Congratulation, you're alive.

di Giulietta_3
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** New Things ***
Capitolo 3: *** Galeotto fu... ***
Capitolo 4: *** Nella tana del lupo - parte1 ***
Capitolo 5: *** Nella tana del lupo - parte 2 ***
Capitolo 6: *** Promise not to tell anyone ***
Capitolo 7: *** The story of Sun and Moon ***
Capitolo 8: *** Make Me Happy ***
Capitolo 9: *** Can I save you? ***
Capitolo 10: *** Fretta ***
Capitolo 11: *** Ragazze ***
Capitolo 12: *** Scappare dove? ***
Capitolo 13: *** Happily ***
Capitolo 14: *** Donne come te ***
Capitolo 15: *** Assurde consapevolezze ***
Capitolo 16: *** Mom is always mom ***
Capitolo 17: *** I Love You Too ***



Capitolo 1
*** Prologo ***




 



Margot Smith era sempre stata una ragazza strana, spesso diffidente, ma non per questo cattiva.
Aveva imparato a sue spese cosa significasse non essere nessuno, sentirsi abbattuta e ferita.
In tutti i sensi.
Aveva sentito parlare dell’amore solo come voce di corridoio ma non aveva mai sentito realmente sulla sua pelle cosa significasse.
Margot Smith aveva provato di tutto, l’odio, l’amicizia, il fumo, la droga, ma nulla di ciò l’aveva mai realmente interessata.
Mai nessuno le aveva insegnato ad andare in bicicletta, mai nessuno le aveva chiesto come stesse. Aveva imparato da sola cosa fosse la strafottenza e, sempre da sola, aveva imparato cosa fosse la violenza.
Ma non si parla solo di violenza psicologica, no no.
Margot Smith sapeva di cosa parlava quando affermava che un pugno facesse davvero male, che un calcio, assestato bene, potesse essere fatale.
Sapeva cosa significava essere guardati con sguardo affamato dal proprio padre.
Margot Smith sapeva cosa significasse avere paura.
Ma tra tutte queste cose negative, Margot aveva imparato anche tante cose positive.
Aveva deciso per prima cosa di imparare da sola ad andare in bici, poi, con tanta pazienza, aveva imparato a cucinare, sempre da sola.
Margot aveva imparato ad essere timida ed educata, e a non dire mai niente di sbagliato.
Aveva imparato da sola la strada che portava alla nuova scuola lì a Londra e anche quella che portava alla gelateria dietro casa.
Margot aveva imparato a gestire la rabbia e a perdonare sua madre, che non era scappata prima da quel mostro senza volto.
Aveva imparato tante cose, davvero tante, ma alcune ancora non le conosceva.
Margot alla veneranda età di diciotto anni non sapeva cosa fosse una carezza gentile, non aveva idea di cosa fosse un abbraccio amorevole.
Non sapeva cosa fosse una cioccolata calda con la panna prima di addormentarsi, ne un bacio sulla fronte per la buona notte.
Non sapeva cosa fosse un fidanzato, ne cosa fosse una relazione.
Sapeva e non sapeva tante cose, ma c’era una cosa che Margot proprio non sopportava, una cosa che la distruggeva più di tutte e la faceva sentire intrappolata.
Margot non sapeva come ci si sentisse, ad essere amati.
 


 

Spazio autrice
Ok ora tutte le mie poche lettrici delle altre storie mi odieranno ma davvero non aspettavo che mettere questa nuova storia!
Partendo dal presupposto che è solo una prova fatemi sapere cosa ne pensate :)
Ci vediamo presto!!

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Capitolo 2
*** New Things ***





 



Margot odiava le cose nuove. Odiava il nuovo profumo di sua madre e i nuovi vasi che aveva comprato per il salotto. Odiava il suo nuovo armadietto e il suo nuovo libro di testo di inglese.
E sedendosi quel giorno di fianco alla sua compagna di banco, che nonostante fosse nuova, non odiava poi così tanto, Margot Smith non poteva fare altro che pensare che avrebbe sicuramente odiato il nuovo professore di inglese.
‘Sai come si chiama?’ chiese a Christine, la sua esuberante vicina di inferno, che quel giorno era particolarmente carina. Era l’opposto di lei e la invidiava un po’ per questo. Era davvero bellissima, pensò. Lei non aveva quelle gambe lunghe, ne quel fisico slanciato. Non aveva i capelli biondi né gli occhi scuri da cerbiatta, ma comunque non si lamentava.
Margot Smith era una di quelle tipe che non si faceva problemi per qualche chilo di troppo, poiché, nonostante la piccola statura, aveva un fisico magro e asciutto, con qualche curva al posto giusto.
E non si lamentava neanche per le doppie punte sui capelli, perché, i suoi erano così dannatamente neri che non si sarebbero notate neanche sotto un’attenta analisi.
E inoltre Margot era piuttosto felice dei suoi occhi azzurri, l’unica cosa che la convinceva davvero.
Quindi la sua invidia, non nasceva dal suo aspetto fisico.
Christine, era spigliata, sempre allegra, ma soprattutto era fidanzata, un tasto dolente per la nostra giovane Margot, che aveva avuto qualche storiella, ma nulla di serio, troppo preoccupata a nasconderle al padre.
‘Non lo so ma dicono che si sia appena laureato, non vedo l’ora di vederlo. Dicono che sia molto bello!’ disse emozionata la compagna, che negli ultimi giorni aveva chiamato spesso la vicina, volendo davvero diventarle amica.
E Margot adorava davvero Christine, proprio per questo.
Voleva diventarle amica, non per un motivo in particolare. Lei da Margot non voleva nulla in cambio.
‘Speriamo io davvero non amo le..’ ma Margot non finì la frase, zittendosi allo sbattere della porta.
Un ragazzo, che non poteva avere più di ventidue anni era entrato, vestito di una maglia bianca e una giacca blu.
Margot pensò istintivamente che non aveva mai visto il bello prima di allora.
Quel ragazzo era riccio, alto, affascinante da far spavento e portava due fossette ai lati di un sorriso smagliante.
Era pulito, per nulla trafelato, con lo sguardo verde sicuro, ma per nulla arrogante.
Un silenzio tombale regnava sulla classe, che aspettava sconcertata che lui parlasse.
‘Salve ragazzi, io sono Harry Styles e sono il vostro nuovo insegnante di inglese’ a quelle parole, Margot iniziò da capo la giornata pensando a tutte le cose nuove che c’erano nella sua vita.
Adorava le cose nuove. Adorava il nuovo profumo di sua madre e anche i due vasi viola che aveva comprato per la nuova casa non erano poi così male. Adorava il suo nuovo armadietto e andava pazza per il suo nuovo libro di testo.
Inoltre Margot, che da quel momento si ripromise di studiare sempre quella materia, impazziva per il suo nuovo professore di inglese.
‘Allora ragazzi vorrei iniziare con il dirvi alcune cose’ disse sedendosi dietro alla cattedra, posto che poco si addiceva ad un ragazzo così giovane.
‘Primo: mi farebbe molto piacere se mi chiamaste semplicemente Harry. Non ho ottant’anni e sono quasi vostro coetaneo quindi non c’è bisogno di tutta questa formalità’ continuò il suo discorso facendo scaturire parecchie risate. Era sicuramente un professore singolare il nostro Harry Styles.
‘Secondo: quando non studiate e non siete preparati basta dirmelo ok? Non c’è bisogno che facciate tutte quelle sceneggiate’ disse facendo strani gesti con le mani, provocando altre risatine.
Come dicevamo, sicuramente era un tipo singolare.
‘Quindi, io ho letto gli argomenti che ognuno di voi vuole portare all’esame’ prendendo un foglio dal registro e alzandosi in piedi continuò ‘e vedo che parecchi di voi incentreranno la loro tesina sulla guerra, qualcun’ altro sulla pace, altri sulla solidarietà’ poi si fece pensieroso e alzò lo sguardo in cerca di qualcuno.
Margot cercò di farsi piccola piccola, sapendo già che stesse cercando lei. Il suo tema d’esame non era certamente la guerra, né tantomeno la pace. Era cosciente anche che, non essendo esperta in materia, avrebbe fatto una figuraccia, ma era stato più forte di lei.
Com’è che si dice? La passione per l’ignoto.
Quando poi il professore ripose di nuovo lo sguardo sul foglio, la ragazza si diede della stupida. Non l’aveva mai vista, come poteva riconoscerla fra quella marea di gente?
‘Ragazzi chi è Margot Smith?’ chiese alzando di nuovo lo sguardo e puntandolo proprio negli occhi azzurri della ragazza, come se sperasse di tutto cuore che Margot fosse proprio lei.
Dal canto suo la ragazza non poteva fare altro che alzare la mano.
‘Bene Margot’ disse lui con un sorriso ritornando alla sua strana presentazione.
 



 
 
Margot’s pov
Pensare positivo.
Era sempre stato quello il mio motto, ma durante tutta l’ora non potei fare a meno di mandare a fanculo me e il mio amato motto. Avevo lo stomaco in subbuglio, le braccia pesanti e gli occhi puntai dritti sulla schiena del mio nuovo professore preferito che si dilungava in una interessantissima spiegazione sui problemi attuali del mondo.
Come potevo pensare positivo? Mi stavo prendendo una colossale sbandata per il mio nuovo professore, che mi aveva sicuramente giudicata una mezza rincoglionita.
‘Margot, è suonata la campanella vogliamo andare?’ la voce di Christine mi risvegliò dai miei pensieri negativi mentre facevo l’ennesima colossale figura di merda. Era particolarmente ingiusta la mia vita in quel momento.
Con le guance arrossate e lo sguardo schifato presi la mia borsa e mi diressi velocemente al di fuori dell’aula.
Ma proprio mentre il mio piede solcava l’uscio della porta, e la mia testa cantava vittoria per la fine di quello strazio la voce del professore mi richiamò in classe.
‘Margot posso parlati un secondo?’ aveva una voce sexy il mio professore, troppo roca per essere reale.
‘Certo’ dissi facendo dietrofront e cercando di respirare regolarmente.
Troppo timida pensai.
Mi posizionai proprio di fronte al suo sguardo indagatore e lo guardai negli occhi che non erano più di quel verde sgargiante ma di una specie di blu mare. Erano sempre bellissimi.
‘Ecco Margot vorrei chiederti perché hai deciso quel tema così diverso per il tuo esame’ disse con sguardo serio, di chi si aspetta chissà cosa con la paura di ricevere il nulla.
Io mi rigirai le mani fra di loro e cercai scuse su scuse, parole su parole, ma l’unica cosa che mi veniva in mente era la verità.
‘Scusa Margot, forse sono stato troppo invasivo, dovrei imparare a farmi i fatti miei’ disse il professore imbarazzato con lo sguardo basso ma un sorriso sornione sul volto.
‘No mi scusi lei professore, è solo che per me è un po’ difficile da spiegare’ dissi anche io.
Troppo timida.
‘Comunque Margot vorrei aiutarti con la tua tesina’
‘Come mai professore?’ provai a dire ‘ se posso chiedere naturalmente’
‘Bhè Margot lo scoprirai presto!’ sorrise ‘e comunque chiamami Harry. Ci vediamo domani pomeriggio in biblioteca alle tre’ e senza aspettare risposta mi guardò attentamente negli occhi poi si congedò con un semplice ‘Ciao a domani’.
 E mentre lui usciva in maniera così aggraziata dalla porta io dovetti aspettare due minuti buoni per riprendere a respirare e per poi sussurrare, anche se in ritardo un ‘Ciao Harry’.

 

Spazio Autirce 
Salve a tutti ! Cosa ve ne sembra?
Ci sono ancora moltissimi misteri da svelare...
Spero di avervi incuriositi! Per favore recensite!
Altrimenti non vi scrivo il capitolo u.u ahah Scherzo naturalmente.
A presto!

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Capitolo 3
*** Galeotto fu... ***



 


Margot aveva sempre avuto paura.
Paura degli enormi cani della vicina di casa a Liverpool, paura dei brufoli sotto cutanei e paura del buio.
Margot aveva paura dei venditori ambulanti e delle ambulanze.
Aveva paura della primavera, dei libri piccoli e delle case enormi.
Margot aveva sempre avuto paura di suo padre, delle sue manie di controllo e della sua voce grossa.
Margot aveva paura di se stessa, delle sue immense paure e della vita.
Ma più di ogni cosa, Margot aveva paura delle mani.
Si, proprio le mani.                                          
Esse potevano essere armi così dolorose, fragili, forti. Le mani potevano tutto.
Potevano picchiare, mandare a fanculo, stringere un patto, parlare.
L’uomo era impotente contro le mani.
Così quando Margot quel pomeriggio aprì la porta della biblioteca con le sue mani affusolate non potè fare altro che avere paura. Paura che stesse facendo uno sbaglio nel fidarsi di quell’affascinante ragazzo che era il suo professore, paura che le sue mani l’avessero spinta contro qualcosa da cui non poteva più far ritorno.


 
La biblioteca era il suo posto preferito, lì si sentiva al sicuro.
Perché lì non c’erano limiti, non c’erano barriere.
La vita, la morte, la mancanza, la solitudine, la felicità, tutto racchiuso in qualche pagina di libri perduti, tutto lì, in una biblioteca.
Margot sentiva, ogni volta che entrava in quel luogo, l’odore forte della carta consumata, l’aroma d’inchiostro e di vaniglia, probabilmente il profumo della bibliotecaria.
Si sentiva al sicuro Margot, perché lì non aveva paura.
Non c’era niente lì che non la facesse sentire a casa.
Si guardò intorno la nostra bella ragazza dagli occhi color del cielo e quando incontrò gli occhi smeraldini del suo professore una strana sensazione la invase.



Confusione.



E Margot iniziò ad avere davvero paura, perché non era mai stata confusa, mai, nemmeno una volta.
Neanche quando sua madre non chiamava la polizia, per portare via suo padre, Margot aveva mai avuto un pizzico di confusione.
Era sempre chiaro il perché alla Smith, niente le sfuggiva, niente  portava nella sua mente confusione.
Per questo non aveva mai avuto paura nelle biblioteche.
Perché i libri, portavano alle soluzioni, non creavano nuovi problemi.
Ora però, Margot non poteva far a meno di pensare che il suo professore le faceva impregnare l’animo di confusione.
Quella bellezza disumana, il sorriso furbo e un’eleganza sconcertante. Tutto del suo professore di inglese la rendeva confusa.
Anche le sue mani.
Quelle mani affusolate, lunghe e magre, quasi femminili, quasi non umane.
E Margot era confusa, perché delle mani di Harry non aveva paura.
 

 
Margot’s pov
‘Salve prof.. volevo dire Harry’ dissi cercando di mantenere un certo contegno.
Il professore mi scrutò attentamente, come se non mi avesse mai visto prima, con un sorriso divertito sul volto.
Nonostante sapessi che quello non era un appuntamento, avevo cercato di mostrarmi il più carina possibile.
Leggins nero, maglione grande, largo e color panna e anfibi. Nulla di speciale è vero, ma almeno quella volta avevo permesso a mia madre senza, fare storie, di stirare il mio pullover preferito.
‘Ciao Margot’ mi rispose con un sorriso ‘siediti, così magari iniziamo’
Non sapevo però cosa intendesse dire. Insomma iniziare da cosa?
Io non avevo la minima idea di come sviluppare il mio tema.
L’amore.
Cosa cavolo mi era saltato per la testa?
Io non avevo la minima idea di cosa fosse l’amore, non avevo mai provato quel sentimento prima e, mai nessuno, l’aveva provato per me.
Mi sedetti comunque, per dare l’idea di una che sapeva cosa fare, ma quando vidi Harry tirar fuori dalla sua borsa di cuoio un gran numero di libri, l’ansia mi avvolse come una coperta.
‘Harry’ sussurrai e lui mi puntò gli occhi addosso.

Confusione.
Le sue mani si spostarono sul tavolo.

‘Io non ho idea di cosa dire sull’amore, in realtà non so neanche cosa significhi’ dissi ancora, una volta certa che avessi su di me tutta la sua attenzione.
Lui mi scrutò, con il verde liquido dei suoi occhi a rendere tutto ancora più confuso.
Non c’era una parcella da pagare per possedere degli occhi di quel tipo?
O magari una legge che vietasse lo sbattermi in faccia tutta la confusione che quegli occhi mi provocavano.

Le sue mani si unirono, per poi essere portate sotto il mento.

‘Hai mai letto Shakespeare, Margot?’ chiese ad un tratto, risvegliandomi dalla contemplazione del suo volto.
‘Si bhè, è il mio autore preferito’ risposi orgogliosa, certa che io ero una delle poche ragazze al mondo ad apprezzare un autore così antico, eppure così attuale.
C’erano molte ragazze nella mia scuola che al massimo avevano letto la biografia di Miley Cyrus.
‘Bhè allora direi di iniziare da lì’ continuò prendendo con la sua mano enorme un piccolo volume tutto rovinato.
Lo aprì con delicatezza, cercando per qualche minuto la pagina che desiderava mostrarmi.
Sembrava un manuale veramente molto antico, e da come lo maneggiava, si capiva che ci teneva molto.
Una volta trovato ciò che cercava mi mise il libro sotto al naso e senza darmi la possibilità di leggere iniziò a recitare:



‘Devo paragonarti a una giornata estiva?
 Tu sei più incantevole e mite.
 Impetuosi venti scuotono le tenere gemme di maggio
 e il corso dell’estate è fin troppo breve.
 Talvolta troppo caldo splende l’occhio del cielo
 e spesso il suo aureo volto è offuscato,
 e ogni bellezza col tempo perde il suo fulgore,
 sciupata dal caso o dal corso mutevole della natura.
 Ma la tua eterna estate non sfiorirà,
 né perderai possesso della tua bellezza;
 né morte si vanterà di coprirti con la sua ombra,
 poiché tu cresci nel tempo in versi eterni.
 Finché uomini respirano e occhi vedono,
 vivranno questi miei versi, e daranno vita a te.’



Si bloccò, aprì gli occhi che aveva tenuto chiusi fino a quel momento e mi scrutò con sguardo affamato.
Le mie guance si colorarono di rosso, e il mio cuore, che al sol sentire quelle parole recitate da quella voce aveva iniziato a galoppare, iniziò ad uscirmi dal petto.
Non avevo mai capito che quel sonetto, nonché il mio preferito, avesse così tanti significati.
Lo avevo sempre letto con superficialità, non cercando mai di capire cosa Shakespeare provasse per riuscire a scrivere una cosa di quel tipo.
Insomma, c’era amore e passione in ogni singola lettera, in ogni singolo verso.
E il solo pensare, che in qualche modo contorto, in quel momento Harry stesse recitando quelle parole per me, mi veniva da piangere.


Confusione.
Le sue mani andarono a ravvivare i capelli.
E’ solo mio professore mi ripetevo.


‘Secondo te, Shakespeare cosa sta cercando di dirci?’ dice con la voce roca, cercando di ricomporsi.
Recitare quel sonetto, lo aveva scombussolato.
Si vedeva che lo aveva detto con passione.
Si vedeva che amava ciò che faceva.
‘Credo voglia dire che la poesia rende le cose eterne, in questo caso quindi rende eterno l’amore’ risposi, cercando di essere il più seria possibile.


Troppo timida, troppo confusa.
Quella non ero io, quella non ero io.


‘Si, hai perfettamente intuito il messaggio, ma in qualche modo la cosa è ancora più complicata.Si, la poesia rende eterno l’amore, ma al contempo anche ciò che lui vede della donna amata. Non so come spiegarti..’ disse quando mi vide un po’ confusa.
Si grattò il mento con una mano bianca e poi, come illuminato continuò.
‘E’ come se lui facesse una foto della donna amata e le dicesse che lei potrà anche cambiare aspetto, che potrà diventare anziana, perdere il suo colorito e tingere i capelli di grigio, ma lui la amerà comunque, perché la sua vera essenza, quella di donna, di amante, sarà eterna’ concluse.
Io ero senza parole. Davvero un uomo era capace di amare così una donna?
‘In realtà, molti affermano che questo sonetto fosse dedicato ad un uomo, in qualche modo anche sminuendo il suo messaggio. Ma secondo me assume ancor più significato. Shakespeare vede questo suo amico come una figura sempre presente, immortale, di cui potersi sempre fidare’
Io continuavo comunque ad essere senza parole.
Certo che Shakespeare era un tipo contorto.
‘Tu cosa ne pensi?’ chiese con sguardo dolce.


Penso che se mi guardi ancora così mi viene un attacco di cuore.


‘Secondo me Shakespeare, a prescindere a chi fosse dedicato il sonetto, nutriva per quella persona un sentimento davvero profondo. E come se in qualche modo cercasse di rassicurarlo dicendogli “Ehi non aver paura, tu sarai eternamente una parte di me”. La trova una cosa davvero molto romantica. Essere del tutto certi che in qualsiasi posto, in qualsiasi vita, la persona che ami sarà con te’
Lui mi guardava, come incantato dalle mie parole, mentre io per tutto il tempo cercavo di non sbagliare, e di formulare un discorso di senso compiuto.
‘Bhè Margot penso proprio che questo possa essere un buon inizio’ disse sicuro con un sorriso smagliante, due fossette ad incorniciare il tutto.
Ed io ero felice, perché era davvero un buon inizio. Non ero scappata dalle sue mani, dai suoi occhi, e dall’inspiegabile sensazione di confusione che mi infondeva.
Inoltre, ero entrata in quel circolo vizioso che era l’amore, quel sentimento così profondo, eterno. Avevo capito un po' di cosa trattasse.
Ne sarei potuta uscire?
‘Margot la lezione per oggi è finita’ disse perdendo il sorriso, con lo sguardo puntato sull’orologio immenso della biblioteca.
Io non volevo andarmene, volevo rimanere lì in quel posto che sapeva di casa, con quell’uomo che sapeva di vita.
‘Ci vediamo domani a casa mia, devo mostrarti una cosa importante’ disse allora alzandosi dalla poltroncina rossa del nostro tavolo e dirigendosi verso di me.
Io non riuscivo a parlare, a respirare.


Troppo timida.
Troppo confusa.
Troppo infatuata.



‘Alle quattro Margot, non fare tardi’ sussurrò al mio orecchio prima di darmi un bacio sui capelli.
 E mi lasciò lì, con la sensazione di confusione che mi attanagliava lo stomaco e il suo profumo che mi impregnava i capelli.
 
 
 
 
E la nostra Margot non sapeva, in cosa si stesse cacciando.
Non sapeva, essendo completamente inesperta, che confusione, timidezza e infatuazione, erano sintomi molto chiari.
La nostra Margot non sapeva che di lì a poco galeotto fu il sonetto, e chi lo scrisse.



 
 
Salve a tutti!
Eccomi qui con il nuovo capitolo, che ad essere sincera me gusta mucho:3
Ahhah tornando a cose serie! Vorrei ringraziare le due persone che hanno recensito la mia storia, sperando che questo capitolo non le abbia deluse.
Voi che ne pensate?
Tengo a dire che il sonetto citato è il Sonetto 18 di Shakespeare e che le riflessioni dei personaggi sono mie, quindi non so se giuste o sbagliate.
Secondo voi cosa vuol dire il sonetto?
Sperando di avere molti vostri pareri, vi aspetto alla prossima.
Bacioni XOXO

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Capitolo 4
*** Nella tana del lupo - parte1 ***




 
   



Era una giornata nuvolosa, con il cielo che minacciava violentemente di scoppiare.
Il solito azzurro era stato sostituito dal grigio, e il sole era completamente coperto dalle nubi.
Così, allo stesso identico modo si sentiva la nostra Margot.
Aveva paura di straripare come un fiume in piena, di scoppiare come una bomba atomica.

Nervosismo.

Margot era estremamente nevosa con il cappuccio della felpa lunga e nera poggiato con eleganza sul capo e le cuffie del suo adorato iphone incastonate nelle orecchie.

Cosa cavolo stava combinando?

Era ferma, in un’accogliente via dalle villette a schiera, aspettando chissà cosa.
Perché era nervosa?
Margot non lo sapeva, sentiva solamente un enorme buco allo stomaco e le gambe molli.
Sperava che il suo nervosismo momentaneo, che non era poi tanto momentaneo visto che era da tutto il giorno che la tormentava, fosse dovuto alla sua tesina.
Sperava con tutto il cuore che quel dannatissimo sentimento fosse nato perché non aveva la minima idea di dove mettere le mani, o forse che avrebbe saputo metterle al posto giusto, andando poi a scombinare tutto.
Ma quando si diresse a passo spedito verso una di quelle tante villette e bussò lievemente, Margot aveva capito.
Non c’era bisogno di inventare scuse, né di mentire, ormai era chiaro.
Era nervosa per il suo professore.
Ciò non era possibile, visto che non avrebbe potuto in alcun modo poterla interrogare o fare qualsiasi domanda che presupponesse un voto.
Non era quindi ansia da prestazione.
Era ansia di vederlo.




 
 
 

Harry Styles non era il tipo di ragazzo che si prendeva sbandate facilmente e non era neanche il tipo dall’innamoramento repentino.
Sin da piccolo, da quando suo padre lo aveva abbandonato, Harry era un tipo diffidente.
Difficilmente si affezionava, per la troppa paura di essere abbandonato di nuovo.
I suoi migliori amici, le uniche persone di cui realmente si fidava oltre a sua madre e sua sorella, gli dicevano sempre che la sua era una paura lecita, giustificata, quindi lui viveva tranquillo, con la coscienza pulita.
Quando si metteva con una ragazza e dopo neanche due settimane la lasciava non si sentiva per nulla in colpa, e si continuava a ripetere nella mente sempre la stessa storiella.
Tanto sono giustificato.
Ma non era così, in realtà si sentiva in colpa, in realtà soffriva, perché per quanto potesse essere giustificato era pur sempre un essere umano.
E si sentiva in colpa anche in quel momento che pensava così intensamente ad una sua alunna.
Si sentiva in colpa perché stava mettendo in discussione non solo il suo lavoro, ma anche se stesso.
Non abbiamo detto che era il tipo dalla sbandata difficile?
Cosa cavolo gli era saltato in mente il maledetto giorno in cui le aveva offerto il suo aiuto?
Erano forse stati gli occhi azzurri enormi come due oceani? O forse quella cascata di capelli neri?
All’inizio sperava vivamente che la sbandata fosse per quello, per le labbra grandi e i capelli scuri, perché di una bella ragazza facilmente ci si dimenticava.
Ma poi lei aveva detto che Shakespeare era il suo autore preferito e aveva iniziato a parlare con così tanta passione di quel sonetto che quasi aveva maledetto l’orologio per l’interruzione.
Non era solo bella.
Era un misto di bellezza, intelligenza, spigliatezza e anni settanta.
Si, proprio anni settanta, con quell’aria da bambina ma al contempo da donna grande, con la voce suadente e lo sguardo alto di chi non ha paura o forse ne ha troppa per ammetter che ne ha.
E si malediva il nostro Harry.
Si malediva perché mentre apriva la porta e incontrava quegli occhi azzurri sapeva che si sarebbe messo nei guai, perché quel viso e quel corpo non erano normali, e quel suo sguardo così bambinesco eppure così adulto lo riscaldavano troppo dentro.
Mentre entrava con un sorriso e il profumo della pelle che inondava la casa Harry Styles ne era sicuro.
Maledirsi era l’unica soluzione.



 


Spazio autrice
Scusate il tremendo ritardo e scusate il tremendo capitolo.
La scuola mi sta uccidendo!
In realtà il capitolo doveva essere molto più lungo, ma sul resto sono ancora in lavorazione, e visto che domani parto, e sapendo di non poter aggiornare per un po' ho deciso di postarvi questo.
Spero che nonostante i miei ritardi mi continuiate a seguire,
Prometto che appena finita la scuola mi metterò all'opera.
Bacioni e a prestissimo.
XOXO

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Capitolo 5
*** Nella tana del lupo - parte 2 ***






 



Margot’s pov

Appena il professore sparì dietro la porta che presupponevo fosse della sua stanza tirai un grosso sospiro.
Mi sentivo nella tana del lupo.
Mi guardai intorno, in cerca di particolari che mi dessero una più chiara visione del mio professore, particolari che magari mi avrebbero aiutata a conoscerlo, come un posacenere pieno di mozziconi di sigarette o  un libro aperto sul tavolino.
O forse cercavo solo una via di fuga.
In ogni caso non c’era nulla.
Nessuna sigaretta, nessuna tazzina di caffè, nessun libro, nessuna via di fuga.
Sembrava che il caro prof Styles si fosse trasferito da poco, con gli scatoloni ancora buttati sotto un muro e i cuscini del divano privi di federe.
Probabilmente con un po’ di attenzione e un grazioso tocco femminile la casa sarebbe stata davvero carina.
Non che in quel momento non lo fosse, con la tv a schermo piatto e l’odore forte di uomo ad impregnarne ogni centimetro.

‘Sei pronta?’ disse con la sua solita voce roca entrando in salotto.
In mano, tra il pollice e l’indice portava un contenitore di plastica, un dvd probabilmente.
‘Pronta per cosa Harry?’ dissi quasi sconvolta per la mia stupidità.
Cosa mai ci potevamo fare con un dvd?
‘Pronta per Shakespeare in love!’
 
 

 
Non avevo mai visto quel film, era bello, mi avevano detto, e anche abbastanza attinente al personaggio, ma ero certa in quel momento che non l’avrei mai saputo con certezza.
Eravamo seduti su quell’accogliente divano rosso, con i cuscini spogli e una tazza di cioccolata bollente tra le mani.
Eravamo vicini.
Fin troppo vicini.
Ero sicura, anzi sicurissima che il film fosse all’altezza del mio autore preferito, e che la sua memoria fosse stata ben rispettata ma in quel momento non potevo far altro che pensare alla gamba di Harry attaccata alla mia.
Era più forte di me, ogni volta che cercavo di concentrarmi su una scena, o di recepire un  passaggio importante, la sua gamba si muoveva in maniera impercettibile, e io al contempo in maniera molto poco impercettibile mi agitavo.
Mi sentivo come una ragazzina alla sua prima cotta, ma non dovevo.
Non dovevo pensare all’odore forte della sua pelle, non dovevo pensare ai suoi occhioni enormi che si giravano mestamente dalla mia parte, né a quella dannatissima gamba.
Non dovevo mai dimenticare che era il mio professore, non dovevo mai dimenticare che non potevamo superare quella piccola soglia che ci avrebbe portato a denudarci completamente, a scoprirci, a renderci vulnerabili.
Inondata da troppi pensieri, non mi ero accorta che il film era finito.
Ringraziai il celo e le stelle per quella concessione.
Stare nella penombra con un bellissimo ragazzo al fianco con la consapevolezza di non poter farci nulla era difficile, dannatamente.
 

 
‘Allora Margot, ti è piaciuto il film?’ in realtà non avevo visto quasi nulla e tutto ciò che mi aveva colpito erano state le scene dove, gli attori ripetevano con così tanta passione i versi di Shakespeare.
Il resto, a malincuore, mi era sconosciuto.
‘Si è stato… interessante’ risposi cercando di essere il più convincente possibile.
Lui mi guardò, senza sorriso, sul volto una espressione indecifrabile. Gli occhi erano spalancati e la bocca serrata un po’ troppo forte, tanto che le labbra erano diventate più chiare del normale.
Sembrava stesse pensando.
‘Sono felice che ti sia piaciuto, sono sicuro che riuscirai a trarre dei buoni spunti per la tua tesina’
Certo, se avessi dovuto fare una tesina su Harry Styles e sulle movenze del suo corpo avrei preso sicuramente un buon voto, ma purtroppo l’esame di stato non era sul mio professore, e io continuavo a non saper quasi nulla sull’amore.
‘Bene allora forse dovrei andare’ erano le sei passate e io non vedevo l’ora di uscire da lì. Qualche altro minuto e probabilmente sarei salita a cavalcioni su di lui e l’avrei imprigionato.
Stupidi ormoni.
Mi alzai dal divano per smussare la tensione che si era creata. Lui continuava ad avere quello sguardo vacuo, come se stesse ponderando la decisione da prendere.
Certa che lui non si sarebbe mosso dal divano mi avviai alla porta con una strana confusione che mi aleggiava nel petto.
Avevo forse fatto qualcosa di sbagliato inavvertitamente?
E perché mi dirigevo a passo così lento verso la porta? Non ero la stessa che non vedeva l’ora di uscire da quella casa?
‘Margot aspetta!’sentii richiamarmi dal professore, che per alzarsi aveva spostato malamente il tavolino del salotto.
A passo spedito mi raggiunse in corridoio e si avvicinò pericolosamente a me, tanto pericolosamente che i nostri respiri sembravano uno solo.
Sentivo il suore rimbombarmi nelle vene.
‘Hai da fare stasera?’ mi chiese con gli occhi fissi nei miei.
Era difficile concentrarsi in quel modo, con le sfumature di verde che sembravano avvolgerti.
Vedendo che ero troppo scombussolata per rispondere continuò.
‘So che è sabato e che probabilmente avrai di meglio da fare ma potremmo ordinare delle pizze e…’ sembrava impacciato, come se non avesse vent’anni ma quindici e forse fu proprio quello a farmi acconsentire.
O forse era stato il fatto che avesse usato il plurale per descriverci, senza nomi, senza etichette.
Aveva solo detto ‘potremmo ordinare’ una frase così sciocca e stupida, che non mascherava nessun significato nascosto, ma che per me era stato fondamentale.
Sapeva tanto di conoscenza, di intimità, di casa, sapeva tanto di me e lui, che ancora non eravamo niente, ma eravamo quel ‘potremmo’ che poteva diventare qualsiasi cosa.
 

 


I due ragazzi si sedettero in cucina e passarono una serata tranquilla e divertente.
Lei provava a capire più cose di lui di quanto fosse consono e lui provava a mascherare l’irresistibile voglia si baciarla più di quanto fosse lecito.
Mangiarono le loro pizze con tranquillità, chiacchierando e osservandosi, scoprendo pian piano qualcosa l’uno dell’altro.
Non avevano fretta di trascorrere quel momento.
Si gustavano ogni cosa, che fosse un trancio di pizza o uno sguardo di sfuggita, che fosse un sorriso o un sorso d birra.
Si scoprivano assaggiando ognuno gli attimi di distrazione dell’altro.
Margot quella sera aveva scoperto tante cose del suo professore.
Sapeva che aveva ventidue anni, che aveva preso una minilaurea* così da poter subito iniziare a lavorare e non pesare più sulle tasche della madre e che amava leggere.
Margot aveva imparato che del padre di Harry non era dato sapere.
Aveva imparato che la sorella del suo professore era una forza della natura e che aveva sempre vissuto con lei un rapporto fraterno molto calmo e amorevole.
Le volte che avevano litigato si potevano contare sulle dita di una mano.
Margot dopo quella sera sapeva che il suo Harry sapeva cantare molto bene ed era addirittura riuscita a strappargli la promessa di sentirlo cantare un giorno all’altro.
Sapeva inoltre che era molto legato a quattro amici e che con loro aveva vissuto ad Holmes Chapel per tutta la loro adolescenza, poi, troppo legati per separarsi si erano tutti trasferiti a Londra.
Margot era riuscita a scoprire anche un segreto!
Con questi suoi amici, aveva formato un gruppo e spesso suonava nei locali per intrattenere e portarsi a casa qualche soldo extra alla paga mensile.
Margot inoltre, senza farsi scoprire, o senza che comunque lui glielo dicesse apertamente aveva scoperto tante cose della sua personalità, come il fatto che fosse dannatamente insicuro e che avesse paura di perdere le persone a lui care.
L’aveva capito in quella parte della serata in cui lui aveva rivelato l’amore che provava per la sua famiglia e per i suoi amici.
Non tanto per il tono di voce, né per le parole usate.
Erano stati i suoi occhi, quegli occhi tristi e carichi di rammarico. Erano occhi già conosciuti, già guardati. Occhi visti e rivisti.
Erano gli stessi occhi che Margot ritrovava allo specchio ogni mattina.
 
 



Harry quella sera aveva scoperto tante cose della sua alunna.
Aveva scoperto che avrebbe presto compiuto diciotto anni e dentro di sé aveva esultato, conscio che ciò che stava facendo e provando non era del tutto illegale.
Aveva scoperto che si era trasferita da poco e che sua madre era una infermiera. Aveva scoperto che era molto legata alla sua famiglia, nonostante sua madre le avesse fatto del male. Aveva scoperto che era figlia unica.
Harry inoltre scoprì con rammarico, che del padre di Margot non era dato sapere.
Quella sera aveva capito con piacere che Margot come lui amava leggere e che aveva un gusto musicale molto particolare.
Ascoltava di tutto e non si fermava mai alle apparenze come la maggior parte dei giovani.
Dopo quella sera il professore aveva capito che Margot non era come tutte le altre, che era matura e che probabilmente era cresciuta molto prima del tempo dovuto.
Aveva imparato che non aveva molti amici e che l’unica vera amica che aveva trovato era la sua compagna di banco.
Aveva scoperto che era forte e debole, piccola ancora ma già grande.
Harry aveva imparato tutte le tonalità di azzurro degli occhi della sua alunna e aveva capito anche che non era molto consono il suo desiderio di toglierle dal volto quella ciocca di capelli neri che le era caduta sul viso.
Il professore e l’alunna avevano scoperto tante cose l’uno dell’altra.
Nonostante ciò quella sera, dopo che Harry da gentiluomo qual’era l’aveva riaccompagnata a casa, Margot non aveva fatto altro che chiedersi cosa il suo prof stesse nascondendo e ciò che invece in lei stava nascendo.
Inoltre Harry mentre tornava a casa, e stringeva con forza il volante senza un apparente motivo, si chiedeva perché negli occhi della sua alunna aleggiava quell’aurea di tristezza e perché quella sera nonostante avesse imparato tante cose, ancora non aveva imparato a far scemare quell’istinto di protezione verso di lei.
E nonostante entrambi si fossero ripromessi di non pensarci, quella sera, non fecero altro che sognarsi.
 


 

Spazio Autrice.
Salve bellissimi, volevo scusarmi per il ritardo, ma finalmente la scuola è finita, quindi avrò più tempo per voi :)
Allora che dire, ci sono molte novità in questo capitolo! Finalmente le cose iniziano a muoversi ;)
Fatemi sapere cosa ne pensate!! Inoltre vorrei ringrazziare tutti coloro che leggono questa storia, che la seguono e la recensiscono.
Aggiornerò al più presto un bacione enorme. XOXO
*Non me ne intendo ma sono sicura che per la laurea in letteratura non esistano minilauree, quindi non prendetemi in parole, è una semplice licenza poetica.

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Capitolo 6
*** Promise not to tell anyone ***



 


‘Promettimi che non lo dirai a nessuno’
Domenica mattina, il sole splendeva alto dietro le nuvole che promettevano pioggia e la nostra Margot era in vena di confidenze.

La Smith era una tipa abbastanza chiusa e non permetteva a molte persone di entrare nella sua vita. Inoltre non aveva mai avuto una vera amica, non aveva mai raggiunto quella confidenza con nessuno, mai aveva espresso i suoi pensieri a qualcuno che non fosse il suo riflesso.
Era quindi strano il fatto che si stesse confidando con la sua compagnia di banco, che aveva chiamato di buon ora quella mattina.
Era strano, si, ma ormai Margot non si meravigliava più di niente.
Londra, o forse i suoi abitanti, le facevano uno strano effetto.
‘Margot ti giuro su Franz che non dirò niente a nessuno’ tipico di Christine, giurare sul suo povero fidanzato.

Un giorno all’altro ci resterà secco pensò Margot.

La ragazza non sapeva perché, ma aveva bisogno di parlare con qualcuno del suo professore.
Non era una delle migliori idee che le fosse mai venuta, ma ne sentiva la necessità.
Forse non per Harry, e neanche per Christine, ma semplicemente perché era stanca di vivere in maniera apatica, sola nel suo piccolo mondo fatto di sofferenze e remissioni.
Margot era finalmente stanca di sopravvivere e sentiva il vivere come una soluzione più adeguata.
Così, animata da questo turbine di sentimenti confessò tutto, partendo dal principio, dall’aiuto con la tesina, passando allo strano rapporto che stavano istaurando, andando a finire alla pizzata del giorno precedente. Non si limitò però ad una accurata narrazione dei fatti.
Aggiunse anche tutti i retroscena, tutto ciò che solo una ragazza può notare, tutto ciò che ad un occhio poco attento può sfuggire.
E inoltre deliziò l’amica con la spiegazione di tutte le sue sensazioni, di tutti i sentimenti che provava con il suo professore, di tutto ciò che le turbinava dentro.
E ciò era privilegio di pochi.
Alla fine, quando aveva capito di aver detto pure troppo, di aver parlato per una esatta ora e di non aver lasciato ribattere l’amica si zittì, e aspettò con calma il responso.
Con calma si, perché non si pentiva per nulla di ciò che aveva fatto, e si sentiva anche molto più leggera.
Aveva, molto probabilmente parlato più in quell’ora che nei suoi diciotto anni di vita.
Quando poi la sua amica aveva iniziato a ridere dall’altra parte della cornetta e l’aveva schernita con un ‘sei come una ragazzina alla sua prima cotta’ Margot non aveva potuto fare altro che ridere.
Ridere perché aveva ragione, perché era giusto, perché lei si sentiva giusta, come mai prima di allora.


 



Quando poi, nell’ora seguente, passata sempre allo stesso modo, cioè a letto stesa a pancia in su con il telefono appoggiato all’orecchio, Margot aveva ricevuto un messaggio con mittente: ‘professore’ e il suo cuore aveva perso un battito.
‘Christine abbiamo un problema, cioè io ho un problema, o forse noi o…’
‘Margot mi vuoi dire che succede o vuoi perdere ancora molto tempo ad illustrarmi i tuoi disturbi mentali con il tuo utilizzo della congiunzione ‘o’?’
Margot sorrise impercettibilmente, con il cuore che riprendeva a stento il suo battito regolare.
Prese il suo adorato telefonino e ne guardo lo schermo.
Quando aveva dato il suo numero al professore, così da mettersi d’accordo più facilmente sugli orari per gli eventuali incontri per la tesina, non pensava gli sarebbe mai arrivato un messaggio da lui.
Il che era alquanto stupido visto che il professore glielo aveva chiesto per quell’esatto motivo.
‘Mi ha inviato un messaggio’ disse con un sorriso stupido sulle labbra.

Bambina si disse.

‘O MIO DIO, e cosa c’è scritto?’ urlò lei alla cornetta, tanto che Margot dovette allontanarsi un po’ per non perdere completamente le facoltà uditive che in quelle due ore erano state messe a dura prova.
Era strano come la sua amica stesse prendendo la cosa, insomma era comunque il loro professore e non un ragazzo qualsiasi, quindi le alternative erano due.
O Christine era totalmente incosciente o semplicemente non le importava con chi uscisse, ma solo che fosse felice.
‘Non l’ho ancora aperto’ disse pensierosa.
Perché non lo aveva ancora aperto?
Perché aveva paura e ciò la terrorizzava.
Forse voleva dirle che non aveva più tempo per lei, forse voleva dirle che non ne sarebbe valsa la pena.
Ma cosa, Margot non ne sarebbe valsa la pena?
‘Mar è solo un messaggio, non il vaso di pandora! Su aprilo!’
E non se lo fece ripeter due volte, forse per l’appellativo carino usato da Christine o forse solo perché la curiosità la stava logorando.
E quando lo lesse sorrise pensando che fosse solo una grande stupida.


 
Ecco lo so che non interessa molto la tua tesina 
ma mi farebbe piacere se stasera 
Venissi a sentire me i ragazzi in un locale fuori città. 
Naturalmente ti passo a prendere io, in nome di amici.
Spero che non ti sia passata la voglia i sentirmi cantare.
Fammi sapere.
Harry x 
 
 

Era già da un bel po’ che Margot aveva deciso cosa indossare, aveva anche fatto la doccia e si era truccata leggermente. Aveva indossato un vestito nero molto semplice sopra aveva indossato un pullover bordoux e aveva concluso il tutto con i suoi inseparabili anfibi. Non so per quanto aveva dedicato il suo tempo alla stiratura dei capelli  e alla contemplazione della sua figura allo specchio.
Adesso veniva la parte più impegnativa.

Aspettare.

Margot non amava particolarmente aspettare, infatti tendeva spesso a prepararsi il più lentamente possibile e a dedicarsi a quell’azione solo pochi minuti prima dell’appuntamento.
Quella volta però Margot si era anticipata.
Perché aveva paura di non farcela, aveva paura di non arrivare in tempo e di non sembrare perfetta e ciò la disgustava.
La disgustava perché lei non era mai stata così dannatamente insicura, non aveva mai dedicato così tanto tempo ai suoi capelli e non aveva mai avuto paura di non sembrare perfetta.
La Smith era infatti fermamente convinta che tutti fossero perfetti nelle loro imperfezioni, anche il panettiere enormemente grasso che lavorava lì vicino, anche la ragazza zoppa che viveva nella villetta adiacente alla sua.
Tutti erano perfetti perché unici.
Nessuno sarebbe stato come un’altra persona e quindi era perfetta, perché non ci sarebbe stato nessun’altro con cui compararla senza poi mettere in conto la perfezione interiore.
Tutti erano perfetti, ma nessuno era stato più perfetto di Harry.
Era forse per questo che alla svelta Margot aveva salutato Christine per buttarsi letteralmente sotto il getto caldo della doccia, era forse per questo che aveva scelto uno dei pochi vestiti del suo armadio ed era forse per questo che Margot aveva provato ad essere perfetta.
Perché nonostante non ci fossero termini di paragone, Marogt aveva paura che Harry non la trovasse perfetta vestita solo dei suoi innumerevoli difetti.



 

Spazio Autrice.
Salve a tutti! Questo è uno dei miei capitoli preferiti, nonosante Harry non sia molto presente.
Penso di amare l'amicizia tra Margot e Christine, perchè mi ricorda molto quella tra me e la mia migliore amica.
Infondo ciò che scriviamo è il riflesso di ciò che siamo.
E poi guardate la gif, non sono adorabili??
Lasciando perdere tutto ciò mi scuso per il ritardo, ma ho avuto le altre storie da aggiornare.
Sperando che questo capitolo vi piaccia mi auguro di sentire i vostri commenti.
A presto XOXO

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Capitolo 7
*** The story of Sun and Moon ***







Margot era solita adorare i silenzi.
Quelli che ci sono dopo una discussione, quelli durante i compiti in classe, l’innaturale tacere dei suoi compagni durante l’interrogazione.
Li adorava perché l’aiutavano a riflettere e pensare con cautela, a ponderare tutte le possibilità.
Quella volta però Margot era più che felice di parlare.

Infatti mentre aspettava in silenzio nella sua stanza dalle pareti lilla, aveva paura che la testa le sarebbe scoppiata con tutti quei pensieri che la invadevano, con la paura di non essere abbastanza e soprattutto di non saper cosa dire.
Quando poi, appena entrata in macchina il professore l’aveva guardata con sguardo penetrante e aveva iniziato a parlare si era sentita al sicuro.
Riuscì a constatare che era una bella sensazione. Non l’aveva mai provata, ma era molto piacevole.
Mai si era sentita al sicuro, mai si era sentita a casa, tranne che in quel momento con il suo professore che la cingeva con lo sguardo.
Aveva scoperto che stava imparando più in quella breve settimana che nella sua breve vita.

Margot pian piano stava imparando cosa fosse l’amore anche dai piccoli gesti, come il fatto che Harry le avesse aperto la portiera della macchina, come il sorriso di incoraggiamento che le rivolgeva ogni tanto per farle coraggio.
Stava imparando che non bisognava aver paura delle cose che non si conoscono ma che bisogna capirle e affrontarle.
Margot aveva imparato cosa significasse quello strano mal di testa che la colpiva ogni volta che guardava negli occhi il suo professore e cosa fosse il vuoto che sentiva allo stomaco ogni qual volta lui le sorrideva.
Maledetta infatuazione.

‘Visto che sono sempre il tuo professore che ne dici se ti racconto una storia? Potrebbe esserti utile per la tua tesina’
Aveva esclamato così, tra una canzone dei Beatles e una risata trascinandola fuori a forza dai suoi pensieri e dalla bolla di tranquillità che si era creata intorno quella sera.
C’era rimasta male per qualche secondo, pensando che l’unico scopo della serata fosse inculcarle qualche nozione per la tesina.
Poi aveva compreso a fondo quelle parole e si era agitata sul sedile.
Un senso di irrequietezza l’aveva pervasa.
Harry si sentiva in colpa, perché voleva stare con lei ma in realtà non poteva.
E voleva una scusa da rifilare per essere lì, in quella macchina, con una sua alunna.
Per un secondo Margot era stata indecisa se sentirsi offesa o felice come una pasqua.
Aveva poi deciso per la seconda, così con un sorriso indecifrabile aveva annuito.
Il professore che intanto cercava un diversivo rispetto alla gonna di Margot, così da allontanare lo sguardo dalle sue gambe piccole ma perfette, aveva percepito il suo annuire e aveva iniziato a narrare spostando il suo sguardo sulla strada e cercando di concentrarsi sul traffico londinese.

‘Tanto tempo fa, all’inizio del mondo, Dio aveva creato il sole e la luna.
Convivevano insieme, innamorate come nessuno mai prima e dolci come mai nessuno sarebbe stato in seguito.
Erano appassionate, decise e inseparabili. Il loro amore era puro e folle, e  fu proprio per questo grande amore che Dio decise di maledirle.
Forse per gelosia, forse perché, essendo solo, voleva che nessun’altro provasse quel forte e nuovo sentimento chiamato amore, forse per cattiveria, fatto sta che lo fece.
Lui stesso che ne era il creatore aveva deciso per loro un futuro oscuro ed empio.
La luna e il sole non potevano coesistere. Una per forza doveva morire’

Margot era rimasta incantata con il fiato sospeso.
Era strano come la voce del professore la incantasse, come ogni sua parole la portasse su un’altra dimensione. Non le era mai successo nulla di simile e si sentiva troppo strana, con lo stomaco in subbuglio e gli occhi impegnati a cercare qualcosa di interessante che non fossero gli occhi verdi del suo interlocutore.
Con rammarico Margot, durante quei pochi giorni di conoscenza aveva scoperto una verità disarmante, una verità troppo grande per il suo povero cuore.
Il professore era interessante, ma Harry era davvero qualcosa di incredibile.

‘E che cosa successe?’ riuscì a sussurrare, riuscendo finalmente a capire un po’ in che guaio si stesse cacciando.
Era in macchina con un suo professore o, sotto un altro punto di vista, con un ragazzo quasi sconosciuto.
E non aveva paura, riusciva solo a pensare quanto cavolo volesse accarezzargli i ricci.

‘Successe che il sole amò così tanto la luna che si sacrificò per lei.
La luna distrutta dal dolore chiese pietà al suo signore implorandolo di riportare in vita il suo amato e promettendo che non lo avrebbe mai più visto.
Impietosito Dio gli concesse quella benedizione.
Così ogni notte il sole muore lasciando il posto alla sua amata luna e ogni notte la bella luna muore per dar vita al suo sole.
Solo in una ricorrenza ai due amanti è concesso incontrarsi. Durante l’eclissi. E i due oggi vivono nell’attesa di quell’istante sapendo che in fin dei conti e in un modo o in un altro, l’amore trionfa sempre.’

Concluse continuando a guardare la fitta rete di macchine davanti a se. Il traffico bloccava le vie di Londra e Margot al contempo era bloccata e stupita.
La povera ragazza rimase spaesata colta da un fiume di pensieri. Esistevano amori così grandi, così logoranti da spingere a sacrificarsi pur di salvare la vita del proprio amato. E allora perché se l’amore era quello suo padre non le aveva salvate? Perché al posto di pensare al proprio tornaconto non aveva smesso di ucciderle? Perché quella volta l’amore non aveva trionfato?
Non sapeva trovare risposte Margot, non sapeva cosa fare, come una bambina che non trova più la strada di casa.
L’unica via che trovò, l’unica cosa che ritenne giusta fu chiedere delucidazioni alla sua piccola isola, alla sua ancora di salvezza.
Non seppe da dove iniziare però.
Come poteva spiegargli con poche parole il male che suo padre le aveva inferto? E come poteva lui darle una risposta esauriente? Non c’erano scuse per tutto quel dolore, non potevano esserci.
Così, pensò che l’unica via da prendere fosse la verità.

‘Mio padre beveva’ disse svelta, tanto velocemente che ebbe paura di non essere stata chiara. Non era sicura di poter ripetersi, non era sicura di averne il coraggio.
Ogni parola era una stilettata al petto.
Intanto Harry aveva percepito perfettamente le parole della ragazza ed era rimasto in silenzio aspettando il seguito sicuramente più doloroso.
Perché se lo sentiva, di certo quella non era la parte peggiore. Una parte di se era inoltre incuriosita.
Cosa c’entrava il padre di Margot con la sua storia?

‘Non aveva un reale motivo per farlo; era ricco, aveva una bellissima moglie, un lavoro che gli fruiva un’elevata serenità  e una figlia che gli riempiva le sue giornate, nonostante ciò sentiva la necessità di affogare nell’alcol i dispiaceri dal canto mio inesistenti’ Margot si fermò certa di non poter andare più avanti di così.

Era tremendamente doloroso parlarne, perché era il passato e lei voleva vivere il presente.
Era doloroso perché non aveva smesso un solo giorno di ferirla.
Era doloroso perché sentiva ancora le sue mani sulla pelle.
Guardò Harry e si sentì di nuovo investita da quella straordinaria sensazione di serenità e sicurezza.
Così continuò.

‘Non era però l’alcol che lo spingeva a venire in camera mia e a chiudersi la porta alle spalle. Quando entrava nella mia stanza purtroppo era sobrio. Era forse per questo che la cosa mi feriva più del dovuto, il fatto che fosse cosciente, che fosse una decisione dettata dalla mente e non dall’alcol’

Rifece una pausa, sentendo lo scricchiolio del volante sotto le potenti mani di Harry.
La sua espressione era rimasta immutata, ma le sue mani stringevano con così tanta forza il manubrio che avevano assunto una tonalità  incolore. Sembravano le mani di un corpo morto.
Si sentì un po’ in colpa per star coinvolgendo il suo Harry, l’unica cosa buona che le capitava da un po’, in qualcosa di così disastroso e enorme, ma sentiva di volere delle risposte, e infondo glielo doveva.
Forse non lui, ma a qualcuno sicuramente spettava far un po’ di chiarezza nella sua mente.
Davvero, probabilmente non era lui, ma lei voleva ardentemente che fosse così.

‘Mi piaceva pensare che fosse tutto un sogno o un gioco, quando abusava di me e poi mi picchiava, ma purtroppo non è mai stato un sogno e ci posso mettere la mano sul fuoco, di certo non era un gioco.
Perchè i segni che mi trovavo sul corpo erano più che reali e il suo odore sui cuscini non era di certo suggestione. Spiegami Harry, se questo è amore, spiegami come si può torcere un capello alle persone che giuri di amare. Spiegami ora io come posso credere nell’amore o riuscire addirittura ad amare. Spiegami come nella mia storia l’amore possa trionfare.’

La voce le si era fatta stridula, e una lacrima senza controllo era uscita dallo sfavillante occhio destro.
Margot era sicura che Harry non avesse nulla da poterle dire, sapeva che lui non potesse darle una risposta.
Invece, a discapito di qualsiasi sua idea, Harry le rispose.
Erano fermi nel traffico, seduti uno vicino all’altro ma ognuno lontano col pensiero e con l’animo.
Margot mentre rimuginava sulle sue parole aveva sentito una mano di Harry lasciare il volante e poggiarsi sulla sua.
Non aveva aperto bocca e non aveva nemmeno spostato lo sguardo, le aveva semplicemente preso la mano.
Era quella la risposta, era così che trionfava l’amore.
Con una stretta di mano, la stessa mano di cui Margot non avrebbe mai avuto paura.



 

Spazio Autrice.
Salve ragazzuole!
Questo capitolo è il mio preferito e spero tanto che anche voi lo appreziate.
Ci sono tante cose svelate e nuovi sentimenti che vengono a galla.
Spero mi facciate sapere il vostro parere.
Inoltre oggi c'è una novta.
Vi lascio, oltre che il mio accaunt twitter e tumbler anche il nuovo gruppo Facebook della storia, dove vi darò degli SPOILER e potremo discutere dei personaggi e delle situazioni che si creano nella storia.
A presto :)

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Capitolo 8
*** Make Me Happy ***




 


Margot era sdraiata sul suo letto a rimuginare sulla serata.

Faceva sempre così, quando succedeva qualcosa di importante, si stendeva a pancia in su sul suo bel letto bianco e iniziava a guardare il soffitto, disegnandogli sopra pensieri e immagini che se avesse lasciato dentro di se l’avrebbero mangiata viva.

Margot ripensava a quel bar in cui non era mai stata, alle mura basse e in legno, ai tavoli in mogano e all’aria di tranquillità che circondava quel luogo.
Non era mai stata lì su quella sedia ad aspettare trepidante che il suo professore cantasse, e si era sentita male al solo pensiero.
Era un posto davvero incantevole, un posto che avrebbe volentieri inserto tra i suoi 10 luoghi preferiti.
E a ben rifletterci anche la serata era stata grandiosa, ben propensa ad essere anch’essa inserita nella sua top ten.

Margot, sdraiata supina sul suo letto a guardare il soffitto pensava a come Harry l’avesse presentata ai suoi quattro amici, e di come l’avessero accolta.
Non era facile trovare persone così educate e gentili al primo colpo e, soprattutto per Margot non era facile essere compresa e accettata subito, con i suoi occhi grandi e gli anfibi slacciati.
Eppure, nonostante la sue stranezze e le sue mancanze, Louis, Niall, Liam e Zayn non l’avevano per nulla guardata con sguardo sdegnato o impietosito, ma solo con una gran luce negli occhi.
Margot non sapeva perché, ma ne era felice comunque.

Quando poi finalmente i ricordi di Margot ritornarono al momento più bello della serata, la ragazza si spostò i capelli dagli occhi e con un profondo sorriso si portò una mano sul cuore.
Ripensò allo sguardo di Harry mentre saliva sul palchetto che era stato adibito per l’occasione, e alla sua dolce voce che intonava una canzone lenta e sconosciuta.
Margot non aveva ascoltato per nulla gli altri ragazzi, nonostante ci avesse provato con tutta se stessa, con gli occhi incatenati a quelle gemme verdi e le orecchie completamente travolte dalla sua voce.
Non aveva mai sentito cantare qualcuno in quel modo, con  tanta intensità da distrarre chiunque da tutto il resto del mondo, facendolo focalizzare solo su di lui, solo su quel momento.
E quando poi con un sorriso rivolto nella sua direzione, era sceso dal palco, Margot aveva capito che era lì che doveva stare.
Era quello il posto che stava cercando.
 


L’unico motivo per cui Margot si spostò da quella comoda posizione era il telefonino che aveva improvvisamente iniziato a suonare.
Margot, che non era stata agitata per un bel po’ di tempo ormai, iniziò a fremere e sorridere,
avendo il presentimento di conoscere già chi fosse il mittente del messaggio.

 
“ Sto sbagliando, lo so bene. So bene che non dovrei guardarti, so bene che, probabilmente non dovrei nemmeno parlarti, ma non posso più tornare indietro, lo so, sono già annegato nei tuoi occhi. Ma tu non fare il mio stesso errore, tu combatti e non appoggiarti a me, perché non so salvarti, non so proteggerti. Finché sei in tempo non appoggiarti a questo relitto.”


Margot aveva sentito la terra mancarle sotto i piedi e il respiro bloccarsi.
Era forse sbagliato quel sentimento? Era forse sbagliato appoggiarsi a lui?
Era confusa la nostra Margot, con una rabbia crescente dentro di se. Di certo non voleva arrendersi, che poi non sapeva neanche cosa cazzo stessero facendo, ma a lei non  importava. Lei voleva continuare a combattere. E poi aveva paura, paura di sbagliare la mossa successiva, paura di spingersi un po’ troppo oltre. Ma non si erano già spinti troppo oltre?

Così, caricata da questo pensiero che la tormentava e le diceva ‘ sei sicura di poter tornare indietro?’, Margot rispose, con tutta quella quantità di sentimento che le opprimeva il petto, con tutta quella rabbia che le sfigurava il volto.

 
“Io non voglio essere salvata, sono io l’eroe della mia storia, mi salvo da sola. E comunque, caro professore, non penso che ciò che provo sia sbagliato, anzi, credo sia la cosa più giusta della mia vita. Visto che ci siamo, nel caso le interessasse, è già troppo tardi Harry, i tuoi occhi non hanno fondo.”

 
Quel messaggio era pieno di errori, di sbavature dettate dalla foga, di contraddizioni e Margot continuava ad avere paura che quello fosse tutto un fottuto gioco, che il suo unico scopo fosse quello di insegnarle cos’è l’amore e cosa si prova quando si viene stregati.

Non sapeva cosa fare, si torturava una ciocca nera, si strisciava il vestito che ancora indossava, si strofinava gli occhi e affogava nelle domande.

Era andata troppo oltre?

Si era spinta troppo in la?

Cosa cavolo stavano combinando?

Ma soprattutto, qualsiasi cosa fosse, era reale?

 
“Ci faremo del male”


E Margot sorrise, perché Harry avrebbe potuto scrivere tante cose, avrebbe potuto deriderla, sgridarla, ammonirla, deluderla o ferirla. Invece aveva usato il futuro.
Invece l’aveva resa felice.

 
"No, ci faremo felici"
 
 


 
Spazio Autrice
In quante mi state bestemmiando? Lo so, sono in un ritardo bestiale, ma ho avuto così tante cose da fare, e così tanti pensieri che la volgia di scrivere, ma sopartutto l'ispirazione, erano scomparsi.
Vi ho comunque ripagato con un capitolo ricco di sorprese.
Harry ha fatto un passo in avanti, ha sradicato un po' del suo muoro, facendo vedere uno spiraglio alla nostra cara Margot.
Lei in compenso, è ormai totalmente e incondizionaatamente pazza di lui.
Con questo vi saluo e vi avviso, con una faccna malefica, di aspettare con trepidazione il prossimo capitolo.
Grazie mille  tutte :*
XOXO

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Capitolo 9
*** Can I save you? ***







Harry Styles era stanco.
Stanco di assecondare la segretaria della loro scuola, stanco di sopportare quegli odiosi ragazzi di terza, stanco dei corteggiamenti delle sue giovani colleghe e stanco, anzi stanchissimo di essere geloso marcio della sua alunna Margot Smith.

Era per questo che quel giorno, mentre si sedeva stremato sul suo comodissimo divano dai cuscini finalmente foderati, dopo una lunghissima giornata di scuola, pensava che il sabato fosse uno dei suoi giorni preferiti.
Aveva passato tutta la settimana a pensare a quei lunghi messaggi che si erano inviati lui e Margot e non faceva altro che maledirsi.
Maledirsi perché gli piaceva troppo come il suo nome suonasse vicino a quello di Margot, maledirsi perché non faceva altro che guardarla tutto il tempo, maledirsi perché sapeva bene che ciò che provava per lei, andava molto oltre l’attrazione fisica.

Dalla prima volta che l’aveva vista infatti un senso di irrequietezza l’aveva pervaso e non aveva smesso neanche per un momento di pensarla.

Aveva iniziato a seguirla con lo sguardo, a desiderare di spostarle i capelli dal collo e di baciarlo dolcemente, aveva iniziato a inventare scuse per vederla e modi impossibili per entrarle nella mente.
Aveva iniziato a dimenticare che lui era un suo professore e che il suo unico scopo era quello di aiutarla nella tesina.
Aveva poi creduto di impazzire quel giorno sul divano di casa sua, sullo stesso divano su cui, in quel momento veniva divorato dai pensieri, dove Margot gli aveva leggermente toccato la gamba.

Avrebbe voluto farla sua su quel divano, in quell’esatto istante, ma si era fermato, bloccato da emozioni contrastanti e da pensieri divoratori.

Harry si sentì inoltre venir meno quando ripensò a tutte le volte che aveva visto Margot, con i suoi capelli lunghi a toccarle il fondoschiena e la camminata un po’ timida, con le labbra schiuse e gli occhi stanchi, percorrere il corridoio e attirare verso di se tutti gli sguardi maschili .
Sprofondò un po’ di più tra i cuscini, afferrandone uno e premendoselo sul viso.

“Cosa cazzo mi succede?” esclamò Harry che effettivamente stava diventando irriconoscibile persino a se stesso.

Harry Styles mai sarebbe stato geloso di qualcuno in maniera così veemente prima di allora.
Mai Harry Styles sarebbe stato così restio nel chiamare una persona, avendo addirittura paura di disturbarla.
Mai Harry Styles era sembrato un diciassettenne in piena fase ormonale come in quel momento.
 
 
 
 
Verso le tre Harry in veste di professore modello, decise di bere una bella cioccolata calda e di correggere i temi che quello stesso giorno i ragazzi di quinto avevano redatto per lui.

Aveva dato una traccia davvero difficile, una traccia che li avrebbe portati a spogliarsi, a denudarsi, a mostrarsi in tutte le loro debolezze.
Provò sinceramente a leggerli tutti con attenzione, a capire ogni stato d’animo dei suoi amati alunni, provò con tutto il cuore ad entrargli dentro, a scoprirli, a carpire i loro lati nascosti.
Non mise voti bassi, perché non ritenne consono dare un voto alla storia dei suoi alunni, non ritenne opportuno permettersi in alcun modo di giudicarli, dopo che loro, con tanti sforzi, avevano cercato di aprirsi con lui.

Il suo interesse però, si tramutò in batticuore quando vide, finalmente, il tema di Margot.

Aveva provato ad evitarlo, a posticipare la sua correzione, ma era davvero difficile, perché il suo sguardo cadeva sempre su quel foglio di carta, dove a lettere insanguinate Margot aveva donato se stessa.
 
 
Margot Smith, V A, 28 novembre.
Traccia: Fai finta che questa sia una pagina di diario, oppure che tu stia scrivendo una lettera alla persona di cui più ti fidi al mondo. Sfogati, racconta ciò che ti tormenta, esprimi a parole ciò che non riesci a esprimere con i gesti. Lasciati andare.
       



Cosa vuoi sentirti dire?
Vuoi che ti dica che ti sono diventata dipendente?
Oppure vuoi che ti rassicuri, che ti dica che
se ci sei o meno non mi cambia la giornata?
Vuoi una bugia o una verità?
Ti darò entrambe visto che non mi puoi rispondere.
Ti odio, ogni volta che chiudo gli occhi non ti penso,
la notte non faccio altro che incubi su di te e la mattina
non vedo l’ora di levarti dalla mia visuale.
Odio il modo in cui mi guardi e il modo in cui quei
dannatissimi jeans neri ti fasciano le gambe.
Ogni piccolo particolare della tua persona mi irrita,
ogni piccola sfaccettatura del tuo carattere mi turba.
Mi da fastidio il fatto che leggiamo gli stessi libri,
che abbiamo gli stessi gusti musicali.
Mi infastidisce il fatto di non poterti  evitare.
E ora la vuoi sapere una cosa?
Sono tutte bugie, dalla prima all’ultima.
Quindi ti prego Harry vivimi senza paura.
 Non lasciarmi indietro anche tu.
 



Harry Styles era un po’ disorientato, non ricordava più quale fosse l’esatta posizione della stella polare, non sapeva più dove avesse lasciato la sua giacca blu, e a stento ricordava come si facesse a camminare.
Tutto ciò che pensava, mentre infilava il cappotto e stringeva le chiave della macchina tra le mani, era un’unica cosa.

Ti sto venendo a salvare Margot. Non ti muovere.



 

Spazio Autrice.
Che dire, so che è passato quasi un mese dall'ultimo capitolo ma scrivere su Harry non è cosa facile.
Devo interpretare in qualche modo la situazione ed immedesimarmi bene nel personaggio e non è stato per nulla facile.
Tengo molto a questa storia e non voglio per nulla lasciarla indietro o comunque fare qualche errore.
Ringrazio tutti coloro che seguono, recensiscono e leggono la mia storia.
Tutto ciò senza di voi non sarebbe nulla 
A presto XOXO

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Capitolo 10
*** Fretta ***




 



Margot non aveva più fretta.
Da quando la ragazza dai sogni infranti era arrivata a Londra, non aveva più bisogno di correre.
Dai sogni infranti perché così la chiamavano a scuola, dai sogni infranti perché aveva gli occhi di chi non aveva più niente per cui restare.

Ma, Margot, aveva qualcosa, qualcosa per qui valesse la pena combattere, qualcosa per qui valesse la pena rimanere.
Restava per il tappeto della sua stanza, che le ricordava tanto quello che sua nonna aveva in cucina;
restava per il nuovo taglio di capelli di sua madre e per il profumo dolciastro di Christine.
Rimaneva per le sue convers consumate e per il gelato del bar dietro l’angolo.
Margot rimaneva perché non aveva più fretta.

Prima di arrivare a Londra, Margot aveva sempre una dannatissima fretta, fretta di fare i compiti, di farsi il bagno, di mangiare il pollo della domenica, di vivere.
Aveva fretta perché voleva fuggire, perché la vita le andava stretta.
Aveva fretta perché sapeva che, mentre lei ogni giorno diventava sempre più grande, suo padre diventava sempre più vecchio, sempre più vulnerabile, sempre meno vivo.

Per lungo tempo la ragazza dagli occhi color del mare si era sentita in colpa per quel pensiero cattivo, in colpa perché non era normale che una figlia volesse il peggio per il proprio padre, in colpa perché aveva una dannata voglia di scappare.
Poi, mentre diventava sempre più grande e sempre più consapevole, quel senso di angoscia era andato a scemare, sostituito solo dal dolore e dal disprezzo.
Disprezzo per quel padre che non l’aveva mai vista come una figlia, dolore per se stessa che non era fatta per nessuno, nemmeno per se stessa.
 
 
 
Era da un po’ che Margot Smith non andava più di fretta eppure quel giorno, qualcosa la agitava, qualcosa la faceva andare di corsa.
Forse il fatto che per tutta la settimana con Harry si fossero scambiati solo poche parole, forse perché la sua mente iniziava ad inventare ipotesi su ipotesi, forse perché non vedeva da troppo tempo sua madre, che in quel periodo lavorava davvero troppo o forse, e dico solo forse, perché per tutta la settimana si era sentita osservata.

Era stata solo una sensazione, una di quelle che ti si legano alla pelle e di cui è difficile non preoccuparsi, ma aveva la netta sensazione che due occhi profondi la fissassero costantemente.
Per questo faceva sempre la doppia mandata alla porta, per questo, prima di fare la doccia, chiudeva le tende della finestra, per paura che qualcuno la stesse spiando.
Si sentiva un po’ stupida, ma era davvero più forte di lei.
Si ripeteva spesso che stava diventando paranoica, con tutte quelle mandate alla porta, ma non poteva farci nulla, perché quella sensazione proprio non voleva lasciarla andare.

Quando però, dopo un bagno caldo e una cioccolata bollente, aveva deciso di guardare un po’ di tv per distrarsi un po’ e aveva sentito contemporaneamente il telefonino squillare, indicando che Harry le aveva inviato un messaggio, tutta quella paura era stata distintamente sostituita dall’emozione.
‘Esci un attimo fuori’
 
 
 
Margot non era andata di fretta, perché aveva smesso di correre, aveva deciso invece di guardarsi allo specchio, di legarsi i capelli e di finire la cioccolata calda prima di uscire.
Aveva  deciso così perché voleva godersi a pieno la sensazione di calore che quel messaggio le aveva fatto diradare nel petto e poi, se la vogliamo proprio dire tutta, voleva vendicarsi.
Lei aveva aspettato una settimana un misero messaggio, o anche una singola parola.
Per lui aspettare cinque minuti non sarebbe stato un problema.


Quindi si diresse lentamente verso la porta, e quando arrivò all’uscio, con lentezza girò la chiave nella toppa arrugginita.
 

‘Devo dirti una cosa’
Margot aveva appena aperto la porta, e si era ritrovata davanti ad un Harry davvero troppo bello per essere descritto.
Aveva gli occhi più verdi e liquidi del solito e i capelli erano imperlati da piccole stelle di neve.


‘E’ bello sentire la tua voce Harry sai da quanto non la sento?’  
Non sapeva dove, sinceramente, avesse trovato il coraggio di dire quelle parole, perché non erano ancora una coppia, o forse è meglio dire, non erano proprio un bel niente, nonostante ciò, nonostante fosse cosciente che  non avesse il diritto di essere arrabbiata, lo era, con tutta se stessa, per la prima volta.


‘Lo so Margot mi dispiace, so bene che non mi sono fatto sentire e so anche che sei arrabbiata e che ora l’ultima cosa che vorresti fare è ascoltarmi ma ho davvero una cosa importante da dirti. Sono qui per insegnarti un’altra cosa sull’amore’
A Margot sudarono le mani, perché Harry si fece troppo vicino, così vicino da sembrare reale, e Margot non poteva aggrapparsi a quella realtà, perché c’erano cose della sua vita che non poteva di certo dimenticare.
Harry sfiorò delicatamente le sue labbra con le proprie, con gli occhi ben fissi nei suoi e le labbra morbide di chi è pronto a dire qualcosa di forte, di importante, qualcosa che cambierà di certo la situazione. Intanto Margot aveva smesso di respirare.



‘Non riesco a pensare che a te, al tuo fottuto modo di camminare e ai tuoi capelli neri.
Penso ad ogni singolo momento che ho passato con te, come quella volta che ci siamo incontrati per i corridoi e tu mi hai guardato con quegli occhi e io non ho fatto altro che ricordare quel momento per una settimana.
E so già che mi pentirò di ciò che sto facendo, che mi pentirò amaramente di aver seguito quel rottame che è il mio cuore e non la mia adorata testa ma non posso farci nulla, perché rischio di diventare pazzo tanto dalla voglia che ho di baciarti.
Quindi è questa la mia lezione di oggi Margot.
L’amore non è razionale, non è intelligente né furbo, è un coglione, uno stupido sentimento che ti da cinquanta per cento di possibilità di vincita e cinquanta di perdita.
E’ proprio questo il bello, ti pentiresti in entrambi i casi, nel primo di aver ceduto, nel secondo di non averlo fatto.
Sta sempre a te, scegliere di quale ti pentirai meno’.
Finì il suo discorso e aspettò in silenzio che Margot scegliesse cosa fosse meglio fare, con il cuore nelle scarpe e le mani in tasca.
Quando poi Margot finalmente iniziò di nuovo a respirare e mise insieme quel poco di neuroni che non si erano ancora congelati parlò, e fu come se il mondo si fosse fermato.



‘Io non so nulla sull’amore, non so cosa ci si regala ai compleanni e nemmeno come bisogna comportarsi di fronte alla gente.
 E lo so già, so già che dimenticherai cose che io ricorderò per sempre, so già che sarò io quella che si farà più male.
 Ma anche io non riesco a pensare ad altri che a te.’
E fu così che Margot si ritrovò premuta sulla porta con le mani bloccate all’insù e la bocca intenta a fare tutto tranne che a parlare, ma per quel momento andava bene così.
Andava bene che due ragazzi si amassero, andava bene che il cuore avesse di nuovo prevalso.
Perché non era colpa di nessuno, nemmeno dell’amore.
Perché l’amore da sempre il cinquanta per cento di possibilità di vincita e cinquanta di perdita.
Sta a noi scegliere.
E loro avevano scelto.
 



 

Spazio Autrice
Lo so lo so, dovrei essere fucilata, ma ho avuto davvero tante cose da fare.
Finalmente mi sono levata questo grande peso dalle spalle, farli dichiarare è stato come un parto per me.
I miei bimbi stanno crescendo ( sono commossa ).
Bando alle ciance, fatemi sapere cosa ne pensate.
A presto, spero.
XOXO

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Capitolo 11
*** Ragazze ***


Ciao ragazze, 
so bene che la vostra principale intenzione è quella di uccidermi e mi scuso veramente per il mio immenso ritardo.
Prometto che appena finito il quadrimestre scolastico scriverò tanti di quei capitoli che vi verrà lo schifo di leggere la mia storia (speriamo di no).
Sono davvero piena di compiti e interrogazioni e non ho avuto neanche il tempo materiale per avvisarvi  fino ad oggi.
Vi chiedo pazienza per un'altra settimana e poi avrete i capitoli che meritate.
Mi scuso ancora tantissimo.
Adesso però posso darvi qualche anticipazione:
1. Il prossimo capitolo sarà Pov Harry
2. Il titolo sarà davvero "Ragazze"
3. Ci sarà un assaggio dei primi momenti tra Harry e Margot, ma sopratutto qualche chiarimento sulla famiglia di Harry.

Scusate, scusate, scusate.
A prestissimo.

XOXO

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Capitolo 12
*** Scappare dove? ***







 



Pov Harry.

La prima regola sulla sopravvivenza che avevo imparato nei miei 23 anni di vita era che mi sarei dovuto fidare delle parole solo di tre tipi di persone: i bambini, gli ubriachi e quelli che si erano letteralmente rotti il cazzo della situazione.

Fino a quel momento quella era una delle poche regole che avevo sempre seguito. Difficilmente mi fidavo delle parole di qualcuno che non rientrasse in una di quelle categorie.
Chiamatela stupidità, indifferenza, arroganza ma era sempre stato più forte di me.
Tendevo a credere di più agli sconosciuti un po’ brilli che ai miei familiari.

Era una corazza, una specie di barriera.
Pensavo che se mi fossi fidato ciecamente delle persone a cui tenevo, sicuramente la delusione sarebbe stato triplicata nel caso di un eventuale tradimento.

Ma in quel momento, steso sul mio letto con Margot al mio fianco che mi guardava negli occhi, non potevo fare altro che pensare che di quella ragazzina mi potevo cecamente fidare.
Me ne ero accorto poco prima, fra i corridoi della scuola, quando avevo incontrato il suo sguardo e ci avevo trovato qualcosa di simile ad una casa dentro.
Era stata una strana sensazione, quasi una rivelazione. Era come se sentissi che quella ragazza, che mi guardava così intensamente con i suoi occhi cielo e i capelli neri sparsi sul cuscino, non avrebbe mai potuto farmi un torto, poiché in qualche modo la cosa avrebbe ferito più se stessa che me.

Fu per questo che non ebbi paura quando mi chiese di mio padre, fu per questo che quando abbassai lo sguardo per riflettere, ebbi il coraggio di rialzarmi da quel piccolo macigno di dolore e dire apertamente ciò che mi portavo dentro, ciò che da dieci anni mi spingeva verso il fondo.

 ‘Avevo tredici anni quando mio padre decise di andarsene. Credo che la sua fosse stata una scelta ponderata, poiché nulla sembrò esser stato deciso al momento.
E penso anche che non abbia avuto rimorsi, poiché non si è fatto più vivo.
Sparì così, come se non fosse mai esistito, come se lui fosse rimasto li, e fossimo stati noi a spostarci in un altro universo.
La sera era andato a dormire come al solito, con la sua camicia da notte blu e le ciabatte buffe e il mattino dopo non c’era più, nessun segno della sua presenza, nessun calzino nella cesta dei panni sporchi, nessun libro dimenticato per sbaglio.
Era scomparso, completamente, e se non fosse stato per la forma del suo sedere sulla vecchia poltrona del salotto probabilmente avrei pensato che era stato un sogno, e che io un padre non l’avevo mai avuto.’

Presi una pausa, un po’ per controllare che Margot fosse ancora lì, a guardarmi con gli occhi un po’ tristi , e un po’ perché dovevo controllare me stesso e vedere se io ero ancora lì, o se ero ritornato sotto quell’odioso macigno.
Margot era ancora lì, io avevo paura che non ci sarei rimasto per molto.

‘A casa era vietato parlarne. Mia sorella, mia madre, persino il mio gatto erano indifferenti.
Ma la loro non era quel tipo di indifferenza spensierata, serena, di quelle che provi verso qualcosa che realmente non ti fa ne caldo ne freddo.
La loro era un’indifferenza forzata, malsana, di quelle che ti bruciano il petto.
Loro non erano indifferenti, ma dovevano esserlo per andare avanti.
Così utilizzai anche io quella tattica.
Secondo questa nulla mi fregava minimamente ma tutto mi feriva a morte.
Il problema era però che con me quella tecnica non funzionava un granché.
Provavo invece una strana sensazione.
Era un dolore, ma non era un vero e proprio dolore.
Era una specie di malinconia; mi veniva da piangere, ma non piangevo, mi sentivo morire, ma non morivo.*’

Margot mi guardò intensamente, senza dire una parola, ma esprimendo con i gesti molto più di qualsiasi frase.
Mi poggiò la mano sulla guancia e iniziò a sfiorarmi col pollice, in un gesto così dolce e intimo che mi venne quasi da piangere.
Era un modo diverso per dirmi che mi capiva e che mi era vicino, un modo per assecondarmi e calmarmi al contempo.

‘Volevo scappare Margot, scappare lontano’ chiusi gli occhi, come se quella verità fosse così tanto dolorosa da non poterla sopportare.
Poi inspiegabilmente, dopo un malinconico silenzio, Margot parlò, e le lacrime iniziarono a bagnarmi il viso.
‘E’ questo il punto Harry, scappare si, ma dove?
È come cambiare cella, non cambia il fatto che sei in prigione*’

E la sua mano iniziò ad accarezzarmi un po’ più forte, fino a sfiorarmi l’anima.
 

 
 
Pov Margot

Appena entrai in casa un profumo sospetto mi colpì le narici e la paura che mia madre si fosse messa ai fornelli mi investì come un treno.

‘Mamma dimmi che non hai deciso di cucinare!’ urlai disperata, gettando il giubbotto sulla poltrona e dirigendomi in cucina un po’ impaurita e un po’ curiosa.

‘Sei la solita rompiscatole tesoro. Una volta ogni tanto che sono a casa lasciami fare la madre!’ disse sorridente.

Il mio inconscio sorrise tristemente.
Mia madre era una persona molto forte, che nascondeva il terrore e la paura che si portava dietro con un dolce sorriso e copriva le ore insonni, passate a pregare e a piangere, sotto chili di correttore.
Era una donna bellissima e tutti le dicevano che io ero la sua esatta fotocopia.
A queste affermazioni lei sorrideva sempre, fiera che di mio padre avessi ereditato solo il cognome.
Pochi anni prima, era lei il centro di ogni mia maledizione, il centro del mio disgusto, perché se è difficile dimenticare un padre che abusa di te, ancora più difficile è perdonare una madre che glielo permette.
Ma io l’avevo fatto, con una forza quasi sovrumana, perché in quella casa non soffrivo solo io, ma eravamo in due a subire gli schiaffi, eravamo in due a morire dentro.
L’avevo perdonata perché eravamo rimaste sole, con le macerie delle nostre misere vite da rimettere insieme e la consapevolezza che nulla sarebbe stato più come prima.

‘Almeno dimmi che non hai provato a fare il pollo. Sai bene che lo cucini in maniera disgustosa! È più forte di te, non ce la fai, se non fa schifo non sei contenta.’ dissi ridendo, cercando di buttare sull’ironico una situazione che di umoristico non aveva niente.
Il suo pollo era davvero immangiabile.

 ‘Non ti preoccupare, ho semplicemente messo nel forno due cotolette surgelate, rimarrai viva ancora per un po’ cara’ disse facendo una smorfia.
Io intanto sorridevo, ringraziando Dio per avermi concesso quella piacevole grazia.
 
 
 
Quando finalmente mi stesi sotto le coperte bianche, con i piedi doloranti e la pancia piena, tutta la giornata mi si presentò davanti.
Harry, Harry, Harry.
Cosa stavo combinando? Potevo evitarlo? Cosa dovevo fare?
Pensieri confusi mi invadevano la mente, mentre il cuore palpitava tanto da far male. La necessità di sfogarmi con qualcuno mi invase e la paura che non avessi nessuno con cui poter parlare mi fece mordere il labbro.
Un nome però mi venne in mente e il sorriso sul mio volto illuminò la stanza buia, creando un alone di tranquillità e felicità che niente avrebbe potuto scalfire.

Presi il telefono con foga e digitai velocemente queste esatte parole.

 
“ Christine domani puoi venire da me? Devo parlarti, sul serio.”

Non dovetti aspettare molto per la risposta, e mi basto leggere le prime parole per iniziare a ridere dalla gioia.
 
“Merda Margot! Mica già gliel’hai data?!  Sto scendendo ora, non riuscirei a dormire. Spiega a tua madre che stasera ha un’altra ragazza in piena crisi ormonale da ospitare.”



 

Salve bellezze!
Allora come state? Scusate l'immenso ritardo ma come ho già accennato nel precedente
capitolo la scuola mi ha tenuto parecchio occupata.
Passiamo adesso alle cose importanti.
Ci troviamo a casa di Harry, all'incirca qualche giorno dopo il primo bacio ( nel prossimo capitolo se ne parlerà
di più, con lo sfogo di Margot alla sua migliore amica).
Sono stesi sul letto a chiacchiera e vediamo primi gesti di dolcezza da parte della ragazza, ma anche
una grande fiducia da parte di Harry.
Nel pov Margot ho finalmente fatto vedere per la prima volta sua madre, donna forte e carismatica.
Si metterà pro o contro Harry?
Spero vi sia piaciuto:D Voglio ricordare che le parole con affianco * sono citazioni o riprese completamente o rivisitate.
A presto XOXO

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Capitolo 13
*** Happily ***





 


“Quindi, fammi capire bene, lui è geloso di Dan Donovan? Ma dici sul serio?”

Il primo pensiero che avevo avuto di Christine, la prima volta che l’avevo vista, non era di certo dei migliori.
Stupida, tremendamente.
I soliti capelli biondi, le solite unghie laccate, la solita borsa firmata. Tutto, dalla prima all’ultima cosa che le apparteneva sembrava urlare ‘stupida, viziata, riccona’.

Mi ero seduta affianco a lei con diffidenza, con quella tipica aria severa alla Margot Smith, un po’ rassegnata che quello fosse l’unico posto libero.
La mia mente si era già programmata tutto il film: solita figlia di papà, cheerleader, ape regina con la puzza sotto il naso.
L’antitesi, in sintesi, della mia persona.
Avevo preso con calma il mio quaderno nero con scritte bianche e avevo provato, in maniera quasi maniacale, a lisciare pieghe inesistenti sui miei nuovi jeans presi al negozio di Joe ‘LOTTA AL RISPARMIO’.

Avevo alzato lo sguardo con lentezza, cercando di evitare il più possibile la mia compagna di banco.
Poi Christine si era inevitabilmente girata verso di me, rendendo futile qualsiasi mio tentativo poco educato di ignorarla, mi aveva guardato con i suoi occhioni da cerbiatta, aveva sorriso e mi aveva porto la mano.
In quel momento avevo capito che l’unica vera stupida, viziata e con la puzza sotto il naso, ero io.
 

 
“Davvero Chris, è l’unica cosa che ti ha colpito?”

Da quando era arrivata a casa Christine aveva portato un po’ di felicità nella mia noiosa serata.
Aveva salutato cordiale mia madre ed era poi corsa in camera mia, catapultandosi sul mio letto con molta poca eleganza.

Era una macchina senza pulsante di spegnimento, un camion in piena corsa senza freni.
Recepiva solo alcune delle cose che le venivano dette e le altre, solitamente quelle più importanti, il suo cervello le catalogava come inutili.
Le avevo raccontato di tutto, partendo dalle gambe che avevano iniziato a cedere quando Harry aveva posato la sua bocca sulla mia, passando poi per tutti i messaggi criptici e le chiamate brevi perché ‘non vorrei che tua madre sentisse’, fino ad arrivare alle notizie più succulente della breve seconda vita del nostro professore.

Lei aveva ascoltato silenziosa, soppesando tutte le mie parole, cercando di scovare qualche piccolo gingillo a cui aggrapparsi per dar finalmente voce alle proprie idee, senza trovarne mai uno abbastanza succulento da punzecchiare la sua curiosità.

Avevo poi citato un particolare messaggio di qualche giorno prima, in cui Harry aveva mostrato, in maniera davvero troppo plateale, quanto lo sguardo di Dan Donovan sul mio fondoschiena non gli facesse particolarmente piacere, e la fame di gossip di Chris le aveva attraversato lo sguardo.

‘Se è geloso gli piaci Mar, è scientificamente provato. Ricorda sempre che un uomo può fingere di godere nel bacio, può simulare gli occhi da cucciolo e nei messaggi può dire solo mezze verità, ma è più forte di lui, non sa fingere la gelosia. Quindi, fidati di me e sta tranquilla. Poi ti ha raccontato più o meno la vita segreta di ogni componente della sua famiglia, non so come puoi pensare che tu sia solo una distrazione! Insomma se non aveva nulla da fare poteva farsi un cruciverba’

E Chris bisognava prenderla così, ormai me ne ero fatta una ragione.
Nonostante si aggrappasse alle cose più stupide, nonostante la troppa spensieratezza e i modi di fare troppo sfrontati, riusciva sempre a rispondere alle mie domande silenziose, riusciva sempre a dire la cosa giusta.
Probabilmente non avrei mai capito i suoi metodi, ma poco importava.

Fin quando ho te al mio fianco non devo preoccuparmi, vero Christine?
 
 
Era l’una di notte e non riuscivo a chiudere occhio.
Aveva da poco finito di parlare con Harry, che mi aveva parlato della sua noiosa giornata sul divano, e mi ero da poco stesa affianco a Chris nel mio immenso letto bianco.
Non riuscivo proprio a smetter di guardarla.

Nessuno aveva mai dormito da me. Era successo, una volta o due, che alcune mie vecchie amiche rimanessero per cena ma mai nessuna aveva osato rimanere affianco a me, nel mio letto, per tutta la notte.
Nessuna conosceva il mio segreto ovviamente, cercavo al meglio di nasconderlo, ma in qualche modo in loro era nato qualche sospetto.
Probabilmente non coprivo benne i graffi e i lividi o, molto più probabilmente, le mie magliette lunghe in estate e i miei occhi impauriti avevano iniziato a preoccupare anche loro.
Era per questo che, mentre guardavo Christine, non potevo fare altro che sentirmi felice.
Non tanto per la sua presenza, quanto per ciò che rappresentava.

In casa non c’è più nessuno che incute terrore.


 
Spazio Autrice
So bene quanto sono imperdonabile per l'enorme ritardo ma questi mesi sono stati catalogati come 'MESI NO!!' sia per problemi psicologici che fisici.
So che il capitolo non è dei migliori, e imploro pietà per questo, ma non mi andava di lasciarvi ancora molto tempo in balia del silenzio stampa.
Chiedo davvero scusa e proverò ad essere più presente.
Intanto spero vi siate fatte un'idea di quello che è questo spettacolare personaggio, che è, se interessa qualcuno, il mio preferio.
Spero di aggiornare al più presto.

Bacioni

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Capitolo 14
*** Donne come te ***






Pov Harry

Sapevo fosse stata una pazzia, impazzire totalmente per lei, ma non era qualcosa su cui avevo avuto potere decisionale.

Lei era una droga.
Baciarla una dipendenza.
Viverla una necessità.

La tenevo d’occhio ogni fottuto momento e in classe era una vera tortura non poterla toccare, abbracciare, tenerla vicina.
Il problema principale però non era la sua indiscussa bellezza.
Margot era… non so spiegarlo neanche io. Era vispa, intelligente, sempre con la parola giusta e ciò mi eccitava da morire.
Era una di quelle bellezze totali, libere, indipendenti. Mi faceva letteralmente impazzire.
La conoscevo da pochi mesi e non ricordavo un solo istante di lucidità mentale con lei.
Mi inibiva, mi cambiava, ero come plastilina nelle sue mani, malleabile, fragile, mi avrebbe distrutto tranquillamente con solo una parola.
 



 
‘Quindi Harry non ti va un caffè?’
Harry non disprezzava la professoressa Johns, la trovava una bella donna, con tutte le curve al posto giusto e con una gran testa, ma era viscida, subdola e sicuramente non il suo tipo.
Si era accorto dell’interesse della mora e provava in ogni modo ad evitarla.
Era impossibile non notare il modo in cui il suo sguardo vagava sul corpo di Harry e per lui era impossibile non sentirsi osservato ogni volta che la incrociava per i corridoi, ogni volta che con il suo nuovo collega Nick decideva di fare una pausa caffè alle macchinette.
La evitava come la peste, cercava di essere il più vigile possibile e di trovarsi sempre in compagnia, per non farsi cogliere solo, inerme e impreparato.
Quel sabato però gli aveva teso una trappola, aspettandolo furtiva dietro la porta della sala professori, cogliendolo di sorpresa e invitandolo per un caffè.
La verità non era nemmeno che non voleva avere nulla a che fare con lei, ne che il suo sguardo strano gli facesse venire i brividi, ma Margot ogni sabato pomeriggio si rifugiava a casa sua, con le chiavi di riserva sempre attaccate allo zaino e il sorriso dolce ad accoglierlo nella calda dimora.
E non c’era paragone, non ci sarebbe mai potuto essere.
‘Mi spiace Carla, ho già un impegno’ disse gentile, cercando di non sembrare ansioso di andarsene.
Lo sguardo della donna si assottigliò ma il suo sorriso non scomparve, anzi, si allargò.

Inquietante.

 ‘Non preoccuparti Harry, sarà per la prossima volta’
Ed Harry sperò di tutto cuore che non ci sarebbe mai stata una prossima volta.




 
 

Non vedevo l’ora di arrivare a casa.
Vagavo veloce nella mia Range Rover nera, per le strade affollate di Londra piene di luci e persone, cercando di non pensare troppo a ciò che mi attendeva a casa, conscio che avrei perso di vista la strada se avessi iniziato a fantasticare.
Il sabato precedente avevo trovato Margot in cucina con i leggins neri e la mia camicia azzurra addosso, troppo più grande per il suo piccolo corpo, mentre si cimentava in una omelette al formaggio.
L’odore che arieggiava in casa era afrodisiaco, un misto di cibo caldo e Margot, che non aveva potuto far altro che suscitarmi un tenero sorriso e farmi sentire completamente e inspiegabilmente a casa.
Ed era per questo che non vedevo l’ora di arrivare, per questo avevo quasi fatto fuori un cagnolino con la mia quattro ruote ed era sempre per questo che avevo parcheggiato in maniera approssimativa sulla ghiaia antistante il garage.
Perché non importava con chi stessi, chi mi invitasse a prendere un caffè, quante scartoffie dovessi ancora firmare per la scuola.
Avevo bisogno di tornare a casa e trovare Margot lì, per sentirmi a casa.
Fu per questo che quando aprì la porta con il suo viso dai lineamenti scolpiti e la nuvola di capelli neri che le ricadeva sulla spalla non avevo potuto far altro che baciarla, facendo cadere a terra la mia borsa da lavoro e facendo indietreggiare la mia donna fino alla porta.

Era sempre una sorpresa baciarla e al contempo una certezza. Il sapore di panna e di buono arieggiavano sempre sulle sue morbide e grandi labbra ma allo stesso tempo il modo in cui esse rispondevano alle mie era sempre nuovo, sempre sorprendente, tanto da non farmi mai stancare, tanto da rendermi sempre curioso di scoprire una nuova combinazione.
I suoi baci erano troppo per me, tanto da farmi venire le gambe molli, tanto da farmi appoggiare una mano sulla porta per tenermi stabile, altrimenti sarei sicuramente caduto a terra, tradendo le emozioni che mi logoravano dentro.
E sapevo che anche lei provava lo stesso perché dovetti afferrarla per la vita sottile per evitare una rovinosa caduta.
Il problema era che non eravamo mai sazi, che solo il pensiero di staccarmi da lei mi faceva piangere, star male, mi uccideva pensare che potesse scomparirmi dalle mani.

Mi staccai lentamente per controllare che fosse ancora li, e che non solo il suo corpo fosse rimasto con me, per controllare che la sua anima non avesse abbandonato la sua padrona, lasciandomi solo, come un disperato.
Perché non erano il suo corpo che mi legava a lei, ne i suoi occhi grandi, ne le mani piccole.
Era la mia anima che non riusciva ad abbandonare la sua, stregata dalla sua bontà, genuinità, dalla sua grandezza.

‘Ben tornato a casa Styles’
 
 






‘Posso farti una domanda?’
Eravamo seduti sul morbido tappeto del salotto, con la nostra solita birra e un trancio di pizza tra le mani a discutere del più e del meno.
Era bello passare le serate così, come se ci conoscessimo da una vita e non fossimo circondati da giudizi e problemi al di fuori di quelle quattro mura.

‘Mi devo preoccupare Margot?’
Lo dissi in maniera scherzosa, ma nonostante sapessi perfettamente che non c’era nulla di cui preoccuparsi il mio stomaco si contorse in una morsa dolorosa ugualmente.
Lei sorrise, con le sue morbide labbra un po’ sporgenti e i denti bianchi, un po’ troppo piccoli per la sua età e mi guardò con uno sguardo così profondo che mi persi per qualche secondo.
La mia vita, incredibilmente, dipendeva da quella piccola ragazza davanti a me.

‘Perché il primo giorno di scuola mi hai offerto il tuo aiuto?’
‘Perché eri identica a me’

Risposi sinceramente, di getto, come se non le stessi svelando un’ennesima parte di me.

Mi sto sbilanciando troppo, pensai.

‘Spiegati’ mi disse seria, con gi occhi un po’ sgranati.
‘Prima di spiegarti ti devo fare una domanda. Prendilo come un ennesimo aiuto per la tua tesina’ dissi beffardo, facendomi quattro risate di fronte alla sua faccia contrariata.
‘Si, perché effettivamente mi è tutto molto più chiaro dopo le tue lezioni’ rispose acida con un sorrisetto sarcastico che la rendeva ancor più sexy.

Aveva ragione, tutte le volte che dovevo aiutarla per la sua tesina, mi distraevo inesorabilmente, facendo, di rimando, distrarre anche lei.
Insomma! Una volta si era presentata alla mia porta con un jeans decisamente troppo attillato per i miei gusti e un’altra si era raccolta i lunghi capelli neri in una coda alta che le aveva scoperta una gran bella porzione di collo e spalla.
Va bene che lei aveva solo diciassette anni ma io rimanevo comunque un maschio allo stato brado con le sue necessità!

‘Potrei farti certe belle lezioni, Margot, in campo anatomico che non puoi avere nemmeno un’idea. Purtroppo, ora come ora, è illegale; non metterci troppo il pensiero su, amore’ dissi scherzando, forse neanche poi tanto, ricevendo come risposta uno sguardo omicida.

Il discorso sesso era, purtroppo, ancora off-limits per Margot e onestamente non potevo biasimarla.
In primo luogo, nonostante la differenza di età non ci fermasse dal frequentarci in maniera assidua, restava comunque un gran problema, soprattutto per lei che si creava mille paturnie e problemi per me inutili.
Inoltre, cosa più importante, non dovevo mai dimenticarmi, - ma non avrei potuto neanche volendo – che la mia Margot era stata usata per anni come giocattolo per soddisfare i viscidi bisogni del padre e che per lei naturalmente, l’argomento fisico, non dovesse essere molto facile da affrontare.

Appena sentii il sangue al cervello per le immagini poco piacevoli che mi vorticavano in mente, immagini di una Margot toccata dalle mani di un uomo disgustoso, dovetti fare una grande violenza su me stesso per ritornare alla realtà.

‘Allora me la vuoi fare questa domanda si o no?’ chiese spazientita.
‘Secondo te Margot di che tipo di donne i poeti si innamoravano? Di che tipo di donne parlavano nei loro brevi sonetti?’
Vidi il suo sguardo vacillare per un momento, probabilmente disorientata per l’insolita domanda.

‘Narravano di donne belle, di classe, facili da capire come libri aperti’
‘Esatto, e perché secondo te?’
‘Perché tutti si innamorano di ragazze così, sarebbe impossibile il contrario!’ disse stizzita spostandosi in difficoltà sul tappeto, come se si trovasse a disagio, come se non riuscisse a spiegare le mie apparentemente inutili domande, facendo inoltre cadere un po’ di birra sul parquet nuovo.
‘No, non è per questo. Tessevano le lodi di donne belle ma futili solo perché era più facile. Prendi ad esempio Christine. E’ indiscutibilmente una bella ragazza e scrivere qualcosa su di lei sarebbe indiscutibilmente facile. Metti due parole in tralice, scrivi qualche complimento, aggiungi qualche ‘bellissima e dolcissima’ di qua e di la e il gioco e fatto, hai concluso il tuo sonetto.’

‘Non capisco dove vuoi andare a parare Harry’ disse appoggiandosi con la schiena ai piedi del divano, giusto per non ritrovarsi un gran mal di schiena il giorno dopo, con l’aria un po’ affranta di chi si sta perdendo qualcosa.
‘Scrivere su personaggi come Christine e su donne estremamente belle è facile Margot. Ma per donne come te non basta. In quindici misere righe non riuscirei a descrivere nemmeno il tuo colore d’occhi o la tua indiscutibile caparbietà. Su donne come te non si scrivono mai sonetti perchè è impossibile! Donne come te non si può far altro che viverle. E non si scrive su di loro perché si è gelosi, non lo si vuole ammettere, ma non le si vuole condividere. Le donne solo belle ma vuote, non puoi fare altro che metterle in vetrina, per vantarti, per sentirti fiero. Ma le donne come te Margot, se le tengono tutti strette e nascoste. Per paura di perderle.’

Ci fu silenzio per qualche minuto.
Io cercavo di cogliere il significato del bagliore nei suoi occhi e lei sembrava  stesse cercando la medesima cosa nei miei.
Poi parlò.

‘Per quanto in questo momento mi senta un fuoco per l’imbarazzo e la felicità, e non vorrei far altro che baciarti, vorrei comunque che rispondessi più chiaramente alla mia domanda’
‘Ti ho voluto dare una mano Margot perché nei tuoi occhi ho letto la stessa paura che ho sempre letto anche nel mio sguardo. Eri davanti a me, e mi sembravi lontanissima ed indecifrabile, come un cubo di rubik a cui non riesco mai a trovare la soluzione. E non volevo perdermi l’occasione di risolvere quell’enigma che eri tu, con i tuoi occhi espressivi e un fardello enorme sulle spalle, tanto pesante che sembravano incurvante per lo sforzo. Non volevo lasciarti a nessun altro, tantomeno abbandonarti a te stessa, come era stato fatto con me. Mi dispiace Margot, ma alla fin fine non volevo aiutare te. Volevo solo tenerti per me.’

Presi fiato, concludendo quel soliloquio senza precedenti con un po’ di affanno. Mi ero liberato di un gran peso, le avevo finalmente detto tutto ciò che pensavo e mi ero definitivamente spogliato, scoperto, ma si diciamo anche sputtanato alla grande.

Sono troppo dannatamente filosofico e romantico, pensai, la farò scappare così.

Lei fermò i miei pensieri sedendosi delicatamente su di me e facendo combaciare perfettamente, come una magia, le nostre labbra.

‘Ora che ho una risposta posso baciari’


 
Spazio Autrice.
Ciao a tutte bellezze. So che sono estremamente in ritardo ma sono fiera del mio lavoro e della lunghezza del capitolo.
Vengono finalmente svelate alcune cose, ci sarà l'entrata in scena di due nuovi personaggi e scopriremo che la relazione tra Harry e Margot sembra un po' quella di due adolescenti che scherzano e si punzecchiano come tutti gli altri.
Fatemi sapere qual'è la parte che avete preferito, così da discuterne insieme. E ditemi anche cosa ne pensate del problema 'sonetto'.
A prestissimo dolcette.
XOXO

 

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Capitolo 15
*** Assurde consapevolezze ***




 



Pov Harry

‘Quindi, in sostanza, se venite scoperti, non solo verrai cacciato dalla scuola, ma potresti ricevere tranquillamente una denuncia dai suoi genitori. Ottima mossa Harold, come al solito sei tu quello che ci tiene ad infossarsi nella merda.’
Martedì pomeriggio, calda giornata inverale.
Stavo aspettando impaziente la mia allieva preferita, quando, in preda alla noia e ad un collasso repentino dei miei neuroni, avevo poco saggiamente deciso di chiamare Louis Tomlinson, l’apoteosi del malaugurio e l’esempio di peggior miglior amico per eccellenza.

Louis era vispo, spigliato, senza peli sulla lingua, cosa che l’aveva spesso portato nei guai, in cui, puntualmente, trascinava anche me.
Mia madre, sin da quando eravamo piccoli, aveva sempre detto che io e i miei amici eravamo destinati ad una vita di problemi a causa di Louis, ma non si era mai minimamente permessa di allontanarci.
Diceva anche che alla fine i peggiori si rivelano i migliori.

‘E’ sempre un piacere parlare con te William. Grazie per l’appoggio e la comprensione!’
Ok, era vero. Ero nella merda più totale, ma c’erano tanti modi per poterlo dire.
Magari con più tatto, classe e eleganza o usando un discreto giro di parole.

‘Dai Harold non fare il sostenuto e ammettilo. Siete entrambi in un gran bel guaio’
‘Si ok, hai ragione, ma che ci posso fare se mi sto innamorando di lei? Insomma non so come fermarlo!’

Silenzio.

Louis non era tipo da silenzi, da minuti persi in pensieri sconnessi, non era un tipo riflessivo e per nulla taciturno.
Era sempre stato questo uno dei suoi più grandi difetti, il fatto che nonostante ogni tanto necessitasse anche lui un po’ di tempo per pensare, lui non riuscisse comunque a tacere.
Eppure, inspiegabilmente, per la prima volta in 24 anni, ero riuscito a zittirlo.

‘Willy che c’è?’
‘Harold Edward Styles, hai la minima idea di cosa hai appena detto? TU, il ragazzo che ha iniziato a dimostrarmi affetta alla tenera età di 16 anni, TU che hai cercato di non illudere nessuna donzella per non illudere di rimando te stesso per tutta la tua vita , TU che da quando tuo padre se ne è andato non hai fatto altro che allontanare le persone, mi hai appena detto, con voce ferma e sicura, che ti sei innamorato. OH MIO DIO sto per piangere! Harry sei finalmente diventato uomo! Ti aspettavo da tempo fratello mio!’
 
 
 




‘Harry concentrati e aiutami con questa merda di tesina!’
Ci frequentavamo ormai da un mese, il tempo era trascorso in fretta e ogni giorno, se non ogni ora, cercavo di passarlo con lei, come se fosse l’ultimo momento che potessimo passare insieme, come se non ci fosse un domani e passare qualche momento con lei fosse l’ultimo privilegio che mi fosse stato permesso.
Non che ci fosse un motivo preciso, non avevo alcuna intenzione di separarmi da lei, ma era come una brutta sensazione, di quelle che ti attanagliano il petto.
Non riuscivo a vedere l’inizio ma pensavo solo alla fine.
Una fine che non avevo intenzione di raggiungere.

‘Se non vuoi le mie attenzioni quando studiamo, la prossima volta mettiti una cazzo di tuta e non uscire con le gambe scoperte! Sai bene che mi fanno girare la testa! E poi l’hai detto anche tu che la casa di quella scimmia è molto vicina alla mia! E se ti vedesse? Ho già accennato al fatto che gli spezzo le ossa se anche solo ti sfiora con un dito?’

Dan Donovan si era aggiudicato il nomignolo “scimmia” il terzo giorno di lezione.
Era nella stessa classe di Margot e di Christine, e proprio non aveva le tipiche sembianze di una scimmia anzi, un buon metro e novanta di muscoli e occhi profondi, ma il cervello… quello si che era rimasto all’età della pietra, proprio come i suoi ormoni.
Ok, forse non era così stupido, ma non toglieva gli occhi di dosso da Margot nemmeno un secondo e questa cosa mi faceva girare le parti basse in maniera incalcolabile.
Non che Margot fosse mia, oh no, era una delle persone più indipendenti e libere che conoscessi ed odiava in maniera categorica appartenere a qualcuno.
Ma io, bhè, io le appartenevo in maniera assoluta e incondizionata e non volevo che nessun altro mi sottraesse quel privilegio.
Volevo essere l’unico, almeno per lei.

‘Ancora con questa storia Harry?’ sbuffò infastidita ma, al contempo compiaciuta ‘Sai bene che lui non mi interessa’
‘Si, lo so, ma tu interessi a lui’ sussurrai, sperando inconsciamente che mi sentisse ‘Comunque oggi affronteremo un mostro sacro della letteratura italiana, sei pronta?’
 




Pov Margot

Si alzò dalla sedia della cucina solo per un secondo, giusto il tempo di tendere le mani verso un grosso volume di traduzioni verde acqua nella libreria del salotto e poi tornare indietro, con la sua camicia bianca, la mia preferita, leggermente sbottonata.

Christine ripeteva sempre che stavo sprecando un dono della natura, un regalo divino, un segno provvidenziale che l’universo mi voleva bene, e anche io, infondo, lo pensavo.
Harry era tutto quello che una ragazza avrebbe sempre desiderato: fisico asciutto ma curato e muscoloso al punto giusto, occhi di un verde sconvolgente e ricci morbidi e setosi, così tanto che una volta infilataci la mano dentro era difficile poi ritirarla indietro.

Inoltre era anche tutto quello che io avevo sempre sognato: Harry aveva le mani belle e grandi, le uniche mani di cui non avevo mai avuto paura; aveva gli occhi sinceri e luminosi e il sorriso dolce, di quelli che ti fanno perdere per qualche secondo la lucidità; Harry aveva dei gusti musicali eccellenti e amava leggere, qualità che non tutti avevano ma che il mio ragazzo ideale doveva assolutamente possedere.
Eppure non volevo andare di fretta.
 
 
 
 
 
 
 
 
Non aveva paura, per quanto strano potesse sembrare, nonostante pensasse spesso a suo padre e al dolore che gli aveva causato ogni volta che l’aveva profanata e sporcata.
Margot sapeva cos’era il sesso ed era conscia di quanto piacevole fosse.
Non aveva mai provato l’amore, ma era certa che fosse un’esperienza assoluta e irripetibile, se fatta con la persona amata.
Il vero problema era Harry.
La paura di Margot era lui, e non l’atto in se.
E se non fosse stata abbastanza? E se non fosse stata all’altezza?


‘Allora hai mai sentito parlare di Montale?’
Harry si era riseduto al suo posto, lo stesso che aveva occupato la prima cena insieme, e si era trasformato nella sua versione professionale, forse quella che preferiva e che la faceva impazzire di più.
L’Harry insegnante era spettacolare; quando in classe, si perdeva in lunghe spiegazioni su autori classici e guardava con sguardo vitreo fuori dalla finestra, completamente succube della sua conoscenza, Margot non poteva far altro che pendere dalle sue labbra e pensare che si sarebbe innamorata di lui in qualsiasi caso, anche se lui non l’avesse mai ricambiata, anche se lui non le avesse mostrato tutti gli altri Harry, pieni di peculiarità e sfaccettature.

Le sarebbe servito guardarlo sotto la luce di insegnante, dal suo banco in seconda fila e tanto le sarebbe bastato per farla innamorare di lui.
 
 
 
‘Si ne ho sentito parlare ma non ho mai letto nulla di suo’
Harry non sembrò sorpreso, in realtà ebbi l’impressione che non mi stesse minimamente ascoltando, anzi sembrava troppo assorto nella ricerca di una pagina in particolare.
‘Ora ti leggo uno dei passi più belli e toccanti che io stesso abbia mai letto.’
Io annuii, persa ancora una volta dalla sua voce profonda, quella che assumeva ogni volta che leggeva qualcosa che l’aveva toccato e cambiato o che forse, e solo forse, l’aveva salvato.
Si tese un po’ di più verso le parole, come se volesse annegarvi dentro e poi, dopo un sospirò iniziò a leggere.




‘Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
 E ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
 Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
 Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
 Le coincidenze, le prenotazioni,
 le trappole, gli scorni di chi crede
 che la realtà sia quella che si vede.

 Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
 Non già perché con quattr'occhi forse si vede di più.
 Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
 Le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
 erano le tue.’



Come sempre, rimasi sconvolta dalla forza di quelle parole e mi sorpresi di come, solo in quel momento avessi scoperto un autore, una vita, un amore, che prima mi erano oscuri, e che senza ombra di dubbio, avevano condizionato la storia.
‘Secondo te, a chi ha dedicato queste parole?’

Le opzioni erano diverse. Quella più probabile, almeno rifacendomi agli autori che avevo incontrato nella mia breve relazione con la letteratura, era che quella poesia fosse stata dedicata ad una amante.
Di solito, i grandi poeti e filosofi si dedicavano a più donne, e con questo non intendo di certo dire che passavano le giornate con mogli e figlie.
Gli uomini, seppur poeti e grandi personalità, rimanevano uomini.
‘Non so, forse ad una amante?’

Harry sorrise, non per beffa, ma per rassegnazione.
‘Per quanto la tua diffidenza sia comprensibile mi dispiace dirti che no, non tutti gli uomini sono uguali e che Montale era follemente, pazzamente, indiscutibilmente innamorato di sua moglie Drusilla’

Mi vergognai un po’ per la mia supposizione, ma non lo diedi a vedere.
Riguardai con sguardo basso le parole che Harry mi aveva gentilmente porto dopo la lettura e mi diedi della stupida, per non aver capito l’ovvietà.
Rimasi in silenzio, con gli occhi che cercavano nuovamente quelli di Harry, in attesa che mi sconvolgesse nuovamente con la forza dell’amore, quel tipo di amore che non avevo mai potuto sperimentare.

‘In molti hanno letto questa poesia solo ed esclusivamente sotto una luce sociale e, indiscutibilmente, le metafore e i doppi sensi sono chiari e incisivi, ma io non mi fermerei solo all’ovvietà’
Si fermò, fece un lungo sospiro e poi riprese.
‘E’ palpabile, vero? E’ palpabile quanto quest’uomo abbia amato la sua donna. Ora penserai che tutti sono in grado di scrivere quattro parole in croce per la propria moglie e che in molti ci sono riusciti con successo. Ma io volevo farti leggere qualcosa di unico. Perché hai miei occhi è unico dedicarsi e appartenersi in maniera tanto totale. Un uomo che ricorda la propria donna come l’unica luce nell’oscuro cammino della vita,un paradosso se pensi che Drusilla era quasi totalmente cieca. Un poeta che parla di sua moglie con tanta tenerezza da farti sentire un po’ fuori posto, come se stessi leggendo qualcosa di troppo personale, qualcosa che forse dovrebbe rimanere segreto. Io non so te, ma un po’ mi viene da piangere al pensiero che Montale abbia sentito “il vuoto ad ogni gradino” dopo la scomparsa della moglie. Immagini che solitudine?’


Ed ecco servita un’altra lezione di vita, perché solo così si poteva definire.
Harry aveva una conoscenza così totale e indistinta che per lui era difficile focalizzarsi solo su una disciplina.
Come molti dicono “ il sapere è unico”.
In quel momento Harry non mi aveva solo insegnato un’altra sfaccettatura dell’amore, ma mi aveva mostrato la forza e la dedizione necessarie in una relazione, quanto, in un qualsiasi rapporto, fosse necessaria la parità e la tenerezza, spesso messa in secondo piano.
Harry mi aveva mostrato cosa fosse l’assoluta solitudine.

‘La lezione di oggi è che non esiste mai una vera e propria fine all’amore. Perché spesso, dopo una perdita c’è sempre un’assenza e spesso, quell’assenza è molto più presente della presenza stessa. Forse detto così è un po’ contorto ma la realtà è questa. L’amore è eterno e ultraterreno, non si ferma con la morte, ma continua, continua, continua, fino all’oscurità’

Mi guardò, con gli occhi un po’ lucidi e troppo profondi, e in quel momento realizzai una verità che mi fece vacillare per qualche secondo.
Harry ogni volta che parlava di amore mi guardava negli occhi, fisso, imperterrito, non perché volesse essere più chiaro e conciso possibile, come avevo sempre pensato fin a quel momento.
Mi guardava negli occhi perché, ogni parola che usciva dalla sua bocca, ogni sillaba, ogni pensiero, era per me.
Harry, inspiegabilmente, amava me.
Quella consapevolezza mi colpì come un ceffone.

‘Perché piangi adesso?’ mi chiese allarmato, poggiando gentilmente la sua mano sulle mie lacrime.
‘Grazie, Harry’
‘Per cosa?’
‘Per nulla, per tutto. Solo… Grazie’

 
Spazio Autrice.
Salve a tutte ragazze, prima di lasciarvi alle vostre considerazioni devo fare un annuncio.
Prima che io parta ho intenzione di postare un'altro capitolo, e non so quanndo potrò postarne altri perchè non vrò linea internet per un po'. Prometto però che scriverò un bel po', e appena tornata prometto di aggiornare con più regolarità.
Detto ciò, che ne pensate di questa lezione? E delle conclusioni a cui è arrivata Margot? E avete visto l'entrata in grande stile di Louis nella storia? Vi assicuro che non avrà assolutamente un ruolo mrginale e lo ritroverete spesso e volentieri.
Spero che il capitolo sia di vostro gradimento.
A presto.

XOXO

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Capitolo 16
*** Mom is always mom ***









 
 



Margot's pov


Non esisteva un modo adatto per dirlo, e ciò che io ed Harry avevamo era molto difficile da spiegare a parole.

Era tutto un sentirsi, toccarsi, esserci.
Non c’erano parole, non potevano esserci.

Quel pomeriggio, un freddissimo giovedì pomeriggio, ne avevo parlato con Harry e nonostante le innumerevoli titubanze e i “devo iniziare a comprare i biglietti aerei per scappare via in un posto lontano dimenticato dal mondo”, ero riuscita a fargli accettare il fatto che io, con o senza il suo permesso, avrei detto a mia madre che… bhe che il mio ragazzo era al contempo il mio insegnante d’inglese.

Mia madre, nonostante il tagico passato, era stata l’unica costante della mia vita, l’unica persona che se mi affondava trovava anche un modo per farmi risalire e rimanere a galla, anche a costo di essere lei il mio salvagente.
Il nostro era un rapporto strano. Era vero, non aveva mai cercato di fermare mio padre, e questa era una colpa imperdonabile, un qualcosa su cui non sarei mai riuscita a sorvolare, che non avrei mai superato; ma era anche vero che spesso prendeva i calci e gli schiaffi al posto mio.

Era la donna che mi aveva spesso aiutata a scappare da quella realtà con tragici epiloghi, la stessa donna che una mattina fredda e scura si era diretta a passo svelto in cantina, aveva preso le valigie e senza versare una lacrima ci aveva rese libere.

Non avevo mai avuto abbastanza parole per dirle quanto l’avessi odiata, ma neanche per farle capire quanto le fossi grata e riconoscente per avermi fatto assaporare quanto fosse dolce e piena la libertà.
Era grazie a lei se ero diventata una ragazza abbastanza forte e indipendente, era lei che dovevo ringraziare se, nonostante mi avessero negato l’infanzia e l’adolescenza, potevo ancora avere uno spicchio di presente.
Era per questo che dovevo dirglielo.
Perché glielo dovevo.

E non c’era un modo adatto, ma io, in quell’occasione ne avrei trovato uno.
 
 
 


‘Mamma ti devo dire una cosa, ma mi devi promettere che manterrai la calma’

Appena ero tornata a casa mi ero diretta in cucina e senza dire una parola avevo preso mia madre dai vestiti che profumavano di lavanda e l’avevo trasportata sul divano.
Era stano vederla seduta lì con il bianco vestito invernale che tanto le piaceva e i lunghi capelli neri raccolti in una crocchia disordinata.
Era strano perché mia madre era un’infermiera ed era raro trovarla a casa ad un orario decente, a causa dei sovrumani orari di lavoro a cui la sottoponevano.
‘Manterrò la calma solo se non mi dirai che sei incinta’
Abbassai lo sguardo e sorrisi scuotendo la testa in segno di diniego.
Sentii un sospiro dall’altra parte del divano. Si mosse un po’, più rilassata rispetto a qualche momento prima, e fece accidentalmente spostare un cuscino che cadde, senza naturalmente il suo volere, rovinosamente a terra.

‘Credo di essermi innamorata, mamma’

Il suo viso si illuminò e il suo sorriso bianco inondò la stanza di nuova vitalità, come se brillasse di luce propria.
‘Bhè amore ma è una bellissima notizia! Perché la dici con questa faccia da funerale? Forse lui non ti ricambia? Come si permette di rifiutare la mia bellissima bambina!?’
‘Mamma aspetta! Non correre… Lui ricambia, non è questo il problema. Noi ci siamo fidanzati!!’

I suoi occhi si aprirono un po’ e diventarono vispi, pronti a cogliere qualsiasi notizia, qualsiasi particolare, come se volesse capire cosa nascondessi ancor prima che glielo dicessi.
Effettivamente detto in quel modo non c’era nulla di strano.
Dovevo cambiare metodo.

‘Allora non capisco qual è il problema’ disse sconsolata quando abbassai lo sguardo ‘Margot Abigail Smith cosa hai combinato?’
‘Mamma ti ho detto che il pomeriggio il mio prof di inglese mi aiuta nella tesina, vero?’
Secondo tentativo: diretto e conciso.
‘Si certo che…’ si fermò un secondo, mi guardò e la sua mano corse vicino alla mia, prendendola con forza.
Aveva capito.

Bingo.

‘Ti sei fidanzata con il tuo professore di inglese Margot?’
Annuii senza guardarla negli occhi, sentendo la presa sulla mia mano affievolirsi solo di un po’, terrorizzata dal tifone che si sarebbe scatenato di lì a qualche secondo.
‘Fammelo vedere’ disse tranquilla.
Io alzai lo sguardo sconcertata.
C’era qualcosa di strano in ciò che stava accadendo della mia vita in quei giorni, partendo dal fatto che avessi trovata una migliore amica, passando per l’assurda constatazione che si, mi ero fidanzata con il mio bellissimo professore, fino ad arrivare alla cosa più strana.
Mia madre era tranquilla.

Tutto mi sarei aspettata, lacrime, rabbia, persino schiaffi e punizioni, ma mai che mi chiedesse di vederlo.
‘Mamma stai bene?’
‘Si che c’è di strano? Voglio vedere il tuo ragazzo!’
La mia faccia assunse le sembianze di un enorme, immenso punto di domanda.
‘Cosa ti aspettavi Margot? Che ti flagellassi?’
Annuii fortemente col capo.

‘L’ha già fatto per troppi anni tuo padre, non c’è bisogno che lo faccia anche io. Hai preso abbastanza schiaffi da stare apposto per tutta la tua vita’ disse dura ma addolcendo lo sguardo ‘Sono impaurita più che altro, ma molto felice per te. Se lui ti ama davvero, non c’è niente che mi possa riempire di gioia più di questo. Sei quasi maggiorenne e sei molto matura per la tua età, quindi posso stare tranquilla, ma sta comunque attenta. È il tuo primo amore Margot. Non è detto che duri per sempre, ma ti cambierà sicuramente la vita per sempre, e spero che lo faccia in meglio’

‘Sei la mia forza mamma’ dissi scossa, con un carico di consapevolezze che mi gravava sulle spalle e la certezza che la mia vita, senza il mio doloroso passato, non sarebbe mai stata così magnifica come in quel momento.
‘E tu sei la mia tesoro. Ora fammi vedere questo ragazzo… perché è un ragazzo vero?’
‘Si mamma, è un ragazzo’ dissi ridendo, prendendo contemporaneamente il telefono dalla tasca posteriore dei jeans.
 
 
 
 
 

‘Quindi l’ha presa bene?’
Harry sembrava sconvolto, ed effettivamente l’accaduto aveva dell’incredibile. Insomma non era una cosa da tutti i giorni fidanzarsi con il proprio professore, eppure mia madre aveva preso al meglio la notizia.

Avevamo parlato per ore di Harry, dei suoi gusti, di come mi trattava, quando e in che modo c’eravamo messi insieme.
L’aveva trattato come se fosse solo un ragazzino come un altro e non sapevo se era un bene o un male.

Forse, ma era solo un’ipotesi, volevo che mia madre mi scuotesse e mi portasse fuori da quella favola, che mi facesse ragionare e capire che non era la cosa giusta.
Ma, a prescindere da tutto, amare qualcuno è sempre la cosa giusta, no?

‘Sembra surreale ma si’ dissi sogghignando.
Non sapevo perché, ma la figura di mia madre nell’immaginario di Harry incuteva una certa paura.
Provava un timore e un rispetto reverenziale verso di lei, lo stesso rispetto o adorazione che si può provare verso un Dio.
Harry aveva paura di lei perché sapeva che era l’unica persona che mi poteva portar via da lui.

Dall’altra parte della cornetta sentii un sospiro di sollievo e subito dopo uno sbuffo.
‘Che succede?’ chiesi un po’ spaventata.
‘Nulla di grave, ma devo correre da Louis. Non mi libererò mai di quel moccioso. Ci sentiamo dopo, va bene?’
‘Certo, non preoccuparti’ sorrisi sentendo il tono teso di Harry.

Quel moccioso era una delle persone più importanti della sua vita, ma non l’avrebbe mai ammesso.
Era un tipo di amore, di affetto, difficile da comprendere.
Non aveva tempo, ne spazio ed era del tutto incondizionato.
L’avevo capito una mattina in macchina, quando io ed Harry eravamo andati alla ricerca di un bar molto lontano dal centro, per paura che qualcuno potesse vederci.
Stavamo chiacchierando animatamente e ascoltando musica come il nostro solito, come se non ci fossero pensieri e problemi e la vita e il mondo terminassero in quelle quattro mura di metallo che era la sua grande Range Rover nera.
Eravamo tranquilli, isolati dal resto del mondo, eppure Harry continuava a parlare di lui e della loro amicizia.

‘Se dovessi uccidere qualcuno, la prima persona che chiamerei per nascondere il corpo sarebbe Louis’

Ed era lì che avevo capito che si, se avessi dovuto temere qualcuno, se avessi dovuto essere gelosa di qualcuno al mondo, dovevo esserlo di lui.
 
 




‘Margot? Ci sei ancora?’
‘Si amore, dimmi’
‘E’ un sollievo averti nella mia vita’
 
 
 


Non poteva essere molto più tardi dell’una quando qualcuno bussò il campanello di casa.
Per qualche secondo il panico regnò.
Ero sola in casa, mia madre quel giorno aveva il turno di notte.
Chi mai poteva essere?
Scesi lentamente le scale, aggrappandomi forte al corrimano, portando il telefonino nell’altra mano e cercando di fare meno rumore possibile.
Il campanello continuava imperterrito a suonare.
Quando aprii la porta, il panico venne sostituito dalla paura.
‘Che cosa ti è successo?’





 
Spazio Autrice
Salve a tutte. Con questo capitolo vi saluto e vi auguro buone vacanze!
Spero di poter postare un'altro capitolo a metà mese ma non vi prometto nulla :(,
Chi sarà la persona che ha bussato alla porta? fatemi sapere che ne pensate.
A presto ffanciulle e buone vacanze.

XOXO

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Capitolo 17
*** I Love You Too ***




 








 

Margot conosceva Christine da quasi tre mesi e, in quell’arco di tempo, che per le due giovani sembrava una vita, non aveva mai visto la sua migliore amica in quello stato.

Christine, tutto trucco e personalità, si era presentata sulla soglia di casa con una comoda tuta blu e grigia, viso completamente pulito e velato solo da due violacee occhiaie.

Margot aveva pensato che era anche più bella col volto pieno di fragilità e umanità.
 
Erano rimaste ferme, immobili a guardarsi per un tempo spropositato, in silenzio. Christine non aveva risposto alla sua domanda. Domanda stupida ma essenziale per capire quali punti del suo cuore dovevano essere cuciti così da non causare emorragie.

‘Stai bene?’ 

La risposta fu un singhiozzo, chiaro, limpido come un raggio di sole.
 



Christine’s pov

Io e Franz eravamo stati insieme per un tempo quasi interminabile.

Alla veneranda età di quindici anni avevamo già fatto progetti di vita, a sedici iniziato a parlare di convivenza dopo il diploma, a diciassette la bolla delle promesse si era gonfiata arrivando al ‘per sempre’, toccando confini troppo spinosi, che inevitabilmente avrebbero portato alla distruzione del piccolo mondo che ci eravamo costruiti intorno.

Franz era stata la mia adolescenza, quella piccola isola di felicità e stabilità su cui ti rifugi quando non hai punti fermi, non sai chi sei o chi vuoi provare ad essere.

Ero innamorata di lui da sempre ma pian piano, con il passare dei giorni, dei mesi, degli anni, l’amore aveva iniziato a non servire più.

Troppo vicini per convivere, troppo distanti per coincidere;
diversi interessi, diverse priorità, diverse ambizioni.

Unica cosa che aveva continuato a tenerci legati era stata quella specie di promessa silenziosa che ci eravamo scambiati da bambini, prendendoci le mani, promettendoci amore eterno.

Ma quale amore diventa abitudine?

Soffocare, tremare, sentire le gambe cedere per la troppa pressione.

A cosa si rinuncia quando si è innamorati?

Si rinuncia ai propri schemi, alle proprie abitudini, si cerca di andarsi incontro, di… completarsi.

Per amare Franz avevo rinunciato ad amare me stessa, nascondendomi dietro le apparenze, distruggendomi.
Mi ero annullata, cercando di non perdere di vista quella che in teoria doveva rappresentare la mia felicità, non capendo che perdendo me stessa, avevo messo da parte la libertà di scelta.

Troppo vicini per convivere, troppo distanti per coincidere, avevamo continuato ad amarci ad alta voce ma a maledirci in silenzio.

Un giorno però avevo visto Harry e Margot guardarsi per i corridoi affollati della scuola, li avevo guardati toccarsi l’uno a
metri di distanza dall’altro con lo sguardo, senza lambirsi davvero e mi ero quasi sentita in imbarazzo, intimorita dalla forza e la potenza del sentimento che li legava.

Non saremmo mai stati come loro.

‘E’ finita Franz, più o meno nel momento stesso in cui abbiamo deciso di amarci’

Era stata difficile come scelta, dura e tagliente come una lama, dolorosa quanto un colpo d’arma da fuoco nel petto.
Nessuna descrizione sarebbe stata appropriata per spiegare quanto quella decisione mi avesse ferita, spezzata, distrutta.
Ma non avevo scelta, non potevo continuare a scegliere lui dimenticando me.

Avevo bisogno di ritrovarmi, di completarmi.
Franz aveva sempre aspirato alla vetta più alta del mondo, io desideravo solo che qualcuno fosse il mio mondo.

Troppo vicini per convivere, troppo distanti per coincidere, eravamo arrivati a perderci.
 




Margot’s pov

Ero arrivata a casa di Harry un’ora prima, in un'uggioso venerdì sera.
Stesa sul letto, tra le sue comode e calde braccia, nulla mi sembrava più giusto, vivere quel momento, quella sensazione, quell’attimo.

Dopo la terribile serata passata, una settimana prima, ad ascoltare i pianti, gli improperi, le urla di Christine, avevo iniziato seriamente a riflettere quali fossero le priorità in una coppia.

Io e Harry eravamo due tipi di persona completamente agli antipodi.

Tralasciando l’irrilevante divergenza fisica, i nostri caratteri cozzavano tra loro come due calamite.
Harry era dolce, introverso, sempre pronto a trovare il giusto nelle persone, il buono in ogni situazione. Tremendamente positivo nonostante le esperienze di vita avrebbero dovuto plasmare un uomo completamente diverso.

Harry era fortissimo coperto dalle sue immense fragilità, con gli occhi stanchi di chi ha troppo sonno per vivere, ma anche le mani tremanti, pronte all’azione, di chi ha troppa paura di morire per non vivere appieno ogni istante.

‘Mi puoi stringere forte?’
‘Perchè?’
‘Ho paura di cadere’
‘Non te lo lascerei mai fare’

Io ero diversa, tremendamente diversa.

Ero fragile, riversavo nell’acidità tutte le frustrazioni e i dolori a cui la vita mi aveva costretto. Vittima della mia stessa mente cercavo di allontanare la felicità, in ogni modo possibile, perché non me ne sentivo degna.
Quando la felicità ti tocca e poi scompare, porta via anche un pezzetto di te.
La paura di perdere Harry era così tanto grande da spingermi a rinunciarvi, così da non sentire più dolore.
La parte egoistica tendeva invece a legarlo a me, stringerlo, baciarlo, immobilizzarlo sotto le mie grinfie.

Harry era la malattia, ma anche la cura.

Era stata quella la mia nuova lezione, un altro spunto da cui partire, forse quello chiave per comprendere il percorso da me intrapreso, probabilmente quello che sgnò definitivamente la mia rovina.

La priorità, in una relazione, è fare in modo che, amare la persona che hai accanto, la persona che hai scelto, ti porti ad amare anche te stessa.

Mi girai fra le braccia di Harry, specchiandomi in quello che era l’immenso specchio bianco attaccato al muro.

Mi scrutai.
Amai me stessa come mai prima di allora.

‘Harry?’
‘Ti amo anche io Margot’



 
Spazio Autrice
So bene che mi odiate e, onestamente, avevo pensato di cestinare la storia, colta da un vuoto e una totale assenza di ispirazione.
Ma questa breve storia mi è cara come una figlia.
Spero che perdoniate gli errori di battitura, ho cercato di rileggerla, ma l'orario tardo non mi concede una particolare attenzione.
Sono tornata, spero più veloce nella pubblicazione di prima.
A presto.

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