Scambio d' amore

di tata_angel
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Saluti e partenze ***
Capitolo 3: *** Arrivi ***
Capitolo 4: *** Pensieri ***
Capitolo 5: *** Piacere di conoscerti ***
Capitolo 6: *** Mi manchi ***
Capitolo 7: *** Torna a casa! ***
Capitolo 8: *** Svegliati ***
Capitolo 9: *** Sono qui accanto a te, non ti abbandono! ***
Capitolo 10: *** Sei tu? ***
Capitolo 11: *** Svegliati!! ***
Capitolo 12: *** Forti emozioni ***
Capitolo 13: *** Non mi mandare via ***
Capitolo 14: *** Chi sei? ***
Capitolo 15: *** Credimi ***
Capitolo 16: *** Inizio da te ***
Capitolo 17: *** Sono l'unico? ***
Capitolo 18: *** I want hold your hand ***
Capitolo 19: *** Vediamo come va a finire ***
Capitolo 20: *** -2 ***
Capitolo 21: *** Partenza ***
Capitolo 22: *** Sono tornato ***
Capitolo 23: *** Te quiero ***
Capitolo 24: *** Colorful - Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


*date un’occhiata alle note
Prologo
 

La ragazza continuava a guardare fuori la finestra mentre numerose gocce d'acqua scendevano dalle nuvole grigie, andando a sbattere contro la finestra al suo fianco. 
Con il suo sguardo azzurro si voltò verso il giovane che stava parlando dalla cattedra.
Si trovava a scuola durante l’ora d’italiano, Rein non stava prestando molta attenzione al suo insegnante, non che stesse facendo lezione.
Il professore aveva deciso di dedicare quell’ora di lezione al loro progetto.
Quell’anno, come i precedenti, la regione aveva deciso di proporre alle scuole superiori il progetto ‘scambio culturale’ e, quindi, di dare ai ragazzi la possibilità di scegliere un paese in cui soggiornare per un mese. Avrebbero dovuto alloggiare nelle case delle famiglie che davano la loro disponibilità, e studiare da vicino la cultura del paese. Ovviamente con tanto di relazione scritta e un diario su cui annotare le loro esperienze.
Nella scuola di Rein sono state scelte solo due classi, il regolamento era chiaro: le classi frequentanti al progetto dovevano essere le più meritevoli dell’istituto, per questo Rein ringraziò il cielo di far parte della classe più mansueta dell’intera scuola.
-Ora è il turno di Rein Valente a scegliere, sono rimaste solo due destinazioni quale scegli? - Le chiese il professore, mentre lei si voltò verso la compagna di classe Vera per potersi mettere d'accordo e rendere felici entrambe. 
Dopo alcuni minuti riuscirono ad arrivare ad una conclusione: Rein sarebbe andata in Argentina, un posto che aveva sempre sognato  e Vera sarebbe andata in Russia. 

Dopo ore di lezione, finalmente la campanella di fine lezioni suonò, lasciando liberi i ragazzi. Rein si affrettò per poter raggiungere il suo gruppo di amici: Tio, Auler, Sophie e Fine. Voleva assolutamente condividere la sua gioia con loro.
-Ciao ragazzi- Salutò allegramente i suoi amici con un bacio sulla guancia 
-A cosa è dovuta tutta questa gioia?- Chiese Sophie che si accorse immediatamente della felicità della sua amica
-Oggi abbiamo deciso le destinazioni con il professore di italiano- sorrise Rein -E indovinate dove andrò? In ARGENTINA- urlò contenta la ragazza dagli occhi celesti.
Si sentiva felice, amava l'Argentina e tutto ciò che la riguardava: la sua storia, come riuscirono a riprendersi dalla crisi economica e ancora prima come erano riusciti a liberare l'Argentina dagli spagnoli. La sua era una vera e propria passione per quel paese.
-Io l'ho sempre detto che il tuo professore d’italiano è un genio- Sospirò Sophie mentre i suoi occhietti verdi prendevano la forma di due grandi cuori. 
-Sophie- Sospirò Rein, la ragazza sapeva bene della "cotta" dell'amica per il suo professore. Non poche volte le faceva fare delle figuracce quando entrava nella sua classe per poterlo vedere. 
-Che c'è? Ma lo hai visto? E' bello! E pure intelligente a quanto pare. L’uomo da sposare!- sospirò sognante la ragazza, per difendersi
-Se lo dici tu- Disse Tio 
-Sì, sì lo dico io- continuò la ragazza 
-Ma non è troppo grande per te?- le chiese il fratello ironicamente
-Ma no, ha 30 anni e io ne ho 17- rispose Sophie risoluta, lasciando suo fratello del tutto scioccato.
-E' senza speranze, ormai è andata..- concluse Fine poggiandosi la mano sulla fronte.

-Ciao ragazzi. A domani- Salutò la turchina
-Ciao Rein!- Ricambiarono loro. 


La ragazza entrò come un uragano a casa salutando a squarciagola. 
-CIAO MAMMA!!- Salutò gettandosi addosso ad una donna dai capelli rossi fuoco ed occhi delle medesimo colore.
-Accidenti Rein sei sempre la solita- le riprese la donna sorridendo -Allora? dove andrai la prossima settimana?- chiese la donna, sapeva bene che proprio quel giorno si sarebbero decise le destinazioni. Non le andava affatto a genio di mandare sua figlia da sola all'estero e nemmeno accogliere in casa sua una persona sconosciuta, ma visto che la ragazza l’aveva supplicats con i suoi occhi speranzosi, insieme a suo marito, decisero di acconsentire a questo viaggio. 
-IN ARGENTINA!- Urlò lei, rigettandosi al collo di nuovo
-Rein è stupendo!- esclamò la donna cercando di nascondere quella preoccupazione che sentiva dentro. 
Ogni giorno sentiva concretizzarsi l’idea di vedere sua figlia salire su un aereo e andarsene per un mese. È impossibile, per lei, pensare a sua figlia come una ragazza oramai cresciuta e con la forza di allontanarsi da casa per fare le sue esperienza.
-Sì- affermò la ragazza riportandola alla realtà. Sospirò.
-E chi verrà al tuo posto?- chiese la donna. La ragazza non seppe cosa rispondere, si limitò a guardare la madre e fare spallucce. 
-Come non lo sai?- Le chiese la madre perplessa, alzando il sopracciglio scettica 
-Non so, non ci dicono chi verrà!- Disse con noncuranza 
-Ma come? Magari ci mandano un teppista e noi dobbiamo accettarlo in casa nostra?- Cominciò a lamentarsi la donna, mentre la ragazza alzò le spalle.
-E NO!- Urlò la donna, poi -Non ci penso nemmeno a far entrare in casa mia un delinquente. Ma stiamo scherzando!- Continuò lei, mentre Rein cercava di attirare la sua attenzione chiamandola. 
-John per l'amor del cielo nascondi tutti gli oggetti di valore, ah ricordati i portacenere della nonna- Chiamava il figlio 
-MAMMA!- Urlò esasperata la ragazza -Mi vuoi ascoltare?- 
-Si vai!- Sussurrò poi la madre sedendosi sulla sedia, mentre cercava di farsi un po’ d’aria con il canovaccio che portava sempre sulla spalla. 
-Mamma guarda che scelgono solo le classi migliori della scuola. Non sono per niente teppisti come dici tu- disse la ragazza 
-E non me lo potevi dire prima?- Chiese Elsa tranquilla –Jonh, falso allarme, puoi lasciare tutto come era prima! Anzi, sistema il piano superiore non vorrai fare una brutta figura con la ragazza o il ragazzo che verrà!- disse allegra, quasi saltellando 
"Ma se nemmeno lo voleva far entrare" Pensò la ragazza sospirando. 
Ma non ci rimuginò molto, perché se sua madre doveva sistemare casa, lei doveva fare le valigie. Non aveva tempo da perdere.
Così, quella sera, aveva già preparato la lista delle cose che doveva portare con sé e cosa doveva lasciare perché non aveva spazio.


**Angolo
Bene, questo è il prologo ‘sistemato’. Avevo detto che lo avrei corretto o quantomeno reso presentabile, ma tra problemi di tempo e predisposizione da parte mia non sono mai riuscita a mettermi d’impegno per iniziare, ma ora eccomi qui.
Volevo ringraziare, di nuovo BlueLady per aver fatto presente a suo tempo degli errori che ho fatto in questo capitolo, spero che adesso sia più leggibile.
Per chi ha il coraggio di rileggerlo, sì ho apportato qualche modifica.
Quindi per ora mi concentrerò a sistemare i capitoli di questa storia e spero che alla fine il risultato sia migliore del precedente.
A presto
Tata^^

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Capitolo 2
*** Saluti e partenze ***


Saluti e partenze
La meta non è un posto, ma è quello che proviamo

<> Ammise Sophie, la ragazza dagli occhi verdi, come i suoi capelli. 
<> Rispose Rein abbracciando uno ad uno i suoi amici. 
<> Le disse Auler prendendole le mani e cercando il suo sguardo  
<> Rispose con un sorriso contenuto la ragazza, desiderosa di partire. Il ragazzo annuì. 
Erano tutti in gran fermento nell' aereoporto,  chi cercava la propria uscita, chi si era dimenticato di fare il ticket o chi, più semplicemente, stava salutando la sua famiglia o chi per loro. Ma la voce dell' annunciatrice che invitò i viaggiatori di avvicinarsi alla propria uscita, attirò l' attenzione di tutti. 
<> L' abbracciò il padre, talmente forte quasi da non farla quasi respirare. 
<> Disse la madre della ragazza allontando l' uomo dalla figlia, mentre il piccolo Jhon le chiedeva di non andarsene, perchè gli sarebbe mancata. 
<> Lo rassicurò facendogli l' occhiolino e scomigliandogli un poco i capelli.
<> Chiese impaurito il piccolo guardandola con occhi impauriti che la supplicavano di restare.
<> Rispose la ragazza dagli occhi blu. 
Di solito,Rein, non riusciva a dire di no al fratellino, aveva sempre cercato di accontantarlo a volte anche rimandando degli appuntamenti con le sue amiche. Ma questa volta non poteva, o meglio, non voleva. Era il suo sogno andare in Argentina e stava per realizzarlo e per quanto amasse il fratellino non volle rinunciare al viaggio. "capirà" sussurrò tra sé e sé la ragazza. 
<> La salutò la madre dandole un bacio sulla guancia abbracciandola. 
<> Si congedò lei avvicinandosi alla sua uscita indicatole dall' annunciatrice. 
<> La salutarono tutti, mentre la ragazza si allontanava
<> Chiese la ragazza dagli occhi verdi a suo fratello,Auler. 
<> Rispose lui atono continuando a fissare la figura esile dell' amica che si allontanava.
<> Ribattè la ragazza, mentre Auler si limitò a guardarla, sua sorella aveva capito tutto. 
Poi, il ragazzo sopostò lo sguardo sulla sua amica che si allontanava troppo in fretta, si sentiva come un cane abbandonato, che vede scappare il proprio padrone. 
Erano ormai un paio di mesi che era riuscito a dare un nome al fuoco che ardeva nel suo cuore, alla felicità quando la vedeva, alla rabbia quando un ragazzo  le se avvicinava, al vuoto che aveva quando per qualche giorno  non la incontrava. 
Si stava allontando, senza che lui potesse chiedergli di restare, senza che lui potesse dirle quello che aveva dentro al petto.  
Non poteva nemmeno, chiederle di restare. Chi era lui per farlo? Nessuno..o perlomeno per lei. 
La ragazza dagli occhi verdi, notando la tristezza del fratello, gli posò il braccio sulla spalla stringendolo a sé. Anche se sapeva che l' abbraccio di cui aveva bisogno era la ragazza che stava partendo, che si stava allontanando da lui.  




***
Un ragazzo dagli occhi blu cobalto era nell' aereoporto di Buenos Aires, Aereolineas Argentina, per salutare i suoi familiari. 
Era lì con il fiato sospeso stava aspettando i suoi amici, la sua amica.
<> "ti voglio bene" Disse la donna, salutando suo figlio abbracciandolo forte. 
<> "anch'io" sussurrò il ragazzo stampando un bacio leggero sulla guancia della madre, che gli scompigliava un pò i capelli 
<>" Sono orglioso di te,figlio mio" Ammise l' uomo, che sapeva bene che quel viaggio veniva offerto a coloro che ottenevano dei bei voti a scuola, e lui era uno di loro.
Già, Shade era uno di quei ragazzi che smontava l' idea del ragazzo non studioso e ignorante. 
Può sembrare strano, ma lui amava studiare, amava la conoscenza, questo suo padre lo sapeva bene e dentro di se cresceva la fierezza di suo figlio. 
<> "Grazie papà" Rispose Shade, contento di sentirsi dire quelle parole da suo padre. Era contento di essere un motivo di orgoglio per lui,ogni figlio lo sarebbe. 
Era contento, per lui era un modo per sdebitarsi di tutto ciò che aveva fatto per lui in tutti quegli anni.
Amava quell' uomo così forte e dolce, capace di far sentire il suo affetto in un solo abbraccio. 
Daiki, era un uomo dalle poche parole, che col passare del tempo aveva imparato a trasmettere ciò che non riusciva a spiegare a voce, con dei piccoli gesti fugaci. 
<> "Shade mi mancherai" (*) disse la bambina dagli occhi blu, abbracciandolo. 
Mentre una ragazza dalla folta chioma bionda correva verso il ragazzo, che la guardava stupita <> Urlava per l' aereoporto facendo distrarre i presenti. 
Gli si tuffò fra le braccia, affondando il suo volto nel maglione blu del ragazzo <> "quando tornerai?" gli chiese la ragazza sciogliendo l' abbraccio 
<> Rispose lui, sorridendo dolcemente guardandola negli occhi, come non aveva fatto mai.
<> "Mi raccomando, stai attento!" Si  raccomandò la ragazza tendendogli la mano, guardandolo negli occhi. 
<> " Ti aspetto per le nostre partite" Lo salutò Bright dandogli la mano in modo ferreo. 
<> Chiese il ragazzo preoccupato, sapeva che ci sarebbe stata, glielo aveva detto lei <> "Non te ne andare senza il mio saluto" Gli aveva detto la ragazza dagli occhi arancio e lui ci sperava. 
<> "Doveva accompagnare il suo fratellino agli allenamenti" Rispose Altezza quasi infastidita, conosceva bene il rapporto che legava i due ragazzi e onestamente le dava fastidio che non si fosse presentata. 
<> "Capito" rispose amareggiato il ragazzo.
<> "devo andare" annunciò il ragazzo guardando il padre, era davvero difficile per Daiki lasciarlo andare, aveva paura di non poterlo più rividere, tutti avevano paura che sarebbe rimasto lì, salutandoli con solo una chiamata. 
Lo riabbracciò, molto forte sussurandogli un dolce "Te quiero!" mentre gli donava un bacio sulla guancia. 
Shade sapeva bene il significato di quel bacio. Sapeva che valore dargli. Conosceva suo padre, conosceva il suo carattere. Quel bacio.  
Si diresse verso la sua uscita, stava per partire, stava per arrivare nella sua amata Italia. 
<> Arrivò la ragazza tanto attesa dal giovane. 
<> Esclamò guardando la ragazza che, senza problemi, si trascinava dietro il suo povero fratellino che emetteva dei piccoli gridolini di sofferenza. 
Si abbracciarono.
<> "Che ci fai qui?" chiese il ragazzo pieno di felicità, mentre la guardava negli occhi. 
<>  "non potevo lasciarti andare senza un saluto" Disse la ragazza abbracciandolo. Il ragazzo sorrise,di nuovo.
<> Salutò il ragazzo 
<> Salutarono tutti. 
Il ragazzo si stava dirigendo verso l' aereo e sussurrò <

**Mi esquina 
Ebbene si.. 
ho aggiornato! Vi chiedo scusa per il tremendo ritardo, ma ho avuto un pochino da fare (studio -.-'') 
Per prima cosa ringrazio a chi ha recensito, dandomi molti consigli. 
Non preoccupatevi, se non volevo delle critiche non avrei pubblicato le mie fic qui..no? 
Passiamo al capitolo.
 (*) non so se sia la giusta traduzione. 
Se qualcuno sa se ho sbagliato qualche traduzione, me lo dica. Grazie! 
Mi dispiace che sia venuto noioso, ma è un capitolo di "transizione" per introdurre nuovi personaggi e per introdurre il viaggio. 
Spero che vi sia piaciuto, nonostante sia noioso e che continuerete a seguirmi comunque. 
Inoltre, ringrazio chi ha aggiunto questa fic tra le preferite e seguite.  
Infine ringrazio chi legge soltanto!
Alla prossima 
Tata^^

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Capitolo 3
*** Arrivi ***


ARRIVI
Voglio uscire ora da questa possessione, che mi brucia dentro e che non
Mi fa vivere.
 
Due occhi color cielo stavano ad osservare il paesaggio che gli si presentava davanti.
Rein si trovava sull'aereo che l' avrebbe portata in Argentina, nel posto che amava tanto. Era in gran agitazione. 
Guardava fuori dal finestrino mentre le nuvole le sfrecciavano davanti agli occhi, sentiva un’irrefrenabile voglia di sfiorarle, di poterne sentire la consistenza, sapere se davvero erano fatte di ovatta come aveva sempre creduto da bambina. 
Era sua nonna a dirglielo.
Si guardò intorno, tutti i passeggeri erano immersi nelle loro chiacchierate, ma, Rein, quel chiacchiericcio non lo sopportava.
Stufa del rumore che aveva intorno, prese il suo i-pod e si mise le cuffie. 
Amava la musica così, d’impulso, si mise a battere la mano sul ginocchio mentre nelle orecchie rimbombava "Arlecchino".

"Tu lo sai, la gente pensa che sia felice perché so fingere. Sono arlecchino: indosso maschere metto il trucco e faccio ridere. Cosi per non deludervi nascondo con sorrisi i lividi"

Quella canzone la descriveva, ma quella frase era la sua. Era come se l' avessero sentita nel suo più grande sfogo e avessero usato le sue parole per scrivere una canzone.
Quante volte sorrideva mentre dentro stava morendo dal dolore? Ma il suo dolore non era per un amore non ricambiato. Il dolore che sentiva era tutt' altro, era il non sentirsi bene in mezzo alla gente e non stare bene nel mondo. 
Molte volte sentiva  il bisogno di allontanarsi dal posto in cui viveva per rintanarsi in un luogo sconosciuto, dove lei non era conosciuta, così da potersi costruire una nuova vita. Sentiva il bisogno di ricostruire una nuova se stessa, senza che l’ombra di quello che era la potesse seguire od ostacolare.
Aveva tanta voglia di allontanarsi ma l' affetto che la legava ai suoi amici, ai suoi genitori e al piccolo John la trattenevano in quella grande città che le stava stretta, che quasi la soffocava. 
Guardava scorrere quelle nuvole bianche che si alternavano, alcune avevano delle forme strane e, come faceva da bambina, si divertiva a cercare di capire a cosa somigliassero. 
La divertiva, era emozionante, nonostante non sapesse il motivo si ostinava a sorridere ogni volta che trovava una somiglianza. 
E poi ci pensò, pensò che effettivamente a sedici anni non aveva mai sentito nel suo stomaco delle farfalle svolazzare. Non aveva mai trovato una persona che riuscisse a  farle perdere il contatto con il mondo o le facesse perdere la cognizione del tempo.
Non aveva mai trovato nessuna persona che la facesse sospirare.
Proseguì così il suo viaggio, verso quella città che l' avrebbe ospitata per un mese, che sentiva sarebbe stato pieno di emozioni dal primo giorno fino all’ultimo.
Nonostante avesse paura di trovare una famiglia che non l'avrebbe accettata. Per una volta, però, decise che i pensieri negativi li avrebbe lasciati indietro. Tutto ciò che di negativo potesse attraversarle la mente, decise di lasciarselo alle spalle.
E così, appoggiando il capo al finestrino, si abbandonava a quella canzone che amava, aspettando di poter atterrare.



***
Due iridi blu, invece, avevano lo sguardo fisso sul sole,lo aveva sempre affascinato. 
Gli procurava una calma dentro, forse perché lo riportava ancora a quel vecchio passato che portava ancora dentro di sé. Come non avrebbe potuto non farlo? era il suo pezzo di vita che, anche se doloroso, lo aveva fatto diventare quello  che era. 

<> urlava un bambino mentre correva felice nel parco, seguito dal padre ansimante. 
<> Rispose l'uomo col fiatone.


Si dipinse un sorriso sul volto del ragazzo, sul dolce viso come lo descriveva Lione. 
Già, Lione ultimamente stava occupando sempre di più i suoi pensieri con quel sorriso che gli trasmetteva energia e quegli occhi sempre vivaci: caratteristica che aveva sempre amato, lui. 

<> "Shade ti voglio bene!" sussurrò la ragazza dagli occhi arancioni, talamente piano quasi a non sentirla. 
<> " anche io, amica mia" Rispose lui, sorridendo mentre lei si avvicinò per abbracciarlo. Un abbraccio caldo, dove entrambi trovarono conforto.
 A Shade facevano bene quelle parole, parole capaci di scaldargli il cuore soprattutto se pronunciate da lei. 
L' abbraccio si sciolse lasciando sui loro volti due sorrisi sinceri. 


Shade, aveva l' impressione di sentire ancora il calore di quell' abbraccio ferreo. 
Socchiuse gli occhi, inspirò come se dovesse odorare un profumo che aveva accanto a sé, ma non c' era e gli lasciò sulle labbra il gusto amaro della solitudine.
<> Sussurrò piano per non farsi sentire da chi gli stava accanto. 
Stanco del rumore dell'aereo, che gli sembrava assordante, si mise le cuffiette per ascoltare una canzone, anzi LA canzone. 
Sì, la sua canzone. Non si parla di una canzone qualsiasi che lo descriveva, ma era la canzone che lui stesso aveva scritto e registrato.
Piccolo segreto che nessuno a parte Lione, naturalmente, sapeva: Lui scriveva e cantava e grazie a un suo amico poteva inciderle. 
La musica partì, mentre socchiuse gli occhi, quasi da voler captare qualche suo errore. 

Nel buio della stanza sento il cuore battere, 
mentre la tua assenza si fa sentire. 
Dimmi perché, spiegami perché hai dovuto lasciarmi in balia delle mie domande. 
Cosa stupida? Forse, ma io ho bisogno di te. 
Sembra ieri il tocco delle nostre mani: le mie e le tue. 
Ma quel giorno no,
non può più tornare, 
il passato non può più tornare, perché lo dobbiamo lasciare alle spalle, 
io lo so, tu lo sai ma fa sempre male.
Mentre guardo i miei occhi, sembra di vedere un tuo riflesso allontanarsi sempre di più, quello che hai fatto tu.
Torna da me, se hai coraggio e spiegami.. sono io che sono sbagliato? 
Non sono quello che t'aspettavi? 
Potevi attendere un po’ di più e potevi scoprire che,forse, ero molto di più. 
Dammi tempo e capirai!

Era incredibile come, a distanza di due anni, quella canzone poteva farlo ancora piangere. 
Sentiva ancora i brividi sulla schiena mentre si abbandonava al ricordo delle loro mani l'una nell'altra. 
E mentre quei ricordi si facevano spazio nella sua mente, impulsivamente chiuse le sue mani in due pugni, stringendoli talmente forti, da far diventare bianche le mani. 



***

Camminava, mentre guardava gli sguardi che incontrava. Vedeva qualcosa di diverso nei loro occhi, qualcosa che non aveva mai visto. 
Forse aveva trovato quel che cercava da tanto tempo? 
Una piccola speranza si faceva spazio nella sua mente facendola sorridere un poco. 
Con una foto in mano, Rein, cercava le persone che l' avrebbero ospitata nella loro casa. 
Eccoli, sorrise lei. 
<> Salutò la ragazzina. 
<> Ricambiarono loro. 
Davanti a lei si ritrovò un uomo e una donna sulla quarantina. 
Lei aveva capelli blu che le arrivavano alle spalle, due occhi color della notte ed un sorriso coinvolgente. Piuttosto alta, all' apparenza socievole e con un' aria amichevole. 
Lui un uomo con capelli biondi e, anch' egli, due occhi blu profondi. A differenza della moglie, lui era piuttosto riservato quasi a sembrarle scorbutico e  antipatico. Ma non voleva soffermarsi sulle apparenza; possono ingannare. 
<> "mi chiamo Rein,piacere" Si presentò con scioltezza, lasciando piuttosto basiti i due che non si aspettavano minimante che quella ragazzina dagli color mare potesse parlare la loro lingua. 
<> "Mi chiamo Maria" Si presentò la donna 
<> "io sono Daiki" Si presentò a sua volta l' uomo,  
<> "E lei è Milky" Disse la donna, mentre una bambina usciva dal suo nascondiglio: le gambe della mamma. 
Rein guardò incuriosita la bimba, aveva capelli biondi con occhi color blu come i suoi genitori. 
<> " Quasta bambina è molto bella, come ti chiami?" Chiese Rein alla bimba accucciandosi davanti a lei, regalandole uno dei suoi più bei sorrisi, dal quale la bimba rimase colpita e rispose con un sorriso. 
<> Rein rimase pietrificata, aveva parlato la loro lingua, magari facendo anche degli errori madornali e loro... 
<> disse la donna sorridendo e facendole la linguaccia.
Rein sospirò di sollievo, infondo avrebbe potuto parlare italiano e non avrebbe dovuto fare stupide figuracce. Decise di non pensare alla probabilità di averle già fatte.
<> esordì lei 
<> chiese Daiki 
<> rispose 
<> ribatté la donna 
<> disse Rein 
<> le disse, quasi canzonatorio, l'uomo. In fin dei conti non era  poi così scorbutico. 
In quel momento Rein decise di essere stata molto fortunata e che la famiglia che la stava ospitando fosse davvero dolce.
Si voltò un momento vero il cancello da dove era entrata e sorrise. Si sentì sollevata, perché lasciare tutte le negatività e le preoccupazioni su quell’aereo era stata la scelta giusta. Potevano tornarsene in Italia, con lei, in Argentina, sarebbe rimasta solo la positività.
Dopo un' oretta di macchina e di giochi con la piccola Milky arrivarono a casa. 
Davanti alla ragazza, si presentò una casa color giallo canarino, molto carino. 
All' interno un piccolo ingresso carino anch' esso, con un mobiletto sul quale l'uomo poggiò le sue chiavi. Subito sulla destra vi era una piccola sala, sembrava una stanza di svago, dove c'erano due divanetti color rosso che si sposavano con il color bianco delle pareti. 
Una televisione molto grande sotto al quale vi era una play station. Alle pareti c'erano due o tre quadri. Era un ambiente piuttosto semplice e sobrio. 
Più avanti le si presentò una cucina imponente, infatti, se la sala era sobria, la cucina era tutt' altro. 
Al centro c'era un tavolo di medie dimensioni, dove probabilmente mangiavano la sera, per una cena intima, in famiglia. 
Poco distante, come piano cottura, c'era una splendida penisola, molto elegante bianca con gli sportelli rossi. I colori che regnavano erano, anche lì, bianco e rosso. 
<> esordì la donna sorridendole
<> rispose la ragazza sorridendo. 
Davanti alla cucina c'era la sala da pranzo, molto grande ed elegante. 
In quello spazio però, il colore dominante era il marrone, quel marrone elegante che si trova nelle sale reali. 
il tavolo e le sedie davano l' idea del legno, e sulla seduta c'era un cuscino con dei tulipani rossi che riprendevano il colore dell'imbottitura dello schienale. 
Davanti a sé, si presentavano delle scale, che la portavano al piano superiore dove c'erano le stanza da letto. 
Nel corridoio c'erano molte foto ma una attirò maggiormente la sua attenzione: quella di un bambino di 4 anni. 
<> Immaginava fosse il ragazzo che sarebbe dovuto vivere nella sua casa. 
<> rispose Daiki. 
"Deve essere proprio un bel ragazzo" pensò Rein
<
Si trattava della stanza più vicino al bagno ed era quella del ragazzo.
<> spiegò la donna 
<> Rispose lei "accidenti, volevo vedere com' era" pensò.
<> la rassicurò Maria 
<> si raccomandò Daiki 
<> rispose semplicemente Rein
<> le disse Daiki chiudendo la porta. 
<> sussurrò Rein buttandosi sul letto. 



***
Shade arrivò all' aeroporto d'Italia
<> sussurrò Shade annusando l' aria che lo circondava. 
Con fare serio si avvicinò ai due signori che aveva riconosciuto dalla foto. 
<> si presentò lui, mentre i due nascondevano il dizionario dietro la schiena. 
<> si presentò una donna sulla quarantina, capelli lunghi rossi raccolti in una coda alta, occhi dello stesso colore e un largo sorriso, lo mise subito a suo agio. 
<> gli diede la mano un uomo sui quarantacinque anni, capelli blu ed occhi dello stesso colore, anch’egli con un grande sorriso. 
<< Io sono John>> si presentò serio il bambino di 6 anni. 
Shade abbassò lo sguardo e vide quel ragazzino da capelli rossi e occhi dello stesso colore, sorrise. Gli sembrò di vedere la sua sorellina dagli occhi vivaci,un sorriso gli si dipinse  sul volto, facendo cadere ogni timore della donna che, di lui, ebbe la sensazione di un ragazzo troppo serio. Sensazione giusta! 
<> chiese Elza
<> rispose Shade. 
Dopo 10 minuti di macchina arrivò a casa. 
Era una palazzina. 
Entrò in casa, e subito gli si presentò una sala dove vi era un tavolo, di fronte al quale c'era la tevisione. 
Sulla destra c' era una porta che conduceva alla cucina, una stanza molto semplice con un mobile a parete bianca e il frigorifero di fronte. 
A dividere la parte giorno dalla parte notturna, vi era una porta a soffietto dove si presentava un corridoio pieno di foto. Anche lui rimase colpito dalla foto di una bambina dagli occhi celesti e capelli color del mare 
<> esclamò John, estasiato. 
<> chiese il ragazzo e il bimbo annuì. 
<> gli disse la donna 
<> spiegò Touluse 
<> ribatté John portando le mani dietro la nuca.
<> lo riprese il padre. 
<> rispose Shade <>
<> gli disse Elza chiudendo la porta. 
<> sussurrò Shade, guardandosi intorno. 
Davanti a sé c'era una parete piena di foto della ragazza con i suoi amici. 
<> Sussurrò.

**Angolo autrice in un enorme ritardo 
Ciao a tutti quanti. 
Non ho scusanti per il tremendo ritardo. Ma non avevo ispirazione nè, tantomeno, tempo. Ma eccomi con un luuugno capitolo. 
Ho preso il nome del padre di Shade, dalla mia vecchia long-fic. 
Spero tanto vi sia piaciuto. 
E che abbia reso l' idea delle case. 
Ringrazio chi ha aggiunte la fic nelle preferite e nelle seguite. 
Inoltre, ringrazio BlueLady per aver recensito lo scorso capitolo. 
Ringrazio, anche, chi legge soltanto. 
Alla prossima 
Tata^^

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Capitolo 4
*** Pensieri ***


PENSIERI
Se guardiamo la stessa luna, non siamo poi così lontani

<<Dove corri? Torna qui!>> Richiamò il bambino. 
<<Si papà arrivo subito!>> Ribattè il bimbo correndo verso l' uomo che lo aspettava a braccia aperte, per poterlo alzare e far volare in alto, talmente in alto che al piccolo sembrava quasi di toccare il cielo, quel cielo che tutti definivano come irraggiungibile. 
A volte si chiedeva il perché lo credessero tanto lontano se lui, ogni volta che si trovava in braccio a lui, gli sembra di sfiorarlo. Gli sembrava di toccare quelle nuvole soffici fatte di cotone. 


Rimasi fisso a guardare le foto appese alla parete che, come dice Jhon, raffigura Rein, la ragazza dello scambio culturale. 
Aveva degli occhi color azzurro, proprio come i suoi capelli, un sorriso dolce e coinvolgente che senza volerlo mi fece alzare le guance. 
Riuscii a notare che era una ragazza circondata da molti amici. ‘Sarà simpatica allora’ mi dissi. Tanto meglio per i miei. 
Mi avrebbe fatto piacere conoscerla, se dovevo essere sincero. 
<<Shade!>> Mi sentii chiamare da fuori alla porta 
<<Dovresti chiamare i tuoi>> mi ricordò Elza premurosa, già mi ero dimenticato.. E' l' effetto dell’aria italiana. Quanto mi era mancata!
<<Si arrivo, grazie!>> risposi io. 
Mi avvicinai al telefono che mi aveva indicato poco prima e composi il numero di casa mia. 
<<Shade?>> sentii dall'altra parte del telefono, era Milky. 
<<Ciao Milky come stai?>> le chiesi io
<<Bene fratellone tu? Come è andato il viaggio?>> mi chiese lei 
<<Bene grazie, è stato molto rilassante>> Le risposi io <<Mi passi papà?>> 
<<Si subito>> Rispose <<PAPA'>> urlò, quasi spaccandomi i timpani <<E' Shade!>> esclamò 
<<Ciao Shade io vado a giocare, buona vacanza!>> mi salutò Milky 
<<Grazie, e tu cerca di fare la brava>> mi raccomandai io.
<<Ehi Shade como fue tu viaje?>> "Com' è andato il viaggio" mi chiese mio padre <<Muy bien, gracias>> "molto bene, grazie" risposi io, sentii un sospiro da parte di mio padre, ed io sapevo a che cosa era dovuto, ma non gli dissi niente, non volevo affrontare il discorso in quel momento.
<<Entonces, ¿cómo es Italia?>> "allora, com'è l'Italia?" mi chiese lui 
<<Más bella que yo podía recordar>> "Più bella di quanto potessi ricordare" risposi io 
<<Las personas que están en casa?>> "Le persone che ti ospitano?"
<<Se ven muy bien y la energía solar>> Sembrano molto simpatici e solari" <<y la chica que vino a mi casa?>> "E la ragazza che è venuta al posto mio?" 
<<se ve bien y es también muy agradable, ya sabes?>> "Anche lei sembra molto simpatica ed è molto carina, sai?"  Rispose lui, conoscevo quel tono di voce alludeva a qualcosa, mio padre non si smentisce mai
<<Papà!>> Lo ripresi io <<Siempre lo mismo>> "sempre il solito" 
<<Es verdad>> Ribatté lui 
<<Bueno, me voy a deshacer la maleta, que todavía no se abren. Saluda a mamá y Milky>> " Va bene, vado a disfare la valigia che ancora non l'ho aperta. Salutami mamma e Milky" lo salutai io 
<<Ok.. Buena suerte!>> "Ok..Buona fortuna" mi salutò lui. 
Ritornai in camera, per disfare la valigia, ma il paesaggio che mi si offrì davanti distoglie la mia attenzione, mi affacciai alla finestra per osservarlo. 
Respirai profondamente, le mie narici furono inondate dal profumo dei fiori che avevo sotto la finestra. Erano fiori blu. 
Ascoltai il verso degli uccelli che sembravano quasi cantare una canzone per me, per rendere ancor più piacevole questo momento. 
E' questo il paesaggio dell'Italia, la famosa Italia.
Alzai lo sguardo e ammirai ciò che mi si parò davanti: una cupola di color marrone, fiancheggiata da una chiesa che, da lontano, pare essere ricca di particolari. 

<<Che fai?>> chiese l' uomo dietro il bambino 
<<Guardo quella!>> esclamò il bambino indicando quell' enorme chiesa che aveva di fronte a sè e che lo aveva lasciato a bocca aperta 
<<Quella è la chiesa di Santa Maria del Fiore. Ti piace?>> 
<<E' bellissima!>> 
<<Domani ti ci porto>> promise l' uomo, mentre il bambino, ancora incredulo, sorrise felice gettandosi tra quelle braccia forti che lo avevano sempre protetto e che avrebbero continuato a farlo.


<<Ti piace?>> chiese Touluse distogliendo la mia attenzione dalla chiesa 
<<Si, è molto bella>> risposi io un po’ impacciato, stavo parlando con uno sconosciuto infondo, no? 
<<Non essere timido, non sono cattivo eh>> cercò di rassicurarmi lui, dandomi una pacca sulla spalla. 
Si affacciò anche lui, ammirò insieme a me quella chiesa. 
<<E' Santa Maria del Fiore  è il Duomo di Firenze è la quinta chiesa d' Europa per la sua grandezza>> quell'affermazione. Devo essere sincero, mi ha gelato il sangue, avevo ottenuto una conferma, ero sicuro che quella era la stessa chiesa.
<<Ah si? E le altre quali sono?>> chiesi io, mi sono sempre piaciute queste cose. Ho sempre amato l'architettura soprattutto quella italiana. 
E' piena di particolari, che se ti volessi soffermare su ognuno di loro non te ne andresti più. 
Ho sempre ammirato anche l'architettura argentina, ma quella italiana non la batte proprio nessuno. 
<<Ora mi chiedi troppo!>> esclamò lui dopo qualche minuto di silenzio, lasciandomi un po’ spiazzato. 
<<Pensavo fossi un po’ più preparato e informato>> scherzai io
<<Ehi, porta un po’ di rispetto!>> protestò lui, rimasi spiazzato. Forse non avrei dovuto scherzare così tanto con lui, in fin dei conti lo avevo appena conosciuto
<<Sto scherzando>> continuò poi, come se si fosse accorto del mio disagio <<Hai ragione, però posso dirti che due erano italiane: San Pietro e il Duomo di Milano>> 
<<Grazie!>> 
<<E di che? Ti piace l' architettura?>> 
<<Si molto, mi affascina. Ecco, ad esempio, ora che guardo questa chiesa ho l'impressione che la passione che è stata messa per costruirla mi arrivi>> 
<<Wow>> lo guardai, ha una faccia meravigliata ed io, imbarazzato, abbassai lo sguardo. 
<<Che altro ti piace?>> mi chiese 
<<La musica, suono la chitarra e compongo canzoni. Amo molto anche le moto>> mi confidai io, era facile aprirsi con lui. Erara proprio un bel tipo quel Touluse.
<<Touluse! Vieni a parlare con tua figlia, screanzato!>> Un urlo arrivò fino alle nostre orecchie facendomi sobbalzare un poco. 
<<Il dovere mi chiama!>> mi salutò lui con un'altra pacca sulla spalla ed io mi limitai a sorridergli. 
Lo guardai uscire <<A disfare le valigie!>> sussurrai io.

***

<<Rein, vieni ci sono i tuoi genitori al telefono>> mi sentii chiamare da Maria
<<Si arrivo>> risposi io. 
Lasciai la maglietta che stavo sistemando nel cassetto e andai subito al telefono ringraziando Maria per avermi chiamata. 
Dall'altra parte un urlo mi spaccò il timpano 
<<Oh tesoro della mamma, com'è andato il viaggio? Ti sei rilassata?>> E un' altra serie di domande, che sono state capaci di farmi venire un terribile mal di testa 
<<Mamma piano>> la supplicai io 
<<Ok, dimmi tutto>> 
<<E' andato tutto bene, più di quanto potessi immaginare>>
<<Come sono i signori che ti ospitano?>> Chiese ancora
<<Sembrano simpatici, per ora mi ci trovo bene>> Risposi io 
<<Com'è l'Argentina, la tua tanto amata Argentina?>> mi chiese 
<<Stupenda, più ti quanto potessi immaginare>> 
<<Sono contenta per te>> mi disse lei, sembrava quasi che fosse più felice di me
<<Papà?>> chiesi, mi sembrava strano che non si facesse sentire 
<<Aspetta che te lo chiamo>> mi rispose <<Touluse! Vieni a parlare con tua figlia, screanzato!>> 
Beh che posso dire, eranoi miei genitori. Non cambieranno mai! 
<<Oh Rein come va?>> chiese mio padre
<<Tutto bene grazie>> risposi 
<<Com'è andato il viaggio? Come sono i signori che ti ospitano?Com'è l' Argentina? E la gente di quel posto? Ti trattano bene? Vuoi tornare a casa? Se vuoi tornare a casa, basta che lo dici e ti vengo a prendere. Lo sai.>> 
A volte mi chiedevo perchè non riuscissi a stare zitta. Avevo appena finito un interrogatorio e ora me ne toccava un altro. 
<<E' tutto ok, papà>> risposi io <<John?>> chiesi, mi pentii subito di averlo chiesto 
<<Si sta facendo la doccia>> rispose, mentre tirai un sospiro di sollievo.
<<Ok, ci parlerò domani con lui>> 
<<Ok allora a domani tesoro. Se c'è qualcosa chiama>> 
<<Si papà>> sospirai io rassegnata.
Tornai in camera per finire di sistemare la valigia. 
E pensare che quello era il mio primo viaggio ed ero anche da sola. 
Devo ammetterlo mi mancavano, anche quella bestia di John, e le nostre litigate.
Mi affacciai alla finestra. 
Mi piaceva guardare i paesaggi, non quello che si vede dalla mia camera ma gli altri si. 
Non che non mi piacesse la chiesa di Santa Maria del Fiore ma, è monotono ecco. Ormai la conoscevo a memoria. 
La conoscevo anche con le sue illuminazioni notturne. Perché, quando la notte non avevo sonno, passavo il tempo a guardare la città calata nel suo silenzio. 
Mi sentivo bene così, c’eravamo solo io e la luna, che a volte mi sembrava rivolta verso di me, e allora ci parlavo, chiedendo alle stelle di rimanere in silenzio e non raccontare i miei segreti.. 
Mi fidavo della luna, ma non delle stelle. Non so quale fosse la ragione, ma non mi fidavo.
La luna è sempre stata diversa, ha quel bellissimo sorriso da sembrare quasi materno, mi invitava a sfogarmi con lei. Ricordo ancora, mentre le raccontavo i miei problemi, immaginavo di salirci sopra e guardare la nostra casa da lì.
Ricordo anche che nelle sere in cui era incompleta, l’apprezzavo ancora di più. Forse perché c’erano sere in cui mi sentivo incompleta anche io. Che buffo, mi sentivo incompleta, ma col senno di poi avevo tutto. Alla fine ho dovuto ammetterlo. Perché, a pensarci, non è forse vero che la mancanza di una persona può farti sentire completamente sola?
Alle volte pensavo potesse essere la mancanza di una persona che mi potesse amare, ma non sentivo il bisogno. Pensavo, addirittura, che fosse tutto una pagliacciata.
Forse avevo visto troppe coppie finte nella mia scuola. Coppie che non si amavano e stavano insieme solo per quella assurda regola che la ragazza e il ragazzo più popolari dovevano stare insieme. 
Poi guardavo mia madre e mio padre. Li vedevo abbracciati, mentre guardavano qualche film insieme, in una di quelle sere che si dedicavano per stare insieme. Un po’ per fuggire dal mondo reale e tornare indietro nel tempo, a quando erano giovani e passavano il tempo abbracciati e a coccolarsi. E in quei momenti riuscivo a credere che forse l’amore esisteva e che, forse, dovevo solo attendere ancora un po’ per trovare il mio, quello giusto. Forse un giorno sarei potuto essere felice con una persona speciale, come lo erano i miei genitori.
Finii di disfare le valigie mentre aspettavo che le luna uscisse. Aveva bisogno di raccontarle delle mia nuova avventura. Non vedevo l’ora di poterla vedere da questa parte. Sarà la stessa? 

***Angolo autrice
Salve gente!!
Lo so, sono in un terribile ritardo, ma i compiti mi hanno rubato un sacco di tempo.
Ho dovuto perdere un mese di scuola, e dovuto recuperare in un tempo record. E come se non bastasse quel mese ero anche senza computer.
Ma a voi questo non interessa quindi, passo oltre.  
Come vedete anche questo capitolo è di transizione. A breve, credo già dal prossimo capitolo, le cose si smuoveranno
Ringrazio di cuore chi ha recensito e messo la mia fic tra preferite e seguite. 
Ringrazio anche chi ha soltanto letto. 
Spero vivamente che anche questo capitolo vi possa piacere. 
Mi scuso per gli errori. 
Alla prossima 
Tata^^

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Capitolo 5
*** Piacere di conoscerti ***


PIACERE DI CONOSCERTI
Il mondo un è libro,e quelli che non viaggiano ne leggono solo una pagina
POV REIN
Erano le 7:30 quando il suono della sveglia iniziò a riempire la stanza. Non avevo nessuna voglia di alzarmi,nonostante fossi già sveglia non avevo voglia di abbandonare il letto. 
Inoltre, ancora non ero completamente abituata al fuso orario. 
Mi alzai lentamente, stropicciandomi gli occhi, mi avvicinai all' armadio e passai le varie grucce alla ricerca di qualche capo da indossare.
Scelsi un jeans chiaro con uno strappo al ginocchio, una t-shirt celestina e – le mie tanto amate- All Stars. 
Scesi le scale e, sentendomi ancora in imbarazzo, chiamai Maria. In qualche modo mi sembrava come se mi desse il permesso di entrare nella stanza. Aprii la porta e trovai tutta la famiglia seduta a tavola per la colazione. 
Mi sedei insieme a loro e buttai un occhio alla tavola. 
<<Stamattina ti ho preparato un po’ di cose argentine>> mi disse Maria 
<<Oh grazie!>> risposi io <<Uh.. un cornetto!>> Esclamai io addentandone uno. 
Masticai e mi resi conto del sapore insolito, mi voltai verso Maria, lei guardò, come se stesse aspettando qualcosa da me. Sorrise <<Questo è un croissant farcito con caramella mou sciolta>> mi spiegò lei. 
<<Buono!>> esclamai io <<Questo è caffè. Prendi>>  mi passò una tazza Daiki. 
Spostai lo sguardo sul tavolo per vedere cos’altro mi avevano preparato e Maria prese la parola <<Questo invece è lo yerbe mate>> 
<<Yerba mate?>> Ripetei io con curiosità. Avevo sempre sentito parlare, ma non ero mai riuscita ad assaggiarlo.
<<Si, lo yerba mate è un po’ come un thè. Ha degli effetti benefici sulla salute, e inoltre riesce a placare la fame, dando un senso di sazietà>> continuò Maria. 
Annuii rapita da quel liquido verdognolo e, nonostante il colore non mi convincesse, decisi comunque di assaggiare. Sorseggioìai, facendo una smorfia di disgusto. 
Mi girai verso Maria che mi guardò con sguardo divertito, chiedendomi che cosa ne pensassi. 
Avrei voluto non essere sgarbata, non volevo che pensassero male di me, ma proprio non riusciva ad apprezzare quello strano sapore che ha.
Alla fine optai per una mezza verità <<Ha un sapore strano!>> lei mi guardò e mi sorrise, speravo non mi facesse la solita domanda <<Non ti piace?>> non avrei saputo mentirle. 
Piuttosto si alzò da tavola sorridendo <<Quanto ti capisco! Sai quanto ci ho messo io ad abituarmi a berlo con naturalezza?>>
<<Bene io vado a lavoro!>> Sorrise Daiki, dando un bacio sulla fronte alla piccola Milky e uno a fior di labbra a Maria. 
Osservai quella scena commossa, non era abituale vedere i miei genitori baciarsi sulle labbra e quando glielo facevo notare mi rispondevano sempre con un “mica possiamo baciarci davanti a voi!”, che noia. A volte ero arrivata a pensare che avessero qualche problema di coppia.
<<Salve!>>  esclamai io per salutare Daiki. Mi sentii un pesce fuor d’acqua, non sapevo come comportarmi, era un momento così intimo tra loro che trovavo difficoltoso trovare un modo per intromettermi.
Mi invase un senso di nostalgia dei miei genitori, della mia famiglia, della mia casa e della quotidianità. Per un momento pensa che quello non fosse il mio posto, mi chiesi cosa stessi facendo in quella casa dove ero uno sconosciuta e in cui, ovviamente, venivo trattata da tale. Ma in quel momento Daiki distrusse tutti i miei dubbi, i miei timori. Semplicemente si avvicinò a me sorridendomi dolcemente carezzandomi la guancia. Quel gesto così semplice, fu capace di far martellare il cuore nel petto. Sorrisi ampiamente, in qualche modo mi ricordò i gesti gentili di mio padre.
Poi se andò chiudendosi la porta alle spalle.
Guardai Maria indaffarata a lavare i piatti e mi proposu per darle una mano ma lei rispose di no.
L' aiutai perlomeno a sparecchiare la tavola. Mi sentii chiamare, abbassai lo sguardo e incontrai un paio di grandi occhi blu: Milky. 
<<Posso chiederti un favore?>> mi chiese lei torturandosi le mani dalla vergogna <<Sì, certo>> le risposi io 
<<Ecco, mi piacerebbe andare al parco, ti va di accompagnarmi? Sai la mamma oggi ha molto da fare a casa e non può>> mi domandò con una punta d' imbarazzo nella voce, nei suoi occhi lessi qualcosa simile alla speranza. 
Andare in giro da sola dopo solo 2 giorni non è da persone intelligenti, insomma non conosceva per niente la zona, ero capace di perdermi nella mia città, figuriamoci in una dove sono appena arrivata. 
<<Milky!>> la richiamò Maria. Guardai Milky dispiaciuta, si vedeva che ci teneva ad andare al parco. 
<<Non ti preoccupare Maria>>  le dico <<Solo che non conosco la città, rischiamo di perderci>> mi rivolsi poi a Milky che sorrise 
<<Oh questo non è un problema. Guarda!>> Mi disse lei indicando la finestra, mi girai e vidi che neanche a 50 metri c'era un parco pieno di bambini. 
Lo guardai sconcertata, possibile che non l'aveva visto? <<Adesso hai capito di ciò che ti stavo dicendo?>> dissi alla bambina che, in un attimo, si mise a ridere di gusto. 
<<Rein, se non ti va puoi lasciare perdere. E' una bambina intelligente, capirà!>>  mi disse premurosa Maria io scossi la testa <<Non ti preoccupare. Se ti fidi ce la porto io>> sorrisi
<<Certo che mi fido>> 
<<Ok, vai a prepararti>> incitai Milky che cominciò a correre verso la sua camera. 
<<Non correre!>> l’ammonì Maria
<<Sì, mamma>>


Entrammo nel parco, era enorme, pieno di giochi per bambini a partire dagli scivoli alle altalene che, appena le vide Milky, mi prese per la mano e mi trascinò per aiutarla a salire e a spingerla.
Era un giornata piacevole. Il sole era caldo, ma di tanto in tempo tirava una piacevole brezza che portava un po’ di fresco.
<<Perla!>> sentii urlare Milky in preda alla felicità più estrema.
Milky iniziò a correre a perdifiato verso lo spazio con la sabbia e io cercai la forza e la voglia per correrle dietro e non perderla tra la moltitudine di bambini
<<Milky aspetta!>> provai a farmi ascoltare
<<Hola Milky>> A salutarla una bambina dagli occhi marroni della sua stessa età, pensai fosse una sua amichetta della scuola. Poi mi colse un dubbio: era sciopero? 
Le guardai stranite, e Milky, come se avesse letto nel pensiero cominciò a parlarmi della scuola che frequentavano <<Noi frequentiamo il prescolar, è una scuola che ci prepara ad affrontare i prossimi anni. Non è obbligatorio quindi a volte riesco a convincere mamma a non mandarmici, e vale lo stesso per Perla. Così ci possiamo incontrare qui per giocare qualche ora>>. 
La guardai un po’ stranita, com'è diversa la scuola tra quella italiana e quella argentina <<Capisco!>> congedai io il discorso. 
<<Ma non dirlo a Shade, mi uccide se sapesse che non ci sono andata.>> Risi appena.
<<Rein esta es mi primo(?)>> "questa è mia cugina" mi dice Milky cambiando argomento 
<<Oh Vos sos muy bonita>> "Oh sei davvero carina" le dissi poggiandomi sulle gambe e sorridendole <<Yo soy Rein, encantada>> "Io sono Rein, piacere" continuai io. 
Lei mi guardò con un bel sorriso. Certo che il bel sorriso regnava in famiglia. 
<<Yo me llamo Perla>> "Mi chiamo Perla" mi disse lei. 
Le lasciai giocare, mentre butto un'occhiata mentre ascolto il mio adorato mp3, dove andrei senza di lui? 
Mi guardai attorno, controllai di nuovo le bambine e vidi un ragazzo vicino a loro che cercava di prendere Perla, mi precipitai subito irritata
<<Perdòn, quién es?>> "mi scusi, chi è? chiesi con gentilezza con una punta di irritazione nella voce mal nascosta. Il ragazzo dal canto suo mi guardò come se fossi un' aliena
<<Esto deberìa yo me pregunto a usted>> "questo dovrei chiederlo io a te" lo guardai stizzita, quello che stava importunando Perla era lui non io. Fosse un ragazzo svitato?!
Perla mi guardò <<Rein, esto es mi hermano Juan>>  mi disse, cominciai a sentire il mio viso andare a fuoco mentre cercavo di collegare le cose: dovrei chiedertelo a te, fratello, Juan.. 
Oh santo cielo, che figuraccia. 
<<Pérdoname, Yo soy Rein>> "Perdonami, sono Rein" mi presentai porgendogli la mano, lui la guardò e sorridendo me la strinse <<Juan>> ripeté. 
Lo guardai attentamente: capelli castani, leggermente sparati, la canottiera bianca attillata, jeans scuri che seguivano perfettamente il corpo e le scarpe bianche come la canottiera. Spostai lo sguardo verso il suo viso, aveva indubbiamente bel sorriso -quindi sì, il bel sorriso era proprio un dono di famiglia- occhi marrone e pelle olivastra. L’aveva già citato il naso perfetto?


                                                                                         
POV SHADE
Era il famoso giorno: il primo giorno di scuola qui, in Italia. 
Arrivai al cancella ed entrai, guardai gli sguardi di tutti i ragazzi che stavano aspettando che la campanella suonasse per l'inizio delle lezioni. 
Sentii i loro occhi puntati addosso a me e sentii un moto di fastidio.
 Mi sedei sullo scalino ad aspettare l'inizio delle lezioni, che non tardò ad arrivare. 
Alle otto in punto la campanella suonò.
Arrivai in classe - la 3 G-, come al solito ero il primo ad entrare, aspettai che entrassero gli altri per non rischiare di impossessarmi di un posto già occupato. 
Davanti alla porta si trovava la cattedra, e a destra si vedevano i banchi - circa una decina -. 
I miei compagni entrarono in classe come se fosse una sfilata di Giorgio Armani e si misero a sedere. Ad entrare questa volta fu un insegnante dal viso simpatico direi, che subito avermi visto mi presentò alla classe 
<<Questo è Shade, è un ragazzo argentino arrivato per lo scambio culturale>> iniziò il professore, sentii i mormorii delle ragazze, di certo non sono discrete come quelle in Argentina "Accidenti quanto è carino" oppure "dovrebbe essere interessante fare una vacanza in Argentina". 
Ma un commento catturò la mia attenzione <<Wow un argentino, chissà se sa l' italiano.>> Francamente non sapevo esattamente se ridere per la sciocchezza che aveva detto o sentirmi dispiaciuto per il vocabolario di italiano che probabilmente si era appena tuffato dallo scaffale per il forte dolore.
<<Forse volevi dire: chissà se conosce l’italiano. Semmai>> Sorrisi <<Beh io si, e tu? Lo conosci?>> Continuai marcando l'ultima parola, mentre tutti i presenti, professore compreso, cominciarono a ridere.
<<Non ho bisogno di lezioni>> replicò, io sorrisi << chiedo scusa, mi sembrava il contrario>>
<<Non sei simpatico, non fai ridere per niente>> 
<<Infatti non volevo essere simpatico, solo sincero>> replicai di nuovo mentre mi guardò con sguardo omicida a cui risposi con un sorriso strafottente. 
<<Giusto per essere precisi, nel caso volessi essere più gentile senza sembrare un cretino ti consiglio di dire: chissà se parla italiano? Non so tu, ma questa espressione mi sembra più civile>> gli dissi poi.
-<<Bene Shade, dopo questa brillante presentazione dire che puoi andare a sederti. C’è posto vicino a Sophie>> s'intromise il professore cercando di trattenere le risate. 
Percorsi il corridoio ed arrivai al mio banco, sorrisi alla mia compagna che subito tolse lo zaino per farmi sedere <<prego>> mi incitò. Mi sedei e tirai su lo zaino per prendere i libri
<<Non dargli ascolto>> mi disse lei indicando con il mento il ragazzo di prima <<è un idiota>> concluse poi. Potevamo essere amici.

I compagni sembravano simpatici a parte quel ragazzo che avevo umiliato all’inizio della giornata.
Mancava ancora un'ora alla fine della giornata, sarebbe dovuto venire a prendermi Touluse visto che aveva il giorno libero. 
Avevamo legato molto noi due, gli avevo anche raccontato che mi ricordavo della chiesa Santa Maria del Fiore, non tutto, ma raccontargli dei miei ricordi era già un passo avanti per me.
La fine della lezione era arrivata e mi affrettai ad arrivare fuori dal cancello e vidi già in lontananza la macchina di Touluse arrivare.


Ok, sono in ritardo stratosferico. 
Cosa posso dire per mia difesa? Ah già, ho dovuto fare varie ricerche, come avete letto ho inserito qualche caratteristica del paese e per non dire cavolate ho preferito cercarle. 
Ok, lo so che sta diventando noioso ma dal prossimo capitolo si entrerà nel vivo della storia, ci saranno colpi di scena (forse) inaspettati. 
Come al solito vi chiedo scusa se ci sono errori di traduzione per lo spagnolo, ma come ho già detto non lo studio e quel poco che scrivo l' ho imparata da autodidatta. 
Bene, ringrazio che sta seguende questa fic, chi l' ha inserita tra preferite e seguite, ringrazio chi recensisce e chi legge soltanto rimanendo in silenzio. 
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, aspetto vostre recensioni.
Alla prossima 
Tata^^

 

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Capitolo 6
*** Mi manchi ***


MI MANCHI
La mancanza è la più forte presenza che si possa sentire
POV LIONE
<> "non vedo l' ora che torni" Sospirai, già sentiva la sua assenza. 
Già mi mancava nonostante fosse partito da poche ore, mi mancavano quelle risate, la sua voce e i suoi occhi. 
Mi chiesi come era andato il viaggio.
Guardai con distrazione il quaderno pieno di parole unite fra loro, formando delle frasi senza senso. 
Avrei dovuto fare un tema in verità, questo è il compito per l’indomani che, la Fuentes, con il suo solito sorriso da "che ci vuole" ci aveva assegnato. 
Quel genio della professoressa, donna dei sogni di tutti i ragazzi, aveva deciso fosse una buona idea assegnare come compito un tema in cui avremmo dovuto scrivere cosa vorremmo fare se ci restasse un solo giorni di vita.
Potevo dire con tranquillità di odiarla. 
Che mi venissero a dire che la mia è solo invidia. Io so per certo che quella donna è una vera e proprio vipera e, il fatto che girava per la scuola con quel sorrisino finto come se non sapesse che tutti gli occhi fossero puntati su di lei, era solo una conferma della mia tesi.
Certo, non si poteva negare che fosse una donna di grande bellezza,ma era fermamente convinta che al mondo esistessero donne belle almeno quanto lei e con uno spiccato senso dell’eleganza.
Guardai di nuovo il foglio davanti a me e sospirai afflitta. Cercai di ragionare. Se avessi un solo giorno di vita, di certo non sarei stata seduta alla scrivania a scervellarmi per fare un tema! Mi sarei precipitata su una bella spiaggia delle Hawaii a farmi sventolare enormi foglie di palme da due gran bei fusti, mentre sorseggiavo un drink fresco!
Ma ovviamente questo non poteva scriverlo, chissà cosa avrebbe detto ' la guapa professora'? Non volevo neanche immaginarlo. 
Avrei trovato qualcosa da scrivere. Sbruffai. 
<> Mi chiamò mia madre.
<> "dimmi" la incitai io a parlare, mentre mi cingevo a scendere in sala. Sapevo che mia madre aveva il vizio di non rispondere se non ti trovavi esattamente davanti a lei. 
A volte mi chiedevo il motivo.
Ragionamento chiaro: Tu mi chiami, io ti chiedo cosa serve, tu come minimo dovresti rispondere. Certo sarebbe troppo semplice no? 
Mi parai dietro di lei, senza che se ne accorgesse. 
<> la incitai di nuovo io a parlare 
<> "Altezza ti ha chiamata, è ancora al telefono" mi disse lei.
<> risposi secca io. 

<> la chiamai per farle capire che ero al telefono. 
<> <> mi chiese lei con voce quasi tremolante. Sapeva quanto stessi giù di morale per la partenza di Shade, forse aveva paura di una risposta negativa. Certamente sarei uscita! Non era assolutamente la fine del mondo, Shade era semplicemente andando in Italia per esprimere il suo sogno, non era partito per la guerra.
<> le risposi io sicura
<>  "Oh perfetto, ci vediamo domani pomeriggio a casa mia. Andiamo in pizzeria" mi spiegò lei. 
<> Risposi io
<
<
-Gracias-  farfugliai io, ma oramai la chiamata era chiusa e Altezza non avrebbe potuto rispondermi. Dovevo lavorare su questo mio blocco, dovevo capire che non c’era niente di male di dire “Grazie” o “Scusa” alle persone.

<> "mamma, posso andare in una pizzeria con Altezza e gli altri?" domandai a mia madre.
<> Asserì lei. Guardai mia madre per un momento e poi la realtà mi colpì dritto in faccia, avrei lasciato mia madre da sola.
<> "Tu cosa farai?" le chiesi io.
<> "Non ti preoccupare, andrò da Natalia così passeremo una serata tra donne" disse lei tranquilla. 
Annuisco, ma il non riuscivo a togliermi quel senso di colpa dal petto.

<> " cosa posso scrivere" parlai esasperata
<> sentii mia madre chiedere dalla porta, mi voltai e la trovai poggiata allo stipide della porta a guardarmi
<> "Non riesco a fare questa cavolo di tema" risposi acida io 
<> "Che tema?" 
<<¿Qué haría yo si tuviera un día de vida.es un tema absurdo>> "Cosa farei se avessi un solo giorno di vita. E' un tema assurdo!" proferii io <> "non so cosa scrivere" continuai. 
Mia madre sorrise e poi mi suggerì di chiudere gli occhi e immaginare <> "Cosa stai immaginando?"  mi chiese lei 
<> "Io, seduta comoda su una sdraio mentre due gran bei fusti mi fanno aria con due foglie di palma" risposi io sincera con un sorriso cretino stampato sul volto 
<> "Non fare la stupida!" obbiettò mia madre tirandomi uno scappellotto dietro la testa <> replicai io. 
<<¿Qué ver?>> "cosa vedi" chiese di nuovo 
< Me miras en la primera fila, estrechando la mano de papá.Canto emocionado porque leí a los ojos que te sientas orgulloso de mí>> "Mi vedo, su un palco scenico, mentre canto e ballo. Mentre tu mi stai guardando dalla prima fila stringendo le mani di papà. Canto emozionata perché leggo negli occhi che vi sentite orgogliosi di me"  risposi io. 
Aprii gli occhi e guardai mia madre, mentre i suoi occhi si stavano arrossendo 
<> "Visto? Hai fatto il tema" esordì lei, lasciandomi senza parole. 
Adoro mia madre, con lei qualsiasi cosa è facile. 
Tutto quello che a me sembra un problema insormontabile, con lei diventa uno scalino di soli 2 centimetri. Mi sentivo fortunata la pensiero che lei fosse mia madre.
<<Gracias>> sussurrai quando oramai era troppo lontana per ascoltarmi.


∞∞∞
POV AULER

Ho bisogno d'amore e di aprire il mio cuore 
in un mondo che corre più veloce di me, 
di cercare un mio senso delle cose a cui 
penso 
ho bisogno di te 
dimmi dove sei.
Resto lì a guardarmi allo specchio e mi chiedo se
 
un giorno io ti incontrerò. 
Forse questa notte anche te vuoi parlare 
con me perchè 
hai bisogno d'amore e di aprire il tuo cuore 
in un mondo che corre più veloce di te, 
di cercare un tuo senso delle cose a cui 
pensi. 

Ormai erano passate ore in cui continuavo ad ascoltare la stessa canzone. 
Sentivo la mancanza di Rein, non era passato molto tempo da quando era partita, ma volevo che tornasse.
<> chiese mia sorella aprendo la porta.
Emisi uno strano lamento, facendo alterare mia sorella che, alzando gli occhi al cielo, si avvicinò al mio letto
<> mi incoraggiò lei a rispondere, accarezzandomi la spalla 
<> chiesi io 
<> si lamentò lei, così scocciata che pensavo mi stesse mandando a quel paese 
<> dissi io alzando le spalle, facendo il finto tonto. 
<> ripeté lei 
<> risposi io indicando con lo sguardo il pantalone che portavo. 
Annuii e uscì dalla camera. 
Aprii l' armadio cercando qualcosa da mettere, feci scorrere le stampelle sino ad arrivare ad un paio di jeans stretti, blu scuro con qualche strappo qua e la. Indossai le mie supra e uscendo dalla camera mi dichiarai pronto per uscire. 
<> si avvicinò Sophie prendendomi sottobraccio. 
Le sorrisi e uscimmo di casa per andare al solito bar in cui ci davamo sempre appuntamento per un' uscita tra amici di vecchia data, a parte per Fine, che si era trasferita da poco. 
Ricordo ancora quel giorno, io francamente non ero intenzionato a parlarci, ma Sophie ha così insistito, che un giorno decidemmo di fare un pezzo di strada insieme a lei.
L'avevo conosciuta meglio, ci era piaciuta e così la presentammo anche a Rein, così siamo diventammo un gruppo affiatato. Ci siamo allontanati per stupidi litigi, questo è certo, come in tutti i gruppi di amici del resto, ma alla fine ci siamo sempre ritrovati facendo pace velocemente. 
<> esclamò Fine
<> rispondemmo all'unisono io e mia sorella 
<> mi provocò lei 
<> chiesi io vago 
<
<> In effetti doveva essere così, lei non mi considerava, o meglio, mi considerava come amico, ed io non potevo limitare la mia vita per lei. Lei viveva la sua vita e io, anche se con difficoltà, dovevo proseguire la mia. Sapevo che con lei non avevo speranze, quindi dovevo svegliarmi; forse il momento in cui poter capire che, in realtà, lei non era la persona giusta sarebbe arrivato presto. Avevo sedici anni e quello che provavo per lei, con alta probabilità, era una semplice cotta e lo sapevo. Non ero il solito ragazzo dagli occhi chiusi che non vedeva oltre il suo naso, sapevo che, prima o poi, sarei andato avanti dimenticandomi di tutta questa storia, l’avevo capito dopo l’ennesima conversazione con mia sorella. Solo che in quel momento faceva maledettamente male.
<> chiese mia sorella 
<> rispose Fine. Io mi limitai solo ad annuire, sorridendo. 
Guardai il bancone dove c'era un tipo con una tazza di cioccolata calda e mi venne subito voglia di cioccolata 
<> proposi io, mentre le mie amiche si girarono guardandomi storto <> chiesero loro 
<> asserii tranquillo io guardando il tipo che si godeva sorso dopo sorso la cioccolata mentre parlava con una ragazza.
<>. 
Entrammo al bar e ordinai la mia cioccolata calda, lasciando senza parole Paolo, il barista, che mi chiese perché non avessi ordinato il solito cappuccino con una spolverata di cacao amaro. Alzai semplicemente le spalle <>  risposi io strizzando un occhio.
Sophie e Fine si presero un caffè, mentre parlavano dei ragazzi più hot della scuola. 
Ascoltai le loro conversazioni mentre sorseggiavo la mia cioccolata, fino al momento in cui qualcosa che a me non piaceva affatto giunse alle mie orecchie obbligandomi a sputare ciò che avevo in bocca, sul viso del povero Paolo che, sfortunatamente si era ritrovato al famoso "posto sbagliato nel momento sbagliato". 
<> Sbottai io <> Sophie mi guardò interrogativa e con disappunto 
<> continuai io <> dissi, sottolineando la parola NO con forte convinzione. 
Non avevo alcuna voglia che Sophie uscisse con quel.. quel.. sottospecie di ragazzo. Ma stiamo scherzando? 
<> disse Sophie alzando le spalle. 
<> sbottai. Non se ne parlava proprio. E quella volta non si trattava neanche di essere troppo protettivo nei confronti di mia sorella, quello era un cretino e avrebbe fatto meglio stare lontano da lei!
<> la difese Fine <> esclamò poi guardando mia sorella in faccia 
<> <> chiese mia sorella portandosi le mani sui fianchi 
<> mi lamentai io
<> mi riprese Fine
<> esclami io irritato <>
<> controbatté lei con un ghigno
<> ringhiai io infastidito
<> mugugnò Sophie. 
<> borbottò acida Fine posando il mento sul palmo della mano <> continuò borbottare tirando uno sbruffo d’aria.


<> esclamò Fine seguita da mia sorella. 
Quella sera era l’esempio perfetto per far capire quanto facesse schifo essere l’unico ragazzo in un gruppo di amici, avevo bisogno di qualcuno che mi potesse appoggiare.
Non avevo mai voce in capitolo nello scegliere che tipo di film andare a vedere, a parte qualche episodio in cui una di loro appoggiavano le mie idee, il resto delle volte mi ritrovava su un sedile del cinema a guardare un film smielato, puntualmente interrotto dai singhiozzi di chi piangeva per la svolta tragica che prendeva il film.
<> mi chiese Sophie 
<> risposi ironicamente 
<> ribatté lei 
<
<> mi riprese Sophie                                                          
<> risposi io.                                       <> ribatté lei                                                   <> puntualizzai
<> sbottò Fine <>                                           
 <> chiesi fingendo di essere scioccato      
<> rispose piccata Fine                               
<> s’intromise Sophie
<> continuò                                                     
<> rispose imbronciata Fine. Sbottai a ridere e mi avvicinai a lei avvolgendo il braccio sulla spalla  
<> esclami teatralmente <> continuai io                                                                                                    
<> bofonchiò Fine                            
<> risposi io 

*Angolino di chi sà di essere in un ritardo colossale
Ok, lo so di essere in un ritardo spaventoso ma la famosa "ispirazione" se ne è andato farsi friggere. 
Del capitolo in realtà non sono molto convinta, non perchè. Spero soltanto di non aver fatto uno schifo totale. 
Come avete capito, questo è il capitolo concentrato su Lione e Auler. 
Non voglio fare una storia monotona e pesante, quindi preferisco parlare anche degli altri personaggi. 
Ringrazio chi ha recensito lo scorso capitolo, chi ha aggiunto la fic nelle seguite e preferite. 
Inoltre, ringrazio anche chi legge soltanto. 
Spero di non avervi deluso con questo capitolo
Alla prossima 
Baci Tata^^

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Capitolo 7
*** Torna a casa! ***


Touluse stava arrivando e aspettando che mi raggiungesse mi guardai attorno, buttai degli sguardi qua e là, senza alcun motivo preciso. Scrutai con attenzione tutti i volti che mi scorrevano vicino. 
Rivolsi il mio sguardo nella direzione della strada, vidi la macchina di Toulouse avvicinarsi e mi preparai per salire in macchina. Non aspettavo altro che salutarlo. Mi sembrava incredibile quanto io e lui avessimo legato in una sola settimana. Io che non davo confidenza così facilmente agli sconosciuti, tanto da essere un motivo in più che mi ha spinto a intraprendere questa avventura.
Forse il pomeriggio passato tra chitarra, note e fogli ha fatto sì che tra noi si creasse una certa connessione. O forse, molto più probabile, si è avvicinato a me con molta dolcezza, senza imporsi troppo nei miei spazi. Ha parlato con me, abbiamo parlato di musica e ha cercato di capirmi attraverso essa. Con lui non sentivo la paura di rimanere nudo senza nessuna difesa, sentivo costantemente quel senso di protezione che mi ha fatto sciogliere. Lui mi rispettava completamente, rispettava i miei tempi, le mia parole e i miei silenzi.
Chiusi gli occhi in due fessure cercai di guardare dove fosse, nonostante il bagliore flebile del sole mi infastidisse la vista. Vagai con lo sguardo per la strada e il rombo di un motere attirò la mia attenzione, mi voltai di scatto e vidi una macchina che continuava a correre come se fosse il proprietario della strada.
La velocità non diminuì nonostante i cartelli che indicavano una scuola e raggiunse la macchina di Touluse prendendole la fiancata della macchina. 
Passò un istante in cui immaginai peggiori scenari. Non avevo abbastanza coraggio da aprire gli occhi e affrontare la scena che sapevo si sarebbe parata davanti a me. Lo feci e in un momento sentii la terra quasi mancarmi sotto ai piedi.
Rimasi completamente senza parole, a stento riuscivo a respirare. Mi sentivo come un bambino sperduto, non sapevo che fare. Ero lì, mentre una gran folla si avvicinava alla macchina, mentre alcuni si cingevano a chiamare ambulanze, vigili, carabinieri.. 
Io, invece non mi mossi, rimasi in completo silenzio con le orecchie ovattate. Rimasi fermo e scivolai lentamente a terra e aspettai. Aspettai scioccamente che qualcuno si accorgesse di me e che mi venisse a dire che tutto andava bene. Riuscivo a sentire il suono delle sirene, le frenate delle auto della polizia, ma restai immobile senza sapere cosa fare. 
*** 
Era passato qualche giorno dall’incontro con Juan e facevo ancora molta fatica parlargli per la figura che avevo fatto.
L’indomani sarei dovuta andare a scuola, se fosse stato per me, probabilmente, sarei rimasta a poltrire come nei giorni precedenti, ma la scuola faceva parte del viaggio che stavo facendo, quindi mi preparai mentalmente per affrontare il primo giorno di scuola. Decisi di collegarmi su internet, magari una chiacchierata con mia madre o con qualcuno a me a caro mi avrebbe aiutato ad alleggerire la tensione. Mi collegai su skype, diedi una controllata veloce ai contatti in linea e trovai mia madre con Sophie. 
Aprii le conversazione e accesi la webcam per parlare con mia madre, con Sophie avrei fatto una conversazione scritta. 
Come al solito, mia madre non riesciva a capire se la webcam fosse accesa. La sentii per un momento imprecare contro il computer. 
-Cara figliola, come stai?- 
-Molto bene mamma. Tu e papà?- le chiesi io 
-Io sto bene. Tuo padre è andato a prendere Shade a scuola- mi disse lei 
-Shade?- chiesi confusa
-Il ragazzo dello scambio culturale. E' così simpatico! E poi si intendono alla perfezione- mi spiegò lei
-Ahh capito- iniziai –No, aspetta! Credo di non aver capito molto bene. Lo è andato a prendere? A scuola? In macchina?- mi agitai 
-Si cara. Perché?- mi chiese lei innocentina 
-Come perché? Forse perché quando io gli chiedevo di venirmi a prendere, tuo marito mi rispondeva che avevo le gambe per camminare e che me lo potevo anche scordare che lui mi venisse a prendere a scuola- urlai irritata io                                                    -Non prendertela così tanto. Sono molto affiatati - rispose mia madre
-Peccato che papà ce l'ha già con chi parlare di tutto come dici tu!- sbottai acida io 
-Rein!- mi riprese lei –non iniziare a fare la figlia gelosa- mi pregò      -Non faccio la figlia gelosa!- rimbeccai io –E’ una questione di principio! Tra i due chi è sua figlia?-                                                 -Tu, tesoro. Per favoer, però, cerca di comprenderlo- mi parlò con tono addolcito  
-Hai ragione. Senti mamma io devo andare, chiamami quando arriva papà. Almeno ci vediamo!- la salutai io 
-Ok tesoro- 
-Ciao mamma, vado a parlare un po’ con Sophie- 
-Ok ciao, un bacio.- 
Staccai con mia madre e iniziai a parlare con Sophie. 

-Rein ti va di giocare con me?- mi chiese Milky 
-Ma certo piccola. A cosa vuoi giocare?- le chiesi io
-Mmmh facciamo un disegno di noi due? Così quando torna Shade, gli faccio vedere come sei- 
-Va bene- le sorrisi. 
-Rein!!- mi sentii chiamare dalla signora Maria -Ti vogliono al telefono- continuò poi. 
Ero sicura fosse mia madre per dirmi che papà era rientrato.
-Rein, potresti tornare a casa?- mi chiese lei, rimasi a bocca aperta. Come può chiedermi di tornare ora? 
-Perché?- chiesi io
-Abbiamo un problema. Torna- rispose secca lei, non sentii alcuna emozione nelle sue parole. 
Sentivo come se le sue parole fosse delle lame di ghiaccio. Non riuscii a percepire nulla dal suo tono di voce, rabbrividii.
-Posso partire domani? Devo organizzarmi con il volo. Hai parlato con la scuola?- 
-Certo, ci ho parlato e ha detto che puoi tornare. Torna pure domani- mi rispose, chiuse la telefonata e io rimasi impassibile davanti al telefono. Sentii un nodo alla gola che provai a mandare giù, ma non ci riuscii.
Maria mi chiese se mi sentissi bene e accennai un semplice –Si, grazie!-. 

La cena era pronta, e io scesi per sedermi a tavola. 
Rimasi in silenzio, non riuscivo a dire nulla.
-Hai finito di prepararti per la partenza?- chiese Maria                       
-Sì, ho finito- risposi –devo solo prepararmi psicologicamente-           
-Tua madre non ha accennato proprio a nulla di quello che è accaduto?- chiese Daiki                                                                   
-No, non mi ha detto nulla e questo mi spaventa. È sempre una persona piuttosto chiara e mi sembra strano questo suo atteggiamento- spiegai io                                                  
-Oddio, cara, credi che possa essere successo qualcosa?- chiese Maria posandosi una mano sul petto. La guardai sul suo bel volto, presentava un’espressione preoccupata e allarmata e io provai a sorriderle-
-Non ne ho idea Maria. Ripeto: mi sembra strano questo suo atteggiamento- replicai io –Non saprei cosa dire, spero sia una sciocchezza- sospirai io
-Rein- sentii la voce tremante di Milky                                              
-Sì-                                                                                                
-Se domani torni in Italia significa che non ci vedremo più?- chiese lei con un broncio triste a contornarle il bel viso paffuto                         
-Certo che no!- risposi io –Appena avrò la possibilità, ti prometto che ti verrò a trovare- le sorrisi io. Lei annuì 

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Capitolo 8
*** Svegliati ***


SVEGLIATI
POV REIN
Dopo la telefonata di mia madre, ho iniziato a sentire un senso di paura nel petto, da aver paura di tornare a casa.  
La voce di mia madre era fredda, distaccata e impaurita mi aveva lasciato un senso di preoccupazione. 
Dentro di me sapevo che fosse successo a casa, ma nella mia mente continuavo a ripetermi che non era possibile. Comunque cercai di sorridere, sapevo che un modo c’era per alleviare questa paura. 
C’era solo un modo per farlo: ascoltare la musica. Nonostante avessi degli amici a cui rivolgermi nei miei momenti no, da tempo ormai la musica era diventato per me il modo più semplice per sfogarmi. Era diventata il mio mondo, un mondo chiuso e intimo in cui potevo esprimere tutti i miei pensieri e paure senza sentirmi gli sguardi inquisitori.
Fra tutte, però, c'è una canzone che mi tira su di morale quelle volte in cui sentivo di stare per cadere e cedere
Giulia, non è facile sopravvivere alle favole
sta piovendo così forte sulle tue fragilità 
dove mai starai cercando la libertà 
 
La fragilità non è una cosa positiva, ma nonostante questo non puoi fare a meno di esserlo.
Essere fragili è un po’ come firmare una condanna da soli. Quando ti lasci andare, quando fai vedere le tue fragilità non c’è più modo di liberartene, perché in un modo o nell’altro qualcuno preme sulle tue ferite.
 Giulia ora ascoltami 
sai che odio anch'io certe prediche 
della gente che parla sempre ma 
non ascolta mai 
 
Le persone hanno un forte talento nell’aprire la bocca, ma sono poco inclini ad aprire le orecchie e ascoltarti. Giudicano, senza mai ascoltare cosa provi tu. Per loro è tutto semplice. Alle volte mi chiedo se effettivamente siamo noi che non riusciamo a vedere le cose razionalmente e se siamo sempre noi a chiuderci nel dolore che proviamo senza pensare ad altro. Forse è la presunzione di credere che ci vada tutto male e che quello che viviamo sia troppo. Alle volte, però, mi chiedo anche perché non siano gli altri a cercare di capire le tue fragilità. Il dolore è così poco sottovalutato o siamo noi a rendere un piccolo dispiacere più grande di quello che effettivamente è?
 
dammi il modo di aiutarti; 
difenditi 
 
Sono tutte domande di cui non conoscevo le risposte, sentivo solo il forte bisogno di essere ascoltata. 
***
 
-Mamma sono arrivata!- la chiamai io. Ero appena entrata all’aeroporto, ma non riuscivo a vederla in mezzo alla folla. Mi guardai intorno e scorsi dei volti che avevo già visto nel giorno della partenza e mi scappò un sorriso involontario. Strinsi il telefono tra le mani aspettando la risposta di mia madre dall’altra parte della linea. Fa che si qui all’aeroporto. Fa che sia qui!
-Non posso venire. Prendi un taxi, l'ho già chiamato e sta per arrivare; esci!- mi rispose lei
-Ok a tra poco- la salutai io. 
Ripercorsi le strade della mia amata Firenze,mi accorsi di averne sentito la mancanza. Ero partita con la sicurezza che non avrei sentito la mancanza, camminando tra le viottole della città mi ritrovi a inspirare il profumo della mia amata città. Mi ritrovai davanti alla familiare porta bianca. Sorrisi quando i miei si posare sui dettagli dal colore rosa schiapparelli che amava tanto mia madre e che lei stessa ha valuto obbligatoriamente, insieme all'occhiello a forma di cuore per il quale io e mio padre l'avevamo presa tanto in giro.
Tutto questo mi era mancato, anche l’orribile rosa schiapparelli e l’occhiello imbarazzante.
Suonai il campanello, un tornado mi saltò addosso stringendomi. Sentii l’orlo della maglietta umidificarsi e abbassai lo sguardo perplessa.
-Ehi piangi? Hai sempre voluto che me ne andassi. E poi è stato per una settimana, se fossi stata via un mese che cosa avresti fatto?- stuzzicai mio fratello scompigliandogli i capelli
-Rein- sussurrò lui. 
***
Sentii e lacrime pungermi gli occhi. Mi guardai intorno per capire dove fossi, per capire se quello che mi stava dicendo mia madre fosse un’orribile bugia o un incubo dal quale mi sarei svegliata.  
-Non può essere!- esclamai io.
 
Mia madre mi portò in ospedale. Mi aveva detto che se volevo potevo rimanere a casa, ma non avrei mai potuto. Come avrei potuto restare a casa con la consapevolezza che mio padre si trovava su un letto di ospedale? Non avrei potuto. Dovevo andare da lui, volevo andare da lui. Il mio posto era sulla sedia accanto al suo letto. Il mio posto era lì a stringergli la mano dicendogli che andavo tutto bene. 
***
 
Entrai nella stanza e lo trovai disteso sul letto ad occhi chiusi. Non l' avevo mai visto così. 
Per un momento ricordai quelle sere in cui ci trovavamo sul divano per vedere un film insieme, che puntualmente non finiva mai di vedere perché si addormentava.
"fa riposare questo povero vecchietto" mi diceva. 
Mi avvicinai lentamente al letto (ingenuamente avevo paura di svegliarlo( e gli afferrai la mano continuando a fissarlo. In quel momento sentii le lacrime iniziare a cadere di nuovo. 
Una voce mi riportò alla realtà -Chi sei?- alzai lo sguardo cercando di asciugarmi il volto con le mani e incontrai un paio d'occhi blu notte che mi fissavano gonfi, anche essi, dal pianto. Dove avevo già visto quelli occhi?
 
POV SHADE
La guardai in malo modo senza accorgermi di chi fosse, solo un attimo dopo capii: era Rein, la figlia di Touluse. 
Rein, quella ragazza delle foto, solo che chi avevo in quel momento davanti non aveva assolutamente nulla della ragazza delle foto: il sorriso era sostituito da alcune lacrime, il colore degli occhi dall’azzurro mare era diventato del colore di un mare in tempesta.
-Sono Rein- rispose lei, io accennai un sorriso -Suppongo che tu sia Shade, il ragazzo dello scambio culturale- continuò lei 
-Sì, sono io- risposi io. 
-E' un piacere- mi salutò lei, mentre mi stringe la mano in modo ferreo. 
Rimanemmo in silenzio accanto a Touluse, lo guardavamo e, a volte, come a volerci fare compagnia, una lacrima ci rigava il viso. 
-Dobbiamo parlargli- le dissi -O perlomeno così mi hanno detto- 
-Parlargli di cosa? Conosce più me che se stesso- si rispose. 
Guardandola ritrovai gli occhi di Touluse, è lo stesso azzurro. 
-Prova con il raccontargli i tuoi pochi giorni in Argentina-
 
***
 
-Torni a casa?- mi chiese Elza 
-No, aspetto che Touluse si risvegli- risposi io. 
Non me la sentivo di andarmene. Sentivo di doverlo sostenere ancora.
Sentivo che di lì a poco si sarebbe risvegliato e sarebbe tornato quel l’uomo allegro che era sempre stato.
Elza chiuse la porta e io mi avvicinai al letto, mi sedei e gli strinsi la mano.
-Toulouse, puoi farcela. Svegliati e torna dalla tua famiglia.- 
 

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Capitolo 9
*** Sono qui accanto a te, non ti abbandono! ***


SONO QUI ACCANTO A TE, NON TI ABBANDONO
L'assenza di te è un vuoto dentro me
POV ELZA
Era passata una settimana e il mio Toulouse, ancora non era riuscito ad aprire i suoi occhi. Gli stessi occhi di cui mi ero innamorata quel lontano14 Febbraio.
Il nostro fu un colpo di fulmine, ci bastò un incontro al supermercato dell’angolo. Quando mi chiedevano del nostro incontro rispondevano sempre che la nostra era una storia banale, ma a me non sembrava affatto così.
Non esistono storie banali, esistono solo storie d’amore in cui due persone si innamorano e superano anche ostacoli, a volte, per poter restare insieme. Per noi, ad esempio, era davvero difficile poterci vedere, ma in un modo o nell’altro ritagliavamo sempre un po’ di tempo per noi. Riuscivamo a vederci a giorni alterni, ma ci ritrovavamo alla stessa ora, allo stesso supermercato. 
Poi, un giorno mi ritrovai sola ad aspettarlo, nonostante ci avessimo dato appuntamento. Lui non c’era, aveva deciso di lasciarmi sola. Con il cuore pesante cercai di convincermi che fosse solo in ritardo, che sarebbe arrivato, ma non venne.
<>
Gli strinsi la mano e intanto tornai indietro con i ricordi, al tempo che avevamo passato insieme
-Abbiamo passato giusto 10 mesi insieme, ma sono bastati perché io ti conoscessi più di quanto ti conoscessi tu. Mi erano bastati dieci mesi per imparare ad amarti per ciò che sei- continuai io -mi sono innamorata così velocemente. Mi sono innamorata perché mi facevi bene, perché le mie paure diventavo un niente con te. Le tue parole erano come una coperta per me: mi proteggevano e mi tenevano al caldo-
-Non sapevo chi fossi, non sapevo cosa volessi. Tutti i piani che avevo fallivano miseramente, lasciandomi a bocca asciutta, senza un' aspirazione di vita; senza un sogno- sussurrai ancora, mentre piangevo. Mi scatenai in un pianto liberatorio. Solo in quel momento potevo piangere, non potevo piangere davanti ai miei figli, dovevo essere lo loro roccia, la loro colonna portante.
Qualche notte avrei voluto affondare il viso nel suo cuscino e piangere fino ad addormentarmi dalla stanchezza, ma non potevo, non quando sapevo che John veniva nel letto con me per dormire.
 
REIN POV 
Era una settimana che ero tornata a casa e una settimana che lui non si svegliava.
Mi mancava tantissimo.
E' come se lui fosse partito per un lungo viaggio dal quale doveva fare ancora ritorno. Volevo abbracciarlo,  lo avrei potuto fare, ma volevo uno di quegli abbracci caldi che sapeva fare dare lui. Mi mancavano i suoi abbracci, come i nostri litigi, perché finivamo sempre per fare pace riempiendoci di baci
-Cosa ne pensi di questo, Rein?- mi chiesi Shade riportandomi alla realtà indicandomi un pacco di zucchero davanti a lui. 
Annuii distrattamente, ma quando alzai lo sguardo per guardarlo in faccia, mi accorsi che era concentrato a leggere l'etichetta nutrizionale della farina che era messa accanto allo zucchero. 
 Lo fissai bene, negli ultimi tre giorni lo facevo spesso.
La sua espressione concentrata attirava la mia attenzione. Aveva uno strano modo di fare mentre era concentrato: il modo in cui inarcava le sopracciglia, il modo in cui arricciava la bocca spostandolo al lato destro. 
-Che fai, mi fissi?- mi chiese lui sorridendo 
-Uhm?- mugugnai io 
-Allora, ti va bene questo tipo di zucchero?- mi chiese di nuovo, annuii. 
-Guarda che si riprenderà, non devi preoccuparti.- Alzai lo sguardo e vidi lui che mi sorrideva dolcemente. 
Era una settimana che ci conoscevamo, eppure sapeva dire le cose giuste nel momento giusto. 
Non sapevo esattamente come facesse, ma riusciva a farmi sorridere.
Inoltre c’era sempre, qualsiasi cosa avessi da fare, lui v’era. Quando mia madre era vicino a mio padre lui aiutava me a sistemare casa, mi aiutava con Jhon, a volte preparava la cena,si preoccupava che mangiassimo sufficientemente.
Anche Jhon si era affezionato a lui e mi faceva paura, come reagirà nel momento in cui dovrà salire sull’aereo e andarsene?
-Rein! Hai tu i soldi. Devi pagare- mi disse Jhon, spostai lo sguardo e Shade era intento a fare le buste 
-Oh scusi. Quanto le devo?- chieai al commesso
-37 euro, grazie!- 
-Ecco, grazie a lei. E scusi- risposi io, sorridendo. 
Ci incamminammo verso casa e Shade, come al solito, portava le buste  -Ti serve una mano?- chiesi io, tendendogli una mano. 
-Magari, questa è pesantissima. Le ho fatte male- rispose lui, dandomi la busta più leggera. 
-Che freddo!- borbottai io
-Ma non eri quella che amava il freddo?- 
-Si. Ma in certi limiti- 
-Esagerata!- 
-Pff- 
 
SHADE POV
-Rein, posso andare a casa di Mati?- Ad attirare la nostra attenzione fu Jhon, che aveva incontrato un suo amichetto della scuola. 
Rivolsi il mio sguardo verso Rein, che, come sospettavo, esitò nel rispondergli. 
Mi avvicinai a lei e le poggiai il mio braccio attorno alle sue spalle sussurrandole un "lascialo andare". 
Sapevo di non avere alcun diritto nel prendere le decisioni, ma lasciare che Jhon rimanesse sempre casa senza staccare un po’ era una pessima idea.
Lei mi guardo, con uno sguardo perso. 
Le sorrisi per incoraggiarla, per farle capire che sarebbe andato tutto bene
Riuscii a leggere nel suo sguardo la paura, ma avrei voluto che la superasse. 
Annuii, le sorrisi e poi sorrisi a Jhon mandandolo dal suo amichetto. 
-Avrò fatto bene?!- chiese lei
-Tranquilla Rein, non gli succederà niente!- 
-Se lo dici tu!- 
Ad un tratto si bloccò, rimase immobile; la guardai tenere lo sguardo fisso su un punto ben determinato. 
Seguii il suo sguardo e mi accorsi che stava fissando un ragazzo che si stava allontanando dalla porta del palazzo mentre lei emise un debole sussurro -Chris-; come se le si morisse in gola. 

 

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Capitolo 10
*** Sei tu? ***


SEI TU?
SHADE'S POV
-Rein!- continuai a chiamarla, ma lei insiste continua incessantemente a guardare lo stesso ragazzo allontanarsi dalla porta del suo palazzo.
-Stai bene?- le chiesi ancora, ottenendo solo un silenzio come risposta. 
Mi chiesi se le fosse stata morsa la lingua.
Mi chiesi, anche se quel ragazzo potesse essere importante per lei. Continuai a guardarla per capire cosa avesse, ma in quel momento era un mistero che non riuscivo a risolvere. Il mio sguardo guizzò verso di lui, scrutandolo attentamente. 
Rein cercò di pronunciare qualche parola, ma le parole le morirono in gola per la forte e mozione che probabilmente stava provando in quel momento.
-Rein chiamalo!- Esclamai io, era ormai evidente che volesse approcciarsi a lui, quindi cercai di spronarla a farlo.
Lei mi guardò stranita, come se mi avesse voluto chiedere di non parlare. Pensai che forse, restare in silenzio fosse la scelta più saggia, ma ancora quando mai ho seguito le scelte sagge?
E poi, era ovvio che lei ci tenesse, sembrava come se lo conoscesse da anni; qualcuno che non ha più visto e di cui ha sentito terribilmente la mancanza.
La guardai per incitarla, questa volta senza proferire parola per rispettare quello che, tacitamente, mi aveva chiesto di fare.
 
Erano passate tre ore da quando avevamo visto quel ragazzo e lei continuava a  comportarsi come se non fosse successo niente. Era difficile, però, non notare la tristezza e, forse, anche un po’ di agitazione sul suo viso.
Aveva gli occhi spenti, bocca tenuta in una linea dritta piuttosto che inarcate nel suo solito sorriso. Era come se avesse la mente gremita di pensieri, come se stesse pensando a come poter affrontare quel ragazzo. 
 
POV ELSA
Erano arrivate quasi le quattro e a breve sarei dovuta tornare a casa, ma prima volevo chiedere una cosa a Touluse: -Risvegliati! Ti prego, ho bisogno di te, come ne hanno bisogno Rein e Jhon. E poi ora c'è anche Shade, che ti vuole così bene. Risvegliati! Perché, anche se continui a negarlo, lo sai che lui ha bisogno di te; come tu di lui- 
Gli accarezzai la fronte e gli stampai un bacio, uno di quelli che hai paura a dare perché temi che possa essere l' ultimo; in realtà in quei momenti temi che ogni cosa possa essere l'ultima: un bacio, un tocco, un sussurro un "Ti amo". 
Lanciai un ultimo sguardo al suo viso notando ogni particolare; come se non avessi già studiato ogni singolo dettaglio del viso, ogni suo tratto: il suo naso a punta, per cui lo prendevo sempre in giro coprendomi l'occhio ed esclamando "Ahi" quando si avvicinava; le sue labbra carnose, che si muovevano sempre ponendo la frase "Mi ami? E' un pò di tempo che non me lo dici" quando era in vena di romanticismo. 
Era sempre stato un tipo che cercava conferme, che voleva sentirsi dire quando fosse importante, lo faceva sentire amato. Anche noi abbiamo avuto i nostri alti e bassi ma, a differenza mia che non riuscivo ad impormi, lui affrontava la situazione come un guerriero; e la nostra storia tornava come prima, se non più bella. 
 
-Mamma novità?- mi domandò Rein. 
Sentivo un odioverso quella domanda, perché mi era difficile trovare il coraggio di rispondere “No” senza che la mia voce non cedesse. Non avevo il coraggio di dirle che, anche quella volta, avevo fallito, che non ero riuscita a riportarglielo a casa.
Avevo bisogno di dirlo, di dire “Sì, si è svegliato e domani torna da noi”, ne avevo bisogno per loro e per me stessa. Avevo bisogno di averlo di nuovo in giro per casa nei giorni in cui non andava a lavoro, ne avevo bisogno quando veniva a dormire e faceva un baccano per sdraiarsi e cercare sempre la mia mano per stringerla alla sua, ne avevo bisogno per  non dover più affrontare la freddezza del nostro letto.
Eppure ogni volta che lo vedo steso lì, vedo sfumare tutto. Avevamo costruito un castello, ma per sbaglio lo abbiamo fatto di sabbia, e ogni giorno lo vedevo frantumarsi sotto le mie lacrime. Era un po’ come se il mio cuore volesse distruggerlo spontaneamente, perché senza di lui non può esserci nessun castello. 
 
SHADE POV 
Vederli così mi faceva stare male, ad ogni speranza spenta di Rein e un “No” strozzato di Elsa sentivo il cuore dolere un po’. Quello che mi preoccupava era il pensiero di Rein che andava da sola in ospedale. Avrebbe retto sola?
-Rein- la presi per il braccio mentre Elsa entrava in cucina -Vuoi che ti accompagni stasera?- Le dissi io, lei mi guardò, ci pensò e annuì -Mi farebbe bene andare con qualcuno piuttosto che andare da sola. E poi lo sai, ho paura del buio- sorrise poi. 
 
Era quasi ora di cena e, mentre Elsa preparava da mangiare, io e Rein guardammo la tv litigando per chi dovesse tenere il telecomando. 
Quando si tratta di telecomandi, Rein diventava spietata.
Ridemmo e scherzammo: mi piaceva farla divertire, farla uscire dagli stati di tristezza in cui cadeva ogni giorno. Molte volte mi aveva detto che litigare per il telecomando le piaceva perché la fa pensare al padre, come se fosse lì con lei
-Dai Shade!- 
-Ieri l'hai ottenuto tu. Ora tocca a me!- protestai io
-Io sono una signorina- disse lei 
-No, tu sei furba, è diverso- obbiettai io, mentre lei fece una smorfia di dissenso.
La situazione iniziò a complicarsi: con una mano mi bloccò il braccio, poggiò le sue ginocchia sulle mie gambe e si allungò per provare a prendere il telecomando. 
Cosa avevo detto?
-Scendi!- incitai io agitato 
-Tu dammi il telecomando, animale!- 
-Smettete di fare i fidanzatini e venite a darmi una mano!- urlò Elsa dalla cucina. 
-Fidanzatini?-ripeté lei, fermandosi un momento per guardarmi e poi allontanarsi da me e sedersi sul divano. 
-Arrivo!- risposi io, mentre le lanciai uno sguardo veloce, era arrossita ed era visibilmente in imbarazzo e per farle capire che non doveva, le dai un pacca sulle spalle sorridendole.
Mi sentii fermare per la mano mi voltai trovandola con sguardo basso 
-Uhm?- mugugnai io
-Scusami!- la guardai 
-Di cosa?- Le chiesi io confuso 
-Per prima, di averti...beh.... hai capito. Per prima!- Farfugliò lei 
Scoppiai a ridere -Ma figurati! Stavamo giocando- le risposi io, lei mi sorrise come se la mia risposta fosse inaspettata. 
-Vado a dare una mano a tua madre, prima che inizi ad urlare di nuovo- le feci l'occhiolino, lei annuì. 
Suonò il campanello, e andai per aprire ma lei mi fermò dicendomi che ci avrebbe pensato lei. 
Intanto andai a dare una mano ad Elsa in cucina. Ci raggiunse l'urlo di Rein
-Chris!-, Elsa si bloccò, rimase ferma. Io la guardai senza capire. Chris era lo stesso nome che quel giorno Rein aveva sussurrato dopo aver visto quel ragazzo. Mi voltai verso Elsa e dalla sua reazione capii che quel ragazzo doveva a che fare con l’intera famiglia. Chi poteva essere? Vidi Elsa farsi bianca in viso, mentre poco a poco sul suo viso si fece strada un sorriso e corse verso l' ingresso. 
Uscii dalla cucina e vidi una scena bellissima: Rein, Elsa e il ragazzo di prima abbracciarsi mentre tutti e tre piangevano, come se non si vedessero da chissà quanto tempo. 
Vista l'importanza della situazione rimasi in disparte, non volevo rompere quel momento palesemente importante. Si strinsero forte, come se Elsa e Rein cercassero conforto tra quelle braccia. Li guardai spaesato, non seppi cosa fare, pensai che era giunto per me il momento di ritirarmi e andarmene nella mia stanza, ma in quel momento Rein attirò la mia attenzione e lo prese per mano e lo portò davanti a me.
Lo guardai: stessi capelli e stessi occhi di Touluse, il naso un po’ a patata come quello di Elsa, frangetta che gli copriva la fronte che, ad occhio e croce, è molto alta, e capelli un leggermente sparati. 
-Chris lui è Shade, un mio amico, Shade lui è Chris, mio fratello- mi disse lei. 
Chris?... fratello?... SHOCK!!  
 

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Capitolo 11
*** Svegliati!! ***


SVEGLIATI
Ti chiedo ancora scusa se ho scelto la mia vita 
mostrandoti la schiena 
REIN'S POV 
Non avrei mai smesso di fissarlo. Chris è sempre stato uguale a nostro padre: i suoi occhi, i suoi capelli, il sorriso. 
Parlare insieme a lui sembrava essere tornati indietro nel tempo, a quelle sere in cui aspettavamo papà che tornasse da lavoro per poter cenare tutti insieme. Ricordo che quando eravamo a tavola spegnevamo la Tv e ci raccontavamo la nostra giornata.
Quando eravamo insieme non ci importava della TV, del telegiornale e di programmi, ci costruivamo un mondo nostro e lasciavamo il mondo fuori. 
Parlavamo. Mio padre ci raccontava dei posti in cui era stato e, riallacciandosi con i suoi discorsi, ci raccontava dei viaggi che faceva chissà quanti secoli prima; poi c’era mia madre, che ci raccontava della sua giornata da casalinga e di qualche battibecco a cui assisteva al supermercato per un carrello o di fronte all'ultimo pacco di biscotti; mio fratello ci parlava delle azzuffate che faceva a scuola, mio padre non gli diceva niente, anzi, era orgoglioso perché le litigate che faceva era per proteggere i più deboli; quelli che venivano presi in giro dai più prepotenti. “Non è un bene alzare le mani, ma alle volte sembra l’unica soluzione” diceva sempre. Mio fratello era sempre stato il classico bad boy che nessuno aveva il coraggio di contraddire, sarebbe stato come firmarsi la condanna da soli. Forse era stato proprio per questo, che quando ero arrivata a scuola nessuno mi torceva un capello. Tutti mi portavano rispetto, a parte quelli della mia classe che, nonostante i ragazzi di quinto cercavano di far capire loro che dovevano lasciarmi stare, per far vedere la loro massima trasgressione facevano ciò che gli pareva. Naturalmente pagandone le conseguenze. 
Chris aveva sempre odiato chi si prendeva gioco degli altri, chi prendeva in giro le persone che non se lo meritavano solo perché non erano in grado di difendersi. Allora ci pensava lui, con un paio di pugni e qualche frase ad effetto che non ripeteva davanti a me. Pensarci ora potrei capirne il motivo, forse ero troppo piccola. Chris diceva sempre che non era stato facile per lui scalare le “piramide sociale” della scuola, soprattutto quando lui era quello pulito e, se si vuol chiamare così, il paladino della giustizia; ma alla fine c’era riuscito e ne era fiero. Era fiero di quando vedeva il terrore negli occhi di chi, fino a poco prima, era solito fare il prepotente con gli altri.
Poi c'ero io, che raccontavo del mio fidanzatino e di come cercavo di fargli capire che, il fatto di non sapere di essere il mio fidanzato, non gli dava il permesso di provarci con le altre ragazzine della classe raccogliendogli le matite cadute sorridendo cordialmente con quelle guance così paffute e così facile da fare arrossire. 
-Cosa dicono i medici?- Chris distrusse tutti i miei ricordi portandomi alla realtà, alla triste realtà. 
-Che c'è una buona possibilità che possa svegliarsi, intanto dicono di parlarci- rispose mia madre 
-Mamma posso andare io questa sera?- Chiese con una faccia che mostrava tutto il suo dolore. 
-Si, tesoro. Vai tu!- Rispose lei -Non ti dispiace vero?- si girò poi verso di me. Come potevo dirgli che mi dispiaceva? Come potevo dirgli che volevo andarci io? Sarei stata egoista, aveva il diritto anzi, il dovere, direi io, di andare.
Scossi la testa -Vai tu Chris!- esclamai io. 
 
Mi diressi in camera mia, potevo stare tranquilla, da papà ci sarebbe andato Chris. 
Non sapevo come spiegarlo, ora che è tornato mi sentivo serena, come se tutto si sarebbe sistemato in poco tempo.
-Rein!- mi sentii chiamare, mi voltai e vedi Shade affacciato dalla porta delle stanza di Jhon che mi fece cenno di entrare. 
-Comunque non mi devi più accompagnare in ospedale, stasera ci andrà Chris. Vuole stare vicino a nostro padre- gli dissi io 
-Com' è andata con lui?- mi chiese sedendosi sul letto 
-Bene. Ovviamente.- Risposi io, lo raggiunsi. Mi accorsi che in lui c'era la voglia di sapere la storia di Chris 
-Lui è partito quando aveva 19 anni. Da molto tempo non andava più d’accordo con mio padre sulle sue scelte. Si sentivo legato qui a Firenze, l'Italia gli andava ormai troppo stretta e non si sentiva bene qui! Poi chiese a mio padre di sostenerlo con i suoi studi; voleva andare all' Università e studiare quello che poi lo avrebbe portato a viaggiare in tutto il mondo e allontanarsi da casa: linguistico, proprio come me. Mio padre cercò di persuaderlo, facendogli capire che quello sarebbe stato un lavoro che non gli avrebbe dato l'opportunità di stabilirsi in una città e potersi creare una famiglia- iniziai a spiegargli io. 
 
POV CHRIS 
-Chris dal canto suo era troppo concentrato a sentirsi troppo vittima, per poter capire che, oltre a volere il meglio per lui e quindi una famiglia, mio padre aveva paura di perderlo- mio padre aveva paura di perdermi? Come poteva essere possibile? Lui mi odiava! 
-Chris era il classico bad boy, il ragazzo ribelle che non permetteva a nessuno di mettersi sulla sua strada. Chi lo faceva si trovava sbattuto fuori dalla sua vita- continuò Rein. 
-Mio padre lo amava, anzi, lo ama. Nonostante non dà a vedere che sente terribilmente la mancanza di Chris, lo ama. Ogni tanto, quando mi alzo di notte, lo trovo con la scatola delle foto di famiglia e piange sulle foto in cui si abbracciava con Chris. Ecco perché mio padre si è affezionato molto a te, gli ricordi Chris!!- esclamò poi Rein. Il mio cuore si frantumò in mille pezzi, per molti anni avevo creduto che mio padre non volesse aiutarmi perché non voleva vedermi felice e invece.. 
-La loro ormai era diventata una guerra, che mio padre ha lasciato vincere a mio fratello. Lui diceva: "La mia infelicità non può influenzare la sua vita. Non posso permettere che la mia felicità si costruisca sull'infelicità dei miei figli. Preferisco essere infelice io.". L'ho sentita pronunciare da lui mentre parlava con mia madre- sospirò lei. 
-E tu? Come l' hai presa?- non sapevo come prendere la curiosità di quel ragazzo, ma interessava  anche a me la risposta, volevo farmi ancora del male sapendo quanta tristezza avevo lasciato in questa casa.
Avevo sempre pensato che nessuno potesse sentire la mia mancanza: Rein era piccola, Jhon era nato da pochissimo e a mio padre non ci pensavo minimamente, con lui erano volate parole pesanti l' ultimo giorno in cui persi le staffe e raccolsi tutte le mie cose. Chiusi quella porta dove dietro c'era il mio passato, la mia famiglia i miei affetti. 
Era stato difficile allontanarmi da casa quando incontrai lo sguardo di Jhon: aveva due occhioni proprio come i miei, quelle guance arrossate e paffute che mi divertivo a mordere e a baciare, quel sorriso che, inevitabilmente, mi portava serenità. 
-Io la presi male- iniziò a parlare Rein
CRACK
 -Insomma, lui era il mio fratellone. Mi difendeva da chi mi faceva del male, quando lui se ne andò i ragazzi della mia classe iniziarono a prendersi gioco di me. Sai, io e lui ci portiamo cinque anni di differenza, quindi quando iniziai il primo superiore, lui aveva finito il quinto anno. Lui non c'era, ma era informato su tutto ciò che mi succedeva e, quando avevo un momento libero, veniva a dare una bella lezione a tutti quanti- Nella sua voce lessi così tanta fierezza. Percepii che nel suo cuore era fiera di essere mia sorella. Ma come poteva esserlo?
CRACK
-Senti. A proposito di quelli che si prendevano gioco di te, c'entra qualcosa con la reazione che hai avuto prima sul divano?- Shade sembrava un ragazzo molto curioso, faceva mille domande al minuto. In qualche modo non lo sopportavo. Sentii l’impulso di allontanarlo da Rein, lei aveva già un fratello, potevo pensarci io a lei.
-Si. Mi prendevano in giro soprattutto per il mio aspetto fisico. Non ero la classica ragazza per la quale i ragazzi sbavano. Non ero la classica ragazza che permetteva a tutti di farsi palpeggiare, ero molto attaccata a lasciare certe cose intime ecco. E l'hanno preso come motivo per prendermi in giro. Ci stavo male lo ammetto, ma, in un certo senso, mi sentivo orgogliosa di mi stessa- Come avevo potuto lasciare mia sorella da sola? 
CRACK
Mi sentivo uno schifo: avevo abbandonato mia madre; avevo odiato per tutto questi anni mio padre perché pensavo che lui mi odiasse; aevo lasciato mia sorella nella fasi della sua vita in cui aveva più bisogno di me; non avevo visto Jhon crescere, non ho potuto giocare a calcio con lui, non avevo visto il suo cambiamento in questi anni. 
Avevo lasciato una famiglia che adesso non riconoscevo più, era tutto cambiato me ne eroreso conto quando aevo visto Rein. 
-Ma perché mi hai chiesto scusa? E' questo che non capisco- ma di cosa stava parlando? 
-Perché...Perché mi fai queste domande? E' difficile da capire- questo era un tasto doloroso per mia sorella, potevo percepirlo. Abbassò lo sguardo sulle mani che teneva in grembo mentre si contorceva le dita. Sentii dalla sua voce una grande sofferenza, quella sofferenza che avrei potuto benissimo evitare standole vicino invece di scappare dall'altra parte del mondo. 
-Cosa ho combinato- sussurrai lievemente. 
 
Mio padre era sempre stato un uomo forte, da bambino volevo essere forte proprio come lui. 
Lo vedevo sollevare pesi che potevo solo sognare di sollevare. 
Vederlo così mi faceva stare male, era come un cagnolino da coccolare a cui dovevi dimostrare tutto il tuo affetto.
Steso sul letto, attaccato ad una maledetta macchina che lo stava tendendo intrappolato, che gli stava  impedendo di alzarsi e venire da me, abbracciarmi e dirmi che mi voleva bene.
Ma chi volevo prendere in giro? Era così orgoglioso che sarebbe stato capace di buttarmi fuori con le poche forza che aveva. 
Gli presi la mano ed iniziai a parlare, senza mai fermarmi.
-Ciao papà, non sai quante volte avrei voluto avere qualcuno accanto a me da chiamare "papà"; avere quella persona che ti consiglia cosa fare, e per colpa mia non lo ho avuto. Ti chiedo scusa papà, per tutte quelle volte che ti ho incolpato ingiustamente; ti chiedo scusa, per ogni volta che ho pensato erroneamente che tu mi odiassi; ti chiedo scuso perché non sono stato quel figlio di cui essere orgoglioso. Volevo essere perfetto, ma non ci sono riuscito, volevo giare per città e sentirmi dire che ero tuo figlio e che loro lo sapevano perché tu raccontavi a tutti di me e di quanto ti rendessi orgoglioso. Tante volte volevo che quelle lettere che spedivo alla mamma le potessi leggere anche tu, ma, ogni volta che le chiedevo di fartele leggere, lei mi diceva che tu non avevi la benché minima intenzione di leggerle perché non ti importava- Oddio. Lo sapevo che sarei scoppiato a piangere, gli strinsi ancora di più la mano mentre piccole lacrime la bagnavano. 
Non avevo mai creduto a ciò che vedevo nei film, a quelle scene romantiche in cui le lacrime raggiungevano la mano di chi è in coma e subito, come per magia, si risvegliavano; ma era quello che, in fondo, stavo sperando in quel momento. 
E' qualcosa che ti viene spontaneo, sperare che una stupida scena di un film possa diventare realtà, possa diventare la scena della tua vita. 
Continuai a stringergli la mano come se potesse fuggire -Pensavo che tu mi odiassi, ho passato questi anni a chiedermi il perché. Invece, tu mi amavi, più di quanto tu ami te stesso- Continuai a piangere, la mia voce era bloccata dai singhiozzi - Adesso? Continui ad amarmi?- 
Mi sentii così male, i suoi occhi continuavano ad essere chiusi -Apri questi dannati occhi, cavolo!- Lo scossi un po’, prima che potesse aprire gli occhi. 
Non potevo crederci, in quel momento mi sembrava tutto così irreale, si era svegliato. I nostri sguardi si incontrarono, nei suoi occhi vidi il riflesso del mio viso, e lui, probabilmente, vedeva il suo nel mio sguardo 
-PAPA'- urlai a squarciagola 
-Chris?- mi chiamò lui -Figlio mio!- continuò poi. 
Quanto mi era mancato sentirmi dire "Figlio mio" si prova un'emozione che non si può descrivere. 
A volte si dà tutto per scontato, ma non lo è.
-Sei davvero tu? Non sto sognando?- chiese lui, la gola era secca, lo si poteva sentire dalla voce roca. Scossi energicamente il capo -Sono io papà, sono io!- risposi 
Lo abbracciai d’impeto -Scusami papà. Ho sbagliato tutto con te!- gli baciai la mano chiamai subito i dottori. 
Poi lo guardai negli occhi e gli porsi una domanda, la cui risposta mi avrebbe potuto spezzare il cuore. 
-Mi ami ancora?- 
Ti prego, dimmi che mi ami. 
Dimmi che adesso che ci sono io ti senti completo. 
Dimmi che senza di me era come se ti mancasse un pezzo di cuore. 
Dimmi che vuoi alzarti e abbracciarmi, perché per tutto questo tempo ti è mancato il calore del mio abbraccio. 
 
Perchè sai papà, il tuo calore mi è mancato. 
 

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Capitolo 12
*** Forti emozioni ***


FORTI EMOZIONI
POV SHADE
 
-Papà, papà sei qui!- Urlò felice il ragazzino correndo incontro all'uomo
-Tesoro vieni qui!- sospirò l'uomo che, con il dolore dentro al cuore, cercò di trattenere le lacrime che, prepotentemente,cercavano di cadere dai suoi occhi. 
Il cuore iniziò a lacerarsi, il dolore era quasi insopportabile, ma cosa avrebbe potuto fare? Era l' unica soluzione! 
O per lo meno lo sembrava in quel momento.
 
Il silenzio era diventato imbarazzante, si sentivano le forchette che sbattevano contro i piatti. 
Da quando era arrivato Christian era sceso un silenzio tombale, forse era questo l'effetto che fa ritrovare una persona che non vedi da tanto tempo? Forse farà lo stesso effetto anche a me.. 
Forse anche io sarei rimasto immobile guardandolo fisso negli occhi.
Forse anche io avrei lasciato che le gambe tremanti mi stendessero a terra.
Forse anche io avrei fatto scendere delle lacrime dai miei occhi blu. 
Forse anche io non avrei pronunciato una singola parola, permettendo che il silenzio riempisse il vuoto attorno a noi.
Forse anche io avrei lasciato che le mie braccia avvolgessero il suo collo 
Forse anche io gli avrei permesso di asciugarmi le lacrime. 
Chi lo sa. In quel momento però mi fermai ad immaginare un momento che non so né se, né quando o come sarebbe arrivato. 
-Devo andare a prendere Jhon?- chiese Rein rompendo il silenzio 
-No! Vado io, è troppo buio- rispose Elza, lasciando una nota di tristezza sul viso di Rein che, probabilmente, voleva prendere un po' d' aria fresca
-Se per te va bene, posso accompagnarla io- mi intromisi. 
Rein inarcò le labbra in un sorriso, mentre Elza era visibilmente scettica. 
-Non so...- 
-Dai mamma, sono con Shade- ribatté Rein 
-Sei sicuro? non vorrei disturbarti- mi disse Elza
-Ma figurati, io amo uscire di notte per respirare aria fresca- sorrisi io, speranzoso di ottenere il suo consenso. 
-Okay, ma state attenti vi prego- rispose lei 
-Certo!!- esclamò gioiosa Rein. 
-Ma non è che un giorno di questi mi ritornate fidanzati?- esordì Elza, facendo arrossire visibilmente Rein che scosse energicamente la testa.
 
POV REIN 
-Mamma!!- esclamai io -ma cosa ti viene in mente!- 
-Che ne so, state sempre vicini. Vi ho visto sul divano, sareste una bella coppia- ribatté lei, mentre Shade arrossisce di colpo. 
Mia madre non era mai stata così aperta, mi aveva stupita con questa sua affermazione. 
Guardai Shade, era ancora rosso in viso, con lo sguardo fisso sul piatto di pasta appena finito. 
-Vado a prendere il giacchetto e andiamo. Okay?- mi rivolsi a Shade che si limitò a sorridermi
-Vado anche io. Mi aspetti giù?- risposee poi
-Certo!-
Salii le scale ripensando ancora alle parole di mia madre "sareste una bella coppia" e in un attimo mi apparve lo sguardo di Shade davanti agli occhi. 
Quel suo blu mi faceva sentire come se stessi in acqua e stessi affogando perché non sapevo nuotare. Questa pensiero mi fece perdere il senno e in un attimo mi ritrovai stesa in fondo alle scale con il suo viso a pochi centimetri dal mio. 
-Tutto bene?- mi chiese lui sorridendo
-S-si- risposi io, se così si poteva dire, di certo non è una bella sensazione farsi le scale in scivolata.
In un attimo mi sentii andare a fuoco, non riescii a sostenere lo sguardo, mi alzai e salii di fretta in camera mia. 
Presi il giacchetto dall'armadio e mi sbrigai ad uscire dalla stanza per scendere, sicuramente lui aveva già finito di prepararsi. 
Passai davanti allo specchio, mi guardai il viso e mi accorsi che le mie guance erano ancora arrossite; corsi in bagno per sciacquarmi il viso e calmare i miei bollenti spiriti e scesi frettolosamente. 
-Finalmente hai finito, ma quanto ci mettete voi donne a prepararvi?- 
-Quel che ci vuole- risposi laconica io
-Non potreste essere un po' più veloci? Un po' come noi- 
-Stai scherzando vero?- lo guardai con serietà
-No, lo penso davvero. Ci mettete troppo tempo, noi siamo un  po' più veloci- 
-Lo credo bene. A noi ragazze non piace uscire da buzzurre come voi- dissi io per provocarlo un po' 
-Non siamo buzzurri, semplicemente non amiamo metterci troppo tempo- 
-Tutte scuse!- ribattei io, aprendo la porta e salutando mia madre -Sbrigati! Jhon ci sta aspettando- urlai io, per tagliare la conversazione e scrollarmene il peso. 
 
 
Avevo una tremenda paura, non era stata affatto una bella idea uscire di notte e, quel che era peggio, non riuscivo nemmeno a stringere il braccio di Shade per la mia timidezza. 
Gli avevo risposto davvero male, sono stata ingiusta con lui, voleva solo aiutarmi o almeno credo. 
Mollo un sospiro attirando la sua attenzione 
-Che c'è?- mi chiese lui posando il braccio sulle mie spalle 
-No, niente- sbottai io spostando con uno scatto la spalla: il contatto con lui non mi faceva stare a mio agio, mi sentivo in gabbia. Anche se mi faceva sentire al sicuro, non sopportavo la pressione.
Abbassò lo sguardo e tornò a prendere a calci i sassi che trovava per strada il cui rumore, dato il silenzio che c'era, si sentiva per tutta la via. 
-Anzi..- iniziai io 
-Mh..- mugugnò lui 
-Volevo scusarmi per oggi, ti ho risposto davvero molto male. Volevi solo sapere qualcosa di me e io ti ho trattato a pesci in faccia- guardai in basso, lui cercò di guardmi fisso negli occhi, quindi sollevò i mento. Continuava a guardarmi e io mi sentii come nuda davanti a lui come se tutti quei segreti che portavo dentro di me non fossero più così tanto al sicuro. 
In quel momento avrei voluto sparire.
-Figurati. Non sei la prima. Me lo dicono tutti che ispiro violenza- scherzò lui. 
-Ma su questo non ci piove- risposi io. 
-Ma cosa? Stai dicendo davvero?- 
-Beh se devo essere sincera, anche tanto- 
Si fermò in un secondo, mi strinse il braccio per bloccarmi e incrociò le sue dita fra le mie facendomi sussultare. Per scherzare cercò di me storcerle, ma usando sempre molta gentilezza ordinandomi di chiedere scusa, ma io non cedetti al suo ricatto.
-Shade, mi fai male!- ridemmo insieme, come due bambini di cinque anni che si rincorrono nei più grandi prati verdi e fioriti che si trovavano fuori Firenze. 
Mi ritrovai con le spalle al muro, lui avvicinò il suo viso al mio, non sentivo più niente: lo abbaiare dei cani nelle case, le macchine che passavano sulla strada, il volume della televisione alta negli appartamenti, il tempo che scorreva veloce, la consapevolezza che Jhon ci stesse aspettando. Non importava più niente, o perlomeno a me. 
-Rein!- mi sentii chiamare, mi voltai e trovai Fine, che stava a pochi passi da noi
-Fine, ciao come stai? - risposi io arrossendo violentemente
-Bene, grazie!- rispose lei -Come va con tuo padre?-  
-Sempre lo stesso- risposi io 
-Mi dispiace- ribatté lei -Lo sai, quando vuoi puoi chiamarmi. Non ti chiamo io perché so che potrebbe darti fastidio,quindi fallo tu quando ne senti il bisogno-  
Sorrisi gentilmente, era sempre stata una bell'amica. Le ero grata, era una delle cose di cui avevo bisogno: una spalla su cui piangere e nessuno a impedirmi di respirare con calma. Mi girai verso Shade per poterlo presentare, ma lo vidi imbambolato, avevo lo stesso sguardo che aveva Fine mentre guardava una torta gigante alla panna e cioccolato. 
Schiarii la voce, affinché Shade si potesse  riprendere dallo stato di trance in cui era caduto
-Shade, lei è Fine. Fine, lui è Shade-
-Piacere- sussurrarono loro. 
- Ora scusa ma dobbiamo andare a prendere Jhon da un suo amichetto. Ci starà aspettando. Andiamo Shade?- lo presi dalla manica della maglietta
-Certo!- esclamò lui. 
 
Chiusa la porta di casa mia madre mi si buttò al collo, mi stringe forte quasi a volermi strozzare. 
-Mamma, cosa hai?-  sussurrai io, la presi per le spalle e la staccai da me, le guardai il viso: aveva le guance rosse, occhi lucidi e pieni di lacrime, ma con un sorriso enorme sul viso. 
-Cosa c'è, mamma? Dimmelo!- sbottai io scuotendole le spalle, iniziai a preoccuparmi, e se fosse successo qualcosa a mio padre? Non volevo nemmeno pensarci..
-Elza!- esclamò Shade, mentre l'afferrava per le spalle e la poggiava sul divano,  sentii Jhon che stringeva il lembo dei pantaloni. Lo guardai e aveva un’espressione terrorizzata. Gli poggiai una mano sul capo scompigliandogli un po’ i capelli
-Venite qui!- esclamò mia madre. Tutti noi ci sedemmo vicino a lei aspettado che inizi a parlare
-Si è svegliato!- urlò lei di gioia, rimasi impassibile, rimasi seduta sul divano mentre sentivo il cuore riprendere a battere normalmente. Cercai di capire a cosa si riferisse, poi la realtà mi colpì in pieno: mio padre si era svegliato. Aspettavo quelle parole, le avevo attese da tanto. 
Mi erano sembrati anni dall'incidente. 
Shade mi riscosse dai pensieri -Si è svegliato, Rein. Si è svegliato!- Sentir ripetere quelle parole mi fece recepire completamente il loro significato. Guardai Shade sorrisi e lo abbracciai. 
Lo abbracciai come lui fosse mio padre, come se in lui riuscissi a vedere mio padre. 
Si era svegliato, avrei potuto parlargli di nuovo.
Avrei potuto abbracciarlo.
Avrei potuto sorridere insieme a lui.
Avrei potuto stringergli la mano sentendo la sua reazione.
Avrei potuto guardarlo negli occhi.
Avrei potuto vederlo sorridere.
Avrei potuto sentire la sua risata. 
Avrei potuto avere di nuovo la mia famiglia, soprattutto in quel momento che Chris era tornato da noi.
Ci incamminammo subito verso l'ospedale, tutti noi sentivamo la voglia di abbracciarlo forte e dimostrargli il nostro affetto. 
 

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Capitolo 13
*** Non mi mandare via ***


NON MANDARMI VIA
Si ritorna solo andando
via 
POV ELZA
 
Rivederli vicini era un emozione forte.
Dopo anni di lontananza, dopo anni di urla di Toulouse che si ostinava a non voler più parlare di Chris, vederli vicini e in lacrime mi rendeva estremamente felice. 
Sono una donna, una mamma, una moglie e quello che avevo davanti agli occhi mi faceva sentire la donna più fortunata al mondo.
Ricordo ancora quando dissi a Toulouse di aspettare Christian, era così felice. 
Continuava a sorridere, i suoi occhi erano lucidi e la prima cosa che riuscì a fare era stata prendermi in braccio, baciarmi la guancia e posare la sua mano sulla mia pancia. 
Iniziò a chiamare i miei e i suoi genitori, gli amici, i colleghi. Sentivo nella sua voce la fierezza, la gioia, sentivo che finalmente era arrivata la nostra fortuna che finalmente avevamo le basi per costruire il nostro futuro; sentivo che quello era il momento giusto di staccare con tutto
Fu la prima volta che lo vedevo così felice, di solito era cupo con gli occhi che trasparivano tutta quella frustrazione che dovette vivere sin da piccolo. 
Era sempre stato un uomo dal cuore d' oro, eppure veniva trattato sempre come uno schiavo. 
A volte pensavo che il suo posto non era qui sulla terra, ma nel cielo. Perché se qualcuno mi avesse chiesto come immaginavo un angelo, ero sicura, che l’immagine di Toulouse sarebbe stata la prima cosa che mi sarebbe venuta in mente. 
Non si è comportato bene con suo figlio, ne ero consapevole, ma ogni notte lo sentivo singhiozzare dal dolore, dal peso che gli gravava sulle spalle e sul cuore.
Non mi aveva mai confessato di sentire la mancanza di Christian, purtroppo l'orgoglio, alle volte, ci stringe il cuore, ce lo incatena impedendo alle nostre emozioni di uscire come dovrebbero. 
Ma io ero Elza, non avevo bisogno che lui parlasse per capire cosa provasse in quel momento. 
Lo vedevo in ogni movimento. 
Era così evidente ai miei occhi: ogni suo gesto prendeva il posto della bocca, ogni parola, ogni tono. 
Tutte quelle volte che mi diceva di voler andare a farsi una doccia, io sapevo che si buttavo sotto la doccia solo per poter dare colpa all' acqua per i suoi occhi rossi, ma a me non poteva mentire. 
Io ero una parte di lui, me lo aveva sempre detto. 
 
POV SHADE 
Li guardai così affiatati da farmi passare dall'enorme affetto a una grande invidia. 
Mi sentii fuori posto, io non appartenevo a quella famiglia, eppure la sentiva così mia.
Toulouse lo sentivo così... mio  
Anche Rein aveva una luce diversa; la ragazza triste che avevo visto la prima volta era scomparsa, lasciando spazio ad una ragazza felice dagli occhi lucidi per la gioia. 
Quando ci eravamo parlati in camera sua avevo capito da dove derivasse tutta la tristezza. 
La guardai e tutto ciò che pensavo era di avere davanti a me una ragazza sensibile, dolce e ... bella!!
Mi sentii avvampare, in quell’istante la si poteva vedere sotto una luce diversa, una luce che solo lei, a parer mio, poteva scaturire. 
Una luce che le illuminava il viso, lei stessa riusciva a illuminare ciò che la circonda, perfino una stanza d' ospedale. 
Vederla felice in qualche modo mi riempivi il cuore di gioia, era come se per lei non esistesse altro se non suo padre. 
Era come se tutto il dolore che portava sulle spalle fino a qualche minuto prima fosse scomparso, non aveva più importanza. 
O perlomeno non aveva la stessa importanza del vedere il padre vivo e di poterlo abbracciare. 
-Ehi Shade, che ci fai lì?- mi chiese Toulouse, il mio cuore perse un battito. 
Certo, Rein aveva ragione: suo padre si era affezionato a me, perché rivedeva suo figlio, ma per me non era così. 
Ed ora? Come si sarebbe comportato? Si sarebbe allontanato? No, perché se lo facesse è come se morissi per la seconda volta. 
Lui era il mio punto di riferimento in quel momento. Sentivo la mancanza di mio padre, avevo bisogno di un abbraccio e Toulouse era riuscito, in qualche modo, a sopperire quella mancanza che sentivo. Sentii l’impulso di imbarcarmi e tornare in Argentina, volevo tornare dai miei genitori e stringerli. Eppure non potevo negare quanto avessi legato con Toulouse. In qualche modo era diventato importante, ero sicuro di voler mantenere i contatti con lui anche dopo il mio rientro a casa.
Sorrisi. Io, quel ragazzo che non riusciva a sorridere a una battuta fatta da qualcuno conosciuto da poco. 
Io, quel ragazzo che regalava indifferenza a tutti. 
Lui portava fuori il meglio di me, mi travolgeva e il sorriso era inevitabile. 
Non potevo credere che ci fosse qualcun altro, oltre ai miei genitori, capaci di tirar fuori questo mio lato.
Avevo paura che si potesse allontanare da me.
Lui è Toulouse e, non so perché, è come se lo conoscessi da una vita. 
E se lo conoscessi davvero? Chi poteva dirlo, d'altronde si dice che il mondo è piccolo.
-Vieni. fatti abbracciare!- esclamò Toulouse sorridendo. Rimasi imbambolato, non riesciuva a dire una parola o fare un passo. 
Mi voleva abbracciare, Toulouse mi voleva abbracciare, andai verso di lui e lo strinsi quasi a soffocarlo. 
Volevo che capisse quanto potessi volergli bene. Attraverso quel abbraccio volevo chiedergli di non allontanarmi, volevo chiedergli di restare sempre al mio fianco, volevo chiedergli di permettermi di rimanere nella sua vita. Non volevo rimpiazzare Chris, non avrei mai potuto farlo, ma volevo quantomeno potermi appoggiare a lui.
Quella sera mi buttai sul letto, ero esausto e non sapevo cosa fare. In un certo senso sentivo il senso di colpa espandersi per il petto. Sentivo un affetto così forte per Toulouse che avevo paura. Mi alzai dal letto e andai in salotto, presi la cornetta del telefono e composi il numero di casa che sapevo a memoria.
Uno squillo. Due squilli. Tre squilli.
-Pronto?- sentii dall’altra parte
-Pronto mamma, come state?- chiesi
-Tutto bene, figliolo. Come mai hai chiamato? È successo qualcosa?- scossi la testa, poi mi resi conto che non poteva vedermi –No, mamma. Avevo solo bisogno di sentire la tua voce e quella di papà, mi mancate tanto- 
-Prima vuoi partire e poi senti la nostra mancanza?- scherzò mia madre
-E’ che voglio troppo bene, mamma- risposi io –Papà?-
-E’ in camera. Vuoi che te lo passo?- risposi di sì e aspettai in linea
-Pronto Shade-
-Pronto papa? Come stai?-
-Molto bene- rispose sereno
-Mi manchi, papà- scoppiai in lacrime. In quel momento mi accorsi dell’importanza che quell’uomo aveva nella mia vita. Mi accorsi che lui era l’uomo di cui non avrei mai potuto fare a meno, perché nonostante tutto, nonostante le difficoltà è sempre stato accanto a me, non aveva mai rinunciato.
-Se ti venissi a prendere ora?- chiese a brucia pelo. Sapevo il significato di quella domanda, era un po’ come un nostro codice segreto. Tirai su con il naso e risposi senza alcuna esitazione
 –Ti seguirei, ovunque tu voglio andare- risposi.

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Capitolo 14
*** Chi sei? ***


CHI SEI?
 
 POV Rein

Finalmente in casa si respirava un'aria di famiglia, quella famiglia che si era sciolta tre anni prima.
Chris era tornato, mio padre era riuscito a svegliarsi dal coma ed era tornato a casa; era tutto perfetto. 
Anche se, a pensarci bene, forse dopo una settimana da quel giorno non sarerbbe stato poi così tanto perfetto. Shade se ne sarebbe andato, sarebbe tornato in Argentina e voleva  dire che mi avrebbe lasciata, che non avrei più avuto una spalla su cui piangere, che non avrei mai più avuto qualcuno che mi sapesse capire con solo uno sguardo.  
Nonostante la consapevolezza di aver Chris, temevo che se ne sarebbe andato di nuovo.  Temevo che avrebbe lasciato di nuovo questa caso e si sarebbe portato via di nuovo la serenità che finalmente si poteva respirare in casa.
Avevo paura di restare sola. Sapevo che il mio era un pensero egoista, ma non riuscivo ad accettare di dover tornare a quando non avevo nessuno con cui sfogarmi, qualcuno con cui potermi sentire libera di parlare della prima cosa che mi veniva in mente.
In poche settimane, Shade, era diventato importante per me, forse perché vedevo in lui uno scudo o forse, semplicemente, vedevo in lui il fratello che mi mancava. Vedevo in lui quel fratello che mi proteggeva contro tutto e tutti, vedevo in lui una sorta di scudo.
Anchein quel momento mi sentivo protetta, nonostante non ci fosse nulla da cui dovermi proteggere, sapevo che lui mi era vicino e mi bastava.
Perché? 
Perché mi sentivo così? 
Perché proprio con lui?
Perché amavo starmene nel calore di un abbraccio? 
In un istante mi si parò il suo volto davanti. Le mie mani tremarono, come se stessero lentamente percorrendo i tratti duri del suo viso, sfiorando le sue labbra carnose e accarezzare il suo naso un leggermente all'insù. 
-Cosa hai Rein?- mi sussurrò Shade, mi voltai verso di lui guardandolo dritto negli occhi, pronta ad affogarci dentro,  ma con la consapevolezza che lui stesse guardando da un' altra parte. Invece no, stava guardando me, mi stava guardando negli occhi. 
Mi sentii spacciata. Stavo affogando, ma lui mi gettò un'ancora di salvataggio : il suo sorriso. 
-Tutto okay!-cercai di liquidare il discorso velocemente
-Non mi sembra- azzardò lui 
-Invece è così- risposi in tono secco, odiavo quando riusciva a capire quando mentivo.
-Come vuoi tu!- concluse lui, un po' abbattuto. 
Mi chiesi come riusciva a farmi sentire in colpa. Aveva questa capacità di tirare fuori lati di me che credevo sepolti.
Mi voltai verso mia madre che aveva stampato in faccia un largo sorriso, con il petto gonfio per la fierezza. Sbruffai. 
Immaginavo a cosa stesse pensando e rabbrividii solo al pensiero.
-Mi passi il sale?- mi chiese Shade. 
Mi guardai intorno per poter trovare il baratto del sale per poi accorgermi che non c'era. 
Mi alzai per andarlo a prendere 
-No, tranquilla vado io. Pensavo stesse a tavola- mi sorrise poggiando la sua mano sulla mia e alzarsi. 
Mi sentii avvampare, iniziai a balbettare un -Va bene- azzittendomi subito dopo. 
Avevo un nodo in gola che cercai di mandare giù.
Che cavolo mi stava succedendo? 
-Elsa, posso aprire lo sportello? Avrei bisogno del sale- chiese Shade
-Ma certo, figurati- 
Perché doveva essere così maledettamente gentile ed educato? 
Una volta i bei ragazzi non erano antipatici e strafottenti? 
In genere i ragazzi come lui andavano male a scuola, rispondevano male, non si lavavano perché pensano che il sudore e segno di mascolinità e parlavano come dei buzzurri; perché,invece, lui era un genio a scuola, carino e gentile, si lavava ogni giorno ed era educato quando parlava? 
Perché non doveva essere il solito stronzo e ribelle?
Ripresi a mangiare, sentendomi fissata da mio fratello. Aveva uno sguardo pesante, quasi imbarazzante. 

POV SHADE 
Flashback
Il bambino rimase a fissare con sguardo affascinato il padre. 
Avrebbe sempre voluto essere come lui, avere il suo coraggio e la sua forza. 
Nonostante il fiatone e la stanchezza continuava in modo persistente a fare le sue flessioni, mentre il ragazzino se ne rimaneva sui piedi del padre per bloccarglieli.  
Lo fissò in ogni angolo di pelle: la fronte imperlata di sudore, i suoi capelli spettinati che gli ricadevano  sugli occhi, le gocce di sudore  ricadevano sul suo petto nudo ben scolpito.
L' uomo si stese a terra sfinito e il bimbo lo guardava ancora:  con le braccia incrociate sotto il capo, un largo sorrise illuminato dal sole del tramonto. 
-Vieni qui piccolo- esordì l'uomo, il bimbo si stese affianco a lui  e sorrise. 
Si voltò verso il padre -Sai papà, io voglio essere come te. Anche io voglio salvare le persone proprio come fai tu. Anche io voglio fare il pompiere.-
L' uomo sorrise -Sono contento, sii sempre orgoglioso di me, qualsiasi cosa accada figlio mio.- 
il bimbo lo guardò storto 
-Me lo prometti? - 
-Si papà. Perché non dovrei essere orgoglioso di te?-


Conclusa la cena ringraziai Elsa e andai in camera per stare  un po' da solo. 
Da un po’ di tempo rimanevo spesso chiuso in camera a suonare la chitarra. 
Realizzato che mancava poco al tornare in Argentina e mi dispiaceva. 
Sentivo molto forte la mancanza della mia famiglia, ma quando sarei tornato in Argentina mi sarebbe mancato anche il calore di questa casa. Sospirai. Se non altro avrei portato con me il ricordo di ognuno di loro con molto affetto. Avevo legato con tutti e con Toulouse avevo un rapporto speciale. 
Sentii bussare alla porta, mi voltai ed entrò Toulouse. 
Mi sorrise. 
Gli sorrisi. 
Lo squadrai come se non mi stancassi
-Niente, è solo che tra poco dovrò lasciare l' Italia, questa famiglia, te.. -risposi io
-Rein!- alluse lui 
-Cosa?- 
-Ti pare che non me ne sia accorto? Lo sguardo che hai quando la guardi, mi fa pensare a quando mi accorsi di essere innamorato di Elsa. Quando presi coscienza che non temevo di essere scoperto quando uscivo con lei nonostante di vedessimo di nascosto- mi disse lui.
-No, ma ti sbagli. Non è come dici tu- ribattei io
-Sei ancora giovane ed è facile che queste cose ti scivolino un po’ dalle mani, ma con il passare del tempo riuscirai a riconoscerle. Ci vuole pratica, se così si può dire, e imparerei a dare un nome a tutte le sensazioni che provi-
-Pensi?- chiesi distratto
-Sì, ci sono cose che rimangono comunque difficili da decifrare, se non impossibile. C’è sempre qualcosa che ci sfugge e non conta quanti anni abbiamo, c’è sempre quel qualcosa che ci scuote dentro e no riusciamo a non riconoscere. Alcuni di noi sono fortunati perché potrebbe trattarsi di qualcosa di passeggero, un sentimento effimero; altri più sfortunati, senza saperlo, gli sfugge dalle mani una possibilità importante capace di cambiare la nostra vita- rispose lui
-Non credi che se è destino, quel qualcosa torni?- chiesi io guardandolo sbieco
-No. Non credo sia così, alle volte noi stessi siamo capaci di andare contro al destino al nostro stesso destino- rispose lui
-Comunque, mi sbaglio difficilmente. È bene che tu sappia che per lei, però, non è così. Mi sono accorto che lei prova qualcosa per te, quindi non farla soffrire- disse riprendendo il discorso di pria, rimasi fisso a guardare il pavimento un po' sorpreso, non avrei immaginato che lei potesse provare qualcosa per me - Non ti preoccupare, quando te ne andrai, le passerà. E per quanto riguarda noi, abbiamo internet ci vedremo molto spesso- continuò. 
Scossi la testa e con un movimento veloce lo abbracciai. 
Lo strinsi come se  quella fosse l'ultima volta in cui potevo farlo. 
E' come se il mondo si fosse fermato e che tutte le cose importanti stessero lì, attorno a noi, rendendo  quel momento importante. Sentii un altro senso di deja-vu, sembrava che quel momento già lo avessi vissuto. 
Sciolsi l' abbraccio -E' questo che mi mancherà, e su internet non potrò averlo-  risposi io. 
Lo guardai seriamente negli occhi -Sai Toulouse, sento come se ci fossimo già incontrati. Hai un'aria piuttosto familiare. Sento come se fossi stato importante per me- 
Lui mi guardò stralunato come se nella sua mente fossero riaffiorati momenti della sua vita piuttosto remoti. 
Lo guardai confuso, poi scosse la testa
-Impossibile, non sono mai stato in Argentina- mi disse lui
-Non ho parlato di Argentina. Credo che ci siamo visti qui- . 
Quasi sbiancò, mi guardò come se fosse stato invaso dalla mia stessa sensazione. 
-Sei venuto in Italia?- mi domandò
-No. Io sono  italiano- risposi io. 
Lo guardi, sorpreso del fatto che mi fossi esposto così tanto, nonostante non mi fosse mai piaciuto parlarne.
Continuai a guardarlo presi un respiro profondo e parlai
-Toulouse, io sono di Firenze- dissi
-Come?-
- Io sono stato adottato!- conclusi. 


 

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Capitolo 15
*** Credimi ***


CREDIMI

POV TOULOUSE
Non ero mai stato un uomo che scappava dalle situazioni, le avevo sempre affrontate andando contro  alle conseguenze. 
Certo, non ero  invincibile, qualche volta ero scappato, ma alla fine  prendevo coraggio e tornavo indietro per combattere a denti stretti, fino a che la vittoria non fosse stata mia. 
L’idea, però, che, probabilmente, la mia sarebbe stata solo un'amara sconfitta, quello spirito combattivo era  rimasto in fondo in qualche angolo del corpo. 
Quello stesso corpo che si era irrigidito davanti a Shade. 
-Toulouse- una voce mi riportò alla realtà che, fino a pochi momenti prima, avevo ignorato lasciandomi trasportare dai miei pensieri. 
Non sapevo nemmeno dove mi trovassi, davanti a me si parò lo sguardo incuriosito di un ragazzo dagli occhi verdi e un sorriso calmo. 
-Auler!- Asserii io, portando il mio sguardo altrove, sapevo benissimo che non se ne sarebbe andato, come sapevo che era stato mandato da Rein.
-Rein è preoccupata. In realtà lo sono tutti: Elsa ha detto che ti ha visto andare via con lo sguardo perso e Shade, il nuovo ragazzo, ha detto di averti visto delle lacrime agli occhi-  continuò poi
Shade. Era da lui che stavo scappando, da quella realtà che mi si era parata di fronte da un momento all'altro; avevo sempre pensato che sarebbe stato meglio dimenticarmene, perché oramai era acqua passata, e lo stavo facendo, ma il passato e riaffiorato e non potevo evitarlo. Forse affrontarlo era la cosa giusta da fare.
'Sono stato adottato' quelle parole continuavano a torturarmi i pensieri, martellandomi il cervello, mi afferro il capo con le mani, stringendo forte, come se quello fosse il modo più efficace per farmi passare il dolore -per niente fisico- che mi attanagliava.
-Toulouse, stai bene? Posso fare qualcosa?- scossi il capo. 
Nessuno poteva fare niente, almeno che qualcuno non fosse in grado di cancellare il passato o portare indietro l’orologio del tempo
-No, tranquillo  Auler. Berrò un caffé e torno a casa- Affermai io passandogli la mano sulla spalla, come se, quel piccolo gesto, potesse tranquillizzare anche me. 
In realtà, non ero l'unico da tranquillizzare e come dargli torto: erano passate tre ore da quando sono uscito di casa e non mi ero preso nemmeno il disturbo di fare una chiamata, ma avevo un forte bisogno di avere del tempo per me
-Dovresti parlarne- mi voltai verso di lui con sguardo incuriosito e anche scioccato e, come se mi avesse letto nel pensiero mi rispose con un -del problema che hai, intendo- lo guardai ancora -Si vede che hai un problema, Toulouse. Affrontalo, come hai sempre fatto- concluse poi lui. 
Gli sorrido -Ma come fai?- gli domandai io
-A fare cosa?- 
-A capire ogni cosa, senza che nessuno te ne parli- 
-Anche mia madre lo fa. Suppongo che sia un dono di famiglia- asserì lui
-Aspettami qui, vado a chiamare Rein per dirle che va tutto bene- disse dandomi delle pacche sulla spalla, sorridendo. 
Quel ragazzo era davvero speciale. 
Alle volte mi fa sentire come se fossi io il diciassettenne e lui il quarantenne. 
Tra me e lui si era restaurato un certo legame. Quel ragazzo era certamente più maturo dei suoi coetanei. E ammettiamolo, anche più intelligente. Sorrisi, era incredibile come mi fosse così semplice avvinarmi a un ragazzo, avevo la capacità di creare un legame di amici con gli adolescenti. Sorrisi amaramente: se solo fossi  riuscito a sfruttare questa mia capacità con mio figlio..

POV CHRIS 
-Va tutto bene. Mi ha chiamato Auler, mi ha detto di aver trovato papà; è un po' turbato, ma sta bene. Ha detto che si sta prendendo un caffé e torna a casa- disse Rein sorridendo. 
Chi era Auler? Come se mia sorella mi avesse letto nel pensiero mi disse semplicemente che è un suo compagno di scuola
-mh- mugugnai io 
-Cosa c'è?- ribatté lei
-Niente- dissi stizzito
-Geloso?- 
-Assolutamente no! Perché dovrei esserlo?- Chiesi io, guardandola direttamente nei suoi occhi blu scintillanti
-Non lo so- fece lei -hai usato un tono strano- 
-Non sono geloso, sono solo attento a come trattano la mia sorellina- ribattei io cingendole la vita tenendola stretta, come se non la volessi lasciare, lei, da parte sua, intreccia le sue dita nelle mie, si voltò verso di me e facendo sfiorare i nostri nasi mi disse -Mica scappo- sorrise poi 
-Cosa?- chiesi io, sorrise di nuovo -mi stai stritolando- mi fece notare 
-Oh, scusa- dissi io fintamente dispiaciuto. 
Lei mi rivolse un sorriso, quel sorriso che tanto mi era mancato e che mi ritrovavo a guardare attraverso una semplice foto che, purtroppo, non le rendeva giustizia. Le sorrisi. 
-Capito Shade? Papà sta tornando!- Informò il ragazzo che aveva  appena varcato la soglia della cucina. 
Quel ragazzo non mi piace: stava troppo attaccato a Rein, troppo attaccato alla mia famiglia.
Si vedeva da lontano che lei avesse una cotta per lui perché, nonostante fosse passato molto tempo, riuscivo a riconoscere i suoi sguardi, e quello ero lo sguardo di chi è interessata a un ragazzo, troppo interessata. 
Ero certo che si fosse affezionata a lui perché le era rimasto accanto affievolendo quei momenti tristi e pesanti quando mio padre si trovava all'ospedale.
Quando li guardavo da lontano, mentre cercavo il coraggio di bussare alla porta di casa, li avevo visti spesso vicini e sorridere ed era proprio quello di cui Rein necessitava, forse più dell'aria. Ed io mi maledicevo, perché dovevo esserci io al posto di Shade. 
Io dovevo rassicurarla. 
Io dovevo stringerla.
Io dovevo farle compagnia.
Io dovevo farla sorridere. 
Shade sorrise, Rein ricambiò ed io rimasi fisso a guardarlo per scorgere nel suo sguardo quali potessero essere le sue intenzioni; lui, dal canto suo, volse lo sguardo verso di me e io, per tutta risposta, gli sorrisi.
Un sorriso acido, che non scappò alla sua attenta osservazione, lui portò la mano dietro la nuca grattandosela nervosamente. 
Forse il fatto che io fossi due anni più grande di lui lo impauriva. Sorrisi soddisfatto, avrei potuto usarlo a mio favore. 
Sono sempre stato un tipo irruento, venivo sempre etichettato come 'bullo', quando io di bullo non avevo proprio nulla, se non le apparenze. 
Il fatto che io avessi i capelli corvini, la tendenza a non proferire parola e innata capacità di incenerire con lo sguardo chiunque si avvicinasse a me aveva sviluppato nella mente degli altri l'idea che io fossi il solito cattivo ragazzo dall'aspetto tetro. 
Io li assecondavo, era un modo per non essere vittima di gente che non aveva niente da fare se non attaccarti senza motivo, spingendoti a piangere ogni giorno. 
E proprio per questo evitavo di farmi vedere con Rein, perché la sua presenza mi rendeva debole, un dolce gattino troppo vulnerabile. 
Alle volte mi rendevo conto di farle del male con il mio atteggiamento, ma nel mio pensiero ero convinto che le cose dovessero andare così, in fin dei conti, lo facevo anche per lei. 
L'unica cosa che, probabilmente, avevo rimpianto in quegli era proprio averla lasciata sola. 
Non avevo pensato a nessun altro, solo a me, desideroso di lasciare alle spalle tutto ciò che avevo qui. 
E anche in quel momento avevo pensato fosse meglio anche per lei che io me ne andassi: i litigi tra me e mio padre erano diventati sempre più frequenti, non sono state poche le volte in cui eravamo arrivati alle mani, ma ci fermavamo, o meglio, io mi fermavo, quando mi ritrovavo davanti lo sguardo impaurito e spaesato di mia sorella che mi supplicava in silenzio di smetterla. 
Rein, come mia madre, amava vedere la famiglia unita e ogni sua speranza veniva spazzata via ogni volta che io e mio padre cadevamo nella tentazioni di urlarci contro e rinfacciandoci tutto ciò che avevamo fatto l'un per l'altro; nonché io avessi fatto molto per lui, ma in quei momenti la rabbia accecava ogni mia riflessione andando a toccare ogni volta il tasto che più faceva male a mio padre. 
Così avevo deciso di andarmene, per non far soffrire più mia madre, per non far crescere Jonhatan in un ambiente pesante e, soprattutto, per mia sorella che aveva bisogno di tutto tranne che di sentire me e mio padre litigare. 
Con il senno di poi mi ero reso conto che, forse, mio padre avesse ragione( non toccando il vero motivo del suo categorico rifiuto riguardo al mio possibile allontanamento da casa, che lo soffocava dentro ogni  volta): non ero pronto per una vita fatta di viaggi senza potermi stabilire in una città per molto tempo, amavo e continuavo ad amare viaggiare, ma avevo bisogno di stabilità, sapere di avere una casa che mi aspettava alla fine di ogni viaggio, casa che, in realtà, non avevo mai avuto se non quella di un amico che mi aveva ospitato gentilmente. Ma non era la stessa cosa!
E chissà cosa avrà passato mia sorella in mia assenza, magari le cose erano peggiorate, benché io sia stato molto chiaro con quei ragazzini viziati, gli avevo detto che, se per assurda delle ipotesi, venivo a sapere che mia sorella sarebbe stata trattata male, mi avrebbero trovato fuori il portone di casa con le mani che pulsavano per la voglia di serrare loro un pugno in faccia. 
Sentendo la porta aprire e un -Sono tornato- di mio padre ci dirigemmo subito verso l'ingresso, abbracciandolo forte. 
-Ma sei scemo? Mi hai fatto preoccupare- lo riprese mia madre. 

POV TOULOUSE 
-Scusatemi se vi ho fatto preoccupare, non so cosa mi sia preso- risposi io, puntando lo sguardo sulla figura di Shade, lui, dal canto suo, restò appoggiato allo stipite della porta torturandosi le mani e fissare le scarpe. 
Mi avvicinai a lui sorridendo -Scusa Shade se sono scappato così, tu mi stavi parlando e io me ne sono andato. Perdonami!-- gli dissi io, mentre sul suo viso si fece spazio un largo sorriso, risposi con un altro sorriso
-Ti va di raccontarmi la tua storia?- gli chiesi con una punta di paura nella voce che sapevo non gli era fuggita. 
-Auler!- esclamò Rein guardando fuori la porta, riportai il mio sguardo su Shade che annuì quasi impaurito, per poi buttare uno sguardo su Rein e Auler che si abbracciano forte. –
Auler, ti ringrazio, vuoi rimanere a cena?- gli chiesi dandogli una leggera pacca sulla spalla, lui si voltò verso Rein che annuì contenta, mentre Auler si grattava la nuca accettando e chiedendo di fare una telefonata a casa per avvisare.
-Riprendiamo il nostro discorso?- mi rivolsi a Shade, poggiando le mia mani sulle sue spalle per accompagnarlo al piano superiore. 

POV SHADE E TOULOUSE
I due si poggiarono sul letto di Rein. Il silenzio regnava nella stanza, nessuno dei due voleva proferire parola. 
Perlomeno Toulouse non ne aveva il coraggio, al solo pensiero che il passato gli si potesse parare di nuovo davanti gli toglieva il respiro. 
Fu Shade a rompere il silenzio divenuto imbarazzante -Bé, ti ho detto tutto: sono italiano, vivo in Argentina perché una coppia mi ha adottato e poi portato lì per problemi di lavoro- chiuse lui il discorso, ma Toulouse non ne era soddisfatto. Oramai aveva preso il coraggio e voleva andare in fondo. Aveva bisogno di farlo, necessitava di mettere il punto a quella storia, se non fosse stato un lieto fine avrebbe smesso di sperare definitivamente.
Lo guardai attentamente: quei capelli corvini, quei vispi occhi blu gli ricordavano quel ragazzino e di certo non poteva essere una coincidenza,  Toulouse non ci ha mai creduto. Oltretutto le informazioni coincidevano.
-Sai, anche io ho la sensazione di averti già conosciuto- disse lui spostandosi di lato, prendendo il portafogli e porgendogli una foto di quel ragazzino che aveva tanto amato e che continuava ad amare.
Shade fissava la fotografia, provò a parlare, ma non riuscì. Non si sentiva bene: la stanza aveva iniziato a girare attorno a lui, i suoni che lo circondavano iniziavano ad arrivargli alle orecchie ovattati, la testa iniziava a scoppiare, e le parole gli morivano in gola, senza che lui potesse fare qualcosa per impedirlo. 
Alzò il suo sguardo su Toulouse, ma vedeva  tutto appannato, si rese conto che era a causa delle lacrime, perché, leccandosi le labbra, sentì un sapore salato pervadergli la bocca. 
-Questo sono io!- asserì Shade, furono le uniche parole che riuscì a dire, prima che un singhiozzo gli bloccasse la voce. 
-Tu, tu chi sei?- iniziò a sussurrare Shade, con lo sguardo basso -Perché non puoi essere tu, non puoi essere Lù- sorrise Shade, ma il suo era un sorriso amaro, che lasciava trapelare tutto il nervosismo che sentiva in quel momento. 
Toulouse, che era rimasto fermo e in silenzio, annuì, lasciando che le lacrime gli coprissero il viso. 
Si alzò di scatto, raggiunse Shade e lo afferrò per le spalle -Non incolparmi, ti prego!- iniziò Toulouse 
-Tu me lo avevi promesso. ME LO AVEVI GIURATO!- iniziò ad urlare, che importanza aeva se gli altri avessero potuto sentirlo. 
Shade era stufo di urlare in silenzio.
-Ascoltami, ti prego- lo implorò Toulouse 
-Cambierebbe qualcosa?- sussurrò lui tra i singhiozzi 
-Non lo so. Probabilmente no, ma voglio che tu mi ascolti. Perché ho sempre sperato di poterti avere davanti a me e raccontarti ogni cosa. E so che tu non mi crederai, ma ho bisogno di togliermi questo peso- rispose Toulouse portando un pugno sul lato sinistro del petto . 
-E perché sai già che non ti crederò?- 
-Perché può sembrare la solita scusa che si può utilizzare in questi casi, ma, credimi, è vero- rispose Toulouse. 
Shade rimse fisso a guardarlo negli occhi ormai inondato di lacrime e dirgli di no era l'ultima cosa che riusciva  a fare, perciò annuii tuffandosi sul letto, con lo sguardo perso nella fotografia che teneva gelosamente in mano. 
-Voglio partire dall'inizio, perché tu conosca la mia parte di storia- Shade annuì ancora rispondendo con un flebile -come vuoi tu- non che lui avesse voglia di ascoltare, il dolore ormai lo stava soffocando. Quelle spiegazioni le aveva aspettate tanto tempo fa, ma non erano mai arrivate e si era ormai rassegnato, capendo che doveva andare avanti con la sua vita. 
Certo, quella di scegliere l'Italia come meta per il suo scambio culturale non era stata una scelta saggia, soprattutto con la consapevolezza che sarebbe andato proprio a Firenze, la sua città natale. Forse in cuor suo aveva sempre sperato di incontrarlo di nuovo e magari aveva scelto l'Italia di proposito.
Da quando era partito era consapevole che avrebbe potuto, se non incontrarlo, almeno trovare qualcosa che lo ricordasse. Magari senza volerlo sarebbe potuto passare davanti al cancello di quel dannato orfanotrofio in cui si sentiva prigioniero ogni giorno in cui guardava dalla finestra famiglie che passeggiavano sbattendogli in faccia tutta loro felicità e il suono delle loro risate. 
I suoi ricordi amari vennero fermati da Toulouse che si lasciò andare sul letto affianco a Shade, sospirando leggermente e poi iniziò a raccontare quella parte di storia che Shade non aveva mai saputo 
-Quando sei arrivato all'orfanotrofio ho subito pensato che tu fossi speciale, forse perché avevi una grande somiglianza con me quando avevo la tua età. Quando eri entrato da quella porta ti avevo guardato e il cuore mi si era completamente fermato: eri così piccolo e indifeso; il tuo sguardo era triste, mentre dicevi agli altri che ti saresti fermato solo per poco tempo, perché convinto che tuo padre sarebbe tornato per riprenderti. Speravo con tutto me stesso che tuo padre tornasse, anche se in cuor mio sapevo che non lo avrebbe fatto, anche mio padre mi giurò che sarebbe tornato presto, ma speravo che per te fosse diverso.  Con il passare del tempo mi sono affezionato a te, ci siamo avvicinati e per me eri diventato un po' come un secondo figlio- Toulouse provò a continuare, ma l'urlo rotto dai singhiozzi di Shade lo frenò -Allora perché te ne sei andato? Perché hai fatto la stessa cosa che ha fatto mio padre? Te ne sei andato senza darmi una spiegazione con quel cavolo di 'torno presto a prenderti' a cui io ho creduto, di nuovo. Perché nonostante tutto ci ho creduto, perché ogni volta che tu mi abbracciavi avevo quella sensazione di protezione che nemmeno mio padre mi trasmetteva. Nonostante tutto ci ho creduto, probabilmente perché ero solo un ragazzino ignorante a cui bastavano solo due paroline dolci per tenerlo buono- Shade si interruppe affinché quelle lacrime, date dal cuore lacerato dal dolore, smettessero di farlo sentire ancora quel ragazzino debole che si faceva sopraffare dagli avvenimenti della vita. Avevo poco più di diciassette anni, ma aveva già imparato molto cose, come ad esempio che le persone scappavano, nonostante i giuramenti e le promesse fatte. E Toulouse ne era prova. 
I suoi pensieri vennero spezzati dalla parole di Toulouse -Vedi, io ero un uomo. Era da poco nata anche Rein e lo stipendio che prendevo all'orfanotrofio non mi bastava. Ho provato a fare anche un secondo lavoro, ma non era sufficiente; per me era fuori questione che Elsa andasse a lavorare, anche perché doveva badare a Rein e Christian e, oltretutto, sono sempre stato un uomo a vecchio stampo a cui non piace vivere con la consapevolezza di non essere abbastanza per mandare avanti la sua famiglia e dare alla moglie una vita da signora. Per questo ho cercato un buon lavoro che mi permettesse di mandare avanti la famiglia. Più in là però ho realizzato che ti avrei dovuto lasciare perché, non te lo nascondo, del resto non mi importava un fico secco, l'unico che mi tratteneva ancora in quella topaia eri tu. Parlandone con Elsa avevamo deciso che avrei lasciato l'orfanotrofio e che, tempo di uno o due mesi, il tempo di regolarizzare il bilancio della casa, avremmo potuto permetterci di adottare un bambino- Toulouse sospirò, mentre Shade alzò lo sguardo, che fino a quel momento aveva tenuto basso, per incatenarlo in quello dell'uomo che aveva di fronte a sé -Cosa?- L'unica cosa che riescì a dire, dentro di lui sentì un senso di inquietudine, possibile che si sarebbe ripulito la coscienza adottando chissà che altro ragazzino, mentre aveva lascio lui, Shade, in quel cavolo di posto orribile?
Come se Toulouse gli avesse letto nel pensiero,scosse la testa -Avremmo voluto adottare te. Le avevo parlato di te, di quanto tu fossi speciale e lei aveva acconsentito a farti venire a vivere con noi e crescerti come nostro figlio- riprese fiato -ma quando sono venuto a riprenderti, la direttrice mi aveva detto che non potevo perché tu non c'eri:  ti aveva già adottato una famiglia benestante che ti avrebbe fatto crescere nel migliore degli ambienti, dicendomi che per te era la cosa migliora. Non potevo non essere d'accordo con lei. Così ho lasciato andare, chiedevo sempre informazioni alla direttrice per sapere se stessi bene e ogni volta mi rispondeva che non eri mai stato così felice - concluse Toulouse. 
Shade, dal canto suo, non si mosse. 
Non riescì a credere che Lù, il suo Lù gli stesse mentendo. 
Lù, lo stesso uomo che lo teneva stretto a sé ogni volta che piangeva per una delle sue solite crisi. 
Lù, lo stesso uomo che gli teneva la mano quando andavano a giocare nel parchetto dell'orfanotrofio. 
Lù, lo stesso uomo che gli aveva insegnato ad andare in bicicletta senza le rotelle. 
Lù, lo stesso uomo che gli aveva insegnato a leggere e a scrivere, perché non riusciva a stare al passo con gli altri. 
Si alzò dal letto, desideroso di abbracciarlo, perché si dentro di lui voleva crederci, aveva bisogno di credergli, ma la sua parte razionale spingeva affinché lui non lo perdonasse. 
Oltretutto, si è detto, se doveva inventare delle storie che si facesse bene i calcoli perché lui era stato adottato molto tempo dopo. 
Lo ricordava bene perché non aveva la intenzione di andarsene da lì perché, anche se erano passati cinque mesi, lui ancora credeva che Lù sarebbe tornato a prenderlo per vivere una vita serena insieme, da far invidia al mondo intero. Non voleva allontanarsi da lì, ma dentro di lui la rabbia era cresciuta quando quella donna sulla cinquantina, che aveva sempre ritenuto come un  ranocchio troppo cresciuto e umano, gli aveva detto che se Lù avesse avuto veramente l'intenzione di andarlo a prendere, si sarebbe fatto vivo già da molto tempo. 
Così Shade non aveva fatto altro che crescere nella rabbia, amando incondizionatamente Maria e Daiki per averlo preso con loro e per non averlo mai abbandonato. Loro non gli avevano mai fatto promesse, si limitavano sempre a dire un semplice 'Sh, Ci siamo noi con te ora' sussurrato a un orecchio, quando si svegliava nella notte per uno sfogo di pianto. 
-Dovresti rifare bene i tuoi calcoli Toulouse. Io sono stato adottato molto tempo dopo che te ne sei andato- lo rimproverò Shade
-Cosa?- 
-Si, sono stato adottato cinque mesi dopo- asserì sicuro lui 
-Ma - 
-NO. Basta- lo ammonì Shade -Ora basta. Mi hai chiesto di ascoltarti e io l'ho fatto, adesso puoi andartene- Senza permettere a Toulouse di fare un altro passo lo invitò ad uscire, di nuovo, questa volta urlando, però. 
-Ti prego Teo, guardami- alzò la voce Toulouse, afferrandolo per le spalle e gli sollevò il viso per far incatenare i loro sguardi -Guardami!- ripeté lui 
-Dimmi, i miei sembrano occhi di chi mente? Guardami, pensi davvero che io ti stia mentendo? No, Teo non sto mentendo- lo pregò.
Shade dal canto suo rimase immobile. Tenne il suo sguardo incatenato a quello di Toulouse, non voleva far parte del debole, e se avesse abbassato lo sguardo sarebbe stata quella la figura che avrebbe fatto. 
Sentii l’urgenza di urlare che sì, gli credeva, che lo rivoleva con se, ma non voleva cedere, non di nuovo. 
Il cuore ormai aveva troppi cerotti e non c'era posto per un altro. 
Prese coraggio e strattonò via Toulouse che non reagì, cercò nello sguardo del ragazzo una possibile risposta, ma tutto ciò che ricevette fu un grido che lo pregava di uscire dalla stanza e lasciarlo solo.
Toulouse non poteva fare altro che uscire dalla stanza chiudendo la porta dietro di sé lasciandosi scivolare a terra con i gomiti impuntate alle ginocchia e il viso affondato tra le mani, cercò di soffocare i suoi singhiozzi. 
-Toulouse- lo chiamò Elsa
-E' finita. Speravo di riavvicinarlo, speravo di riaverlo con me, ma è finita- sussurrò per poi lasciarsi in un pianto liberatorio tra le braccia della moglie intenta ad accarezzargli i capelli per farlo calmare. 


POV SHADE 
Avrei voluto credergli davvero, ma come potevo farlo? 
Il mio cuore era troppo debole, e la mia parte razionale urlava dicendo che no, non potevo credergli. 
Eppure come poteva l'uomo che mi aveva trattato come un principe mentirmi? 
E mentirmi così bene? Mentre parlava cercavo di guardarlo negli occhi e avevo solo letto dispiacere, profondo dispiacere per avermi lasciato lì. 
Lui era stato un po' come un secondo padre. 
Quello naturale mi amava e lo sentivo. Lo sentivo quando mi abbracciava, sentivo che dalla pelle uscisse amore per me. Ero un bambino, ma queste cose un bambino le sente, le percepisce ed io capivo che mio padre mi amava. 
Anche se negli anni successivi non feci altro che odiarlo, con il senno di poi, capii che, semplicemente, non fosse capace di fare il padre, forse troppo preso dal suo amato lavoro. 
Era un pompiere, salvava vite umane ed era spesso in mezzo alla fiamme, in mezzo al pericolo e doveva passare molte ore fuori casa, forse lasciarmi in un orfanotrofio, con la speranza che qualcun altro potesse adottarmi, era stata la scelta più giusta. 
Poteva , però, risparmiarsi quel ' torno presto a prenderti' se sapeva che tanto non lo avrebbe fatto.
Poi era arrivato lui, Lù, ed  era come se la vita mi avesse dato una seconda opportunità per poter avere un rapporto padre-figlio che tanto sognavo la notte.  

-Ciao piccolo!- un uomo su una trentina di anni, capelli corvini e occhi blu capaci di farti affogare e farti sentire al sicuro allo stesso tempo, gli rivolse la parola per cercare di farlo sentire a suo agio in quel posto che di paradiso, come glielo aveva descritto suo padre, non aveva proprio nulla.
-Ciao.- rispose secco il ragazzino, incatenando il suo sguardo in quello dell'uomo. 
Il ragazzino guardò un attimo l'uomo che aveva davanti e un sorriso gli spuntò sul volto, nonostante, sin dal primo momento, si era prefissato di andarsene subito in camera sua, senza uscire ad eccezione per i pasti. Perché,davvero, allo stomaco non si comanda. 
Il padre glielo aveva sempre detto: puoi essere investito da chissà quale avvenimento, ma al cibo non rinunci proprio mai! 
-Come ti chiami?-
-Matteo- 


Appena arrivati in Argentina i miei genitori avevano letto questo nome e gli era piaciuto e io avevo chiesto se potevo chiamarmi Shade e loro acconsentirono. 
Ero arrabbiato col mondo, con tutti e, per me, il cambiamento di nome era come se stessi mandando al diavolo tutto.  Era come se mi fossi butta tutto alle spalle per iniziare un nuovo percorso.
I miei pensieri vennero interrotti quando sentii bussare alla porta , sussurrai un -avanti- Non avevo voglia di parlare, ma non eracasa mia e rifiutare una richiesta per entrare nella stanza era una forma di maleducazione e strafottenza, e a me, non apparteneva nemmeno una di queste caratteristiche. 
Una chioma rosa fece capolino dalla porta, con le mani tese in aria in segno di arresa 
-Non mi odiare, ma voglio parlarne- 
Mi scappò un mugugno di disapprovazione. 
-Posso solo immaginare come tu ti senta, ma ascoltami. Quello che ti ha detto Toulouse è vero- 
-Hai ascoltato?- le chiesi io, lei scosse la testa 
-Non ho bisogno di ascoltare, so che cosa ti ha raccontato, quel discorso l'ho sentito tutte le volte in cui lui sognava di averti davanti e spiegarti perché non è tornato- un singhiozzo fuggì al mio controllo 
-Senti Shade, io non sono nessuno per poterti dire cosa devi o non devi fare, ma una cosa posso dirtela: l'orgoglio non porta da nessuna parte - 
Uscii dalla stanza, lasciandomi di nuovo solo con i miei pensieri. 

Aprii cautamente la porta dirigendomi in sala da pranzo trovando il resto della famiglia attorno al tavolo, quando Elsa era uscita dalla stanza mi sono promesso di pensarci su, ma la mia mente era troppo annebbiata e il mio ragionamento non era stato propriamente lucido. 
Alla fine presila mia decisione e, dato che dovevo scendere per la cena, avrei fatto ciò che mi avrebbe dettato il cuore al momento. 
Anche se in quel momento il cervello mi stava dicendo di fare il sostenuto, il mio cuore già sapeva cosa fare, sapeva già che avrei voluto buttarmi tra le sue braccia e rimanerci per un po', giusto il tempo di riscattare gli anni persi. 
Le mie gambe, però, rimasero immobili.  Se solo il cervello e il cuore andassero d'accordo..
Forse la cosa migliore era aspettare dopo la cena? Ma se avessi aspettato, saremmo tutti in silenzio per la tensione. Forse la cosa migliore era togliersi il dente subito e vivere un momento di tranquillità, ma le mie gambe proprio non si muovevano, per non parlare delle parole che rimasero bloccate in gola permettendomi solo di mugugnare di assenso a qualche domanda che mi veniva posta da Elsa alquanto nervosa e imbarazzata. 
Quindi ricapitolando: le sorti di quella serata, che sarebbe dovuta essere tranquilla e leggera data la presenza di Aler.. Auer.. insomma di quel tipo, dipendeva da me? Aveva davvero un bella prospettiva davanti a me.. 

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Capitolo 16
*** Inizio da te ***


INIZIO DA TE 
Cambiare è difficile, non cambiare è fatale
 

POV REIN
 
Stranamente quella mattina mi ero svegliata di buon umore; succedeva veramente di rado, per questo quando capitava cercavo sempre di cogliere l'occasione per divertirmi e passare un po' di tempo al parco. Così mi alzai dal letto me ne andai in cucina a fare colazione e con lo sguardo cercai Shade nel salotto, ma non c'era.
-Mamma, ma dov'è Shade?- le chiesi, continuando a guardarmi intorno.
-E' a scuola. Sai, è l'ultima settimana e ha pensato di frequentarla per quel poco di tempo che gli era rimasto-.
Era rimasta solo una settimana e poi sarebbe partito di nuovo per l'Argentina.
Mi sarebbe mancato. Mi sarebbero mancate le nostre chiacchierate e delle parole che utilizzava per tranquillizzarmi quando ero preoccupata per mio padre.
In quelle due settimane aveva fatto molto per me, mi era sempre rimasto accanto, sorreggendomi quando ne avevo avuto bisogno, non sapevo come ringraziarlo.
Mi sedetti al tavolo e iniziai a bere il latte con un paio di biscotti
-Hanno parlato?- mia madre non aveva nemmeno bisogno di chiedermi a chi mi stessi riferendo
-No, Shade rimane ancora in silenzio. Certo, lo capisco, si sente ferito e tradito, ma tuo padre è sempre più afflitto. Questa notte non ha dormito- mi rispose.
Rimasi impalata a guardare la mia tazza di latte a rimuginare su cosa avrei fatto io al posto di Shade e cosa mi avrebbe potuto aiutare a prendere la decisione giusta. Volevo aiutarlo, questa volta toccava a me, sentivo che quella sarebbe potuto essere un ottimo modo per ringraziarlo.
-Mamma vado a farmi una doccia, e poi vado a farmi una passeggiata al parco.-
Andai in bagno, aprii l’acqua e mi rilassai sotto il getto d’acqua calda che mi scorreva sulle spalle.
Pensai a come erano andate le cose ultimamente.
Non potevo chiedere di meglio: Christian era tornato a casa, la mia famiglia era di nuovo felice e poi era entrato nella nostra vita Shade.
Certo, c’erano dei problemi, a cominciare dalle difficoltà di approccio che Chris aveva con Jhon. Non si erano mai visti ed era difficile per il piccolo abituarsi: era sempre stato un bambino timido, con un carattere schivo e una grande difficoltà nel lasciarsi andare con le persone. Mi chiesi come Shade avesse fatto ad ottenere la sua fiducia in così poco tempo; forse era per lo sguardo rapitore che aveva, forse per la sua simpatia e la sensazione di sicurezza che ti assaliva quando ti era accanto.
Nonostante il suo aspetto da ragazzo freddo, potevi sentire il suo calore avvolgerti.
 
Uscii dalla doccia e mi avvicinoai all’armadio per prendermi dei vestiti, afferrai l’intimo e diedi uno sguardo ai vestiti che avevo nell’armadio, tutti quei vestiti che avevo acquistato, ma che poi avevo abbandonato lì, con la paura e la vergogna di indossarli.
 
-Devi essere te stessa. Fa quello che vuoi fare, non porti limiti per la paura di ciò che gli altri potrebbero dire-  
 
All’improvviso la voce di Shade riempì la mia mente.
Qualche giorno prima mi aveva chiesto perché indossassi sempre gli stessi vestiti se nell’armadio ne avessi a bizzeffe e allora glielo avevo detto, avevo lasciato che le mie paure uscissero dalle mie labbra, avevo dato voce a tutti quei pensieri che mi affollavano la mente, e lui era lì, al mio fianco, ad ascoltarmi.
Aveva aspettato che finissi di parlare per dirmi che dovevo smetterla di preoccuparmi, che dovevo essere ciò che volevo essere, a prescindere da ciò che volevano gli altri.
 
Il mio sguardo venne catturato da qualcosa in particolare, lasciai sfuggire un sorrisino.
 
Forse lasciarsi andare non sarà poi così male.
 
La sicurezza che avevo cercato di prendere iniziò a vacillare, rimasi seduta sul bordo del letto cercando di calcolare i pro e i contro della mia scelta.
-Rein, dato che stai uscendo ti va di andare a prendere Jhon a scuola? Shade esce a mezzogiorno, potresti andare da lui, portarlo al parco e poi andare a prendere tuo fratello. Che ne dici?- mia madre mi riportò alla realtà. Pensai che se fossi rimasta vicino a Shade non avrebbe potuto succedermi nulla. Anzi, magari gli avrebbe fatto piacere vedere che avevo iniziato a reagire ai suoi mille discorsi sulla fiducia.
Afferrai gli shorts di jeans neri, la maglia bianca e un paio di converse dello stesso colore. Mi guardai allo specchio e le mie labbra si aprirono in un piccolo sorriso, mi guardai i capelli e mi feci una treccia laterale.
Andai in bagno per darmi una sciacquata al viso, mi voltai e vidi la matita per gli occhi che usava sempre mia madre, decisi di usarla.
Al diavolo le chiacchiere della gente!!
 
Mi guardai di nuovo allo specchio del mio armadio e per un attimo pensai di essere completamente impazzita. Dove avrei trovato lo trovo il coraggio di uscire di casa così?
-Rein – mia madre se ne stava appoggiata allo stipite della porta intenta a guardarmi con un sorriso compiaciuto sul viso, si avvicinò e posò le mani sulle mie spalle –Tesoro, sei stupenda. È da tanto che non ti vedevo vestire in modo particolare- sorrise -Non sarà che la presenza di Shade ti stia facendo bene?- insinuò lei
-A cosa ti riferisci?-
-Beh, da quando lo hai incontrato ti vedo ogni giorno sempre più serena. Sorridi di più e ti apri con le altre persone. Se l’incidente di tuo padre fosse capitato mesi fa, non ti saresti mai azzardata a scherzare con i dottori- si fermò e sospira profondamente, mentre io la guardavo attentamente inclinando un po’ la testa
-Rein, so che hai sempre pensato che io non sapessi cosa ti passasse per la testa, ma non è così. Speravo ogni giorno che tu mi venissi a parlare e ho cercato di fare qualcosa per sollevarti il morale nonostante le mura che ti sei alzata attorno. Ed ora posso solo che ringraziare Shade. Guardati allo specchio, guarda quanto sei bella, e convincitene; sorridi, cammina per strada a testa alta e sii fiera di te- mi madre continuò a guardarmi negli occhi con il sorriso stampato sul viso –non piangere ti cola la matita, non lo sai, ma con l’acqua e le lacrime cola tutto. Purtroppo non ho ancora comprato il trucco waterproof- disse lei in un sussurro gioioso.
-Waterproof?- chiesi io
-Si, il trucco resistente all’acqua- spiegò lei
-Ah!-.    
 
 
Continuavo a chiedermi da dove avessi trovato il coraggio di uscire così. Perché davo sempre retta a quella pazza di mia madre? Mi sedetti sulla panchina proprio davanti al cancello della scuola a leggere un libro, aspettando che Shade uscisse di scuola.
Sentii la campanella in lontananza: erano circa cinque mesi che quella campanella era una tortura per i timpani di noi ragazzi, ma ancora non avevano deciso di sistemarla, mi avvicinai al cancello in modo che Shade mi vedesse subito.
Un onda di ragazzi uscì da scuola urlando di felicità, il Lunedì era finalmente finito.
- Rein - mi sentii chiamare, ma non avevo proprio voglia di guardarlo in faccia.
- Mattia – lo chiamai io laconica – Che vuoi? – gli chiesi
- Lo sai che mi sei mancata?- sogghignò lui
- Lo immagino-
- Dico davvero- rispose lui
-Senti, non fare i tuoi soliti giri di parole, arriva al dunque: sputa il tuo veleno e vattene. Fa in fretta!- lo incitai io.
- Wow, non ti ho mai visto così ben vestita. A cosa è dovuta tutta questa cura nel vestirti. Aspetta, ti sei messa anche del trucco?- stavo per rispondere, cercai il fiato per sputare quel veleno che mi tenevo da un po’ di tempo ma lui mi aveva preceduta
- Non dirmi che hai un appuntamento- mi chiese lui, poggiandosi una mano sul petto, stavo per rispondere, quella volta il coraggio l’avevo trovato, ma un’altra voce, questa volta molto più gradevole raggiunse le mie orecchie
-Allora non sei tanto stupido. Quando ti ci metti riesci a ragionare- mi voltai e davanti c’era Shade, bello come al solito nei suoi jeans neri e maglietta bianca con lo scollo a V. Non riescii a trattenermi e mi scappò un sorriso, lui si avvicinò a me e mi stampò un bacio sulla guancia – Ciao Rein – mi salutò lui, io gli sorrisi, mentre lui avvolgeva il suo braccio attorno alle mie spalle.
- Qualche problema?- si rivolse a Mattia, che nel frattempo era rimasto in silenzio. Io non avevo mai avuto un appuntamento, ero sempre stata la solita ragazza alla quale piaceva leggere, che agli occhi degli altri appariva come quella che vuole estraniarsi dal mondo.
-Uh, la nostra piccola Rein si è svegliata. Peccato che non è ancora capace di difendersi da sola- provocò di nuova Mattia
- E perché dovrebbe farlo? Sta sicuro che un giorno lo farà, ma adesso non ne ha proprio bisogno.-
Al suono delle sue parole sia io che Mattia gli rivolgemmo uno sguardo interrogativo, lui semplicemente scrollò le spalle regalandomi un sorriso
-Perché dovrebbe averne se ci sono io a difenderla? – gli sorrisi, poi  riprese a parlare, prima che Mattia lo possa interrompere – Non ci sarò per sempre, questo non è un segreto, ma quando me ne andrò sarà già capace di difendersi da sola. Anzi già ne è capace, non prenderti tutte queste pene. –
In lontananza gli amici di Mattia lo chiamarono per poter andare a casa, lui non riuscì a rispondere: rimase impalato davanti a noi, incapace di poter pronunciare alcuna parola, troppo preso a pensare ad una possibile risposta
-Vai, non farli aspettare. E prima di andartene, ti consiglio di tenere a freno quello lingua e di starle alla larga – concluse.
E prima che Mattia, potesse replicare gli voltò le spalle e mi portò via.
 
-Grazie- sussurrai io, forse neanche mi aveva sentito
-E di cosa?-
-Di tutto. Di tutto quello che fai per me. Non puoi immaginare quanto tu mi sia stato d’aiuto in questo periodo. Anche mia madre ha notato il mio cambiamento: quando mi ha vista vestita così, è quasi scoppiata in lacrime.
- Mi fa piacere. Ti stai scoprendo poco a poco, stai capendo che non è poi così tanto male valorizzarti sia fisicamente – disse indicandomi – sia caratterialmente-
- Come fai a dirlo? Cioè, si, fisicamente forse, dato come mi sono vestita così, ma come fai parlare di un cambiamento nel carattere? Non hai visto prima? Davanti a Mattia sono rimasta in silenzio – alzai lo sguardo incrociando il mio sguardo con il suo.
Perché cavolo l’avevo fatto? avevo sempre amato i suoi occhi, ma riusciva a farmi sentire nuda, riusciva a scovare ogni mia piccola parte di me. Ogni volta che i nostri sguardi si incrociavano era come se mi scrutassero.
-Ho sentito tutta la conversazione, e tu gli hai risposto, non sottovalutarti- mi sorrise -Sai Rein, alle volte non servono le parole, basta uno sguardo; e prima il tuo era uno sguardo di una persona determinata. Una persona che è stanca di starsene zitta, che vuole farsi sentire, che vuole farsi notare. I veri cambiamenti, i cambiamenti importanti avvengono poco a poco. Ora basta solo che tu prenda un po’ di coraggio e cacci fuori la voce. Non pensare che a nessuno importi cosa hai da dire, hai una tua opinione? Perfetto, dilla: fa capire agli altri che ci sei, fisicamente e anche mentalmente, fa capire che ci sei, ma che,soprattutto, vuoi esserci- annuii impercettibilmente. Forse, se avessi fatto valere le mie ragioni, le mie opinioni si renderebbero conto che anche c’ero, che non volevo estraniarmi dal mondo.
-Posso iniziare con te?- gli chiesi
-Come?-
-So che probabilmente non vuoi parlarne, ma voglio esprimere la mia opinione, me lo hai detto tu che devo farlo –
-Vai, allora – mi incitò lui con un sorriso.
-So che sei ferito, posso immaginarlo, capisco che hai bisogno di tempo per assimilare ciò che ti ha detto mio padre, ma credimi se ti dico che lui è davvero dispiaciuto di tutta questa storia. Quello che ti ha detto non sono bugie. Te lo dico perché la storia la conosco, la tirava sempre in ballo Chris ogni volta che litigava con mio padre, dicendogli che se tanto voleva il figlio perfetto poteva tornare a cercarti a prenderti in casa. Mio padre me l’ha raccontata la storia, Shade, e lo ha fatto con le lacrime agli occhi. Lo ha fatto con le lacrime di chi, se avesse potuto, sarebbe tornato indietro per cambiare le cose. Non voglio obbligarti a perdonarlo, voglio solo che tu non abbia alcun dubbio sulla sincerità di ciò che ti ha detto-
-Non metto in dubbio che lui mi abbia detto la verità, è che sono confuso. Non so se perdonarlo- mi disse lui
-Shade, l’orgoglio non porta da nessuna parte. Basta guardare mio padre e mio fratello che non si sono parlati per tanti anni- lui scosse leggermente il capo, alzò lo sguardo, mentre gli rivolsi uno sguardo interrogativo
-Se io lo perdonassi, non significa che io rimanga qui. E se lui, col mio perdono si aspettasse che io resti ? Io partirei comunque, devo..voglio tornare in Argentina. Lì c’è la mia casa, la mia famiglia i miei amici. Rein, lì c’è la vita che mi sono costruito in questi anni e non ho proprio l’intenzione di lasciarla. Toulouse è parte fondamentale della mia vita, questo lo so, ma sono i miei genitori in Argentina che mi sono rimasti affianco nei momenti peggiori. Non credere che per me sarà facile, qui c’è Toulouse, ci sei tu. Poco a poco mi sono affezionato a te, ma ho bisogno anche di loro. Soprattutto di loro-
-Se ti dicessi che voglio che tu parta, mentirei. Vorrei che tu restassi qua, con me. Tu hai tirato fuori la parte migliore di me, hai tirato fuori la mia voce, la voce che tenevo dentro e che lentamente mi stava consumando e vorrei averti affianco a me per molto altro tempo, ma sarebbe da egoista. Se sapessi che per te varrebbe la pena stare accanto a me, te lo chiederei. Non lo faccio, perché so che il bisogno che ho io di averti accanto, non lo hai tu-
-No, Rein. Ne vale la pena. Vale la pena restare qua per te, ma sarei io l’egoista nel privare i miei genitori di avermi accanto. Lo sai, non sono una persona sentimentale, non mi faccio trasportare dai sentimenti; rifletto sulle conseguenze delle mie azioni. Rein, ti ho incontrato da quanto una, due settimane?  Non posso preferire te a delle persone che mi sono state vicino, che mi hanno tenuto con loro nonostante i miei continui rifiuti. Perché in fin dei conti, io vorrò sempre tornare a casa, a casa dei miei genitori-
-Shade, mi stai dicendo che resteresti? Resteresti per me?-
-Certo, Rein. Resterei per te- mi prese la mano, stringendomela forte – Resterei accanto a te, per aiutarti, sostenerti e per non lasciarti per molto tempo-
 
 
 
 
 
 
Mi sdraiai sul letto, ripensando alle parole di Shade.
Aveva detto che io valevo la pena di restare. Improvvisamente sentii il rumore di un tuono, guardai fuori la finestra e notai un lampo illuminare tutta la cameretta.
Mi coprii il viso con la coperta, ma sorrisi.
Stranamente, per me era qualcosa di rilassante; copriva il rumore dei miei pensieri e mi distraeva. 
 
-Buongiorno Rein- mi salutò Chris, gli rivolsi un sorriso e gli risposi –Buongiorno-
Lo vidi prendersi un po’ di latte dal frigo mentre mia madre entrò nella cucina –Rein potresti andare a chiamare Shade?-
La guardai accigliata –Come, non è andato a scuola?-
Mia madre mi sorrise –No, povero ragazzo, non è riuscito a svegliarsi per la stanchezza- Io e Chris la guardammo con uno sguardo interrogativo
-Con quel temporale Jhon si è spaventato ed è corso in camera da Shade per dormire con lui. Povero ragazzo, non lo ha fatto dormire tutta la notte- sospirò mia madre –ha detto che gli piace parlare con Shade e che ieri sera con il rumore dei temporali non aveva sonno-.
Scoppiammo tutti a ridere, quel bambino era un birbante.
-Essi, non so cosa lo trattenga qui. Sarei già scappato se fossi stato in lui- si intromise mio padre, facendomi l’occhiolino.
Quando mio padre faceva l’occhiolino c’era sempre qualcosa che doveva dire per imbarazzare.
Mi alzai dalla sedia –Vado a svegliarli- e mi diressi verso le scale per raggiungere la stanza dove dormiva Shade.
Mi avvicinai alla porta e, con molta lentezza, aprii la porta.
La scena che mi ritrovai davanti era, di sicuro, la cosa più dolce che io avessi mai visto nella mia breve vita: Jhon aveva gli occhi chiusi, in posizione fetale, quasi a formare una palla, mentre stringeva tra le mani la maglietta leggera che indossava Shade. Mio fratello aveva la testa nascosta nell’incavo del collo di Shade, mentre, quest’ultimo, aveva il braccio avvolto al suo corpo, il mento appoggiato sulla testa di Jhon e la guancia premuta contro il cuscino bianco. Jhon aveva un’espressione decisamente rilassata, come se niente possa scalfirlo, mentre Shade aveva la mascella serrata.
Chissà, magari sta sognando qualcosa.
Sorrisi, mi diressi in camera mia, presi il telefono e tornai nella stanza e scattai una foto.
Posai di nuovo lo sguardo sulla figura di Shade: i suoi capelli erano scompigliati e qualche ciocca ricadeva morbida sulla sua guancia un po’ tonda, ora rilassata mentre formava un sorriso dolce;
aveva una maglietta bianca che gli ricadeva morbidamente sul petto e.. Aspetta! Era in mutande! Non aveva i pantaloni!
Il mio sguardo si abbassò sulle gambe nude di Shade: ha le cambe piuttosto lunghe e ben definite, come se passasse del tempo ad allenarsi e hanno un colorito scuro data l’abbronzatura.
In un momento sentii le guance andare a fuoco e la voglia di scappare dalla stanza mi stava assalendo, ma mi ripresi quando sentii un mugugno provenire da mio fratello, che, lentamente, iniziò ad aprire gli occhi.
Mi avvicinai al letto scuotendo entrambi per farli svegliare.
Jhon rafforzò la stretta sulla maglia di Shade, cercando di accoccolarsi ancora di più al suo petto, mentre il sorriso sulle sue labbra si allargava ancora.
 
Diedi uno sguardo a Shade e sorrisi.
Era entrato così velocemente nelle nostre vite, forse prepotentemente. Mi chiesi cosa avremmo fatto la settimana prossima, quando lui se ne sarebbe andato e noi saremmo rimasti qui.
Forse Jhon si sarebbe abituato, era piccolo e avrebbe avuto comunque Chris. Ma io?
Amavo Chris, cavolo se lo amavo, ma sentivo il bisogno di qualcosa che sapevo Chris non mi avrebbe mai potuo dare
  

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Capitolo 17
*** Sono l'unico? ***


SONO L'UNICO?
Ti prego apri il tuo cuore chiuso, spegni il fuoco del mio cuore
POV REIN
-Senti Shade, dato che oggi resti a casa, che ne pensi di andare a quel bar di cui ti ho parlato l’altra volta?- gli chiesi mentre beveva il suo latte
-Certo, vado a farmi la doccia e poi andiamo- rispose lui, io annuii
–vado a vestirmi- dissi.
Entrai in camera e frugai nell’armadio in cerca di qualche vestito decente. Da quando Shade mi aveva fatto i complimenti per i vestiti, non aveva fatto altro che pensare a quanto potesse essere bello sentirselo dire tutti i giorni. Ricevere complimenti da lui mi fece sentire speciale, un brivido mi scorreva lungo la schiena, le gambe diventavano deboli e il respiro mi si bloccava in gola, rendendo impossibile poter pronunciare anche solo un ‘Grazie’.
Mi preparai e mi sedetti sul bordo del letto, sentii bussare alla porta
–Avanti- dissi.
La porta si aprì e vidi la testa di Shade fare capolino.
Gli sorrisi –Andiamo?- disse lui, io annuii.
 
POV SHADE
Uscimmo di casa chiudendoci la porta dietro di noi.
Dovevamo andare al bar di cui mi aveva parlato.
Ci incamminammo, in lontananza vidi un bar talmente piccolo da passare facilmente inosservato.
Aprii la porta facendola passare, un odore di caffè mi riempì le narici.
Mi guardai intorno meravigliato: alla destra c’erano delle poltroncine vissute, quasi lacerate, tavolini scuri stile vintage, in fondo alla stanza c’era un tavolino dove vi era poggiato un giradischi anni ’70.
Anche il bancone del bar era di un legno scuro, dava l’idea di essere stato esposto agli agenti fisici e al tempo.
Il mio sguardo si posò su Rein, non avevo fatto caso al modo in cui era vestita.
Il giorno mi aveva piacevolmente sorpreso quando l’avevo vista vestita in modo curato, mi aveva fatto credere che le mie parole non erano rimaste sospese in aria.
Sorrisi soddisfatto.

Ero io che le sollevavo il morale.
Ero io che la facevo sorridere.
Ero io che la facevo ridere.
Ero io che le facevo vedere il mondo in modo diverso, in un’altra prospettiva; probabilmente in una prospettiva migliore rispetto a quella con cui era solita guardarsi intorno.
Mi chiedevo, però, se ci fosse qualcun altro capace di farla sentire come la facevo sentire io. Ad esempio, Auler. Sì, lui riusciva a farla sentire bene? Riusciva a strapparle quella risata sincera capace di riempire tutto lo spazio che la circonda? Riusciva a farle dimenticare del mondo intorno a lei?


-Chi lo avrebbe mai detto che la tua risata era così rumorosa- esclamai io
-Non lo sapevo nemmeno io. Sei tu! Tu tiri fuori la parte migliore di me. Mi fai ridere con il cuore, non solo con le labbra. Mi fai dimenticare di tutto ciò che c’è intorno a me. Quando ci sei tu il mondo non esiste- 
-Il mio obiettivo è sentirti dire: il mondo è un posto migliore.- le risposi io.
 
-Mi è sempre stato vicino, aveva sempre cercato di sollevarmi il morale- mi aveva detto, questo significava che la faceva ridere? Sapere che lei non era mai stata sola mi faceva piacere, ma, allo stesso tempo, sentii un macigno alla bocca dello stomaco.
Sentii lo stomaco chiudersi, un nodo alla gola, un senso di fastidio.

Che cavolo..? 

-Ehi Shade, vieni?- la voce di Rein mi riportò alla realtà. Le sorrisi e mi avvicinai al bancone sorridendo gentilmente al signore che dava il benvenuto nel suo locale.
- Vedo che c’è un nuovo cliente- sorrise l’uomo
- Sì, si chiama Shade- rispose Rein
- Piacere Shade, sono Mario – si presentò lui
-Piacere mio. Complimenti per il locale, è davvero molto bello. Il giradischi funziona? – chiesi io
-Magari. E’ lì per scenografia- rispose lui mimando le virgolette alla parola ‘scenografia’.
-Capisco. Ho sempre voluto ascoltare un vecchio disco con quello!-
-Mi dispiace non poterti accontentare, ma è molto vecchio. Apparteneva a mio padre, probabilmente è già un  miracolo che non si sia rotto anche al livello estetico. Quell’uomo, che riposi in pace, era talmente maldestro- sospirò lui. Gli sorrisi, era un signore davvero simpatico.
-Mi dispiace!- dissi, riferendomi alla perdita del padre
-Sei davvero sveglio, ragazzo. E anche molto educato. Quando ne parlo se ne fregano tutti!- disse con un sorriso amaro sulle labbra – anche coloro che sanno quanto fossi affezionato a lui- continuò poi.
-Ma non pensiamo a cose tristi, cosa vi servo ragazzi?- cambiò repentinamente discorso.
Rein lasciò un sospiro di sollievo, non le piacevano questo tipo di discorsi.
-Mmh.. abbiamo già fatto colazione- risposi io
-Allora a cosa siete venuti a fare se non prendete niente?- Chiese alzando un sopracciglio, io scrollai le spalle indicando Rein con il pollice.
Lui sorrise gentilmente –Posso darvi, almeno, un cornetto?-, mi voltai verso Rein che sorrise –che domande sono? Un cornetto da te non si rifiuta mai- rispose lei
-Per questo mi piaci, hai sempre avuto buon gusto- disse lui
-Vedo che oggi siamo modesti- ironizzò Rein, mentre Mario prese dei cornetti e ci fece segno di accomodarci.
-Sapete cosa, mi state simpatici, vi faccio compagnia- disse prendendosi un cornetto e poggiandosi sul bancone.
Rein ride –Beh, sentirselo dire adesso, dopo circa tre anni che frequento questo posto, è un po’ deprimente. Non credi?- chiese lei, mentre Mario le sorrise facendo un occhiolino.
 
 
Ci trovammo talmente bene a parlare insieme che arrivammo a mezzogiorno senza accorgercene, nonostante il viavai dei clienti.
Io e Rein non ci decidevamo ad andarcene e lui non aveva intenzione di mandarci via.
Io e Rein, guardandoci, prendemmo la tacita decisione di andarcene. Era mezzogiorno, mancavano solo due ore alla fine della scuola e il bar si sarebbe riempito in poco tempo, questo significava acidità gratuita. I ragazzi  reduci da sei ore di lezione non erano molto cordiali, sarebbero stati capaci di mandarti a quel paese anche se gli avessi colpito la spalla per sbaglio. Quindi sì, era meglio evitarli.
Stavamo per uscire dal bar quando una voce familiare salutò Rein –Ehi Rein, che ci fai qui?- 

Fa che non sia lui, fa che non sia lui, fa che non sia lui.

-Auler! Non dovresti essere a scuola?- chiese Rein.
Me lo chiedevo anche io
-Dovrei, ma alcuni professori mancavano e grazie alle ore anticipate siamo potuti uscire due ore prima. Queste sì che sono fortune- disse facendole l’occhiolino.
Sarei crudele se gli consigliassi di evitare, dato che non è capace?  
-Si può sapere perché i miei, di professori, non mancano mai? - replicò Rein
-Tutta questione di fortuna di noi studenti e di anticorpi deboli dei professori- rispose lui.
-Ciao Auler- salutai io, il più dolcemente possibile.
Tra me e lui non scorreva buon sangue, alla cena che abbiamo avuto a casa di Rein c’era questa specie di tensione tra noi, molto volte Toulouse ha dovuto riempire il silenzio imbarazzante che si creava ogni volta che uno di noi provava a parlare con Rein. In tutta sincerità, a Toulouse, non erano neanche sfuggite le lunghe occhiatacce che ci mandavamo durante la cena.
Era ovvio che Auler provasse qualcosa per Rein, ma mi chiedevo se lei lo corrispondesse. Cosa provav per lui?  E per me, cosa provava?
Gli sguardi, le espressione facciali erano completamente diversi tra quelli che riservava a me e quelli che riserva ad Auler. Ad essere onesto non sapevo neanche perché mi interessassi così tanto, dato che tra una settimana me ne sarei ritornato in Argentina e, con tutta probabilità, non l’avrei più rivista.
Al solo pensiero mi si contorce lo stomaco.
Sono pronto a lasciarla qui? Sono pronto a lasciare qui Toulouse?

Era possibile che Toulouse avesse ragione? Era possibile che io provassi qualcosa per lei? Dopo così poco tempo?
Era vero, avevamo passato molto tempo insieme, ci eravamo avvicinati in un periodo difficile per entrambi perché, nonostante ancora non sapessi chi fosse Toulouse, per me era stato un momento difficile-, ma erano passate pur sempre due settimane. Si potevano sviluppare dei sentimenti in così poco tempo?
-State andando via?- chiese lui gentilmente. Alzai lo sguardo, che non sapevo di aver tenuto basso fino a quel momento, verso di lui che stava sorridendo dolcemente guardando Rein.
Ovvio, cosa pensavo potesse fare? Forse era un caso disperato.
-In realtà sì. Pensavo, però, che potremmo sederci e chiacchierare un po’, dato che sei qui. Che ne dici?- domandò lei, mentre lui arrossì.
No, era decisamente un caso disperato.
-Vabbè, allora vi lascio chiacchierare. Vado a casa- dissi grattandomi il collo in imbarazzo
-No, resta!- rispose lei, il sorriso che si era aperto sul viso di Auler si era spento, mentre mi rivolse uno sguardo truce. Rein si voltò di spalle per sedersi al tavolo; mi girai verso Auler e mi stampai sul viso un ghigno da vincitore e andai a sedermi.
 
 
 
Avevamo passato due ore a chiacchierare.
O meglio, io ero rimasto in silenzio ad ascoltarli parlare mentre Auler tirava fuori episodi del loro passato ‘siamo amici da così tanto tempo e ne abbiamo combinate tante’ continuava a ripetermi.
Avrei voluto rispondergli, magari con un: ‘Ci credo, con la faccia da broccolo che ti ritrovi non stento a crederci’.
Continuava a pavoneggiarsi di quanto piacesse a entrambi passare del tempo insieme, tanto da rimanere al parco, nonostante il resto del gruppo di amici se ne andava a casa.

Ma a me va decisamente meglio, Rein mi viene a cercare per poter parlare.

Diceva di conoscere talmente bene Rein da sapere che quando è giù di morale non vuole nessuno intorno.

In quei momenti quando io l’abbracciavo non mi spingeva via. Quando cercavo di dargli spazio e tempo, lei mi prendeva per mano chiedendomi di restare.

Continuava a dire che quando lui l’abbracciava, lei arrossiva dicendogli che le piacevano i suoi abbracci.

Ma quando l’abbraccio io, lei mi dice che, dei miei, ne ha bisogno.

Continuava a dire di come lei rideva sempre, quando era con lui.

Ma quando sta con me il sorriso raggiunge anche i suoi occhi, lo fa anche con te?
 
Ad ogni episodio che mi raccontava, io ne avevo uno con cui poter rispondere. Eppure ero rimasto in silenzio, aspettando che Rein dicesse qualcosa.
Aspettavo che Rein mi desse qualche suggerimento che mi confortasse, che mi dicesse che le giornate passate con lui non erano niente paragonate a quelle passate con me.
-Scusa Shade- la porta si aprì lentamente e una testa blu fece capolino, sorrisi
-Ehi Rein, dimmi-
-Senti, volevo chiederti se stessi bene. Oggi al bar non mi sembravi raggiante come al solito.-
-Oh, niente. Avevo solo un po’ di sonno tutto qui- risposi io
-Non ti piace eh?-
-Uh?- mugugnai io
-Auler. Non ti piace- rispose lei
-Non è quello. È solo che.. abbiamo due caratteri diversi- risposi io
-Lo so, siete uno l’opposto dell’altro. Non ho la più pallida idea di come io riesca ad andare d’accordo con tutti e due- scrollai le spalle
-Bè, con me vai d’accordo perché sono meraviglioso- risposi io facendogli l’occhiolino
-Questo è certo- rispose lei sorridendo
-Mi sento preso in giro- borbottai io
-Ma no- disse lei avvicinandosi al letto e poggiandomi il braccio sulle spalle –non ti sto prendendo in giro, sei davvero fantastico- continuò stampandomi un bacio sulla guancia.
-Anche a lui dai i baci sulla guancia?- chiesi con un sopracciglio alzato, lei si grattò nervosamente i capelli guardando in basso mugugnando qualcosa
-Scusami, puoi ripetere?- chiesi io
-No, a lui non do baci sulla guancia- rispose lei
-E dove?- chiesi io alzando la voce
-In che senso ‘dove’? Da nessuna parte. Non gli do baci, se non per salutarlo- rispose lei con le guancie arrossate.
Sorrisi mentre lei mi guardò accigliata –Allora è vero? Ti sta antipatico?!- disse lei sconcertata
-Sarebbe un delitto?- chiesi io
-No, è normale non nutrire simpatia per una persona. Solo che mi sembri un fidanzato geloso- disse lei facendomi l’occhiolino
-Cosa?- chiesi io
-Che.. no, niente. Ritiro quello che ho detto. Devo andare- disse uscendo dalla camera.
Cosa aveva appena detto? Io non.. non poteva essere, insomma..
-Shade, ti va di venire con me e Chris a fare due palleggi al parco?- chiese Jhon irrompendo in camera mia. Ci riflettei, forse avevo bisogno di distrarmi.
-Si, certo- risposi sorridendo.
Sì, avevo bisogno di distrarmi. Questa era tutta colpa di Toulouse, era impossibile.
 
 
Avevamo appena finito di mangiare, e non avevo parlato con Rein da quel pomeriggio, dall’episodio in camera.
Mi dispiaceva non averci ancora parlato, sembrava spaventata come se avesse detto qualcosa di sbagliato e non era così.
Aveva solo detto la verità, anche io mi eroreso conto di sembrare il fidanzato geloso che non riesce ad accettare che la propria fidanzata possa avere contatti con qualsiasi altra forma maschile presente sulla terra. Ed era sbagliato, tremendamente sbagliato.
Per prima cosa, non era la mia fidanzata e secondo, anche se lo fosse stata, non era certo di mia proprietà. Avrebbe avuto comunque il diritto di dialogare con altre persone, che poi queste non mi andavano a genio era un altro tipo di maniche. Suppongo.
Salii le scale per andare in camera e la vidi uscire dal bagno.
-Rein posso parlarti?- le chiesi con voce bassa, lei annuì tenendo lo sguardo basso; le poggiai un dito sul mento e le alzai la testa
-andiamo in camera mia?- chiesi io, lei annuì rimanendo ancora i silenzio.
 
Entrammo in camera e mi chiusi la porta dietro le spalle. Di solito non mi chiudevo in camera con una ragazza, soprattutto a quest’ora e a casa sua, ma sapevo che lei preferiva così infatti
-Grazie- disse lei sottovoce
-Senti Rein, è da oggi che sei strana. Mi spieghi perché hai reagito così?- le chiesi io poggiandole una mano sulla spalla
-Io.. ho capito solo dopo di aver esagerato. Perdonami- rispose lei con voce tremante
-Non devi scusarti- risposi io
-Come?-
-Non devi scusarti, sono io che devo farlo. È vero ciò che hai detto, mi sono comportato come un fidanzato geloso- risposi, già mi sentivo debole sulle ginocchia, aveva il respiro bloccato in gola, sentii il palmo della mano sudare e l’asciugai sui pantaloni del pigiama.
Continuai a guardarla negli occhi fingendo quella sicurezza che in realtà non avevo e istintivamente portai la mano sulla sua guancia, accarezzandola con il pollice
-E..e a..allora perché? Insomma, p..perché ti sei comportato così- balbettò lei
-Se ti dicessi che non lo so mi crederesti?- gli risposi io, lei annuì più per circostanza che per altro.
Mi avvicinai a lei, mentre le mie gambe diventavano sempre più deboli, il fiato bloccato in gola,il cuore che batteva all’impazzata quasi a volermi uscire dal petto, le mani tremolanti. Non potevo crederci, non potevo credere a ciò che stavo per fare. Era un sogno, era tutta fantasia io non la stavo per..
Tagliando ogni mio pensiero, ogni mia preoccupazione e con la speranza in petto che lei non si spaventasse, posai le mie labbra sulle sue. Inutile raccontare tutte quelle sensazioni che stavo provando, sarebbe solo una ripetizione del solito cliché scritto sui libri o che si vedono in quelle odiose soap in tv; eppure non riuscivo a ignorare le farfalle allo stomaco, la mia pelle bruciare, i brividi che attraversavano la spina dorsale e le pelle d’oca.
Lei non si spostò, rimase ferma con le braccia perse lasciate mollemente lungo i fianchi, sentii le sue labbra stendersi in un leggero sorriso. La strinsi per la vita e l’avvicinai a me, reclinai la testa per approfondire il bacio. Sentivo il suo cuore battere, sentivo il suo cuore esploderle nel petto.
Mi staccai dopo pochi secondi, con la paura di aver esagerato. Poggioai la mia fronte sulla sua sorridendo
-Ho una gran confusione-
-In testa?- chiese lei, scossi la testa
-No, qui!- le presi la mano appoggiandola sul mio petto, sul cuore che batteva all’impazzata. Riusciva a sentirlo? Lo sentiva quanto batteva forte?
 
Forse sono un caso senza speranza.

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Capitolo 18
*** I want hold your hand ***


I want hold your hand
I’ll tell you something, I think you’ll understand, when I say that something I wanna hold your hand!
Oh, please say to me you’ll let me be your man and please, say to me you’ll let me hold your hand!

 
POV SHADE
Provai a riordinarmi i pensieri, ma non riuscii a giungere ad una conclusione. 
Per quanto non mi pentissi del bacio, avevo una gran confusione. Rein era stata molto chiara, provava qualcosa per me, e, per quanto cercassi di buttare nella parte più remota della mia mente il fatto che provassi qualcosa nei suoi confronti, non riuscivo. Eppure sapevo di doverlo fare, mancavano pochi giorni al mio ritorno a casa e sapevo che l’avrei lasciata lì. Certo, potevo comunque e venirla a trovare appena potevo, non sarebbe stato di certo un addio, ma sarei stato in grado di sostenere una relazione a distanza? Cosa più importante, volevo avere una relazione con lei? E ancora, lei voleva avere una relazione con me?
Perché per quanto le risposte a queste domande fossero chiare e limpide nella mia mente, se c’era una cosa che avevo imparato era non dare niente per scontato.
Erano passate cinque ore da quando era uscita dalla camera e mi passai ancora  le dita sulle labbra incapace di realizzare completamente cosa fosse successo. Ormai era inutile anche passarci la lingua: il suo sapore non c’era più, quindi mi accontentai di passarci le dita per vedere se riuscivo a sentire ancora un po’ del suo calore.
 
POV REIN
Ancora non riescvio a credere che fosse successo.
La sera precedente io e Shade ci eravamo baciati, non riuscivo a trovare le parole giuste per descrivere tutte le emozioni che avevo sentito mentre le sue labbra erano sulle mie. Ero ferma lì, congelata cercando di capire quali emozioni stessi provando. 
Sentivo la felicità pervadermi il corpo, tutto ciò che avevo intorno a me era scomparso in battito di cuore, come se ci fossimo solo noi.
Cielo, sembravo una di quelle ragazze dei film americani che prendevo tanto in giro. Eppure non riuscivo a contenermi, era come se stessi camminando tra le nuvole.
Nonostante sentissi la paura crescere, quasi ad appesantirmi il petto, non riuscivo a non sorridere.
Avevo baciato Shade, avevo dato il mio primo bacio!
 
Sorrisi allo specchio che avevo davanti.
Quel giorno Shade era andato a scuola, mi aveva lasciato un biglietto con scritto che voleva parlarmi.
Per tutta la notte avevo dei flash nella mia mente, ogni fotogramma del bacio, e subito dopo, però, la paura tornava a farsi sentire.
Cosa avrebbe fatto? Se sarebbe andato comunque in Argentina?
Era ovvio chel’avrebbe fatto, è stato chiaro fin dall’inizio. Perché ovunque fosse, qualsiasi cosa avesse trovato niente poteva allontanarlo da casa, la sua casa.
Ma io? Cos’ero per lui?
 
Scesi in cucina, mia madre stava pulendo il bancone con aria assente, mi avvicinai e avvolsi le mie braccia attorno alla sua vita, poggiando il mento sulla sua spalla.
-E questo attacco di dolcezza? mi chiese lei, sorrisi, scrollai le spalle e le schioccai un bacio sulla guancia
-Non posso dimostrare affetto a mia madre?- chiesi con finta aria scioccata.
Effettivamente, non erano frequenti le mia dimostrazioni d’affetto, per quanto amassi i miei genitori non riuscivo ad espormi con i miei sentimenti. Ma quel giorno era diverso, io mi sentivo diversa.
-Quando vuoi, anzi. Mi stavo solo chiedendo se potesse centrare il sorriso che avevi stampato in viso ieri sera, quando uscivi dalla stanza di Shade” scossi la testa, non era possibile che mi avesse visto, ero sicura che gli altri stessero ancora giù a guardare la TV.
Come se mi avesse letto nel pensiero mia madre prese parola
-Ero salita per vedere cosa avessi, a cena eri strana e non spiccicavi parola e tenevi lo sguardo basso quando lui parlava. Ho pensato potesse essere successo qualcosa con lui-
Annuii
-Sì, effettivamente qualcosa è successo- “okay Rein  puoi farcela” mi dissi.
Sentivo che era arrivato il momento giusto per iniziare un vero rapporto di amicizia che avevo sempre voluto istaurare con lei.
-Rein, sai che puoi raccontarmi tutto, vero? Sono qui per ascoltarti, non preoccuparti, non sono come tuo padre e tuo fratello- disse, alzai il sopracciglio scettica -cosa intendi dire?-
-Se è successo qualcosa tra te e Shade non mi metterò ad urlare, imprecare e mettere in scena uno scatto di gelosia- continuò a guardarmi con sguardo eloquente.
-Cosa? Vuoi dirmi che tra a te e Shade non è successo nulla?- chiese stizzita lei quando continuavo a fare la finta tonto, incrociai la braccia al petto, guardandola storto
-Che cosa hai combinata, mamma?- chiesi con il tono leggermente più alto, lei fece vagare lo sguardo sulle pareti delle cucina
-Tesoro, aspetta che c’è una ragnatela che devo togliere” si apprestò lei a prendere la scopa
-La ragnatela può aspettare. Avanti, sputa il rospo-
-Ecco, potrei aver sentito la vostra conversazione” sbarrai gli occhi, e prima che potessi ribattere mi bloccò “per sbaglio, chiaro” precisò lei con uno sguardo colpevole
Sì, per sbaglio, certo.
-Da quando in qua in questa casa si ha l’abitudine di origliare la conversazioni altrui?- chiesi battendo il piede a terra
-Ho detto di aver sentito, non origliato e mi pare anche di aver detto di non averlo fatto intenzionalmente- ribadì secca lei -Oltretutto, non mi pare ci fosse tanto da origliare” disse con un ghigno sulle labbra.
Sentii le guancie andare a fuoco.
-A cosa ti riferisci?- chiesi io, fingendo ingenuità
-Non fare l’ingenua con me, Rein. Adesso vieni con me e mi spieghi tutto: perché eri così giù di morale e perché vi siete baciati” disse in tono secco, quasi a farmi paura.
 
Ci sedemmo sul divano, faccia a faccia. Non sapevo da dove iniziare, cosa le potevo dire?
-Perché non vi siete parlati per tutta la cena?-
Mia madre sembrava sapere arrivare subito al nocciolo della situazione.
-Ecco, stavamo uscendo dal bar dove lo avevo portato ieri, e abbiamo visto Auler. Dato che era un po’ che non passavo del tempo insieme a lui, gli ho detto di stare insieme per una chiacchierata. Auler ha iniziato a parlare di quello che combinavamo  da piccoli e mi ero accorta che Shade non era del tutto entusiasta. Arrivati a casa  gli ho chiesto se stesse bene e abbiamo parlato di quel pomeriggio, gli ho detto che sembrava un fidanzato geloso e in quel momento mi sono vergognata perché pensavo di aver esagerato nello scherzare, quindi sono scappata- dissi
- E sì, è per questo che l’ho evitato per tutta la sera- ripresi poi per anticipare la domanda di mia madre.
-Capito, quindi suppongo che la sera abbiate chiarito- disse lei, spronandomi a parlare
-Beh si, mi ha vista uscire dal bagno e mi ha chiesto se poteva parlarmi. Siamo entrati in camera e ha chiuso la porta perché sapeva che non volevo affrontare la discussione con la possibilità che qualcuno origliasse- dissi io guardandola “anche se sembra non sia servito a molto questo accorgimento” continuai poi
-Dai tesoro, per quanto ancora mi dovrai far sentire in colpa?” chiesi accigliata lei, le sorrisi.
-E poi?- chiese curiosa
-Beh, mi ha chiesto il motivo per il comportamento e gli ho detto la verità, che avevo paura di aver esagerato- mi fermai, guardando il pavimento
-Finito? E così vi siete ritrovati a sbaciucchiarvi?- chiese lei delusa, quando notò che non continuavo a parlare
-No!- gridai io, diventando rossa in viso
-Quindi?-
-Quindi mi ha detto che non ero io a dovermi scusare, ma lui. Ha detto che avevo ragione, che sembrava davvero un fidanzato geloso. Gli ho chiesto il motivo di questo comportamento e lui mi ha risposto che non lo sapeva- le spiegai
-E qui vi siete baciati- disse lei più per affermazione che per domanda
-Esattamente- replicai io
-Ora?- mi chiede lei.
Era un’ ottima domanda, pensarci faceva decisamente meno male che doverlo dire ad alta voce. Le mie erano state solo ipotesi, ma in quel momento in cui mia madre mi aveva posto la domanda, rendeva più concreta la verità: dovevo lasciarlo andare in Argentina, era la cosa giusta per lui.
Magari sarei potuto andarlo a trovare, a volte poteva venire lui, non sarebbe di certo la fine del mondo. Non avevamo nulla adesso da distruggere, avevamo solo una forte amicizia che, sì, poteva diventare qualcosa di più, ma rimaneva pur sempre un’amicizia.
Eravamo all’inizio e non avevamo dei sentimenti forti da distruggerci il cuore. Non potevo certo dire che per me sarebbe facile, oltre ad essere la mia cotta era anche un mio carissimo amico, ma non volevo farne un grande dramma.  
 
POV SHADE
Ero combattuto: avrei voluto restare qui con lei, ma d’altra parte svevo bisogno di abbracciare Maria e Daiki e giocare fino allo sfinimento con Milky. Per quanto non condividessi  il sangue con quella bambina, era come se fosse davvero mia sorella; certo, era piccola ma avevo bisogno di lei perché era ciò che mi faceva sentire vivo.
Mi sentivo vivo quando le accarezzavo il viso perché sentivo la sua pelle andare a fuoco mentre le sue guancie si tingevano di un rosso fuoco, rendendola più dolce di quanto non fosse già.
Mi sentivo vivo quando le facevo talmente tanto solletico che la sua risata si poteva sentire fino all’altro capo del mondo.
Mi sentivo vivo quando mi stringeva la mano nelle notti in cui c’erano forti temporali, facendomi sentire importante.
Milky era come un pezzo del mio cuore, e non ero pronta a lasciarla andare.
Avrei parlato con Rein , mancavano quattro giorni alla mia partenza e avevo bisogno di capire cosa fare. Che io partissi era ovvio, ma non sapevo come comportarmi con lei: avrei dovuto evitarla o godermi il tempo rimasto con lei? Non riuscivo a rispondermi da solo, era come se la mia parte razionale si fosse mischiata con la mia parte emotiva e questo rendeva tutto più complicato e, nel conflitto personale, mi ero reso conto che non potevo prendere questa decisione da solo.
Certo,  avrei potuto farlo, ma sarebbe stato da egoista e sarebbe stato un po’ come scappare dalle situazioni, ed io non ero un codardo. Dopo la scuola avrei parlato con lei e, successivamente, avrei affrontato Toulouse, volevo chiarire anche con lui. Ancora eravamo in una fase di stallo e dovevo chiudere questo capitolo con lui. Volevo dirgli che gli credevo e che volevo riallacciare il nostro rapporto, anche se sapevo che non sarebbe mai stato quello di prima.
Non volevo qualcosa di ricucito, volevo qualcosa di nuovo. Magari avrebbe potuto essere migliore di quello precedente. A volte era inutile rimanere ancorati al passato, perché ci resta solo l’amaro in bocca e la nostalgia di qualcosa che ormai non può più tornare.
Ma in che guaio mi ero cacciato? Avevo fatto davvero bene ad andare nella mia città natale?
 
***
 
 
Le ore scolastiche erano giunte finalmente al termine, e Rein riuscii a sentire la solita campanella rotta suonare all’interno dell’Istituto che le si parava davanti .
Guardava la sua scuola con senso di inquietudine, la partenza di Shade indicava anche l’inizio delle lezioni.
La guardava dall’alto in basso, cogliendone tutti i particolari che in quegli anni non si era preoccupata di notare. La vista le quasi le si appannò, la consapevolezza di affrontare tutto di nuovo le dava un peso nello stomaco.
Per quanto il suo era un passato, continuava a tormentarla. Viveva la scuola un po’ come una prigione che la faceva sentire oppressa, non la faceva sentire se stessa. Anche se aveva la consapevolezza di non essere più quella di una volta, sentiva ancora  le voci ronzarle nelle orecchie.
Scacciò via i suoi pensieri, non si sarebbe fatta abbattere di nuovo dalle sue paure, lo aveva promesso a se stessa, doveva farlo perché voleva poter camminare per strada a testa alta.
Voleva avere il coraggio di avvicinarsi ad un ragazzo e iniziare una conversazione, magari avere il fegato di dirgli ‘Sai che sei carino?’ senza aver paura di ricevere come risposta un sorrisino sfrontato che gli ricordava tanto ‘Lo so, ma è inutile che ci provi con me’.
Voleva sentirsi libera di fare tutto ciò che voleva, senza avere paura di ritrovarsi davanti un muro fatto di confini che lei stessa si era creata.
“Ehi Rein” la voce di Shade la riscosse dai suoi pensieri e la riportò alla realtà.
Rimase a fissare per un attimo il viso di Shade, facendo cadere lo sguardo sulle labbra del ragazzo; avrebbe voluto tanto baciarle.
Era come se sentisse una strana forza magnetica che l’attirava verso quelle labbra.
Shade dal canto suo, le poggiò una mano sulla guancia, studiando lo sguardo di Rein, mentre gli angoli della sua bocca formarono un sorriso
-Fallo- gli sussurrò, perché solo lei potesse sentire.
Anche se la sua mente era piena di dubbi, non poteva fare a meno di assecondare la voglia che aveva di baciarlo di nuovo.
Rein si alzò in punta di piedi, poggiando le mani sulle spalle larghe di lui e sfiorò le labbra di Shade con le sue.
All’inizio era solo uno sfioramento di labbra, ma Shade poggiò una mano dietro al collo di Rein e approfondì il contatto.
Fu Rein a staccarsi per prima in cerca d’aria e per la consapevolezza di quanto fosse goffa.
Rossa in viso, si poggiò con i piedi a terra e iniziò a camminare.
-Ti sei allenata?- chiese Shade a bassa voce
-In cosa scusa?-
-Nel baciare- rispose Shade
-No- disse Rein alzando lo sguardo per incontrare quello di Shade
-Strano, sembri migliorata da ieri- rispose leccandosi lievemente le labbra
-Shade sei un idiota!- replicò Rein ancora più rossa in viso, con il sorriso sulle labbra e con passo spedito verso il parco.
 
Erano sulla panchina del parco vicino la scuola di Rein.
Erano vicini, spalla contro spalla, cuore in gola a torturarsi le mani, cercando di scegliere le parole giuste per iniziare una conversazione non imbarazzante per tutti e due.
-Allora...- cercò di rompere il silenzio Rein
-Allora..- replicò imbarazzato Shade
Per un attimo ritornò il silenzio, rotto di nuovo da Rein che presee il coraggio di parlare per prima
-Senti Shade, l’ultima cosa che voglio è allontanarti dalla tua famiglia, ma mentirei se ti dicessi che non ti voglio qui con me. So che al giorno d’oggi ci sono vari modi per tenersi in contatto, ma per me non sarebbe la stessa cosa. E prima che continui a parlare e rendermi ridicola davanti a te dimmi cosa vuoi, dimmi se per te ieri sera ha avuto un senso. Perché…- distolse lo sguardo da Shade, prese un respiro profondo, alzò di nuovo lo sguardo e ricominciò -per me sì, lo ha avuto. Provo qualcosa per te Shade. Tu lo sai e negarlo è inutile, quindi voglio solo che tu sia onesto con me.-  
Shade, dal canto suo, restò immobile; certo, sapeva che Rein provasse qualcosa  per lui, ma sentirselo dire direttamente da lei era tutta un’altra cosa.
Sentì il battito cardiaco accelerare, le mani sudare e non riuscì a trattenere un sorriso, perché, cavolo, se era contento. Era come se tutto ciò che lo circondava avesse iniziato a girare per il verso giusto.
Avete mai avuto quella sensazione in cui sembra che in quel momento è tutto al posto giusto? Che  non c’è niente che possa rovinarlo? È così che si sentiva Shade, sentiva che ormai con Rein era tutto come doveva andare, Rein provava qualcosa per lui e lui per lei. Niente avrebbe potuto dividerli, niente Argentina o Italia e niente Auler.
Anche se  della questione Argentina o Italia c’era ancora da discutere...
-Ieri sera ha decisamente un senso, Rein. Non pensare che io faccia delle cose per il gusto di farlo, ad ogni mia azione corrisponde un mio sentimento. Quindi, se ti ho baciata è perché provo qualcosa per te. Questa è la mia risposta, onesta. Ora ho bisogno che tu mi risponda: saresti in grado di sopportare una relazione a distanza? Per quanto ti possa spaventare, è ciò che voglio. Voglio avere una relazione con te, non voglio aspettare degli anni, voglio stare con te ora. Voglio sapere che quando tornerò qui in Italia potrò farlo con la consapevolezza di vedere te davanti ai cancelli degli arrivi, magari con le braccia aperte pronta a darmi il bacio del ‘ben tornato, amore’. Voglio prendere insieme a te le decisioni che dovremo prendere per la nostra vita, e voglio a farlo con te al mio fianco e, soprattutto, nessun Auler in mezzo-
Rein sentì già il rossore sulle guancie, Shade le stava dicendo che vpòeva stare con lei, che voleva avere un futuro insieme.
Si chiese se potesse essere un sogno, anche se riusciva a sentire il calore della pelle di Shade, magari era una Candid Camera. Sapeva che, nonostante fossero ancora giovani per parlare di un futuro lontano, non poté non sorridere all’idea di una vita insieme.
Shade, invece, iniziò ad agitarsi, aveva accelerato le cose? Aveva esagerato?
-Dimmi che non stai scherzando- rispose Rein, con la speranza nella voce.
Shade lasciò un sospiro di sollievo e scosse la testa. No, che non stava scherzando.
Rein intrecciò le sue dita con quelle di Shade, sorridendogli dolcemente -stare con te è ciò che vorrei, mi chiedo solo se io sia abbastanza forte da sopportare una relazione a distanza. Shade, non dimenticarti che questa sarebbe la mia prima relazione, è tutto nuovo per me-  rispose Rein
-Sei forte, Rein- replicò Shade -Sei abbastanza forte da ottenere ciò che vuoi, fare ciò che vuoi- continuò poi stringendo la presa sulle mani di Rein. Dentro di lui aveva la paura che Rein potesse dire di no. Il fatto era che non riuscirebbe neanche ad incolparla se lo facesse, comprendeva le sue paure, erano le stesse che aveva avuto lui all’inizio e quelle che cercava di nascondere sotto quell’alone di sicurezza che ostentava davanti a lei.
-Sembra che tu stia cercando di convincermi a dire di sì- sogghignò lei
-Beccato!- esclamò lui facendo scoppiare a ridere entrambi.
-A pensarci, provare non costa nulla no?- disse Rein, avvicinandosi e poggiando la testa sulla spalla di Shade
-No, a volte buttarsi non fa male. Magari potrei essere il tuo paracadute-  didde Shade poggiando la testa su quella di Rein e baciarle il dorso della mano
-Questa era pessima, ma possiamo comunque proviamoci, Shade. Voglio provare. Forse è la mia occasione e non voglio rischiare di perderla”
 -Proviamoci!- ripeté Shade sorridendo e tirandosi Rein sulle proprio gambe
-Ma che fai?- chiese Rein arrossendo
-Che c’è? Non posso far sedere sulle mie gambe la mia ragazza?- chiese Shade fingendo un’espressione scioccata
-Oh cielo, non la stavo guardando sotto questo punto di vista- replicò Rein, nascondendo il viso nell’incavo del collo di Shade.
Lui riuscì a sentire il respiro caldo di Rein sulla pelle provocargli la pelle d’oca su tutto il suo corpo.
-E sotto quale punto di vista la stavi guardando?- chiese Shade avvolgendo le sue braccia attorno alla vita di Rein, stringendola ancora più vicino.
Rein scosse la testa facendo ridere Shade, lei si beò del suono della sua risata e sorrise quando sentì vibrare il collo.
-Non ridere- lo riprese poi, dandogli un colpetto sul petto e riprende a parlare -Stavo pensando che dovremmo fare qualcosa per la tua antipatia nei confronti di Auler. Non è come lo dipingi tu”
-Guarda che io ho già la soluzione- rispose, fingendo uno sguardo innocente
-Tipo?- chiese lei
-Bastano pochi accorgimenti, dico davvero. È sufficiente che ti tolga gli occhi di dosso e che non ti tocchi ogni due parole- replicò lui con fierezza  nella voce.
Rein alzò gli occhi al cielo -Sei uno scemo- lo canzonò lei, per poi posargli un bacio sulle labbra.
Lui prese subito l’iniziativa per approfondire il bacio, mentre lei sorrise avvolgendo le sue braccia attorno al collo di Shade
-Sei proprio geloso- lo derise lei
-Forse un po’- confermò Shade
 

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Capitolo 19
*** Vediamo come va a finire ***


Vediamo come va a finire
Everything that don’t make sense about me, it makes sense when I’m
with you

 
-Voglio parlare con tuo padre-.
Dopo essere tornati dal parco, i due ragazzi si chiusero nella camera di Shade.
Restarono in silenzio, ognuno a pensare all’intera situazione, e Shade  decise di parlare con Toulouse.
In tutta verità, poco c’entrava la situazione che aveva con Rein.
Sapeva che avrebbe duvuto affrontare questo argomento, ma aveva bisogno di parlare con Toulouse e dirgli che voleva costruire un rapporto con lui.
 -Hai deciso di dargli una passibilità?- chiese incerta Rein, mentre Shade annuì.
Rein gli sorrise e gli lasciò un bacio delicato sulla mascella -lo  renderai davvero felice, sai?-
-Io sono più felice di lui- replicò Shade abbassando lo sguardo per incontrare quello di Rein.
Restarono abbracciati ancora un po’, godendosi il silenzio della casa perché sapevano che, appena Jhon avrebbe messo piede dentro casa, sarebbe regnato il caos.
 
 
Toulouse era appena tornato dal lavoro, si era cambiato in vestiti più comodi e si era seduto sul divano facendo un po’ di zapping tra i canali televisione quando Shade colse l’occasione per parlargli.
Si avvicinò piano al divano con l’agitazione che lo assaliva e si sedette affianco all’uomo.
-Ehi, come stai?- chiese Shade
-Non c’è male. Tu come stai?- rispose Toulouse, aveva le mani congiunte lasciate cadere tra le ginocchia leggermente allargate.  Sentiva che Shade gli voleva parlare della loro situazione e si sentiva nervoso: da quella conversazione dipendeva il futuro rapporto con Shade.
-Bene, grazie. Volevo parlare con te..sai, di tutto.-
Adesso o mai più, pensò Shade.
-Ti ascolto- lo invogliò a parlare Toulouse, aveva davvero bisogno di sapere ciò che aveva da dirgli,  nonostante la paura.
-Nonostante ce l’avessi con te, in questi anni volevo ricucire un rapporto con te. Crescendo, però, ho capito che un rapporto ricucito è davvero l’ultima cosa di cui ho bisogno- iniziò Shade e Toulouse già capì che quella conversazione  non avrebbe portato a nulla di positivo.
Si sentì mancare la terra sotto i piedi, in tutti quegli anni si era immaginato i modi in cui sarebbe potuto avvenire il loro incontro e, per quanto sapeva di un possibile (o quasi certo) scenario negativo, viverlo era decisamente diverso. Nel viverlo sentiva il cuore spezzarsi. E forse la parte peggiore era che quella volta non poteva aprire gli occhi, respirare affondo e stringere la mano di Elsa per cacciare quell’orribile sensazione. Se avesse aperto gli occhi si sarebbe ritrovato solo davanti alla realtà, dalla quale avrebbe vuluto scappare.
-Non mi piacciono i rapporti ricuciti. Ciò che è stata è stato, non può più tornare indietro- e Toulose usò tutta la sua forza per ricacciare indietro le lacrime.
Non solo era stato lui a porre fine al loro rapporto moltissimi anni prima, ma si era reso conto di quanta sofferenza avesse provocato in Shade.
Lo vedeva.
Lo vedeva dagli occhi lucidi e dal labbro tremante.
Lo vedeva dalla mano di Shade, chiusa a pugno ad afferrare i jeans quasi a sbiancare le nocche.
-I rapporti ricuciti non fanno bene, lasciano solo delusioni quando si scopre che niente può tornare come prima e allontana ancora di più.-
Shade si grattò la nuca, stava abbattendo tutte le speranze di Toulouse, ma prima di tutto voleva essere chiaro sotto ogni punto di vista. Toulouse lasciò andare un sbuffo d’aria, non si era neanche accorto che stesse trattenendo il fiato, si passò le mani tra i capelli quasi con la voglia di tirarseli per il nervoso.
-Quindi ciò che voglio chiederti è di ricominciare-
Toulouse alzò di scatto il capo. Gli stava dicendo che lo aveva perdonato. Shade lo aveva perdonato?
-Mi hai perdonato?- chiese incerto
-Non c’è niente da perdonare, Toulouse. Credo in ciò che dici, quindi non c’è nulla da perdonare. Te ne sei andato certo, ma tu stesso hai detto che volevi darmi una vita migliore. Con te.-
Nella stanza calò un silenzio in cui Toulouse non smise di sorridere. Per anni aveva aspettato di potersi trovare davanti a Shade per chiedergli perdono e di ritornare a ciò che erano prima, ed ora, non solo Shade lo rivoleva nella sua vita, ma gli credeva e apprezzava il pensiero che aveva avuto anni prima.
-Non potrei essere più felice Shade, non vedevo l’ora di poterti riabbracciare- sorrise Toulouse.
-Adesso puoi farlo- rispose Shade allargando le braccia, affinché Toulose lo abbracciasse
I due si abbracciarono al centro della sala, mentre Elza li guardò con un sorriso sulle labbra, da quel momento la vita di suo marito poteva essere definita completa.
 
 ***
La cena passò in un lampo, e si ritrovarono tutti seduti a tavola scherzando. La tensione si era alleggerita, anche se Shade e Rein sentivano un nodo in gola. Avevano deciso di parlare alla famiglia di Rein subito dopo mangiato.
Anche se a entrambi sembrava troppo presto, non potevano fare altro: gli era rimasto troppo poco tempo da godersi insieme. Volevano poter stare insieme davanti a tutti, così da non sprecare del tempo.
Era stata Rein per prima ad avere l’idea di parlare alla loro famiglia, adesso che Shade e Toulouse avevano chiarito era sicura che nessuno sarebba contrario alla loro relazione. Tutti lo adoravano, tutti sapevano che era un bravo ragazzo.
Shade dal canto suo sentiva l’agitazione salirgli, per quanto Rein lo avesse tranquillizzato dicendogli che tutti lo adorano, sapeva che per Christian non era così.  Il fratello di Rein continuava a non vederlo di buon occhio. Nonostante il giorno prima, al parco, Christian si era rivelato un ragazzo carino e gentile continua a temerlo.
Shade era seduto affianco a Rein e istintivamente allungò la mano per stringere quella di lei che gli sorrise dolcemente.
Shade si schiarì la voce e Rein rafforzò la presa sulla mano, consapevole che Shade stesse cercando di attirare l’attenzione di tutti.
-Dovrei.. dovremmo dirvi una cosa- iniziò Shade grattandosi la nuca.
In quel momento sapeva cosa aveva provato Daiki quando doveva parlare alla famiglia di Maria.
Daiki era solito raccontargli il giorno in cui si era presentato al padre di Maria per dirgli che avrebbe sposato sua figlia, magari non subito, ma era certamente nei suoi progetti.
Per Daiki non era stato semplice, il padre di Maria non aveva una buona considerazione nei suoi confronti. Nonostante avesse accettato che sua figlia uscisse con lui, era sempre rimasto sul piede di guerra. Cercava sempre di calcolare ogni sua mossa, un qualcosa che gli permettesse di metterlo in cattiva luce con Maria .
 
“Certo, vai avanti tesoro” lo spronò Elsa come se sapesse cosa avesse da dire Shade, si voltò verso Rein che si grattò la nuca colpevole, Shade le sorrise.
E a Rein quel sorriso aveva parlato, le aveva detto che non doveva preoccuparsi perché non era arrabbiato, le aveva detto di tranquillizzarsi perché lui era con lei.
-Ecco ultimamente sono successe delle cose-  e prima che Shade potesse continuare, ingoiò il groppo in gola che gli si era formato guardando Christian incrociare le braccia al petto, mentre fece viaggiare il suo sguardo da Shade a Rein in modo consapevole.
Shade sentì l’agitazione prendere il sopravvento, ma sapeva di doverlo fare, voleva farlo.
Toulouse con un sorriso sulle labbra esortò Shade a continuare
-Bene, sono successe delle cose tra me e Rein e beh.. staremmo insieme- farfugliò Shade
-Potresti spiegarmi cosa intendi con ‘staremmo insieme’?- chiese Chris mimando le virgolette e Shade capì di aver sbagliato
-Beh sì, stiamo insieme e volevamo dirvelo, sperando che siate d’accordo- spiegò Shade
-E se non lo fossi?- replicò Chris
-Sarebbe un problema- rispose Shade.
Shade, dalla coda dell’occhio, riuscì a vedere lo sguardo agitato di Rein che vagò tra lui e suo fratello e le strinse la mano ancora nascoste sotto al tavolo.
-Cosa faresti?- chiese Chris con petto gonfio di orgoglio, sapeva perfettamente che Shade aveva paura di lui.
-Cercherei di farti cambiare idea-
-Importa così tanto ciò che penso io?- chiese Chris, voleva mettere alla prova Shade.
 -Decisamente, conosco Rein e so quanto sia importante il tuo giudizio- replicò Shade
-E quanto durerebbe la vostra relazione?- attaccò di nuovo Christian
-Chris!- gridò Rein alzandosi dalla sedia, amava sua fratello ma alle volte era davvero esagerato.
-E’ una domanda intelligente. Lui deve partire tra qualche giorno e allora che farete? O vuoi restare qui Shade? Cosa volete fare? E prima che tu dica qualcosa, Rein, lo so che sono stato via per molto tempo, okay? Ma adesso sono qui, e non permetto che qualcuno possa ferirti. In tutto questo tempo non mi sono dimenticato qual è il mio posto, e non sai quanto io mi sia pentito a nel averti lasciato qui da sola- replicò Chris -il mio posto è qui a difenderti, ed è ciò che farò-.
Rein si alzò dalla sedia e si avvicinò a Chris abbracciandolo
-Non sai quanto io ti abbia odiato in questi anni, non sai quanto io abbia continuato ad odiarti anche dopo che sei tornato, nonostante davanti a te sorridevo. Mi ci è voluto un po’, ma ho capito le tue scelte, ho capito le tue motivazioni.  Sei stato lontano da me per troppo tempo perché io possa prendermi il lusso di allontanarti da me di nuovo- sussurrò Rein nell’incavo del suo collo. Dal tono di voce del fratello, aveva capito che Chris aveva paura di perderla di nuovo o che Rein lo allontanasse.
-Grazie” rispose Chris abbracciando sua sorella
-Chris, io ho rispettato te, ma adesso tu rispetta me. Ne abbiamo parlato e voglio provare. So che è un grande rischio, ma voglio affrontarla. Non voglio limitarmi per la paura di cadere-
-Ne sei sicura?- chiese Chris osservando gli occhi di Rein in cerca di qualche segno di incertezza, ma non c’era. Sua sorella era determinata, era davvero ciò che voleva.
-Sì, ne sono sicura. E sarò sicurissima se mi dici che, nel caso cadessi, ci sarai tu a prendermi” disse Rein
-Potrei fare altro? Non riuscirei a lasciarti cadere- replicò lui.
Si staccò dall’abbraccio per avvicinarsi a Shade che cercò di sorridere, mise la mano sulla spalla del ragazzo con il viso serio.
-Non pensare che io non ti controlli- disse solamente, prima di uscire dalla cucina per andare in camera sua.
 
***
 
 
Dopo quello scontro con Chris, i genitori di Rein si erano scusati per il comportamento del figlio e Shade gli aveva sorriso dicendogli che aveva tutto il diritto di difendere sua sorella.
In cuor suo sapeva che lui stesse avrebbe reagito allo stesso modo se al posto di Rein ci fosse stata sua sorella Milky.
Rein e Shade si trovarono in camera.
Dopo essersi scambiati gli abbracci con i genitori di Rein si ritirarono per parlare un po’
-Non è cattivo come sembra. Quel suo atteggiamento è solo la rabbia che ha per se stesso per essere stato via tutto questo tempo- ruppe il silenzio Rein
-Beh, non che non sia così rude in generale, ma lo è un po’ meno- continuò poi soffocando una risata
-Mi fa piacere- borbottò Shade continuando a fissare il soffitto.
Tutta la storia di Chris lo aveva lasciato con l’angoscia addosso.
-Vedrai che ti apprezzerà, prima o poi- sghignazzò Rein, posandosi con le ginocchia sul materasso al fianco di Shade.
Lui le sorrise, poggiando una mano sul fianco di Rein.Lei si abbassò per posargli un bacio sulle labbra.
-Sdraiati, così ti viene il dolore alla schiena- sorrise Shade, accompagnando i movimenti di Rein tendendo la sua mano sul fianco.
-Meglio così?- chiese Rein, lui sorrise dandole un bacio sulla guancia.
-Sì, ma avvicinati- gli sussurrò Shade, tirandola più vicina a sé.
Rein nascose il viso nell’incavo del collo di Shade. Il suo respiro solleticò la pelle del ragazzo facendogli sentire i brividi sulla schiena
-Sarebbe bello rimanere così per giorni e giorni- disse Shade
-Sì sarebbe figo” risposee Rein
-Figo? Davvero? Stai rovinando il romanticismo del momento- mugugnò Shade
-Beh, potresti farmi stare zitta- ghignò Rein, avvolgendo le sue braccia attorno alla vita di Shade
-Proviamo- rispose lui prima di poggiare le sue labbra su quelle di Rein.
Shade inclinò la testa per approfondire il bacio, mentre sentì Rein tirare le labbra in un sorriso.
Strise le braccia attorno a Rein tirandosela ancora di più verso di sé per cancellare qualsiasi tipo di spazio tra i loro corpi.
 
***
 
-Credi che abbiamo fatto bene?- chiese Toulouse
-Non lo so- rispose Elsa
-Voglio dire, conosco Shade fin da piccolo, è vero, ma loro due si conoscono da così poco tempo- specificò Toulouse.
Elsa sorrise, aggiustandosi tra le braccia del marito per posare l’orecchio sul battito del cuore, non prima di stampargli un bacio sul petto.
E’ una cosa che amava fare da sempre.
 
 

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Capitolo 20
*** -2 ***


-2
This is the start of something beautiful.
This is the start of something new.
You are the one that makes me loose il it all.
You are the start of something new.  

Il silenzio che prima regnava nella stanza di Rein venne sostituito dal rumore assordante della sveglia. Grugnì e si stiracchiò le braccia. Si guardò intorno con un broncio, non aveva proprio nessuna voglia di alzarsi.
Con calma estenuante poggiò i piedi sul pavimento, gemendo un po’ al contatto con il freddo improvviso. Si avvicinò all’armadio per tirare fuori dei vestiti da indossare e andò in bagno per farsi la doccia e prepararsi per la giornata. 
Lei e Shade si erano già messi d’accordo per passare la giornata insieme, volevano godersi i pochi giorni che gli erano rimasti. 
Due, per l’esattezza. Avevano altri  due giorni e poi si sarebbero dovuti separare. Sospirò, ma già aveva deciso che non avrebbe pensato a nulla di negativo.
Si diresse in cucina, dove trovò sua madre che le rivolse un sorriso e poi, come se si fosse bruciata, assunse uno sguardo serio e, dopo aver poggiato la tazza di latte e caffè sul tavolo, si sedette. 
Guardandola negli  occhi, Rein, capì che qualcosa non andava, sentì il nervoso salirle al petto e, con uno scatto del capo, guardò verso la porta che aveva dietro di sé, come se stesse già cercando una via di fuga. 
Sua madre le disse di sedersi  -voglio parlare con te- le spiegò solo, prima di sistemarsi meglio sulla sedia. 
Rein si schiarì la gola, non riuscì a trovare la voce necessaria per parlare o pronunciare una sola parola. Poche volte aveva visto sua madre con l’espressione seria, e una di quelle era la volta in cui le aveva detto che Chris se n’era andato di casa per scappare chissà in quale angolo del pianeta. 
Elsa si schiarì la voce, prese la mano della figlia tra le sue e iniziò a parlare, sperando che sua figlia fosse abbastanza matura da capire ciò che le avrebbe detto. 
“Tesoro, sai che mi fido di te. So che sei intelligente da prendere le tue decisioni da sola, perché non lo fai mai in modo troppo affrettato e cerchi sempre di capire se è giusto per te. Sei talmente intelligente che credo tu abbia già capito dove voglio arrivare” Elsa prese un respiro prima di continuare, sapeva bene che quello che voleva affrontare era un argomento importante per sua figlia, glielo leggeva negli occhi e non vuoleva iniziare una discussione interminabile con lei. Non aveva neanche il coraggio di dire esplicitamente a quale argomento si stesse riferendo, sperò semplicemente che sua figlia avrebbe dimostrato l’intelligenza che ha sempre avuto, tirandola dalla situazione scomoda in cui si trovava.
-Shade- sussurrò Rein, ed Elsa per poco non lo sentì, ma annuì leggermente
-Senti Rein, so che per te è molto importante, è il punto di partenza del tuo cambiamento, ma vorrei che tu ti mettessi nei nostri panni. So che inizialmente vi abbiamo detto che per noi va bene e che siamo felici per voi, per te e lo siamo, ma ripensandoci non ne siamo così convinti. Lo conosci da poco, nonostante il difficile momento che avete vissuto insieme nei primi giorni vi possa aver avvicinato molto. Spero che tu capisca il nostro scetticismo” 
Rein guardò sua madre con un cipiglio, in cuor suo sapeva che la donna aveva ragione, ma non poteva, non voleva credere che Shade potesse essere diverso dallo Shade che conosceva.
-Papà lo conosce da quando era piccolo, no?- chiese lei
-Rein, tuo padre conosce il piccolo Shade, non questo. Non conosce lo Shade cresciuto che sta diventando uomo. Per favore credimi quando ti dico che penso sia un bravo ragazzo, ma cerca di capire che il nostro scetticismo non è per farti soffrire, ma per proteggerti.” 
Rein annuì , alzò il capo e sorrise a sua madre -senti mamma, il fatto che io voglia stare con lui non significa che me lo sposerò. Ho solo sedici anni e voglio stare con lui e prendermi la cosa come viene. Avevo già preso in considerazione questo aspetto credimi, ma l’ho accantonato subito perché ci terremo in contatto e nelle vacanze Shade verrà qui per passare del tempo con me e, se me lo permetterete, io andrò da lui. Come vedi avevo già intenzione di passare più tempo con lui, conoscerlo meglio e prima che lui parta voglio chiedergli se i suoi genitori possono venire qui e incontrarvi affinché tu e papà vi fidiate di mandarmi da loro in Argentina- 
-Ho sempre sperato che ereditassi la mia intelligenza- cercò di sdrammatizzare Elsa. Scoppiarono entrambe a ridere poi Rein si fermò e guardò sua madre -Mamma, fidati, non voglio perderlo capisci?- disse convinta lei. La madre le sorrise e Rein le schioccò un bacio sulla guancia, come se la sua fosse stata una vittoria
-non credere che sia finita qui signorina- la riprese Elsa -Sappi che controlleremo comunque. Non vorrei che per colpa dell’amore diventassi rimbambita- sghignazzò Elsa
-Tu ti sei rimbambita quando ti sei innamorata di papà?- chiese Rein 
-No, è tuo padre che si è rimbambito. D’altronde come dargli torto con questo schianto di fidanzata-  sorrise lei facendo una giravolta per sottolineare il suo concetto. 
Rein scoppiò a ridere mentre suo padre entrò in cucina                                                                                             
-Chi è uno schianto?- chiese poi guardando sua moglie con un sorriso malizioso 
“Ma ovviamente io, caro. C’è bisogno di chiederlo?” rispose con finta stizza Elsa, mentre iniziò a lavare i piatti.
Toulouse sorrise, e rivolse un occhiolino a Rein -Bé sì, dato che abbiamo così tante belle vicine è ovvio che io chieda. Sia mai ce ne sia una che mi è sfuggita- scherzò lui
-Come scusa? Credo di non aver capito bene- rispose stizzita (questa volta per davvero) Elsa, voltandosi con un cucchiaio di legno in mano. 
Toulouse scoppiò a ridere e si avvicinò a sua moglie avvolgendo le sue braccia attorno alla vita di lei -Non fare la gelosa, sai che ti amo- disse lui baciandola. 
Rein nascose il suo sorriso con un finto tono annoiato borbottando un “tolgo il disturbo”. 
Dopo qualche minuto Toulouse si staccò da sua moglie, le sorrise mentre le dà un buffetto sul naso. 
-Allora, le hai parlato?- chiese allentando un po’ la presa -Sì, le ho parlato- 
-E..?- cercò di farla continuare
-Ti ricordi quando ti avevo detto che avrebbe preso la mia intelligenza?-
Toulouse annuì un po’ confuso e lei, con un sorriso soddisfatto, rispose fiera -Come sempre, avevo ragione- per poi voltarsi di spalle e tornare a lavare i piatti. 




Shade era appena uscito da scuola e si stava dirigendo al parco, quando ripensò alla chiacchierata che aveva avuto quella mattina in macchina con Toulouse. 
-Cerca di capirmi, ti conosco da piccolo, è vero, ma non conosco il nuovo te. E a pensarci mi fa paura permettere a mia figlia di avere un certo tipo di rapporto con una persona che non conosco- 

Quella frase gli ronzava ancora in testa, e capì di avere esagerato a rispondergli male e con una frase che poco centrava in quel tipo di discorso
-Sei stato tu ad abbandonare lo Shade che conoscevi, sei stato tu a permettere che tu non conoscessi chi stavo diventando. E per la cronaca, neanche io sapevo che uomo fossi diventato, ma sono comunque arrivato fin qui per cercarti- gli aveva risposto. 
Si maledì nel momento esatto in cui aveva messo piede fuori dalla macchina e si era allontanato e aveva lasciato Toulose a guardarsi le mani che stringevano forte il volante della macchina.
Aveva permesso, di nuovo, al rancore che pensava avesse superato, di uscire fuori e sputare parole taglienti mirate in pieno petto dell’uomo che tanto aveva sperato di rivedere. Più di tutto si era reso conto che Toulouse aveva dolora semente ragione. Per quanto potesse pensare che quello davanti a lui era lo stesso uomo di anni fa, doveva ammettere che non sapeva come fosse diventato. Aveva ragione, non conosceva Shade. Ad esempio sapeva che ormai aveva iniziato a piacergli il latte bianco e freddo? Da piccolo lo odiava, lo rifiutava a prescindere, eppure con la pazienza di Maria era riuscito ad apprezzarlo. Ogni tanto per addormentarsi aveva bisogno di berne un bicchiere.


Arrivò al parco dove ad attenderlo c’era Rein che sventola la mano affinché Shade la notasse. 
Shade le sorrise,  si avvicinò, si abbassò per stare al suo livello e la baciò dolcemente sulle labbra. 
Si sedette sulla panchina e Rein si voltò verso di lui                                                                                                      -Questa mattina ti ha accompagnato mio padre a scuola?- chiese Rein a bruciapelo. La mattina aveva sentito il dialogo di sua madre e suo padre e aveva il sospetto che il padre avesse parlato con Shade
-Sì, perché?-
-Ti ha parlato di noi?- Chiese di nuovo Rein giocando con le sue mani
-Sì, mi ha detto che per lui stiamo correndo un po’ troppo-
-Lo sospettavo. Mia madre ha parlato con me- replicò Rein 
-E tu che le hai detto?- chiese Shade
-La verità. Le ho detto dei nostri piani, per farla tranquillizzare. Tanto prima o poi glielo avremmo dovuto dire, no?- rispose Rein sorridendogli 
-A quanto pare sei stata la più intelligente tra i due- sospirò shade, abbassando il capo. Il senso di colpa lo stava divorando, avrebbe dovuto starsene zitto e ragionare piuttosto che rispondergli male in quel modo
-cosa è successo?- gli chiese lei 
-Un casino, gli ho risposto male. Giuro mi dispiace, ho così tanti pensieri e temevo che mi avrebbe negato il permesso di stare con te e sono scoppiato. Appena torno a casa gli chiedo scusa, spero mi possa perdonare- spiegò lui 
-Non preoccuparti, è una persona comprensiva. Basta che gli spieghi il tuo punto di vista e ti capirà- lo rincuorò lei                                                                                                                                                                           --Ma ti chiedo una cosa, la prossima volta cerca di contenerti, sono comunque i miei genitori- concluse lei in tono accusatorio, Shade annuì. Ringraziò mentalmente Rein per non avergli chiesto cosa fosse successo nel dettaglio, altrimenti si sarebbe sentito ancora più in colpa.


La giornata era volata e si stavano già dirigendo verso casa. 
Shade con il groppo in gola con la speranza che Toulouse lo avrebbe capito e perdonato. 
Arrivati davanti la porta, la aprì facendo passare prima Rein e poi la seguì nel salotto.
Si sedettero sul divano, si stavano dando un leggero bacio a stampo quando qualcuno li interruppe 
 -Ehi Shade, come ti butta?- gli chiese Christian, Shade alzò un sopracciglio ‘oddio, sta organizzando la mia tortura’ pensò Shade. 
-Tutto bene Christian, grazie- rispose educatamente 
-Oh Shade, niente Christian, chiamami Chris come tutti- replicò Chris dandogli delle pacche sulla spalla.
Rein e Shade si scambiarono uno sguardo preoccupato
-Cosa avete fatto di bello?- chiese Chris
-Siamo andati al parco, come al solito, e abbiamo fatto un giro per la città- rispose Rein tranquillamente
-Vi siete divertiti?- chiese ancora
-Certo- rispose Rein sorridendo, mentre Shade era rimasto in silenzio a guardare Rein sorridere 
-Senti Chris, cosa hai in mente?- chiese Rein quasi esasperata, convinta che suo fratello stesse tramando qualcosa. Perché se conosceva bene suo fratello, e senza dubbio lo conosceva, il sorriso che aveva stampato in faccia era un chiaro segno che stesse tramando qualcosa.
-Nulla. Non posso parlare amabilmente con mia sorella e mio cognato?-chiese allibito lui 
-Sì, ma dato il tuo recente scatto permettimi di avere dei dubbi- replicò Rein
-Voglio solo conoscere mio cognato, davvero- sorrise Chris, poggiando una mano sulla spalla di Shade per poi andarsene. 
Shade si girò verso Rein “Gli credo?” chiese con aria preoccupata, Rein scrollò le spalle “penso di sì” rispose poi. Non aveva il coraggio di dirgli la cruda realtà.


Il resto della serata era passata velocemente, Shade e Toulouse si chiarirono e a tavola l’aria era piuttosto leggera. Quindi Shade E Rein si erano sdraiati sul letto con aria soddisfatta, guardando il soffitto con le loro dita intrecciate le une alle altre. 
Rein sospirò e ruppe il silenzio -Shade, secondo te come la prenderanno i tuoi genitori?-
-In che senso?- chiese lui 
-Ma come in che senso? Cosa penseranno di noi, di me. Pensaci, mi hanno vista un giorno solo e dopo tre settimane andrai da loro dicendogli che vuoi stare con me ed io neanche ci sarò. Che figura ci faccio?” chiese lei. 
Shade non rispose, rimase scioccato, come diavolo lo avrebbe detto ai suoi genitori? Rein interpretando male il suo silenzio di, si alzò dal letto, si girò con un’espressione preoccupata verso Shade -perché dirai di noi, vero?- chiese allarmata. 
Solo in quel momento Shade si riprese dalla trance in cui era caduto -Certo che glielo dirò. E non preoccuparti non ci farai una brutta figura, capiranno. Sono persone comprensive- gli rispose lui 
-Lo spero- sospirò lei. 
-Invece di preoccuparti di cose inutili, che ne pensi di darmi un bacio?- le chiese Shade. 
Con calma Rein si girò affinché potesse stare sdraiata di pancia e si avvicinò sempre di più per dargli quel bacio che aveva chiesto. 
Shade poggiò una mano sulla parte posteriore del collo di Rein, mentre inclinò il capo per approfondire il bacio. 
All’inizio era un bacio innocente, labbra che si muovevano contro labbra. 
Ma in un attimo Shade disegnò il contorno delle labbra di Rein affinché lei potesse dischiuderle, e lei senza pensarci lo fece, permettendo alla lingua di Shade di entrare. Non c’era neanche bisogno di combattere per chi dovesse prendere il controllo del bacio, la lingua inesperta di Rein era più che sufficiente per far capire che sarebbe stato Shade.
La testa di Rein era completamente vuota, un foglio bianco in cui stava cercando di imprimere questa loro immagine insieme da poter rispolverare semmai un giorno avrebbe sentito la sua mancanza. 
Dopo qualche minuto si staccarono in cerca d’aria. 
Rein aprì gli occhi e li inchiodò in quelli blu di Shade e, piano piano, il suo sguardo cadde sulla bocca del moro che si passò la lingua sulle labbra e, Rein, copiando il suo gesto, si accorse che le labbra di Shade erano gonfie per il bacio che si erano dati. 
La realizzazione la colpì dritta al petto, aveva  appena baciato Shade. Lo aveva baciato, ma in modo diverso. 
Non si erano baciati come le altre volte, questa volta aveva provato una sensazione diversa, non aveva sentito solo le farfalle allo stomaco, non aveva sentito solo la dolcezza. 
Ha sentito.. cosa esattamente? Non riusciva a dargli un nome.
-Cosa c’è?- chiese Shade perplesso 
-No, nulla. Sono solo stanca, mi si stanno chiudendo gli occhi da soli- abbozzò un sorriso lei. 
Shade non ci credette, lo vedeva che qualcosa non andava, ma lasciò comunque la stanza dandole un ultimo bacio con un “ne riparleremo domani” ad un soffio dalla sua bocca. 

Rein si stese sul letto a ripensare a quel bacio. Non avrebbe potuto mai dimenticarselo, quel bacio l’aveva completamente coinvolta, facendole dimenticare tutto ciò che aveva intorno in quel momento. E, allo stesso tempo, l’aveva spaventata, non aveva sentito solo la dolcezza, in quel bacio, non c’era stata solo quell’innocenza e quella leggerezza degli altri baci. 
L’aveva spaventata, era stato troppo per lei.
O forse, l’aveva spaventata perché in realtà gli era piaciuto?
A quel pensiero Rein spalancò gli occhi, e adesso? Cosa gli stava prendendo? 



 

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Capitolo 21
*** Partenza ***


Partenza
This isn’t goodbye, not even a break, I know it’s not one that we wanted
to take. But I’ll bo home, soon. I hope you’ll wait for me like I wait for you

 
Rein stava bevendo il suo latte con il capo poggiato sulla mano, forse non era propriamente pronta ad alzarsi.
Portò la tazza del latte alle labbra lamentandosi
-Cosa ti infastidisce tanto?- sentì una voce provenire dalla porta, alzò lo sguardo e vide suo fratello poggiato allo stipite della porta con le braccia incrociate.
Rein indicò la tazza -troppa fatica, non riesco a sollevarla- sbruffò poi.
Chris si lasciò ad una risata -vuoi che ti imbocchi?- chiese, Rein gli lanciò uno sguardo di fuoco, ghignando suo fratello replicò: -cosa? Quando eri piccola ero solito imboccarti quando mamma non poteva.
 -Parliamo di cose serie” sbottò improvvisamente Rein -cosa hai in mente con Shade- chiese arrivando dritta al punto.
Chris si schiarì la gola -dov’è Jhon? È andato a scuola?-
Rein lo guarda storto, perché nella sua famiglia avevano il vizio di scappare alle loro responsabilità e di cambiare discorso -Non cambiare discorso?-
Christian si sedette a tavola, prese un profondo respiro e iniziò a parlare: -come mi hai chiesto tu, non sto interferendo con il vostro rapporto, ma  questo non significa che io non possa verificare quanto questo ragazzo sia affidabile-
-Ma cosa avete tutti- sbottò Rein esasperata -è possibile che dubitiate tutti di lui? Che vi ha fatto?-
-Me lo stai chiedendo davvero o..- iniziò Chris, prima di ricevere uno sguardo torvo da sua sorella che, dopo aver sorseggiato un goccio di latte, sospirò per iniziare a parlare: -io capisco perché siete così impauriti, e, oddio, odio ammetterlo, ho paura anche io, ma voglio pensare che andrà bene- disse lei in tono serio.
Chris prese la mano di sua sorella e l’accarezzò cercando di  fargli sentire il suo affetto.
Si fidava di sua sorella, sapeva che era una persona seria e capace di prendere le sue decisioni, ma  non poteva non aver paura. Stava vivendo una nuova esperienza da cui avrebbe potetuto uscire con il cuore in frantumi e voleva evitarlo. Sapeva di non poter difendere sempre sua sorella, che anche lei stava crescendo e che aveva bisogno di fare le sue esperienze, ma come può un fratello starsene con le mani in mano quando sa che sua sorella potrebbe soffrire?
E voleva davvero potersi rilassare, in cuor suo aveva capito che Shade era un bravo ragazzo, ma il suo istinto protettivo era più forte.
 
 
Durante il pomeriggio Rein si rese conto che stava diluviando, quindi il suo pomeriggio fuori con Shade era andato in fumo.
Si guardò intorno per cercare qualcosa da fare in casa e sospirò di sollievo quando pensò al computer in camera, avrebbero potuto guardare qualche film in streaming.
Mandò velocemente un messaggio a Shade dicendogli dei suoi piani e andò in cucina
-Mamma- chiamò sua madre che era seduta a leggere una rivista
-Sì, tesoro?- rispose Elsa sorridendo
-Ti va di fare una partita a carte? È da tanto che non ne facciamo una- chiese poi, Elsa storse il naso
-Perché non ci facciamo una partita a scarabeo?- propose invece lei, Rein sorrise -ottima idea- rispode poi.
Rein tornò con la scatola dello scarabeo  e si prepararono per la partita.
 
-Cosa fate oggi tu e Shade? Fuori sta piovendo- chiese curiosa Elsa
-Probabilmente ci vedremo un film in streaming, oppure potremmo giocare insieme a te a scarabeo- rispose Rein sorridendo a sua madre.
-Mi piacerebbe-
 
 
Dopo mille risate e tre partite di scarabeo, sentirono il campanello suonare e Rein andò ad aprire la porta.
Spalancò gli occhi per il terrore quando vide che alla porta c’era Shade e che accanto a lui c’era Chris.
-Ciao- e Rein capì che il saluto le era uscito più come una domanda che altro
-Ehi Rein, ci lasci entrare?- chiese suo fratello, ma  quando Rein rimase ferma guardando davanti a sé, suo fratello rise un po’
-A quanto pare mia sorella è rimasta affascinata dalla tua maglietta fradicia, cognatino- riprese poi Chris dando qualche pacca sulla spalla di Shade
“Co-co-cognatino?” chiese confusa, da quando Chris era così amorevole con Shade? E perché nella voce di suo fratello non c’era traccia di ironia? Cosa si era persa?
Rein posò il suo sguardo su Shade che le sorrise in modo rassicurante.
‘Hanno chiarito?’ pensò Rein, possibile?’
-Io e mamma ci stavamo facendo una partita a scarabeo, volete unirvi anche voi?-
-Ci sto!- rispose contento Chris -tu che dici Shade?-
-Uh?- rispose Shade
-Vuoi giocare anche tu?- chiese Chris
-Sì, certo- rispose sorridendo. Shade si sentì estremamente felice, la chiacchierata che aveva avuto poco prima con Christian era stata rassicurante. Improvvisamente sentiva come se i muri che Chris aveva nei suoi confronti fossero crollati. Sentiva di averlo convinto.
 
Sapeva che per avere la sua completa fiducia avrebbe dovuto lavorare duramente, ma era decisamente un inizio.
Shade e Christian avevano parlato nel tragitto scuola-casa su tutto, scambiandosi opinioni, e Chris aveva realizzato che Shade in realtà era un ragazzo intelligente. Inoltre aveveno  scoperto di avere molto in comune e forse proprio questo aveva aiutato Chris ad accettare Shade come una figura – apparentemente - costante nella loro famiglia. Nonostante i vari ostacoli che gli poneva davanti il senso di  protezione che aveva verso sua sorella, Chris sapeva per certo che Shade poteva essere comunque suo amico.
Solo al pensare alla sua conversazione di poco prima con Shade, mentre guarda l’espressione felice che ha sua sorella, gli sfugg’ un sorriso

-Alle volte penso..- Shade stava cercando di spiegare a Chris quanto poteva essere difficile vivere lontano da una famiglia che viveva con la paura di perderti e di come, alle volte, sentiva di non aver detto abbastanza ‘ ti voglio bene’; quando Chris lo interruppe per puntargli una ragazza seduta su una panchina che stava leggendo una rivista 
-Carina, vero?- chiese Chris
-Sì, carina. Ha dei bei capelli- rispose sinceramente Shade. L’ultima cosa che voleva fare e dire delle bugie al fratello di Rein e, oltretutto, non era un crimine pensare quanto una ragazza fosse  carina se le mani  restano al loro posto, no? 
-Mi piaci!” esclamò Chris 
-Cosa?- 
-Sì, sei sincero. Altri ragazzi avrebbero iniziato a vaneggiare quanto la propria ragazza fosse la più bella, che non guarderebbero mai altre ragazze per compiacermi, invece tu sei sincero. Mi piaci- spiegò Chris  -Anche il modo in cui hai allontanato quella ragazza al bar. Dovrò spiegare a Maria che  non hai nulla contro di lei- 
-Maria?- chiese Shade confuso
-Sì, la ragazza che hai allontanato.  Ha un ego che non puoi immaginare- spiegò Chris
-Tu?- 
-Devo accertarmi che tu sia una bravo ragazzo. Difenderò sempre Rein- chiarì Chris
-Sì, ma..-
-Non guardarmi così, alle volte i rimedi infantili sono le più efficaci.- 

Sì, forse poteva fidarsi.
 
 -Sì, ho capito. Me ne vado così potete fare i piccioncini, non ci tengo vedervi mentre vi sbaciucchiate- disse Chris alzando le mani come arresa.
Rein arrossì imbarazzata. Shade le si avvicinò prendendole la mano e le sorrise.
-Che cosa ha combinato?- chiese Rein
-Nulla, credo che finalmente possiamo avere un rapporto civile. Abbiamo scoperto di avere molto in comune” rispose Shade sorridendole di nuovo per rassicurarla.
Shade si avvicinò e poggiò le sue labbra su quelle di Rein.
Il moro portò il braccio attorno alla vita di lei, mentre posò la mano sul suo viso, passandole il pollice sulla guancia
 -C’è una partita che aspetta!- urlò dalla cucina Chris, i due si staccarono sorridendo, si diressero in cucina, Rein qualche passo indietro da Shade.
Lo sguardo di Rein si posò un attimo sul moro e arrossì furiosamente, rendendosi conto in che stato fosse: la maglietta era di un celeste talmente chiaro che con l’acqua era diventata quasi trasparente, lasciando intravedere i muscoli accennati.
Cercò in qualche modo di staccare gli occhi, ma la forza di volontà sparì quando Shade mise in tensione i muscoli.
Senza rendersene conto, Rein, aveva raggiunto la cucina dove suo fratello, con un ghigno stampato in viso, risvegliò sua sorella tossicchiando.
-Preparati ad essere sconfitto caro Shade- dichiarò Chris puntando il dito contro il petto del moro che sorrise -Sicuro di battermi?- chiese poi acquistando un po’ di sicurezza.
Nonostante tutto, si sentiva ancora intimorito dalla presenza di Chris, come se quest’ultimo stesse aspettando un suo passo falso per metterlo contro Rein.
-Cento per cento- rispose in tono fiero Chris
-Vediamo chi è il migliore- colse la sfida Shade.
Rein, ormai ripresa dalla stato di trance in cui era caduta, si voltò verso sua madre, si sorrisero ed Elsa fece un occhiolino a sua figlia.
-Prima vado a cambiarmi- disse Shade evidenziando di avere ancora addosso i vestiti zuppi d’acqua
-Giusto, vengo anche io.-
 
 
 
Dopo la seconda partita sentirono suonare il campanello, Chris andò ad aprire la porta e vide suo padre e suo fratello sulla soglia
-Giusto in tempo. Venite anche voi a fare una partita a scarabeo?- chiese il ragazzo
-Certo!- disse suo padre
-Io non so giocare- rispose Jhon imbronciato
-Non preoccuparti nano, puoi giocare con me- rispose Chris.
Nei giorni della sua permanenza, Chris era riuscito a guadagnarsi l’amicizia e un briciolo di fiducia di suo fratello. Sapeva che avrebbe dovuto lavorare ancora un po’, c’erano sono quelle volte in cui Jhon lo sentiva ancora come uno sconosciuto, ma era sicuro di voler costruire un rapporto saldo come quello che aveva con Rein.
Voleva colmare tutte le lacune che avevano.
“Sì” urlò felice Jhon “vado a posare la cartella.”
 
Erano tutti seduti attorno al tavolo a giocare a scarabeo, Jhon era seduto sulle gambe di Chris e stavano ridendo a qualcosa di stupido che aveva fatto il maggiore.
Si stavano preparando per un’altra partita quando Chris poggiò il mento sulla spalla del suo fratellino -che dici vinciamo anche questa?- chiese Chris
-Sì- esultò Jhon “facciamoli a pezzi, fratellone.”
In quel momento la stanza cadde in un silenzio tombale, tutti si guardarono con occhi spalancati, mentre Chris sentì le lacrime pizzicargli gli occhi. Il bambino si guardò intorno spaesato, senza capire cosa stesse succedendo. Poi guardò suo fratello con un’espressione confusa in volto “Chris, stai bene?” chiese poi, quando vide suo fratello con occhi lucidi 
“Sì, è tutto perfetto. Ti voglio bene, lo sai?” disse per poi stampare un bacio rumoroso sulla guancia di suo fratello.
Jhon ridacchiò un po’ -Dai, che dobbiamo farli a pezzi- urlò e poi stampò un altro bacio sulla guancia di suo fratello.
Anche se stava aspettando questo momento da tanto tempo , sentirsi chiamare ‘fratellone’ dal minore era stato sconvolgente. Nonostante avessero passato moltissimo tempo insieme, non si aspettava che Jhon lo riconoscesse come suo fratello in così poco tempo. Si sentì felice, si sentì bene. Sentiva di possedere tutto nel mondo. Probabilmente non c’era parole sufficienti a descrivere la gioia che sta provando in quel momento, con suo fratello tra le sue braccia che gli donava l’amore che non aveva ricevuto in quegli anni. E si chiese come aveva fatto a vivere tutto quel tempo senza quella fonte di gioia che era Jhon. Si maledì, perché si era perso gli anni infantili di quel bambino, ma si promise che non lo avrebbe più abbandonato.
 
-Ragazzi abbiamo passato quattro ore a giocare e neanche ce ne siamo accorti- disse Elsa -mi metto a preparare la cena.-
In un attimo il suo sorriso sparì. Si guardò intorno, tutti stanno sorridendo godendosi il momento insieme e odiò dover rovinare l’atmosfera felice, ma doveva.
-Shade- lo chiamò, ingoiò il nodo che le si era formato in gola e proseguì -dovresti iniziare a preparare la valigia, domani mattina hai il volo- disse Elsa.
Le risate si smorzarono, avevano tutti gli occhi sbarrati quando registrarono le parole di Elsa.                               In quel momento si sentirono tutti colpiti dalla realtà che volevano evitare, ma non avrebbero potuto. Avrebbero dovuto salutare Shade aspettando di rivederlo appena possibile.
-Sì, vado subito- riuscì a dire il moro
-Vengo a darti una mano- diwwe Rein mentre si alzò dalla sedia.
Arrivati in camera iniziarono a preparare la valigia senza rivolgersi una parola, ad un tratto Rein si sedette sul bordo del letto coprendosi il viso tra le mani
-Accidenti!- imprecò a denti stretti, si era promessa di non crollare fino a quando non sarebbe tornata dall’aeroporto, ma preparare le valigie la stava opprimendo. Riuscì a sentire il senso di solitudine pervaderla. Dubitò di essere pronta a lasciarlo andare.
Shade le si avvicinò, le prese una mano nella sua -staremo bene, te lo giuro- sussurrò mentre le accarezzò i capelli
-Cosa faccio? Voglio dire, cosa faccio quando sentirò la tua mancanza?- chiese Rein
-Rein, so che sarà difficile. Anche io sentirò la tua mancanza, ma chiuderò gli occhi immaginandomi il momento in cui ti rivedrò. E poi ogni sera ci vedremo su Skype, così possiamo raccontarci la nostra giornata-
-E se ho bisogno di un tuo abbraccio?-
-Facciamo così- disse Shade prima di alzarsi, tirò fuori un maglione e lo posò sul letto “Ti lascio questo. Non è la stessa cosa, ma quando hai bisogno di me tieniti stretto il maglione” le disse, lei annuì stringendolo
-Ehi, almeno fin quando ci sono io abbraccia me- mugugnò Shade. Rein sorrise, si alzò dal letto e lo abbracciò.
Restarono ad abbracciarsi, iniziarono a muoversi come se ci fosse della musica
-Sai che questo è un orribile cliché, vero?- disse Rein, tenendo il viso nascosto tra la spalla e il collo di Shade
-Lo so, ma possiamo permettercelo dato che domani devo partire- rispose Shade
 
 
 
Dopo cena si misero sul letto tenendosi per mano
-Mi piace stare così con te- disse Shade, Rein si girò per guardarlo
-Insomma, stare stesi sul letto tenersi per mano e guardare il soffitto. È come se i problemi non ci fossero, come se si fermassero dietro quella porta-
-Shade-
-Dimmi- chiese il moro
-Potresti far venire qui i tuoi genitori? Vorrei che incontrassero i miei. Cielo. Sarà un ragionamento stupido. So che già sono venuta da voi nonostante i miei non li conoscessero, ma questa volta è diverso. Praticamente sono i genitori del mio ragazzo.. insomma i tuoi e vorrei che si incontrassero. Così i miei si possono sentire sicuri nel permettermi di venire in Argentina da te”
Shade sorrise “Certo” rispose “però aspetta, com’è che mi hai chiamato?” chiese poi facendo arrossire Rein
“Il mio ragazzo?” chiese Rein
“Suona bene detto da te”
“Oh cielo, quanto sei sdolcinato!” si lamentò Rein.
 
Calò di nuovo il silenzio nella camera, dopo essersi scambiati un bacio.
Rein ancora non si era dimenticata della sensazione che ha sentito la sera precedente.
“Ti va di parlarmi di ieri sera?” chiese Shade come se stesse leggendo i suoi pensieri “Ti sei irrigidita d’un tratto” chiarì quando vide l’espressione confusa di Rein.
Rein annuì. Era piuttosto agitata, come avrebbe fatto a spiegarglielo?
-Non so come spiegarlo-
-Dillo come ti viene- la incoraggiò il moro
-Vedi, quando ci stavamo baciando ho sentito qualcosa di strano allo stomaco” vide che Shade stava per parlare, ma lo interruppe -prima che te ne esca con qualcosa di sdolcinato no, non erano farfalle- precisò.
Shade aggrottò le sopracciglia -E’ stato strano, l’ho sentito anche stasera. È come se non riesciussi a fermarmi, non riesco a pormi un freno e ho paura perché sento come se stessi sbandando e per ora riesco a controllarmi, ma cosa succederà poi?-
Shade la interruppe -Rein, non aver paura è solo che stai vivendo qualcosa di nuovo e quindi non sai come gestirla, solo questo. Ti sei solo lasciata trasportare dal momento- spiegò Shade.
Rein gli sorrise, sapeva sempre come confortarla. Si avvicinò e poggiò le sue labbra su quelle del moro. Sentì Shade tirare le labbra in un sorriso e iniziò muoverle. Entrambi mossero le labbra in sincrono. Shade passò la lingua sulle labbra di lei disegnandone i contorni e Rein apri subito la bocca per dare accesso alla lingua del moro.
Si baciarono per qualche minuto, mentre il moro poggiò la sua mano sul fianco scoperto dalla maglia leggermente sollevata di Rein.
Si staccarono subito, Shade non voleva spaventarla oltre, quindi gli lasciò un bacio a stampo e poi un piccolo bacio sulla guancia -dormi.-
Sentì un pugno al petto doverlo dire. Il suo ultimo giorno era praticamente finito e l’indomani sarebbe dovuto andarsene lasciando Rein, Toulouse.. non si sentiva ancora pronto per andarsene, ma sapeva di non avere scelta. Inoltre sentiva la mancanza di sua madre, di suo padre e di Milky, la sua famiglia. Il loro ricordo gli diede la forza necessaria per accettare la sua partenza e quello che ne derivava.
Abbracciò Rein tirandola più vicina al suo petto, e si addormentò con il profumo dei suoi capelli. Per quella sera non aveva voglia di lasciarla sola, voleva stringerla a sé per quanto gli fosse possibile.
 
La mattina Shade si svegliò sentendo il letto vuoto. Si guardò intorno confuso, poi si alzò per andare in cucina dove sapeva di trovare Rein
-Buongiorno- disse entrando in cucina
-Buongiorno- risposero tutti.
Avevano deciso che anche Jhon sarebbe rimasto a casa per salutare Shade.
 
La mattina era passata velocemente, e Shade non riusciva a credere che già si trovava sulla macchina per andare in aeroporto.
Aveva passato mezz’ora dopo la colazione ad abbracciarsi con Rein, sussurrandole che tutto sarebbe andato bene.
Il resto delle mattinata l’aveva passata a chiacchierare con tutti seduti a tavola.  
E poi si ritrovò sul sedile posteriore della macchina senza mai lasciare la mano di Rein che, ad ogni metro più vicino all’aeroporto, stringeva sempre di più la sua.
Arrivati all’aeroporto si avvicinò al bancone per chiedere il numero dell’uscita.
Si voltò con un sorriso finto sul volto e iniziò ad abbracciare tutti.
E ad ogni abbraccio sentiva di non essere pronto a salire sull’aereo. Sapeva che appena sarebbe arrivato a casa si sarebbe sentito bene, avvolto dal colore della sua famiglia, ma andarsene faceva comunque male.
Si avvicinò a Rein stringendola nel suo abbraccio. Lei nascose il viso nell’incavo del collo del moro, mentre lui teneva il naso tra i suoi capelli così da avere il suo profumo nella mente, almeno per la durata del viaggio.
- Questa volta vinceremo noi- sussurrò Shade, ricordandosi delle parole che Rein gli aveva detto poco tempo dopo il suo ritorno
-perché vincono sempre loro, perché le paure sono più forti  di me?-
 
Glielo aveva detto quando lui le aveva suggerito di mettersi in gioco, e di non aver paura di cadere.
Rein le sorrise, stringendo la presa sulla vita del ragazzo.
-Non andartene- continuò a ripetere a voce bassa
-Mi dispiace Rein, devo andare. Voglio tornare dalla mia famiglia- disse in tono serio.
Ed era vero, moriva dalla voglia di avvolgere le sue braccia attorno alla sua sorellina, mentre le ripeteva un milione di volte “Te quiero”.
Voleva  rassicurare i suoi genitori dicendogli che no, non si era dimenticato di loro e di non avere paura perché non lo avrebbe  mai fatto.
Voleva far sapere a tutti e tre che sarebbero rimasti la famiglia che erano sempre stati, nonostante Shade avesse trovato chi cercava.
Daiki e Maria sarebbero sempre stati i suoi genitori, in qualsiasi caso. Era la conclusione a cui era giunto nelle settimane di permanenza a Firenze.
Per quanto amasse Toulouse e per quanto fosse felice di averlo ritrovato, nel suo cuore ci sarebbero sempre stati i suoi genitori.
“Ti aspetto” sussurrò Rein, poggiando un bacio sul collo del ragazzo.
Shade lasciò la presa da Rein, le poggiò un bacio sulla tempia e le sorrise “Torno presto, lo giuro.”
Diede un ultimo sguardo a tutti, raccolse le valigie e si avvicinò all’uscita.
L’aereo iniziò a decollare, guardò fuori dal finestrino realizzando che stava lasciando in Italia un altro pezzo del suo cuore.
 
 
 

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Capitolo 22
*** Sono tornato ***


Sono tornato
 
Dopo essere atterrato, mi guardai frenetico intorno per cercare la mia famiglia, ma non trovai nessuno . Possibile si fossero dimenticati del mio ritorno?
Iniziai ad agitarmi, non avevo neanche delle monete per usare il telefono pubblico.                                       
Che cosa avrei potuto fare?
Mi guardai intorno e pensai che, forse, avrei potuto chiedere aiuto al bancone della receptionist, magari avrei potuto fare una telefonata veloce.
 
-Buona tarde- salutai educatamente
-Buena tarde. ¿Le puedo ayudar en algo?-  ‘buona sera, posso aiutarla?’ mi chiese gentilmente la signorina al bancone
-Sì, por favor. ¿Puedo hacer una llamada telefónica?- ‘si per favore. Posso fare una chiamata?’ chiesi sorridendo gentilmente
-Cierto- rispose la signorina
Dopo circa tre squilli mia madre rispose al telefono
-Sì?-
-Mamma si può sapere dove siete?- chiesi preoccupato, magari temevo potesse essere successo qualcosa
-A casa, perché?- chiese
-Ma come a casa? Mamma, sono appena atterrato. Ricordi? Dovevo tornare oggi!- iniziai ad agitarmi.
Non volevo essere rude con mia madre, ma tutta la situazione che stavo vivendo era complicata, ci mancava solo che la mia famiglia si fosse dimenticata di me.
-Oh, tesoro hai ragione. Me ne sono completamente dimenticata- rispose agitata
 
-Puoi venirmi a prendere?- chiesi poi
-Tesoro, non farmi vestire per favore. Potresti prendere un taxi? Lo pago io appena arrivi- rimasi scioccato.
Non mi pesava prendere un taxi, ma ero appena tornato a casa da una viaggio, che diamine!
 
Dopo avere imprecato contro tre taxi già occupati, finalmente ne trovai uno vuoto e diedi il mio indirizzo di casa.
Con la testa poggiata al finestrino iniziai a pensare.
Possibile che la mia famiglia si fosse dimenticata del mio rientro?
Durante il volo avevo passato le tredici ore ad immaginarmi la scena e ciò che mi ero immaginato non era certamente questo. Non che volessi mia madre in lacrime ad accogliermi come se fossi tornato dalla guerra, ma almeno volevo mia madre. D’altronde ero appena tornato da un viaggio di tre settimane.
Per tutto quel tempo avevo sentito i sensi di colpa per il timore che si fossero sentiti abbandonati da me, eppure non si erano presentati all’aeroporto.
E se in quel periodo avessero capito che non mi volevano bene?
E se avessero capito che, in realtà, non ero poi così tanto indispensabile nelle loro vite?
Cosa avrei fatto? Quando, tre settimane prima, ero salito sull’aereo questa paura mi era passata per la testa, ma l’avevo rintanato in un angolo remoto della mente. Eppure in quel momento era tornata prepotente, trafiggendomi il cuore. Mi resi conto di dipendere completamente da loro. Capii che avrei potuto rinunciare a tutto, ma non al loro amore. Il loro amore, la loro pazienza era quello che rendeva vivo e ciò che ero. Semmai avessi sviluppato il dubbio se avessi potuto vivere senza di loro, in quel momento aveva l’assoluta certezza che non ce l’avrei fatta.
Non poteva essere così! Continuai a ripetermi come una mantra. Loro mi volevano ancora bene.


Arrivai a casa, ma mia madre non c’era ad attendermi
-¿ Puede esperar aquì?- ‘può aspettare qui?’ chiesi gentilmente al tassista che annuì dandomi un sorriso
Arrivai alla porta e bussai.
Niente.
Busso più forte.
Niente.
Provai ad abbassare la maniglia e notai che la porta era aperta.
Tutto buio, l’unica luce accesa proveniva dalla cucina
-Mamma- chiamai ad alta voce
-Arrivo- la sentii rispondere
-Ciao tesoro. Scusami, ma stavo facendo i piatti. Vado a pagare il taxi e torno subito- disse mia madre uscendo dalla porta.
Tutta qua? Niente abbraccio?
 
-Sì, mamma il volo è andato una meraviglia. No, sto bene, figurati. Sì, mamma ho mangiato- borbottai ironico.
Insomma, ogni madre del mondo riempirebbe di domande il figlio appena tornato a casa dopo un viaggio di TRE settimane.
 
Sbruffai mentre vidi mia madre rientrare in casa.
-Vamos en el sofa- ‘andiamo sulla poltrona’ disse lei.
Certo, adesso parlava anche in spagnolo. Iniziai a pensare di doverlo ripassare.
Un attimo -dov’è papà?- chiesi ad alta voce.
Accesi la luce, che mia madre non si era minimamente preoccupata di accendere e un “bienvenido de nuevo” riempì la sala.
Sentii gli occhi pizzicare appena mi accorsi che erano tutti lì: mio padre, Milky, Bright, Altezza, Lione e tutta la mia famiglia.
-Cielo. Abbracciami, che non resisto più- disse mia madre prima di abbracciarmi.
Mi strinse talmente forte, quasi da stritolarmi
-Mi siete mancati così tanto- piansi sulla spalla di mia madre, sentire le sue braccia avvolgermi, mi fece sentire di nuovo a casa.
-Sono contento che tu sia tornato. Non sai quanto paura ho avuto in queste settimane- mi disse mio padre mentre si avvicinava. Quanto mi era mancato il suo calore, poggiare la guancia sulla sua spalla.
-Fratellone!- urlò Milky, correndo verso di me gettando le braccia in aria.
La sollevai con facilità, stampandogli numerosi baci -come potrei abbandonarvi? Siete tutto per me- risposi.
Milky ridacchiò un po’ stampandomi un bacio.
-Cielo. Come hai fatto a crescere così in fretta?- chiesi a mia sorella, lei mi sorrise avvolgendomi le sue braccia attorno al collo.
Tutti erano rimasti dietro al divano per lasciarci un momento per noi.  
-Come state?- chiesi sorridendo, per poi accigliarmi quando non ottenni risposta
“Oh, perdón. Ehm.. me olvidé el espanol” “Oh, scusate. Ehm.. mi sono dimenticato lo spagnolo” dissi con un pizzico di vergogna mentre mi grattai il collo.
Tutti nella sala risero. 
 
La festa finì a mezzanotte, fortunatamente avevo detto a Rein che ci saremmo sentiti l’indomani affinché potessi avere un momento con la mia famiglia, per parlargli di tutto ciò che era successo in quei giorni a Firenze.
 
Ormai era mattina e non avevo proprio voglia di alzarmi dal letto, mio padre si era preso un giorno libero da lavoro per poter passare la giornata con me. 
Anche Milky aveva chiesto di poter rimanere a casa, d’altronde lei non aveva grandi problemi con la scuola.
Mi alzai dal letto e andai in cucina
-Buongiorno- salutai tutti
-Buongiorno- rispose mia madre
-Allora è vero, te lo sei proprio dimenticato lo spagnolo” mi disse mio padre.
-Già. Non lo sento da tanto e visto che mi sono appena svegliato non capirei nulla. Forse mi conviene ripassarlo”
Ci mettemmo tutti a ridere.
-Che ne dici se facciamo colazione e poi ci racconti del tuo viaggio?- chiese mia madre
 
Finita la colazione andammo tutti in sala e ci sedemmo sul divano
-Allora, dicci tutto- disse mio padre
“Sono successe tante di quelle cose che non potete immaginare. Non ci credo neanche io” iniziai, i miei genitori annuirono
-Ah già, quell’uomo.. Toulouse, come sta? È lui che ha avuto l’incidente, no?” chiese mio padre, io sorrisi.
Mio padre era sempre stato un uomo generoso e altruista, si preoccupava sempre per gli altri, anche di coloro che non conosceva personalmente, ma che, in qualche modo, erano coinvolte nelle vite di chi lo circondava. Nonostante lo prendessi in giro chiamandolo ‘pettegolo’, sapevo che lo faceva con gentilezza.
-Sì, sta bene. Una di quelle cose incredibili riguarda proprio lui- risposi
-Cosa?- chiese mia madre
-Lui.. lui è l’uomo che si occupava di me all’orfanotrofio- dissi tutto d’un fiato, sapevo che se mi fossi non sarei riuscito a finire la frase.
-Cosa?- chiese mia madre
-Già, sembra assurdo, ma è lui. Ha anche una mia foto nel portafoglio. Lui non si è dimenticato di me, ha detto che voleva adottarmi-
-Ma a noi hanno detto che non c’era nessuno in lista- disse mio padre, io sorrisi
-Sì, ma non è così. Lui ha lasciato l’orfanotrofio perché doveva occuparsi di suo figlio e della figlia che stava per nascere e lo stipendio non gli bastava, ma aveva intenzione di tornare per adottarmi appena fosse riuscito a stabilire il bilancio della casa-
-Cosa è successo?- chiese mio padre appena notò il mio improvviso silenzio
-E’ tornato per vedere come stessi, ma gli hanno detto che ormai ero stato adottato” risposi guardando il pavimento
-Come sono andate le cose tra voi?- chiese mia madre
-Non potete immaginare. All’inizio andava tutto bene, andavamo d’accordo, ma dopo il suo incidente ci siamo resi di conto di conoscerci. Dopo esserci confrontati è stato difficile, non riuscivo a credere a ciò che mi aveva detto, ma dopo qualche giorno mi sono reso conto di volere comunque un rapporto con lui, quindi l’ho perdonato e ora abbiamo un bel rapporto” risposi sorridendo
-Magari un giorno potremmo andare lì. Mi farebbe piacere che lo incontraste- ripresi sorridendo
-Vedremo- rispose mia madre scompigliandomi i capelli
-Ma come? Io gli ho promesso di presentargli i miei genitori, che figura ci faccio?- borbottai io
-Magari questa estate- rispose mio padre sorridendomi. Io gli sorrisi, accorgendomi poi dei suoi occhi leggermente lucidi.
-E poi..- iniziai io, era arrivata la parte più difficile. Dovevo prendere coraggio e parlargli di Rein.
-Ancora? Dicci!- mi incitò Milky mentre si sistemò comodamente sulla sedia  con le mani incrociate sulla gambe.
Sorrisi guardandola, mi era mancata terribilmente, mi erano mancati i suoi tentativi di sembrare un’adulta
-Sì, ma vieni qui- le dissi allargando le braccia affinché lei si potesse accomodare sulle mie gambe. Avvolsi le mie braccia attorno a lei e la strinsi forte a me, odorando il suo solito profumo di mela che aveva tra i capelli.
-Non so come dirlo- mi lamentai io, nascondendo il viso tra i capelli di Milky
-Dillo come ti viene- mi incoraggiò mia madre
-Ecco.. vi ricordate di Rein?- chiesi retorico
-Rein? La ragazza che è venuta qui?- chiese mia madre, io annuii
-Beh, andiamo molto d’accordo e abbiamo stretto un forte legame. E so che per voi sarà sciocco, ma a me piace davvero e vorrei avere un rapporto con lei-
Mia madre stava per parlare quando Milky si intromisi: “ tu intendi il rapporto che papà ha con mamma?” chiese mentre si voltò per guardarmi
-Beh, più o meno- risposi
-Vuoi trasferirti in Italia?- chiese secco mio padre
-No. Vogliamo vedere prima come va. Vogliamo passare un po’ di tempo insieme, tenerci in contatto- spiegai io -Non so, io vado a trovare lei e viceversa-
-Rein, eh?- chiese mia sorella “Mmh.. si potrebbe fare, mi sembra una ragazza simpatica” concluse poi sistemandosi sulle gambe, io le sorrisi
-Una volta mi ha anche accompagnato al parco qui fuori- mi disse sorridente.
 
Dopo un lunga conversazione con i miei, in cui si erano assicurati di farmi arrossire e imbarazzare, mi sedetti  sul letto aspettando che Rein si collegasse su Skype.
Non sapevo come i miei genitori avessero preso la mia scelta riguardo Rein, avevo messo in conto che non sarebbero stati felici o che comunque non avrebbero fatto i salti di gioia, ma dal loro volto non traspariva alcuna emozione, nulla.
Dopo aver atteso quindici minuti, arrivò la sua chiamata e l’accettai
-Ciao Shade- sentii la voce entusiasta di Rein e poco a poco apparì davanti a me il suo volto
-Ciao Rein. Come stai?- chiesi io
“Bene, grazie. A te com’è andato il volo?-
-Molto bene, mi hanno fatto anche una festa a sorpresa. All’inizio pensavo si fossero dimenticati di me, all’aeroporto non c’era nessuno” gli spiegai io, lei sorrise
-Ehi cognatino, da quanto tempo!- esclamò Chris
-Ciao Chris, come stai?-
-Un po’ demotivato, tu non sei qui ed io non so con chi prendermela- rispose lui facendo ridere Rein.
Rimasi un po’ a fissarla mentre sorrideva
-Vabbé, vi lascio. Ciao cognatino- salutò lui agitando la mano.
-Ancora non ci credo che sia così tranquillo- disse Rein guardando suo fratello andare via -Com’è andata con i tuoi?-
-Non so. Credo abbiano paura che io voglia trasferirmi in Italia. Ho parlato loro di tuo padre e di te e l’unica cosa che ho visto è paura- risposi
Ecco, i loro occhi, il loro volto non mostravano disaccordo o delusione, niente di tutto questo, mostravano solo tristezza e paura.
-Ma non sai com’è stato bello vedere gli occhi di mio padre inumidirsi quando li ho chiamati genitori- risposi sorridendo -E’ stato bellissimo abbracciarli di nuovo-
-Posso immaginarlo. Tua sorella?- chiese
-Mia sorella l’ha presa con la leggerezza di una bambina. Ha solo capito che voglio con te un rapporto come quello di mamma e papà-
-E cosa ha detto?- chiese lei sorridendo
-Ha detto che si può fare perché sembri simpatica- iniziò a ridere
Avrei voluto poterla abbracciare, avrei voluto poterla tenera la mano o stare semplicemente sdraiati sul letto senza dire niente.
-Devo andare, ci sentiamo domani- disse Rein
-Certo, ci sentiamo domani- le risposi mandandogli un bacio
-Ciao cognatino!- sentii un grido mentre Rein stava chiudendo la chiamata.
 
 
Dopo  un’intera giornata passata con i miei, mi godetti un momento di relax sdraiato sul letto.
Mentre aspettavo di addormentarmi mi guardai intorno la mia stanza, sentii la porta cigolare e alzai il capo e vidi Milky avvicinarsi al mio letto
-Shade, posso dormire qui con te? Mi è mancato dormire con te-
-Certo- rispoai spostandomi facendole posto
-Come ti sono andate queste tre settimane senza di me?- chiesi io
-Molto lente. Sembravano non finire mai- sussurrò lei
-Adesso sono qui- le risposi, stringendola un po’ di più al mio petto “Te quiero” le sussurrai dandole un bacio sulla guancia
-Te quiero- rispose lei sbadigliando
-Domani parleremo di te- sussurrai poggiando le mie labbra sulla sua fronte.
 
Avere Milky tra le braccia mi fece capire quanto mi fosse mancata la mia famiglia.
Quanto mi fossero mancati i consigli di mia madre, le giornate allo stadio con mio padre e addormentarmi abbracciato con mia sorella.
Sembravano delle piccole cose, ma quando mi ci ritrovai senza, mi accorsi di quanto fossero importanti nella vita di tutti i giorni.
Erano una parte importante di me.
 
***
-Sono felice di vederli di nuovo così- disse Maria
-Già, sono felice di poterlo avere di nuovo con noi- rispose Daiki
-Cosa ne pensi della storia di Rein?- chiese poi Maria, Daiki scrollò le spalle, mentre avvolse un braccia attorno alla vita di sua moglie
-Niente. Per il momento sono troppo contento di sentirlo ancora chiamarmi‘papà’- rispose Daiki.

 
 

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Capitolo 23
*** Te quiero ***


TE QUIERO
My lonely days were countless, I saw your face and now there’s no more
Black and white, for the first time. Open up my eyes and I’m not colourblind

 
POV REIN
Erano  ormai passati quattro mesi dalla partenza di Shade ed ogni giorno sentivo sempre di più la sua mancanza. Nonostante seguissi il suo consiglio e indossassi la felpa che mi aveva lasciato prima di partire, sentivo comunque il bisogno di stringergli la mano.
Il giorno prima era stato il mio compleanno e avevo chiesto ai miei genitori il biglietto aereo per poter andare da lui per il fine settima, ma me lo negarono. Non sapevo quando avrei potuto vederlo di nuovo, ne avevamo parlato e lui mi aveva assicurato che appena sarebbe riuscito ad avere un fine settimana libero sarebbe venuto da me.
A dire la verità, avrei voluto essere io ad andare da lui, avrei voluto essere io a fare qualcosa, ma trovavo sempre impedimenti.
 
Quella mattina Chris voleva portarmi al centro commerciale per comprarmi qualche vestito come regalo di compleanno.
Chris.. con lui le cose stavano andando benissimo, Jhon era riuscito a costruire un rapporto solido ed io ero riuscita a recuperare il rapporto che avevo tempo fa. Anche il suo rapporto con Shade sembrava essere migliorato, si ritrovavano sempre più spesso a scherzare e ridere mentre ci chiamavamo su Skype. Alle volte era proprio Chris che lo chiamava quando io stavo facendo i compiti. Mi sembrava ancora strano vederli chiacchierare allegramente, ma allo stesso tempo mi rendeva infinitamente felice.
-Rein hai finito di prepararti?- mi chiese Chris da fuori la porta
-Sì, arrivo!- risposi sorridendo.
Non vedevo l’ora di uscire con mio fratello, sapevo che ci saremmo divertiti molto insieme.
 
Arrivati al centro commerciale, andammo direttamente al negozio di vestiti.
Mi guardai intorno per cercare qualcosa di carino da comprare. Mi avvicinai ad un manichino per guardare meglio una maglietta davvero molto carina, ma dopo aver letto il prezzo cambiai subito idea. Non avrei speso 50 euro per una maglietta.
-Andiamo in un altro negozio?- chiesi a mio fratello
-Come vuole lei principessa-
-Cretino- lo apostrofai dandogli uno schiaffo sul collo.
 
 
 
Dopo aver prosciugato il portafogli di Chris, decidemmo di tornare a casa.
Entrammo nel cancello e suonammo il campanello perché qualcuno venisse ad aprirci, ma non arrivò nessuno. Guardai sorpresa mio fratello e lui aprì la porta, entrammo in casa e sentimmo del chiacchiericcio provenire dal salotto.
Facendo attenzione sentii una voce conosciuta, corsi verso la sala e trovai seduto sul divano Shade che parlava gioiosamente con mio padre.
Mi presi alcuni minuti per guardarlo, era proprio come lo ricordavo: gli occhi blu cobalto pieni di serenità, il naso un po’ appuntito, i suoi zigomi un po’ tondi e le labbra tirate in un sorriso imbarazzato mentre si grattava il capo.
-Shade!- urlai di gioia, lui si voltò sorridendo ed io corsi verso di lui abbracciandolo. Lo strinsi forte godendomi il calore del suo corpo, il suo profumo che tanto mi era mancato e che non avevo potuto sentire fino ad ora.
Gli lasciai un leggero bacio sul collo, così che nessuno potesse vedere, mentre lui passò le mani tra i miei capelli
-Rein, mi sei mancata- mi sussurrò alle orecchie, tremai un po’ alla sensazione del suo respiro sul collo. Mi era mancato ogni tipo di contatto: mi era mancato il suo sorriso rivolto a me, il suo respiro sulla pelle, le sue labbra umide che si posavano sulla mia guancia per stamparmi un bacio e le sue mani gentili tra i miei capelli
-Anche tu- risposi
-Non vorrei rovinare il vostro romanticismo, ma ci sono ancora tre persone che attendono un saluto, Rein- mi interruppe Chris, mi girai non capendo di cosa stesse parlando e vidi Daiki e Maria in piedi che mi sorrisero gentilmente.
-Ciao Maria, ciao Daiki- li salutai per poi porgere la mano, ma Maria mi offrì un abbraccio che accettai subito
-Come stai cara?- mi chiese Maria, io le sorrisi
-Molto bene, grazie-
-E’ un piacere rivederti- mi disse Daiki mentre mi abbracciava
-Anche per me. Sono davvero sorpresa di vedervi qui-
-Spero sia una sorpresa gradita- mi disse Daiki
-Assolutamente. Sfortunatamente non abbiamo avuto molto tempo a disposizione in Argentina, mi fa piacere avere la possibilità di conoscervi meglio- risposi io.
Era strano parlare con  i genitori di Shade, sentii un peso sulle spalle, all’improvviso mi resi conto della difficoltà che aveva avuto lui nel rapportarsi con Chris negli ultimi giorni.
Spostai lo sguardo sulle gambe di Maria e vidi Milky che mi guardava con la stessa espressione timida che aveva la prima volta che la incontrai.
-Ehi Milky, come stai?- chiesi io abbassandomi verso di lei
-Bene, grazie. Tu?- le sorrisi
-Bene grazie- le risposi -posso darti un bacino?- le chiesi, lei annuì e, molto lentamente, si avvicinò con la guancia, io le diedi un bacio. Stavo per alzarmi, ma lei si alzò in un punta di piedi per darmi un bacio sulla guancia
-oh, grazie- le dissi
-Prego- rispose, poi si voltò verso Shade sorridendo “Sì, si può fare” asserì poi.
Guardai Shade per capire a cosa Milky si riferisse e lui, sorridendo, mi diede pollice in su. Avrei chiesto spiegazioni più tardi.
-Dove alloggiate?- chiesi
-All’albergo qui vicino, resteremo per un paio di giorni- rispose Daiki.
 
 
Dopo aver conversato allegramente e poi pranzato, io e Shade ci stendemmo sul letto.
-E’ fantastico tornare qui- disse lui
-Vero, è un sollievo averti di nuovo qui- gli sorrisi - stringerti la mano- continuai, intrecciando le mie dita alle sue.
Mi era mancato avere la sua mano stretta alla mia, quel calore che sentivo diffondersi in tutto il corpo. Mi sentivo così patetica, ero solita beffeggiare chi parlava nello stesso modo in cui stavo parlando in quel momento. Avrei voluto farlo, ma non riuscivo a negare o evitare le sensazioni che provavo quando ero con lui.
Il senso di protezione e di benessere.
Avete mai avuto la sensazione di sentire che quello che state facendo sia giusto? Era proprio ciò che sentivo. Sentivo la leggerezza di questa mia età colpirmi: se fino a qualche mese fa cercavo di seguire una linea ed evitare gli inconvenienti, ora sento la voglia di rompere tutti gli schemi.
Non era forse ciò che molti dicono? Non dicono forse che nel periodo dell’adolescenza bisogna provare nuove esperienze? Ecco,sento che quello poteva essere il mio momento.
-A cosa pensi?- chiese Shade interrompendo i miei pensieri
-Che sto bene- sorrisi io.
Mi posai di fianco per stare faccia a faccia con lui
-Mi sei mancato, lo sai?-
-Ho qualche sospetto- rispoae lui, prendendomi in giro. Non facevo altro che dirglielo da quando ero tornata a casa.
-Me lo dai un bacio?-
-Non so se voglio farlo- lo presi in giro io
-Dai- disse con il broncio
-Non so-
-Ho capito, faccio io-
-Ma cosa-?- non riuscii neanche a finire la frase che mi ritrovai Shade messo a cavalcioni sulla vita, le mani ai lati della mia testa per reggersi e un ghigno stampato sulle labbra mentre mi guardava da sopra
-Prova fuggire ora-
-Guarda che ho le mani libere, potrei usarlo per farti il solletico e liberarmi- gli risposi io
-Lo faresti?-
-Forse- gli risposi poggiando le mia mani sulle sue guance e avvicinarlo a me
 
 
-Ehi.. ehi.. calmate i bollenti spiriti, non vorrei che scandalizzaste me e quei poveri bambini innocenti- sentii Chris dalla porta.
Shade ,rosso in viso, si spostò grattandosi la testa per l’imbarazzo
-C-Chris, che vuoi?- balbettai io
-Non preoccupatevi- disse lui poggiandosi allo stipite della porta con le braccia incrociate -Non ho interrotto il vostro momento di gioia per nulla. Shade, i tuoi genitori vogliono andare a riposare in albergo e vorrebbero sapere cosa vuoi fare- disse poi
-Arrivo-
 
Shade decisedi restare da  noi per poter stare un po’ con me e, magari, finalmente darci un bacio degno di nota che non eravamo riusciti a darci fino a quel momento per vari impedimenti tra cui Milky e Jhon, mia madre e Chris.
Erano sei ore che stavo accanto a lui e non avevo  avuto ancora occasione di avere un bacio.
Sto per prendere la mano di Shade per tornare in camera mia quando mio fratello esordì con un felice: -che dite di fare una partita a scarabeo?- e, per quanto sperassi di no, mia madre concordò con un, ancor più felice, -Ma che bella idea Chris, voi che ne dite?- ci chiese
-Perché no?- rispose Shade allegro
‘Magari perché vorrei un bacio’ avrei voluto  rispondere, ma sorrisi e annuii.
 
Dopo qualche partita (una decina, per essere precisi) a scarabeo, io e Shade salimmo per lavarci le mani
-Mi sono mancate le partite a scarabeo con i tuoi. Nonostante ci abbia giocato poco, sono indimenticabili- disse lui mentre si lavava le mani
-Già- risposi io sorridendo. Mi avvicinai a lui e gli avvolsi le braccia attorno al collo, mi avvicinai per dargli un bacio
-Scendete, altrimenti si raffredda-
-Arriviamo- rispose lui, mi diede un bacio a stampo - ho una gran fame-  mi disse per poi uscire dal bagno
Davvero, fanno seriamente?
 
 
Dopo aver cenato e dialogato, di nuovo, allegramente, io e Shade ce ne andammo in camera mia. Avevamo deciso di dormire insieme ed evitare a Shade la tortura del divano.
Magari riuscirò ad avere un bacio.
Eravamo sdraiati sul letto a giocare con le nostre dita. Shade mi sorrise e poggiò una mano sulla guancia, poi poggiò le sue labbra sulle mie, sorrisi.
-Sai cosa stavo pensando?- sentii Chris spalancare la porta e avvicinarsi al letto.
Io e Shade ci staccammo e vidi Chris salire sul letto a carponi
-Cosa?- chiesi io impaurita
-Non vedo da un po’ il mio cognatino, quindi pensavo: perché non fare un bel pigiama party in camera della mia sorellina. Ho già chiesto a Jhon ed è entusiasta- disse Chris.
Guardai Shade che mi sorrise ed io annuii.
Perché non riuscivo mai a dire di no a quel ragazzino?
-Che dici, aiuti tuo cognato a portare il materasso di qua?- chiese Chris dando delle pacche sulle spalle a Shade.
Rimasi seduta sul letto a guardarli mentre uscivano dalla porta, buttai la testa sul cuscino e sbruffai passandomi la mano tra i capelli.
Il mio bacio. 
 
 
 
Mi svegliai stiracchiando le braccia e mi accorsi che il letto era vuoto, Chris dpveva essere uscito. Trovai un biglietto, era suo.
 
Devo accompagnare Jhon a scuola e poi ho un incontro con gli amici, non esagerate nello sbaciucchiarvi. Baci. 
 Andai a lavarmi i denti e poi svegliai Shade che era ancora sdraiato sul materasso su cui aveva dormito con Jhon.
Dopo essere andata a dare il buongiorno a mia madre, ritornammo in camera mia per sdraiarci ancora un po’ sul letto.
Ci accomodammo e prima che potessimo iniziare a parlare sentii il telefono squillare, lo presi  e rifiutai la chiamata.
-Perché gli hai scritto di non rompere?- mi guardò stranito Shade
-Perché è da ieri mattina che sto aspettando il mio bacio e questo idiota continua ad interrompere, mi sono stufata!- gli risposi secca
-Ma..-
-Se ha qualcosa di importante da dire può chiamare mia madre- lo interruppi io
-Non sapevo potessi diventare così aggressiva per colpa di qualche bacio mancato- mi prese in giro lui
-Solo se è per colpa dell’intrusione di un fratello rompiscatole- gli risposi io
-Fai paura-
-Allora risolvi!-esclamai io.
Shade sorrise prendendomi la mano, mi fece sdraiare sul materasso e avvicinò le sue labbra alle mie
-Se proprio insisti- soffiò vicino alle mie labbra, prima di poggiarci le sue.
Poggiai la mia mano sulla sua guancia, accarezzandola con il pollice. Lui passò la lingua sulle mie labbra affinché le aprissi, le nostre lingue si incontrarono e iniziarono a muoversi insieme.
Sentii un leggero brivido sulla schiena mentre Shade toccava il mio fianco da sotto la mia maglietta con la sua mano fredda. Continuammo a baciarci, finché non restammo a corto di fiato e ci staccammo, io gli sorrisi.
-Finalmente- sospirai io mentre gli passai il pollice sulle labbra gonfie dovute al bacio. Lui sorrise e io mi allungai per stampargliene un altro.
-Mi sei mancato- gli soffiai a pochi centimetri dalle labbra
-Anche tu- rispose sorridendo.
 
 
Erano passati due giorni quindi oggi Shade se ne doveva andare.
Mancavano cinque minuti all’uscita della scuola e sarei potuta andare a casa e salutarlo per bene.
In quei giorno avevamo passato del tempo insieme e avevamo parlato molto. Qualche volta ci eravamo ritrovati a parlare del nostro futuro, su cosa avremmo fatto e ci eravamo resi conto che uno di noi avrebbe dovuto rinunciare a qualcosa o comunque cambiare paese. La cosa più logica era che fosse lui a trasferirsi. Insomma in Italia aveva me, mio padre che conosceva da tanto tempo e per lui sarebbe stato come tornare alle origini, no? Ma a quanto sembrava non era una soluzione poi così tanto scontata da parte sua. Quando gli avevo espresso la mia opinione si era alterato e così avevamo avuto il nostro primo litigio da quando stavamo insieme.
-Pensaci Shade, i tuoi puoi comunque sentirli per telefono, per skype- gli dissi io
-Ti sembra così tanto semplice?- replicò lui
-No, Shade, ma cosa possiamo fare allora-
-Non hai mai pensato che magari potresti essere tu a venire con me?- chiese lui 
-Assolutamente no.- 
 
Non avevamo parlato molto da quella discussione, forse tutti e due troppo orgogliosi. Sarebbe dovuto partire e non avremmo più tempo per porre fine a questo stupido litigio.
Mi diressi a casa, aprii la porta e andai subito in camera per cambiarmi. Decisi di non andare all’aeroporto, preferivo salutarlo da casa, con la stupida speranza di vederlo tornare poco dopo.
Sentii suonare il campanello e andai ad aprire trovandomi Shade e i suoi che mi sorridevano.
Appena lo guardai negli occhi, la mia rabbia si dissolse in un attimo, lasciando posto all’infinita tristezza per la sua partenza.
-Siamo venuti a salutare, purtroppo dobbiamo partire- disse Maria
Salutai Maria, Daiki e Milky e mi avvicinai a Shade, mentre gli altri continuarono a salutarsi.
-Ciao- salutai io
-Ciao- ripeté lui.
Lo abbracciai forte, quasi da non farlo respirare mentre premevo il naso contro la sua spalla e per imprimermi, di nuovo, il suo profumo.
-Mi mancherai- gli sussurrai io
-Anche tu- mi rispose.
Prese il mio viso tra le mani, mi guardò negli occhi e mi baciò. Non avevo neanche la voglia di lamentarmi, non mi preoccupai della presenza dei nostri genitori, l’unica cosa che importava in quel momento era lui, noi.
Era tutto sparito: la mia rabbia, la sua, le parole dette senza pensare. Scivolò tutto via, mentre mi scioglievo tra le sue braccia. 
Si staccò sorridendo -Te quiero- mi sussurrò affinché solo io potessi sentirlo
-Te quiero- gli risposi io.
 

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Capitolo 24
*** Colorful - Epilogo ***


A te che stai leggendo questo capitolo e che hai continuato a seguire la mia fan fiction in tutto questo tempo.  Grazie

Colorful - Epilogo
Il momento in cui i nostri occhi si incontrano il cuore grigio batte di nuovo.
Nei tuoi occhi trovo la luce.
Che abbia visto male? Il momento in cui le tue mani mi toccano tutto intorno a me
si tinge. In un modo bianco, freddo e congelato, il momento in cui divento cieco
tu rendi la mia vita colorata.

 
“Un idiota. Ecco cosa sei Shade: un idiota” urla Rein dalla camera da letto
“Cosa ho fatto adesso?” sbruffa Shade buttandosi sul divano sfinito
“Niente. Questo è il punto non hai fatto niente di quello che ti ho chiesto, ma in che mondo vivi quando ti parlo?” continua ad urlare lei dalla camera.
Shade si passa una mano sulla fronte esasperato. Sono ormai mesi che questa storia va avanti, non fanno altro che litigare, soprattutto per la mancanza d’attenzione che Shade ha nei riguardi di Rein. O perlomeno così pensa la donna.
Shade apre gli occhi ritrovandosi davanti una Rein furiosa con indosso solo dell’intimo. Sorride mentre la guarda con attenzione.
Osserva il corpo che ha davanti a sé, notando l’ormai differenza tra la Rein che aveva conosciuto agli inizi e quella che ha davanti.
Ormai è cambiata, in tutti i sensi. Non è più quella ragazzina insicura e innocente, adesso è sicura di sé e non permette a nessuno di mancarle di rispetto.
Anche il suo corpo è cambiato. La ragazzina ancora in fase di sviluppo ha lasciato spazio ad una donna ormai completamente formata, con le curve al posto giusto.
Shade si sofferma ad osservare quella pancia un po’ tonda che causa così tante insicurezze su sua moglie.
“Ti ho chiesto di comprarmi il latte e tu me ne hai comprato di un’altra marca, non mi hai comprato le uova, ti ho chiesto di comprarmi le pesche senza pelo e me le hai comprate con il pelo. Ora mi vado a provare la maglia e mi sta stretta, ma dove hai la testa” brontola lei
“Come ti sta stretta?”
“Ovvio che mi sta stretta, me l’hai comprata di tre tagli più piccola. Non so se te ne sei reso conto, ma sto diventando praticamente una balena e tu mi vai a comprare una maglietta che giusto quella lampanata di Lione si può permettere di indossare. Cosa stai cercando di dirmi, eh? Che vuoi stare con Lione e scaricare me? No, perché ti basta essere chiaro, eh”
“Amore, io non ti scaricherei mai” sbruffa Shade
“Ci mancherebbe altro, perché è tutta colpa tua” ringhia Rein andandosene dalla stanza gettando la maglietta a terra.
“Ma amore..” cerca di farla ragionare Shade
“Non ti azzardare minimamente. Sai cosa? Stanotte dormi sul divano, non provare ad avvicinarti al nostro letto” lo minaccia la donna.
‘Beh, almeno lo considera ancora il nostro letto’ pensa Shade stendendosi sul divano, senza neanche la voglia di sottolineare che la moglie non ha mai specificato la marca del latte, non gli ha mai chiesto le uova e sì, ha sbagliato a comprare le pesche, ma solo perché quelle senza pelo erano finite. Insomma, lui si considera sono una vittima degli eventi.
 
“Chiedo il divorzio. Giuro che chiedo il divorzio”
Shade è ancora sdraiato sul divano e, nonostante sappia di doversi alzare per andare a lavoro, continua a poltrire, magari per riprendersi dalla tortura che il divano ha inflitto alla sua schiena. Ma, mentre sta cercando di riprendersi, le sue orecchie vengono spaccate dalla voce che tanto ama, ma che odia allo stesso tempo.
“Quando ti ho detto di dormire sul divano, non ti ho detto di utilizzare il salotto come camera da letto”
“Ma amore..” prova a parlare lui, ma viene interrotto subito
“Vai a prepararti che devi andare a lavoro” lo riprende lei in modo secco, mentre cerca di raccogliere i vestiti che suo marito ha lasciato sul pavimento la sera prima.
“No amore, non piegarti faccio io” dice premuroso Shade, mentre le accarezza dolcemente i fianchi “Non sforzarti” continua a pochi centimetri dalle orecchie.
Per quanto rabbia abbia in corpo, Rein non può fare altro che tremare un po’ alla sensazione del respiro di suo marito sulla sua pelle. Non importa che siano passati dieci anni, le sensazioni che prova a stare tra le braccia di Shade sono sempre le stesse. Shade sorride, sa di aver toccato il punto debole di Rein e, dopo aver raccolto i vestiti, se ne va in bagno per prepararsi.
 
“Amore, io esco” urla Shade
“A stasera” risponde con un tono più dolce Rein mentre esce dalla cucina per stampare un bacio leggero sulle labbra dell’uomo.
***
Shade ha appena finito la sua giornata di lavoro e sta andando a casa. Nonostante teme di dover affrontare un altro litigio a casa, non vede l’ora di abbracciare Rein.
Anche se ultimamente sua moglie continua a comportarsi come se fosse costantemente in quel periodo del mese non può non amarla, anzi, ora la ama ancora di più se è possibile.
Seduto in macchina, si perde un po’ nei pensieri facendo un po’ il riepilogo della sua vita.
Sono ormai passati dieci anni dall’ultimo anno di scuola e Rein ha deciso di trasferirsi in Argentina con Shade dopo aver passato le vacanze con la famiglia di quest’ultimo. Si è completamente innamorata dell’Argentina ed è arrivata alla conclusione che, forse, quella a contattare la sua famiglia attraverso Skype può essere lei. Dopo una lunga conversazione ha capito che per Shade lasciare la sua famiglia non è facile, quindi ha deciso di fare lei il sacrificio per una volta e accontentare lui. Lui che ha sempre ha sempre faticato per poter stare in Italia negli eventi più importanti della sua vita, nonostante lei non potesse andare spesso da lui. Ad un certo punto Shade ha iniziato anche a lavorare per mettersi i soldi da parte per acquistare il biglietto per andare a trovarla.
Non preoccuparti, vengo io da te” le diceva sempre.

E Shade continua a non pentirsi delle scelte fatte, si sente estremamente felice di ciò che ha. Nonostante le mille incomprensione e questo periodo difficile per le loro vite, ma, Shade è sicuro, ce la faranno insieme.
Shade parcheggia la macchina nel vialetto di casa e si dirige alla porta e la trova aperta, si acciglia un po’. È estremamente difficile che Rein lasci la porta di casa aperta, tende sempre a chiuderla a chiave quando è da sola
Non mi sento al sicuro quando non ci sei tu” gli aveva detto una volta.

Entra dentro casa
“Amore” chiama a voce alta, ma non riceve risposta “Amore” chiama di nuovo.
Si guarda attorno notando solo ora la luce del salotto e della cucina spente e quella del corridoio leggermente soffusa
“Eccomi” sente sua moglie urlare dalla camera.
Si toglie le scarpe e le poggia accanto alla porta aspettando che sua moglie scenda dalle scale.
“Shade” sente dire dalle cima delle scale in tono lento. Alza lo sguardo e vede sua moglie che gli sorride dolcemente ‘dov’è finita la iena di questa mattina?’ pensa tra sé e sé ‘mi posso fidare o è una trappola?’ continua a chiedersi.
Ultimamente è davvero difficile vederla in certi atteggiamenti dolci, o quando succede durano circa dieci minuti poi impazzisce di nuovo.
Rein dal canto suo scende le scale con fare lento e si avvicina al marito
“Fatti togliere la giacca” gli sussurra piano in modo premuroso, Shade si lascia trasportare e sospira contento quando sente le mani di Rein scivolare dalle spalle giù per la schiena.
“Ti ho preparato la cena” gli dice lei lasciandogli un bacio sulla guancia, poi lo prende per mano e lo porta in cucina dove c’è un tavolo apparecchiato elegantemente ad attenderlo. Per un attimo si agita, timoroso di essersi dimenticato qualche avvenimento speciale delle loro vite, poi si rilassa quando Rein gli sussurra: “ non ti sei dimenticato nulla” per poi sorridere gentilmente “siediti” gli suggerisce poi.
Rein lo serve e Shade sorride quando si accorge che sua moglie gli ha preparato il suo piatto preferito
“Grazie amore” dice Shade. 
 
Mentre iniziano a mangiare il secondo Rein rompe il silenzio che si è creato tra loro
“Come ti è andata la giornata?”
“Bene, fortunatamente non abbiamo avuto molto da fare” risponde sorridendo Shade
“Senti amore, volevo dirti una cosa” inizia di nuovo a parlare Rein
“Dimmi” la incalza lui
“Volevo chiederti scusa. Ultimamente sono stata davvero pesante, non faccio altro che urlare e invece di ringraziarti perché mi sostieni in questo momento, ti sgrido per quelle cose sbagliate che fai, dimenticandomi di tutto il resto” continua lei
“Male? Cosa intendi con male? Sia chiaro, tu non mi hai mai detto la marca del latte” si imbroncia Shade
“Lo so, dopo che te ne sei andato ho riletto la lista che ti avevo dato e lì non c’era la marca” risponde pacata lei.
Improvvisamente Rein si alza dalla sedia e va a sedersi sulle gambe di Shade “dico davvero, mi dispiace molto. Giuro che cercherò di comportarmi meglio” gli dice avvolgendo le braccia attorno al collo di lui
“Va bene così” le risponde Shade “Come ti senti tu?” chiede poi
“Molto bene” gli sorride lei per poi stampargli un bacio.
Prima che possano fare altro Rein si stacca all’improvviso, Shade la guarda preoccupato, ma Rein scuote la testa e prende la mando di Shade per poggiarsela sulla pancia per poi sussurrare “sta calciando, lo senti?”
Shade sorride, nonostante stia sentendo gli occhi pizzicare e un improvvisa lacrima scivolare sulla guancia. Non riesce a credere che stia succedendo davvero, nonostante sia già tanto tempo che sente i calci del bambino, non riesce ancora a realizzare che tutta questa felicità sia reale e che nessuno potrà mai togliergliela.
Rein asciuga dolcemente la lacrima del marito “perché piangi?” gli chiede
“Sono felice, tanto”
“Anche con una moglie brontolona?” Shade annuisce.
 
Dopo finita la cena sono seduti sul letto abbracciati
“non vedo l’ora che nasca” dice Shade massaggiando il grembo della moglie; ormai è un’abitudine che ha maturato con il tempo, farlo gli dona un momento di rilassamento che neanche lui riesce a spiegare.
“Sì, ma dobbiamo ancora scegliere il nome”
“Hai ragione, ma non sappiamo ancora il sesso” replica Shade
“E quindi? Possiamo sceglierne due: uno maschile e uno femminile.”
 
Rimangono in silenzio per un po’, fino a quando Shade non rompe il silenzio “Pablo!” esclama
“Pablo?” chiede Rein “Non mi piace”
“Allora scegli tu” dice Shade con un pizzico di sfida nella voce.
Rein rimane un po’ in silenzio ascoltando il respiro e il battito del cuore del marito e sorridendo esclama “Myron, mi piace tantissimo”
“mmh”
“So che piace anche a te, stai sorridendo”
“Sì, lo ammetto mi piace” ammette poi lui
“Quindi se è maschio Myron. Il nome femminile sceglilo tu”
Per i successivi dieci minuti la stanza rimane avvolta nel silenzio, mentre Shade cerca di trovare un nome particolare per la loro (forse) futura bambina.
“Marta”
“Melissa”
“Beatrice”
“Sara”
“Alaia”
“Sì” urla Rein “Alaia, è bellissimo” continua
“E allora si chiamerà Alaia” sorride Shade
“Tu preferisci maschio o femmina?” chiede Rein al marito
“Femmina, sarebbe la principessa di papà” risponde
“Pf, scontato. Io vorrei un maschietto” replica Rein
“Lo scopriremo tra due mesi” dice Shade sorridendo a sua moglie accarezzandole la guancia e poi baciarla dolcemente.
“Sono felice. È più di quanto avrei mai potuto sognare” dice Rein a bassa voce “ se è un sogno non svegliatemi”
“No, non è un sogno” replica Shade sorridendo. Lascia un bacio sulla fronte di sua moglie e chiude gli occhi pensando a quanto, in questo momento, la sua vita sia così colorata.
Penso che tu sia magica,
penso che tu sia meravigliosa
grazie a te il mio cuore è colorato.
In un mondo che era solo oscuro, nel momento in cui cercavo di chiudere gli occhi
Hai reso la mia vita colorata
 
Fine
 
 
A.A.
Ecco l’epilogo. Oddio non ci credo, questa fic è finita, ci credete. Dopo tante pene è arrivata al termine.
Come avete ben capito i nostri Rein e Shade sono sposati e stanno aspettando un/a figlio/a, non ho specificato per lasciare a voi la decisione. Non chiedetemi il perché, sapete che faccio cose senza un minimo di senso.
Onestamente non so quanto le donne gravide siano così esaurite, quindi prendetela come una ‘caricatura’.
La canzone scelta è stata dettata dalla mia recente ossessione per il kpop (e per gli SHINee, quanto li amo) per questo ho scritto il testo in italiano, non sapevo dove trovare il teso in hangul e non mi piaceva l’idea di usare la romanizazzione.
Se volete ascoltare l’intera canzone (che vi consiglio) eccola qui --> https://www.youtube.com/watch?v=n2JpQC8HQxU nel video c’è la traduzione in italiano.
 
Ora è il momento dei ringraziamenti.
Ringrazio ognuna di voi che ha continuato a seguire la mia fic per tutto questo tempo, tra gli alti e bassi (più alti che bassi, ma vabbé..). Chiedo scusa se vi ho fatto aspettare così tanto tempo e vi ringrazio per la pazienza che avete dimostrato.
Ringrazio coloro che hanno recensito, messo tra preferite, ricordate e seguite. Non vi elenco tutte, altrimenti farei le note più lunghe del capitolo. Grazie anche a chi legge soltanto.
Ancora un grazie a tutte per aver seguite questa fan fiction.
Un bacio a tutte.
A presto,
Tata

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