Il paese delle meraviglie

di Love_My_Spotless_Mind
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Hello Darkness ***
Capitolo 2: *** Night Without end ***
Capitolo 3: *** Dark Destiny ***
Capitolo 4: *** My eyes are closed ***



Capitolo 1
*** Hello Darkness ***


CAPITOLO PRIMO

 



Non so come mi sia trovato in quel luogo, non so nemmeno che strada avessi fatto e da quanto fossi in cammino. L’unica cosa che so con certezza è che non ero mai stato lì dove ero adesso. Ero in una casa fatta di mattoni, il pavimento era spoglio, sulla parete era ritagliata una finestra perfettamente quadrata che però non aveva vetri, era solamente un foro al centro di un muro spesso ed ingrigito dal tempo. Mi sollevai da terra, sembrava che le fondamenta di quella casa fossero state erette direttamente sul nudo  terreno, senza creare una superficie liscia che costituisse un vero e proprio pavimento. Non so nemmeno se raccolsi tutte queste informazioni al momento o se ci feci caso più tardi.

Gran parte di quel risveglio è avvolto dal mistero, per svariate ragioni che nemmeno io saprei elencare con precisione. So solamente che iniziai a camminare, non mi sentivo frastornato, stavo bene ed ero in forze. Mi avvicinai alla finestra dalla quale entrava un vento gelido, invernale. La neve era adagiata su tutto il paesaggio, per questo non riuscii ad analizzarlo con esattezza. Sapevo solamente che facesse molto freddo, probabilmente non ne provavo così tanto da molto tempo poiché iniziai a tremare violentemente, come non mi era mai accaduto. In quel momento mi accorsi di non avere un giubbotto.
Indossavo una semplice maglia nera con lo scollo a V e dei pantaloni neri che non ricordavo di possedere. Ai piedi avevo degli scarponi spessi, da neve. Provai a muovere un altro passo, mi accorsi che quella casa non aveva una porta, volevo provare ad uscire dalla finestra ma qualcosa bloccò il mio passo. Provai nuovamente a muovermi, i miei polsi sembravano letteralmente bloccati e mi sentivo spingere verso la parete. Sollevai le braccia, gridai in un impeto di nervosismo ed allora delle massicce catene si materializzarono all’estremità dei miei polsi. Caddi, spinto dal loro peso e mi sembrò di perdere i sensi per quanto fossi sconvolto. 

Ricordo di aver pianto, di aver gridato ancora ed ancora finché la voce non mi era venuta a mancare. Avevo voglia di perdere la mia sostanza, di non essere più materia e di librarmi nell’aria come poteva fare il vento. Restai inginocchiato ad osservare il paesaggio che mi si figurava di fronte e sentivo la vista appannarsi per le troppe lacrime che avevo versato. Il mio corpo irrigidito dal freddo sembrava non appartenermi più o, almeno, questa era la sensazione che provavo e ne avrei volentieri fatto a meno.

Il sole era sempre alto nel cielo, magari nascosto da qualche nuvola dal grigio irreale, ma la notte non arrivava mai. Mi domandai se fosse possibile che io stessi vivendo un solo giorno. Il tempo sembrava non trascorrere mai, continuavo a chiedermi quale fosse lo scopo di trovarmi lì, incatenato ed immobile, costretto ad osservare un paesaggio incolore a cui nemmeno il sole donava almeno un irrisoria traccia di vitalità. Iniziai a pensare d’essere morto e se quello era il paradiso tanto immaginato non potevo credere che esistesse luogo peggiore. E se quello fosse stato l’inferno allora andava bene, non poteva esistere punizione peggiore di non conoscere il proprio destino.

Avevo gli occhi chiusi quando sentii qualcuno sfiorarmi il viso. Sollevai le palpebre, provai a guardare ed il fatto di avere un essere umano proprio di fronte a me, mi fece provare un reale stupore, un vero sollievo. Si trattava di un ragazzo giovane, dai capelli biondo cenere ed i tratti da bambino. Infondeva fiducia, nonostante il fatto che non lo conoscessi.

-Ah allora è così che sono fatti i nuovi arrivati. –

Sentenziò scrutandomi con attenzione, in ogni particolare del mio viso. Infine sorrise ed annuì a se stesso, doveva essere un evento particolare vedere qualcuno di nuovo, di mai visto prima. Mi sfiorò il viso con l’indice, analizzò la forma degli zigomi e della mascella. Sembrava uno studioso tutto preso ad analizzare vecchi scheletri, credendo di scovare nella loro forma qualche informazione essenziale. Avrei voluto descrivergli come fossi fatto, aiutarlo in questa operazione ma ormai non ero più tanto certo di ricordare il mio viso. Ogni pensiero mi appariva sbiadito e distante, forse era stata la disperazione che avevo provato a determinare tutto questo.

-Non credevo che quelli come te avessero la pelle tanto scura. Ma anche questo cambierà, tutto è destinato a cambiare ora che sei arrivato quaggiù. –

Lo disse come se si trattasse di un fatto altamente positivo, per questo mi sentii almeno minimamente più rilassato.
Fece qualche passo in avanti, si piegò a terra dove aveva sistemato un secchio colmo d’acqua. Infilando uno straccio di colore bianco lo aveva bagnato e successivamente strizzato, per poi passarmelo sul viso. La sensazione dell’acqua sulla mia pelle mi lasciò per qualche istante interdetto, non ero più abituato persino ai dettagli più banali come l’abitudine di sciacquarsi il viso.

-Io sono Hyuk. – si presentò mentre passava quel lembo di stoffa sulla mia fronte, bagnandomi leggermente i capelli. – Non avevo mai visto nessuno che non seguisse ancora  le regole della comunità. È davvero un’esperienza singolare, devo ammetterlo. Il Capitano mi aveva raccomandato di stare attento, soprattutto di non rivolgerti la parola. Così mi sono appostato dietro alla casa ed ho atteso, riflettuto a lungo. Alla fine mi sono avvicinato e dalla finestra ti ho visto dormire, non sembravi pericoloso, così ho preso coraggio ed ho deciso di entrare! Anche se tu volessi farmi del male non potresti visto che hai le catene… ma comunque non credo di avere paura. Ad un certo punto si smette di averne. –

Il suo modo di parlare era fresco, aveva un tono di voce squillante che per qualche ragione mi fece sentire nuovamente a casa. Mi era mancato sentir parlare qualcuno, talmente tanto che ora la mia mente quasi faticava a stargli dietro e a comprendere quel che diceva.

-Sono Hakyeon, o almeno credo di chiamarmi così. –

-Ah, questa è buffa. Non ti ricordi il tuo nome? –

-Non più, non so nemmeno quanto tempo sia passato da quando qualcuno l’ha pronunciato. –

Lui restò in silenzio a pensarci, poi strinse le labbra. Quando ragionava sembrava molto più giovane della sua età, i tratti del suo viso apparivano in tutta la loro delicatezza ed il naso si arricciava appena. Credevo che non avrei più incontrato un essere umano quindi averlo di fronte era una conquista preziosa, quasi inspiegabile  a parole.
Appena ebbe terminato di rinfrescarmi il viso passò le mani sulla propria camicia dal colore verde pastello, lasciando qualche scia umida sul tessuto. Probabilmente avrebbe avuto freddo uscendo all’aperto, ma nel frattempo non sembrava troppo infastidito dalla situazione climatica ostile.

-Hakyeon è un bel nome, nessuno qui si chiama così. E poi abbiamo la stessa iniziale, è un segno. Dovremmo diventare amici, anche se non potremo esserlo per molto. –

Il suo modo di parlare era criptico. Sembrava volermi rivelare importanti verità ma poi all’improvviso si bloccava senza più proseguire. Lentamente mi sarei abituato a quel modo di esprimersi ma al momento mi lasciò alquanto interdetto.

-Sei venuto qui per liberarmi? – gli domandai senza trasmettergli il mio stato d’animo. Non avevo parlato per così tanto che adesso facevo fatica a modulare il tono della mia voce. Essa appariva costantemente piatta e soprattutto inespressiva.

Lui rise e poi si mise a sedere al mio fianco.

-Non posso fare una cosa del genere. Sono soltanto un ragazzino! Però quando sarà il momento ci penserà il Capitano. Lui sa sempre quando è il momento giusto. –

Restammo in silenzio per non so nemmeno quanto. Chiusi gli occhi per riposare e quando li riaprii lui era scomparso. Provai un altro periodo di intensa tristezza. Mentre guardavo i deboli raggi di sole filtrare oltre le montagne, mi chiedevo come facesse la luna a non raggiungere mai questo luogo in cui mi trovavo. Il sole non sembrava altro che un’insulsa lampada fissa, un riflettore che non faceva altro che far luce su di me, protagonista di un monologo infinito.

Avevo fame, davvero molta. Eppure non vidi cibo, non sapevo nemmeno che cosa potessero coltivare in un luogo del genere, completamente sepolto dalla neve.
Non so esattamente quanto tempo trascorse, il sole continuava ad illuminare i miei pensieri astratti che raggiungevano orizzonti molto più distanti di quelli dove mi trovavo ora. Hyuk ricomparve misteriosamente esattamente come aveva fatto la prima volta.
Ed ,esattamente come era avvenuto precedentemente, vederlo mi tranquillizzò, mi fece sentire più vicino alla vita. Anche questa volta mi sciacquò il viso, mi dedicava ampi sorrisi, però attese prima di iniziare a parlare. L’unico rumore che si riusciva ad udire era quello del vento, impetuoso al di fuori della minuscola casa nella quale ero rinchiuso, e quello dei suoi gesti, cauti e gentili. Quando ebbe terminato si mise a sedere al mio fianco e tirò un sospiro. Sembrava avesse fatto un lungo tragitto per raggiungermi. Avrei voluto chiedergli di dove vivesse, di come fosse la vita delle persone normali ma stranamente non ci riuscii.

-Il Capitano dice che sei ad un buon punto del processo. Mi ha spiegato che quando il momento adatto sarà arrivato verrà personalmente a liberarti. Per il momento devi avere pazienza e credere fermamente in questo cambiamento. –

-Ma non so nemmeno che cambiamento io stia facendo, né in che razza di processo mi abbiate immischiato! – protestai poiché non riuscivo ad abituarmi al loro modo criptico di agire.

-Semplicemente tutto sta cambiando nel modo giusto, devi stare tranquillo. –

Mi sfiorai il viso, i miei zigomi diventavano sempre più sporgenti e le guance si scavavano sempre più velocemente. Non riuscivo più ad immaginarmi, quello che il mio tatto mi suggeriva non apparteneva a come fossi un tempo.
Hyuk venne a farmi visita diverse volte, vedendomi così deperito iniziò a portarmi qualche pezzo di pane che reperiva in città. Per lo più si trattava di pagnotte bruciacchiate o di qualche giorno prima. Se non mi fossi trovato in quella condizione sicuramente avrei rifiutato un pasto tanto povero e sgradevole ma al momento sentivo di non poter desiderare altro . Scavavo con le dita tra la crosta e la mollica e portavo generose manciate di pane alle mie labbra. Le respiravo a fondo, chiedendomi come mi fosse stato possibile non mangiare per così tanto. In certi momenti sbiaditi ricordi riaffioravano la mia mente. Ed allora pensavo ad una torta di compleanno, completamente rivestita di panna e mi sembrava di sentire ancora il suo sapore. Sapevo che nella mia vita non avrei mai più visto una torta come quella e che non avrei più riso in compagnia dei miei genitori mentre mi cantavano gli auguri. Doveva essere stata mia madre a prepararla, anche se non ricordavo quando, anche se non ricordavo più il suo viso o le sue mani. Lei era completamente sbiadita sul fondo della mia coscienza. Ed allora provavo a pensare a cosa di me potesse assomigliarle ma persino il mio volto sbiadiva, il tempo impetuoso non voleva sentire ragioni e stava cancellando ogni più piccolo dettaglio che mi rappresentasse.

-Mia madre mi parlava dei sogni, quando ero bambino. – sussurrò improvvisamente Hyuk, mentre ero tutto assorto nel mangiare quel che mi aveva portato. Il suo viso era rivolto verso la finestra, osservava le pendici della montagna e nel suo sguardo iniziava a galleggiare un’insidiosa malinconia. Strinse le labbra ed abbassò il capo, osservandosi le mani. Aveva delle belle mani, dalle dita lunghe ed affusolate e persino la forma delle sue unghie mi piaceva. Tutto di lui comunicava una strana freschezza, come se fosse appena stato progettato da un attento costruttore.  – Diceva che a lei piacesse esprimerli mentre guardava le stelle, ma io le stelle non le ho mai viste. Ricordo la notte ma poi non è più esistita, da un giorno all’altro è venuta a mancare, proprio come la mia mamma. –

Le mani iniziarono a tremargli, le avvicinò al viso e le osservò restando in silenzio. Le sue labbra si incresparono mentre cercava di trattenere le proprie emozioni dentro di sé. Pensai alle stelle, le ricordavo benissimo, una volta facevano parte della mia realtà. Chissà dov’era finita la stella Polare che guida tutti gli uomini, e chissà dov’erano quelle costellazioni dai nomi tanto particolari. Chissà se ora galleggiavano sul fondo di un pozzo o in mezzo al mare, visto che il cielo non aveva più spazio per loro.

-I desideri si possono esprimere anche se le stelle non ci sono, sai? –

Tentai di spiegargli, a quel punto lui volse il suo sguardo verso di me. Aveva gli occhi colmi di lacrime e le guance gli si erano arrossate. Sembrava un bambino, una creatura da difendere.

-E come si fa a desiderare qualcosa? –

-Bisogna pensare intensamente, chiudere gli occhi e credere che ciò che si desidera possa accadere davvero. –

Hyuk annuì, tornò a volgere il proprio sguardo di fronte a sé e sospirò. Poi seguì le mie indicazioni ed iniziò a desiderare come meglio potesse. Non riuscivo a credere che non lo avesse mai fatto, probabilmente sua madre non aveva avuto l’occasione di insegnargli come si facesse.
Quando ebbe terminato ed il suo desiderio si fu allontanato verso l’orizzonte, lui sorrise.

-Abbiamo appena fatto qualcosa di proibito, non dovremmo più ripeterlo. –

E dopo questa frase andò via.

Lo attesi sperando di vederlo tornare, ma ben presto al suo posto venne a farmi visita un uomo dai tratti duri ed una vistosa cicatrice sulla guancia sinistra. Per essere rimasta una cicatrice del genere doveva essersi trattato di una ferita molto profonda, tanto che si era rimarginata a fatica. Provai ad immaginare il sangue che usciva a flutti da quel taglio, non era una bella visione. Mi ci volle poco per comprendere che quello fosse il Capitano, l’uomo di cui Hyuk mi aveva tanto parlato. E se era lì significava che io fossi arrivato ad un certo punto del processo.
Spezzò le catene munito di una spessa spada che sulla superficie aveva diverse ammaccature. Quando ebbe terminato tale operazione un suo aiutante entrò nella piccola casa. Si tratta di un ragazzo che poteva avere pressappoco la mia età, dalla pelle chiara e lo sguardo vuoto. Mi presero per i polsi, sollevandomi da terra. Entrambi avevano i capelli biondi, di un biondo chiarissimo che aveva perso ogni sorta di sfumatura calda. Piuttosto mi ricordava i gelidi raggi delle mattine invernali.

-Gradirei qualche spiegazione! – li richiamai mentre provvedevano a liberarmi anche dagli anelli metallici. Finalmente le mie braccia erano libere di muoversi ed avrei potuto camminare quanto avrei voluto, senza barriere, almeno così credevo.

-Il Capitano non dà spiegazioni a quelli come te. – sentenziò senza troppi giri di parole il più giovane. Come fossero “quelli come me” non era dato saperlo. Mi portarono fuori, anche se le mie gambe mi sorreggevano a malapena. Mi aiutarono a scavalcare la finestra, per poi farmi inginocchiare tra la neve, con il viso rivolto verso le montagne.

-Pensaci tu. – ordinò il Capitano al più giovane che si limitò ad annuire.

Il mio corpo era scosso da violenti tremolii, mi battevano i denti e le mie dita si erano arrossate. Nonostante tutto il ragazzo che avevo di fianco non sembrava sensibile a quel freddo pungente. Il suo corpo restava perfettamente immobile, come se si fosse trattato di una statua ed i capelli biondi ondeggiavano al vento, ricordavano il movimento fluido che fanno quando ci si immerge in una grande piscina. Aveva una borsa a tracolla, dalla quale estrasse dei nuovi indumenti. Erano di colore verde chiaro, esattamente come quelli di Hyuk. La maglia aveva il collo alto ed era di tessuto spesso. I pantaloni erano abbastanza comodi. Il ragazzo mi ordinò di cambiarmi dietro alla costruzione che mi aveva ospitato fino a quel momento.

-E non azzardarti a fuggire. – mi avvertì.

Impietrito dal freddo com’ero, anche volendo non ci sarei riuscito. Mi tirai in piedi ed ubbidii al comando. A piccoli passi andai dietro la casa, i cui mattoni dall’esterno sembravano ancor più datati che all’interno. Mi sfilai gli indumenti di dosso ed infilai i nuovi più in fretta che potessi. Erano più caldi e provai almeno un minimo di sollievo.
Quando restituii il mio vestiario di colore nero al ragazzo, egli lo porse al Capitano che si apprestò a bruciarli, appiccando un fuoco di fortuna. Una nuova traccia di me e della mia esistenza stava bruciando e le fiamme roventi avvolgevano il tessuto senza alcun rimorso o ripensamento. Ben presto quelli che un tempo erano indumenti, non divennero altro che cenere.




Buonasera miei cari Starlight! Era da tempo che non pubblicavo un lavoro a puntate qui si EFP e sopratutto nella sezione Vixx. La mia serie più seguita "Mi insegneresti ad amare?" è ancora in lavorazione poiché il suo sviluppo non mi convince a pieno. Comunque spero di riuscire a portare a termine questa nuova sfida, ispirata dal romazo "La fine del mondo ed il Paese delle meraviglie" di Haruki Murakami. 
Spero che l'ambientazione fansty susciti il vostro interesse. 
Mi raccomando, sono curiosa di leggere i vostri commenti! 
27.03.2015


Love_My_Spotless_Mind

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Capitolo 2
*** Night Without end ***


"CAPITOLO SECONDO"



Il cammino verso il paese fu abbastanza lungo, il Capitano ci guidava camminandomi di fronte ed il ragazzo mi stava dietro, sorvegliandomi senza distogliere lo sguardo nemmeno per un istante. Non capivano che anche se quella situazione era disperata non avrei comunque provato a fuggire. Dove mai sarei potuto andare? Mi ero arreso all’idea di vedere come il loro piano sarebbe proseguito, senza obbiezioni.

Prima dovemmo camminare tra la neve, con molta difficoltà. Io ero l’unico a tremare per il gelo, a stringere le braccia contro il petto per ripararmi dal vento. Loro proseguivano imperterriti e mi spingevano avanti. Dopo non so nemmeno dopo quanto riuscimmo a vedere il paese. Eravamo su un ripiano roccioso, dove era spesso presente il rischio di valanghe di piccole dimensioni. Di fronte ai nostri occhi scorreva un fiume sottile, ora in parte ghiacciato ed oltre di esso si estendevano case dai colori vivaci, fabbriche e negozi. Oltre il pese si erigeva la montagna, alta e possente, che avevo ammirato diverse volte nel mio periodo di reclusione.
Mi sembrava di essere tornato alla vita dopo tempo incalcolabile , sospirai mentre il mio sguardo scorreva verso tutti quei particolari. Chissà se quello era il paese dal quale proveniva Hyuk, se fosse stato così doveva aver faticato molto per raggiungermi.
I due mi scortarono anche all’ingresso del paese, le persone uscivano in strada e mi salutavano, alcune sorridevano, altre avevano espressioni indecifrabili sul volto. Il luogo dove ero finito per circostanze misteriose in fin dei conti non era negativo come avevo immaginato.
Il Capitano mi fece entrare nel suo ufficio, in una zona isolata rispetto al quartiere abitato. Mi fece sedere sulla poltrona di pelle nera e lui si accomodò sulla scrivania, il ragazzo restò alla porta, fissando il vuoto, senza proferire parola.

-Erano molti mesi che un nuovo arrivato non raggiungeva la nostra dimensione. – spiegò il Capitano e mimò il gesto di accendersi una sigaretta, senza possederne realmente una. Aspirò boccate di fumo immaginario e ne espirò altrettante. Potevo immaginare una sigaretta abbastanza spessa, dal sapore forte. I suoi gesti erano talmente convincenti che dopo poco iniziai a non trovare più bizzaro il suo modo di fare. – In questo luogo si è obbligati a rispettare delle precise regole che sono stato io stesso ad indire. Qualora esse non venissero rispettate si verrebbe puniti con la morte, una delle più inequivocabili ed atroci. Quelli che le ho descritto sono due punti molto semplici ma essenziali. Crede di aver compreso? –

Annuii restando in silenzio, per poi deglutire piano. Si trattava di un regolamento davvero molto rigido ma che senza ombra di dubbio avevo compreso.

-Bene, allora lei è un ragazzo molto perspicace, una recluta essenziale nella nostra cittadina.
Nessuno è nato in questo luogo, deve sapere, ma tutti sono arrivati qui perché desideravano un mondo dove l’ordine e l’armonia regnassero. Grazie al mio comando l’ordine e l’armonia in questo luogo sono indistruttibili. Tutto è ordine, deve saperlo. Solo le creature perfette rispettano l’ordine e la perfezione è il nostro primario obbiettivo. –

Mi voltai verso il ragazzo che restava immobile di fianco alla porta. Osservai i suoi capelli biondi che gli sfioravano delicatamente la fronte. Guardai gli zigomi e l’espressione del viso, il corpo magro, avvolto da un vestiario candido come la neve. Provai a ragionare sulla perfezione, chiedendomi a che punto del processo verso la perfezione tanto aspirata fosse quel ragazzo.

-Lui è Leo. – mi spiegò il Capitano, scrollando la sigaretta immaginaria per far cadere la cenere in un posacenere in legno, realmente esistente. – Si tratta di uno dei miei allievi più volenterosi. Vedi, se rispetterai le nostre regole anche tu potrai essere come è lui ora.
Leggi del turbamento nel suo sguardo? Io non ne avverto alcuno. Perché lui è ordinato ed armonioso, in ogni millimetro del suo essere. –

Annuii ancora e tornai a guardare il Capitano, i suoi capelli biondi tagliati cortissimi mi ricordavano un prato in estate, di quelli che i loro proprietari non fanno altro che tagliare perché diano sempre l’idea di oridine. La sua divisa era bianca con diversi distintivi ma non avevo idea di chi avesse mai potuto donarglieli e soprattutto a seguito di quali azioni.

-Ho capito ogni sua parola, signore. – assicurai, ripassando mentalmente le informazioni che mi aveva fornito. – E cercherò di integrarmi al meglio. Magari l’armonia e la perfezione potrebbero diventare i miei nuovi obbiettivi, nella vita non ne ho mai avuti ma si può sempre cambiare. –

Dopo questo intenso colloquio il ragazzo mi scortò in quella che sarebbe stata la mia stanza fino al mio definitivo “inserimento nella società” ,come aveva detto il capitano. Nelle strade interne al paese la neve era stata spazzata e si camminava agevolmente. Io provavo a pensare alla mia vita, a quello che ne sarebbe stato di me dopo quella giornata, soprattutto dopo aver accettato le condizioni di quella nuova realtà, ma tale operazione risultava particolarmente difficoltosa. Leo mi infondeva soggezione, non mi ero mai trovato di fianco ad un qualcuno di perfetto, perciò non sapevo come fosse giusto comportarsi. In lui c’era qualcosa di strano, il suo modo di essere non mi convinceva fino in fondo. Anche se era ordinato e corretto, o qualunque aggettivo avesse usato il Capitano, non sembrava possedere una personalità che potesse pienamente definirsi tale.
 Ero molto assonnato, avrei tanto desiderato veder scendere la sera e rilassarmi, come un tempo sapevo fare.  Eppure il sole continuava a stare lì, al suo solito posto nel cielo, senza accennare la volontà di andar via. Mi mancava la notte, in ogni suo dettaglio. Ultimamente ci pensavo spesso con nostalgia.

Volsi il mio sguardo al pavimento in pietra, camminare su un piano stabile e solido sembrava una grande conquista in quel luogo. Osservai la mia ombra allungata e sottile, le mie gambe perdevano la loro forma ed assomigliavano più a due eleganti nastri scuri che scorrevano lentamente, seguendo il mio incessante avanzare. Sollevai un braccio e lei fece lo stesso, senza attendere nemmeno un istante. Sorrisi, non mi soffermavo su tali dettagli da diverso tempo, per qualche ragione avevo trascurato tali particolari dandoli per scontati. Ora tornavo a sorprendermi, a pormi domande, come se fossi tornato bambino, come se tornassi a scoprire il mondo per la prima volta ed, in un certo senso, era realmente così.

 Per errore la mia spalla urtò quella di Leo ed allora mi scusai sottovoce, ma fu proprio in quell’istante che la mia attenzione si focalizzò su un dettaglio che non mi lasciò affatto indifferente: sebbene lui ed io camminassimo fianco a fianco la mia ombra era la sola ad avanzare sulla strada che stavamo percorrendo.
Sollevai lo sguardo verso la sua espressione indecifrabile e trattenni il respiro. Che cosa poteva mai significare l’assenza della sua ombra? Iniziai a pensare che forse avesse a che fare con la perfezione di cui il Capitano mi aveva tanto parlato. In quel momento iniziai ad avere paura. Mi trovavo di fronte ad una circostanza che non conoscevo ed avvertivo il pericolo, brividi mi attraversavano il corpo facendomi comprendere il significato di tale istinto primordiale. Il mio primo pensiero fu quello di essere in pericolo, non sapevo come avrei dovuto agire.
Mi voltai ed iniziai a correre, mi inoltrai in un vicolo che non conoscevo e che non sapevo affatto dove conducesse. Il mio sguardo si focalizzò sulla mia ombra che correva, i contorni del suo viso non possedevano mutamenti, sembrava che fossi l’unico ad avere paura.
 
 
Le sue mani afferrarono il mio polso, mi tirò con forza e ,nonostante avessi tutta la voglia di divincolarmi, non riuscii a far altro che cadere a terra. Tremavo per l’agitazione e per il freddo che quando arrestai la mia corsa si fece ancor più pungente.

-Alzati, avanti! – ordinò Leo, alzando il tono della voce ma senza modulare l’espressione. Ogni sua parola appariva fredda, priva di sostanza.
Sollevai piano il viso, il mio respiro era terribilmente affannoso.  Afferrai la sua maglia, la strinsi tra le dita. Le mie mani tremavano ed avevano perso quasi completamente sensibilità.

-Voglio solamente una promessa. – sussurrai seriamente. – Promettimi che non mi farai del male, solo questo. Posso fidarmi? –

Il suo sguardo dai toni scuri e l’espressione gelida era su di me, forse in quel momento iniziai a tremare ancora più forte. Sentivo che in ogni caso mi sarebbe stato difficile alzarmi da terra. Lui si inginocchiò, in modo che il suo sguardo potesse incontrare il mio ma soprattutto che le sue parole mi arrivassero ancor più chiare.

-Qui non si fanno promesse. – sentenziò senza aggiungere nemmeno una parola superflua, aveva detto ciò che era necessario ed io avevo recepito perfettamente.

La mia ombra ora era tutta rattrappita a terra, le sue gambe erano piegate esattamente come le mie. La osservai ancora, provai un certo affetto per lei che silenziosamente mi aveva accompagnato in ogni istante della mia esistenza, senza che nemmeno la notassi.

Leo mi tirò per un braccio in modo che fossi immediatamente in piedi. Durante il resto del tragitto non ci scambiammo altre parole, io non avevo nemmeno la forza di formularne altre. Sebbene la mia mente fosse affollata di domande non riuscivo ad analizzarne nemmeno una. Ero ancora spaventato, sapevo che per me, comunque, non ci fosse possibilità di salvezza.
 
Raggiungemmo una zona che sembrava un quartiere industriale abbandonato. Le strade erano silenti, i palazzi abbandonati e mal messi. Quello che sarebbe stato il mio appartamento per un periodo ancora da definire si trovava proprio lì, di fianco ad una fabbrica dismessa, tra una schiera di numerose palazzine in mattoni, tutte spesse ed armoniche ma comunque tutte ugualmente impersonali.
Aprii la porta cigolante dell’ingresso, all’interno vi era solamente un custode seduto alla sua scrivania che leggeva un vecchio quotidiano. Non ebbi nemmeno il tempo di salutarlo che Leo era già svanito, silenzioso e veloce come una premonizione.
Il mio appartamento era al terzo piano, mentre le salivo avevo il timore che le scale potessero cedere da un momento all’altro. Fortunatamente non accadde nulla ed io riuscii a raggiungere la mia stanza senza troppi problemi. Essa era completamente sprovvista di ogni sorta di mobilia, vi era solamente un materasso vicino alla finestra. Senza nemmeno spogliarmi mi sdraiai, il sole brillava alto nel cielo i suoi raggi, però, iniziavano decisamente a stancarmi. Fu con questo umore tutt’altro che positivo che mi addormentai
.



 

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Capitolo 3
*** Dark Destiny ***


"CAPITOLO TERZO"










Quando mi svegliai ed uscii dal palazzo Leo mi stava aspettando per scortarmi. Insieme raggiungemmo l’ufficio del Capitano che aveva una certa urgenza di ricevermi. Cercai di memorizzare il tragitto in modo da poter fare a meno di quella guida nei prossimi giorni. Avrei preferito non rivederlo mai più, se avessi potuto scegliere.
Il Capitano era seduto dietro la sua scrivania e fumava un’ennesima sigaretta immaginaria. Nel frattempo era concentrato nel leggere certe carte che non ebbi modo osservare più attentamente.

-Ah di buon ora. – mi salutò in modo abbastanza discutibile. – Accomodati. –

Annuii senza ricambiare il saluto, poi mi misi a sedere dove mi aveva indicato. Leo restava in piedi di fianco alla porta d’ingresso, il suo sguardo glaciale continuava a scrutarmi con espressione indecifrabile. Chissà se stava realmente ragionando o era piuttosto tutta un’impressione.

-Voleva parlarmi? – domandai non potendo più sopportare il silenzio che si era venuto a creare. L’aria nella stanza sembrava rarefarsi quando nessuno proferiva parola, in situazioni simili provavo un inspiegabile disagio.

-Si, si. Ma vedi, ragazzo, se c’è qualcosa che devi imparare in questo luogo è la calma. –

Annuii ancora attendendo che riprendesse il discorso iniziato.

-Per il tuo completo inserimento in questa società necessiti di un impiego, un ruolo che solo tu puoi ricoprire. Le regole sono queste: ognuno ha una specifica mansione che svolge al meglio. Tale mansione non può cambiare poiché è insita nell’indole di ogni persona e rappresenta l’essenza stessa della perfezione. È tutto molto semplice, come puoi comprendere ed inoltre tale meccanismo funziona perfettamente.
La tua mansione sarà quella di essere il guardiano e l’interprete del Magazzino. Vedrai che non avrai nulla da ridire su quanto ti è stato assegnato. Leo ti scorterà sul tuo luogo di lavoro. –

-Mi scusi ma preferirei andare da solo. –

Non avevo bisogno di ulteriori spiegazioni, avevo compreso quanto necessario, dilungarmi in ulteriori discorsi sarebbe stato inopportuno. Però il pensiero di dover continuare a trascorrere tanto tempo con quel ragazzo mi faceva sentire nervoso, avrei voluto poter essere il prima possibile autonomo per poter fare a meno di lui.
Il Capitano mi osservò restando in silenzio, la bocca si era assottigliata e le sue labbra disegnavano una linea retta. Mi voltai verso Leo che continuava a restare immobile nella medesima posizione, sembrava non aver nemmeno udito le mie parole. Probabilmente la mia voce non aveva nemmeno sfiorato l’universo misterioso della sua mente, un brivido mi percorse la schiena, era come essere invisibile.
Il Capitano non ammise proteste, alla fine dovetti lasciare che fosse quel ragazzo a scortarmi nuovamente. Camminare al suo fianco era come essere completamente soli, peccato che il suo sguardo puntato sui miei passi continuasse a trasmettermi una sgradevole sensazione. Avevo la gola secca, non riuscivo a sollevare lo sguardo dal pavimento, desideravo intensamente che se ne andasse.    

La mia ombra restava silenziosa, seguiva i miei passi senza mostrare la più minima spossatezza, come la invidiavo, lei sembrava accettare ogni situazione facilmente, non si poneva troppe domande e non desiderava granché. Semplicemente restava salda ai miei piedi, non voleva lasciarmi andare, ero il suo punto di riferimento, l’unica ragione per cui esistesse.
 


Il Magazzino di cui il Capitano aveva parlato era un edificio al di là della foresta. Era in mattoni scuri, sembrava composto da almeno tre piani, le finestre erano alte ed i vetri opachi. All’interno la temperatura era mite, l’ingresso aveva un arredamento composto da ben pochi particolari. Sulla scrivania piuttosto datata era sistemato un quaderno sul quale dovetti apporre la mia firma, era preceduta da un’altra che però non riuscivo bene a decifrare.

-Il tuo turno si concluderà alle venti, dovrai attendermi qui. – tali furono le uniche parole di Leo prima di andar via per tornare a sbrigare ben altre mansioni anche se io non avevo la minima idea di quali potessero mai essere.

Attraversai il corridoio, le pareti erano spoglie, il pavimento avrebbe avuto bisogno di una ripulita. Al termine vi era un enorme stanza alla quale si accedeva tramite una vecchia porta malandata. Un ragazzo stava ripulendo gli scaffali vuoti, si trattava di una serie di scaffali alti fino al soffitto che seguivano tutto il perimetro delle pareti.

-Buongiorno. – sussurrai timorosamente avanzando all’interno della stanza.

Il ragazzo era voltato di spalle, aveva un fisico snello e le gambe abbastanza lunghe. I suoi capelli erano voluminosi e castani, di un castano scuro, molto simile al mogano. Quando si voltò mi osservò non sembrando troppo sorpreso di trovarmi lì. Aveva un bel viso, mi sentii immediatamente rassicurato, per qualche ragione.

-Ben arrivato. – disse accennando un lieve sorriso. – Non sapevo saresti arrivato oggi. Comunque meglio prima che dopo, in questo periodo c’è molto da sbrigare e da solo non ce la facevo proprio. –

Sorrisi a mia volta, da quanto non lo facevo? Immediatamente pensai a Hyuk, le uniche occasioni in cui mi era capitato di sorridere in quella nuova dimensione era stato per causa sua, chissà dove si trovava adesso. Non riuscii a fare a meno di provare malinconia di fronte al suo ricordo.

-Ti ringrazio. Allora mettiamoci immediatamente a lavoro. –

Mi mostrò la stanza sotterranea, dove erano conservate le gemme della memoria. Erano delle grandi pietre, tonde e dalla superficie ben levigata, vitrea, erano tutte di colore scuro ma mi spiegò che al momento giusto riservavano grandi sorprese. Suo compito era quello di spolverarle appena arrivato a lavoro e disporle sugli scaffali, facendo particolare attenzione a non scalfirle, sistemandole in un ordine che solamente lui conosceva. Il mio compito, invece, sarebbe stato quello di leggere il loro contenuto, analizzandole a turno, una per una ed, appunto, interpretarle.

-Si tratta di un compito che comporta un grande dispendio di energie. – mi spiegò mentre me le mostrava. Attraverso la loro superficie scura, osservandole così, mi sembrava di non riuscire a decifrare proprio nulla. – Per tutto questo tempo, da quando sono qui, non ho fatto altro che ripulirle e disporle, lasciandole lì, senza poterle utilizzare. Era una scena davvero deprimente, mi sembrava di essere osservato da migliaia di occhi, è stato molto difficile non impazzire a restare da solo qui dentro. Però adesso sei arrivato tu, finalmente il ciclo sarà completo e queste sfere serviranno a qualcosa. Magari riuscirò a vivere questo lavoro molto più serenamente. –

Mentre lui terminava di spolverare gli scaffali, con minuzia, senza tralasciare nemmeno un millimetro di superficie, io tenevo tra le mani una delle sfere. Scura ed impenetrabile, sembravano comunicare tutte un tragico presagio. Non ero poi così interessato a decifrare il loro contenuto, che cosa mai poteva importarmi? Però era il mio compito, sempre meglio di non fare nulla tutto il tempo. Avevo molte perplessità a riguardo, ero convinto che non sarei mai riuscito a vederci qualcosa lì dentro.

Quando entrambi iniziammo ad avvertire la fame, il ragazzo sistemò una pentola con del riso su una piccola stufa che aveva sistemato in un angolo della stanza. Ci sedemmo a terra, mangiando con calma. Ero sollevato dal fatto che il mio compagno di lavoro fosse arrivato da poco, proprio come me. Almeno con lui sentivo di potermi intendere.

-Il mio nome è Hongbin, comunque. – disse all’improvviso, mentre terminava di mangiare il proprio pranzo.

-Io sono Hakyeon. Ma dimmi… i tipi biondi qui non lavorano? –

Lui mi osservò interdetto, cercando di capire che cosa volessi dire.

-Ah, quelli come il Capitano, intendi? No, coloro che hanno completato il loro percorso non svolgono queste mansioni. Anche noi, quando saremo divenuti perfetti dovremo abbandonarle. –

Restai in silenzio, continuando a mangiare il mio riso un po’ più lentamente.

-Se devo dirla tutta, non è che ci tenga a diventare come quelli lì. Mi fanno paura, non so se capisci quel che intendo. Però non ci sono alternative, qui funziona in questo modo. Tutto segue delle regole ben precise, se le comprendiamo o meno poco importa, devono essere seguite. – mi rivelò tenendo lo sguardo rivolto verso il pavimento, sembrava che si stesse prefigurando un futuro non troppo roseo.

-Prima o poi, magari, non avremo più così timore di questo luogo. – cercai di rassicurarlo come meglio mi riusciva. Nemmeno io avevo certezze a riguardo, perciò era difficile dire che tutto sarebbe andato per il meglio.

-Lo spero tanto, Hakyeon, lo spero davvero. –
 


L’ombra di Hongbin seguiva i suoi movimenti, si intendevano alla perfezione loro due. Aveva un’ombra sottile ed elegante, non era niente male. La mia era rattrappita, poiché io ero seduto, in attesa di iniziare il mio compito. Quando gli scaffali furono pronti il ragazzo iniziò a disporre ogni sfera al suo posto, per alcune dovette rifletterci un paio di minuti, prima di decidere dove posizionarle. Appena ebbe terminato la scena era proprio come l’aveva descritta lui: migliaia di sfere dalla superficie scura ci osservavano, stando immobili sul loro scaffale, l’una di fianco all’altra, senza accennare altra volontà. Erano talmente lucide da riflettere la nostra immagine, il loro interno era talmente scuro da non poter essere paragonato nemmeno alla notte.

-Ora scegline una. – mi spiegò – ed analizzala stando lì sulla scrivania. Guardala bene, concentrati solamente sul suo segreto. Vedrai che qualcosa riuscirai a vedere. –

Seguii le sue indicazioni, attraversai tutta la stanza, scrutando ogni sfera. Sembravano una identica all’altra, non sapevo nemmeno secondo qualche criterio fossero state disposte. Ne scelsi una tra le tante, la presi stringendola tra le dita e la posai sulla scrivania. Mi misi a sedere, iniziando a scrutare il suo interno con attenzione. Come avevo immaginato, non riuscivo a vedere nulla se non il nero che la riempiva, solamente un buio senza significato. Se quello era il mio compito voleva dire che dovevo saper adempire al mio ruolo, eppure più mi sforzavo più non riuscivo a vedere proprio niente. Continuai a provarci, restai lì, immobile, con la schiena piegata, tutto concentrato nell’osservazione. Però più il tempo passava più non riuscivo a vedere nulla, non si verificava alcun cambiamento. Iniziai a provare rabbia, mi sentivo incapace, non riuscivo a capire in cosa potesse consistere il mio errore. Ad un certo punto sentii uno strano dolore sul fondo dell’occhio sinistro, come se fosse lacerato da uno spillo.
Gridai, ritraendomi, per errore urtai la sfera, se Hongbin non l’avesse fermata sarebbe caduta a terra frantumandosi. Avevo voglia di piangere, magari di mandare tutto all’aria ma mi trattenni.

-Basta così, Hakyeon. – cercò di rassicurarmi lui – Per oggi hai provato abbastanza. Non preoccuparti, ci vuole tempo per imparare. –

Quando Leo tornò per riaccompagnarmi a casa, Hongbin lo osservò poco convinto. “ Sta attento a quel ragazzo” mi sussurrò all’orecchio prima di salutarmi. Non capivo che cosa avesse voluto dire realmente ma iniziai a pensare che il suo consiglio non avesse nulla di sbagliato, non ero per nulla convinto di Leo, l’unico modo che avevo per non restare solo era avvicinarmi a quelle poche persone simili a me che avevo l’occasione di incontrare in quella dimensione a me estranea. Perciò ero intenzionato a conservare come meglio potessi la complicità con Hongbin.



Si susseguirono diversi giorni di lavoro, sempre allo stesso modo, fin quando non interiorizzai perfettamente la nuova routine. Lavorare non mi dispiaceva, peccato che con il passare dei giorni non riuscissi a sviluppare interesse per quelle sfere. Quando erano tutte disposte sugli scaffali ne sceglievo una, l’analizzavo a lungo finché gli occhi iniziavano a farmi male, senza ottenere nulla.

Più volte riferii ad Hongbin le mie preoccupazioni a riguardo, ero seriamente convinto che non sarei mai riuscito nel ruolo che mi era stato assegnato. Da un certo momento in poi, però, mi rassegnai all’idea di dover proseguire senza arrendermi per provare a cavarmela come meglio potessi.
Più volte Hongbin mi chiese di Leo, in che rapporto fossimo e se avessi mai incontrato il Capitano.

-Quado sono arrivato io il Capitano mi ha presentato un altro ragazzo che stava addestrando, credo faccia parte delle procedure. Questo ragazzo mi ha accompagnato per diverso tempo mostrandomi il luogo dove avrei lavorato, spiegandomi quali fossero le regole di questa dimensione.
Alla fine mi ero affezionato alla sua compagnia ma, vedi, quando ha terminato il processo non ha più potuto avere contatti con il resto del paese. È stato confinato in una sezione nella quale avrebbe proseguito con nuovi addestramenti, nessuno sa quanto questi possano durare. Il tempo è un’entità che non esiste da queste parti, nessuno sa il termine delle decisioni del Capitano. Alcune delle sue regole non mi sono chiare. – aveva interrotto la propria spiegazione con un sospiro, io continuavo ad ascoltare attentamente. – Non voglio caderci di nuovo, non dovrei affezionarmi a nessuno visto che tutti noi siamo destinati a tale processo. Ma che vita sarebbe ? Il significato di tutto questo mi sfugge. –

Erano trascorsi diversi giorni lavorativi quando decisi di rivelare i miei dubbi a Leo. Stavamo percorrendo il tragitto verso casa, l’uno di fianco all’altro ed io continuavo a tenere lo sguardo sull’incedere della mia ombra. Avevo riflettuto a lungo sulle parole di Hongbin, come lui il tutto mi appariva piuttosto misterioso ed incomprensibile.

-Leo, chiariresti un mio dubbio? –

Sentendo la mia voce si voltò lentamente ed annuì, avrebbe fatto del suo meglio per chiarirlo.

-Dei dettagli di questo luogo mi sfuggono, non riesco a capire molti aspetti… ad esempio, che fine ha fatto la tua ombra? Anche il Capitano non ne possiede una, non è vero? Ed allora, dove vanno a finire? – domandai tutto d’un fiato, cercando di non farmi bloccare dall’agitazione.
Sembrò rifletterci per alcuni istanti poi mi rispose: - Neanche io lo so, non sono notizie che possono conoscere tutti. –

-Ma tu sei l’allievo del Capitano! Dovresti essere informato di ogni sua regola, della ragione per cui le ha indette. –

-Invece non è così. –

-Io voglio sapere. Dovrei andare a porgli i miei dubbi di persona? Non ho timore di farlo. –

Il suo sguardo fu attraversato da una specie di lampo, mi afferrò per un braccio e mi trascinò in un vicolo, imponendomi di sfiorare il muro con la schiena.

-Non farti mai sentire da nessuno, non dire mai più qualcosa del genere. – nonostante il suo viso fosse inespressivo, il tono della sua voce si alterò leggermente.

-Perché, Leo? Voglio sapere! –

La sua mano andò a tapparmi la bocca, il suo sguardo era glaciale e severo, la spessa vena sul collo si era gonfiata. Che posto era mai quello? Non poteva esistere la perfezione se il destino di ognuno era comandato da qualcun altro. Il mio bisogno di conoscenza non avrebbe potuto facilmente convivere con quel tipo di etica, ne ero convinto.

-Non dirlo più, sta zitto. –

Convinto da quello sguardo mi convinsi a non chiedere più nulla, la sua reazione mi aveva spaventato, mentre continuavo a camminare le gambe mi tremavano, mi sentivo agitato, completamente, in ogni parte del corpo.
 

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Capitolo 4
*** My eyes are closed ***




"CAPITOLO QUARTO"







Le mie mani si mossero sulla superficie vitrea, era liscia e fredda, al suo interno sembravano unirsi numerose ombre scure, si muovevano, si agitavano come se si stesse avvicinando una tempesta. I miei occhi non erano più abituati all’oscurità, ormai era da molto che vivevo in quella città dove non tramontava mai il sole. La notte era un lontano ricordo, esattamente come le stelle irraggiungibili ed il fascinoso pallore della luna, tutti questi aspetti erano ormai fin troppo lontani dalla mia esistenza.
Ma in quel momento mi parve di avere la notte tra le mie mani, viva, capace di agitarsi e cambiare forma. La sfera emanava calore al contatto con le mie dita, io la osservavo senza distogliere l’attenzione. Al suo interno, improvvisamente, apparve un’ immagine: un bambino stringeva la mano a qualcuno, era una mano elegante dalle dita sottili, si intravedeva la manica di una maglia a fiori. Doveva trattarsi della mano di sua madre. Un brivido mi percorse, trasmettendomi una sensazione di cupa malinconia.
Non riuscivo a parlare, tutte le mie forze erano concentrate su quella scena, volevo comprenderla, vedere come sarebbe andata a proseguire. Il bambino rincorreva la sua palla a righe bianche e celesti poiché gli era sfuggita dalle mani. Era una scena che mi sembrava famigliare, un messaggio banale, una situazione di pericolo comune, almeno in una dimensione che in passato mi apparteneva.

Il bambino corre, vuole disperatamente riprendere il suo gioco, non vuole accettare l’idea di perderlo. La madre prova a fermarlo ma ormai si è fatto troppo lontano. Il bambino si ferma nel bel mezzo della strada, il proprio giocattolo è fuggito troppo in là, ormai non può più raggiungerlo, solamente in quel momento si accorge del pericolo poiché una macchina sta passando e non sembra avere l’intenzione o la capacità di fermarsi.

Proprio su quella sequenza la scena si interruppe, io ero con il fiato sospeso, non riuscivo a capire che cosa potesse significare quello che avevo appena visto. Riuscii a chiamare Hongbin in un rantolo colmo di agitazione e sorpresa.

-Ho visto qualcosa… - sussurrai ancora incredulo.
Lui mi venne vicino, prese la sfera tra le mani rendendosi conto del fatto che si fosse riscaldata. Si mise a sedere sulla scrivania, continuando a scrutare la sfera che era tornata esattamente come prima, silenziosa e scura.
-Dici davvero? Che cos’era? – mi domandò curioso ma io non riuscivo a parlare.
-Credo si trattasse di un ricordo… comunque non apparteneva a questo luogo. –
-Apparteneva al… mondo da cui proveniamo? –
-Credo proprio di si. –

Hongbin ripose tutte le sfere nelle scatole mentre io bevevo del thè caldo per calmarmi. Gli scaffali erano tornati vuoti, il silenzio riempiva la stanza in modo pesante e greve. Continuavo a riflettere sulla scena che avevo visto, alla mente mi tornavano stralci di ricordi appartenenti alla mia vita passata. Ricordavo il volto dei miei genitori, il profumo della mia casa. Provavo un forte senso di nostalgia, avrei voluto svegliarmi dal brutto sogno che stavo vivendo e tornare da loro.

Ricordai mia sorella ed i suoi grandi occhi marroni. Era una bambina vivace ed allegra, le volevo così bene che avrei fatto di tutto per lei. Quando ero bambino anch’io ero convinto che sarei riuscito a fare qualunque cosa pur di proteggerla, credevo davvero che ci sarei riuscito. Ed adesso ero intrappolato lontano da lei, in una dimensione che mi impediva di raggiungerla.
Mi sentivo così triste pensando alla mia vita passata, a quei pochi ricordi che sembravano allontanarsi con il tempo, prima o poi mi avrebbero probabilmente abbandonato.

-Hakyeon, devo confessarti una cosa. – esordì Hongbin, tornando a sedere sulla scrivania. – C’è una persona che mi piace. –
Sollevai lo sguardo e lo guardai perplesso, ero così concentrato sui miei pensieri che credetti di aver udito male.
-Ti piace come? – domandai sorpreso.
-Nel senso che… lo incontro ogni mattina, qualche volta abbiamo persino parlato. È un ragazzo davvero gentile, sai? È diverso dal genere di persone che si incontra generalmente da queste parti. Lui ha qualcosa di diverso, qualcosa che non saprei spiegarti a parole. Peccato che sia così convinto del percorso che sta intraprendendo, sembra che condivida a pieno le idee del Capitano e che sia felice di questa opportunità. Perciò non posso permettermi di provare nulla per lui, sarebbe troppo doloroso rinunciare a qualcun altro.–
Quella che mi stava descrivendo era una situazione davvero molto delicata, non sapevo che cosa consigliargli, non ero un vero esperto in materia.
-E tu credi di piacergli? –
-Come potrei saperlo? No, non gliel’ho mai domandato. –
-Però prima o poi dovresti confessargli i tuoi sentimenti. –
-Non credo che lo farò. –
-Perché non hai intenzione di soffrire ancora… -
-Esattamente. –
Comprendevo alla perfezione il suo punto di vista, in un luogo come quello tutto diveniva molto più complicato, persino i sentimenti sembravano completamente estranei a quel tipo di vita. Secondo il Capitano nessuno avrebbe più dovuto viverli, forse aveva ragione lui, in questo modo si sarebbe semplificata ogni cosa.
 

 
 
 
 
 
 
 
 
 

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