro passi.
“Non
voglio
rimanere bloccato nel tuo cervello! Lasciami subito andare!”
protestò il Dio
dell’oltretomba.
“Ti
ci
abituerai. Ti piacerà” sorrise il figlio di Ares
“Da qui all’eternità!”.
Chiedo
perdono per “l’incanonico” di certi
personaggi (Lucifero per primo). Spero li gradiate comunque! A
prestissimo con
il seguito!
|
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Capitolo 20 *** XX- fratelli ***
XX
FRATELLI
Atena
apparve, indossando l’armatura. Dietro di sé, il
suo seguito oscurò la luna
piena. Gli Dei, quasi tutti con armature alate, si libravano a
mezz’aria. Allo
stesso tempo, eserciti di terra avanzavano, marciando e seguendo i
cavalli di
Deimos e Marte, che da sotto l’elmo con il pennacchio
fingevano di sopportarsi.
“Signore!”
esclamò Anubis, raggiungendo Kanon e Sarah “Meglio
vi ritiriate. Un risveglio
non del tutto completo non vi permette di combattere!”.
“Non
del
tutto completo?” sorrise Kanon “Questo corpo
è nato per combattere! Piuttosto
porta al sicuro Iside..”.
“Sì,
Osiride”.
Il
Dio con
il capo da sciacallo prese con sé Sarah, che però
protestò.
“Non
sono
una semplice umana!” protestò “Sono
Iside e lotterò a fianco del mio sposo!”.
“Ma..”.
“Annienterò
l’esercito che hai creato, Iside!” interruppe
Atena, sconcertata dal fatto di
trovarsi di fronte Sarah e Kanon come Egizi “Non ti
premetterò di fare del male
a degli innocenti!”.
“Ed
io non
ti permetterò di distruggere il mio palazzo!”
“Fammi
uscire di qui!” protestava Hades.
Arles
lo
ignorava, continuando a danzare con l’illusione che si era
creato.
“Non
è
reale!” gli gridò ancora il Dio
dell’oltretomba “Non è la vera
Eleonore”.
“Non
ti
lascerò andare, Hades..”.
Il
Dio
tentò di colpire le pareti ed il creatore di
quell’illusione, senza risultato.
Come faceva ad uscire da lì?! urlò, sperando che
qualcuno dei sui Specter
potesse udirlo. Poi si fermò, inclinando la testa.
“Chi
è
quella donna?” domandò.
Arles
si
voltò nella direzione indicata da Hades e vide avvicinarsi
una figura
femminile. Con passi leggeri, impalpabili, avanzava.
“Un
angelo?” si stupì il figlio di Ares “Non
l’ho creata io..non è una mia
illusione”.
“Ma
allora..”.
La
donna,
avvolta dalla luce, si avvicinò ancora.
“Sei
tu!”
la riconobbe Arles “Sei quella donna che mi ha detto di
venire in Egitto,
giusto?”.
“Sì,
sono
io” sorrise lei.
“E
come sei
arrivata qui?”.
“Ci
sono
tante cose che devo dirti, se le vorrai ascoltare”.
“Io..veramente..”.
“Io
so chi
sei e ora te lo svelerò, figlio mio. Io sono Sophia. Sono
tua madre”.
Arles
rimase in silenzio, senza sapere bene che cosa dire.
“Ed
ho
molte cose da dirti. Ascolta” riprese l’alata.
“Zio?”
si
stupì, perplesso, Tolomeo.
Vedeva
Kanon e Sarah accanto all’altare. E Eleonore?
Dov’era? Non riusciva a
scorgerla..
“Che
fai?”
lo riportò alla realtà Deimos “Questa
è la tua prima, vera guerra. Cerca di non
farti ammazzare”.
“Come
Tolomeo sì, è vero. Ma come
Quetzalcóatl
me la cavo..”.
“Allora
vedi di Questzalcoalarti in fretta e non tergiversare..”.
“Sissignore”
ridacchiò il giovane.
Concentrandosi,
richiamò a sé l’armatura che per secoli
aveva atteso il suo ritorno. Era verde
smeraldo, con degli spuntoni rossi rappresentanti le penne del serpente
piumato. Sulla superficie, disegni color oro che creavano intricati
motivi in
stile precolombiano. L’elmo, a piume rosse, ne
coprì solo in parte il viso ed i
capelli, dello stesso colore, si confusero in mezzo al groviglio di
dettagli.
Perfino il tatuaggio, quel drago che condivideva con il resto della
famiglia,
si era modificato. Ora era più geometrico, riprendendo le
forme della cultura
azteca.
“Il
sangue
degli Egizi non è carico di odio”
commentò “Che cosa ha spinto Iside a richiamare
un simile esercito?”.
Sull’altare,
Kanon stava chiedendo la stessa cosa alla sua consorte.
“Per
ritrovare te” confessò Iside.
“Me?!”.
“Sì,
te.
Osiride, il cui animo era andato smarrito. Ho richiamato questo immenso
esercito per spargerlo per la Terra per ritrovarti, amor mio”.
“Per
ritrovarmi?! Ma allora..tutto questo..”.
Aiolos,
vicino ad Atena, era riuscito a cogliere quelle poche frasi. Fece per
avvisare
la sua Dea quando notò qualcos’altro, che lo
allarmò ancora di più.
Sconcertato
dopo aver udito certi racconti, Arles era perplesso. Era tutto vero?
Fissò
l’alata, senza riuscire a crederle del tutto. Poi una luce
diversa apparve nel
salone e si mostrò Lucifero.
“A
quanto
pare con gli angeli le illusioni non servono..”
commentò, acido, Arles.
“Mi
ha richiamato
qui lei” spiegò Lucifero “E poi..anche
io me la cavo discretamente con le
illusioni. E lei..lei è morta perciò lo spazio ed
il tempo funzionano in modo
diverso. Vieni, dobbiamo andare”.
“Morta?
Andare? Ma che..”.
“Non
c’è
tempo! Mi serve Hades, adesso! O Eleonore morirà”.
“Eleonore?”.
“Smettila
di fare domande e muoviti! Dissolvi tutto questo e vieni con
me!”.
“Io..”.
“Sbrigati”
lo incoraggiò la madre.
Arles
si
girò verso Hades. Non sapeva quel che stava accadendo, ma
per salvare Eleonore
avrebbe fatto qualsiasi cosa.
“Corri”
parlò ancora Sophia “La tua luce deve ancora
risplendere!”.
Il
figlio
la fissò, provando il desiderio di parlarle ancora, di
sapere altro. Lei però
iniziava a dissolversi.
“Addio”
le
sussurrò Lucifero “Addio, sorella”.
Sophia
sorrise e svanì, così come svanì
l’illusione di Arles. Così facendo, Hades,
Arles e Lucifero si ritrovarono di nuovo accanto al corpo privo di
sensi di
Eleonore. Ra li fissò tutti quanti, invitandoli ad
intervenire.
“Hades!”
sbottò Lucifero “La sua anima ed il suo corpo sono
danneggiati. Tu sei in grado
di guarirla?”.
“Sì
ma..sono debole ora! Non so se ne ci riesco..” ammise il Dio.
“Concentrati!”.
“Se
ti
serve il mio potere..” commentò Arles
“..se hai bisogno di cosmo, sentiti pure
libero di prendere il mio”.
“Lucifero!”
tuonò una voce.
“Non
ora,
Miki” sibilò Lucifero, prendendo un grosso respiro.
“Che
stai
facendo?! Il corpo fittizio, l’abominio in cui inserire
l’anima, e adesso? Che
stai facendo?”.
“Ho
da
fare. Dopo te lo spiego. Gira al largo!”.
“Cosa
fai?
Che intenzioni hai? E perché aiuti quel semidio
greco?”.
“Lui
è il
figlio di Sophia. Lo devo aiutare, non trovi?”.
“Figlio
di
Sophia? Ma che stai dicendo?!”.
“Sparisci!”.
Mihael
puntò la spada contro il fratello maggiore e Lucifero
sospirò.
“Voi
tre..”
parlò, rivolto a Ra, Arles ed Hades “..vedete di
salvarla perché tutto questo
casino per niente sarebbe frustrante”.
Iniziò
a
lottare con Mihael, pur essendo decisamente stanco. Non aveva
alternative: era
quello il suo destino! Lottare contro il fratello fino alla fine dei
tempi!
Arles osservò quella lotta e la trovò strana. Poi
ripensò ai suoi litigi con
Kanon e quasi si rivide in quei due. Si voltò di nuovo verso
Eleonore. Hades,
chino su di lei, stava usando il suo potere per curarla ma aveva
un’aria piuttosto
provata.
“Ah..”
sospirò Arles, chinandosi a sua volta “..che posso
fare? Giungere così vicino
alla meta e poi..”.
“Temo
sia
tardi” commentò Ra “Buona parte
dell’anima di questa giovane si era già spenta
a causa del tempo trascorso sotto il controllo di Iside..”
“Tardi?
No!
Non è tardi!” si accigliò il figlio di
Ares.
“Io..temo
di sì, invece” sospirò Hades
“Percepisco un’anima così
flebile..è morta..”.
“Che?
No,
senti..tu sei il Dio dei morti!”.
“Sì
ma non
controllo la morte! La sua anima è dissolta, capisci?
È talmente minuscola che
è impossibile per me fare qualcosa. Avrei bisogno di
un’enorme quantità di
energia, che non ho”.
“Eleonore..”.
Lo
sguardo
di Arles si fece malinconico. Lo percepiva pure lui quanto debole fosse
quell’anima e sentì la sua mente vacillare.
Alzò la testa, verso il cielo.
Possibile che non ci fosse davvero nulla da fare?
“Non
perdere il controllo!” lo rimproverò Hades.
Arles
avevo
lo sguardo perso nel vuoto. Gli angeli..gli angeli combattevano! Piume
di vario
colore volavano per la sala e grondava il sangue.
“Un
angelo..” parlò piano, vedendo una creatura alata
raggiungerlo.
“Non
proprio” si sentì rispondere.
“Aiolos?”.
“Guardami
negli occhi. Non lasciare che la tua mente vacilli. Controlla il tuo
cosmo”.
“Il
mio
cosmo?”.
Senza
accorgersene, il figlio di Ares aveva richiamato a sé la sua
energia, che
vibrava senza controllo.
“Non
lasciare che esploda, perché non so che conseguenze possa
avere. Guardami!”
ordinò, gentilmente, Aiolos.
“Saga!”
si
unì un’altra voce, e poi un’altra
ancora.
I
cavalieri
d’oro, richiamati da quel cosmo familiare e inquieto, stavano
circondando il
collega semidivino.
“Va
tutto
bene” parlò Aphrodite, chinandosi e sfidando
l’energia bruciante di quel
semidio fuori controllo.
“Sì,
questa
volta non ti lasceremo dare i numeri!” sorrise Shura.
“Che
ti
serve, Hades?” domandò invece Deathmask
“Problemi con un’anima?”.
“La
sua
anima..” sospirò Hades, a capo chino
“..non riesco a risvegliarla”.
Il
Cancro
allungò la mano verso il Dio, che lo fissò con
aria interrogativa.
“Usa
il mio
cosmo” spiegò Deathmask “Usa le mie
capacità. Unite alle tue, potrebbero..”.
“Ho
bisogno
di energia. E questa donna è..”.
“Fallo
e
basta! Provaci, almeno! Da quando gli Dei si arrendono per qualsiasi
stronzata?
Avanti!”.
Hades
annuì, iniziando ad assorbire il cosmo legato alle anime del
Cancro.
“Saga!”
chiamò Aiolia, dopo aver appreso i motivi
dell’esercito Egizio dal fratello
“Non vacillare! Tutta questa guerra non ha alcun senso!
Abbiamo bisogno anche
di te per fermarla!”.
“Sì,
Saga!”
annuì Mur “Abbiamo bisogno anche di te!”.
“Nessuno
di
noi deve rimanere indietro! Nessuno di noi si perderà nel
buio!” aggiunse Milo.
“Non
perderti nelle tenebre!” parve ordinare Shaka “Non
di nuovo! Io la vedo la tua
luce, Saga. O in qualsiasi altro modo ti devo chiamare”.
“La
mia
luce?” si stupì Arles, ritrovando in parte la
lucidità.
Si
fissò le
mani. La luce? Sì, voleva la luce. Lanciò un
gridò, espandendo e controllando
il suo strano cosmo che si illuminò sempre più
intensamente. Sul petto del
figlio di Ares, proprio accanto alla cicatrice lasciata dal suo
suicidio
davanti ad Atena tanti anni fa, comparve finalmente il drago che
portavano
tutti i guerrieri della famiglia. Era color del sangue e
brillò, assieme al
cosmo.
“Ho
bisogno
di un miracolo!” urlò, mentre sulla schiena nuda
si aprivano delle ali di
colore identico a quello del drago “Ho bisogno di un
miracolo! Io rivoglio
Eleonore! Voglio che apra gli occhi! Voglio che viva! Eleonore! Prendi
la mia
luce! Lasciami pure al buio, ma prendi tutta la mia luce e
vivi!”.
Hades
spalancò gli occhi. Chino sulla donna, con a fianco
Deathmask, raggiunse le
mani che Arles aveva poggiato sul petto di Eleonore,
all’altezza del cuore.
“Donami
la
forza di fare questo, soltanto questo” mormorò
Arles “Madre..”.
Lucifero
e
Mihael si fermarono, vedendo l’immensa luce espandersi ed
avvolgere Eleonore.
Hades e Deathmask fecero lo stesso, espandendo al massimo il loro
potere e
gridando.
“Un
miracolo?” sorrise Lucifero “Strano
desiderio..”.
E
lei, di
colpo, spalancò gli occhi, lanciando a sua volta un grido.
“Avete
ucciso Sophia!” gridavano gli angeli, aggredendo
l’esercito di Atena.
Le
divinità
lottavano, mentre la notte proseguiva.
“Fratello!”
chiamò Ipazia, raggiungendo Tolomeo nella confusione
generale.
“Che
ci fai
qui?!” domandò lui.
“Pensavi
forse che ti lasciassi tutto il divertimento ,fratello? Ad ogni modo,
per
accrescere il tuo potere c’è bisogno di un
sacrificio. Scegli uno di questi
umani..”.
“Ma
che
dici?! Di che parli?! Io ho sempre rifiutato i sacrifici umani! E
poi..come lo
sai?”.
Ipazia
sorrise, mentre su di lei comparivano vestigia azteche. Sul volto
calò un elmo
dalle sembianze canine e vari teschi scuri andarono a proteggere la
giovane.
“Xolotl!”
capì Tolomeo, il risvegliato Quetzalcóatl
“Gemello mio..”.
“Non
potevo
certo lasciarti da solo, serpente piumato. Ora però,
dobbiamo..”.
“Ci
sono
già abbastanza morti qui, senza che io ne provochi altri per
puro rendiconto
personale!”.
“Come
vuoi..”.
Hades,
sfinito, guardò negli occhi Arles, altrettanto privo di
forze. Accanto al loro
padrone, comparvero i tre giudici, pronti a difendere il Dio
dell’oltretomba da
qualsiasi nemico.
“Riportatelo
a casa” parlò Arles, sorridendo nel vedere
Deathmask addormentato per la fatica
“Riportate agli inferi il sommo Hades e la sua
signora”.
“Ma..”
si
stupì Aiaco “..Eleonore..”.
“Eleonore
è
la sua regina. Credevo non gli importasse, ma ha usato tutte le sue
energie per
salvarla perciò..portate al sicuro entrambi”.
Radamante,
già stufo di tutte quelle ciance, sollevò Hades
da terra. Aiaco invece prese
fra le braccia Eleonore, che iniziava a riaprire gli occhi.
“Fratello!”
comparve Phobos, atterrando accanto ad Arles e vedendo i tre giudici
allontanarsi di corsa “Fratello, qui crolla tutto. Devo
portarti al sicuro,
ordine di padre Ares”.
“Ma
che
combini?!” interruppe Lucifero, raggiungendo il nipote
“Perché l’hai lasciata
andare?!”.
“Non
mi
tormentare, per favore..” sospirò Arles.
“Piuttosto..tu!”
l’angelo caduto puntò il dito verso Phobos
“Tu sai chi l’ha uccisa?”.
“Uccisa
chi?”.
“Mia
sorella. Chi ha ucciso Sophia?”.
“Sono
stati
due colpi combinati a determinarne la fine”.
“Lanciati
da chi?”.
“Perché
dovrei dirtelo?”.
“Sono
state
Atena ed Afrodite” parlò Mihael
“Fratello, per una volta combatterei al tuo
fianco, se tu decidessi di alzar mano contro di loro. Dio dice sempre
di perdonare
ma la divina Sophia è morta e non riesco a perdonare queste
divinità pagane”.
Lucifero
rispose con un largo sorriso. Nel frattempo i cavalieri
d’oro, capendo che
Arles aveva ripreso un certo autocontrollo, tentavano di diffondere il
messaggio ascoltato da Aiolos. Quella guerra non aveva senso: gli
eserciti
Egizi non erano nati per combattere!
“Lucifero!”
si voltò Arles, riuscendo a fatica ad alzarsi in piedi
“Fermati! So che a
muoverti è l’odio. Io stesso non sono felice di
apprendere che Sophia sia stata
uccisa dalla Dea che ho servito per anni, ma muoverti contro di lei non
farà
che mostrati come nemico di Greci e Romani. Agiranno in massa per
eliminarti”.
“Nemico..sai
che novità! Io sono sempre un nemico, anche della mia stessa
gente”.
“Anche
io lo
sono stato, e probabilmente lo sarò ancora. Ma desideri
così ardentemente la
morte?”.
“Tu
non sai
che cosa significa perdere l’unica persona in grado di
amarti!”.
“Ah
no?”.
Arles
e
l’angelo caduto si fissarono in silenzio, qualche istante.
“Fermati.
Fermatevi, tutti quanti. Non ha senso quel che fate..”
continuò il figlio di
Ares, anche se a fatica.
“Tu..non
puoi capire! E non fare il saggio con me!” ringhiò
Lucifero, spalancando le ali
e sollevandosi.
Mihael,
convinto dalle parole di Arles, rimase a fissare il cavaliere con aria
interrogativa.
“Chi
ho di
fronte?” si chiese.
“Possiamo
rimandare a più tardi le domande su chi o che cosa sia
io?!” sbottò il fissato
“E concentrarci per fermare questa guerra?”.
“Come
tutti
i conflitti, è frutto di odio ed incomprensioni..sono con
te. Come la possiamo
fermare?”.
“Tu
sei a
capo dell’esercito degli angeli, perciò la tua
parte la puoi fare con
semplicità..”.
“E
che
potrei dire, per farli fermare? Avranno bisogno di una
motivazione!”.
“Dì
loro
che il primo figlio maschio della loro preziosa divina Sophia li prende
a calci
in culo fino a farli svenire se non si danno una calmata!”.
“A
proposito di questo..” commentò Mihael, facendosi
serio “..stando alle regole,
dovrei eliminarti. Tu sei un figlio proibito, frutto di due religioni
diverse”.
“Non
è
questo il momento, non ti pare?”.
“Io
devo
far rispettare le regole, mi spiace”.
“Ed
io ti
spacco la faccia!” si intromise Phobos “Gira al
largo!”.
“Principesse,
la smettiamo di discutere?” interruppe Tolomeo.
“E
tu chi
cazzo sei?!” domandò Arles, mentre il figlio gli
poggiava un braccio sulla
spalla e sfoggiava il miglior ghigno possibile.
“Sono
Tolomeo, Quetzalcóatl. Sono cambiato un po’, eh?
Ma pure tu..carine le ali..”.
Il
figlio
di Ares non aveva ancora realizzato di averle quindi le
fissò, piuttosto
sconcertato. Al gruppetto si unì Ipazia, Xolotl.
“Perché
i
miei figli sono Dei aztechi?”.
“Aztechi,
Tolmechi.. a volte anche Maya” sorrise il figlio
“Ma non è questo il punto”.
“Ti
do
ragione..”.
Il
padre,
sfinito, si reggeva in piedi a fatica. Alzò lo sguardo,
vedendo Lucifero in
cielo che tentava di avvicinarsi ad Atena, abbattendo chi gli si parava
davanti
con una ferocia impressionante.
“Tutti
questi morti..” commentò, amareggiato, Ra
“..solo perché Iside ha richiamato un
esercito per ritrovare il suo amato..”.
“Perdonami
ma poteva trovare qualcosa di meno minaccioso per ritrovare
l’amato!” sbottò
Phobos.
Maya,
Dea
induista, non amava la guerra. Shiva, al contrario, pareva divertirsi
un sacco.
Quando però il Dio capì che era una battaglia
insensata, il suo entusiasmo andò
scemando.
“Ho
un’idea..” sussurrò allora Maya e si
concentrò.
In
cielo
apparve una forte luce, quasi pari a quella del sole.
“Un’illusione..”
capì subito Arles, prima che Phobos lo trascinasse via.
“Mi
spiace..”
spiegò il fratello maggiore “..ma devo obbedire a
papà e ti porterò lontano da
qui!”.
“Hai
ucciso
mia sorella!” sbraitò Lucifero, combattendo contro
Atena “Non ti perdonerò
mai!”.
Continuarono
a contrarsi in cielo, mentre la luce creata dall’illusione di
Maya si
espandeva. Creati dalla mente della Dea induista, comparvero Sophia e
Zeus.
Quella visione, fermò i conflitti. Sul viso
dell’alata e del padre degli Dei si
scorgeva chiaramente una nota di disappunto.
“Padre..”
mormorò Atena, ingannata dalla visione.
“Sorella?”
si stupì Lucifero, non del tutto convinto.
“Adesso
basta!” tuonò Zeus “Quante vite volete
ancora far sfumare, prima di fermarvi?”.
“Questa
battaglia è sempre stata un errore, come ho ripetuto fino
alla nausea” continuò
Sophia “Mi meraviglio di voi, angeli, che predicate
l’amore ma siete disposti
ad uccidere per vendetta. Non piangete la mia morte, gioitene
piuttosto. Ora
veglierò su ognuno di voi, come fa Dio”.
“Atena!”
si
voltò il padre degli Dei “Figlia mia adorata!
Deponi le armi, ordina ai tuoi
eserciti di fermarsi. So bene che hai agito per la pace della Terra, ma
adesso
basta”.
Atena
guardò verso Zeus ed una lacrima scese dal suo volto.
“Mihael!
Lucifero!” supplicò Sophia “Fratelli
miei! Basta!”.
“Per
te,
sorella..” mormorò l’angelo caduto,
chinando il capo in segno di resa.
Le
due
illusioni sorrisero e scomparvero, lasciando i combattenti in un
palazzo buio,
con ai piedi migliaia di cadaveri.
“Padre!”
chiamò Phobos, raggiungendolo “Padre, sono
qui!”.
Arles
subito comprese che qualcosa non andava. Che ci faceva Ares in un
dirupo, con
corpo ed armatura a pezzi? E chi era quella ragazza alata al suo fianco?
“Phobos!”
esclamò Nadijeshda “Sei arrivato!”.
“Sì..come
stai, papà? TI ho riportato Arles con la forza. Kanon non
serve..quello è
Egizio! Kanon è Osiride”.
“Osiride?!”
mormorò Ares, perplesso, poi voltando lo sguardo verso il
figlio più piccolo
“Ma che..”.
“A
quanto
pare dovrò insegnare a volare anche a qualcun
altro” sorrise l’alata.
“Papà!”
parlò
piano Arles “Che mi combini? Non vorrai mica
morire?”.
“Dov’è
Eleonore? È..morta?”.
“No.
È con
Hades, il suo sposo”.
“Ma..perché?
Piccolo mio, perché? Hai tanto lottato per lei..”.
“Perché
è
giusto così, papà. È giusto
così..”.
“Se
lo dici
tu. Però..il tuo animo..”.
“Mi
rialzerò..”.
"Quelli
come noi si rialzano sempre, non dimenticarlo mai".
"Lo so. Io sono pronto a rialzarmi. Ho visto la mia luce. Non
è spenta,
come molti pensano, ma brucia e splende, assieme ad ogni singola goccia
di
sangue divino. Lascia solo che trovi nuova linfa, nel mio corpo
stremato, e ti
dimostrerò quanto in alto questo tuo figlio maledetto
può giungere".
"Non ti ho mai considerato maledetto. O sbagliato..".
"Nemmeno io ti considero così".
"Quelli come noi devono sempre combattere".
"Lo so. E allora
tu..perché hai deposto le
armi?".
"Io..".
"Tornano sempre..ricordi?".
"Già..alla fine,
tornano tutti".
"E allora noi attenderemo.
Dovesse trascorrere
un'eternità. Lotteremo, cadremo, ci rialzeremo..ma non ci
arrenderemo mai. Torneranno..perché
tornano sempre!".
“Ary..”.
“Ed
ora, lascia che ti mostri quel che so fare!”.
Arles
concentrò di nuovo quella luce che aveva risvegliato per
salvare Eleonore. Percepiva la vita del padre sempre più
flebile e usò il suo
potere per aiutarlo.
“Un
guaritore?” si stupì Nadijeshda “Hei,
vacci piano però! Per
fare quel che stai facendo, consumi la tua energia vitale!”.
Senza
ascoltare, Arles continuò a guarire il padre
finché poté.
Ares, udite le parole dell’alata, afferrò entrambe
le mani del figlio e le
allontanò.
“Ora
so guarirmi da solo..” gemette.
“Padre..”.
“Sei..come
tua madre..”.
Arles
respirava affannosamente per la fatica. Osservò il
genitore.
"..papà...”
commentò, sussurrando “..piangi...?".
"No..io...io non piango
mai..." mentì Ares.
La
stanchezza prese il sopravvento. Il figlio si poggiò contro
il padre,
sentendosi inaspettatamente stringere a sé e vedendo
piangere l'uomo che
credeva incapace di versale lacrime.
"Sono tanto stanco.." ammise il Dio della guerra.
"Riposa, allora. Non ci sono più battaglie da combattere.
È tutto finito”.
“Hai
ragione..” sorrise il padre, poggiando una mano sul capo del
figlio
“Sai..stando qui in punto di morte mi son ritrovato a
pensare. Che ho fatto per
tutta la vita? La guerra. Solo la guerra. Ma anche dei figli
meravigliosi..”.
“No,
ti
prego, non diventarmi sentimentale..” sorrise anche Arles,
poi chiudendo gli
occhi, sfinito.
Il
padre
rise e fece lo stesso, dopo aver visto che in cielo brillavano di nuovo
le
stelle.
“Tutti
questi morti..” parlò Ra, non nascondendo il suo
disappunto “..a che scopo?”.
“Gli
angeli
non dovrebbero cadere per simili, stupidi, motivi”
concordò Mihael.
“Nessuno
dovrebbe!” incrociò le braccia Tolomeo
“Io e Ipazia, forse..”.
“Sì..forse
potremmo fare qualche cosa” annuì lei
“Però..servirebbe un’enorme
quantità di
energia!”.
“Per
fare
che?” si incuriosì Shiva.
“Per
riportare in vita queste ossa morte” spiegò il
ragazzo, senza scomporsi.
“Ma
voi..non siete creatori”.
“Singolarmente
no. Ma l’unione delle forze opposte che rappresentiamo, come
luce ed ombra,
possono donarci questa capacità per qualche istante.
Però, ripeto, serve un’enorme
quantità di energia. Che l’unione di cosmi
stremati dalla battaglia non può
fornire..”.
“Ma
allora..”.
Si
udì un
gemito, fra la folla di divinità. Discordia, che fino a quel
momento era
rimasta in disparte, fissava i figli.
“Tutto
questo..” parlò “..è colpa
del sospetto e della sfiducia che il mio potere
crea. Come ammenda, figli miei, prendete il mio cuore”.
“Madre?”
alzò un sopracciglio Quetzalcóatl, senza capire.
“Il
sacrificio
vi rende potenti. Prendete, dunque. Ultimo gesto, di una madre che non
è mai
stata tale”.
“Ma
no,
aspettate! Io..”.
Discordia
non lasciò al figlio il tempo di continuare e si
trapassò il petto, estraendone
il petto pulsante.
“Questo
è
per te, figlio mio, Tolomeo..Quetzalcóatl!”
gemette.
“Madre!”
urlò
lui, correndo per raggiungerla.
Le
prese le
mani, ed il sangue lo bagnò. Il liquido rosso
iniziò a risalire, lungo l’armatura,
seguendo i motivi intagliati in oro. Subito mutarono di colore,
divenendo
scarlatti. A partire dalle dita, risalirono gli incavi e tinsero
l’intera
armatura. Discordia cadde in terra, priva di vita, ed il figlio si
voltò verso
la gemella, con occhi lucenti carichi di energia.
“Serve
anche a te?” chiese Atena, rivolta ad Ipazia.
La
ragazza
era confusa, risvegliata da troppo poco per capire del tutto quel che
accadeva.
Si voltò verso la Dea della saggezza, che le sorrise. Con
uno scatto, ella
ripeté il gesto di discordia e porse il cuore alla giovane.
“Per
rimediare a tutto questo..” mormorò Atena.
Ipazia
si
ritrovò il cuore pulsante della Dea fra le mani e la propria
energia aumentò,
così come era successo al fratello.
“Xolotl..”
parlò Tolomeo “..andiamo?”.
“Sì,
Quetzalcóatl”
annuì Ipazia.
I
due
gemelli, richiamata a sé quell’enorme
quantità di energia, usarono il proprio
sangue, che sparsero fra le vittime. Bastarono poche gocce per ogni
corpo. Shiva
osservava la scena, incuriosito. Pure lui, assieme alla moglie,
riusciva ad
essere un creatore ma lui usava la danza, non il sangue ed i sacrifici
umani. Era
comunque qualcosa di affascinante.. Vide i morti nella battaglia
rialzarsi e
riprendere vita, mentre le due divinità al cento si
liberavano del sangue
ottenuto dal sacrificio, facendo tornare i glifi sulle loro vestigia
del colore
originale. Gli angeli ripresero il volo, i soldati si rimisero in
piedi. Rimasero
in terra solo Atena e Discordia, sacrificate.
“Fantastico..”
ammise Lucifero, quasi geloso di quel potere.
Una
volta
che quel macabro rituale fu completato, Tolomeo ed Ipazia barcollarono
e
caddero, uno accanto all’altro, sfiniti.
“Meglio
tornare a casa” propose Deimos, raccogliendo il nipote
“Kanon, vieni?”.
Kanon
scosse la testa. Con Sarah accanto, si voltò verso gli Dei
Egizi.
“Io
sono
Osiride ora, zio” rispose “Il mio posto
è qui”.
“Come
vuoi.
Passa a trovarci”.
“Sarà
fatto. Prima, però, devo ricostruire questo luogo. Lo avete
distrutto..”.
“Scusa..”.
“So
che non
lo pensi davvero! Prenditi cura di mio fratello Arles”.
“Certo”.
Aiolos
sollevò Ipazia, dopo aver visto il corpo di Atena
dissolversi in polvere d’oro.
Non poté fare a meno di piangere, prima di spiccare il volo.
“Fai
il
bravo, mi raccomando” si congedò Milo, salutando
Kanon.
“Lo
farò. E
se tu e Aiolia vorrete venire a trovare una tale Dea scorpione o Dea
leone..”.
“Ah,
così
mi tenti! Ciao, Kanon”.
Lo
Scorpione non pareva affatto turbato dalla morte della sua Dea. Aveva
compreso
che si è sacrificata per qualcosa di giusto e per una volta
non doveva salvarla
o proteggerla. Ma ora non voleva pensare alle conseguenze di quel
gesto: voleva
solo tornare a casa e dormire!
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Capitolo 21 *** XXI- vita ***
XXI
VITA
Riaprendo
gli occhi, Arles percepì subito il calore del sole sul viso.
Girò gli occhi,
vedendo degli angeli accanto al letto.
“Sono
morto?” mormorò.
“No”
rise
Lucifero “Però ci sei andato vicino. Ok, sei un
guaritore, ma per aiutare tuo
padre hai consumato moltissima energia vitale”.
“E
lui ora
dov’è? Sta bene?”.
“È
nella
sua stanza. Stanco e malconcio ma, grazie a te, non in pericolo di
vita”
informò Mihael.
“Che
fate
voi due qui, se non sto morendo? Che volete?”.
“Niente.
Solo sapere che intenzioni hai” rispose Lucifero.
“In
che
senso? Che intenzioni dovrei avere?”.
“Sei
un
angelo, un Dio, un Greco, un guaritore..che pensi di fare? Cosa pensi
di
essere?”.
“Chi
sono
io? È questo quel che mi stai chiedendo?”.
“Domanda
già sentita, dico bene?”.
“Già.
Ma,
ad ogni modo, ora so la risposta”.
“Davvero?”.
“Io
sono
io. Sono unico ed irripetibile e così devo rimanere.
Perché scegliere? Perché
limitarsi? Sono stato in Egitto, dopo una vita da Greco, ed in pochi
giorni ho
conosciuto religioni di tutto il Mondo. Indiani, Precolombiani,
Monoteisti,
Greci, Romani, Egizi..come faccio a sapere che strada è
giusto che io prenda?
Non lo posso sapere! Ma quel che so è che voglio provare e
vedere altro. Voglio
andare in alto, vedere di più, conoscere di più.
Intanto potrei iniziare
spostandomi in Tessaglia, la terra di mio padre, in modo da comprendere
almeno
quel lato della famiglia. Poi chi lo sa..”.
“Poi
potresti venire a trovare me” ghignò Lucifero
“Non come anima da torturare,
ovviamente. Come ospite..”.
“A
questo
proposito, dato che siete qui..”.
“Parla
pure” lo incitò Mihael.
“Io
dove
andrò, una volta morto? Intendo dire..non so davvero a chi
dovrei rivolgermi.
Più divinità conosco e più comprendo
che, alla fine, amano solo loro stesse.
Perciò..”.
“Anche
tu
ami solo te stesso?”.
“Me
stesso
e chi ho vicino. Sinceramente, del resto
dell’umanità me ne sbatto le palle!”.
“Ottimo..”
borbottò Mihael, sarcastico.
“Ma
rispondete alla mia domanda. La mia anima dove andrà, quando
morirò? In quale
regno ultraterreno?”.
“Domanda
difficile..” ghignò l’angelo caduto
“..però, sappilo, io lotterò per avere
la
tua anima! Sarei troppo felice di averti fra le mie schiere come
demone!”.
“Come
se te
lo lasciassi fare!” sibilò Mihael.
“E
come
pensi di impedirmelo?!” lo sfidò Lucifero,
chinandosi sul nipote.
“A
suon di
legnate penso di impedirtelo, diavolo!” fu la risposta.
“Hei,
basta!” li zittì Arles “Non sono ancora
morto!”.
“Parlando
seriamente..” riprese il caduto, incrociando le gambe e
sedendo sul letto del
nipote “..io non credo che ti dovresti preoccupare. Sei un
Dio, gli Dei
invecchiano molto lentamente. Sei un angelo, un guaritore, quindi il
tuo corpo
si rigenera. Sei un Greco, con dei figli avuti con una Romana, che si
sono
risvegliati come Precolombiani. Non voglio anticiparti niente ma..in
questi
giorni mi pare di aver scorto un certo affetto fra il tuo primogenito e
Maya,
l’Indiana. Il tuo gemello è un Egiziano ed i
parenti di tua madre sono angeli.
Detto questo, mi sento di dire che sia un po’ difficile che
qualcuno ti
ammazzi”.
“Eh?”
riuscì solo a dire Arles, non sapendo molte delle cose che
lo zio gli aveva
appena svelato.
“Povero
piccolo, quanto casino in poche settimane, vero? Comunque sono qui per
dirti
che, se vorrai, da me ci sarà sempre lavoro per
te”.
“Vale
lo
stesso per noi angeli del cielo” aggiunse Mihael
“Abbiamo visto quel che hai
fatto. Il sangue di Sophia è in te e saremmo felici di
vederti fra le nostre
truppe”.
“Grazie,
ma
per ora pensavo a qualcosa di più..terreno”
annuì Arles.
“Bene,
in
futuro..”.
“Già,
in
futuro” dissero i due angeli, il caduto ed il capo delle
milizie celesti.
“Ma
per ora
sparite!” interruppe Nadijeshda, entrando nella stanza con
accanto Phobos
“Lasciatelo riposare. Ne riparlerete fra un po’,
ragazzacci!”.
“Ma..un
attimo!” protestò Arles, ricadendo sul letto per
la stanchezza “..che è
successo? La guerra?”.
“Tranquillo”
lo tenne giù Phobos, usando due dita premute sulla fronte
del fratello minore
“Ora ti racconto tutto. Anche se forse dovresti riposare
ancora un po’..”.
“Tu
racconta. Al massimo mi addormento e continui la prossima
volta..”.
“Hem..ok..”.
Ares
si
sentiva decisamente stordito, nonostante fosse trascorsa qualche
settimana
dalla battaglia. Ancora debole, camminava lungo il colonnato,
gustandosi il
sole. Quel Tempio si stava gradatamente svuotando e presto anche lui
sarebbe
partito, assieme ai suoi figli guerrieri. Con la morte di Atena, molti
cavalieri si erano allontanati. Alcuni, come Mur, Shaka ed Aldebaran,
erano
tornati nelle loro terre natie. Altri, come Milo, Deathmask, Shura ed
Aphrodite, avevano deciso di godersi il sospirato congedo e si erano
comprati
delle casette in posti tranquilli. Camus, Aiolos ed Aiolia, assieme a
Kiki come
Sacerdote, avevano preferito rimanere al Tempio per studiare e
proteggerlo. Tolomeo,
Quetzalcoatl, aveva raggiunto l’America, in cerca di altre
divinità del suo
tempo. Assieme a lui, era partita Maya, come sua consorte. Ipazia non
aveva
seguito il fratello ma, come il padre, aveva deciso di esplorare i
dintorni. Ad
Apollo, primogenito di Zeus, erano andate le redini
dell’Olimpo e questo
rendeva felice Ares, liberato di molte responsabilità non
volute.
“Cosa
vedi
di così interessante?” rise poi il Dio, girando
solo di poco la testa.
“Niente”
parlò una donna alata “Mi chiedevo cosa ci avesse
provato mia mamma in te..”.
“Sei
una
delle figlie di Sophia?”.
“Sì.
Sono
Vera”.
“Non
lo so
nemmeno io che cosa ci abbia visto”.
“Io
invece
qualcosa ho capito. Non siete malvagio”.
“Sono
il
Dio della guerra, padre di Paura e Terrore..”.
“Ma
anche
di Eros, l’Amore”.
“Quello
suppongo sia merito di Afrodite..”.
“Chi
lo sa.
Comunque..dovrai tenere d’occhio la mia sorellina
Nadijeshda”.
“A
quello
ci penserà Phobos”.
“Allora
a
te affido il fratellino Arles”.
“Quello
lo
posso fare..”.
“Vera!”
chiamò Mihael “Dobbiamo andare. Lascia perdere
quel pagano”.
“Hei,
angioletto” rise Ares “Un giorno, lo sai, sarai
mitologia pure tu!”.
“Lo
so, non
ti offendere” rise a sua volta Mihael.
“Aspetterò
quel giorno. Quando potrò chiamarti pivellino
perché sarai l’ultimo arrivato”.
“Ti
offrirò
da bere”.
“E
giocheremo a carte”.
“Da
bravi
vecchietti in pensione..”.
“Questa
è
Spartaaaaa!” gridò Deathmask, divertito.
Arles
riconobbe la voce ed interruppe momentaneamente l’allenamento
con Phobos e
Deimos. Con l’elmo con il pennacchio
ed
il vestiario scarso, effettivamente assomigliava ad un tipico spartano
filmico.
Aveva celato le ali, trovandole scomode contro i fratelli.
“Ma
vivi
davvero qui?” storse il naso Aphrodite, guardandosi attorno.
“Benvenuti
al tempio di Ares” ridacchiò Arles, togliendo
l’elmo.
Una
volta
ripresosi, era partito assieme al genitore ed i fratelli e da quel
giorno era
rimasto in Tessaglia, per allenarsi. Quella era la prima volta che
rivedeva i
suoi colleghi cavalieri, dopo molti mesi.
“Ti
vedo
bene, come va?” sorrise Death.
“Passo
le
mie giornate prendendole dai miei fratelli maggiori, non male direi. Ma
pensavo
di partire presto”.
“Partire?
Per dove?”.
“Non
lo so.
Basta partire”.
“Ah,
che
bello” rise Aphrodite “Io aspetto che compaia
Persefone. Tra poco inizia la
primavera!”.
“Bravo,
pesciolino. Al Tempio? Tutto ok?”.
“Non
ne
abbiamo idea” confessò Deathmask “Non ci
passiamo. Però c’è Aiolia, Aiolos e
compagnia bella. Non credo ci sia problemi”.
“Sì,
noi
cavalieri non serviamo finché Atena non rinasce”
aggiunse Pesci.
“Lo
farà,
non dubitate” parlò Arles “Che dite?
Andiamo a farci una birra?”.
Non
riuscì
a sentire la risposta perché Phobos e Deimos, stanchi di
vederlo cianciare, lo
avevano attaccato contemporaneamente, saltandogli addosso e stendendolo.
“Devi
sempre stare all’erta!” rise Deimos.
“Sì,
non si
sa mai cosa può accadere!” sfotté
Phobos.
“Levatevi,
ciccioni!” protestò, divertito, il fratello
piccolo.
Death
ed
Aphro si limitarono ad osservare la scena. Una volta atterrato, Arles
era
diventato il giocattolo dei gemelli più anziani, che
iniziarono a tormentarlo.
“Guanciottine
guanciottose!” stuzzicò Phobos, punzecchiando la
faccia del fratellino.
“Vai
a
cagare” tentò di reagire Arles, che
però era tenuto fermo a suon di solletico e
piccole torture.
Nel
frattempo, Ares era nella sua casa. Udiva il caos che creavano i suoi
figli e
rise. Si stava concedendo un caffè, gentilmente portato da
Death e Aphro. Dopo
pochi istanti di relax però, notò un cosmo
familiare. Quante visite quel
giorno, in un luogo in cui solitamente non compariva anima viva se non
i suoi
eredi! Subito il Dio della guerra storse il naso. Che ci faceva Hades
lì? E
perché con lui c’erano Persefone, Eleonore ed
Ipazia?
“Ciao,
nipote” sorrise Hades.
“Che
cosa
vuoi?” rispose Ares, sospettoso e consapevole che a nessun
Dio veniva in mente
di venirlo a
trovare per puro diletto.
“Devo
parlare a tuo figlio, quello piccolo”.
“Arles?
Scordatelo!”.
“Non
è mica
una richiesta!”.
“Evapora!
Adesso che finalmente pare abbastanza sano di mente e controllato, gli
sventoli
di nuovo davanti la ex moglie?! Smamma!”.
“Oh,
su,
non rompere le palle, ragazzino! Ho altro da fare!”.
“Ti
ricaccio agli inferi a suon di botte, se non te ne vai!”.
“Ma
che
pensi di fare? Moccioso..”.
“Forse
ha
ragione” interruppe Eleonore “Potete andare voi,
sommo Hades, a parlare con
Arles ed io resto qua, in modo che non mi veda. Nemmeno io, lo ammetto,
fremo
all’idea di incontrare di nuovo il suo sguardo”.
“Mia
sposa,
smettila per favore. Persefone non si lamenta!”.
“Torna
a
casa tua!” sbottò Ares, accigliandosi.
“Altrimenti?”.
Il
Dio
della guerra ringhiò, accendendo il suo cosmo rosso e
sfidando Hades.
“Non
farmi
diventare cattivo” si infastidì Hades
“Non preoccuparti. Non farò del male a
qui figli di puttana dei tuoi eredi..”.
“Come
li
hai chiamati?!”.
“Ares!
Andiamo! Vuoi forse negare che Afrodite sia una puttana?! Se la sono
scopati
tutti! Compreso il tuo caro figlio Arles”.
“Mio
figlio
che cosa?!”.
“Buongiorno,
ciccio!”.
“Comunque
non
sono cazzi tuoi! Migra!”.
“Fatti
da
parte!”.
Il
Dio
della guerra non aveva alcuna intenzione di retrocedere e
tentò di colpire lo
zio, che si stupì. Solitamente gli Dei non osavano sfidarlo!
Quanto era strano
Ares quando si cercava di fare del male ai suoi cuccioli! Colpito di
striscio,
il Dio dell’oltretomba rispose subito ed i due iniziarono a
lottare.
“Ma
che
fate?!”esclamò Persefone, mentre zio e nipote
tentavano di strangolarsi a
vicenda.
“Vattene!”
ordinò di nuovo Ares ad Hades e questi, di tutta risposta,
lo scaraventò contro
la parete.
Il
muro si
sgretolò ed il Dio della guerra finì
all’aperto. I figli osservarono il
genitore, stupiti. Poi, dalla polvere, emerse lentamente il Dio
dell’oltretomba, seguito dalle spose e da Ipazia. Phobos e
Deimos lasciarono
andare Arles, che si rialzò.
“Devo
parlare con te” indicò Hades.
“Lascialo
stare, brutto sadico!” ringhiò Ares, ancora in
terra e ricoperto di polvere e
detriti.
“Tranquillo,
padre” sorrise Arles, poco convinto “Non
preoccupatevi sempre per niente”.
“Ma..”.
“Arles,
sono qui per chiedere umilmente la mano di tua figlia Ipazia”
si inchinò
leggermente Hades.
“Ipazia?!”.
“Oh,
papà!”
esclamò la giovane, raggiante “Dì di
sì, per favore! Ti prego!”.
“Beh..”
rimase un po’ sconcertato Arles “..io non posso
rispondere in modo negativo
dinnanzi allo sguardo sognante di mia figlia”.
“È
dunque
un sì?” sorrise Ipazia.
“Certo,
bambina mia. Chi sono io per impedirti di fare qualcosa?”.
“Grazie”
si
inchinò di nuovo Hades.
“Congratulazioni.
E complimenti, Hades. Tutte le donne che conosco, finiscono con
l’avere
qualcosa a che fare con te. Se vuoi, ho anche molte
sorelle..”.
“Noto
il
sarcasmo nella tua voce. Ma non ho finito..”.
“Io
sì”
interruppe Arles “Ho altro da fare, scusate.
Auguri”.
Raccogliendo
l’elmo da terra e fingendo indifferenza, il figlio di Ares
mostrò le spalle al
gruppetto di divinità.
“Dove
pensi
di andare?” ghignò Hades.
“Da
Lucifero. Almeno sono certo che nel suo inferno tu non
compari!”.
“Prima
però
lascia che ti dica una cosa. Prima di conoscere Ipazia, non ero mai
stato amato
veramente. Lei è la prima donna che sceglie me, senza che io
la rapisca o la
inganni”.
“Buon
per
te..”.
“La
mia
dolce Ipazia mi ha fatto capire che significa essere amato per davvero.
Lei
sorride quando mi vede, il suo sguardo brilla. Non è triste,
nostalgica o
malinconica. Ed è questo che voglio vedere d’ora
in poi. E basta”.
Arles
si
fermò, senza però voltarsi. Che stava blaterando?
“Persefone..Eleonore..”
riprese Hades “Siete libere. So che i vostri occhi brillano
quando scorgete il
volto di altri. Nessun rancore, andate pure. L’amore di
Ipazia è tutto ciò che
desidero”.
“Ha..Hades..”
balbettò Persefone, confusa.
“Vai
dal
tuo cavaliere dei Pesci, mia cara. E tu, Eleonore.. Arles! Ti rendo la
tua
sposa! Ho passato splendidi momenti con lei, ma il suo cuore non mi
appartiene”.
Il
figlio
di Ares non rispose e non ebbe il coraggio di girare il capo. Doveva
essere un
sogno, la sua mente doveva aver ceduto!
“Che
stai
dicendo?! È un inganno, forse?” domandò
Ares.
“Nessun
inganno, nipote. Eleonore è libera. Solo una cosa, Arles:
deve sorridere! Se
piangerà, anche solo una volta, per colpa tua..me la
riprenderò. Chiaro?
Girati!”.
Arles
si
voltò lentamente.
“Mi
hai
capito, Dio delle illusioni?” incalzò Hades.
“Sì”
mormorò
il figlio di Ares “Io..ho capito”.
“Và
pure,
mia cara” la incitò il Dio
dell’oltretomba, notando la titubanza di Eleonore.
“Siete
sicuro?” domandò lei “Io..davvero
posso..?”.
“Dai!
Sbrigati!” rise il Dio.
“Eleonore..”
la chiamò piano Arles e lei iniziò a correre,
raggiungendolo ad abbracciandolo
forte “Eleonore! Non è un sogno? Io..”.
“No,
non lo
è. Amore mio..”.
“Siate
felici” si congedò Hades, mentre anche Persefone
raggiungeva Aphrodite.
“Ma
davvero
è reale?” continuò a chiedere Arles.
“Vuoi
un pugno?!”
sbottò Deimos.
“Eleonore..”.
“Dimmi,
Ary” sorrise lei.
“Vuoi
davvero essere ancora mia moglie?”.
“Per
tutta
l’eternità. Camminare al tuo fianco ovunque
andrai”.
“Però..”
interruppe Aphrodite “..questa volta voglio una cerimonia
come si deve! Voglio
farti da testimone!”.
Arles
annuì, senza sapere che altro dire. Lei gli sorrideva, prima
che lui finalmente
la stringesse a sé e la baciasse.
“Vivi
qui?”
domandò poi Eleonore.
“Sì..”.
“Mi
mostri..la tua camera?” sussurrò “Ho
viaggiato a lungo, vorrei riposare”.
“Ma
certo,
vieni”.
Le
stanze
di Arles erano semplici, in netto contrasto con quelle da Gran
Sacerdote in cui
aveva vissuto per anni. Il proprietario accese un paio di candele,
fuori il
sole stava tramontando.
“Non
sarà
un hotel di lusso..” parlò lui “..ma a
me piace”.
“Va
bene
così”.
“Forse
tu,
come regina, sei abituata a..”.
“Va
bene
così!” ripeté lei, ridendo e baciando
di nuovo suo marito.
“Eleonore..”
confessò lui “..perdonami. Non sono romantico,
sentimentale o dolce ma..vorrei
tanto buttarti su quel letto e farti mia fino all’alba di
domani!”.
“Hai
ragione: non sei romantico! Sarò all’altezza?
Dicono che tu abbia fatto sesso
con Afrodite..”.
“Ed
io?
Sarò all’altezza di un Dio con millenni di
esperienza?”.
“Fammi
vedere..”.
Ripresero
a
baciarsi, con sempre più foga e poi lei di fermò.
“Arles..”
mormorò.
“Sì?”.
“Dove
sono
le tue ali?”.
Arles
si
concentrò qualche istante ed esse apparvero sulla schiena
del loro padrone.
Erano molto più grandi rispetto al giorno della battaglia,
pronte per il volo.
“Ti
piacciono?” domandò lui.
“Sì,
sono
bellissime”.
“Ti..eccitano?”
ghignò Arles, stringendola di nuovo a sé.
“Oh,
Ary!
Mostrami come fanno l’amore gli angeli!” gemette
lei, trascinandolo a letto.
Quel
giorno
tirava vento e la cosa non era gradita al figlio di Ares.
“Ma
siamo
sicuri?” alzò un sopracciglio Arles, guardando in
giù.
“Fidati!”
sorrise Lucifero.
“Perché
mai
dovrei fidarmi di te, con quel ghigno malefico sulla
faccia?!”.
“Questo
è
il mio modo di sorridere! Ad ogni modo..muoviti! Non hai nulla da
temere”.
“Sei
sicuro?”.
“Staccati
da quella roccia!”.
Il
figlio
di Ares guardò di nuovo giù. Sospeso nel vuoto,
sotto di sé il crepaccio che
circondava la casa del padre, non si sentiva affatto sicuro.
“Muoviti
o
ti spingo di sotto!” minacciò Lucifero.
“Dai,
cerca
di essere delicato” ridacchiò Nadijeshda.
“Coraggio,
è come volare con l’armatura”
rassicurò Phobos “Credo..”.
“Cosa
ne
sai tu?!” sibilò Arles.
“Prima
o
poi da lì dovrai scendere perciò..apri le ali e
lanciati! Vedrai che agirai d’istinto”
annuì Eros.
“Mi
sento
osservato..” borbottò Arles “E poi
parlare d’istinto a me, che sono malato di
mente, non mi sembra una cosa bella..”.
“Vola,
mio
angelo!” sorrise Eleonore “Voglio vederti
volare!”.
“Ok..ma
non
vuoi vedermi spiaccicato, vero?”.
“Certo
che
no! Ma sono sicura che saprai volare benissimo”.
“Le
tua ali
sono pronte” insistette Lucifero “Hai perso tutto
il piumino tenero e ora è
tempo di spiccare il volo! È una cosa elementare! I piccoli
angeli imparano a
farlo ancora prima di camminare!”.
“Io
non
sono un piccolo putto pacioccoso ma un omone di più di
ottanta chili e la forza
di gravità, che io sappia, adora richiamare verso il
basso!”.
“Muoviti,
ciccione!”.
“Non
sono
ciccione!”.
Lucifero
ghignò di nuovo. Sospeso a mezz’aria, era molto
divertito da quel che stava
accadendo. Arles mosse un piede, mentre sotto di sé alcune
rocce cadevano nel
vuoto.
“Capisco
la
sensazione” lo incoraggiò Phobos.
“E
che hai
fatto per vincerla?”.
“Niente.
Mi
son buttato e basta”.
“Spero,
però, che non atterri come te..” rise Nadijeshda.
“Perché?!
Com’è
atterrato lui?” si allarmò Arles.
“Non
importa!”.
“Come
non
importa?!”.
“Hai
intenzione di stare lì tutto il pomeriggio?!”
incrociò le braccia Lucifero “A
differenza di te, io ho un lavoro, sai? Non posso perdere
tempo!”.
“E
chi ti
dice di stare lì?!” si accigliò il
nipote.
“Ma
su, mi
diverto!”.
“Va
all’inferno!”.
“Dopo,
come
sempre. Tu ora però vola!”.
Arles
sospirò. Poi guardò verso l’alto, dove
Phobos e Nadijeshda si inseguivano
volando.
“È
la stessa
cosa” si disse “Come volare con
l’armatura, stessa cosa”.
Incoraggiato,
anche se non del tutto convinto, da quei pensieri, finalmente si decise
a
compiere un piccolo balzello. Spalancò le ali e subito
percepì l’aria
avvolgerlo e spingerlo verso l’alto. In effetti, era molto
simile a quando
volava con l’armatura ma, in questo caso, le vere ali erano
più sensibili. Percepiva
il vento su di esse ed il calore del sole. Le sbatté un paio
di volte, con il
chiaro intento di raggiungere Lucifero, che però si ritrasse
in fretta.
“Prendimi,
cucciolo!” lo sfidò ed Arles raccolse la sfida,
pur volando in modo ben più
impacciato dello zio.
Si
alzarono
e girarono un paio di volte attorno alla statua di Ares che sorvegliava
il
Tempio del Dio della guerra. Il nipote si posò sul
pennacchio dell’elmo della
statua, non sentendosi ancora pronto a fare strane acrobazie.
“Bravo.
Ora
però scendi” ghignò Lucifero.
Arles
gli
mostrò la lingua e saltò sulla spalla in pietra.
“Non
così!”
lo rimproverò lo zio, ostacolandolo.
“Ma
và via!”
protestò il nipote “Ho volato! Lasciami in
pace!”.
“Sei
uno
scansafatiche!”.
“Non
è
vero!”.
Agitandosi
un
po’ troppo, Arles finì col perdere
l’equilibrio. Ad un passo dalla pavimentazione,
si rigirò avvolto dalle ali e riuscì a riprendere
quota. Lucifero lo fissò con
un mezzo sorriso, chiudendo gli occhi ed annuendo soddisfatto. Dovette
però
riaprirli in fretta perché il nipote stava sfrecciando verso
di lui.
“Ti
levo
quel ghigno dalla faccia, vediamo se ci riesco!”
ghignò a sua volta Arles.
Lucifero
si
voltò e scese in picchiata, poi volando
all’interno delle stanze di Ares. Il Dio
della guerra li vide solo passare, a velocità sostenuta, e
scosse la testa.
“Aspettatemi!”
si unì Phobos, seguito da Eros, Nadijeshda e Deimos.
“Ma
che..?”
alzò un sopracciglio Ares ed Eleonore rise.
“Tuo
marito
è fuori di testa” commentò il Dio.
“Lo
so”
annuì lei “Tutto il suo papà”.
“Hai
ragione, mia cara”.
Steso
a
terra, sfinito, Arles rideva. Eleonore lo raggiunse, scuotendo la testa.
“Ti
diverto, moglie mia?” rise lui.
“Sei
peggio
dei bambini”.
“Ah
sì, è
vero. Ma per gli Dei io sono un bambino!”.
“Che
scuse..dai, alzati”.
“Partiamo,
amor mio?”.
“Partiamo?
Per
dove?”.
“Per
dove
vuoi. Tanto, ovunque andremo, con te al mio fianco io mi
sentirò a casa”.
“Ma..sei
sicuro? Non ti piace qui?”.
“Mi
piace,
ma ho l’eternità davanti! Allora..dove ti
piacerebbe andare?”.
“Non
saprei. Che ne dici dell’Oriente? Non ho mai incontrato
divinità Scintoiste!”.
“Bello”.
“E
ora
alzati, non fare il marmocchio!”.
“Marmocchio?”.
Arles
si
alzò a sedere ed osservò lei, che si allontanava
con i capelli mossi dal vento.
“Eleonore!”
la chiamò e lei si voltò solo leggermente,
cercando di non fasi spettinare
completamente dalle correnti “Eleonore io..ne voglio tanti di
marmocchi! Un piccolo
esercito di marmocchi. E tu?”.
“Da
farne
nascere uno in ogni luogo che visiteremo!” rise lei e Arles
si alzò di scatto,
raggiungendola e stringendola a sé, mentre il vento spargeva
qualche piuma
rossa per il tempio di Ares.
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Capitolo 22 *** XXII- sogno e realtà ***
XXII
SOGNO
E REALTÁ
“Oh, Ares” gemette la Dea
Afrodite,
stringendolo a sé “Sei il migliore!”.
“Questo lo sapevo”
ghignò lui,
abbandonandosi sul cuscino.
“Non ti stanchi mai di fare
l’amore con
me?” si rigirò lei, poggiandosi sulla spalla del
Dio.
“Sei la Dea del sesso, come potrei
stancarmi?!”.
“Sei molto poco romantico”.
“Non lo sono mai stato, donna!”.
“Uff..”.
Afrodite rimase in silenzio, giocherellando
con la mano lungo il petto di Ares, che borbottò. Lei lo
ignorò e continuò a
“camminare” con indice e medio, risalendo fino al
viso di lui, schiacciandogli
il naso con un versetto.
“Afrodite!” sbottò
Ares “Dai! Lo sai che
dopo il sesso io dormo, non parlotto o gioco!”.
“Lo so, ma io non riesco a
dormire”.
“Ma cosa vuoi che mi freghi?! Basta che
stai zitta e ferma, così fai dormire me. Te fai quel che
vuoi!”.
“Cattivo!”.
“Sempre stato..”.
“Brutto cattivo!”.
“No, brutto no. E tu lo sai!”.
Afrodite si alzò a sedere di scatto e
tirò
una cuscinata ad Ares, che rispose scaraventandola giù dal
letto. Lei subito si
rialzò e saltò di nuovo dentro, venendo
immobilizzata con un solo braccio dal
Dio.
“Lasciami!” si lagnò
lei e lui sbuffò,
lasciandola, senza nemmeno aprire gli occhi.
“Ma dormi?” riprese a parlare
la Dea.
“Ci sto provando..”
biascicò lui.
“Io no..sai..da quando Phobos
è diventato
padre..io mi sento vecchia”.
“E perché? Non è
mica il nostro primo
nipotino”.
“Lo so ma..ho nostalgia”.
“Nostalgia?”.
“Sì. Ares..amore..facciamo un
altro
bambino?”.
Ares scoppiò a ridere e rise per un
po’,
poi si fece serio, notando che Afrodite non trovava la cosa divertente.
“Ma dici sul serio?!” si
stupì lui.
“Sì..”.
“Mia cara, siamo vecchi! E poi..non ti
bastano i nipotini a cui badare?”.
“Intanto il vecchio sarai tu!”.
“Sei nata molto prima di me..”.
“Il vecchio SEI TU! E poi..io voglio un
bambino! È diverso dai nipotini..ma tu sei un uomo, di certe
cose non capisci
un cazzo”.
“So solo che ho perso più di
mille anni
della mia vita in meno di un secolo a causa dei figli e sinceramente
preferirei
starmene un pochino in pace..”.
“In pace? Ma tu sei il dio della
guerra..”.
“Si fa per dire..”.
“Ma non lo vuoi un cucciolottino? Un
altro
piccolo bimbo?”.
“Sinceramente? No! Se vuoi ti compro un
cane”.
“Ma non è la stessa
cosa!” quasi sbraitò
Afrodite, incrociando le braccia e facendo sobbalzare il seno, con
somma
soddisfazione di Ares.
“Non abbiamo l’età
per certe cose..”
commentò poi lui, richiudendo gli occhi.
Afrodite parve rassegnata
e si accoccolo di nuovo accanto al Dio.
“Sai..” riprese poi e Ares
ruotò gli occhi al cielo, senza sapere contro chi inveire
“..ho sentito che tuo
figlio, Arles o qualsiasi altro nome abbia, si da parecchio da fare con
quella
Eleonore”.
“Già..”.
“Hanno avuto molti figli e
ne avranno ancora..”.
“Chiedi di poter fare da
baby sitter..”.
“Mmm..no..pensavo
piuttosto di chiedere ad Arles”.
“Chiedergli cosa?!”.
“Se accontenta il mio desiderio.
Quando abbiamo fatto sesso, io e lui, mi sono proprio
divertita”.
“Afrodite..ti prego..”.
“Sono in pochi quelli che
mi fanno divertire. Di solito, al solo pensiero di avere Afrodite
vicino,
arrivano subito al dunque. È noioso. Con lui no.
È stato come farlo con te”.
“Questo è
impossibile”.
“Perché?”.
“Perché io sono il
migliore, ricordi?”.
“Vero. Però Arles..non
so..non mi è dispiaciuto affatto. Anzi. È
stato..”.
“Non mi interessa!” la
interruppe Ares “Per favore!”.
“Non essere geloso. Mi son
fatta tutta l’Olimpo e poi..sei anche tu un mio amante! Io
sono sposata con
Efesto!”.
“Lo so..”.
“E allora?! Ti sconvolgi
se ti dico che un tuo erede mi ha afferrato e mi ha fatto godere? Lo
rifarei..sì, con lui lo rifarei”.
“E piantala!”.
“Oh ma quanto sei irritante!”.
“Con tante persone ci sono
al mondo, con mio figlio ci devi provare..”.
“Mi ha ricordato te quando
eri più giovane”.
“Intendi quando ci hanno
beccato ed intrappolato in quella rete?”.
“Ma anche prima..sono
certa che, se glielo chiedessi, mi soddisferebbe. In tutti i
sensi”.
“Adesso basta!”
sbottò
Ares, scattando di colpo ed afferrando Afrodite per i polsi.
La Dea per qualche istante
si spaventò. Era abituata agli scatti d’ira del
Dio, ma solitamente non si
sfogava mai contro di lei. Vedendo poi che il Dio non le avrebbe fatto
alcun
male, ghignò divertita.
“Cosa
c’è?” rise “Se non
ti senti all’altezza..magari il modello più
giovane è più..”.
Ares la zittì, tappandole
la bocca con una mano e salendole sopra. Lei di dimenò
qualche istante e poi
rimase ferma, fissando negli occhi il Dio della guerra.
Tentò di impietosirlo,
sfoggiando grandi occhi da cerbiatta ma lui non mutò
espressione. Accigliato,
non le voleva togliere la mano dalla bocca. Lo sguardo di lei si fece
lucido,
prossimo alle lacrime. Cercava di soffocarla?
Spaventata, singhiozzò ed allora lui la
lasciò, senza però darle tempo
di parlare di nuovo, zittendola con un bacio.
“Mi hai fatto paura”
ammise la Dea, piagnucolando, appena quel lungo bacio fu finito.
“Stai zitta”
sussurrò lui e
la strinse a sé, ricordandole per quale motivo erano
millenni che non si
stancavano mai far l’amore l’uno con
l’altro.
“Rose!” chiamò
Aphrodite,
Pesci “Vieni a salutare lo zio Deathmask!”.
La bimba, bella come una
piccola principessa, corse felice verso colui che chiamava zio e si
fece
abbracciare. Figlia di Aphrodite e Persefone, era un delicato fiore
della
primavera ed erano tutti certi che sarebbe divenuta, crescendo, una fra
le più
belle donne del mondo. In lei scorreva in parte sangue divino e per
questo non
provava alcun timore nel cogliere le rose del padre con il loro veleno.
“Hai notizie di Saguccio?”
chiese Aphrodite, rivolto a Deathmask “Degli altri,
più o meno, ho saputo
qualcosa. Di lui invece..”.
“Eh ma che vuoi farci?”
ghignò il Cancro “Lui è un Dio adesso.
È un uomo impegnato”.
“Beh, potrebbe almeno
inviarmi una cartolina ogni tanto!”.
“Ma su, non ti offendere!
Lo rivedremo di certo da Tolomeo”.
“Lo spero..altrimenti
invierò Hermes a cercarlo e, appena la trova, spero gli
pianti una delle mie
rose nel sedere!”.
“Ma degli altri? Che si
sa?”.
“Shaka e Mur sono tornati
a casa loro. Ho sentito che Mur sta addestrando dei piccoli lemuriani
per
trovare nuovi cavalieri. Camus è rimasto al Tempio assieme a
Kiki, Aiolos ed il
Leone”.
“Che noia. Non hanno mai
voglia di andare altrove?!”.
“Si vede di no..”.
“E Shura?”.
“Shura sono andato a trovarlo
da poco. Si è preso casa vicino al mare, in
Spagna”.
“Bravo, lui sì che ha
capito tutto!”.
“Milo ho saputo che è in
Tessaglia, ha raggiunto una delle figlie di Ares”.
“Sì, sapevo che aveva
simpatia per una delle amazzoni..”.
“Aldebaran è tornato in
Brasile. Mi pare si sia messo a fare l’allenatore”.
“Di calcio?”.
“Non so. Non ne ho idea. Può
darsi! Poi Dohko si sa che dalla Cina non si schioda e così
penso di averti
detto tutto”.
“E poi ci sei tu, Pesci,
che vivi con la tua bella Persefone”.
“E tu, Cancro, che ti sei
sistemato con l’insopportabile Shaina”.
“Dici che un giorno ci
incontreremo di nuovo tutti insieme?”.
“Non so. Alcuni di noi, come
me, te o Milo, abbiamo la possibilità di restare sempre
giovani grazie al dono
di Atena nella famosa guerra contro i romani. E perché
abbiamo dei contatti con
le divinità. Altri che hanno rifiutato quel
dono..”.
“Ma su, una bella cena di
classe”.
“Cena di classe?!”.
“Sì, una cena fra colleghi
di lavoro. Si fanno queste cose, no?”.
“Hai ragione. Spero che i
nostri figli vadano d’accordo”.
“Che domande..certo che
no! Noi gold non facevamo che litigare!”.
“Allora, cosa ve ne pare?”
rise Tolomeo, mostrando con orgoglio il suo nuovo palazzo in America
centrale.
“Niente male, fratellone”
sorrise Ipazia “Anche se io avrei aggiunto particolari
più macabri”.
“Tu, mia cara, sei troppo
legata agli inferi!”.
“Sono la sposa di Hades e
reincarnazione di Xolotl, il signore delle ossa. Che
pretendi?”.
Tolomeo rise. Ipazia era
la fiera consorte di Hades e madre di un paio di suoi marmocchi.
Tolomeo, con
Maya, aveva avuto una figlia, protetta dalle divinità
Indiane, Greche e
Precolombiane. Attorno a sé, il giovane dai capelli rossi
era riuscito a
risvegliare molte divinità del suo tempo e finalmente si era
ricreato l’antico
palazzo, la piramide a gradoni.
“Mio signore..” si
inchinò
il suo Gran Sacerdote, vestito di piume variopinte “..vostro
zio, l’Egiziano
Kanon, è giunto”.
“Fallo passare”.
“Kanon?” si stupì
Ipazia “Anche
lui qui?!”.
“Ho invitato tutti”
ghignò
Tolomeo “Una sorta di inaugurazione”.
“Bella idea”.
Lentamente, molte divinità
e loro cavalieri comparvero nel nuovo palazzo di
Quetzalcóatl. Kanon, con
Sarah, si guardava attorno incuriosito. In abiti Egizi, e seguito dal
figlio
Horus, ammetteva di non sapere molto di cultura precolombiana. Ammirava
le
incisioni lungo le pareti del palazzo, tentando di interpretarne il
senso.
“Vi ho fatto scolpire le
guerre che ho vissuto” spiegò il padrone di casa
“La battaglia in cui mi sono
risvegliato, in cui mia madre e la Dea Atena hanno dato la vita per
salvare
degli innocenti”.
“Atena..dici tornerà? Quello
era il suo vero corpo..”.
“Tornano tutti. L’esistenza
non è lineare, è un ciclo, una ruota. Tutto
inizia e ricomincia”.
“Sei quasi tenero quando
fai il saggio..”.
Tolomeo mostrò la lingua,
con quel sorriso serpentino, e sedette sul trono. Sul capo portava una
corona
di piume colorate e, dietro di sé, altre piume spuntavano
alla fine del lungo mantello
che teneva sulle spalle. Porse una coppa prima alla propria figlia e
poi a
Kanon
“Alla nostra, zio” sorrise
“Tranquillo, non è alcolico: è
cioccolata”
“Ma guarda un po’ chi si
vede..” si stupì Phobos, riconoscendo Arles di
spalle, che fissava l’orizzonte
dalla cima della tipica piramide tronca delle divinità
precolombiane “Era da un
bel pezzo che non incrociavo il tuo faccino, Arychan”.
“Hey, vecchio”
ghignò
Arles “Come ti va la vita?”.
“Non mi posso lamentare”.
“Mi è stato detto che sei
un papà ora”.
“Esatto. Ho un bel bimbo
con le ali della mamma. Ma anche tu, da quel che mi risulta, ti sei
divertito
parecchio..”.
“Eleonore desiderava tanto
una figlia femmina”.
“E l’hai avuta?”.
“Certo. Avevi dubbi?”.
“Nome?”.
“Sophia”.
“Lo immaginavo..ma perché non
ti fai mai sentire? Apollo è contrariato. Dice che come
divinità Greca dovresti
fare rapporto all’Olimpo ogni tanto”.
“E perché”.
“Che domande fai?! Apollo
ora è a capo dell’Olimpo e, che ti piaccia o no,
devi obbedire”.
“E perché?”.
“Ancora?! Che è?! Ti sei
incantato?!”.
“Io..non mi sento Greco”.
“Ah no?”.
“No. E nemmeno un angelo. Anche
se una birra con zio Lucifero o una briscola con zia Eris sono
simpatici passatempi
ogni tanto”.
“E allora..?”.
“Io sono io. Sono unico”.
“E che pensi di fare? Fondare
una religione tutta tua?” rise Phobos, raggiungendo il
fratello e osservando
pure lui l’orizzonte.
“Ah, che idea carina..”.
“E come la chiameresti?
Arlesismo? Arlesimo? Arlismo?”.
“E perché no? Sarebbe
divertente.
Tanto..le religioni nascono
e muoiono
continuamente a questo mondo”.
“Hai ragione”.
“Pensi che non avrei
seguaci?”.
“No, al contrario.
Percepisco il tuo potere. La gente crede in te”.
“La gente al giorno d’oggi
preferisce illudersi piuttosto che sperare. Rinchiudersi
nell’immobilità,
convinta che vada tutto bene anche quando non è
così. E questo accresce il mio
potere”.
“Triste, direi”.
“Triste?”.
“Sì, triste. Ma, del
resto, pure io vivo così. I mortali non smetteranno di avere
paura, perciò io
vivrò per sempre. Anche se morissi, tornerei. Stessa cosa
vale per la guerra”.
“Dici che con la saggezza
la cosa si faccia più complicata?”.
“Parli di Atena? Quella
torna sempre, vedrai che tra un po’
rispunterà”.
“Sembra che parliamo di un
fungo”.
“Un fungo fastidioso..”.
“Dai, dipende dalle
reincarnazioni. Saori era una scassacazzi che si faceva rapire sempre
ma il
corpo originale non era male”.
“Io meglio non mi esprima.
Padre Ares si è sempre divertito a stuzzicarla,
perdendo..”.
“Nostro padre non brilla
d’intelligenza”.
“Già. E, visto come va il
mondo ora, non mi stupirei se un giorno divenisse il Dio più
potente”.
“Al posto di Apollo?”.
“Apollo non ama il comando.
Non sarebbe una grande sorpresa se decidesse di abdicare a favore di
qualcun
altro”.
“La cosa non mi riguarda”.
“Ah, questo è sicuro! E non
riguarda manco me! Io sono un cosiddetto Dio minore, perciò
che nessuno mi
rompa le palle”.
“Così si fa. Che dici?
Facciamo
un giro?”.
“Scendere di nuovo tutte
quelle scale?!”.
“Ma che dici?!”.
Arles spalancò le ali,
facendole comparire sulla sua schiena, e prese il volo.
“Pft..” storse il naso
Phobos, divertito “..l’arlesismo, che idea
assurda”.
FINE
Sì, siamo
giunti alla fine. Ho iniziato questa storia mesi fa e si è
sviluppata lungo quello che definirei il periodo più orrendo
della mia vita e
per questo è proseguita “a singhiozzo”,
fra ricoveri e depressione. Ho dovuto
lottare con il mio inconscio per giungere al “lieto
fine”, nonostante una parte
di me già si fosse creata la mazzata che i fan odiano (come
alla fine della
prima parte). Mi sono sforzata di credere che ci possa essere il lieto
fine. Lo
auguro per me, per Arles e per voi che leggete. Per tutti. Vi ringrazio
di aver
seguito la storia fin qui. Al momento ho una piccola idea per un
eventuale
seguito ma devo riflettere al riguardo perché i gold
“classici” avrebbero un
ruolo più che marginale. Staremo a vedere. Per ora, spero di
guarire e
riprendermi e dedicarmi al disegno, ma non escludo un
“ritorno di fiamma”. A presto!
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