Miss Butterfly

di MightyZuzAnna
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il ritorno di Butterfly ***
Capitolo 2: *** La ladra ***
Capitolo 3: *** Compiti in Classe ***
Capitolo 4: *** Blue Bird ***
Capitolo 5: *** Febbre da cavallo ***
Capitolo 6: *** Giù le maschere ***
Capitolo 7: *** La partenza di Felix - Dal diario di Elizabeth pt. 1 ***
Capitolo 8: *** Dal diario di Elizabeth - Butterfly ~ Il passato di Sora ***
Capitolo 9: *** Dal diario di Elizabeth – I due innamorati ~ La chiamata di Felix ***
Capitolo 10: *** Dal diario di Elizabeth – Leggenda o realtà? ~ Il tunnel ***



Capitolo 1
*** Il ritorno di Butterfly ***


Cap.1 “Il ritorno di Butterfly”

 
 
 
Il silenzio regnava sovrano alle 6:59 del mattino in una tranquilla casa di periferia. Un secondo e scattarono le sette, in lontananza si iniziò ad udire un fischio, che poco a poco diveniva sempre più forte finché “BOOOOOOOOOOOOOOOOOOM!!!!” il suono di una bomba esplosa si diffuse per tutta la casa facendo svegliare di soprassalto quasi tutti gli abitanti. La proprietaria di quell’arma di distruzione di massa, che in realtà era una sveglia, si limitò ad azzittire l’oggetto buttandolo a terra e fracassandolo.
«SOOOOOORA!!!» un tornado biondo irruppe nella stanza urlando come un’ossessa.
Si affacciarono sulla porta altre tre persone: due maschi e una ragazza.
«Che diavolo era?» sbraitò la ragazza cercando di non inciampare nel disordine della stanza.
Qualcosa da sotto una montagna di coperte si mosse e un mugugno indistinto ne uscì.
«Che diavolo era, Sora?» ripeté la bionda, poi vide la sveglia distrutta e iniziò di nuovo ad urlare. «SORA!! IO TI AMMAZZO!!!»
Uno dei ragazzi fece per sturarsi l’orecchio sinistro.
«Umh, la solita storia, io scendo a fare colazione». Sbadigliò sonoramente e iniziò a scendere lentamente le scale, seguito dagli altri tre.
Il primo a scendere si chiamava Felix, era moro, i capelli erano disordinati, aveva due piercing all’orecchio sinistro e il classico orecchino al lobo, due occhi di un intenso azzurro. Il secondo era un biondino di nome Mike, occhi azzurri, ventiseienne e impegnato con Emy. La terza a scendere era Emy, era mora, i capelli le arrivavano circa a metà schiena, occhi castani, ventiseienne anche lei e impegnata con Mike. Il tornado biondo dai corti capelli che scese infuriato dopo svariati minuti era Kristen, sorella minore di Mike di quattro anni, anche lei aveva occhi azzurri. Invece la proprietaria dell’arma di distruzione dell’udito era Sora, gli occhi erano grigi, i capelli rosso scuro, lunghi fino poco sotto il seno, anche lei aveva dei piercing: tre all’orecchio sinistro e due a quello destro.
Fecero tutti colazione tra i continui e soliti battibecchi tra Felix, Sora e Kristen.
«Accidenti, noi dobbiamo andare a lavoro! Voi sbrigatevi o farete tardi a scuola!» fece Emy, salendo di corsa le scale per andare a vestirsi, poi scese altrettanto velocemente, incespicando con i tacchi a spillo e correndo fuori. Le restanti persone, cioè Felix, Sora e Kristen, si guardarono in faccia, poi la biondina si alzò, prese una valigetta e uscì sul viale per darlo alla coinquilina che se l’era dimenticata. Sora finito il suo toast con nutella andò in camera per vestirsi, seguita a ruota dagli altri.
Alle otto meno un quarto erano pronti tutti, Mike era uscito qualche minuto prima, prendendo le cose che la sua ragazza aveva dimenticato. Sora indossava un maglioncino di lana bianco a collo alto, dei jeans scuri strappati in alcuni punti e ai piedi delle converse basse beige. Scese le scale velocemente, portandosi appeso ad una spalla lo zainetto nero. Nell’unica tasca presente mise il portafogli, aspettò seduta alla sedia della cucina il coinquilino. Felix scese lentamente, con la sua solita pigrizia, indossava una felpa nera con cappuccio e tasca, sotto dei pantaloni verde scuro larghi con varie tasche sulle gambe, ai piedi degli anfibi neri.
«Apprezzo il fatto che tu abbia voluto sbrigarti ma...il tuo zaino?» chiese divertita la ragazza.
Felix sbuffò, girò i tacchi e salì le scale per recuperare lo zaino perduto. Kristen era ancora in pigiama e vagava per la casa alla ricerca di qualcosa.
«Che stai cercando Ten?» chiese Sora, usando il soprannome che aveva affibbiato alla bionda.
«Una cosa importantissima! Mi serve per l’uni! Non la trovo, oddio, sono spacciata, non la trovo, non la trovo!» disse la ragazza iniziando a disperarsi, si mise le mani tra i capelli.
«Emh, si ma cosa hai perso?»
Il moro scese dalle scale, l’afferrò per il braccio e iniziò a trascinarla fuori, con le chiavi della sua macchina nell’altra mano. Salirono e andando oltre al limite di velocità, raggiunsero la loro scuola. Scesero dall’auto e si separarono senza neanche scambiarsi uno sguardo andando ognuno verso i propri amici.
Sora si avvicinò ad un gruppo di ragazze, sventolò la mano in segno di saluto, il sorriso sulle labbra. Ma le sue amiche quando la videro arrivare se ne andarono unendosi ad un altro gruppetto. La rossa le guardò andare via stralunata per poi proseguire fino a raggiungere una panchina, si sedette ed estrasse un libro completamente blu. Iniziò a sfogliarlo finché il punto in cui c’era il segnalibro non interrompeva il frenetico movimento delle pagine. Velocemente si immerse in quelle miriadi di parole che rappresentavano le passioni, i segreti, i misteri, le bugie, i dubbi, i pensieri, i sentimenti che i personaggi dicevano e tenevano gelosamente come tesori, nascondendoli nei meandri più profondi della mente e del cuore. Fu risvegliata da quel momento dal suono della campanella che annunciava l’inizio della settimana scolastica.
Le prime cinque ore sembravano non finire mai e Sora da dietro le file, all’ultimo banco, leggeva tranquillamente il libro, fingendo di leggere il libro di testo, qualche volta alternava la lettura con la scrittura e scriveva il suo parere e le sue riflessioni su ciò che leggeva; i professori non la beccavano pensando che stesse seguendo diligentemente la lezione. L’ora di pranzo giunse finalmente facendo sospirare di sollievo quasi tutti, se non tutti, gli studenti. Sora andò alla mensa già per metà affollata, si mise in fila, prese un vassoio e passò a rassegna tutti i cibi disponibili, una deliziosa smorfia andò a dipingersi sul viso e con lo stomaco chiuso prese solamente un trancio di pizza e una bottiglietta d’acqua naturale. Arrivò davanti alla signora addetta al pagamento, era piuttosto brutta con i chili di trucco che si era messa e i capelli rossi tinti. Prese il portafoglio e da esso una carta: una carta per gli studenti, con quella il prezzo veniva dimezzato. La donna le lanciava strani sguardi mentre passava la carta, gliela restituì insieme ad uno sguardo tra il curioso e il disgusto. La ragazza riprese il vassoio dando un’occhiata alla sala mensa, scorse alcuni tavoli liberi e senza volerlo il suo sguardo andò a posarsi sulla fila di studenti, scorse le sue amiche che quando si accorsero, poco dopo, della direzione del suo sguardo finsero di concentrarsi sulla scelta del cibo. Poco più indietro scorse Felix che la guardava con uno strano sguardo che non riuscì ad identificare. Si diresse ad un tavolino a due posti, vicino alla finestra. Appoggiò il vassoio e buttò malamente lo zaino a terra. Iniziò a mangiucchiare piano il trancio osservando gli studenti che iniziavano e finivano di mangiare. Le arrivò un messaggio, prese il cellulare abbandonando il trancio nel piattino, lesse il mittente: Vodafone. Sbuffò contrariata, solo loro la disturbavano nei momenti meno adatti. Senza accorgersi il coinquilino moro le si sedette davanti, iniziando a mangiare la pasta al sugo che aveva preso. La rossiccia lo guardò perplessa ed egli dovette accorgersene perché rispose semplicemente: «Non mi andava di pranzare con gli altri»
Ella ancora un po’ dubbiosa annuì.  «Senti, mi dici perché tutti mi guardano male? O m’ignorano?»
Il ragazzo la guardò come per dirle ‘mi stai chiedendo una cosa che non mi interessa e che non mi interesserà mai’. Sora allora rinunciò a chiederglielo, anche se in certi versi confidava in lui visto che nessuno le parlava per uno strano motivo. Finito di mangiare, posò il vassoio e si diresse a passo di marcia verso l’uscita, fece scattare il pesante portone che risuonò per l’intera stanza e se ne andò, seguita dagli sguardi di tutti gli studenti, dirigendosi verso l’entrata principale, si sedette su una panchina all’aperto e iniziò a leggere.
Anche le tre ore a seguire passarono lentamente, molto di più senza un libro da leggere. Il professore di biologia aveva mostrato un filmato per tutte e due le sue ore, poi alla terza ora la professoressa di chimica aveva indotto una specie di gara su chi fosse riuscito a fare meglio un composto.
Trascinando i piedi Sora si diresse alla loro macchina, vide uscire le sue amiche e presa da un improvviso impulso si avvicinò. Le ragazze distolsero lo sguardo e cercarono di evitarla, ma la rossa si piazzò davanti a loro.
«Cosa vuoi? Non ti perdoniamo! Sei stata una stronza!» disse l’amica riccioluta, mettendosi di fronte ad un’altra ragazza bassina dai capelli corti, scuri. Sora la guardò stranita.
«Oh, non fare la finta tonta! Sappiamo benissimo cosa hai fatto! E come ti ho già detto, non ti perdoniamo!» disse e la superarono.
La rossa le guardò passarle accanto, lanciò uno sguardo tra l’incredulo e l’addolorato alla terza ragazza, la sua migliore amica, Sarah, che distolse immediatamente lo sguardo. Sora andò alla macchina, si appoggiò allo sportello e attese che arrivasse Felix. Si perse nei pensieri, rimuginando su quello che aveva fatto. Un vento gelido soffiò, scostandole delicatamente le ciocche dal volto, rabbrividì e si strinse di più a sé, imprecò mentalmente contro il coinquilino moro che non le aveva dato il tempo di prendere una giacca. Dopo pochi minuti le si avvicinò il moro, aprì la macchina e salì al posto del guidatore abbandonando, così come la ragazza, lo zaino sui sedili posteriori. Velocemente tornarono a casa, fecero cadere entrambi gli zaini all’ingresso e si diressero in stanze diverse.
Felix prese da mangiare in frigo e si buttò a peso morto sul divano accendendo la televisione. Sora salì lentamente le scale e si buttò sul materasso della propria camera da letto, mugugnò qualcosa con la faccia premuta sul cuscino, si mise a pancia in su e osservò il soffitto bianco. Quella camera andava ridipinta e sapeva già chi avrebbe potuto aiutarla. Prese il cellulare dalla tasca e lo abbandonò sul comodino. Stette per un po’ seduta a gambe incrociate sul letto, a fissare il vuoto, indecisa su cosa fare, poi un’idea e scattò, rischiando di cadere, verso la scrivania, aprì un cassetto e iniziò a frugare, lo richiuse e controllò nel seguente trovando l’oggetto: un quaderno. Prese una penna dalla scrivania e sedendosi sul letto iniziò a scrivere. La penna scorreva veloce, la testa piena d’idee che si susseguivano velocemente fino a creare confusione, ma sulla carta non c’era confusione, le parole erano messe in ordine e con un senso. Guardò l’orologio e si ricordò dei compiti, abbandonò il quaderno sul letto e scese per recuperare lo zaino. Una volta preso, buttò un’occhiata al salotto notando che il moro era ancora sul divano a godersi un film horror, sbuffò e salì di corsa le scale, questa volta per un valido motivo. Prese i libri e buttò sul pavimento lo zaino vuoto, facendogli tenere compagnia ai pantaloni e magliette che stavano sulla moquet. Iniziò di malavoglia a fare i compiti. Finì di farli quando Emy e Mike rientrarono dal lavoro. Scese e li salutò con un cenno della mano, andò in cucina e ci frugò, prese uno scatolone della pizza e lo aprì sotto gli occhi luccicanti e stanchi dei due adulti.
«Stasera gli avanzi di pizza!» urlò verso il ragazzo stravaccato sul divano.
Si sedette al tavolo circolare, afferrò un trancio e iniziò a mangiare.
 
Tre di notte, una figura avvolta da un mantello nero correva sul tetto di un’enorme villa, si fermò sul cornicione, si voltò verso i suoi inseguitori, quattro uomini in divisa gli puntavano delle torce. Con una mano tirò un po’ il cappuccio, fino a coprire gli occhi, un sorriso si dipinse sul volto coperto da una maschera nera e bianca a forma di farfalla, salì il cornicione e salutando le guardie con un gesto delle dita, saltò nel vuoto. Le guardie si affacciarono sbalordite, per poi allontanarsi dal cornicione guardando a occhi sgranati il gigantesco pallone su cui stava tranquillamente in equilibrio il ladro. Egli sorrise e strinse nella mano sinistra il prezioso gioiello rubato per poi scomparire nell’oscurità del cielo. Poco dopo iniziò a piovere.

 
 
 
 
 
 
 
L'angolo della Sadica:
Allour! Questa è la mia prima fic in questa sezione, e diciamo che è tutto un esperimento, il carattere, la grandezza del testo, ‘ste cose qua.
Spero che questa storia possa piacere.
Spero che non abbia sbagliato il rating, né la grammatica, né l'ortografia. Anche perché sono molto incline a cambiare quasi tutto all'ultimo secondo, infatti è la cosa che ho fatto anche in questo caso
Quindi, ribadisco, spero che questa storia piaccia, che in tanti commentino (facendo ciò, anche se è una critica negativa io l'accetterò per aiutarmi a migliorare ma se secondo me quella cosa va bene, ciuffoli vostri! U.U) e che in molti la leggano, anche se non commentano.
Bacioni! Alla prossima!! ^__^

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Capitolo 2
*** La ladra ***


Cap.2 “La ladra ”



Il mattino seguente erano tutti di nuovo in ritardo, ascoltavano distrattamente il notiziario che annunciava l’arrivo di un nuovo ladro in città chiamato ‘Butterfly’ che quella notte aveva rubato, dopo averlo annunciato con un bigliettino, un prezioso diamante dalla villa dei Combett.
«Oh, un nuovo ladro, dobbiamo fare attenzione allora» disse Emy un po’ preoccupata.
«Attenzione a che? Qui l’unica cosa di valore ce la siamo mangiati ieri a cena!» fece ironicamente Felix entrando in quel momento in cucina.
Il ragazzo prese un toast e iniziò a mangiarlo andando verso l’entrata, si mise il giubbotto e uscì per salire in macchina. Sora si affrettò a bere il suo cappuccino, ad afferrare lo zaino e il giubbotto. Rabbrividì un attimo alla fredda brezza mattutina, salì in macchina abbandonando come al solito lo zaino sui sedili posteriori e si mise la giacca pesante, sentendosi subito un po’ meglio. Arrivarono come al solito qualche minuto prima del suono della campanella. La rossa si diresse alla solita panchina e iniziò a leggere.
Suonò la campana e dovette chiudere subito il libro, di malavoglia entrò nell’edificio un istante prima del professore di algebra. Egli fece l’appello e quando arrivò al nome della rossa, la trovò intenta a guardare fuori dalla finestra le piccole gocce di pioggia che danzavano e si rincorrevano sul vetro. Richiamò ancor più forte il suo nome, la ragazza rimase ferma, fece per ripetere il suo nome arrabbiato ma la ragazza lo azzittì alzando la mano.
«Presente»
«Signorina Loddi, quando chiamo il suo nome deve rispondere, non restare muta a sognare di volare sulle nuvole di essere una principessa e di trovarsi in un castello con il principe azzurro» la rimproverò il tozzo uomo.
L’ora passò noiosa, gli studenti facevano finta di seguire e prendere appunti scarabocchiando qualcosa sui quaderni. La mattinata passò così, tra gli sproloqui e i monologhi dei professori e la sonnolenza degli alunni. L’ora di pranzo passò come il giorno precedente, escludendo che Felix sapesse perché l’intera scuola la odiava.
«A quanto pare Josh ha mollato Allie, dicendo che tu ti eri confessata e che…» la guardò con la sua solita faccia da poker.
«E che?» chiese con una nota di panico la rossa.
«E che…gliel’hai data…» disse continuando a mangiare tranquillamente il pasto del giorno.
Sapeva che era molto impulsiva e che se non si sarebbe arrabbiata in quel momento, l’avrebbe fatto quando si sarebbe trovata davanti alla faccia di Josh. Sora rimase infatti calma, l’unica cosa che riuscì a dire fu un semplice: «Ah»
Uscì dalla mensa lasciando il vassoio da portare al ragazzo che non obbiettò, aspettò appoggiata al muro dell’edificio principale l’arrivo di Josh e delle sue ex-amiche. Arrivarono per prime le ragazze che distolsero subito lo sguardo da quello indifferente della rossa. Stavano entrando quando le fermò afferrando per il braccio Sarah.
«Ti devo parlare»
«No!» esclamò la ragazza riccioluta mettendosi davanti alla bassina.
«Levati dai piedi Kate, non ho intenzione di litigare» fece pacatamente la rossa lasciando il braccio della mora.
«Per te ora sono Katelynn! E non, e ribadisco non, abbiamo intenzione di perdonarti! Hai fatto soffrire Allie ingiustamente!» disse Kate, afferrando per i polsi le due ragazze e andandosene.
«Ah si? E ALLORA PERCHÉ NON CHIEDI A TOMMY CHI SI È FATTA REALMENTE JOSH? AH, GIA’, DIMENTICAVO CHE ANCHE LUI ERA ABBASTANZA OCCUPATO!» urlò con rabbia la rossa, attirando l’attenzione degli studenti che poco a poco avevano finito i loro pranzi e si stavano dirigendo verso lezione, ma stranamente la loro attenzione fu catturata dal litigio e i brusii allegri che si erano creati scemarono fino a far scendere un pesante silenzio nel cortile della scuola.
Katelynn si girò furiosa verso di lei, le si avvicinò e puntandogli il dito indice iniziò ad urlare anche lei: «NON DIRE BALLE! TOMMY QUELLA SERA ERA…» la sua voce scemò, il volto si fece pensieroso.
«Quella sera era? Era con i suoi amici in discoteca a limonare con delle puttanelle». La voce della rossa si addolcì, si avvicinò un po’ di più alla ragazza e le poggiò una mano sulla spalla. «Questo lo so perché nel gruppo c’era anche Felix. Io ero a casa con l’influenza e voi lo sapevate, ma avete voluto credere a degli stupidi pettegolezzi credendo che la mia fosse solo una finta, vero?»
La giovane le riprese dolcemente con un buffetto sulla guancia, la campanella suonò e regalando un sorriso alle amiche si diresse vicino ad una macchina, si fermò a guardare Josh e Tommy che la guardavano intimoriti, lei fece un falsissimo sorriso, i due ragazzi sospirarono sollevati, poi si sentì uno schiocco che gelò i presenti, la ragazza aveva tirato un poderoso pugno alla mascella dell’ex di Allie. Sorrise angelicamente e sventolando un po’ la mano per il dolore girò i tacchi entrando nell’edificio seguita dai fischi ammirati dei ragazzi. La preside tuttavia non sembrava essere dello stesso parere e afferrandola malamente da un braccio la trascinò verso il suo ufficio.
«Signorina Loddi! Come si permette di aggredire uno dei figli della famiglia più importante della città! Per questo sarà severamente punita!» la voce della donna di mezz’età riecheggiò tra i corridoi, mentre il vociare degli studenti si faceva più forte fino a confondere le urla isteriche.
Le lezioni pomeridiane trascorsero lentamente, tutti gli studenti stavano sparlando sulla scena avvenuta poche ore prima, i ragazzi scommettevano su che punizione le avesse dato la Vecchia Strega, così soprannominata la preside di quell’istituto. Così l’ultima campanella suonò e i ragazzi si riversarono per i corridoi e la strada. Felix uscì tra gli ultimi, con il suo solito passo strascicato e baldanzoso. Sora lo aspettava impaziente appoggiata alla portiera della macchina. Quando lo vide arrivare così lentamente le saltarono completamente i nervi e iniziò a sbraitare contro il coinquilino moro: «Muoviti! Per la miseria ladra! Sei lento quanto un bradipo! Accidenti a te!»
Egli per tutta risposta le fece il gesto della chiacchiera e con aria annoiata aprì la macchina. La rossa grugnì qualcosa per tutto il viaggio di ritorno a casa. Felix, appena entrato, buttò lo zaino a terra, si tolse le scarpe con poca grazia, andò in camera sua per ritornare con addosso una tuta e si buttò a peso morto sul divano accendendo il sacro apparecchio elettrico, ovvero la televisione. La giovane buttò anch’ella lo zaino a terra, all’ingresso, e si diresse verso la cucina con l’intenzione di farsi un panino. Iniziò a pensare alle parole della preside una volta entrate nel suo ufficio: «Signorina Loddi, lei capisce che questo suo comportamento ribelle non porterà da nessuna parte? Se non si deciderà a farla finita sarò costretta a chiamare i suoi tutori»
Il silenzio era calato nella stanza e la donna di mezz’età sospirando aveva aggiunto: «Signorina Loddi, solo perché i suoi genitori non le sono vicini non può comportarsi in maniera inadeguata alla educazione che offriamo in questo istituto, sono pertanto costretta a ricorrere a duri provvedimenti. Oltretutto ha picchiato uno dei figli della famiglia più ricca della città che tanto gentilmente ci ha concesso i fondi, ne dovrò discutere con i genitori della vittima e con i suoi tutori, li aspetto nel mio ufficio domani mattina. Lo tenga ben in mente»
Ritornò alla realtà quando Felix sbatté lo sportello del frigorifero che era accanto a lei. Lo guardò sorpresa.
«Bentornata dal mondo dei sogni, si è trovata bene, principessa?» la scimmiottò lui, prendendo in giro anche il suo professore di matematica.
«Fottiti!» grugnì lei, andandosene in camera sua col panino al suo seguito.
Quando a cena dovette raccontare lo spiacevole incontro ravvicinato con Josh-figlio-di-papà-Sanpele e con la preside a Mike e a Emy, lo fece cercando di preparare i loro piatti preferiti per cena. Tutti e quattro, Kristen era all’università, mangiarono in completo silenzio. Sora, con un colpo di tosse, cercò di spezzare il pesante vuoto di parole che si era venuto a creare.
«Ehm, c’è una cosa di cui vorrei parlarvi. Oggi ho picchiato Josh Sanpele e la preside ha detto che vi vuole domattina nel suo ufficio per parlare della giusta punizione insieme ai genitori di Josh» rivelò tutto d’un fiato facendo credere che stesse per soffocare per mancanza di ossigeno.
«Lo sappiamo, la signora Simonti ci ha chiamato e ci ha avvertito di tutto» disse Emy, col suo solito tono dolce.
«Ora, visto che la tua preside non sapeva il motivo di questa aggressione, potresti dircelo tu?»
Mike cercò di mantenere la calma a spiegazione finita, appoggiò i gomiti sul tavolo e incrociò le dita nascondendo in parte il volto, poi esplose.
«E TU HAI PICCHIATO UN RAGAZZO SOLO PER QUESTO STUPIDO MOTIVO! RISCHI LA SOSPENSIONE! NON SO SE TE NE RENDI CONTO?!»
Dopodiché calò il silenzio e tutto si svolse in una innaturale calma, Sora al suo solito la prese sul ridere, Emy confortava il povero Mike in piena crisi isterica e Felix se ne stava in silenzio ad osservarli. Alla fine la rossa con un sorriso a trentadue denti si alzò da tavola e iniziò a sparecchiare per poi dileguarsi nella discarica che ella aveva il coraggio di chiamare ‘camera’. Prese i panni sporchi e li mise nella cesta da lavare, prese i libri di scuola sparsi per il pavimento e ne fece una pila mettendoli vicino alla scrivania. Osservò la stanza, era abbastanza spoglia una volta sistemato il disordine,  le pareti di un giallo pallido, dipinte dai precedenti proprietari, che risaltavano di poco il colore del sole, il letto posizionato sotto alla finestra e la scrivania ai piedi e poi immense pile di libri di tutti i generi, catalogati per genere e autore e per data d’uscita. La camera era piccola ma in compenso entrava molta luce e questo faceva felice la giovane ragazza, le piaceva guardare fuori e osservare le nuvole e il cielo. Forse era un segno del destino ma il suo nome significava  ‘Cielo’. I suoi genitori erano amanti del Giappone se le avevano dato un nome del genere, ma ella di loro non ne ricordava nulla, né il volto né le loro voci. Qualche volta le era capitato di sognarli ma si svolgeva tutto come in un vecchio film in bianco e nero, vedeva volti in penombra e labbra che si muovono e le parole che le sussurravano scritte su uno sfondo grigio. Ritornò alla realtà poco dopo, osservò ancora una volta le pareti spoglie e decise che una volte che le acque si sarebbero calmate avrebbe chiesto il permesso di dipingere la sua camera. Quella sera però non aveva voglia di fare i compiti, né di fare altro così si sdraiò e con la mente completamente vuota si addormentò.
 
Un uomo portava a spasso il proprio cane, quando a qualche millimetro dalla sua faccia sfrecciò un bigliettino che cadde poco lontano da lui. Egli lo raccolse, lesse le poche righe e strattonando il cagnolino corse a casa. Chiamò la centrale di polizia e disse poche parole: «Ladro Butterfly colpirà anche stanotte, mandate delle pattuglie al museo delle pietre preziose, io vi raggiungerò lì»
Chiuse la chiamata, andò a togliersi la tuta e indossò il solito vestito e sempre di corsa prese l’auto e urlò alla moglie che andava a lavoro. Il museo era circondato da molti poliziotti, auto della polizia ed elicotteri.
«Ladro Butterfly, questa volta non riuscirà a farla franca!» disse determinato l’ispettore.
Tra i poliziotti si aggiunsero anche i giornalisti, volevano assistere assolutamente al colpo del famoso ladro. I poliziotti cercarono di tenerli buoni e quando poco dopo arrivò l’ispettore gli posero il problema.
«Lasciateli pure filmare, l’importante è che non interferiscano»
L’uomo andò dentro all’edificio portandosi con sé i suoi fidati aiutanti raggiungendo una camera dove erano posizionati schermi. I tre presero posto e l’ispettore osservava con attenzione l’orologio.
«Mancano 5 minuti all’arrivo del ladro. Tutte le telecamere sono in funzione?» chiese e i seguaci annuirono.
Il tempo passò lento, tutti erano alle loro postazioni.
«Cinque. Quattro. Tre. Due. Uno»
Le luci andarono via, l’ispettore urlò di azionare le luci d’emergenza. Esse si illuminarono sulla cupa figura chinata su una teca. Qualcosa dentro al vetro brillò di un rosso acceso. Il ladro scaraventò la teca, prese il gioiello e scappò via. Raggiunse in fretta l’uscita, da lontano riusciva a vederla, qualche passo e sarebbe uscito, ma delle guardie si piazzarono davanti al suo cammino. In poco tempo lo circondarono, le mani alzate pronti ad afferrarlo, uno gli si lanciò addosso, ma l’ombra lo colpì con una ginocchiata all’addome che lo stese. Un altro provò a fermarlo. ma il ladro saltò e facendo leva con la testa del poliziotto passò oltre il muro di uomini, riuscì così a scappare. Arrivò nei cortili, dal tascapane attaccato alla vita prese dei sassolini, che lanciò davanti ai suoi piedi che fecero scattare varie trappole. Le guardie ancora lo inseguivano, in testa c’era l’ispettore che non demorse nemmeno quando i suoi uomini rimasero impigliati nelle loro stesse trappole. Ormai era arrivato al capolinea. Davanti a sé trovò un altissimo muro, si voltò e si trovò davanti all’ispettore col fiatone. Il ladro sorrise, alzò in alto il braccio sinistro e con le dita contò: tre, due, uno. Un gran polverone si alzò e il ladro si ritrovò sull’alto muro. Mise in un sacco il bottino appena rubato e saltò nell’oscurità. Un fotografo scattò una foto. In essa apparve una figura femminile con un lungo mantello pesante, una camicia con sopra un corpetto, dei pantaloni in pelle ed un sacco assicurato alla cinta. La ladra era in penombra, la sagoma della maschera, gli occhi chiusi e le mani a correre ad afferrare il cappuccio che le era sfuggito dalla testa rivelando così lunghi boccoli. La luna la illuminò un attimo, poi le nuvole l’oscurarono permettendo così alla ragazza di scappare.

 
 
 
Angolo della Sadica:
Salve minna!! Sono contentissima delle 33 visite! Anche se un piccolo commentino lo avrei gradito anche, ma non posso di certo pretendere di ricevere già al primo capitolo delle recensioni! Cmq! Spero che questo capitolo piaccia! E scusa casomai orrori d'ortografia o grammatica, ma non l'ho revisionato, vado abbastanza di fretta! Allora bacioni!

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Capitolo 3
*** Compiti in Classe ***


Cap.3 “Compiti in classe ”



Sora si svegliò verso le cinque e mezzo del mattino con una strana agitazione, prese il cellulare e guardò la data. Sbiancò. Aveva dimenticato che quel giorno aveva verifica di algebra. Sentì quella sensazione di angoscia crescere. Si alzò con le gambe molli e si diresse verso la scrivania accendendo la lampada posta su di essa. Si inginocchiò davanti ad una pila di libri e osservò i titoli fino a scorgere il libro che le interessava sotto tutti gli altri. Senza tanti convenevoli buttò i libri e prese quello che le serviva e si mise sotto a studiare. I numeri la stordivano, i passaggi la confondevano e il risultato la deprimeva. Il suo folle studio fu interrotto da un bussare ritmico. La porta si aprì e la stanza fu illuminata dalla luce. Sora continuava a scrivere imperterrita e la figura che si stagliava nella luce camminò a grandi passi aprendo la finestra e le imposte. Ora la luce filtrava naturale tra le assi di legno.
«Muoviti! Siamo in ritardo!»
La ragazza mugugnò qualcosa di indistinto, smise di scrivere, si stropicciò gli occhi e sbadigliando iniziò a spingere fuori dalla porta Felix. Si cambiò rapidamente, infilò gli stivali e scese dalle scale, prese un toast, la giacchetta e uscì per andare a scuola.
Arrivò alla prima ora con qualche minuto di ritardo, il professore la guardò malamente ma non disse nulla, si limitò a segnare sul registro il ritardo. Le ore passavano lente e noiose. Ormai mancava poco alla terza ora ed a ogni secondo passato il cuore della ragazza perdeva un battito e l’ansia cresceva.
Una volta che tutti gli studenti ebbero preso posto dopo il cambio dell’aula il professore distribuì dei foglietti e il compito ebbe inizio. In un primo momento tutte le penne erano immobili sul banco mentre gli occhi degli studenti correvano frenetici e confusi sulle tracce e sui numeri. Poco a poco tutti ebbero in mano la penna e stavano scrivendo cercando di combinare qualcosa di buono. Sora cercava di risolvere delle equazioni e pregando con tutto il cuore che il risultato fosse giusto lo ricopiò su un altro foglio. Poi si mise a fare un’altra equazione e la campanella di fine ora suonò tra l’indifferenza di tutti gli esaminandi, consapevoli di avere un’altra ora disponibile. La rossa finì quell’esercizio e si dedicò ai problemi che in un primo momento le sembravano facili, ma arrivata ad un certo punto non seppe più che fare e si prese tra le mani i lisci capelli. E anche quell’ora terminò. Con la morte nel cuore Sora consegnò per poi cambiare aula e andare dritto a filosofia. Con rassegnazione la giovane ascoltava le parole della professoressa.
All’ora di pranzo si sedette in disparte da tutti a mangiare un insalata e del pesce. Aveva cercato le sue amiche invano e anche la sua ultima speranza di migliorare quella giornata andò in frantumi. Quella giornata finì così.
Malinconica si diresse verso l’auto, dove il moro l’aspettava impaziente. Arrivarono a casa e la rossa buttò con malagrazia lo zaino a terra per poi buttarsi a peso morto sul divano allungando la mano sul tavolino per prendere il telecomando. Felix si sedette sulla poltrona con la Red Bull nella mano sinistra, prese un sorso.
«Come mai oggi davanti alla televisione? Stanca di stare chiusa nella tua camera?» la voce leggermente roca e ironica, l’espressione immutabile, concentrato a seguire il canale messo dalla ragazza.
«Forse» rispose mesta l’interpellata.
Il silenzio piombò tra i due interrotto solamente dalle voci registrate di un programma TV. Sora si rigirò sul divano, lanciando il telecomando al coetaneo.
«Scegli tu, tanto non fanno niente di interessante» borbottò scocciata, osservando il soffitto.
Il ragazzo mise un incontro di wrestling, la ragazza non badò alle urla del telecronista per un bel po’, quando ormai stanca si alzò dal divano, che fu subito occupato da Felix, e se ne andò in camera. Non avendo voglia di studiare si mise seduta alla scrivania senza far nulla, guardando il muro, poi all’improvviso le arrivò la voglia di disegnare e lentamente prese tutto l’occorrente che le serviva. Finì qualche ora dopo il suo capolavoro, lo prese in mano e lo osservò soddisfatta, lo mise in un cassetto, insieme ad altri mille fogli, e scese di sotto. Si sedette sulla poltrona a guardare la televisione con il moro. Si stavano vedendo e commentando un reality quando tornarono i due adulti di casa. Li salutarono e andarono in cucina, dove fu subito pronto: avevano semplicemente riscaldato gli avanzi. Mike mise sul telegiornale e partì il servizio sul nuovo ladro in città.
«Ladro Butterfly ha colpito anche ieri ma ha commesso un piccolo errore, il suo travestimento ha fatto scoprire che Butterfly è una donna tra i 17 e i 25 anni. Un fotografo fortunato l’ha immortalata mentre scappava, purtroppo l’identità della ladra è ancora un mistero. Linea allo studio»
Sora aveva la bocca spalancata dallo stupore, Emy e Mike si contenevano mentre Felix sembrava non aver sentito. La rossa ingoiò con foga, rischiando di strozzarsi, e iniziò a commentare ad alta voce con parole sconnesse.
«Butterfly è una donna! Una donna! D-O-N-N-A! Nuuuuuuuuo!!! Il mio sogno si è infranto!! Buuuuu» fece Sora afflitta, deprimendosi a quella notizia.
Il coetaneo non perse tempo per prenderla in giro: «Avevi già programmato il matrimonio?»,  bevve un sorso d’acqua che gli andò di traverso quando la ragazza rispose affermativamente.
Mike li zittì ascoltando la cronaca nera.
Da allora passò una settimana, le giornate di Sora passavano piatte. Arrivò finalmente il giorno in cui sarebbe uscito il risultato del compito di matematica. La rossa incrociava le dita e sorrideva speranzosa alla compagna di banco che se ne fregava altissimamente di lei e la guardava con sufficienza. Arrivò il suo turno, andò a prendere il compito e tornò al posto senza dare un’occhiata al foglio. Una volta seduta chiuse gli occhi e aprì il foglio, lentamente socchiuse gli occhi che successivamente si spalancarono a vedere tutto il rosso della penna. Eppure aveva studiato come una matta, aveva capito tutte le spiegazioni del prof e allora perché il foglio era tutto rosso? Guardò il voto, era sconcertata, le era andata bene: un semplicissimo 4. La compagna di banco fece un sorrisino ironico, prese il suo compito e esultò per il sei che aveva preso. Un “puttana” uscì a denti stretti alla rossa, nessuno la sentì, gli altri erano troppo intenti ad urlarsi i voti che avevano preso. Si voltò indietro, due file più indietro stava Felix che la guardava con uno sguardo indecifrabile, la ragazza sorrise e gli mimò un quattro e attese la risposta dal ragazzo che non arrivò, sbuffando si girò davanti e andò a consegnare il compito al professore senza guardare gli errori, tanto non li capiva lo stesso. La mattinata passò e i due coetanei tornarono a casa senza fiatare. Entrambi si sedettero sul divano.
«Partita alla play?» chiese uno.
«Partita alla play!» concordò l’altra.
Entrambi presero un joystick e iniziarono a giocare a dragon ball. I due se le davano di santa ragione, chi eseguendo perfettamente le mosse, chi premendo tasti a caso e parandosi il sedere per un pelo.

 
 
L'angolo della Sadica:
Salve gente, vorrei scusarmi prima di tutto per il mio mostruoso ritardo dovuto a molti motivi personali, poi per seconda cosa il capitolo corto, ma è veramente corto e mi son sorpresa anch'io a vederlo, ma tranquilli i capitoli diverranno man mano sempre più lunghi, credo... Va beh! Lo scopriremo insieme XD
Ringrazio tantissimo le 53 persone che hanno letto la mia storia e spero che i visitatori aumenteranno o che lasceranno un commento. Spero a presto.

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Capitolo 4
*** Blue Bird ***


Cap. 4 “Blue Bird!”



Una settimana era passata e ladra Butterfly continuava a colpire. Come al solito era notte, e la ladra era riuscita ad ingannare ancora una volta la polizia. Si trovava di fronte al suo obiettivo, un anello tempestato di diamanti, ghignò soddisfatta, sollevò cautamente  la teca di vetro, suonò l’allarme, sbuffò contrariata, si calcò il cappuccio sul volto e allungò la mano a prendere il prezioso gioiello ma qualcuno la precedette.
«Hei!! Quello è mio!» urlò la ragazza verso il nuovo venuto.
Era vestito di un blu chiaro, indossava anche lui una maschera, una abbastanza semplice. I capelli e le orecchie erano coperti da una pezza tenuta ferma sotto il mento.
«Mi dispiace, ma ora è mio!» disse con voce bassa e sensuale il ragazzo sconosciuto.
Egli partì scappando dalla finestra, nel frattempo nella stanza erano giunti anche i poliziotti che circondarono ben presto la ragazza.
«Tsk!» essa saltò in avanti, fece una capriola e utilizzò come trampolino la testa di uno di quelle guardie.
Butterfly cercava di stare dietro al ladro che le aveva soffiato quella chicca. Aumentò la corsa digrignando i denti. Ormai i due si stavano rincorrendo su per i tetti. La ragazza decise di scendere a terra, accelerò di più, la fronte imperlata di sudore, risalì un palazzo e si mise di fronte al ladro mascherato di blu con le braccia aperte e il fiatone.
«Quello….è mio!»
Lo guardò dritto negli occhi azzurri, lo sfidava con lo sguardo e non si preoccupò che lui la vedesse in volto. Un vento gelido iniziò a soffiare nel silenzio che era calato tra i due.
«Mpf» fece lo sconosciuto.
Stufa di stare a guardare Butterfly gli si fiondò addosso, con il braccio teso in avanti pronto ad afferrare il gioiello che l’avversario teneva in mano. Ma egli si spostò e la ragazza, usando come freno il piede, riprese a muoversi. La sua strategia non funzionava allora decise di bloccarlo per le gambe. Fece un saltò verso le sue gambe, il ladro fece qualche passo indietro, Butterfly sorrise, poggiò le mani a terra e con quelle si diede una spinta, unì le gambe e colpì al ladro mascherato sotto il mento, riappoggiò le mani e saltò all’indietro atterrando silenziosamente a terra. L’anello era sfuggito dalle mani del ragazzo e ora stava cadendo in strada. La ladra senza riflettere si fiondò a recuperarlo, lo afferrò con la mano destra ma si rese conto della sciocchezza che fece solo dopo, quando rischiò di cadere se non fosse stato per una mano che prontamente l’afferrò. La cosa fu talmente rapida che per il gesto la ragazza sbatté contro il muro, mugolò per il dolore, sentì la mano aprirsi un po’ e l’anello cadere a terra tintinnando. Tutto questo accadde in un secondo, fu tirata su, sperò con tutto il cuore che la mano calda che l’aveva afferrata per il polso non fosse quello dell’ispettore. Le sue preghiere furono accolte, si ritrovò a qualche centimetro dal viso del ladro vestito di blu. Fu completamente sul tetto, l’adrenalina la pervadeva e i battiti del suo cuore le rimbombava nelle orecchie.
«Una ragazza non dovrebbe fare questo mestiere, è pericoloso»
Il fiato caldo del ragazzo le arrivò dritto in faccia, ne aspirò l’odore: sapeva di menta. Il ladro la lasciò, prese un bigliettino e glielo lanciò con una precisione micidiale sulle gambe, si voltò e scese dalla casa a tre piani dove si trovavano. Butterfly prese il bigliettino dove stava scritto in corsivo ‘Blue Bird’ e accanto un uccellino blu stilizzato.
 
Sora si svegliò di cattivo umore, vagò per la casa come uno zombie e a scuola la situazione non migliorò, anzi peggiorò. Di nuovo le sue amiche avevano preso a evitarla e la ragazza non se ne dispiacque più di tanto. Per tutto il giorno non aveva fatto che rispondere a monosillabi anche ai professori che indignati avevano minacciato di metterle una nota.
«Oggi cosa le è preso?»
Fu questa domanda, posta casualmente da qualche suo compagno a farle capire che nemmeno lei sapeva il motivo. Digrignò i denti e attese impaziente che quel sabato mattina terminasse. Quel giorno per sua fortuna  si usciva prima. Aspettò impaziente l’arrivo di Felix stringendosi nel giubbotto pesante rabbrividendo per il freddo. Eppure qualche secondo fa stava bene e non si era mossa di un millimetro. Si guardò intorno: si girò verso il cancello a scrutare con più attenzione chi ci fosse nei paraggi, si rigirò, non trovando nessuno, e si ritrovò davanti al volto di qualcuno, alzò un po’ gli occhi specchiandosi in due grandi occhi azzurri. Ne rimase un attimo incantata, schiuse di poco la bocca per poi richiuderla e allontanarsi di un passo.
«Forza! Muoviti ad aprire la macchina! Sto gelando!» disse fintamente arrabbiata.
Felix non disse nulla, si spostò verso la portiera del guidatore e salì in macchina imitato da Sora. Anche quel giorno i due si sedettero vicini sul divano, la ragazza tremò di freddo, andò a prendere una coperta e se la mise sopra, portò le gambe al petto per riscaldarsi meglio e si mise ad osservare la televisione senza seguirla veramente. Suonarono al campanello e il moro andò ad aprire la porta, poi il salotto fu invaso dagli amici di Felix e la rossa dovette ritornare con i piedi per terra. Li osservò in silenzio presentandosi con un debole sorriso. Gli amici del moro, che erano quattro, misero su un film horror. La ragazza osservò interessata il film finché non si addormentò con la testa sulle gambe.
Uno scossone la fece ridestare dal piccolo pisolino, le apparve una figura sfocata, mise a fuoco riconoscendo Felix.
«Mh...Felix?» mugugnò assonnata strofinandosi l’occhio sinistro.
Il moro annuì e la coprì con le coperte, la rossa solo in quel momento si rese conto di essere in camera.
«Cosa ci faccio qui?» chiese confusa, con gli occhi che a fatica restavano aperti.
«Ti sei addormentata su di me e ti ho portato qui, credo tu abbia qualche linea di febbre ma per il momento…riposa…»
Ormai la voce del moro per le orecchie della ragazza era ovattata, sentì a stento l’ultima parole per poi sentire una lieve pressione sulla fronte, poi cadde in un sonno profondo.
Si risvegliò qualche ora più tardi, si sentiva un po’ meglio, si mise seduta e osservò la stanza buia. Scese dal letto e infilandosi al volo le ciabatte scese in cucina dove vi trovò un Felix indaffarato in cucina. Si voltò verso di lei per un attimo per poi tornare a concentrarsi sulla pasta che lentamente mescolava.
«Come va?» chiese col solito tono che usava con lei.
Sora si andò a sedere e sorridendo gli disse di sentirsi meglio. Poco dopo la cena fu pronta e i due mangiarono in perfetto silenzio. Il moro stava lavando i piatti, una volta finito di cenare, quando suonarono alla porta, la rossa si alzò dalla sedia e andò ad aprire, degli agenti vestiti con il giubbotto anti proiettili entrarono prendendola per le braccia sbattendola contro il muro smorzandole il fiato, infatti uno di quelli le teneva premuto sulla gola un manganello. Felix accorse sul luogo attirato dai rumori, rimase spiazzato nel trovarsi la polizia in corridoio. I poliziotti assalirono anche lui, lo spinsero con forza contro il muro ed egli sbatté la testa contro di esso, gli girarono le braccia dietro la schiena a lo tennero fermo così. Il moro si voltò verso di lei e con gli occhi le comunicò tutta la sua confusione. Sora era a corto di fiato, non riusciva a far altro che a boccheggiare e a guardare terrorizzata il coetaneo. Quello che dovrebbe essere l’ispettore entrò e guardò con disprezzo lei e il coinquilino.
«Allora Butterfly…» sputò quelle parole con tono acido verso Sora, «dove hai nascosto tutti i tuoi bottini?»
La ragazza spalancò gli occhi sconvolta, tremò lievemente e annaspò cercando di liberarsi da quella stretta mortale. Con un gesto l’uomo ordinò al poliziotto di allentare un po’ la presa e la ragazza tornò a respirare normalmente.
«I-io….non sono Butterfly!» disse con la voce tremante, non molto convinta delle sue parole.
Si tenne la gola con una mano, un altro gesto dell’uomo e il poliziotto tornò a gravare con forza il bastone nero contro la sua gola. Un calcio al fianco fece cadere a terra il poliziotto che teneva Sora che si tastava la parte lesa dolorante. Davanti alla ragazza stava Felix con uno sguardo assassino, la guancia rossa e una piccola ferita sulla fronte. Due poliziotti si fiondarono su di lui buttandolo a terra ma egli con un calcio e un pugno riuscì a liberarsi di entrambi ma essi senza arrendersi ritornarono all’attacco. Uno dei due tirò fuori un taser che puntò alla schiena del moro che stava stendendo l’uomo con una serie di pugni e calci.
«FEEEEEEEEEEELIX!!!» urlò disperata Sora con ormai le lacrime agli occhi.
Il ragazzo fece appena in tempo a vedere l’uomo in faccia che svenne per la potente scarica elettrica. Si ribellò con tutte le sue forze e una volta riuscitaci si fiondò sul ragazzo per controllare se stesse bene. Le lacrime le scendevano sul volto, si voltò con rabbia verso l’uomo a capo di tutta quella violenza. Scattò verso di lui caricando un pugno che prese in pieno un agente che si mise all’ultimo secondo davanti all’ispettore. Quest’ultimo non volle stare a guardare e iniziò a colpire la ragazza con una serie di pugni. L’ultimo pugno la fece barcollare, il sangue ormai si mescolava  alle lacrime che Sora versava per l’amico. L’ispettore caricò un altro pugno, la rossa chiuse gli occhi, sentì uno spostamento d’aria e attese il colpo che non arrivò. Riaprì lentamente gli occhi e si ritrovò davanti la schiena di Felix, la ragazza aprì sconcertata la bocca e con la voce rotta mormorò il suo nome. Lui si voltò lentamente e i suoi abiti cambiarono in pantaloni semi aderenti, una maglietta a maniche lunghe e un pezzo si stoffa copriva le orecchie e i capelli e i suoi indumenti erano tutti di un blu chiaro. L’ispettore aveva estratto da una fondina ascellare una pistola e senza spendere tempo sparò al ragazzo.
«NOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO!»
L’urlo della ragazza si propagò per tutta la casa, si mise a sedere con il fiatone, le lacrime a scenderle incessanti. La porta si aprì e la rossa girò di scatto la testa verso la persona entrata con tanta fretta. Felix le si avvicinò velocemente e Sora non riuscì più a trattenersi, gli saltò addosso e iniziò a piangere più forte, qualche volta singhiozzando.
«Era solo un incubo. Era solo un incubo» disse il moro cercando di rassicurarla, imbarazzato dalla situazione, non sapeva che fare e che dire.
La ragazza poco dopo si scostò da Felix, con il dorso della mano si asciugò i residui delle lacrime e gli fece un timido sorriso.
«Ora sto meglio» disse prima di mettersi di nuovo sotto le coperte.
Gli occhi le si fecero subito pensanti. Li chiuse, sentì il moro andarsene chiudendosi la porta alle spalle.
«Grazie» sussurrò la rossa alla stanza, per poi sprofondare in un sonno senza incubi né sogni.



L'angolo della Sadica:
Come prima cosa, vorrei ringrazie con tutto il mio cuore
Guitarist_Inside per aver recensito questa storia e avermi dato così la forza e la speranza di continuare. La ringrazio anche per le dritte e i consigli che mi ha dato.
Anyway... ringrazio anche, U.U, i lettori silenziosi che leggono la mia storia e li invito a recensire, non mordo mica! XD
Ringrazio di cuore tutti quelli che hanno la pazienza di sopportare me e le mie idee e spero che continuiate a farlo. Con tanto amore e tanto sadicismo
La vostra Sadako Kurokawa *ghigno*

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Capitolo 5
*** Febbre da cavallo ***


Butterfly scappava da un’orda di poliziotti guidati dall’ispettore.
«Ti prenderò Butterfly!» annunciò lui, prima di cadere in una delle innumerevoli trappole da loro messe.
La ragazza incappucciata ridacchiò divertita e accelerò il passo. Attraversò il parchetto dietro la villa derubata e la sua corsa si arrestò a causa di una figura. La luna rischiarava quel tanto che bastava il parco rivelando Blue Bird alla ladra.
«Tch! Questa volta non mi son fatta prendere impreparata!»
Dalla larga manica fece scivolare un lungo bastone. Lo fece roteare un paio di volte per poi bloccarlo a mezz’aria davanti a sé.
«Questa volta quel gioiello sarà mio!» fece serio in volto il ladro, per poi fiondarsi addosso alla ragazza con un pugno alzato.
Ella si difese abilmente con il pezzo di legno e contrattaccò cercando di tirargli una bastonata dietro le ginocchia ma Blue Bird saltò all’indietro.
«Non credere che sia così facile battermi!» ghignò la ragazza certa che lui potesse vederla.
Si scrutarono un po’ prima di partire contemporaneamente all’attacco. Parata, attacco, parata, attacco. Questo ciclo si ripeté a lungo fino a che un capogiro non prese alla sprovvista la ragazza togliendole per un attimo la vista, il ladro le tirò un potente calcio che la sbalzò via.
Si tirò a sedere a fatica, la vista appannata e il respiro affannoso. Blue Bird però non perse tempo, continuò ad attaccarla. La ragazza nettamente in difficoltà in quella posizione rotolò di lato. Si piegò, un ginocchio a terra e l’altro inclinato. Il suo respiro era l’unico suono udibile in quella fredda notte. Il ladro la colpì con un calcio e Butterfly riuscì a stento a parare il colpo che ruppe il bastone e le fece perdere l’equilibrio. Il ragazzo le fu subito sopra, la mano destra a cingere l’esile collo della ragazza. Iniziò a stringere la presa.
«Te l’avevo già detto con le buone. Questo non è un lavoro adatto ad una come te! Ti conviene smetterla. È l’ultimo avvertimento che ti do e nel frattempo mi prendo anche il tuo preziosissimo bottino» ghignò ironico il ladro, frugando con la mano sinistra nel tascapane di Butterfly.
Quest’ultima sorrise ironica e con la voce rotta mormorò: «Questo è ancora da vedere!»
Con le gambe spinse via il ladro che sorpreso cadde all’indietro, svelta la ragazza si tirò su e lanciandosi prese il suo bastone. Si rimise in piedi anche Blue Bird che fece appena in tempo a bloccare un pezzo del bastone con una mano e lanciare uno sguardo fiammeggiante alla rivale.
«Devo farti i miei complimenti. Nessuno è mai riuscito a tenermi testa così!» le fece l’uomo mascherato afferrando con entrambe le mani il pezzo di legno.
La ragazza digrignò i denti per poi sorride vittoriosa, saltò e caricò un calcio laterale verso il bel ragazzo. Egli aveva lasciato la presa rendendosi conto della mossa di Butterfly, si girò e parò il calcio con le braccia incrociate. La ladra atterrò con una gamba piegata e l’altra distesa, uno sguardo glaciale e fiammeggiante allo stesso tempo negli occhi, lo scrutò dalla sua posizione e come un gatto scattò in avanti tirando indietro il braccio destro con in mano il bastone.
Blue Bird si preparò a ricevere il colpo frontalmente non aspettandosi che ella avrebbe frenato e avrebbe cambiato direzione in pochissimo tempo, colpendolo con una potente ginocchiata al fianco sinistro. Il ragazzo vestito di blu digrignò i denti accusando il colpo, gli occhi fiammeggianti d’ira e per una frazione di secondo Butterfly ebbe paura delle conseguenze del suo gesto, ma la sicurezza le tornò e tirò fuori il miglior sorriso strafottente che aveva, gli occhi lanciavano una chiara sfida.
I due ripresero a combattere. L’incappucciata però si trovò ben presto in difficoltà, sentiva il corpo pesante e indolenzito e le sue parate, così come anche gli attacchi, divenivano sempre più lenti e scoordinati.
Blue Bird le tirò una ginocchiata in pieno stomaco che la fece piegare in due, cadde in ginocchio e con le mani si teneva la parte lesa, il bastone era rotolato a qualche metro di distanza. Quel colpo le aveva smorzato il respiro e ora le veniva complicato respirare e come se non bastasse iniziava a sentire brividi di freddo pervaderla. Alzò il volto tramutato in un espressione sofferente, si tirò su con fatica, barcollando, senza mai distogliere lo sguardo dal volto del ragazzo. Quest’ultimo, senza pietà, caricò un punto e stava per colpire il volto della ragazza se ella non fosse caduta in avanti. A qualche centimetro da terra però Butterfly si diede una spinta e arrivò in poco tempo vicino all’addome del ladro e lo colpì con un pugno al plesso solare.
Blue Bird fece qualche passo indietro, cadde in ginocchio e si tenne la parte lesa, dolorante. Regalò un’occhiata sprezzante alla ladra e anche se un po’ incerto si rimise in piedi. Entrambi erano affaticati e doloranti, nessuno dei due ci era andato alla leggera ma neanche tanto pesante.
«Tch! Tutto qui quello che sai fare?» lo sfidò la ragazza con tono sicuro, ma il suo aspetto fisico la tradiva.
Ella iniziò a tremare quando una gelida brezza soffiò nel parco, arena improvvisata per lo scontro tra i due.
Il ragazzo sorrise ironico. «Ti reggi a stento in piedi, che vuoi fare?» chiese con una nota di curiosità, ma senza mai abbassare la guardia.
«Sinceramente, in questo momento vorrei svenire a terra e lasciarmi andare al freddo e al dolore, ma quel gioiello mi serve!» disse con tono serio Butterfly preparandosi al prossimo attacco.
Nessuno dei due, però, si mosse. Si scrutarono a lungo indecisi su quale mossa fare. Partirono di nuovo in sincronia. Blue Bird le tirò un pugno che le prese in pieno la guancia sinistra, mentre la ragazza gli tirò un calcio al fianco. Il ragazzo barcollò al colpo della ladra ma ella cadde a terra respirando affannosamente e con gli occhi socchiusi. Si sentì in lontananza la sirena della polizia e il ladro decise che lo scontro avrebbe avuto fine lì e in quel momento. Iniziò a frugare nel tascapane e finalmente trovò un piccolo oggetto freddo. Lo prese sorridendo soddisfatto e si rivolse alla ragazza inerme sotto di lui.
«La prossima volta non combattere se non sei nel pieno delle tue forze!» sussurrò queste parole nell’orecchio sinistro, con una lieve nota di rimprovero.
Corse via, anche se un po’ a fatica. Butterfly socchiuse gli occhi, la sirena della polizia si fece sempre più vicina e con difficoltà scappò via.
 
Sora si svegliò il giorno dopo con un grandissimo mal di testa, non fece in tempo a prendere completamente coscienza del proprio corpo che iniziò a tossire come non mai. Strizzò gli occhi, tirò su col naso e si voltò dall’altra parte chiudendo le palpebre. Sentì la porta aprirsi, mugolò di disappunto e mandò via la persona entrata.
Emy si sedette sul letto, a fianco, e le toccò con una mano la fronte. Sospirò, carezzò dolcemente la sua fronte e le sussurrò di rimanere a casa. La rossa grugnì qualcosa di non molto chiaro prima di essere presa da una violenta tosse. La donna se ne andò dalla stanza in disordine chiudendosi lievemente la porta alle spalle.
Sora cercò di addormentarsi il più in fretta possibile e ce la fece. Sognò svariate cose senza senso, di cui una volta sveglia non avrebbe avuto altro che un ricordo sfocato.
Si voltò, scossa ancora una volta dalla tosse, e osservò l’orologio, il suo stomaco brontolò ancor prima che lei riuscisse a definire dove fossero le lancette. Si alzò, prese una vestaglia dall’armadio, ci si avvolse e poi prese anche un plaid, tremante di freddo.
Scese le scale velocemente, rischiando di inciampare con i suoi stessi piedi per la fretta di raggiungere i pacchi di fazzoletti di riserva. Si mise seduta stanchissima, aveva fatto pochissimi passi ma era sfinita; non avrebbe mai creduto che a causa di un raffreddore sarebbe stata così male. Qualcuno scese poco dopo di lei, anch’egli arrancando sulle sue gambe deboli.
«Schifosa» riuscì a borbottare prima di fare una serie di starnuti.
Felix la guardò, una volta ripresosi, con un’aria vagamente sconvolta.
«Che dici, almeno un quaranta di febbre l’abbiamo?» chiese con la voce leggermente nasale, per poi dedicarsi ad un concerto di tosse.
La rossa scosse la testa, non le importava se avesse un febbrone, le importava guarire il più presto possibile e liberarsi di quella sgradevole sensazione di leggerezza che sentiva, per non parlare del naso e degli occhi che sembravano dei rubinetti rotti, se non delle riproduzioni in miniatura della cascate del Niagara.
Riscaldarono il cibo lasciato da Emy nel microonde e mangiarono in silenzio, presero la medicina e si sedettero sul divano a vedersi la televisione. Piano, piano entrambi si addormentarono l’uno addosso all’altro.
Al ritorno, Emy e Mike li trovarono ancora addormentati; la donna appoggiò subito la mano sulla loro fronte per controllare se fossero migliorati. Sorrise al fidanzato, si scambiarono un tenero bacio e si trasferirono in cucina per preparare la cena.
Felix fu il primo a svegliarsi, sentiva qualcosa di duro premuto contro la tempia sinistra, non ci badò e fece per stiracchiarsi, ma qualcosa glielo impedì. Due piccole mani, in confronto alle sue, stringevano il suo braccio sinistro. Il visino di Sora inclinato a destra, ciondolava in avanti; mugugnò qualcosa d’indistinto nel sonno e la sua presa si fece più salda attorno al braccio del moro. Lui le accarezzò la rossa testa prima di alzarsi con un forte capogiro e dirigersi in cucina dove trovò i due adulti pronti per mangiare. Si sedette a tavola.
«Non si usa più chiamare per la cena?» borbottò sarcastico Felix, stanco come se avesse corso una maratona.
«Tu e Sora stavate dormendo così bene. Lo sai che siete veramente carini?» disse Emy suscitando l’ilarità del compagno e un grugnito da parte del giovane.
I tre mangiarono in silenzio, poi verso le otto di sera Mike andò a svegliare a Sora che mugugnò qualcosa di indistinto e cercò di afferrare qualcosa accanto a sé. Non riuscendoci spalancò gli occhi, che iniziarono immediatamente a lacrimare a causa della luce e del raffreddore, e si guardò intorno. Il biondo le sorrise dolcemente.
«Forza piccola. Devi mangiare qualcosa e poi vai a dormire» disse aiutandola ad alzarsi.
Sora annuì debolmente, si sentiva talmente stordita che capiva a stento quello che le dicevano. Mangiò velocemente una minestra calda e poi, strisciando i piedi, andò in camera sua dove si avviluppò nella montagna di coperte. Rabbrividì al contatto con il lenzuolo freddo ma ben presto si ritrovò bene e lentamente scivolò nel sonno, come ultima immagine due occhi azzurri che ormai tormentavano le sue notti da un po’ di tempo.




Angolo della Sadica:
Lo so da me che sto capitolo non serve a un emerito ***** quindi se anche voi la pensate così, non disperate, nel prossimo capitolo verranno svelate delle piccole cose... Piccole, oddio, ho in progetto qualcosa che è probabile che vi farà girare la testa, o almeno alla nostra piccola e "docile" Butterfly per non parlare di Sora che avrà... *me si stuppa improvvisamente* Vi sto dicendo troppe cose e mi sa che dovrete anche aspettare tanto prima di poter leggere il capitolo dopo... Ma quanto sono Bast-e-sapete-che-altro!
Purtroppo è dovuto al mio umore di un nero più nero... A parte il fatto che se il mio angolo è chiamato "Angolo della Sadica" ci sarà pure un motivo, non dite?

Mi sembra inutile chiedervi di recensire, perché tanto sta storia la caga solo una persona (
Guitar_Inside) che oltretutto l'ha messa tra le seguite. Quindi, ancora una volta grazie mille Ema di recensire questa storia calcolata da pochi, e poi un grande grazie alle 23 persone che sono riuscite ad arrivare dal primo capitolo fino al quarto. Davvero grazie! Sapeste quante persone entrano curiose e quante ne vanno avanti! Davvero ben poche, ma almeno so che c'è qualcuno di fedele che mi segue...
A questo punto mi son rammollita e vi dico che spero di riuscire ad aggiornare presto, per non deludere queste poche persone (sì, lo sto marcando a posta così vi faccio pena e continuate a leggerla! E sì, so anche che mi contraddico da sola U.U)

Spero a presto e con ancora più lettori e recensori...
La vostra (arrabbiata, disperata) Sadako Kurokawa

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Capitolo 6
*** Giù le maschere ***


Capitolo 6 "Giù le maschere"


Butterfly e Blue Bird davano del filo da torcere alle autorità e anche tra di loro. Quasi ogni notte ormai, i due finivano per scontrarsi e uno doveva per forza prevaricare sull’altro con l’arrivo della polizia che determinava la fine della lotta. I telegiornali non facevano che parlare dell’incapacità delle autorità di catturare i due ladri.
La primavera si avvicinava e con quella cattive notizie.


Sora scese le scale di corsa, le scarpe slacciate e lo zaino in spalla. Passò in cucina, afferrò il toast che Kristen, di pausa dall’università, stava per mangiare e prese il giubbotto uscendo di casa ed entrando in auto dove Felix la stava aspettando impaziente.
Il rapporto tra i due in quel periodo era strano, il ragazzo era strano. Alcune volte era freddo e distaccato, o perlomeno più del solito, altre volte era… dolce.
La ragazza lo guardò di sottecchi, chiedendosi quel giorno di che umore fosse. Osservò le dita lunghe e affusolate del moro tamburellare con nervosismo sulla marcia e si disse che quella non era certamente giornata. Un'auto passò accanto alla loro strombazzando impazzita e Felix mostrò al conducente il dito medio, continuando a sfrecciare sull’asfalto superando la scuola.
«Hai superato la scuola» mormorò Sora sorpresa, inclinando leggermente la testa come era solita fare quando non capiva qualcosa.
Il moro però sembrò non sentirla, assorto com’era nel guidare e nei suoi pensieri, e premette ancora un po’ sull’acceleratore, fino a che non iniziò a rallentare presso una spiaggia.
Nonostante ormai si potesse dire che fossero in primavera, faceva molto freddo e il vento che tirava in quelle zone sferzava l’aria con un sibilo sinistro.
Felix prese lo zaino e scese dalla macchina; dopo un attimo di smarrimento la ragazza lo seguì, stringendosi nel giubbotto leggero e scostandosi in continuazione i lunghi capelli rossi che le frustavano il volto. Fece qualche passo, sentendo sotto il piede la morbida sabbia entrarle persino nelle scarpe, e guardò il coetaneo osservare le cupe nuvole e il mare mosso, seduto sulla sabbia.
«Perché siamo qui?»
Lui abbassò lo sguardo e prese a giocherellare con la sabbia tra le gambe piegate, Sora notò che si mordicchiava nervosamente il labbro inferiore, gesto che non gli aveva mai visto fare. Così, preoccupata, gli si sedette accanto e lo scrutò attentamente, alla ricerca di qualche altro segnale che le rivelasse che quella giornata sarebbe stata incredibilmente dura.
«Felix, è successo qualcosa?»
«Non è successo nulla, non ti preoccupare» rispose dopo qualche minuto lui, alzando la testa e piantando i suoi occhi azzurri in quelli grigi di lei.
Sora provò uno stranissimo batticuore, e si sorprese ancora di più nel chinare la testa imbarazzata. Scosse la testa cercando di ritornare alla normalità, ma sentiva ancora quel pizzicare alle guance, sintomo che era arrossita.
«Perché mi hai portata qui?» chiese in un sussurro.
I loro occhi si incrociarono nuovamente e fu di nuovo quell’incredibile e fantastico gioco di sguardi in cui lei si poteva considerare sconfitta già in partenza, perché ci si perdeva in quel mare del colore dell’estate, si sentiva mancare il fiato e il cuore battere impazzito.
«Volevo stare un po’ con te»
«Potevamo farlo dopo la scuola, no?» disse Sora non capendo. Perché sentiva quella orribile morsa allo stomaco?
Felix scosse la testa. «Me ne vado »
«COSA?!» urlò la ragazza scattando in piedi. «E dove vai? Perché?»
Il ragazzo fece una smorfia, ma un attimo dopo cercò di nascondere i propri sentimenti dietro quella solita facciata di indifferenza; puntò lo sguardo da un’altra parte e non rispose.
«Perché me lo dici solo adesso?» il sussurro addolorato sorprese anche lei, ma sembrò smuovere qualcosa nel ragazzo che ripuntò gli occhi tormentati da un sentimento che non comprese subito, ma che provò in seguito, su di lei.
«Ascoltami Sora. Voglio che tu mi faccia un favore: leggi questo diario» disse Felix, prendendo dallo zaino uno spesso quaderno dalla copertina nera in pelle e le pagine ingiallite dal tempo. Doveva essere molto antico, constatò la rossa con occhio critico. «Fallo entro stasera»
«Perché?»
«Fidati di me»
Non ci fu bisogno di altre parole: Sora si fidava ciecamente di Felix. Si risedette accanto a lui e poggiò la testa sulla sua spalla; il ragazzo l'abbracciò.
Alla ragazza girava la testa. Cos’erano tutti quei sentimenti che sentiva? Quelle palpitazione, la morsa allo stomaco e l’arrossire all’improvviso quando pensava a Felix o gli stava semplicemente vicino? Che si stesse innamorando di lui?
Non si accorse di aver tremato a quel pensiero finché il moro non l’avvicinò ulteriormente, sentì il suo fiato caldo accarezzarle la fronte scoperta dal vento e sorridendo beata si disse che non era importante, che avrebbe voluto rimanere in quel modo ancora un altro po’.
Le ore passarono senza che i due giovani se ne accorgessero e solo il brontolare dello stomaco di Sora li riportò alla realtà. Felix rise e le sorrise malizioso.
«La principessa ha fame?»
«Ma sta zitto, che siamo qui da ore e io non ho toccato praticamente cibo!»
Il moro sogghignò beffardo e con la mano le prese la pancia, come a farle vedere la ciccia che si intravedeva da sotto la maglietta. «Se continui così finirai per essere una palla di lardo»
«Ma brutto disgraziato!» urlò la ragazza iniziando a inseguirlo per quasi tutta la banchina, fino a che entrambi non arrivarono alla macchina stanchi e con il fiatone. Si guardarono negli occhi e scoppiarono a ridere simultaneamente.
«Forza sali» disse Felix con ancora il sorriso sulle labbra, salendo a sua volta in macchina.
L’ilarità di entrambi però, man mano che si avvicinavano a casa, scemava e la malinconia prese ben presto posto sul volto di Sora. Il ragazzo parcheggiò nel vialetto, spense il motore ma nessuno dei due sembrava accennare a scendere.
«Sora» la chiamò lui, «se avessi bisogno di me, chiamami e verrò»
La ragazza si sentì arrossire sotto il suo sguardo penetrante e regalandogli un ultimo sorriso malinconico annuì, aprì lo sportello e mise una gamba fuori, quando sembrò ripensarci: si sporse verso il coinquilino per depositargli un delicato bacio sulla guancia, un attimo dopo stava già correndo dentro casa per nascondere le lacrime che minacciavano di scendere.
Felix ci impiegò un po’ a riprendersi da quel contatto improvviso e, con una morsa al cuore, accese la macchina e si mise in moto.

Sora posò con mano tremante il diario sul tavolo della cucina, si appoggiò allo sportello del frigo e si lasciò cadere, mordendosi convulsamente il labbro inferiore e tenendo gli occhi spalancati in uno strano modo di ricacciare indietro le lacrime che però, non trovando ostacoli quali le ciglia, scesero incessanti, creando piccoli aloni scuri sugli abiti. Soffocò i singhiozzi sulle proprie ginocchia e si riscosse molte ore dopo, soltanto quando sentì il cellulare squillare; lentamente si alzò, sentendo le gambe molli e addormentate per la scomoda posizione, e avanzò verso lo zaino abbandonato all’ingresso, e per un attimo le sembrò di vedere anche quello di Felix. Si strofinò le guance cercando di eliminare le tracce di pianto e schiarendosi la gola rispose.
«Pronto? Ah, sei tu. No, certo che non sono contenta di sentirti, per chi mi hai preso? No, non ti porto rispetto. Lamentati quanto vuoi, tanto che cosa cambia? Obbedisco sempre, no?» ascoltò la risposta con la mascella contratta e la mano libera chiusa a pugno. «E adesso loro cosa c’entrano? Non ti basta ave…» fu interrotta dalla porta d’ingresso che si apriva, per un folle istante sperò fosse Felix, invece Emy entrò e la salutò con un sorriso. «Ti ascolto» mormorò senza completare la frase lasciata in sospeso, afferrando il diario e andando in camera sua. «Va bene. Alla prossima»
La testa le girò vorticosamente e per un attimo sentì la terra mancarle sotto i piedi; per sua fortuna atterrò sul letto. Si portò una mano sulla fronte e singhiozzò; perché la sua vita quel giorno sembrava proseguire spedita, lasciandola indietro? Perché si sentiva così estranea a se stessa?
Si addormentò con queste domande in mente.

Qualche ora più tardi Emy bussò alla porta della rossa, cercò il suo consenso a entrare per chiederle come mai non fosse venuta a cena, ma non trovandolo decise di fare da sé. Aprì senza far il minimo rumore e quando si accorse del fagotto sotto le coperte sorrise teneramente e si avvicinò per rimboccargliele e darle un bacio in fronte.
«Buona notte, Sora» mormorò dolcemente, andandosene come era entrata.
Un sospiro ovattato dalle lenzuola si udì nella silenziosa camera.
«Scusami Emy»
Sora scese dal letto, guardò l’orologio: aveva ancora tempo; si guardò intorno alla ricerca di qualcosa da fare, ma non le venne in mente niente. Così si mise seduta alla scrivania e con l’mp3 infilato nelle orecchie si perse nei meandri della sua mente, sforzandosi di ricordare.

Quando l’orologio posto sul comodino scoccò sulla mezzanotte, Sora si inginocchiò davanti al letto e prese un piccolo baule. Delicatamente prese il suo contenuto e lo mise sul letto, si spogliò e si rivestì in fretta; una volta pronta si mise davanti allo specchio lungo vicino all’armadio. Al busto un corpetto nero, con la scollatura a cuore e intarsiato di ghirigori dai colori cupi, di sotto una morbida camicia di un bianco sporco; le gambe fasciate da pantaloni di pelle, una sacca assicurata alla cintura; ai piedi comode scarpe dalla suola morbida per poter camminare in silenzio; al volto una maschera nera e bianca che lasciava scoperte le labbra e il mento,  le decorazione nere e argentee brillavano come piccoli diamanti. Butterfly era lì, davanti alla specchiera; Sora non esisteva più.
Un moto di rabbia le deformò il volto e gli occhi lanciarono saette, si voltò e chiuse gli occhi cercando di calmarsi; indossò i guanti in pelle e si buttò sulle spalle il mantello. Ora era pronta.
Il suo sguardo cadde sul diario posto sulla scrivania, scosse la testa e ritornò con la mente al piano che aveva studiato tanto diligentemente.
Si calò dalla finestra che lasciò semi socchiusa per poter rientrare una volta conclusa la serata e si diresse nel luogo dove avrebbe attaccato.
Si appostò sotto una finestra, la guardia passò con la torcia puntata davanti a sé e Butterfly si mosse. Con un grimaldello aprì la finestra, che scricchiolò lievemente facendola irrigidire, e si intrufolò dentro. Era tutto stranamente calmo, perché non c’erano i soliti poliziotti a cercare di fermarla? Decise di non pensarci ma di tenere la guardia alta, più del solito.
Di soppiatto arrivò davanti a una grande porta in legno chiaro, sentì dei passi e si nascose dietro una statua; una guardia passò di lì, si fermò un attimo a osservarsi intorno e poi riprese a girovagare per i corridoi del museo. Povero stupido, pensò Butterfly ghignando. Con un altro grimaldello aprì la porta e fece pochi passi che il pavimento iniziò a tremare e una sirena scattare.
«Maledizione!» ringhiò Butterfly, correndo verso l’altra parte della stanza e coprendosi il volto con il mantello ruppe la finestra e rotolò un po’ prima di fermarsi. Le luci all’interno della stanza si accesero e un’orda di poliziotti entrò. L’urlo dell’ispettore si sentì da fuori, ma la ragazza aveva altro a cui pensare; le avevano teso una trappola, avevano spostato la statuetta d’oro che doveva rubare e ora non sapeva dove andare.
Si mordicchiò nervosamente un dito guantato, sentendo distintamente il sapore del cuoio sul palato e aguzzò l’udito, alla ricerca di un suono che la conducesse alla sua meta; un movimento all’interno di una stanza attirò la sua attenzione, si guardò intorno individuando un albero proprio davanti alla finestra incriminata e agilmente si arrampicò su di esso. Si sporse su un ramo che aveva tutta l’aria di non reggere molto, quindi si avvolse per bene nel mantello e prese una piccola rincorsa per poi saltare. Lo scontro del suo corpo contro il vetro della finestra fu in un primo momento strano: sentì il freddo della parete pervaderle le braccia e le gambe, tenute davanti per proteggere le parti più sensibili, e poi iniziò a dolere come una frustata mentre le schegge le graffiavano quel poco di pelle non coperto dalla stoffa. Rotolò e si fermò a pochi passi da Blue Bird, che la fissava sconcertato.
Butterfly si alzò immediatamente, irrigidendo i muscoli delle gambe e delle braccia pronta a inseguire l’avversario, egli aveva infatti tra le mani la statuetta che le interessava, o a ingaggiare uno scontro.
«Ti conviene consegnarmi la statuetta» disse Butterfly, stringendo con forza il pugno destro.
«E a te conviene lasciar perdere tutta questa storia» sibilò Blue Bird, nascondendo il bottino.
«Scordatelo! Quella statuetta mi serve!»
Butterfly caricò un pugno che fu immediatamente parato; il ragazzo si tirò indietro e provò a scappare ma ella, senza lasciarsi scoraggiare, ritornò all’attacco con un calcio che questa volta lo colpì all’addome, facendolo piegare gemendo leggermente: il colpo gli aveva smorzato il respiro e ora provava qualche fitta acuta nel respirare normalmente. Si rialzò con il fiatone e le lanciò uno sguardo fiammeggiante, quando la loro lotta fu interrotta dai poliziotti. Entrambi imprecarono ad alta voce e si misero in guardia; Blue Bird si lanciò verso la finestra, calandosi velocemente, seguito un attimo dopo dalla ragazza, ma anche fuori vennero circondati.
«Bene, bene» disse l’ispettore superando la barriera umana, «Butterfly e Blue Bird, i miei arci nemici riuniti nello stesso luogo, in trappola! Spero non sia un sogno»
«E allora speri male, vecchiaccio» sbottò Butterfly con tono arrogante e nervoso, poi sorrise beffarda. Con un gesto veloce della mano derubò il rivale e, prendendo una piccola rincorsa, spiccò un balzo abbastanza alto da poter arrivare alle spalle di uno dei poliziotti e usarlo come trampolino di lancio, come ormai era sua abitudine.
Corse veloce, uscendo dalla proprietà privata ed entrando nei vicoli bui della città addormentata. Svoltò per una via e accelerò il passo, sentendo le gambe tremare e i muscoli tendersi fino a dolere, la bocca socchiusa e il petto che si alzava e abbassava frenetico mentre i polmoni chiedevano pietà. Dietro di sé sentiva gli uomini della polizia muoversi, urlarsi gli ordini per catturarla e lei, senza rendersene conto, finì dritta nella loro trappola: l’avevano circondata sbucando dalle stradine secondarie.
«Mi onora avere così tanti uomini alle calcagna, peccato che il mio cuore non sia libero» ghignò lei.
Butterfly ragionò velocemente: avendo agenti anche dietro le spalle non poteva controllare le loro mosse e per lei sarebbero stati guai; non vedeva muri su cui arrampicarsi e tentare così la fuga; le uniche soluzioni sembravano arrendersi o combattere. Ovviamente non si sarebbe arresa nemmeno sotto tortura, e iniziò a menare pugni e calci a una parte del corpo poliziesco riunito quella sera e a quelli che si avvicinavano. Ma loro erano in tanti e ben presto la ragazza si stancò; un colpo ben piazzato al plesso solare da uno degli agenti, una spazzata alla gamba da un altro e si ritrovò a terra, ansimante e dolorante.
La voltarono a pancia all’aria e vide con terrore la sagoma in controluce di un uomo avvicinarsi con la mano protesa, chiuse gli occhi non volendo vedere altro e nella sua mente apparve il volto di Felix.
«Felix» mormorò disperata, se l’avessero presa sarebbe finita veramente male per lei e non avrebbe più potuto vedere il suo amico. No, non sarebbe andata a finire in quel modo, si disse con una nuova determinazione che le nasceva nel petto.
Spalancò gli occhi e provò a tirare una testata al poliziotto che però sembrava averlo predetto e la fermò; provò allora a tirargli pugni e calci, mandando per fortuna qualche colpo assegno.
«Stai ferma!» sbottò l’uomo a bassa voce. «Fingiti svenuta quando ti darò il pugno e non muoverti»
Butterfly spalancò gli occhi e per la sorpresa smise di agitarsi. «Perché?» sussurrò spaventata.
L’uomo non rispose e fece per tirarle il pugno come aveva detto, chiuse istintivamente gli occhi preparandosi al dolore ma questo non arrivò, sentì piuttosto il rumore di ossa che si scontrano con qualcosa di duro. Socchiuse le palpebre osservando sconvolta il profilo familiare del giovane uomo. Lui la prese in braccio e disse ai suoi colleghi che la ladra era svenuta e l’avrebbe portata lui dall’ispettore, gli altri non trovarono nulla da obbiettare e poco a poco si dispersero, rimanendo però in tre.
Dopo qualche minuto di camminata si udì il rumore di un bidone caduto e un uomo in biancheria fare capolinea dalle ombre di un vicolo.
«Fermatelo!» strillò, indicando con un dito l’agente con in braccio Butterfly. «E’ Blue Bird! Quello è Blue Bird!»
«Merda!» imprecò il giovane uomo, facendo spalancare gli occhi a Butterfly, cosa che non sfuggì agli altri poliziotti.
«Prendetelo!»
Blue Bird posò delicatamente la ragazza e si voltò verso gli uomini rimasti stendendoli con qualche colpo nel giro di cinque minuti; lasciandoli contorcersi nel dolore, afferrò il polso di Butterfly che nel frattempo si era alzata, senza però accennare a scappare come le suggeriva la mente, e la trascinò via, iniziando a correre a perdifiato.
Dopo un bel paio di minuti si infilarono nello spazio tra due edifici, abbastanza largo da farli stare comodamente entrambi, ma il ragazzo la spinse delicatamente contro il muro, cercando di appiattire il più possibile la loro figura e proteggere la ladra da possibili poliziotti.
«Perché mi hai aiutato? Perché, se insistevi nel dirmi di lasciar perdere tutto?» chiese con un sussurro roco Butterfly, alzando la testa nella speranza di incrociare gli occhi di lui, che erano puntati sulla via in cerca di possibili guai, e dopo un po’ il suo desiderio fu esaudito.
Blue Bird poggiò una mano al lato del volto di lei, si piegò fino ad arrivare alla sua stessa altezza e sorrise. «Perché mi hai chiamato, Sora»
Butterfly spalancò gli occhi spaventata, come faceva a sapere della sua identità? Irrequieta, si mosse tra le sue braccia e il pensiero della fuga le balenò in mente ma con il sangue congelato nelle vene, si rese conto che il ladro le aveva fatto scivolare via dal volto la maschera bianca e nera; spalancò gli occhi grigi spaventata, il cuore che batteva forte e il petto che si alzava e abbassava velocemente.
«Perché?» sussurrò spaventata.
«Perché mi hai chiamato Sora» ripeté lui, «e perché sei troppo importante per lasciarti stare»
Il volto del ladro si avvicinò ulteriormente a lei e, come la prima volta, ella sentì distintamente il fiato caldo e al sapore di menta di Blue Bird accarezzarle il viso; gli occhi azzurri esprimevano tutto quello che con le parole, a volte, non si riesce a dire. Le si mozzò il fiato in gola quando comprese.
«Felix...»


L'Angolo della Sadica:
E allora gente! Siamo arrivati fino a questo punto, eh? Siete contenti, alcuni misteri sono stati svelati, ma ce ne sono ancora molti altri da scoprire. Che dire? Sinceramente non lo so. Di certo mi scuserò per il fatto che molto probabilmente ci saranno molti errori, più del solito, ma non ho veramente tempo, e voglia, di correggere e siccome avevo promesso di farlo stasera, eccomi qui. Scusate ancora!
Spero a presto
La vostra pazza e distratta Sadako Kurokawa

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Capitolo 7
*** La partenza di Felix - Dal diario di Elizabeth pt. 1 ***


Cap.7 "La partenza di Felix - Dal diario di Elizabeth pt. 1"

«Felix…» mormorò sconvolta. I suoi occhi, di un azzurro che ormai tormentava inconsciamente le notti e i giorni di Sora, e le sue parole non potevano che confermarle quell’ipotesi nata all’improvviso.
«L’hai capito, finalmente» disse ironico, ma con un sorriso così dolce che la fece inevitabilmente arrossire.
A disagio, Butterfly iniziò a borbottare: «Come credevi che io pot…» fu interrotta dalle labbra morbide e umide di Blue Bird che si posarono delicatamente sulle sue.
«Parli troppo» sussurrò il ragazzo con un sorriso malizioso, e tornò a baciarla. Lei non si mosse, sentendo il cuore battere impazzito, come se volesse uscire fuori, e credette che persino lui potesse sentirlo; inconsapevolmente ricambiò.
Quando Felix si separò nuovamente, per Sora sembrò troppo presto e protestò debolmente, ma capì che il ragazzo aveva sentito un rumore sospetto; le passò la maschera e le intimò di indossarla alla svelta.
«Dobbiamo andarcene da qui» disse risoluto lui. «Sai dove sbocca questa strada?»
«No»
«Va bene, lo scopriremo. Vai avanti prima tu, io ti copro le spalle»
La stradina, man mano che i due avanzavano, si faceva sempre più stretta costringendoli a strisciare contro i muri; Butterfly iniziava ad agitarsi, non credeva di essere claustrofobica.
Blue Bird, di tanto in tanto, guardava indietro per assicurarsi che nessuno li seguisse; fu così che rivoltandosi perse di vista la ragazza. Spalancò gli occhi sorpreso e si affrettò a uscire; una volta libero da quello spazio angusto, gli si presentò tortura peggiore: Butterfly tenuta ferma dal braccio di un agente sotto il collo e una pistola puntata alla sua tempia.
«Lasciala andare subito!» tuonò il ladro, mantenendo al contempo una certa calma apparente; dentro si sentiva irrequieto e soprattutto molto, molto spaventato.
«Tu seguimi senza fare storie e alla tua amica forse non sarà fatto nulla» ghignò il poliziotto, iniziando a pregustarsi le lodi e la ricompensa dell’ispettore.
Butterfly si mosse, incapace di rimanere ferma senza tentare di crearsi una via di fuga, ma l’uomo strinse di più la presa facendola gemere di dolore e quasi soffocare.
«Sta ferma, ragazzina» sbottò l’agente, puntando tutta la sua concentrazione su di lei. E questo gli fu fatale.
Blue Bird, in un attimo, gli fu addosso e con un calcio ben piazzato fece volare via la pistola dalla mano del poliziotto; la ladra quindi si liberò facilmente e corse dall’altra parte della strada per non essere riacciuffata. L’agente afferrò il taser che teneva alla cintura.
«Vai via, Butterfly» digrignò Blue Bird, tenendo la concentrazione alta.
«Non ti lascio da solo!» sbottò lei, mettendosi in posizione, pronta a scattare.
Una scintilla partì dall’arma dell’uomo con un forte schiocco, attirando l’attenzione dei due, che stavano per mettersi a discutere dei motivi per cui Butterfly sarebbe dovuta scappare.
Con un solo sguardo d’intesa, i due ladri scattarono all’unisono; uno scartò lateralmente mentre l’altra attaccò frontalmente. L’agente si distrasse e fu subito atterrato da un calcio del ragazzo; poi, per non avere problemi in seguito, fu fatto svenire con un altro calcio al volto.
«Questo gli farà un bel po’ male da sveglio» mormorò Blue Bird, osservando con sguardo vacuo l’uomo.
«E’ meglio andare prima che si riprenda»
Il ladro annuì e l’afferrò per mano trascinandola a qualche isolato di distanza. Una volta messa abbastanza distanza tra loro e possibili inseguitori, Felix spinse contro il muro la ragazza, sbattendo la mano chiusa a pugno sui mattoni, e guardandola duramente.
«Non hai letto il diario, vero?» ruggì sottovoce.
Sora trasalì spaventata, spalancando gli occhioni grigi sorpresa: non si era mai rivolto a lei in quel modo. Molto lentamente annuì e con ansia crescente aspettò impaziente la reazione di lui.
«Ti avevo detto di farlo!»
«Io… Io non ne ho avuto il tempo» provò a giustificarsi Butterfly, con un grosso nodo alla gola.
Gli occhi azzurri dardeggiarono furiosi. «Perché sei venuta? Rischiavi di morire, maledizione!» disse il ragazzo, e d’un tratto sembrò perdere tutte le energie che in quegli attimi aveva dimostrato di avere; si passò stancamente una mano tra i capelli. Non si era nemmeno accorto di aver perso il cappello da poliziotto, e si allontanò dal corpo della ragazza.
«Felix…» sussurrò Sora, allungando una mano per accarezzare la guancia ispida dell’amico; con grande sollievo, lui non si ritrasse. «Mi dispiace averti fatto preoccupare»
«Non ci sarò sempre a proteggerti, questa notte parto» mormorò afferrando la mano della ragazza e baciando lievemente il palmo.
Sora arrossì un po’, ma non si fece distrarre da quelle attenzioni così piacevoli. «Dove vai? Perché devi partire? Tornerai?»
«Non posso dirtelo»
«Perché?» chiese sofferente. Felix chiuse gli occhi in un’espressione dolorosa e Butterfly si sentì morire: non aveva mai visto l’amico in quel modo. Si morse le labbra, trattenendo a stento le lacrime che minacciavano di uscire.
«Tornerò» promise lui, avvicinando i loro volti. Le diede un piccolo bacio e una lacrima solcò la guancia della ragazza, che serrò le labbra per non far sfuggire un singhiozzo. «La prossima settimana ci rivedremo»
«Dove?» chiese con le lacrime che ormai le inondavano il viso reso rosso nello sforzo di trattenerle.
«Non piangere, ti prego» le circondò il volto con le mani e con i pollici cercò di asciugare quelle stille salate. «Ci rivedremo alla festa di Williams»
«Williams?! Come fai a conoscerlo?!» disse Butterfly sconvolta, spalancando gli occhi e smettendo per un attimo di piangere.
«Non posso dirtelo»
Sora si scostò bruscamente e lo guardò malamente. «Smettila di dirmi che non puoi!»
«Avrai le spiegazioni, ma tutto a tempo debito»
«Io le esigo adesso!»
«Sora! Cerca di metterti nei miei panni! Non posso dirti nulla, per il momento!» sbottò malamente, rifilandole un’occhiataccia; occhiataccia che fu ricambiata pienamente con l’aggiunta di un piede pestato.
Dopo un po’ Blue Bird sospirò, passandosi per l’ennesima volta una mano tra i capelli, e mormorò a sguardo basso: «Torniamocene a casa»
S’incamminò senza aspettare risposta; Sora s’innervosì un po’ a questo suo comportamento, ma con un sorriso malinconico si disse che quello era il suo carattere, e lo seguì.
Lo affiancò quasi subito e con il cuore che le batteva impazzito nel petto, afferrò la sua mano; lui non la ritrasse, anzi ricambiò la stretta, facendo nascere un piccolo sorriso alla ragazza, che, contrariamente a quanto sembrasse, non si era affatto dimenticata che erano ancora in pericolo.
Solo quando furono nelle vicinanze della loro casa si sentirono abbastanza sicuri da dividersi per arrampicarsi ognuno nella propria camera.
Sora si spogliò degli abiti da ladra e indossò le prime cose che le capitarono sotto mano, un pantaloncino nero corto e una maglietta a mezze maniche larga che le lasciava una spalla scoperta, e uscì silenziosamente dalla stanza, per finire davanti alla camera da letto di Felix.
Prese un profondo respiro e, con il cuore a mille e le guance rosse, bussò lievemente, aspettando una risposta vocale da parte del ragazzo, che però venne ad aprirle per poi ritornare al centro della stanza mal illuminata dalla luce di una bajour posta sul comodino. Seduto a gambe incrociate, controllò un’ultima volta il borsone da viaggio che aveva preparato. La ragazza richiuse la porta alle spalle e, con una morsa dolorosa al cuore, osservò il ragazzo occupato a preparare i bagagli. Provò l'irrefrenabile impulso di abbracciarlo e così fece.
Lo abbracciò da dietro, facendolo sussultare per la sorpresa, e cercando di trattenere i singhiozzi lo pregò ancora una volta di non partire; Felix posò una mano calda sul braccio che gli circondava il collo e sospirò, voltandosi leggermente verso di lei.
«Non posso rimanere, Sora»
«Perché? Perché oggi?» chiese con le lacrime che ormai scorrevano libere sul suo volto. Perché proprio nel giorno in cui si era resa conto che lo amava?
«Non piangere. Ci rivedremo presto, è una promessa»
«Ma io non voglio che tu te ne vada, non dopo quello che ho capito oggi»
Ormai anche il volto di Felix era una maschera di dolore e dolcezza allo stesso tempo.
Perché l’amore doveva essere così maledettamente doloroso? Stavano esagerando a reagire in quel modo, sapendo che si sarebbero rivisti dopo una settimana? No, non stavano esagerando, entrambi ormai erano diventati dipendenti l’uno dall’altra.
Con foga il ragazzo si fiondò sulle labbra morbide di Sora, baciandola appassionatamente e spingendola delicatamente sul pavimento. Le lingue si sfiorarono, accarezzarono esitanti i palati, si cercarono e si rincorsero per molto tempo, finché non si dovettero separare per mancanza di fiato. Felix, però, prese a baciarle il collo, facendola rabbrividire e sussultare quando le fece un succhiotto proprio sopra la clavicola, che si intravedeva dalla spalla scoperta, e sulla gola; il ragazzo sorrise maliziosamente, facendola arrossire, e riprese a baciarla, questa volta con più dolcezza.
«In tutti gli anni che ci conosciamo non ti ho mai visto arrossire così tanto» le sussurrò, sfiorandole con le labbra l’orecchio e facendola diventare ancora più rossa per l’imbarazzo.
Sora provò a balbettare qualcosa, ma si ritrovò con la bocca nuovamente occupata. La mano di lui corse a carezzarle in fianco, fino a scivolare con assoluta naturalezza sotto la maglietta color panna della ragazza, che sussultò nuovamente e guardò spaventata Felix, non si sentiva decisamente pronta per un passo del genere; il moro dovette capirlo perché sorrise e si fermò, lanciando un’occhiata all’orologio da polso che indossava.
Si mise seduto, trascinandosi anche Sora, e la tenne stretta a sé ancora un po’, prima di sospirare tra i suoi capelli rossi.
«Devo andare»
«No» gemette lei, aggrappandosi alla maglietta di Felix.
«Devo andare» ripeté, senza però voler accennare a muoversi; le accarezzò dolcemente la testa e si separò da quell’abbraccio. «Ci vediamo»
Le diede un piccolo bacio sulla fronte che la fece scoppiare nuovamente a piangere e, avendo lanciato il borsone giù dalla finestra, si calò da essa.

Sora, con molta riluttanza, lasciò la camera del moro dopo molte ore, quando il mattino stava ormai albeggiando, per rinchiudersi nella propria, decisa a non uscire prima di mezzogiorno; nessuno l’avrebbe disturbata poiché era domenica.
Riuscì ad addormentarsi verso le otto e mezza del mattino, con un peso sul cuore; la stanchezza era tanta che cadde in un sonno profondo, senza né sogni né incubi.

Si svegliò dopo le due e mezza del pomeriggio. Scese in cucina, intontita, e come prima cosa andò a prendere dal frigo una lattina di coca cola; poi notò il post it appeso allo sportello da parte di Emy, che le comunicava che era uscita insieme a Mike e Kristen.
Sola. Era sola. Ed era doloroso.
Con passo trascinato salì le scale, attraversando il piccolo corridoio e passando di fronte alla porta chiusa della camera di Felix. Rivolse un'occhiata ostentata a questa e proseguì sorseggiando la sua bevanda come in trance.
«Devo leggere il diario» si disse, osservando il piccolo quaderno rilegato in pelle posto su una pila di libri sulla scrivania. Non ne aveva voglia, ma si costrinse: in fondo aveva fatto una promessa a Felix.
Si sedette e, con accuratezza, aprì il diario che scricchiolò leggermente; la grafia raffinata e minuta, le pagine ingiallite e quell’odore di antiquato risvegliò qualcosa dentro di lei: un’antica passione per i libri. Iniziò a leggere, con un po’ di fatica per l’inchiostro poco leggibile:
 

Diario privato di Elizabeth Thompson.
Il mio compito è quello di trascrivere le storie dei personaggi importanti dell'organizzazione. Scelsi Elisewin.

Elisewin era una bambina quando venne iniziata all’organizzazione, aveva appena dieci anni. La Sorella la scelse personalmente, rendendola sua allieva, un onore per tutti quelli qui dentro.
In una notte d’inverno del 1758, Elisewin fu svegliata e trascinata, dopo che le cameriere l’avevano preparata con cura, nella Sala d’Inverno, adibita alle cerimonie. Lei era l’unica bambina nel gruppetto di dieci ragazzini.
Il Padre eseguì il rito in un silenzio religioso da parte nostra. I bambini ripeterono le regole dell’organizzazione Sunset, giurando fedeltà e porgendo la mano all’uomo imponente al centro della sala, che, con un pezzo di ferro, li marchiò. Loro sussultarono presi di sprovvista; qualcuno gemette, qualcun altro aveva il viso rosso nello sforzo di trattenere le lacrime. Elisewin teneva fieramente la testa alzata, sfidando con gli occhi zaffiro il Padre e mordicchiandosi il labbro inferiore pur di non far uscire un suono; qualcun altro la imitò: un bambino poco più basso di lei, con il volto spigoloso e piuttosto magrolino.
Mi chiesi come potessero credere che un bambino mingherlino come lui potesse sopravvivere ai duri allenamenti dell’organizzazione.
Tra i due bambini vi fu uno scambio di sguardi: si sfidarono a non abbassare mai lo sguardo, dando così inizio a una serie di scontri continui.
Questa è la storia di Elisewin, la storia di mia sorella.

 

Sora dovette interrompersi: il tempo aveva rovinato alcuni fogli e si ritrovò a doverne saltare. Borbottò un paio di insulti e sfogliò il diario, si fermò solamente quando riuscì a decifrare una pagina.
Sospirò. Era parecchio confusa, cosa c’entrava tutto questo con lei? Scosse la testa e riprese a leggere.
In quelle vicende venivano narrati i primi addestramenti di Elisewin e della sua amicizia/rivalità con Axel, il bambino mingherlino di quella fredda sera di gennaio. E così si continuava, dovendo saltare alcuni paragrafi, fino a quando la bambina non diventa una donna di diciassette anni.

«SORA!» urlò Kristen, irrompendo nella camera della ragazza e facendola inevitabilmente sussultare spaventata.
«Che diamine ti prende, Ten?! Mi hai fatto prendere un accidente!» sbottò Sora inviperita.
«La prossima volta rispondi quando ti chiamiamo!» la rimbrottò, per poi notare il quaderno stretto al petto della rossa. «Che stavi leggendo?»
«Niente di che. E’ solo un libro che Felix mi ha prestato»
«A proposito di Felix! Sai che cosa ha fatto quel disgraziato? Se ne è andato in piena notte senza lasciare nemmeno un biglietto! Ha chiamato stamattina dicendo che doveva tornare a casa o qualcosa del genere e ha chiuso subito!»
«Davvero? Non ha detto nient’altro? Per esempio dov’era?» chiese Sora speranzosa, stringendosi ulteriormente il diario al seno.
Kristen scosse la testa e si sedette sulla scrivania, scrutando con occhi attenti il volto intristito della liceale. «Ti sei innamorata di lui?»
«Cosa?!» strillò Sora rossa in volto, presa alla sprovvista; dopo un attimo di silenzio annuì.
«Glielo hai detto?»
«No»
«Glielo dirai?»
La ragazza rimase in silenzio, non sapendo come rispondere. Si chiese quando avrebbe potuto dirgli che lo amava; il suo volto si fece ancora più afflitto.
Kristen si alzò e si avviò verso la porta, voltandosi a guardare la rossa immersa nei suoi pensieri.
«Sora» la chiamò; lei si voltò con lo sguardo perso. «Ha detto che ti avrebbe chiamata»
«Grazie, Ten» ringraziò Sora, con un sorriso sincero.
«Su con la vita, tornado! Tra poco si mangia!»
La bionda le regalò un ultimo sorriso e chiuse la porta alle sue spalle.



L'Angolo della Sadica:
Salve gente *ghigno malefico*
Sono tornata, contenti?! Bene, bene! Cosa vediamo qui? Felix e Sora a sbaciucchiarsi, che teneriiii *tono mellifluo* e poi accidenti, lui è dovuto partire chissà per quale motivo! E quando la nostra protagonista preferita gli chiede spiegazioni lui risponde di mettersi nei suoi panni, piuttosto intelligente e confuso il ragazzo... non le ha detto niente e pretende che lei si metta nei suoi panni, bah!
Chi saranno questi Elizabeth, Elisewin e Axel? Cosa avranno a che fare con Sora e il suo essere ladra?
Lo scopriremo insieme quando avrò scritto il capitolo! (di cui per il momento non ho nemmeno uno straccio di idea... bella fregatura...)

Vorrei ringraziare come al solito
Guitarist_Inside per esserci sempre, per recensire e per farmi da correttrice di bozze ;)
Poi vorrei ringraziare tutte le persone che hanno fatto 132 visite al primo capitolo e a quei 16 che sono arrivati al sesto capitolo! Anche il vostro sostegno è importante! Fatevi sentire di tanto in tanto! Come ho già detto, non mordo mica! (mordere, forse potrei essere velenosa XD)
E ora vi lascio ;)
La vostra Sssssadica preferita (mi auto proclamo vostra Ssssadica preferita U.U)

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Capitolo 8
*** Dal diario di Elizabeth - Butterfly ~ Il passato di Sora ***


Elisewin si era fatta donna: lunghi capelli castano dorato, che scendevano in boccoli lungo la schiena, corpo longilineo e sinuoso, grazie anche agli allenamenti intensivi della Sorella. Profondi occhi blu mare, labbra sottili e perennemente increspate da un sorriso beffardo, e uno spruzzo di efelidi sul naso leggermente a patata.
Ella aveva un compagno d’allenamenti: Axel.
Axel dall’essere un bambino mingherlino con il volto spigoloso, divenne un uomo vero e proprio. I capelli ebano erano perennemente spettinati, gli occhi neri come il carbone sembravano rilucere di vita propria quando parlava con qualcuno con cui aveva un rapporto sincero e onesto, soprattutto con mia sorella.
Si era alzato di molti centimetri, raggiungendo quasi il Padre; aveva una corporatura media, né troppo magro, né troppo muscoloso.
I due si stavano allenando all’arena in cortile, osservati dagli altri dell’organizzazione che scommettevano sulla vittoria di uno e dell’altro, quando, come una furia, la Sorella scese in cortile, dirigendosi a passo di marcia verso di loro. Il pubblico ammutolì, aspettandosi di tutto da quella donna. Tutto tranne che interrompesse l’allenamento per prelevare personalmente Elisewin e portarla nelle sue stanze. Axel guardava la scena attonito, con ancora il fiatone e qualche gocciolina di sudore che scivolava lungo la linea del collo. Egli scavalcò la staccionata e mosse qualche passo incredulo: non era mai successo che la Sorella interrompesse un allenamento, specialmente se appena iniziato.


Ciò che si dissero Elisewin e la Sorella, lo seppi solo in seguito. Ella l’aveva convocata per annunciarle che entro qualche giorno ci sarebbe stata la sua nomina come ladra. Come si vuol usare nella nostra organizzazione, le daranno un nome in codice e avrà il preciso compito di rubare rari artefatti.
Qualche sera dopo ci fu finalmente la cerimonia. Non potei partecipare: solamente gli altri ladri potevano entrare in Quella sala.
Elisewin mi confidò che fosse una sala non molto grande, spoglia se non per alcuni busti raffiguranti la Famiglia e gli arazzi con disegni astratti, raffiguranti a volte figure mitologiche come i draghi. Mi narrò di un arazzo in particolare, che ricopriva tutta la parete ovest, color dell’ocra, raffigurante un altare posto in una grotta, in mezzo a due grandi cascate, e al centro di esso vi era qualcosa dalla forma ovale che sprigionava una luce potentissima, illuminando interamente il luogo. Un mito, le dissi in risposta al suo sguardo luminoso, pieno di meraviglia e di un sentimento che non riuscì a definire. Lei non disse più una parola, offesa, e se ne andò senza rivelarmi il suo nuovo nome. Da quel momento in poi Elisewin mi evitò, a stento mi salutava in mensa e stava costantemente con la Sorella o gli altri ladri, trascurando gli allenamenti con Axel e quei pochi amici che si era fatta. Sunset l’aveva trasformata.


Andando in giro per la città scoprì circolare una voce su una donna mascherata che si aggirava di notte a rubare denaro e gioielli ai ricchi, per poi venderli in cambio di qualcosa. Capì subito che il gruppetto di donne ferme dal fruttivendolo stessero parlando di Elisewin, così una sera aspettai che uscisse dai suoi nuovi alloggi, riservati ovviamente ai ladri e nessuno, a parte le domestiche, poteva entrare, per pedinarla, ma lei era furba: attesi invano dietro una colonna di vederla emergere dall’oscurità del corridoio, ma Elisewin era uscita da un’altra via, una porta che usavano esclusivamente i ladri e di cui nessuno sapeva l’ubicazione esatta. Tutta la faccenda iniziava a stizzirmi. Chiesi aiuto ad Axel, che risentito mi scacciò in malo modo dicendo che non voleva saperne nulla e di lasciarlo in pace. Ero sola nella ricerca della verità.

Qualche mese dopo trovai una lettera anonima abbandonata davanti alla mia camera. Non riuscivo a riconoscere la scrittura svolazzante e disordinata, ma la persona che me l’aveva mandata mi prometteva di farmi sapere tutta la verità e di incontrarci a mezzanotte nel retro del cortile a est.
Così, la sera dopo, mi appostai in giardino ad attendere. Passarono le ore e quando ormai pensavo di andarmene, sentì una voce chiamarmi e ordinarmi di mettermi dietro a un albero e di non muovermi. Io obbedì, desiderosa di sapere cosa stavano facendo a mia sorella. Quello che mi disse mi rimase impresso nella mente.

«Elisewin è in pericolo» disse da dietro l’albero, parlando così a bassa voce che non riuscì a distinguere se fosse maschio o femmina.
«Cosa?» dissi entrando nel panico. Perché ero ancora lì? Dovevo correre a chiedere aiuto.
«Fermatevi» sussurrò l’ombra con voce ferma, intuendo le mie intenzioni.
«Ma Elisewin è in pericolo!»
«Sunset l’ha messa in pericolo.»
«Spiegatevi!»
«Entrare nell’organizzazione, entrare a far parte di quei ladri, l’ha messa in pericolo. Il Padre e la Sorella hanno in mente di darle una missione pericolosa. Deve fare la guardia a qualcosa di prezioso, ma…» fece una pausa che a me sembrò durare ore; sentivo il cuore battere nel pezzo, terrorizzata dalla possibile conclusione della frase, «ma potrebbe non uscirne viva»
«No» gemetti.
«Dobbiamo aiutarla»
«Come?»
«Questo ancora non lo so. Ma Vi terrò informata»
Annuì e con le gambe tremanti mi avviai verso gli edifici, ma ancora una volta fui fermata dalla voce. «Immagino che Voi non sappiate ancora come si chiami»
Scossi la testa, dimentica che al buio della notte non potesse vedermi. «No»
«Butterfly»

 


Sora sussultò quando la finestra si aprì sbattendo: fuori infuriava una violenta tempesta. Si alzò dal letto e andò a chiudere le imposte, tremando per il freddo e le rivelazioni scritte in quel diario. Forse era meglio se per quella sera smettesse di leggere, si disse buttando un occhio alle pagine aperte.
Il telefono squillò, e con un tuffo al cuore si catapultò in corridoio per prendere la chiamata, sperando si trattasse di Felix. Kristen però infranse la sua illusione, chiamando per nome una sua amica.
Sora imprecò mentalmente contro il moro: perché non si decideva a chiamarla? L’aveva detto, no? E allora perché nonostante fossero passati due giorni ancora non l’aveva fatto?
«Maledizione!» imprecò, tirando un pugno, furiosa con se stessa. Perché diavolo ci rimaneva così male? Si sarebbero rivisti dopo una settimana!
Rientrò in camera sua, sbattendo la porta; sul volto un’espressione lugubre. Stette ferma in mezzo alla stanza, sentendosi per un istante sperduta. Persino la sua stanza le sembrava sconosciuta all’improvviso; quelle pareti spogli, il letto disfatto, i libri e i cd sparsi per tutto il pavimento le dicevano che ci viveva una persona disordinata, ma non riusciva a capire chi, sebbene sapesse che appartenesse a lei.
Chi era veramente lei? Una normale ragazza di diciassette anni o la pallida imitazione di essa? Sora o Butterfly?
«Maledizione» sussurrò, con un groppo alla gola e l’improvvisa voglia di buttarsi a terra e iniziare a piangere come una bambina.
Perché sulle sue spalle doveva pesare un peso così grande? Perché a lei?
Perché non poteva semplicemente tornare indietro nel tempo, quando ancora aveva a fianco i genitori e non era chiusa in quelle quattro sporche mura grigie, che tutti definivano “orfanotrofio” solo perché Emy era ancora minorenne?

Come poteva dimenticare il giorno in cui andò tutto a rotoli?

Era una domenica pomeriggio, i suoi genitori l’avevano portata al parco giochi approfittando della giornata di sole spuntata dopo un lungo periodo di freddo e piogge. Il terreno era ancora bagnato e di tanto in tanto scivolava, sporcandosi il vestitino che la mamma le aveva messo.
Il papà la stava dondolando dolcemente sull’altalena spingendola da dietro, mentre ella chiedeva di essere portata su, “fino a toccare i batuffoli bianchi”.
A un certo punto l’uomo si era fermato e aveva afferrato, con un’improvvisa forza, la figlia, stringendosela al petto; Sora provò paura: il papà non l’aveva mai stretta così tanto da farle male.
Non capì cosa successe in seguito. In turbinio di immagini sfocate e dai variopinti colori si ritrovò a terra, mentre vide i suoi genitori venire trasportati di peso e lei essere presa con forza il braccino esile, facendola urlare di dolore, e provando a dimenarsi, ma l’uomo cattivo le diede un pugno in faccia e la fece svenire con una pezza impregnata di uno strano odore dolciastro.
Si risvegliò dopo un tempo non precisato. Sentiva male alla guancia sinistra e al braccio, e non riusciva ad aprire bene l’occhio. Una donna sulla trentina, con uno sguardo estremamente dolce, stava bagnando una pezzuola per pulirle bene il volto sporco di terra e poterglielo, così, medicare.
«Dove sono?» chiese con voce fievole, assaporando, con una certa ripugnanza, il retrogusto metallico del sangue e di qualcosa di dolciastro. «Dove sono mamma e papà?»
«Io sono Madelaine. Tu come ti chiami?» si presentò ella, evitando accuratamente la domanda.
«Dove sono la mia mamma e il mio papà?» chiese Sora, sull’orlo delle lacrime. Si portò una manina chiusa a pugno sull’occhio sano, strofinandolo per togliere le piccole stille d’acqua salata. «Rivoglio la mia mamma!» esclamò, poi, in un pianto liberatorio.
«Ssssh, tesoro, va tutto bene. La tua mamma sta bene, fidati di me. Ti fidi di Madelaine?»
La piccina scosse la testa, ma non rifiutò una spalla su cui piangere, continuando per molte ore, finché, stremata, non si addormentò.
Nei giorni a seguire si dovette abituare alla vita lì dentro, soprattutto agli scherzi di pessimo gusti dei maschietti, i quali la facevano sempre piangere, per un motivo o per un altro.
Un bambino, di qualche anno più grande di lei, se ne stava sempre in disparte, con espressione indifferente scrutava tutto e tutti con occhi glaciali. In molte occasioni, Sora si ritrovò sotto il suo sguardo, e ogni volta un’angosciosa paura le attanagliava il cuore, facendola scoppiare a piangere e correre da Madelaine, una delle educatrici.
I bambini, un giorno, si riunirono in cortile in cerchio alla bambina e la presero in giro, per poi disperdersi qualche minuto dopo quando sopraggiunse il bimbo più grande. La rossa non ricordava il suo nome, non credeva di averlo mai saputo, ma di quel terribile giorno ricordò le parole di quel bimbo tanto freddo:
«Smettila di piangere»
«N-non posso»
«Smettila di piangere, o gli altri continueranno a prenderti in giro»
«M-ma…» provò a dire Sora, ma il bambino la interruppe bruscamente, facendola sussultare per la paura.
«Smettila di piangere! I tuoi genitori non torneranno a prenderti! Sei irritante! Capisco perché ti abbiano abbandonata qui!»
«La mia mamma e il mio papà mi vogliono bene!» piagnucolò la bambina, iniziando a sentire un moto di rabbia nei confronti di quel ragazzino che non sapeva nulla ma parlava.
«Ora vai pure da Madelaine a piangere, frignona!»
«Smettila!»
«Frignona! Frignona! Frignona!»
«SMETTILA!» urlò la bimba, tirandogli un pugno in pieno viso. I due presero a picchiarsi, continuando a insultarsi, e furono separati solamente grazie all’intervento della direttrice, avvertita da una delle educatrici. Mentre la donna cinquantenne faceva la predica ai due bambini, Madelaine curava le sbucciature che entrambi avevano su tutto il corpino.
I due bimbi da quel giorno stettero insieme, in uno strano legame di amicizia e solidarietà. Di notte lui la trascinava in “spedizioni punitive” verso le docenti e gli altri bambini che si comportavano male, facendole intravedere un lato del suo carattere che non lasciava trapelare durante il giorno.
Fu così che uno strano giorno, Sora e il suo amico si ritrovarono separati: una famiglia aveva deciso di adottarlo.
Madelaine scattò una foto di quell’addio: Sora con un cerotto sul naso, recente “ferita di battaglia”, con le guance gonfie in un moto stizzito per i capelli scompigliati dall’amico, che mostrava per la prima volta il suo sorriso davanti a tutti.

Sora doveva avere quella foto da qualche parte. Frugò in uno dei cassetti della sua scrivania, la trovò perfettamente preservata, con la cornice in legno che formava un intreccio. Sorrise nel ricordare gli scherzi che avevano combinato insieme, e quelli che in seguito si era ritrovata a fare da sola.
La sua espressione però si incupì nel ricordare di quando Emy si era presentata all’orfanotrofio, pretendendo di adottarla. Inutile dire che Sora si era ribellata, sostenendo che lì aveva compiti da svolgere, in quanto leader. La mora però non si era arresa ed era ritornata il giorno dopo, accompagnata da Mike, e poco a poco si fece apprezzare dalla bambina di appena nove anni, riuscendo a convincerla totalmente ad andare con lei. La direttrice aveva chiesto molte volte il motivo per cui volessero farla prima adattare, piuttosto che farlo una volta che era diventata la sua famiglia; Emy disse:
«Oh, perché mai dovrei costringerla a seguirmi, sapendo che sarebbe capace di scappare dalla finestra non appena mi distraessi?»
Predizione che in parte si avverò.
Sora aveva tentato molte volte, durante l’inizio della sua adolescenza, di scappare e girare il mondo, si era persino fatta i suoi primi piercing durante una di queste scappatelle.
Emy e Mike non sospettavano però che l’improvvisa ribellione della rossa fosse stata causata da un’improvvisa chiamata di un certo Williams. Egli le spiegò brevemente che i suoi genitori stavano bene e lavoravano per lui, come archeologi; ma, c’era sempre un fottutissimo ma, pensò furiosa ricordando quell’avvenimento, se voleva rivederli sani e salvi doveva obbedirgli: avrebbe dovuto rubare per lui alcune cose, fingendosi una ladra del ‘700, chiamata Butterfly, che, a quanto pare, era una sua antenata.
Le disse di pensarci e di dargli una risposta entro una settimana.
La ragazza si sentiva oltraggiata, chi era quel tipo per minacciarla in quel modo? Scappò di casa, fece di tutto pur di scappare da quell’assurda situazione. Iniziò a cercare disperatamente un’identità tutta sua, sentendosi fragile come una bolla di sapone, consapevole di poter crollare da un momento all’altro.

Era accaduto tutto troppo in fretta.

Poi, però, arrivò Felix, e tutto sembrò cambiare. Sora divenne più calma, avendo qualcuno della sua stessa età in giro per casa, potendo scherzare con lui e, in un certo senso, pensare a lui come a un membro della propria famiglia.
Il ragazzo, con la sua freddezza e la sua costante presenza, le aveva fornito un appiglio a cui aggrapparsi per sopportare il peso della doppia vita che conduceva. Ma ora che Felix se n’era andato, lei che cosa poteva fare, se non piegarsi sotto il suo stesso dolore?

Era sola.

La solitudine non le aveva mai fatto paura, essendo sempre circondata da persone, ma, mai come in quel momento, si rese conto di essere sola in mezzo a tanta gente, di essere un’anima in bilico sul filo di una lama sottile.

Una piccola, trasparente stilla d’acqua cadde dall’occhio destro, infrangendosi contro le sue mani strette a pugno. In poco tempo si ritrovò a singhiozzare, nel buio della sera e nel silenzio della casa addormentata.



L'Angolo della Sadica:
Allora come prima cosa: un grazie a Ema (
Guitarist_Inside) nel sostenermi, nel commentare, nell'essere mia amica e un sacco di altre cose... Grazie mille!
Un altro grazie speciale ai lettori silenziosi! Spero che un giorno io possa sentire la vostra voce ;)
Ebbene, siccome oggi, sono in vena di sproloqui e min**** farò le mie solite domande (forse) retoriche... Naaaah! Ultimamente sono in vena di riassunti velenosi XD
Allora... La scena si apre con le pagine del diario di Elizabeth, un tizio misterioso le manda una lettera e le dice che Elisewin è in pericolo... Bella roba! Ah, e poi le rivela a cuor leggero il nome della sorella: Butterfly. Viva la delicatezza. Ma tant'è.
Sora sussulta, sia per la rivelazione (ci voleva un'arca di scienza per capirlo) che per la finestra che si spalanca di colpo, ovviamente un'avvenimento messo così a caso U.U
Sempre a caso lei inizia a pensare al suo passato e scopriamo che ha vissuto in un orfanatrofio, dove tutti la prendevano in giro ma dove un ragazzino gli ha fatto imparare la verità delle verità: fregarsene degli altri e punirli in modo mooooooolto crudele U.U Ovviamente i due si devono separare perché una coppia di misericordiosi (credo un frate e una suora) adottano il bambino (sicuramente per sfruttarlo nelle miniere di carbone e diamante).
Quando Sora viene adottata da Emy (santa ragazza che ancora non so se è una parente parente o se deve un favore ai genitori di lei... bah) dopo qualche anno, quando inizia la fase adolescenziale, la chiama Williams, il bast*** di turno, che la minaccia di non farle più vedere i genitori se lei non avesse fatto Butterfly. Lei ricorda che si calma solo all'arrivo di Felix (che a proposito, sono passati due giorni e lui ancora non ha chiamato, tsé, il solito da una notte e via) ma ora che lui non c'è si sente taaaanto depressa... Diamole qualche barbie e una casetta delle bambole con cui giocare.....
Ok, finito riassunto acidello e vi saluto.
Ciao a tutti *muove la testa a ritmo di Kick in the teeth*
Sadako Kurokawa

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Capitolo 9
*** Dal diario di Elizabeth – I due innamorati ~ La chiamata di Felix ***


Non seppi niente su Elisewin per un anno intero, o per lo meno, in modo diretto. Si vociferava in continuazione della donna travestita che si faceva chiamare ‘Butterfly’, e quasi stentavo a credere che mia sorella avesse compiuto atti del genere, perché ella ormai non si limitava più solamente a rubare: uccideva.
Questo lo seppi da una serva che spettegolava in cortile, incurante delle orecchie indiscrete.
Dovevo sapere se era la verità.
Per un lungo periodo cercai di scoprire cosa stesse tramando l’organizzazione, senza successo, per poi passare alla ricerca della misteriosa voce; anche questa andò male.
Poi un giorno, trovai una lettera davanti alla porta della mia camera. Dava appuntamento nello stesso giardino e alla stessa ora della prima volta che ne ricevetti una.
Mi recai lì e attesi come l’ultima volta. La voce si fece sentire dietro un albero, mi avvicinai e mi appoggiai al tronco, chiudendo gli occhi e assaporando la brezza estiva carezzarmi i capelli, unita alla voce bassa dell’altra persona; non c’erano più dubbi sul fatto che fosse un uomo.
Egli mi riferì ciò che avevo scoperto in quei mesi, ma una sola domanda mi premeva fare:
«Elisewin ha ucciso?»
«
»
Sussultai a quel semplice monosillabo, sentendo una fitta al cuore e lo stomaco attorcigliarsi.
Elisewin ha ucciso. Mia sorella non l’avrebbe mai fatto. Perché?
«Perché?»
«L’organizzazione gliel’ha ordinato. Doveva uccidere per recuperare un oggetto»
«Ma perché?! Cosa vuole Sunset per farla rubare e uccidere?!»
«Non lo so con certezza. Informazioni, probabilmente, su un qualcosa custodito in una grotta»
Pensai immediatamente al racconto di Elisewin della sera della sua nomina, quello sullo strano e particolare arazzo.
«Riguarda forse una grotta, dove all’interno vi è un altare in mezzo a due cascate?»

«Come fate a saperlo?» chiese allarmato l’uomo, muovendosi irrequieto e rompendo un ramoscello a terra.
«Me ne parlò Elisewin la sera della sua nomina da ladra»
«Dovete tenere questa cosa segreta. Se si venisse a sapere che Elisewin Vi ha parlato di Quella stanza verreste entrambe immediatamente giustiziate»
«Giustiziate?» sussurrai, con un filo di voce. La testa mi girò, persi l’equilibrio e per poco non caddi, se non fosse stato per un braccio muscoloso che mi afferrò prontamente da dietro. Feci per voltarmi, incuriosita, ma egli mi intimò di non muovermi, tenendomi gli occhi chiusi con la sua grande mano guantata: non voleva essere visto in volto. Ma il suo odore mi era familiare.
«Chi siete?» mi venne da sussurrare, mentre egli mi rimetteva in piedi. Provai un brivido lungo la schiena per il tepore che quella pelle mi trasmetteva.
«Una persona fidata»
«Vi conosco?»
«Direttamente no»
«Perché mi state dicendo tutto questo su Elisewin?»
«Siete sua sorella, avete bisogno di essere tenuta informata; e poi voglio aiutarvi»
«Aiutarmi? Come? Perché?»
L’uomo ridacchiò lievemente vicino al mio orecchio, ancora abbracciato a me, tenendomi ferma per impedirmi di vedere il suo volto a tradimento. Provai un altro brivido.
«Il perché mi sembra ovvio, non credete?»
«Non così tanto, se te l’ho chiesto» sbottai, inviperita, passando dal Voi al Tu.
Egli rise ancora, più forte questa volta, rafforzando la presa sulla mia vita. Cercai di ricompormi, riprendendo compostezza.
«Siete davvero molto divertente, Elizabeth»
«E voi abbastanza fastidioso, Mr. Mistero»
«Mr. Mistero?»
«Non volete dirmi il vostro nome, così mi sono adeguata, trovandovi un nome che vi calzi a pennello»
«Su questo non posso darvi torto»
«Ora potete anche lasciarmi andare. Vi prometto che non cercherò di sbirciare»
«Di questo ne sono sicuro, visto che me ne debbo andare. Fareste meglio a tornare nelle vostre stanze»
«Avete ragione» dissi, facendo un passo in avanti, per allontanarmi.
«Ah, un’ultima cosa, Elizabeth» disse la voce dell’uomo, ormai già un po’ distante.
Mi fermai. «Ditemi»
«Osservate i due innamorati. L’amore sta sbocciando»
«Cosa?» chiesi, sconcertata. Cosa voleva dire?
Non ricevendo risposta mi voltai, vidi lontano un mantello da viaggio nero svolazzare a ogni passo del possessore. Ripresi a camminare, preservando nella mia mente l’immagine di quelle spalle possenti, osservate da lontano.

Il giorno dopo prestai attenzione alla gente che passava per il cortile, cercando di scorgere i “due innamorati” che Mistero mi aveva indicato.
Ma non avevo capito comunque cosa intendesse dire.
Molta gente mancava, mandate in missione di ricerca o di recupero e molte serve e scrivani non avevano nulla da fare.
Stavo facendo un giro per il campo di addestramento, nell’arena c’era Axel impegnato in un combattimento contro un energumeno. Provai un attimo di terrore quando la spada dell’omaccio si abbassò minacciosa sulla testa del giovane, ma tirai un sospiro di sollievo quando il moro parò il colpo e con un movimento circolare disarmava l’avversario. Mi avvicinai per fargli le mie congratulazione quando mi accorsi che, con il respiro affannato dalla lotta, cercava qualcuno.
Guadai a mia volta intorno e istintivamente alzai la testa, puntando lo sguardo sulle finestre. Intravidi un’ombra, una figura femminile, nella sezione per i ladri, guardare verso l’arena. Aguzzai la vista e riconobbi il volto e il sorriso, un po’ triste e malinconico, di Elisewin. Riabbassai lo sguardo sull’arena e vidi Axel guardare in su, incrociando lo sguardo con quello di lei. Egli sorrise strafottente e alzando la spada al cielo la invitò silenziosamente a scendere e a combattere contro di lui.
Compresi finalmente chi intendesse l’uomo del Mistero con i due innamorati. Chissà da quanto andava avanti.
Con un pizzico di soddisfazione mi allontanai fischiettando.
L’amore ERA sbocciato.

 

Sora sorrise. Se lo aspettava, o meglio ci sperava. Sperava anche che Elizabeth si innamorasse del signor Mistero, in fondo era già su un buon punto.
La rossa chiuse il quaderno e guardò il calendario. Mancavano tre giorni alla festa di Williams; si era già procurata un invito falso e il vestito da indossare. Ma Felix non aveva ancora chiamato. Quando l’avrebbe fatto? Quel sabato pomeriggio?
Frustrata si alzò dal letto e incominciò a camminare per la stanza. Si mangiucchiò una pellicina del pollice destro, nervosa. Provò a mettere su della buona musica, l’unico metodo che riusciva a calmarla in attimi come quelli, ma ebbe l’effetto contrario: si innervosì ulteriormente e le venne un terribile mal di testa.
Si sedette sul bordo del letto, si afferrò la testa e prese grandi respiri, cercando di calmarsi. Rabbrividì un attimo, e sconvolta se ne chiese il motivo.
Qualcosa cadde con un piccolo tonfo vicino ai suoi piedi: il diario. Lo raccolse e lo sfogliò velocemente. Non mancavano molte pagine leggibili alla fine del quaderno.
Ancora una volta si chiese il motivo per cui Felix le aveva affidato quel diario, raccomandandosi di leggerlo assolutamente.
Quali informazioni avrebbe trovato utile in quei fogli ingialliti?
Aveva finalmente capito chi era la sua antenata, aveva scoperto che uccideva addirittura per entrare in possesso di determinati oggetti; con un brivido si rese conto che sarebbe potuto capitare anche a lei di uccidere. Ma a cosa le sarebbe stato utile sapere tutto ciò? Oramai sapeva da un bel po’ che Williams era un uomo malvagio, pronto a distruggere tutti e tutto per ottenere ciò che desiderava. Ma ancora una volta c’era un interrogativo. Williams cosa desiderava? Potere? Denaro? Cosa?
Abbandonò il diario per riprendersi tra le mani la testa dolorante; a lungo andare sarebbe impazzita.
«Maledizione» sussurrò, digrignando i denti.
Scese in cucina per prendere una medicina contro il mal di testa, sentendo il sangue pulsare sulle tempie dolorosamente. Prese un’aspirina e poggiò il bicchiere, ormai svuotato, nel lavello. Si sedette e si curvò in avanti, appoggiando le braccia sul tavolo e sopra di esse la testa; dopo un paio di minuti la medicina iniziò a fare effetto.
Il telefono squillò, facendola sobbalzare per la milionesima volta in quella settimana. Corse a prendere la cornetta e rispose: «Pronto?»
«Ciao, Sora» disse una voce maschile, calda e familiare, dall’altra parte dell’apparecchio.
Il suo cuore perse un battito prima di iniziare una folle corsa; le nacque spontaneo un sorriso. «Felix! Come stai? Dove sei? Perché non hai chiamato prima? Sai che mi hai fatto preoccupare vero? Anche Emy e Mike sono preoccupati; Kristen ha ironizzato che sei scappato con qualche pollastrella che hai messo incinta, ed è molto arrabbiata con te» disse tutto d’un fiato, travolgendolo con quel mare di parole.
«Calma, calma» disse lui ridacchiando. «Io sto bene. Scusami per non aver chiamato prima ma sono stato occupato. Davvero Kristen ha detto così? Quella è tutta pazza»
«Lo puoi ben dire! Quando la mattina dopo non ti ha visto è sbroccata perché le dovevi fare qualcosa al computer o qualcosa del genere, poi ha diffuso la voce che hai messo incinta una ragazza e che sei scappato con lei. In un’altra versione diceva che sei scappato da lei»
«Grande, quindi al ritorno mi troverò a essere padre all’improvviso! Che bellissimo regalo» ironizzò lui e Sora poté immaginarsi che alzava gli occhi al cielo; rise all’idea.
«Sora» richiamò la sua attenzione Felix, «non ho molto tempo. Ti ho chiamata per avvertirti che stavo bene e che ci incontreremo alla festa di Williams»
«A proposito di Williams, avrei alcune domande da farti»
«Se posso ti risponderò»
«Promettilo» disse Sora, in un tono autorevole con un pizzico di supplica.
«Non posso…»
La rossa sospirò e decise di accontentarsi. «Che cosa vuole Williams da me? Cioè, perché mi fa rubare oggetti preziosi facendomi recitare la parte di una ladra morta secoli prima? Che cosa vuole ottenere? Perché mi hai dato il diario? Perché devo leggerlo fino in fondo?»
«Calma, calma. Una domanda alla volta. Cavolo, non mi basta nemmeno un taccuino intero per scrivermi tutte le domande che mi hai fatto»
«Smettila di sfottermi e rispondi»
«Uhm, vediamo… Non so cosa voglia Williams da te, ma so cosa vuole dai tuoi genitori»
Sora rimase un attimo sorpresa, non si aspettava che Felix avesse questo tipo di informazioni; quindi, trepidante, gli chiese di continuare.
«I tuoi genitori sono i suoi ricercatori personali. Come ben sai tua madre ha studiato archeologia mentre tuo padre lingue antiche. Williams ha rinvenuto un manoscritto antico e con una traduzione rudimentale ha capito che l’incisione parlava di un luogo nascosto e portatore di fortuna e potere»
«Quindi ha rapito i miei genitori cosicché lavorassero per lui?» chiese furiosa, stringendo la mano tanto da far sbiancare le nocche.
«Esatto»
«Sai cosa vuole ottenere? Perché deve andare in quel posto?» le venne un attimo da ridere, pensando al doppio senso di quella frase.
Felix sospirò dall’altra parte del telefono, e ancora una volta le sembrò di trovarselo di fronte a scompigliarsi i capelli sconfortato o esausto. «La risposta dovresti trovarla nel diario, per questo devi leggerlo fino in fondo»
Ci fu un lungo silenzio.
«Felix… Come fai a sapere tutte queste cose?»
«Io…Uhm…» borbottò a disagio il ragazzo. «Io faccio, diciamo, da intermediario»
«Da intermediario?» chiese conferma, stupita. «Con chi? Chi ti ha detto di darmi il diario?»
«Ora devo andare, Sora»
«Cosa?! No, Felix, non puoi lasciarmi così!»
«Invece devo, scusami Sora. Ci vedremo alla festa, sabato sera»
«No, aspetta, Felix!»
«Scusami, Sora, ma proprio non posso fermarmi» disse il ragazzo con voce nervosa; in sottofondo si udì il rumore di un motore farsi sempre più vicino. «Ora devo andare, Sora. Stammi bene»
Felix riattaccò senza aspettare una sua risposta e Sora iniziò a provare una grande paura. E se lo stavano inseguendo? Scacciò immediatamente quel pensiero, avendo paura, in quel momento più che mai, della sua immaginazione.
Posò la cornetta, che teneva ancora saldamente attaccata all’orecchio, e andò a sedersi al tavolo della cucina, avvertendo le gambe tremolanti e pronte a cedere.
A un certo punto trovò stupido perder tempo sulla storia d’amore di Elizabeth e sua sorella e volle proseguire. Risalì in camera, percorrendo le scale a due a due con un’ansia sempre maggiore. Afferrò il quaderno e si buttò a letto; iniziò a sfogliare frenetica le pagine ingiallite e fragili, fino a giungere in un punto più avanti della storia. Non voleva più perdere tempo e se ne infischiava se avesse perso un punto importante della storia, sarebbe tornata indietro se lo avesse ritenuto opportuno.


Qualche giorno dopo ricevetti la solita lettera da parte di Mr. Mistero, come ogni volta mi veniva da sorridere e a quel tempo ero giovane e immatura, non riuscivo ancora a riconoscere gli effetti dell’amore su di me. A quel tempo ancora non sapevo il suo nome, ma ero, e sono anche adesso, certa di star provando qualcosa di più forte di semplice riconoscenza e amicizia nei confronti di quell’uomo misterioso.
Ritornando alla lettera, quel giorno le sue notizie erano scarne e per niente piacevoli. La prima cosa che volli fare fu quella di buttarmi a terra a piangere e pregare; la seconda, quando mi tornò la ragione, fu quella di chiedere aiuto ad Axel.
Chi meglio di lui poteva intervenire per salvare la situazione? Per salvare Elisewin?
Io no di certo, ero troppo debole e spaventata per poter agire, sebbene cercassi di darmi forza pensando che mia sorella stava affrontando quella cosa da sola.
Corsi da Axel, curandomi poco degli sguardi delle altre ragazze, e raggiunsi presto la sua camera. Era davvero disdicevole che una giovane ragazza andasse nei dormitori maschili, ma ancora una volta me ne curai poco.
Bussai con insistenza finché non mi venne ad aprire, mostrando un’espressione chiaramente sorpresa. Se non fossi stata così sconvolta gli avrei riso in faccia.
Lo guardai tremando aprendo e chiudendo la bocca, spaventata. Le parole che poco prima mi avevano affollato la mente ora erano fuggite via, lasciandomi la testa vuota e la bocca arida.
«Elizabeth, cosa c’è? Cosa vi turba?» mi chiese gentile come ormai non lo era da tanto tempo.
Il mio cuore si gonfiò di sollievo, riconoscendo Axel come il ragazzino che vidi crescere insieme a Elisewin; tuttavia non riuscì lo stesso a pronunciar parola.
Lui si accorse del pezzo di carta che stringevo forte tra le dita tremanti e mi chiese cosa fosse; capii allora che se non riuscivo a parlare gli avrei fatto leggere la lettera.
Gliela passai tremando e lui mi invitò dentro, prestando attenzione che nessuno ci vedesse, altrimenti avremmo corso una terribile punizione. Mi fece sedere alla scrivania e mi portò un bicchiere d’acqua, che accettai più che volentieri, e lo sorseggiai lentamente, osservando l’espressione di Axel divenire sconvolta e poi impassibile quando si ricordò che c’ero anche io in camera.
«Mi addolora leggere queste notizie su vostra sorella, Elizabeth, ma perché siete corsa qui da me? E chi vi assicura che queste informazioni siano corrette?»
«Sono corsa qui da te, Axel, perché sei l’unica persona cui posso rivolgermi per chiedere aiuto» mormorai con la voce arrochita; cercai di schiarirmi la gola e dopo un paio di tentativi ci riuscii.
«Non può aiutarvi il vostro amico? Questo Mr. Mistero?»
«Posso fidarmi di lui» dissi sicura, guardandolo dritto negli occhi, «ma, purtroppo, non so come contattarlo»
«Non contate su di me, Elizabeth, io e vostra sorella abbiamo chiuso un po’ di tempo fa» disse il ragazzo, distogliendo lo sguardo e puntandolo sul muro di fianco a lui.
Quel suo comportamento mi irritò parecchio e fui tentata di tirargli uno schiaffo.
«Sai benissimo che se ne fossi in grado, sarei andata io stessa a salvare Elisewin. E’ cambiata da quando è diventata ladra, mi ha ignorato a lungo, ma io sono ancora qui a disperarmi per salvarla. E sono certissima che lo avrebbe fatto anche lei!» sbottai, alzandomi di scatto dalla sedia e guardandolo come una dragonessa che doveva difendere i propri cuccioli.
«Mi dispiace Elizabeth, ma credo che vostra sorella a questo punto sappia difendersi da sola. In fondo,
ha già ucciso»
Non mi trattenni più: gli tirai uno schiaffo. Lo guardai toccarsi stupito la guancia colpita, con le lacrime che iniziavano a salirmi agli occhi.
«Mia sorella ha un nome: Elisewin. Se non vuoi aiutarla a me sta bene, ma non ti permettere mai più di pronunciare quelle parole»
Axel sorrise sprezzante. «Quindi il vostro amico non vi ha avvertito che vostra… Elisewin» pronunciò il suo nome con tale amarezza che mi fece pentire per un attimo di averglielo fatto pronunciare, ma solo per un attimo; «ha ucciso per rubare»
«Ne ero a conoscenza» risposi, asciugandomi frettolosamente le lacrime che mi scorrevano sul volto.
«Ne eri a conoscenza e stai cercando lo stesso di aiutarla?» chiese stupito.
Non badai a come a un tratto ha iniziato a parlarmi confidenzialmente, ormai abituata, anzi rassicurata da quel ritorno di confidenza, e annuii.
«Comunque, non posso farci nulla» riprese brusco il ragazzo.
«Axel, pensaci, ti prego. Almeno promettimi di pensarci» lo supplicai un’ultima volta prima di uscire dalla stanza.

 
«Sora?» chiamò ad alta voce Emy, salendo le scale.
«Sì? Dimmi!» rispose Sora, dopo un attimo in cui il suo cuore era quasi schizzato dal petto per la paura. Nascose velocemente il diario, non sapendo nemmeno lei per quale motivo.
«Meno male! Credevo non ci fossi»
«No, scusami, ero assorta nel leggere un libro. Comunque dimmi»
«Oh, nulla, volevo sapere se avevi mangiato»
«Sì, non ti preoccupare»
Emy sorrise e allungò una mano per accarezzarle la testa, affettuosamente. «Non ti sforzare, va bene? Vedrai che si risolverà tutto»
Sora annuì, più per mandarla via in fretta, che per reale convinzione. Il diario, sotto le sue dita, sembrava scottare come se la invogliasse a leggere ancora.
«Va bene, piccola. Allora buona notte. Non fare troppo tardi, ti raccomando»
«Sì, va bene. ‘Notte, sogni d’oro»
Solo in un secondo momento Sora si rese conto di quello che le aveva detto la giovane. Un’ipotesi le nacque, ma la scacciò quasi subito. Stava seriamente impazzendo. Iniziava anche a credere che in quella casa tutti sapessero molto più di lei riguardo alla faccenda di Butterfly.
Prese in mano il quaderno e lo osservò con aria sconfortata.
«Cosa vuoi dirmi? Cosa state cercando di dirmi tutti quanti?» mormorò, rannicchiandosi su se stessa.







L'Angolo della Sadica:
Bentrovati a tutti coloro che continuano a seguire questa storia, nonostante i numerosi ritardi, soprattutto quest'ultimo.
La colpa è mia, è sempre e solo mia XD
Spero vivamente di star leggendo la data sbagliata, perché se l'ultimo capitolo l'ho veramente pubblicato il 3 gennaio dell'anno scorso (2013) beh... Ehm... *fischietta con aria innocente, guardando da tutt'altra parte*
Ma sarò sincera con voi cari lettori: non sono soddisfatta di come sta proseguendo questa storia. L'adoro, l'amo perché è pur sempre la prima storia che ho scritto, a cui ho dedicato tutto il cuore, ma da quando ho inserito questo maledetto diario sembra andare tutto male... Mi passa anche la voglia di scrivere ogni volta che prendo la pagina di word.
Me ne sto pentendo molto amaramente, ma ormai non si può tornare indietro e farò tutto il possibile per togliermelo il più velocemente possibile (e in modo anche che non possiate accorgervene, spero) 'sto coso maledetto... Mannaggia a me! Non potevo trovare un altro preteso per far sapere le cose a Sora? *si lamenta come una bambina*
Vi prometto che farò il possibile per aggiornare quest'anno... E spero anche questo mese XD
Ora passiamo alle cose veramente importanti: un grande ringraziamento alla carissima Emuccia (
Guitarist_Inside) che come al solito mi dà sempre la carica e la voglia di continuare la storia sebbene i miei disasostri approcci con questa XD
Ringrazio anche i lettori silenziosi, e quelli che sono timidi e non fanno ancora sentire la loro voce (vi prego, datemi un parere ç__ç anche solo per dirmi che sono una Ssssssssssadica che vi lascia sempre in sospeso ç___ç)
Spero a presto :)
Sadako Kurokawa

 

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Capitolo 10
*** Dal diario di Elizabeth – Leggenda o realtà? ~ Il tunnel ***


Sora si svegliò di buon’ora quel giorno. Deboli raggi di sole filtravano dalle imposte socchiuse e per un attimo si dimenticò gli ultimi due giorni passati in camera a fare ricerche.
La rossa aveva scoperto che l’organizzazione Sunset aveva mandato al suicidio Elisewin, affinché recuperasse un oggetto antico e dai mistici e misteriosi poteri. Elizabeth era riuscita a convincere Axel ad aiutarla a salvare la sorella ed era a un passo dallo scoprire la reale identità di Mr. Mistero.
Si alzò per spalancare la finestra e far entrare finalmente aria di primavera. Quell’aria frizzantina e piena di profumi di fiori diversi, carica anche dei primi odori dell’estate. Si rimise sdraiata respirando a pieni polmoni il venticello che entrava portando freschezza e il profumo di rugiada. Volse, quindi, lo sguardo sul comodino ove stava il quaderno che la richiamava silenzioso e ingombrante nel suo piccolo. Lo afferrò e si mise sdraiata comoda, pronta a immergersi in emozioni non sue, ma reali.
 
Non mi importava di morire, sarei andata anche all’inferno pur di salvare la mia amata sorellina, e il luogo in cui ci avventurammo non era molto diverso da quello.
La località in cui ci dovevamo recare era molto distante dalla sede dell’organizzazione e riuscimmo a rubare tre cavalli.
Siamo fuggiti di notte, Axel alla mia sinistra, Mr. Mistero alla mia destra.
Dovevamo seguire a debita distanza Elisewin, inoltrata nel bosco con un cavallo e una lanterna. Inconsapevolmente ci stava facendo sia da guida sia da luce.
Proseguimmo per ore. Il terreno si faceva sempre più umido e i cavalli faticavano ad avanzare senza affaticarsi. Le prime luci dell’alba spuntarono dietro grossi nuvoloni carichi di pioggia, i quali non presagivano niente di buono.
«Dovremmo muoverci se non vogliamo prendere in pieno l’acquazzone» disse Mr. Mistero.
«Perderemo di vista Elisewin così» replicò Axel, scoccando un’occhiataccia all’uomo.
«Fidati, ragazzino, è meglio non essere all’aperto con un acquazzone del genere. Elisewin avrà pensato lo stesso e si sarà messa al riparo»
«Con quanta confidenza ti rivolgi a lei» sputò rabbioso il giovane, fermando bruscamente il cavallo.
Lo guardai preoccupata e sperai con tutto il cuore che non volesse abbandonarci proprio in quel momento.
«Lì c’è una rientranza. Possiamo fermarci lì per il momento» disse invece.
«Forza Elizabeth. Resistete un altro po’ e potremmo finalmente fare una pausa» mormorò Mr. Mistero passandomi a fianco, ben attento a non farsi vedere il volto da sotto il cappuccio.
«Sì, non preoccupatevi per me. Ce la faccio ancora. Quello che mi preoccupa è perdere di vista Elisewin»
«Di quello non preoccupatevi. Ora pensate a riposarvi e basta»
Entrambi ci fermammo e Mr. Mistero mi aiutò a smontare da cavallo. Non potei negare che internamente ne fui felice. Non ero abituata a tutte quelle ore a cavalcare.
Lasciai che del mio cavallo se ne occupasse Mr. Mistero, mentre prendevo coperte per tutti e tre e mi rifugiavo sotto una di esse, tremando per il freddo.
«Riprenderemo non appena smette di piovere» annunciò Axel, scrollandosi di dosso le prime gocce d’acqua.
Dopo un po’ di tempo iniziai a sentire la stanchezza del viaggio e della notte in bianco trascorsa e mi addormentai.
«Come mai viaggi con lei?» sentì dire da una voce indistinta.
«Per lo stesso motivo per cui tu vuoi salvarla» rispose un’altra voce.
Non riuscivo a capire chi stesse parlando. Avevo le palpebre troppo pesanti per riuscire ad aprirle e sbirciare. Ero anche troppo stanca per provare a concentrarmi e non ne avevo nemmeno la voglia. Così lasciai perdere e caddi in un sonno tormentato dagli incubi.
Nella mia testa vorticava in continuazione l’ultima sera in cui parlai a Elisewin.
Se non le avessi detto che quel racconto era solamente un mito avrebbe continuato a parlarmi? O forse è stata proprio Sunset a costringerla a ignorarmi?
Fui svegliata dopo quelli che mi sembrarono pochi minuti, ma dalla poca luce che filtrava tra i nuvoloni capii fosse passata da molto l’ora del pranzo.
Mi misi a sedere, stropicciandomi gli occhi, insonnolita. Ero sola nella grotta e questo mi spaventò molto. Mi precipitai fuori e trovai tutti e tre i cavalli ancora legati, tirai un sospiro di sollievo: non li avrei mai perdonati se mi avessero lasciato indietro, andando a salvare da soli Elisewin.
Ritornai dentro e raccolsi velocemente le coperte, ripiegandole e posandole nelle sacche legate alle selli degli animali.
Mr. Mistero e Axel tornarono poco dopo con in mano pesci e rami. Il primo si mise a sistemare la legna per accendere un fuoco, mentre io e il più giovane pulimmo il pesce per cuocerlo.
Ci rifocillammo e rimanemmo un attimo in silenzio a osservare il fuoco morire sotto la cenere.
«Dovremo muoverci se volete raggiungere Elisewin» ci disse Mr. Mistero.
Ci alzammo di scatto e Axel sciolse velocemente la briglia legata a un ramo di un albero, salendo in un fluido movimento in sella. Io ci impiegai più tempo, per niente pratica e totalmente terrorizzata dagli occhi scurissimi del cavallo che teneva puntati di fronte a sé. Eppure mi sentivo scrutare con insistenza. Mi voltai quindi verso l’uomo misterioso, ma egli era intento a far perdere le nostre tracce, cancellando i segni del focolare.
«Forza, Elizabeth, è meglio muoversi prima che perdiamo ulteriore terreno su vostra sorella» la esortò Axel, puntando dall’alto il suo sguardo su di me.
«Sì, certamente» dissi, osservando con occhio critico il cavallo. Mi aggrappai al pomolo della sella, poggiai il piede sulla staffa e cercai di issarmi, ma ogni volta la spinta che mi davo non sembrava sufficiente. Mi sentii prendere da due mani grandi e calde la vita e mi ritrovai in sella. Arrossii, guardando riconoscente Mr. Mistero che ricambiò con un piccolo sorriso accennato da sotto la maschera in pelle che indossava. Un giorno avrei scoperto chi si celava dietro quel pezzo di stoffa.
Dopo molte ore di viaggio finalmente scorgemmo il cavallo di mia sorella. Elisewin ci guidò fino a una scogliera frastagliata, alla cui base vi era un lago.
Sussultai nel riconoscere il luogo in cui si stava dirigendo la ladra: l’Antro del Diavolo.



Secondo una leggenda Sant’Elia giunse da una terra lontana in quel luogo che chiamò Aulinas* per sottoporsi a una severa penitenza e per fondare un monastero. Lì, il santo si dedicò alla preghiera, vivendo di semplici erbe reperibili dal bosco circostante. Il Demonio volle piegare quell’uomo fedele e fece cadere una pioggia di monete di oro e d’argento, che tuttavia furono buttate nelle acque del lago, e divennero nere come il carbone.
La seconda tentazione del Diavolo fu una tavola imbandita di ogni prelibatezza. Il poverello, quindi, si impose una rigida disciplina e ignorò le leccornie presenti poco fuori la grotta in cui si era rifugiato.
Il Demonio, imperterrito, si tramutò in una splendida fanciulla e cercò di indurre in tentazione il Santo, il quale, però, riconobbe la malvagità negli occhi della giovane e la scacciò immediatamente. Il Diavolo allora, furibondo per non aver piegato quell’uomo così fedele, rivelò la sua vera natura: aprì le maestose ali membranose e nere e spiccò un balzo, per poi aggredire il poverello. Sant’Elia si difese con l’unico mezzo che conosceva: la fede.
A quel punto Satana ruggì furibondo e si fiondò sulla parete oltre le spalle dell’uomo, sparendo oltre e lasciandovi solamente l’impronta del suo volto animalesco e dei suoi artigli.

Rabbrividì nel ricordare quella leggenda e mi colse un brutto presentimento. Ebbi paura che Elisewin si fosse invischiata in qualcosa di molto più grande e che l’avrebbe portata a morte certa.
«Sto soffrendo di allucinazioni, non è vero? Non sta certamente entrando nell’Antro del Diavolo!» gemetti, sapendo già la risposta; chiusi gli occhi, non volendo vedere.
«Mi dispiace arrecarvi questa delusione Elizabeth, ma sta entrando esattamente lì dentro»
«E noi la dobbiamo seguire, giusto?»
«Sì, Elizabeth. Ora sono proprio curioso di sapere cosa deve recuperare di talmente importante Elisewin» rispose Axel, riprendendo a trottare per avvicinarsi a quel punto.
«Se volete, potete rimanere qui fuori, ma non ve lo consiglio» disse Mr.Mistero.
«Perché?» chiesi terrorizzata, stringendo forte le briglie.
«Potrebbero arrivare banditi o animali pericolosi. E’ meglio non dividersi, Elizabeth. Non Vi dovete preoccupare, ci saremo io e Axel a proteggervi»
Annuii d’accordo e ripresi a trottare, subito affiancata dall’uomo misterioso.
Avrei mai saputo chi fosse?

 
Sora alzò la testa di scatto: un pensiero le vorticava in mente, senza sosta.
Aveva già sentito quel nome, l’Antro del Diavolo, e anche la leggenda non le era sconosciuta.
Accese il computer, che si avviò con un ronzio e una lentezza esasperante per i suoi nervi a fior di pelle. Avviò il browser di ricerca e mise le parole chiavi; dopo qualche minuto le apparve dinanzi gli occhi una pagina piena di risultati.
Un nome in particolare attirò la sua attenzione: il nome di una città distante qualche ora di macchina dalla sua.
Il suo cuore perse un battito per poi iniziare una folle corsa nella cassa toracica. Per un attimo credette che potesse balzare fuori dal petto e mettersi a ballare sulla scrivania.
Scacciò quel pensiero stupido e cercò altre informazioni, prendendo nota di dove si trovasse quella scogliera.
Era forse questo il luogo in cui doveva andare Williams? C’era qualcosa lì dentro che lui desiderava ardentemente?
No, non poteva essere. Quello era un luogo aperto al pubblico, se ci fosse stato qualcosa di lontanamente prezioso l’avrebbero protetto.
Forse iniziava a comprendere il perché le avessero dato il diario. Forse c’era qualcosa tra quelle pagine che viveva ancora nel suo presente.
La ragazza si allontanò di scatto dalla scrivania, tremando vistosamente. Quello che le suggerì la mente la stava terrorizzando più di tutto il resto. Lanciò un’occhiata angosciata al diario aperto sul letto. E provò una viscerale paura.
Sentiva che se avesse proseguito nella lettura le sue certezze, le sue convinzioni sarebbero crollate una a una, come un castello di carte.
Prese una grande boccata d’aria, cercando di calmare il respiro accelerato; si sedette sul bordo del letto e strinse le mani, con forza, per infondersi coraggio.
Se solo ci fosse stato Felix. Se solo qualcuno le avesse detto chiaramente il perché di tutto ciò.
E provò un profondo odio verso Williams, verso quel maledetto diario e verso Felix, che sembrava sapere più di lei e non le aveva mai detto qualcosa.
Era frustata: troppi misteri, troppe domande. Aveva bisogno di risposte, di certezze. Aveva bisogno di sfogarsi, di urlare, ma non poteva.
Prese il diario e lo ficcò in una borsa a tracolla, scese velocemente le scale e prese le chiavi sul tavolino vicino alla porta. Urlò un «Sto uscendo» e si chiuse il portone alle spalle.
Cominciò a camminare, vagando per il quartiere, per qualsiasi fosse il luogo in cui la portavano i propri piedi. Si fermò improvvisamente, voltandosi verso la sua destra, di fronte a un negozio di abbigliamento. Ma Sora non guardava i vestiti, osservava piuttosto il proprio riflesso: non credeva che la ragazza dall’aria distrutta, sconvolta che la fissava con la bocca socchiusa e gli occhi spalancati fosse proprio lei.
Indietreggiò di un passo: non poteva essere lei quella ragazza. Non voleva credere che i suoi occhi non brillassero più di vitalità, ma solamente di rassegnata arrendevolezza. Aveva smesso di lottare e non se n’era accorta; aveva ceduto alle minacce di Williams senza accorgersene; aveva smesso di sperare ed era lentamente morta.
Iniziava a credere di star lottando da tanto, troppo tempo per non aver iniziato a combattere più per abitudine che per vero desiderio di libertà.
Da quanto continuava questa situazione? Da quanto tempo si sentiva così persa, così sconfitta?
Si fermò con il fiatone e le gambe che tremavano. Non si era nemmeno accorta di aver iniziato a correre e di essersi scontrata con alcuni passanti. Non si guardò nemmeno attorno e scoppiò a piangere disperatamente, piegandosi su sé stessa e abbracciandosi le gambe al petto.
Le persone passavano, le lanciavano un’occhiata curiosa, dubbiosa ed esitavano, chiedendosi se dovessero fermarsi a consolare quello scricciolo disperato.
Dopo un periodo che parve lunghissimo, tirò su col naso e cercò di asciugarsi gli occhi con le mani; cercò frenetica un pacco di fazzoletti nella borsa, ma incontrò solamente la copertina rigida del diario.
Ritirò il braccio, come se si fosse scottata e le sembrò di impazzire per il mal di testa martellante e per il peso che quel semplice quaderno sembrava buttare sulle sue povere spalle.
Si tirò su, e cercò un posto appartato e silenzioso per poter leggere in santa pace.
Trovò un piccolo parco e cercò una panchina isolata; si sedette e prese un profondo respiro, per poi incominciare a leggere.
 
Entrammo guardinghi e percorremmo un tratto orizzontalmente, per poi seguire il pendio naturale della grotta. Man mano che mettevamo sempre più distanza dall’entrata, cresceva in me un senso di angoscia. Il buio s’infittiva e dovemmo utilizzare una delle lanterne per illuminare il sentiero, dovendo però mantenere una maggior distanza da Elisewin per non essere traditi dalla nostra luce.
Quando però giungemmo a un bivio ebbi paura di aver perso le tracce di mia sorella.
«Non temete, Elizabeth, ho ragione di credere che vostra sorella si sia inoltrata nel sentiero a sinistra, quello che scende nelle profondità della grotta» disse, con voce cupa Mr. Mistero.
«Cosa te lo fa pensare?» scattò Axel, piazzandosi di fronte all’uomo e fronteggiandolo con lo sguardo.
«Le mie fonti, Axel, sono indiscutibilmente attendibili. Ora, se volete seguirmi non perderemmo ulteriormente terreno su Elisewin»
Mr. Mistero strappò dalle mani del giovane la lanterna e si avviò per la direzione indicata in precedenza. Intimorita lo seguii senza fiatare: quella freddezza nella sua voce mi aveva terrorizzata ed ebbi paura di non sapere chi stessi seguendo tanto ciecamente.
Una mano mi fermò, afferrandomi rudemente per il braccio e mi voltò verso di sé. Il volto di Axel alla penombra, illuminata solamente dalla fioca luce tremolante della lucerna trasportata dall’uomo, mi sembrò ancora più scuro e minaccioso, ma gli occhi sembravano esprimere ansia.
«Elizabeth» sibilò lui, prendendomi la mano sinistra e stringendola forte, quasi a farmi male.
«Axel? Elizabeth?» ci richiamò Mr. Mistero, fermandosi a una decina di metri da noi e aspettandoci.
«Arriviamo subito!» risposi, cercando di liberarmi dalla presa ferrea del ragazzo.
«Elizabeth, non devi fidarti di lui. Mai» sibilò in ultimo, lasciandomi e sospingendomi in avanti.
Ripresi a camminare a passo veloce, incespicando sul terreno irregolare, stringendo convulsamente il coltello a serramanico, il quale sembrava pesare tonnellate nella mia sudata mano. Sperai con tutto il cuore di non dover usare tale arma su Mr. Mistero, o su chiunque altro che non fosse un pezzo di pane. Mi chinai per posarlo nello stivale, a portata di mano e invisibile agli occhi di possibili nemici.
Il silenzio che scese ebbe il potere di irrigidire ulteriormente i miei muscoli e i nostri passi ritmati mi rimbombavano nelle orecchie, assordandomi; avrei voluto dire qualcosa per spezzare quella tensione, ma aprivo la bocca a vuoto, senza che alcun suono fuoriuscisse.
«Fermi»
E ci fermammo, come piccoli soldatini in attesa di nuovi ordini. Si portò un dito guantato sulle labbra, intimandoci si mantenere il silenzio e con un soffio silenzioso spense la luce. Poco dopo la mano dell’uomo afferrò il mio polso e mi trascinò delicatamente in avanti. Avanzammo così, a tentoni, in silenzio e con l’ansia che cresceva a ogni passo.
Il tempo iniziò a essere scandito da dei regolari tonfi e la lanterna di Elisewin lanciava ombre agghiaccianti sulle pareti. In una stretta curva mi sembrò di veder l’ombra di una mano sulle nostre teste e mi trattenni a fatica dall’urlare: feci un piccolo balzo all’indietro, sbattendo le spalle contro la roccia e smorzando con i miei palmi il lieve gridolino sfuggitomi.
Mr. Mistero si voltò immediatamente verso di me, allarmato da quell’improvviso rumore, seppur flebile, che avrebbe potuto farci scoprire.
Il rumore martellante smise per un paio di attimi in cui noi trattenemmo il fiato; serrai gli occhi e iniziai a pregare mentalmente il Signore Misericordioso di far riprendere mia sorella la ricerca di qualsiasi cosa l’avesse mandata Sunset a raccogliere.
Fortunatamente le mie preghiere furono accolte ed Elisewin proseguì il suo operato. Dallo stretto cunicolo passammo a uno spiazzo circolare abbastanza largo per massimo tre persone. Mi sporsi dal nostro nascondiglio e vidi mia sorella tastare con accuratezza ogni sporgenza e insenatura rocciosa, dandogli anche dei lievi colpetti, per capire se la zona era vuota o meno. Poi la vidi fermarsi dinanzi a quella che era la famosa impronta del diavolo e cercò con le sottili dita un qualcosa in profondità di ogni solco. Ringhiò lievemente quando non vi trovò nulla e sbatté il pugno vicino allo stampo della mano destra del Diavolo.
La grotta tremò, facendo sbriciolare piccole rocce e sollevando una lieve polvere che si abbatté su tutti i presenti.
«Maledizione!» urlò furibonda mia sorella e la sua voce si disperse nella zona, incamerandosi nei cunicoli e nelle deformazioni, diventando cavernosa e terrificante.
Afferrò con rabbia il cerchio in metallo della lanterna, facendola ondeggiare pericolosamente. Qualcosa brillò in una piccola nicchia in alto a sinistra, catturando la nostra attenzione. Una flebile speranza si accese in Elisewin, che cercò in tutti i modi di arrivare all’angolo della grotta, stranamente più in alto del resto del soffitto.
Lasciò andare il lume e con un’abile mossa riuscì a infilare la mano nell’insenatura e afferrare qualcosa che luccicò di un bagliore arancione-rosso. Senza esitare infilò l’oggetto misterioso in uno dei solchi, per poi spostarlo frenetico, fino a fermarsi all’occhio sinistro.
Si sentì un acuto rumore e la terra iniziò a tremare. Calcinacci ci caddero addosso, si alzò un polverone che non ci fece vedere nulla per un paio di minuti, ma si riuscì a intuire che si era aperto qualcosa dal forte suono di ingranaggio in movimento. Il mondo smise di muoversi per un secondo di troppo e con terrore notai che mia sorella era sparita.
«Elisewin!» gracchiai, spaventata, fiondandomi al centro della sala e ribellandomi con tutte le forze alla presa di Mr. Mistero.
«Si calmi, Elizabeth. Non possiamo farci scoprire proprio adesso»
«Cos’è quello squarcio nel pavimento?» chiese Axel, puntando con l’indice una voragine grande abbastanza da farci passare un uomo corpulento.
Ci avvicinammo cautamente, sporgendoci quanto bastava per cercare di vederne il fondo, ma l’oscurità impregnava il cunicolo.
«Quello che cos’è?»
Indicai una spessa lastra in pietra rinforzata da due grossi tronchi, la quale iniziò a ruotare lentamente per coprire il buco.
«Maledizione. Dobbiamo muoverci. Entrerò prima io, poi Elizabeth e poi tu Axel» pronunciò Mr. Mistero, sedendosi sul bordo e calandosi con un fluido gesto.
Dopo un tempo infinito sentimmo la voce lontana e cupa dell’uomo richiamarci. Mi sedetti sul bordo che diventava sempre più piccolo e deglutii spaventata, sentendo il vuoto sotto i piedi dondolanti.
«Forza, Elizabeth, non siate così timorosa» cercò di incoraggiarla Axel, ma il suo tono tradiva una punta di nervosismo.
«Elizabeth»
Bastò quell’unico richiamo da parte dell’uomo misterioso per spingermi a prendere una grande boccata d’aria e a lasciarmi cadere a occhi chiusi. Lanciai un piccolo grido completamente terrorizzata, sentendomi strattonare da una forza ben maggiore a quanto io avessi mai immaginato, e scivolai giù, sempre più giù, in una rete di gelida oscurità. Sfregai la schiena innumerevoli volte contro la parete, che sembrava essere inclinata e ricurva per facilitare uno scivolamento, ma il mio corpo la toccava di rado.
E quel terribile momento finì quanto mi ritrovai catapultata tra le braccia di Mr. Mistero, il quale mi afferrò prontamente prima che potessi sbattere sul terreno.
Qualche istante dopo ci raggiunse anche Axel, che ruzzolò malamente sul pavimento. Lanciò un’imprecazione che mi scandalizzò, ma su cui sorvolai, e si tirò in piedi, massaggiandosi dolorante la schiena.
«Dove ci troviamo?»
«Non lo so, ma c’è un’unica via di uscita e si trova più avanti»
«Elisewin?»
«Ha proseguito. Non ci sono vie alternative, è un tunnel»
Annuii e mi incamminai, seguita dai due. V’era fin troppo silenzio e in qualche istante, quando il terreno si faceva più morbido e attutiva i nostri passi, temevo di essere rimasta sola, ma mi bastava allungare una mano per sfiorare il polso di Mr. Mistero o di Axel per sentirmi rincuorata.
Il cunicolo sembrava infinito e l’angoscia stava strozzandomi la gola. Ci sarebbe stato un modo per tornare in superficie poi?
In lontananza iniziammo a vedere un debole bagliore, il quale, passo dopo passo, si faceva sempre più grande. Mi accorsi, una volta alla luce di una lanterna, di star sfiorando con la mano una parete rocciosa ferrosa. Una miniera, forse?
Mi guardai intorno ma non vidi binari né carrelli. Aggrottai le sopracciglia, chiedendomi in che posto ero finita. La luce mi accecò per qualche istante e quando riacquistai la vista Elisewin ci puntava rabbiosa un pugnale.

Il cuore le schizzò in gola, smorzandole il fiato e costringendola ad ansimare. Osservò orripilata il quaderno di cuoio e poi il proprio cellulare, il quale squillava in tutta la sua irritante suoneria. Senza guardare il nome sul display rispose, aspettandosi di sentire la voce di Amy o quella di Mike.
«Sora, dose sei?» chiese, appunto, la voce dolce e preoccupata di Amy.
«Al parco» rispose meccanicamente, lanciando una fugace occhiata ai dintorni. Si meravigliò di notare i lampioni accesi e l’oscurità attorno a sé.
«A quest’ora? È pericoloso! Mike» strillò preoccupata, poi si rivolse al compagno e gli bisbigliò di andare a recuperarla, tra le proteste di questo che si era finalmente messo comodo dopo una giornata stancante in ufficio. «Sora, Mike ti raggiunge tra un po’. Tu non ti muovere da lì se non per stretta necessità. Se vedi qualcuno di sospetto avvicinarsi scappa subito, ok? Mi hai sentito?»
«Sì, sì. Non ti preoccupare. È successo qualcosa?»
Che diamine, Amy non era mai stata così apprensiva nei suoi confronti. Anche quando era scappata di casa una sera ed era stata riacciuffata dalla polizia, allertata da Mike, si era preoccupata così tanto. Si era limitata a guardarla negli occhi, come se aspettasse una qualsiasi parola da lei, ma Sora era rimasta in silenzio, a sfidarla con lo sguardo. Poi la giovane donna aveva scosso la testa, aveva sospirato e le aveva carezzato la testa, per poi chiudersi in camera, mentre il suo ragazzo si occupava di parlare con gli agenti di polizia.
Effettivamente, ora che ci pensava, Amy non aveva mai detto o fatto nulla per andarle contro. Si era sempre limitata a osservarla, come se con quello sguardo riuscisse a decifrare tutti i suoi pensieri e le sue paure. Si era sempre sentita a disagio dinanzi a quelle iridi. Era più Mike quello che si preoccupava, che la rimproverava, che perdeva le staffe con lei. Questa volta sembrava essere successo proprio il contrario.
Il biondo era rilassato, magari sdraiato sul divano, per una volta senza dover litigare con Felix per il possesso di esso o del telecomando, a guardarsi una partita o una serie tv e la mora invece preoccupata a guardare costantemente l’orologio o il cellulare.
«…tando?»
Sora si riscosse. «Eh?»
«Diamine, Sora, è una cosa seria» sbottò Amy facendo strabuzzare gli occhi alla rossa. Chi era quella assatanata con la voce stridula dall’altra parte del telefono? «Ti ho detto che c’è gente pericolosa in giro, a quest’ora poi…»
Le sue parole tuttavia scemarono in un flebile borbottio indistinto. Sora fissava la figura che si stagliava dinanzi alla sua panchina e che la sovrastava. Forse condizionata dalla preoccupazione della sua tutrice, ella balzò in piedi e si allontanò di scatto, correndo un poco. Si voltò indietro, stringendo ancora l’apparecchio elettronico all’orecchio. La figura, chiaramente maschile, le stava dietro a qualche passo di distanza. Sapeva che avesse voluto l’avrebbe acciuffata subito, con quelle lunghe gambe avrebbe percorso in qualche breve falcata la distanza e poi… Già, e poi? Cosa le avrebbe fatto? La conosceva? Era forse uno degli scagnozzi di Williams?
Imprecò nella sua testa per aver sentito quell’impellente desiderio di scappare da casa propria, un desiderio che effettivamente non sentiva da molto tempo. Chiuse la chiamata, quasi senza rendersene conto. Ormai non ragionava più ed eseguiva tutto in mosse meccaniche.
Diamine, Sora, riprenditi! Non sei una ragazzina qualunque, si disse, ma era così terrorizzata da non fermarsi. Poi, improvvisamente, si bloccò. Lo sconosciuto si arrestò in tempo, rimanendo a qualche passo di distanza.
La rossa si voltò nella sua direzione e gli lanciò un’occhiata gelida.
«Chi sei? Cosa vuoi da me?»
«Solo parlare»
«E secondo te io ci credo?»
Quello si strinse nelle spalle e sogghignò. «Sei libera di credere in ciò che vuoi. Forse però, dovresti riporre meglio la tua fiducia nelle persone. Non tutti sono quello che credi»
«Chi sei?» ringhiò ella. Irrigidì le spalle e spostò il peso sulle punte dei piedi, pronta a scattare.
«Fa differenza se te lo dico o meno, Sora?»
«Come mi conosci?»
«Non sono un maniaco sessuale se è questo che ti preoccupa» sbottò, nervoso.
«La cosa non mi rassicura per niente»
«Vuoi risposte? Allora sta’ zitta e ascoltami»
Sora rimase un attimo in silenzio, corrucciando le sopracciglia, poi ghignò e scattò via. Correndo come una furia, come forse aveva fatto solo una volta nella sua vita. Questa volta non c’erano stupidi poliziotti alle sue calcagna, quell’uomo era pericoloso, lo avvertiva sulla propria pelle.
Raggiunse il cancello del parco, adocchiò un bar ancora aperto dall’altra parte della strada. Attraversò la strada e si rifugiò nel locale piccolo e accogliente. Avrebbe voluto dire al proprietario che un maniaco la inseguiva, ma le occhiate torve e le facce per niente raccomandabili delle persone che trovò lì dentro le fece desiderare di non essere mai entrata.
Mai una fortuna.







L'angolo della Sadica:
Buoncialve a tutti voi, squilibrati carissimi lettori che seguite ancora questa storia, nonostante il mio immenso ritardo...
Già... Dovrei dire qualcosa in proposito vero? Beh, non lo farò ù.ù
Non ora almeno. Prima un ringraziamento speciale a ben DUE persone. Un applauso, dai, forza. (Non vi preoccupate, ringrazio anche voi, tranquilli. Su, non siate così suscettibili. Abbassate i forconi e i fucili d'assalto... Da bravi... Bravissimi)
Le sante persone che hanno recensito (e che forse... Spero per me) e continuano a seguire questa strampalata storia senza fine, perché se continuo così la fine ci sarà solo nella mia testa. Quindi se volete sapere come finisce non potete uccidermi. Lo so che siete persone curiose, ammettetelo. Vi prego.
Siete persone curiose, vero? Vero?
Ok, va bene. Ciancio alle bande.
Ringrazio di cuore Ema (
Guitarist_Inside) per essermi sempre stata accanto, per aver sostenuto questa storia con costanza e avermi infuso quella forza e quel coraggio che in alcuni momenti mi mancavano.
Un altro grande grazie va alla carissima
Trueheart, che con un discorso molto convincente (e no, non ha usato i fucili come vorreste fare anche voi. Lei è una persona civile ù.ù), mi ha fatto capire una cosa importantissima, ma che non ripeto perché sennò voi altri vi montate la testa ù.ù
Un grazie davvero grande anche a
Voi altri, che nonostante io non mi possa nemmeno definire un'autrice (troppi ritardi, troppi errori, ecc) continuate a seguire con pazienza e spero con un pizzico di passione questa sgangherata e pazza avventura.
Come avrete notato il capitolo è abbastanza lungo. In realtà secondo i miei piani originali sarebbe dovuto essere più lungo. Molto più lungo e con molte più informazioni, ma guarda caso ho ripreso proprio oggi a riscrivere questo capitolo e... Beh, i personaggi hanno preso vita e hanno fatto tutto da sé. Non sarebbe dovuto finire così, non mi è mai nemmeno sfiorata per la testa una scena del genere, semplicemente avevo le mani sulla tastiera e sotto i miei occhi si formavano parole, periodi e infine, eccola qui! Avrete ormai capito che se ho scritto solo adesso la fine di questo capitolo (e ce l'avevo da un bel po') il prossimo capitolo lo dovrò proprio creare. Beh... Avete ragione. E avete anche ragione a temere che io mi ripresenti tra due, o tre anni con un nuovo capitolo, magari che fa anche cagare (chissà se questo vi piacerà) e mi vorrete linciare (e allora i fucili e i forconi saranno giustificati... Ma anche le mie body guard eh)...
Mi sono persa... Sì. Capitolo lungo. Una specie di scusa per tutti i mesi (è forse un anno? O forse due?) in cui non ho pubblicato niente su questa storia. Vorrei scusarmi anche con
Trueheart, cui effettivamente avevo promesso di aggiornare una settimana dopo la pubblicazione del capitolo (credo) e poi non l'ho più fatto. Scusami tantissimo!
Ma scusatemi anche voi, sono imperdonabile, lo so! Non linciatemi! Se continuerete anche solo a seguirla mi rendereste felicissima! (Se lasciaste una recensione mi squaglierei probabilmente, perciò... *occhi tenerosi de Il gatto con gli stivali*)
Perciò, chiudo quest'angolo per niente sadico con un: GRAZIE INFINITE A TUTTI QUANTI!
Alla prossima ;)
MightyZuzAnna (ah, sì, ho cambiato nick. Ve gusta? *w* A me tantissimo! Ringrazio il mio amico
Manliuccio, manco la segue 'sta storia, ma chissene, per aver coniato qualche anno orsono questo fantastico soprannome)

PS: Giuro, è l'ultima cosa. Siccome qualcunA mi ha fatto diventare paranoica nei vostri confronti (non smetterò lo stesso di ringraziarla... Grazie Trueheart :*  ) il mio fare nei vostri confronti, carissimi lettori, è puramente scherzoso. Non pretendo di sapere veramente quali sono i vostri pensieri o le vostre reazioni alle mie parole, quindi se in qualche modo ho offeso qualcuno... O.O Beh, scusate!

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