La Figlia Della Terra

di Writer_son of Hades
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La fine ***
Capitolo 2: *** Mi Fido Di Te ***
Capitolo 3: *** Ritorniamo In Un Luogo Che Avevo Cercato Di Dimenicare ***
Capitolo 4: *** Nella Tana Dei Sileni ***
Capitolo 5: *** Il Regno Dei Sogni Di Morfeo ***
Capitolo 6: *** La Ragazza Dei Sogni ***
Capitolo 7: *** La Figlia Di Gea ***
Capitolo 8: *** Un Nuovo Arrivo Sull'Argo II ***
Capitolo 9: *** Nuova Vita ***
Capitolo 10: *** Diventiamo Improvvisamente Prigionieri Di Una Nave Pirata ***
Capitolo 11: *** Salvataggio Improvvisato ***
Capitolo 12: *** Do Fuoco Ad Una Nave ***
Capitolo 13: *** Facciamo Un Volo Da 1000 Metri ***
Capitolo 14: *** Non Ne Faccio Una Giusta ***
Capitolo 15: *** Incontro Indesiderato ***
Capitolo 16: *** Riporto Indietro La Ragazza Che Avevo Conosciuto ***
Capitolo 17: *** Conosco La Mia Nuova Casa ***
Capitolo 18: *** Pessima Presentazione ***
Capitolo 19: *** Sogni Infestati Da Mia Mamma ***
Capitolo 20: *** Un Dolce Risveglio ***
Capitolo 21: *** Ricorda Di Chi Se Né Andato ***
Capitolo 22: *** Combatto Fino Allo Sfinimento Contro Uno Dei Migliori Spadaccini In Circolazione .... Io Sì Che So Scegliermi Gli Avversari Giusti ***
Capitolo 23: *** Imparo A Conoscere Veramente Le Persone Prima Di Giudicarle ***
Capitolo 24: *** Mi Succede Qualcosa Che Non Riesco A Spiegare ***
Capitolo 25: *** Riceviamo Un Saluto Inatteso ***
Capitolo 26: *** Tra Congratulazioni E Nessuna Spiegazione Sono Parecchio Confusa ***
Capitolo 27: *** La Caccia Alla Bandiera Più Impossibile Di Sempre (Parte I) ***
Capitolo 28: *** La Caccia Alla Bandiera Più Impossibile Di Sempre (Parte II) + Nuovi Genitori Per Me, Eh! Quanti Genitori Per Me, Eh! Tutti I Genitori Per Me, Eh! ***
Capitolo 29: *** Genitori II – Il ritorno dei parenti divini…e incazzati ***
Capitolo 30: *** Finalmente Conosco Il Mitico Leo Valdez ***
Capitolo 31: *** Mi Sento Finalmente Bene ***
Capitolo 32: *** Festa A Sorpresa ***
Capitolo 33: *** La Giornata Si Propaga Nel Peggiore Dei Modi ***
Capitolo 34: *** Questa E' La Fine? ***
Capitolo 35: *** L'Ultima Speranza ***



Capitolo 1
*** La fine ***


La Fine


PERCY



          Era la quarta volta che cercavano anche solo di ferirla, ma venivano ogni volta risputati all’indietro.
Percy si rialzò da quella terra ricoperta delle pietre che una volta formavano il tempio sull’Edipo. Erano in Grecia da non sa neanche quanto tempo e le forze dovevano ancora riprendersi del tutto dopo il viaggio nel Tartaro con Annabeth.
Tirò fuori Jason da sotto un gruppo di massi e lo aiutò ad alzarsi. Tutti e due erano pieni di terra, erba e ferite sanguinanti. Jason si teneva stretto il braccio sinistro e si reggeva a malapena in piedi. Percy invece aveva una ferita sulla fronte, una più profeoda alle costole e una caviglia slogata dall’ultima caduta.
Si voltò verso la tomba di Gea. Stava per risorgere e dovevano fermarla prima che accadesse.
Si avvicinò zoppicando al suo compagno.
             – Dobbiamo fare qualcosa. Tutto questo non funziona.
             – Lo vedo. – confermò Jason premendo sulla ferita aperta. – Hai qualche idea? Perché io sto per svenire qui.
No, Percy non ne aveva. Non sapeva cosa fare. Proprio nel momento in cui i suoi amici avevano più bisogno di lui, lui non sapeva come agire per salvarli tutti. Si guardò intorno per vedere come se la cavavano gli altri semidei: Piper, Frank e Leo stavano respingendo un gruppo di mostri di terra e di arpie dal lato destro della collina. Hazel, coperta da Reyna, cavalcava su Airon respingendo degli spiriti della tempesta.
Avevano rinchiuso Annabeth nella sua cabina, sulla nave. Nico era rimasto a sorvegliarla. Percy non se lo sarebbe mai perdonato se le fosse capitato qualcosa.
                – Non puoi rinchiudermi qui! Percy ho un piano! – aveva urlato la ragazza da dietro alla porta. – Io devo venire con te! Non puoi lasciarmi qui! Non ho paura di morire!
Lei, ovviamente, era contraria, ma nessuno avrebbe dovuto esserci su quella collina. Gea glielo aveva detto: poteva portare solo una persona con lui, o qualcuno sarebbe morto. Percy aveva scelto Jason, ma gli altri non lo avevano voluto ascoltare. L’hanno seguito e ora uno di loro rischierà di morire.
Ognuno di loro credeva in lui e lottava per salvare non solo loro stessi, ma tutto il mondo.
Non poteva mollare adesso.
                Percy alzò lo sguardo al cielo e cercò una soluzione tra quelle nuvole in tempesta.
Non saprà mia perché, ma i suoi pensieri si rivolsero a Nico per un attimo. Era cambiato così tanto.
                – Mi fido di te. – gli aveva detto l’ultima volta che l’aveva visto, sulla nave.
                – Non le accadrà niente. – aveva risposto, fermo.
Percy si era fermato e si era voltato un’ultima volta. Non era più un bambino e si vedeva. Era più alto e i lineamenti erano più duri. Era diventato un ragazzo. Si era perfino deciso di farsi tagliare i capelli da Reyna, e ora aveva un taglio corto che accentuava lo sguardo tagliente. L’ultima volta che aveva parlato con lui, da soli, era stato quando si erano ritrovati nella sua cabina. Avevano parlato di Bianca, della sua cotta per lui e di quel sogno che avevano fatto … Ma certo! C’era solo un modo per distruggere definitivamente Gea.
Jason si accorse dello sguardo eccitato del ragazzo.
                – Percy, che hai?
Lui sorrise. Sapeva come salvare tutti.
Si drizzò con la schiena e si voltò verso la tomba di Gea che ora pulsava come un cuore vivo e pronto ad esplodere. Poi corse più veloce che poté, seguito da Jason, dritto alla galleria ovest che entrava nella collina. Sapeva esattamente cosa fare.
                Imboccarono il tunnel e vennero inghiottiti dall’oscurità, illuminata solo dal tenue bagliore del metallo delle loro due spade. Mentre avanzavano l’umidità e il muschio aumentavano rendendo difficile correre senza rischiare di cadere. Percorsero quella galleria per un tempo che sembrò infinito, ma alla fine sbucarono su di un enorme baratro che arrivava fino alle viscere della terra e se Percy non avesse fermato Jason in tempo, sarebbe caduto in quel pozzo senza fine. Da esso si innalzava un rampicante che avrebbe potuto contenere un intero grattacielo di New York.
                Casa sua. Era tanto che non ci pensava. Sua madre sarà stata sul divano con Paul oppure al cinema a vedere un buon film. E lui era lì, a rischiare la sua vita anche per lei.
                – Dobbiamo puntare al cuore. – disse cercando di far sfumare via i suoi pensieri.
                – E quale sarebbe? – chiese Jason.
Bella domanda. Il rampicante continuava a crescere e a volte si intravedevano degli organi simili ad enormi fagioli all’interno di esso, ma qual’era il cuore?
Poi Jason indicò qualcosa davanti a loro. Il rampicante continuava a salire verso la superficie, in cerca di aria e di sole, ma solo uno di quei fagioli non avanzava con esso. Era più grosso e pulsava di una luce verde e grigia. Il Cuore.
                Jason si preparò con la spada in mano, ma quello non si poteva distruggere con una lama. Percy gliel’abbassò. – Dobbiamo usare i nostri poteri.
Così si prepararono. Al tre, entrambi lanciarono tutto le energie che avevano in corpo contro quel fagiolo pulsante. Vento, fulmini e acqua vorticarono fino ad unirsi e a formare un tornado che puntava dritto al cuore, ma non cambiò niente. Lo deformarono, lo colpirono, ma non erano abbastanza forti da disintegrarlo. Mancava qualcosa.
                Percy sentì che le forze stavano per abbandonarlo, non avrebbe potuto reggere ancora per molto. Era la fine. Quella vera. Ma si consolò, almeno Annabeth era salva, lei ce l’avrebbe fatta, forse.
Stava per cadere a terra quando un turbine d’oscurità si unì alla loro tempesta. Si voltò, sbigottito nel vedere Nico che lottava per tenere insieme le forze di tutti e tre. Ma se Nico era lì, voleva dire solo una cosa.
                – Dov’è Annabeth?! – urlò Percy cercando di sovrastare il rumore della tempesta.
                – È al sicuro sulla nave! – gridò di rimando Nico, senza sconcentrarsi. – Ora però, distruggiamolo.
Erano tutti. I figli dei tre pezzi grossi. E sarebbero riusciti a sconfiggere Gea una volta per tutte.
Percy raccolse tutto quello che gli era rimasto in corpo e lo scagliò contro il Cuore.
Tutto quello che si sentì dopo, fu un’esplosione e poi solo oscurità.
 


                Percy si risvegliò accerchiato da molti visi conosciuti. Piper, Leo, Frank e tutti gli altri gli erano attorno e sorrisero quando i suoi occhi si aprirono. Lo aiutarono ad alzarsi, lentamente e vicino a lui vide Jason con mezza faccia incenerita. Gli scappò quasi da ridere.
Poi notò che mancava qualcuno: – Nico? – chiese con un filo di voce.
                – Non lo sappiamo. Non era con voi. – spiegò Hazel cercando di mascherare la preoccupazione.
Si incamminarono verso la cima collina, per raggiungere la nave e Percy era impaziente di tornare da Annabeth, di abbracciarla e dirle che ce l’avevano fatta, che ora potevano vivere veramente.
Salendo, notò una figura nera affacciata alla tomba di Gea che ora era silenziosa. Percy la raggiunse.
Era Nico, con il capo chino. Gli dava la schiena, ma Percy si avvicinò lo stesso. Gli mise una mano sulla spalla: – È ora di andare, Nico.
Lui prima non rispose. Poi, si girò. Percy non l’aveva mai visto così.





Nota dell'autrice: *si schiarisce la voce* Bé, buongiorno a tutti semidei, maghi, tributi o chiunque altro abbia letto questo primo capitolo della mia prima storiaaa! *salta per la casa tutta emozionata* Dunque, tornando seri, è la prima che pubblico e sono molto nervosa. E' solo una dei miei tanti film mentali che faccio prima di dormire, ma ci tengo partiolarmente a questa dato che spero ogni notte che possa essere reale (<- io e i miei problemi esistenziali). Volevo condividerla con tutti voi e spero vi piaccia. Pubblicherò tra qualche giorno il secondo capitolo, così ho tempo di andare abbastanza avanti. 
Grazie a tutti,
Un saluto dalla mia camera.

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Capitolo 2
*** Mi Fido Di Te ***


Mi Fido Di Te


NICO
              


              "Mi fido di te."
Quelle erano state le ultime parole di Percy, poi se n’era andato.
Nico era seduto e appoggiato alla porta della stanza di Annabeth. Abbassò il capo e scosse la testa, quello era un fardello troppo grande da sostenere.
                Percy gli aveva fatto promettere di sorvegliare Annabeth, mentre lui era fuori da qualche parte a morire. Solo allora capì quello che Percy aveva provato promettendo a lui di salvare sua sorella, Bianca. Aveva paura che la ragazza del suo amico avrebbe potuto fare la stessa fine.
                – Nico, devi lasciarmi andare. – e con questa facevano sette volte che ripeteva la stessa cosa. Lui non rispose mai.
                – Va bene. – disse infine la ragazza da dietro la porta. – Io ho un piano. E questo ci può salvare tutti, per questo devo andare da Percy. Devo fermarlo, perché sta facendo la cosa sbagliata.
Nico ascoltò con più attenzione.
                – Ho un piano che ci salverà tutti. – continuò Annabeth, sempre più convinta. – Ma non servo io, servi tu.
Ancora una volta Nico si limitò ad ascoltarla, senza parlare.
                – Ho fatto molte ricerche al Campo, quando ero più piccola, quando … un mio amico era in grave pericolo. – lo disse con voce rotta. – Quando Luke era impossessato da Crono. Ho cercato un rimedio alla profezia, ma visto che non trovavo niente ho cercato una precauzione, un sistema che avrebbe impedito a lui e al Titano di impossessarsi del mondo. Un’ultima risorsa.
                Nico ha vissuto in primis quell’avventura. Lì era diventato quello che non aveva avuto il coraggio di essere, un figlio di Ade.
                – E cercando fra antiche profezie e leggende di ogni tipo, non mi sono resa conto dell’ovvio. Crono era stato ucciso dai suoi figli, i tre pezzi grossi, Ade, Poseidone e Zeus. Ora, ti ricordi quando te, Percy e Jason avete attaccato Gea, in sogno? Nessuno è mai riuscito anche solo a sfiorarla, ma voi, insieme, siete riusciti a farle un taglio profondo. – Nico iniziava a capire. – Quello che sto cercando di dire è che se in sogno riuscite a ferirla, immagina cosa possiate fare tutti insieme da svegli.
                Poi ci fu silenzio.
Nico fissò il muro davanti a lui. Potevano sconfiggere Gea.
                – Devi andare. Io non mi muovo, te lo prometto. Ma tu vai. – lo rassicurò Annabeth.
                – Sei sicura di questo piano? – chiese.
                – È l’unico modo, ormai. – sembrava lo dicesse più a se stessa.
Lui si alzò e appoggiando quasi le labbra alla porta disse: – Se ti succedesse qualcosa, Percy non me lo perdonerebbe mai.
                – Te lo prometto. Starò qui.
Le credette, anche perché non aveva altro da fare.
Chiuse gli occhi e lasciò che le ombre lo trasportassero da Percy e Jason.
Li trovò nel tunnel ovest, sotto alla collina, l’avevano preceduto, ma non avevano abbastanza forza da perforare il cuore. Senza esitare si unì a loro cercando di indirizzare tutte le energie nel tenere insieme anche i poteri degli altri.
                – Dov’è Annabeth?! – gli urlò Percy cercando di sovrastare il rumore della tempesta.
                – È al sicuro sulla nave! – gridò lui di rimando, senza sconcentrarsi. – Ora però, distruggiamolo. – aggiunse.
Ce la stavano facendo, erano tutti e tre, e potevano sconfiggere la dea.
Prima che tutto esplodesse, Nico li teletrasportò fuori e lui raggiunse Annabeth nella sua cabina. Entrò sorridendo: – Avevi ragione ha funzionato! Ha …
                Ma lei non era lì. Il cuore cominciò a battergli all’impazzata.
Cercò per tutta la nave gridando il suo nome. Doveva essere lì, doveva.
Tornò sulla cima della collina, ai margini della tomba di Gea, giusto in tempo per vedere il corpo di Annabeth sul fondo del crepaccio che diventava polvere assorbita poi dalla terra, e un’ultima frase, un avvertimento di Gea, bisbigliata al vento.
A quel punto il suo cuore smise di battere.
 
 
                – È ora di andare, Nico. – gli disse Percy alle sue spalle.
Lui non riusciva a voltarsi, non riusciva a credere a quello che aveva appena fatto. Ma lo fece. Con le lacrime agli occhi, si voltò verso Percy.
                Lui lo guardò sbigottito: – Nico, che ti succede?
Scosse la testa e i suoi occhi lo mentirono prima che potesse spiegargli tutto.
                – Dov’è lei? – chiese Percy iniziando a tirare la mascella.
Lui non riuscì a rispondere.
                – Dov’è lei?! – urlò Percy ancora.
                – Dov’è Annabeth? – sussurrarono gli altri vedendo la scena da dietro.
                – Percy … – cercò di spiegare lui.
                – Dove. È. Lei?
                – Lei … pensava che il suo piano fosse perfetto, ne era convinta. Mi ha detto di venire ad aiutarvi, che era la cosa giusta da fare … – mormorò Nico.
                – AVEVI PROMESSO CHE L’AVERESTI TENUTA IN SALVO! – singhiozzò Percy.
Hazel abbassò lo sguardo e Frank le mise un braccio attorno alle spalle. Piper cominciò a piangere, Jason guardò Nico solennemente e la portò più vicina a sé. Leo si asciugò la fronte, lasciando una grossa striscia di grasso sulla faccia.
Nessuno di loro aveva mia visto Percy, il loro amico più ottimista, così isterico e fragile.
Nico aveva già visto una scena così prima, ma non era Percy la prima volta. Era stato lui.
                – Cosa mi dici di Bianca, Percy? – sospirò tranquillamente.
                Tutto si fece silenzio.
Era un peso grosso quello che aveva tirato fuori.
Ci fu, per un tempo quasi eterno, un inquietante calma sull’intera vallata. Il cielo, prima in tempesta con se stesso, ora era di un grigio smorto e uniforme, quasi finto e rimase nella sua volta, come spettatore di quello che era appena accaduto. Nemmeno lui ci credeva.
I mostri, tramutati in polvere d’oro, vennero assorbiti dalla terra perché di vento per trasportarli lontano, non c’era. Era come se tutto si fosse bloccato, come se tutto il mondo fosse in lutto per quel sacrificio.
Nessuno parlò per molto tempo. Nessuno aveva qualcosa da dire.
                – Non è finita. – disse Nico infine e asciugandosi gli occhi con la manica del giubbotto.
                – Come puoi dire questo? Certo che lo è! – ringhiò Percy cercando la spada.
                – No, non lo è. – rispose calmo. – Prima di morire definitivamente, Gea, ha detto un’ultima frase: C’è sempre un modo per rimanere in vita. Ed io ho usato quello che i vostri genitori hanno adoperato fin dalle origini. – fece una pausa. – E alla fine ha aggiunto un nome: Silvia.




Nota dell'autrice: Buongiorno a tutti! Visto che domani parto per la Francia e ci resto una settimana (wiiiiiiiiiiiii!) volevo prendermi avanti e ho messo subito il secondo capitolo;) spero vi sia piaciuto e che vorrete continuare a leggere anche il resto della storia.
Progettavo di mettere anche il terzo oggi pomeriggio, ma vedremo se ho tempo. Scrivetemi se vi è piaciuta fin qui o se dovrei cambiare qualcosa. Bé un grazie e un bacio a tutti voi gente di mondo!
                

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Capitolo 3
*** Ritorniamo In Un Luogo Che Avevo Cercato Di Dimenicare ***


Ritorniamo In Un Luogo Che Avevo Cercato Di Dimenticare


LEO



                Era una settimana che navigavano.
Leo era stanco, ma restò al timone, era l’unico modo per non pensare. Per non ricordarsi di quella ragazza che aveva promesso di salvare quando tutto sarebbe finito. Il senso di colpa era così forte che gli provocava una fitta allo stomaco. Il vento gli asciugava le lacrime e guardava avanti, sperando nel meglio.
                Dopo quello che era successo in Grecia, erano tornati immediatamente al Campo Mezzosangue per celebrare il funerale e per discutere sull’ultima frase di Gea.
Percy era cambiato tanto. Aveva praticamente smesso di mangiare e di parlare.
                – Non può essere una nuova profezia. – disse Rachel Elisabeth Dare, l’Oracolo del Campo.
                – È un’indicazione. – commentò Chirone, lisciandosi la barba. – Solo non riesco a capire cosa hanno fatto i vostri genitori fin dalle origini.
                – A parte rovinarci la vita? – bisbigliò Frank.
                – Se ci fosse stata Annabeth, avrebbe potuto aiutarci. – mormorò Percy.
Chirone gli si avvicinò, mesto. – Ne sono sicuro, ma per ora dobbiamo cavarcela da soli.
                – Lei è morta per sempre. – e se ne andò sbattendo la porta dietro di lui.
                – È così permaloso. – sbottò Dioniso sulla sedia. Era di passaggio al Campo, così era stato invitato in quanto dio dell’Olimpo. – Dovrebbe andare a farsi perché il miei capelli vanno a fuoco?!
Tutti guardarono Leo. E lo ringraziarono con lo sguardo.
                – Per favore Mister D. rimanga serio per un attimo e ci dia una mano. – lo aveva  implorato Grover, il satiro migliore amico di Percy.
                – L’unica cosa che rimpiango è che i vostri genitori vi abbiano messi al mondo, branco di stupidi ragazzini! – borbottò mentre cercava di spegnere i capelli.
                – Certo! – esclamò Piper. – Noi siamo ciò che gli dei hanno fatto sin dalle origini: semidei.
                – Vuol dire che c’è una semidea, figlia di Gea, che è pronta a distruggerci? – chiese Hazel, preoccupata.
                – Io non mi preoccuperei solo di quello signorina Lavande. – disse Dioniso giocherellando con il calice.
                – Lavesque. Il mio cognome è Lavesque. – puntualizzò Hazel.
                – È la stessa cosa. – facendo un gesto con la mano. – Il punto è: se c’è una semidea, figlia della dea che ha cercato di distruggerci, credo che ogni dio voglia ucciderla. Incluso io.
                – Per ora non farai nulla. – Nessuno aveva mai parlato così ad un dio, ma evidentemente Chirone poteva. – Prima di tutto andrete a recuperarla e la porterete al campo. Dobbiamo vedere se è veramente una minaccia, o se possiamo ancora fare qualcosa. Ma dovete stare attenti: nessuno dovrà saperlo.
                – Ma io mi chiedo quando è potuto succedere. – osservò Frank. – Gea non era veramente presente, dormiva. No?
                – Non lo so, Frank. È difficile da credere pure a me. – disse mesto Chirone.
                – Nico ti ricordi altro? – chiese Reyna.
                – Solo il nome. – disse lentamente. – E da quello che so su questo nome, dobbiamo tornare in Italia.
Così ora erano diretti a Roma. La cosa non lo entusiasmava particolarmente, ma più in fretta avrebbero portato la semidea al Campo, più in fretta sarebbe tornato da Calipso.
Sul ponte c’erano quasi tutti, tranne Percy e all’impresa si era aggiunto Grover.
                Mancava anche Nico. Da quando è successo, la situazione fra lui e Percy è stata un po’ burrascosa, così si faceva vedere sempre meno e sembrava ogni volta più stanco. Leo si chiedeva dove passasse il tempo quel ragazzo. Avevano la stessa età, ma lui sembrava sempre più maturo, da quando si era alzato e aveva affilato i lineamenti. Leo era rimasto con la sue orecchie da elfo e il naso all’insù. Che strazio.
                Mancava poco all’alba e le rovine della capitale italiana si colorarono di un rosa acceso. Leo iniziò la discesa verso la città senza problemi. Tutto il viaggio era stato tranquillo: gli dei li stavano proteggendo (per ora) e per un po’ anche i mostri erano andati in letargo.
                Fece ormeggiare la nave perfettamente nel centro del Colosseo, sotto consiglio di Grover.
Quando finì di sistemare le ultime cose si avvicinò alla cappella che si era formata al centro del ponte.
                – Io devo andare a parlare con dei miei amici, loro ci potranno sicuramente aiutare. – stava dicendo il satiro. – Porto con me due persone. – poi si voltò verso il suo amico, quasi cercando un aggrappo al suo sguardo. – Percy?
                Lui alzò lentamente la testa, due grosse occhiaie circondavano i suoi occhi rossi e consumati. Scosse semplicemente la testa.
                – Vengo io – disse Reyna. – e Nico.
Il figlio di Ade non obbiettò, era meglio se lui e Percy stavano lontani il più possibile.
Nessuno parlava, tutti erano un po’ provati. Ritrovarsi a Roma, dopo tutto quello che era successo… così Reyna prese automaticamente il comando: – Leo, Piper e Jason scendono per prendere quello che ci serve. Frank e Hazel controllano la nave e tu – disse ferma guardando Percy. – prova a dormire.
                Il ragazzo annuì debolmente e ritornò sotto coperta.
A Leo dispiaceva davvero tanto per Percy. Aveva smesso di vivere.
                – A mezzogiorno ci ritroviamo tutti qui. – concluse Reyna, e si divisero.



Nota dell'autrice: Bonsoir! Se avete letto il capitolo precedente sapete già che domani parto per la Francia e che tornerò tra una settimana per cui non riuscirò ad aggiungere altri capitoli:( Comunque non dovete preoccuparvi! Appena torno metterò il quarto e poi vedrò cosa fare ;) Ditemi cosa ne pensate.
Un bacio a tutti
e saluti dal mio divano
Silvia

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Capitolo 4
*** Nella Tana Dei Sileni ***


Nella Tana Dei Sileni


GROVER
 


                Stavano camminando per le vie di Roma e la giornata si stava lentamente scaldando. Grover non era molto felice che Nico fosse venuto con loro. Ha sempre avuto  un brutto presentimento su quel ragazzo e da quando aveva saputo che aveva lasciato che Annabeth …
Era la sua migliore amica. Ricordava ancora benissimo quando sono arrivati al Campo insieme a Luke e Thalia. Aveva già perso il figlio di Ermes contro Crono ed ora aveva perso lei per colpa di Gea. Lei non c'era più. La sua migliore amica, sua sorella, se n'era andata per sempre.
Percy non era l’unico a soffrire, solo che lui era più bravo a nascondere quanto stesse veramente male.
                – Di qua. – disse voltando a destra per una stradina stretta fra due schiere di case antiche. Si stavano avvicinando.
                Non camminarono ancora per molto prima che Grover si fermasse all’ombra di una grande porta di legno scuro. Annusò l’aria e percepì l’odore del paglia. Erano nel posto giusto. Si avvicinò alla porta e spinse forte per entrare. Dentro era tutto buio e fresco. Un forte odore di fieno e stalle per cavalli entrò nelle narici dandogli il voltastomaco. Le scarpe dei ragazzi e gli zoccoli del satiro rimbombarono nel pavimento di pietra fredda.
                – Non vedo niente. – sibilò il figlio di Ade. Istintivamente si misero in cerchio per contrastare eventuali attacchi.
                – Sicuro che i tuoi amici siano qui? – chiese Reyna, preoccupata.
Una cosa era certa, non erano soli in quella stanza. Si sentivano dei fiati che non avrebbero potuto appartenere a dei ragazzi.
Una profonda voce nell’oscurità precedette quella di Grover. – Salve stranieri, mostratevi a noi.
                Grover sentì dei movimenti alla sua destra ma continuò a non vedere niente.
                – Sono Grover Underwood, siamo venuti a chiedervi aiuto. – disse lentamente e scandendo le parole una ad una.
                – Underwood? Sei il figlio di Ferdinand Underwood? – chiese la voce.
                – No, sono il nipote. – rispose.
Una risata fragorosa accese le luci della stanza. – È il nipote di Ferdy!
Intorno ai ragazzi c’erano almeno una trentina satiri, ma con le corna molto più grosse che si arrotolavano formando spirali e le zampe molto più simili a quelle dei cavalli che alle capre.
                Uno più adulto degli altri si avvicinò a loro con le braccia aperte: – Allora tu sei Grover! Il vecchio Ferdinand ci parlava spesso di te. Come sta?
                – È stato ucciso da Medusa anni fa’.
                – Quel vecchio pazzo. Sempre a mettersi nei guai. – rise amaramente. – Io sono Nastor, il capo dei Sileni.
                – Sileni? – chiese Nico.
                – Sono come i satiri, ma di rango leggermente inferiore. Sileno era il figlio di Pan e ha creato la sua discendenza qui in Europa. – gli rispose Reyna.
                – È esatto. – disse Nastor indicando la ragazza. – ma preferisco raccontarvi il resto ai piani superiori. Qui c’è sempre molta puzza.
I ragazzi annuirono e lo seguirono attraverso gli altri sileni per una rampa di scale di pietra. Man mano che salivano la luce diventava sempre più quella del sole. Finita l’ultima rampa si trovarono in un porticato grande quanto la stanza sotterranea con una vista sulle vie di Roma.
                – Noi siamo la divisione europea per la ricerca di semidei. – spiegò Nastor spostandosi in una stanza di pietra rosa. – Ovviamente qui ce ne sono molti meno rispetto che da voi, ma anche noi abbiamo il nostro lavoro, soprattutto visto che ci troviamo nelle antiche terre. Qui è molto difficile salvare i ragazzi. – lo disse con un leggero tono di tristezza nella voce. – Dopo di che mandiamo i semidei ai rispettivi campi. Per lo più troviamo romani che greci. Che scortese, accomodatevi pure.
                Nico si appoggiò al muro e Grover e Reyna si sedettero su due semplici sedie di legno dato che oltre a quelle, ad un piccolo tavolino e un letto di paglia non c’era altro.
                – Ma cosa vi porta così lontano da casa? – chiese mordicchiando un filo d’erba.
                – Dobbiamo rintracciare una semidea. – spiegò Grover.
                – Avete un nome, un indirizzo? – domandò.
                – È sicuramente italiana e si chiama Silvia. – rispose Nico.
Nastor fece una brutta smorfia. – Mmh … sarà difficile allora. Non sapete da che dio discende?
                – No. – rispose frettolosamente Reyna
                – Non funziona così. A noi ci serve il luogo o almeno la sua discendenza e poi noi lo rintracciamo. – spiegò dispiaciuto Nastor. – Anche se … ci sarebbe un modo per rintracciarla.
                – Quale? – chiese Reyna.
                – È pericoloso però. Si dovrebbe andare nel Regno dei S-
                – No! – disse Grover con un po’ troppa enfasi e alzandosi dalle sedia con un balzo. – Non se ne parla. È troppo pericoloso. – affrettò a correggersi.
                – Viaggiare nel Regno dei Sogni di Morfeo? – domandò Reyna incredula.
                – Lo usiamo in casi rari. – spiegò Nastor.
                – Questo lo è. – disse Nico.
Grover scosse la testa. I rischi erano altissimi.
                – Va bene. Cosa bisogna fare? – chiese Reyna alzandosi e pronta a tutto.
                – No, no, no. Se vorrete viaggiare nel Regno dei Sogni dovrà farlo lui. – disse indicando Nico. Lui alzò lo sguardo, per niente sorpreso. – Il Regno di Morfeo e gli Inferi sono vicini. Lui è l’unico abbastanza forte per andarci.
Nico si stacco del muro e tenendo l’elsa della sua spada di ferro dello Stige disse: – Cosa bisogna fare?
                – Nico, no. – lo fermò Grover. – Tu non hai neanche idea dei rischi che corri se ti succedesse qualcosa mentre sei con anima, corpo e mente nel Regno dei Sogni.
Il ragazzo lo guardò con aria di sfida.
                – Nico, – si aggiunse Reyna. – Grover ha ragione. Potrebbe essere pericoloso e non avrebbe senso rischiare per così poco.
                – È necessario. E voi lo sapete. – ribadì il ragazzo. – Non mi accadrà niente. Sono più forte di quanto voi possiate credere. – poi si voltò verso Nastor.
– Dimmi cosa devo fare.
                Il sileno annuì grattandosi la folta barba castana. – Hai molto coraggio, ragazzo. In ogni caso, arrivare da Morfeo è molto semplice, devi solo addormentarti. – spiegò per poi girarsi a cercare qualcosa nei cassetti del tavolo. – Il vero problema è tornare.
Prese un sacchetto di stoffa porpora e ne fece uscire una manciata di dracme, e ne diede due nelle mani di Nico. Il ragazzo le fissò attentamente: – E queste a cosa servirebbero?
                – Per entrare da sveglio con anima, corpo e mente dovrai pagare una dracma. Poi, quando sarai pronto per tornare, pagherai la seconda. – disse chiudendo la finestra. – Per trovare la ragazza dovrai concentrarti sul suo nome e su tutto ciò che sai di lei. Sarà difficile all’inizio, i sogni ti giocheranno brutti scherzi. – mormorò mestamente. – Ma un figlio del Signore degli Inferi così potente e antico come te, non l’avevo mai visto.
                Nico abbassò lo sguardo. Grover non sapeva se lo avesse fatto per rancore o per il complimento.
Il ragazzo si avvicinò al letto di paglia e vi si stese sopra. La stanza era già abbastanza buia tranne per dei sottili spiragli di luce provenienti dalle ante della finestra ormai vecchie e piene di buchi.
                Reyna si sedette vicino a lui: – Stai attento.
Lui annuì semplicemente. La ragazza gli mise le sue dracme sugli occhi e, dopo che si fu alzata Nico disse: – Grover, suonami qualcosa.
Grover estrasse a malavboglia il suo flauto. Sì, era preoccupato. Lui sapeva fin troppo bene a cosa andava incontro il ragazzo. Ma non obbiettò più, come aveva detto Nico prima: era necessario. Allora intonò una melodia dolce quasi come un sussurro catapultando il figlio di Ade nel posto dove tutti i suoi incubi sarebbero diventati realtà.
      



Nota dell'autrice: Bonsoir à tout le monde! Sono appena appena appena tornata dal gemellaggio in Francia e sono così triste :( Ma visto che avevo promesso un quarto capitolo eccomi qui, seduta sul letto e con il gatto sui piedi che ronfa. Spero vi sia piaciuto pure questo e ditemi tutto quello che pensate che mi fa sempre molto piacere:)
Domani metterò pure il qiunto così sarette tutti contenti! *nessuno risponde*
Bé, ora è meglio che dorma perchè domani ho scuola *alza gli occhi al cielo sperando di essere rapita da qualsiasi persona durante la notte, perfino un mostro andrebbe bene, DAVVERO!*   
Buona notte a tutti!
un grande abbraccio e un saluto agli déi,
Silvia     
               
 

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Capitolo 5
*** Il Regno Dei Sogni Di Morfeo ***


Il Regno Dei Sogni Di Morfeo


NICO

 


                Quando si risvegliò, era in una terra dove il sopra o il sotto non esistevano.
Tutto intorno a lui si estendeva solo un infinito cielo stellato. Si alzò e si stupì di poterlo fare dato che sotto di lui vedeva solo notte. Cercò di decifrare qualche costellazione, ma erano diverse da quelle che conosceva.
Si guardò intorno stringendo l’elsa della spada. Si tocco la tasca che conteneva la dracma per poter andarsene. Si tranquillizzò un po’ sentendo il tintinnio dell’oro. Ora però doveva concentrarsi sulla missione. Si fermò, regolò il respiro e chiuse gli occhi pensando a ciò che doveva trovare.
                La prima cosa che sentì fu il vento che gli accarezzava violentemente la pelle.
Aprì gli occhi lentamente coprendosi con un braccio e quando capì dove si trovava, per poco non cadde.
Era sul bordo di pietra della tomba di Gea. Sotto di lui un baratro freddo e umido scivolava fino agli abissi del Tartaro. Vide qualcosa risalire lentamente dal profondo buco. Una luce candida che lo chiamava per nome. Sembrava un lumino, ma lui sapeva che era qualcosa di vivo.
Quando la luce gli fu vicina riconobbe l’anima a cui apparteneva. Era Annabeth. I capelli biondi fluttuavano nell’aria, la pelle era di un bianco trasparente ed era circondata da un’aura pallida. Ma la cosa che gli fece più paura erano gli occhi bianchi che riflettevano il volto di Nico.
Gli venne una fitta al cuore per il senso di colpa.
                – Come hai potuto! – sentì gridare da dietro. Si voltò di scatto e vide Percy con la spada in mano e il volto in una smorfia tra il ringhio e il dolore.
Ma gli occhi non erano i suoi, erano velati di una strana pellicola opaca.
                – Percy … – riuscì solo a dire spaventato.
                – Tu l’hai uccisa! – gridò sputando e menando colpi al vento con la spada.
                – No, non capisci, non sono stato io. – cercò di spiegare Nico mettendo le mani in avanti.
Ma Percy caricò e lo spinse nel fondo del baratro.
Nico cadde e cadde e cadde. E mentre sprofondava nell’oscurità sentiva la voce del suo amico che diceva: ‘’Mi fido di te.’’  Il petto gli bruciò.
                Il ragazzo andò nel panico, stava per morire. Serrò gli occhi e cominciò a convincersi che quello non era vero e che doveva trovare la ragazza.
                – È solo un sogno. È solo un sogno. – cominciò a mormorare mentre continuava a cadere. – È solo un sogno. È solo un sogno. – ripeté a voce più alta e più convinto. – È solo un sogno! – gridò infine con tutta l’aria che aveva nei polmoni.
                Improvvisamente tutto si fermò.
                Sentì un rumore, o più che altro un dolce suono. Aprì lentamente gli occhi e la luce accecante del sole lo investì. Si trovava su di una spiaggia e il mare era calmo.
                – Nico! – una voce lo chiamò, ma non poteva essere quella voce. – Nico.
Si voltò lentamente. Bianca, sua sorella, era davanti a lui e gli prese le mani. Non riusciva a muoversi.
Lei era davanti a lui e gli sorrideva. Tante volte aveva sognato quel sorriso che gli era stato tolto troppo presto. Le sue mani erano morbide e delicate, esattamente come se le ricordava.
                – Nico? – lo chiamò ancora Bianca.
                – Perché sei qui? – domandò lui con un nodo alla gola guardandola in quegli occhi neri e così famigliari.
Lei sorrise, un sorriso dolce e sincero: – Dovresti venire anche tu, gli altri ti stanno aspettando.
Si voltò e Nico vide che c’erano tutti: Leo, Frank ed Hazel stavano giocando in acqua con un pallone. Reyna stava sotto all’ombrellone con Rachel. Piper e Jason Stavano facendo una passeggiata mano nella mano sul bagnasciuga. Vide perfino Annabeth e Percy. Erano abbracciati sopra ad un telo e si stavano godendo il tepore del sole.
                Ma non poteva essere vero.
                Tornò a guardare sua sorella – Io … – mormorò lasciandole la mani. – io devo andare.
Il volto di lei si rattristò: – No. Non devi per forza.
                – Sì invece. – ribadì con le lacrime agli occhi. – Devo seguire la missione. Tu e Annabeth siete morte per questo, non posso mollare adesso.
                – Puoi restare qui. – cercò di convincerlo Bianca, avvicinandosi. – Qui puoi essere felice, puoi scegliere tu come continua la tua storia. Puoi stare con me.
                Lei tese la sua mano verso di lui, in attesa che la prendesse.
Fu tentato di stringere la mano di sua sorella, di restare in quel paradiso con lei. Le mancava così tanto il suo sorriso, un suo abbraccio, una sua carezza.
                Ma non era la realtà.
La realtà era che doveva portare a fine la missione, per ricordare perché lei, Annabeth e tutti gli altri erano morti. Per una realtà migliore. Per loro.
                – Questo non è vero. Tu sei solo un’ombra del mio passato. – disse con voce rotta. – E devo lasciarti andare.
                Dopo aver terminato la frase, Bianca iniziò a svanire e a trasformarsi in polvere portata dal vento che spazzò via anche la spiaggia. Nico chiuse gli occhi e si coprì con un braccio.
Si concentrò sull’obbiettivo che doveva raggiungere con tutta la forza che gli era rimasta.
                Quando riaprì gli occhi era ancora in quello spazio pieno di stelle. Cadde a terra.
Pianse, gridò e cercò di alleviare quel bruciore al petto. Non era così forte come tutti si aspettavano. Quel posto si stava prendendo gioco di lui e ci riusciva benissimo. Era stanco e stufo di farsi prendere in giro. Non sarebbe mai riuscito a trovare la ragazza e avrebbe fallito nuovamente. Come sempre.
                – Ehi. – disse una voce davanti a lui.
Non volle guardare. Era stanco dei giochi del Regno dei Sogni. Non avrebbe retto ancora.
                – Va tutto bene? – chiese ancora la voce. Riconobbe un tono  femminile e dolce.
Lui alzò lo sguardo e davanti a se vide una ragazza.



Nota dell'autrice: Giorno a tutti! Ho deciso di mettere subito anche il quinto capitolo visto che sono mancata per molto. Spero vi sia piaciuto ma ho paura di farli sempre troppo corti, AAAAAAH dilemmaaaaaa! Ditemi che ne pensate ;)
Bè, che sarà la misteriosa ragazza? ehehe lo scoprirete forse sta sera o domani:)
Un bacione a tutti quanti davanti al prorio computer o con il telefono in autobus,
la vostra sempre fidata,
Silvia 

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Capitolo 6
*** La Ragazza Dei Sogni ***


La Ragazza Dei Sogni

NICO

                – Va tutto bene? – gli chiese ancora in italiano. Nico era un po’ arrugginito, ma sapeva parlarlo abbastanza bene da farsi capire.
                – Sì. – rispose asciugandosi le lacrime con la manica del giubbotto.
                – Perché piangevi? – gli domandò.
Nico la guardò. Che differenza avrebbe fatto? Lei era solo un’altra ombra o un’anima che stava sognando.
– Perché faccio solo del male alle persone.
                Lei lo studiò. – Mmh …. Non mi sembri il tipo di persona che potrebbe fare del male.
Nico non capì, ma non poteva restare ancora. Si alzò e fece per andarsene.
                – Scusa, ma dove siamo? – chiese lei prima che il ragazzo scappasse.
                – Nei tuoi sogni. – si limitò a dire sbuffando. – E io non dovrei esserci.
                – Perché? – chiese lei curiosa.
                – Perché tu non sei la persona che cercavo e … – lei si avvicinò di più a Nico, così lui poté vedere quanto quella ragazza assomigliava a Percy.
Certo, i capelli castani e gli occhi verde scuro screziati di marrone non erano ciò che li accomunava, ma i lineamenti del viso, erano gli stessi. Forse non avrebbero potuto essere fratelli, ma cugini o qualcosa giù di lì, sicuramente.
Pensare a Percy gli faceva male. Ora lui lo odiava e pensò che la loro amicizia fosse rovinata per sempre. Quando gli aveva confessato ciò che aveva provato per lui, Percy non si arrabbiò. Chiarirono tutto visto che ormai il figlio di Ade non provava più niente per il ragazzo.
                – Va tutto bene? – disse lei sorridendo visto che lui la fissava con gli occhi spalancati. Avevano pure lo stesso sorriso, notò Nico.
                – No … ehm, forse. Cioè … sì. – balbettò cercando di distogliere lo sguardo.
Lei emise un risolino per il suo strano comportamento: – Potrei sapere come me ne posso andare di qui? Non perché tu mi stia antipatico, ma mia mamma si arrabbierebbe parecchio se quando torna a casa non mi vede a studiare.
                – Come hai fatto a venire qui? – le chiese Nico.
                – E questo ‘’qui’’ precisamente sarebbe … ? – domandò lei.
                – Il Mondo dei Sogni. – spiegò lui sbrigativo.
                – Sembra proprio il Regno dei Sogni di Morfeo. – disse lei alzando gli occhi verso l’alto e respirando lentamente. – Non che io l’abbia mai visto, ma l’ho sempre immaginato così.
                – Già … – quella gli sembrava una pazza. – Dunque come sei arrivata qui?
                – Sei tu che mi hai chiamata, non ti ricordi? – spiegò lei. – Ero in camera mia a studiare tranquillamente … – poi fece una strana smorfia torturandosi l mani. – okay, in verità non stavo studiando, ma ho sentito una voce nella testa che mi chiamava per nome e di botto mi sono ritrovata qui. La voce era la stessa tua.
                – È molto strano. – borbottò fra se e se.
                – Non sei italiano vero? – chiese lei distogliendolo dai suoi pensieri. – Per carità, lo parli molto bene, ma il tuo accento ti tradisce ogni volta. Di dove sei? Inghilterra? Ma dall’accento mi sembri più americano.
Nico pensò che quella non la smetteva più di parlare. – America. Ma ho vissuto a Venezia quando ero piccolo.
                – Venezia? Stupendo. Non è molto lontano da dove abito. Circa 30 minuti di macchina. – ridacchiò lei. – Se vuoi posso parlarti in inglese.
                – È meglio se ritorni a casa. – tagliò corto Nico.
                – Andiamo, non  ti diverti a parlare con me? – disse in perfetto inglese. – Scherzo, non voglio darti fastidio. Allora, cosa devo fare per tornare a casa?
                – Penso tu debba solamente chiudere gli occhi e pensare a casa tua, ti risveglierai lì. – disse ricordando quello che gli aveva detto Grover.
                – Va bene.
Nico annuì semplicemente e chiuse gli occhi nuovamente per cercare la semidea.
                – Aspetta. – lo deconcentrò lei.
Lui alzò gli occhi al cielo, stufo di quella ragazzina: – Cosa?
Lei alzò la mano. – È stato un piacere conoscerti … ehm, non so il tuo nome.
                – Non è importante.
                – È stato un vero piacere, ‘’non è importate’’. – ringraziò tenendo la mano alzata.
Lui non sapeva se stringerla o no. La guardò pensando che non lo stava tentando come Bianca prima, non la conosceva nemmeno. Alla fine lo fece.
                Nel momento esatto in cui le loro mani si toccarono Nico vide tutto ciò che non si sarebbe mai aspettato da una ragazza come lei.
Vide che era orfana e che due mortali l’avevano trovata sulla soglia di casa decidendo di accoglierla come figlia loro.
Vide la sua vita: la scuola che era troppo stretta per lei, i professori che la ritenevano iperattiva e troppo distratta per un liceo, i genitori che la mandavano da psicologi per capire quale fosse il problema della loro figlia, le sue compagne che la ritenevano sbagliata, diversa, non all’altezza.
Vide l’icore divina che scorreva dorata insieme al sangue mortale nelle sue vene. Vede il potere della terra, di Gea, che si scatenava dentro di lei, che urlava di voler uscire.
                Si staccò dalla sua stretta, barcollò e cadde all’indietro. Affannava in cerca d’aria e sudava.
                – Tu … – mormorò lei toccandosi la mano con cui aveva stretto la sua. – Avevi una sorella.
Nico non riusciva a parlare.
                – Che le è successo? Perché è morta? – lei lo guardò preoccupata. – Ti senti bene? Sei tutto bianco.
                – Come ti chiami? – le chiese lui con il fiato corto non badando alla sua domanda.
                – Silvia.
E scomparve.



Nota dell'autrice: Boungiorno a tutti, oggi non sto benissimo...è una giornata un po' di merda... ma volevo mettere il sesto capitolo a tutti i costi:) Spero vi sia piaciuto.
Perdonate la freddezza, davvero, mi dispiace.
un grosso abbraccio a tutti,
Silvia
 

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Capitolo 7
*** La Figlia Di Gea ***


La Figlia Di Gea

SILVIA

                Erano le 17:15 e Silvia aprì gli occhi di scatto.
Si mise seduta e si guardò intorno. Era in camera sua, sul suo tappeto beige. Era stato tutto un sogno?
                Sua mamma entrò improvvisamente nella stanza: – Che stai facendo seduta per terra? 
                – Ehm … controllavo se il tappeto fosse pulito e … – fece finta di prendere un pelucco e di esaminarlo. – sì, è pulito.
Sua mamma la guardò dubbiosa, poi sbuffò e chiuse la porta. Silvia tornò a respirare normalmente.
Si guardò le mani e le venne in mente lo strano sogno che aveva fatto poco prima.
Quel ragazzo … Nico, le era sembrato così vero. Ne era sicura. Lei l’aveva visto, aveva parlato con lui e gli aveva stretto la mano.
Quando è successo aveva visto una ragazza e lui da piccolo. Lei lo chiamava per nome da sotto ad un grosso rottame e lui piangeva. Poi aveva visto lui che parlava con il suo spirito.
Era stato tutto così strano.
                Si alzò dal tappeto e si sedette alla scrivania. Fissò il tavolo e dopo qualche minuto  prese un foglio bianco e una matita. Disegnò tutto, tutto quello che riusciva a ricordarsi, non voleva dimenticare niente. Quando lo spazio finì passò ad un altro foglio e continuò così fino all’ora di cena. Le mani affusolate, gli occhi profondi, i tratti del viso affilati e taglienti, la pelle chiara, i capelli neri come la più buia delle notti, tutto quella che riusciva a ricordarsi lo fissava sulla carta. Era stato troppo bello. Si era sentita, per la prima volta, nel posto giusto.
                Dopo cena si stese a letto e guardò il soffitto  sopra di lei. Era tutto buio ma cercava qualcosa anche nell’oscurità. Cercava il suo sguardo. Chiuse gli occhi e pensò più intensamente possibile a quel ragazzo. Forse sarebbe riuscita a sognarlo ancora. E si addormentò con un sorriso sulle labbra.
 
                La mattina dopo non era cambiato nulla. La sveglia suonò e lei non aveva sognato un bel niente. Si alzò, come sempre, a malavoglia. Non voleva andare a scuola.
Ma eccola lì, a camminare fino alla fermata dell’autobus e poi seduta al suo banco infondo alla classe, da sola e completamente fuori posto. Finalmente il professore entrò in classe e le sue compagne smisero per un secondo di parlare come un branco di oche, per poi ricominciare, ma sottovoce. Pensava sempre di essere l’unica sedicenne a non avere nessuno con cui parlare.
Guardò fuori dalla finestra, desiderando di essere lì fuori, magari trasportata dal vento.
Aveva sempre sognato volare. E ci provava ogni volta che poteva. Chiudeva gli occhi, controllava il respiro, distanziava leggermente le braccia dal corpo, si concentrava sulla forza di gravità, cercava di annullarla e provava a staccarsi dal suolo, provava ad immaginare i suoi piedi che si alzavano e che fosse riuscita a librarsi nel cielo. Ma sulla punta delle dita, percepiva, quasi impercettibilmente, un peso. Una catenina di ferro che parte dalla punta di ogni dito e arriva al suolo, bloccandola. E ogni volta che ci riprovava era sempre più dura e resistente.
                Non poteva scappare.
                – Fammi copiare i compiti di latino.
Tornò con la mente alla realtà. Fissò Arianna, la ragazza del banco davanti a lei che le aveva parlato.
                – Col cazzo. – rispose semplicemente.
La ragazza dai capelli biondo grano la fissò indignata: – Come prego?
                – Non è colpa mia se sei ignorante. Non ti faccio copiare proprio niente, anzi, spero che il prof ti dia una nota. – era sempre così. Andava bene in poche materie: biologia, latino e ginnastica. Per il resto era un disastro. Latino era la materia che risultava più difficile alle sue compagne (anche se lei non capiva perché), così ogni volta le chiedevano se potevano copiare i compiti o se poteva aiutarle durante le verifiche. Ovviamente Silvia le mandava a quel paese.
                – Ti conviene stare zitta, visto che non sono io che rischia di essere bocciata ogni anno. – rispose a tono Arianna. – E ora dammi il quaderno.
                – Vieni a prendertelo. Brutta figlia di …
                – Va tutto bene, lì infondo? – chiese il professore interrompendo la lezione.
                – Sì. – sbuffò Silvia.
Lei era così. A volte poteva essere la persona più mite e dolce del mondo, ma se veniva provocata poteva esplodere come un terremoto e travolgere chiunque le stesse intorno. Viveva in costante contrasto con stessa, come se dentro di lei vivesse un’altra anima che a volte prendeva il sopravvento.
Dopo altre tre ore, la campanella della ricreazione suonò.
Uscì nel cortile affollato di ragazzi e si sedette in un piccolo spazio d’erba. Le giornate erano ancora calde e il tepore del sole sui vestiti la rinvigorì.
                – Ehi. – un gruppo di ragazzi di quinta si stava avvicinando a lei. Tra loro c’era anche Arianna, avvinghiata ad un ragazzo più grande.  – Perché non dai i compiti di latino alla mia ragazza?
                – Dammi un motivo decente e lo faccio. – disse Silvia cercando di controllare la rabbia che cominciava già a montare.
                – Perché è la mia ragazza. – e Arianna fece un risolino.
                – Aspetta, fammi pensare …  Non credo proprio. – rispose tranquilla lei.
                – E se io ti costringessi? – due ragazzi la presero per le braccia e la costrinsero ad alzarsi.
Lei rimase tranquilla, anche se dentro stava esplodendo: – Neanche in quel caso.
Scoppiarono in una fragorosa risata: – Io credo di sì. – il ragazzo più grande si avvicinò e le fece cadere i libri che teneva in mano.
                – Raccoglili, sfigata. – le ringhiò Arianna.
Silvia inspirò ed espirò il più lentamente possibile. Sentì il suo cuore che pompava troppo velocemente sangue nelle vene. Si abbassò per raccogliere i libri che erano caduti, poi si rialzò, fissò il ragazzo davanti a lei e gli tirò fisica quantistica in piena faccia.
Lui per poco non cadde a terra.
                – Ora, gentilmente, levatevi dalle scatole. – disse Silvia.
                – Ma sei impazzita?! – gridò Arianna con quella sua orribile voce. – Potevi prendergli l’occhio!
                – Pur troppo avrà solo un grosso livido. – aggiunse Silvia sorridendo.
                – Preside! Preside! Venga qui! – urlò Arianna. – Ora sei finita.
Il sorriso di Silvia si smorzò. Era vero.
 
                A casa non aprì bocca sull’accaduto. Era stata nell’ufficio della Preside per la seconda volta dall’inizio della scuola. Rimaneva in quella scuola solo perché la Preside era la sorella di sua mamma.
No, non era sua zia, perché sua mamma non era la sua vera mamma, per cui lei non era la sua vera zia.
                – Tutto bene a scuola, tesoro? – aveva chiesto lei quando era tornata a casa.
                – Sì. – rispose. Poi scappò in camera.
Sentì i genitori che parlavano: – Mi ha chiamata Chiara oggi. – aveva detto sua mamma riferendosi alla preside. – Mi ha detto che ha picchiato un ragazzo di quinta superiore a ricreazione.
                – Forse dovremmo rimandarla dalla psicologa. – propose suo papà.
                – No, dopo potrebbe ricominciare a fare quelle cose orribili.
Silvia iniziò a piangere. Sua mamma si riferiva a quando, alle medie, aveva quasi ucciso un suo compagno di classe. Lui la prendeva in giro perché era appena stata dalla psicologa e le dava della pazza. Lei si era arrabbiata e lui si era ritrovato a terra con due costole rotte. La cosa peggiore è che lei non si ricordava di averlo neanche toccato. Non avrebbe mai voluto fargli del male. Ma a volte le capitava di perdere il controllo senza accorgersene. E si odiava per questo.
 
                Passarono giorni infernali dopo quel sogno così vivido. Le aveva dato una speranza, ma ora pure quella stava scemando. Venerdì sera andò a letto più velocemente possibile. Voleva dormire, così non poteva più pensare a quanti casini avesse fatto.
                – Torniamo tardi. – le dissero i suoi genitori prima di uscire di casa.
Lei non ascoltò neanche e si mise sotto alle coperte per addormentarsi.
Si domandò se avrebbe mai potuto rivedere il ragazzo del sogno. In certi sensi le dava un po’ di sollievo pensare che magari avrebbe potuto rincontralo quella notte. Si addormentò pensando a lui.



Nota dell'autrice: Buona giornata, gente di mondo! Ringrazio tutti quelli che mi hanno segiuta fino a qui, sono davvero contenta e chiedo ancora grazie ad ognuno di voi!:) Bé, vi presento la ''Figlia di Gea''!!! Sì, ha il mio stesso nome. No, non soffro di manie di protagonosmo. Sì, spero che un giorno capiti a me questa storia. No, non fate domande. 
Un bacio a tutti voi!
Silvia

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Capitolo 8
*** Un Nuovo Arrivo Sull'Argo II ***


Un Nuovo Arrivo Sull'Argo II

NICO

                Erano tre giorni che osservavano la figlia di Gea dalla nave, aspettando il momento giusto per scendere a prenderla.
Ed erano tre giorni che sentiva la sua voce nella testa. Sentiva i suoi pensieri, che ripensava spesso al loro incontro e che avrebbe voluto tanto rivederlo.
                – Nico. – Reyna lo stava chiamando. – Ci stai ascoltando?
                – Eh? Oh, sì. Puoi ripetere l’ultima frase? – chiese scacciando quei pensieri.
                – Stiamo decidendo chi dovrebbe scendere a prenderla. – spiegò Grover che lo stava fissando in modo strano da quando erano partiti da Roma.
                – Nico va sicuramente – disse Frank.  – e Piper va con lui. La sua lingua ammaliatrice potrà servire.
                – Vengo anche io, qualcuno dovrà immobilizzarla. – aggiunse Jason alzandosi.
                – Immobilizzarla? – chiese Hazel stupita. – Non penso sia pericolosa.
                – La conosci? No, per cui Jason tu vai e se fa qualcosa di sospetto la immobilizzi. – sbottò Leo.
Hazel si ammutolì.
                – Andiamo questa notte. Appena i suoi genitori se ne saranno andati. – disse Piper. – Prepariamoci per tornare a casa.
Tutti si alzarono dalle sedie intorno al tavolo della mensa, ma prima che Nico uscisse dalla stanza, Grover lo fermò. Aveva lo sguardo preoccupato: – Nico, volevo chiederti una cosa, a proposito di quello che è successo a Roma.
                Lui annuì.
                – È cambiato qualcosa da quando hai viaggiato nel Regno dei Sogni di Morfeo? Da quando hai visto la semidea? – Grover aveva gli occhi fissi nei suoi.
                Lui annuì ancora.
Il satiro si allontanò leggermente da lui: – Devo dirti un paio di cose. – disse mestamente. – Ho paura che tu sia in pericolo.
 
                Dopo la chiacchierata con Grover, Nico si era spostato sul ponte, dove Piper e Jason lo stavano aspettando. Aveva lo sguardo vuoto, Grover gli aveva detto qualcosa che non si aspettava.
Leo fece un cenno con la mano per indicare che i genitori avevano lasciato la casa e che aveva spento le luci. Nico chiuse gli occhi e lasciò che l’oscurità li trasportasse nel camera della casa della semidea.
Stava dormendo. Era strano vedrla in quella situazione. Lui avrebbe dovuto fare il primo passo e, visto che non c’era un vero e proprio piano, accese semplicemente la luce e aspettò che lei lo vedesse.
                Lei si svegliò e quando vide due sconosciuti nella stanza si attaccò al muro dietro al suo letto. Piper e Jason la fissarono stupiti e spaventati allo stesso tempo, si erano appena accorti che era identica a Percy.
                – Chi siete? – chiese in italiano. Poi vide anche Nico. – Tu … sei reale.
Lui annuì abbasando il capo.
                – Ciao Silvia, siamo qui per aiutarti, ora vieni con noi. – disse Piper con la lingua ammaliatrice.
Silvia si mise le mani sulle orecchie e strizzò gli occhi: – Vi prego fatela smettere!
Piper rimase stupita. Nessuno aveva mai detto una cosa simile sentendo la sua voce: – No, siamo qui per salvarti, vieni con noi. – riprovò la ragazza con più convinzione.
                – Seriamente! Mi stai trapanando i timpani! – gridò più forte la semidea.
                – Nico cosa facciamo? – chiese il figlio di Giove, spiazzato.
Ci pensò un po' su. forse avrebbe potuto farla ragonare.
Lui lo guardò come per dire: lasciatemi provare. Così Jason e Piper si spostarono nel terrazzo, lasciandoli soli.
Camminò fino al centro della camera. Non era troppo grande, ed era tappezzata di disegni di qualsiasi tipo, ma la maggior parte riguardavano la mitologia greca. Era destinata a quella vita.
I vestiti erano ovunque e l’ordine non regnava, poi vide il muro dove era appoggiata la ragazza. Era colmo di fogli che rappresentavano le sua mani, i suoi occhi, la sua maglia, la spada e Bianca. Si avvicinò.
                – Li ho fatti per non dimenticare. – gli spiegò lei.
                – Chi vorrebbe ricordare certe cose? – mormorò fissando un disegno che rappresentava la morte di Bianca.
                – Dipende dai punti di vista. – ribadì lei. – Quando ti ho incontrato mi hai dato una speranza.
Nico non riusciva a capire come avrebbe potuto dare speranza, visto che dove andava portava solo morte.
                – Chi sei veramente? – chiese la ragazza. – Questo è un altro sogno?
Nico si voltò a guardare verso il terrazzo dove Jason e Piper lo stavano aspettando: – No, non lo è. Ora non posso spiegarti tutto per filo e per segno, ma nel posto dove ti porteremo potrai trovare delle risposte a molte domande. Per ora ti basta sapere che gli déi dell’Olimpo sono veri e che ti stanno cercando. – Nico temeva di dire troppo e di metterla in pericolo, ma l’istinto gli diceva che la sincerità era la chiave per guadagnarsi la sua fiducia. – È per questo che devi venire con noi. Noi ti porteremo in un posto sicuro.
                – E dopo esser andata in questo misterioso posto, devo tornare a casa? – chiese la semidea.
                – Quando la minaccia sarà finita, sì, se vorrai. Oppure puoi restare e, personalmente, forse ti piacerà molto più quel posto che qui. – Nico si ricordò quando aveva deciso di rimanere al Campo.
Non sapeva che reazione aspettarsi, per cui rimase sorpreso quando la ragazza si alzò e disse semplicemente:  – Farà freddo o caldo?
                – Um … caldo. – rispose.
Poi la ragazza gli si avvicinò, ma era direzionata all’armadio dietro a lui. Lo aprì e dal ripiano più alto prese una vecchia borsa che riempì con tre maglie, la biancheria (cosa che Nico evitò di guardare), un paio di pantaloncini corti e una bottiglia d’acqua. Poi si cambiò tranquillamente davanti a lui togliendosi il pigiama e mettendosi una maglietta a maniche corte nera con su critto Ade in greco, dei jeans corti e delle scarpe de ginnastica. Prese un singolare ciondolo dal tavolo e fissò Nico: – Possiamo andare.
                – Sarai al sicuro con noi. – disse Jason dalla finestra.
                – Quello è il meno. Io voglio solo andarmene da qui. – disse seria camminando verso il terrazzo. Quando fu fuori tirò un respiro profondo. – Dunque, dove si va?
Jason prese Piper per un fianco sorridendo e si alzarono in volo verso la nave.
                – Loro hanno appena … – ma la ragazza non riuscì a terminare la frase perché Nico l’aveva già ricoperta di ombre. – … preso il volo?! – finì la frase a bordo della nave dove gli altri semidei li avevano già accerchiati.
Il volto della ragazza era un misto di terrore ed eccitazione.
                – Benvenuta sull’Argo II, figlia di Gea. – la salutò per primo Leo.



Nota dell'autrice: 'Giorno Gente! Eccovi l'ottavo capitolo con l'arrivo della semidea sulla nave wiiiiiiiii :D 
Ah! Una cosa che forse non vi importerà più di tanto: STA SERA VADO A VEDERE INSURGENT!!!!!! *urla internamente perchè i suoi genitori sono nell'altra stanza*
il trailer mi ha parecchio delusa.... qualcuno mi spiega, per gli déi, che cazzo è quella scatola di merda!?!?!?!? Ma DOVE!? Ma QUANDO?! Io non capisco....
Bè...... non ho altro da dire.......quindi............CIAO!
e alla prossima puntata;D
(suonava meglio nella mia testa)
un bacione
Silvia
 

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Capitolo 9
*** Nuova Vita ***


Nuova Vita


SILVIA
               


               Silvia era affacciata al parapetto ovest. Sotto di lei le città italiane riposavano inconsapevoli che una nave stava solcando quei cieli. Era buio e si vedevano solo le luci delle metropoli più grandi insieme alle poche macchine che viaggiavano spedite sulle autostrade mezze vuote. Tirava un forte vento sul ponte, ma a lei non dava affatto fastidio. Alzò il volto per farsi scompigliare i capelli.
                Si trovava a poppa dell’Argo II, la nave volane che, a quanto pareva, trasportava un satiro, otto semidei e lei: la figlia di Gea.
Dopo il colloquio approfondito con Grover, il satiro di qualche anno più vecchio di lei (anche se lui aveva detto di avere 38 anni), aveva scoperto che la sua cara madre biologica, la dea della terra, Gea, Madre Terra o con qualsiasi altro nome vogliate chiamarla, ha distrutto le vite di quei ragazzi e di tutti i semidei per gli ultimi due anni. Gea si are risvegliata per distruggere il mondo e quesi ragazzi sulla nave erano riuscivi a fermarla in tempo. poi hanno scoperto che lei aveva creato una progene per continuare il suo piano. 
Silvia non capiva. Non aveva mai conosciuto i suoi genitori, ma li immaginava morti, non degli déi dei miti greci.
                – Non puoi non avere un padre mortale. – le aveva detto Grover ad un certo punto.
                – Se ce l’ho non l’ho mai conosciuto. – ammise lei senza problemi. Silvia era certa che suo padre a casa non era quello biologico. era troppo diversa da lui.
Tutti gli altri ragazzi l’avevano squadrata da cima a fondo. Specialmente un ragazzo più vecchio con i capelli neri scompigliati e gli occhi verde mare.
                Semidei, per l’esattezza. Ragazzi nati dall’unione del loro padre o della madre mortale con uno degli déi dell’Olimpo. Che poi dipendeva in quale forma il dio si presentava, se quella greca o romana. Perché c’erano i semidei greci e romani. Come Jason, lui era figlio di Giove, non di Zeus. Quel ragazzo alto e biondo che era piombato in camera sua con Nico e quell’altra ragazza davvero carina ma con una voce così fastidiosa. Piper, si chiamava così. Lei era figlia di Afrodite, ovviamente. O di Venere?
C’era troppa confusione nella sua testa. Quello che tanto le piaceva studiare a scuola, ora era diventato realtà.
                Lei voleva solo scappare. Voleva solo trovare una vita migliore di quella gabbia in cui era rinchiusa. Non complicarsela ulteriormente. Si era fidata di Nico perché le stava offrendo un’opportunità di andarsene finalmente.
Ora erano diretti verso il Campo Mezzosangue, dove avrebbero deciso cosa farne di lei. Era scappata da casa per sentirsi libera, ma si sentiva più in trappola di prima.
Leo, un ragazzo che parlava anche lo spagnolo, con capelli ricci, la pelle abbronzata e il naso stretto da elfo, l’aveva portata alla sua cabina. A lei sembrava più una stalla che una camera, ma non disse niente. C’era un letto e a lei bastava quello. Non gli era sembrato molto amichevole quel ragazzo. Nessuno le era sembrato tanto amichevole su quella nave. Si sentiva un’intrusa. Loro si conoscevano da molto tempo e lei era piombata nelle loro vite.
                Si voltò a sinistra e vide Leo al timone. Grover le aveva detto che l’aveva costruita lui quella nave. Era figlio di Efesto, dopotutto. Quando le aveva detto che parlava spagnolo, lei aveva cercato di conversare con lui, visto che conosceva la lingua, ma lui l’aveva guardata stupito e poi si era incupito più di prima.
Oltre a lei e a Leo non c’era nessun altro sul ponte. Tutti erano nelle loro cabine a dormire un po’.
                Poi un luccichio l’attirò. Alzò gli occhi e vide una figura scura appollaiata in cima all’albero maestro. Curiosa, si avvicinò e decise di salire a controllare. Si appigliò alla rete e si arrampicò. Si stupì della fortìza che possedeva nelle braccia. Tutte quelle ore di ginnastica a scuola, alla fine, erano servite a qualcosa. Sorrise al ricordo della sua professoressa che urlava come una forsennata di correre più veloci. Le sue compagne ovviamente non si impegnavano minimante, ma visto che era una delle poche materie in cui andava bene, lei cercava sempre si dare il massimo. Salì fino ad arrivare ad una piattaforma di legno abbastanza grande per due o tre persone. C’era Nico.
                Il vento gli scompigliava i ribelli capelli neri come quelle notti senza luna.
                – Posso? – gli chiese indicando il posto vicino a lui.
Lui le rivolse un’occhiata veloce e poi annuì. Lei sorrise sollevata, era l’unico in quella nave che le stesse davvero simpatico.
                – Wow, è bello alto qui. – osservò sistemandosi vicino a lui.
                – Qui almeno sono solo. – disse, sovrappensiero.
                Lei annuì tristemente, sentendosi anche con lui un’intrusa. Alla fine non lo conosceva neanche.
Rimasero in silenzio per diversi minuti, ad ascoltare il vento caldo sulla pelle e a contemplare quel cielo senza nuvole. Era il momento che preferiva di più, la notte. Quando è così buio da poter vedere anche le stelle più lontane. Sentiva uno strano senso di calma e di appagamento che adorava.
                – È strano. – disse infine lei.
                – Che cosa?
                – Sono una semidea, no? Come te, come voi?
                – Sì. – rispose Nico.
                – E allora perché ho questa sensazione di non centrare niente … – non era una domanda. Lasciò quel pensiero sospeso sopra le loro teste.
Ci fu un’ulteriore pausa fra di loro.
                – Perché quella maglietta? – chiese Nico cambiando argomento.
                – Questa? – disse guardando quella che indossava. – C’è scritto Ade in greco. Mi considererai una pazza, no?
                – Perché?
                – Fra tutti Ade è il dio più … oscuro, se si può dire così. Ma a me è sempre piaciuto. Mi ritrovo spesso in lui. – confessò senza problemi.
Nico alzò lo sguardo verso il cielo e poi la guardò.
                – Tu non sai chi è il mio padre divino, vero? – le chiese.
                – No, non me l’hai mai detto.
Il ragazzo si schiarì la voce. – Ade. Mio padre è il signore degli Inferi. – ammise Nico in uno sbuffo.
La reazione di lei lo stupì parecchio: – Sì bè, era plausibile come risposta. – rispose sorridendo.
Lui scosse la testa.
                – Dovrei aver paura di te? È questa la reazione che ti aspettavi? – chiese lei ironicamente.
                – Diciamo che non sono la migliore persona con cui parlare, qui sulla nave. – disse lui, in tono serio.
Ma questo non demoralizzò lo spirito della ragazza.
                – Ah, non ci credo. – disse sorridendo ancora.
Stava andando tutto bene, Silvia finalmente era riuscita ad ambientarsi un po’ meglio, quando degli allarmi, come quelli antincendio, cominciarono a suonare all’impazzata e per poco, dallo spavento, non cadde dalla piattaforma. Se non fosse stato per Nico, lei sarebbe stata una frittella di semidea.



Nota dell'autrice: Ehi Ehi Ehi! Buongiorno a tutti voi:)
Ma quanto è dolce Nico? E' il mio amore segreto (si era capito vero?)
Bé buona lettura e a domani!;)
un bacio
Silvia
 

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Capitolo 10
*** Diventiamo Improvvisamente Prigionieri Di Una Nave Pirata ***


Diventiamo Improvvisamente Prigionieri Di Una Nave Pirata

HAZEL
             
  Il vento caldo le scompigliò i capelli color caramello.
Hazel era appena salita sul ponte a cercare Nico e quando l’aveva visto in compagnia di quella nuova, decise di andare a parlare un po’ con Leo.
Erano giorni che non dormiva e voleva solo condurre la nave. Forse lei sarebbe riuscita a farlo ragionare o perfino a palare con lui.
                – Ciao Leo. – gli disse avvicinandosi lentamente al ragazzo. I capelli ricci ormai erano cresciuti parecchio e nascondevano le orecchie da elfo. I lineamenti si erano induriti, come se il vento li avesse scolpiti, dandogli un’espressione perennemente decisa e concentrata.
                – Come stai? – chiese ancora visto che non rispondeva.
I suoi occhi si staccarono per un secondo dall’orizzonte per poi tornare fissi: – Tutto bene. – rispose, ma i cerchi neri e profondi sotto agli occhi lo smentivano.
                – È tanto che non parliamo. – disse Hazel avvicinandosi ancora. – Tu non parli da tanto. – ammise a voce bassa, mettendogli una mano sul braccio. In effetti Leo aveva praticamente smesso di vivere da quando tutto era finito. Dedicava tutto il giorno e la notte alla nave, non aveva altro in testa.
                – Io vorrei aiutarti.
Per un attimo qualcosa cambiò nello sguardo di Leo. Non era più vuoto. Abbassò la testa e mollò lentamente il timone mettendo la guida automatica.
                – Sì. Ho bisogno di parlare. – disse andando a sedersi sul parapetto, mentre si strofinava gli occhi arrossati. Hazel gli si avvicinò.
                – Non mi hai mai detto cosa ti è successo quando Chione ti ha spedito chissà dove. – disse lei dolcemente mettendogli una mano sulla spalla. stava parlando di quando, duranti il viaggio fine alle Porte della Morte, si erano scontrati con Chione e i suoi due fratelli, la dea della neve, figlia di Borea. lei lo aveva spedito in un luogo di cui non aveva mai parlato.  – Sei cambiato da quando sei tornato.
                Sembrava che Leo stesse per dirle tutto. infatti aprì la bocca per prender fiato, quando le torce si spensero con un colpo di vento. Ci fu solo silenzio e buio.
                – Non dovrebbe mai spegnersi il fuoco delle torce. – bisbigliò Leo. – Qualcuno deve esser ...
Fu fermato dagli allarmi della nave che scattarono.
Leo si lanciò al timone a controllare il radar. Intanto gli altri ragazzi si precipitarono sul ponte.
                – Non vedo niente! – urlò cercando di sovrastare il rumore.
                – Leo spegni quegli affari! – gli gridò Reyna dal ponte.
                Improvvisamente cessarono.
                – Grazie. – fece lei.
                – Non ... non sono stato io … – balbettò lui. 
Qualcuno era slaito a bordo della nave.
Metà delle torce si riaccesero.
Una figura cadde dal cielo, atterrò al centro del ponte e per poco non lo sfondò. Si addrizzò, facendo intendere di essere una persona. Tutti i semidei che erano lì l’accerchiarono con le spade alzate. Lei rise e a lenti passi si avvicinò ad un fioco fascio di luce lancianto da due torce.
                Portava stivali alti con un pugnale nascosto in quello sinistro e una camicia lilla, ormai sgualcita, che traspariva da sotto il gilè di pelle nera. Alla vita aveva una grossa cintura e una sciabola che le scivolava sui fianchi formosi. Un largo cappello nero da pirata con una piuma rosso sangue le copriva il volto, ma lasciava cadere i lunghi capelli castani, quasi dello stesso colore di quelli di Hazel, in una treccia laterale. Al collo e ai polsi portava vistosi braccialetti e collane piene di ciondoli e pietre preziose che tintinnavano al suo passaggio. La sua bocca carnosa, tinta di un rosso acceso in contrasto con la pelle bianca come il latte, era storta in un sorriso maligno.
                Quando alzò lentamente la testa, gli orecchini tintinnarono e due occhi scuri a mandorla stavano fissando Hazel, le perforarono l’anima rubandole il respiro.
                – La tua nave, Leo Valdez. – disse la ragazza. – Ora è mia.
Dopodiché un gruppo di tozzi pirati coprirono il volto di Hazel con un sacco puzzolente, senza neanche darle il tempo di tirare fuori la spada.
 

Quando le sfilarono il sacco ringraziò gli déi per poter respirare finalmente dell’aria pulita. Cercò di alzarsi, ma era legata con una corda spessa e ruvida all’albero maestro di una nave che non conosceva. Si voltò a destra e a sinistra e vicino a lei vide Leo e Piper. Anche tutti gli altri loro erano legati intorno al palo. Tutti, tranne Nico. Tirò un sospiro di sollievo pensando che almeno lui avrebbe potuto salvarli.
Intorno a loro, degli omacci pieni di tatuaggi e piercing, camminavano in cerchio, ridacchiando e sputando.
                – Cosa abbiamo preso oggi? – sbraitò uno con i denti tutti d’oro e un tatuaggio a forma di cuore con scritto dentro ‘’io amo la mia mamma’’.
                – Un gruppetto di ragazzini impauriti che credono di essere i padroni dei cieli. – sputò un altro con un disegno di una piovra che gli risaliva tutto il braccio.
                – Déi, che schifo. – bisbigliò Leo con la faccia schifata.
                – Come hai detto, mostriciattolo? –gli ringhiò in faccia quello con i denti d’oro.
                – Leo. – cercò di fermarlo Hazel.
                – Che. Schifo. – scandì lui, senza paura. Ottimo, ora erano spacciati.
L’uomo alzò un braccio per mollare uno schiaffo in piena faccia a Leo quando si udirono dei passi salire dalla stiva. Tutti tacquero e il pirata rimase fermo con la mano alzata.
                – Va bene che siamo pirati, Cadmus, ma non trattare male i miei ospiti … – disse la ragazza avvicinandosi a Leo. – … per adesso.
La ciurma ridacchiò. Hazel guardò Leo che fissava con uno sguardo accusatorio la ragazza. Non riusciva a capire come mai ce l’avesse così tanto con lei. Forse perchè aveva rovinato la sua nave.
                Lei fece un cenno con la testa: – Portatemelo.
                – Sì, capitano. – obbedì Cadmus, e con l’aiuto di un altro pirata slegarono Leo e lo portarono al cospetto del loro capitano. I pugni del ragazzo erano così stretti che le nocche erano tutte bianche e gli occhi fulminavano la ragazza ogni secondo di più.
                – Dunque, la mia nave, l’Achlys, non è di tuo gradimento? – bisbigliò il capitano con la voce maliziosa e tagliente. Leo all’inizio non rispose, rimase semplicemente a fissarla.
                – Rispondi al capitano, mozzo! – gli sbraitò contro Cadmus dandogli una gomitata sulle costole. Leo gemette.
– Ehi, femi! – gridò Hazel cercando di slegarsi per aiutare l'amico.
il ragazzo teneva la testa bassa, ma quando l'alzò non stava piangendo. aveva lo sguardo che sembrava andasse a fuoco. Leo prese fiato e disse le cose più strane ed improbabili in una situazione come quella: – Ma per il divino Efesto, mi spieghi che cavolo ti è successo?! – urlò in faccia alla ragazza.
                Lei alzò gli mento per guardarlo meglio. Lo fisso negli occhi, regale, e gli tirò una sberla in pieno viso così forte da lasciargli la guancia tutta rossa. Poi gli prese il viso con una mano e lo costrinse a guardarla negli occhi ancora.
                – Questo è quello che succede se mi insulti, la prima volta. La seconda, – estrasse la sciabola d’oro imperiale e gliela puntò al pomo d’Adamo. – ti apro la gola e lascio che tu muoia dissanguato davanti ai miei occhi.
Lo sguardo di Leo non cambiò.
                Poi si allontanò di due passi: – Mettili nella stiva.
Cadmus, aiutato da altri cinque uomini prese i ragazzi e li portò sottocoperta. Leo cercò in tutti i modi di liberarsi e urlava frasi senza senso: – Non ti ricordi più niente?! Che ti hanno fatto? Calipso!
 
                Erano nelle prigioni della nave pirata e Hazel sperava ancora nell’aiuto di Nico. Lei era con Reyna. Alla sua destra c’erano Jason, Frank, Percy e Grover e Piper con Leo alla sua sinistra.
                – Visto che nessuno ha il coraggio di dirlo, parlo io. – disse Reyna, rompendo il silenzio. – Tu, Leo, conosci quella ragazza.
Lui alzò la testa da in mezzo alla gambe. Aveva lo sguardo vuoto: – Sì. – rispose con un filo di voce. – Sì, la conoscevo.
                Leo ci raccontò di quel periodo dopo che Chione l’aveva spedito ad Ogigia, l’isola dove Calispo era imprigionata per essere figlia di Atlante. Un posto meraviglioso, con le spiagge di una sabbia bianchissima, fiori multicolori e ruscelli trasparenti, ma perso nel tempo. Lì si erano conosciuti e prima di andare via, lui si era promesso di tornare a prenderla.
                – Non riesco a capire come sia riuscita a fuggire. – disse infine. – E perché si comporti così, come se mi odiasse. Certo, abbiamo avuto molte discussioni all’inizio, ma dopo … – lasciò la frase a metà.
Piper gli si avvicinò e gli mise un braccio attorno alle spalle, lei capiva molto meglio di tutti i problemi di cuore: – Forse gli déi l’hanno liberata, ma le hanno cancellato la memoria. Appena le parlerai, magari si ricorderà di te.
                – Ne dubito. – rispose lui, rassegnato. – È molto testarda.
In quel preciso istante due pirati entrarono e presero Leo di peso per trascinarlo fuori.
                – Ehi! Dove lo state portando? – gridò Jason da dietro alle sbarre.
                – A sistemarsi. – rispose uno. – Il capitano lo vuole tutto pulito per il loro incontro.
E se ne andarono ridendo a gran voce.
 

Nota dell'autrice: Ciao giuoie delle mia vita! Sì, perchè siete voi che mi fate sorridere.
Vi ringrazio per avermi segiuta fin qui:)
Questo è tutto per sta volta.
un bacio,
Silvia
 
 

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Capitolo 11
*** Salvataggio Improvvisato ***


Salvataggio Improvvisato

NICO

                Era successo tutto troppo in fretta.
Gli allarmi erano scattati e lui si era lanciato per prendere Silvia, prima che cadesse. Erano rimasti nascosti per tutto il tempo che i pirati erano stati sull’Argo II e avevano preso i suoi amici, poi erano scesi sottocoperta, per cercare un modo di liberarli. Ora la loro nave era legata a quella nemica, che per fortuna non aveva ancora deciso di salpare.
                – Mi spieghi chi erano quelli? – chiese lei mentre lui correva per i corridoi della nave.
Non le rispose e continuò fino ad arrivare davanti alla camera numero 5. Si fermò fissando il numero argento con sotto una targhetta dello stesso colore. Sopra c’era un nome.
                Annabeth.
Doveva entrare. Per salvare gli altri.
                – Ti ho fatto una domanda. Chi erano? – lo aveva raggiunto la semidea e aveva il fiatone.
Riempì il petto d’aria e sbuffando aprì la porta superando la soglia.
                – Senti, gradirei davvero tanto una risposta, Mr. facciamo-finta-che-Silvia-non-mi-abbia-appena-fatto-una-domanda. – lo rimproverò lei mentre lui cercava furiosamente nella cabina di Annabeth qualcosa sui pirati. C’erano miliardi di carte e fogli sparsi ovunque e il computer era pieno di file, ci sarebbero voluti mesi per leggerli tutti. Dimenticò le scartoffie e prese il portatile di Dedalo.
Percy si sarebbe arrabbiato, anzi, si sarebbe infuriato così tanto se lo avesse scoperto avrebbe potuto avere finalmente una buona motivazione per ucciderlo. Ma non gli importava adesso. Uscì dalla stanza di corsa, sorpassando Silvia che era in piedi davanti a lui.
                – Ehi! Perché mi stai evitando? – gli gridò lei da dietro.
Andò in mensa e si sedette mettendosi di fronte al computer, ma non era un esperto in tecnologia, per cui restò a fissarlo, senza sapere esattamente cosa fare. Silvia lo raggiunse e si mise dietro di lui, poi si abbassò verso lo schermo, come se stesse cercando di trovare qualcosa.
Poi disse semplicemente: – Che stai aspettando?
                – Il computer. – disse sbuffando. – Dovrebbe fare qualcosa, no?
                – Da dove vieni? Dal XVIII secolo? – chiese lei ridendo.
Lui la fissò, stupito di quello che aveva appena detto. In effetti, era vero.
                – Okay, okay … scusa. Vuoi una mano? – chiese più gentilmente.
                – … sì. Dovrei trovare qualcosa che riguardi i pirati.
                – Gli uomini che erano prima sulla nave erano pirati? – aveva una strano tono misto ad eccitazione e curiosità. A Nico ricordò schifosamente Percy.
                – Forse ... non lo so di preciso.– sbuffò. – E' per questo che sto cercando qualcosa sui pirati.
Lei si avvicinò a lui (forse anche troppo), aprì lo scermo e iniziò a digitare varie parole su di una striscia in alto a destra. Ci vollero pochi secondi e si aprì un file che conteneva varie storie sui pirati. Scorse verso il basso, ma non trovarono nulla di certo. C'erano leggende, storie, nulla di più.
                – Chiudilo. – le ordinò Nico, abbattuto.
Lei schiacciò qualche altro tasto e lo schermo divenne nero.
Restò a fissarlo. Non sapeva come salvarli, e in più doveva fare da baby sitter a una principiante. Lei prese una sedia e si sedette vicino a lui, guardandolo.
                – Dobbiamo andare lì – disse infine. – anche se non sappiamo come sconfiggerli.
Nico cominciò ad annuire. La guardò. Tra le screziature marroni dei suoi occhi verdi vedeva audacia, coraggio, curiosità. Gli venne quasi da ridere. Anche lui era stato così all'inizio, poi, quando vedi le persone che ami morire davanti ai tuoi stessi occhi, la tua prospettiva cambia. Capisci che quella vita piena di avventura la baratteresti tranquillamente con un po' di normalità. Lei non lo aveva ancora capito e Nico temeva che avrebe potuto scoprirlo presto.
                – Cosa? – chiese lei vedendo che la stava fissando.
Lui scosse la testa, come per cacciare un brutto pensiero. Poi chiuse gli occhi e teletrasportò lui e lei nelle stalle, dove c’era la sua stanza.
                – Wow! Mi devi avvertire quando lo fai. Non mi ci sono ancora abituata. – ridacchiò lei cadendo sul letto fatto di fieno. A Nico sorprese quanto potesse trovare il lato divertente delle cose.
                – Perché siamo qui? – chiese lei sistemandosi nel letto. – Non è che hai strane intenzioni … – poi cercò di fare una faccia maliziosa, che le riuscì malissimo, ma abbastanza da far arrossire Nico.
                – NO! – si affrettò a dire lui. – No. Io vado a salvarli, tu resti qui.
                – Che cosa? Scherzi vero? – esclamò quasi arrabbiata.
Lui la fissò con il suo solito sguardo serio e impassibile.
                – Vengo anche io. Da solo non ce la puoi fare. – affermò alzandosi.
                – No. – disse Nico spingendola nel letto. – Tu resti. Io vado. Fine della storia.
                – Ma io posso aiutare. – lo supplicò lei. – Senti un po' razza di-
Ma lui si era già spostato sulla nave nemica.
Grazie alle ombre, riusciva ad essere invisibile agli occhi dei marinai e a sgattaiolare sottocoperta senza problemi. Si affacciò ad una stanza dove Piper stava urlando qualcosa a dei pirati che però non obbedivano perché aveva dei tappi alle orecchie.
                – Bene! – gridò infine la figlia di Afrodite. E si sedette sul fondo della sua cella, furiosa.
Nico fece capolino ed Hazel lo vide. I due si sorrisero.
Si avvicinò senza fare rumore ad uno dei due pirati appostati alle celle e rubò le chiavi dalla cintura.
Poi lentamente estrasse la sua spada di ferro dello Stige e infilzò il primo, che cadde a terra, morto. Quando il secondo si accorse dell’accaduto era troppo tardi perché Nico lo aveva già trafitto. L’ultimo però lanciò un grido che avrebbe potuto tradirli.
Corse subito a liberare i suoi amici, non avevano molto tempo.
                – Nico! Sapevo che saresti arrivato. – esclamò Hazel contenta. Lui le fece segno di non urlare e liberò tutti gli altri cercando di fare meno rumore possibile. Quando Percy gli passò vicino, lui non lo guardò neanche.
                – Dov’è la figlia di Gea? – chiese Jason.
                – Sulla nave, al sicuro. – rispose frettolosamente mentre apriva la cella di Piper.
                – Come lo era Annabeth? – sibilò Percy.
Tutti rimasero in silenzio.
                – Sta bene. – ribadì Nico stringendo la mascella.
                – Le armi ce le hanno prese. – disse Frank.
                – Va bene, adesso andiamo a recuperarle. – disse Nico. Poi si guardò intorno sentendo uno strano silenzio. – Aspettate, dov’è Leo?
                – È nella cabina del capitano. – ammise Hazel.
                – Allora vado a prenderlo, voi andate alla nave e preparatevi a rispondere al fuoco, se necessario. –
ordinò Nico.
                – Vengo con te. – aggiunse Percy. – Anche io ho conosciuto quella ragazza, posso essere utile.
Lui annuì, timoroso di quello che gli sarebbe potuto succedere a stare da solo con Percy.
                – Okay, sull’Argo II fra mezz’ora. – disse infine Jason.
E tutti si divisero.


Nota dell'autrice: 'Giorno Gente!
Questo capitolo l'ho messo in fretta e furia perché dovrei già essere a studiare storia *apre il libro e piange*
Questa settimana sono abbastanza piena per cui non so quando riuscirò a mettere il prossimo:(
In ogni caso spero vi sia piaciuto,
un bacione a tutti,
Silvia
 
 

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Capitolo 12
*** Do Fuoco Ad Una Nave ***


Do Fuoco Ad Una Nave
 
        LEO


                I due marinai avevano portato Leo dentro ad una stanza con una tinozza d’acqua, una saponetta e uno specchio.
Lo lanciarono al pavimento e gli ordinarono di lavarsi.
In effetti era tanto che non si faceva un bagno, ma prima cercò un modo per scappare. Poteva rompere lo specchio e usarlo come arma, ma avrebbe fatto troppo rumore dando tempo ai pirati di attaccarlo prima. Non aveva altro da fare che andare a parlare con Calipso, o chiunque quella ragazza fosse.
                – Il capitano non gradisce attendere. – disse Cadmus da dietro alla porta.
Ormai non si poteva rimandare l’inevitabile. Si tolse i vestiti, quelli che Calipso aveva fatto per lui. Erano ignifughi, così non si bruciavano ogni volta che provava ad evocare il fuoco. L’acqua era tiepida e in poco tempo fu già fuori dalla tinozza. Ebbe l’istinto di guardarsi allo specchio. Cercò di sistemare i ricci ribelli, ma fu praticamente inutile.
Uscì e i due pirati lo portarono, attraverso quel labirinto di corridoi, davanti ad una porta in ferro con sopra intagliati dei disegni di alghe marine ed in centro, un teschio. Cadmus bussò e una voce da dietro disse: – Avanti.
La porta si aprì lentamente e Leo venne sbattuto dentro, solo, con il capitano.
La grande cabina a poppa dell’Achlys era illuminata dalla luce fioca di varie candele sparse per la stanza. Il pavimento nero scricchiolava al dondolio dolce della nave. Al lato destro un grande letto a baldacchino era disfatto, a quello sinistro, una libreria antica piena di manoscritti e scartoffie ingiallite e strani barattoli di cui Leo non voleva approfondirne il contenuto. Alle pareti vuote c’erano appese carte nautiche piene di segni a matita e scritte, cannocchiali di varie misure e grandezze e mensole con dei vasetti da cui crescevano piante che Leo non aveva mai visto prima. Al centro, sotto ad un candelabro di bronzo appeso al soffitto sconnesso, si trovava una scrivania in ebano intagliata con gli stessi disegni della porta. Sopra di essa si trovavano mappe e un mappamondo.
                Dietro alla scrivania, seduta su di una poltrona di pelle logora, il capitano giocava con un sestante in oro. Senza il cappello, la luce arancione delle candele le illuminava il viso dandole un aspetto ancora più tetro.
                – Benvenuto, Leo Valdez. – disse tranquillamente.
Lui si limitò a fissarla, non riconoscendo più la persona che aveva davanti.
Con un balzo scese dalla poltrona e si avvicinò lentamente, trascinando i piedi verso di lui.
                – Allora, che porta te e i tuoi amici sulle coste della Francia? Siete molto lontani da casa. – sussurrò avvicinandosi.
Leo continuò a fissarla: – Proprio non ti ricordi di me?
Lo sguardo della ragazza divenne di pietra dura e indistruttibile: – Purtroppo sì. Mi ricordo di te.
                – Purtroppo? Capisco che abbiamo avuto delle discussioni ... molte discussioni, all’inizio. Ma credevo che quello che è accaduto quella notte significasse qualcosa anche per te. – cercò di capire lui.
                – Non rammendarmi di quel bacio! Tra noi non c’è mai stato niente e niente mai ci sarà. – sibilò.
                – Ma che ti hanno fatto? Perché sei così? Perché sei qui? – Leo era stufo di vedere il corpo di una persona che conosceva, che racchiudeva l’anima di una sconosciuta.
                – Gli déi non mi hanno mai dato niente di buono. – disse lei allontanandosi e andando verso la libreria. – Poco tempo dopo che tu te ne sei andato, come tutti …
                – Sarei tornato! – si affrettò a dire. – L’avevo promesso. Sarei tornato per te.
                – Non dire menzogne! E non interrompermi. – lo sgridò lei, regale. – Gea mi ha offerto un patto, mi avrebbe fatta tornare nel mondo dei mortali, però avrei dovuto prendere questa nave, recuperare sua figlia e proteggerla a qualunque costo. Ho accettato, ovviamente, ero stufa di restare bloccata su quell’isola maledetta. Ma le ricerche sono state estenuanti, per troppo tempo ho cercato quella stupida ragazza. Ma quando ho sentito che un gruppo di semidei la stava cercando mi sono detta che loro avrebbero potuto tranquillamente aiutarmi con la mia impresa.
                – Allora vieni con noi.
Lei lo guardò stupita e Leo giurò di aver visto una scintilla nei suoi occhi: – Come hai detto?
                – Vieni con noi, Calipso. – ripeté lui, senza timore.
Lei scoppiò a ridere: – Patetico. Credi che mi unirei a voi, stupidi semidei? Che mi unirei ai figli di coloro che mi avevano imprigionata?
                – Tu vuoi la ragazza, vieni con noi e lascia questa nave. – continuò Leo.
                – Achlys… questa nave, è diventata la mia casa. E con te, non andrei da nessuna parte.
                – Io non riesco a capire. Tu non mi odiavi più, volevi che restassi, per quello è apparsa la zattera per portarmi via dalla tua isola. – cercò di spiegarle.
In quell’istante gli allarmi della nave scattarono e voci da fuori gridavano: – I prigionieri! I prigionieri sono scappati!
                Calipso si lanciò verso il letto per prendere il cappello e alla poltrona per la sciabola. Si diresse a passi lunghi verso la porta, ma Leo era davanti ad essa.
                – Levati di mezzo, figlio di Efesto! – sbraitò lei sguainando la spada d’oro imperiale.
                – No. – rispose Leo, fermo.
Poi qualcosa lo colpì da dietro e lo fece cadere in avanti, sopra a Calipso.
                – Abbiamo interrotto qualcosa? – la voce di Percy era stranamente squillante.
Leo si rialzò velocemente e si mise al suo fianco.
                – Percy. Jackson. – sibilò Calipso alzandosi con la spada in pugno. – Brutto figlio di … !
Ma Leo lanciò una palla di fuoco molto vicino al suo viso così non poté finire la frase e ricadde a terra.
                – Dobbiamo andarcene! – gridò Nico.
Leo si voltò verso Calipso che aveva mezza faccia annerita, ma lo stesso bellissima: – Dobbiamo distruggere la nave, prima.
                – Lo faremo dall’Argo II, per questo devi andare subito, solo tu puoi controllarla. – spiegò Percy.
                – No, non abbiamo tempo. Io posso distruggerla da qui, ma voi, tutti voi, dovete andarvene il prima possibile. – disse Leo e non volle sentire obbiezioni. I due ragazzi se ne andarono e lui si voltò ancora verso Calipso che si era già rialzata con la spada stretta alla mano destra.
                – Credi di poter distruggere la mia nave, Leo Valdez? – ringhiò la ragazza.
Lui la guardò, triste. Poi si concentrò e prese completamente fuoco, esplodendo di calore. La stanza in poco tempo si trasformò nell’inferno. Calipso aveva gli occhi chiusi e tossiva, a terra. Leo doveva uscire e bruciare anche tutto il resto della nave, ma non avrebbe mai potuto lasciarla lì. Si tolse la maglietta e la giacca ignifughe e gliele infilò, poi se la caricò sulle spalle ed uscì dalla sua cabina.
                Corse per i corridoi lanciando bombe incendiarie dietro di lui. La nave ormai stava cadendo a pezzi. Cercò l’uscita e quando finalmente fu fuori, sul ponte dell’Achlys, vide l’Argo II che l’affiancava. Tirò un sospiro di sollievo quando Nico venne a prenderlo e con un viaggio nelle ombre si ritrovò sul ponte della sua amata nave. Adagiò Calipso al centro del ponte e corse ai comandi.
                – Perché lei è qui? – chiese Jason, infastidito.
                – Devo risolvere un paio di cose prima di vederla morire. – rispose secco Leo.
I pirati cercavano di attaccare l’Argo II, ma Leo riuscì ad allontanarsi abbastanza da non essere sotto la traiettoria dei cannoni nemici. Il rumore di un’esplosione gli raggiunse, ma senza procurare ulteriori danni.
Quando furono finalmente in cieli più tranquilli, si rilassò. Ce l’avevano fatta anche questa volta.
Guardò sul ponte, dove aveva lasciato Calipso, ma lei non c’era più. Il suo cuore ebbe un tuffo.
                – Dov’è Calipso? – iniziò ad urlare mentre si avvicinava al punto in cui l’aveva adagiata, priva di sensi.
                – Non temere, Leo Valdez. – disse una voce alle sua spalle.
Calipso era salita sul parapetto della nave. Era attaccata ad una fune e con la mano sinistra teneva la sciabola d’oro alla gola della figlia di Gea.
                – Io non me ne vado facilmente.




Nota dell'autrice: Sorpresi di vedermi? Pure io lo sono! Visto che sono malata ho pensato di avantaggiarmi e di postare anche questo capitolo:)
Poi volevo anche mettere in chiaro una cosa:

 Nico lo immagino più così:                                             Che così:
         

Niente contro Nico B, ma lo immaginavo più cresciuto e maturato dopo la guerra.
Ringrazio Viria per i disegni! (grazie a lei possiamo farci dei film mentali sicuramente migliori dei film usciti al cinema....la gente a volte si droga male....)
Un saluto a tutti (non vi bacio perchè vi posso passare la malaria)
Silvia

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Capitolo 13
*** Facciamo Un Volo Da 1000 Metri ***


              Facciamo Un Volo Da 1000 Metri

LEO

                – Non temere, Leo Valdez. – disse una voce alle sua spalle. Calipso era salita sul parapetto della nave. Era attaccata ad una fune e con la mano sinistra teneva la sciabola d’oro alla gola della figlia di Gea.
– Io non me ne vado facilmente.
 
 
                Tutti rimasero fermi all’inizio, poi Jason estrasse la sua spada d'oro imperiale, pronto ad attaccare.
                – No, no, no. – lo fermò dolcemente Calipso premendo ancora di più con la lama sul collo della ragazza, che emise un leggero gemito. – Voi mi attaccate, lei cade.
                – Se devi proteggerla, perché dovresti farla cadere? – chiese Leo.
                – Semplice, perché io devo ucciderla, non proteggerla. – ridacchiò Calipso. – Zeus mi ha offerto molto di più che la semplice libertà per la sua testa. Mi ha offerto l’immortalità.
                – E cosa ti fa credere che non ti rimetterà nella tua isola, per sempre? – chiese Percy.
                – Non lo farà! – gridò di rimando la ragazza. La sua voce era diversa, non sembrava neanche umana. L’avevano fatta diventare pazza, ecco cosa le era capitato, non riusciva più a ragionare con la sua testa. Leo si sentì male per lei.
Poi gli vennero in mente i giorni passati sull’isola con lei e si ricordò che solo una cosa la faceva andare veramente fuori di testa: Leo.
                – Ora io sono il nuovo capitano di questa nave, e farete esattamente quello che vi ordinerò. – disse.
                – Tu vuoi diventare il capitano della mia nave? – chiese Leo, più sicuro che mai. – Senti, raggio di sole, cerca di calmarti. Vieni giù da quel parapetto e parlane con calma con il vecchio e dolce Leo.
                Percy si mise una mano in faccia, disperato. Jason alzò gli occhi al cielo, Nico sussurro ‘’Davvero?’’, Piper ridacchiò, Frank mormorò qualcosa come ‘’Per gli déi, questo non capisce proprio niente'' e Hazel lo guardò come se fosse impazzito completamente.
Calipso si trovò spiazzata. Sbatté gli occhi più volte, come se avesse visto qualcosa che non avrebbe dovuto esserci, poi si riprese e ringhiò: – Come osi parlarmi così?
                – Sei ancora più bella quando ti arrabbi. – le disse Leo alzando un sopracciglio.
                – Fai silenzio! – gridò furiosa, scuotendo la testa.
                – E perché non mi zittisci venendo qui e dandomi un bel bacio? – Leo mimò un bacio con la bocca e poi le fece l’occhiolino.
                – Smettila! O la faccio cadere! – le prese per la maglietta per sporgerla fuori dal parapetto, ma la ragazza cercò di liberarsi dalla presa di Calipso. Leo ammirò il suo coraggio.
Silvia le prese il braccio con la spada, lo abbassò e le diede un pugno in piena faccia.
Okay, adesso basta però, pensò Leo. Si avvicinò di corsa alle due per dividerle, ma Calipso perse l’equilibrio per il colpo appena preso e, con la mano ancora stretta attorno al collo della maglietta della figlia di Gea, cadde dal parapetto.
A Leo gli si bloccò il respiro.
Non fece in tempo a dire nulla che Jason si sporse dal parapetto per volare a prenderle, ma Nico gli prese il braccio e, buttandolo a terra, riuscì a saltare prima di lui.
                Leo rimase di pietra, di nuovo.
Piper si avvicinò a Jason che aveva sbattuto la testa sul pavimento e gli altri si sporsero dal parapetto per capire cosa fare.
                – Ma che hanno tutti, oggi?! – esclamò Leo, esausto da tutto ciò.
Corse ai comandi e indirizzò la nave il più in basso possibile e in poco tempo. Ma non fu necessario, perché un portale di tenebre si aprì nel centro del ponte. Leo bloccò la nave e raggiunse gli altri.
C’erano tutti e tre: Nico, Silvia e Calipso, piena di sangue sul viso.
Leo si precipitò a prenderla tra le braccia. La strinse forte, credeva d’averla persa per sempre. Cercò di controllare il respiro, era andato in iperventilazione quando aveva ricominciato a respirare.
                Nico e Silvia erano abbracciati l’uno all’altro, tremanti,  con gli occhi chiusi e non si mossero fino a quando Jason, Hazel e Reyna non si avvicinarono a Nico e lo scossero. Quando si mise seduto Hazel  si fiondò al suo collo per abbracciarlo.
– Mi spieghi che ti è saltato in mente? – lo sgridò Reyna.
– Dovevo saltare io, perché io so volare. Non tu. – disse Jason, duro.
Nico aveva ancora gli occhi spalancati e un respiro stranamente irregolare.
                – Ehi, Nico. – cercò di scantarlo Hazel. – Va tutto bene, ora siete sulla nave, le hai salvate. Sei stato bravissimo.
Lui cominciò a scuotere la testa ripetutamente. – No. Io non ho fatto niente. – lo ripeté un paio di volte sempre con lo aguardo perso nel vuoto.
                – È sotto shock. – bisbigliò Piper. – Nico, va tutto bene. Ora siete tutti sani e salvi. – disse con la lingua ammaliatrice per cercare di rassicuralo.
                – Ma vuoi smetterla!? – ringhiò Silvia tenendosi le orecchie.
Piper strinse la mascella, adirata.
                – Sto bene. – rispose Nico alzandosi aiutato da Hazel. – Però io non ho fatto niente. Mi sono buttato d’istinto, non so neanche perché. – si grattò la testa, stupito di quello che era appena successo. – E' stato come se l'istinto mi dicesse di farlo .... Le ho raggiunte e poi un viaggio-ombra ci ha portati qui, ma non sono stato io. Sono sicuro.
                – Forse non te ne sei accorto. – cercò di calmarlo Reyna.
                – Smettetela di trattarmi come un pazzo. – sbottò Nico. – Io non sono stato, se no lo sentirei. Vi giuro che io non ho fatto assolutamente niente. L’ultima cosa che ho visto sono stati i suoi occhi. – disse indicando Silvia.
                – Ma se non sei stato tu, allora chi è stato? – chiese Piper. – Nessuno ha i tuoi stessi poteri.
                – Calipso era svenuta, per cui non può essere sicuramente lei. – disse Leo.
                – Allora è stata lei. – ammise Reyna. Tutti si voltarono a guardare Silvia.
 
 

GROVER

                – Potrebbe aver risucchiato i tuoi poteri.
Nico si teletrasportò vicino a Frank con le ombre:  – No. Non risucchia niente di niente.
                – Potrebbe averli rubati solo per quell’istante. – ipotizzò Leo.
Erano tutti riuniti in mensa. Erano in semicerchio davanti alla figlia di Gea, che aveva una faccia impassibile, ma attenta. Stavano discutendo del perché fosse riuscita a teletrasportarsi con le ombre, quando solo Nico era capace di farlo.
Grover ebbe qualche dubbio sulla sua teoria dei sogni. Ma non lo disse ad alta voce.
                – Provate a toccarvi. E poi lei proverà a viaggiare con le ombre. – ordinò Reyna.
Nico si avvicinò alla ragazza e allungò una mano, imbarazzato. Lei la prese: – C’è un problema però, io non so come si faccia a fare quello che non credo proprio di aver fatto. – disse.
                – Spiegale, Nico. – lo esortò Reyna.
                – Spiegarle? Non so come ci riesca, è una cosa che mi viene naturale, non si può spiegare. – rispose seccato.
                – Dobbiamo aspettare di arrivare al Campo. – disse Percy, con lo sguardo al pavimento e le braccia conserte. – Chirone saprà cosa fare.
Da quando aveva perso Annabeth, non era più lo stesso. Quando capitava un problema lasciava che gli altri lo risolvessero. Una volta, Annabeth aveva le risposte a tutto, ma ora che non c’è più è come se lui avesse perso la sua ancora.
Neanche per Grover era stato facile. Conosceva Annabeth da quando era piccola, erano migliori amici e da un momento all’altro se n’era andata. E quello non era giusto.
                – Io avrei un’idea. – cominciò Grover, deciso a raccontare tutto. – Ma devo cominciare da quando io e Percy eravamo piccoli. Quando sono stato in pericolo, nel mare dei mostri, ho contattato Percy per sogno. Dopo quello, io e lui fummo legati, e lo siamo tutt’ora, anche se è un po’ più debolmente, ma lo siamo. Se uno muore, rischia di morire anche l’altro.
                Percy si voltò verso di lui, cominciando a capire.
                – Nico, per cercare la ragazza, è andato di persona, con mente, anima e corpo, che è molto più forte di evocare qualcuno in sogno, nel Regno di Morfeo e la stessa cosa è successa a lei. Ora voi siete legati. E visto che vi siete anche dati la mano, toccandovi, una parte della vostra anima è passata nell’altro. Per cui se uno dei due muore, sicuramente succede lo stesso anche all’altro.
                Tutti rimasero in silenzio. Era una cosa grossa. Grover aveva già parlato di questo con Nico, per prepararlo, ma gli altri non sapevano niente.
                – Ecco perché Nico ha avuto l’istinto di buttarsi dal parapetto per salvarla, e forse ecco perché lei ha usato uno dei suoi poteri. – concluse.
                – Va bene. – disse calmo Jason che si teneva un sacchetto i ghiaccio in testa. – Dobbiamo …
                – No.
Era stata la ragazza a parlare. Tutti si voltarono verso di lei.
                – No? – ripeté Reyna, leggermente adirata per la sfacciataggine della ragazza.
                – No. – disse ancora lei. Poi si alzò. – Non va bene. Non va affatto bene. – aveva lo sguardo smarrito. A Grover gli venne l’istinto di volerla aiutare. Gli vennero in mente i volti dei ragazzi che dovevano abbandonare la realtà che conoscevano per andare al Campo Mezzosangue. Alla fine lei non era Gea, era solo sua figlia. E una cosa che aveva imparato dopo tanti anni di vicinanza con i semidei era che i genitori, non te li puoi proprio scegliere.
                Li guardò tutti, a disagio. Poi disse: – Scusate. – fece un passo indietro e per poco non inciampò sulla sedia dietro di lei. Il rumore sembrò assordante nel silenzio della stanza.
                – Io … devo prendere un po’ d’aria. – e detto questo uscì dalla mensa.
Dopo che se ne fu andata, il silenzio lo ruppe Reyna: – Non mi piace quella ragazza. – disse sibilando.
                – È solo molto confusa. – disse Hazel. – Per lei è tutto nuovo. Essere la figlia della dea della terra deve essere qualcosa di grosso da portare.
                – Ognuno ha passato quello che sta passando lei, ed eravamo più piccoli. – sbottò Percy. – Cosa le impedisce di cercare di adeguarsi?
                – Non penso che collaborerà con noi. – aggiunse Leo. – Non so voi, ma io non mi fido.
                – Io non capisco perché odi la mia voce. – ammise Piper. – Insomma, ogni volta che la uso mi dice di tacere, che le fanno male le orecchie.
Jason le mise un braccio attorno alle spalle: – Una cosa è certa, lei non centra con noi. Per cui Leo ha ragione, non si unirà al Campo.
                Nico bisbigliò qualcosa.
                – Come hai detto, Nico? – chiese Reyna.
                – Presuntuosi. – ripeté più forte. Poi si voltò verso di loro con l’odio negli occhi. – Io ho visto cose che voi non avete neanche notato. È identica ad ognuno di noi. È orfana, non adatta alla vita normale. È iperattiva, dislessica e diversa. Voi siete scappati dalla normalità perché era troppo stretta, lo stesso ha fatto lei. Le abbiamo dato una speranza di una vita in cui avrebbe potuto essere se stessa. E ora lei è qui e si sente esattamente come prima, come se niente fosse cambiato, come se quello che era la rincorresse ovunque.
                Poi si bloccò, tranquillizzandosi. Nessuno aveva mai visto Nico così furioso.
                – Proprio non capite niente da quando Annabeth è morta. È come se senza di lei non siate più capaci di ragionare. – disse più controllato. – E ‘’quella ragazza’’ ha un nome. 
Detto questo uscì pure lui.


Nota dell'autrice: EHI EHI! Sono ancora malata *tossisce convulsamente* per cui posto pure il 13° capitolo. Cavolo...già al 13° siamo arrivati!
Bé questo è un po' più lungo perché ho fuso un po' di cose ;) 
Poi ho pensato di fermarmi un po' per continuare a scrivere e magari finire proprio la ff.
Spero vi sia piaciuto,
un grande abbraccio a tutti voi!
Silvia

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Capitolo 14
*** Non Ne Faccio Una Giusta ***


Non Ne Faccio Una Giusta


NICO



                Si rese conto solo quando fu uscito dalla stanza di quello che aveva detto. Era stato strano, come se un’altra parte di lui avesse parlato.
Camminò spedito verso la sua cabina, volendo stare da solo, e voltando verso il corridoio corrispondente, sentì dei colpi regolari venire da uno sgabuzzino vicino.
Si bloccò di colpo. Si avvicinò lentamente e aprì la porta di legno. Una pallina di gomma lo prese in piena pancia.
                – Oh santi numi! Scusa! – cercò di scusarsi Silvia. – Non ne faccio una di giusta, ultimamente. – si avvicinò a lui e gli mise una mano sulla spalla.
                – No, no. – disse Nico tenendosi la pancia. Stige infernale se tirava forte la ragazza. – Sto bene. – si allontanò dal suo tocco.
Lei sembrò tranquillizzarsi.
                – Che ci fai qui? – le chiese.
                – Volevo solo andare nella mia stanza, alle stalle insomma, ma mi sono persa, perché non conosco questa nave, non conosco nessuno di voi, per cui perché dovrei essere qui, eh? Vi ho appena messi in pericolo con una pazza che voleva solo me, poi ho messo in pericolo la mia vita e la tua, e adesso ti rubo perfino i poteri. Dimmi se non servo solo a crearvi problemi!
                Buttò fuori tutto, senza trattenersi.
– Volevo solo scappare, sai. – disse sbuffando. – Cambiare vita. Ma ho capito che ovunque vada, le cose non cambieranno. Non sono fatta per stare con le persone. Sono come mia madre, alla fine.
                E si prese la testa fra le mani, cercando di nascondersi. Nico si rese conto di quanto fossero simili, entrambi condizionati nella vita da quello che erano i loro genitori.
Si abbassò e le tese una mano. Lei alzò lo sguardo e gliela strinse. Si teletrasportarono sull’albero maestro.
Si sedettero vicini e non parlarono.
La nave riprese a muoversi sorpassando l’oceano Atlantico, diretta al Campo Mezzosangue.
Nico non sapeva cosa le avrebbero fatto quando sarebbero arrivati, ma aveva timore che qualcuno le facesse del male.
                – Allora siamo … condivisori di anima? – disse lei, scherzando.
                – Evidentemente.
                – È come se fossi mio fratello, no? – chiese.
Nico si rabbuiò. – Meglio di no.
Ci fu una pausa.
                – È per quello che è successo a tua sorella … Bianca?
                – Io non ne parlo. – rispose secco.
                – Non voglio forzarti, ma fa bene parlarne. Aiuta ad affrontare il dolore ed a superarlo. – spiegò lei guardandolo.
Nico però non voleva parlarne, sarebbe stato come aprire una ferita che si era appena chiusa.
                – Ehi, non volevo offenderti.– lo fermò lei con il suono della sua voce. – Il punto è che io sono qui, se hai bisogno di qualcosa. – disse dolcemente.
Si comportava come Jason. Tutti erano lì per lui quando aveva bisogno. Il punto è che lui non aveva bisogno di nessuno. E così le disse: – Non ho bisogno di nessuno.
Poi si alzò per andarsene.
                – Tutti hanno bisogno di qualcuno. – ribadì lei. Lui non la ascoltò e si dissolse nell’ombra per poi riapparire sul ponte. Guardò verso l’alto, verso dove l’aveva lasciata, e lei lo fissava.
               
               
 


SILVIA
 

                E anche questa volta aveva fatto buca. Non riusciva a tenere un discorso di più di cinque minuti con un essere umano.
Era stanca, così scese lentamente e tornando nella stiva, cercò le stalle. Dopo molto girovagare, le trovò. E dentro c’era un ragazzo. Stava sistemando il fieno nella stalla vicina alla sua "cabina improvvisata".
                – Ehi. – lo salutò lei.
Lui si voltò, colto alle spalle. Era quel ragazzo più grande, con i capelli corvini ribelli e gli occhi verdi come il mare. Non aveva mai parlato con lui.
                – Non ho ancora avuto il piacere di conoscerti. – continuò, dato che non rispondeva. – Io sono Silvia.
Disse porgendogli la mano.
Lui la fissò: – So chi sei. – disse, per poi tornare a sistemare la paglia.
Allora lei ritrasse la mano in imbarazzo. – Sì, tutti mi cooscono perchè sono la figlia di Gea. – vedendo le spalle tirate del ragazzo capì che sua madre aveva fatto qualcosa di brutto anche questa volta. – Ma volevo presentarmi solo come "Silvia".– concluse mentre si tormentava le mani.
                – E tu sei? – chiese cercando un punto di contatto.
                – Percy.
                – Come Perseo, – osservò lei. – l’eroe greco.
                – Sì.
Questa cosa di rispondere a monosillabi, la disturbava parecchio. Le parole esistono per essere usate.
                – Dicono che mi assomigli, ma io non ci credo. Sarebbe strano.
                – Già.
Era successo qualcosa a quel ragazzo e la causa era Gea. Per cui decise di arrivare dritta al punto.
                – Che ti ha fatto mia madre?
Lui drizzò le spalle e per un secondo si fermò, ma poi riprese: – Nulla.
                – Vuoi dirmi che sei sempre così scontroso? Neanche fossi figlio di Ares. – ironizzò lei.
Lui si voltò con la mascella contratta e il rastrello stretto in pugno: – Tu non conosci me, né nessun figlio di Ares. Non conosci nemmeno te stessa, per cui non venire a dirmi chi dovrei essere.
                Lei tenne il suo sguardo per un po’, poi disse: – Che ti ha fatto Gea?
                – Nulla che ti riguardi. – sbuffò lui.
                – Sicuro di non essere figlio di Ares? Mi sembri così arrabbiato … – una cosa che Silvia aveva imparato era che far arrabbiare le persona aiutava a farle sfogare, e se quel ragazzo aveva un peso, l’unico modo per alleviarlo era farlo arrabbiare davvero, anche se questo avesse potuto nuocere a lei. Voleva fare qualcosa di buono una volta tanto e questo, forse, era il momento giusto per riscattarsi da tutto.
                – No! – urlò tra i denti lui.
                – Allora hai proprio bisogno di darti una calmata. – aveva visto anche Leo usare la stessa tattica con quella ragazza che voleva ucciderla: arrabbiarsi porta a ritrovare noi stessi.
                – Per tutti gli dei dell’Olimpo, proprio una come te dovevano mandare? L’esatto prototipo dell’anti-semidea. Vieni qui credendo di poter cambiare vita e stupidate varie? Bé, ecco l’ultima: questa vita fa schifo! – urlava così forte che la voce tremava. – Ogni giorno hai paura di morire e se non tocca a te, allora toccherà alle persone che hai intorno, sai, agli amici! Credi che sia facile? Hai idea di quanti abbiamo perso lungo la strada? Troppi! … – gli occhi gli si riempirono di lacrime. Poi bisbigliò: – … io volevo solo salvarla …
                 E cadde a terra, con la testa fra le mani.
Silvia aveva già visto una scena simile. Una volta, tornata a casa da scuola, in un giorno qualsiasi, era corsa in camera sua e aveva cominciato a piangere e a gridare. Quella mattina tutte le sue compagne di scuola l'avevano presa in giro perchè no aveva la mamma, perché era orfana. Era così arrabbiata che scappò di casa, ma tornò poche ore dopo, perché non aveva un posto dove andare.
                Si abbassò al livello di Percy e gli mise una mano sulla schiena. E con lo sguardo più ingenuo che sapeva fare, gli chiese, ancora una volta: – Che ti ha fatto Gea?
Lui smise per un attimo di singhiozzare, alzò la testa e la guardò con gli occhi rossi. Con la voce rotta di chi non riusciva più a contenere un segreto disse: – Ha ucciso l’amore della mia vita.


Nota dell'autrice: 'Giorno semidei! 
Ho finalmente finito l'intera ff!!!! :D (se non decido di cambiarla ancora.....)
In ogni caso spero vi sia piaciuto anche questo capitolo! (che non è l'ultimo, tranquilli vi romperò ancora per un bel po')
Un bacione grosso a tutti voi
Silvia

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Capitolo 15
*** Incontro Indesiderato ***


Incontro Indesiderato


PERCY



                Percy era così infuriato che si era precipitato nelle stalle per fare qualcosa.

Annabeth.

Quello era il suo pensiero fisso dalla mattina alla sera. Perfino di notte la sognava, e quando si svegliava e iniziava a piangere.
Gli venne in mente quando lo disse a sua madre, Sally Jackson.
Quando erano tornati al Campo, mentre Leo finiva le ultime riparazioni, si era concesso di tornare a casa, da sua mamma. Quando entrò dalla porta la vide seduta sul divano. Era invecchiata, ma non troppo, era il dolore forse a renderla così. In ogni caso, era sempre bellissima. I lunghi capelli ondulati le ricadevano morbidi sulle spalle magre.
                – Mamma. – disse semplicemente.
Era seduta sul divano e stava guardando la televisione. Si voltò verso di lui e il suo sguardo sembrava perso.
                – Sono io. Percy. – le ripeté.
La donna si alzò, ma lentamente, come se avesse paura che quello che stava vedendo era solo un altro miraggio. Si avvicinò al ragazzo e prendendoli il viso tra le mani sussurrò: – Sei tu?
Percy annuì. E i due si abbracciarono.
Quell’abbraccio durò tanto tempo, cercando di recuperare tutti i momenti che avevano perso insieme.
                – Tu. Mi sei mancato così tanto. – mormorò con le lacrime agli occhi.
                – Anche tu, mamma. – nella voce di Percy c’era troppo rancore per non far accorgere Sally.
                – Annabeth non viene a salutare? – chiese la donna facendolo accomodare in salotto.
Eccola. La domanda che Percy temeva tanto. Come avrebbe potuto anche solo dire a sua mamma una cosa che non riusciva nemmeno a spiegarsi da solo.
                – Lei … – iniziò con la voce già rotta dal pianto. Non riusciva a dire il suo nome. – … non …
Sua madre capì subito. – Oh, Percy. – disse ricominciando a piangere mentre lo abbracciava. Non dissero nulla per dell’altro tempo.
Quando la luce del sole se ne andò, si spostarono in cucina e Sally preparò dei biscotti al cioccolato. Ma Percy non aveva fame. Non parlarono molto alla fine. Lei disse che Paul era fuori per lavoro e che stava andando tutto a meraviglia, ma sentiva molto la mancanza del suo piccolo eroe.
Una cosa non fecero, che a Percy non diede fastidio: parlare di Annabeth.
Un senso di pesantezza lo accompagnava tutte le giornate da quando l’aveva persa. E la colpa, oltre a Nico, era di Gea. E lui doveva stare nella stessa nave con quella ragazza.
Nico si sbagliava, non era come loro. Percy lo sapeva, lei stava nascondendo qualcosa. Aveva già rubato i poteri a Nico, chissà cosa avrebbe potuto fare. Era potente, troppo.
                Stava sistemando la paglia, anche se cavalli non c’erano, quando sentì dei passi sulle scale. Per un attimo pensò che fosse Annabeth, che non fosse morta, ma che si era nascosta per fargli uno scherzo. Ma era solo la figlia di Gea. Si era dimenticato che la sua stanza era lì.
Si era presentata e lui aveva cercato in tutti i modi di non perdere la pazienza senza saltarle al collo.
Poi lei gli aveva fatto perdere il controllo e lui aveva iniziato a dire un sacco di cose che non credeva di aver potuto dire. Sentiva un senso di fratellanza con lei che gli dava il voltastomaco.
                E quando è crollato dal dolore, lo ha detto: – Ha ucciso l’amore della mia vita …
Annabeth era tutto per lui.
                – So di essere la figlia di quella che lo ha fatto. – rispose lei. – Ma questo non vuol dire che sia come lei. Come potrei mai privare un ragazzo del suo unico amore? Non so neanche se potrei uccidere una persona.
                Ma Percy non riusciva a fidarsi. Si sedette asciugandosi le lacrime e si distanziò il più possibile dalla semidea. – Niente mi può garantire questo. Potresti avere più potere di quello che credi. Potresti ucciderci tutti. Alla fine è per questo che sei nata: per rivendicare tua madre.
Lei lo guardò, offesa. Ma riprese senza indugio: – Per adesso non voglio uccidere nessuno di voi. – disse sedendosi vicino a lui. – Nemmeno te.
Percy non capiva a che gioco stesse giocando.
                – Come si chiamava? – chiese cambiando argomento.
                – Chi?
                – La tua ragazza.
Lui non voleva parlare di Annabeth con lei.
                – Annabeth? – chiese lei.
                – Come lo sai?
                – Ho letto il tuo nome e il suo intagliati sul parapetto. – disse lei semplicemente. – Ho fatto due più due e ho tirato ad indovinare.
Lui non rispose.
E neanche lei aggiunse nulla per un lungo periodo di tempo.
Rimasero semplicemente fermi.
                – Mi insegneresti a combattere? – disse infine.
Lui la guardò come se fosse impazzita.
                – Mi sono sentita inutile prima. Quando voi eravate intrappolati. Nico ha fatto tutto il lavoro e io sono rimasta a guardare. Voglio sapermi difendere. – Percy riconobbe una convinzione famigliare nella sua voce. Si rivide, giovane ed inesperto, sempre alla ricerca di guai, quando era appena arrivato al Campo. E l'odiava per questo.
                – Al Campo ti potrai allenare. Io non sono bravo ad insegnare. – e detto questo, decise di andarsene. Non voleva più avere a che fare con lei.
                – Ma Nico, essendo figlio di Ade, non può tipo … resuscitarla? – gli chiese alle sue spalle lei.
Lui scosse la testa cercando di non ascoltare le fitte al cuore: – Non è così forte.
                – Bé, ci sarà un altro modo? – continuò lei imperterrita.
                – No. Lei è morta.
                – Ho capito, ma se ci fosse un incantesimo o qualcosa del genere …
Percy si stava stufando sul serio di tutte le cazzate che sparava: – Non siamo maghi, siamo semidei. La morte è l’unica cosa che non possiamo combattere. Fattene una ragione.
                – No.
                – Meglio che cominci. – le disse piatto. – Prima che le persone che ami ti muoiano davanti agli occhi. Almeno, quando accadrà, sarai preparata.



Nota dell'autrice: Ehi gente! Perdonatemi se ho aggiornato solo adesso ma ho appena finito di studiare spagnolo perché oggi pomeriggio ho avuto una gara di Hip Hop! (a chi interessasse: il mio gruppo è arrivato 9° su 16......ovviamente la competizione era truccata.....ha vinto un gruppo di tre sfigati che non andavano neanche a tempo!)
In ogni caso ora sono qui tutta per voi! Bé basta.....buona lettura
e un grosso abbraccio ad ognuno di voi che mi state ancora seguendo
Silvia
 

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Capitolo 16
*** Riporto Indietro La Ragazza Che Avevo Conosciuto ***


Riporto Indietro La Ragazza Che Avevo Conosciuto


LEO
 


                Messa la giuda automatica, si avviò sottocoperta. Hazel aveva improvvisato una prigione con le sbarre di foschia e Frank stava a sorvegliarla. Quando entrò fece un sorriso smorto al suo amico.
               – Puoi andare. – gli disse.
Frank si alzò. Era almeno quattro centimetri più alto di lui, anche se Leo era cresciuto durante la guerra.
                – Ehi, – gli mise una mano sulla spalla e lanciò un’occhiata dietro di lui. – non farti fregare. – non lo stava prendendo in giro, aveva uno strano tono fraterno insinuato nella voce.
                – Ci penso io. – rispose Leo facendo un sorriso amaro mentre abbassava lo sguardo.
Quando Frank se ne fu andato, guardò attraverso le sbarre. Lei era lì, bella come la ricordava.
Erano alcuni giorni che era rinchiusa. Gli altri non l’hanno lasciato andare a parlare con lei per paura di come entrambi avrebbero potuto reagire.
Jason era venuto poco prima con Reyna e Piper per farla parlare, per capire quali déi volevano la figlia di Gea. Era venuto fuori che tutto l’Olimpo si stava mobilitando per ucciderla. Dovevano arrivare al Campo Mezzosangue il prima possibile se volevano compiere la loro missione.
Era vero, Leo non si fidava della figlia di Gea.
                – Guarda chi mi degna della sua visita … – la voce roca che non riconosceva più, parlò nell’oscurità.
                – Sono venuto a farti ragionare. – ammise Leo avvicinandosi. – O almeno a provarci.
                – Sprechi il tuo tempo, Leo Valdez.
Sì, forse era vero. Forse non sarebbe mai riuscito ad avere indietro la sua Calipso, quella ragazza a cui aveva promesso la libertà. La ricordava ancora così bene, come se fosse stato l’altro giorno.
Ma tentar non nuoce. Così avanzò oltre alle sbarre fatte di vapore e si sedette davanti a lei.
                – Cosa ricordi del periodo che ho passato con te sull’isola?
Lei alzò lo sguardo verso di lui: – Sei patetico. Ti ostini a parlarmi di quell’infernale isola e di quando ho dovuto condividerla con te.
Leo continuò a fissarla, senza perdere la speranza: – Va bene, vorrà dire che dovrò provare qualche cosa di più drastico. Percy?
                Il ragazzo entrò dalla porta.
                – Déi, quanto vorrei essere morta. – ringhiò lei.
                – Preferisci parlare con lui, o con me? – e in un certo senso, Leo temeva la risposta.
Lei sbuffò: – Con te.
                Il ragazzo tirò un sospiro di sollievo. Forse si stava avvicinando.
                – Grazie Percy, puoi andare.
Lui accennò ad un triste sorriso e ne andò. Leo si preoccupò per il ragazzo più grande, forse gli aveva fatto male rivederla.
                – Contento ora? Odio più lui che te. – sibilò.
Almeno è qualcosa si disse fra se e se. Ma guardandola, capì che sarebbe stato più difficile di quanto immaginasse. Sull’isola lei era indignata, per quello era riuscito a farle cambiare idea su di lui, ma ora, lei provava per lui un vero e proprio odio.
                Si alzò e fece per uscire, ma la ragazza parlò. – Cosa fai? Hai già perso la speranza?
La voce era sprezzante e rauca.
                – Non la perderò mai, raggio di sole. – sussurrò Leo voltandosi leggermente. Si voltò del tutto verso di lei e le si avvicinò molto lentamente. Si abbassò al suo livello e la fissò negli occhi scuri a mandorla che tanto aveva sognato. Restò a guardarla e notò all’interno dell’iride, nel suo sguardo, qualcosa che non le apparteneva. Le mise una mano sulla guancia, ma lei gliela prese cercando di toglierla.
La vide lottare contro qualcosa dentro di lei. Sentì la presa sulla sua mano allentare per poi tornare ferma un paio di volte.
                – Ehi. – la chiamò lui mettendosi in ginocchio davanti a lei. Lei cercò di concentrarsi e fece una leggera smorfia di dolore quando lui le appoggiò lentamente anche il palmo dell’altra mano sulla sua guancia morbida.
La costrinse a guardarlo negli occhi. – Te l’avevo promesso, no? – le sussurrò con il viso a pochi centimetri da lei.
                Il suo respiro era irregolare. – Leo … – fece un’altra smorfia. – … io non sono … non posso. – quella voce. Era così simile a quella che ricordava.
Si stava sforzando. Stava continuando a tremare.
                – Io non vado da nessuna parte. – le disse.
Lei cominciò a scuotere la testa serrando gli occhi. Leo cercò di tenerla ferma. – Ehi, guardami.
                – No, no, no. – farfugliò continuando a tenere gli occhi chiusi.
                – Guardami. Io non vado da nessuna parte. – ripeté.
Lei si fermò, tornò a respirare normalmente.
                – Io non vado da nessuna parte. – sussurrò nuovamente.
Calipso alzò lo sguardo e lo incrociò con il suo.
                – Io non vado da nessuna parte. – scandì quelle parole con tutta la forza che aveva. Le disse cercando di farle entrare nella sua pelle, nei suoi occhi, nel suo respiro. Cercando di farle diventare parte di lei, per farla tornare indietro.
                E lo vide. Un bagliore di quello che aveva visto quell’ultima notte sull’isola.
                – Calipso … – sussurrò riconoscendola, trattenendo le lacrime.
Ma lei non lo fece finire. Accorciò la distanza fra le loro labbra e lo baciò. Sentirla gli provocò un brivido lungo la schiena. L’abbracciò e la tirò più vicina a sé.
Si staccò per un momento poi, per dire. – Déi, mi sei mancata così-
Ma lei lo baciò ancora facendolo sorridere. Per la prima volta dopo così tanto tempo, troppo, era felice.
Si staccò da lei per poterla guardare.
                – Lo sapevo che mi avresti ritrovata. – gli disse con le lacrime che le rigavano le guance. Anche lui le aveva bagnate. Lei rise. – Ti ho lasciato tutto il rossetto sulle labbra.
Leo rise, fece una risata liberatoria, come se tutto il peso si fosse alleviato con lei. – Te l’avevo promesso. Che sarei tornato a prenderti.
                La ragazza lo abbracciò, lo strinse a se con tutte le forze che aveva. Poi si fermò e si staccò da lui velocemente. Leo la guardò.
                – Cazzo. – sputò.
                – Che?! – urlò Leo stupito. – Da quando usi queste parole?!
                – Siamo fregati, siamo fregati. – continuò a farfugliare mentre si alzava e cercava di uscire.
                – Ehi! – Leo la raggiunse e la fermò. – Ma che ti succede?
                – Devo parlare con gli altri. – gli disse preoccupata. – Forse è già troppo tardi.
               


Erano tutti in mensa, tranne Nico che controllava la nave e la figlia di Gea che era nella sua cabina.
Nessuno parlò dopo il lungo discorso di Calipso.
Leo ci aveva messo un po’ per calmarli tutti e convincerli che era tornata normale,  ma alla fine hanno messo via le spade e Frank si era ritrasformato da leone a umano.
                – Quindi, quando Leo ti ha fatta tornare normale ... – cercò di capire meglio Jason.
                – Mi ha baciato come se fossi una torta al cioccolato. – concluse Leo con un sorriso ebete e soddisfatto mentre teneva un braccio attorno alla vita della ragazza. Tutti lo guardarono male.
                – Sì. –  continuò Jason sbuffando. – Dicevo: appena sei tornata te stessa, Gea ha potuto parlare con sua figlia?
                – Esatto. – disse mortificata. – Io ero l’interruttore che ha acceso il collegamento. Non so se ha già interagito o se stia aspettando il momento giusto. – spiegò, poi abbassò lo sguardo. – Per quello lottavo contro me stessa. Dovevo restare ‘’cattiva’’ per salvarvi. – l’ultima frase la disse guardando Leo.
                – No, non potevi rimanere così. Riusciremo a convincere la semidea a stare dalla nostra parte. – il ragazzo guardò Jason, cercando un appiglio. – Vero?
                – Lo spero. – disse il figlio di Giove, anche se poco convinto.
                – Come prima cosa dovremmo avvisare la ragazza. – disse Hazel.
                – Cosa? No! Chissà come potrebbe reagire. – esclamò Leo.
                – Hazel ha ragione, non possiamo mentirle, quando lo scoprirebbe potrebbe prenderla male e rivoltarsi contro di noi. – puntualizzò Piper. – So che sembrerà brutto ed egoista, ma dobbiamo cercare di farcela amica.
                – No. – disse subito secco Percy.
                – So che sarà difficile, dopo tutto quello che ha fatto sua madre. – cercò di continuare Piper. – Ma dobbiamo farlo per la salvezza di tutti. Basta che pensi di aver trovato una casa, non dobbiamo per forza volerle bene.
                – Lei ha ucciso Annabeth. – ringhiò Percy. – Fai stare Nico con lei! Visto che ha contribuito alla sua morte! – era fuori di sé.
                – Percy! – urlò Reyna arrabbiata.
                – Terra! – sentirono Nico gridare dall’albero maestro.
Non avevano tempo per le discussioni.
Erano a casa.



Nota dell'autrice: Per la gioia di tutte le giovani fan della Caleo! ahah! *-* Un applauso alla coppia più dolce del mondo! *applaude da sola*
Ah sono così contenta di averli rimessi insieme che mi viene quasi da piangere!
Bé un bacione a tutti e buona lettura
Silvia
 

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Capitolo 17
*** Conosco La Mia Nuova Casa ***


Conosco la mia nuova casa


SILVIA

               
                Appena aveva sentito gridare ‘’Terra!’’ si era precipitata sul ponte. Si affacciò dal parapetto, curiosa. Sotto di lei passava Long Island, in America. Avevano viaggiato sopra all’Atlantico e ora era dall’altra parte del mondo. Per un attimo pensò a casa sua, alla sua camera, ai suoi genitori. La staranno cercando adesso? Si saranno preoccupati per lei? Forse no. Forse si saranno sentiti liberi, finalmente.
                Corse fino a prua tutta sorridente per vedere la sua nuova casa. Leo stava già facendo scendere lentamente la nave verso la baia. Riuscì a distinguere dei campi, un agglomerato di edifici che formavano la lettera dell’alfabeto greco omega e una casa tutta azzurra. Più si avvicinava più il numero di ragazzi aumentava. Saranno stati almeno 300.
Sorrideva ed il sole con lei. Sentiva il calore dei suoi raggi che le riscaldavano anche il cuore. Era a casa, finalmente. La sua vera casa.
                Poi il suo sorriso, si smorzò.
Per un attimo ebbe paura. Sua madre aveva causato dolore ad ognuno di loro. Anche loro l’avrebbero odiata, anche loro avrebbero potuto ucciderla.
Si allontanò dal parapetto. Lì nessuno l’avrebbe accettata.
                – Tutto bene? – sentì una voce alle sue spalle. Si voltò.
Era il figlio di Giove. Lei si allontanò leggermente. Non si fidava più di nessuno.
                Annuì.
                – So che hai paura. – le disse. – Ma non ti devi preoccupare. Ti porteremo da Chirone e quando ti presenterà agli altri, loro non potranno neanche toccarti.
Silvia ebbe ancora più paura di lui. Stava cercando di rassicurarla ed era la prima volta che le rivolgeva la parola.
                – Andrà bene. – disse Piper, la figlia di Afrodite, alle spalle del ragazzo.
Lei si limitò ad annuire nuovamente. E si calmò solo quando vide Nico. Era sceso dall’albero maestro con un balzo. Rimase serio e si spostò vicino al parapetto. Almeno di lui era sicura che poteva fidarsi.
                – Fatela allontanare dal parapetto. – disse cupa Reyna.
Jason le si avvicinò per prenderla per un braccio, lei lo guardò, preoccupata. Quando la tocco però, smise improvvisamente di avere paura. Si sentì protetta, ma non capì come fosse possibile.
Il ragazzo l’accompagnò da Nico che stava ancora scrutando mesto la baia che si avvicinava.
– Nico, portala alla Casa Grande senza farla vedere dagli altri. – ordinò al figlio di Ade. – Noi arriviamo subito.
Il ragazzo annuì e le si avvicinò. Lei voleva fermarlo, voleva capire se lì era veramente al sicuro, ma appena toccò il suo braccio si teletrasportarono dentro ad una stanza completamente in legno.
Un uomo era seduto su di una sedia a rotelle e stava leggendo un libro in greco antico. Si tolse con calma gli occhiali da lettura e li appoggiò sul tavolino al suo fianco, poi li guardò.
                – Ciao Nico. – disse salutando il ragazzo. Poi spostò il suo sguardo verso la figlia di Gea, studiandola. – Ciao Silvia. – la salutò.
                – Salve. – disse lentamente.
                – Gli altri arriveranno fra poco. – spiegò Nico sedendosi su di un vecchio divano.
Restarono così, in silenzio. L’uomo con il libro in mano, Nico sul divano e la ragazza in piedi.
Passarono diversi minuti prima di sentire delle voci da dietro alla porta. Entrarono gli altri ragazzi e si accomodarono nelle sedie libere. Silvia non si mosse dalla sua posizione.
                – Dunque,  – cominciò l’uomo lisciandosi la barba quando tutti si furono seduti. – io sono Chirone. E tutti sanno chi sei tu.
                Lei annuì. Non si era mai sentita così in imbarazzo.
                – L’unica cosa che devi sapere è che non sarai mai al sicuro. – lo disse come se niente fosse.
– Essendo la figlia della dea che ha cercato di distruggere tutti noi e di conseguenza dovendo continuare il suo compito, chi conoscerà la tua identità, ti vorrà subito morta. – fece una pausa. – Ed è per questo che sei qui. In questo posto sarai al sicuro, almeno in parte, e potrai imparare a difenderti.
                Lei annuì ancora. Niente di nuovo fino ad adesso.
                – Dobbiamo dire una cosa. – disse Jason alzandosi. – Durante il nostro viaggio al Campo siamo stati attaccati dalla nave di Calipso. Gea l’aveva cambiata e gli déi la stavano manipolando per catturare la semidea. – spiegò guardando la ragazza. – Molti di loro sanno già che c’è una semidea, figlia di Gea e che il suo compito è quello di distruggerci. Ma la parte peggiore è che, quando Leo ha fatto tornare normale Calipso, ha permesso anche che Gea comunicasse con lei.
                Tutti la stavano fissando.
                – Io non ho parlato con nessuno. – si spiegò velocemente.
                – Non hai neanche sentito delle voci nella testa o visto qualcosa di insolito? – le domandò Piper.
                – No. – poi vedendo che molti non erano convinti, aggiunse. – Lo giuro.
                – È probabile che stia aspettando il momento giusto. – disse Chirone. – Le parlerà quando sarà meno vulnerabile.
                – Io, vorrei mettere in chiaro una cosa. – accennò Silvia alzando leggermente la mano, come per prendere la parola. – Io non voglio fare del male a nessuno. – disse a voce abbastanza alta, convinta di quello che stava dicendo. –  Anche se voi mi odiate per quello che mia madre ha fatto, anche se non volete avermi intorno, io non vi odio. Vi sono grata per avermi portata via e di proteggermi, anche contro la vostra volontà. Non vi farei mai niente, davvero. – doveva metterlo in chiaro. Non li conosceva, ma sapeva bene che nessuno lì avrebbe voluto parlarle. Dovevano sapere che lei non avrebbe voluto far loro del male.
                Nessuno parlò, ma tutti la fissarono.
Nico si alzò e le si avvicinò. – Ti credo.
Lei lo ringraziò con lo sguardo, ma nessun altro aprì bocca.
                – Gea ti manipolerà, ti farà odiare i semidei ed il Campo. – disse Chirone. – Sarà difficile fidarsi di te.
Lei annuì tristemente. Doveva guadagnarsi la fiducia di quei ragazzi, in un modo o nell’altro.
                – Nico, Hazel, vi dispiacerebbe tenere la ragazza con voi? – chiese l’uomo.
                – No, nessun problema. – rispose Hazel con un leggero sorriso.
                – Ottimo. – disse infine facendosi per alzare. – Ora andate a riposare prima di cena. – e mentre usciva dalla porta un corpo da cavallo si svelò sotto alla coperta per la sedia a rotelle. – Al falò presenterò la ragazza.
                Silvia rimase bloccata con la bocca aperta a guardare il centauro che usciva dalla casa.
 
               
Nota dell'autrice: Ehilà gente! Dopo questo 17esimo capitolo mi fermerò per un po' per le vacanze di pasqua. Un po' per lo studio, un po' per i vari pranzi con i parenti.
Approfitto di questo spazio anche per dirvi che sto scrivendo un’altra ff che prende spunto dalla saga di Percy Jackson in alcuni aspetti come la presenza della Foschia, un Campo per Mezzosangue e robe così, ma la trama è completamente diversa (capitemi). Non so se la metterò subito dopo che finirò questa perché è un po’ più complicata dato che l’avevo scritta quest’estate, poi per sbaglio l’ho cancellata (maledetta io e la mia incapacità ad usare il computer!), così dovrò riscriverla un po’ come la ricordo.
Ecco basta…
Un bacione
Silvia

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Capitolo 18
*** Pessima Presentazione ***


Pessima Presentazione

HAZEL
               

                Stavano camminando verso la capanna di Ade dove avrebbero alloggiato con la figlia di Gea. La verità? Hazel aveva paura di quella ragazza, ma soprattutto aveva paura di come guardava suo fratello. Sembrava che tra loro ci fosse una strana intesa. Era lei che era sempre stata vicina al fratello quando nessuno lo capiva, quando si sentiva fuori posto.
                Molti ragazzi si voltarono quando passarono. Hazel non sapeva se stessero fissando Nico o la ragazza nuova. Entrambi avrebbero potuto suscitare strani sguardi. Velocizzò il passo ed entrò nella casa di Nico.
Sia che fuori che dentro era di ossidiana nera e all’interno delle piccole fiaccole di fuoco verde illuminavano l’ambiente dando un aspetto tetro. Era più grande e spaziosa delle altre capanne. C’era un salotto con un divano di pelle nera, una televisione, una grossa libreria antica di legno scuro, due bagni, le due camere da letto e una piccola cucina. In tutta la casa però c’erano solo poche finestre, la maggior parte erano in camera di Hazel e solo alcune nelle altre stanze. Suo fratello era così, stava meglio con i morti che con i vivi.
                Andò nella sua camera per mollare la borsa sul letto. Ce n’erano due di stanze da letto: una per Nico e una per lei quando restava al Campo. Tornò in salotto per sentire suo fratello che diceva alla ragazza. – Ci sono solo due camere da letto, per cui se vuoi io posso dormire sul divano e tu puoi prendere il mio letto.
                Da quando era così gentile? Si chiese Hazel ascoltandolo. – Oppure puoi dormire sul mio. – disse lei, ricordando le parole di Piper. Dovevano farsela amica.
                La figlia di Gea fissò la ragazza un po’ preoccupata, forse aveva esagerato con la gentilezza. – Grazie davvero, ad entrambi. Ma non voglio disturbarvi ulteriormente. Posso dormire sul divano. – e poi aggiunse un dolce sorriso.
Nico annuì. – Se vuoi sistemarti fai pure. – le disse. Poi guardò sua sorella. – Io devo … fare delle cose.
E sparì dietro la porta.
Quando diceva così voleva dire che doveva fare un giro nel Regno dei Morti. E ad Hazel non andava affatto bene. Quando tornava era sempre troppo stanco e pallidissimo.
                Poi si accorse che la ragazza era ancora nella stanza. – Ehm … – mormorò in imbarazzo. – Il bagno è quello bianco e nero in fondo al corridoio. Se ti serve qualcosa, sono nella mia camera.
La semidea annuì aggiungendo un sorriso. Hazel cercò di ricambiare, ma fece tanta fatica a sorridere a lei.
                Si allontanò velocemente dal soggiorno non dando il tempo alla ragazza di rispondere e si rinchiuse in camera. Chiusa la porta, si buttò sul letto.
Non riusciva a dimenticarsi la scena a cui aveva assistito sulla collina dell’Epiro in Grecia. Nico in lacrime e Percy … non sembrava più lui.
Aveva perso una delle sue più care amiche, una delle poche che l’aveva accettata. Sulla nave aveva pianto tanto insieme a Piper. Si strinse le gambe al petto e infilò la testa fra esse. Rimase così, in silenzio, cercando di non pensare troppo.
                Dopo qualche minuto sentì bussare alla porta. – Hazel?
Lei alzò lentamente la testa. – È aperta.
Entrò la figlia di Gea. – Non volevo disturbarti. – poi guardandola negli occhi capì. – Scusa, meglio se ti lascio sola. – fece, in imbarazzo, mentre usciva dalla porta.
                – No, no. – la fermò Hazel. – Vieni pure.
La ragazza rientrò e si appoggiò al muro opposto, guardando il pavimento. – Volevo chiederti una cosa. – disse, per poi alzare lo sguardo su di lei. – Riguarda Nico.
                La figlia di Plutone si limitò ad annuire. La verità è che non voleva parlare di suo fratello con lei. Magari dopo avrebbe potuto usare quello che le diceva per fargli del male.
                – Quando, nel Regno dei Sogni, ci siamo stretti la mano, ho visto delle cose strane. – disse tormentandosi le mani. – Ho visto sua sorella che era morta. E poi lui che parlava con il suo spirito.
Hazel non parlò.
                – Volevo chiederti se potevi parlarmene. – disse timidamente. – Non voglio assolutamente intromettermi nella vostra vita privata, volevo solo capire.
Hazel guardò attentamente la ragazza. Non sembrava avere cattive intenzioni. Almeno non adesso.
                – Si chiamava Bianca. – disse infine. – Nico era molto affezionato a lei. – la guardò e vide uno sguardo pronto a comprendere. Solo per questo continuò. – È morta durante un’impresa con Percy ed altri due ragazzi. Quando Nico me lo ha raccontato mi ha detto che Percy l’aveva lasciata morire, poi lui mi ha spiegato che Bianca si era sacrificata per la missione. Non so a chi credere, so solo che ha distrutto Nico. Quello lo ha portato ad essere un vero figlio di Ade. Attanagliato dal dolore in ogni singolo giorno della sua vita. Ha passato momenti infernali per questo. – La ragazza non aprì bocca per tutto il racconto. – Era rimasto solo.
                – È per questo che si odiano? – chiese. – Nico e Percy?
                – Per Percy, Nico ha lasciato morire Annabeth. – sentì un bruciore in gola mentre lo diceva. – E questo sta facendo molto più male a Nico che a Percy.
                – Perché? – domandò.
Hazel scosse la testa. Stava dicendo troppo. – Non potrei dirti queste cose.
La ragazza annuì, comprendendo. – Già. È difficile fidarsi della figlia di Gea, dico bene? – lo disse con un’amarezza nella voce che ad Hazel fece compassione.
                – No, non è per questo. – cercò di spiegarsi.
                – Va bene. – la fermò alzando una mano. – Nemmeno io mi fido di me stessa, figuriamoci come possiate farlo voi …
Hazel si appoggiò al muro dietro al letto. – Però Nico si fida di te. – disse prima che la ragazza uscisse dalla porta. Infatti, si fermò sull’uscio e si voltò.
                – Già. – sorrise leggermente.
Ed Hazel rivide quello sguardo con cui fissava Nico ogni volta.
               
 
               Quella sera al falò il clima era leggero. Nessuno faceva molto caso alla nuova arrivata.
Chirone si alzò andando al centro del cerchio e chiamò a sé la ragazza. Lei gli si avvicinò lentamente, con una strana espressione in volto. Tutti i ragazzi bisbigliavano e si chiedevano di chi potesse essere figlia.
                – Cari ragazzi, – annunciò alzando le braccia per zittire gli ultimi chiacchiericci. – La notizia che sto per darvi, potrebbe stupirvi o terrorizzarvi. – si fermò per guardare la ragazza di  fianco a lui. – La ragazza vicino a me si chiama Silvia. Viene dalle antiche terre, più precisamente dall’Italia. Ma non è questa la vera notizia … – fece un’ulteriore pausa per prendere fiato. – Lei è una semidea. Ed è ...figlia di Gea.
 
Silenzio.
 
E poi il caos.
Tutti cominciarono ad urlare e a protestare. Una figlia di Gea, quella che aveva cercato di ucciderci, nel nostro Campo? Hazel si aspettava una reazione simile. Molti si stavano avvicinando urlando che avrebbero dovuto ucciderla subito.
                Jason, Piper, Grover e Nico si erano alzati anche loro e si stavano mettendo fra la folla e la ragazza. Hazel li imitò insieme a Frank e Reyna. Estrassero le spade, pronti a combattere, se necessario. Hazel sperava tanto che non lo fosse. L’ultima cosa che voleva era una guerra civile all’interno del Campo.
Gli unici che rimasero seduti furono Percy e Leo. La ragazza di Leo, Calipso, era nella capanna di Efesto a riposare. I due squadrarono la semidea da testa a piedi. Non si fidavano affatto.
                – Silenzio! – gridò Chirone a gran voce. Tutti improvvisamente si fermarono. – È qui perché gli déi la stanno cercando. Il nostro compito è proteggerla.
                – Proteggerla!? Chirone stai scherzando?! – ringhiò Clarisse. – Dovremmo aiutare la figlia di Gea?!
La folla rispose con un forte ‘’NO!’’.
                – Calma la tua lingua, Clarisse. – la fermò subito il centauro. – Non è come sua madre. Lei è cresciuta con dei mortali. Non ha mai conosciuto Gea.
                – E questo dovrebbe bastarci? – domandò la figlia di Ares, furiosa.
                – Certo che no. – rispose secco Chirone, beccandosi un’occhiata interrogativa dalla semidea figlia di Gea. – Quello che chiedo ad ognuno di voi è di fidarsi cecamente di me, ma soprattutto di lei. – disse guardando la ragazza al suo fianco. – Io l’ho fatto.
                La semidea sorrise al suo voto di confidenza.
Molti abbassarono le lame.
                – Dopotutto, lei è una semidea come voi. – disse ancora Chirone.
Tecnicamente, no. Il suo genitore mortale non lo aveva mai conosciuto e Hazel faceva fatica a credere che fosse esistito.
                – Bene. – sbuffò Clarisse infine, abbassando la lancia. – Noi ci fideremo. Ma al primo sospetto, non avrò problemi ad infilzarla. – e detto questo richiamò i suoi fratelli della casa di Ares e se ne andarono.
                Gli altri semidei si allontanarono lentamente, nessuno voleva più restare al falò.
                – Questo è il massimo che ci possiamo aspettare da Clarisse. – mormorò Chirone.
                – Mi dispiace. – mormorò la ragazza.
                – E per cosa? – le chiese il centauro.
                – Sto creando solo problemi. – rispose stringendosi  nelle spalle.
Chirone la circondò con un braccio. – Clarisse è sempre un po’ arrabbiata. Per gli altri, da’ loro tempo. – poi si voltò verso i soli che erano rimasti. Loro sette, Grover, Nico e Reyna. – Intanto potrai fidarti di loro.
                La ragazza accennò ad un sorriso. Ma Hazel non era così felice di fare da balia alla figlia di un’assassina.



Nota dell'autrice: Ehi gente! Sì, ho aggiornato e sono tanto contenta. Però sono due giorni che vivo da sola in casa.... e questo è molto triste.
Bé un bacio a tutti 
Silvia

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Capitolo 19
*** Sogni Infestati Da Mia Mamma ***


Sogni Infestati Da Mia Mamma


SILVIA
               

             Quella notte Silvia, la vide per la prima volta.
 
Si trovava su di una collina. Il sole splendeva nel cielo rendendo tutto più caldo e confortante. L’aria era pulita e fresca, il vento giocava con i suoi capelli castani e le alzava i vestiti. Rise divertendosi a tenerli fermi.
C’erano alberi di ciliegio, con i loro fiori bianchi che perdevano i piccoli petali. Questi venivano trasportati dal vento prendendo le forme di ninfe aggraziate che danzavano nell’aria.
Un ruscello scorreva dolcemente fino a valle. L’acqua era limpida ed era come se solo guardarla ti dissetasse. Milioni di pesci danzavano nella corrente formando divertenti giochi di colori con il riflesso del fiume.
L’erba era rigogliosa e di un verde così acceso che sembrava innaturale. Farfalle multicolori svolazzavano fra i fiori dai colori più strani per poi riunirsi e librarsi nel cielo di un azzurro vivo.
Tutto attorno a lei sembrava vibrare di vita.
                Distese la braccia allungandole il più possibile, come per abbracciare tutta quella meraviglia che la circondava. Chiuse gli occhi respirando profondamente. Sentiva il profumo del miele delle api, dei fiori di campo, degli alberi di ciliegio. Quell’aria pulita le riempiva i polmoni facendola stare bene. Sorrise.
                Poi, improvvisamente, il vento cessò.
Aprì gli occhi lentamente, non capendo cosa stesse succedendo. Il sole venne oscurato da un banco di nuvoloni grigi e minacciosi. C’era solo silenzio. Era come se tutto si fosse fermato.
Silvia avvertì qualcosa sotto ai suoi piedi. Qualcosa che si agitava. Prima era solo un tremolio, poi si ingigantì sempre di più trasformandosi in un forte terremoto scatenato dalle viscere della terra. Cadde bruscamente, rischiando di rompersi qualcosa. Il suolo si spaccò in un grosso boato, Silvia rotolò di lato per non caderci dentro. Si rialzò con il fiatone per lo spavento e fece in tempo a vedere che dalla profonda crepa emergevano ciminiere e grattacieli. L’erba si bruciò e divenne grigia e morta, gli alberi si seccarono e persero tutti i fiori, il ruscello era senza acqua e sul fondo i pesci giacevano senza vita emanando un orribile odore.
Crescevano fabbriche al posto di fiori che sputavano fumo nero coprendo l’intero cielo. Il sole non si vedeva più ed era diventato tutto buio e freddo. Vedendo quello spettacolo, ebbe paura e il respiro le si mozzò.
Le ceneri delle industrie iniziarono a cadere e le mani di Silvia si sporcarono di nero. Era solo cenere scusra, ma a lei sembrava sangue. Era il sangue della meraviglia che aveva visto prima.
Vento. Si librò un vento bollente dalla crepa al suolo che provocò un tornado di cenere che continuava a cadere. La circondò e lei si trovò ingabbiata. Non riusciva più a tenere gli occhi aperti. Le bruciavano e lacrimava. Si mise una mano davanti, ma non cambiò molto. La polvere nera le entrava nei polmoni mentre respirava in cerca d’aria pulita. Ma era ovvio che non l’avrebbe trovata.
Si teneva la gola che bruciava. Tossì, sputò saliva. Sentiva tutto che andava a fuoco. Vomitò. Non ce la faceva più. Urlò. Un urlo sordo e gracchiante a quel cielo che l’avrebbe giustiziata a morte.
                – Questo è ciò che gli uomini hanno fatto alla terra. – sussurrò una voce profonda. – L’hanno distrutta! Facendone l’inferno! – lei non capiva. – Vendicami, figlia.
Di nuovo il terremoto.
Silvia urlò ancora.
Due occhi neri erano davanti a lei.
                – Svegliati! – le gridava una voce mentre la scuoteva. Lei si agitò per liberarsi dalla sua stretta, poi riconobbe la voce.
Era Nico.
Si guardò intorno con il fiatone e il cuore che le batteva all’impazzata. La pareti nere in ossidiana, delle torce accese alle pareti, il divano in pelle, il volto del ragazzo. Era stato solo un sogno.
Sentiva ancora i polmoni pieni di fumo. Cercò di respirare normalmente, ma il bruciore glielo impediva. Stava impazzendo di nuovo.
              – Va tutto bene. – Nico scandì le parole lentamente, mettendole una mano sulla spalla. – Ora sei sveglia. Sei al sicuro.
Doveva prendere aria, doveva sentire l’aria pulita. Si alzò di scatto e corse verso la porta. Quando uscì l’aria fresca della sera l’investì. Respirò a pieni polmoni e il più lentamente possibile. Il bruciore passò dopo altre tre o quattro boccate. Si sentiva come la prima volta che aveva provato a fumare.
Si mise seduta sulla terra fresca e umida della sera, fissando il suolo. Non riusciva a credere a quello che era appena successo.
Nico la raggiunse da dietro e si sedette vicino a lei. Silvia iniziò a interessarsi molto al suolo, non riusciva a guardare il ragazzo in faccia.
                – Hai sognato Gea. –  non era una domanda. Lui era sicuro che era successo. Lei si limitò ad annuire lentamente.
Quando era piccola aveva immaginato più volte il suo incontro con la mamma biologica. Lei sarebbe stata bellissima, con dei lunghi capelli castani e degli occhi verdi come i suoi. Sarebbe arrivata a prenderla a scuola e poi sarebbero andate al parco, poi a prendere un buon gelato in centro, poi al mare. E sarebbe rimasta con lei per sempre. L’avrebbe rimboccata le coperte, raccontato le storie della buonanotte, portata in vacanza.
Non pensava ovviamente che avrebbe potuto cercare di ucciderla in sogno.
Si avvicinò le gambe al petto e alzò la testa vero il cielo. Le stelle erano splendenti e silenziose, forse lei era l’unica che dentro stava urlando.
                – Ero su di una collina. – e cominciò così a raccontargli il sogno. Quando ebbe finito lo guardò, anche lui era fermo con lo sguardo al suolo. Indossava una maglietta nera con un teschio, dei pantaloncini corti, sempre neri, e i capelli erano tutti arruffati. Le dispiaceva averlo svegliato.
                – E tu cosa ne pensi? – le chiese, finalmente guardandola. Maledisse quegli occhi.
In quel preciso istante maledisse quegli occhi. Riusciva a malapena a vedere i contorni del suo viso, ma quegli occhi neri era come se riflettessero tutte le stelle che c’erano nel cielo quella notte.
Sospirò. Quegli occhi l’avevano rapita.
Prese fiato. – Non lo so. L’unica cosa che riesco a pensare è a quanto abbia avuto paura.
Nico le sembrò fare un sospiro di sollievo sentendo quelle parole. E questo, non sapeva bene perché, ma l’adirò parecchio.
                – Non mi ha ancora convinta ad uccidervi. – disse ironicamente. – Se era questo che volevi sentirti dire.
Nico si voltò nuovamente verso di lei. – Non voglio sentire questo.
                – Certo, come no. – Silvia non ci poteva credere. Si alzò. – Per fortuna che ti fidavi di me. – cominciò a camminare in direzione opposta della capanna di Ade. Come aveva potuto credere che l’avrebbero accettata? Che perfino Nico avrebbe potuto …
Sentì dei passi e poi Nico l’afferrò per il braccio, voltandola.
                – Io mi fido di te. – le disse. – Completamente e cecamente. Volevo solo sapere se stessi bene.
La rabbia svanì. L’abbandonò come era montata improvvisamente. Si abbandonò alle sue braccia. Lui la sorresse, rigidamente, e rimasero in quello che era una specie di abbraccio venuto male.
                – Scusa, non so cosa mi sia successo. – gli sussurrò staccandosi da lui.
                – Non eri tu. Era Gea. – la rassicurò lui.
Lei annuì, aveva paura per loro adesso. Se era riuscita a farle perdere il controllo così facilmente, Gea avrebbe potuto fare di tutto.
 




                La mattina dopo si svegliò con Hazel che la scuoteva. Era riuscita a dormire sì e no tre ore dopo l’incubo. Si alzò lentamente e si vestì per fare colazione. Come tutti i pasti, si svolse nel padiglione. Mangiò poco, lo stomaco era un pugno di ferro. Aveva ancora quella sensazione di soffocare.
                – Ehi? – qualcuno la stava chiamando.
Alzò la testa. – Sì? – era Piper.
                – Hai sentito cosa ho detto? – le domandò ancora.
                – No, scusa. – ammise.
                – Oggi puoi iniziare gli allenamenti, se vuoi. – le ripeté la ragazza. – Puoi venire con me a scegliere la spada e poi Percy ti aspetta all’arena per cominciare.
                – No. – disse secco Percy. – Io … ho delle faccende da sbrigare. – e detto questo si alzò per andarsene. Il suo piatto era vuoto. Jason fece per prendergli un braccio, ma Piper lo fermò posandogli leggermente la mano sulla spalla.
                – Lascialo stare. – mormorò dolcemente la ragazza.
Jason sbuffò. – Deve fare qualcosa. Non può distruggersi così.
                – Ehi ragazzi! – urlò qualcuno da lontano.
Silvia alzò lo sguardo e incrociò quello di Leo. Stava camminando verso il loro tavolo con un sorriso enorme stampato in faccia. Gli dava una strana espressione in cui il naso si arricciava e le sopracciglia gli si alzavano. Era felice e irradiava uno strano senso di tranquillità mentre era mano nella mano con la ragazza che aveva cercato di ucciderla?! Si irrigidì di colpo e Hazel la tranquillizzò dicendole che era tornata buona. Lo era mai stata?!
In effetti non sembrava così cattiva con la maglia arancione, un paio di jeans corti e delle scarpe da ginnastica. Quasi come una normale adolescente in un Campo per semidei (per quanto questo possa essere normale). È stato quando si erano avvicinati, quando lei aveva incrociato il suo sguardo che era successo il finimondo.
La ragazza iniziò a fare una strana smorfia. Mollò la mano del ragazzo che rimase immobile e scaraventando a terra Hazel, seduta vicino a Silvia, si avventò sulla figlia di Gea facendola rotolare a terra. Tutti si fermarono a guardare la scena. La ragazza si mise a cavalcioni di Silvia e le avvinghiò le mani al collo, stringendo.
Eccola di nuovo, la sensazione di soffocare. Ora però, era così reale.
Qualcuno le diede l’elsa sulla testa, facendola svenire.
                – Nico! Cavolo, vacci piano! – urlò Leo prendendo la ragazza prima che cadesse a terra. Silvia boccheggiò in cerca d'aria.
                – E tu tieni a freno la tua ragazza! – gli gridò di rimando Nico con la spada alzata. Sembrava davvero molto arrabbiato.
                – Calmi tutti e due. – li incitò Piper con quella voce orribile. Alla figlia di Gea non fece bene. – Leo, porta via Calipso.
Il ragazzo annuì e la prese in braccio dirigendosi lontano.
Silvia era ancora a terra.
                – Tutto bene? – le chiese Hazel, avvicinandosi.
Lei annuì, aveva paura di parlare. La gola le bruciava ancora.
                Qualcuno l’alzò e le porse un bicchiere d’acqua. Lei lo bevve tutto d’un sorso e si sentì un po’ meglio.
                – Non capisco cosa le sia preso. – disse Piper.
                – Non è stata lei. – spiegò Jason. – Forse una parte di lei è ancora ‘’programmata’’ per ucciderla.
Disse guardando la ragazza.
Silvia rimase a fissarli mentre facevano ipotesi su ipotesi. Nico si sedette vicino a lei.
                – Mi divertirebbe molto vederti perdere tutto il giorno contro Frank all’arena, – le disse scherzando, anche se la sua faccia era seria. – ma devo sistemare un  paio di cose, prima di tutto.
A Silvia scappò un sorriso.
                – Ce la fai anche se non ti controllo? – le domandò, ironico.
                – Credo di sì. – gli rispose sorridendo.
                – Prometto che un giorno ci alleniamo insieme e ti batterò tutte le volte che vuoi. – dissi infine per poi scomparire nelle ombre.
Silvia rimase col sorriso. Non aveva mai visto Nico scherzare.
                – In ogni caso, – disse improvvisamente Piper interrompendo la discussione. – dobbiamo andare.
Poi guardò verso Silvia. – Andiamo a scegliere una spada.



Nota dell'autrice: Well, well, well.... Buon pomeriggio a tutti a voi semidei e un saluto speciale agli déi!
19esimo capitolo gente, non ci credo nemmeno io! 
Silvia conosce finalmente Gea e forse è scattato qualcosa con Nico(?) mah..... chi lo sa .......
bé Meravigliosi Unicorni a tutti
Silvia

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Capitolo 20
*** Un Dolce Risveglio ***


Un Dolce Risveglio


LEO


Si svegliò invaso da un dolce profumo di miele.
Si girò e si accoccolò al cuscino lasciandosi pervadere dalla dolcezza di quel momento. Inspirò ed espirò profondamente. Erano mesi che non dormiva così bene.
Aprì un occhio per capire dov’era. Il dondolio della nave non si faceva sentire e la vista della porta di legno del suo bunker gli fece capire la sua posizione. Ora cominciava a ricordare. Quando erano tornati, aveva lasciato Calipso al bunker 9 per farla riposare. Quando era tornato la sera, l’aveva trovata a dormire nel suo letto. Certo, aveva pensato di poter dormire con lei, ma avendo paura di svegliarla si era andato a prendere un materasso dalla capanna di Efesto e aveva dormito sul pavimento vicino a lei. Decise di alzarsi solo perché voleva vedere la ragazza.
Si trascinò in bagno prendendo paura quando si guardò allo specchio. Era tanto che non si guardava. Anche se aveva dormito tutta la notte, le occhiaie dei giorni passati non erano svanite. I capelli ricci erano incontrollabili, come al solito e non si era nemmeno preoccupato di cambiarsi prima di andare a letto. Aveva ancora la camicia sgualcita del viaggio e i pantaloni bruciacchiati. Si decise a sistemarsi.
Si sciacquò il viso e si mise la maglietta del Campo con dei pantaloni verde militare con delle bretelle. Si infilò degli scarponcini e si allacciò la sua solita cintura degli attrezzi.
                Aprì la porta lentamente, senza fare rumore. Vide Calipso mentre studiava Festus, girandoci intorno. Decise di farle uno scherzo. Si avvicinò in silenzio e quando gli fu abbastanza vicino le mise le mani sui fianchi e disse: – Se vuole posso mostrarle come funziona, signorina.
L’effetto che ottenne, fu l’esatto contrario. Calipso gli prese le mani storcendogli il braccio e facendolo cadere rovinosamente a terra con un salto mortale. Nemmeno se si fosse impegnato avrebbe potuto farlo lui.
                – Ahi, ahi, ahi. – mormorò mentre si massaggiava la schiena appena caduto.
                – Leo! – urlò la ragazza avvicinandosi a lui. – Déi! Perché l’hai fatto? – disse mentre cercava di alzarlo.
                – Volevo farti uno scherzo di benvenuto. – affermò sorridendo con una strana smorfia mista al dolore.
                – Bé non prendermi più alle spalle così. – gli ordinò lei, ma poi scoppiò a ridere dandogli un bacio.
                – Ah, ora sto molto meglio. – disse lei con un sorriso ebete.
                – Ci credo. Ora alzati, Piper è passata per dirmi che anche se ci sono io, devi continuare le tue attività qui al Campo. – lo alzò. – Così magari me lo puoi anche mostrare.
                – Con molto piacere, raggio di sole. – disse Leo dandole un bacio sulla guancia.
Uscirono dal bunker 9 mano nella mano e per Leo quello era i campi Elisi in terra.
               
                Passato il bosco, si avviarono verso il padiglione attraversano dunque tutte le capanne e i campi da gioco. Tutto normale, voi direte, ma per Leo era un vero e proprio supplizio.
Passeggiando tranquillamente con Calipso, una delle ragazze più belle della storia, le loro mani intrecciate erano come se non esistessero. I ragazzi della casa di Ares, vedendola passare, si misero sull’entrata mostrando i muscoli scolpiti e l’abilità nel saper far circolare le armi in aria. Quelli della casa di Apollo intonarono un dolce sonetto alludendo ai capelli ramati della sua ragazza. Quelli di Ermes si accatastarono sulla porta della loro capanna per vedere, come Travis e Connor l’avevano definita, “la dea scesa in terra”. Quelli di Atena si misero a conversare fra loro a voce alta per far sentire a tutti i discorsi così filosofici e pieni d’intelletto che sapevano mettere in mostra. I pochi di Afrodite si fecero belli (cosa che non li sforzò più di tanto) e si misero a prendere il sole senza maglietta davanti alla loro capanna.
Leo li guardò infuriato e gli diede ancora più fastidio che a Calipso non importasse niente di come lui stesse impazzendo.
                Ma il culmine furono dei ragazzi di Dioniso e di Apollo più grandi di lui al campo da basket che si fermarono con la palla in mano a fissare la ragazza fare il suo passaggio accompagnata da uno spirito invisibile, che  tutti noi conosciamo come Leo.
                – Ehi! – urlò uno di loro mentre gli altri fischiavano. – Come ti chiami, raggio di sole?
Leo si bloccò improvvisamente, mollando la mano di Calipso che si fermò un po’ più avanti guardandolo con fare interrogativo. Il ragazzo si sentiva ribollire il sangue fino alle punte delle orecchie.
Raggio di sole ….
Strinse i pugni conficcando le unghie nei palmi delle mani. Cercò di controllare i battiti che erano accelerati pericolosamente, ma era troppo furioso per importarsene.
Solo lui poteva chiamarla così ……
Digrignò i denti serrando le spalle e ringhiò voltandosi verso quei ragazzi che stavano ancora fissando la sua ragazza.
                – Senti un po’, bell’imbusto! – urlò in direzione del ragazzo che l’aveva chiamata. – Solo io posso chiamarla "raggio di sole" perché è il mio raggio di sole essendo la mia ragazza! Non voglio beccarti più nemmeno a pensare a lei senza il mio permesso!
Aveva ufficialmente perso il controllo della razionalità che poco prima era aggrappata alle sue membra.
                – Wo, amico. – disse il figlio di Apollo alzando le mani con un sorrisetto ebete. – Datti una calmata. Non sapevo foste insieme. – sembrava si stesse scusando. – Era strano che una come lei potesse stare con uno come te.
No, non si stava affatto scusando.
                – Brutto figlio di una gorgone vieni qui se-
                – Leo. – Calipso cercò di fermarlo ma emise un gridolino soffocato toccandogli una spalla. In Leo scattò uno strano interruttore che gli fece dimenticare tutto, concentrandosi solo sulla ragazza.
                – Calipso stai bene? – la sua voce era carica di preoccupazione.
                – Sì, sì. – rispose lei agitando la mano. – Mi sono solo scottata mentre ti ho toccato. – disse con un risolino.
                – Mi dispiace, non volevo farti male. – abbassò lo sguardo al suolo. Leo si sentiva uno straccio. Aveva la ragazza più bella del mondo e per poco non la bruciava.
                – Ehi, sto bene. – gli disse mettendogli una mano sulla spalla.
Leo sentiva i ragazzi più grandi dietro di lui che se la ridevano. Ottimo, pure loro ci si mettevano.
                – Non ascoltarli. – cercò di confortarlo Calipso.
Ma lui era ancora infuriato per prima. Si staccò dal suo tocco e ricominciò a camminare. – Perché non vai con loro? Almeno lì ti puoi divertire.
                All’inizio non lo segui. Poi Leo sentì dei passi avvicinarsi e con una mossa svelta la ragazza lo fece voltare stampandogli un bacio sulle labbra. Le risate si bloccarono e Leo stava immaginando la faccia di quei babbuini mentre lui baciava il suo raggio di sole.
Quando si staccarono, Leo sorrise alla ragazza che era arrossita. La prese per mano e facendole fare un giro le mise il braccio attorno alle spalle.
                – Ci si vede, ragazzi. – disse a quelli che se ne stavano a fissarli con gli occhi spalancati.
 
Quando arrivarono al padiglione, Leo sorrideva come non mai. Era felice.
                – Ehi ragazzi! – urlò agitando il braccio verso il tavolo con i suoi amici.
Stavano camminando tranquilli, lui e Calipso, mano nella mano, quando si sono avvicinati al tavolo e la ragazza si è irrigidita. Leo si fermò con lei, guardandola in faccia per capire cosa le fosse preso. Lei iniziò a fare una strana smorfia. Mollò la mano del ragazzo che rimase immobile e scaraventando a terra Hazel, seduta vicino a Silvia, si avventò sulla figlia di Gea facendola rotolare a terra. Tutti si fermarono a guardare la scena. Calipso si mise a cavalcioni di Silvia e le avvinghiò le mani al collo, stringendo.
Leo non riusciva a capire che diavolo stesse succedendo, ma quando vide Nico che alzava la spada sopra alla sua ragazza corse più in fretta che poté.
                – Nico! Cavolo, vacci piano! – urlò Leo prendendo Calipso prima che cadesse a terra, svenuta. Grazie agli déi le aveva solo dato una botta in testa.
                – E tu tieni a freno la tua ragazza! – gli gridò di rimando Nico con la spada alzata. Sembrava davvero molto arrabbiato.
                – Calmi tutti e due. – li incitò Piper con la lingua ammaliatrice. – Leo, porta via Calipso.
Il ragazzo annuì e la prese in braccio dirigendosi verso l’infermeria.
 



                – Ciao Will. – salutò il figlio di Efesto entrando in infermeria con Calipso tra le braccia. Grazie agli déi era leggera come una piuma.
                – Ehi Valdez! – esclamò il figlio di Apollo vedendolo entrare. – Wow, quando dicevi che le ragazze ti morivano ai piedi, non scherzavi.
                – Ha-ha, Solace. Davvero simpatico. – disse ironicamente dirigendosi verso il letto più vicino. Fece stendere Calipso che era mezza svenuta.
Will le diede immediatamente dell’ambrosia e la ragazza sembrò riprendersi un po’.
                – Ciao, raggio di sole assetato di sangue. – le disse Leo sorridendo quando riaprì gli occhi.
                – Che? – domandò Calipso non capendo.
                – Non ti sei accorta di aver strozzato la figlia di Gea? – chiese il ragazzo accarezzandole i capelli.
                – Oh, sì. – mormorò mettendosi seduta mentre si massaggiava la testa. – Ma che mi è successo alla testa?
                – Nico ti ha tirato l’elsa della spada in testa per tramortirti. Stavi per ucciderla. – la voce di Leo era piatta.
                – Non posso vederla. – mormorò Calipso con lo sguardo basso. – Se la guardo negli occhi, o sento la sua voce … ho ancora una parte della maledizione degli déi. Potrei ucciderla davvero la prossima volta che la vedo.
Leo era infuriato. No, non con Calipso. Ma con la figlia di Gea. Creava solo problemi
                – Leo, calmati. – sussurrò la ragazza poggiandogli una mano sul braccio.
                – Sono calmo. – ma la gamba che continuava ad andare su e giù troppo velocemente, lo tradiva.
                – No, calmati. – insistette la ragazza con il tono più dolce del miele. – È un problema mio, chiaro? Lo risolveremo.
Leo voleva crederle. Voleva credere che sarebbe andato tutto per il verso giusto. Ma aveva questa orribile sensazione che ci fosse qualcosa di sbagliato.
Annuì, in ogni caso, per tranquillizzare Calipso. Si rasserenò quando le sue labbra incontrarono le sue in un dolce bacio.
                Sorrise. Era così bella.
                – Smettila di fissarmi così. – lo rimproverò lei dandogli una leggera spinta.
                – Non mi capita tutti i giorni di baciare una ragazza bella come te, non trovi? – la stuzzicò Leo sedendosi vicino a lei. I loro volti tremendamente vicini.
                – Dovrai abituarti, torcia umana. – disse con un sorriso, scoccandogli un altro bacio.
E Leo sperò che quello che avevano, non sarebbe mai cambiato.



Nota dell'autrice: Ehi Ehi Ehi! E dopo queste vacenze di Pasqua ad ingrassare e a poltrire sul divano ecco il 20esimo capitolo solo per voi gente!
Sinceramente, mi sento un bue che cammina in sti giorni. Forse non avrei dovuto mangiare quell'uovo di cioccolato in fondo alla dispensa di mia nonna......no, forse no.
In ogni caso non sono ancora morta! (incredibile) e sono qui a scrivere come una matta!:D
Bé un saluto a tutti e spero che il rientro a scuola sia stato per tutti abbastanza sopportabile.
un Grosso Abbraccio
Silvia

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Capitolo 21
*** Ricorda Di Chi Se Né Andato ***


Ricorda Di Chi Se Né Andato


PERCY


Non ce la faceva. Era più forte di lui.
Quando aveva detto di no ad allenarsi con la ragazza, quella mattina al padiglione, non era perché  la odiasse per quello che aveva fatto sua madre (cosa che in parte era vera), ma perché avrebbe voluto rispondere di sì.
C’era una parte di lui che gli faceva desiderare di allenarsi con lei. Che schifo.
Si avviò a passo svelto verso la capanna 3. Almeno lì avrebbe potuto stare solo.
Appena entrato si diresse in bagno e si fece una doccia gelida per cercare di calmare i nervi. Niente, quando fu uscito era ancora più teso di prima.
Si cambiò e si stese sul letto con le mani giunte sul petto. Quante volte si era svegliato urlando guardando quel soffitto maledetto. Oramai avrebbe potuto parlare da solo, quel muro sopra alla sua testa. Le pareti avrebbero potuto piangere per tutte le lacrime che aveva versato.
L’aveva sentito Jason. ’’Non può distruggersi così’’. Aveva ragione, non poteva. Ma faceva tanto male provare a rialzarsi da solo. Annabeth era la sua ancora, lo era sempre stata.
                In quel momento qualcuno bussò alla porta distogliendolo dai suoi pensieri, ormai fissi. Non si mosse. Non voleva nessuno. Bussarono ancora. Alla fine andò ad aprire.
Era Nico.
Richiuse la porta in faccia al ragazzo, ma quando fece per tornare a letto se lo ritrovò seduto su di esso. Maledetto lui e i suoi viaggi-ombra.
                – Vattene. – ringhiò Percy.
Il ragazzo non si mosse.
                – Non voglio parlare con te. – disse ancora.
Nico rimase semplicemente a fissarlo, senza dire una parola.
                – Mi hai sentito? – Percy stava iniziano a stufarsi.
Ma era stanco, troppo stanco per continuare anche solo a parlare. Per poco non svenne. Per cui si accasciò sul letto con gli occhi chiusi. Ci mise un po’ a riprendersi.
                – Dovresti mangiare. – disse per la prima volta Nico. Non lo stava guardando, teneva lo sguardo fisso sul muro di fronte. – Sono venuto per scusarmi. E per perdonarti.
                – Non accetto le tue scuse. – lo fermò Percy.
Sentì Nico ridacchiare. – No, non per aver ucciso Annabeth. Perché non sono stato io. Ma è stato quello ad avermi aperto gli occhi, Percy. Non ti aveva mai perdonato per quello che avevi fatto a Bianca, e fidati che è molto difficile per me farlo adesso, ma ora so’ come ti sei sentito. Il senso di colpa è opprimente.
                Percy rimase ad ascoltare più attentamente il ragazzo.
                – Sì, ho lasciato Annabeth senza protezione. Ma non l’ho mandata ad uccidersi. L’ha scelto lei. Si è sacrificata per noi. – aveva la voce rotta. – Come Bianca. – Percy sapeva quanto fosse difficile per lui dire quelle cose. – Sono venuto a scusarmi con te se non sono venuto ad aiutarti prima. Stai morendo lentamente anche tu. – poi lo guardò. – E io non lo permetterò.
                Tutto intorno a loro si fece scuro e un vento gelido cominciò a soffiare. Percy ebbe paura di cosa stesse per succedere. La sua camera scomparve e al suo posto una distesa di terra nera accolse i piedi nudi del ragazzo.
Percy si guardò intorno, riconoscendo il posto in cui Nico li aveva catapultati.
                – Ben tornato negli Inferi. – annunciò Nico, cupo. In quel luogo la sua spada irradiava una strana energia antica e potente. Teneva le braccia incrociate al petto e la sua postura era regale e sicura. Si sentiva che era il posto giusto per un figlio di Ade.
                – Perché siamo qui? – Percy era adirato.
                – Devi incontrare una persona, prima di voltare completamente pagina. – disse mesto. Poi chiuse gli occhi e allargò le braccia. Percy non capì a chi si riferisse. Poi Nico riaprì gli occhi, invitandolo a guardare davanti a loro.
C’era un’anima. Ma non era come le altre. Anche se il pallore era trasparente e gli occhi erano vuoti, quei capelli biondi, Percy li avrebbe riconosciuti ovunque.
                – Annabeth? … – aveva un groppo in gola.
Cercò di non scoppiare a piangere quando la ragazza sorrise. Voleva correrle incontro, abbracciarla, portarla via con sé, ma Nico gli prese un braccio prima che partisse verso l’anima.
                – Non puoi toccarla. – gli disse, serio.
Percy, con le guance bagnate cercò di non obbiettare, ma tutto il suo corpo fremeva.
                – Vi lascio soli per un po’. – bisbigliò mollando la presa. – Ma non toccarla, non dovremmo essere qui. Tornerò fra poco. – e scomparve nelle ombre rivolgendo un ultimo sguardo con un mezzo sorriso alla ragazza.
Percy tornò a guardarla. Era così difficile per lui non correrle in contro.
                – Ciao Testa d’Alghe. – disse lei. Il ragazzo le si avvicinò lentamente, cercando di controllare tutte le emozioni che gli vorticavano dentro dandogli un forte senso di mal di stomaco.
                – Annabeth … – riuscì a dire. – mi sei mancata così tanto.
                – Anche tu. – anche lei faceva fatica a parlare.
                – Mi sei mancata così tanto. – ripeté continuando ad avvicinarsi. Era a pochi centimetri dalla ragazza, ma sapeva bene che non poteva toccarla.
                – Mi dispiace di averti lasciato solo. – disse lei dolcemente. – Non odiarmi per questo.
                – Io ti amo. – le sussurrò con un filo di voce.
La ragazza annuì. – Anche io ti amo. Ed è per questo che ti chiedo di cercare di andare avanti. Devi ricominciare a vivere.
                – È difficile. – ammise il ragazzo.
                – Lo so. Ma ora io non posso più tornare indietro. – quelle parole fecero molto male a Percy. – Ora devi prenderti cura della ragazza.
                – La figlia di Gea? – chiese. Annabeth annuì. I capelli le fluttuavano introno dandole un’aura di luce giallina sul resto del corpo.
                – Io … mi chiedi tanto. – disse.
                – Devi farlo per me. – gli sussurrò Annabeth. – Lei è molto potente, ma presto lo scoprirai. – poi guardò qualcosa dietro a Percy. Il ragazzo si voltò e vide Nico che lo stava aspettando.
                – Non voglio abbandonarti. – mormorò Percy bagnandosi ancora le guance.
                – Io sono sempre con te, Testa d’Alghe. – gli accarezzò leggermente la guancia. Percy percepì solo un leggero soffio gelido, ma niente di più.
E poi oscurità e le pareti della sua camera.
                Abbassò la testa e chiuse gli occhi. Sentì Nico sedersi sul letto. Sarà stato faticoso trasportare entrambi negli Inferi e poi ritorno.
Percy sentì un peso, un enorme peso sul petto che si alleviò improvvisamente. Si voltò e si avvicinò ad abbracciare il ragazzo seduto sul letto. Lo aveva visto bambino, inconsapevole del grande potere che aveva in corpo. L’aveva visto spezzarsi davanti ai suoi occhi e si era sentito impotente. Ed ora davanti a lui c’era un ragazzo che aveva superato il lutto e che lo stava aiutando a riemergere dagli abissi.
                Nico ricambiò l’abbraccio e una lacrima gli bagnò la maglietta nera.
Quando si staccarono, Percy stava sorridendo. – Grazie.
Un leggero sorrisetto si mostrò anche sul viso del figlio di Ade. – Gli amici servono a questo.
                Percy gli sedette a fianco. – Dovrei andare ad allenare la raga-
Vide lo sguardo accusatorio di Nico.
                – Silvia. – si corresse. – Ti sta molto a cuore, vero?
Il ragazzo si irrigidì. – Sarà perché una parte della mia anima è dentro di lei.
                – Non so, perché anche io sento questo strano attaccamento. – disse sovrappensiero. Nico gli rivolse un’occhiata che non riuscì a decifrare.
                – Senti Percy… – ricominciò Nico. – per Bianca ormai non si poteva più fare niente. Ma posso provare a cercare un modo per far tornare in vita Annabeth.
Il ragazzo lo fermò. – Nico, non-
                – Lo so che ti sembra impossibile, ma cercherò un modo, te lo prometto. – la convinzione nella sua voce fece annuire Percy. Anche se in cuor suo sapeva che non l’avrebbe più rivista.
                – Ora dobbiamo andare. – disse il figlio di Poseidone.
Nico non capiva a cosa si riferisse. – Dove?
                – Frank sarà pure il figlio di Marte, ma io sono uno spadaccino impeccabile. – si vantò mentre si alzava dal letto.
Nico lo imitò sorridendo soddisfatto. Sì, stava davvero sorridendo.
                – Ed è arrivato il momento di vedere se può utilizzare qualche potere che sua madre le ha tramandato. – Percy non si sentiva così da tempo. Sapeva una cosa, Annabeth era con lui.
 
               

                Lui e Nico arrivarono all’arena mentre Frank stava disarmando Silvia.
Lei era tutta sudata e il ragazzo continuava ad incoraggiarla che ci sarebbe riuscita prima o poi anche lei. Non era proprio capace di insegnare.
Si incamminarono insieme verso il gruppo e gli altri li fissarono, dubbiosi. Percy lanciò un veloce sorriso, facendo capire che ormai era tutto risolto. Poi si avvicinò a Frank che aveva appena fatto cadere nuovamente la spada della semidea sbuffando, frustrato.
                – Ehi Frank! – lo chiamò.
Lui si voltò. – Ciao Percy. – non era per niente di buon umore.
                – Come sta andando? – chiese volgendo un segno di saluto alla ragazza che ricambiò, ma con una faccia sorpresa.
                – Ehm…. Bene. – cercò di sembrare ottimista.
                – Sì, bé – si intromise la ragazza. – Frank è un ottimo allenatore, ma è troppo gentile. – disse asciugandosi la fronte con la manica della maglietta.
                – È per questo che sono qui. – Percy si mise una mano in tasca ed estraendo Vortice, impugnò la spada, pronto a combattere. – Ora si fa’ sul serio.
Silvia era rimasta pietrificata nel vedere la penna diventare improvvisamente una lama affilata.
Frank non oppose resistenza. Alzò le mani mentre si allontanava come per dire: ora sono affari tuoi, amico.
Percy sapeva che sarebbe riuscito a far uscire la guerriera che era in lei. Doveva solo provocarla abbastanza da farla esplodere.
                Avanzò con la spada che oscillava fluida da una mano all’altra. – La prima cosa da sapere è che il guerriero deve essere un tutt’uno con la propria spada. – la ragazza rimaneva a fissarlo, incantata, mentre gli girava intorno facendo fare delle strane acrobazie a Vortice. Sì, giusto per vantarsi un po’.
                – Devi sentirla come un prolungamento del tuo arto. Non deve essere solo un oggetto. – continuò per poi posizionarsi davanti a lei.
Alzò la spada, aspettando una sua risposta. Silvia prima non rispose, poi sorrise. Alzò la spada pure lei e appena i due metalli si toccarono Percy cominciò ad attaccarla. Lei mancò il primo affondo al petto, abbassandosi di colpo e tornando in piedi con un sorriso largo come tutta la faccia non credendo a quello che aveva appena fatto. il ragazzo non le diede nemmeno il tempo di pensare che le fece un taglio sulla maglia, senza prendere la pelle. Lei cercò di ritrovare la concentrazione.
                – Il combattimento è una danza. – diceva mentre continuavano a combattere. – Devi restare concentrata sul tuo obbiettivo e più va avanti, più dovrai capire i punti deboli del tuo avversario. – disse colpendola con la patta della lama sulla schiena facendola cadere in avanti. – Per poi poterlo annientare definitivamente.
                – Sì, ma io non sono come te. Ho appena iniziato. – si lamentò alzandosi a fatica.
                – Non è importante. – la sgridò serio Percy mentre le faceva lo sgambetto, facendola cadere nuovamente sulla sabbia. – Ce l’hai nel sangue. Ora alzati e combatti, – disse stuzzicandola. – figlia di Gea.
La ragazza usando la spada per aiutarsi a mettersi in piedi, si rialzò e si preparò ad attaccare. Percy parò il colpo e le fece un taglio sulla coscia. Lei si trattenne e non parlò nemmeno quando la sua lama tagliò in verticale l’avambraccio. Non disse nulla, continuò semplicemente a guardare il ragazzo e ad affondare.
                Andarono avanti per un po’ e con calma lei riuscì a prendere il ritmo e a parare più colpi che a prenderli. Aveva la maglia ridotta a brandelli e il fiatone, ma non stava mollando nemmeno un secondo.
Percy l’ammirò.
Ma quando vide le gambe che le tremavano e il pallore nel viso, capì che era ora di fermarsi. Abbassò la spada e rimase a guardarla. Lei teneva ancora la spada alta, con entrambi le mani e le gambe divaricate per riuscire a stare in piedi.
                – Cosa fai? Non attacchi più? – sembrava arrabbiata con lui.
                – Per questa mattina, può anche bastare. – disse il ragazzo ritrasformando Vortice in una semplice penna.
                – Credi che non possa reggere ancora? – cercava di tenere la voce ferma, ma il resto del suo corpo la tradiva.
                – Sì, sei sfinita. – le fece notare Percy indicando le ferite sanguinanti. – Fatti curare in infermeria. Oggi pomeriggio, dopo pranzo, si ricomincia.
Lei si dirizzò, cosa che si vedeva che le provocava molta fatica. – Bene. – disse semplicemente.
                E Percy se ne andò sorridendo, come se qualcuno gli avesse messo una mano sulla spalla, per congratularsi con lui.



Nota dell'autrice: Questo capitolo è dedicato specialemte alla Percabeth che è sempre nei nostri cuori *-*
un bacione a tutti
Silvia
 
 
 
 

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Capitolo 22
*** Combatto Fino Allo Sfinimento Contro Uno Dei Migliori Spadaccini In Circolazione .... Io Sì Che So Scegliermi Gli Avversari Giusti ***


Combatto Fino Allo Sfinimento Contro Uno Dei Migliori Spadaccini In Circolazione .... Io Sì Che So Scegliermi Gli Avversari Giusti




SILVIA




                – Bene. – disse cercando di controllare il respiro e di ordinare alle gambe di reggere ancora per un po’. Quando Percy finalmente si fu voltato e si fu allontanato abbastanza, mollò la spada che sembrava pesare un quintale e si accasciò a terra, ansimante.
I polmoni le facevano male e la testa le girava per il sangue perso dalle ferite che bruciavano per via del sudore. Per non parlare delle braccia e delle gambe. Le sentiva come fossero diventate gelatina. Ma non voleva mollare, non davanti a Percy, non quando si era offerto di allenarla. Piper le aveva parlato molto di lui durante la scelta della sua spada. Era uno spadaccino sensazionale e lei l’aveva appena constatato. Ma ora le faceva male tutto, non credeva di poter reggere un altro incontro al pomeriggio.
                Vide la figlia di Afrodite avvicinarsi con una corsetta leggera. – Tutto bene?
Lei annuì. Se avesse parlato, avrebbe sicuramente vomitato.
                – Meglio se ti porto un po’ in infermeria. – affermò cercando di alzarla.
Lei annuì ancora.
Ma quando la ragazza cercò di tirarla in piedi, Silvia per poco non ricadde a terra, svenuta. Grazie agli déi, due braccia erano lì per attutire la sua caduta. Non si era nemmeno accorta che Nico si fosse avvicinato. Il ragazzo cercò di rimetterla in piedi, sorreggendola quasi completamente. – La porto io. Non riesce a camminare.
Piper disse qualcosa che non riuscì a capire per ringraziarlo e nel giro di poco si ritrovarono in una stanza con le pareti bianche.
                – Ah! Nico! Per gli déi smettila di comparire dal nulla! – urlò qualcuno nella stanza.
                – Calmo Will. – lo ammutolì il figlio di Ade mentre posava Silvia su di un letto con le lenzuola candide, sporcandole ovviamente tutte di sabbia, polvere, sudore e sangue.
                – Oh, è quella nuova. – disse lo sconosciuto, avvicinandosi. Dei capelli biondi e due occhi verde acceso si misero nel campo visivo della ragazza.
                – Cos’hai? Paura? – il tono di Nico era più accusatorio che ironico.
                – No. – disse il ragazzo biondo mentre prendeva una scatoletta rossa dalla tasca di un camice bianco da dottore. – È solo che è strano vedere la figlia di Gea, ridotta così.
                – È una semidea come tutti noi. – lo sgridò Nico.
                – Va bene, calmati. – disse fissando il ragazzo. Poi tornò con lo sguardo verso Silvia. – Ciao, io sono Will. – le disse il biondo con un tono leggero. – Mangia questa, poi ti bendo le ferite. – aveva un sorriso rassicurante. A Silvia piacque subito quel Will.
La ragazza obbedì ed ingerì il cubetto d’orato che le porgeva. Lo assaporò lentamente. Sapeva di pizza. Quanto le mancava la vera pizza italiana.
Sembrò rilassarla completamente. Non sentì nemmeno il ragazzo biondo che le ripuliva le ferite e bendava la coscia e l’avambraccio con una garza bianca.
                – Ottimo. – disse infine guardando il lavoro svolto. – Un’ora di sonno e sarà nuova come prima.
Affermò prima di salutare Nico e di uscire dalla porta. Il ragazzo prese la spada della ragazza e l’appoggiò al muro.
C’avevano messo un sacco di tempo a sceglierla. Nemmeno una andava bene, poi mentre usciva dall’armeria con Piper, era inciampata su di un rigonfiamento del terreno, rotolando a terra. Era stato strano, come se fosse uscito dal nulla. Guardando più attentamente un luccichio le colpì l’occhio e avvicinandosi meglio, vide un pezzo di metallo che usciva da sotto il terreno. Scavarono insieme ed estrassero una spada. Era ricoperta di terra e ci misero un po’ a ripulirla per bene. Silvia la tenne in mano quando fu bella pulita e la sentiva perfetta. La lama sembrava d’argento da come risplendeva alla luce del sole e con delle sfumature oro e rosso che la percorrevano in lungo. L’elsa di un verde scuro era intagliata con strane ramificazioni. La maneggiò per un po’. La sentiva perfetta nelle sue mani.
Poi la scritta “η κόρη μου” comparve alla base.
                – Piper, cosa vuol dire? – chiese alla ragazza che stava fissando la scritta come se fosse una scena di un omicidio.
                – A mia figlia. – sillabò Piper con gli occhi spalancati.
                – È di mia madre? – chiese Silvia stupita.
                – Evidentemente. – la figlia di Afrodite era incredula.
Piper aveva paura, si vedeva, ma alla fine decisero di tenerla, non avrebbe fatto del male. Forse.
Silvia ritornò al presente, si voltò verso il figlio di Ade e notò che la stava fissando, serio. La scrutava da distante, con le braccia incrociate al petto.
– Ho fatto qualcosa? – domandò, preoccupata.
– Mi spieghi perché ti sei sfinita così? – la rimproverò rimanendo fermo a un metro dal letto.
Lei alzò gli occhi al cielo. – Non mi sono sfinita. – affermò. – Volevo solo-
                – Farti ammazzare? – concluse la frase, adirato.
                – Oh santi numi! Non posso nemmeno allenarmi adesso? – si scaldò lei, alzando la voce. Cosa che le fece sprecare parecchia energia. Era veramente sfinita.
                – Tu eri allo stremo delle forze. – la sua voce rimase calma e controllata. Silvia non capiva come riuscisse a trovare la pazienza, quel ragazzo. – L’ho sentito.
Si era dimenticata. Loro condividevano un pezzo l’anima dell’altro. Lui poteva tranquillamente sentire come stesse lei.
                – Mi dispiace di averti messo in pericolo. – disse ricordando quello che Grover aveva detto. Ora, se uno moriva, pure l’altro sarebbe morto.
                – Quello non mi interessa. – la fermò. – Ero preoccupato per te.
Silvia sorrise. Un sorriso che le nacque lentamente e si espanse mostrando i denti.
Guardandola, Nico arrossì visibilmente. – Ah, non … non farti strane idee … –  farfugliò cercando di nascondere la sua faccia con i capelli, cosa impossibile dato che erano corti.
                – Okay, okay. – disse lei cercando di trattenere una risata per il suo strano comportamento.
Lui si avvicinò e prese l’asciugamano che Will aveva lasciato sul letto. Lo bagnò velocemente sotto al lavandino di fianco al lettino e si mise a ripulire lentamente le macchie di terriccio che aveva ancora in giro per il corpo. Le faceva bene la sensazione di fresco sulla pelle e il suo tocco era leggero. Sentiva che stava per piombare nel mondo dei sogni.
                – Lo sai vero che dovrò combattere anche oggi pomeriggio? – gli disse chiudendo gli occhi.
Sentì che si bloccò. – Che co-
Sembrava stesse per farle un’altra predica. Ma fermò la frase, vedendola con gli occhi chiusi. – Riposati, guerriera. – le sussurrò dandole un dolce bacio in fronte. E Silvia se lo immaginò sorridere, cosa che ancora non l’aveva visto veramente.
 
               
 
 
Si svegliò con qualcuno che le toccava la guancia. Stropicciò gli occhi e appena mise a fuoco vide dei capelli ricci color caramello.
                – Come stai? – le chiese Hazel con la voce controllata, per non darle fastidio.
                – Meglio. – disse mettendosi seduta. – Molto meglio.
Era vero, si sentiva come nuova. Prima credeva di non riuscire nemmeno a reggersi più in piedi, ma ora si sentiva come se avesse potuto combattere contro Percy tutto il pomeriggio e pure la notte.
                – Ti ho portato da mangiare. – Hazel le porse un piatto con un hamburger e patatine. Silvia lo mangiò senza farselo ripetere due volte. 
                – Grazie. – disse Silvia con la bocca piena.
Hazel fece un veloce sorriso per poi prendere il piatto vuoto e appoggiarlo sul tavolino davanti al letto.
                – Percy mi ha detto che ti aspetta all’arena tra mezz’ora. – le disse tornando alla sedia a fianco.
                – Ottimo. – rispose con un sorriso.
Silenzio imbarazzante.
Ma Silvia lo sfruttò per parlare di una cosa che la tormentava, forse Hazel avrebbe potuto aiutarla.
                – Senti, Hazel, tu sei sorella di Nico, giusto? – le domandò.
                – Sì, insomma … siamo come fratelli alla fine. L’uno c’è per l’altro quando abbiamo bisogno. – spiegò la ragazza. – Abbiamo il genitore in comune, anche se lui è greco e io romana.
                – Bene, ehm … tu sapresti, per caso, se Nico è … come dire … – si tormentava le mani e sentì uno strano calore riempirle le guancie.
                – Silvia, qual è il punto? – chiese Hazel fissando il suo strano colorito.
                – Io… volevo sapere se Nico avesse una ragazza. – sputò tutto fuori, non guardandola in faccia.
                – Mi stai chiedendo se Nico è single? – la faccia di Hazel era indecifrabile.
La ragazza annuì, visibilmente in imbarazzo.
                – Silvia, vedi … – cominciò Hazel. Silvia temeva la risposta. Non sapeva nemmeno perché l’avesse chiesto. Sì, sentiva qualcosa per Nico. Ma non sapeva bene  cosa fosse.
                – Nico è … molto confuso, attualmente. – concluse la ragazza con una strana espressione. – Ma se vuoi puoi parlarne con Jason. Lui saprebbe aiutarti.
Silvia non capì, ma decise di parlare con Jason.
                – Grazie. – le disse sorridendo.
Uscirono dall’infermeria, salutarono Will e Silvia lo ringraziò personalmente. Si avviarono insieme verso l’arena e la ragazza sorrise quando vide Percy già al centro con la spada in mano.
                – Ehi. – lo salutò. Il ragazzo si voltò e si mise subito in posizione di combattimento.
                – Sei qui. Strano. Credevo di averti strapazzato per bene. – la canzonò lui, serio.
                – Per carità. – scherzò lei estraendo la spada. – Dopotutto, sono la figlia di Gea.
Percy la guardò, passivo. Forse non era la battuta migliore da fare.
Il ragazzo attaccò e cominciarono a combattere finendo verso le sei di pomeriggio con poche pause in mezzo.
                – Okay, vai a farti una doccia adesso. – le ordinò Percy alla fine del loro secondo allenamento. Lei era più o meno nella stessa situazione della mattina, ma anche il ragazzo era stanco. Questo la tirò su di morale, almeno era riuscita a batterlo per due o tre volte.
Si allontanò verso la capanna di Ade per darsi una ripulita e buttare la maglietta, ormai a brandelli. Si fiondò in bagno e si levò i vestiti per farsi una bella doccia. Si sentì finalmente meglio.
Dopo una cena piena di risate principalmente sul suo allenamento con Percy (cosa che non le diede più di tanto fastidio), andò a dormire, contenta di un po’ di riposo dopo la lunga giornata.
                Ma il riposo, non sarebbe quello che avrebbe trovato.
Appena chiuse gli occhi scivolò in un tunnel nero. Continuava a cadere e non vedeva la fine. Il vento le sferzava i capelli e il freddo le fece venire la pelle d’oca. Non cercò di rallentare la caduta, anche perché non vedeva appigli dove potersi aggrappare. Poi, ad un tratto, tutto si fermò. Era sospesa in aria, in mezzo all’oscurità. Riusciva a sentire il suo respiro regolare ed il cuore che però batteva troppo velocemente.
                Una sagoma prese lentamente forma davanti a lei. Prima il corpo, le gambe, poi le braccia, le mani, le spalle, il collo ed infine il volto. La pelle era di un pallore verdaceo  con le vene e i capillari ben visibili anche da lontano. I capelli erano umidi e sporchi di fango, come il resto del corpo avvolto da uno strato di terriccio. Il volto era giovane, ma vecchio allo stesso tempo. Dava l’idea di freschezza, ma anche di enorme saggezza e potere. I tratti del viso erano rilassati e sereni. Anche questa figura aleggiava alla sua stessa altezza. Gli occhi erano chiusi. Sembrava stesse dormendo.
                – Figlia mia. – mormorò la donna con un sorriso triste.
                – Mamma? – domandò stupita ed incredula la ragazza.
Come era possibile che la vedesse? – Come sei diventata grande.
A Silvia dava fastidio che una sconosciuta le parlasse in questo modo. Sì, poteva averla partorita, ma non l’aveva mai conosciuta veramente.
                – Che cosa vuoi? – le chiese, con la voce ferma.
La donna le si avvicinò fluttuando, arrivando a un metro da lei. – Volevo vederti, mia dolce figlia. Volevo conoscerti. – il tono rassicurante e sereno fece quasi ammorbidire Silvia, ma ci voleva ben altro per farle dimenticare tutto quello che aveva passato per causa sua.
                – È un po’ tardi, non trovi? – disse Silvia stringendo la mascella. – Ormai mi sono fatta una certa idea sul tuo conto. – alludendo a quando ha cercato di distruggere il mondo e la vita dei ragazzi del Campo.
Il sorriso scomparve dal volto dormiente della dea della Terra. – E tu ascolti quei miseri semidei?
                – Sono miei amici, non mi mentirebbero mai. – poi si fermò un attimo, perdendo la convinzione. Amici?
                – Amici? – le domandò ironicamente. Sembrava che la dea le avesse letto nella mente. Si mise a ridacchiare fra sé e sé. – Conosci quei ragazzi da soli pochi giorni e credi che siano tuoi amici? Ah! Non ho fatto nascere una figlia così stupida! – il suo tono ora era decisamente cambiato in accusatorio.
                – Se ci fossi stata, forse sarei potuta diventare come te, madre! – le urlò Silvia stringendo i pungi. – Ma dato che ho passato tutta la mia vita senza di te, non giudicarmi!
                – Smettila di comportarti da bambina. – la rimproverò con il volto teso. Pure da addormentata sembrava perforare la ragazza con lo sguardo. – Non ci sono stata perché ho sprecato la maggior parte delle mie energie per concepirti con un mortale, dopo ero troppo debole per manifestarmi.
                – Allora … io ho un padre. – disse Silvia, speranzosa.
                – Ma certo che no. – la fermò subito Gea. Come smorzare le speranze di una figlia. – È morto subito dopo che ti avevo concepita. Non era più utile per il piano.
La ragazza tremò di rabbia. – Hai ucciso un uomo perché non era più utile al tuo piano? Hai ucciso mio padre?! Ma come hai potuto?! – le ringhiò contro.
                – Non rivolgerti così a tua madre, ragazza. – le ordinò. – Io ti ho creata per rivendicarmi, se io avessi potuto fallire. Ed è quello che farai.
                – E se io non volessi? – la sfidò Silvia.
Gea ridacchiò ancora. – Non sfidarmi, figlia mia. – le disse aleggiandole intorno. – Il mio risveglio è ormai inevitabile … ma dimmi, hai gradito il mio regalo?
                – La spada? – Silvia non voleva ammettere che era perfetta per lei.
                – So che è perfetta per te. – sorrise ironicamente la dea. – Quella spada è stata forgiata dalle mie viscere, con l’icore dorata degli déi e dal sangue dei mortali, versati sul mio suolo. Una spada perfetta per un’assassina.
                – No! – si affrettò a dire la ragazza. Un’assassina? Lei non era così.
                – È il tuo destino. È inevitabile. – disse la dea iniziando a scomparire.
                – No! No! No! – continuò ad urlare Silvia, cercando più di convincere se stessa.
Si svegliò di soprassalto. Ancora con il fiatone.
Davanti a sé vide solo oscurità ed ebbe paura che fosse ancora nel sogno.
Poi vide un fascio di luce del sole provenire da un corridoio davanti a lei. Era nella capanna di Ade e Nico e Hazel si erano appena svegliati.
Vide il ragazzo entrare nella sua visuale seguito poco dopo dalla sorella. Nico indossava la maglia arancione del Campo, dei jeans stretti neri, delle all star alte nere e una felpa (ovviamente nera) con il cappuccio. I capelli ribelli gli stavano perfettamente in un ciuffo alto che gli copriva leggermente gli occhi. Silvia lo fissò mentre si sistemava la sua spada nera dello Stige alla cintura in vita. Dava l’aria di essere così sicuro, regale …  bellissimo ………. Ma che?!
                – Silvia, già sveglia? – le chiese Hazel, risvegliandola dal suo incanto.
Lei annuì, sovrappensiero.
Le parole di sua madre le vorticavano ancora in testa.
 
                Perfetta per un’assassina.
 
                È il tuo destino. È inevitabile.



Nota dell'autrice: 
Finferli a tutti! Sto iniziando a fare i capitoli un po' più lunghi e sono molto contenta.
Spero che questo vi sia piaciuto e per oggi non ho altro da dire. (in effetti non ho mai molto da dire visto che penso che il capitolo parli da solo)
In ogni caso un bacione a tutti
Un saluto speciale agli déi
E non mangiate piante velenose!
Silvia
 
 

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Capitolo 23
*** Imparo A Conoscere Veramente Le Persone Prima Di Giudicarle ***


Imparo A Conoscere Veramente Le Persone Prima Di Giudicarle



JASON



              Il figlio di Giove stava raggiungendo gli altri ragazzi al padiglione per la colazione.
Era contento di esser tornato alla normalità, ma non vedeva l’ora di fare ritorno alla sua vera casa: il Campo Giove.
Dopo quell’imminente attacco da parte dei romani durante la guerra contro Gea, Reyna e Nico avevano sistemato tutto, assicurando la pace fra i due campi. Ma per colpa della ragazza (quella nuova), Jason non poteva lasciare il Campo Mezzosangue. Reyna era tornata a Nuova Roma ieri, essendo ancora pretore e non una dei sette della profezia (che tra parentesi era già finita, ma Chirone non voleva sentire storie).
Per carità, adorava il Campo Mezzosangue.Lì c’erano Piper, Leo e tutti gli altri. Ma era seccante poter tornare a casa, ma essere intralciati da una semidea figlia di Gea.
Fece colazione con gli altri e fu contento di vedere Percy che addentava una pila di pancake. Piper gli aveva raccontato di come aveva allenato la ragazza l’altro giorno, di come era sembrato quello di una volta. Aveva chiarito con Nico e sembrava che i due non avessero più problemi.
Jason era molto legato al ragazzo da quando a Spalato aveva rivelato di aver una cotta per Percy. Lui gli era stato vicino,certo, ma sapeva che il figlio di Ade non era il tipo da tè e chiacchiere. In ogni caso, da poco, era riuscito ad avere una conversazione con Nico senza rischiare di finire agli Inferi. Avevano parlato di un po’ di tutto e lui gli aveva detto di aver discusso con Percy e di aver chiarito la faccenda della cotta. Quando è successo, Nico era solo un ragazzino molto confuso ed ora non provava più le stesse cose. Allora Jason gli aveva chiesto se aveva trovato un ragazzo carino, ma lui si limitò ad un: “Non lo so. Non so cosa voglio.” e a scomparire.
Nei giorni seguenti, Jason aveva cercato di aiutarlo, ma lui era sempre molto evasivo e riservato.
                – Allora cosa è successo ieri con Calipso? – chiese Piper a Leo, distogliendo Jason dai ricordi.
Leo fece una strana smorfia tagliando i suoi waffles. – Ho parlato con lei, in infermeria. – disse facendo una pausa per mangiare un boccone. – E ha detto che ha una sorte di maledizione, data dagli déi. Ogni volta che vede la figlia di Gea, deve ucciderla.
                – Bel casino. – mormorò Frank.
                – In ogni caso, basta stare attenti a non farle incontrare. – disse Hazel guardando male Frank per il suo intervento.
                – Certo. Nessun problema. – affermò Leo alzandosi da tavola con una strana espressione in faccia. Jason si annotò mentalmente di andare a parlare all’amico, mentre lo guardava allontanarsi con le mani in tasca.
                – Io … dovrei andare a parlare con lui … – bisbigliò la figlia di Gea alzandosi dal suo posto, visibilmente in colpa.
                – No, lascia stare. – la fermò Piper, senza usare la lingua ammaliatrice. Cosa che infatti non la fermò, se non fosse stato per il braccio di Nico, che la rimise seduta.
                – Valdez sta bene. – disse Frank. – Ha perfino la ragazza più bella del mondo adesso.
Hazel tirò una gomitata al ragazzo, cosa che ovviamente gli fece solo un po’ il solletico, data la massa muscolare di cui disponeva. Ma la situazione fece comunque ridacchiare il gruppo e sembrò tranquillizzare la ragazza.
                Finito di mangiare si divisero per svolgere i vari compiti della giornata. Nico se ne andò a cercare Rachel, l’Oracolo del Campo (non si sapeva perché). Percy, Piper, Hazel, Frank e la ragazza nuova andarono a prepararsi per l’allenamento con le spade. Lui, tecnicamente, non aveva nulla da fare. Per cui decise di pendersi una giornata libera e di andare a parlare un po’ con Leo.
                – Ehi! – una voce femminile lo chiamò.
Si voltò e vide la figlia di Gea che correva verso di lui.
                – Ciao, Jason. – lo salutò con un sorriso.
                – Ciao. – ricambiò lui, anche se un po’ in imbarazzo.
                – Non ho ancora avuto l’onore di conoscerti meglio. – disse la ragazza per poi improvvisare una risata. Poi vedendo che lui non rispondeva continuò. – Mi dispiace darti fastidio, – disse tornando seria. – ma avrei bisogno di chiederti un paio di cose.
                Ma aveva scritto in testa “consulente”? Non aveva molta voglia di parlare con lei, ma ricordò quello che Piper aveva detto sul fatto di doversela fare amica. Per cui cercò di sfoggiare un piccolo sorriso e disse: – Dimmi tutto.
                Lei sembrò davvero contenta della sua risposa. Si spostarono verso la spiaggia per poter parlare tranquillamente. Prima di arrivare al dunque, chiacchierarono del Campo e dell’allenamento, per poi sedersi all’ombra di un albero quasi in spiaggia. Non era così male alla fine. Sorrideva sempre e sembrava tirare fuori la parte divertente in ogni situazione.
Dopo che si furono seduti, rimasero in silenzio per un po’ ascoltando il rumore delle onde.
                – Ho parlato con Hazel recentemente, – cominciò lei, seria. – di Nico.
Jason non capiva. Era successo qualcosa a Nico?
                – Mi ha raccontato di Bianca. – fece una pausa. Jason vide che era nervosa e che continuava a tormentarsi le mani.
                – Nico sta bene? – le chiese preoccupato.
                – Cosa? Sì! No, sono io il problema. Cioè, non sono il problema. È che ho un problema. – balbettò a raffica. Sembrava molto agitata e confusa. Vedere la figlia della crudele dea della Terra ridotta così faceva uno strano effetto. A Jason venne quasi da ridere. Fu una specie di conferma che lei era completamente diversa da sua madre.
                – E io potrei aiutarti? Per questo vuoi parlare con me? – cercò di aiutarla il figlio di Giove.
                – Penso di sì. – disse guardando il terreno. – Ieri ho chiesto a Hazel se … insomma … se Nico avesse una ragazza … e mi ha detto che è difficile o … non so … In ogni caso, mi ha detto di venire a parlare con te, che avresti potuto aiutarmi. – poi smise di tormentarsi le mani e rimase a guardare per terra immobile, aspettando che il ragazzo assorbisse tutto.
                Jason rimase a fissarla. Aspetta un attimo!
                – Ti … piace Nico? – le domandò con un tono forse troppo sorpreso.
                – Io … ! – esclamò guardandolo. – … non lo so. Cioè, sento qualcosa, ma non lo so insomma.
Nemmeno lei aveva le idee molto chiare.
                – Silvia vedi … – cominciò il ragazzo. – Nico ha avuto una cotta per Percy per molti anni, cosa che ormai è passata.
                – Per cui Nico è gay? – domandò lei, guardandolo.
– Attualmente è molto confuso. – le rispose, senza sapere veramente cosa dirle.
Lei ridacchiò. – Hazel mi ha risposto la stessa cosa.
                – Nico è un ragazzo molto potente e forte e coraggioso. – disse cercando di aiutarla a capire. – Ma a volte può essere anche terribilmente fragile. Il suo punto debole è l’amore.
Lei annuì, capendo.
                – Sai, forse è meglio così. – mormorò. – Gli avrei portato solo dolore.
Jason la guardò. Non era come la credeva. Era buona e non avrebbe mai voluto fare del male a loro o a chiunque altro. Stava per ribattere quando una figura comparve davanti a loro.
                – Ehi. – Nico li salutò.
                Lei alzò lo sguardo verso il ragazzo e gli sorrise.
E Jason lo vide. Vide un bagliore negli occhi di entrambi. Nulla visibile ad occhio nudo, no, dovevi essere fortunato se riuscivi a vederlo. Un bagliore così veloce che poteva sembrare un miraggio. Ma lui era sicuro di aver visto qualcosa.
                – Percy vi vuole all’arena immediatamente. – disse Nico non distogliendo lo sguardo da quello di lei. – soprattutto te. – disse indicandola.
Jason pensò di lasciarli soli all’inizio, così potevano parlare in santa pace. Ma poi pensò a Percy e che si sarebbe arrabbiato parecchio se fossero arrivati in ritardo. Così si alzò.
                – Va bene, meglio andare. – disse aiutando Silvia ad alzarsi.
Stava per incamminarsi verso l’arena, ma Nico lo fermò prendendolo per un braccio. – Facciamo prima se viaggiamo a modo mio. – aveva uno strano sorriso.
                – No, no. – lo fermò Jason. – Volando ci metto meno e poi mi fa Dii immortales!
Non gli aveva nemmeno lasciato finire la frase che erano già nell’arena in mezzo agli altri ragazzi.
                – Nico! – lo sgridò, infuriato. – Eravamo d’accordo: io non ti facevo più volare, tu non mi trasportavi con le ombre!
                – Mi sarò dimenticato. – disse lui alzando le spalle mentre gli lanciava un sorrisetto. Questo fece ridere di cuore Silvia.
                – Ehi! Basta scherzare. – li rimproverò Percy. Poi si rivolse alla ragazza. – Sei in ritardo.
Lei cercò di smettere di ridere. – Scusa, stavo parlando con Jason.
                – E ora sei qui, per cui combatti. – il ragazzo affondò e lei si scansò per poco.
                – Ehi! Io non ho nemmeno la spada! – protestò lei.
                – Importa? – disse Percy colpendola ancora non dandole il tempo nemmeno di pensare. Jason non capirà mai i metodi d’insegnamento di quel ragazzo.
Poi qualcuno le lanciò un’arma, evidentemente la sua spada, e lei l’afferrò facendo una capriola a terra per poi alzarsi in ginocchio a parare un fendente di Percy. Non era affatto male, pensò Jason.
                – Alzati. – le ordinò il figlio di Poseidone allontanandosi leggermente. Lei obbedì e si mise in posizione per attaccare. Ma Nico la colpì da dietro con la sua spada e lei cadde a terra  a quattro zampe, non aspettandosi un colpo alle spalle.
                – Ehi! – gridò, anche se aveva un tono scherzoso e un sorriso in faccia. – Non è valido.
                – Quando sarai sola e circondata da mostri, mi ringrazierai. – l’ammutolì Percy, serio. Aveva un tono autoritario e a tratti faceva paura.
Lei si rialzò togliendo la sabbia dalle ginocchia. E attaccò Nico dietro di lei. Lui riuscì tranquillamente a parare il suo semplice attacco, ma le sue intenzioni erano diverse. Attendeva che Percy si avvicinasse per poi colpirlo lateralmente e tagliarli la parte scoperta di maglietta. Sorrise, soddisfatta, ma Nico le tagliò la maglia sulla schiena, facendola voltare e provare a fermare il secondo affondo del ragazzo. Percy intanto continuava ad attaccarla senza sosta e lei capì che trovarsi in mezzo non era la tecnica migliore. Allora approfittò di un momento di confusione per abbassarsi e rotolare lontano per poi rialzarsi immediatamente.
                – Oh, oh, oh. – qualcuno stava applaudendo dietro di loro. Clarisse La Rue, figlia di Ares e alcuni suoi fratelli si stavano avvicinando. – Ma che bello spettacolino.
                – Clarisse … – disse Percy fermando l’incontro. – davvero non hai meglio da fare?
                – Perché scusa? Io e i miei fratelli volevamo solo allenarci in santa pace nell’arena. – si difese lei, ironicamente. – E poi volevo vedere la figlia della grande e potente Gea mentre veniva messa al tappeto da un misero pivello e il suo complice scheletro-man. – ridacchio compiaciuta. – Davvero un bello spettacolo comico, non trovi?
                Nico stringeva la spada con un po’ troppa forza, lasciando le nocche bianche. Silvia teneva le mani a pugno e l’unico che sembrava tranquillo, era Percy.
                – Ora che hai fatto la tua battuta imbarazzante puoi anche andare ad allenarti da un’altra parte. – la incoraggiò il figlio di Poseidone, alzando il mento.
La figlia di Ares si avvicinò a Frank e gli mise un braccio attorno alle spalle, strizzandolo. – Ma come sta il mio fratellino romano? – disse senza ascoltare quello che aveva detto Percy. Frank fece una smorfia schifata ed adirata allo stesso tempo.
                – Che ne dici di dire al saputello, là in fondo. – disse indicando Percy. – Che tra due giorni ci sarà la partita a caccia alla bandiera più sensazionale della storia del Campo?
                – Caccia alla bandiera? – rispose Percy in tono duro. – Abbiamo da proteggere la vita di una ragazza e tu decidi di giocare a caccia alla bandiera?
                – L’ho deciso io con Chirone. – sibilò lei fissandolo. – Le tradizioni del Campo Mezzosangue non si possono interrompere solo perché una dea malvagia, ormai morta, ha partorito una stupida ragazzina.
Silvia caricò verso Clarisse, ma Jason si mise in mezzo, riuscendo a fermarla per poco. Quella ragazza era una furia.
                – Oh, ti sei offesa? – mugugnò Clarisse facendo la finta voce da innocente. – Poco male. In ogni caso questa partita sarà diversa, dato che le regole le ha scelte la casa di Ares, avendo la bandiera da dieci volte di fila. – scoccò un’occhiata ai suoi fratelli che si batterono il cinque.
Branco di imbecilli.
                – Come prima cosa, non si svolgerà di giorno, ma di notte e-
                – Di notte? Ma ci sono il doppio dei mostri nel bosco! – esclamò Piper.
                – Cos’hai paura di un gruppetto di segugi infernali, cocca di Afrodite? – la canzonò Clarisse con il suo vocione.
                – Sono solo un po’ stanca, dato che ho passato l’estate a combatterne, a differenza tua. – si difese la ragazza, sicura di sé. Quanto l’amava Jason quando faceva così.
                – Bé, essendo una dei sette della Grande Profezia, evita di lamentarti, fiorellino. – continuò Clarisse, imperterrita. – E questo mi porta al secondo cambiamento: la squadra rossa sarà capitanata, ovviamente dalla casa di Ares. E quella blu, sarà formata solamente da i ragazzi della Grande Profezia dei Sette.
                – Che cosa?! – gridarono insieme Piper, Nico e Percy. Jason e gli altri due romani non conoscevano bene le regole di questo gioco, ma evidentemente essere sei contro tutto il resto del Campo, non era il massimo.
                – Ah, e vi tenete pure anche il figlio di Ade, simpatia in persona può anche sperperare morte da un’altra parte. – disse la figlia di Ares accennando con un segno della mano a Nico. – Oh, su, su! Non fate quelle facce stupite! Se siete così … grandi come la Profezia dice, non avrete problemi a vincere, no?
                – Noi vogliamo anche Silvia nella nostra squadra. – esclamò Percy, prima che la ragazza se ne andasse. – E non ci sono discussioni.
                – Figurati se ce la tenevamo in squadra un’incapace come lei! – gridò di rimando. – Non riuscirebbe nemmeno a sconfiggere un manichino! – i suoi fratelli risero di gusto.
Poi accadde qualcosa di strano.
La terra cominciò a tremare e la maglietta di Jason prese una strana colorazione sul verde. Si voltò verso Silvia che era ancora vicina a lui e la vide ricoperta di un’aura di luce verde scuro. La terra tremò e una crepa si aprì fino al gruppo dei figli di Ares che rimasero immobili alla scena. Alcuni di loro rischiarono di cadere, ma improvvisamente la crepa si richiuse e tutti fissarono Silvia.
Lei era tranquilla e con le braccia incrociate al petto.
                – Tanto debole non sono, non credi? – chiese ironicamente rivolgendosi ad una Clarisse con i capelli tutti dritti per la paura.
I figli di Ares si allontanarono più in fretta che poterono, senza dire una parola. Ma pure Jason e gli altri non avevano molto da dire.
                – Ufff. – la ragazza si sedette a terra. – Potrei avere un po’ di quella cosa magica che mi fa stare subito bene, farlo mi ha un po’ stancata.
Nessuno si mosse, ovviamente.
Silvia fissò uno ad uno i ragazzi intorno a lei. – Sì, ho fatto una piccola crepa al suolo. Ora datemi una di quelle cose magiche per favore, o vi vomito qui la colazione.
Alla parola vomito Piper si riprese e le portò un cubetto d’ambrosia che inghiottì senza pensarci.
                – Ma come hai fatto? – chiese Frank, quasi incredulo.
                – Te lo ha insegnato tua madre? – Percy sembrava quello più serio fra tutti.
                – Io … ho solo pensato alla terra che si aprisse sotto quella bisbetica con dei capelli orribili e la terra ha obbedito. – spiegò lei come se avesse aperto un barattolo di marmellata. – Niente di più, niente di meno.
                – Vuol dire che puoi controllare la terra. – disse Percy. – Ti servirà molto in battaglia. Dovremmo allenarci anche su questo, anche se io non so bene come, ma insieme possiamo darti tutti una mano a controllare e a dominare adeguatamente il tuo potere.
                Silvia lo ringraziò e Jason capì che sarebbe diventata una loro grande amica.
 
 

 Nota dell'autrice: Porro a tutti! (quanto mi fa ridere questa parola)
Come prima cosa vorrei ringraziare (cosa che avrei dovuto fare tempo fa) Just me_Ilaria che è stata una delle fan più accanite. ahahaha mi fai morire ragazza!
Per il resto un bacione a tutti voi meraviglie
Silvia

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Capitolo 24
*** Mi Succede Qualcosa Che Non Riesco A Spiegare ***


Mi Succede Qualcosa Che Non Riesco A Spiegare


NICO



                Stava bene quella sera.
Era seduto sulla spiaggia ed il tramonto era di un vivo color arancione e rigato dagli ultimi raggi rossastri del sole. La sabbia era ancora calda e dava una bella sensazione al contatto con la pelle. Non c’era vento e Nico si stava godendo gli ultimi momenti di luce, in attesa della notte. Era il momento che preferiva, la notte. Quando è così buio da poter vedere anche le stelle più lontane.
Con la guerra e tutto il resto, non era ancora riuscito a prendersi un momento di serena tranquillità. Chiuse gli occhi inebriandosi del fresco e rilassante profumo della sera.
                – Ehi. – lo chiamò qualcuno di colpo. – Oh scusa, non volevo disturbarti.
Aprì gli occhi di colpo e si trovò vicino Silvia con le mani alzate che fissava la sua spada. Non si era nemmeno accorto di averla presa. Lei non era affatto spaventata, stava sorridendo. L’abbassò e le fece cenno di sedersi.
                – È davvero bello qui. – sospirò mentre si sistemava accanto a lui.
                – Già. – Nico si sorprese a fissarla. Si era appena fatta la doccia e i capelli, ancora umidi, le ricadevano sbarazzini sulle spalle. Gli occhi, in cerca di qualcosa all’orizzonte, erano di un caldo color verde scuro. Scosse la testa e cercò di controllarsi. Ma che stava pensando?
                – Bel trucchetto quello di questa mattina. – si complimentò.
                – Oh, con Percy abbiamo fatto di peggio nel pomeriggio. – si mise a ridere lei. – Ho sradicato un paio di alberi e un gruppo di ninfe hanno rincorso Frank per tutto il Campo. Non pensavo che ci si potesse divertire tanto.
Aveva una risata calda e cristallina. Quando sorrideva due piccole fossette si formavano agli angoli alti della bocca.
                – Peccato che me lo sia perso. – disse, veramente dispiaciuto. Vedere il grande e grosso figlio di Marte essere preso a botte con dei rami da delle ninfe è uno spettacolo che pochi si possono permettere.
                – Dove sei stato? – gli domandò.
Il ragazzo divenne cupo. Non era stato un bel pomeriggio il suo. Subito dopo pranzo era andato negli Inferi a parlare con suo padre. L’aveva supplicato di portare in vita Annabeth.
Aveva gridato, implorato, pianto, ma l’uomo non si era mosso dalla sua posizione. Aveva scosso la testa ed era svanito in un turbine nero. Lui era restato un po’ con la sua matrigna, Persefone. Era tornata da poco negli Inferi, dato l’inizio dell’autunno, e irradiava ancora un po’ di vita dal mondo in superficie. Lei era sempre molto dolce con lui e lo trattava come se fosse figlio suo.
Aveva provato pure lei a domandare al marito di riportare in vita la ragazza, ma nemmeno le lusinghe della più bella delle mogli era servita. Nico si ricordava bene, come si era infuriata con Ade, quando aveva lasciato morire sua sorella, Bianca. Persefone era stata vicina a lui dopo la sua perdita e in un certo senso l’aveva aiutato.
Quando era tornato alla capanna tredici era abbastanza stanco dalla permanenza nel Regno dei Morti, così aveva deciso di rilassarsi un po’ in spiaggia.
                – In giro. – rispose evasivo alla ragazza. Lei lo fissò, capendo che mentiva, ma non gli chiese altro. Nico la ringraziò per questo.
                Silvia alzò lo sguardo al cielo. – È meraviglioso.
Accennava alle stelle che si stavano lentamente svelando all’arrivo della notte. Le tacite stelle, le chiamava Pascoli. Ma per Nico ne avrebbero avute di storie da raccontare quelle spettatrici invisibili.
                – È il momento migliore, non trovi? – chiese la ragazza. – Quando tutto è più tranquillo.
Nico annuì. Era vero.
                – Percy mi ha spiegato un po’ le regole di caccia alla bandiera. – cominciò lei, cambiando argomento. – Siamo nella merda, non è vero?
Nico annuì ancora. – L’intero Campo contro di noi? Atena ed Ares insieme? – disse ironicamente. – Che gli déi ci assistano.
                – Non so. Quella Clarisse non mi sembrava poi tanto sveglia e dopo il mio giochetto con la terra l’ho inquadrata per bene. – ridacchiò soddisfatta.
                – Ci vuole ben altro per inquadrare Clarisse, fidati. – ribadì Nico conoscendo bene la figlia di Ares.
                – Ma è sempre così stronza? – domandò lei.
                – Quasi sempre, sì. – ma Nico non ci faceva tanto caso. Non era la prima al Campo a non voler stare nella stessa stanza con lui. Ma tanto che si aspettava? Un figlio di Ade non era mica accolto a braccia aperte.
                – Bé, io credo che tu sia incredibilmente forte. – disse ad un certo punto Silvia. Non lo stava guardando. Fissava un punto fisso all’orizzonte, ormai scuro. – Credo che tu sia una persona meravigliosa e che anche se sei figlio del Signore dei Morti, – fece una voce strana dicendo “Signore dei Morti”, come se fosse il dio più importante. – a me stai simpatico.
Nico non sapeva bene come interpretare quelle parole. Forse perché nessuno gliele aveva mai dette prima d’ora. Certo, Hazel, Jason e gli altri gli facevano capire che infondo gli volevano bene. Ma nessuno era mai vento lì a dirglielo in faccia. Guardò la mano della ragazza che teneva sulla gamba e gliela prese. Fu un gesto quasi dettato dall’istinto.
                – Grazie. – le sorrise mentre lei fissava le loro mani giunte. – Anche tu non sei male, in fondo.
A lei scappò una risata che lo fece sorridere ancora di più.
                – Dovresti sorridere più spesso, lo sai? – disse lei guardandolo. – Sei davvero bello quando lo fai.
Poi si bloccò e divenne tutta rossa, visibilmente in imbarazzo per quello che aveva appena detto. Pure Nico sentì uno strano calore invadergli le guancie.
                – Cioè, sì insomma … fa’ bene sorridere. Ho sentito una volta che ridere allunga la vita, ma alla fine chi ascolta gli scienziati nelle riviste, giusto? Poi ovvio che se una persona sorride è più bella perché mostra la parte migliore di sé … non che tu sia brutto quando non sorridi, anzi … cioè … ah! Lasciamo perdere … – si alzò rapidamente interrompendo il contatto tra le loro mani. Si allontanò continuando a borbottare cose senza un senso apparente.
Nico la trovò … adorabile. Adorabile?! Sì, adorabile per il divino Ade! Se lo dici tu, amico.
Sentiva un calore al petto, ma non straziante come il senso di colpa. Era diverso. Era un calore … buono. Che gli riscaldava dentro dandogli una strana euforia.
Istintivamente si alzò e la raggiunse, facendola voltare verso di lui. Lei lo guardò. Erano dannatamente vicini.
Una vocina nella testa di Nico gli gridava: ma che stai aspettando, cretino? Baciala!
Baciarla? Era davvero quello che voleva? Non lo sapeva. Così non si mosse. Rimase a guardarla e a perdersi in quegli occhi verdi e marroni che gli facevano vibrare il cuore.
                Poi un colpo di tosse li fece risvegliare da quella strana sensazione di serenità.
Percy era davanti a loro e li fissava con le braccia incrociate al petto.
Imbarazzante.
Nico si allontanò subito da Silvia che bofonchiò qualcosa su una cosa che Hazel le aveva detto di fare. Così se ne andò.
Rimasero lui e Percy a parecchi metri di distanza, ma Nico riusciva lo stesso a sentirsi lo sguardo accusatorio dell’altro anche da lontano.
                – Per tutti gli déi dell’Olimpo. – cominciò Percy avvicinandosi al ragazzo. – Che cosa stavi facendo?
                – Io … non … – mormorò Nico diventando rosso. Ma che stava facendo? – … non lo so.
Il ragazzo gli si avvicinò ancora con un’espressione seria in volto.
Anche se avevano tre anni di differenza, Nico aveva raggiunto in altezza l’altro. Così se lo ritrovò davanti.
                Poi improvvisamente il suo sguardo si fece più dolce. – Ti piace?
Nico indietreggiò. Le piaceva? E chi lo sapeva? Lui no di certo. Aveva un casino in testa al momento.
                – Ascoltami. – lo fermò Percy mettendogli una mano sulla spalla. – Capisco che sia difficile per te riuscire a fidarti di lei. Ma se il tuo cuore ti dice qualcosa, dovresti ascoltarlo.
Percy non gli aveva mai parlato così.
                – Io mi fido di lei. – fu la risposta di Nico. Era vero, si fidava di Silvia. Ma se parliamo di seguire il cuore allora … era leggermente più difficile.
                – Sei molto confuso, vero? – disse Percy guardando la faccia del ragazzo. – Io non sono il miglior esperto in amore qui. E Annabeth lo sapeva bene. Non sapevo che ci stesse provando con me fino a quando non mi ha baciato. – fece un risolino aggrappandosi a dei ricordi. – Ma se vuoi, posso aiutarti a capire che ti succede, qui dentro. – lo rassicurò mettendogli una mano sul petto. Proprio sul cuore.
Nico si ritrasse.
                Il ragazzo sospirò. – Va bene. Ci si vede in giro Nico. – disse voltandosi.
E lui rimase a guardare allontanarsi quello che una volta era stato il suo esempio, ed ora era suo amico.
               
 
 
 

LEO
               

                – Arrivo subito, promesso. – sussurrò a Calipso mentre le rimboccava le coperte.
                – Ma cosa devi fare? – gli chiese ancora la ragazza mentre si accoccolava al cuscino.
Leo scosse la testa. – Niente di che. Ci metto un attimo.
Calipso annuì e chiuse gli occhi.
Lui le accarezzò ancora un po’ i capelli e poi uscì dalla stanza senza fare rumore. Passò vicino a Festus e gli diede due pacche sul collo di scaglie d’oro. – Notte bello.
Il drago ripose con uno sbuffo scaldo.
Aprì la porta d’entrata e uscì all’aria della sera. Non era consigliato stare di notte nel bosco, ma Leo aveva bisogno di stare un po’ da solo. Camminò avanti e indietro davanti l’entrata del bunker. Era nervoso. Stringeva i pugni nelle tasche e scalciava i sassi che trovava sulla sua strada. Tutta colpa di quella stupida ragazza. Tutta colpa di quella sua stupida madre. Era finalmente felice. Era finalmente con la ragazza più bella del mondo e…
                – Leo vai a fuoco! – urlò Jason dal nulla.
Il ragazzo si guardò le braccia. Cazzo! Non aveva nemmeno messo i vestiti ignifughi. Si concentrò e si spense insieme ad una lavata di pioggia da parte del figlio di Giove. Ottimo. Doveva ricordarsi di chiedere a Calipso di fargli un bel po’ di vestiti ignifughi in futuro.
                – Grazie. – borbottò a Jason.
                – Va tutto bene, amico? – gli domandò il ragazzo avvicinandosi.
Leo annuì, sovrappensiero.
                – Dai, sono o non sono il tuo migliore amico? Dimmi tutto. – lo incoraggiò Jason incrociando le braccia la petto dando ancora più volume ai muscoli. Maledetto lui e i suoi muscoli che Leo non possedeva.
                – Ti correggo dicendoti che non siamo mai stati migliori amici se non fosse stato per quello stupido trucchetto della memoria da parte di Era. – disse cupo. – Per cui tecnicamente io e te non siamo mai stati veramente amici.
                – E tutto il tempo sull’Argo II? Quello non contava? – domandò Jason, serio. – Ma che ti succede? Il Valdez che conoscevo io non avrebbe mai detto queste cose.
Aveva ragione. Ma che gli prendeva? Jason è stato un perfetto migliore amico anche quando sapeva bene di non conoscerlo minimamente.
                – Scusa. – mormorò sedendosi per terra e mettendosi le mani fra i capelli. – Ho un casino in testa.
Il figlio di Giove si sedette vicino a lui. – Si vede.
                – È la ragazza. – ammise Leo. – Mi rende nervoso.
                – Dovresti provare a conoscerla meglio. – lo incoraggiò Jason. – Non è così male infondo.
Il ragazzo fece una strana smorfia. – Non mi fido di lei, Jason.
                – Lo so. – gli rispose. – Anche per me è stato difficile all’inizio. Poi ho parlato con lei e devi credermi, non è affatto come Gea. Non le si avvicina nemmeno.
Leo non sapeva se fidarsi completamente del suo amico. Il suo istinto gli diceva di stare alla larga dal quella ragazza.
– Lei si vuole scusare per tutto. – continuò Jason, cercando di convincerlo.
                – Va bene. – disse infine Leo facendo contento l’altro. – Proverò a parlarle.
                – Sapeva che avresti accettato. – sorrise il figlio di Giove mentre si alzava.
                – Sì, sì. Come vuoi voce della ragione! – lo canzonò Leo, imitandolo.
Il ragazzo fece piovere e l’altri si ritrovò tutto bagnato. Per la seconda volta.
                – Simpatico, Grace. – mugugnò Leo incrociando le braccia al petto.
L’altro rise di gusto vedendolo arrabbiato, ma venne bloccato da un forte rumore. Era un ruggito così potente che fece vibrare le budella di Leo. Una cosa era certa: non era umano.
Jason estrasse d’istinto il suo gladio e la pioggia smise di battere sulla testa di Leo. I sue si guardarono intorno, rimanendo in silenzio.
                – Cos’è stato? – bisbigliò Leo.
Un secondo ruggito, ancora più potente del primo, fu la risposta. I due si voltarono verso la foresta scura, ma non riuscirono a vedere nulla. Leo si incamminò lentamente verso quell’oscurità, ma l’altro lo fermò mettendogli una mano sul braccio.
                – Non veniva dalla foresta. – disse Jason, serio. E si librò in volo ad una velocità incredibile, tanto da alzare una nube di polvere e foglie.
Leo corse a svegliare Festus.



Note dell'autrice: Buon pomeriggio! Vi avverto già che domani non aggiorno dato che esce ''Il Sangue dell'Olimpo'' (OH MIEI DEIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIII!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!), per cui me lo devo leggere tutto nel pomeriggio, perché giovedì mi arrivano tre francesi a casa per il gemellaggio! Avrò la casa piena di gente! Wo!
In ogni caso sono così emozionata per domani! E' l'ultimo libro. L'ULTIMO. Io non credo di farcela. Abbiamo visto Percy crescere. Non credo che riuscirò a dirgli addio.
Credo che la frase perfetta sia: "E mi mancherà quel ragazzo che è diventato un eroe."
no vabbé, vado a piangere, scusatemi.
un bacio a tutti
Silvia
               

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Capitolo 25
*** Riceviamo Un Saluto Inatteso ***


Riceviamo Un Saluto Inatteso
               



               – Cos’è stato? – bisbigliò Leo.
Un secondo ruggito, ancora più potente del primo, fu la risposta. I due si voltarono verso la foresta scura, ma non riuscirono a vedere nulla. Leo si incamminò lentamente verso quell’oscurità, ma l’altro lo fermò mettendogli una mano sul braccio.
                – Non veniva dalla foresta. – disse Jason, serio. E si librò in volo ad una velocità incredibile, tanto da alzare una nube di polvere e foglie.
Leo corse a svegliare Festus.
               
 
 
 
HAZEL
 

Era andata a dormire da poco quando sentì un forte ROOOOOOAAAARRRRRRRR! provenire da fuori.
Scattò in piedi cercando la spada al suo fianco, cosa che ovviamente non trovò avendo il pigiama addosso. Non ebbe nemmeno il tempo di pensare che vide Nico sulla porta della sua camera.
                – Hai sentito? – le domandò lui con gli occhi spalancati.
Lei annuì, ma non fu necessaria una vera e propria risposta dato che un secondo potente ruggito precedette il primo. Ora sembrava più vicino.
                – Andiamo. – disse prendendo dei pantaloncini in jeans che mise sopra a quelli del pigiama. Afferrò la spada appoggiata al muro e si precipitò in salotto seguita da Nico, dove trovò Silvia in piedi con la sua spada argentea in mano.
                – Non mi interessa quello che direte, io vengo con voi. – disse decisa più che mai.
                – Va bene, però ora fuori. – Hazel precedette Nico, che la guardò in malo modo. Non avevano tempo di discutere.
Corsero più veloci che poterono verso la Casa Grande. Trovarono Percy e Chirone che fissavano la collina. Un secondo dopo Frank, Piper e Jason dal cielo li raggiunsero con le spade in pugno.
                – Cosa è stato? – chiese Frank.
Un altro ruggito attirò gli sguardi di tutti verso la cima della collina. Fu in quel momento che Hazel riuscì a vedere da dove provenisse quel rumore. O meglio, da cosa. Distingueva bene una dozzina di mostri di tre metri di altezza. La coda era un serpente nero, le zampe posteriori di capra e il resto del copro un leone.
                – Chimere. – Nico precedette i suoi pensieri.
                – Non è possibile. – esclamò Percy, incredulo. – Non possono essersi spinte così a Nord. Poi la barriera avrebbe dovuto tenerle fuori. O no? – chiese conferma guardando Chirone.
                – Non lo so. – il centauro era più stupito di tutti i ragazzi.
Frank si trasformò immediatamente in un leone e ringhiò, pronto a combattere.
                – Va bene. – disse Percy prendendo immediatamente il controllo della situazione. – Piper, vai a svegliare gli altri e dì loro di prepararsi a combattere. Poi corri da Leo, ci servirà Festus. – la ragazza annuì e corse via. – Frank davanti con me, Jason e Nico. – continuò guardandoli. – Hazel, tu farai un diversivo con la Foschia. Non devono arrivare al fondo della collina, chiaro?
                La ragazza annuì e Percy fischiò. Una figura nera si librò nel cielo e si avvicinò al gruppo di ragazzi. Blackjack, il pegaso di Percy atterrò al fianco del ragazzo permettendogli di salire in groppa con un veloce salto.
                – Ares avanti! – gridò Clarisse avanzando con il resto della casa di Ares. Fu il segnale d’attacco. Tutti i ragazzi con le armature messe sopra al pigiama e le spade strette in mano avanzarono contro il branco di chimere.
Hazel si fermò a metà strada e alzò le mani davanti a sé chiudendo gli occhi. Si concentrò e formò un muro di fuoco con la Foschia. Molti mostri ci giravano intorno e ringhiavano, ma la maggior parte non lo guardava nemmeno e correva in contro ai semidei. Si concentrò ancora e cambiò scenario. Ora c’era un baratro d’oscurità fra il branco e gli altri ragazzi, fermando un buon numero di chimere lontane dalla battaglia. Hazel sentiva i rumori delle spade che sbattevano contro il pelo duro e ispido delle chimere e il ringhio famelico delle bestie mentre attaccavano i semidei.
Vide altre figure scendere dalla collina. Il resto del branco stava arrivando e sembravano il doppio di quelle che c’erano già.
Era concentrata e sapeva di riuscire bene a mantenere la visione del baratro quando una dolorosissima fitta al fianco destro le fece perdere completamente la concentrazione. Si voltò e vicino vide una chimera di tre metri d’altezza troneggiare sopra di lei. Arretrò prima che il serpente-coda potesse morderla ancora. Cercò la spada con la mano sinistra visto che la parte destra del corpo le bruciava completamente. Strinse i denti cercando di non pensare al dolore. Gli occhi verdi acceso del serpente la studiavano mentre la testa da leone mostrava i denti affilati grandi quanto un pugnale.
Il mostro stava per attaccare, quando una radice grossa come un tronco di un albero emerse da suolo e attorcigliandosi all’enorme copro della bestia la riportò sotto terra con sé. Dietro alla scena c’era Silvia con le mani aperte ed un’aura verdognola attorno al corpo. Quando la radice fu tornata sotto al suolo, vide che la ragazza la fissava con un sorriso.
– Andiamo ad aiutare gli altri! – la incitò brandendo la spada d’argento.
Hazel le corse dietro, incredula di quello che era appena successo.
 


NICO


 
Era da solo contro una chimera dal manto sul grigio sporco. Gli occhi, rosso sangue erano a pochi centimetri dai suoi. La bestia aprì la bocca per staccargli la testa, ma il ragazzo rotolò via passandole sotto le gambe. Poi una freccia la colpì in centro alla fronte. Scorse un figlio di Apollo non lontano.
Ma cercò di stare concentrato dato che ora doveva vedersela contro la coda-serpente. Gli tagliò la testa con un movimento netto mentre un figlio di Ares era salito in groppa al mostro come se fosse un toro da rodeo.
Il ragazzo cercava di tenersi aggrappato alla criniera, ma la chimera si dimenava e presto l’avrebbe disarcionato. Il figlio di Apollo scoccò un’altra freccia prendendo il costato e quando Nico l’ebbe infilzato sul dorso facendolo ringhiare di dolore urlò al ragazzo di Ares.
                – Ora! – e lui impiantò la sua lancia trafiggendo il mostro da parte a parte. Nico fece un veloce cenno con la testa ai due ragazzi, si tolse la polvere d’oro dai capelli e si guardò attorno per cercare chi aveva bisogno di aiuto.
Il suo sguardo cadde su due figure che correvano verso la zona della battaglia.
                Ma per gli dei! Imprecò teletrasportandosi davanti a Silvia e Hazel.
Lasciò passare sua sorella, ma prese la ragazza per un braccio e la strattonò dalla parte opposta della sua direzione.
                – Che stai facendo?! – gridarono entrambi all’unisono, visibilmente adirati.
                – Vado a combattere e tu? – disse con aria di sfida la ragazza.
                – Non vai a combattere. – la rimproverò.
                – Allora non guardare. – e dicendo questo si sciolse dalla stretta del ragazzo e camminò per qualche metro fino ad arrivare al limite della zona di guerra. Aprì le mani e distese le braccia. Poi cominciò a levarle e man mano che le alzava la terra davanti a lei si smuoveva sempre di più, fino a far emergere tre grosse radici lunghe almeno cinque metri che si intersecavano come serpenti ricoperti di terra. Due si attorcigliarono a due mostri e gli stritolarono lasciandone solo un pugno di polvere d’oro trasportata dal vento. L’altra invece scaraventò una chimera dall’altra parte della baia come se fosse una palla da baseball. Molti ragazzi, come Nico, rimasero a fissarla mentre distruggeva mostri a destra e a manca. Perfino Percy che era al centro del campo da battaglia si fermò per un attimo a guardarla.
                Era incredibile, si disse Nico ridacchiando fra sé e sé.
Non si accorse però di un mostro che caricò e che la scaraventò a trenta metri più lontano. Stava per correre ad aiutarla, ma il grido agghiacciante di Hazel gli fece cambiare obbiettivo. Si volto verso la direzione dell’urlo e vide la sorella sotto una chimera con la lama della spada infilata tra i denti per cercare di tenerli lontani dalla faccia. Non ce l’avrebbe fatta ancora per molto.
Corse più veloce che poté.
                – Ehi! Palla di pelo! – si sentiva Leo quando parlava così. – Vieni qui a giocare con il gomitolo di lana!
Il mostro ringhiò verso il ragazzo e lasciò perdere Hazel, con un balzo la sorpassò e si trovò a pochi metri da Nico. Appena atterrò, però, sotto alle zampe non trovò appoggio dato che c’era una crepa che portava dritta dritta agl’Inferi. Il mostro ci cadde dentro perfettamente e Nico la richiuse immediatamente mozzando il ruggito disperato dell’animale.
                – Goditi il giro nell’oltretomba. – disse serio. Poi si avvicinò a Hazel che non si era alzata da terra. Era stesa e si teneva il braccio attorno al fianco destro. – Cos’hai?
                – Niente. Ora mi rialzo… – ma si bloccò emettendo un gemito di dolore.
Nico le alzò la maglietta senza troppe cerimonie e si bloccò alla vista della ferita. C’erano due profondi buchi sul fianco destro della ragazza e intorno si diramavano delle orribili vene piene di veleno viola scuro e verde. Il colorito nel volto poi preoccupava seriamente Nico.
                – Ti porto in infermeria. – la cinse con le braccia e con le ombre la portò da Will Solace.
                – Nico non puoi lottare e viaggiare con le ombre! – lo rimproverò immediatamente il figlio di Apollo appena lo vide apparire nella stanza. – Ti stanchi e rischi di-
                – Di scomparire. Solace, cura mia sorella. È lei quella che rischia. – ordinò scomparendo subito dopo aver sistemato Hazel sul primo letto libero. 
Will rimase a fissare lui che scompariva con tre rotoli di bende in mano, un flacone di disinfettate sotto braccio e due scatole extra large di ambrosia nell’altra mano. – Già. Perché non sono già strapieno di gente ferita.
               
                Nico ricomparve nella collina proprio mentre un mostro stava per investirlo. Rotolò di lato e ringraziò la sua iperattività da semidio. Scorse Silvia più in basso mentre lottava contro tre mostri. Evidentemente era troppo stanca per usare i poteri. Pure Nico era abbastanza intontito da tutti quei viaggi ombra improvvisi. Lottava senza pietà menando colpi a destra e a sinistra. Aveva una ferita sanguinante nulla fronte e zoppicava leggermente da una gamba. Ad un certo punto una coda-serpente però conficcò i cuoi denti nel suo braccio. Nico corse verso est per raggiungerla e aiutarla, ma era debole e stanco, per cui andava troppo lento rispetto al normale. Silvia urlò dal dolore, ma si ricompose immediatamente tagliandone la testa e impiantando la lama argentea nel petto del mostro che divenne un mucchietto di polvere d’oro assorbita immediatamente dalla terra.  Poi si strappò la testa del serpente che era rimasta attaccata al braccio facendo uscire copiosamente il sangue dalla ferita. Quando poi una chimera l’atterrò con una zampata, Nico corse verso di lei il più in fretta possibile.
                Una figlia di Demetra attaccò la chimera che aveva buttato a terra Silvia e Nico la ringraziò mentalmente. Il mostro divenne polvere quando Nico gli piantò la lama perforandogli la testa.
Si avvicinò alla ragazza a terra e la voltò verso di sé. Aveva il volto completamente pieno di sangue e il braccio era in condizioni pessime. Ma la cosa che preoccupò maggiormente Nico furono gli occhi. Erano chiusi.
                – Silvia. – la chiamò inginocchiandosi e portandola vicino a sé. – Silvia. – la chiamò con più convinzione mentre la scuoteva leggermente. Non sentiva niente. Non sentiva niente di niente. – No, andiamo. Forza. – disse scuotendola con più energia e chiamando tutta la forza di volontà che gli era rimasta. – Dai, apri gli occhi. Forza. Andrà bene. Avanti aprili. Silvia rispondimi. – recitò le parole come fossero una preghiera.
Doveva portarla in infermeria. Era stanco, ma non gli importava. Si tuffo dentro un’ombra e si teletrasportò nella stanza bianca. Non riuscì nemmeno a spostarla dalla sua posizione per terra dato che aveva le mani su semi trasparente. Will arrivò di corsa.
                – Cosa ti avevo detto?! – lo rimproverò prendendo la ragazzo in braccio e sitemandola in un letto libero.
Nico respirò lentamente per un po’ e poi si avvicinò al ragazzo che fissava Silvia con una brutta smorfia mentre le ripuliva il sangue dalle ferite. – Dei, ma che ha fatto?      
                – Si è strappata una testa di serpente morto dal braccio. – disse Nico.
                – Nemmeno Percy farebbe una cosa così stupida. – brontolò Will, poi tirò un fischio e due ragazzi molto simili a lui arrivarono al suo fianco.
                – Prendetele le braccia, tu Nico i piedi. – ordinò mentre prendeva delle lunghe pinze da un tavolino lì vicino. – Questo le farà male.
I ragazzi obbedirono e quando Will infilò le pinze in uno dei buchi lasciati dai denti del serpente estraendo un ago di venti centimetri, Silvia si svegliò improvvisamente urlando e dimenandosi come una pazza. Solo quando uno dei due ragazzi le fece una puntura lei tornò a dormire. Almeno non era morta.
                – Dalle questa quando si sveglia. – disse Will passando una bottiglia con del nettare. – E che non si muova per almeno un giorno e mezzo.
Nico annuì e i figli di Apollo si dileguarono andando in cerca di altri feriti.
                La fissò. Aveva ancora il viso con delle striature rosse e il colorito pallidissimo della sua pelle non dava l’idea che stesse proprio bene. Ma Nico cercò di essere ottimista. Incredibile, lui che era ottimista.
Aveva preso paura prima, sulla collina. Credeva di averla persa per sempre.
Poi si rese conto di una cosa. Se fosse stato più veloce, se l’avesse fermata prima, lei ora non sarebbe stata in queste condizioni. Era colpa sua. Stava per ucciderla e per perderla.
Divenne cupo e prese una decisione. Non sarebbe stato più vicino a lei. Sarebbe stato per la sua sicurezza. Se le fosse successo qualcosa per colpa sua, non se lo sarebbe mai e poi mai perdonato, questi era certo.
                Mise la bottiglia di nettare sul tavolo con un biglietto e si dileguò dall’infermeria senza mai guardarsi indietro, sapendo che, se l’avesse fatto, non sarebbe mai riuscito a lasciarla.




Nota dell'autrice: Inizio subito col dirvi che ho preso ieri "Il Sanque dell'Olimpo" e che oggi alle quattro l'avevo già finito. Bé....................sono devastata.........
sto letteralmente chiedendomi chi sono perché ho perso la mia identità in quel libro, No io non ce la faccio a dire addio a tutto quello..................
Comunque...*si asciuga le lacrime* Avviso numero due: domani mi arrivano i francesi a casa mia per cui adesso vedo se riesco a mettere il prossimo capitolo, ma per quelli dopo dovrete aspettare almeno giovedì prossimo. Perdonate. 
in ogni caso saluto e abbraccio tanto forte quelli che hanno già letto o che stanno leggendo l'ultima avventura del nostro eroe.
un bacio a tutti
Silvia
                

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Capitolo 26
*** Tra Congratulazioni E Nessuna Spiegazione Sono Parecchio Confusa ***


Tra Congratulazioni E Nessuna Spiegazione Sono Parecchio Confusa


SILVIA


 
            Aveva uno strano sapore amaro e acido in bocca. Ed insieme alla gola secca e il mal di testa martellante, non aiutarono a migliorarle il risveglio.
Aprì gli occhi lentamente e sbattendo ripetutamente le palpebre. Ma dove si trovava? Ricordava poco di cos’era successo l’altra sera.
            Viva.
Ricordava si essersi sentita così viva, così incredibilmente viva.
Guardò il braccio sinistro e lo vide fasciato per bene. Le bruciava un po’ ma non le faceva troppo male. Poi toccò il grosso cerotto che aveva in testa. Decise di alzarsi per mettersi seduta. Con sua sorpresa ce la fece tranquillamente. Le girava leggermente la testa, ma quasi non lo sentiva.
Spostò il suo sguardo fuori dalla finestra dell’infermeria. Il sole che tramontava dava un colorito sul rosso sangue alle lenzuola e ai muri bianchi della stanza. Si sentiva bene e rilassata.
Un luccichio l’attirò verso il tavolino alla sua destra. C’era una normale bottiglia di plastica col tappo blu che conteneva un liquido dorato. L’afferrò e l’adagiò nel mezzo delle gambe, come se fosse qualcosa di prezioso. Lesse il bigliettino che trovò attaccato.
               
                Bevila tutta appena ti sarai svegliata. Ordini di Will.
Nico
 
Sorrise vedendo il nome del ragazzo sul foglietto. Il suo ricordo la fece sorridere.
                – Oh, sei sveglia. – disse una voce. Davanti a sé c’era un letto occupato da un ragazzo con dei corti capelli castani chiari e gli occhi sul verde acceso e giallo. Teneva una gamba gessata fuori dalle lenzuola. – Stavo aspettando che ti svegliassi.
Aveva un tono di voce stanco e il collo bloccato da un collare, l’occhio nero e una ferita sul labbro inferiore non lo aiutavano a rendere la sua immagine più vivace.
                – Che ti sei fatto? – chiese Silvia ridacchiando. – Sembra che ti abbia calpestato un gruppo di elefanti. E che poi abbiano fatto anche un bis.
                – Diciamo che mi è successa una cosa simile. – mugugnò. – Solo che al posto di elefanti erano chimere di tre metri d’altezza.
                – Come ti chiami? – domandò mentre tratteneva una risata.
Lui accennò ad un sorriso sbilenco. – Jude. – rispose allargando le braccia, forse volendo fare un inchino. – figlio di Tiche.
                – La dea della fortuna … interessante. – mormorò studiandolo.
                – Strano, nessuno di solito sa chi è Tiche. I miei complimenti figli di Gea. – disse con un sorriso che si trasformò in una strana smorfia per via di tutte le botte che aveva preso.
                – Non hai paura di me? – gli chiese, dubbiosa.
                – No, non ne ho. Non dopo che hai contribuito a salvare il Campo. – rispose serio Jude.
                – E come mai aspettavi che mi svegliassi? – domandò cambiando argomento.
                – Per vedere se saresti sopravvissuta.
Silvia fece una strana espressione. – Sopravvissuta? Ho solo combattuto contro un paio di mostri.
                – Ma ti ricordi come eri ridotta alla fine? – chiese lui ridendo.
Lei scosse la testa. Ricordava un combattimento, ma poi nient’altro.
                – Will mi ha raccontato che ti hanno estratto un dente di serpente dal braccio perché ti eri strappata una testa che ti si era avvinghiata. Saresti potuta morire se fosse rimasto ancora qualche minuto. – le spiegò. – Sei rimasta svenuta per due giorni.
                – Due giorni?! – era incredibile. Le era sembrato di dormire per una notte, più o meno.
                – Eri svenuta quando sei arrivata e Nico pensava fossi morta.
                – Nico? – quel nome le fece scattare un interruttore di attenzione dentro al cervello. – È per caso passato? – domandò cercando di contenere l’emozione.
                – È venuta sua sorella, Hazel, mi pare… e quello splendore del capo della casa di Afrodite, Piper McLean. – disse il nome della ragazza sospirando. – Dei se è bella.
                – Sì, lo è davvero. – rispose Silvia un po’ sovrappensiero. In verità pensava al figlio di Ade. Nico non era passato. In due giorni non era mai passato a vedere come stava. Ma che si aspettava? Che le facesse da balia? Lui poteva fare tutto quello che voleva e se questo includeva non venirla a trovare, lei non doveva obbiettare.
                – Ho detto qualcosa di sbagliato? – domandò Jude, fissandola preoccupato.
Lei cercò di mascherare la delusione con un leggero sorriso. – No, no. Sto bene. – poi guardò fuori dalla finestra. – La caccia alla bandiera l’hanno già fatta?
                – Oh, no. – le rispose. Cosa che le face felice, ci teneva a partecipare. – Percy aspettava che tu stessi meglio. Non lo biasimo, già siete otto in squadra, se perdessi un compagno aspetterei anche settimane.
Jude sembrava simpatico. Irradiava uno strano calore che a Silvia piaceva. Ma era stufa di rimanere in infermeria senza fare niente. Doveva dire a Percy che la caccia alla bandiera si poteva fare prossimamente dato che lei era sveglia.
                – Ehi, dove credi di andare? – gli chiese lui vedendo che stava cercando di mettersi in piedi.
Indossava un camice azzurrino che le arrivava poco sotto il sedere per cui, quando vide i suoi vestiti ai piedi del letto non esitò a vestirsi.
                – E io che volevo vedere la figlia di Gea in mutande! – scherzò emettendo una risata calda e sincera che fece ridere di cuore anche Silvia.
                – Appena ci batterai alla caccia alla bandiera. – disse lei facendogli l’occhiolino. – Cosa che non accadrà, visto che vinceremo.
                – Oh, davvero? – chiese Jude in tono di sfida. – È una promessa?
Si sistemò la maglietta facendo attenzione al braccio fasciato. – Solo se non dici a Will che me la sono svignata.
Lui le fece l’occhiolino. – Affare fatto, sorella. Mi mancherà sentirti russare la notte.
                – Io non russo!
                – Dillo alle mie orecchie. Loro si sono dovute subire tu che parli nel sonno per due notti di seguito. – si arrabbiò lui, muovendosi come un forsennato nel lettino.
Lei lo salutò con la mano facendogli l’occhiolino e si precipitò fuori dall’infermeria senza fare rumore. Quando sentì l’aria aperta sfiorarle la pelle respirò a piani polmoni. Il profumo della sera la fece stare ancora meglio.
                – Silvia! – qualcuno la chiamò. – Ma che ci fai già fuori? – le chiese Piper che si stava avvicinando affiancata da Hazel.
                – Diciamo che è successo tutto molto illegalmente. – si giustificò trattenendo un sorriso.
                – Ti vedo bene comunque, come ti senti? – chiese la ragazza.
                – Bene. Meglio di prima. – era vero. In qualche modo quella notte l’aveva cambiata.
                – Non ti ho ancora ringraziata. – cominciò Hazel. – Mi hai salvato la vita.
Silvia ora cominciava a ricordare. Aveva usato i poteri della terra per stritolare mostri e ucciderli. E si era sentita così…..bene.
                – Oh, non è niente. Cioè, io l’ho fatto volentieri. Insomma … – ma cosa bisognava dire in queste situazioni?
Le due ragazze risero.
                – Andiamo. Percy mi ha detto di portarti subito da lui appena ti fossi svegliata.
 
 

All’arena Percy e Jason si stavano allenando con la spada istigandosi a vicenda.
                – Allora Jackson, non sai fare di meglio?
                – Ti piacerebbe vedere tutto il mio potenziale, Grace.
                – Qualche giochetto con l’acqua e saper tenere in mano una spada. Proprio un gran guerriero.
                – Quando ti avrò infilzato per bene e annegato, ne riparleremo.
                – Oppure ti fulmino prima io.
                – Sei troppo lento. Perfino un gigante potrebbe uccidermi prima di te. Oh aspetta, è impossibile, visto che li ho già uccisi tutti io.
                – Darvi dei telchini senza un minimo di cervello sarebbe un’offesa per tutti quegli adorabili mezzi cani e mezzi foche che non hanno un minimo di cervello. – diceva Nico mentre lucidava la sua spada nera dello Stige.
                Silvia rise di gusto guardando la scena. Quando Nico si accorse di lei, la fissò impassibile e poi alzandosi se ne andò senza dire una parola. Silvia non capì il motivo del suo comportamento, ma lo dimenticò subito visto che Jason cominciò a congratularsi con lei per essere stata così coraggiosa l’altra notte.
                – Avrei voluto esserci, ma ero sull’altro versante della collina con Leo e Festus a respingere il resto del branco. – spiegò Piper.
                – Come mai sono arrivati dei mostri? Percy, mi avevi spiegato che c’era una barriera a proteggere il Campo. – chiese Silvia.
                – È stato come se quei mostri fossero stati benedetti dagli dei. Cosa più o meno impossibile. Non vorrebbero mai uccidere i propri figli. – ci ragionò sopra lui. Poi lanciò uno sguardo a Silvia.
Lei capì. I mostri erano stati mandati dagli dei per uccidere lei. E Percy questo lo sapeva.
– L’importante è che siamo riusciti a salvare tutti. – disse Jason, cercando di rincuorarla.
Percy andò ad avvisare Chirone che la caccia alla bandiera si sarebbe svolta la sera successiva. Il corno suonò e tutti si spostarono nel padiglione per la cena. Silvia cercò di stare vicina a Nico, per capire cosa gli prendesse, ma il ragazzo distoglieva lo sguardo e continuava a mangiare senza degnarla di alcuna attenzione.
Era brutto non essere considerate dalla persona a cui teneva di più lì.
Finita la cena scappò senza nemmeno fermarsi insieme agli altri per il falò. Silvia guardò la sua schiena così regale, mentre si allontanava nel buio della notte.
 
 

                – Buonanotte. – la salutò Hazel scomparendo nel corridoio.
                – Buonanotte. – rispose lei sistemandosi nel suo divano.
Guardò la sua figura scomparire nel corridoio e chiuse gli occhi. Una lacrima le scese lungo la guancia. Sì, stava male per come Nico la stava trattando. Non riusciva a capire la ragione del suo comportamento e questa era la cosa che la faceva impazzire più di tutto. Alla fine si addormentò e dopo poco, la prima cosa che vide fu un grande albero.
C’era solo quello, attorno a lei: l’oscurità più totale. Decise che era stufa dei suoi sogni.
                – Ma cosa sentono le mie povere orecchie. – una voce nel buio le parlava. – Mia figlia, la mia progenie, la mia piccola assassina …. – un volto di corteccia compare dall’albero davanti a Silvia. – si è innamorata di un misero figlio di Ade.
La ragazza strinse i denti. – Io non sono un’assassina.
                – Certo che lo sei. – disse il volto di donna incastonato nel tronco di quercia. – Lo sei sempre stata, ma ancora non lo sai.
                – Non voglio uccidere nessuno! – ringhiò all’albero. Si sentì così stupida ad urlare in un sogno ad una faccia che usciva da un tronco. – E non sono innamorata.
                – Come no! – ridacchiò roca la voce di Gea. – Credi di non esserlo ora che lui ti rifiuta. Ma cosa ti aspettavi? Che lui si innamorasse di te? Sei mi figlia, lo hai dimenticato, per caso? Il tuo posto non è fra loro e non lo sarà mai! Loro non ti accetteranno, perché sei figlia della loro nemica.
Le mani le tremavano, per cui le strinse a pugno. – Loro sono miei amici.
                – Amici? Credi che non abbiano paura di te?
                – Non più ormai. – non era convinta. Non era per niente convinta di quello che stava dicendo. Stare davanti a Gea la faceva sentire poco lucida, impotente e come se fosse sua schiava. Odiava quella sensazione.
                – Ne avranno presto. – disse con un sorriso di sfida. – Forse potresti cominciare la mia vendetta uccidendo domani a quello stupido gioco proprio il ragazzo che ami…
                – No!
                – Com’è che si chiama?.... Nico di Angelo? – fece una risata così profonda che fece vibrare il sogno della ragazza. – Oh, sì. Lui sarà perfetto come inizio.
                – Non lo farò mai! – la voce le tremava da quanto stava urlando.
                – Devi. È il tuo destino, figlia mia. – fu più un sussurro quell’ultima frase, perché Silvia si stava svegliando. – Manca poco ormai ….
                – Silvia! – qualcuno la stava chiamando dall’altra parte.
                – Silvia. – ripeté ancora la voce.
La ragazza aprì gli occhi di colpo trovandosi Nico a pochi centimetri da lei.
                 – Silvia che stai facendo? – le domandò, con la voce che tremava.
Già, che stava facendo? E, domanda più importante: dov’era? Si guardò intorno e alla debole luce di una luna crescente riuscì a distinguere delle pareti nero opaco che non riconosceva. Appese ad esse, c’erano delle fotografie attaccate senza un vero e proprio schema d’ordine e, appoggiata al muro, brillava all’argentea luce della luna, una spada nera dello Stige. Delle lenzuola fresche e morbide le accarezzavano le gambe nude. Sentiva qualcosa sopra alla quale era seduta, sotto al palmo delle sue mani. Era come il battito del cuore di qualcuno. Ma era la realtà o era un altro sogno?
Abbassò lo sguardo e vide che era seduta a cavallo di Nico, con le mani che gli premevano sul petto. Lui la fissava, immobile.
Aspetta… Cosa?!
Si levò di scatto, presa dall’imbarazzo e cadde per terra, provocando un terribile rumore. Si mise seduta massaggiandosi il braccio dolorante. Proprio su quello malato doveva cadere?
                – Ma che succede? – una Hazel assonnata comparve nella soglia della camera con una torcia in mano che puntava proprio sugli occhi della ragazza.
                – Silvia? Ma che ci fai qui? – chiese stupita.
                – Io…credo di essere sonnambula o qualcosa di simile e sono arrivata qui senza accorgermene. – cercò di alzarsi. – Non volevo svegliarvi.
Si maledisse, perché si voltò a guardare Nico. Incontrò i suoi occhi e vide tanto odio. Una morsa le si strinse attorno al cuore, facendole perdere il respiro.
                Se ne andò dalla stanza con la testa china a fissare il pavimento. Sorpassò la ragazza e se ne ritornò sul divano, lasciando che il dolore l’inondasse l’anima, il corpo e la mente.




Nota dell'autrice: E sono tornataaaaaa! Ecco a voi un 26esimo capitolo fresco fresco!
Questa mattina i miei corrispondenti francesi sono partiti e ho pianto così tanto che credo di aver finito le lacrime. Ho abbracciato tutti gli altri e ci siamo promessi di tenerci in contatto. Ora mi mancano tanto e sto indossando la felpa che ha dimenticato qui il mio corrispondente. Ci volevamo tutti così beneeeeee!
Sono molto triste insomma.
In ogni caso un bacione a tutti voi
Silvia

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Capitolo 27
*** La Caccia Alla Bandiera Più Impossibile Di Sempre (Parte I) ***


La Caccia Alla Bandiera Più Impossibile Di Sempre (Parte I)
 


SILVIA
               



               La mattina seguente l’intero Campo era in agitazione per la partita di quella notte. Ragazzi di Efesto correvano dalla loro capanna all’armeria. I figli di Atena erano riuniti attorno ad un tavolo pieno di mappe e scartoffie. Nemmeno si dovesse andare in guerra, pensò Silvia passando davanti alle varie case. Raggiunse la capanna 3, quella di Percy. Era davvero incredibile. I marmi sull’azzurro mare, le conchiglie sulle pareti il profumo di salsedine. Sembrava di essere in fondo al mare.
                – Buongiorno. – la salutò Piper porgendole un piatto di pancake. Quella mattina avevano deciso di fare colazione insieme e di decidere il piano per la caccia da Percy. Lei era l’ultima e si sedette di fianco a Hazel per terra. Alcuni erano sul letto di Percy e tutti formavano un cerchio attorno a quella che sembrava la mappa del bosco.
                – Essendo in minoranza sono riuscito ad ottenere la parte ovest del campo. – cominciò Percy addentando un pezzo di torta blu. – Per cui saremo vicino al pugno di Zeus.
Silvia se lo ricordava bene. Glielo aveva mostrato lui durante gli allenamenti. Era un gruppo di rocce che assomigliava molto ad un pugno verso il cielo.
                – A me servirebbe una spiegazione lampo su come si gioca. – si intromise Jason. – E penso di parlare a nome anche degli altri romani. – Hazel e Frank annuirono.
                – Prendi la bandiera dell’altra squadra senza farti uccidere. – gli spiegò sbrigativo Percy.
                – Voi Greci e le vostre spiegazioni sempre molto dettagliate ed esaurienti. – borbottò Jason.
Percy gli sorrise con la bocca piena di torta e poi gli mimò un bacio.
                – Io e Leo avevamo pensato ad un piano, l’altra notte. – cominciò Piper, guardando il ragazzo seduto vicino a lei.
                – Invece di mettere la bandiera come ogni volta in cima al pugno di Zeus, cosa ormai scontata, – continuò il figlio di Efesto. – Potremo nasconderla all’entrata del bunker 9, posto improbabile dove nasconderla. – poi si voltò alla sua destra. – Ed è qui che entri in gioco tu, Hazel.
La ragazza lo guardò spaesata.
                – Tu dovrai creare l’illusione della bandiera sul pugno di Zeus. – spiegò Leo tutto eccitato. – Dovrà essere una cosa fatta bene. Dovranno esserci anche alcuni di noi che combattono. Devi fare un’illusione con i fiocchi.
                – Io cosa? – domandò Hazel confusa.
I ragazzi lo guardarono.
                – È una grande idea. – esclamò Jason.
                – Sì, ma è leggermente complicato. – si intromise Hazel. – Dovrò creare una Foschia che interagisca con gli altri semidei. Non è mica una passeggiata.
Tutti la guardarono implorandola.
                – E va bene. Mi allenerò oggi pomeriggio. – sbottò infine. – Ma se non funziona, non date la colpa a me.
                – A controllare la bandiera staremo io e Frank che ovviamente ci delizierà con una delle sue trasformazioni in drago sputa fuoco. – continuò Leo guardando il figlio di Marte come se lo stesse pregando.
Frank sbuffò. – Sarà difficile stare con te, ma okay.
                – Anche io ti adoro, amico. – gli sorrise Leo.
                – Io starò a metà strada fra la loro bandiera ed il pugno di Zeus. – si aggiunse Piper. – Forse è scontato che userò la mia lingua ammaliatrice, ma posso comunque fermare una buona parte di attacco. Dopo di che userò la spada. – e sorrise maliziosamente.
                – Allora io, Jason, Nico e Silvia andremo in attacco a sinistra. – disse Percy segnando una linea sulla mappa.
                – Io sono in attacco? – chiese Silvia incredula.
                – Certo. – disse Jason. – Sei molto forte.
Silvia gli sorrise.
                – Conoscendo Clarisse andrà in attacco con Ares, Atena e Apollo. – spiegò Percy cambiando argomento. – In difesa forse metterà i figli degli déi minori e ai lati Ermes e Efesto con Demetra e Dioniso.
                – Sperando che sia clemente. – mormorò Leo.
                – Bé, Ares, Atena e Apollo in attacco sono già abbastanza forti. – constatò Piper.
                – Sono tanti. – ammise Hazel. – Troppi.
                – Se il vostro piano funziona ed io e gli altri siamo abbastanza bravi da prendere la bandiera il più in fretta possibile, forse ce la facciamo. – li incoraggiò Percy.
Uscirono abbastanza contenti del piano.
Hazel, aiutata da Piper, andò ad allenarsi con la Foschia. Frank e Leo andarono al bunker per sistemare le cose infiammabili. Percy e Jason si diressero nell’arena per un po’ di allenamento extra. Nico se ne andò silenziosamente e Silvia rimase da sola davanti alla capanna 3. Si toccò il petto. Il dolore martellava ancora dentro di lei.
               
 
 
 
              Quella sera al falò l’eccitazione era palpabile.
I ragazzi di Apollo cantavano musica rock invece delle solite musiche da campeggio. I figli di Ares si stavano già mettendo le armature, nemmeno fosse già iniziato il gioco. E tutti gli altri parlottavano fra loro con la casa di Ermes che faceva scommesse su chi della squadra dei sette sarebbe morto per primo. Tanta gioia insomma.
Il colore del fuoco era di un rosso vivo e passava velocemente all’arancione o al giallo come se le diverse fiamme volessero combattere tra loro per conquistare il posto di “colore dominante del falò”.
                – Sei agitata? – le chiese Piper, sopra alle urla e ai canti.
                – Un po’. – la sua voce tremò, tradendola.
                – Andrà bene. – la rassicurò lei.
Se non fosse per quello che sua madre le aveva detto la notte prima, Silvia ci avrebbe creduto alle parole della ragazza. Ma sentiva che qualcosa sarebbe andato storto. Si promise che se avvertiva un qualcosa di sospetto, si sarebbe subito allontanata da loro, per non ferirli.
                Chirone si avviò verso il centro per chiamare l’attenzione di tutti. Quando si fece silenzio, parlò. – Cari ragazzi. Questa caccia alla bandiera sarà molto diversa e stimolante per alcuni dei nostri più valorosi eroi. – disse a gran voce guardando verso il gruppo. – Grazie ad una brillante idea di Clarisse, figlia di Ares, – a quel nome tutti i figli di Ares fecero un potente “Uh!” all’unisono. Fu così profondo che Silvia prese un colpo. – la squadra azzurra, capitanata dalla casa di Poseidone, sarà composta da Percy Jackson, Jason Grace, Nico di Angelo, Piper McLean, Hazel Lavesque, Leo Valdez, Frank Zang e dalla figlia di Gea. – i ragazzi mormorarono fra loro. – La squadra rossa, di conseguenza, sarà formata da tutte le case del Campo e capitanata da Ares.
                – Non ci credo che Chirone abbia accettato una cosa del genere. – mormorò Percy a denti stretti. – Clarisse deve aver fatto qualcosa.
                – Il sole è tramontato. – continuò il centauro. – Andate a prepararvi. Vi aspetto tutti al ruscello nel bosco per nascondere le bandiere ed iniziare la caccia.
Tutti si alzarono e i posti attorno il falò si svuotarono velocemente. Silvia stava per andarsene, ma quando vide una figura seduta dall’altra parte del fuoco, decise di fermarsi per un attimo. Nico era seduto con i gomiti appoggiati alle gambe e stava studiando il fuoco che ora aveva preso una colorazione grigia e nera.      
               – Stai bene? – gli domandò avvicinandosi.
Lui non la guardò nemmeno. Si alzò, tenendo lo sguardo fisso sul fuoco e si allontanò.
Silvia, ovviamente, non si diede per vinta. Lo seguì fino a quando non riuscì a prendergli la maglietta e a fermarlo.
                – Ehi. Che ti succede? – il suo tono di voce era dolce, quasi un sussurrò. – Non sei venuto a trovarmi quando sono stata male.
Lui si voltò e le rivolse uno sguardo che fece tremare le gambe a Silvia da quanto era carico d’odio. Non aveva mai visto tanto disprezzo nello sguardo di nessuno prima.
                – Perché avrei dovuto? – le rispose a denti stretti.
Le si mozzò il fiato in gola. – N-non so… per vedere come stavo. Mi avrebbe fatto piacere vederti. – Silvia cercò di mostrare un sorriso, l’ultima speranza prima di sprofondare nel buio dell’odio nei suoi occhi.
                – Ho avuto di meglio da fare che farti da balia tutto il tempo, non credi? – sibilò con gli occhi come due fessure.
E quell’ultimo briciolo di speranza che era rimasto, scomparve nel nulla.
                – Ti ho fatto qualcosa di male? – domandò in un sussurro.
                – Lasciami in pace. – la bloccò lui allontanandosi.
                – Dovresti affrontare i problemi! – gli urlò di rimando. Ma il ragazzo non si fermò.
Sentì qualcosa nel petto. Non era dolore, no, era qualcosa di completamente diverso. Era qualcosa che le bruciava facendole tremare le braccia e le gambe. Strinse la mascella. Okay allora, se Nico è arrabbiato con me, anche io sono arrabbiata con lui.
Si incamminò verso l’armeria con passo pesante. Piper le aveva detto che le avrebbe dato un’armatura per la caccia alla bandiera. Quando arrivò, molti erano già pronti con il pettorale addosso e l’elmo sotto braccio.
                – Ho trovato questa per te. – le disse Piper comparendo dall’armeria con un pettorale sul verde scuro e un elmo con il piumaggio azzurro. – Perfetta per una figlia della Terra.
Silvia non disse niente e se li provò. Le andavano bene, pesavano, ma andavano bene.
                – Stai bene? – le chiese la ragazza cercando il suo sguardo.
                – Sì. – rispose sbrigativa.
                – Adesso andiamo. – la incitò Piper sistemandosi la sua armatura. Pure con quel pezzo di bronzo addosso era davvero bella. – Chirone ci aspetta al ruscello.
 
                Arrivarono tra gli ultimi.
Si sistemarono vicino alla loro squadra e Piper andò a dare un bacio a Jason facendogli i complimenti per l’armatura romana. Anche Hazel e Frank ne indossavano una leggermente diversa da quelle degli altri. Il ragazzo aveva perfino delle medaglie sulla spalla.
                – Semidei! – urlò Chirone attirando l’attenzione di tutti. – Le regole le sapete. Ferire, ma non uccidere. Ammessi tutti gli oggetti magici. Per il resto buona fortuna e che vinca il migliore!
A queste parole le squadre si divisero.
Camminarono per dieci minuti inoltrandosi nel bosco, quando videro il pugno di Zeus ergersi davanti a loro.
                – Okay. – esordì Percy fermandosi davanti alla rupe. Indossava un’armatura di bronzo, ma non portava elmo. Diceva che vedeva meglio senza. – Hazel tu ti fermi qui. Piper, puoi avviarti verso la metà del nostro campo per intercettare l’attacco. Leo e Frank potete andare al bunker 9 con la bandiera. – i ragazzi andarono a nascondersi e in poco tempo ci fu silenzio.
                – Noi aspettiamo il corno e poi iniziamo ad avanzare prima verso il centro, e poi ci spostiamo sulla sinistra per intercettare gli attacchi verso il punto con la bandiera. – spiegò togliendo il cappuccio alla sua penna che si trasformò nella spada.
Silvia sentiva che l’armatura le dava fastidio, per cui se la tolse, anche se Nico e Jason protestarono.
                – Nemmeno voi portate qualcosa per proteggervi! – ribatté lei mollando il pettorale dietro ad un cespuglio.
                – Perché non è la nostra prima battaglia. – ringhiò Nico.
Silvia lo guardò male.
                – Quello che voleva dire Nico. – si intromise Jason cercando di calmare le acque. – È che dopo quello che hai passato, sarebbe meglio se tu fossi protetta.
                – In verità volevo proprio dire che non è capace di difendersi. – sibilò Nico sistemandosi la spada dello Stige sul fianco.
                – Io non so difendermi?! Tu non sai affrontare le cose! – urlò Silvia di rimando.
                – Ho visto come ti difendevi bene l‘altra notte, mentre mi sei praticamente morta fra le braccia! – rispose lui, arrabbiato.
                – Bastava voltarsi dall’altra parte! Magari così potevo veramente morire e risolvere tutti i tuoi problemi! – ribatté con la spada stretta in pugno.
                – Volete smetterla? – si intromise Percy. – Volete farci sentire da tutto il Campo?
Vorrei tirargli un tronco in faccia, pensò Silvia. Ma si zittì, visto che un corno risuonò in lontananza. La caccia alla bandiera era iniziata.
Percy scattò in piedi e affiancato da Jason cominciò ad avanzare fra gli alberi. Silvia rivolse un ultimo sguardo accusatorio a Nico e poi li seguì. Corsero a ritmo sostenuto per un po’ e si nascosero dietro a dei cespugli quando cominciarono a sentire delle voci. Davanti a loro, Piper, con le braccia incrociate al petto e la spada a penzoloni sul fianco, era in piedi di fronte a un numero molto elevato di semidei.
                – Io tornerei indietro se fossi in voi. – disse con la lingua ammaliatrice. Silvia si premette la mani sulle orecchie. Quel suono era davvero orribile.
                – Non possiamo fermarci. – disse Percy. Annuirono e continuarono verso sinistra. Se continuavano a procedere con questa andatura, sarebbero arrivati nel campo opposto in pochissimo tempo. Ma era ovvio che non sarebbe stato tutto così facile. Infatti, quando Silvia vide Jason cadere con la faccia per terra davanti ai suoi occhi, si bloccò immediatamente, alzando la spada.
Percy e Nico fecero lo stesso.
                – È arrivata la cavalleria ragazzi! – urlò qualcuno nell’oscurità. Dei scintillii di bronzo celeste precedettero un gruppo di due dozzine di semidei.
                – Ehi Michael! – lo salutò Percy. – Che dici di farci passare?
                – Ti piacerebbe Jackson! – rise qualcun altro a sinistra. Un altro gruppo bene numeroso di semidei si affacciò di fronte ai tre. Silvia riconobbe la voce di Connor Stoll, capo della casa di Ermes.
                – Ecate, Ermes… – contò Percy girando su se stesso. – Sarete abili con magia e giochetti, ma con la spada non siete il massimo.
                – È per questo che ci siamo noi. – disse una voce profonda da destra, precedendo altri semidei. Poi degli altri passi dietro. Erano completamente circondati. – Nemesi e Demetra se la sanno cavare.
Era stata Lucinda Reed a parlare, figlia di Nemesi. La dea della vendetta non incuteva molto coraggio a Silvia.
In più, Jason era svenuto. Erano tre contro 60. Sarebbe stato impossibile.
                – Nico qui si mette male. – bisbigliò Percy. – Portaci via.
                – Secondo te non ciò già provato? – ribatté l’altro. – Non riesco, Ecate ha fatto qualcosa.
Il ragazzo sbuffò. – D’accordo allora. – disse con un sorriso. – si combatte.
 
Stava andando tutto bene. Silvia cercava di non ferire mortalmente nessuno, di non farsi colpire e di tenere in salvo Jason tutto nello stesso momento. Stava impazzendo, ma almeno erano riusciti a respingere buona parte dei semidei. Non si sentiva stanca, affatto. Anzi, provava una sorta di strana adrenalina che le percorreva le vene facendola stare più attenta a vigile. Ad ogni colpo le sembrava di essere più veloce e più precisa rispetto a quello precedente. Sorrise mentre sbatteva l’elsa della sua spada argentea sull’elmo di un povero figlio di Ermes.
                – Ecate! Adesso! – urlò Michael. Dopo quel comando, tutto intorno a lei si fece scuro. Perfino Percy e Nico erano spariti dalla sua vista.
                – Percy! – gridò all’oscurità. – Nico! – nessuno le rispose.
Si voltò, si guardò intorno ma non riuscì a vedere niente e nessuno. Ma che stava succedendo?
                – La potente figlia di Gea non riesce a resistere a qualche magia di Ecate? – ridacchiò una voce.
                – Cosa? – aveva paura. Sentiva la paura. Iniziò a sudare freddo.
                – Voi continuate pure a combattere, noi andiamo a prendere la bandiera. – disse ancora la voce in un sussurro.
                – Combattere? E contro chi? Io non vedo nessuno. – gridò con la voce che le tremava dalla paura. Ma perché era così terrorizzata?
                – Contro le vostre paure. – detto questo la voce si dileguò e una nube biancastra circondò Silvia. La ragazza menò fendenti a caso e le venne il fiatone. Era così stanca. Una crepa si aprì davanti a lei con un boato e degli scheletri con poca pelle ancora attaccata uscirono barcollando. Erano ricoperti di armature e di elmi, ma gli occhi neri facevano capire che erano morti. Questi avanzarono verso di lei con fare minaccioso e alzando le spade e le lance. Silvia rispose bene all’attacco e ne colpì parecchi. Ma continuavano ad uscirne troppi dalla crepa. Urlò e provocò un’ondata di venti che ne respinsero molti, dandole la possibilità di riprendere un attimo fiato. Sudava, era stanca e aveva tanta paura. Ad un certo punto il rumore cessò. Attorno a lei gli scheletri rimasti giacevano a terra in pezzi. Si appoggiò alle ginocchia e respirò lentamente.
                – Percy! – chiamò. Il suo grido in quel silenzio fu quasi assordante. – Nico. – le veniva quasi da piangere. Perché aveva così tanta paura?
                – Aiutatemi… – mormorò guardando il suolo.
                – Loro non potranno aiutarti. – disse una voce dalla terra.
Venne ancora quella nebbia grigia e opprimente. Quando si fu dissipata, al posto dell’oscurità, Silvia vide il tramonto. Il sole stava morendo oltre l’orizzonte. Era sulla cima di una collina e tutto le sembrava così calmo. Ma quando guardò ai suoi piedi, gridò d’orrore.
                Riuscì a distinguere Percy, pieno di sangue, che giaceva a terra, morto. Vicino a lui, Jason era nelle stesse condizioni. Piper, Leo, Frank e Hazel erano poco distanti. Vide Michael, Jude, Lucinda, Connor, Clarisse e tutti i semidei che aveva conosciuto in quei giorni, ridotti anche peggio. Ma non c’erano solo loro. Vide molti altri volti sconosciuti che giacevano sul versante della collina. Si inginocchiò davanti al corpo esanime si Nico. Era pallidissimo, quasi trasparente. La maglietta nera era ricoperta di sangue scuro e gli occhi erano chiusi.
Silvia si tolse le mani da davanti alla bocca e le scoprì ricoperte di sangue. Si guardò la maglietta e pure quella era sporca. Era stata lei. Se lo sentiva, era stata lei ad ucciderli.
                – E brava la mia bambina. – esclamò la voce di Gea.
                – No! – fu un grido agghiacciante quello che emise Silvia mentre pianse. – Non sono stata io!
                – Sì, invece. – le disse sua madre.
No, non poteva esser stata lei. Loro erano tutto per lei. Erano la sua famiglia. Come avrebbe potuto fare una cosa simile? Il suo sguardo cadde per sbaglio sul volto di Jason. Il ragazzo aveva ancora gli occhi aperti, rivolti verso la morte. Silvia notò qualcosa di strano sul suo viso. All’inizio non capì cosa fosse, lo vide semplicemente diverso. Poi notò che la cicatrice che aveva sul labbro, non c’era. Come era possibile?
Si calmò immediatamente e smise di piangere.
Quello che vedeva non era vero. Non lo era affatto.
Era solo un’illusione.
Strizzò gli occhi e si concentrò. È solo un’illusione, si disse. È solo un’illusione. Niente di quello che aveva visto era vero. È solo un’illusione. Lei non li aveva uccisi. È solo un’illusione. Loro erano ancora vivi. È solo un’illusione. Ora doveva svegliarsi. È solo un’illusione. Poteva farcela. È solo un’illusione. Dovevano prendere la bandiera.




Nota dell'autrice: Citando il nostro caro zio Rick: ''Scusate per il finale in sospeso.... Bé, no, in realtà non mi disapice: AHAHAHAHA! Però, sul serio: vi voglio bene ragazzi.''
un bacio
Silvia

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Capitolo 28
*** La Caccia Alla Bandiera Più Impossibile Di Sempre (Parte II) + Nuovi Genitori Per Me, Eh! Quanti Genitori Per Me, Eh! Tutti I Genitori Per Me, Eh! ***


La Caccia Alla Bandiera Più Impossibile Di Sempre (Parte II)

+

Nuovi Genitori Per Me, Eh! Quanti Genitori Per Me, Eh! Tutti I Genitori Per Me, Eh! 



NICO 



Era rinchiuso dentro ad una scatola.
Era piccola, ma riusciva a stare in ginocchio. Non soffriva di claustrofobia, ma fra quelle quattro pareti, stava cominciando ad impazzire. La cosa peggiore fu quando cominciarono le voci. Erano dei sussurri, dei lamenti, dei richiami.
                Ci hai abbandonati.
                Tu appartieni a noi.
                Sei un traditore.
I morti gli sussurravano all’orecchio e lui non riusciva a farli smettere. Cominciò a tirare pugni alle pareti per sfondarle, ma era tutto inutile.  
                – No! No! No! – urlò, disperato, mentre stava annegando dentro a quelle voci.
                Sei un figlio di Ade, tu ci appartieni.
                Ricorda qual è il tuo posto.
                Uccidi.
Doveva uscire. Doveva riuscirci. Sarebbe impazzito lì dentro. Ma come? Cercò la spada tastandosi il fianco, ma non la trovò.
Intorno a lui c’era solo oscurità che inghiottiva ogni briciolo di coraggio che gli era rimasto. Era come se quel posto lo stesse indebolendo sempre di più. Non ce l’avrebbe fatta.
Si raggomitolò in un angolo portandosi le gambe al petto e circondandole con le braccia. Tremava e sentiva la paura montargli dentro come se fosse adrenalina. Le voci intanto continuavano e aumentavano ad ogni secondo. Chiuse gli occhi e cercò di non pensarci. Un’immagine gli si formò nella mente. Si riconobbe sulla spiaggia, mentre guardava negli occhi Silvia. Quegli occhi….così pieni di parole e di potere. Pieni di forza di volontà e di coraggio. Quella ragazza era incredibile.
Cercò di ricordarsi come era finito in quella scatola. Non se lo ricordava. Una cosa solo vedeva, prima del buio: Silvia che lottava contro dei semidei. Ma certo! Stavano giocando a caccia alla bandiera! Quella era un’illusione di Ecate, doveva solo concentrarsi abbastanza da uscirne. Si rilassò e controllò il respiro tenendo a mente quegli occhi verdi e marroni che l’avevano stregato.
Quando li riaprì, si trovò davanti Percy. Era in ginocchio, con le mani abbandonate sulle gambe e Vortice davanti a lui. Alzò lentamente la testa e sbatté ripetutamente le palpebre. Anche lui si era appena risvegliato dall’illusione. Gli occhi verdi mare del ragazzo erano scuri e stanchi. Aveva il fiatone e quando vide Nico, tirò un sospiro di sollievo. Pure Nico fu felice di vederlo. Si alzarono insieme e videro Silvia che barcollando si metteva in piedi.
                La ragazza non parlò e rimase con lo sguardo basso. Jason intanto si era risvegliato e, scuotendo la testa, si mise seduto.
                – Ma che è successo? – mormorò toccandosi la testa.
                – Tu sei svenuto, noi abbiamo combattuto e ci siamo appena risvegliati da una visione. – la voce di Percy era stanca.
                – Spero ti faccia felice sapere che la tua cicatrice mi ha salvata. – scherzò Silvia con voce triste.
Jason non capì, ma si alzò senza fare altre domande. – Avanziamo?
                – Non so per quanto siamo stati sotto l’incantesimo, ma non credo che abbiamo molto tempo ancora. – disse Percy. –  Ci servirebbe un viaggio-ombra.
Tutti fissarono Nico, che prontamente scosse la testa. Era troppo debole per portarli tutti.
Poi uno strano rumore provenne dal fondo della foresta. Nico era sicuro di esser riuscito a vedere la corazza nera lucente di uno scorpione gigante.
                – Ci serve immediatamente un viaggio-ombra. – lo precedette Percy alzando la spada.
                – Lo faccio io. – disse Silvia. Nico la fissò come se fosse impazzita. – L'ho già fatto, dopotutto.
Nico fece per obbiettare, ma Percy e Jason le misero due mani sulle spalle, pronti per viaggiare. Il ragazzo sbuffò e mise una mano sulla spalla di Jason. Silvia chiuse gli occhi e si tuffarono dentro ad un’ombra.
Quando Nico riuscì a vederci di nuovo, capì che si trovavano quasi alla fine della foresta. Sentì delle voci e prontamente si abbassò. Percy fece lo stesso, mentre Jason prendeva Silvia prima che cadesse al suolo svenuta.
Nico le si avvicinò e le prese la testa fra le mani. Sapeva che non avrebbe retto. Estrasse una caramella d’ambrosia e la fece scivolare sulla sua lingua. Toccandole le labbra per aprirle la bocca, sentì una vibrazione sul braccio. Scosse la testa e cercò di rimanere concentrato.
                Smettila, Di Angelo! Si rimproverò assumendo un’espressione dura.
                – Siamo arrivati. – sussurrò Percy. – Vedo la bandiera.
Nico si sporse leggermente dal cespuglio insieme a Jason e scorse un drappo rosso appeso ad un albero.
In quel momento, Silvia cercò di mettersi seduta.
                – Resta ferma. – la obbligò Nico appoggiandole le schiena sopra alle sua gambe. Lei era ancora rintronata e mugugnò qualcosa come: “sto bene…”
                – Ci serve lei, non possiamo farcela da soli. – disse Percy. – Ho visto tutta la casa di Efesto, quella di Afrodite, di Ipnos, di Tiche e una parte di quella di Demetra. Non ce la faremo mai in tre, in più, io e te siamo stanchi.
                Nico annuì. – Silvia, come ti senti? – lo domandò lentamente.
                – Sto bene. – mormorò rimettendosi seduta. Scosse la testa e si alzò lentamente. Era dannatamente pallida e questo preoccupava Nico. – Hai ancora dell’ambrosia?
Lui gliela porse e lei la ficcò in bocca senza troppe cerimonie. Strizzò gli occhi, stirò la schiena e fece scroccare il collo.
                – Andiamo. – disse decisa.
                – Io ho un’idea. – intervenì Jason. – Tu ci copri mentre noi tre andiamo all’attacco. Appena vedi che abbiamo fatto fuori la maggior parte, vieni pure tu.
La ragazza, stranamente, annuì, mostrandosi d’accordo con il figlio di Giove.
I tre ragazzi allora uscirono allo scoperto. Jason lanciò una raffica di vento che scaraventò via una dozzina di ragazzi. Percy attaccò a destra e a manca, mentre Nico rese cechi tutti i ragazzi della casa di Efesto.
Nel frattempo, delle radici trattenevano le ragazze di Afrodite dall’usare la loro lingua ammaliatrice. Nico sorrise vedendo Drew che si dimenava per poter parlare. Quella ragazza non gli era mai stata particolarmente simpatica e vederla appesa come un pollo a testa in giù, lo fece godere. Ad un certo punto andò a sbattere contro un muro di muscoli. Si voltò e vide un ragazzo molto più alto di lui e con il triplo della muscolatura.
                – Mmmmh… brutta faccenda. – mormorò allontanandosi dal ragazzone.
Il tizio che non sembrava affatto umano ringhiò e caricò verso Nico. Ad un certo però, durante la sua corsa, cadde a terra, come se fosse inciampato su di una radice. Qualcosa poi lo afferrò per le caviglie e lo trascinò all’indietro per poi alzarlo a tre metri dal suolo. Dietro, Silvia teneva le mani alzate e sorrideva. Quel sorriso però, inquietò un po’ Nico. Non gli sembrava affatto il suo solito sorriso pieno di calore. E lui se lo ricordava bene.
Dopo aver lanciato il ragazzo chissà dove, Silvia gli si corse incontro estraendo la spada. All’inizio Nico ebbe quasi paura che lo infilzasse, ma quando gli si avvicinò abbassandola, si calmò.
                – Non riuscivo ad aspettare. – ridacchiò facendo roteare la lama argentea. Poi si voltò verso l’albero dove era appesa il premio rosso sangue. – Andiamo a prendere la bandiera. – lo invitò facendogli segno con la mano.
Nico la seguì e quando arrivarono a una decina di metri dall’albero, Silvia urlò: – Tienilo occupati, io vado a prenderla.
E detto questo la terra sotto di lei si mosse e la ragazza si sollevò da terra aiutata da un agglomerato di radici. Nico si decise che non avrebbe mai smesso di stupirlo. Partì all’attacco dei ragazzi che stavano vicini all’albero della bandiera seguendo la scia del piedistallo che trasportava Silvia.
                – Sbrigati! – la incitò mentre veniva ferito da un ragazzo di Demetra. Aveva anche una ferita aperta sul braccio dal primo scontro e non voleva smetteva di sanguinare.
                – Ci sono! – esclamò entusiasta mentre Nico metteva fuori gioco l’ultimo ragazzo. – Oh santi numi!
Silvia urlò e cadde dal piedistallo. Nico per poco non la prese. Le cadde in braccio e la strinse a sé.
                – Hanno la bandiera! – gridò un ragazzo di Efesto che lottava vicino a Percy. I due ragazzi che stavano ancora combattendo corsero verso Nico il più velocemente possibile. Doveva trasportarli via di lì.
Appena le mani di Percy e Jason lo toccarono, erano già spariti dentro ad un’ombra.
                Ovviamente Nico era stanco e riuscì a muoversi solo di pochi metri verso il loro campo. Riusciva ancora a sentire le urla dei semidei che stavano in difesa.
Mise Silvia in piedi e cominciarono a correre verso la loro metà campo. Dagli alberi, delle frecce vennero scoccate e colpirono Silvia nella spalla destra. La ragazza non emise un suono e continuò a correre guardando dritta davanti a sé. Jason si voltò per un secondo e evocando un’ondata di venti fece cadere i ragazzi di Apollo dalle loro postazioni negli alberi.
                – Manca poco! – gridò Percy, ormai con il fiatone.
Nico rimase dietro a Silvia per tutto il tempo e quando videro il fiume che segnava la metà, scorsero dall’altra parte una Clarisse parecchio arrabbiata. Percy formò un muro d’acqua prima che decidesse anche solo di fermarli.
                – Maledetto Jac- ! – ma non riuscì a terminare la frase che un’altra ondata sovrastò lei e l’intera casa di Ares.
L’esulto di Silvia decise la fine della partita. La ragazza saltò il fiume con un balzo e urlò di gioia tenendo la bandiera rossa stretta in mano. Alzò il braccio e in poco tempo Hazel con una Piper tutta sporca di terra e un Frank tutto sudato con un Leo praticamente nero, li raggiunsero e esultarono con lei.
                Ce l’avevano fatta. Era stato incredibile.
Alcuni ragazzi di Atena e Apollo andarono a farle le congratulazioni. Era felice, si vedeva, ma Nico notò qualcosa di insolito nel suo sguardo. Qualcosa che sicuramente non avrebbe dovuto esserci.
                – I miei complimenti! – lo distolse Will dai suoi pensieri. – Otto contro tutti e ce l’avete fatta.
Nico annuì. – Sì, non siamo poi così male.
                – C’eravamo anche noi, sai? – disse con un sorriso. – Eravamo al pugno di Zeus e abbiamo lottato come dannati contro delle riproduzioni di Foschia. – mormorò con un ghigno.
Nico rise. Deve esser stata una bella scena.
                – Quando ce ne siamo accorti, Clarisse si è arrabbiata parecchio. Ma la squadra a nord aveva trovato Leo e Frank che proteggevano quella vera, per cui li abbiamo raggiunti. – spiegò ancora. – Solo che voi siete stati più veloci.
                – Nico? – una voce lo chiamò alle sue spalle. Era quella di Silvia, ma aveva qualcosa di diverso.
Si voltò verso la ragazza, ma quando la guardò negli occhi, vide che non era più lei.
                – Ben trovato, figlio di Ade. – disse la ragazza.
Gli occhi erano completamente ricoperti di terra umida e la voce non era la sua. Assomigliava a quella che possedeva i sui incubi. A quella di sua madre, di Gea. Nico aveva paura di poche cose, anzi, pochissime. E una sua amica con la voce della sua madre malvagia con gli occhi umidi e la spada pronta per ucciderlo era una di queste.
Silvia alzò la spada lentamente e con degli strani scatti, come se stesse combattendo contro se stessa.
Davanti a lui non c’era più la semidea di prima.
Introno a loro c’era solo silenzio e la luce verdognola che irradiava il suo corpo ricopriva i volti spaventati dei vari semidei.
                – Silvia … abbassa la spada. – mormorò Nico, realmente spaventato.
Lei ringhiò e cercò di tagliarli la gola. Grazie agli dei Jason si mise in mezzo e scaraventò la ragazza contro ad un albero facendole fare un bel volo, perché Nico era troppo stupito per poter ragionare.
                – Nico! – Hazel corse verso di lui. – Stai bene?
Ma lui stava guardando il corpo di Silvia accasciato a terra. Lentamente vide che si stava muovendo e si avvicinò a lei, temendo il peggio.
                – Ehi! Cosa fai? – gli gridò Jason da dietro, temendolo pazzo.
Ma lui non stava ascoltando. Le corse incontro e si inginocchiò vicino al suo corpo accasciato a terra. Le alzò il viso mentre riapriva gli occhi e metteva a fuoco. Erano tornati i suoi. Verdi scuro con quelle strane screziature marroni. Le strinse la mano nella sua per svegliarla dolcemente. Quando lei si accorse che era lui si allontanò strisciano per terra.
                – Non … non toccarmi. – balbettò con la voce che tremava. Era come se i suoi occhi avessero pianto fango. Sulle guance delle striature marroni scendevano come lacrime, macchiandole il viso di un brutto colorito.
                – Va tutto bene. – la rassicurò lui.
                – No! Io stavo per ucciderti. – ansimò lei alzandosi di scatto.
Si guardò intorno, erano arrivati gli altri semidéi, sentendo il baccano. Quasi tutto il Campo la stava fissando, spaventati.
                – Io non volevo. Non so cosa sia successo. – farfugliò mollando la spada a terra come se fosse radioattiva. E la cosa più incredibile furono i tre simboli che le comparvero sopra alla testa.
         
Un tridente.
Una saetta.
Un teschio.


Tutti e tre i simboli in fila sopra al suo capo.
Poi fu tutto luce.




Nota dell'autrice: Questo capitolo ha due titoli, il perché l'avrete già sicuramente capito. Spero davvero che la caccia alla biandiera sia stata abbastanza esauriente e che abbia seguito le vostre aspettative.
Un bacione e tutti quanti
Silvia

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Capitolo 29
*** Genitori II – Il ritorno dei parenti divini…e incazzati ***


Genitori II – Il ritorno dei parenti divini…e incazzati
 


Nota dell’autrice: Ho voluto incorporare il testo di “Ci sono anch’io” de Il Pianeta del Tesoro. L’ho sentito di recente e ho pensato a Nico. Penso sia perfetto, così ho diviso i pezzi del testo per il capitolo. Spero solo che non mettano in confusione la storia. E detto questo, vi auguro una buona lettura.

 

NICO



               – Ciao figliolo. – disse Poseidone guardando Percy.
               – Ciao papà. – salutò Jason, mentre Zeus lo fissava, regale.
Nico incontrò gli occhi scuri del padre. – Ciao Nico.
Lui fece un cenno con la testa e poi distolse lo sguardo.
Attorno a loro, tutti i semidei erano indietreggiati e ora erano in ginocchio. Gli unici in piedi erano Nico, Percy, Jason e Silvia. Tutti gli dei dell’Olimpo erano in riga davanti a loro. E non c’erano solo loro. C’era Nemesi, Tiche, Ipno e altri dei minori. Tra loro riconobbe pure Morfeo.
I simboli dei tre pezzi grossi vorticavano ancora sopra alla testa della ragazza.
Degli zoccoli si udirono in lontananza e dopo poco Chirone accorse al galoppo. – Miei signori. – disse con il fiatone mentre faceva un piccolo inchino con la testa. – Qual è l’onore della vostra visita?
                – Lo sappiamo. – esordì Zeus con voce profonda. – È stata riconosciuta.
Guardarono tutti e tre Silvia che rimase a immobile.
                – E siamo venuti a distruggerla. – disse Poseidone alzando il suo tridente verso il petto della ragazza.
                – Fermi! – gridarono insieme i figli dei tre pezzi grossi. Nico, quasi d’istinto, si mise davanti a Silvia, per proteggerla. Lanciò uno sguardo di sfida a Zeus, come per dire: “Prova a toccarla adesso, brutto barbuto.”
Zeus fissò in malo modo Jason che brandiva il gladius nella mano destra. – Come osate dire a noi di fermarci? Ora che sappiamo che è figlia di Gea, deve morire. Non possiamo rischiare che risorga.
                – Padre, ti prego, ascoltaci prima di prendere decisioni affrettate. – il tono di Percy era supplichevole e devoto. Nico non lo aveva mai visto così. Sapeva che il rapporto con il suo genitore divino era buono, anzi, ottimo.
                – L’abbiamo tenuta nascosta nel Campo per cambiarla. – continuò il ragazzo. – Lei non ha mai conosciuto Gea, non è mai stata con lei. È dalla nostra parte. È diventata una semidea del Campo Mezzosangue.
Poseidone, che teneva il tridente ancora puntato verso la ragazza, esitò per un attimo.
                – E come possiamo crederti, Perseus Jackson? – chiese Zeus con gli occhi come due fessure.
                – Dubiti di mio figlio? – domandò Poseidone, fissando il fratello.
                – Ammettilo, Poseidone. – lo fermò il re dei cieli. – Distruggere la ragazza è la cosa giusta.
Gli altri dei annuirono. Facevano paura. Perfino Afrodite, la dea dell’amore, era seria e composta.
                – Odio ammetterlo, davvero... ma mio fratello ha ragione, Percy. – disse il dio del mare guardando suo figlio in modo amorevole. – Non possiamo permetterci che Gea risorga.
                – Ma se è stata riconosciuta, non vuol dire che è vostra figlia? – chiese Jason, affiancando Nico.
Zeus fece una strana smorfia. – Non è veramente nostra figlia. È molto peggio. – esordì con lo sguardo basso. – Gea ha usato l’icore del sangue mio, di Poseidone e di Ade che è stato versato durante tutti questi millenni sulla terra. L’ha assorbito. E mentre la concepiva, la nostra icore è finita nel corpo della bambina.
                Tutti fissarono Silvia come se fosse un mostro, un giocattolo uscito male.
                – Lei è nostra figlia, ma non a tutti gli effetti. – si intromise Ade. – Ma questo non cambia il fatto che sia soprattutto la progenie di Gea. Deve morire. – poi si rivolse a suo figlio. – Nico, spostati.
Il ragazzo non si mosse. Nessuno avrebbe toccato Silvia.
                – Vi prego. – continuò Percy. – Dovete credermi. Lei non farà del male a nessuno.
                – Non ce lo puoi assicurare, figlio del mare. – disse Atena. – E dopo quello che è successo a mia figlia, Annabeth, mi è difficile fidarmi di te.
                – Sì, invece.
Una voce si levò dietro alle spalle di Nico. Si voltò e vide che Silvia stava fissando gli dei. La vide fare un respiro ed avanzare, scoprendosi dalla sua posizione di difesa.
                – C’è un modo per essere sicuri che Gea non risorga. – continuò imperterrita. – Io sono solo una ragazza, dovete credermi. Io non oserei fare del male a nessuno e tanto meno ai vostri figli. Sono le persone più speciali che io abbia mai conosciuto. – si voltò leggermente a guardare i vari semidei inginocchiati e poi si soffermò con lo sguardo su Nico. Gli sorrise e poi tornò a guardare gli dei. – Se mia madre dovesse decidere di risvegliarsi, potrete uccidermi. Anzi, io vi aiuterò, uccidendo me stessa, se necessario. – a Nico gli si mozzò il fiato. – Lo giuro sul fiume Stige.
Zeus si lisciò la barba e poi si voltò a guardare Poseidone e Ade al suo fianco. I tre si scambiarono varie occhiate e poi il dio disse. – Va bene.
                – No. – mormorò Nico. A lui non andava affatto bene. Ma tanto chi pensava a lui?
                – Appena sentiremo una strana presenza, non esiteremo ad agire. – esordì Ade.
Nico odiò suo padre. Lo odiò con tutto il cuore.
                – Miei dei, – esordì Chirone. – vi invito a trattenervi per la cena di domani sera. Sarebbe un onore avere tutti gli dei riuniti insieme ai propri figli.
Zeus sbuffò. – Ma sì, accettiamo. Stare un po’ a riposo dalle nostre faccende ci farà comodo. – disse mentre si incamminava, seguito dagli altri dei e dai loro figli, verso la fine della foresta.
Tutti se ne andarono seguendo gli dei. Tutti. Tranne Silvia, che rimase a guardare il suolo.
                – Stai bene? – le domandò.
Lei alzò lo sguardo verso il suo e quando lo incontrò, Nico si sentì così dannatamente in colpa per come l’aveva trattata. Era in lacrime. Ma se le asciugò velocemente. Guardava qualcosa dietro di lui.
                – Io…vi lascio soli. – farfugliò. – Arrivederci, Signore dei Morti.
Indietreggiò e scomparve nel buio.
Nico sbuffò e si voltò verso suo padre. Indossava una tunica nera e lunga e tra le pieghe si intravedevano le  anime dei morti che gridavano di dolore. La barba nera era corta, ma visibile. Gli occhi due pozze di terrore.
                – Salve figliolo. – esordì.
                – Che cosa vuoi? – chiese, arrivando dritto al punto.
Ade cominciò a giocare con il piumaggio grigiastro dell’elmo che portava sotto braccio.
                – Ho visto il tuo sguardo. – disse, avvicinandosi a Nico. – E il modo in cui ti sei piombato a salvare la ragazza.
                – Cosa stai insinuando? – chiese con gli occhi come due fessure.
                – Nulla. – continuò. – Spero solo che quando arriverà il momento, tu saprai come agire, Nico. Avremo bisogno di te.
Non capiva, ma non voleva restare a parlare con il padre. Voleva trovare Silvia e parlare con lei, aiutarla in qualsiasi maniera possibile. Voleva stringerla a sé e dirle che tutto sarebbe andato per il verso giusto. Per cui si voltò e cominciò a camminare nella direzione dove era scomparsa.
                – È una figlia di Gea. – disse Ade, fermandolo. – Non puoi stare con lei.
Furono quelle parole a far esplodere Nico.
                – E perché scusa? – domandò a denti stretti, voltandosi per guardarlo in faccia.
                – Lei è la figlia della nostra nemica, non puoi innamorarti di lei. – il tono di Ade era autoritario e freddo.
 
e tu 
neanche tu mi fermerai 
neanche tu ci riuscirai 
io non sono 
quel tipo di uomo e non lo sarò mai 


Non so 
se è soltanto fantasia 
o se è solo una follia 
quella stella lontana laggiù 
Però 
io la seguo e anche se so 
che non la raggiungerò 
potrò dire 
ci sono anch'io 



                 – Lei è diversa! – esplose infine Nico. – Lei è speciale! E io la amo! Se a te non va bene, non mi importa. Con lei sono finalmente felice. Perché devo rinunciare all’unica cosa che mi fa sorridere a questo mondo?! – stava urlando. Ade continuò a fissarlo, impassibile. Aveva il fiatone e cercò di calmarsi. Ma che gli succedeva? Fissò il suolo e strinse i denti chiudendo gli occhi.
 
Non so se la rotta è giusta o se 
mi sono perduto ed è 
troppo tardi 
per tornare indietro così 
meglio che io vada via 
non pensarci, è colpa mia 
questo mondo 
non sarà mio 


                – Ma lei non lo saprà. – disse, ritrovando il nume della ragione. L’amore gli offuscava la mente e gli faceva dimenticare cos’era veramente importante. – Se stesse vicino a me, morirebbe. Se voglio proteggerla davvero, devo starle lontano. – quelle parole gli fecero tanto male.
In quei giorni era stato abbastanza facile riuscire a sembrare arrabbiato con Silvia. Si era convinto bene che l’unico modo per tenerla in vita, fosse farsi odiare da lei.
                Ade annuì lentamente guardando suo figlio. – Sapevo che eri saggio. Anche io ero come te una volta. Così accecato dall’amore da rapire Persefone. – il dio alzò gli occhi al cielo. – E lei nemmeno mi amava. Non fare il mio stesso errore. Fuggi dall’amore e stai lontano dalla ragazza. Porterà solo guai.
                Nico annuì. Fuggire…. sperava solo che non fosse così difficile.
 
Non so se la rotta è giusta o se 
mi sono perduto ed è 
troppo tardi 
per tornare indietro così 
meglio che io vada via 
non pensarci, è colpa mia 
questo mondo 
non sarà mio 



 
 
 
Segui il tuo cuore


SILVIA

 
 
                La mattina, si svegliò ricoperta di foglie e di rami. Un sottile raggio di sole era entrato dalla cupola che si era fatta la notte scorsa.
Dopo aver lasciato soli Nico e suo padre aveva camminato senza una meta precisa, ritrovandosi al margine del bosco. Sotto di lei c’erano venti metri di scogliera e poi il mare. Non sapeva dove si trovasse, così si sedette sul terriccio umido della foresta e pianse. Pianse tanto e forte. La luna nel cielo risplendeva chiara e il rumore delle onde che si scontravano con le rocce sottostanti la fece pian piano calmare. Era stato un pianto liberatorio.
Adesso aveva scoperto di essere figlia degli dei più importanti dell’Olimpo. Si era guardata le mani e le braccia. Nel suo sangue passava quello di Gea, quello di un mortale e quello dei tre pezzi grossi. Dopo questa consapevolezza, ebbe paura di esplodere. Come poteva un essere umano contenere così tanto potere. Non era normale. Lei non lo era affatto. Era uno scherzo della natura, un giocattolo uscito male.
Ma di una cosa fu contenta. Di aver scelto di sacrificarsi per restare ancora con la sua famiglia. Era convinta della sua scelta. Quando Gea avrebbe scelto di risorgere, lei sarebbe stato pronta a morire.
                Si stiracchiò toccando con le mani il soffitto della cupola. Aveva evocato delle piante rampicanti e aveva formato una specie di iglù di edera per proteggerla dal freddo e dai mostri. Poi aveva preso una buona manciata di aghi di pino secchi e si era fabbricata un letto molto improvvisato.
Era grande e spaziosa all’interno e pensò che avrebbe potuto cominciare a vivere lì. Non voleva tornare da Nico.
                Uscì e la luce del sole la investì facendole vibrare la pelle. Il sole era alto nel cielo, saranno state le due o tre del pomeriggio. Si era persa a dormire. Era una bella giornata al Campo Mezzosangue. Si avviò verso le capanne, per poter dire agli altri che stava bene e magari capirci qualcosa in più.
                – Ehi. – la salutò Percy quando la vide arrivare. Le sfoggiò un meraviglioso sorriso. – Ciao sorellina.
A Silvia scappò un sorriso. – È strano. – disse mentre Jason e Piper si stavano avvicinando.
                – Ora sei nostra sorella, oltre che ad un’amica. – le sorrise il figlio di Giove, tenendo un braccio attorno a Piper. – E ti insegnerò molto volentieri a volare e a fulminare cretini come questo qui.
Percy fece la faccia da offeso. – Ehi! Allora io le insegnerò ad evocare uno tsunami brutta testa da-
                – Okay, okay. – li calmò Piper. – Penso abbia afferrato il concetto.
                – Sarà stato per questo che nella nave sei riuscita a teletrasportarti con le ombre come Nico. – ci ragionò su Percy. – Quello dovrà insegnatelo lui però.
                – Non credo abbia tanta voglia. – mormorò la ragazza.
Passarono il pomeriggio ad allenarsi in spiaggia e Percy cercò di aiutarla con i suoi nuovi poteri marini. Ovviamente, fu un disastro. Silvia era distratta e finì molte volte travolta da un’onda.
Quella sera a cena, c’era un tavolo in più per tutti dei, grande come sei tavoli messi insieme.
Silvia non riuscì a rimanere con gli altri, per cui se ne andò sulla spiaggia. Lì trovò Nico che era seduto sulla sabbia. Gli si avvicinò lentamente, ma quando il ragazzo la vide si mosse in fretta per andarsene.
                – Fermo Nico! – non era stata lei a chiamarlo. Un uomo era comparso dietro di loro. Indossava un mantello blu notte con il cappuccio tirato su e gli occhi erano ipnotizzanti.
                – Non andare. – disse ancora. – Devo parlare con entrambi.
Nico non si mosse dalla sua posizione, ma non se ne andò.
                – Morfeo? – domandò Silvia.
Il dio annuì. – Sono qui per togliere un fardello dal vostro cuore.
Gli occhi di Silvia saettarono per un attimo verso Nico. Ma cosa intendeva il dio dei sogni?
                – So che quando siete venuti nel mio mondo, le vostre anime si sono fuse. – continuò. – Ora le dividerò, così potrete tornare a vivere normalmente.
                – Perché? – lo fermò Nico, serio. – Nessun dio fa’ una cosa così importante perché lo vuole. Qualcuno ti ha costretto? Mio padre?
Il dio scosse la testa, mestamente. – Ho parlato con una dea. Lei mi ha pregato di farlo. – lo sguardo era triste. – Lo faccio perché, quando sarà il momento, sarà utile che le vostre anime non siano collegate fra loro.
Silvia non disse nulla per tutto il tempo. Non capiva a cosa Morfeo si riferisse.
                Il dio, vedendo che nessuno più protestava, alzò le mani e chiuse gli occhi. Silvia sentì come se una parte di anima le si staccasse dal corpo. Quando Mofeo riaprì gli occhi, la ragazza si toccò il petto. Si sentiva così vuota adesso.
                – Vi sentirete vuoti d’ora in poi, senza l’altro. – mormorò. – Mi dispiace, ma dovrete conviverci.
Silvia guardò Nico. Pure lui si teneva una mano al petto e aveva lo sguardo perso.
La notte era scesa e la luce del sole era scomparsa.
                – Addio miei giovani ragazzi. Siete davvero coraggiosi. – disse il dio scomparendo fra le stelle. Non fu un incontro pieno di emozioni e questo vuoto incolmabile che Silvia stava provando, non la fece stare meglio.
Quando si voltò verso Nico nuovamente, lui non c’era già più. Stava sorpassando la spiaggia a passo spedito e Silvia gli corse dietro per raggiungerlo.
Lo vide mentre entrava nella capanna, posto che ormai era diventata casa sua. Si avvicinò alla porta e l’aprì senza pensarci due volte. Dentro era vuota e completamente buia.
                – Nico? – lo chiamò lei chiudendosi la porta alle spalle.
Non ricevendo risposta si avviò verso la sua camera, sicura di averlo trovato lì.
                – Nico. – lo trovò seduto sul letto con una statuina nera in mano.
                – Esci. – le ordinò con tono piatto, non guardandola.
                – Ma che ti ho fatto? – era stanca di esser trattata così da lui.
 
Io 
di risposte non ne ho 
mai avute mai ne avrò 
di domande ne ho quante ne vuoi 


                – Non voglio parlare con te, è chiaro? – ora stava iniziando ad arrabbiarsi.
                – Bé, io voglio delle spiegazioni, per cui rispondimi! – gridò lei, esasperata.
Lui si alzò e guardandola negli occhi la ricoprì di tenebre teletrasportandoli entrambi nel bosco del campo. Poi si voltò e si allontanò.
                – Ehi! – urlò con tutto il fiato che aveva in corpo. Stava piangendo. Lei non piangeva mai. Ma era stanca di esser trattata come niente dalla persona a cui teneva di più lì. Non poteva continuare ad ignorala così, senza darle delle spiegazioni.
Lui si voltò verso di lei.
                – Ora basta! Ora ti fermi un attimo, la smetti di scappare e mi affronti! Ora mi dici che cosa ti ho fatto! – gli sbraitò contro con le lacrime che le rigavano il volto. Ovviamente non ricevette risposta.
Come sempre.
Vedendo che però non se ne andava, decise di dirgli la verità.
                – Non so che mi stia succedendo, okay? – era tornata calma. – So solo che con te sto bene. Sto dannatamente bene.
Vide che lui continuava a fissarla impassibile.
                – Senti, lo so che non è il momento adatto, che io non sono il meglio, che sono la figlia di quella che vi ha distrutto la vita, ma questo non cambia quello che provo per te. Io-
                – Tu credi che sia per questo? – domandò Nico fermandola.
                – E allora perché continui ad evitarmi? – chiese lei di rimando, avvicinandosi a lui.
                – Perché non sono capace di prendermi cura delle persone! – urlò lui provocando una crepa intorno lui. Silvia rimase a fissarlo mentre continuava a tremare di rabbia.
 Poi gli si avvicinò, lentamente.
                – Prima Bianca, poi Annabeth, adesso tu. Stavo per perdere anche te la notte dell’attacco. Non me lo perdonerei mai. Non so tenere in vita nessuno. Tutti quelli che ripongono la loro fiducia in me, vengono sempre delusi. – mormorò fissando la terra sotto di lui.
Lei gli mise una mano sulla guancia. Gli alzò il viso, costringendola a guardarla negli occhi.
 
Non è 
stato facile perché
nessun' altro a parte me 
ha creduto 
però ora so 
che tu 
vedi quel che vedo io 
il tuo mondo è come il mio 
e hai guardato 
nell'uomo che sono e sarò 
Ti potranno dire che 
non può esistere 
niente che non si tocca o si conta o si compra perché
chi è deserto non vuole che qualcosa fiorisca in te 


                – Una cosa che sono brava a fare è sopravvivere. Forse è l’unica. Per cui non devi preoccuparti, non ti libererai facilmente di me. – e aggiunse un sorriso alla fine.
Nico alzò gli occhi verso i suoi ed incontrò il suo sguardo. Silvia si perse in quegli occhi neri come due pozze profonde.
Il ragazzo aveva il respiro irregolare e dopo un minuto buono di silenzio, avvicinò le labbra a quelle della ragazza. Fu un bacio leggero. Silvia sentì la freschezza delle sue labbra e si ricambiò il bacio con la stessa delicatezza.
                Quando si staccò, Nico aveva gli occhi bassi. Silvia aveva paura di aver sbagliato qualcosa. Forse non era capace a baciare.
                – Questo non va bene. – disse Nico staccandosi completamente da lei, lasciandole un senso di vuoto.
                – Perché? Perché sono io? – chiese Silvia, disperata.
                – No. Tu … tu mi piaci. Tanto. – mormorò dando una speranza alla ragazza. – Ma sono io il problema. Tutti quelli che mi stanno vicini, finiscono male.
                – Non mi interessa. – protestò lei. – Non riesco a starti lontano, lo capisci?
Nico si voltò verso di lei. Non era sicuro, si vedeva.
                – Io vorrei stare con te. Ma ho più paura di perderti. – ribatté. – E se dovesse andare male fra noi, non so se riuscirei a riprendermi.
Silvia non sapeva come rassicurarlo. Non sapeva come sarebbe andato il futuro.
                – Ascoltami, – iniziò avvicinandosi a lui ancora. – non so se fra noi durerà o no. Ma so che adesso, in questo preciso istante quello che sento per te è vero. – gli mise una mano sul braccio per poi scendere fino alla mano e aggrapparsi alle sue dita. – E se mi dovessi fare male, non mi importa. Morirei per stare con te anche solo un giorno.
Era sincera. Ognuna di quelle parole era piena di verità e di amore.
                Lui l’abbracciò all’improvviso e lei lo strinse a sé aggrappandosi alla maglietta nera.
                – È una promessa? – gli domandò lui con la voce ovattata dal cotone.
                – Solo se anche tu prometti di non lasciarmi mai. – mormorò lei.
Lui si sciolse dall’abbraccio solo per ricongiungere le loro labbra, come per sigillare la loro promessa.
                – Mai. – sussurrò quando si furono staccati. E Silvia sorrise come non aveva mai sorriso prima.
 
E so 
che non è una fantasia 
Non è stata una follia 
quella stella 
la vedi anche tu 
perciò 
io la seguo ed adesso so 
che io la raggiungerò 
perché al mondo 
ci sono anch'io 
perché al mondo 
ci sono anch'io 
             
 
 


 
2° Nota dell’autrice: Questo capitolo è stato uno dei più difficili da scrivere, ma anche uno dei più belli.
Vedo Nico come un principe incapace di salvare le sue principesse e Silvia una guerriera pronta a sopravvivere per il suo amore.
un saluto a tutti
Silvia

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Capitolo 30
*** Finalmente Conosco Il Mitico Leo Valdez ***


Finalmente Conosco Il Mitico Leo Valdez


PIPER



Si svegliò nella casa di Afrodite che gli altri stavano ancora ronfando. I suoi fratelli non erano veri e propri mattinieri, o combattenti, o semidei. Erano più che altro dei ragazzi gentili che adoravano lo shopping e i fiorellini. Ma lei voleva bene ad ognuno di loro. Bé, forse non a Drew, ma lei era un caso a parte.
Si alzò e si vestì per andare a fare colazione. Appena uscì, trovò la persona peggiore del mondo che parlava con il suo fidanzato.
                – Sei andato in palestra, ultimamente? Sembri così in forma. – diceva Drew, appoggiata al porticato con il decolté ben abbassato e il sedere in bella vista, a Jason.
                – Ho sconfitto Gea. Come potevo andarci? – rispondeva incredulo il ragazzo.
                – Se uccidere i giganti ti fa quest’effetto, dovresti farlo più spesso. – mormorò lei avvicinandosi.
                – Non mi fanno anche dormire la notte, per cui non è il massimo. – disse annoiato Jason.
Appena il ragazzo vide Piper uscire dalla casa, sorrise. Sapeva esattamente cosa sarebbe successo a Drew.
                – Dei, ieri hai combattuto come un vero gladiatore. – gli bisbigliò accarezzandogli il braccio.
Piper la raggiunse da dietro senza farsi sentire.
                – Ehi, Drew! – la chiamò, urlandole all’orecchio.
La ragazza emise un gridolino orribile e fissò in malo modo sua sorella.
                – Ma sei pazza?! – esclamò con quella sua vocina.
                – Tu sei morta se guardi ancora Jason, dracena. – le disse con un sorriso mentre si allontanava con il suo ragazzo sotto braccio.
                – Tu mi hai appena dato della dracena!? – le urlò dietro la ragazza. – Brutta figlia di una-!
Ma ormai erano troppo lontani per sentirla. Jason si era librato nel cielo, portandosi con se Piper. Adorava volare con lui, vedere il mondo da una diversa prospettiva.
                Atterrarono nel centro del padiglione e salutarono Hazel, Silvia e Nico che erano appena arrivati. Jason gli andò incontro, ma Piper restò ferma a fissare i due ragazzi. Nico era come sempre, ma Silvia aveva qualcosa di diverso. Gli sguardi che lanciava al ragazzo, i sorrisetti. Pensò di essere stanca, per cui andò a sedersi al tavolo per fare colazione.
Mangiò di gusto e insieme agli altri ragazzi parlarono solo di come organizzarsi per allenare Silvia.
                – Oggi pomeriggio vieni con me, perché dobbiamo finire l’allenamento per i tuoi poteri di Poseidone. – disse Percy.
                – No, adesso tocca a me. – ribatteva Jason.
                – Con me può stare la mattina? – chiese Nico.
                – No, questa mattina è con me all’arena. – intervenne Frank.
                – Penso che debba stare un po’ anche con me. – si aggiunse Hazel. – Per poter imparare a controllare la presenza di Gea e a fermarla. Potremmo andare anche da Clovis per parlare dei sogni.
                – Non voglio rovinare i vostri meravigliosi piani per aiutarla. – disse infine Piper, alzando la voce. – Ma credo che la stiate spaventando.
Silvia annuì, ridendo. – Leggermente.
                – Dovete lasciarle anche del tempo libero. – continuò la ragazza. – Facciamo così: ognuno di voi l’avrà per un giorno intero.
                – Comincio io. – esclamò Percy alzando la mano.
                – Okay.
                – Sì!
                – Poi Jason, Nico, Frank e Hazel. – disse Piper indicando i vari ragazzi. – Il weekend decide lei.
                – Un po’ tirannico, ma mi sta bene. – acconsentì Silvia.
                – Se hai bisogno di ripasso per il greco o un po’ di mitologia, puoi venire da me. – si offrì Piper.
                – Per le cose pallose, insomma. – mugugnò Leo, beccandosi una gomitata dalla ragazza.
Scoppiò a ridere e le diede un bacio sulla guancia.
                – Okay, allora ti aspetto in spiaggia fra dieci minuti. – esclamò Percy alzandosi.
                – Va bene. – rispose Silvia.
Nico si alzò con la ragazza. – Vado pure io. Ci si vede ragazzi.
Gli altri lo salutarono mentre si allontanava verso la capanna 13 affiancato da Silvia. Piper non riusciva a capire cosa stesse succedendo fra quei due, così decise di seguirli.
Li pedinò fino alla loro capanna e vide che i due si tenevano per mano. Hai capito Nico!
Erano davanti alla porta e lui la stava guardando negli occhi mentre sorrideva. Quando iniziò a inclinare la testa fino a raggiungere le sue labbra, Piper saltò fuori dal suo nascondiglio e gridò: – Lo sapevo!
Silvia prese un infarto, ma Nico la guardò semplicemente, annoiato.
                – Lo sapevo! Lo sapevo. Lo sapevo. – ripeté entusiasta. – Afrodite non sbaglia mai, piccioncini.
                – Io non….ehm….ma che?... – balbettò Silvia, diventando rossa.
                – Oh, siete così adorabili. – disse con le labbra a cuore.
                – Piper, cerca di darti una calmata. – le ordinò serio Nico. – Nessuno lo sa. E nessuno deve saperlo.
                – Calmati, novellino. – lo canzonò lei. – So come funzionano certe cose. Prendetevi tutto il tempo che volete, ma sappiate che gli altri saranno solo che-
                – No. – la bloccò immediatamente lui.
                – No?
                – Nessuno deve saperlo e nessuno lo saprà mai. – aveva gli occhi vuoti e immensamente tristi. Dalla voce sembrava che volesse mettersi a piangere. Mise un braccio attorno a Silvia e l’avvicinò a sé. – Se mio padre o qualsiasi altro dio lo scoprisse, la ucciderebbero subito.
                Piper rimase a fissarli.
                – Io non potrei stare con lei. – finì Nico.
                – Ma l’ami troppo per resisterle. – concluse Piper, mestamente. – È incredibile cosa l’amore possa fare, no?
Vide Nico annuirle leggermente.
                – Non lo saprà nessuno. Lo giuro. – promise loro. – Ma gli altri vi capirebbero e vi aiuterebbero.
Nico la fissò, preoccupato.
                – Vedremo cosa fare. – disse il ragazzo. Poi tolse immediatamente il braccio dalle spalle di Silvia. Piper si voltò e vide Leo che si avvicinava con un sorrisetto sul volto.
                – Ehi gente! – salutò. – Ma che avete? Non è che mi state nascondendo qualcosa?
                – No, – intervenne Piper immediatamente. – stavo per andarmene.
E detto quello salutò Silvia e Nico con la mano allontanandosi con la testa bassa sulle sue scarpe. L’amore e i suoi problemi... Non puoi essere felice senza soffrire un po’.
 
 
 
 
 
LEO
               

                – Ci si vede, reginetta di bellezza! – disse Leo salutando Piper con la mano. Poi tornò a fissare Nico e Silvia. – Ho detto a Percy che stai un po’ con me questa mattina.
La ragazza lo guardò, leggermente imbarazzata e impaurita. – Io?
                – No, volevo fare una passeggiata romantica sulla spiaggia mano nella mano con Nico. Certo che parlo con te! – ironizzò il ragazzo.
Nico lo fissò in malo modo. – Perché?
                – Per ucciderla… – poi vedendo la faccia di Nico e la sua mano sulla spada decise che scherzare non era il giusto approccio con il figlio di Ade. – Per gli dei, scherzavo! Devo solo parlarle.
Nico non era convinto. – Se ti fa qualcosa, puoi picchiarlo quanto vuoi. – disse a Silvia, tenendo però lo sguardo fisso su Leo.
                – Datti una calmata. – disse facendo segno a Silvia di seguirlo. – Non ci proverei mai con la ragazza di un mio amico.
E sorrise vedendo la faccia di Nico mentre si allontanava.
                – Tu…tu lo sai? – balbettò Silvia fissandolo spaventata.
                – Dovrei sapere qualcosa? – gli rispose Leo con un sorriso.
                – No.
                – Allora non so niente. – chiuse il discorso continuando a camminare.
Entrarono nel bosco e rimasero ai margini, vicino alla scogliera. Il mare era calmo e assomigliava ad una tavola da quanto era immobile. Il sole si rifletteva e illuminava ancora di più la baia di Long Island. Non dovettero procedere per troppo, Leo trovò subito la cupola.
                – L’ho trovata questa mattina, ho pensato che l’abbia realizzata solo una figlia di Gea. – disse accennando alla cupola di edera che Silvia aveva creato due notti passate.
                – Non sapevo dove andare. – si giustificò la ragazza.
Leo si sedette con le gambe a penzoloni sulla scogliera e aspettò che Silvia lo affiancasse. Non ci volle molto.
                – Allora, perché volevi parlarmi? – gli domandò.
Okay, si disse Leo. È arrivato il momento. Devi seguire quello che Jason ti ha detto e impara a conoscerla. Come prima cosa, prova a rispondere alla sua domanda. E sii sincero, Valdez.
                – Perché ti odio. – sputò fuori. Forse troppo sincero….
La ragazza rimase a fissarlo, con la bocca serrata. Leo aveva una faccia alquanto spaventata.
Poi accadde una cosa incredibile: lei scoppiò a ridere.
Rise così forte che le vennero le lacrime agli occhi. Quando stava per smettere, tornò a guardare il suo viso e ricominciò come se niente fosse. Si teneva la pancia e rideva forte. A Leo piacque la sua risata. Era calda e incredibilmente coinvolgente, tanto che anche lui si fece scappare un sorriso.
                – Cosa? – le chiese, ridacchiando.
Silvia prese fiato e smise di ridere, lasciando però il sorriso. – Hai fatto una faccia! – e trattenne un’altra risata.
                – Io ti ho appena detto che ti odio e tu ridi? – si stupì di quanto fossero simili.
                – Quello è normale, ormai. – gli disse come se niente fosse, come se gli avesse appena detto che tempo facesse oggi. – Molti odiano me per quello che mia madre ha fatto. – si distese sull’erba e guardò verso le fronde degli alberi.
                Leo rimase a fissarla.
                – L’ho promesso. – continuò senza guardarlo. – E io mantengo sempre le mie promesse. Se Gea dovesse risorgere, io farò quello che è giusto.
Si ricordava bene, l’altra notte, davanti agli dei, che aveva giurato sul fiume Stige di morire se Gea fosse risorta. Era stato in quel momento che si era deciso a parlarle.
                – È vero, ti ho odiata. – ammise. – Per colpa tua, non potevo stare con la mia fidanzata ed i miei amici nello stesso posto. E solo gli dei sanno quanto tua madre mi abbia fatto dannare.
                – Siamo in due allora. – gli sorrise, guardandolo.
                – Ma ora mi pento di averti accusata ingiustamente. – continuò. – Sei stata incredibile. E non solo quando hai detto che ti saresti sacrificata per noi. Anche quando hai lottato per proteggere il Campo e quando hai deciso di salvare Nico.
Lei corrugò la fronte e tornò seduta. – Cosa intendi?
                – Io non sono uno dei migliori amici di Nico. – disse con un sorriso. – Ma so che ha sofferto. Tanto. E sono contento che tu ora gli stia vicino. Ha bisogno d’amore.
Lei era ancora confusa, o forse stava solo pensando. Quando tornò a guardarlo, sorrise e lo abbracciò.
Leo rimase bloccato da questo improvviso contatto, ma dopo rispose all’abbraccio.
                – Grazie Leo. – gli disse. – Sono contenta di aver chiarito anche con te. Jason mi ha detto che sei una delle persone più simpatiche, qui al Campo.
                – Ovvio che sì! – rise lui, staccandosi. – Sono il migliore, qui al Campo.
Lei ridacchiò. – Ci credo.
                – So che sei parecchio impegnata, ma se vuoi una lezione di meccanica o altro, basta che chiedi al tuo vecchio amico Valdez! – le assicurò aiutandola ad alzarsi.
                – Ci conto! – lo salutò lei, avviandosi verso la spiaggia per il suo allenamento con Percy.
Leo alzò una mano e si disse che Jason, purtroppo, aveva ragione. Quella ragazza era speciale.



Nota dell'autrice: Mandorle a tutti!
Cari i miei pochi lettori, la prossima settimana ho qualcosa come due verifiche al giorno, per cui avverto già che NON AGGIORNERO' fino a quando i miei professori capiranno cosa vuol dire "spartire le verifiche durante l'anno per non concentrarle tutte in un'unica settimana". Che gli dei me la mandino buona davvero!
Pregate per me gente.
bacioni a tutti
Silvia


P.s.: Ah ho cambiato nome! Adesso mi chiamo "enelbuioincatenarli". Non chiedete il motivo, ma è il mio stesso nome su Tumblr e mi è sempre piaciuto molto.                 

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Capitolo 31
*** Mi Sento Finalmente Bene ***


Mi Sento Finalmente Bene
 

NICO
 


                – Avanti, Silvia! Cerca di concentrarti!
                – Voglio vederti mentre cerchi di controllare una delle quattro influenze divine che hai!
Silvia e Percy stavano continuando a litigare da più di un’ora. Lui le diceva di provare ad alzare un’onda e lei creava un mulinello. Lui le diceva di non farsi bagnare dall’acqua e lei creava un geyser di tre metri d’altezza. Non che non fosse brava a controllare l’acqua, ma a volte confondeva la sabbia che stava sotto la superficie con il mare. Una volta riempì Percy di sabbia umida facendolo urlare come una ragazzina dalla rabbia.
                Nico aveva deciso di stare con loro perché a) non aveva niente da fare e b) non riusciva a stare lontano da Silvia. La sua vicinanza era come una fonte vitale. Dopo che Morfeo aveva tolto il pezzo dell’anima della ragazza dalla sua, si sentiva vuoto e freddo senza lei nelle vicinanze. Anzi, aveva bisogno perfino di toccarla, a volte,  per sentirsi di nuovo pieno.
                – Va bene, riproviamo. – sbuffò Percy, grondante di sudore e qualche alga. – Devi solo creare un vortice e alzare una piccola spirale d’acqua solo fino a mezzo metro d’altezza. Non è difficile.
                – Okay. – affermò Silvia.
                – Concentrati sulle correnti che senti attorno a te. Concentrati sull’acqua che ti circonda. Sentine il peso, la forza, la consistenza. – recitò per la milionesima volta il ragazzo la formula che ripeteva a Silvia ogni volta prima di cominciare a controllare l’acqua.
Silvia chiuse gli occhi e tenne le braccia lungo i fianchi con le mani immerse fino ai polsi. La vide controllare il respiro e muovere lentamente le mani avanti e indietro con piccoli e fluidi spostamenti orizzontali.
Davanti a lei l’acqua cominciò a muoversi lentamente e poi sempre più vorticosamente, come se seguisse lo stato d’animo della ragazza. Silvia strizzò gli occhi e arricciò lo labbra cercando di concentrarsi il più possibile. Dopo aver creato un vortice di mezzo metro di diametro, alzò lentamente le mani verso l’alto e aprì gli occhi per visualizzare la colonna d’acqua che si stava innalzando davanti a lei. L’allargò e creò un muro che andava crescendo. Nico (non seppe perché) ebbe un brutto, bruttissimo presentimento.
                – Sì! – esultò Percy vedendo davanti a sé un muro d’acqua di cinque metri d’altezza.
Ma Nico stava guardando da tutt’altra parte. Intorno al corpo di Silvia si era creata un’aura verdognola che non prometteva nulla di buono. Lo sguardo della ragazza era assassino e fisso su Percy mentre il muro continuava ad alzarsi. Ci vollero pochi secondi per far capire a Nico le se sue intenzioni.
                – Percy! – cercò di avvertirlo mentre si teletrasportava tra i due.
Buttò il ragazzo sottoacqua nell’esatto momento in cui Silvia lasciava che tutta quella massa d’acqua precipitasse su Percy. Avvolse se stesso e Silvia in un bozzolo di tenebre, isolandoli completamente dal mondo. Almeno così, forse, gli dei non avrebbero potuto vederla. Non ci aveva mai veramente provato a farne uno, ma era come se si trovassero in un’altra dimensione.
                Si voltò verso la ragazza ed estrasse la spada. L’aura verde era più viva e irradiava potenza. Gli occhi erano ricoperti di fango, come la notte dalla caccia alla bandiera.
                – Silvia, sono io! – gridò con la spada alta, cercando la ragazza che ieri notte aveva baciato. – Cerca di tornare in te!
Lei rise. Una risata profonda e roca. – Figlio di Ade… vedo che non smetti di cercare di fermarmi. – la voce sembrava deformarle il viso. – Non ho avuto il piacere di vederti morire una volta. Forse possiamo rimediare ora.
Silvia si fiondò al suo collo con la bocca tesa in un ghigno. Nico non voleva ferirla, per cui lanciò lontana la spada e cercò di bloccarla con la forza. L’unico problema? Era lui contro una la dea della terra nel corpo di sua figlia che era la ragazza che amava. Per cui, l’unica cosa che riuscì a fare fu non sbattere la testa quando cadde rovinosamente a terra.
                – Alzati! Misero semidio! – gli ordinò il mostro che aveva davanti. Urlava così forte che temeva che le corde vocali di Silvia si spezzassero.
Nico si alzò, ma lei gli tirò un calcio in pancia e lo fece piegare in due per poi dargli una ginocchiata sul naso. Si tenne il viso, mentre il sangue cominciava a colare.
                – Silvia… – mormorò rimettendosi in piedi. – Sono io, Nico. Non lasciarle farti questo. Concentrati sulla mia voce…
                – Credi che possa sentirti? – disse ironicamente per poi fiondarsi nuovamente su Nico. Questa volta però, il ragazzo era pronto. La prese per un braccio e la fece cadere a terra, storcendolo. Lei gli fece lo sgambetto e si tuffò sul corpo del ragazzo.
Le mani della ragazza cercarono convulsamente il suo collo, ma Nico riuscì a prenderle i polsi e a tenerla ferma.
                – Silvia! – la chiamò. Imprecò mentalmente mentre un'unghia gli graffiò la guancia. – Ascoltami! Questa non sei tu. Torna in te. Sconfiggila.
La ragazza urlò con la voce di Gea e  Nico le assestò un calcio nel costato. Silvia gemette e si accasciò a terra dando a Nico il tempo di sormontarla e tenerla ferma.
                – Scusami, ma è stato necessario. – si giustificò. Era sopra di lei e i suoi occhi erano ancora ricoperti di fango scuro. Questo però non le impediva di fissarlo come se lo volesse morto.
                – Ascolta la mia voce. – scandì quelle parole ad alta voce e con tutto l’amore che provava. – Tu non sei come lei. Tu sei meravigliosa e devi tornare da me.
Lei ringhiò e si dimenò sotto la presa del ragazzo. – Lei non è tua! Lei è mia!
                – No. Silvia controllala. – la incitò.
Aspettò, tenendola ferma e controllando il bozzolo d’oscurità intorno a loro. Aspettò per tanto tempo, vedendo Silvia che veniva distrutta da sua madre. Si sentì impotente.
Poi il tempo sembrò rallentare e con calma, Silvia si muoveva sempre con meno foga, sembrando via via più stanca. Dopo qualche minuto, con il respiro affannato, si accasciò a terra, svenuta. Nico aspettò ancora un po’ prima di liberarli dal buio. Quando riapparsero alla luce del sole, Percy corse verso i due ragazzi e si inginocchiò vicino a Nico.
                – Che cavolo è successo? Siete spariti nel nulla! – chiese fissando le strisce di fango che scendevano dagli occhi di Silvia.
Nico si tolse dalla posizione di prima e guardò l’amico. – Gea.
                – Perché mi hai tenuto fuori con quel coso di tenebre? Potevo aiutare. – si lamentò.
                – Così gli dei non hanno visto niente. – disse con tanta speranza nella voce. Pregò che Zeus o Ade non si presentassero in quell’istante per fulminarli tutti e tre e mandarli immediatamente negli Inferi.
Nico si mise in ginocchio e avvicinò dell’ambrosia che gli aveva data Will per i viaggi-ombra alla bocca di Silvia.
                – Forse non avrei dovuto sforzarla così tanto. – mormorò Percy. – È più difficile per lei, no? Con le influenze di tutti e tre i pezzi grossi.
Nico scosse la testa. – È molto più potente di quello che pensiamo. Avrà avuto un piccolo momento di deconcentrazione e Gea avrà pensato bene di approfittarsene. – spiegò, prendendo il corpo svenuto di Silvia in braccio per portarla all’ombra. Percy lo seguì da dietro e si sedette vicino a lui mentre si sistemava la testa della ragazza fra le braccia, per tenerla più comoda.
Si ritrovò un’altra volta a perdersi a guardarla. sembrava serena mentre dormiva, non come la parte peggiore di lei che aveva appena visto.
                – Hai parlato con lei? – gli chiese Percy d’un tratto.
                – Di cosa?
Lui sorrise. – Oh, andiamo Nico. – poi gli diede una piccola pacca sulla schiena. – Vedo come la guardi.
                – Come la guardo? – chiese seriamente confuso.
Percy fece una strana smorfia. – Non so spiegartelo. È un modo unico. Ah, sono una frana in queste cose.
                – Sì, lo sei. – confermò. – Ma nemmeno io me la cavo.
                – Non è necessario “cavarsela”. Devi solo essere sincero. – affermò Percy. – Con lei. E con te stesso.
Nico rimase a pensare su quelle parole mentre Silvia sbatté ripetutamente le palpebre.
                – Come ti senti? – le chiese Nico, dolcemente.
Lei mostrò un sorriso. – Come dopo una centrifuga in una palude puzzolente. – aveva la voce roca e si vedeva che faceva fatica a parlare.
Sorrise pure lui. Silvia tornò immediatamente seria e gli avvicinò una mano alla guancia, passando il pollice sulla ferita che gli aveva procurato poco prima.
                – Non volevo… – mormorò, amareggiata. – non ti avrei mai fatto del male, lo giuro.
Nico annuì. – Lo so. E scusami se ti ho tirato quel calcio, ma è stato necessario.
                – Gran bella scusa! – rise lei. Incredibile come riuscisse a far sembrare tutto così semplice.
L’aiutò ad alzarsi e quando vide Percy, sembrò sollevata.
                – Ehi, credo di dover delle scuse pure a te. – mormorò accennando un piccolo sorriso imbarazzato.
                – Non eri tu. Non ti preoccupare. – la fermò lui. – In compenso hai imparato qualcosa.
Lei annuì, sollevata.
                – Se volete vi lascio la mattinata libera. – disse Percy alzandosi.
                – Cosa? No, non è necessario. – rispose lei.
                – Ho detto solo la mattina. Poi oggi pomeriggio si ricomincia. – scherzò allontanandosi con passo barcollante lungo il bagnasciuga.
Silvia rimase e fissarlo mentre scompariva alla loro vista, per poi tornare a concentrarsi su di lui. Estrasse uno dei suoi migliori sorrisi e disse: – Ora che si fa’?
Lo stava veramente chiedendo a lui? Stava davvero chiedendo a Nico Di Angelo la persona più asociale del mondo: Ora che si fa’?
                – Ehm…. – cominciò poco convinto. Pensa Nico!
                – Oh miei dei! – esclamò Silvia improvvisamente.
                – Cosa?!
Nico vide che si stava rivolgendo a qualcosa davanti a loro.
                – E questo bel gattino da dove spunta fuori? – disse con voce acuta mentre si girava verso Nico con in braccio un gattino arancione striato con due denti da tigre che sporgevano. Il ragazzo conosceva bene. Lo ricordava molto più grande però. Deve essersi ristretto o non sapeva cosa. L’animaletto fece le fusa tra le braccia accoglienti di Silvia e non si oppose quando lei gli accarezzò la testa. Doveva averlo evocato senza nemmeno essersene reso conto.
Gli venne una stretta al cuore di nostalgia.
                – Bob… – mormorò fissando il piccolo micino.
                – Si chiama così? – chiese continuando ad accarezzarlo.
Nico si asciugò una lacrima che era caduta. – No.. No, Bob era il suo padrone. – si corresse. – Lui si chiama Bobbino.
La piccola ristata di Silvia gli scaldò un po’ il cuore. Ad un certo punto il piccolo Bobbino venne percorso da una scossa e divenne per un attimo fatto solo di ossa.
                – Ma che?..
                – È un gattino speciale. – si affrettò a spiegarle Nico. – Viene dagl‘Inferi.
– È dolcissimo. – disse Silvia, per niente scossa dall’ultima affermazione del ragazzo. – Perché non l’ho mai visto qui prima? – gli domandò guardando Nico. Poi il suo sguardo cambiò, come se si fosse accorta di qualcosa. – Lo conoscevi?
                – Chi?
                – Bob, il suo padrone. – ripeté, più convinta. Bobbino si animò sentendo il nome del suo padroncino.
Nico non ne parlava e non voleva parlarne. Per cui rimase in silenzio.
                – La notte della caccia alla bandiera. – cominciò lei, vedendo che non parlava. – Cioè la notte in cui mi sono risvegliata sopra di te. Gea mi era apparsa in sogno e mi aveva detto che avevo un padre. – Bobbino cominciò a giocare con i suoi capelli. – E subito dopo mi ha detto che lo aveva ucciso appena mi aveva concepita. Che lo aveva usato, solo per farmi nascere e compiere il suo piano.
                Nico non capì perché glielo avesse appena detto.
                – Ora tocca a te. – lo invitò.
Il ragazzo rimase a fissarla, continuando a non capire.
                – Se non riesci a dirmi le cose che ti fanno stare male, d’ora in avanti faremo così. – disse decisa. – Quando uno dei due deve dire una cosa brutta o del suo passato di cui non vuole parlare, l’altro deve dirne una a sua volta. Una brutta storiella a testa. Così non ci sono ingiustizie.
Nico la guardò mentre si sistemava il gattino sulle gambe per fargli i grattini sulla pancia.
Le persone che avevano provato a parlargli, avevano sempre cercato di estrargli le parole di bocca. Nessuno aveva mai fatto quello che aveva appena fatto lei. Nessuno aveva mai fatto niente di simile per lui.
                – Quando ero più piccolo, – cominciò concentrandosi sul piccolo Bobbino che se ne stava a dormire sulle gambe di Silvia. – ho conosciuto un titano a cui, Percy e un’altra ragazza, avevano cancellato la memoria immergendolo nel fiume Lete.
                Fece una pausa lanciando un veloce sguardo agli occhi di Silvia che erano attenti. Tornò a fissare il gattino.
                 – Era il titano Giapeto. Dopo aver perso la memoria Percy gli diede il nome di Bob e rimase negli Inferi come netturbino. – sorrise pensando al vecchio amico. – Era un tipo simpatico. Grande e grosso quanto vuoi, ma era buono. Andavo a trovarlo sempre quando mi trovavo nel regno di mio padre. – accarezzò Bobbino che tra una fusa e l’altra diventava una scheletro. – Ha salvato Percy e Annabeth quando sono caduti nel Tartaro e si è sacrificato per loro. – ora non poté più impedire alle lacrime di bagnarli le guance. – È stato un grande amico per noi.
                Silvia lo abbracciò e lui si strinse a lei nascondendo il viso nella sua spalla.
                – Mi dispiace di averti fatto stare così male. Non avrei dovuto chiedere di parlarne. Non avrei-
                – Va bene. – la fermò lui. – Mi ha fatto bene parlarne.
Si staccò dall’abbraccio e la baciò dolcemente.
In quel momento sentì come se il vuoto creato da Morfeo si fosse colmato completamente.



Nota dell'autrice: MIRACOLO GENTE! Sono riuscita ad aggiornare nonostante tutto!
Ringrazio di cuore tutti quelli che continuano a seguirmi imperterriti! Siete l'amore ragazzi *^*
Volevo dire che in questi capitoli non c'è molta azione solo perché sono di "transizione". Non saranno tanti, lo giuro, anzi, tra poco comincerà l'azione, promesso. Questi sono solo.... pieni d'amore ecco! (si capisce che sono triste e sola vero? FA' NIENTE!)
Un bacione 
Silvia

P.s.: ho recentemente iniziato un'altra storia (l'Armata dell'Olimpo) e vi invito calorosamente a fare un salto. E se vi fa cagare ditelo pure.
YO!
 

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Capitolo 32
*** Festa A Sorpresa ***


Nota dell'autrice peggiore del mondo: Lo so.....sono una persona orribile...... perdonatemi se non aggiorno da un mese ormai, ma ho avuto davvero tanto da fare. Vi chiedo ancora scusa e spero che il capitolo vi piaccia. Questo è ancora un capitolo "intermedio" prima del finale che arriverà fra pochissimo. Non odiatemi, perchè io vi adoro! Infatti, in questo arco di tempo siamo arrivati a 700! No, vabbé voi volete farmi morire! Ringrazio ognuno di voi pazzi che continuate a leggere la mia storia! Un bacione a tutti,
e ancora grazie, davvero
Silvia


 
Festa A Sorpresa


JASON



 
                Si trovava al confine del Campo Mezzosangue, vicino al pino di sua sorella, Thalia.
Erano passati parecchi mesi da quando Silvia era arrivata al Campo.
Jason aveva anche cominciato a sentire meno la mancanza del Campo Giove, dato che poteva farci un salto ogni weekend. Inoltre, era occupato per un intero giorno alla settimana con Silvia per poterla aiutare con la sua influenza di Zeus. Le aveva insegnato come volare, lanciare fulmini, controllare i venti.
Sì, era stato stancante. No, non avrebbe mai voluto rifarlo. Ma sì, si era divertito con lei.
Alla fine era per ¼ sua sorella e a lui stava più che bene.
                Alzò lo sguardo verso il mondo dei mortali. Era ancora tutto ricoperto di neve.
Era fine gennaio, ma la temperatura al Campo era sempre costante. A lui andava bene, il sole gli piaceva molto più del freddo. Ma si ricordò quanto si erano divertiti due giorni prima a giocare a palle di neve lì sul confine. Era stata più o meno come una caccia alla bandiera ghiacciata, con i figli di Ares che avevano preparato una catapulta per lanciare palle grandi come un masso.
Ricordò Frank che, diventato un orso polare, aveva rincorso Leo per aver provato a dargli fuoco alla coda. E Piper, che convinse Connor Stoll a riempirsi di neve le mutande. I ragazzi al Campo ridevano ancora per la faccia del figlio di Ermes mentre ascoltava gli ordini di Piper, infilandosi altra neve ghiacciata nei pantaloni.
                – Ehi. – qualcuno lo chiamò alle sua spalle. Quella voce per lui era diventata inconfondibile.
                – Ciao Piper. – salutò la sua ragazza dandole un bacio sulla guancia.
                – Sei sparito. Va tutto bene?
                – Sì, tutto apposto. – rispose. – Avevo solo bisogno di stare un po’ da solo. Silvia sta meglio?
Piper annuì.  – È la terza volta in una settimana. – disse, preoccupata. – Se continua così, forse risorgerà davvero.
Accennava a Gea che si impossessava del corpo della ragazza. Da quando gli dei se erano andati era successo sempre più di frequente e ogni volta Nico doveva avvolgerla nelle tenebre. Quando riapparivano erano entrambi provati e piani di ferite, ogni volta sempre più malridotti.
Ora erano entrambi in infermeria a curarsi.
Un rumore lo distolse dai suoi pensieri. Poi qualcosa gli piombò davanti con un tonfo.
                – Ehilà! – li salutò Silvia rimettendosi in piedi dopo la caduta.
                – Perché voli? Sei appena stata male! – la rimproverò Jason preoccupato.
                – Sto bene. – disse concludendo l’argomento con un cenno della mano. – Dovevo sbrigarmi e se usavo le ombre, Nico se ne sarebbe accorto.
                – Come sta? – chiese Piper.
Silvia fece una brutta smorfia. – La costola rotta deve ancora sistemarsi. – poi si corresse. – o meglio, che io gli ho rotto.
                – Non è colpa tua. – la rassicurò Jason mettendole una mano sulla spalla.
                – Sì, sì. – rispose evasiva, per poi cambiare improvvisamente argomento. – Vi cercavo per sapere se avete già preparato tutto.
Jason e Piper si scambiarono uno sguardo confuso.
                – Cosa precisamente?
Silvia li fissò e sbraitò una serie di insulti in italiano. – Dovete ancora fare la torta con Percy?!
                – Torta? – mormorò Jason. Poi si ricordò. – Per tutti i venti! La torta!
                – Appena Nico si sveglia, lo porterò nel bosco. Avete due ore. – ordinò. – Fatevi dare una mano anche da Frank. – e dopo averli minacciati per bene, volò via.
Jason e Piper iniziarono a correre verso la cabina tre.
                Era una settimana che Silvia stava preparando la festa di compleanno a Nico. Certo, lui non era un tipo da feste, ma sarebbe stata una cosa intima. Frank e Hazel dovevano fare le decorazioni, Leo i regali e Jason con Piper e Percy la torta. Silvia organizzava tutto e doveva tenere Nico occupato fino alle sette di quella sera, quando ci sarebbe stata la festa.
I sette lo sapevano che i due erano innamorati. Fra una cosa e l’altra, in poco tempo tutti sono venuti a sapere che erano insieme. Ma non lo  dissero a nessuno, anzi, li aiutavano quando qualcuno li beccava mano nella mano o a scambiarsi un veloce bacio. Jason era contento per entrambi. Ma soprattutto per Nico, che finalmente aveva trovato qualcuno d’amare.
Corsero più veloci che poterono e irruppero nella capanna di Poseidone mentre Percy usciva dal bagno.
                – Ciao, ragazzi. Tutto b-
                – Dobbiamo fare la torta! – esclamò Piper.
Percy li fissò. – Oh per tutti gli dei! Mi ero dimenticato!
                – Io vado a prendere gli ingredienti, voi pensate alla glassa! – esclamò Jason prendendo il volo.




 

SILVIA


 
Cadde rovinosamente a metà strada fra l’infermeria e dove aveva lasciato Jason e Piper. Dopo aver rotolato per quattro metri, si mise seduta e si massaggiò la pancia dolorante. Era passato pochissimo da quando Gea si era impossessata di lei. Ricordava ancora bene la sensazione di freddo e umido.
 

Stavano giocando a basket contro dei figli di Apollo. Will era capitano della sua squadra e Jason era capitano della loro. Si stavano divertendo come matti, quando cominciò a sentire uno strano formicolio sulle le dita e le mani. Non ci aveva fatto caso e aveva continuato a giocare. Ma quando tutto aveva cominciato a vorticare, si era fermata e l’ultima cosa che ricordava era Nico che la circondava con l’oscurità.
 Il ragazzo le aveva raccontato ogni volta che perdeva conoscenza e che Gea parlava per lei. Lui creava un bozzolo che li teneva fuori dal mondo, non facendoli vedere né ai mortali, né agli dei. Lei cercava di ucciderlo ogni volta e lui si doveva difendere.
Ma quella volta era stato diverso. Quella volta era cosciente, ma il suo corpo era a Gea. Vedeva Nico che era davanti a lei e che la chiamava, come gli aveva detto che faceva ogni volta.
                – Silvia. – lo voce del ragazzo era ferma.
                – Sì, sono io. – aveva risposto. Riusciva a parlare e a vederlo, ma il corpo non riusciva a controllarlo.
                – Sei tu? – chiese lui confuso.
Sì, era lei. Ma aveva questa strana voglia di vederlo soffocare. Non riuscì nemmeno a rendersene conto che si era fiondata su di lui in un combattimento corpo a corpo.
Non capiva cosa stesse succedendo. Cercò di controllarsi, ma continuava a tirargli pugni o calci. Lui la immobilizzò da dietro.
                – Silvia ascolta la mia voce. – sussurrò piano.
                – Nico la sento, ma il mio corpo reagisce da solo. – mormorò lei.
Il ragazzo si deconcentrò e Silvia ebbe la possibilità di tirargli una gomitata sullo stomaco.
                – Scusa! – esclamò, vedendolo piegato in due.
Gli prese un braccio e con una mossa veloce lo fece cadere a terra. Gli si piazzò sopra, immobilizzandolo. Dal suolo uscirono delle radici nere che lo ancorarono al suolo. Le radici avevano spine che gli graffiarono la pelle scoperta. Nico si dimenava, ma non sarebbe mai riuscito a liberarsi. Poi, qualcosa si materializzò tra le mani di Silvia. Stringeva sicura un pugnale nella mano destra mentre era a cavalcioni sopra a Nico.
                – Silvia… – mormorò il ragazzo spaventato.
Le mani della ragazza si unirono sul pugnale e lo puntò al petto del ragazzo.
                – Non voglio. Non voglio farlo. – balbettò lei terrorizzata. – No! Non voglio! – urlò cercando di opporre resistenza alla forza che avvicinava sempre di più la punta del pugnale al petto del ragazzo di cui era innamorata. Si concentrò, ma la testa le stava scoppiando e le braccia le bruciavano. Lacrime salate cominciarono  a scivolarle sul viso, temendo il peggio.
                – Silvia. – la chiamò Nico. – Andrà tutto bene.
                – No, no, no, no, no, no. – mugugnò in preda al panico. Il suo sguardo cadde sul viso del ragazzo. Era tranquillo e la guardava con gli occhi colmi d’amore.
                – Va tutto bene. – le ripeté con un sorriso.
                – Nico… – disse il suo nome come una preghiera mentre la lama continuava ad avvicinarsi. Non poteva, non poteva ucciderlo. Doveva fare qualcosa. Non poteva vivere senza di lui. Non dopo tutto quello che era successo fra loro. Ma certo: il suo desiderio di salvarlo era più potente del suo desiderio di vivere.
Con tutta la forza che aveva in corpo spostò la direzione della lama verso il suo petto. Lo sguardo di Nico divenne di terrore.
                – Silvia no. – cercò di fermarla. – Non farlo!
Ma quando vide che Nico era salvo, smise di opporre resistenza e il pugnale andò a conficcarsi nello stomaco. Il respiro le si mozzò e sentì il corpo che si liberava dal potere di Gea.
Il grido di Nico fu straziante mentre lei gli ricadeva sul petto. Le radici si ritirarono e lui la circondò con le braccia, facendo scomparire le tenebre attorno a loro.
                – Silvia guardami. – la chiamò mentre Will si avvicinò a loro. – Resta sveglia okay?
Lei aveva annuito, ma era troppo stanca per eseguire il suo ordine, per cui svenne.
 

Entrò in infermeria e alzò lo sguardo verso il letto occupato.
                – Dove sei stata? – la salutò Nico alzandosi immediatamente a raggiungendola.
                – Ciao anche a te. – rispose lei sorridendo. – Jason voleva parlarmi.
                – Ti sei pugnalata lo stomaco e Jason vuole parlarti? Io lo uccido quello lì. – ringhiò, cercando di uscire dalla porta.
Silvia gli si parò davanti per bloccarlo.
                – Sto bene. – disse scoccandogli un veloce bacio sulle labbra.
Questo lo calmò e gli addolcì lo sguardo.
                – Tu sei tutta pazza. – la rimproverò dolcemente.
Lei scoppiò a ridere e lo invitò a fare una passeggiata nel bosco. Lo portò fino alla capanna di  edera che aveva costruito molti mesi prima. Si stesero dentro e rimasero abbracciati giocando con i raggi del sole che penetravano dai fori fra il fogliame.
Passarono velocemente le ore e le sette arrivarono forse troppo in fretta.
                – Dovremmo andare a cena. – gli disse cercando di alzarsi.
Lui la tenne ferma e avvicinò il loro visi.
                – Possiamo anche arrivare un po’ dopo. – sussurrò con voce maliziosa.
Silvia arrossì. Non tanto per quelle parole, ma soprattutto perché temeva che qualcuno avesse potuto sentirli.
                – Andiamo a mangiare e ti prometto che dopo cena abbiamo tutto il tempo per noi due. – gli rispose dolcemente per poi invitarlo fuori.
Quando si rialzarono, davanti a loro un tavolo da dieci persone con una torta e i sette davanti li stava aspettando.
                – Buon compleanno Nico! – gridarono in coro. C’era pure Will con loro che aveva aiutato Leo con i regali.
Il figlio di Ade rimase bloccato davanti a quello spettacolo, ma poi fece un leggero sorriso.
                – Grazie ragazzi.
Lo invitarono a sedersi e cenarono lì, nel bosco ai margini della scogliera. Risero tanto e si raccontarono la giornata. Dopo la torta fatta da Jason, Piper e Percy (un delizioso teschio di glassa e cioccolato), Nico aprì i regali. Da Will ricevette degli occhiali da sole neri, tipico di un figlio di Apollo. Da Leo e Frank una maglietta nera con scritto “The diffrence between pizza and your opinion is that I asked for pizza.” In tipico stile italiano. Da Percy e Jason un paio di boxer con dei teschi sopra. L’imbarazzo da parte di Nico è stato esilarante. Da Piper e Hazel un bellissimo fiore di crisantemo fatto con pietre preziose.
                La cena finì verso tardi e i ragazzi se ne andarono dopo che Leo bruciò tutto, senza aver bisogno di sparecchiare. Si scambiarono la buonanotte e ognuno andò nella propria cabina.
Nico e Silvia rimasero ancora un po’ lì, da soli.
                – Grazie della festa. – le disse prendendole la mano.
                – Aspetta a ringraziarmi, manca ancora il mio di regalo. – prese una piccola scatolina blu nella tasca dei pantaloni e le diede a Nico.
                – Credevo che amarmi, fosse già il regalo più bello potessero farmi. – disse sorridendo.
                – Aprilo e basta. – gli ordinò Silvia cercando di trattenere l’emozione.
Nico obbedì e aprì la scatoletta, svelando il suo contenuto. Prese in mano la piccola perla e la rigirò fra le mani.
                – Giorni fa’, mentre giravo con Percy per i fondali, ho trovato questa madreperla. – gli spiegò Silvia avvicinandosi a lui. – Mi ha detto che non ne aveva mai vista una così.
In effetti era unica nel suo genere. Aveva un colorito sul nero, ma se si faceva risplendere alla luce sembrava argento.
                – Ho pensato a te e a quello che abbiamo. Che alla fine è speciale. – cercò di fargli capire lei. – Il nostro amore è qualcosa di speciale e unico.
Nico l’abbracciò e la baciò.
                – È il regalo più bello. – le disse con il volto nascosto fra i suoi capelli. – Subito dopo di te.
Lei lo strinse a sé e pregò ogni dio o dea possibile per far sì che quel momento non finisse mai.
 
 
                

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Capitolo 33
*** La Giornata Si Propaga Nel Peggiore Dei Modi ***


La Giornata Si Propaga Nel Peggiore Dei Modi

SILVIA



                – Allora come vanno gli allenamenti? – le chiese Piper a colazione.
                – Benissimo. – rispose sinceramente Silvia, aggiungendo un sorriso.
                – Se non vogliamo considerare che due giorni fa stava per farmi risucchiare da un vortice verso gli Inferi. – si intromise Percy.
                – E che ieri mi è venuta addosso e sono svenuto a mezz’aria. – continuò Jason.
                – Ma ti ho salvato prima che cadessi! – si difese Silvia.
                – Dentro ad una crepa che arrivava al centro della terra.
                – Mi confondo a volte. – cercò di spiegarsi mentre tutti si mettevano a ridere.
Piper le mise una mano sulla spalla. – Ti serve solo tanto allenamento.
                – Con le ombre è davvero brava però. – si complimentò Frank.
                – Ah, ma allora con Nico ti alleni pure. – disse Leo. – Credevo che passaste il tempo in altri modi.
I ragazzi scoppiarono a ridere mentre Silvia e Hazel diventavano tutte rosse.
                – Per favore, non traumatizzare il nostro dolce piccolo Nico. – continuò il figlio di Efesto.
                – Leo! – lo fermò Hazel.
In quello stesso momento arrivò Nico di corsa. Era tutto sudato e pallidissimo. Si accasciò sul tavolo mentre i ragazzi gli si radunavano intorno.    
                – Nico, tutto bene? – chiese Hazel.
Il ragazzo alzò lentamente il volto dal tavolo di pietra e riuscì a mettersi in piedi aiutato da Jason e Percy che lo sorreggevano. Silvia cercò i suoi occhi per capire cosa fosse successo, ma li trovò vuoti e di uno strano grigio.
                – Ho…parlato con i morti… – spiegò con voce stanca. Sembrava che ogni parola gli facesse male.
                – Portiamolo da Chirone. – ordinò Percy, sistemandoselo meglio sulle spalle.
Silvia ebbe paura. Un brutto presentimento le diceva che era successo qualcosa che non andava affatto bene. Si mise alla destra di Jason e restò vicina al gruppo, ma in silenzio.
Arrivarono da Chirone mentre era seduto sul porticato della Casa Grande, stava leggendo e, appena vide Nico, si alzò sulle quattro zampe equine e ci chiese cosa fosse successo.
Percy e Jason fecero sedere Nico su di una sedia e gli diedero dell’ambrosia per riprendersi.
                – Sono andato negl’Inferi per svolgere delle faccende, – cominciò vagamente. – e ho colto l’occasione per parlare con i morti. Mi hanno detto che Ade sta architettando qualcosa… – si bloccò per guardare Silvia. – Hanno detto che ha visto che Gea si stava impossessando di lei e che stava per uccidermi… Mi dispiace…. Sarei dovuto stare più attento…. – mormorò infine.
Silvia gli si avvicinò e si inginocchiò mettendogli una mano sulla gamba, per fargli capire che andava tutto bene, che aveva fatto anche troppo per lei.
                – Dite che andrà dagli altri dei? – chiese Percy.
                – Ade è orgoglioso. – disse Nico. – Ma quando si tratta di Gea, chiamerà sicuramente gli altri dei.
                – Cosa possiamo fare? – chiese Piper, visibilmente preoccupata. – Ci attaccheranno?
                – Se opporremo resistenza, sì. – rispose Chirone. – Il loro primo obbiettivo sarà uccidere Silvia e ormai tutti sappiamo chi può farlo. – gli sguardi caddero su Percy, Jason e Nico.
                – Domani riproverò a parlare con i morti, per scoprire quando hanno intenzione di attaccare. – disse Nico, sicuro.
                – Dobbiamo essere pronti a proteggerla. – intervenne Jason. – Io proverò a parlare con gli spiriti del vento se hanno sentito Zeus.
                – E io con le neriadi. – continuò Percy.
                – Fermatevi tutti. – disse Silvia con voce pacata. I ragazzi la fissarono. – Prima di prendere decisioni affrettate, capite che se mi vorrete proteggere andrete contro i vostri genitori?
                – Sai che novità. – brontolò Piper.
                – Silvia ha ragione, – puntualizzò Chirone. – Ognuno di voi dovrebbe andare contro il proprio genitore e non voglio sapere cosa succederebbe se si passasse ad una vera e propria guerra.
Fu silenzio.
                – Avevo giurato sul fiume Stige che se Gea sarebbe riuscita a risvegliarsi, l’avrei fermata per prima. – cominciò Silvia alzandosi. – Per cui, ora, vi chiedo di distruggerla.
Tutti la fissarono come se fosse impazzita.
                – Non se ne parla.
                – Ma sei impazzita?
                – Questo vorrebbe dire che ti dobbiamo uccidere!
                – Lo so. – rispose. – Lo so. Ma io l’ho giurato ed è l’unico modo.
                – Silvia, troveremo un altro modo. – disse Piper con la voce tremante. – Ma non posso perdere un’altra amica. – mormorò. Jason l’abbracciò.
                – Nemmeno io vorrei perdervi, ma è l’unico modo. – disse sicura voltandosi verso Chirone.
Lui aveva lo sguardo triste. – Non sappiamo ancora se vorranno attaccare. Quando lo sapremo potremo parlare di soluzioni drastiche. Per ora tornate alle vostre attività.
I ragazzi eseguirono l’ordine e si avviarono verso l’arena, ma il morale era sotto il suolo.
La cosa peggiore fu quell’orribile formicolio che colpì improvvisamente Silvia. La vista le si annebbiò e temé per un nuovo attacco da parte di Gea. L’ultima cosa che vide furono gli occhi preoccupati di Nico.
                Si risvegliò in un luogo buio.
                – Ciao, figlia mia. – disse una voce che riconosceva fin troppo bene.
                – Basta! – gridò la ragazza con tutte le sue forze. – Smettila! Non ti voglio più sentire! Vattene!
                – Ma sono parte di te. No potrò mai andarmene. – continuò sua madre. –  E il momento è giunto, figlia mia. È arrivato il momento che io risorga. E questo accadrà solo grazie a te.
Lacrime cominciarono a scendere bagnando il viso della ragazza. Era esausta.
                – Dovrai stare attenta però. Prima del mio risveglio, gli dei vorranno fermami, uccidendoti. – continuò la dea senza ascoltare la figlia. – Dovrai riuscire a tenerli a bada. Poi, domani, quando mi sveglierò, loro cadranno ai nostri piedi.
Silvia non rispose. Sapeva che non sarebbe servito a nulla minacciarla o maledirla. Lei aveva scelto il giorno e il suo piano si sarebbe avverato.
                Aprì gli occhi sentendo Nico che chiamava il suo nome.
Quando vide di nuovo i suoi occhi, avrebbe voluto morire. Non poteva più fare niente. Era completamente inutile.
                – Gli dei mi cercano. – disse semplicemente. – Verranno da me domani.
Voleva solo piangere e dire che le dispiaceva, che aveva fatto di tutto per respingerla, ma che no ci era riuscita.
                – Allora dovremo difenderti. – rispose Nico determinato.
Avrebbe voluto dirgli di no. Di scappare e di nascondersi da qualche parte prima della fine di tutto. Ma non lo disse, perché una verità le fece la mente limpida.
Senza chiedere il permesso a nessuno cominciò a correre. Corse via, il più veloce possibile. E continuò a correre sempre più convinta di quello che stava facendo. Corse lontano, verso la sua cupola d’edera. Sapeva cosa fare.
Quando arrivò, cercò di riprendere fiato e di controllare il battito. Si assicurò che nessuno l’avesse seguita e drizzò la schiena. Nico le aveva insegnato bene come fare. Chiuse gli occhi e liberò la mente. Si concentrò sull’oscurità che scorreva nelle sue vene e si aggrappò a quell’orribile sensazione di terrore e di morte. Poi invocò il potere di Ade e quello dei morti, per farla tornare dove apparteneva.
Sentì il corpo che aveva triplicato la propria forza di gravità verso la terra e quando riaprì gli occhi, non c’era più la luce accecante del sole. E si domandò se quel posto avesse mai visto come fosse fatto un raggio di sole.
Gli Inferi l’accolsero nell’ombra della morte.
                – Ade. – lo chiamò con voce ferma. – Devo parlarti.
Non credeva che il dio avesse risposto, ma quando le apparve davanti, si ricredette.
                – Mio figlio ti ha insegnato bene vedo. – constatò il dio dei morti. – Ma non l’educazione. Vieni nel mio regno senza un invito o un minimodi preavviso come se ti appartenesse.
                – Gea si risveglierà domani. – arrivò dritta al punto la ragazza. – E sono qui per chiederti un favore.
               
 

NICO
Aveva lasciando andare via Silvia. Forse voleva stare solo un po’ da sola.
                – Dovremo davvero ucciderla? – mormorò Hazel.
Nico non rispose. Non voleva nemmeno pensarci a quell’ipotesi.
                – No. – lo precedette Percy con voce dura. – Troveremo un altro modo. Sono stanco di vedere miei amici che muoiono.
Quando videro Silvia tornare non riuscirono a riconoscerla subito. Era pallida e sembrava malaticcia. Nico l’abbracciò e lei ricambiò debolmente. Solo un posto ti riduceva così, e Nico lo sapeva bene.
Andarono di nuovo a parlare con Chirone che fece riunire tutti i capi delle case e Reyna per discutere. La questione si stava facendo grave.
 
 
 
SILVIA
               

Erano tutti riuniti nella Casa Grande. I capi cabina, Reyna, Hazel, Frank, Leo, Grover, Chirone e Silvia. L’aria era tangibilmente agitata e confusa.
                – Domani gli dei arriveranno e faranno di tutto per uccidere la nostra giovane amica. – disse Chirone, mesto. Silvia fu contenta di essere considerata una loro amica. In un certo senso, in quei mesi si era decisa che come famiglia, quella era decisamente perfetta. – Lo fanno senza motivo. Per pura paura. Per cui, sta sera, sono qui a chiedervi se sarete dalla nostra parte. Se deciderete di combattere contro i vostri stessi genitori.
Fu silenzio.
Nessuno parlò per tanto tempo. Forse troppo. Il suo piano avrebbe potuto uccidere molti di loro e per questo Silvia si odiava. Non disse che pure Gea progettava di risvegliarsi l’indomani. Sperava solo che tutti avrebbero collaborato.
                – Io combatterò – disse Leo, alzandosi in piedi. – con te. E contro mio padre.
                – Anche io combatterò con te. – disse Percy affiancando il figlio di Efesto.
                – Sarò fiero di combattere al tuo fianco. – aggiunse Jason con un sorriso.
                – E i romani saranno con te. – lo imitò Reyna.
Piper si alzò. – Io e mia madre non andiamo poi tanto d’amore e d’accordo. – ridacchiò.
Hazel  e Frank si alzarono insieme annuendo.
E infine, uno dopo l’altro, i vari capi delle case si alzarono e annunciarono che avrebbero combattuto dalla sua parte. Silvia si lasciò scappare una lacrima. Quei ragazzi stavano andando incontro a morte certa e contro ai propri genitori sole per proteggerla.
Ma c’era ancora un’ombra, nell’angolo scuro della stanza, che non aveva parlato. Il figlio di Ade si levò in piedi in tutta la sua fierezza di Re degli Spettri.
                – Io combatterò. – disse cupo. Poi si voltò verso Silvia, incrociando il suo sguardo. – Tu no.
                – Nico… ma… – Silvia non capiva.
                – Nico. – intervenne Chirone. – Capisco la tua preoccupazione per lei, ma può farcela tranquillamente. E molto forte.
                – No. – lo fermò. Nico era più serio che mai e nessuno gli avrebbe fatto cambiare idea. – Non possiamo rischiare.
                – Tu non puoi. – lo corresse Percy.
                – E con questo cosa vorresti dire, Jackson? – lo sfidò Nico fissandolo come se volesse ammazzarlo con lo sguardo.
                – Anche io ho perso Annabeth. E l’ho persa proprio quando le avevo impedito di combattere, quando ero sicuro che lontano da me, sarebbe stata al sicuro. – il tono del ragazzo era calmo, non lo stava minacciando.                 – Non fare il mio stesso errore.
Ma Nico era accecato dalla rabbia.
                – Voi non capite! Non capirete mai! – ringhiò fissando tutti i presenti. Poi tornò immediatamente calmo e uscì dalla stanza con passi lunghi e veloci.
                – Io… io non…
                – Non ti preoccupare Silvia. – la rassicurò Jason. – È solo molto protettivo e confuso.
                – Noi sappiamo che puoi combattere. Devi combattere. – continuò Percy. – Abbiamo bisogno si te.
Silvia gli rivolse un triste sorriso. I vari ragazzi si misero a parlare di una strategia di attacco e difesa insieme ai romani per coordinare i due campi. Ma lei non stava ascoltando. Lei stava pensando al suo piano.
Sarebbe andato tutto bene, se tutti avessero seguito  i propri compiti.
Uscirono dalla Casa Grande che era notte ormai. La riunione era durata parecchio e tutti erano visibilmente stanchi.
                – Andate tranquillamente verso le vostre capanne. Le arpie hanno un notte libera. – li rassicurò Chirone.
                – Notte. – la salutò Percy allontanandosi con gli altri ragazzi. Lei accennò ad un veloce gesto con la mano, ma il sorriso triste non si tolse dal suo volto. Sì, era preoccupata per il giorno seguente. Tutto sarebbe potuto finire male ed il suo piano non avrebbe potuto funzionare.
Si incamminò lentamente verso la capanna di Ade, sperando che Nico si fosse calmato. Ma quando arrivò a qualche metro dalla porta, lo vide mentre la fissava con le braccia incrociate al petto, accusatorio. Le fece cenno di seguirlo e lei, non obiettò. Si stava dirigendo verso il bosco e lei continuò a camminare dietro al passo pesante e svelto di un Nico Di Angelo visibilmente arrabbiato.
Arrivarono al pugno di Zeus dopo un buon quarto d’ora di camminata. Lì si fermò, finalmente, si voltò verso la ragazza che si trovava qualche metro da lui ed esplose.
                – Dimmi che non ci andrai domani! Dimmi che non lo farai! Dimmi che andrai dall’altra parte del mondo e che ti nasconderai fino a quando tutto sarà finito! – stava urlando.
                – Dimmi che non farai la stupidaggine di svegliarti domani mattina e di andare lì fuori a morire!
La ragazza gli si avvicinò, lentamente, mentre l’altro continuava a gridare.
                – Dimmi che non mi farai questo! Dimmi che prima scherzavi! Che lo hai detto solo per sembrare coraggiosa!
Silvia era concentrata su quegli occhi maledetti. Solo gli dei sapevano cosa avrebbe dato per rimanere a guardare quei dannati occhi per sempre.
                – Dimmi che non ci stavi pensando! Dimmi quello che vuoi ma dimmi qualcosa perché sto impazzendo…. – mormorò infine il ragazzo, perdendo improvvisamente tutta la sua audacia.
Silvia era a pochissimo centimetri dal suo viso e  riusciva a sentire il suo respiro affaticato.
Era così dannatamente difficile non amarlo. E allora fece la cosa che le sembrava più giusta in quel momento: congiunse le loro labbra e unì i loro corpi.
Un’ondata di dolce freschezza le fece correre una sottile vibrazione per la spina dorsale mentre lui si abbandonava completamente a lei. Inizialmente rimase rigido, quasi timoroso. Poi le sue mani percorsero la schiena della ragazza lasciando una scia di brividi al tatto.
Le vorticava lo stomaco e il cuore stava facendo l’acrobata di un circo, fu l’abbraccio di Nico e tenerla attaccata al suolo.
Non seppe quanto durò, ma quando si staccarono, avevano entrambi il fiatone. Forse più per l’emozione del momento.
                – Ed è per questo che domani non posso vederti morire. – sussurrò Nico, tenendola stretta a sé quasi avendo paura di lasciarla andare.
                – Io devo combattere. – gli spiegò Silvia mentre si perdeva a guardarlo negli occhi a così pochi centimetri dai suoi.
                – Non posso perderti, lo capisci? – mormorò. – Con te sono finalmente felice. – poi, guardandola con gli occhi lucidi le disse: – Io credo di amarti.
E Silvia si accontentò di quel “credo” che urlava sicurezza.
                – Anche io ti amo. – gli disse sorridendo. Poi tornò abbassò il tono della voce. – Ma domani devo combattere, anche se non voglio. Gea ha un piano e io devo fermarla. Solo io posso. E poi, Percy mi ha insegnato abbastanza bene a tenere in mano una spada.
Lo vide sorridere leggermente.
Tornò seria, fissandolo negli occhi: – La natura, la Terra, hanno un ciclo vitale. – cominciò. – Tutto nasce o muore per mantenere l’equilibrio. Per cui, se io domani dovessi morire, vuol dire che era destino. – mostrò un triste sorriso. – Me lo hai insegnato tu che ci sono morti che non di possono evitare.
                – Sì, ma non la tua. – le rispose.
Silvia non obbiettò più. Sapeva che destino l’avrebbe attesa l’indomani e sapeva che Nico avrebbe fatto di tutto per salvarla. Per cui gli disse: – Abbiamo sta notte, non pensiamo a domani.
Lui la guardò con quegli occhi neri pieni d’amore e unì le loro labbra in un bacio dolce e caldo. La strinse a sé con forza facendo aderire tutto il suo corpo a quello della ragazza. Sembrava che volesse fondersi con lei, per non dover sentire più la sua mancanza. Le ombre inghiottirono io due innamorati, trasportandoli nella camera di Nico. La luce entrava dalla finestra e illuminava la piccola stanza con un semplice letto, un armadio e una piccola scrivania.
Le mani si Silvia scivolarono sotto alla maglietta di Nico sentendo la pelle fresca e dura dei suoi pettorali. Il ragazzo emise un gemito, per cui Silvia si staccò per guardarlo negli occhi.
                – Non voglio costringerti a fare qualcosa che non vuoi. – le sussurrò, visibilmente in imbarazzo.
                – Abbiamo entrambi diciassette anni ormai. E io voglio. – credeva in quello che diceva. Forse quella sarebbe stata l’ultima notte con Nico e non voleva sprecarla.
Il ragazzo si mise una mano dietro al collo. – La verità e che….io sono ancora….insomma….non ho mai….
                – Nemmeno io. – lo rassicurò con il tono di voce senza un velo di paura. – Ti amo. È questo l’importante. – gli bisbigliò all’orecchio.
Nico sembrò rilassarsi e la cinse con le sue forti braccia, avvicinandola ancora a sé. Ricominciò a baciarla a l’adagiò sul suo letto ancora disfatto. Le lenzuola nere fresche, a contatto con la pelle nuda di Silvia, le lasciarono una piccola scossa lungo la spina dorsale. Nico si mise sopra di lei, ricoprendola con il suo corpo, ma senza schiacciarla. Lei gli sfilò la maglietta nera, lasciando scoperto il dorso scolpito del ragazzo. Dei se era bello.
Lui cominciò a baciarle le labbra, lentamente e dolcemente, per poi scendere verso lo zigomo arrivando al collo. Le sue mani le alzarono la maglietta arancione del campo, lasciandola in intimo. Continuò il suo percorso sulla clavicola, passando per il seno, poi seguendo la linea dritta della pancia le baciò l’ombelico.
Silvia si aggrappò alla sua schiena, alle sue spalle forti, ai suoi capelli, quando le sfilò i pantaloni e di conseguenza i suoi.
Lui tornò con il viso all’altezza dei suoi occhi e intrecciando le sue cita con quelle della ragazzo le sussurrò un dolce e profondo: – Ti amo.



I know it's late, I know you're weary 
I know your plans don't include me 
Still here we are, both of us lonely 
Longing for shelter from all that we see 
Why should we worry, no one will care 
Look at the stars so far away 
We've got tonight 
Who needs tomorrow? 
We've got tonight 
Why don't you stay? 





Nota dell'autrice: Siamo arrivati praticamente alla fine, non mollatemi proprio adesso.

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Capitolo 34
*** Questa E' La Fine? ***


Nota dell'autrice: Chiedo umilmente perdono.... So che è passato un sacco di tempo, ma sono stata molto impegnata (a non far niente) e volevo che questo ultimo capitolo fosse perfetto..... ho detto ultimo?.... mmmm... potrebbe anche essere l'ultimo... *risata malefica mentre mangia dei biscotti*




Questa È La Fine?


NICO



Si risvegliò nel suo letto abbracciato a Silvia.
Lei aveva ancora gli occhi chiusi e pure con i capelli scompigliati era bellissima. Rimase a fissarla, perdendosi nei più piccoli particolari del suo viso. Si sentiva bene e appagato. Non credeva di potersi sentire così, non dopo tutto quello che aveva passato.
Le accarezzò la guancia con la punta delle dita, temendo di svegliarla.
Il sole non era ancora sorto, ma il giorno era arrivato.
Improvvisamente quel senso di calma e di felicità lo abbandonò. Non voleva vederla morire, non voleva perderla. Con lei era finalmente completo e nessuno avrebbe mai potuto…
                – Ehi Nico, ti stavamo oh… – Leo entrò, come sempre, senza bussare. Rimase sulla soglia con la mano sulla maniglia a fissare la schiena nuda di Silvia e il braccio di Nico attorno al suo corpo.
                – Ho interrotto qualcosa? – chiese con un sorrisetto e alzando le sopracciglia.
Nico alzò il lenzuolo per nascondere la ragazza alla vista di Leo.
                – Valdez, esci. – ordinò il figlio di Ade.
                – Posso prendere la macchina fotografica? Nessuno ci crederebbe le lo raccontassi.
                – Valdez. Fuori. Subito. – ripeté Nico fissandolo con sguardo assassino.
                – Okay, ma posso almeno fare…
                – Valdez! – ringhiò Nico facendo diventare immediatamente fredda l’aria.
                – Vado via, vado via! – si difese il ragazzo alzando le mani in segno di resa. – Però vedete di sbrigarvi che qui sta per iniziare una guerra. – disse per poi lasciarli finalmente soli.
Silvia intanto si era svegliata e si mosso lentamente nel letto cercando rifugio nel cuscino.
                – Non voglio andare… – mormorò con la voce ovattata.
Nico le accarezzò lentamente i capelli. – Pure io vorrei restare così per sempre. – cercò di non far trasparire la sua tristezza nel tono della voce. – Facciamo questa e poi sarà tutto finito.
Silvia si alzò di colpo e si rivestì velocemente. – Sì, tutto finito… – disse a bassa voce, forse più a se stessa che a lui.
Dopo una doccia uscirono dalla capanna tredici diretti alla Casa Grande. Erano già tutti con le divise da guerra. Nico infilò un armatura e impugnò la sua spada nera mentre Silvia rimase fissa a guardare lontano. Le si avvicinò lentamente e le mise una mano sulla spalla: – Va tutto bene?
                Lei scosse la testa, come se si fosse appena svegliata e gli sorrise semplicemente.
Aveva paura per lei, questo è certo.
Percy li fece riunire alla base della collina. Romani e greci uniti per proteggere la figlia di Gea, qualche mese prima sarebbe stato ridicolo anche solo pensarci.
 
 

SILVIA
 


Si sistemò velocemente l’armatura, senza badare a legarla bene. Non le sarebbe servita.
Per sbaglio incrociò lo sguardo con Hazel che stava raggiungendo il gruppo con Frank. La ragazza fece un triste sorriso per poi distogliere lo sguardo. Il morale di Silvia si risollevò per un attimo, il suo piano avrebbe funzionato.
                – Allora ragazzi! – li richiamò Percy alzando la spada. Tutti i semidei si voltarono a fissarlo. – Oggi siamo qui per proteggere un’amica, ma soprattutto per fermare Gea. – Percy la guardò. Silvia capì e si avvicinò a lui. Quando lo ebbe affiancato guardò in faccia tutti i semidei e prendendo coraggio disse: – Sono qui per chiedervi di uccidere Gea se prenderà il controllo. E vi prego ti non esitare a fermarla.
Con questo sottintese: “Uccidetemi se vedete che do’ di matto.”
I ragazzi la fissarono, alcuni amareggiati, altri sicuri. Li guardò uno a uno. Quella era la sua famiglia.
Improvvisamente si sentì un boato e poi una forte luce. Gli dei erano arrivati.
Erano in fila sulla cima della collina e fissavano i figli con aria truce. Indossavano armature e la loro aura era più potente del solito.
                – Non vogliamo voi, vogliamo solo la ragazza. – grugnì Zeus con voce tuonante. – Ma se vi opporrete, sapete quale sarà la vostra fine.
Nessuno si mosse, l’aria era elettrica.
Silvia impugnò la spada fermamente, pronta a combattere fino al momento giusto. Doveva salvarli.
Il re degli dei, vedendo che nessuno scappava, alzò la folgore al cielo e con un grido di guerra fece cadere delle saette a pochi metri dai semidei. Spiriti della tempesta si abbatterono sui romani e correnti fortissime fecero quasi cadere i greci.
Si sentirono ringhi di chimere e segugi infernali. Gli dei non avrebbero combattuto, i mostri sarebbero state le loro armi.
Silvia ritrovò coraggio: stavano seguendo il suo piano.
Un branco di mostri si sporse ai piedi degli dei. Ringhiavano e ululavano. Quando cominciarono ad avanzare velocemente verso la base della collina, Percy alzò la spada e seguito da Reyna, porto avanti l’esercito di semidei.
Silvia non avrebbe voluto arrivare a tanto, ma bisognava stuzzicare la bestia per farla uscire.
 
 
             Non sapeva da quanto stava combattendo, ma le sembrò un’eternità. Molti ragazzi erano finiti in infermeria e lei a stento si reggeva in piedi.
Era davanti ad un segugio infernale con gli occhi rosso sangue. Strinse l’elsa della sua spada e lo aggredì. Cercò di puntale alla gola ma il pelo del mostro ero troppo grosso per poterlo perforare facilmente. Per cui si spostò velocemente di lato, prima di prendere una zampata sul fianco. Si tenne la coscia dolorante dall’ultimo scontro e  cercò di non pensarci. Indietreggiò lentamente e quando vide che il mostro stava per attaccare, fece uscire dal suolo una radice che lo perforò facendolo diventare polvere in un secondo.
Iniziò a sentire le mani che tremavano e una strana sensazione che le percorreva le vene. Doveva continuare ad usare i poteri della terra.
Si voltò verso il campo di battaglia.
Vide Jason lottare in volo contro degli spiriti della tempesta, Hazel era poco lontano con Piper al suo fianco. Riuscì perfino a vedere Jude che aiutava un gruppo di figli di Apollo ad abbattere una chimera.
Sentì un urlo e si voltò vedendo una ragazza disarmata che stava per essere attaccata da uno scorpione gigante. Non aspettò un attimo e evocò tre radici che lo fermarono prima che la potesse pungere. Lo stritolò fino a quando non ne rimase un mucchietto di polvere.
               “Fermati figlia mia. Fra poco saranno tutti morti, non dovrai più salvarli.” La voce di Gea le rimbombò nella testa.
La ragazza la ringraziò con un cenno del capo e Silvia cercò altri ragazzi che avevano bisogno di aiuto.
Distrusse altri tre segugi infernali facendoli diventare degli alberi. Fermò un’arpia che stava per attaccare Leo con un pugno di terra gigante e racchiuse una buona manciata di spiriti della tempesta sotto al suolo. Era stanza, anzi stremata e la sensazione di freddo non voleva abbandonarla.
                “Stai diventando sempre più debole e io sempre più forte.” urlò Gea nella sua mente.
Ti tenne la testa dolorante.
                “Risorgerò!” gridò ancora.
Silvia ringhiò e aprì una crepa al suolo attorno a lei involontariamente. Cadde in ginocchio sentendosi incredibilmente pesante.
                “Cadi, figlia mia. Affinché io rinasca e distrugga questo mondo.”
Non seppe bene perché, ma per un attimo fece un salto indietro. Le venne in mente un giorno al Campo dove i fratelli Stoll le avevano appena fatto uno scherzo.
Quella mattina si era svegliata e appena uscita dalla porta era scivolata dentro ad una piscina di vernice arancione. Quando si rialzò, boccheggiante, qualcuno le tirò addosso lustrini colorati che le finirono anche in bocca. Scivolò almeno altre tre volte prima di riuscire finalmente ad uscire dalla piscinetta. Si tolse la vernice dagli occhi e vide che l’intero Campo la stava fissando. Alcuni stavano cercando di trattenere le risate e altri stavano aspettando terrorizzati che li uccidesse tutti. Cercò i responsabili, ma non trovò i fratelli Stoll.
I suoi amici le si avvicinarono ridendo a crepa pelle.
                – Sono alle scuderie. – le disse Percy cercando di asciugarsi le lacrime. – Si nascondono sempre lì dopo uno scherzo.
                – E mi hanno detto di dirti che la vernice è indelebile. – aggiunse Leo ridacchiando.
Silvia era fumante di rabbia. Si avviò verso le scuderie con passo pesante imprecando con tutte le parolacce che conosceva in italiano.
                – Che ha detto esattamente? – chiese Jason.
                – Non so che abbia detto, ma non mi sembrava nulla di carino. – affermò Leo.
Nico stava ridendo di gusto. – Voi non volete sapere davvero quello che ha detto. Ma il punto è che sta andando ad ucciderli.
Infatti i fratelli Stoll rimasero per un girono intero appesi a testa in giù ad un albero.
E ora, lì in ginocchio in mezzo al campo di battaglia, rise al ricordo.
Il freddo la pervase e sentì che Gea stava prendendo il sopravvento su di lei.
Sentiva che quello era il momento giusto.
Era il momento giusto per agire.
Cercò Hazel con lo sguardo e la raggiunse zoppicando. Le sembrava di essere di piombo.
La figlia di Plutone capì al volo e andò a nascondersi, pronta ad agire.
A quel punto lasciò che Gea prendesse il completo controllo del suo corpo.
                – Semidei! – la voce profonda della dea della terra uscì dalla sua bocca. – La vostra ora è finalmente giunta!
Percy e Jason si guardarono.
La terra cominciò a tremare e i ragazzi a stento riuscirono a restare in piedi. Gea gridò e fece una profonda crepa al suolo facendoci cadere dentro molti semidei.
                – Combatti con noi! – urlò Percy alzando la spada. – Sarà un gioco da ragazzi distruggerti una seconda volta!
Jason lo affiancò, pronto a colpire.
Poi, ad un certo punto, Nico si mise fra loro e Silvia.
                – Non possiamo farlo. Così uccideremo Silvia. – disse fermandoli.
                – Nico è l’unico modo!
                – No, non lo è! Deve esserci un altro modo! Deve….deve…. – i suoi occhi si velarono di una nebbiolina grigia. Hazel stava svolgendo il suo compito.
Nico si mise al fianco dei ragazzi e ringhiò: – Distruggiamola.
Silvia tornò immediatamente lucida, combattendo contro Gea. Sentì quelle parole e fu felice che il suo piano stesse funzionando.
                I tre ragazzi scatenarono i loro poteri colpendo la ragazza. Silvia sentì la potenza dell’acqua di Percy distruggerle le ossa. Sentì la forza dell’elettricità di Jason che le fece scoppiare la testa.  Sentì la disperazione dell’oscurità di Nico che le gelava il sangue.
Gea gridava dentro di lei e cercava di opporre resistenza. Venne alzata in aria, lontano dalla terra. Sentiva che le forze stavano per abbandonarla.
                – NO! – gridava Gea. – Non potete sconfiggermi ancora!
                – Avanti! Con più forza! – cercò di urlare Silvia con le poche energie che le erano rimaste. Si sentiva pesante e tutto il corpo le bruciava. I figli dei tre pezzi grossi scaricarono tutta la loro potenza contro di lei e sussultò dal dolore lancinante che le percuoteva il corpo.
Era la fine, se lo sentiva. Aprì lentamente gli occhi per l’ultima volta.
Vide Percy con le braccia allargate e il volto sudato per lo sforzo. Le ferite stavano ancora sanguinando ma non ci faceva caso. Dall’altro lato vedeva Jason con le braccia al cielo e la fronte corrugata per rimanere concentrato. Era contenta di aver trovato dei fratelli come loro. Dietro di loro, Piper con Leo e Frank stavano cercando in tutti i modi di tenere lontani i mostri che volevano attaccare i ragazzi. Hazel, nascosta, stava piangendo. Erano stati degli amici fantastici. Quella era la sua famiglia ed era contenta di sacrificarsi per loro. E appena tutto sarebbe finito, Percy sarebbe stato di nuovo felice.
Per ultimo guardò Nico con lo sguardo di ghiaccio. Non sapeva cosa stava facendo, ma era la cosa giusta.
                – Ti amo. – riuscì a dire.
Ovviamente non sentì, ma sperò che il ragazzo avesse recepito il messaggio.
Chiuse gli occhi alzando il viso verso il cielo.
Sorrise.
Era strano sentirsi vivi quando si era così vicini alla morte.
Poi non sentì più nulla.

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Capitolo 35
*** L'Ultima Speranza ***


L’Ultima Speranza


NICO



Gli fischiavano le orecchie e la vista era annebbiata.
Scosse la testa e strizzò gli occhi più volte prima di riuscire a capire dove fosse. Vide l’erba della collina del Campo. Alzò gli occhi e il cielo era coperto da uno strato di nubi. Strano, non succedeva mai lì.
Al suo fianco vide Percy con la testa china. Sentì dei singhiozzi, ma per il resto era silenzio.
                – Percy? – lo chiamò. Il ragazzo stringeva l’elsa della spada. – Percy, cos’è successo?
                – È finita Nico. – lo precedette Jason dall’altra parte. – È finita.
Se era finita, allora perché aveva quel tono di voce? Piper e Hazel li stavano raggiungendo e sua sorella era in lacrime. Le si avvicinò e la circondò con le braccia prima chi chiederle cosa fosse successo.
                – È morta. – la voce potente di suo padre precedette quella Hazel.
Nico si voltò di scatto. La figura di Ade si ergeva scura sopra ad un corpo sdraiato a terra. Si avvicinò lentamente, con il respiro che si faceva sempre più corto. Quando arrivò abbastanza vicino da distinguere i lineamenti del vis, seppur ricoperto di terra e sangue, si bloccò. Quelle guance, che solo poche ore prima stava accarezzando. Quelle labbra, che desiderava ardentemente baciare. Quegli occhi, che avrebbe voluto fossero aperti per guardarli ed immergersi almeno un’ultima volta.
Era morta.
Le si avvicinò ancora e improvvisamente sentì le ginocchia deboli, troppo deboli per reggere il peso di un’altra morte. Cadde al suo fianco in ginocchio, impotente, anche questa volta.
                – È venuta da me e mi ha spiegato il suo piano. – iniziò Ade, con voce fredda. – Era perfetto perché sapeva che tu non avresti collaborato. Ho parlato con gli dei, che hanno parlato a Jason, Percy e Hazel. – continuò senza ricevere attenzione da Nico. – Il piano ha funzionato, abbiamo sconfitto Gea.
                Nico non riusciva a parlare, non riusciva a pensare. A quale prezzo erano riusciti a sconfiggerla? Ma tanto, a chi importava di quello che provava lui? Nessuno. Solo ad una persona importava, ma quella persona non c’era più.
                – Inoltre, mi ha fatto promettere una cosa. – ricominciò il dio dei morti. – Quella ragazza sa essere molto persuasiva, devo ammetterlo. Percy? – chiamò il figlio di Poseidone, che alzò lentamente lo sguardo.
                – Credo che sia ora che tu saluti una persona. – disse Ade facendo apparire un ragazza al suo fianco.
Percy non ci credeva, nessuno ci credeva. Ade, il Signore dei Morti, che lasciava andare un’anima?
                – Abbiamo stipulato un accordo. La sua vita per quella di una persona importante. – spiegò ancora il dio. – Ha scelto Annabeth Chase, figlia di Atena.
Annabeth ci mise un po’ per capire dove fosse, ma quando vide gli occhi di Percy, non esitò a corrergli incontro. Le braccia del ragazzo la circondarono e per poco non caddero a terra.
                – Ciao testa d’alghe. – riuscì a dire Annabeth fra i singhiozzi di gioia.
Hazel e Piper le si avvicinarono e quando si fu staccata da Percy, l’abbracciarono insieme.
Annabeth era tornata.
Ma Nico non se n’era accorto. Stava ancora tenendo stretta la mano gelida di Silvia.
Non c’era vita in quel corpo, eppure stava continuando a cercarla.
                – Nico ora basta. – era stato suo padre a parlare. – Non c’è più niente da fare. È morta. Lasciala andare.
                – Lasciala andare? – le parole tremano di rabbia. – Lasciarla andare?! Era tutto per me! TUTTO! E voi me l’avete portata via! – la sua voce fece scuotere la collina. Tutti i semidei si voltarono a fissarlo impauriti.
                – Come avete potuto!? Potevamo cercare un altro modo per sconfiggere Gea!
                – Nico, cerca di essere ragionevole. – lo rimproverò Ade. – Lei ha scelto di morire per voi. Noi abbiamo solo assecondato il suo piano.
                – Avreste dovuto avvisarmi! Avreste dovuto fermarla! – ora si stava rivolgendo ai suoi amici. – Lo sapevate che non potevo stare senza di lei! Come avete potuto farmi questo?!
La terra continuava a tremare e lacrime salate scendevano sul volto di Nico. I pugni stretti fino a sbiancare le nocche. L’aria era gelida e il cielo ancora più scuro di prima.
                – Sono stufo di soffrire! Sono stufo di vedere persone che amo morire per colpa mia! – l’erba divenne gialla e la vita sembrò abbandonare quel posto. Solo un’altra volta Nico aveva fatto così, subito dopo una persona era morta.
                – Se devo vivere senza di lei, allora tanto vale non vivere affatto! – gridò con tutto il fiato che aveva in corpo. Un boato percosse la terra, fiumi di tenebre uscirono dal suo corpo creando una tempesta. La collina del Campo Mezzosangue si squarciò facendo uscire anime di dannati dagli Inferi. Nessuno aveva mai visto nulla di simile.
Nico urlò ancora e dopo che fu caduto di nuovo a terra, il silenzio tornò, come se niente fosse successo.
Nessuno si mosse. Tutti erano immobili a fissare Nico Di Angelo accasciato a terra. Si sentiva la morte nell’aria.
Mosse una mano e lentamente cercò di mettersi in piedi. Jason e Hazel gli corsero accanto, ma si bloccarono ad un metro da lui. Sentivano che se sarebbero avanzati ancora sarebbero morti.
                – Nico stai bene? – gli chiese Hazel preoccupata.
Il ragazzo si mise seduto e poi con calma in piedi. Annuì debolmente.
Poi sentì uno strano lamento venire da dietro di lui. L’aveva già sentito, era sicuro. Si voltò di scatto verso suo padre che stava fissando il corpo senza vita di Silvia. Vide che una mano si stava muovendo. Corse da lei e le prese il viso fra le braccia.
                – Silvia? Silvia? Mi  senti? – la chiamò ripetutamente aggrappato ad un ultimo briciolo di speranza.
Vide il suo volto contorcersi in una smorfia di dolore. Poi aprì lentamente gli occhi, mise a fuoco il volto di Nico e fece un leggero sorriso.
                – Sapevo che non mi avresti lasciata andare. – mormorò con un filo di voce.
Nico la strinse a sé deciso di restare così per sempre.
                – Il destino è compiuto. Noi possiamo andare. – annunciò Ade agli dei che in un lampo di luce, sparirono dal campo di battaglia.
                – Tu lo sapevi che l’avrei fatto? – chiese Nico incredulo al padre.
                – Questa era una morte che si poteva evitare. – disse solamente prima di sparire in una nube di tenebre.
Gli altri semidei si avvicinarono ai due ragazzi e Hazel abbracciò Silvia. Nico la sollevò per portarla in infermeria. Non si era mai sentito più vivo prima.
 
 



EPILOGO
 
               
               
                – Hai preso le chiavi? – le chiese.
                – Per la milionesima volta: sì. – rispose Silvia entrando in macchina. – Ora però sbrigati che arriviamo in ritardo.
Nico mise in moto e si immerse nel traffico di New York.
                – Dici che Percy e Annabeth verranno? – chiese Silvia mentre fissava fuori dal finestrino. Le giornate diventavano più calde e l’arrivo dell’estate si sentiva. Dopo un inverno pieno di studi erano contenti di tornare a casa per il loro lavoretto estivo.
                – Certo. Nuova Roma non è poi così bella. Si sono presi un impegno al Campo e lo rispetteranno. – la rassicurò mentre prendeva la strada per Long Island.
                Posteggiarono la macchina alla base della collina e fecero il resto della strada a piedi. Nico le prese la mano e sentì le punte delle dita pizzicare.
                – Lo senti ancora? – chiese Silvia guardando le loro mani unite.
                – Sì, ma è normale. – spiegò.
Da quando l’aveva salvata, la loro anima era di nuovo divisa. Suo padre gli aveva spiegato che una parte della sua, ora era permanentemente nel corpo di Silvia. A lui andava bene, gli bastava averla accanto.
                Arrivarono sulla cima della collina e attraversarono il pino di Talia.
Il Campo era già pieno di ragazzi.
                – Siete arrivati finalmente! – li salutò Leo venendogli incontro insieme a Calypso. Le ragazze si abbracciarono.
                – È colpa di Nico. Deve controllare venti volte la casa prima di uscire. – ridacchiò Silvia dandogli poi un bacio sulla guancia.
                – L’abbiamo presa da poco, non voglio che si rovini dopo solo un anno. – si giustificò.
                – E come vanno gli studi? – chiese Calypso.
                – Anche se l’ho appena iniziata, adoro già l’università. – iniziò Silvia. – I corsi di botanica sono fantastici e sono nella squadra di nuoto.
                – Solo perché hai l’influenza di Poseidone. – disse Percy raggiungendo il gruppo insieme a Jason, Piper e Annabeth.
Dopo la battaglia, Silvia aveva perduto i poteri di Gea, ma le influenze dei tre pezzi grossi le erano rimaste, così rimaneva una delle semidee più potenti del nostro secolo.
                – Oppure sono più brava di te. – lo canzonò.
                – Gara a chi arriva primo alla spiaggia? – chiese Jason in tono di sfida.
                – Ci sto! – esclamarono insieme Silvia e Percy.
                – Tornate presto che avete la lezione di spada nell’arena per i più piccoli. – li raccomandò Annabeth scoccando un bacio in guancia a Percy.
                – Al tre… tre! – gridò Percy e cominciò a correre verso la baia. Jason prese il volo e Silvia scomparì in un turbine di tenebre.
                – Così non vale però! – si lamentò Percy mentre continuava a correre.
                – Non crescono mai. – disse arrivando Hazel con Frank.
                – Andiamo a fare un tuffo anche noi, c’è tempo prima della prima lezione. – aggiunse Piper.
Si presero per mano e Nico li portò sulla spiaggia dove Jason e Silvia erano arrivati da un pezzo. Senza aspettare Percy si buttarono in acqua e Nico venne portato sotto da qualcuno. Riuscì ad aprire gli occhi e vide quelli di Silvia. Buttò fuori l’aria e vide che riusciva a respirare normalmente.
                – Lo sai che ti amo vero? – gli disse la ragazza mettendogli le mani attorno al collo.
                – Mai quanto io amo te. – le rispose.
                







Nota dell'autrice: Allora... è la prima storia che finisco e sono emozionata. Volevo finirla visto che domani parto per l'Inghilterra inglese (Woooo!) e non torno prima del 2 agosto (per cui gente, per le altre storie dovrete aspettare ahahahahaah! Mi dispiace però.). Spero che vi sia piaciuta fino alla fine, che vi abbia coinvolti ecc ecc... ma il punto è: grazie a tutti quelli che mi hanno seguita fin qui (siete l'amore ragazzi!) perché mi avete spronata ad andare avanti. Non sapete quanto sia importante questa storia per me dato che mi ha fatto conoscere delle persone meravilgiose.
Non ho molto altro da dire in verità.
Ma grazie, grazie davvero.
Un bacione a tutti quanti 
la vostra sempre pazza 
Silvia

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