DANIMARCA

di ArcticIce
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** PREFAZIONE ***
Capitolo 2: *** VI PRESENTO PENELOPE ***
Capitolo 3: *** VORREI SAPERE ***
Capitolo 4: *** NOTTE BIANCA MATTINA NERA ***
Capitolo 5: *** CIO CHE CI ACCOMUNA CI UNISCE ***



Capitolo 1
*** PREFAZIONE ***


 

Una mia amica scriveva poesie e prima che io partissi ne compose una per me, si intitolava : Danimarca. Ma questa era solamente la firma messa ad una fine per un nuovo inizio.

 

Sarà forse questa la storia

di una partenza senza ritorno,

di quel' che lascia la patria

e con ansia aspettò quel giorno.

 

Non certo per mancanza d'affetto

che quell'aereo vien preso adesso,

ma per un pensiero in difetto

ed un puro amore in eccesso.

 

Vedi il cielo e dici addio,

naufragando da quel mare tuo,

vedi terra e sospiri : Danimarca.

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Capitolo 2
*** VI PRESENTO PENELOPE ***


Uscendo di casa non mi curai di chiudermi la porta alle spalle e fuggii giù per le scale allontanandomi  dalla fastidiosa voce di mia madre, facevo così ogni volta che litigavamo.
Il nostro rapporto era iniziato a decadere ancor prima della mia adolescenza, da quando erano iniziati gli anni in cui a scuola dovevi dimostrare di valere quanto i tuoi fratelli.
Non ero affatto una di quelle ragazze superficiali che pensavano solamente alle unghia e ai capelli, anzi, ero piuttosto un maschiaccio, mi piaceva giocare alla play e fare sport e nonostante questo non avevo mai rinunciato alla mia femminilità. Ero una ragazza normale. 
Ma a casa mia la normalità non bastava, riuscivi ad accontentare mia madre solo con l'eccellenza.
La mia media alle scuole superiori non era male, avevo otto in tutte le materie fatta eccezione per chimica e matematica che furono la mia persecuzione durante tutti e cinque gli anni del liceo.
Mia mamma non mi aveva mai detto di non essere contenta dei miei risultati, e poche volte tornava dagli incontri scuola-famiglia con qualcosa che non andava.
Io però percepivo la diversa soddisfazione nella sua voce quando si complimentava con i miei fratelli per la loro pagella da quella che aveva quando diceva ''brava'' a me.
Avevo due fratelli maschi più grandi, Riccardo e Marco.
Per loro era normale eccellere, per me invece essere normale era eccellente.
Loro avevano l'aspetto di due alunni fighi di Harvard, alti con un bel viso, sempre vestiti bene e con le spalle dritte e la pancia in dentro ad ostentare un'invidiabile sicurezza.
A me piaceva indossare la camicetta sotto un maglione di lana e avvolgere il collo in sciarpe dalle stampe orientali. Avevo uno stile particolare, vintage con richiami hippie.
Nel complesso apparivo carina, anche alle mie amiche piaceva come vestivo, piacevo perchè non ero ordinaria o banale, ma mia madre la pensava così :
''Greta ma che pantaloni sono questi? Perchè non metti un jeans a sigaretta, magari a vita alta, anzichè queste tutone tutte colorate che non si capisce?''.
Quel giorno la disputa era nata proprio su questo tema :
avevo comprato una giacca di jeans stile gipsy, con il tessuto volutamente consumato sull'orlo delle maniche e al collo, e l'avevo indossata per andare a mangiare una pizza con le amicizie del corso di biotecnologie.
A mia madre non piaceva e poco prima aveva incontrato una delle mie amiche ad un centro commerciale, Aria, e lei era una di quelle che vestivano con classe e non si separavano mai dalla borsa Giorgio Armani.
Inevitabilmente era scattato il confronto e io avevo perso, la mia borsa era uno zainetto di stoffa a fantasie bianche e nere e il mio rossetto non esisteva.
Risposi al cellulare quasi inciampando in uno scalino.
''Pronto?''.
Dall'altra parte c'era quello che sarebbe potuto essere un ulteriore motivo di conflitto tra me e mia madre, ma avrei fatto in modo che non lo sarebbe mai diventato perchè se c'era una cosa alla quale tenevo era proprio li oltre lo schermo del mio iPhone.
''Dieci minuti e arrivo, andiamo con la mia macchina.''.
''Ok allora inizio a prepararmi, a dopo amore mio.'' disse e riattaccò, era in ritardo come sempre.


Parcheggiai al solito posto poco lontano il cancello all'entrata della villetta.
Era una serata ottima, non c'era umidità a soffocarti ma una semplice temperatura costantemente al di sotto dei venti gradi, più o meno.
Scesi dalla macchina e mi accesi una sigaretta. Questa era un'altra delle cose che mi rendeva inferiore al grado di perfezione dei miei fratelli, loro non fumavano e non mangiavano patatine fritte.
La porticina accanto al cancello si aprì, mi voltai e sorrisi.
Penelope si stava avvicinando con il suo solito passo angelico, di fretta perchè come sempre aveva fatto tardi e sorridendo perchè sapeva che come ogni volta l'avrei perdonata.
Si, la persona che mi rendeva felice non era un ragazzo ma una donna, Penelope.
Lei era semplicemente stupenda, alta, occhi verdi e lunghi ricci castani che le arrivavano fino alla vita.
Ogni ragazzo che conoscevo aveva provato a farle la corte, e non c'era nessuno dei miei amici di università che non mi avesse chiesto di presentargliela. Ovviamente pochissime persone sapevano della nostra relazione, era importante che rimanesse segreta perchè mia madre non avrebbe mai dovuto avere il piacere di chiamare uno psicologo per curarmi da questa 'malattia'.
''Ciao amore'' mi disse lei con occhi allegri, mi baciò e aggiunse ''scusami tanto per il ritardo, questa è l'ultima volta''.
''Penelope mi dici sempre che è l'ultima volta che farai tardi''.
Lei mi guardò con quel suo sguardo da furba seduttrice :'' Promesso.''.
Mi misi a ridere ed entrai in macchina, lei si era già accomodata sul sedile del passeggero.
''Dici anche 'promesso' molte volte.''.

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Capitolo 3
*** VORREI SAPERE ***


Quando arrivammo in pizzeria tutti erano già li da un pezzo.
Alcuni, quelli che non ci conoscevano bene, non nascosero il fastidio per averli fatti aspettare tutto quel tempo.
''Ciao scusate tanto il ritardo'' esordii io, alcuni risposero con un piccolo sorriso ed altri come i miei due migliori amici , Alex e Gio', ci vennero a salutare con un abbraccio, senza però farci mancare battutine o prese in giro.
''Penelope si è addormentata sul phon per caso?'' ridacchiò Gio'.
Lei lo guardò facendo la faccia da finta offesa :
''No, caro. Abbiamo fatto tardi perchè stavamo cercando un negozio dove comprarti un cervello, peccato che non ci sono cervelli della tua taglia, in quella testolina entra al massimo un pallina da ping pong.''.
Alex diede una pacca sulla spalla dell'amico come per dirgli 'hai perso, ritenta', e pensai che Alex l'avesse capito perchè si limitò a una risata senza aggiungere altro, senza poterlo fare in realtà.
Ordinai pizza margherita sia per me che per Penelope, lei al momento dell'ordinazione era troppo occupata a controllare le mail sul cellulare.
Era una di quelle ragazze sempre immerse nel lavoro, sia per quanto riguardava l'università che per il lavoro da segretaria in un importante circolo letterario della città.
Non ero mai andata a trovarla al circolo, non me l'aveva mai permesso perchè diceva che si trattava di una cosa importante e bisognava esercitare la massima professionalità. 
Io era sempre stata curiosa di entrare in quell'enorme edificio, l'esterno era bellissimo con quel suo ampio prato pieno di fiori e curato nei minimi dettagli, non c'era un filo d'erba più lungo dell'altro e le piante erano sempre rigogliose.
Non mi ero mai arrabbiata ne infastidita per il suo tenermi lontana dal lavoro, capivo che c'erano delle regole da rispettare e capivo anche le sue esigenze come quella di stare sempre attenta alle mail, ma mi dava non poco fastidio che durate una serata con gli amici lei stesse sempre con il cellulare fra le mani.
''Penelope ho ordinato pizza margherita anche per te ma la bibita no, dovresti partecipare almeno alla tua ordinazione. O la fai dal cellulare?''.
Mi rispose senza neanche alzare lo sguardo :
''Si scusami, è che un membro del circolo letterario ha bisogno di sapere come arrivare in un posto.''.
Le chiesi se potevo aiutarla per sbrigare le cose e liberarla dal lavoro ma mi rispose che non poteva dirmi niente, avevo per un attimo dimenticato la segretezza che manteneva ogni volta che si trattava di quel fardello di snob con cinque o sei lauree.
Le pizze arrivarono immediatamente, cosa che non succedeva spesso.
Carl che era seduto a capo tavola era un goloso e aveva costantemente fame, quando si ritrovò sul piatto la pizza cinque minuti dopo averla ordinata scoppiò di gioia e fermò il cameriere. 
''Caspita Dario avete assunto Flash per un giorno?''.
Dario, il cameriere, ridacchiò nel vedere la sorprese sul volto dell'amico che di solito aspettava almeno venti minuti per avere la sua pizza.
Carl era un cliente abituale ed ogni volta quel posto era pieno zeppo di gente, anche quella sera lo era ma a differenza delle altre volte la pizza arrivò come per magia.
Alle spalle di Dario comparve il proprietario, Mike,  un ragazzo ricco a cui la famiglia il giorno della laurea anzichè regalargli una festa in pizzeria gli aveva regalato una pizzeria intera.
''Non proprio Flash ma quasi, mi premeva che voi non aspettaste'' mi guardò :''così magari tornerete volentieri.''.
Abbassai lo sguardo nella speranza che Penelope non si accorgesse di quello sguardo in più che mi riservava Mike ogni volta che lo incontravamo. 
Lei sapeva che mi corteggiava, lo sapevano quasi tutti ed era normale se si pensava che erano due anni ormai che mi chiedeva di uscire ogni sabato.
Penelope lo odiava per ovvie ragioni, anche se sapeva che a me piaceva lei e che in generale preferivo le donne non smetteva per un attimo di temere che io potessi cadere in un suo abbraccio, perchè Mike non era uno di quei figli di papà non autosufficienti e pieni di se.
Mike era carino, molto, ed era carismatico.
Appena si allontanò dal nostro tavolo Penelope si avvicinò al mio orecchio :
''Hai sentito? Che gentile, spera tanto che tornerai la prossima volta, preferibilmente nello sgabuzzino affianco al bagno degli uomini.''.
''Almeno è stato gentile, tu l'unica cosa carina che hai fatto fino ad ora è stato trovare una strada ad un povero cappuccetto rosso di cinquant'anni.''.
Da quel momento in poi la serata stranamente migliorò, testarda come era Penelope avrebbe sicuramente continuato il suo lavoro in un altra situazione ma quella sera decise di essere una brava fidanzata.
La pizza era eccezionale e così decidemmo che sarebbe stato da stupidi non assaggiare la particolarità del posto, pizza alla nutella.
Mangiando quella bomba calorica il nostro tavolo di universitari si era trasformato in una festa per bimbi di cinque anni, eravamo tutti indaffarati e sporchi di nutella ovunque.
Penelope mi guardò e scoppiò a ridere:
''Greta sei piena di nutella ovunque, lecca qui'''.
Mi fece segno di pulirmi la guancia destra sfiorando la sua.
''Qui?''.
''No un po più a destra.''.
Forse era l'alcool ma non riuscivo proprio ad azzeccare il pezzo di guancia che diceva.
Penelope prese un fazzoletto e mi pulì tutta sorridente.
''Ma cosa ti ridi?'' le dissi. Lei allora cadde in una risata lunghissima, e si, forse l'alcool aveva dei meriti.
In quel preciso istante però Penelope fu distratta da qualcosa che le fece cambiare completamente espressione.
Guardai nella sua stessa direzione per capire cosa o chi la turbasse : Deborah.
In un primo momento pensai che era una situazione strana, loro due non si conoscevano se non di vista, ma subito dopo ricordai di tutti i sospetti che avevo avuto negli ultimi tre mesi.
Deborah frequentava la nostra stessa università ed era una delle ragazze della squadra di nuoto, la incontravo spesso in sala pesi e nonostante mi ignorasse completamente avvolte avevo l'impressione che quando i nostri sguardi si incrociavano lei mi guardasse con stizza.
Un giorno poi l'avevo vista parlare in disparte con Penelope, era tarda sera e si erano appartate dietro l'ingresso della palestra, era scattata subito la gelosia ma mi aveva tranquillizzata il fatto che Penelope di punto in bianco le aveva girato le spalle e se ne era andata tutta arrabbiata.
Il giorno dopo a mensa avevo ceracato le parole adatte per farmi dire di quell'incontro, e avevo fatto finta di non aver assistito a quella probabile lite.
''Ieri ho visto un allenamento della squadra di nuoto, sono forti.'' avevo detto.
''Ah.. a me non piace il nuoto.''
'''Neanche a me ma la nostra squadra merita di essere vista, non me le aspettavo così. Una ragazza ha fatto un tempo incredibile, Deborah, non so se la conosci.''.
A quel punto mi aspettavo una risposta molto animata, Penelope era un carattere forte e quando ci capitava di parlare di qualcuno con cui non era in buoni rapporti lei si accendeva e ne diceva di tutti i colori.
Quella volta però non solo non si era arrabbiata ma mi aveva anche mentito.
''No. Non la conosco.''. 
In quel momento i miei sospetti si fecero iù forti.
''Che c'è?'' la incoraggiai a dire qualcosa.
''Niente. Greta io ho trovato la strada per quel membro del circolo, devo uscire un attimo a chiamare.''.
Si alzò dalla tavola e sparì in pochissimi secondi.
Ovviamente non credevo ad una parola e sapevo che non mi avrebbe mai detto niente, quando voleva tenere qualcosa segreta lo faceva benissimo. 
Mi alzai dalla tavola anche io dicendo che andavo a prendere una boccata d'aria e mi diressi verso l'uscita.
Nel piazzale della pizzeria c'era un silenzio che faceva contrasto con il chiasso che proveniva dall'interno del locale e sembrava un posto deserto nonostante la miriade di macchine parcheggiate.
Mi guardai intorno alla ricerca di Penelope, non la vidi ma sentii la sua voce.
Seguii le sue parole nascondendomi tra le macchine per non essere vista, poi la vidi dietro una Volkswagen.
Stava parlando a voce bassa con Deborah, dall'espressione che aveva capii che era arrabbiatissima e che se avesse potuto le avrebbe gridato contro.
''Questa è l'ultima volta che te lo ripeto. Non costringermi ad usare le maniere forti!''.
Deborah non sembrava intimidita dal tono minaccioso con cui le furono sparate contro quelle parole, anzi, la guardava dritta negli occhi con aria di sfida.
''Maniere forti? Penelope ma sta zitta, se volessi potrei ...''.
Per sbaglio feci rumore inciampando nello sportello della macchina affianco. 
Entrambe si girarono e mi videro, Deborah allora dopo averle bisbigliato qualcosa se ne andò, il suo volto tradiva un piccolo sorriso che mi infastidì.
''Se volessi potresti cosa sgualdrinella?'' le gridò Penelope.
L'altra senza neanche girarsi le rispose con altrettanto sarcasmo:
''Va a tessere la tela Penelope, ti conviene, adesso dovrai spiegare al tuo Ulisse'' e mi guardò, ''ogni spiacevole cosa, le farà piacere un regalino.''.
Per un attimo credetti che mi sarei alzata e l'avrei presa a parole e schiaffoni invece fortunatamente per lei ero una persona con un buon autocontrollo.
Penelope aveva il fuoco negli occhi. Mi raggiunse con una rabbia che poche volte le avevo visto in volto nonostante i mille litigi.
''Cosa ci fai qua? Perchè mi hai seguita?''.
A quel punto anche io cambiai tono, non ero io che dovevo dare spiegazioni ma lei.
''Mah non saprei, forse credevo che ti sarebbe servito il cellulare per indicare la strada a cappuccetto rosso'' dissi e le mostrai il suo cellulare tirandolo fuori dalla tasca dei miei jeans quasi strappandomeli, '' o semplicemente non sono così stupida da non capire che sei uscita per inseguire quella li.''.
Penelope non si sentì minimamente in colpa ne per avermi nascosto tutta quella storia ne per avermi aggredita senza che lo meritassi.
 Mi girò le spalle come era solita fare quando era in collera e se ne andò.
''Chiedo un passaggio a Gio' ''.

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Capitolo 4
*** NOTTE BIANCA MATTINA NERA ***


Da piccolina avrei dovuto mettere come tutte le bambine le stelline fosforescenti sul soffitto della mia camera, anche se non erano nel mio stile erano carine, ma neanche a cinque anni avevo bisogno di una compagnia nel buio, non ne avevo paura, mentre le altre bambine si.
In quel momento però pensai che sul mio soffitto ci sarebbero state bene, e che forse quella volta avrei fatto bene ad accontentare mia madre.
Le stelline mi sarebbero servite non allora ma oggi. Mi avrebbero fatto da compagne in quelle notti insonni, in quelle notti in cui sei così preso dai tuoi sentimenti che non riesci neanche sotto auto costrizione a chiudere le palpebre.
Quella fu una di quelle notti in cui avrei voluto le stelline brillare attaccate al mio soffitto, invece guardavo nel buio.
Ero tornata a casa presto, non avevo fatto altre tappe dopo la pizzeria, di solito con gli amici andavamo a digerire la cena con una passeggiata in un parco o in una via centrale della città, dopo di che andavamo a bere qualcosa e solamente dopo esserci fumati l'ultima sigaretta della giornata si tornava a casa stanchi morti.
Dopo quel litigio con tutti quei maledetti dubbi che avevo in testa non avrei mai potuto far finta di sorridere e buttare giù un cicchetto di vodka alla fragola.
Penelope mi aveva ferita, ero abituata alle nostre liti ma ero anche abituata alle nostre tenere riappacificazioni.
Poteva sembrare strano per chi non la conosceva ma anche Penelope aveva un lato tenero, non lo mostrava mai perchè 'le persone non devono vedere le nostre debolezze, le sfrutterebbero Dolcezza' , me lo diceva sempre.
Lei mi rimproverava il fatto di essere troppo sincera nel mostrare quello che provavo, e che ero troppo buona a perdonare con tanta facilità.
Poche volte l'avevo ascolta con attenzione quando diceva cose simili, in parte aveva ragione e ne avevo avuta più volte la prova, lei però esagerava.
E poi a me non dava fastidio che le persone conoscessero il mio carattere o sapessero che nonostante la forza con la quale difendevo le mie cause in fin dei conti ero un pezzo di pane, non mi importava.
La mia indole era quella di una ribelle, non mi piacevano le mode e i tormentoni estivi ed odiavo i pregiudizi che la gente aveva sulle persone che si differenziavano dalla massa con stili o modi troppo eccessivi. Ognuno era libero di fare ed essere ciò che voleva.
Quell'ultima affermazione mi fece ritornare su Penelope.
Una volta le avevo chiesto perchè mi sembrava che avesse così tanti segreti, e lei mia aveva detto che a lei piaceva che chi la circondava non sapesse mai nulla di certo sul suo conto, in quel modo nessuno poteva prevederla o raggirarla.
Si, ma io non le avrei fatto una cosa del genere, a me poteva dire di più, con me poteva essere sincera.
Mi girai sul fianco destro abbandonando l'idea delle stelline sul soffitto, se stavo con la pancia verso su forse mi arrivava il giusto ossigeno al cervello, e io non volevo pensare.
Ero stanca, avevo pianto e volevo andare a dormire dimenticando per un attimo tutto quello che era successo.
Inutile dire che quei miei desideri non furono accontentati.


ORE 6:00

Quella mattina per la prima volta in vita mia rubai i trucchi a mia madre.
Avevo bisogno di fondotinta e correttore per far sparire dal mio volto la notte appena (non) trascorsa.
Mi spalmai una piccolissima dose di fondotinta sul viso massaggiandomi guance e tempie, di solito usavo quello minerale che mi aveva regalato mia cugina il natale scorso ma essendo a bassa coprenza non sarebbe servito a nulla quella volta.
Finita la restaurazione delle mie occhiaie mi guardai nello specchio speranzosa, per fortuna avevo fatto un buon lavoro, ero presentabile.
Convinta che non averei destato sospetti mi diressi in cucina per fare colazione.
''Buon dì sorella'' mi salutò Riccardo.
Era seduto tranquillo a tavola già tutto profumato e vestito per bene, con il suo Tablet sempre affianco già messo a lavoro per un esame o un lavoro sicuramente importante.
Da tempo avevo smesso di pormi ogni mattina la stessa domanda, ma quella volta me la feci e non me la tenei dentro:
''Come diavolo fai ad essere perfetto e di buon umore la mattina alle sei?''.
Mio fratello fece una risatina. Stava per rispondermi quando lo precedette mia madre:
''Perchè lui non passa tutte le notti in bianco come te. Hai delle occhiaie paurose!''.
Non ci potevo credere, ci avevo messo tanto impegno e non era servito praticamente a niente. Mia madre avrebbe visto le mie occhiaie, o meglio i miei difetti, anche se avessi indossato la maschera di Spiderman. La cosa mi urtava.
''Buongiorno mamma!''
Mi limitai a un saluto, protestare non mi sembrava il caso, in quelle condizioni se avessi istigato i miei nervi sarei scoppiata in una crisi d'ira.
Stavo per sedermi ma poi pensai che sarebbe stato meglio fare colazione al bar dell'università, a quell'ora non era affollato e avrei potuto mangiare il mio cornetto in tranquillità.


Tranquillità?
Sul serio avevo pensato alla tranquillità? Non avrei dovuto.
A metà strada la mia macchina si fermò.
''Cosa c'è adesso?'' esclamai esausta.
Scesi e vidi che un delle mie ruote era bucata, non potevo credere che la fortuna mi odiasse così tanto.
E adesso? Non potevo andare a piedi e non potevo lasciare la macchina li e non potevo chiamare mio fratello per orgoglio. Che faccio?
Presi il cellulare e cercai il contatto di Gio' nella speranza che fosse sveglio.
E come mi aspettavo, siccome c'era qualcuno o qualcosa nel mondo che mi odiava, perchè a quel punto c'era sicuramente chi o cosa mi odiava, Gio' non rispose.
''Ehi hai bisogno d'aiuto?''
Alle mie spalle era appena comparsa una Smart rossa, la guidava una ragazza mora che non avevo mai visto prima. Non era un carro attrezzi ma mi sarei accontentata. Non era il giorno giusto per pretendere troppo, visto come stavano andando le cose.
''Scusa se non faccio complimenti ma, si. Ho bisogno d'aiuto.''
La ragazza sorrise e scese dalla macchina.
Aveva uno stile tutto suo, dark solamente per la scelta del costante colore nero, ed elegante per la coda di cavallo che portava altissima e la collana di perle bianche a riempirle la scollatura della maglia.
Prima che le mostrassi quale fosse il problema aveva già individuato il guasto.
''Gomma a terra eh? Mi spiace ma non ho idea di come sostituirla, se vuoi posso darti un passaggio ma la macchina dovrai parcheggiarla qui.''
Accettai la proposta che mi era stata fatta, era la cosa migliore che potessi fare in quel momento, se avessi chiamato il carro attrezzi non avrei fatto poi in tempo per le lezioni.

Parcheggiai la macchina poco distante da dove si era bloccata e salii sulla Smart.

L'interno della macchina brillava, era pulitissima e profumava della fragranza di uno di quegli alberelli di cartoncino che si appendono allo specchietto. Mi impegnai con l'olfatto per capire di cosa profumasse quel cartoncino: lavanda, c'era profumo di lavanda, uno dei miei fiori preferiti.
Mia cugina, l'amica migliore che potessi desiderare, mi aveva fatto appassionare ai fiori tre anni prima quando mi aveva portato in Olanda al Keukenhof, un parco la cui bellezza è pari solamente alla magia che si percepisce sulla pelle appena ci si mette piede dentro.
E' tutta un'esplosione di colori e composizioni floreali indescrivibilmente belle, un luogo nel quale perdersi e lasciare che il profumo e la bellezza dei prati ti inebrino l'anima.
Pensando a quella sensazione di meraviglia respirai per un attimo la pace.
Era in quell'occasione che avevo scoperto la lavanda e il suo profumo,ed era per questo che il suo odore mi rendeva ogni volta più serena.
La ragazza al mio fianco mi guardò come per incitarmi a dire qualcosa. Poi però prese lei la parola vedendo che non avevo capito cosa voleva che le chiedessi.
''Mi dici dove devi andare o scelgo io una meta a caso?'' mi chiese sorridente.
''Ah si scusami, all'Università Centrale.''
Ironicamente mi disse che allora non le avrei fatto sprecare tanta benzina perchè anche lei andava li.
''Davvero? Non ti ho mai vista!''
''Non mi hai mai vista perchè non ci sono mai venuta prima. Io non vivo qui, casa mia è abbastanza lontana da questa città. Qui ci vivono i miei nonni.''
Invidiai per un attimo quella ragazza, anche a me sarebbe piaciuto avere dei nonni dai quali trasferirsi, per liberarmi un attimo di quella sensazione di non appartenenza che avevo quando mi sedevo a tavola con una famiglia aristocratica e perfetta.
''Beata te. I miei nonni abitano tutti qui, non posso fargli visita e scappare'' mi confidai.
''Scappare? Hai un fidanzato stronzo o dei genitori opprimenti?''
Quella domanda mi sorprese, era una persona sveglia e aveva già capito quali potevano essere i motivi del mio desiderio di fuga.
Anche io ero intelligente però :
''Perchè, tu scappi da qualcosa?'' le chiesi.
Lei sorrise, forse stava pensando quello che avevo pensato io di lei un attimo prima.
''Si, diciamo di si. E tu?''
''Si'' riflettei velocemente sulla mia vita ''diciamo di si.''


Mi guardai intorno in cera di un difetto, di una mollica di pane, o semplicemente di qualcosa che rovinasse il maniacale ordine in quella macchina.
Forse solo la sua coda di cavallo raggiungeva quella perfezione.
Stavo per commentare ciò che avevo osservato prima che il cellulare squillò.


CHIAMATA
Penelope


Il cuore mi battè forte, non riuscivo a capire se per amore o per rabbia, forse entrambe le cose.
Avrei voluto rispondere immediatamente e sentire la sua voce, quella dai toni dolci con cui la mattina mi dava il buon giorno prima di incontrarmi in università, perchè diceva di non poter aspettare un minuto di più. Feci prevalere il buon senso però, non risposi.
La ragazza al mio fianco si accorse di quello che stava accadendo, e a differenza di quanto mi aspettavo non capì subito il perchè della mia indecisione :
''Ti squilla il cellulare!''
Feci finta di non averlo visto e lo presi in mano con lo schermo ben puntato verso il mio sguardo :
''Ah si, ehm ... non fa niente la vedo tra poco.''
I suoi occhi si soffermarono sulla foto sopra il nome di chi stava chiamando.
D'un tratto mi resi conto di un ulteriore errore che avevo commesso nella mia vita:
la sua coda di cavallo non era poi così perfetta se si guardavano i suoi occhi, in quelli si che c'era la mano di qualche Dio.
Un blu più vicino al viola che a qualsiasi altra tonalità d'azzurro, un'intensità più vicina agli occhi di un gatto che a quelli di un semplice umano.
Blu come non esiste, viola come la lavanda.
Quella fu la prima associazione che mi venne in mente .
Solo addosso a Liz Taylor avevo visto occhi simili.


''Conosci Penelope Ginevris?''mi chiese.
Mi ripresi.
L'incanto.
Mi sorpresi.
''Scusami?''
Mettendo un attimo da parte quegli occhi : come faceva a conoscere già Penelope?
''Conosci Penelope Ginevris?'' ripetè.
''Si, certo. E... e tu come la conosci?''
''E' la mia vicina di casa. Sono qui da una settimana e per darmi il benvenuto venerdì sera è venuta con suo fratello a farmi visita, è stata molto gentile, ha detto che se avessi avuto bisogno di qualcosa loro abitavano nella villetta affianco.''
Rimasi pietrificata, incapace di dire qualcosa o di anche pensare. Non sapevo se scoppiare in un pianto isterico fregandomene del fatto che avevo affianco una sconosciuta, o se far finta di niente e cercare di trovare le parole per far finta che dentro di me non ci fosse l'inferno.
Ma con chi stavo condividendo le mie tenerezze? Chi amavo? Chi era in realtà quella persona di cui credevo di sapere tutto ma in realtà non sapevo niente? Chi era Penelope?
Tutte quelle domande dovevano avere una risposta.
In preda all'inspiegabile trovai la forza di volontà per parlare e mi rivolsi alla ragazza dagli occhi viola:
''Ma Penelope non ha un fratello!''.

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Capitolo 5
*** CIO CHE CI ACCOMUNA CI UNISCE ***


La ragazza al mio fianco rimase interdetta. Dalla faccia che fece sembrava proprio che non si aspettasse una cosa del genere.
''Sei sicura che parliamo della stessa persona?'' mi chiese confusa.
''Si!''
Le diedi una risposta secca, poco esaustiva, ma quello era il massimo che riuscivo a dare in quel momento.
Stavo cercando di capire il perchè, e stavo facendo un sacco di ipotesi per giustificare una simile bugia. 'Forse questa tipa ha capito male. Forse non le ha presentato il fratello ma suo cugino o un amico.'
''Ti ha presentato quel ragazzo come suo fratello o sei tu che lo pensi?''
Lei si girò di scatto verso di me:
''So quello che dico. Penelope mi ha detto che quello era suo fratello e mi hanno detto che se avevo bisogno LORO abitavano nella villetta vicino la mia, e con la stessa sicurezza posso dirti che stamattina ho incontrato Gabriel mentre usciva di casa. Ah, e non è di certo un ragazzo!''
Dopo averla sentita parlare con tanta decisione non potei non credere a quello che mi aveva detto.
Il tutto mi sembrò surreale.
Adesso dovevo anche credere che la mi ragazza mi tradisse con un uomo adulto?
Chiusi gli occhi, fui travolta dalla verità. Si, era possibile, possibilissimo.
''Il circolo'' esclamai.
Mi lasciai andare sul sedile pensando di me come una grande stupida.
''Cosa?''
Liz Taylor non aveva capito. E a proposito di soprannomi mi resi conto che ci eravamo dette tutto tranne l'essenziale, i nostri nomi.
''Scusa, ma fino ad ora abbiamo parlato senza neanche presentarci, io sono Greta''.
''Piacere Greta io sono Viola.''
Mi scappò una risata, pensai che la vita non finiva mai di stupirti, mancava solo che il suo colore preferito era viola e che la sua città preferita fosse Lille in Francia. Lille faceva pensare al lilla ma la tonalità rimaneva la stessa.
Per un attimo, stranamente, ero riuscita a distrarmi dall'angoscia che mi aveva assalita.
''Stai scherzando?'' le chiesi senza poter fare a meno di usare un tono tra l'ironico e il sorpreso.
Viola mi guardò con quei due piccoli miracoli che la natura un giorno aveva deciso di fare e mi sorrise:
''Lo so lo so, Viola come i miei occhi. Non sei la prima che lo pensa.''
Era più che normale non essere la prima nell'osservare una coincidenza tanto palese, che poi se si rifletteva non era poi una così grande coincidenza, i genitori dovevano averla chiamata così apposta.
Io chissà perchè mi chiamavo Greta, non trovavo una connessione storica o una mia bisnonna con il mio nome, invece, magari, Penelope si chiamava così perchè la madre aveva letto l'Odissea.
Ritornai sulla conversazione e mi rivolsi a Viola, decisi di spiegarle alcune cose e di fregarmene che fosse un estranea, alla fine era la stessa cosa se si considerava che la mia ragazza, una persona a me vicina, mi ingannava come avrebbe potuto fare una Viola qualunque incontrata per caso.
''Ho detto 'circolo', mi riferivo al Circolo Letterario per Arti Poetiche, il più importante in città e in generale in tutto il paese. Penelope lavora li come segretaria e deve aver conosciuto uno dei membri. Evidentemente ti ha mentito perchè sarebbe uno scandalo se si venisse a sapere che un grande letterato va a letto con la sua segretaria.''
Lei annuiva guardando la strada che aveva di fronte.
''So del Circolo, volevo sapere se era proprio quel circolo e lo è. Devi sapere che io ne faccio parte'' fece una pausa e mi dedicò un voloce sguardo ''domani sarà il primo giorno in cui ci metterò piede, anche se sono qui da più tempo. La regola vuole che ogni membro può accedere all'edificio solamente dal galà in suo onore in poi. Per questo non so dirti se Gabriel sia un membro, se vuoi però..''
La precedetti prima che potesse finire di parlare. Fui presa nella morsa della curiosità ed ero contenta di aver avuto finalmente la possibilità di smascherare Penelope una volta per tutte.
''Però se voglio potrai dirmelo domani. Giusto?''
Viola fece una risatina, forse era contenta di aver visto ,,per la prima volta da quando ci eravamo incontrate, un lampo di luce nel mio sorriso.
''Esatto'' disse '' e se prometti di ascoltare attentamente ciò che sto per proporti, saprai molto di più.''
Quella ragazza era una benedizione. Sperai che non fosse solamente l'apparenza, ma pensai che era una nella quale potevo riporre la mia fiducia, e se così fosse stato saremmo diventate sicuramente grandi amiche.
''Ti ascolto''.
''Allora, io non so cosa sia questa Penelope per te, se un'amica, una cugina o non so, però mi pare che tu ci sia molto affezionata e che le sue bugie ti facciano male. Lei mi sembra una ragazza molto furba quindi è necessario che tu faccia come ti dico. Quando la vedrai, se la vedrai, fà finta di niente, io e te non ci siamo mai incontrate ne parlate. Perchè se dovesse capire che stai cercando di scoprire qualcosa farebbe sicuramente in modo che questo non avvenga. Perciò comportati come se non sapessi di questa sua ipotetica storia con un membro del Circolo, al resto ci penso io.''
Guardai Viola esterrefatta. Il suo piano era a dir poco diabolico, e non mi sarei mai aspettata che un'estranea mi potesse fare un favore del genere. Forse non mi sarei dovuta fidare di una persona in grado di farmi una proposta così, ma non seppi descrivere la fiducia che avevo in lei. Una fiducia innata che doveva pur avere un suo perchè.
''Perchè mi aiuti?'' mi venne spontaneo chiederle.
''Perchè ti capisco, perchè entrambe vogliamo fuggire. Greta, ciò che ci accomuna ci unisce.
Io ti aiuterò per questo.''



Entrai nella mia aula di Arte e Lettere con l'animo leggermente sollevato dalle parole di Viola, e in generale dal fatto di aver trovato una nuova amica con la quale avevo una buona intesa.
Dopo averla salutata avevo continuato a chiedermi da cosa stesse scappando, quelle sue affermazioni avevano incrementato la mia curiosità.
I miei pensieri furono interrotti da una leggera colpo che accusai sulla mia spalla sinistra.
''Greta buon giorno, si vada a sedere cosa fa qui ferma sulla soglia!''
Era il professor Barnondebeschi. Arrossii. Quello era uno dei pochi uomini in grado di risvegliare la mia parte etero.
Era un uomo sulla quarantina, abbastanza giovane per essere un professore universitario affermato, ma il suo successo era meritato.
Le sue lezioni erano le più seguite, le sue aule non avevano mai conosciuto carestia e puntualmente i posti a sedere erano occupati ancor prima che la lezione iniziasse.
Era un uomo di grande eloquenza e sapeva come catturare l'attenzione di chi lo ascoltava, e in questo il suo aspetto gli era di grande aiuto, soprattutto con le studentesse.
'Di certo non fuggirà da lui' pensai facendo riferimento a Viola.
Lei avrebbe sicuramente conosciuto il professor Barondebeschi se faceva parte del Circolo, e sicuramente avrebbe avuto l'opportunità di avvicinarsi a lui più delle altre allieve.
Una grande e giovane letterata dall'aspetto serafico e gli occhi viola non era una studentessa come tutte.
Mi ci volle del tempo per rendermi conto che ero ancora in piedi sulla soglia della porta.
Me ne accorsi solamente dopo che il mio sguardo fu distratto da un braccio sventolato tra le sedie-poltroncine dell'aula.
Mi si bloccò il cuore, era Penelope.
Stavo per farmi prendere dalla rabbia, e il mio orgoglio mi diceva di girare le spalle come faceva lei e andarmi a sedere altrove, ma ripensai a quello che ci eravamo dette con Viola.
Perciò, raccolsi tutte le mie forze e con il sorriso più finto che avessi mai fatto mi andai a sedere vicino a lei.
''Ciao'' esordì in evidente imbarazzo.
Vai Greta ce la puoi fare!
''Ciao''
Notai che l'auto incitamento era efficace, me ne rallegrai perchè l'avrei usato spesso quella mattina.
''Ti vedo spensierata oggi.''
Penelope abbassò la voce appena la lezione cominciò.
Nel giro di un misero secondo era riuscita a bisbigliare una grande str****ta.
Non seppi se credere che aveva detto una cosa tanto fuori luogo per via della tensione o se l'aveva detta per stupidità. Eliminai immediatamente la seconda possibilità, Penelope era fin troppo intelligente, e mi rallegrai constatando che forse non ero stata l'unica a passare una notte orribile, e che qualche volta anche lei riusciva a sentirsi in colpa.
''Si,''mentii spudoratamente '' si. E' una bella giornata oggi.''
Lei mi guardò delusa, quasi sperava che fosse andata male, come era accaduto realmente.
La sua reazione non fece altro che confermare i miei sospetti, in parte mi fece piacere, ma ero di buon cuore e nonostante tutto riuscii a dispiacermi per il suo dispiacere.
Maledetta empatia.
''Invece la mia giornata è stata tremenda. Greta questa notte è stata una delle più lunghe, non facevo altro che pensarti. Ero,sono, dispiaciuta per come mi sono comportata ieri sera. Tu non lo meriti, sei sempre dolce con me e'' strinse la mia mano fra le sue ''voglio che tu sappia che mi dispiace. Davvero.''
Ascoltai le parole con il cuore che mi stava impazzendo nel petto, non riuscivo a pensare ad altro che a quelle scusa apparentemente sincere. Era successo tante volte e tante volte le avevo creduto, anche quella volta avrei voluto farlo, il mio stesso cuore mi diceva di crederle e di accettare, di perdonare.
Ma avvolte non si può lasciare che delle spiacevoli evidenze siano trascurate brutalmente per via dell'affetto che si provava per una persona. Avvolte bisognava pensare prima a se stessi.
Guidata dalla mia razionalità non mi feci convincere da quei suoi due grandi occhi e mi convinsi che non potevo perdonarla. Però dovevo, dovevo o il piano sarebbe saltato.
''Ti ho già perdonata Penelope, tante volte'' le dissi lasciandola un po nel dubbio, con lei bisognava adottare le maniere forti, poi però le posai la mano che avevo libera sulle sue che stringevano la mia, e continuai '' e non mi costa niente farlo di nuovo.''
Penelope fece un sorriso enorme e dai suoi occhi arrossati scese una lacrima. Mi abbracciò stringendomi fortissimo:
''Ti amo Greta''
La strinsi anche io, mi sentii in colpa per averle mentito, per averle detto che l'avevo perdonata quando in realtà non era così e non lo sarebbe stato fino a quando non avrei scoperto tutta la verità.
''Anche io.''mentii.

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