You're ripped at every edge but you're a masterpiece

di Amaya Lee
(/viewuser.php?uid=575756)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Rosso come il filo che mi lega a te ***
Capitolo 2: *** Arancione come la verità nelle tue mani ***



Capitolo 1
*** Rosso come il filo che mi lega a te ***


 

 

Rosso come il filo che mi lega a te

 

 

 

 

Daichi amava i colori. Da bambino, li aveva amati.

Forse era nata dai cieli blu in technicolor che gli mostrava la televisione, o dal canarino giallo che la vecchia vicina lasciava sempre libero di scorrazzare per il giardino dei Sawamura; lui li amava come se il suo filo (rosso) fosse legato ai colori, piuttosto che alle persone.

Le passioni però, si sa, con il tempo diventano come quelle foto color seppia.

 

#

 


Il venerdì di Daichi non era iniziato esattamente bene. Nessun giorno della settimana, per Daichi, iniziava esattamente bene.

Si svegliava troppo presto, tanto per cominciare, e quasi sempre ad opera del suono squillante dell'ambulanza che passava di fronte a casa sua almeno una volta ogni mattina. A quel punto, anche se la sveglia segnava coi suoi disgustosamente brillanti numeri digitali le quattro e un quarto, gli conveniva alzarsi dal letto. Pescava una camicia e una cravatta senza preoccuparsi dell'abbinamento, visto il suo guardaroba una successione strategica di chiaroscuri.

Bianco e nero. Ancora bianco e nero. Finché non finivano le stampelle.

Le sue erano giornate nere e bianche, e rischiava di diventarlo anche quel venerdì sera.

Yui Michimiya non si era mai dimostrata una persona puntuale, e questo Daichi lo sapeva bene; stavolta era tutta colpa del navigatore satellitare nuovo che si era installata nell'auto, assolutamente inattendibile.

Forse era un po' anche colpa sua, che le aveva chiesto di incontrarsi in un pub appena aperto nella zona periferica meridionale. Ne stava pagando le conseguenze.

I clienti del locale lo stavano sicuramente fissando come un pietoso uomo di trent'anni che non ha nulla da fare la sera se non affogare la solitudine nell'alcohol. O forse un disperato a cui l'amante ha dato buca.

Daichi rimuginava e più lo faceva più si innervosiva, finché decise di farsi durare la birra ancora cinque minuti e poi andarsene. Agognava l'appartamento caldo e la sua coperta termica dalle sfumature argento.

Quello sì che era una acquisto, altro che un maledetto navigatore satellitare.

Fece scorrere gli occhi sull'ambiente con attenzione, per la prima volta da quand'aveva varcato la soglia, già allora di umore plumbeo.

Uomo, donna; donna, ragazza; ragazzo, ragazza; uomo, donna, bambino; uomo, bambino, cane (un dalmata); e così via. Non era nemmeno sicuro che i cani fossero ammessi. Il barman – un tipo avvincente ma dall'aria un po' tonta, con la testa rasata e i tratti decisi – non guardava in quella direzione.

Lo sguardo di Daichi sgusciò sul tavolo più distante, a cui sedeva un uomo solo. Ne aveva visti molti, e tutti gli facevano pressoché la stessa impressione che in quel momento associava a se stesso.

Daichi qualche volta faceva un gioco.

Gran parte del gioco consisteva nel guardare le persone. Quasi tutte quelle che vedeva ogni giorno regolare erano bianche e nere, punti fermi, annegati tra parole verdi, gialle, rosse. L'azzurro, per la nostalgia, Daichi non lo considerava spesso, se non distillato e diluito con mille altre tonalità. Anche l'indifferenza aveva un colore. Più spento degli altri, ma più comune di ciò che si potesse pensare, specialmente alle fermate degli autobus.

L'uomo che beveva da solo aveva occhi castano-dorati che parevano fatti con le tempere. Miti e cordiali, rivolti pacatamente al bicchiere.

Daichi era risaputamente un uomo stressato, ma le tempere l'avevano sempre tranquillizzato in un modo ondeggiante e vago, addirittura spirituale. E se Yui non gli uscì immediatamente dalla mente, una tiepida curiosità si accese ad offuscarla.

Con la coda dell'occhio scorse il barman inclinare il capo nella direzione dove il suo sguardo sostava da un po'. Un sorrisetto deformò la bocca sottile dell'impiegato "Tanaka-senpai", con l'onorifico scarabocchiato sulla targhetta in pennarello – probabilmente per scherzo.

    "Oi, vacci a parlare."

Daichi corrugò ingenuamente la fronte, pur avendo capito al volo. "Scusi?"

    "Gli tieni gli occhi incollati addosso da troppo perché possa sopportarlo ancora un altro secondo. Fate pena entrambi, soli soletti" aggiunse il barman con un versetto scocciato. "Non sei nemmeno troppo messo male. A parte la cravatta..."

    "Cosa non va con la cravatta?"

Tanaka lo trafisse in modo cruciale ed accusatorio. "Andiamo, amico. Grigia. Il grigio non va bene, è barboso."

Sorvolando sul fatto che il suo interlocutore si servisse del lessico di un bimbo delle elementari, Daichi si portò le mani al petto e cominciò ad allentare la cravatta con gesti secchi.

    "Bravo, bravo." Tanaka sembrava soddisfatto del proprio intervento. Probabilmente credeva di aver appena stravolto un destino. "Come fareste se non ci fossi qui io..."

Daichi si alzò dallo sgabello e si voltò prima che il barman potesse aggiungere altro, raccogliendo ogni prezioso grammo di coraggio che restava sopito nei lunghi periodi in cui non osava approcciare anima viva per una chiacchierata senza impegno, o scopo. Era certo di averci perso la mano dai tempi del college.

Notò che accanto al tavolo stava in piedi un ombrello rosso. Il suo possessore di rossa aveva solo qualche sbavatura, ma per la maggior parte no.

Gli occhi di tempera si sollevarono dalla bevanda traslucida – tè, forse – a metà strada.

Stavano guardando Daichi. Ed ecco che spariva la possibilità di ripensarci.

    "Salve" cominciò Daichi quando raggiunse il lato opposto del tavolo, solo un po' impacciato. "Mi scuso se interrompo la sua serata così d'improvviso..."

Daichi, in realtà, stava già cominciando ad agitarsi. Maledisse il barman, maledisse se stesso, maledisse Yui, maledisse i navigatori.

L'inaspettato e ampio sorriso dell'altro lo lasciò confuso, oltre che esageratamente sollevato.

Sorrideva proprio a lui. Ecco, era un bel sorriso color corallo.

    "Sawamura Daichi" si presentò, porgendo educatamente la mano. L'altro la strinse con la destra e gli fece un cenno d'assenso. "...Posso sedermi? ...Oh, grazie."

Daichi si accomodò sulla sedia di fronte. L'uomo continuava a mostrare un piccolo sorriso amorevole, e gli occhi non comunicavano altro che vivacità. A Daichi piaceva.

Non disse niente per pochi secondi, aspettando che l'altro formulasse una frase, una cosa qualsiasi, poiché sembrava davvero sul punto di dire qualcosa.

Ancora un momento.

Ma nessuna parola lasciò le labbra cristalline, leggermente inumidite dalla bevanda calda.

Invece, l'uomo prese un tovagliolo dal piccolo distributore al centro della tavola e frugò nella propria borsa a tracolla. La sua mano, pallida come il viso tondeggiante, ne estrasse una penna a biro di colore blu.

Si mise a scrivere sul tovagliolo. Daichi aveva perso il controllo della propria espressione, la quale doveva risultare molto perplessa.

Prese il tovagliolo che gli venne porto pochi istanti dopo e lo lesse, non potendo negare il brivido che gli corse lungo la spina dorsale.

   "Mi spiace, sono sordomuto dalla nascita. Se vuoi chiacchierare però lo farei volentieri.

    Sugawara Koushi, comunque"

Daichi rilesse la prima frase più volte. Poi alzò il capo e, di fronte all'incantevole sorriso un po' dispiaciuto che gli venne rivolto, avvertì lo stomaco contrarsi bruscamente.

    "Mi spiace moltissimo, non me n'ero reso conto. Lei... legge il labiale?"

Le spalle di Sugawara sussultarono in una risata leggera. Poi l'uomo annuì, come se non avesse un problema al mondo. Mise di nuovo in moto la mano che sosteneva la penna e scrisse sul tovagliolo. "Chiamami soltanto Suga, Daichi."

L'altro respirò profondamente, mentre i suoi occhi mulinavano attorno ai due nomi scribacchiati in elegante fretta, e le lettere oblunghe, che stavano così bene vicine. Daichi scommetteva che unite avessero una deliziosa musicalità.

    "Va bene, Suga." Sì, ce l'avevano.

E se non era una meraviglia il suo nome scritto in quella calligrafia. La voce di Koushi.

    "Aspettavi qualcuno?"

    "La mia migliore amica, Yui. Probabilmente ormai si è persa qui inorno."

    "In effetti in questo quartiere sono particolarmente densi i vicoli. Starà bene?"

    "Se c'è una cosa che Yui sa fare, è cavarsela." Daichi sorrise.

Suga ricambiò con piacere; se i suoi sorrissi fossero stati yen, Daichi si sarebbe potuto sentire detentore di una fortuna.

    "Cosa fai nella vita, Daichi?"

Si stava lasciando fregare tutte le domande, ma finché la conversazione andava avanti poco importava. "Lavoro in un'agenzia pubblicitaria. E tu?"

Sugawara arricciò le labbra. "Sono un pediatra."

     "Oh Dio, è... particolare." Daichi si sporse di più sul tavolo. Le sue mani si avvicinarono pericolosamente a quelle dell'altro uomo. "Devono piacerti molto, i bambini."

     "In effetti. In un modo o nell'altro ho sempre desiderato lavorare con loro"

     "Lo trovo molto bello. Voglio dire, io coi bambini me la cavo, ma non saprei tenerli fermi durante un vaccino, per esempio."

Suga rise, allungando di poco, inavvertitamente, le dita sulla superficie di plastica nera. Daichi rimase con il fiato sospeso finché non si rese conto che da un po' non si erano più detti nulla. Non era sgradevole e non faceva venire voglia a Daichi di alzarsi e salutare.

    "Nel mio lavoro ho capito che sono, come dire, sensibili. E trasparenti. Ogni tanto piangono, l'attimo dopo ridono. Li vedo ogni giorno e non mi stanco mai."

E Daichi ebbe l'impressione che trascorrendo un sacco di tempo con i bambini, Koushi – Suga, con il sorriso rassicurante come il corallo, gli occhi dorati e l'ombrello rosso – fosse molto simile a loro.

 

 

 

Daichi tornò a casa, quella notte, con il numero di telefono di Koushi in una tasca dei pantaloni, ripromettendosi di mandargli un sms la settimana a venire, per non disturbarlo nel week-end. Gli aveva fatto abbastanza piacere parlare con qualcuno, visto che Yui non si era fatta vedere e, se Daichi la conosceva bene, l'indomani l'avrebbe tempestato di chiamate per scusarsi; Daichi non era più così arrabbiato.

Un po' irritato per aver dimenticato la cravatta sul bancone del bar.

Però le tempere l'avevano sempre rilassato.

 

 

#

 

 

Daichi amava i colori. Fin da bambino, li aveva amati.

Forse era nata dai cieli blu in technicolor che gli mostrava la televisione, o dal canarino giallo che la vecchia vicina lasciava sempre libero di scorrazzare per il giardino dei Sawamura; lui li amava come se il suo filo (rosso) fosse legato ai colori, piuttosto che alle persone.











Buongiorno, avventurosi lettori. Okay, è il momento di fare un paio di precisazioni; 1) i personaggi di questa raccolta sono maggiorenni. Ciò significa che non ci sarà nulla di "underage" e che il rating si alzerà (soprattutto perché il fluff mi piace fino a un certo punto) nei prossimi aggiornamenti. Probabilmente. 2) Lo so che qui non si vede molto del nostro Suga, ma abbiate pazienza. Riguardo sia lui che Daichi, apprezzerei se mi faceste sapere se li trovate abbastana OOC da impostare l'avvertimento. 3) Questa raccolta sui colori la volevo fare da tempo, ma finora purtroppo ho in mano solo questo capitolo. Non so quando aggiornerò - probabilmente più in fretta, se vedo che l'idea interessa. (Apprezzo con tutto il cuore sia recensioni positive che costruttivamente critiche!)
Accettate un po' di dozzinale Daisuga love, di periferia, con un po' di problemi esistenziali, perché non ce n'è mai abbastanza.
A presto, e grazie infinite per aver letto
-Amaya

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Arancione come la verità nelle tue mani ***


 

Arancione come la verità nelle tue mani

 

 

 

"Davvero?" Incredulo per finta, Daichi ghignò sotto il filo cristallino del bicchiere. La radiolina imbolsita dagli anni di college –– quei tempi in cui era più che chiaro a tutto il dormitorio che ai compagni del giovane, ultra-responsabile Daichi non fregasse niente di dormire –– avrebbe profuso morbida Stacey Kent per Koushi, e never let me go, love me much, too much... Invece se ne stava impolverata e silenziosa, sul cassettone.

A Daichi piaceva il jazz perché si accordava dolcemente con il marrone dell'arredamento e l'oscurità della sera, e fuori i bagliori della strada (non le stelle, s'intenda) danzavano sulle note tranquille.

Koushi asserì con il capo, confidenziale. "Quel giorno nessuno ha consegnato la tesi sulla cardiopatia infantile."

Esistevano dei fiori arancioni, Daichi ricordava, che crescevano nell'angolo di paradiso  di Nanako Sawamura, e il blocco per gli appunti di Koushi li richiamava sgargiante più di memorie fotografiche. Incorniciate in corridoio.

Koushi le aveva viste e aveva sorriso un poco.

"Terribile", Daichi stiracchiò il braccio destro e lo distese sullo schienale del divano, così poco distante, intelligentemente, dai lindi capelli del dottore.

E quello, accondiscendente, finse di ignorare ciò che stava accadendo (ciò che sarebbe successo.) "Non intendo assolutamente essere esigente e dimostrarmi un ospite sgradevole, ma un altro bicchiere non farebbe male a nessuno. Trovi?"

Daichi scomparve in cucina e lì, mentre riempiva i loro drink e ci gettava dentro cubi microscopici di ghiaccio, talmente microscopici che Koushi non ne avrebbe colto la presenza, pensò che per un appuntamento di quel genere avrebbe sicuramente messo su Stacey Kent.

Koushi indossava una giacca beige con le stringhe marroni, e il cappuccio lasciato largo, una t-shirt lavanda poco pretenziosa, scollo-a-U, trattata con l'ammorbidente, e scarpe da ginnastica nuove. Forse trattate con l'ammorbidente anche quelle; sembrava il tipo di persona. Mentre beveva reggeva lo champagne con il pollice e l'indice e non distoglieva gli occhi dalle labbra di Daichi, per non perdersi nulla di ciò che avrebbe potuto dire. E spesso sorrideva. Alla notte. Because of one caress, my world was overturned at the very start, e lui ci stava mettendo troppo con lo champagne.

Gli occhi di Koushi gli dicevano di sedersi, sul cuscino accanto al suo.

Daichi stava ancora pensando a come annullare quegli spazi senza la musica. Se una carezza avrebbe fatto lo stesso. "Tieni." Gli rese il bicchiere e Koushi lo soppesò, assorto dai propri pensieri.

Le mani di Koushi custodivano universi infiniti e non l'avevano toccato per tutta la serata. Sostenevano la penna con la delicatezza dell'abitudine, e invece con fermezza il bicchiere di vetro. Era una pallida contraddizione. Koushi posò il drink sul tavolino del soggiorno, poi si mise a scrivere sul suo quaderno arancione. "Devi sapere una cosa, Daichi."

L'uomo si raddrizzò sul sofà, you'd never leave me, would you? you couldn't hurt me, could you?, "Cioè?"

E Koushi, Koushi non gli prese la mano, ma il colore nei suoi occhi era più tiepido del mezzogiorno, più delle candele, gli arpionò le ossa. Non c'era un difetto nella sua postura ma un tremolio nelle sue parole, pause sempre più dilungate, mentre spiegava con delicatezza (apparvero, l'una dopo l'altra "donazione dello sperma", "lei", "scelta giusta"). E la sua espressione si tese e distese mentre scriveva "mio".

never let me go, love me much, too much...

A volte bisogna fare ciò che serve, ascoltare se stessi. Daichi era sempre stato bravo in questo genere di cose. Ma quella sera scosse la testa, e dichiarò, risolutamente, "Possiamo farla funzionare lo stesso."

Koushi camminava in punta di piedi su un filo. Non ci fu bisogno che scrivesse altre parole.

"Sì." E fu Daichi a prendergli la mano, ingoiando tutto il resto, il nero, il singhiozzo. "Sì, sono sicuro. Grazie per avermelo fatto sapere da subito. Non mi hai fatto cambiare idea su... su di noi." Lo rassicurò. Servì a calmare entrambi.

"Se ti serve del tempo per pensarci, non devi temere. È ciò che mi aspetto che tu faccia."

Daichi rifletté su cosa dire mentre annuiva. "Ciò che hai fatto è qualcosa di cui non potrei essere che lieto."

"Quanto a" una breve pausa, "possibili complicazioni?"

Nessuno dei due poteva sapere se ne sarebbe valsa la pena. La calligrafia pulita di Koushi lo ometteva.

"D'accordo, senti. Manca ancora un mese alla data approssimativa. E io non voglio obbligarti a scegliere nulla così d'improvviso."

"Va bene." Non era il momento più adatto per le domande, o per scelte importanti. Daichi si sporse e gli baciò la fronte, semplicemente. "Va bene" sussurrò poi, senza che Koushi potesse vedere.

 

Si salutarono a tarda notte con un abbraccio che avrebbe dovuto servire a legarli insieme un po' più stretti, e you couldn't hurt me, could you?. Daichi si chiese, vagamente, quali confini stessero trasgredendo e quali invece sarebbero rimasti per sempre al di fuori della loro portata.











Ciao fandom! finalmente aggiorno questa raccolta, heh ^^
Sarò onesta, il conflitto principale non doveva essere, originariamente, di questo genere e questa portata. Scrivendo questo capitolo mi sono fatta le idee chiare su dove questa story-line vuole andare a parare e credo persino che il tema dei colori sarà ancor meglio rispettato. Spero che differisca almeno un po' da ciò che avete letto su questi due in passato. (adoro incasinare le vite dei personaggi. si nota?)
Chiedo perdono se ci ho messo tanto a tornare su efp ma sono stata occupata un po' con il viaggio, un po' con il mio accesso ad AO3 --che, per chi non lo sapesse (?!), è una piattaforma multilinguistica//inglese aperta a fanwork di qualsiasi fandom e qualsiasi tipo... ma per la maggior parte fanfiction.-- D'ora in poi mi impegnerò quindi anche a scrivere in inglese, e se vi fa piacere potete passare per il mio account
e... bho farvi un giro, dato che posterò traduzioni ma soprattutto storie scritte direttamente in lingua. Quindi... yoohoo, viva la mia autopropaganda. 
A parte gli scherzi, apprezzerei moltissimo (e vi sciacquo di baci) se mi faceste sapere impressioni, pareri e quantaltro su questa one-shot, se vi è piaciuta o anche no. Giuro. Ho tanto amore da dare.
Un abbraccio ad ogni lettore, mangiate tante vitamine e al prossimo aggiornamento! 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3188891