So insane

di tylica_tmr
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Don't Stop ***
Capitolo 3: *** Try Hard ***
Capitolo 4: *** End Up Here ***
Capitolo 5: *** Tomorrow Never Dies ***
Capitolo 6: *** Bad Dreams ***
Capitolo 7: *** If you don't know ***
Capitolo 8: *** Long Way Home ***
Capitolo 9: *** Kiss me Kiss me ***
Capitolo 10: *** Unpredictable ***
Capitolo 11: *** Over and over ***
Capitolo 12: *** Social casualty ***
Capitolo 13: *** Wrapped around your finger ***
Capitolo 14: *** I can't remember ***
Capitolo 15: *** The only reason ***
Capitolo 16: *** Never be ***
Capitolo 17: *** Amnesia ***
Capitolo 18: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo

"Chi scriverà di me?"
Questo pensava Ashley, seduta all'ultimo banco, mentre giocherellava con una ciocca dei suoi capelli corvini.
"Tutti questi pseudo-scrittori che hanno come oggetto delle loro pseudo-storie una marea di ragazze e ragazzi assolutamente insignificanti e così facendo si dimenticano di me, Ashley Burghley. Ma è possibile?"
L'autostima era decisamente il suo punto forte.
Era praticamente la celebrità della scuola, quella che tutti ammiravano e invidiavano. Ad Ashley piaceva pensare che per ogni persona che la amava ce ne fossero altre due che la odiavano, o meglio, volevano essere lei.
E nossignore, non aveva nessun segreto nascosto, non portava nessuna cicatrice profonda mascherata con l'arroganza come vuole lo stereotipo. 
Praticamente non aveva affrontato nessun problema grave in diciassette anni di vita, escludendo quella volta in cui le si era macchiata di vino la sua borsa di Prada preferita: quello per lei era stato un problema GRAVISSIMO.
Non cercava fidanzati, cercava distrazioni.
Non cercava amiche, cercava seguaci.
Aveva la piena consapevolezza di essere esageratamente attraente e anche incredibilmente intelligente.
Voti perfetti, vestiti perfetti.
Quello era il suo motto preferito.
Ma non provate a pensare che fosse superficiale perché sbagliereste di grosso. 
Sapeva essere profonda e intuitiva, semplicemente non vedeva perché avrebbe dovuto condividere tutte le sue qualità con l'altra gente, quando il mondo, il suo mondo, non ne aveva veramente bisogno, non ancora almeno.
Non appena fu fuori dalla sua aula, si avviò verso il suo armadietto e, naturalmente, verso le sue due migliori amiche: Fay e Gladys.
"Ehi bimbe, com'è andata?" Esordì Ashley.
"Alla grande! Entrambe A in letteratura!" Risposero loro in coro dandosi il cinque.
Eccole, le uniche due persone sulla terra che Ashley riteneva alla sua altezza. Beh, l'avrete capito, la nostra protagonista era abbastanza presuntuosa.
Si diresse verso l'uscita della scuola camminando con andatura da modella esperta per far notare a tutti il suo nuovo meraviglioso vestito firmato abbinato con delle scarpe con cinturino decisamente da sballo: adorava fare queste sfilate con le sue due amiche vicino.
Adorava sentire gli sguardi della gente comune che frequentava il suo liceo. E proprio lì, avvenne la prima stranezza: Ashley era abituata a catalizzare l'attenzione di tutti i ragazzi su di lei, ma quel giorno avvertì qualcosa di diverso dal solito.
Uno sguardo diverso.
Degli occhi diversi.
Proprio vicino all'ingresso vide un ragazzo più o meno della sua età: non che fu fulminata dal suo aspetto (aveva avuto ragazzi DECISAMENTE più belli), ma ciò che la colpirono furono gli occhi: degli occhi scuri che la fissavano in modo atipico.
Non stava sorridendo.
Vicino al misterioso ragazzo c'era un tale (Luke qualcosa) che piaceva parecchio a Gladys ma che Ashley non aveva mai approvato per via dei suoi orribili capelli, e altri due ragazzi che non aveva mai visto in giro, i quali, in quanto a capelli erano messi quasi peggio dell'amico.
Non ricordava il nome di questi ultimi, ma doveva, letteralmente sentiva l'esigenza, di dare un appellativo ai misteriosi occhi scuri.
Calum.
Un nome bizzarro le balenó nella mente.
Chi era?
Ashley era decisamente intenzionata a scoprirlo.
Calum Hood.

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Capitolo 2
*** Don't Stop ***


Capitolo 2

Don't Stop

"Tesoro, non so cosa mettermi stasera!" Trillò un'Ashley agitata nella cornetta.
"Uhm, stasera?" Rispose una Fay piuttosto assonnata.
"Oddio, sì! La festa di quel tale, di cui non ricordo il nome... Robert o Ryle. Il mio ex di qualche mese fa..."
"Ashly, sono tutti di qualche mese fa, capirai che grande indizio! Comunque ti serve un vestito?"
"Oh magari, stamattina io e Gladys andiamo a fare shopping, però ehm..."
"Hai bisogno di me" concluse Fay sospirando.
"Sarebbe fantastico"
"Alle nove. In punto. Al ponte" 
"Ti adoro F"
"Sì, sì anche io. A dopo"
● 
Il "ponte" naturalmente era il Sydney Harbour Bridge, che collegava il cuore finanziario della città alla zona commerciale, ovvero il paradiso di Ashley.
Conosceva a memoria ogni vicolo, ogni insegna, ogni negozio di quei lunghi viali spaziosi, un po' per via della sua ottima memoria, un po' per il fatto che era sempre lì, pur abitando nella zona residenziale più lussuosa, dall'altra parte della città.
Gladys e Fay la aspettavano proprio davanti al chiosco dei gelati, con tre coni coloratissimi in mano. Si presumeva che uno fosse per lei.
"Grazie dolcezze, non dovevate!" Esclamò Ashley, salutandole.
"Ehm, Ashly, uhm, veramente non è per te"
L'espressione stupita sul suo volto era decisamemte esilarante.
"Cosa?"
Ma una voce maschile la interruppe:
"Mi sono permesso di offrire il gelato a tutte, a te compresa, se non ti dispiace"
Ashley si girò e vide il ragazzo del giorno prima, con il cono gelato mancante in mano, e un'espressione allo stesso tempo lusingata e intrigante stampata in viso.
"E LUI COSA CI FA QUI?" Sbottò Ashley, visibilmente infastidita dal fatto che un elemento maschio, decisamente irrilevante, si fosse inserito nella sua mattinata di shopping tra ragazze senza essere stato invitato, almeno non da lei.
"Oh Ashley! Prima che tu arrivassi due malintenzionati hanno provato a scipparmi! Se non ci fosse stato lui, la mia borsa Gucci ora sarebbe chissà dove! Li ha conciati per le feste! Così abbiamo pensato di sdebitarci invitandolo a fare un giro con noi. E poi viene a scuola con noi, sii gentile" spiegò in fretta e furia Gladys.
"Piacere, Ashley Burghley" Il ragazzo fece un accenno di inchino togliendosi il cappello con visiera che si era messo per l'occasione.
"Ciao Calum Hood" ribattè lei, era decisamente soddisfatta nel vedere il disorientamento sul suo viso dopo essersi reso conto che la ragazza più popolare della scuola conosceva il suo nome.
"Non dovresti essere a scuola?" continuò lei, maliziosa.
"Potrei farti la stessa domanda ma non mi sembrerebbe il caso. Diciamo che la mia valutazione è completa e non ho più bisogni di voti" Calum fece una lunga pausa ad effetto per evitare di mettersi a ridere sguaiatamente e "spero che non ti dispiaccia se vi accompagno" Calum, dal canto suo, non aveva mai ostentato una simile sicurezza: lui era sempre stato timidissimo.
"In realtà, dolcezza, mi dispiace parecchio" pausa ad effetto anche per Ashley. 
Oh come si stava divertendo, pensava. 
Era convinta di averlo in pugno: non aveva capito, almeno non in quel momento, che la persona che teneva in mano le redini del gioco era proprio Calum. Proseguì:
"Ma credo che si possa fare un'eccezione"
Prima di incamminarsi, Calum gettò una rapida occhiata dietro al chiosco e vide Luke e Michael che si sfilavano i propri passamontagna improvvisati con le calze delle rispettive madri.
Non riusciva a credere che quello stratagemma, così stupido e infantile, avesse funzionato davvero. 
Represse un sorriso mentre osservava il viso sudato e i capelli scompigliati di Luke e poi si diresse verso la sua unica occasione.
Il "Piano Decennale Per Fare Innamorare Ashley Burghley Di Calum Hood" stava finalmente raggiungendo un punto di svolta.
●  
L'obbiettivo di Calum era semplice: parlare con Ashley il più a lungo possibile: più l'avrebbe incuriosita più avrebbe avuto possibilità di conquistarla.
In fondo, era solo una ragazza: sapeva essere la persona più spietata e crudele della terra all'occorrenza, era tanto intelligente da spaventare gli altri, trattava i suoi ragazzi e le sue amiche come stracci e con una sola mossa poteva annientare tutta la tua vita sociale, ma era solo una diciassettenne.
E come tutte le diciassettenni, non poteva non amare un'attività fondamentalmente frivola e inutile come lo shopping.
Calum capì tutto questo non troppo presto, ma solo quando si accorse di avere le vesciche sotto i piedi e i muscoli delle braccia doloranti per via di tutte quelle buste e bustine che doveva scarrozzare in giro per la città.
Ashley, dal canto suo, lo stava mettendo alla prova: perché sì, era curiosa, e non sapeva nemmeno il motivo.
Sapeva solo che lo sguardo di Calum la attirava: era magnetico, nel vero senso della parola.
Non riusciva ad impedire quell'irritante contatto visivo ed era frustrante.
Non voleva essere ammirata da quegli occhi, perché non riusciva a spiegarli. Erano, a modo loro, un mistero.
Lei era abituata ad avere una spiegazione a tutto: invece non riusciva a spiegare lo strano sguardo di Calum: un misto di ammirazione, disprezzo e malinconia.
Perché? Perché quel ragazzo che non la conosceva minimante provava malinconia nei suoi confronti?
Come se si fosse rassegnato da molto, troppo tempo, ma non avesse mai smesso di lottare.
"Tu verrai?" Le uscì dalla bocca un suono roco che somigliava troppo poco alla sua solita voce squillante. Osservo Calum rianimarsi: uno strano bagliore accese i suoi occhi scuri.
"Ehm, dove?" Rispose lui, basito. Ashley gli stava veramente rivolgendo la parola?
"Ma alla festa no! Alla festa di stasera!"
"Beh, certo!" Calum aveva capito dove voleva arrivare e cominciò a sprizzare sicurezza da tutti i pori "naturalmente, verrò".
Ashley sorrise, un lungo sorriso enigmatico, poi, assicurandosi che le sue amiche non li stessero fissando, si avvicinò all'orecchio di Calum e sussurrò: "puoi portare anche quei ragazzetti tuoi amici che stamattina hanno fatto finta di rapinare la mia ingenua Gladys".
Poi gli strizzò l'occhio, prese le sue amiche sotto braccio e se ne andò, lasciando dietro di sè solo una scia di costoso profumo e la mascella penzolante di Calum.
● 
Ashley era troppo avanti per lui: troppo bella, troppo intelligente. Aveva capito immediatamente il suo trucco, ma, nonostante tutto, aveva voluto invitarlo alla festa.
La missione era stata compiuta per metà.
Questo gli bastava, gli bastava eccome.
Quando si era avvicinata a lui, Calum aveva trattenuto il respiro, cercando di vivere ogni singolo secondo di quella specie di miracolo.
Era stata l'apnea più bella della sua vita.
Per un attimo aveva veramente pensato che l'avrebbe baciato, aveva pensato di essere in trappola: ma quando lei si era allontanata, lui avrebbe voluto solo prenderle il braccio e convincerla a restare, fregandosene delle regole del suo mondo, perché si, Calum aveva sentito che anche lei, sebbene in minima parte, sebbene per un centesimo di secondo, voleva rimanere accanto a lui, arrivando a sfiorargli il viso con le labbra.
Per quel centesimo di secondo avevano desiderato la stessa cosa.
Giurò a se stesso che non sarebbe successo mai più: se quelle circostanze si fossero verificate di nuovo, lui le avrebbe preso il viso tra le mani e l'avrebbe baciata, con gli occhi chiusi e i brividi che lo percorrevano da capo a piedi e non gli sarebbe importato di non essere abbastanza bello o abbastanza intelligente, perché lui sapeva vivere solo ed esclusivamente di attimi.
E lui, lui sognava da sempre due attimi.
Il primo sarebbe stato il momento dell'entrata in scena della sua band: alla loro prima loro apparizione insieme, Calum avrebbe preso in mano la chitarra elettrica ed avrebbe suonato la prima nota, seguita da un milione di altre, ma sarebbe stata quella che avrebbe cambiato ogni cosa, ogni percezione, giusta o sbagliata che fosse: che gli avrebbe fatto capire se era ciò che voleva fare per il resto della sua vita.
Il secondo sarebbe stato l'attimo in cui avrebbe baciato Ashley, e non sapeva come sarebbe stato perché non aveva mai baciato nessuna come lei, e gli piaceva l'idea che sarebbe rimasta un'incognita, una di quelle che ti fa piegare le ginocchia e trattenere il respiro.
Queste erano le sue due speranze, e non sapeva nemmeno se si sarebbero mai realizzate, ma, per ora, il dubbio gli bastava.
Chiedeva forse troppo?
● 
"RAGAZZI!!" Calum urlò ancora prima di aprire completamente la porta.
Li trovò tutti lì, nel garage del padre di Michael, il loro secondo tempio dopo la sala prove.
Lo guardavano come se si aspettassero brutte notizie: perché quel piano non avrebbe mai funzionato, dato che Ashley e Calum vivevano in due galassie, non solo diverse, ma addirittura opposte.
"Allora com'è andata?" Chiese Mike.
"Mi serve un vestito. VI SERVE UN VESTITO"
"Ehhh? Lo shopping ti ha fatto male Cal?" Sghignazzò Ashton.
"Non così tanto. Per stasera avete impegni?! Domanda retorica, ovvio che non avete impegni!"
"Puoi arrivare al punto?"
"Ashley ci ha invitati alla festa di Robert Watkins" sparò fuori Cal tutto d'un fiato.
Seguirono esclamazioni di gioia, pacche sulle spalle e complimenti.
"Amico, non so come caspio hai fatto. O l'hai drogata con quel gelato, o l'hai fatta diventare cieca tutto ad un tratto, sta di fatto che tu, Calum, sei un fenomeno"



Note
Eccoci! Volevo includere anche la festa, ma sono una che aggiunge quanto può e toglie il meno possibile, quindi spero non vi dispiaccia :)
Questo capitolo è praticamente racchiuso nella seconda strofa del brano "Don't stop" e vengono definiti un po' di più alcuni personaggi come per esempio Gladys e Fay.
Fatemi sapere qualsiasi cosa: impressioni, opinioni e supposizioni di ciò che succederà nei prossimi capitoli.
Baci 
Veronica 

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Capitolo 3
*** Try Hard ***


Capitolo 1

Try Hard 

"Uhm"
Calum non aveva la minima idea di cosa mettersi quella mattina. Osservava l'immagine del suo corpo riflessa sullo specchio di camera sua: le gambe completamente glabre, i muscoli del torace appena accennati, il profilo del viso: sembrava davvero asiatico? Nah, aveva solamente i tratti tipici della sua zona, tutto qua, e ne sarebbe sempre andato fiero, anche quando la vita l'avrebbe portato lontano da quel posto che era casa sua.
Alla fine optò per i soliti jeans neri e una maglietta dei Nirvana, che forse era del suo amico Luke. 
Amico, era praticamente suo fratello, tanto che, in pratica, condividevano il guardaroba.
Si avvió a scuola a piedi, come sempre, passando davanti alla casa di Michael, e, come sempre, fece il segnale.
Il segnale consisteva nel far partire dal suo IPod i primi accordi di American Idiot dei Green Day: entrambi adoravano quella canzone (e tutto il resto dell'album omonimo). I vicini di casa apprezzavano un po' meno, ma a loro due importava molto poco delle esigenze degli sconosciuti.
Appena Mike sentiva la musica, si precipitava giù dalle scale per andare a salutare Calum.
A scuola incontravano Ashton, un eccentrico ragazzo di un anno più grande degli altri, sempre pronto a scherzare e a diffondere la sua stranissima risata per tutta la scuola.
Calum quella mattina assistè all'ennesima sfilata di Ashley Burghley e delle sue amiche, o alleate, o compari, o seguaci.
Non che fosse l'unico: praticamente tutta la scuola andava dietro ad Ashley, e il livello di ormoni nell'aria si alzava notevolemente ogni volta che passava lei.
"Ehi amico, non sbavare però!" Rise Ashton, provocando sorrisi anche tra gli altri due.
"Se guarderai ancora un po' la consumerai" rincarò la dose Luke.
Erano fatti così, si sfottevano a vicenda. Prendevano in giro Mike per i suoi capelli dalle tinte poco vivaci, o Ashton quando si metteva dei cappelli strani.
Litigavano, altro che se litigavano, ma alla fine si ritrovavano sempre nella stessa sala.
Perché loro quattro condividevano un segreto. 
Loro quattro erano una band, in segreto. 
Ma nella loro scuola, se l'avessero ammesso, sarebbero diventati degli emarginati, molto più di quanto non lo fossero già: se facevi uno sport eri figo, se suonavi eri strano, e in fondo, Calum praticava calcio da sempre e Ashton aveva imparato a nuotare prima ancora di camminare. Questa era la loro copertura, ma in quella sala potevano vivere l'altra metà della loro doppia vita. Suonavano e cantavano canzoni degli altri, perché non ne avevano di loro, al buio, perché Luke sosteneva che se fossero riusciti a farlo così, sarebbero riusciti a farlo ovunque.
O forse era solo una sorta di metafora, che indicava il loro bisogno di tenere nascosta l'esistenza della loro band.
Perché, nonostante tutto, avevano ancora paura del giudizio degli altri, e, soprattutto, Calum aveva paura delle idee che si sarebbe potuta fare Ashley.
Chiariamo un punto: lui non la conosceva, non si erano mai parlati ed era quasi sicuro che Ashley non sapesse nemmeno il suo nome.
Perché avrebbe dovuto in fondo?
Sceglieva solo i ragazzi più belli e intelligenti, stava con un soggetto fortunato (o sfortunato?) per, al massimo, due settimane, e poi passava ad un altro.
Calum sapeva di non essere nemmeno lontanamente alla sua altezza, di non essere nè abbastanza bello, nè abbastanza ricco, nè abbastanza bravo a scuola, sapeva di poterla solo fissare dalla parte opposta della classe, quando capitavano a lezione insieme, oppure in corridoio, o alle feste, ma era certo che Ashley fosse talmente accecata dalle luci fluorescenti della sua meravigliosa vita, che non si sarebbe mai accorta di lui.
Quindi, alla fine, Calum rimaneva sempre al punto di partenza.
Come in quel momento: Ashley era stata interrogata, era in piedi davanti alla lavagna, e rispondeva alle domande della professoressa come se si stesse annoiando.
Alla fine venne rimandata al posto con un nove in più in latino.
Nessuno studiava latino in Australia: era la materia più insensata e difficile, la professoressa di ruolo era odiosa, il corso era quasi deserto, ma Calum l'aveva scelto apposta per essere in classe con Ashley.
Risultato: la sua media variava dall'insufficiente al gravemente insufficiente.
Ma a lui importava poco: aveva un motivo.
Certo, perché tutto era già stato programmato nel "piano decennale per far innamorare Ashley Burghley di Calum Hood".
Solamente che la "conosceva" già da otto anni e non erano stati fatti ancora grandi progressi.
La osservò mentre si sedeva al posto, si sistemava i capelli e diceva alla sua amica Gladys:
"Domani non veniamo"
"Okay Ashly"
"Mi hanno già interrogata in tutto e non ho bisogno di altri voti, per te è la stessa cosa, quindi, dove vuoi andare?"
Ecco, quella situazione spiegava meglio di qualsiasi altra cosa quanto Calum e Ashley fossero effettivamente lontani.
● 
● 
Mike stava accordando la sua chitarra elettrica: a suo dire, il bene più prezioso che avesse mai posseduto.
Ashton stava giocherellando con le sue bacchette, seduto dietro alla batteria.
"Allora ragazzi" Luke prese la parola.
Anche se era il più piccolo dei quattro era sempre stato il più determinato e quello che si sapeva organizzare meglio.
Calum rimaneva spesso piacevolmente stupito dalla sua maturità.
"Tra una settimana esatta abbiamo il Live at Norwest"
La Norwest era la loro scuola.
Il Live at Norwest era la conpetizione musicale che si teneva ogni anno.
Se cantavi, ballavi o suonavi potevi partecipare, sempre che tu fossi riuscito ad ammettere la tua passione davanti a tutta la scuola.
Ne avevano parlato una marea di volte loro quattro, ma stava per succedere ancora:
"Per quanto mi riguarda" continuó Luke "sono convintissimo di quello che stiamo facendo, ma siamo una band. Dobbiamo essere tutti d'accordo dal 100%"
A quel punto fissò Calum, dato che sapeva come la pensava, e con gli occhi lo pregò di cambiare idea.
"Non serve che fai quell'espressione da cane bastonato Hemmings" ribattè Calum, ridendo.
"Quindi?" Chiese Mike.
"Sono pronto" disse annuendo "ma a una condizione"
"Tutto quello che vuoi" acconsentì Luke, già euforico.
"Quali sono le canzoni papabili?"
"Ehm, eravamo indecisi tra I Miss You o qualcos'altro sempre dei Blink-182" spiegò Michael.
"Nah. Se dobbiamo farlo, lo faremo bene. Smoke on the water. Prendere o lasciare"
"Tu sei un pazzo!" Gridarono in coro, ma già si capiva che non vedevano l'ora di fare rock. 
Quel tipo di rock.
"Mi vorresti dire che dovremmo imparare a suonare e a cantare una canzone del genere in meno di una settimana?" Chiese Luke.
"Esatto" 
"IO CI STO" Gridò Ashton dal fondo della sala.
"Mike, tu che dici?" Chiese di nuovo Luke, titubante.
"Per me va bene, ma devi decidere tu, frontman" 
Gli occhi di Luke si illuminarono immediatamente sentendo quella parola, quindi la proposta venne accettata all'unanimità.
Passarono il resto dell'ora a scaricare l'euforia sulle chitarre, al buio come sempre, ma forse erano quasi pronti per accendere definitivamente le luci.
E dare inizio alle danze.



Note:
Quindi eccomi qua. Scusate se non ho scritto sotto al prologo, ma volevo introdurre la storia dal primo capitolo.
Non potevo proprio non scrivere qualcosa sui 5sos dato che, nell'ultimo periodo, sono completamente dipendente dalle loro canzoni.
Okay, come avrete capito, la storia ruota intorno a Calum, Ashley e alla loro "relazione immaginaria", ma c'è anche la questione del contest musicale, giusto per riprendere un po' delle origini della band.
La struttura è un po' complessa da spiegare a parole ma ci provo: in pratica ogni capitolo corrisponde alla canzone del titolo ed è in parte ispirato ad essa.
Con precisone non so dirvi quanti capitoli scriverò, ma indicativamente tra i 10 e i 15.
Dato che sono ancora all'inizio, ho ancora più bisogno dei vostri consigli e delle vostre recensioni per riuscire a calibrarmi, quindi sarei felice di sentire le vostre opinioni e impressioni.
Spero, a prestissimo.
Veronica

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Capitolo 4
*** End Up Here ***


Capitolo 3 

End Up Here
Quindi era di nuovo lì, in piedi davanti allo specchio, mentre decideva cosa mettersi per andare alla festa di Robert Watkins.
Era di nuovo lì, nello stesso posto, a poche ore di distanza dalla mattina precedente, ma era cambiato tutto.
Pensò a come fosse strano: vedeva il suo riflesso, il suo riflesso era lo stesso, era sempre rimasto lo stesso eppure era cambiato. 
Com'era stato possibile? 
Poteva veramente la realtà essere così variabile? Qualcosa che un istante prima c'è e l'istante dopo è solo un ricordo.
In quel momento era al settimo cielo: aveva veramente una possibilità e non se la sarebbe mai lasciata sfuggire. 
Non quella volta. Non più.
Aveva messo da parte il Calum timido e spaventato ed aveva tirato fuori la parte più sicura e più sfrontata di lui: quest'ultima assomigliava tremendamente al Calum che suonava la chitarra, quello che sul palco non aveva freni, inibizioni, dubbi o paure, aveva solo il suono metallico del prezioso strumento che prendeva vita tra le sue mani.
I Nirvana gli avevano portato fortuna con Ashley il giorno prima, quindi scelse dal suo ristretto guardaroba una maglietta di Kurt Cobain, che era per l'appunto il frontman di quella stessa band.
Sopra questa abbinò una giacca nera che gli aveva prestato Luke. Gli stava un po' grande, dato che, naturalmente, non aveva nemmeno la metà del fisico del suo amico, ma andava bene lo stesso.
Sentì il campanello suonare e si precipitò ad aprire la porta.
Era Michael dai capelli tinti, e, senza che nessuno che dicesse nulla, Calum capì che era lì per fargli da spalla: non doveva dirgli qualcosa di particolare, ma avvertiva che in quel momento Calum aveva bisogno di appoggio, cosa che Michael era sempre prontissimo ad offrire.
Lui che dava tantissimo senza chiedere mai nulla, lui che era la definizione per eccellenza di amicizia.
"Allora come stai?" Gli chiese.
"Sono una bomba pronta ad esplodere, Mike"
● 
La modesta abitazione di Robert Watkins consisteva in un moderno e spaziosissimo attico dotato di terrazzo, idromassaggio, piscina, palestra ed ogni tipo di confort si potesse immaginare. Watkins era il giovane rampollo di una delle più influenti famiglie di quel distretto di Sydney.
Anche lui era stato con Ashley, o meglio, lei l'aveva portato a letto, ma la storia era durata pochissimo, dato che il tale era un allocco colossale che non aveva mai aperto un libro di sua spontanea volontà in diciotto anni di vita.
Ashley arrivò alla festa in ritardo, naturalmente, fasciata nel suo abito blu elettrico.
Alla fine la sua scelta era ricaduta sul quel vestito perché secondo Fay il colore del tessuto era in contrasto con la sua carnagione chiarissima, secondo Gladys le metteva in risalto gli occhi, blu anche essi, inoltre si abbinava alla grande con le scarpe nuove e con l'acconciatura che si era fatta fare apposta. Ma l'aveva scelto anche perché era quello che le aveva suggerito Calum quella mattina.
Calum che forse tutte quelle cose le aveva pensate, ma non le aveva espresse.
Era timido: ad Ashley ricordava un bambino a volte, un bambino dolce e spaventato.
Gli faceva tenerezza.
Nel esatto momento in cui Ashley fece il suo ingresso trionfale nell'immensa sala adibita al ballo, addobbata a festa, un nugolo di ragazzi la circondarano adoranti.
I più arditi le chiedevano qual'era il suo nome.
Lei sorrideva maliziosa, sussurrava solo "problemi, ragazzi, tanti problemi" e si allontanava. Entrava in pompa magna nelle vite delle persone e ne usciva in punta di piedi.
Perché?
Forse stava solo aspettando. Stava aspettando la coincidenza di eventi e situazioni che le avrebbero aperto gli occhi e cambiato la vita: era sicura che tutto ciò sarebbe successo, prima o poi: non aveva creduto nemmeno per un secondo che la sua vita fatta di ragazzi, balocchi e divertimenti potesse durare per sempre.
Quella sera, però, aveva uno scopo.
Individuò il suo obiettivo: Calum era addossato al muro con un'espressione sofferente, e, insieme ai suoi amici, fissava il crogiuolo di ragazzi che lo circondavano.
Calum sapeva da qualche parte che non avrebbe parlato con nessuno, e stava rimpiangendo la decisione di essersi presentato a quella festa.
O, almeno, questi erano i suoi pensieri prima che i suoi occhi incontrassero gli abbaglianti, chiari, e circondati di nero, occhi di Ashley.
Osservò i lunghi capelli neri, fissati dietro la nuca, che le ricadevano sulla schiena. 
Si perse a guardare come si muoveva, come ballava: arrivò a pensare che davanti a lui ci fosse un angelo travestito, anziché una normale ragazza.
Poi si accorse che lei lo stava fissando e che si stava dirigendo nella sua direzione.
Nella sua direzione.
Rimase con la bocca spalancata fino a quando lei non fu ad una distanza di più o meno un metro dal suo viso.
"Mi piace la tua maglia di Cobain"
Lo conosceva anche lei. Come poteva essere vero?
"Sì, ascolto i Nirvana, a quanto pare" chiarì Ashley.
"Ciao... Ashley come va?"
Calum prese veramente in considerazione l'idea di essere in un sogno: ma la sensazione di avere la lingua atrofizzata e le gambe liquefatte era così forte che doveva essere reale per forza: e quella ragazza, che gli stava parlando di sua spontanea volontà di una delle sue band preferite, anche lei doveva essere reale.
"Bene. Dimmi la tua canzone preferita dei Nirvana"
"Uhm" rispose titubante Calum "non potrei veramente scegliere..."
"La mia è Lithium, decisamente Lithium. Ma, cambiando discorso, credi che il tuo amico abbia intenzioni serie?"
Calum non sapeva di cosa lei stesse parlando, fino a quando non si accorse che, sulla pista da ballo, Gladys si stava strusciando sul corpo di Luke in modo decisamente poco casto. 
In quel momento, lui proprio non riusciva a rendersi conto dell'intricata situazione in cui il suo amico si stava cacciando.
"Uhm, non saprei... Può essere" Calum si accorse con orrore che stava balbettando come un bambino.
"Quel tale..."
"Luke, si chiama Luke" precisò lui.
"Ecco, Luke ha proprio dei capelli orribili"
Calum stava per controbattere quando lei si avvicinò pericolosamente al suo viso e disse:
"I tuoi sono decisamente meglio" 
Ashley stava per aggiungere qualcos'altro, ma la sua attenzione venne attirata da un movimento dall'altra parte della sala.
Anche Fay stava ballando con qualcuno, qualcuno che Calum non conosceva, ma che Ashley conosceva fin troppo bene.
Accadde tutto molto in fretta: il ragazzo misterioso baciò Fay, Ashley si allontanò da Calum, si diresse prima verso il bancone delle bibite e poi verso la sua amica.
Le buttò addosso un bicchiere di punch, sotto gli occhi allibiti del ragazzo.
Poi Ashley prese Calum per mano e lo tirò verso l'uscita: quando lui cercò di opporre una, seppur debolissima, resistenza, fu quasi sicuro di sentire lei singhiozzare "Ti prego, andiamo via" anche se il frastuono della musica avrebbe certamente coperto un suono così flebile.
Però la seguì.
La seguì senza mai lasciare la sua mano.
La seguì mentre attraversava l'intera Loftus Road.
"Dove stiamo andando?" chiese Calum, con il fiatone.
"Dove potrò parlarti" ribattè secca Ashley.
E la seguì anche quando scavalcò il cancello del Mckell Park, senza dire una parola.
● 
Ad Ashley Sydney piaceva per quel motivo: era una metropoli enorme, e, nonostante tutto, bastava pochissimo per ritrovarsi in un altro mondo.
Come quello.
Sua sorella maggiore e sua madre la portavano spesso in quell'angolo dimenticato che le mappe chiamavano Mckell Park.
Non era altro che una distesa di alberi, come tantissime altre sparse per il centro e per la periferia di Sydney, ma si trovava anche a picco sul mare.
Non era particolarmente curato: sembrava più che altro un incrocio tra un giardino e una giungla, ma quando Ashley non sapeva dove andare, i suoi piedi ritrovavano automaticamente la strada che conduceva in quel posto.
Tuttavia, nessuno che non appartenesse alla sua famiglia era mai stato lì con lei, almeno non fino a quel momento.
Si girò verso Calum: il suo viso era illuminato in modo bizzarro dalla luce dell'unico lampione della zona, mentre cercava di capire dove si trovava.
"Non sei mai stato in questo parco, non è così?"
Lui scosse la testa. Allora lei gli prese nuovamente la mano, come se dovesse guidare un bambino in un posto affollato, e si sedettero entrambi su uno scoglio, con le gambe sospese nel vuoto e la sensazione che fosse tutto sbagliato, o tutto perfetto.
"Cosa è successo là dentro?" Domandò nuovamente Calum. 
Per un lunghissimo attimo Ashley pensò che avrebbe potuto non parlare: in fondo era sera, erano in quel luogo così magico ed era con quel ragazzo che la incuriosiva in modo così strano. Sembrava tutto così diverso da quello che era accaduto poco prima, sembrava quasi stupido tornare indietro.
Non sembrava corretto.
Poi, naturalmente, la parte di Ashley più eccentrica e in continuo bisogno di attenzioni ebbe la meglio.
"Proverò a farla il più breve possibile. Quel ragazzo era Matt Lodge. Siamo stati insieme per parecchio tempo, e, in fondo non ci siamo mai lasciati. Insomma, Fay se lo stava facendo per bene e..."
"I ragazzi delle ex non si toccano?"
"Esatto" Ashley era a disagio mentre parlava con Calum. Come se gli stesse facendo pesare una situazione che non dipendeva assolutamente da lui.
"Cos è ciò che ti dà più fastidio in tutta questa situazione?"
"Cosa intendi?"
"Hai perso Matt, e stai perdendo Fay. Cosa ti fa più male?"
"Che modo positivo di vedere le cose, Calum, veramente"
Lui accennò un sorriso "Non hai risposto"
"Perché sarebbe inutile"
"Allora dimmi cosa ti può essere utile. Non domani, non tra un mese. Oggi, ora. Per farti sorridere."
Ashley pensò per diversi minuti alla risposta.
Poi prese la mano di Calum, si stese sullo roccia dura, appoggiò la testa sul suo petto e bisbigliò:
"Questo, Calum. Solo questo."
Avvertì il corpo del ragazzo irrigidirsi e provò a tranquillizzarlo.
"Resterai?"
"Resterò, se mi dirai come siamo finiti qui." Rispose lui.
"È davvero importante?" Ribattè lei.







Note 
Ciao a tutti!!
Scusate se aggiorno sempre di sera tardi :)
Ho sempre un sacco di cose che vorrei dirvi, ma, quando scrivo queste due righe, non mi ricordo mai niente, quindi spero solo che il capitolo vi sia piaciuto.
Lasciate una recensione, se vi va. Ne sarei felicissima.
A presto
Veronica

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Capitolo 5
*** Tomorrow Never Dies ***


Capitolo 4

Tomorrow never dies

Non appena avvertì l'umidità dell'aurora sulla pelle, spalancò gli occhi e impiegò qualche secondo per capire dove si trovava.
Si mise a sedere sulla roccia dura dove aveva preso sonno, con i muscoli indolenziti, le ossa di tutto il corpo doloranti e la testa che pulsava ancora per via dell'alcol che aveva bevuto la sera prima.
Scoprì con orrore che le sue scarpe erano rotolate in mare, e, solo dopo essersi sincerata delle condizioni dei suoi capelli arruffati, del suo trucco sbavato, del suo vestito stropicciato e sporco ed aver capito di sembrare una maschera di Halloween, rivolse l'attenzione al suo compagno.
Lui era sdraiato in una posizione anatomicamente impossibile da mantenere: con la schiena inarcata e la testa piegata di lato: dormiva come un bambino.
Ashley prese in considerazione l'idea di andarsene via, di lasciarlo nel mondo dei suoi sogni e dei suoi ricordi, per evitare di dover dare spiegazioni.
Lo fissò più attentamente: non sarebbe mai potuto succedere nulla tra di loro, perché erano troppo diversi.
Ma poi riflettè più attentamente su quella considerazione e la trovò assurda: era come se fossero dentro una griglia, tutti quanti.
Erano tutti perfettamente schedati e catalogati in diversi settori: lei e Calum erano diversi solo perché quel sistema di regole non scritte e comportamenti obbligatori che vigeva tra tutti gli adolescenti l'aveva deciso non perché lo fossero realmente.
Prima di arrivare alle pericolose conclusioni del suo ragionamento, Ashley cominciò a scuotere Calum fino a svegliarlo.
"Uhm...che ore sono?" Farfugliò lui senza aprire gli occhi.
"Le sei e un quarto, almeno a quanto dice il tuo orologio"
Appena sentì la voce di Ashley, Calum si mise a sedere, sgranando gli occhi come se si fosse reso conto all'improvviso della situazione in cui si trovava.
"Non mi fissare così" ribattè Ashley "ci siamo addormentati, tutto qua"
Calum prese in fretta il suo cellulare e guardò il display: "Uh, ventidue chiamate perse" sospirò.
"Mhh, e chi è che si preoccupa così tanto per te?" Chiese Ashley, con molto più che una punta di sarcasmo sulla lingua.
"Beh, i miei amici, naturalmente"
A quell'innocua affermazione l'espressione di Ashley cambiò improvvisamente, come se si fosse ricordata della sera prima.
"Ehm, perdonami non volevo..." provò a scusarsi lui, ma era già troppo tardi.
"Dai Ashley, risolverete vedrai"
Lei scosse la testa: "no, non succederà: io mi sono spinta troppo oltre. Lei vuole tenersi Matt e la fama che proviene dall'essere la sua ragazza quindi..."
Sospirò e si sistemò i capelli. 
"Scusami. Non so perché ne sto parlando con te dato che non mi conosci nemmeno"
"E invece non è così Ashley, penso proprio di conoscerti più di qualsiasi altro ragazzo"
"Ah si?" Esordì lei stupita "dimostralo allora"
"Uhm, vediamo... Innanzitutto i tuoi occhi sono color acquamarina. Sei molto intelligente, naturalmente, ma in pochi sanno che la tua materia preferita è chimica o che non prendi una D da quando avevi undici anni. Si può notare che ami i vestiti e lo shopping, ma io so che il tuo abito preferito è un completo rosso di Dior che ti ha regalato tuo padre per il tuo sedicesimo compleanno. In quanti sanno, poi, che, oltre a Kyle Minogue, ami le band americane punk-rock? Oppure che hai le lentiggini, anche se le mantieni perennemente nascoste sotto uno spesso strato di fondotinta? So che adori il the all'echinacea, che ti piace svegliarti presto la mattina e passare le prime ore del giorno a leggere romanzi o racconti gialli."
"Che autore? Qual'è l'autore di gialli che preferisco?" 
"Poe. Edgard Allam Poe"
"Allan, in realtà"
Riserero entrambi.
"Okay, come fai a sapere tutte queste cose? Cosa sei, un assassino psicopatico?"
"No, Ashley, semplicemente ti osservo. Ti osservo da tanto, forse troppo, tempo."
Le si strinse lo stomaco, più che altro perché sapeva che avrebbe deluso le aspettative di Calum su di lei, su di loro. 
Però stette per qualche istante a riflettere su ciò che le aveva appena detto, come d'altronde faceva spesso: durante tutti quegli anni aveva pensato di essere sempre stata oggetto di attenzioni, naturalmente, ma solo fisicamente. Non avrebbe mai creduto che a qualcuno potesse interessare l'aroma del suo the preferito.
"Tu invece cosa sai di me?" Chiese Calum, con un tono di voce già carico di tristezza.
"Che di cognome fai come un eroe popolare scozzese"
"In Scozia si chiamano tutti Hood, e mio padre viene da lì"
"Ecco so già qualcosa in più. Siamo sempre andati nella stessa scuole e...oh! Giochi a calcio! Sei uno dei migliori in squadra. E poi stai sempre insieme a quei tre ragazzi"
Calum avvertì a sua volta una stretta al cuore: lei non era a conoscenza dell'esistenza della band, come avrebbe potuto d'altronde? Sapeva che sarebbe stato meglio tenere segreta quella faccenda, ma ugualmente sentiva che stava occultando un pezzo troppo importante della sua vita.
"Facciamo un patto Ashley. Tu cercherai di conoscermi meglio"
"E tu?"
"Beh, io ti riporterò a casa in braccio, visto che non hai le scarpe"
"Direi che devo accettare per forza" Osservò lei, con un sorriso divertito.
"Già. L'idea era quella. Ci stai?"
"Ci sto."
Così Calum la prese delicatamente in braccio e pensò subito che per una ragazza della sua corporatura non pesasse proprio poco.
"Meno male che fai sport vero?"
"Proprio così"
E invece i muscoli delle braccia di Calum non dipendevano affatto dai cinque allenamenti settimanali di calcio, ma piuttosto dalle ore passate a fare pratica con la chitarra elettrica.
Altra cosa che Ashley non avrebbe mai saputo.
● 
Si avviarono così: una ragazza scalza in braccio ad un ragazzo, nella luce abbagliante del sole che sorgeva lungo le vie ancora deserte del centro residenziale di una delle più grandi metropoli del mondo.
Anche se non era suo solito, Ashley cominciò a fare domande.
"Come mai stai sempre con quei ragazzi? Insomma, non voglio offenderti, ma fai sport, potresti essere una celebrità a scuola  e invece continui a frequentare degli emarginati"
Calum non se la prese nemmeno per un secondo, dato che sapeva perfettamente con chi stava parlando, ma si concesse qualche secondo per preparare la sua risposta.
"Potresti vivere senza le comodità, magari anche stupide, a cui sei abituata? Potresti vivere senza i tuoi libri?"
"No, naturalmente"
"Ecco, per me è lo stesso. Magari sto per pronunciare una frase che dicono in tanti, ma loro sono come fratelli per me. Non posso andare avanti senza di loro e senza quello riescono a darmi"
"Ma non ti dà fastidio sapere che potresti avere una vita diversa e migliore?"
Lui fece spallucce: "prima cosa che devi sapere su di me: vivo giorno per giorno. Letteralmente. Ho solo due certezze nella vita: il sole sorgerà sempre e il domani non morirà mai" riflettè per un istante brevissimo, per trovare le parole che erano dentro di lui da sempre "questo mi basta"
Ashley finse di non essere particolarmente attenta per dissimulare l'interesse e la curiosità che la frase appena pronunciata da Calum avevano destato in lei.
Una filosofia di cui si era dimenticata da troppo tempo, qualcosa che combaciava perfettamente con il desiderio di ribellarsi al sistema a cui pensava poco prima.
Il brivido che si provava quando si aveva la completa consapevolezza di non essere controllati da nessuno, quando il proprio comportamento poteva essere descritto solo con la parola "imprevedibile".
Nel frattempo, grazie ad un taxi, trovato per purissimo caso, erano arrivati a casa di Ashley.
Calum la depose direttamente sul pavimento del soggiorno, facendo più attenzione possibile per evitare di svegliare i suoi genitori.
"Allora, grazie per il passaggio" disse lei, ma lui non si era ancora abituato a parlare spontaneamente con Ashley, quindi ci mise un bel po' per ribattere.
"Figurati" poi riuscì anche a dire: "ci vediamo a scuola"
"Può darsi" ottenne in risposta.
"Allora ciao"
Tuttavia, tra i due aleggiava sempre e comunque un senso di incompiutezza, come se ci fossero milioni di altre frasi da pronunciare, ma troppo poco coraggio per farlo effettivamente.
Calum non riusciva proprio a sopportare quel genere di situazione: pensò di aver fatto tutto il possibile, quindi si girò, chiuse la porta dietro di sè e si allontanò dalla casa di Ashley.
Quel suono spezzò la catena di parole non dette che li univa ancora.
E Ashley rimase incantata davanti all'uscio, incapace di salire le scale e di tornare alla sua vita reale, ma allo stesso tempo incapace di riaprire la porta e dire a lui, a Calum, qualcos'altro.
Quindi non si mosse, per cinque minuti buoni, anche quando sapeva che sarebbe stato comunque troppo tardi; ma per ogni secondo che passava lei sentiva qualcosa che non aveva mai provato prima.
Fu durante quei cinque minuti che scoprì, per la prima volta in tutta la sua esistenza, il sapore amaro del rimpianto.



Note
Buonasera! Come al solito aggiorno tardino. 
Il capitolo è un po' più corto del solito, nonostante io sia comunque in ritardo con l'aggiornamento.
Troviamo quindi la prima vera conversazione tra i nostri due protagonisti, e Calum che fa scoprire ad Ashley alcune sensazioni nuove.
Tutto qua: come sempre, se avete due minuti, mi piacerebbe sentire la vostra opinione o anche solo sapere che avete letto.
A presto
Veronica

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Capitolo 6
*** Bad Dreams ***


Capitolo 5

Bad Dreams

"Cal, stai sbagliando tutto" gli disse Mike, paziente.
Stavano provando da troppo tempo, le braccia di Calum erano doloranti, ma ormai non azzeccava nemmeno più le cose più semplici.
A volte capitavano momenti come quello, quando sembrava che non gliene andasse una giusta, specialmente se era stanco o affaticato.
"Scusate ragazzi, ricominciamo okay?"
Annuirono tutti, ma un minuto dopo erano di nuovo fermi, perché Calum si era completamente dimenticato gli accordi.
"Cal, porca miseria!! Ci vuoi dire cosa cazzo ti prende?" Urlò Luke, buttando a terra l'asta del microfono. 
"Ehi Luke, datti una calmata, per favore" scattò subito Michael.
"Okay, scusa, ma dimmi perché non riesci a concentrarti nemmeno per cinque dannati secondi"
Lui rimase zitto, con lo sguardo fisso sul pavimento. Le sue mani tremavano talmente forte per la frustrazione che il plettro cadde per terra.
Odiava non riuscire in qualcosa, ma, pensandoci bene, era la sensazione più frequente che provava. Odiava arrivare a credere di essere solo un fallimento.
"Oggi è lunedì, il concorso è giovedì. È chiaro a tutti che stiamo solo perdendo tempo, ora come ora. Quindi ragazzi, fermiamoci un attimo e tu, Calum, ora mi racconti seriamente cosa ti passa per quella cazzo di testa" decise Luke, indicando l'amico.
Si sedettero tutti per terra, ma gli altri ragazzi sapevano che Calum non si sarebbe lasciato andare subito, e la questione risultava quasi paradossale, perché in fondo tutti e tre sapevano cosa passava per la sua testa.
"Puoi parlare eh- sbuffò Luke, quasi seccato -anche di lei."
"Il punto è che mi sembra strano. Tutto qua. Mi sembra strano il modo in cui la gente la sta trattando. Sabato pomeriggio era superiore a tutti, lo sapete anche voi, sembrava una ragazza onnipotente. Ma in seguito ha litigato con Fay e con il suo ragazzo, e ora sta precipitando tutto. Cioè per lei. Pensavo che avesse trovato qualcun altro, molti altri con cui passare il suo tempo, ma la stanno evitando tutti al momento, ed è solo assurdo."
"E tutti i suoi seguaci con la bava alla bocca dove sono finiti?"
"Non lo so. Forse è colpa di Fay, forse è successo qualcos'altro. Molto probabilmente mancano dei pezzi. Comunque non capisco come si possa passare in due giorni dall'Olimpo dei ragazzi popolari allo strato di plebaglia composta dagli emarginati, come me"
"Come noi" puntualizzò Michael.
"Questa situazione ti dispiace?" Chiese Ashton.
"Questa situazione mi distrugge. So che per voi non è semplice capire i miei sentimenti per lei, insomma, siamo due cazzo di sconosciuti, ma vederla seduta lì, da sola, quando dovrebbe essere consolata da un milione di ragazzi, con quella bizzarra e triste luce negli occhi è un'immagine che non riesco a togliermi dalla testa"
"Ed esattamente...perché tu...uhm, sei ancora qui?" Questo era Luke, naturalmente.
"Cos'altro dovrei fare?"
"Faccio un esempio completamente a caso: qualcosa del tipo andare nell'aula di fisica e parlarle?"
"Geniale! Le dico che sono quel ragazzo strano e sfigato che le ha tenuto la testa per tutta la notte mentre lei dormiva dentro un cazzo di parco dopo essersi sbronzata per via del suo ex. Perfetto. Altre idee brillanti?!"
"Sono serio, cosa c'è da perdere? La reputazione che non hai?"
"Ma piantala Luke" ribattè seccato lui.
"Ricordati una cosa: è facile dire che si ama qualcuno, lo possiamo fare tutti, ma è quando si tratta di dimostrare i propri sentimenti che si sceglie se essere uomini o ragazzi. Fai l'uomo Cal, stavolta sul serio." 
Luke parlava poco, preferiva ascoltare, ma quando diceva qualcosa te lo ricordavi: le sue parole erano come inchiostro, un inchiostro prezioso che non andava mai sprecato.
Calum lo odiava a volte, odiava quel suo essere estremamente perspicace e sensibile riguardo ai suoi sentimenti.
Odiava il fatto che riuscisse a fargli cambiare idea in una frazione di secondo. 
Una sola frase.
Per lui era abbastanza.
Calum non parlò più. Prese la sua decisione e si avviò con passo veloce verso l'uscita dell'aula.
● 
Ashley era immersa in una complicata operazione di trigonometria avanzata quando sentì qualcuno bussare alla sua porta.
Sperava che fosse Fay, venuta per chiederle scusa, oppure Matt, o magari entrambi.
Invece da quella porta entrò l'essere più insignificante di tutta la scuola, anche noto come Calum Hood.
"Ehi Ashley. Ciao, non se ti ricordi di me, ci siamo visti alla festa di Robert Watkins e..."
"Calum, so chi sei- sbuffò lei -cosa vuoi?"
"Ehm, volevo sapere... Come va? È fisica quella?" Rispose lui, visibilmente nervoso, sedendosi vicino al banco di Ashley.
"No, in realtà è matematica, ma immagino che per te sia più o meno la stessa cosa"
"Beh in effetti...- pensava solo che non avrebbe dovuto smettere di parlare -Quindi perché sei qui, tutta sola a fare equazioni?"
"Forse perché non ho di meglio da fare"
"Oh avanti, sei Ashley Burghley, da quando non hai niente da fare?" 
Il commento di Calum era quasi innocente, sicuramente non era studiato per scatenare una sua reazione, ma lei si alzò in piedi di scatto e gli urlò contro tutto d'un fiato:
"Forse da quando il mio ragazzo mi ha tradito con la mia migliore amica davanti ai miei dannati occhi, forse perché quest'ultima è andata a raccontare in giro qualsiasi cosa riguardasse le mie vicende personali, forse da quando mio fratello ha problemi con qualsiasi cosa e la mia famiglia si sta disfacendo per questo motivo, forse da quando il mio intero mondo si sta disgregando sotto i miei stessi piedi, forse da quando non faccio altro che sentirmi un fottuto fallimento! Quindi se sei qua per fare battutine sarcastiche sei pregato di andartene a fanculo"
Si afflosciò nuovamente sulla sua sedia e nell'aula calò il silenzio.
Per alcuni secondi Ashley non sentiva altro che i loro due respiri e il disagio di Calum: la sua parlantina era durata decisamemte troppo poco.
E cosa importava, in fondo, se Calum avrebbe pensato che era una pazza?
Ormai lo sapevano tutti e chi era quel ragazzo per giudicarla più di quanto lei non potesse fare con lui?
"Beh, mi dispiace Ashley" disse infine Calum, dopo aver passato in rassegna tutte la frasi che avrebbe potuto dire in quella situazione e aver scelto la più stupida e banale.
"Oh, lo so che ti dispiace. Lo so che stai peggio di me, lo so che non fai altro che fissarmi e impicciarti nella mia vita. Ma, Calum, ti prego, sii realista: non potrà mai succedere nulla tra di noi, tu sei ossessionato da un giocattolo che non puoi avere"
Solo allora lui sentì un dolore sordo e profondo al petto, come se qualcuno gli stesse stritolando la cassa toracica: come se lei gli stesse frantumando il cuore, e con questo tutte le speranze e le aspettative che aveva alimentato in quegli anni.
Nonostante tutto, Calum parò il colpo, come un guerriero che ha già perso tutto, ma che non si arrende.
"Non voglio averti- e invece non era vero, non era vero per niente: lui la voleva con tutto se stesso -voglio solo starti vicino"
Ma che senso aveva, se erano due sconosciuti? Le sue stesse frasi non riuscivano a stare in piedi da sole.
"Allora, caro Calum, devi trovare un modo per stare vicino ad una ragazza a cui sta cadendo tutto addosso, a cui sta tremando la terra sotto i piedi"
Ashley non si aspettava che lui rispondesse, perché in fondo non c'era risposta o conforto che sarebbe potuto arrivare da quel ragazzo. 
Così raggruppò velocemente le sue cose, si alzò e gli disse "Buona fortuna" senza sapere se si stesse riferendo al trovare un modo per consolarla o al cercare una vita che non includesse lei.
Poi se ne andò, seguita dalla scia di un profumo diverso da quello di sabato mattina: più aspro, più duro.
O forse erano solo le percezioni di Calum che cambiavano in base al suo stato d'animo.
Forse il profumo era sempre lo stesso.
● 
Calum inforcò la bicicletta dalla rastrelliera della scuola, uscì dal parcheggio e corse lungo il ciglio della strada che l'avrebbe portato a casa.
Pedalava così velocemente che gli lacrimavano gli occhi, e vogliamo specificare che naturalmente era solo per via della velocità, non per via di quella ragazza che era insieme il suo antidoto e il suo veleno e che aveva spazzato via ogni cosa con una sola frase.
Non si fermò ai semafori, non badò al traffico infernale della città e rischiò un paio di volte di andarsi a schiantare: ma il nostro vecchio ragazzo doveva arrivare a casa il prima possibile.
Perché, per la prima volta, aveva un progetto: qualcosa che era sempre stato sepolto dentro la sua coscienza o come la volete chiamare, ma che stava tardando a venire fuori. 
Erano state le parole di Ashley a riportarlo in superficie e a far emergere un disegno preciso.
E non importava se aveva rischiato di essere travolto da un camion e da un taxi: lui sentiva che sarebbe stato addirittura un privilegio morire con quell'idea malsana in testa.
Forse aveva anche qualche tendenza suicida, quel folle ragazzo innamorato, a ben pensarci.
Arrivò a casa, spalancò la porta e senza dire una parola si chiuse a chiave in camera sua.
Si sedette, con un foglio bianco da una parte e la sua chitarra dall'altra e non si alzò per le successive tre ore.
Così, Calum, che doveva essere depresso, triste e nel pieno di una crisi tardo-adolescenziale, fece ciò che aveva mai fatto prima.
Scrisse. 
Un pezzo solo, in tre ore.
La canzone era composta principalmente da accordi di chitarra, forse non era nulla di particolare.
Però nel testo aveva usato il pronome "noi", anche se sapeva che un noi non sarebbe mai esistito, e sì, quelle parole parlavano di lei: quelle parole erano tutto quello che lui non era mai riuscito a dire prima.
Ma, ragazzi, quando suonò quel pezzo correttamente e per intero la prima volta, sentì una tale forza e una tale libertà dentro di sè che ebbe la certezza assoluta di aver fatto la cosa giusta.
Un brivido gli aveva percorso la schiena: quella era la sua strada.
Ora sapeva come muoversi.
Stava scrivendo il titolo in maiuscolo, con caratteri sbilenchi e disordinati, sulla parte più alta del foglio:
EVEN WH...
Poi cambiò idea, tirò una linea e scrisse sopra:

GOTTA GET OUT.






Note 
E quindi abbiamo la prima canzone! Ce l'abbiamo fatta!
A parte questo non so veramente cos'altro dire del capitolo, perché vorrei tanto lasciare i commenti a voi, solo per sapere come vi sembra questa parte, o la storia in generale.
Grazie a tutti quelli che leggono o che leggeranno la storia.
Un bacio, a presto
Veronica

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Capitolo 7
*** If you don't know ***


Capitolo 6

If you don't know

Era così soddisfatto del lavoro che aveva fatto il giorno prima che la mattina si svegliò trepidante, perché non vedeva l'ora di far sentire il pezzo ai ragazzi e sapere se sarebbe potuta diventare la prima canzone della band.
Poi la rilesse, più e più volte e si ritrovò ad essere perplesso.
Calum era una di quelle persone a cui vengono bene sostanzialmente poche cose: una di queste era Gotta Get Out. 
Ma la fissò fino a quando non cambiò idea.
Quindi tutta la sua trepidazione si affievolì lungo il corso della mattinata: gli accordi erano troppo semplici, gli sembrava poco ritmata, aveva addirittura la sensazione che le parole si ripetessero uguali per troppe volte ed era completamente diversa dal genere della band.
E poi era assurdo scrivere una canzone per una ragazza che non era minimente interessata a lui: era troppo poco.
Incontrò Ash, Luke e Michael nella sala di musica, durante un'ora buca per via dell'assenza del professore di matematica.
Calum teneva questo foglio in mano, mentre gli altri parlavano e ridevano tra di loro, e, per ogni secondo che passava, sentiva sempre più il bisogno di accortocciarlo e gettarlo nel cestino più vicino; e lo avrebbe fatto, veramente, se Michael non gli avesse afferrato il braccio dicendo "Cos'hai lì?"
"Uhm, niente di importante" cercò di divincolarsi lui, mentre tutta la soddisfazione provata il giorno prima si sgretolò di colpo.
Ma Michael non mollava la presa.
"Calum, fa vedere se è così poco importante"
Avrebbe potuto strappare quel foglio immediatamente, ma non aveva il coraggio di cancellare tutto, così allargo la mano e passò il foglio a Michael: capì di aver fatto la scelta giusta non prima di due anni dopo, quando si ritrovò a cantare quello stesso pezzo in una delle più famose arene di Londra, davanti a ventimila persone.
"È una cavolata che ho scritto io ieri, niente di niente" disse, ma era ugualmente ansioso di sapere se sarebbe piaciuta a loro.
I ragazzi la lessero in fretta.
Il primo a parlare fu Ashton:
"C'è anche la melodia?"
Calum afferrò velocemente una chitarra e, suonando, scoprì che gli era rimasta impressa in testa ogni singola nota. 
Quello che scrivi non si dimentica in fretta, pensò.
Luke non gli diede il tempo di finirla tutta.
"Calum sai quante volte ho provato a farlo io? Quante volte mi sono seduto e ho detto a me stesso che non mi sarei alzato finché non fossi riuscito a tirare fuori qualcosa di decente? Due note, mica chiedevo tanto. Poi arrivi tu, e non so da dove tiri fuori questa roba. Voglio dire amico, l'hai sentita? È spettacolare: il ritornello ti rimane in testa in una maniera assurda, e le parole... Veramente non ho la minima idea di come tu sia riuscito a fare una cosa del genere"
Forse Calum si sarebbe potuto offendere per la poca fiducia che il suo amico aveva riposto in lui fino a quel momento, ma la voce di Luke era così piena di felicità, e i suoi occhi brillavano così tanto che non si poteva pensare che stesse provando qualcosa come l'invidia.
Quindi il ragazzo tirò un sospiro di sollievo, contento che almeno loro fossero felici di ciò che aveva fatto.
"Sono d'accordo Cal, è meravigliosa" confermò Michael e Ashton subito dopo aggiunse, in tono solenne:
"Ragazzi, vi presento ufficialmente la prima canzone dei 5 Seconds Of Summer: ricordatevi questo nome"
Scoppiarono tutti a ridere, perché naturalmente era una battuta, ma, in quel momento, non potevano nemmeno immaginare quanto quell'affermazione di Ashton si sarebbe rivelata vera.
Il Live at Norwest sarebbe stato l'indomani e Smoke on the water, il pezzo con cui si sarebbero dovuti esibire, era già pronto e rifinito, così si concessero quell'ora per provare tutti insieme Gotta Get Out.
Non era facile aspettarsi che la canzone si sarebbe adattata così bene alle capacità dei ragazzi: la voce di Luke, per esempio, conferiva in generale una delicatezza e allo stesso tempo una sorta di forza che, mescolata all'armonia creata dalle corde appena pizzicate delle chitarre, procurò più volte i brividi a Calum.
Lui scoprì quel giorno la bellezza di rivivere le emozioni provate scrivendo le parole del testo mentre lo cantava.
Scoprirono quel giorno com'è era strano costruire un'esibizione pezzo dopo pezzo, nota dopo nota, incatenandole tra loro e riuscendo a non uscire mai da quel disegno prestabilito.
Scoprirono quel giorno la vera alchimia che permetteva loro di capirsi con un solo sguardo o una sola nota.
Forse scoprirono quel giorno cosa voleva dire essere una vera band.

La campanella suonò all'improvviso mentre Ashley si trovava nella classe di educazione tecnica.
Sapeva cosa fare durante l'intervallo, ma una parte di lei le diceva che avrebbe dovuto lasciar perdere e andare avanti.
Anche se era tutto il giorno che rimuginava sulla stessa questione, prese una decisione solo in quel momento.
Intravide una chioma mora e due occhi dello stesso colore nel mare di persone che aveva davanti e si avviò in quella direzione, ignorando gli sguardi di mezza scuola fissi su di lei.
Non voleva che sentissero tutti quello che aveva da dire solo a lui.
"Ehi Calum, hai due minuti?" Gli chiese, iniziando a trovare adorabile la faccia da pesce lesso che il ragazzo faceva ogni volta che lei gli rivolgeva la parola.
"C-ciao Ashley, uhm sì, certo"
Così lei gli prese la mano, non potendo fare a meno di ricordare l'ultima volta che aveva fatto lo stesso gesto, e lo condusse in un corridoio meno affollato.
"Senti, vorrei farla breve. Ieri ho fatto la stronza: non era mia intenzione trattarti così male, solo che non era giornata, tutto qua. Non volevo offenderti. Io non sono così"
"È tutto a posto Ashley, non c'è nessun problema" si affrettò a rispondere Calum, per coprire lo stupore che stava provando: Ashley Burghley si stava scusando, con lui.
"Non devi fare il duro per forza, sai" lo canzonò lei "se riesci ad essere un po' più naturale con me oggi pomeriggio potremmo uscire in..."
"AVVISO IMPORTANTE PER TUTTI GLI STUDENTI, RECARSI NELLA HALL" tuonarono in quel momento gli altoparlanti a tutto volume, coprendo il suono delle parole della ragazza.
No, pensò Calum, non può essere vero: non ora! Cosa diavolo c'è di più importante di un appuntamento con Ashley?!
Fu tentato di mandare tutti a quel paese e trovare un posto tranquillo per continuare a parlare con lei, ma, vedendo che veramente tutti si stavano concentrando nei pressi della hall, capì che dovevano andare a vedere cosa diavolo stava succedendo.
Una volta arrivati nel centro esatto della scuola, videro il preside che parlava tramite un megafono, e, a forza di spintoni e gomitate, si aprirono un passaggio per riuscire a sentire le sue parole.
Calum riuscì a scorgere Michael, che scuoteva la testa contrariato, e sentì aumentare la curiosità e la preoccupazione dentro di sè. 
"Buongiorno ragazzi! Volevo annunciare davanti a tutti che domani si terrà la nostra prestigiosa competizione musicale!"
No, non poteva essere quello: non in quel momento, non in quel modo.
"È arrivato il momento di presentare a tutti i concorrenti di quest'anno!"
Oh merda, pensò Calum.
Sapeva cosa sarebbe successo: tutta la scuola avrebbe saputo che loro quattro suonavano, e lei, lei si sarebbe resa conto che Calum non era altro che un ragazzino immaturo che sognava ancora di fare il cantante.
Proprio ora, proprio ora che le cose stavano finalmente prendendo la giusta direzione, no, era tutto rovinato.
Intanto il preside chiamava i nomi e i ragazzi erano sospinti a salire su una sorta di palco improvvisato, in mezzo all'ironia generale.
Poi arrivò anche il loro turno.
"5 seconds of summer"
Emersero loro quattro dalla folla, tra le esclamazioni di sorpresa e le battute di scherno, e si avviarono verso il piccolo palco.
"Irwin?! State scherzando?"
"Oddio ma Hemmings era anche carino..."
"Beh, si sapeva che quel Clifford era uno sfigato"
Mentre erano lì, immobile e taciturni, Calum alzò gli occhi verso la folla riuscì a vedere Ashley.
Lei rideva.
La sua risata assomigliava più ad un ghigno crudele: sembrava quasi che le facesse piacere aver scoperto cosa faceva Calum prima di commettere l'errore di uscire con lui.
Il ragazzo cercò di scendere da quel dannato palco il più velocemente possibile e di andare incontro a lei.
"Quindi suoni. Oh no, hai addirittura una band! Ma non dirmi!" Lo anticipò lei.
Le sue parole erano come aghi per lui, che si era illuso per un attimo di riuscire a convincerla che non sarebbe cambiato nulla.
"In effetti sì, è un problema per te?"
"Ovvio che è un problema Calum: io non esco con un emarginato che passa le sue giornate a strimpellare una chitarra e a costruire sogni inutili e infantili. Svegliati bello, hai diciassette anni, non puoi continuare a vivere nel mondo delle favole. Tu e quei tre siete destinati a fallire"
Una parte, seppur piccola, di Ashley, si pentì immediatamente delle parole che aveva appena pronunciato, della cattiveria gratuita con cui aveva attaccato quel ragazzo che teneva così tanto a lei.
Ma l'altra parte, la ragazza abituata a catalizzare l'attenzione e a distruggere le vite altrui stava gioendo di quelle battute beffarde: pensava che, considerato che in quel periodo lei stava soffrendo, era giusta, se non obbligatoria, anche la sofferenza degli altri.
"Magari è così Ashely, magari hai ragione. Forse falliremo, ma ricorda che, quando succederà, noi cadremo insieme. Tu invece, guardati intorno, stai già cadendo. Ma sei sola" 
Calum aveva passato il limite, e forse non desiderava farle così male, ma non era intenzionato a sopportare ancora i suoi insulti, soprattutto se erano rivolti ai suoi amici.
"Tu hai già perso" le disse infine, voltandole le spalle.
Si diresse nella direzione opposta, mentre il fuoco dell'orgoglio che lo aveva fatto reagire in quel modo cominciava ad affievolirsi velocemente, fino ad estinguersi del tutto.
Calum non sapeva serbare rancore, a volte nemmeno per qualche ora, o qualche minuto.
Calum non aveva mai provato quel genere di rabbia che perdura nel tempo.
Calum dava sempre nuove possibilità alle persone che l'avevano deluso.
Calum era sempre pronto a perdonare tutti.
Calum tornava sempre indietro, se riconosceva di aver sbagliato nei suoi passi.
E Calum dovette obbligarsi a correre il più lontano possibile da Ashley perché già sentiva il bisogno di tornare indietro da lei, chiederle scusa, prenderla in braccio e scappare insieme, lontano da quel mondo che continuava a ferirli senza sosta.
~Scusami~  
 pensò
~scusami Ashley~






Note
Buonasera!
Chiedo scusa per il ritardo e l'ora! (tanto ormai lo sapete che non aggiorno mai prima delle undici)
Prometto che dal 20 aggiornerò più in fretta, dato che non c'è scuola.
Siamo finalmente arrivati alla svolta di questa benedetta storia! Spero che il capitolo vi piaccia ;)
Fatemi sapere se vi sembra come i precedenti o meno e le vostre impressioni e i vostri consigli a riguardo.
Grazie mille a tutti quelli che leggono e che recensiscono e a quelli che leggeranno e recensiranno.
Baci
Veronica

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Capitolo 8
*** Long Way Home ***


Capitolo 7

Long Way Home
 
La palestra non gli era mai sembrata tanto enorme.
Osservava da dietro le quinte, nello spogliatoio, stando bene attento a non farsi notare da nessuno.
In sala c'erano poche persone ed era ancora semibuia, ma le sue dimensioni mettevano  comunque Calum in agitazione: tra un' ora sarebbe stata stracolma di gente, principalmente ragazzi, che quel giovedì sera non avevano di meglio da fare se non deridere i propri compagni di scuola.
"Calum! Dove sei finito?" Questo era Ashton.
"Ash, sono qui! Non urlare" sussurrò lui, perché poi, dato che nessuno era abbastanza vicino da sentirli.
"Ehi dobbiamo fare le ultime prove, forza" l'amico lo raggiunse e si sedette su uno sgabello di fronte a lui.
"Uhm, okay"
"Senti amico" lo bloccò Ashton "so che per te è una situazione abbastanza complicata per via di Ashely e di tutte le sue stupide paranoie, ma devi staccarti da tutto questo, giusto il tempo dell'esibizione"
"È una situazione finita, più che altro" sorrise Calum.
"Beh okay, ma quello che sto cercando di dirti è che stai per fare qualcosa di importante. Stai per andare là fuori e chi lo sa? Magari stai per cambiare la vita di qualcuno con la tua musica, ma di sicuro stai per cambiare la tua. È la tua possibilità, non buttarla via perché sei troppo occupato a pensare ad una come Ashley, ti prego"
"Posso provarci"
"Mi accontento, muoviamoci dai"
Le prove andarono alla perfezione, anche se chiunque avrebbe potuto avvertire l'ansia e la preoccupazione dei ragazzi.
Ma c'era anche tanta eccitazione e tanta energia, perché in fondo amavano quello che facevano come nient'altro.
Lo show cominciò ufficialmente alle otto in punto, dato che, ahimè, alla Norwest erano precisi come orologi svizzeri.
Calum ascoltò tutte le esibizioni dei concorrenti che venivano prima del loro turno - l'ultimo-  seduto vicino agli spogliatoi, con la testa tra le mani, mentre provava a concentrarsi.
Cercava di calmarsi, ma per ogni minuto che passava, sentiva il suo battito cardiaco accelerare.
E se avesse sbagliato? Magari i primi accordi, o le parole?
Non sapeva improvvisare, ma, in fondo, non doveva farlo per forza.
Sapeva a memoria tutte le sue parti e anche quelle degli altri, poteva solo andare bene.
L'addetto alle luci li chiamò, interrompendo i suoi pensieri, e Calum raggiunse i suoi compagni.
Volarono parole di incoraggiamento, pacche sulle spalle, ed abbracci tra loro quattro.
"Tre, due, uno, si va in scena" disse Luke un secondo prima di salire sul palco.
Le luci accecarono Calum per qualche istante, quindi per un attimo non riuscì a mettere a fuoco la platea che si estendeva sotto di lui.
Avevano a disposizione qualche minuto per sistemare gli strumenti e gli amplificatori.
Lui era già in posizione, con la chitarra collegata alle casse, il plettro stretto tra le dita tremanti e il cuore che ormai era diventato un tamburo.
Nell'attesa di cominciare a suonare fece qualcosa di cui si sarebbe subito pentito: alzò lo sguardo.
Stava osservando i volti, per lo più sconosciuti, della prima fila quando riconobbe dei capelli corvini e degli occhi chiari.
Quegli occhi chiari: i suoi.
Capì solo allora di non avere scampo.
Ashley era lì, prima fila, con una visuale perfetta, ed era venuta per conto suo, da sola.
Un'idea folle balenò nella testa di Calum.
Avrebbe mandato tutto all'aria, tutte le prove, le discussioni, l'impegno, e non sapeva nemmeno se ne valesse veramente la pena.
Ma Calum voleva scoprirlo.
Si diresse verso il centro del palco e parlò velocemente con i ragazzi.
"Sentite, ho bisogno di un favore, non fate troppe domande"
"Cazzo Calum che c'è ora? Dobbiamo suonare! Forse non te ne sei accorto ma siamo già sul palco!" Luke era agitato più di lui.
"Facciamo Gotta Get Out"
Non diede loro il tempo di ribattere, si allontanò per evitare di sentire le loro parole e si posizionò di fronte al suo microfono, aspettando una loro risposta. 
Aspettando di sapere se loro erano con lui o meno.
Durante quei secondi, che gli sembrarono i più lunghi della sua esistenza, pensò che forse quella sarebbe stata la sua ultima occasione per parlare con Ashley e che, quindi, avrebbe dovuto dirle tutto ciò che aveva da dire.
Poi con la coda dell'occhio riuscì a vedere Luke.
Stava annuendo.
Stava annuendo! Ce l'aveva fatta, avevano accettato!
Ma il suo amico cercava anche di dirgli qualcos'altro, muovendo le labbra e indicando il microfono.
~parla, parla tu~ gli stava suggerendo.
Calum non sapeva improvvisare giusto? Beh in quell'occasione era l'unica cosa che doveva fare: in qualche modo doveva uscirne.
"Buonasera a tutti, siamo i 5 Seconds Of Summer- respirava, mentre tentava con tutte le sue forze di non far tremare la voce -presentiamo un nostro brano: si intitola Gotta Get Out- un altro respiro, lentamente -vorrei dedicare questo pezzo ad una persona. Non vi dirò di chi si tratta, ma sono sicuro che lei, questa persona, capirà da sola"
Okay.
Ora facciamo sul serio, sì.
Calum fece un ultimo lungo respiro e cominciò a suonare, come se tutta la sua vita dovesse essere riassunta durante quei quattro minuti.
La prima nota gli provocò un brivido lungo tutta la schiena.
Era la sua ultima possibilità, o era sempre stata l'unica?

● 

"Even when the sky is falling down
Even when the earth is crumbling 'round my feet

Even when we try to say goodbye
And you can cut the tension with a knife in here

Cause I know what'll happen
If we get through this

And if the earth ends up crumbling down to its knees baby
We just gotta get out
And if the skyscrapers tumble down and crash around baby
We just gotta get out

'Cause I feel so damn lost
And it comes with a cost of being alone

Everything is falling down
We're suffering, helpless thoughts and
Out we sing, prayers go to the sky

And if we fall
It's not your fault
Shadows covering
Our selfish foes
And as our love,
Can go out on a high note

We just gotta get out,
We just gotta get out."

Ashley non capiva, o forse non voleva farlo: la sua band aveva cantato quelle parole, ma lui le aveva dedicate solo a lei.
E forse le aveva addirittura scritte per lei, visto che sostanzialmente parlavano della sua situazione.
La terra che si sgretola sotto i piedi, gli addii, la tensione, la solitudine, il sentirsi persa, le colpe, le ombre, l'egoismo e la sofferenza.
Era lei.
Ma ciò che la spaventava era che la canzone conteneva anche qualcos'altro: un invito, un tentativo di aiuto, un'offerta.
"Scappa con me, dobbiamo solo andarcene".
Ed Ashley, alla fine dell'esibizione, con le lacrime agli occhi, si chiese se poteva veramente rifiutare l'offerta di Calum.
Poteva continuare ad affondare da sola? 
Ora aveva un'alternativa.
La band di Calum aveva ottenuto un punteggio di 7,5 su 10, che non bastava per vincere la competizione ed Ashley, la vecchia Ashley, teneva tantissimo a questo genere di cose.
Lei non sarebbe mai uscita con un perdente.
Ma questo perdente, signori, questo perdente aveva scritto per lei cose come "le ombre coprono i nostri demoni egoisti", quindi come poteva non essere considerato?
Con quale coraggio lei gli avrebbe detto -non è abbastanza-?
Subito dopo lo show, intorno alla mezzanotte, Ashley andò incontro a Calum direttamente dietro il palco.
Senza dare nemmeno il tempo alle lacrime che aveva versato durante l'esibizione di asciugarsi, individuò il ragazzo, gli gettò le braccia al collo e lo strinse forte a sè, forse perché non sapeva bene cosa dire, cosa fare, o come comportarsi, forse perché non aveva il coraggio di guardarlo negli occhi.
O forse solo perché era l'unica cosa giusta da fare.
Dopo un iniziale momento di esitazione avvertì che anche Calum stava ricambiando la stretta e che aveva poggiato la testa nell'incavo del suo collo. 
Ashley poteva sentire il respiro affannato di quel ragazzo sulla sua pelle e forse sarebbe dovuta essere felice di una simile sensazione, tuttavia le parole di quella canzone continuavano a ripetersi senza tregua nella sua testa, distraendola da tutto il resto.
Così pianse di nuovo perché era tutto ancora troppo pesante.
"Oddio Ashley, che succede?"
"Niente, è solo che... Grazie Calum"
Lui sorrise, come se avesse previsto e atteso quel momento da secoli, senza tuttavia riuscire a nascondere il suo nervosismo.
Calum con una mano afferrò la chitarra appoggiata al muro a fianco a lui, con l'altra prese la mano di Ashley e questa volta fu lui a guidarla fuori da scuola, nel buio della notte, lungo tutto il parcheggio fino ad arrivare alla sua macchina.
"Non non so dove voglio andare nè cosa devo fare, ma ti prego non portarmi a casa" sussurrò lei non appena Calum mise in moto.
"Dobbiamo solo andarcene giusto?" Sorrise lui, ripetendo le parole di Gotta Get Out.
"Giusto, dove?"
"A casa, ma non preoccuparti: faremo la strada più lunga"
Detto questo cominciò a guidare lasciandosi alle spalle la zona residenziale dove si trovava la loro scuola, verso Dulwich Hill.

● 

Calun non aveva mai smesso di improvvisare nell'arco della serata e non aveva la minima intenzione di cominciare a farlo in quel momento.
Si stava mettendo in gioco, e stava correndo l'enorme rischio di uscire nuovamente sconfitto ed umiliato dal confronto con Ashley.
"Non stiamo andando in nessun posto. Letteralmente stiamo perdendo tempo."
"Perché allora? Cosa ti spinge a sprecare il tuo tempo?" Ribattè lei, dopo aver recuperato il controllo di se stessa.
"Semplicemente il fatto di poterlo fare insieme a te"
Silenzio.
Ashley stava accusando il colpo e sì, forse qualcosa era diventato più chiaro, meno sfocato.
"Tu invece? Insomma Ashley un giorno mi insulti il giorno dopo mi salti addosso. Se tieni a me perché mi tratti così? E se invece non te ne frega nulla, perché continui ad illudermi?"
"Forse sono solo una brava bugiarda"
"Sarai anche brava a mentire, ma con le decisioni sei veramente pessima, lasciatelo dire"
Calum avvistò un parcheggio, nella strada in collina che stava percorrendo.
Anche se sapeva che spiazzi come quelli, presso Dulwich Hill, non godevano di una bellissima fama, accostò la macchina, deciso a scendere.
Intanto fra di loro si era rialzato il muro di tensione che era sempre rimasto tale, escludendo i secondi di quell'abbraccio che lei gli aveva regalato non più di una trentina di minuti prima.
"Vieni" le disse.
Così uscirono entrambi, e si trovarono davanti ad uno spettacolo tanto stupefacente quanto inaspettato.
Il parcheggio era una sorta di piattaforma con una meravigliosa vista sulla città, su tutta la città, dai grattacieli del centro fino alla periferia.
Fu lì che cambiò tutto.
Le luci illuminavano Sydney tanto da farla sembrare in fiamme ma contemporaneamente, la scarsa illuminazione dello spiazzo permetteva loro di vedere delle stelle altrettanto abbaglianti.
Fuoco sulla terra, ghiaccio in cielo: due opposti perennemente in conflitto.
Poi c'erano loro due nel centro esatto, sospesi tra i due schieramento, frutti di quella guerra senza tempo, ma altrettanto insensati e casuali.
Entrambi stavano fissando quel panorama mozzafiato, senza più dire nemmeno una parola.
Poi però Ashely si voltò verso Calum: si pentì subito di quello sguardo, come lui se ne era pentito poco prima, quando l'aveva vista in prima fila ad assistere alla sua esibizione.
Perché le luci di tutta la città si riflettevano negli occhi del ragazzo e letteralmente Ashley riusciva a vedere il fuoco dentro essi.
In un secondo cambiò tutto perché lei per la prima volta riuscì a vedere la bellezza dentro agli occhi di Calum infiammati dalla speranza che non moriva mai e un po' di quel fuoco si insinuò  anche all'interno del suo animo.
Gli prese la mano ed anche lui si voltò verso di lei.
"Sarò anche brava a mentire, ma sappi che ho già scelto. Ho deciso che stanotte voglio continuare a fissare le fiamme dentro ai tuoi occhi, voglio sentire tutto il calore che puoi darmi. Stanotte voglio innamorarmi Calum"
Si avvicinò di più a lui e alzandosi sulle punte lo baciò velocemente: si staccò dopo meno di un secondo, solo per vedere l'espressione scioccata di Calum.
Era lì impalato, con la bocca socchiusa e gli occhi spalancati mentre cercava di capire se si era immaginato tutto o se invece era successo veramente.
"Fallo di nuovo Ashely" balbettò.
La ragazza si aprì in un meraviglioso sorriso, senza dubbio il più bello che Calum avesse mai visto: era talmente abbagliante che accecava più di tutte le luci sotto di loro e di tutte le stelle sopra, ed era così trasparente che nessuno avrebbe mai potuto pensare che non fosse sincero.
"Subito" bisbigliò.
E solo allora lo baciò sul serio, senza più ridere, senza più giocare, mentre il fuoco immaginario intorno a loro si trasferiva e si accendeva nei loro animi.
In un attimo erano in fiamme.
Entrambi, anche lei, per la prima volta.
Ashley gli afferrò i capelli corti con forza per fargli capire che quello non era uno scherzo nè un sogno.
Lui ricambiò, lasciando da parte i dubbi e le paure e concentrandosi solo sulle labbra di Ashley premute sulle sue.
Aveva immaginato quell'istante migliaia di volte, l'aveva sognato, l'aveva aspettato, l'aveva temuto ed infine, quando l'aveva messo da parte perché era convinto che quella fantasia potesse farlo stare solo peggio aveva scoperto che sarebbe stato destinato a sognarlo per sempre.
E invece eccolo là, il loro momento.
Ashley provò per la prima volta la certezza di baciare un ragazzo vero, in carne ed ossa e non una stupida maschera palestrata ed arrogante.
Calum rimase stupefatto nello scoprire quanto erano intense le emozioni che quella ragazza aveva represso  fino a quel momento, ma che ora si stavano manifestando in tutta la loro potenza.
Continuarono per diversi minuti, avvinghiati l'uno all'altro, temendo il momento in cui si sarebbero dovuti separare.
Volevano di più, volevano ancora.
Non erano spaventati dal desiderio che si era impossessato di ogni singola cellula dei loro corpi.
Forse si stavano rendendo conto che avevano veramente aspettato troppo ed ora desideravano solamente non smettere mai.
Dimenticarono l'inizio e il termine di quel bacio infinito.
E la strada verso casa non era mai stata tanto perfetta.
E la notte non era mai stata tanto giovane.





Note 
Buonasera a tutti!
Sì, chiedo scusa se il capitolo è lunghissimo (è quasi il doppio degli altri, ma non volevo continuare a tenervi in sospeso) e ringrazio tutti quelli che sono riusciti ad arrivare alla fine ;)
Parlando di cose serie a quanto pare i nostri due amici ce l'hanno fatta!! (Era anche ora direte voi).
Ho inserito tutto il testo di Gotta Get Out perché è veramente importante per quanto riguarda la trama, quindi se non conoscete la canzone è importante che capiate le parole.
Il capitolo comunque si chiama Long Way Home perché ci sono parecchi riferimenti a questo pezzo.
Fatemi sapere cosa ne pensate degli ultimi sviluppi della storia, e di come è scritta, e dei personaggi in generale e di qualsiasi cosa vi sembri più o meno rilevante.
E sopratutto fatemi sapere cosa vi sembra del bacio dei nostri ragazzi, perché, uhm, per me è sempre un'esperienza nuova, diversa e complessa descrivere un bacio.
Grazie a tutti quelli che sono ancora qua a leggere.
Baci 
Veronica

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Capitolo 9
*** Kiss me Kiss me ***


Capitolo 8

Kiss me Kiss me

~When you're at the end of the road 
And you lost all sense of control 
And your thoughts have taken their toll 
When your mind breaks the spirit of your soul~

Billie Joe Armstrong e la sua band suonavano "21 Guns" alla radio della piccola utilitaria di Calum.
In realtà era una delle cassette che il ragazzo soleva conservare e riascoltare quando era in macchina da solo, anche se il caso non era quello.
La raccolta che stavano ascoltando conteneva decine di canzoni che Calum stava registrando da mesi.
C'erano i pezzi con cui era cresciuto.
C'erano le band con cui era cresciuto e stava crescendo.
C'erano i già citati Green Day, i Blink-182, gli All Time Low, i Jet, i Good Charlotte, i Nirvana, i Clash, gli All-American Rejects, qualche pezzo più vecchio dei Deep Purple o dei Queen, poi chi altro mancava?
"Adoro i Green Day. E credo che questo sia uno dei pezzi migliori" Disse Ashley, semisdraiata sul sedile anteriore, con le dita ancora intrecciate con quelle di Calum.
Calum le sorrise, dato che quella era anche una delle canzoni che preferiva lui, naturalmente, ma non rispose.
Invece, alzò il volume ad un livello impressionante, considerato l'orario, e, rischiando la pericolosissima manovra di passare sopra alle marce con l'auto in moto, si avvicinò al viso di Ashley e la baciò.
"Già il nostro secondo bacio, Hood, come corri" rise lei e lui per poco riuscì a non perdere la testa per quel suono che gli sembrava quasi angelico.
Come se ce l'avesse davvero la testa, in quel momento, come se non l'avesse persa completamente nel corso della serata.
Le emozioni che stava provando le aveva sempre avute dentro di sè, cresciute a sua insaputa come edera ostinata ed indistruttibile, che continua a germogliare anche se tutto ciò che ha intorno appassisce. Non si erano mai arrese loro, esattamente come non l'aveva mai fatto Calum, nonostante tutto.
La ragazza si rese conto invece che, improvvisamente, trovava adorabile l'espressione agitata e spaventata di Calum in alcune situazioni. 
Quella stessa espressione che aveva odiato e che aveva ritenuto patetica in precedenza, per esempio alla festa di Robert Watkins.
"Pensa a quanti altri ce ne saranno" bisbigliò Calum ricercando e ritrovando il contatto con le sue labbra.
Poi dovette mettere da parte la sua timidezza e raccogliere tutto il suo coraggio per riuscire a baciarle il collo.
Mentre premeva le labbra sulla vena di Ashley, per un attimo, riuscì ad avvertire il battito veloce del suo cuore.
Sentì il respiro di entrambi accelerare prima che le mani di Ashley gli prendessero il viso per farlo fermare.
"Se continui così, perderò il conto dei baci prima che faccia mattina" sorrise lei.
 Calum si rimise seduto al suo posto, un po' perché doveva già riprendere fiato e un po' perché non sapeva dove tutto ciò li avrebbe portati.
Insicuro.
Come sempre.
"Cosa hai intenzione di fare?" Chiese Ashley, naturalmente nel momento più adatto.
"Riguardo a cosa?"
"Oh avanti Cal, sono andata a letto diverse volte con ragazzi decisamente peggiori di te già durante la prima sera. Non sarebbe una grande novità"
"Tu dai per scontato che tutti vogliano portarti a letto"
"Io potrei anche offendermi per ciò che hai appena detto" scandì lentamente lei, sempre con il sorriso sulle labbra "forse ti sei dimenticato che sono Ashley Burghley" e non aggiunse che probabilmente era solo una troietta vanitosa ed arrogante che veniva usata come un oggetto da tutti, perché sapeva fin troppo bene che quella era la verità, e, semplicemente, avrebbe fatto troppo male ad entrambi.
Ma non poteva mentire anche a se stessa.
Aveva sempre convissuto con quel genere di convinzione, le stava bene, pensava che fosse solo divertimento, solo sesso e un numero infinito di relazioni, ma ora si sentiva così stupida e sporca di fronte a lui, lui che la trattava veramente come un essere umano.
"E io non sono il genere di ragazzo che cerca di farsi la più bella della scuola solo per vantarsene con gli amici e aggiungerla alla propria collezione personale come se fosse un trofeo. Tu non sei il trofeo di nessuno. Non voglio avere tutto ora per poi non riuscire nemmeno a parlare con te domani"
Ashley lo fissava confusa, perché, in qualche modo, lui la stava rifiutando e questo le sembrava inconcepibile, ma allo stesso tempo era onorata che qualcuno manifestasse interesse per la sua personalità e non solo per il suo corpo.
"Quindi continuo a chiederti cosa hai intenzione di fare, vediamo se ti decidi a rispondermi stavolta" ribattè seccata da quei dubbi.
"Oh, ma è semplice. Voglio guidare per tutta la città e guadare l'alba insieme a te, come abbiamo fatto la settimana scorsa. E domani, a scuola, voglio poterti tenere per mano e portarti i libri e sedermi vicino a te durante il pranzo e farti compagnia quando sei sola. E voglio fare tutte queste stupide e sdolcinate azioni solo per farti capire cosa si prova ad avere una persona vicino. Non voglio portarti a letto Ashley"
Lei stava iniziando a capire che veramente non aveva mai provato ciò di cui Calum stava parlando.
Faceva male, faceva male anche quello.
"Sicuro?"
"Beh, non stasera perlomeno" ribatté lui sorridendo.
Risero entrambi ma Calum distolse in fretta lo sguardo perché aveva sempre paura che il sorriso di lei potesse accecarlo.
Allora Ashley prese il viso di Calum tra le mani e lo baciò mentre una nuova scarica di brividi pervadeva il corpo del ragazzo.
"Andiamo via da qui" gli sussurrò poi in un orecchio.
"Buona idea"
● 
Era ormai notte inoltrata e Calum stava girovagando da tempo mentre parlava insieme ad Ashley di tutto e di niente.
E più parlavano, più Calum si rendeva conto dell'intelligenza di quella ragazza, ma anche di una sensibilità e di una dolcezza che non era mai riuscito a scorgere prima.
Lui non sapeva che gran parte di quelle qualità le stava tirando fuori lui, dall'anima arrugginita e  sostanzialmente egoista di Ashley.
Lei gli raccontò di come sua madre e suo padre si stessero separando, dopo continui litigi ed incomprensioni, e di come suo fratello si stesse velocemente allontanando dalla sua stessa famiglia, intenzionato a cercare fortuna altrove: parlò con grande contegno, come qualcuno che non vuole la compassione, ma solamente la comprensione degli altri.
"Posso chiederti una cosa Ashley? Puoi anche non rispondermi se non ti va"
"Prova"
"Cos è successo veramente con Fay?"
Okay, un respiro profondo.
"Era la mia migliore amica. So che è assurdo chiamarla così perché in realtà tra di noi non c'è mai stato un vero rapporto di amicizia: una era la spalla dell'altra quando si trattava di ragazzi e appuntamenti, certo, e se c'era qualcuno da deridere o emarginare noi due eravamo sempre in prima fila, insieme, ovviamente, ma tutto finiva là, alle feste, alle partite di football e ai letti di giocatori talmente simili che ora si confondono tra loro. Poi c'era Matt: il capitano. Tutte avevano, e continuano tuttora a nutrire, un debole per il capitano, ma solo noi due potevamo permetterci di essere tra le sue beniamine"
Arrivata a quel punto Ashley era veramente indecisa tra mettersi a piangere o scoppiare a ridere.
"Dio Calum, ma ti rendi conto di quanto tutto ciò sia stupido? Di quanto io sia stata stupida a venerare un ragazzo del genere come se fosse un dio? Mi fa schifo, ecco tutto"
"Ehi, puoi anche non proseguire se non vuoi"
"No, devi sapere queste cose di me, ne hai il diritto. Il nostro amico Matt voleva me, non Fay: ero sempre stata la prima scelta" si fermò e rifletté, , si vergognava di se stessa per esserne andata fiera fino a quel momento "a lei questo fatto proprio non andava giù. Sono stata con Matt per qualche mese, poi ci siamo lasciati, come prevedeva l'ordine delle cose. Quella vipera di Fay non aspettava altro, e Matt quella sera era talmente ubriaco ed eccitato che avrebbe tentato di portarsi in camera da letto qualsiasi ragazza"
"Alla festa di Robert Watkins, non è così?"
Ashley annuì, lentamente.
"Il resto lo sai anche tu"
Silenzio.
Mentre Calum guidava nella notte, tra le luci artificiali della città, tenendosi ancorato all'emozione che gli permetteva di ignorare il sonno e la stanchezza, si rese conto di ciò che doveva dire. Stava per parlare, e l'avrebbe fatto veramente, se non si fosse accorto che Ashely era in lacrime.
"Non voglio più far parte di quel mondo. Non aggiungere altro, sto bene, ora mi riprendo, ma non ne voglio più parlare"
"Okay, allora parlo io. Non hai sprecato il tuo tempo, hai solamente perso di vista il tuo obbiettivo"
"Il mio obbiettivo? E quale sarebbe?"
"Quello di tutti gli essere umani Ashley, essere felici"
Ancora silenzio, mentre quelle parole si adagiavano su di lei, come il polline a primavera.
Capiva sempre di più, capiva sempre meglio.
"Sei felice, ora?"
"Se posso isolare questo momento sì, lo sono. Ma non durerà a lungo. Domani mattina sarà di nuovo la mia vita"
"Ti sto parlando proprio di questo. Non deve esserlo per forza. Ti voglio chiedere solo un'altra cosa, Ashley"
"Vai"
"Sei disposta, da questo preciso istante, a metterti coscienza e controcoscienza sotto le suole delle scarpe e cercare solo quel che ti fa essere felice, che ti fa star bene, che ti fa ridere, per sentirti viva sul serio?"
 Niente silenzio, lei non indugiò nemmeno un secondo.
"Sì, io sono disposta, Calum"
"Perfetto. Baciami"
"Ma stai guidando"
Calum premette il piede sul pulsante del freno alla velocità della luce e fermò l'auto nel bel mezzo della strada.
"Problema risolto" bisbigliò, mentre si avvicinava ad Ashley.
Naturalmente Calum non poteva immaginare che si sarebbe ricordato del sapore dei baci di lei e del tocco leggero delle sue mani per il resto della sua vita.
"Forse dovremmo tornare" disse lei, dopo diversi minuti "sono le tre"
"Dimmi quando ti potrò vedere di nuovo, perché non sono sicuro di poterti lasciar andare"
"Anche domani, mister comecorri" ribatté lei, ridendo.
"In tal caso potrei anche riaccompagnarti a casa"
"Sarà meglio"
Così fece, mentre la sua cassetta era ormai arrivata agli ultimi pezzi.
Una volta raggiunta la cima di Sirius Cove Hill, ed essersi immesso in Lennox Street, Calum si fermò a due villette di distanza da quella della famiglia Burghley.
"Ehm, Calum?"
"Sì?"
"Me la faresti risentire?"
"Intendi Gotta Get Out?"
"Secondo te?
"Questo dialogo ha decisamente troppi punti interrogativi per i miei gusti"
"Dici? Continuò a giocare Ashley.
"Vuoi sentirla o no?"
"Sai suonarla da solo?"
"Posso provarci?"
"Certo, magari prima che faccia mattina?"
"Hai vinto" bofonchiò Calum sorridendo, mentre si allungava per prendere la sua preziosa chitarra.
Così intonò la prima nota, dopo aver scrupolosamente accordato lo strumento.
E, nel frattempo, lei cambiò idea sulla musica e su ogni cosa a questa collegata.
Venne stregata dai movimenti rapidi delle dita sottili di Calum lungo le corde della chitarra e dalla voce, altrettanto sottile, che le stava scaldando l'anima attraverso quelle meravigliose  parole.
Desiderò solo che potesse durare di più.
Non ne avrebbe mai avuto abbastanza.
Di quella melodia, di quelle parole, di quelle note, ma sopratutto di quel ragazzo.
"Calum?"
"Sì?
"Grazie"
L'unica risposta adeguata a ciò fu il meraviglioso sorriso che Calum le regalò subito dopo.










Note
Buonasera a tutti :)
Scusatemi per l'enorme ritardo.
Il capitolo non è proprio un capolavoro, ma ho passato troppo tempo a scrivere e cancellare ogni cosa che mi venisse in mente, quindi alla fine ho deciso di postare semplicemente quello che avevo, altrimenti non sarei più riuscita ad andare avanti.
Detto questo, vorrei fare un mini appuntino riguardo alla storia in generale: avevo detto che avrebbe contato 10-15 capitoli, invece alla fine, verrà più lunga, anche se nei prossimi capitoli il tempo scorrerà più velocemente, se così si può dire.
Ringrazio tutti quelli che stanno seguendo e apprezzando la storia.
Lascio a voi tutte le recensioni.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
A presto 
Veronica

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Capitolo 10
*** Unpredictable ***


Capitolo 10

Unpredictable 

"Oh avanti, finitela di fare i cretini" sbuffò Calum.
Era arrivato nel cortile della scuola più o meno da dieci minuti e i suoi amici non avevano smesso di prenderlo in giro nemmeno per un secondo.
"Ma almeno ti ricordi dove sei stato o eri troppo ubriaco?" Gli chiese Ashton, per l'ennesima volta.
"Non ero ubriaco"
"Ma lei lo era di sicuro..." disse Michael, senza continuare la frase, perché tutti avevano capito le conclusioni a cui alludeva.
Calum non diede troppo peso al suo sarcasmo perché sapeva bene che erano fatti così, e che se si fosse offeso per ogni battuta avrebbe passato una vita di litigi e incomprensioni.
Lasciava correre, come facevano loro con lui. 
Andava bene a tutti.
Era quando si trattava di cose serie che il loro rapporto cambiava, cambiava sul serio.
"Comunque siamo stati a Dulwich Hill e poi abbiamo, uhm, vagato per la città per un bel po' di tempo"
"A Dulwich Hill? Hai veramente portato una ragazza come lei a Dulwich Hill?" Chiese basito Luke.
"Beh sì, cioè non proprio, diciamo nei pressi. C'è una vista spettacolare lassù"
"Perché tu naturalmente pensavi alla vista spettacolare della città, non abbiamo dubbi" insinuò Michael che era di ottimo umore, a quanto pareva.
"Avanti, sai cosa intendo"
Calum non stava parlando molto, e riguardo ad alcune domande era piuttosto evasivo, perché in realtà era concentrato su altro.
Allungava il collo ogni cinque secondi, il ragazzo, cercando di individuare una chioma lunga e scura tra la massa di ragazzi che si affollavano di fronte al portone della scuola.
"Il concorso com'è andato invece? Chi ha vinto?" Cambiò discorso.
"Phyllis Margulies, la ragazza al pianoforte con You're Beutiful"
"Prevedibile, è roba da concorsi, quella" 
"Tu invece sì che sei imprevedibile vero? Dai, dai, dai, racconta cos è successo" Ashton fremeva di curiosità.
"Perché mai? Tanto non mi credereste"
"Fai un tentativo" disse Luke con noncuranza, gettando a terra la sigaretta ormai finita che teneva in mano.
Eccola. Era appena uscita dalla lucida auto nera di famiglia. 
Anche se indossava, come tutti, l'uniforme della scuola, la scelta delle scarpe, degli accessori, e delle acconciature denotavano il gusto fine di Ashley. Era sempre impeccabile, era, essenzialmente, la ragazza più elegante che lui avesse mai visto.
L'emblema della femminilità. 
Le labbra di Calum presero a tremare, all'improvviso.
Riportò la sua attenzione verso i ragazzi.
"Okay. Ci siamo baciati. Lei ha baciato me. E nemmeno una volta sola"
Anche le risate sguaiate dei suoi amici erano prevedibili.
Non credevano ad una parola, naturalmente.
"Tu? Scusa amico se sono schietto, ma Ashley Burghley non guarda nemmeno di striscio gente come te. Non ci crederei nemmeno se lo vedessi" affermò Michael.
Fu allora che Ashley si avvicinò a Calum senza farsi vedere e quando fu abbastanza vicina a lui lo prese per il braccio.
"Buongiorno" gli disse, incurante degli altri ragazzi.
Poi lo baciò. A lungo.
Non un piccolo bacio a stampo.
Inutile dire che Calum, Michael e persino Luke avevano gli occhi fuori dalle orbite e le mascelle penzolanti.
"Ci vediamo dopo, nel corridoio esterno" bisbigliò Ashley nell'orecchio di Calum, così da farlo sapere solo a lui.
Quindi accennò un saluto in direzione degli altri, si voltò e si diresse verso l'entrata della scuola.
"Dicevate?"
Chiese Calum, con un'espressione angelica sul viso.
"Hai del rossetto sulla faccia, mister rubacuori" rispose acidamente Michael.

● 

Il bello del corridoio esterno era che non ci passava quasi nessuno e Calum ed Ashley non avrebbero potuto desiderare di meglio.
Lei arrivò in ritardo, come soleva fare.
Innanzitutto gli gettò le braccia al collo e lo baciò.
Ci credereste?
Calum ancora non se ne rendeva conto. 
Aspettava di svegliarsi da un istante all'altro, di ritrovarsi nel suo letto, tra le lenzuola disfatte con la luce della luna che entrava attraverso le persiane.
Aspettava di rendersi conto che invece era tutto un sogno, perché, semplicemente, non poteva essere altrimenti.
"Ciao, come è andata la tua giornata?"
"Oh, solite lezioni estremamente noiose"
"Hai finito?"
"Sì, tu?"
"Anch'io"
"Ottimo, andiamo"
Si diressero verso il retro della scuola, che era ormai completamente deserto.
Ashley tirò un sospiro di sollievo.
Le costava fatica ammetterlo ma non voleva che si sapesse in giro della sua storia con Calum.
In parte perché le interessava ancora troppo ciò che diceva e pensava la gente e in parte perché voleva cercare di salvare le apparenze, ma soprattutto perché aveva paura che la questione potesse sfuggire loro di mano.
Calum era così ingenuo e non si rendeva conto che qualcuno si sarebbe spinto ben oltre i pettegolezzi, una volta che fosse venuto a conoscenza della loro relazione.
Già il bacio di quella mattina poteva essere stato un'enorme imprudenza.
E forse sarebbe costata troppo cara ad entrambi.
"Senti Calum, ti devo parlare"
"Che succede?"
Ma l'attenzione della ragazza venne attirata dai movimenti che provenivano dall'ingresso della scuola.
Sembrava una farsa così ridicola.
Ashley sperava che non fossero loro, che non fosse lui, ma venne prontamente smentita quando vide un gruppetto, nemmeno troppo numeroso, di ragazzi andare verso loro due.
Era lui.
Era Matt Lodge.
Ashley sussurrò velocemente a Calum di lasciar parlare lei.
Non era da solo, magari lo fosse stato.
Dietro di lui Calum scorse alcuni componenti della squadra di football della scuola: Ernest Morrow, Robert Ackley, Harris Macklin, Bob Robinson, Ward Stradlater, Curtis Weintraub e Phil Stabile.
Le espressioni non esattamente amichevoli gli fecero capire che erano venuti con uno scopo.
E che, probabilmente, non si trattava di discussioni sulla prossima partita.
"Burghley" esordì Matt "ma come siete carini tu e questo sfigatello. Chi è, il tuo nuovo amichetto?"
"Precisamente. Penso di potermi divertire anche io, ogni tanto"
Calum cercò di non prestare troppa attenzione alle sue frasi, perché si accorse che facevano terribilmente male, anche se probabilmente lei stava recitando.
"Cristo, come sei caduta in basso"
"Oh dici? Proprio tu? Tu che non sei riuscito ad evitare di baciare Fay davanti ai miei occhi? Quando una ragazza ti rifiuta, meglio correre dalla sua amica, giusto?"
"Tu non mi hai rifiutato" sibilò Matt, tra i denti.
"Oh giusto, non ti ho lasciato, non ti ho rifiutato, sono ancora qua pronta ad idolatrarti, come vedi" 
"Odio quando usi questo sarcasmo con me"
"Oh, hai aggiunto un nuovo termine al tuo ristrettissimo vocabolario, complimenti" 
Se Ashley stava cercando di farlo calmare quello non era il modo più corretto.
"Conosco molto bene la parola troia, e scommetto che la conosci anche tu"
A quel punto Calum, che fino ad allora non aveva proferito parola, portò Ashley dietro di sé ed esclamò:
"Vacci piano con le offese" cercando di tenere la voce più salda possibile.
"Possiamo passare direttamente ai fatti, se ti va" Rise lui, glaciale.
No, pensò Calum, non poteva farlo davvero. 
Non che avesse paura, o sentisse il desiderio di scappare, semplicemente non pensava che sarebbero arrivati a tanto.
Insomma lui era più alto di Matt e addirittura più forte, sarebbe riuscito ad avere la meglio, ma erano otto contro uno, non era...
Un dolore acuto lo strappò bruscamente dai suoi pensieri, facendolo piegare in avanti, boccheggiando, mentre cercava disperatamente di trovare aria, senza troppo successo.
Alzò lo sguardo giusto per vedere Ashley di fronte a sé per qualche secondo, prima che altre mani la afferrassero e la portassero altrove.
Matt strinse il viso di Calum e lo obbligò a guardare Ashley.
"La vedi? Devi capire solo una cosa caro Column. Lei è mia" affermò con decisione.
"Mi dà il voltastomaco questo ragionamento. Lei non è proprio di nessuno. Cresci." non era nemmeno sicuro di essere stato lui a parlare, tanto la sua voce sembrava fredda e apatica: effettivamente creava un buffo contrasto con il suo corpo, che era ancora accartocciato su se stesso.
"Vedo che non capisci"
Matt lo afferrò per le spalle e alzò violentemente un ginocchio in modo da colpirgli lo stomaco, nello stesso punto di poco prima, facendolo cadere rovinosamente a terra.
Indubbiamente sapeva ciò che faceva.
Calum non provò nemmeno ad attaccarlo a sua volta. A che scopo? Otto giocatori di football contro un ragazzo solo, quanto poteva durare?
Si rassicurò per un attimo quando vide che lo stavano accerchiando tutti, e che avevano lasciato Ashley in disparte.
Non l'avrebbero sfiorata con un dito, quindi andava tutto bene.
Almeno per lei.
Questo prima che cominciassero i colpi.
Così forti e così ripetuti che Calum perse il conto prima ancora di rendersi conto di ciò che stava succedendo.
E in tutto ciò, mentre i lividi sulla sua pelle fiorivano velocemente e il suo naso cominciava a sanguinare, lui non ebbe di meglio da fare se non sperare che tutto finisse il prima possibile.
Mentre era per terra venne distratto, se così si può dire, dal comportamento di Ashley.
Qualsiasi altra ragazza, di fronte ad una scena simile, avrebbe cominciato ad urlare e a piangere.
Lei no.
Non una lacrima solcava il suo viso mentre diceva con voce ferma:
"Dio Matt, quanto sei infantile"
"In otto contro uno? Veramente? Siete dei vigliacchi e ne siete perfettamente consapevoli" continuò.
Chissà quante ne aveva viste di scene come quelle, pensò Calum.
Ma, di fronte all'aumentare del ritmo dei colpi, anche lei cominciò a perdere il controllo.
Tentò di raggiungere Calum, senza ottenere nessun risultato concreto, mentre la frustrazione si impossessava di lei.
"Sei solo un dannato concubiscente, Matt" gridava ora.
Quella fu l'ultima cosa che Calum sentì uscire dalla bocca di Ashley, prima di vedere Luke dall'altra parte del cortile.
Pregò solo che non fosse stato così stupido da andare lì da solo, e si sentì profondamente sollevato, per quanto poteva essere possibile nella sua condizione, quando vide al fianco dell'amico i suoi due fratelli, Ben e Jack, e Ashton.
Loro tre riuscirono velocemente ad interrompere il pestaggio e a portare fuori dalla mischia Calum. 
Ashley fu immediatamente al suo fianco, visibilmente agitata.
"Ehi Cal, come stai?" Quella era senza dubbio la domanda più stupida che avesse mai posto in vita sua.
"Ho...ho avuto momenti migliori"
Lei rise, per cercare di sdrammatizzare, ma il labbro spaccato di Calum e il naso che perdeva abbondanti flussi di sangue le fecero cambiare idea in una frazione di secondo.
Lui probabilmente stava per svenire perché cominciava a notare delle chiazze scure ai lati del suo campo visivo, mentre l'incoscienza prendeva il posto del dolore.
Pensò cosa diavolo volesse significare la parola concubiscente.
Pensò che gli sarebbe piaciuto saperlo.
Poi, più niente.









Note
Buonasera a tutti!
Come vanno le cose?
Il capitolo é un po' diverso dagli altri, volevo provare qualcosa di nuovo.
Comunque devo confessare che i nomi dei giocatori della squadra di football non li ho inventati io, figuriamoci.
Sono presi da un libro e forse qualcuno tra voi può riconoscerli.
Se così fosse, scrivetemi e vi prometto che saremo migliori amici per sempre.
A parte questo spero che vi piaccia come sta venendo questa storia, perché io sto riponendo in essa una grande parte di me stessa.
Vi chiedo solo di spendere magari due minuti del vostro tempo per farmi sapere i vostri pareri.
A presto
Veronica

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Capitolo 11
*** Over and over ***


Capitolo 11

Over and over

"Un mese. Non posso stare fermo per un mese!"
Calum cominciò ad urlare appena mise piede in camera sua, di fronte ad Ashton, che l'aveva accompagnato in ospedale poco prima.
Il gesso gli fasciava completamente il braccio sinistro.
"Ti devo ricordare io che poteva andarti molto, ma molto peggio?"
"Non c'è solo questo in ballo. C'è di più. Ora avevamo cominciato"
"Faremo una pausa, magari tutti. Giusto il tempo che tu ti rimetta"
"Non capisci Ash, non capisci. Non posso lasciarla adesso"
"Non stai parlando solo della chitarra, non è così?"
Calum si accasciò sul letto, scuotendo la testa per confermare l'ipotesi dell'amico.
"È per lei. Ancora e ancora" disse sconsolato "non so cosa devo fare"
Ashton mise su un'espressione imbronciata, come soleva fare quando pensava intensamente a qualcosa, o come quando era contrariato.
"Guardati intorno. Tu pensi veramente che sia lei quella che necessita di protezione? Lei? La ragazza che fino a ieri era dalla parte dei carnefici? Forse non te ne sei accorto ma hanno pestato a sangue te, mentre a lei non ha torto un capello! Ti sembra coerente preoccuparti per lei?" Ashton era furioso, ora, mentre Calum lo fissava e basta, visibilmente scosso.
"Che cosa stai dicendo?" Ripetè, ma nella sua voce oltre all'incredulità, si celava il timore che le parole dell'amico fossero vere.
"È anche colpa sua se ti è successo questo, lo sai benissimo"
"Lei non l'avrebbe mai voluto" sussurrò Calum.
"Oh sì, era così preoccupata, ieri. Io non so se hai una vaga idea di quale fosse il tuo stato quando io e Luke ti abbiamo visto a terra, svenuto. Ti assicuro che abbiamo avuto molta paura. Lei invece era praticamente impassibile"
"In che senso?" 
No, Calum non voleva saperlo, ma raramente riusciamo a tenerci lontano dalla verità.
"Nel senso che ti devi svegliare Calum. Guarda come ti hanno ridotto!  Tutto questo per lei. Quindi mi sento in dovere di chiederti, ne vale veramente la pena?"
"Sì"
"Uhm, incluso non suonare Stella per un mese" constatò Ashton, come se aspettasse una smentita da parte di Calum.
Stella, nel caso ve lo stiate chiedendo, era il nome della sua chitarra, perché, da che mondo è mondo, ogni strumento ha un nome.
Quello, in particolare, era per via della canzone omonima degli All Time Low.
"Oh avanti Ash, le cose sono andate così. Non possiamo più farci niente, mettiamoci una pietra sopra e andiamo avanti"
"Okay, ma stammi bene a sentire. Non succederà mai più quello che è successo ieri. Mai più. Per nessuna ragazza. Tu lo prometti a me e io lo prometto a te, però sul serio" non c'era traccia di ironia nei suoi occhi.
"Promesso"
"Non lo dire a nessuno, ma ci tengo a te, deficiente" lo rassicurò poi, e Calum annuì come per confermargli che ne era già al corrente.
Si sentiva abbastanza egoista ma riusciva a concentrarsi solo sull'improvviso dolore che si era impadronito della sua fronte.
Doveva essere la ferita, medicata ma ancora fresca.
"E ricorda: le ragazze vanno e vengono, appaiono luminose e spariscono nascoste dal buio, ma quelli che restano siamo noi. Siamo noi che raccogliamo i tuoi pezzi e che curiamo le tue ferite quando il buio diventa troppo scuro per essere sopportato da solo. È allora che noi ci saremo. Sempre"

● 

Durante il pomeriggio di quella stessa giornata, Calum sentì il suo cellulare suonare e la scritta Ashley apparire sul display.
Nonostante il dolore alle articolazioni e ai muscoli delle gambe, si precipitò fuori dal letto in cui stava trascorrendo la sua presunta convalescenza per severo ordine di sua madre, ed afferrò il telefono altrettanto rapidamente.
"Ciao Calum" 
Voce mediamente distaccata, giusto con una punta di preoccupazione.
"Ehi, come va?" 
"Beh, forse dovrei essere io a chiedere a te come ti senti"
"Oh, non c'è bisogno grazie. Sto alla grande!"
Troppo entusiasmo, decisamente troppo. Amen, mica poteva farne a meno.
"In tal caso ti va di prenderci qualcosa all'Island?"
Okay, calmiamoci. Ti ha invitato ad uscire. Respira, ancora.
"Certo! Ci vediamo là alle cinque?"
"Perfetto"
"Bene allora a tra poco"
"Sei sicuro che non sia un problema?"
"No, figurati, perché dovrebbe"
Però, in fondo in fondo, Calum avvertiva il desiderio di Ashley di continuare a parlare con lui anche se ormai non c'era più niente da dire.
E ragazzi, nell'intero universo non esisteva una sensazione migliore.
"Perché sei appena uscito da un ospedale. A proposito com'è andata?"
"Bene!"
Trovare il nesso tra le parole era un'impresa molto difficile per Calum in quel momento.
"Non hai niente di grave?"
Niente di grave? Eh? Cosa? Di cosa stava parlando? Insomma avevano un appuntamento!
"Ah sì, il gesso. Per un mese. Al braccio"
"Scherzi?! Cavolo mi dispiace così tanto!"
"Ma non preoccuparti, non è niente"
"Calum sei sicuro di stare bene?"
"Io? Naturalmente"
"Sei strano, sembri come ubriaco"
Ops.
"Non ho bevuto niente, te lo giuro. È solo che, sai com'è, la tua voce è costantemente nella mia testa. Più o meno ventiquattr'ore su ventiquattro, quindi è una bella sensazione, uhm, sentirla davvero"
Ecco, se voleva farle capire che non era ubriaco, quello non era proprio il discorso giusto.
"Oh, okay. Sai, è proprio una cosa carina da dire ad una ragazza"
Poteva sentire il sorriso nella sua voce. 
Chi? Magari entrambi.
"Grazie, insomma, te lo meriti"
Ancora.  
Non avevano niente più da dire ma si rifiutavano di terminare la conversazione.
Chi l'aveva deciso che una telefonata era fatta solo di parole?
Quindi Calum ascoltava il respiro lento e regolare di lei attraverso la cornetta mentre desiderava rimanere ancora un po' immerso in quel silenzio, in cui c'erano tanto imbarazzo e tanta perplessità, certo, ma anche qualcos'altro.
Qualcosa di dolce e fragile e sottile, quasi impercettibile, come il sapore del nettare di quei fiori che lui amava tanto assaporare quando era bambino.
Soltanto una piccola goccia di amore immersa in un mare di silenzi.
"Calum?"
"Sì"
"Hai voglia di aspettare fino alle cinque?"
"Uhm, no. Se facessimo tra mezz'ora?"
"Era proprio ciò che intendevo"

● 

Gonna di pelle nera. 
Canottiera candida aderente, scrupolosamente arricciata all'altezza delle spalle. 
Trench nero inadatto per qualsiasi stagione eccezion fatta per la temperatura mite di quel pomeriggio.
Calze fumè. 
Scarpe con tacchi vertiginosi rosso scuro, per staccare, gli spiegherà lei, più tardi. 
Bracciali dello stesso colore. 
Occhiali da sole firmati, anche se il sole era talmente pallido da confondersi con il cielo.
Capelli minuziosamente pettinati. 
Un velo di ombretto e una pennellata di fard.
In mezz'ora Calum si era giusto allacciato le scarpe.
Ah no, le aveva fatte allacciare a sua madre per via dell'ingessatura.
"Buongiorno" aveva esordito Calum, andandole incontro e baciandola su entrambe le guance.
"Tecnicamente sarebbe già sera, dato che sono passate le tre del pomeriggio" rispose Ashley, sorridendo, cercando di non pensare ai sensi di colpa che la vista della fasciatura sulla fronte di Calum e del gesso sul suo braccio aveva risvegliato in lei. 
"Oh, mi scusi signorina, posso offrirle qualcosa per farmi perdonare?"
"Un drink non si rifiuta mai, messer" 
"Un bacio, invece, si può rifiutare?"
"Quasi sempre"
Ma poi lo baciò lo stesso, con molta attenzione per evitare di fargli male al labbro inferiore, che era ancora parecchio gonfio.
Si avviarono così, nella luce stanca di una giornata pigra e capricciosa, la mano dell'uno incastrata perfettamente tra le dita dell'altro.
E cosa importava, in fondo, se erano così diversi quando combaciavano come due metà recise di uno stesso oggetto?
Come due pezzi di un gioco per bambini, avevano entrambi scanalature, parti mancanti ed angoli smussati, ma una volta accostati, collimavano l'uno con l'altra in ogni minimo dettaglio.
Ma loro ancora non lo sapevano.

● 

"Cosa vuol dire concupiscente?" Chiese Calum.
"In preda alle passioni. È una persona che non sa dominare i propri istinti, come il desiderio, l'avidità, la sete di guadagno"
"E la rabbia"
"Esatto. Non pensavo che tu l'avessi sentito"
"Ero curioso"
"È uno dei tre tipi di anima secondo Platone. Gli altri due sono l'anima razionale e l'anima irascibile. La prima è predisposta verso la sapienza mentre la seconda ha la capacità di sdegnarsi di fronte alle ingiustizie"
"Di che anima sono fatto io Ashley?"
"Tu? Ma di nessuna delle tre, ovviamente"
"E com'è possibile?"
"Perché questo è il pensiero di Platone. Non corrisponde sempre alla realtà. Secondo me esistono almeno altri mille tipi di anime. Una teoria incompleta è errata per definizione"
"Se tu dovessi scegliere tra tutte le anime, quale sarei io?"
"Quella dell'altruismo"
Oh.
"Ma vedi Calum, non è così facile. Le anime sono complesse. Non siamo fatti di una cosa sola"
"Tu saresti quella razionale, senza dubbio"
"Forse. In definitiva tu sei un'anima altruista con una buona percentuale di anima dalle labbra magnifiche"
Oh, doppio oh.
"Anche quando sono spaccate e gonfie?"
"Assolutamente"
Bacio.
E Calum sussurrava "ancora"
Altro bacio.
"Ancora"
Di nuovo.
"Ancora"
Arrivava allora l'ennesimo.
E andavano avanti così, perdendo il conto delle parole sprecate e di quelle mai pronunciate, delle lacrime mai versate e di quelle ormai asciugate dal tempo, delle paure affrontate e superate e dei baci in bilico, sospesi tra le loro anime.
Erano in balia delle loro passioni, o forse erano solo innamorati dei loro sentimenti.







Note
Buongiorno! 
Sto aggiornando alle tre del pomeriggio, quale miracolo.
Scusate se sono in ritardo ma la scuola occupa praticamente tutto il mio tempo.
Non ho nient'altro da dire, come sempre, fatemi sapere tutto ciò che volete.
A presto
Veronica

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Capitolo 12
*** Social casualty ***


Capitolo 12

Social Casualty

Avete presente quando dopo un inverno particolarmente rigido arriva la primavera? Durante i primi giorni, quando ancora non fa molto caldo?
Avete presente uscire all'aperto, sentire sulla pelle i raggi del sole e chiedervi come siete riusciti a sopravvivere durante tutto il periodo invernale senza quel calore?
E avete presente sedersi per terra e rimanere per ore ad assorbire quel meraviglioso, inaspettato ma vitale tepore, mentre sentite tutti i vostri sensi tornare inesorabilmente alla vita, magari ascoltando una bella canzone, una di quelle con tanta musica e poca voce, create per essere assaporate in silenzio?
Ecco, questo è ciò che provava Calum.
Una sensazione di progressiva rinascita, di evoluzione, di cambiamento.
Nemmeno a dirlo, grazie a lei.
Lei era il sole. Non inteso come una metafora sdolcinata e fin troppo ricorrente, ma come il simbolo di una realtà più che mai solida.
Era lei che l'aveva risvegliato, senza nemmeno rendersene conto. Lei si era incuneata tra la pelle e la vita di Calum, esattamente come accade con i raggi di un sole troppo luminoso per essere guardato direttamente.
Lui aveva ritrovato la voglia di vivere al massimo delle sue capacità.
Fu così che, durante le quattro settimane di riabilitazione, decise di cambiare strada.
O meglio, di reindirizzare la sua attenzione verso il suo obbiettivo originale.
Okay, doveva prendere tutta quella concentrazione, quella gioia, quell'energia e tutto quell'insieme di percezioni positive per combinare veramente qualcosa.
Era così stanco di esprimere desideri a stelle distratte e lontane.
Per gli altri, per la società chiusa ed opprimente che aveva attorno, non sarebbe cambiato nulla, l'avrebbero comunque bollato come un bambino immaturo che cresce ma non cambia.
Ma chi erano loro, in fondo, per abbatterlo?
Calum era stufo di tutti i loro giochi, delle loro regole, delle loro stupide convenzioni, finalizzate a salvare le apparenze, era stanco dell'ipocrisia che dimostravano quando sostenevano di essere migliori di lui, per poi tornare, un secondo dopo, a vivere le loro vite da falliti.
Vite stupide e finte, vite facili e vuote.
No, Calum non voleva questo.
Perché doveva seguirli?
Non voleva avere il ruolo che loro gli avevano assegnato, non voleva essere una vittima della loro falsa moralità.
Lui voleva realizzare veramente qualcosa.
E aveva capito di avercelo dentro, avvertiva questo qualcosa sulla punta delle dita levigate dalla chitarra, esattamente dove ciò che si trovava sepolto nella sua testa vedeva la luce, sotto forma di note o parole, mescolato alla potenza dei suoi sentimenti e alle certezze delle sue intenzioni.
Nacque così il suo sogno, camuffandondosi dietro altri pensieri, nascondendosi dalla luce delle apparenze, un solo piccolo seme che cambiò completamente il suo modo di vedere la realtà.
Se chiudeva gli occhi vedeva uno stadio enorme, tanto grande da accogliere un vero mare di persone: non sapeva quante fossero, forse cinquatamila, forse centomila, forse un milione, forse due, forse dieci, cosa importava?
L'occhio non raggiungeva la fine.
Ogni singolo essere umano lì dentro urlava a pieni polmoni, ma questo non conferiva un'atmosfera di delirio e confusione, al contrario: tutti avevano il proprio piccolissimo ma indispensabile ruolo. 
Una macchina perfetta ed inossidabile unita da alcuni suoni ordinati ma al contempo deliranti, che guidavano il pubblico come direttori d'orchestra.
Percepiva melodie mai conosciute, non ancora inventate o scoperte, diffondersi in tutto lo stadio e culminare sul palco dove si trovava lui. 
Aveva in mano uno strumento che riconosceva a stento, con due corde in meno rispetto ad una chitarra tradizionale.
E poi si girava, spaventato da quella situazione folle e insana, anche se sapeva che era una sua allucinazione, e li vedeva lì.
Ash, Luke e Michael. 
Come la prima volta, sul palco della scuola.
Allora si calmava, riprendeva il controllo della situazione, alzava gli occhi sulla folla, respirava, e, proprio quando stava per riprendere a suonare, spariva tutto.
Ma ora sapeva dove voleva arrivare.
E da dove doveva cominciare.

● 

Teenage Dirtbag era un vecchio successo dei Wheatus, uno di quelli che entrano a far parte delle raccolte delle 100 hit dell'estate o stronzate del genere.
Nessuno si era mai soffermato troppo sul suo profondo significato forse proprio perché un profondo significato non ce l'aveva.
Ma a Calum piaceva perché il testo era schietto, diretto e sincero. Non aveva complicati artifici stilistici: una semplice base di accordi di chitarra ripetuti più volte e una bella dose di percussioni.
Era di una semplicità non scontata.
Era perfetta per loro.
Così, dopo due settimane di preparativi e prove tra gli strumenti, la logistica e la telecamera, si riunirono tutti e quattro per registrarla.
Era il 16 Dicembre.
Ashton era alle percussioni, Michael alla chitarra acustica e Luke e Calum cantavano.
Il primo per scelta, il secondo per necessità, dato che suonare con il gesso era pressoché impossibile.
La canzone venne bene alla prima ripresa: persino l'albero di Natale dietro di loro era stato precedentemente sistemato. Tutto era al proprio posto.
A parte lui.
Perché Calum sentiva il contrasto stridente tra la sua voce e quella di Luke.
Luke aveva talento, era intonato e aveva questa timbro magico grazie al quale riusciva ad emozionare in brevissimo tempo.
La voce di Calum, invece, era così acuta e così infantile da farlo sembrare ancora un bambino, e  in più non comunicava niente, o, almeno, non a lui.
"Non va. Le voci non stanno bene insieme"
Ma gli altri non l'avevano nemmeno sentito.
"Ragazzi! Fermatevi" urlò.
"Eh? Che succede?"
"Non possiamo pubblicare quella roba"
"Perché no?" chiese Ashton, stupito.
"Hai sentito come canto? È tremenda, scusate. Non può funzionare così"
Era quasi irreale come tutta la sua determinazione riuscisse a spegnersi alla prima difficoltà.
Ora gli sembrava tutto così stupido.
"E allora? Cosa cambia?" alzò le spalle Michael, con indifferenza.
"Come cosa cambia? Non posso cantare se non lo so fare"
"Oh certo, perché tu credi che io sappia veramente suonare la chitarra. Invece so fare solo quattro accordi. Ashton non è un fenomeno alle percussioni, Luke sbaglia un sacco di note. Credi di essere perfetto a diciassette anni? Non lo sei"
"Ma non possiamo mettere la cover su Youtube se tu non vuoi" disse Ashton.
"Oh avanti amico, per favore. Non ti costa nulla" lo pregò Michael.
"Va bene" sbuffò Calum.
Quindi crearono un canale su Youtube, piattaforma ormai invasa da migliaia di gruppi da quattro soldi che facevano cover delle canzoni più famose.
Nella stanza, il garage del padre di Michael, si respirava una certa agitazione.
Da quel momento l'intero mondo avrebbe potuto vederli.
Era eccitante e spaventoso allo stesso tempo.
"Signori e signore, ecco a voi la prima cover ufficiale dei 5 Seconds Of Summer" declamò Ashton, usando il tono più solenne che riuscì a trovare.
"Tanto non la guarderà nessuno" borbottò Calum.
Ecco, si sbagliava di grosso.




Note 
Mamma mia quanto è corto questo capitolo, vi assicuro che sono più lunghe le note.
Scusatemi, avrei potuto poseguire ma non mi convinceva ammassare tutto in una sola parte.
Ho inserito praticamente tutto il testo di Social Casualty, perché quella è una delle mie canzoni preferite dei 5sos.
Solo che, come tutti i brani, ha un difetto: non ha un contesto.
Il testo è formato da belle parole, frasi che insegnano qualcosa, ma solo per tre minuti.
E questo limite mi ha sempre dato fastidio.
Quello che cerco di fare è colocare queste frasi in una storia, formata da personaggi definiti e da situazioni precise. 
Le adatto ad un'altra realtà, per così dire.
Questa fan fiction doveva contare più o meno dieci capitoli, all'inizio, ma mi sono resa conto che ci sono molte più canzoni che meritano di avere una cornice attorno.
Ci sono ancora tanti altri testi speciali, significativi ed importanti che voglio provare a valorizzare.
Quindi, in definitiva, spero solo di non annoiarvi.
Se vi avanza qualche minuto, potreste scrivere una recensione per regalarmi le vostre opinioni e i vostri punti di vista, che sono fattori fondamentali.
In particolar modo voglio ringraziare Ida, che con i suoi complimenti mi ha fatto ritrovare un po' di quella voglia di scrivere che stava venendo a mancare, e voglio ringraziare Martina e Valentina che sono sempre state due presenze costanti in tutto ciò che ho scritto.
Al prossimo capitolo
Veronica

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Capitolo 13
*** Wrapped around your finger ***


Capitolo 12

Wrapped around your finger

I piccoli sassi si scontravano contro il vetro della finestra.
Toc. Toc.
Lei era concentratissima nello studio della storia medievale, per via del compito dell'indomani, anche se ormai era mezzanotte passata.
Quindi si accorse di quel rumore anormale solo dopo alcuni minuti.
Non individuò subito la fonte, immersa com'era nelle vicende di Filippo il Bello d'Asburgo.
Toc. Toc.
La luce abbagliante della luna entrava dalla finestra e creava giochi bizzarri con gli oggetti della stanza di Ashley, come un bambino fantasioso che crea giochi di ombre con le dita davanti ad una lampada.
Sembra una cartolina, pensò distrattamente lei.
Ma era troppo autentica per esserlo sul serio.
Toc. Toc.
Finalmente Ashley si rese conto che qualcosa, o qualcuno, stava richiedendo la sua attenzione.
Chiuse il libro, decidendo che il ripasso era terminato e si diresse verso la finestra, aprendola.
Venne sorpresa dalla notturna brezza estiva che le accarezzava il viso.
Ma forse fu più sorpresa quando vide nel suo giardino un ragazzo moro e alto che si guardava intorno agitato, probabilmente preoccupato di svegliare qualcuno che non fosse lei.
Oh no, non era solo un ragazzo, era il suo ragazzo.
"Che ci fai qui?" Bisbigliò Ashley nella sua direzione.
Calum, per tutta risposta, alzò le spalle, come per dire -non potevo fare altro.-
"È mezzanotte!" Constatò lei, irritata.
"Scendi?" 
Ashley alzò l'indice, per segnalare che sarebbe arrivata tra un secondo.
O un minuto.
O un'ora.
Ma comunque sarebbe arrivata.
Quindi Ashley chiuse la finestra, si ritirò e, prima di vestirsi appoggiò entrambe le mani sul suo viso.
Non riusciva a smettere di sorridere.

● 

L'oscurità più totale avvolgeva ogni angolo dell'abitazione di Ashley.
Lei si infilò una felpa, si pettinò velocemente i capelli e scivolò tra l'ombra dei larghi corridoi del secondo piano.
Scese le scale con passo felpato e si diresse verso la porta sul giardino sul retro.
Era stupefacente notare come l'interno di una casa fosse molto più buio rispetto alla luce dall'esterno.
Calum era seduto sul prato, con la schiena appoggiata al ciliegio dal quale pendevano i frutti maturi.
Il suo viso si illuminò non appena vide Ashley dirigersi verso di lui.
"Sei bellissima"
"Sono in pigiama" sorrise lei.
"Appunto. Solo tu puoi essere così bella in ogni momento"
Sapeva quali punti toccare, il ragazzo.
"Siediti con me" bisbigliò Calum.
Lei acconsentì e si sdraiò sulle sue gambe, appoggiando la testa sul petto di Calum, con le grandi mani del ragazzo che la circondavano.
"Che ci fai qui?"
"Oh, non avevo niente da fare" rispose lui.
-come se qualcosa potesse essere meglio di te- pensò poi.
"Quando hai tolto il gesso al braccio?" Chiese Ashley, notando che, se lui riusciva ad abbracciarla era solo perché aveva recuperato il controllo sul braccio sinistro.
"Ieri"
"È già passato un mese?"
"Proprio così"
Le dita di Ashley disegnavano piccoli cerchi sul bicipite di Calum. Per un attimo pensò di potersi addormentare, tanto si sentiva tranquilla in quella maledetta culla.
Odiava sentirsi così vulnerabile e fragile. Lei non era così. 
Odiava dipendere da qualcuno, e si era ripromessa che questo non sarebbe successo con lui. Avrebbero avuto una bella relazione okay, ma non sarebbe dovuta arrivare ai limiti della dipendenza.
Invece stava andando esattamente in quella direzione: su una strada ampia e in discesa che conduceva verso il nulla.
Ma tutto ciò che Ashley desiderava era percorrerla fino in fondo.
E già avvertiva da qualche parte la paura di perdere Calum.
Era ormai troppo tardi per non essere coinvolta, ed era passato solo un mese.
Dannazione, pensò.
Cosa le stava succedendo?
"Devo chiederti una cosa"
"Dimmi Cal"
"Io e i ragazzi abbiamo pubblicato su youtube qualche cover un po' di tempo fa. Abbiamo registrato anche Gotta Get Out, e avevamo intenzione di postarla, ma prima volevo assicurarmi che tu fossi d'accordo. È la tua canzone, dopotutto"
Lei abbozzò un sorriso, illuminata dalla luce della luna e Calum prese di nuovo in considerazione l'idea che fosse un angelo travestito.
"La bellezza è tale solo se viene condivisa"
"Non è vero. Tu sei la definizione di bellezza ma non vieni condivisa con nessuno"
Le labbra di Ashley sfiorarono il collo di Calum e proseguirono fino alla sua bocca, schiudendosi nel bacio migliore che lui avesse mai ricevuto.
"Ah no?" Bisbigliò lei.
"Beh, forse non è esattamente così" sorrise lui, con un'espressione estatica stampata in viso.
"Una parte di me ti appartiene. Anche se è molto molto piccola e praticamente insignificante è comunque tua"
"Non penso che questo si possa commentare" ammise Calum, con la voce che vibrava di gioia.
"Come sta andando il vostro canale? Qualcuno le guarda, queste cover?"
"Più o meno. Ci sono molte visualizzazioni, più di quante ne avessimo previste, in realtà. Però in giro, a scuola, in città, non ne parla nessuno: possiamo immaginare cosa pensano di noi, basati su migliaia di stupidi pregiudizi. E fa schifo, tutto qua"
"Cosa ti fa schifo?"
"Mettere tutto me stesso in qualcosa e non trovare nessun riscontro dall'altra parte: solo insulti e offese. È demoralizzante"
"Dai Calum, non fare così. Non sta agli altri credere nel tuo sogno. Vedrai che..."
"Voglio andarmene" Calum pronunciò quella frase con durezza, mentre guardava lontano, perso a rincorrere un pensiero effimero quanto i suoi obiettivi.
Ma era serio. 
Era la verità.
E il cuore di Ashley perse un colpo senza sapere nemmeno perché.
"Cosa stai dicendo? Vuoi veramente andare via?"
"No, Ashley. È solo che sono stanco di questa situazione"
"Ma se tu avessi l'opportunità di lasciare Sydney, o l'Australia, per inseguire qualcosa, lo faresti?" Ora Ashley sentiva il disperato bisogno di avere una risposta a quella domanda fin troppo scomoda.
"Probabilmente fallirei"
"E se avessi qualche certezza di riuscire nei tuoi intenti, ci proveresti?" Chiese lei.
Calum intanto pensava, perché non voleva mentirle. Voleva essere sincero con lei, quindi prese in considerazione entrambe le alternative, soppesò i pro e i contro ed arrivò ad una conclusione.
"Ci ho messo moltissimo tempo per conquistarti. Non ti lascerò scivolare via ora. Non me ne andrei perché non riuscirei mai a dirti addio, non riuscirei mai a baciarti per l'ultima volta. Non me ne andrei mai senza di te"
Si sentirono entrambi più leggeri: lei venne rassicurata dalle parole di Calum, lui sentì il peso ingombrante che avvertiva nel petto dissolversi, portato via dalle mani di Ashley intorno ai suoi fianchi e alle labbra sopra le sue.
"Non me ne andrei mai senza di te" ripetè bisbigliando Calum, come per prendere coscienza di quella frase. Pensava di essere stato completamente sincero.
Ma le bugie migliori sono quelle che raccontiamo a noi stessi.
Perché quella non era la verità.
E loro ancora non lo sapevano.
Passarono gran parte di quella notte a parlare e a ridere, stando svegli anche se avevano bisogno di dormire.
E probabilmente si chiesero cosa sarebbe mai riusciti a separarli.
Cosa mai sarebbe potuto cambiare.

● 

"I legami covalenti polari si formano tra due atomi che hanno elettronegativitá compresa tra 0 e 1,7"
La professoressa stava spiegando chimica, ma nessuno dei quattro sembrava intenzionato a seguire e a comprendere la lezione.
"Allora? Le hai parlato?" Luke, seduto vicino a Calum, gli pose la domanda che gli frullava nella testa dal giorno prima.
"Sì! Sì, ha detto che possiamo pubblicare Gotta Get Out!" Esclamò Calum, con troppo entusiasmo.
"Signor Thomas Hood, può dirmi di cosa stavo parlando prima che i suoi gridolini mi interrompessero?"
"Non potrebbe chiamarmi solo Calum? Comunque l'argomento erano i legami covalenti polari"
"Ottimo Thomas! Quindi saprà dirmi senza dubbio in quali casi si formano questi legami"
"Certo, quando l'elettronegatività, ovvero la tendenza ad attrarre gli elettroni è inferiore a 1,7. Se invece è superiore..."
"Va bene, va bene, mi basta. Ma finiscila di chiacchierare con Hemmings" sbuffò la signora Veerans.
"Ehi Cal, come cavolo le sapevi queste cose?" Gli chiese Luke, stupito.
"Ashley, naturalmente" ribattè lui a voce bassissima.
"Oh dimenticavo. Senti, ieri ho buttato giù qualche accordo per una canzone nuova" annunciò Luke, senza riuscire a nascondere l'entusiasmo che gli faceva scintillare gli occhi. 
Passò a Calum, un quaderno pieno di segni neri, tra cui una serie di note e qualche accordo.
"Oggi pomeriggio hai da fare?" 
"Certo che no"
"Allora possiamo trovarci per scrivere il testo" affermò Calum.
"Fantastico! Ho già qualche idea"
A quel punto Luke stava fremendo di eccitazione perché scrivere e comporre una sua canzone era tutto ciò che aveva sempre desiderato.
Quindi prese il quaderno e scrisse in cima ad una pagina pulita:

OUT OF MY LIMIT




Note
Eccomi!
Premetto che in quest'ultimo periodo sono stata impegnatissima, quindi non sono riuscita a postare prima.
Però questo capitolo ha visto la luce, finalmente.
Perdonate la prima parte che è eccessivamente sdolcinata anche se di solito non amo essere particolarmente romantica.
Piccolo spoiler: nel prossimo capitolo avverrà finalmente la svolta di tutta la storia, quindi se siete riusciti ad arrivare fino a questo punto vi meritate un applauso e tanti complimenti.
Lasciatemi tutti i vostri pareri, come sempre.
A presto 
Veronica

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Capitolo 14
*** I can't remember ***


Capitolo 13

I can't remember 




Per B, G, S, M, F, sempre e comunque.




Meno male che esisteva il Passage, con i suoi colori accesi, i bicchieri profondi e i tavoli in legno grezzo, chiassoso quasi quanto i suoi clienti. 
Forse era un locale un po' trasandato ma non aveva pretese e pregiudizi. Erano le quattro pareti più oneste di Sydney, quelle. E le migliori.
Meno male che esisteva Victoria Street, dove tutti correvano e nessuno passava. Il cuore pulsante della città, il centro delle attività culturali, finanziarie e tutte le altre stronzate era perennemente intasato dal traffico. Anche se tutti ci erano passati migliaia di volte, nessuno sarebbe riuscito a descriverla eliminando i contorni sfocati che assumeva sotto le luci accecanti dei lampioni. Tutti la vedevano, ma nessuno la guardava. Ecco perché era ancora così bella. Quella via era l'unica a non essere stata rovinata dagli sguardi ipocriti della gente.
Meno male che esisteva il sabato sera, quando la vita ti sembra eterna ed indistruttibile, quando ti senti intoccabile e sai che quel mondo cinico e spietato che hai attorno non ti può sfiorare nemmeno con un dito, anche se solo per una notte alla settimana.
Meno male che c'era quella città, che tutto sommato al signor Hood non dispiaceva. Era così grande che potevi perderti tranquillamente dentro questa quando i pensieri diventavano troppo complessi e intricati per essere risolti. Scappare in un labirinto più grande per evitare di perdersi in quello più piccolo della quotidianità. Sydney ti accoglieva a braccia aperte, se questo era il tuo scopo, calda ed entusiasta, ma soprattutto autentica. Continua. Reale. Vera.
Meno male che c'era qualcuno con cui Calum poteva trascorrere quel sabato sera. E non importava anche se erano gli stessi tre immaturi di sempre. Andava bene lo stesso, era anche meglio.
E meno male che c'era la tequila, soprattutto.
La tequila che svuotava la testa, scioglieva la lingua e rompeva il silenzio e non permetteva di mantenere la lucidità.
Il loro tavolo era ricoperto di bicchieri più o meno piccoli, spicchi di limone e fazzoletti accartocciati. 
Un foglio sudicio e stropicciato giaceva abbandonato in un angolo.
Era il testo della canzone che Luke e Calum avevano scritto solamente una settimana prima. Non era il massimo, dal punto linguistico, ma a livello strumentale superava di molto Gotta Get Out. 
Qualche ora prima, appena arrivati nel locale, l'avevano analizzata tutti e quattro insieme, arrivando alla conclusione che era un lavoro senz'altro valido, prima che arrivasse la tequila ad alleggerire i loro pensieri.
Quel sabato di gennaio erano usciti perché dovevano festeggiare.
Cosa?
Pochi giorni prima, un ragazzo inglese, dall'altra parte del mondo, aveva condiviso su Twitter la loro cover di Teenage Dirtbag. 
E cosa ci sarebbe di strano? Vi chiederete.
Niente, a parte il fatto che questo ragazzo si chiamava Louis Tomlinson e faceva parte della boyband più famosa degli ultimi anni.
Tantissimi avevano seguito il suo consiglio e le visualizzazioni del canale dei 5 Seconds of Summer erano schizzate alle stelle, prima che i ragazzi potessero rendersi conto di ciò che stava succedendo: quasi 50.000 in due giorni.
Si trattava di una questione talmente grande che solo pensarci faceva paura.
Così non lo fecero: in fin dei conti avevano ottenuto più del successo che avevano sempre desiderato, anche se coloro che li sapevano apprezzare veramente si trovavano dalla parte opposta del pianeta. 
C'erano: questo era già fondamentale.
Ma nemmeno Ashton, che era sempre stato quello che puntava più in alto, che sognava concerti irrealizzabili e folle deliranti ad attenderli aveva capito che il tweet di Louis avrebbe avuto delle conseguenze decisamente più grandi.
E come sarebbero riusciti ad accorgersi di questo se erano così incastrati nel terreno melmoso della cultura chiusa dei loro coetanei? Per loro, in quel momento, la massima ambizione era suonare in qualche locale, fare un piccolo concerto acustico ad Hyde Park, magari.
Anche i sogni più grandi sono gratuiti e alla portata di tutti, certo, ma a volte richiedono troppa immaginazione, soprattutto per chi deve fare i conti con la realtà, come erano obbligati a fare loro.
Quindi continuavano ad ingerire alcool, ridere ed urlare e voi, guardandoli dall'esterno, avreste immediatamente pensato che fossero completamente pazzi (considerazione in parte vera, ne convengo), ma non vi sareste mai accorti della chimica che li legava l'uno all'altro: composta di frasi non pronunciate, sguardi e bisbigli colti al volo.
Era una semplice amicizia tra quattro ragazzi, ma era vera.

● 

Sono rarissime le amicizie autentiche, e spesso sono rapporti talmente complessi che non possono essere nè spiegati nè approfonditi: la cosa migliore da fare, se mai vi dovesse capitare di imbattervi in una vera amicizia, sarebbe senz'altro viverla.
Trovare le parole adatte è spesso difficile ma è indispensabile e fondamentale per comprendere tutto ciò che è intorno a noi e dentro di noi: in questo caso, invece, è deleterio.
Delimitare e definire con dei bei discorsi i veri amici significa impoverirli con l'arroganza di chi crede di sapere tutto.
"Chi trova un amico non trova un tesoro".
Non é vero.
Chi trova un amico trova un amico.
E ve lo assicuro, vale molto più di qualsiasi bene materiale.
Le cose più belle e più terribili che la nostra vita ci offre non possono essere spiegate: non possiamo spiegare perché la linea dell'orizzonte che unisce e divide terra e mare è infinita e perfettamente dritta, non possiamo spiegare perché il sole rovente non è ancora caduto sulla nostra terra e non ha ancora bruciato tutto ciò che i nostri occhi hanno visto, non possiamo spiegare la nascita o la morte: possiamo solo subirle, rispettarle e contemplarle, ammirandole o temendole.
Non possiamo spiegare il rapporto indissolubile ed esclusivo che si forma tra poche, fortunate, persone e che ci induce a sorridere quando i nostri amici sorridono e a piangere quando stanno male. 
Non possiamo spiegare la sensazione di essere completi quando siamo con loro e il vuoto che ci pervade non appena se ne vanno.
Non possiamo spiegare l'intima convinzione che, senza di loro, tutto sarebbe spento e triste, come un film muto e in bianco e nero.
Così la chiamiamo solo amicizia.
Ashton, Calum, Luke e Michael erano perfettamente consapevoli di questo.
Perciò non si facevano domande ma non davano nulla per scontato: si tenevano stretti gli uni agli altri come se la loro amicizia fosse la loro ricchezza più grande.
Effettivamente era così.

● 

Intorno a mezzanotte la tequila aveva ormai offuscato i loro pensieri e tutti avevano passato il limite della razionalità per abbandonarsi nel dolce e amaro mondo di chi, la domenica mattina, ricorda a malapena la causa del proprio malessere.
Si erano appena lanciati nell'imitazione dei loro compagni di scuola, argomento che offriva loro parecchie divagazioni e approfondimenti.
Ashton enfatizzava e ridicolizzava ogni singolo gesto dei ragazzi popolari, quelli con gli occhiali da sole e la giacchetta di pelle anche in pieno inverno, con il ciuffo impiastricciato di lacca e la camminata da predatori della savana, o dei finti alternativi, o delle ragazze che passavano le giornate a limarsi le unghie e ad affilare la lingua e di tutte le altre persone vagamente interessanti che frequentavano la Norwest.
Avendo ormai perso ogni freno inibitore, Luke cominciò ad imitare tale Nicholas Holdy, assumendo un'aria da imprenditore adulto e annoiato con una sigaretta spenta che pendeva dall'angolo della bocca.
Erano tutti e tre intendi a sentire la prima battuta della scenetta dell'amico quando il cellulare di Calum si mise a suonare, distogliendo la sua attenzione.
"Sarà mia madre, probabilmente dovrei rispondere" pensò distrattamente lui.
Dato che la sua mente era appannata dall'alcool e dall'aria viziata del locale, e il suo stomaco cominciava ad avere qualche problema a reggere tutto ciò che aveva bevuto, si alzò e uscì dal Passage velocemente.
"Pronto?" 
Non era sua madre.
Calum non aveva mai sentito quella voce prima, poteva trattarsi di un ragazzo, ma sembrava che stesse parlando un'altra lingua.
"Pronto?" Ripetè, e, anche se il suo interlocutore continuava a parlare, lui non riusciva a cogliere il senso di quei suoni.
La capacità di pensare di Calum era rallentata dall'alcool quindi ci mise qualche minuto per capire che non era un'altra lingua.
Era inglese, ma inglese autentico. Accento britannico.
La domanda era: perché mai un ragazzo sconosciuto lo stava chiamando all'una di notte dall'Inghilterra?
Tre parole dall'altra parte del telefono dissolsero i dubbi di Calum.
"Sono Louis Tomlinson" 
Ah-ah.
Chi era questo Louis poi?
Un suo compagno forse?
"Chi scusa?"
"Louis Tomlinson, degli One Direction"
Uhm.
Interessante questa.
A Calum pareva di ricordare che questi One Direction fossero una band.
O forse una squadra di calcio.
"Calum? Puoi parlare?"
Ma che brutto accento che aveva questo calciatore, pensò lui. Non si capisce proprio niente, chissà da dove viene.
Mah.
"Sì, dimmi" biascicò Calum.
"La mia band sta cercando un gruppo che apra il nostro tour in Inghilterra e, dato che ho sentito le vostre canzoni su YouTube e mi sono piaciute parecchio, ho proposto voi quattro; siete in quattro giusto?"
"Mh-mh"
"Oggi abbiamo parlato con i nostri manager e abbiamo deciso ufficialmente di proporvi di venire in tour con noi"
Un calciatore che fa un tour. 
Bizzarro.
"Volevo solo darti questa notizia, poi vi faremo sapere tutti i dettagli, le procedure sono piuttosto complicate. So che si tratta di una scelta molto difficile, che deve essere valutata accuratamente, me ne rendo conto, ma sareste interessati?"
"Certo"
"Benissimo! Vi richiameremo tra un po' per una risposta definitiva"
Ma ti ho già risposto, pensò Calum.
"A presto" esclamò questo Louis con la voce che vibrava per l'entusiasmo.
Strano.
Calum tornò dentro, dove, nel frattempo, i suoi amici avevano fatto un ulteriore giro di tequila.
"Ehi! Non mi avete aspettato!" Urlò lui, offeso.
"Non c'è problema!" Esclamò Michael, ordinando un altro shot e cercando di non vomitare direttamente sui piedi della cameriera.
"Chi era al telefono?" Ashton urlava, pur essendo a pochi centimetri da Calum.
"Oh, niente di importante. Un certo Louis che sosteneva di essere uno della squadra degli One Direction o qualcosa del genere. Vi dice niente?"
Ma il loro ordine era arrivato e, anche se tutti avevano sentito, nessuno aveva abbastanza forza per concentrarsi su qualcosa che non fossero i quattro bicchierini pieni di liquido trasparente che giacevano  sopra il loro tavolo.
Nessuno tenne più il conto di niente, nè dei soldi, nè delle risate, nè delle parole con le quali erano stati cacciati dal locale, nè dei passi per tornare a casa.
Dopo aver accompagnato Luke, Ashton e Luke verso le rispettive abitazioni, arrivò al suo cancello e, con una mossa veloce, lo scavalcò, ritrovandosi in giardino.
Calum chiuse la porta dietro di sè, raggiunse camera sua barcollando e si addormentò come un bambino, completamente ignaro della piega inaspettata che stava per prendere la sua vita.








Note
Buonasera!
Sì, sono TERRIBILMENTE in ritardo, lo so. Perdonatemi, ma c'è questa cosa odiosa che si chiama scuola che si prende il diritto di tenermi impegnata tutti i giorni della mia vita.
Ma ditemi voi se è possibile.
Comunque il capitolo esiste e siamo arrivati finalmente al colpo di scena anche se i ragazzi non se ne sono ancora resi conto. Il titolo fa proprio al caso nostro.
Ops, sono un po' cattiva, okay.
E poi c'è questa mini dedica all'inizio che non commento perché ho già detto tutto.
Lasciatemi qualche commento su ciò che vi ha colpito, o interessato, se potete.
Grazie mille.
Veronica

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Capitolo 15
*** The only reason ***


Capitolo 14

The Only Reason

"Buongiorno signora Hood" Ashley cercò di esibire il tono più allegro possibile.
"Ciao, tu devi essere Ashley giusto?"
"Esatto, sono venuta per salutare Calum, è in casa?"
"Sì è di sopra, ieri deve aver fatto tardi. Sali pure"
"Grazie" la ragazza non riuscì a nascondere un velo di imbarazzo.
"E Ashley?"
"Si?"
"Chiamami pure Joy. Credo che ti vedrò più spesso"
"Lo credo anche io Joy" ora Ashley sorrideva non più in modo falsamente cortese, ma con sincerità.
Si diresse su per le scale e riconobbe la stanza di Calum dal poster dei Clash in grandezza naturale affisso alla sua porta.
Entrò lentamente e si trovò davanti alla stanza più disordinata che avesse mai visto.
C'erano alcuni vestiti per terra, i libri buttati a casaccio sulla scrivania e una chitarra abbandonata sul piccolo divano.
Calum dormiva profondamente in mezzo alle coperte disfatte nonostante fossero passate da poco le undici.
Si avvicinò al suo letto ed esclamò ad alta voce "Calum!" 
Come era prevedibile, non ci fu nessuna risposta.
Ashley ripetè l'operazione scuotendo il braccio del ragazzo, che, però, non sembrava reagire.
"Guarda cosa mi tocca fare" disse, riflettendo ad alta voce.
In realtà non riusciva a smettere di fissarlo e a pensare quanto sembrasse ancora più dolce e innocente quando era addormentato.
Cominciò a baciargli il collo, riasalendo verso le guance e arrivando alle labbra.
"Uhm" mugolò Calum, aprendo gli occhi e cominciando a capire la sua situazione "questo deve essere un sogno"
Ashely rise.
"Devo fare questi sogni più spesso, me lo puoi ricordare?"
"Certo, sciocco"
"Sciocco, uhm, che bella parola"
"Non stai sognando"
"Lo so, sto solo cercando un modo per rendermi conto che sei reale, è complesso, non mi distrarre"
"Torno più tardi allora?" Sorrise delicatamente Ashley.
"No scherzavo. No, sul serio, non andartene" il tono della voce di Calum si fece duro di colpo.
Poi strabuzzò gli occhi, sentì un dolore vibrante che pareva radicato dalla parte più profonda a quella più superficiale della sua testa.
"Cal? Stai bene?"
"Io...sì. Ho solo mal di testa"
"Dai, racconta cosa diavolo hai combinato ieri sera"
"Oh niente di che. Qualche drink"
"Ma per piacere" lo prese in giro lei "qualche drink non fa quest'effetto"
"Va bene, forse ho un tantino esagerato"
"Così va meglio"
"Come se tu non fossi esperta di sbronze da sabato sera"
"Forse. Salvo poi ritrovarmi a dormire in un parco del centro sopra di te"
"Oh, ma allora ti ricordi ancora di quella sera, Ashley"
"Purtroppo non la potrò dimenticare tanto facilmente" disse lei, fingendo fastidio.
Allora Calum si tirò su a sedere e la baciò all'improvviso, osservando la sua espressione sorpresa e divertita.
"Se te la ricordi non eri così sbronza giusto?" Bisbigliò lui, parlando molto vicino al suo viso.
"No infatti. Invece scommetto che tu non ti ricordi assolutamente nulla di ciò che hai fatto ieri sera"
"Non è vero. Ho tutto scolpito nella mia memoria"
"Come no. Sentiamo cosa hai da dire"
La conversazione, come spesso accadeva tra loro due, era solo un sottile gioco di ironia: si scambiavano molti più sorrisi che parole.
"Siamo stati al Passage. Io, Luke, Ashton e Mike. E abbiamo fatto i cretini fino a quando..." Calum si fermò, sforzandosi di ricordare per non darla vinta ad Ashley.
"Fino a quando?" Lo incalzò lei.
"Mi ha chiamato qualcuno. Ricordo di aver capito che non era mia madre, ma cazzo, era così tardi"
"Avevi già perso il conto delle tequila"
"Come lo sai?"
"L'hai detto tu, sono un'esperta" Ashely fece l'occhiolino "beh, spera che non ti abbia chiamato nessuno di importante, perché difficilmente riuscirai a ricordarlo"
"No aspetta"
"Non ce la fai, non ce la fai" cominciò a ripetere Ashley come una cantilena. 
Sì, forse era anche un po' infantile, ma cosa importava? Lui non la giudicava. E probabilmente era l'unico.
"No Ashley veramente! Ferma un attimo. Era...era qualcosa di serio"
"Allora ti verrebbe in mente"
Okay.
Calum doveva ricomporre i pezzi, sapeva che in fondo c'era qualcosa che valeva la pena sapere.
La suoneria.
Lui che esce dal locale.
Non è sua madre.
L'alcool.
No, i pensieri si stavano intrecciando in modo confuso.
Non ne sarebbe uscito.
Una squadra di calcio.
O forse no.
Accento britannico.
Una voce di ragazzo, nitidamente, si fece largo nei suoi pensieri.
"LOUIS!" Annuncò vittorioso.
"E chi sarebbe?" Ashely continuò con lo stesso tono canzonatorio.
"Eh, non lo so. Ma era lui, quello importante"
"Importante come?"
"Non saprei, mi sembra che fosse famoso. Avevo già sentito la sua voce da qualche parte"
"Calum, fermo" Ashley irrigidì e lo guardò negli occhi, con tutta la serietà di cui disponeva "famoso quanto?"
"Sai quanti Louis pseudo-famosi esisteranno? Penso che fosse inglese, aveva un forte accento"
"Calum. Io temo che tu sia ancora molto ubriaco"
"Perché?"
"C'è solo un ragazzo inglese famoso che si chiama Louis ed è lo stesso che fa parte degli One Direction! È quello che due giorni fa ha condiviso la vostra cover!"
"Non può essere lui! Non posso aver parlato con Louis Tomlinson e non sapere nemmeno il perché! No. No. No aspetta non può essere vero"
"Ma avrebbe senso Calum! Magari ti voleva fare i complimenti"
"No, no, no. È proprio questo che mi agita. Non mi voleva fare i complimenti. Stava parlando del loro tour! Ha detto che voleva noi!!" Urlò Calum.
"Cosa stai dicendo? Per cosa?"
"Per il tour!! Devo andare dai ragazzi ora, Ashley" affermò con la voce che gli tremava e gli occhi spalancati.
"No, aspetta. Vengo con te"
"No, veramente" Calum si stava già vestendo, il mal di testa sparito nel nulla, come la stanchezza.
Afferrò al volo una maglietta e un paio di jeans, mentre Ashley cercava di calmarlo, inutilmente.
"Ashy, facciamo così, aspettami tra un'ora sulla panchina nel parco vicino a casa di Michael. Ci sarò"
Calum se ne andò sbattendo la porta, come un uragano impazzito, senza dare il tempo ad Ashley di aggiungere altro.
Lei rimase in piedi, nel centro della stanza, improvvisamente sola, con l'amarezza sulla punta della lingua e una strana sensazione che le attanagliava lo stomaco.
Indecisa sul da farsi.
Si sentiva inutile, accantonata come un giocattolo vecchio che non serviva più.
Calum le aveva proposto di scappare insieme, ma se ne era già andato senza di lei, scivolando tra le sue dita.
Si sedette sul letto ancora caldo e osservò Calum correre fuori di casa, il viso illuminato da una luce nuova, i piedi che correvano veloci nella direzione opposta alla sua.

● 

Il metallo della panchina era freddo, nonostante la temperatura fosse mite.
Il vento leggero scuoteva i rami degli alberi.
Il sole le scaldava la pelle, provocando un piacere istantaneo.
Era una giornata bellissima.
Ma mancava lui.
Ashley stava aspettando ormai da un'ora, con le gambe elegantemente incrociate e l'espressione di una persona semplicemente incrollabile.
Ma Calum non arrivava.
E i minuti scorrevano leggeri come fini granelli di sabbia in una clessidra.
Ashley sapeva che probabilmente lui non l'avrebbe raggiunta come aveva promesso.
Non era stupida, se l'era immaginato.
Eppure, più le lancette del suo orologio scorrevano più sentiva le sue certezze andare in frantumi e gli occhi pizzicarle, mentre le lacrime minacciavano di rigarle le guance. 
Ricordò che un giorno qualcuno le disse un proverbio, quando era bambina:
"Quello che dai, ritorna"
Forse non aveva dato abbastanza, forse aveva dato troppo, ma il dato di fatto era che lui non era ritornato.
Si immaginava Calum che correva incontro ai suoi compagni, riceveva chissà quale enorme e spettacolare notizia, andava a festeggiare, forse addirittura con le lacrime agli occhi.
Perché l'intuito di Ashley era formidabile: aveva già calcolato tutto.
Come non capire che Louis aveva condiviso la cover dei 5SOS per far ottenere loro la visibilità che stavano cercando?
Come non capire che probabilmente gli One Direction volevano aiutarli a condividere la loro musica in tutto il mondo?
Come poteva non capire che Calum sarebbe stato chiamato ad aprire il loro prossimo tour?
E come, infine, come poteva Ashley non rendersi conto che lui sarebbe andato via? 
Via dalla griglia odiosa che lo manteneva perennemente legato a se stesso, via da quelle persone, brave solo a giudicare, via dalla scuola, via dalla città, via dal continente.
Via da lei.
Ashley si fermò e provò ad arrestare quei pensieri prima che aprissero crepe profonde ed insanabili, evocando scene di immagini felici e lontane.
Ma le idee più dolorose sono le più difficili da affondare e dimenticare.
Si aggrappò con tutta se stessa alla certezza che lui non l'avrebbe lasciata, anche se si sentiva una bambina immatura e illusa.
Non valeva quanto l'intera vita di qualcun'altro: questo era il punto.
Quanto valeva, in fondo?
Esclusi vestiti, i capelli, le amicizie, la popolarità e le apparenze, quanto valeva?
Valeva quanto quella lettera.
Lettere leggere battute al computer, carta pregiata, francobolli preziosi, e parole pesanti come macigni. 
Come possono così poche righe cambiare tutto.
Su questo rifletteva, perdendo il filo stesso dei suoi pensieri, tornando indietro, arrancando, rincuorandosi con finti incoraggiamenti, costruendo e distruggendo trame infinite riguardo al suo futuro. Ma erano una peggiore dell'altra, senza di lui.
E intanto passavano le ore, ma Ashley non voleva alzarsi da quella panchina, ostinata come era destinata ad essere per sempre.
Non si accorse del sole che scendeva rapidamente, non si accorse del freddo che improvvisamente le accarezzava le gambe e le braccia, non si accorse del sonno che lentamente le fece socchiudere gli occhi, fino a farla addormentare del tutto, facendole dimenticare ogni genere di preoccupazione.

● 

Calum arrivò correndo al parco, quando ormai il tramonto era passato da un pezzo.
Se ne era dimenticato.
Come aveva potuto fare una cosa del genere?
Era così arrabbiato con se stesso che tirò un forte calcio ad un cestino di metallo nei pressi dell'ingresso dei giardini.
Stupido.
Questo era il suo modo di dimostrarle quanto teneva a lei. 
Era bravo solo a parole.
Non sapeva nemmeno perché aveva deciso di andare al parco, visto e considerato che Ashley se ne era andata di sicuro molto tempo prima.
La verità era che si sentiva in colpa a chiamarla e a scusarsi con parole vuote ed inutili, come sempre.
Perché doveva costantemente rovinare tutto?
La rabbia lasciò velocemente spazio alla compassione, quando Calum raggiunse la panchina dell'appuntamento.
Vide Ashley sdraiata su un fianco, con il cellulare stretto in una mano.
Dormiva, e mai nessun essere umano sulla terra era stato tanto perfetto quanto lei.
Non la meritava.
Questa era ormai una certezza per Calum; con quale coraggio le avrebbe raccontato cos'era successo durante quella giornata?
Si sentiva in colpa per essere entrato in quel modo disordinato nella vita di Ashley, per ottenere qualcosa e non qualcuno.
Sapeva di non essere migliore degli altri, per quanto potesse mentire a lei.
Evitò di svegliarla perché non sarebbe riuscito a sopportare lo sguardo accusatorio o rassegnato che lei gli avrebbe rivolto.
La prese in braccio, come aveva già fatto tempo prima e la riportò a casa a piedi.
Lungo tutto il tragitto Calum le sussurrò parole di scusa e le confessò ogni suo sentimento, spalancando completamente il suo cuore per la prima volta, pur sapendo che lei non lo avrebbe mai sentito.
Calum ripercorse tutta la sua storia, le raccontò di quando la vide per la prima volta, in sesta, e di come, per i successivi sette anni, non riuscì mai a togliersela dalla testa.
Le parlò della gioia primitiva che gli aveva riempito il cuore le prime volte che lei gli aveva rivolto la parola e del desiderio incontrollabile che aveva saldamente afferrato ogni parte del suo corpo la sera del loro primo bacio.
Le confessò che era andato avanti per mesi solo grazie a lei: di notte, quando si svegliava solo, assalito dagli incubi e dalle paure per il suo futuro incerto, lei era l'unica cosa che gli permetteva di andare avanti.
Le sussurrò che lei era l'unica ragione.
Le disse che non era importante ciò che avrebbero fatto in futuro, perché nulla sarebbe mai stato comparabile a ciò che avevano in quel momento.
Le promise solennemente che, dovunque lo avesse portato la vita, lui l'avrebbe ricordata per sempre, come un tatuaggio indelebile che può essere celato, ma mai dimenticato.
Le assicurò che avrebbe tentato ogni via pur di rimanere al suo fianco e che avrebbe trascorso al meglio ogni singolo secondo che sarebbe stato concesso loro.
Le bisbigliò che se mai qualcosa l'avesse allontanata da lui, sarebbe andato a bussare per mille volte alla sua porta in attesa di una risposta.
Calum era convinto che lei stesse dormendo, ma si sbagliava.
Perché Ashley sentì ogni singola parola da lui pronunciata, nonostante tenesse gli occhi chiusi e fingesse di dormire.
E, alla fine, nascosta dall'oscurità, una sola lacrima rigò il suo volto.



Note 
Buonasera!
Sono in ritardo, lo so.
Non so se vi siete accorti, ma è tardissimo e devo veramente scappare.
Il capitolo non è proprio un granché, anzi, fa abbastanza schifo, ma se siete arrivati qua, vuol dire che in qualche modo vi ha interessato.
Per ogni genere di chiarimento scrivetemi nelle recensioni o in qualsiasi altra piattaforma.
Il mio nome su Twitter è @/verocamayo.
Bacioni e a presto.
Veronica

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Capitolo 16
*** Never be ***


Capitolo 15

Never be

L'abitazione di Ashley era troppo silenziosa, considerato che erano da poco passate le undici.
Dopo aver aperto la porta d'ingresso, Calum salì lentamente le scale, entrò nella camera di Ashley e la appoggiò nel modo più delicato possibile sul suo letto. 
Si inginocchiò di fronte al bordo e cominciò ad accarezzarle i capelli, soffermandosi solo sul viso delicato e prezioso di lei, desiderando disperatamente memorizzare ogni minimo dettaglio della sua fisionomia.
Pensò che in un futuro non troppo lontano avrebbe potuto rimpiangere quei momenti.
Il futuro.
Nulla lo spaventava di più.
Si sentì uno stupido quando si rese conto che aveva detto tutto ciò che aveva da dire mentre lei stava dormendo.
Si sentì un codardo quando capì di non aver avuto il coraggio di farle sapere l'unica cosa che contava davvero. 
Probabilmente non avrebbe più avuto una seconda occasione.
Poi gli occhi di Ashley si aprirono e brillarono improvvisamente nel buio.
"Sono sveglia Cal. Ho sentito tutto" disse sorridendo, con la guancia ancora appoggiata sulla federa del cuscino. "E non sussurrare, i miei non sono a casa, siamo soli"
"Non tutto, piccola" sospirò lui, dopo aver superato l'iniziale sensazione di sorpresa "non ti ho detto che me ne andrò"
"L'avevo immaginato, tranquillo" bisbigliò Ashley, sfoggiando il sorriso malizioso di chi la sa lunga, solo per cercare di arginare la sensazione di terrore che si stava impossessando della sua mente da quando Calum aveva confermato i suoi sospetti.
"Tra due mesi!" ora c'era quasi disperazione nella voce di Calum. "E lo sai qual'è la cosa peggiore? Sono felice Ashley. Felice, lo puoi capire? Ho finalmente una possibilità di lasciarmi alle spalle questo inferno e fare qualcosa che mi piace veramente"
"Ma..." Ashley aspettò una sua risposta, desiderando con tutta se stessa che arrivasse.
"Ma ci sei tu. Non voglio, né posso, né potrò mai riuscire a dirti addio okay? Non c'è modo, non c'è soluzione" E gli occhi di Calum erano lucidi, e la sua voce tremava, perché stava per crollare.
"Quanto tempo abbiamo?" Chiese di nuovo, anche se lui gliel'aveva appena detto.
"Otto settimane" 
Okay, Ashley doveva essere razionale.
Aveva già previsto tutto, giusto?
Sapeva che sarebbe finito tutto prima o poi.
E allora perché le sembrava di avere una voragine nel petto?
"Non è nemmeno sicuro" balbettò Calum "il...il tour degli One Direction comincia a Giugno. Dobbiamo essere a Londra il due Maggio"
Il primo singhiozzo irruppe nella stanza.
"Non so nemmeno perché parlo in prima persona. Non è sicuro che andrò con loro"
"Calum... Calum io ti direi di andare. Ma non sono mai stata brava a fare la parte dell'altruista. E fa male anche solo ammetterlo, ma...." Ashley si coprì una mano con la bocca, nell'istante in cui si rese conto che aveva miseramente fallito nel considerare la storia con Calum un semplice divertimento. Per lei non era mai stato solo divertimento.
"Cosa?"
"Ho bisogno di te. E in questo momento non so cosa dire, perché qualsiasi cosa provocherebbe troppo dolore" 
"Non voglio. È così poco tempo. Non voglio scegliere tra te e la band. Siete quanto di più prezioso ho e avrò mai"
"Basta, Calum. Ti prego, smettila. Fa male anche solo pensarci okay?"
"Abbiamo alternative?"
"Sì, una"
Ashley si avvicinò a Calum e lo baciò con prepotenza, senza lasciargli il tempo di pensare a qualcos'altro che non fossero i loro due corpi e i punti di contatto tra essi.
L'improvvisa carenza di tempo eliminò ogni freno inibitore.
Le mani sottili di Ashley si insinuarono sotto la maglietta di Calum, scorrendo dalla pelle dei fianchi fino a sentire i possenti muscoli delle scapole tendersi.
La potenza di quel corpo la spaventò, solo per un istante, prima di ritrovare il contatto con le sue labbra, quelle che ben conosceva.
Calum strinse la vita di lei con forza, ma era ancora troppo titubante per riuscire ad andare oltre.
Un veloce scambio di sguardi con la sua ragazza gli fece capire che volevano entrambi la stessa cosa.
Non era successo la prima sera perché era troppo presto.
E se in quel momento fosse stato troppo tardi?
Avevano aspettato abbastanza.
Forse troppo?
Calum prese in braccio Ashley e la fece sdraiare sul letto.
Le tolse velocemente la maglietta, cercando di non pensare a quante volte aveva sognato quel momento.
Ora appariva spogliato di una parte della perfezione immaginaria tipica solo dei sogni.
Ora erano entrambi disperati mente si avvinghiavano l'uno al corpo dell'altra.
Calum le passò le dita sulle labbra, le toccò il collo e le accarezzò le clavicole fino a scendere lungo le braccia.
Poi, dimenticata la vecchia timidezza, cominciò a baciarle il collo con insistenza, mentre lei lo distendeva, gemendo debolmente.
"Abbiamo tutta la notte" provò a bisbigliare Ashley nell'orecchio di Calum.
"Non mi basta" disse lui, con un tono che mescolava talmente tante emozioni che sarebbe stato impossibile scinderle.
La maglietta di Calum finì velocemente sul pavimento e Ashley rimase abbastanza stupita nel vedere i muscoli che si celavano sotto di essa.
Tracciò la linea dei suoi bicipiti contratti per lo sforzo, poi dei pettorali e giù verso gli addominali del ragazzo.
Sapeva quali punti toccare, non c'era dubbio.
In poco tempo erano entrambi un groviglio di pelle nuda e lenzuola, esposti l'una al tocco e allo sguardo dell'altro.
E Calum si ritrovò a chiedersi, quando fu in ginocchio sopra al corpo nudo di Ashley, se tutto ciò non fosse sbagliato.
La totale assenza di romanticismo, d'un tratto, gli fece apparire tutto come uno squallido e cinico bisogno fisico.
Erano in preda ad un istinto fortissimo, non c'erano dubbi, ma era solo quello?
Gli sembrava quasi di usarla, Ashley che in fondo a tutto quello schifo ci era abituata, solo perché lui non riusciva più a farne a meno.
Lo pervase un profondo senso di tristezza. 
Gli sembrava di essere sporco.
Si fermò, titubante.
"Che c'è?" Chiese Ashley, rimanendo sdraiata. 
"Vuoi farlo veramente?"
"Non voglio farlo. So che te ne andrai tra poco. Ne ho un bisogno disperato. Ho bisogno del tuo amore"
Allora Calum capì che non era sbagliato se lo volevano entrambi.
Appoggiò le braccia sul bacino di lei, la guardò ancora in cerca di un ultima approvazione.
"Va tutto bene" bisbigliò Ashely.
Calum fece un respiro profondo, allungò la mano e non trovò nessun ostacolo.

● 

Alle due di notte erano ancora svegli, sdraiati uno a fianco all'altra, le mani di Calum perse tra i capelli scuri di Ashley.
"Potremmo anche dormire sai?"
"Non voglio dormire. Dormendo perderei i tuoi sorrisi e i tuoi capelli e i momenti che posso passare tra le tue braccia. Invece non voglio perdere nulla"
Ashley si aprì in un sorriso e lo baciò delicatamente.
"Allora possiamo aspettare l'alba svegli, anche se domani c'è scuola e abbiamo entrambi bisogno di riposare"
"Ottimo. Sono così stanco di dormire da solo"
Le loro mani si trovarono, intrecciandosi sotto le lenzuola.
"Ehi Ashley, guardati intorno. Hai illuminato tutto, qui" Gli occhi di Calum girarono intorno alla stanza, come per provare la sua affermazione. Ma l'oscurità era quasi totale.
"È tutto improvvisamente chiaro perché so chi sei. Splendi da sola, adesso, anche se non indossi nè trucco ne vestiti"
Ed Ashley era profondamente lusingata, ma decise che era finito il tempo dei silenzi. Non voleva più rimanere senza parole.
"Anche tu hai finalmente gettato la tua maschera Cal. Perché stanotte ho provato le tue vere emozioni, non qualche idea fotocopiata e distorta. Stanotte sei veramente tu. Non è importante, quindi, quanto poco durerà tutto questo. Nessuno dei due potrà più cancellarlo"
"Non svaniremo mai, te lo prometto"
Questo disse Calum, ma in realtà pensava ad altro.
Pensava alla sua partenza imminente e la sola prospettiva che tutto ciò potesse finire lo terrorizzava.
"Ashley, vieni con me"
"Cosa?"
"Andiamocene insieme. Facciamolo sul serio"
"Oh Calum, magari"
"Verresti?"
"Ti seguirei ovunque, se solo potessi"
"Ashley, ti prego, dimmi che verrai. Possiamo andare via veramente da questo piccolo mondo marcio che non fa altro che ferirci. Siamo giovani e siamo infallibili. È la nostra occasione"
"E per il tour? Cosa farò, ti seguirò per tutta l'Inghilterra?"
"Potremmo trovare un modo"
"Non c'è un modo"
"Perché?"
"Perché c'è un altro motivo" ammise Ashley.
"Quale?"
"Te lo dirò domani mattina, questa notte doveva essere solo per noi"
Le labbra di Ashley si appoggiarono su quelle di Calum per impedire al ragazzo di rispondere.
Faceva così male, nonostante tutto, ammettere che non erano l'uno la priorità dell'altro.
Ma lo sguardo di Calum si era spento, insieme al suo desiderio di conciliare le due cose che amava di più.
"Guardami Calum, non lasciare spegnere tutto ora. Non so come o cosa diventeremo, ma so cosa siamo ora"
Che cos'erano, se non due corpi che si erano appartenuti qualche ora prima e due anime che si sarebbero appartenute per sempre?
Ashley respirò profondamente, consapevole del peso che avrebbero assunto le parole che stava per pronunciare, ma ugualmente decisa a continuare.
"Siamo due ragazzi innamorati. Ed è stata la prima volta che abbiamo sperimentato un sentimento potente, immenso e meraviglioso come l'amore, ma questa, tesoro mio, questa non sarà l'ultima"







Note
Buonasera!
Sono in orario e non è nemmeno tardissimo, quale miracolo.
Vi avviso che è la prima volta che parlo di scene abbastanza esplicite: tendo a vergognarmi e a nascondere la testa sotto la sabbia quanto si tratta di queste cose, quindi sono abbastanza soddisfatta di essere riuscita almeno a descrivere qualcosa.
Ho bisogno più che mai che mi facciate sapere cosa ne pensate della storia e della direzione che sta prendendo.
Anche se non sembra, in questo capitolo, c'è una parte importante di me come persona e non solo come autrice.
C'è il testo e il concetto fondamentale di Never Be, una tra le mie canzoni preferite dei 5sos, e poi, naturalmente, ci sono Ashley e Calum, che sono cresciuti veramente tantissimo.
Infine vorrei ringraziare Martina: a volte penso che senza di lei riuscirei ad aggiornare molto prima, ma poi capisco che capitoli come questi, senza di lei, non esisterebbero nemmeno.
Grazie di tutto e alla prossima,
Veronica

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Capitolo 17
*** Amnesia ***


Capitolo 16

Amnesia

Chi l'ha detto, poi, che le cose belle durano per sempre?
Quello, per esempio, era un addio.
E due mesi passarono in fretta, mentre entrambi cercavano un'ancora per fermare quel viaggio disperato e approdare in un luogo tranquillo.
Non la trovarono.
Forse avevano sempre saputo di non appartenere l'uno all'altro.
Quando Calum se ne rese conto per la prima volta era troppo tardi, era troppo coinvolto, come se ci fosse stato un tempo in cui non era stato completamente assorbito da quella ragazza.
No.
Finì tutto.
Si baciarono un'ultima volta in aereoporto, con qualcosa di simile all'adrenalina nelle vene.
In seguito una porta si frappose tra loro, poi due, tre, quattro, il portellone dell'aereo e così all'improvviso tra loro non ci furono altro che centinaia di migliaia di chilometri.
E due vite. 
Separate, questa volta.
La distanza e il tempo hanno un unico esito: l'indifferenza.
Ogni passo era un silenzio non colmato, una parola non pronunciata.
E la lontananza distrusse tutto ciò che avevano, tutto l'amore, tutta la devozione che nutrivano uno per altro, ma non riuscì a cancellarli.

Calum tornò, dopo tutto.
Nove mesi dopo, facendo scalo per arrivare a Los Angeles, si fermò a Sydney.
Per una notte.
Per una notte rivide Ashley e la amò nuovamente con tutta la potenza di cui i suoi sentimenti erano ancora capaci.
Si chiesero entrambi se non fossero rimasti solo la disperazione e il desiderio di non svanire.
Non ancora.
Era stata la loro promessa giusto?
Ma la mattina seguente, quando Ashley si svegliò, non c'era altro che un vuoto freddo accanto a lei.
Calum non le apparteneva più, non apparteneva più a quella città, non apparteneva più a quella vita.
Fu allora, che Ashely, appena maggiorenne, desiderò con tutta se stessa di dimenticare ciò che l'aveva resa felice, ciò che l'aveva cambiata. 
Non ci riuscì mai.





Note
Okay, per quelle quattro persone che sono ancora qui ad aspettare che io aggiorni, eccovi accontentati.
Mi scuso, non solo per il ritardo, non solo per queste quattro parole che ho il coraggio di chiamare capitolo.
Mi scuso perché sento che questa storia non è più adatta a me, e io non sono più adatta a lei: succede, dopo un po' di tempo.
Ma in fondo è questo il bello giusto?
Cambiare, inventare, modificare, creare, in definitiva scrivere.
In ogni modo questo era il progetto di base dall'inizio, da quando ho cominciato a scrivere questa storia, lo scorso Ottobre.
Doveva finire così, almeno per quanto mi riguarda.
Ci sarà un epilogo, tra pochissimo, che probabilmente sarà la parte più importante.
Aspettate solo qualche altro giorno.
Grazie per essere arrivati a leggere fino a questa riga.
A prestissimo
Veronica

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Capitolo 18
*** Epilogo ***


Epilogo

Note
E quindi siamo arrivati all'epilogo.
È la prima storia a capitoli che finisco ed è qualcosa di leggermente emozionante e di leggermente nuovo per me.
Solo che questo non è un diario e a voi siete più interessati a ciò che succede ai nostri protagonisti.
Quindi è tutto: ringrazio te che stai leggendo, che nonostante tutto sei arrivato fino a qua.
Sei parte della storia anche tu, ora: tanto quanto Ashley o Calum. Sei parte di questa storia perché vi hai partecipato, hai condiviso qualcosa di simile alle tue emozioni attraverso la finzione e la realtà dei personaggi.
Grazie, perché senza di te questa storia non sarebbe stata degna di essere definita tale.
Grazie per essere entrato in questo piccolo mondo nascosto.
Nella speranza che ti sia piaciuto, alla prossima e buona lettura,
Veronica

"Poi però andiamo al luna park vero? Papà, papà ci andiamo?" Un piccolo cappotto rosso splendeva per le vie del centro.
"Sì tesoro, te lo prometto, domani ti ci porto. Ora andiamo a magiare"
"Cosa si mangia qui?" Chiese la bambina prendendo la mano di suo padre.
"Beh, visto che la mamma non c'è potremmo mangiare hamburger e patatine ti va?"
"SÌÌÌ!!" Urlò la piccola.
Andavano in giro così, un uomo a cui non avresti dato più di trent'anni ma che ne aveva quasi quaranta e una bimba con i capelli lunghi e scuri come la pece.
Si erano allontanati dalla zona più affollata di turisti vicino alla London Eye e vagavano per i quartieri di Soho.
Calum si sentiva un po' a casa. Un po' come se una parte di lui potesse rivivere solo tra quelle strade.
Il suo primo appartamento, quello in cui aveva trascorso più di un anno, quando era arrivato per la prima volta in Inghilterra, era un seminterrato in un vicolo cieco (probabilmente il posto più umile di quel quartiere).
Ma era diventata la sua casa, il luogo in cui era nato il Calum artista, musicista e scrittore.
C'erano solo bei ricordi: risate, lavoro, divertimento, emozioni, prime volte.
La prima volta che aveva visto la neve, la prima volta che aveva conosciuto il suo idolo Alex Gaskarth, la prima volta che avevano composto un pezzo tutti insieme, il primo concerto, la prima folla, i primi brividi.
Era bello sapere di appartenere ancora ad un luogo come quello. Era rassicurante.
La band esisteva ancora, certo, ma ormai c'era meno lavoro e ritmi decisamente meno stressanti: spesso si trovavano tutti e quattro in sala di registrazione ad ascoltare se stessi, chiacchiere e note da convertire in canzoni innovative per il loro prossimo album.
Calum non si ricordava che numero era, ma sapeva che probabilmente sarebbe stato l'ultimo.
Ricordava il senso di tristezza che aleggiava durante l'ultima volta che aveva visto Michael, Luke e Ashton: nessuno aveva annunciato che quelle sarebbero state le ultime volte in cui avrebbero lavorato insieme, ma in qualche modo lo sapevano tutti.
Dopo tutti quegli anni, le parole non erano veramente più necessarie per loro quattro.
Per questo motivo aveva fatto le valigie ed era partito per Londra, per il luogo dove tutto era cominciato.
Doveva capire se aveva ancora qualcos'altro da dire o, al contrario, cosa fare della sua vita dopo lo scioglimento, o comunque l'inattività della band.
Aveva una famiglia: sette anni prima si era sposato con la donna più importante della sua vita e due anni dopo era nata la bambina che ora portava in giro per le vie di Soho. 
Non avrebbe mai potuto desiderare una carriera migliore di quella che aveva avuto, eppure, da qualche parte, si chiedeva se ne fosse valsa veramente la pena.
Perché aveva scovato e scoperto la paura peggiore nella carriera di un'artista: il timore di non essere capiti, il timore di cantare per una folla urlante di sordi, che non sapevano ascoltare ciò che lui aveva da dire.
La paura di non aver cambiato la vita di nessuno, la paura di non essere andato fino in fondo.
Si era ritrovato, in poche parole, adulto, disilluso e confuso.
Aspettava ardentemente qualcosa senza essere disposto ad attendere veramente.
Qualcosa successe.

Una mano gli tocco la spalla e una voce femminile pronunciò il suo nome.
Calum pensò che fosse l'ennesima fan che desiderava una foto, ma appena si voltò capì di essersi sbagliato.
Lei era lì, di fronte a lui, gli occhi azzurri come un tempo e i capelli ancora neri, solamente più corti: le uniche differenze erano le piccole rughe che le contornavano il viso e il bambino di circa quattro anni che teneva in braccio.
Il suo sguardo si accese con un moto di entusiasmo per poi incupirsi velocemente.
Calum la fissava con la rassegnazione di chi non è mai riuscito a dimenticare, nonostante il tempo, nonostante la distanza, nonostante le lacrime, nonostante la fatica.
Non glielo disse mai.
"Calum? Sono Ashley, da Sydney! Ti ricordi?"
"Ma certo"

Parlarono come due vecchi amici che avevano bisogno di sapere il più possibile l'uno della vita dell'altra.
Così Calum seppe che Ashley era diventata uno dei più importanti ingegneri biomedici, o qualcosa del genere.
Era sposata da poco meno di dieci anni, tuttavia il bambino che teneva in braccio era il suo unico figlio: si era accorta di essere troppo occupata con il lavoro per fare la mamma a tempo pieno.
Lavorava a New York, ma girava per il mondo continuamente.
Aveva cominciato a frequentare l'università di Boston subito dopo la fine della scuola superiore, il che corrispondeva alla prima partenza di Calum, ma questo Ashley non lo disse, pensando che sarebbe stato stupido ed infantile nominare la loro storia quando, quasi sicuramente, Calum l'aveva dimenticata.
Ma Calum si accorse subito di questa omissione e si sentì ferito.
Ferito in quel modo profondo ed autentico tipico solo dei giovani.
Com'era possibile che lei avesse dimenticato tutto?
Il loro primo dialogo, la festa, la notte al parco, il concerto, la canzone, il pestaggio, il tour, la partenza, l'aeroporto e...
Solo lui aveva custodito con attenzione morbosa quei preziosi dettagli e ora si pentiva di averlo fatto.
Calum raccontò nei particolari la sua carriera anche se Ashley ammise che aveva sentito parlare di lui in continuazione.
"Quando ti sei accorto di essere diventato famoso?"
"Beh, immagino che sia stato quando tutti i nostri compagni di scuola hanno ricominciato a farsi vivi pretendendo di essere stati i miei migliori amici"
Lei rise, poi risero entrambi, ricordando i vecchi tempi. Risero come facevano durante quei vecchi tempi, noncuranti per qualche ora delle loro vite attuali e dei loro impegni.
"A proposito, grazie per non esser stata come loro. Sei stata forse l'unica che non ha cercato di riallacciare i rapporti con me solo per fama"
E qui si palesò il paradosso.
Calum ringraziava Ashley di non essere stata parte della sua vita quando era stato tutto ciò che aveva desiderato per molti anni.
Non più.
Non ricordarono la loro storia, non approfondirono l'amore che li aveva legati l'uno all'altra per un periodo terminato ma non definito.
Nessuno dei due provò rimorso per ciò che avevano fatto in passato, tanto che sia Ashley sia Calum erano convinti di aver avuto una rilevanza infinitesimale nella vita dell'altro.
Tutto ciò non era vero, ma non avevano il coraggio di ammetterlo, pur avendo la prova più grande del loro legame davanti ai propri occhi.
La figlia di Calum osservava il bambino di Ashley con diffidenza.
Interrompendo un silenzio scomodo tra i loro genitori si rivolse direttamente al bimbo con un filo di voce:
"Come ti chiami?" Gli chiese.
"Calum" riflettè il piccolo.
"E tu?" Continuò.
"Io mi chiamo Ashley" rispose la bimba con il cappotto rosso.
 

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