La Dodicesima Primavera

di A_Typing_Heart
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Quella prima fioritura ***
Capitolo 2: *** L'alba dell'Haido ***
Capitolo 3: *** Ai margini del mondo perfetto ***
Capitolo 4: *** L'occasione per rinascere ***
Capitolo 5: *** Libera scelta ***
Capitolo 6: *** Dichiarazione di guerra ***
Capitolo 7: *** L'Ascesa dell'Eroe ***
Capitolo 8: *** Il caso del settore sette ***
Capitolo 9: *** Le leggi del cuore ***
Capitolo 10: *** Egoista ***
Capitolo 11: *** Onore militare ***
Capitolo 12: *** La fioritura di dicembre ***
Capitolo 13: *** Oltre le spine ***
Capitolo 14: *** La casa vuota ***
Capitolo 15: *** Trappola perfetta ***
Capitolo 16: *** Il padre ***
Capitolo 17: *** Notte da prima pagina ***
Capitolo 18: *** Diritto alla difesa ***
Capitolo 19: *** Vincitore relativo ***
Capitolo 20: *** Castigo esemplare ***
Capitolo 21: *** Sangue e Acqua ***
Capitolo 22: *** L'eredità di Mukuro ***
Capitolo 23: *** Nemmeno un addio ***
Capitolo 24: *** Due minuti ***
Capitolo 25: *** Silenzio bianco ***
Capitolo 26: *** Fioca speranza ***
Capitolo 27: *** Animo gentile ***
Capitolo 28: *** Memorie segrete ***
Capitolo 29: *** La vita dopo di lui ***
Capitolo 30: *** L'invito dei capitani ***
Capitolo 31: *** Il salotto del vizio ***
Capitolo 32: *** Messaggero inconsapevole ***
Capitolo 33: *** Asilo politico ***
Capitolo 34: *** Bestie rivelate ***
Capitolo 35: *** Piano di riserva ***
Capitolo 36: *** Due dopo mezzanotte ***
Capitolo 37: *** Il mare della rinuncia ***
Capitolo 38: *** La firma dell'assassino ***
Capitolo 39: *** Signore e padrone ***
Capitolo 40: *** Più vicini che mai ***
Capitolo 41: *** Le radici dell'orchidea ***
Capitolo 42: *** La prossima mossa ***
Capitolo 43: *** Angelo caduto ***
Capitolo 44: *** Scacco matto ***
Capitolo 45: *** La peggiore delle ipotesi ***
Capitolo 46: *** L'idolo di gesso ***
Capitolo 47: *** L'anima della famiglia ***
Capitolo 48: *** Sete di vendetta ***
Capitolo 49: *** Ultima offerta ***
Capitolo 50: *** Guerra o pace ***
Capitolo 51: *** Nel momento del bisogno ***
Capitolo 52: *** Fiore velenoso ***
Capitolo 53: *** Tempo scaduto ***
Capitolo 54: *** Lo stesso di tanto tempo fa ***
Capitolo 55: *** Punto di non ritorno ***
Capitolo 56: *** Intercettazione ***
Capitolo 57: *** Strade divergenti ***
Capitolo 58: *** Il giorno dei bambini ***
Capitolo 59: *** La Pioggia Insanguinata ***
Capitolo 60: *** Amore e gloria ***
Capitolo 61: *** Congedo ***
Capitolo 62: *** Il ritorno della primavera ***



Capitolo 1
*** Quella prima fioritura ***


Hibari Kyoya aveva la pancia piena di frittata, onigiri, mochi e frutta, era rilassato e disteso all'ombra di un ciliegio in fiore. Il brusio delle persone vicine non lo infastidiva: per una volta si sarebbe sentito perfettamente in pace col mondo, se un essere fastidioso non fosse stato lì a continuare a punzecchiarlo con il dito su guance, naso e fianchi sperando in una qualche reazione. Non dovette attendere molto.
-Smettila.-
-No.-
-Falla finita, non seccarmi!-
-Non puoi dormire adesso, Hibari... non puoi accettare di venire a mangiare al pic nic della fioritura e poi metterti subito a domire, non è leale.-
-Mangiare mi fa venire sonno.-
-Ti tengo sveglio io!-
Hibari aprì gli occhi quel tanto che bastava per vedere incombere sulla propria faccia una bottiglietta di plastica. Dopodichè gli cadde dell'acqua addosso e gli si infilò fin su per il naso, facendolo tossire.
-M-ma che... stronzo p-pezzo di merda!- imprecò Hibari tirando calci alla cieca. -Ti massacro, imbecille!-
-Prima mi devi prendere!-
Mukuro schizzò via un attimo prima che la mano di Hibari si abbattesse su di lui. Si alzò in piedi e gli lanciò in faccia quello che restava della bottiglia d'acqua, inzuppandogli i capelli. Hibari gli scoccò un'occhiataccia che prometteva una morte dolorosa e si alzò con tutte le intenzioni di picchiarlo per davvero.
-Te la sei cercata, Rokudo!-
-Lo so, adesso cercami tu!-
Tsuna, Gokudera e Yamamoto rimasero seduti attorno alla tovaglia con gli avanzi del pic nic, Gokudera stava ancora spiluccando pezzetti di macedonia con le dita. Yamamoto ridacchiò guardando Mukuro che correva giù per il sentiero del parco, zigzagando tra bambini e persone che passeggiavano, inseguito da Hibari. Perfino un gruppetto di ragazzini, guardandoli passare rincorrendosi, li guardò con perplessità.
-Certo che Hibari si diverte proprio con Mukuro, eh?-
-A me sembra che lo odi e basta.- commentò Gokudera, mangiandosi un pezzo di mela.
-No, ha ragione Yamamoto!- disse Tsuna sorridendo. -È un po' come te, no, Gokudera? Ti comporti come se fossi sempre infastidito e seccato da Yamamoto, ma alla fine ci stai sempre insieme lo stesso, no?-
-Io non mi metto ad inseguirlo nel parco. Né da nessun'altra parte.-
-Perchè tu non ne hai bisogno! Hibari preferisce posti con meno persone, lo sai... dove credi che stiano andando con questa scenetta?-
-Stanno facendo questa scena patetica solo per andare in un posto dove stare da soli?-
-Credo di sì, sì...- disse Tsuna, sdraiandosi sull'erba. -Non so se sia davvero premeditata... ma credo che appena saranno in un posto un po' meno affollato Mukuro smetterà di scappare...-
-E Hibari?-
-Probabilmente avrà esaurito le forze e gli verrà sonno come sempre!- ipotizzò Yamamoto ridendo.
-Magari se ne staranno a dormire sotto un ciliegio.-
-Che diavolo di senso dovrebbe avere?!- sbottò Gokudera sdraiandosi a sua volta. -Fare una scena per cui ti prenderanno per il culo a vita anche i mocciosi per andare a dormire sotto un albero, che è lo stesso che stava per fare qui?-
-Il tuo romanticismo è lo stesso di un rotolo di carta igienica, Gokudera...-
Tsuna appoggiò la testa sul braccio di Gokudera, spostandosi un po' più vicino. Non potè vederlo, ma Gokudera arrossì leggermente mentre Yamamoto rideva.
-Dovresti essere più largo di vedute... ci sono tanti modi di dimostrare l'affetto e vivere l'amore.- commentò Tsuna, la cui voce si era fatta più bassa con l'avvento di un momento di relax intenso. -E se ci ho capito qualcosa in questa vita... quei due ne hanno uno davvero strano...-

 
-Fermati!- sbottò Hibari senza fiato. -M-maledetto, ma quanto sei veloce?!-
-Io non sono veloce, sei tu ad essere lento! Lento lento lento!-
-Va... vaffanculo!-
Hibari si fermò in mezzo al prato coperto di piccoli petali rosa, si appoggiò alle proprie ginocchia e prese avidamente fiato. Checché ne dicesse Mukuro era veramente veloce, se lui che era uno dei migliori della scuola in atletica non riusciva a prenderlo né a stargli dietro. Se solo avesse voluto l'avrebbe già seminato da un pezzo, ma Mukuro non voleva perderlo di vista...
Il tempo di riprendere un po' il fiato, alzò gli occhi e se lo trovò di fronte. Non sembrava nemmeno che avesse corso: non era sudato, né arrossato, né tantomeno respirava pesantemente. Lo guardava e sorrideva, porgendogli una bottiglia d'acqua. Hibari allungò la mano per prenderla e lui per la terza volta gli schizzò acqua sulla faccia, scoppiando a ridere.
Hibari tentò disperatamente di trattenersi, e ci riuscì. Per circa un secondo o due, prima di buttarsi di peso sopra di lui. Ma Mukuro sembrava averlo programmato, perchè non fece niente per evitarlo, anzi gli strinse il braccio attorno alla vita e si lasciò cadere indietro senza opporre la minima resistenza. Il prato scivolava in giù verso il letto che in autunno e inverno si riempiva d'acqua piovana e sebbene a vista sembrasse una pendenza trascurabile, da fare ruzzolando non fu poi così poco e neanche molto piacevole. Il contraccolpo in piano, poi, fu decisamente brusco, anche se Hibari fu fortunato ad avere il corpo di Mukuro su cui atterrare.
-Mh... ouh...- gemette Mukuro sorridendo un po'. -Il tuo dolce peso non è poi così dolce, Kyoya.-
-Non ti ho chiesto di prendermi...-
-Lo so...- disse lui guardandolo dritto negli occhi. -Lo so...-
Mukuro gli accarezzò leggermente i capelli neri. Era già un segnale positivo che Hibari non tentasse di staccargli un dito con un morso o qualche altro atto violento. Anche il suo subire passivamente era qualcosa di cui gioire e nessuno al mondo lo sapeva meglio di Mukuro Rokudo. Sorrise chiudendo gli occhi e si sporse con tutte le intenzioni di baciarlo, ma un palmo della mano che non gli apparteneva si intromise tra le loro labbra.
-No.-
Per Hibari quel monosillabo era sufficiente come ordine e spiegazione. Si sollevò da lui e si lasciò ricadere al suo fianco, guardando in alto. Vedeva solo rami scuri, masse di fiori rosa e scorci di cielo azzurro, ma era sufficiente per evitare l'imbarazzo di guardarlo in faccia dopo averlo rifiutato l'ennesima volta.
Mukuro fece un sorriso triste e si girò sul fianco, passandogli la mano sul petto e sistemandogli distrattamente il colletto della camicia.
-Prima o poi riuscirai ad ammetterlo almeno con te stesso?-
-Che cosa?-
-Che ti piace stare con me...-
-Che ne sai tu di che cosa ammetto con me stesso?-
-Non lo neghi nemmeno?- fece Mukuro con un sorriso. -Non ci provi nemmeno a negare?-
-Ho già accettato la tua perenne, fastidiosa presenza nella mia vita.-
-Anche tu mi piaci, Kyoya.-
-Non ho detto questo...-
-Ah, eccolo, eccolo che nega...-
-Mi metti in bocca parole che non ho detto...-
-Sono i tuoi pensieri, lo sai... ma se vuoi posso provare a metterti in bo...-
-Non ti azzardare a finire quella frase, Mukuro, o stavolta te le prendi sul serio, idiota.-
-È questo il tuo problema... sei troppo.... troppo, troppo serio...-
Mukuro strisciò sopra di lui a cavalcioni, ma per quanto si fosse mosso con circospezione Hibari non fece il minimo cenno di disappunto o una qualsiasi mossa per impedirglielo, anche se continuava a fissare il tetto di fiori rosa sopra di loro.
-Il tuo problema invece è che sei un cazzone.-
-Quante parolacce usi...-
-D'accordo.... sei un buffone... la sostanza non cambia...- commentò Hibari, voltando la testa per non farsi baciare sulla bocca. -Non prendi niente sul serio, non prendi sul serio nemmeno te stesso.-
-... Comincio a seccarmi di non riuscire a baciarti.-
-Io comincio a seccarmi che tu continui a provarci sapendo che non voglio, e in più che lo fai per evitare di rispondere a quello che dico.-
-E che cosa ti dovrei rispondere...?-
Mukuro si sollevò sospirando e si tirò indietro i capelli che aveva sul viso, facendo scivolare giù qualche petalo che aveva sulla testa. Hibari si decise finalmente a guardarlo in faccia.
-Sono un buffone... okay? Non mi importa di niente e di nessuno, per me è tutto un gioco e io sono l'autoproclamato re dei menefreghisti folli, nonchè presidente dei cazzoni anonimi, va bene così?-
Per inspiegabili motivi, Hibari lo fissò sorpreso prima che la sua bocca si aprisse in un sorriso. Un sorriso sempre più largo finchè non si mise a ridere, sebbene cercasse di trattenerlo.
-... Kyoya?-
-Il presidente... di cosa?-
-... Ti ha fatto davvero tanto ridere una stupidaggine del genere?-
Hibari non rispose, continuando a ridacchiare con la mano davanti alla bocca, come se potesse bastare a nascondere quello che stava facendo. Mukuro sorrise e gliela spostò piano.
-Sei bello quando ridi... dovresti farlo molto più spesso...-
-Tu fammi ridere molto più spesso...-
Mukuro si abbassò più deciso, convinto di riuscire stavolta a strappargli un bacio, ma Hibari fu ancora una volta più veloce e si spostò, trasformando il tanto sospirato bacio sulla bocca in un bacio tra la guancia e l'orecchio. Non riuscì a non alzare gli occhi al cielo.
-Ma che rottura, Kyoya!-
-Metti a posto quella maledetta testa di cavolo... e forse un giorno sarò io a baciarti.-
-Me lo dici perchè sai che non è possibile?-
-Lo dico perchè spero che sia possibile.-
Qualcosa nell'espressione di Hibari cambiò prima che disarcionasse Mukuro bruscamente e gli voltasse le spalle chiudendosi nel silenzio. Forse sentiva di aver detto un po' troppo, o cominciava a sentire troppo il peso di quel momento di intimità. Mukuro non disse niente e si limitò a restare seduto lì dove era caduto, guardando qualche sporadico petalo che cadeva su di loro, in un silenzio tanto denso da poter sentire il fruscio degli insetti. Gli bastava, per quel giorno, come intimità.
Quello che Mukuro, ma neanche gli altri cittadini di Namimori, non potevano sapere era che incombeva su di loro una svolta che avrebbe cambiato la storia e la vita di tanti di loro. Un evento che avrebbe scritto il nome di Mukuro Rokudo nella storia di quella città, rosso, sul nero che Hibari Kyoya stesso avrebbe contribuito a calare su tutto ciò che li circondava.
 
 
 

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Capitolo 2
*** L'alba dell'Haido ***


Fu appena poche settimane dopo quella bella fioritura dei ciliegi che nacque un movimento inizialmente sotterraneo alla politica del paese. Cominciarono a manifestarsi sui social network, con gruppi segreti e pagine di propaganda. Da principio erano soltanto quello che sembravano: cittadini stanchi dell'aumento della piccola criminalità, degli atti di vandalismo dei ragazzini, delle frodi perpetrate da aziende guidate da individui senza scrupoli. Poi, dai social network, iniziarono a comparire volantini e manifesti abusivi, incollati e infilati in ogni dove. Al ritorno degli studenti alle scuole, non c'era altro argomento di conversazione se non l'Haido, il cui simbolo era una doppia H specchiata, dipinta in nero con pennelli asciutti.
L'ideologia dell'Haido era singolare, e spaventosa. Leggendo le loro propagande fra le righe si intuiva che se soltanto avessero potuto avrebbero attuato qualsiasi mezzo pur di mantenere nelle città la massima tranquillità e decoro e per reprimere la criminalità e i comportamenti dannosi erano disposti ad applicare la più spartana disciplina. Tanti studenti erano inquietati dal movimento, tanti altri pensavano fosse solo un modo per farsi notare da parte di gente disadattata senza stimoli, ma altri, come Hibari, si trovavano in sintonia con questo genere di ideali. Dopotutto, lui era il primo a usare ogni mezzo per garantire la disciplina nella sua venerata  scuola e ovunque si trovasse.
In capo ad un anno che avrebbe meritato un solenne appellativo per i gravi accadimenti di cui fu costellato, l'Haido divenne un autentico partito politico, indipendente dalle esistenti fazioni. Quell'anno vide un picco di violenza mai registrato nella storia della città di Namimori dai tempi delle ultime guerre civili secoli addietro, in termini di vandalismo, stupri, pestaggi, spaccio e furti. Nell'arco del secondo anno, una serie di aziende apparentemente sane e forti crollarono, abilmente manipolate da individui che sparirono al momento di pagarne il prezzo. Il leader politico dell'Haido affrontò a testa alta il governo a seguito di ognuno di quei fatti, aprendo crepe nella fortezza delle altre fazioni. In quei mesi il partito del "Torii Nero", così rinominato per il simbolo che somigliava a un cancello shintoista , comparve man mano in tutte le grandi città del paese, accrescendo la sua influenza ogni volta che un evento violento scuoteva le comunità.
Più la gente subiva vandalismi e crimini, più pregava per avere una risposta che li proteggesse, che li salvasse da quello scempio. E tra politici che belavano debolmente di investimenti insufficienti e tasse da destinare alla prevenzione, il carismatico Sawada, ex militare, aveva l'unica parola che la gente voleva ascoltare: quella di uno che parlava di schiacciare il pericolo con la forza, una forza che il paese aveva già, ma non impiegava nel giusto modo. Una risposta che confortava tanti, spaventati dalla violenza e timorosi di perdere i risparmi di una vita per avere una macchina della polizia in più per la strada.
Dopo cinque anni dalla nascita del partito, l'Haido era il più grande partito del paese e regnava in modo assoluto. Ci fu immediatamente un drastico calo della criminalità, un'abbreviazione notevole dei processi, città più controllate e sicure e senza che le tasse aumentassero di una moneta. Questa situazione diede alla nuova forza politica il potere di diventare l'unico partito, inarrestabilmente, entro il settimo anno.
L'anno in cui Kyoya compì ventidue anni ed entrò nella polizia, essa venne riformata, cambiandone le uniformi e aumentandone i poteri, trasformandola in polizia militare del regime. Perchè l'Haido era diventato questo: un regime dittatoriale che regnava sul paese, in particolar modo nella zona in cui era nata, la città di Namimori.
La polizia, come tutte le forze dell'ordine, passarono sotto il controllo diretto del partito, legati solo agli ordini che ricevevano dalla scala gerarchica, inglobati nell'unico corpo militare interno. Tra questi vennero scelti i migliori e più fedeli in servizio per divenire Vigilantes, guardiani che facevano rispettare il coprifuoco notturno, che controllavano che le associazioni avessero il lasciapassare del regime e che sequestravano tutto ciò che trovavano incluso nella black list.
Un giorno prima dello scoccare dei dieci anni dalla fioritura dei ciliegi, Hibari Kyoya divenne un vigilantes della polizia militare del regime, nella zona di Namimori.


-Ehi, come va?-
Tsuna alzò gli occhi dal bloc notes, ma aveva già riconosciuto la voce di Hibari Kyoya. Per quante volte ormai lo avesse visto in uniforme non riusciva a reprimere il fastidio che gli provocava. Non riusciva a credere che un suo amico potesse indossare quella divisa ed essere così fiero.
-Dimmelo tu come mi va oggi.- ribattè Tsuna, tornando al suo bloc notes.
-Direi bene.- fece lui, porgendogli una busta. -Hai l'autorizzazione per andare a tutte le conferenze stampa approvate dal regime, per tutto l'anno, senza che tu debba comunicarci prima se andrai o no.-
-Ah, grazie mille di permettermi di fare il mio lavoro.-
Tsuna prese bruscamente la busta e la ficcò nella borsa. Non riusciva ad abituarsi a trovare normale chiedere al governo un permesso per qualsiasi cosa. Possibile che un giornalista dovesse essere autorizzato ad andare alle conferenze stampa, anch'esse controllate e approvate dal regime? Possibile che ogni pezzo che scriveva dovesse essere controllato prima della pubblicazione, e che anche solo correggere un errore di ortografia e non inoltrare la modifica all'ufficio censura poteva renderlo passibile di arresto? Possibile che Gokudera, diventato insegnante di scienze, dovesse scrivere un programma e farlo approvare, compreso il numero di lezioni e gli esperimenti che avrebbe proposto? Possibile che dovesse registrare le proprie lezioni, nel caso qualcuno lo avesse accusato di insegnare ai ragazzi qualcosa di non approvato, o di fare propaganda contro il regime? 
Questa non era libertà, non era pace, era terrorismo, terrorismo psicologico.
-Non so perchè te la prendi tanto, Sawada... controlliamo tutto perchè sia tutto sicuro... è normale.-
-Normale?- sbottò Tsuna acido. -Kyoya! Ho dovuto chiedere un permesso al regime per poter riunire la mia famiglia a casa mia per Natale! Cosa c'è di normale in questo?-
-Grazie al nostro controllo a Natale ci sono state solo famiglie riunite felicemente e nessun covo di terroristi che progettano atti di violenza...-
-Sì, convincitene, anche Babbo Natale la pensa così, e l'uomo nero è fiero di te.-
-Finiscila, Sawada.-
-Quello che fai è sbagliato, Kyoya... perchè non lo capisci...?-
-Non voglio sentire questo discorso, di nuovo.- ribattè lui secco.
-Sei un idiota...-
Tsuna sospirò. Sapeva benissimo che stava abusando della sua pazienza, perchè nessun altro vigilantes si sarebbe lasciato dare dell'idiota o prendere in giro, tantomento lo avrebbe lasciato parlare in quei termini del regime che gli forniva tanto potere e tanto denaro. Ma nonostante la sua fede politica fosse sempre stata in linea con l'Haido, Hibari Kyoya aveva mantenuto una sorta di personale giudizio. Ad esempio, permetteva che Tsuna non dichiarasse in anticipo a quali conferenze sarebbe andato, lasciava che Gokudera non dichiarasse i brani precisi di classica che eseguiva ai pochi, pochissimi festival ancora autorizzati, glissava sui piccoli dettagli fuori posto al dojo di Yamamoto, che come luogo in insegnamento e pratica di arti marziali doveva essere sorvegliatissimo. Tsuna contava che presto o tardi la sua coscienza si sarebbe ribellata, ma al tempo stesso pregava che non dovesse accadere nulla di tragico perchè ciò avvenisse.
-Tsuna.-
Tsuna si costrinse a rialzare gli occhi. Se lo chiamava per nome era perchè stava per dire qualcosa di importante, qualcosa che non era il codice del regime recitato con una passione simile al fanatismo.
-È grazie al regime se quegli animali che ti hanno quasi ucciso non sono più su questa terra.- disse Hibari guardandolo con quegli occhi sfumati tra il grigio e il blu. -E nonostante questo ancora tu ne parli come se ti avessero fatto un torto personale. Questo non è giusto.-
Tsuna istintivamente si toccò la gola dove si poteva notare una cicatrice bianca e sottilissima. Ricordava benissimo l'avvenimento di due anni prima, quando un gruppo di criminali aveva preso in ostaggio tutti i commessi e i clienti di un famoso negozio del centro commerciale di Namimori, con l'ardita richiesta di soldi e passaggio sicuro per uscire dal paese. Una faccenda gestita molto male dai criminali, che persero la testa e ferirono sei persone. L'unico a rischio di morte, però, era stato lui, con una ferita da coltello alla gola.
-È anche vero che se il regime non avesse oppresso le persone, quei matti non avrebbero avuto alcun motivo di voler espatriare in un modo così contorto.-
Sia Hibari che Tsuna si voltarono verso Gokudera, che stava venendo loro incontro. Tsuna distolse subito lo sguardo. Gokudera era sempre stato contrario agli ideali soppressivi dell'Haido e dopo l'accaduto di due anni prima la sua disapprovazione era sfociata in odio viscerale. Aveva sempre attribuito la colpa al clima soppressivo che avevano creato. Un momento dopo Tsuna sentì la sua mano, leggermente fredda, sfiorargli il viso.
-Voi non capite che soffocando la gente la esaspererete.- disse Gokudera fissando Hibari. -Quando esploderà la loro rabbia non sarete più in grado di contenerla, e ci saranno vittime... vittime innocenti per la vostra stupidità. Per la vostra arroganza.-
-Le persone oneste sono contente di essere protette... se siamo indigesti alla gente che agisce in malafede, non è un problema nostro. È quello che vogliamo. Dargli fastidio e infine estirparli.-
-Non ci arrivi?! È un'utopia del cazzo!-
-Hayato... lascialo stare...- commentò Tsuna afferrandogli la mano. -Vuoi che il tuo pensiero sia rispettato... tu rispetta il suo... sono sicuro che Kyoya sa qual è la linea da non superare...-
Tsuna sollevò gli occhi dal bloc notes, sul quale non aveva aggiunto altro che scarabocchi durante la conversazione. Si sforzò di sorridere, anche se provava una fastidiosa sensazione di avere un nodo in gola.
-Perchè non ci sediamo... per un caffè? Un tè? Fanno il tè ai fiori di ciliegio qui...-
-Non ne ho il tempo adesso... ho un bel po' di approvazioni da consegnare...-
-Ah certo, con tutto quello che avete proibito...- commentò Gokudera acido. -Le riunioni di aziende, i comitati studenteschi, i club... le associazioni di tre o più persone con cadenza regolare, giusto?-
-No. Non abbiamo limiti di cadenza, tutte le riunioni organizzate in gruppi stabiliti vanno controllate... aziende, club, squadre o gruppi di qualsiasi genere vanno autorizzati...-
-Avete paura della vostra ombra...-
-Hayato, smettila!- lo redarguì Tsuna con un'occhiataccia, e forzò un sorriso per Hibari. -Potremmo vederci qui stasera, magari... se siamo quattro con te dobbiamo dichiararlo?-
-No, non è necessario per un luogo pubblico come un bar... beh, se mi sbrigo potrei esserci.-
-Ci conto...-
Hibari fece un cenno e si allontanò, spulciando l'elenco delle persone a cui doveva consegnare le autorizzazioni controfirmate. Tsuna sospirò e si appoggiò a Gokudera, in piedi dietro di lui. La situazione era sempre peggiore, scivolava sempre di più nel chaos e temeva che non sarebbe rimasta in quell'equilibrio, anche se fragile, a lungo. Aveva ragione Gokudera. In ogni tempo e paese i tiranni creavano i loro stessi nemici, perchè questo regime avrebbe dovuto fare diversamente e durare per sempre?
Le labbra di Gokudera si posarono sulla sua testa mentre la sua mano gli scorreva fra i capelli in un gesto dolce.
-Stai bene?-
-Credo di sì.-
-... Hai troppa fiducia in lui, Tsuna...-
-La fiducia è l'unica cosa che ci resta, Hayato.- commentò lui stancamente. -Se non possiamo fidarci dei nostri amici, è tutto finito...-

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Capitolo 3
*** Ai margini del mondo perfetto ***


Rokudo Mukuro aveva vissuto come un reietto fin dalla sua prima adolescenza nella città di Kokuyo, a pochi chilometri dalla città di Namimori. Lui e un gruppetto di amici disadattati quanto lui avevano occupato l'edificio centrale di un vecchio parco dei divertimenti caduto in rovina da anni. La sala più alta, l'ex auditorium, era la stanza preferita di Mukuro, la sua stanza. Tuttavia, anni prima, aveva deciso di lasciare quella tana per trasferirsi in un posto altrettanto devastato nella città di Namimori: un piccolo, vecchio hotel lungo i binari della ferrovia che era andato a fuoco e poi era stato abbandonato. Tutti i suoi compagni lo avevano seguito di loro spontanea iniziativa.
Anche se il regime non lo sapeva ancora, Mukuro era l'artefice della gran parte delle sommosse contro di loro. Era stato lui a liberare i randagi accalappiati per liberare le strade, era stato lui a pitturare sopra tutti i manifesti dell'Haido rendendoli illeggibili e sempre lui era il centro di contrabbando di quasi ogni cosa presente nella black list. Ovviamente, nulla di davvero grave, nulla che gli sarebbe costato più di una multa, per quanto salata, o un breve periodo di servizio civile, nel caso del possesso di determinati articoli della famosa lista.
Hibari Kyoya sapeva perfettamente attorno a chi ruotava ognuna di quelle attività sovversive, ma aveva ancora abbastanza coscienza da non farne parola con i suoi superiori. E nonostante i loro rapporti si fossero fatti talmente radi durante gli anni da poter essere contati sulle punte delle dita, Hibari seguiva scrupolosamente le sue tracce, anche le minime, pur di sapere sempre dove fosse e che cosa stava facendo. Questo perchè aveva la certezza che Mukuro faceva lo stesso con lui. Era sempre stato molto talentuoso come stalker.
Hibari si fermò davanti all'hotel, o a quello che ne restava. Alzando gli occhi notò un movimento alla finestra di sinistra, come una tenda che ondeggiava sfiorata o scostata da qualcuno. Allungò la mano e aprì il cancello, arrugginito e dalla serratura spaccata. Si spalancò cigolando e lo lasciò entrare.
Aveva una lunga lista di aziende e persone a cui consegnare lasciapassare e permessi di riunione. Toccava a lui consegnarli tutti, ma c'era un nome che non era mai comparso sulla sua lista, nè in quella delle richieste. Rokudo Mukuro non aveva mai fatto una richiesta per autorizzare la convivenza del suo gruppo. Non erano parenti, nè studenti, pertanto avrebbero dovuto avere un permesso per vivere nello stesso luogo senza un apparente motivo. Non sarebbe stato nulla di pericoloso, era lo stesso tipo di controllo e di permesso che si accordava alle coppie che convivevano non sposate, o ai giovani che dopo essersi laureati continuavano a vivere fuori dalla casa di famiglia, con gli ex compagni di corso. Perchè si era esposto al rischio di accuse di terrorismo per una simile banalità?
-Mukuro?-
La porta non aveva maniglia nè campanello e Hibari Kyoya non aveva la più pallida idea di come potessero entrare da lì. Si sporse ai lati per guardare dalle finestre, ma dei pesanti tendaggi verde scuro gli impedivano di vedere qualsiasi cosa. Eppure non poteva essersi sbagliato, era sicuro che Mukuro si appoggiava in quell'edificio fatiscente ogni notte e ogni volta che ne aveva bisogno, come tutti i suoi amici. Bussò con forza sulla porta.
-Mukuro! So che sei qui dentro!-
-Mi spiace deluderti, Kyoya, ma non sono lì dentro.-
Hibari si voltò e lo vide. Era diventato davvero molto alto dall'ultima volta che lo aveva visto, aveva i capelli lunghi, ma il resto di lui non era molto cambiato. Era innegabilmente Mukuro, anche se i suoi lineamenti avevano del tutto perso i tratti da ragazzino in favore di un aspetto più adulto e mascolino, anche se qualcosa nella forma della sua bocca e del suo viso conservava uno strascico di eleganza vagamente femminile.
-Ti cercavo.-
-Sono in arresto per acquisto non dichiarato di carote?-
-Non fare il buffone anche tu.-
-Io sono il re dei buffoni, Kyoya, te lo sei dimenticato?-
Mukuro gli sfilò davanti senza degnarsi di guardarlo e diede un colpo di fianchi alla porta, che si scrollò rumorosamente ma restò chiusa. Hibari era così assorto a cercare di capire come sperasse di aprirla che non pensò neanche lontanamente a rispondergli, guardandolo dare un altro colpo più forte. Senza risultato.
-E che palle... aiutami, Kyoya, tienimi questa.-
Mukuro gli mise tra le braccia la sporta della spesa senza aspettare un consenso e prese a sbattere contro la porta. Era una scena surreale e imbarazzante, per come la vedeva Hibari, sembrava che Mukuro stesse cercando di infilare le sue parti più intime in quello che restava della serratura del portone. E più ci provava, più sembrava un pervertito che copulava con oggetti inanimati.
-Eddai... collabora, maledetta stronza!- sbottò Mukuro sfogandosi con un pugno contro il legno. -Apriti!-
L'ennesimo colpo spalancò entrambi i battenti, dando luce ad un atrio dalla carta da parati scollata. Mukuro si spolverò i pantaloni e riprese la busta della sua spesa, con un'indifferenza invidiabile per uno che sembrava aver appena violentato una porta.
-Entri?-
Mukuro non attese risposta ed entrò. Hibari non aveva molta scelta se davvero voleva parlargli, quindi lo seguì dentro.
Le pareti dell'ingresso erano di un colore giallognolo o marroncino dove la carta da parati si era staccata. I rimasugli che si riuscivano a vedere erano l'unica testimonianza di un motivo a righe verticali e fiorellini color pervinca che doveva aver colorato quelle stanze in altri tempi. I mobili, pochi, erano coperti di polvere e in gran parte rosicchiati da roditori o scheggiati. Hibari schivò una bottiglia rotta per terra e seguì l'altro su per le scale. Alle pareti erano rimasti solo i segni delle cornici, i quadri erano scomparsi tutti. In cima alle scale la carta da parati si manteneva meglio rispetto al piano di sotto. Era di color rosa con un motivo floreale. Qui l'atmosfera era diversa. Era più luminosa, le finestre erano pulite, i mobili non erano impolverati e l'odore di stantio che doveva aleggiare in tutto l'edificio era quasi del tutto sopraffatto da un buon odore di detersivo.
La stanza dove arrivarono alla fine del corridoio pareva un salottino: c'erano due divani, dalla fantasia vintage che si poteva ancora trovare nei salotti di qualche nonna in paesi più occidentali del loro, un tavolino lucido cosparso di scatole di caramelle e un televisore acceso sulle notizie del telegiornale.
-Sono tornato, Nagi.-
-Ciao!-
Nagi Dokuro, meglio conosciuta dagli amici come Chrome, sedeva sul divano che dava le spalle alla porta. Si voltò a guardarli e sorrise. Hibari si sorprese, perchè per quanto credesse nella filosofia del regime sapeva che non era molto apprezzato, specie da chi come loro viveva ai margini del mondo "perfetto" che stavano cercando di creare.
-Hai preparato qualcosa?- chiese Mukuro.
-Ah, no, aspettavo che tornassi, pensavo di fare un po' di zuppa, ci sono ancora delle patate...-
-Stai seduta, Nagi, faccio io.-
-Ma posso farlo io, guarda che sto bene...-
-Non mi dispiace... non ti preoccupare, guarda la televisione.-
Chrome sorrise e annuì, risedendosi con una cautela sospetta. Hibari continuò a fissarla incuriosito, almeno finchè Mukuro con gli bussò sulla spalla.
-Kyoya? Di qua.-
Lo seguì nella camera accanto, che avrebbe dovuto essere una stanza per ospiti come tutte le altre del piano, ma a quanto pareva l'avevano attrezzata come una cucina. C'era un frigorifero che sembrava essere stato ripescato in un fiume o qualcosa del genere, un tavolo con quattro sedie al centro e un piano di lavoro sulla parete di destra. Un lavandino stava sotto la finestra e dai tubi a vista pareva scendesse fino alle cucine al piano di sotto per scaricare. I fornelli del gas erano alimentati a bombole. Avrebbero dovuto avere un permesso per acquistare delle bombole di un qualsiasi gas pericoloso o infiammabile...
-Lo so, non è a norma, ma tanto niente di noi o di questo posto lo è, giusto?-
-Dove hai comprato quelle?-
-Non le ho comprate, le ho trovate in altri posti come questo.-
-Questa è una bugia, vero?-
-Naturalmente.-
Hibari sospirò e lo guardò trafficare prima con i fornelli, poi con la spesa. Lo sorprese vedere che cosa uscì dalla busta, perchè niente sembrava essere stato comprato in un supermercato. C'erano dei gambi di sedano appassiti, una cipollina, tre o quattro carote minuscole e un pacchettino di carne che sembrava il mucchietto di avanzi che un macellaio avrebbe potuto tenere da parte per il cane del suo miglior cliente. Dal fondo Mukuro raschiò dei pezzi di funghi che sembravano brandelli rimasti dentro le cassette vuote del mercato. Era una busta di quello che Mukuro era riuscito a rimediare dagli avanzi di quello che non poteva essere venduto.
-Vuoi restare per cena? Credo che avremo una cena decente stasera.-
Hibari si vergognò di compatirli, ma era l'unico pensiero che riusciva ad avere mentre guardava quei rimasugli di cibo, specie se pensava che avrebbero dovuto sfamare quattro persone.
-No, ho un altro invito stasera.-
-Beh... buon per te... mangerai sicuramente meglio e di più che con noi.-
Mukuro si rimboccò le maniche tirando fuori quelle che per Hibari erano le patate più piccole e malridotte che avesse mai visto. Pur di non farsi delle altre domande sulla loro tragica situazione il vigilantes guardò attraverso la porta, verso la ragazza che guardava la televisione nella stanza accanto. Gli tornò alla mente il modo strano in cui si era seduta e gli venne spontanea una domanda.
-Mukuro... Chrome... sta bene?-
-Oh, sì, sì... ora sta bene.-
-Ora?-
-Sì, fino ad un mese fa vomitava anche l'anima, tutte le mattine.- disse Mukuro mentre cercava qualcosa dentro l'unico cassetto. -Non è stato un periodo facile, ma poi è passata, adesso sta bene.-
Hibari aggrottò le sopracciglia guardandolo fisso. Non era un medico, nè un grande esperto di problemi femminili, ma quando si parlava di vomito regolare, la prima cosa a cui pensava era...
-Vuoi dire che Chrome...?-
-Ah, sì. Sì, aspetta un bambino... una bambina, secondo me.-
-Tuo?-
Mukuro lo guardò come se avesse appena ipotizzato l'unione del continente africano con quello americano per l'indomani e si mise a ridere.
-Ma che cosa dici, Kyoya? Santo cielo, no, certo che no... devi essere matto...-
-Matto? Hai passato dieci anni della tua vita con lei...-
-È preziosa, non lo sto negando...- ribattè lui con un sorriso. -Ma lo sai che non posso provare per lei quel genere di sentimento... o quel genere di desiderio...-
La mente di Hibari vagò distrattamente fuori dall'hotel fatiscente, sorvolò i viali centrali di Namimori come un uccello in volo per planare in un parco familiare, molto tempo prima, davvero tanti anni prima. Il viso di un Mukuro più giovane di dieci anni gli sorrise davanti alle fronde rosa dei ciliegi in fiore, per un momento, prima che un forte rumore metallico lo riportasse bruscamente nella stanza della cucina. Mukuro aveva quasi fatto cadere una pentola per terra e stava borbottando insulti. Hibari sospirò, si tolse il cappello della polizia militare e si tirò indietro i capelli. Si chiese perchè gli fosse tornato in mente un momento come quello, ma la risposta affiorò quasi all'istante: era l'ultima volta che ricordava di aver provato qualcosa di vagamente simile al desiderio, per quanto desiderio potesse provare un ragazzino con le idee ancora ferme alla vaga spiegazione di un libro di scienze sulla nascita dei bambini.
Aprì gli occhi e sobbalzò vistosamente trovandosi il viso di Mukuro a distanza di pochi centimetri dal suo. Mukuro lo guardò con tanto d'occhi prima di scoppiare a ridere.
-A che stavi pensando per alienarti in quel modo?-
Hibari sentì la sgradevole sensazione di essere arrossito e si rimise il cappello soltanto per fare qualsiasi cosa che gli evitasse di doverlo guardare in faccia. Ma era un gesto troppo semplice da fare, troppo breve, quindi sollevò la busta dei nominativi per le consegne dei permessi. Era arrivato il momento di parlarne.
-Ah.- fece Mukuro perdendo il sorriso. -Certo... è per questo che sei qui, dopotutto... per lavoro.-
Il disprezzo di Mukuro divenne palpabile nell'aria intorno a lui e gli voltò le spalle per mettersi a tagliuzzare selvaggiamente ogni ortaggio o tubero gli capitasse sotto il coltello. A quanto pareva non sarebbe stata una discussione facile da portare avanti.
-Mukuro. Tu e gli altri non avete l'autorizzazione per stare insieme...-
-Sono l'unica famiglia che ho, non mi interessa quello che dice il tuo capo!-
-E nemmeno per stare in un posto del genere... non è adatto per ospitarci esseri umani...-
-Allora siamo a posto, no?- lo interruppe lui gelido. -Tanto noi per il regime del mondo perfetto siamo solo dei cani pulciosi... alla stregua dei ratti, no? Quindi possiamo tranquillamente stare qui, a patto di non proliferare troppo, o trasformeremo tutto in una fogna...-
-Nessuno ha mai detto...-
-Nessuno ha mai detto che non volete quelli come noi?- sbottò Mukuro piantando il coltello nel piano di legno. -Siete stati voi a dire alla gente che chi non ha quei vostri dannati permessi non può essere nemmeno assunto per lavorare! Che non possono assumere nessuno che abbia precedenti condanne senza prima segnalarlo! E io che cosa dovrei fare?!-
Nella sua vita Hibari non aveva mai visto Mukuro arrabbiato, e non era neanche lontanamente uno spettacolo piacevole. Al di fuori del suo campo visivo, puntato sul suo viso, Chrome si alzò dal divano guardando apprensiva nella loro direzione.
-Dobbiamo stare in un posto del genere perchè nessuno ci ospiterebbe! Devo rovesciare i bidoni della spazzatura e raschiare il fondo di qualsiasi cosa per trovare del cibo che non sia ancora abbastanza avariato da farci male se lo mangiamo! Questo perchè grazie al tuo regime io sono un taccheggiatore, e nessuno può farmi lavorare perchè nessuno vuole la milizia sul collo per causa mia!-
Mukuro afferrò il pacchetto della carne e Hibari alzò istintivamente il braccio, convinto che stesse per lanciarglielo, ma in realtà glielo stava solo mostrando.
-Per avere questi... questi, che non sono altro che scarti, oggi ho lasciato il mio cappotto al ragazzo che lavora per il macellaio! E queste!- continuò lui battendo il piede sulle bombole del gas. -Ho dovuto pagarle con il mio anello! Te lo ricordi, no?-
Mukuro sollevò la mano destra, sulla quale aveva sempre portato un anello. Hibari non ci aveva fatto caso, ma effettivamente l'anello non c'era più. Ma lo ricordava bene, era anche un anello di valore, probabilmente l'unico oggetto significativo che avesse mai posseduto. Il fatto che lo avesse dato via per tre bombole di gas diede a Hibari il senso drammatico della sua situazione più di qualsiasi altra cosa avesse visto.
-Che cosa succederà quando verrà l'inverno lo sai, Kyoya?- domandò lui con un disprezzo che feriva come schegge di vetro. -Succederà che finirò di fare a pezzi i mobili dell'ingresso per cercare di non farli morire di freddo... e dato che non possiedo più niente e le vostre stramaledette regole mi impediscono di lavorare, dovrò rubare quello che mi serve. Te lo dico già da ora, perchè non c'è altro modo, e tu lo sai.-
-Continui a lamentarti del regime, ma gli impedisci anche di venirti incontro.-
-Che cosa?-
Hibari sapeva a memoria tutti i codici e le regolamentazioni del regime, e questo gli diede il coraggio di alzare lo sguardo e guardarlo negli occhi. Niente altro, altrimenti, avrebbe potuto convincerlo a farlo.
-Hai la responsabilità di una donna con la fedina pulita incinta. Solo questo ti basta per chiedere al governo un alloggio che sia idoneo per voi. E se compili quella stramaledetta richiesta per lo stato di famiglia, i tuoi amici possono venire con te.- fece Hibari in tono duro, sbattendo sul tavolo il foglio. -Se ti mettessi in regola almeno con questo, io ti potrei aiutare, ma tu sei così... fottutamente... ostinato!-
-Perchè devo chiedere al governo di darmi tutto? Perchè devono essere loro a decidere?!-
-Mukuro! Ti rendi conto di che cosa stai dicendo?! Il tuo fottuto orgoglio non passa dalla porta!-
-È l'unica cosa che mi resta, non credi?!-
-Chiudi quella dannata bocca e ragiona, idiota!- sbottò Hibari strattonandolo per la maglia. -Tu hai Chrome! Hai la tua famiglia! Se poi ti arrestano, che cosa faranno loro?! Saranno sorvegliati, come ogni famiglia legata a dei criminali, e li beccheranno tutti quanti! Ingoia quel maledetto orgoglio e pensa a che cosa devi fare per evitare che siano loro a pagare per tutto!-
-Hibari! Lascialo, per favore!-
Hibari guardò Chrome venire verso di lui. Ora che ci faceva caso, la sua gravidanza era già molto evidente nonostante il vestito ampio la aiutasse a nasconderla. Incrociò il suo sguardo e la sua rabbia si dissolse rapidamente com'era esplosa. Lasciò la presa e raccolse i fogli che aveva sparpagliato sul tavolo.
-Pensaci su... ma sbrigati.- borbottò ficcando le carte nella borsa alla bell'e meglio, deciso a levare le tende in fretta.
-Quanto... quanto riesci ad essere ipocrita?!-
Hibari si fermò sulla porta e si girò con esasperante lentezza.
-Scusa?-
-Saresti il primo a crepare pur di non rinunciare al tuo orgoglio!-
-Sarei anche il primo a non prendermi la responsabilità delle vite di altri.- ribattè Hibari. -Hai fatto una scelta nel momento in cui hai scelto di stare in branco con loro... il tuo orgoglio, adesso, è il prezzo che devi pagare per quella scelta.-
Mukuro non disse niente. Chrome gli accarezzò il viso piangendo, gli sussurrò qualcosa che Hibari non riuscì a sentire, prima di scusarsi con una voce sottilissima e tremante. Mukuro la strinse con entrambe le braccia con la massima delicatezza, facendole increspare il liscio tessuto del vestitino bianco. Hibari non riusciva a spiegarselo. Come poteva essere andato tutto così male, per lui?
-Mukuro.- disse Hibari, stringendo il pugno nervosamente. -Perchè... non sei venuto con me?-
Mukuro fece un sorriso triste, senza lasciare Chrome, anzi. La strinse un po' di più e cominciò a cullarla leggermente, come fosse una bambina che non riusciva a dormire.
-Perchè l'unica cosa... che io disprezzo di te... è la tua ossessione di... controllare tutto... di piegare tutto alle tue regole... ed è l'unico motivo per cui ami questo regime di dittatori...-
Alzò appena gli occhi per incontrare quelli grigioblu di Hibari.
-Non posso... seguire un uomo che detesto... Kyoya... hai fatto la tua scelta, e io ho fatto la mia... e se questo ci dividerà per sempre... probabilmente... doveva andare così...-
-Non dici sul serio.-
-Per favore, vattene adesso.- disse lui accarezzando i capelli di Chrome. -La stai spaventando e non le fa bene stare sotto stress. Per favore, se puoi, non ritornare.-
Hibari non si era mai sentito tanto frastornato. Era come se il corpo e i suoi sensi fossero separati dalla sua mente, come se si stesse guardando da fuori. Era surreale.
-... Conosco la strada.-
Hibari voltò le spalle a Mukuro e Chrome, passò davanti al televisore che trasmetteva i titoli di testa di una fiction televisiva romantica e imboccò il corridoio dal quale era venuto. Si fermò, ma non riusciva a sentire nessuna voce o rumore nella stanza della cucina. Scese le scale e venne aggredito dall'odore di abbandono di quel luogo. Lo scricchiolio dei suoi anfibi sulle scale fece scappare due o tre topi che trovarono rifugio nel vecchio bancone dell'ingresso. Come poteva accettare di vivere in un posto del genere? Perchè Mukuro era sempre andato controcorrente? Aveva sempre preferito fare scorribande in giro piuttosto che studiare, vestirsi come un militare prima e poi come un filovampiro, fare il buffone in ogni momento invece che costruirsi una vita, abitare in edifici che cadevano a pezzi solo per poter fare quello che ne voleva... per arrivare a questo punto... allora, non aveva forse avuto sempre ragione lui, Hibari, a dirgli di smetterla e di comportarsi come un adulto? Se solo gli avesse dato retta, lo avesse seguito alle superiori di Namimori invece di quel carcere minorile che era il liceo di Kokuyo, poi all'università... in polizia... a quest'ora avrebbe avuto tutto quello che aveva lui... ma lui era così ostinato da rifiutare per stare con la sua 'famiglia'...
Hibari, camminando soprapensiero, si ritrovò a casa senza neanche accorgersene. La sua vera casa, la casa di famiglia, si trovava alla periferia di Namimori. A Hibari piaceva, ma non poteva abitarla, era troppo distante. Gli piaceva di più poter essere sempre reperibile e pronto, vicino al palazzo di giustizia, vicino al centro della sua amata città. Con la buona paga che riceveva come vigilantes si poteva permettere l'appartamento all'attico di uno degli edifici più alti di Namimori. Non era poi così alto, essendo soltanto al dodicesimo piano, ma aveva delle vetrate che gli permettevano di guardare la città su tre lati fino alle colline all'orizzonte.
Hibari si liberò degli anfibi, la parte più scomoda e pesante della sua uniforme, non appena varcò la soglia di casa. Si spogliò mentre attraversava l'appartamento e scomparve nel bagno. Mezz'ora dopo, sedeva sul muretto del suo terrazzo, accanto alla voliera dove teneva una grande varietà di uccellini, di gran lunga gli animali che preferiva al mondo. Vestiva un kimono scuro e teneva una tazza di tè ai fiori di ciliegio in mano. E mentre contemplava le luci della Namimori notturna e deserta per il coprifuoco imminente, pensava soltanto che non avrebbe potuto volere niente di più. Aveva i soldi per fare quello che voleva e gliene avanzavano, aveva una casa che tanti gli avrebbero invidiato, pulita e con una vista mozzafiato. Poteva fare una doccia quando voleva, mettersi comodo, mangiare, bere, ascoltando il fruscio e il cinguettio dei suoi piccoli nella voliera, e contribuire all'ideale di Namimori che aveva sempre sognato. Renderla un'isola felice dove non sarebbe mai successo niente di orribile, dove tutto era calmo e disciplinato. Ma per quanto credesse a quello che stava pensando, non poteva non provare la vaga, sgradevole sensazione che in realtà gli mancasse qualcosa.
Non poteva aspettare oltre. Sapeva che cosa doveva fare e doveva farlo subito. Dopotutto era un vigilantes, e come tale aveva dei doveri da portare a termine. Si alzò dal muretto e rientrò in casa. Sedette al tavolino e prese dei moduli prestampati, iniziando a compilarli. Per quanto gli desse fastidio, andava fatto.

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Capitolo 4
*** L'occasione per rinascere ***


Le parole di Hibari non erano affatto cadute nel vuoto. Due giorni dopo quelle sfrecciavano ancora senza sosta nei suoi pensieri, assillandolo al punto da non farlo dormire. Per quanto fin dalle prime apparizioni dei seguaci dell'Haido lui l'avesse sempre combattuta e rigettata, non era riuscito a impedire che diventasse una dittatura che schiacciava l'intero paese. E per quanto lui e la sua famiglia si fossero sempre creduti parte ma distaccati dal resto del mondo ciò non era che un'illusione, perchè il regime aveva su di loro ancora più potere di quanto ne aveva sugli altri. Soltanto perchè lui aveva cercato di sfuggire al loro guinzaglio, ora si ritrovava di fatto alla gogna, costretto a decidere da che parte stare per l'ultima volta. Piegarsi sulle ginocchia e supplicare un dittatore di permettergli di sottomettersi, oppure voltargli le spalle, nascondendosi e vivendo come un criminale pericoloso fino al giorno in cui non l'avessero preso. Eppure, se non fosse stato per Chrome, che più di tutti aveva bisogno di lui, non avrebbe esitato...
-Mukuro! Mukuro!-
Mukuro abbassò lo sguardo al suono del suo nome e cercò la fonte della voce nel giardino incolto. Poi vide una mano sottile e bianca che gli faceva segno da sotto la tettoia che proteggeva l'ingresso dell'ex albergo dalla pioggia.
-Vieni a vedere, Mukuro!-
-Whoa!- fece la voce entusiasta di Ken, da qualche parte vicino a lei.
-Che cosa c'è?-
-Vieni a vederlo!-
Mukuro sbuffò e chiuse la finestra. Anche se era un comportamento egoistico, da quando aveva ricevuto l'inattesa e dopotutto sgradevole visita di Hibari non aveva molta voglia di parlare con gli altri. Aveva preferito ritagliarsi ogni minuto possibile per restare da solo con i suoi pensieri, per cercare di decidere che cosa avrebbe dovuto fare. A malincuore quindi lasciò la sua stanza, la più devastata tra quelle da loro abitate, e scese tre rampe di scale senza fretta e senza la minima curiosità. Per poco non pestò un topo sull'ultimo gradino e ne scansò bruscamente un altro a metà dell'ingresso, troppo intento a rosicchiare chissà cosa per accorgersi della sua presenza.
-Allora, che c'è?- domandò senza sentimento Mukuro, uscendo. -La pentola d'oro alla fine dell'arcobaleno?-
-Non è oro, è meglio!-
-Niente è meglio dell'oro in un periodo come questo, Nagi, tesoro.-
-Accontentati!-
Chrome si voltò verso di lui con in mano quello che sembrava... che era, fuor di dubbio, un peperone. Non potè fare a meno di sospirare, incapace di decidere se voleva prenderli a urli o ridere e basta. D'accordo, la loro era una situazione disperata, ma arrivare a fare le feste per un peperone era decisamente folle...
-Guarda, Mukuro! Aiutaci a portarle dentro!-
-Dentro che co...?-
Chrome si spostò dalla sua visuale e Mukuro riuscì finalmente a vedere che dietro le schiene di Ken e Chikusa erano posate a terra cinque o sei buste gonfie. Senza riuscire a spiccicare una parola andò vicino agli altri due e li imitò frugandovi dentro. Erano piene di cibo, verdura e frutta che non era nè rovinata nè vagamente appassita, pacchetti di carne e di pesce, bottiglie di latte, pane, e Mukuro si ritrovò in mano persino una bottiglia di succo d'arancia. 
-È un regalo di Hibari, vero?- domandò Chrome. -È perchè è venuto qui l'altra volta e avete litigato, no?-
-Non... non dire idiozie, Nagi... sai che non lo farebbe mai, è come chiedere scusa, e lui non chiede mai scusa...-
-Allora si è scusato oggi per tutte le volte in cui avrebbe dovuto farlo in vita sua!-
Ken trovò una scatola di cioccolato e la alzò al cielo come se fosse un'offerta divina, facendo battere le mani di gioia a Chrome e strappando persino un sorriso a Chikusa. La cioccolata ormai era un alimento incredibilmente costoso e reperibile solo in determinati esercizi commerciali che avevano un permesso speciale per commercializzarla o produrla. Rientrava nella lista delle sostanze alimentari controllate di tipo B, quelle che si riteneva potessero in dosi massicce causare dipendenza.
Prima che riuscisse a dire qualsiasi cosa, Ken e Chikusa cominciarono a prendere il cibo e a portarlo dentro l'albergo. Alle proteste di Chrome, cui venne impedito di trasportare una busta per via del peso, Ken le diede due bottiglie di latte da portare. Lei parve essere felice del compromesso e si avviò di sopra prima degli altri due. Restava la busta da dove Ken aveva preso le bottiglie del latte, rimasta mezza vuota, e un'ultima sporta, quella di fronte a Mukuro. Incapace di spiegare il senso di ansia che provava, rovesciò tutto il contenuto per terra, frugando, prima di accorgersi che quello che cercava era sempre stato sotto di essa. Un biglietto piegato a metà e scritto a mano. Lo aprì ben sapendo di chi fosse quella scrittura, sebbene fosse la prima volta che riceveva qualcosa di scritto di suo pugno.
"Se hai ricevuto questo è perchè non ti sei ancora deciso, e quindi ho deciso io per te. Quella ragazza e il suo bambino hanno bisogno di mangiare del cibo vero, quindi comincia a dargli questo. Non c'è bisogno che tu faccia la richiesta di cui ti ho parlato, perchè l'ho fatta io per te. Adesso rimpiangi di avermi scritto tutti quegli stupidi biglietti che mi facevi trovare a scuola con la tua firma, vero? Troppo tardi. Però ora non fare l'orgoglioso e non rifiutare quello che riuscirai ad avere con quelle richieste. Le ho fatte io senza che tu me lo chiedessi. Tu lo sai, io lo so. Piegarsi non è spezzarsi, e non vuol dire che tu abbia perso. Avrai qualcosa che ti serve disperatamente. Non lo buttare via, perchè l'orgoglio non ti sfamerà."
Doloroso. Doloroso, ma vero...
"Ti stai chiedendo forse il perchè io lo abbia fatto contro il tuo volere. La risposta è: perchè sono un vigilantes. Sorveglio la città, faccio in modo che il codice venga rispettato, ma il mio primo codice è fare in modo che le persone che vivono nella mia città stiano bene. Io voglio che tu stia bene. Mi hai detto di non ritornare se potevo evitarlo, quindi sabato vieni tu all'ufficio del censimento a prendere i permessi. Saranno tutti pronti per quel giorno e non li far mangiare dai topi. Almeno fino a lunedì, quando potrete trasferirvi negli alloggi governativi. Vedo la porta della tua nuova casa dalla mia finestra...
Non buttare via la tua vita, cerca di stare bene e metti da parte tutto quello che è soltanto un peso da portare. Kyoya."
Incredibile come un foglio di carta e dei segni tracciati con inchiostro possano straziare un uomo dentro soltanto perchè vengono da una persona speciale. Mukuro strinse il biglietto nella mano accartocciandolo, ma non se ne curò, impegnato com'era a cercare di trattenere lacrime dirompenti. Dopo tutto quello che gli aveva detto era arrivato a tanto. Era arrivato al punto di fare tutto di persona, per riuscire a fare il meglio per lui senza che dovesse sentirsi sconfitto. Ma avrebbe dovuto immaginarlo. Era pur sempre Hibari Kyoya, l'uomo più orgoglioso e testardo che avesse mai incontrato... sapeva come si sentiva meglio di chiunque altro e sapeva quale fosse l'unico modo di aiutarlo senza farlo a pezzi dentro: in quel caso, era fare tutto al posto suo, senza che lui lo sapesse, senza che lui lo chiedesse, metterlo davanti al fatto e convincerlo ad accettarlo. Era proprio ciò che aveva fatto.
Mukuro mise il biglietto in tasca e si asciugò il viso con il dorso della mano. Gli sembrava incredibile di stare sorridendo, dopo settimane passate a vagare per l'albergo come un'anima in pena, tormentandosi sul da farsi, assillandosi di domande durante la notte per poi stamparsi un sorriso finto per far credere a tutti che andava ancora tutto bene. Stavolta poteva convincere anche se stesso che sarebbe andato tutto bene. Anche se aveva un conto aperto, aveva una precisa idea di come poterlo saldare.
-Nagi!- gridò Mukuro verso la finestra del piano superiore. -Come festeggiamo?-
Chrome si affacciò alla finestra con uno dei sorrisi più ampi che le avesse mai visto sul viso.
-Pollo alla Namimori!-
-E che diavolo sarebbe?-
-È il pollo in padella con dentro tutto quello che  Hibari preferisce, così gliene puoi portare un po'!-
-Cosa?- fece lui mentre lei spariva in cucina. -Ehi! Nagi! Guarda che io non ci vado a portarglielo!-
-Non fare il taccagno, Mukuro! Non era obbligato a portarci tutta questa roba, ringraziamolo come si deve!-
-Non voglio andare io a portarglielo!-
-Ah!- fece lei trionfante riemergendo dalla finestra. -Allora è stato davvero lui!-
-Ah... ma che...cazzo... NAGI!-
Lei si mise a ridere di gusto. Sebbene in imbarazzo per essere stato così facilmente imbrogliato, Mukuro non potè fare a meno di sorridere. Non ricordava nemmeno più l'ultima volta che aveva visto la sua famiglia così vivace e così felice. Se non fosse stato per Hibari, chissà quanto altro tempo sarebbe passato prima che accadesse di nuovo...

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Capitolo 5
*** Libera scelta ***


-Hai davvero una bella casa, Kyoya.-
-Grazie.-
Tsuna si guardò attorno. L'appartamento era molto più moderno di quanto si fosse immaginato pensando a quello che piaceva a Hibari, ma l'arredamento era così tipicamente giapponese che sembrava di trovarsi nel punto di congiunzione tra presente e passato. Hibari gli indicò un basso tavolino su un tappeto beige chiaro, circondato di cuscini bianchi che sembravano essere stati messi lì apposta per l'occasione.
-Mettetevi comodi.-
Hibari scomparve nella stanza accanto, riparata da una porta scorrevole con dipinti sopra dei rami di ciliegio coperti di boccioli. Gokudera si guardò intorno, con la classica espressione critica che aveva quando stava per dire qualcosa di velenoso. Tsuna intuì che l'argomento della serata erano i soldi che il regime sborsava ai suoi uomini ed era un argomento sgradevole da intavolare durante quella che avrebbe dovuto essere una serata tranquilla con degli amici.
-Certo che...-
-Hayato.-
-Che c'è?-
-Smettila.-
-Non sai neanche che cosa stavo per dire!-
-Certo che lo so.- fece Tsuna scoccandogli un'occhiata in tralice. -Hai promesso di comportarti bene... me lo hai promesso, Hayato. Niente frecciatine, niente battutine, niente discussioni, me l'hai promesso.-
Gokudera distolse lo sguardo con l'espressione buffa che assumeva quando voleva mantenere una parvenza di irritazione ma si sentiva palesemente in colpa. Tsuna sorrise un po' e gli prese delicatamente le dita della mano con le sue, tirandolo piano verso la vetrata. La notte era cupa, il cielo era pieno di nuvole minacciose, ma era comunque rischiarata dalle luci della città, ancora tutte accese nella serata autunnale.
-È bello... eh?-
Gokudera non disse niente, gli si avvicinò e gli diede un bacio sul viso, vicino all'orecchio. Appoggiò la testa contro la sua e rimasero entrambi a guardare le strade illuminate dai lampioni gialli, la fontana centrale nel parco e le persone che camminavano, davvero tante. Ma non doveva stupire: era ottobre, il cielo prometteva pioggia ma la temperatura ancora gradevole, e ormai incombeva il ripristino del coprifuoco invernale...
-Stavo pensando...- esordì sottovoce Gokudera. -Se mi mettessi a insegnare ai soldati del regime a fare le bombe al magnesio antisommossa, guadagnerei di più?-
-Chissà...-
-Magari quando faranno la scuola nazionalista del partito mi pagheranno di più per inculcare ai ragazzini i loro ideali, e mi potrò permettere un appartamento bello come questo.- osservò lui. -Se un giorno me lo potrò comprare, tu verrai a viverci con me?-
Tsuna, suo malgrado, sorrise.
-Come ti viene di fare proposte del genere in mezzo alle tue frecciate al regime?-
-È il contrario, ho messo le frecciate in mezzo alla proposta...-
-Non cambierai mai, Hayato...-
-Mai.- confermò lui sorridendo. -Ora che ne hai la conferma, ci vieni o no a vivere con me?-
-Nella bettola dove prosperi adesso?-
Qualcosa di indefinibile cambiò nell'espressione di Gokudera e fece sorridere di più Tsuna. Come gli veniva in mente che per lui potesse davvero contare il posto in cui viveva? Gli passò le braccia dietro il collo e gli si avvicinò al viso il più possibile per quanto glielo consentissero i dieci centimetri di differenza tra le loro teste.
-Sì, ci vengo...-
Gokudera arrossì sulle gote. Lo faceva quando Tsuna faceva qualcosa di inaspettato che lo mettesse di buonumore, ad esempio quando lo sorprendeva a scattargli una fotografia, o quando si accorgeva di essere guardato mentre cucinava, correggeva i compiti o semplicemente beveva del caffè. Era incredibilmente carino quando arrossiva e Tsuna lo baciò sulla bocca senza pensarci due volte. Un leggero scricchiolio, pochi istanti dopo, li strappò entrambi dal limbo in cui si erano isolati e Tsuna si girò verso il salotto.
Al tavolino erano seduti Hibari e Yamamoto. Mentre il secondo stava semplicemente lì seduto con un sorriso standard sulla faccia e la coda di un gambero che gli spuntava dalla bocca, il primo li guardava con un sorrisetto sarcastico, dondolando la tazza del tè.
-Oh, vi prego, continuate... io e Yamamoto non ci stavamo assolutamente sentendo di troppo.-
-Ah... mi spiace...-
-Fate come se non ci fossimo, era una bella scena, vero, Yamamoto?-
-Sì!-
Yamamoto scoppiò a ridere e Hibari si mise in bocca un gambero. E mentre Gokudera sembrava voler solo sprofondare attraverso dodici piani fin sotto terra, Tsuna non poteva fare a meno di pensare che Hibari quando non indossava l'uniforme era un altro uomo. Anche se il bersaglio stavolta era stato lui, riusciva a essere ironico, anche divertente, e rispetto a quando aveva quindici anni ed era insofferente a tutti era un enorme miglioramento. Poi sedette al tavolo e un altro pensiero gli attraversò la mente.
-Yamamoto, ma tu quando sei arrivato?-
-Era già qui quando siete arrivati voi.- rispose Hibari per lui. -Era in cucina, mi aiutava a preparare.-
-A preparare da mangiare o qualcos'altro?- domandò subdolamente Gokudera, prendendo posto vicino a Tsuna.
-Siccome oggi è un giorno speciale fingerò di non aver sentito e ti permetterò di mangiare.-
-Io non ho capito...- ammise Yamamoto con aria perplessa.
-Non è niente di importante, solo Gokudera che continua a fare lo stronzo.- gli rispose Hibari, che però inspiegabilmente sorrideva. -Invece di dire porcherie perchè non prendi questo bicchiere e fai un brindisi, visto che è il compleanno del tuo ragazzo?-
Hibari lanciò un'occhiata a Tsuna che lo mise tanto in imbarazzo da farlo arrossire.
-O dovrei dire... fidanzato?-
-Fidanzato, fidanzato!- cantilenò Yamamoto prendendo uno dei bicchieri.
-Oh, smettetela...-
Tsuna si girò verso Gokudera in cerca di supporto, ma lui lo stava guardando con il bicchiere in mano e un sorriso terribilmente dolce.
-Buon compleanno, Tsuna.-
-Ah... g-grazie...-
-Buon compleanno...-
-Auguri!-
I bicchieri tintinnarono come da tradizione italiana prima che tutti bevessero. Tsuna aveva una sfumatura rossastra che Hibari dubitava se ne sarebbe andata entro breve dalla sua faccia. Yamamoto fece un'osservazione stilistica sulla proposta che Gokudera aveva fatto poc'anzi e Hayato naturalmente non gradì il suo commento, innescando una discussione dai toni alterati che si infrangevano miseramente contro l'ostinata spensieratezza di Yamamoto. Hibari si alzò senza dire niente, dubitava che con i toni alti che riempivano la stanza qualcuno l'avrebbe sentito annunciare che andava a prendere il resto della cena. Attraversò la stanza sentendosi stranamente sereno. La loro presenza gli impediva di sentire i propri passi riecheggiare nell'appartamento. Un suono che solitamente gli metteva angoscia. Si fermò un momento prima di entrare in cucina per guardarli e vide che Tsuna lo stava guardando. Dal suo sorriso sembrava quasi che potesse avergli letto nel pensiero. Ricambiò appena il sorriso ed entrò in cucina dove quello svanì: aveva lasciato il fuoco acceso e qualcosa stava bruciando.


Erano le undici e mezza passate da un po' quando Hibari Kyoya rimase solo nel salotto e si lasciò andare sdraiandosi a terra. Era stata una giornata intensa, si era svegliato prestissimo, al lavoro aveva avuto una gran serie di noie aggiuntive con un gruppetto di ragazzini che andava in giro a graffitare sui muri delle case e poi in serata con il dramma di preparare la cena. Non era abituato a cucinare, si limitava a fare una zuppa o qualche piatto semplice, di solito nel suo giorno libero, per poi ficcare tutto nel frigorifero e non farlo più per il resto della settimana. Se non fosse arrivato Yamamoto ad aiutarlo con un'ora di anticipo, non sapeva che cosa sarebbe riuscito a combinare...
Sentì bussare piano alla porta e spalancò gli occhi nella penombra della stanza, illuminata solo dalle luci di Namimori. L'aveva sentito davvero o si era addormentato e l'aveva sognato? Aveva scambiato il tamburellare della pioggia sui vetri per il rumore di qualcuno che batteva sulla porta?
No, non l'aveva sognato, perchè sentì bussare di nuovo. Si sollevò con lentezza mentre Yamamoto usciva dalla cucina guardando la porta d'ingresso e poi lui.
-Apro io?-
-Vado io.- disse Hibari alzandosi. -Forse Gokudera e Sawada hanno dimenticato qualcosa.-
-Ah, può essere, sono andati via appena tre minuti fa.-
Yamamoto tornò in cucina da dove veniva il rumore dell'acqua corrente. A quanto pareva si era messo in testa di lavare i piatti prima di andarsene. Hibari andò alla porta guardandosi intorno nel salotto, cercando qualsiasi cosa potessero aver dimenticato Gokudera e Tsuna, ma nel buio non notava niente. Era così convinto che fossero loro da restare quasi frastornato di trovarsi Mukuro davanti alla porta. La maglietta chiara che indossava gli stava appiccicata addosso e i suoi capelli gocciolavano acqua nel corridoio. Con le mani che tremavano teneva quella che pareva essere una ciotola, o una pentolina.
-Mukuro...?-
-Scusa... se piombo a casa tua senza preavviso.-
-È successo qualcosa?-
-No... no, va tutto bene... solo... Nagi... ha fatto questo e... voleva che te lo portassi. Per ringraziarti.-
Hibari istintivamente prese la pentolina che Mukuro gli aveva allungato, anche se si sentiva ancora stranamente confuso. Forse era anche colpa del vino.
-Che... che cos'è?-
-Pollo alla Namimori...-
-E che diavolo sarebbe...?-
-Nagi ci ha messo quello che diceva che ti piacesse... ah... vediamo... funghi... peperoni... zucchine, carote, peperoncino... poi, non so... dei cosi gialli che non so che cosa siano...-
-... Forse... sono solo altri peperoni.-
-Ah, sì... sì, direi di sì...-
La scena era surreale e Hibari si sentiva idiota a farne parte. Stava lì, in piedi, con la pentolina in mano, a fissare in silenzio Mukuro dopo quel dialogo di circostanza. Mukuro, che grondava acqua da pori che forse non sapeva nemmeno di avere e faceva fatica a parlare da quanto tremava.
-... Perchè non hai preso un ombrello?-
Mukuro fece quello che avrebbe dovuto essere uno dei suoi sorrisi di quando diceva stupidate per fare ridere, ma forse complice un'ipotermia incombente non lo sembrava affatto.
-Perchè non ne ho uno...-
Gli occhi blu di Mukuro scivolarono a guardare sulla sua sinistra, al di sopra della sua spalla, e si fermarono sulla figura di Yamamoto che era ancora una volta riemerso dalla cucina, forse per scoprire chi avesse bussato alla porta. L'imbarazzo si alzò a picco. A Hibari sembrava di essere in un film sentimentale, nella classica, immancabile scena in cui il protagonista si ritrova l'ex davanti alla porta mentre in casa c'è il nuovo partner. Sensazione di per sè doppiamente assurda, perchè Mukuro non era il suo ex e Yamamoto non era il suo partner. Eppure non ne poteva ignorare il disagio.
-Ah... scusami... hai ospiti...- commentò Mukuro, abbassando la voce. -Non pensavo di trovarti in compagnia a quest'ora di sera... scusami... vado via.-
-Mukuro.-
Mukuro si fermò e si girò a guardarlo. Se poteva dirsi fermo, dato che si stringeva le braccia e tremava come un gatto bagnato.
-Entra.-
-... Posso... entrare?-
-Se ti dico di entrare puoi entrare, no?-
Hibari si spostò e lentamente un Mukuro insolitamente incredulo entrò nell'appartamento, lasciando una scia d'acqua per terra, neanche fosse stato la bambina del film The Ring. Anche se, come notò Hibari un momento dopo, il colore chiarissimo della pelle e i capelli neri spettinati e incollati alla faccia gli davano l'aspetto di un annegato. Hibari posò la pentolina sul mobile vicino alla porta e spinse piano Mukuro sulla schiena, guidandolo verso i cuscini che non distingueva nella penombra. I suoi stivali erano fradici e a ogni passo facevano un rumore simile ad un cigolio umido.
-Togliti quei vestiti bagnati.- gli disse Hibari dopo che lo ebbe messo seduto sul tappeto. -Ti porto qualcosa per asciugarti e qualcosa da metterti.-
Hibari si allontanò da lui, ma si fermò davanti alla cucina, dove Yamamoto stava effettivamente lavando i piatti che avevano usato per la cena.
-Yamamoto... non preoccuparti di quelli, lo faccio io più tardi.- gli disse. -C'è il coprifuoco tra venti minuti, è meglio se vai a casa subito... c'è anche un tempo da lupi.-
-Mi dispiace lasciarti tutto questo disordine...-
-Non te ne preoccupare, sono solo piatti.-
-Ne sei sicuro?-
-Sì... preferisco essere tranquillo e sapere che siete a casa.-
Yamamoto guardò la mucchia dei piatti e pareva lottare con se stesso per non insistere. Alla fine sospirò e fece un sorriso, tirando giù le maniche arrotolate.
-D'accordo, se la metti così.- fece lui infilandosi la giacca a vento. -È stata una bella serata... grazie di avermi invitato.-
-Grazie di essere venuto prima per aiutarmi... e di aver cercato di restare per lavare quelli.-
Yamamoto si mise a ridere e continuò a sorridere guardandolo dritto negli occhi. Hibari per un momento, che percepì come estremamente dilatato, ebbe paura che si fosse fatto una strana idea, e che fosse stata quella strana idea a spingerlo a venire prima quella sera e ad andarsene dopo gli altri. Si irrigidì molto bruscamente quando sentì il braccio sfiorarlo sul fianco.
-Scusami... le chiavi della macchina.-
-Ah, sì...-
Hibari si spostò e lasciò che prendesse le chiavi della sua automobile che aveva lasciato sul tavolino alle sue spalle quando era arrivato. Si vergognò profondamente di essersi fatto un film così assurdo e a fatica riuscì a tornare a guardarlo in faccia.
-Allora ci vediamo, Hibari. Buonanotte.-
-Notte, Yamamoto.-
-Notte, Mukuro!-
Mukuro, ridotto a una sagoma scura che stava ancora tremando in un angolo del salotto, fece un cenno di saluto silenzioso. La porta si chiuse dietro di lui e Hibari tirò un sospiro. Sollievo? Non proprio, più che altro di disappunto per se stesso. Se quello era l'effetto che gli faceva il vino non l'avrebbe bevuto mai più. Mettersi in testa che Yamamoto ci stesse provando, ma che razza di idee gli venivano? Recuperò un paio di asciugamani e un kimono da una cassettiera e finalmente ritornò da Mukuro, appallottolato in se stesso e completamente nudo.
-Mi hai preso alla lettera quando ho detto di toglierti i vestiti bagnati.- osservò Hibari, tirandogli il telo bianco sulla faccia. -Che pervertito.-
-Hai detto "quei vestiti bagnati", che posso farci se ho anche le mutande bagnate?-
-Asciugati.-
Mukuro prese il telo con le dita che erano quasi dello stesso colore e iniziò ad asciugarsi sul corpo. Le luci che venivano da fuori gettavano sulla sua pelle l'ombra dell'acqua che scorreva sul vetro, ma con l'avvicinarsi dell'ora del coprifuoco le luci venivano spente e la casa era sempre più buia. Hibari accese le candele dentro la lanterna di carta che decorava il centro del tavolo e un bagliore morbido e dorato li avvolse rischiarando la stanza. Non che la luce aiutasse la comunicazione, infatti il silenzio continuò, interrotto solo dal fruscio di Mukuro che si asciugava e dal ticchettio della pioggia. Hibari non sapeva che cosa dire o fare, così prese il secondo asciugamano e tamponò i capelli lunghi e zuppi di Mukuro, che erano i maggiori responsabili della pozza che si allargava sul tappeto.
-Mi dispiace.- disse improvvisamente Mukuro, girandosi a guardarlo. -Vi ho rovinato la serata?-
-Come?-
-Parlo di Takeshi Yamamoto.-
-Per la decima volta che lo ripeto... no, non c'è niente da rovinare, io e Yamamoto non stiamo insieme.-
-A chi lo hai ripetuto?-
-... Era il compleanno di Sawada oggi... abbiamo cenato qui insieme... con Gokudera, e Yamamoto... peccato che tu non sia arrivato prima. Gli altri sono usciti appena qualche minuto prima che arrivassi.- disse Hibari, spingendogli l'asciugamano sulla faccia fino a incollarlo per terra. -Ma tu devi sempre arrivare a cazzo quando ti pare, idiota!-
-Allora è vero che interrompevo qualcosa!-
-Sì, il mio sonno, dato che starei a letto a riposare adesso se non ti avessi qui!-
-Mi hai detto tu di entrare, fai pace con il cervello.- sbottò Mukuro, liberandosi dell'asciugamano bagnato sulla faccia. -E togliti di dosso, sarà che hai appena mangiato, ma sei pesante.-
Hibari lo fissò ma non si mosse. Non ricordava nemmeno quando fosse stato così vicino ad un altro essere umano l'ultima volta. Non ricordava più quando la sua pelle ne avesse sfiorata un'altra, la pelle che non fosse quella delle mani o del viso. Erano passati anni dall'ultima volta che si era spogliato in presenza di qualcuno o che un altro si era spogliato davanti a lui. Era la prima volta nella sua vita che vedeva un corpo completamente nudo. La prima volta che vedeva il corpo nudo di Mukuro. Ma non era la prima volta che vedeva quel suo malizioso sorriso.
-Sembra quasi... che tu abbia visto qualcosa di bello.-
Mukuro alzò la mano pallida e gli accarezzò il viso. Le sue dita erano fredde sulla pelle, ma Hibari non diede segno di sentirle o di essersi in qualche modo accorto di essere toccato. Per quanto potesse essere bello quello che vedeva, per quanto un tempo l'essere sfiorato da lui lo facesse emozionare volente o nolente, non sentiva niente di particolare questa volta.
Mukuro si alzò lentamente da terra, quei pochi centimetri per avvicinarsi al suo viso. Esitò, e sapeva perchè: una volta si sarebbe fatto venire un torcicollo pur di evitare di essere baciato sulla bocca. Alla fine, quando si convinse che non si sarebbe sottratto, lo baciò sulle labbra. Era una strana sensazione essere baciato per la prima volta in una situazione tanto casuale, ma non era per niente come l'aveva immaginato. Evidentemente anche Mukuro sentì che non era come sarebbe dovuto essere, perchè si separò quasi subito. Il suo sorriso era come congelato su un viso così triste.
-Una volta mi bastava toccarti per farti battere forte il cuore...-
-Non è più come una volta, Mukuro.-
-Che fine ha fatto quel sentimento che ti emozionava quando stavi con me?-
-Non esiste più... qualsiasi cosa fosse, era fragile... come lo è qualsiasi sentimento a quindici anni.- rispose Hibari, senza rendersi conto che stava sussurrando. -Dura poco di più di una fioritura di ciliegio... è bellissima... ma è destinata a svanire in fretta...-
-I ciliegi rifioriscono, Kyoya...-
-Nella vita di un essere umano la primavera arriva una sola volta.-
-Nel cuore di un essere umano la primavera può essere eterna...-
Anche se non avrebbe voluto farlo per dimostrare una completa indifferenza, Hibari si scansò al nuovo tentativo di Mukuro di baciarlo. Ma dopotutto per quanto Mukuro fosse un buffone perditempo e un ragazzo disastrato come pochi, la dialettica era una delle sue migliori doti naturali. Forse era proprio con quella che era riuscito, in gioventù, a diventare così speciale, così diverso da tutti gli altri della loro età.
-... C'è qualche possibilità... che rifiorisca in te?-
-No.-
La sua risposta fu immediata e gelida, priva di alcun tatto e senza possibilità d'appello. Si tolse da sopra di lui bruscamente e solo in quel momento si rese conto di quanto la sua pelle fosse ancora fredda. Afferrò il kimono che ancora giaceva piegato sul tavolo e glielo gettò addosso senza guardarlo.
-Vestiti, sei indecente.-
Se avesse avuto una tazza di tè davanti sarebbe stato davvero un uomo felice, perchè aveva un disperato bisogno di qualsiasi gesto che lo togliesse dall'imbarazzo e lo calmasse. Non avendolo, Hibari si limitò a fissare lo sguardo sulla luce danzante delle candele dentro la lampada di carta. Fissò a lungo la luce mentre pensava a quello che provava, a quello che aveva provato una volta, a che cosa avrebbe potuto dire o fare, perchè il tempo era trascorso e rimandare a casa Mukuro con quel tempo, e alle soglie del coprifuoco era impensabile.
-Così... per me è più facile, dopotutto.-
Hibari si voltò e si sorprese di vedere che non si era vestito. Si limitava a tenere il kimono sopra una spalla, lasciandolo ricadere a coprirgli il torso e a nascondere tutto il corpo fino a metà coscia fra le pieghe di seta scura. Non ricordava di averlo mai visto con un'espressione così sofferente.
-Che cosa è facile?-
-Fare quello che devo.-
-Che sarebbe?-
-Se a te non importa più di me, posso scegliere più liberamente.-
Qualcosa dentro Hibari scattò come una trappola a pressione e un brivido gli salì lungo la schiena. Non sapeva di che cosa stesse parlando, ma le sue parole non suonavano diversamente da una minaccia. Non nei suoi confronti, ma implicavano qualcosa di oscuro, un presagio che gli metteva angoscia.
-Di che cosa stai parlando?-
-Se non ti importa più di me, posso fare cose che non farei altrimenti...-
Il brivido freddo risalì ancora la schiena di Hibari, più forte e più freddo di prima.
-Io non ho detto che non...-
-Hibari... so che cosa hai detto. Ho sentito chiaramente e l'ho capito.- disse Mukuro in tono improvvisamente gelido. -E se sei come un bambino, che per vergogna di quello che prova dice cose che non sono quelle che pensa, cresci. Perchè le parole che pronunci feriscono, che siano vere oppure no.-
Hibari non trovò nulla da dire, ma non era la sua maggiore priorità in quel momento.
-Che cos'è che potresti fare?-
-Chi lo sa... c'è una ferrovia accanto alla mia casa... potrei aspettare un treno merci.. ne passa uno tutte le mattine alle otto... ci fa tremare tutti i mobili... passa così veloce che farebbe a pezzi un uomo senza che nemmeno se ne renda conto...-
-Mukuro!-
Hibari non era nemmeno così sicuro di aver capito il senso di quello che stava dicendo, ma la sua coscienza più intima sì. Prima ancora di accorsene uno schiocco sonoro riecheggiò nella stanza in modo surreale, o forse era solo parso a lui che il suono riecheggiasse. Si ritrovò con il braccio steso e la mano che gli faceva male, mentre Mukuro aveva il viso voltato dalla stessa parte. Lo aveva colpito senza rendersi conto di volerlo fare.
-Stai... non puoi dire... non ora che Chrome... tu... non puoi dire sul serio...-
Mukuro fece un sorriso. Di che tipo, Hibari non riuscì a capirlo. Era criptico, non aveva idea di che cosa stesse pensando.
-Sono il re dei buffoni... non dico mai niente sul serio, dovresti smettere di prendermi così letteralmente... ah, il tuo schiaffo mi ha fatto male... ma me lo sono meritato, vero...?-
-Mukuro, non mi prendere in giro... di che cosa stavi parlando?-
-Che brutta cera hai...-
-Di che cosa stavi parlando? Che cosa hai in mente di fare?-
-Hai un viso così stanco, Kyoya... dovresti andare a dormire...-
-Mukuro!-
Mukuro sorrise di più e gli accarezzò il viso, solo una volta, con delicatezza.
-Sei stanco, si vede... vai a dormire... io mi metterò qui... e domattina saprai tutto... va bene così?-
Sapeva per esperienza che tentare di tirare fuori qualcosa a Mukuro quando non voleva dirla era solo uno spreco di energie ripagato da risposte sempre più vaghe. Avrebbe davvero fatto meglio ad andare a dormire, riposare e aspettare la mattina, e con essa, le sue risposte. Sperando che avessero un senso.
-Voglio delle vere risposte, Mukuro... non pensare di imbrogliarmi...-
-Non lo farò.-
-Te la faccio pagare se provi a fregarmi.-
-Non lo farò.- ripetè Mukuro, infilandosi il kimono.
Hibari non aveva alcun desiderio di dormire e dopo quello che aveva sentito sarebbe stato un miracolo prendere sonno anche solo per un'ora. Fu con estrema riluttanza che si alzò in piedi e mosse verso la sua camera da letto voltandogli le spalle. Si fermò solo arrivato alla fine del corridoio e si voltò a guardarlo, vedendo il suo profilo avvicinarsi alla lampada di carta e soffiare piano sulle candele, precipitando nel buio. La sua gola si strinse fastidiosamente in un nodo stretto. Aveva come la sensazione che sarebbe stata l'ultima volta che lo avrebbe visto.

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Capitolo 6
*** Dichiarazione di guerra ***


Il mattino dopo Hibari Kyoya stava dormendo, contrariamente alle sue supposizioni della sera precedente, e dormendo piuttosto pesantemente. Era scivolato nel sonno mentre rifletteva sulle intenzioni di Mukuro ma ebbe la benedizione di un riposo non disturbato dai sogni e l'unico momento in cui si era quasi risvegliato era stato quando gli era parso di sentire un fruscio. Annebbiato e desideroso di tornare al suo beato riposo pensò fosse stato un uccellino nella voliera o uno dei suoi ricci che razzolava nella gabbietta.
Quando finalmente aprì gli occhi non era sicuro di sapere che cosa l'aveva svegliato. Sbattè le palpebre sugli occhi grigi diverse volte prima di riuscire a focalizzare lo strano sibilo che gli arrivava dalla cucina e qualche altro attimo per capire che era il fischio del bollitore. Guardò la finestra illuminata dalla luce del mattino e sbadigliò, girandosi sulla schiena e stirando le braccia.
Il fischio era decisamente forte adesso. Tese l'orecchio ma non sentì nient'altro a parte i canarini che cinguettavano fuori dalla finestra.
-Mukuro...-
La voce si strozzava in un sussurro rauco. Diede un colpetto di tosse per schiarirsi.
-Mukuro, la teiera...-
Sospirò affondando di nuovo nel cuscino e chiudendo gli occhi, ma il fischio continuava a salire d'intensità e non ebbe alcuna risposta da Mukuro, e nemmeno sentì passi o rumori nella cucina o nel bagno. Una brutta sensazione si impadronì di lui facendogli spalancare gli occhi, improvvisamente sveglissimo. Si alzò dal letto scaraventando via le coperte e uscì dalla stanza come se l'appartamento stesse andando a fuoco.
La porta del bagno era aperta e la stanza era vuota. Con il cuore che gli martellava nel petto attraversò il breve corridoio e si sporse sul soggiorno, vuoto. Il fischio della teiera diventò insopportabile e si diresse nella cucina.
Lì erano gli unici segni di una presenza. La teiera sul fuoco che fischiava terribilmente, una sola tazza per il tè posata sul tavolo, i soliti biscotti che mangiava per colazione disposti a fiore sul piattino. Infastidito Hibari tolse il bollitore dal fuoco, dando finalmente tregua alle sue orecchie. Riuscì solo in quel momento a notare un bicchiere posato sul lavandino, un bicchiere che non avevano usato la sera prima per la cena. Sentendosi sempre più angosciato e al tempo stesso furioso, lasciò la cucina e ripercorse tutto l'appartamento.
-Mukuro!-
Troppo incredulo per poter pensare che se ne fosse davvero andato lo cercò sul balcone, dietro il divano, dietro le porte e persino sotto il letto, rendendosi perfettamente conto che sarebbe stato privo del benché minimo senso nascondersi in posti del genere.
-Non posso crederci, quel figlio di...-
Si bloccò quando lo sguardo gli cadde sul cuscino. C'era qualcosa sotto il cuscino. Lo tirò via e riconobbe quella che era una pagina color avorio a righe nere, una pagina del blocco appunti che teneva vicino al telefono nel soggiorno. L'afferrò con furia come se quella gli avesse fatto un torto e andò vicino alla finestra per leggere cosa c'era scritto.
"Kyoya, non potevo dirtelo di persona per un po' di motivi, tra cui quello che probabilmente mi avresti ucciso. So che guardi sempre il telegiornale, ed è lì che avrai le mie prossime notizie e capirai quello che voglio fare. Tu ti sei arreso ma io no."
Hibari ebbe di nuovo lo stesso brivido gelido lungo la schiena. Dubitava fortemente che le sue prossime notizie gli sarebbero arrivate dalla rubrica di cucina in coda al telegiornale, o dal bollettino culturale appena prima di quello... che cosa si era messo in testa? Come aveva deciso di farsi ammazzare?
"Comunque grazie dei soldi che ti ho preso dal cassetto della camera da letto mentre dormivi, ne farò buon uso, lo prometto. Mukuro."
Improvvisamente la tensione si smontò come una maionese impazzita e Hibari si trovò con il foglietto nella mano e gli occhi fissi sul comodino. Si avvicinò e aprì il cassetto dove teneva quelli che considerava "fondi di emergenza", contanti a portata di mano a qualsiasi ora del giorno e della notte senza che dovesse aspettare l'apertura di una banca. Il cassetto conteneva solo un pacchetto di fazzoletti e gli occhiali da lettura, tutti i soldi erano spariti. Sapendo benissimo che lo avrebbe fatto infuriare anche più di quanto già non lo fosse, prese il biglietto sul fondo, preso dallo stesso blocco appunti.
"Ps: Sei carino quando dormi con la bocca aperta."
Hibari stritolò il biglietto con la mano che vibrava e lo scaraventò via.
-L'AMMAZZO! È LA VOLTA CHE LO AMMAZZO!-
I canarini smisero all'istante di cinguettare.


Due ore dopo Hibari si godeva il suo giorno libero settimanale bevendo tè ormai freddo tenendo l'orecchio incollato al telefono, camminando nervosamente su e giù per il soggiorno. L'ufficio dei servizi interni, corsia preferenziale per le segnalazioni e i problemi della milizia militare, continuava a rimbalzare la sua chiamata da un dipendente all'altro senza riuscire a trovare qualcuno che lo stesse a sentire. Aveva urlato contro quattro reclute che ora non avevano intenzione di risollevare il ricevitore ed era alle prese con un inflessibile impiegato che continuava a dirgli che 'il capo non era in ufficio prima delle dieci'. Tra i canarini che cinguettavano becchettando speranzosi di trovare briciole sul tappeto, gli volavano attorno alla testa e i ricci che spostavano rumorosamente la ciotolina vuota chiedendo cibo, gli sembrava di impazzire.
-Guarda che io lo conosco il tuo capo!- sbottò al telefono, acchiappando un canarino che stava per mangiare bricioline di biscotti al cioccolato. -Lo so che è in ufficio alle otto e mezzo e che legge il giornale mentre si fa tre tazze di latte schiumato, chi pensi che glielo abbia portato per mesi prima che arrivassi tu a fare la gavetta?! Avanti, passamela!-
-Allora saprete che non vuole telefonate mentre fa colazione.-
-Me ne frego, dille chi sono e vedi se ti dice di buttare giù!-
-A proposito, lei chi è?-
-Ma sei scemo, te l'ho già detto trenta volte! Hibari, Hibari Kyoya, agente di vigilanza numero 09018!- esplose lui facendo cinguettare i canarini che presero a sfrecciare all'impazzata spaventati. -Passa questa cazzo di chiamata al tuo capo entro tre minuti o ti denuncio per tanti di quei casini che non ti assumeranno nemmeno come garzone del macellaio!-
-Stia calmo, vedo se può parlarle.- disse l'uomo al di là del filo. -Stronzo.- si sentì da lontano, mentre evidentemente si alzava per andare dal capo.
Hibari sospirò e si decise finalmente a distribuire un po' di becchime agli uccellini. Il filo del telefono non arrivava fuori al balcone, quindi lo lasciò sul mobile dell'ingresso, dove gli animaletti piumati si allinearono becchettando abbassando le testoline rotonde a intervalli regolari e brevissimi. Erano davvero affamati. Il telefono taceva ancora, quindi ne approfittò per offrire una lauta colazione anche alla coppia di ricci che finalmente smisero di sbattacchiare la ciotola e ci infilarono i musetti per mangiare. Hibari ebbe appena il tempo di sorridere a quella vista che un click gli fece sperare che qualcuno avesse ripreso la sua chiamata.
-Allora, si...-
-CHE CAZZO PENSI DI FARE, KYOYA?!-
Scosse la testa allontanandosi il telefono dall'orecchio che gli dava un sinistro fischio. Sperò di non essersi rotto il timpano.
-... Buongiorno, Lal...-
-Ficcatelo nel culo il buongiorno!- strillò la donna al telefono. -Lo sai che non voglio rompicoglioni prima del mio turno, che sai benissimo iniziare alle dieci! Sono le nove e otto minuti, Kyoya! È chiaro?!-
-Il tuo linguaggio non è migliorato.- osservò lui.
-E GIA' CHE CI SIAMO, NON PROVARE MAI PIU' A PARLARE IN QUEL TONO AI MIEI UOMINI, ALMENO FINCHÈ NON DIVENTERAI TU IL GENERALE!- urlò lei ancora più forte, costringendolo ad allontanare nuovamente la cornetta dall'orecchio. -O VENGO DI PERSONA A PRENDERE A CALCI QUEL TUO CULO ARROGANTE FINCHÈ NON DIVENTA COLOR UVA MATURA!-
-Uva bianca o nera?-
-SAI DOVE TE LA FICCO L'UVA BIANCA?-
-Nel mio culo arrogante?-
-No, in quello ti ci sei già ficcato il buongiorno e ci ficcherò la cornetta del tuo fottuto telefono!- inveì lei più piano, ma non meno duramente. -L'uva te la ficco su per il naso, piccolo stronzetto finocchio!-
Il vigilantes ebbe un vivido flashback: Lal Mirch gli aveva rivolto le stesse tre parole quando il primo giorno di lavoro come suo assistente aveva fatto l'errore di portarle il latte schiumato non bollente. Le stesse identiche tre parole, prima di lanciargli in faccia il primo bicchiere di latte. E con epiteti aggiuntivi, si era preso in faccia anche gli altri due, perchè se "si fosse azzardato a muovere un muscolo gli avrebbe sparato in mezzo agli occhi". Quel giorno era particolarmente impresso nella memoria di Hibari. Non ricordava di aver mai subìto un'umiliazione simile, nè di aver provato tanto terrore. E tutto questo ad opera di una donna.
-Volevo solo parlarti, Lal, è una cosa urgente...-
-Perchè non l'hai detto subito che era urgente, imbecille?!-
-Ma io l'ho...-
-Sei un ritardato, chi ti sei scopato per diventare un vigilantes, cazzo?!-
Per quanto fosse irritato, e lo era davvero tanto, era meglio lasciar perdere. Lal era così, c'era ben poco da fare, era peggio di qualsiasi capitano del campo di addestramento. Forse proprio per quello i migliori del campo venivano mandati a lavorare per lei: per distruggere subito chi era debole e forgiare in lega d'acciaio chi era abbastanza forte da sopravvivere all'apprendistato. Nell'anno in cui si era diplomato al campo di addestramento della milizia, quattro anni prima, era stato l'unico a sopravvivere per i sei mesi di gavetta all'ufficio servizi interni. Nei due anni successivi, non aveva resistito nessuno. Non faticava a crederci, Lal l'aveva fatto piangere più di una volta, anche se non l'avrebbe mai confessato nemmeno sotto tortura. Senza fare cenno alle punizioni corporali di quella donna, che non erano affatto più blande delle sue minacce.
Ma ora non era più sotto i suoi comandi, quindi...
-Mi sono scopato tuo marito, Lal.- le rispose.
-FATTI FOTTERE DAL MIO SETTER INGLESE, FIGLIO DI PUTTANA!-
-Non dubito che ti piacerebbe vederlo, ma...-
-Ma che cazzo... che cos'è questa roba?-
Hibari tacque, perchè la voce di Lal si era allontanata dal telefono e sentiva un mormorio in sottofondo. Qualcuno parlava con lei e la sua voce da irritata sembrò diventare nervosa, quasi fosse spaventata. Sentiva una specie di melodia sotto ai rumori e alle voci, ma non riusciva a distinguerla.
-Lal, che cosa...?-
-Abbiamo uno strafottuto problema! Canale dodici, Kyoya, canale dodici!-
Lui si guardò nervosamente attorno e vide il telecomando del televisore sotto tre dei suoi uccellini che vi si erano appollaiati comodamente sopra. Li spinse senza troppi complimenti e accese la televisione sul dodici, il principale canale della nuova rete approvata dal regime. Non aveva idea di che cosa fosse attualmente in programmazione, ma di sicuro quello che vedeva non era un programma del regime.
Quello che vedeva nello schermo era indubbiamente Rokudo Mukuro, che indossava una specie di mantella nera e spiccava su un fondo del tutto bianco. In sottofondo c'era una canzone straniera, europea, indubbiamente presente nella black list. Hibari fissava il televisore con gli occhi spalancati. Come diavolo poteva essere in onda sul canale dodici?
-Buongiorno, cari telespettatori di canale dodici, qui è Rokudo Mukuro che vi parla in diretta da un posto che ovviamente non posso rivelarvi.- disse lui in tono leggero, come se si fosse collegato per leggere gli aggiornamenti del meteo. -Voglio innanzitutto scusarmi con i bambini che stavano guardando Melinda prima che interrompessi il segnale, so che vi piace tanto, ma ho un messaggio per i vostri parenti.-
In una striscia rossa in sovrimpressione apparve il nome di Mukuro, nella striscia nera sottostante prese a scorrere una scritta che fece rabbrividire Hibari come nient'altro nella sua vita: "Rokudo Mukuro sfida apertamente il potere del regime".
-È pazzo...- mormorò, abbassando lentamente il telefono e avvicinandosi al televisore. -Completamente...-
-Lasciate che vi dica una cosa, signori.- disse Mukuro oltre lo schermo, cambiando del tutto tono di voce ed espressione facciale. -Voi credete che questo regime sia la migliore cosa che potesse capitare a questo paese... un regime che impone la disciplina, che annulla la criminalità, che controlla tutto per la vostra sicurezza... che vi dice che cosa dovete fare e cosa no, con chi potete o non potete vivere, se le vostre famiglie possono stare a casa vostra per cena.-
Il tono della sua voce era gelido come ghiaccio e il suo sguardo non era meno freddo.
-Quanto passerà prima che vi dicano che cosa dovete pensare, di che colore dev'essere la vostra casa, quanti figli potete fare e chi potete amare? Quanto prima che coloro che detengono il potere in questa piramide di oppressione si sentano degli Dei, facciano leggi e decreti per stringere il cappio al vostro collo e si crogiolino loro stessi nei vizi che hanno debellato dalle vostre città?-
-Che cosa sta facendo... si... si farà ammazzare sul serio... c-che diavolo...-
-Non intendo aspettare che un manipolo di uomini che hanno venduto le loro anime al potere mi dicano che sentimenti mi consentono di provare.- continuò Mukuro posandosi la mano sul petto. -Per il regime l'unica cosa che Rokudo Mukuro possiede è la sua stessa vita. È vero, ma io la darò volentieri se facendolo posso far rifiorire la primavera in questo paese e nel tuo cuore.-
Le dita della mano di Hibari persero la forza e si lasciarono scivolare via la cornetta, che si schiantò per terra facendo sobbalzare i ricci e sbattere le ali nervosamente a più di un canarino, ma lui non si rese conto di niente. Non si poteva sbagliare, Mukuro stava parlando direttamente a lui. "Nel cuore di un essere umano la primavera può essere eterna", aveva detto... "c'è qualche possibilità che rifiorisca in te...?"
-Voglio dire al regime che se ha paura fa bene ad averne, perchè un uomo come me è un uomo da temere... perchè non potete fare paura a chi non ha altro che una vita che è disposto a dare... a chi si è nascosto per tutta una vita e si farà trovare solo da chi ha il cuore per cercarlo... e non si fermerà finchè non avrà ottenuto quello che vuole.-
Mukuro si tolse il mantello nero. Sotto indossava una specie di uniforme bianca, in palese contrapposizione con le divise nere indossate dalla milizia militare e dalle grigio antracite degli alti ufficiali. Nonostante la serietà della situazione e il senso di orrore simile a quello suscitato dagli incubi realistici, una recondita parte della mente di Hibari non potè non subire il fascino di quello che stava vedendo.
-Io mi chiamo Rokudo Mukuro.- ribadì Mukuro, strappando il drappo bianco che aveva alle spalle e portando alla luce della telecamera un panorama di Namimori con i ciliegi in fiore. -Ora è solo un nome qualsiasi, ma un giorno lo ricorderete come il nome dell'uomo che ha riportato la primavera dopo un inverno durato troppi anni...-
Il segnale della trasmissione subì un'interferenza e Mukuro doveva essersene accorto. Qualcuno stava cercando di schermare il segnale e probabilmente di rintracciarlo.
-Dirvi il mio nome non è arroganza.- disse poi tornando a fissare la camera. -È devozione. Ora che avete visto il mio viso e sapete il mio nome, non posso più tornare indietro. Non vi aspettate che lo faccia.-
La trasmissione si interruppe con una serie di righe colorate e poi il canale tornò sul programma Melinda, che andava in onda tra le due edizioni del telegiornale mattutino ed era dedicato ai bambini più piccoli. Hibari fissò i pupazzi di animali che parlavano con vocine contraffatte di pioggia e di letargo, stordito. Chiuse gli occhi e li strinse fino a farsi male. Sperò con tutte le forze di sentire il fischio della teiera, di svegliarsi nel suo letto di nuovo, di trovare Mukuro in cucina a spazzolare tutti i dolci che trovava. Non poteva essere vero, non era possibile, doveva per forza essersi sognato tutto per la paura che aveva avuto parlando con lui la sera...
-RISPONDI, STRAMALEDETTO FINOCCHIO!-
Riaprì gli occhi, ma nulla era cambiato. Era ancora in salotto, la televisione trasmetteva Melinda, il telefono per terra sbraitava con la voce di Lal. Con la mano tremante lo raccolse e se l'avvicinò all'orecchio.
-C-ci sono.-
-È indubbio che tu ci sia, imbecille! Non è il tuo amichetto quello?!- sbottò lei inviperita. -È quello a cui paravi il culo! A che gioco stai giocando?!-
-Lal, io non ne so niente! Ho cercato di aiutarlo, ma come potevo sapere che...-
-Quello è sempre stato un indesiderabile e un nemico dichiarato del regime! Aspetti che faccia esplodere il palazzo del governo prima di capire che non puoi raddrizzarlo?! È un terrorista!-
-N-no, ascoltami, lui è strano lo so, però non...-
-STRANO?!-
-Non è un terrorista, è nel suo carattere essere sopra le righe, ha fatto un'idiozia, però non...-
-Infiltrarsi nella rete di sicurezza e trasmettere un messaggio del genere non è un'idiozia! Potresti anche essere il comandante assoluto ma non potresti salvarlo stavolta, ha dichiarato guerra al regime, non PUOI pensare che sia uno scherzo!-
Si rese conto improvvisamente che era vero. Che nessuno al mondo avrebbe potuto tenerlo fuori dal carcere per oppositori politici dopo un atto del genere, anche se si fosse costituito senza tentare nient'altro contro il regime. Non lo poteva aiutare, non poteva più rimediare. Quella consapevolezza lo fece sentire improvvisamente stanco e si sentì pesante, tanto che si sedette per terra, guardando distrattamente la televisione.
-S-scusami. Hai ragione. I-io... s-sono solo... un po' confuso, non mi sarei mai aspettato che...-
-Fingerò di non averti mai sentito difendere un terrorista.- disse Lal, stranamente accomodante. -Ma Kyoya, penso che tu ti renda conto di che cosa devi fare adesso.-
-Co... cosa?-
-Sei un vigilantes di Namimori e lo conosci meglio di chiunque altro.- disse lei con un'inflessione decisamente impaziente. -Trovalo e arrestalo prima che faccia qualcos'altro e forse eviterà la fucilazione!-
Hibari tentò di dire qualcosa ma la gola gli si era seccata. Un attimo dopo sentì squillare un telefono dall'altra parte, nel momento in cui Melinda veniva interrotto di nuovo, stavolta da un'edizione speciale del telegiornale.
-Squillano le trombe da queste parti, Kyoya. Preparati e non tenere occupato il telefono, perchè frantumeranno le orecchie a te più che a me, oggi.-
Lal chiuse la comunicazione, ma Hibari ascoltò il silenzio ancora qualche istante prima che la sua mano si decidesse ad abbassare il telefono. Restò per terra guardando un'intera edizione del telegiornale in cui i due conduttori informarono la popolazione di quanto Rokudo Mukuro fosse squilibrato, disadattato e indesiderabile, dei suoi precedenti penali ed elencando tutto quello che il regime gli aveva comunque concesso, mettendo in luce la sua completa ingratitudine ed evidenziando i tratti del suo comportamento criminale.
Era davvero invidiabile, l'archivio dei segnalati... riuscivano a mettere insieme un servizio di trenta minuti con tutti i segreti delle fedine penali e delle segnalazioni in una manciata di minuti... in pochi minuti, avevano impedito che Mukuro potesse scampare a una condanna per terrorismo, la cui unica pena prevista era la morte tramite fucilazione.

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Capitolo 7
*** L'Ascesa dell'Eroe ***


-Hayato... non finirò mai di sistemare la mia roba se continui a interrompermi...-
-Non c'è niente di vivo là dentro, può benissimo aspettare...-
-Avevi una mucchia di compiti da correggere...-
-Anche quelli sono materia inorganica...-
-Ma devo ancora prendere un sacco di cose, non voglio metterci tanto...-
-Allora smetti di chiacchierare, così facciamo prima...-
Tsuna mise la mano sulla faccia di Gokudera per impedirgli di baciarlo ma la scostò bruscamente con un'imprecazione quando lui gliela leccò.
-Ma che sei, un cane?!- fece lui irritato senza però riuscire a trattenersi dal ridere. -Che schifo!-
-Così impari ad essere così provocante.-
-Pro... che?! Ma se sono in pigiama?!-
Gokudera lo baciò sulla bocca e stavolta non incontrò resistenza, anzi, Tsuna lo ricambiò chiudendo gli occhi e piegandosi lentamente all'indietro fino ad appoggiare la testa sul bracciolo del vecchio divano che regnava quasi al centro della stanza principale. Gli sembrava ancora strano aver accettato così all'improvviso di trasferirsi a casa sua, e di aver già dormito lì per la prima volta. A casa loro.
Aveva una valanga di cose da andare a prendere e sistemare, ma proprio non aveva voglia di andare a prenderle. Non adesso che la mattinata stava prendendo una piega così interessante. Tsuna stava sprofondando in un'estasi lenta ma crescente e fu per istinto che voltò la testa per permettere a Gokudera di mordergli scherzosamente il lobo dell'orecchio. In quel momento la sua beatitudine scomparve.
-M-Mukuro?-
-Ehi, guarda che io sono Gokudera.-
-Ma... ma no, stupido!- disse Tsuna voltandogli la testa verso il televisore. -Guarda, non è Mukuro?!-
L'espressione indignata di Gokudera lasciò il posto a una vagamente sorpresa mentre si sollevava come per guardarlo meglio. Non c'era alcun dubbio, quello era proprio Mukuro, ma che cosa faceva sul canale dodici?
-Il volume, alza il volume!-
Ma prima che Gokudera potesse scovare il telecomando Tsuna potè leggere la scritta che passava in sovrimpressione sulla striscia nera. Con un misto di terrore e inspiegabile euforia scattò giù dal divano e alzò il volume dai comadi del televisore, anche più del necessario, tanto che la voce di Mukuro rimbombava nel salotto come se gridasse.
-Lasciate che vi dica una cosa, signori. Voi credete che questo regime sia la migliore cosa che potesse capitare a questo paese... un regime che impone la disciplina, che annulla la criminalità, che controlla tutto per la vostra sicurezza... che vi dice che cosa dovete fare e cosa no, con chi potete o non potete vivere, se le vostre famiglie possono stare a casa vostra per cena...-
-Se vuole morire ha trovato il modo più sicuro.- commentò Gokudera rinunciando al telecomando.
-Sta' zitto, Hayato! Fammi sentire!- sbottò Tsuna.
-Posso riassumere io, sta dicendo "fucilatemi"...-
-GOKUDERA! ZITTO!-
-... dev'essere la vostra casa, quanti figli potete fare e chi potete amare? Quanto prima che coloro che detengono il potere in questa piramide di oppressione si sentano degli Dei, facciano leggi e decreti per stringere il cappio al vostro collo e si crogiolino loro stessi nei vizi che hanno debellato dalle vostre città?- stava dicendo Mukuro dallo schermo. -Non intendo aspettare che un manipolo di uomini che hanno venduto le loro anime al potere mi dicano che sentimenti mi consentono di provare.-
Nonostante fosse sconvolto come poche volte lo era stato nella vita, terrorizzato per ciò che questo scherzo poteva costare a Mukuro se fosse stato preso e angosciato all'idea di come sarebbe squillato all'impazzata il suo telefono dopo quest'esibizione, non potè non sentirsi incredibilmente orgoglioso del coraggio di Mukuro e impressionato dalla portata della sua impresa. Dichiarare così apertamente il dissenso, sul canale dodici che era il canale del regime, mostrando il volto e dicendo il proprio nome... quello che stava vedendo Tsuna nello schermo in quel momento era quanto di più simile a un eroe avesse mai visto...
Voltandosi vide che Gokudera era rimasto con la sigaretta ancora spenta fra le dita e l'accendino nell'altra mano, fissando gli occhi verdi sullo schermo. Dalla sua espressione, anche lui doveva pensare la stessa cosa di Mukuro. E di questi tempi bui in cui il pessimismo regnava su Gokudera, la sua espressione valeva quanto la più profonda ammirazione.
Rimasero in silenzio fino alla fine della trasmissione di Mukuro, ad ascoltarlo come se non avessero mai sentito un messaggio in televisione prima d'allora, e il silenzio si dilatò anche una volta comparsi i pupazzi nel programma per bambini Melinda. Tsuna si decise a voltarsi soltanto quando sentì lo scatto dell'accendino alle sue spalle. Gokudera si era acceso la sigaretta e la sua espressione era tornata di sano scetticismo.
-Sarà morto prima di notte.-
-Hayato!-
-Posso odiarli quanto mi pare, ma non posso negare quanto siano bravi a trovare gli oppositori politici... figurati quando quelli gli dicono nome e cognome e si mostrano in faccia... quanto pensi ci abbiano messo a prelevare gli Hatsumori, i Roku e Nanamine, una volta che sono diventati il primo e unico partito del paese? Tre ore?-
-Se Mukuro ha fatto una cosa del genere è perchè sa quello che fa... non è un incosciente...-
Il sopracciglio di Gokudera si alzò esprimendo notevole perplessità.
-Non così incosciente.- precisò Tsuna. -Se ha deciso di dichiarare guerra al regime in modo così spettacolare deve essere pronto alle conseguenze... sembrava determinato a portare a termine la sua missione...-
-... Pensi che...?-
Il cellulare di Tsuna prese a suonare con una musichetta squillante. Il ragazzo lo cercò nella tasca della giacca di felpa e rispose. Come si era aspettato era il direttore della redazione per la quale lavorava attualmente, che lo informava dello sconvolgente messaggio sul canale dodici. Voleva immediatamente quante più informazioni e un pezzo da prima pagina per un'edizione straordinaria il giorno seguente, e si trattava di una testata settimanale il cui numero era uscito lunedì ed erano a martedì mattina. Ma una notizia del genere, sottolineò gridando il direttore, non poteva aspettare una settimana, o tutti gli altri giornali avrebbero venduto il triplo rubando tutte le notizie possibili ben prima di lunedì.
-Lavoro, vero?- fece Gokudera prendendo un tiro non appena la telefonata venne chiusa.
-Sì... vanno in edizione speciale domani, vogliono tutte le notizie possibili...-
Tsuna raccattò i vestiti della sera prima e si cambiò il più velocemente possibile, snocciolando i posti dove sarebbe andato e quello che avrebbe fatto, ma Gokudera sembrava non essere interessato al suo itinerario. Continuava a fissare la televisione, fumando con estrema calma. Un sintomo preoccupante per Tsuna che lo conosceva così bene: stava pensando a qualcosa che lo preoccupava molto.
-Hayato...?-
-... Pensi che abbia dichiarato guerra al regime... o a Hibari?-
Tsuna non disse niente mentre si avvolgeva la sciarpa attorno al collo. La risposta sincera era 'non ne ho idea', ma era un'ipotesi che spaventava anche lui. Rifiutava di credere che dall'amarsi, perchè era sicuro che da adolescenti fosse stato quello il loro rapporto, fossero arrivati a combattersi così spietatamente. Non voleva credere che Mukuro, nonostante disprezzasse le scelte di Hibari quanto lui, fosse arrivato a ingaggiare una guerra aperta pur di fargli del male. E di farsi del male...
-Mukuro... non combatterebbe mai con Hibari... lo sai...-
-E se Mukuro cominciasse a vedere Hibari come lo vedo io?-
-Tu come lo vedi?-
Gokudera prese un altro tiro e appoggiò la testa allo schienale, ben attento a non guardare dalla sua parte.
-L'esempio di quello che è successo a questo paese.- disse piano, con la voce leggermente roca. -Aveva un mucchio di difetti, ma alla fine andava bene... ora è corrotto... e non mi fido di...-
-Hibari non è così.- lo interruppe freddamente, anche lui senza guardarlo. -So che non è corrotto come dici tu, e io mi fido ancora di lui. So che anche Mukuro ha fiducia. Non è lui che vuole combattere.-
Tsuna aprì la porta e uscì nell'aria fredda e umida, misurando il marciapiede bagnato a grandi passi. Gokudera era così sfiduciato e pessimista che riusciva quasi sempre a frustrarlo, anche se sapeva che non ne aveva intenzione. Aveva bisogno di una parola rassicurante, per una volta; di qualcuno che gli facesse credere che tutto andava bene, o che sarebbe finita nel migliore dei modi. Ma aveva l'angosciante sensazione che stesse arrivando la fine di qualcosa e aveva un disperato bisogno di credere che almeno certe cose non sarebbero mai cambiate.


Su una cosa Tsuna aveva ragione in pieno: Mukuro aveva ben programmato le sue mosse e il suo messaggio sul canale dodici non era stato un atto istintivo nè azzardato. Il segnale della trasmissione non era stato rintracciato e più milizia e giornalisti indagavano più Mukuro sembrava essere introvabile. Il segnale che sembrava essere stato parzialmente schermato appena prima della fine della trasmissione in realtà era un difetto che Mukuro stesso aveva provocato per far pensare ai tecnici del sistema informatico di essere sulla strada giusta per fermarlo. Per inserirsi nel sistema di sicurezza delle emittenti avrebbe avuto bisogno di una sofisticata attrezzatura tecnica, ma nessuno riuscì a scoprire dove o da chi se la fosse procurata. L'ultima e unica traccia che si era trovata su di lui era che la mattina del giorno del messaggio su canale dodici Mukuro era stato da un ricettatore che, una volta arrestato dalla milizia militare, aveva offerto liberamente la sua collaborazione rivelando che aveva pagato in contanti per riavere un anello di valore che gli aveva dato settimane prima in cambio di bombole di gas per la cucina.
Era come un fantasma e più di un osso duro della milizia lo aveva ammesso. Nonostante gli strettissimi controlli che il regime faceva su alloggi, pedaggi, tassazioni, acquisti e cure mediche, Rokudo Mukuro era scomparso. Non emerse nulla a suo nome nei registri del catasto e delle proprietà, quindi vennero perquisite le case di tutte le persone con cui aveva avuto anche i più blandi legami in passato, venne controllata l'intera Kokuyo Land, l'albergo fatiscente e tutti gli altri edifici in disuso. Questo portò alla luce evasori fiscali, contrabbandieri e qualche vagabondo, ma non lui. Non risultava uscito dalla città. Non risultava aver usato trasporti pubblici, pagato medicinali o beni di prima necessità. Sembrava letteralmente svanito nel nulla.
Tanti lo avrebbero dato per morto se non avesse fatto del suo meglio per non essere dimenticato: aveva fatto arrivare libri di fiabe che il regime aveva aggiunto alla lista nera nelle scuole di Namimori, incollato coccarde bianche alle porte delle case dei vigilantes assegnati alla task force incaricata di trovarlo e disegnato graffiti in vari punti vistosi della città, persino su un autobus di linea.
Per quanto il regime fremesse all'idea che un criminale terrorista facesse i suoi comodi senza che si riuscisse a trovarlo e pressasse la task force terrorizzandola, Hibari non poteva che tirare un sospiro di sollievo ogni volta che una giornata volgeva al termine senza piste e nuovi indizi su di lui. Sapeva fin troppo bene che cosa gli sarebbe accaduto ormai se fosse stato preso. Nulla al mondo, nemmeno la mano degli Dei su di lui avrebbe potuto salvarlo. E non poteva dimenticare che era solo colpa sua se Mukuro aveva preso quella strada. Se solo non fosse stato così freddo quella sera, se soltanto gli avesse lasciato intendere che ci fosse anche solo un piccolo spiraglio, un lieve alito di passione, se soltanto fosse riuscito a farglielo credere...
Eppure nonostante questo Mukuro credeva ancora in lui, i suoi graffiti contenevano tutti il rosa dei fiori di ciliegio...
-Hibari!-
Hibari sussultò. Si rese conto di essere rimasto l'unico seduto al suo cubicolo in caserma, sfogliando le copie delle fotografie dei molti graffiti attribuiti a Mukuro. Al di fuori del cono di luce della sua lampada era buio pesto e a fatica riconobbe Tanaka, il nuovo cadetto su cui Lal Mirch spadroneggiava, temporaneamente promosso alle ronde per la carenza di personale a causa della task force.
-Tanaka...-
-Che sta facendo ancora qui?-
-Ah... niente, davo un'occhiata alle fotografie... di nuovo.-
-Perchè non dà un'occhiata all'orologio piuttosto? È di ronda notturna nel settore sette stanotte.-
-Ah, sì.-
Hibari ficcò scompostamente le foto dentro la cartella e la buttò dentro il primo cassetto. Si alzò stiracchiandosi. Da quante ore era seduto lì? Pensare che doveva stare fuori altre sei ore a camminare su e giù per le strade era snervante...
-Sembra stanco, Hibari san.- disse Tanaka senza un'emozione nella voce che lasciasse supporre che gliene importasse qualcosa. -Non è che si addormenterà su una panchina e si lascerà casualmente scappare Rokudo Mukuro da sotto il naso?-
Hibari lo fissò. Sapeva di non andare a genio a Tanaka e a tanti altri cadetti che non pensavano meritasse il grado di vigilantes così giovane, ma addirittura questo...
-Stai forse dicendo che io da solo sono in grado di nascondere Rokudo Mukuro a tutta la milizia militare del regime? Che sono in grado di far sparire tutte le registrazioni e le prove a suo carico, coprire tutte le sue tracce... e senza nemmeno essere membro della task force, dei servizi di sicurezza o a capo di una sezione operativa o di un pulcioso archivio? Spiegami come.-
Tanaka fece un sorrisetto.
-Io ho solo detto che rischia di addormentarsi e di non fare il suo lavoro...-
Hibari ricambiò lo stesso ghigno di scherno.
-Allora tu fai il tuo lavoro... portami un caffè.-
L'espressione di Tanaka si indurì di botto e il sorriso di Hibari si allargò di rimando. Poteva anche atteggiarsi se voleva, ma che non sperasse di dimenticare di essere solo un assistente ai servizi interni, quindi di diversi gradi inferiore a un vigilantes.
-Sto aspettando il mio caffè, Tanaka.-
-Sissignore.- rispose lui mordendo ogni sillaba. -Subito.-
Girò i tacchi e andò alla macchina automatica. Hibari si prese la rivincita sulla sua impudenza rispedendocelo altre due volte prima di farsi andare bene quello che gli aveva portato, ma soltanto perchè era ora della ronda notturna. Avrebbe volentieri continuato a infastidirlo e Tanaka lo sapeva, perchè il suo sospiro di sollievo si udì anche dopo essersi separati per coprire due settori diversi.





Mi dispiace se il capitolo è scarno, purtroppo è una transizione e dovete avere pazienza... inoltre vi informo che da oggi pubblicherò un capitolo ogni venerdì, almeno fino a che non dovessi concludere la storia e allora i tempi si accorceranno. Grazie dell'attenzione.

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Capitolo 8
*** Il caso del settore sette ***



Tre ore dopo, Hibari non aveva visto nemmeno un topo per strada. Era tutto deserto, non c'erano nemmeno animali randagi o a passeggio. L'unico rumore che sentiva era un lieve fruscio del vento che muoveva siepi o faceva cigolare l'altalena del parco vicino. Continuava a ripercorrere le strade cercando di soffocare i propri passi e strisciando nel buio, altre volte passando senza nascondersi sotto i coni di luce dei lampioni, ma nulla cambiava, niente si muoveva. L'orologio davanti alla fermata dell'autobus scattò sulle tre in punto proprio nell'istante in cui lo guardò e per la prima volta dall'inizio della ronda si fermò.
Nel piccolo parco giochi era piuttosto buio, ma vedeva le sagome nere delle altalene che dondolavano nel vento. Una di quelle cigolava. Era stanco, gli stivali dell'uniforme erano pesanti e scomodi per camminarci per ore, e forse annoiato dalla solitudine, dal silenzio e dell'immobilità della vita notturna di Namimori si avviò senza pensarci verso il parco. Il suono secco dei suoi passi sulla strada diventò un fruscio sulle foglie che coprivano la terra, e la sua mente scivolò molto lontano da quella sera di novembre, molto indietro nel tempo.
Era stato in quel parco due volte nella sua vita ed entrambe con Mukuro. Erano stati due momenti importanti entrambi. La prima volta era stato alla fine delle scuole medie, quando aveva cercato di convincerlo a venire alle superiori con lui, al liceo di Namimori. All'inizio aveva evitato la discussione... gli aveva dato così fastidio...
Nella notte di novembre, Hibari afferrò le catene dell'altalena e salì in piedi sul sellino, dondolando piano. 
Anche Mukuro quel giorno era salito in piedi sull'altalena, mettendosi a parlare di un nuovo dolce al cioccolato che aveva assaggiato ma che stranamente non gli era piaciuto affatto.
-Non fare il buffone.- sussurrò Hibari nell'aria gelida, seguendo il filo dei suoi pensieri.
Alla fine, Mukuro era diventato serio e gli aveva detto che non voleva. Gli aveva detto che non voleva seguirlo perchè il suo era solo un tentativo di cambiarlo, per farlo diventare come avrebbe desiderato che fosse. Un ragazzo disciplinato e controllato. Una cosa che non sarebbe mai stato felice di essere. Non è così che funziona con le persone, Kyoya. Così gli aveva detto. E se ne era andato. Per tutta la durata delle superiori non si erano più visti, anche se Mukuro gli faceva trovare spesso dei biglietti nell'armadietto delle scarpe, non gli aveva mai risposto. Finchè prima dell'università Hibari non aveva deciso di andare da lui, a cercare di nuovo di farlo ragionare, sperando che si fosse deciso a crescere.
Ma nemmeno quella volta era andata bene. Si erano incontrati ancora in quel parco. Avevano parlato poco di loro stessi, di quello che era successo in quegli anni. E Mukuro si era di nuovo arrabbiato una volta capito che cosa Hibari volesse da lui, soprattutto quando aveva detto di voler diventare un soldato. Era stato diversi anni prima che la polizia diventasse milizia, quando il Torii Nero non era si era ancora sbarazzato degli oppositori politici e una parvenza di democrazia esisteva ancora, ma Mukuro sembrava sapere come sarebbe andata e non voleva prendere parte a una dittatura spietata. Più Hibari aveva cercato di spiegargli che cosa vedeva lui, più si era arrabbiato.
Hibari smise di dondolare l'altalena e fissò la giostrina davanti a lui con l'irreale sensazione di aver capito soltanto adesso che in tutta la sua vita non era mai riuscito ad avere ragione di Mukuro, nemmeno una volta. Per quanto potesse eccellere, per quanto potesse fare carriera, essere forte, risoluto, determinato, ammirato e invidiato... non sarebbe mai riuscito a cambiare Mukuro... lui non l'avrebbe mai ammirato... e forse l'unica cosa che sarebbe riuscito a cambiare erano i suoi sentimenti...
-Se penso che adesso io non ti conosco...-
Hibari sobbalzò e guardò verso la zona d'ombra alla sua sinistra da dove era venuta la voce, ma per quanto strizzasse gli occhi non riusciva a vedere niente. Gli alberi schermavano la luce dei lampioni in quel lato del parco. Eppure era una voce familiare... l'aveva sognata?
-Adesso, un po' ti detesto e un poco mi piaci...-
La voce era sicuramente di un uomo e aveva una strana cadenza, come se pronunciasse le parole senza sapere se dirle o se cantarle. Hibari si sporse appena, ma continuava a essere avvolto nel buio.
-Tu chi sei?-
-Tu chi sei?- ripetè la voce, stavolta con una cadenza da canzone. -Mi sorprende tutto quello che fai...-
Hibari si accigliò e cercò di scendere dall'altalena, ma il seggiolino cedette ruotando attorno al perno che lo legava alle catene, facendo mancare l'appoggio al vigilantes. Prima ancora di accorgersi che stava perdendo l'equilibro, si ritrovò dritto disteso sulle foglie umide con un dolore bruciante al ginocchio. Si sentì leggermente stordito e quando alzò la testa riuscì a distinguere la sagoma dell'uomo, ancora nera per il contrasto del lampione che gli stava adesso alle spalle. Eppure non aveva bisogno d'altro...
-Mukuro?!-
-E poi tu... coi tuoi problemi già mi prendi di più...-
-Mukuro! Che cosa fai qui nel mezzo della notte?!-
Mukuro rinunciò finalmente a cantare quella canzone che Hibari non conosceva e fece una risatina bassa e vagamente inquietante. Erano anni che non lo sentiva fare più così. Lui si piegò sul ginocchio e gli allungò la mano. Senza pensare a niente, con la testa svuotata da quell'incontro che non sperava e non voleva, Hibari la afferrò e si alzò con il ginocchio che faceva ancora male.
-Devi andartene via subito, se ti vedono qui...-
-Mi hanno già visto, Kyoya.- disse lui in tono divertito, mettendogli in testa il cappello che gli era caduto. -Sei consapevole di essere tu stesso un vigilantes, vero? O la caduta ti ha danneggiato la memoria?-
Mukuro rise di nuovo e gli voltò le spalle, avviandosi a passo lento verso la strada, come se stesse solo passeggiando nel parco alla luce del giorno in un paese libero. Hibari lo seguì, decisamente meno tranquillo.
-Se ti arresto ti giustizieranno! Sei riuscito a restare nascosto fino adesso e il cielo mi fulmini se capisco come diavolo hai fatto, ma lascia perdere questa stupida battaglia e scappa! Lascia la città e se ci riesci anche il paese e non ritornare!-
-Mi spiace, ma io non me ne vado da nessuna parte senza la mia famiglia.-
-D'accordo, senti, tu vattene, penserò io tra un po' di tempo a farli uscire, poi potranno trovarti là dove sarai andato, questo non è assolutamente un problema!-
Mukuro uscì dal parco scavalcando in un balzo la recinzione, ignorando completamente il cancello attraverso il quale passò Hibari. Si trovavano proprio sotto la luce del lampione. Se fosse passato un altro vigilantes, se si fosse affacciato qualcuno dalla finestra... prima c'era una ragazza affacciata proprio alla finestra dell'edificio di fronte...
-Non lo posso fare, Kyoya, quindi non chiedermelo.-
-Certo che puoi, sarai il latitante rimasto più a lungo in libertà nella storia del partito! Se hai bisogno di altri soldi posso darteli io...-
-Beh, in effetti mi servirebbero un po' di contanti, sai, mi serve un impianto stereo nuovo...-
-Mukuro! Non fare il... il...-
La voce di Hibari si spense mentre Mukuro sorrideva. Un sorriso completamente privo di allegria.
-Buffone?-
Mukuro non attese una risposta e sollevò un bidone. Sorprendentemente, sotto ad esso c'era un macchinario simile a quello che Hibari aveva visto qualche volta al quartier generale intercettazioni, lui non ci capiva molto di tecnologie, ma a quanto ricordava lo usavano per modificare i suoni e le voci. Restò paralizzato a guardarlo armeggiare con i pulsanti e le regolazioni. Alzò lo sguardo all'edificio di fronte e Hibari fece lo stesso. Il suo cuore mancò un colpo quando vide la stessa ragazza di nuovo alla finestra e un altro ancora quando vide Mukuro farle un gesto d'intesa e lei ricambiarlo.
-Ma... ma che...?-
-Oh, sì. Lei sta con me... le ho chiesto di stare alla finestra e dirmi quando avresti fatto la ronda.-
-Vuoi dire che da un mese quella ragazza guarda fuori tutta la notte per vedere se ci sono io?-
-Sì, quasi.- disse lui. -È che i turni sono scelti a caso ultimamente e non potevo sapere prima quando saresti stato qui nel turno di notte.. avevo bisogno che qualcuno mi avvertisse.-
-... Perchè mi volevi qui nel turno di notte?-
-Non ci arrivi? Volevo portarti in quel parco, a costo di farmi vedere e costringerti a seguirmi. Non ho un altro modo di parlarti ora, nè di scriverti... sei sotto sorveglianza, lo sai?-
-Cosa?-
Mukuro si voltò lentamente a guardarlo, incredulo.
-Davvero non lo sai? Controllano la tua posta, il tuo telefono e chiunque entri ed esca dal tuo palazzo... quel cadetto, Tanaka, è stato promosso solo per tenerti d'occhio e riferire alla task force qualsiasi cosa strana.-
-... Pensano che ti stia aiutando?-
-Li biasimi? Mi hai sempre aiutato e pensano che sia troppo difficile eludere la loro sorveglianza per uno come me che non ha niente... pensano che ci riesco solo perchè tu mi avverti.-
Prima che Hibari potesse rispondere, il sistema audio cittadino di emergenza, che annunciava l'inizio e la fine del coprifuoco e i messaggi urgenti, entrò in funzione. Invece della solita voce femminile fredda però ne uscì a gran volume una melodia. Hibari sbiancò.
-M-Mukuro, ti prego, dimmi che non è nella black list.-
-Non è nella black list.- disse lui in tono così casuale che non c'era dubbio che mentisse.
-Mukuro, no...- gemette Hibari. -Questa è una cazzata! Una grossa cazzata!! Li farai arrivare tutti qui, ti troveranno e...-
-E scapperò, ma non prima di aver fatto un po' di rumore.-
All'improvviso da ogni angolo della strada arrivarono persone. Non erano vigilantes, nè membri del regime, erano cittadini qualsiasi, con l'unico dettaglio strano che indossavano tutti una camicia, un giubbotto, un maglione o una giacca bianca, come Mukuro. Hibari si rese conto della sua stupidità. Come aveva potuto credere che Mukuro potesse scomparire come un fantasma e continuare a fare tutto quello che faceva da solo? Gli acquisti, i biglietti per i mezzi pubblici, lo stesso luogo dove si nascondeva... erano queste persone a esporsi per lui?
-Avanti, visto che sei qui divertiti!-
-Diver...?!-
Mukuro lo strattonò per il braccio e lo trascinò al centro della strada. Intorno a loro, per quanto fosse folle da credere, tutte le persone arrivate vestite di bianco stavano ballano. Alcune avevano strumenti musicali e suonavano accompagnando la melodia, una ragazza teneva il ritmo sbattendo una forchetta su una bottiglia di vetro. Sembrava di trovarsi in mezzo a una festa. Una festa fatta in piena notte, in pieno coprifuoco, sulle note di una canzone inserita nella lista nera. Era poco diverso dal sedersi su una bomba.
-Mukuro, sei pazzo?! Se ti trovano adesso, se... io non posso fare niente per te, non lo capisci?!-
-Stai ballando con me. È già tanto. Non hai mai voluto farlo prima.-
Si rese conto solo in quel momento che stava veramente seguendo i passi di Mukuro sulla musica. Una musica dal testo agghiacciante, non era sorpreso che fosse nella black list: il regime aveva censurato ogni opera teatrale, musicale o cinematografica con espliciti contenuti sessuali, e quella canzone ne aveva parecchi. Ma il tempo passava, la musica li avrebbe portati tutti lì, non poteva pensare al testo della canzone, non aveva tempo di vergognarsi di stargli abbracciato, non se era l'unico modo perchè lo ascoltasse.
-Mukuro, c'è qualcosa che ti devo dire subito, e mi devi ascoltare.-
-Sto ascoltando, Kyoya.-
-Non importa che cosa possa pensare il governo di te o che cosa dica la televisione.- disse Hibari, sforzandosi di non guardarsi attorno per vedere se arrivasse qualcuno. -Per me non sei un terrorista e non lo sarai mai... non sei un nemico e non voglio che tu muoia perchè pensi di dover fare qualcosa per me.-
Mukuro smise di muoversi e lo guardò. Il sorriso che fece subito dopo non somigliava affatto a quello di prima. Era spontaneo e sincero.
-È la cosa più bella che potessi dirmi.-
La sua voce scese a un sussurro e si udiva appena sopra le note della canzone. Mukuro chiuse gli occhi ed era così vicino che Hibari distingueva una ad una le punte delle sua ciglia nere, ma non era assolutamente certo che quella piccola luce scomparsa in un attimo fosse una lacrima.
-Perdonami...-
Hibari aprì la bocca ma non fece in tempo a dire niente. Sentì un colpo violento dietro il collo e tutto il corpo si paralizzò, prima di crollare fra le braccia di Mukuro. Vide uno scorcio del suo viso sofferente, il bianco della sua personalissima uniforme, prima che tutto il suo campo visivo diventasse nero.
-Sapete che cosa fare... ma non fategli troppo male... state attenti alla testa.-
 



La canzone canticchiata da Mukuro è "La notte dei pensieri", performance originale di Michele Zarrillo, testo e musiche di Luigi Albertelli, Luigi Lopez e Michele Zarrillo, 1987.

 
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Capitolo 9
*** Le leggi del cuore ***


Quando Hibari aprì gli occhi non riuscì a capire che cosa l'aveva svegliato e nemmeno dove si trovasse. Il soffitto era composto di quadrati grigiastri e un suono fastidioso e insistente gli arrivava dal fianco destro. Voltò la testa e lentamente cominciò a capire dove si trovava. La luce nella stanza era scarsa, ma vedeva chiaramente la flebo attaccata al suo braccio e il suono che sentiva veniva dal monitor che controllava le sue funzioni vitali. Accanto al suo letto c'erano dei fiori su un mobiletto dietro a una vecchia radio in legno, una sedia vuota e una occupata da una sagoma che giaceva con la testa sulla coperta, affondata tra le braccia. Dormiva.
Ancora senza alcun ricordo di come o perchè fosse finito in ospedale, Hibari scostò le coperte e si girò sul fianco cercando di scendere senza svegliare il suo custode, ma le costole scelsero quel momento per dargli una fitta di dolore così lancinante che lo fece gridare e raggomitolare su se stesso.
-Hibari!-
Hibari prese a fatica il fiato e solo vagamente si rese conto di conoscere il volto che vedeva sopra di lui.
-Non ti devi muovere, hai delle brutte lesioni!- disse Yamamoto, afferrandogli le spalle con forza per costringerlo a rimettersi sdraiato. -Resta calmo e riposati!-
-Y-Yamamoto... che cosa...-
-Che cosa succede qui?!-
La porta della stanza si spalancò e un uomo in divisa grigio antracite entrò seguito da Tanaka, fissando i suoi occhi azzurri su Hibari. Il vigilantes restò a guardarlo a occhi spalancati: prima di allora non aveva mai incontrato che il tenente della sua unità, mai un capitano di persona. Che cosa faceva un capitano della milizia nella sua stanza d'ospedale?
-Ah, si è svegliato.- disse il capitano. -Pensavamo di esserci raccomandati di sapere immediatamente se si fosse finalmente svegliato.-
-Si è svegliato appena un attimo fa.- ribattè Yamamoto, che nonostante sorridesse fissava il capitano come se non desiderasse altro che ucciderlo. -Ha cercato di alzarsi e si è sentito male. Tutto qui.-
Il capitano lo fissò come se riflettesse sulla sua sincerità, e non cambiò espressione mentre tornava a guardare Hibari. Che improvvisamente ricordò che, da protocollo, avrebbe dovuto alzarsi in piedi per salutare un militare di rango superiore al suo. Appena provò anche solo a raddrizzarsi sul letto, però, sentì di nuovo dolore in tutto l'addome.
-Non ti preoccupare del protocollo, agente di vigilanza Hibari Kyoya.- disse il capitano, facendo segno con la mano di stare disteso. -Le tue condizioni non te lo permettono... avrei voluto sapere da te come ti sentivi, ma è ovvio che non ti senti bene.-
-In realtà no, signore...-
-Mi spiace dover affrettare le cose, ma si tratta di una questione molto importante.-
Il tono di voce si era trasformato da normale a formale, il tono che adottava la polizia militare per svolgere il proprio dovere. Elencare i diritti ai criminali, comunicare informazioni di servizio e riferire articoli di cui a nessun altro importava niente. Lo stesso tono che aveva usato lui per snocciolare a memoria gli articoli del codice a Mukuro, quella che sembrava una vita fa.
-Abbiamo bisogno di sapere chi ti ha aggredito e qualsiasi informazione utile alla sua cattura.-
Hibari fissò il bel volto del capitano, piuttosto giovane, sentendosi più confuso che mai. Era stato aggredito? Lui non ricordava un bel niente. L'unica cosa che ricordava prima del suo risveglio in quel letto era che Mukuro stava ballando con lui e come tante altre volte non aveva intenzione di seguire il suo consiglio...
-Io... ricordo solo che stavo facendo la ronda nel settore sette, e...-
Stava per rivelare che aveva visto Rokudo Mukuro, anche se non sarebbe stato così stupido da dire loro i veri dettagli su come ciò era accaduto, ma poi incontrò gli occhi castani di Yamamoto ed esitò. Lo vide chiaramente scuotere appena la testa in segno di diniego. Capì all'istante che era un suggerimento che avrebbe fatto meglio a seguire.
-E che era tutto tranquillo...-
-Non ricordi di aver visto Rokudo Mukuro?-
-Rokudo... Mukuro?- ripetè Hibari, sperando in un tono sufficientemente confuso. -Io non ricordo niente... che cosa è successo? Non so nemmeno perchè sono ferito o perchè sono qui... che... che giorno è?-
-Sono io che faccio le domande.- ribattè il capitano, gelido. -Hai visto o non hai visto Rokudo Mukuro?-
-Io non ho visto proprio nessuno! Era tutto tranquillo, non c'era nessuno!-
-Rokudo Mukuro ha bucato di nuovo il nostro sistema di sicurezza, ha trasmesso un brano musicale della black list in tutto il settore meridionale e ha aggredito un agente di vigilanza la sera del sedici novembre, tre giorni fa.-
-Co... cosa? Rokudo Mukuro ha... nel... nel mio settore? Nel settore sette?-
-Nel tuo settore.-
-I-io non...-
Improvvisamente Hibari capì come si era ferito e perchè fosse in ospedale. Era stato Mukuro a ridurlo così. Sapeva che era tenuto sotto sorveglianza e che era sospettato di essere suo complice, e aveva imbastito quella stupidaggine della "festa" quando era di ronda lui per picchiarlo... e sperare che il regime si ricredesse sul suo conto...
-Se ti ha pestato con tanta insistenza devi aver visto qualcosa...-
-Io... ricordo solo che sono entrato nel parco.- disse lui, fissandosi le mani e provando a inventare il più plausibilmente possibile. -Per controllarlo, metà del parco è completamente buio... poi... non so che cosa sia successo...-
-Non ricordi di aver visto nessuno?-
Hibari si accigliò, ma più che ricordare stava cercando di capire che cosa avrebbe voluto sentire.
-Sì... c'era qualcuno...- disse fingendo un gran sforzo. -C'era una persona, ho sentito i suoi passi... l'ho seguita all'ombra degli alberi e poi... non ricordo più niente...-
-Sei stato colpito lì, probabilmente, e poi messo in mezzo alla strada perchè ti vedessimo subito.- commentò il capitano assorto, grattandosi leggermente il mento. -Ma perchè non hai chiamato rinforzi quando hai visto qualcuno?-
-Io credevo che... fosse un bambino.- mentì istintivamente Hibari. -I suoi passi erano leggeri, la sua sagoma... ho pensato fosse un bambino... quindi non ho chiamato rinforzi.-
-Non lo avrebbe fatto comunque, Hibari Kyoya è famoso per fare le cose da solo.- commentò Tanaka in tono sprezzante.
-Se fossi stato certo che quello fosse Rokudo Mukuro non avrei chiamato nessuno!- sbottò Hibari fissandolo con rabbia. -Lo avrei preso e lo avrei ammazzato prima di chiamare chiunque altro!-
Tanaka lo guardò come se avesse appena dichiarato di indossare boxer rosa confetto e persino il capitano e Yamamoto lo guardarono sorpresi. Hibari chiuse gli occhi e posò la testa sul cuscino.
-Lui mi ha tradito. Dopo tutto quello che ho fatto per lui da quando lo conosco... dopo che gli ho dato il cibo... la casa... dopo che gli ho dato i soldi... sono stato così stupido a pensare che davvero gli servissero per quella ragazza! A lui non importa niente di lei come non gli importa di me!-
-Di quale ragazza parli?-
-Gli ultimi documenti riguardanti Rokudo Mukuro attestano che fosse il tutore di una ragazza incinta, Nagi Dokuro... è il motivo per cui gli era stata assegnata la casa, signore.- rispose prontamente Tanaka mostrandogli un incartamento. -La ragazza è ancora lì, nessun attività sospetta.-
-È la sua donna? È la donna di Rokudo Mukuro?-
-Noi pensiamo di sì...-
-No.- ribattè Hibari secco. -Non lo è. Era una ragazzina sbandata che è andata a vivere con lui per anni, da un po' Mukuro se l'è ritrovata a casa che aspettava un bambino. Non è la sua donna e quello non è nemmeno il suo bambino. L'ha tenuta per non lasciarla da sola.-
-Voglio andare di persona a parlare con questa Nagi Dokuro.- disse il capitano. -Non possiamo trascurare nessuna pista. Ha aggredito un agente di vigilanza, non sappiamo fin dove arriverà la sua follia.-
-Sissignore.- rispose Tanaka prendendo diligentemente appunti.
-Posso chiedere perchè Nagi Dokuro è così importante?- domandò Yamamoto, facendo voltare tutti i presenti verso di lui. -A me sembra che ci sia un dettaglio molto più importante a cui pensare.-
-Mi farebbe la cortesia di illuminarmene, signor...?-
-Yamamoto. Yamamoto Takeshi.-
-Signor Yamamoto?- concluse lui con sussiego.
-Beh, Hibari ha appena detto che nel parco ha visto qualcuno... e che sembrava un bambino.- osservò lui in tono leggero, come parlasse del meteo. -A nessuno di voi pare strano che un bambino possa casualmente trovarsi da solo in un parco buio nel cuore della notte?-
L'osservazione di Yamamoto lasciò perplessi Tanaka e il capitano, e Hibari fece del suo meglio per far finta di trovare la rivelazione altrettanto sconcertante. In cuor suo l'unica cosa che trovava sorprendente era la lucidità e l'acume di Yamamoto.
-Se c'era davvero un bambino, potrebbe non essere lì per caso... giocare da solo in piena notte non è cosa che un bambino farebbe di questi tempi... forse serviva da esca.-
-Un'esca...- riflettè il capitano, toccandosi di nuovo il mento. -Un'esca, sicuro... ma dove...?-
Voltò loro le spalle e attraversò la stanza a grandi passi mormorando. Si fermò a guardarli solo quando aprì la porta per uscire.
-Cerca di rimetterti in fretta, Hibari.- disse accennando un saluto militare. -Signor Yamamoto, prima o poi mi aspetto di trovare il suo nome nella lista dei miei uomini.-
-Non ci metta troppo il pensiero.- rispose lui. -I ragazzi del mio dojo sono più importanti.-
L'uomo uscì in gran fretta, ma Tanaka era ancora lì e Hibari non capì perchè. Gli era parso quasi che facesse da assistente al capitano, ma non lo seguiva. Poi si ricordò che Mukuro gliel'aveva detto: Tanaka era stato promosso per tenere lui d'occhio, nel caso si fosse rivelato un complice del terrorista. E forse era il caso di approfittarne per allentarsi il collare, per ogni evenienza...
-Yamamoto... ti spiace... chiamare i miei genitori e dirgli che sto meglio?-
Fortunatamente Yamamoto era veramente acuto come gli era sembrato e non fece alcun commento, si limitò a sorridere e annuire prima di lasciare la stanza. Tutti i suoi amici sapevano perfettamente che non parlava con i suoi genitori da quando aveva compiuto diciassette anni e se n'era andato di casa. Dubitava persino che sapessero che faceva parte della milizia, ma almeno in questo caso gli tornavano utili.
Fissò gli occhi grigi su Tanaka, che parve spaventato all'idea di trovarsi da solo con lui.
-Tanaka...-
-Sì?-
Per la prima volta Hibari Kyoya si concentrò con tutto se stesso per cercare di mettere del sentimento in una domanda rivolta a qualcuno di cui non gli sarebbe potuto importare di meno. E addirittura un sentimento positivo. Non poteva pensare a una prova più ardua nemmeno ripensando a Lal Mirch.
-Tu stai bene?-
Evidentemente lo sforzo fu ampiamente ripagato: non doveva essere stato il solo a sentire una voce innaturalmente dolce uscire dalla propria bocca, se Tanaka era riuscito a far diventare colorito il suo viso bianco. Lo guardava a occhi spalancati e sembrava non avere idea di cosa dire.
-Eri nel settore sei... eri vicino... tu hai visto qualcuno? Ti ha aggredito qualcuno?-
-N-no, Hibari san... io non ho visto nessuno... le sono venuto incontro al settore sette e ho visto Rokudo Mukuro vicino a lei... prima che scappasse...-
-Lo hai visto?! E non sei riuscito a...-
Le costole di Hibari gli diedero un doloroso avvertimento di non muoversi troppo, ma anche questo giocò a suo favore, perchè Tanaka si avvicinò al letto e allungò le mani come se volesse aiutarlo, ma all'ultimo secondo si bloccò e invece prese a sistemare i cuscini, con dei tocchi rapidi, come se bruciassero.
-Non sei riuscito... a prenderlo...?-
-I-io... n-non l'ho inseguito.- ammise Tanaka, stavolta arrossendo più vistosamente e senza guardarlo. -So... so che avrei dovuto seguirlo e chiamare i rinforzi... p-però lei era in brutte condizioni...-
Questo Hibari non se lo sarebbe mai aspettato.
-Il... il protocollo dice chiaramente che...-
-... Che in un caso come questo in cui il criminale sia pericoloso e sussista il rischio di perderlo, l'agente che per primo arriva sul luogo è tenuto a chiamare soccorsi per i feriti e a procedere alla cattura.- snocciolò a memoria Tanaka. -Lo so bene. Ma non... sono riuscito a pensare al protocollo.-
-Lo hai... detto al capitano?-
-Beh, io... gli ho detto... sì, gli ho detto di Rokudo Mukuro... ma gli ho... detto che ero ancora dietro l'angolo e che non sono riuscito a vedere da che parte fosse fuggito.-
-Falsificare un rapporto è un reato molto grave, dovresti saperlo, Tanaka...-
-M-me ne rendo conto! Mi scuserà se la mia priorità è stata che lei non morisse!!-
Tanaka allargò il braccio abbattendo al suo passaggio il vaso che conteneva le rose e sbattacchiando la povera radio, che si accese trasmettendo una dolce canzone a volume basso. Il ragazzo borbottò delle scuse e si chinò a raccogliere i fiori, lasciando a Hibari qualche momento per assimilare la stranezza di quella situazione. A quanto pareva, non era solo invidia quella di Tanaka... non riusciva a non sorridere pensando alla sua fortuna.
-Quella vecchia radio non sopravviverà a un altro zampillo della tua irruenta giovinezza...-
-Parla come se lei fosse vecchio.-
-Forse io no, ma quella radio sì... sembra uscita dal secolo scorso...-
-Beh... è così...- disse lui, sistemandola come fosse una delicata reliquia. -Apparteneva a mio nonno... l'ha fatta lui per mia nonna, mi ha raccontato, per regalargliela...-
Hibari lo guardò cercare di rimediare all'acqua rovesciata dal vaso e attese di incrociare i suoi occhi verde chiaro prima di fargli quella domanda.
-Com'è arrivata qui la radio di tua nonna?-
-Mi... hanno detto che alle persone in coma fa bene sentire le voci e i suoni... quindi ho pensato di lasciarle la radio... visto che non le piacciono le persone, ho pensato che le sarebbe piaciuta la musica.-
Cadde il silenzio, interrotto dalla melodia bassa di sottofondo e dal fruscio dei fiori che Tanaka stava rimettendo in ordine nel vaso. Rose rosse... ma chi le aveva portate, quelle?
-Io... non mi aspettavo che si sarebbe preoccupato per me, Hibari san.- disse all'improvviso Tanaka, in fretta, come se avesse capito che cosa stava pensando e volesse impedirgli la domanda. -Credevo che avrebbe voluto sapere dei suoi animaletti... sono passati tre giorni...-
-... Se ti aspettavi la domanda, allora sai darmi la risposta... giusto? Come stanno?-
-... Bene... i suoi amici si sono occupati di loro... un... paio di volte sono andato anch'io.- ammise lui in imbarazzo. -Quando sentivo parlare dei suoi animali... mi immaginavo... altri animali. Sono rimasto sorpreso quando ho visto quello stormo di canarini...-
-Ti aspettavi che cosa?- domandò lui, vagamente divertito. -Serpenti? Scorpioni? Iguane?-
-A dire il vero... cani... e no, non sarei stato sorpreso di trovare un terrario...-
Tante canzoni suonarono nella vecchia radio mentre Hibari si ritrovava a parlare con Tanaka degli argomenti più disparati, di qualsiasi cosa tranne Rokudo Mukuro. Per la prima volta da un mese gli sembrava di non avere dei problemi, di non avere delle responsabilità. E per una delle persone più vicine alla più grande minaccia del paese, stesa in un letto d'ospedale, era un traguardo difficile da raggiungere. Per la prima volta dal compleanno di Sawada stava ridendo, nel momento in cui un'infermiera entrò per controllarlo.
-Devo... andarmene, infermiera?- domandò Tanaka in un tono timoroso mai sentito prima.
-No, ma fra poco dovrà farlo... il paziente sente male per le ferite ora che è sveglio, devo dargli degli analgesici e lo faranno dormire ancora.-
-Ma io non sen...-
L'infermiera lo toccò in un punto del petto e gli fece così male da farlo urlare di dolore. Al suo fianco Tanaka sobbalzò sulla sedia e gettò le mani avanti come a volerlo proteggere. Hibari si raggomitolò sul fianco boccheggiando. Gli mancava il respiro.
-Va bene, va bene, la smetta! Per favore!-
-Tutti così voi della milizia. Vi atteggiate come foste indistruttibili.- borbottò l'infermiera praticando un'iniezione nel tubo della flebo. -Siete fatti di carne e sangue come tutti, e la vostra uniforme non è un'armatura.-
-Hibari san, sta bene?-
-Sì... s-sto bene, sì...-
-Ora fuori, il paziente deve riposare...-
-Posso... r-restare solo qualche minuto? Per dei dettagli del rapporto che devo scrivere...-
-Sbrigatevi se è importante... l'analgesico lo farà addormentare fra pochissimo.-
L'infermiera uscì. Il rumore della porta già arrivò a Hibari come ovattato e cominciava a sentirsi pesante. Anche il dolore iniziava ad arrivargli molto più blando di prima, fortunatamente. Certo che Mukuro aveva fatto un gran bel lavoro, non si poteva dire che ci fosse andato leggero...
-Hibari san...-
-Non ti preoccupare... non dirò a nessuno... che ti sei fermato per me...-
-Non... cioè, grazie... però non è di questo che io volevo parlarle... è che... forse... forse non lo sa, ma io abito nel suo stesso palazzo, al secondo piano... io... Hibari san, io ho visto Rokudo Mukuro salire da lei al dodicesimo piano, gli ho aperto io la porta all'ingresso! Ero... ero curioso, quindi... l'ho visto salire al dodicesimo con l'ascensore, però non l'ho più visto uscire fino all'inizio del coprifuoco!- fece Tanaka, a metà tra un tono normale e un sussurro angosciato. -Io... io ho pensato... con tutto quello che ha fatto per lui, io... glielo devo chiedere, Hibari san... Rokudo Mukuro era il suo... il suo uomo?-
Tanaka guardò Hibari aspettandosi in ogni caso una reazione forte, ma non ne ebbe nessuna. Hibari si era appoggiato ai cuscini e aveva chiuso gli occhi. La cadenza del suo respiro era lenta e profonda. L'analgesico aveva fatto effetto subito e si era addormentato. Tanaka sospirò, ma sorrise appena. Forse era meglio per lui che non avesse sentito quella domanda e che non gli avesse risposto. O forse fingeva soltanto di dormire, per non rispondere?
Si guardò furtivamente intorno sebbene sapesse di essere solo e picchiettò con le dita tese il punto dove Hibari recava la contusione più estesa, sul lato del torace, ma lui non si mosse, il suo respiro non cambiò. Non sentiva il dolore, quindi la medicina lo aveva addormentato davvero. Restò qualche istante fermo, chiedendosi se avrebbe osato. Chiedendosi se mai gli sarebbe ricapitata un'occasione per osare. Alla fine, chinò la testa bionda toccando le labbra leggermente aperte di Hibari con le sue. Raccattò le sue carte e corse fuori dalla stanza come se avesse paura di vederlo spalancare gli occhi e chiedergli che diavolo stava facendo.

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Capitolo 10
*** Egoista ***


-Un momento... un momento, dannazione... Tsuna!-
-E aspetta, sto facendo qui...-
Gokudera diede in un ringhio sordo e scacciò malamente la mezza dozzina di canarini che gli volteggiavano sulla testa cercando di appollaiarvisi sopra come fosse il loro nido. Quelli schizzarono per la stanza cinguettando acutamente prima di tornare alla carica. Tsuna, inginocchiato accanto alla ciotola dei riccetti, lo guardò e scoppiò a ridere: sembrava che lo avessero scambiato per un trespolo, cercavano di appoggiarglisi addosso su ogni sporgenza. Alcuni canarini, tra cui uno particolarmente tondo, si stancarono di cercare un appoggio stabile su di lui e volarono fra i capelli castani di Tsuna. Lui allungò la mano alla cieca e trovò una delle soffici testoline piumate, accarezzandola con il dito. Non gli era mai capitato di vedere tutti gli uccellini in libertà per la casa, e sorrise immaginando Hibari che camminava da una camera all'altra con i canarini sulla testa, sulle spalle o che gli svolazzavano dietro come un bizzarro mantello giallo vivo.
-Andatevene!- sbottò Gokudera, a cui gli uccellini non davano tregua per la fame.
-Non urlargli contro, Hayato... ecco, qui... qui, piccolini!-
Tsuna avvicinò la mano con il becchime a Gokudera e subito i canarini non gli badarono più, gettandosi su Tsuna e azzuffandosi per arrivare al palmo pieno di cibo. Lui rise e indietreggiò fino ai sottovasi appesi vicino alla finestra, dove Hibari li nutriva in inverno. Li riempì di becchime abbastanza perchè riuscissero tutti a mangiarne e un momento dopo erano tutti al loro posto a becchettare.
-Era semplice, no?-
-Animalacci.- borbottò Gokudera, piccato.
-Io li trovo adorabili!-
-Quanto intende starsene in ospedale ancora, quell'idiota?- sbottò di nuovo, spolverandosi la giacca. -Io ho del lavoro da fare e anche tu, non possiamo venire qui a nutrire questi cosi...-
-Gokudera... sei venuto due volte con oggi...-
-È comunque una perdita di tempo!-
-Ci vogliono dieci minuti!-
-E il tempo di arrivare e tornare?!-
-Mezz'ora?- si corresse Tsuna seccamente. -Senti, nessuno ti obbliga a venire qui. Verremo io e Yamamoto, e viene anche quell'altro collega di Hibari, quello del suo ufficio... non c'è bisogno che vieni anche tu.-
-Bene, allora non credo che verrò ancora.-
-Sei odioso.- ribattè Tsuna senza guardarlo.
-Ah, è così?-
-Sì! È così!- sbottò facendo sussultare qualche uccellino. -Hibari è un nostro amico! Era anche un tuo amico, e tu non riesci a pensare ad altro che all'uniforme che indossa! Che cos'è che ti ha fatto di male?! Per lui tu sei ancora un amico, fa quello che può per aiutare te, per me, per Yamamoto... per Mukuro! Non ha niente da guadagnare a farlo, ma lo fa comunque perchè ci tiene!-
-Che cos'è che ha fatto? Ti ha fatto la grazia di non dover chiamare quattro uffici prima di presentarti al lavoro e permette in un atto di buon cuore a Yamamoto di non mettere la bandiera del regime nel suo dojo?-
-Ci evita fastidiose costrizioni del regime che ritiene esagerate, non significa niente per te?-
-No, non significa un cazzo di niente, finchè indosserà quell'uniforme con la stessa fierezza con cui indossò la fascia del comitato disciplinare della scuola!- ribattè Gokudera. -Questo paese non è la sua scuola, il codice che difende non sono le barbose e innocue regole di una scuola! Per quel codice sono morte delle persone, centinaia di persone! Altre centinaia sono incarcerate e non rivedranno mai le loro famiglie, moriranno in una cella di due metri per due e verranno seppelliti nel cimitero della prigione con un sasso da aiuola come lapide!-
-Non ricordo che la fucilazione dell'uomo che mi ha tagliato la gola ti fosse sembrata esagerata.-
Gokudera aprì la bocca per rispondere, ma lo sguardo di Tsuna lo fece tacere. Ebbe anche la decenza di distogliere lo sguardo e vergognarsi un po'.
-Se vuoi una legge marziale per i criminali, dev'essere una legge inflessibile e dura per tutti... questo Hibari lo sa, e lo sapeva già quando ha deciso di entrare nella milizia... il pugno di ferro è il suo modo di fare giustizia ed è coerente con la sua idea... la legge dev'essere dura per tutti...- disse Tsuna, tornando pian piano al suo tono calmo. -Io non lo condivido... non avrei voluto la morte di quelle persone... ma lui sta solo seguendo la sua idea di giustizia... tu, invece... hai voluto la morte di quelle persone, non hai avuto pace finchè non sono stati giustiziati, e poi hai cominciato a lamentarti dei loro metodi... hai cominciato addirittura a scaricare su di loro la colpa di quello che mi è successo...-
-Perchè è così che è andata, tu lo sai...-
-Hayato! Tutto il paese è oppresso dal regime, non per questo tutti tagliano la gola ad altri!-
-Non oserebbero mai, non dopo che hanno visto che fine hanno fatto gli altri.-
-Se pensi davvero che questo regime sia una cosa così orribile e sporca, perchè non ti unisci a Mukuro e lo combatti? Preparagli gli esplosivi e fate saltare per aria il palazzo di giustizia, le caserme, i ponti e tutto quanto.-
-Muoio dalla voglia di farlo, che cosa credi?-
Tsuna si bloccò sul punto di dire qualcosa. Non si era aspettato una rivelazione del genere, specialmente con quel tono. Non aveva affatto la voce roca e irritata che contraddistingueva le sue sfuriate, i suoi picchi di irritazione che sfociavano in invettive sempre più vaghe. Era serio. Era esattamente la stessa cosa di quando fumava con estrema lentezza. Un sintomo inquietante di lucidità e serietà.
-Cosa?-
-Di mollare tutto quanto, trovare Mukuro in qualche modo... di fare qualcosa per cancellare quel maledetto stemma nero da tutti gli edifici della città... dalla mia classe. Prima che tutti i miei ragazzi diventino come Hibari.-
-Hayato, è... successo qualcosa?-
Gokudera si sedette sul divanetto vicino alla finestra e i suoi occhi verdi si persero nella contemplazione di Namimori, avvolta da una sottile nebbiolina che ne sfocava i contorni. Tsuna perse completamente lo slancio di furia e si avvicinò a lui.
-Che cosa c'è?-
-I miei ragazzi del terzo anno hanno iniziato l'orientamento post diploma.- disse Gokudera, mettendosi a giocherellare distrattamente con l'accendino. -Sono io il loro coordinatore. Ho letto le loro schede.-
Tsuna non parlò. Cominciava a capire che cosa succedeva. Gokudera si lamentava sempre di tutto e tutti, da Yamamoto a Hibari, da sua sorella Bianchi alla sua vivacissima gatta, Uri; eppure era stato il primo a piangere quando Uri era sparita per giorni senza lasciare traccia e sempre il primo a telefonare a sua sorella quando aveva saputo che aveva avuto un piccolo incidente in auto. Si lagnava continuamente dei suoi pigri o scalmanati studenti, ma Tsuna lo sapeva quanto teneva a loro...
-Dodici su diciotto.- disse Gokudera in tono depresso. -Dodici su diciotto vogliono entrare all'accademia militare dopo il diploma, e altri tre hanno messo la milizia tra le due opzioni più ambite per il proseguimento della carriera. Quindici... quindici dei miei studenti finiranno per indossare la sua stessa uniforme...-
-Hayato...-
-Io non posso nemmeno... dissuaderli... se gli dicessi di non arruolarsi dovrei dargli un motivo... e gli unici motivi che posso dargli sono contro il regime e mi farebbero arrestare per sedizione... sparirei dentro la prigione governativa... e non ne uscirei mai più, nemmeno da morto...-
Tsuna non riuscì ad arrabbiarsi nemmeno un po' con lui. Sapeva quanto detestava il regime e i suoi modi e per lui l'idea che dopo un amico la milizia si prendesse anche tutti i suoi studenti o quasi doveva essere intollerabile. Lo strinse a sé senza parlare. Non riusciva a pensare a niente che lo facesse sentire meglio, non sapeva che cosa dirgli.
-Che cosa devo fare, Tsuna?-
Tsuna avrebbe preferito qualsiasi cosa a quella terribile domanda.
-Perchè... non... non provi a dire ai tuoi studenti... che possono fare molte altre cose a parte... i soldati se vogliono aiutare questo paese?-
-Tipo che cosa? I gelatai?- ribattè lui afflitto. -L'unico modo per avere un futuro certo e roseo, ora come ora, è far parte della milizia militare... qualsiasi impiegato o commerciante... qualsiasi civile può solo sognare di prendere mezzo stipendio di un vigilantes.-
-... Il primo anno che hai insegnato a scuola hai spaventato così tanto i tuoi studenti che ti sei ritrovato con soli tre alunni agli esami... spaventali, è la cosa che sai fare meglio, Hayato...-
-Mmh, sa di complimento...-
Tsuna rise e riuscì a strappare un mezzo sorriso anche a Gokudera, che gli prese la mano stringendola. I suoi occhi però sembravano ancora velati dalla tristezza, come la città era velata dalla nebbia.
-Se non posso proteggere i miei studenti, non ha alcun senso che io resti a scuola.-
-Che... che vuoi dire?-
-Sono rimasto al mio posto fino ad ora, sperando di spingere i ragazzi ad andare all'università, a studiare e diventare bravi impiegati, commercianti, artigiani e scienziati... artisti, semmai... pensare che... sto solo insegnando qualcosa di potenzialmente pericoloso ai futuri uomini del regime... è una delusione tremenda...-
-M-ma se te ne vai, allora...-
-Ci metteranno un altro insegnante che spingerà anche i tre rimasti all'accademia militare?-
-Potrebbero farlo, sì...-
-Io non posso restare lì ad aspettare che uno di loro un giorno si occupi di controllare e approvare il mio programma di studi... tutto... tutto questo schifo deve finire...-
-Hayato... ascoltami.- disse piano Tsuna girandogli il viso per guardarlo negli occhi. -Finirà... nessun... nessun regime al mondo è mai durato a lungo... finiscono tutti per autodistruggersi, e sarà così anche questo...-
-E vuoi aspettare che lo facciano da soli? I grandi regimi della storia hanno creato i loro stessi nemici che li hanno portati alla rovina, non hanno fatto seppuku...-
-Questo ha già creato il suo stesso nemico.-
-Mukuro non è un dio!- sbottò Gokudera scattando in piedi. -Non può fare tutto da solo, non  ne ha i mezzi nè la forza! Nessuno avrebbe la forza da solo di reggere le speranze di tutti gli altri!-
-... Mukuro... non regge le nostre speranze... le nostre speranze reggono lui...-
-Le speranze non aiutano Mukuro a mangiare, a curarsi, a nascondersi! Non gli guardano le spalle, non gli danno informazioni, non gli danno soldi e non lo proteggono!-
Calò un pesante silenzio e Gokudera si perse a guardare la città dalle ampie vetrate. Tsuna si accorse che molti canarini li stavano guardando inclinando le testoline piumate e in altre circostanze quella vista l'avrebbe fatto sorridere. Ma in quel momento... gli sembrava di non aver mai avuto meno voglia di sorridere in tutta la sua vita. Mukuro era svanito nel nulla, Hibari era più distante che mai, e ora anche Gokudera se ne sarebbe andato? Che cosa avrebbe fatto lui, Tsuna, se fosse stato abbandonato anche dal suo compagno? Se l'unica cosa che lo faceva stare bene nonostante l'ansia era Gokudera accanto a lui nel cuore della notte, non osava pensare a come si sarebbe sentito angosciato se l'avesse perso...
-Vuoi... sparire come lui?- domandò Tsuna con la voce che tremava. -Lo vuoi aiutare... no?-
-Lo vorrei, sì.-
-E io che cosa dovrei fare? Che cosa faccio io senza di te?-
-... Non ho detto che me ne andrò, Tsuna... non so dove trovare Mukuro... e io non andrò da nessuna parte se tu non sarai pronto a lasciarmi andare o a venire con me.-
Tsuna si asciugò gli occhi con l'orlo delle maniche della felpa, tentando di calmarsi. Aveva tanto ammirato il coraggio di Mukuro, eppure lui non aveva il minimo apprezzamento per Gokudera che voleva fare la stessa cosa, anzi... lo aveva fatto arrabbiare, per un attimo l'aveva disprezzato per avere avuto l'idea di abbandonarlo, per cosa? Solo per il futuro di un'intera nazione. Una cosa così astratta, così vaga, una favola da eroe che si addiceva a un romanzo più che a una persona vera... e in aggiunta alla sua paura e al suo senso di abbandono, Tsuna provò una profonda vergogna per il suo egoismo. Circondato da persone che combattevano per i propri ideali a costo di perdere quello che avevano e di lasciare le persone che amavano, lui era solo capace di fare critiche e di pensare a se stesso.

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Capitolo 11
*** Onore militare ***


-Mukuro?-
Mukuro aprì gli occhi e si rese solo vagamente conto di vedere la stanza con una strana angolazione. Poi si accorse di essere acciambellato sul vecchio divano sfondato e sollevò la testa. Si sentiva mezza faccia informicolita e aveva la sgradevole sensazione di aver sbavato mentre dormiva.
-Mukuro, c'è una chiamata per te.-
Mukuro approfittò della leggera distrazione del suo amico per strofinarsi la bocca e raddrizzarsi. La schiena gli faceva male da morire. Non era davvero molto comodo per dormirci, quel vecchio divano.
-Viene dall'ospedale.-
-L'ospedale?-
-Il tuo informatore all'ospedale.- specificò Chikusa, prima di porgergli il telefono. -Ti aggiorna su Hibari.-
Improvvisamente la schiena di Mukuro si raddrizzò senza il minimo dolore, lui scattò in piedi prendendo il telefono e si allontanò, salendo al piano di sopra, dove la ricezione del segnale era meno disturbata.
-Hibari?- sussurrò uno dei suoi compagni vedendolo correre di sopra. L'altro annuì.
Mukuro li ignorò entrambi e raggiunse il piano di sopra e si avvicinò a una delle finestre, il cui vetro era imperlato di pioggia.
-Dimmi.- disse al telefono.
-Hibari sta meglio, ha firmato per uscire dall'ospedale questa mattina.-
-Ha firmato? Quindi non lo hanno dimesso?-
-Il dottore voleva tenerlo qui perchè riposasse ancora un po' per le costole, ma lui non ne ha voluto sapere, ha detto che tornava al lavoro.-
-Che razza di testaccia dura che ha.-
-Senti chi parla...-
-Per il resto, com'è andata? Come l'hanno presa i piani alti?-
-Hibari s'è inventato una bubbola su un bambino che avrebbe visto nel parco e che stava seguendo quando è poi stato aggredito alle spalle... si sono incentrati sulla ricerca del bambino e sulle attrezzature audio, quindi non hanno un bel niente in mano.-
-Sì, ma non me ne frega niente di questo.- sbottò Mukuro irritato. -Voglio sapere se sono ancora convinti che Kyoya sia un mio complice!-
-Impossibile dirlo... non lo hanno accusato formalmente di niente... anzi, in televisione lo hanno menzionato... non hai visto il telegiornale sul canale sette?-
-Io no, stavo...-
La realtà era che aveva dormito per un bel po' dopo giorni interi passati sveglio sulle carte e gli appunti, ma non gli andava di ammetterlo, anche se nessuno l'avrebbe biasimato dopo quasi sessanta ore di fila.
-Stavo studiando un piano per la parata.- disse alla fine.
-Hanno dato la notizia che è uscito dall'ospedale... era una gran bella sviolinata sulla preparazione fisica della polizia militare che impedisce loro di soccombere alle aggressioni violente di terroristi senza dio.-
-Citazione letterale, suppongo.-
-Esattamente.-
-Beh, se hanno dato audience al suo caso, almeno l'opinione pubblica lo vedrà come un eroe.-
-Non è dell'opinione che la gente ha di lui di cui dovremmo preoccuparci... ma di quella che avranno i superiori e la task force... non credo che sia stato ancora escluso come sospettato... gli hanno dato la targa.-
Il vago sorriso di Mukuro svanì completamente. Aveva scoperto per puro caso che cosa fosse la "targa" e dubitava che anche chi l'aveva indossata sapesse che cos'era. Veniva assegnata come un encomio e andava indossata sull'uniforme, ma in realtà serviva a controllare chi la portava: i suoi spostamenti e le sue conversazioni. Quindi non erano affatto certi... anzi, controllavano Hibari ancora più strettamente... forse però, proprio per fugare gli ultimi dubbi. Se fosse stato lontano da lui sarebbe andato tutto bene, gli avrebbero tolto la targa e con ogni probabilità non sarebbe più stato controllato.
-Va bene.- disse Mukuro a fatica. -Va bene così. Basterà lasciarlo stare. Continua a farmi rapporto ogni volta che sai qualcosa.-
-Sta' tranquillo.- disse la voce dall'altro capo del filo. -Per la parata come va?-
-Onestamente.... non potrebbe andare peggio.- ammise lui, massaggiandosi la fronte con aria stanca. -Il nuovo responsabile della sicurezza è più sveglio di quello vecchio.... correremo qualche rischio.-
-Non morire, Mukuro.-
-Non posso ancora morire.... è ancora inverno...-
Il suo interlocutore osservò uno strano, lungo silenzio.
-Buona fortuna.-
-Prenditi cura di Kyoya per me.-
Mukuro chiuse la chiamata e guardò dalla finestra il palazzo di giustizia, un bell'edificio storico quasi nel centro della città. Poche strade dietro quelle mura sorgeva la caserma. Hibari doveva essere lì, di nuovo al lavoro, seduto a una scrivania piccola e ingombra. Chissà come si sentiva, che cosa stava davvero facendo. Con una dolorosa fitta nostalgica, Mukuro si chiese cosa sarebbe stato delle loro vite se avesse deciso di seguirlo quando ne aveva avuto l'occasione. Forse potevano avere la stessa uniforme, le scrivanie vicine, e in quel momento avrebbero potuto essere là dentro insieme, a prendere un caffè caldo per superare il noioso turno di notte. Chrome non sarebbe stata abbandonata, i suoi amici non sarebbero stati in pericolo. Al modico prezzo della sua idea di libertà, avrebbe potuto avere vicine tutte le persone a cui teneva, felici e al sicuro.Posò la fronte contro il vetro freddo e chiuse gli occhi, sospirando. A volte si chiedeva se non avesse solo sbagliato, imboccando una strada verso l'autodistruzione.... era una di quelle volte.


-Piano, stia attento...-
Hibari non potè trattenere un sorriso nonostante l'irritazione.
-Tanaka, non sono moribondo, so sedermi da solo.-
Sordo a questo commento, Tanaka lo aiutò comunque a sedersi sulla poltroncina della sua scrivania ingombra. Non era passato giorno senza che il suo collega biondo trascorresse tutto il tempo possibile in ospedale con lui, in accordo tra i suoi turni di lavoro e l'orario delle visite. Era anche riuscito a prendere un paio d'ore di permesso per andarlo a prendere all'uscita dall'ospedale. Aveva ancora la stampella per camminare e ciò sembrava bastare a Tanaka come motivazione per accudirlo come fosse invalido, e questo cominciava a dargli fastidio.
-Non sono sicuro che sia stata una buona idea uscire così presto.- disse il giovane neo-vigilante.
-Altre persone hanno più bisogno di me di quel letto e di cure... io devo solo non sforzarmi.-
-E quindi...-
-E quindi lavorerò seduto a questa scrivania finchè non mi riprenderò del tutto.- tagliò corto Hibari, cercando di ordinare il caos di fascicoli, fotocopie e appunti che i suoi frettolosi colleghi avevano ammucchiato a caso sulla sua scrivania seppellendo telefono e computer. -Smetti di farmi da balia, Tanaka, mi sto innervosendo.-
Tanaka non rispose, anche se era evidente dalla sua faccia che avrebbe voluto farlo. Dopotutto, ora che era di nuovo in servizio era tornato a essere un suo superiore diretto. E la cosa pareva essergli indigesta quanto lo era prima del suo incidente con Rokudo Mukuro.
-Piuttosto, che cos'è successo mentre non c'ero?-
-Niente di che, Hibari san.- ribattè lui con tono mesto. -Altre coccarde, altri graffiti, ma niente altro... la task force in realtà crede che sia opera di emulatori... altri che seguono le sue...-
La porta della caserma venne spalancata e con una folata fredda entrarono anche voci femminili squillanti. Hibari si sporse dal suo cubicolo incuriosito; dal canto suo Tanaka si fece di un pallore cadaverico. Dall'atrio irruppero una signora di mezza età dall'aria dolce e sorridente, con chioma biondissima e occhi chiari come il ghiaccio, e una ragazzina che somigliava in maniera inequivocabile a Tanaka. Hibari la fissò per un momento mentre si guardava intorno emozionata e indicava a sua madre tutto quello che vedeva. Dopo appena un paio di secondi, i suoi occhi grigi scivolarono sulla gonna vertiginosamente corta che la ragazza indossava. Si chiese come potesse non gelare in una notte piovosa di novembre, vestita in quel modo.
-Fratellone!- squillò lei, venendo loro incontro.
-Co... co... che cosa fate voi due qui?!- balbettò Tanaka, arrossendo di botto sul viso e sulle orecchie. -Sto lavorando!-
-Ti ho portato da mangiare, Saeki, stai dimagrendo a vista d'occhio...-
Hibari non capì con chi stesse parlando finchè non la vide infilare un grosso bento fra le braccia del suo collega biondo, dalla faccia sempre più rossa e le orecchie quasi viola. Gli venne in mente di non aver mai saputo né tantomeno chiesto a Tanaka quale fosse il suo nome. Furtivamente infilò la mano nel cassetto e spulciò le schede ammucchiate lì dentro, alla caccia di quella del collega.
-Ne ho fatto parecchio, così puoi dividerlo con il tuo senpai, Hibari san.-
Sentendosi chiamato in causa abbandonò la ricerca nel momento in cui sfilava il foglio. Gli ci volle qualche istante per ricollegare ciò che aveva sentito, dopodichè abbozzò un sorriso.
-Grazie, ehm...-
-Io sono Clara, Clara Donati, la madre di Saeki.- si presentò la donna palesando le sue origini straniere. -E questa è Meiko, mia figlia.-
Meiko fece un inchino profondo che le fece dondolare i codini biondi. Hibari non fece in tempo a ricambiare che lei gli porse un cartoncino per autografi e un pennarello sorridendo ampiamente. Per contro, suo fratello si rabbuiò all'istante.
-Ti avevo detto di non annoiare Hibari san con queste stupidaggini, dammi qua!-
-Non importa, Saeki.- disse Hibari con tono soave, con una leggera inflessione sull'ultima parola. -È solo una firma, ci vorrà un momento, così tua sorella potrà tornare dritta a casa prima del coprifuoco...-
Meiko saltellò battendo le mani felice mentre Hibari le firmava il cartoncino. Saeki si coprì gli occhi con una mano, nell'impossibilità di seppellirsi vivo per la vergogna. Pochi minuti fitti di ringraziamenti della ragazzina e di raccomandazioni della madre e Tanaka riuscì a liberarsi delle componenti femmine della sua famiglia, con suo sommo sollievo.
-.... Sono... desolato, Hibari san... avevo detto a mia madre di non venire...-
-Credevo che ti chiamassi Hitoshi.- disse invece Hibari, che stava finalmente leggendo la scheda. -Invece questi kanji si leggono "Saeki"...-
-Per favore, se lo dimentichi!- lo implorò lui prendendo la scheda. -È davvero imbarazzante!-
-Perchè? Io lo trovo un bel nome.- lo contraddisse. -Beh, se accetti l'opinione di uno che si chiama Kyoya.-
Saeki guardò il vetro del banco della segreteria, senza un apparente motivo.
-Il... il suo è un bel nome, Hibari san, le si addice...-
Hibari alzò gli occhi su di lui, lasciando perdere il suo intento di riordinare la scrivania. La verità lo colpì in modo particolare in quel momento, più che in tutto quel tempo trascorso insieme a lui. Per qualche inesplicabile motivo piaceva a Tanaka, nonostante il loro primo contatto fosse stato uno scambio di insulti al telefono. Ma il suo pensiero era molto lontano da quello che Mukuro gli aveva detto su Tanaka, lontano dai gradi della milizia e dalle spie quando gli sorrise subito dopo.
-Allora dovremmo usarli, non pensi?-
-S... scusi?-
-Visto che il tuo è un bel nome dovrei usarlo... tu puoi usare il mio... che ne dici, Saeki?-
Tanaka sembrava senza parole e per un momento, un lungo momento angosciante, Hibari temette di essere andato un po' troppo oltre. Poi la sua testa bionda annuì in modo quasi impercettibile e Kyoya tornò a respirare liberamente.
-Non so tu, ma io ho fame... tua madre è brava a cucinare?-
-Sì... sì... è molto brava... è... un'ottima cuoca.- disse lui, avvicinandosi e aprendo il bento. -Avrà fatto il suo meglio per portarlo a lei.... a... te... Kyoya san.-
Hibari e Tanaka non parlarono molto nel corso del turno notturno, ma nonostante questo regnava una strana atmosfera nella caserma. Hibari aveva la strana sensazione che Saeki lo guardasse, ma ogni volta che si voltava lui stava facendo qualcos'altro. Eppure non aveva dubbio che i suoi occhi verdi fossero rivolti verso di lui fino a un attimo prima, testimoni le sue orecchie rosse.

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Capitolo 12
*** La fioritura di dicembre ***


Novembre scivolò via tra pioggia e silenzio. Un silenzio che in altri momenti della sua vita avrebbe messo angoscia a Hibari, perchè fin la più piccola scorribanda di Mukuro scomparve. Nessuna coccarda sulle porte della milizia o del palazzo di giustizia per mettere pressioni ai miliziani, nessun graffito, nemmeno un poster imbrattato o strappato, nessun furto, nessun avvistamento. Mukuro sembrava essere scomparso e difatti la task force non faceva altro che rivoltare gli scarni cassetti di denunce minori alla ricerca di un indizio, di un fatto che potesse essere interpretato come una sua mossa. Inutile aggiungere che non c'era assolutamente nulla.
Mentre i più ottimisti membri del partito ritenevano che dovevano essergli andati molto vicino al punto di spaventarlo e metterlo in fuga, Hibari era di un'altra opinione. Sospettava che Mukuro avesse tralasciato gli scherzi da bambini per concentrarsi su qualcosa di più importante, e quell'evento non poteva che essere la parata della rifondazione, che cadeva in dicembre e festeggiava la trasformazione della polizia in milizia.
-Kyoya, dovresti andare a dormire un po'.- disse la voce di Tanaka oltre una fitta nebbia di sonnolenza che lo attanagliava. -Andiamo a casa, devi riposarti.-
Hibari sollevò la testa dalle mappe della sicurezza della parata e lo guardò. Era talmente assonnato da faticare a riconoscerlo, ma la potente combinazione della sua voce unita a un meraviglioso profumo di caffè lo fece sentire subito meglio. Prese la tazza e bevve quanto più glielo permise la temperatura della bevanda.
-Dico sul serio, dovresti dormire, la parata è domani e tu sei uno straccio.-
-Non suona come un complimento, eh?-
-... Hai un aspetto terrificante.- rincarò Tanaka. -Vuoi presentarti con quella faccia alla nomina dei nuovi tenenti?-
-Pazienza. Non è un concorso di bellezza.-
-Beh, non te lo permetterò!-
Tanaka infilò le braccia sotto le sue ascelle e lo tirò su facilmente, trascinandolo via dalla sedia e dalla scrivania. Non che fosse troppo difficile: Saeki era più giovane di Hibari, ma anche diversi centimetri più alto e con una preparazione atletica notevole, essendo fresco di accademia.
-Mollami, ehi... va bene, va bene!- sbottò Hibari divincolandosi e sbuffando. -Okay, okay. Andiamo a casa.-
Si sistemò la giacca della divisa e ficcò tutte le copie dei documenti nella cartellina, prima che Tanaka glieli strappasse di mano.
-Questi rimangono qui! Devi dormire, non lavorare a casa!-
-... Ti odio.- ringhiò Hibari, richiudendo la borsa con fare stizzito.
Dal canto suo, Tanaka sorrise.


Il mattino seguente un pallido sole regnava sulla città. Hibari arrivò fra gli ultimi al palazzo di giustizia tanto profondamente aveva dormito; appena in tempo per prendere parte alla nomina dei tenenti. Con suo sommo disappunto, accanto a lui nella fila c'era proprio Tanaka. Non era fra i nominati tenenti, ma essendo vigilantes da poco prendeva parte alla presentazione del corpo dei nuovi promossi.
-Non sembri contento di vedermi.- sussurrò Tanaka, mentre il capitano rivolgeva alla numerosa folla un sentito discorso sulla forza della disciplina e sulla fiducia del regime negli uomini della milizia.
-Ti avevo detto di non starmi vicino.- ribattè Hibari seccato.
-Perchè no, oggi sei anche più alto del solito.- disse il biondo in tono allegro. -Stivali nuovi?-
Hibari mosse appena il braccio per assestargli una poderosa gomitata nel costato. Tanaka non potè far altro che emettere un gemito strozzato e massaggiarsi furtivamente fino al momento di rompere le righe.
-Mi raccomando, occhi aperti!- abbaiò il capitano a tutti i cadetti che aveva a tiro. -Abbiamo approntato la migliore difesa possibile, ma Rokudo Mukuro potrebbe mostrarsi ugualmente! Nel giorno della parata non possiamo permettere che la milizia venga attaccata e se lo lasci scappare!-
Avvertimenti inutili: tutti i presenti sul carro allegorico e intorno sembravano partecipare a un'operazione militare anziché a una festa. Erano tutti concentrati, solo alcuni si sforzavano di sorridere e salutare la folla, ma Hibari poteva vedere che scrutavano la gente e gli edifici attorno in cerca di segnali che anticipassero l'attacco. In breve anche la sua angoscia tornò viva. Era teso e si aspettava attacchi da ogni parte, ogni volta che incrociavano una via trasversale, passavano di fronte a un edificio alto o un ponte o affrontavano una curva del percorso. Poco distante da lui, Saeki era uno dei pochi che sorrideva e interagiva con la folla.
Il sole scomparve lentamente dietro nuvole grigio ferro senza che accadesse niente. Il giro della città si concluse con un ritorno al palazzo di giustizia, con una folla immensa al seguito, e tutto sembrava tranquillo. Persino Hibari si rilassò al punto di sollevare il braccio e salutare la gente della sua città. Non notò subito la stranezza, finchè non gli cadde un petalo di ciliegio sulla manica. Un petalo di ciliegio in dicembre?
Nell'istante in cui capì che era di carta comprese che cosa stava per succedere, anche se troppo tardi. Si voltò verso l'alto e un'esplosione rosa avvolse tutto il carro e i dintorni, soffocando i soldati che presero a tossire e a strofinarsi gli occhi. Era sabbia, sottilissima sabbia di colore rosa...
-Vi siete goduti l'autocelebrazione della milizia, cittadini di Namimori?-
Hibari sollevò la testa, ma gli occhi lacrimavano ancora e non riusciva a vedere niente. Le sue orecchie però non avevano avuto alcuna difficoltà a riconoscere la voce di Mukuro che rimbombava. Stava usando un microfono?
-Mi stupisco di voi!- rimbombò la voce del nemico numero uno dell'Haido, in tono di rimprovero e disprezzo. -Sono senza parole... come potete essere ciechi di fronte a un carro scintillante usato per portare in trionfo i vostri figli, padri e fratelli che contribuiscono a opprimere la libertà?-
Una voce di donna, irata, emerse dalle prime file della folla. Hibari stava ancora cercando di recuperare la vista, vedeva solo sagome sfocate e sentiva dolore. All'improvviso sentì una stretta e il rumore metallico di un paio di manette: qualcuno l'aveva bloccato.
-Chi sei tu per parlare di libertà? Sei solo un criminale senza religione!-
-Se questi sono gli Dei di cui accettate il comando, io sono felice di non averne sopra di me.- ribattè Mukuro sprezzante e gelido. -Ho fatto tanti sbagli nella mia vita. Ho perso persone importanti per colpa mia, ma se non mi è consentito di riparare è colpa di questo cappio che ci soffoca tutti lentamente... ma io non sono qui per parlare di grandi idee... di grandi piani.... ma di libertà semplici...-
Il suo tono si abbassò di parecchio e Hibari riuscì a sbirciare nella sua direzione. Sedeva sul cornicione sopra l'ingresso del palazzo di giustizia, qualche metro sopra il carro. Aveva un microfono in mano e sorrideva. Era seduto tranquillo, come se stesse nel parco a fare lezione di filosofia a chiunque lo stesse ascoltando. Attorno a loro la folla era paralizzata ad ascoltare, altri suoi complici mascherati avevano ammanettato o legato i militari approfittando dei danni inflitti dalla sabbia rosa.
-Come il coccolato.- continuò lui. -Chi è stato bambino prima dell'Haido lo sa... sa quanto spesso mangiava cioccolato... ora solo i bambini con parenti nella milizia, o molto ricchi, che è la stessa cosa, possono averla quando vogliono... gli altri la sognano e basta.-
-Stai facendo questo per il cioccolato?!-
La voce stavolta non veniva dalla folla, ma da più vicino a Hibari, da Tanaka.
-Lo sto facendo per il diritto ad avere le piccole cose che ci sono state tolte... il diritto di chiamare all'ultimo momento amici e parenti per una cena! Il diritto di organizzare una gita il giorno prima, quello di prendere la macchina e andare a fare colazione all'alba nella città vicina, dove si vede sorgere il sole sul mare!-
Questa affermazione colpì Hibari duramente, come un pugno allo stomaco. Quando erano ragazzi, una sera di agosto, lui, Mukuro e Tsuna si erano ritrovati per caso al parco, nessuno riusciva a dormire per il caldo. Dal nulla proprio Mukuro aveva esordito di prendere il treno e andare verso il mare, fare il bagno, e aspettare l'alba per mangiare mentre l'acqua si faceva dorata... "Ma perchè?", aveva chiesto Tsuna, spiazzato tanto quanto lui. E la sua risposta era arrivata così spontanea: "perchè possiamo farlo!".
-Tu sei stato un ragazzino prima che questo schifo si abbattesse sul paese... ricordi com'era prima?- domandò Mukuro, e a Hibari pareva che fosse rivolto proprio a Tanaka, che effettivamente era poco più che dodicenne quando il partito era nato. Saeki però si limitò ad abbassare la testa senza rispondere. Un mormorio prese a diffondersi nella folla.
Hibari si riscosse. Era pericoloso, avrebbero potuto sparargli da un momento all'altro, era così isolato e così visibile lassù. Doveva farlo scendere, subito. La vista era ancora sfocata e gli occhi gli facevano male, ma dando uno strattone avvertì che una delle manette al suo polso era larga. Cercando di aiutarsi con guanto nero nell'uniforme cercò di far scivolare fuori la mano. Nello stesso istante in cui si voltò a guardare di nuovo in alto Mukuro scivolò giù e un proiettile scheggiò la facciata del palazzo, nel punto in cui poggiava la sua schiena poco prima.
Mukuro atterrò in mezzo al carro, ma stavolta non gli avrebbero sparato: era circondato da miliziani legati e il vento soffiava forte. Non avrebbero mai rischiato di colpire il capitano, anche se quello sbraitava contro Mukuro e gridava di sparare.
-Signor capitano, non credo che sparare contro un uomo disarmato gioverebbe alla sua immagine, lo sa?- gli disse Mukuro con un enigmatico sorriso. -Con permesso, spero di non rivederla tanto presto.-
Mukuro alzò il braccio e afferrò qualcosa che Hibari non riuscì a vedere, ma che lo trascinò via dal carro, sopra la folla come se volasse, una figura bianca che usciva trionfante dopo aver preso in giro tutta la milizia...
La mano di Hibari lasciò indietro il guanto nero e un po' di pelle, ma sgusciò fuori dalla manetta, lasciandolo libero. Era l'unico soldato in grado di inseguire Mukuro... e l'avrebbe fatto. Balzò giù dal carro mentre la folla lanciava un grido esultante, come se stesse assistendo a una gara sportiva. Alle sue spalle, il capitano gli gridò di prenderlo a tutti i costi. Tanaka aveva urlato soltanto il suo nome.
Hibari si lanciò all'inseguimento mentre la folla di apriva davanti a lui per non intralciarlo. Era così veloce che non distingueva le facce, nemmeno ora che la vista stava migliorando. Si lasciò alle spalle la piazza e anche tutta quella stretta via di negozietti prima di vedere Mukuro: sembrava che qualsiasi cosa fosse quella che l'aveva trascinato via si fosse rotta, lasciandolo cadere. Esitando poco più di un istante, si precipitò verso di lui, ma la confusione di Mukuro non durò a lungo. Lo vide rialzarsi con uno scatto felino e correre, correre. Sotto un cielo biancastro, tagliati dal vento gelido, corsero a lungo, fino a ritrovarsi sul ponte. Solo a quel punto Mukuro si voltò, senza smettere di correre.
-Lascia perdere, Kyoya! Non mi hai mai raggiunto prima e non riuscirai nemmeno stavolta!-
-Se fosse vero,- gli gridò di rimando Hibari nonostante l'affanno, -perchè non mi hai ancora seminato?-
Mukuro non rispose, ma dopo un istante rovinò a terra. Che fosse inciampato o scivolato, Hibari non sapeva dire in cosa. Con il battito forte del cuore nelle orecchie e nelle tempie, accelerò per raggiungerlo. Ma un altro rumore rimbombava e non era il suo cuore...
Un elicottero incombeva su di loro, molto basso, e calava una scaletta di salvataggio. Mukuro scattò ancora una volta in piedi, balzò sul muretto del ponte e si lanciò. La sua mano afferrò l'ultimo appiglio possibile della scala, che seguiva l'elicottero in rapida risalita. Hibari non pensò a niente e seguì l'istinto, usò tutto lo slancio possibile della sua corsa per saltare. Il momento del suo salto nel vuoto gli sembrò orrendamente lento e mancò un colpo al cuore quando si accorse che non sarebbe arrivato ad afferrarlo. Le dita della mano nuda sfiorarono la pelle dello stivale di Mukuro, ma niente più, prima che precipitasse verso il fiume.
-MUKUROOO!-
In quell'urlo mise tutta la rabbia, la vergogna, la rassegnazione che aveva in corpo, come se da solo bastasse a fermare l'elicottero che se ne andava, Mukuro ancora aggrappato alla scaletta, ormai in salvo. Subito dopo impattò una smisurata massa di acqua dura e gelida color verde.

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Capitolo 13
*** Oltre le spine ***


-Kyoya.... mi senti? Kyoya? Mi riconosci?-
Hibari si rese conto di avere gli occhi aperti e di vedere delle cose sfocate, agitate, davanti a lui. Subito dopo venne il freddo, un freddo pungente ovunque. Non sentiva altro che voci lontane, confuse quanto quello che vedeva. Pensò che doveva dire che stava bene, così avrebbero taciuto lasciandolo in pace, ma non riusciva a parlare. Gli ci vollero lunghi minuti per capire che aveva qualcosa davanti alla bocca.
-Kyoya, resisti, ti portiamo in ospedale subito!-
Quella frase riportò alla mente qualcosa a Hibari. La prima volta che aveva sentito quella voce si trovava in ospedale. No, no, non era la prima volta, però gli pareva che fosse così. Che cosa strana...
-Com'è potuto svanire un elicottero, razza di idioti?!- tuonò un'altra voce vagamente familiare non lontano da dove si trovava. -Trovatelo, trovatelo, scoprite dove l'ha preso, vi faccio ammazzare tutti!-
Improvvisamente Hibari ricordò tutto. Ricordò la folle corsa, l'inseguimento solitario dietro a Mukuro, lui che cadeva e poi si lanciava dal ponte, aggrappandosi alla scaletta calata da un elicottero... e lui che aveva fatto lo stesso, senza riuscire a trovare un appiglio... poi era precipitato nell'acqua, e... e poi?
-Co... cos'è successo?- domandò Hibari, la voce soffocata dal respiratore che aveva sulla bocca.
-Kyoya! Stai bene? Come ti senti?- domandò Tanaka, avvicinandosi a lui.
-Bene.- mentì lui, rendendosi conto che era su un'ambulanza. -Cos'è successo?-
-Sei... caduto nel fiume mentre inseguivi Rokudo Mukuro.- rispose Tanaka in tono mesto, quasi fosse lui a essere caduto e doversi vergognare. -Hai impattato l'acqua con la testa e la schiena, hai perso i sensi.-
Hibari si passò la mano fra i capelli. Erano fradici e gelati. Che cosa stupida aveva fatto, gettarsi nel vuoto, schiantarsi contro l'acqua gelida metri e metri sotto... poteva morire, poteva annegare... se non fosse stato per Tanaka. Non se ne era accorto subito, ma era bagnato anche lui, spogliato dell'uniforme e avvolto in una coperta calda, la stessa che aveva lui addosso. Gli aveva salvato la vita e nemmeno voleva dirglielo... per salvaguardare il suo orgoglio, forse?
-... Grazie.- disse alla fine, chiudendo gli occhi per non dover guardare lui o altro.
-Di... di cosa?-
-Non sono stupido, Saeki.-
-Ah...- fece lui, in evidente imbarazzo. -Era... era il mio dovere. Io... non devi ringraziarmi.-
Restarono immersi in un relativo silenzio, attorniati da ordini affibbiati strepitando, stivali che battevano sulla strada, rumori di motori, altre voci. Il medico a bordo dell'ambulanza tolse la mascherina a Hibari intimandogli però di restare lì al caldo, poi scese a dare man forte ad altri. Da quel poco che udiva, altri soldati della sicurezza erano stati storditi o drogati...
-Sembra che il mio augurio non ti sia servito, tenente Hibari.-
Hibari aprì gli occhi e osservò la figura che si stagliava davanti all'ambulanza. Riconobbe immediatamente il bel capitano che era venuto da lui all'ospedale per interrogarlo sull'incidente al settore sette. A quanto pareva era destinato a cercarlo sempre quando era in custodia presso dei medici.
-Capitano.-
-Agente di sorveglianza Tanaka.- fece lui, chinando il capo a mo' di saluto. -Sono felice di vedere che entrambi state bene. Avete fatto un ottimo lavoro.-
-Non si direbbe.- borbottò Hibari contrariato.
-Siete gli unici soldati che sono stati in grado di liberarsi e procedere all'inseguimento. Avete anche obbligato Rokudo Mukuro a mostrarci per quale via è fuggito, dandoci importanti indizi.-
Hibari non rispose, ma era combattuto, e afflitto. Mukuro aveva citato l'ennesimo momento trascorso insieme, memorie di un altro tempo, eppure non l'aveva degnato di uno sguardo, era scappato senza una parola confortante. Solo ora si rendeva conto di quanto avesse contato per lui sapere che dopotutto Mukuro non lo riteneva un nemico, che lo proteggeva, che si proteggevano a vicenda. Avrebbe voluto sapere cosa voleva fare, dissuaderlo una volta per tutte, ma questa volta non aveva voluto parlargli. Era solo scappato, senza una parola, come si fugge davanti a un nemico che non si può combattere. Sarebbe potuto morire... se non si fosse liberato Tanaka, sarebbe annegato... Mukuro l'avrebbe lasciato annegare.
-Agente Tanaka, quando il medico lo lascerà andare lo porti a casa.- disse il capitano con aria vagamente preoccupata. -Prendetevi entrambi qualche giorno di riposo, lo meritate. Continuerò io personalmente le indagini sul terrorista.-
Tanaka si aspettava una protesta di Hibari e lo guardò, ma si rese rapidamente conto che il suo senpai non aveva sentito nulla di quello che diceva il capitano. Era distante, immerso nei pensieri a tal punto che sembrava mantenere al minimo qualsiasi altra funzione vitale. I suoi occhi erano come velati. Il biondo tornò al capitano e  annuì con vigore.
-Mi occuperò io di lui. Grazie, Signore.-
Il capitano si congedò lasciandoli di nuovo soli. Hibari si sentiva come se gli avessero asportato tutti gli organi mentre era incosciente: un guscio vuoto e freddo. Forse Tanaka capì senza parole come si sentiva, perchè gli rimboccò la coperta e si limitò a posare la mano sopra la sua, divise solo dal tessuto tiepido e morbido. Istintivamente, senza che lui se ne rendesse conto, le dita di Hibari la strinsero.

Era calata la notte su tutta Namimori, con un coprifuoco anticipato. Il buio e il silenzio erano surreali, aiutati anche dalla neve che aveva iniziato a fioccare nel pomeriggio. Tanaka aprì la porta dell'atrio e vi entrò, facendo un profondo sospiro. Era esausto, dopo tutto quello che era successo nel pomeriggio alla parata. E dopo gli accertamenti in ospedale, aveva portato Hibari a casa, senza che spiccicasse una sola parola o che lo guardasse una sola volta. Lo aveva lasciato nel letto, con qualche canarino appollaiato tra le coperte e i capelli come a confortarlo, ma non era sicuro che stesse bene come diceva il medico. Si era sforzato di andare in caserma a stilare il rapporto e finalmente, finalmente a casa. Anche se in verità stava pensando di andare fino al dodicesimo piano a vedere come stava Hibari. Ma se stava dormendo? Non voleva svegliarlo, il riposo era la miglior cura a qualsiasi cosa lo turbasse...
Appena aperte le porte dell'ascensore al secondo piano Tanaka sospirò e uscì, imponendosi di non preoccuparsi oltre. Sapeva badare a se stesso, in quelle condizioni dove sarebbe potuto andare, che avrebbe potuto fare di pericoloso?
Il ragazzo biondo si frugò nella tasca interrompendo il filo dei propri pensieri. Dov'era finita la chiave? Rivoltò tutte le tasche e la borsa, ma non c'era. Doveva averla lasciata in caserma, forse sulla sua scrivania. Selezionò tre o quattro insulti generici e pensò di salire di sopra da Hibari, a quel punto. Non aveva nessuna voglia di tornare in caserma a prendere le chiavi...
Mosse appena un passo verso l'ascensore prima che qualcosa lo costringesse a tornare alla porta del suo appartamento. Gli era sembrato di sentire qualcosa. Accostò l'orecchio e udì distintamente una bassa musica provenire dall'interno. Accigliato e perplesso, tentò la maniglia e scoprì con stupore che la porta non era affatto chiusa. Sorpreso e incuriosito la spalancò ed entrò.
L'appartamento era buio e non vedeva tracce di esseri umani. Senza fare rumore si tolse le scarpe lasciandole dove capitava, saltò l'asse cigolante nell'atrio e si avventurò al buio. C'era ancora la musica, bassa e lenta, che proveniva dal salotto. Sentiva anche qualcos'altro, uno strano odore, ma prima che potesse pensare di interpretarlo era giunto alla soglia del salotto. Sul divano accanto allo stereo c'era una figura nella penombra, ma le luci del display gli permisero di capire chi era.
-Kyoya?-
Lui non rispose e si portò il bicchiere alle labbra, senza dare segno di averlo visto o sentito. Tanaka si avvicinò e riconobbe finalmente l'odore: era qualche tipo di superalcolico, whisky o rhum.
-Kyoya?- lo chiamò più forte.
-Ehi.- rispose lui piano, dondolando il bicchiere. -Scusa per il whisky.-
-Come?-
-Credo fosse un regalo di Natale di tuo padre.-
-Ah... no, nessun... stai... stai bene?-
-No.-
Hibari svuotò il bicchiere prima che Tanaka potesse fare qualcosa per impedirglielo.
-... Ehm... cosa... cosa c'è che non va?- domandò Saeki, sedendosi accanto a lui sul divano, con il tono più tranquillo e casuale che riuscisse a simulare. -È per Rokudo Mukuro?-
Hibari si fermò mentre stava per versarsi altro whisky e chiuse la bottiglia con un gesto lento. Quando parlò aveva uno strano tono distaccato.
-Una volta lui mi amava.-
Qualcosa di molto simile all'orrore paralizzò la mano del vigilantes biondo nel gesto di afferrare un bicchiere dal centro del tavolo. Senza dire niente, lo prese e si versò da bere.
-Una volta lui mi amava.- ripetè Hibari, come se non riuscisse a credere a cosa diceva. -E io amavo lui.-
Tanaka non avrebbe mai voluto una risposta simile alla domanda che gli aveva fatto in ospedale.
-Perchè... è successo questo? Perchè non ci siamo visti per anni... e anni... e siamo arrivati al punto di... di... lui mi avrebbe lasciato morire! Diceva di fare tutto questo per me! Diceva che il partito mi aveva tolto la primavera dal cuore, che lui l'avrebbe fatta ritornare, invece... potevo morire oggi, e lui non ha cercato di salvarmi!-
-... No... però... però... c'ero... io.- balbettò incerto Saeki. -C'ero io... a salvarti.-
Tanaka non stava tentando di prendersi il merito, ma di spiegare che cosa pensava: che Rokudo Mukuro non l'avesse aiutato solo perchè aveva visto arrivare di corsa lui sul ponte, e che avesse avuto fiducia che sarebbe stato salvato dal suo collega. Non si era espresso molto bene e Hibari infatti non sembrò afferrare il senso che avrebbe voluto.
-Lo so...-
-No, io inten...-
-Lo so, lo so...- lo interruppe Hibari. -Il punto è che tu... ci sei sempre per me... ci sei sempre stato, anche se ci detestavamo e passavamo il tempo a discutere, tu... c'eri per me nel distretto sette... eri in ospedale, ed eri lì oggi... sei sempre tu...-
Davanti a quella strana piega del discorso Tanaka non ebbe più molta voglia di chiarire ciò che intendeva dire e si sentì innegabilmente compiaciuto. Avrebbe potuto ascoltarlo dire cose del genere per tutta la vita.
-Io... d-detto così la fai sembrare una cosa eroica...-
-Non lo è, per te?-
Tanaka si rese conto che lo spazio sul divano fra i loro corpi era scomparso, anche se non sapeva dire chi dei due si fosse spostato verso l'altro. Strizzando gli occhi nella penombra sbirciò la bottiglia del whisky. Considerando il suo bicchiere ancora pieno, Hibari doveva averne bevuto pochissimo. Quindi non era ubriaco per dire cose del genere, le pensava davvero?
-La realtà è che da quando sono nato ho sempre avuto l'impressione che Mukuro fosse l'unico ad esserci per me... i miei genitori mi lasciavano sempre in disparte, e sono cresciuto con un carattere a dir poco... drastico...-
Il ragazzo biondo lo guardò, il profilo spiccava scuro contro la luce del display dello stereo. Avevano parlato molto di varie cose sin da quando era stato ricoverato all'ospedale, ma mai di cose tanto personali come l'infanzia. Hibari Kyoya, poi, sembrava vivere la sua vita come se non ne avesse mai avuta una.
-Non mi sono mai fidato degli altri, pensavo di dover sempre riuscire a fare le cose da solo... poi... ho trovato un gruppetto di persone che mi hanno... costretto ad aprirmi un po'.-
-Tra loro c'è lui?-
-C'era anche lui. Sì. Io non lo sopportavo, era fastidioso, sarcastico, ribelle e sopra le righe... tutto il contrario di quello che sono sempre stato io... silenzioso, serio, disciplinato...-
Al giovane biondo risultava un concetto un po' diverso di "disciplinato", ma non commentò.
-Era diverso... e come avrai notato oggi, la dialettica è sempre stata una sua virtù... e anche la libertà... ha scelto tutto. Ha scelto la sua vita a partire dal suo nome in avanti, senza farsi fermare da niente, nemmeno da me... non mi ha mai dato retta, non ha mai voluto seguire la strada che io volevo per lui.-
-Kyoya... voi due siete stati... amanti?-
Hibari voltò la testa di scatto e lo guardò con una strana espressione, come se mai si fosse aspettato che qualcuno partorisse una così folle idea. Eppure a Tanaka pareva una domanda più che legittima, al punto che non riusciva a reprimere il fastidio di pensare alle mani di Mukuro che lo toccavano ovunque.
-Naturalmente no!- sbottò Hibari seccato, come se solo un idiota potesse pensarlo. -Non siamo mai stati insieme e non siamo mai stati amanti! Non abbiamo avuto il tempo!-
-Co... eh? Il tempo? Che vuol dire?!-
-... Che non abbiamo avuto il tempo. Ci siamo separati molto prima che potesse accadere.- ribattè lui, sempre col tono di chi parla di cose ovvie. -Dopo di allora abbiamo camminato su strade divergenti.-
-Intendi dire che... sarebbe successo?-
-Quando aveva quindici anni non faceva altro che cercare di baciarmi, fare battute sconce e subissarmi di biglietti. L'avrebbe fatto succedere prima o poi. Ma poi è arrivato l'Haido, io lo ritenevo una cosa meravigliosa, lui lo odiava. Quando ha saputo che mi sarei arruolato nella polizia ha detto che non avevamo più niente da dirci. È stata l'ultima volta che l'ho visto, fino al giorno in cui è stata presentata la sua domanda per l'alloggio governativo.-
La canzone in sottofondo sfumò piano nel silenzio, prima che ne iniziasse un'altra altrettanto lenta. Tanaka aveva paura di infilarsi in un tale ginepraio, ma capiva anche che se voleva arrivare a toccare il cuore di Hibari doveva liberarlo dalle spine, in qualche modo. Bevve un sorso di whisky nella speranza che gli desse coraggio, ma gli arrecò solo un gran bruciore in bocca. Si chiese perchè suo padre spendesse un sacco di soldi per bere una tale sciacquatura di piatti urticante.
-Hai... ehm...- si schiarì la voce a causa del whisky. -Hai sofferto... la sua mancanza?-
-Ho sofferto la sua condizione... con tutte le persone che avevano deciso di seguirlo infelici, lui unico responsabile delle loro vite... io lo conosco Mukuro, è come me... non parla a nessuno di quello che prova davvero, della paura che ha. Ed essere sempre soli fa paura.-
-Ma tu stai parlando con me... no?- fece Tanaka con un sorriso.
-Io ho te adesso... ma lui ha qualcuno come te?-
Hibari guardò la notte nevosa fuori dalla finestra, senza fare alcun caso alla mano di Tanaka sulla sua.
-Spero solo che l'abbia... perchè io non so che cosa sarebbe stato di me senza di te...-
Prima ancora che si accorgesse di qualsiasi intenzione o movimento, le loro bocche erano incollate e Tanaka riusciva solo a pensare di aver fatto bene a non accendere la luce, perchè il buio nascondeva le sue orecchie e il suo viso, che con alta probabilità erano di un rosso acceso.

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Capitolo 14
*** La casa vuota ***


Nel piccolo appartamento collocato vicino alla stazione era altrettanto buio. Tsuna era sprofondato nel divano, gli occhi brucianti aperti a perdersi nel soffitto scuro e le lacrime non ancora asciutte sul viso. Non aveva idea di quanto tempo avesse passato in quello stato, ma nemmeno gli importava. Non gli importava più di niente, nemmeno di Uri che miagolava in giro per la casa alla ricerca di qualcuno che le desse del cibo, o delle coccole; non ne aveva idea. Tsuna strinse la mano spiegazzando i fogli di carta che aveva appoggiati sull'addome. Il solo contatto bastò a ricordargli tutto. Strinse gli occhi tentando invano di trattenere le lacrime e in un impeto di rabbia scagliò via le carte, che scivolarono a terra. Uri ne calpestò una mentre si avvicinava a Tsuna, ma lui non se ne accorse. Piangeva con il volto affondato nel cuscino.
Il contenuto del foglio che giaceva a faccia in giù aveva spezzato l'anima di Tsuna. Si trattava di un telegramma. Era rimasto sorpreso di riceverne uno nell'epoca delle e-mail e dei fax... ma non quanto era rimasto scioccato di leggere il contenuto. Veniva dall'ospedale di Namimori e recava solo poche righe, vergate dal responsabile dell'ufficio comunicazioni.
"Signor Sawada Tsunayoshi,
È mio ingrato dovere informarLa che Sua madre, Sawada Nana, ricoverata da settembre presso l'ospedale centrale, è deceduta nella tarda mattinata di oggi per insufficienza cardiaca.
Le più sentite condoglianze per l'immatura scomparsa."

Nient'altro. Tre misere righe compilate con le causali dell'evento per comunicargli una cosa orrenda e catastrofica come quella. Un telegramma prestampato in una pila di copie, a cui aggiungere solo nomi, tempi e causa della morte, per informare i poveretti a casa. Neanche lo sforzo di telefonare, di parlare con qualcuno, di permettergli delle domande... e così, dopo tanta speranza data dal suo improvviso miglioramento, sua madre l'aveva lasciato... e nonostante questo, neanche un merdoso telegramma di suo padre!
Tsuna lanciò un urlo scagliando via il cuscino, che rovinò contro la libreria senza far danno alcuno. Inferocito e ferito il ragazzo si alzò raccogliendo i fogli e si avvicinò alla finestra per poterli leggere senza accendere le luci. Non voleva accendere nessuna luce, per un bel po'...
Il secondo foglio era una lettera scritta sulla carta da lettere di Gokudera. Aveva il nome della scuola a pié di pagina. Lo aveva lasciato sul tavolo della cucina mentre lui era al lavoro, ad assistere all'apparizione di Mukuro alla parata della milizia. Tsuna passò le dita sul foglio, quasi sperasse di poter cambiare le cose. Cancellare quelle righe, tornare al momento in cui erano state scritte, e forse poter anche cambiare il destino di sua madre...
Contro la sua stessa volontà, con il pianto ad annodargli la gola, la rilesse ancora. Esordiva con "Tsuna", e gli diceva che aveva preso la sua decisione, che non poteva più lasciare che il peso delle sue speranze gravasse su qualcun altro e doveva agire. Gli diceva che non poteva più aspettare che fosse pronto a lasciarlo o che lo seguisse. Erano parole dure, un'accusa di egoismo e di vigliaccheria... a cui seguivano parole un po' più dolci. Diceva che lo avrebbe tenuto sempre nel cuore, finchè non fosse finita, fino al tempo di ritornare a casa. E dopo una dichiarazione d'amore vuota e banale, firmava. Tsuna non aveva mai sentito meno amore venire da Gokudera nei suoi confronti. L'aveva semplicemente abbandonato, semplicemente e ingiustamente abbandonato. A se stesso, ai suoi lutti e alla sua solitudine. Suo padre non c'era più da tempo, sua madre era morta, e adesso Gokudera era andato via... era solo...
Il miagolio di Uri lo distrasse dalle lettere che aveva in mano. La gatta si strusciò nel suo braccio, lasciando orme di zampette sul tavolo. Chissà che cosa aveva pestato nella stanza disordinata di Hayato...
Sforzandosi di sorridere l'accarezzò. Aveva abbandonato lei quanto lui, ma lei non poteva leggere e non poteva capire perchè... forse era la sua fortuna.
Lo squillo del cellulare li fece sussultare entrambi. Chi poteva mai telefonare a quell'ora? A meno che non fosse... Tsuna si lanciò alla ricerca del telefono nelle tasche del cappotto buttato a terra e le mani gli tremavano talmente che faticò a premere il tasto di risposta.
-Hayato?-
-Sono io, Tsuna. Sono papà.-
Tsuna si svuotò nuovamente di tutto: energia, speranza e voglia di vivere. Si lasciò cadere di lato accasciandosi sul tappeto. Prima, quando aveva letto il telegramma che lo informava della morte della mamma, avrebbe tanto voluto avere un contatto da suo padre, ma ora che sentiva la sua voce si rese conto di non avere alcuna voglia di ascoltarlo.
-Che cosa vuoi?-
-Ho saputo della mamma.-
-Mi sono già state inoltrate sentite condoglianze.- ribattè lui secco.
-Lo so.- rispose lui. -Pensavo che... forse... avresti preferito stare un po' da me. Per non sentirti solo.-
Tsuna avrebbe voluto urlargli contro, come ogni altra volta che l'aveva visto o sentito dall'età di tredici anni, sputargli addosso che non si sentiva solo, che aveva qualcuno a confortarlo e che non aveva alcun bisogno di lui. Questo, almeno, sarebbe stato vero se solo Gokudera non avesse scelto quel momento per andarsene. Ma aveva la residenza in quella casa, e adesso era così opprimente senza di lui...
-... Non lo so...- riuscì alla fine a dire.
-... Domattina ti mando una macchina... sali e ti porterà dritto da me... se non vuoi, basta che tu lo dica all'autista e se ne andrà. Pensaci, d'accordo?-
Tsuna annuì, senza pensare che suo padre non poteva vederlo fare quel gesto, e chiuse la telefonata. Possibile che dovesse andare da lui, dopo tutti questi anni, che non avesse un'altra scelta? Ma l'altra scelta era restare in quella casa, che sarebbe dovuta essere un posto felice, e invece era un covo di ricordi oscuri. In un fiotto di irritazione prese a digitare sul cellulare, inviando una e-mail a Gokudera. Se non avesse avuto alcuna risposta l'indomani, sarebbe andato via.


Le pale dell'elicottero stavano rallentando quando Mukuro ne scese, finalmente al sicuro sulla terraferma. Aveva una tremenda voglia di vomitare e non sapeva nemmeno come l'avesse tenuta a freno per tutto il volo. Si voltò a osservare il pilota. Non aveva nessuna idea di chi fosse. Quell'elicottero non era suo, non era un suo piano di fuga d'emergenza. Era solo in pericolo e si era fidato, si era aggrappato alla salvezza e si era fatto portare al suo rifugio più lontano, alla periferia di Kokuyo, l'unico dove potesse atterrare inosservato un elicottero. Ora era il momento di capire...
-Chi diavolo sei tu?- domandò Mukuro quando le pale rallentarono abbastanza da non dover gridare.
Il pilota scese dal veicolo mentre altri membri della resistenza li raggiungevano, tutti nervosi e sul chi vive. Quello li guardò prima di togliersi occhiali e casco.
-Bella riconoscenza, Mukuro.-
-Gokudera.- disse lui, non meno sorpreso di tutti gli altri. -Che cosa... che diavolo pensi di fare?-
-Unirmi a te e al tuo gruppetto di amici.- ribattè lui, scaricando delle cassette dall'elicottero. -Fate attenzione con questa roba, non esplode ma non vi piacerebbe rovesciarvela addosso...-
-Ma che cosa... potrei avere una spiegazione?-
-Questo è acetilene, quello invece è cloruro di...-
-Non parlavo di questo!-
-... Mi sono stancato...- rispose Gokudera voltandosi verso di lui. -Rivoglio le piccole cose... e le grandi cose... le cose che avevamo prima... il casino, le risse a scuola e la gente pericolosa in giro di notte nei bar squallidi... uscire a fare due passi quando voglio, mangiare quello che mi pare, e tutto il resto...-
Mukuro non rispose, ma fece un cenno del capo e gli altri riposero le armi. Alcuni di loro rientrarono, la gran parte si mise al lavoro per scaricare l'elicottero e poi nasconderlo. Il cielo bianco cominciò a rovesciare su di loro grandi, soffici fiocchi di neve. Mukuro fece segno a Gokudera di seguirlo e si avviò dentro il capannone.
La vista era impressionante. Un angolo era occupato da un piccolo ufficio dove tre ragazzi stavano, dedusse Gokudera, controllando le comunicazioni o le frequenze del regime o di qualcuno di più specifico: ascoltavano nelle cuffie, digitavano, facevano cenni tra loro e tornavano a digitare o ascoltare concentrati. Sopra il soffitto del piccolo ufficio c'erano mucchie di scatoloni. Nell'angolo in fondo c'era quella che era innegabilmente una cucina, dove un anziano signore, un uomo di mezz'età e cinque ragazze dai dodici ai diciott'anni stavano cucinando nelle pentole più grosse che avesse mai visto.
-Sono sorelle o figlie di alcuni di noi, danno una mano come possono.- spiegò Mukuro, passando oltre una libreria zeppa di titoli inseriti nelle Black List e imboccando una scala che saliva al soppalco.
Dall'alto la vista era ancora più impressionante, c'erano decine di veicoli, computer, altri scatoloni, e decine e decine di persone che andavano avanti e indietro. Il piano di sopra era diverso. Non c'era nessuno tranne un gruppetto di quattro o cinque persone attorno a un generatore. Le pareti erano zeppe di mappe e planimetrie di edifici, linee ferroviarie, case private. Spilli colorati evidenziavano edifici di vario tipo nei vari settori della città, fili tesi fra loro indicavano, come scritto nelle legende, percorsi di sorveglianza, tragitti di capitani e tenenti da e per le loro case, scorciatoie di emergenza, rifugi disseminati nelle città. Un'enorme tavolata, unione di più tavoli insieme, era ingombra dello stesso tipo di carte, ma tutte incentrate sulla parata svoltasi quel giorno. Gokudera gettò un'occhiata curiosa alle carte e gli ci volle molto poco per vedere che Mukuro stava scappando in quella direzione perchè una delle sue fughe di emergenza consisteva in un condotto fognario ritenuto sigillato circa quattrocento metri dopo il ponte.
-Tsunayoshi sa che sei qui?- domandò all'improvviso Mukuro, tirando la tenda.
-Certo che lo sa... gliel'ho scritto.-
-Lui sa perchè sei qui?-
-Perchè tutte queste domande su Tsuna?!- sbottò Gokudera. -Che te ne frega?!-
Mukuro inclinò leggermente la testa, come se trovasse Gokudera un soggetto di studio particolarmente interessante. Non sorrideva, non aveva sorriso neanche una volta dal momento in cui l'aveva visto sul ponte.
-Lo so che state insieme. Perchè tu sei venuto e lui no?-
-Non era pronto.-
-Ma tu eri pronto a lasciarlo.-
-Senti, ti ho salvato la vita! Perchè ti stai mettendo a rivoltare la mia come un calzino?! Sono fatti miei, è una faccenda tra me e Tsuna questa!- sbottò Gokudera con più violenza di prima. -Con che diritto mi rimproveri?! Hai abbandonato una ragazza che aspetta un bambino!-
Il volto di Mukuro passò in pochi istanti dal bianco al rosso.
-Lei è più al sicuro dov'è adesso!-
-Vale la stessa cosa per Tsuna!-
Cadde un silenzio nervoso, intaccato solo dai rumori che provenivano da sotto. Gokudera incrociò le braccia e si mise a guardare una planimetria a caso, la più vicina che avesse. Mukuro nello stesso momento gli voltò le spalle e riaprì la tenda, sbirciando fuori. Nevicava più che mai e un gruppo dei suoi stava ancora cercando di decidere dove mettere l'elicottero, coperto da un grosso telone.
-Dove hai preso quello?- domandò Mukuro, con tono incerto.
-L'ho rubato alla milizia. È uno dei loro.-
-... Sei pazzo a usare uno dei loro mezzi? Possono rintracciarli ovunque!-
-Non sono uno stupido. Ho alterato i dati del GPS.- fece Gokudera mentre si accendeva una sigaretta. -Ora sono tutti mescolati, ci vorrà tempo perchè si accorgano che tracciano un aereo cargo al posto dell'elicottero... non ho avuto il tempo di togliergli il GPS, è stata una cosa improvvisata.-
Mukuro non poteva negare di essere sorpreso. Sapeva quanto fossero sofisticate le tecnologie del regime e stretto il loro controllo. Finora però era l'unico ad avere competenze per contrastarli, e aveva imparato presto che se lui non era in grado di bucare un sistema, non c'era nessun altro nelle sue schiere che potesse. Però rubare un elicottero della milizia e deviare i loro segnali GPS "improvvisando" era sicuramente un'operazione notevole...
-Shinichi.-
Uno dei ragazzi attorno al generatore alzò la testa. Aveva lunghi capelli castani e spettinati, un naso curiosamente piccolo e occhi color nocciola. Gokudera distolse lo sguardo. Aveva gli stessi occhi grandi e castani di Tsuna, e lui non riuscì a non chiedersi se a quell'ora aveva già trovato la lettera e se aveva pianto leggendola. Nervoso, si accese una sigaretta.
-Sì?- rispose Shinichi.
-Bisogna sistemare quell'elicottero. Dì ai ragazzi del garage che c'è da tirare via il GPS.-
-Subito, Mukuro! Andiamo!-
Shinichi portò con sé gli altri meccanici e scesero tutti di corsa al piano di sotto. Mukuro guardò Gokudera, che fumava lentamente scorrendo le mappe. Forse poteva essere lui la chiave, l'uomo che gli serviva per dare una svolta a quella guerra: un uomo intelligente, e soprattutto competente, che odiava il regime quanto lui... e che aveva qualcosa da difendere, come lui.
-Gokudera. Se vuoi essere dei nostri a me sta bene.- disse Mukuro senza giri di parole. -Da un po' di tempo sto pensando a un piano, ma finora non potevo fare niente. Abbiamo informazioni e i mezzi tecnologici, ma ci mancano armi e persone in grado di pensare. Penso... che quella persona potresti essere tu.-
Gokudera si voltò senza dire niente, ma i suoi occhi verdi stavano rispondendo alla chiamata all'azione.
-Te ne parlerò, ma prima devo assicurarmi che tu sia pulito... devi darmi tutti i dispositivi che hai, di qualsiasi tipo, anche le chiavi della macchina.-
-Non ho niente. Le chiavi sono a casa, sono uscito a piedi.- rispose lui con un sorrisetto. -Il computer è a casa, il cellulare l'ho gettato nel fiume quando lo stavo sorvolando. Vedi?-
Gokudera sollevò le mani e Mukuro notò solo in quel momento che non aveva più neanche un anello o un braccialetto. Non aveva neanche la cintura nei pantaloni.
-Niente fibbie, niente cinture... anelli o bottoni o orecchini. Niente che possa contenere segnalatori o microspie. Ho persino controllato gli stivali, fallo anche tu se non ti fidi.-
-Accendino?-
Lui si limitò a mostrargli un pacchetto di fiammiferi praticamente nuovo.
-C'è altro che vuoi vedere?-
-È un invito?-
Mukuro si avvicinò e senza tante cerimonie sollevò la felpa di Gokudera.
-E questo?-
Il ragazzo arrossì appena, accigliandosi.
-Come facevi a saperlo?-
-So parecchie cose di te che tu non vorresti che sapessi.- gli garantì Mukuro. -Togli anche quello, muoviti.-
-Non posso tenerlo?- fece lui toccandosi il ventre con la mano. -Lo ha scelto Tsuna per me...-
-Ti togli l'anello di fidanzamento e vuoi tenere il piercing all'ombelico? Mi sfugge qualcosa?-
-Ho capito, ho capito... lo tolgo...- sbuffò lui e lo tolse. -Ma sul serio, come lo sai? Credevo lo sapesse solo Tsuna...-
-Infatti è lui che me l'ha detto.-
Gokudera stavolta era davvero perplesso. Probabilmente si stava chiedendo perchè Tsuna avrebbe dovuto raccontare una cosa del genere a Mukuro e quando. Sapeva che il loro piccolo Erin Brockovich (soprannome che gli avevano affibbiato per il tipo di inchieste su cui avrebbe voluto lavorare, simili a quelle di uno dei suoi film preferiti) era molto riservato sulle sue compagnie. Gokudera lo guardò e per la prima volta da un bel po' di tempo Mukuro sentì la propria voce ridere spontaneamente.
-Il fatto che io abbia tagliato i ponti con Kyoya molti anni fa non significa che non vedessi più Tsunayoshi... ci siamo incontrati spesso... ho anche la sua e-mail, se è per questo... e credimi, lui è un gran chiacchierone... immagino che il divulgare informazioni sia ormai parte integrante del suo carattere.-
Gokudera sospirò e guardò fuori. La neve fioccava da un cielo bianco uniforme. Tsuna amava la neve, ma pensare a lui gli faceva male. Avrebbe voluto dirgli di persona che cosa voleva fare, salutarlo come era giusto, ma qualcosa gli aveva detto che doveva muoversi in fretta, prima della parata, e Tsuna era uscito così presto da casa... non gli restava che sperare che qualsiasi cosa stesse facendo, il suo cuore fosse ancora dalla sua parte.

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Capitolo 15
*** Trappola perfetta ***


Tsuna esitò, in piedi sulla porta di casa. Faceva freddo, ma niente gli avrebbe impedito di contemplare ancora una volta quel salottino buio e ormai abbandonato. Solo poco tempo prima si era trasferito lì e aveva fatto cadere il portaombrelli con la valigia, la stessa valigia rossa che il silenzioso autista coi baffi stava caricando sulla macchina pochi metri dietro le sue spalle. La stessa sera Gokudera era inciampato sulle scale per colpa di Uri e l'aveva sgridata per ore. Avevano guardato film in quel televisore e si erano addormentati su quel divano. 
Erano su quel divano quando era iniziata tutta quella storia... da quel televisore avevano visto Mukuro parlare alla nazione...
Stizzito, distolse lo sguardo e sbattè la porta, facendo sussultare Uri, acciambellata sotto il suo cappotto. Non ce la faceva a sopportarlo, era tutto troppo doloroso; i suoi migliori amici che si facevano la guerra, sua madre che improvvisamente lo lasciava, Gokudera che se ne andava a combattere una battaglia della quale, in sincerità, non gliene importava più niente, e dover andare da suo padre, un padre che odiava, pur di non rimanere solo con una casa piena di ricordi e il cuore pieno di dolore.
Senza una parola salì sul sedile posteriore dell'auto e posò Uri accanto a sè. Senza Gokudera anche lei sembrava sofferente, non aveva più la stessa vivacità di prima. L'autista mise in moto e partirono, risalendo lentamente le strade innevate della città, dove i mezzi si muovevano a singhiozzo.
Tsuna non sapeva che cosa aspettarsi da suo padre, e aveva paura di pensarci perchè, da quel che gli ritornava in mente, non aveva mai avuto altro che delusioni ogni volta che si era aspettato qualcosa da lui. Era solo un vanitoso egoista, un dispotico arrogante che voleva che le cose fossero fatte come voleva lui ma mai da lui in persona. A questo pensiero il ragazzo si incupì. 
"Dopotutto" pensò amaramente, "non è che io sia diverso. Volevo un paese libero ma non volevo che fosse il mio ragazzo a combattere per averlo."
-Rrrmeow...-
Uri gli si strisciò addosso in uno strano e improvviso desiderio di coccole. Non lo faceva quasi mai e nelle ultime ore l'aveva fatto già quattro volte. Tsuna tentò di sorridere mentre l'accarezzava, ma non ci riuscì. Evidentemente la gattina era l'unica a capire la misura della sua tristezza e cercava di fare quanto poteva per risollevarlo, e forse anche per colmare la solitudine per l'improvvisa scomparsa del suo padrone.
-Stiamo per arrivare, Tsunayoshi sama.-
Tsuna si stupì di essere chiamato in quel modo. Non succedeva più da un bel pezzo ormai, e poi Mukuro era l'unico che ancora usasse il suo nome intero e non un diminutivo. Mentre l'auto entrava in un cortile recintato da un alto muro Tsuna guardò la neve che scendeva ora in piccoli fiocchi. Si chiese che cosa stesse facendo Mukuro in quel momento, dove fosse e come stesse dopo la parata. Era sfuggito per un pelo alla cattura, a bordo di un elicottero... più o meno mentre Gokudera lo lasciava e se ne andava, supponeva. E se fosse davvero stato catturato Gokudera che cosa avrebbe fatto? Sarebbe ritornato subito a casa? Ma aveva senso pensare a che cosa sarebbe potuto succedere?
-Siamo arrivati.-
L'autista scaricò il suo bagaglio mentre lui scendeva tenendo in braccio Uri. Un ragazzo lentigginoso all'incirca della sua età era lì ad accoglierlo con aria festante, come se fosse appena arrivata una celebrità. Tsuna riflettè e pensò che effettivamente era come se lo fosse.
-Buongiorno, è un piacere incontrarla, Tsunayoshi sama!- disse lui, prendendo in consegna il suo bagaglio, e gli porse la mano. -Vuole lasciare a me il suo gatto?-
-Eh.... no...- fece lui, un attimo confuso. -Dov'è mio padre?-
-L'aspetta di sopra nel suo ufficio. Dice che sarebbe deliziato se lo raggiungeste e vi recaste a casa insieme più tardi.-
Tsuna dubitava seriamente che suo padre potesse mai avere un termine come "deliziato" nel suo vocabolario corrente, ma annuì comunque e seguì il ragazzo dentro l'edificio fino all'ascensore. Incrociarono sei o sette soldati e tutti gli rivolsero un saluto ossequioso. Ora si ricordava perchè detestava avere a che fare con qualsiasi persona che conoscesse suo padre: lo trattavano come fosse un principino senza avere la minima idea del fatto che lui li odiava dal primo all'ultimo.
Finalmente, dopo altri inchini, riuscì ad entrare nell'ufficio del padre. Era esattamente com'era la prima volta che l'aveva visto, ma suo padre non era lì. Il ragazzo con le lentiggini si offrì di cercarlo nella "sala ricreativa" (che secondo l'esperienza di Tsuna in redazione era un modo elegante per chiamare una caffetteria o un posto dove ci si potesse prendere qualcosa da bere) e uscì. Tsuna depositò Uri sulla poltroncina e si guardò attorno. Dalla sua ultima visita nella libreria si era aggiunto qualche raccoglitore e annuario. Appese c'erano molte foto di suo padre con alti politici, a parate e altri eventi importanti. Sulla scrivania c'era un giornale, ma non era recente e 
Tsuna lo riconobbe: era quello dove aveva pubblicato lo speciale sulla dichiarazione di guerra di Mukuro. C'era una sola fotografia sul piano, con il vetro incrinato. Era la cornice della foto di famiglia, dove lui era un bambino paffuto con dei cortissimi calzoncini, seduto accanto alla madre che sorrideva con un grande cappello di paglia che le faceva ombra, e suo padre che li abbracciava. Era la stessa che aveva scaraventato per terra quel giorno d'aprile, quando avevano litigato di nuovo per l'ultima volta... finora. Tsuna sospirò e si lasciò sprofondare in una comoda poltrona color cognac. Aveva la netta impressione di aver preso la decisione sbagliata.


-Muoviti, muoviti!-
Hibari pestò nervosamente sul bottone dell'ascensore per l'ennesima volta. Erano già le cinque, ci stava mettendo troppo, il capitano l'aveva fatto convocare con urgenza ben dieci minuti prima. Mentre l'ascensore saliva piano, troppo piano, Hibari fissò teso le luci che gli segnalavano i piani superati e in mancanza di movimento fisico non potè impedirsi di pensare. Che cosa poteva mai volere da lui il capitano? Tra l'altro non era il suo diretto superiore, per cui era rimasto di sasso quando lo aveva fatto convocare con urgenza. Anche Tanaka si era preoccupato; era con lui e un ragazzo della manutenzione di nome Tachibana a prendere un tè durante la pausa quando era arrivato di corsa e col fiatone un giovanotto lentigginoso fresco di accademia a recapitargli il messaggio. Gli aveva detto che il capitano lo cercava con urgenza e lo pregava di andare immediatamente da lui, che era una faccenda molto importante. Confuso quanto Tanaka e Tachibana, aveva abbandonato il tè senza quasi toccarlo ed era scappato di corsa verso l'ufficio al settimo piano del palazzo di giustizia. Ma quanto era lento quell'ascensore, avrebbe fatto prima prendendo le scale...
Finalmente la porta si spalancò sul corridoio. Hibari non era mai stato agli ultimi due piani, negli uffici dei capitani e del generale. Erano molto più belli dei piani sottostanti: legno scuro tirato a lucido, statue lisce e brillanti, stendardi dell'Haido a intervalli regolari, porte dai pomelli dorati con delle targhette lucide con i nomi degli ufficiali. Scorse rapidamente cercando l'ufficio e alla fine trovò la targhetta. Con una frettolosa richiesta di permesso la spalancò. Si era costruito molte ipotesi, ma non quella.
L'ufficio era minimale: c'era solo una scrivania, una poltrona girevole di lusso e una vasta libreria, al centro un tavolino e due poltroncine da salotto. Il capitano sedeva su una di quelle e appena lo vide si alzò e gli sorrise, invitandolo con un gesto.
-Tempismo perfetto, Hibari kun.- disse lui. -Appena in tempo per prendere il tè con me. Prego, siediti. Mettiti comodo.-
-... Scusi?- chiese lui confuso. -Che cosa?-
-Volevo parlare con te, ma possiamo farlo rilassandoci con una tazza di tè... l'ho comprato giusto ieri, è un pregiato tè verde ai fiori di ciliegio... mi hanno detto che è il tuo preferito.-
Hibari borbottò un ringraziamento e si tolse il cappello prendendo posto alla poltrona. Non aveva idea di chi potesse avergli parlato dei suoi gusti, ma era anche vero che non era un segreto di stato, tutti i suoi amici e una buona parte dei colleghi e dei commercianti di sale da tè e negozi dove comprava lo sapevano. Tuttavia gli pareva strano che il capitano l'avesse invitato e si premurasse anche di fargli trovare il suo tè preferito. Una sensazione di disagio molto simile a quella che aveva provato la sera che aveva malinteso le intenzioni di Yamamoto si impossessò di lui. Restò a guardare il capitano Kikyo che trafficava con le tazze, cercando di cogliere qualche segno, ma lui sembrava normale, come se fosse a suo agio con un amico: l'ultimo bottone della giacca aperto sul collo, i capelli legati solo a metà, la postura rilassata con cui si chinava sul basso tavolino...
-Ecco.- disse lui porgendogli una tazza. -Prego.-
-Grazie... grazie.-
Hibari la prese con circospezione e stava pensando a come evitare di bere senza sembrare sospettoso quando vide il capitano assaggiare il tè dopo un breve cenno di omaggio. Lo aveva visto versare il tè dalla stessa teiera, sembrava tutto sicuro, e il tè dava un aroma delizioso... rilassandosi un po' si decise a bere. Era buono quanto quello che prendeva alla sala da tè Jasmine Dragon, la più rinomata della zona.
-È di tuo gradimento?-
-Ah, sì... è davvero buono... ha fatto un ottimo acquisto, capitano.-
-Molto bene, niente mi dà più fastidio dei soldi sprecati.-
Il capitano Kikyo si alzò dalla poltrona dopo essersi versato dell'altro tè e fece un lento, ampio giro della stanza. Il suo tono di voce cambiò diventando più basso e, per quando a Hibari suonasse un aggettivo strano, mortifero era la parola che meglio lo descriveva.
-No, a dire il vero c'è qualcosa che mi dà più fastidio di questo... mi danno fastidio i finocchi in uniforme militare.-
Hibari si fermò con la tazza vicino alla bocca e sentì lo sguardo del capitano sulla nuca. Finalmente o purtroppo, la verità su quell'incontro non casuale stava venendo a galla. Ma lui sapeva? Eppure non aveva mai baciato nessuno prima di quella notte, nè gli era sembrato di aver dato nell'occhio con Saeki... che fosse stato bersaglio di una denuncia fatta da qualche collega invidioso, magari del tutto casuale?
-E per quanto mi piacessi prima, Hibari, ora non posso guardarti senza che mi venga una forte nausea.- disse Kikyo artigliandogli la spalla con le dita. 
Hibari non aveva il coraggio di alzare gli occhi per paura di quello che avrebbero potuto dire al suo posto.
-Perchè un uomo della tua forza e del tuo talento deve avere una tale pietosa inclinazione?- proseguì lui, senza togliergli gli occhi di dosso nè la mano. -Una tale penosa debolezza... dà una brutta impressione di noi all'estero, la presenza di gente come te nella milizia. E oggi all'estero stanno prendendo il nostro modello come esempio.-
Che cosa stava dicendo? Da quando la filosofia dell'Haido aveva elementi omofobici? Non era mai emerso niente del genere prima d'allora. Nella sua testa risuonò la voce di Mukuro, che veniva da quella che sembrava una vita fa: "Quanto passerà prima che vi dicano chi potete amare?". Possibile che lo sapesse, che l'avesse previsto?
-Il decreto contro l'omosessualità nella milizia diventerà effettivo domattina, Hibari.- annunciò Kikyo posandogli entrambe le mani sulle spalle. -Questo significa che domattina tu sarai buttato fuori... tu e Tanaka Saeki...-
Hibari spalancò gli occhi e si coprì la bocca con la mano. Come facevano a saperlo? Perchè all'improvviso tutto questo? Addirittura un decreto, apparso senza che se ne sentisse parlare... e dopo questo che cosa ne sarebbe stato di lui e di Tanaka? Dopo essere sopravvissuto all'accademia, a Lal Mirch, aver fatto una dura e umiliante gavetta, proprio ora che era tenente... avrebbe perso tutto? Avrebbe perso il suo posto nella milizia... dopo che per intraprendere quella strada aveva minato i rapporti con i suoi amici... con Mukuro?
-Tuttavia...-
Il tono del capitano si addolcì, ma il suo ghigno era acido, terribile.
-C'è una cosa che odio anche più di questo... ed è Rokudo Mukuro... lui e la sua stupida sommossa... ovviamente non è pericoloso, perchè l'Haido alla fine lo troverà e lo ucciderà... però... come dicevo prima, altri occhi sono su di noi... e ci osservano.-
A Hibari sembrava di tremare come una foglia per il freddo, ma il tè nella sua tazza oscillava appena. Aveva appena capito tutto. Il motivo per cui era sorvegliato, e doveva essere osservato meglio di quando credesse se avevano saputo di Tanaka; l'apparizione di questo decreto... era soltanto un meccanismo perverso per scoprire il suo punto debole e usarlo per avere quello che più volevano... Mukuro...
-Te lo dirò una sola volta... tu e Tanaka domani sarete costretti a lasciare la milizia... seguirà un'ispezione nelle vostre abitazioni... una qualsiasi traccia di abuso della vostra posizione sarà punita con la carcerazione... o addirittura con un'esecuzione... se scoprissimo che sapete qualcosa che non ci avete detto...-
Era chiaro anche se detto una sola volta. Il giorno seguente li avrebbero cacciati e non c'era nessun dubbio che l'ispezione avrebbe fatto emergere tante di quelle prove da farli fucilare entrambi, lui e Saeki. A meno che il capitano non avesse avuto Mukuro per le mani entro l'alba... e per caso, o forse no, Hibari sapeva dove trovarlo. Dopo tutto quel tempo, solo in quel momento capì il motivo di quei graffiti, il colore rosa dei ciliegi e il motivo per cui era stato sempre a fissarli come se dovesse comprenderli. Dagli occhi grigi di Hibari scesero delle lacrime, con una facilità disarmante. Mukuro aveva usato il colore dei ciliegi per dirgli dove andare, se mai avesse avuto bisogno di lui, se ci avesse ripensato e avesse voluto raggiungerlo... perchè l'aveva detto, si sarebbe fatto trovare solo da chi avesse avuto il cuore per cercarlo...
-Ora...- sussurrò Kikyo al suo orecchio, stringendogli le spalle con forza. -Dov'è... Rokudo Mukuro?-

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Capitolo 16
*** Il padre ***


Tsuna spalancò gli occhi all'improvviso. Era ancora seduto sulla poltrona e aveva Uri acciambellata sulle gambe in un sonno così profondo da non farle scossare un orecchio. Si era addormentato anche lui nello studio di suo padre mentre lo aspettava...
-Buongiorno, Tsuna.-
Il ragazzo guardò verso la scrivania. Suo padre era lì seduto e lo guardava con aria divertita. Tsuna però non riuscì nemmeno ad irritarsi tanto era sorpreso. Quand'è che suo padre era invecchiato tanto? Gli sembrava più vecchio che mai, tanto tempo era che non vedeva il suo viso. Anche il castano biondo dei suoi capelli sembrava più sbiadito, tendente al grigio.
-Papà.... io.... quando... quando sei arrivato?-
-Venti minuti fa.-
-Perchè non mi hai svegliato?-
-Ho solo pensato che per addormentarti in pochi minuti su una vecchia e scomoda poltrona dovessi essere molto stanco.- disse lui, in tono più serio. -Ho pensato che quello che è successo alla mamma... magari non ti aveva permesso di dormire.-
Il cuore di Tsuna tornò a pesare come fatto di piombo. Era forse il primo minuto da quando l'aveva saputo che non aveva pensato alla sua povera mamma... ed effettivamente, era anche il primo sonno in cui riusciva a scivolare e si rese conto di quanto fosse stanco, oltre che pieno di solitudine.
-Avrei voluto venire io a dirtelo... ma quando mi hanno informato ho saputo che l'avevano detto anche a te.-
Il ragazzo annuì, senza sapere che cosa dire. Dubitava che poter urlare contro suo padre e tempestarlo di pugni gli avrebbe fatto prendere meglio la notizia. Dubitava che qualsiasi cosa al mondo l'avrebbe potuta rendere più sopportabile.
-Non sapevo che avessi un gatto.- osservò suo padre, con il chiaro intento di cambiare argomento. Non sapeva che ne aveva tirato fuori uno altrettanto sgradevole.
-Non è mio.- rispose Tsuna, il tono della voce vacuo e distaccato. -È la gatta del mio ex.-
Gli sembrò strano riferirsi a Gokudera in quel modo, ma dopotutto si era comportato in un modo così sleale, lasciando una lettera banale invece di parlargli a quattr'occhi, e non aveva risposto alla sua e-mail... non avrebbe avuto nessun contatto fino alla fine, fino a quando non fosse tornato... e forse, forse, quando fosse tornato avrebbero potuto aggiustare le cose... se ci fosse stato ancora qualcosa da aggiustare, naturalmente.
-Il tuo ex?-
Tsuna era così immerso nei suoi pensieri da dimenticare che l'ultima volta che aveva parlato di cose personali con suo padre aveva dieci anni e aveva una cotta per una sua compagna di scuola. Lui non sapeva che era insieme a Gokudera da anni e che si erano fidanzati. E in un certo senso anche lasciati.
-Sì. Gokudera kun.- disse lui, senza staccare gli occhi da Uri. -La casa dove mi hai fatto venire a prendere era la sua, ma lui se n'è andato ieri. Probabilmente mentre la mamma se ne andava per sempre.-
Iemitsu Sawada si alzò dalla scrivania e raggiunse il figlio. Lo fece soprattutto per avere il tempo di metabolizzare la notizia. Alla fine, gli posò amorevolmente le mani sulle spalle.
-Sembra che tu abbia avuto davvero una giornata terribile ieri. Mi dispiace di non essere stato lì quando avevi bisogno di me.-
Tsuna avrebbe voluto urlargli che non servivano le scuse. A che cosa serviva scusarsi se poi si ripeteva lo stesso errore, ancora, ancora e ancora? Che senso aveva chiedere perdono se poi continuava a non esserci mai quando serviva, o peggiorare le cose quando occasionalmente tentava di fare qualcosa? Ma la voce non gli usciva, le uniche cose che uscivano erano le lacrime, di nuovo. E dire che credeva di non averne più, e invece continuava a piangere, grosse gocce che gli scivolavano sul viso e cadevano sulla testa del gatto, svegliandolo e indispettendolo...
-Va tutto bene... non trattenerlo, Tsuna.- disse suo padre, stringendolo in un abbraccio. -Lascia uscire tutto... la rabbia, e il dolore, tutto quello che fa male... dopo riuscirai a lasciartelo alle spalle.-
Non avrebbe voluto accettare la vicinanza di un uomo che l'aveva sempre tradito quando credeva in lui e abbandonato quando gli serviva aiuto, ma dopotutto... era l'unica cosa che gli era rimasta. L'unico pezzo della sua famiglia che non era perso. Prima era sempre stato distante, ma ormai erano tutti così lontani che suo padre era la cosa più vicina che era rimasta. Alla fine, per la prima volta in quasi ventitrè anni della sua vita, lui c'era quando ne aveva bisogno.

Parecchi minuti più tardi Tsuna se ne stava appallottato sulla stessa poltrona, gli occhi ancora rossi e la gatta sul bracciolo accanto a lui che giocherellava con un bottone del suo cardigan. Cominciava ad avere freddo, e fu molto sollevato quando suo padre gli passò una tazza di camomilla bollente.
-È da quando eri bambino che non ti vedevo piangere.-
-È praticamente da quando ero bambino che non mi vedi, ci credo.-
-E dopo tutto questo tempo ancora bevi camomilla dopo aver pianto.- sogghignò lui.
-... Non rompere, a me piace la camomilla!-
Ne bevve un sorso mentre suo padre scoppiava a ridere. Aveva sempre bevuto la camomilla da quando era piccolo. La mamma gliela faceva quando non riusciva a dormire e quando piangeva, per calmarlo. Era un rito anche adesso che era adulto. E lo avrebbe continuato per sempre... ormai quel calore, quel sapore erano ricordi della sua infanzia con la mamma.
-Lo sai che quando eri piccolo non ti piaceva?-
-... Davvero?- fece lui stupito. -Ma io ricordo che mi è sempre piaciuta.-
-No, quando eri molto piccolo non ti piaceva, la mamma ti pregava di berla dicendo che era una medicina che serviva a farti stare bene... ma eri troppo piccolo, non puoi ricordarlo.-
Tsuna non sapeva che cosa dire e guardò la camomilla nella tazza. La sua infanzia non gli era mai sembrata tanto distante come in quel momento. Da bambino era spensierato, non pensava che poteva perdere i suoi genitori, non poteva capire quali difficoltà avrebbe avuto crescendo e non sarebbe mai stato in grado di immaginare che cosa potesse significare vivere in una dittatura... guidata da suo padre.
Bussarono alla porta nello stesso momento in cui Uri decise di ficcare la zampetta nella tazza di Tsuna per poi ritrarla scottata a dovere.
-Avanti...- disse suo padre, trattenendo una risata.
-Con permesso, generale Sawada.-
Tsuna mancò di dare una sberla al gatto che saltò sulla poltrona accanto. Sbuffò e alzò gli occhi sull'uomo che era appena entrato. L'aveva già incontrato una volta a cena da suo padre quando era solo un simpatizzante, e un'altra volta per lavoro quando era già capitano. Era il capitano Kikyo, tra i più fidati sottoposti del generale Sawada. Gli sembrava strano però vederlo con i lunghi capelli quasi sciolti e la camicia sbottonata comodamente come se si stesse ancora vestendo prima di andare a lavorare. L'aveva sempre visto impeccabile, ma doveva comunque portare buone notizie, giudicando dal suo sorriso.
-È andata come speravamo, signore.- disse, porgendo un foglio a Iemitsu. -Aspettiamo il suo ordine.-
Lui scorse velocemente il foglio e glielo restituì. Qualsiasi cosa fosse doveva essere breve e ufficiosa, per non meritare timbri nè firme.
-Molto bene. Organizza tutto e procedete... fallo fare a lui, ma tu seguilo.-
-Sì, signore.-
Il capitano accennò un inchino anche a Tsuna prima di lasciare la stanza e la cosa lo sorprese molto. Sapeva già che era il figlio del capo dell'Haido, ma quando l'aveva incontrato precedentemente non gli aveva mai rivolto alcun segno di saluto o di una qualche considerazione.
-Che cosa succede?-
-Operazioni di routine.- si limitò a dire Iemitsu. -Tsuna, come va il lavoro ultimamente?-
-Eh? Ah... insomma... è andata bene quando Mukuro ha fatto quel videomessaggio... dato che lo conoscevo di persona è stato un buon articolo, e poi... poi niente di che... mi hanno rimesso dove stavo prima, ai festival culturali e articoletti del genere... l'ultimo che ho scritto era sui diplomati all'accademia militare.-
Con tutto quello che gli era successo nell'ultima giornata si era quasi dimenticato che il suo lavoro era diventato frustrante e noioso. Passava gran parte del tempo a fare fotografie, fotocopie e caffè per tutto il resto della redazione.
-Forse su questo posso darti una mano io.-
-Papà, te l'ho già detto. Non voglio che interferisci con il mio lavoro, è la mia vita e...-
-No, no, non voglio mettere buone parole per te o farti promuovere usando la mia considerevole influenza...-
-... Quando hai finito di vantarti, con comodo.-
-Voglio dire che ho un'imbeccata da darti.- disse lui. -Se ti dovessi trovare stanotte in un certo posto potresti vedere qualcosa di estremamente interessante, ed essere l'unico a sapere che è successo qualcosa... e l'unico a essere in grado di scriverlo.-
Tsuna si fece attento. Se per due cose brutte non poteva fare niente se non accettarle, almeno la terza cosa storta della sua vita poteva provare a raddrizzarla...
-... Quale posto?-

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Capitolo 17
*** Notte da prima pagina ***


Hibari sedeva nel retro di uno dei furgoni militari scuri senza contrassegni, simili a quelli di una nota ditta di spedizioni nazionale. Accanto a lui da entrambi i lati erano seduti i soldati selezionati della task force, uomini che erano militari e poliziotti delle forze speciali prima ancora che l'Haido nascesse. Adulti, freddi, distaccati, sembravano plasmati nel ferro, dietro a maschere scure che coprivano i loro volti e a loro agio con delle armi di grosso calibro. Kyoya non aveva mai sopportato le armi da fuoco, tanto che nonostante fosse diventato tenente non portava ancora una pistola. Quella che gli avevano dato era chiusa nel cassetto più basso della sua scrivania.
Di fronte a lui c'era un uomo che, per motivi misteriosi, veniva chiamato "il maestro". Se ne sentiva molto parlare e si vociferava fosse un campione nel corpo a corpo e in altri momenti Hibari sarebbe stato elettrizzato di vederlo all'opera... ma in quel momento, no. Lo stomaco di Hibari era stretto in una morsa gelida e stava sempre peggio col passare delle ore. Ormai erano in moto da un po', stavano per arrivare al punto che Mukuro gli aveva così spensieratamente, così ingenuamente rivelato. Ma loro non erano soddisfatti di avergli finalmente estorto il luogo dove trovare Mukuro, no, dovevano anche portarlo con loro... e affidargli il comando dell'operazione... così era sotto gli occhi di tutti, non poteva avvisarlo, non poteva aiutarlo... e se solo qualcosa fosse andato storto e Mukuro fosse riuscito a sfuggire alla cattura, lui sapeva già che cosa avrebbero fatto a lui e a Saeki. Avrebbe solo voluto poterlo dire a Tanaka, potergli dire che si sentiva un traditore (che era un traditore), ma l'aveva detto per proteggerlo... e soprattutto avrebbe voluto poter dire a Mukuro perchè aveva dovuto dirgli dove era nascosto... il perchè lo tradiva proprio adesso...
Il furgone si fermò e Hibari divenne ancora più pallido di quanto non fosse prima. Erano in posizione, annunciò uno dei suoi compagni mentre apriva il portellone. Lottando contro i conati di vomito (anche se non aveva nulla nello stomaco fin dal mattino) si infilò il cappello e si alzò seguendo gli altri giù dalla vettura. Non gli restava altro da fare se non recitare la sua parte meglio che poteva, e sperare...
-Sono circondati?- domandò a Kikyo, sceso da un'altra vettura.
-Mi è stato confermato.- disse lui in tono amabile. -I terroristi non hanno scampo, tenente Hibari.-
Hibari ci aveva pensato tutto il giorno, giorno che aveva passato da solo rinchiuso in una stanza senza poter parlare a nessuno. L'unico modo che aveva per dire a Mukuro perchè aveva dovuto tradirlo era entrare con pochi uomini e attendere una minima occasione per dirglielo. Con il cuore che sanguinava, perchè una volta arrestato non vedeva che cosa poteva fare per evitargli la fucilazione...
-Entrerò per primo con pochi uomini.-
-Cosa intendi fare?-
-Convincerlo a consegnarsi.-
-A questo punto non cambierà la sua sorte, Hibari.- gli fece notare Kikyo divertito. -La tomba è l'unica destinazione che può raggiungere da ora in avanti.-
-Rokudo Mukuro è sempre stato un uomo libero, capitano.- ribattè Hibari in tono velenoso. -Ha sempre scelto che cosa voleva e anche stavolta gli darò questa possibilità.-
Anche se, mentre Hibari si avvicinava alla misera facciata di quella che una volta era una bella villetta a schiera e spalancava la porta, non credeva che Mukuro avrebbe fatto la sua scelta fra consegnarsi o essere preso, quanto piuttosto se desiderava morire ucciso dal regime o per sua stessa mano.
La stanza rivelò quello che Hibari aveva paura di trovare. Il tavolo nel mezzo della stanza era ingombro di carte, c'erano tre persone in vista. Uno sconosciuto uomo di mezza età con la pelle scura e la barba si era immobilizzato mentre saliva le scale diretto al piano di sopra. Al centro del soggiorno invece si trovava Mukuro, colto nel momento in cui stava spogliandosi, indossava pantaloni bianchi e una canottiera, le braccia ancora infilate dentro un maglione grigio. La sua espressione vagò confusa e spaventata dalla ragazza seduta al tavolo fin sul gruppo di soldati che irrompevano, fino alla faccia di Hibari. Che non si era mai sentito così infelice e mortificato in vita sua.
-K-Kyoya...-
-Rokudo Mukuro... in vincolo al giuramento al codice secondo...-
-Kyoya, perchè?- domandò lui con la voce spezzata mentre uno dei militari lo ammanettava.
-... ti dichiaro in arresto, accusato formalmente di terrorismo, appropriazione indebita, furto...-
-KYOYA, PERCHÈ?!-
Hibari interruppe l'elenco, ben consapevole che Mukuro non lo stava ascoltando, ma prima che potesse chiedergli scusa, prima che potesse dirgli quale minaccia incombeva sulla sua testa e su quella di Saeki, uno dei miliziani lo colpì al volto con il calcio del fucile per frenare la sua agitazione. Il colpo fu violento e lo fece cadere a terra dove sbattè la testa perdendo i sensi quasi all'istante.
Hibari non riuscì nemmeno a capire che quella che provava dentro era una sensazione di devastazione come mai ne aveva provate. Si lasciò scivolare in ginocchio vicino a lui, sordo e cieco a qualsiasi cosa gli stesse intorno, e gli toccò il viso. Lo chiamò una volta, due, tre, tentando di svegliarlo invano. Il suo respiro però era regolare. Stava bene, ma non poteva più sentire che cosa aveva da dirgli. Stava bene... ma non per molto ancora.
-NON TOCCATELO!- gridò contro i due soldati che stavano per sollevarlo. -Non... toccatelo...-
-Tenente?-
-... L'avete dimenticato...? Questa operazione sarà trasmessa... saremo davanti a tutti...-
Stava parlando in una sorta di trance. Così com'era sprofondato nel caos, ora stava riemergendo con una strana calma, una freddezza lucida che gli dettava cosa dire, gli suggeriva cosa fare. Allungò la mano guantata e pulì il sangue dal viso di Mukuro. Sembrava così tranquillo... e Kyoya si accorse che era la prima volta che vedeva Mukuro addormentato...
-Siamo d'esempio a tutto il mondo... l'esempio è il miglior modo di insegnare, non è così?-
I soldati davanti a lui si guardarono con un'aria che tradiva la loro perplessità, un quarto che aveva in custodia la giovane ragazza annuì con un cenno rigido. Hibari alzò piano la testa di Mukuro e lo prese tra le braccia sollevandolo. Si sorprese di quanto fosse leggero, nonostante fosse più alto di lui.
-L'Haido ha rispetto per gli uomini, tutti.- disse Hibari, senza distogliere lo sguardo da Mukuro. -Sarà questo il nostro messaggio.-
I soldati guardarono il loro capo in comando, un uomo con gelidi occhi azzurri, che annuì. Erano tutti evidentemente ancora interdetti e confusi ma lo lasciarono fare. Kyoya stava per voltarsi e portarlo fuori quando dal piano di sopra vennero voci concitate e scesero alcuni uomini della task force con l'uomo con la barba, un'altra giovane donna con gli occhiali e una persona che conosceva bene. Spalancò gli occhi e se possibile lo stomaco si annodò di più. Che cosa ci faceva Gokudera nel rifugio di Mukuro...?


Tsuna era scomodamente appollaiato su un muretto, poco distante dalla villetta diroccata. Non aveva idea di cosa o chi ci fosse dentro, suo padre non aveva detto niente in proposito. Aveva solo detto che ci sarebbe stato qualcosa da vedere, da scrivere per lui. Aveva avuto il permesso di infrangere il coprifuoco, e di fare una ripresa. Non era molto pratico con la videocamera, ma aveva fatto del suo meglio per studiarsi i comandi e gli obiettivi durante la giornata per riuscire a fare una ripresa distinta anche di notte, anche se non ci fosse stata una fonte di luce adeguata. Si era sentito finalmente entusiasta di qualcosa e se non altro il lavoro lo aiutava a non pensare alle sue disgrazie personali.
Cominciò a riprendere non appena vide arrivare più furgoni, tutti scuri, uguali, simili a quello dell'azienda di spedizioni. Non aveva idea di cosa fossero, ma dubitava che due furgoni fossero in consegna presso una casa diroccata a quell'ora di notte. Poi le squadre speciali scesero in fretta e si schierarono, armate fino ai denti, e capì che qualsiasi cosa fosse programmata quella notte stava per accadere. Telecamera alla mano, filmò mentre si avvicinava il più possibile alla casa, schermandosi da eventuali pericoli dietro il cofano di un furgone. 
Non riusciva a riprendere dentro, ma sentiva delle voci e gli sembrarono molto familiari. Non si staccò dalla videocamera e continuò a riprendere in attesa che qualcuno uscisse, mentre alcuni curiosi attratti dai rumori e dallo spiegamento di forze si sporgevano dalle finestre. Alcuni cominciarono a scendere e affacciarsi dalle porte delle case. Tsuna notò che i militari tenevano d'occhio la casa senza badare ai civili, sicché alcuni si fecero temerari e si avvicinarono quanto lui. Suo padre aveva detto che non avrebbe visto nessuno, a che gioco stava giocando?
Ma la sua irritazione durò poco, perchè qualcuno stava uscendo. Quando vide quella scena però non potè credere ai suoi occhi. Quello che stava scendendo i gradini uscendo in strada era Hibari, e sollevato e inerme fra le sue braccia c'era Mukuro. A quella vista credette che fosse morto e qualcosa parve sprofondare nelle sue viscere. Poi un secondo soldato si avvicinò e gli mise delle manette anche alle caviglie. "Non si mettono manette ai morti", pensò Tsuna con il cuore che batteva all'impazzata, "quindi è ancora vivo..."
La folla iniziò a gridare. Era uno strano miscuglio e Tsuna faticava a capire; alcuni sembravano urlare contro Mukuro, altri contro la polizia militare, il tutto in mezzo a grida generiche di ovazione.
Con la telecamera seguì la figura di Mukuro, che venne messa dentro uno dei furgoni da Hibari con una delicatezza inimmaginabile da chiunque lo avesse conosciuto. Hibari disse qualcosa e salì da solo sul furgone con il prigioniero, dopodichè vennero chiusi dentro da un altro soldato. Tsuna non poteva credere che Hibari avesse tradito Mukuro. Non riuscì a chiedersi le ragioni prima che vedesse anche altri prigionieri uscire in catene dalla villetta. A chiudere la fila dietro a due ragazze c'era un altro volto familiare. Tsuna vide il volto di Gokudera  e ci mancò poco che la telecamera gli scivolasse di mano.
Gokudera non si era accorto della sua presenza, si stava agitando tanto da dover essere sollevato da tre agenti. Uno di loro lo minacciò di "metterlo a nanna" e per bella risposta lui gli sputò in faccia. Pagò una gomitata in pieno stomaco per la sua audacia, che incassò con un gemito strozzato. Mentre caricavano le ragazze Hayato alzò gli occhi sulla folla e lo vide. Persino da una così lunga distanza, più di cinque metri, poteva vedere i suoi occhi verdi fissarlo e, gli sembrava, un impercettibile movimento di labbra.
-Co... cosa?- domandò Tsuna confuso, girando attorno all'auto. -Cos'hai detto?-
Un agente gli passò il braccio attorno alla vita e gli impedì di andare più vicino ai prigionieri, non importa quanto tentasse di liberarsi: il militare era invalicabile.
-Hayato!! Non riesco a sentirti! Non ti sento!- gridò Tsuna cercando di sovrastare il brusio della folla e le voci dei miliziani intorno. -HAYATO!-
Gokudera lo guardò e gli sorrise, ripetendo quelle parole un'altra volta prima che la porta del furgone si chiudesse. Tsuna seguì con gli occhi il blindato che partiva incodandosi ad altri. Hayato era stato arrestato. Era stato arrestato insieme al criminale nemico numero uno dello stato. Data la pena che spettava ai criminali di stampo terroristico, poteva essere l'ultima volta che lo vedeva, e forse quelle erano le ultime parole che gli rivolgeva.
"Ricordati che ti amo".

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Capitolo 18
*** Diritto alla difesa ***


Il giorno dopo la cattura venne organizzato il processo. Più di una persona era stupita che si facesse un processo al terrorista che aveva dichiarato guerra aperta al regime causando così tanti disordini, e ancora più persone erano sorprese che non fosse stato ucciso nella cattura. Hibari però sapeva che se non era stato ucciso subito ci doveva essere un motivo e temeva, tanto da non riuscire a dormire un solo minuto, che quel motivo fosse una pubblica esecuzione. Anche il fatto che le telecamere non fossero ammesse in sede di processo era un segnale nefasto di ciò che attendeva Mukuro e i suoi complici catturati. Ancora non aveva potuto parlare con Tanaka e nemmeno Mukuro aveva ripreso conoscenza nel trasporto fino alla prigione. Nessuno di loro sapeva perchè l'aveva fatto. Hibari tremava quando vennero a chiamarlo per l'inizio del processo, talmente tanto che dovette rifiutare di bere anche se aveva sete, le mani non gli avrebbero permesso di afferrare il bicchiere. Rabbioso ma soprattutto spaventato si afferrò il polso con forza intimandosi la calma.
"Smettila... smettila di tremare, basta!"
Così concentrato sbattè la spalla contro qualcosa che era sopraggiunto dal corridoio accanto. Stava per domandare scusa quando si rese conto che era qualcuno che conosceva e che, presumibilmente, non avrebbe dovuto trovarsi lì.
-Sawada, che... che fai tu qui?-
-Sono qui per il processo.- ribattè lui serio, senza fermarsi.
-Ma... ehi! I giornalisti non possono assistere!- fece lui seguendolo. Quasi doveva correre. -La stampa non è ammessa, è un processo a porte chiuse!-
-Meglio, non sono qui come giornalista.-
-A porte chiuse vuol dire che nemmeno...-
Giunsero davanti alle porte dell'aula del tribunale speciale e una delle guardie rese del tutto superflui gli avvertimenti di Hibari, bloccando l'ingresso.
-I civili non possono assistere.-
-Fammi passare!- gli intimò Tsuna, aggressivo come mai Kyoya l'aveva visto.
-Ho detto che i civili non possono entrare.-
-E io ho detto di farmi passare, idiota!-
Hibari fece un passo avanti per cercare di intercedere, ma non ce ne fu alcun bisogno. La guardia allungò il muscoloso braccio di slancio con l'intento di afferrare Tsuna e probabilmente immobilizzarlo per portarlo via. Onorevole dedizione al suo lavoro, quanto inutile. Tsuna si spostò e afferrò il braccio della guardia, prima che quella o chiunque altro si accorgesse di che cosa stesse succedendo il ragazzo l'aveva atterrata con una perfetta mossa di judo. Hibari, che non aveva mai visto Tsuna fare un gesto più violento dello scacciare una mosca con un foglio di carta, era scioccato.
-Sawada, hai appena aggredito una...-
-Io sono il figlio del capo, faccio quel cazzo che mi pare!- sbottò lui. -Se a qualcuno non sta bene, riferitelo a lui!-
La seconda guardia non si sognò nemmeno di impedire che Tsuna aprisse la porta e fece finta di essere un complemento d'arredo, tanto che non lo guardò nemmeno. Hibari, non sapendo se dire o fare qualcosa per la guardia stesa a terra, seguì l'esempio del collega e fece finta di non aver visto niente. Seguì Tsuna dentro l'aula.
Era quasi tutto pronto. C'erano guardie dappertutto, armate quasi quanto la task force. Era evidente che si temeva un tentativo di liberare i prigionieri da parte dei ribelli non catturati, che dovevano essere molti di più. Ma solo un pazzo avrebbe potuto pensare di fare una cosa del genere, con le aule nel sotterraneo del palazzo di giustizia e la caserma della milizia dall'altro lato della strada... anche se Hibari avrebbe potuto crederlo possibile se solo Mukuro fosse stato ancora libero... ma non lo era. Con addosso gli stessi vestiti con cui era stato arrestato, stava in piedi, le mani bloccate davanti e le manette alle caviglie, sopra gli stivali. Gli sembrava strano che non glieli avessero tolti, quantomeno per controllarli, ma forse glieli avevano restituiti per il processo. La catena era lunga fra le caviglie, ma passava dentro a un anello piantato nel pavimento. Alle spalle di Mukuro, nella gabbia, c'erano gli altri quattro prigionieri, tra cui Gokudera. Era più incatenato di Mukuro.
Tsuna raggiunse il banco della difesa dove un avvocato d'ufficio scorreva distrattamente delle carte. Hibari si affrettò a raggiungerlo.
-Tu, fuori dai piedi.-
-Prego?-
-Ho detto fuori dai piedi, vattene!-
-La corte entra in aula.- annunciò una guardia.
-Mi scusi, ma io sono l'avvocato difensore...-
-Sei licenziato, ora levati.-
-Ma lei non può...-
-Che cosa succede?-
Il giudice si sistemò i piccoli occhiali e prese posto fissandoli torvo. Tsuna però sembrava essere completamente dimentico del sentimento della paura e lo fissò di rimando con aria di sfida.
-Vostro onore, questo ragazzo mi sta intimando di andarmene.- protestò l'avvocato. -Io sono il legale difensore degli imputati!-
-Ma per favore!- sbottò Tsuna. -Sei un manichino dell'Haido, te ne stai qui seduto ad assistere e a dire 'no Vostro onore, fate pure quel cazzo che volete con gli imputati'! Tu hai fatto un giuramento al regime, come si può credere che tu sia qui per difenderli?! Adesso non farmi perdere tempo, sloggia!-
-Vostro onore!- esclamò lui indignato.
-Gli imputati non possono restare senza un difensore.-
-IO sono il difensore!- fece Tsuna scagliando via la cartella di documenti dell'avvocato. -Io difendo gli imputati!-
-Siete un avvocato?-
-No.-
Il giudice era sorpreso, ma sembrava anche divertito.
-Siete dunque un militare.-
-Nemmeno.-
-Nella difesa deve esserci qualcuno in grado di interpretare il codice, voi non mi pare che lo siate.-
-Lo ha scritto mio padre, certo che so interpretarlo!-
-Con rispetto parlando, mio padre è un fornaio, eppure io non distinguo una pagnotta dall'altra.- osservò con buonsenso il giudice. -Se desiderate fare l'interesse degli imputati la vostra passione dev'essere supportata dalla conoscenza, come in qualsiasi lavoro fatto ad arte.-
-Può farlo lui, è il mio assistente!- ribattè Tsuna di getto afferrando il braccio di Hibari e tirandoselo vicino dietro il banco della difesa. -Lui è un tenente della milizia, lo conosce il codice.-
Hibari avrebbe voluto negare, o almeno tirarsi fuori da quella specie di comico suicidio sociale, perchè difendere in tribunale il nemico numero uno del regime e al contempo essere uno di loro non aveva alcun senso. Se fosse stata una scelta di cuore forse l'avrebbe accettata, ma così all'improvviso Tsuna lo stava trascinando in un processo per cui nessuno aveva preparato niente.
-Tenente Hibari.- disse il giudice, che probabilmente lo riconosceva data la fama che aveva indegnamente ricevuto per essere stato aggredito dal terrorista nel settore sette. -Sostiene la difesa degli imputati in qualità di conoscitore del codice?-
Hibari stava per rispondere che non ne era in grado quando il suo sguardo cadde per la prima volta sul volto di Mukuro da quando era entrato. Non lo guardava, non guardava nessuno. Stava solo lì in piedi, con gli occhi chiusi e un sorriso triste che voleva fingersi di sfida. Lui non credeva che qualcuno a questo punto avrebbe voluto o potuto proteggerlo...
-Sì.-
Un mormorio passò tra le guardie e il giudice lo mise a tacere, dettando i preliminari del processo e nomi e cognomi dei vari funzionari che prendevano parte, imputati compresi. Quando Hibari guardò Mukuro, lo trovò a ricambiargli lo sguardo. Non sorrideva più, ma paradossalmente la sua espressione era più positiva: era lo sguardo di qualcuno che credeva che ci fosse ancora una speranza. Hibari fu grato che Mukuro non sapesse che il codice riguardante la difesa legale se lo ricordava a malapena. Subito dopo, una manata sulla sua schiena, pesante come un masso.
-Ecco, questo è coraggio!-
-S-Sawada... ma sul serio, da quando sei così forte...?-
-Non dirlo ad Hayato, si sente in soggezione se capisce che sono più forte di lui.-
-No, ma...- balbettò Hibari, abbassando di più la voce. -Ma dove l'hai imparato? Credevo servisse un permesso autorizzato per imparare le arti marziali...-
-Me l'ha insegnato Mukuro, l'aveva detto che prima o poi mi sarebbe servito.- disse Tsuna. -Aveva ragione, no?-

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Capitolo 19
*** Vincitore relativo ***


Hibari alzò gli occhi su Mukuro, anche se lui non lo stava guardando. Quando era solo un ragazzino si vantava di essere vissuto in tutti i sei mondi, le sei vie della reincarnazione, ed essere ritornato in questo mondo, quello umano, con un potere che gli altri non avevano. Ovviamente Hibari non ci aveva mai creduto, così come nessun altro del loro gruppo. Erano tutti convinti che lo facesse per attirare l'attenzione, per conferirsi da solo un alone di mistero che doveva reputare affascinante; tutti tranne Tsuna, che era convinto che parlasse delle vie dell'Inferno e delle Bestie solo per mettergli paura.
Eppure lui lo sapeva... sin dall'alba dell'Haido, quando era solo una voce sussurrata nel sottofondo della vita quotidiana, lui sembrava sapere già quali orrori si annidassero nel futuro. Sembrava sapere che quel verbo avrebbe preso forza e avrebbe soverchiato tutto e tutti. L'aveva sempre vista come un nemico pericoloso, e aveva provato a impedire che prendesse la persona a cui teneva di più, senza riuscirci. Quella persona ora era lì, nello stesso tribunale, dalla sua parte, ma con addosso la loro uniforme. Improvvisamente, Hibari la sentì stretta e pesante come un'armatura. Per la prima volta da quando l'aveva indossata, desiderò strapparsela di dosso. Poi il momento passò, ma gli restò il dubbio: se si fosse trovato da solo, in un posto dove avrebbe potuto farlo... se la sarebbe tolta? E dopo, l'avrebbe mai rimessa?
Il filo dei suoi pensieri si spezzò quando gli occhi blu di Mukuro si fissarono nei suoi. Il modo in cui lo guardava sembrava fermo, non aveva paura. A Hibari diede la sensazione che sapesse che cosa stava pensando. Dopotutto, lui sapeva tutto... sapeva da subito che l'Haido sarebbe salito al potere, sapeva che li avrebbe divisi per sempre, sapeva addirittura che avrebbero proibito l'omosessualità... quante altre cose sapeva sul futuro? Sapeva che sarebbe stato preso, sapeva come sarebbe finito quel processo? E poi che altro sapeva? Non riusciva a ricordare le parole del suo discorso, con il brusio del processo nelle orecchie. Strinse gli occhi cercando di ricordare. Quanto... prima che i loro vizi.... che cosa aveva detto sui loro vizi?
-... Rokudo Mukuro,- enunciò la corte riportando Hibari al momento presente. -Avete capito i reati di cui siete accusato nel modo in cui ve li ho illustrati?-
-Sì.- rispose lui.
-Come vi dichiarate in proposito?-
-Innocente, signore.-
-Siete pregato di riferirvi alla corte con un appellativo appropriato, signor Rokudo.-
-Mi sto riferendo a voi con il rispetto che meritate come uomo.- ribattè lui in tono duro. -Ma finchè in questo tribunale prevarrà la legge marziale dell'Haido, sarà affissa quella bandiera e quello stemma rappresentativo di putridi ideali malsani scintillerà sulla vostra toga, non conferirò onore a chicchessia.-
Hibari avrebbe voluto nascondersi sotto il tavolo e restare lì fino alla fine del processo, aspettare che l'aula fosse vuota e solo dopo uscirne, ma per il bene di Mukuro, dei suoi alleati prigionieri e di Sawada che si era fidato di lui doveva dimostrare più sicurezza di quella che sentiva. Avrebbe solo voluto avere la fermezza di Mukuro in quel momento. Il giudice però sembrava ritenere Mukuro un soggetto molto interessante, infatti si limitò a sorridere accomodante sistemandosi gli occhiali.
-Molto bene. Prendo atto delle vostre ragioni.- disse accennando alla dattilografa. -Come avete detto di dichiararvi in relazione alle accuse?-
-Innocente.- ripetè Mukuro.
-Innocente?- gli fece eco il giudice. -Intendete negare di essere apparso in televisione su un canale privato per dichiarare guerra all'attuale schieramento politico di maggioranza?-
-Permettetemi di puntualizzare... quello non è un canale privato.- disse Mukuro, con un confortante ritorno al suo sorriso malizioso. -Il canale dodici appartiene alla nazione, è un canale pubblico... è l'espansione ingiustificata del partito che ne ha fatto di suo uso esclusivo, ma secondo la documentazione vigente quando sono comparso in televisione il canale è pubblico, quindi a libero impiego dei cittadini. Ho saltato la fila burocratica, questo sì, ma ciò rientra nella persecuzione civile, non penale.-
Hibari aveva capito che quello era il giorno delle sorprese. Tra Tsuna che si dimostrava un esperto judoka e Mukuro che snocciolava documenti e codici come fosse un avvocato, nutriva la segreta speranza di risvegliarsi a casa di Saeki e scoprire che era stato il whisky a fargli sognare cose assurde.
-Ma è vero?- gli domandò a bruciapelo sottovoce Tsuna. -È davvero un canale pubblico?-
-Io... n-non lo so, io... non mi intendo di queste cose...-
-Ma li sai i codici o no?!-
-Questa è legislazione civile, io non so niente di legislazione civile!!-
Forse complice il curioso siparietto della sua difesa, il giudice sembrò reputare sospetta la preparazione di un uomo che a giudicare dalla fedina era solo un vagabondo, un taccheggiatore e un teppista.
-Signor Rokudo, penso che voi abbiate ragione e che questo reato debba essere rivisto da una corte civile... ma mi chiedo come sia arrivato a questo grado di preparazione.-
-Quando ho lasciato l'università per una divergenza di intenti mi mancavano soltanto due esami, signore.- rispose Mukuro, che per qualche motivo posava gli occhi su qualsiasi cosa non potesse restituirgli lo sguardo. -Due esami per diventare avvocato.-
Hibari ne aveva veramente troppo delle sorprese. A quanto ne sapeva lui aveva finito il liceo di Kokuyo, dalla reputazione pessima, con dei voti disastrosi e presentandosi a scuola con la media di due giorni a settimana. Non aveva alcuna notizia di una sua iscrizione a qualsiasi corso, tantomeno all'università. Mukuro all'università? Era assurdo anche solo pensarci, quasi gli veniva da ridere. Poi Tsuna al suo fianco fece "Oh!" e lui si rabbuiò.
-Che vuol dire "oh"? Tu lo sapevi?-
-Oh beh.... sì... m-me l'ero dimenticato, mi dispiace!- balbettò lui davanti alla faccia inferocita di Hibari. -Con il fatto che non l'ha mai finita, io credevo che...-
-Sei inutile!-
Hibari fissò di nuovo Mukuro. Non guardava nessuno, era come se si vergognasse, ma Hibari invece più ci pensava e più si sentiva euforico. Non era ovvio? Un uomo intelligente come lui e con un dono come il suo nel parlare e convincere, in quale veste poteva essere più a suo agio che quella di un avvocato? In qualche maniera, pensare a Mukuro come avvocato di se stesso era come pensare a una coppia vincente. E gli venne in mente quel modo di dire: l'avvocato del diavolo...
-Come mai non c'è traccia di voi nelle università?-
-Mi sono iscritto all'università con il mio vero nome. Il mio nome di battesimo.- spiegò Mukuro, dato che la perplessità regnava su più di un viso. -Rokudo Mukuro è un nome che io ho scelto. Ma durante il primo anno di studi l'ho assunto in modo legale. Per questo non mi trovate nelle iscrizioni, e non ho mai preso la laurea.-
-Capisco... una combinazione singolare di eventi... beh, buon per voi, signor Rokudo. Ora quegli studi vi possono tornare utili.-
Tsuna scrutava torvo la gente intorno e prima che Hibari gli potesse chiedere che cosa avesse, lui glielo sussurrò.
-Qual è il vero nome di Mukuro?-
-Perchè non lo dici tu a me, visto che siete amiconi?!- sbottò sottovoce Hibari. -Prima scopro che ti ha insegnato a combattere, poi che tu sapevi che era andato all'università! C'è altro che dovrei sapere?!-
-Sei geloso?-
-Sono incazzato a bestia!-
Il martelletto del giudice pose fine alla questione, lasciando gli animi irrequieti al banco (praticamente inutile) della difesa. Hibari scoccò un'occhiata di sottecchi a Tsuna, che fissava il giudice con aria nervosa. Quante cose sapeva di Mukuro che lui non aveva neanche mai sospettato? Forse, se come aveva sempre supposto il bambino di Chrome era di Mukuro, Tsuna lo sapeva...
-Sorvolando sulla forma, che verrà eventualmente discussa in differente sede,- proseguì il giudice. -Che cosa avete da dire sul contenuto? Voi avete minacciato lo stato...-
-Mio caro signore, io non ho minacciato nessuno.- disse lui sorridendo in modo amabile. -Riascoltate quello che ho detto, leggetelo... io non ho minacciato di uccidere nessuno, nè di far saltare in aria palazzi, o di minare in qualsiasi maniera violenta il governo. Ho detto testualmente che non potevano farmi paura, che avrei dato la vita per far rifiorire questo paese... l'unica vita che ho minacciato è la mia.-
Un mormorio passò fra le persone presenti, e ovunque intorno a lui Hibari sentiva sussurrare stralci del discorso di Mukuro. Una guardia dietro di lui sembrava saperlo a memoria, o forse lo stava leggendo da qualche parte. Ecco la parte che non si ricordava: "Quanto prima che coloro che detengono il potere in questa piramide di oppressione si sentano degli Dei, facciano leggi e decreti per stringere il cappio al vostro collo e si crogiolino loro stessi nei vizi che hanno debellato dalle vostre città?"... ma nonostante il vago brivido provocato dall'ipotizzare la concretizzazione di questo pensiero, Hibari si rilassò. Era vero, l'intero discorso non aveva alcuna minaccia di tipo terroristico...
-Oh... bene... sì, in effetti, tuttavia...- balbettò il giudice, sistemando le carte.
-Sì, ho accusato il regime di essere oppressivo... ma anche le calunnie rientrano ancora in una causa civile...-
Possibile che Mukuro avesse agito sempre pensando all'eventualità di essere processato? Sembrava che fosse così. A ogni nuova accusa che gli veniva contestata si svelava un piccolo trucco, un altarino. Non era stato lui ad agire, oppure non aveva organizzato, ma era accaduto per caso che altre persone lì presenti si unissero a lui. Per quanti reati avesse sulla testa, scivolavano via in una catasta di reati civili minori. Hibari non osava sperare nella sua scarcerazione, ma ora che ci pensava su, non era stato Mukuro a picchiarlo per farlo finire in ospedale... e nemmeno aveva ammanettato o colpito uno dei soldati alla parata... possibile che potesse spuntarla?
Sembrava dovesse andare così quando il giudice e i consiglieri, che altro non erano che giurati nominati dal regime, si ritirarono per deliberare. Tsuna non si diede la pena di girare intorno al banco e lo scavalcò direttamente, avvicinandosi alla gabbia. Non era riuscito a rivolgere la parola a Gokudera dal suo arrivo in aula.
-Ehi...- disse lui guardandolo dalle sbarre con un sorriso triste. -Ti rivedo molto prima del previsto...-
-Sei un maledetto deficiente!- sbottò Tsuna. -Sei un idiota, un bastardo, un pezzo di...-
-A-aspetta, Tsuna, io non...-
-TU NON COSA, IMBECILLE?!-
L'allegro siparietto fece emergere piccoli sorrisi anche sulle facce degli altri prigionieri, che purtroppo non avevano il conforto di una presenza amica in aula. Hibari invece si avvicinò alla sedia dove Mukuro si era seduto e attendeva, facendo tintinnare piano la catena che lo imprigionava lì dov'era.
-Mukuro...-
-Kyoya.- fece lui a mo' di saluto.
Avrebbe voluto fargli una valanga di domande. Chiedergli se aveva sempre saputo cosa ne sarebbe stato dell'Haido, se sapeva quando aveva fatto quell'annuncio che sarebbe stato preso, se quando aveva parlato alla nazione sapeva già quali sarebbero state le loro mosse, e ancora, quale era il suo vero nome, perchè l'avesse usato dopo tanto tempo, se il bambino di Chrome fosse davvero il suo, perchè non gli aveva detto niente dell'università, e perchè l'aveva lasciata con il traguardo in vista...
-Come stai?- chiese invece.
-Ah, benone.- rispose lui con feroce sarcasmo. -Non vedi? Mi godo la vita, anzi, mi porti un drink già che sei qui? Alla frutta andrà bene.-
-Sto dicendo sul serio...-
-E ti aspetti una risposta seria dal re dei buffoni?-
Non stava scherzando, non era il suo tono leggero che aveva sempre trovato irritante. No, era secco, tanto che non sembrava nemmeno la sua voce. E il suo sguardo era così freddo che gli occhi sembravano essere più scuri, come mare profondo e gelido. Avrebbe voluto chiedergli scusa, aprì la bocca ma non riuscì a dire niente.
-Tu mi hai tradito!- sbottò Mukuro prima che potesse parlare. -Io sono sempre stato dalla tua parte! Io ho fatto tutto questo per te! Ti ho dato retta, ho seguito la tua strada, ho fatto l'università perchè tu potessi smettere di vergognarti di me, e per tutto questo tempo io ho continuato a proteggerti, e a combattere per liberarti! E tu mi hai tradito!-
-Ho dovuto farlo! Mi dispiace, io non volevo, ma ho dovuto!-
-Hai dovuto farlo per la tua ideologia corrotta e la tua smania di controllare tutto!-
-Ho dovuto farlo per Saeki!-
Hibari aveva parlato anche troppo forte per i suoi gusti, e non avrebbe voluto parlare affatto di questo. Non avrebbe dovuto parlare a Mukuro di Saeki, non era giusto che proprio in quel momento venisse a sapere che c'era un altro uomo... non in quel modo... ma la voce non si fermava, anche se tremava.
-Io... io sarei anche potuto morire per te... ma non potevo... chiedere lo stesso a Saeki...-
-Sa... Saeki?- domandò Mukuro, con una voce incredibilmente dolce. Tutta la sua furia era svanita. -Tanaka Saeki?-
-L-loro lo sapevano... lo sapevano!- disse Hibari, preso da una irrefrenabile ansia di spiegarsi. -Hai ragione tu, avevi ragione, loro hanno cominciato a dirci chi possiamo amare e chi no, hanno vietato le relazioni omosessuali nella milizia, e loro lo sapevano! Mi hanno detto che se non gli avessi detto dove ti trovavi avrebbero ucciso me e anche Saeki, io... io ho dovuto!-
-Kyoya... sei innamorato?-
Hibari non rispose, preso in contropiede. Annebbiato com'era dalla paura, dall'ansia e dalla confusione non riuscì a capire se intendesse dire innamorato di Saeki o di lui, ma evidentemente non necessitava di una risposta. L'espressione sorpresa di Mukuro divenne inesplicabilmente serena e un vero sorriso comparve sulle sue labbra.
-Allora è tutto diverso.- disse alzandosi in piedi. -Se è così, posso accettare qualsiasi verdetto, oggi.-
-M-ma... che... ma che vuol dire?-
-Ti sei innamorato di nuovo... non capisci? Hai messo me prima della tua ideologia, e Saeki ancora più in alto... sei di nuovo capace di provare amore... la mia battaglia può anche finire qui.-
-Ma... ma l'Haido regna ancora su questo paese, la tua guerra non è finita...-
-La primavera è tornata nel tuo cuore.- l'interruppe Mukuro sorridendo. -Sei tornato libero... è una vittoria sufficiente per questa vita.-

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Capitolo 20
*** Castigo esemplare ***


Nonostante sorridesse, Mukuro non s'illudeva di riuscire a lasciare quell'aula da uomo libero. I suoi erano tutti espedienti e lo sapeva. Avrebbero potuto forse reggere in un processo minore, ma non c'era possibilità che tenessero il più grande terrorista della storia della nazione, così lo definivano, fuori dal carcere. Gli lasciava una tale amarezza pensare di lasciare quel mondo con la fama di un assassino, di un terrorista, di un criminale... ma non aveva motivo di rimpiangere le scelte fatte: era inutile, e non ne aveva bisogno. Kyoya si era innamorato di nuovo, dopo che la sua devozione al partito l'aveva reso freddo e arido. Il suo cuore era di nuovo in fiore, doveva esserne felice... o forse era proprio per questo che si sentiva così male? Si era innamorato di nuovo, sì, ma non di lui... tanti rischi, tanta pena perchè ne beneficiasse un altro, e lui morisse così...
Mukuro si guardò le mani incatenate. Sbagliava a pensarla così. Non si era mai trattato di qualcosa di personale, fin dal principio. Era una battaglia per il benessere di altri. Fin dal momento in cui il suo viso e il suo nome erano comparsi sul canale dodici lui sapeva di non poter tornare indietro. Era una strada che molto difficilmente avrebbe portato alla vittoria, e molto facilmente alla distruzione. Aveva accettato il rischio di risvegliare i sentimenti perduti di Kyoya e non poterne beneficiare. Aveva accettato di sacrificare se stesso perchè altri potessero essere di nuovo liberi, di nuovo felici. Lo sapeva... ma questo non gli toglieva comunque l'amarezza di sapere che ci fosse qualcun altro a prendersi quello che aveva sempre creduto sarebbe stato suo... non cancellava la sua paura di morire ed essere dimenticato fin troppo presto...
Quando la porta si aprì e la corte rientrò, un brivido corse lungo la sua schiena. Si sentiva male, aveva la nausea, aveva freddo e soprattutto aveva paura, ma se non fosse stato forte per primo, nessun altro lo sarebbe stato. La sua unica speranza era che Tsuna potesse raccontare i suoi ultimi momenti e testimoniare il suo coraggio. Si stampò sulla faccia il sorriso e alzò la testa. Non avrebbe permesso a nessuno di togliergli la dignità.
-Tutti in piedi.-
Non si voltò verso il banco della difesa, nè guardò qualcuno che non fosse il giudice. Lui invece sembrava vagamente contrariato e tenne gli occhi soltanto sul foglio che aveva davanti.
-Rokudo Mukuro, questa corte vi dichiara colpevole di tutti i capi d'accusa, con l'aggravante di tentato condizionamento della corte stessa.- recitò come se ogni parola fosse fonte d'indignazione. -La condanna per i vostri reiterati crimini è la pena capitale, le cui modalità saranno discusse da questo tribunale in separata sede.-
Se lo aspettava già, ma questo non tolse a Mukuro il senso di nausea, nè le vertigini. Pensò che forse stava per svenire, ma si costrinse a restare in piedi. A pochi metri da lui un paio di voci familiari protestarono.
-Voi non potete, è assurdo!- strillò Tsuna.
-Vostro onore!- protestò Hibari.
-Non una parola, o sarete accusati di oltraggio.- minacciò con aria pacata il giudice. -Per quanto riguarda gli altri imputati, sono condannati per favoreggiamento con l'attenuante della circonvenzione relativa di cui l'imputato Rokudo Mukuro si è reso colpevole.-
-Che accidenti significa?- domandò la ragazzina.
-Che per loro siamo colpevoli di esserci fatti convincere da lui.- le spiegò Gokudera, che teneva gli occhi fissi su uno dei membri del consiglio aggiunto. -Questa è la scusa che hanno scelto per scaricare su di lui tutta la colpa. Noi siamo poveri innocenti irretiti dal diavolo... e lui è il diavolo. È così che hanno aggirato la difesa di Mukuro.-
-Portate fuori il prigioniero e fate sgomberare l'aula.-
Per una frazione di secondo o poco più, Mukuro pensò se avrebbe potuto cercare di scappare. Se solo fosse riuscito a scappare questa volta, Kyoya non avrebbe saputo ritrovarlo di nuovo... ma abbandonò presto quell'idea e restò inerme quando le guardie si avvicinarono a lui per liberarlo dal gancio che lo bloccava a terra. Erano sottoterra, nel cuore del territorio nemico, e fuori sicuramente pullulava di soldati. Se doveva morire preferiva farlo in modo meno vigliacco che essere abbattuto a colpi di proiettile mentre tentava la fuga.
Sussultò esattamente come le guardie che lo tenevano per le braccia quando sentì un tonfo metallico e solo dopo qualche istante si rese conto che proveniva dalla gabbia. Si voltò a guardarla e vide che era stato Gokudera a sbattere contro le sbarre, opponendo resistenza alla guardia che stava cercando di portarlo via.
-Non è finita, Mukuro!- gridò nella sua direzione. -Non pensare di cavartela così!-
Mukuro lo fissò stupito, poi sorrise. Finalmente aveva capito che cosa gli provocasse tutta quell'amarezza all'idea di morire. Aveva guidato un intero movimento sotterraneo creandolo dal nulla, facendo il grosso del lavoro tutto da solo, perchè non aveva mai avuto dalla sua parte qualcuno che fosse tanto brillante da aiutarlo. L'intera speranza della primavera era solo su di lui, ed essere catturato e condannato a morte era la fine di tutto... e invece, non lo era. Era la fine di un ciclo, sì, il suo... con il tempo sarebbe tornato in quel mondo, ma nel frattempo, il suo lavoro poteva essere lasciato a qualcun altro.
-Ho fiducia in te.-
Gokudera smise di agitarsi all'improvviso. Era evidente che lui, come gli altri prigionieri nella gabbia, non si aspettava di essere il prossimo leader della rivoluzione. Ma nessuno poteva essere più motivato e più capace di ereditare questa missione, e Mukuro ne ebbe la conferma subito dopo.
-Io non farò quello che vuoi!- sbottò nella sua direzione. -Guarda che cosa mi è successo per obbedirti! Muori e lasciaci in pace!-
Mukuro fece una risata bassa, mentre veniva strattonato via verso la porta. Chi avrebbe potuto biasimare la sua scelta? Gokudera Hayato era così devoto alla causa da non esitare a raccogliere lo scettro del potere e così intelligente da farlo in modo da tornare libero prima possibile. Al punto da andare contro la sua stessa natura e mentire. Mentre abbandonava il tribunale il suo spirito era incredibilmente leggero, tanto che il cupo scalpiccìo dei loro passi che riecheggiavano nel corridoio tetro non gli tolse il sorriso. Ora la morte non gli sembrava altro che un'amica da seguire verso nuove avventure.


Hibari non aveva mai incontrato prima di allora il ministro delle punizioni. Il ministero delle punizioni era stato a lungo studiato dal regime. La sua storia aveva origine in Cina e con un decreto a sorpresa, varato un bel mattino senza che i cittadini ne sapessero nulla, l'aveva creato anche in Giappone. Molti cittadini ancora non ne conoscevano l'esistenza, poichè non dava certo nell'occhio: interveniva quando dei prigionieri tentavano la fuga dalle carceri o quando si violava il codice della dignità umana, così si chiamava il regolamento riguardante i reati contro l'umanità. L'omicidio, il tentato omicidio, lo stupro e altri reati di eguale entità erano citati nel codice della dignità umana e la pena per chi si fosse reso colpevole di questi era decisa dal ministero delle punizioni, a colloquio con un giudice penale, l'avvocato difensore e un giurato sulla base della gravità delle circostanze in cui era stato commesso. Fra le varie aggravanti vi erano l'inganno, il ricatto, la consanguineità e molte altre cose. Di attenuanti, che Hibari ricordasse, non ce n'erano: se ci fosse stata una valida ragione per un omicidio, come la legittima difesa, non sarebbero stati condannati. Se ci si trovava di fronte al ministro delle punizioni si poteva solo sperare di non avere aggravanti, perchè in qualche raro caso, se si sopravviveva alla punizione, si poteva essere graziati e passare il resto della vita in carcere. Gli uomini che avevano quasi ucciso Tsuna due anni prima si erano trovati davanti il ministro, e non avevano avuto la grazia.
Hibari era rimasto nell'aula insieme al giudice in qualità di avvocato difensore, per negoziare la punizione. Non l'aveva mai fatto e non aveva nemmeno idea di quale potere potesse avere nella scelta. Si sentiva orribilmente svuotato, ma non s'illudeva più di risvegliarsi: era un incubo reale.
Alzò gli occhi dal pavimento soltanto quando si aprì la porta e sopraggiunse un uomo scortato da due guardie avvolte in mantelli scuri e il volto nascosto. Non credeva a quello che vedeva. Si era molto fantasticato sull'esistenza di quella che chiamavano Polizia Segreta, Carcerieri Speciali o anche Dei della Morte, ma Hibari aveva sempre pensato che fossero speculazioni sugli agenti del ministero delle punizioni. Ma quelle alte figure avvolte in mantelli neri, con i visi avvolti in bende, i passi che risuonavano di metallo tintinnante erano qualcosa che apparteneva più a quelle oscure leggende che alla realtà.
-Buonasera, Ministro.-
Lo stesso Ministro era inquietante. Era molto alto ma anche molto magro, come denutrito, la pelle aveva un colore malaticcio, pallido e grigiastro, tesa sugli zigomi che sembravano più sporgenti del normale a causa della sua magrezza. Il volto era rasato perfettamente, ma una cascata di lunghi capelli ricci e scuri ricadeva sulle spalle e aumentava la sensazione di trovarsi di fronte un essere non umano. Gli occhi, scavati e pesti, percorrevano i volti dei presenti. La sua bocca sottile e cerea non recava alcuna traccia di un sorriso e le rughe sulla pelle cadaverica facevano dubitare che una tale forma d'espressione si fosse mai manifestata.
-Sono qui per discutere la punizione di Rokudo Mukuro.-
Detto ciò, l'uomo si tolse il pesante mantello nero dandolo a uno degli uomini che l'avevano accompagnato e sedette al tavolo per primo. La sua voce non era più incoraggiante del suo aspetto, era bassa, roca, dura. Tutti presero posto intorno al tavolo. Seguì il silenzio mentre il ministro sfogliava le carte. Hibari si chiese se dovesse dire qualcosa per primo oppure no, e se doveva, si chiese che cosa. Era davvero inutile come difensore...
-La mutilazione è una pratica che si adotta per punire le violenze carnali.- esordì il ministro. -Ma qui non c'è nulla in proposito, dunque sono da scartare.-
Hibari fece un sospiro di sollievo tale che si sorprese che nessuno l'avesse sentito. Evitare che a Mukuro venissero staccati gli arti osso per osso prima di ucciderlo era stato il suo principale obiettivo, aveva visto l'anno prima un uomo ucciso in quel modo. Il tempo di arrivare in un bagno e aveva vomitato anche l'anima. Non voleva assolutamente che Mukuro facesse una fine del genere, ma c'era comunque poco da stare allegri.
-Alto tradimento è un reato punibile con la fucilazione.- osservò il consigliere.
-L'alto tradimento è riservato ai membri della milizia.- ribattè secco il ministro. -Rokudo Mukuro non ha prestato giuramento. Tuttavia la sedizione, la violazione di proprietà privata e l'abuso di potere sono reati puniti tramite fustigazione, e ritrovo tutti questi reati nel fascicolo.-
-Abuso di potere?!- protestò Hibari. -Di che diavolo parlate?!-
-Manipolare il modo di pensare delle persone per uno scopo criminale è istigazione, l'istigazione è una forma di coercizione, la coercizione è abusare del potere che si ha sulle persone.- spiegò il cadaverico individuo, puntando due occhi neri su Hibari. -Quest'uomo è colpevole di reiterare questo crimine da molto tempo su molte persone... molteplici violazioni del coprifuoco, delle proprietà private, infinite note per reati minori, taccheggio... e addirittura sedizione, per il quale reato la pena va dalla carcerazione per venticinque anni fino alla pena capitale.-
L'uomo picchiettò un dito ossuto su una riga nel fascicolo, ma Hibari lo vedeva a rovescio e non riuscì a leggerla.
-C'è una denuncia per molestie.-
-Una... cosa?-
Hibari strappò malamente il fascicolo al ministro, che lo guardò disorientato e basito, come se nessuno nella sua lunga vita si fosse mai azzardato a togliergli qualcosa da sotto gli occhi senza permesso, ma il giovane tenente non se ne rese conto. L'uomo aveva ragione: nella lunga lista di reati minori per cui era stato denunciato da giovane, prima dell'avvento dell'Haido, figurava una denuncia per molestie sporta da una ragazza. Dalla sigla utilizzata nel rapporto si evinceva che doveva essere stata ritirata, ma era rimasta nel suo personalissimo curriculum. Quante altre cose di Mukuro doveva scoprire in questo modo?
-Anche questo influirà.- sentenziò il ministro. -Molto bene. Dispongo che il prigioniero venga pubblicamente denudato e fustigato fino a che non sia più in grado di sentire dolore.-
-Co... no, ma perchè tanta crudeltà?-
-Mi baso sui fatti.- ribattè l'uomo, null'affatto turbato dall'orrore della sentenza emessa. -La maggioranza dei suoi crimini hanno una punizione in forma di fustigazione. La sua vita dedita all'infrazione delle leggi gli costerà un lungo periodo di punizione per essere in grado di comprendere la gravità delle sue azioni. La punizione sarà scontata pubblicamente in risarcimento a coloro che hanno sofferto delle sue malefatte. La nudità è prevista dal codice delle punizioni per reati sessuali.-
-Mi oppongo.- ribattè Hibari. -Rokudo Mukuro non è un criminale come gli altri, e sappiamo tutti che il motivo per cui verrà condannato è il terrorismo, anche se non sono emerse prove tali da incriminarlo con questo capo d'accusa... è un esempio, una vittima sacrificale per mostrare a tutti che cosa succede a chi si mette in testa di sfidare il potere dell'Haido.-
Il ministro non disse nulla e restò a fissarlo. Aveva addosso tutti gli occhi, tranne quelli del giudice, che teneva gli occhi chiusi e le braccia conserte come se non volesse avere nulla a che fare con tutto quello che gli accadeva intorno.
-Rokudo Mukuro è un simbolo.- proseguì Hibari. -È il simbolo di quelli che credono che ci sia un futuro migliore senza di noi. Ha fatto dell'uniforme bianca il suo simbolo, tutti i suoi sostenitori hanno sempre indossato abiti bianchi quando sono stati visti con lui. Ritengo che spogliarlo del suo colore lo spoglierebbe di un simbolo che lo identifica meglio del suo volto.-
-La denuncia è stata ritirata. Se tutti lo ritenete un simbolo da mostrare pubblicamente, disporrò che indossi la sua uniforme bianca.-
Se anche qualcuno si fosse azzardato a protestare contro l'idea di Hibari, lo sguardo che lanciò su tutti i presenti li avrebbe fatti tornare sulla loro decisione. Con un mormorio accennato tutti assentirono. Persino il giudice si sforzò di annuire per supportare la sua obiezione, sebbene fosse chiaro a chiunque che riteneva quella condanna una truffa.
-Molto bene. Dispongo che il detenuto Rokudo Mukuro venga imprigionato in carcere fino al giorno venticinque quando sarà pubblicamente punito con la fustigazione fino a massima sopportazione.-
Qualcosa di indefinibile strinse il cuore di Hibari in una morsa fredda mentre il ministro rilasciava un documento ufficiale e lasciava la stanza. Mukuro sarebbe stato frustato a oltranza fino a che non avesse perso conoscenza... il giorno di natale.

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Capitolo 21
*** Sangue e Acqua ***


Gli sportelli del furgone blindato si aprirono con un cigolio e una bassa luce inondò l'interno, dove Mukuro era inginocchiato da solo, incatenato e bendato. Alzò la testa voltandosi verso i rumori e le voci, anche se non riusciva a vedere assolutamente nulla. Un tintinnare della catena precedette una forte stretta sul braccio.
-Benvenuto a casa, tesoro.-
La voce aveva un tono basso che Mukuro non riconobbe come familiare. Quella e un'altra voce risero mentre quelle mani grandi lo trascinavano con ben poca dolcezza fuori dal furgone, gettandolo di peso per terra. Mukuro gemette e cercò di rialzarsi, ma un piede calzato in uno stivale pesante gli impedì di sollevare la testa. Il pavimento era freddo e l'odore che prevaleva su qualsiasi altro era di detersivo misto a disinfettante, un odore tutto sommato sgradevole che associava a un ospedale.
-Ehi, ehi, non fate così, non fate così.-
Il piede si sollevò dalla sua testa lasciandogli la possibilità di alzarsi. Non aveva riconosciuto nemmeno quella voce dalla strana cadenza, con un leggero accento di una zona che non era la provincia di Tokyo, nè del Kansai, ma non riusciva a inquadrarlo. Sentì una mano più delicata aiutarlo a sedersi e sfilargli la maschera che copriva la visuale. Sbattè gli occhi più volte e li strizzò alla luce dei lampadari per vedere il volto della persona che gli stava davanti.
Era un uomo giovane, forse poco più grande di lui, aveva i capelli bianchi, gli occhi di una peculiare sfumatura di viola chiaro e un sorriso ampio, che per qualche motivo lo inquietava più che rasserenarlo.
-Noi vogliamo che Mukuro kun si trovi bene qui con noi.- disse l'uomo dai capelli bianchi agli altri due. -Non me lo rovinate ancora prima che arrivi in cella, sarebbe un tale spreco...-
-Byakuran, tua madre non ti ha mai detto di non giocare col cibo?- fece un guardiano biondo del quale vedeva solo i capelli. -Che diavolo, sei un maledetto sadico.-
-Come sei malfidente!- protestò Byakuran con il tono di una bambina offesa. -Io voglio veramente proteggerlo!-
Byakuran fece un altro sorriso a Mukuro, che sentì un brivido scendergli lungo la schiena. In tutta la sua vita non aveva mai incontrato una persona che gli avesse mai fatto paura, e questo gli bastava a capire che si trovava di fronte a qualcuno di formidabile. Non era una persona come le altre, lo sentiva.
-Mentre arrivavi qui da noi, Mukuro kun, la tua punizione è stata decisa.- disse lui. -Il giorno di natale verrai portato nella piazza del palazzo di giustizia... ti verranno legate le mani e penzolerai come una carcassa per avvoltoi... e poi ti frusteranno... molte volte, ancora e ancora e ancora, finchè non perderai i sensi o la vita...-
Era ovvio che il guardiano biondo che fumava dando loro le spalle sapeva di chi parlava quando affermava che quell'uomo fosse sadico: gli occhi gli brillavano mentre spiegava l'esecuzione a Mukuro con dovizia di sgradevoli particolari. Contro ogni logica di reazione umana, il prigioniero sorrise. Era troppo esperto di giochi psicologici per non riconoscere un maestro all'opera, e un carceriere era sicuramente qualcuno che di terrore psicologico se ne intendeva parecchio.
-Sembra interessante... e tu mi verrai a vedere?-
Il sorriso di Byakuran divenne qualcosa di più demoniaco che umano.
-Sarò così vicino da sentire l'odore del tuo sangue.- sussurrò al suo orecchio. -Sarà così eccitante...-
Le mani di Mukuro, che erano ammanettate davanti e tenute aderenti al corpo dalla catena che si avvolgeva attorno alla vita, non poterono evitare di toccare qualcosa quando Byakuran gli si avvicinò ancora di più. Non aveva capito subito che cosa avesse sentito perchè per un attimo aveva creduto che fosse un'arma, ma si trattava soltanto di una parte del corpo del suo carceriere, una parte piuttosto eccitata. Con uno strano suono simile a un singhiozzo Mukuro fece un passo indietro e la sua schiena sbattè contro il furgone blindato. Byakuran fece un passo avanti con una risata sommessa e gli posò una mano sulla gamba.
-Che tenerezza...-
-Toglimi le mani di dosso.- sibilò Mukuro.
Aveva reagito istintivamente e non prese atto subito del tragico errore che aveva commesso. L'espressione di Byakuran cambiò impercettibilmente, ma il modo in cui bruciavano i suoi occhi era esempio di furore più di un'orrenda smorfia. Afferrò la faccia di Mukuro con dita fredde che sembravano di metallo e prese a sbatterla più volte con forza contro lo sportello del furgone. Mukuro non riusciva a fare niente per fermarlo, ammanettato com'era. Il dolore alla testa era lancinante a ogni colpo. Per un lungo momento pensò che l'avrebbe ucciso così, a colpi contro lo sportello ammaccato del furgone. Sentiva il sangue sulle spalle, sulla faccia, l'occhio iniziò a bruciare... alla fine, all'improvviso, si fermò.
-Ora ascoltami bene, pezzo di merda.-
Byakuran gli afferrò il mento voltandogli la testa in modo che lo guardasse. Mukuro riuscì a malapena a riaprire l'occhio destro sporco di sangue. La sua vista era sfocata, impossibile per lui capire se fosse per il sangue nell'occhio o fosse per i colpi appena ricevuti alla testa.
-Qui sono io che comando. Io decido tutto. Decido se puoi dormire, se puoi mangiare, bere e cagare.- disse Byakuran fissandolo come se potesse e volesse incenerirlo. -Io decido se puoi avere qualcosa oppure no. Sii obbediente e ti godrai qualche libertà nei tuoi ultimi giorni. Dammi un solo motivo per arrabbiarmi con te e saprai quanti modi conosco per renderti la vita un inferno e non permetterti di morire allo stesso tempo.-
-Scommettiamo...?-
Mukuro fece un sorrisetto. Aveva già deciso che nessuno gli avrebbe tolto la dignità, non se aveva una qualsiasi alternativa possibile. E lui ne aveva una. Non sarebbe stato onorevole essere ucciso dall'esercito mentre tentava di scappare, ma per un suicidio prima dell'esecuzione pubblica le cose stavano in modo diverso...
-Proprio no!-
Prima che potesse mordersi la lingua le dita di Byakuran si serrarono sulle sue gote e affondarono tra mandibola e mascella, impedendogli di conficcare i denti in qualsiasi cosa. L'espressione di quegli occhi viola era pungente. Non aveva bisogno di proferire motto per far capire a Mukuro che si era scelto da solo la vita difficile.
-Mettete una placca a questo cane rabbioso.- ordinò alla guardia più vicina. -E poi portartelo in cella. Legatelo come si deve.-
Mentre l'uomo barbuto spariva chissà dove fuori dal campo visivo di Mukuro, forse a prendere il misterioso oggetto o strumento chiamato "placca", Byakuran restava fermo lì a fissare il suo nuovo prigioniero con la stessa espressione mortifera che sembrava montare sempre più rabbia a ogni secondo.
-Non ti permetterò di scegliere come morire, Mukuro kun.-

Mukuro, rinchiuso nella sua piccola e spoglia cella, non si era mai sentito peggio in tutta la sua vita. Aveva una violenta nausea e stringeva gli occhi così forte che gli facevano male nel tentativo di dominare l'impulso di vomitare. Si aggrappò con le mani ai braccioli della sedia a cui era incatenato. Doveva riuscire a resistere ad ogni costo, non poteva mancare ancora molto alla fine. Strinse le gambe ancora di più sebbene ormai servisse a ben poco.
-Acqua...-
-Cosa?-
-Acqua.-
Non era affatto semplice scandire le parole con in bocca lo strumento chiamato "placca", che gli impediva di muovere la lingua, ostacolando non solo il suo tentativo di suicidio ma anche la sua comunicazione orale. Una delle guardie alzò le spalle e si allontanò. Andò via soltanto per pochi secondi, ma nelle condizioni di Mukuro quel breve lasso di tempo parve un'eternità. Che strano, le sbarre della cella sembravano variare il loro spessore a intervalli irregolari, una indipendentemente dall'altra. La guardia sopraggiunse con l'acqua e aprì la porta, senza notare nulla di strano nella gabbia. In un momento di remota lucidità, Mukuro capì che era quasi alla fine e sorrise prima che la guardia lo facesse bere di nuovo.
-Ma quanto beve questo?- domandò quella a tutti e a nessuno.
-In una sera al bar tu ti scoli più birra di quanta acqua si beve lui!- ridacchiò l'altra guardia.
-Spiritoso.-
Mukuro ebbe un conato, ma gettò la testa all'indietro sulla sedia e riuscì a dominarlo. Gli scese una lacrima e strinse i braccioli tanto da farsi male alle dita. Non ce la faceva più, voleva che finisse. Sapeva che doveva mancare poco ormai, ancora poco, doveva soltanto resistere e trattenersi, ma era tremendo...
All'improvviso sentì una presenza, forte, intensa, nettamente come se fosse stato dotato di sensori di movimento e di calore. Guardò davanti a sè. Lì si trovava un divano che non aveva mai visto, e seduta su quello c'era una figura in uniforme, con i capelli biondi. Non riuscì subito a capire di chi si trattava, ma poi lui gli sorrise e riconobbe il giovane soldato che lavorava con Kyoya, Tanaka Saeki. Non sembrava intendesse parlargli, lo fissava sorridendo senza dire niente. Non l'aveva notato prima, ma aveva un viso così dolce...
Si sforzò di sorridergli di rimando.
-Prenditi cura di lui... adesso è compito tuo...-
-Che cosa succede qui?-
Mukuro vide l'immagine di Saeki svanire all'improvviso, come se non fosse mai esistita, e si ritrovò dentro la spoglia cella. Al di là dell'inferriata le due guardie erano sull'attenti mentre Byakuran guardava torvo nella sua direzione.
-Che cos'ha?-
-Signore?- fece uno dei due sottoposti.
-Sta male, non lo vedete?- lo rimbeccò Byakuran. -Che cosa gli è successo?-
-Non ne ho idea, signore... ha solo molta sete, mi ha chiesto acqua più e più volte.-
-Acqua?- sillabò il carceriere, tornando a fissare Mukuro.
-Sì, signore.- confermò il secondo guardiano. -Ci ha chiesto acqua molte volte nell'ultima ora... ma siamo stati attenti, signore, confermiamo che non l'ha rovesciata nè conservata in alcun modo, l'ha bevuta tutta.-
Byakuran cambiò immediatamente espressione e Mukuro impallidì. Non era possibile, come poteva accorgersi anche di questo? Lo guardò strappare le chiavi di mano alla guardia, spalancare la porta della cella e raggiungerlo con la stessa aria mortifera di quando gli aveva impedito di mordersi la lingua.
-Quante volte intendi provare a prendermi in giro prima di capirla, Mukuro kun?-
Byakuran gli appoggiò la mano sul basso ventre e spinse con forza. La compressione fece gridare Mukuro, ma lui strinse di più i braccioli della sedia, gli occhi e le gambe, tutto il corpo contratto nello sforzo di trattenersi.
-Coraggio, Mukuro kun...- insistette lui con una nuova spinta e un tono di voce falsamente dolce. -Lasciala andare, dev'essere terribile tenerla così a lungo.-
Questa volta Mukuro non riuscì a fare niente per frenare il suo istinto fisico. Una sensazione di sollievo si impadronì del suo corpo, mentre un sinistro sgocciolio proveniva da sotto la sedia. Il conforto della tregua data alla sua vescica durò pochissimo, mentre cresceva un forte disagio nel ritrovarsi bagnato come un bambino piccolo dopo un incubo. L'amarezza di aver fallito di nuovo anche con un sistema così ingegnoso era tale che ne sentiva il sapore in bocca. Byakuran, invece, sorrise con tutta la sua soddisfazione.
-Avvelenamento da acqua... ne sai una più del diavolo, Mukuro kun.- disse l'uomo dai capelli bianchi, costringendolo ad alzare lo sguardo e guardarlo negli occhi. -Ma io ne so cento più di lui.-
Tirò un violento schiaffone a Mukuro, che non pensò nemmeno di girare la testa per tornare a guardarlo. Assurdo, come poteva sapere che si poteva morire di avvelenamento da acqua? Se fosse andato in giro per le strade a chiederlo alla gente praticamente nessuno gli avrebbe risposto che era una causa di morte. Possibile che Byakuran fosse un medico, o avesse studiato medicina? Possibile che prima d'ora avesse già visto una morte per avvelenamento acuto da acqua?
-Dite al medico di dargli dei diuretici, e smettete di dargli da bere.- fece lui alle guardie, che osservavano la scena perplessi. -Dategli una ripulita e mettetelo nella stanza bianca.-
-S... signore, perchè nella stanza bianca?-
-Perchè vogliamo che stia comodo, no? Portatelo lì, gli piacerà.-
Byakuran uscì dalla cella con un ghigno.
-Niente mobili o oggetti vicino al letto... niente cuscini con cui potrebbe soffocare, legatelo per bene... e manette chiuse sopra a qualcosa di morbido, non vorremmo certo che per tragica fatalità gli tagliassero i polsi, dico bene...?-
-Sì, signore...-
-Povero Mukuro kun, ti devo proteggere da te stesso... come un bambino.-
Mukuro non era d'accordo. Non si era mai sentito così impotente, nemmeno quando il regime lo obbligava a far vivere una vita misera alla sua famiglia. Non era mai stato così debole, nemmeno quando era un bambino.

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Capitolo 22
*** L'eredità di Mukuro ***



Quasi nello stesso momento al secondo piano del palazzo residenziale più alto di Namimori Tanaka Saeki stava dormendo. A parte gli stivali lasciati all'ingresso, i guanti gettati sul tavolino e il cappello sullo schienale del divano, indossava ancora la sua uniforme. Si era addormentato con il cellulare in mano, ora pericolosamente in bilico tra due cuscini, in attesa di una risposta alle sue numerose telefonate.
Stava facendo uno strano sogno, ma piacevole. Si trovava a bordo di una piccola nave ed era intento a caricare un rullino su una vecchia macchina fotografica quando si accorse che accanto a lui c'era Kyoya. Indossava un berretto di lana grigio e si stringeva nel cappotto, il suo fiato faceva condensa nell'aria fredda.
-Che freddo...-
-Ma insomma, Kyoya... te l'avevo detto di coprirti...- gli stava dicendo mentre gli metteva la sciarpa al collo e gliela sistemava. -In Scozia fa freddo in marzo...-
-Hai ragione... mi spiace...-
Il suo sorriso era bellissimo e il vento gli scompigliava i capelli. Era rimasto un bel po' a guardarlo affascinato, mentre parlava. Parlava tanto, di un sacco di uccelli che sperava di vedere su non sapeva quali isole, non ne ricordava i nomi.
All'improvviso il sogno cambiò. La mattinata splendente divenne un luogo chiuso, cupo. La nave era scomparsa e anche Hibari. Si trovava in una prigione, dentro una cella. Nel mezzo di quella c'era una sedia a cui era incatenato un uomo. Una curiosa sensazione di pericolo mista a qualcos'altro gli formicolò nello stomaco, facendogli venire la pelle d'oca. Conosceva quel prigioniero, lo aveva visto più di una volta e l'aveva anche incontrato di persona: era Rokudo Mukuro, ma non nella sua migliore forma. Aveva dei lividi sul viso e un cerotto macchiato di sangue sulla fronte. Lo guardava come se faticasse a mettere a fuoco quello che aveva davanti ed era sofferente. Poi lui gli sorrise.
-Prenditi cura di lui... adesso è compito tuo...-
-Cosa...?-
Saeki non aveva certo bisogno di spiegazioni, aveva capito di chi stesse parlando, ma l'intera scena sembrava un canale televisivo con un disturbo di trasmissione. La voce di Mukuro si era sfumata in un rumore fastidioso, la sua immagine come quella della cella in cui era detenuto tremolavano, come se stessero per dissolversi.
Un tonfo metallico gli fece spalancare gli occhi e si rese conto di essere a casa sua, sul divano. Non c'era nessuna cella e soprattutto intorno a lui non c'era nessuno, tantomeno Rokudo Mukuro. Si accorse che stava ansimando e aveva sudato.
-Che... che cazzo di sogno...- sbottò irritato, mettendosi seduto. -Sognare proprio lui... che mi dice una cosa simile, poi, come se potesse mai pensarlo.-
Il tonfo che l'aveva risvegliato era stato il suo cellulare che cadeva a terra. Lo prese, ma era certo anche senza controllare che non si era fatto niente. Era un vecchio, robusto modello, adatto a un maldestro come lui a cui cadeva sempre tutto.
Il suo respiro si era calmato, ma la sua mente no. Era stato un sogno così vivido, al contrario di quello che stava facendo prima. Gli sembrava di essersi davvero trovato in quel luogo, di fronte a Mukuro. Si tenne la testa con entrambe le mani. Aveva un tale mal di testa...
Il rumore della chiave nella toppa lo fece sussultare e istintivamente afferrò il coltello da carne posato sul tavolino accanto ai resti della sua misera cena. La porta si aprì e sentì i tonfi soffocati di scarpe lasciate nell'ingresso. Si rilassò ma non lasciò l'arma, anche se dubitava che un nemico o un ladro avrebbe lasciato le calzature davanti alla porta come fosse un ospite. Scrutò la figura che emerse dal corridoio in controluce, ma poi la luce del salotto si accese e la riconobbe.
-Kyoya!- esclamò lasciando cadere il coltello. -Santo cielo, Kyoya, ma dov'eri finito? Per fortuna stai bene!-
Saeki si alzò dal divano e gli andò incontro abbracciandolo.
-Dov'eri finito? Ero preoccupato, non hai risposto alle mie chiamate, nemmeno alle e-mail... non sapevo dove fossi... nessuno ti ha più visto in caserma dopo che quel capitano ti ha convocato...-
-Non potevo rispondere.- rispose senza particolare emozione. -Sono stato tenuto sotto controllo e si sono presi il mio cellulare, non ho ricevuto nessuno dei tuoi messaggi.-
-Sotto controllo...? Kyoya, ma cos'è successo?-
Hibari però pareva troppo fuori da se stesso per potergli rispondere esaurientemente. Dando nuova prova della sua gentilezza e pazienza, Tanaka lo prese per il polso e lo portò al divano facendolo sedere. Senza troppe moine riuscì a convincerlo a togliersi la giacca e il cappello, mettendosi comodo, e gli mise in mano un bicchiere con un goccio di whisky.
-Tu non bevi?- fu la sola cosa che Kyoya gli disse.
-No, devo spararmi un'altra superpillola anti emicrania.- ribattè lui ingoiandone una, le voci gli rimbombavano nelle tempie. -Queste pillole del cazzo mi uccideranno.-
-Mh.- fu il suo unico commento prima di svuotare il bicchiere.
Tanaka si sedette tenendosi le mani sulla testa e chiuse gli occhi. Sarebbe stato qualche altro minuto d'inferno prima che la medicina facesse effetto.
-Non dovresti farti vedere da un dottore?- domandò Kyoya dopo un lungo silenzio. -Hai spesso mal di testa... hai antidolorifici sparsi ovunque, in casa, in macchina e in ufficio.-
-Non c'è niente da far vedere... è emicrania cronica.-
-E quindi?-
-E quindi sono nato per avere mal di testa per tutta la vita.-
-Prepari il terreno per interminabili mesi di "non posso, ho mal di testa"?-
-Non ho mai detto che il mal di testa mi impedisce di fare cose...-
Tanaka passò il braccio attorno alla vita di Hibari e lo tirò un po' verso di sè. Incurante del suo disappunto, dato che gli aveva impedito di arrivare alla bottiglia del whisky, depositò un bacio sulla sua spalla. Con un sospiro di chiara irritazione lui si allungò a prendere la bottiglia, ignorando i baci che gli stava lasciando sul collo, sulla schiena e ovunque arrivasse.
-Smettila, non posso...- protestò Hibari, cercando di allontanarlo con la mano.
-Chi è che cerca scuse adesso...?-
-Non posso.- si limitò a rispondere lui, abbandonando il bicchiere senza averlo toccato. -Non ci riesco.-
-Ma che dici, certo che ci riesci, devi solo rilassarti...-
Ma per quanto Tanaka cercasse di farlo sentire a suo agio, il suo corpo restava innaturalmente rigido. Le sue spalle poi sembrava fossero reduci da mesi di lavori forzati, erano come intrecciate di fibre d'acciaio. Decisamente c'era qualcosa che non andava in lui.
-Kyoya... che cos'hai? Che cosa succede?-
-Hanno arrestato Mukuro...-
Tanaka alzò la testa dalla sua spalla e lo guardò incredulo. Avevano arrestato Rokudo Mukuro?
-Cosa?-
-Ieri notte abbiamo... arrestato Mukuro... e oggi c'è stato il processo...-
-Ma è impossibile... lui non...-
Era confuso. Era davvero confuso. Era forse questo che il suo sogno significava? Era stata una specie di premonizione che lo avvertiva di quello che era successo?
-Raccontami tutto.-
La docilità con cui Kyoya obbedì e il fiume di parole che gli riversò addosso senza esitazione la dicevano lunga sul bisogno che aveva di parlare a qualcuno di quello che era successo. Tanaka si limitò ad ascoltarlo, chiedendo e interrompendo il meno possibile. Non ebbe alcun bisogno di incalzarlo, perchè Hibari sembrava non riuscire a smettere di parlare e persino fermarsi ad ascoltare una domanda pareva farlo soffrire troppo. Gli raccontò tutto sul motivo per cui il capitano Kikyo l'aveva convocato, il misterioso editto contro l'omosessualità nella milizia, l'implicito ma non troppo ricatto per sapere il nascondiglio di Mukuro. Gli raccontò del blitz nel rifugio dei ribelli, di cui aveva capito la posizione ricordando i graffiti. Gli disse di quanto Mukuro fosse sconvolto di trovare proprio lui ad arrestarlo e di quanto si fosse sentito un traditore. Solo a quel punto si era fermato, aveva bevuto un sorso di whisky e aveva ripreso, raccontando in modo meno lineare e più confuso dell'udienza. Questa volta Tanaka dovette fare qualche domanda per riuscire a seguire esattamente ciò che era successo. Alla fine, quando gli raccontò della sentenza e della punizione, Hibari era disperato oltre il limite del pianto. Tanaka non ricordava di aver mai visto un'anima così tormentata in vita sua.
Quanto a lui, non poteva fare proprio niente. Hibari non era in pericolo, nessuno dei due lo era più, perchè loro avevano avuto quello che volevano. Avevano il peggiore terrorista della storia della nazione sotto la guida dell'Haido, ne avrebbero fatto un trofeo e una testimonianza del loro potere. Nessuno avrebbe potuto cambiare questo fatto, e Tanaka non aveva nemmeno lontanamente l'autorità per intercedere. Non poteva cambiare il destino di Mukuro, nè cancellare il senso di colpa di Kyoya. Lo strinse a sè sentendosi incredibilmente piccolo e miserabile. Non era nemmeno in grado di sollevare lo spirito della persona che amava. Poteva soltanto restare al suo fianco ed essergli sfogo fino al giorno fatidico... e poi, prenderlo per mano e portarlo avanti, sempre avanti, senza farlo mai voltare indietro.


Gokudera Hayato sedeva immobile e silenzioso nell'angolo di una cella sotto il palazzo di giustizia. Attendeva un trasferimento al carcere federale di Koyama, una città non molto distante da Namimori, in direzione nord. Le due donne che erano state arrestate con lui non erano lì e non aveva idea di dove fossero. L'uomo invece sedeva abbattuto in una cella della fila di fronte: se solo si fosse alzato per guardare sull'altro lato l'avrebbe potuto vedere tormentarsi gli occhiali o camminare su e giù, ma Hayato aveva altri pensieri per la mente. Volente o nolente doveva ereditare la missione di Mukuro, perchè dubitava che avrebbero rilasciato qualcuno, persino la ragazzina, prima della sua condanna. Questo perchè forse temevano che i suoi seguaci l'avrebbero impedita. E se soltanto lui fosse stato libero o avesse avuto modo di coordinare il gruppo all'esterno avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di intralciarla. Per questo li tenevano in celle divise, non potevano ancora telefonare a nessuno o ricevere visite, nè uscire: volevano a tutti i costi evitare che si sapesse che Mukuro era stato preso e processato, evitare che raccogliessero informazioni prima dell'esecuzione. Sempre questo, si disse, era il motivo per cui erano stati fatti uscire e non avevano saputo niente della punizione decisa. Meno informazioni arrivavano ai seguaci di Mukuro, meno possibilità c'erano che venissero disturbati.
Quando la sbarra che bloccava la porta venne spostata con un fastidioso clangore e l'uscio metallico si aprì cigolando, a malapena ebbe una reazione. Erano già passate cinque volte altrettante guardie carcerarie a provocarlo e dirgli quanto era carino e quanto ansiosamente lo aspettassero gli altri detenuti. Come se una cosa del genere potesse mai fargli paura. Lui aveva già sguazzato nei bassifondi delle città, aveva bevuto con la feccia, fumato con gli spacciatori, fatto a botte con i lottatori underground e lavorato per dei criminali. Avevano davvero pensato che fosse uno di quei cittadini bene e amanti della vita tranquilla che belavano di terrore alla sola idea che uno scippatore gli posasse la mano sulla spalla? Al massimo in carcere avrebbe ritrovato vecchie conoscenze.
-Hayato...-
Gokudera alzò la testa di scatto al suono di quella voce. Non si era aspettato di incontrare Tsuna prima di molto tempo, ma ora che lo vedeva lì si rese conto che non avrebbe potuto desiderare di più. Si alzò incespicando e allungò le braccia fra le sbarre stringendolo più che poteva.
-Tsuna... per fortuna sei qui...-
-Hayato, come stai? Stai bene?- gli chiese lui preoccupato accarezzandogli il viso. -Ti tirerò fuori di qui, ho chiamato mio padre, sto aspettando che mi richiami...-
-Che cosa è successo a Mukuro?-
-Come?-
Per un attimo Tsuna lo guardò come se non avesse idea di chi fosse la persona di cui parlava e questo fece irritare Gokudera in modo esagerato.
-MUKURO! CHE COSA È SUCCESSO A MUKURO?-
-Io... io n-non posso parlare di questo...-
Tsuna avrebbe dovuto capire meglio di chiunque altro che quel Gokudera non era lo stesso ragazzo che aveva sempre avuto accanto negli ultimi difficili anni, un rude ma dopotutto gentile ragazzo, affettuoso amante e sincero amico. Era come se quello che era accaduto negli ultimi giorni l'avesse fatto regredire all'adolescente irascibile e violento che era prima di amarlo, e con quel vecchio Gokudera non era consigliabile discutere. Infatti Hayato afferrò il braccio di Tsuna e lo tirò dentro la cella facendogli sbattere dolorosamente la faccia e la spalla contro il metallo, poi lo piegò prendendolo saldamente per polso e gomito. Tsuna, che si era dimostrato un discreto conoscitore dell'arte marziale, sapeva che con una presa del genere poteva spezzargli il braccio anche solo con la forza muscolare di un bambino.
-Non farmi incazzare, Tsuna.- ringhiò Hayato a pochi centimetri dalla sua faccia. -Dimmi tutto quello che sai su Mukuro o il braccio te lo spezzo in una maniera che non tornerà mai più normale.-
-Ha... Hayato... mi fai male...- balbettò lui, cercando invano di liberarsi.
-Vedrai quanto farà male in due pezzi! Sto aspettando!-
-Va bene! Va bene, te lo dico, ma lasciami!-
Hayato lo mollò di scatto e lasciò che Tsuna si accovacciasse a terra, tenendosi il braccio finalmente libero. Soltanto una remota parte di lui capiva che c'era qualcosa di sbagliato in quello che era accaduto, solo quella parte capiva che il suo pianto gli infliggeva dolore. Ma la furia copriva qualsiasi altra cosa.
-M-Mukuro... è s-stato condannato a morte...- disse Tsuna, tentando di parlare meglio che poteva nonostante i singhiozzi. -Il giorno di Natale... sarà... frustato in pubblico e poi... p-poi...-
La sua voce si spense in un nuovo singhiozzo. Hayato non capiva perchè, ma il suo pianto era intollerabile, lo faceva soffrire e arrabbiare in ugual misura.
-Finiscila di frignare!- sbottò all'improvviso. -Che cazzo hai da piangere?! Sei l'unico qui che non sta perdendo niente! Io e un altro manipolo di disgraziati siamo in carcere, Mukuro verrà ucciso...-
-C-come...-
-E tu fai il bambino viziato, aggrappandoti ai pantaloni del pazzo che ha causato tutto questo!-
-Lui è mio padre!- protestò Tsuna con le lacrime agli occhi.
-Lui è un assassino!- gridò Hayato scuotendo le sbarre come se volesse spaccarle. -È lui la causa di tutto questo! Se Mukuro morirà sarà colpa sua, è colpa sua la morte di tutte le vittime di questo governo! E tu vivi con lui adesso, gli chiedi aiuto, ma chissenefrega se qualche poveraccio viene frustato a morte...-
-Mukuro è mio amico!- gridò di rimando Tsuna con tutta la voce che riuscì a tirare fuori. -Pensi che se potessi fare qualcosa per salvarlo non lo farei?! Ho già fatto tutto quello che potevo, tutto!-
Hayato raggiunse un apparente stato di quiete, ma il suo sguardo restò freddo e la sua voce, anche se più bassa, era forse anche più terribile di quando urlava.
-E per lui l'hai chiamato il tuo papino?-
-... Eh...?-
-Hai chiamato il tuo papino per salvare Mukuro?- ripetè Gokudera in un inquietante tono pacato. -Gli hai detto che è tuo amico? Gli hai detto di non ucciderlo, o come al solito non ti importa un cazzo di niente che non sia tu?-
-C-che cosa dici...-
-Volevi la libertà... volevi un paese migliore... ma hai aspettato che fosse un altro a cercare di far cambiare idea a Hibari, vero? E sempre che fosse un altro a combattere questa guerra... bastava che il risultato fosse quello che volevi tu, senza che tu perdessi niente... volevi tenere il tuo lavoro, la tua vita, il tuo fidanzato... se qualcuno deve morire, meglio un altro...-
Tsuna era talmente inorridito che si coprì la faccia come se stesse di nuovo per piangere.
-Tu sei uguale a tuo padre... tutti e due fate muovere qualcun altro per fare il lavoro che volete sia fatto... lui sorvola solo quando si tratta di te, e tu sorvoli sui tuoi ideali solo quando si tratta... di te?-
Le mani di Tsuna tremavano e restò a lungo con il volto coperto prima di abbassare le dita. Gokudera continuava a fissarlo come se fosse l'unica fonte di relativo interesse in una giornata di noia piatta. Gli pareva di vederlo da molto distante, come se non l'avesse mai conosciuto, come se non l'avesse mai amato.
-Se sono un mostro per te, allora marcisci qui dentro.- disse Tsuna con un tono improvvisamente freddo. -Dirò al mio caro papino che mi hai aggredito, così resterai qui per un po'... chissà se poi capirai cos'è un mostro vero.-
Le viscere di Gokudera parvero scomparire dal suo corpo. Restò aggrappato alle sbarre rendendosi conto del suo tragico errore mentre Tsuna se ne andava sbattendosi la porta di metallo alle spalle.

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Capitolo 23
*** Nemmeno un addio ***


Quel giorno ventiquattro dicembre a Namimori era un giorno cupo, ingombro di nuvole che minacciavano neve. Mentre Takeshi Yamamoto percorreva in moto una delle strade principali notò con tristezza che poche case avevano luci sul balconi, alle finestre o nei cortili. Ancora meno dell'anno precedente. Anche se il natale non era proprio della loro cultura era diventato una festa piacevole da passare con le persone amate, una scusa per dimostrare una gentilezza in più, un'occasione per fare un dono. Il natale gli era sempre piaciuto. A casa sua era sempre stata la scusa migliore dell'anno per mangiare un sacco di dolci, stare a casa da scuola e passare del tempo con la sua famiglia. Una famiglia che non aveva più: sua madre si era spenta quando era ancora un bambino e suo padre l'aveva lasciato invece tre anni prima, in piena estate.
All'improvviso in mezzo alla strada apparve una figura nera accanto a una motocicletta ferma, che gli faceva segno di fermarsi. Frenò gradualmente fino ad arrestare la sua corsa proprio accanto a lui.
-Signore, documenti e passi, per favore.-
Yamamoto si tolse il casco e si voltò a guardare l'uomo che gli aveva parlato. Si trattava di un vigilantes il cui compito era controllare che avesse il permesso di uscire di casa e di andare dove stava andando. La sua espressione si indurì, ma il ragazzo se ne rese conto solo quando l'uomo baffuto arretrò di un passo mettendo nervosamente mano alla sua arma nel fodero.
-Ah. Sì.-
Yamamoto gli porse la sua carta d'identità e un documento accuratamente piegato. Aveva ottenuto un regolare permesso di recarsi in un altro posto durante i giorni della vigilanza speciale, che erano proprio quelli prima delle festività. L'uomo si rilassò e li prese, controllandoli. Gli diede una fugace occhiata incuriosita. Yamamoto l'aveva notata, ma non ci fece molto caso, era abituato a essere scrutato in modo strano da molti soldati.
-Dove sta andando, signor Yamamoto?-
-A casa di un'amica.... a cena da un'amica.- rispose lui.
-Alloggio governativo.- osservò l'altro, riconoscendo l'indirizzo.
-Sì.-
-Sembra tutto in ordine, signor Yamamoto.- disse l'uomo in divisa restituendogli i documenti. -Passi una piacevole serata con la sua amica, felice di averla conosciuta.-
-Grazie. Buona serata anche a lei.-
Yamamoto riprese i suoi documenti con una malgrazia che strideva con il suo tono di voce affabile e senza guardare l'uomo si rimise il casco e ripartì, avendo cura di affumicarlo un po'. La strada proseguiva rettilinea e sgombra davanti a lui. Accelerò abbassandosi sulla moto, gli occhi fissi sull'orizzonte grigio. Era sempre stato ottimista e paziente, per sua stessa natura, ma le cose sembravano andare soltanto peggio, non importava quale atteggiamento positivo tenesse. Suo padre si era spento da tempo anche per colpa sua, Tsuna era praticamente scomparso da quando aveva lasciato la casa ed era tornato a vivere con suo padre, Hibari era se possibile ancora più lontano, Gokudera e Mukuro erano entrambi stati arrestati e nessuno sapeva che cosa gli fosse davvero successo. Tsuna era l'unico che potesse fargli sapere la verità, ma non c'era stato alcun modo di contattarlo, nè di vederlo. Era come prigioniero anche lui...
Yamamoto frenò bruscamente lasciando un lungo segno nero sull'asfalto. Si prese un attimo per respirare prima di togliersi il casco e gioì dell'aria fredda sul viso. Doveva restare calmo, non poteva permettersi di perdere la testa e fare qualcosa di avventato. Aveva imparato molto tempo prima che perdere la calma poteva portare alla perdita di qualcosa di molto più importante. Anche se il peso della sua vita non gli era mai sembrato così grave, doveva sopportarlo.
-Takeshi?-
Yamamoto alzò lo sguardo verso l'edificio alla sua sinistra, un complesso di appartamenti. Sul balconcino di fronte alla porta di uno di quelli si affacciava Chrome. Non si era reso affatto conto di essere già giunto a destinazione, preso com'era dai suoi pensieri.
-Ciao, Chrome.-
-Sali!-
Lei sorrise e tornò in casa. Pochi istanti dopo il cancello si aprì con uno scatto. Prendendo un altro profondo respiro, Takeshi smontò dalla motocicletta e la condusse senza fretta dentro il cortile, prendendosi tutto il tempo possibile per posizionarla sotto i balconi, al riparo da pioggia e neve. Ma soprattutto, per calmarsi. Non era mai stato così importante sorridere ed essere convincente, trasmettere sicurezza e tranquillità. Anche se raramente si era sentito così solo nella sua vita. Si sentiva come un faraglione in mezzo al mare, separato dalla terra, incapace di riunirvisi, torturato dalle tempeste e dalle onde furiose. L'unica cosa che poteva fare era resistere...
Salì le scale esterne e raggiunse l'ingresso dell'appartamento, lasciato socchiuso per lui. Passando gettò un'occhiata in alto, all'ultimo piano del condominio più alto della città. Tutte le luci erano spente e non c'era alcun movimento. Era ovvio che Hibari non fosse in casa, anche se non sapeva dire dove potesse essere. 
Alla fine voltò le spalle alle sue tristezze ed entrò nella casa calda che profumava di biscotti e di molte altre leccornie, disposte sul tavolino. Chrome uscì dalla piccola cucina con una pentola di zuppa fumante dal bel colore rosso arancio.
-Siediti, la cena è pronta.- disse lei sedendosi. -Grazie di essere venuto.-
-Perchè no?- ribattè Yamamoto sorridendo. -Ero da solo anch'io... è triste passare le feste da soli.-
Chrome non smise di sorridere mentre gli serviva una ciotola di zuppa, ma un'ombra triste le passò nello sguardo. Non poteva certo biasimarla: proprio quando le cose sembravano andare bene, aveva il permesso ufficiale per vivere con la sua famiglia adottiva in una casa dignitosa e con il cibo in tavola, Mukuro era diventato il nemico della nazione e i due suoi amici Ken e Chikusa l'avevano seguito poco dopo, di fatto abbandonandola. Yamamoto non aveva mai capito il motivo di questo comportamento: a suo parere Chrome aveva molto più bisogno di qualcuno rispetto a Mukuro. Non avrebbero potuto aiutarlo senza entrare in clandestinità, in modo da poter sostenere entrambi?
-E Hibari?-
-Eh?-
-Lui festeggia con dei colleghi?- domandò lei. -Sembra che non ci sia nessuno in casa.-
Lo disse con un tono casuale, ma Yamamoto ebbe la sensazione che alzare lo sguardo lassù, verso le vetrate dell'attico, fosse diventata un'abitudine per lei, forse alla ricerca di una figura amica che gli fosse di conforto nella sua solitudine. Nemmeno per questo avrebbe potuto biasimarla.
-Oh... non lo so... non lo sento da un po', ha smesso di passare al nostro solito bar... a dire il vero da un po' di tempo non sento più nessuno... nemmeno Tsuna, o Gokudera...-
Chrome mangiò un pezzetto di calamaro dalla sua zuppa e posò su di lui lo sguardo, mentre una musichetta allegra che strideva con i loro stati d'animo proveniva dalla televisione accesa vicino a loro.
-So quanto è difficile... separarsi dalle persone che si amano.-
Yamamoto sapeva che difficilmente avrebbe potuto incontrare una persona che comprendeva il suo dolore meglio di lei. Dopotutto anche lei era abbandonata, anche lei si sentiva in balìa degli eventi e costretta a mantenersi forte. Però lei aveva una motivazione incrollabile e imprescindibile, il figlio che portava in grembo, per lui doveva essere forte e resistere. Ma lui invece? Era soltanto per abitudine. Era sempre stato lui, nel gruppo dei suoi amici, a mantenere sempre la calma, a raffreddare gli animi nelle liti, a offrire sempre il conforto di un pensiero positivo. Ma a che cosa serviva se non poteva più parlare con nessuno? Restava in disparte, senza avere idea di cosa stesse succedendo ai suoi amici, senza che uno solo di loro lo cercasse per consiglio o anche solo per dirgli che stava bene. Gokudera e Tsuna, poi... aveva saputo che Tsuna viveva di nuovo con suo padre solo perchè si era informato da un conoscente alla redazione. Non l'aveva avvertito che se ne andava. Che cosa fosse accaduto a Gokudera poi, non ne aveva idea. Lui non sarebbe mai andato a vivere in casa del padre di Tsuna, lo detestava più di qualsiasi uomo al mondo. Ma la sua casa era vuota, sua sorella non sapeva nulla, era come scomparso... era ancora in carcere?
-Sono sicura che lui sta bene.- disse Chrome mettendogli nel piatto dei pezzi di pesce fritto, allineandoli con cura. -Presto farà ritorno.-
-Penso di sì... presto sarà finita tutta questa storia e Mukuro tornerà da te...-
-Io parlavo di Gokudera...-
Il boccone di pesce fritto gli andò giù storto e riuscì a recuperare con un solo colpetto di tosse. Bastò comunque a far ridere Chrome. Era un bel suono, Yamamoto ormai non era più abituato a sentire le risate spontanee, e fra tutte le sue non erano certo le più frequenti.
-Non farò altri commenti imbarazzanti, lo prometto!-
-Ti ringrazio...- fu l'unica cosa che le rispose con un sorriso.
-Neh...-
Yamamoto la guardò di nuovo e per farlo un gambero gli scivolò dentro la salsa schizzandola sul tavolo. Imbarazzato, si affrettò a ripulire.
-D-dicevi?-
-Se avessi un bambino come lo chiameresti?-
Yamamoto trattenne una smorfia per aver mangiato il gambero zuppo di salsa di soia salata e il suo sguardo scivolò dal viso di Chrome al suo ventre. Ormai era davvero tondo, non poteva mancare molto al gran giorno. Ma lui non aveva nemmeno una ragazza, non l'aveva mai avuta, quindi non si era mai fermato a riflettere su un futuro da genitore o su piccoli dettagli come nomi per bambini.
-A dire il vero non lo so... non ci ho mai pensato su...-
-'Takeshi' è un bel nome.- disse lei pensierosa, ma poi fece un buffo verso che doveva essere d'irritazione. -... Non ho ancora deciso come chiamarlo... Mukuro mi aveva promesso che sarebbe tornato in tempo per deciderlo insieme...-
-Eh? Lui... cosa? Lui ti ha detto che sarebbe andato via?-
Chrome sfilò una catenella da sotto l'abito e allungò verso di lui la mano sinistra, mostrandogli il ciondolo. Non era un vero ciondolo, ma un anello troppo largo perchè potesse indossarlo sulle dita sottili e solo dopo lo riconobbe come il cimelio che Mukuro aveva sempre portato con sè dal giorno in cui l'aveva conosciuto. Non aveva mai raccontato a nessuno che storia avesse, ma non se ne separava mai. Capì che doveva averlo lasciato a Chrome come una specie di promessa, per assicurarle che sarebbe ritornato da lei a prendere il suo tesoro più caro. La ragazza non diede altre spiegazioni, sapeva che aveva capito e continuarono a mangiare. Ben presto alleviarono l'atmosfera fra loro chiacchierando del programma alla televisione, ma l'amarezza stava ancora tormentando Yamamoto. A lui nessuno aveva lasciato nemmeno una parola, pronunciata, scritta o digitale che fosse. Gli sarebbe bastata anche solo una e-mail, senza oggetto e con un semplice "addio".

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Capitolo 24
*** Due minuti ***


Il mattino di Natale era un giorno freddo e cupo, ingombro di nuvole. Non aveva nevicato la sera precedente.
Hibari Kyoya uscì dal palazzo di giustizia e fu subito aggredito dal vento freddo sul viso. Il suo sospiro si condensò in una scia bianca mentre altri soldati lo seguivano fuori facendo commenti di ogni tipo, da quanto ci sarebbe voluto a quanto faceva freddo. Dovette sforzarsi di non insultarli. Avrebbero anche potuto cercare di essere rispettosi nei confronti dell'esecuzione di un uomo. Un uomo che non avrebbe avuto nemmeno il conforto di essere vestito con quel freddo. Ma dopotutto, pensò amaramente mentre saliva sul palco montato per l'occasione, l'inverno sarebbe stato la minore delle sue disgrazie.
-Che fame.- borbottò un soldato all'amico qualche minuto dopo. -Ma tu hai mangiato prima di venire qui?-
-Certo che no.- ribattè lui. -Non voglio mica vomitare, con tutto lo schifo che ci sarà.-
Hibari se possibile divenne ancora più pallido di prima. Per quanto ipoteticamente sapesse cosa lo aspettava, che cosa avrebbe visto, non vi aveva mai assistito prima. Che cosa succedeva effettivamente ad un corpo ripetutamente colpito da una frusta? Quanto sangue poteva perdere? Soltanto porsi la domanda gli fece venire una violenta nausea e si coprì la bocca.
-Ehi, Hibari, cominci a vomitare già da adesso?- fece il soldato accanto a lui.
-Mi fa... impressione il sangue.-
-Allora sei nel posto sbagliato, tesoro. Dovresti andare laggiù, a sederti con le signorine.-
Hibari sentì zampillare dentro un fiotto di odio che non aveva niente a che vedere con l'essere paragonato a una signorina. Con quale coraggio quell'uomo lo prendeva in giro? Sfidava chiunque sulla faccia della terra a non provare ribrezzo del sangue di una persona che si ama sparso da una frusta. Accecato dalla rabbia afferrò il cappotto del soldato del quale non ricordava ancora il nome, con tutte le intenzioni di massacrarlo di colpi e procurargli un invito per sedersi in ospedale.
-Basta, voi due!-
Una mano gli afferrò il polso costringendolo a lasciare la presa, una seconda spinse indietro l'altro uomo. Hibari stava per intimare all'intruso di togliersi di mezzo quando riconobbe il suo viso. Era l'addestratore delle squadre speciali armate nonchè marito di Lal Mirch, l'uomo i cui i meriti militari in tutto il mondo erano tali, nonostante la giovane età, da avergli guadagnato il soprannome di "Colonnello". Era un nome troppo insolito per essere vero, eppure nessuno ne conosceva un altro. 
Hibari non l'aveva mai visto di persona e l'aveva riconosciuto solo perchè Lal ne aveva una fotografia nel suo ufficio. Da giovani soldati, i ragazzi del tirocinio riuscivano a scherzare sul loro terribile capo solo immaginandola a dire cose svenevoli alla foto del marito quando non poteva sentirla nessuno. Dopotutto Lal Mirch poteva avere molti difetti, ma per gli uomini aveva gusto, Colonnello era davvero un bell'uomo. I suoi capelli biondi, i suoi occhi azzurri e il viso giovane stridevano in modo non sgradevole con l'aria di veterano della vita che traspariva da lui.
-Stiamo presenziando all'esecuzione di un essere umano.- disse Colonnello, fissando torvo il soldato che Hibari stava per picchiare. -Se non sei in grado di portare il dovuto rispetto, tornatene a casa e fai i tuoi sgradevoli commenti dove solo tu puoi sentirli.-
-Mi perdoni, signore.-
Colonnello fece un cenno con la testa, che bastò ad allontanare l'uomo e il suo amico soldato da loro, lasciandoli soli a una certa distanza da tutti gli altri. Hibari non disse o fece niente. Era evidente che cercasse di parlargli, ma non poteva badargli in quel momento: delle guardie carcerarie stavano accompagnando, o meglio trascinando, Mukuro sul patibolo. Sembrava già così dimagrito e così sciupato dal giorno del processo. Quando poi gli tolsero la maschera c'erano molti lividi scuri sul suo viso. Avrebbe dovuto immaginare che non sarebbe stato lasciato in pace nel carcere per oppositori politici, aveva la fama di essere il posto più vicino all'inferno che ci fosse sulla terra. Mukuro restò a dorso nudo poco più di un minuto mentre veniva legato con i polsi al sostegno, ma gli bastò per cominciare a tremare di freddo, a petto nudo con una manciata di gradi sopra lo zero. Distolse lo sguardo da lui, non riusciva a guardarlo ridotto in quel modo.
-Lal mi ha parlato di te.- esordì Colonnello, a braccia conserte guardando dritto davanti a sè. -Dice che sei sempre stato il migliore degli allievi che ha avuto.-
-Non ho mai avuto l'impressione di piacerle, a dire il vero.-
-Nemmeno io, se è per questo. - ribattè lui con un sorrisetto che scomparve subito. -Non è voluta venire all'esecuzione. Dice che a natale vuole stare a casa con Nathaniel, ma io so che in realtà lei crede che non sia giusto.-
Hibari registrò solo marginalmente il fatto che Nathaniel doveva essere il figlio: era molto più sorpreso dal fatto che Lal potesse pensare che la punizione corporale inflitta a un terrorista fosse ingiusta. Non era propriamente una paladina dei diritti umani, e nemmeno una sostenitrice della non violenza.
-Hibari, ti chiedo di fidarti di me.- disse Colonnello. -E ti chiedo di seguire il suo esempio e andare via subito.-
Dal palazzo di giustizia altre persone raggiunsero il patibolo. Tra loro c'era un medico che Hibari riconobbe come il medico della prigione governativa, dietro di lui il ministro delle punizioni con uno dei suoi uomini ammantati di nero. Con loro c'era qualche altra alta carica, riconoscibile dalle uniformi grigio antracite, delle quali non sapeva il nome.
-Non mi importa che cosa pensano queste persone.- rispose Hibari, gettando uno sguardo alla grande folla che si stava radunando. -Non mi importa se credono che per me sia giusto oppure no.-
-Ti prego, fidati di me, devi andartene immediatamente.- insistette Colonnello, stavolta guardandolo. -Lal non vuole che ti succeda qualcosa e io non voglio che un altro atto di disumanità venga consumato oggi.-
Hibari si girò a guardarlo preso da un vago panico, ignorando uno degli uomini sconosciuti che iniziava a declamare le formalità del caso, a partire dal nome del condannato per continuare con l'elenco delle sue malefatte, la lettura della sentenza ed elencando gli illustri testimoni.
-Un atto di... di che cosa state parlando?-
-... Hibari Kyoya!-
Sia Hibari che Colonnello si voltarono di scatto verso il funzionario che stava parlando, mentre uno sporadico applauso correva fra le persone venute ad assistere. Il vecchio gli faceva cenno di avvicinarsi. Non potè esimersi e fu con lo stomaco ancora più annodato per il criptico avvertimento di Colonnello che mosse qualche passo verso il centro del patibolo.
-Questo valoroso capitano è l'eroe che ha consegnato il pericoloso terrorista alla nostra nazione, che ora per il giudizio che ha meritato per le sue indegne azioni...-
Hibari non si era mai vergognato tanto nella vita. E dire che anni prima era riuscito a vergognarsi come un cane per essere stato trascinato al karaoke da Mukuro e Tsuna. Avrebbe così tanto voluto chiudere gli occhi e scoprire che era ancora quel giorno e sentire la voce di Mukuro che gli leggeva i titoli cercando di convincerlo a sceglierne una. Avrebbe tanto voluto aver cantato quel giorno...
-... sarà il capitano Hibari in persona a punire questo odioso nemico dello Stato.-
Hibari si irrigidì di scatto guardando nervosamente la frusta che gli aveva messo tra le mani e poi tutt'intorno. Aveva sentito bene? Doveva veramente essere lui a colpire Mukuro finchè non fosse svenuto, sempre ammesso che il destino gli permettesse di sopravvivere alla punizione? Dalla folla si levò un grido che a lui suonava più di indignazione che di consenso, ma dubitava che la gente stesse protestando per l'orrore che il compito che gli era stato imposto gli suscitava, piuttosto per la condanna in sè. E loro che credevano anche che fosse un grande onore castigare il nemico pubblico numero uno. Frustare a morte la persona che si è amata per tanto tempo, quale onore. Si voltò disperatamente verso Colonnello, ma lui non lo guardava. Non guardava nessuno, nemmeno il palco, voltava le spalle al condannato, al carnefice e a tutte le cariche lì presenti, in un silenzioso gesto di dissenso. Per la prima volta Hibari capì che non poteva sempre sperare che qualcun altro salvasse Mukuro e tirasse lui fuori dall'imbarazzo.
-Io non voglio.-
-Come?-
-Siete voi che lo avete condannato.- disse Hibari ficcandogli la frusta in mano. -Siete voi che lo dovete punire, non potete costringermi. Non c'è nessuna legge che permette a un capitano di eseguire la condanna di un prigioniero, per questo esiste il ministero delle punizioni.-
-Ascoltami bene, ragazzo.- disse il vecchio con aria minacciosa. -Il generale è già stato molto buono con te, passando sopra a tutte le volte in cui hai mentito e mancato al tuo dovere... ora questo è il tuo riscatto, se lo farai allora sarà tutto come prima e metteremo una pietra sopra a questa storia.-
Hibari non poteva credere a quello che sentiva. Eccoli di nuovo a ricattarlo per i suoi errori, a costringerlo a piegarsi ancora al loro perverso volere. Come aveva potuto una volta scrivere a Mukuro che "piegarsi non è spezzarsi"? Era esattamente la stessa cosa...
-Kyoya, va bene così.-
Hibari si voltò verso Mukuro, che in quel momento riceveva una violenta gomitata nel costato per aver avuto l'ardire di parlare senza essere interpellato. Come poteva andare bene, era impazzito?
-Voglio il mio ultimo desiderio.- disse Mukuro a voce alta. -Voglio adesso il mio ultimo desiderio.-
Il vecchio con ancora la frusta in mano guardò uno degli uomini che Hibari non conosceva, un giovane dai capelli bianchi e il sorriso inquietante. Egli annuì. Lo sguardo e il peso dell'aspettativa passò al ministro delle punizioni, che scrisse qualcosa sui fogli che aveva sotto gli occhi e annuì facendo un gesto con la mano grinzosa e pallida.
-Conferisci con il tuo carnefice per due minuti come hai richiesto, Rokudo Mukuro.-
Mukuro fece un sorriso indicibilmente triste a Hibari, che gli si avvicinò in fretta. Due minuti erano veramente troppo pochi. Ma qualcosa continuava a non tornargli. Il ministro non gli aveva chiesto quale fosse il suo ultimo desiderio, come se Mukuro glielo avesse comunicato prima di essere portato al patibolo. Era un caso che potesse parlare con lui? No... non aveva idea di come, ma Mukuro sapeva che sarebbe stato lui il suo carnefice, per questo aveva chiesto di potergli parlare l'ultima volta.
-Fallo tu, Kyoya.- gli disse non appena fu davanti a lui.
-Come puoi chiedermi di essere io a torturarti, Mukuro?! Sei pazzo?!-
-Sono stato torturato dal momento in cui sono entrato in carcere.- disse lui con aria stanca. -Per questo so che se deve andare così, se io devo soffrire e devo morire, voglio che sia tu e non uno di questi cani.-
Hibari strinse i pugni con rabbia. Come poteva chiedergli una cosa del genere? Come poteva sapere tutto e non capire quanto a lungo un simile atto l'avrebbe tormentato?
-So che è terribile chiedertelo, Kyoya... ma io sto per essere ucciso... e visto che ho deciso di perdere la mia vita per te, io sarei davvero felice se potessi essere tu a prenderla.- disse Mukuro piano. -Solo tu sai se darmi questa soddisfazione può essere un peso troppo grande per la tua anima.-
Hibari non aveva altra scelta e lo sapeva. Pensava lo stesse dicendo per proteggerlo come sempre, per evitare che la vendetta dell'Haido si abbattesse alla fine anche su di lui, ma Mukuro non stava mentendo. Sapeva che pensava davvero quello che gli aveva detto, e per quanto mostruoso fosse doveva accontentarlo. Perchè doveva sempre fargli del male quando avrebbe soltanto voluto difenderlo? Era così ingiusto. Tutto era ingiusto, tutto quanto. Si sforzò di annuire e il sorriso di Mukuro si allargò.
-Grazie.-
-... Mukuro, mi dispiace...-
-Non c'è niente di cui tu debba dispiacerti... la morte non è la fine...-
-Mukuro, voglio che tu sappia che... ogni volta che ho cercato di convincerti a fare qualcosa... tutte le volte che ho cercato di cambiarti io pensavo davvero di fare il tuo bene.- disse in fretta Hibari, aveva talmente tante cose da dirgli e soltanto due minuti per farlo. -Io credevo che sarebbe stato meglio per te, che saresti stato più felice...-
-Lo so... ma devi sempre ricordarti che non serve proteggere qualcuno togliendogli la libertà... hai visto dove siamo arrivati seguendo questo modo di pensare?-
Hibari si strofinò gli occhi rabbiosamente, gli bruciavano e non voleva che qualcuno lo vedesse piangere.
-Mi... mi vengono in mente talmente tanti momenti in cui eravamo insieme... io non... credevo nemmeno di aver passato così tanto tempo insieme a te... ti ho dato per scontato come se non avessi mai potuto perderti... come se avessi altre occasioni per tutto, e... vorrei aver cantato con te al karaoke, ed essere davvero andato al mare a vedere l'alba, e...-
-Kyoya...- lo interruppe Mukuro con un voce incredibilmente dolce ma anche amara. -Adesso ti penti di moltissime cose e capisco il perchè... ma quando non ci sarò più, l'unica cosa che rimpiangerai è di avermi mentito quando hai detto di non provare più niente per me.-
Hibari spalancò gli occhi mentre il peso della colpa gli tormentava le viscere dall'interno. Ma era così ovvio. Mukuro sapeva tutto, lo leggeva come un libro aperto, e quella notte aveva capito che la sua risposta non era sincera. Aveva capito i sentimenti soffocati nel fondo del suo cuore meglio di quanto li avesse capiti lui. Era così tragico aver consapevolezza delle sue emozioni soltanto ad un passo dalla fine.
-I due minuti sono finiti, Rokudo Mukuro.- disse il ministro, riponendo un antiquato orologio da tasca. -Hai tratto giovamento dal tuo ultimo desiderio?-
-Grazie per avermelo concesso.- disse Mukuro che tremava sempre di più per il freddo. -Ora sono pronto.-

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Capitolo 25
*** Silenzio bianco ***


Mukuro poteva anche sentirsi pronto, ma Hibari non lo era affatto. Il vecchio gli diede la frusta e lentamente si portò alle spalle del condannato. Era incredibile come solo in quel momento capisse quanto gli fosse mancato averlo accanto quasi tutti i giorni come quando erano adolescenti. Gli tornavano in mente tutti i suoi sciocchi biglietti infilati nell'armadietto delle scarpe, le e-mail in cui gli diceva che aveva mangiato il gelato migliore della sua vita, o che era caduto dallo skateboard, o che Chrome aveva preso il raffreddore e glielo aveva attaccato. Non aveva avuto tempo di chiedergli del bambino di Chrome Dokuro, e mentre gli spostava i capelli lunghi dalla schiena pensò che non gli importava. Anche se avesse saputo che quel bambino era di Mukuro, gli avrebbe perdonato sia l'atto che la colpa di averlo negato. Se soltanto avesse potuto slegarlo e andare via con lui avrebbe potuto perdonarlo anche se fosse stato il padre di tutti i bambini nati nella città di Namimori negli ultimi sei anni. Ma questo non poteva più succedere. Era la fine, benché Mukuro non fosse convinto, era la LORO fine...
-Si proceda.- disse il ministro.
Hibari fece un rigido segno di assenso mentre le sei corde della frusta si srotolavano ai suoi piedi. Il ministro era impassibile: per lui quello era soltanto lavoro di routine su un prigioniero senza una storia che non fosse la fedina penale. Vicino a lui invece l'uomo dai capelli bianchi sembrava bramare ogni singolo sciocco. Aveva l'impressione che desiderasse smodatamente poter essere al suo posto, ma questo era fuori discussione. Mukuro voleva fosse lui, e lui sarebbe stato. Strinse con forza la frusta. Non era sicuro di saperla usare, ma rendersi ridicolo non era neanche lontanamente una sua preoccupazione. Sperò soltanto che usandola male si sarebbe cavato un occhio o qualcosa del genere, perchè condividere il dolore sarebbe stata una consolazione per il suo cuore che sanguinava.
Dei molti che avrebbe dovuto vibrare, il primo colpo fu il peggiore. La lunghezza della frusta non gli impediva di sentire il modo in cui impattava la pelle e la sua intensità. Come se questo non bastasse Mukuro si contorse di dolore ma quasi non fiatò. Ci volle una forza di volontà che non aveva nulla a che vedere con quella che aveva esercitato durante gli addestramenti dell'accademia militare per sollevare ancora il braccio e sferzare di nuovo. Poi capì che così sarebbe stato un tormento infinito e bestiale. Se voleva davvero fare qualcosa per Mukuro doveva cambiare approccio. Non poteva colpirlo e sperare di non avergli fatto troppo male, perchè non si trattava di un numero di colpi preciso, ma sarebbe dovuto andare avanti finchè non avesse perso i sensi, e di quel passo non sarebbe successo mai.
-Ora sono pronto anch'io, Mukuro. Perdonami se ti ho fatto aspettare.-
Si fermò un momento per togliersi il cappotto che gli impediva i movimenti e quando riprese l'esecuzione la folla cominciò a borbottare, qualche ragazza o donna tra la gente gridò.
L'unica cosa che poteva fare per Mukuro era far sì che durasse poco, per questo metteva in ogni colpo il massimo della forza che poteva ottenere da un'arma che non gli era congeniale. Era terribile sentire il rumore che faceva sulla pelle di Mukuro, era terribile vederla diventare rossa dopo il pallore che il freddo le aveva conferito, e ancora più terribile fu quando, dopo quella che a Hibari era parsa un'eternità, il movimento della sferzata schizzò gocce di sangue sul legno del patibolo. Per quanto doveva soffrire orrendamente però, il condannato si lasciava sfuggire suoni così bassi che a malapena potevano essere sentiti dal suo carnefice. Kyoya però non poteva fermarsi e non lo fece. Vide con la coda dell'occhio l'uomo dai capelli bianchi che sembrava trattenersi dalla voglia di alzarsi e avvicinarsi per vedere meglio. Altre facce tutt'intorno erano stupite. Non si aspettavano certo una simile ferocia dall'uomo che credevano proteggesse e amasse quel terrorista...
Poi il suo sguardo captò qualcosa dalla parte opposta. Azzardò uno sguardo da quella parte tra un colpo e un altro e vide che Colonnello ora stava guardando l'esecuzione con espressione critica. La sua giacca mimetica era aperta su una maglietta bianco candido e reggeva il fucile nella posa di un soldato pronto a deporre le armi. Notò solo in quel momento la folla al di là del corpo di Mukuro. Ogni volta che sferzava un colpo, qualcuno si spogliava di un cappotto o di una felpa e restava vestito di bianco, guardando fisso verso il condannato. Tutti i sostenitori di Mukuro e della sua lotta per la primavera erano venuti ad assistere ai suoi ultimi momenti, testimoniandogli la vicinanza con il silenzio e il candore dei loro vestiti, come quelli che lui stesso aveva scelto per contrastare le uniformi nere dell'Haido. Hibari non poteva vedere il suo viso, ma era sicuro che Mukuro non avrebbe potuto desiderare una forma d'amore e di empatia più bella di quella.
Era strano pensare che fossero più in sintonia ora mentre erano vittima e carnefice di quanto lo fossero stati quando erano poco meno che fidanzati, ma le cose stavano così. Hibari sentiva ogni singolo colpo, sapeva con un momento d'anticipo quale impatto avrebbe aperto una nuova piaga. Sentiva, o per lo meno intuiva, il suo dolore crescente, il suo sforzo nell'apparire forte fino all'ultimo, fino all'attimo in cui avrebbe ceduto definitivamente. E quel momento non era molto lontano, per questo Hibari strinse gli occhi e mise ancora più forza nel suo ignobile compito. Aveva avuto ragione a pensare che non aveva idea di come doveva essere una fustigazione. Non aveva idea delle orribili ferite di pelle strappata che lasciava, non avrebbe mai potuto immaginare lo spargimento di sangue e il suo nauseante odore, nè la frusta che ne gocciolava impregnata. La sua uniforme era ridotta come un grembiule da macellaio, sentiva le gocce anche sul viso.
Quando fu la fine tutti se ne resero conto: gli ultimi colpi fecero piegare Mukuro più di qualsiasi altro ricevuto, come se fosse l'istinto di sopravvivenza a cercare di obbligare il corpo a scappare dalla punizione, e soltanto in quegli ultimi colpi le persone sul patibolo e le più vicine tra la folla lo sentirono erompere in qualche disperato singhiozzo. Senza che glielo dicesse il medico o il ministro, Hibari fermò l'esecuzione e lasciò cadere la frusta nel ventaglio di sangue che imbrattava il legno. Sapeva che era finita, ormai. Il corpo martoriato di Mukuro pendeva dondolando piano dalla catena e l'uniforme che era stata il suo simbolo era completamente rossa. Sapeva che era finita, ma non potè ignorare il tragico senso di vuoto che avvertì nello stomaco quando lo sentì emettere un rantolo soffocato e lo vide chinare il capo per poi restare immobile, in un silenzio così denso da poter sentire le gocce di sangue cadere dai suoi stivali.
Il medico si avvicinò per i controlli previsti dalla prassi. La protesta delle persone vestite di bianco continuava nel più totale silenzio: la piazza centrale era un mare di abiti candidi. Personalità di spicco della protesta continuava a essere Colonnello, ancora immobile, ancora mostrando la maglia bianca, i lineamenti ancora più marmorei di prima. Hibari non ce la faceva a restare. Non appena il medico diede l'ordine di tirare giù il prigioniero, si allontanò da quella chiazza di sangue e dal quel terribile odore senza voltarsi indietro. Scese le scale del patibolo e vide Saeki Tanaka fra gli uomini della sicurezza che facevano cordone attorno al passaggio fino al palazzo di giustizia. Era l'unico soldato che guardava verso Mukuro e non verso la gente. Non rallentò nè si fermò da lui. Non voleva nessuno vicino in quel momento, aveva bisogno di stare solo lontano dagli sguardi...
Hibari entrò nel palazzo che era quasi vuoto. Aveva un bisogno impellente di strapparsi di dosso quei vestiti intrisi di sangue, non riusciva più a sopportarli. Sentì uno sparo e allarmato si affacciò alla finestra, ma non era successo niente. Mukuro era stato disteso su una barella per essere portato via. Il colpo era stato sparato in aria da Colonnello, come a un funerale militare. Il cuore sprofondò ancora un po' quando vide il medico stendere un lenzuolo sul viso di Mukuro. Hibari avrebbe voluto scappare via, non voleva assistere a quell'ulteriore orrore, ma rimase inchiodato alla finestra, a contemplare le guardie che portavano via il corpo di Mukuro, immobile sotto il tessuto che cominciava a macchiarsi di rosso. Era davvero un'immagine terribile, ma il suo animo si sentì impercettibilmente sollevato quando il suo sguardo si posò su Saeki. Nel momento in cui la salma gli passò accanto lo vide mettersi sull'attenti e fare un saluto militare. Sapeva anche senza badare al fatto che nessun altro soldato l'aveva imitato che quel saluto era soltanto per l'uomo che era appena stato ucciso.
Non ci volle molto prima che Mukuro scomparisse alla vista e la folla cominciasse a disperdersi e il bianco scemasse mentre la gente si rivestiva. Non era più necessario tanto bianco, lui non poteva più vederlo. Era già andato oltre, qualsiasi cosa ci fosse dopo, e non poteva sapere che anche il cielo si era schierato dalla sua parte. La neve aveva cominciato a cadere lentamente...

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Capitolo 26
*** Fioca speranza ***


Hibari spalancò la porta e la neve entrò con lui, sospinta dal vento, nella vecchia casa.
Era un piccolo bilocale ricavato da un seminterrato, a pochi passi dall'accademia militare. Ci aveva abitato durante gli anni dell'addestramento, non avendo praticamente un soldo da sbattere nell'altro prima di diventare un militare. Il posto era deprimente come allora, buio per le poche e strette finestre a livello della strada e trasandato. Ovviamente era tutto come lo aveva lasciato: aveva continuato regolarmente a pagare l'affitto di quel tugurio per poter andare a riprendere le sue cose quando ne avesse avuto il tempo. Ma non ci era mai tornato, nemmeno una volta in tanti anni.
Il luogo era coperto di polvere e ragnatele. Erano rimasti dei piatti sul tavolo e un cartoncino di una pasticceria. Non si ricordava di cosa avesse comprato e quando, nè gli importava. Il tanfo di umido e sporco era quasi intollerabile. Alla fine, pensò Hibari guardandosi intorno, era rimasto ben poco delle sue cose. C'era una lampada che aveva portato lui per poter studiare con un'illuminazione decente, la ciotola del gattino che aveva trovato randagio per strada poi scomparso dopo poco tempo per non tornare più, e una giacca appesa alla parete. Era la giacca che aveva indossato per la cerimonia del diploma. Non si era mai accorto di non averla più. Per il resto non c'erano altro che sporco e rifiuti, sparsi sul pavimento di vecchio parquet rovinato e sopra a una moltitudine di mobili scompagnati disposti a caso dove più gli erano tornati utili.
Non gli importava come fosse ridotta la casa o le sue cose: non era lì per riprendere oggetti personali o per fermarsi. Voleva solo stare in un posto tranquillo, dove nessuno lo avrebbe cercato, nemmeno Saeki. Stare in un posto dove potesse sfogarsi senza che nessuno di loro potesse sapere quanto stava soffrendo. Nel momento stesso in cui la porta si chiuse cigolando, Hibari si tenne la testa. L'enormità dei suoi pensieri era tale che non riusciva più a sopportarli. Gridò forte, rabbiosamente, ma non servì a farlo sentire meglio. Afferrò tutto quello che riusciva a staccare da terra e lo scagliò da un lato all'altro della stanza, incurante del rumore, godendo dei danni che riusciva a fare a qualsiasi cosa: mobili, oggetti e muri. Accecato dalle lacrime, reso folle dalla rabbia, distruggeva spietatamente tutto quanto. Desiderava soltanto infliggere dei danni permanenti a tutto quello che aveva, anche se erano cose ormai prive di valore e utilità. Riuscì a emergere dalla sua furia soltanto quando inciampò sulla ciotola del suo gattino. Momentaneamente stordito, la raccolse per guardarla. C'erano sopra dita di polvere. Si tolse i guanti e la strofinò con il palmo, portando alla luce un colore giallo acceso e una scritta nera a pennarello tracciata con la sua calligrafia. Sentì una fitta al cuore. Non ricordava di aver chiamato Mukuro quel gattino nero che aveva raccolto dalla strada... e non era riuscito a prendersi cura di nessuno dei due. Era questo che succedeva a tutto quello che amava, finiva sempre per distruggerlo. Aveva sempre perso ogni cosa che poteva renderlo felice: il rapporto con i suoi genitori, il legame che aveva con i suoi amici, il gattino randagio, e ora Mukuro...
Gridando di rabbia sbattè con violenza la ciotola contro il muro. Quella si spaccò al secondo urto e le schegge si piantarono nelle sue dita, sulle nocche e nel palmo della sua mano destra, facendo gocciolare il sangue con acute fitte di dolore. Si vergognò di sentire male per una ferita così superficiale dopo aver visto che cosa aveva dovuto patire Mukuro nei suoi ultimi minuti, senza quasi un fiato o un lamento.
Con un singhiozzo Hibari si accasciò contro la parete e scivolò a terra lasciando una lunga scia insanguinata sul muro giallo chiaro. Il vento faceva cigolare la porta che era ancora socchiusa, ma non si preoccupò che potesse entrare qualcuno. Non lì, non quel giorno, non in quel momento. E lui aveva bisogno di appena un momento...
Prese da sotto il cappotto la pistola d'ordinanza che gli avevano dato quando era diventato tenente. Non l'aveva mai usata, nè tantomeno l'aveva mai portata con sè. Le armi da fuoco lo ripugnavano: riteneva che chi doveva farsi obbedire con una pistola fosse soltanto un debole, e chi dovesse uccidere un altro uomo con un'arma del genere fosse solo un vigliacco. Era sempre stata chiusa a chiave nel cassetto della sua scrivania in caserma, tranne una volta in cui Saeki l'aveva pulita per lui per evitare che si inceppasse quando avesse provato a usarla. Questa sarebbe stata l'unica avventura per quell'arma. Avrebbe sparato un solo colpo e poi nessun altro mai più.
Hibari si assicurò che fosse del tutto carica e che la sicura fosse tolta prima di puntare la canna alla tempia. Era fredda, come quella giornata di neve sempre più intensa. La stanzetta devastata era misera oltre ogni dire, ma era questa la tomba che meritava, una squallida cripta e un'arma da vigliacchi per la morte di un misero vigliacco. Ma se davvero la morte non era la fine, lui voleva seguire la fioca speranza di ritrovare Mukuro dopo il suo congedo dalla vita...
-Hibari!! Ma che stai facendo?!-
L'arma da fuoco gli fu strappata dalla mano dolorante mentre udiva queste parole. Era interdetto, non capiva come qualcuno avrebbe potuto trovarlo in quel miserabile buco, ma divenne ancora più perplesso quando si accorse che a togliergli l'arma dalle mani era stato Yamamoto.
-Ridammela!-
-Te lo sogni.- ribattè Yamamoto, inserendo la sicura. -Col cavolo che ti lascio una pistola per farti saltare per aria il cervello, ho visto già abbastanza morti nella mia vita.-
-Allora dammela e levati dalle palle!-
-Non essere assurdo, lo sai che non lo farò.- rispose Takeshi più dolcemente.
-Questo è un reato, Takeshi Yamamoto!- sbottò Hibari alzandosi malfermo sulle gambe. -Quella è un'arma d'ordinanza e solo io ho il diritto di portarla!-
Yamamoto lo fissò e la sua espressione invece di indurirsi si rilassò.
-Hibari, io capisco che tu sia sconvolto...-
-Tu capisci?!- lo interruppe Hibari gridando. -Che cos'è che capisci?! Tu non capisci niente! No, per te la vita è tutta una cosa fantastica, hai la tua scuola di arti marziali, finchè hai la tua scuola della rondine niente può renderti infelice...-
-Hibari...-
-Chissenefrega se da qualche parte qualcuno muore, è il destino di tutte le vite, morire, lo si accetta e si va avanti, no? Beh, no! Tu sarai anche di pietra ma io non lo sono!-
-Hibari, io capisco che cosa provi, ma lui non vorrebbe che tu morissi così.-
-Ah, tu CAPISCI COSA PROVO?-
La voce di Hibari era così stridula e acuta che nessuno avrebbe potuto riconoscerla.
-TU NON CAPISCI NIENTE DI QUELLO CHE PROVO!-
-Non sottovalutarmi...-
Hibari lo guardò con gli occhi sgranati e fece un macabro sorriso. La sua risata stridula era spaventosa e a dirla tutta a Yamamoto pareva che l'amico stesse davvero uscendo di testa. Lo fissava senza dare alcun segno di vederlo, con occhi spalancati che lacrimavano e un sorriso agghiacciante che non aveva alcuna pretesa di gioia o di allegria. Si portò le mani al volto girando innaturalmente la testa da un lato.
-Sottovalutarti?- disse con una voce improvvisamente bassa e profonda, più simile al suo tono normale. -Io sottovalutarti...?-
Diede in una risata secca come colpi di tosse soffocati.
-Ho frustato l'uomo che amavo davanti a tutta la nazione... fino a strappargli la pelle dalla schiena...- rantolò Hibari, affondando le unghie nel viso. -Fino a spargere il suo sangue dappertutto... per il godimento di uomini perversi... fino a ucciderlo... e tu... e tu capisci questo? Tu capisci questo?-
Yamamoto avrebbe voluto rispondere che poteva capire, che poteva immaginare, ma in tutta sincerità non poteva mentire così spudoratamente, nemmeno per cercare di consolarlo. Cercò qualcosa da dirgli per farlo sentire meglio, qualsiasi cosa gli alleggerisse il fardello, ma non riuscì a trovare nulla che non fossero le vuote parole che si usavano sempre per compatire chi aveva subìto un grave lutto. Sconfitto, distolse lo sguardo. Hibari smise di sorridere in modo folle e le mani gli scivolarono via dal viso. Aveva lasciato ferite rosse dove aveva piantato le unghie e la sua guancia destra era piena di sangue lasciato dai tagli sulla mano. Stava di nuovo piangendo.
-Come... ti sentiresti... se avessi fatto lo stesso a Gokudera?-
Yamamoto si sentì stringere le viscere sgradevolmente. Aveva assistito all'esecuzione di Mukuro e per tutto il tempo aveva avuto il terrore che a Gokudera potesse accadere una cosa simile. Aveva pregato che non succedesse mai una cosa tanto crudele a un altro dei suoi amici, ma soprattutto ad Hayato Gokudera. Non riusciva nemmeno a immaginare che cosa avrebbe provato se legato lì ci fosse stato lui, e se avesse dovuto salire sul patibolo a colpirlo a morte di persona. Lui avrebbe preferito morire, avrebbe preferito uccidersi con le sue stesse mani piuttosto che macchiarle del sangue di una persona amata...
-La tua morte avrebbe avuto senso se fosse stata là sopra insieme a Mukuro.- rispose alla fine Yamamoto in tono pacato. -Ma adesso... è solo una vigliaccheria.-
Hibari non riuscì a far uscire nulla dalla gola per rispondere. Si chiese se Mukuro non avrebbe preferito che Hibari lo uccidesse in un attimo, con un colpo di pistola, prima di raggiungerlo nello stesso modo, nel giro di una manciata di secondi...
-Se ti senti in colpa, Hibari... devi continuare a vivere... devi combattere ancora, innamorarti ancora e vivere tutto il tempo che ti resta, senza dimenticare quello che la sua morte ti ha insegnato.-
-Io non ci riesco! Io non voglio!- sbottò Hibari tirando un pugno al muro con la mano ferita. -Io non merito questo, dovevo essere io al suo posto!-
Yamamoto abbandonò l'arma sul tavolo accanto al cartoncino con il logo della pasticceria e si avvicinò posandogli piano le mani sulle spalle. Sentiva chiaramente il suo tremore e i suoi singhiozzi soffocati.
-Non dovevi essere al suo posto... Mukuro ha fatto tutto quello che poteva perchè non accadesse...- gli disse piano. -Avanti, basta scappare, ci vuole un abbraccio, non puoi evitarli per sempre.-
Hibari stavolta non oppose resistenza. Ricordava che era stato Tsuna a lanciare quella strana moda degli abbracci consolatori. Era capitato che a volte, quando erano ancora ragazzini, succedesse qualcosa di triste o di deprimente a qualcuno di loro e tutti i membri del loro sgangherato gruppo presenti si stringevano in un abbraccio terapeutico. L'aveva sempre trovato stupido e imbarazzante ogni volta che era stato costretto a farlo o peggio, a subirlo. Ma questa volta non c'era nessun altro a guardare quella scena e il calore di un altro essere umano era come una tazza di tè bollente fra le mani dopo una corsa nella pioggia intensa dell'inverno.
-Lo so che oggi hai perso tanto, Hibari... ma non hai perso tutto... e tutti... andrai avanti con quello che ti è rimasto... io sarò con te se ne avrai bisogno.- gli disse Yamamoto con un sorriso che si sforzava di essere più confortante possibile. -Andiamo via da qui, questo posto è il motivo per cui volevi suicidarti...-
Hibari si lasciò portare fuori dalla misera catapecchia e l'aria fredda sul viso lo fece sentire meglio. Un po' più lucido, un po' più... vivo. Stava ancora nevicando e le strade erano coperte da un sottile e soffice manto di fiocchi bianchi. Ancora il suo corpo non ne voleva sapere di camminare autonomamente, Yamamoto doveva reggerlo per evitare che si accasciasse sulla strada.
-Come sapevi... che ero lì?-
-Non lo sapevo.- rispose semplicemente Yamamoto.
-E allora perchè sei venuto?-
-Ho pensato che fossi sconvolto e volevo parlarti, ma non sapevo dove fossi... sono venuto a cercarti in caserma e un tuo collega mi ha detto che eri passato a prendere la pistola che avevi lasciato lì... ma io lo so che tu non vuoi portarla, quindi ho pensato che stessi... facendo qualche idiozia.-
-Non puoi avere avuto il tempo di cercarmi a casa...-
-No, ma ero sicuro che non ti saresti mai sparato a casa tua.- disse lui. -Innanzitutto, rischiavi di essere interrotto... e poi, il colpo avrebbe spaventato gli animali... non avresti mai potuto rischiare di ucciderli per la paura.-
Hibari non rispose e sorrise appena. Il primo pensiero che ebbe fu che Yamamoto non era affatto stupido come voleva far pensare a chiunque. Il secondo fu che sapeva leggere le sue intenzioni davvero bene, mentre lui, Hibari, di Yamamoto non aveva capito niente.

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Capitolo 27
*** Animo gentile ***


Tsuna era sprofondato da ore nella sua poltrona preferita nel soggiorno della casa di suo padre. Il televisore trasmetteva un vecchio film d'animazione che aveva guardato spesso da bambino. Era una coincidenza singolare che mandassero in onda uno dei film preferiti di Mukuro subito dopo la diretta della sua pubblica esecuzione. Singolare e di cattivo gusto, se non fosse già abbastanza crudele diffondere un'esecuzione tanto brutale il giorno di Natale.
-Sawada dono.-
Una zaffata di tè caldo raggiunse il suo naso e lo fece voltare. Distratto com'era dai suoi pensieri non riconobbe subito quel viso incorniciato di lunghi capelli color biondo castano con occhi azzurri.
-Sawada dono, bevete un po' di tè, vi farà sentire meglio.-
Sentirsi meglio. Tsuna avrebbe veramente voluto credere che una tazza di tè avrebbe potuto colmare la distanza con i suoi amici, la mancanza dell'uomo che amava e la morte del suo migliore amico di appena un'ora prima, ma gli era impossibile. Però Basil era stato tanto gentile da prepararglielo, e lui non poteva sapere quali mali lo affliggevano, così prese la tazza.
-Volete che chiami vostro padre?-
Tsuna strinse con forza la tazza e si morse il labbro. Fosse stato un altro l'avrebbe preso a urli in faccia, ma si limitò a fissarlo.
Basil era un ragazzo straniero che era rimasto senza genitori fin da piccolo. Gli erano ancora oscuri i dettagli sul dove e come suo padre l'avesse incontrato, ma l'aveva subito preso in simpatia e aveva fatto in modo di diventare legalmente il suo tutore e lo era rimasto fino al compimento dei suoi diciotto anni. L'opinione di Tsuna sulla scelta del padre era che l'avesse scelto perchè aveva la stessa età del figlio, ma era molto più disposto di lui ad ascoltarlo. Appurato che il suo unico discendente non aveva nessuna intenzione di continuare l'opera del generale, Basil era forse l'erede designato per il futuro compito.
Ma Basil non sapeva praticamente nulla di come Iemitsu Sawada fosse stato un genitore discontinuo e contraddittorio, non sapeva i dettagli della furiosa litigata che li aveva separati definitivamente fino ai recenti avvenimenti. Non aveva idea che Tsunayoshi non avesse mai perdonato al genitore di aver raccolto l'ideologia che serpeggiava a Namimori più di dieci anni prima, averle dato un nome, un simbolo e un partito, fino a trasformarla in una spregevole dittatura. E dopo questo aveva anche lasciato morire il suo migliore amico, non importava con quante preghiere e quante lacrime gli avesse chiesto di non farlo. E niente avrebbe tolto dalla mente di Tsuna che la sua ostinazione nel non fare nulla per impedire l'esecuzione di Mukuro fosse una vendetta personale per essergli sempre stato ostile.
-Sawada dono?- lo chiamò Basil, strappandolo ai pensieri. -Non vi sentite bene? Volete che chiami vostro padre?-
-No.- rispose subito lui. -Sto bene.-
Tsuna prese un sorso di tè, ma all'istante fece una strana smorfia e lo sputò sul tappeto, mancando di poco Uri acciambellata sotto il tavolino. Era il tè più vomitevole che avesse mai bevuto, era terribilmente amaro, così amaro che non riusciva a distinguere nemmeno che tipo di tè fosse se non aiutato dal colore. Basil lo guardò con aria mortificata.
-Non è buono?-
Tsuna fu dispiaciuto di non avere mostrato un po' più di diplomazia ingoiandolo anzichè sputarlo. Tentò di riparare all'errore affermando che si era soltanto scottato e prese eroicamente un altro sorso, ma inghiottirlo fu tremendo. Avrebbe preferito cercare di inghiottire una gomma da cancellare. Il gusto amaro del tè era così prepotente da farlo tremare.
-Sawada dono...-
-M-mi spiace, Basil.- disse lui in tono di scusa. -È veramente... terribile.-
-Sono desolato, Sawada dono! Ve ne preparo dell'altro!-
-Non credo che riusciresti a farlo come si deve.-
Tsuna si alzò dalla poltrona per la prima volta dall'alba, quando ci si era seduto. Era felice di avere qualcosa da fare che lo distraesse dai suoi problemi, che lo aiutasse a sfuggire alla prigione che era diventata la sua mente, con i suoi sensi di colpa come malvagi carcerieri. Non appena mise i piedi a terra Uri si buttò su di lui facendo le fusa e gli strappò un sorriso. Le grattò la pancia con il piede prima di spingerla delicatamente a lato per evitare di calpestarla. Lei rimase lì dove l'aveva fatta rotolare e chiuse gli occhi facendo altre rumorose fusa.
-Sai...- riprese guardando Basil. -Il tè non si prepara tutto nello stesso modo... per certi tipi l'acqua deve bollire e per altri dev'essere un po' più fredda... anche il tempo in cui viene lasciato in infusione è diverso... e ci sono molte altre cose da sapere a seconda del tipo che usi.-
-Davvero? Non ne avevo idea!- ribattè Basil, meravigliato. -Vi prego, insegnatemi tutto quello che sapete sull'arte del tè!-
Tsuna suo malgrado rise mentre prendeva la scatola di latta che conteneva il tè che il ragazzo aveva usato. Era divertente che qualsiasi cosa fosse tipicamente giapponese fosse un'arte, e che chiunque fosse a conoscenza di una cosa in più di lui diventasse un maestro in grado di insegnargliela.
-Non sono mica un maestro... era... era la mia mamma quella brava in queste cose...-
Avvertì una fitta nel petto nel menzionare la madre. Uno degli ultimi giorni in cui era andato a trovarla prima che venisse ricoverata in ospedale gli aveva fatto del tè, un nuovo tipo molto pregiato e costoso che non aveva mai provato prima. Era davvero buono e la mamma aveva fatto anche i sakuramochi. Gli aveva sempre preparato un sacco di cose buone, e lui non conosceva nemmeno una delle sue ricette. Sentiva come se l'eredità materiale di sua madre fosse svanita insieme a lei.
-Sawada dono... che cosa avete?-
Tsuna non si era accorto delle lacrime che gli erano scese sul viso. Per quanto fosse provato dalla scomparsa di sua madre, tutto ciò che era accaduto dopo aveva trasformato il suo dolore. La perdita di un amico e la paura che aveva che potesse accadere lo stesso ad altri gli avevano dato una diversa prospettiva della sua perdita: era il corso naturale per quanto triste della vita dei figli dover accettare la dipartita dei genitori, perchè sarebbe stato più innaturale e più doloroso il contrario. Era ancora afflitto, ma almeno avrebbe voluto avere qualcosa di lei, avrebbe voluto poterle assomigliare di più, saper fare le cose come le faceva lei, in modo che il suo ricordo vivesse...
-È per vostra madre?-
Tsuna si limitò ad annuire. Era troppo difficile spiegare tutto quello che sentiva in proposito.
-Ho saputo che è scomparsa da poco... mi dispiace molto per voi.- disse Basil, con una sincerità disarmante da parte di qualcuno che conosceva da pochi giorni. -Avrei voluto conoscerla anch'io, doveva essere una persona gentile e di innata dolcezza.-
-Te l'ha detto mio padre?-
-Me lo avete detto voi, Sawada dono...-
Tsuna si grattò il naso in evidente imbarazzo. Lui non si ricordava assolutamente di aver parlato di sua madre con Basil, a dire il vero non ne aveva parlato a nessuno da quando era scomparsa. Era la prima volta che la nominava. Oppure qualche volta aveva bevuto più di quanto gli fosse parso e aveva parlato a sproposito?
-Io conosco vostro padre da molti anni... ha... moltissime doti e virtù... ha intelligenza, determinazione, conoscenza, carisma... e molto altro... ma voi, Sawada dono, voi avete una sensibilità che vostro padre non ha mai avuto e non avrà mai. Voi avete una gentilezza e una dolcezza che un uomo come lui non può avervi insegnato... deve avervela data vostra madre.-
Tsuna sentì delle nuove lacrime scendergli sul viso, ma riuscì a sorridere mentre si strofinava la guancia con la manica della felpa. Nello stesso momento la mano di Basil asciugò l'altro lato del suo viso e il giovane straniero gli mostrò il palmo bagnato su cui si rifletteva la luce.
-Vostra madre vive nel vostro buon cuore... nei vostri sorrisi, nelle vostre lacrime e in ogni minimo atto di bontà che offrite al prossimo.-
Per la prima volta da tempo Tsuna non piangeva lacrime amare e riusciva a sorridere spontaneamente. Nessuno sarebbe riuscito mai a dirgli qualcosa di più bello per sollevare il peso del suo lutto. Si tamponò frettolosamente gli occhi e tentò di ricomporsi un po'.
-Pe... perdonami, Basil... non volevo fare questa scenata, non volevo piangere davanti a te.-
-Invece sentitevi libero di mostrarvi per quello che siete ai miei occhi.- rispose subito lui. -Vostro padre... è stato il mio tutore legale per molto tempo... questo potrebbe fare di me vostro fratello, se non temessi di essere eccessivamente inopportuno.-
Tsunayoshi non perse il sorriso mentre tornava a occuparsi del tè. Non aveva mai provato il desiderio di avere una sorella o un fratello, ma se avesse mai pensato di volerne uno l'avrebbe voluto così. Gentile, rispettoso e confortante. Non aveva idea di chi fossero i suoi genitori e quanto fossero stati presenti nella sua educazione, ma chiunque fosse stato il responsabile aveva fatto un buon lavoro.
-Basil, probabilmente mi hai dato più attenzione e conforto tu in questi giorni che mio padre da quando ho memoria.- disse mettendo il bollitore sul fuoco, ed era sincero. -Se vuoi considerarti come un fratello per me, non sei inopportuno come pensi.-
Tsuna era certo di aver visto i suoi occhi azzurri riflettere la luce in modo particolarmente acquoso prima che il braccio avvolto nella manica nera li coprisse alla vista. Basil borbottò una serie infinita di ringraziamenti, come sempre lo trattava come fosse il principe ereditario del regno più bello del mondo, balbettando che non avrebbe mai pensato di essere degno di tanta considerazione. Non potè fare a meno di ridere.
-Ora possiamo tornare a occuparci del tè?-

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Capitolo 28
*** Memorie segrete ***


Yamamoto non si era mai sentito un divo quanto quel giorno passato a rimbalzare da un angolo all'altro del palazzo di giustizia, della caserma e dell'ufficio certificazioni con i suoi documenti d'identità mostrati a decine di persone. Non appena mostrava il suo nome a qualcuno, calamitava gli sguardi di tutti, incuriositi e sbalorditi. Anche gli impiegati più irritabili, insonnoliti e annoiati diventavano vispi, attenti e affabili, anche con episodi di immondo servilismo, ma alla fine era riuscito a ottenere un permesso per fare visita a Gokudera, per quello stesso giorno. Praticamente un record assoluto.
La guardia aprì la porta di metallo con gran fracasso e lo lasciò entrare. Fece qualche passo nello squallido corridoio. Uno dei neon che lo illuminava lampeggiava in modo fastidioso. I suoi occhi castani sbirciarono in tutte le celle, tutte vuote, prima di trovarne una che ospitasse un prigioniero, ed era l'uomo che stava cercando.
-Gokudera...-
Hayato Gokudera alzò la testa di scatto dalla branda e si strofinò gli occhi. Stava evidentemente dormendo, anche se era un orario strano per un pisolino. Ma in una cella sottoterra doveva essere difficile rendersi conto dell'orario e mantenere un naturale ritmo di sonno e veglia.
-Ya... Yamamoto?- fece lui, strizzando gli occhi nella sua direzione. -Yamamoto!-
Gokudera si alzò di scatto e raggiunse le sbarre. Yamamoto era contento di rivederlo, ma non potevano non preoccuparlo le sue condizioni. Era molto dimagrito dall'ultima in cui l'aveva visto, era molto pallido, indossava degli abiti sporchi e sgualciti come se non se li fosse tolti da molto tempo. Tuttavia sorrise guardandolo in volto.
-Con quella barba sì che sembri un professore, Gokudera.-
-Ah...-
Gokudera si toccò il viso schioccando la bocca in un suono irritato.
-Non mi permettono di usare un rasoio... mi fanno fare una doccia ma non hanno del sapone da darmi, e non hanno neanche dei vestiti da darmi per cambiarmi, è agghiacciante lavarsi sempre le stesse mutande senza neanche un cazzo di pezzo di sapone da due soldi...-
Yamamoto sorrise e gli mostrò la sacca sportiva che portava con sè. Gli aveva portato dei vestiti di ricambio e qualche altra cosa d'uso quotidiano che poteva non avere. Gokudera parve gradire il suo pensiero, perchè abbracciò la sacca attraverso le sbarre con un sospiro di sollievo.
-Quanto ti amo in questo momento non puoi saperlo, Yamamoto.-
-Ti danno abbastanza da mangiare? Credo che il cambio di personalità sia uno degli effetti collaterali dell'inedia.-
-Muoio di fame, si potrebbe dire... difficilmente mi è capitato di rimpiangere quello che cucina Tsuna.-
-Ah, questo spiega tutto... beh, forse posso aiutarti... signor guardiano?-
La guardia si affacciò immediatamente, neanche fosse fermo fuori dalla porta in attesa di essere interpellato.
-Signor Yamamoto, posso aiutarla?-
-Al mio amico piacerebbe poter fare una doccia, visto che gli ho portato un cambio di vestiti... e se avesse la gentilezza di fargli avere un rasoio per la barba ne sarei davvero felice.-
-Ah... ecco, io non potrei consegnare nulla di pericoloso al prigioniero...-
-... Potrebbe allora consegnarlo a me? Posso occuparmene io.- insistette Yamamoto. -Mi farebbe davvero un grande favore, signor Ishida. Le prometto che non lo dirò a nessuno se le causa problemi.-
-Oh beh... immagino che si possa fare, se il prigioniero indossa le manette... dopotutto... sicuramente lei non si farebbe disarmare e ferire, quindi...-
Ishida accorse ad aprire la cella sotto lo sguardo perplesso di Gokudera. Tra un "prego" e un "onoratissimo", l'affabile guardiano li scortò nei bagni e procurò loro persino il rasoio. Si mise di guardia alla porta e li lasciò soli, mentre Gokudera si infilava sotto il getto della doccia senza aspettare che diventasse calda. Era troppo ansioso di darsi una ripulita, infatti dopo un minuto era interamente ricoperto di schiuma bianca.
-Come diavolo hai fatto a convincerli?-
-Mah, gli sarò simpatico, chissà...- rispose Yamamoto evasivo. -Che cosa dice Tsuna della tua barba?-
Gokudera si toccò di nuovo la faccia, come se dimenticasse di non essersi potuto rasare da settimane. Non aveva mai portato la barba in tutta la vita, ma nonostante fosse incolta gli dava uno certo fascino.
-A lui non è mai piaciuta... gli dava fastidio sentirla quando mi toccava...- disse lui chiudendo il getto dell'acqua con qualche difficoltà. -Immagino che se la vedesse mi guarderebbe schifato.-
Il sorriso di Yamamoto scivolò via come la schiuma nel tubo di scarico della doccia.
-Cosa... significa che Tsuna non ti ha ancora visto?-
-L'ho visto l'ultima volta la sera del processo... abbiamo... abbiamo litigato... mi sono arrabbiato con lui per delle cose, l'ho anche aggredito e... lui... non è più venuto a trovarmi.-
Quando Gokudera guardò di nuovo Yamamoto lo fece con degli occhi che Takeshi non vedeva da molto tempo ormai. Credeva di aver dimenticato completamente il modo in cui i suoi occhi verdi potevano supplicarlo più efficacemente di qualsiasi preghiera, ma in quel momento ricordi di giorni remoti divennero di nuovo vividi.
-Yamamoto, ti prego... devi tirarmi fuori di qui. Forse posso ancora fare qualcosa per impedire che Mukuro venga ucciso.-
Yamamoto deglutì a fatica e non osò guardarlo in faccia. Possibile che nessuno l'avesse informato che quello che temeva era già accaduto? Che giorno credeva che fosse? Ma era anche vero che in una cella senza finestre da cui vedere il cielo si poteva facilmente perdere il senso dei giorni.
Il suo silenzio evidentemente aveva parlato per lui, perchè non ebbe bisogno di cercare parole. Gokudera spalancò gli occhi, si mise le mani sulla faccia e appoggiò la fronte contro le piastrelle bianche del bagno.
-Che... che giorno è oggi?-
-Il trenta dicembre.- rispose l'altro.
Fu terribile per Yamamoto essere lì a guardarlo soffrire senza poter fare niente. Allungò la mano verso di lui, ma non riusciva a trovare il coraggio di toccarlo. Avrebbe voluto consolarlo, come aveva cercato di fare con Hibari, ma in quel caso non c'erano state tutte le complicazioni che lo bloccavano in quel momento. E quante erano, quanti casini erano sepolti fra di loro...
Yamamoto deglutì la sua paura. Non aveva appena visto morire qualcuno che conosceva da tanto tempo? Non aveva appena visto il dolore che arrecavano i rimorsi? Hibari non era stato il più manifesto esempio del peso delle cose a cui si rinuncia, delle occasioni perse, delle cose mai dette? Gli aveva detto che doveva continuare a vivere, che doveva innamorarsi, andare avanti imparando a non ripetere gli stessi errori... e nemmeno lui doveva ricadere negli stessi sbagli.
Allungò quindi la mano verso di lui. Gli bastò sfiorargli la schiena perchè Gokudera si irrigidisse. Si voltò appoggiandosi alla parete e alzò gli occhi verdi sul suo viso, con uno sguardo afflitto e confuso come mai l'aveva visto.
-Yamamoto... abbiamo promesso che non sarebbe successo più.-
Yamamoto in quel momento avrebbe solo voluto non aver mai dovuto promettere. 
Tra loro c'era sempre stato un rapporto particolare. Era sempre piaciuto a Gokudera, così come Gokudera era sempre piaciuto a lui, ma erano sempre stati troppo timidi, troppo impacciati per riuscire a parlare seriamente di quello che sentivano. Quando erano adolescenti poi Takeshi non riusciva mai a farne una giusta con Gokudera, faceva sempre una figura patetica quando cercava di dire qualcosa di intelligente o di divertente. Dal canto suo, Gokudera sembrava che riuscisse a guardarlo in faccia e a parlargli solo quando aveva qualcosa da urlargli contro. E andando avanti così, anche se Tsuna inizialmente si era sforzato di trovare loro ogni occasione perchè potessero combinare qualcosa, erano arrivati a uno stallo in cui a malapena si dicevano più di un ciao e si vergognavano anche solo a sfiorarsi, come perfetti sconosciuti. Paradossalmente la situazione era migliorata quando Tsuna aveva deciso che non poteva più mentire a se stesso e si era messo con Gokudera. Era accaduto da un giorno all'altro, all'improvviso.
Yamamoto ricordava quanto all'inizio si fosse sentito tradito, ma poi vedere Gokudera così felice da superare anche la vergogna di rivolgergli la parola l'aveva calmato. Si era convinto che non fossero fatti per stare insieme, che non avevano caratteri compatibili, e che dopotutto essere amici non era affatto male. Era andata così per molto tempo senza alcun ripensamento.
Poi tre anni prima era morto suo padre. Era stato terribile aggiungere bugie ad altre bugie, dover dire a tutti che era successo all'improvviso dopo aver raccontato al mondo intero che la sua malattia stava molto migliorando. Impossibilitato a raccontare a chiunque la verità si sentiva in trappola, oltre che ormai privo di tutto ciò che restava della sua famiglia. Era stato allora che si era ritrovato Gokudera a casa, arrivato senza telefonare e senza ritrite condoglianze. Aveva semplicemente alzato una bottiglia di sakè, dicendogli che forse avrebbe voluto compagnia. E lui ne aveva davvero avuto bisogno, di alcol e di Gokudera. Era successo quella sera per la prima volta, ma entrambi sapevano che non era stato il sakè, e nemmeno la pietà per un profondo lutto. Era accaduto di nuovo tante volte, e molte più volte Gokudera gli aveva scritto, o telefonato, o era passato da lui al dojo soltanto per salutarlo, fare due chiacchiere, bere un tè o una bibita insieme. Paradossalmente lo ricordava come il periodo migliore della sua vita, anche se causato da un tragico evento.
Almeno finchè Tsuna non restò coinvolto nel sequestro del centro commerciale e passò una lunga giornata senza che si sapesse dire se sarebbe sopravvissuto oppure no. Quel trauma bastò per riportare Gokudera sulla retta via. Si era pentito di averlo tradito così tante volte e il senso di colpa era tale che lo sfogò in modo insano, facendo tutto quello che poteva per perseguire gli uomini che avevano quasi ucciso il suo fidanzato. Una volta avuta la sua giustizia, aveva chiuso definitivamente la sua relazione clandestina con Yamamoto e gli aveva fatto promettere che non sarebbe successo più.
-Perchè me lo fai promettere?- gli aveva chiesto allora. -Credi che se non siamo d'accordo sull'evitarlo succederà di nuovo?-
-... So che succederebbe di nuovo, sicuramente.- aveva risposto lui.
E davanti a questa risposta, non aveva potuto fare niente se non dargli retta e promettergli quello che voleva, perchè aveva ragione. C'era qualcosa di magnetico che difficilmente sarebbe scomparso se non si fossero impegnati a ignorarlo.
E ora, a distanza di due anni, Gokudera sentiva di nuovo quello strano magnetismo, e lo temeva. Sembrava molto più maturo, complice la barba, ma lo sguardo che aveva somigliava molto di più a quello che i nuovi allievi del suo dojo avevano ogni volta che lo vedevano impugnare la spada contro di loro. Aveva paura. Paura di quello che avrebbe significato ricaderci, o paura delle sue intenzioni?
-Non voglio questo, Gokudera.- disse allora Yamamoto. -Che uomo sarei se ti convincessi a rompere una promessa solo perchè stai soffrendo e sei debole...?-
-Ho avuto... l'impressione che...-
-I miei sentimenti non sono cambiati, Gokudera.- confessò lui con un sorriso. -Ma adesso ci sono cose più importanti a cui pensare.-
-Che... che cosa?-
-Cominciamo dalla tua barba, che ne dici?-
Gokudera, contro ogni possibile previsione, si mise a ridere. Era la risata di qualcuno che aveva troppi motivi per essere nervoso e quasi nessuno per essere felice, la risata di una persona che ne aveva un bisogno disperato. Yamamoto sorrise e si allontanò a prendere il rasoio. Dopo avergli confessato i suoi sentimenti si sentiva molto più leggero. Come poi sarebbe finita con Tsuna non poteva saperlo, ma almeno Gokudera avrebbe saputo che cosa provava per lui. Tutto il mondo fuori, tutto il resto poteva anche crollare, ma almeno non avrebbe avuto rimorsi.

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Capitolo 29
*** La vita dopo di lui ***


Hibari si svegliò in un mondo quasi normale il giorno sette di gennaio del nuovo anno. Per la prima volta non aveva avuto incubi e sentiva di aver finalmente dormito tranquillo, se ne accorgeva dall'energia che sentiva in corpo. Aveva faticato molto dopo il giorno di Natale a riprendere la vita come la conosceva, anzi, si poteva dire che non ci fosse riuscito. Aveva preso quanti più giorni di ferie consecutive potesse al lavoro, aveva messo scarpe e uniformi dove non le avrebbe avute sotto agli occhi e dopo pochi giorni di fatto aveva ripreso il ritmo di vita che aveva ai primi tempi di accademia. Si alzava quando era ancora buio, andava a correre lungo il fiume mentre il sole sorgeva e la città dormiva. Si fermava di nuovo al solito bar a bere sempre il solito tè ai fiori di ciliegio. Lì incontrava ogni mattina Yamamoto, che scambiava due chiacchiere con lui prima di andare a pulire il dojo. Al ritorno faceva camminando un giro diverso, passava di fronte alla casa di Chrome, ma senza avere il coraggio di andare da lei, e faceva ritorno a casa. Si prendeva cura dei suoi animaletti, puliva la voliera e la gabbietta dei ricci, faceva dell'altro tè casalingo e guardava la televisione fino all'ora di pranzo (ai tempi dell'accademia, usava quel tempo per studiare). Mangiava qualcosa, faceva qualche faccendina domestica in qua e là prima di allenarsi di nuovo, cosa che aveva trovato difficile i primi giorni: lavorava troppo e si allenava troppo poco negli ultimi tempi. Così trascorreva il pomeriggio fino a una frugale cena e a una sacrosanta doccia prima di coricarsi. Questa era stata la sua vita in quegli ultimi dieci giorni, sempre uguale, e doveva ammettere che funzionava bene. Si sentiva di nuovo forte, in salute, e dedicarsi alle piccole cose e a se stesso lo aiutava a metabolizzare quello che era successo a Mukuro. Ogni volta che lo assaliva la tristezza faceva del suo meglio per convincersi che stava facendo quello che Mukuro avrebbe voluto che facesse, pensare a se stesso, fare quello che lo faceva stare bene, vivere la sua vita.
Quel mattino di gennaio, martedì, Hibari si svegliò con una vaga sensazione di leggerezza. Non aveva sonno, non era stanco, si sentiva perfettamente in forma. Si alzò infilandosi un kimono e per prima cosa lasciò liberi i ricci che stavano scavando come pazzi nella ghiaia.
-Siete più rumorosi dei canarini, pensateci su.-
Dopo essere andato in bagno e aver preparato il tè, uscì sulla terrazza. Faceva davvero molto freddo e si strinse nelle spalle, ma il panorama della città e il rumore soffocato delle sue strade valevano il disagio. Per la prima volta da settimane, Hibari sorrise. Non si era mai reso conto di quanto fosse bello anche solo ascoltare i rumori tutto intorno a lui e scoprire che non aveva mai usato i suoi sensi quanto avrebbe potuto. Il cielo sembrava avere delle sfumature mai viste, la sua pelle sembrava felice persino di sentire il vento freddo, e guardava la sua amata città come se non l'avesse mai vista prima, con la stessa meraviglia...
Quando rientrò in casa venne assalito da una decina di canarini cinguettanti che si azzuffarono per accaparrarsi i posti migliori sulla sua testa e sulle spalle. Hibari rise e sollevò le mani per permettere ai perdenti di posarsi sulle sue dita. Uno dei suoi piccoli, particolarmente tondo e soffice, cinguettò guardandolo con i lucidi occhietti.
-Ora sto bene.- gli disse Hibari. -Sono pronto a tornare.-
Sul tavolino, il telefono di Hibari emise un suono simile al cinguettio dei suoi piccoli, e in molti presero il volo per avvicinarglisi incuriositi. Lui li scansò per prendere il cellulare e vide che aveva ricevuto una e-mail. Sorpreso per l'orario insolito l'aprì e scoprì che era di Saeki e recitava così: "Stranamente il capo sembra tranquillo, non ha ancora urlato da quando sono tornato. Sospetto invasione aliena. Fornirò rapporti regolari. Saeki."
Hibari rise e rispose all'e-mail sullo stesso tono ironico. Con la scomparsa di Mukuro e il conseguente scioglimento della task force, i cadetti temporaneamente promossi a vigilantes erano stati congedati e rimandati da dove erano arrivati. Per Saeki era stato un brutto colpo dover abbandonare la scrivania accanto a quella di Kyoya e tornare sotto il piede minaccioso di Lal Mirch. Come la carriera di quei vigilantes, anche il rapporto di Hibari e Saeki fece qualche passo indietro. Era retrocesso a uno stadio per il quale non era nemmeno transitato mentre cresceva da antipatia reciproca a sincero interesse. Hibari conosceva quel tipo di rapporto, anche se non ne aveva mai avuto uno così: l'aveva visto tra molti compagni di accademia che condividevano la stanza o lo stesso dormitorio. In piedi con la stessa sveglia, a fare insieme l'allenamento o studiare. Benchè per Saeki sembrasse impossibile tenere il passo di corsa di Hibari, che anche senza volerlo lo seminava spesso e lo ritrovava al ritorno, stremato, seduto su un muretto o più spesso al riparo dal freddo. Si scrivevano e-mail se succedeva qualcosa, avevano mangiato cinese insieme una volta, e niente altro. Non avevano più passato la notte insieme, non si erano più baciati e il massimo contatto fisico che avevano avuto era stato un breve abbraccio quando Saeki aveva sgomberato la scrivania. Kyoya si sentiva più sereno in quel nuovo stato di cose, e se Saeki soffriva la sua perdita come amante era bravo a mascherarlo, perchè non aveva più fatto il minimo accenno verbale o fisico a un desiderio di quel tipo e sembrava comunque allegro. A Hibari la relazione con Saeki sembrava essere stata una menzogna. Era nata dal fatto che sapeva che lo teneva d'occhio e voleva ingraziarselo più che poteva, e tutto quello che era venuto dopo... più che l'amore erano stati in gran parte disperazione e smarrimento ad averlo gettato fra le sue braccia. Retrocedere a uno stadio precedente di quella che avrebbe definito "intima amicizia" fu come confessare di aver mentito ed essere perdonato. Fu probabilmente una delle cose che più lo aiutarono dopo la sua tragica perdita.
Saeki rispose alla sua e-mail chiedendogli, come ogni giorno, come si sentisse. Ma questa volta Hibari non dovette riflettere più di qualche secondo per replicare. Scrisse all'amico la stessa cosa che aveva detto ai suoi canarini poco prima e andò in camera sua. Sarebbe tornato al lavoro il giorno seguente, ma nulla gli impediva di andare a fare un giretto in caserma a vedere che aria tirava. Anche se prima aveva un altro posto dove andare.


Hibari si era vestito velocemente ed era sceso in strada più in fretta che poteva. Era sicuro che quella persona sarebbe stata in casa, ma la sua premura era agire prima che la determinazione venisse meno. Si era fermato soltanto a prendere qualcosa da portarle, poi aveva attraversato i due incroci che li separavano e aveva risalito la strada, alla ricerca del numero civico. Lo trovò senza difficoltà nel momento in cui un uomo dai capelli grigio ferro usciva dal cancello del condominio.
-Devi entrare, giovanotto?-
-Ah... sì. Grazie.-
Hibari era sempre andato in giro con la sua uniforme, perfino a fare spese, perchè ci passava la sera quando staccava dal lavoro. Di conseguenza veniva sempre trattato con riverenza, oppure con distacco e in qualche caso disprezzo. Erano anni che non si sentiva chiamare "giovanotto", o dare del tu da perfetti sconosciuti. Il vecchio gli lasciò aperto il cancello e lui entrò chiudendoselo alle spalle. Era lì, ormai doveva decidersi, non poteva continuare a rimandare. Era pronto, si ripetè nella mente mentre saliva piano le scale, era pronto a farlo. Anche se ci mise un po' troppo tempo a decidersi a bussare per uno che sosteneva di sentirsi pronto.
Attese con trepidazione per un tempo che gli parve lunghissimo prima che la porta si aprisse di pochi centimetri ed emergesse l'occhio viola intenso di Chrome che lo guardava con sospetto.
-Ah... buongiorno, Chrome...- disse Hibari, gioendo del fatto che la sua voce non tremava affatto. -Sono... sono venuto a vedere se stai...-
La porta si richiuse di scatto e Hibari lasciò la frase sospesa a metà. Avrebbe dovuto immaginare che la sua vista gli fosse sgradita, o addirittura odiosa dopo quello che aveva fatto alla sua famiglia. Pensò di andarsene prima di registrare un tintinnio di catenelle e vedere la porta che si riapriva. Non gli aveva chiuso la porta in faccia, stava solo togliendo la catena di sicurezza... un attimo dopo Chrome si gettò fuori dall'ingresso e lo strinse a sè come se da tutta la vita non aspettasse altro che una sua visita.
-Chrome...?-
-Sono così felice che tu sia venuto...- disse lei trattenendo un singhiozzo. -Mi sentivo così sola...-
-Mi dispiace di non essermi fatto vedere prima.-
Chrome si alzò più che poteva sulle punte dei piedi per baciarlo sul viso e gli strinse le mani con la stessa forza e la stessa passione con cui lo aveva abbracciato. L'unico occhio che un brutto incidente infantile le aveva lasciato luccicava di lacrime di gioia. Hibari era così sorpreso che tutto quel sentimento fosse per lui che si chiese se la perdita di Mukuro non l'avesse resa un po' tocca e pensasse di vedere lui al suo posto.
-Entra... entra, ti prego! Sto facendo l'ultimo tè, prendine un po' con me...-
Chrome tornò in fretta dentro e Hibari la seguì. Mentre si toglieva le scarpe nell'ingresso si soffermò sulla sua sinistra affermazione: "l'ultimo tè". Non aveva idea di cosa significasse e stava seriamente iniziando a preoccuparsi.
-Chrome, che cosa vuoi dire con "ultimo tè"?-
La ragazza armeggiò in cucina facendo tintinnare del metallo e delle tazze prima di riemergere dalla stanza con il vassoio pronto. Continuava a sorridere, qualsiasi cosa le stesse succedendo sembrava svanire per la felicità di avere visite.
-Che l'ho finito, e credo che non ne avrò più.-
-Che vuoi dire?- chiese Hibari sedendosi con lei al tavolino.
-Oh, sono per me?- disse lei all'improvviso.
Hibari si accorse di avere ancora la grossa scatola di pocky al cioccolato in mano. Ancora un po' spaesato gliela porse. Li aveva presi per lei, sapeva che erano i suoi dolci preferiti e in quel periodo costavano veramente tanto, quindi le aveva portato la scatola più grande che aveva trovato. Lei scartò il pacchetto e ne mangiò subito uno.
-Sono fantastici, Hibari, grazie...-
-Di niente.- ribattè lui. -Ma cosa dicevi del tè?-
-È venuto un uomo l'altro giorno a dirmelo... ora che Mukuro è morto, la casa governativa non è più per me, e nemmeno il sussidio.- disse lei versando il tè. -Non so che cosa fare... io non conosco queste leggi, Mukuro le conosceva... so solo che sta per nascere, non ha ancora un nome e nemmeno un futuro...-
Hibari abbassò gli occhi sul suo ventre. Non sapeva quando Nagi fosse rimasta incinta, ma era fin troppo evidente che stesse davvero per nascere, non avrebbe potuto crescere ancora di più. Quasi aveva dimenticato che la casa era per Mukuro, nonostante avesse compilato lui i documenti. Ma c'era da chiedersi allora perchè il governo avesse lasciato una casa a un terrorista, anche se Hibari credette di sapere la risposta: Mukuro era già abbastanza pericoloso senza che scoprisse che l'Haido aveva lasciato la sua donna incinta in mezzo a una strada.
-Non ti devi preoccupare di questo, Chrome.- disse Hibari posando la mano sulla sua. -Mi prenderò io cura di voi, di tutti e due. Se non vuoi restare sola non lo sarai.-
Chrome lo abbracciò di nuovo, anche questa volta senza alcun preavviso. Istintivamente Hibari fece lo stesso, vedendo il pancione passare un po' troppo vicino al bordo del tavolino. Lei però sorrise e sembrò capire il motivo per cui aveva avuto così tanta fretta di mettere la mano sul suo ventre. Gli disse qualcosa, ma lui non lo sentì. Era stato conquistato, ammaliato da quello che sentiva. Gli sembrava di sentire un piccolo battito, e anche qualcosa che si muoveva. Era la prima volta che sentiva la vita, ed era incredibile.
-Riesci a sentirlo?- gli domandò Chrome sorridendo. -Senti il cuoricino che batte?-
Hibari si rese conto di essere troppo emozionato per riuscire a parlare e annuì soltanto.
-Anche lui sente la tua mano.- disse lei. -Si sta muovendo...-
-Lo... lo sento.-
Non aveva idea di quanto tempo rimase con le mani sul ventre di Chrome, ma sicuramente parecchio. Più stava lì più gli pareva che ci fosse un altro mondo dentro di lei, e anche se lo intuiva era qualcosa che lui non avrebbe mai potuto davvero capire. Chrome restava seduta davanti a lui in silenzio, guardava le sue mani e sorrideva, tenendosi sollevato il maglioncino. Nel momento stesso in cui lui pensò di farle quella fatidica domanda, lei alzò lo sguardo su di lui e sorrise incoraggiante.
-... Chrome... senti...-
-Sì?-
-Questo... questo bambino... è di... è di...?-
-Mukuro voleva che fosse così.- rispose lei, senza smettere di sorridere. -Aveva detto che una volta nata avrebbe detto a tutti che era sua figlia, che saremmo stati una famiglia vera.-
-Perchè a me l'ha detto subito che non era vero?-
-Non lo capisci, Hibari?- chiese Chrome, con un sorriso se possibile ancora più dolce. -Eri l'unica persona che amasse più di me... non avrebbe mai potuto mentire e dirti che aveva scelto me al posto tuo.-
Hibari abbassò lo sguardo e riuscì finalmente a separarsi dalla piccola creatura. Come sempre il comportamento di Mukuro non aveva alcun senso.
-E che cosa avrebbe fatto se io fossi diventato l'uomo che desiderava? Chi avrebbe scelto dopo?-
-Essere il padre di un bambino non gli avrebbe impedito di essere il tuo compagno... saremmo stati tutti una famiglia grande e felice... Mukuro diceva che era il tipo di famiglia che desideravi quando eri bambino.-
Lei sorrise allegramente, come se raccontargli quello che Mukuro diceva di lui fosse particolarmente divertente. Hibari avrebbe creduto che fosse doloroso e sgradevole pensarci, invece se l'immaginava Mukuro, nello squallido salotto del vecchio albergo, a dire a Chrome che sarebbero stati felici, una famiglia strana ma chissenefrega, perchè quello che Kyoya desiderava da piccolo era avere una famiglia numerosa e allegra, tutto il contrario di quella che aveva avuto... e sorrise a quel pensiero. Passò il braccio attorno alle spalle di Chrome e lei lo abbracciò di nuovo, posando la testa fra la spalla e il suo mento.
-Noi saremo una famiglia anche se lui non c'è.- stabilì Hibari. -Metterò il mio nome nel certificato quando nascerà.-
-E possiamo vivere con te?-
-Sì, se lo vuoi.-
-Lo voglio.- disse lei aggrappandosi ai suoi vestiti. -Mi sento sola qui.-
Hibari non sapeva per quale motivo, ma restare così vicino a Chrome non gli dava nessun fastidio. Anzi, era una sensazione piacevole, nonostante in tutta la vita non si fossero mai trovati soli prima di allora. Restarono così per lunghi minuti, senza dire niente ma senza che il loro silenzio fosse imbarazzante. Quella strana pace fu interrotta solo quando Chrome prese un altro pocky e sobbalzò violentemente, di fatto dando una testata a Hibari.
-Ahia!- fece lui toccandosi il naso.
-S-scusami, scusami... è stato lui, mi ha dato un calcione... ti ho fatto male? Fammi vedere...-
-No, no... sto bene, non è niente...-
-Mi dispiace... si è tutto agitato quando ho mangiato...-
Chrome si mise a fissare la scatola dei pocky in modo così assorto che Hibari iniziò a preoccuparsi. La guardò anche lui ma non vide niente di strano. Attese che Chrome si spiegasse, ma non lo fece.
-Chrome, che cosa c'è?-
-Ho trovato il nome!-
-Che nome?-
-Il nome, il nome per il bambino!-
-Ah... e sarebbe?-
Chrome sorrise e gli avvicinò la scatola così tanto che gli occhi di Hibari si incrociarono.
-Mikado!-
-... Vuoi... chiamarlo come i tuoi dolci preferiti?-
-Perchè no? Mukuro pensava che fosse femmina e voleva chiamarla Sakura come i suoi fiori preferiti.-
-Sì, ma... ne sei sicura?-
-Mukuro ha detto che lo avremmo deciso quando saremmo stati di nuovo insieme.- disse lei in tono aggressivo, o almeno, tale doveva esserne l'intenzione. -Ora qui ci sei tu, tu mi hai portato questi, è come se lo avessi proposto e io dico che va bene.-
Hibari capì che il nome le piaceva molto e dopotutto lui non aveva in mente niente. Inoltre, Mikado era un nome esistente, quindi pensò che poteva anche arrendersi e accettare che avrebbe avuto un figlio di nome Mikado. A quel pensiero la testa gli girò pericolosamente e decise che sarebbe stato più prudente sdraiarsi e aspettare che passasse.

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Capitolo 30
*** L'invito dei capitani ***


Hibari arrivò alla caserma molto più tardi di quanto avesse preventivato, perchè Chrome lo aveva trattenuto ancora a lungo. Aveva voluto che gli parlasse di com'era la sua casa, dei suoi animali e delle sue abitudini. Gli aveva fatto domande sulla burocrazia, non l'aveva ammesso ma aveva paura che ci fosse qualcosa che le impedisse di vivere insieme a lui, qualcosa che l'avrebbe costretta a restare di nuovo da sola e chissà in quale misero buco, con il bambino ormai pronto a nascere. Gli aveva fatto promettere di andare con lei all'ultimo controllo del bambino, il lunedì seguente, e alla fine mentre stava per andare via gli aveva messo in mano qualcosa. Era una catena a cui era legato un anello che Hibari aveva riconosciuto immediatamente: era l'elaborato anello d'argento di Mukuro, con una pietra color indaco. Gliel'aveva sempre vista addosso senza conoscerne la provenienza nè il motivo per cui fosse tanto caro al suo amico, ma fortunatamente Chrome non era altrettanto ignorante in materia e gliel'aveva spiegato: si trattava di un anello fabbricato nel settecento, una vera reliquia che era stata conferita a un suo antenato con la nomina a Cavaliere della Regina. Alla sua domanda di chiarimento, era rimasto di sasso nello scoprire che si trattava della regina Anna d'Inghilterra, agli inizi del Settecento regina di Gran Bretagna e d'Irlanda. Fu altrettanto sconvolto di scoprire che tutta la famiglia di Mukuro era inglese, compresi tutti i suoi quattro nonni, e che solo sua madre era di un altro paese.
Hibari guardò l'anello che aveva legato al collo e non gli sembrava vero di non averne saputo niente. Quindi il suo vero nome, o almeno il suo vero cognome, doveva essere inglese se anche suo padre era nato lì da genitori inglesi...
-Ehi, c'è Hibari!-
Kyoya alzò la testa e ripose l'anello sotto il cappotto. Tutto l'ufficio si era voltato nella sua direzione e sembravano ancora più felici di vederlo di quanto lo fossero stati quando era uscito dall'ospedale. Attraversò la caserma dicendo cento volte che stava bene e che sarebbe tornato al lavoro l'indomani, strinse mani e prese pacche sulle spalle praticamente da chiunque fosse abbastanza vicino quando passava. Chi non ebbe quella fortuna si limitò ad alzare un braccio da qualche angolo della stanza o a gridare un saluto nella sua direzione.
-Oh, santo cielo, Hibari san! Allora stai bene?-
Hibari non mise a fuoco subito la faccia dell'uomo che gli stava parlando, poi riconobbe il ragazzo della manutenzione che stava facendo la pausa con lui e Saeki quando era stato convocato dal capitano Kikyo per essere ufficiosamente interrogato. Purtroppo quando cercò di ricordarne il nome la sua mente diede un messaggio di segreteria telefonica.
-Ah, sì, sto bene, ehm...-
Il ragazzo lo guardò divertito mentre palesemente tentava di ricordare il nome. Hibari si accigliò e gli puntò l'indice contro, quasi lo aiutasse a isolare i suoi ricordi riguardo al bersaglio indicato.
-...Tachibana!-
-Esatto, esatto!- disse il ragazzo ridendo. -Ti sei ricordato!-
-Non proprio.- confessò Hibari, e picchiettò col dito la targhetta appuntata sulla tuta. -Questa mi ha aiutato un po'.-
-Questo è sleale!-
-Sì, lo so, chiedo venia... Makoto.-
-Eh?! Ma... come fai a ricordarti il nome se non l'hai nemmeno mai usato?!-
-Colpa di Saeki!- disse lui avviandosi nel corridoio. -Mi ha detto dieci volte che se proprio doveva avere un nome da femmina avrebbe preferito chiamarsi Makoto come te.- 
-Cosa?! Questo è proprio cattivo!-
-Veditela con Saeki!-
-Lo farò!-
Tachibana si mise a ridere e lo salutò mentre Hibari attraversava tutto il corridoio e scendeva nel primo seminterrato dove disponevano di una moderna palestra per gli allenamenti. Si infilò nello spogliatoio deserto dove si spogliò e si cambiò le scarpe, ma quando ne uscì si stava strofinando le spalle. Era decisamente freddino nonostante i termosifoni fossero abbastanza caldi.
-Kyo san!-
Hibari fu molto sorpreso di trovare come guardiano nel gabbiotto una sua vecchia conoscenza che non vedeva più da parecchi anni, ma altrettanto felice. Sapeva che non avrebbe fatto l'accademia e che era suo desiderio lavorare con i ragazzi, ed era all'iscrizione ad accademia e università che le loro strade si erano divise.
-Tetsu...-
-Che bello rivederti di persona, ultimamente le tue notizie arrivano ai vecchi compagni di scuola tramite la televisione... come stai? Sembri in forma...-
Hibari si avvicinò a lui sorridendo, gli strinse la mano a mo' di braccio di ferro e gli diede qualche pacca sulla schiena. Quando era al liceo Tetsuya Kusakabe era probabilmente l'unica persona al mondo che lo conoscesse davvero, l'unico che sapeva come la pensava su qualsiasi argomento e che conosceva qualsiasi suo segreto, era persino l'unico a leggere i biglietti che Mukuro gli lasciava nell'armadietto.
-Non dovrei lasciare dei vecchi amici senza mie notizie.- disse Hibari sciogliendo la stretta di mano. -Colpa mia.-
-Sei davvero cresciuto, Kyo san, che fine ha fatto quel fisico striminzito da ragazzino?-
-Effetto accademia, amico mio.-
-Sei un fascio di muscoli.- osservò lui con finta aria critica. -Nessuna traccia del torace da ragazzina.-
-Rischi di prenderti delle botte, Tetsu, ti avviso.-
Hibari si voltò di schiena e si piazzò le mani sui fianchi. La sua canottiera sportiva lasciava scoperta gran parte dei grandorsali che dopo il suo allenamento intensivo degli ultimi giorni erano tornati a essere invidiabili. Si rigirò con un sorrisetto di sfida.
-La mia istruttrice dice che se un uomo ha dei bei dorsali ha anche tutti gli altri muscoli come dovrebbero essere, perchè quelli sono i più tosti da ingrossare.-
-Ci credo, ci credo, non voglio sperimentarli sulla faccia proprio oggi!-
Hibari rise e si fermò davanti al distributore delle bibite energetiche, snocciolando le monetine una alla volta dalla tasca direttamente alla fessura apposita.
-Tu piuttosto che cosa fai qui?-
-Arrotondo lo stipendio, il vostro custode della palestra è in malattia.- disse Tetsuya. -Credo che abbia avuto un incidente con la sua auto, ne avrà per un mesetto ancora.-
-Ah, davvero?- fece lui chinandosi a prendere la bottiglia. -E lo stipendio da arrotondare come lo prendi?-
-Sono dottore nell'infermeria del liceo... la stessa scuola dove insegna il tuo amico, Gokudera Hayato.-
-Non me l'ha mai detto... beh, a dire il vero, difficilmente mi racconta qualcosa, non gli sono simpatico.-
-Ha un carattere un po' particolare.- convenne Tetsuya. -In palestra non c'è nessuno per ora, te la apro.-
-Grazie.-
Kusakabe si affrettò ad aprire la palestra e si congedò, dicendo che doveva ancora occuparsi di sistemare un macchinario difettoso. Hibari fu felice di sapere che non poteva trattenersi. Gli aveva fatto piacere vederlo, ma il fatto che avesse tirato fuori il nome di Gokudera quasi per caso lo aveva turbato. Non aveva idea di cosa fosse successo agli altri che erano stati catturati insieme a Mukuro. Sicuramente, data la sentenza, stavano bene, ma non sapeva se fossero ancora trattenuti in carcere e dove e per quanto tempo. Decise che avrebbe chiesto notizie al suo ritorno al lavoro il giorno dopo e cominciò senza ulteriori indugi ad allenarsi. Aveva imparato in quelle settimane che il superlavoro fisico era l'unica cosa che potesse alleggerire il suo dolore e impedirgli di pensare alle sue preoccupazioni.


-Hibari san, il suo asciugamano...-
-Ah, grazie...-
-Non avevo mai visto fare gli addominali a testa in giù, pensavo lo facessero come punizione all'accademia...-
-Beh, in effetti...-
-Posso assistervi alla panca?-
Hibari non si era mai trovato intorno tanta gente adorante, escludendo forse la volta in cui i cadetti dell'accademia avevano fatto una lezione speciale alle ragazze come orientamento per la formazione militare. In quel caso lui, Amada e Kotobuki si erano ritrovati attorno stormi di ragazze a cui sicuramente interessava tutto di loro tranne quello che potevano dirgli sulla carriera di soldati. Quel giorno era poco diverso, anzi, l'unica differenza è che si trattava di giovani cadetti anzichè di giovani studentesse. Come fosse successo poi non ne aveva idea, difficilmente aveva mai visto così tante persone nella palestra della caserma in una volta sola.
-Ah... no, io sono a posto.- declinò l'invito Hibari, asciugandosi la faccia. -Ho fatto i pesi prima che arrivaste.-
-Ma da quanto siete qui, capitano?-
-Vi state allenando da più di due ore?-
-Ecco perchè avete dei muscoli così... così...-
Hibari provò l'insensato desiderio di impedirgli di finire la frase, perchè aveva avuto il presagio che sarebbe stato un finale imbarazzante. Un po' per paura di tutta quell'improvvisa ammirazione, un po' probabilmente perchè aveva notato il modo bizzarro in cui gli guardava la schiena. Forse i suoi grandorsali avevano fatto colpo...
Tuttavia la pena di Kyoya di impedire la frase e quella del giovane di finirla furono risparmiate dall'arrivo di un altro giovane soldato che Hibari conosceva, era lo stesso lentigginoso soldato che faceva da segretario a non sapeva bene quale capitano e lavorava ai piani superiori, nei loro uffici. Si chiamava... Yamazawa... Yamaoka...
-Yamaguchi, fuori dalla palestra con quelle scarpe!- tuonò qualcuno alle sue spalle.
Il giovane Yamaguchi sobbalzò e indietreggiò scusandosi più volte, lottando con il fiatone. Teneva in mano una busta che allungava verso Hibari, bianca con un nastro ceralaccato. Aveva tutta l'aria di un invito. L'interessato si alzò e andò a prenderla, dato che il messaggero non poteva raggiungerlo per colpa delle scarpe. Mentre iniziava a rompere la ceralacca quello riprese un po' di voce.
-I... i capitani stanno facendo una riunione informale di sopra, mi hanno chiesto di contattarla quando hanno saputo che era venuto in caserma...- disse il soldato, sventolandosi col berretto. -Sono concordi nell'invitarla a unirsi a loro e si augurano che li raggiunga prontamente...-
-Ah... non posso, mi spiace, mi sto allenando.-
-Perdoni l'insistenza, ma mi hanno detto di non tornare senza di lei.-
-Non è un buon momento, come vedi mi sto allenando, sono sudato...-
-Ma signore, è una riunione informale, non ha bisogno dell'alta uniforme... la prego.- aggiunse supplichevole. -La prego, capitano, se potesse andare e trattenersi anche solo per qualche minuto mi toglierebbe da una tragica situazione.-
Yamaguchi lo pregava come la sua vita dipendesse dalla sua presenza al piano superiore e gli dispiaceva metterlo nei guai. Lui aveva lavorato per Lal Mirch che aveva un grado di capitano, quindi sapeva che cosa poteva significare tornare a mani vuote da un superiore irritato...
-D'accordo, d'accordo... allora andrò...-
-Grazie, grazie di cuore, capitano!-
-Se mi fai fare una figura di merda sei un uomo morto, Yamaguchi.-
Tra le proteste dei suoi giovani ammiratori Hibari si asciugò velocemente e indossò la giacca della tuta per seguire Yamaguchi. Passando dalla guardiola raccomandò a Tetsuya di tenere le sue cose per quando fosse tornato a prenderle. Appena pochi minuti dopo Yamaguchi lo stava accompagnando nello stesso corridoio lussuoso in cui si era già trovato una volta. Stavolta però la sua destinazione era la porta in fondo. Yamaguchi bussò, ma non l'aprì.
-Signore, sono Yamaguchi, accompagno Hibari Kyoya.-
-Entra, capitano Hibari, ti aspettavamo.-
Yamaguchi annuì incoraggiante mentre si scansava per permettergli di raggiungere i capitani, ringraziandolo di nuovo sottovoce. Il giovane capitano era tutt'altro che fiducioso e incoraggiato, non avendo un buon ricordo del suo ultimo invito, ma si fece forza e girò la maniglia. Hibari entrò con quella che sperava sembrasse disinvoltura e si guardò velocemente intorno. La stanza era enorme. Le pareti erano coperte di librerie, alcune alte fino al soffitto, altre basse, i cui ripiani ospitavano vari oggetti come vassoi di bottiglie di liquori, un mappamondo, alcuni vasi. Oltre a un paio di quadri, uno di quelli era un ritratto a olio di Iemitsu Sawada, l'unica cosa appesa alla parete era un grande stendardo dell'Haido. Gli ospiti della riunione erano tutti al centro della stanza, su poltrone e divani posati su pesanti tappeti in cerchio attorno a un lustro tavolino da tè. Su una poltrona sedeva un uomo dai capelli rossi e mossi, con un'aria svogliata e la barba vecchia di qualche giorno. Aveva la camicia chiusa con soli due dei bottoni su una canottiera a coste bianca. Entrambe erano spiegazzate. Portava dei jeans slavati e delle scarpe di pelle che necessitavano di una lucidata. Almeno, pensò Hibari, era più presentabile di lui.
-Salve.- salutò genericamente.
L'uomo alla sua destra era uno straniero vestito in modo piuttosto elegante, ma il motivo per cui lo colpì fu che aveva i tratti del viso straordinariamente somiglianti a quelli di Mukuro. Poi gli venne in mente che dopotutto anche Mukuro era straniero, sebbene lo si notasse così poco. Oltre a quei due uomini nel salotto sedevano altri tre. Uno era seduto più distante dagli altri, era un uomo con un completo nero con camicia arancione e un cappello calcato sulla testa. Sorrideva con fare misterioso e lo guardava giocherellando con le basette ricciolute. C'era poi un uomo grosso dalla pelle scura con folti baffoni grigio argento che Hibari riconobbe come il ministro degli armamenti Midorikawa e un altro straniero con il pizzetto e l'espressione del viso accartocciata nell'ira.
-Finalmente Hibari Kyoya ci degna della sua visita.- disse una voce familiare ma sgradita.
Hibari voltò lentamente la testa e vide Kikyo entrare nella stanza dalla seconda porta che doveva dare, supponeva, sulla cucina.
-Capitano.- disse a mo' di saluto. -A cosa devo l'invito questa volta?-
Kikyo fece un impercettibile sorrisetto prima di andare a prendere posto sul divano.
-Alla tua promozione a capitano, Hibari kun... rilassati, ormai il peggio è passato, non è vero? Siediti con noi.- l'invitò lui con un cenno. -Ti presento i nostri amici e collaboratori, non credo tu li conosca.-
Kikyo snocciolò il meglio del curriculum di Hibari ai presenti in meno di un minuto e passò a presentare gli uomini lì seduti: l'uomo dai capelli rossi era un capitano di brigata di stanza a Tokyo, l'uomo che gli ricordava Mukuro veniva dall'Europa ed era un nobile e un soldato venuto a conoscere il regime dell'Haido, invece tutto quello che seppe sul conto dell'individuo dal completo con cappello era che si faceva chiamare Reborn ed era un semplice "osservatore", come lui stesso si definiva. Come aveva notato il colosso era Midorikawa del ministero degli armamenti, l'altro straniero era "Lupo", un ambasciatore, sebbene non avesse affatto l'aspetto di un diplomatico. A Hibari dava l'impressione di essere un contrabbandiere. Di merce contraffatta quanto il suo nome.
-Non essere così rigido, Hibari, vieni a sederti.-
Hibari mosse qualche passo chiedendosi il maledetto motivo per cui non era andato a riprendere la pistola d'ordinanza dal suo vecchio monolocale, lì dove Yamamoto l'aveva lasciata quando gli aveva impedito di uccidersi. Aveva l'impressione che gli sarebbe tornata utile per come si stavano mettendo le cose...

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Capitolo 31
*** Il salotto del vizio ***


Hibari si sedette sul divano, l'unico posto rimasto libero era accanto a Kikyo. Si sedette con fare oltremodo circospetto, tutti notarono che si aspettava un'aggressione o una trappola di qualche genere.
-Non c'è nessuna bomba in quel divano, ragazzino.- fece Zakuro con la sua voce strascicata. -Siediti e datti una rilassata.-
-È come dice lui.- confermò Kikyo dandogli una leggera pacca sulla spalla. -Il passato è passato, Hibari Kyoya, hai riscattato il tuo nome e ora siamo di nuovo una grande famiglia.-
-Ho l'impressione che Hibari Kyoya pensi lo stesso.- disse Reborn dal suo angolo, scoccando uno sguardo divertito a Kikyo. -Una grande famiglia di parenti serpenti.-
Hibari perse la risposta del capitano seduto accanto a lui, distratto da uno strano suono. Incuriosito si guardò attorno alla ricerca della fonte, quando Lupo se ne accorse e alzò la mano con cui impugnava un guinzaglio. Hibari seguì la cordicella per trovare l'animale, ma doveva essere nascosto dietro lo schienale del divano.
-Spero che il mio animaletto non ti dia fastidio.-
-Non preoccuparti, Lupo, Hibari ha un sacco di animaletti particolari a casa sua.-
-Davvero? Di che genere?-
-...Canarini.- rispose Hibari, giocherellando nervosamente con la zip della giacca. -Ho uno stormo di canarini, sono ventidue.-
-Un bel coretto.- commentò sarcastico Zakuro.
-... E due ricci.- proseguì Hibari senza degnarlo di uno sguardo.
-Canarini e ricci, uh?- fece Lupo. -Beh, io preferisco i cagnolini... vuoi dare un'occhiata al mio?-
Lupo strattonò violentemente il guinzaglio e il gemito di dolore che ne seguì non aveva nulla a che vedere con il guaito di un cane. Da dietro il sofà comparve prima il braccio con cui parò la caduta, poi la testa e il collo, stretto da un collare per cani. L'animaletto di quell'uomo che si faceva chiamare Lupo era un ragazzino. Era molto magro, aveva un naso piccolo e dritto, folti capelli ricci e scuri e un grosso livido sulla faccia. Il suo occhio era così arrossato e gonfio che non riusciva a tenerlo aperto. Quello sano era verde chiaro, fisso sull'uomo e pieno di paura. Addosso aveva soltanto dei pantaloni malconci e un maglioncino logoro color grigio chiaro. Aveva i piedi nudi, il collare stretto e un paio di manette ai polsi.
Hibari non poteva accorgersene, ma quella vista l'aveva reso improvvisamente molto pallido. Il ragazzino lo guardò con aria supplichevole. Dal canto suo, il neo capitano girò lo sguardo intorno. Nessuno dei presenti sembrava sorpreso o disgustato quanto lui da quella scena. Qualcuno però sembrò cogliere una richiesta di aiuto. Reborn alzò un po' la tesa del cappello per guardare Lupo e anche se manteneva lo stesso sorriso, il suo sguardo era molto più duro.
-L'ultima volta che sono venuto avevi un altro cagnolino, che fine ha fatto?-
-Era diventato troppo vecchio, ho dovuto abbatterlo, ma questo è più carino.-
Hibari si alzò di scatto dal divano, preso da una furia che raramente aveva sentito in corpo. Avrebbe soltanto voluto avere la sua pistola d'ordinanza, o per lo meno la frusta con sei code, sarebbe stata molto più adatta a quell'individuo abominevole e alla marea di mostri che accettavano la sua follia... poi intercettò un lievissimo cenno dell'uomo con il cappello. Non lo guardava ma scuoteva la testa in segno di diniego in modo quasi impercettibile. E Hibari, che aveva addosso gli occhi di tutti gli altri, si fidò del suo consiglio.
-Che succede, Hibari?-
-Vorrei... del tè.-
-Giusto, giusto... siediti, ce lo faremo portare.-
Più rigido di quanto avrebbe voluto, Hibari riprese posto. Attorno a lui le chiacchiere ricominciarono, venne chiamato qualcuno per portare loro il tè. Il suo sguardo andò di nuovo a Reborn, che lo stava guardando a sua volta. Stavolta annuì in modo appena più visibile. Hibari non aveva idea di chi fosse quell'uomo davvero, ma emanava un'aura simile a quella di Colonnello, la stessa forza d'animo di chi, per dirla come l'avrebbe detta Mukuro, "aveva vissuto tante altre volte". Non aveva voluto seguire il consiglio del marito di Lal, ma non avrebbe ripetuto lo stesso errore due volte.
Pochi minuti dopo dalla porta di servizio entrò una ragazzina dai lunghi, sgargianti capelli color azzurro e un paio di grandi occhi blu intenso. Indossava un kimono estivo, uno yukata, completamente fuori stagione, di colore bianco con una ricca fantasia di fiori blu e foglie verdi e chiuso da un obi color prugna. Spingeva un carrellino con sopra una bottiglia di birra, un bicchiere di whisky con ghiaccio, del tè e un caffè. Zakuro, che era più vicino, allungò la mano servendosi da solo la birra.
A Hibari fu servito il tè, anche se gli passò presto la voglia di berlo: Lupo aveva delle terribili storie da condividere con i capitani e il ministro e sembrava fin troppo felice di farlo. Kyoya tentò di allentare la stretta sulla tazza ancora piena per non rischiare di romperla mentre sentiva l'agghiacciante storia di come aveva convinto un suo conoscente a mandare il figlio all'accademia militare del suo paese e di come poi ne aveva fatto il suo "cagnolino". Improvvisamente Lal Mirch gli era sembrata una santa donna, lei non avrebbe mai fatto del male a dei bambini.
-A me non piacciono i ragazzini.- disse l'uomo che assomigliava a Mukuro. -Io preferisco le ragazze.-
-Un buco è un buco.- ribattè Lupo, bevendo il suo terzo whisky.
-I miei diletti non sono bassi quanto i tuoi.- rispose lui sprezzante.
-Già, i nobili non fanno nemmeno sesso come tutti gli altri, loro lo fanno meglio!-
Questa battuta fece ridere a crepapelle Lupo e anche il ministro, che invece di dedicarsi al whisky o a qualcuno degli aperitivi che ingombravano il tavolo preferiva dedicarsi all'esplorazione invasiva del posteriore di una seconda ragazzina dai capelli lunghi e mori. Reborn beveva il suo caffè tenendo gli occhi fissi sulla grossa mano che continuava a palpeggiarla da sopra gli shorts bianchi, ma non diceva nulla.
-Non è una questione di sesso, ma di possesso.- stava dicendo il nobile. -Il mio piacere sta nel disporre delle ragazze come voglio e quando voglio, non nella mera occupazione dei... buchi.-
Hibari si massaggiò la tempia tentando di calmarsi. Davvero ci vedeva qualcosa di diverso nel violentare una persona o nell'obbligarla a fare chissà che cosa solo per il gusto di esercitare su di essa il possesso? Distogliendo lo sguardo si accorse che Inu-chan, come veniva chiamato dal padrone, era raggomitolato accanto al bracciolo del divano, proprio accanto a lui. Guardava con desiderio i dolcetti colorati nel vassoio più vicino, il tipico desiderio di un bambino goloso e molto, molto affamato. Senza dare nell'occhio, Hibari prese due dei dolcetti, poi finse di stiracchiarsi e allungò la mano dietro lo schienale. Dopo qualche istante sentì i biscotti che gli venivano sfilati dalle dita. Per darsi un'aria più naturale possibile, bevve dalla tazza. Il tè era quasi freddo.
-Hibari Kyoya, sei così serio, rilassati un po'! Siamo tra amici qui, che cos'è che non ti va a genio?-
-Sente voi chiacchierare dei vostri passatempi mentre beve il tè in mezzo a uomini, come vuoi che si diverta così? Non c'è da chiedere, scegli quella che ti piace e prenditela.- disse il ministro, spingendo la ragazza dai capelli azzurri nella sua direzione. -Queste ragazzine dell'Haido sono un po' smorte, ma immagino che le migliori se le tengano al locale per fare baldoria...-
Hibari avrebbe voluto chiedere di quale locale stessero parlando, di che diavolo stessero parlando in generale, ma gli fu impedito dalla ragazzina dai capelli celesti, che gli si stava arrampicando in braccio come avrebbe fatto un koala. Prima che riuscisse a coordinare il proprio balbettamento in una protesta sensata, lei si sciolse l'obi e aprì lo yukata sotto al quale non indossava nient'altro che pelle. Hibari non potè evitare di arrossire violentemente, era la prima volta che vedeva una ragazza completamente nuda, e se avesse dovuto scegliere avrebbe preferito che accadesse quando non era circondato da individui estranei e poco raccomandabili.
-Ti... ti prego, smettila!- protestò Hibari, richiudendole il kimono.
-Sono qui per te...-
-Non ce n'è bisogno, sto bene così!-
-Non te la prendere, tesoro.- le disse Kikyo. -Hibari kun ha dei gusti non compatibili.-
-Non è questo!-
Hibari sollevò di peso la ragazzina, anche se era così bassa e piccola da essere leggerissima, e la scaricò senza troppi complimenti sulle gambe di Kikyo, alzandosi dal divano. Tutti lo stavano guardando, ma sapeva che non doveva perdere le staffe, doveva stare al gioco più che poteva, inimicarseli poteva essere un problema più grande di quanto pensasse. Cercò allora di sorridere un po' mentre per trarsi d'impaccio si avvicinò al carrello.
-Io sono un tipo più riservato di voi, mi mette a disagio avere spettatori.-
La risposta di Lupo venne interrotta da un frettoloso bussare e dall'ingresso di un uomo che Hibari non conosceva, ma che aveva già visto prima. Lo riconobbe subito dai capelli bianchi e dalla strana voglia, o tatuaggio che fosse, sotto l'occhio. Era l'uomo che aveva presenziato all'esecuzione di Mukuro, quello che più di chiunque altro era sembrato sovreccitato da quel mare di sangue. Non aveva idea che fosse un capitano, non gli aveva potuto vedere l'uniforme sotto il cappotto.
-Scusatemi, scusatemi, mi sono trattenuto troppo a lungo con un amico.- si scusò lui avvicinandosi e cercando un posto dove accomodarsi. -Che succede, siamo al completo?-
-Nessun problema, stavo per andare via.- annunciò Reborn, posando la tazzina vuota del caffè. -Non posso passare troppo tempo a trastullarmi, ho del lavoro da sbrigare. Signori, signorine, ossequi.-
L'ultimo sguardo di Reborn si posò su Hibari mentre si toccava il cappello in segno di saluto, dopodichè lasciò la stanza tra le proteste del Ministro e il rispettoso inchino di una ragazza castana che il neo capitano non aveva ancora notato perchè in piedi alle sue spalle. L'uomo dai capelli bianchi prese la sua poltrona e la trascinò più vicino possibile al tavolo dei dolcetti.
-Ah, ecco perchè non ti interessava la ragazza.- disse Midorikawa, indicando contro il petto di Hibari. -Hai una fidanzata.-
-Come?-
Hibari abbassò gli occhi e si rese conto che l'anello di Mukuro era scivolato fuori da sotto la canottiera. Un racconto veritiero sulla provenienza di quell'anello sarebbe stato lungo, complicato e soprattutto molto imbarazzante, per cui decise che era meglio recitare la parte fino in fondo cogliendo questo insperato assist.
-Ah, sì... sì, ce l'ho.- rispose sorridendo. -A dire il vero stiamo per avere un bambino, anche.-
-Eeeh?-
-Ma davvero?- domandò sospettoso Kikyo. -E la tua fidanzata sa di Saeki?-
-Non siete l'unico da cui sono stato perdonato per i miei errori, capitano.-
-Buon per te, Hibari, buon per te.- ribattè lui alzando la sua tazza di tè. -Che sia il giusto, nuovo inizio per te.-
-Aspetta, aspetta, ho il bicchiere vuoto...-
-Ah, anch'io voglio brindare!- esclamò l'uomo dai capelli bianchi, ingoiando un macaron intero.
La ragazza castana accorse in fretta a riempire i bicchieri. Era una bella ragazza, con corti capelli castani e occhi scuri. Aveva un'altra struttura fisica rispetto alle altre due, ma si notava immediatamente che era molto più grande di loro, Hibari stimò che dovesse avere qualche anno meno di lui. Indossava un cheongsam corto e rosa confetto a fantasia di fiori bianchi e rossi. Aveva delle belle gambe e delle belle mani affusolate con unghie lucide e molto curate, dello stesso tono di rosa pesca che aveva sulle labbra.
-Allora, salute!-
Tutti fecero un brindisi per Hibari, ma prima ancora che fosse finito Midorikawa sputò il tè, ruggendo che era freddo. La ragazza in rosa aveva preso a tremare e si scusò più volte con una vocina resa sottile dal terrore. Il ministro le ordinò di scaldarlo finchè non fosse diventato rovente, rifilandole anche una bella dose di insulti su quanto fosse inutile e stupida che durò praticamente tutto il tempo che le occorse per portargli una bella tazza di tè bollente. Lui la soppesò con aria critica e Hibari trattenne a stento un avvertimento. Gli sembrava di aver visto la stessa identica scena di quando aveva portato il latte schiumato a Lal il primo giorno.
-Portami la teiera, stupida.-
Lei si affrettò a portargli il bollitore, posandolo sul tavolino sull'apposito vassoio per non rovinare la superficie in legno. Con un ghigno che aveva ben poco di convincente, svuotò la tazza dentro il bollitore, si sfilò un anello dal dito grosso quanto il bastone che reggeva i tendaggi della stanza e lo gettò dentro l'acqua bollente.
-Riprendilo.-
-S-signore?-
-Riprendimi l'anello, stupida oca, con la mano.- ruggì l'uomo. -Chissà che non impari come dev'essere il tè.-
La ragazza piangeva silenziosamente, ma non aveva nessuno che potesse aiutarla. Non le restava che tentare di andare contro il proprio istinto di sopravvivenza e infilare la mano in un liquido che bruciava. Come se Hibari non fosse già abbastanza orripilato da quello che stava succedendo e dal lamento singhiozzante della povera ragazza, il suo sguardo notò l'uomo dai capelli bianchi. Aveva smesso di mangiare tutto quello che gli capitava sotto mano e fissava la scena con quello stesso volto di sorpresa e perversione che aveva ostentato durante l'esecuzione di Mukuro. Non ebbe più dubbi: quell'uomo provava piacere a infliggere e a vedere il dolore degli altri...
E dopo un lunghissimo minuto la ragazza riuscì a recuperare l'anello. La sua mano era completamente rossa, quasi viola. L'avvolse nella stoffa del cheongsam e rimase ranicchiata lì, vicino al tavolino, a piangere. Senza il permesso di quell'uomo non poteva nemmeno andarsene o cercare di curare quella mano martoriata...
-Che bel trucco che mi ha mostrato, Ministro!- esclamò l'uomo dai capelli bianchi. -Il mio giocattolo preferito ha delle bellissime mani, però, mi dispiacerebbe rovinarle... io amo il modo in cui stringono qualsiasi cosa fino a diventare bianche quando gli faccio male...-
Disgustato, Hibari si voltò verso il carrello alla ricerca di qualcosa di analcolico che potesse bere, mentre si chiedeva se potesse inventare una scusa qualsiasi per infilare la porta e mettere due chilometri e diversi piani tra lui e quel posto infernale infestato da demoni sadici.
-La cosa che amo di più di lui però è il modo in cui grida.- stava dicendo ancora il sadico. -Durante l'esecuzione è stato muto come una tomba, ma dopo... oh, dopo glieli ho strappati tutti dalla bocca, ogni gemito e ogni grido che ha trattenuto, lui li ha fatti per me.-
Un brivido fece tremare la schiena di Hibari raggelandolo. Di chi stava parlando? Non poteva essere. Tese l'orecchio per seguire il discorso nonostante la ragazza che ancora singhiozzava e il capitano Kikyo che andava a rispondere fuori, il suo cellulare che squillava fastidioso...
-Esecuzione?- domandò perplesso Lupo. -Di che parli, Byakuran?-
-Di Rokudo Mukuro.- disse lui sorridendo con aria sognante. -Non sai quanto amo il modo in cui soffre.-
La tazza del tè di Hibari cadde a terra e rotolò sul pavimento, il suono attutito e la ceramica salvata dal pesante tappeto sotto i suoi piedi.

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Capitolo 32
*** Messaggero inconsapevole ***


-Cosa? Rokudo Mukuro non è morto?-
Hibari si guardò bene dal voltarsi e si limitò a chinarsi lentamente per raccogliere la tazza. Come poteva essere vero? Però lui era andato via quando il medico aveva fatto segno di tirarlo giù, non l'aveva nemmeno guardato. Ma il medico poteva aver solo stabilito che aveva perso i sensi. Ma allora a che scopo quel lenzuolo sul viso, come a coprire un corpo morto? Possibile che fosse servito soltanto a far credere che fosse stato ucciso? Ma a che scopo fare una cosa simile? Era forse stato rianimato dopo essere stato portato via? O si era semplicemente svegliato e serviva soltanto a fare credere ai ribelli che avevano perso per sempre il loro capo? Ma non avrebbe avuto senso... potevano semplicemente lasciarlo lì, con tutto il sangue che perdeva e il freddo che faceva sarebbe morto comunque in pochi minuti... o potevano più facilmente finirlo quando non fossero più stati osservati da nessuno... non riusciva a capire il senso...
-Oh, no, no, Mukuro è così forte... io lo amo per questo, davvero!- disse Byakuran col tono di una ragazzina che si vanta del proprio idolo. -Io sapevo che non sarebbe morto per le frustate e infatti non lo ha fatto...-
-Stronzate.- s'intromise Zakuro. -Grondava sangue, l'ho visto, non poteva campare tanto.-
-Beh, no, ma l'ha salvato il dottore.-
-Ma un dottore non può salvare un condannato, non avrebbe senso.-
-Ma Mukuro chan non era condannato a morte.- disse il carceriere in tono amabile. -Vedete, io mi sono dato la pena di conoscere tutto quello che potevo su di lui... e io conosco il suo segreto... sapete, Mukuro chan non è nato in Giappone anche se adesso ha la cittadinanza!-
Ecco, ecco finalmente il motivo... finalmente Hibari riusciva a capire perchè, e tutto aveva senso, Mukuro era davvero ancora vivo, non era una trappola...
-E quindi?-
-Chi non è nato in questo paese non può essere condannato a morte se la legge del suo paese non la prevede nel suo codice penale, a qualsiasi titolo.- disse Hibari voltandosi finalmente verso gli altri. -Se Mukuro non è nato qui e nel suo paese natale non esiste pena capitale l'Haido non ha alcun diritto di ucciderlo, se non accade per fatalità mentre subisce la punizione prevista dal nostro ordinamento.-
-Plin plon, risposta esatta!- cinguettò Byakuran.
-Ma Mukuro è un avvocato, lui doveva saperlo... perchè non ha detto al processo che non era nato qui?-
-Vedi, è in momenti come questo che mi rendo conto di quanto amo quell'uomo... lui voleva essere ucciso, voleva che la sua morte insegnasse alla gente le cose importanti per cui un uomo vero sarebbe stato disposto a dare la vita, non ha mai pensato di salvarsi se fosse stato arrestato...- spiegò Byakuran prima di fare un lungo sospiro. -Che mente deliziosa che ha...-
-E quindi che succede ora, ergastolo?-
-Oh, sì, staremo insieme per sempre, non andrò nemmeno in pensione finchè Mukuro chan non morirà.-
-Byakuran, non riesco a capirti.- ammise Daemon, l'uomo che somigliava proprio a Mukuro. -Tu sei un sadico e hai una prigione zeppa, perchè ti fissi tanto proprio su di lui?-
-Non lo capisci? Te l'ho detto prima che è molto forte, e durante l'intera esecuzione praticamente non ha emesso un fiato... riesci a capire cosa significa per me riuscire a farlo gemere... riuscire a sentirlo urlare? Io amo il suono della sua voce quando soffre, la sogno perfino quando dormo... amo l'orgoglio che sento... sai, ci sono tipi diversi di grida... c'è il grido di pianto, come fa quella ragazza lì.-
Byakuran indicò con sommo disprezzo la povera ragazza che ancora soffriva per la mano ustionata. Lei rimase raggomitolata sul tappeto senza avere il coraggio di muoversi o di alzare lo sguardo.
-E c'è il grido di rabbia, è così che Mukuro chan grida.- proseguì lui, con lo stesso tono con cui un insegnante avrebbe spiegato la differenza tra un allievo senza speranza e un genio. -La sua voce, e i suoi occhi, anche... usa tutt'e due le cose per mostrarmi il suo dolore, io non potrei trovare di meglio.-
-Sarei curioso di vederlo.-
-Vienimi a trovare alla prigione, posso fartelo vedere.- l'invitò Byakuran. -Voi due vi assomigliate moltissimo, sarete mica parenti?-
Lupo ridacchiò e Midorikawa scoppiò in una risata fragorosa, entrambi asserendo che aveva ragione. Ed effettivamente anche Hibari era d'accordo, aveva notato immediatamente che Daemon gli somigliava molto. Anche se, forse suggestionato da quello che gli aveva sentito dire prima, pensava che Mukuro fosse molto più bello di lui.
-Che diavolo, no.- protestò Daemon, piccato. -Non ci credo che mi assomiglia tanto come dite.-
-Ti ricrederai!-
-Non poi così tanto.- disse Hibari. -È più... una vaga somiglianza... sono i capelli che danno quell'impressione.-
Nella sua mente Kyoya rivide il momento appena prima dell'esecuzione, quando aveva spostato i capelli di Mukuro dalla schiena e aveva deciso di lasciar andare i dubbi, e perdonargli qualsiasi colpa. Ma lui non era morto, era in carcere e sapeva che Hibari lo credeva morto. Rendersi conto che Mukuro era in balìa di un carceriere sadico senza la minima speranza che qualcuno dei suoi cari andasse a salvarlo era angosciante. Ma se si fosse trattato solo di un trucco, di un'ultima astuta trappola per verificare la sua lealtà? Doveva trovare una prova prima di pensare di precipitarsi in prigione a incontrarlo, sempre ammesso che fosse possibile...
-Ragazzina, porta dell'altro tè!-
Midorikawa assestò un calcio alla ragazza che aveva costretto a ustionarsi la mano, che gemette senza alzare la testa. Era evidente guardandola che la sua più grande speranza era sprofondare nel pavimento e sfuggire a quel covo di mostri. In particolare al mostro in capo, l'enorme ministro degli armamenti, che ora svettava su di lei con in mano una frusta. A quella vista Hibari non riuscì a restare fermo, non dopo aver visto tutto quello che un'arma di quel genere poteva fare a un essere umano. Prima ancora di pensare se fosse o no una buona idea esporsi così, in pochi passi si frappose fra loro e il flessuoso corpo in pelle intrecciata dell'arma si avvolse attorno al suo avambraccio sollevato, con uno schiocco secco. Non sentì alcun dolore, forse per via della manica felpata. Il ministro gli scoccò un'occhiata che era tutta furia e indignazione, ma quella di Hibari non era dissimile.
-Capitano, spieghi la sua intromissione.-
Hibari fece appello alla sua parte più menzognera, l'angolo dove attingeva ogni bugia con tutta l'indifferenza necessaria per sostenerla. Quella stessa parte che gli aveva permesso di mentire a Mukuro quella notte di ottobre. Se era riuscito a mentire davanti a lui, non c'era motivo per non riuscirci davanti a cumuli di letame antropomorfi, si disse, mentre la sua espressione diventava una maschera di disprezzo che avrebbero riconosciuto tutti gli ex studenti della Namimori.
-A me non piace la folla, non mi piace il rumore.- disse Hibari. -Questa ragazza frigna già abbastanza senza frustate... non sente quanto è fastidiosa?-
-Mh, capisco... sì, hai ragione.- convenne il ministro. -Hai sentito, mocciosa? Levati di mezzo, vattene.-
La ragazza annuì e finalmente potè alzarsi e scomparire nella stanza accanto più velocemente possibile. Hibari si liberò dalla frusta massaggiandosi il braccio. Era rimasto un vistoso segno rosso e adesso cominciava a sentire un po' di bruciore, ma non era nulla di più di un fastidio. Aveva preso colpi accidentali contro degli spigoli che facevano molto, molto più male.
-Mi scuso per il braccio, capitano.-
-Nessun problema.-
-Posso fare qualcosa... darti qualcosa come risarcimento?-
Hibari lo guardò. Aveva tutte le intenzioni di scusarsi e di risarcirlo solo per avergli arrossato un braccio, ma nemmeno una parola gentile per la ragazza che aveva insultato, preso a calci, ustionato, umiliato e cercato di frustare. E in quel momento si accorse che Mukuro aveva fatto un'altra profezia, parlando delle persone che si crogiolavano negli stessi vizi che avevano debellato dalle città...
-Interrompervi è stata una mia irriverenza.- disse infine Hibari. -Per farmi perdonare preparerò io del tè per voi.-
-Ma non devi fare lavoro da domestici, Hibari chan!- protestò Byakuran con la bocca piena di qualche tipo di dolcetto. -Ci sono le ragazze per questo!-
-Beh, potete tenere le ragazze qui e palpeggiarle mentre io faccio il tè...- disse lui, accennando un sorriso suo malgrado spontaneo. -Io non mi faccio palpeggiare, non ci pensate nemmeno...-
Lasciò la stanza seguito da un coro di risate e quando chiuse la porta l'argomento di conversazione nel salottino erano i gusti preferiti sulle donne.

Come immaginava, nella stanza accanto c'era tutto quello che poteva servire a trastullare i capitani. C'erano frigoriferi di birre e bibite, una macchina del ghiaccio, scaffali di liquori di ogni tipo. Una vetrina conteneva bicchieri e tazze da tè e da caffè. Sul gas era posato un oggetto che Hibari non aveva mai visto, ma capì dall'odore che sprigionava che cosa doveva essere: emanava lo stesso profumo del caffè espresso bevuto da Reborn, doveva essere una caffettieria italiana. Appoggiata di schiena al muro c'era la ragazza, con la mano affondata nel lavabo pieno d'acqua e ghiaccio. Alla sua vista sobbalzò.
-Va tutto bene.- la tranquillizzò avvicinandosi con cautela. -Non voglio farti del male...-
I suoi occhi dicevano chiaramente che non credeva a una sola parola ed era difficile biasimarla.
-Come sta la mano?-
-... È bruciata...-
-Lo so... intendo... è grave?-
-Non lo so.- rispose lei guardandosi le dita. -Spero di no...-
-Come ti chiami?-
La ragazza non rispose e sembrava addirittura più spaventata di prima, anche se Hibari non aveva alcuna ipotesi sul motivo. Non gli sembrava di averle chiesto qualcosa di scortese. Per non intimorirla fece un passo indietro.
-Voglio solo sapere il tuo nome...-
-Haru.- disse lei alla fine, spostandosi i capelli corti dal viso con la mano sana. -Miura Haru.-
-Lo sai già, ma io... sono Hibari... Hibari Kyoya.-
Haru si limitò ad annuire e muovere piano la mano nell'acqua fredda. Non lo guardava ma Hibari era un osservatore piuttosto acuto e notò subito quanto era rigida la sua posa, i suoi occhi castani fissi sull'acciaio che rifletteva la loro immagine, il modo in cui si mordicchiava le labbra color pesca.
-Haru, ho bisogno che tu mi dica una cosa che voglio sapere.-
La ragazza si voltò verso di lui sorpresa. Era abbastanza evidente che i soldati non andavano spesso da lei chiedendole soltanto informazioni. Poi Hibari si ricordò che in teoria avrebbe dovuto essere lì per preparare del tè e avrebbero potuto passare dei guai entrambi se si fossero accorti che non era così. Prese quindi a cercare quello che gli serviva.
-Tu sei sempre qui quando i capitani si riuniscono?-
-Quasi sempre... sì...-
-Quell'uomo, Byakuran... lui c'è spesso?-
-In alto a sinistra.-
-Come?-
-Il tè.- disse lei. -In alto a sinistra.-
-Ah. Grazie.- fece lui scovando il barattolo.
-Il capitano Byakuran non viene spesso... viene una o due volte alla settimana, al massimo... la prigione di cui è responsabile è distante, ci vogliono ore per raggiungerla.-
-Da quanto tempo frequenta il salotto?- chiese ancora Hibari mentre cercava una teiera.
-In basso, in basso.- gli suggerì Haru. -Non lo so, ma ogni settimana da quando io sono qui... da agosto... ma la maggior parte delle volte può solo collegarsi in videochiamata.-
Hibari mise sul fuoco il bollitore mentre rifletteva. Se Byakuran era una presenza fissa già da mesi, non era stato chiamato appositamente per parlargli di Mukuro, per tendergli una trappola. Anzi, frequentava quel salotto ancora prima che Mukuro diventasse un nemico dello stato... ma poteva fidarsi davvero?
-Haru... qualcuno ha chiesto a Byakuran di parlare di Rokudo Mukuro oggi?-
-Rokudo Mukuro è vivo, Hibari san.-
Hibari la guardò fisso e si sorprese di scoprire che il suo sguardo era ricambiato.
-Ho avuto un permesso per vedere mio padre... nel carcere per oppositori politici.- disse Haru esitante. -Ho visto Rokudo Mukuro quando sono stata lì.-
-Ne sei sicura?-
-Ne sono più che sicura... lui mi ha... guardato come se mi conoscesse... e mi ha ringraziato.-
-Ringraziato di che cosa?-
-Gliel'ho chiesto anche io... ma lui ha solo sorriso e non mi ha risposto.-
Hibari sorrise senza riuscire a trattenersi. Riuscì persino a mettersi a ridere. Aveva capito il motivo che aveva spinto Mukuro a ringraziare Haru nel momento in cui si erano guardati. Lui lo sapeva, sapeva che Haru avrebbe incontrato Hibari e gli avrebbe detto che era vivo, gli avrebbe rivelato dov'era...
-Haru, lui ti ha ringraziato per avergli salvato la vita.-
-Come?-
-Non serve che tu capisca come hai fatto, ma l'hai fatto.-
Haru fece un sorriso di un'infinita amarezza e non era difficile capire perchè. Poteva anche aver salvato la vita di un uomo condannato a essere torturato fino a che non ne avesse avuto più di sopportare, ma non aveva alcun modo di proteggere la propria salute. Restava sola, inerme davanti alla follia sadica di un gruppo di uomini per i quali lei non valeva niente.
-Haru, non ti lascerò qui per mesi.- le disse Hibari, mentre il tè era ormai pronto. -Nessuno merita di essere trattato in questo modo. Resisti soltanto un altro paio di giorni e ti porterò in un posto sicuro.-
Haru era troppo emozionata per trovare la voce e rispondere. Si coprì la bocca con la mano integra mentre le lacrime scendevano sul suo viso dalle guance sempre più colorite. Annuì vigorosamente quando Hibari le chiese se pensava di potercela fare. Era così per tutti, tutti potevano trovare la forza di resistere se avessero avuto la certezza di vedere la fine di quello che li tormentava.
Hibari uscì dalla stanzetta di servizio portando con sè la teiera. La prima cosa da fare era andare da Mukuro, doveva trovarlo e trovare il modo di tirarlo fuori. Dopo aver messo lui in libertà, il suo esercito personale avrebbe potuto trovare un posto sicuro anche per Haru.

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Capitolo 33
*** Asilo politico ***


Quella notte Tsuna si era addormentato seduto sul divano mentre cercava di seguire un noioso montaggio di conferenze stampa vecchie di quattro o cinque anni. Mentre la sua testa pendeva sempre più da un lato dello schienale, il blocco per appunti che teneva sulle gambe minacciava di cedere alla gravità portando con sè il telecomando posato sulla pagina quasi intonsa. Il dvd tornò alla schermata iniziale dopo la riproduzione di tutto il suo contenuto e restò in attesa, ma Tsuna non poteva saperlo. Scivolò ancora più in basso e alla fine il blocco gli sfuggì schiantandosi a terra con uno schiocco secco. Il ragazzo però lo registrò solo vagamente e fu con aria insonnolita che aprì gli occhi e allungò la mano verso la sua destra, per trovare nulla più che il bracciolo.
-Haya...?-
Tsuna fu improvvisamente molto più lucido e anche molto più triste. Si sfilò gli occhiali strofinandosi gli occhi. Si era addormentato mentre lavorava, di nuovo. E aveva sognato di essere di nuovo a casa, aveva sognato che era il compleanno di Gokudera e che aveva cucinato per lui, che era stato contento. Il che era assurdo per diverse ragioni: a Gokudera non era mai piaciuto niente di quello che aveva provato a cucinargli, loro non avrebbero più abitato nella stessa casa e probabilmente lui non gli avrebbe nemmeno più sorriso. Dopotutto per lui era un mostro di vanità, egoista e dispotico come suo padre. Per Tsuna erano premesse sufficienti per decretare che la loro storia fosse chiusa, ma non bastavano a fargli dimenticare tutto il tempo trascorso al suo fianco.
Pieno di amarezza si alzò dal divano senza darsi la pena di recuperare il telecomando e il blocco degli appunti, si trascinò nella stanza accanto ma non trovò nessuno. La cucina era buia e c'era silenzio. Suo padre era tornato oppure era ancora nel suo ufficio a lavorare a chissà che cosa? Entrò nella camera e accese la luce sopra la penisola. Aveva bisogno di una tazza di tè, o ancora meglio, di latte caldo con il miele. Anche se gli faceva venire in mente ricordi dolorosi: in tempi più liberi Gokudera aveva fatto spesso latte e miele per lui a notte tarda, e nell'infanzia, sua madre.
Nel momento in cui prendeva il latte dal frigorifero sentì il tonfo caratteristico della porta sul retro della caserma e istintivamente allungò il collo per vedere qualcosa.
La casa di Iemitsu Sawada era stata integrata nel terreno in cui sorgevano la caserma e il palazzo di giustizia e di fatto li divideva. Il muro che cingeva i cortili dei due edifici fasciava anche l'intera villetta, che restava nell'ombra degli uffici dei miliziani, separandone le aree interne in modo tale che si doveva fare il giro dall'esterno della recinzione per spostarsi da uno all'altro. Uscendo sulla veranda si vedeva l'ampio cortile e alzando lo sguardo si poteva vedere la finestra dell'ultimo piano del palazzo di giustizia, l'ufficio del generale. L'ascensore personale lo portava da lì al piano terra, dove poteva usufruire di quella porta sul retro per uscire, attraversare il cortile e tornare a casa in pochi minuti. Il rumore di quella porta era particolare e Tsuna l'aveva riconosciuto subito. Tuttavia il cortile era avvolto nell'ombra e non vedeva niente. Tese l'orecchio e udì dei passi, anche se gli sembravano diversi da quelli di suo padre, erano molto più leggeri e più veloci. Scricchiolavano sulla neve, poi più niente.
Tsuna andò contro qualsiasi buon senso e contro la sua stessa paura. Accese la luce della veranda e aprì la porta, intimamente convinto che la persona che sentiva fuori nel cortile fosse Basil, anche se non riusciva a capire per quale motivo dovesse essere a passeggio per il cortile innevato in piena notte e completamente al buio. Ma quando la scena fu rischiarata debolmente dalle luci Tsuna vide subito che non si trattava di Basil.
C'era una ragazza nel cortile, accovacciata per terra. Tremava violentemente ed era tutta presa a coprirsi una mano di neve con l'aiuto dell'altra. Girò di scatto la testa verso di lui quando sentì i suoi passi avvicinarsi e lo guardò terrorizzata. Tsuna potè vedere un grosso ematoma sul suo viso.
-Ah... n-non voglio farti niente...- disse Tsuna impacciato, avvicinandosi piano con le mani alzate. -Che... che cosa stai facendo qua fuori in piena notte?-
La ragazza non rispose e restò a fissarlo con la mano ancora inglobata in una mucchia di neve ghiacciata.
-Sei ferita?-
Lei abbassò appena lo sguardo. Tremava così tanto che Tsuna faticò a capire che aveva annuito, ma non era sorpreso: la ragazza indossava delle scarpe con il tacco alto e un cheongsam corto decisamente più adatto alla primavera che alla metà di gennaio e una sciarpina di pelliccia attorno a collo e spalle. Se fosse rimasta lì altri dieci minuti si sarebbe congelata. Fece ancora qualche passo verso di lei e le tese piano la mano, come avesse a che fare con un gatto selvatico.
-Vieni con me... dentro fa caldo... vediamo che cosa possiamo fare per la tua mano... e la tua faccia, okay?-
Lei ritrasse la mano da sotto la neve e lo guardò, prima che i suoi occhi castani scivolassero sulla casa dietro di lui. Era evidente che l'offerta di un posto al caldo era allettante, ma era anche spaventata e diffidente come un animale ferito.
-Se non ti fidi va bene... almeno però posso portarti un cappotto, o qualcosa...- fece Tsuna, indeciso se fosse il caso di insistere con un po' di brutalità o essere accomodante. -Però... penso che qui fuori moriresti vestita in quel modo... potresti... entrare?-
Nonostante la sua indecisione Tsuna in qualche modo colpì nel segno. La ragazza prese la sua mano e si alzò, avendo cura di assicurarsi che il suo corto abito la coprisse più che poteva. Senza aspettare altro Tsuna la portò in casa, fuori faceva un freddo tremendo, e lui indossava calzini, pantaloni e felpa pesante...
-Vediamo che possiamo fare per quella mano adesso...-
-... Io... sono Haru.-
Tsuna riemerse da dietro il mobile con la cassetta del pronto soccorso e la guardò.
-Ah, ma allora sai parlare...- disse sorridendo. -Avevo cominciato a pensare che non capissi un accidente di quello che stavo dicendo, che fossi straniera, sai... io sono Tsunayoshi. Chiamami Tsuna, lo fan... porca vacca, Haru, ma che ti è successo alla mano?-
-Bruciatura.- disse lei, mordicchiandosi il labbro nervosamente. -Mentre... facevo il tè.-
Gli occhi di Tsuna si fissarono in quelli castani scuri di lei per un lungo momento, in cui capì che quello che gli aveva appena detto non era vero. Senza commentare iniziò a medicarla meglio che poteva. Come poteva essere una bruciatura così profonda sull'intera mano? Il primo istinto di qualcuno che si bruciava era ritrarsi, se le fosse caduta acqua bollente addosso si sarebbe ustionata sopra, oppure solo da un lato... sembrava che avesse immerso la mano in una pentola d'acqua bollente, e con una stretta allo stomaco Tsuna si chiese se non fosse andata così, se qualcuno non l'avesse costretta a mettercela. I motivi, molteplici. Poteva avere un padre o un fidanzato violento, essere stata punita per qualcosa, essere stata torturata per estorcerle qualche informazione...
-Mi dispiace...-
Haru lo guardò confusa e capì che non vedeva il motivo per ricevere scuse da un uomo che non aveva mai visto prima, ma Tsuna si sentiva talmente in colpa che non aveva potuto farne a meno. Se era accaduto tutto questo a lei e a tutte le persone che avevano sofferto e che stavano soffrendo era anche colpa sua, perchè non aveva mai provato seriamente a fermare la follia di suo padre prima che diventasse così incontrollabile...
-Io... io stavo per farmi del latte con il miele.- disse Tsuna, cercando di sottrarsi all'imbarazzo. -Ti va? Ti riscalderai un po'.-
-Tsuna san...- disse lei guardandosi la mano bendata. -... Io... vorrei... vorrei vestirmi.-
Solo in quel momento si rese conto che le aveva spietatamente fissato la scollatura romboidale del cheongsam. Si sentì andare a fuoco le guance e le orecchie.
-Oh, sì. Scusami.-
Senza aggiungere altro sparì nella sua stanza e rivoltò i cassetti alla ricerca di qualcosa di adatto. Scovati finalmente i pantaloni di una tuta da ginnastica e una felpa azzurra e bianca con il numero ventisette stampato sul petto tornò di corsa in cucina. Era così convinto che Haru avesse approfittato dell'attimo per filarsela che restò sorpreso di trovarla sullo stesso sgabello dove l'aveva lasciata. Posò gli abiti sul piano di fronte a lei.
-Mi... mi spiace per prima.- si scusò senza riuscire a guardarla in faccia. -Di solito io... ehm...-
-Non fa niente.- disse lei stringendo al petto la felpa. -Sono... abituata a questo.-
Purtroppo questo non lo fece sentire meglio, tutt'altro. Le voltò le spalle per preparare il latte caldo mentre si cambiava, ma ciò non gli impedì di guardare il suo riflesso nel bollitore mentre troppo lentamente prendeva il miele dalla credenza sopra di lui. Era distorto, ma gli sembrava di aver visto lo stesso un paio di mutandine a righe blu e bianche. Scosse la testa con forza e si tirò un silenzioso ma dolorosissimo pizzicotto al capezzolo. E dire che una volta li usava come arma impropria quando era arrabbiato con Gokudera... e adesso capiva anche perchè funzionavano così bene.
"Falla finita, Tsuna, sei patetico." pensò con rabbia. "Non cominciare a fare l'etero adesso."
Non sapeva spiegarsi quel comportamento. Quando era ragazzino, come a tutti, gli piacevano le ragazze, gli capitava di vederne alcune in giro per la città e le guardava, pensava a quanto fossero belle. E dal basso della sua inesistente autostima pensava che lui delle ragazze così belle poteva vederle dal vivo soltanto incrociandole per strada. Dopotutto all'epoca era anche un ragazzino patetico e imbranato, era un disastro in tutto quello che faceva, era il più basso della sua scuola e anche il più gracilino che ci fosse in circolazione. Non aveva mai avuto nessuna possibilità con la ragazza che gli piaceva all'epoca, Kyoko Sasagawa, corteggiata da decine di ragazzi che erano per svariate ragioni migliori di lui. Situazione che non era cambiata nemmeno al liceo: aveva voti migliori, aveva cominciato a crescere all'improvviso da un'estate all'altra alzandosi di trenta centimetri solo durante il primo anno e non era nemmeno più così gracile, ma la situazione dal fronte femminile era sempre tragica. Poi qualcosa aveva cominciato a muoversi attorno a lui e si era reso conto che succedeva qualcosa di strano fra Yamamoto e Gokudera. Yamamoto aveva cominciato a essere stranamente nervoso nel momento in cui parlava e guardandolo quando era con Gokudera sembrava sempre più simile a come era lui quando cercava di parlare con una ragazza che gli piaceva. Gokudera però era molto più brusco di qualsiasi ragazza e reagiva, solitamente, urlandogli addosso quanto fosse imbecille, patetico, ignorante, a seconda nella situazione. Era stato allora che aveva cominciato a capire come stavano le cose tra loro e soprattutto a capire che forse non era capace di affascinare una ragazza perchè non era una ragazza l'altra metà che aspettava. In altri tempi sarebbe inorridito al pensiero, ma più si sforzava di aiutare i suoi due amici a trovare il ponte fra di loro, più riusciva a capire perchè Yamamoto fosse così affascinato da Gokudera. Non ci volle molto tempo perchè ne restasse ammaliato anche lui. E arrivati al punto in cui non erano più stati in grado di parlarsi Tsuna aveva abbandonato la sua crociata per seguire quello che gli diceva il suo cuore, forte di quello che aveva imparato dagli errori di Yamamoto: usando un corteggiamento più subliminale e lasciandogli l'illusione di avere il carattere dominante era stato facile aggirare la sua testardaggine e conquistarlo. Era stato l'inizio di una lunghissima storia che durava da più di sette anni.
Da quando aveva iniziato a notare strani movimenti fra i suoi amici Tsuna non aveva più fatto caso alle belle ragazze nei negozi del centro commerciale, alle gonne sempre più corte delle studentesse, alle gambe di giovani donne alla moda rese vertiginose da alti tacchi a spillo. Non aveva più pensato una sola volta a che fine avesse fatto Kyoko Sasagawa, a come fosse diventata o se si fosse sposata. Le uniche donne di cui si era interessato da quel giorno in avanti, escludendo sua madre, erano la sorella di Gokudera e Chrome, e di nessuna delle due avrebbe saputo dire se aveva delle belle gambe. Perchè all'improvviso Haru gli sembrava così bella e gli interessava così tanto?
Ebbe solo vagamente la percezione di stare mescolando cucchiaiate di miele in due tazze di latte fumante e del meraviglioso profumo che ne scaturiva. Cercava ancora una risposta a questo inspiegabile interesse. Sì, quando era fidanzato con Gokudera gli succedeva di fare l'amore praticamente tutti i giorni e ovviamente non l'aveva più fatto da quando era sparito, da circa un mese. Ma se fosse solo per quel motivo avrebbe trovato interessante chiunque, per esempio Basil. Ce l'aveva intorno tutto il giorno, erano quasi sempre soli e rispondeva molto di più ai requisiti fisici a cui era abituato. Dunque che cosa gli stava succedendo?
-Ecco... tieni...- disse Tsuna posando la tazza di latte caldo davanti ad Haru. -Per me è la migliore bevanda che riscalda e rilassa nello stesso tempo... mi sembra... che tu abbia bisogno di entrambe.-
Haru annuì e ne prese un sorso, ma sembrava già meno nervosa di prima. Nonostante il modo in cui l'aveva guardata, immaginò Tsuna, uno che aveva la felpa della Nintendo e si faceva latte caldo con il miele in piena notte non dava l'impressione di uno stallone affamato.
-Puoi stare tranquilla, Haru... qui non c'è nessuno, ci siamo solo noi due... e Basil.- aggiunse poi. -Credo stia dormendo in camera sua, di sotto.-
-Chi è Basil?-
Spiegarle il delicato rapporto che aveva con suo padre, i suoi misteriosi viaggi di lavoro all'estero, l'elaborato intreccio di eventi che avevano portato Iemitsu Sawada a diventare tutore legale di Basil e il suo arrivo in Giappone era un'impresa troppo ardua per quell'ora, quindi decise di semplificare la cosa.
-È mio fratello... fratellastro, diciamo.-
-Oh.- disse lei, passando il dito sull'orlo della tazza. -...È piccolo?-
-Ah, no, no... anzi, lui ha un mesetto più di me... o due... insomma, lui è di luglio e io di ottobre.-
-Capisco.- fece Haru prima di prendere un altro sorso. -Andate d'accordo?-
-Beh... sì, sì... lui è un ragazzo a modo... sai, gentile... molto disponibile... si preoccupa per qualsiasi piccola cosa che mi succede, è molto servizievole... e... ha molta voglia di imparare le cose che non conosce... ma non ha ancora imparato a fare il tè...-
-Nemmeno io.- sussurrò Haru guardandosi la mano bendata, assorta.
-Haru.-
Tsuna le sfiorò appena la mano bendata, non osando stringerla per paura di farle male. Lei alzò gli occhi su di lui.
-Chiunque sia stato a farti questo, non può fartelo mai più... non importa chi sia, io ti proteggerò.- le disse con tutta la determinazione che aveva in corpo. -Sei al sicuro adesso. Nessuno di quei pazzi con l'uniforme nera, o grigia che sia può toccarti se io veglio su di te.-
Haru strinse la tazza mentre gli occhi le si riempivano di lacrime. Le sfuggì un singhiozzo disperato. Tsuna capì immediatamente che non gli credeva. Avrebbe voluto con tutto il cuore poterci credere, ma non poteva farlo. Ma lei non sapeva chi fosse, non sapeva chi era suo padre, e soprattutto non aveva idea di quanta determinazione avesse. Aveva lasciato correre troppe cose negli anni, preoccupandosi soltanto di quello che voleva essere e di cosa voleva avere per sè, ignorando quello che succedeva ad altri. Non avrebbe lasciato che accadesse mai più un'ingiustizia davanti a lui, non si sarebbe voltato mai più. Sua madre avrebbe fatto la stessa cosa, era un cuore gentile ed era per questo che aveva smesso di parlare a suo marito, anche se continuava ad amarlo come non avrebbe mai potuto amare nessun altro. Era stato lo sforzo di separarsi da suo marito, lo stress di non poter più vivere o parlare con lui, il dolore di vedere la sua famiglia spaccata in due a farla ammalare e alla fine morire. Era anche colpa della sua codardia se non c'era più.
-Haru, tu sai chi sono?-
-... Il... figlio... del generale Sawada... vero?-
-Vero.- confermò lui. -Io non permetterò a nessun capitano di toccarti.-
-Ma loro...-
-A nessuno, ho detto!- insistette Tsuna. -Mio padre ha una mucchia di difetti che nemmeno un matematico riuscirebbe a contarli, ma se c'è una cosa che non si può discutere è che amasse mia madre, e io sono l'unica cosa di lei che è gli è rimasta al mondo! Sono l'unico che può opporsi alle sue decisioni, l'ho già fatto!-
-Ma io gli appartengo!- singhiozzò Haru coprendosi gli occhi. -Da quando hanno arrestato mio padre io... devo fare quello che vogliono, lo devo fare o lo uccideranno!-
-Tuo padre è stato arrestato? Quando? Perchè?-
-In... in estate... stava... organizzando una petizione... per impedire che quelli dell'accademia militare vadano a convincere i ragazzini ad arruolarsi quando sono ancora a scuola...-
-Oppositori politici.- si rispose da solo Tsuna. -È nel carcere per oppositori politici, non è vero?-
Haru annuì. Tutti sapevano che era chiamato "la bocca dell'inferno" o "il cancello dell'inferno", e in molteplici varianti dello stesso tema. Aveva la fama di essere un posto orrendo, buio, scomodo, pieno di gente spietata selezionata fra coloro che non avevano idea di cosa significasse la dicitura "diritti umani". Si vociferava anche che la maggior parte della gente che vi veniva rinchiusa morisse entro il primo anno di prigionia e seppellito in gran segreto nel cimitero interno. Pensare che un uomo, un civile, potesse essere stato rinchiuso in un posto simile perchè aveva la stessa idea di Gokudera sull'orientamento degli studenti era agghiacciante.
-Ascoltami bene, Haru... tu resterai con me questa notte.- le disse Tsuna, cercando il tono più dolce che potesse usare. -Domattina per prima cosa parlerò con mio padre e troveremo un accordo... tireremo fuori tuo padre da lì e tornerete insieme a casa. D'accordo?-
Come unica risposta Haru gli si gettò fra le braccia, stringendolo con vigore e singhiozzando piano.

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Capitolo 34
*** Bestie rivelate ***


Il mattino seguente Tsuna fu svegliato da violenti colpi alla porta d'ingresso, ma prima che riuscisse a distinguerli per quello che erano le braccia di Haru lo strizzarono con la forza del terrore. Chi poteva essere a bussare a quel modo alla casa del generale dell'Haido?
-HARU MIURA, ESCI DA LI' IMMEDIATAMENTE!-
Tsuna era ormai del tutto sveglio e scambiò un'occhiata con lei. Mentre sentiva la voce preoccupata ma  cortese di Basil chiedere un momento per aprire la porta lui si alzò e si vestì in fretta. Il suo cuore batteva violentemente contro le costole, ma per nessun motivo al mondo avrebbe lasciato trapelare la paura.
-Per favore, signori, Sawada dono sta dormendo!- sbottò Basil aprendo la porta. -Con quale diritto gridate tanto a quest'ora? Che cosa state cercando?-
-Ha perfettamente ragione, mi scuso per l'irruenza del mio sottoposto.- s'intromise Kikyo, spingendo indietro l'uomo che aveva bussato. -Ma abbiamo ragione di credere che una delle domestiche sia qui, e a quest'ora dovrebbe trovarsi al lavoro.-
-Per un ritardo al lavoro gridate tanto e abbattete una porta di una residenza privata?- ribattè Basil, pacato ma indignato. -E qui non c'è nessuna domestica, ci siamo solo io e Sawada dono.-
-Permettetemi di dissentire.- disse il capitano, mostrando le scarpe di Haru a Basil. -Queste calzature per caso sono vostre o di Sawada dono? In questo caso chiederemo scusa e ce ne andremo immediatamente.-
Basil guardò i sandali, evidentemente confuso. Non si doveva essere accorto delle loro voci o dell'arrivo di qualcuno durante la notte e non sapeva che cosa dire. Tsuna varcò la soglia e li guardò con aria di sufficienza.
-Che cosa volete?-
-Ah, Sawada Tsunayoshi in persona... magari voi potreste dirci di chi sono queste scarpe.-
-Desidera comprarle, capitano?-
Il sopracciglio di Kikyo scattò per una frazione di secondo, ma il resto del suo viso non tradì la minima reazione. Per contro, il ghigno divertito di Tsuna si allargò.
-Sto cercando la domestica del capitano Zakuro, che non si è presentata al lavoro.-
-Oh, domestica? È così che chiamate le schiave adesso? Interessante scelta di lessico, non trovi, Basil?-
Tsuna era certo che Basil non sapesse nulla di Haru, che non l'avesse mai vista, che non sapesse che si trovava nella stanza accanto e che non avesse idea di che cosa uno di quei capitani le avesse fatto, ma la sua espressione divenne dura e fredda mentre incrociava le braccia guardando fisso Kikyo. Anche se si conoscevano da qualche settimana in quel momento gli pareva davvero di essere suo fratello, con una complicità affinata negli anni.
-Peculiare, Sawada dono.-
-Qui non c'è nessuna schiava e nessuna domestica.-
-Posso riformulare la domanda?- disse il capitano guardandoli a turno. -C'è forse una ragazza qui dentro... ad esempio, quella a cui appartengono queste scarpe?-
-Sì, ce n'è una.- rispose Tsuna. -Ed è intoccabile. Potete anche andarvene adesso.-
-Possiamo parlarne con lei?-
-Ovviamente no, capitano.-
-Insisto.- disse Kikyo, la cui calma cominciava a vacillare. -Ieri è stato fatto qualcosa di terribile a quella ragazza ed è nostra premura assicurarci che stia bene e garantirle che non succederà mai più.-
-Dev'essere un desiderio impellente per tempestare la porta in quel modo.- osservò Basil. -Sembrava quasi doveste catturare una terrorista, vi aspettate che crediamo a quello che dite?-
-Va bene così, Basil.- disse Tsuna. -Se è così, le chiederò se vuole ascoltare quello che avete da dirle... Haru, puoi venire qui un momento?-
Per un attimo pensò che non avesse il coraggio di farsi vedere, ma poi lei uscì da dietro il muro e li guardò. Era ovvio che aveva ancora molta paura, ma mosse lo stesso qualche passo verso di loro, restando tra Tsuna e Basil, dove più si sentiva al sicuro.
-Haru, questo capitano è venuto a cercarti e dice di voler sapere come stai.- disse Tsuna con un finto tono naturale.
-Mi avete obbligata a mettere la mano nell'acqua bollente.- disse lei tagliente, stringendosi la mano fasciata. -Come credete che stia?-
L'espressione di Basil andava ben oltre il disprezzo quando guardò di nuovo il capitano e il suo sottoposto irascibile. Dal canto suo Tsuna non sapeva esattamente che cosa fosse accaduto alla mano della ragazza e immaginarsi una scena in cui una persona, ancor peggio una ragazza, venisse obbligata a ustionarsi la mano e nessuno che la fermasse era nauseante. Per lui era poco meno che un crimine contro l'umanità.
-Il ministro è molto contrito per quello che ha fatto e chiede perdono... vi chiede di tornare al lavoro se la vostra ferita ve lo permette e ha un regalo per voi se avrete la gentilezza di incontrarlo.-
-Il ministro Midorikawa è un mostro!- sbottò lei. -Tutti voi siete dei mostri! Siete rimasti a guardare e a mangiare mentre mi faceva del male e lo avete sempre fatto, non uno di voi bastardi che gli dicesse che stava esagerando! Ma voi siete come lui, non potete rendervi conto di quanto sia crudele!-
Il soldato arrabbiato emise un ringhio e si avvicinò minaccioso, allungando la mano verso il collo di Haru. Basil fu reattivo a trascinarla qualche passo indietro fuori dalla sua portata, ma Tsuna fu ancora più veloce. Afferrò il polso dell'uomo, lo piegò verso l'esterno facendogli fare un sinistro scricchiolio e lo atterrò sferrandogli un calcio all'altezza dell'orecchio. Il soldato gemette e si accartocciò sul pavimento tenendosi la testa.
-Che sta succedendo, qui?-
Iemitsu Sawada entrò nella sua stessa casa lanciando penetranti occhiate a chiunque. Basil si rilassò appena un po', ma Tsuna era se possibile ancora più allerta, i muscoli tesi come quelli di un gatto che soffiava sentendosi minacciato. Spinse Haru un passo più indietro mettendosi davanti a lei.
-Generale... noi... noi siamo venuti a cercare la domestica, signore.-
-Che cosa dovrebbe fare una domestica in casa mia?-
-Si nasconde!- sbottò Tsuna. -Si nasconde dalla feccia di individui che tieni a lavorare per te, gente che suggerisce e sostiene leggi brutali contro i criminali e poi si crogiola nella stessa malvagità che dice di combattere! Persone che tu consideri fidate e leali sono sadici e torturatori!-
Basil guardò Tsuna con una strana aria, come se si rendesse conto di non averlo mai davvero conosciuto. Probabilmente era proprio quello che pensava, dato che lo credeva una persona di animo gentile e di grande dolcezza e ora ne poteva vedere la furia. E di rabbia gliene stava montando dentro sempre di più. Afferrò non troppo dolcemente il polso di Haru e le tolse le bende. Le ferite avevano assunto un brutto colore scuro.
-Questo è quello che fanno i tuoi capitani e i tuoi ministri per divertimento mentre prendono il tè!-
Iemitsu fissò la mano di Haru senza che il suo volto o i suoi occhi mostrassero qualsiasi tipo di emozione. Se fosse disgustato, indignato o arrabbiato era impossibile capirlo. Haru singhiozzò e Tsuna le lasciò bruscamente la mano, convinto di averle fatto male, ma in realtà la ragazza era solo furente quanto lui. Puntò l'indice sano contro Kikyo con una tale energia che se avesse potuto lanciargli contro una maledizione quella l'avrebbe sicuramente colpito.
-Siete delle bestie! Abusate delle bambine dopo averne chiuso i genitori in carcere e le usate come bambole! Ordinate e comandate, ricattate e brutalizzate! E quel povero bambino, quella bestia orrenda lo tratta come fosse un cane, legato, ammanettato e picchiato e nessuno dice niente!- strillò lei con tutta la voce che riusciva a tirare fuori. -Quello che avete fatto a me è niente, niente in confronto a quello che fate ai bambini!-
Tsuna dovette trattenerla per evitare che si scagliasse contro Kikyo, anche se probabilmente lei sarebbe stata l'unica a farsi male. La strinse cercando di calmarla e scoccò un'occhiata intensa a suo padre. Nello stesso momento Basil mise la mano sulla spalla di Haru come conforto e anche i suoi occhi azzurri cercarono Iemitsu. Intimamente, Tsuna sfidò suo padre a ignorare una richiesta come quella, fatta da entrambi i suoi "figli", di fronte alla vittima di tanta spietata violenza. Ma più i secondi passavano senza che lui avesse reazioni, più il figlio si sentiva come se qualcuno stesse lentamente calpestando un fragile germoglio da qualche parte dentro di lui.
-Papà...-
Entrambi i Sawada si stupirono di quanto la voce di Tsuna fosse uscita debole e spezzata. Ma aveva bisogno di credere che l'unico membro rimasto della sua famiglia avesse ancora un cuore, lo stesso cuore che aveva amato Nana Sawada per trent'anni. E in quel momento non lo sentiva, aveva soltanto una gran paura. Paura di scoprire che era soltanto un'illusione, che in realtà lui stava combattendo da solo le sue battaglie, e che presto avrebbe perso anche quell'unico sostegno.
-Papà!-
-Sawada san, dica qualcosa.- soggiunse Basil accorato.
Iemitsu spostò gli occhi prima sul figlio, poi sul suo protetto, prima di scivolare sulla mano di Haru. Senza dire una parola voltò loro le spalle e con un passo insolitamente lento uscì dalla porta. Lo stesso capitano Kikyo non aveva idea di cosa pensare: guardava dal generale ai ragazzi più volte con espressione confusa, come se guardasse una partita di tennis senza conoscere il gioco. La tensione era palpabile, Basil era tanto teso che stringeva la mano sulla spalla di Haru come se trattenesse un fuggitivo, ma lei non se ne rendeva nemmeno conto.
-Generale!- saltò su infine il tenente furioso. -Mi ha colpito! Suo figlio mi ha colpito, ha aggredito un ufficiale di milizia! Dev'essere arrestato!-
-Io non ho visto nulla del genere.- disse Iemitsu.
Il tenente fece una smorfia e Kikyo lo guardò incredulo, quasi quanto Tsuna. Sicuramente era stato piuttosto impegnato in quel momento, ma era sicuro che suo padre fosse entrato in tempo per vederlo abbattere il tenente con un calcio. Aveva intenzione di fingere di non aver visto niente per non accusarlo formalmente di aggressione a pubblico ufficiale?
-Ma, signore...!-
-Io non ho visto niente.- ripetè lui. -E che cosa fanno degli ufficiali in servizio in casa mia? La mia casa è come l'ambasciata, nessuno può entrare se non autorizzato da me stesso. Uscite e tornate al vostro lavoro.-
Il tenente aveva tutte le intenzioni di ribattere, ma Kikyo gli fece brusco segno di tacere e lo spinse fuori. Si fermò solo per fare un cenno di scuse al trio Haru, Basil e Tsuna, ancora stretti insieme come bambini impauriti, ed uscì seguendo il suo sottoposto. Solo in quel momento i tre riuscirono a tirare un sospiro sincronizzato di sollievo. Haru ebbe un mancamento e le ginocchia le cedettero. Tsuna avrebbe voluto reggerla ma non ci riusciva, ora che l'adrenalina svaniva. Si lasciò trascinare in ginocchio da lei e le accarezzò i capelli.
-Tsuna... Basil... al mio ritorno, stasera... parleremo.-
Nessuno dei due ragazzi rispose ma Iemitsu Sawada sembrava non averne bisogno. Chiuse la porta alle sue spalle e i suoi passi pesanti si allontanarono nel cortile. Haru emise un sospiro tremulo appoggiando la fronte al petto di Tsuna. Lui si limitò a farle una carezza sul viso mentre alzava gli occhi, e non fu sorpreso di scoprire che Basil lo stava guardando.
-Di che cosa pensi voglia parlare?-
-Non lo so, Sawada dono... ma... ecco... credo che sia uno strano comportamento.-
-... Non ci resta che aspettare... eh...?-
Entrambi guardarono fuori dalla finestra dove qualche sporadico fiocco ondeggiava nel vento. Il silenzio era opprimente.

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Capitolo 35
*** Piano di riserva ***


-Byakuran sama!-
Byakuran alzò di scatto la testa e artigliò la branda sotto di lui. Fissò con furia la guardia che stava ferma sulla porta, riflessa davanti a lui nel metallo della cassettina del primo soccorso. Eppure a forza di castighi pensava di aver insegnato a tutti che non voleva essere disturbato quando era nella stanza bianca...
-Devi avere un motivo davvero importante per portare qui la tua brutta faccia e rovinarci l'intimità.- disse lui voltandosi piano a guardare l'intruso. -Io e Mukuro kun non vogliamo essere disturbati.-
Gli occhi della guardia scesero sul prigioniero, incatenato così accuratamente da non potersi quasi muovere. L'espressione scettica che Byakuran gli vide in faccia non gli piacque affatto e lo irritò ancora di più.
-Chiedo scusa, ma credo che sia più importante della vostra... intimità.-
Per un lungo momento la guardia sostenne lo sguardo di Byakuran, mentre quest'ultimo sentiva come unico rumore il respiro affannato di Mukuro. Come si permetteva? Niente poteva essere più importante della sua stanza bianca. Evidentemente non era stato accurato nelle sue lezioni come credeva.
-E va bene... va bene. D'accordo.- sbuffò alla fine. -Mukuro chan, papà deve andare via ma torna appena possibile... tu resta qui buono buono... quando torno ricominciamo dall'inizio...-
Mukuro emise un verso soffocato e Byakuran afferrò il laccio per liberargli la bocca, ma poi ci ripensò. Non si fidava di lasciargli quella libertà mentre lui era via, e poi lo trovava davvero eccitante. Non gli sarebbe dispiaciuto tornare e trovarlo ancora così ad aspettarlo. Allungò le dita pallide per accarezzarlo piano sopra un livido rossastro sul volto, sorridendogli. Mukuro cambiò immediatamente espressione. I suoi occhi blu diventarono delle fessure rabbiose e morse con furia la ball gag che aveva in bocca come se volesse sbranarla e farla a pezzi. Eppure era un uomo troppo intelligente per non aver ancora capito che la sua ira e il suo dolore lo eccitavano. Cominciava davvero a credere che lo facesse di proposito, perchè piaceva anche a lui.
-Ero sicuro che prima o poi avrebbe cominciato a piacerti.- gli sussurrò Byakuran, chiudendo gli occhi e inspirando profondamente il suo odore. -Oh, Mukuro kun... potrei divorarti...-
-Byakuran sama, è urgente!-
Byakuran riaprì gli occhi con un fiotto di furia che gli zampillava in corpo come se fosse esploso un idrante. Mukuro smise immediatamente di agitarsi e i suoi occhi blu si spalancarono. Sotto la sua mano la sua spalla tremava, ma l'uomo dai capelli bianchi gli diede una leggera carezza sui capelli prima di alzarsi dalla branda. Stavolta non aveva motivo di avere paura, non era con lui che era arrabbiato, non c'era alcun motivo di punirlo se si era comportato bene. Qualcun altro invece avrebbe fatto meglio a levarsi quella faccia seccata prima che gliela cancellasse lui a sprangate, ma la guardia dall'aria arrogante sembrava sentirsi al sicuro da qualsiasi ritorsione. Entrambi uscirono dalla stanza bianca avviandosi per l'angusto corridoio.
-Che cosa diavolo c'è?- sbuffò Byakuran, infilandosi la giacca. -Spero per te che abbiano almeno fatto saltare in aria il palazzo di giustizia, per disturbarmi quando sono con Mukuro kun.-
-Il capitano Kikyo vi ha mandato un telegramma urgente.-
-Kikyo?-
Lasciando perdere temporaneamente la sua ira contro quel molestatore fastidioso, Byakuran prese la busta e l'aprì con un inspiegabile nervosismo. Sentiva che qualcosa non andava e il fatto che Kikyo si fosse disturbato a inviargli un messaggio urgente a quell'ora di sera non contribuiva a tranquillizzarlo. Che cosa poteva essere successo? Dubitava che fosse solo un invito a qualche festa...
Byakuran spiegò il foglio e lesse. Con una sensazione di smarrimento rilesse una seconda volta e poi una terza. Kikyo gli aveva scritto che su al quartier generale di Namimori c'erano problemi, che improvvisamente il generale Sawada aveva deciso di riunire la camera di consiglio straordinaria e avviare la procedura di modifica dei nuovi codici. Aveva cominciato a firmare ordini di sospensione per alti ufficiali, incriminazioni per alto tradimento e parlava di profondi cambiamenti. Kikyo terminava la sua comunicazione dicendo che fra le cose che il generale diceva di volere c'era la chiusura del carcere per oppositori politici e gli consigliava di raggiungerlo immediatamente a Namimori. Chiudere il carcere per oppositori politici? E lui dopo che cosa avrebbe fatto? C'era anche il suo nome tra quegli ufficiali che avrebbero ricevuto l'ordine di sospensione? Sarebbe stato incriminato anche lui per alto tradimento? Non poteva fargli questo, lui era il migliore nel suo lavoro, aveva sempre fatto il suo dovere contribuendo a rendere il carcere per oppositori politici un posto che tutti temevano e ciò era parte della forza dell'Haido, la paura. Quella prigione era il suo regno, i prigionieri i suoi sudditi, le guardie il suo esercito... e quel vecchio pazzo intendeva chiuderlo e mandare lui a morire con delle pallottole in corpo? Intendeva rinchiuderlo insieme ai suoi prigionieri? O peggio ancora, licenziarlo e farlo tornare a sostituire fusibili e gonfiare gomme nell'officina dove aveva fatto l'apprendistato da adolescente? Assolutamente no, non avrebbe permesso a nessuno di portargli via quello che aveva guadagnato faticosamente...
Byakuran sfilò la pistola dalla giacca e senza degnarsi di fermarsi o di guardare la guardia, piegò il braccio all'indietro e sparò dritto attraverso il suo mento. Un boato rieccheggiò nel corridoio e un rumore umidiccio gli suggerì che il cervello doveva essersi sparso a dovere sul soffitto. Udì il tonfo del corpo che cadeva, inserì la sicura e gettò la pistola alla guardia più vicina, ancora interdetta.
-Qualcuno scriva un rapporto su questo idiota che si è suicidato perchè stava per essere licenziato.- ordinò senza smettere di camminare. -Riportate Mukuro kun in cella, io farò troppo tardi. Fategli le mie scuse.-
Solo in quel momento si fermò e si accorse di avere schizzi di sangue sulla giacca. Brontolando, la sfilò e la gettò a terra.
-Fate preparare la macchina, devo andare subito a Namimori... e un cambio di vestiti.-


Byakuran arrivò a Namimori dopo tre ore abbondanti di viaggio. Viaggiando verso nord si era trovato ostacolato dalla neve e quella non mancò di ricordargli quanti motivi aveva per odiarla, facendolo scivolare rovinosamente quando scese dalla macchina davanti al palazzo di giustizia. A fatica si rimise in piedi e rischiò di scivolare altre due volte prima che raggiungesse il sentiero che era stato aperto per raggiungere agevolmente l'ingresso. 
Appena lo varcò trovò Kikyo ad aspettarlo, ma non era sorpreso, sospettava fosse lì ad aspettarlo da parecchio. Lui lo vide e gli andò incontro con aria nervosa.
-Byakuran, siamo nei guai.-
-Ma che cazzo sta succedendo, Kikyo?- sbottò Byakuran, finalmente libero di fare quelle domande che gli mettevano angoscia. -Che cosa diavolo ha in mente? Che è successo?-
-Io... non lo so, io credo sia stato il figlio.-
-Figlio, che figlio?-
-Il figlio del generale Sawada!-
-Il generale ha un figlio?-
-Ne ha due... cioè, uno credo sia adottato, una cosa così...- disse Kikyo, prima di scuotere la testa come se fosse confuso. -Ma è suo figlio, quello naturale, stamattina è successa una cosa...-
Byakuran ascoltò in silenzio mentre Kikyo gli raccontava che il figlio del generale Sawada aveva deciso di dare una sorta di asilo politico alla cameriera che il ministro aveva ustionato il giorno prima al loro salotto privato, e che lei aveva detto al generale che cosa succedeva con le ragazzine e il "cagnolino" di Lupo. Continuò ad ascoltare senza parlare, non sarebbe riuscito a dire niente. Il giovane Sawada aveva impedito agli ufficiali di riprendersi la ragazza prima che cantasse e il generale era rimasto sconvolto dalla supplica dei due figli alla luce di quella rivelazione. Aveva dapprima rifiutato di emettere un ordine di arresto per il figlio che aveva aggredito un tenente, poi aveva annullato tutti gli impegni della giornata, restando chiuso nel suo ufficio da solo.
-Alla fine si è messo a parlare di riunire il consiglio, di avviare la procedura per lo scioglimento del codice, a parlare di alto tradimento, di abuso di potere e... Byakuran, se non facciamo qualcosa ci farà condannare tutti e rifonderà il governo da zero... penso che potrebbe anche... ritirarsi e lasciare le cose in mano al figlio, e...-
-E cosa? Che altro?-
Byakuran non poteva sentirsi peggio di così, aveva la sensazione di avere un febbrone da cavallo.
-Il figlio Tsunayoshi era il migliore amico di Rokudo Mukuro, se gli lascia il governo quello lo smonterà pezzo a pezzo.-
Byakuran non dette nemmeno una risposta a Kikyo e si avviò su per le scale ignorando completamente l'ascensore. L'altro capitano non gli chiese niente e lo seguì di sopra. Era tutto silenzioso a quell'ora di notte, non c'erano guardie all'interno, le luci erano fioche e non si sentivano voci. Il coprifuoco faceva sì che non si sentisse nemmeno il rumore di un'auto. Byakuran emerse nel pianerottolo illuminato dell'ultimo piano con il fiatone e si lanciò dentro l'ufficio del generale senza neanche bussare.
-... Capitano Byakuran, che cosa fai qui?- domandò sorpreso il generale, seduto alla scrivania con un quaderno d'appunti e il libro dei codici penale e civile aperto accanto. -A quest'ora tarda, poi.-
-Mi sono arrivate voci terribili, generale, io dovevo venire!-
-Ah... capisco.- disse lui, scoccando un'occhiata a Kikyo. -Capisco che tu sia preoccupato...-
-Generale, io ho dato tutto all'Haido! Ho lasciato l'università per essere uno di voi fin dall'inizio, ho fatto turni di notte, ho fatto ronde al freddo e ho pulito sangue e resti umani per il ministero delle punizioni per arrivare dove sono ora, non può davvero...-
-Me ne rendo conto, Byakuran, ma attualmente il nostro governo non può più permettersi di agire in questo modo.- disse Iemitsu in tono freddo. -Ho intenzione di raddrizzare tutto quello che non va, tutto ciò che rende oppressivo il nostro regime... e per prima cosa domattina tutti gli ufficiali saranno formalmente indagati e arrestati per crimini contro la dignità umana.-
-Ma...!-
-È colpa mia, ho lasciato che aveste troppe libertà e immunità... per questo tutto ciò che conseguirà non sarà la pena capitale, ma accerterò le responsabilità di tutti... anche solo se sei rimasto a guardare senza fare niente, senza dirlo a nessuno, farò in modo che tu sia estromesso da qualsiasi incarico ufficiale.-
Byakuran guardò Iemitsu Sawada a bocca aperta, senza avere in mente alcun pensiero coerente. All'improvviso gli veniva in mente sua madre che gli diceva che era tutta colpa sua e che l'avrebbe pagata. Gli venne in mente l'uomo detestabile che l'aveva preso a lavorare come uno schiavo alla sua officina lurida e puzzolente, che gli aveva detto che sarebbe tornato strisciando quando non l'avrebbero preso nell'esercito. Continuava a sentire l'eco delle risate dei suoi compagni di scuola quando l'allora capitano della squadra di baseball gli aveva ficcato la testa nel bidone dell'immondizia pieno. Ora che era un re non poteva perdere tutto...
-Lei... lei non può... sbattermi fuori così...-
-Il bello di essere il capo è che posso.- ribattè lui. -Avresti dovuto pensarci prima di tradire il codice che hai giurato di difendere, il codice della dignità umana... e di tradire la mia fiducia.-
Byakuran si sentiva orrendamente vuoto e scambiò un'occhiata vacua con Kikyo, qualche passo dietro di lui, altrettanto confuso e impotente.
-Visto che sei qui, mi hai risparmiato il telegramma... voglio che i prigionieri del tuo carcere siano fuori domattina, e primo fra tutti Rokudo Mukuro.- gli ordinò il generale. -Dare la caccia a quel ragazzo, catturarlo e giustiziarlo è stato il peggiore errore che abbiamo fatto... avremmo dovuto affrontare un dialogo con lui anzichè trattarlo da terrorista.-
Byakuran strinse convulsamente il pugno mentre una sorta di intorpidimento gli si diffondeva su braccia, gambe e nuca. La voce di Iemitsu giungeva ormai troppo lontana perchè lui potesse sentirla. Era questo che aveva percepito quando aveva aperto il telegramma? Quell'inspiegabile senso di pericolo lo stava avvertendo che stava per perdere il successo tanto desiderato dopo una vita misera, il rispetto, i suoi sudditi, i suoi fedelissimi, il suo intero regno... e persino la sua regina? Lui sarebbe stato congedato con disonore, se non addirittura incarcerato, e Mukuro sarebbe stato libero, e non l'avrebbe visto mai più...
Un gran colpo riscosse Byakuran dallo stordimento in cui era piombato. Si rese conto che ansimava pesantemente e che stava in piedi di fronte alla scrivania. Sulla sedia era riverso all'indietro Iemitsu Sawada, la finestra era forata da un proiettile e c'erano schizzi di sangue ovunque. Al giovane dai capelli bianchi ci volle qualche altro secondo per rendersi conto che aveva la pistola ancora calda in mano. La lasciò cadere e indietreggiò di qualche passo.
-Byakuran, che cos'hai combinato?!- sbottò Kikyo, correndo immediatamente a chiudere la tenda davanti alla finestra. -Che... perchè hai sparato al generale? Cosa facciamo adesso?-
Byakuran poteva anche avere avuto un passato travagliato e una vita dal profilo decisamente basso escludendo gli ultimi anni, ma non era mai stato stupido. Aveva i migliori voti della sua scuola e la carriera accademica era forse l'unico riscatto che aveva avuto. Era nato con un'intelligenza superiore, con grandi capacità logiche e matematiche e un innato istinto. Non aveva mai saputo spiegarsi da dove venissero quelle insolite percezioni, come se avvertisse la paura, la menzogna o il pericolo nelle persone o nel futuro. Sapeva soltanto che non l'aveva mai tradito questo misterioso istinto, quindi decise di seguirlo anche quella sera.
-Dov'è il figlio di Sawada?-
-Il... intendi Tsunayoshi?- domandò Kikyo, spiazzato. -A casa, credo... il generale abita in quella casa laggiù.-
-Ma non è solo, vero? Ha il fratello adottivo e la cameriera.-
-Sì, io... che cosa vuoi fare?-
Byakuran non gli rispose e si limitò a guardare il corpo del generale riverso sulla sedia e gli schizzi di sangue.
-Lasciami pensare un minuto... ci serve un piano.-

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Capitolo 36
*** Due dopo mezzanotte ***


Gokudera, seduto come unico prigioniero nell'intero corridoio di celle, fissava in cagnesco il vassoio del cibo che non aveva nemmeno toccato. Forse era la forzata solitudine a scatenargli la paranoia, ma era convinto di non poter essersi sbagliato così grossolanamente sul tempo trascorso in cella da credere di essere ancora tre giorni prima di Natale per poi scoprire che era passato da cinque. Ci aveva pensato ogni momento da quando Yamamoto se n'era andato e aveva concluso che dovevano averlo drogato col cibo. Era sicuramente così. Ogni volta che si svegliava gli veniva portata la colazione, probabilmente lo facevano puntualmente quando lo vedevano sveglio per fargli pensare che dormisse sempre lo stesso lasso di tempo. Dopo otto ore gli veniva portata la cena e lì doveva trovarsi la droga. Non erano certo stupidi: poco dopo la cena la luce gli veniva spenta in modo che non potesse avere altro da fare se non coricarsi, e non avrebbe mai sospettato che il sonno non fosse naturale... ecco anche il motivo per cui dimagriva così tanto, non mangiava due volte al giorno ma una, dato che probabilmente dormiva dalle sedici alle venti ore. Non sapeva per quanto tempo avrebbe potuto resistere senza mangiare a cena, e poi non avrebbe più potuto mangiare neanche a colazione, perchè gli avrebbero cambiato somministrazione se si fossero accorti che lo sapeva. O addirittura potevano mettergliela nell'acqua. Non sapeva come avrebbe potuto resistere in quelle condizioni, non sapeva nemmeno perchè continuassero a trattenerlo in carcere. Se Mukuro era morto, perchè era ancora lì? Avevano capito che lui sarebbe stato il prossimo capo della rivoluzione e avevano deciso di trattenerlo per sempre? Era stato Tsuna a denunciare davvero la sua aggressione?
Furioso sparò una bestemmia e tirò un calcio al vassoio, che si rovesciò rumorosamente. Si chiese che cosa stesse succedendo fuori, come stesse proseguendo il paese senza più Mukuro. I suoi compagni erano ancora liberi? Stavano ancora cercando di fare qualcosa, stavano ancora lottando? Qualcuno di loro sapeva che lui era ancora in prigione? Avrebbero cercato di liberarlo? E Yamamoto stava cercando di liberarlo? Ci sarebbe riuscito? Eppure erano passati diversi giorni e non aveva più saputo niente...
Stava cominciando a domandarsi se non fosse il caso di fingere di stare male, sperando che una guardia aprisse la porta per soccorrerlo e tentare da solo di scappare, quando sentì dei colpi fuori dalla porta di metallo. Si irrigidì nel buio e voltò la testa verso l'uscita, anche se non riusciva neanche a vederla nel buio pesto. Sentì un altro tonfo, dei passi e un rumore metallico che avrebbe ricordato finchè avesse vissuto: la barra che bloccava la porta che cigolava quando veniva aperta o chiusa. Uno spiraglio di luce fendette il nero assoluto intorno a lui e una sagoma scura si stagliò nel bagliore giallastro del corridoio.
Istintivamente Gokudera arretrò e si nascose in un angolo della cella, sempre se acquattarsi in un angolo di una stanza spoglia si possa definire nascondersi. Era consapevole di non avere modo di sfuggire allo sguardo di chiunque avesse guardato oltre le sbarre ma qualcosa gli diceva che era in pericolo. Altri passi, scarpe con i tacchi bassi. Stivali da ufficiale, forse. La figura si fermò di fronte alla sua cella, illuminata dalla luce, e Gokudera trovò il coraggio di sporgersi a guardare. Non vedeva molto del suo viso a causa del cappuccio molto calato sugli occhi, ma poteva dire che era un uomo ed era abbastanza giovane, al massimo sulla trentina. Non vedeva i suoi capelli e non distingueva le cornee più del minimo per capire se lo stesse guardando o no, impossibile identificarne un colore.
-Chi diavolo sei tu?-
-Un amico.- rispose la figura aprendo la cella. -Seguimi.-
-Ma che...-
-Dopo le domande, prima andiamo in un posto sicuro.-
L'uomo si avviò alla porta e si fermò ad aspettarlo. Gokudera non sapeva chi fosse quell'uomo, ma aveva stivali e pantaloni di un'uniforme da ufficiale. Non sapeva se si poteva fidare di lui, ma dato che l'alternativa poteva essere restare lì a morire di fame o semplicemente a vegetare nell'attesa forse vana che qualcuno lo facesse uscire, infilò la porta e lo seguì. Mentre risalivano scale e attraversavano corridoi bui, Hayato non potè fare a meno di chiedersi se quell'uomo non fosse Yamamoto, ma dovette scartare quel pensiero praticamente in un attimo. La sua voce era diversa, aveva un differente modo di camminare, e poi... beh, era davvero difficile pensare di non riconoscere gli occhi o la bocca di Yamamoto, anche nella penombra. Inoltre, se davvero fosse stato lui, si sarebbe palesato per convincerlo a seguirlo. Valeva la stessa cosa per Tsuna, lo avrebbe riconosciuto subito, e poi quell'uomo era troppo alto per essere lui... continuò a pensare per tutto il tragitto alle persone che conosceva e che avrebbero potuto sapere dove si trovava e venire a salvarlo, ma non erano poi così tante e nessuna sembrava compatibile.
-Di qua.- gli fece l'uomo, indicandogli una porta.
Gokudera entrò di corsa e finalmente la loro fuga finì. Anche in questa stanza vedeva poco o niente con la luce spenta e la tenda pesante tirata. Intuiva i contorni di una sedia davanti alla finestra ma niente più. Faticava a vedere il misterioso salvatore seppure gli stesse accanto.
-Dove siamo?-
-Nella stanza del generale Sawada.- disse lui. -È l'unica stanza in cui non si è autorizzati ad entrare neanche se si sentono rumori sospetti, non senza avvertire il generale... possiamo parlare.-
-Chi sei?-
-Chi sono non ha alcuna importanza.-
-Ce l'ha eccome! Chi sei? Un ufficiale? Hai addosso la loro uniforme!-
-Gokudera Hayato... Mukuro non ha mai avuto bisogno di sapere il mio nome per fidarsi di me.- disse l'uomo in tono di disappunto. -Io sono stato il suo migliore informatore, si è sempre fidato di me.-
-Allora dove cazzo eri quando sono arrivate le squadre speciali a portarci via in piena notte?-
-Quella non è stata colpa mia, era un'operazione segreta di cui erano a conoscenza solo il generale e due capitani... non è stata divulgata la minima informazione neanche all'interno per paura delle talpe.-
-Che è successo agli altri?- domandò allora Gokudera, non ancora convinto. -La rivoluzione è ancora in atto dopo che Mukuro è stato ucciso?-
-Mukuro non è stato ucciso.-
Gokudera spalancò gli occhi e fissò quel vago profilo che vedeva del suo interlocutore. Yamamoto era venuto solo pochi giorni prima a dirgli che era stato giustiziato, come poteva essere vivo? Improvvisamente si sentì le gambe stranamente traballanti e si appoggiò alla parete. Gli ci volle qualche minuto per assimilare pienamente la notizia e ritrovare la voce per parlare.
-Lui... com'è possibile? Dov'è adesso?-
-Per farla breve, un cavillo ha impedito che venisse ucciso.- disse l'informatore in tono sbrigativo. -Ma ora è nel carcere per oppositori politici, e tirerà la cuoia se non lo tirerai fuori da lì.-
-Lo farò.-
Gokudera rispose immediatamente. Come se avesse dovuto dirgli qualcun altro che cosa doveva fare. Sarebbe uscito dal palazzo di giustizia, si sarebbe rimesso in contatto con il rifugio di Kokuyo per trovare gli altri e avrebbero messo a punto il piano. Era per quel motivo che Mukuro lo aveva accettato, perchè lo aiutasse a pianificare la liberazione dei prigionieri di Sekko, chiamato anche "la bocca dell'inferno". Sapeva tutto di quel carcere, ci sarebbe riuscito, a qualsiasi costo.
-Per questo Mukuro ha tutta questa fiducia in un semplice professore di scienze...-
-Il problema maggiore di questo governo è che non ha idea di come calcolare il valore di qualcuno... io sono solo un semplice insegnante, Mukuro è un semplice delinquente... staranno a vedere che cosa possono fare un insegnante e un delinquente come noi.-
-Voglio vederlo, quindi ora presta attenzione... la parte più difficile è farti uscire da qui e il miglior momento è il cambio della guardia fra pochi minuti.-
Gokudera fece del suo meglio per ricordare a memoria il percorso che l'uomo gli illustrò, essendo sprovvisto di piantine e nell'impossibilità fisica di illuminarne una per leggerla strada facendo. Nonostante la solitudine, la paranoia e la fame però il suo cervello rispondeva incredibilmente bene, rinfrancato dalla vicina libertà e dalla prospettiva di avere finalmente un compito importante per il quale mantenersi lucido.
-Aspetta, un'ultima cosa.-
-Cosa?-
L'uomo gli afferrò il braccio e gli mise in mano qualcosa di freddo. Gli ci volle qualche attimo e una strizzata di palpebre per capire che era una pistola nove millimetri. Era più pesante di quanto si aspettasse. Neanche a dirlo era la prima volta che prendeva in mano un'arma da fuoco, già prima dell'Haido era ben difficile avere accesso ad armi simili, tanto che anche se aveva sguazzato nelle bande criminali non aveva mai visto nessuno impugnare una pistola. Non era nemmeno sicuro di sapere come usarla, ma garantito che si sarebbe ingegnato.
-Può servirti ed è difficile reperire armi da fuoco... le munizioni si possono improvvisare, ma questo lo sai già.-
-Sì.-
-Ora vai, ricorda il percorso e sbrigati... io mi occuperò di coprire le tracce di sotto.-
Gokudera trovò a tentoni la sicura e la tolse, prima di aprire piano la porta e strisciare nel corridoio rasente alla parete. Si fermò solo un momento per guardare di nuovo nell'ufficio buio.
-Grazie.-
La figura fece appena un cenno e Hayato non attese oltre. Il cambio della guardia poteva essere l'unica possibilità che aveva e mai era stato così importante uscire e sopravvivere, perchè era l'unico in grado di attaccare la fortezza in cui venivano detenuti i nemici dello stato. Mukuro gliel'aveva detto: fino al suo arrivo era stato solo, perchè le migliori menti e le migliori preparazioni erano quelle di uomini già reclutati dal regime, e non aveva nessuno che lo aiutasse a superare i propri limiti. Ma ora l'aveva.
Seguendo il percorso dell'informatore Gokudera non incontrò nessuno. Ogni tanto gli pareva di sentire dei passi lontani, ma mai passò vicino a guardie o altre persone. Proseguì così, contando le porte, strisciando lungo le pareti, chinandosi per evitare di essere visto attraverso le finestre e alla fine raggiunse la cabina della manutenzione che l'uomo gli aveva illustrato. Scese velocemente la scala metallica e dopo qualche minuto aprì una sottile porta di ferro. Una luce fioca veniva da un lampione vicino e si rese conto di essere fuori dal muro di recinzione della caserma. Con un sospiro di sollievo inserì la sicura nell'arma e la infilò nei pantaloni nascondendola accuratamente con la giacca. Faceva un freddo cane, ma era libero. Finalmente era libero. S'infilò le mani in tasca, strinse le spalle e si allontanò in fretta. Doveva trovare un posto dove nascondersi fino alla fine del coprifuoco e poi allontanarsi alla volta di Kokuyo.


Il penitenziario statale di Sekko, la bocca dell'inferno, era una scatola seminterrata di acciaio e cemento armato. Circondato da tre recinzioni, grigio, cupo e situato in un'area desolata sembrava un'enorme lapide. Il recinto esterno era una rete metallica in lega di titanio con un sistema elettrificato, sormontata da filo spinato e un muro di cemento che scendeva metri e metri sottoterra sotto di essa. Dopo quella, si attraversava uno spiazzo spoglio scandagliato da telecamere a raggi infrarossi e si vociferava che al di fuori della strada che collegava i cancelli ci fossero disseminate delle mine antiuomo. Il secondo posto di blocco era nel muro esterno, uno spesso muro in cemento armato spesso cinque metri e mezzo, difeso da un sistema di telecamere oscillanti e di sensori che scattavano per rumori sul lato esterno, per il calore sul lato interno. Il piazzale interno era una fitta rete metallica e Hibari, guardandola, si chiese che tipo di infida insidia rappresentasse. Il terzo posto di blocco, piazzato all'unico cancello del muro interno di tre metri di spessore e coperto da sensori di pressione, era presidiato da uomini armati. Chissà come avrebbe potuto Mukuro pensare di superare tutti quegli ostacoli. Hibari ci pensava e ripensava, ma non gli veniva nessuna idea. Per fortuna lui non aveva bisogno di entrare di soppiatto.
-Sembra in ordine.- disse un uomo armato che aveva appena controllato i suoi documenti per la terza volta, facendo un cenno. -Aprite la porta, il capitano Hibari è autorizzato all'ingresso.-
Hibari riprese i suoi documenti e seguì una delle guardie, dall'uniforme verde scuro, all'interno della bocca dell'inferno. La prima cosa che percepì del luogo era il suo terribile odore. Era un misto di puzzo di latrina, odore di disinfettante, tanfo greve di sangue e qualcos'altro di orrendo. Era così forte che Hibari si coprì istintivamente il naso. La guardia lo notò ed esibì un sorrisetto.
-La prima volta che viene qui, capitano?-
-Si nota molto?-
-Noi lavoriamo qui e si siamo abituati... lei dove lavora? In un bell'ufficio, immagino?-
-In un cubicolo in caserma... ma... dopo questo, non mi lamenterò più...-
-Ci sono posti peggiori, come vede... ma quale motivo l'ha portata qui a questa tarda ora?-
-Oh... beh, ero venuto a fare una visita al capitano Byakuran.- disse Hibari, sforzandosi di sopportare il tanfo senza chiudersi il naso. -Sono partito presto ma la neve per strada mi ha fatto tardare di ore.-
-Accidenti, ma davvero? Byakuran l'aspettava? A me non ha detto niente, e lui è via.-
-Via? Via dove?-
-Credo sia andato a Namimori, vi sarete incrociati a metà strada. A quest'ora, se non è rimasto bloccato, sarà quasi arrivato in città...-
-Ah... colpa mia, comunque, non l'ho avvertito, volevo fargli una sorpresa.-
Il guardiano gli scoccò un'occhiata strana, squadrandolo dalla testa ai piedi e ritorno. Consapevole del rischio di essere semplicemente paranoico, si chiese se non fosse incappato nell'ennesimo soldato omosessuale interessato a lui. Ma nel modo in cui l'uomo lo guardò subito dopo non c'era alcun tipo di desiderio o di ammirazione, ma uno scintillio sinistro, uno sguardo maligno come il suo sorriso finto.
-In ogni caso, anche se fosse qui, il capitano Byakuran sarebbe nella sua stanza dei divertimenti con il suo gioiellino, non credo che avrebbe avuto tempo per lei... a Byakuran non piace mischiare le portate, se capisce cosa intendo.-
-A dire il vero... no, non capisco.- ammise Hibari.
-Byakuran è il tipo di uomo a cui piace avere sempre il menu da cui scegliere... e se sta mangiando cinese sicuramente non ordina anche messicano.-
Hibari aggrottò le sopracciglia. Nonostante la strana metafora dell'uomo, pensava di aver intuito che cosa intendesse dire. Evidentemente era stato scambiato per un amante, o forse un "giocattolo" di Byakuran e quell'ometto basso e baffuto aveva tutte le intenzioni di farlo ingelosire, arrabbiare o chissà che altro, per chissà quale misterioso fine. Ma in quel momento aveva cose più importanti a cui pensare: il diavolo non era all'inferno, e questo era un vantaggio insperato. Mukuro era lì, da qualche parte, e doveva trovarlo, magari parlarci. Forse c'era qualche speranza di riuscire a tirarlo fuori, ma prima doveva sapere dove lo tenevano. E da come ne aveva parlato al tea party dei capitani, il suo "gioiellino" poteva essere proprio quello che andava cercando.
-... E il "gioiellino" è il cinese di oggi?- domandò Hibari con tutta la finta irritazione che riusciva a mettere insieme. -E io sarei il messicano che oggi non avrebbe voluto ordinare?-
-Perspicace, capitano.-
-Chi diavolo sarebbe questo pezzente?-
-Ah, non si faccia sentire a insultarlo, Byakuran sama impazzisce quando insultano il suo pupillo... detto fra noi, ha sparato nelle ginocchia alla guardia che ha tirato uno schiaffo a Rokudo Mukuro martedì scorso... o forse mercoledì. Non ne sono sicuro, da quando è arrivato qui il capitano punisce chiunque per qualsiasi torto gli facciano, lui può fargli quello che vuole ma tutti gli altri devono trattarlo come un re.-
Hibari non faticava così tanto a crederci, Byakuran oltre che perversamente sadico poteva benissimo essere possessivo oltre il limite dell'umano. Non aveva mai studiato psicologia, ma era abbastanza sicuro di poter definire quell'uomo uno "psicopatico".
-Lo vuole vedere? Non la mando via a quest'ora a rifare tre ore di strada, se vuole può aspettare qui che torni Byakuran sama, o se solo aspetta mattina per ripartire.-
-.... Vediamolo.-
Hibari seguì l'uomo senza credere alla facilità con cui si stavano sistemando le cose. Non aveva neanche avuto bisogno di inventarsi una scusa qualsiasi per gironzolare, non aveva nemmeno avuto bisogno di sbarazzarsi di quel fastidioso intralcio. Lo stava guidando direttamente a Mukuro. Tuttavia, dopo la diabolica trappola in cui era caduto con il capitano Kikyo, Hibari non abbassava mai del tutto la guardia con gli uomini del regime. Si guardava intorno nervosamente, ma oltre ad un tanfo di sangue, sporco e forse pelle marcescente di ferite non ben curate, non c'era nulla di allarmante. I prigionieri erano malmessi oltre le sue peggiori ipotesi. C'era un uomo privo di entrambe le braccia, capelli e barba lunghi e sporchi, annidato in una branda sudicia. Altri casi umani gli sfilarono davanti nei corridoi: uomini magri e smunti dagli occhi velati, prigionieri feriti e mutilati, altri incatenati come assassini psicotici, qualcuno dall'aria malaticcia accasciato sulle brande o contro le pareti, uno che si stava togliendo una bendatura con quello che gli restava delle dita e gemeva mentre una colata di sangue e pus dall'odore terribile gli gocciolava sulla gamba. Hibari si scansò di qualche passo e si coprì la bocca con le mani, distogliendo lo sguardo. Dal canto suo l'ometto ridacchiò.
-È parecchio delicato, sicuro non lavora alla squadra omicidi.-
-Mi... milizia urbana.- borbottò Hibari tentando di non vomitare sul linoleum.
-Al massimo vede i cadaveri delle mosche che ammazzate nei pomeriggi noiosi, allora... beh, eccolo qua, il gioiello della corona, Rokudo Mukuro.-
Hibari alzò gli occhi. Oltre un pannello di vetro si apriva una cella ben diversa dalle altre. Era piuttosto pulita ed era quasi il doppio delle altre, aveva un colore azzurro chiaro anzichè il grigio cemento nudo. Mukuro aveva una branda pulita, una sedia di plastica dagli spigoli arrotondati come quella di un bambino e un ripiano simile a un piccolo scrittoio, anche quello in plastica. Sopra c'era un libro con un cartoncino colorato messo fra le pagine, come segno. Anche se viveva nel lusso in confronto agli altri prigionieri la sua non era una bella condizione.
Mukuro era incatenato alla sedia posta al centro di fronte alla vetrata, così stretto che a malapena poteva muoversi, indossava i pantaloni di un pigiama blu e nient'altro. I suoi piedi nudi e il suo torace erano del tutto fasciati, come le braccia. A parte uno spiraglio nel petto dov'erano applicati dei cerotti e le spalle, tutto quello che vedeva del suo corpo era bendato. Purtroppo Mukuro non poteva vederlo, perchè una specie di sacco di stoffa nera gli copriva la testa.
-Perchè quella maschera?-
-Disposizioni di Byakuran sama, credo che non voglia che noi lo guardiamo mentre non c'è... credo... onestamente inizio a non capirci più niente di quello che pensa il capitano, è diventato un po' tocco.-
Nel momento stesso in cui Hibari si avvicinò e toccò il vetro, Mukuro alzò di scatto la testa, anche se non era in grado di vedere nulla girava il capo come se cercasse qualcosa. Eppure non aveva fatto nessun rumore, come aveva potuto sentirlo? Aveva forse udito la sua voce?
-Può... può sentirmi?- domandò alla guardia, sussurrando senza accorgersene.
La guardia aveva perso il sorrisetto maligno e ora fissava Mukuro con aria grave. Si lisciò pensieroso i baffetti prima di fare un profondo respiro. Hibari non disse niente, gli sembrava che si stesse convincendo a dire qualcosa, o forse ponderava se fosse il caso.
-Lei è un uomo di indole spirituale, Capitano?-
-Ah... diciamo... diciamo che la mia anima non è delle più accudite.-
Gli era venuto in mente un momento in cui Mukuro era seduto a gambe incrociate nell'erba e stava meditando, ma non riusciva a focalizzare quando fosse accaduto. Ogni tanto le sue sopracciglia si aggrottavano, ogni volta di più, finchè non gli aveva urlato di starsene fermo o andarsene dentro casa. Hibari si grattò la testa, guardando Mukuro dal vetro. Non riusciva assolutamente a ricordare in che occasione fosse successo, nè dove, ma certo quella scena riassumeva la cura con cui badava alla spiritualità nella sua vita.
-Beh, mio padre era un monaco del tempio di Hinamori, sulle montagne vicino a Namimori, non so se...- esordì il guardiano, per poi accennare un sorriso quando Hibari annuì per confermare che conosceva quel luogo. -Beh, lo era anche mio nonno, e via dicendo... sono vissuto in mezzo a queste cose... e dannazione, l'ho capito dal primo momento in cui quell'uomo ha attraversato le mura.-
-Capito... cosa?-
Hibari cominciava a sentire una specie di brivido lungo la schiena.
-Quello non è un uomo normale, capitano... quello è un uomo che ha calpestato sentieri di cui le nostre anime, la mia e la sua, non sopporterebbero nemmeno la vista... io non ho il dono del mio bisnonno e nemmeno di mio padre o dei miei fratelli... ma so riconoscere un uomo che torna nel mondo umano dopo essere stato altrove.- affermò l'uomo. -Rokudo Mukuro si è scelto questo nome perchè lo sa anche lui, sa dove è stato prima di tornare qui... e non mente, signore... lui è uno di quegli uomini straordinari, un essere umano che è più di un mero essere umano.-
Hibari guardò di nuovo verso Mukuro e non fu sorpreso di vedere che era voltato verso di lui.
-In definitiva, capitano Hibari... non può udirla da qui fuori, ma sì, può comunque sentire che lei è qui.-
Avrebbe voluto dire qualcosa, ma aveva un nodo in gola tale da fare fatica a respirare. La mano avvolta nel guanto artigliò il vetro. Hibari non desiderava altro che spaccarlo, a pugni se necessario, entrare in quella stanza e strappare via quel sacco nero, rivedere il suo viso dopo aver creduto di non poterlo fare più. Più stava lì a guardarlo, più gli sembrava di ricordare che il blu dei suoi occhi fosse diverso da qualsiasi altro tono di blu che avesse mai visto, e che fosse l'unico colore che voleva vedere.
-Sovrintendente!-
Hibari si voltò verso l'uomo che correva nella loro direzione, angosciato e ferito sotto l'occhio. Il guardiano che lo aveva accompagnato era dunque il sovrintendente della prigione, il vice di Byakuran, perchè si fece avanti chiedendo spiegazioni. Dal piano superiore giunse un grido di dolore soffocato. In mezzo a molti balbettamenti il giovane guardiano snocciolò la questione: una delle celle multiple si era inspiegabilmente rotta e i sei detenuti avevano aggredito le guardie sottraendo loro le armi, e ora stavano liberandone altri e aggredendo i militari.
-Capitano, lei non è armato, resti qui e non si muova.- gli intimò il sovrintendente. -Qui è al sicuro, metterò delle guardie all'ingresso del blocco... risolverò la faccenda e tornerò da lei.-
Prima ancora che se ne rendesse conto lui e Mukuro erano soli, separati solamente da un vetro e da una porta. Hibari non era mai stato un misticista, uno che vedeva segni ovunque, consigli su cosa fare, non credeva nemmeno all'oroscopo e non apriva un biscotto della fortuna da quando gli aveva detto che si sarebbe sposato presto (biscotto aperto alla tenera età di quattordici anni); ma questa volta c'era la mano di qualcosa di superiore. Per un puro caso veniva invitato al salotto dei capitani lo stesso giorno in cui era presente Byakuran, e lui gli parlava di Mukuro. Nel momento in cui lo faceva Kikyo era fuori e nessun altro dei presenti aveva una conoscenza del rapporto che li legava, carceriere compreso. E proprio la notte in cui andava al Sekko Byakuran tornava a Namimori d'urgenza, e ora che era di fronte a Mukuro altri prigionieri gli davano un diversivo perfetto. Non poteva stare a pensare stavolta. Strappò via la chiave metallica che bloccava la serratura e la fece scattare, spalancando la porta, ed entrò nella stanza. Si sorprese, dopo il fetore del corridoio, di sentire un buon profumo di fiori, anche se contaminato da odore di cicatrizzanti. 
Sulla sua sedia Mukuro era rigido e al tempo stesso tremava. Vedere il modo in cui stringeva i braccioli della sedia gli fece venire in mente le parole di Byakuran su quanto trovasse belle le sue mani e il modo in cui le sue nocche diventavano bianche quando gli faceva... qualsiasi cosa gli facesse. Hibari allentò i lacci e tirò via quello che sembrava semplicemente una sacca da pic nic in stoffa nera, gettandola a terra. Per un attimo desiderò non averlo fatto.
Mukuro aveva uno strano apparecchio attorno alla bocca. Hibari non aveva mai visto niente del genere e non sapeva neanche attribuire un nome a quello strumento. Restò imbambolato come un idiota a guardarlo, disgustato e al tempo stesso affascinato, come i bambini spesso sono orripilati e attratti da piccoli animali morti e manifestazioni altrettanto macabre. Solo quando Mukuro cercò di dire qualcosa si rese conto che serviva a impedirgli di parlare. I loro sguardi si incrociarono e Hibari ne fu incredibilmente turbato, perchè non aveva mai visto Mukuro spaventato in vita sua. Quello che vedeva era ben oltre la paura, oltre il terrore.
-Resisti, ora ti tolgo questo... te lo tolgo subito...-
In realtà era uno strumento particolarmente elaborato e occorsero diversi minuti per rimuoverlo senza ferire Mukuro, anche se la permanenza stessa dell'oggetto infliggeva delle piaghe sanguinanti ai lati della lingua e della bocca. Mukuro sputò un misto di saliva e sangue per terra e tossì, mentre Hibari cercava di scorgere qualcosa di quello che succedeva fuori: delle grida vicine l'avevano allarmato, ma sembravano provenire dal piano superiore.
-Kyoya! Kyoya, slegami, tirami fuori di qui!- gemette Mukuro tirando strattoni alle cinghie. -Kyoya! Tirami fuori da qui, per l'amor del cielo, sbrigati!-
-Sì, sì, non ti preoccupare...-
-Muoviti!-
-Calma, calma... va tutto bene, non ti agitare...-
-Sbrigati, Kyoya, ti prego, ti prego...-
-Lo sto facendo, sta' zitto un minuto!-
Hibari faceva fatica a sciogliere le cinghie tanto gli tremavano le mani. Era disarmato e solo dentro la bocca dell'inferno, non aveva un piano, non aveva idea di come poteva finire quell'azzardo. Non sapeva cosa stesse accadendo di sopra, quanto tempo ancora aveva, come avrebbe fatto a portarlo fuori per tre posti di blocco senza che lo fermassero, e anche se ci fosse riuscito non aveva idea di cosa avrebbe fatto dopo. Tra l'altro sentire Mukuro ansimare di paura e supplicarlo era la peggiore cosa che avesse sentito, persino peggiore degli schiocchi sulla sua schiena e il suo ultimo gemito di dolore. Era abituato a vederlo sempre forte, sempre integro, sicuro di sè, calmo, reattivo ma mai precipitoso. Era sempre riuscito a tranquillizzarlo in qualche modo e ora sentirlo così sconvolto dal panico faceva innervosire anche lui.
-Ecco, ecco, sei libe...-
Prima ancora che potesse rialzarsi dopo avergli liberato le gambe se lo ritrovò avvinghiato addosso. Poteva essere dimagrito, spaventato, sofferente e ferito, ma la forza del suo abbraccio non ne risentiva, era una stretta vigorosa, quasi disperata. Hibari invece dovette trattenere la voglia di stringerlo come l'appiglio sicuro nel mare in tempesta, perchè per quanto vedeva era tutto una fasciatura e aveva l'odore di medicamenti cicatrizzanti impregnato nelle bende. Lo toccò con la delicatezza che si riserva a una creatura infinitamente delicata, un piccolo animale o un bambino in fasce, anche se quella tenerezza non rispecchiava quello che davvero provava in quel momento nel rivederlo. Posò l'altra mano sulla testa di Mukuro quando lo sentì singhiozzare e chiuse gli occhi un istante. Era la prima volta che lo abbracciava, che lo abbracciava per davvero. Per lungo tempo Hibari aveva guardato intorno a sè, guardando tutto quello che aveva, tutto quello che poteva fare, tutta la sua vita perfetta e chiedendosi che cosa fosse quella sensazione di vuoto dentro di lui, come se gli mancasse sempre qualcosa. Per la prima volta nella sua vita sentì di non avere più un abisso dentro l'anima.

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Capitolo 37
*** Il mare della rinuncia ***


-Che cosa sta succedendo qui?-
Al suono di quella voce aspra Mukuro sussultò e ritrasse di scatto le braccia alzando lo sguardo innaturalmente lacrimoso su una guardia davanti al vetro. Hibari si voltò e guardò la guardia, un ragazzo piuttosto giovane con la pelle butterata e una brutta cicatrice che gli spezzava il sopracciglio folto. Era più basso di lui e tarchiato. Aveva l'impressione di averlo già visto, forse durante qualche ricorrenza della milizia, o magari la cerimonia dell'accademia, non lo ricordava. Mukuro spostò gli occhi dalla guardia a Hibari con un senso di confusione, non serviva avere percezioni mistiche per capire che era troppo spaventato per riflettere. Hibari non poteva contare su di lui, se voleva salvarlo doveva mettersi nell'ottica di agire da solo. E non avrebbe dovuto essere troppo difficile, era abituato a farlo fin da quando era bambino.
Non fu impegnativo ritrovare quell'istinto naturale. Mukuro aveva forse delle doti spiritualmente elevate, aveva probabilmente un cervello più fino, una conoscenza più vasta e una dialettica più efficace di quella di Hibari, ma adesso non avevano bisogno di altro che delle doti di Kyoya. Quando la guardia si precipitò dentro la cella impugnando una pistola il corpo di Hibari reagì istintivamente, prima che il suo cervello potesse analizzare la situazione. Gli afferrò il polso sbattendolo contro la parete e puntando l'arma verso il soffitto prima di sferrargli un violento colpo di gomito alla gola. Boccheggiando, la guardia allentò la presa sul calcio. Hibari gli afferrò la testa e la girò con tutta la forza che aveva. La spina dorsale all'altezza del collo produsse un orrendo scricchiolio e il guardiano con la cicatrice si accasciò sul linoleum, gli occhi spalancati ma vitrei.
Un colpo di pistola fece sobbalzare Hibari e si accorse che l'arma era ancora nella mano del morto, che forse per un riflesso delle dita del cadavere o per la caduta aveva sparato un colpo. Più di un prigioniero nelle celle vicine trasalì e si rincantucciò in un angolo.
-Mukuro! Mukuro, stai bene? Ti ha colpito?-
Con suo immenso sollievo Mukuro scosse piano la testa e indicò il proiettile, che si era conficcato nel muro azzurrino della cella mancandolo di un metro abbondante. Hibari si concesse appena un sospiro di sollievo, un attimo per riordinare le idee. Prese la pistola da terra e controllò che fosse carica, fatta eccezione per il colpo appena esploso. Quel rumore ne avrebbe attirati altri e anche se non gli era mai piaciuto sparare, anche se l'uso di armi da fuoco per lui era da vigliacchi non era il momento di fare gli eroi e di morire stupidamente, perchè Mukuro non aveva nessun'altra possibilità di uscire vivo da lì se non se ne fosse occupato lui quella stessa notte.
-Dobbiamo uscire da qui e dobbiamo farlo insieme, quindi voglio che mi ascolti molto bene, Mukuro.-
-Sto ascoltando, Kyoya.-
Hibari seppe che Mukuro gli prestava la massima attenzione. Erano le stesse parole che gli aveva rivolto la notte dell'incidente al settore sette di Namimori, quando aveva annunciato di dovergli dire qualcosa di importante. Anche il suo tono era lo stesso ed era un confortante ritorno alla calma.
-Hanno mandato quello a controllare che io stessi bene e che fosse tutto in ordine... ma quello sparo ne porterà altri... dobbiamo sbrigarci e uscire prima che risolvano il problema di sopra.-
-Quante possibilità abbiamo?-
-Io e te insieme abbiamo tutte le possibilità dell'universo.- rispose Hibari, sfilandosi il cappotto. -Mettiti questo, fuori fa un freddo tremendo.-
Hibari si voltò per darglielo quando notò la sua strana espressione facciale. Non ricordava gli fosse mai capitato di vederlo con un'aria tanto infantile, in quel momento assomigliava a Chrome più che mai. Subito dopo, quando si accorse di essere guardato, arrossì, distolse lo sguardo e prese il cappotto.
-Beh, che c'è?-
-Hai... hai detto una cosa carina...- farfugliò lui sempre senza guardarlo. -Non mi avevi mai detto niente di simile prima...-
-Beh, io ho il fisico e le armi, tu hai il cervello e la lingua, direi che siamo a cavallo.-
-Oh, Kyoya, non è vero, non intendevi dire questo...-
-Finiscila, ti sembra il momento?- sbottò Hibari, uscendo dalla cella arma in pugno per nascondere l'imbarazzo e forse un rossore sul viso. -Siamo nel mezzo di un'evasione storica, chi se ne frega di cosa intendevo dire?-
-Neh, Kyoya...-
-Sta' zitto, Mukuro, non voglio parlarne.-
-Kyoya, forse è meglio andare di qua.- insistette lui indicando un corridoio angusto. -C'è un passaggio che scende nel garage, forse è meglio che uscire a piedi per l'ingresso principale...-
-Che cazzo, chi è che ti sta facendo evadere? Decido io!-
-... Scusami, Kyoya.-
-... Da che parte, di qua?-
Hibari spinse Mukuro nel corridoio guardandosi accuratamente le spalle. Non gli piaceva l'idea di prendere quella strada, era il solo armato e potevano sopraggiungere guardie carcerarie sia dal corridoio che avevano appena lasciato sia di fronte a loro. La situazione non gli piaceva, ma dopotutto con un'evasione di massa in corso era più sensato provare a sfondare i posti di blocco con un veicolo piuttosto che tentare arrampicate sui muri. Quando furono in vista della scala che scendeva Hibari passò davanti a Mukuro.
-Vado avanti io... controlla se qualcuno ci segue.-
Mukuro gettò un'occhiata al corridoio deserto e seguì Hibari di sotto. Il suo passo era totalmente silenzioso, ma quelli di Hibari erano davvero rumorosi nonostante tentasse di soffocare lo scricchiolio. Alla fine della scaletta però nessuno era particolarmente allarmato, c'erano due guardie sedute ad un tavolino dentro un gabbiotto e un terzo che gli andò incontro.
-Signore, nessuno può lasciare il carcere finchè l'allarme arancione non rientra.-
Subito dopo lo sguardo dell'uomo si posò su Mukuro e Hibari capì che lo aveva riconosciuto. Prima ancora che spostasse la giacca per prendere l'arma Kyoya sparò due colpi dritti alla sua fronte. Il misero involucro si accasciò sullo schizzo del suo stesso sangue sul pavimento. Un momento dopo altri cinque colpi mandarono in frantumi il vetro del gabbiotto e colpirono gli ignari giocatori di Go seduti al tavolo, che si accasciarono sulle pedine. Hibari attese, arma fumante in mano, di sentire altre voci o passi, ma il silenzio era totale in quel momento. Abbassò la pistola e andò al quadrante delle chiavi.
-Kyoya, ma che diavolo stai facendo?-
-Ti sto salvando.-
-Perchè hai ucciso questi uomini? Non aveva il tempo di prendere quell'arma, perchè non gli hai solo intimato di lasciarle a terra?- protestò lui, seguendolo nel parcheggio. -Disarmati potevano essere chiusi dentro un ripostiglio, o...-
-Non ho nessuna intenzione di prendere dei rischi, Mukuro!- l'interruppe lui. -Non abbiamo tempo per questo, non possiamo prendere ostaggi perchè nessuno di loro vale quanto te, li ucciderebbero subito! Io devo portarti fuori di qui e non mi interessa se per farlo devo uccidere dal primo all'ultimo questi fottuti bastardi!-
-... Hai ucciso delle persone...-
-Ne ho uccise molte altre in questi anni senza nemmeno sospettarlo, e tu lo sai! Ho ucciso decine di persone pensando di farlo per una giusta causa!- sbottò Hibari aprendo la portiera di un fuoristrada grigio. -Se sono stato capace di uccidere per loro e non lo sono per salvare te tanto vale che mi spari dritto in testa e la faccia finita!-
Mukuro non disse niente ma per un attimo gli ricomparve la stessa espressione infantile di poco prima. Stavolta non arrossì, ma distolse comunque gli occhi, studiando con forzato interesse la propria immagine nello specchietto.
-Ora sali su questa cazzo di macchina o ti giuro che ti lego con le catene da neve e ti chiudo nel bagagliaio.-
Senza aggiungere altro Mukuro salì al posto del passeggero e si allacciò la cintura di sicurezza. Hibari non ne era del tutto sicuro, ma gli era parso di vedere un sorriso appena accennato sul suo viso prima che lo sportello si richiudesse. O forse lo aveva soltanto immaginato?
-Kyoya, posso farti una domanda?-
-È necessario e inevitabile?- disse lui mentre accendeva l'auto e armeggiava con i comandi.
-Beh, abbastanza...- disse lui apprensivo, guardandolo con aria nervosa. -Io... beh, io credevo che tu non avessi la patente.-
-Infatti non ce l'ho.-
In quel momento l'auto fece un balzo in avanti e per poco non urtò l'auto della fila di fronte. Mukuro si aggrappò al cruscotto e dette un'altra occhiata nervosa a Hibari, che stava cercando di riordinare le idee borbottando sottovoce l'elenco delle cose da fare come uno studentello di scuola guida il giorno dell'esame. Intanto tentava anche di ingranare la retromarcia.
-Kyoya, magari guido io, che ne dici...?-
-So guidare benissimo, ho fatto un sacco di simulazioni, è che non conosco questa macchina! Sta' zitto e fammi concentrare!-
-Oh, mamma, aiuto...- borbottò Mukuro aggrappandosi al poggiatesta con entrambe le mani e chiudendo gli occhi. -Non voglio morire in un incidente in un garage, è troppo umiliante...-
Subito dopo l'auto slittò indietro, si liberò dalla scomoda posizione fra i due pick up parcheggiati ai lati e si avviò dritta e sicura verso il portello d'uscita che si stava sollevando lentamente. Hibari teneva gli occhi sul percorso ma notò lo stesso con la vista periferica Mukuro che apriva un occhio, si guardava attorno e apriva anche l'altro. Notò soprattutto l'aria sorpresa che aveva.
-... Sai guidare...-
-Te l'avevo detto, idiota.- fece lui, facendo grattare il cambio. -Aah... dannato cambio manuale...-
-Ehm, vuoi che ti dia una mano con...?-
-Se vuoi darmi una mano chiudi quella dannata bocca e fingi di non esistere.-
L'auto percorse l'accesso laterale e si fermò in mezzo al cortile, in vista del primo posto di blocco. In lontananza era appena visibile il secondo e oltre, al di fuori della scarsa visibilità notturna, doveva esserci il primissimo cancello della recinzione elettrificata. Hibari mise la pistola in grembo a Mukuro.
-Dopo che avremo sfondato il secondo blocco c'è la rete elettrificata, e se la tocchiamo con la macchina forse saltiamo in aria.- disse, con un inquietante sorriso. -Dal tuo lato al secondo blocco c'è il pulsante che apre il cancello, devi premerlo o siamo fregati.-
-Ahm... Kyoya... perchè stai sorridendo in quel...?-
-Tieni la testa bassa per adesso.- disse lui, ingranando la marcia e facendo rombare il motore della macchina mentre il suo sorriso si allargava. -Ho sempre sognato di farlo.-
Mukuro lo fissò per un momento prima di sospirare con aria rassegnata.
-Lo sai che faranno l'impensabile per fermarci, vero?-
-Deve ancora nascere il figlio di puttana che ferma Hibari Kyoya su una 4x4 blindata!-
Hibari diede solo un'ultima occhiata a Mukuro, che gli stava ricambiando lo sguardo e sorrideva. Sorrideva come faceva spesso da ragazzino quando si metteva in testa di fare qualcosa di divertente, che di solito equivaleva a qualcosa di illegale e di molto pericoloso. Forte del suo consenso e fiducioso anche soltanto del fatto di averlo di nuovo accanto, Hibari schiacciò l'acceleratore.


Un'ora più tardi il fuoristrada grigio proseguiva a moderata velocità su una strada secondaria e deserta, coperta da uno strato quasi intatto di neve. Hibari guardava nello specchietto retrovisore ogni dieci secondi circa come se avesse un tic, ma la strada era del tutto sgombra. Essendo così buia avrebbe potuto individuare ogni veicolo a distanza di un chilometro, era sicuro che non li stessero seguendo, ma non poteva fare a meno di essere nervoso. Prese un profondo respiro, guardando la strada. Era riuscito a far evadere Mukuro dalla bocca dell'inferno, tutto da solo, senza un piano. Mukuro era libero. Non potè non sorridere a quel pensiero e lo guardò: stava raggomitolato nel cappotto che gli aveva dato, con l'aria che gli sferzava in faccia dal finestrino rotto.
-Hai freddo?-
Mukuro si riscosse dalla sua assorta contemplazione del paesaggio selvatico e buio e lo guardò con un momento di smarrimento, prima di scuotere la testa e abbozzare un sorriso.
-No, sto bene.-
-Mi spiace per il finestrino... mi fermo un attimo, così puoi sederti dietro.-
-No... voglio stare accanto a te.-
Hibari, che era stato sul punto di fermarsi, scrollò le spalle con finta disinvoltura e riprese velocità. Non poteva certo far finta di non aver sentito la dolcezza del tono e la fermezza del desiderio, ben distante dall'essere un capriccio. Occhieggiò furtivamente Mukuro ancora una volta, guardandolo tornare al paesaggio. Sorrideva, ma aveva anche una strana espressione tesa, preoccupata. Certo che ce n'erano parecchi di motivi per essere angosciati e Hibari non sapeva indovinare quale lo stesse affliggendo. Avrebbe voluto dire qualcosa, dopo un'ora o quasi di silenzio, ma non sapeva decidersi. Gli ricordava tanto quella volta in cui all'accademia militare era uscito una sera con una ragazza, la ragazza più ammirata di tutte. Era davvero bellissima, ma ci era uscito quasi per caso. Per gran parte della serata erano stati insieme senza dirsi niente e guardandosi a malapena, e ovviamente non c'era stata una seconda volta. Gli sembrava di essere tornato a quell'episodio.
-Sai... pensavo...- disse all'improvviso Mukuro. -È davvero da tanto tempo che non stiamo insieme così a lungo... voglio dire... non ricordo quando è stata l'ultima volta che abbiamo passato un'ora intera insieme...-
-Alla fioritura, credo.- disse Hibari, che nelle ultime settimane ci aveva pensato molto, sveglio o dormiente che fosse. -Alla fioritura a Namimori... siamo... stati insieme nel parco, vicino al ponte.-
-Ah... ah, sì...- fece l'altro, sorridendo. -Siamo stati lì fino al calare del sole... un record, direi, come ho fatto a non ricordarlo?-
-Beh, non so se vale, più che altro abbiamo dormito.-
-Se fosse stato per me avremmo fatto molto di...-
-Mukuro, finisci quella frase e ti calcio giù dalla macchina.-
-Ma...-
-E poi ingrano la retro e ti passo sopra.- aggiunse Hibari.
Mukuro scoppiò a ridere e Hibari non potè non sorridere a quel suono. Era davvero tanto tempo che non lo sentiva ridere, e ormai anche le risate non erano un suono usuale nella sua vita. Ovviamente una persona normale avrebbe preso seriamente le sue minacce, ma Mukuro ci era abituato, sapeva che era il suo modo di fare e il suo divertimento lo dimostrava.
Prestò attenzione alla strada quando i fanali illuminarono un bivio poco distinguibile e svoltò, imboccando una strada se possibile ancora più stretta e solitaria. La neve che la copriva era intatta. Solo quando vide un vecchio cartello di legno con il nome Yamazawa tracciato da una pittura scolorita seppe di essere sulla strada giusta. Si tastò le tasche della giacca con la mano e prese un pacchetto di sigarette accartocciato, sfilandone a fatica una.
-Kyoya, tu fumi?-
-Ho cominciato quando ho fatto il tirocinio ai servizi interni, per il nervoso che mi faceva venire la capitana... poi ho praticamente smesso, non posso fumare al lavoro e nemmeno a casa... per gli animali, sai, gli dà fastidio.-
Hibari si girò verso di lui con la sigaretta in bocca e Mukuro gliela accese con l'acciarino color fucsia fluo che stava dentro il pacchetto. A sua volta ne prese una e se l'accese.
-E tu da quando fumi?-
-Oh, beh, da quando andavo al liceo... poi ho smesso, risparmiavo tutti i soldi possibili per l'università, e dopo... beh... hai visto in che condizioni vivevamo, non mi potevo permettere il tabacco.- disse Mukuro prima di prendere un tiro e lasciarlo andare lentamente. -Ah... mi è mancato un sacco... se solo avessi anche del cioccolato, poi morirei contento...-
Era proprio strano essere lì, su una strada isolata in piena notte a fumare insieme a Mukuro e a parlare come se non avessero appena realizzato una folle scena da film d'azione che probabilmente sarebbe stata su tutti i giornali e sui libri di storia contemporanea negli anni a venire. Fumando però Hibari si sentiva più rilassato. Aveva smesso di guardare nello specchietto e non sentiva nemmeno più quell'atmosfera pesante nel silenzio. Azzardò un'occhiata dalla parte di Mukuro e sorrise vedendolo fumare, muoveva le labbra in modo insolito quando prendeva il tiro. Un attimo dopo si accorse che lo sguardo era ricambiato.
-Che hai da ridere?-
-Non sto ridendo, sto sorridendo.- precisò Hibari. -Sorrido perchè è come se ti vedessi per la prima volta... sei lo stesso di prima ma non lo sei più... non sapevo che fumassi... che fossi andato all'università... e non sapevo che parlassi di me con Chrome... tante altre cose che hai fatto e io non ne sono al corrente, è come doverti conoscere di nuovo... sorrido perchè posso farlo...-
Mukuro sorrise appena, ma dall'ombra che gli era passata in volto al nominarla Hibari sapeva che cosa stava per dire.
-E Nagi... Nagi come sta?-
-Sta bene... le ho parlato due giorni fa... si sentiva sola ed è stata contenta di venire a vivere con me.-
-Co... eh? Nagi vive con te?-
-Beh, si è trasferita stamattina... in questo momento starà dormendo nel mio letto... almeno, spero stia dormendo e che non sia sveglia, le ho detto che avrei fatto molto tardi... non credo che mi aspetterà...-
Mukuro fece un suono indefinito di disapprovazione e l'espressione di Hibari si fece seccata. Lui piantava tutto all'improvviso lasciandola sola e poi gli veniva in mente di lamentarsi perchè viveva con lui? Si voltò per dirgliene quattro quando si accorse che dentro il pacchetto ammaccato delle sigarette Mukuro aveva trovato un bigliettino di un locale e aguzzando la vista poteva scorgere la silhouette di una ballerina avvinghiata ad un palo. Il modo in cui lui lo guardò in faccia lo fece sentire in colpa anche se non aveva fatto niente di male.
-Quindi adesso sono questi i tuoi gusti, Kyoya?-
-Non... non è mio quel coso, lo giuro.-
-Era nel tuo pacchetto di sigarette!-
-Non è mio il pacchetto, l'ha lasciato Matsu sul tavolo...-
-E questo chi è?- soffiò Mukuro, nel vano tentativo di dissimulare la sua gelosia. -Kyoya, mi sembra che la tua primavera abbia un po' troppi fiori, lo sai?-
-No, ma che... ha la scrivania davanti alla mia, è un mio senpai!- protestò Hibari.
-Prima Tanaka Saeki, poi scopro che vivi con Nagi e poi quest'altro chi diavolo...-
-Mukuro.- l'interruppe lui. -Che fine ha fatto la politica del "ti sei innamorato di nuovo, per me è sufficiente"?-
-Ma stavo per essere condannato a morte, ti pare che ti avrei detto che non ero felice che tu fossi di qualcun altro quando io stavo per essere ucciso?- fece Mukuro piccato. -Io non sopporto l'idea che tu sia di qualcun altro, non importa chi sia, anche se fosse un'altra persona che amo.-
Hibari non rispose, limitandosi a guidare più piano e guardare dal finestrino alla ricerca di un segnale qualsiasi che gli indicasse la posizione precisa. Erano molto vicini alla loro destinazione finale, restava solo da capire esattamente dove lasciare la strada. Mukuro, sul sedile accanto, si stava stringendo addosso il cappotto, ma non per il freddo: lo aveva notato mordicchiarsi il labbro.
-Avrei solo voluto... che fosse tutto diverso... se l'Haido non fosse mai arrivato, dove saremmo noi due ora? Che cosa saremmo stati?-
Hibari fermò la macchina e aprì lo sportello senza rispondere a quella domanda che, in fondo, risposta non poteva avere. Smontò dall'auto e guardò verso Mukuro. La sua espressione seria diventò un sorriso e gli offrì la mano.
-Vuoi scoprire dove siamo adesso?-
Mukuro lo guardò con aria sorpresa e dopo un istante di smarrimento annuì. Gli prese la mano scavalcando il sedile del guidatore e uscì dalla macchina guardandosi intorno. Non c'era nulla intorno a loro, c'era la carreggiata poco distante e un immenso blu opaco e sfocato che li isolava dal resto del mondo. Un folata di vento gelido scompigliò i suoi capelli mentre continuava a cercare di capire che cosa facessero lì. Poi lui chiuse gli occhi e avvicinò le mani alle orecchie, ascoltando concentrato, prima di sorridere.
-Sento il mare...-
-Ce la fai a resistere... sei minuti?- chiese Hibari guardando l'orologio.
Mukuro annuì vivacemente e la sua espressione era più che mai simile a quella di un bambino che aspetta la mezzanotte per aprire i regali di Natale. Restò seduto sul sedile per non tenere i piedi nudi sul sottile strato di neve che copriva il terreno e attesero in silenzio mentre il cielo schiariva, passando dal blu cobalto all'azzurro annacquato e infine all'oro, al rosa e al violetto mentre la sfera del sole, di un arancio intenso, sorgeva dal mare tingendolo di luci mosse sulle onde. Nonostante il vento freddo era uno spettacolo incredibile, impossibile da immaginare per Hibari che non aveva mai visto il tramonto o l'alba sul mare se non in fotografia. Solo quando il disco del sole fu rimpicciolito e di un giallo più chiaro distolse lo sguardo per guardare Mukuro. Con sua sorpresa, si stava asciugando gli occhi con la manica.
-Perchè proprio adesso?- domandò con un filo di voce.
-Quando l'hai proposto era piena estate... ma per la situazione in cui siamo ora, non so se la prossima estate saremo ancora vivi... e saremo ancora in grado di vedere l'alba sul mare.- disse Hibari con pacatezza. -Ci daranno una caccia spietata, non si possono permettere di lasciar scappare il loro peggior nemico dalla prigione più sorvegliata dello stato.-
Mukuro annuì con aria vagamente triste e strisciò sul sedile accanto, lasciando il posto libero a Hibari. Però lui non aveva finito, gli restava ancora qualcosa da fare. Si avvicinò con cautela al bordo roccioso della scogliera. Il vento soffiò forte, come a convincerlo che era giusto. Il cappello della milizia volò via dalla sua testa cadendo alle sue spalle mentre sfidando il gelo sbottonava la giacca e la sfilava. La guardò con sentimenti contrastanti. Aveva tanto desiderato quell'uniforme, una divisa grigio antracite da ufficiale, con gli stemmi ricamati, la medaglietta da tenente e le stelle da capitano... credeva che una volta indossata avrebbe coronato il suo sogno, avrebbe reso la sua città la più bella e giusta città del mondo intero, e invece aveva solo vissuto in un'enorme bugia. Senza indugiare oltre la scagliò davanti a sè, il vento ne spalancò le maniche come un uccello che prende il volo e quella cadde lentamente nel mare, dove fu inghiottita dalle onde.

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Capitolo 38
*** La firma dell'assassino ***


Quello stesso mattino Tsuna stava dormendo pesantemente nel letto di Basil nello scantinato, con la bocca aperta e beatamente dimentico di tutta l'ansia che l'aveva attanagliato il giorno precedente. Avevano aspettato suo padre per affrontare finalmente il discorso che aveva preannunciato al mattino, ma lui non era rientrato e come altre volte aveva probabilmente passato l'intera nottata in ufficio. Alla fine Basil, vedendo Tsuna che iniziava a mordicchiare le penne e Haru che sobbalzava al minimo scricchiolio, aveva avuto il buonsenso di suggerire che andassero tutti a riposare un po' e che aspettassero che fosse Iemitsu a svegliarli quando fosse tornato. Non era stato semplice convincere Haru a dormire da sola nel letto di Tsuna, ma alla fine aveva accettato ed erano andati tutti a dormire qualche ora.
Tsuna venne strappato ad un sonno più profondo da un braccio che gli passava sull'addome e lo stringeva. Aprì piano gli occhi, ancora fortemente intontito. Il letto di Basil era piuttosto spazioso, possibile che con tutto quello spazio dovesse dormirgli così appiccicato? Perchè lo stava abbracciando, stava forse sognando qualcosa di strano? Si voltò con un brontolio strofinandosi l'occhio.
-Basil, che stai fa...?-
Si bloccò quando vide che Basil stava dormendo sulla schiena sul lato opposto, come lui quasi sul bordo del materasso, la testa appoggiata di sbieco sull'angolo esterno del cuscino e i capelli chiari tutti arruffati. Restò ancora più perplesso quando si accorse che in mezzo a loro c'era Haru che dormiva a pancia in giù, il braccio destro attorno al suo addome, la mano sinistra che stringeva la mano di Basil. Dormiva pesantemente, il suo respiro era lento e profondo, tranquillo. Non potè non chiedersi come aveva fatto a scendere e infilarsi in mezzo a loro sotto le coperte senza che se ne accorgessero. Pochi istanti dopo Basil aprì gli occhi azzurri di scatto come se avesse sentito qualche rumore, per poi inspirare e sbadigliare. Quando cercò di stiracchiarsi si rese conto che qualcuno gli stringeva la mano e si voltò, guardando prima Tsuna che stava seduto dall'altro lato e poi Haru nel mezzo, apparentemente con la stessa sorpresa del fratello adottivo.
-Che cosa ci fa lei qui?- sussurrò Tsuna indicando Haru.
Per bella risposta Basil scosse la testa e strinse le spalle. Tsuna sbuffò silenziosamente e guardò Haru. Per forza che lui e Basil erano finiti a dormire sul bordo del materasso, se poteva bastare per due non era sufficiente per tre persone, e lei si prendeva un bel po' di comodità. Poi però pensò che doveva avere davvero molta paura che venisse qualcuno a portarla via in piena notte per accettare l'idea di "infastidirli" e la sua espressione si addolcì. Allungò la mano accarezzandole i capelli mentre Basil si alzava a sedere stiracchiandosi con un gemito soffocato prima di massaggiarsi la spalla. Tsuna lo guardò e scoppiò a ridere, subito dopo si tappò la bocca attenuando il rumore più che riusciva.
-Ma che... Sawada dono?-
Incapace di parlare Tsuna indicò la chioma biondina di Basil, tutta arruffata e scarmigliata in modo che sembrava avere un nido di paglia in cima alla testa. Lui si tastò i capelli, emise un buffo verso di imbarazzo e si affrettò a lisciarli.
-Non ridere, Sawada dono!- sibilò poi, perchè Tsuna non riusciva a smettere. -Non è... mi sono appena svegliato!-
-Scusami, Basil.- disse lui appena ebbe un po' di fiato. -Ma eri troppo assurdo!-
Il sorriso non gli si era ancora spento sulla faccia quando sentirono una serie di passi di sopra e due uomini in uniforme scesero rumorosamente le scale della cantina. Haru a quel fracasso si svegliò di soprassalto occhieggiando la scala con terrore. In un riflesso ormai tristemente automatico, sia Basil che Tsuna allargarono il braccio come a schermarla dall'arrivo dei soldati che tuttavia parevano non essere interessati a lei.
Dal piano superiore scese un terzo soldato con un'uniforme grigia da ufficiale, i capelli bianchi come il latte e un paio di occhi dall'insolita sfumatura lilla. Tsuna strizzò leggermente gli occhi guardandolo. Per qualche motivo gli sembrava familiare anche se era certo di non averlo mai visto, si sarebbe ricordato uno sguardo così straordinario.
-Ah, grazie al cielo.- sospirò sottovoce quello. -Chiedo scusa per l'intrusione in casa vostra... interrompo qualcosa?-
Tsuna scambiò un'occhiata perplessa con Basil prima che con un lampo di comprensione entrambi cogliessero il senso di quella domanda. Entrambi distolsero gli occhi da Haru, Basil tossicchiò assumendo un'aria distaccata e dal canto suo il giovane Sawada uscì dalle coperte con finta disinvoltura.
-No, ovviamente no... che cosa c'è stavolta? Che cosa volete?-
-Il generale Sawada non risponde a nessuna chiamata e il suo cellulare squilla all'interno del suo ufficio... come saprà non ci è permesso aprirlo senza consenso, dato che il materiale che custodisce al suo interno potrebbe essere confidenziale e non consultabile da chi vi potrebbe mettere piede... per questo sono venuto a cercare Sawada Tsunayoshi e a chiedere il suo consenso.- snocciolò l'uomo fissandolo. -Quando non ho avuto risposta al campanello mi sono preoccupato e ho deciso di assumermi la responsabilità di entrare.-
-Ah, no, è che qui sotto non si sente niente con la porta chiusa.- disse Tsuna, grattandosi la testa. -Mio padre non vi risponde perchè è ubriaco, probabilmente.-
-Vorrei che veniste con me a sincerarci delle sue condizioni.-
Tsuna studiò l'espressione dell'uomo. Più lo guardava più gli sembrava familiare e al tempo stesso estraneo, come se non appartenesse neanche alla sua razza. Non riusciva a capire che cosa stesse pensando, che cosa escogitasse. Perchè avvertiva che dietro quell'aria nervosa c'era uno scopo, non era preoccupato da Iemitsu ma da lui, Tsuna, perchè probabilmente non aveva idea di come avrebbe reagito. Tutto questo Tsuna lo percepì un poco più di un attimo con il lato più subliminale della sua mente, ma mai al mondo avrebbe ignorato le sue intuizioni.
-Bene.- disse allora con un tono forzatamente tranquillo. -Vado a raccattare quello che resta di quell'ubriacone di mio padre... Basil, resta con Haru...-
-Beh, se Sawada san è davvero ubriaco forse servirà aiuto...-
-No, lo farò rotolare a calci fino a casa... fortuna sua che non è poi così distante.- aggiunse con aria seccata, non gli sarebbe dispiaciuto molestarlo un po' più a lungo. -Mi vesto e sono da lei... capitano...?-
-Ah, Byakuran, chiamatemi così.- disse lui lasciandosi andare a un sorriso. -Vi aspetto fuori.-
Byakuran risalì le scale prima che Tsuna avesse conferma dei suoi oscuri sospetti sull'uomo, perchè Haru tremava da capo a piedi e si rifiutò di proferire parola, aggrappata a Basil come fosse l'unico appiglio sopra un abisso. Dopo aver raccomandato al fratello adottivo di fare il possibile per calmarla, si vestì infilandosi il primo maglione che gli capitò sotto le mani (un maglione a costine arancio chiaro) e i jeans del giorno precedente e uscì di casa. Come aveva promesso, fuori trovò Byakuran in compagnia di un solo soldato. Si avviarono dentro il palazzo di giustizia prima che lui gli rivolgesse la parola.
-Come sta Haru?-
-Cosa?-
-La domestica, Haru, come sta? La mano.- si spiegò lui, rivolgendogli un'occhiata ansiosa. -Sono molto dispiaciuto per quello che le è successo, ma come ho spiegato al generale ieri sera, il ministro è un uomo perverso che adora fare del male... se uno di noi provasse a contrastarlo ci rovinerebbe la carriera, e anche lei saprà che nella nostra terra ormai la carriera equivale alla vita intera. Mi vergogno di essere stato così vile.-
-Ne hai ben donde.- ribattè acido Tsuna.
-Per questo ieri sera sono andato a dire tutto al generale, ma ho saputo che la ragazza gliel'aveva già fatto sapere ieri mattina... io ero al lavoro e non ne avevo idea, ma sono stato molto sollevato... nonostante io rischi di essere sollevato dal mio stesso incarico, in realtà, ma se accadrà è perchè lo merito, dico bene?-
Raggiunsero l'ultimo piano in quel momento e videro un gruppo di persone in uniforme di fronte alla porta dello studio. Erano agitate e parlottavano sottovoce. Sembrarono rasserenate dal vedere il capitano e il figlio del generale unirsi a loro.
-Procedete, Tsunayoshi kun ha dato il suo consenso ad aprire.-
Erano già pronti a intervenire, uno di loro aveva in mano un piccolo ariete come Tsuna ne aveva visti qualche volta in qualche film d'azione o poliziesco. Con un solo colpo di quello la porta cedette con uno scricchiolio e si spalancò. Il soldato lasciò passare Byakuran e Tsuna lo seguì dentro.
Inizialmente non riuscì ad elaborare quello che aveva visto. Mentre un'improvvisa vertigine lo coglieva sentì il braccio di Byakuran impedirgli di proseguire nella stanza come un cordone di sicurezza. Non riuscì più a prendere fiato mentre fissava quello che doveva essere suo padre, seduto alla poltrona dietro la scrivania, quello che restava della sua testa riversa sullo schienale, un macabro fiore di schizzi di sangue che si apriva sulla finestra e sul muro alle sue spalle. Non si rese conto di aver gridato, ma si accorse che le sue gambe non lo reggevano più e non piombò a terra solo perchè il capitano lo tenne in piedi sorreggendolo. Altri soldati li superarono per entrare e avvicinarsi al corpo, ma il capitano rimase dov'era, mosse solo un passo in modo che la sua spalla impedisse a Tsuna la vista del cadavere del padre. Anche se non lo vedeva più, Tsuna era certo che un simile spettacolo non sarebbe mai scomparso dalla sua memoria. L'orrore era tale che non riusciva nemmeno a chiudere gli occhi, restava fermo a fissare le stelle dorate sulla spallina dell'uniforme di Byakuran mentre erompevano le lacrime. Non riusciva neanche a distinguere le voci e i rumori intorno; percepiva che il capitano gli sussurrava qualcosa all'orecchio dandogli delle pacche sulla spalla, ma non capiva che cosa diceva.
-Sawada san, dovrebbe testimoniare il decesso.- disse un soldato che a Tsuna sembrò spuntare dal nulla.
-Ma che... dico, ma ce l'avete un cuore voi?- sbottò Byakuran al suo indirizzo. -State veramente chiedendo a un figlio di poggiare la mano sul collo del cadavere di suo padre e dirvi che è morto?! Sbrigatevela da soli, porca troia!-
Tsuna era pallido come un cencio. Aveva detto a Basil che andava a "raccattare quello che resta"... l'insita brutalità delle espressioni che si usavano quotidianamente senza farci caso lo colpì come un pugno allo stomaco... che cosa restava esattamente di suo padre? Un involucro di carne vuoto, soltanto ossa, carne e massa viscida, tutto ciò che era rimasto della sua famiglia dopo essere stata colpita da un altro fulmine...
Un momento dopo ebbe un violento conato.
-Arrangiatevi da soli con quel rapporto, datevi una mossa. Massa di imbecilli.-
Byakuran scoccò un'occhiataccia ai soldati e portò di peso Tsuna fuori dall'ufficio.


Qualche minuto dopo Tsuna sedeva frastornato e devastato su un divano, non sapeva nemmeno esattamente dove. Fissava le pale del lampadario ventilatore immobili senza avere un pensiero coerente, senza riuscire a concentrarsi su alcunché. Non sapeva cosa fare, cosa dire, non riusciva neanche a pensare di darsi una risposta. L'unica cosa che continuava a tornargli in mente erano gli ultimi incontri con suo padre, dal momento in cui gli aveva telefonato e non aveva voglia di sentirlo a quando era arrivato, lo aveva confortato per la scomparsa della mamma. Gli sgorgarono nuove lacrime calde quando, in mezzo al caos dei suoi pensieri dolorosi, si chiese se adesso la mamma era più felice con suo marito di nuovo accanto o se era preoccupata che suo figlio fosse rimasto solo così presto... gli mancava, in quel momento gli mancavano entrambi più che mai, così tanto che gli sembrava di sentire l'odore della camomilla, un odore che sarebbe rimasto associato a loro per sempre.
-Bevete questo, vi darà un po' di conforto.-
Tsuna abbassò la testa pronto a rifiutare, essendo abituato a sentir parlare di conforto in relazione a degli alcolici, e restò di sasso nello scoprire che il profumo non era nella sua memoria ma intorno a lui: si sprigionava dall'anonima tazza bianca dal bordino blu che Byakuran gli stava porgendo. Ancora sospeso per metà in una dimensione tutta sua, allungò le mani per afferrarla. Era quasi bollente ma andava bene così, le sue dita erano congelate. Ne prese un sorso comunque e si sorprese di quanto fosse dolce.
-Come sapete della camomilla?- riuscì infine a domandare dopo un lungo silenzio.
-La domestica l'ha fatta per voi... dice che ve l'ha portata su richiesta di vostro padre quando siete venuto qui la prima volta.- rispose lui, prendendosi uno scomodo posto sul bracciolo dello stesso divano. -Il mio cuore sanguina per la vostra perdita, Tsunayoshi.-
-Avete migliorato le vostre condoglianze in meno di un mese, sono colpito.- commentò lui con asprezza.
-Dico sul serio... mi hanno detto che siete andato a vivere con vostro padre dopo che vostra madre si è spenta all'ospedale e il vostro fidanzato vi ha lasciato... e ora lo perdete in un modo tanto tragico...- disse Byakuran sommessamente, assorto nella contemplazione dello stemma dell'Haido. -So come potete sentirvi, anche io ho perso mio padre qualche anno fa.-
Tsuna lo guardò mentre la sua freddezza scivolava via. Cercò di aggrapparsi al ricordo di Haru terrorizzata, delle brutte ferite sulla sua mano, ma gli si riproposero le parole di scusa che il capitano gli aveva rivolto sulle scale. Realizzò solo in quel momento la tenerezza che gli aveva dimostrato scavalcando il protocollo della testimonianza e impedendogli di vedere più che qualche istante di quello scempio atroce nell'ufficio, frapponendosi tra lui e quel che rimaneva di suo padre. E per quanto fosse qualcosa di effimero, quella tazza di camomilla che teneva fra le mani l'associava sempre a persone che gli volevano bene, la mamma, il papà, e Hayato...
-Come?- domandò infine, posando su di lui gli occhi castani.
-Si è suicidato quando la ditta per cui lavorava è fallita, nell'anno buio.-
Qualsiasi abitante di Namimori avrebbe capito di quale anno stava parlando, in quella città più che in qualsiasi altra dello stato. Si trattava dell'anno cominciato subito dopo la diffusione iniziale dell'Haido, quando un picco di criminalità senza precedenti aveva afflitto il paese ma soprattutto la cittadina di Namimori. Quell'ondata di violenza e illegalità fu la fortuna del Torii Nero ed era stato il motivo per cui il generale e capo del partito era rimasto in una piccola località anzichè spostarsi a Edo o in un'altra grande città. A Namimori l'Haido aveva ottenuto la più grande pulizia urbana mai verificata al mondo, ne era la medaglia e il fiore all'occhiello.
-Viveva qui?-
-No, lui abitava a Tokyo... voglio dire, a Edo.- si corresse. -Era appena stato promosso come caporeparto, avrebbe avuto uno stipendio davvero buono... era andato da solo in una stanza in affitto e già parlava di usare i primi guadagni per comprare una casa e trasferirci tutti là... mandava mail e mail di annunci di vendita e foto di case, tutti i giorni... poi gli hanno scaricato addosso la colpa della bancarotta... non è mai più tornato a casa, si è gettato dal palazzo dell'azienda.-
A Tsunayoshi cominciarono a tremare le mani. Aveva sentito moltissime storie simili a quella, anche prima che il loro paese diventasse una dittatura, ma non era il suicidio di un lavoratore a turbarlo tanto seppur fosse una storia toccante per un animo sensibile come il suo. Si stava chiedendo se suo padre non si fosse suicidato. Se non avesse preso la sua stessa arma e si fosse sparato. Si chiese se la morte della moglie e il costante criticare dell'unico figlio, la sua freddezza e il suo disappunto non l'avessero spinto oltre la sopportazione.
Si rese a malapena conto che Byakuran gli aveva detto qualcosa e si era alzato, allontanandosi da lui. Non riusciva a togliersi quell'angoscia. Si ripetè che aveva detto che avrebbero dovuto parlare e che non si sarebbe suicidato senza avergli parlato. Continuava a ripetersi che non era proprio l'unica cosa che gli era rimasta, aveva anche Basil e non l'avrebbe lasciato solo. No, non avrebbe mai lasciato i suoi figli da soli nel caos, non avrebbe abbandonato il figlio naturale subito dopo che aveva perso la madre, il migliore amico e il fidanzato chiuso per mesi e mesi in un carcere. Preso da uno sconforto senza precedenti, Tsuna si coprì gli occhi con le mani. Avrebbe tanto voluto avere tutti intorno a lui, da Mukuro a Gokudera, e anche Yamamoto, e Hibari. Si sentiva troppo solo, sballottato dagli eventi come una barchetta in una tempesta. Avrebbe tanto voluto un abbraccio terapeutico in quel momento...
-Tsunayoshi.-
Tsuna alzò gli occhi su Byakuran. Non si era reso conto di averlo di fronte, seduto sul basso tavolino.
-Forse ti sarà di sollievo sapere che tuo padre non si è ucciso... tuttavia...-
Il cuore di Tsuna forse si fece meno pesante e la sua coscienza potè smettere di dimenarsi, ma avvertì un brivido gelido lungo la schiena. Se non si era ucciso da solo voleva dire che qualcuno gli aveva sparato. Suo padre era stato ucciso, un altro gliel'aveva portato via, e forse questo lo faceva stare anche peggio. Per la prima volta sentì qualcosa di sconosciuto dentro di lui, una piccola belva che ringhiava nel profondo.
Byakuran gli mostrò una busta di plastica che conteneva qualcosa di colorato.
-Hanno trovato questo, tuo padre lo teneva fra le dita... c'è il tuo nome sopra.- gli disse il capitano, senza l'ombra di un'accusa. -Mi chiedevo se fosse tuo, ho visto che ne hai uno simile al polso... o forse era di tuo padre?-
Confuso, Tsuna guardò il braccialetto di corda intrecciata. Il nodo della chiusura era ancora chiuso ma si era spezzato un cordino, come dopo un forte strappo su un filo consumato dall'usura. Era intrecciato di verde e arancione con un motivo geometrico, ma all'interno della fascetta decorata c'era il suo nome, Tsunayoshi. 
Dagli occhi di Tsuna scesero le lacrime e qualsiasi risposta gli morì nella gola mentre qualcosa di indicibilmente fragile s'infrangeva nel suo cuore. Sapeva perfettamente a chi apparteneva, lo aveva fatto personalmente per la stessa persona che aveva fatto quello che portava ancora al polso, azzurro e blu mescolati a caso, con all'interno il nome Hayato.

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Capitolo 39
*** Signore e padrone ***


Yamamoto aveva sentito la notizia della scomparsa di Iemitsu Sawada al telegiornale del mattino e la tristezza che provò fu intensa. Non molto per l'uomo che Iemitsu era, poichè i suoi rapporti diretti con lui erano stati trascurabili saluti rivolti in qualche incontro fortuito e nulla più; oltretutto era l'uomo che guidava l'Haido e non poteva dire che fosse un lavoro di suo gradimento... però era pur sempre il padre di Tsuna e nessuno meglio di Yamamoto sapeva che cosa si provava a perdere quella figura. E poi, subito dopo la morte di sua madre e l'esecuzione di Mukuro. Che cosa poteva aver fatto di male quel suo caro, gentile amico per attirare su di sè tali e tante disgrazie? A suo parere nulla e soffriva molto per tutti i fulmini che si abbattevano sulla sua vita. Non si stupì quando a metà mattina il suo telefono squillò e dall'altra parte udì la voce strascicata e nasale tipica di qualcuno che aveva pianto di tristezza.
-Yamamoto...-
-Tsuna... ho sentito la notizia al telegiornale...- disse lui, prima di sospirare. -Senti... sai che ho perso mio padre anch'io e so come ti senti... vorrei... poter dire qualcosa per alleviare la tua sofferenza, ma non penso che esistano parole adatte allo scopo... mi dispiace davvero tanto che tu debba soffrire così.-
-So che mi capisci, però... io... d-dovevo parlare con qualcuno, e tu... tu puoi capire meglio di chiunque...-
Tsuna singhiozzò e per un attimo il telefono venne coperto, soffocando ogni rumore. Quando Yamamoto udì di nuovo qualcosa la sua voce era più ferma e meno nasale, il che gli fece pensare che si fosse soffiato il naso in quei pochi attimi di silenzio.
-Yamamoto... mio padre n-non è morto di arresto cardiaco.-
Gli occhi color nocciola di Yamamoto si spalancarono e la mano si bloccò in aria nell'atto di chiudere la finestra del dojo. Una valanga di oscuri presagi lo investì in una frazione di secondo: se il telegiornale parlava di arresto cardiaco ma Tsuna lo negava, qualcosa non andava e forse il regime aveva qualcosa di losco da insabbiare.
-Cos'è successo, Tsuna?-
-Qualcuno gli ha sparato nel suo ufficio, stanotte... io... l'ho visto quando sono entrato, e...- si interruppe lui con un singulto. -Ya... Yamamoto, era orribile... i-io non avevo mai visto un...-
-Non ci pensare... vuoi che venga da te? Ci incontriamo e ne parliamo di persona?-
-N-no, no... cioè, vorrei... ma non posso... stanno facendo indagini a tutto campo, non mi posso muovere e nessuno può entrare per ora... mi hanno dato il permesso di telefonare ed è già tanto... a proposito, non si deve sapere che papà è stato... ucciso... okay? Non dirlo a nessuno...-
-Puoi fidarti di me, lo sai.-
-Sì... lo so... però... però, la cosa peggiore... N-non so cosa pensare...-
-Che cosa? Che c'è di peggio?-
-Hanno... hanno trovato un braccialetto... lo teneva mio padre tra le dita... te lo posso giurare, è il braccialetto che ho fatto io ad Hayato con la corda... con il mio nome dentro... è strappato, come se... se papà glielo avesse preso e tirato via...-
-Ma... ma Gokudera è in prigione...-
-Non più... è evaso stanotte...-
Era sicuramente l'ultima cosa che Yamamoto si aspettava di sentirgli dire. Il suo corpo si fece particolarmente teso e rigido a quella rivelazione e il suo cervello cominciò a elaborare a mille tutto quello che aveva sentito. Gokudera era evaso dalla prigione... da solo? Eppure sapeva che si stava facendo in quattro per ottenere la sua scarcerazione e ormai c'era quasi, era questione di qualche giorno per ottenere un'ultima firma di controllo ed era fatta, perchè correre tanto rischio? Soprattutto ora che sapeva che Mukuro non c'era più, perchè aveva tanta fretta? Pensò che forse i complici di Mukuro avevano avuto modo di liberarlo, ma se così era, perchè si sarebbe preso la briga di uccidere Iemitsu? In qualsiasi modo girasse la questione c'era sempre qualcosa di impossibile o di improbabile, come anche il fatto che Gokudera avesse un'arma da fuoco. Era già difficile procurarsela prima dell'avvento dell'Haido, figurarsi di quei tempi... conoscendo Hayato come lo conosceva, se avesse voluto uccidere Iemitsu avrebbe usato esplosivo a basso potenziale in un punto strategico, o qualche miscela chimica, qualcosa che conosceva molto meglio e che poteva procurarsi in qualsiasi momento. Ma siccome lui non aveva segreti per Yamamoto e tantomeno per Tsuna, entrambi non potevano credere che avrebbe potuto pensare di uccidere a sangue freddo il padre del suo fidanzato, soprattutto quando era l'unico membro rimasto della sua famiglia.
-Non ti ha lasciato nessun messaggio, Tsuna?-
-Messaggio?- ripetè lui perplesso. -No... non credo, no... nulla che io abbia trovato...-
-Mh... potrebbe non averne avuto il tempo, o il modo... ma onestamente io non credo che Gokudera avrebbe ucciso qualcuno così... tuo padre soprattutto... lui ti vuole bene, non ti avrebbe mai ferito.-
-Lo ha già fatto, Yamamoto, diverse volte.- rispose Tsuna con una voce stranamente pacata ma fredda, somigliava all'altoparlante del coprifuoco. -Tu lo sai.-
Yamamoto ebbe l'angosciante sensazione che Tsuna non stesse parlando dell'improvviso abbandono di Gokudera o di qualche litigio trascorso. Aveva la netta impressione che lui sapesse che cosa era successo tra loro qualche anno prima, che sapesse della loro relazione clandestina e solo adesso si decidesse a parlarne. Non seppe che cosa dire e prima che pensasse a cosa rispondere lui parlò di nuovo.
-Però... lui non avrebbe fatto qualcosa di così vigliacco... io... non voglio crederci...-
-Tsuna... qualsiasi cosa Gokudera abbia fatto per ferirti... giace nel passato.- disse Yamamoto, più che mai consapevole di stare ammettendo una colpa nascosta a lungo. -Le sue colpe sono morte e sepolte... credo che il tuo amore e la tua fiducia in lui anche in questo frangente siano la prova che lo sai bene.-
-...Sì... sì, lo so... ma Yamamoto, io non ho mai incolpato te. Vorrei che lo sapessi.-
Era la conferma che non si era sbagliato, Tsuna lo sapeva come lo sapevano tutti gli altri nella loro cerchia di amici. Non era poi così sorpreso per questo, ricordava quanto fosse stato difficile in quel periodo non posare gli occhi su Hayato in qualsiasi momento, quanto artificiale fosse la loro conversazione in pubblico nel tentativo di mascherare la nuova intimità... quello che lo sorprendeva era scoprire che Tsuna non gli attribuiva alcuna colpa. Per fare certe cose, come diceva Gokudera, bisogna essere in due.
-Lui aveva il dovere di rispettarmi... tu... sei mio amico, sì, ma questo non basta a cancellare quello che hai sempre provato per Hayato e io lo so... per questo penso che la colpa non sia tua... la colpa è sua, e mia, perchè non ho mai voluto chiedergli... che cosa gli facessi mancare... che cosa pensava... e adesso lo so.-
-Sai... cosa?-
-So che cosa pensa di me.- disse Tsuna con un tono depresso. -Pensa che io sia come mio padre, un arrogante e un egoista, un ipocrita dispotico... me l'ha detto quando sono andato a trovarlo in cella, dopo il processo, e io... ero così arrabbiato per quello che mi diceva... che... non ho capito che lo diceva perchè era arrabbiato, era angosciato e spaventato e... l'ho... lasciato lì dentro... forse... forse è davvero stato lui, e l'ha fatto per vendicarsi di come l'ho trattato...-
-Tsuna... Gokudera non si vendicherebbe mai in un modo simile... non devo certo dirtelo io che se ha dei problemi con qualcuno lo prende a pugni di persona, no? A meno che non sia uno studente...-
Seguì un lungo silenzio che Yamamoto non cercò di rompere. Sentiva Tsuna al di là del telefono respirare a fondo, tirare su col naso e forse asciugarsi gli occhi. Sentì in sottofondo un miagolio familiare e pensò che con lui ci fosse Uri, poi sentì la voce di una ragazza chiamare la gatta per nome.
-Chi c'è con te, Tsuna?-
-Ah... c'è Uri, l'ho portata con me quando sono venuto qui... e anche Basil... e Haru...-
Yamamoto non aveva la più pallida idea di chi fossero queste due persone, si grattò il mento cercando di spulciare nella memoria nomi e facce dei colleghi del suo amico, senza però arrivare a una conclusione. Gli pareva di ricordare una Haru in redazione, ma gli pareva improbabile che quella signora di cinquant'anni avesse una voce così cristallina, e onestamente gli sembrava anche strano che fosse a casa di Tsuna.
-E chi sarebbero? Li conosco?- si arrese infine.
-Ah... no, non li conosci... da quando sono qui è successo il finimondo, Yamamoto... e non sono riuscito a vedere o sentire praticamente nessuno, ho incontrato Hibari per caso il giorno del processo ma ci siamo parlati a malapena e ora non so dove sia, Chrome mi ha detto che non è rientrato ieri sera...-
-Chrome?-
-Sì, mi ha risposto lei al telefono di Hibari, non so che cosa diavolo stia succedendo, mi sembra di essermi svegliato in un mondo parallelo.-
-Sono piuttosto confuso anch'io...-
-Beh, per farla breve, Basil è più o meno mio fratello, e Haru... diciamo che è... una coinquilina... ti spiegherò i dettagli un'altra volta, il capitano Byakuran sta arrivando, forse vuole dirmi qualcosa sulle indagini...- snocciolò Tsuna sbrigativo mentre qualcosa vicino a lui cadeva con un rumore metallico. -URI, porca miseria... ah, un'ultima cosa, vedi se riesci a metterti in contatto con Kyoya, sono preoccupato... ti richiamo io appena posso, d'accordo?-
Tsuna chiuse la chiamata senza aspettare una risposta, ma difficilmente Yamamoto gliel'avrebbe data. Chiuse lo sportello del cellulare senza distogliere lo sguardo dalla porta sul retro del dojo. Era stupito, ma poi pensò che avrebbe dovuto aspettarselo. Chi altro poteva aiutarlo con i rapporti con Tsuna sul punto di naufragare, Mukuro morto e Hibari irreperibile?
-Gokudera.-
Le labbra di Gokudera si mossero appena senza articolare nessun suono. Yamamoto restò a fissarlo posando il cellulare sul tavolo alla cieca. Un momento dopo il giovane ormai ex insegnante di scienze cadde sul parquet a faccia in giù.


Poco dopo Takeshi Yamamoto mise una tazza di tè bollente fra le dita gelide di Gokudera, appallottato dentro un nido di coperte. Non era un medico, ma essendo sempre stato uno sportivo, un insegnante di kendo e un volontario della protezione civile conosceva abbastanza il corpo umano da pensare che Gokudera stesse per andare ipotermia. Era stato fuori tutta la notte senza un cappotto nè un riparo prima di arrivare da lui?
-Grazie.- sussurrò Gokudera, sorseggiando il tè più rapidamente che potesse. -Me la sono vista brutta davvero.-
-Che cosa diavolo è successo, Gokudera?- domandò lui. -Il paese sta impazzendo e non ci si capisce più niente, Tsuna è uno straccio, Hibari sembra che non si trovi da nessuna parte e ora tu sbuchi fuori dal nulla mezzo congelato...-
-Sono evaso di prigione...-
-Questo lo capisco anche da solo...- osservò con una punta d'impazienza. -Ma come ci sei riuscito? Pensavo che ti fidassi di me, ormai dovevo solo avere una firma dell'ufficio di controllo per farti uscire...-
-Non l'ho deciso io, un uomo è venuto a liberarmi questa notte.-
-Un uomo? Quale uomo?-
Yamamoto, come altre volte, non si rese conto di aver scoccato un'occhiata particolarmente sospettosa e intensa. Quando gli succedeva era solitamente assorto nei suoi pensieri e non ne aveva consapevolezza, ma qualche volta Hayato e anche Tsuna gli avevano fatto notare che faceva paura, sembrava che stesse cercando di uccidere qualcuno. Capì che aveva esibito quell'espressione quando vide la reazione di Gokudera falsamente spavalda.
-Beh? È il caso di fare una scenata di gelosia?-
-No, ma che... voglio solo sapere chi era...-
-Non lo so chi era, mi ha detto che era l'informatore di Mukuro.- disse Gokudera, svuotando la tazza con un'ultima sorsata. -Mukuro mi ha parlato di una persona insospettabile che aveva tenuto d'occhio Hibari per suo conto quando era sorvegliato, ma non credevo fosse addirittura un ufficiale...-
-L'informatore di Mukuro non è un ufficiale, ti stai sbagliando.-
-Aveva l'uniforme grigio antracite, non mi sto sbagliando.- ribattè Gokudera velenoso.
-Forse il tuo salvatore aveva l'uniforme da ufficiale, ma non era l'uomo che teneva d'occhio Hibari.-
-Ma che ne vuoi sapere tu?!-
-Lo so, Gokudera, ero io l'informatore di Mukuro.- ribattè Yamamoto secco, fissando la finestra assorto. -Io ho tenuto d'occhio Hibari in ospedale per suo conto finchè non lo hanno inghiottito al punto da essere impossibile parlargli se non si era nella milizia.-
Gokudera aveva la bocca aperta come se gli si fosse slogata la mandibola, ma Yamamoto non ci fece caso. Perchè mai qualcuno avrebbe dovuto spacciarsi per l'informatore di Mukuro, se era comunque uno dei suoi uomini? La faccenda puzzava di complotto sempre di più. Quando si voltò di scatto verso di lui Hayato sussultò.
-Dimmi che cosa ha fatto quell'uomo, nei dettagli.-
-Che cazzo, sei posseduto da Hibari? Che sono queste domande?-
-Gokudera, sospetto che la tua evasione sia servita solo a scaricare su di te la colpa di un omicidio, quindi ora smettila di lagnarti e dimmi tutto quello che sai.-
-Omicidio, quale omi...?-
-HAYATO!-
Gokudera sbuffò e cercò riparo dall'imbarazzo nella tazza del tè, ma era già vuota. Guardò altrove per nascondere la vergogna, non si aspettava di essere chiamato di nuovo in quel modo dopo anni e sicuramente al suo nome erano legati ricordi che aveva cercato di dimenticare con tutto il suo essere. Per sfuggire al torrente della memoria si gettò in una cronaca dettagliata della notte precedente, ricordava quasi alla lettera le parole che l'uomo gli aveva rivolto e quando disse di essere stato portato nell'ufficio del generale per poi evadere tutti i campanelli d'allarme suonarono nel cervello di Yamamoto.
-... Non ti è parso strano essere portato di sopra per poi spiegarti una lunga strada per scendere?- osservò interrompendo il resoconto nel suo vagabondare al freddo. -Perchè non ti ha portato direttamente alla cabina della manutenzione e lì ti ha spiegato tutto?-
-Beh, l'ha detto lui che i soldati non hanno l'autorizzazione a entrare...-
-Ma che senso avrebbe avuto? Se vi avessero sentiti forse non potevano entrare senza autorizzazione, ma sareste stati in trappola come topi... avrebbe avuto più senso portarti alla scala di manutenzione e parlare mentre scendevate, e farti uscire subito... Gokudera, hai fatto proprio il suo gioco.-
-Di che cosa diavolo stai parlando?-
-Stamattina hanno trovato Iemitsu morto nel suo ufficio. Alla televisione dicono che è stato un attacco cardiaco, ma ero al telefono con Tsuna prima, e mi ha detto che gli hanno sparato.-
Senza aggiungere altri dettagli Gokudera spalancò gli occhi verde chiaro in un lampo di comprensione. Aveva capito da solo il motivo di quel largo giro fino all'ufficio, il motivo per cui erano rimasti al buio e anche che l'arma che gli aveva dato era probabilmente l'arma del delitto. Prese a darsi pugni sulla fronte con ferocia sparando una sfilza di insulti a se stesso prima di rialzare la testa.
-Tsuna pensa che sia stato io?-
-Ha paura di sì... hanno messo il tuo braccialetto in mano a Iemitsu.-
Hayato si guardò il polso e si rese conto solo in quel momento di non avere più il bracciale. Sembrava scioccato oltre la possibilità di esprimersi a parole.
-Pensa che potresti averlo ucciso per... vendicarti del fatto che ti ha lasciato in cella.-
-... Che... idiota...- sibilò Gokudera, massaggiandosi la tempia come era solito fare sotto stress. -Come se potessi fargliene una colpa... l'ho trattato come spazzatura e ho anche cercato di rompergli un braccio... mi sono cercato tutto quello che ho avuto...-
-Credo che sia solo la paura a fargli pensare cose del genere... si calmerà... è sconvolto, dopo la morte di Nana e di Mukuro, lui...-
-Mukuro!- esclamò Gokudera scattando in piedi. -Yamamoto, quell'uomo mi ha detto che Mukuro è vivo!-
-...Questo non è possibile... ero presente all'esecuzione, l'hanno...-
Eppure qualcosa non quadrava ancora, pensò Yamamoto smettendo di parlare. Sì, era stato presente il giorno di Natale, ma effettivamente che cosa avevano visto quelli che erano lì? Avevano sentito le frustate, avevano visto il sangue e Mukuro immobile... e un lenzuolo steso sopra di lui quando lo portavano via, ma un lenzuolo non significava niente. Poteva essere stata solo una scena fatta per il pubblico, Mukuro poteva essere soltanto svenuto. Se non si sbagliava la legge prevedeva che i condannati non venissero curati, ma se invece era stato fatto in segreto Mukuro poteva essere ancora vivo... era una possibilità.
-Lui ha detto che un cavillo l'ha salvato e che ora è rinchiuso nel carcere per oppositori politici di Sekko, ma potrebbe morire in quel posto!- insistette Gokudera. -Yamamoto, io posso farcela, posso tirarlo fuori da lì! Prima che ci prendessero lui stava lavorando a un'evasione totale dei prigionieri, mi ha fatto vedere tutti i suoi piani, posso riuscire a completarli e a tirarlo fuori!-
-... Potrebbe essere una trappola, ne sei consapevole?-
-Era comunque un piano che aveva in mente e anche se fosse morto vorrebbe che io lo completassi... è una cosa che va fatta... per favore, aiutami, Yamamoto.-
Yamamoto poteva essere abbastanza forte da combattere una vita di tentazioni e dire "no" a ogni singolo capitano dell'Haido incurante di qualsiasi ordine, supplica e lusinga, ma non avrebbe mai potuto dire di no agli occhi verdi di Gokudera, nel suo cuore l'unico signore e padrone che riconosceva. Se qualcuno gli avesse chiesto quale potesse essere una buona ragione per rischiare la vita ogni giorno, ne avrebbe saputo dire nome e cognome.
-Che cosa ti serve?-
-Andiamo a Kokuyo... troveremo lì tutto il supporto di cui abbiamo bisogno.-
-Bene... faccio un bagaglio veloce e andiamo.-
Yamamoto stava già facendo mente locale per capire cosa poteva servire quando sentì che una mano gli stava trattenendo il braccio. Fu con un attimo di smarrimento che guardò Gokudera. Era così vicino da fargli salire il cuore in gola, da fargli pensare che intendesse baciarlo. Il momento passò e la tensione crollò, ma fu sicuro di non essersi sbagliato quando vide il forzato sorriso di Gokudera farsi strada nel senso di colpa per il pensiero che aveva avuto. Sembrava che fosse davvero difficile restare soli qualche minuto senza essere catturati dal campo magnetico.
-Grazie.-

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Capitolo 40
*** Più vicini che mai ***


Quando Hibari riaprì la porta della casetta alle porte della cittadina di mare dove si erano fermati il cielo era plumbeo e l'aria gelida. S'intrufolò dentro l'atrio, al caldo. Sarebbe stata ancora un'abitazione accogliente se non fosse stato per i teloni di plastica che ricoprivano tutti i mobili e le pareti spoglie. Attraversò il corridoio dopo essersi tolto gli stivali con difficoltà e si affrettò a raggiungere la cucina, dove appoggiò la busta della sua spesa. Tra quello che aveva comprato per l'immediato bisogno e la benzina era praticamente rimasto senza un soldo e rimpiangeva moltissimo i suoi fondi d'emergenza nel cassetto del comodino, in quella situazione sarebbero stati davvero utili.
-Mukuro?-
Non ricevette nessuna risposta, ma non era sorpreso. Accennò un sorriso mentre prendeva un sacchettino ancora caldo dalla busta e uscì dalla cucina tornando al corridoio. Il pavimento era gelato anche se indossava i calzini e lo percorse in fretta, raggiungendo la porta in fondo. Senza bussare abbassò la maniglia. 
La camera da letto era spettrale come tutto il resto della casa, con i teli appoggiati su qualsiasi cosa. Uno di essi era accartocciato a terra e tra le coperte grigio perla giaceva una figura familiare. Sorrise nel vederlo e gli si avvicinò.
Aveva insistito nel volerlo accompagnare mentre andava a recuperare le cose che gli servivano, ma alla fine il piccolo dettaglio di essere l'uomo più ricercato del paese resuscitato dalla morte aveva prevalso su tutti i capricci di Mukuro, che aveva accettato di restare da solo in quella casa e dormire un po'. Hibari era stato via diverse ore ma lui stava ancora dormendo, così profondamente da non sentirlo rientrare.
Hibari allungò la mano spostandogli un lungo ciuffo di capelli dal viso e si chinò a baciarlo sulla fronte. Quel gesto gli fece venire uno strano solletico dalle parti dello stomaco: anche se era stato baciato a tradimento da Mukuro più volte in tutte le parti del viso, non aveva mai preso l'iniziativa personalmente. Mukuro aprì gli occhi e lo guardò con aria assonnata e si stiracchiò prima di sorridere.
-Ciao, Kyoya.- gli disse poi. -Che ore sono?-
-Più o meno è mezzogiorno.-
-Mezzogiorno?- ripetè lui, strofinandosi gli occhi. -Perchè non mi hai svegliato prima, è tardi...-
-Sono appena tornato... e ho una sorpresa per te.-
-Davvero?-
Mukuro occhieggiò il sacchetto con l'aria di un ragazzino che fa finta di niente davanti a un grosso regalo di natale e che appena lasciato solo lo scuote e tasta sopraffatto dalla curiosità. Hibari dondolò il sacchetto.
-Chiudi gli occhi, vediamo se lo indovini dall'odore.-
Nonostante l'occhiata sospettosa Mukuro emise un versetto divertito e chiuse obbedientemente gli occhi sporgendosi sul bordo del letto. Non appena il sacchetto venne aperto l'odore si espanse talmente che anche Hibari lo sentì subito, un irresistibile odore di crema al cioccolato dentro una brioche ancora calda. Mukuro fece un sorriso e lo guardò con un'aria vagamente triste che lo stupì.
-Che c'è?- gli chiese allora.
-Cioccolato.- disse lui, indovinando la fonte del profumo. -Ma non avresti dovuto, Kyoya... il cioccolato costa tanto e al momento non possiamo permetterci di sprecare i soldi.-
-Oggi dobbiamo festeggiare, no? È il nostro primo giorno di convivenza domestica.- tagliò corto Hibari, non voleva discussioni. -Ho preso un po' di caffè in super offerta, vieni a farlo tu... su, in piedi.-
Rialzandosi tirò una pacchetta a Mukuro, a stento si rese conto di aver colpito qualcosa sotto la voluminosa trapunta. Richiuse il sacchetto mentre Mukuro strisciava fuori dal letto con l'aria di uno che ci sarebbe rimasto volentieri un giorno o due. Non lo sorprendeva, dopo un mese passato nella bocca dell'inferno, una vita che trascorreva nelle abitazioni più diroccate che la città gli offrisse e qualche mese di latitanza durante i quali chissà dove era stato.
-Kyoya, mi hai appena palpato il sedere...-
-No, non l'ho fatto...-
-Certo che l'hai fatto, l'hai fatto un momento fa.- ribadì Mukuro, scrutando con aria inspiegabilmente truce il pacchetto di caffè prima di aprirlo. -Di là, nella camera.-
-Dovresti smetterla di reinterpretare i fatti come ti pare...- borbottò Hibari sedendosi al tavolo voltandogli le spalle. -Non c'è nessun giudice e nessuna giuria qui, non serve la tua indole forense.-
-Sei tu che dovresti smettere di negare l'evidenza, come ieri sera quando...-
Mukuro sobbalzò facendo uno strano verso acuto, seguito dal fracasso della macchina del caffè che rovinava sopra un barattolo di ceramica per biscotti ormai vuoto. Hibari scoppiò a ridere davanti a quella reazione spropositata, neanche avesse allungato la mano sotto la gonna di una scolaretta.
-Ecco, questo è palpare il sedere, vostro onore.-
-De... deficiente, mi hai fatto cadere tutto...- balbettò Mukuro con una voce ancora un po' stridula che si schiarì con un colpetto di tosse. -E tieni le mani a posto...-
-Oh?- fece l'altro, voltandosi a guardarlo. -Mi hai appena detto di tenere le mani a posto? E io che credevo che non desiderassi altro che questo da dieci anni e più.-
-Sai com'è, sono appena evaso da un carcere di massima sicurezza, ho dormito sì e no sette ore negli ultimi quattro giorni, mi trovo senza risorse in un rifugio improvvisato, non vedo i miei amici da un mese e non so se stiano bene o meno e a quanto ne so le squadre speciali potrebbero piombare qui prima che io possa mangiare quella meravigliosa brioche al cioccolato.- ribattè Mukuro, fissando distrattamente la caffettiera con aria seccata. -Non credo che mi si drizzerebbe, ora come ora.-
Hibari non avrebbe mai detto di poter trovare divertente un'uscita del genere, considerando poi che Mukuro l'aveva detto con la massima serietà, ma uno scoppio di risa sopraggiunse così violentemente che gli fece uscire dal naso l'acqua che stava bevendo. In parte tossendo e in parte ridendo, abbandonò il bicchiere e si premette le mani sulla faccia nel tentativo di soffocare entrambi i problemi mentre Mukuro si girava a guardarlo ancora più seccato di prima.
-Non ridere, idiota, almeno io non soffro di eiaculazione precoce come qualcun altro!-
Hibari scosse la testa, incapace di proferire alcun suono coerente e battè più volte la fronte sul piano del tavolo. Le costole cominciavano a fargli male ma non riusciva a smettere. Sorprendente come un corpo umano trovasse le vie più inspiegabili per rilasciare un eccesso di tensione accumulata.
-Tu... tu non hai senso.- sentenziò Mukuro, tornando a fissare la caffettiera. -Ti fanno ridere le parolacce a caso e i riferimenti porno come a un ragazzino di dodici anni.-
Mukuro continuò a brontolare nel suo angolo e quando il caffè fu pronto Hibari aveva appena recuperato il dono della parola e si stava sventolando con il portafoglio, aveva un gran caldo. Concentrò nuovamente la sua attenzione su Mukuro che per motivi che non capiva sembrava arrabbiato. Avevo lo stesso modo di fare brusco, l'ostinato silenzio e la sguardo sfuggente che aveva avuto il giorno in cui era andato a notificargli la questione del permesso di residenza.
-Mukuro, che cosa c'è che non va?-
-Niente.-
-Beh, dicono che quando una donna dice che non ha niente ha tutti i problemi del mondo, mi sa che vale lo stesso anche per te.- osservò Hibari, versandosi bustine di zucchero raccattate al bar dentro il caffè. -Ce l'hai con me perchè ho riso?-
Mukuro non rispose e non lo guardò. Sollevò la tazza per bere fissando forse qualche piega della felpa che Hibari indossava, presa dagli abiti rimasti in qualche cassetto del vecchio abitante di quella casa.
-Non stavo ridendo di te, Mukuro... era una risata nervosa, tutto qua...-
L'argomentazione tuttavia non sembrava convincere Mukuro, in preda a un preoccupante sbalzo lunatico.
-Quando sei stato arrestato non c'è stato verso nemmeno per me di farlo funzionare, succede.- disse lui in tono leggero, stringendo le spalle. -Quando si è preoccupati non va, pazienza.-
-Mi rende molto felice sapere che subliminalmente ho influenza sul tuo pene, Kyoya.-
-Oh, Mukuro...- sospirò Hibari, appellandosi a tutta la pazienza possibile. -Senti... lo so che le mie scelte hanno reso la tua vita un inferno e mi dispiace... a quest'ora potevamo essere più liberi e più felici, o forse no, e non lo sapremo mai... ma ora siamo insieme ad affrontare i problemi... non farla più difficile di quanto già non sia stata...-
-Oh, dev'essere stato davvero difficile per te.- ribattè lui, guardandolo fisso. -Dover tornare ogni sera nel tuo bell'appartamento, dormire sicuro che il giorno dopo avresti avuto ancora la tua scrivania e la tua uniforme, insieme ad amici le cui vite non dipendono da te... così difficile che è avanzato anche il tempo di trovarti un fidanzato...-
-Adesso finiscila, Mukuro! Se sono finito tra le braccia di un altro è soltanto colpa tua! Io ho fatto degli errori ma tu ne hai fatti altrettanti!- sbottò Hibari, alzandosi dalla sedia. -Sparire all'improvviso senza dirmi niente e mettermi davanti al fatto compiuto! Nascondermi quello che facevi, mentire! E poi, scappare via mentre io potevo morire in quello stramaledetto fiume!-
Mukuro distolse lo sguardo e lo puntò sul pavimento, passando il dito sul bordo della tazza.
-Se vuoi saperlo, è stato quello a spingermi a farlo.- proseguì Kyoya, risedendosi. -Quell'episodio... sei... scappato via di fronte a me come se fossi solo un nemico, non mi hai... rivolto nemmeno una parola... sono caduto e tu sei semplicemente... andato via.-
-Quell'elicottero... non era una via di fuga prevista.- disse lui con un filo di voce. -Non era uno dei miei a pilotare, non avrei potuto dirgli di fermarsi... e poi... ho visto il tuo collega. L'ho visto arrivare e buttarsi.-
-Mi sono sentito abbandonato... mi sono sentito come se la tua guerra fosse andata oltre le tue promesse, come se fosse più importante di me... e io non ce la facevo più da solo.-
Mukuro aveva l'aria più depressa che Hibari gli avesse mai visto, mentre fissava questa volta il caffè senza dire una parola.
-Lo sbaglio che hai fatto tu, Mukuro, è stato di sparire quella notte e metterti in testa di fare una cosa sconsiderata come una rivoluzione... avresti dovuto dirmi che cosa sentivi... che cosa volevi... e forse avremmo potuto trovare una soluzione insieme.-
-Non mi avresti ascoltato, Kyoya, e tu lo sai... tu non vuoi sentire niente che non ti piaccia, sei sempre stato così... era l'unico modo per cambiarti... e io non lo rimpiango, non rimpiango niente di quello che ho fatto.- asserì Mukuro, fissandolo ormai privo di ogni traccia di tristezza. -Anche se io sono tremendamente geloso di te, anche se odio il fatto che tu sia stato di qualcun altro, se tutto quello che ho sofferto ti ha reso quello che sei adesso, io non posso rimpiangere niente... tu non mi hai mai parlato in questo modo prima... non hai mai parlato di sentirti solo, di avere bisogno di qualcuno... di sentire il bisogno che io ti parli e ti sia vicino.-
Hibari si sorprese di scoprire che aveva perfettamente ragione. Negli ultimi tempi era cambiato, ma forse perchè lui si era visto cambiare giorno dopo giorno, problema dopo problema, non si era accorto che fosse qualcosa di così vistoso. Ma era vero, lui era stato un testardo che faceva le cose da solo e se aveva bisogno di aiuto per raggiungere i suoi standard di efficienza sul lavoro preferiva comandare dei subordinati. Era sempre stato silenzioso, riservato, serio. Nelle ultime settimane aveva sentito la terribile mancanza dei rari momenti passati con le conoscenze di una vita, non aveva passato nemmeno una pausa da solo, che ci fosse Saeki, Tachibana o chiunque altro lui non restava mai privo di compagnia umana e persino a casa non gli mancava la compagnia dei suoi animaletti nella stanza. Mentre prima l'unica cosa che riusciva a fare con Mukuro era tentare di imporgli il suo volere o litigare, ora riusciva almeno a dirgli che cosa sentiva, cose che solo a pensarle avrebbero fatto irritare e imbarazzare l'uomo che era solo pochi mesi prima. Hibari prese un profondo respiro prima di sorridere.
-Questo è merito tuo, lo confesso... ma avrei voluto che ci fosse un modo che non ti facesse essere frustato a morte e rinchiuso con un pazzo sadico come Byakuran... è un individuo terribile...-
-Oh, beh, che vuoi che ti dica.- fece Mukuro in tono leggero andando finalmente all'attacco del dolce al cioccolato. -È un bravo ragazzo, se non fosse per i repentini scatti d'ira, la spiccata sadicità, un allarmante tic all'indice destro quando impugna una pistola, una libidine infinita e una notevole perversione nello sfogarla.-
-Ma che... che diavolo, Mukuro, che cosa ti ha fatto?-
-Pf, che vuoi che sia, chi è che non si trova invischiato con uno psicopatico o due nella vita? Hai mica trovato un giornale? Voglio leggere cosa dicono della mia super evasione, e poi voglio incorniciarlo per i nostri bambini.-
-I nostri cosa?-
-Glielo leggerai per metterli a dormire, sarà divertente.-
-No, niente giornale... ma c'è pur sempre la radio per ascoltarlo dal telegiornale.-
-Radiogiornale, Kyoya, radiogiornale... se è per radio è radiogiornale, se è in tv è telegiornale, facile, no?-
-Lo so anch'io questo!- ribattè lui piccato.
Mukuro fagocitò quasi mezza brioche in un solo boccone e si appropriò della radiolina di Hibari. L'accese e prese a passare di stazione in stazione alla ricerca di un'edizione del radiogiornale. Si fermò quando scaturì il jingle che lo precedeva e posò l'apparecchio sul tavolo. Sembrava tornato di buon umore, si sfregava le mani come se non riuscisse a trattenere l'emozione. Subito dopo la sigla musicale dalla radio scaturì una voce maschile molto diversa dalla dolce voce della presentatrice del telegiornale che Hibari era abituato a sentire.
-Quest'oggi è giovedì nove gennaio e la nazione ricorderà a lungo questo giorno.- annunciò con aria grave l'uomo. -Quest'oggi il paese piange la prematura scomparsa del generale dell'Haido Sawada Iemitsu.-
Mukuro fissò la radio come avesse preso a rivolgersi a lui insultandolo e Hibari la guardò, sebbene non potesse mostrargli fotografie o altre prove di quello che affermava. Subito dopo i due si scambiarono un'occhiata perplessa. Mukuro era bianco come la parete alle sue spalle, non sembrava avere la forza di dire qualcosa, qualsiasi pensiero gli stesse saettando nel cervello.
-L'angosciante scoperta è stata fatta dal figlio ventiduenne Sawada Tsunayoshi, che ha autorizzato l'apertura dell'ufficio...-
A Hibari risultava che Tsuna avesse ventitrè anni compiuti e ne era piuttosto sicuro dato che gli ultimi festeggiamenti si erano tenuti in casa sua in una notte che non avrebbe dimenticato mai più, ma non diede voce a quel pensiero. Fissava Mukuro, le cui mani tremavano talmente che la tazza sbattacchiava anche se non cercava di sollevarla. Al tempo stesso pensò a Tsuna, che spettacolo angosciante a cui assistere. Poteva anche non andare d'accordo con lui, ma trovarlo morto... poi, secondariamente, si chiese che cosa ci facesse al palazzo di giustizia, mentre l'uomo continuava a snocciolare notizie.
-Un attacco di cuore è la spiegazione più plausibile della morte, ma il capitano Byakuran, da tempo a capo della polizia penitenziaria del carcere di massima sicurezza, afferma che non ci sono segni visibili di ferite o di avvelenamento e che l'autopsia darà finalmente una risposta al tragico evento... il nostro inviato Tsukishima Kaname lo ha intervistato questa mattina, ascoltiamolo.-
Mukuro poteva anche fingere di essere uscito incolume, psicologicamente parlando, dal Sekko, ma in quel momento non poteva essere più ovvio che mentiva. Le prime parole pronunciate da Byakuran lo fecero sussultare tanto che la tazza si rovesciò spargendo quello che restava del caffè sul tavolo. Incapace di tenere le mani ferme, le nascose sotto le braccia stringendosele al torace. Abbassò la testa stringendosi più che poteva in se stesso. Hibari non credeva fosse possibile vedere un uomo tanto alto diventare una specie di pallina umana abbarbicata sulla sedia, la testa china e nascosta fra le ginocchia. Una reazione tanto spropositata a una voce sentita per radio lo allarmò notevolmente. Se reagiva così a sentirne solo la voce, che reazione avrebbe avuto a trovarselo di fronte di persona? Che cosa poteva avergli fatto per ridurre un uomo forte come Mukuro in quello stato di terrore, in poco più di un mese?
-Purtroppo perdere il padre poco dopo la madre è un grande dolore per Tsunayoshi.- stava dicendo Byakuran alla radio. -Credo che il generale sia stato egoista a lasciarsi andare senza pensare al figlio che non aveva altro che lui, i genitori non dovrebbero mai abbandonare i propri figli, non importa quanto cresciuti siano.-
-Capitano, che cosa succederà ora? Chi prenderà le redini?-
-Onestamente non ne ho idea.- disse con tono rassegnato. -Era desiderio di Iemitsu Sawada che suo figlio adottivo Basil prendesse il suo posto perchè convinto che Tsunayoshi non desiderasse quel ruolo... ma ora è tutto diverso... viveva qui con lui, ha cambiato idea? E il consiglio riterrà opportuno assegnare il grado di generale a dei giovani che non hanno mai fatto una carriera militare? Non so rispondere a queste domande... purtroppo il generale ci ha lasciato in una brutta situazione.-
Mentre Byakuran rifiutava altre domande e si sottraeva all'inviato del radiogiornale, Mukuro alzò la testa di scatto e fissò con odio la radiolina, che aveva ripreso il tono distaccato del conduttore. Hibari continuava a guardarlo preoccupato, senza sapere cosa dire. Aveva troppe cose in testa: la morte del generale, la morte di Nana Sawada, le questioni di successione della carica, gli effetti sul regime, il fatto che non si parlava della loro evasione e l'inspiegabile comportamento altalenante di Mukuro. Cominciava a temere che la permanenza al carcere lo avesse irrimediabilmente turbato.
-Dobbiamo tornare a Namimori.-
-Cosa?-
-Dobbiamo tornare a Namimori!- ripetè Mukuro battendo il pugno sul tavolo. -Credi sia un caso? Byakuran lascia il carcere per un'emergenza e il padre di Tsunayoshi muore quella notte! Lui lo ha ucciso, quell'uomo è instabile! Basta una parola storta e il cervello gli si spegne, sarebbe capace di uccidere chiunque!-
-Mukuro... è un uomo terribile, però non pensi di stare esa...?-
-ESAGERANDO?!- gridò Mukuro, mandando all'aria la tazza e facendola frantumare per terra. -MI CHIEDI SE STO ESAGERANDO?! SEI STATO TU IL SUO GIOCATTOLO, O PIUTTOSTO IO?!-
Hibari avrebbe voluto ribattergli che non poteva saperlo se non glielo voleva dire, che non poteva capire se quando gli faceva una domanda su cosa aveva passato in carcere lui glissava con una risposta evasiva, e per qualche istante la rabbia fu dolorosa da trattenere. Alla fine lasciò andare un respiro e tutta la tempesta dentro di lui svanì, lasciando solo il suo assordante, straziante silenzio come risposta. Era così frustrante dover sempre cedere per attenuare almeno un po' il suo senso di colpa per i suoi sbagli, vedere Mukuro così arrabbiato e doversi comportare come se avesse colpa anche di questo. Si morse con forza il labbro, gli stava venendo da piangere e questo lo faceva adirare anche di più. Gli sembrava di essere tornato ai servizi interni, dove non poteva rispondere e questo lo faceva infuriare, la rabbia gli faceva venire da piangere dal nervoso e ciò lo faceva innervosire di più, in un circolo vizioso detestabile. Lui era fatto per sfogare quello che sentiva, in un modo o nell'altro, anche se Hibari sapeva quale modo preferiva e non era piangere come una ragazzina.
-Che hai da piangere?- gli chiese Mukuro con un tono aggressivo che non gli riconosceva.
Hibari lo fissò nonostante il pianto imminente e difatti una lacrima scivolò giù sul viso.
-Piango perchè avrei voglia di sfracellarti la testa contro il muro!- sbottò Hibari. -Mi stai urlando contro come se fosse colpa mia, come se gli avessi chiesto io di farti... qualsiasi cosa ti abbia fatto!-
-Tu non hai idea, come...-
-Certo che non ce l'ho!- l'interruppe lui. -Non ce l'ho, no! Ti ho chiesto di dirmelo e tu non hai voluto, se ti fa soffrire parlarne mi sta bene, ma non pretendere che io possa capire se nemmeno me ne parli!-
Il pianto di Hibari si era estinto ora che aveva espresso quello che sentiva, ma la faccia con cui Mukuro lo stava fissando non gli piaceva. Si asciugò un occhio ancora umido cercando con lo sguardo qualcosa da fare per sottrarsi a quella situazione imbarazzante, ma prima che potesse muovere un passo verso i resti della tazza rotta si ritrovò avvolto in un abbraccio. Un momento di piacevole tenerezza, che però durò un po' troppo.
-Mukuro, basta...-
-Non volevo farti piangere...-
-Non piango per te, babbeo, è che mi innervosisco.-
-Sei tanto tenero quando piangi, sei carino...-
-Mollami, deficiente.-
-Ho fatto un buon lavoro con te, ora sei davvero umano.-
-... Hai intenzione di tenermi incatenato a te tutta la vita mentre ti autocelebri?- sospirò rassegnato Hibari, chiedendosi quando si sarebbe esaurita la voglia di dolcezza di Mukuro.
-Voglio andare a Namimori, torniamo a Namimori?-
-No, è pericoloso, non sappiamo che cosa succederà dopo la morte del generale... dobbiamo avere pazienza e aspettare... se Byakuran è squilibrato come dici, forse non gli hanno ancora detto della tua fuga per paura di essere presi a cannonate.-
-Kyoya, non parlare mai a Byakuran di cannoni.-
Hibari si voltò a fatica verso di lui per guardarlo in faccia, corrucciato.
-Perchè?-
-Non so perchè, ma non gli fa un bell'effetto, meglio evitare.- fece lui accorato. -Ho ancora in testa l'eco delle sberle che mi ha dato.-
-Perchè non hai mai preso quelle che avrei voluto darti io qualche volta, se no non avresti nemmeno più la testa adesso.-
-Lui ha dei problemi, Kyoya, dico sul serio... è sua madre che l'ha fatto diventare disturbato, era mezza matta anche lei, nemmeno il tuo caratteraccio di merda è paragonabile al suo. Nemmeno quando tu sei inviperito e lui è tranquillo ci vai vicino.-
-Cioè, tu non conosci mia madre e conosci la sua?-
-Sei tu che non mi hai mai voluto portare a casa tua...- fece Mukuro, incrociando le braccia. -Beh, lui parla tanto, anche. Cerca di sapere tutto quello che può su di me, e vuole che sappia praticamente tutto di lui, è stato notti intere con me nella stanza bianca a parlarmi di sua madre drogata e della sua infanzia da schifo.-
-... Senti, Mukuro.- fece Hibari. -Io ti riporto a Namimori, ma tu prima devi raccontarmi tutto quanto... e intendo dire tutto, non propinarmi solo i momenti di relax in cui parlavate con il tè e il vassoio dei biscotti.-
-Va bene.- accettò lui con inquietante serietà. -Se è quello che vuoi, saprai chi è davvero Byakuran.-

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Capitolo 41
*** Le radici dell'orchidea ***


-Ahia!-
-Scusami, Mukuro.-
Mukuro avrebbe voluto che le mani di Hibari fossero delicate almeno la metà di quanto lo era il suo tono di voce, ma dato che faceva del suo meglio per fare un lavoro infame quale disinfettare le ferite su tutta la sua schiena, mettergli la polvere cicatrizzante e fasciarlo daccapo preferì non infierire e sopportare in silenzio, stritolandosi le ginocchia con le dita per non lamentarsi. Nessuna sorpresa comunque che Kusakabe facesse il medico e Hibari il poliziotto, era bravo a pestare più che in qualsiasi altra cosa.
-Ti sto facendo così male?-
-Non preoccuparti... solo... fai veloce, vorrei potermi stendere.-
Poteva percepire chiaramente la celata sofferenza di Kyoya. Era sicuro che l'idea di continuare a fargli male per curare le ferite che gli aveva inferto lui stesso fosse un grande dolore per lui. Si chiese come fosse stato dopo la sua esecuzione, che cosa avesse fatto e come avesse potuto sapere che era vivo e dove si trovava. Non aveva avuto modo di chiederglielo. E dire che avevano passato ore in silenzio a non guardarsi nemmeno...
-Vuoi sdraiarti mentre disinfetto? Ti alzi quando metto le bende.-
Non era una cattiva idea, quindi annuì e si sdraiò nello stesso letto in cui aveva dormito appena arrivato. Come la prima volta che ci si era sdraiato provò disagio pensando che l'uomo che ci aveva passato una parte della vita era ormai morto. Era rimasto sconvolto quando aveva scoperto che la casa in cui erano nascosti era appartenuta all'uomo che aveva ferito Tsunayoshi in quel tristemente famoso giorno al centro commerciale.
E dire che solo qualche settimana prima a fatica avrebbe potuto enumerare le cose che non avrebbe dato per poter essere da solo con Kyoya in una casa vuota e sentirlo sedersi su di lui. Solo che nei suoi film mentali lui non era coperto di ferite sulla schiena.
-... Sei diventato disinibito.- osservò, la voce soffocata per metà dal cuscino.
-Come?-
-Voglio dire... ti agitavi come una ragazzina se ti si apriva un bottone della camicia in mia presenza...-
-Perchè?- protestò Hibari, guardandosi. -Sono vestito!-
Già il fatto che Hibari ora considerasse indossare un paio di boxer e una canottiera come "essere vestito" la diceva lunga su come era cambiato negli ultimi anni, o forse solo negli ultimi mesi. Se avesse detto a Kyoya diciassettenne di sedersi su di lui, anche se completamente vestito, sarebbe arrivata una valanga di sberle da cambiargli i connotati. Doveva ammetterlo almeno con se stesso: gli rodeva da morire pensare che fosse tutto a causa di Tanaka Saeki. E poi per cosa? Perchè erano dalla stessa parte? Era stato un insieme di casualità? O semplicemente Saeki era il tipo di ragazzo che fisicamente attraeva Kyoya? Con aria vagamente depressa si prese un ciuffetto di capelli neri e lo guardò. Forse lui preferiva i capelli dorati che brillavano alla luce del sole...
-... Che stai facendo?-
-Niente.- si affrettò a dire, lasciando i capelli.
-Ti sono cresciuti tanto... vuoi tagliarli?- chiese Hibari, che finalmente aveva smesso di tartassargli le ferite con un disinfettante che bruciava come whisky. -Potrei tagliarteli, come li avevi da ragazzo...-
-Non voglio.-
-Ma non ti danno fastidio?-
-No, non li voglio tagliare per niente al mondo.-
-Perchè no?-
Mukuro non rispose. Ovviamente aveva un suo personale motivo per cui aveva smesso di tagliarsi i capelli. Aveva detto no anche alla più piccola spuntata quando aveva undici anni, paradossalmente subito dopo averli tagliati più corti che mai nella sua vita, quasi come li aveva sempre portati Takeshi Yamamoto. Appena dopo qualche giorno, al mare, aveva conosciuto un gruppetto di bambini, tra i quali Tsunayoshi, Takeshi, Hayato e anche Kyoya. Anche se Tsunayoshi era il più espansivo e quello che più gli parlava e che lo aveva invitato a giocare con loro in due squadre, quello che continuava ad attirare la sua attenzione era sempre Hibari, anche se non faceva niente per farsi guardare: restava sotto l'ombrellone, con la camicia a pesciolini, il naso bianco di crema solare e il cappello di paglia, a leggere libri da studenti delle scuole medie, senza badare a loro nemmeno un po', come se non esistessero. Da quel giorno coglieva ogni scusa per parlargli, per fargli una cortesia o anche solo per vederlo, e più veniva respinto più gli piaceva. Circa un anno dopo, a pochi giorni dal suo dodicesimo compleanno, si era reso conto che forse lo amava e aveva deciso di non tagliarsi più i capelli finchè Hibari Kyoya non gli avesse detto che lo ricambiava. Il che, ora che aveva ventiquattro anni, non era ancora successo.
-Mukuro, perchè no? Dai, dimmelo.- l'incalzò Hibari. -Non importa se è stupido, non rido.-
-Tu non ridi mai, Kyoya.-
-Appunto, allora di che hai paura? Dai, dimmelo.-
Mukuro ci rimuginò sopra qualche minuto, incerto se rivelare a qualcuno il suo segreto, soprattutto a lui. Un po' se ne vergognava, era una cosa così infantile... però lui ci teneva a mantenere quella promessa, perchè non aveva mai lasciato perdere, continuava a credere che prima o poi sarebbe stato ricambiato...
-Ho... promesso che non li avrei tagliati finchè non mi avessi detto che mi amavi.- sparò Mukuro più velocemente che potesse senza mordersi la lingua.
-... Finchè cosa?- fece Hibari, accigliato.
-... Finchè non mi avessi detto che mi amavi.- ripetè lui più piano, rimpiangendo già di averlo detto.
-E se lo dico ti fai tagliare i capelli?-
-No!- protestò Mukuro stringendosi la coda. -Dev'essere vero, non puoi dirlo a caso!-
-Ma tu lo sai che ti amo, che ti importa come...?-
-Non lo dire! Non... non puoi, io l'ho aspettato per troppo tempo! Esigo che mi sia detto con il giusto pathos, al momento giusto, non a caso mentre...-
-Oh, Mukuro, ma sei rincoglionito?- sbottò Hibari. -Che ti frega quando te lo dico e come, non è mica un romanzo questo!-
-Mi frega invece...- borbottò lui, continuando a stringersi i capelli. -Tutti vorrebbero sentirlo dire in un bel momento, come nella scena di un film...-
-Questo succede a passare la vita a farsi seghe mentali.-
-Non sono seghe mentali, sono... sogni.-
-E secondo i tuoi sogni da romanzo, cosa facciamo mentre ti dico che ti amo?-
Mukuro lo fissò e per la prima volta da molto tempo ebbe la certezza di essere arrossito. Poteva aver passato la vita ad applicare la logica e a sviluppare quasi esclusivamente conoscenze e capacità di genere legislativo e scientifico, ma il suo animo era, come diceva Nagi, "un nido di pensieri romantici". Gli riusciva facile parlare e toccare il cuore degli altri, bastava scegliere qualcosa che avrebbe toccato anche lui. In imbarazzo come mai si ricordava di essere stato in presenza di Kyoya, distolse lo sguardo giocherellando nervosamente con le punte dei capelli. Anche se non aveva risposto aveva la certezza che lui avrebbe indovinato comunque quello che aveva sognato.


-Devi per forza fumare a letto?-
-Ma fumi anche tu, che fastidio ti dà?-
-Stiamo in un letto con un rivestimento di tessuto acrilico, vuoi che andiamo a fuoco?-
Hibari sbuffò e prese il posacenere tenendoselo in grembo sotto la sigaretta accesa prima di scoccare a Mukuro un'occhiata irritata.
-Va bene adesso?-
-Non so nemmeno perchè fumi a letto, neanche avessimo fatto sesso.- borbottò lui, sprimacciandosi il cuscino prima di appoggiarcisi. -Sei nervoso, per caso?-
-No, ma lo diventerò mentre mi racconterai di Byakuran, e questo accadrà adesso.-
-Oh, no... dai, Kyoya, domani, mentre andiamo a Namimori...-
-Tu non ti schiodi da questo letto se non mi racconti vita, morte e miracoli di quello stronzo.- ribattè Hibari con un tono che non ammetteva repliche. -Altro che Namimori, non vedi nemmeno il gabinetto se non vuoti il sacco.-
-Ma Kyoya...-
-No, niente occhi cucciolosi, io non ci casco.-
-Hai proprio un cuore di pietra, cazzo.-
-Semplicemente a Chrome riesce meglio, e detto fra noi riesce bene anche a Tsuna, ma a te per niente.-
Mukuro sbuffò contrariato e assunse la posizione più comoda che riuscisse a trovare in accordo con la sua schiena martoriata sotto le bende appena messe. E dire che sia Nagi che Tsunayoshi riuscivano così bene a convincerlo a fare qualsiasi cosa volessero solo guardandolo come cagnolini bastonati...
-Bene, dunque. Da dove vuoi che inizi?-
-Inizia dal tuo inizio.- rispose Hibari. -Da quando l'hai conosciuto.-
-Beh, l'ho incontrato il giorno del mio processo... lui sapeva la mia condanna quale sarebbe stata, quindi dev'essere stato poco dopo che il consiglio con il ministro delle punizioni è finito.- disse Mukuro, cercando di rievocare tutti i dettagli. -Sin dal primo istante ho capito che era una persona diversa dalle altre che ho incontrato... lui assomiglia a me, lui non è...-
Tacque quando si rese conto di stare di nuovo divagando in quel discorso che a Kyoya non era mai andato giù, sulla sua convinzione di aver vissuto altre vite oltre a quella, in posti irraggiungibili e inimmaginabili per gli esseri umani. Era intimamente convinto che Byakuran fosse un altro con lo stesso genere di esperienza, ma si trovò in imbarazzo all'idea di dirlo a Hibari. Sapeva che non avrebbe capito la sua "ostentata stravaganza" in quel frangente.
-Non è un uomo comune.- concluse Hibari per lui. -È stato dall'altra parte, vero?-
Mukuro alzò gli occhi blu per guardarlo sinceramente sorpreso. Non si aspettava una domanda simile da lui, o almeno non senza uno spiccato tono sarcastico, ma era serio e del tutto a suo agio, come se nel tempo in cui l'aveva lasciato non avesse fatto altro che parlare di argomenti correlati all'aldilà. Annuì per risposta alla sua domanda.
-Sì, ma penso... penso che lui abbia un potere più grande del mio.- ammise a malincuore. -Lui sapeva sempre che cosa pensavo, era capace di prevedermi... ma io non riesco a capire le sue intenzioni... persino quando spiegava una legge fisica sembrava che mentisse spudoratamente, e quando affermava di essere una mongolfiera rosa sembrava dire la verità, non riesco nemmeno a capire se è sincero oppure no.-
-Se avessi saputo capire chi mi mentiva e chi mi diceva il vero, a quest'ora non avrei un problema al mondo.-
-Ma tu non hai problemi, Kyoya.- disse Mukuro sorridendo e battendogli sul braccio con la mano. -Sei solo in fuga con l'invalido più ricercato della storia della nazione, che vuoi che sia.-
Hibari non riuscì a non fare una risatina che aveva molto dell'isterico e gli strinse la mano mentre prendeva un tiro di sigaretta. Era una bellissima sensazione essere in un posto isolato e silenzioso, in un letto morbido e caldo insieme a lui, vederlo sorridere e scoprire che non aveva vergogna di essere il primo a decidere di tenergli la mano. Era bellissimo dopo tanto tempo in cui aveva avuto paura di essere dimenticato scoprire di essere quello che Kyoya più voleva.
-Vai avanti... che cos'è successo quando sei arrivato?-
-Per dirti quanto è casto quell'uomo, gli si è drizzato mentre parlava di quanto a lungo mi avrebbero frustato sulla pubblica piazza... non mi sorprenderei se vedessi una ripresa della mia esecuzione e scoprissi che aveva le mani nelle mutande alle mie spalle.-
-Posso garantirti che le mani erano sul tavolo, è stato quasi sempre in piedi a fissarti.-
-Nemmeno questo mi sorprende.- risposte sentitamente lui. -Ho provato a mordermi la lingua ma lui mi ha letto il pensiero... lui lo sapeva e mi ha fermato... e poi è riuscito a fermarmi di nuovo quando volevo uccidermi per avvelenamento da acqua. Sai, bevendo un sacco di acqua senza fare pipì.-
-... Si può morire di questo?-
-Sì, e lui lo sapeva... non so come sia possibile... non so dire se avesse visto anche questo o se semplicemente sapesse che era una vera causa di morte, in ogni caso è riuscito di nuovo a salvarmi... sono finito subito dopo nella stanza bianca.-
-Che cos'è?-
-La nostra stanza... la mia e di Byakuran.- rispose lui, quasi senza accorgersi di quanto suonasse assurdo che prigioniero e carceriere avessero una loro stanza in una prigione. -Beh, sarebbe una cella di lusso per prigionieri eccezionali... che so, un ministro, o una personalità importante, ma non è mai stata usata finora... Byakuran l'ha... resa la nostra stanza... quando lui è a casa stiamo lì dentro.-
-A casa...?-
-... Lui chiama casa la prigione di Sekko... non ha un suo posto dove stare da quando è entrato nell'esercito.-
-Persino IO ho una casa, che problemi ha questo tizio?-
Mukuro sospirò senza trovare una pronta risposta. La verità era che Byakuran aveva molti più drammi di quanti lui e Hibari avessero passato, con una famiglia peggiore di quella di Kyoya e le condizioni di vita peggiori di quelle di Mukuro, con un isolamento sociale che nessuno dei due aveva mai sperimentato. La crudeltà di Byakuran non era gratuita, scaturiva unicamente dalle esperienze che aveva avuto, dalla contorta mentalità che aveva sviluppato in seguito, ma per riuscire a spiegare a Hibari che non odiava Byakuran nonostante tutto quello che gli aveva fatto doveva spiegargli tutto quello che sapeva sul carceriere.
Si guardò bene dal fare riferimento ai suoi sentimenti in proposito, ma spiegò tutta la vita di Byakuran, così come gli era stata raccontata per notti e giorni nella stanza bianca. Cominciò dalla sua nascita, avvenuta per un curioso gioco del destino nella città di mare dove il loro gruppo si era incontrato in vacanza, tempo dopo. 
La nascita di Byakuran doveva significare un nuovo inizio per la madre ancora adolescente dopo una giovinezza di sregolatezza, droghe, alcol e condotte inique e per qualche anno fu così. Poi sulla soglia dei quattro anni del figlio, il padre se ne andò portandosi via qualsiasi cosa di valore non fosse inchiodato a un muro, lasciandoli senza un soldo e senza una parola di scuse. La madre aveva allora iniziato a prostituirsi, a fare da magazzino di droga per gli spacciatori e a rubacchiare per avere i soldi per quello che desiderava, e secondariamente per sfamare quel bambino lamentoso che lasciava solo più spesso che poteva. Nonostante Byakuran fosse sano come un pesce, bellissimo e incredibilmente intelligente sua madre non faceva altro che rinfacciargli che era colpa sua se non poteva vivere una bella vita da donna ricca e trovarsi un marito. Quando Byakuran adulto seduto accanto a lui gli aveva raccontato che sua madre lo teneva solo per avere diritto alla casa senza pagarla aveva pianto. Anche ora che era a miglia di distanza da lui, gli si stringeva il cuore a ricordare il modo in cui aveva singhiozzato, ma non lo disse a Hibari.
-Bella merda d'infanzia.- convenne Hibari, giocherellando con una sigaretta ancora spenta. -Ma non lo autorizza a fare strage di tutto quello che gli passa fra le mani... non giustifica il suo sadismo.-
Mukuro non disse niente, perchè essendo al corrente del resto della storia pensava di aver capito che era proprio la sua travagliata vita a renderlo sadico, non perchè fosse crudele nel suo vero senso, ma perchè aveva una visuale distorta dell'espressione del dolore. Si prese qualche attimo in cui la memoria indugiò sulle ore nella stanza bianca prima di continuare da dove si era fermato.
Dopo quella tragica infanzia sembrò arrivare un po' di serenità e stabilità per Byakuran dopo essere stato fra i migliori agli esami delle scuole medie. Approdò in un ottimo liceo in virtù delle sue spiccate capacità informatiche, logiche, matematiche e tecnologiche, quasi nello stesso momento in cui sua madre trovava un altro uomo disposto a mantenerla e per un paio di anni l'unico disagio che ebbe fu di non riuscire a farsi amici. La sua intelligenza, il suo carattere instabile e la fama della madre tennero lontani gli altri. Byakuran quindi continuò a restare solo e il suo sogno iniziò a prendere forma in quel periodo: andare in America e studiare al MIT, il Massachusetts Institute of Technology; là dove nessuna voce sulla sua famiglia lo avrebbe seguito e dove avrebbe potuto dare il suo meglio per una nuova vita. Ma anche questo suo sogno venne stroncato dalla sua famiglia: sua madre si ammalò a causa dell'abuso di alcol e droghe e il patrigno era l'unico che potesse mantenerla, ma decise di farlo solo qualora Byakuran avesse deciso di lavorare per lui. Così fu e l'astro nascente del MIT si ritrovò a fare il meccanico in una lurida officina qualsiasi di una piccola città. 
Se per l'infanzia di Byakuran Hibari non si era scomposto, per la sua adolescenza aveva per lo meno acceso la sigaretta, fissando apparentemente un quadro astratto appeso nella parete di fronte al letto. Mukuro lo guardò tentando di capire che cosa pensasse, se cominciasse anche lui a vedere qualcosa di differente nel carceriere.
-In confronto alla sua, le nostre vite sono state bellissime.- osservò Mukuro. -Non credi?-
Raramente Mukuro si era sentito così depresso pur avendo accanto qualcuno che amava. Strisciò un po' più vicino a Hibari, quanto bastava per appoggiare la testa sulla sua gamba anzichè sul guanciale. Sperò con tutta la forza che aveva che non lo respingesse, perchè aveva bisogno della vicinanza di qualcuno. Passare ogni notte e tante altre ore con Byakuran gli aveva lasciato l'abitudine di non poter stare tranquillo se non sentiva un contatto fisico, come un bambino. Per sua fortuna, Hibari non lo respinse e anzi gli accarezzò la testa.
-Com'è arrivato Byakuran da quell'officina pulciosa ad essere capitano e capo del Sekko?-
-Lo dovresti sapere... quando l'Haido ha iniziato a reclutare militari prendeva praticamente tutti, a seconda della preparazione la gavetta era diversa... se non fossi stato all'accademia militare avresti iniziato anche tu dai bassifondi, dal servizio alle carceri.- disse Mukuro guardando la finestra. -Anche lui ha fatto così... era l'unico modo per staccarsi dalla sua famiglia e ha colto l'occasione... ora si sente soddisfatto, ha una casa che non è di sua madre, non deve sottostare a un patrigno che disprezza e nessuno lo prende in giro... lui è il re del suo piccolo regno, e pensa di stare bene così.-
-... Pensa?-
-Lui non sta bene, Kyoya... con il suo modo folle di reagire mette paura a tutti e nessuno gli dimostra affetto o amore, e lui ne ha un disperato bisogno... si sente così solo e così distante dagli altri che nella sua mente è costretto a interpretare anche la rabbia, il dolore e il sesso come forme d'amore, altrimenti impazzirebbe.-
-A me sembra già impazzito.-
-Quando è con me lui è quasi normale... ha sempre un modo di fare un po' perverso, ma è felice, per questo ha delle reazioni così violente quando ci interrompono.-
Hibari gli scoccò un'occhiata gelida e gli piantò la nocca del dito sulla testa.
-Ahia!-
-Interrompono COSA?-
-Ahia, Kyoya, mi fai male...-
-Interrompono che cosa?!-
-Qualsiasi cosa!- sbottò Mukuro, spingendogli via la mano e massaggiandosi la testa. -Non importa che cosa stiamo facendo, se stiamo solo dormendo, o parlando, o qualsiasi altra...-
-Qualsiasi altra cosa COSA?-
-... Non potevo dirgli di no.- fece lui con una vocetta bassa. -Non sono un suo amico che può dire sì o no, io ero suo prigioniero, ero incatenato da non potermi nemmeno muovere, come pensi che potessi dirgli di no?-
Hibari non rispose, ma la sua espressione si era incupita di colpo. Forse sospettava che fosse successo, ma averne la conferma era qualcosa di differente, qualcosa di definitivo e immutabile. Spense la sigaretta a metà e quando parlò fu solo per dire che sarebbero andati a Namimori verso sera, quando non ci sarebbero state altre vetture in giro o persone che potessero riconoscerli. Subito dopo scivolò sotto la trapunta e gli voltò le spalle, senza nemmeno dirgli buonanotte.
Mukuro si sentiva contaminato, come se fosse caduto in un pantano di fango melmoso e puzzolente e ne avesse ancora addosso. Restò qualche minuto combattuto fra quella sgradevole consapevolezza e la sensazione di abbandono che provava ad essere solo in quella metà di un letto troppo grande. Alla fine si decise ad allungare le braccia verso Kyoya e stringersi alla sua schiena, anche se con il mortale terrore che stavolta lo respingesse davvero. Non accadde anche se sentiva dal suo respiro che non stava ancora dormendo.
-In fondo a chi importa della prima volta?- domandò Mukuro a mezza voce nel buio, con le parole che tremavano. -È un casino... non si sa che cosa fare, magari fa anche male... a nessuno piace davvero ricordarsela, non ci si capisce niente...-
Hibari non rispose e forse scelse di non farlo perchè la risposta non gli sarebbe piaciuta. Almeno questo è quello che Mukuro pensò del suo silenzio. Lo strinse appena un po' di più ma non riuscì a trattenere le lacrime; le lasciò andare senza alcun rumore con la fronte appoggiata sulla canottiera a costine che Kyoya indossava. Pochi istanti dopo sentì la sua mano stringere una delle sue e lo sentì fare una risatina che non seppe spiegarsi.
-Fossi in te non piangerei, Mukuro... conoscendoci, sarebbe finita in una litigata pazzesca.-

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Capitolo 42
*** La prossima mossa ***


Nonostante la notte fosse passata e ormai fosse mattino, un plumbeo mattino, il fiato di Hibari condensava nell'aria. Si fermò per un attimo deglutendo a fatica e cercò di assestare la presa sulle gambe di Mukuro. Non che rendesse meno faticoso il compito, in ogni caso.
-Kyoya... sei stanco?- gli chiese Mukuro. -Fermiamoci un po' e riposati.-
-Ormai siamo arrivati...-
-Mancherà ancora un'oretta a piedi... non fare il testone.-
Hibari avrebbe voluto tirare dritto in virtù del suo orgoglio e della sua testardaggine, ma il suo corpo non era d'accordo. Le ginocchia cedettero all'improvviso e si ritrovò accasciato nella neve, ansimando più che mai. Il peso di Mukuro sulla sua schiena scomparve con suo enorme sollievo. Alzò gli occhi su di lui dopo ore e notò quanto fosse pallido e anche sofferente. Molto più sofferente di lui anche se non aveva mosso un passo.
-Riposiamo un po'... e dopo camminerò...- disse lui. -Non puoi portarmi in braccio fino a Kokuyo, che figura ci farei con i miei amici?-
-Non puoi camminare nella neve... non hai le scarpe... ti porterò io fino a Kokuyo...-
-Dico sul serio, Kyoya.- disse lui in tutt'altro tono. -Se ti stanchi troppo è finita per tutti e due... io non posso portarti sulla schiena fino al rifugio... e se non sei in grado di muoverti moriremo congelati tutti e due.-
-Puoi sempre proseguire da solo... l'hai detto tu che ci vorrà ancora un'ora, ce la faresti.-
-Io non mi separerò più da te.-
Hibari preferì non rispondere, dato che come al solito Mukuro sparava delle frasi romantiche in mezzo a una discussione che avrebbe dovuto essere quasi drammatica. Doveva essere una qualità che aveva sviluppato in tempi più recenti, perchè quando era ragazzino gli faceva avances quasi esclusivamente sessuali che lo facevano vergognare a morte.
Non riuscì ad alzarsi per sedersi sul bordo di un pozzo per irrigazione, perciò prese un sorso di caffè caldo dal termos restando seduto per terra. Ormai era soltanto tiepido, il che gli dava l'idea di quanto tempo avesse passato camminando dal punto in cui avevano abbandonato l'auto. Avevano dovuto abbandonare la macchina rubata al carcere per paura che fosse tracciata con il gps e si erano allontanati con l'automobile che il vecchio proprietario della casa teneva nel garage, ma purtroppo doveva essere già malconcia quando lui era morto e la lunga inattività aveva fatto il resto. Era stato difficile farla partire, ma poi si era spenta definitivamente in mezzo alle campagne. Incapaci di chiamare qualcuno o di trovare un altro veicolo era stato costretto a prendere Mukuro sulla schiena e ad avviarsi a piedi verso Kokuyo. Alla lunga ogni singolo chilo e centimetro di Mukuro aveva avuto la sua importanza nel tremore che aveva alle gambe e il dolore alla schiena.
-Andiamo?- disse Mukuro dopo quello che sembrò un attimo.
Hibari annuì e gli prese la mano per alzarsi da terra. I suoi pantaloni erano gelati e bagnati, invece Mukuro camminava sulla neve come se fosse su una spiaggia tiepida, con un'indifferenza invidiabile.
-Mi spiace tanto, Kyoya... lo dico sempre che avrei voluto nascere femmina. Sarei stato più leggero da portare.-
-Se fossi nato femmina non mi saresti mai piaciuto.- tagliò corto Hibari, stiracchiandosi la schiena.
-Eppure io so che sei uscito con una ragazza all'accademia militare... sembrava un uomo o che cosa?-
-... E tu come lo sai?-
-Ho le mie fonti... naturalmente.-
-Te l'ha detto Yamamoto?-
-No, no...- disse lui ridendo, prima di guardarlo con un sorriso. -Tu e Yamamoto siete proprio amici, eh?-
Hibari si prese qualche attimo per pensare. Non aveva mai pensato che Yamamoto fosse effettivamente un amico, non l'avrebbe definito altro che un "conoscente di lunga data" se qualcuno gli avesse chiesto di descrivere il loro rapporto. Eppure ora che ci pensava, quando era entrato in accademia era l'unico che non gli rivolgesse occhiate sprezzanti o gli dicesse che sbagliava, anche se nemmeno a lui l'Haido piaceva. Lo incontrava la mattina presto al bar quasi tutti i giorni anche all'epoca, scambiavano due parole. Sapeva che gusti aveva sulla maggior parte delle cose, sapeva quasi ogni cosa umiliante che era successa con la capitana Lal Mirch e sapeva anche quanto poco era avvezzo a cucinare anche se viveva da solo da molti anni, tanto da arrivare un'ora prima per aiutarlo. Non ultimo, era venuto a salvarlo quando aveva cercato di uccidersi...
-Credo di sì... più o meno...- fece Hibari, poi notò lo sguardo interrogativo del compagno. -Lui è un buon amico per me... io però non faccio niente per lui, non credo di essere un buon amico anch'io.-
-Non è che tu possa fare molto... Takeshi Yamamoto è quel tipo di persona che pensa agli altri e non a se stesso... non ti lascia capire che ha un problema... non vuole che gli altri si sentano in obbligo di aiutarlo.-
-Somiglia a noi due, no?-
-Sì, ma noi due lo facciamo con testardaggine, lui si nasconde dietro ai sorrisi... come lo fa lui è molto più difficile... io ho fatto così tanta fatica a fingere davanti a Nagi e ai miei amici che andasse ancora tutto bene...-
-E non è servito a niente... Chrome lo sa benissimo che cosa senti... non la puoi ingannare, non importa quale maschera tu ti metta. Non è stupida e ingenua come pensi.-
Il discorso deviò in zona Chrome mentre attraversavano campi e campi ricoperti di neve e spazzati da un leggero, tagliente vento gelido. Mukuro si ostinava a non voler credere che il bambino fosse maschio e non femmina come aveva sempre detto. A Hibari faceva sorridere che a entrambi piacesse parlare di quello che diceva o faceva l'altro. E a quanto raccontava Mukuro, Chrome sapeva essere una compagnia incredibilmente allegra e le piaceva fare le imitazioni delle voci. A quanto pareva quella che le veniva meglio era quella di Ken. Proprio mentre Mukuro, con la voce sempre più forzata, cercava di spiegargli perchè fossero andati via tutti e tre lasciando Nagi completamente da sola, dalla nebbia emerse la sagoma di un capannone. Nel vederla Mukuro emise un sospiro di sollievo e ringraziò gli "dei del cielo". Hibari era altrettanto felice, perchè gli pareva di essere finito sotto un rullo compressore e che Mukuro fosse malato. Aveva tutta l'aria di essere febbricitante e forse dopo tante ore dall'ultimo antidolorifico le ferite lo tormentavano di nuovo.
Accelerarono il passo e in pochi minuti furono tra alcuni alti capannoni. Dentro uno di quelli due persone stavano ridipingendo quello che aveva tutta l'aria di essere un elicottero militare. Hibari non fece in tempo a chiedersi se fosse il veicolo usato per la rocambolesca fuga sul ponte in dicembre che sentì una voce gridare il nome di Mukuro facendolo sussultare.
-MUKURO!-
-È Mukuro!- seguì una voce di ragazzo.
Una ragazza dai capelli rossi si lanciò su di lui prima che Hibari potesse fermarla o dirle qualcosa e lo abbracciò stretto. Mukuro fece un gemito sofferente non dissimile da quello fatto da un gatto a cui viene pestata la coda e la ragazza lo lasciò subito, interdetta. Persino la sua commozione restò sospesa con i lacrimoni in bilico sulle ciglia. A Hibari occorse un minuto buono per capire dove aveva già visto quella ragazza: era la stessa che stava affacciata alla finestra della casa davanti al parco nel settore sette di Namimori...
-N-non... non toccatemi la schiena, per favore... fa male da morire...-
-M.M., cretina, l'hanno frustato, te lo ricordi?!-
-M-mi dispiace, io... mi dispiace, ero così felice che...-
-Imbecille!- rincarò la dose l'amico di Mukuro, Ken.
-Non fa niente... non fa niente, Madeleine...- disse Mukuro accarezzandole la testa. -Ken, non la sgridare...-
-Oh, Mukuro, io... pensavo fossi nel carcere di Sekko! Come hai fatto a evadere?-
La notizia sorprese Mukuro quanto Hibari, tanto che quest'ultimo smise di sentirsi a disagio per i tacchi di Madeleine che la facevano diventare più alta di lui. A lui era arrivata la notizia casualmente da Byakuran e da Haru, ma loro come avevano fatto a scoprire che non era morto il giorno dell'esecuzione?
-Come facevate a saperlo?- domandò Mukuro. -Pensavo che mi credessero morto.-
-Lo pensavamo, ma poi è arrivato Gokudera.- disse Ken, indicando il capannone alle sue spalle. -Ha detto che qualcuno gli ha riferito che eri al Sekko e che dovevamo riprendere i preparativi per l'evasione di massa, che se ci fossi stato ti avremmo tirato fuori.-
Mukuro e Hibari si scambiarono un'occhiata ancora più perplessa. A quanto ne sapeva Hibari, Gokudera era ancora detenuto per un'aggressione alle guardie carcerarie, almeno fino al mattino precedente. Possibile che fossero evasi entrambi lo stesso giorno, separatamente, senza alcuna decisione comune?
Il passaparola fece uscire praticamente tutto l'esercito di Mukuro di stanza a Kokuyo, compresi Gokudera e alle sue spalle, qualche passo dietro, Yamamoto. L'ultima persona che Hibari si sarebbe aspettato di vedere lì.
-Yamamoto?-
Yamamoto si avvicinò a Hibari con un palese imbarazzo. Guardò la fila di persone che andava a salutare Mukuro grattandosi la testa.
-Ehi, Hibari... come va?-
-Ma cosa fai tu qui?-
-Beh... è una lunga storia... comunque, per farla breve, ho accompagnato qui Gokudera...-
Hibari voleva incalzarlo per avere più dettagli, perchè non ci stava capendo più niente, quando sentì di nuovo un rantolo da gatto calpestato. Lasciò perdere Yamamoto e si mise a staccare la folla da Mukuro come avrebbe fatto una bodyguard con l'idol che scortava.

Poco più tardi Mukuro sedeva su un divanetto comodo, con delle borse di acqua calda sui piedi e le ferite affidate alle cure gongolanti di Madeleine, che pareva non desiderare niente di più al mondo che disinfettare piaghe sulla schiena di un famigerato terrorista. Dall'altra parte della stanza, Hibari aveva avuto dei vestiti asciutti da indossare e tentava di farsi passare la dolorosa contrattura delle gambe.
-Allora, Mukuro? Come hai fatto a uscire da solo da quel posto?-
-... Sono costernato.- sbuffò Mukuro. -Non ci posso credere, sono evaso dal carcere di massima sicurezza in un modo fighissimo e nessuno lo sa, questa disinformazione è deplorevole!-
-Se non era per me stavi ancora lì dentro.- borbottò Hibari seccato.
-Ti serve una mano?- gli domandò Yamamoto a bassa voce, mentre sia Ken che Madeleine insistevano per avere una cronaca dettagliata. -Sei ferito?-
-No... no, sto bene... ma ho portato Mukuro sulla schiena per quasi tutta la strada e sono un fascio di nervi, tutto qui...-
-Lascia fare a me.-
-No, non serve, davvero.-
-Avanti, sono capace di trattare dei muscoli.- insistè lui sorridendo. -Insegno arti marziali a dei ragazzini, si stirano di continuo perchè sono troppo impazienti per fare stretching.-
Hibari diede un'occhiata in tralice a Madeleine, le cui cure gli parevano fin troppo amorevoli. Con un pizzico di ripicca annuì e lasciò che Yamamoto si prendesse cura di lui. Avrebbe preferito avere Saeki lì con lui, sicuramente in quel caso Mukuro non gli avrebbe tolto gli occhi di dosso. Ma ora si era lanciato in una descrizione della leggendaria fuga dal Sekko e non badava minimamente nè a lui nè a Yamamoto, che avrebbero potuto mettersi a limonare e lui nemmeno l'avrebbe notato, perso com'era in una cronaca rivisitata dell'accaduto. Ad esempio aveva accuratamente evitato di dire che aveva supplicato per essere liberato dalla sedia in fretta, aveva glissato sulle guardie uccise nel garage e forse Hibari aveva visto un altro film, perchè a quanto pare era Mukuro che guidava l'auto con cui avevano sfondato le recinzioni.
-E dopo ci siamo diretti tranquillamente in un posto sicuro... sapete, Kyoya mi ha portato a vedere l'alba sul mare!-
Hibari girò la testa di scatto. Mukuro aveva un'aria vagamente gongolante, gli altri due erano praticamente maschere di menefreghismo. A quanto pareva a nessuno dei due stava molto a cuore la situazione sentimentale di Mukuro... a Madeleine, almeno, non importava se il sentimento non riguardava lei.
-Sì, sì, e poi abbiamo anche dormito insieme, e mi ha portato una brioche con il cioccolato.-
-Mukuro!- sibilò Hibari. -Potresti anche tenerle per te certe cose!-
Yamamoto ridacchiò divertito, ma Mukuro mise su un'espressione imbronciata da bambino.
-Ma è vero... sono state cose belle...-
-Invece di chiacchierare di cose intime, perchè non chiedi che cosa diavolo sta succedendo e come facessero a sapere che eri ancora vivo?!-
-Oh.-
Gokudera si decise ad alzarsi dalla sua poltroncina sfonda. Hibari aveva sempre trovato strano che facesse l'insegnante, ma quando si mise a spiegare tutto quello che era successo dalla fine del processo fino alla mattina odierna si rese conto che era formidabile quasi quanto lo era Mukuro come avvocato. Spiegava i fatti in modo preciso, in ordine cronologico e senza dimenticare niente. In dieci minuti diede a tutti i presenti una panoramica esauriente di tutto quello che era accaduto ad altri e in altri posti, senza che nessuno avesse domande da fare o gli chiedesse di ripetersi.
-... Qualcuno ti ha liberato e ti ha detto che Mukuro era vivo?- domandò Hibari, riflettendo. -Un informatore di Mukuro...-
-Non è un mio informatore.- disse Mukuro serio. -Io conosco personalmente tutte le persone che mi danno informazioni. È impensabile per uno nella mia posizione affidarsi a qualcuno di cui non conosce il nome.-
-Ma allora chi era?-
-È Byakuran.- rispose lui senza esitazione. -Sono sicuro.-
-Mukuro... non è che sei un po'... fissato con Byakuran?-
-Kyoya, non farmi ripetere.- gli intimò con ferocia. -Ti dico che sono sicuro. Byakuran è andato via l'altra sera all'improvviso dalla stanza bianca e non è tornato. Per lasciarmi lì dentro deve aver avuto qualcosa di estremamente grave di cui occuparsi, e a quanto sappiamo...-
Si interruppe per indicare le scritte fatte da Gokudera sul vetro della finestra.
-È partito per andare a Namimori, mentre tu eri per strada per arrivare al Sekko... caso strano, quella sera il Generale sospende gli impegni diplomatici e convoca il consiglio per il giorno dopo... ma quella notte lui muore con un proiettile nel cranio. Non è una coincidenza, Iemitsu aveva in mente di fare qualcosa di drastico e Byakuran lo ha ucciso. Liberare il mio braccio destro quella stessa notte e prendere il suo braccialetto, dargli l'arma del delitto e dirgli che sono vivo è un suo piano per scaricare la colpa su Gokudera.-
-Ma perchè dirgli che sei vivo?- chiese Madeleine.
-Perchè Byakuran non vuole liberare il mio braccio destro. Gli comunica che io sono nel carcere di massima sicurezza perchè sa che proverà a liberarmi, ma lui lo sa prima e rinforzerà le difese in previsione dell'attacco... e ucciderà o catturerà Gokudera, che verrà incolpato o processato per l'omicidio del generale.-
Gokudera stringeva i pugni tanto che tremavano. Era un piano a dir poco diabolico, ma più Hibari ci pensava su più acquistava un senso. Posò lo sguardo su Yamamoto e lo vide serio come poche altre volte nella vita l'aveva visto.
-Ora sta puntando a Tsuna, non è così?-
Tutti i presenti lo guardarono. Mukuro era altrettanto serio e annuì con aria grave.
-Per questo gli ha fatto vedere il braccialetto di Gokudera, sapeva che l'avrebbe riconosciuto e avrebbe pensato che il suo ex ragazzo aveva ucciso suo padre... non era difficile pensarlo, dato che è sempre stato avverso all'Haido e a Iemitsu.-
-Che cosa vorrà fare di Tsuna?- saltò su Gokudera immediatamente. -Non vorrà ucciderlo?!-
-Probabilmente l'avrebbe ucciso se fosse stato solo la scorsa notte... togliere di mezzo il generale e il suo unico erede sarebbe stato un colpaccio... ma non ha potuto, e ora... ora troverà un modo per avere influenza su di lui... se io fossi al suo posto, tenterei di manipolare la scelta del prossimo generale e orientarla su qualcuno che posso controllare...- rispose Mukuro. -È possibile che la scelta ricada su Tsunayoshi... ma lui accetterà? Byakuran deve agire su molti fronti se vuole le spalle coperte... deve convincere Tsunayoshi ad accettare e avere buon credito ai suoi occhi... oppure, deve togliere Tsunayoshi dalla corsa per la massima carica e metterci qualcun...-
Mukuro si bloccò e fissò la parete dell'ingresso con la stessa espressione di shock che aveva esibito quando avevano fatto irruzione i militari dell'Haido nella villetta, tanto che Hibari si voltò verso la porta col cuore in gola. La porta era chiusa e c'era silenzio. In parte sollevato e in parte seccato, tornò a guardare Mukuro.
-... Diventerà lui il generale dell'Haido...-
-Scusa?-
-Convincerà Tsunayoshi a prendere la carica solo per poi cederla a lui, così non dovrà più rispondere a nessuno per il resto della sua vita!- esclamò Mukuro. -È ovvio, è quello che farei anch'io, il minimo sforzo possibile con la massima resa! Il consiglio sarà già incline a dare il titolo a Tsunayoshi perchè Iemitsu voleva che fosse così, basta soltanto convincerlo a prenderla per poi incaricare lui! Per fare questo sta tagliando i legami di Tsunayoshi con tutti i suoi amici, lo tiene al palazzo di giustizia per non fargli vedere nessuno, gli strappa via il conforto dell'uomo che ama per poter essere carino con lui e indurlo a fidarsi ora che si sente solo ed è vulnerabile!-
-Si può architettare una cosa così machiavellica in un'ora?- domandò scettico Hibari.
-Il fatto che tu e Yamamoto non ne siate in grado non significa che nessuno possa farlo.-
-... Ci ha appena dato degli idioti o sembra a me?-
-Neh, Mukuro...- protestò Yamamoto con un forzato sorriso. -Non essere così severo con noi...-
-Non ci arrivate? È questo il motivo per cui non hanno diffuso la notizia della mia evasione! Io sono il migliore amico che Tsunayoshi ha, la sua debolezza dipende dalle persone che ha perso e se scopre che io sono vivo non è più così facile controllarlo!-
-Te l'ho già detto una volta, Mukuro, non urlarmi addosso perchè sei arrabbiato con Byakuran, o stavolta ti prendo a calci in culo.-
-Non ti sto urlando addosso, sto urlando in generale!!-
-E piantala, guarda che Sawada non ti sente lo stesso!-
-Ehi, ehi... basta adesso, non è il momento di discutere...- s'intromise Yamamoto. -Non dovremo pensare a cosa fare ora?-
Mukuro emise un verso irritato e si massaggiò una tempia chiudendo gli occhi.
-Yamamoto, io penso che tu dovresti tornare a casa...- disse Hibari, distogliendo ostentatamente lo sguardo da Mukuro. -Chrome ha bisogno di qualcuno, almeno finchè non nasce il bambino... non può partorire in un capannone nella campagna di Kokuyo... dopo, se lo vorrà e se staranno bene potrà venire anche lei.-
-NO che non può, sei matto?!- sbottò Mukuro. -È pericoloso!-
-Se Byakuran è come dici, Chrome è più in pericolo a Namimori! Che cosa ti fa pensare che non la userà per raggiungere i suoi scopi?!-
Mukuro assunse un'espressione pensierosa e preoccupata. Alla fine si decise e guardò verso Ken.
-Ken, torna a Namimori... stai con Nagi e proteggila finchè non è il momento giusto per venire qui.-
-D'accordo.- rispose lui subito, affrettandosi a prendere le sue cose.
-Okay... okay, Yamamoto, puoi tornare a Namimori con Ken e tenere d'occhio Chrome per me?... E... e anche Saeki... non sono riuscito a parlargli, essendo accaduto tutto all'improvviso... puoi dirgli come stanno le cose?-
-Sì... ma poi anche lui vorrà venire da te ad aiutarti, Hibari... che cosa gli dico?-
-Digli quello che gli diresti tu... che ha una famiglia che potrebbe essere in pericolo... che deve pensare a loro e che io non sono solo, posso farcela.- disse Hibari. -Che ci rivedremo quando sarà finita.-
Hibari si rese conto che Yamamoto lo guardava in modo strano, ma non capiva il perchè. Aveva detto qualcosa di strano? Aveva sbagliato un verbo?
-Oh... beh... io... ci provo, ma... non credo di poterlo ripetere con tutta la passione che ci hai messo tu...-
Yamamoto si mise a ridere grattandosi la testa e Hibari si sentì improvvisamente il viso bollente. Sommerso da un fiume di imbarazzo, tirò un pugno nella spalla dell'amico, più forte di quanto avrebbe voluto, e gli voltò le spalle, armeggiando a caso con i cuscini del divano come se cercasse qualcosa.
-Idiota, riferisci e basta.-
-Sono pronto.- annunciò Ken, con una borsa da ginnastica in spalla.
-Allora andiamo...- disse Yamamoto, prima di guardare da uno all'altro tutti i presenti, da Mukuro fino a Madeleine. -Non tornerò qui... e non cercherò di mettermi in contatto... se avete bisogno di me, tu sai come cercarmi con discrezione, Mukuro...-
Il suo sguardo si posò definitivamente su Gokudera.
-Proteggetevi a vicenda... il mio cuore è qui con voi.-
Yamamoto lasciò la stanza senza aggiungere altro e Ken lo seguì facendo solo un cenno di saluto. Mukuro era ancora seduto e Madeleine appollaiata sul bracciolo del divano alle sue spalle, le bende in mano senza che si decidesse a fasciare le ferite. Solo Hibari nella stanza poteva vedere Gokudera fissare la macchina fuori dalla finestra, con gli occhi verdi resi lucidi dalle lacrime che non aveva il coraggio di lasciar andare.

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Capitolo 43
*** Angelo caduto ***


-Dovresti dormire un po', hai un aspetto terribile.-
-Grazie tante, Kikyo. Apprezzo la tua sincerità, ma ho notato anche io le occhiaie.-
Byakuran era sdraiato sul divanetto bianco nella stanza ricreativa dei capitani, ma non riusciva a chiudere occhio. Si girò sul fianco cercando una posizione comoda, ma quel divano non brillava per comfort, per di più era più corto di lui e in qualsiasi modo si mettesse aveva mezza gamba al di là del bracciolo, a meno di raggomitolarsi.
-Mettiti su quell'altro divano, non è più semplice?- osservò Kikyo prendendo posto alla poltrona.
-Voglio questo qui... è bianco.-
-E quindi?-
-Mi ricorda la mia stanza bianca, la camera di Mukuro chan.- disse Byakuran con un sospiro. -Vorrei essere lì adesso, e invece sono inchiodato qui... Mukuro chan si sentirà solo, non è abituato a stare senza di me.-
-Non è un cane, se la caverà.-
-Spero che lo stiano trattando bene, o farò una strage.-
-Beh, sarebbe una buona idea, libereresti posti di lavoro.- osservò con noncuranza l'altro, bevendo del tè. -Ultimamente c'è una gran polemica per la lunga attesa per un tirocinio.-
-C'è un lungo tirocinio perchè ci tocca tenerli anni, non imparano mai niente!- sbottò Byakuran, mettendosi seduto. -Dannazione, tanto varrebbe insegnare la disciplina a un forno a microonde.-
Kikyo forse pensò di rispondere, ma ci ripensò perchè si limitò a bere un altro sorso di tè. Byakuran sbuffò ripetutamente, quando cominciava a innervosirsi preferiva sfogarsi lamentandosi a oltranza, altrimenti restava di cattivo umore tutto il giorno. Una fitta di rimpianto lo colse quando pensò alla volta che aveva preso a sberle Mukuro solo perchè aveva parlato di cannoni e gli aveva fatto tornare in mente i due imbecilli sempre strafatti che aveva pizzicato di nuovo a fumare sulla scala di emergenza. Poverino, lui non aveva nessuna colpa per quei due, ma era nervoso e l'aveva picchiato senza motivo...
Ignorò il suono del telefono, assorto com'era nel pensare a Mukuro. Era stato nel giusto quando aveva deciso di salvargli la vita dopo le ferite inferte dalle frustate. Il loro non era un comune rapporto tra prigioniero e carceriere, non lo era più. Erano intimi ormai, non solo fisicamente, ma spiritualmente. Sapevano praticamente tutto uno dell'altro, si conoscevano meglio di quanto avessero conosciuto o fossero conosciuti da chiunque altro al mondo. Non avrebbe mai dimenticato la notte in cui aveva medicato le ferite di Mukuro, come ogni sera personalmente, e lui aveva riso di un insulto che aveva tirato alla bottiglia del disinfettante che era caduta e si era aperta. Mukuro aveva veramente riso, e non per schernirlo. Era stato in quel momento che aveva capito che il loro era un rapporto speciale, qualcosa che non avrebbe avuto con nessun altro per il resto della sua vita...
-Byakuran?- fece da molto lontano la voce di Kikyo. -Byakuran, il tuo vice dal carcere ti sta cercando... dice che non rispondi al tuo telefono personale.-
Byakuran prese il telefono dell'ufficio chiedendosi intimamente dove il suo cellulare fosse, dato che non si ricordava di averlo usato da quando era arrivato. Forse nemmeno lo aveva portato con sè a Namimori.
-Che cosa c'è, Dai-chan?- trillò vivace come un canarino.
-Signore, abbiamo avuto un grosso problema la scorsa notte.-
Improvvisamente una forte sensazione di angoscia si impadronì di lui. Aveva la certezza che qualsiasi problema ci fosse stato riguardasse Mukuro.
-Che tipo di problema?- chiese in tutt'altro tono. -Come sta Mukuro?-
-Noi... non possiamo attestare lo stato di Rokudo Mukuro, signore.-
-Cosa?-
-Ecco... signore, questa notte c'è stato un tentativo di sommossa da parte dei detenuti per una leggerezza commessa dal nuovo tirocinante... la questione è stata risolta, ma... Rokudo Mukuro è scomparso lasciandosi alle spalle sette guardie prive di vita... sospettiamo che sia stato il capitano Hibari Kyoya a farlo scappare.-
Byakuran non registrò nulla di ciò che l'uomo disse fra le parole "Mukuro è scomparso" e "Hibari Kyoya". Aveva sentito tante voci riguardo quel giovanissimo capitano che aveva avuto molta gloria in breve tempo, che si diceva fosse invischiato con Rokudo Mukuro. Dicevano che si conoscevano da tempo, addirittura che fossero amanti, ma lui non ci aveva mai creduto. Mukuro non gli aveva dato nulla durante la sua esecuzione, non aveva emesso un singolo verso, non aveva pianto. Lui non amava quell'uomo, non l'aveva nominato nemmeno una volta in un mese, come poteva andarsene con quell'Hibari, di punto in bianco? Mukuro amava lui, nessun altro... doveva essere stato portato via, era l'unica spiegazione...
-Quando... quando è successo?-
-La notte tra mercoledì e giovedì, signore... il capitano Hibari è arrivato poco dopo la sua partenza per Namimori... un'ora dopo era tutto finito, le recinzioni distrutte e Rokudo Mukuro era ormai sparito...-
Una vena cominciò a pulsare fastidiosamente sulla tempia di Byakuran. Possibile che fossero capaci di perdere Mukuro appena li lasciava soli per un paio d'ore? Un paio d'ore e un tirocinante maledetto combinava qualche danno, e un traditore bastardo portava via il suo Mukuro, la regina del suo alveare, il gioiello della sua corona... qualcuno avrebbe pagato per non averlo protetto a dovere, ma prima di tutto doveva ritrovarlo...
-Non mi interessa a quale demonio venderete l'anima, ma trovate qualche maledetto indizio, o sarò io a mangiarvela un pezzo alla volta.-
Chiuse la telefonata e fissò torvo lo stendardo di fronte a lui come se volesse incenerirlo. Kikyo non poteva cogliere l'accaduto solo da quello che aveva sentito dire al collega capitano, ma lo sguardo era foriero di cattive, pessime notizie. Anche se conoscendolo poteva essere solo un altalenante umore.
-Che cosa è successo?- gli chiese allora, con tutte le cautele del caso.
-Hanno rapito Mukuro dal mio carcere. Lo hanno portato via dal mio carcere.- disse come se nemmeno lui potesse credere a cosa diceva. -Nessuno ha mai lasciato quel carcere da quando sono lì, nè vivo nè morto, e tra tanti... mi hanno portato via Mukuro!-
Byakuran tirò un pugno così forte al bracciolo che ne rimase il solco e si alzò camminando nervosamente per la stanza, in tondo attorno ai divani, sicché Kikyo faceva oscillare la testa per seguirlo come un gatto che segue un puntino laser, e aveva visibilmente il sacrosanto terrore di essere ucciso nell'attimo in cui gli passava esattamente alle spalle. Ma il capitano dai capelli bianchi era assorto nei suoi pensieri, che erano più di angoscia per la sua perdita che di rabbia per l'incompetenza dei suoi sottoposti.
-Che cosa faccio adesso? Devo ritrovarlo, devo ritrovarlo a qualsiasi costo! Ho bisogno di una squadra speciale, loro non si faranno trovare da dei vigilantes di ronda...-
-Non puoi impiegare una squadra speciale, Byakuran... vanno autorizzate dal generale e... beh, gli hai sparato in testa due sere fa...-
-Ma che... potrebbero metterci settimane a decidere chi sarà il prossimo!-
-Non potevi pensarci prima di spargere il cervello dappertutto?- osservò Kikyo seccato.
-Quello voleva sospenderci! Sospendere me e te, denunciarci per abuso di potere e violazione del codice della dignità umana! Io sarei finito smembrato e tu impiccato sulla piazza nudo come un verme! Avresti preferito così? In quel caso potevi benissimo non chiamarmi.- sentenziò Byakuran fissandolo. -Non fare finta che io non ti abbia fatto un favore, Kikyo. Mi devi molto più di quanto pensi. Il fatto che siamo amici da anni non significa che io non possa camminare sul tuo cadavere se mi serve per qualcosa che desidero davvero, quindi ti consiglio di non farmi la predica.-
-Questo non toglie che tu non possa fare tutto quello che ti pare... sì, dentro al carcere di Sekko sei il re e fai come ti pare, non devi rispondere a nessuno, ma questo è il mondo reale, e qui sei sotto al generale, ai suoi vice, al Consiglio e ai ministri. Devi rispondere a tutti loro di tutte le tue azioni e chiedere il permesso di fare quello che vorresti.-
Sebbene pensasse che Kikyo era stato fin troppo irriverente nei suoi confronti, non poteva ignorare la verità che gli stava dicendo. Era il re del suo piccolo regno, ma il mondo era molto grande al di fuori del suo territorio, c'erano molti altri re, e funzionari, e un imperatore... e se voleva essere davvero libero doveva essere lui l'imperatore... allora avrebbe potuto condurre la trattativa con i terroristi come preferiva, mobilitare anche l'intero esercito per rivoltare il paese e trovare la sua regina... e se era l'unica speranza di riavere Mukuro, era disposto a vendersi nel peggiore dei modi pur di avere quella poltrona...
-Chi pensi sarà il prossimo generale?-
-Beh, non tu... e temo nemmeno io.- ammise Kikyo. -Credo che potrebbe essere Tsunayoshi, il figlio... il generale continuava a dare dei favori alla redazione in cui era impiegato per non promuoverlo nella speranza che si stancasse di fare un lavoro mediocre e prendesse una carriera in politica.-
-Tch, e Tsunayoshi è anche capace di piangere per un padre del genere?-
-È comunque meglio del tuo, almeno lui voleva una carriera rilevante per suo figlio... il tuo ha svuotato la casa come un ladro e se n'è andato, nemmeno sai come si chiama.-
-Kikyo, è il giorno che ti faccio ingoiare un servizio di porcellane in frantumi.-
-Ti sto dicendo che Tsunayoshi nonostante tutto lo amava. Amava tutta la sua famiglia, al contrario di te, e al contrario di te ama i suoi amici. Se vuoi entrare in sintonia con lui devi capire che tipo di uomo è.-
-Visto che lo conosci così bene, illuminami, invece di parlare di quel pezzo di merda di mio padre.-
-Beh, a quanto dicono, se gli tiri contro un sasso lui può perdonare sia te che il sasso.- disse Kikyo scrollando le spalle. -Ricordi l'incidente al centro commerciale, dove un ragazzo venne ferito alla gola da dei sequestratori che volevano lasciare il paese?-
-Sì, me lo ricordo... ero anche io al centro commerciale quel giorno.-
-Beh, il ragazzo ferito era lui... ha rischiato di morire e di non poter più parlare, ma ha scritto una lettera al ministro delle punizioni per chiedere clemenza per l'uomo che l'aveva quasi ammazzato. Questo è Sawada Tsunayoshi, una persona con un senso della giustizia e della clemenza che tu nemmeno la sogni.-
-Meglio così, le persone così buone sono facili da conquistare e da manipolare.- constatò lui. -Avanti, muoviti, andiamo.-
-Andiamo? Andiamo dove?-
-Andiamo a scusarci con la cameriera per quello che è successo l'altra volta.- disse Byakuran con un tono nuovamente allegro. -Però togliti i pantaloni buoni perchè ci dobbiamo inginocchiare.-


-Tocca a te, Tsuna san!-
Tsuna si riscosse dal torpore e guardò le carte che aveva in mano, poi quelle che stavano sul tavolo, tentando invano di ricordare come si contavano i punti. Prese tempo spulciando l'abbondante dozzina di carte che aveva mentre cercava di contare. Non si poteva dire che Haru non fosse una ragazza adorabile, faceva tutto il possibile per distrarlo dalla morte di suo padre e Basil le dava il maggior sostegno possibile, ma era difficile non pensarci. Era difficile non continuare a domandarsi di che cosa voleva parlare ed era atroce pensare che proprio Hayato potesse avergli portato via quello che restava della sua famiglia. Possibile? Possibile che proprio la persona che pensava lo amasse avesse messo la sua missione e la sua vendetta davanti alla felicità del suo compagno? Ormai la vita gli sembrava una collezione infinita di momenti tristi e malinconie. Se non avesse avuto Haru da proteggere e Basil accanto non avrebbe avuto dubbi: avrebbe seriamente pensato di farla finita.
Proprio in quel momento venne a capo della questione del punteggio e posò tutte le carte sul tavolo in un certo ordine, tra la perplessità di Basil e Haru, entrambi con un paio di carte da piazzare.
-Ho chiuso.-
-Non è possibile!- esclamò Basil. -Sei riuscito a chiudere di nuovo con dieci carte?!-
-Tsuna san, non stai barando, vero?-
-Sapete com'è... fortunato al gioco, sfortunato in amore.- commentò lui vacuamente.
-Facciamo un'altra partita! Haru vincerà, deve vincere!-
-Haru, potrei vincere anch'io.-
Tsuna accarezzò Uri che gli dormiva sulle gambe senza prestare attenzione ad Haru che mischiava le carte e a Basil che tentava invano di spiegare che statisticamente avrebbe avuto anche lui una possibilità su due di vincere qualora non l'avesse fatto Tsuna. Stava ancora rimuginando sui fattacci dell'ultimo periodo quando il suo sguardo si fissò sul dieci di picche, una carta favorevole. Era la sua carta fortunata, ogni volta che la pescava era sicuro di vincere. Si mise a pensare che ora che non aveva più niente avrebbe anche potuto giocarsi tutto quello che aveva a poker. Non che fosse molto, la casa era in affitto e per lavorare prendeva l'autobus, non aveva una macchina... giusto una bicicletta... per come giravano le cose avrebbe potuto anche ritrovarsi ricco, chissà... poi si ricordò un piccolo dettaglio: il poker e tutti i giochi d'azzardo erano proibiti dall'Haido. Tsuna giocò una carta con insolita ferocia. Sarebbe valsa la pena di diventare il generale dell'Haido soltanto per distruggerlo... cancellare tutti i codici tranne quello della dignità umana, abolire tutte le restrizioni, eliminare l'embargo, liberare tutti i prigionieri politici e sciogliere il regime militare per sempre... poi riassegnare il potere al governo giapponese e sputtanarsi tutti i soldi al poker al punto di dover pagare i debiti in natura.
Natura... era meglio non stare nemmeno a pensarci, nonostante tutto lo schifo che gli pioveva addosso riusciva anche a sentire quanto gli mancasse un contatto fisico intimo. O forse, proprio perchè tutto il resto era uno schifo avrebbe voluto dimenticarsi l'intero universo per almeno dieci minuti...
Quando trillò il campanello Basil, Haru e Uri sobbalzarono, tranne lui. Ormai c'erano ben poche cose che gli importassero, e nessuna di quelle poteva suonare il campanello. Visto che nessun altro si decideva ad alzarsi e aprire, abbandonò le carte, spostò il gatto sulla sedia più vicina e ci andò di persona. Quando l'uscio si aprì non si sorprese di trovare Byakuran, ormai era onnipresente, l'aveva in casa almeno quattro volte al giorno.
-Buongiorno, Tsunayoshi kun.-
-Byakuran.- disse senza entusiasmo.
-Possiamo entrare?-
-Lui non entra in casa mia, mi pareva di avertelo già detto.-
Byakuran e Kikyo si scambiarono un'occhiata perplessa. Il capitano con i capelli bianchi si ricompose ed esibì un sorriso pieno di subdola aspettativa.
-Tsunayoshi, Kikyo ci terrebbe molto a entrare... siamo venuti per parlare con Haru chan.-
-Oh? Questa è nuova davvero.- ribattè lui sempre con un tono piatto. -E che volete da Haru stavolta?-
-Beh, se vuoi non entriamo, Tsunayoshi.- fece Byakuran in tono seccato. -Ma almeno spostati in modo che ci possa vedere.-
Byakuran allungò il braccio e lo spostò di lato in malomodo, ma prima che Tsunayoshi potesse protestare entrambi i capitani erano inginocchiati sulla soglia con la fronte che toccava per terra. Qualsiasi suono gli morì nella gola dalla sorpresa. Si voltò verso il tavolo e vide Basil e Haru con la stessa sua espressione. Certo non si aspettava delle scuse così scenografiche da due capitani della milizia a una cameriera.
-Haru chan, ci dispiace moltissimo per essere stati dei vigliacchi!-
-Abbiamo avuto paura di ribattere al ministro.- convenne Kikyo, anche se con un tono molto meno disperato di quello di Byakuran. -Avremmo dovuto chiedergli di non punirti e non l'abbiamo fatto.-
-Haru chan, perdonaci!-
-Oh, cielo, quanta pateticità tutta in una volta.- li schernì Tsuna, solo per il gusto di infierire sulla scena già abbastanza umiliante. -Haru, fossi in te metterei quei sandali con i tacchi e ci camminerei sopra prima di buttarli fuori a calci.-
-Tsunayoshi kun, che crudele!-
-Sawada kun, con tutto il rispetto, noi siamo qui per Miura, non per te.- soggiunse Kikyo, tenendo gli occhi chiari fissi su Haru. -Ti prego di restare fuori dalla discussione.-
Interdetto, Tsuna tacque e guardò verso il tavolo. Haru si era alzata ed era a pochi passi, con Basil accanto. Sembrava sconvolta, confusa. Non faticava a capire che la loro redenzione improvvisa la insospettisse. Non aveva idea di cosa dire, e la sentì sussurrare appena a Basil accanto a lei. Per quanto avesse teso l'orecchio  non riuscì a distinguere nessuna parola.
-Devi fare quello che senti di fare, Haru.- le rispose Basil abbastanza forte da essere udibile. -Nessuno ti obbliga a dare loro una risposta se non vuoi.-
Byakuran teneva gli occhi chiusi così stretti che sembrava si aspettasse davvero di essere preso a calci, Kikyo al contrario teneva gli occhi azzurri spalancati e fissi sul legno della veranda. Tsuna cominciò a subodorare qualcosa, forse il vero motivo per cui erano venuti a scusarsi di persona con Haru in un modo tanto plateale. Avevano forse paura che il nuovo generale (e c'erano due buone possibilità che si trovasse dentro quella casa) li facesse condannare per quello che era accaduto ad Haru? Speravano di convincerla a non denunciarli?
Haru però fece qualche timido passo fino alla porta e si accovacciò davanti a loro.
-Capitano Byakuran.... Capitano Kikyo... io... io accetto le vostre scuse.-
Byakuran alzò la testa così velocemente che la fece sobbalzare e le fece un gran sorriso.
-Grazie! Grazie mille, Haru chan!-
Byakuran diede una gran serie di pacche sulla schiena di Kikyo sperticandosi in gentilezze su Haru e la sua dimostrazione di forza interiore, ma Tsuna non la beveva così facilmente. Era chiaro che avevano qualcosa in mente che non era il rimpianto, era sempre più convinto che lo facessero per un comodo tornaconto. Meglio inginocchiarsi e chiedere perdono che finire impiccati, smembrati o fucilati...
Prima che potesse rendersene conto i due capitani erano entrati in casa invitati da Haru. Irritato Tsuna chiuse la porta senza protestare e si sedette in poltrona, di umore nero come la pece, a sentire Byakuran con la sua voce sovreccitata da ragazzino fare i più svariati sciocchi commenti su qualsiasi cosa, dal tempo che faceva fuori al calduccio che faceva in casa, dal fermacapelli di Haru a...
-Che bel gatto, io adoro questo gatto.- disse prendendo Uri. -Sembra un leopardino, no? Non è un amore?-
Il capitano praticamente sbattè la gatta sulla faccia del suo collega che si ritrasse bruscamente. Non servirono spiegazioni, perchè un attimo dopo starnutì violentemente.
-Oh, mi sono dimenticato che sei allergico al pelo!-
-S-stavo già per starnutire sulla porta e tu mi metti in faccia quell'animale!- protestò Kikyo, i cui occhi iniziavano già a diventare rossi e lacrimanti. -Che diavolo, Bya...-
Starnutì più e più volte mentre Haru correva a prendere dei fazzoletti di carta e Byakuran si profondeva in scuse, tenendo il gatto più lontano possibile dal collega. Alla fine Basil si decise a prendere il felino e a portarlo di sopra in quello che era un piccolo studio dove Iemitsu teneva le scartoffie che non entravano nel suo ufficio. Tsuna era piuttosto infastidito all'idea che Uri dovesse essere chiusa da sola in una camera solo perchè a quel capitano dava fastidio il suo pelo. Era molto più casa di Uri che di Kikyo o di qualsiasi membro dell'Haido, ormai...
-Faccio del tè, magari...- si offrì Basil.
-Basil, non ci provare nemmeno.- fece Tsuna, alzandosi dalla poltrona. -Lo faccio io.-
-Ah... scusa, Sawada dono.-
-Ti do una mano, vuoi?-
Senza aspettare una risposta Byakuran saltò in piedi e lo seguì nella cucina. Tsuna decise di fare finta di niente e mise l'acqua nel bollitore senza nemmeno guardare dalla sua parte, dopodichè lo schivò per raggiungere il fornello. Byakuran aveva perso quell'aria gioviale che aveva poco prima e quando finalmente si decise a incrociare gli occhi con lui temette che avesse delle pessime notizie da dargli in privato.
-Senti... Tsunayoshi kun... posso farti una domanda?-
-Puoi, ma non è detto che io ti risponda.-
-Ho sentito dire che... che... Gokudera Hayato era il tuo... amante... è vero?-
Tsuna lo fissò senza battere ciglio, ma nella sua testa sfrecciavano ipotesi su chi potesse averglielo detto. Sì, non ne avevano mai fatto un mistero, ma erano discreti visto che Hayato era un insegnante al liceo. Non erano mai andati in giro mano nella mano, difficilmente si erano lasciati andare a momenti romantici in luoghi pubblici, fatta eccezione per qualche fugace bacio sul viso se erano al "solito posto", il loro bar preferito, in un angolo della saletta, quasi del tutto al sicuro. Vivevano insieme, ma non erano gli unici, tanti amici vivevano condividendo le case per ridurre le spese...
-Se fosse?-
-È un sì?-
-Che ti frega se lo è?-
-Solo pensavo che fosse... ancora più difficile per te affrontare la morte di tuo padre se si scoprisse per certo che il tuo ragazzo lo ha ucciso... certo, il bracciale è solo una cosa indiziaria, no? Magari il generale ha avuto una discussione, forse ha cercato di catturarlo dato che era evaso e gli ha strappato il braccialetto... forse lo aveva semplicemente in mano mentre rifletteva sul da farsi e l'assassino lo ha sorpreso...-
-Byakuran, non serve indorarmi la pillola. Pensate che sia stato lui oppure no?-
-Al momento, è l'unico indiziato che abbiamo... ma stiamo ancora cercando.-
Tsuna non aveva nessuna voglia di parlare di Hayato, delle possibilità e delle indagini. L'unica cosa che poteva e voleva fare era aggrapparsi al futuro, fosse soltanto un minuto più avanti. Aggrapparsi a quella prossima tazza di buon tè, alla sera sul divano con Uri che faceva le fusa senza chiedergli come stava e senza guardarlo come se fosse un essere da compatire, alla piccola pillola che gli avrebbe permesso di dormire senza sognare niente di angosciante. Del passato non voleva parlare. Cosa non avrebbe dato per poter tornare al giorno del suo compleanno, per restare qualche minuto in più e incontrare Mukuro, per evitare la discussione che aveva avuto con Hibari e che aveva generato tutto questo caos. Che cosa non avrebbe dato allora, alla luce di ciò che era stato, per perdere suo padre quando era ancora un ragazzino, l'Haido non esisteva e la mamma non era malata... ma l'universo delle possibilità mancate era straziante, non voleva pensarci...
-Uhm... Tsunayoshi kun, tu... hai... avevi chiuso con Gokudera kun?-
-Byakuran. Non mi piacciono le tue domande, se vuoi sapere qualcosa di preciso dimmelo.- sibilò Tsuna, tentato di lanciargli contro il bollitore. -Vuoi sapere se ho fatto evadere Hayato? Se l'ho aiutato a uccidere mio padre?-
-... Voglio solo sapere se ti andrebbe un po' di compagnia.-
La furia con cui stava stritolando il barattolo del tè svanì all'improvviso, lasciando il posto alla più completa perplessità. Guardò Byakuran a occhi spalancati, incapace di decidere se indignarsi o mettersi a ridere.
-Come?-
-Tu... non sai che lavoro faccio, vero?- domandò Byakuran, segnando il bordo di una tazza con il dito, senza guardarlo negli occhi. -Io... sono il sovrintendente del carcere per oppositori politici di Sekko... sono quasi sempre là... un paio di volte vengo qui per vedere altri capitani, per avere un po' di notizie su quello che succede... vivo dentro il carcere da anni... capirai che non... non ho molta compagnia lì...-
Tsuna lo fissò con stupore crescente. Quell'uomo dirigeva la bocca dell'inferno, il carcere con la fama di un lager, il posto dove Mukuro aveva passato i suoi ultimi giorni...
-Ho pensato che noi due abbiamo... un po' di cose in comune... sai, anche il mio ragazzo è sparito da un momento all'altro mentre io non ero a casa... e mio padre, tuo padre... penso che noi due possiamo comprenderci meglio di chiunque altro...- proseguì Byakuran in tono pacato, quasi guardingo. -Forse non è un caso che ci siamo incontrati ora... forse è destino... e...-
Tsuna non aveva cambiato opinione su Byakuran e continuava a pensare che parlasse troppo per i suoi gusti, ma seguendo un innaturale istinto di conservazione si aggrappò all'ennesimo "futuro" che gli si presentava davanti. Ogni occasione era buona per dimenticarsi quell'orrendo passato e senza il minimo indugio si alzò in punta di piedi e incollò la bocca a quella di Byakuran, che finalmente si decise a smettere di parlare. Con l'impazienza di un bambino che scarta un regalo di natale tanto sospirato, Tsuna si fece strada sotto giacca, camicia e cintura. Non gli era mai successo di spogliare qualcuno della milizia, avevano addosso un sacco di strati superflui per i suoi gusti. In compenso, la spavalderia che aveva imparato ad associare a Byakuran sembrava scomparsa, subiva piuttosto passivamente l'intraprendenza di Tsuna e sembrava che in certi attimi fosse sul punto di tirarsi indietro... cosa che però non avvenne, nonostante l'alto rischio di essere sentiti o visti, a pochi metri e una sola porta di distanza da Kikyo che continuava a starnutire saltuariamente e Basil che parlava a voce più alta della sua allergia al lattice. Andava tutto bene per Tsuna finchè lo sguardo non gli cadde sul braccialetto azzurro di corda al polso sinistro. Per un lungo, angosciante momento si sentì sporco e colpevole, ma poi lo strappò rabbiosamente e lo lanciò in un angolo della stanza sotto gli occhi confusi di Byakuran. Non era giusto che tornasse a tormentarlo, non era giusto che il pensiero di Hayato aleggiasse su di lui come una maledizione... quante volte Hayato aveva fatto lo stesso e senza nemmeno provare vergogna nell'indossare un bracciale con il nome di un altro, o un abito che Tsuna gli aveva regalato? Tante, troppe volte, non era giusto che gli restasse quel guinzaglio al collo a frenarlo...
-Tsunayo...-
-Ssh, sta' zitto... non distrarti...-
Dopo circa dieci minuti di fuoco e fiamme Tsunayoshi tornò nel salotto con il tè, mentre finalmente Kikyo aveva smesso di starnutire. Basil faceva del suo meglio per fare un'amabile conversazione e Haru sospirò di sollievo nel veder ritornare il padrone di casa, soprattutto perchè il suo umore sembrava decisamente meno cupo. Per contro, Byakuran dondolava la tazza con l'aria confusa di qualcuno che aveva preso un gran brutto colpo in testa e non aveva ancora ben capito dove si era svegliato.

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Capitolo 44
*** Scacco matto ***


Sebbene il consiglio per le emergenze fosse stato convocato subito e senza perdere tempo si fosse messo all'opera per trovare un degno sostituto al vertice dell'Haido, il compito non era facile come poteva sembrare. Iemitsu Sawada non aveva avuto uno e un solo vice, ma diversi con specifiche aree di competenza, tra i quali Kikyo. Non esisteva alcun documento ufficiale che indicasse un successore scelto dal generale in persona, nè un regolamento che indicasse una via o dei requisiti specifici per aiutare il consiglio nel suo spinoso lavoro. Tutti sapevano che era desiderio di Iemitsu che il suo successore diventasse Tsunayoshi, il suo unico figlio, ma i tempi non erano maturi: non aveva seguito nessun iter formativo militare o politico e l'Haido aveva seri dubbi che fosse in grado di fare un buon lavoro, in virtù delle disgrazie che l'Haido stesso gli aveva fatto cadere addosso.
Giorno dopo giorno, riunione dopo riunione, si spulciavano curriculum militari alla ricerca di un candidato ideale, seppur non cestinando mai l'unico vero suggerimento che Iemitsu aveva dato, il figlio. Caso volle che fra i papabili a un ruolo di alto profilo, forse addirittura della più alta carica, ci fosse anche il nome di Hibari Kyoya. Era stato ritenuto un'incredibile scoperta, dopo essere stato il migliore dell'accademia militare, aver concluso con successo il tirocinio ed essere stato coinvolto in mirabili imprese come il caso del settore sette, l'inseguimento il giorno della parata e soprattutto il blitz che aveva portato all'arresto di Rokudo Mukuro, per l'Haido ancora il simbolo del più grande pericolo della nazione sotto il loro controllo. Ignorando che Mukuro fosse ancora vivo e che Hibari Kyoya l'avesse aiutato a evadere, erano tutti propensi a credere che il giovane capitano potesse essere la soluzione, non per una spiccata competenza in sè, ma perchè la città di Namimori e il popolo giapponese identificavano in lui un eroe. L'unico spiacevole inconveniente era che Hibari Kyoya era attualmente disperso, nessuno sapeva dove fosse andato a passare la sua meritata licenza.
-Ritengo che dovremmo pensare seriamente di nominare Hibari Kyoya.- disse da una parte il ministro degli interni. -È vero, è giovane... ma anche Sawada lo è, anche di più, e non ha una formazione adeguata.-
-Non mi fido di Hibari Kyoya, quanto ci ha messo per consegnare Rokudo Mukuro?-
-Lo ha fatto, no? Lei, capitano, avrebbe dato subito un suo amico?- rimbeccò quello. -Io nutro più dubbi su chi ha un'integrità morale tale da consegnare un amico senza nemmeno provare a risolvere la situazione in un modo migliore.-
-Io dico che dovremmo seguire la volontà di Iemitsu Sawada e nominare Tsunayoshi generale.- disse un altro capitano piuttosto anziano, troncando la disputa. -Se temiamo che non sia pronto, perchè non gli affianchiamo qualcuno che lo sia?-
-Il generale stava addestrando il suo figliastro Basil a questo scopo, pensate sia all'altezza?-
-Il generale pensava che lo fosse.-
Kikyo non parlò ma occhieggiava con preoccupazione i capitani e i ministri che discutevano. Dopo un mese di riunioni poteva essere sicuro che anche quella si sarebbe conclusa con un niente di fatto? Ma la situazione del paese precipitava e temeva che questo avrebbe messo fretta al consiglio, che alla fine qualcuno si sarebbe lasciato convincere.
-Perchè allora non nominiamo Sawada Tsunayoshi generale e gli affianchiamo Sawada Basil come assistente... e magari, Hibari Kyoya come vice? Forse il popolo si sentirebbe fiducioso se vedesse il figlio del generale prendere il suo posto con accanto il figliastro e l'eroe di Namimori.-
Un mormorio accolse le parole del ministro della giustizia e Kikyo cominciò a sentirsi a disagio. Possibile che venisse accolta al volo una simile proposta, finora mai affacciata in una riunione? Cercò di pensare velocemente a qualcosa da dire, perchè l'idea sembrava piacere a molti.
-Con permesso, ministro, ma questa combinazione non regge.- disse Kikyo, sentendosi improvvisamente tutti gli occhi addosso. -Potrebbe anche piacere alla popolazione, ma... nessuno può negare che manca dell'esperienza... lo stesso Hibari Kyoya è un vigilantes da appena un anno.-
L'obiezione parve riscuotere consensi, seppure era evidente che serpeggiava un nuovo malumore per la mancata risoluzione della questione più importante. Alla fine, l'anziano capitano si lisciò la barba a punta.
-Io inviterei il consiglio a riflettere su un quarto componente che potrebbe essere adatto a equilibrare l'inesperienza dei due giovani Sawada e di Hibari Kyoya.- disse. -Ci riuniremo domani per prendere in esame i candidati a questo delicato compito.-
-Capitano Kozu, perchè non prende lei questo incarico?-
-Se nella giornata di domani risulterò essere per questo consiglio la migliore soluzione, non esiterò a fare la mia parte al massimo delle mie possibilità per l'Haido e per questo paese, nonchè per i tre giovani.-
-Il consiglio è aggiornato a domani alle dieci.-
Kikyo si alzò e uscì dalla sala incodandosi ai ministri con aria cupa. Non fu per nulla sorpreso di scoprire Byakuran seduto sulla panca del corridoio appena fuori dalla stanza delle riunioni del consiglio, in attesa delle novità. Lo sorprese molto di più avvicinarsi e scoprire che stava dormendo della grossa con la bocca aperta e delle occhiaie violacee da mettere paura. Lo scosse per la spalla.
-Byakuran.- lo chiamò, scuotendolo più forte. -Byakuran!-
-Eh, no, devo andare!- esclamò lui sobbalzando vistosamente, prima di guardarsi attorno con aria assonnata e strizzare gli occhi davanti alla faccia dell'amico. -... Oh, sei tu, Kikyo.-
-Devi andare dove?-
-Uh... niente, io credevo... credevo fosse Tsunayoshi.-
-Hai intenzione di continuare a non dormire fino all'elezione del nuovo generale?-
-Io dormirei, è lui che è...- fece Byakuran, lasciandosi andare a un gran sospiro. -Se solo fosse così appassionato Mukuro chan, la mia vita sarebbe stupenda... ma no, ovviamente. Ovviamente. Devo sopportare quell'odioso moccioso e devo anche farmelo piacere.-
-Io credevo che a te non facesse nessuna differenza avere maschi, femmine o qualsiasi altra cosa.- osservò Kikyo. -Che cos'ha Tsunayoshi che ti indispone tanto?-
-Mi dà una fastidiosa sensazione. A me non piace essere controllato, e anche se non sembra a guardarlo è lui che deve comandare... non ho mai visto uno passivo essere così dominante, mi disturba.-
-Chi lo sa, magari avrebbe davvero le qualità per essere il generale.- 
Anche se Byakuran sembrava lanciato in un profilo psicologico del giovane Sawada, Kikyo non aveva nessuna voglia di indagare oltre sulle sue tendenze in ambito sessuale e intimo e preferì deviare il discorso in acque più sicure, seppur altrettanto scure e inquietanti.
-Che cosa dicono?- domandò Byakuran, improvvisamente più serio. -Hanno deciso qualcosa?-
-Sta andando di male in peggio, amico mio... la situazione precipita con la milizia disorganizzata, i controlli sempre più facili da eludere e gli osservatori stranieri che dubitano della struttura del regime... il consiglio preme per una soluzione e hanno quasi deciso.-
-Hanno deciso?!-
-Quasi... vogliono fare Tsunayoshi generale, affiancargli Basil e Hibari Kyoya... e poi domani si farà un nome di un membro anziano che possa garantire l'esperienza necessaria... probabilmente il nome sarà quello del capitano Kozu.-
-Quella vecchia mummia.- borbottò Byakuran mordicchiandosi le unghie. -Cazzo, non poteva andare peggio di così! Tsunayoshi generale... con il fratello dal cuoricino puro e Hibari Kyoya, che è dalla parte di Mukuro chan? Distruggeranno l'Haido proprio come voleva fare il vecchio e io non avrò risolto niente!-
Byakuran emise una specie di ringhio e digrignò i denti come un cane feroce, fissando gli occhi color malva su un punto imprecisato della tappezzeria del corridoio. Sembrava di sentir scricchiolare gli ingraggi del suo cervello messo a dura prova dalla forte carenza di riposo, e a giudicare da come strizzava le palpebre non doveva star trovando soluzioni ai suoi problemi. Dopo avergli lasciato qualche altro minuto di agonia, Kikyo lo strattonò per il braccio facendolo alzare.
-Intanto prenditi un caffè, e dopo vai a parlare con Tsunayoshi.-
-No, perchè?-
-...Ho detto parlare, parlare.- sbottò lui seccato. -Siete capaci di parlare in una lingua che potete capire tutti e due o non ci avete mai provato?-
-Preferisco non entrare in merito alla questione.-
-Beh, che altro puoi fare? Dopotutto te lo stai tenendo buono da un mese apposta per essere pronto a chiedergli di darti quello che vuoi, no? Non doveva servire a questo?-
-Sì, però...-
-Byakuran, non hai dimenticato che cosa c'è in gioco qui, vero?- gli domandò serio Kikyo. -Se non fai quello che devi io e te finiremo in mano al ministro delle punizioni e moriremo... perderemo tutto quello che abbiamo guadagnato e moriremo da perdenti quali eravamo prima dell'Haido. Noi non possiamo permettere che Tsunayoshi diventi generale e faccia quello che vuole, o siamo finiti.-
Nonostante fosse sempre pallidissimo, con delle occhiaie peste e con un'aria stanca lo sguardo di Byakuran cambiò radicalmente. Nessuno in tutto l'Haido avrebbe avuto più cose da perdere di lui, di conseguenza nessuna impresa era troppo faticosa, pericolosa o umiliante; avrebbe affrontato qualsiasi pena per difendere la sua posizione. Il suo fastidio per l'atteggiamento di Sawada Tsunayoshi non era neanche lontanamente una motivazione sufficiente per arrendersi al proprio destino.


Byakuran sedeva sulla poltrona nella stanza che gli era stata messa a disposizione a Namimori, all'ultimo piano di un albergo vicino alla caserma. La pioggia gelida tamburellava senza sosta da un'ora alle finestre e proiettava strane ombre sulla sua pelle chiara. Il suo rumore era quasi ipnotico, e lui aveva tanta voglia di dormire, ma non era ancora il momento di lasciarsi andare. Soltanto per fare qualcosa che lo tenesse sveglio si versò un goccio di whisky dal mini bar e si risedette proprio nel momento in cui la porta della stanza si aprì. Non fu sorpreso nel vedere Tsunayoshi, dato che lo stava aspettando, ma era colpito dal suo abbigliamento. Finora gli era capitato di vederlo sempre con addosso larghi maglioni a coste, con felpe dalle più svariate stampe da ragazzini o senza nessun indumento, quindi non si aspettava che potesse indossare un completo scuro con una camicia a righe blu. Sembrava un abito costoso ed elegante e Byakuran non potè non chiedersi se il cambio d'immagine avesse qualcosa a che vedere con la decisione del giorno del consiglio.
-Oh, cielo, Byakuran... siamo davvero finiti in un albergo?- domandò lui senza il minimo segno di saluto, avvicinandosi a lui. -Si può sapere che cos'ha la mia stanza che non va? Non avrò le lenzuola di seta, ma il mio letto mi sembra che faccia il suo lavoro.-
-Non ti ho chiamato per questo, Tsunayoshi kun... ma è una cosa importante!-
-Perchè, la nostra relazione non lo è?-
-Beh, questa faccenda è un po' più urgente, tutto qui.-
Tsunayoshi diede in una risata sommessa assolutamente stonata su di lui e con un sorrisetto divertito prese posto nella poltroncina di fronte. Forse era lo strano riflesso dell'acqua sui vetri o la penombra della stanza, ma quel ragazzo aveva un'aria preoccupante. Byakuran lo fissava con una sconosciuta sensazione di inquietudine, forse complice il poco sonno che lo rendeva più sensibile del solito.
-Dunque, sto ascoltando.-
-Tsunayoshi kun... ti ho già detto che lavoro faccio, vero?- esordì Byakuran, con tutto il sentimento che gli riuscisse nonostante quella strana sensazione. -Lo sai che sono il capo del carcere per oppositori politici...-
-Certo che lo so.-
-Beh, potrei non esserlo ancora per molto...-
Tsunayoshi lo guardò negli occhi con serietà, il suo sorrisetto era scomparso. Byakuran si sentì più tranquillo, perchè i suoi grandi occhi color nocciola erano tornati quelli dello Tsunayoshi che conosceva, gli occhi di qualcuno dall'animo gentile... gli occhi di una persona che difficilmente gli avrebbe negato qualcosa di tanto importante. Più fiducioso allungò la mano per prendere una delle sue.
-Forse verrò condannato lo stesso per quello che ho fatto ad Haru chan... per quello che il ministro le ha fatto, e io non sarò solo sospeso... mi uccideranno, Tsunayoshi kun... soltanto tu puoi aiutarmi...-
Tsunayoshi lo guardò per un lungo momento ad occhi spalancati, prima che la sua bocca si tirasse in un sorriso sempre più largo. Alla fine scoppiò a ridere, sempre di più, sempre di più, finchè non gli mancò il fiato e gli vennero le lacrime agli occhi. Byakuran restò a fissarlo spiazzato. Era convinto che scherzasse o... cosa?
-Ahh, Byakuran, Byakuran... quanto sei patetico...-
Lo sguardo di Byakuran s'indurì di botto e i pugni gli si serrarono di riflesso per il fastidio. Se soltanto fosse stato uno dei suoi sottoposti a dargli del patetico, non avrebbe esitato un solo attimo. Invece l'attimo passò, Tsunayoshi si asciugò gli occhi e sospirò per riprendere il fiato dopo aver riso così tanto.
-Allora è questo il motivo per cui sei venuto a letto con me per un mese? Hai sopportato tutte quelle cose fastidiose che ho fatto di proposito perchè pensavi che io ti avrei salvato la vita subito quando me l'avessi chiesto?- domandò lui, il sorriso che scompariva. -Quanto mi credi ingenuo, Byakuran?-
-... Di proposito.- ripetè Byakuran, buttando alle ortiche ogni cautela. -Di che cosa parli?-
-Di tutto... era evidente che ti disgustasse toccarmi... era evidente che tutto quello che dicevo e che facevo ti desse fastidio... tu sei un carceriere, cerchi il controllo, e io non te l'ho mai lasciato prendere... per questo mi detesti... mi guardi come se non volessi altro che distruggermi...-
Impossibile negarlo, Byakuran lo fissava con gli occhi di una belva selvatica. Ma far scomparire Tsunayoshi sarebbe stato solo cacciarsi in più guai di quelli in cui già si trovava.
-E per quanto ti possa interessare, tu sei un piccolo mostro di bugie e di vanità e mi fai schifo.- aggiunse lui, accavallando le gambe.
-E allora perchè tutta questa scena?- domandò Byakuran tagliente. -Che ci hai guadagnato?-
-Perchè?-
Tsunayoshi diede in una risata, prima di posare il mento sulla mano e guardarlo come se non avesse mai visto una creatura più patetica e stupida in tutta la sua vita.
-Sesso fine a se stesso, Byakuran. L'ho fatto per questo.-
-Cosa?-
-Che c'è? Per chi mi hai preso?- domandò lui serio. -Ti hanno detto un sacco di cose di me, vero? Ti hanno detto di quanto sono predisposto al perdono, di quanto sono gentile... ma questo non significa che io sia un bambino puro... sono cresciuto nella corruzione e sono stato corrotto... sono stato cresciuto da un padre che ha sacrificato la moglie e il figlio alla sua idea di paradiso in terra... sono stato fidanzato con un uomo che mi tradiva e non ha mai avuto il coraggio di dirmelo... amico di qualcuno che ha venduto un amore vecchio di una generazione per non perderne uno nuovo... e amante di qualcuno disposto a sopportare quello che detesta maggiormente per salvarsi la vita. Come pensi che potrei ancora essere puro come credi?-
Byakuran fissava Tsunayoshi con una nuova miscela di odio che gli ribolliva nelle viscere. Somigliava molto al tipo di odio che nutriva per il patrigno che lo costringeva a seguire tutte le sue ingiuste regole e per la madre che gli scaricava sempre la colpa di ogni cosa, ma era più intenso, più... velenoso. Tsunayoshi lo aveva preso in giro come nessuno aveva mai osato fare nella sua vita. Aveva finto di essere diverso solo per avere quello che voleva, gli aveva dato l'illusione di aver vinto... era stato battuto al suo stesso gioco per la prima volta nella sua vita. Ma nemmeno lui, con la sua straordinaria sensibilità, era riuscito a vedere oltre la superficie di quegli occhi tristi, a vedere la malizia dietro la sua apparente spontaneità. Aveva sottovalutato Sawada Tsunayoshi, senza pensare che potesse valere la pena indagare più a fondo, vedere un po' oltre...
-Molto bene, Tsunayoshi kun. Hai vinto.- disse Byakuran, sporgendosi verso di lui. -Quindi ora smetterò di trattarti come un bambino e ti farò una proposta come la farei a un uomo d'affari... e stavolta il sesso ne resterà fuori.-
-Buon per te, Byakuran, perchè ho avuto amanti molto migliori, detto fra noi.-
-Anche io, compresa la mia mano sinistra, e io non sono mancino.- ribattè lui. -Quindi ora smetti di farmi incazzare e apri bene le orecchie, perchè non mi ripeterò.-
Per quanto il commento non fosse risultato gradito a Tsunayoshi, lui non ribattè. Forse il suo istinto di autoconservazione gli stava suggerendo che il suo interlocutore era al limite di sopportazione e che insistere poteva voler dire spingerlo oltre il punto di non ritorno... come aveva fatto il suo caro papino.
-Il consiglio vuole nominarti generale e probabilmente domani è il giorno in cui ufficializzeranno la loro decisione... e so che non aspetti altro, se non per il gusto di smantellare l'Haido pezzo per pezzo.-
-Altrochè.-
-Io ti offro qualcosa in cambio della tua carica.- disse Byakuran. -Accetta il grado di generale e subito dopo cedilo a me.-
-Non c'è niente che tu possa darmi che mi convinca a lasciare il comando a uno schifoso come te.-
-Dammi la tua carica, e io libererò il padre di Haru chan dalla prigione di Sekko... potranno tornare entrambi a casa e riprendere le loro vite come se niente fosse accaduto. Tutto scomparso.-
-Posso farlo anche da solo. Posso liberare tutti i prigionieri con una sola firma.-
-Ti spiego una cosa che non sai, Tsucchan.- disse Byakuran con un sorrisetto. -Anche se domani il consiglio decide che sarai il prossimo, occorreranno tre giorni perchè la tua firma valga quanto quella del tuo defunto padre... e in tre giorni io posso divertirmi quanto voglio con tutte le persone a cui tieni.-
Contrariamente a quanto sperava, Tsunayoshi non ebbe la minima reazione a quella minaccia.
-Ormai io non ho più nessuno.-
-Oh, davvero? Nemmeno la stessa Haru chan? O il tuo fratellino adottato, Basil kun?- fece lui in tono falsamente amabile. -Oppure, ad esempio... Hibari Kyoya chan?-
Tsunayoshi ebbe un tremito appena percettibile, ma il sorriso di Byakuran si allargò malefico. Finalmente la reazione che si aspettava...
-So che siete amici da un sacco di tempo... hai richiesto dei permessi spesso per andare a casa sua, nonostante lui sia uno di noi... ti piacerebbe se io passassi i miei ultimi due giorni di vita a sperimentare tutte le mie massime perversioni su di lui, in un posto dove non sarai mai più in grado di trovare i pezzi che resteranno?-
Tsunayoshi lo fissò con rabbia, ma non disse niente.
-Ovviamente, gli ultimi due giorni, perchè domani stesso io andrò a cercare qualche altro tuo amico... che ne so, magari Takeshi Yamamoto... oppure Mashiro, il tuo collega stagista della redazione... oppure... Nagi Dokuro...-
Non aveva bisogno d'altro, non dopo le due parole magiche.
-Dimmi quello che vuoi!-
-Ora ragioniamo, Tsunayoshi chan... sapevo che avremmo trovato un punto d'incontro, alla fine...-
-Avanti, che cosa vuoi? Vuoi la carica di generale?-
-Non solo, no... il nostro è un rapporto reciproco, mio piccolo subdolo topolino.- disse Byakuran, allungando la mano per sfiorargli il viso. -Quindi io ti darò qualcosa per avere qualcosa.-
Tsunayoshi si scostò al tocco e continuò a fissarlo con rabbia. Decisamente la situazione ora era molto più congeniale a Byakuran, era nel suo elemento e aveva il totale comando.
-Quello che ti darò è la libertà del padre di Haru chan, immediatamente... destituirò il ministro degli armamenti con la testimonianza mia, di Kikyo e di Haru chan e lo farò condannare per quello che le ha fatto... e poi, farò incarcerare anche l'uomo che si fa chiamare Lupo e che era spesso con noi in quel maledetto salotto... e ti regalerò il bambino che tiene al guinzaglio come fosse un cagnolino.-
-Un... un bambino?-
-Sì, ha la piccola perversione di maltrattare i bambini maschi, li tratta come cagnolini e vuole che si comportino di conseguenza... questo implica anche una serie di scene che indispongono persino me.- osservò lui con una smorfietta. -Comunque, potrai averlo e farne quello che preferisci... tienilo, o dallo agli assistenti sociali, come tu preferisci. Sarà comunque libero. Questo è il mio regalo per te, se tu accetti di darmi immediatamente la tua carica, senza toccare nessun altro editto.-
-E se mi rifiutassi?-
-Se ti rifiutassi di farlo, io ucciderò quel bambino, Nagi chan e Hibari Kyoya chan nei miei tre giorni di libertà... e credo che Mukuro sarà molto arrabbiato con te per non averli protetti...-
Un'espressione di sofferente rabbia invase il viso di Tsunayoshi, cancellando perfino la minima traccia della sua spavalderia. Il piacevole pizzicore che Byakuran soleva associare alla dolce vendetta gli invase il ventre. Era soltanto l'inizio, solo una piccola parte di quello che si sarebbe inventato per riscattare la sua umiliazione.
-Quello che ti garantisco è che sia tu che Basil kun servirete il mio nuovo regime... troverò un incarico adatto a entrambi, perchè sicuramente il ruolo che ho ricoperto finora non mi renderà apprezzabile dalle masse, mi servono il vostro cognome e i vostri faccini angelici... per quanto il tuo nasconda un essere umano depravato, in realtà.-
Tsunayoshi schivò un'altra tentata carezza e si alzò in piedi. La sua espressione di completa sconfitta era sublime, era bella quasi quanto la paura di Mukuro chan. Improvvisamente il carceriere dimenticò del tutto il rigetto che aveva provato per un mese e desiderò mettere le mani su quella bellissima visione. Lo seguì con lo sguardo fino alla porta.
-Ah, Tsunayoshi kun, ancora una cosa... tu continuerai a essere il mio amante.-
Lui si voltò con ferocia e l'espressione disgustata malcelata sotto una nuova cortina di irriverenza.
-Beh, cos'ha che non va la tua mano sinistra?-
-Vedi... ora io non ho più bisogno di essere carino con te e assecondare tutte le tue idiozie... ora decido io come e dove e quando... quindi tu non sei niente di più e niente di meno di qualsiasi altro giocattolo... e dato che ti faccio schifo, provo l'insaziabile desiderio di costringerti a stare con qualcuno che ti disgusta.-
-Vedrò di contrarre la gonorrea da qualche parte apposta per te.-
Tsunayoshi uscì dalla stanza sbattendo la porta così violentemente che i bicchieri del minibar tintinnarono come fosse in corso un brindisi. Byakuran sorrise e si alzò stiracchiando le braccia. Era fatta, ormai. Il consiglio aveva già deciso, cercavano soltanto un vice con l'esperienza per affiancare Tsunayoshi, ma a lui non importava. Hibari Kyoya non si sarebbe fatto rivedere, si nascondeva da qualche parte insieme a Mukuro, e Basil avrebbe sicuramente seguito il volere del fratellino qualsiasi cosa succedesse. Il parere dell'ultimo membro era irrilevante. Avrebbe avuto la carica, sarebbe stato il generale supremo dell'Haido, non avrebbe più dovuto rispondere a nessuno delle sue decisioni....
Si lasciò cadere sul letto sentendosi più felice e leggero che mai. Avrebbe soltanto voluto che Mukuro fosse con lui, potergli raccontare come era riuscito in una simile monumentale impresa. Avrebbe voluto dirgli che non avrebbe più dovuto restare nascosto in un carcere ai confini del mondo. Raggomitolandosi su un fianco, si chiese se Mukuro non avrebbe accettato di tornare da lui quando fosse diventato generale... avrebbe potuto cambiare quello che a Mukuro non piaceva e forse ai suoi occhi sarebbe stato un eroe...
Sospirò profondamente mentre scivolava nel sonno, confondendo le carezze sulla sua testa con una fantasia onirica.
-Sei stato bravissimo, Byakuran.- disse da molto distante la voce di Kikyo. -Ora puoi riposare tranquillo.-
Byakuran sorrise senza riaprire gli occhi e ascoltò i passi del capitano lasciare la stanza, quasi soffocati dal tamburellare della pioggia intensa. Chissà se Mukuro chan gli avrebbe detto la stessa cosa, quando finalmente si sarebbero rivisti...

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Capitolo 45
*** La peggiore delle ipotesi ***


-Ahia! Porca pu...-
Hibari Kyoya si succhiò le uniche due dita che gli erano rimaste senza cerotti, l'indice e il medio della mano destra, cercando con occhi disperati qualcosa che non riusciva a vedere sul bancone o sul tavolo della cucina. Sibilando una lunga serie di parolacce afferrò la presina con la mano sinistra, spalancò lo sportello del forno con il gomito e trasse in salvo la terrina. Troppo tardi, a giudicare dall'odore di bruciato che ne saliva e dal colore decisamente troppo scuro. Non aveva tempo per deprimersi per quello, così si legò un fazzoletto attorno alle dita ustionate e tentò di salvare almeno le crocchette fritte, ma quelle si stavano slealmente scurendo più in fretta di quanto riuscisse a toglierle.
-Fanculo!-
Afferrò la padella con la mano sinistra e la rovesciò dentro il lavandino, dove l'olio schizzò pericolosamente prima di scendere nello scarico, lasciando le crocchette quasi salve e fumanti.
-È pronto.- annunciò in tono piatto, ammucchiandole a fatica con le bacchette in una ciotola.
-Cosa?- domandò Gokudera con aria annoiata dall'altra parte del capanno, sollevando la maschera protettiva da saldatore. -Che cavolo hai detto?-
-Ho detto che è pronto, cazzo!- sbottò Hibari di rimando. -Che cosa cavolo potrei aver mai detto?!-
-Ma che cazzo ne so, sono due ore che imprechi!-
-Oya, oya... non state litigando, vero?-
Mukuro scese la scala che dava sul piano di sopra, strofinandosi un occhio. Hibari lo guardò, ma come sempre non disse niente. Gli aveva già ripetuto tante volte che avrebbe dovuto dormire di più, ma non gli dava retta e ultimamente era diventato facilmente irritabile a qualsiasi rimostranza che Kyoya gli facesse.
Dalla stanza sul retro arrivarono anche Chikusa e Madeleine, quest'ultima storse il naso quasi immediatamente e guardò il tavolo con aria critica.
-Che cosa dovrebbe essere quella roba? Cibo?-
-Ehi... io pensavo che fosse la saldatura a puzzare di bruciato, non il pranzo.-
Gokudera battè con la bacchetta la superficie della terrina, che rimandò un rumore di plastica come fosse un piatto giocattolo per bambine. Anche l'insegnante storse il naso come la ragazza e Chikusa fece un sospiro di rassegnazione senza proferire motto. Mukuro stiracchiò un sorriso, seppur sapendo che l'umore generale era pessimo.
-Apprezzate lo sforzo, Kyoya non brucia mai le stesse cose, ci mette fantasia...-
Hibari incrociò le braccia fissando un punto indeterminato del pavimento. Ormai ci aveva fatto l'abitudine, dopo quasi un mese, ma questo lo rendeva ancora più frustrato. Per quanto tempo ancora gli sarebbe stato chiesto di cucinare? E soprattutto, per quanto tempo avrebbe ancora rovinato qualsiasi cosa commestibile gli fosse finita in mano?
-Sopra è carbonizzato e sotto è completamente crudo.- sentenziò Gokudera, dopo aver aperto la pietanza come un cadavere in autopsia. -Merda, non credevo che esistesse qualcuno in grado di fare peggio di Tsuna!-
-Non sai fare proprio niente, sei inutile!- rincarò Madeleine.
-Se tu sei tanto brava, perchè non cucini tu?!- sbottò Hibari, tirandole lo straccio in grembo. -Cucinare è una prerogativa delle donne, tu sei una donna, no?! Cucina tu!-
-E un uomo dovrebbe sapersi rendere utile! Tu non sai fare niente!- ribattè lei. -Metti tu a punto un motore mentre io cucino? Eh? Vai tu a fare i sopralluoghi, a mettere le telecamere, a collegare i sistemi mentre io cucino?!-
-Kyoya, non dire certe sciocchezze sessiste.- disse Mukuro. -E smettila anche tu, Madeleine... Kyoya fa del suo meglio, non è colpa sua se non sa cucinare.-
-Forse no, ma sarà colpa sua se moriremo di fame...- borbottò sottovoce Chikusa, lasciando le due metà di una crocchetta anch'essa cruda all'interno. -Vorrei che Nagi fosse qui.-
Anche Hibari avrebbe voluto che ci fosse Nagi a cucinare, così sarebbero stati tutti contenti e avrebbero smesso di umiliarlo in quel modo tre volte al giorno. Ma Madeleine non aveva tutti i torti, per l'utilità che aveva avrebbe anche potuto tornarsene a casa e aspettare il momento a cui Mukuro sarebbe servito un uomo in più in battaglia.
-Che schifo!- esclamò Gokudera sputando la crocchetta cruda. -Ma tu senza Yamamoto non sai fare proprio niente!-
-È per questo motivo che arrivava sempre prima per aiutarmi!- fece Hibari piccato. -Potresti fare lo stesso e aiutarmi, invece di lamentarti sempre!-
-Nel caso non l'avessi notato io sto lavorando!-
-Ah, certo! Perchè io mi sto divertendo a tagliarmi le dita e bruciarmi le mani, vero?- ribattè Hibari con una voce insolitamente stridula. -Mi diverto a stare qui a sentire voi che mi insultate e vi lamentate che non so fare niente, con le bolle sulle dita e il cibo che è da buttare! È proprio uno spasso!-
-Neh, neh, che ne dite se stavolta prendiamo un po' di cinese da asporto?- domandò Mukuro in tono leggero, come proponesse una gitarella allegra.
-Di nuovo? Io ho quei cavolo di spaghetti che mi escono dalle orecchie!-
-Mangia dei ravioli stavolta.- ribattè Mukuro improvvisamente acido. -Madeleine, vai tu, per favore.-
-Fa freddo, non mi va!-
-Vacci e basta.- le disse con lo stesso tono.
-Non solo non servi a niente, ma mi fai anche perdere tempo utile!- sibilò Madeleine all'indirizzo di Hibari. -Se sei qui per intralciarci puoi tornartene con il culo al caldo a casa tua!-
Hibari non rispose. Mise tutto il suo impegno per evitare di urlarle qualcosa di davvero sgarbato in faccia, mordendosi il labbro. Senza guardare niente e nessuno rovesciò le crocchette sopra la terrina, la prese con il guanto da forno e si mosse verso la porta laterale del capannone, che dava sullo spiazzo. Scivolò come un pesciolino sfuggente nella corrente oltre il braccio di Mukuro che aveva tentato di trattenerlo e andò fuori, chiudendosi la porta alle spalle.
Si lasciò sfuggire uno strano suono, simile a un singhiozzo, prima di schiantare tutto quello che aveva in mano in un grosso bidone di alluminio vicino alla porta. La terrina finì in pezzi, ma Hibari era talmente fuori di sè che lanciò un urlo rabbioso e tirò un calcio al bidone facendolo rovinare due metri più avanti. Implacabile lo raggiunse e iniziò a calpestarlo con furia senza smettere di urlare come un ossesso. Il suo cervello si era spento un po' come era accaduto nel suo vecchio appartamento vicino alla piazza di Namimori ed esattamente come allora aveva il bisogno di distruggere qualcosa. Si fermò solo quando il bidone fu praticamente piatto e pieno di bozze e lui non ebbe più fiato.
-Hai finito, ora?-
Hibari si voltò lentamente verso Mukuro e abbandonò i poveri resti del bidone, con le crocchette smaciullate in mezzo al prato punteggiato di quello che restava della neve.
-Ho finito.-
-Perchè l'hai buttato? Io l'avrei mangiato lo stesso, sai?- fece lui, sorridendogli. -Io non potrei mai buttare via qualcosa per cui ti sei così tanto impegnato... per quanto schifo possa fare.-
-Devi avere molta voglia di morire.- commentò Hibari, sentendosi più depresso che mai.
Mukuro allungò le mani e gli fece sollevare le braccia, studiando con vago interesse la buona decina di cerotti che aveva attorno alle dita e sulle mani. Non lo trovava più strano, tra bruciature, tagli e le volte che era stato punto o attaccato da qualcosa (quando erano stati fortunati da trovare crostacei vivi a bassissimo prezzo) le sue mani erano inutilizzabili. Ormai poi la mano destra aveva una forma ergonomica che si adattava perfettamente al manico della scopa. Fare le pulizie e cucinare, ecco i suoi grandi contributi per salvare il Giappone dalla tirannia...
-Hai proprio una brutta bruciatura qui...- disse Mukuro guardandogli le dita appena ustionate. -E anche qui... e qui, anche...-
-Incredibile per uno che non riesce a cuocere niente, non credi?- fece lui, sconfitto. -Se soltanto non sapessero che ti ho aiutato a evadere, farei davvero meglio a tornarmene a casa... qui non vi servo a niente, vi faccio solo perdere tempo... non vi sono di nessun supporto...-
-Kyoya, non dirlo nemmeno... io ho bisogno che tu sia qui... mi sento al sicuro se sei con me.-
L'altro, seppur colpito dalla fermezza con cui aveva pronunciato quell'ultima frase, non rispose.
-Senti... Mukuro...-
Hibari nell'ultimo periodo aveva avuto molto tempo per riflettere sulla sua vita, su tutto quello che era il passato, e si era posto delle domande a cui non aveva saputo dare alcuna risposta. Pensieri angoscianti e scuri come fumo si addensavano tutte le sere appena posava la testa sul cuscino nella sua branda al piano di sopra, mentre vedeva la schiena di Mukuro che ancora lavorava a qualcosa al suo tavolo ingombro di scartoffie, le cuffie nelle orecchie per non disturbarlo con la sua musica. In realtà negli ultimi giorni a malapena gli parlava e gli diceva buonanotte.
-Mukuro... che cosa... che cosa trovi in me che ti piace così tanto?- gli chiese, sebbene già avesse paura della sua risposta, o del suo silenzio. -Io non sono mai stato gentile con te... ti ho sempre trovato fastidioso, arrogante e superficiale... ho fatto tutto quello che potevo per evitarti, e per cambiarti... tu... tu perchè mi vuoi così tanto?-
In un primo momento Mukuro lo guardò stranito, come se quella domanda in quel frangente gli facesse paura. Poi però sorrise nel modo più dolce che Hibari avesse mai visto e le sue braccia lo strinsero con la stessa forza della notte in cui lo aveva salvato dal carcere per gli oppositori politici, ma questa volta non c'era nessuna disperazione nel suo abbraccio. Semmai, una sconosciuta, infinita tenerezza.
-Oh, il mio piccolo Kyoya... una creatura con l'ego di un dio e le debolezze del più umano dei ragazzini... egocentrico, aggressivo, chiuso in sé stesso come un riccio, impaziente, irragionevole, bisbetico, arrogante, permaloso, intransigente, lunatico e scorbutico...-
-Do... dovrebbero essere dei complimenti?!-
-Kyoya, tu sei così... e sei perfetto così... io non cambierei niente di te, e non ti cambierei con nessun altro al mondo... ai miei occhi tu sei un principe splendente...-
Hibari lo fissò, preso completamente in contropiede da quella dichiarazione tanto devota subito dopo un elenco di difetti caratteriali sgradevole quanto veritiero. Nonostante il freddo pungente che faceva lì fuori, si sentì il viso improvvisamente caldo e gli occhi che bruciavano. Si liberò del suo abbraccio e tentò di asciugarsi l'occhio furtivamente, senza successo.
-Oh? Stai piangendo, Kyoya?-
-C-certo che no! Mi è solo.... solo...-
-... Finita un po' di commozione nell'occhio?- completò lui in tono divertito.
-Idiota!- sbottò Hibari senza guardarlo, assestandogli uno spintone. -Tu invece non sei perfetto per niente e mi fai schifo! Fai talmente schifo che bisognerebbe riconcepirti da capo, e io ti odio!-
-Mh, sì... anche io ti amo, Kyoya.-
Hibari inspiegabilmente aveva voglia di ridere e non riuscì a trattenersi che per qualche istante. Mukuro rise con lui accarezzandogli la guancia. Faceva così freddo che a malapena riusciva a sentire il suo tocco sulla pelle, ma le condizioni atmosferiche svanirono dalla sua mente del tutto quando lui lo baciò sulla bocca come aveva già fatto quella che pareva una vita precedente, quattro mesi prima. Stavolta però il corpo di Hibari reagì in modo completamente diverso da allora, sentiva una specie di solletico venire dall'interno, il suo petto era leggero... non aveva idea di che tipo di sensazione fosse, ma gli piaceva davvero. Era la prima volta che ricambiava un suo bacio, era proprio come fosse la prima volta in assoluto...
-Fa freddo qui... torniamo dentro?- chiese alla fine Mukuro, tenendogli le mani gelate.
-Io... ho bisogno di stare un momento da solo.- disse Hibari. -Soltanto un momento...-
-Non farmi stare in pena, Kyoya.-
Mukuro gli lasciò le mani e rientrò dalla porta laterale. Hibari attese di sentirlo muovere qualche passo all'interno prima di fare un gran sospiro e lasciarsi andare contro il muro a guardare il cielo grigio chiaro uniforme. Aveva bisogno di un momento... solo un momento. Non voleva che qualcuno lo vedesse emozionato come una ragazzina solo per aver dato un bacio a Mukuro. Sorrideva così tanto le guance intorpidite dal freddo gli facevano male. Era solo un bacio, però Hibari non si era mai sentito più felice di così.


Dopo che tutti si furono ben rimpinziati di piatti cinesi take away, lentamente le diligenti api operaie di Kokuyo, come Mukuro le definiva scherzosamente, tornarono a dedicarsi ai loro complessi lavori. L'ape regina Mukuro tornò di sopra a occuparsi di misteriose cartine che Hibari non era mai riuscito a leggere, Chikusa e Madeleine tornarono sul retro a occuparsi di motori, circuiti e chissà che altro, mentre Gokudera tornò al suo angolo a saldare pezzi di lamiere e smartellare a intervalli. Non aveva il minimo interesse per quello che faceva Hibari, al punto che gli voltava le spalle.
Kyoya non aveva praticamente niente da fare nemmeno quel giorno, come quasi ogni altro. Se nessuno aveva bisogno di aiuto a spostare qualcosa di pesante aveva di fatto le mansioni di una cameriera, pulire e cucinare, probabilmente le due cose che più detestava fare nell'universo. Tuttavia quel pomeriggio aveva in corpo tutto un nuovo spirito, quindi si mise d'impegno non appena tutti furono tornati al lavoro: diede una ripulita all'angolo del capannone in cui c'erano la cucina e i tavoli e si mise con la massima concentrazione e calma a preparare qualcosa per la cena. A casa gli era capitato tante volte di preparare il curry in una quantità industriale e ritrovarsi a mangiarne per settimane di seguito. Se solo avesse preso le precauzioni del caso e fosse rimasto calmo, sapendo di avere tutto il tempo e le capacità, come avrebbe potuto sbagliare?
Hibari non aveva mai guardato una serie intera di cartoni animati, non avendone tempo nè grande interesse, ma quando qualche ora più tardi si decise a prendere coraggio e assaggiare quello che aveva preparato non riuscì a evitare di immaginare sè stesso prenderne una mestolata e infilarla al volo nella bocca di quei tre deficienti come fosse una scena comica di un anime. Secondo il suo gusto, era senza dubbio la cosa migliore che avesse mai cucinato. Si mise a fare le porzioni nei piatti cercando di sembrare distaccato come tutte le altre volte.
-La cena è pronta.-
-Ugh... già ora della sbobba?- commentò Gokudera, alzandosi dalla sua postazione.
-Se la pensi così puoi anche non mangiarla.-
-Si dovrà pur vivere di qualcosa... spero.-
-Mukuro!- lo chiamò di nuovo Hibari affacciandosi alle scale. -Mukuro, si mangia!-
-Si spera.- commentò Madeleine.
-Io ho fame.- disse Chikusa annusando il piatto. -È abbastanza commestibile per me.-
Hibari restò nei pressi della scala come se aspettasse Mukuro, in realtà attendeva con impazienza i commenti di quei tre lamentosi. Dovette sforzarsi per non voltarsi quando sentì tintinnare le posate, poi finalmente Mukuro scese le scale di corsa asciugandosi le mani nella maglietta.
-Stavo finendo una cosa... cos'è, curry? Mi sembra di non mangiarlo da una vita!-
-A me sembra di non mangiare da una vita.- bofonchiò Gokudera masticando.
-Gokudera! Hai sputato un chicco nella mia direzione!-
-Non è vero.-
-Ma se ti ho visto! Chikusa, tu l'hai visto?-
-Ne avete di energia per essere tre morti di fame, no?- osservò Mukuro allegramente mentre si serviva da solo un piatto, ignorando quello che era già pronto vicino alla pentola. -Stavolta non sembra bruciato per niente, no? Ha un aspetto magnifico, Kyoya.-
-Allora mangia.- disse semplicemente Hibari.
Sempre con l'intento di non voler sembrare in attesa di complimenti, Hibari prese il telecomando della piccola tv e l'accese, lasciandolo poi sul tavolo. Era consuetudine che si scatenasse una lotta per il controllo della televisione all'ora di cena, con tre individui criticoni che volevano vedere tre programmi diversi nel poco tempo che si potevano concedere di pausa. Infatti subito dopo Gokudera prese il controllo e mise sul suo canale preferito, innescando la lite.
-Mh, Kyoya, è buonissimo! È fantastico, lo vedi che sei capace anche di cucinare?-
-Oeh, buonissimo... è commestibile, non esageriamo.- commentò Gokudera, mentre cercava di strappare il telecomando a Madeleine.
-Voglio mangiarne fino a scoppiare.- disse Mukuro, riempiendosi il piatto.
-Aspetta... aspetta, che fine ha fatto il piatto che ti sei preso prima?-
-... L'ho mangiato, no?-
Hibari restò a guardarlo basito mentre si riempiva il piatto e mangiava guardando lo zapping frenetico sulla televisione. Come aveva fatto a mangiarsi tutta quella roba in un paio di minuti? A fatica si riprese e decise di mangiare anche lui, prendendo il piatto già pronto. A suo parere, era davvero buono, se Gokudera era in grado di farlo meglio si accomodasse pure ai fornelli se voleva.
Dopo una lunga serie di quiz interrotti, frammenti di documentari e stralci di soap opera il canale cominciò a dare segnali di disturbo. Mukuro smise all'istante di mangiare e fissò il televisore come se avesse appena avvistato un nemico pericoloso, ma lo schermo era semplicemente fermo su un canale non registrato e c'erano solo puntini bianchi.
-Mukuro, cosa...?-
-Arriva.- disse lui, senza togliere gli occhi dallo schermo.
-Arriva chi?-
In quel momento apparve la classica schermata blu delle comunicazioni istituzionali e una voce di donna annunciò che stava per seguire una importante comunicazione da parte dell'Alto Consiglio e che la trasmissione era in onda su tutti i canali della nazione. Hibari sentì un brivido dietro la nuca. Se il consiglio annunciava qualcosa, avevano forse trovato un nuovo generale, oppure...?
-Che cosa...?-
-State zitti.- sibilò Mukuro. -Zitti!-
La prima cosa che tutti notarono nella sala conferenze di Edo davanti al banco e sommerso dai microfoni fu l'inconfondibile viso di Tsunayoshi Sawada. Hibari però per un attimo dubitò che fosse davvero lui, il suo sguardo era molto diverso da quello che ricordava di avergli sempre visto, aveva l'aria più vissuta e matura che mai, complice anche un abbigliamento estremamente formale. Esaurita una primissima scarica di flash, Tsuna spostò uno dei fogli che aveva davanti e cominciò a parlare con una voce più profonda di quella che Hibari gli attribuiva a memoria.
-Buonasera, popolo del Giappone.- esordì. -Io sono Sawada Tsunayoshi e ho avuto dal consiglio il grande onore di rivolgermi a voi dalla capitale per mettervi a conoscenza del fatto... che i ministri e gli esponenti militari che compongono l'Alto Consiglio dell'Haido hanno preso una decisione importante.-
-È.... il prossimo?- domandò confuso Hayato, guardando tutti in cerca di conferme.
-Il giorno 9 gennaio di quest'anno, mio padre... il generale Sawada Iemitsu... si è spento troppo presto, lasciando molte riforme incompiute, molte ferite da curare... e nessun erede ufficiale della sua missione... ora, in questo venerdì 14 febbraio, io sono onorato di dirvi che i rispettabili membri anziani hanno ritenuto che io fossi all'altezza di fare come lui... meglio di lui.-
Tsuna chiuse gli occhi per un momento mentre i flash della sala gremita lo abbagliavano. Gli piovvero addosso una valanga di domande confuse a cui non risponse mentre Hayato guardava dal televisore a Mukuro con gli occhi verdi spalancati. Anche Hibari alzò gli occhi su Mukuro e vide la sua espressione corrucciata e incredula, come se non riuscisse a spiegarsi che cosa stesse succedendo. In effetti, i timori di Mukuro erano ben altri... possibile che si fosse sbagliato per la prima volta? Che Byakuran l'avesse terrorizzato al punto da confondere la sua sensibilità ultraterrena?
-Per favore, non ho finito.- disse Tsuna, alzando la voce sopra le domande a ripetizione. -Non ho finito, per favore, lasciatemi andare avanti.-
Dietro le spalle di Tsuna si mosse qualcosa, un movimento che fece oscillare il tendaggio rosso e lo stendardo dell'Haido. Stranamente, a Hibari quel dettaglio fece venire una strana sensazione di inquietudine, come quando si guarda un film dell'orrore e si intravede qualcosa di soprannaturale dietro il protagonista, sullo sfondo.
-Io ringrazio molto il consiglio della fiducia che mi ha accordato, ma io non ho ricevuto nessuna formazione militare, nè politica... chi mi conosce sa che il mio lavoro è il vostro, sono un giornalista... e inoltre... le perdite personali che ho subìto per via delle leggi dell'Haido possono influenzare molto il mio operato, forse troppo... è per questo che ho trovato una persona degna della massima fiducia, un mio intimo amico...-
Hibari strinse gli occhi dubbioso. Non aveva idea di chi fosse la persona di cui parlava, ma l'espressione di disgusto che gli sembrava di cogliere sul viso di Tsuna la diceva lunga sulla massima fiducia che doveva riguardare quell' "intimo amico". Alzò gli occhi su Mukuro, che era diventato talmente pallido da fargli temere che stesse per svenire.
-Una persona a cui affiderei me stesso, di grande intelligenza, carisma e con la lungimiranza che serve per guidare questo paese in un futuro più radioso di quello a cui aspirava mio padre.- disse Tsuna, riprendendo quel tanto di passione che bastò a cancellare il suo attimo di debolezza. -È con grande piacere... e un profondo onore... che vi presento il prossimo generale supremo di Haido... Byakuran Gesso.-
Hibari girò la testa così bruscamente verso la televisione che si fece male al collo. Non credeva ai suoi stessi occhi, ma da dietro la tenda rossa vide uscire proprio lo stesso uomo che aveva gioito così selvaggiamente della punizione sanguinosa di Mukuro, lo stesso capitano sadico che aveva avuto l'occasione di incontrare al suo unico salotto con i capitani... lo stesso orribile individuo che aveva fatto cose irripetibili alla persona che amava. Era un'idea così raccapricciante che non riuscì a staccare gli occhi dal suo sorriso mentre prendeva il posto di Tsuna e guardava dritto davanti a sè.
-Ringrazio moltissimo il mio caro amico Tsunayoshi per il grande onore e l'immensa responsabilità che mi affida oggi davanti a tutti voi.- disse lui gioviale. -Impiegherò tutte le mie migliori risorse per migliorare i... perdonatemi... molti difetti che questo regime ha ancora oggi. Usufruirò di tutta l'esperienza dei miei senpai e dell'entusiasmo dei miei kouhai... ah, forse non dovrei chiamarli così... in ogni caso, io ho un'idea splendida di questo magnifico paese... e non è esattamente come vedo la realtà di oggi, per questo interverrò anche con la forza dove è più necessario.-
-Che cosa intende dire, generale?- domandò a bruciapelo un giornalista in prima fila.
-Voglio dire che ho potuto assistere a scene che in una società civile non dovrebbero mai aver luogo.-
-Tch, quanto sei viscido.- borbottò Mukuro con un sorriso amaro. -Infido serpente bugiardo.-
-Queste scene non dovranno ripetersi mai più, non importa chi le faccia ai danni di chi... per questo il mio primo editto riguarda le carceri e prevede l'abolizione del carcere duro, la soppressione definitiva del ministero delle punizioni e la chiusura del carcere di Sekko per gli oppositori politici.-
Un mormorio scioccato percorse l'intera sala conferenze, tutti sembravano troppo sconvolti per fare qualche domanda specifica. L'unico dentro il campo della telecamera che sembrava del tutto tranquillo era Tsuna, in piedi vicino a Byakuran come se sapesse quel discorso a memoria. Hibari si chiese se non fosse effettivamente così, se non fosse tutto calcolato e deciso a tavolino.
-Tra le misure che intendo adottare a breve c'è anche l'abolizione della categoria B delle derrate alimentari, che rientreranno di diritto nella categoria A... in pratica, ci vorrà ancora una licenza per commerciare questi prodotti per la sicurezza dei consumatori, ma torneranno ad essere di libera importazione e accessibili a prezzo modico a tutte le famiglie, senza nessuna restrizione.- spiegò Byakuran, prima di sorridere. -E vorrei ricordarvi che nella categoria B c'è anche il cioccolato, quindi penso che i bambini mi vorranno bene per questo.-
-Mu... Mukuro?-
Mukuro trascinò rumorosamente la sedia di fronte al televisore e vi prese posto a cavalcioni, incrociando le braccia sullo schienale. Non era più pallido come prima, ma aveva uno sguardo assetato di sangue che faceva venire i brividi. Hibari non gli aveva mai visto fare una faccia che ci somigliasse in tutta la vita.
-Andatevene.-
-Cosa?-
-Ho detto andatevene! Se avete tempo da perdere piuttosto lavorate!-
Il tono non ammetteva alcuna replica e dopo qualche esitazione i tre lasciarono il tavolo della cucina per tornare al loro lavoro, nel retro e nell'angolo del capannone. Hibari non aveva una vera e propria mansione, quindi pensò di poter restare con lui ad ascoltare il resto della trasmissione. Si sbagliava.
-Vattene, Kyoya.-
-Ma...-
-Vai a dormire.-
Hibari avrebbe potuto sentirsi offeso per essere stato mandato a dormire alle nove e mezzo come fosse un bambino delle elementari o un cane disobbediente mandato a cuccia, ma qualcosa nello sguardo di Mukuro smorzò del tutto la sua rabbia. Non aveva mai visto quelle sopracciglia sottili così aggrottate, i suoi occhi così serrati da sembrare fessure da cui scintillava qualcosa di blu. Capì senza bisogno di altro che questo era il suo momento per restare solo, aveva bisogno di rimanere in silenzio senza essere guardato per... assimilare la realizzazione delle sue peggiori ipotesi? Riflettere? O semplicemente per sentirsi libero di avere paura, un sentimento che sembrava non abbandonarlo mai ogni volta che sentiva nominare quel capitano?
Hibari sgomberò velocemente il tavolo e si avvicinò a Mukuro alle sue spalle solo per abbassarsi e dargli un bacio sul viso, che sembrò infastidirlo come poche altre cose che gli aveva fatto da quando si conoscevano. Confuso da quell'improvvisa freddezza, Kyoya gli augurò la buonanotte e salì le scale senza voltarsi finchè non fu in cima.

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Capitolo 46
*** L'idolo di gesso ***


Tsuna Sawada percorse il corridoio dell'albergo mentre le luci in strada venivano abbassate per l'inizio del coprifuoco. Le fissò trucemente come se ognuna di loro gli avesse fatto un torto personale e si allentò la cravatta celeste. Adesso che la conferenza era finita cominciava a sentirsi debole, aveva le gambe che faticavano a sorreggerlo, si sentiva impacciato dentro quel vestito elegante e tutto quello che desiderava era togliersi tutto quanto, farsi una doccia bollente, infagottarsi in un caldo pigiama orrendo che gli aveva comprato sua madre anni prima e dormire per sempre. Non voleva affatto affrontare le conseguenze della sua decisione di affidare l'intero paese a Byakuran. Che cosa avrebbe pensato di lui Mukuro, se fosse stato ancora in vita? Avrebbe accettato anche lui di scendere a compromessi per salvare la vita a Hibari e a Nagi, oppure avrebbe rifiutato e trovato una soluzione alternativa? Sarebbe stato disgustato dalla sua debolezza? Sarebbe stato indignato che il suo migliore amico, che non era neanche riuscito a salvarlo, cedesse alle minacce dell'uomo che lo aveva detenuto per i suoi ultimi giorni sulla terra? Tsuna si sentì improvvisamente più sporco che mai, soprattutto per aver anche solo concepito di usare un uomo simile come suo amante. Gli veniva la nausea a pensare che Byakuran potesse avere intenzione di farlo di nuovo anche quella stessa sera...
Fissò la stanza numero quattrocentocinquantasette con ansia crescente, aveva un desiderio tremendo di scappare e scappare, correre fino ai confini del mondo finchè non fosse semplicemente passato dall'altra parte... ma doveva onorare il suo patto con il demonio, o quello si sarebbe preso tutto ciò che restava di quello che amava in quella vita. Senza bussare, abbassò la maniglia ed entrò.
La stanza che vide era disordinata, era piena di bottiglie di birra vuote, bicchieri che recavano fondi di vino rosso o tracce della schiuma bianca, portacenere pieni di residui di tabacco di sigaro e mozziconi di più comuni sigarette. C'era puzza di alcol e di fumo, macchie sulla moquette e sul tappeto e soprattutto... gocce di sangue sulla parte bassa della tenda della finestra. Tsuna impallidì e si chinò a guardare. Non c'era dubbio, erano gocce di sangue. Per terra, pareva, quello che restava di crocchette simili a quelle che mangiava Uri. Non ci capiva più niente, Byakuran si era dato a un folle festino nella mezz'ora che avevano passato separati o che cosa?
-Benvenuto, Tsunayoshi kun.- disse la voce di Byakuran alle sue spalle.
Tsuna sussultò e si affrettò a rialzarsi. Nella scarsa luce della stanza non aveva notato il capitano (no, il Generale) nell'angolo cieco dietro la porta della camera. Non era solo, con lui c'erano due miliziani in uniforme verde scuro, della polizia carceraria. Non aveva idea di cosa facessero lì e temette che fossero lì per lui, per arrestarlo. In fondo, nulla gli impediva di sostenere che Tsuna avesse cercato di ucciderlo e condannarlo per terrorismo prima che la pena di morte e il ministero delle punizioni fossero aboliti. Non se ne sarebbe stato sorpreso...
-Byakuran... che storia è questa?-
-Sei stato molto bravo, Tsunayoshi kun, sei stato di parola... quindi anche io sarò di parola, il nostro patto sarà rispettato... io non farò niente ai tuoi amici... anzi, farò qualcosa di bello per loro.-
-Il tuo concetto di bello è assai discutibile.- osservò Tsuna.
-Se non ci credi, guarda questo.- disse lui allegro, porgendogli un foglio dall'aria ufficiale e firmato da lui. -Questo è un ordine di scarcerazione immediata per il padre di Haru chan... ovviamente, sarà effettivo dopo tre giorni dalla nomina ufficiale del consiglio, quindi domani dopo mezzogiorno. Haru chan può andare a prenderlo, la copia originale di quel foglio è già stata mandata al Sekko ieri sera.-
-Posso tenerlo io?-
-Naturalmente, voglio che sia tu a tenerlo.- gli disse Byakuran sorridendo. -Come promesso, ho anche deciso che cosa potete fare tu e Basil kun per me... tu, Tsunayoshi, sarai l'addetto stampa dell'Haido, qualsiasi informazione passerà da te per arrivare alla stampa nazionale... deciderai tu che cosa è meglio che io dica e cosa no, un bel salto di carriera da quando facevi fotocopie e scrivevi trafiletti nella pagina culturale, vero?-
Tsuna fissò Byakuran, molto più sorpreso di quanto ricordasse di essere mai stato. Lui, addetto stampa dell'Haido? Lui che decideva quali informazioni rendere pubbliche e quali no? Era una grossa responsabilità, anche se era sempre a rischio di finire sotto corte marziale, aveva un notevole potere comunque... se aveva deciso di dargli un simile ruolo doveva avere già le spalle coperte in ogni caso...
-E Basil kun sarà commissario al ministero della giustizia... perchè al posto del ministero delle punizioni istituirò una commissione speciale di revisione, in modo che chi sia stato giudicato colpevole durante il processo potrà appellarsi alla commissione speciale e ottenere una revisione del processo o della pena. Come ti sembra? Ti piace questa idea? Basil kun sarà il commissario a capo di questo organo...- disse lui, con tutta la tranquillità del mondo, come assegnasse ruoli per una recita scolastica. -Naturalmente voglio che faccia un corso ben strutturato di legge nel tempo che servirà a demolire il ministero e ricostruirlo...-
-Non capisco se vuoi prendermi in giro o no... io addetto stampa? Basil a capo di una commissione per rivedere i processi in favore del condannato? Ti sei bevuto il cervello?-
-Io non mentivo quando dicevo di volere un paese splendido... in fondo, se soltanto ci fosse stata una commissione del genere anzichè il ministero delle punizioni, Mukuro kun non avrebbe dovuto subire tutto quello che abbiamo visto, non credi?-
Tsuna avvertì una stretta al cuore, ma il suo stupore raggiunse un livello inimmaginabile quando vide quanta tristezza c'era sul viso di Byakuran. Non sapeva spiegarsela e non seppe cosa dire, nemmeno cosa chiedere.
-Mukuro kun... era tuo amico, vero?- domandò lui, il sorriso scomparso del tutto. -L'ho conosciuto anch'io quando era in carcere... una persona stupenda, ne convieni? Così intelligente, così... pura... il suo modo di pensare era così incorruttibile, al punto di morire per quello in cui credeva... non ho mai visto un uomo con così tanto coraggio... aveva paura di me, aveva paura di quello che potevo fargli, del dolore che avrebbe patito durante la sua esecuzione... aveva paura di piangere come un bambino e di mostrare a tutto il Giappone che l'uomo che avevano chiamato eroe non era altro che uno qualunque, che soffriva, sanguinava e moriva... nonostante questo ha affrontato il suo destino... Rokudo Mukuro mi ha conquistato, non posso negarlo.-
-Tu... tu non sai niente di lui.- ribattè rabbioso Tsuna, cercando di trattenere le lacrime. -Mukuro è stato un eroe per tutta la sua vita! Difendendo la sua famiglia con tutto quello che aveva, continuando ad amare la stessa persona per tredici anni senza mai vacillare, senza cedere alle lusinghe di altri, senza cedere alla rabbia, alla solitudine...-
Tsuna strinse i pugni con forza. Mukuro era stato così forte da non cedere mai a nessun altro, anche se non aveva più rivisto Hibari per anni, anche se lui non rispondeva mai alle sue lettere e percorreva una strada che lo allontanava sempre di più... anche se tante di quelle volte gli aveva confidato quanto fosse stanco di reggere tutto il suo mondo sulle spalle, di essere il riferimento della sua famiglia, di dover sorridere anche se soffriva, o quanto ancora desiderasse rivedere Hibari... più di chiunque altro al mondo Tsuna l'aveva visto piangere e sentito parlare con la voce stanca, l'aveva visto tentare di asciugarsi le lacrime con le mani che tremavano e sorridere subito dopo a Nagi che entrava all'improvviso, o a uno dei suoi amici. Non una volta aveva ceduto, nonostante stesse passando una vita infernale. 
E invece, lui? Lui era solo un misero vigliacco, gli era bastato stare lontano seicento metri e una rampa di scale da Hayato per chiuderlo fuori dal suo cuore, era bastato un mese per smettere di cercarlo, gli era bastato un ragionevole dubbio e due mesi per gettarsi nelle braccia di qualcun altro... tra l'altro, un uomo orribile, spregevole e che non amava... era il peggiore uomo sulla faccia della terra, il suo amore non valeva niente e la sua devozione si disperdeva nel vento come foschia mattutina...
-Tu... non puoi sapere quanto quell'uomo fosse forte... l-lui... lui meritava di essere qui molto più di me... vorrei... vorrei avere avuto il coraggio di morire al posto suo...-
-Amare la stessa persona per tredici anni?- domandò Byakuran, con una scintilla strana negli occhi. -Di chi stai parlando? Di Nagi Dokuro?-
-No, la persona che Mukuro amava era Hibari Kyoya... è sempre stato lui il suo unico amore...- disse Tsuna, con un nodo in gola come una palla di sabbia. -È stato orribile... che dovesse morire proprio per mano sua...-
Nella stanza piombò un silenzio sepolcrale. Tsuna avrebbe voluto avere qualcosa da bere per riuscire a ingoiare quel nodo, meglio ancora se fosse stato qualcosa con più del 40% di alcol al suo interno. Byakuran sembrava assorto in una profonda riflessione, e qualsiasi cosa stesse pensando palesemente non gli piaceva. Le sue sopracciglia erano aggrottate, gli occhi stretti, una strana smorfia gli deformava la bocca. Le guardie, dal canto loro, erano come finte, non davano alcun segno di stare ascoltando niente di quello che si stavano dicendo. Dopo un certo tempo non quantificabile, Byakuran tornò a guardarlo e allungò la mano toccandogli il viso.
-Tsunayoshi... so come ti senti... tu non hai il forte amore che Mukuro kun ha dimostrato per Hibari Kyoya... il tuo amore per Gokudera kun era molto più superficiale del suo, ma non devi affliggerti per questo... gli esseri umani non sono fatti per un amore incondizionato... sono egoisti e quando si sentono abbandonati, abbandonano... se sono feriti, feriscono... se sono traditi allora tradiscono... è la loro natura... non potevi evitarlo, Tsu-chan... tu non hai la scintilla divina che ha Rokudo Mukuro... sei solo un essere umano.-
-Che cosa...?-
-Hai abbandonato Gokudera kun quando aveva bisogno di te, perchè lui ti aveva abbandonato quando è morta tua madre... hai tradito Gokudera kun perchè lui ha tradito te... non è così?-
Tsuna lo guardò senza sapere cosa rispondere. Possibile che persino lui sapesse che Hayato lo aveva tradito tante volte con Yamamoto? O semplicemente si riferiva al fatto che aveva deciso di sparare a suo padre non appena messo un piede fuori dalla prigione? Non sapeva che cosa pensare, ma aveva ragione. Aveva deciso di tradire Hayato, di passare sopra al suo senso di colpa solo perchè lui lo aveva già fatto... aveva abbandonato Hayato perchè lui era già stato abbandonato con una lettera arida e misera... ma l'idea di aver soltanto "seguito la sua natura di essere umano" non lo faceva sentire meglio...
-Sei pentito?-
Tsuna esitò appena un istante prima di annuire. Non capiva nemmeno perchè ne stesse parlando proprio con lui.
-Allora io ti offrirò la redenzione, Tsunayoshi.- disse Byakuran, indicandogli la porta sul lato della stanza. -C'è un regalo per te, lì dentro... vai e prendilo, portalo nella tua stanza e fanne quello che più preferisci...-
Tsuna fissò la porta con sospetto e sentì la rabbia montargli nel petto.
-Chi c'è là dentro? Uno dei tuoi sottoposti pronto a crivellarmi di proiettili?-
-Oh, come sei malfidente! Non lo farei mai, perchè dovrei?-
-Ci sono infinite ragioni per cui dovresti uccidermi e ben poche e trascurabili per lasciarmi in vita.-
-C'è un patto, giusto? Io sono un uomo di parola. Mukuro kun potrebbe confermartelo... io faccio tutto quello che prometto, nel bene e nel male.-
-Molto bene.- fece Tsuna muovendo un passo verso la porta. -Sia come sia, ma Byakuran, ricordati che non finisce qui anche se io muoio... per le persone come te, non è mai finita... ci sarà sempre una tempesta pronta a spazzarti via, non importa quante ne supererai... alla fine cederai e verrai distrutto.-
-Senti, senti... parli proprio come Mukuro kun... mi ha detto qualcosa di molto simile prima di essere portato sul patibolo... ma lui ha parlato di onde del mare che... come ha detto? Che eroderanno la terra sotto i miei piedi, non importa quanto alto sia il mio piedistallo.- disse Byakuran, tutto assorto. -Due profezie uguali, comincio ad avere un po' paura, meglio comprare un omamori...-
Tsuna andò alla porta e ad aumentare il suo senso di inquietudine le guardie carcerarie lo seguirono, armi in pugno. Strinse con forza la maniglia, rimproverandosi che il suo ultimo atto in quella vita fosse dare a Byakuran esattamente quello che voleva. Sperò almeno che così Haru avrebbe davvero potuto rivedere suo padre, che Basil, Hibari, Yamamoto, Nagi e tutti quelli che conosceva avrebbero potuto vivere ancora un po', fino allo scadere naturale del loro tempo...
Aprì la porta e restò di sasso quando si trovò di fronte una camera da letto, soprattutto senza nessuna minaccia pronta a sparargli addosso. Le guardie carcerarie lo superarono entrando nella stanza e spianarono le armi contro il letto, dal quale emerse un uomo dai capelli castani arruffati, pizzetto e basette nere come pece, l'espressione truce e un petto nudo villoso.
-Che cosa significa?- ruggì lui, nonostante fosse chiaramente assonnato e intontito.
Persino sulla porta a Tsuna arrivò il tanfo alcolico dello sconosciuto. Il disordine nella stanza accanto doveva essere colpa sua. Quella camera non apparteneva a Byakuran, non c'era alcun dubbio ormai. Ma la cosa più raggelante Tsuna la notò solo dopo: un bambino aveva fatto capolino da sotto il letto, strisciando piano piano a vedere che cosa fosse quel chiasso. Aveva delle ferite sul viso e sanguinavano, erano recentissime. Improvvisamente comprese a chi apparteneva il sangue sulla tenda e seppe anche chi aveva davanti. Quello era l'uomo di cui Byakuran gli aveva raccontato giorni prima in albergo, quello che si faceva chiamare Lupo e aveva la mania di trattare i bambini come cagnolini...
-Che cosa diavolo volete?!-
-Sei in arresto, Lupo.- disse Byakuran, entrando nella stanza con le mani in tasca. -Per la reiterata violazione del codice della dignità umana, reati su minore, rapimento di minore e un sacco di altra roba che conosci molto meglio di me...-
-Byakuran, che storia è questa?!-
-Questa è la fine che meriti.- disse lui sorridendo. -Sii felice, nel tuo paese di origine non c'è la pena di morte, quindi non posso farti uccidere nonostante tutte le tue nefandezze... beh, questo non significa che tu non possa avere un tragico incidente mentre sei detenuto, naturalmente. Portatelo via.-
Le guardie sopraffecero facilmente l'uomo ottenebrato dall'alcol, lo ammanettarono e lo trascinarono fuori dalla stanza. Tsuna era confuso più che mai. In certi momenti Byakuran ostentava lo stesso disgusto che aveva Mukuro per i crimini più turpi, altre volte sembrava emozionato come un ragazzino che guarda un film splatter. Non riusciva a capire che tipo di uomo fosse davvero. In fondo, non era automatico che un uomo in grado di essere carceriere accettasse anche la violenza sui bambini...
-Tsunayoshi, prendi il bambino... è la tua redenzione. La tua occasione per fare ammenda di tutto quello di sporco e di egoista tu abbia fatto nella tua vita. Sarai in grado di coglierla?-
Byakuran lasciò la stanza senza aggiungere altro e lasciò soli Tsuna e il bambino, che lo guardava con occhi verdi spalancati e una paura indicibile scritta sul visino. Si sforzò di sorridergli e allungò con cautela la mano verso di lui, proprio come avrebbe fatto con un cagnolino spaventato.
-Quell'uomo non ti farà mai più del male... ora io ti proteggerò...- gli disse, vedendolo ritrarsi sotto il letto. -Io... mi chiamo Tsunayoshi... mi puoi chiamare Tsuna se vuoi... tu... tu come ti chiami?-
-Inu chan.- rispose lui.
-No, io voglio sapere il tuo vero nome... quello... quello che avevi prima di conoscere quell'uomo. Me lo sai dire?-
-... Lambo.-
-Lambo, eh? È un nome strano... neh, Lambo, perchè non andiamo via da questa stanza? Ha un odore terribile...- disse Tsuna, ed era dannatamente vero. -Andiamo nella mia... possiamo fare una bella doccia, e poi parlare un po' del posto da dove vieni...-
-Lambo ha fame...- gemette lui, mentre un brontolio veniva dalla sua pancia.
-È un po' tardi per cenare, ma è avanzata della torta dal tè che abbiamo preso io e Byakuran oggi pomeriggio... a te piace la torta, Lambo? Con la marmellata?-
Lambo annuì e sembrò che al solo nominarla gli fosse venuta l'acquolina in bocca. Accettò di prendere la mano di Tsuna e uscì piano piano da sotto il letto. Era orribile vedere che cosa aveva fatto quell'uomo a un bambino che non aveva più di dodici anni e fu con rabbia che gli tolse il collare, agganciato al guinzaglio legato al letto. Non avrebbe mai avuto un'occasione più nobile di redimersi dai suoi sbagli che non proteggendo quel bambino che ormai non aveva più nessuno se non lui. I dubbi che tormentavano il suo animo scomparvero. Se il suo patto con Byakuran aveva salvato quel bambino da una vita di soprusi e probabilmente anche tutti i ragazzini che sarebbero stati presi dopo di lui, la sua decisione era sicuramente quella giusta.


Mukuro si era finalmente deciso a sdraiarsi nel letto, sebbene fosse certo di non riuscire a dormire. Gli sembrava di fissare il soffitto buio da ore, eppure le mani gli tremavano ancora. Alla fine la peggiore delle ipotesi, il più angosciante dei suoi incubi era realtà, l'uomo che temeva di più era a capo della cosa che odiava di più, e purtroppo insieme erano un binomo difficile da affrontare. E Tsunayoshi, sembrava così diverso dall'ultima volta che aveva potuto parlargli... aveva gli occhi di qualcuno che aveva sofferto terribilmente... prima la madre, poi suo padre, lui, e Gokudera... quanto altro poteva sopportare di perdere prima che il suo cuore diventasse di ghiaccio? Era appena riuscito a riprendersi il cuore di Hibari dall'inverno gelido in cui l'Haido l'aveva imprigionato e loro si stavano prendendo quello di Tsunayoshi, senza che potesse fare qualcosa per impedirlo...
-Mukuro? Dormi?-
A malapena distinse il sussurro di Hibari nel buio, accanto a lui. Non aveva nemmeno sentito cigolare la brandina quando si era alzato.
-No, sono sveglio.-
-Posso mettermi qui con te?- chiese lui. -Solo un attimo... voglio parlare con te...-
Mukuro sospirò spostandosi su un lato del letto e tenne sollevata la coperta per permettere a Hibari di infilarcisi sotto. Non avrebbe voluto farlo per evitare che qualcuno potesse accorgersene e pensare male, ma in cuor suo sapeva che Kyoya non mentiva e voleva davvero parlargli. Non lo sorprendeva, specie dopo il modo in cui lo aveva trattato durante la trasmissione... ma sentire il suo corpo così vicino e così piacevolmente caldo era davvero gradevole.
-Mi dispiace per quello che ho detto prima... mi sono... innervosito vedendo Byakuran.-
-Lo so...- disse Kyoya piano. -Lo so, non sono arrabbiato...-
-Allora che cosa c'è?-
-Voglio sapere che cosa ha detto... ci hai mandati via tutti, ma io volevo sentire cosa diceva...-
-Beh, non molto più di quello che avevi già sentito prima... vuole riscrivere le liste di categoria in modo che tassati e regolamentati restino solo gli alcolici, i farmaci e il tabacco... tutto il resto diventerebbe una categoria A, quindi si può comprare senza sovrattassa e senza permesso... vuole abolire il carcere duro, chiudere il Sekko, condonare la pena per coloro che hanno avuto la grazia dopo la punizione inferta dal ministero e lasciarli uscire... poi, abolire il ministero delle punizioni e istituire una nuova commissione esecutiva di cui non ha spiegato molto, è ancora in lavorazione come progetto...-
-Sono davvero tante cose...-
-Sì... e poi... ah, ha intenzione di scindere la polizia militare... di ricostituire la polizia civile ed eliminare progressivamente il coprifuoco... anche un sacco di black list saranno cancellate... ed eliminare i visti di viaggio.-
Forse Hibari ormai lo conosceva troppo bene per non accorgersi del tono scettico che aveva usato per elencare tutte le riforme che Byakuran blaterava di voler mettere in atto.
-Eppure mi sembrano tutte cose che desideri, Mukuro... sarebbe molto più bello così, non credi?-
-Non essere sciocco, Kyoya, Byakuran non farà niente di quello che ha detto.-
-È un grosso rischio promettere tutto questo e non fare niente... si inimicherebbe tutti quelli che ti hanno seguito quando promettevi loro di combattere per queste libertà... sarebbe davvero stupido per un uomo che tu reputi essere così intelligente... non credi?- domandò Hibari mentre le sue dita toccavano i suoi capelli. -Persino io che per te sono uno stupido lo capisco...-
-Tu non sei stupido... soltanto che non pensi.-
-Non è lo stesso?-
-No, non lo è, uno stupido non sa pensare. Semplicemente tu sei troppo impaziente per metterti a farlo.-
-Grazie, è davvero confortante... ma che cosa ne pensi, tu? Secondo te Byakuran a che cosa sta puntando?-
Mukuro non rispose subito e si prese del tempo per pensare se fosse o meno il caso di parlare. La risposta sincera a quella domanda era "a me", ma non era sicuro che fosse una buona idea dirlo a Kyoya, irragionevole, geloso e aggressivo com'era. Però era piuttosto certo che l'idea di Byakuran fosse proprio quella: dargli tutto quello che aveva voluto. Abolire tutto quello che più lo aveva infastidito, e ridargli tutto quello che avrebbe potuto fargli piacere... ma poi? Che cosa si aspettava? Voleva forse che tornasse da lui, che... che cosa diavolo si aspettava che facesse, che tornasse da lui come fosse una donna capricciosa da riconquistare?
-Ehi, Mukuro... non è strano?-
-Che cosa, Kyoya?-
-Sembra quasi che voglia vendicarti.-
-Come?-
-Sì, insomma... tu sei stato catturato dalla polizia militare e lui vuole scioglierla... sei stato condannato dal ministero delle punizioni e vuole abolirlo... sei stato detenuto a Sekko e lui vuole chiuderlo... sembra che voglia... distruggere tutto quello che ti ha ferito...-
-Sicuramente ha il suo tornaconto.- ribattè Mukuro, rifiutava quella sottospecie di prova d'amore da un uomo tanto malato. -Probabilmente vuole riformare la polizia per liberarsi di qualcuno che teme o lo infastidisce... abolisce il ministero delle punizioni per fare una bella impressione, visto che tutti ne hanno paura... e chiude il carcere solo per evitare che il suo regno diventi di qualcun altro, è il tipo di uomo che preferisce bruciare la sua casa piuttosto che lasciarla a qualcuno che non sopporta.-
-Però, anche le altre cose... alla parata sei stato tu a dire che rivolevi le cose semplici... che volevi il cioccolato, la libertà di andare a casa di un amico o di andare a vedere l'alba sul mare... lui ti sta dando anche questo, no? Abolisce la categoria B, i visti di viaggio e il coprifuoco, in questo modo puoi davvero tornare a fare tutte queste cose...-
-Ma da che parte stai, tu?-
-Ma che... dalla tua, no?-
-Allora smettila di attribuire a quel pazzo degli scopi nobili!-
-Io non gli sto attribuendo proprio niente.- ribattè Kyoya piccato. -Sto solo cercando di capire cosa pensa.-
-Allora risparmiati la fatica, non ce la faresti nemmeno se te lo scrivesse su un bigliettino.-
-Sai che c'è? Vaffanculo.- sbottò lui. -Arrovellati il cervello da solo fino a spappolartelo, non me ne frega niente.-
-Dove vai?-
-A leggere ricette su internet, magari quelle sono in grado di capirle e ti possono tornare utili.-
-No, aspetta, Kyoya...-
Mukuro allungò la mano afferrando il braccio di Hibari prima che se ne andasse, ma lui si girò con la furia di quel pomeriggio, solo che invece di sfogarla contro un bidone dell'immondizia mandò all'aria lui e la brandina con un calcio. Mukuro rotolò dolorosamente sulla pancia prima che la branda gli schiacciasse la schiena. Fortuna che erano brandine pieghevoli molto, molto leggere...
-Adesso mi stai facendo davvero incazzare, Mukuro! Smettila di trattarmi come se fossi un decerebrato, sono stato in grado di superare gli esami di scuola quanto te, e anche quelli dell'accademia! Anche io ho incontrato Byakuran, anche io so la sua storia, sono perfettamente in grado di fare un'ipotesi quanto lo sei tu!-
Mukuro si liberò della brandina gemendo per la botta che gli aveva dato alla testa, ma non ebbe molto tempo per riprendersi prima che Hibari lo strattonasse in piedi per la maglia. Nonostante fosse parecchio più basso di lui, in quel momento la sua statura non sminuiva la paura che incuteva la sua rabbia.
-Tu non lo conosci davvero, e smettila di prendere tutto sul personale!- sbottò Mukuro, afferrandolo a sua volta per la maglietta. -Quello non è un uomo normale, come cazzo pensi di capire cosa gli frulla in quella testa marcia?!-
-Almeno io non vivo nel terrore ogni volta che sento il suo nome!-
Mukuro per la prima volta nella sua vita venne pervaso da una sensazione bruciante del tutto sconosciuta, che immerse il suo cervello nel rosso puro e spense il suo raziocinio. Preso da una furia cieca mai sperimentata si avventò su Hibari buttandolo a terra. Non faceva spesso ricorso alle arti marziali, ma ne aveva una buona conoscenza, e a differenza di Hibari si era ritrovato a maturare la sua arte del combattimento per le strade, sul lato pratico. Questo, unito agli abbondanti centimetri che aveva in più di lui e alla rabbia che aveva repressa da tempo dentro, gli permise di avere facilmente la meglio su Hibari bloccandolo sul pavimento prima di scaricargli addosso qualche colpo ben assestato. Riuscì a riprendere il controllo solo quando le sue nocche scorticate gli lanciarono delle dolorose fitte. A fatica riuscì a fermare il braccio, e subito dopo si sentì completamente esausto.
-Mukuro! Ma che cazzo stai facendo?!-
Un paio di braccia lo trascinarono via da Hibari scaraventandolo vicino alla scrivania, dove rimase a prendere fiato senza osare muoversi. Non riusciva a credere a quello che aveva appena fatto. Aveva davvero preso a pugni Kyoya con tutta quella violenza? Si guardò le nocche scorticate come se non potesse credere a quello che vedeva, prima di guardare dalla parte di Hibari. Era raggomitolato sul bordo del tappeto e si stava ancora coprendo la testa con le braccia mentre Gokudera cercava invano di spostargliele per verificare come stesse.
-Hibari... Hibari! Eddai, fammi vedere! Sei ferito? Fammi vedere, ho detto!-
-Sto bene... sto bene.- rispose infine lui, spostando le braccia. -Levati, Gokudera, devo ammazzare quel pezzo di merda dietro di te.-
-Quel pezzo di merda dietro di me è il tuo uomo, imbecille.- ribattè Gokudera. -E tu, idiota! Che cazzo fai, gli hai spaccato la faccia!-
Purtroppo poteva dirsi un'espressione letterale: Kyoya aveva un taglio sul sopracciglio, un occhio che stava già iniziando a diventare viola, il labbro rotto e il sangue che gli colava dal naso. Mukuro cominciava a sentire dolore dove era stato colpito da Hibari, ma a quanto gli pareva non stava sanguinando da nessuna parte, se non sulle nocche della mano destra. Che follia... al solo sentire quel nome anche lui diventava come Byakuran, cambiava umore all'improvviso e diventava violento... era arrivato a colpire a sangue l'uomo che aveva sempre amato senza nemmeno rendersene conto, e soltanto perchè aveva detto la verità, che quell'uomo lo terrorizzava ancora...
-Kyoya, mi dispiace! Mi dispiace, non so che cosa mi sia preso! Non volevo colpirti, te lo giuro!-
-Ecco perchè ti ho detto di dormire, imbecille.- borbottò lui, aggrappandosi a Gokudera per alzarsi in piedi. -Se non dormi è più facile che ti venga la paranoia per Byakuran e che ti incazzi per niente...-
-Kyoya... sono mortificato, io...-
-Levati dalla mia vista almeno fino a domattina, o ti giuro che quel naso te lo rompo.- lo minacciò Hibari. -Vedi di dormire e forse capirai che non c'è nulla di divino in Byakuran... è un uomo che sanguina proprio come me... che puoi prendere a pugni come hai pestato me... domani... penseremo a un modo per togliercelo di mezzo.-
Hibari venne portato di sotto praticamente di peso da Gokudera, che continuava a chiedergli sottovoce di che cosa stessero parlando e perchè l'avesse aggredito, senza avere risposte sensate. Al piano di sotto sentì la voce pacata di Chikusa che chiedeva a sua volta spiegazioni, con corredo di rispostacce di Hibari.
Non poteva credere che prendere a pugni Kyoya avrebbe potuto risolvere i suoi problemi, ma paradossalmente, dopo quello che Kyoya gli aveva detto, le sue mani avevano smesso di tremare. Nei suoi pensieri Byakuran sembrò meno alto, meno brillante, meno potente di quanto lo fosse prima... nient'altro che una grande statua di gesso bianco... una bella e fragile statua.

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Capitolo 47
*** L'anima della famiglia ***


​-Kyoya, perdonami.-
-Levati.-
-Perdonami, non ti volevo picchiare.-
Hibari evitò accuratamente di guardarlo e bevve un sorso di caffè con esasperante indifferenza. Il naso faceva male da morire non appena muoveva due passi, aveva un occhio pesto e un livido grosso come un copriteiera su una gamba, dove Mukuro aveva piantato il ginocchio appena qualche ora prima. Sebbene fosse consapevole che Mukuro aveva completamente perso il senno in quel momento e che lui non aveva voluto rispondere con troppa forza date le ferite non ancora completamente guarite, gli bruciava essere stato pestato in un modo così spettacolare. E poi se la godeva un mondo a stare lì a vederlo implorare perdono.
-Mukuro, non voglio vedere la tua faccia da culo oggi, sparisci, vai a giocherellare con qualche circuito.-
-Tanto non posso fare niente finchè non torna Madeleine.- disse lui, accovacciandosi accanto alla sua sedia con l'aria di uno che si divertiva almeno quanto Hibari. -Dai, Kyoya, ti ho chiesto scusa cento volte.-
-Non bastano.-
-E quante volte ti basterebbero?-
-Una in più di quelle che deciderai di darmi.-
-Neh, e se cucinassi per te? Eh?-
La tazza del caffè sussultò leggermente nelle mani di Hibari quando sentì il dito di Mukuro vagare apparentemente senza meta sul suo addome e insidiarsi con falsa noncuranza sotto il maglioncino nero e attillato che indossava. Si decise a gettare un'occhiata alla sua faccia e non fu sorpreso di notare un sorrisetto malizioso della sua antica collezione adolescenziale.
-Ci sarà qualcosa che posso darti per farti contento...-
-Puoi tagliarti la testa e darmela.-
-Mhh, dai, Kyoya... dammi il tuo perdono...-
Hibari era ben deciso a continuare a ignorarlo leggendo il giornale, ma stavolta la tazza si inclinò pericolosamente e fece cadere delle gocce proprio sull'articolo che stava tentando di leggere da un'ora, riguardante le riforme enumerate da Byakuran durante la conferenza stampa. Allungò la mano e afferrò il polso di Mukuro, indeciso se arrabbiarsi seriamente o mettersi a ridere.
-Il mio perdono non è lì dentro, Rokudo Mukuro!-
-Sei sicuro? Posso controllare?-
-No che non puoi, pervertito...-
-Ne sei proprio sicuro? Io dico che dovrei, non voglio lasciare niente di intentato...-
-Che... porco... non voglio, mi fa male il naso, per colpa tua...-
Insospettabilmente, Mukuro smise di attentare dalla zip dei suoi jeans e ridacchiò, fissandolo con i suoi occhi blu. Hibari non potè non ripensare a quanto avesse desiderato rivederli quando lo credeva morto, a quanto ci aveva pensato su una volta scoperto che era ancora vivo e prigioniero, a quanto nella sua memoria fossero brillanti e di un colore che non riusciva a ritrovare in nessuno e in niente, nel cielo, nel mare o sulla terra... invece, erano solo due occhi di un blu intenso, come potevano essercene tanti altri... ma la cosa speciale che era quelli erano proprio i suoi e che lo guardavano, che potevano ancora guardarlo con lo stesso desiderio di quando erano ancora ragazzini. Hibari sentì una vampata di calore a quel pensiero e sperò con tutto se stesso di non essere arrossito.
-Grazie, Kyoya.-
-Gra... di che?- fece lui, preso in contropiede.
-Grazie a te adesso non ho più paura.- disse lui, posando la mano sulla sua. -Adesso... lui è un essere umano... è ancora pericoloso, e potente... ma non è più... immenso... intoccabile e invincibile...-
-È normale che uno schiavo pensi che il suo padrone è ovunque, che veda e senta tutto e che abbia potere su tutto, anche sulla sua stessa vita.- disse Hibari, spostando un ciuffetto di capelli ribelli dall'occhio sinistro di Mukuro. -Tu sei stato sempre così libero e fautore del tuo destino che non poter nemmeno muovere un dito, guardare da un vetro o parlare senza il consenso di un padrone deve averti fatto sentire un insetto sul palmo della mano di un dio.-
-Sì...-
Mukuro distolse lo sguardo e si appoggiò con la testa sulle ginocchia di Kyoya, prendendo a giocherellare con i fili che uscivano dallo strappo sulla gamba dei jeans. Chiunque lo conoscesse sapeva che quando si metteva a giocherellare con oggetti a caso o con i suoi stessi capelli stava per affrontare un argomento che per certi versi lo imbarazzava.
-Sono stato così stupido... appena l'ho incontrato ho capito subito che persona era, ho capito immediatamente che era un calcolatore e un manipolatore... che cercava di spaventarmi... e ho lasciato che ci riuscisse... che capisse che cosa temevo che mi portasse via e lo prendesse... gli ho lasciato prendere il controllo della mia vita senza nemmeno rendermene conto...-
-Te lo sei ripreso, Mukuro.- ribattè Hibari deciso. -Sei libero adesso e non lo temi più... adesso è lui che dovrebbe temere te. Tu lo conosci meglio di chiunque altro, sei libero di agire o di fuggire e non sei un uomo da solo... lui può avere tutti al suo comando, ma è sempre stato un uomo solo, e con i riflettori puntati addosso non può fuggire, può solo combattere.-
Mukuro lo guardò e fece un sorriso dall'aria un po' triste che Hibari non seppe spiegarsi.
-Byakuran non ha paura di combattere... e preferirebbe morire per proteggere quello che ha conquistato piuttosto che fuggire e tornare a non essere nessuno... per lui, il potere è l'orgoglio, e l'orgoglio è qualcosa...-
-Qualcosa che non puoi lasciar andare.- completò Hibari. -Te l'ho detto io, questo...-
-Sì...-
Mukuro tacque e Hibari non seppe che cosa dire, il momento in cui gli aveva detto quella frase non gli sembrava qualcosa di degno di essere ricordato, tant'è che a fatica lo ricordava anche lui. Era stato un pomeriggio piovoso, stava parlando con Mukuro davanti alla scuola, ma non ricordava l'argomento, l'unica cosa che ricordava era che lui aveva un ombrello giallo con gli orsetti, di un noto marchio che produceva gadget e giocattoli per bambini famoso anche all'estero. Possibile che parlando di orgoglio si riferisse al discutibile target di età dell'ombrello?
-Sai, Kyoya... c'è... una cosa che mi sono chiesto molte volte in questi ultimi anni, su di te...-
-Cioè...?-
L'unico segnale di pericolo che Hibari ebbe prima dell'inevitabile fu il sorrisetto di Mukuro che ricomparve all'improvviso sul suo volto. Un momento dopo le sue mani strisciarono sotto il maglioncino e il corpo di Kyoya fu tormentato da un insopportabile solletico. Si contorse così bruscamente che scivolò dalla sedia e non servì a niente tentare di aggrapparsi al tavolo: trascinò soltanto il giornale e la tazza del caffè con sé sul pavimento, stracciando gran parte delle pagine e mandando in pezzi la ceramica. Non sapeva nemmeno lui che cosa stesse cercando di dire tra un rantolo, una risata e un grido semi isterico, riusciva solo a vedere che Mukuro se la stava spassando un mondo a provocargli convulsioni da solletico. Come se i danni non fossero già abbastanza, Hibari abbattè la sedia con un calcio nel tentativo di allontanare Mukuro da sé, facendo un fracasso infernale. Solo dopo sentì il solletico svanire e si ritrovò, chissà come, tra le braccia di Mukuro mentre cercava disperatamente di riprendere fiato.
-Se è un brutto momento me ne vado di corsa.- disse da qualche parte alle sue spalle la voce di Gokudera.
-No, no, stavo uccidendo Kyoya di solletico!- rispose Mukuro in tono amabile prima di cercare di issare in piedi Hibari, inutilmente. -Su, alzati, Kyoya, non sta bene stare stravaccati per terra davanti agli ospiti!-
-Ahi... che os...?-
Hibari riuscì ad alzarsi e si rese conto che c'era qualcun altro sulla porta laterale oltre a Gokudera, tra cui Ken Joshima e dietro i due... Nagi Dokuro. Il dolore pulsante al naso svanì immediatamente nel vederla e riuscì anche a sorridere, ma prima che potesse dire qualcosa Gokudera si spostò dalla visuale e il suo sguardo si posò su uno strano fagotto azzurrino fra le sue braccia. Una sensazione di formicolio alla nuca gli suggerì di tenersi al bordo del tavolo più saldamente prima di guardarla di nuovo. Non si stava sbagliando,  indossava un cappottino stretto, il suo pancione non esisteva più...
-Nagi! Nagi, è come penso io?- domandò Mukuro, avvicinandosi con l'aria gioiosa di un bambino che scopre che il regalo più grosso sotto l'albero di natale è suo. -Quando è successo?-
-È nato il dodici febbraio alle sedici e diciannove.- disse lei sorridendo. -Rassegnati, Mukuro, è maschietto.-
-Che... fammelo vedere, Nagi, voglio tenerlo in braccio!-
-Tu non sei capace.-
-Certo che sono capace, per favore, Nagi, per favore...-
Hibari trovò divertente che sia lui che Chrome provassero perverso piacere a far piagnucolare Mukuro prima di dargli quello che chiedeva. Si avvicinò anche lui cercando di sbirciare il visino del piccolo dentro il fagotto, ma non riuscì a vedere niente finchè Mukuro non lo prese in braccio con tutte le cautele possibili. Avrebbe maneggiato più disinvoltamente una bomba.
Il piccolo Mikado era un bambino così bello da sembrare una bambola di porcellana. Aveva le guanciotte tonde e piene di un bel colorito roseo, un nasino piccolo, labbra rosse e un paio di grandi occhi color blu, non dissimili da quelli di Mukuro. Sulla fronte, sottili e radi capelli di un castano biondo. Nel complesso, anche se era un neonato, somigliava molto a Chrome. Hibari non era mai stato particolarmente a suo agio con i bambini nè gli piacevano in modo particolare, eppure Mikado gli pareva fosse la creatura più bella che avesse mai visto. Non si sorprese di scoprire che Mukuro aveva gli occhi lucidi mentre lo guardava. Questo, insieme al paio di occhietti blu, fece ridestare nel cuore di Hibari un antico dubbio.
-Mukuro, ha i tuoi stessi occhi.-
-Li cambierà.- rispose Gokudera, da un angolo della cucina dove stava versandosi del caffè.
Sia Hibari che Mukuro girarono la testa verso di lui e chiesero silenziosamente delle spiegazioni. Gokudera sembrò in imbarazzo nel rendersi conto che tutti i presenti lo stavano fissando sorpresi e diede un colpetto di tosse prima di tirarsi indietro i capelli con la mano che non reggeva la tazza.
-Beh, sono neonati... alla nascita praticamente tutti hanno gli occhi azzurri o blu, nelle prossime settimane cambieranno, probabilmente. Anche il colore di pelle e capelli alla nascita è più chiaro del colore definitivo che prenderanno.- spiegò lui. -Ci sono bambini che mantengono capelli biondi fino anche all'età della scuola, per poi diventare castani o addirittura mori.-
-E come lo sai?- domandò Mukuro.
-... Avete mai visto una fotografia di Yamamoto da bambino? Ha mantenuto gli occhi blu fino a due anni.-
-Veramente?-
-Sì.-
-Oh, ecco perchè in quella foto hai gli occhi azzurri, Kyoya!- esclamò all'improvviso Mukuro, fissando le scale con aria assorta. -E io che pensavo fosse un riflesso di qualcosa, invece è solo perchè eri piccolo...-
-Quale foto? Che foto? Mukuro, ti sei rubato di nuovo le fotografie dall'album di mia madre?!-
-Ma certo che no, ho preso solo i negativi e me li sono sviluppati.-
-Tu cosa?!-
-Shhh!-
Hibari tacque e abbassò lo sguardo su Mikado, che stava iniziando a fare smorfie preoccupanti. Siccome Mukuro sembrava nel panico quanto lui all'idea che il bambino stesse per mettersi a piangere, Chrome intervenne prendendo il piccino e cullandolo piano, riportandolo alla tranquillità. Sembrava che non avesse fatto altro nella vita che accudire neonati: era tranquilla, sorridente, sicura. 

L'aura di Chrome calò su tutto il rifugio fin da subito: quel giorno non ci fu una singola discussione a pranzo, tutti riuniti al tavolo parlarono a lungo della nomina di Byakuran, della lunga intervista al giornale e delle opinioni che aveva il popolo giapponese.
-In realtà, sembra che lui piaccia molto più di Iemitsu.- constatò Gokudera con un tono che lasciava intuire quanto la cosa lo sorprendesse e irritasse. -Il che è assurdo, hanno costruito per anni la paura attorno alla figura del carcere per oppositori politici e ora che il capo diventa generale è il beniamino di tutti? C'è della droga nell'acqua o che cosa?-
-Non è per questo...- disse piano Chrome dall'altro lato del tavolo. -Il carcere di Sekko... fa paura a molti... ma vedere che Byakuran è stato scelto da Tsuna ha spinto tutti a fidarsi... e la prima cosa che ha detto è proprio che avrebbe chiuso la prigione...-
-È stata una mossa molto furba servirsi di Tsuna anzichè prendere il potere con la forza.- commentò Mukuro a braccia conserte, fissando torvo il tè. -Però mi chiedo... come abbia potuto convincere Tsuna a fare una cosa del genere...-
-Tsuna non ti tradirebbe mai, Mukuro...-
-A parte il fatto che probabilmente ti crede morto sul patibolo.- puntualizzò Gokudera.
-Appunto perchè crede che sia morto sarebbe ancora più restio a tradire i suoi ideali...-
-Forse tu vedi mezzo pieno un bicchiere che ha solo un dito di contenuto, Chrome.- ribattè lui giocherellando nervosamente con un cucchiaino. -Non sto dicendo che Tsuna è... però... quando è stato messo sotto pressione ha vacillato tante volte. Ha fatto cose che non pensavamo che avrebbe fatto. È andato da suo padre quando pensavamo che non si sarebbero parlati mai più, mi ha lasciato in carcere e non ha fatto niente per evitare la condanna di Mukuro.-
-Come possiamo saperlo?- intervenne Hibari dopo essere stato in silenzio per quasi l'intera discussione. -Nessuno di noi ha potuto parlare con Sawada... io stesso non lo vedo dal giorno del processo... come fai a dire che non ha provato a chiedere grazia per Mukuro? Soltanto lui può dirci se ci ha provato.-
-Ciò non cambia il fatto che sia troppo fragile.-
-Fortuna che tu lo conosci così bene da sapere che è fragile e lasciarlo da solo da un giorno all'altro.- rimbeccò Hibari. -Le persone che amiamo non vanno lasciate sole.-
-Basta adesso.- saltò su Chrome con aria di rimprovero, prima che Gokudera rispondesse a tono. -Tutti facciamo degli sbagli, ma non dobbiamo essere giudicati solo da quelli... quindi non giudicatevi a vicenda.-
Gokudera ingoiò la protesta anche se era evidente che avrebbe avuto tanto da ridire su Hibari e la sua smisurata lista di errori stupidi e potenzialmente fatali. Calò un momento di pesante silenzio mentre Madeleine occhieggava tutto il tavolo con aria infastidita. Fissava tutti a turno ad eccezione di Chrome, finchè qualunque cosa fosse a renderla tanto adirata esplose.
-Allora, che cosa diavolo facciamo adesso?! Dobbiamo trovare un piano!-
-Il piano è piuttosto ovvio.- ribattè tranquillamente Hibari.
-Sarebbe?!-
-Byakuran ha usato Sawada per farsi benvolere dal popolo, dico bene?- fece lui, facendo poi un sorrisetto che metteva inquietudine. -Ma che cosa penserà il popolo giapponese di lui, se l'eroe di ritorno dalla morte si mette contro il nuovo governo? Che cosa penserà se Sawada si schiera con l'eroe e non con il generale che ha scelto?-
Mukuro alzò la testa come colto di sorpresa e si guardò intorno, scoprendo di avere tutti gli occhi puntati addosso. Si strinse nelle spalle come se avesse scoperto di trovarsi dentro una gabbia di bestie feroci pronte a saltargli al collo e sbranarlo.
-Che... che volete?-
-Che cosa ne pensi, Mukuro?-
-Di che cosa?-
-A che cazzo stavi pensando, testa d'ananas?!- sbottò Gokudera tentando di assestargli una botta in testa invano. -Stiamo parlando di cose serie, non stiamo facendo pettegolezzi come vecchie signore dal parrucchiere!-
-Mi... mi dispiace, mi ero un momento... che... cosa dicevate?-
-Dicevo che dovresti mostrarti al popolo giapponese, Mukuro.- ripetè pazientemente Hibari. -Far sapere a tutti che sei vivo e che Byakuran è un bugiardo... che non è la persona con ideali di umanità e libertà che dice di essere... se lo farai, anche Sawada sarà dalla tua parte, e a quel punto il popolo a chi crederà?-
-Non sono sicuro che sia una buona idea... è piuttosto rischioso...-
-Mukuro, stai scherzando? Sei apparso alla parata della milizia, un evento in cui tutta la milizia era presente sul posto e controllava il tragitto! Più rischioso di questo?!-
-Voi non avete paura?- chiese Mukuro, guardandoli. -Se dovessi comparire durante una manifestazione, io avrei bisogno di tutti voi presenti... dopo la mia esecuzione gli uomini rimasti sono pochi...-
-Paura? Non so neanche come si scrive.- ribattè Gokudera spostandosi alla finestra per fumare.
-Io ci sono.- rispose pacato Chikusa.
-Anch'io!-
-Io non lascerò il mio Mukuro da solo per niente al mondo!-
-Il tuo cosa?- sibilò Hibari all'indirizzo di Madeleine. -Stai al tuo posto, M.M.-
-Mukuro, ci sarò anch'io.- disse Chrome con risolutezza, ignorando gli sguardi taglienti che Madeleine e Hibari si stavano scagliando da un lato all'altro del tavolo. -Finora io non ho potuto aiutarti... ma adesso posso.-
-No, Nagi, non puoi, non puoi lasciare Mikado.-
-Non lo farò. Lo porterò con me. Si tratta di una sola volta.- fece lei, vedendo l'espressione contrariata di Mukuro. -Una volta che vedranno che sei vivo, tanti dei tuoi alleati faranno ritorno qui e non ci sarà più bisogno che io corra dei pericoli, non è così?-
-Col cavolo, Chrome, tu non esci da qui!- sbottò per contro Ken.
-Chiudi il becco, Ken, ho deciso.-
-Non dirmi di chiudere...-
-Shhh.-
Chrome guardò il bambino addormentato nella sua culla di fortuna, un ampio cestino di vimini foderato di morbidi e caldi abiti, e Ken si decise a tacere, sbuffando per essere stato prevaricato da una donna. Mukuro dal canto suo si limitò a guardare Hibari.
-Kyoya... tu non hai paura?-
-Te l'ho già detto una volta, non lo ripeterò ancora.-
Hibari alzò gli occhi su Mukuro e quando parlò la sua voce era innaturalmente dolce.
-Finchè restiamo insieme abbiamo tutte le possibilità del mondo... non ho paura.-
Ancora una volta Hibari potè notare quanto le sue parole fossero efficaci sul nemico numero uno dello stato, che si mise a guardare lungo il tavolo tutte le tazze e i bicchieri, giocherellando con una ciocca di capelli mentre balbettava qualcosa sull' "occasione e il tempismo". Hibari lo vide arrossire vagamente sugli zigomi e Mukuro, forse accorgendosene, si mise a discutere in tono più fermo del tipo di occasione in cui avrebbe dovuto fare la sua apparizione, o se fosse meglio cercare di bucare il sistema e andare in onda come la prima volta. Hibari notò che Gokudera stava sogghignando. I due si scambiarono un'occhiata e si misero a ridacchiare entrambi, come se non avessero rischiato una feroce discussione solo pochi minuti prima.
-... Voi due, lì, avete intenzione di ridacchiare ancora per molto? Sto cercando di mettere a punto un piano!-
-Scusa!- risposero in coro; Gokudera facendo un cenno con la mano.
-Vi allenate per il sincro?-
-Non fare il noioso, Mukuro... allora, che stavi dicendo? Quando vuoi resuscitare?-
-... Non lo so... la prossima occasione pubblica è in estate, non possiamo aspettare così tanto...-
L'intero gruppo lasciò perdere ogni spensieratezza e calò un'aura di concentrazione al tavolo del pranzo. Con calendari, blocchi per appunti e una cartina si strinsero intorno al centro dove sedeva Mukuro e presero a ponderare ogni possibile occasione d'intervento, anche se sembrava non esserci un'opportunità che facesse al caso loro. Era un evento troppo piccolo, non c'era abbastanza gente, non c'erano cariche politiche, o erano troppo avanti nel tempo.
-Non importa.- fece Gokudera, visto che tutto il gruppo sembrava sprofondare in un senso di impotenza e in una delusione palpabile. -Non importa, bucheremo il canale dodici ancora una volta. Ce la faremo, se ce l'hai fatta da solo in una notte noi insieme possiamo farlo di nuovo, anche se hanno difese più forti.-
-Va bene, allora prepariamoci per questo piano... Gokudera, tu mi aiuti con quell'attrezzatura di sopra... Madeleine, dovresti andare a recuperare l'apparecchio che ho usato la prima volta, è ancora a casa tua?-
-Sì, l'ho tenuto lì al sicuro.-
-Bene... Chikusa, fai un giro di sopralluogo, devi essere i miei occhi e le mie orecchie... qualsiasi faccia, qualsiasi nome, fotografa e registra tutto quello che puoi, potrebbe servire... Ken, tu vai con lui, coprigli le spalle... fate attenzione, non fatevi notare e non fatevi seguire.-
-Certo.-
-Perchè io devo andare con Kakipi?!-
-Nagi è al sicuro ora, quindi devi renderti utile. Vuoi cucinare, forse?-
Per bella risposta Ken si ficcò il brutto berretto di lana a righe colorate in testa e si alzò per infilarsi il cappotto. Chikusa lo imitò, intascando quella che sembrava in tutto e per tutto una guida turistica, ma che in realtà Hibari aveva saputo contenere una minuscola telecamera in un incavo nelle pagine. Madeleine si avvolse nel suo cappotto firmato color grigio perla e scoccò un bacio a tradimento sulla guancia di Mukuro prima di correre fuori.
-Ohi!- le gridò dietro Hibari. -Se lo fai di nuovo te le suono!-
-Caparbia, la ragazza.- disse Gokudera in tono distaccato. -Non l'ha mica capito ancora, eh?-
-Finchè non sarò sposato con un uomo credo che non lo vorrà capire.- disse Mukuro. -Kyoya, è inutile che fissi la porta, Madeleine non può più vederti.-
-Potresti dirle di smettere, o devo continuare a farlo io?-
-A che servirebbe?-
-A me dà fastidio.-
-Kyoya, te ne prego, sii superiore... non mi servono due fangirls che litigano.-
-Tra i due litiganti il terzo gode, lo sapete?- bofonchiò Gokudera con la sigaretta in bocca mentre l'accendeva.
-E questo cosa significa?- fece Hibari fissandolo. -Cosa cazzo significa, Gokudera Hayato?-
-... Niente, Hibari, era una battuta.-
-Il cazzo.- sbottò lui. -Il terzo chi è, sei tu?-
-... Ma che cazzo me ne fotte a me di Mukuro?- fece lui. -... Senza offesa, eh.-
-Figurati.- rispose Mukuro in tono divertito.
-Allora cosa?!-
-Hibari! Si chiama umorismo, umorismo! Che cavolo, non è che tutto il mondo vuole Mukuro, lo sai? Non è neanche così bello come lo fate tu e quell'altra... e almeno M.M. lo dice che lo vuole per il prestigio. Che poi non so che cazzo di prestigio gli è rimasto visto che vive nelle baracche.-
-Ahm, Hayato, potresti diminuire il disprezzo giusto un... pelino?- fece Mukuro, non più così divertito.
-Giusto un pelino.- acconsentì lui. -Allora possiamo andare a vedere di sopra che c'è da fare? O dobbiamo portarci dietro Hibari a controllare che io non ti tocchi?-
Hibari non replicò e i due salirono al piano di sopra. Nel rifugio regnò una quiete insolita che Hibari associava alla notte fonda, perchè una voce, un rumore metallico o un tonfo si sentiva sempre anche mentre le api operose di Mukuro erano al lavoro. Subito dopo le voci invasero l'angolo mensa, con Chrome che aveva acceso la televisione e con un sorriso l'invitava a sedersi con lei. Non avendo nulla da fare, andò da lei a farle compagnia.

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Capitolo 48
*** Sete di vendetta ***


Tsuna attraversò di fretta le strade innevate della capitale, zigzagando in mezzo alle automobili in attesa a un semaforo. Essendo domenica mattina non c'era molto traffico, ma era una città molto più grande e caotica della piccola e provinciale Namimori, seppure avesse subìto un notevole sviluppo demografico ed edile negli ultimi anni. Raggiunse la fila di auto parcheggiate davanti all'albergo Hiroshige quando sentì il suo cellulare che squillava. Lo afferrò affrettandosi a rispondere, ma prima che riuscisse a spiccicare parola scivolò su un blocco di neve ghiacciata e finì prono per terra. A poco gli servirono le mani occupate da sportine, portadocumenti e cellulare: sbattè violentemente ginocchia, braccio e anche il mento.
-Aaahi.....- gemette dolorante.
Tsuna allungò la mano e afferrò il telefono riportandoselo all'orecchio, ancora troppo dolorante per poter far altro che annaspare, ma scoprì che la linea aveva fatto la sua stessa fine: era caduta. Imprecò vedendo la sua cartellina di fogli aperta e il contenuto sparso sul marciapiede, la busta della pasticceria ammaccata vicino alla ruota di un fuoristrada blu. Aveva le ginocchia in fiamme e solo con grande sforzo riuscì a sollevarsi e a mettersi seduto.
-Ehi, tutto bene?-
Tsuna alzò la testa e incrociò un viso sconosciuto. Si trattava di un ragazzo all'incirca della sua età, a vedersi; capelli rossi che sbucavano da sotto un berretto verde-azzurro di lana, occhi dall'aria triste o forse preoccupata, un cappotto verde militare e, dettaglio che gli parve abbastanza insolito, dei paraorecchie di lana con un motivo geometrico rosa. Il giovane gli fece un sorriso incoraggiante e gli porse la mano guantata di bianco.
-Non è niente, alzatevi... vi aiuto io...-
-Gra... grazie...-
Tsuna gli prese la mano e cercò di alzarsi nonostante il dolore alle ginocchia, ma proprio quando pensava che si sarebbero piegate inesorabilmente il giovane con i capelli rossi lo sollevò di forza. Ne fu abbastanza sorpreso: da quello che gli sembrava poteva essere alto qualche centimetro più di lui e aveva all'incirca la stessa sua corporatura, certo non un lottatore di wrestling. Il suo viso si trovò a un palmo dal suo e potè vedere da molto vicino i suoi occhi di una sfumatura rossa mai vista prima; sentì nel suo alito condensato dal freddo un profumo di menta e forse liquirizia. Un attimo dopo la neve assassina li fece scivolare entrambi, ma l'altro si aggrappò prontamente al cofano del fuoristrada, reggendo Tsuna con forza e impedendogli di cadere.
-N-neve bastarda.- balbettò Tsuna, in imbarazzo.
-Spostiamoci da qui, che ne dite?-
Il ragazzo si rimise in piedi con circospezione e fece qualche passo indietro raggiungendo il marciapiede cosparso di sale e quindi sgombro. Tsuna, sempre afferrando la sua mano, lo seguì. Osò solo in quel momento controllare i danni e scoprì che doveva essersi ferito, sui suoi pantaloni c'erano delle macchioline di sangue all'altezza del ginocchio. Faceva male da morire, effettivamente la sopportazione di Tsuna non era mai stata granché.
-Ecco, le vostre cose.- disse il ragazzo porgendogli il sacchetto e la cartellina con i fogli. -Vi accompagno di sopra, se me lo permettete.-
Tsuna lo fissò confuso per un momento, poi guardò la facciata dell'albergo, poi di nuovo il viso dagli occhi tristi, temporaneamente incapace di spiccicare un verbo e un soggetto insieme.
-Che avete? Non state bene?-
-Come... sai che alloggio qui?-
-Oh, è questo...?- fece il giovane, e sorrise. -Voi siete Tsunayoshi Sawada, per questo so che alloggiate qui... ci siamo anche già visti, in realtà.-
-Co... davvero? Dove? Quando?-
-Beh, forse solo io ho notato voi, voi mi siete sembrato piuttosto pensieroso... stavate rientrando in albergo dopo la conferenza stampa dell'altra sera... vi ho visto in quell'occasione.-
-Io... io non ti avevo visto.-
Il rosso sorrise, ma non commentò la disattenzione di Tsuna. Si limitò a fargli un cenno verso la porta dell'hotel.
-Posso accompagnarvi, per sicurezza?-
-Ah... sì... grazie...-
Tsuna prese finalmente la sua cartellina e il sacchetto e si avviò all'ingresso, seppur zoppicando vistosamente. Non doveva avere un bell'aspetto, sospettò, visto il modo in cui l'impiegato alla reception lo stava guardando. Superò i bei pavimenti di marmo della hall e raggiunse l'ascensore, già al piano terra. Il mento cominciava a fargli veramente molto male. E dire che era tutta colpa di quelle stupide fotocopie che si era dovuto far fare da sé perchè degli incompetenti all'ufficio stampa avevano deciso che di sabato sera non si poteva lavorare, nemmeno mentre era in atto una rifondazione totale del governo...
-State sanguinando, Sawada san.- disse il suo accompagnatore non appena l'ascensore chiuse le porte.
-Davvero...?-
Si sfiorò il mento con le dita e scoprì che stava sanguinando davvero. Il ragazzo dai capelli rossi tamponò la ferita con un fazzoletto ripiegato, con gran delicatezza.
-Sapete... molto tempo fa, ho avuto la fortuna di incontrare vostro padre... prima che l'Haido diventasse il primo partito del paese, ero ancora un ragazzino... tuttavia... era un uomo pieno di carisma... un vero leader, un ispiratore...-
Tsunayoshi non rispose. Non sapeva cosa dire e nemmeno che cosa provare, era vero che Iemitsu aveva delle spiccate doti di leadership che lui non avrebbe mai avuto, ma nella voce del ragazzo c'era fin troppa ammirazione per un uomo con alle spalle così tanti grossolani sbagli e gravi disattenzioni. Poi però pensò che alla massa la gran parte dei difetti degli ufficiali e i retroscena della vita privata del generale non erano noti.
-Mi è dispiaciuto apprendere della sua morte... anche se è indelicato che io lo dica proprio a voi.-
-Non preoccupartene... è il triste destino naturale dei figli seppellire i genitori.-
Le porte dell'ascensore si aprirono all'ultimo piano. Tsuna era ormai quasi arrivato, dopo avrebbe potuto sedersi e medicarsi quelle ferite brucianti e infierire quanto gli pareva su tutti gli idioti del suo ufficio. Gli faceva ancora uno strano effetto pensare che quello era il suo ufficio. E si sentì un po' meglio pensando che se voleva poteva vendicarsi licenziandoli tutti quanti, tanto Byakuran gli aveva dato tutta la libertà possibile...
-È questa, Sawada san?-
-Oh, sì.- ribattè Tsuna, strappato alle sue fantasie vendicative. -La quattrocentoventicinque.-
-Allora siete arrivato.- disse lui con un sorriso.
La porta si aprì all'improvviso facendoli sobbalzare entrambi. Ne fece capolino Lambo, con i suoi capelli ricci e gli occhi verdi che passavano in rassegna tutti e due, prima di fissarsi sul pacchetto della pasticceria.
-PASTICCINI!-
Lambo prese la busta e corse in camera chiudendosi la porta alle spalle. Tsuna fissò il legno come se potesse vederci attraverso, non sapeva se mettersi a ridere o arrabbiarsi. Alla fine il ragazzo dai capelli rossi si mise a ridere, così lui decise di arrabbiarsi. Bussò forte.
-LAMBO! Ma che maniere sono, piccolo ingrato?!-
La porta si spalancò una seconda volta, ma mentre Tsuna pensava che fosse di nuovo Lambo ai suoi occhi si presentò un volto molto più familiare e terribilmente detestabile: il viso pallido di Byakuran.
-Che cosa fai tu nella mia stanza?- gli chiese aspramente.
-Tsunayoshi chan, che hai fatto alla faccia? E alle ginocchia?-
-Sono caduto, ma tu che cosa...-
-Ti sei fatto male? Avanti, vieni a sederti, ti medico io.-
-Non cambiare discorso!-
-Quella botta in faccia ti si sta già gonfiando, ma dove sei caduto?-
-Byakuran, che cazzo, ascoltami!-
-Avanti, avanti, dentro!-
Byakuran lo prese per la manica e di fatto lo scaraventò seduto sulla poltroncina più vicina, poi andò al telefono chiamando il servizio in camera per avere una cassetta del pronto soccorso. Neanche a dirlo, Lambo si stava già ingozzando di torta alla frutta, ignorando del tutto le condizioni di chi gliel'aveva portata. Aveva la panna fin sulla punta del naso.
-Lambo, pulisciti la faccia, almeno... non con le maniche, si usa un fazzoletto!-
Solo in quel momento Tsuna si accorse di avere in mano il fazzoletto che il ragazzo dai capelli rossi gli aveva dato per tamponare il sangue. Si accorse anche che non lo aveva neppure ringraziato, e che non ne sapeva nemmeno il nome. Si alzò sfidando il dolore alle ginocchia e raggiunse la porta, affacciandosi.
-Non mi hai detto come ti...-
Ma il corridoio era vuoto e le luci dell'ascensore gli dissero che il suo salvatore stava già scendendo verso il piano terra per andarsene, senza aspettare di essere ringraziato, senza nemmeno lasciare il suo nome. Avrebbe potuto non ritrovarlo mai più.

-Sei proprio un impiastro, Tsunayoshi chan...-
-Falla finita, Byakuran.- sbottò lui. -E non chiamarmi così.-
Tsuna strinse i denti mentre Byakuran gli passava sul ginocchio qualcosa che bruciava da morire. L'altro era a malapena scorticato, quello invece era gonfio e bello affettato, come l'aveva definito il carceriere in persona poco prima. Morale della favola: un ginocchio quasi fuori uso, uno scorticato, il mento graffiato... per portare una torta a un bambino che nemmeno lo aveva ringraziato e per fare delle copie di un fascicolo che avrebbero dovuto fargli avere direttamente dall'ufficio, quei lavativi. Inoltre, a ciò si aggiungeva l'amarezza di non aver ringraziato il ragazzo che lo aveva aiutato e non sapere nemmeno chi fosse.
-Sei così pensieroso, Tsuna kun.- fece Byakuran, passandogli la punta delle dita sulla gamba scoperta.
-Non mi toccare, Byakuran.- lo ammonì lui. -Non voglio che mi tocchi.-
-Sai che non sei più tu quello che decide.-
-Ti ho detto che non voglio che mi tocchi davanti al bambino. Quante volte te lo devo ripetere perchè ti entri in quella testaccia marcia?-
Byakuran perse il sorrisetto lezioso e senza smettere di fissarlo trucemente gli afferrò la gamba e premette il cotone imbevuto di disinfettante con forza sul ginocchio ferito. Tsuna gemette di dolore e cercò invano di spostare la gamba.
-Portami rispetto, Tsunayoshi... io non ho alcuno scrupolo a togliere di mezzo chiunque mi ostacoli, te compreso.- gli disse freddamente. -E lo sai che se succede manderò una bella delegazione dei tuoi amici ad accompagnarti dall'altra parte.-
Byakuran lasciò la presa sulla gamba e Tsuna la piegò al petto, prendendo istintivamente a soffiare sulla ferita che bruciava come il fuoco. Non poteva fare nulla per contrastarlo, dopotutto aveva già ceduto l'unica arma che aveva, ora era lui il generale, poteva disporre della sua vita e di quelle dei suoi cari come preferiva. Ormai non aveva più potere su niente e soltanto in quegli ultimi giorni si era reso conto di quanto avrebbe potuto fare prima, quando suo padre era ancora vivo. Forse non sarebbe mai accaduto niente a Mukuro se lui avesse usato meglio i suoi mezzi...
-Tsunayoshi, tu non arrivi a capire che io non ti sono nemico.- disse Byakuran. -Io ormai non ho più alcun nemico, solo persone che sono utili e altre meno... se tu non mi ostacoli, non hai niente da temere da me... al contrario, se tu mi aiutassi, io sarei il più potente e il più fidato dei tuoi amici.-
-Sulla seconda avrei delle perplessità.-
-Lo vedi come sei malfidente? Chiedi al tuo amico Mukuro se ho mai mancato una promessa.-
-Lo farò, quando un giorno verrà a prendermi.-
Tsuna allungò la mano e afferrò la tazza del tè, ma il sorso che prese non ne voleva sapere di scendere. La sua gola si era annodata stretta, non riusciva a deglutire. Era così triste pensare che forse, se Mukuro aveva ragione sul trapasso, non lo avrebbe rivisto nemmeno morendo, perchè lui non sarebbe stato lì ad aspettarlo. Nè lui, nè i suoi genitori...
-Sai, gli avevo promesso che gli avrei reso un inferno gli ultimi giorni della sua vita se non fosse stato buono e obbediente...- disse Byakuran, con un sorriso inquietante, accarezzandogli di nuovo la gamba. -Ma lui è proprio come te... è talmente testardo... non ne voleva proprio sapere... e ho mantenuto la promessa... non vedeva l'ora che venisse il giorno dell'esecuzione e che tutto finisse...-
Tsuna fissò un punto a caso della moquette stringendo con forza la tazza. Sapeva già che era stato lui a detenere Mukuro negli ultimi giorni, ma non aveva mai saputo alcun dettaglio al riguardo. Le ultime ore di Mukuro erano avvolte nel mistero più fitto, così come l'estrema destinazione delle sue spoglie. E non era affatto disposto a scoprirlo, non ora che sapeva che tipo di uomo terribile fosse Byakuran...
-Gli ho anche promesso che non lo avrei lasciato scegliere come morire, e gli ho impedito di suicidarsi per ben tre volte... ehh... è un ragazzo davvero problematico, Mukuro chan...-
Tsuna guardò Byakuran e posò la tazza a casaccio sul bracciolo. Per quanto l'avesse turbato scoprire che il suo migliore aveva cercato di uccidersi per ben tre volte per sfuggire all'inferno della prigionia e dell'esecuzione pubblica, non gli era sfuggito un dettaglio, il tempo presente. Aveva proprio detto "è un ragazzo problematico". Byakuran non sembrava averlo detto per errore, perchè intercettò lo sguardo e gli sorrise con tutta la malizia di cui era capace.
-Oh, sì, Tsunayoshi... Mukuro chan è ancora vivo.-
-Co... cosa? Ma... no, ho visto l'esecuzione in diretta! Ho visto Hibari che gli parlava, e... no, doveva essere lui quello, Hibari se ne sarebbe accorto se non fosse stato lui!-
-Oh sì, l'uomo sul patibolo era Mukuro, senza dubbio.- disse il carceriere. -La legge marziale lo ha condannato a essere fustigato fino a perdere conoscenza e io non potevo fare niente per impedirlo... ma dato che Mukuro è svenuto, la pena è stata considerata scontata... ma no, Mukuro non è morto per quelle ferite...-
-Ma... ma...-
-Tu non sei molto bravo in diritto, eh, Tsunayoshi?-
-N-no...-
-Buffo, visto che l'attuale codice lo ha riscritto tuo padre... in ogni caso... la legge vieta di condannare a morte uno straniero, se nel suo paese non vige la pena capitale... è il caso di Mukuro... se fosse sopravvissuto alla punizione in sè, la legge non gli avrebbe vietato di essere medicato per questo motivo... e io ho fatto in modo che avesse delle cure immediate appena portato giù dal patibolo.-
Tsunayoshi era frastornato, sentiva i suoni un po' ovattati e temeva che se non fosse stato seduto sarebbe addirittura svenuto. Aggrappandosi ai braccioli della poltrona abbattè la tazza da tè, ma non se ne curò. Mukuro era vivo... Mukuro era sopravvissuto alla sua sentenza e in qualche maniera si era salvato, ma dov'era ora? Come stava? Ormai erano passati quasi due mesi...
-Io l'ho salvato. Non tu, non quella sua ragazzina a cui manca l'occhio, e nemmeno quel piccolo verme arrogante per cui Mukuro ha sprecato tutta la giovinezza.- sussurrò Byakuran. -Sono stato io a salvarlo... sono stato io che ho deciso di non far sapere a nessuno che è scappato dal carcere mentre io non c'ero... e sono sempre io che lo libererò dalla croce che voi miserabili egoisti gli avete scaricato addosso.-
Le dita di Byakuran, fredde e solide come metallo, si strinsero attorno al collo di Tsuna.
-Tu mi aiuterai. Mi dirai che cosa Mukuro vuole. Mi dirai che cosa brama dal profondo della sua anima e che posso dargli, qualcosa che non può prendere da solo... io glielo darò, e in cambio gli dirò di deporre le armi e tornare ad avere una vita normale. Lui non deve combattere tutta la vita.-
-I-io n-non...-
-Tu lo conosci da sempre, a te ha detto e mostrato cose che a me non ha voluto affidare!- sbottò Byakuran serrando di più le dita sul collo di Tsuna. -Dimmelo, Tsunayoshi. Non importa quanto insignificanti siano, dimmi tutto quello che Mukuro desidera, tutte le cose che non ha avuto o che ha perso.-
Non serviva che Byakuran lo minacciasse a parole, Tsuna sapeva già che se non gli avesse detto qualcosa di valido lo avrebbe strangolato, o avrebbe trovato qualche via più sadica per vendicarsi. Però, Mukuro era vivo, come poteva farlo cadere in trappola? Ma poi, era davvero una trappola? Un trucco per scoprire dove fosse nascosto e risbatterlo in prigione? Però Byakuran aveva parlato di "avere una vita normale"...
-B-Byakuran... che...- balbettò Tsuna, e diede un colpo di tosse. -Che cosa vuoi fargli...?-
-Lui odiava quel carcere, per questo lo chiuderò. Se depone le armi io posso perdonarlo, posso restituirgli una vita libera... quello che ha perso per colpa di un uomo che non lo ha mai voluto.-
Non riusciva a credere alle sue orecchie. Il diavolo bianco, come lo chiamavano i militari che avevano lavorato per lui al Sekko, che voleva chiudere il carcere che era il suo regno perchè Mukuro lo odiava? Voleva veramente perdonare Mukuro e lasciarlo vivere normalmente? Eppure sembrava animato da una brama sincera... come sincero era il disprezzo che indirizzava a Hibari. Possibile che Byakuran in qualche modo amasse Mukuro? Al punto di salvargli la vita... e dargli quello che desiderava?
Un nuovo eccesso di tosse convinse Byakuran a lasciare la gola di Tsuna, che respirò avidamente massaggiandosi il collo. Scegliere da che parte stare era difficile, soprattutto dopo lo shock della scoperta, però se davvero Byakuran voleva dare la libertà a Mukuro e liberarlo da una crociata solitaria e pericolosa, allora desideravano la stessa cosa. Era anche colpa di Tsuna, che aveva sempre osteggiato il regime senza fare niente, che Mukuro aveva preso quella strada. Aveva sofferto fin troppo.
-So... che cosa Mukuro vuole. Una cosa molto importante per lui.-
-Che cosa?-
Gli occhi viola di Byakuran scintillavano di desiderio. Tsuna li fissò con fermezza.
-La vendetta. Ci sono persone di cui Mukuro vuole vendicarsi, che gli hanno arrecato un grande dolore... ma che non è mai riuscito a trovare.- disse Tsuna. -Se tu sarai in grado di trovarle, se gliele darai... nessuno di noi è in grado di farlo, non abbiamo il potere per indagare su così tante persone.-
Byakuran si sedette di fronte a lui e prese il taccuino dalla tasca della sua giacca grigia. Si appoggiò di schiena comodamente, sfogliò poche pagine e tolse il cappuccio alla penna. Dopodichè puntò gli occhi viola su Tsuna.
-Dimmi chi sta cercando.-

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Capitolo 49
*** Ultima offerta ***


Mukuro camminò sul marciapiede fino all'angolo della strada, incrociò le braccia e contemplò per la sedicesima volta l'orario degli autobus, prima di girarsi e risalire fino alla vetrina di un tabaccaio. Aveva fatto quel percorso decine di volte, il nervosismo lo stava divorando. Pensare a Byakuran non era più puro terrore come prima, eppure aveva comunque paura di bloccarsi una volta di fronte a lui. Aveva paura di sentire le gambe che tremavano mentre lui parlava, temeva di non riuscire a restare in sua presenza, di non avere la fermezza necessaria. E non poteva permettersi di scappare vigliaccamente davanti a una folla come quella che si prospettava quel dieci di marzo.
Si fermò di fronte al cartellone che annunciava l'evento che si sarebbe tenuto a Edo quel pomeriggio. Byakuran aveva annunciato il 28 febbraio che avrebbe partecipato all'apertura della fiera dell'artigianato, un importante appuntamento per artigiani e artisti provenienti da tutto il paese. Quell'anno avrebbe coinciso anche con l'apertura della stagione teatrale, la prima delle riforme sulla libertà d'espressione promosse dal nuovo generale. La black list delle opere teatrali e delle canzoni straniere era stata completamente abolita. Mukuro supponeva che la sua partecipazione fosse stata un'abile manovra elettorale, per simboleggiare la sua fittizia vicinanza alla vita culturale del popolo giapponese e alla loro crescente passione per le influenze occidentali, in netto contrasto con il suo predecessore che aveva puntato sull'esaltazione della tradizione nipponica. Qualunque fosse il motivo, era comunque un'occasione d'oro, una comparsa pubblica del generale nella capitale, con un seguito che a Namimori non avrebbe mai potuto raggiungere. Per questo non avevano perso un momento e si erano precipitati a Edo con armi e bagagli, e bambino, come aveva detto Gokudera caricando quasi di peso Nagi, Mikado e il loro bagaglio sul treno in partenza.
-Mukuro, smettila di consumarti le scarpe.- disse la voce di Kyoya dietro di lui. -Andiamo, ho preso i biglietti.-
-Co... come, hai preso i biglietti? Senza di me?-
-Non mi hanno chiesto i documenti.- rispose lui, e gli mostrò i biglietti per tutti. -Il proprietario mi ha detto che qui a Edo la riforma è entrata in vigore subito e non servono più documenti per gli spostamenti cittadini senza prenotazione... esattamente come era prima.-
-Avevano fretta di tornare alla vita normale, eh?- fece Mukuro, infilando le dita sotto il berretto per grattarsi la testa. -Andiamo, dobbiamo sbrigarci...-
-Mancano più di tre ore... calmati, Mukuro. Non essere così nervoso.-
Mukuro non rispose, negare di esserlo l'avrebbe solo smentito. Si avviò nuovamente al cartello degli orari e in pochi secondi il mezzo che cercavano si fermò davanti a loro. Furono gli unici a salire dopo che una decina di persone furono scese: a bordo c'erano una coppia di vecchietti e un gruppetto di cinque ragazzini delle elementari. Presero posto vicini senza dire niente, ma Mukuro scandagliava i passeggeri alla ricerca di segni sospetti. L'unica cosa strana, però, era Kyoya che sorrideva guardandolo.
-Che c'è? Perchè ridi?-
-Sei terribile coi capelli biondi, per questo rido.-
-Avrei detto di piacerti. A te piacciono i biondi.- ribattè piccato Mukuro.
-Ma non tu, sei terribile... ma perchè poi proprio biondi?-
-Ne abbiamo già parlato, dovevo rendermi meno riconoscibile.-
-Avresti semplicemente potuto tagliarti i capelli.-
-Cambiare il colore dei capelli altera la percezione dei volumi del viso... per nascondermi era più efficace cambiare anche il colore.- spiegò pazientemente Mukuro, grattandosi di nuovo sotto il berretto. -E poi non so che cosa hai da lagnarti, lo sai che è una parrucca.-
Kyoya lo guardò sbigottito, cosa che prese in contropiede Mukuro. Lo sapeva... no?
-Come sarebbe, una parrucca?-
-Ma che... ma lo sapevi, c'eri quando Madeleine me l'ha portata...-
-No, io non c'ero, Madeleine era già tornata e tu avevi i capelli biondi quando io e Nagi siamo tornati dopo aver preso i biglietti per il treno! Me... me l'ha detto Gokudera che ti eri fatto i capelli biondi per nasconderti!-
-... Ma Gokudera lo sapeva che era una parrucca, non ha fatto altro che prendermi in giro...-
-... Quel.... deficiente, lo spacco di botte...-
-Avanti, Kyoya, ragiona... dovrò anche nascondermi adesso, ma come avrei potuto farmi riconoscere dalla gente se mi fossi anche tinto i capelli?-
Kyoya assunse un'espressione pensosa ma non rispose. Come ogni volta che si vergognava per qualcosa, guardò altrove e intrecciò gambe e braccia, borbottando qualcosa sul freddo e i guanti che aveva dimenticato. Mukuro non potè non sorridere e scosse piano la testa, mentre raggiungevano una fermata e altre persone salivano. Si sistemò gli occhiali e guardò dal finestrino, verso strade nuove che a malapena aveva visto di una città sconosciuta, enorme rispetto alla piccola Namimori, affollata. Il nuovo campo di battaglia della sua guerra per la primavera. Non si preoccupò di controllare gli altri passeggeri. Se aveva ingannato persino Hibari, non temeva che altri lo riconoscessero... complice il fatto che, ancora per qualche ora, Rokudo Mukuro sarebbe stato ritenuto in un posto migliore da tutte quelle persone.

Quattro ore più tardi una gran folla era radunata nella piazza centrale di Edo, rinominata "piazza di Haido" poco dopo che il partito ebbe ripristinato l'antico nome della capitale. C'erano persone di tutte le età, anche tanti bambini, migliaia e migliaia di artigiani pronti a inaugurare la fiera, e fra quelle anche i seguaci più fidati di Mukuro. Lui però guardava la piazza dalla cima del palazzo dello sport, dal lato opposto del teatro. Era una serata spazzata dal vento, con un cielo limpido e stellato. Mancavano pochi minuti ormai all'arrivo di Byakuran... solo pochi minuti prima di fronteggiarlo di nuovo, dopo tutto quello che gli aveva fatto patire, dopo l'inferno che gli aveva fatto conoscere...
Mukuro si sfilò il berretto di lana e si tolse la parrucca bionda, infilandola nella sacca vicino a lui. Chissà, forse avrebbe potuto tornare utile in seguito...
-Mukuro, qui siamo pronti.- annunciò Gokudera, riponendo i suoi attrezzi.
-È tesa a sufficienza?-
-Sì, meglio di così non si può fare senza un macchinario specifico.- disse lui. -Chrome ha chiamato due minuti fa, è andato tutto liscio di sotto... è in posizione come stabilito.-
-Bene.- disse Mukuro, testando la tensione del cavo con il piede. -Kyoya?-
-Non ha ancora chiamato.-
-Non ancora?-
Mukuro si sporse a guardare la folla, pensieroso. Non sarebbe certo riuscito a distinguere Kyoya da così in alto in mezzo a tutte quelle persone, ma non poteva fare a meno di cercarlo. Il suo compito era controllare la situazione dal basso, avvertirli quando Byakuran fosse arrivato, ma possibile che ancora il generale non fosse sul posto? In quel preciso istante il telefono squillò.
-Kyoya?-
-Mukuro, Byakuran era già qui, non so da quanto, ma almeno da due ore.-
-Che cosa? E che cosa diavolo faceva già qui?-
-Non ne ho idea, ma l'ho visto solo per caso, ho visto Sawada insieme a lui uscire da quella tenda blu davanti al teatro.-
Mukuro puntò gli occhi sul tendone blu che nascondeva qualcosa, a metà strada tra il palco dove Byakuran sarebbe dovuto salire per l'apertura della fiera e il palazzo dello sport sul quale si trovavano lui e Gokudera. Non erano riusciti a sapere che cosa fosse; alcuni credevano fosse un monumento che avrebbero inaugurato al centro della piazza, altri che fosse parte dello spettacolo teatrale, tuttavia la presenza di Byakuran e di Tsunayoshi lì poco prima della cerimonia era sospetta... almeno, per lui.
-Dove sei, Kyoya?-
-Sto salendo dalla scala antincendio.-
-Bene. Dobbiamo essere pronti prima che lui salga sul palco.-
-Arrivo subito.-
Mukuro chiuse la comunicazione, invaso da uno strano senso di quiete. La paura e il nervosismo ora erano lontani da lui, come portati via dal vento con le voci e i rumori della folla sottostante. Si sfilò il cappotto nero e indossò quello bianco che già la prima volta aveva usato per il suo messaggio sul canale dodici. Una volta arrivato sul tetto anche Kyoya avrebbe indossato degli abiti bianchi e gli sarebbe rimasto accanto per tutto il tempo. Gokudera, per sicurezza, avrebbe evitato di farsi vedere e avrebbe cercato di coprire un'eventuale fuga problematica con l'aiuto di un fucile di precisione. Nagi, per evitare qualsiasi problema, si sarebbe tenuta lontana dal tetto. Era anzi posizionata alla fontana decorativa, poco distante dalla misteriosa tenda blu. 
Mukuro aveva un pessimo presentimento riguardo a quello sconosciuto oggetto, nascosto alla vista. Poteva plausibilmente essere una statua, essendo la cerimonia della fiera dell'artigianato... eppure aveva la sensazione che non fosse nulla del genere, che si trattasse di qualcosa di molto più sinistro...
Poi vide movimento sul palco e riconobbe Tsuna, tutto preso a discutere qualcosa con uno dei tecnici. Istintivamente Mukuro sorrise. Era così tanto tempo che non vedeva o sentiva Tsunayoshi. Vederlo in salute gli diede una meravigliosa sensazione; fu come bere un sorso di cioccolato caldo per contrastare il vento freddo.
-È già arrivato?- domandò Kyoya con il fiatone mentre li raggiungeva e guardava in giù verso la piazza.
-No... è salito Tsunayoshi a parlare con un tecnico, immagino che Byakuran stia per salire.-
Non si era sbagliato: eccolo salire, avvolto da un mantello nero con gli alamari color oro ducato e in mano qualcosa di splendente. Mukuro l'osservò meglio con l'aiuto di un binocolo: aveva in mano una maschera dorata in stile veneziano. Valutò che potesse essere l'ennesimo trucco per sembrare un appassionato di teatro che tra l'altro non era mai stato nella sua vita. Mukuro non avrebbe avuto bisogno di osservarlo con il binocolo: un momento più tardi uno schermo enorme montato sopra il palco venne acceso e l'abbigliamento del generale fu notato da tutti. Il brusio calò e quasi scomparve.
-Sei pronto, Kyoya? Ci siamo quasi.-
-Solo un momento...- borbottò Kyoya, litigando con una manica della giacca bianca.
-Beh, basta che tu non sia in mutande quando punteranno la telecamera qui...-
-Non mettermi ansia!-
Byakuran aveva già iniziato a parlare al microfono, sfoderando un sentito discorso sulle tradizioni del Giappone e sulle influenze occidentali. Come aveva pensato Mukuro, l'obiettivo del generale era staccarsi dalla figura che l'aveva preceduto e abbracciare l'occidentalizzazione del Giappone, o come amava definirla quella sera, la "nuova occidentalizzazione". Il nuovo capo dell'Haido sguazzava nel suo elemento, si muoveva bene nell'inganno, giostrava a suo favore le parole e i gesti per ammaliare il popolo.
L'ex eroe si alzò in piedi e afferrò l'arco. Era ora di farla finita con quella farsa. Non potè non chiedersi come la stampa o quelle persone l'avrebbero ribattezzato dopo quell'apparizione. L'avrebbero chiamato eroe redivivo, o era troppo tardi? Byakuran sarebbe riuscito a sminuire la sua leggenda?
-Scusa il disturbo, Hayato.- disse Mukuro mentre Kyoya si metteva al suo fianco.
Gokudera incoccò la freccia nel suo arco e sorrise senza staccare gli occhi verdi dalle bandierine che sventolavano, aiutandolo a calcolare la forza e la direzione del vento. Tese l'arco.
-Non c'era tempo, o ti avrei insegnato io a tirare con l'arco.- disse Gokudera. -Pazienza... per stavolta ti lascerò fare la figura del figo al mio posto.-
-Sei sicuro di colpirlo a questa distanza?-
-Non siamo così lontani... e questo è un arco di precisione, fidati. Pronti?-
-Quando vuoi.- disse Mukuro tendendo l'arco però privo di freccia.
Gokudera non si mosse e non disse niente per qualche secondo che però sembrò un'eternità. Alla fine scoccò la freccia mentre Byakuran stava per ufficializzare l'apertura del teatro. Il dardo bianco passò inosservato finchè non si conficcò nel legno della sedia su cui il nuovo generale era seduto, facendo sussultare Tsunayoshi che era a nemmeno mezzo metro da lui.
La folla iniziò a gridare e ad agitarsi, Tsunayoshi restò immobile a guardare le piume bianche della freccia, che vibravano per l'urto, con gli occhi spalancati. Byakuran mantenne un'invidiabile tranquillità per un uomo che ha visto una freccia conficcarsi a quindici centimetri circa dal proprio occhio e non smise di sorridere mentre alzava gli occhi in direzione del palazzo. Mukuro vide i suoi occhi viola nello schermo fissarlo. Abbassò solo un po' l'arco, restando in posizione per dare l'illusione di essere stato il tiratore, mentre le luci si puntavano su lui e Kyoya al suo fianco.
-Ah, finalmente, finalmente...- disse Byakuran, alzandosi. -Cittadini di Edo e gentili turisti, mantenete la calma... non c'è nulla di cui preoccuparsi... lo vedete?-
Mukuro vide il suo stesso corpo, il suo viso e il suo cappotto bianco nello schermo sopra il palco. Si sorprese di quanto sembrasse freddo e risoluto e ne fu felice. Non voleva che qualcuno si rendesse conto di quanto fosse nuovamente nervoso, specie il suo nemico. Quando la gente lo vide, ci furono altre grida; molti alzarono le mani verso di lui, ci fu un gran vociare.
-Ti hanno riconosciuto, Mukuro...- sussurrò Kyoya alle sue spalle.
-Ebbene, signori... se non siamo tutti nello stesso sogno, quell'uomo lassù è l'eroe di Namimori... Rokudo Mukuro.- disse Byakuran, sorridendo. -Mukuro, non credo che queste brave persone possano sentire quello che hai da dire da lassù, vorresti per caso raggiungerci?-
Mukuro fece un sorriso malizioso e accese il dispositivo che portava sull'orecchio. Quando parlò l'intera piazza udì la sua voce, grazie agli stessi altoparlanti che trasmettevano e amplificavano la voce del generale.
-Penso sia il caso di mantenere le giuste distanze, Byakuran.-
-Vedo che sei venuto preparato, come sempre... molto bene, resta lassù se lo desideri. Non corri alcun rischio, nessuno ti sparerà contro... francamente...- disse lui, afferrando la freccia bianca. -Dubito che qualcuno dei miei uomini abbia una mira così sopraffina.-
-Non sono qui per ricevere le tue lusinghe.-
-Non sei qui nemmeno per uccidermi, quindi, che cosa vuoi?- disse Byakuran, gli occhi fissi su una figura troppo lontana perchè potesse distinguerne il viso. -Ti sei preso il disturbo di venire qui da Kokuyo, di piazzare i tuoi amici in mezzo alla gente... e di indossare un vestito bianco... sei qui per la tua guerra, dico bene?-
-Sono qui per dire a queste persone che tipo di uomo sei... che tipo di uomo decide delle loro vite in questo momento.-
Mukuro cercò con lo sguardo Kyoya e trovò i suoi occhi grigi che non guardavano altro che lui. Gli fece un cenno con la testa per incoraggiarlo, e ogni paura di nuovo si dissipò completamente dal suo cuore, che palpitava come se stesse sostenendo gli sforzi di una gara di atletica.
-Prima che tu dica cose di cui potresti pentirti, lasciami dire una cosa... o due... abbi pazienza.-
Byakuran lanciò uno sguardo a Tsunayoshi e anche lui, come Kyoya, gli fece un impercettibile segno di assenso. Mukuro non avrebbe potuto avere un presentimento peggiore di questo.
-Sono stato arruolato nella milizia senza una scuola preparatoria, questo significa che sono stato a fare la mia gavetta nell'orribile carcere di Sekko e non nel comodo, confortevole ufficio dei servizi interni come qualche altro fortunato.- disse Byakuran, e per la prima volta Mukuro fu certo che avesse scoccato un'occhiata gelida a Kyoya. -Ho fatto cose terribili... anche a te, quando sei stato detenuto in attesa di esecuzione... ma ora ti sfido, Mukuro kun, a mentire e a dire a queste persone che non sei qui per merito mio.-
-Io ti sfido a dire a queste persone che non mi hai salvato per egoismo.-
-Tu sai bene che non è "egoismo" la parola che queste persone userebbero.- disse lui con malcelata furia, nella voce e negli occhi. -Tuttavia, Mukuro kun, tu non sei qui per un caso fortuito... sei qui perchè ti abbiamo fornito l'occasione più ghiotta possibile per dire al mondo che non sei morto e che non ti sei arreso... sì, io e Tsunayoshi ti volevamo qui oggi...-
-Di che sta parlando?- domandò Gokudera a tutti e a nessuno, nascosto fuori dalla visuale di chiunque.
-Mi hai preparato una trappola, Byakuran? Sembra che tu e il tuo amico Kikyo non siate capaci di prendermi senza approfittare di qualcuno...-
-Risparmia il tuo disprezzo per chi lo merita, Mukuro kun... quello che ti ho preparato oggi è un regalo... perchè io ti farò una proposta davanti a tutte queste persone, in modo che tu non possa avere dubbi sul fatto che il patto sarà mantenuto.-
Byakuran si liberò del mantello nero e mostrò a tutti che al di sotto era vestito completamente di bianco. Questo gesto ebbe un grande impatto sulla folla, che guardava il generale e l'eroe con la stessa ammirazione e la stessa confusione. Mukuro provò un fiotto di odio verso quell'uomo, avrebbe voluto lanciarsi giù e andare di persona a strappargli quel candore finto; se avesse dovuto indossare un colore che lo rappresentasse avrebbe dovuto essere vestito di color porpora...
-Eccentrica come proposta di matrimonio.- osservò sarcastico Gokudera che fissava Byakuran dal mirino di precisione del suo fucile.
-Oh, chiudi il becco.- sibilò Kyoya.
Mukuro non perse una mossa del suo nemico. Aveva la sensazione che quel tendone blu sarebbe stato rimosso proprio ora, e che nascondesse l'inquietante regalo a cui si stava riferendo.
-Signori e signore, vi consiglio di portare via i vostri bambini, perchè lo spettacolo che vedrete fra poco non è adatto a quel genere di pubblico.-
Byakuran tirò una cavo annodato vicino alla sua sedia, e poi un secondo e un terzo, facendo cadere la tende blu e rivelando che cosa celavano: un patibolo non dissimile da quello sul quale avevano fustigato Mukuro due mesi prima, a cui erano legate tre persone. Tre uomini, due piuttosto giovani e uno sui trent'anni. Mukuro li guardò anche con l'ausilio del binocolo, ma non riuscì a riconoscerli. Non erano uomini che lo avevano nascosto o aiutato, non erano persone che conosceva... erano forse amici di Kyoya, o di qualcuno dei suoi?
-Ti vedo confuso, Mukuro... allora lascia che ti dica chi sono queste tre persone...- disse Byakuran, raggiungendo il patibolo con la stessa aria mortifera che aveva imparato ad associare al carceriere quando era in collera. -Questi tre uomini sono coloro che hai tanto cercato... le persone che hanno fatto soffrire te e una persona a te molto cara... e uno di questi... cani... è il padre della creatura che hai potuto conoscere in febbraio.-
-In febbra... che cosa sta dicendo...?- domandò Kyoya, confuso.
-Non sarà mica...?-
Ma Mukuro non stava ascoltando nè Kyoya nè Gokudera, non riusciva a sentire alcuna voce se non l'eco dei ricordi. Possibile che quelle tre persone fossero quelle che inutilmente aveva cercato di rintracciare, i vigilantes che avevano aggredito e violentato Nagi lo scorso maggio a Namimori? Nagi non aveva mangiato per settimane... aveva rischiato di morire, aveva voluto morire... e i suoi amici non avevano fatto altro che scoccargli occhiate velenose, dopo quell'avvenimento, perchè quel pomeriggio proprio Mukuro avrebbe dovuto accompagnare Nagi, e invece l'aveva lasciata sola...
Sentendosi nelle orecchie il battito violento del cuore e il suono del suo respiro pesante, Mukuro ignorò la protesta di Hibari e si aggrappò al cavo teso con l'ausilio di un gancio, scivolando velocemente giù dal tetto dello stadio. Un mare di persone lo guardavano scioccati e meravigliati mentre il suo semplice stratagemma lo portava dritto verso il patibolo, proprio come tempo prima lo stesso trucco lo aveva fatto volare sopra la gente alla parata della milizia a Namimori. Il suo cervello era attraversato da pensieri dolorosi e domande senza risposta. Se fossero stati davvero loro... se quei tre fossero stati i responsabili... non aveva occhi per nessuno se non per loro. Dopo averli tanto cercati, invano, e aver pensato di non trovarli mai... li aveva davvero di fronte?
Mukuro saltò giù dalla carrucola e atterrò dolorosamente sul legno; il cavo passava alto su quel punto, essendo stato teso per atterrare sul palco diversi metri più avanti. Byakuran si avvicinò di qualche passo.
-Stai bene?-
-Sono... sono veramente loro?- domandò Mukuro, alzandosi incurante del dolore lancinante a una gamba.
-Ti ho mai mentito prima, Mukuro?-
-Sono veramente gli uomini che hanno...?-
-Questi tre sacchi di merda...- disse Byakuran, sottolineando l'ultima parola con un pugno al costato di uno di loro. -... sono la feccia che hai cercato a lungo... sono i tre vigilantes che hanno violentato la tua compagna a Namimori il sedici maggio scorso, nel parco del settore quattro. Ti posso giurare che sono loro.-
Mukuro fissò le loro facce, in parte coperte da nastro adesivo. In confronto a loro, l'odio che provava per Byakuran era niente... la rabbia che aveva provato per ogni umiliazione subìta, il dolore per la sua solitudine e la sua separazione dall'uomo che amava non era nulla... in confronto a quella che quei tre uomini gli avevano arrecato, a lui, a Nagi, alla sua famiglia...
-Sarai felice di sapere che la nuova corte li ha condannati tutti e tre per la violazione del codice della dignità umana... e che oggi possono essere giustiziati... a meno che la tua compagna non voglia concedergli il perdono e la grazia, in quel caso passeranno la vita in carcere...-
-Questo non accadrà mai.- sibilò Mukuro, gli occhi fissi su uno di loro.
-Forse dovresti chiederlo a lei... lo so che è qui con te, oggi...-
-Mukuro!-
Mukuro si girò e vide Kyoya scendere dal cavo e atterrare meno disastrosamente di lui sul patibolo. Gli andò incontro e lo trascinò qualche passo più lontano da Byakuran e dai prigionieri. Era troppo furioso per potersene accorgere, ma Kyoya era preoccupato e molto agitato.
-Mukuro, ti prego, pensa a quello che stai facendo, non sei sicuro che quei tre siano i responsabili di quello che è successo a Chrome!-
-Byakuran non mi ha mai mentito, al contrario di te.- ribattè secco Mukuro.
-Avrebbe una montagna di motivi per farlo questa volta!- rispose Kyoya, trattenendolo per il braccio. -Mukuro, non uccidere queste persone, non mostrarti assetato di vendetta a tutto il Giappone!-
-Uccidere quelle persone è giustizia e nient'altro.-
-Mukuro, tu non hai mai, mai giustificato la pena di morte, non iniziare ora!-
-Hibari Kyoya.- disse all'improvviso Byakuran; l'espressione glaciale. -Questa non è una cosa che ti riguarda... non è una scelta che spetta a te. Chiudi quella dannata bocca.-
Mukuro riuscì comunque a ritrovare un barlume di freddezza. Byakuran aveva detto una cosa giusta anche se alla persona sbagliata: non era una scelta che spettava a lui. Per quanto avesse sofferto, per quanto tutti gli avessero dato la colpa di quello che era accaduto, a soffrire più di chiunque era stata Nagi, e a lei spettava scegliere. Si voltò verso la fontana decorativa e la trovò, in piedi sul bordo per vedere meglio che cosa succedeva. La vide piangere, stringere forte il fagotto caldo delle coperte di Mikado... poi lei scese e corse via nella folla, senza voltarsi indietro. L'unica certezza che aveva era che, per avere una reazione simile, Nagi li aveva riconosciuti...
-Mukuro, puoi farlo tu... sei tu che sai quanto ha sofferto la tua compagna... e hai sofferto tu... hai il mio permesso davanti a tutti... puoi aprire le botole con le tue mani e uccidere questa feccia.-
Gli occhi dei tre uomini andavano da Byakuran a Mukuro senza sosta, angosciati. Mukuro li guardò e non riuscì a non pensare che cosa avesse provato Nagi quel giorno di maggio. Si chiese se anche lei avesse cercato aiuto guardandosi intorno, se anche lei come loro non fosse riuscita a dire una parola... l'unica cosa che sapeva era che per Nagi non c'era stata grazia, non c'era stata pietà...
-Mukuro, ti prego, no!-
Mukuro si ritrovò incapace di muovere un passo o allungare la mano per afferrare la leva che apriva le botole. Solo qualche istante dopo capì che era Hibari a trattenerlo, con tutta la forza e la delicatezza che poteva usare nello stesso tempo.
-Ti prego... farlo ora non serve a niente... non cancellerà il dolore che hai provato... non... cambierà quello che è stato... la vendetta non ti ripagherà...- gli sussurrò all'orecchio Kyoya. -Nè servirà a far tornare la primavera... ti prego, non lasciargli sporcare anche la tua coscienza...-
-Loro meritano di morire.-
-Non per questo devi faro tu, Mukuro... e una volta... credevi che nessuno meritasse di essere ucciso... era solo perbenismo? Solo per ribattere a ogni cosa che credevo giusta nel regime?-
Mukuro bloccò la mano che stava ancora cercando di raggiungere la leva. Era passato così tanto tempo, ma Kyoya ricordava ancora di che cosa avevano discusso l'ultima volta al parco, tra le altre cose. Il codice della dignità umana si stava ancora redigendo all'epoca, e la pena di morte non era ancora stata scelta come pena per coloro che lo infrangevano... ma lui stava già pensando di entrare nella milizia ed era stato inutile discutere di diritti umani con Kyoya... per questo in seguito aveva cercato di diventare un avvocato, e poter evitare che si abusasse del codice per fare una strage... ora invece capiva cosa intendeva Kyoya quando diceva, da ragazzo, che quelli che violavano dei diritti così assoluti sarebbero stati solo bestie... più che mai, davanti a migliaia di persone, Mukuro comprese di non essere superiore a nessun altro, di non essere più puro, più illuminato o più sincero. Aveva parlato per idealismo senza fermarsi a pensare che cosa avrebbe fatto lui di fronte a criminali di quella risma. Sotto quell'aspetto, Tsunayoshi era stato molto più illuminato di lui, a chiedere la grazia per l'uomo che gli aveva tagliato la gola.
-Non spetta a me tirare quella leva... uccidere queste persone... questi mostri.- disse alla fine, fissandoli come se non avesse in realtà desiderato altro che sventrarli. -Dovrai chiedere a Nagi se vuole perdonarli.-
-... Molto nobile, Mukuro kun...-
Byakuran, con immenso stupore di Mukuro, applaudì. Una volta, due, tre, e dopo il silenzio tutti lo seguirono e fu uno scroscio di applausi fragoroso. Dovunque lui si voltasse vedeva una distesa di persone che lo guardavano, applaudivano, gridavano apprezzamenti nei suoi confronti. Era strano trovarsi in una simile situazione, su un patibolo, davanti a degli uomini che disprezzava, la folla entusiasta e Byakuran che applaudiva... continuando a fissare freddamente Kyoya al suo fianco.
-Che incredibile forza d'animo che hai, persino di fronte alle persone che hanno distrutto la vita della tua compagna... e la tua... non c'è da sorprendersi che il vecchio governo ti temesse tanto... la tua umile condizione di vita e questa fiducia incrollabile nella primavera ti hanno permesso di lottare finora...-
Mukuro si rese subito conto che qualcosa in Byakuran era cambiato. Aveva perso il sorriso lezioso e il suo tono ufficiale che usava nelle conferenze stampa e quando parlava in pubblico. Ora guardava solo nei suoi occhi, incurante di Kyoya, dei prigionieri e della gente intorno. La sua voce era di nuovo quella diretta e sincera che usava per raccontare della sua famiglia nelle lunghe notti della stanza bianca.
-Ma ora basta, Mukuro... basta combattere... la mia offerta, ora, senza tanti fronzoli.- disse avvicinandosi di un passo. -Deponi le armi... tu e i tuoi uomini... finite questa guerra con l'Haido e io vi offro il perdono.-
-Co... cosa?-
-Hai perso già abbastanza... prima che succeda qualcosa di peggio, prima di perdere la vita e tutto quello che ami per un pugno di mosche, rinuncia. L'Haido non è più lo stesso a cui hai dichiarato guerra... ora c'è la libertà di spostarsi liberamente, non esiste il coprifuoco, le liste nere sono abolite... si starà bene, e al tempo stesso si sarà protetti... questo è il Giappone che tu volevi. Ora abbandona questa crociata e tornerete tutti a una vita libera. Nulla di ciò che avete fatto verrà riportato sulla fedina penale, nè da nessun'altra parte.-
Mukuro non rispose. Sentì la stretta di Kyoya sul braccio, un vago mormorio nella folla. Sapeva che cosa stava pensando Hibari in quel momento: che forse aveva visto giusto dicendo che Byakuran stava abolendo tutto quello che lui aveva giurato di combattere. E ora ne vedeva il motivo: non era uno psicopatico innamorato che tentava di riconquistarlo, voleva solo mettere una toppa sui disastri causati dal precedente governo, eliminare la resistenza senza spargimento di sangue. Offrire il perdono all'eroe della libertà lo avrebbe reso gradito anche ai più ostili, e senza una figura a guidare la ribellione non ci sarebbero stati rivoltosi. Ma sebbene fosse l'ennesima mossa politica di Byakuran, Mukuro pensò che forse era stato il risultato dell'accordo del nuovo generale con Tsunayoshi, per raggiungere uno scopo comune. Salvare la sua vita e proteggere la libertà.
Mukuro sorrise e guardò Tsunayoshi, che ricambiò lo sguardo con insolita emozione; sembrava fosse sul punto di piangere. Quasi aveva dimenticato che lo aveva creduto morto davvero per molto tempo. In quel momento Mukuro era più propenso che mai ad accettare. Cancellare tutti i suoi reati, tutti i coinvolgimenti dei suoi amici, tornare a Namimori con Nagi, Mikado, la sua famiglia, Hayato e Kyoya... poter rivedere Tsunayoshi come prima, pensare solo a trovare un lavoro e crescere il bambino della sua più cara amica gli sembravano sogni a portata di mano...
-Non devi rispondermi adesso. Ho già firmato questo atto, forse vuoi leggerlo, essendo un avvocato puoi sicuramente capirlo...- disse Byakuran, porgendogli un foglio ripiegato. -È da tanto che non sei davvero libero... hai una settimana per godertela... torna nei posti che preferivi, cammina da eroe quale sei adesso per le strade... hai una settimana per rispondermi e dirmi se vuoi restare libero più a lungo.-
Mukuro prese il foglio e lo lesse, mentre Kyoya iniziava a dare segni di irrequietezza accanto a lui. Era ovvio che non si fidava e normalmente anche Mukuro avrebbe diffidato di un accordo tanto conveniente venuto da un uomo simile, ma l'atto sembrava autentico in tutte le sue parti, dalla scrittura alla firma, dalla carta ai timbri ufficiali. Recava anche la firma del sottosegretario Kikyo e del capo del dipartimento di giustizia.
-Sei convinto, Mukuro?-
-Mi stupisce che tu lo credi tanto sciocco da darti fiducia.- disse Kyoya, fissando Byakuran come fosse pronto a sbranarlo. -Puoi averlo plagiato quanto ti pare in prigione, ma lui non ha più paura di te.-
Byakuran ricambiò lo guardo di Hibari come se non potesse credere al fatto che uno come lui avesse osato rivolgergli la parola. Mukuro aveva visto tante volte quegli occhi prendere di mira qualche subordinato irriverente e punirlo; per questo bloccò Kyoya quando cercò di avvicinarglisi.
-Mukuro, posso ammazzarlo anche adesso.-
-Non ho mai avuto intenzione di ucciderlo, Kyoya.- rispose Mukuro pacato. -Anzi, ora ce ne andremo.-
-Cosa?!-
-Ci prenderemo quello che ci ha dato... sette giorni di assoluta libertà... e dato che questo editto è stato firmato più di tre giorni fa e sancisce sette giorni da oggi, posso presumere che sia stato vagliato a dovere e sia effettivo adesso.-
-Perfetto come sempre, Mukuro kun... sì, hai ragione, è stato firmato più di tre giorni fa. Non c'è motivo sulla terra che non lo renda effettivo da oggi per i prossimi sette giorni in territorio giapponese.-
-Bene.- disse Mukuro riponendo il documento nella giacca. -Allora, se avrai la gentilezza di far portare via questi tre sacchi di letame e di aprire ufficialmente la fiera, io e i miei amici ci godremo la prima sera di libertà girando per questa fantastica esposizione.-
Byakuran rispolverò il suo più ampio sorriso.
-Ma naturalmente... Tsunayoshi kun, ti dispiace far portare via questa gentaglia in attesa della decisione della signorina in separata sede? Ah, devo andare a suonare quel gong, vero?-
Byakuran scese dal patibolo mentre delle guardie di sicurezza si affrettavano a incappucciare i prigionieri e a portarli via. Kyoya fissava Mukuro come se non l'avesse mai davvero visto, incredulo, ma ancora incapace di rovesciargli addosso i suoi dubbi. Mukuro lo trascinò giù dalla struttura di legno, in mezzo alla gente che si accalcò intorno a loro per dire qualcosa, stringere loro la mano o fargli una fotografia da vicino. Mukuro non era mai stato libero da quando tutto il paese lo aveva definito eroe, e nelle poche ore in cui aveva potuto camminare accanto alle persone non era stato riconosciuto, ma ora gli sembrava di essere un idol: una marea di ragazze dall'età delle medie a quelle universitarie lo circondava. Da qualche parte oltre quelle facce si udì un gong profondo e i fuochi artificiali illuminarono la città. Proprio mentre esplodevano i fuochi rossi, di buon auspicio per il futuro, dalla calca delle ragazze qualcuno uscì e strinse Mukuro così forte da fargli male. Solo alla luce di un'esplosione più bianca riuscì a distinguere folti capelli castani, sopracciglia sottili, grandi occhi castani bagnati di lacrime. Non riuscì a non sorridere, accarezzando la testa di Tsunayoshi.

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Capitolo 50
*** Guerra o pace ***


-Mukuro?-
-Mh.-
-Caffè.-
Mukuro alzò la testa dal tavolo controvoglia. Dopotutto forse alzare il gomito nella sua prima notte da uomo libero nella città dove l'alcol non era più regolamentato non era stata la sua idea migliore. Kyoya gli mise la tazza di caffè davanti, ma lo conosceva abbastanza bene da capire che era in arrivo una sacrosanta ramanzina in stile mamma.
-Cosa c'è, mamma?-
-Era proprio il caso di bere in tutti i locali della città?-
-Ma se non abbiamo passato neanche la metà dei locali del quartiere? Che esagerato sei.-
-Sai cosa intendo dire.-
-No, non lo so.- ribattè lui infastidito. -Byakuran ci ha sottoscritto veramente la libertà per sette giorni, e davanti a tutta la città aveva le mani legate... era il momento di approfittarne, non avevo mai potuto bere a volontà, sono diventato maggiorenne dopo che l'Haido aveva già ristretto la vendita dell'alcol... avresti dovuto bere anche tu, Kyoya.-
-Ogni volta che bevo finisco a letto con qualcuno, meglio di no.-
-Non era poi una brutta cosa, c'ero io con te.-
-Appunto.-
Kyoya sfuggì al tentativo di coccole di Mukuro andandosi a versare del caffè. Interdetto e irritato per la testardaggine di quello che, teoricamente, avrebbe dovuto essere il suo compagno, Mukuro si dedicò al caffè. Un momento dopo Gokudera entrò nella stanza con tre o quattro quotidiani nazionali in mano. Incredibilmente sorrideva da un orecchio all'altro.
-... Forse qualcuno ha ficcato ieri sera, il sorriso c'è.- osservò Mukuro, prendendo uno dei giornali.
-No, ma quello che ho saputo dalla scuola è molto meglio!-
-Meglio del sesso? Hayato Gokudera, mi sconvolgi. Sei ubriaco?-
-Dico sul serio, ieri sera Kusakabe mi ha telefonato, ha visto Hibari in televisione e ha pensato che fossi anche io con voi, quindi ha cercato di chiamarmi... e io ti devo un grande favore, Mukuro, potrei amarti.-
-... Spiegati, prima che io mi spaventi davvero...-
-I miei diciotto ragazzi a scuola.- disse Gokudera, continuando a sorridere. -Quindici di loro volevano fare l'accademia militare ed entrare nella milizia... ma dopo il tuo ritorno ieri sera, dopo che hanno sentito Byakuran dire che sei un avvocato, dieci di loro hanno deciso di diventare avvocati, come te... e altri due, giornalisti come Tsuna.-
-... Oh.- fu l'unica cosa che riuscì a dire inizialmente. -... Dieci? ... Il foro si fa competitivo.-
-Sei riuscito a far capire alla nuova generazione che il potere e la ricchezza non sono l'unica cosa che importa, che ci sono altre strade da seguire per essere soddisfatti...-
-Tra cui mollare l'università e farsi processare per terrorismo, ovviamente.- aggiunse Kyoya senza riuscire a nascondere un sorriso accennato.
Gokudera si mise a ridere e iniziò a leggere i titoli degli articoli che parlavano di lui, ma Mukuro non lo stava ascoltando con piena lucidità. Non poteva negare di essere emozionato. Fin dal momento in cui aveva deciso di combattere da solo sapeva che difficilmente la sua strada l'avrebbe portato ad essere felice e molto più facilmente alla distruzione. Pensava di essere arrivato al capolinea naturale della sua scelta quando era stato processato per terrorismo. Una serie di eventi fortuiti e fortunati l'aveva reso di nuovo un uomo libero, anche se non nel senso letterale... fino alla sera precedente. Era davvero un uomo libero, per una settimana, e forse, se ci fossero state le condizioni, per sempre... nulla l'avrebbe reso più felice di tornare a Namimori come un eroe libero, senza dover più combattere, godendosi la compagnia delle persone che amava, e non ultimo l'incredibile affetto e ammirazione di persone che non aveva mai visto prima. E Tsunayoshi gli aveva detto che era orgoglioso di lui... anche se era convinto che quell'affermazione si riferisse principalmente al fatto che non aveva ceduto alla rabbia e non aveva ucciso gli stupratori di Nagi.
-Però ora... ora che si fa?- domandò Gokudera, abbandonando i giornali. -Abbiamo sette giorni... ma che cosa facciamo, dopo? Combatteremo ancora, no?-
-Certo che combatteremo. Byakuran è un bluff e noi lo sappiamo. Un uomo del genere non può avere il potere.- rispose Kyoya, come se la domanda fosse la più indegna.
-Non dobbiamo decidere ora... non deciderò per voi due, almeno.- disse Mukuro, evitando accuratamente sia gli occhi verdi che quelli grigi. -Ma Nagi tornerà a casa insieme a Ken e Chikusa, approfittando dell'amnistia.-
-Nagi non tornerà a casa senza di te, e nemmeno loro.- 
-Lo faranno invece, lo faranno oggi stesso... è un'occasione irripetibile.-
-Ne parli come se fosse una cosa certa, ma...-
-È una cosa certa. L'amnistia è vera, me lo ha confermato Tsunayoshi ieri sera.-
Questo fece tacere Kyoya, anche se visibilmente aveva ancora delle riserve. Prima che pensasse se fosse o no il caso di sparare quel suo dubbio, Nagi entrò nella stanza. Aveva un'aria decisamente riposata e Mukuro non si aspettava che stesse così bene, dopo che Byakuran le aveva fatto rivedere gli uomini che le avevano causato tanto dolore. Notò solo dopo che indossava un abito nero con minuscoli pallini bianchi e la borsetta.
-Dove stai andando, Nagi?-
-Da nessuna parte, sono appena tornata...-
Lei appoggiò sul tavolo una busta che emetteva un dolcissimo, invitante profumo; un logo rosa era stampato su un lato e recava il nome di una famosa pasticceria della capitale. Madeleine si privò del cappotto e appoggiò un'altra busta lì accanto. Anche lei aveva un abito ricercato ed estremamente attillato. Portava orecchini, trucco e borsetta. In definitiva le due sembravano pronte per la discoteca.
-... Che succede?-
-Siamo uscite mentre voi ancora russavate a bocca aperta e mentre tornavamo abbiamo pensato di portarvi la colazione...-
-Lascia quella schifezza solubile e bevi questo!- sbottò Madeleine, togliendo letteralmente la tazza dalla bocca di Gokudera per mettergli il bicchiere di un cappuccino d'asporto in mano. -L'ho portato per tutta la strada fin qui, almeno ringrazia e bevilo!-
-... Grazie.- fu la confusa risposta di Gokudera mentre beveva il cappuccino.
-Per te caffè, ma è un vero caffè.-
-... Grazie...- replicò Kyoya, che stava sgraffignando una sontuosa brioche dal sacchetto di Nagi.
Ci fu qualche minuto di trambusto mentre Chikusa e Ken si trascinavano nella stanza, ci si scambiavano saluti, brioche e bevande varie, tutti trovavano sedia e spazio per mettersi comodi a fare colazione e qualcuno commentava le prime pagine dei giornali comprati da Gokudera. Dopo, gli unici commenti furono quanto fossero gustose la cioccolata calda, la crema o la frutta che stavano mangiando. Mukuro osservò quella scena con una strana sensazione, guardandola come fosse lo schermo di un televisore di fronte a lui. Stentava a credere di farne parte, che quella felicità gli appartenesse... ma gli apparteneva, come gli apparteneva l'amore che i presenti avevano nei suoi confronti...
-Dobbiamo parlare di ieri sera.- annunciò alla fine, dopo aver visto un più che raro sorriso scambiato fra le due ragazze di casa. -E di quello che faremo adesso...-
Madeleine alzò gli occhi da Mikado, che aveva insolitamente accettato di tenere in braccio. Dal modo in cui lei e tutti gli altri lo guardarono, lui capì che aspettavano con impazienza il momento delle direttive.
-È ora di fermarsi... Madeleine, tu dovresti tornare a casa, in Francia... la guerra qui è finita... e lì sarai al sicuro qualsiasi cosa accada dopo questi sette giorni.-
Lei non disse niente, cosa che sorprese Mukuro che si aspettava una furiosa protesta. Non sembrava sollevata o in qualche maniera felice di andarsene, ma non sembrava nemmeno che volesse restare a ogni costo. Non seppe come interpretare la sua reazione.
-Nagi... tu...-
-Tornerò a Namimori... credo che ci sia un alloggio che mi aspetta al mio ritorno.- disse lei sorridendo. -È finita, quindi devo pensare soltanto a Mikado e alla vita che sognavamo per tutti noi.-
Mukuro sorrise di rimando. Fu felice che non ci fossero le discussioni che aveva temuto.
-Ken, Chikusa... potete tornare anche voi a Namimori... o a Kokuyo, come volete, ma vorrei che restaste con Nagi mentre io sono qui a Edo.-
-Tu hai intenzione di restare?-
-Noi rimarremo con te.- aggiunse Chikusa immediatamente.
-No, no, io non ho bisogno di aiuto... non intendo restare per combattere... lo giuro, voglio solo rimanere a Edo finchè resterà Tsunayoshi... poi ritorneremo a Namimori... lui... mi è mancato tanto... e non ci sono stato quando aveva bisogno di me... quando ha perso sua madre, e suo padre... voglio restare per ora.-
Ken e Chikusa parvero decisamente sollevati dalla notizia che non aveva intenzione di continuare la battaglia, ma Gokudera assunse un'espressione depressa. Mukuro non si sorprese, non aveva avuto modo di vedere Tsunayoshi o di rivolgergli la parola; avevano stabilito che i suoi complici non dovessero farsi vedere con lui nel caso si fosse rivelato un tranello... e Tsunayoshi non si era separato da Mukuro neanche per un minuto.
-Allora noi ti aspetteremo a Namimori tutti insieme!- disse Ken, mettendo la mano sulla spalla di Nagi. -Quando tornerete saremo di nuovo la famiglia che eravamo prima!-
-Spero anche meglio di prima...-
-Allora domani io parto.- disse Madeleine. -Ma tornerò quando sapremo che è tutto vero.-
Mukuro fu sorpreso dalla strana docilità di Madeleine, ma non quanto lo fu di vedere Nagi stringerle la mano e sorriderle... ed essere nuovamente ricambiata. Avvertì che qualcosa gli stava sfuggendo. Fino al giorno precedente la sua amica francese non solo corteggiava lui spietatamente ma detestava Nagi e il fatto che lui la preferisse; la stessa Nagi faceva appello a tutta la pazienza possibile per non darle corda e non litigarci. Per quanto fosse intimamente convinto che tutte e due le ragazze avessero un debole per lui, Mukuro iniziò a dubitare e a pensare che forse, forse, aveva preso un granchio colossale.

Il giorno seguente Madeleine partì da sola per l'areoporto dopo dei saluti volutamente frettolosi. Ancora una volta la scelta per il ritorno a Namimori cadde sul treno e ancora una volta furono a un soffio dal perderlo. Mukuro fece a malapena in tempo a baciare Nagi sul viso e sfiorare il viso di Mikado prima che Gokudera li spingesse oltre le porte sparando saluti e auguri a raffica. Videro Nagi ridere dietro il finestrino e far agitare la manina di Mikado verso di loro. Pochi istanti dopo lei, il bambino e i suoi accompagnatori furono scomparsi alla vista con tutto il treno. Mukuro si decise solo allora ad abbassare la mano.
-Ora che cosa facciamo, Mukuro? Che cosa facciamo veramente?-
Mukuro guardò Kyoya negli occhi con serietà. Non aveva dubbi che lui avrebbe capito che segretamente covava un dubbio oscuro. Gokudera mosse qualche passo diretto fuori.
-Non parliamone qui, tutti ci osservano.-
-Sì... torniamo all'appartamento.-
Si incamminarono velocemente fuori dall'affollata stazione, saltarono su un autobus e fecero ritorno al loro alloggio nel giro di dieci minuti; molto più agevolmente senza l'ingombro di valigie, carrozzina e bambino. Solo quando furono al sicuro dentro l'ingresso ripresero il discorso lasciato in sospeso.
-Dunque?- fece Kyoya, prima ancora di togliersi il cappotto.
-Beh, la verità è che anche se l'accordo è vero e ufficiale, non sappiamo se davvero ci verrà rinnovato a tempo indeterminato dopo la nostra resa...-
-Uno specchietto per le allodole, eh?-
Gokudera soffocò una risata e fece un cenno di scuse quando Mukuro lo guardò sorpreso e Kyoya lo fissò inferocito; chiaramente urtato dal riferimento al suo cognome. Indubbiamente Gokudera doveva sentirsi davvero allegro per mettersi a ridere per un gioco di parole. Una delle cose che temeva di più era proprio l'eccessiva rilassatezza.
-Gokudera, questo non era un gioco prima e non lo è adesso.- lo rimproverò in tono aspro. -Se la faccenda non fosse seria non avrei spedito Madeleine oltreoceano e Nagi non avrebbe bisogno di essere tenuta d'occhio... vorrei che almeno voi due siate consapevoli che non è ancora del tutto finita.-
-Non stavo mica... scusa.- borbottò lui fissando l'appendiabiti, corrucciato.
-Comunque... il fatto è che Byakuran ha potere assoluto... il suo vice è Kikyo e di fatto la terza carica dello stato è il ministro degli interni e alto consigliere Kozu... Tsuna è sempre con Byakuran, ma non ha alcun potere politico, è solo il portavoce dell'Haido e addetto stampa...-
-Quindi... Tsuna non è detto che lo sappia, se è una trappola... non ha accesso alle documentazioni ufficiali nè serve il suo consenso, è questo?- disse Gokudera.
-Esatto... Byakuran potrebbe tranquillamente archittettare tutto alle sue spalle... controfirmare un ordine di cattura... persino di esecuzione per tutti noi.-
-Allora Chrome è in pericolo, come gli altri!-
-Lo scoprirò se sta cercando di fare un tiro mancino... e se così sarà, spedirò i ragazzi da Madeleine in Francia dove saranno al sicuro dalla tirannia di Byakuran.- disse Mukuro risoluto. -Non gli permetterò di usare le persone che amo come armi contro di me.-
-Come scopriamo se c'è del marcio?-
-Lo scoprirò io personalmente... nel frattempo, voglio che voi due facciate qualcosa di molto più importante.-
Gokudera e Kyoya si guardarono sorpresi negli occhi, prima di fissarlo confusi.
-Che cosa?-
Mukuro prese un respiro profondo. Aveva evitato le discussioni a colazione, ma forse stavolta non ne aveva modo... si preparò a respingere tutte le possibili obiezioni. Era troppo importante che facessero come diceva.
-Io desidero che voi andiate a casa e che in questi giorni stiate con le persone che vi mancano.-
Vide la perplessità negli occhi di Gokudera e avvertì le proteste di Kyoya mentre le stava soltanto pensando, grazie ai suoi occhi particolarmente espressivi. Mukuro non era sereno, aveva paura di ritrovarsi completamente solo, paura delle risposte che avrebbe trovato, ma lui stesso si era reso conto che tornare a vivere libero, tornare a fare le cose che poteva fare un cittadino giapponese prima dell'Haido e rivedere Tsunayoshi erano lussi impagabili. Sarebbe stato difficilissimo accettare di tornare a lottare nel buio e nell'anonimato dopo quell'assaggio di libertà... ma gli ricordava anche per quale motivo aveva tanto sofferto fino a quel momento. Non voleva che Kyoya e Gokudera corressero il rischio di sprofondare nella vita da "terroristi" e dimenticassero i motivi per cui avevano deciso di combattere o le persone che avevano amato solo perchè erano troppo lontane. Dovevano passare questi giorni a casa, con i loro cari, sistemare le faccende personali... se questa era davvero solo una parentesi di pace in una guerra ancora lunga. Se invece, come sperava con tutta l'anima, era realmente la fine della sua crociata, non voleva che perdessero tempo e corressero subito a casa e tornassero alle loro vite libere.
-Non provarci neanche a mandarci via! E se torniamo e sei scomparso?! Non ci provare, Mukuro!-
-Non voglio liberarmi di voi, Kyoya.- ribattè lui acido. -Voglio che passiate il tempo concesso con le persone che amate... quelle che avete dovuto lasciare per seguirmi... potrebbe non essere la fine della guerra... e se desidererete tornare a combattere, almeno non avrete rimpianto del tempo perduto.-
-E tu... che cosa farai mentre noi siamo via?-
-Ve l'ho detto... scoprirò se c'è un'accusa a nostro carico, o un qualsiasi accordo o documento che ci riguardi... le carte che entreranno in vigore dopo una certa data devono essere tenuti nell'archivio apposito, in ordine di validità... se è stato firmato un ordine di cattura con scadenza dopo questi sette giorni, lo saprò.-
-Se ci fosse?-
-Idem come sopra. Spedirò Nagi e Mikado in Francia, e spero di riuscire a spedire anche Chikusa e Ken... e... penso che tanti altri, tutta la gente del rifugio di Kokuyo, non ritorni da me.-
-Ma tu saresti solo!- sbottò Gokudera. -Non saresti mai arrivato a oggi se avessi combattuto da solo!-
-Non sarà solo.- disse Hibari in un tono che non ammetteva repliche. -Io tornerò qualsiasi cosa accada.-
-Resteremo pur sempre tre poveri pazzi.- osservò l'altro, accendendosi una sigaretta.
-Non ci dobbiamo preoccupare di questo ora... sono soltanto ipotesi...- intervenne Mukuro, stroncando la risposta di Kyoya sul nascere. -Ora, promettetemi che andrete a casa e starete con i vostri cari mentre io scopro quello che dobbiamo sapere.-
Come previsto, fu molto difficile dissuadere i due. Da una parte, Gokudera diceva che con la famiglia all'estero non aveva alcun posto dove andare, e convincerlo che sarebbe stata una buona idea chiarire la sua posizione con Tsunayoshi non fu esattamente una passeggiata: era restio a incontrarlo quasi come se avesse davvero sparato al padre. Poi, impresa ancora più ardua, fu convincere Kyoya che non sarebbe scomparso per non farsi più trovare.
-Lo hai già fatto una volta, chi mi dice che non lo farai di nuovo?-
-Io te lo sto dicendo, Kyoya.-
-Mi avevi anche detto che al mattino saresti stato lì a rispondere alle mie domande, e non c'eri, eri in qualche misero buco a trasmettere discorsi vanagloriosi sul canale dodici!- protestò lui.
Mukuro sospirò esasperato. Avrebbe voluto usare argomentazioni più efficaci, ma in verità era imbarazzato dalla presenza di Gokudera. Che tuttavia... teneva la sigaretta accesa senza fumarla e fissava il vuoto con la bocca leggermente aperta e gli occhi quasi velati. Era palesemente a miglia di distanza da quello che stava succedendo; se Mukuro avesse cercato di strangolare Kyoya lui non se ne sarebbe nemmeno accorto.
-Ascoltami molto bene, Kyoya.- disse risoluto, fissando i suoi occhi grigi e stringendogli le spalle. -Tu ed io siamo legati a doppio filo ormai. Tutto il tempo che è trascorso... le volte in cui ho salvato la tua vita e tu hai salvato la mia... no, ascoltami! Non c'è niente che possa separarci ormai. Che sia il tempo, l'estensione di una nazione o qualsiasi altra cosa.-
Mukuro si stupì sinceramente di vedere il viso di Kyoya, solitamente così accigliato e sospettoso, come illuminato. Non credeva che quel discorsetto avrebbe davvero funzionato su un tipo come lui.
-Ti prometto che passati questi pochi giorni saremo di nuovo insieme, che sia guerra o che sia pace.-
Kyoya non rispose mai a quelle parole di Mukuro. Lo abbracciò con forza per qualche attimo, prima di scivolare via come sabbia dalle sue dita e trasferirsi nella stanzetta accanto, iniziando a stipare le sue poche cose in una borsa.

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Capitolo 51
*** Nel momento del bisogno ***


Hibari andò via dall'appartamento di Edo in gran segreto per evitare di dare addii lacrimevoli a Mukuro. Non era sicuro che avrebbe pianto, ma non poteva nemmeno avere la certezza del contrario. Anche se glielo aveva esplicitamente chiesto, gli pareva di abbandonarlo di nuovo ed era una sensazione tristemente familiare.
Passò tutto il viaggio a guardare dal finestrino, incurante delle persone che lo riconoscevano e lo fissavano, con la mente intenta a fantasticare possibilità sempre più azzardate sul futuro di lì a sei giorni. Avevano la totale libertà fino al diciassette di marzo... e poi? Nessuno lo sapeva, ma aveva paura che non fosse un futuro roseo, se Mukuro era così inquieto.
Ancora pieno di angoscia arrivò a Namimori e non si gustò affatto la possibilità di camminare per le strade in libertà, o quella di poter rimettere piede in casa sua. Si rese conto solo nel momento in cui saliva con l'ascensore che le chiavi di casa erano nella tasca interna della sua giacca da capitano... che aveva gettato in mare quando lui e Mukuro avevano guardato l'alba insieme dopo la fuga dal Sekko. Sospirò borbottando qualcosa sulla propria avventatezza e finalmente fu all'ultimo piano. Si avviò alla porta e solo quando ci fu davanti sentì la brama di entrare, di ritrovare il suo rifugio, il suo biglietto di prima fila per la vista più bella della città più bella. Armeggiò con la targa del suo cognome appesa al muro accanto all'uscio e alla fine riuscì a tirare fuori la sua chiave di riserva. Con aria solenne fece scattare la serratura e spalancò la porta sul suo piccolo regno.
Era tutto come lo ricordava. Il divano, il tappeto su cui Mukuro aveva lasciato una pozza d'acqua piovana, i fiori di ciliegio dipinti sulla porta della cucina... ma regnava un insolito silenzio. Si sfilò le scarpe ed entrò, guardandosi intorno, perlustrando le stanze. Dov'erano finiti i suoi piccoli? Non erano da nessuna parte, le gabbiette erano sparite.
Stava per farsi prendere da un sacrosanto panico quando mise il piede sopra qualcosa e imprecò di dolore. Si accorse che aveva pestato qualcosa di blu e lo osservò meglio, ma capì cos'era solo girandolo: un portachiavi di metallo, smaltato di colore blu e bianco... una rondine. Istintivamente sorrise. Non ricordava più quante volte avevano setacciato bar o ristoranti, persino i marciapiedi per cercare quella rondine che si sganciava sempre dal portachiavi di Yamamoto. Gokudera gli aveva detto un sacco di volte di cambiarlo, dopo che puntualmente glielo ritrovava come fosse stato un cane da fiuto, ma lui diceva sempre che ci era troppo affezionato.
Hibari intascò la rondine, deciso a passare da lui a riportargliela quanto prima. Doveva stare cercandola ovunque da chissà quanto tempo... e capì che probabilmente aveva preso lui le gabbie e i suoi animaletti, mettendoli forse al dojo per poterli curare senza fare tanta strada ogni giorno. Hibari non potè fare a meno di pensare che era stato incredibilmente fortunato ad avere un amico così disponibile ad aiutarlo in ogni occasione, fin dai tempi in cui lo aiutava a cucinare e lavare i piatti. Si sentì anche immensamente colpevole per non aver pensato a lui nemmeno una volta, nel tanto tempo che aveva sofferto per l'incredibile susseguirsi degli eventi dalla scomparsa di Mukuro. Non aveva pensato a lui quando gli serviva aiuto, nè aveva pensato che a lui sarebbe servito un conforto quando Gokudera era stato arrestato... aveva pensato solo a se stesso e si era lasciato scivolare tra le braccia di Saeki, che a malapena conosceva...
Sussultando come risvegliandosi da un sogno cruento, Hibari si accorse che il sole tramontava sulla città di Namimori. Senza dire una parola, senza alcuna esitazione, tornò alla porta, infilò le scarpe e lasciò il proprio appartamento. Non prese l'ascensore che era di nuovo al piano terra e si precipitò giù, macinando una rampa di scale dopo l'altra, e non si fermò finchè non fu di fronte alla porta dell'appartamento al secondo piano. Chissà se Saeki era già tornato a casa, o se era ancora in ufficio...
Alzò il pugno e bussò, ma al primo colpo la porta si socchiuse di qualche centimetro: era soltanto accostata per sembrare chiusa. Si domandò se Saeki non l'avesse visto arrivare dalla finestra e gli avesse lasciato via libera se fosse venuto da lui. Aprì di più la porta di legno pesante e vide all'ingresso un paio di scarpe e gli stivali dell'uniforme di Saeki. Sorridendo all'idea di rivederlo entrò e si sfilò le scarpe più in fretta possibile, prima di precipitarsi nel salottino. Fu abbagliato dalla luce aranciata del tramonto proprio da quelle finestre e strizzò gli occhi per vedere meglio.
Sul divano era seduto un uomo dai capelli lunghi e biondi, con una bottiglia di vino sul tavolo e due bicchieri pronti. Hibari non potè non sorridere e mosse qualche passo verso di lui.
-Pensavo che tu non bevessi vino...-
-Infatti.-
Hibari si fermò di colpo. L'uomo sul divano non era Saeki, benchè a vederlo controluce lo si potesse benissimo scambiare per lui. Aveva ciglia lunghe, occhi scuri, lineamenti più occidentali di quelli di Saeki. Anche se era seduto comodamente si capiva che era alto e la sua mano era più grande di quella relativamente piccola e dalle dita affusolate di Saeki Tanaka. Hibari la fissò mentre gliela tendeva.
-Saeki non beve vino, ma io sì. Sono suo cugino.- disse lui. -Mi chiamo Valentino, ma tutti mi chiamano Dino, puoi chiamarmi così anche tu. Non vedevo l'ora di conoscerti.-
Hibari non prese la mano che gli porgeva e fece un passo indietro. Cercò nella memoria qualsiasi dettaglio riguardo i cugini di Saeki, ma l'unica cosa che gli aveva detto era che aveva due sorelle piccole, Mei e un'altra che gli pareva si chiamasse Miho. Non aveva più un padre, e sua madre era straniera. Hibari fissò il volto così occidentale dell'uomo biondo e riflettè rapidamente. Poteva forse essere il cugino di Saeki, se fosse imparentato con la madre...
-Non ti ha mai parlato di me, lo so... me l'ha detto che saresti stato riluttante... ho quindi una specie di... lettera di presentazione, diciamo.- disse lui sorridendo. -L'ha scritta Saeki per convincerti.-
-Lui dov'è?- chiese minaccioso, ignorando la lettera.
-Leggila.- disse il biondo in tono serio. -Ha tutte le risposte che vuoi.-
Hibari si arrese e prese la busta bruscamente. Sopra c'era scritto il suo nome, con una calligrafia che effettivamente avrebbe potuto essere quella di Saeki. La squartò impaziente e prese a leggere, ma quasi subito la sua irritazione svanì. Era quasi del tutto certo che fosse la calligrafia di Saeki, ma anche la scelta delle parole sembrava la sua. Riga dopo riga, a Hibari sembrò di essere immerso in una vasca di acqua gelata, che gli bloccava il respiro. Stando a quello che scriveva nella lettera, i frequenti mal di testa di Saeki erano stati travisati dal suo medico e una serie di nuovi esami aveva evidenziato una grave malattia, e che a causa di quella non sarebbe stato presente quando fosse tornato. Gli scriveva che aveva un affezionato cugino che viveva in Italia e che sapeva tutto, gli chiedeva di fidarsi di lui perchè lo avrebbe aiutato al suo posto. La lettera terminava con "i migliori auguri e l'affetto più sincero" e con "la speranza di rivederci presto". Hibari strinse il foglio con la mano spiegazzandolo mentre sentiva gli occhi bruciare.
-Non ti devi preoccupare per Saeki.- disse Dino, guardandolo fisso. -È ricoverato in una delle migliori cliniche al mondo per il trattamento della sua malattia... sta lottando per vedere di nuovo la primavera con te.-
Hibari avrebbe voluto dire qualcosa, qualsiasi cosa, ma la sua gola sembrava annodata come una cima d'ormeggio e si sentiva le viscere strette da invisibili mani gelide. Con il braccio cercò il divano e forse Dino pensò che si sentisse male, perchè scattò in piedi come avesse una molla e lo sospinse fra i cuscini.
-Siediti, siediti... va tutto bene, ti aiuterò io!-
L'uomo biondo gli versò del vino rosso e gli mise il bicchiere fra le mani stringendogliele.
-Saeki mi ha parlato tanto di te, mi ha detto che sei un ragazzo intelligente, di incredibile talento, che sei un eroe qui nella tua città... mi ha detto quanto hai fatto per lui e mi ha chiesto di fare quello che posso per aiutarti mentre lui si riprende dalla malattia! Farò qualsiasi cosa sia necessaria!-
Hibari capiva che Saeki non si sarebbe mai tirato indietro per mandare avanti qualcun altro a pagare i suoi debiti morali se non per cause estreme, non aveva alcun dubbio che fosse molto malato, e capiva anche che si fidasse del cugino per raccontargli tutto quello che sapeva... la cosa che lo infastidiva era che questo cugino a lui sconosciuto sembrava eccessivamente affettuoso nei suoi confronti, quasi si conoscessero da sempre. Sottrasse quindi le mani dalla sua presa in un gesto che sperava essere eloquente.
-Posso farcela benissimo da solo.-
-Il fatto che tu possa non significa che tu debba!-
-Invece sì, non coinvolgerò nessun altro, quindi riferiscilo a Saeki...-
-L'unica notizia che Saeki aspetta da noi è che è tutto finito e che tu hai vinto!- insistette lui. -Saeki mi ha chiesto di aiutarti e di proteggerti perchè tu sei testardo e istintivo, quindi non mi importa che cosa dici, se vuoi liberarti di me dovrai uccidermi.-
Erano proprio le parole che avrebbe usato Saeki per dissuaderlo. Inoltre, il modo apprensivo e al tempo stesso risoluto in cui lo guardava gli ricordava molto il cugino, anche se la somiglianza fisica si fermava all'altezza e ai capelli lunghi e biondi. Il verde chiaro degli occhi di Saeki era molto particolare e delicato, come il verde di boccioli di fiori; molto diverso dal profondo marrone scuro di quelli di Dino, che gli ricordavano il colore e, per associazione, l'odore della terra scura dei boschi sopra Namimori. Eppure brillavano nello stesso modo. Gli dava piacere, ma anche disagio pensare che una persona che non aveva mai visto o sentito nominare gli mostrasse tanta devozione. Alla fine riuscì a scrollare le spalle con fare, sperava, distaccato.
-Come ti pare. Ma non farti ammazzare come un idiota.-
-Sono stato all'accademia militare anch'io, nel mio paese.- disse lui sorridendo. -Penso di potermela cavare... non bevi il vino?-
Hibari si rese conto di avere ancora il bicchiere in mano, lo guardò ma non si azzardò a bere. Non era abituato al vino, qualche volta aveva potuto assaggiare del whisky e scoprire che non gli piaceva affatto; qualche altra volta aveva brindato a occasioni speciali con del sakè, ma mai con del vino prima di allora. Gli venne in mente inoltre quello che aveva detto a Mukuro la mattina prima, a proposito della sua astensione ai festeggiamenti alcolici: "Ogni volta che bevo finisco a letto con qualcuno"...
-Saeki mi ha detto che non tolleri molto l'alcol, ma questo è un vino italiano molto pregiato, un Sassicaia... ho dovuto letteralmente importarlo illegalmente, quando sono arrivato l'embargo non era ancora stato tolto... sicuro di non voler assaggiare un po' di magnifico vino di contrabbando? Lo rende più buono!-
Hibari non potè fare a meno di sorridere e alla fine si decise ad assaggiarne un po'. Fu sorpreso dal suo sapore, nettamente diverso da quello del whisky; meno dirompente, meno... bruciante. Poteva quasi dire che gli piacesse. Ne prese un altro piccolo sorso, esaurendo quel poco vino che Dino gli aveva versato prima.
-Niente male, vero? Puoi prenderne ancora se vuoi... ma solo un sorso, Saeki mi ha fatto giurare che non ti avrei costretto a bere più di un bicchiere... davvero lo tolleri tanto poco?-
Hibari non rispose, prendendosi un altro goccio del pregiato vino. Aveva il sospetto che il motivo per cui Saeki aveva fatto giurare al cugino di non farlo bere fosse proprio quello che aveva detto lui a Mukuro.


Gokudera camminava guardingo per le strade di Edo, fissando angosciato lo sguardo di qualsiasi persona incrociasse, temendo che qualcuno lo fermasse o gli dicesse che non poteva andare all'Hiroshige. Tuttavia la strategia di Mukuro di non farsi raggiungere dai suoi alleati durante la fiera dell'artigianato aveva dato i suoi frutti: nessuno sembrava riconoscerlo. Dopotutto era comparso nelle riprese girate da Tsuna della cattura di Mukuro a Namimori, poi più nulla. Il suo nome era famoso, era il braccio destro di Mukuro, ma il suo viso non era così familiare, complice anche il processo a porte chiuse e il fatto che fortunatamente non era stato condannato a morte. 
Incrociò lo sguardo con un giovane che sedeva fuori dall'atrio dell'albergo, dalla vivace tinta rossa ai capelli. Quello lo fissò e Gokudera fu sicuro che lui l'avesse riconosciuto, tuttavia non disse nulla nè fece alcun movimento per fermarlo o ammonirlo. Si limitò a fare un cenno della testa a mo' di saluto. Gokudera lo ricambiò con lo stesso cenno ed entrò nell'albergo.
Era incredibilmente lussuoso, il pavimento era di marmo, la sala era decorata di riproduzioni di dipinti famosi e grandi piante in vasi di ceramica. I lampadari erano quasi abbaglianti da quanto erano lustri e luminosi. Gokudera non aveva idea di dove si trovasse Tsuna e non aveva certo voglia di perquisire cinque piani di stanze di quell'estensione. Si diresse quindi al banco di legno scuro e lucido della reception, dove un vecchio signore lo guardò letteralmente dall'alto in basso.
-Cosa posso fare per servirvi?- gli chiese in tono tuttavia affabile.
-Sto... sto cercando una persona.- disse Gokudera, a disagio. -Sto... vorrei vedere Tsunayoshi Sawada.-
-Potete mostrarmi un documento d'identità, prego?-
-Ah. Sì. Un momento.-
Gokudera rovistò in tutte le tasche due volte prima di riuscire a trovare il suo tesserino scolastico, l'unico documento che avesse portato via da casa. Non gli servivano documenti per combattere la tirannia, ma in una qualche maniera il suo tesserino scolastico gli dava pace quando non riusciva a dormire. Gli ricordava il principale motivo per cui aveva deciso di prendere quell'elicottero e andare a dar man forte a Mukuro.
Il vecchio prese il documento e lo lesse, prima di strabuzzare gli occhi e tornare a fissarlo.
-Signor Gokudera, non vi avevo riconosciuto! È un onore conoscerla di persona!- disse il vecchio, ora trasfigurato dall'emozione. -Non avrei mai pensato di vederla qui... io sono Yamazawa, signor Gokudera, Akihiro Yamazawa... sono il nonno di Yamazawa della sua classe di fisica!-
-Oh, Yamazawa... sì, certo, lo ricordo...-
-Lui parla sempre di voi quando mi telefona, o quando viene a trovarmi per le vacanze. Vi ammira molto e dice sempre che spera di diventare come voi... segue un corso preparatorio, vuole andare nella vostra stessa università.-
-Oh... beh, io manco da scuola da un po', in effetti.-
-Mio nipote vi difende anche su questo... avete la stima di tutti i vostri studenti per il coraggio che avete dimostrato.-
Gokudera non seppe cosa dire e annuì, con la sgradevole sensazione di essere arrossito. Fortunatamente il vecchio Yamazawa non aveva altre rivelazioni scioccanti da dargli e controllò qualcosa sul terminale che aveva accanto.
-Ultimo piano, stanza 425... il signor Sawada non è uscito stamattina.-
-Grazie.-
Gokudera avrebbe voluto dire qualcosa anche per il giovane Yamazawa, ma pensò che fosse superfluo e si diresse verso l'ascensore. Che cosa poteva dirgli? Di non fare cose avventate? Una bella predica, detta da uno che aveva rubato un elicottero, salvato un terrorista e pianificato un piano di evasione per i detenuti del carcere per oppositori politici...
C'era molto movimento in albergo quel mattino, e ad ogni piano salirono o scesero diversi clienti e dipendenti dell'hotel. Finalmente all'ultimo piano Gokudera scese, ma si trovò di fronte un unico ospite, e forse l'unico che non avrebbe mai voluto incontrare. Byakuran lo guardò senza alcuna traccia di stupore e gli fece un sorriso incredibilmente inquietante.
-Ah... Hayato kun.-
-Che cosa fai qui, Byakuran?-
-Sono solo passato a salutare Tsunayoshi prima di uscire.- disse lui in tono divertito. -Vieni a fargli delle domande sulla vostra libertà o a scusarti per aver ucciso il suo papino?-
Il braccio di Gokudera fece uno scatto violento e si bloccò appena prima che la mano si serrasse intorno al suo collo dalla pelle bianca. Lo fissò con tutto l'odio che non poteva scaricargli contro.
-Tu hai ucciso Iemitsu perchè voleva sbatterti in prigione per le torture.- sibilò Gokudera; nonostante fosse più basso di lui di quasi tutta la testa non era intimorito. -Mi hai tirato fuori da quella cella e mi hai dato la tua pistola per incastrarmi.-
-Ma davvero? Sarebbe davvero interessante, se tu avessi delle prove...-
-Non ho bisogno di prove per esserne certo... hai parlato con la voce più profonda, ma non hai potuto fare niente per cancellare l'accento di quella regione del sud in cui quella tua mammina tossica ti ha fatto venire al mondo.- ribattè lui acido. -E tra le altre cose, rivoglio il mio braccialetto.-
Byakuran lo guardò con un'espressione bruttissima. Sembrava che stesse per urlare, per piangere e per ammazzarlo contemporaneamente. Per fortuna non fece nessuna delle tre. Gli scoccò un'occhiata velenosa prima di entrare nell'ascensore.
-Lo rivoglio, Byakuran, mi hai sentito?- ripetè voltandosi a guardarlo. -Ridammelo, o lo andrò a dire alla tua mammina drogata.... o ha già il cervello spappolato a quarantadue anni? Di te si ricorda?-
Gokudera vide Byakuran schiacciare il bottone del pianoterra con il pugno e i suoi occhi viola chiaro, furenti, sparire dietro le porte scorrevoli. Sorrise con immensa soddisfazione. Allora era vero che i dettagli spinosi della sua infanzia gli facevano ancora male...
Proseguì nel corridoio alla ricerca della stanza e infine la trovò. Dall'interno venivano strani rumorini ed esplosioni, come un videogioco con raggi laser e navicelle da far scoppiare. Gokudera bussò piano, chiedendosi come mai Tsuna si mettesse a giocare ai videogiochi in quei giorni turbolenti, essendo un addetto stampa. Bussò di nuovo e stavolta la porta si aprì subito. Sentì uno strano formicolio dalle parti dello stomaco quando incontrò gli occhi color nocciola di Tsuna.
-Ciao... Tsuna...-
-Hayato...-
-Posso entrare?-
-Sì... sì, puoi.-
Tsuna lo lasciò passare e Gokudera entrò nell'ampia suite. La prima cosa che notò è che i rumori del videogioco continuavano e che venivano dalla stanza accanto, ma dalla porta aperta non vedeva altro che i lampi di luce sulla parete. Tsuna richiuse la porta e Hayato lo guardò di nuovo. Si accorse che indossava i suoi "pantaloni affezionati", cioè un paio di pantaloni di una vecchia tuta felpata grigia, e un lungo maglioncino color mandarino. Ricordava che era stato un regalo di sua madre e che non aveva voluto sentire ragioni quando Gokudera, un paio di natali prima, gli aveva detto che lo faceva sembrare più piccolo e più magro di quanto non fosse, standogli tanto aderente.
-Immaginavo che saresti venuto.- disse Tsuna, prendendo posto sul divano e scorrendo qualcosa sul tablet che aveva appoggiato lì accanto. -Che cosa vuoi?-
-Prima... prima di tutto, rivederti... ti ho visto l'altra sera, ma non mi sono potuto avvicinare...-
-Lo immaginavo che ci fossi... Mukuro non è capace di tirare con l'arco, ma tu... tu hai una mira eccellente, Hayato... solo tu potevi scoccare una freccia che finisse tra me e Byakuran senza ferire nessuno dei due, da quella distanza.-
-Lo... lo hai detto a Byakuran?-
-Perchè avrei dovuto?- disse Tsuna, ancora intento a digitare. -Io mi diverto enormemente a guardarlo frignare e contorcersi in preda alle sue fisime... se crede che sia stato Mukuro e si danna per non aver mai saputo che era un abile tiratore, io ho solo da divertirmi a guardarlo.-
Gokudera ebbe un fugace pensiero in quel momento, e si chiese da quando, o perchè, Tsuna fosse diventato così sadico. Ma aveva cose più importanti a cui pensare.
-Senti... Tsuna... non sono venuto qui solo per... vederti...-
-Sì, lo so... sei qui per mio padre.-
-Esatto! Tsuna, te lo giuro, non sono stato io a ucciderlo, io non ti avrei mai fatto questo!-
Tsuna chiuse lentamente l'astuccio del tablet e lo ripose, prima di guardare finalmente Gokudera negli occhi. Lo vide infinitamente triste, ma non arrabbiato o furioso come si aspettava che fosse.
-Lo so... Mukuro mi ha detto come pensa che sia andata... e credo che abbia ragione... a prescindere da quanto odiavi mio padre, sarebbe stato assurdo che lui ti strappasse il braccialetto e tu non te ne accorgessi... e poi, lui era molto più alto e robusto di te, sarebbe stato stupido da parte tua cercare uno scontro fisico con lui.-
-Tsuna... io non avrei mai ucciso tuo padre... per il semplice fatto che era la tua famiglia.-
Gokudera gli strinse delicatamente le spalle e Tsuna chinò la testa, facendosi ancora più piccolo. Quando dopo minuti di suoni indistinti del videogioco alzò lo sguardo, era commosso.
-Io non sono.... arrabbiato con te perchè hai ucciso mio padre, Hayato... io... sono furioso perchè mi hai abbandonato con una stupida lettera, e non ci sei stato mai quando più ho avuto bisogno di te... quando è morta mia madre, quando mio padre è stato ucciso... quando io sono quasi stato ucciso, in quel centro commerciale... tu dov'eri quando è successo, Hayato?-
Gokudera si bloccò come congelato. Possibile che Yamamoto avesse raccontato tutto a Tsuna... o peggio, che lui lo sapesse già?
-Tu... non ci sei stato... perchè hai scelto altri al posto mio... avevi scelto Yamamoto... e poi, i tuoi studenti, e alla fine Mukuro... hai... scelto di andare da altri invece che restare al mio fianco... per questo io sono arrabbiato da morire con te...-
-Tsuna.... mi... mi dispiace...- disse Gokudera, stringendolo di più. -Io sarei... io sarei rimasto di sicuro al tuo fianco, se solo avessi pensato che... se solo avessi saputo che avresti rischiato la morte, sarei corso da te per salvarti! Se avessi saputo che tua madre era morta quella mattina io non sarei partito! Se mi fossi reso conto che tuo padre era stato ucciso, io non sarei mai evaso, sarei stato in quella cella dove avresti potuto trovarmi quando avevi bisogno!-
Lo strinse più forte che poteva e così vicini lo sentì trattenere un singhiozzo. Sentì poi una delle sue mani, piccola e stranamente fredda, stringere la sua.
-Hayato... ora... ora lasciami... non lo merito...-
-Come sarebbe a dire... che stai dicendo?-
-Tu te ne sei andato così... e io ero rimasto solo... alla fine, ho fatto qualcosa di orribile...-
-Non mi interessa che cosa tu abbia fatto...-
-Mi devi ascoltare, avevamo detto che avremmo dovuto essere sinceri...-
-Io non sono stato sincero con te, ti ho nascosto tutto riguardo a Yamamoto!-
-Ma stavi per dirmelo, no?- disse Tsuna, prendendolo in contropiede. -Yamamoto mi ha detto che quando ho avuto l'incidente stavi per dirmi tutto e per lasciarmi... ma dopo l'incidente ti sei sentito in colpa, hai pensato che stavi per perdermi davvero e che hai deciso di restare... io ti devo la verità, Hayato, perchè ogni segreto e ogni bugia sono un'arma che Byakuran può usare contro chiunque.-
Gokudera lo lasciò finalmente andare, lentamente, e restò a fissarlo con un presentimento che gli bruciava le viscere. Non sapeva che cosa aspettarsi.
-Dopo che sono rimasto solo... che ho perso mio padre e tu... tu e Hibari siete scomparsi, io ho... cercato un rifugio... un... compagno... per alleviare la mia solitudine.-
-Tsuna, a me non importa anche se erano venticinque compagni...-
-Questo è molto peggio!- sbottò lui con voce stridula. -Smettila di interrompermi, è già abbastanza difficile!-
Gokudera tacque, ma il tono quasi isterico di Tsunayoshi lo mise ancora più in allerta.
-Io... sono diventato l'amante di Byakuran.- sussurrò angosciato, coprendosi la testa come se aspettasse di ricevere dei colpi. -E... e lo sono ancora...-
-Tsuna, sei pazzo? Dopo tutto quello che ha fatto, come fai a pensare di... santo cielo, Tsuna!- ribattè Gokudera, orripilato. -Quell'uomo ha torturato Mukuro, ha ucciso tuo padre e incastrato me per omicidio!-
-Non lo sono ancora perchè lo voglio, dannazione... lui mi obbliga a farlo, è furioso perchè all'inizio io l'ho ingannato!-
Gokudera non poteva tollerare oltre. Non bastava tutto quello che quel mostro bianco aveva fatto fino ad allora, torture, sevizie, complotti, omicidi, ricatti e macchinazioni; doveva anche osare mettere le mani su Tsuna contro la sua volontà. Il solo pensiero di quel sorrisetto lezioso e quelle mani luride di sangue e di fango fecero ribollire il sangue di Gokudera.
-Vieni via, andiamo.-
-C-cosa? Dove?-
-Vestiti, prendi quello che ti serve, andiamo via di qui!- disse Gokudera tirandolo per il polso. -Io non lascerò che quel viscido ti tocchi di nuovo, mai più!-
-No... non posso, Hayato, non posso andare via!-
-Perchè no?!-
-Ci sono molte vite che Byakuran può devastare se mi ribello a lui.- disse Tsuna in tono grave. -Il bambino che sta giocando nella stanza di fianco, ad esempio... è sotto la mia responsabilità... Byakuran mi disse che era un regalo che mi faceva, che potevo prendere quel bambino torturato se lo nominavo generale... ma lo sapevo già che me lo permetteva solo per imbrigliarmi di più... e poi, c'è Haru con suo padre, lui li cercherebbe se io provassi a mettermi contro di lui...-
-Chi sono?-
-È un'amica... e anche... il mio... il mio fratello adottivo, Basil... sono tutti in pericolo, anche tutti gli amici che avevo in redazione, e Yamamoto, saranno tutti bersagli per lui se provo a ostacolarlo!-
Gokudera lasciò il polso di Tsuna e lui si asciugò furtivamente gli occhi. Sapeva anche senza chiederglielo che Mukuro aveva quasi esaurito le sue risorse e che non avrebbe avuto i mezzi per nascondere tutti quelli che avevano un rapporto anche superficiale con Tsuna, specie se avessero deciso di continuare la guerra dopo lo scadere dei sette giorni. Senza denaro, gran parte delle attrezzature ancora a Kokuyo e senza più il gruppo dei fedelissimi, in tre sarebbe stato quasi impossibile. L'unica speranza era che fosse tutto vero, che la guerra fosse finita, e che Tsuna ritornasse a casa con lui. Forse in quel caso Byakuran avrebbe smesso di tormentarlo.

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Capitolo 52
*** Fiore velenoso ***


Mukuro si fermò così all'improvviso sul marciapiede che due persone dietro di lui, un signore dall'aria venerabile e la sua bassa moglie, dovettero scansarlo e ci riuscirono a malapena. Lui non fece caso alle occhiate indignate che gli scoccarono e alzò lo sguardo al cielo. Il suo viso era preoccupato e insolitamente pallido.
Non era affatto sicuro che quella che aveva in mente fosse una buona idea... ma se c'era una vaga possibilità di riuscita, se poteva finire questa guerra definitivamente e farlo senza coinvolgere nessuno... ci avrebbe provato sicuramente. 
Riprese la strada velocemente e, non visto, strisciò lungo un muro di bei mattoni rossastri raggiungendo uno stretto vicolo. Alzò di nuovo gli occhi. All'altezza di circa 18 metri sopra la sua testa c'era una finestra da cui proveniva una luce fioca, come di una solitaria lampada in una stanza buia. Mukuro la fissò risoluto; sapeva di poterci arrivare, la sfida stava nel raggiungerla prima che qualcuno si accorgesse che una figura nera stava dando la scalata all'edificio dove aveva sede l'ufficio del governatore di Edo. Aveva solo pochi minuti prima che la guardia facesse il giro sul retro. Si sfilò il cappotto per avere più libertà di movimento e si avvicinò al muro, lo toccò e finalmente trovò l'appiglio per iniziare. Decise di non aspettare il prossimo giro della ronda e si lanciò alla scalata. Il muro era, come si supponeva, perfettamente perpendicolare al terreno, mai ganci delle vecchie tubazioni e qualche mattone scheggiato lo aiutarono egregiamente nell'impresa, che tuttavia era incredibilmente faticosa. Mukuro avrebbe tanto voluto poter avere un rampino, ma dubitava che il rumore non sarebbe stato sentito da chi fosse stato nella stanza. Ansimando, raggiunse lentamente il piano che gli interessava e con sua somma gioia la sua mano destra afferrò il davanzale sporgente. Prese qualche respiro profondo e con un ultimo sforzo ci si issò sopra, nonostante fosse minuscolo. Ci si acquattò, per quanto un uomo alto più di un metro e ottanta potesse rannicchiarsi su un davanzale buono per i colombi, e bussò sul vetro. Udì la voce della guardia rivolgersi al cane e capì quanto fosse vicina. Con il cuore in gola, bussò di nuovo sul vetro, che finalmente venne aperto.
Mukuro balzò dentro la finestra appena prima che la guardia svoltasse sul retro dell'edificio. Il ragazzo la guardò sentendosi ancora il cuore battere all'impazzata, un po' per la scalata, un po' per la paura.
-Mukuro?-
Mukuro si raddrizzò, facendo rapidamente mente locale di dove fosse. Si voltò e si sforzò di fare un sorriso.
-Ciao, Ran.-
Sorridere gli venne più semplice quando vide che Byakuran occhieggiava lui e la finestra con gli occhi spalancati e la bocca leggermente aperta. Il suo indice pallido andò più volte dall'uno all'altra prima che riuscisse a spiccicare una parola.
-Che... perchè sei entrato dalla finestra?-
-Mica potevo entrare dalla porta in piena notte.-
-Se è per questo non puoi entrare in piena notte neanche da una finestra!-
-Che sono tutte queste storie?- fece Mukuro piccato. -Pensavo saresti stato contento di vedermi.-
-Questo è tutto da vedere.- fece lui seccato. -Dove hai parcheggiato Hibari Kyoya?-
-Kyoya si è parcheggiato da solo a Namimori, è partito stamattina e a quanto ne so è ancora lì.- disse lui muovendo qualche passo nell'ufficio. -Sono venuto qui per vedere te da solo... e lui non lo sa... lui non avrebbe capito e avrebbe voluto essere qui con...-
Prima che potesse finire la frase, Byakuran lo strinse con forza a sé e lo baciò con tanta foga da togliergli il poco respiro che aveva riguadagnato. La gamba di Mukuro urtò dolorosamente contro la scrivania e fu il suo gemito soffocato a staccargli l'ex carceriere di dosso.
-Che... diavolo, Ran... datti una calmata... offrimi da bere prima di provarci, no?-
-Non c'è niente in questo ufficio da bere, la vecchia che lo usa beve solo centrifugati di sedano.-
-Come, non è tuo?-
-No, il mio è qui sotto e proprio ieri è scoppiato un tubo nel muro.-
-Oh.- fu l'unica che Mukuro riuscì a dire, pensando che aveva sbagliato finestra.
-Facciamo così, scendo a prendere qualcosa in un altro ufficio... non se ne accorgerà nessuno, sta' tranquillo... torno in un attimo, tu non sparire!-
Byakuran gli lasciò le mani e corse via lasciando la porta socchiusa. Mukuro cominciava a essere infastidito dal fatto che tutti quanti gli facessero promettere di non sparire, quando la maggior parte delle volte era stato costretto a farlo. Perchè tutti gli scaricavano addosso la colpa e la decisione di averli abbandonati? Perchè per una buona volta Kyoya e Byakuran non si facevano un esame di coscienza e cominciavano a capire i loro errori invece dei suoi?
Infastidito da quei pensieri, Mukuro attraversò lo studio e si andò a sedere su un antiquato divanetto dalla fantasia a fiori rosa. Si mise a guardare in giro mentre cercava di calmarsi in vista del sicuro dibattito che avrebbe avuto con Byakuran e notò che la stanza aveva composizioni di fiori secchi un po' ovunque. Immaginò quanto al generale dovessero dare fastidio. Lui detestava vedere i fiori appassire, perchè, immaginava Mukuro, non riusciva a tollerare l'idea che anche qualcosa di così bello e così amato potesse essere preso dalla morte. Al contrario di lui, Byakuran era terrorizzato dall'idea di morire, convinto che la fine delle funzioni biologiche chiudesse il sipario sulla mente, sulla memoria, sull'essenza stessa di una persona. Era generale, era il capo assoluto del Giappone ora, ma un proiettile, un coltello, un veleno... qualsiasi piccola cosa avrebbe potuto spazzare via la sua esistenza, non importava quanto potente diventasse. Il che spiegava anche quanto fosse spaventato dalle malattie. Ricordava ancora quanti esami gli aveva fatto fare prima di convincersi che poteva toccarlo...
-Eccomi!- disse Byakuran leggermente ansante, richiudendo a fatica la porta per le troppe cose che portava fra le braccia. -Ho trovato del cognac straordinario, ti piacerà sicuramente...-
-Sicuramente.- ripetè Mukuro guardandolo.
Continuò a guardarlo darsi da fare con bottiglie, bicchieri e ghiaccio. Byakuran stava sorridendo, ma non era il suo ghigno sadico o il sorrisetto lezioso che si stampava in faccia nelle occasioni in cui adoperava le sue battute acide, o alle conferenze stampa. Sorrideva tranquillo, come lo aveva visto qualche volta nella loro stanza bianca al carcere di Sekko. Mukuro seppe che stava facendo la cosa giusta. Se c'era un modo, una sola possibilità di cambiare Byakuran, era restargli vicino e convincerlo. Non disse quindi niente quando Byakuran si sedette accanto a lui e gli diede il bicchiere di cognac, alzando il suo whisky per fare un brindisi.
-A noi due?-
-Suona bene.- disse Mukuro, divertito.
-Sì, lo penso anch'io...-
Byakuran fece una risata cristallina e bevve. Mukuro prese un sorso di cognac, sebbene si sentisse in colpa. Aveva mentito a Kyoya parlando di un archivio che non esisteva, lo aveva mandato lontano, a casa, per poter essere libero di... esattamente, di fare cosa? Fin dove si sarebbe dovuto spingere? Forse fino all'estremo, fino a doverlo tradire... ma non lo aveva già fatto, lasciando che Byakuran lo baciasse senza dirgli niente, anzi incoraggiandolo?
-Che cos'hai, Mukuro chan?- gli chiese Byakuran, facendolo sussultare. -Non è buono?-
-No... no, è buono. Grazie, Ran.-
-Sono... sono così contento che tu sia tornato, Mukuro chan!- disse Byakuran all'improvviso, come se non fosse riuscito a trattenersi più di così, stringendogli una mano. -Io... ho fatto tutto quello che potevo... tutto quello che mi avevi detto, e speravo tanto che ritornassi, ma quando ti ho visto l'altra sera, ho...-
-Tutto quello che ti ho detto?-
-Sì! Ho cambiato tutto quello che detestavi! Ho chiuso il carcere, ho tolto il coprifuoco, la regolazione dei mezzi pubblici, la black list musicale, e l'embargo... adesso puoi avere tutto il cioccolato che vuoi, puoi ascoltare quello che vuoi, puoi andare a vedere l'alba come volevi... ho fatto tutto questo perchè tu ritornassi e smettessi di vivere in quel modo... adesso non c'è più bisogno di combattere.-
Mukuro aprì la bocca, ma non riuscì a farne uscire alcun suono. Un calore che non aveva niente a che vedere nè con lo sforzo di scalare il muro nè con il cognac che aveva bevuto si diffuse sul suo viso. Allora aveva sempre avuto ragione Kyoya? Byakuran fin dall'inizio stava facendo tutte quelle riforme per lui e non per fare colpo sull'opinione pubblica? Voleva solo rivederlo, non liberarsi senza spargimenti di sangue dei terroristi? Il cervello di Mukuro sembrava a corto di benzina. Cominciò a sentire un sibilo nelle orecchie.
"Questo è il mio cervello che sta per implodere", pensò.
-Io... speravo che tu tornassi... però, quando ti ho visto alla fiera dell'artigianato, tu sembravi così freddo... mi hai trattato in un modo... ma poi ho visto lui... è lui che tira fuori il peggio di te! Hibari Kyoya ti ha fatto dimenticare tutto quello che ho fatto per te! Io ti ho salvato la vita, mentre lui ti ha consegnato per salvare un altro, uno che conosceva a malapena! Mukuro chan, quando sei con lui tu vedi le cose in modo diverso...-
-Ran, ti prego, non essere ridicolo... tra di noi non c'è stato niente di romantico.- ribattè Mukuro, incapace di trattenersi. -Mi usavi come un giocattolo e te ne compiacevi.-
-Non è vero!-
-Non mentire, Byakuran!- sbottò lui, posando il bicchiere. -Non sono stupido, lo sai? E non ho bisogno che Kyoya o chiunque altro mi spieghi come interpretare il tuo viscido comportamento!-
Byakuran ebbe la decenza di tacere ed esibire uno sguardo mortificato dedicato al bicchiere di cognac sul tavolino. Mukuro si sentiva oscenamente dilaniato. Aveva in mente ogni singolo giorno passato nel carcere di Sekko, ogni minuto di soprusi che aveva dovuto sopportare a causa di quel sadico dai capelli bianchi... eppure non riusciva comunque a odiarlo. Era furioso con se stesso. Non riusciva a dare una spiegazione, non riusciva a capire perchè un uomo tanto malato, che gli aveva inflitto così tanto dolore, fosse importante per lui quasi quanto l'uomo che aveva sempre amato.
-Era... era l'unico modo che conoscevo.- borbottò alla fine Byakuran. -Tu mi odiavi... mi avresti abbandonato in qualsiasi momento alla prima occasione... ho... cercato di legarti a me negli unici modi che conoscevo.-
-Questo è un ragionamento del cazzo, Ran!- fece lui scattando in piedi. -... Letteralmente!-
-Non merito tutte queste critiche... hai fatto la stessa cosa anche tu...-
-Io?!-
-È quello che hai fatto con Hibari Kyoya!- sbottò lui inviperito. -Avevi decine di possibilità, ma tu hai deciso di iniziare una guerra, perchè?! Perchè davanti alla monumentale idiozia che hai fatto, Hibari Kyoya si sarebbe sentito in colpa per esserne la causa! Ed è lo stesso per la tua egoistica richiesta di essere colpito da lui durante la tua esecuzione! Se lui ti avesse ucciso sarebbe rimasto legato a te per sempre, in un modo che non avrebbe mai potuto legarlo a nessun altro!-
Mukuro sentì un improvviso, intenso senso di vertigine. La testa iniziò a girargli e Byakuran si affrettò a rimetterlo seduto sul divano. Si sentiva malissimo, perchè stava pensando che aveva ragione. Non l'aveva fatto coscientemente, ma in cuor suo sapeva che era per questo che aveva fatto quell'orrenda richiesta a Kyoya, pur comprendendo quali dolori avrebbe patito per il resto della sua vita.
-Mi dispiace... mi dispiace, Mukuro chan, non volevo farti piangere...-
Mukuro non si era nemmeno accorto della lacrima solitaria che gli era scivolata sulla guancia.
-Quello... quello che voglio dire è che quando amano, le persone fanno cose sconsiderate... agiscono in modo disperato per appagare un desiderio egoistico come l'amore...-
Byakuran lo strinse di nuovo con forza. Mukuro si sentiva malissimo. Era confuso e non riusciva più a capire che cosa provasse. Lui aveva sempre amato Kyoya, però... Kyoya non aveva idea di che cosa significasse amare qualcuno che non ricambia lo stesso sentimento. Lui era sempre stato fortunato, aveva sempre avuto ammiratori mentre lui non ammirava nessuno, aveva avuto diversi ragazzi il cui cuore accelerava non appena lo vedevano... ma lui non sapeva che cosa significava corteggiare e desiderare qualcuno che non lo amava. Faceva così male pensare a che cosa era dovuto arrivare per farsi amare da Kyoya... e ritrovarsi con il cuore spaccato in due. Kyoya non avrebbe mai capito quanto dolore gli aveva arrecato ricoprendolo d'indifferenza per anni... non avrebbe mai capito che cosa significava per lui, Mukuro, avere qualcuno che lo amasse fino a tali estremi come Byakuran. Eppure, se non fosse stato per Kyoya, nemmeno si sarebbero mai incontrati...
-Ran.... n-non mi sento bene...-
In effetti Mukuro poteva contare pochissimi casi estremi in cui si era sentito peggio di così. Faceva fatica a respirare, si sentiva il torace come schiacciato da qualcosa di mostruosamente pesante. La testa gli girava sempre di più e il viso preoccupato di Byakuran di fronte a lui andava fuori fuoco e tornava nitido a ripetizione.
-Va tutto bene, ci sono io con te.- disse lui, toccandogli la fronte con la mano. -Stai respirando troppo velocemente, devi calmarti... è solo iperventilazione.-
Mukuro prestò scarsa attenzione a Byakuran che tentava di imporgli un ritmo di respirazione più lento e i suoi occhi presero a vagare per la stanza; la testa che girava sempre di più. I suoi occhi blu si posarono sul bicchiere di cognac e per un attimo la mano gigantesca che pareva stritolargli i polmoni arrivò fino allo stomaco. Aveva bevuto da una bottiglia arrivata da chissà dove, dalla quale Byakuran non aveva bevuto... quanto era stato stupido a non pensarci... quando avesse perso i sensi che cosa sarebbe successo? Lo avrebbe portato via, in una nuova stanza bianca da qualche altra parte? Il mondo iniziava a perdere i contorni e i colori, la voce di Byakuran era così lontana che Mukuro non riusciva a distinguere le parole. Si aggrappò disperatamente alla sua giacca, cercò di dirgli qualcosa, ma non seppe mai se l'aveva davvero pronunciato o no. Qualche istante dopo Mukuro perse i sensi.

Quando Mukuro riprese conoscenza, aprì piano gli occhi e non riconobbe la stanza in cui si trovava, fiocamente illuminata dalla luce che veniva da una finestra... la luce di un cielo prossimo ad accogliere il sole.
Subito dopo scattò seduto e si guardò intorno freneticamente, ma il suo cuore impazzito si acquietò quando si rese conto che era nello stesso ufficio dove aveva perso i sensi e non in qualche misteriosa cella o scantinato. Con una seconda occhiata intorno si accorse anche che Byakuran non era nella stanza. Si guardò le caviglie e i polsi, troppo intontito per pensare che se avesse avuto delle manette o una legatura l'avrebbe sentita prima che vista... fu in quel momento che si accorse di essere sdraiato sul divanetto e di non avere più nessun vestito addosso, sotto la coperta che lo riscaldava. Era completamente nudo, ma nella penombra non riusciva a vedere i suoi indumenti o le sue scarpe da nessuna parte. Ancora piuttosto confuso si strinse la coperta al corpo e si alzò barcollando per cercarli. Che cosa gli era successo? L'ultima cosa che ricordava era che si sentiva male e Byakuran che gli diceva che era solo iperventilazione... era svenuto?
In quel momento vide le bottiglie di alcolici sulla scrivania e gli tornò in mente il suo bicchiere di cognac. Possibile che Byakuran l'avesse drogato? A quale scopo, se poi lo aveva semplicemente lasciato nell'ufficio da solo? A meno che...
Mukuro si era appena precipitato alla finestra nel tentativo di studiare il proprio riflesso alla ricerca di qualche segno visibile intorno al collo quando la porta si aprì. Voltò la testa di scatto e vide proprio Byakuran entrare nell'ufficio, portando con sé una sportina di plastica e un thermos.
-Ah, sei sveglio, Mukuro chan... finalmente...- disse lui con un vago sorriso. -Hai intenzione di scappare nudo dalla finestra? Hai proprio deciso di dare spettacolo nella tua vita, eh?-
-Dove sono i miei vestiti?- gli chiese Mukuro aspro. -Che cosa mi hai fatto?-
Byakuran si limitò a sollevare la sportina di plastica. Mukuro attraversò la stanza e gliela strappò di mano.
-Stai calmo, Mukuro chan, o ti verrà l'iperventilazione di nuovo.-
-Iperventilazione un paio di palle!- sbottò lui, attaccando il nodo della sporta con ferocia. -Sei stato tu con quel maledetto cognac di merda! Che cosa diavolo ti sei messo in testa?!-
Byakuran lo guardò a bocca aperta per un lungo minuto.
-Co... pensi davvero che io ti abbia drogato?-
-Spero che tu ti sia divertito.- ribattè lui gelido.
-Mukuro, perchè avrei dovuto drogarti?- fece Byakuran, sedendosi sulla poltrona. -Stai bene, sei ancora nell'ufficio e tra l'altro eri da solo... perchè avrei dovuto drogarti? A quale scopo?-
-Sei veramente uno schifoso.-
Byakuran lo guardò di nuovo con espressione basita e scoppiò a ridere. Mukuro capì che era una risata spontanea, perchè le poche volte che Byakuran non produceva quel forzato suono flautato la sua vera risata era stranamente secca, e più persisteva più si susseguivano quegli strani schiocchi. Alla fine prese fiato poggiando la mano sull'addome come se avesse riso troppo.
-Ah, Mukuro chan, Mukuro chan... pensi veramente che ti abbia drogato per poi abusare di te?- fece lui con un sorriso. -Non ne avevo nessun motivo... io non ho alcun dubbio che me lo avresti lasciato fare senza proteste... anzi, ho avuto l'impressione che tu lo desiderassi quanto me, prima che stessi male...-
Mukuro lo fissò in silenzio per un momento che gli parve dilatarsi per ore. In quei pochi secondi tutti i suoi pensieri, tutti i ragionamenti sconclusionati che stava facendo prima di sentirsi male, irruppero nella sua mente come se avessero sfondato una diga. Quasi all'istante il suo viso pallido cominciò a diventare più rosso, in risposta a ciò il sorriso di Byakuran si allargò. Per non essere costretto ad ammetterlo o a mentire negandolo, Mukuro cercò di nuovo di aprire la sporta con i suoi vestiti.
-Allora posso sapere perchè sono più nudo di quando sono nato?-
-Sei nato con le mutandine, Mukuro chan?-
-Non fare il deficiente e rispondi!-
-Beh, quando sei svenuto ti sei adagiato con la delicatezza di una gigantesca orca assassina sul tavolino, e ti sei tirato addosso il secchiello del ghiaccio... ti sei inzuppato come una fetta biscottata, quindi ti ho tolto i vestiti bagnati... quindi, praticamente tutti... potevo lasciarti i calzini, ma mia madre mi ha sempre detto che non si dorme con i calzini.-
Mukuro diventò ancora più rosso per via delle poco lusinghiere similitudini usate per descrivere una scena già di per sé imbarazzante. E con quella, ecco un'altra volta in cui restava nudo per via dei vestiti inzuppati. Solo che la prima volta c'era Kyoya, e almeno non aveva dovuto... adagiarsi con la delicatezza di una gigantesca orca assassina sul pavimento del suo salotto.
-Oh, a proposito... non sei un po' grande per avere i boxer con le barchette?-
-Non è colpa mia! Ai grandi magazzini mettono delle cose orrende in supersconto!- protestò Mukuro, ormai di una tinta accesa di rosso.
-Ah, scusa, mi ero dimenticato che sei povero in canna.- disse lui in un falso tono dispiaciuto.
-Non prendermi per il culo! Guarda che te le suono!-
-Avrei molta più paura se minacciassi di svenirmi addosso...-
-Byakuran, brutto pezzo di...-
-Ehi, ehi, ehi.- fece lui puntandogli un dito ammonitore contro. -Porta rispetto o niente cioccolata.-
-Cio...?-
Mukuro guardò il thermos sul tavolo e poi vide Byakuran ridacchiare.
-Smetti di blaterare e siediti... prenditi un po' di cioccolata... dobbiamo parlare.-
Mukuro prese posto sul divanetto con circospezione, lasciando cadere la sporta dei suoi vestiti sul tappeto. Non gli passò nemmeno per la testa di essere in imbarazzo trovandosi nudo, escludendo la coperta che lo copriva soltanto dove indispensabile. Dopotutto era in presenza della persona che, da quel punto di vista, lo conosceva meglio al mondo.
Prese la tazza di cioccolata bollente che il generale gli passò e ne assaporò il profumo. Era passato così tanto tempo da quando aveva detto addio a quella bevanda, durante l'università. Era una sensazione fantastica, proprio come qualche mattino prima a colazione con tutti gli altri. La cioccolata restava legata ai suoi ricordi migliori, perchè non aveva potuto averne nei momenti più bui della sua vita...
-Di che cosa vuoi parlare, Ran...?- disse poi, dato che Byakuran non si decideva a proferire parola.
-Vorrei... vorrei farti una... proposta.-
Mukuro non potè non pensare a Gokudera, la sera della sua apparizione alla cerimonia di apertura della fiera dell'artigianato, che mormorava in tono sarcastico: "eccentrica come proposta di matrimonio"...
Scosse leggermente la testa per rigettare quel pensiero. Che razza di idee gli venivano? Byakuran poteva anche essere innamorato, o qualcosa che ci andasse vicino, ma sicuramente non gli avrebbe mai chiesto di sposarlo.
-Vorrei che tu... accettassi l'amnistia... che smettessi di combattere e tornassi a vivere... io ti darò tutto quello che desideri, Mukuro!- disse Byakuran come se ogni parola che pronunciava gli arrecasse dolore. -Ti darò una casa dove tu desideri... ti farò risarcire per i danni che hai subìto, per quello che io ti ho fatto, e per... per quelle cicatrici sulla tua schiena...-
Mukuro ricordò improvvisamente dove aveva visto un'espressione come la sua, sospesa fra la tristezza e il dolore: era la stessa espressione che a volte scorgeva quando Kyoya vedeva le sue cicatrici...
-Potrai... finire l'università se vuoi e fare l'avvocato... o avere una carica qualsiasi al governo, ci penserò io a fartela avere... potrai anche essere il mio vice se lo desideri...-
-Credevo che quel ruolo spettasse al tuo amico Kikyo.-
-Lui capirebbe!- disse con convinzione Byakuran. -Lui è l'unico vero amico che ho, lui capirebbe!-
Mukuro sospirò e si passò la mano sugli occhi, lentamente. Non aveva idea di come fare a spiegare...
-... E tu, Byakuran? Tu che cosa ci guadagni?-
-Io voglio solo che mi resti vicino.- disse lui, fissandolo con quegli occhi viola. -Voglio che... che tu non riveda più Hibari Kyoya... che tu sia... mio... mio soltanto...-
Byakuran si sedette accanto a lui con gli occhi che brillavano di desiderio. Mukuro dovette posare la tazza: le mani avevano iniziato a tremargli. Era andato fin lì per poter risolvere tutto, per poter convincere Byakuran a finire tutta quella storia... per ricominciare una vita nuova da uomo libero, con Kyoya... e adesso? Che cosa doveva fare? Se avesse accettato sarebbe finalmente finita, il Giappone era di nuovo un paese vivibile, e poteva anche prendersi abbastanza potere e influenza sul generale per renderlo ancora più libero, ancora più bello... ma era la svolta... doveva scegliere tra la sicurezza delle persone che amava e la libertà del paese, tra la sua nuova vita con tutti gli agi e il potere che non avrebbe mai avuto... e il continuare la lotta con Kyoya accanto. Tutto o niente, avrebbero detto in tanti... ma Kyoya non era "niente"... eppure in quel momento era così lontano, dopo tanto tempo passato insieme, per quanto Kyoya ora dicesse che era importante e che lo amava, continuava a sfuggirgli, a criticarlo per delle sciocchezze... forse lui non sarebbe mai cambiato davvero, sarebbe rimasto sempre un uomo freddo...
-Mukuro chan... io con te vicino sono un uomo migliore!- insistette Byakuran, prendendogli la mano. -Tu lo sai! Tu mi mantieni calmo, mi rendi felice! Quando sono con te... anzi, da quando ho pensato che ti avevo perso, io sono un uomo diverso! Invece di scovarti con le minacce io ho cercato di convincerti a tornare... e... e tu sei tornato!-
-Byakuran... s-smettila adesso...-
-Per quale motivo saresti venuto se non per tornare da me?-
Mukuro si nascose la faccia tra le mani. Byakuran non era capace di fingere cose che non conosceva, non sarebbe mai stato in grado di simulare così bene, con gli occhi, con la voce, con la gestualità. Mukuro non aveva alcun dubbio che dicesse sul serio: si era accorto anche da solo che Byakuran era completamente diverso quando passava molto tempo isolato dagli altri, nella stanza bianca con lui. Si apriva come un fiore alla luce del sole, riusciva ad essere sincero e anche piacevole. Lui capiva benissimo che cosa significava cambiare se stessi per non perdere la persona che si ama, l'aveva fatto anche lui quando Kyoya aveva smesso di cercare di cambiarlo e aveva deciso di lasciarlo indietro...
Kyoya aveva sempre cercato di fargli vedere il mondo con i suoi occhi, Byakuran aveva sempre voluto sapere che cosa vedesse lui nel resto del mondo... Kyoya lo aveva abbandonato andando avanti per la sua strada, Byakuran aveva cercato di costruire un sentiero per ritrovarlo... però Byakuran era un uomo malato, aveva ucciso delle persone perchè tentavano di separarli... ma anche Kyoya, non aveva forse ucciso le guardie nel garage del carcere per poterlo salvare? Entrambi lo amavano tanto da uccidere per lui... eppure... eppure Hibari restava così freddo quando lo cercava, era un tira e molla continuo con lui accanto, uno cercava e l'altro scappava... ma Byakuran non era mai scappato... era pronto a dargli sostegno, aiuto, fiducia e passione, qualsiasi cosa volesse quando gliela chiedeva. Però...
Mukuro si aggrappò disperatamente al ricordo di quel giorno gelido di febbraio, il giorno di San Valentino, quando aveva baciato Kyoya nell'aria fredda del cortile di Kokuyo e lo aveva sentito così emozionato, come un ragazzino, anche se non lo era già più. Doveva significare qualcosa, anche se la maggior parte del tempo Kyoya restava distante come se non lo amasse affatto, indifferente a qualsiasi richiamo o istinto affettuoso...
-Io... sono ritornato per parlarti... per chiederti se l'amnistia è vera... per... sapere se dopo avermi liberato tu avresti fatto catturare i miei amici... o Kyoya...-
-...Non lo farò se non me ne daranno una ragione.- disse Byakuran piano. -Io non voglio fare niente che ti faccia soffrire... per questo ti chiedo di essere tu... spontaneamente... a staccarti da quella... quel cancro che ti sta uccidendo.-
-Kyoya non è un...-
-Ti prego, Mukuro chan!- esclamò lui stringendolo all'improvviso. -Io... io non sopporto Hibari Kyoya! Lui ha sempre avuto il tuo amore e se n'è fregato, e adesso ti vuole... n-non è giusto! Lui... lui aveva un altro e ti ha venduto, e dopo che io ti ho salvato anche da te stesso lui ti vuole! Lui è viziato, non sa che cosa significa non avere nessuno al mondo! Lui è un eroe e io ero il capo del luogo più odiato sulla terra, lui è benvoluto da chiunque!-
-Stai esagerando...-
-Invece è così! Lui ti vuole perchè non vuole che resti con me, appena sarai ritornato da lui ti trascurerà di nuovo perchè gode nel ricevere le tue attenzioni! Chi te lo dice che non avrà un altro... chi ti dice che in questo preciso momento non sia nello stesso letto di Tanaka Saeki?!-
-Ora smettila, Byakuran. Lui non lo farebbe mai.-
Mukuro si separò bruscamente da lui e iniziò a vestirsi senza rivolgergli un solo sguardo. Bastavano i suoi dubbi a tormentarlo, non serviva che Byakuran gliene mettesse altri in testa. Il generale, d'altro canto, non si mosse e restò a fissarlo con aria assente.
-E tu hai accuratamente evitato di parlarmi dei tuoi altri uomini, tra l'altro.- aggiunse quando si fu del tutto rivestito, scoccandogli un'occhiata velenosa. -O hai il diritto di sputare sentenze su Kyoya pur facendo tu per primo quello di cui lo accusi?-
-Altri... altri uomini?-
-Ad esempio, Tsunayoshi.-
Il viso di Byakuran perse all'istante il poco colore che aveva per natura. Alzandosi dal divano urtò rumorosamente il tavolino, ma non si accorse neanche di aver rovesciato la tazza di cioccolata e il termos, fortunatamente chiuso. Nei suoi occhi lesse un terrore che non gli riconosceva.
-Quello... è stato un tragico errore!- disse con voce leggermente stridula. -È stato Tsunayoshi a saltarmi addosso, letteralmente! Io avevo paura che se fosse diventato generale mi avrebbe fatto condannare per essere stato il tuo carceriere e...-
Pian piano, mentre parlava, Byakuran sembrò sgonfiarsi. Alla fine tacque sebbene Mukuro gli stesse dando tutte le attenzioni del caso.
-Avevo paura che mi facesse incarcerare... o giustiziare... perchè nella stanza dei capitani il ministro Midorikawa picchiava le cameriere e una di loro si è rifugiata a casa di Tsunayoshi kun raccontandogli tutto... che noi capitani non gli impedivamo di fare quello che voleva.- mormorò lui, passandosi la mano nei capelli spettinati. -Avevo paura che tu gli facessi sapere che cosa ti avevo fatto... e che lui diventasse generale e me la facesse pagare... io e Kikyo siamo andati a scusarci e poi io ho... parlato a Tsunayoshi in disparte, in cucina...-
Mukuro non riusciva a credere alle sue orecchie. Prima Byakuran stava palesemente tentando di giustificarsi, omettendo cose come i soprusi alla cameriera, ma aveva deciso spontaneamente di raccontare la verità. E quella sembrava davvero essere la verità.
-Non volevo certo... volevo solo essere carino con lui, farmelo amico se ci riuscivo... volevo che mi vedesse come una persona che lo capiva, per la morte tragica di suo padre... ma lui... mi è letteralmente saltato addosso. Questo è vero, Mukuro chan.- insistette lui quando Mukuro esibì un sorrisetto sarcastico. -Era frustrato perchè pensava che il suo ragazzo avesse ucciso suo padre ed era furioso perchè sapeva che lo tradiva... si sentiva solo e... è successo così. Io non volevo che succedesse, è stato un errore.-
-Sai che cosa c'è di buffo, Byakuran?-
Lui non rispose ma lo guardò con un'espressione così infelice che Mukuro fece un enorme sforzo a mantenersi gelido e distaccato.
-Che anche Kyoya ha avuto un altro uomo perchè si sentiva abbandonato e dice che è stato un errore, che non succederà più.- disse lui. -Tu e Kyoya siete uguali. Se lui è un cancro, lo sei anche tu. Se lui mi ha ferito... mi hai ferito anche tu. Ora come ora, io dovrei mandarvi al diavolo entrambi.-
Mukuro mosse qualche passo verso la porta, intenzionato ad andarsene senza aggiungere nulla. Al momento era fin troppo devastato per cercare di mettere ordine nei suoi pensieri.
-MUKURO!-
Lui si bloccò con un brivido. Riconosceva quella voce dura. Era il tono che assumeva quando era davvero furioso, lo aveva chiamato in quel modo ogni volta che poi lo aveva picchiato, o peggio. Non osò voltarsi.
-Esci da quella porta ora e ti posso giurare che non ci sarà pace per te, non importa dove andrai a nasconderti con Hibari Kyoya! A costo di lasciare tutto a marcire, qui, ti seguirò personalmente, ti strapperò via dalle mani morte di quell'uomo, te lo giuro!-
Mukuro mise la mano sulla maniglia della porta, ma non l'aprì. Raccolse tutto il coraggio che aveva e si voltò a guardarlo. Provava un'amarezza sconfinata.
-Dì la verità, Byakuran... tu ami me... oppure odii Hibari Kyoya perchè ha tutto quello che tu avresti voluto avere?-
-Io odio Hibari Kyoya perchè tu lo ascolti.- disse lui gelido. -L'ho visto l'altra sera... tu non hai mai odiato nessuno quanto quegli uomini, te li ho dati e potevi farne quello che volevi... tu hai dato retta a lui, lui influenza il tuo modo di pensare.-
-E ti rende più difficile controllarmi.-
-E mi rende impossibile stare con te!- sbottò Byakuran. -Io... io lo odio perchè lui ha tutto quello che io voglio... lui ha te!-
Mukuro non seppe cosa replicare, così aprì la porta per andarsene, mettere un po' di strada tra sè ed entrambi i chiodi nel suo cuore sanguinante e possibilmente trovare un po' di sollievo nella solitudine, in un angolo dove sarebbe stato lontano da sguardi indiscreti. Byakuran, però, gli afferrò il braccio.
-C'è... la possibilità... che un giorno tu possa amarmi quanto ami lui?-
Mukuro fece un sorriso, nonostante non si fosse mai sentito più triste di così.
-Io lo faccio già, Ran...-
Il suo braccio scivolò tra le dita di Byakuran senza incontrare resistenza. Si allontanò e imboccò le scale, sparendo alla sua vista. Mukuro restò un attimo fermo sul pianerottolo, poi spiccò una corsa che non arrestò finchè non fu fuori, molto distante dal palazzo del governatore, senza fiato sulla sponda del fiume.
Il sole arancione tingeva d'oro le nuvole.

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Capitolo 53
*** Tempo scaduto ***


Tsuna spense la luce nella stanza d'albergo e sentì che l'altra mano gli veniva stretta con forza prima che accendesse una piccola luce sopra il comodino di una morbida tonalità blu. Non appena la lampadina rischiarò la camera la stretta delle mani di Lambo si allentò. Tsuna non riuscì a non sorridere.
-Hai ancora paura del buio?-
-Non ho paura!-
-Mh mh, sì, sì...-
Tsuna rise e gli rimboccò la coperta mentre il bambino snocciolava un elenco di situazioni in cui era stato "super coraggioso"; quasi tutte successe quando guardava film vietati ai minori di quattordici anni o combatteva mostri nei videogiochi. Lo lasciò finire di raccontare il modo rocambolesco in cui aveva abbattuto un'astronave aliena quella mattina prima di decidere che era proprio ora di dormire.
-Okay, okay... allora sei coraggioso... ma non serve, sai? Non c'è nessun mostro qui, né fantasmi, né cose che escono dal televisore... l'unica cosa che fa paura qui è Byakuran.-
-Anche a me fa paura...-
-Ti proteggo io da lui... quindi ora dormi tranquillo...-
Lambo esibì un'espressione ansiosa, occhieggiando la stanza con un paio di occhi verdi che un po' gli ricordarono quelli di Hayato. Tsuna si chiese se dopotutto Lambo non sentisse la mancanza dei suoi genitori veri, se almeno li ricordasse... lo avevano mai cercato dopo che era stato preso? Dove potevano trovarsi? Non glielo aveva mai domandato per paura di causare più danni di quanti il bambino non ne avesse già subìti. Tsuna gli accarezzò i folti capelli ricci.
-Non mi hai mai detto se la mamma ti cantava qualcosa per farti dormire.-
-Non cantava mai, era tanto stonata...- disse lui raggomitolandosi sul fianco.
-Davvero? La mia mamma cantava sempre per me, io ero un gran frignone.-
Lambo fece un verso indefinito e sbadigliò. Tsuna sorrise e si chinò per dargli un bacio sulla fronte.
-Sono grande per questo!- protestò lui coprendosi sulla testa con la trapunta.
-Io però non sono abbastanza grande da darti la buonanotte senza un bacio.-
-Uhm...- fece lui, abbassando la coperta. -Allora puoi.-
Tsuna si chinò di nuovo e stavolta riuscì a baciarlo sulla fronte.
-Buonanotte, Lambo...-
-'Notte...-
Lambo sbadigliò di nuovo e chiuse gli occhi. Tsuna restò un altro minuto seduto sul bordo del suo letto per assicurarsi che il piccolo fosse tranquillo, ma non servì restare di più: il bambino si era già addormentato. Per quanto preferisse restare lì seppur solo, Tsuna temeva che ci fosse altro da fare quella notte. Si alzò con cautela, attraversò la stanza e uscì, richiudendo la porta cercando di soffocare il più possibile il rumore della serratura.
Sussultò nel vedere la sagoma di Byakuran sul divano, ma non lo stupiva più di tanto. Era l'ultima notte, dopotutto... entro la mezzanotte avrebbe dovuto avere notizie di Mukuro, per sapere quale sarebbe stata la sua risposta. Il generale era incredibilmente nervoso da qualche giorno; non c'era motivo di sorprendersi che lo fosse anche quella sera. Ma dato che aveva finalmente smesso di sfogare le sue frustrazioni su di lui, Tsuna non si sentiva più obbligato a preoccuparsene... anche se probabilmente il fatto che stesse bevendo whisky e non erano neanche le dieci di sera era un campanello d'allarme che non poteva ignorare.
-Byakuran, è presto per mettersi a bere.- lo rimproverò Tsuna togliendogli il bicchiere di mano. -Di questo passo a mezzanotte sarai in coma etilico.-
-So che ti piacerebbe vederlo, Tsunayoshi, quindi lasciamelo fare!- sbottò lui riprendendoselo con tanta foga che quasi tutto il contenuto traboccò sul pavimento.
-Non fare l'idiota... perchè sei tanto nervoso, me lo spieghi?-
-E darti altri motivi per gongolare? No.-
-Io gongolo lo stesso, che ti affoghi nel whisky o resti solo a morire d'angoscia sul mio divano... ero soltanto curioso di sapere chi devo ringraziare per lo spettacolo pietoso che sei.-
-Allora sarai oltremodo orgoglioso di te stesso.- sibilò lui. -Dato che la colpa è tua.-
-Mia? Oh, che meraviglia.- fece Tsuna con un ghigno.
-Lo hai detto tu a Mukuro chan, no? Sei stato tu a dirgli che eri il mio amante.-
-Non è il tipo di cosa che mi piace raccontare in giro, Byakuran... l'ho detto ad Hayato quando è stato qui l'altra mattina... a lui dovevo dirlo, per quanto schifoso fosse ammetterlo.-
-Lui l'ha saputo e si è arrabbiato con me... forse non vuole più vedermi per colpa tua!-
-Potevi pensarci prima di infilarti in un'altra tana.- ribattè Tsuna senza guardarlo. -A Mukuro è sempre importato della fedeltà, sai... probabilmente è l'unico che non ha mai ceduto alle tentazioni.-
-Non è il caso che lo idolatri tanto. Al momento è praticamente bigamo.-
-E tu sei uno dei due o il terzo che guarda e basta?-
Byakuran fece un verso simile a un ringhio e si alzò di scatto, iniziando a camminare nervosamente attorno ai divani e al tavolino. Tsuna ebbe l'inquietante sensazione che stesse cercando di trattenersi dallo sfasciare qualche mobile... o forse, dallo sfasciare proprio lui.
-Non lo sopporto... che cosa trova in quello sciatto, inutile, arrogante...-
-Stai parlando di Hibari?- domandò Tsuna sedendosi sulla poltrona con un bicchiere di latte ancora tiepido. -No, lo chiedo perchè anche Hayato lo chiamava "sciatto" e "arrogante".-
-E ha ragione! Che cos'ha di tanto bello? Eh? Cosa?-
Tsuna si sforzò di rifletterci seriamente. Aveva tendenze omosessuali da anni ormai, eppure non aveva mai pensato a Hibari in quel senso. Nel complesso lo riteneva un bel ragazzo, anche se non era molto più alto di lui come Hayato o Yamamoto; aveva begli occhi color grigioazzurro e decisamente era piazzato più di Gokudera, che era più alto ma meno robusto. Negli ultimi anni, poi, Hibari era diventato più simpatico quando i suoi doveri non lo soffocavano, e riusciva anche a essere tenero... onestamente, non riusciva a vedere nè l'arroganza nè la sciattezza a cui Byakuran si riferiva.
-Io lo trovo un bel ragazzo.- disse infine.
-In che senso?!- sbottò Byakuran, chinandosi su di lui fin quasi a toccare il suo naso. -È migliore di me?!-
-... Me lo stai davvero chiedendo?-
-Sii oggettivo, Tsunayoshi!-
Tsuna fissò gli occhi viola del generale senza osare sbattere le palpebre. Sebbene il suo odio lo ottenebrasse fino al punto di renderlo orribile, non era così sicuro che dal punto di vista fisico fosse peggiore di Hibari. Dopotutto Byakuran era molto più alto, era anche più alto di Mukuro. Aveva una pelle quasi bianca ma perfetta, e uno sguardo magnetico color viola, un colore mai visto; almeno non da Tsuna.
Non potendo mentirgli, preferì non dire niente, ma il generale sembrò leggergli nella mente come tante altre volte aveva fatto.
-Eppure Mukuro non vuole saperne! Mukuro pensa sempre a Hibari Kyoya, la sua voce è in grado di raggiungerlo ovunque si trovi, non importa quanto lontano, furioso o isolato sia!-
-Succede così quando ami qualcuno.-
-Perchè? Che cosa crea l'amore?- gli domandò lui a bruciapelo.
Tsuna restò senza parole per qualche attimo, in cui fissò la faccia di Byakuran a occhi spalancati. Eppure la sua sembrava una domanda estremamente seria.
-Non... non fare domande assurde... l'amore non si può spiegare con una formula matematica... è alchimia... un essere umano ha molte sfaccettature, e quando si avvicina a un altro si crea una reazione... influenzata anche dall'ambiente in cui avviene...-
-Sono le lezioni di chimica del tuo ex?- fece Byakuran, aspro.
-Senti, Byakuran... forse tu e Mukuro sareste potuti essere una coppia vera se le cose fossero state diverse... se vi foste incontrati in un altro luogo, in un altro momento... e poteva anche accadere che Mukuro non si innamorasse mai di Hibari, ci siamo incontrati durante una vacanza al mare, e Hibari fino all'ultimo momento non voleva venire... non si sarebbero incontrati... forse se Mukuro non l'avesse mai visto leggere un libro per studenti delle medie invece di giocare a palla con noi, non l'avrebbe mai trovato interessante.-
-Un libro?- fece lui in tono vacuo. -Un libro? Tutto qui?-
-Beh, Hibari aveva undici anni, aveva un cappello di paglia in testa e il naso bianco di crema solare, che altro vuoi che lo abbia interessato se non l'atteggiamento che aveva?-
Byakuran non rispose e si lasciò cadere sul divano, posò la testa sullo schienale e fissò il soffitto senza alcuna espressione sul viso. Calò il silenzio sulla suite. Tsuna bevve un sorso di latte e continuò a guardare il generale, al momento più simile a una pianta che a una persona. Si chiese a che cosa stesse pensando per estraniarsi così tanto. Era geloso che Hibari attirasse l'attenzione di Mukuro da così tanto tempo? Era infastidito dal fatto che la sua bella presenza non bastasse a sconfiggere quella prima impressione, un bambino con un libro da grandi e la crema solare sul naso? Nonostante lo detestasse, Tsuna provò un senso di pietà per Byakuran vedendolo così.
-Byakuran, tu non sai niente della sua storia con Hibari, vero?- gli domandò allora, posando il bicchiere sul tavolo. -Tempo fa mi hai chiesto chi era la persona che Mukuro amava... lui non ti ha raccontato niente?-
-... Mi ha tenuto nascosto tutto... non mi ha detto nulla... di Hibari Kyoya... io ho capito che c'era qualcun altro solo perchè Mukuro chan era... disperato... ha provato qualsiasi cosa per evitare che lo toccassi... un uomo del genere doveva avere un motivo per ricorrere a dei mezzi simili...-
-Mukuro... potrebbe aspettare l'ultimo momento per farsi vivo...-
Tsuna guardò Byakuran, che fece un grosso sforzo per voltare appena la testa e ricambiargli lo sguardo.
-Potrei raccontarti quello che so della loro storia... forse... riusciresti a capire l'alchimia di cui parlavo prima.-
Byakuran si raddrizzò sul divano e si versò dell'altro whisky, annuendo con l'aria di un condannato a morte che accetta un'ultima sigaretta.
Così, Tsuna prese a raccontare dagli albori della storia. Iniziò dalla fatidica vacanza al mare. Anche se sapeva che erano stati nella stessa città in cui Byakuran era nato, lui non fece alcun riferimento alla singolare coincidenza. Aveva quasi accennato un sorriso a sentir parlare del piccolo Mukuro, che allora era più alto soltanto di Tsuna e più basso di tutti gli altri, Kyoya incluso. Un sorriso cancellato immediatamente quando la storia aveva preso la piega che non gli piaceva.
Il racconto proseguiva tra un'occhiata nervosa all'orologio e un tintinnio di ghiaccio nel bicchiere di whisky. Andando avanti negli anni Tsuna non era sicuro di conoscere tutti i dettagli della relazione tra i due amici. Molte cose gliele aveva raccontate Mukuro, dei biglietti che gli scriveva, delle volte in cui lo aveva incontrato in privato ed era sempre finita in una litigata, della coppia di canarini, maschio e femmina, che gli aveva regalato anni prima quando il gatto di Kyoya era morto, e che ora erano uno stormo intero...
Poi, la storia volse al termine, la sera del suo ultimo compleanno. Non sapeva che cosa era successo, Yamamoto gli aveva detto solo che Mukuro era arrivato, bagnato fradicio, poco prima che lui se ne andasse. Tutto ciò che sapeva era che erano rimasti soli per tutta la notte, perchè il coprifuoco incombeva. Nessuno tranne i due presenti poteva raccontare che cosa fosse accaduto, che cosa si fossero detti. La mattina dopo, Mukuro era sul canale dodici a fare la sua dichiarazione di guerra per la primavera.
-Come si suol dire... il resto è storia.-
Tsuna era in imbarazzo. Il silenzio era opprimente, gli sembrava di stare parlando da solo come un pazzo, o come un avvocato che prova un'arringa allo specchio. Byakuran non aveva proferito parola, non aveva fatto nemmeno una domanda. Le uniche reazioni visibili che gli confermavano che lo ascoltasse era il cipiglio di falco che assumeva ogni volta che si rendeva conto che Mukuro e Hibari erano rimasti soli ed effettivamente nessuno tranne loro sapeva di cosa parlavano o che cosa facevano. Tsuna credette di sapere che cosa infastidiva il generale: non poter essere sicuro di aver avuto Mukuro per primo. Tsuna non aveva dubbi sul fatto che fosse andata proprio così, Mukuro sarebbe stato troppo felice di riuscire a strappare della vera intimità a Hibari e in qualche modo glielo avrebbe confidato.
-Mukuro... non ti ha detto che cosa è successo quella notte?-
-Intendi... la sera del mio compleanno? No... è entrato in clandestinità il mattino dopo, e io non sono riuscito a vederlo fino al giorno in cui è stato processato... non abbiamo avuto tempo di parlare di quello o di qualsiasi altro argomento...-
Byakuran si portò il bicchiere alle labbra, ma non bevve. Lo lasciò intonso sul tavolino.
-Io non mi sono mai sbagliato... sulle sensazioni dei miei prigionieri.- disse assorto, come se stesse solo pensando ad alta voce. -Ho avuto l'impressione... la certezza che avesse paura... ho pensato che ci fosse qualcuno... ma ho sempre creduto si trattasse di Nagi Dokuro, come tutti gli altri...-
-In effetti... anche Hibari, che non sapeva niente dello stupro, credeva che lei aspettasse il bambino di Mukuro... dopotutto, era l'unica donna che è sempre stata accanto a lui, per tutta l'adolescenza... non avrebbe sorpreso nessuno se fosse andata così.-
Non sapeva esattamente il motivo per cui cercasse di alleviargli il dolore. Tsuna odiava Byakuran per una lunghissima serie di motivi, la mano bruciata di Haru, le torture a Mukuro, l'omicidio del padre erano soltanto le più vistose nel mucchio... eppure non riusciva a restare del tutto indifferente al suo silenzioso dolore. Gli fu quanto mai evidente quella sera che Byakuran era malato. Il suo cervello amplificava troppo l'entità dei suoi problemi. Il non aver capito chi fosse l'amore di Mukuro, il non riuscire a tenerselo vicino e i suoi sbagli, tutto era amplificato e gli arrecava dolore. Probabilmente non sarebbe mai diventato così, se avesse avuto qualcuno che nei momenti in cui sbagliava gli avesse detto che andava tutto bene, che non era niente di irreparabile, che tutti fanno errori...
Tsuna allungò la mano per toccargli la spalla, quando entrambi sobbalzarono allo squillo acuto del telefono. Byakuran, col cuore in gola, l'afferrò e rispose alla chiamata.
-Sì... è qui.- fu la cosa che disse prima, gettando un'occhiata a Tsuna.
Ascoltò in silenzio per un istante, poi mise la chiamata in vivavoce. Tsuna pensò che fosse stato il suo interlocutore a chiederglielo. Era Mukuro? Voleva un testimone della sua resa incondizionata?
-Sei in vivavoce, Mukuro chan...-
-Tsunayoshi, sei lì?-
-Sì! Sì, ti sento, Mukuro!-
-Bene.- disse la sua voce, resa un po' strana dal telefono. -Ho chiamato per dare la mia risposta.-
-Ti ascoltiamo!-
-Byakuran... rifiuto le tue offerte. La guerra continua. Spero che tu sia pronto ad accettare le conseguenze delle tue azioni.-
Byakuran restò così spiazzato da non riuscire a rispondergli. Un attimo dopo la comunicazione fu interrotta. Tsuna fissò lo schermo del cellulare, basito, e riuscì a distogliere lo sguardo soltanto quando vide il generale alzarsi in piedi, con un'espressione feroce.
-Spero che tu sia pronto ad accettare le conseguenze della tua stupidità, Rokudo Mukuro.-
Il cupo rintocco dell'orologio della stazione centrale di Edo sottolineò la minaccia di Byakuran, annunciando la mezzanotte. Il tempo era scaduto. L'amnistia rifiutata. La guerra non era ancora finita.


Poche ore più tardi, in un freddo mattino dal cielo grigio, Tsuna scese dall'auto nera, affannandosi a cercare di convincere il nuovo generale a non fare una strage. Era talmente furioso che era difficile immaginare che volesse fare qualcosa di diverso dal guidare una flotta aerea e sganciare bombe sulla testa di Mukuro.
-Byakuran, per favore...-
-Levati di torno, Tsunayoshi!-
-Insomma, calmati!- sbottò lui, cercando di tenergli dietro nei corridoi. -Che cosa vuoi fare in questo stato? Hai bevuto un sacco, non hai chiuso occhio e sei un fascio di nervi...-
-Se pensa che può scaricarmi così e continuare a fare come vuole si sbaglia di grosso!-
-Byakuran, penso solo che dovresti dormirci sopra prima di...-
Byakuran si voltò di scatto e prese Tsuna per il colletto della camicia, strattonandolo abbastanza forte da fargli saltare via un bottone. Se gli era parso fuori di sé dopo la telefonata di Mukuro, Tsuna dovette ricredersi: era nulla in confronto a com'era in quel momento. Non l'aveva mai visto così arrabbiato, nemmeno lontanamente.
-Oggi è il primo giorno! Mukuro mi ha dichiarato guerra di nuovo! Io lo prenderò, ho fatto di tutto per venirgli incontro e lui mi ha sputato in faccia!- gli urlò a pochi centimetri dal naso. -Avresti dovuto dire a Mukuro di dormirci sopra prima di fare una cosa così stupida!-
Byakuran mollò la presa bruscamente e riprese la marcia. Tsuna tentò di sistemarsi il colletto e lo seguì mestamente. Avrebbe tanto voluto almeno sospettare che Mukuro avrebbe rifiutato... ma lui aveva detto che sarebbe finita, che era sicuro di accettare... che cosa era cambiato? Qualcuno l'aveva convinto a continuare? Hayato... oppure forse, Hibari? Anche se in tutta onestà non ne vedeva il motivo...
Insieme al generale salì in ascensore. Byakuran l'aveva trascinato (anzi, Tsuna si era trascinato di sua volontà dietro di lui per tentare di calmarlo) all'alba al palazzo di governo di Edo. Non aveva idea di che cosa volesse fare lì. Sicuramente cercava di parlare con qualcuno, aveva telefonato per ore alla ricerca di quello o quell'altro. Tsuna alzò gli occhi e notò che l'ascensore non stava salendo, ma scendendo. I suoi occhi cercarono Byakuran.
-Byakuran... dove stiamo andando?-
-Alla sala di guerra.-
-Cosa... la sala di guerra?- gli fece eco lui. -Vuoi dire che... esiste?-
-Certo che esiste.-
Tsuna riflettè rapidamente, mentre l'ascensore li portava due piani più giù dell'ultimo segnato sulla mappa dell'edificio. La sala di guerra era una delle tante leggende metropolitane dell'Haido, come la polizia segreta. Si diceva che l'Haido avesse più punti segreti sparsi per il paese, luoghi blindati e irrintracciabili dove chi vi si rifugiava potesse sopravvivere a un assedio lungo mesi. Tra queste fantomatiche strutture, compreso un osservatorio dove venivano controllati tutti i soggetti "pericolosi" tra i cittadini, vi era la sala di guerra, una vasta sala con tecnologia avanzata e un lungo tavolo dove gli ufficiali potevano sedere a discutere la prossima mossa. Ma... l'Haido non aveva mai avuto la minima intenzione di combattere le guerre internazionali, di fatto il paese viveva un nuovo isolamento giapponese, perchè avrebbe avuto bisogno di un posto simile?
L'ascensore aprì la porta su un cupo corridoio color bordeaux illuminato da neon. Uno di quelli lampeggiava leggermente e dava una terribile angoscia a Tsunayoshi; gli sembrava di essere finito dentro un videogioco dell'orrore, ma senza fucile o armi di sorta per combattere i mostri. Byakuran forse notò l'irrazionale ansia del suo addetto stampa, perchè gli diede un colpetto con la mano sulla schiena.
-Andiamo, non ci sono mostri in salamoia qui sotto.- disse in tono distaccato. -Se hai paura torna di sopra e fatti una camomilla.-
-Non ho... paura, sono solo...-
Ma Tsuna non disse mai che cosa era. Tacque e il generale non indagò oltre, imboccando il corridoio cupo. Dopo un attimo lo seguì, guardandosi nervosamente intorno, man mano che si avvicinavano al neon lampeggiante... ma come avrebbe dovuto aspettarsi, non accadde niente una volta superatolo. Tsuna fece un silenzioso sospiro e si chiese quanto poteva essere ridicolo a comportarsi come un bambino alla sua età, ma sobbalzò quando Byakuran gli rivolse la parola.
-La sala di guerra.- annunciò, prima di spalancare la porta.
Tsuna fece qualche passo avanti per vederla, emozionato; ma la sala di guerra non assomigliava affatto a quella che la gente fantasticava. Non era piena di super computer, nè tantomeno moderna. Al centro troneggiava un tavolo alto con una ventina di sedie con uno schienale comodo. Il pavimento era di legno scuro, liscio, senza polvere. Tsuna pensò che qualcuno venisse puntualmente a pulirla, anche il tavolo era lucido. Uno stendardo con lo stemma dell'Haido capeggiava su una parete, sotto di esso si trovava un mobiletto con le ruote su cui erano posati un computer e un proiettore vecchi di almeno un decennio. La parete di fronte era bianca, suppose per poterci proiettare informazioni.
-Non è come te l'aspettavi, vero?-
Byakuran entrò e andò a sedersi al capo del tavolo, scrutandolo con vago interesse.
-A dire il vero... no... diciamo che ne parlano come... come...-
-Come una specie di sala di comando della NASA.- concluse per lui il generale. -Anche io ne ho sentito parlare così... ma poi ho conosciuto l'uomo che si occupa della manutenzione dei piani fantasma del palazzo del governatore, e lui mi ha detto com'era davvero.-
Gli occhi viola abbracciarono l'intera sala, analizzandola con lentezza.
-È davvero deprimente... sembra una vecchia aula scolastica... ricorda la mia classe delle medie... bisognerebbe dargli una sistemata, appena avrò tempo per delle frivolezze lo farò.-
-Byakuran... che cosa facciamo... da soli qui dentro?- domandò Tsuna, tenendosi a debita distanza dal generale. -Voglio dire...-
-Aspettiamo le persone che ho chiamato... arriveranno a momenti.-
Il generale tacque e Tsuna fece lo stesso, prendendo posto in una sedia su un lato del tavolo. Se soltanto non fosse stata una situazione così orrenda, avrebbe trovato eccitante trovarsi in un posto simile. Avrebbe fatto qualche foto e avrebbe scritto un articolo... ma la sua carriera di aspirante giornalista sembrava appartenere a decenni prima. Mentre i minuti si rincorrevano e il silenzio regnava nella sala, Tsuna pensò al suo lavoro, cosa a cui non pensava molto spesso. Aveva fatto tanta fatica e scritto centinaia di piccoli articoli sulle cose più disparate: fiere locali, inaugurazioni, ogni piccola cosa che venisse certificata o regolamentata nella regione, ma sempre cose poco importanti. Ogni volta che aveva provato a scrivere un pezzo di rilievo, anche se era stato assegnato ad altri, veniva letto e apprezzato, ma mai pubblicato. Persino quando in redazione avevano scoperto che conosceva il terrorista Rokudo Mukuro e gli avevano fatto scrivere lunghi articoli da prime pagine non aveva avuto una promozione. Il suo attuale lavoro era diverso, lui si limitava a decidere cosa dire ai giornalisti e cosa no, e come dirlo. Chissà perchè non era riuscito a diventare un vero giornalista...
-Avanti.- disse Byakuran all'improvviso, strappandolo ai suoi pensieri cupi.
Un gruppo di persone entrò nella sala di guerra, compresa una bellissima ragazza in uniforme militare blu scuro con una scollatura da vertigine. Con lei c'erano altri uomini, ma nessuno che gli pareva avere un aspetto familiare... almeno finchè da un berretto non vide spuntare ciocche di capelli rossi. Restò a guardare il soldato dai capelli rossi con la bocca aperta.
-Buongiorno, Sawada san.- disse lui, sorridendo. -Finalmente ci rivediamo.-
-Co... tu!-
-Vi conoscete?- chiese Byakuran sospettoso occhieggiando dall'uno all'altro. 
-Ci siamo incontrati una volta sola... ho visto anche lei quel giorno, generale. Ho accompagnato Sawada san nella sua stanza d'albergo quando si è fatto male al ginocchio, se lo ricorda?-
-Ah, sì.- disse lui col tono di chi non ha la minima idea di che cosa sta dicendo. -Ci siete tutti?-
-Il maggiore Sasagawa arriverà tra un momento.- disse la bella donna.
-Bene, allora sedete.-
Ci fu un piccolo momento di caos mentre tutti cercavano di sedersi: la bella donna iniziò a sgridare un uomo con gli occhiali che aveva avuto l'ardire di cercare di sedersi alla destra di Byakuran, posizione che non gli spettava. Il ragazzo balbettò debolmente che aveva soltanto scelto il posto più vicino all'attrezzatura tecnica, dato che era un tecnico. Alla fine Byakuran si dimostrò insolitamente accomodante e lasciò che il tecnico si sedesse alla sua destra, posto che in un tavolo più ufficiale sarebbe spettato a Kikyo. Alla sua sinistra prese posto la bella donna, accanto a lei il ragazzo dai capelli rossi, che era stato il primo a sedersi proprio accanto a Tsuna. Gli sorrise quando incrociò il suo sguardo. Tsunayoshi tentò di ricambiarlo con imbarazzo, poi dedicò la sua attenzione a quelli di fronte a lui: un uomo muscoloso che portava con sè più spade legate alla cinta e, tra lo spadaccino e il tecnico, un uomo biondo che gettava occhiate sprezzanti ai due, nonchè a Byakuran. Pareva non essere affatto felice di essere lì.
Quello che sembrò un anno dopo nell'atmosfera tesa della sala di guerra, altri due individui entrarono dall'alto portone. Tsuna stavolta li riconobbe entrambi all'istante: la ragazza era una sua compagna di classe alle medie e avevano seguito corsi insieme all'università, si trattava indubbiamente di Hana Kurokawa. Con lei c'era un uomo alto che non poteva non riconoscere: alle medie era un anno avanti a lui, era Sasagawa, il capitano del club di boxe e un ragazzo che sembrava non riuscire a pensare ad altro. Tsuna si sentiva come intrappolato in un enorme schiaccianoci all'altezza dello stomaco nel vederlo con addosso un'uniforme grigio antracite, sebbene la portasse sbottonata rispetto agli altri ufficiali, con le maniche arrotolate sugli impressionanti bicipiti.
-Ku... Kurokawa?-
La ragazza si voltò a guardare Tsuna, che si era alzato dalla sedia istintivamente. I suoi occhi scuri erano gonfi e arrossati, come se avesse pianto. Lei era vestita in modo normale, si intravedeva una gonna grigia lunga fino al ginocchio sotto il cappotto azzurro polvere. Portava una borsa a tracolla e scarpe basse, non sembrava affatto una dell'esercito, e sinceramente Tsuna non poteva credere che si fosse arruolata anche lei.
-Sawada...-
Contro ogni possibile previsione, Hana Kurokawa andò incontro a Tsuna e lo strinse in un breve ma forte abbraccio che lo fece diventare rosso quanto i capelli dell'uomo che gli era seduto accanto.
-Mi dispiace immensamente per tuo padre, Sawada.- disse lei, e sembrava particolarmente afflitta.
-Grazie.- disse lui, non sapendo che altro dire.
-Sedete... credo che siano d'obbligo delle presentazioni e una spiegazione.- disse Byakuran.
Hana sedette accanto a Tsuna e Sasagawa accanto a lei. Visti da più vicino i suoi muscoli erano ancora più impressionanti.
-Vi ho riunito qui perchè c'è bisogno di una squadra d'élite per prendere quello che resta del gruppo di ribelli guidati da Rokudo Mukuro. Come forse saprete, questa notte l'offerta è scaduta e io e Tsunayoshi Sawada...- si interruppe per fare un cenno nella sua direzione. -... siamo stati testimoni della sua rinnovata dichiarazione di guerra.-
-Immaginavo fosse per questo.- commentò l'uomo biondo, prendendo una sigaretta.
-Mettila via.- gli intimò Sasagawa con un tono decisamente brusco.
-C'è un sistema di aspirazione qui.-
-C'è una donna incinta in questa stanza.- disse lui.
L'uomo biondo occhieggiò per un momento la bella donna, ma subito dopo puntò gli occhi su Hana Kurokawa. Senza cambiare espressione o dire qualcosa, ripose la sigaretta e intascò il pacchetto. Personalmente Tsuna avvertì una specie di brivido alla notizia e guardò Hana, che gli ricambiò lo sguardo solo per un momento. Vide poi che portava un anello all'anulare sinistro. La lieta notizia lasciò completamente indifferente Byakuran, che riconquistato il silenzio riprese da dove si era fermato.
-Per rendere efficace questa squadra ho scelto i migliori nei vostri campi... per cominciare, soldati forti in combattimento, che non si facciano facilmente sopraffare... il maggiore Genkishi è un abile spadaccino, il migliore del Giappone, probabilmente...-
-Dopo la scomparsa della Pioggia Insanguinata, almeno.-
L'uomo dai capelli biondi e il maggiore Genkishi si scoccarono un'occhiata velenosa, ma non ci furono altri commenti. Tsuna non aveva idea di che cosa stessero parlando, ma a giudicare dalla faccia di Enma al suo fianco, di Byakuran o di Hana, non doveva essere l'unico a ignorarlo.
-Il maggiore Gamma ha lavorato con me al carcere di Sekko, quando non era convocato per qualche missione sotto copertura... è sicuramente il più esperto nel coordinare azioni militari qui dentro, oltre che un eccellente combattente... sempre per restare in tema di forza bruta, il tenente istruttore Adelheid Suzuki.-
Tsuna perse qualche battuta delle spiegazioni di Byakuran: gli pareva di aver già sentito quel nome, ma non riusciva a ricordare dove... eppure, gli pareva che in qualche modo fosse legata a Mukuro...
-Pertanto è eccellente in combattimento, nonostante il basso grado militare.- stava dicendo Byakuran. -Ultimo ma non ultimo, il maggiore Sasagawa Ryohei... tre volte campione nazionale di boxe della sua categoria, mi sbaglio?-
-È esatto.- rispose lui.
Tsuna restò basito: non solo il suo vecchio senpai delle medie era arruolato nell'Haido, ma aveva anche un grado più alto di quello di Hibari...
-Inoltre, sappiamo per certo che Rokudo Mukuro è molto preparato quando si parla di tecnologia e sistemi informatici... e con lui potrebbe trovarsi anche Gokudera Hayato, altrettanto preparato... per questo ho convocato un esperto, il tenente Irie Shoichi... con il quale ho già avuto modo di lavorare, ho avuto la fortuna di essere testimone della sua genialità.-
Shoichi Irie divenne rosso quasi quanto i suoi capelli spettinati e pulì gli occhiali, nel vano tentativo di sembrare perfettamente a suo agio. Byakuran fece un enigmatico sorriso che scomparve in pochi istanti. Subito dopo indicò con un cenno del braccio il rosso seduto accanto a Tsuna.
-Ho inoltre convocato il soldato scelto Enma Kozato, del battaglione denominato... Vision.-
Tutti gli occhi furono subito puntati su Enma, compresi quelli diffidenti di Genkishi e quelli scuri di Gamma, apparentemente riscosso dal torpore mentale. Tsuna lo guardò con tanto d'occhi. Il battaglione Vision era leggendario quasi quanto la polizia segreta. La gente mormorava che si trattasse di un battaglione i cui membri erano tutti addestrati in arti piuttosto singolari... che fossero in grado di vedere il futuro, di leggere il pensiero, di localizzare le persone dalla loro aura...
-Sappiamo tutti che sciocchezze come la veggenza non esistono... per noi.-
Gli occhi viola scandagliarono tutti i volti dei presenti.
-Tuttavia, conoscerete tutti il soldato chiamato Viper... le sue veggenze sono indiscutibili, tutto il mondo paga quel mercenario per scovare persone che si nascondono, sventare attentati o prevedere minacce interne o esterne al paese...-
-In questo caso, perchè non ha chiamato Viper?- domandò Ryohei. -Se è il migliore perchè non l'ha cercato?-
-Perchè non mi fido di una persona che si muove per denaro.- disse secco Byakuran. -Il denaro è la cosa più facile in assoluto da trovare, in tutto il mondo... chiunque potrebbe pagare Viper per alterare i suoi risultati, per imbrogliarci o farci girare in tondo... i suoi prezzi potrebbero salire da un giorno all'altro... no, non mi fido dei mercenari, per questo mi sono affidato a un sensitivo del nostro esercito.-
-Byakuran sama.- disse lo spadaccino, Genkishi. -Crede davvero che possa... servire... un requisito simile?-
-So meglio di chiunque altro quanto bene si sappia nascondere Mukuro... sì, lo ritengo indispensabile.- fece lui gelido. -Se qualcuno ha dei problemi con questo, è libero di andarsene.-
Ovviamente, nessuno si mosse dal tavolo. La bellissima Adelheid Suzuki, però sembrava ancora irrequieta e accennò con la mano che aveva una domanda, come se si trovasse in classe con un professore molto severo. Byakuran la guardò e annuì una sola volta con la testa. I grandi occhi di lei passarono su Tsuna, facendo fare al suo stomaco un curioso sussulto, e si spostarono dietro di lui, verso Hana.
-Non ci ha presentato loro.-
-Adel!- fece Enma sottovoce, costernato. -Questo è Tsunayoshi Sawada, come fai a non conoscerlo? È il figlio del generale Sawada! Ma tu non leggi mai un giornale? Non guardi il telegiornale?-
-Io...- fece lei, in palese imbarazzo. 
-Ebbene, questo è Tsunayoshi Sawada, figlio del generale Sawada... oltre che capo del mio ufficio stampa, naturalmente.- intervenne Byakuran. -E questa è la signora Sasagawa Hana... moglie del maggiore Sasagawa... e benchè qualcuno li stia già guardando con fastidio, c'è un preciso motivo per cui sono qui.-
Il maggiore Gamma e il maggiore Genkishi distolsero immediatamente lo sguardo, colti in flagrante.
-Quale?-
-Tsunayoshi è un amico d'infanzia delle persone che stiamo cercando e potrebbe darci informazioni utili... e oltretutto, è importante che sappia tutto per gestire la stampa in proposito... la signora Sasagawa sarà la persona che trascriverà i verbali delle nostre riunioni... per la massima trasparenza dell'operazione.-
-Ma... è... non è nella milizia?-
-No, non è un membro della milizia, tuttavia le ho affidato questo incarico per un semplice motivo... dato che suo padre è stato ucciso durante l'evasione di Rokudo Mukuro, trovo che sia quantomai opportuno che possa accertarsi che la squadra faccia il possibile per consegnare l'assassino del padre alla giustizia... un uomo che non ha potuto conoscere il proprio nipote.-
Tsuna cominciò a sentire un vago malessere. Un nodo fastidioso intrappolò il suo stomaco all'idea che non aveva minimamente riflettuto sulle vittime fatte al carcere di Sekko, considerandoli esseri a sé stanti, isolati dalle persone comuni, come se non fossero figli di qualcuno, fratelli, padri, nonni o zii di qualcun altro. Sapeva che Mukuro non avrebbe mai alzato un'arma da fuoco contro un essere umano, e soprattutto difficilmente avrebbe avuto la mira e la destrezza di abbattere tre obiettivi di seguito senza sbagliare un colpo; era certo che Hibari fosse stato l'assassino. Lui aveva più manualità con le armi e il sangue freddo necessario per fustigare a morte un uomo che amava... non si sarebbe lasciato frenare dalla prospettiva di sparare a tre ignoti soldati. L'idea che proprio Hibari avesse ucciso il padre di una ragazza che conosceva, che avesse ucciso il suocero di un ragazzo che alle medie frequentava spesso, era per Tsuna un peso terribile da sopportare. Si chiese se Hibari conoscesse l'identità dei soldati che aveva colpito a morte, se avesse perso almeno una notte di sonno, o si sentisse in colpa per questo. Ma sicuramente non sapeva di aver ucciso un futuro nonno, qualcuno così vicino a persone che conosceva.
D'altro canto, Tsuna non poteva non sentirsi perversamente attratto dalle straordinarie capacità di Byakuran. A lui non importava niente di un uomo che stava per diventare nonno, Tsuna dubitava persino che gli importasse qualcosa del fatto che Hana e Ryohei stessero per avere un figlio... eppure eccolo lì, a sfruttare l'ennesima novità inaspettata a suo comodo, per dipingere Hibari Kyoya come un mostro e non come l'eroe che era stato prima per Namimori e tutto il paese. L'ennesima tanica di benzina da buttare sul rogo che avrebbe bruciato tutti i suoi nemici. Non riuscì a concentrarsi sulle istruzioni di Byakuran, né sulla cartina della città di Edo che veniva proiettata sul muro. Continuava a fissare Byakuran, il cui volto era spettrale nella luce riflessa del proiettore, chiedendosi quanto avrebbe potuto fare per il paese e per l'umanità un uomo così intelligente, determinato e carismatico, se solo avesse convogliato le sue qualità per dei fini più alti dell'egoistica vendetta.
Perchè sicuramente lui voleva soltanto Mukuro per sé, e tutto quello spettacolo era stato messo in piedi solo per fargliela pagare per avergli detto di no per l'ennesima volta.

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Capitolo 54
*** Lo stesso di tanto tempo fa ***


Hibari non pensava di aver mai visto una pioggia più intensa di quella. Sbuffò e scosse la testa cercando di ampliare il suo campo visivo, oscurato dalla cerata che gli copriva la testa.
-Che tempo da cani.- piagnucolò Dino da qualche parte sotto di lui. -Quanto ci vorrà ancora? Sono inzuppato come i crostini che mia madre mette nella zuppa! Appunto!-
-Che stai blaterando, Cavallone?- domandò Mukuro seccamente. -Visto che sei tanto grosso potresti finirla di lamentarti per due gocce e portare uno scatolone in più.-
-Non è che se uno è un po' più grosso può portare il doppio del suo peso, eh.-
-La smettete, voi due?-
Hibari afferrò una scatola sotto il braccio e scese la scaletta di metallo. Sentì borbottare sottovoce Dino alla base della scala e sbuffare Mukuro vicino alla botola. Com'era comprensibile, quei due non si erano presi per il verso giusto dal primo momento in cui si erano incontrati. Aveva la netta impressione che Mukuro avesse aperto le ostilità non appena posati gli occhi sui suoi capelli biondi. In risposta, Dino faceva il suo peggio per punzecchiarlo. Hibari finalmente capiva come si sentiva Mukuro a cercare di dividere lui e Madeleine, o Tsuna quando divideva lui e Gokudera che avevano sempre qualcosa di cui discutere. Anche se, doveva ammetterlo, Mukuro aveva i suoi buoni motivi di essere geloso: Dino era fin troppo disponibile e appiccicoso per i suoi gusti, e al contrario del cugino Saeki non era per niente timido.
-Dino... Dino, prendi, mi sta...-
Prima ancora che potesse dirgli che lo scatolone stava scivolando da sotto il braccio, il guanto di pelle e gli stivali di gomma scivolarono sulla scaletta sporca di fanghiglia e acqua. Stringendo a sé il pacco strizzò gli occhi preparandosi a cadere di schiena, ma l'impatto non fu duro come si aspettava: non era caduto sul cemento, Dino l'aveva preso al volo.
-Tutto bene, Kyoya?-
Hibari restò qualche attimo a fissare la faccia di Dino, senza pensare che stava parlando con lui. Scosse leggermente la testa e si rimise in piedi, ancora leggermente confuso. Non aveva idea di come avesse fatto a cadere in braccio a lui e non ai piedi della scaletta.
-Sto... sto bene, sì.- disse alla fine. -Sono scivolato per il fango...-
La luce si affievolì e Hibari guardò in alto, dove la sagoma di Mukuro, avvolta in una cerata nera che lo faceva assomigliare a uno stregone o a una specie di satanista rituale, era china sulla botola e guardava in giù.
-Sì, il doppio del suo peso, come stavamo dicendo.-
-Mi farei spiaccicare per terra pur di non far fare del male a Kyoya.- disse Dino con un tono inquietantemente serio. -Dopotutto, Saeki mi ha chiesto di aiutarlo perchè sapeva di potersi fidare di me!-
-Allora mi porti questo?- fece Hibari subito, piazzandogli lo scatolone fra le braccia. -Grazie.-
-Oh, sicuro, non dovresti portare cose così pesanti...-
Dino si allontanò per stipare la scatola e Hibari scalò di nuovo i pioli viscidi tenendosi più saldamente, raggiungendo Mukuro in superficie. Mancavano solo due scatole da portare nel nuovo rifugio.
-Hai intenzione di dirgli che sei abbastanza forte da portare me sulle spalle per chilometri, abbattere guardie a mani nude e che non devi essere trattato come una donna incinta?-
-È divertente.- disse lui con una scrollata di spalle.
-Almeno potresti dirgli che tu stai con me!-
-Ma lo sa già questo.-
-A me non sembra che lo sappia.-
Hibari si fermò un momento a pensare, mentre si sistemava il pacco coperto di tela incerata sotto il braccio. Effettivamente, forse non lo sapeva... gran parte della storia gliel'aveva raccontata Saeki, ma non era sicuro che gli avesse detto i dettagli più intimi della sua relazione con Mukuro. E poi, nemmeno Saeki sapeva che ora stavano di nuovo insieme, anche se forse lo sospettava. In definitiva, non era affatto sicuro che Dino fosse consapevole di come stessero le cose.
-A che gioco stai giocando, Kyoya?- fece secco Mukuro. -Sai cosa penso? Dovresti trasferirti in un posto dove la poligamia è permessa, tu non riesci a stare solo con una persona.-
-Mukuro, non dire sciocchezze... quando stavo con Saeki, non stavo con te... ora che sto con te, non sto con Dino, è lui che fa il cascamorto, non è colpa mia.-
-La cosa ti fa ridere?-
Hibari si fermò solo quando fu sicuro di essere ben saldo alla scaletta. Non si era reso conto di stare sorridendo. Non smise quando lo guardò, nonostante la pioggia fredda sul viso.
-Mi piace che tu sia geloso.- rispose. -Portiamo via questa roba, così possiamo parlare mentre sistemiamo, che ne dici?-
Mukuro non rispose, ma prese l'ultima scatola, la gettò dentro e scese la scala chiudendo la botola sopra di lui. Il pacco caduto non fece quasi rumore, quindi Hibari suppose che contenesse vestiti o cose del genere. Mukuro scese in fretta e lo raggiunse, prese il pacco leggero e si avviò lungo la parete di cemento. Hibari ancora non era sicuro di dove fosse il rifugio che aveva trovato.
-Mukuro, dov'è che ci nascondiamo?- chiese allora, la voce accompagnata da un'eco. -Non vedo niente...-
Nella fioca luce che filtrava da qualche botola più avanti Hibari vide la sagoma alta di Mukuro tornare indietro, lo sentì afferrargli la mano e trascinarlo in avanti. L'ex vigilantes non aveva idea di come facesse il suo compagno a vedere dove metteva i piedi, era buio pesto; riusciva a vedere qualcosa solo in lontananza, dove svoltato un angolo una vaga luce giallastra spezzava l'oscurità e gli permetteva di distinguere i contorni di Mukuro. La sua mano era bagnata, ma nonostante questo era ancora caldissima.
Camminarono per tutto il tunnel finchè non raggiunsero la curva, dove era più luminoso. La luce proveniva da una specie di carrello su cui erano caricate le ultime scatole incerate, una lampada elettrica e Gokudera, che aspettava lì fumando una sigaretta. Dino era seduto sul bordo del vagoncino di coda.
-Che cos'è quell'affare?-
-È un carrello per il trasporto di materiale... si usavano nelle miniere una volta...- spiegò Mukuro, mettendo nel carrello di coda le due scatole. -È stato lasciato qui sotto dai tempi in cui scavavano la galleria per la metro.-
-Siamo nella metropolitana?-
-In una vecchia tratta... è chiusa da dodici anni... vieni, sali.- disse Mukuro, aiutando Hibari ad arrampicarsi sul carrello. -Siamo scesi dalla botola più sicura, dove non ci avrebbe visto nessuno... ma il nostro rifugio è più avanti, lo raggiungeremo con questo carrello.-
-Mi sembra di essere ancora al luna park di Mashimori...-
-Non ti spaventare come quella volta.- commentò Gokudera. -Questo coso va abbastanza veloce, non vi alzate mentre è in movimento.-
Il carrello prese lentamente velocità. Faceva lo stesso traballante, sferragliante rumore del malconcio vagone del brucomela al luna park di Mashimori, anni e anni prima. Hibari aveva sempre odiato quel tipo di attrazioni dei parchi, motivo principale per cui non aveva mai e poi mai voluto salire su una montagna russa da brivido nel parco di Miracle Land, sebbene Mukuro la adorasse. Sapeva che Mukuro era spericolato, ma a Hibari era sempre bruciato da morire non aver avuto il coraggio di salirci almeno una volta, visto che anche Chrome l'adorava e perfino Tsuna aveva avuto lo spregio del pericolo e l'aveva provata. E Tsuna era risaputamente un fifone.
-Esiste ancora Miracle Land?- domandò all'improvviso Gokudera, come se anche lui stesse pensando a quei pomeriggi molto, molto lontani.
-Il parco c'è... ma è chiuso da anni ormai... gli affari hanno iniziato ad andare male quando l'Haido ha impedito alle persone di spostarsi liberamente... è una rottura notevole dover decidere di andare al parco mesi prima per poter avere l'autorizzazione...- disse Mukuro. -Forse riaprirà, quando non ci sarà più alcuna restrizione.-
-Ci voglio tornare un giorno.- fece Gokudera mentre il carrello affrontava una leggera curva. -Ci siamo sempre divertiti quando siamo stati lì... e poi, ci dovremmo portare Mikado almeno una volta.-
-Sì, così Kyoya avrà una scusa per stare seduto sulla panchina mentre Nagi fa l'Highway in prima fila... e il massimo che farà è sedersi con Mikado sulla giostra coi cavallini.-
Hibari fissò Mukuro, profondamente ferito nell'orgoglio. Sapeva che l'uomo che era soltanto sei mesi prima avrebbe risposto giurando su tutto quello che aveva di sacro che avrebbe fatto l'Highway in prima fila insieme a Nagi, pur di non sembrare un codardo. Ma lui non era più lo stesso.
-Beh, Mikado è piccolo.- rispose invece. -Qualcuno dovrà pur restare insieme a lui.-

Circa due ore più tardi avevano raggiunto il piccolo deposito di materiali abbandonato, l'avevano ripulito abbastanza da renderlo vivibile e avevano quasi sistemato tutto l'occorrente nell'angusto spazio. Mentre sentiva Dino borbottare per l'orrendo alloggio ed emettere una specie di singulto alla vista di un topo, Mukuro fece un verso simile a un gatto irritato e srotolò una cartina di Shibuya per appenderla alla parete. Erano carte importanti, non poteva rischiare che i topi le rovinassero, non sarebbe stato facile procurarsene altre.
Per altri dieci minuti lavorò sulla parete, appendendo le cartine in modo che tutte affiancate gli dessero una visione completa della città. Si allontanò di qualche passo per ammirare il suo lavoro nell'insieme e sussultò quando andò a sbattere contro qualcosa di molto più grosso di un topo.
Era soltanto Kyoya.
-Kyoya... mi hai fatto prendere un colpo, non ti ho sentito.-
-Eri occupato con le cartine.- disse lui. -Aspettavo che finissi.-
-Dov'è la lagna? Non lo sento più.-
-Intendi Dino? È uscito, va a comprarsi del vino.-
-Gli ho detto di non uscire!-
-Byakuran non sa nemmeno chi sia, non corriamo rischi anche se esce...-
Mukuro aveva seri dubbi, aveva già potuto rendersi conto che Dino era un uomo piuttosto difficile da controllare e molto facile da notare: sembrava non essere capace di non rivolgere qualche complimento a qualsiasi donna gli passasse vicino, attaccava bottone con chiunque se gli sembrava che regnasse troppo silenzio, chiedeva alla gente di Edo se ci fosse un certo tipo di negozio nei paraggi, gli orari degli autobus o qualsiasi altra cosa. Sembrava fosse fisicamente incapace di tenere la testa bassa e la bocca chiusa, atteggiamento decisamente pericoloso, e in più non poteva essere più evidente che a quel biondo Mukuro non andava a genio più di quanto a Mukuro andasse a genio lui. Si detestavano cordialmente, e Mukuro non avrebbe mai creduto di poterlo pensare, ma sarebbe stato molto più felice di avere Tanaka Saeki insieme a loro. Almeno avrebbe potuto contare sul fatto che sarebbe stato più discreto del suo irriverente cugino.
E poi, c'era il fatto che Saeki era diverso da Dino, ne aveva avuto la prova quando in punto di morte era riuscito a vederlo e a parlargli. Saeki probabilmente aveva un dono che il cugino non aveva e che li rendeva due spiriti più affini di quanto non avrebbe creduto possibile...
-A che cosa pensi, Mukuro?-
All'inizio Mukuro non capì esattamente che cosa gli avesse spedito il cuore in gola per un attimo, ma qualche istante dopo si rese conto che era successo perchè Kyoya gli aveva stretto le braccia intorno al torace. Gli sussurrava nell'orecchio e per un momento si chiese come potesse, dato che ora che non indossava più gli stivali alti Kyoya non riusciva nemmeno a posare il mento sulla sua spalla senza mettersi in punta di piedi.
-A... a niente.-
-Che bugiardo...-
-A niente di importante... pensavo a quell'inutile piattola bionda... non ha nessuna utilità, sa solo lamentarsi... ha anche paura dei topi, vero?-
Kyoya rise piano, senza lasciarlo andare. Il cuore di Mukuro stava cominciando ad accelerare un po'.
-Sì, credo di sì... non è abituato come te... anche nel vecchio albergo era pieno di topi...-
-A me dispiace che Tanaka Saeki sia malato, ma veramente poteva tenerselo suo cugino.-
-Ha fatto l'accademia militare nel suo paese... si renderà utile quando più ce ne sarà bisogno...-
Mukuro non trovò nient'altro da dire, quindi si limitò a sbuffare con aria scettica. Era il minimo che potesse fare, perchè a quanto pare l'unica cosa in cui era bravo era combattere, fatta eccezione per l'economia, dato che a quanto raccontava aveva costruito un impero finanziario con la misera eredità del padre e ora guidava ogni genere di super bolidi sportivi dalla sua villa di campagna all'attico in città o alla casa sulla spiaggia.
-Hai finito?-
-Finito cosa?- domandò Mukuro distrattamente, notando una cartina leggermente storta.
-Con le cartine...-
-Sì, devo solo raddrizzare que...-
Il resto della frase sfumò in una sorta di singhiozzo. Mukuro si irrigidì come se fosse diventato di pietra.
-Kyoya... che cazzo fai...-
La risposta sussurrata di Kyoya era talmente stonata su di lui, che normalmente si imbarazzava per infinitamente meno, che Mukuro non credeva alle sue orecchie. Furtivamente si diede un lungo, dolorosissimo pizzicotto nell'avambraccio per essere sicuro di non essersi addormentato e stare sognando. A quanto pareva era tutto reale... ma anche tutto molto strano.
-Che stai dicendo, Kyoya?-
-Non ti va?-
-Ma... ma... proprio qui? E adesso?-
-Perchè non adesso? La lagna è fuori.-
-E Gokudera?-
-Ah, è andato via anche lui... ha detto che andava a sistemare un... non mi ricordo il nome, un coso per deviare la linea telefonica, o una cosa del genere... ha detto che gli ci vorrà almeno un'ora.-
-Sì, ma perchè così all'improvviso?-
-Tu fai troppe domande, Rokudo Mukuro san...-
Mukuro non fece in tempo a replicare che Kyoya lo spinse di forza sulla branda, che cigolò in modo allarmante sotto il suo peso. C'era decisamente qualcosa di strano nel comportamento di Kyoya, non era mai stato irruento prima, né tantomeno così esplicito nel parlare... ma era anche vero che Mukuro non aveva la minima idea di come fosse il suo compagno nell'intimità. Certo era il posto e il momento che meno avrebbe ritenuto opportuno per scoprirlo... ma come recita il detto, ogni lasciata è persa, specie se si trattava di un uomo dall'umore altalenante e dall'atteggiamento freddo come Hibari Kyoya.
Non aveva motivo di rifiutarsi, dopo aver tanto sofferto la freddezza e la sua sfuggevolezza in amore. Per una volta che sembrava disposto a mostrargli la sua passione, non l'avrebbe fermato nemmeno se Byakuran in persona fosse arrivato a sfondare la porta a calci. In fondo il suo amore per lui era rimasto saldo, fiorente e forte come lo era tanto tempo prima.


-Kozato kun, allora?-
Tsuna starnutì con un suono acuto, come lo squittio di un topolino. Non sapeva nemmeno di preciso perchè avesse seguito la task force all'aperto, in missione, sotto una pioggia torrenziale. Stava morendo di freddo, nonostante la cerata gialla e gli stivali di gomma era lo stesso fradicio e cominciava ad avere fame. Avrebbe voluto rifugiarsi in un bar e farsi fare un tè bollente.
Voltò lo sguardo verso Shoichi Irie, che tentava con tutte le sue forze di tenere il suo computer al riparo dall'acqua con l'ausilio di tela cerata, ombrello e il suo stesso corpo. Aveva i capelli zuppi e gli occhiali schizzati di pioggia tanto che Tsuna dubitava potesse ancora vederci qualcosa. Era decisamente agitato, ma forse era solo angosciato per le sorti del suo computer. Continuava a guardare da quello a Enma Kozato, che camminava lentamente, si fermava, toccava una parete o la strada con le dita, gli occhi chiusi. Nemmeno Tsuna capiva che cosa cercasse di fare. Sì, dicevano fosse una specie di sensitivo... ma veramente contavano di trovare Mukuro solo con i poteri di un sensitivo? Eppure gli altri parevano crederci, erano fermi e attendevano. Ryohei Sasagawa non aveva nemmeno una mantellina per la pioggia e i suoi capelli, corti e pettinati in su, si stavano appiccicando a ciocche sulla sua fronte.
-Neh, Tsuna nii!- fece la voce di Lambo. -Guarda, ora posso sparare ai cattivi, bum bum!-
Tsuna lo guardò distrattamente, immaginando che Lambo avesse trovato qualche ramo o qualcosa per giocare a sparare agli alieni, ma gli balzò il cuore in gola quando vide che aveva in mano una pistola vera e gliela puntava contro. Gliela strappò di mano con un gesto fulmineo e altrettanto rude.
-Che cosa ti passa per la testa, Lambo?! Le armi non si toccano, te l'ho detto!-
-Ma non l'ho rubata!- protestò lui, pestando gli stivali di gomma sulla strada piena di pozzanghere.
-A chi l'hai presa? Rispondi!-
-Me l'ha data il maggiore!- disse Lambo, indicando il maggiore Gamma, che fumava al riparo di una tettoia poco distante. -Mi ha detto che potevo sparare ai cattivi con questa!-
Tsuna marciò spedito contro il maggiore. Che diavolo aveva in mente quella gente? Mettere un'arma da fuoco in mano a un ragazzino... se avesse sparato per sbaglio a qualcuno di loro? Se si fosse ferito da solo? Lo sapeva, non poteva fidarsi della milizia, erano dei pazzi fanatici...
-Che diavolo ha in mente, Maggiore?- gli domandò, mostrandogli l'arma. -Come le viene in mente di dare in mano un'arma da fuoco a un bambino? Si è bevuto il cervello o non l'ha mai avuto?-
Il maggiore Gamma lo guardò come molto spesso Gokudera aveva guardato Yamamoto: con l'aria di uno che riceve una domanda stupida da un idiota e non ha la minima voglia di spiegarsi. Gamma prese l'arma e gli mostrò il cane, con la sicura inserita.
-La sicura è inserita.-
-La sicura può essere tolta anche da un bambino.- ribattè Tsuna. -E un'arma può sparare anche a sicura inserita se dovesse cadere a terra, lo sa questo?-
Gamma non rispose, si limitò a scrollare le spalle e a riporre l'arma nella fondina.
-Lei ha figli, maggiore?- domandò lui, fissandolo.
-No.-
-Ah, finalmente una buona notizia.-
Mentre si voltava ebbe una fugace visione di Adelheid Suzuki che sembrava approvare la sua ramanzina al maggiore; ma poi si rese conto che Lambo non era vicino a lui, né vicino a Irie dove lo aveva lasciato. Per un attimo si guardò intorno colto dal panico, poi si accorse che stava facendo un girotondo a balzelloni intorno a Enma, che si era piegato per toccare l'asfalto con la mano. Corse lì e lo fermò nel momento in cui Kozato aprì gli occhi e si alzò con aria seria.
-Io... mi dispiace, Kozato kun... mi è sfuggito...-
-Sono qui.-
Tsuna lo guardò sentendo un brivido lungo la schiena, che non aveva niente a che vedere con la pioggia torrenziale e il malefico vento che tentava di sfilargli il cappuccio della cerata. Si stava riferendo a Mukuro e ai suoi sostenitori? Li aveva davvero trovati? Prese a guardare le facciate dei palazzi intorno. Erano condominii residenziali, vetrine di piccoli negozi... davvero Mukuro si nascondeva in un posto così affollato?
-Dove, Enma?- disse Adelheid avvicinandosi. -Guidaci.-
-Kozato kun, li hai trovati? Dove? Dove?- chiese agitato Irie, tentando di digitare in qualche modo anche se aveva la mano occupata con l'ombrello. -Byakuran sama deve saperlo subito...-
-Che faccia tosta deve avere per nascondersi in un quartiere del genere?- fece Gamma a tutti e a nessuno, incarnando abbastanza fedelmente il pensiero di Tsuna.
-No... lui non è qui.- disse Enma, e indicò la strada. -Lui è sotto.-
-Sotto?-
Tutti, compreso Lambo, fissarono la strada come se si aspettassero che la terra tremasse e l'asfalto si spaccasse, facendo emergere una specie di fortezza o Mukuro a bordo di un robot da guerra. Il primo a riprendersi fu Shoichi, il cui viso si illuminò di gioia. Balbettando cose a caso, mise l'ombrello in mano ad Adelheid, la più vicina, e prese a cercare qualcosa sul computer. Dopo meno di un minuto, trovò quello che stava cercando e lo mostrò a tutti sullo schermo.
-Kozato kun ha ragione, qui sotto passa una delle vecchie tratte della metropolitana, ma sono abbandonate da molti anni! E poi, proprio qui sotto, dovrebbe esserci una specie di locale, dove era allestito un deposito di materiali edili usati quando il tunnel era in costruzione!-
-Rokudo Mukuro è lì dentro, allora?- domandò Ryohei, tirandosi indietro i capelli bagnati. -Andiamo a prenderlo!-
-È un brutto posto per combatterci.- disse Enma. -Avete sentito il capo, no? Mukuro è bravo con le trappole, e usa degli stratagemmi per affrontare il nemico senza combatterlo perchè non ha armi... in un posto così stretto, con a disposizione tutti quei materiali, potrebbe essere pericoloso.-
-A noi non importa del pericolo, siamo stati convocati per questo!-
-B-beh, a dire il vero...- balbettò Shoichi, ma la sua voce sfumò nel nulla.
-Scendiamo e mettiamolo in fuga con i fumogeni.- propose Enma, guardando unicamente Adelheid, come se fosse lei il capo delle operazioni. -Scapperanno e dovranno lasciare un rifugio che credevano sicuro e tutte le attrezzature che hanno a disposizione.-
-Bene.- disse Ryohei, sebbene nessuno l'avesse interpellato. -Vado io.-
-Maggiore, non abbiamo ancora...-
-È il piano con minori rischi, e Kozato è capace di ritrovarli, li affronteremo quando avranno meno vantaggio e li prenderemo tutti.-
Tsuna era sinceramente sbalordito. Aveva conosciuto Ryohei Sasagawa, sebbene non lo avesse molto frequentato alle medie, ed era un completo idiota. All'epoca parlava solo di boxe, si allenava come un pazzo ed era al limite del fanatismo; inoltre aveva pessimi voti e un cervello paragonabile a quello di un bambino di seconda elementare. Ma l'uomo che aveva di fronte era diverso: anche se non aveva abbandonato la boxe, sembrava a suo agio in una missione operativa; era ancora propenso all'azione, ma non senza ragionare sui rischi e le conseguenze. Tsuna capì che il suo grado di Maggiore doveva derivare da qualcosa di più dei suoi meriti sportivi.
Strinse le spalle di Lambo mentre lo guardava scendere nel tombino aperto da Gamma poco più in là. Genkishi, senza chiedere nulla a nessuno, stava aprendosi un varco in una stradina adiacente, convinto di scendere a sua volta. Enma Kozato lo guardò negli occhi mentre Shoichi mostrava ad Adelheid quella che credeva essere la terza entrata più vicina.
-Che cosa vuoi fare, Tsuna kun? Vuoi scendere anche tu?- gli chiese, prima di guardare Lambo. -Puoi lasciare il bambino con Irie qui fuori.-
Tsuna non aveva sinceramente idea di cosa fare. Aveva paura. Paura che Mukuro avesse davvero messo qualche trappola che potesse ferire i membri della task force, ma anche paura che lo scontro si sarebbe rivelato inevitabile... paura che qualcuno dei suoi amici avesse la peggio... paura di sembrare un traditore ancora una volta, che Hayato lo vedesse di nuovo mentre veniva portato via...
Enma posò la mano sulla sua spalla.
-Byakuran ha ordinato di evitare l'uccisione dei ribelli a meno che non si riveli assolutamente necessario... Sasagawa non ucciderà nessuno anche se dovesse fronteggiarli... è un pugile, sa dosare la sua forza con cura.-
Tsuna annuì, non riusciva a spiccicare una parola. Non aveva nemmeno senso cercare di spiegare a Enma cose che non sapeva, risvolti della storia che non conosceva e i suoi dubbi. In primo luogo non c'era tempo per poterglielo dire, in secondo luogo era convinto che non gli interessasse affatto. Si limitò a trattenere Lambo quando cercò di correre dietro ad Adelheid: non sarebbe sceso là sotto, non voleva che Mukuro potesse vederlo e pensare che lui era d'accordo nel dargli la caccia con una squadra scelta di militari e dei fumogeni. Non avrebbe sopportato di essere considerato un nemico. Gli pesava già abbastanza non poterlo aiutare, né da un lato né dall'altro della barricata.
Tsuna ed Enma attesero in silenzio sotto la pioggia scrosciante, mentre Lambo disegnava a balzelloni un cerchio intorno a loro, schizzando acqua dalle pozzanghere. Ogni tanto riuscivano a sentire qualche parola detta da Shoichi, che teneva tutti in contatto tramite auricolari. Era piuttosto angosciante non avere idea di cosa succedeva, ma Tsuna credeva che se ci fossero stati scontri l'agitazione di Irie gliel'avrebbe detto subito. Infine, Enma lasciò andare un sospiro e sorrise.
-Sono andati.-
-Andati? Andati dove?-
-Via.- disse semplicemente. -Credo avessero un mezzo a disposizione là sotto... si stanno allontanando in fretta... non riemergeranno da una delle uscite vicine.-
Tsuna non tirò un sospiro di sollievo, non ancora. Guardò Shoichi, che effettivamente stava balbettando qualcosa in stato di grande agitazione. In fondo alla strada vide Genkishi tirare un calcio al tombino per rimetterlo al suo posto. Voltò rapidamente a testa e vide Adelheid Suzuki tornare verso di loro e Sasagawa riemergere dallo stesso punto in cui era sceso nella metropolitana.
-Che cos'è successo?-
-Davanti al deposito c'era una specie di carrello, tipo quelli che usano nelle miniere.- disse il maggiore Sasagawa sistemandosi la cravatta, senza evidentemente rendersi conto di quanto il suo aspetto fosse disastroso comunque. -Quattro persone sono salite e quella specie di treno è sparito in direzione nord.-
-Oh, no... ci sono decine di cunicoli, come possiamo sapere dove saranno andati?- gemette Irie, ticchettando sulla tastiera del computer.
-Non è importante.- disse Enma, tranquillamente. -Io posso trovare un uomo con l'aura di Mukuro ovunque... è incredibilmente chiara e intensa... è esattamente come chiedere a un cane di seguire un uomo con le tasche piene di salsicce.-
La similitudine di Enma era spicciola, ma sicuramente diretta nel significato. Persino Genkishi, che era notoriamente il più scettico verso i poteri del sensitivo, si rilassò. Shoichi sembrò recuperare la calma, ma subito dopo controllò chissà cosa nel suo portatile.
-Tsuna, mangiamo le salsicce per cena?- domandò Lambo, appendendosi di peso al suo braccio. -Salsicce, salsicce, salsicce!-
-Ahia... va bene, Lambo, ma non ti appendere, sei pesante...-
-Propongo di tornare al quartier generale e prenderci un tè caldo...- disse Adelheid, che Tsuna sentiva parlare per la prima volta con un tono quasi dolce. -Specialmente lei, maggiore, è fradicio... non ha freddo?-
-Grazie, sto bene.- rispose Ryohei, tirandosi di nuovo indietro i ciuffetti di capelli bagnati.
Senza aggiungere altro, si diressero al punto in cui avevano lasciato le automobili, poco distante da lì. Sebbene tutti sapessero che Ryohei era un uomo sposato e che era in attesa di un figlio, a Tsuna pareva che Adelheid fosse anche troppo interessata. Restò in coda al gruppo, tenendo saldamente il polso di Lambo per non perderlo, tenendo gli occhi fissi sul maggiore e sul tenente istruttore. Se pensava di potersi mettere fra lui e la moglie senza intralci si sbagliava...
-Rilassati, Tsuna kun.-
Tsuna si sorprese di scoprire che Enma camminava accanto a lui. Il rosso gli fece un sorriso, sebbene conservasse sempre quell'aria vagamente triste.
-Adel ha una grande ammirazione per gli ufficiali, specie per quelli che hanno fatto carriera in fretta, come il maggiore Sasagawa... dovresti provare a chiederle di quando è uscita, ai tempi dell'accademia, con Hibari Kyoya... penso che lo abbia raccontato a chiunque, dopo che lui è stato nominato capitano.-
Tsuna si perse le ultime frasi dette da Enma, ma finalmente riuscì a ricordare perchè il nome insolito di quella donna gli fosse familiare: Mukuro glielo aveva riferito, con il tono invelenito dalla gelosia, dicendogli che Hibari era uscito con una bellissima ragazza dell'accademia militare... probabilmente Byakuran non ne sapeva niente, Tsuna dubitava che avrebbe scelto una donna che in qualche maniera era legata personalmente a Hibari per dargli la caccia. Non fece in tempo a rispondersi quando si chiese se lei avesse qualche scrupolo a braccare l'uomo che si vantava di aver incontrato intimamente qualche anno prima, che Lambo lo riscosse dai suoi pensieri: si era insinuato tra lui ed Enma, aveva afferrato il braccio del soldato dai capelli rossi e stava cercando di dondolarsi.
-Lambo, smettila, lascia in pace Kozato kun...-
-Enma.- disse lui.
-Eh?-
Tsuna fissò gli occhi color rosso scuro di Enma con aria confusa, per un attimo si chiese se fosse stato lui a parlare.
-Chiamami Enma.-
Gli sorrise e distolse lo sguardo, chiedendo a Lambo qualcosa che non raggiunse mai la mente cosciente di Tsuna. Quella scena gli aveva ricordato la volta in cui Hayato gli aveva detto di smettere di chiamarlo "Gokudera kun" e di chiamarlo per nome. Un nome che fondamentalmente usava soltanto sua sorella. Era stato un grande passo, una grande conquista, quella. Con un vago senso di colpa, Tsuna seguì Enma su una delle auto, guardandolo cercare di insegnare un giochetto di prestigio a Lambo con una moneta. Non sapeva perchè, ma più lo guardava, più gli ricordava l'Hayato di cui si era innamorato tanti anni prima.

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Capitolo 55
*** Punto di non ritorno ***


Hibari Kyoya entrò per ultimo nell'angusto magazzino e fece scorrere la pesante porta di metallo, che si chiuse con un tonfo soffocato. Per un attimo si ritrovarono nel buio quasi totale, ferito solo dai raggi di luce diurna che filtravano da una finestrella in parte oscurata da quello che sembrava un cartone storto che conteneva una vecchia bicicletta. Subito dopo qualcosa si accese e Hibari vide la lanterna a batteria tra le mani di Gokudera. Lui era accigliato, ma restò in silenzio, sedendosi su un cassone di legno chiuso con un grosso, vecchio lucchetto. Prima che Hibari potesse dire o fare qualcosa, Mukuro si voltò ed esplose, com'era prevedibile, contro Dino.
-Sarai contento, Cavallone!-
-Che... che cosa diavolo vuoi da me?!-
-Ci hanno trovato in un posto così sicuro per colpa delle tue stronzate!-
-Le mie... che cavolo stai dicendo? Non è stata colpa mia!-
-Quando si è dei ricercati bisogna stare nascosti!- sbottò lui, tentando di togliersi una ciocca di capelli bagnati dalla faccia, ma quella gli si appiccicò di nuovo sul naso. -Non si va in giro a comprarsi il vino o qualsiasi puttanata tu sia andato a prendere!-
-Io... io non sono ricercato! Il vostro governo non sa chi io sia, e se lo sa, io sono solo il cugino di uno della milizia, sono già venuto in Giappone prima d'ora...-
-Smettetela adesso, avanti...- disse Hibari, ma per l'effetto che ottenne avrebbe potuto anche dirglielo usando i segnali di fumo della sigaretta di Gokudera.
-Non vuoi proprio capire che uno straniero che attacca bottone con tutti attira l'attenzione?!- fece Mukuro, a voce ancora più alta. -Non è normale parlare a gente che non hai mai visto!-
-Attira di più l'attenzione qualcuno che non parla e fa le cose di soppiatto!-
-Secondo te un negoziante si ricorda di un tizio qualsiasi che guarda in giro, fa la sua spesa in silenzio e se ne va salutando o si ricorda piuttosto di un tizio che rivolge la parola a chiunque dicendo cose senza senso? Per non parlare di tutte le cose che fai cadere!-
-I vostri supermercati sono troppo stretti, non sono disposti bene.- borbottò Dino, piccato.
-Forse sei tu che sei solo uno stupido pachiderma biondo!-
-Sarà la ventesima volta che mi dici "biondo" come fosse un insulto, che problema hai? Sei invidioso?-
-Come se avessi il tempo di affliggermi per una tale stupidaggine.-
-Quindi se avessi il tempo saresti invidioso?-
-Non ho detto questo!-
-Basta... finitela!- sbottò Hibari. -A che serve punzecchiarvi adesso?-
-È colpa sua se ci hanno trovato persino in un posto così nascosto!-
-Questa è una sciocchezza, il tuo super rifugio non era per niente ben protetto!-
-Invece lo era, sei tu che sei entrato da un passaggio più visibile per non dover fare tutta la strada a piedi, non è vero? Ti sei fatto notare e qualcuno avrà fatto una soffiata! A Byakuran basta questo per capire che cosa troverà!-
-Non è vero, ho fatto la stessa strada che abbiamo fatto insieme! Sono stato attento!-
-Sai almeno cosa significa la parola "attento", Cavallone?- domandò Mukuro col tono più acido che Hibari gli avesse mai sentito usare; gli occhi blu ridotti a fessure. -Ma il coglione sono io che ho permesso che uno stupido bambolotto scandinavo mettesse piede nel mio rifugio.-
-Io non sono... io sono italiano, hai capito?- fece Dino, diventando di una vaga sfumatura rossa per la prima volta.
Come risposta, Mukuro strinse gli occhi ancora di più, sembrava furioso.
-Ora ho la nausea al pensiero di condividere una mezza nazionalità con uno come te.-
-Come osi!- esclamò Dino, afferrandolo per la giacca e strattonandolo bruscamente. -Non ti permetto di insultarmi soltanto perchè hai delle fisime contro i biondi! Che diavolo di problemi hai?! È perchè Kyoya preferisce i capelli biondi? Eh?-
Hibari avrebbe dato molto per aver potuto prevedere quell'uscita di Dino ed evitarla, ma non potè far altro che assistere impotente a quella frecciata velenosa e alla reazione di Mukuro, la cui mano si strinse intorno al collo del biondo e lo sbattè contro una parete di grossi scatoloni accatastati.
-Ti rispedirò a tuo cugino dentro una tabacchiera, Cavallone.-
Dino si liberò della stretta e tentò di afferrare il collo di Mukuro, ma Hibari si buttò in mezzo a loro e cercò di placare gli animi, senza molto successo: erano entrambi così alti che continuavano a guardarsi in cagnesco al di sopra della sua testa e senza dirsi più niente tentavano solo di togliere Kyoya dal mezzo per riprendere la loro zuffa. Hibari si aggrappò al collo della maglietta di Dino e alla spalla di Mukuro, cercando disperatamente di non farsi spingere via, e guardò verso Gokudera. Era ancora seduto sul cassone e fumava guardandoli distrattamente, come si assiste apatici a una sfilza di spot pubblicitari in attesa della ripresa di un film.
-Aiutami!- esclamò Hibari veemente.
Gokudera lo guardò come a ponderare se fosse il caso di intervenire, alla fine si alzò con tutta la calma del mondo, come se si fosse accorto che mentre guardava la tv gli era venuta voglia di pop corn. In quel momento Mukuro approfittò della distrazione di Hibari per dargli uno strattone e Kyoya finì a terra con un sinistro rumore di stoffa strappata. Dopo un attimo di smarrimento si accorse di avere in mano una striscia della t-shirt di Dino, ancora attaccata al resto da un lembo di tessuto dell'orlo inferiore. Restò di sasso vedendo che sotto la maglietta larga il petto e l'addome dell'italiano erano parecchio ben scolpiti e che quello che credeva essere un tatuaggio sul collo in realtà scendeva su tutto il fianco sinistro fino a sparire nascosto dai pantaloni. Persino Mukuro, per qualche motivo, lasciò la presa come se si fosse scottato e fissò senza parlare i tatuaggi. Sebbene fossero alti quasi allo stesso modo, Dino era molto più grosso di Mukuro. Hibari pensò che forse era stato questo il motivo per cui il suo compagno si era improvvisamente calmato.
-Sono stato addestrato come incursore, oltre che da un maestro giapponese di ninjitsu.- disse Dino in tono ora molto pacato, sfilandosi quello che restava della maglietta. -So come scendere in un cazzo di tombino senza essere notato, così come so come rompere davvero il collo di qualcuno.-
Dino allungò il braccio sinistro, coperto di tatuaggi fino alla mano, verso Hibari. Con un attimo di esitazione e lo stesso imbarazzo di quando gli era caduto praticamente in braccio, l'afferrò e si rialzò dal polveroso pavimento del magazzino. Per qualche motivo Mukuro sembrava ancora più inferocito di prima, ma non disse nulla e non si mosse.
-Mukuro, è piuttosto improbabile che abbiano capito dove ci eravamo nascosti dai movimenti del cavallo pazzo.- disse Gokudera, tornando a sedersi sul cassone. -Anche se l'avessero visto, era coperto da una cerata, avrebbe potuto essere chiunque, anche un addetto alla manutenzione... e poi è passato troppo poco tempo dal suo ritorno al momento in cui ci sono piombati addosso, non ha senso.-
-Eppure sapevano che eravamo lì!-
-Lo sapevano, e non so come, ma non riesco a pensare che possano averlo capito da questo... e poi, non sappiamo neanche se davvero qualcuno l'abbia visto scendere nei tunnel...-
-Allora come hanno fatto?- domandò Hibari, desideroso di mantenere la discussione a un livello di civiltà appropriato. -Pensate che abbiano... che ne so, una mappa dei posti abbandonati che potremmo usare e li controllino?-
Mukuro si fece silenzioso e congiunse le punte delle dita con espressione meditabonda. Dino, sempre senza maglietta, si sedette su uno scatolone robusto dopo averlo trascinato rumorosamente vicino alla cassa dove sedevano Mukuro e Gokudera e alla pila di bancali in legno su cui si era appollaiato Hibari.
-Magari... è stato soltanto un caso.- fece in tono incerto, guardando Gokudera e poi Kyoya, senza però guardare in faccia Mukuro. -Forse siamo stati ripresi da qualche telecamera di sorveglianza nei tunnel, o nel deposito... magari risale ai tempi in cui era pieno di materiali ed è rimasta in funzione.-
Hibari fu percorso da un brivido al pensiero che una telecamera avesse ripreso lui e Mukuro appena qualche ora prima; non sapeva come sarebbe sopravvissuto alla vergogna se fosse finito sotto gli occhi di agenti di vigilanza, militari o di Byakuran in persona. O magari sotto quelli di Tsunayoshi.
-Sono sicuro che non ci fossero nel deposito.- disse Gokudera, strappando a Hibari un silenzioso sospiro di sollievo. -Nessuno metterebbe telecamere invisibili in un deposito di materiali, e poi dopo dodici anni sarebbero state scariche... però forse potrebbero essercene state lungo i tunnel, andavamo troppo veloci per notarle ed era anche piuttosto buio...-
-... Io credo che sia stato Byakuran a trovarmi.- disse lentamente Mukuro, come risvegliandosi dalla sua trance. -Dev'essere stato lui...-
-Che dici, Mukuro?-
-Trovarti come? Annusando un paio di mutandine tue e fiutandoti fino a casa?- fece Gokudera acido. -Non ricominciare con le follie, Mukuro... Byakuran è un umano e non può trovarti in questo modo.-
-Però lui non è un uomo normale... ha dei poteri che altri non hanno... se... se fosse in qualche modo riuscito ad affinarli... a renderli più forti? Se fosse riuscito a rendere i suoi sensi così... sottili da potermi trovare a distanze impensabili?-
-E se ti leggesse nel pensiero? Se potesse insinuarsi nei tuoi sogni, renderti sonnambulo e farti mandare un fax con l'indirizzo del posto in cui sei nascosto?- lo canzonò Gokudera. -E se avesse imparato a parlare ai topi e avesse estorto l'informazione al topo a cui il cavallo pazzo ha schiacciato la coda? Oppure... oh, mio dio, e se potesse viaggiare nel tempo?-
-Vaffanculo, Gokudera.- ribattè Mukuro piccato.
-Stai dicendo un mucchio di vaccate.-
-Non sono un mucchio di vaccate.- rispose lui. -Le visioni del futuro, le percezioni, la lettura del pensiero e l'aura sono cose reali. So che per te è difficile crederci, sei un insegnante di scienze dopotutto... ma una volta credevi agli alieni e agli Uma, no?-
-Va bene, se è vero, allora dimmi che cosa sto pensando.-
-Non essere infantile, Gokudera...-
-È un esperimento serio, dimmi che cosa sto pensando.-
-Stai pensando a Yamamoto.- ribattè Mukuro seccato, prendendo a fissare la lanterna pensieroso. -Il punto è come ha fatto a...-
-C-come hai fatto a saperlo? Tu leggi il pensiero veramente?-
-No, idiota, diventi imbarazzato, guardi a sinistra e ti tiri indietro i capelli quando parli di Yamamoto, e visto che l'hai fatto anche adesso ho indovinato.- disse lui esasperato. -Non è questo il punto, Gokudera... io non so leggere il pensiero, nemmeno Byakuran lo sa fare... siamo solo bravi a vedere quei dettagli che la gente ignora, i gesti ripetitivi, i movimenti degli occhi, i toni della voce... Byakuran è un ottimo manipolatore mentale, ha potuto esercitarsi su centinaia di prigionieri per anni...-
Gokudera si guardò la mano come se l'avesse vilmente tradito e la scena strappò un accenno di sorriso a Hibari. Anche lui aveva notato alcune cose, per esempio, Gokudera non guardava mai Yamamoto negli occhi, a costo di coprirseli con qualsiasi scusante.
-Tuttavia... quando una persona ha una forte personalità notiamo la sua presenza, anche in mezzo ad altri spicca e si nota subito... è la sua aura che percepiamo, anche se non ne siamo consapevoli... così come quando si ha la sensazione di essere osservati, o seguiti... non è qualcosa che vediamo o sentiamo con le orecchie, è a un livello più inconscio...-
Hibari si ritrovò a pensare se gli fosse mai capitato di avvertire una sensazione simile. Non gli venne in mente nemmeno una volta; non se ne era reso conto nemmeno quando sapeva per certo che qualcuno lo stava realmente osservando. Evidentemente lui non aveva la minima traccia di qualsiasi dote tra quelle che rendevano Mukuro e Byakuran speciali. Ma Saeki sì, Mukuro gli aveva detto che erano riusciti a entrare in contatto, a parlarsi a distanza di centinaia di chilometri. Si domandò se Dino avesse qualcosa di simile, ma da come si era accigliato pensò che stesse cercando di fare mente locale anche lui sulle sensazioni di cui aveva appena parlato Mukuro.
-Alcune persone sono in grado di vedere le aure delle persone, il loro colore, la loro intensità... Nagi è una di quelle persone.-
La notizia prese in contropiede sia Hibari che Gokudera, che lo guardarono spalancando gli occhi.
-Cosa? Chrome?-
-Certo, lei le vede da molti anni... stranamente, mi ha sempre detto che l'aura di Gokudera è incredibilmente ampia... ma è anche molto debole, come energia... al contrario, l'aura di Tsuna è molto intensa...- disse Mukuro, incrociando le gambe sul cassone. -Mi chiedo se Byakuran sia in grado di vederle... ma credo che me lo avrebbe detto... forse è in grado di tracciarle, in qualche modo... di trovarle?-
-Beh, a questo punto non c'è altro da fare, non credi?-
Gokudera aveva assunto di nuovo un tono stizzito. Hibari lo guardò, sinceramente non riusciva a cogliere la cosa da fare a cui si stava riferendo. Notò con sollievo che non era l'unico.
-Cosa?- domandò Mukuro, altrettanto spiazzato.
-Byakuran!- sbottò con veemenza Gokudera. -È lui l'origine di tutto, adesso! Lui ti sta cercando, lui ha mandato quei soldati dritto da noi... e forse, è lui che riesce a scovarci dappertutto! Basta con queste idiozie sulla primavera, sulle piccole cose e tutto il resto! Byakuran ha dato al popolo le piccole cose che tu rivolevi e tu continui a combattere, la gente non capisce il motivo della tua lotta, e detto francamente, nemmeno io! Hai Hibari, hai tutto quello che volevi, potevi avere la libertà a quest'ora... perchè hai deciso di combattere ancora?-
Mukuro fece una strana espressione, come da chi ha tanto temuto quella domanda e credeva che ormai non sarebbe arrivata mai più. Non aveva detto a nessuno dove aveva passato quella notte, Gokudera aveva trovato la casa vuota, e una volta tornato aveva subito attaccato briga con Dino evitando qualsiasi domanda. Sinceramente Hibari aveva pensato che fosse andato a godersi la libertà in giro per locali, ma se l'aveva fatto doveva essere rimasto sobrio, perchè non aveva nessun odore di alcol. Era successo allora qualcosa che l'aveva convinto a continuare?
-... Byakuran... ha... detto che mi avrebbe dato qualsiasi cosa... qualsiasi lavoro, qualsiasi cifra e la casa che volevo, se fossi stato suo soltanto.- mormorò lui. -Non dovevo mai più vedere Kyoya... io non lo potevo accettare... per questo sto ancora combattendo.-
-Sei andato da Byakuran!- sbottò Gokudera, strappando letteralmente le parole di bocca a Hibari. -Ma sei impazzito?! Perchè ci sei andato? Ti bastava accettare il patto che ti aveva offerto, sarebbe finita! Perchè gli hai permesso di importi quella scelta?!-
-Io... pensavo di poterlo convincere... di poter evitare qualsiasi rappresaglia contro i miei amici, se avesse pensato che non gli serbavo rancore...-
Hibari si accigliò e si mise la mano davanti alla bocca per impedirsi di mettersi a urlare, perchè era proprio quello che avrebbe voluto fare: gridargli contro, scendere da quei bancali e riempirlo di sberle. Si ostinava a cercare una soluzione pacifica con un uomo che conosceva solo il sadismo e la brutalità. A volte gli sembrava che, piuttosto che essere Byakuran a cercare di riprenderselo, fosse Mukuro a voler conquistare l'amore di un uomo incredibilmente violento.
-Tu sei un coglione.- disse Gokudera con sentimento. -Hai fatto il suo gioco, di nuovo! Ti sta ancora manipolando, lui ha fatto tutte quelle riforme per farti pensare che tu eri più importante del potere... e ci sei cascato con tutte le scarpe, idiota!-
-Non è vero, Byakuran mi ama davvero come non ha mai saputo amare prima.-
-Io me ne fotto se lui ama te, me o mia sorella, hai capito? Quel viscido abusa di Tsuna per divertimento! Ha abusato di te per divertimento, lo hai dimenticato? E chissà di quanti altri prima di te! È un pazzo, non possiamo lasciare tutto nelle sue mani, ora basta!-
-E che cosa pensi di fare, allora?!-
-Quello che avremmo dovuto fare alla fiera dell'artigianato.- ribattè lui, serio come poche altre volte era stato visto dagli amici. -Ucciderlo.-
Dino sollevò un po' la testa, concentrato, ma Mukuro era a dir poco sconvolto. Sembrava che Gokudera avesse annunciato di voler bombardare una scuola elementare.
-Scordatelo!-
-Non ci sarà mai una fine così! Continuerai a nasconderti finchè lui non ti prenderà e ti costringerà a essere suo schiavo per tutta la vita e fucilerà tutti noi? Come pensi di fermarlo, continuando a telefonargli e a dirgli delle cose carine?-
-Byakuran in fondo è un uomo buono, lui non sa...-
-Ti sei fottuto il cervello o hai inalato troppo gas prima?! Lui non è buono, è un cane! Lui mente, inganna, manipola, abusa e uccide! Non è un uomo buono, non è più un bambino che piange perchè la mamma tossica non lo vuole! Ora è un adulto che prende quello che vuole non importa come!-
-Tu non lo conosci.-
Gokudera afferrò Mukuro per la giacca. Hibari saltò giù temendo che fosse in arrivo l'ennesima azzuffata del giorno, ma lui non fece altro che avvicinarlo e costringerlo a guardarlo dritto negli occhi verdi. Quando parlò, il suo tono duro e rabbioso era diventato un mormorio incerto, come sofferente.
-... Non lo puoi più salvare... Mukuro... non può più essere salvato... è andato troppo oltre...-
-Non mi posso arrendere.- rispose lui, in tono altrettanto basso. -Sono l'unico a cui importa... se io lascio perdere, se io getto la spugna... allora davvero Ran non potrà più essere salvato.-
Mukuro si liberò con delicatezza della presa di Gokudera, si alzò il bavero e si avvicinò alla pesante porta di metallo.
-Ci serviranno acqua e cibo per stasera... e qualche altra cosa... torno fra un'ora al massimo.-
Dino saltò su dicendo qualcosa che Hibari non ascoltò. Si sedette sul cassone, nel posto lasciato libero da Mukuro, e si accorse appena che entrambi erano andati via. Gokudera lo guardò e si rese conto della sua improvvisa frustrazione, guardandolo con la coda dell'occhio, ma Hibari non aveva la forza né la voglia di parlare, quale che fosse l'argomento. Forse Hayato lo capì, perchè non disse niente, estrasse il pacchetto di sigarette e gliene passò una. Hibari la prese senza trovare parole per esprimere la sua gratitudine, non per la sigaretta, ma per non aver fatto domande scomode a cui sarebbe stato doloroso rispondere. Gokudera accese la sua sigaretta e una per sé ed emise una serie di cerchi di fumo.
-Senti... pensavo... se abbiamo alle calcagna una squadra speciale, forse sarebbe il caso di procurarsi qualche arma da fuoco... nel caso la prossima raffica sia di proiettili e non di fumogeni... che cosa ne pensi?-
Era molto strano che Gokudera gli chiedesse un parere di quel tipo, ma Hibari fu contento di non ricevere altro genere di domande.
-È molto difficile reperire delle armi da fuoco... non so se sia possibile procurarsele nelle condizioni in cui siamo... anche volendole comprare al mercato nero, come le paghiamo?-
Gokudera tacque qualche attimo, poi inspiegabilmente sorrise.
-Che ne dici di scambiarle col Cavallone? Le signore di mezz'età lo pagherebbero a peso d'oro... hai visto che roba?-
Non era propriamente divertente, eppure Hibari non potè fare a meno di ridere e anche Gokudera prese a ridacchiare. Non seppe spiegarsi se fosse per lo stress della fuga o per qualsiasi altro motivo, ma nessuno dei due sembrava riuscire a smettere.
-A peso d'oro...-
-Hai presente, la vecchia Honoda con le sue amiche del Mahjong? Eh, immaginati quelle...-
-Dio, che schifo, Gokudera...-
-Andiamo, farebbe felici un sacco di signore...-
-Okay, okay, basta, non posso, non dormo stanotte...-
Alla fine l'eccesso di risatine si esaurì, lasciando solo uno stralunato sorriso sulle loro facce. Gokudera si mise a fare cerchietti di fumo per la seconda volta. Hibari guardò distrattamente le forme tentando di non ripensare alle parole dette da Mukuro, cercando di non ricamare sul loro significato... però non poteva ignorare la strana sensazione che aveva provato, simile a dolore, bruciore o amarezza, quando lo aveva sentito chiamare "Ran".
Per quanto a lungo avesse desiderato fare l'amore con Mukuro, trovare il giusto momento, il giusto umore per condividere un'esperienza così importante con lui prima che fosse di nuovo troppo tardi... mentre stava lì a fumare, dopo quello che aveva sentito, avrebbe preferito non averlo mai fatto.


Tsuna spalancò gli occhi senza riuscire a identificare il rumore che l'aveva disturbato. Qualche istante dopo sentì lo schiocco metallico di un accendino, riconoscendolo per quello che era. Con un buffo sobbalzo si girò, ma l'uomo seduto sul letto non era Hayato come per un folle attimo aveva creduto; si trattava di un uomo dai capelli rossi, un fisico asciutto e un cerotto sullo zigomo, dove aveva sbattuto lo sportello della macchina. Era Enma Kozato.
-Oh... scusa, ti dà fastidio se fumo?-
-Ah... no...-
-Sicuro? Mi metto alla finestra se vuoi.-
-No... il mio... il mio ex fumava... non è un problema.-
Enma lo guardò come se volesse dirgli qualcosa, ma evidentemente ci ripensò, perchè si accese la sigaretta senza dire niente. Tsuna gliene fu grato, non gli andava di raccontargli che il suo ex era probabilmente uno di quelli che avevano affumicato nel tunnel il pomeriggio prima.
-Adel dice che è da rozzi fumare subito dopo.- disse invece il rosso. -Tu che dici?-
-Mah, il mio ex lo faceva quasi sempre, a meno che non fosse così stanco da addormentarsi subito.-
-Secondo me lei lo dice perchè si vedono un sacco di film con dei grandissimi stronzi che fumano e si mettono a fare... beh, gli stronzi. O almeno, si vedevano prima che l'Haido li censurasse tutti.-
Tsuna lo guardò con attenzione, ma non riuscì a capire se l'avesse detto con nostalgia, con fastidio o qualsiasi altra emozione. Che fosse anche lui un po' come Mukuro, che sentisse la mancanza di tutto quello che era il Giappone prima dell'Haido?
Strisciò un po' più su nel letto e stava per chiederglielo, pur senza sapere con quali parole, quando sentì il suo cellulare squillare. Non ebbe bisogno di controllarlo: quella suoneria annunciava soltanto le telefonate di Byakuran.
-Non rispondi?- fece Enma.
-No, è Byakuran... ma che ore sono?-
-Credo siano le due... forse le due e mezza...-
-Oh... credevo di essermi addormentato, prima...-
-No... hai chiuso gli occhi per qualche secondo.-
-Però ho fame come se fossero le due di notte invece che le due del pomeriggio.-
La musica angosciante cessò e Tsuna fece un sospiro di sollievo. Chissà che diavolo voleva Byakuran da lui a quell'ora... il suo orario di lavoro normalmente era dalle tre in poi, era ancora la sua pausa e poteva anche non rispondergli e passarla come voleva. Anche se Tsuna dubitava che Byakuran sarebbe stato contento di sapere dove si trovava e con chi. Non aveva dimenticato la strana espressione che aveva esibito quando si era reso conto che lui ed Enma si erano già conosciuti...
-Ci facciamo portare su qualcosa da mangiare?- propose Enma.
Prima che riuscisse a dirgli di premere il tasto illuminato per collegare la linea e quello rosso per chiamare il servizio in camera, fu il cellulare di Enma a squillare. Lui sembrò sorpreso quanto Tsuna e si sporse a guardare il numero.
-Oh, sì, è l'uomo drago.- disse con un sorriso. -Devo proprio rispondergli, però.-
-Io non ci sono!-
-Perchè no?-
-Non sarebbe per niente felice di sapere dove sono e con chi, non dirgli che sei con me!-
Enma si accigliò, ma non disse niente. Accettò la chiamata, ma non si accostò il telefono all'orecchio: inserì il vivavoce e lo posò sulle coperte.
-Sono Kozato.- rispose lui, con un accenno di sorriso mentre guardava Tsuna.
-Kozato kun, hai notizie di Tsunayoshi?-
-Oh, è lei, generale... di Tsunayoshi, ha detto?- fece lui fingendosi meditabondo. -No, non so dove sia... lo ha cercato al telefono?-
-Non risponde.-
-Magari sta riposando... è una cosa urgente?-
-No, non particolarmente... insomma, no.- disse Byakuran, con la voce resa insolitamente acuta dal telefono o forse dal vivavoce. -Se per caso avessi sue notizie gli diresti di richiamarmi?-
-Certo... anzi, lo cerco, non si sa mai... magari ho fortuna e lo trovo.-
-Grazie.-
Senza aggiungere altro Byakuran chiuse la chiamata e Tsuna si lasciò andare a una risata. Non era affatto una brutta sensazione prenderlo in giro di tanto in tanto... non che non se lo meritasse, dopotutto. Subito dopo si accorse che Enma si stava sporgendo verso di lui e prima di poter fare altro a parte spalancare gli occhi per la sorpresa lui lo baciò sulla bocca.
-Ma guarda... ti ho trovato.-
-Oh, dev'essere stata una ricerca lunga e impegnativa...-
-Molto... oh, dimenticavo... l'uomo drago ti cerca...-
Tsuna non potè non ridere.
-Ma perchè lo chiami uomo drago?-
-Ah, quando eravamo in addestramento noi del vision, la nostra insegnante si chiamava Ryugano, ed era una donna terrificante... la chiamavamo la donna drago... quindi...-
-E Byakuran è il degno consorte?-
-Mah, vedendo l'età direi il degno nipote, penso avesse almeno ottant'anni.-
-Potrebbe anche esserlo, in fondo... Byakuran non sa chi sia suo padre, a quanto pare un giorno quando era ancora neonato lui ha sbaraccato tutto quello che avevano di valore ed è sparito... e l'ha lasciato con la mamma intossicata che si prostituiva.-
-Che bel quadretto.- commentò Enma, senza l'ombra di un sorriso.
-Però non dirlo in giro, Byakuran è molto riservato sulla sua famiglia... lo ha detto a pochissime persone e non vuole che tutti lo sappiano...-
-Però è strano... adesso probabilmente riuscirebbe a scoprire chi è suo padre... insomma, è il generale, ha la più alta carica possibile... potrebbe decidere di tornare dal figlio per conoscerlo, sarebbe una situazione da sfruttare, anche se non ci fosse alcun sentimento di mezzo.-
-Non gli importa di suo padre, ha già avuto abbastanza delusioni dalla madre e dal patrigno.- fece Tsuna, che in un piccolo angolo del suo cuore provava pena per "l'uomo drago". -Sinceramente... penso che se venissi a sapere che suo padre vuole vederlo o parlargli, farei di tutto per evitarlo.-
Enma si accigliò di nuovo e lo studiò con fare indagatore. Gli ricordò un po' il modo di fare di Hibari.
-Non sapevo che fossi suo...-
-Suo? Che intendi con "suo"? Io non appartengo a nessuno.- ribattè Tsuna piccato.
-Sai cosa intendo dire... che stai con lui. Non sapevo foste una coppia.-
-Non lo siamo.- disse subito l'altro, un po' troppo sulla difensiva. -Noi... beh, è capitato quando è morto mio padre... mi aveva raccontato una bella balla infiocchettata sul padre suicidatosi nell'anno buio, ha recitato la parte dell'uomo che non sopporta la solitudine del carcere di Sekko e... beh, io ci sono cascato come un idiota...-
Distolse gli occhi castani dalla faccia sorpresa di Enma in un gesto che sperava sarebbe passato per vergogna o imbarazzo. Non voleva in nessun caso confessare che lui aveva manipolato Byakuran nello stesso modo soltanto perchè non aveva più nulla a cui aggrapparsi e gli mancava il sesso; se ne vergognava troppo. Sentì di nuovo nella testa le parole di sdegno di Hayato, quel mattino, pronunciate nella stanza accanto a quella in cui si trovava in quel momento con Enma...
-Se non state insieme allora perchè non vuoi che sappia dove sei?-
Tsuna si bloccò mentre si sporgeva per digitare sulla tastiera a tocco del telefono. Come poteva essere convincente a spiegare che Byakuran era comunque geloso, anche se la loro era stato solo una storia fisica, perchè era geloso di chiunque? In fondo, il generale aveva uno smodato desiderio di amore, espresso in qualsiasi forma e ottenuto con qualunque mezzo, e diventava estremamente geloso di chi glielo dava. Cose come i sentimenti, la fedeltà o altri aspetti di una sana relazione erano insignificanti dettagli... ma allora avrebbe dovuto dire a Enma anche di Lambo, di Haru e Basil, dei motivi per cui non poteva permettersi di farlo arrabbiare...
Alla fine, sfiorò il tasto blu che gli rimandò un debole bip e di seguito il rosso, che inoltrò una chiamata alla reception dell'albergo.
-È una storia lunga... te la racconto mentre mangiamo.- disse Tsuna con un tono leggero che contrastava nettamente con il peso che si sentiva dentro. -E dopo ne saprai abbastanza per andare in pensione solo coi soldi che ti darebbero i giornali scandalistici.-
-Stupendo.- disse lui, spegnendo la sigaretta. -Tu fatti pagare per dargli il permesso di pubblicarle e spariremo alle Maldive insieme.-
Tsuna sorrise e prese a digitare i numeri del servizio in camera. Scelse un po' a caso dall'elenco accanto al telefono, troppo preso a pensare a cosa dire e se possibile, cosa omettere nella storia. Ma Enma era l'unica vera arma che Byakuran avesse per trovare Mukuro, era lui l'unico che potesse garantire l'incolumità dei suoi amici. Era troppo importante giocare bene le carte, a quel punto. Non sapeva se avrebbe avuto un'altra occasione di entrare nella partita.


"La dodicesima primavera" è stata conclusa! Gli ultimi capitoli della storia saranno quindi pubblicati eccezionalmente lunedì, mercoledì e venerdì fino alla pubblicazione dell'ultimo capitolo. Grazie di avermi sostenuto fino a questo punto!

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Capitolo 56
*** Intercettazione ***


Hibari sentì una goccia fredda sul naso che lo costrinse a guardare verso il cielo: era completamente coperto, di un cupo tono di grigio. Non sapeva se gli conveniva sperare nella pioggia o in un tempo più sereno, non riuscì a valutare se le intemperie avrebbero facilitato il compito oppure il contrario. Si pentì di aver perorato la causa di Gokudera sulle armi: salire su una nave di carico e rubarle gli sembrava un'idea folle, forse la più spericolata che fosse mai venuta in mente a Mukuro.
Quest'ultimo gli passò davanti e sbirciò oltre l'angolo di un alto deposito. Nonostante la missione rischiosa e impegnativa che gli si prospettava, non riuscì del tutto a ignorare il fascino che avvolgeva Mukuro con indosso l'uniforme della marina, di colore blu scuro. Lo aveva già visto tre volte da quando l'aveva indossata, eppure...
-Andiamo, la via è libera.-
-Davvero ci confonderemo?-
-Sì, se ti atteggi da cadetto come si deve.- sentenziò Mukuro, che aveva già sentito quella domanda una decina di volte. -Ricordate di non parlare se non siete interpellati... non guardate nessuno negli occhi, non voltatevi indietro e se siete in dubbio se fare qualcosa o no, non fatelo.-
-Sì, capo.- fece Gokudera, rimettendosi il berretto dopo essersi legato i capelli.
-Aye aye sir!- cantilenò Dino allegramente.
-Non siamo in gita Cavallone, datti una regolata.-
-Scusa...-
-Mukuro, io penso ancora che sia una pessima idea... tutti conoscono la tua faccia... che facciamo se ti riconoscono prima?-
-Non troveremo quasi nessuno della marina... tratteremo con gente a cui non importa chi siamo.-
-Cosa... cosa?- fece Hibari allarmato. -Vuoi dire contrabbandieri?!-
-Siamo troppo pochi per rubarle... dovevamo appoggiarci a qualcuno del giro...-
-Ma... ma... con... con che cosa le hai...?-
Mukuro non rispose e alzò la mano destra senza distogliere lo sguardo dal mercantile. A Hibari servì qualche secondo per rendersi conto che si riferiva all'anello della sua famiglia. Ecco perchè l'aveva indossato di nuovo dopo tanto tempo in cui lo aveva soltanto conservato con cura...
-Ma è l'anello della tua famiglia, Mukuro! Tu ci tieni così tanto, non devi darglielo!-
-Kyoya... ci tenevo tanto perchè il mio passato era l'unica cosa che avevo... e credevo che non avrei mai avuto un futuro... che entro qualche anno sarei stato arrestato e non sarei più uscito dalla prigione...-
Hibari lo guardò sconvolto senza sapere che cosa dire. Non avrebbe mai creduto possibile che Mukuro fosse arrivato a pensare una cosa del genere, a credere che la sua vita sarebbe stata per sempre miserabile e insignificante. Si chiese se quella sera nel suo comodo appartamento a Namimori Mukuro non fosse serio quando aveva parlato del treno merci delle otto, che andava così veloce da uccidere un uomo sul colpo... aveva veramente pensato di uccidersi? La sua rivoluzione era stata solo una disperata seconda opzione?
Mukuro si voltò finalmente a guardarlo. Pareva che non calcolasse affatto la presenza degli altri due.
-Non avevo nessuna prospettiva, andavo avanti un giorno per volta, fino a quando sapevo che sarebbe arrivato l'ultimo... ma adesso... adesso io ho un futuro, ed è dopo questa guerra...-
-Sì, però...-
-La fine è molto vicina, Kyoya, io lo sento... lo so...-
Hibari aveva quasi dimenticato lo spiccato senso mistico del suo compagno, era molto tempo che non lo sentiva parlare delle sue certezze intime, inspiegabili se non per sesto senso.
-Dopo il ritorno della primavera, rinascerò anch'io... avrò un futuro, con te... con la mia famiglia... e i miei amici... e ogni giorno sarà qualcosa di stupendo per cui ringraziare, non una nuova sfida per protrarre più a lungo una tremenda agonia... da quel momento, non avrò più bisogno del passato.-
Hibari lo vide talmente risoluto, così sereno nella sua decisione, che non ebbe l'ardire di sollevare altre polemiche. Annuì come a dire che capiva le sue ragioni e a Mukuro quel gesto bastò. Dopotutto, che altra soluzione avrebbero potuto trovare? Non possedevano più niente che potesse avere un valore commerciale. Avevano le loro vite, e poco più.
-Se avete altre domande, ingoiatele.- fece Mukuro sistemandosi il cappello. -Andiamo.-
Hibari seguì Mukuro fuori dal vicolo e gli altri due trotterellarono nella loro scia. Il giovane ex capitano era decisamente preoccupato: Mukuro camminava come se non avesse fatto altro che marciare nell'esercito per tutta la vita, ma gli altri due avevano una camminata sciolta e lenta che un militare non avrebbe mai avuto. Temeva che saltassero all'occhio e li facessero scoprire. Non sapeva chi esattamente avesse addestrato Dino nel suo paese, ma sicuramente non era lo stesso tipo di preparazione che ricevevano i militari giapponesi...
La banchina era praticamente deserta. Hibari intravvide più lontano, nei pressi di una vecchia nave rugginosa, un gruppo di marinai che parlavano e ridevano, troppo lontano perchè si riconoscesse il volto. A bordo della nave su cui erano diretti c'era un uomo biondo che fumava rilassato guardando il mare e poco distante da loro un individuo dai capelli rossi scrutava accigliato il numero della banchina, guardandosi intorno. Con angoscia di Hibari, decise di puntare dritto verso di loro.
-Scusate... scusatemi.- disse in tono cordiale, rivolto a Mukuro. -Perdonatemi, posso chiedervi un'informazione?-
-Certamente.- rispose Mukuro con una voce così profonda che per un attimo fece trasalire Hibari. -Si è perso?-
-Credo di sì... ho un appuntamento e non voglio arrivare tardi...-
-Strano posto per un appuntamento... temo di essere costretto a chiederle con chi deve incontrarsi su una banchina a quest'ora del mattino.-
"Beh, se non altro, si comporta come farebbe un diligente soldato della marina", pensò Hibari.
Il ragazzo dai capelli rossi sorrise divertito.
-È molto buffo che me lo chieda.-
-Perchè lo trova buffo?-
L'espressione dell'uomo cambiò repentinamente e i suoi occhi rosso scuro si fissarono sul volto di Mukuro con una sinistra brama. In quell'istante Hibari capì che avevano fatto un errore enorme.
-Perchè io aspettavo te, Rokudo Mukuro.-
Gli occhi blu di Mukuro si spalancarono mentre indietreggiava di un passo. Meno di un attimo dopo, almeno secondo Hibari, un'arma apparve praticamente dal nulla nella mano del ragazzo dai capelli rossi. Non aveva idea di come l'avesse tirata fuori così velocemente. La puntò contro Mukuro e tirò il grilletto.
Nei pochi secondi che seguirono successero molte cose insieme che Hibari non riuscì a capire immediatamente: Gokudera aveva urlato qualcosa, dall'arma era partito uno scoppio stranamente soffocato e un colpo. Tutto si mosse come a rallentatore, poi, come tornando a velocità normale, Gokudera crollò a terra davanti a Mukuro e le voci ripresero un volume alto.
-Gokudera!- gridò Mukuro, chinandosi su di lui.
Hibari era stordito, cercava soltanto di capire se Gokudera, che si contorceva a terra gemendo di dolore, stesse sanguinando da qualche parte. Solo un rumore più sordo gli fece alzare la testa: Dino aveva appena colpito il rosso gettandolo a terra e disarmandolo.
-È una trappola! Scappate!- gridò senza voltarsi, scandagliando la banchina con gli occhi scuri. -SCAPPATE!-
Mukuro si guardò intorno, frastornato e terrorizzato quasi quanto Hibari lo aveva visto al carcere di Sekko. Con le mani che tremavano cercò di sollevare Gokudera da terra, ma quello era ancora senza fiato e incapace di reggersi in piedi.
-Lasciami qui!- gemette lui, tenendosi il fianco. -Non posso... correre adesso... vai, vai!-
Hibari riuscì a vedere finalmente a terra qualcosa che sbloccò la sua mente e gli fece recuperare la lucidità. Era sicuro che si trattasse di un proiettile di gomma. Gokudera era stato colpito a distanza ravvicinata da un proiettile antisommossa... quindi non stava sanguinando, non stava morendo...
A quel punto, afferrò con forza Mukuro per il braccio e lo tirò via da Gokudera con tutta la forza che aveva.
-Lasciami... Kyoya!-
-Lui starà bene! Andiamo, sbrigati, devi salvarti a ogni costo, Mukuro!-
Riluttante ma sopraffatto dalla confusione e dalla forza di Hibari, Mukuro voltò le spalle a Gokudera e a Dino e prese a correre come un fulmine verso il vicolo tra due bassi magazzini, al riparo da possibili cecchini. Correva così veloce che, come successo mesi e anche anni prima, Hibari rimase subito indietro. Concentrato soltanto sulla figura di Mukuro dritta davanti a lui, non riuscì a vedere che cosa lo colpì. In un turbine di colori e con grande dolore al fianco destro e alla faccia, rotolò più volte sul cemento e una seconda fitta, molto più acuta, afflisse il suo braccio sinistro. Gemendo e raggomitolandosi sul fianco in posizione fetale si tastò con delicatezza la spalla. Probabilmente era lussata.
-Tu non vai da nessuna parte, Hibari Kyoya.- disse una risoluta voce femminile poco distante da lui. 
Hibari tentò di alzarsi, senza molto successo. Sentiva passi femminili avvicinarsi, con il tipico rumore di tacchi sottili sul cemento liscio. Poi un piede lo girò senza tanti complimenti sulla schiena, strappandogli un altro gemito.
Uno stivale di pelle nera con il tacco gli premette sullo stomaco. Più su, vide una bella gamba affusolata in una calza nera, una gonna corta, un fisico magro con un seno generoso strizzato dentro una giacca dalla cerniera mezza aperta. E sopra, un viso con una bocca carnosa, occhi dalle lunghe ciglia e capelli mori. Un insieme di pensieri turbinarono nella testa di Hibari, ma non sapeva se trovare più sorprendente che Adelheid Suzuki l'avesse abbattuto con la forza di un cannone, il fatto che un'istruttrice si trovasse lì o pensare che la ragazza con cui era uscito tanto tempo prima potesse vestirsi in quel modo in servizio. Probabilmente lo shock era un insieme di tutti quegli elementi.
-Su... zuki?- balbettò Hibari, scuotendo piano la testa per snebbiarla.
-Ti ricordi di me?-
-Quelle... tette è difficile scordarle... anche per uno come me...-
Adelheid divenne di un'intensa sfumatura rossa e gli diede un calcio che lo fece rotolare ancora una volta. Tutto sommato, però, si era aspettato un colpo più feroce di quello. Con immenso sforzo si issò sulle ginocchia per alzarsi prima che lei tornasse alla carica, ma Adelheid non si era mossa per infierire.
-Pervertito!-
-Pervertito io...? Non puoi andare in giro vestita così e pretendere che un uomo non ti noti... stupida...-
Hibari si mise in piedi. Conosceva abbastanza il suo corpo da capire che l'unico danno era la lussazione della spalla. Scoccò uno sguardo ad Adelheid, che ancora lo fissava infastidita e imbarazzata. Conosceva bene quella ragazza, anche se il loro rapporto non era mai decollato: era probabilmente la più forte combattente dell'accademia militare, e se non fosse stata una donna sarebbe stata superiore anche a lui. Non si stupiva che l'avessero mandata per fronteggiarlo... doveva liberarsi di lei, magari senza doverla affrontare in uno scontro diretto: dietro le sue spalle vedeva un uomo dai capelli biondi che cercava di ammanettare un agitato Gokudera e Dino che aveva estratto la frusta, a suo dire l'arma più congeniale, contro uno spadaccino. Non riusciva a vedere Mukuro...
-Sembra che tu abbia fatto carriera, Suzuki.- le disse lentamente, mentre cercava tracce di Mukuro o di altri soldati intorno. -Sei un operativo, adesso...-
-Non lo sono.- disse lei. -Sono stata chiamata per un'emergenza... per prendere te e i tuoi compagni.-
-Ah, quindi sei così scoperta in mio onore? Sono lusingato che per una volta sia una donna a cercare di piacermi.-
-Sta' zitto!- strillò lei, arrossendo ancora sulle guance. -Hai avuto la tua possibilità, ormai è tardi per questo!-
-Sì, immagino di sì.-
Hibari tornò a guardarla. Non riusciva a scorgere Mukuro o altri inseguitori intorno... doveva solo agire, aiutare gli altri e raggiungerlo al rifugio, sperando che fosse ancora un posto sicuro.
-Allora, cominciamo.-
Prima che lei se ne rendesse conto, Hibari sollevò con il piede un tubo di metallo a pochi centimetri da lui e glielo scagliò contro. Senza fermarsi a scoprire se e come l'avesse colpita, estrasse dal groviglio di macerie e pezzi di ferro all'angolo del magazzino altri due tubi, mordendosi il labbro con forza per sopportare il dolore alla spalla, e li impugnò saldamente. Adelheid non era stata colpita, aveva estratto in fretta un ventaglio di metallo con cui aveva deviato il colpo.
-Colpiresti una donna, Hibari?-
-Se la donna in questione è capace di uccidermi, non vedo perchè non farlo.-
Lungi dal considerarlo un complimento, la donna lo attaccò sfoderando un secondo ventaglio di metallo. Quando l'aveva conosciuta non usava ancora armi tanto inusuali, nè Hibari aveva mai affrontato qualcuno che le usasse, ma se c'era una cosa che sapeva fare era combattere; combattere e sopportare il dolore. Non poteva cedere e abbandonare Mukuro. Il futuro era vicino, era oltre quella guerra, e loro dovevano vincerla quale che fosse il prezzo...

Dove fosse finito Hibari, o che cosa fosse successo a Gokudera, Mukuro non lo sapeva. Sapeva solo che Kyoya non era più dietro di lui. Prese a tutta velocità la curva aiutandosi con una grondaia che gli fece da perno e si lanciò su una scala esterna. Il silenzio gli premeva contro le orecchie, rotto solo dai propri passi, dal respiro affannoso e da una nave, al largo del porto, che emetteva il suo cupo lamento. Esausto, si accasciò tra una colonna di bancali dall'odore salmastro e una pila di casse di legno polverose. Ogni respiro che prendeva era una coltellata al petto, per non parlare delle gambe, che gli tremavano e dolevano per lo sforzo. Aveva corso veloce e molto, doveva essere quello il motivo per cui aveva perso Kyoya... ma almeno, lui doveva essere al sicuro, così lontano dalla nave trappola.
Potè appoggiare la schiena alle casse e finalmente pensare. Come diavolo aveva fatto Byakuran a sapere dove si trovavano? Come poteva sapere che avrebbero cercato di procurarsi armi, proprio lì, proprio quel giorno? Mukuro si coprì gli occhi con le mani, tentando di focalizzare qualcosa che evidentemente gli era sfuggito. Come poteva essergli arrivata una voce simile, da chi? E come aveva potuto sapere quale contrabbandiere gli avrebbe venduto le armi, e dove? Non riusciva a capire, qualcosa non tornava... era come se Byakuran avesse avuto una spia nel suo gruppo, come se potesse ascoltare i loro piani, e saperli subito... i suoi sospetti, neanche a dirlo, conversero su Dino Cavallone, ma a malincuore doveva ammettere che era improbabile. Se lui fosse stato la spia, avrebbe anche potuto rivelare dove erano nascosti in quei giorni, farli attaccare in un posto dal quale scappare sarebbe stato molto più difficile, magari nello stato indifeso del sonno...
-Lassù!- esclamò una voce conosciuta, sembrava, da sotto l'edificio.
Mukuro tolse le mani dal viso e spalancò gli occhi. Possibile che l'avessero trovato? Sì, sentiva distintamente i passi pesanti e frettolosi di qualcuno che correva su per le scale. Ma come avevano fatto a trovarlo nell'immensità del porto di Edo, proprio lì sopra, dove le strutture di legno lo coprivano da tre fronti? Davanti a lui non c'era nessun luogo particolarmente alto da essere un punto di osservazione... e se ci fosse stato un velivolo lo avrebbe sicuramente sentito...
-Rokudo Mukuro!- tuonò una seconda voce, in prossimità della scala. -Sono il maggiore Sasagawa Ryohei! Dato l'appello di clemenza fatto dal generale in persona nei tuoi confronti ti concendo la possibilità di arrenderti senza opporre resistenza e non ti sarà arrecato alcun danno!-
Mukuro impallidì, non per la presenza di un militare sul tetto, cosa che pure lo turbava, ma per il grado e l'identità dell'uomo che avrebbe dovuto fronteggiare. Lo conosceva, come lo conosceva anche Kyoya: aveva frequentato la scuola di Namimori alle medie, era il talentuoso capitano del club di boxe. Era stato uno dei molti atleti delle specialità di combattimento a entrare nella milizia con l'unico scopo di continuare a praticarle senza problemi, e purtroppo per Mukuro aveva la fama di essere letale con un solo colpo. Una cosa era prendere a pugni Kyoya, totalmente ignaro e impreparato. Ben altra era l'ardire di mettersi a combattere con un mostro della boxe come quello. Non avrebbe cercato lo scontro diretto, era l'unica possibilità che aveva per sopravvivere in quel frangente: rise, ostentando una sicurezza che non aveva per niente.
-Sai dove potrebbe metterseli i suoi appelli di clemenza, il vecchio Byakuran?-
-Non sto scherzando, Rokudo!- insistette Sasagawa, avvicinandosi di qualche passo. -Il generale ha detto che dobbiamo prenderti con il minor danno possibile, ma dobbiamo prenderti... e dopo quello che hai fatto al carcere di Sekko, dopo le persone che hai ucciso... io sono più che disposto a frantumarti le gambe e le braccia per trascinarti al palazzo di giustizia.-
Mukuro si bloccò nell'atto di infilarsi come un gatto in una fessura tra due file di casse quando udì quelle parole. Si stava riferendo alle persone che Kyoya aveva ucciso durante l'evasione... la guardia a cui aveva spezzato il collo, gli uomini a cui aveva sparato nel garage senza dargli alcuna possibilità di scelta, e quelle che erano decedute investite ai cancelli... la vita di quelle persone gli pesava ancora sulla coscienza, anche se non era stato lui a ucciderle di persona, ma Kyoya.
La pila di bancali ondeggiò pericolosamente e Mukuro ebbe appena il tempo di lanciarsi lontano prima che si abbattessero dove si trovava pochi istanti prima. Strisciò nel sottile strato di sabbia portata lì da vento e tempeste e tossendo si affrettò a rimettersi in piedi, incrociando per la prima volta lo sguardo di Sasagawa... ed era lo sguardo di qualcuno che aspetta solo una scusa valida per uccidere.
-È l'ultimo avvertimento, Rokudo.-
-Chi... chi hai perduto nel carcere di Sekko?-
-Vuoi sapere chi ho perso?- domandò lui con un vago tono sarcastico. -Un uomo che tu hai assassinato sparandogli alle spalle come un vigliacco si chiamava Masaharu Kurokawa... era il padre di una ragazza meravigliosa che io ho sposato... e sarebbe diventato nonno quest'estate.-
Mukuro non si mosse nè disse niente. Aveva rivisto quella scena tante volte in sogno, lo aveva tormentato a lungo, ancora gli succedeva di pensarci e chiedersi se quelle persone fossero altri sadici crudeli che meritassero di scomparire, o se erano solo persone che facevano il loro lavoro, con delle famiglie, una vita degna di essere vissuta fino alla sua fine naturale... adesso lo sapeva. Sapeva che era stato Kyoya a sparargli, a uccidere lui e gli altri, ma...
-Mi dispiace...- fu l'unica cosa che riuscì a dire. -Mi dispiace davvero...-
Forse quelle parole riuscirono in qualche maniera a trasmettere una piccola parte del suo dolore, perchè per una frazione di secondo il maggiore Sasagawa sembrò sorpreso. Tuttavia, strinse i pugni e li alzò in posizione di guardia, pronto a combattere.
-Hai intenzione di arrenderti oppure no?-
-Mi dispiace molto, maggiore, ma non posso.- disse Mukuro, chinandosi a raccogliere un lungo tubo di metallo arrugginito. -Per quanto io lo voglia... sono stanco di combattere... ma non posso ancora arrendermi...-
Il maggiore Sasagawa lo guardò intensamente.
-È il mio turno di porre una domanda, Rokudo Mukuro.- disse in tono pacato, quasi cauto. -Per quale motivo combatti ancora? Io credevo che tu volessi protestare contro le black list e l'embargo... anzi... molti di noi pensavano che Byakuran fosse diventato generale per tua volontà.-
Mukuro fu così sorpreso da quella rivelazione che smise di valutare l'altezza di un eventuale salto della fede verso la banchina.
-Cosa?-
-Sì... sapevamo che ti aveva fatto curare, e che eri stato suo prigioniero prima dell'esecuzione... e che Sawada era tuo amico... abbiamo pensato in tanti che tu avessi scelto Byakuran come generale e avessi chiesto a Sawada di nominarlo, e che la tua rivoluzione fosse finita qui... pensavo anche io che l'amnistia fosse l'ultimo passo, perdonare te e i tuoi compagni, e tutto sarebbe andato a posto...-
Mukuro non seppe elaborare quello che aveva sentito. Se avesse accettato quell'offerta sarebbe finita, e tutti avrebbero creduto che aveva complottato tutto ciò per mettere Byakuran sul gradino più alto? La storia l'avrebbe ricordato così... sarebbe stata una delle tante teorie del complotto che sembrano calzare a pennello, costruite ad arte... ma era davvero una teoria spontanea o era stato Byakuran a fomentarla?
-E invece, siamo qui, oggi... che cosa è successo?- l'incalzò Sasagawa, facendo un passo verso di lui.
-Avevo intenzione di accettare e tornare a casa mia, con la mia famiglia... anche io a casa ho qualcuno di importante, una cara amica e uno stupendo bambino... quindi non voglio ucciderti, Sasagawa, e nemmeno voglio che tu uccida me.-
-Ti ho già detto cosa fare per evitare questi rischi.-
-Non posso arrendermi.- replicò Mukuro freddo, afferrando più saldamente la sua arma improvvisata. -Gradirei che non mi facessi ripetere le cose più volte... io amo una persona ed è per il diritto di amarla per sempre che sto continuando a combattere. Se vuoi più dettagli, annoia Byakuran con le tue domande.-
Con uno slancio di qualcosa che era più pazzo del coraggio, più inspiegabile della follia e più forte della fede, Mukuro piantò la sbarra di ferro in una scanalatura e saltò. Il suo corpo si stese diritto in aria in una forma che lo fece sembrare leggero come una foglia e ancora più alto di quanto non fosse. Sasagawa restò a guardarlo, a bocca aperta, per un attimo che gli costò caro. La gamba di Mukuro si abbattè sulla spalla del maggiore e sul polso sollevato tardivamente, provocando un sonoro schiocco delle ossa sottostanti.
Il maggiore gemette di dolore ma Mukuro non fece in tempo né a compiacersene né a fare qualsiasi altra cosa: la sua caviglia venne afferrata con forza facendolo rovinare a terra dolorosamente. Confuso dall'urto non si accorse di niente finchè un dolore lancinante all'anca non lo fece gridare. Mukuro arrancò a terra cercando di liberarsi dalla stretta, ma ricevette un altro colpo esattamente come il primo, nello stesso punto.
Gridò di nuovo, cercando un appiglio qualunque, disperato. Con gli occhi che lacrimavano per le fitte tra le più forti mai provate nella vita, afferrò l'asta di ferro e colpì alla cieca dietro di lui, più volte, finchè il maggiore Sasagawa non lasciò la presa sulla sua gamba. Strisciò sul sottile residuo di sabbia, senza riuscire a pensare, senza sapere cosa fare, voleva soltanto allontanarsi da quell'uomo prima che lo uccidesse...
-Non provarci!-
Mukuro aveva appena afferrato l'angolo formato dalla parete e dal tetto del cantiere, che si apriva senza protezioni di sorta sulla banchina sotto di loro, quando si sentì afferrare per la giacca e strattonare indietro. Si aggrappò a quell'unico appiglio come un disperato, senza avere la più pallida idea di come questo potesse salvarlo...
Poi, come se si fosse isolato dal suo stesso corpo, lo vide. Là sotto, davanti al cantiere, stava immobile l'uomo dai capelli rossi che lo aveva avvicinato poco prima e aveva colpito Gokudera. Lo guardava e stavolta, forse perchè il dolore era sempre stato un amplificatore delle percezioni di Mukuro, capì che quello non era un uomo normale. La sua energia era diversa, era come se esercitasse una forza magnetica. Si rese conto, in un angolo inconscio del suo essere, che era stato lui a trovarlo. Subito dopo smise di pensare a qualsiasi cosa: gli mancava l'aria, con il braccio di Sasagawa intorno al collo come fosse acciaio, non riusciva a spostarlo di un millimetro. Non c'era nessuno che potesse salvarlo...
-Sasagawa!- gridò quella voce, la stessa di prima, quella del rosso. -Non devi ucciderlo! Non devi ucciderlo, qualsiasi cosa succeda! Non dobbiamo uccidere nessuno di loro!-
La stretta sul suo collo si allentò di pochissimo, ma non bastò a riprendere il fiato. Si sentiva sempre più stordito, i contorni del mondo si facevano più sfocati, i colori sbiadivano, i suoni erano sempre più confusi e ovattati... da qualche parte qualcuno parlò, qualcosa cadde... poi Mukuro perse i sensi.

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Capitolo 57
*** Strade divergenti ***


Tsuna si fiondò fuori dall'ascensore e risalì il corridoio di un bianco immacolato e asettico, seguito a breve distanza da Basil. Non badò affatto alle guardie che presidiavano il luogo, almeno finchè una di quelle non sbarrò il passo ai due stendendo il grosso braccio.
-Non può entrare nessuno tranne il personale autorizzato.-
-Personale... che diavolo stai dicendo? Lo sai chi sono io?- sbottò Tsuna.
-Non è nel personale autorizzato, signor Sawada.-
-Fottiti tu e il tuo personale autorizzato, levati!-
-Tsuna, per favore, stai calmo...- mormorò Basil alle sue spalle.
-Signor Sawada, non l'ho buttata fuori a calci solo perchè è lei, non mi costringa a farlo.-
-Avanti, provaci, vediamo chi prende a calci chi!-
Tsuna iniziò ad arrotolare la manica della camicia, sordo alle proteste di Basil. Come al solito, quando era un'urgenza irrevocabile, perdeva la testa e non esitava a tentare di liberarsi la strada con le maniere forti. Se soltanto avesse potuto permetterselo anche con Byakuran, i suoi problemi sarebbero stati di gran lunga inferiori...
Neanche l'avesse invocato con quel pensiero, il generale Byakuran comparve alle spalle delle guardie, con un'espressione indicibilmente seccata sul viso pallido dalle occhiaie profonde. Rannicchiato dietro di lui tentando, forse, di farsi più piccolo possibile c'era Irie Shoichi, che gettava occhiate nervose intorno. Gli occhi gelidi di Byakuran scivolarono dalle facce dei soldati a quella di Basil fino a quella di Tsuna, e in quel momento il generale si accigliò ancora di più, per un motivo che a Tsuna sfuggiva.
-Tsunayoshi, che fai qui?-
-Come stanno? Voglio vederli, sono feriti gravemente?-
-Chi ti ha detto che erano qui?-
-Byakuran, non mi insultare. Sono a capo di un ufficio stampa, tutte le informazioni passano nelle mie mani, tutte.- ribattè Tsuna invelenito. -Avanti, digli di farmi passare, o mi farò strada da solo.-
Per un attimo pensò che il generale si sarebbe rifiutato di farlo passare per vedere se fosse davvero in grado di attuare le sue minacce, ma poi lo vide fare un cenno e la guardia abbassò finalmente il braccio. Tsuna gli dedicò un'occhiata sprezzante e si premurò di assestargli una spallata mentre lo superava. Basil lo seguì.
-Questi idioti non hanno ancora capito chi sono.- fece Tsuna infastidito, mentre attraversava il corridoio.
-Tsuna...-
-Aspetta che rimetta le mani su quella poltrona, e sono tutti finiti.-
Basil non ribattè e lasciò saggiamente che Tsuna ribollisse per qualche istante da solo di rabbia inespressa. sentimento che fu completamente dimenticato quando entrò nella stanza e vide, seduto su un lettino bianco, un viso familiare, con un cerotto sullo zigomo, che gli sorrise.
-Enma!-
Tsuna fece quei pochi passi che li separavano di corsa e non riuscì a impedirsi di gettargli le braccia al collo; tuttavia lo lasciò quasi subito, rendendosi conto che non avrebbe dovuto essere così espansivo di fronte a tutti gli altri. In particolare Adelheid, che era seduta sull'unico letto che disponeva di una tenda per nasconderla alla vista degli inquilini, lo fissava con aria truce.
-Enma, come stai? Che cosa è successo?-
-Abbiamo appena fatto rapporto a Byakuran...-
-Beh, te lo sto chiedendo io!-
-In parole povere, abbiamo perso Mukuro e ce l'avevamo in pugno... e anche tutti i suoi compagni.-
-Perso...? Cosa cavolo è successo?-
-Le nostre informazioni erano giuste, eravamo nel posto giusto... gli ho parlato, erano travestiti da soldati della marina... ho colpito Gokudera Hayato con i proiettili di gomma, si è messo in mezzo tra me e Mukuro con una velocità incredibile... dopo, sono stato disarmato da un uomo biondo che non conosciamo, non era in nessuna scheda...-
-Un uomo biondo?-
Tsuna assunse un'espressione pensierosa e riflettè su quanti uomini biondi Mukuro conoscesse, ma a dire il vero non gliene veniva in mente nessuno. L'unico a cui riusciva a pensare era Tanaka Saeki, ma Yamamoto gli aveva detto che era stato ricoverato in una clinica specializzata per una grave malattia... a meno che non si trattasse di un abile stratagemma per farlo sparire dalla circolazione e poterlo arruolare...
-E dopo?-
-Beh... Genkishi è intervenuto, ha combattuto lui con quell'uomo biondo, e Gamma ha arrestato Gokudera Hayato... era già incredibile che fosse cosciente e potesse alzarsi in piedi dopo un proiettile di gomma così ravvicinato... io ho seguito le tracce di Mukuro e il maggiore Sasagawa è venuto con me.-
-Gokudera è stato arrestato?!-
-No.- ribattè Adelheid gelida dal suo letto nell'angolo.
-Non capisco...-
-Di fatto... abbiamo subìto un'imboscata anche noi...- disse Enma con tono incerto. -A quanto pare Sasagawa è stato colpito a distanza da una... sai, una di quelle siringhe con il sonnifero...-
-Un sonnifero?- ripetè Tsuna sorpreso. -Ma chi potrebbe mai avere armi del genere?-
-Non lo so... ma dopo sono stato... sopraffatto da qualcosa... da... qualcuno.-
-In che senso, sopraffatto?-
Enma fece una strana espressione, sofferente e confusa, massaggiandosi la tempia.
-Era una forza che mi stava schiacciando... e in quel momento, il mio potere è scomparso...- disse a voce bassa, come se avesse paura di farsi sentire, e si guardò la mano. -E non è ancora ritornato...-
Seguì un pesante silenzio dopo quell'affermazione. Adelheid guardò Enma e si mordicchiò il labbro con espressione colpevole, mentre Sasagawa, che sedeva sul letto accanto alla moglie, fissò il muro come se avesse voluto sfondarlo a pugni. Tsuna non sapeva cosa pensare. Davvero qualcosa poteva indurre Enma a perdere i suoi poteri sensitivi? Possibile che Mukuro potesse essere diventato capace di fare una cosa così incredibile?
-... Mentre perdevo i sensi, però, ho visto qualcuno.- disse Enma, come riscuotendosi dalle sue afflizioni, tornando a guardare Tsuna. -Ho anche sentito qualcosa di quello che stavano dicendo... credo che il mio potere abbia resistito un po' più di quello che credevano, e ho potuto restare lucido per qualche secondo.-
-Hai visto chi è stato?-
-Credo di sì, sì... ma non è una buona notizia, Tsuna.-
-Sarebbe?-
-Ho visto una donna... avevo visto i suoi stivali, e poi anche il suo mantello, che le copriva il viso.-
-Una donna con il viso coperto?- domandò Basil, tradendo con il tono la sua delusione.
-Quella donna è Viper, è il mercenario dai poteri mistici che tutto il mondo ingaggia... solo lei sarebbe in grado di piegarmi in quel modo in un attimo, sono sicuro che fosse lei.- disse Enma risoluto. -E ha parlato con un uomo dal completo nero, con il cappello... lei gli ha detto che "è fin troppo facile", e poi... lui le ha detto che c'era ancora tanto da fare, e di chiamare qualcuno che si chiama... Skull.-
-Sembra un soprannome, no...? Qualcuno lo conosce?- chiese Tsuna a tutti e a nessuno. -Basil, tu...?-
Tsuna si sorprese di vedere l'espressione sul viso di Basil, che sembrava profondamente eccitato eppure terrorizzato. Prima che potesse chiedergli qualcosa, però, lui si avvicinò al letto di Enma.
-Kozato kun! Hai visto uno stemma, un simbolo? Un distintivo, qualcosa del genere?-
Enma sembrò stupito dalla domanda, ma poi si accigliò.
-Sì... sì, io ho visto qualcosa sulla giacca di quell'uomo... ecco... se dovessi dire che cos'era, non saprei... però ricordo che aveva delle strisce colorate... cerchi colorati, concentrici...-
Gli occhi azzurri di Basil sembrarono scintillare a quella notizia che per Tsuna, invece, non significava assolutamente niente. Senza dovergli chiedere nulla, il fratellastro si voltò verso di lui con un sorriso.
-Sono gli Arcobaleno!- disse, emozionato. -È una specie di... organizzazione... nessuno sa chi ne fa parte e chi ne sia solo portavoce... alcuni pensano che sia una specie di polizia segreta delle nazioni unite, ma non fanno capo a nessun paese del mondo, in realtà... Iemitsu si era molto interessato a loro, non mi ha detto perchè, ma sono sicuro che tentò di contattarli per chiedere loro qualcosa...-
-Vuoi dire che questi... Arcobaleno... lavorano per mio padre?-
-Non lo so, non sono sicuro che sia riuscito a parlare con loro... come ho detto, non mi rivelò mai per quale motivo li cercasse o avesse bisogno del loro supporto... ma accadde pochi anni fa, penso due anni fa, circa.-
-Questo non ci dice niente su che cosa facessero lì.- disse Gamma, che stava seduto sul davanzale della finestra a fumare. -O dobbiamo pensare che lavorino con Rokudo Mukuro?-
-Come potrebbe uno come Rokudo avere l'appoggio di un'organizzazione così potente, maggiore?- obiettò Adelheid stizzita. -Non dica assurdità.-
-Qualcuno ce li avrà mandati, e quelli hanno salvato Rokudo e i suoi.-
-Beh... forse non li hanno salvati.- disse Enma ragionevolmente. -Forse volevano Mukuro e i suoi per conto di qualche cliente e ce li hanno portati via da sotto il naso.-
Calò nuovamente il silenzio mentre tutti sprofondavano nei loro pensieri. Tsuna sedette sul bordo del letto di Enma e fissò distrattamente Hana Kurokawa che tastava con delicatezza la spalla del marito. La sua mente lavorava febbrilmente, gli sembrava stesse per esplodere dalle tante congetture e le troppe domande che l'assillavano. Suo padre era segretamente in contatto con quella misteriosa organizzazione chiamata Arcobaleno? Chi ne faceva parte, di che cosa si occupavano? Erano mercenari o una specie di servizio segreto internazionale? Per quale motivo Iemitsu avrebbe dovuto avvalersi di simili alleati, quando aveva il Giappone stretto nel pugno e il controllo totale su tutti i ministeri e la milizia? Perchè avrebbe dovuto cercare appoggi altrove se era l'uomo più potente? E inoltre, Iemitsu ormai era deceduto, i suoi ordini, o richieste, se ne aveva fatte, erano ancora valide? Perchè questi individui, tra cui pareva militasse la famosissima Viper, si sarebbero presi la briga di strappare Mukuro e i suoi complici dalle grinfie della task force? Purtroppo non riusciva a trovare uno straccio di risposta, nemmeno la più banale. Non sapeva niente, niente del lavoro del padre... e se in qualche maniera invece avesse cercato di parlargliene? Se l'argomento della chiacchierata che Iemitsu aveva annunciato a lui e a Basil la sera in cui era morto fosse stato il suo coinvolgimento con gli Arcobaleno?
Gli occhi di Tsuna incrociarono quelli azzurri del fratello adottivo, pieni di confusione esattamente come la sua testa. Sicuramente Byakuran aveva saputo del coinvolgimento di questa misteriosa organizzazione... o forse no? Enma aveva detto di riconoscere Viper, ma non aveva fatto parola di un distintivo, prima che Basil glielo chiedesse. Forse il generale era all'oscuro di questo mastodontico dettaglio... in quel caso allora bisognava agire subito, prima di perdere un possibile vantaggio.
-Enma... dirò io a Byakuran degli Arcobaleno.- disse Tsuna, con il tono più naturale che riuscisse a tirare fuori in quelle circostanze. -Tu... non preoccuparti di niente... cerca soltanto di recuperare le forze...-
-Sì... va bene.- rispose lui con lo stesso tono tranquillo. -Cercherò di rimettermi presto.-
-Grazie a tutti del lavoro che avete fatto.- fece Tsuna in tono più formale, alzandosi. -Restate a riposo e rimettetevi... Basil, andiamo, adesso.-
Basil venne preso in contropiede dalla fretta di Tsuna e accennò qualche inchino e dei frettolosi auguri di pronta guarigione per i feriti della task force, poi si lanciò nuovamente nel corridoio all'inseguimento del fratello, che macinava terreno a gran velocità.
-Tsuna, che cosa succede adesso? Che hai?-
-Byakuran non sa niente degli Arcobaleno, Enma non ricordava lo stemma prima che tu glielo facessi notare, sono certo che quell'espressione cupa era perchè Mukuro gli è sfuggito per un soffio e proprio grazie all'intervento del mercenario che non ha voluto arruolare, Viper.-
-E.. quindi?-
-Anche se sapesse degli Arcobaleno, tu non gli hai detto che papà era coinvolto con loro o che li stava cercando. Non può saperlo, i suoi rapporti con mio padre erano rari e molto formali... quasi quanto i miei, oserei dire.- disse Tsuna, premendo il tasto per scendere con l'ascensore. -È il momento di cercare nello studio di mio padre.-
-Ma lo studio di Iemitsu è a Namimori...-
-Convincerò io Byakuran a tornare là, mi darà retta... basterà fargli presente che Mukuro lo seguirà, perchè è lui il suo obiettivo, e che sarà più facile trovarlo in una città piccola come Namimori.-
-Ma questo... beh, questo è vero, Tsuna... non puoi mettere in pericolo Mukuro più di quanto già non sia...-
-Non essere sciocco, Mukuro conosce la città meglio di chiunque altro, non avrà problemi... ma io devo andare nello studio di mio padre senza far sapere a Byakuran che sto cercando qualcosa, o si insospettirà... è già sospettoso riguardo a me ed Enma...-
Basil sembrò sul punto di ribattere qualcosa, ma l'ascensore si aprì ed entrò una donna dall'aria arcigna che li costrinse a interrompere la discussione. Tsuna non aveva altra scelta, se era rimasta qualche prova del coinvolgimento del padre con l'organizzazione Arcobaleno doveva essere nelle sue carte private: essendo il generale, nessuno poteva ispezionare la sua casa senza un valido motivo, era come un'ambasciata, come lui stesso aveva detto a Kikyo quella mattina. Fosse anche per un giorno, un pomeriggio o qualche ora al massimo, doveva trascinare Byakuran fino a Namimori e cercare in quello studio. Forse avrebbe potuto chiedere aiuto anche ad Haru per setacciare la casa...



Mukuro venne svegliato da un gemito soffocato e da una voce sconosciuta che redarguiva qualcuno. I suoi occhi blu si spalancarono e si rese conto di trovarsi in una specie di capannone, molto ordinato e pulito, decisamente non un luogo abbandonato come quelli che aveva scelto come riparo fino a quel momento. Si rese conto di essere sdraiato su una barella, ma avvertì il dolore che gli affliggeva la gamba soltanto quando tentò di scendere. Era un dolore tremendo, tanto che lo costrinse a emettere uno strano verso.
-Fossi in te non mi muoverei da lì.- disse la voce estranea. -Hai preso un brutto colpo su quella gamba, dovresti essere rimesso in sesto da un medico.-
Mukuro strinse i denti per sopportare il dolore lancinante e alzò lo sguardo sull'uomo che gli aveva parlato. Era uno strano individuo: indossava una tuta da motociclista nera e viola, con delle protezioni consunte sulle ginocchia e sui gomiti, era pesantemente truccato e portava diversi piercing sul viso. I capelli, dello stesso viola della sua tuta, erano spettinati e piuttosto lunghi. Non ricordava d'averlo mai visto prima.
-Chi... diavolo sei tu?-
-Mi puoi chiamare Skull.- fece lui, intento a suturare una ferita sulla spalla di Dino. -E prima che tu ti agiti ancora di più o fai qualcosa di molto stupido, io sono un alleato.-
-Alleato?-
-L'ho già spiegato ai tuoi amici, che hanno tentato di farmi la pelle appena svegli.- ribatté quello, seccato. -Se siete ancora vivi e ancora liberi lo dovete a noi... non fare altre domande, Rokudo Mukuro, perchè il senpai mi spaccherà la testa se ti dico più di questo.-
Mukuro guardò confuso verso gli altri, ma sembravano tutti abbastanza tranquilli, nonostante fossero feriti più o meno gravemente e fossero tutti sfuggiti alla cattura per un soffio, lui compreso. Lui soprattutto, pensò Mukuro, ricordando la stretta soffocante del braccio del maggiore Sasagawa. Ma dopo, che cosa era successo? Non riusciva a ricordare niente...
-Che cos'è successo...?-
-Ci siamo separati.- disse Gokudera, assumendo una rigidissima posa seduta. -Cavallone era poco distante da me sulla banchina, ha combattuto con uno spadaccino che per poco non lo riduce a un sashimi.-
-Almeno io ho combattuto!- fece il biondo, piccato. -Tu non ti reggevi in piedi e quel tipo ti ha ammanettato!-
Gokudera lo guardò invelenito, ma Mukuro non aveva tempo né interesse ad assistere a una loro noiosa litigata.
-E quindi? Kyoya, a te cos'è successo?-
-Ero anche io vicino, li potevo vedere.- disse lui, accarezzandosi distrattamente una fasciatura macchiata di sangue sulla coscia. -Ho combattuto con Suzuki... c'era anche lei nella loro squadra... te la ricordi, no? Suzuki... la ragazza con cui sono uscito all'accademia...-
Mukuro ricordava la bella ragazza che rispondeva al nome di Adelheid Suzuki, più che altro per la tremenda gelosia che gli aveva fatto provare anni prima, ma non riusciva a capire come questo desse quell'aria depressa a Kyoya.
-È davvero forte... se non fossero arrivati dei rinforzi mi avrebbe preso...-
-Però quel rosso dov'è finito?- domandò Dino, prima di strabuzzare gli occhi per un punto di sutura eccessivamente doloroso. -Ahia... cioè... se non combatteva con nessuno di noi, dov'è finito?-
A quel punto ricordò che cosa stava guardando poco prima di perdere i sensi: stava proprio fissando il ragazzo dai capelli rossi, che lo scrutava dal basso, con quella sua aura insolita...
-Ha seguito me.- disse allora. -Aveva una strana aura... uno strano magnetismo... credo che lui sia la persona che Byakuran sta usando per trovarmi, è una specie di... segugio spirituale, lui segue le mie vibrazioni, o qualcosa del genere... sapendo che mi sposto in luoghi isolati o abbandonati, non dev'essere difficile per lui trovarmi anche in una città grande come Edo.-
-È quel ragazzetto che ci può trovare?- domandò Gokudera. -Lui ci ha trovato nei vecchi tunnel della metropolitana?-
-Credo di sì... sì...-
-Beh, allora ce ne dobbiamo liberare, subito!-
-Gokudera, ti ho già detto che non intendo ammazzare nessuno se posso evitarlo.-
-Non puoi evitarlo!- sbottò lui, sforzandosi di alzarsi. -Ma non hai visto come siamo ridotti?! Tu zoppichi e hai bisogno di un medico! Hibari è ferito, Dino sarebbe stato ammazzato se non l'avessero tirato fuori dai guai... e io sono stato colpito e solo per pura fortuna non era un vero proiettile! Se lo fosse stato sarei morto, e forse anche tu, da quella distanza ci avrebbe trapassato tutti e due!-
-E non ti sei chiesto perchè fosse armato con proiettili antisommossa?-
Sebbene avesse così ribattuto, Mukuro era molto scosso. Giorno dopo giorno diventava sempre più difficile sopravvivere con mezzi di fortuna, trovare un rifugio sicuro... e se Skull non fosse intervenuto con degli alleati, sarebbero stati tutti presi, perchè a quanto sentiva nessuno era riuscito a sopraffare il proprio avversario... nemmeno Dino Cavallone che era addestrato, nemmeno Kyoya che era un capitano... e ora erano tutti feriti...
-Certo, e so perchè... Byakuran ti vuole vivo, ma questo non significa che voglia vivi anche noi!-
Aveva ragione naturalmente, ma poi Mukuro ricordò le parole del rosso.
-Quel tipo ha detto a Sasagawa di non uccidermi.- disse lentamente Mukuro. -Ha detto di non uccidere nessuno di noi... eppure... perchè gli dovrebbe importare...? A meno che non sia stato Tsunayoshi a chiederglielo!-
-Tsuna ha smesso da un bel po' di avere potere su Byakuran.-
-Su Byakuran, forse, ma ciò non gli impedisce di avere potere su qualcun altro.- obiettò Mukuro. -Ha un carattere che entra facilmente nelle grazie delle persone... e quando vuole sa usare le maniere forti... tu lo hai visto farlo, Kyoya.-
Ma Hibari non lo stava ascoltando, il suo viso era diventato improvvisamente molto pallido. Mukuro frugò nella sua mente stordita dal dolore persistente alla gamba e suppose che il suo shock doveva essere correlato alla presenza di Sasagawa sul campo di battaglia. Dopotutto, Kyoya lo conosceva meglio di tutti gli altri e sapeva quanto potesse essere pericoloso... e ancora non aveva idea che proprio lui aveva ucciso il suocero.
-Sa...- balbettò Kyoya, prima di schiarirsi la gola. -Sasagawa... Ryohei?-
Mukuro si limitò ad annuire. Kyoya, dal canto suo, si coprì la faccia con le mani lasciando scoperti solo gli occhi grigi, che fissarono il pavimento con la cosa più simile al terrore che Mukuro avesse mai visto sulla faccia del suo compagno.
-Se è così, siamo finiti...-
-Kyoya, non...-
-Ti dico che siamo finiti! Non hai ancora capito, Mukuro?!- sbottò Kyoya all'improvviso. -Sasagawa! Suzuki! Perfino un segugio spirituale! E gli altri due chissà che razza di mostri erano! Byakuran ci sta mandando contro tutte le armi di cui dispone, ci spazzeranno via!-
-Altrochè.- confermò Gokudera in tono lugubre. -Per come siamo messi ora, se uno solo di quelli entrasse qui, ci distruggerebbe tutti... dobbiamo finirla adesso, Mukuro! Adesso, prima che sia troppo tardi!-
Mukuro fissò gli occhi verdi di Gokudera.
-Quando dici finirla...- disse cauto. -Intendi...-
-Intendo ucciderlo! Dobbiamo farlo, Mukuro, non c'è più niente che possiamo fare se non attaccare direttamente il vertice! Byakuran è un uomo che sanguina e che muore, come noi! Attacchiamolo prima che lui attacchi di nuovo noi!-
-Ho detto che non farò nulla di così vigliacco.-
Gokudera sfidò il dolore e attraversò la distanza fra loro in un attimo, prima ancora che Skull potesse fare un gesto per bloccarlo. L'afferrò per la camicia strattonandolo con tale violenza che le cuciture si strapparono.
-Smettila di dire cazzate! Tu sei un vigliacco, che non hai il coraggio di accettare che Byakuran è un pericolo per chiunque e non solo un uomo che farebbe qualsiasi cosa per amor tuo!-
-Lasciami...-
-Non lo capisci? Ha già distrutto tante cose e tante persone! Se non lo fermiamo distruggerà anche noi! Distruggerà Tsuna, e Nagi, e Mikado! Non si fermerà davanti a niente!-
Le parole di Gokudera facevano male, soprattutto perchè era molto difficile contraddirle. Byakuran era un uomo pericoloso, ma solo perchè nessuno gli aveva mai insegnato come l'amore avrebbe dovuto essere... aveva distrutto molto, ma non significava che dovessero privarlo della possibilità di poter ricostruire. Fu con un coraggio di tutt'altro genere, più simile alla disperazione, che alzò lo sguardo.
-Io troverò il modo di fermarlo... ma non alla tua maniera, Gokudera.-
Per un lungo momento Gokudera continuò a fissarlo truce, come pronto a scaricargli addosso altre vagonate di cruente e dolorose verità a cui rispondere con testardaggine ancora più vistosa, ma poi lo lasciò andare. I suoi occhi verdi erano incredibilmente freddi e lo guardavano come se lui avesse deluso tutte le sue più intime aspettative. Il che, riflettè Mukuro, forse era vero.
-Molto bene. Non mi lasci altra scelta.-
-Dove... dove stai andando?-
-Tu non vuoi uccidere Byakuran. Bene. Allora lo farò io.- disse Gokudera, senza voltarsi mentre raggiungeva la porta sul retro del capannone. -Ora devi scegliere. Se lo vuoi proteggere ancora, dovrai uccidere me.-
-Sarebbe un'idea molto stupida, Gokudera Hayato.-
Gokudera non fu l'unico a sobbalzare a quella voce profonda venuta da un angolo nascosto alla vista. Da dietro un'alta pila di scatoloni bianchi emerse una figura alta, maschile, vestita con un elegante quanto austero completo nero e un cappello. L'unica nota di colore era una fascetta arancione sopra la tesa. L'uomo si avvicinò di qualche passo e Mukuro notò le scarpe lucide, lo sguardo penetrante e delle curiose basette sottili e arricciate. Qualche metro accanto a lui, Kyoya trattenne rumorosamente il fiato.
-Ci incontriamo di nuovo, Hibari Kyoya.- gli disse lui sfiorandosi la tesa a mo' di saluto.
-Tu... sei...-
-Reborn.- completò lui, prima di voltarsi verso Gokudera. -Le vostre condizioni non vi permettono di separarvi. Ci penseremo noi a nascondervi finchè non sarà il momento adatto. Non dovete preoccuparvi di Kozato.-
-Ko...?-
-Il rilevatore spirituale che Byakuran vi ha messo dietro si chiama Kozato Enma, e non dovete preoccuparvi di lui. Prima di tutto, Tsunayoshi ha inconsapevolmente stretto un legame personale con lui prima ancora di sapere chi fosse, e ora oserei dire che Kozato tiene più in considerazione il volere di Tsunayoshi che quello del generale... forse, più di quello di chiunque altro. E inoltre, Viper fa un ottimo lavoro e bloccherà le percezioni di qualsiasi persona sia sulle vostre tracce.-
Nonostante per Mukuro quelle suonassero come buone notizie, Gokudera si accigliò ancora di più.
-E dovrei restare nascosto come un ratto ancora per quanto?- chiese senza desiderare una risposta. -Io voglio tornare alla mia vita, voglio tornare dalle persone che amo e che mi mancano da morire, non voglio aspettare di essere ammazzato perchè qualcuno non ha ancora deciso.-
Mukuro non potè non sentirsi chiamato in causa, e mentre sentiva un pallido livore ribollirgli nelle viscere pensò che era per questo che Gokudera era tanto intrattabile: si era reso conto che Tsuna non era più suo ormai (almeno, se aveva interpretato le parole di Reborn nel suo stesso modo) e voleva farla finita, per liberarsi di una gabbia che lo rinchiudeva da troppo tempo. Mukuro non era certo stupido, si era reso perfettamente conto del legame che doveva avere con Yamamoto... e probabilmente Gokudera era stanco non di passare da un rifugio a un altro, ma di nascondere quello che provava, e di consumarsi di senso di colpa mentre Tsuna a quanto pareva, considerava finita la loro storia. Si ritrovò a invidiarlo: magari anche Byakuran avesse deciso di scegliersi qualcun altro e avesse considerato lui come parte del passato...
-Staccarti dal tuo gruppo ora sarebbe un grosso errore.- disse Reborn, pacato.
-Aspettare ancora sarebbe un grosso errore.- ribattè Gokudera. -Restate vivi il più a lungo possibile... vedrete che alla fine vi salverò io.-
-Gokudera!-
Gokudera non diede segno di aver sentito la voce di Kyoya e se ne andò chiudendosi la porta alle spalle con un tonfo. Reborn fissò l'uscio come se stesse elaborando rapidamente quel cambio di programma, e alla fine parlò con disinvoltura, come se non fosse accaduto assolutamente niente.
-Beh, uno in meno. Skull, quanto ti ci vuole ancora?-
-Non sono mica un dottore!-
-Muoviti, stupida testa di legno, non abbiamo tempo da perdere, dobbiamo portarli via entro un'ora.-
-Un'ora?- disse Kyoya in tono incerto. -Non... possiamo aspettare?-
-Aspettare cosa, Hibari Kyoya?-
-Forse... penso che quando Gokudera si calmerà, tornerà... ma se andiamo via, non può più trovarci...-
-Ha fatto la sua scelta... se ci ripenserà, sarà fortunato, perchè potrà tornare dalla persona che ama e restare nascosto fino alla fine.-
-Quando... sarà la fine?- domandò Mukuro, la cui mente assillata di domande pregava per una risposta con un senso. -Sembra che sappiate tutto... chi siete, e perchè ci aiutate?-
-Non è ancora il momento per rispondere a queste domande.- disse Reborn con un enigmatico sorriso. -Per ora dovete solo fidarvi... in fondo, il tuo amico Hibari si è già fidato di me una volta.-
Mukuro guardò Kyoya e lui annuì appena, tuttavia non era proprio lo sguardo di un uomo sollevato alla vista di un amico quello che aveva esibito prima...
-E forse vi sarà di conforto sapere che tra i miei compagni milita un uomo che conoscete come Colonnello.-
Mukuro conosceva solo vagamente quel nome, sapeva che era un giovanissimo e abilissimo soldato famoso a livello mondiale, e gli pareva di ricordare che fosse stato presente alla sua esecuzione il giorno di natale, ma niente di più. Kyoya però si rilassò visibilmente.
-Colonnello?-
-Lui. Mi ha detto che forse dirtelo ti avrebbe reso meno sospettoso.-
E pareva che fosse vero, perchè Kyoya non sollevò più alcuna domanda e ascoltò attentamente mentre Reborn illustrava loro dove sarebbero andati, come si sarebbero mossi e che cosa fare in caso di problemi. Dino poi pareva del tutto a suo agio, come fosse stato un buon amico di Reborn, ma la cosa non era strana, lui attaccava bottone con chiunque. Mukuro però non riusciva a non fissare il punto in cui Gokudera era seduto fino a pochi minuti prima o a occhieggiare la porta sperando di vederlo tornare. Sapere che le loro strade si erano separate, dopo che gli aveva salvato la vita e aveva tanto cercato di aiutarlo e di trovarlo quando tutti lo avevano creduto morto, lo rendeva molto infelice. Era quasi come se lo avesse perso sul campo di battaglia, e non poteva dimenticare le sue parole: se quella pistola fosse stata caricata a dovere, Gokudera probabilmente non sarebbe più al mondo... e quando si era messo di fronte a lui per proteggerlo non poteva sapere che sarebbe stato colpito da un proiettile di gomma.
Mukuro si coprì gli occhi con le mani, ma nel litigio fra Skull e Reborn nessuno fece caso a lui e potè lasciar andare qualche calda, amara lacrima: dopo tutto questo, lui lo aveva lasciato andare via a tentare da solo l'impresa del secolo: uccidere un generale perennemente scortato da guardie armate... impresa da cui sarebbe stato un miracolo uscire vivo anche in caso di successo.

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Capitolo 58
*** Il giorno dei bambini ***


Byakuran perse lo sguardo nel fondo della sua tazza di caffè all'americana mentre una tempesta di preoccupazioni infuriava ruggendo nella sua testa. Il suo prezioso segugio spirituale era completamente privo di poteri per l'interferenza molesta di Viper, il sensitivo che non aveva voluto ingaggiare, e come se ciò non fosse bastato a renderlo di malumore neanche una minima traccia del passaggio di Mukuro era stata trovata. Come era successo l'autunno precedente, l'eroe di Namimori sembrava essere scomparso come un fantasma, senza lasciarsi dietro alcun indizio. Sasagawa aveva giurato di avergli inferto una ferita seria alla gamba, così come Genkishi era certo di aver ferito profondamente lo sconosciuto biondo suo alleato. Anche Adelheid era tornata con un ventaglio sporco di sangue di Hibari Kyoya, e nonostante ciò erano spariti e non avevano rubato medicamenti o avuto accesso a cure mediche, almeno che lui ne sapesse. La verità era che Mukuro gli era scivolato via dalle dita, e ogni giorno di vantaggio era un giorno che poteva essere decisivo.
Abbattuto ogni sera di più, aveva accettato il vago conforto di Tsuna, che sicuramente era felice di non trovare i suoi amici in manette, ma gli offriva lo stesso un piccolo sorriso, una pacca sulla spalla e un bicchiere pronto per lui, che fosse un tè caldo o qualcosa di più forte.
Byakuran si alzò e andò alla finestra, ma la vista non era granchè: su un cortile costellato di erbacce sorgeva il palazzo di giustizia, un edificio di mattoni che si sviluppava verso l'alto con finestre apparentemente tutte identiche. Notò che quella più in alto era ancora rotta: l'aveva frantumato lui con un colpo di pistola quando aveva freddato Iemitsu Sawada.
-Byakuran, che c'è? Non ti piace il caffè?-
Il generale si voltò leggermente stupito, dimentico di non essere solo nella cucina. Guardò con una leggera confusione il viso pallido e gli occhi grandi e castani di Tsunayoshi.
-No, sono solo...-
Esitò pensando a quale parola potesse esprimere quello che sentiva, ma l'unica che gli veniva in mente era "disperato", e non se la sentiva di ammetterlo.
-Beh, ti capisco.- disse lui senza aspettare una parola che difficilmente sarebbe uscita. -Insomma, le cose stanno andando male con la task force... e ora siamo di nuovo qui, dove è cominciato... insomma, è qui che ci siamo incontrati... immagino che il pensiero non sia gradevole per te.-
In effetti non lo era per niente, non era felice di trovarsi nella casa dell'uomo che aveva ucciso e dove era entrato di fatto in rotta di collisione con Tsunayoshi. Forse se non fosse mai accaduto, Mukuro non avrebbe rifiutato la sua proposta con tanta ostinazione, nonostante il potere persuasivo che Hibari Kyoya aveva su di lui.
Preferì non rispondere e infilò l'anonima giacca color cammello. Non ricordava nemmeno l'ultima volta che l'aveva indossata, non si era mai separato dalla sua uniforme una volta ottenuta se non per le rarissime visite a Namimori con Kikyo, nei suoi giorni liberi prima di diventare il direttore del carcere di Sekko.
-Io vado.- disse atono aprendo la porta.
-Ah, aspetta, aspetta!-
Tsuna lo raggiunse sulla porta con un insolito, allegro sorriso sulla faccia. Quella vista lo mise in allerta, era un segno preoccupante che lo guardasse in quel modo. Ormai era ben consapevole che Tsunayoshi lo odiava più di qualunque altro essere umano al mondo.
-Che c'è?-
-Un bacio?-
-Un che?-
-Salutami come si deve, dammi un bacio.- insistette lui, diventando imbronciato. -Mukuro non ti sta guardando, non succede niente se mi saluti.-
-Che cosa stai macchinando?- chiese Byakuran sospettoso. -Da quando mi chiedi una cosa del genere?-
-Sono felice di essere di nuovo a casa, tutto qui... anche se per un giorno soltanto... non mi piace vivere in albergo, è freddo e triste... e poi sono contento di stare lontano da Kozato, mi sta dando fastidio.-
Questo Byakuran non se l'aspettava, perchè a suo parere Tsunayoshi gli sembrava accettare la sua vicinanza... poi però pensò che l'atteggiamento freddo e sprezzante del ragazzo era dedicato a lui soltanto per il semplice motivo che lo odiava: in condizioni normali Tsuna era un ragazzo dall'indole dolce e remissiva con tutti gli altri. E poi, anche se ci era vissuto per poco, era comunque la casa di suo padre, nella città dove aveva vissuto i momenti felici... magari lui avesse avuto un posto del genere al mondo, dove pensare a momenti felici, un posto da chiamare "casa"...
Quasi contro il suo stesso istinto naturale, Byakuran si chinò e lo baciò sul viso. Tsuna tornò a sorridere e gli porse il cappello che aveva dimenticato di prendere.
-Non essere aggressivo con Nagi, capito?- gli disse. -Lei non è facile da ingannare, non ci riusciresti.-
-So cosa devo fare.- rispose in tono piatto mettendo il cappello.
-Mi chiami quando hai fatto?-
Prima che Byakuran potesse chiedere per quale motivo desiderasse essere avvisato del suo ritorno, sentì passi di corsa nel cortile e poco dopo fu raggiunto da una ragazza sotto il porticato. Si trattava di Haru Miura, la cameriera, anche se era difficile riconoscerla con degli abiti alla moda, il trucco sul viso e un elegante foulard legato sui capelli.
Non riuscì a chiederle cosa ci facesse lì, lei e Tsunayoshi iniziarono a chiacchierare a un volume più alto dell'accettabile, quindi lo salutò sbrigativo e si allontanò dalla casa diretto al cancello. 
Dopo qualche altro secondo di dolorosi dubbi, Byakuran iniziò a chiedersi se non stesse diventando eccessivamente paranoico. Tsunayoshi l'aveva imbrogliato già una volta in maniera esemplare, però era certo che non avrebbe osato provarci di nuovo, non ora che era legato a quel bambino. Non c'era nulla di strano, in fondo, si disse Byakuran. Tsunayoshi era tornato a casa dove probabilmente aveva qualche bel ricordo dopo la scomparsa della madre, era di ritorno a Namimori e quindi ne approfittava per vedere qualche amico, come Haru e forse qualcun altro come i suoi amici della redazione o quello del dojo, il cui nome gli sfuggiva al momento...
-Byakuran, che cosa fa qui la ragazza?-
Per la seconda volta alzò gli occhi sorpreso, senza rendersi conto di non essere solo. Appena al di là del cancello c'era un viso pallido, occhi di un intenso verde acqua e lunghi capelli nascosti sotto un berretto di cotone. Se non fosse che lo conosceva così bene, avrebbe fatto fatica a riconoscere Kikyo conciato in quel modo. Suo malgrado gli venne da ridere e faticò a trattenersi.
-Che diavolo hai da ridere?-
-Ma come sei conciato, Kikyo?-
-Hai detto tu che non dobbiamo farci riconoscere, no?-
Byakuran non riuscì a trattenersi più di così, scoppiò in una risata che in pochissimi gli avrebbero riconosciuto: rumorosa e stranamente secca, molto diversa dalle sue solite risate flautate quasi sottovoce. Kikyo si accigliò quando anche una guardia dall'outfit decisamente rock accennò un sorriso divertito.
-Byakuran, che cosa faceva qui la cameriera?-
-Oh, niente... niente...- esalò lui, prendendo fiato. -Tsunayoshi vuole vedere i suoi amici, immagino...-
-Per questo ti ha accompagnato qui?-
-Ha insistito tanto, penso che avesse voglia di vederli... perchè ti preoccupa tanto? È solo la cameriera.-
-Sì... hai ragione...-
Byakuran si accorse subito che Kikyo non era convinto, ma onestamente non era minimamente preoccupato da Haru Miura. Era solo una domestica il cui padre era nel suo pugno, e anche Tsunayoshi lo era. Non c'era nulla che potessero fare insieme per infastidirlo, non aveva nessun motivo per angosciarsi.
-Allora, Byakuran?- fece Kikyo, tornando al tono sbrigativo con cui spesso lavorava. -Dove dobbiamo andare con questo carrozzone di travestiti?-
La domanda di Kikyo cancellò l'ultimo residuo di sorriso. Il generale si avviò lungo la strada, sebbene sapesse solo vagamente come arrivare agli alloggi governativi. Non doveva dimenticare la sua missione speciale, l'unico motivo per cui aveva lasciato Edo per ritornare in quella cittadina: trovare Nagi Dokuro e convincerla a chiedere a Rokudo Mukuro la resa. Era certo che lei sapesse come comunicare con lui, nel caso lei o il figlio avessero avuto bisogno di aiuto... forse la voce dell'amica che lo aveva accompagnato per tutta la sua esistenza avrebbe fatto breccia nel cuore di Mukuro meglio di quanto riuscisse a fare la sua, forse avrebbe vinto anche l'influenza di Hibari Kyoya. Ora come ora, con Viper che bloccava i poteri dei suoi sottoposti e dei misteriosi alleati che proteggevano e nascondevano i ribelli, Nagi era l'unica che lo potesse aiutare. Un pensiero insopportabile.
-Stiamo andando da Nagi Dokuro.- disse infine a Kikyo, rendendosi conto di non aver risposto.
-Nagi Dokuro? La ragazza che è venuta da te la mattina dopo l'inaugurazione della fiera dell'artigianato?-
Byakuran annuì. Quel mattino era stato più che sorpreso di trovarsi davanti proprio lei, speranzoso com'era di trovare Mukuro alla sua porta. Ricordava bene di averla trovata incredibilmente bella, con un vestito firmato e ben curata, tanto che aveva stentato a credere che quella fosse la stessa ragazza sbandata che tutti gli avevano descritto. Era rimasto tanto stupito che non era nemmeno riuscito a dire qualcosa quando lei gli aveva chiesto la documentazione per la grazia ai suoi tre stupratori; ma nulla in confronto a come era rimasto basito quando lei, col sorriso sulle labbra laccate di rosa, gliele aveva strappate davanti agli occhi. In realtà gli pareva di aver balbettato solo un vago saluto quando lei aveva girato i tacchi con uno svolazzo di abito augurandogli una buona giornata.
-Che cosa cerchi da lei?- domandò Kikyo, mentre attraversavano a piedi un incrocio. -Non puoi toccarla, lo sai che Mukuro non te lo perdonerebbe mai.-
-Non voglio fare niente, devo parlare con lei.-
Non era sicuro che Kikyo capisse la sua disperazione e in quel caso non voleva che se ne accorgesse: era ancora abbastanza orgoglioso da non voler apparire come un uomo finito, praticamente costretto a strisciare ai piedi di Mukuro. Eppure se solo avesse saputo dove trovarlo avrebbe fatto un altro tentativo, almeno un altro, per convincerlo a tornare a casa...
Percorsero uno stretto vicolo per passare più velocemente da una strada all'altra, ormai erano molto vicini agli alloggi governativi, vedeva in lontananza l'edificio con la bandiera dell'Haido che sventolava debolmente sul cancello. La città era piuttosto immobile, nonostante fosse giorno di festa c'erano poche persone per strada, ma forse Nagi Dokuro era in casa: vide alzarsi lentamente una bandiera a forma di carpa, che prese vento e si agitò su uno dei balconcini.
Accadde in pochi istanti di cui a malapena si rese conto. Una voce da qualche parte, molto vicina, gridò un avvertimento; un brusco spintone lo fece cadere a terra sul marciapiede e atterrare con dolore sulla schiena mentre delle voci concitate parlavano accavallandosi tra loro e una voce di donna gridava. Byakuran alzò la testa e si rese conto che un ragazzo lo aveva buttato a terra di proposito, ma la sua irritazione svanì e lasciò il posto a un terrore che lo fece diventare pallido: una freccia era conficcata profondamente nell'albero accanto a cui stava passando un momento prima. Si rese conto che se non fosse stato spostato da quel ragazzo quel dardo gli avrebbe trapassato la testa...
-Byakuran, stai bene?!- fece Kikyo, inginocchiandoglisi accanto. -Sei ferito?-
-Che cosa... cazzo...-
Byakuran alzò lo sguardo sul tetto dell'edificio alla sua sinistra e si accorse di una figura in piedi, le braccia ancora ferme nella posa in cui avevano scoccato quella freccia potenzialmente fatale. Dopo qualche secondo in cui sembrò che il tempo stesso si fosse congelato, una rabbia incontrollabile montò dentro di lui, esplose come un vulcano. Era questo che quel bastardo aveva in mente, Tsunayoshi lo aveva convinto a cercare Nagi Dokuro e poi aveva piazzato il suo cecchino per ucciderlo... ecco perchè era tanto felice, ecco il perchè di quelle sciocche pretese, tutto fumo negli occhi... ma se pensava che gliel'avrebbe fatta passare liscia si sbagliava di grosso...
-Prendetelo!- gridò con tutto il fiato che aveva in corpo, alzandosi. -Prendete quel terrorista, adesso!-
Le due guardie in incognito si erano già lanciate verso il palazzo, ma Gokudera Hayato non sembrava intenzionato a scappare, né a incoccare un'altra freccia al suo indirizzo. Lo guardò a occhi spalancati e lentamente abbassò le braccia, lasciando cadere l'arco. Pochi istanti dopo le due guardie del corpo furono sul tetto e Gokudera non fece nulla per sfuggire allo scatto delle manette.

Quel cinque maggio non avrebbe dovuto essere un giorno molto diverso dagli altri per Takeshi Yamamoto, un altro giorno di una scorcentante routine, di una tranquillità immeritata per chi era amico di molte persone coinvolte nella rivoluzione del secolo, per chi come lui aveva tali e tanti segreti sepolti nel passato. Nulla di diverso, se non passare da Nagi a regalarle una koinobori per la prima festa dei bambini passata come mamma, e poi tornare al dojo a nutrire i piccoli amici razzolanti e cinguettanti di Hibari.
Stava giusto pensando al fatto che era il suo compleanno quando aveva incrociato lo sguardo distrattamente con un uomo dagli occhi color acquamarina che gli sembrava di riconoscere, ma non aveva avuto modo di rifletterci. Fu un momento, una sorta di percezione. Alzò gli occhi castani verso l'alto, anche se parzialmente accecato dal sole, aveva distinto una figura che tendeva un arco, puntando a quanto pareva su uno degli uomini che aveva davanti. Un attimo dopo il suo corpo reagì: scattò avanti e buttò a terra l'uomo dalla giacca marrone mentre sentiva sibilare la freccia poco distante dal suo orecchio. Quella andò a conficcarsi vibrando nel tronco di un albero, mentre un coro di voci agitate gridavano confondendosi le une con le altre.
-Byakuran, stai bene?! Sei ferito?-
-Che cosa... cazzo...-
Takeshi alzò gli occhi e si rese conto di chi aveva di fronte: lo aveva visto in televisione in diverse occasioni, era il nuovo, discusso generale dell'Haido, Byakuran. L'uomo che aveva tanto tormentato i suoi amici. Ancora accovacciato sul marciapiede ebbe un forte senso di vertigine, che divenne pelle d'oca quando vide Byakuran alzare lo sguardo in alto e gridare di catturare il terrorista.
Sfidando il terrore che provava, alzò lo sguardo nella stessa direzione. All'ombra della chioma dell'albero non ebbe alcun problema a distinguere la figura di Gokudera in piedi sul bordo del tetto. Anche a quella modesta distanza riuscì ad accorgersi del terrore che aveva sul volto, con gli occhi verdi spalancati. Da guerriero quale Yamamoto era, riconobbe un uomo che aveva rinunciato, un guerriero sconfitto. Quando lo vide mollare la presa sull'arco ebbe la forte tentazione di gridargli di non lasciarlo e di scoccare ancora, ma con quale diritto dopo che proprio lui gli aveva fatto mancare il bersaglio? Con quale diritto gli poteva gridare di ucciderlo?
Assistette impotente alla sua cattura e rimase a fissarlo, svuotato, finchè non scomparve alla vista, trascinato giù per una scala antincendio dalle due guardie del corpo di Byakuran.
-Sta bene?-
Takeshi girò la testa e tornò presente a se stesso. Si rese conto di essere ancora inginocchiato a terra e che l'uomo dagli occhi color acquamarina gli porgeva la mano. La prese e si alzò con qualche parola casuale per rassicurarlo, gli premeva molto di più la situazione di Gokudera, che cosa gli avrebbero fatto? La realtà era molto più grave di come la percepisse e dovette ripeterselo qualche volta nella mente: Gokudera ha quasi ucciso il generale, Gokudera ha quasi ucciso il generale... e il generale era fuori di sé, furioso, poche volte Yamamoto aveva visto qualcuno tanto alterato.
-Lo abbiamo preso, signore, non c'era traccia di altre persone sul tetto o negli edifici intorno.-
-Gokudera Hayato.- disse freddamente Byakuran. -Questa è l'ultima volta che mi tiri una freccia, te lo giuro.-
-Probabilmente.- ribattè Gokudera, distaccato.
Gokudera non diede alcun segno di aver visto Yamamoto o di averlo riconosciuto.
-Ecco cosa sei andato a dire a Tsunayoshi in albergo quella mattina! È da allora che complottate per questo? Viper sta offuscando i miei segugi di proposito per costringermi ad andare da Nagi Dokuro?- domandò Byakuran a bruciapelo, strattonando la camicia di Gokudera. -Rispondi, fottuto figlio di puttana!-
-Io e te non abbiamo la stessa madre.-
Byakuran fece un'orrenda smorfia e gli sferrò un manrovescio talmente violento da spaccargli il labbro inferiore, ma per qualche motivo sembrava che Gokudera godesse un mondo a insultare Byakuran e farlo arrabbiare ancora di più. Nel suo piccolo mondo, Yamamoto capiva che era un atteggiamento pericoloso, ma era più angosciato al pensiero che fosse veramente un'idea di Tsuna. Non capiva più niente, non sapeva nulla di come effettivamente andava la lotta, non poteva sapere se davvero il suo amico Tsuna fosse diventato una persona del genere... ma lui sapeva più di chiunque altro che l'Haido esasperava le persone, che gente del genere a volte faceva di tutto per meritarsi una fine cruenta...
-Se Tsunayoshi pensa di potermi fregare di nuovo si sta sbagliando.- disse Byakuran con tono mortifero, a pochi centimetri dalla faccia di Gokudera. -Non riavrai il tuo braccialetto, Gokudera Hayato, ma penso che potrai avere una bellissima collana di corda.-
Se Gokudera venne turbato dalla notizia di poter essere impiccato non diede alcun segno di esserlo e persino in una situazione così drammatica Yamamoto riuscì a provare ammirazione per lui. Ma non era il momento adatto alla contemplazione.
-Gen... generale.- disse Takeshi a fatica, la parola gli rimase come impigliata in gola. -Vuole... vuole veramente ucciderlo?-
Byakuran voltò la testa così bruscamente che gli cadde nuovamente il cappello, ma non se ne curò. I suoi occhi viola lo scandagliarono come una macchina a raggi x, come se volesse incenerire quel mortale che aveva osato interromperlo. Alla fine invece la sua espressione si rilassò.
-Siete Yamamoto, vero? Takeshi Yamamoto... il tesoro nazionale vivente.-
Yamamoto non rispose. Non gli era mai successo di essere appellato in quel modo da qualcuno.
-Ho rifiutato quel titolo, generale.-
-Non mi risulta che si possa rifiutare.- disse lui in tono particolarmente amabile. -E siete l'amico di Tsunayoshi.-
-Sì, questo è vero.-
-E io che credevo che tutta la cricca di Tsunayoshi chan fosse marcia fino al midollo... invece mi avete salvato la vita, Yamamoto Takeshi. Avete la mia gratitudine... e se chiedete in giro scoprirete che è una delle cose che concedo meno al mondo.- fece lui con un sorrisetto lezioso. -Come credete che reagirà Tsunayoshi chan quando gli dirò che il suo ex ha cercato di uccidermi e il suo amico mi ha salvato?-
Yamamoto non era ingenuo e capì che Byakuran cercava di valutare le sue reazioni, probabilmente per capire se potesse davvero fidarsi di lui. In effetti subire un attentato da parte di qualcuno ed essere salvato da una persona in stretta relazione con l'attentatore avrebbe suscitato dubbi anche a una persona meno paranoica del generale dell'Haido.
-Immagino sarebbe contento che io passassi di qui in tempo per salvarla... a quanto ne so, lei gli è stato molto vicino dopo che quest'uomo ha ucciso suo padre, mi ha detto spesso di quanto apprezzasse la sua abitudine di trattenersi a fargli compagnia, subito dopo la scomparsa di Iemitsu.-
Byakuran lo scandagliò di nuovo con quegli occhi intensi, ma poi parve credergli, perchè si rilassò.
-Vi suonerebbe strano quindi se vi dicessi che sospetto che Tsunayoshi abbia architettato questo piano?-
-Che Tsunayoshi abbia voluto ucciderla?- disse Yamamoto nel tono più sorpreso che riuscisse a tirare fuori, sforzandosi di non guardare Gokudera. -Si sta sicuramente ingannando, Tsuna è una persona incredibilmente dolce, non farebbe male a una mosca... voglio dire, scrisse una lettera al ministro della giustizia per salvare la vita dell'uomo che tentò di tagliargli la gola quasi tre anni fa, lei non può certo aver fatto di peggio, no?-
Byakuran parve esitare un momento, prima di guardare di nuovo Gokudera.
-No, certo che no.- disse alla fine. -Portate in custodia questo spregevole individuo... sottoporremo la questione alla corte superiore e decideranno loro la punizione per questo... terrorista.-
-Hai paura, Byakkun?- domandò Gokudera con un sorrisetto caustico. -È un po' che me lo chiedo, ma la tua mammina ha scelto il tuo nome con la palla magica delle risposte o te lo sei scelto da solo da grande?-
-Smetti di parlare di mia madre, brutto...-
-Non farti provocare, Byakuran!- sbottò Kikyo, trattenendolo col braccio. -Portatelo via, sarà detenuto al palazzo di giustizia fino alla desamina del suo caso!-
Gokudera diede in una risata ostentata e venne portato via senza che opponesse la minima resistenza. Yamamoto non riusciva a credere che Mukuro potesse aver dato l'ordine di uccidere Byakuran in quel modo, avrebbe avuto molti altri modi più sicuri e discreti di farlo, anche perchè se la freccia avesse abbattuto Byakuran probabilmente uno dei militari avrebbe sparato a Gokudera immediatamente dopo. Non riusciva a immaginarsi che Tsuna, o Hibari, o Mukuro permettessero a un loro amico di essere tanto avventato. La sua sensazione fu che Hayato avesse fatto tutto di testa sua, forse seguendo Byakuran per giorni prima di trovare un buon momento e una buona posizione... purtroppo, senza considerare la sua presenza.
E forse Gokudera sarebbe stato giustiziato anche per colpa sua... o forse avrebbe dovuto essere felice di essere intervenuto? L'aver salvato il generale poteva salvare la vita all'uomo che amava, oppure aveva solo prolungato di qualche giorno l'inevitabile?


Mukuro accostò l'orecchio alla porta e tentò di captare qualsiasi suono dall'interno, ma non udì nulla, né passi, scricchiolii o altro che gli facesse supporre che Kyoya fosse sveglio nonostante l'ora tarda del mattino. Abbassò con cautela la maniglia ed entrò cercando di non far cigolare la subdola suola di gomma dei suoi stivali. Sfidando il dolore alla gamba si inginocchiò accanto al letto dove Kyoya dormiva beatamente con la bocca leggermente aperta. Gli ricordò il giorno in cui lasciò quel biglietto nel suo comodino, quello che sembrava un secolo prima.
-Kyoya.- sussurrò, scartando con delicatezza un piccolo sacchetto di carta. -Kyoya, sveglia...-
Gli occhi grigi di Hibari si spalancarono come se gli avesse gridato in un orecchio, ma dopo un momento li richiuse dando in un gemito lamentoso mentre Mukuro apriva la confezione di un cupcake solitario.
-Sveglia, Kyoya, sono le dieci passate... e oggi è il giorno dei bambini, lo sai?-
Kyoya non aprì gli occhi e si tirò il cuscino davanti alla faccia per nascondere un sorrisetto che non era riuscito a reprimere. Anche Mukuro sorrise, prese un'unica candelina a righe colorate e la mise sopra il muffin. Nei tanti anni che lo conosceva, non aveva mai passato il compleanno di Hibari in sua compagnia, nemmeno una volta. Non potè non chiedersi, mentre accendeva la fiammella, dove sarebbero stati quel giorno se Byakuran non fosse mai entrato nelle loro vite. Sarebbe stato un altro compleanno passato lontani? Un altro giorno dei bambini in cui avrebbe guardato malinconicamente la casa di Hibari senza avere il coraggio di andare a suonare il campanello e dargli un regalo? Probabilmente sì.
-Tanti auguri...-
Kyoya sbirciò da una fessura nelle pieghe del cuscino e forse decise che la situazione non era troppo imbarazzante per essere affrontata, anche se aveva i capelli così spettinati da sembrare che avesse un'istrice fulminata in testa. Si puntellò sul gomito del braccio sano e sorrise guardando il cupcake.
-Da dove diavolo è uscito quello?-
-Me lo sono fatto portare in tuo onore... cioccolato e cocco, come piace a te.-
-Non mi canti 'tanti auguri'?-
-Posso farlo se vuoi...-
-Non è necessario...-
Kyoya sorrise e chiuse gli occhi. Mukuro si chiese se stesse esprimendo un desiderio: non essendo mai stato con lui nel suo compleanno, non sapeva se lo facesse oppure no. Dopo pochi istanti si sporse e soffiò sulla candelina spegnendola.
-Tienimelo fermo.- disse poi.
-E dove vuoi che va...?-
Prima che Mukuro finisse la domanda aveva già capito: Hibari prese la candelina coi denti e la sputò di lato e poi si avventò sul cupcake dandogli un morso che staccò quasi mezzo dolce. Molta della crema bianca sopra gli si spiaccicò sulla faccia e sul naso, ma lui non ci fece caso e prese un altro morso più piccolo.
-Ma che cavolo... Kyoya, fai veramente schifo, mangi come un maiale!-
Ma rideva talmente tanto che non era proprio credibile: Kyoya era più sporco di cioccolato e crema di un bambino dell'asilo. I suoi occhi grigi lo guardarono ridotti a fessure, poi lui lo baciò. Un bacio che gli permise di sentire il sapore del dolce, ma che gli imbrattò anche la faccia.
-Ma che... Kyoya!- protestò Mukuro, irritato e divertito al tempo stesso. -Che cos'hai oggi?-
Lui sorrise ma non rispose. Aveva davvero un'aria strana, non era mai stato un tipo scherzoso, e nemmeno ricordava di averlo visto sorridere tanto di primo mattino. Pensò che forse era il suo compleanno a metterlo di buonumore, ma dentro di sé capiva che non era felice solo per questo...
La porta cigolò leggermente e la figura vestita di tutto punto di Reborn oscurò la soglia. Aveva la stessa aria seria di sempre, ma dopo averli guardati fece un sorriso inesplicabile. Mukuro si accigliò. Se aveva intenzione di commentare qualsiasi cosa sulla sua relazione con Hibari, era pronto a ricacciargliela in gola.
-Ecco a cosa serviva quel muffin.- disse invece. -Ma devo interrompervi.-
-E perchè?- chiesero in coro Mukuro e Kyoya.
-Perchè tu hai bisogno di un dottore, quindi ti abbiamo portato un dottore di fiducia, per così dire.-
Mukuro scambiò uno sguardo con Kyoya, ma poi videro l'uomo dietro a Reborn: si trattava di Kusakabe, l'inseparabile compagno di scuola di Hibari ai tempi delle medie e del liceo. A quanto ne sapeva, aveva studiato medicina e lavorava nello stesso liceo dove insegnava Gokudera, come capo dell'infermeria.
-Kyo san, è bello rivederti.- disse lui. -Rokudo...-
Mukuro ricambiò il saluto con un cenno del capo e si affrettò a pulirsi le tracce di dolce dal viso. Non sapeva bene come comportarsi con lui. Sapeva tutto di lui e Kyoya durante il periodo delle scuole, ma Mukuro a malapena lo conosceva. Anzi, in quel momento non ne ricordava nemmeno il nome.
-Tetsu!- esclamò Kyoya sorridendo, e si alzò dalla brandina. -Ma che fai tu qui?-
-I tuoi amici dicono che avevate bisogno di un parere medico, e oggi è la festa dei bambini, le scuole sono chiuse, quindi ho pensato che avrei potuto darvi un'occhiata.- fece lui, poi perse il sorriso. -Che hai in faccia, Kyo san?-
-Oh.-
Mukuro ridacchiò vedendo Kyoya diventare di una intensa sfumatura violacea mentre si ripuliva la faccia, ma il momento esilarante non durò molto. Tentò di alzarsi con eccessiva spavalderia e la sua gamba ferita lo punì cedendo e mandandolo ad accasciarsi a terra. Kyoya e Tetsuya si avvicinarono subito a lui e lo sollevarono di peso.
-È la gamba destra?-
-Sì, lui... un tizio lo ha colpito con il gomito, due volte.- snocciolò Kyoya mentre lo sollevava e lo sdraiava sul suo letto. -Il dolore non gli è mai passato da quando è successo...-
-Cioè?-
-Beh, non gli passa...-
-No, no.- disse Tetsuya con aria professionale. -Intendevo quando è successo.-
-Ah... sabato, sabato scorso.-
Mukuro avrebbe potuto dire queste cose da solo e descrivere il suo disagio in prima persona, ma in quel momento il dolore era così forte che trovava difficile sopportarlo se non stringendo i denti. Si rese conto solo marginalmente che Tetsuya gli aveva annunciato di doverlo spogliare, ma non attese una risposta. Sapeva che avrebbe trovato un grosso, enorme livido nero e una gamba gonfia. Mukuro strinse gli occhi e potè sentire il respiro mozzato di Kyoya che evidentemente aveva notato quanto fosse peggiorato. Qualche violentissima fitta dopo, il medico si era fatto un'idea.
-C'è una lesione seria... se davvero sono state gomitate, allora, o il tuo aggressore ha avuto una fortuna incredibile, oppure era una assassino che sapeva dove colpire se non voleva che ti muovessi più.-
-Cosa... stai dicendo che non guarirà?- sbottò Hibari in tono aggressivo. -Sei un dottore, no? Fai qualcosa!-
-È ovvio che farò qualcosa, Kyo san, ma è una cosa grave, dev'essere operata, e deve seguire una riabilitazione di riposo assoluto...-
Kyoya sembrò vergognarsi per lo scatto d'ira che aveva avuto e guardò Mukuro negli occhi. Sembrava che stesse prendendo chissà quale decisione. Ma lui era perfettamente in grado di decidere da solo per se stesso.
-Kusakabe, che cosa potrebbe succedermi se non intervenissi?-
-Non pensarci nemmeno.- disse lui imperioso. -Se non la operiamo subito il dolore aumenterà, intaccherà i nervi e... beh, in parole povere, se sei fortunato non si muoverà mai più, se sarai sfortunato dovremo amputarla... per intero.-
Mukuro non si rese conto di essere diventato molto pallido all'idea di ritrovarsi senza tutta la gamba. onestamente, per quanto fosse stato torturato, fustigato e colpito, aveva sempre pensato di rischiare la morte nella sua battaglia, aveva già le sue cicatrici, ma non aveva mai riflettuto sulla possibilità di passare il resto della sua vita da paraplegico o addirittura senza una gamba. Sentì le mani di Kyoya stringere piano le sue spalle.
-Non fare lo sciocco... non vale la pena di perdere una gamba per questo.- gli sussurrò Kyoya all'orecchio. -Nemmeno fosse per abbattere Byakuran...-
-Non possiamo prendere una decisione del genere da soli, Kyoya.-
-Che vuoi dire?-
Mukuro ignorò la domanda di Hibari e lanciò uno sguardo a Reborn, che attendeva appoggiato all'architrave della porta. Loro dipendevano in tutto e per tutto dai loro misteriosi sostenitori: era uno di loro che li aveva medicati, uno di loro che impediva ai segugi di Byakuran di trovarli e sempre loro li avevano nascosti in bella vista in una bella casa del quartiere residenziale di Edo. Non potevano prendere nessuna decisione senza interpellarli.
-Noi non abbiamo alcuna fretta, Rokudo Mukuro.- disse lui, con quel sorriso ambiguo. -Anche se non ne hai l'impressione, il capo sei tu, tu decidi cosa fare e quando... noi non facciamo altro che limitare i danni e... suggerire la soluzione più fattibile.-
-Allora suggerisci.-
Reborn lo fissò, forse ponderando la questione, o se fosse il caso di esprimersi in quella situazione. Alla fine sistemò il cappello e si lisciò le basette lentamente.
-Dovresti operarti e pensare a rimetterti, prima di pensare a Byakuran.- disse alla fine. -Lui non può più trovarti né toccarti, lui e nessuno della sua task force, nessuno in tutto il paese. Non hai nulla da temere. Non hai motivo di fare le cose di fretta.-
Mukuro sentì un brivido che non aveva nulla a che vedere con l'essere mezzo nudo o con il dolore alla gamba. Quanto esattamente erano potenti questi misteriosi sostenitori, e perchè individui con quei mezzi prendevano ordini da lui? Non ne aveva idea, eppure se fossero stati uomini di Byakuran avrebbero avuto mille occasioni di ucciderli tutti, o ammazzare i suoi compagni e catturarlo...
-Allora... farò come dici.- disse infine Mukuro.
-Molto bene.- fece Tetsuya in tono sbrigativo. -Reborn san, per un'operazione del genere sarebbe auspicabile un'attrezzatura quanto più ospedaliera si possa reperire... e inoltre, io non sono all'altezza di un intervento simile, io mi limito a piccoli interventi...-
Mukuro sentì la mano di Kyoya stringere la sua mentre Kusakabe e Reborn discutevano di équipe mediche, medicinali, strumenti. Chiuse gli occhi e cercò di concentrarsi, di allontanare quelle voci, erano cose che non voleva sentire. Kyoya gli chiese con voce dolce che cosa avesse, se la gamba gli facesse molto male. Annuì e sentì il suo bacio sulla fronte.
Non aveva alcuna intenzione di dirgli che aveva sempre avuto paura degli interventi chirurgici.

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Capitolo 59
*** La Pioggia Insanguinata ***


Mukuro fissava la televisione senza vederla mentre il medico che seguiva la sua riabilitazione procedeva alla solita visita di routine e scorreva le molte pagine di numeri che riassumevano quanto avesse camminato ogni giorno, per quanto tempo e altre annotazioni. Aveva sperato di riuscire a rimettersi in fretta dall'operazione, ma il suo corpo stanco sembrava ribellarsi alla sua volontà di combattere, pareva volerlo costringere al riposo ancora per molto tempo. Non riusciva ancora a camminare senza appoggiarsi a qualcuno o senza un paio di robuste stampelle, ma per fortuna aveva Kyoya, che si era preso eccellente cura di lui. Lo aveva accudito con tali e tante cure che gli sembrava di essere ritornato a essere un bambino, qualche volta anche un po' troppo amorevolmente per i suoi gusti. A volte, infastidito, aveva dovuto ricordargli che non era un neonato e nemmeno un invalido.
-Per il momento va bene così, Rokudo kun...-
-Come sarebbe, va bene? È passato un mese e ancora non riesco a camminare!-
-La situazione sulla quale siamo intervenuti era molto critica, Rokudo kun... è una fortuna che dopo un mese tu possa alzarti, ci vorranno almeno altri due mesi perchè tu possa camminare senza supporti...-
Mukuro fece scattare la testa infastidito, come scacciando una mosca dal viso. Altri due mesi solo per riuscire ad alzarsi dal letto e uscire dalla porta senza stampelle e senza aiuti. Quella gente non si rendeva conto delle impellenze che aveva, di quanto bisogno aveva di ristabilirsi e riprendere una lotta così importante...
-Non fare stupidaggini... se ti sforzi troppo ora, rischi di danneggiare la tua gamba invece che curarla... potresti anche perderla per sempre.-
Mukuro non rispose e il medico si rivolse a Hibari, silenziosamente in piedi vicino al letto, iniziando a discutere con lui della fisioterapia e del dosaggio di una nuova medicina. Mukuro non badò a quello che si dicevano e si sollevò con fatica nel tentativo di rivestirsi; purtroppo prima che ci riuscisse Kyoya congedò il dottore e si affrettò ad aiutarlo.
-Faccio io, faccio io.-
-Lasciami fare da solo, Kyoya, non sono ancora invalido.-
-Non ci arrivi, vero? Più cose ti aiuto a fare, meno ti sforzerai... recupererai più in fretta se smetti di angosciarti e accetti l'idea di riposare.-
Aveva ragione, naturalmente, ma Mukuro era così frustrato che non era più disposto ad attendere. Oltretutto, era angosciato per Gokudera, il cui destino dipendeva unicamente dalla corte di grazia che aveva un solo giorno ormai per esprimersi in favore dell'uomo che aveva tentato di uccidere il generale. Se avessero deciso di non concedere la grazia, o anche solo se non avessero raggiunto una decisione unanime prima del giorno seguente, Gokudera sarebbe stato ucciso tramite impiccagione al Palazzo di Giustizia... e tutto ciò sarebbe accaduto per colpa sua, perchè non aveva accettato di lasciar perdere Byakuran, e il risultato era che un altro pagava di nuovo i suoi sbagli...
-Ormai dovrebbero esserci, non credi?- disse Kyoya con uno strano tono cauto.
-Chi?-
-La corte di grazia...-
-Sì... forse diranno qualcosa questa sera...-
-Vuoi andare di là con gli altri ad aspettare?-
-No.-
Se Kyoya gli avesse domandato perchè non volesse stare con gli altri in attesa di notizie, avrebbe saputo cosa rispondere, ma lui non chiese nulla. Si limitò a sistemare i suoi cuscini in modo che Mukuro potesse guardare la televisione comodamente sollevato e sedette con lui sul bordo del letto a guardare uno sceneggiato sul canale dodici. Sapeva che una notizia sul terrorista sarebbe stata probabilmente passata su ogni canale, ma guardando il canale dodici non c'era rischio di perdere la comunicazione che aspettavano.
Mentre una noiosa storia d'amore tra un giovane soldato e la sorella del suo migliore amico si dipanava tra equivoci e problemi di repertorio, il sole calò verso l'orizzonte. Kyoya, dopo aver aperto la finestra per lasciar entrare un soffio d'aria fresca, riprese il suo posto sdraiandosi accanto a Mukuro. Il cielo si era tinto di un arancione squillante quando lo schermo divenne blu e mostrò la scritta che precedeva le comunicazioni ufficiali del governo. Sentendo la tensione alzarsi di botto, Mukuro strinse la spalla di Kyoya scuotendolo leggermente.
-Kyoya.- gli sussurrò mentre apriva gli occhi. -È ora.-
Kyoya si strofinò gli occhi e si sollevò un po', fissando lo schermo. Dopo aver declamato articoli di legge, riassunto le peggiori parti della vita di Gokudera e gli avvicendamenti giudiziari dell'ultimo mese, una bellissima donna apparentemente insensibile a tutto quello che stava dicendo riportò con parole ricercate la decisione unanime della corte di grazia, in lunghe e complesse frasi. Kyoya strinse la mano di Mukuro quando infine la donna mora e bella annunciò che la grazia era stata negata per l'evidente ostilità del colpevole al governante del paese. Lei si sciolse in un sorriso prima di scusarsi per l'interruzione della trasmissione, ma Mukuro aveva già smesso di vederla o di pensare a cosa stava dicendo. Kyoya lo guardava.
-Andiamo.-
Kyoya si alzò subito e lo aiutò a spostarsi dal letto alla sedia a rotelle lì accanto. Non si diede neanche la pena di spegnere il televisore. Lo spinse fuori dalla porta, lungo un corridoio da dove già potevano sentire la voce di Reborn che parlava concitatamente, dei passi affrettati, il rumore della porta aperta e richiusa. Appena entrarono nell'ingresso, Reborn scambiò uno sguardo gravido di significati con Mukuro.
-Che cosa vuoi fare, Mukuro?-
-L'unica cosa che avrei dovuto fare molto tempo fa.- disse lui, accorgendosi che Dino e Skull lo stavano fissando dalla porta della cucina. -Espugneremo il Palazzo di Giustizia e deporrò Byakuran con la forza.-
Non poteva vedere il viso di Kyoya dietro di lui, ma gli sembrò di percepire la sua eccitazione e la sua paura al tempo stesso. Dino assunse un'aria seria e risoluta che lo colpì favorevolmente. Reborn si limitò ad annuire e si mise in contatto con qualcuno al cellulare.
-Mukuro, sei sicuro di quello che fai?-
Stranamente, non era stato Kyoya a domandarglielo, ma Dino.
-Certo che ne sono sicuro.-
-Credevo che tu provassi qualcosa per quell'uomo.- disse l'italiano. -Che lo volessi salvare.-
-Byakuran ha fatto di tutto perchè la corte di grazia condannasse Gokudera, ne sono sicuro... io non posso fare qualcosa per lui se il suo unico, costante pensiero è quello di colpire tutto quello che io amo... distruggere quello che è importante per me, uccidere i miei amici, finchè non mi resteranno intorno altro che tombe e ricordi.-
Mukuro non riusciva a credere di essersi angosciato tanto per un uomo capace di fare questo, di fare tutto quello che sapeva che aveva fatto o tentato. Per una microscopica possibilità di salvare quell'uomo dalla disperazione a cui la sua vita l'aveva condannato, aveva rischiato di perdere i suoi amici...
-Gokudera aveva ragione... era l'unica soluzione, usare la forza... io sono solo stato troppo vigliacco per capirlo... ma ora... ora è tutto chiaro.-
Dino parve soddisfatto della risposta e gli sorrise. Mukuro tentò con tutte le forze di contraccambiarlo, e sentì la mano leggera di Kyoya accarezzargli la testa.
-Muoviamoci, adesso... attaccheremo questa notte, prima che possano giustiziare Gokudera.-
-Cosa? Non andiamo a salvarlo?-
-Lo salveremo instaurando un nuovo ordine prima che il sole sorga.-
-Ma... ma è sera, no?- fece Dino. -Anche se attaccassimo il palazzo del governatore, non ci sarebbe nessuno dentro!-
-Byakuran si aspetterà che qualcuno vada a salvare Gokudera e il palazzo di giustizia sarà strettamente sorvegliato... no, io voglio Byakuran. È lui che devo puntare.-
-Abbiamo un'ottima spia nelle file di Byakuran, lo costringeremo a trovarsi nel palazzo del governatore questa notte.- disse Reborn in tono leggero. -Così non coinvolgeremo troppi innocenti. Dobbiamo studiarla per bene, ed essere pronti per mezzanotte.-
-Ma tu non puoi muoverti in queste condizioni...- fece Kyoya con un tono insopportabilmente azzeccato per trattare con un bambino di dieci anni. -Non riesci a camminare, non puoi...-
-Io posso.- l'interruppe Mukuro, alzandosi dalla sedia. -Ho... ho bisogno di un'arma che possa sorreggermi.-
-Ci penseremo noi.- fece Reborn con un gesto della mano. -Nessun problema.-
-Mukuro! Non...-
-Io ho iniziato tutto questo! Io ho cominciato questa guerra, io ho peggiorato le cose, io ho fatto sì che non potesse finire nemmeno con l'amnistia! Io devo esserci, Kyoya, non capisci?! Devo essere presente, devo essere in prima linea... io deporrò Byakuran con le mie stesse mani!-
Nessuno osò opporsi alla fermezza del suo tono, nemmeno Kyoya trovò un argomento con cui protestare. Reborn ripose il telefono nel taschino interno e gli lanciò uno sguardo penetrante.
-È vero che gran parte della responsabilità è tua, per questo non discuterò sul fatto che tu abbia bisogno di fare ammenda delle tue mancanze, o fare pace con i tuoi demoni... ma sei pur sempre in condizioni critiche per affrontare una cosa del genere... quindi noi cercheremo di aprirti la strada, tu andrai oltre qualsiasi ostacolo senza affrontare nessuna battaglia non necessaria finchè non troverai Byakuran. Siamo intesi?-
Mukuro non l'avrebbe mai ammesso, ma fu molto confortato di sapere che gli altri avrebbero spianato la sua strada. La gamba gli faceva ancora male, avrebbe faticato molto a camminare e fare le scale da solo... l'idea di non dover affrontare di nuovo Sasagawa o altri ufficiali sul piede di guerra lo confortò. Annuì.
-Bene, diamoci da fare... questa notte sarà la fine dell'Haido.-


Yamamoto Takeshi restò immobile con le mani congiunte mentre il suo cagnolino Jiro cercava di convincerlo a giocare piagnucolando e tirandogli il kendogi. Alla fine il giovane akita si accucciò e guardò il padrone stranamente silenzioso, immobile davanti a una fotografia e a dei bastoncini di incenso che bruciavano pigramente.
Yamamoto Takeshi riaprì gli occhi e guardò la foto in cui suo padre rideva in un lontano giorno d'estate.
-Resta al mio fianco questa notte, papà.- gli sussurrò, passando le dita sul vetro. -Che tu ci sia per proteggermi, o solo per venire a prendermi.-
Si alzò e finalmente dedicò uno sguardo al cane, che si avvicinò scodinzolando come un matto e saltellandogli intorno in cerca di coccole. Takeshi sorrise e lo accarezzò.
-Non ti preoccupare di niente, Jiro... se io non ritorno, verrà Tsuna a prendervi... si prenderanno buona cura di voi, lui, e forse Nagi, d'accordo?- gli disse, e si diresse verso la gabbietta con gli animali di Hibari. -Siamo venuti tutti a Edo per questo, così Tsuna può tenervi con lui e trovarvi la sistemazione migliore...-
Takeshi incastrò una lettera accuratamente piegata sotto l'angolo della gabbietta, ben in vista a chiunque fosse entrato nella stanzetta d'albergo. Anche se sorrideva, sapeva bene che avrebbe potuto essere l'ultimo lascito a tutti gli amici, che salutava con affetto. Insieme alla richiesta di accudire gli animali, Takeshi aveva anche scritto per la prima volta tutta la verità, tutte le cose che aveva taciuto a tutti quanti per non fare i conti pubblicamente con il senso di colpa. Sperava di poter sopravvivere, e raccontarlo a tutti di persona, ma le probabilità non erano dalla sua parte, non quella notte. Sfidava la ragione, le possibilità, il buonsenso e qualsiasi altra cosa, compresa la sua natura tendenzialmente calma e compassionevole.
-Arrivederci, allora.-
Quasi come se sapessero che cosa aveva intenzione di fare, i canarini di Hibari si portarono tutti sul lato della gabbia vicino alla porta, cinguettando come non mai. Jiro si accucciò guaendo tristemente. Forzando un ultimo sorriso, Takeshi prese le sue due spade, le assicurò ai fianchi e uscì dalla stanza. Come immaginava, a quell'ora nessuno era nei corridoi o alla reception dell'alberghetto e non incontrò ostacoli. Dopo un minuto era uscito nella notte.
Rifiutò categoricamente di impiegare un mezzo pubblico notturno, sebbene fosse un lusso che ora poteva permettersi. Guardò almeno tre autobus illuminare le strade al loro passaggio, con poche persone a bordo. Nonostante fosse a Edo, la città più popolosa del Giappone, il silenzio era denso. Solo una vettura passava ogni tanto, qualche persona sola o in gruppetti camminava sui marciapiedi. Evitò il più possibile le vie principali, timoroso di dover sfoderare le spade prima del previsto, ma un passo dopo l'altro, la sua determinazione cresceva. Non era animato dalla rabbia, ma da un senso di giustizia, la sensazione di chi si mette in viaggio sapendo di fare la cosa giusta. Da troppo tempo assisteva come spettatore a una guerra che avrebbe dovuto combattere in prima linea, una guerra che aveva coinvolto una per una le persone che più amava, la famiglia che gli era rimasta. E l'unica volta che era intervenuto, aveva salvato la vita del nemico e causato l'arresto di Gokudera, che sarebbe stato ucciso il mattino seguente. Era sempre stato solo un problema, causando più dolore di quanto bene credeva di fare.
La sagoma del palazzo di giustizia, fiocamente illuminato sulla facciata da luci giallastre, si ingrandiva e si mostrava di più ogni volta che superava una curva o un edificio che gli ostruiva la visuale. Quando raggiunse la piazzetta di fronte alle imponenti colonne, era il solo uomo in giro nella zona. Non c'erano passanti, se non le guardie che sostavano di fronte al portone di legno pesante. Una di quelle lo vide e si avvicinò.
-Signore, l'accesso al palazzo di giustizia è interdetto a quest'ora.-
-Sono obbligato a domandarvi di spostarvi e lasciarmi entrare.- disse Yamamoto calmo, ma con un tono che non ammetteva repliche. -Se vi farete da parte non vi farò alcun male.-
-Signore, le ripeto che qui non può entrare nessuno.- fece l'uomo, portando la mano sul fodero della pistola appesa alla cintura. -Se ne vada subito e faremo finta che questa discussione non si sia mai fatta.-
Certo l'argomentazione sarebbe stata allettante per chiunque che in un colpo di testa si fosse azzardato a minacciare le guardie del palazzo di giustizia con una spada contro delle armi da fuoco, ma lui era Takeshi Yamamoto, suo malgrado un tesoro nazionale vivente del Giappone per la tecnica che custodiva, e di spade ne aveva due. Non aveva paura della resistenza armata.
-Vi chiedo scusa.- disse piano.
L'uomo di guardia sembrò credere di aver risolto la faccenda: fece un ghigno e lasciò il calcio della pistola, un grave errore di rilassatezza. Takeshi prese la spada di destra e senza sfoderarla ne affondò l'elsa nell'addome del sorvegliante. I suoi occhi strabuzzarono e boccheggiando si accasciò a terra. I suoi colleghi cominciarono a rendersi conto del pericolo e accorsero, ma erano scomposti anche nella corsa, pieni di aperture dove colpire e creare danni seri, carenti di equilibrio... fin troppo semplice per l'erede della Shigure Souen Ryu, abbattere avversari simili non richiedeva nemmeno sfoderare le armi. Yamamoto fece quattro passi soltanto. Quattro passi sicuri, stabili, e con movimenti fluidi come l'acqua e veloci come il fulmine colpì quattro guardie con la spada e il suo fodero. Un istante di assoluto silenzio, in cui attese immobile, e i nemici caddero a terra troppo doloranti per potersi rialzare velocemente. 
I suoi occhi castani si fissarono sull'ultimo uomo di guardia, con dei folti baffi color castagna, che gli puntava contro l'arma da fuoco, tremante. Terrorizzato il baffuto gli gridò di non muoversi, ma Takeshi non poteva obbedire, nemmeno davanti a un'arma. Mosse in avanti il piede, sollevò la spada e la sfoderò. La lama brillò di luce dorata riflessa dai fari che illuminavano il palazzo a cui stava dando l'assalto.
Accadde in un momento, in cui Yamamoto era tanto concentrato da non rendersi pienamente conto del rischio che correva. Scattò in avanti, schiacciandosi il più possibile nella corsa; dalla canna della pistola venne un'esplosione, un sibilo sinistro disse a Takeshi che il proiettile gli era passato a poca distanza dal lato sinistro della testa. Un lampo della spada, uno schiocco metallico, un grido. La pistola cadde lontano grattando sulla pietra. L'uomo baffuto cadde a terra tenendosi la mano come se non credesse di averla ancora attaccata al braccio, boccheggiando e tremando. I suoi occhi si alzarono sullo spadaccino.
-Chi... che cosa sei, tu?-
-Il figlio della Pioggia Insanguinata.-
Yamamoto alzò lo sguardo sul portone e vi trovò un uomo alto e muscoloso, dai capelli neri e occhi fissi su di lui con una brama che metteva paura. Indossava un'uniforme che non aveva mai visto, stretta, blu intenso, con delle protezioni su petto, spalle e giunture. Non ultimo, portava appese alla vita quattro lunghe, pesanti spade dalla lama dritta. Se come sembrava era uno spadaccino, non era sorpreso che avesse riconosciuto la sua tecnica, o che ricordasse quel nome.
-Sei Takeshi Yamamoto... solo il figlio della Pioggia Insanguinata potrebbe riuscire a sfidare con una spada una pistola puntata in faccia.- disse l'uomo. -Sei l'ultimo portatore della tecnica di spada più pericolosa al mondo.-
Yamamoto non ribattè, stava osservando quello che sarebbe stato il più ostico avversario sulla sua strada.
-Maggiore Genkishi, conoscete questo... quest'uomo?!- balbettò il baffuto, ancora a terra.
-Certamente, dovreste conoscerlo tutti di fama... è il tesoro nazionale vivente Takeshi Yamamoto, insignito di questo prestigioso titolo perchè unico custode della Shigure Souen Ryu... secondo alcuni, la tecnica di spada più letale del mondo, poichè da un erede all'altro evolve...-
Il disprezzo con cui parlava di lui e della sua tecnica rivelava la segreta gelosia che provava nei suoi confronti. Il guardiano, invece, sembrava non avere idea di che cosa stesse parlando l'uomo di nome Genkishi.
-Ti chiami Genkishi, è esatto?- domandò Yamamoto.
-Esatto.-
-Beh, maggiore Genkishi, ti stai sbagliando.-
-Cosa?-
Takeshi prese un profondo respiro e sfoderò la seconda spada, tenendole ben salde. Poteva essere la sua occasione, la sua redenzione. Aveva sperato di vivere abbastanza a lungo da trovare il coraggio di raccontare il suo più profondo segreto, le menzogne che aveva detto a tutti per proteggerlo... forse non avrebbe più avuto modo di dirlo ai suoi amici, ma poteva liberarsene comunque, in quella piazzetta, in quella notte...
-La Pioggia Insanguinata... questo nome è stato dato a mio padre in seguito all'uccisione spietata di sette membri della milizia nelle forze speciali, accaduta il 5 maggio di cinque anni fa.-
Come se avesse acceso un proiettore nella mente, a Takeshi apparvero i titoli dei giornali del cinque maggio di quell'anno, i servizi al telegiornale, la solitudine della sua casa vuota e le sue infinite lacrime... da quando era accaduto, solo una volta aveva ripercorso quel viale dei ricordi, il giorno in cui suo padre se n'era andato per sempre...
-L'Haido aveva messo gli occhi sulla nostra tecnica di spada, ma mio padre non vedeva di buon occhio quell'ideologia, e proibì a chiunque fosse un simpatizzante dell'Haido di mettere piede nel suo dojo.- raccontò Yamamoto, incapace di fermarsi proprio ora che aveva cominciato. -Provarono a intimidirlo in molti modi, ma lui continuò a rifiutarsi di insegnare la tecnica alle forze speciali.-
Solo marginalmente Takeshi si rese conto che le altre guardie si rimettevano sedute o in ginocchio, ma parevano essere molto più interessate ad ascoltare la sua storia che ad abbatterlo. Lo stesso Genkishi non gli toglieva gli occhi di dosso, quasi fosse sordo e dovesse leggere le sue labbra per capire.
-Alla fine, l'Haido minacciò mio padre di farmi arrestare con un pretesto qualunque, e lui cedette... acconsentì a insegnare la Shigure Souen Ryu a sette membri delle forze speciali già versati nell'arte della spada giapponese... ma fu un grosso errore... loro...-
Takeshi strinse con forza le sue spade, mentre violente ondate di dolore e rabbia in egual misura si agitavano nel suo petto, sembravano infrangersi contro le costole e tornare indietro, affliggendo il suo cuore, minando il suo respiro, e salivano a bruciare i suoi occhi.
-Loro... non ne erano degni... abusavano delle figure della Shigure Souen Ryu... per danneggiare le case, le automobili di persone che li infastidivano... una notte, la usarono per terrorizzare una donna, per poter abusare di lei... ma io... io ero lì.- fece Takeshi, la voce più simile che mai a un ringhio. -Io ero lì... diluviava, così intensamente che io non vidi mai il viso di quella donna, e lei non vide il mio, prima di scappare... e io... ho punito quei luridi maiali...-
Genkishi lo fissava, ma la sua espressione ora tradiva la sorpresa per quella rivelazione. Subito dopo, gli occhi di Yamamoto si offuscarono per le lacrime e non riuscì più a distinguere altro che le sagome degli uomini che aveva intorno.
-Io... io uccisi quegli uomini... anzi, li massacrai... li ho... feriti... accecati... mutilati... prima di ucciderli... ero pieno di una rabbia che non avevo mai provato prima nella mia vita... ma quella stessa notte, sul fare dell'alba, la polizia militare arrivò a casa, cercando l'assassino... erano gli studenti di Tsuyoshi Yamamoto, e l'unica testimone aveva visto un uomo con una spada... pensarono a lui.- raccontò Takeshi, con la voce soffocata dal nodo alla gola. -Mio padre... mio padre capì che ero stato io e confessò immediatamente... si fece arrestare... al mio posto... e subì l'onta di essere chiamato assassino... di essere... ritenuto responsabile di un massacro che io avevo compiuto...-
La voce di Takeshi sfumò, mentre le lacrime gli scivolavano sulle guance, e un inspiegabile sorriso si apriva suo malgrado sul suo viso. Faceva terribilmente male pensare al sacrificio di suo padre, alle conseguenze provocate dalla sua ira incontrollata, alle menzogne, ma ora che aveva detto tutto si sentiva meglio, più leggero. Dopo quella notte, che lui fosse vivo o no, tutto il Giappone avrebbe saputo la verità su suo padre... un buon padre, che aveva fatto di tutto per proteggere il suo unico figlio... tutto per un figlio ingrato che aveva mentito e nascosto la verità, accettato senza remore quel sacrificio, vigliaccamente. Quante bugie aveva detto ai suoi amici, ai conoscenti... dicendo che suo padre si era ritirato dagli affari e aveva deciso di godersi la vecchiaia, trasferendosi in un paesino sul mare, perchè l'aria salmastra avrebbe fatto bene ai suoi polmoni delicati... nascondendo a tutti che stava soffrendo nel carcere per oppositori politici. Nemmeno la sua morte, due anni dopo, l'aveva convinto a dire la verità: gli sguardi angosciati, orripilati dei suoi amici avrebbero solo reso tutto peggiore, e avrebbe perso la loro fiducia... nemmeno a Gokudera aveva mai detto la verità...
-Dunque... sei tu la Pioggia Insanguinata, e non tuo padre?- domandò Genkishi, scendendo i gradini di pietra, la mano sulla spada.
-È così... sono io... che avrei dovuto essere chiamato Maestro della Pioggia Insanguinata... e mio padre avrebbe dovuto essere il tesoro nazionale vivente... e invece io porto un titolo che non merito, e mio padre giace in una tomba senza nome nel carcere di Sekko...-
-Su una cosa siamo d'accordo.- disse Genkishi freddamente, estraendo due delle sue spade. -Tu porti un titolo che non meriti, Takeshi Yamamoto... ma questa notte ti ucciderò e te lo strapperò... e ti manderò a chiedere perdono a tuo padre.-
Se fosse stato un altro giorno, un altro stato d'animo, se a portarlo lì fosse stato un caso, se a dover essere salvato non fosse stato Gokudera, se qualcun altro fosse intervenuto, se un altro avesse potuto continuare la strada e salvarlo da una condanna certa al suo posto, forse Takeshi Yamamoto avrebbe accettato di finire tutto lì, ucciso in uno scontro da uno spadaccino. Una morte fin troppo onorevole per un vigliacco come lui, ma Genkishi non poteva avere idea di quanto gli pesasse portare quel titolo mentre suo padre giaceva in una tomba che non poteva nemmeno visitare, quanto dolore gli desse non potergli chiedere perdono per aver ceduto all'ira, per aver lasciato che si prendesse ogni colpa e morisse dopo inimmaginabili sofferenze. L'unico rimpianto che aveva in quel momento però, dopo la sua confessione, era non aver potuto dire la verità ai suoi amici di persona, non essersi fidato della loro amicizia, della loro buona fede.
Mentre Genkishi attaccava e le spade si incrociavano scintillando e sibilando, il corpo di Takeshi combatteva in una sorta di trance, affidandosi unicamente allo stile della Shigure Souen Ryu tanto amato dal padre, che l'aveva tradito solo per amore di un figlio. Nel clangore del metallo e la furia di una battaglia che solo dei veri spadaccini avrebbero potuto seguire con gli occhi, mentre il sangue colava dalle ferite che Genkishi gli apriva sulla pelle, Takeshi pensò alla famiglia che gli era rimasta. Avrebbe dovuto scrivere qualcosa in più, per Tsuna, che si sarebbe sentito in colpa perchè Iemitsu era stato indirettamente la causa della morte di suo padre... avrebbe dovuto ribadire di non sentirsi responsabile... avrebbe dovuto ringraziare Nagi per il sostegno che gli dava nella solitudine in cui si erano ritrovati insieme... avrebbe dovuto scrivere qualcosa a Mukuro, dirgli di continuare a combattere, di essere forte... e a Hibari, avrebbe voluto dire ciò che non aveva potuto in quel giorno di natale quando era disperato per il dolore e la morte che pensava di aver dato a Mukuro: che in realtà lui capiva che cosa significava condannare una persona amata a patire dolore e morire... e a Gokudera... non aveva scritto nulla a Gokudera, sicuro che sarebbe almeno riuscito a raggiungerlo, a parlargli di persona... non gli aveva nemmeno mai detto che lo amava davvero...
La spada sinistra di Genkishi affondò nel bicipite di Yamamoto strappandogli un grido di dolore, ma mentre lo spadaccino sorrideva con evidente soddisfazione Takeshi sferrò un fendente con la spada nella mano destra. Un sonoro clangore e la spada venne fermata.
-Arrenditi, Takeshi Yamamoto... potevi avere la meglio su un gruppetto di sciocchi presuntuosi, ma io sono un vero spadaccino... il migliore spadaccino del Giappone, anzi, del mondo intero!-
La vista di Yamamoto si stava annebbiando, sentiva nelle sue orecchie, incredibilmente forte, il proprio respiro affannoso. La voce di Genkishi veniva da così lontano che faticava a capire che cosa stesse dicendo, e lo capì solo dopo un lasso di tempo che gli parve molto lungo. Come se a lui fosse importato di essere il migliore al mondo, a lui importava soltanto di portare Gokudera via di lì, che importava se per farlo avesse perso un arto?
Improvvisamente più lucido, Takeshi guardò la lama che ancora gli trafiggeva il braccio da una parte all'altra. Giusto, che gli importava? Era soltanto un braccio... un piccolo prezzo da pagare per la persona che amava più di qualunque altra.
Diede un violento strattone, la lama recise la carne con un sinistro fiotto di sangue che schizzò sulla pietra dell'ingresso, e la spada giapponese di Yamamoto saettò dal basso in alto. La punta brillò rossa come un rubino e schizzi di sangue caldo colpirono Takeshi in faccia, costringendolo a chiudere gli occhi. Indietreggiò, lasciò cadere entrambe le spade e si strofinò la faccia con la manica del kendogi più in fretta che potè. Quando riuscì ad aprire un occhio, Genkishi era a terra, le braccia larghe, le spade abbandonate e uno squarcio diagonale sul petto che continuava a colare sangue. I suoi occhi, di un particolare color ambra, fissavano il vuoto sopra di lui. Yamamoto raccolse la spada con il braccio destro, l'unico che riuscisse a muovere, e si trascinò verso l'avversario. Gli bastò guardarlo da vicino per capire che il suo nemico era sconfitto.
Si voltò e si sorprese di vedere quante persone stessero osservando: le guardie che erano di nuovo tutte in piedi ma nessuna lo minacciava con le armi, alcuni ragazzi che dovevano essere passanti, un anziano signore che lo fissava sbalordito tenendo ben saldo il guinzaglio di un cagnolino, persone che si sporgevano dalle finestre delle case vicine. Il fracasso della battaglia doveva aver attirato parecchio l'attenzione...
Takeshi gemette a una fitta del suo braccio, che non osava guardare per verificarne le condizioni. Con fatica, ripose una delle spade nel fodero con la mano destra e poi raccolse l'altra, barcollando in direzione del portone. Con suo grande sollievo, nessuno accennò a fermarlo e potè entrare.
Sanguinava copiosamente e lasciava una scia di gocce di sangue sul pavimento bianco. Non conosceva il palazzo di giustizia di Edo, ma si rese conto con sorpresa che la sua piantina era molto simile a quella del palazzo di Namimori. Non gli fu difficile trovare le giuste indicazioni; doveva scendere nel seminterrato per trovare i detenuti. Più difficile fu scendere le scale: barcollò più che mai giù per i gradini reggendosi più forte che riusciva al corrimano. Infine raggiunse il piano dove una serie di celle si aprivano su un corridoio chiuso da una porta automatica. Non c'era nessuno di guardia e si chiese se il sorvegliante non fosse uno degli uomini che erano fuori a guardare il suo scontro con Genkishi. Ansimando, si sporse per premere il pulsante e la porta scattò. All'interno sentì dei passi e rinfrancato all'idea di stare per rivedere Gokudera, entrò con rinnovata energia.
-Gokudera? Gokudera!-
-Yamamoto?-
Ed eccolo lì: Gokudera era nella cella di sinistra, scarmigliato come ci si aspetta da qualcuno che si è appena alzato dal letto. Era incredibilmente pallido, ma non appena lo vide sorrise ampiamente. Solo quella vista lo ripagava del tremendo dolore al braccio.
-Sono venuto a portarti via... su, esci...-
-Yamamoto! Ma che cosa ti è successo?! Stai sanguinando!-
-Mi sono fatto strada con persuasione e pacatezza, come sempre...- ribattè Yamamoto in un eroico tentativo di ironia, nonostante il tono debole. -Sto bene, non ci pensare... andiamo, forza...-
Aprì la cella con un cigolio e allungò la mano prendendo quella di Gokudera, ma non fece in tempo a comprendere che cosa gli stesse dicendo. Udì solo uno scoppio riecheggiare nel seminterrato, un acuto dolore alla schiena e Yamamoto cadde in avanti. L'ultima cosa che riuscì a sentire fu la voce di Gokudera che gridava il suo nome.

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Capitolo 60
*** Amore e gloria ***



-YAMAMOTO!-
Gokudera si gettò in ginocchio e girò Yamamoto sul fianco. Aveva gli occhi semiaperti, ma erano vacui. Preso da un terrore indicibile, mai provato prima, lo scosse e lo chiamò più volte. Era quasi sull'orlo dell'isterismo quando gli occhi di Takeshi tornarono presenti, si mossero esplorando tutt'intorno e poi si fissarono su di lui. Lui sorrise appena e aprì la bocca per dire qualcosa, ma ne uscì solo un inquietante gorgoglio accompagnato da sangue. Gokudera perse il poco colore che aveva in viso.
-N-no...-
-Yamamoto Takeshi, avresti fatto meglio ad accettare il mio invito quando ti ho chiesto di arruolarti tra i miei uomini.-
Gokudera alzò per la prima volta la testa verso l'uomo che aveva sparato, che fino ad allora aveva completamente ignorato, e si sorprese di sapere esattamente chi era: Kikyo, il braccio destro di Byakuran, l'uomo che era con Hibari il giorno in cui erano stati arrestati nella villetta di Namimori, la figura che passeggiava sullo sfondo ogni volta che Byakuran faceva proselti o trasmetteva comunicazioni in televisione. L'uomo che era insieme a lui il giorno in cui aveva tentato di ucciderlo con una freccia dal tetto di un palazzo a Namimori. La rabbia montò dentro di lui come magma ribollente.
-Beh, probabilmente anche tu hai fatto la tua parte in questa storia, vero, Yamamoto? Senza farti accorgere, senza che nessuno sospettasse di te... forse siamo più simili di quanto pensassi.-
Gokudera non aveva idea di che cosa stesse dicendo Kikyo, né gli importava, sapeva solo che quell'uomo spregevole aveva appena sparato alle spalle a Yamamoto e puntava contro di loro una pistola semiautomatica cromata, diversa dalle armi d'ordinanza in dotazione alla milizia. Tutto ciò che non era dedicato a pensare a come evitare che gli scaricasse addosso tutto il caricatore, era concentrato su Yamamoto che perdeva troppo sangue. Gokudera si strappò un lembo della maglietta e tentò di chiudere almeno la ferita al braccio.
-Non darti troppa pena, Gokudera, nessuno di voi due sopravviverà a questa notte.-
-Ha bisogno di un medico!- sbottò lui. -Io resterò qui, ma lui ha bisogno di aiuto! Morirà se non vede un medico subito!-
-Non ho alcuna intenzione di salvarlo.- rispose freddamente Kikyo. -Se in questo gioco ci sono delle pedine ombra dalla parte di Mukuro, voglio assicurarmi di eliminarle. Non posso rischiare.-
-Ha... yato...-
Gokudera voltò la testa e guardò Yamamoto, che gli strinse debolmente la mano, forzando un sorriso.
-Sapevo... di rischiare la morte questa notte...- e si interruppe per un violento singhiozzo che gli fece perdere altro sangue vischioso dalla bocca. -Mi... mi dispiace... di non essere... riuscito a salvarti...-
Gli occhi verde chiaro di Hayato si riempirono suo malgrado di lacrime mentre stringeva la mano di Yamamoto. Quanti errori aveva fatto nella sua vita, quante volte aveva scelto per il peggio, dando retta sempre agli istinti del momento... gli sembrava di finire sopraffatto dal peso dei suoi sbagli, che avevano portato a questo... se non avesse lasciato Mukuro, se non avesse tentato follemente di uccidere Byakuran... o almeno, se fosse riuscito, allora...
-È colpa mia! Tutta colpa mia, se solo fossi riuscito... se solo, almeno, avessi colpito Byakuran...-
-Pensi che sarebbe cambiato qualcosa, Gokudera Hayato?-
Gokudera guardò Kikyo, sfocato attraverso le lacrime che gli bagnavano gli occhi.
-Che vuoi... Byakuran è la causa di tutto! Tutto quello che ci è successo!-
-Oh, sì, un uomo del genere è proprio il capro espiatorio ideale, concordi?-
Uno strano sorriso apparve sul bel volto del capitano.
-Tuttavia penso che la fonte delle vostre disgrazie sia io.-
-Cosa... che significa?!-
-Byakuran è un uomo incredibilmente intelligente, ma le sue pulsioni sono le stesse che avrebbe un bambino... una volta capito qual è il suo punto debole, è semplice manipolare le sue decisioni... vale anche per il vostro amico Hibari Kyoya... era talmente solo dopo la sparizione di Rokudo Mukuro, così aggrappato a Tanaka Saeki, l'unico che gli fosse vicino e che lo ammirava, che è stato semplicissimo convincerlo a darmi Rokudo Mukuro, bastava minacciare Tanaka...- disse, sorridendo di più. -E poi, una volta che l'ho preso, ho fatto in modo che Rokudo Mukuro finisse al Sekko, nelle mani di Byakuran... ero sicuro che gli sarebbe piaciuto subito... Mukuro assomiglia in maniera impressionante a sua madre... la madre di Byakuran... lui l'amava così tanto e la trovava così bella che non avevo dubbi che si sarebbe gettato su di lui.-
Gokudera trovava quella storia talmente ridicola che non potè fare a meno di ridere sprezzante. Kikyo inarcò le sopracciglia e sparò un colpo a pochi centimetri dalla sua gamba.
-Byakuran era così intelligente che poteva vincere la borsa di studio, sparire in America e laurearsi al MIT per poi non tornare mai più, voltare pagina per sempre... non lo fece solo perchè non riusciva a separarsi da sua madre, nonostante lei non lo avesse mai amato e gli scaricasse la colpa della sua vita disastrata... probabilmente, è l'unica persona al mondo che Byakuran sia mai riuscito ad amare veramente. Per la ragione più ovvia: lei gli aveva dato la cosa più preziosa, la vita.-
-Stai dicendo un mare di puttanate! E poi, anche io amavo mia madre, ma non mi porterei a letto qualcuno solo perchè le assomiglia, mentecatto!-
-Nemmeno io, ma Byakuran è diverso. Lui non ha avuto uno sviluppo normale, il suo concetto di amore è diverso... e per avere l'amore da una madre che non lo voleva era più che disposto a farsi amare da un surrogato... surrogato che ho trovato molto fortunatamente proprio nel nemico dello stato... e poi, ero certo che gli sarebbe piaciuto, perchè l'aveva già dimostrato.-
Gokudera, anche se ascoltava Kikyo, cercava disperatamente una via di fuga, ma non c'erano. Decise che l'unica cosa che poteva fare era cercare di far parlare Kikyo il più a lungo possibile, in attesa di un aiuto qualsiasi dall'esterno. Non sembrava un'impresa difficile: il capitano sembrava non desiderare altro che parlare.
-In che senso?-
-Byakuran e Mukuro si erano incontrati molto prima di essere prigioniero e carceriere... mi stupì che nessuno dei due lo ricordasse.- fece Kikyo, come se le parole fossero troppo difficili da trattenere, come se non avesse sperato in altro che in un'occasione per raccontare quanto subdolo e perfetto fosse il suo controllo segreto. -Quando Byakuran non era ancora il capo del Sekko, io ne ero supervisore esterno. Lo visitavo spesso, e lui mi riveriva. Ha sempre avuto un atteggiamento untuoso con gli uomini di potere... alla fine, non so come, ci trovammo a legare. Forse perchè a me faceva pena che lui passasse il suo tempo a raccogliere arti staccati o pulire sangue da terra mentre io avevo fatto una comoda accademia, o perchè entrambi avevamo avuto dei padri insoddisfacenti, non lo saprei dire... ma diventammo qualcosa di simile ad amici. Prendemmo a frequentarci fuori dal lavoro. Byakuran amava i dolci, quindi un suo giorno libero mi raggiunse a Namimori e lo portai in una delle poche caffetterie che ancora serviva la cioccolata... il caso volle che in quel periodo Rokudo Mukuro lavorasse proprio lì. Ci servì lui, quel giorno.-
Nonostante l'angoscia, Gokudera riuscì a provare stupore alla notizia.
-Avevo notato con quale interesse l'aveva guardato, se c'è una cosa che Byakuran non è capace di nascondere è il suo desiderio sessuale... che venne offuscato dalla cioccolata.- esalò Kikyo esasperato, scuotendo la testa. -A volte Byakuran è peggio di un bambino... ma era scoccata una scintilla, e io sapevo di poterla usare... dopo tanto tempo, quando vidi Mukuro sul canale dodici, mi ricordai di lui e capii che potevo usare la scintilla di quel giorno per i miei scopi...-
-E quali sarebbero questi scopi?-
-Fui io a suggerire a Byakuran il modo in cui salvare la vita a Mukuro dopo la fustigazione... mi serviva che la sua ossessione restasse viva e intensa...- proseguì Kikyo, sembrava non aver nemmeno ascoltato la domanda di Gokudera. -Volevo diventare generale senza sporcarmi le mani... così introdussi Byakuran nella cerchia del salotto dei capitani e aspettai l'occasione... che si presentò quando il Ministro torturò la cameriera costringendola a ustionarsi la mano. Lasciai la porta sul retro aperta e come immaginavo Haru Miura uscì per cercare sollievo nella neve fresca... Tsunayoshi la trovò e la portò in casa... confidavo che il ragazzino le avrebbe ispirato fiducia, che lei gli avrebbe detto tutto e avrebbero riferito a Iemitsu...-
Gokudera non disse nulla, ma nella sua mente affiorò quel nome: Tsuna gliel'aveva detto, nella stanza al quinto piano dell'Hiroshige... ecco che cosa era davvero successo a quella ragazza...
-Andò proprio così, e Iemitsu ascoltò i suoi figli! Era fatta, la rottura era stata innescata, non restava che aspettare la reazione... che arrivò quello stesso giorno! Iemitsu Sawada iniziò a sospendere le procedure giudiziarie, voleva convocare la corte marziale per gli ufficiali che si fossero dimostrati violenti o corrotti, e come me Byakuran era presente, era il primo nella lista degli ufficiali violenti!-
Kikyo diede in una risata e si tirò indietro i lunghi capelli con la mano. Sembrava fuori di sé dalla gioia.
-Non potevo credere che andasse tutto così liscio... chiamai Byakuran e gli dissi che cosa stava succedendo, che doveva venire immediatamente a Namimori... e lui mi diede ascolto... arrivò in uno stato di incredibile agitazione. Conoscendolo come lo conosco, sapevo che se non si fosse calmato avrebbe reagito in modo violento... e quando Iemitsu gli comunicò le sue decisioni, quando gli disse che la sua carriera era finita, Byakuran agì secondo i miei più ardenti desideri e sparò a Iemitsu... ma questo lo sai già, Gokudera Hayato... sei stato incastrato per quell'omicidio da noi due... io sapevo che portavi un braccialetto che non ti era stato sequestrato perchè non metallico e non pericoloso...-
-Tu!- sibilò Gokudera, ribollendo di nuova ira bollente.
-Proprio io, Gokudera Hayato, proprio io... io ho usato Byakuran come una marionetta inconsapevole... volevo essere generale, ma non volevo certo sparare a Iemitsu o andare a letto con dei ragazzini... così ho lasciato che lo facesse Byakuran... si è ingraziato Tsunayoshi, ha ricattato chi doveva, ed è diventato generale... ma per poterlo manipolare dovevo sempre tenerlo in tensione... per questo la stessa notte in cui ha ucciso Iemitsu io ho ordinato di creare un diversivo e ho incaricato un guardiano di portare via Mukuro in segreto... ma per pura casualità, Hibari Kyoya era lì per cogliere l'occasione.... che ha giocato a mio favore: Hibari Kyoya era fuori dai giochi per la nomina del nuovo generale, e l'uomo che avevo pagato era morto e non poteva più tradirmi... e ora avevo due modi di controllare le emozioni di Byakuran: la sua ossessione per Mukuro e il suo odio per Hibari Kyoya... molto conveniente...-
Più lo ascoltava parlare, meno riusciva a crederci: era veramente riuscito a pianificare tutto questo? C'erano veramente delle pedine ombra in quella partita strategica, pezzi che non potevano essere visti, ma che cambiavano la posizione di tutte le altre senza che ci si accorgesse della loro presenza? Se era così, allora Kikyo doveva essere un manipolatore migliore persino di Byakuran... aveva raggirato anche il Demone Bianco...
-Anche la tua condanna è una mia mossa, Gokudera... volevo che quello scarafaggio di Mukuro saltasse fuori, che colpisse... e ho ottenuto quello che volevo...-
-Cosa? Mukuro... Mukuro è qui?-
-No, non è qui.- disse Kikyo sorridendo. -Ma Byakuran è in riunione segreta al palazzo del governatore... per nuove informazioni, pare... ma è una trappola, non è vero? Yamamoto è venuto qui per salvarti, mentre Mukuro e i suoi andranno dritti dal generale per farla finita... lo uccideranno questa notte... poi, io ucciderò loro... diventerò generale al posto di Byakuran, e dato che avrò ucciso i terroristi che lo hanno eliminato, sarò soltanto io... sarò tutto quello che né Byakuran né Hibari Kyoya sono riusciti a diventare... generale dell'Haido ed eroe del Giappone!-
-Tu... tu sei un pazzo! Byakuran non è tuo amico?! Perchè l'hai fatto?!-
-Possibile che provi compassione per Byakuran? Tu, che lo odii forse più di chiunque altro?-
-Io non... non è una risposta!- sbottò Gokudera.
-Byakuran non è mio amico più di quanto io non sia il suo... se mi fido di lui? Sì, a me non mentirebbe mai, non farebbe mai qualcosa senza dirmelo.- disse lui senza l'ombra di esitazione. -Ma non mente nemmeno quando dice che calpesterebbe il mio cadavere per qualcosa che vuole davvero. Lo stesso farei io... lo stesso farò io.-
Kikyo prese più accuratamente la mira contro Yamamoto, ancora sdraiato a terra e tremante.
-No!- urlò Gokudera, tentando di proteggerlo con il proprio corpo. -Non ucciderlo! Lui non è una minaccia per te, non può fare niente per fermarti!-
-Tu lo sottovaluti, Gokudera Hayato... se il giorno dei bambini avessi cercato il suo aiuto non solo Byakuran, ma anche io e gli altri due guardiani saremmo morti in una manciata di secondi, e sarebbe tutto finito... invece lo hai escluso, pensando di potertela cavare da solo, e guarda qual è il risultato che hai ottenuto.-
Gokudera lanciò uno sguardo afflitto a Yamamoto. Ovviamente Kikyo aveva perfettamente ragione: se lo avesse convinto, avrebbe avuto dalla sua un alleato potente, e potevano spazzare via i vertici dell'Haido in un attimo, senza che nessuno lo scoprisse... ma ancora una volta doveva biasimare la sua ostinazione...
-Mi dispiace, Takeshi...- gli sussurrò, mentre altre lacrime gli rigavano le guance. -Perdonami...-
-Io... ti amo.- disse Yamamoto con un filo di voce, ma con il sorriso ancora sul volto.
-Dovresti imparare a usare le risorse alla tua portata, Gokudera Hayato... ricordalo per la tua prossima vita.-
Gokudera si chinò sul petto di Yamamoto, incapace di fare altro che stringerlo disperatamente e cercare di soffocare i singhiozzi. Strinse gli occhi e attese la fine, chiedendosi per la prima volta in vita sua se ci fosse davvero qualcosa dopo la morte, un posto dove avrebbe potuto vedere ancora Yamamoto.
Seguirono uno, due, tre colpi, ma non arrivò nessun impatto, nessun dolore. Il corpo di Takeshi non ebbe alcun sussulto. Sentì un tonfo e dei passi e solo allora si decise a riaprire gli occhi.
Kikyo era a terra, immobile. Un rivolo di sangue fuoriusciva da sotto il suo corpo, ma non riusciva a capire dove fosse la ferita. Un uomo con un completo scuro e il cappello calato sugli occhi lo scavalcò con somma indifferenza e accorse da loro, chinandosi su Yamamoto.
-Re... Reborn!-
-È stato colpito?-
-Io... sì... alla schiena, credo... ma era già ferito quando è arrivato qui...-
-Lo immaginavo, ha combattuto Genkishi, un abilissimo spadaccino... Dino Cavallone lo ha affrontato sulla banchina del porto la mattina in cui vi abbiamo salvato la vita, ricordi?- fece Reborn in tono sbrigativo, prima di prendere il cellulare. -Serve con urgenza un supporto medico al palazzo di giustizia... ferite da arma da taglio multiple, proiettile nella schiena.-
-Mh... non... suona molto bene... vero...?- fece Yamamoto debolmente, e diede in una risata che somigliava molto più a dei secchi colpetti di tosse.
-Non parlare! Guarda che non è uno scherzo, potresti... potresti...-
Ma la parola "morire" restò impigliata nella gola di Gokudera, non riusciva a pronunciarla. Si rese conto per la prima volta di quante parole terribili si tendeva a usare per parlare di cose semplicissime, ordinarie: "stavo per morire di caldo"... "preferirei tagliarmi un braccio che guardare quel film di nuovo"... non ci si figura mai l'orrore di cosa significhi avere un braccio quasi amputato, o vedere tutto quel sangue, o il terrore che si prova vicino a una persona che sta per morire...
-Noi... ci conosciamo?- domandò poi Yamamoto, guardando Reborn.
-Mi chiamo Reborn... sono... diciamo, un coordinatore. Io dirigo un'organizzazione chiamata Arcobaleno, radicata in quasi ogni paese del mondo.-
-Arcobaleno...?-
-Riceviamo centinaia di richieste di ogni genere ogni giorno, da persone comuni, personaggi famosi, capi di stato... noi siamo qui da quasi un anno, per assolvere un incarico che abbiamo accettato.-
-Che... genere di incarico?-
-Iemitsu Sawada ci chiese di osservare il regime che si era venuto a creare in Giappone. Di controllare la condotta degli ufficiali e dei ministri, quello che facevano quando lui non guardava da quella parte. Per lo più me ne sono incaricato io, ma avevo qualcuno ai servizi interni e nelle forze speciali.- spiegò lui. -La richiesta di Iemitsu era questa... temeva che il regime fosse sfuggito al suo controllo, che con il tempo sarebbe stato controllato da quello anzichè essere lui a governarlo... ci chiese assistenza e protezione, nel caso avesse incontrato ostacoli nel tornare sulla giusta strada, ma purtroppo per la nostra negligenza lui venne ucciso.-
Reborn scoccò un'occhiata feroce al corpo di Kikyo e Gokudera si voltò nella stessa direzione: si rese conto che il braccio si muoveva a tentoni, come a cercare l'arma che aveva perso, che però era diversi metri più distante da quel punto.
-Come risarcimento simbolico a Iemitsu, abbiamo deciso di fare quello che era possibile per abolire l'Haido e proteggere suo figlio da qualsiasi effetto collaterale, compresa la perdita di persone importanti per lui.-
-Per questo... per questo ci siete venuti a salvare, al porto!-
-Certamente. Non eravate in grado di tenere testa ad avversari simili, dovevamo intervenire... la missione è più importante della segretezza. Almeno, questa missione lo è.-
-Reborn, tu sai dove si trova Mukuro?-
-Certamente. Stiamo per dare l'assalto al palazzo del governo... Mukuro ha deciso di ascoltarti e di deporre Byakuran con la forza.-
Gokudera sentì una strana sensazione al petto, ma prima che riuscisse a riconoscerla come un misto di orgoglio, commozione e felicità, un gruppetto di uomini in camice bianco entrarono nel corridoio. Reborn si alzò e indicò Yamamoto.
-Lui, lui, prima lui... quell'altro dopo, se c'è tempo. Non è importante.-
Yamamoto lanciò uno sguardo intenso a Gokudera, prima di venire accerchiato da medici e issato su una barella. Gokudera capì anche senza parole che cosa volesse. Afferrò il braccio di uno dei medici, che riconobbe come uno degli uomini che avevano militato a Kokuyo per Mukuro.
-Ha bisogno di aiuto? È ferito?-
-Si occupi di quell'uomo adesso.- disse Gokudera, accennando a Kikyo con la testa. -Takeshi... voglio dire, Yamamoto non sopporterebbe di sopravvivergli sapendo che sono state prestate cure solo a lui.-
Il medico non chiese altro e andò da Kikyo, controllando i suoi segni vitali. A lui però non interessava, lui non era come Takeshi... anzi, in quel momento avrebbe voluto controllare di persona se il capitano era vivo e strangolarlo con le sue stesse mani. Reborn gli mise la mano sulla spalla.
-Devo tornare da Mukuro... tu invece devi andare via con Yamamoto.-
-Ma io sto bene, posso aiutare Mukuro!-
-Gokudera... Mukuro sapeva che avresti voluto, e mi ha detto di dirti una cosa, nel caso ti avessi incontrato stanotte... suggestivo come sappia quasi tutto, vero?- fece Reborn abbozzando un sorriso. -Il suo messaggio è: per una volta, sii egoista. Resta con la persona che vuoi vicino e non pensare a cosa è giusto fare.-
Gokudera restò spiazzato. Era la stessa cosa che gli aveva rimproverato Tsuna: di essere sempre nel posto sbagliato, ad aiutare qualcun altro, invece che vicino a chi doveva. Scambiò un'occhiata con Reborn, poi seguì i medici di sopra. Questa volta avrebbe seguito il consiglio e sarebbe rimasto con la persona che più aveva bisogno di aiuto. Se davvero un'organizzazione mondiale avrebbe affiancato i ribelli, quella notte Mukuro aveva già tutto il sostegno di cui aveva bisogno.


Hibari, seduto sopra un'anonima cassa di metallo in un vicolo, si sbattacchiava nervosamente un tonfa contro la gamba, lanciando lo sguardo da un alleato all'altro. Nessuno ricambiò il suo sguardo, impegnati in discussioni a bassa voce, alcuni erano tutti presi con le armi. Dino stava appoggiato alla parete di fronte a lui, teneva gli occhi chiusi e stringeva qualcosa in mano: dal suo pugno serrato scendeva una sottile cordicella di cuoio. Non potè fare a meno di chiedersi se stesse pregando.
All'imboccatura del vicolo, lo sguardo che andava dal palazzo del governatore al lontano orologio della stazione, stava Mukuro. Era lì, da solo, immerso nei suoi pensieri, pesantemente appoggiato all'arma che gli avevano reperito: un alto ed elaborato tridente dalle punte affusolate che aveva fatto tanto divertire Dino alla sola vista, facendo venire in mente a tutti Nettuno, il dio del mare.
-Hai i capelli troppo lunghi.- disse una voce femminile molto, molto familiare, alle sue spalle.
Hibari si voltò sapendo già chi avrebbe trovato, ma non rese quell'incontro meno sorprendente: la sua capitana ai tempi del tirocinio ai servizi interni, Lal Mirch, era in piedi davanti a lui, con la stessa cicatrice di sempre sul lato del viso e molto più nuda di come l'avesse mai vista. Indossava calzoncini corti e una canottiera che le lasciava il ventre scoperto, sotto una specie di mantello.
-Che cazzo guardi, finocchio?-
-Ni... niente.- ribattè lui subito, ma poi la vide accennare un sorriso. -Cosa... cosa fai qui?-
-Faccio parte anche io degli Arcobaleno.- rispose lei. -Devi fare qualcosa per quei capelli. Ti copriranno la visuale mentre combatti, sono un punto debole che può essere afferrato per colpire la testa. Non ti hanno insegnato niente in accademia?-
-Reborn è in ritardo.- disse all'improvviso Mukuro, uscendo dal suo isolamento. -Che cosa è successo?-
Ma nessuno ebbe il tempo di rispondere: Reborn era di ritorno. A Mukuro non sfuggì il polsino della sua camicia con delle macchie di sangue.
-Cos'è successo?-
-Nulla di cui tu ti debba preoccupare in questo momento.- rispose Reborn tranquillo. -Devi solo sapere che Gokudera è al sicuro e il braccio destro di Byakuran è già caduto. Come avevi previsto, mi pare.-
Hibari guardò i due uomini senza capire di che cosa stessero parlando. Gokudera era stato salvato? Da chi? E cosa ci faceva Kikyo al palazzo di giustizia a quell'ora di notte? Che cosa Mukuro aveva previsto? Non ne aveva idea.
-Signori, diamoci una mossa... Lal, tu e Colonnello controllate i cecchini e coprite l'area intorno al palazzo come vi ho illustrato. Mukuro, tu devi entrare, evitare tutti gli scontri che puoi e andare dritto da Byakuran. Hibari, devi seguirlo il più vicino possibile, aprirgli la strada. Noi impediremo che altri entrino prima che sia tutto finito.-
-Cosa facciamo per l'allarme? Gli basta premere un bottone e tutta la milizia di Edo sarà qui.-
-Non è un problema, quell'allarme non si accenderà. Byakuran ha ben due nostri alleati tra i suoi. Uno della sua task force è già caduto, e su altri due abbiamo un vantaggio naturale. Seguite il piano e abbiate fiducia.-
Hibari non disse nulla, anche se vedeva qualche falla nel piano. Mentre gli altri si disperdevano, Mukuro avanzò con passo incerto verso l'edificio. Hibari lo seguì. Doveva cercare di non perderlo di vista, per quanto possibile. Non era in grado di combattere, lo sapevano tutti, riusciva a malapena a stare in piedi... se non faceva il suo dovere con attenzione, Mukuro rischiava di non camminare mai più...
Successe tutto all'improvviso. Senza che nessun suono lo preannunciasse, nel silenzio completo, il portone del palazzo si spalancò e ne uscirono una decina di militari, capitanati dal maggiore Sasagawa. Mukuro si bloccò di colpo e indietreggiò di un passo finendo addosso a Hibari. Lui lo afferrò per le spalle.
-Non ti preoccupare, Mukuro, a lui penso io... tu superaci. Ti raggiungerò.-
-È la resa dei conti, Rokudo Mukuro!- urlò Sasagawa da diversi metri di distanza. -Ti avevo avvisato che sarebbe stata l'ultima occasione per consegnarti senza farti male!-
Mukuro non disse niente e marciò alla massima velocità che la ferita gli consentisse per superare l'ostacolo. Hibari pregò silenziosamente un dio della guerra e lanciò contro Sasagawa la sottile catena legata ai suoi tonfa, che si avvolse attorno al suo braccio impedendogli di lanciarsi all'inseguimento del suo bersaglio.
-Io sono l'uomo che cerchi, Sasagawa.- gli disse Hibari. -Sono stato io a sparare a quegli uomini nel garage del carcere di Sekko nel tentativo di far evadere Mukuro... lui non ha ucciso nessuno.-
-Sei stato tu?- sibilò Sasagawa fissandolo, del tutto dimentico di Mukuro. 
-Sì, sono stato io... e... mi dispiace.- aggiunse doverosamente lui. -Io... l'ho fatto per salvare la persona che amo... nel... panico del momento, credevo fosse l'unica soluzione.-
-Io non posso accettare le tue scuse anche se fossero sincere!- esclamò Sasagawa, strattonando la catena con vigore. -Con che coraggio guarderei mia moglie, sapendo che ho lasciato passare incolume l'uomo che le ha tolto il padre? Spero tu capisca la mia posizione!-
Certo che lo capiva: se qualcuno avesse ucciso il padre di Mukuro, o una persona importante per lui, come avrebbe potuto accettare di lasciar correre e accettare di perdonare? A quanto pareva lo scontro era inevitabile, ma doveva cercare di sbarazzarsene in fretta. L'incolumità di Mukuro dipendeva da lui.
Sasagawa strattonò la catena costringendolo a fare un passo in avanti e si lanciò contro di lui per colpirlo con le micidiali mani avvolte di guanti con nocchiere metalliche, ma prima che riuscisse a difendersi accadde qualcosa che lo lasciò senza parole. Tra i due uomini comparve, apparentemente dal nulla, una figura alta e scura. 
Adelheid Suzuki frappose il suo ventaglio di lame di metallo chiuse fra sè e il pugno del maggiore. Uno schiocco secco annunciò la rottura di una delle lame, la forza dell'impatto spinse la ragazza all'indietro. Istintivamente Hibari allargò le braccia e cercò di frenarne la caduta, inutilmente: rovinarono entrambi all'indietro sulle pietre dello spiazzo. Una fitta di dolore alla bocca preannunciò il sapore ferroso e salato del sangue. Hibari si toccò il labbro: la testa di Adelheid gli aveva aperto una ferita al labbro inferiore.
-Suzuki... che cosa diavolo...-
Adelheid Suzuki sembrava stordita dal contraccolpo, scosse piano la testa mettendosi in ginocchio. Alzò gli occhi dalla sfumatura rossa su Hibari.
-Stai bene, Kyoya?-
-Suzuki, che cosa diavolo ti è saltato in mente?!- sbottò lui, scioccato e confuso. -Perchè hai... che diavolo fai?!-
-È per amore che lo fai... non è vero?-
Era decisamente l'ultima domanda che si aspettava in una situazione simile, da lei, soprattutto. Era così perplesso che non riuscì a risponderle. Lasciò vagare lo sguardo e vide Sasagawa, immobile, che la guardava sorpreso quanto lui.
-Se tutti... ci muovessimo soltanto per amore... sarebbe un mondo migliore... no?- proseguì la ragazza, come se Hibari le avesse confermato tutto. -Voglio... voglio farmi perdonare... per averti attaccato... per non aver capito...-
Adelheid si rialzò sui suoi vertiginosi tacchi a spillo e controllò lo stato del suo ventaglio: aveva tre lame spezzate di netto a metà. Il suo sorriso scomparve e fissò lo sguardo sul maggiore.
-Seguilo... proteggilo... io proteggerò te...-
-Suzuki...-
Hibari era decisamente sconvolto, anche se erano usciti insieme era stato un tale fiasco, una serata così silenziosa che non l'aveva invitata più. Non aveva mai pensato che quella bella ragazza si fosse aspettata un altro invito, che provasse qualcosa... qualcosa che almeno in parte aveva resistito per anni. Si rialzò intimandosi di non manifestare la commozione che provava in quel momento. Passandole accanto le sfiorò la schiena.
-Grazie.-
Hibari corse via, in mezzo a corpi di militari storditi a terra, con la voce di Sasagawa che gridava il suo nome come se la forza del suo urlo potesse trattenerlo. Non appena ebbe raggiunto la porta, Dino e Fon, un uomo che militava negli Arcobaleno, si piazzarono alle sue spalle pronti ad arginare eventuali rinforzi in entrata. Hibari scartò e si mise in posizione per affrontare l'uomo dai capelli biondi che stava sopraggiungendo, lo stesso che aveva visto arrestare Gokudera al porto, ma lui fumava e camminava con aria indifferente.
-Vai pure. Non ho intenzione di farmi coinvolgere per salvare il culo di Byakuran.-
Sempre più perplesso per come si stavano mettendo le cose, Hibari corse via. Non aveva idea di dove Mukuro fosse andato, non sentiva niente dentro il palazzo, passi o voci. Si lanciò su per la scalinata.
-Mukuro!- chiamò, sempre più agitato. -Mukuro! Dove sei?-
-Qui!-
Hibari salì le scale più in fretta che potè verso la voce che riecheggiò nei corridoi vuoti e silenziosi. I suoi passi sembrarono moltiplicarsi all'infinito, ma quando arrivò di sopra non vede nessuna traccia di Mukuro. Fece qualche passo guardandosi intorno. Il corridoio era pieno di porte chiuse su entrambi i lati. Si era nascosto dietro una di quelle? Ne spinse una a caso, ma era chiusa a chiave. Provò quella accanto e si aprì, ma non fece in tempo a vedere che stanza fosse: un forte dolore al fianco gli fece sfuggire un gemito, il suo corpo si irrigidì innaturalmente per qualche istante, poi crollò sul pavimento di marmo freddo, stordito. Nel suo campo visivo sfocato galleggiò un viso, sempre più vicino, sorridente. Un viso dai capelli bianchi, con pelle chiara e occhi viola.
-Guarda chi si rivede, Hibari Kyoya kun... e sei tutto solo stavolta...-
Hibari tentò di alzare il braccio e colpirlo, ma nessuna parte del suo corpo rispondeva più ai comandi: sentiva le dita piegarsi e rilassarsi, le gambe sussultare, come se fosse stato colpito da una scarica elettrica. La mano di Byakuran si serrò sul viso coprendogli la bocca.
-Giochiamo insieme... vediamo come posso ridurti prima che Mukuro chan ci trovi...-
Hibari tentò di nuovo di muovere qualsiasi parte del corpo, senza successo. Stavolta a tenerlo vigile c'era solo paura. Non aveva idea di dove Mukuro fosse, che strada avesse preso, quanto ci avrebbe messo a raggiungerlo. Non sapeva nemmeno se, convalescente com'era, sarebbe riuscito ad aiutarlo.
Il suo respiro accelerò quando vide Byakuran estrarre un sottile coltello a serramanico. Glielo avvicinò talmente tanto al viso che incrociò gli occhi per non perderlo di vista.
-Sai... la prima cosa che mi ha colpito di te, quando ti ho guardato... sai, cercavo di capire che cosa ci trovasse di bello in te Mukuro chan... mi hanno colpito i tuoi occhi... sono grigi... con una sfumatura di azzurro...- mormorò Byakuran, fissandolo. -Sì, credo che inizierò da quelli.-
Hibari lanciò un grido soffocato di protesta, serrò gli occhi e alzò in qualche modo la mano per fermarlo, ma Byakuran gli inchiodò i polsi a terra con le ginocchia. Anche se non poteva vedere, anche se non riusciva a muoversi, avvertì distintamente la lama infilarsi sotto la pelle. Un momento dopo un dolore lancinante gli trafisse l'occhio destro, il sangue caldo colò sul viso. Il suo grido fu così forte da riecheggiare nei corridoi vuoti anche se soffocato dalla mano di Byakuran.

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Capitolo 61
*** Congedo ***


Mukuro superò una rampa di scale e si appoggiò pesantemente al tridente, ansimando. La gamba gli faceva sempre più male con l'aumentare degli sforzi, riusciva a stento a resistere. Avrebbe tanto voluto potersi sdraiare, prendere un'altra dose di antidolorifico, dormire... ma non poteva cedere proprio ora. Era la notte in cui doveva finire tutto, in cui tutto quello che aveva cominciato si sarebbe concluso, il momento in cui avrebbe decretato la fine del regno di Byakuran. Sostò ancora qualche attimo prima di riprendere la strada, percorrendo quello che doveva essere il corridoio del quinto piano. Avrebbe voluto trovare una finestra e guardare che cosa succedeva nella piazza, ma trovava solo porte chiuse. Cercò di aprirne una ma era un ufficio chiuso. Quello accanto invece era aperto: si trattava di un ripostiglio con una piccola finestrella. La raggiunse e sbirciò di sotto: una fila di auto private circondava il piazzale proteggendo i suoi alleati da assalti esterni della milizia. Distinse la figura di Reborn, a pistola spianata oltre la barriera, e Dino con i suoi lunghi capelli biondi che stava rannicchiato dietro una berlina bianca. La resistenza esterna reggeva.
Abbandonò il ripostiglio e si affrettò a proseguire. La notte in cui aveva cercato di entrare dalla finestra nell'ufficio di Byakuran era salito al sesto piano, ma ora sapeva per certo che l'ufficio era al piano inferiore, lì da qualche parte... orientarsi dall'interno era più difficile. Raggiunse infine una stanza con un codice alfanumerico che impostava l'apertura della porta e pensò di essere sulla strada giusta. Digitò un codice, due, tre, quattro di fila, cercando di pensare a come avrebbe potuto scrivere dei nomi significativi per il generale, o le date importanti, ma non riusciva a scovare la password. Il congegno continuava a dargli errore e illuminarsi di rosso. Dolorante e furente picchiò il pugno sulla porta.
-Apriti, cazzo!-
-Mukuro?!- esclamò una voce all'interno.
-Tsu... Tsunayoshi?-
-Mukuro, sei tu! Allora sei venuto davvero!-
-Cosa diavolo... che stanza è questa?-
-È l'ufficio di Byakuran, ci ha chiuso qui dentro e ha cambiato il codice, non riesco a uscire...-
-Aspetta... aspetta, ti tiro fuori di qui...-
-Non pensare a me adesso!- lo fermò Tsuna concitato. -Byakuran è là fuori, è armato e pronto a uccidere chiunque sia con te! Fai attenzione, Mukuro, se riesce a prenderti non ti lascerà mai più andare!-
-Non ha alcuna importanza ormai... anche io sono armato... questa è la fine, Tsunayoshi... sono qui per farla finita, è l'ultimo giorno della guerra, vada come vada.-
Calò il silenzio al di là della porta. Mukuro immaginò che Tsunayoshi fosse molto preoccupato per lui e le persone che portava con sé; avrebbe voluto consolarlo, ma non sapeva che cosa dirgli. Erano tutti in pericolo finchè non fosse arrivata la fine.
-Gokudera... Gokudera sta bene... è in salvo.- disse invece. -Resta qui, sarai al sicuro... vengo... vengo a prenderti dopo, quando è tutto finito.-
-No! Aspetta! Mukuro!-
Ma Mukuro riprese la strada, stavolta per scendere. Se Byakuran voleva uccidere i suoi compagni, doveva essere sceso per cercare di intercettarli andandogli incontro. La barriera era schierata fuori, Kyoya doveva essere entrato nell'edificio... doveva riuscire a trovarlo prima del generale, dovevano restare uniti e non separarsi. Byakuran non era caduto nella loro trappola, aveva capito che le nuove informazioni e la riunione della task force erano l'occasione per un'imboscata...
Un tremendo grido echeggiò nell'edificio vuoto. Mukuro si fermò mentre scendeva un gradino e il cuore cominciò a battere forsennato. Era una voce strana... non era affatto sicuro che fosse quella di Kyoya, ma una parte di lui ne fu sicura. Scese più velocemente che poteva, scivolò su uno scalino e rotolò pesantemente fino al pianerottolo; il tridente cadde con gran fracasso. Gemendo di dolore, stringendo i denti per sopportarlo, recuperò l'arma e si issò in piedi. Gli sembrava di continuare a sentire dei lamenti, o forse era la sua mente terrorizzata a fargli sentire gli echi del grido precedente. Ormai zoppicava vistosamente, ansimava per il dolore e per la paura, ma non osava chiamare Kyoya, per paura di rivelare la sua presenza a dei nemici che non era in grado di affrontare...
Scese fino al primo piano, quasi senza più energie, quando fu sicuro di sentire un gemito di dolore. Stavolta era completamente certo che si trattasse di Kyoya. Cercando di fare meno rumore possibile imboccò il corridoio che portava all'ala destra del palazzo. Superò appena un paio di stanze prima di vederli.
Byakuran era inginocchiato sul marmo del corridoio con in mano un coltello che gocciolava sangue e teneva l'altra mano sulla bocca di Kyoya, più pallido di come lo avesse mai visto; effettivamente quasi pallido quanto Byakuran. Ansimava e tremava, aveva la maglia arrotolata in modo che gli lasciasse scoperto l'addome su cui spiccava alcuni lunghi tagli paralleli. Non sembrava avere più forze per ribellarsi o combattere: le sue armi erano abbandonate poco lontano, la sua testa sembrava restare dritta solo per il supporto del suo aggressore.
Byakuran non notò la presenza di Mukuro, oppure non ne diede alcun segno. Puntò il coltello sulla pelle di Kyoya, poco sopra il suo pube.
-Nella prossima vita ricordati che cosa succede a chi si mette fra me e quello che desidero.- disse Byakuran con un sorriso che traboccava perversione. -Sei pronto? Mukuro non ti troverà più così bello con le viscere di fuori...-
-BYAKURAN!-
Byakuran sobbalzò al grido di Mukuro e lasciò la presa su Kyoya, che scivolò lungo il muro lasciando una striscia di sangue sul muro bianco. Si accasciò a terra e per la prima volta Mukuro riuscì a vedere tutto il suo viso: sul lato destro era coperto di sangue e non riusciva a vedere il suo occhio. Con le mani che tremavano afferrò il tridente più saldo e scoccò un'occhiata invelenita a Byakuran.
-Che cosa gli hai fatto, mostro?!-
Prima che Byakuran riuscisse a ricomporre la sua espressione o a dargli qualche folle spiegazione gli corse incontro, del tutto dimentico del dolore alla gamba, e se il generale non fosse stato molto reattivo e veloce nello spostamento la punta del tridente l'avrebbe trafitto al ventre. Byakuran lo guardò sconvolto, come non potesse credere di essere stato attaccato con tanta ferocia da lui.
-Come hai osato mettergli le mani addosso?!- sibilò Mukuro, alzando di nuovo l'arma. -Come... hai osato... tu... sei un mostro...-
-Non c'è nulla di speciale in quel moccioso.- disse Byakuran, sulla difensiva. -Lui non è intelligente... lui... non è speciale, non ha niente che meriti di attirare la tua attenzione... ora non ha nemmeno più quei begli occhi.-
Una rabbia che Mukuro non aveva mai provato prima in tutta la sua vita gli esplose nel corpo. Non gli importava più di niente, non voleva la fine di una guerra, non voleva altro che fare a pezzi quell'uomo perverso. Avrebbe dovuto dare retta a Gokudera, lui sì che aveva capito davvero chi fosse Byakuran; lui si era soltanto illuso che qualcuno che diceva di amarlo così profondamente fosse nel profondo un uomo buono che soffriva di solitudine. Invece era solo un folle, un pazzo, un assassino... e un torturatore, come Mukuro avrebbe dovuto ricordare meglio di chiunque altro...
Ma poi, l'espressione di Byakuran cambiò e a Mukuro ci volle qualche istante per capire perchè. Una delle punte corte della sua arma doveva averlo graffiato: la manica della sua giacca era strappata e iniziava a macchiarsi di sangue. Il generale guardò la ferita e assunse un'aria mortifera che i suoi prigionieri conoscevano molto bene e avevano imparato a temere.
-Mukuro kun. Metti via quell'affare prima di farti male.-
-È a te che farò male con questo.-
-Non essere ridicolo... vuoi veramente uccidermi... con quella gamba?-
Mukuro non rispose, ma qualcosa nel suo sguardo doveva averlo tradito, perchè l'altro sorrise.
-Sai che non puoi affrontarmi da solo in quelle condizioni.-
-Scopriamolo.-
La ragione di Mukuro si spense del tutto. La sua mente al momento non lo poteva aiutare, offuscata dall'angoscia per le condizioni di Kyoya e dal dolore, gli sussurrava solo parole di sconfitta. Invece lui aveva bisogno di aggrapparsi alla speranza, alla rabbia, alla follia, se necessario, per poter vincere. Attaccò Byakuran, ma lui afferrò l'asta dell'arma e la tenne con una stretta ferrea.
-Non essere sciocco... non voglio ucciderti, e tu lo sai... sei quello che più bramo in questo mondo...-
-Se pensi di incantarmi di nuovo con queste favole ti stai sbagliando.- fece Mukuro, spingendo così forte da far indietreggiare Byakuran di diversi passi. -Se tu mi amassi davvero, mi lasceresti libero... vorresti che io fossi felice... non cercheresti di uccidere e distruggere ciò che io amo di più.-
Byakuran non rispose, ma mollò la presa sull'arma e si abbassò schivando un colpo. Il fendente successivo riuscì a bloccarlo usando uno dei tonfa di Kyoya, raccolto dal pavimento. Non ebbe tempo di sferrare un altro attacco che Byakuran lo colpì violentemente proprio alla gamba dolorante, facendolo crollare a terra. Per un lungo istante la vista di Mukuro fu invasa di piccoli puntini bianchi e neri.
-Mukuro... non puoi vincere, non capisci? Contro di me hai perso in partenza.-
Byakuran si piegò sul ginocchio e gli sollevò il viso. 
-Lascia perdere i tuoi folli sogni, quella specie di dipendenza che tu chiami "amore"... arrenditi adesso, resta con me e io lascerò che qualcuno recuperi quel sacco di spazzatura e lo rattoppi. Lo lascerò vivere.-
Mukuro guardò il viso sfigurato di Kyoya, che sembrava a malapena cosciente, e si sentì stringere il petto dall'angoscia. Era sempre più pallido. Se non avesse ricevuto delle cure subito forse lo avrebbe veramente perso per sempre.
A fatica, lentamente, Mukuro si sollevò dal pavimento e si mise in ginocchio. Raccolse tutto il coraggio e tutte le forze che gli erano rimaste e si aggrappò al tridente piantandone con energia le punte in terra. Il sorriso di Byakuran si trasformò in una smorfia di dolore e guardò in basso, rendendosi conto che la punta aveva trafitto insieme il piede di Mukuro e il suo, immobilizzandolo. Più spaventato che dolorante, Byakuran emise un grido insolitamente acuto.
-È la mia pietà che conta ora, Byakuran, non la tua... io sono in vantaggio... io detto le condizioni, pezzo di merda.- disse piano Mukuro, cercando di rinchiudere il dolore il più lontano possibile. -Il tuo amico Kikyo è già caduto... la tua task force è per metà sconfitta e per metà mia alleata... è finita, non lo capisci?-
Il volto di Byakuran perse il poco colore che l'affanno della battaglia gli aveva conferito.
-Cosa... cosa... Kikyo... Kikyo è...?-
-Sei solo, ormai, Byakuran.- disse Mukuro con più veemenza. -L'unico amico che avevi è perduto... i tuoi alleati ti hanno voltato le spalle... e a me non importa più se tu vivi o no... non mi importa più salvarti da te stesso... tu non puoi più essere cambiato... quindi, l'unico a cui importa di te sei tu... a te la scelta.-
Byakuran emise un urlo che somigliava più a un ruggito che a un suono umano. Colpì con forza, più volte, l'attaccatura della gamba che era il suo punto debole e strappò via il tridente che li bloccava insieme. Un momento dopo Mukuro se lo trovò addosso, con le ginocchia che gli schiacciavano le braccia e le mani serrate intorno al collo, mozzandogli completamente il respiro. La sua espressione era demoniaca, deforme, spaventosa.
-Questa è l'ultima volta che mi rifiuti, Mukuro! Visto che non vuoi saperne... ti costringerò a restare legato a me... se ti ucciderò sarai mio per sempre!-
Mukuro boccheggiò tentando di prendere almeno un alito di respiro, scalciò a vuoto, cercò di graffiarlo, senza alcun esito. Per la seconda volta nella sua vita, e forse l'ultima, non riusciva a opporsi a qualcuno che cercava di strangolarlo.
Quando pensava che ormai si sarebbe congedato da quella vita breve e difficile, la stretta si allentò e lo lasciò. Tossì e prese avidamente fiato, sentendo qualcosa di caldo e appiccicoso colargli addosso, sul petto, sul collo. Ci volle qualche altro momento per rendersi conto che Byakuran sanguinava dal fianco, e ancora un altro per capire che Kyoya gli aveva infilato il suo stesso coltello nella carne fino al manico. Byakuran lanciò un grido e spinse via rabbiosamente Kyoya che cadde sul fianco e rimase immobile.
-Kyoya... Kyoya...- chiamò Mukuro con voce roca, allungando la mano verso di lui. -Kyoya...-
Si trascinò verso di lui senza che Byakuran cercasse di fermarlo. Voleva solo essere sicuro che fosse vivo, che non stesse per lasciarlo proprio quella notte. Poi si accorse che respirava, che il suo pomo d'adamo si muoveva. Sentì passi alle sue spalle e si voltò per fronteggiare il nemico, ma Byakuran non cercò di colpirlo: si teneva il fianco ferito e barcollava via, verso le scale, in fuga.
-Kyoya... rispondimi...-
-By... a...?-
-È scappato.-
-Devi... prenderlo...-
-Non ti lascio solo... hai bisogno di cure, e subito... andiamo, usciamo di qui....-
Mukuro si stava chiedendo come avrebbe fatto con la gamba così malmessa a reggere Kyoya fino all'uscita quando un'ombra li oscurò. Sobbalzò spaventato, aspettandosi il ritorno di Byakuran, ma si trattava di Fon, l'arcobaleno esperto in arti marziali che Reborn aveva chiamato in loro soccorso e che, avevano notato tutti immediatamente, assomigliava straordinariamente a Kyoya.
-Ci penso io, lo porto io di sopra.-
-Di sopra...? Di sopra dove?-
-Il supporto medico sta per atterrare sul tetto in elicottero.- spiegò lui pacato. -Andiamo, dovete essere medicati entrambi... Byakuran è ferito, non ha aiuto. Non dobbiamo preoccuparci di lui, ora.-
Mukuro annuì e lasciò che il più sano e più robusto Fon si issasse Kyoya sulla schiena. Lui recuperò il suo tridente e riuscì ad alzarsi, con un dolore nemmeno paragonabile a quello che aveva provato fino a pochi minuti prima dopo essere ruzzolato dalle scale. Senza dire una parola, troppo spossato, angosciato e sofferente per aver voglia di parlare, seguì il guerriero cinese e il suo compagno verso il tetto, dove forse qualcuno avrebbe potuto dargli sollievo dicendogli che Kyoya non rischiava la vita.


Byakuran imboccò l'ascensore non appena vide una figura priva di uniforme risalire la scalinata. Premette più volte il bottone per salire, senza sapere che cosa fare esattamente. Scivolò di lato contro la parete dell'ascensore, lasciando una scia di sangue di un rosso cupo. Ansimava. Quella ferita faceva così male... perdeva così tanto sangue, la sua mano non riusciva a fermarlo... stava morendo? Si sarebbe dissanguato come un animale da macello, sarebbe morto così il generale supremo dell'Haido, il capo del Giappone intero?
Osservando con distacco le luci dell'elevatore segnare i numeri dei piani, Byakuran riflettè sulle parole di Mukuro. La sua task force era per metà sconfitta e per metà non era mai stata ai suoi ordini... quante serpi in seno aveva esattamente? Enma Kozato era una di quelle? Ne era sicuro... era dalla parte di Tsunayoshi, era diventato bravo a conquistarsi la fedeltà degli altri... quindi, non poteva fidarsi nemmeno di lui, ma allora chi avrebbe potuto salvarlo?
Le porte si aprirono sul quinto piano e Byakuran strisciò fuori carponi, sempre più spaventato. Non era rimasto nessuno che volesse aiutarlo... il palazzo era ancora bloccato, nessuno poteva raggiungerlo. In preda al panico si tastò la giacca e recuperò il cellulare. Con dita tremanti avviò una chiamata, ritrovandosi a pregare che Kikyo gli rispondesse, che stesse bene, che corresse ad aiutarlo... sì, doveva rispondere al suo telefono personale, era sempre acceso... ma la sua speranza si tramutava in disperazione squillo dopo squillo, finchè non fu la sua segreteria telefonica a rispondere.
-Sono Kikyo, sapete cosa fare!-
-Ki... Kikyo...-
Byakuran non riuscì a dire altro. Dopotutto, Kikyo non aveva risposto perchè non poteva più farlo. Era sicuro che se fosse stato bene gli avrebbe risposto a qualsiasi costo, a qualsiasi orario... non poteva più ascoltare il suo messaggio, non poteva più aiutarlo. Era veramente rimasto solo. Prima sua madre era scomparsa, poi Mukuro aveva cercato di ucciderlo, e ora anche Kikyo lo abbandonava al suo destino.
Al bruciore della ferita si sommò il bruciore agli occhi. Sentì una sensazione nostalgica che raramente aveva sentito negli ultimi anni: gocce calde e salate che scendevano sul viso, scivolavano copiose giù dai suoi occhi viola. Emise un unico, rumoroso singhiozzo, lasciando cadere il telefono ormai inutile. Le sue spalle si scossero ancora nel più denso silenzio, che si protrasse per quelle che gli sembrarono ore, prima che una nuova consapevolezza lo colpisse nel mezzo del suo disperato pianto.
Mukuro lo aveva rifiutato, lo aveva abbandonato per sempre, aveva detto che non gli importava più che cosa gli sarebbe successo. E gli aveva detto che Kikyo era caduto... era stato lui a uccidere l'unico amico che avesse mai avuto, l'unica persona che non aveva mai avuto pretese, l'unico che non gli aveva mai dato la colpa di quello che non andava secondo i piani...
Byakuran si sforzò di alzarsi in piedi, animato da un ultimo, disperato, distruttivo proposito. Non era riuscito a uccidere Mukuro, ma almeno aveva deturpato la faccia del suo amante, e questo gli suggeriva che ogni volta che l'avrebbe guardato avrebbe inevitabilmente pensato a lui... ma voleva la garanzia di restare ogni singolo giorno nei suoi pensieri. Se non poteva averne l'amore, almeno avrebbe conquistato il suo odio, non gli avrebbe mai permesso di vivere una vita intera trattandolo con indifferenza... gli aveva portato via il suo migliore amico? Ebbene, Byakuran avrebbe fatto lo stesso.
Strisciò lungo la parete diretto verso l'ufficio, ma prima si infilò in un'altra stanza. Prese una piccola chiave nascosta sotto una statuina di un samurai dall'armatura rossa e andò ad aprire una cassetta di sicurezza dietro un quadro dipinto con la tecnica del sumi-e. Era dove l'aveva lasciata: la pistola d'ordinanza di Hibari Kyoya, che i suoi uomini avevano recuperato perquisendo lo squallido locale in cui aveva vissuto ai tempi dell'accademia. Nonostante le sue energie calassero sempre più, il generale sorrise e la prese. Quale ironia che usasse proprio l'arma dell'uomo che Mukuro amava per uccidere il suo migliore amico...
Uscì dalla stanza senza darsi la pena di chiudere lo scomparto segreto o la porta. Raggiunse dopo un lasso di tempo orribilmente lungo e doloroso la porta con la tastiera e digitò la sua password, con le dita sporche di sangue. Con uno scatto la porta si aprì e lui la spinse, la pistola spianata di fronte a lui. Tsunayoshi indietreggiò spaventato.
-Byakuran! Che cosa... sei ferito?!-
-Non è più necessario... che tu faccia la commedia con me...- ribattè Byakuran, appoggiandosi pesantemente a uno schedario. -Mi volevi morto... sarai felice che io stia morendo...-
-Non dire sciocchezze!- fece Tsuna agitato, afferrando un cuscino che era sulla poltrona. -Non morirai per una ferita del genere... bisogna tamponarla e poi chiameremo un...-
-Tu non farai niente.-
Tsuna sembrò notare solo in quel momento che Byakuran gli puntava contro un'arma e i suoi occhi castani tradirono la sua improvvisa paura.
-No... che... che cosa vuoi fare? Mettila giù...-
-Lui si è permesso di toccare l'unica persona che avesse fatto qualcosa per me... non gliela farò passare liscia...-
Byakuran tirò indietro il cane della pistola, ma nel breve intervallo tra questo gesto e la pressione sul grilletto Tsunayoshi si era abbassato e gli aveva afferrato il polso. Il proiettile mandò in frantumi la finestra con un gran fracasso di vetri. Qualcuno gridò, forse all'esterno dell'edificio si erano accorti del colpo. Byakuran tentò di puntare l'arma contro Tsuna, ma lui gli torse il polso con forza finchè il dolore non fu più sopportabile e fu costretto a lasciarla cadere. Il ragazzo la colpì per errore con il piede e si allungò per riuscire a recuperarla, ma Byakuran quasi d'impulso afferrò la taser che aveva usato per stordire Hibari Kyoya e colpì Tsuna, che diede in un gemito e crollò a terra sussultando. Ormai, come Hibari, non si poteva più difendere. Byakuran afferrò l'arma letale più vicina, un lungo, acuminato attizzatoio.
-Sei fortunato, Tsunayoshi... sono... di fretta... e non ho tempo per riservarti lo stesso trattamento che ho dato a Hibari Kyoya...-
-Co... no!-
Tsuna alzò le braccia nel disperato tentativo di difendersi dall'arma che gli stava per piombare addosso, ma prima che potesse sentire la punta trafiggerlo o spaccargli qualche osso uno scoppio rimbombò nella stanza come il fragore di un fulmine. Tsuna aprì un occhio e vide Byakuran crollare sul fianco, sentì l'attizzatoio cadere con un rumore metallico poco lontano dalla sua mano. Si alzò a fatica, con gli arti intorpiditi, e vide uno schizzo di sangue sulla parete. Tremando, terrorizzato, voltò la testa e vide Lambo inginocchiato a terra, tremante e sconvolto quanto lui, con la pistola stretta in entrambe le mani e il naso rosso da cui scendeva una gocciolina di sangue. Gattonò verso di lui mentre dal corridoio sopraggiungeva un uomo dal completo nero con cappello, anche lui armato, i cui occhi saettarono nella stanza dal corpo di Byakuran al ragazzino terrorizzato.
-Lambo... Lambo... da-dammi questa... su... dammela...-
Lambo lasciò obbedientemente l'arma a Tsuna e iniziò a piangere silenziosamente. Tsuna non poteva ancora credere che quel bambino avesse preso la pistola caduta a Byakuran e gli avesse sparato per evitare che lo uccidesse. Gli aveva salvato la vita... e forse, se al maggiore Gamma non fosse capitato di mettergliene una vera in mano, Lambo non avrebbe saputo cosa fare...
-Ti... ti fa male il naso?-
-Mi è... saltata sul naso!- balbettò Lambo. 
-Si chiama rinculo.- disse l'uomo. -Devi tenere le armi con forza quando spari.-
-Chi... chi diavolo è lei?- domandò Tsuna all'uomo sconosciuto.
-Reborn.- rispose lui, avvicinandosi a loro. -Non preoccuparti... io ti guardo le spalle da un po', a te e ai tuoi amici... per conto di tuo padre.-
-Mio padre...? Vuoi... sei un Arcobaleno?-
-Esatto.-
Reborn prese l'arma appartenuta a Hibari Kyoya e la ripose sotto la giacca, poi prese in braccio Lambo, che sembrava ancora troppo sconvolto per riuscire a spiccicare una parola o protestare contro quel trattamento da bambino piccolo.
-Riesci a camminare, Tsunayoshi?-
-Sì... credo... credo di sì...- disse lui, e si alzò malfermo sulle gambe. Era già tanto non essere svenuto per la paura. -Dove... dov'è Mukuro? Cos'è successo agli altri?-
-Li raggiungiamo, sono sul tetto. Andiamo.-
Tsuna lanciò un ultimo sguardo a Byakuran, che giaceva immobile nella stanza che era stata il suo ufficio. Non aveva idea di cosa fosse successo, ma non avrebbe voluto ucciderlo... non desiderava che morisse, voleva solo togliergli il potere e la possibilità di ferire lui e le persone che amava. Mentre si affrettava a seguire Reborn e Lambo fuori, sulla scala antincendio, provava sentimenti contrastanti verso l'uomo dai capelli bianchi. L'aria era fesca e fu terapeutica per lui, riuscì a farlo sentire meglio, lo aiutò ad assimilare la situazione. Hayato era in salvo, Byakuran era morto, gli Arcobaleno erano arrivati in soccorso suo e di Mukuro...
Sul tetto c'era molta gente, compreso un elicottero che in effetti aveva sentito avvicinarsi senza capire che era atterrato proprio su quell'edificio. La prima persona che vide in quel mare di volti nella penombra fu un ragazzo dai capelli rossi che gli andò incontro e lo strinse con forza tra le braccia.
-Tsuna! Per fortuna stai bene... non riuscivo a trovarti...-
-Sto... sto bene... Enma... Byakuran mi aveva chiuso nel suo ufficio insieme a Lambo... cosa... è successo?-
-I tuoi amici hanno dato l'assalto al palazzo, come aveva sospettato Byakuran... abbiamo combattuto, ma poi... beh... diciamo che ci siamo arresi...-
Tsuna riuscì a scorgere qualche altro viso ora che il cielo si stava schiarendo: vedeva Gamma che fumava in un angolo, apparentemente fresco come una rosa; Adelheid che era seduta sull'elicottero, vicino a una barella su cui, notò dopo qualche istante, Hibari stava disteso con diverse medicazioni all'addome, una benda sull'occhio e un sacchetto di sangue appeso a un'asta, collegato al suo avambraccio. Irie Shoichi era seduto a terra, a gambe incrociate, il computer chiuso e abbandonato lì accanto. Gli fece un sorriso timido e accennò un saluto. Un alto ragazzo biondo con un vistoso tatuaggio sul braccio teneva il cellulare in mano come se stesse riprendendo la scena. Davanti a tutti, inginocchiato a terra e aggrappato a un elaborato tridente argentato stava Mukuro, in silenzio, con gli occhi chiusi come in preghiera. Il vento era più forte sul tetto e gli spettinava i capelli. Aveva sui vestiti e sul collo della macchie di sangue ancora rosso vivo.
-Mukuro!-
Reborn gli impedì di andargli vicino e lasciò Lambo con lui, avvicinandosi lentamente a Mukuro. Quasi come stesse aspettando solo i passi caratteristici delle scarpe con il tacchetto dell'uomo, aprì gli occhi blu, senza voltarsi.
-È finita, Mukuro... Byakuran non c'è più.- disse l'uomo, e fece qualche passo per guardare giù. -Il ministro Kozu è appena arrivato... ora attendiamo la sua risposta.-
Tsuna, vinto dalla curiosità, si avvicinò alla balaustra. Non fu l'unico: anche Gamma, l'uomo biondo che non conosceva, Enma e Shoichi si portarono più vicino per assistere. Laggiù scorse Ryohei Sasagawa vicino alla moglie nei pressi di un veicolo di soccorso. Una macchina scura, un veicolo ufficiale, era appena arrivata di fronte al palazzo. Ne scese il ministro Kozu insieme alle compagnie più singolari che Tsuna potesse aspettarsi: Basil e Haru.
-Basil... HARU?-
-Ho chiesto a tuo fratello Basil di andare dal ministro a raccontargli la verità sulle macchinazioni di Byakuran, e lui ha pensato di portare Haru Miura come testimone...-
Tsuna osservò il sorriso di Reborn e capì che doveva essere solo l'ultima formalità: non aveva nessun dubbio su che scelta il ministro Kozu, la terza carica dello stato attuale, avrebbe fatto. I soldati che puntavano incerti le armi verso il tetto guardarono il vecchio dall'aria autoritaria e venerabile, attendendo un segnale. Lui alzò il braccio in un gesto che, a meno che Tsuna non si sbagliasse di grosso, significava di deporre le armi. I soldati le abbassarono, qualcuno, stizzito, la gettò con rabbia. Haru saltellò di gioia e Basil alzò le braccia al cielo.
-È vinta, Reborn san! È finita! Finita!-
Uno scoppio di gioia arrivò fino al tetto mentre Tsuna sorrise. Si voltò a guardare Mukuro, che si era alzato in piedi reggendosi alla sua arma e fissava incredulo davanti a sé. L'uomo biondo gli puntò contro il telefono: sembrava che stesse davvero filmando la scena.
-Dino, metti via quel coso, idiota...- protestò Hibari, a voce bassa ma tono severo.
-Sto filmando per Saeki! Lui avrebbe dovuto essere qui con noi per vederlo!-
Reborn si avvicinò a Mukuro e gli toccò la spalla.
-Hai vinto, Mukuro, è tutto finito... l'inverno è finito.-
Mukuro lo guardò con aria ancora stordita, tendendo uno dei sorrisi più incerti che Tsuna avesse mai visto. Reborn poi prese qualcosa che un uomo dai lunghi capelli che somigliava un po' a Kyoya gli tendeva, qualcosa di simile a un lungo fagotto. Lo passò a Mukuro.
-Coraggio... fallo... fai tornare la primavera.-
Mukuro prese l'oggetto e capì che cos'era anche se Tsuna lo capì soltanto quando vide l'amico andare verso il punto in cui, ora se ne accorgeva, mancava la bandiera dell'Haido. Il suo cuore accelerò. Era sicuramente una bandiera. Lui, tutti gli alleati, il ministro, Basil e Haru, i soldati disarmati, cittadini incuriositi dai rumori e qualche giornalista zelante assistettero in silenzio mentre Mukuro liberava lo stendardo e ne piantava il palo al posto di quello del Torii Nero. Il vento aprì la bandiera su cui spiccava un fiore di ciliegio, dorato sulla tela bianca bordata d'oro. L'alba illuminava lo stemma simbolo del ritorno della primavera, che molti accolsero con grida di giubilo e applausi. 
Mukuro sembrò rendersi conto solo in quel momento, guardando quella bandiera, della monumentale impresa che aveva compiuto. Tsuna vide una lacrima scivolargli sul viso nella luce dorata del primo sole. Un momento dopo Mukuro lanciò un grido forte, profondamente liberatorio, lasciandosi cadere sulle ginocchia. Piangeva e al tempo stesso stava sorridendo. Tsuna si decise ad avvicinarsi, gli strinse il braccio e gli sorrise.
-Buon compleanno, Mukuro.-

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Capitolo 62
*** Il ritorno della primavera ***


-Kyoya, ma questa roba non doveva arrivare domani?-
Hibari Kyoya si voltò a guardare la pila di scatoloni vicino alla porta.
-Non ne ho idea... aspetta...-
Posò la scatola di merendine ammaccata che aveva fra le mani e andò al calendario appeso al muro, controllando i vari nomi che vi erano scritti in colori diversi. Notò che effettivamente la consegna era prevista per il giorno seguente, il trenta di marzo. Si stupì che fosse quasi aprile.
-Hai ragione, dovevano arrivare domani... sei sicuro che sia roba nostra?-
-Sì, c'è il nome del negozio sopra.-
-Che strano.- commentò Kyoya pensieroso, e tornò di fretta alla cassa per imbustare la spesa di una vecchietta. -Yoshida san, ha trovato tutto quello che le serve?-
-Oh, sì, Kyoya kun... finalmente Sentaro si è deciso a mettere le cose che compro in uno scaffale più basso! Era ora, dico, faccio sempre la stessa spesa ogni tre giorni qui da lui da quando ha aperto il negozio! E poi, dico, lo badavo io da bambino! Era ora che mostrasse della riconoscenza!-
Hibari Kyoya si limitò a fare un sorriso. Ascoltò qualche altro aneddoto sull'infanzia sregolata del suo capo, poi registrò il pagamento dell'anziana signora con i soliti buoni sconto, prima di uscire come sempre a portarle la borsa della spesa sull'autobus.
-Buona giornata, signora Yoshida.- la salutò scendendo dall'autobus.
Lei lo salutò con la mano quando le porte si chiusero. Hibari restò lì a guardare il veicolo che si allontanava e spariva dietro una curva, poi prese un gran respiro e si guardò intorno. La giornata era luminosa, tiepida, nell'aria c'era già il profumo dei ciliegi fioriti... a proposito...
-Kyoya, ma tu non hai un appuntamento?- domandò Saeki, affacciandosi dal negozio. -Non era oggi che dovevi andare a vedere la fioritura con Mukuro?-
-Sì... ma c'è ancora un sacco di roba da sistemare...- fece lui rientrando nel negozio. -E poi Matsumoto non è ancora arrivato.-
-Ma non ti preoccupare, sistemo io qui... tanto il capo arriverà tra un po', e ora in negozio non c'è nessuno, sono passati tutti prima di pranzo.-
-Però tu non dovresti sforzarti...-
Tanaka Saeki gli fece un gran sorriso. Anche se non avesse detto nient'altro, Kyoya si sarebbe sentito meglio lo stesso, era un balsamo vivente.
-La nuova cura funziona benissimo... sono pieno di energia... su, vattene, così posso fare questo lavoro... non ti dimenticare il pranzo o lo mangio tutto io.-
Hibari sorrise, si avvicinò e gli diede un bacio sulla fronte, sotto il berretto da cui spuntavano cortissimi ciuffi di capelli biondi. Era stato scioccante rivederlo dopo la fine della battaglia senza più la sua lunga chioma dorata, presagio di orribili sventure, ma evidentemente la cura a cui si era sottoposto era davvero la migliore al mondo, ormai era guarito e i capelli avevano ricominciato a crescere da qualche mese.
-Sei un angelo.-
-Lo so.- fece lui voltandosi, ma le orecchie gli erano diventate rosse. -Su, sparisci, prima che arrivi Dino a molestarti. Ah, chiedi a Mukuro quella cosa, eh.-
-Sì, me ne ricorderò!-
Hibari si tolse il grembiule gettandolo appallottolato sotto il bancone, prese la sua borsa con i portapranzo e uscì dal negozio di corsa. Era già in ritardo di una ventina di minuti, sperò soltanto che Mukuro lo stesse ancora aspettando. Raggiunse il parco, lo stesso parco di Namimori dove oramai dodici anni prima avevano assistito alla fioritura insieme a Tsuna, Gokudera e Yamamoto. Era così assorto nei suoi pensieri che all'improvviso inchiodò sull'erba e si voltò. Mukuro era seduto sulla panchina di pietra che aveva appena superato e lo guardava divertito.
-Hai un appuntamento, Kyoya?-
-Spiritoso...-
Lo raggiunse e sedette accanto a lui mentre Mukuro spostava la sua stampella sull'altro lato. Forse notò lo sguardo afflitto che lanciò all'oggetto, perchè il suo sorriso divenne più ampio.
-Pensavo già di dovermi scusare, sono arrivato solo cinque minuti fa.-
-Davvero? Perchè?-
-I ragazzi mi hanno trattenuto, non riuscivo più a scappare dall'aula.-
-Discussione interessante?-
-Come sempre.- ribattè Mukuro. -Mettersi a parlare di etica e di diritti umani davanti a degli studenti di legge che non vogliono altro che impressionare il relatore genera sempre discussioni avvincenti.-
-A proposito, Mukuro... Saeki ti chiede se puoi mandare a Mei la dispensa che hai dato l'altro giorno, ha detto che l'ha persa ma si vergogna a dirtelo.-
Mukuro sospirò platealmente mentre apriva uno dei bento.
-Quando mai... Mei è una meravigliosa ragazza, gentile, ma è così imbranata...-
-Dicevi la stessa cosa di Sawada, una volta... guarda che cosa è adesso... che cosa è riuscito a fare per questo paese in così poco tempo...-
-Lo so, lo so... però... mi manca.-
Hibari non seppe cosa rispondergli. Dopotutto, in nove mesi dopo la rivoluzione, Tsuna non era più ritornato a Namimori. Ormai viveva stabilmente a Edo, aveva comprato lì un appartamento vicino al palazzo del governatore, teatro della grande battaglia, dove si trovava il suo nuovo ufficio. Con lui era partito anche Basil, che lavorava insieme a lui, in ruoli molto simili a quelli che avevano avuto un tempo Byakuran e Kikyo, ma pur sempre soggetti allo scrutinio delle due camere che un tempo erano state abolite dall'Haido.
-Non ti ha chiamato?- domandò Hibari, assaggiando un polipetto dal bento.
-Oh, sì, mi telefona... ma le cose importanti me le nasconde.-
-Sarebbe?-
-Credo che stia con Enma Kozato.- disse Mukuro divertito. -Sai, il segugio spirituale che Byakuran mi aveva sguinzagliato contro... dai, quello coi capelli rossi!-
-Ah!- fece Hibari, improvvisamente illuminato. -Ma come lo sai, se non te lo dice?-
-L'altra volta mi ha telefonato alle due di notte e ho sentito la sua voce in sottofondo.- fece lui alzando le spalle. -E poi li hai visti anche tu, prima che tornassimo a Namimori, non lo lasciava un attimo per tutto il giorno.-
-Anche Haru sta ancora lì?-
-Sì, Tsuna mi ha detto che sta studiando molto sodo per laurearsi e lavorare con lui.-
-Ah, a proposito... come vanno gli studi di Nagi?- domandò Kyoya, guardando lungo la strada come se si aspettasse di vederla arrivare. -Non è venuta a vedere i ciliegi?-
Mukuro rise e indicò a Hibari il parco. Lui guardò da quella parte e dopo un momento individuò una coperta patchwork ingombra di cibo su cui Ken e Chikusa stavano banchettando. Vicino a loro il piccolo Mikado camminava con passo ancora incerto e si accucciava nell'erba quando notava insetti o fiori che lo attirassero. Poco più indietro, appoggiata all'albero, Nagi era assorta nella lettura di un grosso libro.
-Si impegna molto... Madeleine la aiuta a preparare gli esami, Ken e Chikusa si occupano di Mikado quando lei è impegnata o va a lezione... non lo avrei mai detto...- aggiunse pensieroso. -Ma Ken è bravo coi bambini... beh, di fatto è lui che fa il padre adesso.-
Hibari sorrise e guardò Nagi che riponeva il libro e sedeva sulla coperta con gli altri, prendendo il figlio sulle ginocchia. Era felice che avesse superato tutto, che la sua vita ricominciasse con una famiglia più grande e più felice. La guerra per la primavera aveva anche messo da parte i dissapori tra lei e Madeleine.
-Sì?-
Hibari si voltò e si rese conto che Mukuro non parlava con lui, ma si stava rivolgendo a un ragazzo lentigginoso, all'incirca della loro età, che stava in piedi vicino alla panchina con l'intento, evidente, di dire loro qualcosa. Lo guardò incuriosito e il ragazzo sembrò ponderare l'idea di scappare, ma alla fine entrasse dalla sua borsa un libro. Non ne vedeva il dorso per leggerne il titolo o la copertina, ma la foto dell'autore sul retro era straordinariamente somigliante all'uomo che aveva accanto, tranne che nella fotografia aveva ancora i capelli lunghi.
-Tu sei... Rokudo Mukuro?- domandò timido il ragazzo. 
-Oh. Sì.-
-Io... io mi chiedevo... se... potessi...- balbettò lui, allungando il libro verso Mukuro. -Una firmetta...-
-Ah... ma certo... non c'è problema.- disse Mukuro, posando le bacchette e prendendo il libro. -Hai una penna?-
Hibari notò, mentre Mukuro lo apriva per scrivere nella seconda di copertina, che il libro aveva un'aria frusta e le pagine erano gonfie, come sfogliate molte volte. Mukuro commentò che si trattava della prima edizione e scherzosamente disse che avrebbe fatto una dedica speciale a chi si era assicurato uno dei primi volumi, e firmò. Hibari non prestò grande attenzione alla scena, pensando che il ragazzo avrebbe preso il libro e se ne sarebbe andato, invece era ancora lì.
-Lei... è... è Hibari Kyoya.- esalò, come se avesse assistito a una specie di miracolo. -Hibari san, sarei troppo invadente se... se le chiedessi anche la sua firma?-
Hibari lo guardò come se avesse annunciato di voler comprare un unicorno e spostò lo sguardo su Mukuro, che stava ridacchiando. Gli fece un gesto incoraggiante e Hibari allungò la mano per prendere il libro e la penna, sentendosi straordinariamente confuso. Scarabocchiò la sua firma in lettere, come aveva fatto Mukuro, nello spazio bianco sotto il titolo della terza pagina, poi lo restituì. Il ragazzo sembrava fuori di sè dalla gioia.
-Grazie! Grazie mille! Io... io... posso... posso farle una domanda, Hibari san?-
-Puoi... ma non sono sicuro che potrò rispondere.-
Fin troppe domande e interviste gli erano state fatte dopo la rivoluzione, da ogni genere di persona, dal cliente occasionale del negozio all'ex militare incontrato alla caffetteria al più amatoriale dei giornalisti. Molte di quelle domande erano ancora senza una risposta.
-Perchè ha lasciato la milizia per sempre e non è entrato nella polizia? Nessuno ha mosso accuse formali contro di lei...-
-Ho ucciso delle persone.- ribattè Hibari. -Ho potuto lasciare la milizia e trovarmi un normale lavoro... è anche troppa fortuna per uno come me. Chi non capisce il valore della vita non può difenderla.-
-Io... credo di capire.- disse il ragazzo. -Grazie per aver risposto alla mia domanda.-
Il ragazzo si congedò, ma non prima di stringere la mano a entrambi. Hibari lo guardò allontanarsi.
-Quindi il libro va bene, eh?-
-Altrochè, l'editore vuole ristampare per la quinta volta... tra le vendite del libro e il risarcimento per la mia invalidità permanente, potrei non lavorare mai più. Chissà se faranno un film sulla nostra storia?-
-Glielo lasceresti fare?-
-Solo se mettono degli attori sexy per interpretare me e te... e se ci mettono le scene piccanti, ovviamente.-
Hibari rise e mentre guardava verso il parco notò che accanto alla coperta patchwork era apparsa un'altra coperta blu scuro. Non potendo parlare a causa nel nigiri sushi che si era appena messo in bocca, tintinnò con le bacchette sul bento e indicò la direzione a Mukuro. Accanto agli amici di Mukuro erano andati a sedersi un perfettamente ristabilito Yamamoto, che nascondeva la brutta cicatrice al braccio con una bandana legata sopra, e Gokudera, in una uniforme blu nuova di zecca.
-È la prima volta che vedo Gokudera in uniforme!- esclamò Hibari, inspiegabilmente divertito.
-Ma come? È entrato in polizia da quattro mesi...-
-Te lo giuro, è la prima volta! Proprio lui che mi parlava tanto dietro!-
-Non sei andato alla cerimonia di apertura, il mese scorso?-
-No... no, ho avuto il doppio turno, non ho proprio potuto... ma mi hanno detto che la nuova accademia militare è davvero bella, che ha l'architettura un po' antica. L'ho anche vista su internet.-
-Tsuna l'ha fatta fare così... dopotutto è così che sarebbe piaciuta al padre di Yamamoto... è intitolata a lui, il minimo che potesse fare è che ricordasse a tutti che l'apprendimento delle arti marziali è un percorso per migliorare gli uomini e non per dominarli.-
-Ho visto la targa all'ingresso dove c'è scritto questo.- disse Hibari. -Lo diceva il padre di Takeshi?-
-Sì, è stato Yamamoto a volerla mettere proprio lì.-
-Credo che sarebbe felice di vedere la nuova accademia... Takeshi ha deciso se insegnarci?-
-Per ora non se la sente... e lo capisco.- ammise Mukuro. -È un nuovo Giappone... siamo appena usciti da un periodo così buio... nessuno sa davvero che cosa ci aspetta il futuro... stiamo ancora metabolizzando i danni che abbiamo subìto, il vuoto lasciato dalle persone che abbiamo perduto...-
Hibari non potè fare a meno di guardare la stampella, ma poi si accorse che Mukuro lo stava guardando in faccia. Con le dita sfiorò la benda che aveva sull'occhio destro e si sforzò di sorridere.
-È più un danno alla tua immagine che alla mia, lo sai?-
-In che senso?-
-Hai notato che le persone che dici di amare di più tendono a perdere l'occhio destro?- fece Hibari, accennando con la testa a Nagi. -La gente penserà che è un tuo sadico rituale... il collezionista di occhi destri, il tuo prossimo best seller... tratto da una storia vera.-
Mukuro non potè trattenersi dal ridere.
-Kyoya... non c'è mica da scherzare, dai...-
Come nel cielo passò una nube che gettò ombra fresca sul parco, negli occhi di Mukuro passò qualcosa di indicibilmente cupo e triste. Mukuro non aveva detto nulla in proposito, ma ormai Kyoya lo conosceva troppo bene per non capire che cosa gli passasse per la testa, e comprese anche che se aveva fatto tardi quel pomeriggio non era stato per una lezione troppo lunga. Non potè non scoccargli un'occhiata di esasperazione e rimprovero.
-Sei andato di nuovo da lui?-
Mukuro non disse niente e non lo guardò, spostandosi dalla faccia un ciuffo di capelli.
-Mukuro... ne abbiamo già parlato, mi sembra...- proseguì Hibari cercando di non esibire un tono troppo polemico. -Non devi andarci più... è inutile, e ti fai del male così.-
-Non è inutile...-
-Ma lui non ti riconosce, non capisce più niente, no?-
-... Lenisce il mio senso di colpa.-
Hibari non rispose. Dubitava molto che le sue visite al reparto lungodegenti gli dessero qualsivoglia forma di sollievo, anzi, secondo lui non facevano che alimentare il senso di colpa. Ma continuare a parlarne serviva soltanto a girare il coltello nella piaga. Era l'unico degli amici a conoscere quel segreto a parte Tsuna, lui e Mukuro, e se non era capace di persuaderlo lui, allora non aveva senso che ci provasse chiunque altro.
-Ehi, Mukuro... andiamo dagli altri, Nagi ti sta chiamando.-
In effetti era vero. Mukuro si voltò e notò che Nagi gli faceva segno di andare da loro e anche Gokudera li notò e fece un gesto fin troppo entusiastico di saluto, ripetendo lo stesso gesto per convincerli a unirsi a loro.
-Mi sa che dovremmo andarci...- convenne Mukuro. -Non priviamo oltre Hayato della gioia di pavoneggiarsi con il suo distintivo davanti a un dimenticabile scrittore e al commesso di un negozio.-
Mukuro si alzò e fece una strana smorfia; si era appoggiato alla stampella in modo insolito nella fretta di alzarsi. Hibari, che stava riponendo i bento, lo guardò un po' rattristato, anche se lui rise come sempre faceva sulla sua nuova, limitata condizione.
-Oya, oya... cosa pensavo di fare, andarci di corsa?-
-Sai...- esordì Hibari mentre superavano un ponticello. -Mi dispiace che tu non possa più essere libero come prima...-
Le nuvole liberarono il sole proprio mentre Mukuro si voltava verso di lui con un gran sorriso.
-A dire il vero, Kyoya... non mi sono mai sentito tanto libero come adesso.-


Shoichi Irie si guardò nervoso intorno, ma alla reception non c'era proprio nessuno. Si stava chiedendo se fosse il caso di aspettare o di tornare un altro giorno, quando una bella donna di mezz'età, con l'uniforme candida, tornò sbrigativa alla sua postazione.
-Ci mancava... buongiorno.- disse poi a Shoichi. -Posso aiutarla?-
-Io... sì, io sono venuto a vedere una persona... Byakuran Gesso.-
-È un parente?-
-Un... un collega.-
-Un collega.- ripetè lei, prendendo un grosso registro. -Non dovrei stupirmi, nessun parente è mai venuto a cercarlo... e francamente capirei il motivo. Firmi qui e qui, prego.-
Shoichi appose la sua firma due volte dove indicatogli e vide che la pagina dei visitatori di Byakuran era piuttosto scarna: oltre al suo, c'era un solo nome anche se scritto molte volte. Un nome che conosceva bene e sinceramente l'ultimo che si sarebbe aspettato di leggere.
-Di qua, mi segua.-
-Signora... signorina. Mi scusi, ma... perchè non è sorpresa che nessun parente cerchi il paziente...?-
-L'unico amico che gli fa visita mi informò che la madre del paziente è deceduta lo scorso inverno e il padre nessuno sa chi sia, né se sia vivo. Non aveva fratelli né cugini conosciuti.- ribattè in tono sbrigativo. -E comunque, il paziente non potrebbe riconoscerli. Il danno al suo cervello è esteso a tutta l'area della memoria, non ricordava nemmeno il proprio nome, assolutamente nulla. In tanti mesi che è qui non ha fatto nessun progresso.-
-Non ricorda nulla?-
-No, gliel'ho detto. È un danno esteso e permanente. Non ricorderà mai la sua vita prima del giorno in cui si è svegliato qui. Però è piuttosto intelligente, adora l'enigmistica. A volte gli infermieri gli portano il giornale per fargli fare i cruciverba e i rebus, o gli fanno degli indovinelli che trovano, a quanto pare è molto bravo. Una volta ha riparato la bambola parlante di una nostra paziente tutto da solo.-
-Sì...- rispose piano Shoichi. -È sempre stato intelligente. Doveva andare al MIT.-
-Ah, questo spiega un po' di cose.-
L'infermiera si fermò davanti a una porta e l'aprì. Shoichi la ringraziò ed entrò nella stanza.
Era quasi completamente bianca, le uniche macchie di colore erano rappresentate da un mazzolino di rose di un color rosa confetto e un piccolo collage di fotografie appese al muro. Shoichi fece un passo e riuscì a distinguere la fotografia di una donna sorridente; una di un uomo che, riconobbe Shoichi con un sussulto, era indiscutibilmente il poco compianto capitano Kikyo visibilmente giovane con un Byakuran ventenne seduti al tavolo di una caffetteria, e un'ultima foto che sembrava di un annuario o un giornalino scolastico, dove Byakuran festeggiava la vittoria di un piccolo trofeo vicino a un robottino. Nel letto accanto, il vero Byakuran lo stava guardando con un'espressione triste nonostante il suo sorriso.
-Tu saresti...?-
-Ah... salve... cioè, ciao.- disse Shoichi impacciato. -Sono... Sho. Shoichi, ma tu mi chiamavi Sho, quando ci siamo conosciuti.-
-Sho.- ripetè lui, come a volerlo mandare a memoria. -Non ricordo di averti mai visto, mi dispiace.-
-Lo so... l'infermiera mi ha detto che non ricordi niente...-
-Ed è vero... siamo amici?-
-Beh... più o meno, sì... noi... ci siamo visti a una gara di elettronica... è... la stessa gara dove ti sei piazzato terzo, in questa fotografia.- disse lui indicandogliela. -L'anno dopo ci siamo visti lì... poi però non ci siamo più visti per anni... però, lavoravamo insieme prima che tu avessi... che tu stessi male.-
-Dicono che ho avuto un incidente, ma io non lo ricordo.- disse Byakuran in tono leggero, come parlasse di cose di scarsissima importanza. -Ho una brutta cicatrice nel fianco, forse me la sono fatta quel giorno... ricordo che mi faceva ancora male quando mi sono svegliato qui.-
Shoichi non riusciva a capire se Byakuran volesse più informazioni al riguardo, ma non poteva dargliele in alcun caso. Erano stati molto chiari: se si fosse saputo che l'ex generale era ancora vivo avrebbe potuto avere dei grossi problemi, per questo era stato messo in una struttura dove potesse vivere in pace la vita che gli restava.
-È per me?- domandò, sbirciando il cestino in mano a Shoichi.
-Oh! Oh, sì... ecco, di solito si porta della frutta, ma... a te non piaceva, così ti ho portato del mochi... i dolci ti sono sempre piaciuti un sacco...-
-Ti ringrazio, ma ho appena pranzato... ti spiace metterli lì? Oh, mangiane pure se vuoi, mentre sei qui.-
Shoichi era piuttosto confuso. Il Byakuran che conosceva aveva dei momenti di tranquillità in cui era gentile, ma per lo più aveva lunghi momenti di silenzi cupi, sbalzi umorali pericolosi che sfociavano in deliberata violenza e spesso un atteggiamento di fastidiosa, sprezzante superiorità. Questo Byakuran invece sembrava sereno, quasi felice, seppure nell'oblio, completamente dimentico della sua vita.
Poi si accorse che, sul dito che aveva usato per indicargli il comodino, indossava un anello d'argento, riccamente elaborato, con incastonata una grossa pietra color blu, o forse indaco. Non ricordava che Byakuran portasse degli anelli, così si chiese dove lo avesse preso.
-Hai... proprio un bell'anello, Byakuran...-
-Byakuran?- domandò lui sorpreso. -Mi chiamo così?-
-Ehm...-
-Qui tutti mi chiamano Ran. Ran e basta. Mi chiamo Byakuran?-
-Oh, no, no...- si affrettò a negare Shoichi, convinto che meno sapesse della propria identità e meno ne avrebbe sofferto. -Io... ti chiamavo così... per il colore dei tuoi capelli.-
-Oh, ho capito...-
-Dicevo, del tuo anello...- si affrettò a cambiare discorso.
-Oh, questo? Me lo ha regalato il bel ragazzo che viene a farmi visita.-
-Il bel ragazzo...?-
-Sì, c'è un ragazzo che viene tutte le settimane... è venuto anche stamattina... credo che ci conoscessimo prima del mio incidente... porta sempre una stampella, quindi mi sono chiesto se non fosse con me quando c'è stato quell'incidente... ma lui è molto riservato, non mi dice come ci siamo incontrati o dove...-
Shoichi non potè biasimare la riservatezza di Rokudo Mukuro, dato che a quanto gli risultava si erano incontrati in un carcere dove erano capo e prigioniero.
-L'altra volta è venuto e mi ha regalato questo... sembra che valga molto, vero? Ma lui ha insistito tanto, voleva che lo tenessi io... diceva che lui non ne aveva più bisogno, che serviva più a me che a lui... ha detto che questo anello era il suo passato...-
Shoichi non poteva conoscere la vera provenienza di quell'anello, ma fu comunque colpito che fra tutti proprio Rokudo Mukuro avesse tanto a cuore l'attuale condizione di Byakuran. La frequenza delle sue visite, e quel dono... si chiese se le fotografie con i pezzi del passato del Demone Bianco le avesse recuperate lui.
-Anche le fotografie me le ha portate lui!- fece Byakuran, quasi avesse intuito la domanda. -Questa qui ha detto che era mia madre, ma è morta lo scorso inverno... non questo, quello prima... e questo qui, Mukuro chan dice che è il mio migliore amico... però mi ha detto che è morto nello stesso incidente in cui ho perso la memoria...-
Byakuran si rattristò e prese la fotografia. Shoichi non credette ai suoi occhi quando vide quelli viola dell'ex carceriere di Sekko, del Demone Bianco, diventare lucidi. Furtivamente si lucidò gli occhiali.
-Dovrei essere felice di non ricordare più niente... farebbe più male sapere di aver perso la mamma e il mio migliore amico, se riuscissi a ricordare le loro voci... o il momento in cui abbiamo scattato queste foto...-
-Ran... se ti fidi di me, ascolta... è molto meglio che tu non ricordi la tua vita.- disse Shoichi risoluto, e indicò le altre due foto. -Queste foto sono così poche perchè sono pochi i momenti felici della tua vita... una gara vinta alle medie, un amico... hai avuto pochi motivi per essere felice, infatti non lo eri... eri pieno di rabbia per le occasioni che avevi perso, per le ingiustizie che hai subìto... è meglio così. Credimi.-
Byakuran lo guardò sorpreso, ma poi sorrise e rimise la fotografia al suo posto con cura.
-Ti credo... anche Mukuro chan mi dice che ora sono più felice di prima, anche se ho perso tanto...-
Calò il silenzio per qualche lungo, imbarazzante momento, poi Shoichi si alzò e aprì la finestra per lasciar entrare il venticello che soffiava fuori. Quello fece ondeggiare le tende bianche e i ciuffi dei capelli di Byakuran, che si erano allungati molto. Aveva fra le dita un petalo delle rose che teneva sul comodino.
-Sho... tu credi che... Mukuro chan fosse il mio ragazzo?-
Allarmato, Shoichi diede nella risata più naturale che riuscisse a mettere insieme.
-Che cosa te lo fa pensare?-
-Ecco... quando... quando entra nella mia stanza e mi sorride... sento... qualcosa...- cercò di spiegare Byakuran, stringendo la mano sul cuore. -Io so di averlo conosciuto prima dell'incidente... non so come... non so che cosa eravamo... ma io sono sicuro di averlo amato... che lo amo anche ora.-
Byakuran guardò fuori dalla finestra, con un sorriso che probabilmente nessun uomo aveva mai visto all'ultimo generale dell'Haido. Shoichi, convinto che nessuno più di lui potesse confermare i propri sentimenti, non rispose e gli strinse amichevolmente la spalla, lasciando vagare lo sguardo nella sua stessa direzione.
Fuori, il sole splendeva e i ciliegi erano in fiore. Il vento portava i piccoli petali rosa fino a quella stanza bianca.


 
Siamo giunti alla fine de La dodicesima primavera, il culmine, finora, della mia "carriera" di scrittrice di fanfiction, dopo poco più di un anno dall'inizio della pubblicazione qui su EFP. Voglio ringraziare la solitudine di un viaggio in treno e una canzone che hanno fatto nascere in me l'idea per questa storia, e anche te, che sei arrivato a leggere fino a questo punto. Un ringraziamento speciale va a tutti quelli che hanno amato, sofferto e tenuto il fiato sospeso leggendo questa storia lunga e travagliata, a coloro che hanno recensito facendomi coraggio, e a quelli che hanno consigliato la storia ad altri.
Un ultimo immenso grazie va a coloro che la terranno nel cuore, come me, insieme a tante altre storie che vi accompagneranno. Grazie.

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