Novelle per una settimana

di Tormenta
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** E lasciatemi divertire! ***
Capitolo 2: *** Il tempo delle fate ***
Capitolo 3: *** Bolle di sapone ***
Capitolo 4: *** Impressione ***
Capitolo 5: *** La maschera ***
Capitolo 6: *** Aria di novità ***
Capitolo 7: *** Le serpi non dimenticano ***



Capitolo 1
*** E lasciatemi divertire! ***


Desclaimer:
I personaggi non appartengono a me, e questa raccolta non è scritta a scopo di lucro.
 



Novelle per una settimana


 








 
Genere: Commedia, Introspettivo
Contesto: Vago
Intro: Certe cose, viste da una particolare prospettiva, hanno molto più senso di quanto non ci si aspetterebbe. Potter e Malfoy insieme sono una di queste.


 
 
Il poeta si diverte, / pazzamente, / smisuratamente. / Non lo state a insolentire, /
lasciatelo divertire / poveretto, / queste piccole corbellerie / sono il suo diletto.
(Aldo Palazzeschi)
 


 
E lasciatemi divertire!
 
 
        
 

        Fuori piove. Potresti perdere tempo a ringraziare il cielo, ripetendo quanto si possa essere poco produttivi durante le belle giornate primaverili, ma non lo fai, perché, pioggia o non pioggia, non stai combinando nulla. La voglia di fare le cose è sfumata da un pezzo. Nella mente, solo la distrazione.

        Chissà, magari, pensando intensamente, riuscirai a convincere la penna a scrivere da sola l’inutile compito di Incantesimi che eviti di fare da ormai una settimana. Anche solo provarci, però, sembra troppo faticoso, perciò: al diavolo, pausa. Te la sei meritata.
        Una volta liberi, i pensieri tornano a galla come le bolle nelle bevande gassate. Uno in particolare – bolla più grande delle altre – sale in fretta, scoppia, e ti torna alla mente che hai capito. Oh, hai proprio dato prova di essere geniale.
        Harry Potter e Draco Malfoy. Perché?
        Quello era stato il punto di partenza: uno a caso; un argomento-passatempo come tanti altri, che però era riuscito a catturare la tua attenzione.
        A cosa era dovuto tanto odio reciproco? E i litigi? E tutto il resto? A lungo quel loro giochino era stato come un continuo pestarsi i piedi a vicenda per il solo gusto di farsi la linguaccia. E può ancora esserlo, solo che, ecco, l’idea che hai avuto ti pare più sensata, perché dà senso – o, almeno, sembra darlo – ad ogni dettaglio.
        Sotto sotto, si piacciono. Un pochino.
        Era stata una rivelazione. Certo, di primo acchito poteva essere sembrata un’idea malata e campata per aria, ma poi, a forza di pensarci nei momenti di vuoto mentale, era subentrata la profonda convinzione che proprio quella fossa la verità. Si piacciono, sì: guardandoli mentre si scambiano frecciatine e sguardi affilati, non puoi pensare ad altro.
        Hanno un nonsoché di complementare, ecco. Un qualcosa di stranamente astratto e concreto insieme. Si potrebbe dire che s’incastrano, come le tessere dei puzzle.
        Non riesci a capacitarti di quanto tempo hai impiegato per capirlo. A ripensarci guardando indietro, sembra talmente ovvio! Così tanto, che non ti spieghi nemmeno come fanno gli altri a non notarlo. Insomma, magari qualcuno l’ha notato, ma nessuno ha mai osato esporre apertamente la questione – e quello era abbastanza normale. In fondo, l’alchimia tra Harry Potter e Draco Malfoy sembra essere uno di quegli argomenti che si possono trattare al massimo per scherzo, perché, anche se non afferri il motivo, una volta che il concetto passa dalla mente alla parola diventa buffamente ridicolo.
        Ma il punto è che nella mente rimane serio: tra te e te, ci credi davvero. La convinzione è tale che ti ritrovi a provare la stravagante voglia di vedere cosa effettivamente quei due combinerebbero se messi sullo stesso piano, in relazione l’uno con l’altro in una maniera un po’ diversa da solito. E siccome non puoi sperimentare materialmente con loro come fossero pedine – idea macabra. Ma probabilmente potendo lo faresti –, tiri in ballo le uniche risorse che hai: i loro nomi.
        Dopo aver avuto l'accortezza di controllare che nessuno possa vederti, scribacchi velocemente Potter e Malfoy in un angolo di pergamena, ma ti accorgi in fretta che non va bene, perciò, in un altro angolo e uno accanto all’altro, scrivi Harry e Draco.
        Obiettivo raggiunto: quella sì che è una prospettiva straniante. In qualche contorto modo, ti piace, e in un attimo metti a fuoco la vera potenza della parola, della scrittura: rende reale ciò che, di per sé, non lo è, e ti permette di accantonare i compiti di Incantesimi perché purtroppo non hai più fogli puliti a portata di mano. Fissando quei nomi, comunque, non è ad Incantesimi che pensi.
        Dal torbido rimestarsi emerge quella che si prospetta l’ennesima follia: e se si mettessero insieme? Non prendi la domanda proprio sul serio, ma la metabolizzi, e alla fine, con un sorrisino noncurante malcelato, approdi alla conclusione che ci starebbe un sacco. Già li vedi che litigano prima di baciarsi, e ridi, perché i Potter e Malfoy che conosci non farebbero mai una cosa simile. Se lo facessero, comunque, sarebbero carini. O qualcosa del genere.
        All’improvviso, una domanda: come reagirebbero gli altri se sapessero cosa ti frulla per la testa? Chissà. Non t’importa di scoprirlo, perché anche se quelle idee ai loro occhi fossero mezze pazzie, per te rimarrebbero sempre una stuzzicante evasione dalla realtà, e rivendicheresti il diritto di continuare a pensarci, di tanto in tanto. In fondo, farlo è divertente!
        E mentre quel vago divertimento sfuma, ricompare un alone di senso del dovere che cerca di spingerti a concentrarti e a finire quella stupida robaccia di Incantesimi. Peccato che continui a non averne voglia.
        Altra pausa? Ecco, un’altra cosa che ci starebbe un sacco.








 
Angolo di Tormenta

Salve! Come ho scritto anche nell'intestazione, questa sarà una raccolta di sette storie, che differiranno per lunghezza, tema, contesto, stile, eccetera. L'obiettivo era quello di mettermi alla prova con tipologie di testo nuove. :) Harry e Draco saranno i protagonisti. 

Il focus di questo primo testo è la narrazione al presente. Ho sempre desiderato provare, ma non ne avevo mai avuto il coraggio. Spero davvero che sia piacevole da leggere. C:
Il personaggio di cui si parla ricalca il mio modo di vedere le cose, e ripropone la modalità con cui mi sono approcciata al fandom. (E' un personaggio interno ad Hogwarts... perchè sì. Insomma, mi sembrava più appropriato (?).) Ho cercato di mantenere il tutto abbastanza impersonale, "generico", sperando di riuscire a cogliere anche qualche aspetto "universale" del punto di vista di chi, come me, apprezza la coppia Draco/Harry. :) Fatemi sapere se ci sono riuscita! A presto,
T. ♪


 
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P.S.: Il titolo "Novelle per una settimana" riprende quello della raccolta di Pirandello "Novelle per un anno". Per il titolo del capitolo, invece, ho scelto di copiare (?) riproporre quello dell'omonima poesia di Aldo Palazzeschi, riportata in parte sopra.

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Capitolo 2
*** Il tempo delle fate ***


Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale
Contesto: Dopo la seconda guerra magica, pace

Note: Song-fic [Stop and stare - OneRepublic]
Intro: "Questa è la morale: potresti scoprire che la cosa che odi tanto, è la stessa che ti manca da morire quando non c'è." (Scrubs, 3x14)




Tutti i grandi cambiamenti sono semplici.
(Ezra Pound) 



 
ll tempo delle fate




       Quando lo vide, qualcosa dentro di lui scattò. Non che fosse diverso da come lo ricordava – stessi occhiali, stessa cicatrice, stessa faccia –; semplicemente, erano cambiate le circostanze, l’atmosfera. Era l’eroe, adesso: il bambino (cresciuto) che ce l’aveva fatta. Gli parve fuori contesto, sopra le righe, illuminato da chissà quali riflettori.
       L’aveva visto anche durante i processi, ma tra le alte sfere, gli accusati, i testimoni, non si era accorto di niente: ai suoi occhi, si era perfettamente uniformato col grigio che trasudava dalle pareti. Lì ad Hogwarts, però, in quei corridoi che conosceva tanto bene, fu tutta un’altra storia: non c’era nulla a distrarlo, a preoccuparlo, e poté accorgersi del senso di fastidio che la presenza del nuovo Harry Potter creava in lui.

 
       It’s time 
             to make our move
 
       Sì sentì quasi alienato, estraneo, con quella strana sensazione nel petto e tutti quegli occhi addosso – era stato dichiarato innocente, se l’era cavata, ma con suo padre ad Azkaban e quel Marchio sul braccio, non c’era da stupirsi se lo squadravano. Si chiese distrattamente per quanto avrebbero continuato a farlo, sospirando e facendo retro front per non incrociare Potter.
 
                 Every glance is
                                    killing me

       “Sarà un lungo anno”, pensò.
 
 

       Dopo tutto quello che era successo – la guerra, la morte – non se la sentì di riprendere ad ostentare sentimenti d’odio nei confronti del Grifondoro. Rimase silenziosamente in disparte, a guardarlo quando nessuno poteva accorgersene, sprofondando pian piano nella consapevolezza di non essergli più necessario.
 
  Stop and
         stare

       Per anni, lui era stato l’antagonista: quello era stato il suo ruolo. Si accorse di non averlo più. Almeno non per Potter, che, dall’alto del piedistallo su cui continuava a immaginarlo, non gli rivolse praticamente la parola.
       Non si misero in competizione, non litigarono: non l’avrebbe mai ammesso, ma sentì la mancanza di quelle baruffe; una mancanza che si tradusse in un male corrosivo che prese a divorargli lo stomaco. Difendendo se stesso e la propria posizione, non pensò nemmeno per un istante di assumersi parte della responsabilità; d’altronde, avrebbe potuto avvicinarlo, parlargli. Scaricò invece tutta la colpa sul Grifondoro, vedendolo come la sola causa di tutti i propri problemi.
       Provò tanta rabbia: era stato lasciato indietro, dimenticato; si sentiva sminuito e frustrato; aveva bisogno del confronto con Potter e non poteva averlo, perché quel maledetto era troppo in alto per lui, e non voleva decidersi a chinarsi dalla sua parte.
       Ecco, quello era il punto: ora che era l’eroe di quella guerra, Harry Potter era fuori dalla sua portata. E proprio perché era diversi gradini più in alto, stava a lui cercarlo: eppure, non l’aveva fatto. L’aveva snobbato lasciandolo a se stesso, privandolo dell’unico ruolo attivo che avesse mai avuto: lo detestò per questo, ma sempre da lontano, arroccato com’era nella convinzione di non avere più le carte per affrontarlo.
 
                                                  You’d give
                               anything 
                                                        to get what’s
                                      fair
 
 

       Al di là della visione contorta e cupa di Draco Malfoy, comunque, Harry non si erse su alcun piedistallo. Gli eventi l’avevano visto protagonista, certo, ma questo l’aveva più che altro appesantito, e in ogni caso non gli impedì di essere praticamente quello di sempre.
       Vero era, tuttavia, che si tenne lontano dal Serpeverde. Non perché lo disprezzasse o non lo ritenesse degno, ma perché, dopo tutte le battaglie combattute, non voleva ingaggiarne di nuove. Totalmente all’oscuro dei malesseri della sua nemesi storica, preferì mantenere una sana neutralità: approcciarsi in quel modo lo fece sentire maturo, cresciuto, e lo soddisfò.
 
                                                  

       I giorni scivolarono loro addosso.
       A volte capitò che Malfoy si sentisse bene, ma si trattò solo di rare occasioni e di sprazzi di breve durata. Era infatti sufficiente che incrociasse il Grifondoro, o anche solo che lo sentisse nominare, perché il morbo – un’assurda, radicata commistione di invidia, collera e sconcerto – riprendesse a trivellargli il petto senza pietà.
       Continuando a guardarlo da lontano, con l’ira che bruciava negli occhi e quel tremendo magone che pesava sui polmoni, si disse di volerci dare un taglio. Sarebbe uscito di scena con dignità, se era quello che doveva fare; cioè, se Potter non aveva proprio più bisogno di un rivale. E decisamente non ne aveva, considerato che poteva godere di compagnie migliori, chissà quanto più stimolanti – come quella della piccola, sorridente Weasley.
       Quella era la realtà: le cose non sarebbero mai tornate come erano state. Doveva accettarlo.
       Fece di tutto per farsene una ragione e stare meglio, ma non riuscì a sradicare completamente l’ossessione. Nel profondo, sopravvisse un minuscolo tarlo, che aveva il chiaro obiettivo di dargli il tormento.
 
       Something pulls
                   my focus out

       “Perché tanto fastidio per lui?”
       Non avrebbe saputo quantificare il tempo passato a cercare la risposta a quella domanda. Per altro, tra l’attaccamento al passato, la pura possessione, la rivalità e mille altre ipotesi, alcune delle quali si rifiutava anche solo di considerare, gli fu impossibile giungere ad una conclusione.
       In più occasioni, la frustrazione lo spinse a fare violenza psicologica su se stesso pur di smettere di pensarci. Inoltre, lo sconfinato orgoglio che si ritrovava gettò benzina sul fuoco, aumentando esponenzialmente la rabbia che aveva in corpo – era così umiliante essere l’unico, tra loro due, a stare male; come se Potter fosse intrinsecamente migliore, come se lui fosse quello strano, come se provasse un qualche morboso attaccamento nei suoi confronti. Attaccamento che, in ogni caso, sarebbe stato totalmente insensato, illogico e inaccettabile persino agli occhi dell’irrazionale, e proprio per questo non poteva sussistere.
       Schiacciato da quel supplizio – sempre nascosto ad arte dietro una maschera imperturbabile – pregò che il tempo scorresse più in fretta, che l’estate arrivasse presto: non vedeva l’ora di liberarsi della presenza di quel maledetto sfregiato, che pareva sbucar fuori da dietro ogni angolo con la sua cricca di amichetti solo per dargli fastidio.
 
 
       E la fine arrivò, portando con sé il caldo e gli esami.
       Salendo per l’ultima volta sul treno diretto verso casa, lasciandosi alle spalle il castello di Hogwarts, tirò un sospiro di sollievo: credette che la propria agonia fosse terminata, che sarebbe tornato presto in forma. Invece, uno strano senso di malinconia lo travolse.
 
                           I think I’m moving
     but I go 
                 nowhere

       Quella tristezza lo accompagnò sino alla fermata in stazione, come avrebbe fatto un vecchio amico, e continuò ad aleggiargli attorno mentre si muoveva veloce tra la folla.
       Una simpatica casualità volle che, tra i tanti, incrociasse di sfuggita lo sguardo di Harry Potter. Fu un flash – lo vide accennare un mezzo sorriso teso, e si rese conto che sarebbe stato l’unico saluto che gli avrebbe rivolto. L’unico che, a quanto pareva, si era guadagnato, dopo tutti gli anni passati ad essere un degno e serio rivale.
       Ghignò lievemente e, senza fare una piega, con gli occhi nei suoi, in qualche modo poté osservare il baratro nero che li separava.
       Voltandosi per andar via, si chiese distrattamente se anche l’altro l’aveva visto.
 
Do you see
     what I
               see?












 
Angolo di Tormenta

Ho pensato che la traduzione delle citazioni non fosse necessaria, ma se ritenete che debba inserirla, lo farò. :) 
Non avevo mai scritto una songfic prima. Spero di aver fatto un buon lavoro con i collegamenti al testo della canzone. A voi la sentenza!


Il titolo "Il tempo delle fate" è ispirato ad un verso di una poesia di Pascoli, "Italy", e dovrebbe rimandare all'idea di un passato caratterizzato da un'innocenza ormai perduta - in questo caso, l'innocenza di quel rapporto che Malfoy non può più avere con Potter. O, hm, qualcosa di simile; non vorrei sembrarvi troppo pomposa, ahah!
Baci e a presto,
T. ♪

 
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[Edit]: Il layout del testo è stato modificato. Spero che in questo modo la lettura risulti più piacevole! :)

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Capitolo 3
*** Bolle di sapone ***


Genere: Slice of life, Romantico, Commedia
Contesto: Vari contesti, Vago
Intro: Una delle storie più lunghe e improbabili, raccontata attraverso brevi scorci.





 
Attimo, sei bello.
(Johann Wolfgang von Goethe)
 

 
Bolle di sapone
 
 
        
 
 
        Agli occhi degli studenti di Hogwarts, i bisticci casuali tra Harry Potter e Draco Malfoy erano una consuetudine; qualcuno li considerava persino una forma d’intrattenimento, e si fermava ad ascoltarli.

        «Il tuo buonismo mi disgusta», sosteneva uno, e «Quando smetterai di prendertela con me e miei amici?», ribatteva l’altro.
        Accadde un giorno che, mentre loro battibeccavano, un ragazzo tra il pubblico – uno nuovo, trasferitosi da poco dall’Irlanda – osò borbottare: «Quando iniziano a limonare?» Ovviamente, lo fece durante il tipico momento di silenzio improvviso: tutti si voltarono dalla sua parte.
        Imbarazzato, sorrise appena, mentre Potter e Malfoy – soprattutto Malfoy – lo fulminavano.
 
 
 
—————————————————————
 
 
 

        Una risatina risuonò nel corridoio. «Finocchio
        «È vero che ti piace Greg O’Hara?»
        Con una cattiveria infantile e immotivata, due Serpeverde dell’ultimo anno se la stavano prendendo con un Tassorosso del quinto. Lui, poverino, non ribatteva, aspettando che si stancassero di tormentarlo.
        Di certo, non si aspettava che qualcuno corresse in suo soccorso; per questo sbarrò gli occhi quando Draco Malfoy gli comparve davanti, ringhiando qualche parola acida in direzione degli altri due per scacciarli.
        «Grazie», gli disse.
        Malfoy non ribatté che con un cenno, poi si allontanò.
        Dietro l’angolo, Harry Potter si riscoprì piacevolmente sorpreso: dopotutto, lo snob che stava pedinando sapeva anche essere gentile, quando voleva.
 
 
 
—————————————————————
 
 
 

        «Sarai in grado di non farti prendere da inutili sentimenti, vero?»
        «Sentimenti per te?» Harry sbuffò, indignato – per chi l’aveva preso? Anche se avevano fatto quella cosa ed erano mezzi nudi uno di fianco all’altro, non voleva dire che avesse iniziato a piacergli.
        «Non si sa mai; voi Grifondoro sapete essere terribilmente melensi».
        «Non io! E di certo non con uno come te».
        Draco sospirò. «Smetti di accarezzarmi la coscia, allora».
        «Non ti sto acca―» Ma , lo stava facendo: se ne accorse e spostò di scatto la mano, come scottato. «Era involontario. Giuro».
        Roteò gli occhi. «Certo, come no».
 
 
—————————————————————
 
 
 

        «Qual è la tua fantasia erotica più strana?»
        Colto dalla domanda nell’atto di portarsi la tazza di caffè alle labbra, Harry si bloccò, scoccandogli uno sguardo stranito.
        Seduto al tavolo proprio davanti a lui, Draco ridacchiò, maligno. «Ammettilo, è avere due me a disposizione».
        Stuzzicato, decise di stare al gioco; poggiò la tazza, lasciando che passasse un istante di silenzio, poi borbottò: «Tre, in realtà».
        Malfoy ci rimase male. «Tre?» Corrugò la fronte, «Posso capire due – uno davanti, uno dietro. Ma che te ne fai del terzo?»
        «Procurati due copie, e sarò felice di fartelo vedere».
 
 
 
—————————————————————
 
 
 

        «Sarà divertente!»
        Poco convinto, Draco si domandò per l’ennesima volta cosa l’avesse spinto ad accettare di fare una gita insieme.
        «Ho controllato sulla mappa; possiamo arrivare al lago con le bici».
        «Cosa
        «Al lago, con le bici».
        Lo guardò male, «No».
        «Invece sì. L’avevi promesso».
        «Possiamo andarci a piedi?»
        «È troppo lontano».
        «E non puoi scegliere una meta più vicina?»
        «Voglio andare lì».
        Malfoy si lasciò sfuggire un mugolio infastidito.
        «Che problema hanno le bici?»
        Sospirò, poi, controvoglia e bofonchiando, ammise: «Non so andarci».
        «Sul serio?» Vedendolo incupirsi, Harry capì che , faceva sul serio, e sorrise. «Ti insegno io».
 
 
 
—————————————————————
 
 
 

        La musica non si dava pace, mentre in tanti ballavano attorno ad un rossissimo Ron e ad una luminosa Hermione – loro, oggi sposi.
        Nel frattempo, circondato da quel gioioso caos, qualcuno, accompagnato da un biondo rompiscatole, taceva. Almeno, finché non disse: «Credi che faranno molti figli?»
        «Stiamo parlando di Weasley; ne faranno a decine».
        Rifletté. «L’altro giorno ho fatto un sogno. Ero sposato con Ginny, avevamo tre figli».
        Amareggiato, il biondo rompiscatole brontolò sommessamente. «Se vuoi andare da lei, sposarla e procreare, vai».
        «Non fare l’idiota, era tanto per parlare». Avvicinò la sedia alla sua, «Ho scelto te». E, nel loro silenzio appartato, si appoggiò a lui con una spalla.










 
Angolo di Tormenta

Il tema della settimana è: la sintesi! Non è mai stata il mio forte, ma credo di aver imparato qualcosa scrivendo delle piccole drabble. c: Spero che possano piacere - le ho immaginate come veloci sguardi su alcune scene, come se fossero contenute in bolle di sapone che poi scoppiano (?). 

In ogni caso, ringrazio tutti coloro che mi seguono/commentano! Love you all! ♥
Un bacione, godetevi queste meravigliose giornate di quasi-estate, e arrivederci alla prossima settimana!
T. ♪


 
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Capitolo 4
*** Impressione ***


Genere: Romantico, Slice of life
Contesto: AU
Intro: Niente magia, niente guerre. E' a Parigi che Draco e Harry si incontrano per la prima volta - e non è detto che sia l'ultima.







Nella vita non esistono che gli inizi.
(Madame de Staël)


 
 
 
Impressione
– Sole nascente –
 
 
 
 

 
        Draco Malfoy si era sempre ritenuto una persona intelligente: aveva una buona memoria, una retorica piuttosto arguta e di certo non gli mancava lo spirito d’osservazione. Eppure – anche se mai, mai l’avrebbe ammesso – c’erano cose che proprio non riusciva a capire. L’arte, ad esempio, con le sue pennellate sempre diverse, i panneggi materici e i dettagli intarsiati. Non che non fosse in grado di riconoscere la bellezza di un oggetto, o la sua valenza storica – semplicemente, non coglieva quei presunti “significati profondi”, quelle “emozioni intrinseche” di cui tanto parlavano i critici e gli appassionati. Proprio per questo, sin da quando era arrivato a Parigi, si era tenuto ben lontano dai monumenti e dai tanto acclamati musei della città, da lui considerati noiosi punti di ritrovo per turisti.

        Solo turisti, infatti, vide tutt’attorno, quando, incastrato dai pochi conoscenti con cui aveva socializzato, fu costretto a mettere piede in quell’ex stazione ferroviaria che era il Museo d’Orsay.
        Detestò l’atmosfera dal primo istante. Sbuffò e sospirò ripetutamente, maledicendo tra sé e sé Terry Boot – l’unico altro inglese del gruppo –, che aveva proposto quella visita e gli aveva impedito di defilarsi, accusandolo di passare troppo tempo sui libri e puntualizzando che – testuali parole – «al mondo non c’è solo la matematica». Non aveva potuto ribattere, considerato che l’idea di non avere una vita sociale lo turbava. Detto ciò, la verità era che la facoltà di matematica era l’unica ragione per cui si trovava in quel Paese e, più precisamente, in quella città. Doveva forse vergognarsene?
        Non volendo vedere nessuna opera in particolare, seguì gli altri, vagando col pensiero e ascoltando passivamente le ciarle di una guida.
        Ad un tratto, riscuotendosi, si ritrovò davanti ad alcuni quadri che lo spinsero ad inarcare un sopracciglio. Li osservò per un po’, vagamente disorientato: due, tre, quattro dipinti praticamente identici, ritraenti quella che gli parve una chiesa fuori fuoco. Schioccò la lingua, non riuscendo ad immaginare cosa avesse spinto l’artista a ritrarre tutte quelle volte un soggetto tanto… banale. O, perlomeno, scontato.
        «Che cosa inutile», decretò fra sé e sé in un sussurro, immusonito.
        «Sta parlando di questo ciclo?»
        Sussultò lievemente; non credeva che qualcuno l’avesse sentito – aveva parlato molto, molto piano –, eppure eccolo lì: un impiccione con un orrido paio di occhialetti tondi si era voltato dalla sua parte, dedicandogli uno sguardo perplesso. Era abbastanza giovane: dimostrava più o meno la sua età.
        «Quando ha detto inutile, si riferiva a questo ciclo?» Ripeté.
        «Ehm― sì». Ghignò, stupendosi di quanto fastidiosa potesse essere la gente.
        «Cosa le fa pensare che sia inutile?»
        «Sono tutti uguali», sostenne Draco, a metà tra l’infastidito e l’allibito.
        «Non sono uguali. Osservi il colore».
        Notò l’accento inglese del tizio, ma non diede importanza al dettaglio, troppo occupato a dirsi stizzito per quella che gli era parsa una presa in giro in piena regola. Insomma, il colore? Non era un bimbo dell’asilo. «Sì, ho visto i colori. Molto belli. Ma il soggetto è sempre lo stesso».
        «Certo che lo è. È ciò che dà senso al ciclo».
        «Beh, io non ci vedo alcun senso».
        Dietro alle lenti tonde, due occhioni verdi si fecero ridenti. «Non è un amante dell’arte, vero?»
        «Hm― no».
        Accennò un mezzo sorriso, «Immaginavo. Ha mai sentito parlare dei cicli di Monet?»
        A quel punto, Draco non poté fare a meno di pensare che quel tipo fosse strano. Perché diavolo cercava di attaccare bottone con lui?
        «Dipingeva più volte la stessa cosa, ma ad orari diversi della giornata, cambiando solo di poco il punto di vista, così che, complessivamente, ci si potesse concentrare sui giochi della luce e, quindi, sull’uso del colore. Era il suo modo di dimostrare la potenza della pittura impressionista».
        Lo osservò attentamente, come volendo conoscere il nemico: stringeva in mano un taccuino scarabocchiato e aveva i capelli spettinati – che fosse una sorta di artista fallito?
        Intanto, comunque, continuava a parlare.
        «Questo è il ciclo dedicato alla cattedrale di Rouen. Un edificio del genere è statico, pesante alla vista, eppure Monet l’ha smaterializzato col colore, e personalmente credo che il risultato sia incredibile».
        Non ribatté – un po’ perché non aveva prestato propriamente attenzione alle sue parole, e un po’ perché percepì nella sua voce un peculiare tono che lo distrasse: il tono tipico di chi spiega ciò che sa con passione.
        «Non l’ho convinta, vero?» Ricominciò lo sconosciuto, quasi scherzosamente. «Pensa ancora che sia inutile».
        «Già».
        Si diede un momento per riflettere. «Provi a guardare i dipinti senza dar retta ciò che vedono gli occhi. Li guardi come se fosse miope».
        «Non posso farlo, non sono miope».
        «Che approccio freddo» – avrebbe detto scientifico, se solo si fosse dato un istante in più per pensare. «Si sta davvero perdendo qualcosa». Lanciò un’occhiata veloce ai quadri del ciclo, contento di essere in grado di apprezzarne il valore. «Sa, far conoscere la bellezza dell’arte è una mia crociata personale», fece ancora, «perciò dovrà perdonarmi se non mi arrendo tanto facilmente―»
        «Dovrebbe. Non c’è niente da fare, queste cose non mi fanno effetto».
        «Mi dia una possibilità: le consiglio La colazione sull’erba di Manet. È molto meno… sfocato, rispetto a questi».
        «Grazie, ma, hm, non so dov’è, e―»
        «L’accompagno io. Conosco questo museo come le mie tasche».
        La sua cocciuta determinazione mise Draco lievemente a disagio. «Perderei la mia guida e― e preferisco lasciar perdere, a dirla tutta. L’arte non fa per me».
        «L’arte è per tutti». Sorrise appena, «Insisto».
        Si guardò attorno, dapprima in cerca di una via di fuga, e successivamente in cerca di Terry e degli altri. Non li vide, così come non vide neanche la guida che aveva seguito sin lì: dovevano essere tutti più avanti. Sospirò e, considerato che era in ogni caso bloccato il quel posto, alzò le spalle in segno di resa. «D’accordo», buttò lì svogliatamente, convinto che ascoltare le ciarle dello sconosciuto sarebbe stato equivalente ad ascoltare quelle di chiunque altro.
 
 

        «Ecco, è questo». Si fermarono proprio davanti alla Colazione. «Che ne dice?»
        Innegabilmente annoiato, Draco si sforzò di guardare il dipinto: non gli parve niente di che. «I tre in primo piano sembrano dei ritagli di giornale», fece, caustico.
        «È vero. Ed è un’ottima osservazione; infatti, è una delle ragioni per cui la critica demolì quest’opera, quando fu esposta per la prima volta. Lo stile non piacque granché. Per non parlare del nudo femminile – quello fece addirittura scandalo».
        «Perché?» Lo chiese senza pensare, non rendendosi neanche conto di avere un vaghissimo interesse per quella storia.
        «Dagli abiti dei personaggi si deduce che la scena è ambientata nel periodo storico contemporaneo all’esecuzione, e all’epoca un nudo contemporaneo non era molto ben visto».
        Discussero per una manciata di minuti, tenendo gli occhi fissi sull’opera e lasciando che in certi istanti sovrastasse il silenzio. Dopodiché si spostarono: raggiante, il ragazzo non più tanto sconosciuto affermò di voler vedere uno dei suoi quadri preferiti – un’opera di Renoir, Moulin de la Galette – e, cordialmente, invitò l’altro a seguirlo: «Ne vale davvero la pena», commentò.
        Di fronte a quel dipinto, Draco si sentì raccontare del rumore e del movimento insiti nella scena, della partecipazione di ogni personaggio, della luce dinamica, ma non riuscì a seguire per intero il discorso, considerato che si diede per vinto non appena fu pronunciata la parola sensazioni. Si trattava comunque di un record: non aveva mai dato tanta attenzione a spiegazioni di quel genere. Probabilmente, il miracolo fu dovuto al fatto che si sentì in dovere di ascoltare – in fondo, qualcuno stava parlando unicamente per lui e con lui.
        «Posso darti del tu?»
        Caduto nella sua trance divagante, solo a quella domanda Draco riprese contatto con la realtà: si schiarì distrattamente la voce, facendo mente locale. «Sì», borbottò.
        L’altro si accorse di averlo colto di sorpresa, e sorrise. «L’arte ti traumatizza così tanto?»
        «Più o meno».
        «Perché venire al museo, allora? Se posso chiedere».
        «Costrizione».
        «Fidanzata?»
        «Amici».
        Il ragazzo lo squadrò brevemente, riflettendo. «Anche se non mi capacito di come tutto questo» le opere, la bellezza «possa non piacere, al tuo posto sarei scappato a gambe levate».
        «Ah sì?» Non aveva una gran voglia di chiacchierare.
        «Sì. Per riprenderti avrai bisogno almeno di un bel caffè». Sorrise ancora, «Te lo offro io. Dopo averti trascinato fin qui, è il minimo che possa fare. Ah, e―» gli tese una mano «Harry. Piacere».
        Accettò la stretta, ma si assicurò che durasse poco. «Draco».
        Quasi rise, tacendo per un istante. «Sul serio?»
        «».
        «È un nome molto―»
        Lo interruppe: «Ricercato, lo so». Aveva qualcosa da ridire sul suo bel nome, per caso?
        «Stavo per dire che è― hm, esotico. Ma anche ricercato va bene». Sembrava sincero.
 
 

        Si recarono al cafè del museo, mentre Draco si chiedeva per quale motivo stesse dando tanta confidenza a un tipo conosciuto davanti a un quadro. Bisognava ammettere che, oltre al folle apprezzamento dell’arte, aveva una buona parlantina: era stranamente intrigante. Forse era stato quello, unito al fatto che si sentiva tremendamente annoiato, a spingerlo a seguirlo fin lì.
        In ogni caso, Harry gli offrì un caffè, come promesso.
        «Ogni angolo di questo posto è fantastico», fece, scandagliando l’ambiente.
        «Non è niente di speciale», ribatté l’altro. «Ci sono solo un sacco di persone che parlano lingue incomprensibili e un po’ di cose vecchie».
        «Non avevo mai sentito qualcuno sminuire tanto un museo». Pareva quasi divertito. «Insomma, ci sono oggetti meravigliosi in queste sale! Come è possibile che niente ti suggestioni?»
        «L’arte non fa per me», tornò a dire, sorseggiando il caffè.
        Harry tacque per un momento, facendosi serio. «Mi fa tanto arrabbiare la gente che dice così», ammise poi.
        «Ah sì?» Per qualche assurda ragione, trovava stuzzicante l’idea di dargli fastidio.
        Annuì. «Anche le persone più aride possono trovare il tipo di arte che più si adatta alla loro personalità. Chi dice di essere immune al fascino artistico lo fa perché vuole esserlo, non perché lo è davvero». Alzò le spalle. «È un po’… da snob».
        Draco inarcò un sopracciglio. «È una visione impulsiva, quasi infantile», commentò, gonfiando il petto per difendere la propria posizione. «Non vedo perché qualcuno dovrebbe essere etichettato come snob solo perché non è interessato all’arte».
        «È semplice. Chi si dice non interessato crede che ciò che l’arte può dare sia superfluo; si ritiene superiore, quando in realtà non lo è affatto».
        «Io non mi ritengo superiore. Non troppo, almeno». Bevve altro caffè, pacato. «Non si può generalizzare così, ci sono diverse ragioni per non ritrovarsi nell’arte».
        «La tua qual è?»
        Draco lo guardò dritto negli occhi per qualche momento: una parte di lui voleva dirgli di farsi gli affari propri, ma l’altra era invece decisa a rispondere con sincerità. «A me piacciono le cose lineari», disse infine, «quelle in cui c’è un processo da seguire, e una sola risposta corretta alla fine. L’arte non è così».
        «Il fatto che non sia lineare, come dici tu, è l’aspetto migliore dell’arte! Entro certi limiti, ognuno può avere una propria opinione, e non sarà mai sbagliata».
        «Che senso ha occuparsi di una cosa priva dei concetti di giusto e sbagliato?»
        «Non ne è priva. Solo, le interpretazioni sono―» rifletté «elastiche».
        «Ecco, le interpretazioni. Tutti le tirano sempre fuori; non le sopporto!»
        «In che senso?»
        Per un istante, Malfoy parve intenzionato a rispondere di getto, ma poi, seguendo il consiglio della razionalità, si bloccò e ponderò le proprie parole. «Da quello che ho capito – e correggimi se sbaglio: in generale, l’obiettivo dell’arte è scatenare intuizioni».
        «Intuizioni, sensazioni – è vero», confermò Harry, senza capire dove volesse andare a parare.
        «Bene. E, sai, potrebbe anche riuscirci, se solo non ci fosse un branco di critici pronti a spiattellare milioni di interpretazioni. Non può essere che una chiesa dipinta sia solo una chiesa, un albero solo un albero? Perché devono sempre esserci dei significati nascosti?» Sbuffò, «Rendono le opere così pretenziose!» Sebbene la discussione fosse piuttosto animata, non si sentiva affatto alterato. Anzi, era quasi soddisfatto: un buffo nonsoché rendeva quel ragazzo coi capelli spettinati insopportabile e avvincente allo stesso tempo: gli piaceva discutere con lui.
        «Credo tu stia esagerando».
        «È solo la mia opinione».
        «Anche i critici esprimono solo la propria opinione», gli fece presente. «Insomma, capisco quello che vuoi dire – le letture di alcune opere possono sembrare un po’ tirate. Comunque, non credo abbia senso eliminarle tutte per concentrarsi solo sul soggetto: sarebbe molto riduttivo».
        Tutt’altro che persuaso, Draco alzò le spalle e ghignò, senza ribattere.
        «Troverò il tipo di arte che fa per te», promise l’altro, determinato.
        «È inutile, queste cose non m’interessano».
        «Ti farò cambiare idea».
        «Sul serio, lascia perdere; tanto per me l’arte è una perdita di tempo».
        «Una perdita di tempo?» Si lasciò scappare un mugolio di disapprovazione, prima di borbottare, scherzando: «Tutte le volte che qualcuno dice così, uno studente di storia dell’arte muore».
        Malfoy rimase interdetto per un istante. «E perché questa cosa dovrebbe importarmi?»
        «La prossima volta potrebbe toccare a me! Vuoi che muoia?» E ridacchiò.
        Mise insieme i pezzi, e colse il punto. «Studi storia dell’arte?»
        Sorrise, «Sì. È il motivo per cui sono a Parigi».
        «Oh. Io sono qui per studiare matematica».
        Harry mise su una faccia schifata senza precedenti. «Oddio», mormorò.
        «Non ti piace?»
        «Assolutamente no».
        «Direi che siamo pari, allora». Ghignò per nascondere un mezzo sorrisino compiaciuto.
        «Si potrebbe dire così». Rimase brevemente in silenzio, incrociando le braccia al petto. «Posso chiederti perché hai scelto di venire a studiare a Parigi? Non che voglia farmi gli affari tuoi, ma insomma―» alzò le spalle, «è una città d’arte, e se l’arte non ti interessa» esitò «non sei un po’ un pesce fuor d’acqua?»
        Malfoy si prese una manciata di secondi per riflettere, poi scosse il capo. «No. Parigi non è solo una città d’arte: ci sono un sacco di altre cose».
        Quasi stranito, Harry corrugò la fronte. «Tipo?»
        Fissando il caffè nella tazza, tentennò. «Non so – l’atmosfera, la storia».
        «Entrambe sono legate all’arte, se ci pensi».
        Ma non ci pensò affatto: non ascoltò nemmeno quella sua frase, travolto emotivamente dal ricordo della vera ragione per cui si trovava in quella città – si era voluto allontanare dalla famiglia, dalle aspettative che avevano, dalla consapevolezza di essere una delusione ai loro occhi. Perso nei flutti della memoria, si fece terribilmente serio, quasi cupo.
        L’altro se ne accorse e, non capendo cosa gli fosse preso, fu colto da un lampo di vaga preoccupazione. «Tutto okay?»
        In un lieve sussulto, Draco si riscosse, e annuì. «Pensavo solo al fatto che è per― per la lingua che sono qui. Ho studiato il francese sin da piccolo». Nascosto dietro a quella onesta bugia, sospirò.
        «Beato te!» Sorrise, cercando di scacciare l’alone di disagio. «Io ho dovuto impararlo in tutta fretta dopo la scuola superiore. Per ottenere la certificazione del livello necessario ad iscriversi all’università ho addirittura perso un anno!»
        «Quindi sei al…?»
        «Primo anno».
        Lasciandosi distrarre da quel suo faccione felice, mise da parte le malinconia. «Matricola», fece, col tono delle prese in giro.
        Harry incassò la provocazione con nonchalance, sorridendo. «Tu a che anno sei?»
        «Secondo».
        «È un anno all’estero, o sei proprio iscritto all’università francese?»
        «Iscritto. Ci tenevo».
        «Anche io!» Gioì, tutto contento. «Anche se finirò con l’usare tutti i soldi che i miei mi hanno lasciato, andrà bene – stare in questa città per me è un sogno». Si guardò attorno per l’ennesima volta, soddisfatto. «Frequenti anche tu la Sorbona, immagino».
        «Sì».
        Prese atto dell’informazione e, poco dopo, soppresse una debole risata.
        «Che c’è?» Domandò Draco, insospettendosi.
        «Niente. Pensavo solo ai due anni di matematica che hai fatto». Malgrado gli sforzi, non riuscì a cancellare la smorfia divertita dalle labbra. «Io non riuscirei a sopportare tutti quei numeri neanche per due ore! Però, hm, capisco perché a te piace: è lineare. Dico bene?»
        Annuì, «Esatto: lineare e razionale. Niente segreti, niente sorprese; è―» esitò, abbassando la voce ad un sussurro «rassicurante».
        Come colto da un’illuminazione, Harry non prestò attenzione a quell’ultimo mormorio. «Razionale?» Ripeté, vagamente interrogativo. Poi scosse appena la testa, sbottando tra sé e sé: «Avrei dovuto pensarci prima».
        L’altro non capì. «Hm
        «Il razionalismo», asserì, «ecco l’arte che fa per te».
        Purtroppo, Malfoy continuò a non seguirlo. «Prego?»
        «Si tratta soprattutto di architettura e di design. È tutto molto funzionale, le cose sono semplificate al massimo – sono certo che ti piacerebbe».
        Mentre lui continuava a borbottare cose strane, Draco si distrasse: sentì il cellulare vibrare nella tasca, e lo recuperò. Si trattava di un messaggio di Terry, che gli chiedeva dove si fosse cacciato; a quanto pareva, lui e gli altri avevano terminato la visita ed erano pronti ad andar via. «Mi stanno cercando», affermò.
        «Oh». Perse un po’ d’entusiasmo. «Devi andare?»
        «Sì, mi aspettano vicino all’entrata».
        «Capisco». Rimase in silenzio per un istante, poi domandò, senza alcuna esitazione: «Mi lasci il tuo numero?»
        «Cosa?» Aveva sentito bene, ma non voleva crederci.
        «Il tuo numero», ripeté Harry con tranquillità. «Aspetta―» recuperò dalla tasca una penna e il taccuino che aveva portato con sé e, dopo aver trovato una pagina bianca, vi scribacchiò sopra qualcosa. «Questo è il mio», disse passandogli il foglietto strappato insieme con il taccuino e la penna.
        «Ehm―»
        Lo vide tentennare, e cercò di spronarlo: «Prima o poi organizzeranno una mostra, e ci tengo a farti vedere l’arte razionale. Sarà divertente!»
        «Oh, , lo immagino». Ritraendosi scetticamente, cercò di fargli capire di non essere affatto convinto, né tanto meno a proprio agio con la proposta che gli era stata fatta.
        L’altro colse il messaggio, ma non volle demordere e si fece più serio. «So che può sembrare un po’ strano, ma mi ha fatto piacere chiacchierare con te», ammise. «Ancora non conosco molte persone in città, ed è bello parlare in inglese con qualcuno che non abbia un accento buffo».
        Meno stranito di prima, Draco si sciolse appena. Osservò con diffidenza la penna, ancora non del tutto convinto di volerla afferrare.
        «Senza contare che mi devi un caffè», gli ricordò Harry.
        Quasi divertito da quella sottospecie di battuta, Malfoy confidò a se stesso che, tutto sommato, parlare con quel tipo non era stato poi così traumatico. Sospirando, quindi, scrisse il proprio numero sulla carta. «In fondo, dare confidenza alle persone incontrate nei musei è il mio hobby», mormorò, ironico.
        «Grazie, Draco Malfoy». Lesse il nome dal taccuino.
        «Hm, prego». Si alzò in piedi, preparandosi per andare.
        «Il mio cognome è Potter. Non l’ho scritto lì».
        Intascò il suo biglietto in quel momento, alzando le spalle. «Non importa». Fece un cenno con una mano, impaziente di uscire da quel posto. «Ora vado. Ciao».
        «Ciao! Mi farò sentire».
        Draco non ribatté che annuendo e salutando con un gesto rapido, a seguito del quale prese ad allontanarsi a passi svelti. Ne fece quattro, cinque, poi si bloccò e, spinto da chissà quale forza, girò la testa: vide Harry sorridergli, e venne colto da una sensazione indefinita. Non reagì e, dopo pochi istanti, riprese il proprio cammino.
        Quel ragazzo gli aveva fatto proprio una strana impressione.










 
Angolo di Tormenta

Alternative universe! Era la prima volta, per me. E' difficile privare i personaggi del proprio background e sperare che siano sempre gli stessi. Oserei quasi dire che è impossibile. In ogni caso, ho cercato di renderli più o meno credibili e di far emergere le personalità (l'arte era solo un pretesto per farli bisticciare, perchè non esistono Potter e Malfoy che non bisticciano); ora sta a voi farmi sapere se ci sono riuscita! c: 
Il titolo è ripreso da quello di una famosa opera di Monet. 

Ringrazio infinitamente tutti coloro che seguono e/o recensiscono la storia! Mi rendete davvero molto felice! ♥ :* 
Un immenso bacione e a risentirci lunedì prossimo!
T. ♪


 
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Capitolo 5
*** La maschera ***


Genere: Introspettivo
Contesto: Durante la seconda guerra magica
Intro: Certe notti, per il Bambino Sopravvissuto, sono ben più lunghe delle altre.





 
Il sogno è l'infinita ombra del Vero.
(Giovanni Pascoli)


 
 
La maschera
 
 
 
 
        In un rombo di tuono, tutto traballò. Una forte scossa – la seconda – parve lacerare il terreno.

        Come un drago. Un drago in Sala Comune, e tutto andava a fuoco.
        Qualcuno aveva urlato, probabilmente chiedendo aiuto, ma in quel caos Harry non aveva capito bene e non si era soffermato a riflettere: aveva iniziato a correre nel lungo corridoio, sentendo vicine tante ombre alle proprie spalle. Aveva un peso sul cuore, una grande paura.
        Sussultò insieme con il pavimento all’abbattersi della terza scossa, e si sentì cadere: la pietra era fredda, e gli fece bruciare i palmi delle mani. Rialzandosi in piedi strinse i denti e, vista dritto davanti a sé una porta, di getto la valicò.
        Non se ne accorse, ma qualcuno entrò con lui. «Che stai facendo?»
        Il rimbombo di quella voce nella stanza vuota lo colpì al petto. «Scappo!»
        Con il fiato corto a causa della corsa e il disappunto dipinto sul viso, Draco Malfoy fissò gli occhi dritti nei suoi. «Tu sei l’eroe», disse, «non puoi scappare».
        «Posso, invece!»
        «No. Tu sei l’eroe».
        Premendo forte contro la porta per tenerla chiusa, e per far sì che ciò che era fuori non entrasse lì dentro, Harry ringhiò. «Smetti di ripeterlo! Non lo sono».
        «Qualcuno deve fare qualcosa».
        «Perché non ci pensi tu?»
        «Non posso. Io sono qui, quello è fuori».
        «Beh, neanche io sono fuori».
        «Ed è sbagliato».
        Non sapendo che pensare né tantomeno che fare, Potter chiuse gli occhi per un istante, nel tentativo di scacciare quella brutta sensazione d’oppressione che l’aveva colto. «Perché tu puoi stare qui e io no?»
        «Perché―»
        «Sei codardo». Era stato lui? Si era risposto da solo?
        «Sono codardo», confermò Malfoy con voce piatta.
        Esitò, «Voglio poterlo essere anche io».
        Con la testa inclinata e la fronte corrugata, gli rivolse uno sguardo interrogativo. «Ma è una prigione anche peggiore», asserì.
        Quale prigione? avrebbe voluto chiedergli Harry, e peggiore di cosa? Ma uno strano rumore lo distrasse, spingendolo a guardare verso il basso e a notare l’acqua. Tanta acqua. Fino alle caviglie, in tutta la stanza: non immaginando da dove potesse essere saltata fuori, si spaventò e istintivamente fece tre o quattro passi indietro.
        «Ecco. L’avevo detto», commentò Draco, tutt’altro che sorpreso.
        «Che cavolo succede?» Si guardò attorno, «D-dobbiamo uscire da qui».
        «E come
        La porta non c’era più: era sparita, lasciando il posto ad un robusto muro di mattoni levigati. D’istinto, Potter recuperò la bacchetta, ma non appena la puntò sulla parete gli cadde di mano.
        «Che fai?»
        Non gli prestò attenzione, deciso a ritrovare la propria bacchetta – non la vedeva. Era caduta in quell’acqua cristallina che continuava a salire e che aveva raggiunto ormai l’altezza dei polpacci, ed era sparita.
        «È inutile», gli fece notare Malfoy, sedutosi a terra. I lembi della sua divisa galleggiavano appena, emergendo come inquietanti macchie nere.
        Guardando verso di lui con fare agitato, Harry si ritrovò a fissare due grandi occhi verdi. Ma gli occhi di Malfoy non sono verdi, si disse, e d’improvviso, in un sospiro, capì: tutto il nonsenso della scena acquistò significato. «È un sogno», proclamò, e subito si sentì un po’ meno preoccupato. «Voglio svegliarmi».
        Si concentrò, strizzò gli occhi, si mosse camminando impacciato nell’acqua, ma niente da fare; provò allora ad applicare la propria volontà – tutto quello era solo nella sua mente, no? – cercando di fermare l’ascesa dell’acqua e di far riapparire la porta, ma nemmeno quel trucco funzionò. Finì col sentirsi ancor più in trappola di prima. «Voglio svegliarmi!» Ripeté con la forza di un disperato.
        Noncurante, Draco seguì i suoi movimenti con lo sguardo. «Perché hai paura? Sei l’eroe».
        «Non sono l’eroe! E stai zitto!» Non riuscì nemmeno a rivolgergli lo sguardo, turbato: «Sei strano, sei finto. Sta’ zitto». Che ci faceva lì, quella copia? Non la voleva, e desiderò tra sé e sé che sparisse.
        Non funzionò. «Dove sono i tuoi amici?»
        Avrebbe tanto voluto intimargli di nuovo di tacere, ma si sforzò di mantenere la calma, continuando a non guardarlo. Deglutì, «Non lo so».
        «Non sono qui. Perché? E perché ci sono io?»
        Era esattamente ciò che si stava domandando. «Non ne ho idea». Ispirò profondamente, provando a ragionare. «Tu sei― sei codardo». Per qualche ragione, era l’unico aggettivo che gli veniva in mente.
        «Sei codardo», ripeté Malfoy.
        Harry non capì: poco prima aveva confermato l’accusa senza fare una piega, e ora gliela ritorceva contro? Senza riflettere si voltò per fronteggiarlo, e negli occhi verdi che si trovò davanti rivide se stesso. Come paralizzato, non fu in grado di dir nulla.
        La voce dell’altro risuonò nella stanza, anche se le sue labbra non si mossero. «Sei codardo. Eppure sei l’eroe».
        «Piantala di ripeterlo!» Non lo sopportava più: scosso dall’ira, tornò a dargli le spalle. «Non voglio essere l’eroe», ammise poi.
        «Ma lo sei; lo dicono tutti».
        «Dover combattere una guerra non fa di me un eroe! E voglio uscire da qui!» Pestò un piede nell’acqua, che nel frattempo si era alzata fino alle ginocchia, pensando a quanto fasullo fosse quel Malfoy. Quello vero, di certo, non gli avrebbe parlato in quel modo: magari l’avrebbe insultato, o aggredito, o gli avrebbe rinfacciato qualcosa.
        «Smetti di fare la vittima, Sfregiato».
        Ecco, sì, avrebbe cominciato così.
        «Come puoi lamentarti della tua situazione? Della tua posizione? Dopo che hanno fatto il possibile per aiutarti? Dopo che tanta gente è morta, o ha subìto le pressioni di un pazzo?»
        Quello era un discorso che si sarebbe aspettato da Malfoy. Ma da dove era venuta la voce? Gettò stranito uno sguardo alle proprie spalle, e lo vide lì, in piedi, con le gambe piantate nell’acqua, le braccia incrociate, e gli occhi argentei infiammati di rabbia.
        «Mi fai schifo. Ti lagni quando tutti ti acclamano: prova a pensare a chi sta dall’altra parte. A chi riceve nient’altro che odio».
        Nella mente di Potter scorsero veloci i ricordi di quando l’aveva colto quella volta nel bagno di Mirtilla. L’aveva visto in crisi. Poi, il Sectumsempra. In un istante, si sentì bruciare di vergogna e rimorso.
        L’ombra del Serpeverde si avvicinò di un passo. «Me lo meritavo, Potter?»
        Come poteva essere un eroe? Come potevano gli altri credere che lo fosse?
 
 

        Svegliandosi di soprassalto, spalancò gli occhi: il cuore gli batteva nelle tempie, era sudato e gli pareva di soffocare. Scattò a sedere, e subito riconobbe attorno a sé la stanza del dormitorio, immersa nel buio della notte.
        Aveva fatto cose orribili: aveva ferito, aveva sbagliato e c’era chi era morto per lui, come se davvero ne valesse la pena.
        Quasi immobilizzato, sprofondò in un silenzio di tomba.










 
Angolo di Tormenta

Con un titolo come "Novelle per una settimana", non potevo non scrivere una storia intitolata "La maschera". Comunque: ansia per tutti (?)! Il focus della testo sono le scene d'azione/concitate. Non sono mai state il mio forte, ma voglio imparare! c: 
Dopo l'ispezione nella mente di Draco di "Il tempo delle fate", questa volta era il turno di Harry. Ed è così che vi presento un Harry in crisi! Magari l'hanno già dipinto in questa maniera a centinaia, ma volevo provare anche io. :) 


Grazie mille a tutti coloro che seguono e/o recensiscono la storia! Love you all! ♥ 
Un bacione e alla prossima,
T. ♪

 
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Capitolo 6
*** Aria di novità ***


Genere: Slice of life, Fluff
Contesto: Dopo la seconda guerra magica, Vago
Intro: Ci sono cose che Draco Malfoy non può permettere. Come ad esempio che Harry Potter dorma fino a tardi.





 
Il buon giorno si vede dal mattino.

 
 
 
Aria di novità
  

 
 
        Da quando, per folli giravolte del destino, aveva iniziato a convivere col multiforme Draco Malfoy, Harry Potter non aveva posto chissà quali regole, malgrado la casa, sulla carta, fosse sua. Gli aveva solo chiesto di non distruggere niente, e di non spostare le sue cose senza avvisarlo. Poi, l’aveva pregato di non svegliarlo il giovedì mattina, visto che tutti i mercoledì gli toccavano gli straordinari e rientrava ad orari indecenti.

        Neanche a dirlo, Draco se n’era sempre infischiato, dei suoi straordinari; in un modo o nell’altro, col gusto per i dispetti di un bimbo, gli impediva di dormire. All’inizio s’era arrabbiato, ma col tempo aveva imparato a lasciarlo fare e ad ignorare il baccano che faceva apposta per infastidirlo.
        Un giovedì mattina qualunque, poi, accadde un miracolo: in casa pareva regnare il più completo silenzio. Rigirandosi tra le lenzuola, nel dormiveglia, Potter si domandò distrattamente se era possibile che Draco avesse finalmente recepito il messaggio.
        Avrebbe dovuto capire subito che no, non era possibile, ma non si soffermò a riflettere, e questo gli costò parecchio.
        Senza preavviso, il sibilo di un fruscio risuonò nella stanza. Mugolò sommessamente, percorso da un brivido di freddo, e si riscosse appena – le coperte. Le aveva fatte cadere? Non ebbe tempo di trovare una risposta, però, perché in un istante una terrificante sensazione di insetti sulla pancia lo fece sussultare bruscamente.
        Scalpitò, scalciò, mosse convulsamente le braccia nel tentativo di scacciare quel fastidiosissimo solletico; si lasciò persino sfuggire dei mezzi strilli.
        Alla fine, riuscì ad avere la meglio sulle mille formichine che l’avevano assalito. Col cuore accelerato e le orecchie tese, si prese una manciata di secondi per scacciare definitivamente l’annebbiamento dovuto al sonno.
        Quando scorse la sfocata sagoma di Draco stagliarsi nel buio della stanza, e lo sentì sghignazzare, quasi ringhiò. «Ma che cavolo―»
        «Buongiorno», sussurrò divertito Malfoy, ignorando la sua indignazione.
        «Si può sapere che ti è venuto in mente? Mi hai fatto prendere un colpo!» Sbuffò, e si lasciò ricadere sul materasso – nella foga, era saltato a sedere.
        Draco scostò le tende, lasciando entrare la luce.
        «Ah! Chiudi!»
        Incrociò le braccia, «Ho fame».
        Harry, perplesso, strizzò gli occhi. «Cosa
        «Preparami la colazione».
        «Ma sei fuori? Sono tornato alle due, stanotte!»
        «Ciò non toglie che abbia fame».
        «Che razza di scusa è? Potevi anche inventarti qualcosa di meglio, se proprio volevi darmi fastidio!» Gli diede le spalle, piccato. «Preparati qualcosa da solo!»
        Sedendosi sul letto, Malfoy tacque brevemente. «Che scusa avrei dovuto usare?»
        «Che ne so! Che vuoi che facciamo colazione insieme, ad esempio».
        «Okay». Schioccò la lingua, «Voglio che facciamo colazione insieme».
        Si girò con l’intenzione di mandarlo al diavolo, ma l’ombra che vide del suo viso – non aveva gli occhiali – lo spinse a tacere. Possibile che ci tenesse davvero, a stare con lui di mattina? In fondo, lo svegliava sempre.
        Consapevole di aver centrato l’obiettivo, Draco si chinò come a volergli dare un bacio. Ciò che fece, però, prima di sfrecciare fuori dalla stanza, fu sussurrare, ghignando: «Non bruciare il toast». 









 
Angolo di Tormenta

Flashfic! Insieme con le drabble, un allenamento per imparare ad essere sintetica ed incisiva. :)
Per la prima volta ho usato volontariamente delle figure retoriche (?) e sono molto fiera di me. c':
Dopo l'ansia dell'ultimo racconto, mi faccio perdonare con un Draco che fa il solletico! Spero di essere rimasta abbastanza fedele al personaggio. 

Tecnicamente, questa storia è un tributo ad un'altra che ho scritto in passato. Ma son solo dettagli. 
Ringrazio profondamente tutti coloro che leggono/mi seguono/commentano! Love you all! ♥

Ci risentiamo lunedì prossimo con l'ultimo aggiornamento! Un bacione,
T. ♪


 
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Capitolo 7
*** Le serpi non dimenticano ***


Genere: Romantico
Contesto: Dopo la seconda guerra magica, Vago
Intro: Tra un bisticcio e l'altro, Harry e Draco trovano il tempo d'uscire a cena insieme.





 
Drinking old cheap bottles of wine
shit talking up all night
doing things we haven't for a while
 
{Bevendo vecchie bottiglie di vino economico
parlando di stupidaggini, svegli tutta la notte
facendo cose non fatte da un po’}
 
[The Script – For the first time]
 
 


 
Le serpi non dimenticano
 
 
 


 
        «Che ne dici del giapponese?»

        Lo guardò male, incrociando le braccia al petto e raddrizzando per bene la schiena sulla sedia. «Sai che non mangio cose strane».
        «Non sono cose strane, è solo, hm, sushi».
        «È pesce crudo. È strano, e io non lo mangio».
        Harry, ormai spazientito, sospirò: si sorprendeva ogni volta di quanto impostato fosse. «Hai idee migliori?»
        «Sai qual è la mia idea».
        «Non mi trascinerai in uno di quei locali pieni di gente con la puzza sotto al naso. Scordatelo».
        Come oltraggiato, Draco mi su un ghigno poco simpatico. «Sempre meglio dei buchi rustici in cui vuoi andare tu!»
        «Non sono buchi rustici, sono solo» esitò «posti più alla mano».
        «Se con più alla mano intendi totalmente privi di classe, posso anche darti ragione». Lo disse con quel suo tono acidulo, quasi provocatorio, come se dopo tutto quel tempo ancora si divertisse a lanciargli stupide frecciatine.
        Per un istante, Potter parve intenzionato a ribattere di getto, ma chissà come riuscì a fermarsi e a darsi tempo di riflettere. «Okay, ora basta», asserì, deciso. «Ci piacciono posti diversi, è chiaro. Dobbiamo solo trovarne uno che vada bene ad entrambi». La sua serietà crollò per un istante e, a metà tra la battuta e il lamento, mormorò: «Esisterà, no?»
        «Sto cominciando a dubitarne». Lo borbottò a voce bassa, ma non troppo, tanto per assicurarsi che l’altro sentisse.
        E sentì. Tuttavia, non perse la speranza, continuando a scervellarsi. «Pizza?» Buttò lì.
        Malfoy, senza nemmeno pensarci, lo stroncò: «No».
        Tra sé e sé, quasi ringhiò. «Sai, sarebbe d’aiuto se, invece di limitarti a bocciare tutte le mie idee, ne proponessi qualcuna». Incrociò anche lui le braccia al petto, convinto che così avrebbe contenuto meglio la voglia di arrabbiarsi. «E, poi, perché non va bene la pizza? Ti è piaciuta, l’altra volta!»
        «L’altra volta non c’erano alternative. Ti sei presentato con quella e avevo fame, tutto qua». Fece un gesto scocciato con la mano, come se ogni cosa fosse ovvia.
        «Mettiti in testa che devi scendere ad un compromesso».
        «Non mi piacciono i compromessi».
        «Me ne sono accorto!»
        Per un momento regnò il silenzio, poi Draco sospirò rumorosamente, piccato; possibile che tutti i locali che più gli ispiravano non fossero adeguati a Potter? Era un tipo così poco fine, lui. «Questa storia è una gran cavolata», sbottò, «lasciamo perdere». Si alzò dalla sedia e fece per andarsene, con un’espressione incomprensibile stampata sulla faccia.
        «Cosa?» Spinto da una scarica di adrenalina avanzò di un passo, allontanandosi dal mobile a cui era stato appoggiato col bacino fino a quel momento. «Solo perché non ti lascio scegliere il ristorante, vuoi lasciar perdere?»
        Alzò le spalle, «Sì». Pareva amareggiato. «Comunque vada, almeno uno dei due si sentirebbe a disagio, perciò―»
        Harry lo interruppe: «Almeno uno dei due, dici? Cioè, se quello che è a disagio sono io, tutto okay, non t’importa, ma se devi essere tu a fare un piccolo sacrificio: per carità, non se ne parla».  
        «Devo ricordarti che ho accettato di andare in un dannato locale per babbani, forse?»
        «Certo che lo hai fatto – non vuoi che ti vedano con me!»
        Non osò correggerlo, considerato che aveva colto nel segno. «Resta il fatto che non c’è motivo per stressarsi tanto. Possiamo fare a meno di questa cosa».
        «Invece no». Si morse una guancia, «Non siamo mai usciti per cenare insieme».
        «Abbiamo cenato insieme decine di volte».
        «Si ma― ma non siamo mai andati fuori. Tipo, hm, appuntamento». Tacque brevemente. «Io ci tengo. Tu no?»
        Malfoy non rispose: non l’avrebbe mai ammesso, ma la domanda l’aveva messo terribilmente a disagio; insomma, un appuntamento? Ne voleva uno, certo, ma per qualche ragione non gli andava a genio l’idea di chiamarlo così – perché dare un nome alle cose le faceva sempre diventare più reali, quasi più spaventose.
        Vedendolo tacere, Harry lo punzecchiò: «Non t’importa? Se è così dillo e basta, non mi metterò di certo a piangere». Si sarebbe limitato a deprimersi un pochino, senza farlo notare a nessuno.
        Draco non volle decidersi ad aprir bocca, ma, sentendo il pressante bisogno di esprimersi, fece uno strano cenno muovendo le mani, un po’ le spalle, la testa, e mugugnò. Lui stesso l’avrebbe giudicato un messaggio incomprensibile.
        Eppure, l’altro credette di capire: sulle note di uno sbuffo abbassò lo sguardo, e si diede una manciata di secondi per prendere una decisione. «Chiamerò quello stupido locale per snob», decretò alla fine, mogio; aveva capito che l’unico modo per ottenere quella serata insieme era giocare alle sue regole. «Venerdì va bene?»
        Con la sorpresa negli occhi, e sempre senza parlare, Malfoy annuì.
        «Bene». Senza aggiungere altro, lo aggirò per uscire dalla stanza, serio in volto.
        Rimasto solo, Draco prese a fissare il vuoto davanti a sé. Non capiva: per quale ragione Potter si era arreso così? Stava cercando di fare il superiore, forse? Di dimostrargli quanto magnanimo fosse, o di come sapeva gestire una relazione meglio di lui?
        Strinse i pugni, turbato. Sapeva di non essere una cima in merito a rapporti e compromessi, ma non poteva accettare che qualcuno gli rinfacciasse in maniera tanto esplicita la sua incapacità. Non gli stava bene, affatto. Per questo, pestando i piedi lungo il corridoio, lo cercò con gli occhi nelle varie stanze, deciso a mettere in chiaro alcune questioni.
        Lo ritrovò in sala, attaccato ad uno di quei suoi aggeggi babbani. Sarebbe subito intervenuto sbottando qualcosa, se solo non gli fosse stato fatto cenno di tacere: Harry stava già parlando con qualcuno, a quanto pareva.
        «Ho capito», lo sentì dire. «Arrivederci». Riagganciò il telefono con stizza, inspirando profondamente. «Mi hanno riso in faccia», fece, cupo.
        «Chi?»
        «Quelli del ristorante. A quanto pare è assurdo chiamarli con solo tre giorni d’anticipo – sono già pieni per venerdì».
        Draco ci rimase male, ma non lo diede a vedere: in fondo, quella poteva essere un’occasione di rifarsi del torto subito. «D’accordo», proclamò solenne quasi controvoglia, «fa lo stesso».
        «Prima insisti all’infinito per andare in quel posto, e poi non t’importa se è pieno? Che fai, mi prendi in giro?»
        «No». Tutto compunto, gli rivolse un’occhiataccia.
        «Allora che ti prende?»
        «Mi sono semplicemente reso conto che, come al solito, volevi fare il superiore, dimostrare che sei quello migliore dandomi un contentino».
        «Quale contentino?» Non voleva credere alle proprie orecchie: aveva rinunciato ad ogni pretesa pur di farlo contento, e veniva anche accusato? Gli parve assurdo. «Stavo solo cercando di organizzare una cena!»
        «Okay, allora organizzala: scegli tu il ristorante». Lo disse emulando una gran convinzione, ma se ne pentì quasi immediatamente: stava correndo il rischio di ritrovarsi a passare una serata interminabile in un posto orribile. Eppure, pur di tenergli testa, di dimostrargli di essere al suo livello, rimase fermo sulla propria posizione.
        «Vuoi che lo scelga io? Ma se fino a dieci minuti fa bocciavi ogni mia proposta!»
        Senza ribattere, Malfoy alzò le spalle. Aveva reagito infantilmente? Forse, ma se non altro poté sentirsi meglio con se stesso: non sopportava fare sempre la figura di quello in difficoltà che non sa come gestire una storia, e non tollerava il confronto con Potter che, con tutta quella sua tediosa naturalezza, era capace di invitarlo a cena e di parlare di appuntamenti.
        All’oscuro del nonsenso presente nella mente di Draco, Harry scosse il capo, sbuffando. «Insisterei nel chiedere spiegazioni, ma, sai― non importa, va bene così». Gli piacque pensare che l’altro fosse in preda a qualche raptus di gentilezza, e che lo stesse applicando in una delle sue contorte maniere. «Ti ringrazio per la fiducia, e: troverò un posto decente, vedrai».
 
 

        E lo fece.
        Il ristorante che scelse, almeno sulla carta, appariva perfetto: non era d’alta classe, ma era abbastanza elegante; le specialità del menù non erano cibi strani, come li avrebbe definiti Malfoy; aveva persino una certa fama. Era così fiero di sé per averlo scovato: pareva essere il locale in grado di metterli d’accordo.
        Peccato che fosse anche chiuso.
        Loro lo scoprirono quando ormai era troppo tardi, la sera della cena: si erano materializzati in un vicolo lì vicino, avevano raggiunto il locale sotto la pioggia – perché pioveva, e anche piuttosto forte – e a dare loro il benvenuto videro solo il cartello chiuso. Neanche a dirlo, non la presero molto bene.
        «Non ti eri informato?» Se ne uscì subito Draco, irritato.
        Harry, terribilmente deluso, balbettò per un istante senza emettere suoni. «È un posto grande e non è» tentennò «da fighetti. Non pensavo ci fosse bisogno di prenotare!»
        Non volle crederci. «Fai sul serio?»
        «Poi, dài― quale ristorante chiude il venerdì?»
        «Questo, a quanto pare». Sbuffando, si pentì di aver affidato a lui l’organizzazione. Si mise le mani in tasca in un gesto di rabbia, e mormorò, amareggiato: «Sapevo che questa serata sarebbe stata un disastro. Andiamocene, non mi va di stare qua a bagnarmi».
        Tanto dispiaciuto, Potter corrugò la fronte e si sforzò di trovare una soluzione. «Cerchiamo un altro posto», propose, parlando veloce.
        «Uh?»
        «Qui nei dintorni ci saranno dei locali aperti. E se non ci sono, possiamo smaterializzarci e cercarli altrove!»
        Non del tutto persuaso e alquanto infreddolito, Draco mugolò tra sé e sé. «Va bene», buttò lì, pensando che, considerata la cura con cui si era preparato per quella stupida uscita, sarebbe stato un peccato rientrare subito. Inoltre, a quel punto avrebbero anche potuto rifugiarsi in qualche ristorante di classe: non gli sarebbe affatto dispiaciuto.
        S’incamminarono sotto la pioggia, affiancati sotto ad un ombrello scuro che, non essendo abbastanza ampio, finì con il lasciare allo scoperto una delle spalle di Harry. Lui non si lamentò. Ciò che disse, invece, fu: «Mi spiace. Avrei dovuto chiamare». Si sentiva davvero in colpa. «Ci avevo anche pensato, ma giuro: non credevo fosse necessario, e― hm, ho sbagliato, ecco».
        L’altro lasciò passare una manciata di secondi prima di ribattere, come se una pausa di silenzio potesse dare più importanza alle sue parole. «Non ti sei dimostrato un grande organizzatore», borbottò, «ma può capitare, immagino». Si stupì da solo della propria magnanimità, e se ne compiacque.
 
 

        Camminarono per quelli che forse furono dieci minuti, poi, scorgendo un’insegna, si accostarono al lato della strada, cercando di capire in che tipo di locale fossero incappati.
        «Questo posto non m’ispira».
        «È aperto, dentro c’è gente; non sarà terribile».
        «Non possiamo optare per un ristorante più» esitò, alzando le spalle «fine
        «Siamo nel bel mezzo di una strada, perciò niente magia, e―»
        «Cerchiamo un vicolo».
        «Diluvia». Con una spalla ormai completamente bagnata, Harry decise d’impuntarsi. «Entriamo».
        Malfoy, immusonito, lo accontentò. E se lui, una volta che furono dentro, non vide che la conferma dei propri sospetti, l’altro invece si stupì, mugugnando dalla delusione: non era affatto un bel ristorante. Insomma, non era adatto ad una prima uscita – non era memorabile, né tantomeno arredato con gusto.
        Li fecero accomodare ad un tavolo piuttosto in fretta, e la prima cosa che fece Draco fu controllare che le posate fossero pulite. «Detesto questo posto», decretò poi, irremovibile.
        «Dagli una chance». Dicendo così, Potter parlava anche a se stesso: doveva convincersi che la loro cena poteva ancora avere senso. In fondo, il locale era solo marginale – l’importante era che fossero lì insieme.
        Una cameriera accorse rapidamente, con un sorriso tirato stampato in faccia e i capelli ramati stretti in un concio spettinato. «Pronti per ordinare?»
        Sfoderando uno dei suoi sguardi di ghiaccio, Malfoy schioccò appena la lingua. «Mi sono praticamente appena seduto, ma certo, sono pronto per ordinare», borbottò, stringendo in una mano il foglio plastificato su cui era stampata la lista delle pietanze. «Il menù» era quasi esagerato definirlo tale «è così incredibilmente povero che l’ho letto in venti secondi».
        «Contieni l’acido», lo apostrofò Harry, scusandosi al posto suo con la povera cameriera, che aveva preso male tutta quella cattiveria improvvisa; l’aveva turbata tanto da portarla a decidere di prestare attenzione solo a quello gentile dei due: fu lui, infatti, ad ordinare per entrambi, e a guadagnarsi un sorrisino civettuolo.
        Non appena la ragazza si fu allontanata, brontolò: «Perché le hai risposto così?»
        «La mia era una semplice osservazione, e lei è stata poco professionale: non mi ha neanche guardato in faccia».
        «Sei stato scortese. È assurdo che debba dirtelo io; fai o non fai parte dell’alta società? Dov’è finita la tua etichetta?»
        Non riuscendo ancora ad accettare l’idea di essere incastrato lì e di non poter andare in un ristorante degno della sua persona, Draco si lasciò sfuggire un mezzo ringhio piccato. «Non esiste etichetta per quando si è circondati dallo schifo», sbottò incrociando le braccia.
        A quel punto, Potter iniziò ad avere qualche dubbio sul fatto che la scelta del ristorante non contasse quanto quella della compagnia; con uno come Malfoy, probabilmente il locale giusto faceva davvero la differenza. In ogni caso, era troppo tardi per pensarci. «L’atmosfera non è granché, ma magari il cibo è buono», fece, nel triste tentativo di non perdersi d’animo.
        Purtroppo, fu un tentativo fallito. Infatti – messa da parte la loro apparente incapacità di intavolare un discorso –, neanche il cibo si rivelò all’altezza, e ciò fu motivo di una seconda scossa di avvilimento. Sospirando, cominciò persino a domandarsi per quale assurda ragione uscire insieme gli fosse sembrata un’idea tanto geniale.
        Mentre lui s’interrogava, Draco, invece di sparare lamentele sulla cena, si raccolse per un momento di profonda riflessione: era certo di aver intravisto la cameriera rivolgergli una strana occhiata e, guardando il proprio piatto, aveva iniziato a pensare male. Che quell’antipatica avesse combinato qualcosa di spiacevole alla povera bistecca che gli avevano servito?
        «Lo ammetto: ho mangiato cose migliori», mormorò d’un tratto Harry, mesto.
        «Ceneremo con il vino», propose l’altro con una serietà disarmante, reduce dalla saggia decisione di non avventarsi sulla carne. «Almeno questo è accettabile», appuntò dopo averne bevuto un sorso.
        Malgrado nella scena fosse presente una vena umoristica, Potter non si rallegrò – anzi, praticamente si depresse, abbassando la testa.
        «Perché quella faccia?»
        Per un istante, tacque: doveva sfogarsi e dirgli ciò che gli stava passando per la testa, o no? Scelse di farlo, premettendo: «Avevi ragione. Questa serata è un disastro».
        Malfoy non commentò, limitandosi a bere altro vino.
        «La prima cena fuori dovrebbe essere un bel ricordo, ma a quanto pare non ci sono speranze». Abbandonò le posate nel piatto, colto da un lampo di rabbia. «Prima litighiamo per scegliere il ristorante, poi lo troviamo chiuso perché non ho chiamato; e ora siamo qui con questa roba» indicò la carne, amareggiato «e― e, beh, non siamo neanche in grado di parlare di qualcosa per distrarci. È una situazione fastidiosa – scomoda, ecco». Riprese fiato brevemente, prima di concludere: «Dovevamo lasciar perdere, come avevi detto tu».
        «Credevo ci tenessi».
        «Infatti», scrollò le spalle, «ma immagino non fosse destino».
        Per un momento Draco si distrasse, notando che la cameriera con il concio spettinato stava guardando dalla loro parte e che, in particolare, fissava Potter. Dovette fare uno sforzo notevole per non dar peso alla questione e concentrarsi sulla conversazione in corso, e comunque non ottenne i risultati sperati, perché tutto ciò che riuscì a dire fu: «Sei noioso quando fai il depresso». Le sue intenzioni erano buone, ma di certo quello non era il modo migliore per dimostrarlo. Se ne rese conto quasi subito, e si affrettò a rimediare: «La serata non è finita», buttò lì, senza il timore di ricorrere a qualche piccola bugia, «e non è neanche terribile come l’hai dipinta».
        «Tu sei il primo ad averla definita un disastro».
        Roteò gli occhi, «Poteva essere anche peggiore. Insomma, sì, abbiamo litigato a vuoto per un’ora a causa di questa faccenda, ma non dovresti stupirti». Bevve l’ennesimo sorso di vino, «Litigare è la nostra cosa».
        «La nostra cosa
        «Già. Dovresti averlo capito da un pezzo». Accennò ad un ghignetto compiaciuto. «Poi, il ristorante era chiuso perché ho lasciato l’organizzazione a te. Grosso errore».
        «Sai, non ho ancora capito perché l’hai fatto».
        Malfoy fece un gesto insensato, borbottando qualcosa d’incomprensibile: non voleva tornare in argomento. «Sto ammettendo di aver sbagliato, possiamo concentrarci su questo?»
        Sorrise. «Sì, perché no».
        A vederlo di nuovo contento, si sentì un po’ meglio. «Vuoi ancora che sia una bella serata?»
        «Certo».
        «Allora hai due possibilità: puoi portarmi in un ristorante chic all’istante», lo guardò intensamente, sperando di risultare più persuasivo, «oppure puoi offrirmi un’abbondante quantità di vino».
        Harry ci pensò su, perplesso. «Vada per il vino».
        «Bah». Corrucciò la fronte, «Per un attimo ci avevo sperato».
        «Te l’ho detto, non mi trascinerai in un covo di snob». Rifletté ancora, afferrando il proprio bicchiere. «Per quanto inadeguato sia, questo ristorante ci mette d’accordo».
        «Hm?»
        «Siamo d’accordo sul fatto che non ci piace. È un inizio».
        «Se vogliamo metterla così».
        Da quel momento, le cose andarono un po’ meglio. Forse fu perché Malfoy si mise il cuore in pace, dimenticando il locale di classe e iniziando a smaltire la cattiveria che aveva in circolo; o, forse, fu perché Potter si era accorto che, cattiveria o meno, aveva cercato di tirargli su il morale. Ovviamente, l’aveva apprezzato. In ogni caso, si sciolsero un po’, e improvvisamente chiacchierare parve loro più facile che mai.
 
 

        «Ho notato che la cambia tutti i giorni». Corrugò la fronte, concentrato: Draco si stava veramente impegnando per raccontare quella storia. «Non mi ricordo se l’ha sempre fatto o se ha iniziato da poco, ma― lo fa. Ha sempre una tazzina diversa». Stavano parlando di Narcissa. «Una per ogni giorno della settimana».
        Era un argomento banale, ma per qualche ragione Harry lo trovava incredibilmente interessante. «Cioè, ha tipo la tazzina del lunedì?»
        «Sì. Non capisco perché».
        «Magari si diverte».
        «Collezionare tazzine è divertente?»
        «Non so, forse lo è». Non si ricordava nemmeno come fossero finiti a parlare di una cosa tanto futile, ma farlo gli piaceva: trovava molto appagante il fatto che Malfoy gli raccontasse quei dettagli della sua vita. Lo faceva sentire importante. «È bello passare del tempo insieme», commentò, con una gran smorfia contenta sul viso. «Dovremmo farlo più spesso».
        «Noi passiamo del tempo insieme. Anche troppo».
        «Troppo?»
        «Passo almeno tre notti a settimana a casa tua».
        «Non è molto. E poi, non facciamo mai niente».
        Versandosi altro vino, gli scoccò un’occhiata allusiva. «Quello dell’altra notte tu lo chiami niente
        Potter, colpevole, non poté che sorridere. «Niente a parte quello, intendevo. Parliamo poco. E se parliamo, litighiamo». A quel punto, le labbra persero la loro piega all’insù. «Poi, a parte stasera, non siamo mai usciti».
        «So che senza di me ti annoi a morte, Potter», lo prese in giro l’altro, atteggiandosi a prima donna facendo un gran gesto con una mano, «ma non posso passare con te più tempo di così».
        «Perché?»
        Draco fece per rispondere, ma all’ultimo si bloccò: sentiva le parole solleticargli la punta della lingua, ma per quanto si sforzò non riuscì ad identificarle, sfocate com’erano nei suoi pensieri. «Ehm, non mi ricordo», ammise in un soffio. Per un istante, poi, fissò il proprio bicchiere: forse, l’aveva svuotato una volta più del dovuto.
        «Uffa».
        Chissà come, quel lamento sommesso lo fece intenerire. «Beh, magari ogni tanto possiamo fare come stasera», borbottò, tanto per accontentarlo.
        Come un bambino, Harry s’illuminò: probabilmente, era anche lui un po’ brillo. «Possiamo?»
        «Ogni tanto».
        Sorrise di nuovo, «Ti ho mai detto che mi piaci di più quando bevi un pochino?»
        «Me lo dici tutte le volte che bevo».
        «È vero». Ridacchiò appena.
        «Potrei offendermi, sai?»
        «Hm, ma dico solo che sei più tollerabile. Insomma, quando sei sobrio ci sono dei momenti in cui mi fai così tanto incavolare che―» con aria ingenua, lasciò per un attimo la frase in sospeso, come se stesse cercando le parole più adatte per terminarla: «che vorrei pestarti!» Immedesimato nei propri ricordi, eseguì una strana serie di gesti.
        Prontamente, Malfoy li riconobbe: «Oh, intendi quando fai così
        «Così come?»
        «L’hai appena fatto», sbottò, ghignando. «Pieghi la testa così, e mi guardi male, e fai questa cosa strana con la lingua». Cercò di imitare quei gesti, scimmiottando la sua espressione arrabbiata.
        «Ehm, credo di sì». Divertito, si domandò se davvero appariva tanto ridicolo quando era arrabbiato.
        «Pensavo che significasse che avevi voglia di fare sesso, non di pestarmi», confessò, prima di bere un sorso di vino.
        Colpito, Potter si diede un secondo per ponderare la questione. «Beh, hm», fece poi, fingendosi serio, «magari significa entrambe le cose».
        Sciolto dall’azione dell’alcol, Draco rise; fu una risata sincera, a cuor leggero, di quelle che poteva permettersi solo di rado. «Niente batte il sesso arrabbiato», affermò poi.
        «A me piace più quello pacifico». Con quella battuta, dal piano degli scherzi il discorso parve scendere al piano della serietà: esso si rivelò più accogliente del previsto, tant’è che entrambi accennarono un sorriso.
        Improvvisamente colto da un buffo senso di imbarazzo, Malfoy sentì il bisogno di cambiare argomento. «Voglio un dolce», asserì.
        «Uh?»
        «Ne avranno qualcuno, immagino».
        Realizzando che si trattava di un desiderio vero, Harry si riscosse. «Penso di sì», disse, per poi guardarsi attorno alla ricerca di un cameriere a cui rivolgersi. Vide la ragazza coi capelli ramati, e fece per attirare la sua attenzione con un braccio, ma l’altro lo fermò.
        «Lascia, faccio io», mormorò infatti Draco, rivolgendo alla tipa un’occhiata minacciosa.
        Ordinò del tiramisù. O, almeno, quello che spacciavano per tale. Quando glielo servirono, Potter ne approfittò per chiedere il conto.
        «Non è tardi», buttò lì una volta che la cameriera si fu allontanata. «Credo che piova ancora, ma» esitò «ti va di fare qualcos’altro, prima di tornare a casa?»
        Mangiucchiando distrattamente il dolce, Malfoy mugugnò un «Hm» che, nella sua testa, voleva dire – non si soffermò a precisarlo, proseguendo: «ma sappi che non entrerò in un altro locale scadente».
        «Un pub? No?» Non gli parve molto convinto, ma non volle demordere: «Potremmo bere qualcosa che non sia vino».
        «Oh, dunque vuoi farmi bere ancora?» Assottigliò gli occhi, «Stai cercando di intontirmi per portarmi a letto, per caso?»
        Stando allo scherzo, Harry alzò le spalle. «Può essere».
        Di lì a poco, la ragazza con il concio spettinato ricomparve, dicendo: «Ecco il conto». Poggiò un foglietto di carta sul tavolo, lasciandosi sfuggire un sorrisino dolce dedicato a “quello simpatico”. «Quando siete pronti, potete pagare a me al bancone», aggiunse prima di fare dietrofront, recuperando il piatto ormai vuoto su cui era stato servito il tiramisù.
        Potter, senza neanche pensarci, sorrise a sua volta. «Grazie».
        A Draco quell’amorevole scambio di battute non piacque. Piccato, afferrò il foglio appena consegnato e sbirciò la somma da pagare, come se fosse pronto ad offrire; dopo aver costruito l’illusione, però, lo ripose laddove l’aveva trovato, per poi farlo scivolare davanti all’altro con un gesto noncurante.
        Non sapendo bene come reagire, Harry corrucciò la fronte. «Offro io, hm?»
        «Credevo l’avessimo stabilito sin dall’inizio. Tu hai invitato me».
        Non riuscì a spiegarsi l’improvvisa comparsa di una nota acida nella sua voce, ma cercò di soprassedere. «D’accordo, d’accordo», soffiò, «in effetti me l’aspettavo. Ma sappi mi aspetto anche un ringraziamento coi fiocchi». Recuperò il portafoglio, «Vogliamo andare subito?»
        «Decisamente. Non vedo l’ora di uscire da qui». Si alzarono, diretti al banco bar: un lieve capogiro lo colse, e finì col rimanere un passo indietro. Fu a quel punto, con la testa ancora leggera, che scorse la cameriera sfoggiare l’ennesimo sorriso guardando Potter. Brillo e infastidito, sulle note di un ringhio soffocato, fece quello che fece.
        Non avrebbe saputo dare a quel gesto una connotazione razionale – gli venne spontaneo, ma di una spontaneità particolare, come quella delle scene nei sogni: tese un braccio, lo costrinse a girarsi e, dopo un attimo di esitazione, gli diede un bacio. Così, senza avvertimento.
        «Hm―» Colto di sorpresa, Harry non poté non notare che la gente ai tavoli vicini prese a scoccare loro occhiate incuriosite. Qualcuno, per ragioni che non volle analizzare, si voltò dall’altra parte mostrando persino un’espressione disgustata. In ogni caso, se ne fregò, ignorandoli in blocco.
        «Era― era il tuo grazie?» Fece non appena rientrò in possesso della propria bocca.
        «Sì, quello e―» tentennò «un regolamento di conti». Abbassò la voce sino a un sussurro: «Quella gatta morta della cameriera ti aveva fatto gli occhi dolci troppe volte».
        Istintivamente, ridacchiò. «Cosa?» Rifletté un istante, piegando il capo da una parte. «Fai il geloso per così poco?»
        Alzò gli occhi al cielo, glissando la domanda. «Mentre paghi, prendo l’ombrello».
        Divertito, Potter non replicò, avvicinandosi al bancone. La ragazza coi capelli ramati, che aveva suo malgrado assistito alla scenetta, gli rivolse uno sguardo a metà tra il sorpreso e il dispiaciuto. O, almeno, così a lui parve: non prestò molta attenzione alla cosa, limitandosi ad allungarle il denaro.
        Aspettando il resto, si voltò ad osservare Malfoy che, tutto tranquillo, attendeva sulla porta con l’ombrello in mano. Sorrise tra sé e sé, più che convinto che, col tempo, quella serata sarebbe diventata un gran bel ricordo.





 
 

 
Angolo di Tormenta

Questa OS altro non è che una sorta di missing moment di una delle storie che ho scritto (quale, è piuttosto intuibile dal titolo). :) 
Era l'ultimo racconto della raccolta. Spero che vi sia piaciuto! Vi ringrazio infinitamente per aver letto e seguito sin qui. Forse prima o poi me ne salterò fuori con qualche altro scritto. Per adesso, vi saluto e vi auguro una buona estate! :* 

Un grandissimo abbraccio... e alla prossima! C:
Vostra T. ♪


 
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