Edyth e Kilie - Quando il passato torna

di Sophie_moore
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Edyth, parte uno ***
Capitolo 2: *** Edyth, parte due ***
Capitolo 3: *** Kilie, parte uno ***
Capitolo 4: *** Kilie, parte due ***



Capitolo 1
*** Edyth, parte uno ***


Raccolta partecipante al contest "Breve, ma intenso" indetto da Donnie sul forum di EFP

 

Edyth - 1

 Mentre ascoltavo, mentre guardavo quelle persone e i loro rituali sociali, sentivo solo il desiderio di ribaltare il tavolo e scappare urlando.

 

Mi guardavano tutti, in quell'ufficio. Appena ero entrata, appena avevo varcato la soglia, ecco che tutti gli occhi si erano puntati su di me. Strinsi forte le mascelle e mi diedi un contegno.

˗ Cosa ti serve, Edyth?

Il signor Lark mi fissava facendomi sentire a disagio, come se fossi stata una ladra colta in flagrante. Cosa che ovviamente non era, visto che stavo solo facendo il mio lavoro, fortunatamente provvisorio, di stagista segretaria. Mi maledissi cento e più volte per aver accettato di fare la stagista in quell'azienda, ma i soldi servivano e volevo diventare indipendente a tutti i costi.

˗ Ecco i documenti che aveva richiesto, signore.

Mi chinai sulla tavolata a goccia e lasciai davanti al suo muso da topo il plico di fogli e cartelle, per poi tirarmi su e salutare.

˗ Aspetta! Puoi sentire anche tu, magari ti serviranno…

Fece un sorriso agghiacciante, uno di quelli che stanno sulla bocca di chi non pensa assolutamente quello che sta dicendo, per cui mi limitai ad annuire e nascondermi in un angolino dell'ufficio, sperando ardentemente di non essere più interpellata. Quelle persone non mi piacevano, avevano delle espressioni talmente tese e false che avevo la sensazione che stessero per tirare fuori delle pistole ed iniziare una sparatoria.

˗ Stavamo dicendo, signori miei, che il progetto che stiamo per presentare alle grandi industrie sarà qualcosa di estremamente innovativo! La nostra azienda ha lavorato molti mesi per realizzare questa piccola opera d'arte, che…

Davvero quegli imbecilli stavano ascoltando? Non riuscivo a seguire il suo discorso, mi pareva che parlasse dell'aria, di qualcosa di terribilmente inconsistente, e tutti quanti lo guardavano, lo veneravano come un Dio sceso in terra ˗ o fingevano? ˗, facevano domande come se davvero interessasse ricevere una risposta… erano nauseanti. Per quanto sarei dovuta stare in quell'angolino ad ascoltare scemenze, una dietro l'altra? Che poi, onestamente parlando, neanche sapevo perché ero finita in quel covo di serpi velenose: non ero fatta per portare tailleur, tacchi alti o crocchie ˗ per l'amor del cielo, dovevo assolutamente togliermi quella pinza dai capelli, mi stava uccidendo ˗, io ero più per canottiere slargate e pantaloncini di jeans. Stavo soffocando, l'etichetta del reggiseno mi pizzicava la schiena e mi sembrava quantomeno maleducato iniziare a grattarmi davanti a tutti, anche perché sospettavo che aspettassero solo una mia mossa falsa per sbranarmi. Mi sentivo una giovane antilope circondata da un branco di leonesse affamate, e non mi piaceva affatto.

˗ Edyth vi spiegherebbe molto volentieri di cosa si tratta, dunque, ma la vedo un po' indaffarata…

Quando mi sentii chiamare era già tardi, purtroppo. Rientrai nel mio corpo con un tonfo sordo, tanto che ebbi paura che l'avessero percepito tutti quanti, e sgranai gli occhi impaurita. Sentivo l'ansia che mi cresceva nel petto costretto in quella maledetta camicia pruriginosa e le lacrime di frustrazione che mi punzecchiavano gli occhi. No, non sarebbe successo.

˗ Sa una cosa, signor Lark?

Mi sciolsi i capelli, sbottonai la giacca grigia e mi tolsi i tacchi, sbattendoli con forza sul tavolo, esattamente dov'erano prima i suoi preziosissimi documenti.

˗ Che si fotta lei, questo gruppo di imbecilli e il suo inutile progetto! Fottetevi tutti: io mi licenzio.

Ed uscii dalla stanza, lasciandoli tutti pietrificati sulle loro sedie girevoli. Potevo sempre tornare a scuola, quel lavoro non mi serviva.

Quando balzai fuori dall'ascensore mi sentivo libera. E leggermente nel panico, per la scenata che avevo piantato al piano di sopra, ma soprattutto libera. Avrei potuto ricominciare ad avere una vita ˗ avevo a malapena ventidue anni, per la miseria! ˗, magari sposare qualcuno, magari anche no, magari comprare una decina di gatti e coccolarli tutto il giorno tutti i giorni per tutta la mia inutile esistenza.

Ma, ora che ero abbastanza lontana dall'ufficio potevo ammetterlo, almeno a me stessa: avevo fatto una cazzata a licenziarmi ed ero anche scalza… che giornata di merda.

Mi infilai nel primo negozio di scarpe che trovai sulla via, cercando di non dare nell'occhio. Sembravo una pazza, con tutta probabilità.

˗ Salve, posso esserle utile?

La commessa con un sorriso da copertina mi si avvicinò, ma appena notò i piedi nudi con lo smalto ormai quasi del tutto sbiadito fece di tutto per non far trasparire quella sensazione di disgusto che solo una donna in carriera poteva provare. Mi fece sentire un verme.

˗ Kilie, è un lavoro per te! ˗ gridò.

Kilie… mi era particolarmente familiare, ricordavo di qualcuno con quel nome, anche perché non era il classico “Mary” o “Jane”.

˗ Non credevo ti avrei rincontrata in queste condizioni, sai?

Una ragazza circa della mia età mi si presentò di fronte, grandi occhi celesti e i capelli dello stesso colore, legati in una coda alta.

˗ Pensavo avresti almeno avuto le scarpe.

˗ Kilie!!! ˗ esultai, quando il viso di una marmocchia bionda e paffuta si sovrappose a quello della elegante commessa dai capelli azzurri. ˗ Sei tornata, che bello! ˗

Le saltai al collo, abbracciandola stretta.

˗ Da qualche settimana. Volevo chiamarti ma non ho più il tuo numero…

Scossi la testa non appena mi staccai da lei. Il cuore mi batteva all'impazzata: Kilie era stata una delle mie più care amiche delle scuole medie, ma alla fine del terzo anno si era dovuta trasferire con i suoi genitori, e non eravamo più riuscite a sentirci. Strano che fosse tornata dopo quasi dieci anni.

˗ Ti lascio il mio biglietto.

Le misi tra le mani il biglietto da visita che avevo fatto stampare per possibili occasioni di lavoro, ma non ero mai stata così contenta di darlo via.

Lei fece un sorriso raggiante, luminoso, il suo volto brillava ed io ero davvero, davvero, felice di poterlo vedere di nuovo. Mi era sempre piaciuta in modo particolare, probabilmente per questo suo modo di luccicare.

˗ Cerchiamo delle scarpe adatte, che dici?

Mi fece l'occhiolino ed io arrossii come una bambina. Dopotutto la giornata non era stata così terribile come avevo immaginato.




Sophie's space_____
Che dire? Mi sono venute in mente grazie ad un videogioco, "Life is strange", del quale mi sono profondamente innamorata.
Ma comunque! Per queste mini shots ringrazio tantissimo dal più profondo del mio cuoricino malandato Slappola, la mia moglie fedele e beta formidabile. Ti adoro tanto tanto tanto!!!
Bien, etto questo, vi lascio agli altri capitoli =) un abacione,
Sophie 

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Capitolo 2
*** Edyth, parte due ***


 

Edyth - 2

Se resti sveglio/a la notte, o sei solo/a o sei innamorato/a. E, francamente, non so cosa sia peggio.


 

Non riuscivo a chiudere occhio. Mi giravo nel letto, le lenzuola si arrotolavano tra le mie gambe e mi ritrovavo al bordo del materasso tenuta su da una corda di stoffa. Forse era il caso di alzarmi e magari andare a farmi un tè, tanto continuavo a pensare a quella frase, non riuscivo a togliermela dalla mente.

Sono gay.

Scossi la testa violentemente, spalancai gli occhi e mi infilai il pigiama, iniziando a camminare verso la cucina. Strascicavo i piedi, sbadigliavo, dondolavo da una parte all'altra e rischiai di inciampare negli scalini, tanto ero sovrappensiero. Mi appesi al corrimano e scesi il più in fretta possibile per togliermi da quella situazione d'impiccio.

˗ Anche tu qui?

Sobbalzai sul posto, mi voltai di scatto e scorsi mia sorella nella penombra della cucina, seduta al tavolo che sorseggiava qualcosa da un bicchiere colorato.

˗ Se resti sveglia la notte, o sei sola o sei innamorata. ˗ Fece un sorriso stiracchiato, si accasciò tra le sue braccia e sospirò: ˗ Francamente, non so cosa sia peggio.

Mi sedetti di fronte a lei dopo aver attaccato il microonde per scaldare l'acqua. Era raro che mia sorella fosse così sconsolata, era una di quelle persone che dormivano anche con le trombe che suonavano nelle proprie orecchie, si addormentava in qualsiasi posizione e a qualsiasi ora, se era stanca.

˗ Sei innamorata?

Alzò la testa e sbatté le palpebre: ˗ No, sono sola per la verità. ˗ sembrò pensare a qualche parola da dire, valutò l'alternativa di dialogare o di tornarsene con la fronte sul tavolo, poi decise di parlare: ˗ E tu? Sei innamorata?

˗ Kilie mi ha detto di essere gay.

Recuperai la mia tazza di Jack Skellington e ci inzuppai la bustina di tisana, che subito colorò l'acqua di un bel rosso vermiglio.

˗ Buongiorno! Quando è tornata?

˗ Come sarebbe a dire “buongiorno”?

Scrollò le spalle, come se la mia rivelazione non l'avesse scossa minimamente. Quel suo lato disilluso e apatico spesso mi faceva imbestialire.

˗ Si capiva benissimo, e poi aveva una cotta per te che non finiva più.

˗ A parte che sei stordita come poche, ma come fai a ricordarla? Io ho fatto una fatica pazzesca a riconoscerla!

Mi stava prendendo in giro, sicuramente. Non poteva dire davvero, che razza di amica ero se non mi accorgevo neanche di queste cose? Mi sentii uno schifo totale: mia sorella, che aveva cinque anni più di me, era riuscita a capire quelle cose da una mia amica, che io invece vedevo spessissimo, quasi tutti i giorni.

˗ Era la tua unica amica lesbica, me la ricordo bene.

˗ E come fai a sapere che era…

˗ Convivo con una da quando è nata, ˗ si alzò dal tavolo e mi diede un bacio sulla testa, ˗ ma ancora non l'ha capito. Buonanotte, Edyth.

Si avviò verso la porta della cucina e scomparve dietro di essa, sicuramente diretta alla sua camera da letto, lasciandomi sola dopo una confessione del genere. Come poteva parlarmi così? Come aveva potuto dirmi una cosa simile senza sentirsi una stronza? Non ci pensai due volte: saltai in piedi e la rincorsi, afferrandola per le spalle appena prima che entrasse nella sua stanza.

˗ Perché? ˗ dissi solamente, mentre cercavo di trattenere le lacrime.

Non mi piaceva quella cosa, non mi piaceva per niente… e mia sorella mi abbracciò stretta, come se lo sapesse.

˗ Va tutto bene, non c'è niente di male. Dovevi arrivarci, prima o poi, pensavo che, dicendolo, ti avrei dato una mano.

Mi accarezzò la testa, mi appoggiò il mento sulla nuca e mi abbracciò come non aveva mai fatto probabilmente.

˗ Mi sono sempre piaciuti i maschi, perché devi dire queste cattiverie…

Ashley mi prese il viso tra le mani, mi sfiorò la fronte con le labbra e poi ci si appoggiò, sorridendo. ˗ Sei sempre stata così impegnata in altre cose che ti sei dimenticata di pensare a te stessa… prima la scuola, poi gli stage, ed il lavoro estivo… non ti sei mai fermata un secondo, ma adesso che puoi farlo, che ti sei licenziata, che Kilie è tornata, fallo, e poi pensa a queste tue emozioni.

Mi scostò una ciocca di capelli da davanti agli occhi. In quel momento mi chiesi perché lei fosse sola, perché non avesse ancora qualcuno che la amasse e si prendesse cura di lei, come aveva sempre fatto con me.

˗ Il mio lavoro consiste anche nel dire cose che non ci piacciono, Edyth, e questo è uno di quei casi. Non potrei mai perdonarmi di avertelo taciuto e negarti una verità che potrebbe renderti felice, un giorno. Perciò ora puoi odiarmi, ne hai il diritto, ma prima o poi capirai che l'ho fatto solo per te.

Ashley mi lasciò, mi mandò ancora un bacio e poi si chiuse nella sua stanza. Forse aveva ragione, forse avevo tutto il diritto di odiarla per la cattiveria che aveva detto, ma non ci riuscivo. Sentivo solo che qualcosa si era sciolto dentro di me, come se avessi avuto un'illuminazione divina che mi avrebbe risolto tutti i problemi.

Ciondolai nella mia stanza, di fronte a quella di mia sorella, e mi buttai sul letto a pancia sotto. La mia testa frullava, faceva ipotesi, le confutava, ne creava altre e distruggeva anche quelle, mentre a me venivano delle emicranie da far piangere e il fegato si arrotolava su se stesso. Non avrei dormito comunque, indipendentemente da Kilie.

Già, Kilie. probabilmente avrei dovuto starle il più vicina possibile per vedere se effettivamente Ashley aveva ragione. Mi pareva talmente assurdo che forse, forse, poteva avere qualche vaga sfumatura di verità.

Mi voltai a guardare il soffitto: se Ashley fosse stata nel giusto, allora si sarebbero spiegate un sacco di cose su di me, sul mio passato e sulle mie esperienze, decisamente ridotte.

Decisi che il giorno dopo avrei sentito Kilie.

 

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Capitolo 3
*** Kilie, parte uno ***


Kilie - 1

Vomitava parole su parole. Su di lui/lei, sull'amore e l'abbandono, sulle ferite, sull'ingiustizia. Vomitava e io ero costretto/a guardare quello spettacolo penoso.

 

Non capivo perché Edyth avesse insistito così tanto per vederci, quel giorno. Non pensavo che la mia confessione l'avrebbe fatta stare così in pensiero, ero davvero convinta che lo sapesse e, soprattutto, che si capisse.

˗ Che poi, il signor Lark, hai presente, no? Quello dell'ufficio, ecco, era uno stronzo di prima categoria, insomma. Mi ha umiliata tutto il tempo, cercava di farmi fare cose strane, sai che mi ha proposto anche un appuntamento? Ma ci pensi? Io con quello?

˗ Non l'ho mai visto. ˗ le risposi, sorseggiando il mio bicchiere di acqua tonica. Avevo il sospetto che stesse straparlando perché era a disagio.

Lei si passò le mani tra i capelli, si fece una coda, poi la disfò, poi si stropicciò gli occhi ed infine impugnò di nuovo la forchetta, su cui stava ancora infilzata una foglia di insalata.

˗ Non ti sei persa granché, ˗ ingoiò la forchettata di insalata, punzonò malamente un pomodorino come se fosse stato un famigerato serial killer, e ricominciò a blaterare, gesticolando freneticamente ˗ faceva schifo. Vecchio, acido, stronzo come la fame, probabilmente se la faceva con tutte le donne dell'ufficio. Sai, penso che probabilmente mi avrebbe licenziata lui se avessi continuato a non dargliela.

˗ Gliel'avresti data per tenere il posto?

Tossì, dopo che quel famigerato pomodorino le fu andato di traverso, e sembrò dover vomitare tutto da un momento all'altro. Non sapevo se ridere per la scena imbarazzante o se darle una mano a mandare giù il boccone. Prima che decidessi, comunque, lei aveva finito la sua scenata e stava ricominciando a delirare su altre cose, parti di quell'insalata come ostaggi.

˗ Senti, che hai? Perché sei così a disagio?

˗ Non sono a disagio! ˗ la sua voce era squillante come una tromba, altissima, tanto che mi fece socchiudere un occhio.

˗ Già, ed io sono evidentemente sorda.

Arrossì leggermente, abbassò gli occhi e fermò le mani, appoggiandole sul tavolo.

˗ Devi dirmi qualcosa? ˗ continuai, per poi ficcarmi in bocca un pezzo di pollo. La guardai di sottecchi, attraverso la mia frangia azzurra, e non potei non essere decisamente intenerita da quello sguardo sperduto.

Scosse la testa.

˗ Sei sicura?

Incassò il collo nelle spalle e fece di nuovo cenno di no. Ridacchiai: sapevo che si stava preparando a dire qualcosa di estremamente difficile.

˗ Allora possiamo andare via?

˗ No!

Mi fermai a metà tra l'essere seduta e lo stare in piedi. Questo giochino del gatto e del topo mi divertiva da morire, sentivo lo stomaco arrotolarsi su se stesso e la voglia di abbracciarla si faceva sempre più forte.

˗ Siediti, per favore.

La sua voce era poco più di un sussurro, un sibilo, ma io la sentii chiaramente. Mi sedetti di nuovo con molta calma, accavallai le gambe, la guardai negli occhi. O meglio, ci provai, visto che si ostinava a fissare il tavolo.

˗ Ti ascolto.

Mi appoggiai allo schienale della sedia e ghignai. I miei muscoli erano tesi, pronti a muoversi in ogni momento.

˗ Ecco io… ho pensato molto a quello che mi hai detto ieri e non sono riuscita a dormire. Trovo che sia stata un'ingiustizia bella e buona, un colpo basso, perché sì che ci conosciamo da quando siamo piccole, ma io non me n'ero mai accorta e dirmelo così è stato un colpo davvero davvero basso. Poi Ashley mi ha detto che lo sono anche io, e allora ho passato tutta la notte a pensare se fosse vero o no ˗

˗ Ashley dice che lo sei anche tu? ˗ la interruppi bruscamente, sgranando leggermente gli occhi.

Annuì, arrossendo visibilmente.

˗ Comunque volevo capire se fosse vero, e non lo so ancora, perché mi sento in ansia, e blatero e blatero, lo so che sto blaterando, che credi, che sono scema? Lo so! Sto delirando! Ma non so cosa sento, non lo capisco e ho una paura matta, perché mi sono sempre piaciuti i maschi ed ora sento le farfalle nello stomaco e non so come reagire, maledizione, puoi interrompermi?

Scoppiai a ridere quando mi pose quella domanda. Prese delle boccate d'aria pressoché immense, pareva che fosse tornata da un'immersione subacquea, e prese un colorito adorabile: non mi accorsi di essermi mossa, me ne resi conto solo quando mi trovai di fianco a lei e le strofinai il naso sul collo. Non riuscivo a smettere di sghignazzare, soprattutto per l'imbarazzo che le stavo procurando.

Forse stavo esagerando. Forse avrei dovuto darmi una calmata e aspettare che fosse pronta lei, a fare quel passo, non dovevo calcare troppo la mano. Eppure era così carina, così accaldata da quel turbamento evidente che riuscivo a stento a darmi un contegno.

Voi lesbiche siete peggio di noi uomini.

Sorrisi debolmente, le stampai un bacio sulla guancia, abbracciandola lateralmente, e mi staccai, seppur di malavoglia. Non potevo permettere che quelli là avessero ragione su di me, che quelle parole dette con disprezzo risultassero vere. Avrei aspettato.

˗ Sei bellissima, lo sai? ˗ le dissi, per riportare il mio cuore ad un battito regolare.

Ed era vero, ovviamente: era splendida, con i suoi capelli scuri ora sciolti, la frangia disordinata, gli occhioni da cerbiatta indifesa… non vedevo davvero l'ora che si lasciasse andare.

˗ Grazie, ma questo adesso non c'entra, io voglio solo sapere se sono gay.

˗ Hai mai provato attrazione per delle donne?

˗ Non lo so…

˗ Per me provi attrazione?

Si voltò di scatto verso di me, con gli occhi spalancati per lo stupore e la bocca aperta.

˗ I-io non lo so…

Le misi un braccio attorno alle spalle, facendola appoggiare a me. ˗ A me tu piaci un sacco, per esempio. Ti trovo attraente, sei slanciata, morbida e chiara. Posso proporti un appuntamento?

La sentii fremere sulla mia spalla ed in quell'istante capii di aver esagerato. L'avevo terrorizzata.

˗ Non c'è bisogno che mi rispondi subito, lo sai? Possiamo anche essere amiche, per un po'.

Annuì contro la mia spalla e ricambiò il mio abbraccio.

Sì, avrei aspettato.

 

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Capitolo 4
*** Kilie, parte due ***


Kilie - 2

Rischi di impazzire per cercare di capirmi.

 

˗ Sinceramente, non ti capisco.

Ed era la quinta volta, credo, forse sesta contando meglio, che diceva quella cosa. Erano passate due settimane dalla mia dichiarazione e sì, onestamente, stavo facendo un po' di tira e molla. Sapevo com'ero, sapevo com'era il mio carattere, e soprattutto sapevo che facevo sempre casini, non mi sapevo tenere stretto nulla a cui tenessi per davvero. Perciò facevo tira e molla, in modo inconscio la stavo mettendo alla prova, stavo cercando di capire se ne valesse effettivamente la pena. Il problema era che a forza di tirare, rischiavo di spezzare la corda che ci teneva legate.

˗ Mi stai ascoltando?

Edyth mi tirò per un braccio e quasi mi fece cadere, sbilanciando il mio equilibrio già precario di per sé.

˗ Francamente? ˗ lei fece una smorfia: aveva già capito che cosa stavo per dire. ˗ Avrai ripetuto questa cosa un milione di volte ed io non ho più voglia di ascoltare ancora le tue lamentele. Ti ho detto di stare tranquilla.

˗ Sì, ma tu mi hai detto anche che mi trovavi bellissima. Hai detto anche che sono attraente, slanciata, morbida e chiara.

Feci un sorrisetto, mi avvicinai piano e le pizzicai dolcemente una guancia, fino a scendere sul collo e sfiorarle la scapola. A quel punto mi irrigidii, scattando all'indietro.

˗ Lo vedi cosa fai? ˗ sbottò, battendo il piede a terra. Aveva le guance gonfie e rosse, gli occhi ben aperti ed un'espressione che non prometteva niente di buono.

˗ Non è colpa tua.

Rimanemmo in silenzio per un po', ognuna assorta nei propri pensieri. Sentivo Edyth che ogni tanto calcava un po' più forte il passo, sbuffava, muoveva le braccia per attirare la mia attenzione probabilmente, ma decisi di ignorarla: avevo altro a cui pensare, non era quello il momento di discutere di nuovo. Mi fissai la punta dei miei tacchi alti, perdendomi nei ghirigori che li decoravano. Adoravo quelle scarpe, avevano un tacco bello importante ma anche spesso, erano tutte disegnate con fiori e spirali ed erano molto estive per i colori usati. Si intonavano bene ai miei capelli ormai verde acqua, l'azzurro era scemato via in un attimo. Se solo mi avesse vista la mamma…

˗ Kilie, mi dici qual è il problema?

Risposi sbuffando e scuotendo forte la testa.

˗ Ti ho detto che sono pronta, no? Perché sei così schiva? Non ti piaccio più? ˗ mormorò.

Mi voltai a guardarla e notai che aveva gli occhi lucidi. Dannazione.

Le presi la mano, portandola alla panchina più vicina, e la feci sedere mentre io rimasi in piedi di fronte a lei.

˗ Tu sei bellissima, okay? È complicato, non so bene spiegartelo neanche io.

˗ Sei sempre stata una pessima bugiarda. ˗ Mi guardò con degli occhi… quasi mi cedettero le ginocchia.

Mi sedetti di fianco a lei, sospirando profondamente. Pareva mi stesse risucchiando le energie, era davvero incazzata nera.

˗ Ti sto mettendo alla prova. ˗ le confessai allora, avvicinandomi con noncuranza.

˗ Per vedere se sono degna? Tipo il martello di Thor?

Ridacchiai e mi parve di smorzare leggermente la tensione che mi attraversava le viscere.

˗ In un certo senso, sì. Se ti faccio vedere il mio lato peggiore o te ne vai o rimani, quindi…

˗ Sei stata tu ad andartene alle medie.

˗ Non è dipeso da me… sei crudele a dirmi questo.

˗ E tu sei crudele a mettermi alla prova.

˗ Touchée.

Restammo in silenzio ancora per un po'. Lei si stringeva forte i pugni sui pantaloni, quasi tremava. Avevo la sensazione che stesse per colpirmi da un momento all'altro e avrebbe avuto tutte le ragioni per farlo.

˗ Se ti assicurassi che non me ne andrò in ogni caso, anche se finisse male, mi crederesti?

Non sapevo cosa risponderle, onestamente. Mi passarono nella mente almeno un centinaio di frasi d'effetto, cose estremamente fighe da dire ma che non superavano la barriera delle labbra. Erano come sigillate, non volevano proprio schiudersi per nessuna ragione.

˗ Pensi troppo, ˗ Edyth mi risvegliò con quella frase e mi afferrò la mano. ˗ dovresti stare più serena. Non tutti vanno via, non tutti restano, è così che funziona. Però se cerchi di farmi capire cosa provi possiamo trovare una soluzione. No?

Scossi la testa, mi appoggiai alla sua spalla. Aveva un profumo così dolce, così inebriante, così carico di ricordi, che non mi resi conto di essermi avvicinata ancora di più finché non aderii completamente al suo corpo. Avevo provato a convincermi che non potevo essere ancora innamorata di lei, ma qualcosa nella mia testa mi diceva che stavo sbagliando completamente tattica.

˗ Non è così facile. ˗ mormorai, per poi sbuffare.

˗ Puoi sempre provarci.

˗ No, è˗

˗ “Rischi di impazzire a cercare di capirmi”, te lo ricordi? ˗ Io sobbalzai e sgranai gli occhi, dopo quell'interruzione repentina. ˗ Me l'hai detto quando sei andata via. Ora credo di averti capita: hai paura.

˗ Non ho paura.

˗ Ne hai eccome. E se te lo dico io, che ho scoperto di essere lesbica solo due settimane fa, c'è qualcosa che non va.

Brontolai e lei si voltò verso di me con un sorriso davvero irresistibile. Le presi il viso tra le mani, poggiai la fronte contro la sua e le diedi un bacio a fior di labbra. La mia frustrazione era scomparsa.

˗ Sei stata sfortunata. ˗ l'avvisai, saltando in piedi e porgendole la mano.

Mi guardò con un'espressione totalmente confusa, ma mi afferrò e si alzò dalla panchina. ˗ Perché?

˗ Non credo ti lascerò mai più andare. Sarò la tua unica esperienza. ˗ la tirai verso di me e le diedi un altro bacio, molto più profondo ed appassionato.

Si staccò, spingendomi all'indietro. Tornò a sedersi sulla panchina e respirò profondamente.

˗ Che c'è?

˗ Mi manca l'aria e mi tremano le gambe.

Era così carina, sperduta da tutto quello che non riuscii a trattenermi dal sorridere entusiasta. Finalmente capivo perché non si dimentica mai il primo amore.

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