C'era una volta un eroe, ma anche due o tre.

di Looking at the Rainbow
(/viewuser.php?uid=137789)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione. ***
Capitolo 2: *** I ***
Capitolo 3: *** II ***
Capitolo 4: *** III ***
Capitolo 5: *** IV ***
Capitolo 6: *** V ***
Capitolo 7: *** VI ***
Capitolo 8: *** VII ***
Capitolo 9: *** VIII ***
Capitolo 10: *** IX ***



Capitolo 1
*** Introduzione. ***


C'era una volta un eroe, ma anche due o tre.



Ho sessant’anni.
Me lo dice lo specchio che vede il mio volto ogni mattino, con le rughe che vi si fanno spazio sopra, come a voler incidere i ricordi anche sulla pelle.
Me lo dice la mia mente, ormai anziana, che non può far a meno di rimuginare sul passato e sugli errori commessi.
I bivi che si incontrano per la strada e che spesso, troppo spesso, ci portano senza saperlo a imboccare la svolta sbagliata.
Ho sessant’anni e mi chiamo Eleonor Thompson.
Ho cercato per tanto tempo di assumere un’altra identità, ho tentato di convincermi che la mia gioventù in Inghilterra fosse stata soltanto il frutto della mia mente affaticata.
Eppure il cuore non conosce bugie.
Non sono nata in Francia, non ho studiato a Beauxbatons come la maggior parte delle persone che oggi riempiono la mia vita.
Io, Eleonor Thompson, sono cresciuta in Gran Bretagna, ho frequentato Hogwarts, ho conosciuto l’orgoglio di essere una Grifondoro, ma soprattutto sono stata per anni, per tanti anni, la migliore amica di James Potter.
Vorrei iniziare a raccontare la storia di un eroe, di un uomo che per amore ha combattuto ed è morto, ma prima voglio chiedere scusa.
Voglio chiedere scusa perché, oggi che Voldemort è stato definitivamente sconfitto, io sono qui viva, e non sottoterra con gli altri.
Se la mia storia spiegherà perché fui costretta ad andarmene quando ero soltanto una diciassettenne, non c’è niente, tuttavia, che chiarirà perché non sono tornata quando ne avevo la possibilità.
Perché non lo so neppure io, e non capisco come potrei dirlo a voi.
Non so cosa mi abbia spinta, durante l’infanzia di Harry, a non tornare in Inghilterra per cercarlo, per cercare colui che dalle foto avevo riconosciuto come una piccola copia di suo padre.
Un’impronta, lasciata da James nella sabbia del mondo.
Ma con gli occhi di Lily, certo.
Non conosco quella vigliaccheria che mi impedì di cercare Remus, quando Sirius venne accusato di assassinio.
Non so perché, allora, non mi presentai alla sua porta per confortarlo, per ricordargli che il suo migliore amico era innocente.
Che Sirius era stato Malandrino fino alla fine, come il Mondo Magico ha scoperto troppo tardi.
Di nuovo ebbi la tentazione di tornare da Harry qualche tempo fa, quando è stato finalmente accolto come il salvatore.
Certo, qui le notizie sono giunte attutite, modificate, ma sono riuscita a ricostruire la storia e posso affermare, senza per questo rischiare di sbagliare, che egli è un eroe come suo padre, anche e soprattutto perché non ha mai avuto la presunzione di diventarlo.
Non tornai quella volta, tentai come sempre di cambiare identità.
Fino ad oggi.
Oggi ho deciso di lasciare che la mente di una vecchia signora si abbandoni docilmente alla corrente dei ricordi.
E prima che questo avvenga, lascio le ultime righe per te, Harry Potter.
Se mai leggerai ciò che sto scrivendo sappi che, un po’ lontano da casa tua, c’è qualcuno che non ti conosce, ma che conosce la tua storia.
Una storia che meriti di sentire, finalmente.
Questo qualcuno ti vuole bene, ma è troppo debole per cercarti,
Sii fiero delle tue origini, Harry.
Sii fiero delle tue azioni.
E soprattutto non dare ascolto a chi vuole toglierti il piacere e il diritto di fantasticare.
Cresci i tuoi figli come avrebbero voluto fare James e Lily con te.
Non lasciare che diventino eroi, ragazzo, perché soltanto la dolcezza della quotidianità potrà farti dimenticare gli orrori da cui io, codarda, sono fuggita, ma che tu hai affrontato a testa alta.
C’è un’ultima cosa che devo chiederti.
Se puoi, non odiarmi per quello che ho fatto.
Se puoi, non odiarmi perché sono viva.
Ti voglio bene, Harry.

Eleonor.



Note: Sono una folle, perché non dovrei iniziare questa long, ma non posso farne a meno. Ha deciso di venir fuori così, all'improvviso, e l'ho dovuta assecondare. Non racconterò ovviamente ogni passaggio della vita di James, diciamo che mi concentrerò sui tratti salienti dei primi sei anni e più dettagliatamente sul settimo.Scoprirete poi qual'è la storia di Eleonor Thompson, cosa ha significato per lui, per i Malandrini e per Lily. Spero di riuscire ad aggiornare con una certa regolarità, soprattutto i primi capitoli che mi servono per avviare la storia. Ci tengo a portarla a termine, credetemi. Non è semplice creare un nuovo personaggio di questo spessore, ma spero di riuscire nell'impresa.  So che di questi tempi circolano talmente tante versioni dei Malandrini che probabilmente questa finirà dimenticata tra le pagine di Efp, ma mi farebbe piacere ricevere un parere, fosse anche un "vai a casa, non sai scrivere!".So anche che, continuando a parlare, probabilmente finirò con l'annoiarvi, quindi me la svigno. Alla prossima, gente! :)

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** I ***



C'era una volta un eroe, ma anche due o tre.

La pergamena bianca mi guarda, spazientita, invitandomi ad intingere la piuma e iniziare.
Ed io, debole come sempre, l’assecondo.
Non so dirti, Harry, quando vidi tuo padre per la prima volta.
Mi piacerebbe descriverti una sua entrata in scena che mi colpì, ma la mia mente, allora bambina, non ha trattenuto nessuna immagine di quel momento.
La famiglia Potter e la famiglia Thompson erano infatti legate da una profonda amicizia già prima della nostra nascita.
Amicizia che fu certamente rafforzata dall’arrivo di due bambini, ad un mese di distanza l’uno dall’altra.
Questo rapporto garantì a James e me di crescere insieme, di darci quasi per scontati in ogni momento della nostra infanzia.
C’era lui, nelle foto in cui comparivo con due dentini, davanti ad una grande torta, il giorno del mio primo compleanno.
C’era lui quando imparai a camminare, imitando i pochi passi che, più temerario di me, aveva già compiuto.
C’era James quando a sei anni caddi dalla sua scopa giocattolo rompendomi un polso.
C’era in ogni pomeriggio invernale trascorso davanti al camino e in ogni giornata estiva spesa in giardino a fantasticare.
Fantasticare, sognare, ecco, forse si trovava lì la chiave del nostro legame, a quei tempi.
Quello che ci rese complici e compagni.
In tutti quei pomeriggi, in tutte quelle giornate, noi immaginavamo il nostro futuro.
Futuro che, come per tanti altri maghi e streghe, aveva un nome che suscitava sempre un sorriso e uno sguardo brillante di emozione.
Hogwarts.
Nei pensieri di due bambini c’era il giorno in cui, seguendo le orme dei nostri genitori, saremmo saliti su quel treno scarlatto e sbuffante per diventare grandi. Grandi insieme.
E gli undici anni non si fecero attendere.
I gufi, con le due lettere identiche che avevamo tanto agognato, ci trovarono a fare colazione a casa mia.
In quella cucina un po’ troppo gialla come piaceva a mia madre, gomito a gomito, le aprimmo e ci abbracciammo, io con gli occhi lucidi, lui già pregustando il divertimento che lo attendeva.
Nei giorni seguenti ci fornimmo dell’occorrente e, ad ogni acquisto, Hogwarts diventava più vera, più concreta.
La notte che precedette quel lontano 1° Settembre 1971, praticamente non chiusi occhio.
Per la prima volta, lontana da James e dal suo entusiasmo, provai paura.
Paura per quel luogo che non conoscevo, paura di trovarmi magari senza di lui, paura nel dovermi allontanare dai miei genitori.
Alle cinque, seduta sul letto, gettavo uno sguardo al mio baule, già pronto, uno alla finestra, dove la luce del mattino si faceva sempre più intensa e uno alla mia camera che con ogni probabilità non avrei rivisto fino a Natale.
Ogni inquietudine mi abbandonò, tuttavia, sostituita da un entusiasmo che mi impediva di rimanere ferma anche solo per un secondo, non appena misi piede fuori dalla porta, vestita di tutto punto.
Lì trovai James.
Aveva i capelli più scompigliati del solito, gli occhi appannati dietro alle lenti degli occhiali e, grattandosi una guancia borbottò: “Mamma mi ha buttato giù dal letto.”
Io scoppia in una risata liberatoria che sicuramente non comprese.
Eravamo insieme e, con lui al mio fianco, sarebbe andato tutto bene.
I nostri genitori ci accompagnarono al binario, ci strinsero entrambi in un abbraccio mozzafiato e con sorpresa vidi Dorea Potter, l’Auror intransigente, con le lacrime agli occhi.
Quando salii sul treno capii che tante cose stavano per cambiare, che sarei cresciuta e che della bambina che conoscevo avrei ritrovato a breve soltanto i lineamenti sottili, i capelli chiari e gli occhi blu.
“Cerchiamo uno scompartimento?” mi chiese James.
Io annuii, con un sorriso che andava da un orecchio all’altro e che nascondeva tante domande.
Alla fine, gli unici posti che trovammo liberi erano in fondo al treno, accanto ad altri tre ragazzi e una ragazzina, tutti, a giudicare dagli sguardi disorientati, al primo anno come noi.
James, ancora scombussolato dall’essere stato svegliato brutalmente, riuscì a crollare con la testa addosso al finestrino in un sonno profondo così io fui libera di fare una delle cose che mi riusciva meglio; osservare.
Senza dare nell’occhio la mia attenzione si focalizzò su coloro che mi circondavano e fu catturata dalla ragazzina.
Era più alta di me, aveva capelli scuri e lucenti e stringeva tra le mani quello che riconobbi per il primo volume di Storia della Magia. Sembrava totalmente presa dalla lettura.
Inspiegabilmente, provai un moto di simpatia nei suoi confronti.
Accanto a lei, c’era un ragazzo che sprofondava di tanto in tanto in un sonno leggero, dal quale riemergeva con un sussulto; la sua testa, come se seguisse un ritmo sconosciuto, scendeva sul collo e si rialzava di scatto.
Mi colpì il suo volto, che pur essendo segnato da una profonda cicatrice sulla guancia sinistra, non sembrava affatto minaccioso.
Provai l’impulso di rassicurarlo per qualcosa che non conoscevo, ma che sembrava tormentarlo.
Scostando lo sguardo da lui, andai a posarlo su colui che sedeva accanto a me e che se ne stava raggomitolato sul sedile.
Quando si accorse che lo guardavo, si allontanò un po’, quasi intimorito, e notai che era un po’ pienotto e che aveva piccoli occhi chiari.
Infine mi concentrai sull’ultima persona che occupava lo scompartimento.
Avevo evitato accuratamente di osservarlo, perché a differenza degli altri, cercava il mio sguardo, come se stesse cercando di catturare la mia attenzione per sfidarmi a studiarlo.
Pur avendo incisi sul volto la morbidezza e la dolcezza tipiche dei bambini, sembrava più grande e iniziava a far mostra di una notevole bellezza che mi fece inspiegabilmente arrossire.
Non appena sollevai gli occhi per fissarli nei suoi, celesti e freddi come il ghiaccio, quello curvò le labbra in un sorriso strafottente.
“Come ti chiami?” mi domandò.
“Eleonor” risposi, tentando di rimanere distaccata quanto lui. “Tu?”
“Sirius Black” si presentò “ma non mi piace essere paragonato a quelli della mia famiglia, qualsiasi cosa tu sappia su di loro”.
Io scrollai le spalle.
Avevo sentito mia madre parlare dei Black di tanto in tanto, ma non avevo mai dato orecchio a ciò che diceva, quindi a parte la loro esistenza non avrei saputo dire molto altro.
“E quello lì chi è?” mi chiese dopo qualche minuto, indicando con un cenno del capo James.
“Oh, lui è James Potter, il mio migliore amico”.
“Beh, lasciatelo dire, il tuo amico è vergognoso.”
Senza capire lo guardai e vidi che, nel sonno, la sua guancia si era attaccata al vetro, la bocca si era aperta e gli occhiali pendevano storti sul naso.
Era vergognoso, davvero, ma il tono in cui quello lo aveva detto mi infastidì tanto che gli risposi con un po’ di arroganza.
“Non sono problemi tuoi.”
Quel Black sbuffò e, stringendo la manopola del finestrino, lo abbassò in un colpo solo, facendo sbattere la testa a James e facendo entrare il vento generato dal treno in corsa.
Probabilmente fu allora che iniziò il mio astio nei confronti di Sirius Black.
Mi alzai, con la bacchetta sguainata, come se poi sapessi produrre altro che qualche scintilla colorata, decisa a farlo fuori.
James invece, che con l’urto si era svegliato, trovò lo scherzo estremamente divertente e, dopo avermi tranquillizzata, iniziò a parlare con l’artefice dando vita a un’inspiegabile complicità.
Ben presto la conversazione coinvolse tutti, come se il muro, creato dal non conoscerci, fosse crollato al suono della risata di James.
Il ragazzo dolce si presentò come Remus Lupin, passò gran parte del viaggio in silenzio, con un sorriso sulle labbra, come se si sentisse per qualche strana ragione, fortunato a stare lì con noi.
L’altro ragazzino invece, che sembrava ancor più spaventato dopo la mia sfuriata, seguiva con lo sguardo ciò che accadeva e una delle poche cose che disse, quando gli fu esplicitamente chiesto fu un: “Mi chiamo Peter Minus”, pronunciato con voce un po’ acuta.
La ragazza infine, messo da parte il grosso tomo scolastico si rivelò essere dolce e disponibile e, quando passò la signora del carrello, offrì a tutti un bastoncino di liquirizia, guadagnandosi da parte di Minus uno sguardo poco meno che amorevole.
Disse di chiamarsi Mary, Mary MacDonald.
So, Harry, che raccontarti questi pezzi di vita è uno dei regali più belli che tu possa ricevere, ma non ricordo con esattezza come si svolse tutto il viaggio.
Sappi però, che alla fine della corsa, quando il treno iniziò a rallentare tra uno sbuffo e l’altro, avevo avuto modo di conoscere meglio Remus e Mary e di dire che Peter non era poi così noioso, avevo avuto modo di classificare Sirius come un presuntuoso e un arrogante e, soprattutto, avevo iniziato a sentire gli aghi con cui l’invidia sembrava pungermi la pelle.
Tra Sirius e James si erano create una sintonia e un’armonia che non riuscivo a spiegarmi, che non volevo spiegarmi.
Strinsi la mano a Mary quando, scendendo dall’Espresso, Hogwarts si stagliò di fronte a noi, bellissima.
Era lì, il castello dei nostri sogni di bambini, delle nostre speranze.
Ci stava aspettando, oltre la superficie piatta di quel lago che alla luce della luna sembrava inchiostro.
Insieme, senza sapere quello che ci attendeva, iniziammo quel magico viaggio.

 




Note: e per vostra gioia (ma gioia di chi, vi chiederete), beh per gioia di qualcuno rieccomi qua.
Fortunatamente sono riuscita a pubblicare almeno questo secondo capitolo, che poi è l’inizio vero e proprio, senza farvi aspettare tanto. Ci tenevo che fosse così perché l’altra era praticamente un’introduzione. Che dire? A parte che ho una paura terribile di deludere le vostre aspettative con l’inizio del racconto… Niente. Aspetto un vostro segnale, anche di fumo, se ci siete ancora. Un bacio a tutti.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** II ***


C'era una volta un eroe, ma anche due o tre.

No, Harry, non ho dimenticato, raccontando la mia storia, di parlarti di una ragazzina vivace con dei dolci occhi verdi e dei capelli rossi un po’ troppo appariscenti.
Se ancora non ho nominato tua madre è soltanto perché James non la vide alla stazione, né nel treno. Ed io con lui.
La prima volta che lo sguardo di tuo padre si posò su Lily Evans eravamo in fila davanti ad un vecchio Capello che avrebbe deciso il nostro destino.
Non ho mai accettato fino in fondo che fosse un pezzo di stoffa, seppure assai potente, a separare coloro che magari erano compagni da una vita.
Soltanto adesso, con la vecchiaia, inizio a capire che chi ha vissuto a lungo, che si tratti di un uomo, di un animale o di qualche fibra di tessuto, acquisisce uno strano dono.
Impara a leggere tra le pieghe della mente, riesce a vedere, a volte con chiarezza, il futuro, gettando uno sguardo al passato per comprenderlo meglio.
Quante volte avrai sentito dire che la storia è un ciclo di eventi che continuano a ripetersi e ripetersi ancora?
Tra qualche anno comprenderai quanto c’è di vero in tutto ciò.
Quando i tuoi figli ti confideranno quelle ansie che a te sembra di aver provato una vita fa, capirai di essere una goccia nell’oceano, non tanto diversa dalle altre.

Ma sto divagando.
Dicevo; la prima volta che James vide Lily non rimase catturato dalla sua grazia o dalla sua bellezza.
Semplicemente, nell’ingenuità e nell’entusiasmo dei suoi undici anni, esclamò: “Una con i capelli così rossi non può essere che una Grifondoro, vedrai.”
E il Cappello, appena qualche minuto dopo, non si diede la pena di smentirlo.
Insieme, io e James, vedemmo i nostri compagni finire ad uno ad uno nella stessa Casa, mentre noi, impazienti, aspettavamo il nostro turno.
Ci fu Black, che andò contro la tradizione di famiglia.
Ci fu Lupin, che guardò entusiasta e incredulo quel tavolo che lo accoglieva con un applauso fragoroso.
Ci fu Mary, che con una corsa e un sorriso prese posto, involontariamente, accanto a tua madre.
Ci fu Minus, che rimane frastornato dal verdetto, evidentemente inaspettato.
E poi ci fu anche James, che avanzò verso lo sgabello cercando di celare ogni ansia.
Il Cappello sfiorò la sua testa solo un secondo prima di urlare all’intera Sala Grande la decisione.
Grifondoro.
Così rimasi soltanto io in attesa, mentre la lista si riduceva di nome in nome.
Furono minuti terribili, nei quali l’ansia che avevo provato la notte precedente lottò per prendere possesso di me, di nuovo.
Quel “Thompson, Eleonor”, pronunciato da una voce secca e perentoria fu l’ancora di salvezza a cui mi aggrappai.
Quel “Grifondoro”, che mi rimbombò nelle orecchie, fu una delle soddisfazioni più grandi che ricordo di aver provato.
Ebbra di felicità, mentre mi accomodavo tra Mary e James, dimenticai ogni ansia e ogni preoccupazione.
Eravamo tutti insieme.
Avevamo superato la nostra prima prova.
Eppure, se quel momento per me era perfetto, mi accorsi ben presto che il Cappello, o il destino che dir si voglia, non era stato clemente con tutti.
Tua madre, nonostante i dolci tentativi di Mary di coinvolgerla nell’atmosfera festante che regnava sovrana sotto a quel magico cielo trapuntato di stelle, se ne stava mogia mogia, sbocconcellando ciò che aveva nel piatto.
Sistematicamente il suo sguardo volava al tavolo dei Serpeverde, dove un ragazzino con i capelli neri e il naso adunco sembrava triste quanto lei.
Ricordai che era stato al suo fianco, sempre.
Severus Piton era il suo migliore amico, ci disse.
Senza di lui non avrebbe saputo neppure cos’era la magia, senza di lui avrebbe continuato a sentirsi strana, senza sapere di essere speciale.
Pensai alla mia breve vita separata da quella di James, e compresi il nodo allo stomaco che doveva sentire.
La consolammo, tentammo di farla sorridere.
E ci stavamo anche riuscendo prima che tuo padre, da due posti di distanza, carpisse l’argomento della conversazione e intervenisse.
“Oh, ma quello è soltanto un moccioso, per di più una Serpe. Ci siamo noi qua, ti divertirai!” esclamò.
Il mio scappellotto non gli fece probabilmente comprendere la gravità di ciò che aveva appena detto e lo sguardo che Lily gli rivolse era una dichiarazione di guerra.
Da quel momento tua madre fu molto poco ragionevole nei suoi confronti.
L’odiava, diceva.
L’aveva capito in quella serata che era stata allegra quasi per tutti.
Perché quando si è felici, se si guarda un po’ fuori dalla propria bolla, si può vedere sempre qualcuno che piange. È una delle regole della vita.
Poco più tardi conobbi le altre compagne con cui avrei diviso il Dormitorio.

Alice Prewett.

Emmeline Vance.
Mary MacDonald.
Lily Evans.

Non potevo ancora sapere che quei nomi sarebbero diventati una parte di me.

Non potevo sapere che quei visi di bambine sarebbero diventati la mia seconda famiglia.
Non potevo saperlo, certo, ma forse lo immaginai.
In quella serata in cui per la prima volta mi gettai sul mio letto a baldacchino. Il più lontano dalla finestra, perché per salutare James ero arrivata tardi.
In quella serata in cui compresi quanto era assurdo cercare di spiegare a Lily Evans che tuo padre non era cattivo e nemmeno uno sbruffone.
In quella serata in cui capii che lui, se fossimo diventate amiche, sarebbe diventato il nostro argomento tabù.
In quella serata in cui, infine, mi addormentai sorridente, con la bacchetta sul comodino e tanti sogni nel cassetto.
E stavo tremendamente bene, perché l’unica preoccupazione in quel momento era di non perdermi per arrivare in classe il giorno dopo.
Alle scale è sempre piaciuto cambiare, dopotutto.
E noi dovevamo ancora comprendere il linguaggio segreto di Hogwarts.




Note: Tatatàà, rieccomi qua. Capitolo non lunghissimo, lo so, non me ne vogliate, ma quando allungo il brodo rischio di diventare ripetitiva e scocciante. Sono una di quelle che alla quarta colonna di tema inizia a sclerare, sì. Ma non so perché sto parlando di questo. Ritornando al capitolo, siamo al primo anno, ancora per due o tre aggiornamenti, poi passeremo oltre, o ci passerò da sola se vi stuferete di starmi a sentire.
Nel frattempo ringrazio di cuore le persone che hanno recensito, e quelle che hanno inserito la storia tra le preferite/ricordate/seguite. Tanto amore :D
Ora me ne vado, giusto. Besos <3




Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** III ***


C'era una volta un eroe, ma anche due o tre.

Quel primo anno.
Oh, Harry, saprai meglio di me cosa significa il primo anno a Hogwarts.
Una continua scoperta, un perpetuo guardarsi intorno a bocca aperta, l’incredulità sul volto di chi si chiede: “Possibile che proprio io abbia avuto questa fortuna?”
Anche oggi, a distanza di così tanto tempo, lo ricordo perfettamente. Ricordo persino l’accozzaglia di emozioni che mi attanagliavano il petto di fronte ad ogni cosa nuova.
Eccitazione, paura di sbagliare, curiosità, gioia.
C’era tutto.
E oggi, parlandoti di quel periodo, voglio farti spuntare un sorriso sulle labbra.
Perché probabilmente sarai venuto a conoscenza di diversi momenti della vita di tuo padre; i suoi ultimi istanti, il tentativo di salvare te e tua madre.
Eppure sono quasi certa che nessuno abbia mai pensato, nel clima di guerra che fino a qualche anno fa soffocava il Mondo Magico, di raccontarti, ad esempio, come fu la prima lezione di volo di James Potter.
Sono venuta a sapere, dai numerosi articoli su di te, che sei stato Cercatore nella squadra della tua Casa e Capitano, da un certo momento in poi.
Forse saprai, o forse no, che tuo padre adorava il Quidditch con tutto se stesso e che per molti versi hai seguito le sue orme o meglio la scia della sua scopa.
Fu probabilmente un amore sbocciato a otto anni quando volò per la prima volta.
Non ricordo di aver mai visto qualcuno altrettanto entusiasta per qualcosa.
A chi glielo chiedeva, James ha sempre ripetuto: “Mi piace volare perché lì le regole della vita non valgono”.
E anche se Lily sosteneva che fosse un modo come tanti per sfuggire alle norme scolastiche, io sono certa che dietro alle sue parole ci fosse molto altro.
Si sentiva libero, lassù, e non doveva fare i conti con i problemi che, prima o poi, tutti dobbiamo affrontare nella vita.
Era il suo modo per staccare la spina, per pensare, per sfogarsi.
C’è chi piange, chi corre e chi cucina; James volava.
Comunque prima di perdermi in altri discorsi, avevo promesso di raccontarti una storia divertente e così sarà.
La nostra prima lezione di volo si svolse una settimana dopo l’arrivo a Hogwarts, in una mattina tersa e fresca.
Io e James scendemmo a colazione emozionati e impazienti.
Conoscevamo il piacere che si prova stando su una scopa e riuscivamo a farlo discretamente, tanto bastava, nelle nostre menti di undicenni, per farci camminare a testa alta, incuranti delle preoccupazioni altrui.
Tu che sei cresciuto tra i Babbani, Harry, forse puoi capire lo sgomento di chi si trova catapultato nel Mondo Magico, senza averne mai sospettato l’esistenza.
Per me, ma anche per tuo padre, era molto, molto più difficile da comprendere.
Tua madre ad esempio quella mattina, era terrorizzata all’idea di ciò che stava per succedere e continuava a ripetere, adocchiando le scope, che lei, con quelle cose, poteva al massimo pulirci per terra.
Nelle stesse condizioni erano parecchi altri Babbani di nascita e, a dir la verità, l’unica che ricordo perfettamente a suo agio era Mary.
Nel 1971 l’insegnante di volo era una donna rotondetta e un po’ attempata che decise di sottrarsi alle ansie del mestiere quando noi eravamo al terzo anno.
“I suoi nervi non avrebbero sopportato un’altra partita Serpeverde - Grifondoro”, furono queste le sue parole.
Si chiamava Madama Wright, soprannominata da tutti, poco elegantemente - devo ammetterlo - la Pluffa.
Quando arrivammo al campo, Madama Wright ci diede una scopa ciascuno e ci mostrò come farla sollevare da terra.
Quel primo passaggio non creò il minimo problema, né a me né a James.
Lily invece ci riuscì soltanto dopo essere giunta a supplicare il “maledetto aggeggio” di comportarsi bene.
Fatto ciò, con i dovuti inghippi, Madama Wright lasciò davanti a lei una sola scopa e ci mise in fila.
Uno alla volta, avremmo dovuto fare un breve giro in tondo ad un metro da terra per poi riatterrare dolcemente.
Il primo fu Frank Paciock, compagno di stanza di James insieme a Minus, Lupin e Black.
Svolse egregiamente il suo compito e si guadagnò un’occhiata compiaciuta dall’insegnante.
Poi fu il turno di Remus che traballò un po’, ma riuscì a rimanere in equilibrio e di Lily che fece tre quarti del giro ad occhi chiusi e toccò terra un po’ troppo rudemente.
Poi venne Minus, che cadde nell’erba appena dopo essersi sollevato e Black che affrontò la prova in maniera impeccabile, con un ghigno stampato sul volto.
Quando scese mi lanciò con molta poca grazia la scopa, e, credimi, fui veramente tentata di rompergliela in testa.
Conclusi il giro atterrando dolcemente sull’erba e facendo spuntare un sorriso sulle labbra di James.
Passai il mezzo a Mary che stupì tutti con una prova non molto lontana dalla mia che volavo da qualche anno, prova che fu accolta con un applauso da tutti i compagni.
Infine lei mise la scopa nelle mani James.
E fu la fine.
Devi sapere, Harry, che c’erano poche cose delle quali tuo padre andava fiero, e il Quidditch era decisamente una di quelle.
Ogni volta che si toccava l’argomento, finiva per vantarsi per la sua abilità, magari passandosi una mano tra i capelli e garantendosi un’occhiata di genuino odio da parte di Lily.
Quel giorno non fece eccezione.
Prese la scopa guardandosi intorno per catturare l’attenzione e quando fu certo che gli occhi ti tutti fossero puntati su di lui vi salì a cavalcioni.
Si librò in aria in maniera impeccabile.
Il primo mezzo giro fu perfetto.
E poi, semplicemente smise di guardare avanti per fissare lo sguardo su di noi - come a volerci mostrare la sua bravura.
Non si preoccupò minimamente del palo di uno degli anelli che era davanti a lui, ma se ne dovette preoccupare poco dopo Madama Chips, l’Infermiera, quando lo portammo da lei, svenuto e con la testa dolorante.
E così iniziò la carriera del grande James Potter, con un avvenimento che gli costò, negli anni, non poche prese in giro persino da suo padre.
Te lo saresti mai aspettato?
Probabilmente se fosse qui mi odierebbe perché ho appena rovinato la sua intoccabile reputazione, io spero invece di averti regalato un attimo della sua vita che non conoscevi.
E se questo lo mette in ridicolo, forse da una parte è meglio, perché ti sembrerà più reale, più come un genitore da ricordare con un sorriso che come un eroe da cercare di imitare.
E con questo non voglio dire che James non fu un grande.
Dimostrò di esserlo, lo dimostrò non sottraendosi mai ai combattimenti, lo dimostrò con la sua fedeltà per gli amici e con il suo amore per tua madre.
James fu un grande, soltanto non fu perfetto perché la perfezione, davvero, non è umana.
E tu, Harry, hai bisogno di prove concrete che ti dicano che i tuoi genitori erano persone normali, con i loro pregi e loro difetti.
Hai bisogno di sapere che non sei il figlio di due miti, semplicemente perché nei miti i protagonisti sono divinità e non uomini.
Ricordatelo sempre, James e Lily erano persone stupende, ma erano pur sempre persone.
Come te e come me.


Note: Eccomiiii :D avevo il capitolo finito già da un paio di giorni , ma i dubbi esistenziali che come sempre mi assalgono mi hanno fatto rimandare la pubblicazione fino ad oggi.
È sicuramente qualcosa di diverso dal solito, quindi se fa schifo non fatevi problemi a dirmelo.
Nel frattempo ringrazio le fantastiche persone che l’altra volta hanno recensito, perché sì, per me 5 sono tante, e anche quelle che hanno messo la storia tra le preferite/seguite/ricordate.
Un bacione e alla prossima!

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** IV ***


C'era una volta un eroe, ma anche due o tre.

È estate, Harry.


Parigi inizia lentamente a svuotarsi e i Babbani caricano le loro automobili, diretti verso chissà quale località di mare in cui refrigerarsi e liberarsi dello stress.
C’è soltanto qualche turista che arriva, ma quelli si riconoscono dallo sguardo perso su qualche cartina e dalle macchine fotografiche al collo.
Ho sempre pensato che l’estate fosse una stagione strana, dalle mille facce.
Quando ero piccola non vedevo l’ora che le giornate iniziassero ad allungarsi e che il clima divenisse abbastanza mite da permettermi di uscire senza giacchetto.
Inspiegabile l’odio di tutti i bambini nei confronti dei giacchetti, non trovi?

A quei tempi la bella stagione era sempre una riscoperta di occhiali da sole e cappelli di paglia che, chiusi in qualche scatolone, avevo finito per dimenticare.

Mi sembra strano pensarci ora che sono i miei stessi figli ad impedirmi di uscire nelle ore più calde per paura che mi senta male.
Ma pur avendo la certezza che i tempi migliori non sono più davanti a me quanto dietro, l’estate rimane una stagione speciale.
Quella in cui si rincontrano vecchie conoscenze e se ne fanno delle nuove, quella degli amori passeggeri e delle lunghe serate spensierate.
Ne ho vissute tante di belle estati, Harry, ma, almeno per il momento, voglio raccontarti solo quella seguì il nostro primo anno a Hogwarts.


Era ormai il 1972 e l’arrivo di Giugno ci trovò più uniti che mai e quasi irriconoscibili.
James e Sirius, con Remus e Peter ad assecondarli, avevano iniziato quella che sarebbe stata per i professori una lunga e lenta tortura a suon di scherzi di qualsiasi genere.
Il nome “Malandrini” iniziava a risuonare nell’aria al loro passaggio e in me aleggiava ancora un po’ di quella gelosia che avevo provato fin dal primo istante.
Sicuramente quell’anno avevo dovuto imparare a condividere il mio migliore amico con qualcun altro, ma mi rasserenava il fatto che, di tanto in tanto, lui mi veniva vicino, mi abbracciava e passavamo qualche ora a parlare fuori nel parco, come un tempo.
Se non altro il suo allontanamento mi aveva permesso di legare con tutte le ragazze e imparare a conoscerle.
Sapevo ad esempio che non dovevo disturbare Lily mentre studiava o Emmeline mentre si pettinava prima di andare a dormire.
Sapevo che non dovevo criticare Alice quando mangiava la torta al cioccolato insieme alle patate al forno o che non dovevo incitare le domande di Mary sul Quidditch, altrimenti non sarebbero finite mai.
Avevo imparato che l’aggettivo preferito di Lily per James era “idiota” e che era portata per le Pozioni più di Lumacorno stesso, che Mary odiava la marmellata alle arance, che Alice straparlava quando era agitata e che Emmeline non sarebbe mai riuscita a studiare Storia della Magia senza addormentarsi.
Avevamo tutte imparato a volerci bene, difetti inclusi, e per questo accogliemmo le vacanze con un sorriso amaro.
Perché significavano doversi allontanare dagli amici per tornare ad essere figli, significavano perdere quelle abitudini che nel corso dell’anno erano diventate quotidianità.
Ricordo che affrontammo il viaggio di ritorno scambiandoci la solenne promessa di scriverci e io mi offrii di ospitare Mary per gli ultimi dieci giorni, quando i suoi genitori sarebbero partiti per andare a trovare degli zii in Argentina.
Quando scendemmo alla stazione almeno per qualche ora dimenticammo tutta la tristezza della separazione, perché dopotutto avevamo undici anni e rivedere la nostra famiglia era una grande gioia.
L’unica che non vidi particolarmente entusiasta per l’arrivo fu Lily, della quale, al tempo, non conoscevo ancora la storia.
Tra il fumo individuai i miei genitori accanto a quelli di James e dopo averlo ritrovato ci avviammo insieme verso di loro.


Durante quelle prime settimane di vacanza riscoprii il rapporto con tuo padre, egoisticamente felice, nel profondo, di averlo di nuovo tutto per me per qualche tempo.
Ci ritrovammo complici e lui mi raccontò tutto ciò che durante l’anno mi ero persa, mi raccontò di quanto avesse legato con Sirius, delle sue preoccupazioni per la salute di Remus, che era stata piuttosto instabile, e delle goffe figuracce di Peter che li considerava poco meno che divinità.
Riscoprimmo il piacere che poteva offrire una semplice distesa di prato, mentre ci esercitavamo spacciando per Pluffe delle palline Babbane.
Fu dopo quel periodo allegro che arrivò la sorpresa e ricordo che allora mi dissi che, veramente, andava tutto troppo bene per continuare così.
La sorpresa si presentò la prima Domenica di Agosto alla porta di casa Potter, con il baule alla mano e il solito odioso sorriso sulla faccia.
Sirius Black era stato gentilmente invitato da James e dai suoi genitori perché aveva avuto problemi con la famiglia che non conoscevo e che, a dirla tutta, non mi interessavano nemmeno un po’.
Nel vederlo, la torta che Dorea aveva gentilmente preparato perché io e James facessimo merenda, mi rimase sullo stomaco e mi alzai dal divano guardando tuo padre.
“Perché non mi hai detto che veniva questo qui?” gli chiesi gelida.
Lui tentò di spiegarmi qualcosa che avrei capito soltanto in seguito.
Non mi aveva detto niente perché si era reso conto della mia gelosia, non accorgendosi che così mi avrebbe soltanto mandata su tutte le furie.
Me ne andai da casa Potter senza una parola e il mio silenzio si protrasse per due settimane.
Ignorai qualunque tentativo di James di parlarmi, compreso quando venne a bussarmi alla porta alle otto di mattina approfittando del fatto che Sirius dormisse ancora.
Mi comportai, in fondo, da bambina qual ero, non accettando che il mio migliore amico, che faceva il buffone per tre quarti del suo tempo, fosse in realtà più maturo di me.
La situazione si sbloccò con l’arrivo di Mary, che portò senz’altro una boccata d’aria fresca.
Le avevo scritto in una delle tante lettere che ci eravamo scambiate, dell’arrivo di Sirius e lei, a differenza mia, era parsa entusiasta della cosa.
Volle a tutti i costi passare il tempo con lui e James, principalmente giocando a Quidditch su delle vecchie scope, e alla fine io fui costretta ad adattarmi, cercando di trattare entrambi con freddezza.
Se con James fallii dopo appena un paio di giorni, il mio atteggiamento duro con Sirius non crollò per tutta l’estate e, in qualche modo, fui ricambiata con altrettanta indifferenza.
Tra lui e Mary al contrario, nacque una sintonia che a Hogwarts, dove il tempo passato insieme era notevolmente inferiore, non aveva avuto modo di venir fuori.
Sintonia che sorprese me quanto James e forse anche loro due.


E così il primo Settembre si avvicinava sempre di più, mentre l’estate iniziava a scemare portando nei nostri bauli i nuovi libri di testo.
Il fatidico giorno che segnò l’inizio del secondo anno a Hogwarts raggiungemmo insieme quella barriera che nascondeva il nostro Mondo agli occhi Babbani.
James procedeva entusiasta, sballottando Mae, la sua civetta, non troppo contenta di essere stata chiusa in gabbia.
Io lo seguivo, assaporando già il viaggio che ci aspettava.
Sirius e Mary chiudevano la fila, discutendo scherzosamente circa le abitudini Babbane che lui davvero non riusciva a comprendere.
Il fumo che avvolgeva compatto l’Espresso fu il nostro primo bentornato e, mentre stringevo in un abbraccio mozzafiato Emmeline, Lily e Alice, sentii chiaramente di essere di nuovo a casa.
Hogwarts ci aspettava, pronta come non mai a ricominciare.




Note: Noooo, non scappate. Lo so, sono imperdonabile perché il capitolo è pronto dall’altro ieri e non ho mai avuto tempo di pubblicare. Potrete mai perdonarmi?
E soprattutto, grazie! Grazie per le 8 recensioni dello scorso capitolo e a tutti quelli che hanno inserito la storia tra le seguite, le preferite o le ricordate.
Ma grazie anche ai lettori nascosti che comunque hanno aperto questa storia, magari per caso.
Spero che vi piaccia ç___ç Tanto amore per tutti <3



 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** V ***


C'era una volta un eroe, ma anche due o tre.


Se il primo anno era stata una sorpresa continua, l’inizio del secondo fu un dolce ritrovarsi.
Tutto ci era ormai familiare, dalle pesanti tende rosso scuro dei letti a baldacchino, alle pericolose piante della professoressa Sprite.
Dal soffitto incantato della Sala Grande, al calore della nostra Sala Comune.
Eppure a Hogwarts c’è sempre qualcosa che viene a sorprenderti, qualcosa di diverso e di speciale.
Non ricordo di essere mai riuscita a provare noia per quel luogo fantastico e, ai tempi, il mio sogno era quello di tornarci dopo il diploma come insegnante di Incantesimi.
Oh, James lo sapeva bene!
Quante volte gli ho ripetuto che avrei fatto questo e altro per passare la vita lì.
E così, una mattinata di Settembre, di quelle che sembrano venire apposta per annunciare che la bella stagione se ne sta andando, venne fissata la data delle selezioni per la squadra di Quidditch.
James, che non aspettava altro, appena saputa la notizia pregò suo padre perché gli comprasse una nuova scopa da corsa.


Nemmeno a dirlo, qualche ora dopo il lungo e sottile pacchetto era adagiato sul suo letto.
Non voglio che questo ti faccia pensare, Harry, che tuo padre fosse un bambino odioso e viziato.
Certo i suoi genitori erano molto legati a quell’unico figlio, ma se riuscì ad ottenere quella scopa così semplicemente fu soltanto perché la sua passione per il Quidditch, e di conseguenza anche la tua, ha origini ancora più lontane nella famiglia Potter.
Una sera d’estate, poco prima che terminassi Hogwarts, Dorea mi raccontò che Charlus, tuo nonno, era stato un grande giocatore da giovane e che l’aveva costretta per molto tempo a riempire casa con i suoi innumerevoli trofei.
Purtroppo a venticinque anni aveva avuto un incidente, del quale non ho saputo molto, che gli aveva tolto la possibilità di giocare e insieme la voglia di sorridere.
Da quel giorno Charlus non aveva più toccato il manico di una scopa e aveva finito per chiudere in soffitta tutti i ricordi di quei tempi.
Fu la nascita di James a sbloccarlo.
Quando vide suo figlio che, ad appena due anni, fissava con aria sognante una scopa giocattolo dalla vetrina di un negozio comprese che non poteva togliergli la possibilità di volare e si disse che forse avrebbe potuto vedere i suoi sogni realizzarsi attraverso quel bambino che gli aveva ridato la forza per vivere serenamente.
Da allora Charlus Potter divenne l’insegnante del piccolo James e gli trasmesse tutta la sua passione e la sua dedizione per il Quidditch.
Mi sono chiesta spesso se anche i tuoi figli amano volare, Harry, e mi sono ripetuta che se avessi avuto il coraggio di tornare da te, ora non avrei motivo di pormi queste domande.
Ma come sempre parlare dei vecchi tempi mi porta fuori dalla carreggiata, sarà perché devo dirti così tante cose che mi sembra impossibile non lasciarne sfuggire qualcuna, come quando si tiene in mano una manciata di sabbia e si vedono dei granellini scappare dalla nostra presa.


Eravamo arrivati al momento in cui tuo padre ebbe la scopa che desiderava.
Devi saper nei due giorni che seguirono, quelli che precedettero le selezioni, tentò in tutti i modi di infiltrarsi nel campo per allenarsi.
Questo causò non poche crisi di nervi a Remus, il quale si era impegnato a tempo pieno nell’arginare l’azione devastante di James e Sirius, per non parlare del raffreddore che si buscò e della punizione della McGranitt che giunse come una doccia fredda a coronare il tutto.
Eppure sai, contrariamente a quanto sarebbe logico, ho sempre pensato che quella donna avesse un debole per tuo padre.
Non che non fosse severa con lui, anzi, ma sono convinta che il suo entusiasmo contagioso avesse conquistato persino lei.
O magari era stata la sua notevole bravura in Trasfigurazione, chissà.
E, forse non ci crederai, ma proprio in quei giorni la beccai a sorridere davanti ad una finestra guardando James volteggiare per il campo.
A lui non l’ho mai raccontato, ma l’accaduto diede la conferma a ciò che pensavo.
Era riuscito a farsi voler bene anche dall’intransigente professoressa, che probabilmente contava su di lui per riportare a galla il morale della squadra.
Magari sorrideva immaginando a dove avrebbe sistemato la Coppa perché fosse ben visibile.
Incredibile quanto una donna rigida come Minerva McGranitt fosse ossessionata da un piccolo campionato scolastico. Non trovi?
D’altra parte a ciascuno le sue fisse.


E sì, a questo punto mi starai maledicendo perché ho di nuovo perso il filo del discorso.
Dopo quei due giorni massacranti arrivò il fatidico momento; io, James, Mary e Frank ci presentammo al campo mentre gli altri si accomodarono sugli spalti.
A dir la verità fu James a costringere me e Mary a partecipare, sentenziando che eravamo sufficientemente brave.
Le selezioni furono lunghe e complesse.
Roger Larry, un ragazzo del settimo anno che era lo storico capitano della squadra, riconfermò un Battitore, due Cacciatori, tra cui se stesso, e il Portiere dell’anno precedente, scartando Frank da quest’ultimo ruolo nonostante avesse sostenuto una prova molto buona.
Per il terzo Cacciatore fu più difficile.
Eravamo davvero tanti inizialmente, ma dopo una prima scrematura restammo io, Mary e un ragazzo del sesto anno.
Roger, un po’ in difficoltà, ci guardò e disse: “Preferisco allenare una squadra giovane. Dall’anno prossimo io non ci sarò e sarà meglio non perdere altri elementi.
Per questo ho scelto di dare il ruolo a te, Mary.”
A quel punto le sorrise gentilmente.
“Sono certo che con un po’ di allenamento sarai perfetta.”
Abbracciai forte la mia amica e mi diressi verso gli spalti dagli altri, celando la delusione dietro ad un sorriso.
Non l’avrei mai ammesso, ma avevo sperato veramente di entrare a far parte della squadra con James perché quello era il nostro sogno.
Rimasi lì ad osservare il resto dei provini.
Come Battitore venne preso un ragazzone di quinto che disse di chiamarsi Robin Walker e alla fine, in mezzo al campo, rimasero soltanto in due.
Tuo padre e Hank Dixon.
Quest’ultimo, che frequentava il quarto anno, era alto almeno due spanne più di lui e sembrava determinato a prendersi il posto che nella stagione precedente aveva perso per un soffio.
Roger diede loro il segnale di salire sulle scope e liberò il Boccino.
Non ricordo di aver mai visto James tanto determinato a raggiungere qualcosa.
Girarono in tondo per qualche minuto, guardandosi intorno e scrutando ciò che stava facendo l’avversario.
All’improvviso vedemmo Dixon scendere in picchiata.
James, che lo seguiva indietro di qualche metro, ad un certo punto si diresse nella direzione opposta a quella dell’avversario.
Noi lo guardavamo scioccati, non riuscendo a comprendere quello che accadeva.
Ma a Dixon invece la situazione fu subito ben chiara.
Si riprese dalla picchiata, che voleva essere una finta per distrarre James, e tentò di raggiungerlo, ma dopo qualche secondo tuo padre stringeva tra le mani la pallina d’oro e, di conseguenza, il suo posto in squadra.
Roger gli batté una mano sulla spalla, sorridente e ci mandò via, fissando nel frattempo i primi allenamenti.
Era contento James, davvero.
Come un bambino al quale viene permesso di svaligiare Mielandia.
E davanti al suo genuino entusiasmo persino Lily gli concesse un mezzo sorriso e un “Complimenti, Potter”.


Già, a pensarci bene fu la prima volta che gli disse qualcosa di carino.

 

 

Note: Quanto mi odiate da uno a dieci? Non posso dire niente per giustificarmi che non sia. Perdonatemiiii ç___ç sono stata un po’ fuori casa e un po’ a cercare di superare i piccoli blocchi che si incontrano di tanto in tanto, scrivendo. Spero davvero che il capitolo vi piaccia, è stato difficile buttarlo giù e forse l’avrei potuto fare meglio, ma ormai è fatta e l’ho postato così com’è. Vi voglio bene :3

 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** VI ***


C'era una volta un eroe, ma anche due o tre.

La notizia giunse per me come una doccia fredda nel Novembre di quel secondo anno.
Una mattina mentre facevo colazione vidi Owen, il vecchio allocco di famiglia, planare verso il tavolo di Grifondoro, insieme ad una schiera di stanchi messaggeri come lui.
Ciascuno verso il suo padrone, sempre fedeli.
Aprii la lettera che mi porse, immaginando già i saluti e le domande premurose che sapevano di casa, vergate nella grafia leggera ed elegante di mia madre.


Gwen Lloyd in Thompson era una donna sottile; capelli biondissimi, occhi blu e aspetto fragile, come me.
Proveniva da un’importante famiglia del Surrey e, cresciuta tra gli agi, aveva conosciuto mio padre appena dopo la fine di Hogwarts, nel consueto viaggio che si usava fare dopo il diploma.
Era molto bella un tempo, mia madre, senz’altro più di me che ho sempre mancato della sicurezza che la faceva andare in giro a testa alta e che le permise di far cadere ai suoi piedi quel giovanotto un po’ burlone che poi finì per sposare.
Mio padre, a differenza sua, era cresciuto in una famiglia numerosa e nient’affatto facoltosa e non conosceva il lusso e l’eleganza di cui Gwen si circondava.
Eppure, riuscì a rompere la barriera rappresentata dalle lontane classi sociali con la sua allegria e ciò che era iniziato come uno scherzo finì per diventare una storia seria.
Nella famiglia di mia madre quel matrimonio prematuro non fu visto di buon occhio e i rapporti tra lei e i miei nonni furono per un lungo tempo freddi e distaccati.
La situazione, per quanto spiacevole fu in quegli anni, si rivolse poi a mio vantaggio in quanto fece aprire gli occhi a mia madre e le fece stabilire che mai sarebbe stata rigida e tradizionalista come la sua famiglia.
Aveva abolito dal suo vocabolario tutto ciò che suonava come “Purosangue” o “matrimoni combinati”, rivelando un’energia e una solarità che prima non aveva avuto modo di venir fuori.
Ero profondamente legata a lei a quell’età, nonostante fossi convinta già da allora che tra di noi ci fossero differenze incolmabili, dovute in gran parte all’appartenenza a due generazioni diverse e alle esperienze da lei affrontante in gioventù.
Differenze che, alla fine, servivano a definire il nostro rapporto come quello di una mamma e una figlia, con i contrasti ad esso legati, e non come quello di due amiche.


Immagino che a questo punto ti starai chiedendo perché ti sto raccontando tutto ciò, che apparentemente nulla ha a che fare con te e tuo padre.
Ebbene, Harry, ti prego di fidarti di me e di continuare a leggere quello che con queste parole ti sto affidando.
Ti servirà dopo per comprendere. E per comprendermi.
Ti dicevo che quella mattina mi aspettavo una normale lettera da casa, magari con dei saluti allegati per James da parte dei miei genitori, invece la notizia era lì ad aspettarmi, dietro il foglio di pergamena piegato accuratamente, pronta a cambiarmi la vita.


Cara Eleonor, diceva
Io e tuo padre siamo stati a lungo indecisi perché non volevamo comunicarti un avvenimento così bello attraverso una rigida lettera.
Tuttavia tu sei presa dalle lezioni e manca un mese alle vacanze di Natale, decisamente troppo per aspettare.
Mi sembra un’eternità solo pensare di tenerti all’oscuro di quello che sta accadendo per così tanto tempo.
Quindi te lo dico ora, così, in un modo forse sbagliato, ma è l’unico che ho a disposizione.
Aspetto un bambino, tesoro.
Un fratellino o una sorellina per cui diventerai un grande esempio da imitare.
Siamo felicissimi, ma non vediamo l’ora di rivederti per poterti riabbracciare.
Ti mandiamo un bacione.
Mamma e papà.


Non ti so dire con esattezza come presi la notizia, Harry.
Di certo non fui né soltanto felice, né soltanto sconvolta.
Non potrei semplificare o banalizzare così tanto l’ondata di emozioni che mi fece girare la testa.
All’improvviso la Sala Grande fu troppo rumorosa, troppo affollata, troppo caotica, troppo… Troppo.
Mi alzai di scatto, senza dare spiegazioni alle ragazze e interrompendo un discorso che da un po’ avevo smesso di seguire.
Abbandonai il piatto quasi intatto che era davanti a me e insieme lasciai quel posto, decisa a sfidare il freddo del parco pur di stare sola.
Anzi, forse speravo ingenuamente che quel vento gelido che piegava gli alberi della Foresta Proibita mi soffiasse anche dentro, liberandomi di quelle strane sensazioni che non mi volevano abbandonare.
Ci misi un po’ a comprendere ciò che stavo provando, ma alla fine la verità venne inevitabilmente a galla.
Mentre mi lasciavo cadere sotto ad un grosso albero, stringendomi la sciarpa intorno alla gola, iniziai ad individuare i sensi di colpa.
Si facevano strada dentro di me, spietati, come una maledizione senza perdono che non lascia scampo alla sua vittima indifesa.
La verità, Harry, era che avevo soltanto dodici anni, quell’età in cui ci si rifiuta di essere ancora bambini, ma non si riesce ad essere adulti.
La verità era che sentivo la gelosia ribollire nelle vene, e la preoccupazione che prendeva il suo posto, appena un secondo dopo.
Avevo paura che per quel bambino, per quello sconosciuto, sarai stata un’estranea per cinque anni, perché mi avrebbe vista soltanto durante le vacanze.
Avevo paura che in cinque anni prendesse il mio posto, celasse la mia assenza, e impedisse ai miei genitori di sentire la mia mancanza.
E mi sentivo terribilmente in colpa per la debolezza che avevo dimostrato di avere perché pensavo che chiunque al mio posto avrebbe reagito diversamente.
Chiunque avrebbe chiuso la lettera con un sorriso e, abbracciando chi aveva accanto, avrebbe dato la lieta notizia.
Invece no, io ero scappata via senza una spiegazione e a quell’ora probabilmente i miei amici erano in ansia per me.


Non sentii che qualcuno si avvicinava, troppo presa dai miei pensieri per notare il lieve rumore di passi attutito dall’erba.
Quando Lily si sedette accanto a me mi stupii di vederla lì.
Non mi aspettavo che sarebbe venuta a cercarmi proprio lei.
Restammo qualche minuto ad ascoltare il suono dell’acqua e degli alberi, scossi dal vento, e poi fu lei a rompere il silenzio.
“Hai lasciato la lettera sul tavolo.” iniziò, a mo’ di spiegazione.
Istintivamente la mia mano scattò verso la tasca in cui credevo di averla riposta e la trovai vuota.
Ancora decisa a non aprir bocca, mi limitai a scrollare le spalle.
Lily si passò una mano sulla fronte, scostando una ciocca di capelli rossi che le tormentava gli occhi e con un sospiro iniziò a parlare.
“Senti lo so che vorresti stare da sola, adesso, ma ho letto la lettera e sento di dovertene parlare, El. Se non vuoi ascoltarmi sei libera di cacciarmi ora”.
Scossi la testa.
“Io non so molto della tua famiglia, ma da quanto mi hai raccontato mi è sembrata tranquilla e felice”.
Io annuii, “Sì, lo è”, dissi rinunciando al mio mutismo.
Lily mi guardò, sorridendo grata perché avevo accettato di parlare e proseguì.
“Ecco, proprio per questo, proprio perché stai bene con i tuoi genitori ti devi impegnare a non rovinare tutto. Non voglio insinuare che sia semplice affrontare l’arrivo di un fratello a dodici anni e un po’ di gelosia rimarrà sempre, ma cerca di abituarti all’idea, e accetta il fatto che sia una notizia stupenda. Sai, è bello avere qualcuno con cui condividere i guai di una vita familiare, e anche se dovrai aspettare qualche anno prima che il nuovo arrivato diventi tuo complice ne varrà la pena.
Per quanto gli amici si possano impegnare, soltanto un fratello riesce a comprendere appieno i problemi che ci sono tra le quattro mura di casa e li condivide con te, ti offre una spalla sulla quale poggiarti e, al limite, piangere”.
Gli occhi di Lily si erano fatti lucidi e mi sentii, di nuovo, terribilmente in colpa, perché probabilmente dietro a quel discorso c’era più di quanto non volesse dire.
“Dagli una possibilità, no? In fondo non è ancora nato e non sai come diventerà. C’è sempre tempo per rovinare, per distruggere un rapporto, ma tu almeno crealo e cerca di tenertelo stretto. Fa male essere considerati mostri, essere considerati di troppo da chi è sangue del tuo sangue. Non commettere un errore del genere, El, fidati di me”.
Lasciai che le lacrime scorressero sul viso e abbracciai tua madre, Harry, nascondendomi tra le sue braccia.
Lasciai che le lacrime lavassero via gelosia e sensi colpa, tutto insieme, per lasciarmi svuotata e libera.
“Grazie, Lil” mormorai con sorriso.
Lei mi accarezzò la testa e scrollò le spalle.


Quel pomeriggio, sedute insieme in Sala Comune mentre Mary e James erano agli allenamenti e tutti gli altri a vederli, venni a conoscenza della storia di Petunia Evans.
Dell’invidia che tanto fece soffrire tua madre e delle cattiverie che la sorella le aveva riversato contro da quando aveva scoperto di essere una strega.
Compresi la tristezza di Lily quando si avvicinavano le vacanze e l’importanza che la magia aveva per lei.

Quel pomeriggio probabilmente conobbi tua madre più che nell’anno intero passato a condividere una stanza.

Quel pomeriggio scoprii quanto davvero sapeva essere straordinaria Lily Evans.


Note: Olè ** Questa volta vi ho fatto aspettare un tempo decente, per fortuna. Ecco un altro capitolo di questa storia, un altro capitolo un po’ pesante direte voi, e avete ragione, ma penso proprio che il prossimo porterà un po’ di allegria  :)
Come al solito, ringrazio chi continua a seguire fedelmente la storia e, in modo particolare, chi con i suoi commenti mi fa sorridere. Siete gentilissimi, davvero.
Spero di non aver deluso le vostre aspettative, anche se l’ansia mi fa trovare due milioni di difetti ad ogni riga che sono riuscita a buttare giù. Decisamente meglio non rileggerle e affidarle a voi.
Un bacio grandissimo a tutti <3

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** VII ***


C'era una volta un eroe, ma anche due o tre.

Le vacanze natalizie arrivarono e se ne andarono, portando con via con sé i grossi abeti decorati e le sculture di ghiaccio sparse per la scuola.
L’unico segno del loro passaggio fu un 1973 che comparve sul calendario scacciando quell’ormai vecchio 1972.
Gennaio finì tra epiche battaglie di neve, periodiche punizioni, altrettanto regolari e misteriosi malanni di Remus e test a sorpresa della McGranitt.
Suppongo che con James e Sirius dei nostri, fummo in quegli anni la causa della precoce comparsa di capelli bianchi nel suo rigido chignon.
E se quel primo mese dell’anno passò quindi indisturbato fu Febbraio a regalarci qualche cambiamento.


Insieme ad una delle rare giornate di sole dell’inverno britannico arrivò il tanto sospirato giorno di San Valentino.
Sospirato non da me, di certo, che consideravo quella festa una buona trovata per arricchire venditori di fiori e cioccolatini.
Non mi spiegavo, allora, perché sciami di ragazzine dovessero attendere con trepidazione il principe azzurro ogni 14 Febbraio.
D’altra parte qualcuno più intelligente di me aveva detto una volta che le cose più belle accadono quando uno meno se le aspetta, e chi ero io per contraddirlo?
Ma deve essere vero almeno un po’ che con la vecchiaia arriva la saggezza perché da qualche tempo ho iniziato a comprendere persino loro e a non provare irritazione quando mi capita di vederle.
Dopotutto ognuno è libero di credere in ciò che vuole, e quelle ragazzine che credono nella loro felicità meritano un sorriso e un incoraggiamento.
Magari non sarà quel giorno, ma la speranza non svanirà e le aiuterà a costruirsi il loro futuro e a realizzare i loro sogni.


Fatto sta’ che quel San Valentino, a svegliarci dallo stato di dormiveglia dovuto all’ora di Storia della Magia, furono le voci.
Immagino che con la tua popolarità avrai avuto modo di scoprire da solo cosa significa quando a Hogwarts girano delle voci.
Quelle chiacchiere, quei pettegolezzi, che viaggiano ad una velocità supersonica e, inspiegabilmente, nel loro percorso, come una valanga che porta dietro di sé detriti su detriti, si arricchiscono di dettagli.
Perché ciascuno si sente in dovere di aggiungere qualcosa fino ad ottenere centinaia di versioni della stessa, piccola storia.


Fu la sparizione di Black e Mary dopo la lezione a farci tendere l’orecchio verso quel fiume di parole, non appena riuscimmo a carpire là in mezzo i loro nomi.
Anche al suo secondo anno, quando era ancora un ragazzino che tutto sommato non contava nulla, Sirius aveva la straordinaria capacità di far parlare di sé.
Questo perché solitamente i suoi scherzi e le sue trovate erano abbastanza clamorose da entrare negli annali scolastici, oltre, ovviamente, ad essere in grado di far entrare lui nell’ufficio di Gazza.
Quella volta tuttavia i sussurri non furono causati da qualche malefatta, pronta a colpire l’odiato custode. Quelli furono, Harry, i primi sussurri sulla vita sentimentale di Sirius Black, fenomeno al quale avremmo poi dovuto far l’abitudine fino a considerarlo normale quanto il bacon a colazione.


Decisi a scoprire qualcosa, ci avvicinammo ad un gruppo di ragazzine di primo, tanto per sfruttare in qualche modo la nostra appena guadagnata anzianità nei loro confronti, e così qualche discorso ci raggiunse.
E con quelli tutti gli altri, pronti a franarci addosso appena osavamo fare una domanda più del dovuto.
C’era chi diceva, anzi giurava, di aver visto Sirius Black duellare con un Corvonero per la mano della bella Mary, come un cavaliere medievale.
C’era chi era certo che fossero emigrati all’estero, decisi a sposarsi in gioventù e in clandestinità, dopo aver preso la Polisucco, per sfidare il rifiuto delle famiglie.
C’era chi, ancora, annunciava di aver visto Silente dar loro la sua benedizione, come un vecchio prete di paese, sotto al Platano Picchiatore.
Ma fu solo quando un piccolo Serpeverde sovreccitato annunciò di aver visto Hagrid appeso ad una scopa per impedirgli di fuggire che ritenemmo opportuno andarli a cercare per capire cosa stesse succedendo davvero.


A dir la verità, Harry, anche nella mia mente ancora infantile ed innocente avevo intuito che sarebbe potuto accadere.
Avevo notato la complicità con cui parlavano, tra una lezione e l’altra, e di certo l’avevano notata anche James, Remus e Peter, che di tanto in tanto dovevano rinunciare alla presenza del quarto Malandrino, sparito chissà dove.
Emmeline ed Alice, poi, erano state piuttosto insistenti nel loro interrogatorio a Mary, la quale finiva per arrossire e farfugliare ogniqualvolta veniva nominato Black.
Quindi diciamo che aspettavamo la notizia, ormai rassegnati al fatto che sarebbe arrivata.
Eppure, vederli procedere per mano mentre ridacchiavano, diretti verso il ritratto della Signora Grassa fu comunque scioccante.
Fu come sbattere all’improvviso contro un muro che, diamine, fino ad un secondo prima proprio non c’era.
E quello fu il modo in cui per la prima volta realizzai che esisteva qualcosa, forse non l’amore, non ancora, ma l’attrazione, che nasceva inevitabile tra coetanei in un luogo come quello.
Scacciai bruscamente il fastidio che provavo; era normale che fossi gelosa di Mary.
Lei in quel momento aveva fatto un passo avanti e avevo paura che la distanza di quel passo fosse un baratro per la nostra amicizia.
Così, mentre io cercavo di accettare l’accaduto, Sirius, totalmente disinvolto e nient’affatto imbarazzato le passava un braccio intorno alle esili spalle dichiarando l’ovvio.
“Stiamo insieme”, disse infatti, sorridendo un po’ stoltamente.
Tra i sorrisi, le pacche sulle spalle e i complimenti, incrociai lo sguardo di James e compresi che lui, proprio come me, aveva capito che qualcosa stava cambiando e che quello ne era soltanto l’inizio.
Si riprese dallo smarrimento e mi sorrise.
Lui lo accettava, accettava di crescere e me lo stava comunicando, invitandomi a fare lo stesso.
E io, che non avrei mai voluto deluderlo, chiusi gli occhi e annuii, sorridente.
L’unico mistero che rimane irrisolto fu il perché quella normale storia tra dodicenni avesse creato tanto scandalo.
Nemmeno Mary, quella sera in Dormitorio, fu più chiara. Si limitò a scrollare le spalle e a commentare: “Sono soltanto voci, sapete che esagerano sempre”.
Poi, rossa come un pomodoro, si mise a letto.


Dalle notizie che sono arrivate fino in Francia e dalle lettere che mi inviarono James e Lily nei primi tempi ho saputo che Sirius dopo la scuola fu uno spirito libero e che non si legò mai stabilmente ad una donna.

Avendolo conosciuto così, forse sarà strano per te sapere che lui per primo creò un legame del genere, tra tutti noi. Eppure fu proprio ciò che accadde.
A volte il tempo può cambiare tante cose, e le esperienze vissute possono modificare radicalmente le più decise scuole di pensiero.


Spero, almeno per stavolta, di averti fatto sorridere con le mie parole, ma è arrivato anche il tempo di lasciarti le mie preoccupazioni, perché sono terribilmente egoista e non posso tenerle per me. Non ora che ti sto dicendo tutto.
Ho pensato spesso, in questi anni, alla crudeltà che si è riversata su di te.
Mi sono tormentata, immaginandoti solo, con la gran parte del Mondo Magico a dubitare delle tue parole di quindicenne, mentre cercavi di portare avanti una missione mille volte più grande di te.
E so, Harry, che quelle voci, quelle chiacchiere, di cui ti ho parlato per un argomento così frivolo possono diventare armi potenti, che ti feriscono e ti distruggono se non hai una corazza abbastanza resistente.
Ti chiedo scusa, dunque, perché anche se non ho dubitato neppure un secondo di te, non ho avuto il coraggio di tornare per essere il tuo scudo.
Per quel che vale, sono orgogliosa di te e di quello che sei diventato, sono orgogliosa di aver riposto fiducia nella persona giusta e sono orgogliosa di vederti, ora, famoso e acclamato.
Sono certa che continuerai a distinguere, anche nel successo, le persone che ti sono rimaste sempre accanto, quelle che hanno combattuto con te, soprattutto quando sembrava una battaglia persa in partenza.


E, se c’è una cosa di cui mi dispiaccio davvero, Harry Potter, è di non poter essere tra quelle.



Note: Ma ciao, bei lettori :3 Sì, sono tanto ottimista da pensare di non star parlando da sola, pensate un po’! Come al solito vi lascio il capitolo sperando nella vostra grazia, perche… Indovinate? A me non piace .-. Avrei potuto scriverlo molto meglio, ma non ho il coraggio di ricominciare e quindi questo vi tocca. Abbiate pietà di questa povera autrice complessata.
Ringrazio nuovamente le persone che mettono sempre tanta attenzione e tanta gentilezza nelle loro recensioni. Siete fantastiche, davvero, non mi sarei aspettata parole così belle da tutte voi.
E un ringraziamento speciale anche a chi ha inserito la storia tra le preferite/seguite/ricordate e a chi ha avuto tanta pazienza da essere arrivato a leggere fin qui. Baisers <3

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** VIII ***


C'era una volta un eroe, ma anche due o tre


Qualche giorno fa ho letto sulla Gazzetta del  Profeta della morte di Horace Lumacorno, e non ho potuto fare a meno di pensare che anche tu l'avessi conosciuto. Quel professore un po' strambo, dal carattere debole, ma con una gran capacità di saper cogliere le giuste occasioni.
Al tempo della Seconda Guerra venni a sapere che era tornato ad insegnare e, a dir la verità, mi stupì leggere che egli aveva accettato la cattedra proprio in un momento critico come quello.
Mai dubitai che tale scelta celasse ben precisi interessi.
E purtroppo, consapevole del suo carattere, posso supporre che tra quegli interessi tu ricoprissi un ruolo di protagonista.

Ma ti prego di non fraintendere; non ti sto scrivendo per criticare il professor Lumacorno, perché, fosse anche solo per la sua mania di collezionismo, egli ha avuto il coraggio di essere lì con te per un po', ad insegnarti qualcosa.
Non posso giudicare  nessuno,  Harry, perché qualunque volto, qualunque nome, qualunque voce è a te più nota della mia, che non ho lasciato tracce che ti permettessero di trovarmi.

Se ti ho parlato di lui, è soltanto per raccontarti di una delle feste che eglì tené, nell'aprile del 1973,  una delle feste per "studenti scelti" alle quali probabilmente ti sarai trovato a prendere parte.
A quella in particolare c'eravamo quasi tutti, chi su suo invito, chi accompagnando qualcun altro.
James, Lily, Mary, Frank ed Emmeline erano tra i suoi studenti preferiti; tuo padre ovviamente per la straordinaria abilità che aveva mostrato più volte sul campo da Quidditch e tua madre per la spiccata propensione per le Pozioni, propensione che faceva di lei la migliore del corso.
Noialtri semplicemente li accompagnavamo, consci di essere quasi invisibili agli occhi di Lumacorno. Tuttavia il fatto di poter essere tutti presenti, insieme all'idea di trascorrere una serata fuori dalla Sala Comune, era ciò che ci aveva convinti ad andare, affrontando l'atmosfera calda di quello studio, adattato appositamente per l'occasione.

Non ti sto raccontando casualmente questa storia, ma lo sto facendo per parlarti di un'altra persona che tu devi aver conosciuto; Severus Piton.
Ti ho già raccontato che i rapporti tra tua madre e tuo padre non erano iniziati nel migliore dei modi, ma trascorrere il tempo gomito a gomito con tanti amici in comune, aveva fatto sì che iniziassero a tollerarsi. Di certo, un grosso contributo l'aveva dato il comportamento di James.
Negli ultimi tempi infatti, egli sembrava semplicemente aver dimenticato dell'esistenza di Piton, garantendo la serenità sia a lui che a Lily.
Quest'ultima, d'altro canto, aveva iniziato a frequentarlo di meno, complici le poche lezioni comuni ai Serpeverde e la mole di lavoro che spesso la teneva confinata nella Sala Comune.

Era speciale Lily in questo, riusciva a studiare ore intere senza perdere il sorriso, spinta dall'entusiasmo per essere stata catapultata nel nostro incredibile mondo. Non l'ho mai vista lamentarsi, e anzi spesso mi sono trovata ad invidiarla. Da una parte avrei voluto averlo anch'io, quel suo eterno stupore di fronte alla magia.

Comunque, quella sera nell'affollato studio di Lumacorno, con la musica che rendeva l'aria ancora più pesante, tuo padre si trovò di fronte a Severus Piton, anch'egli invitato dal professore che ne elogiava le doti in Pozioni ogni volta che poteva.
Non ti racconto ciò per difendere tuo padre, Harry, ma quella sera fu Piton a provocarlo.

Io, che me ne stavo poco distante da loro a parlare con Remus, non ebbi dubbi sulle ragioni che lo spinsero a farlo.
Era evidente che Severus adorava Lily; la sua espressione, quasi sempre buia, lasciava spazio ad un sorriso ogni volta che lei lo salutava o si fermava per parlargli dell'ultimo filtro che aveva preparato.
Era altrettanto evidente che Severus odiava James e anche di questo non è difficile ipotizzare le ragioni. James è sempre stato un uragano, una persona che difficilmente poteva, o voleva, passare inosservata. E da parte mia, Harry, ho sempre creduto che persone di quel genere potessero essere amate od odiate, senza vie di mezzo. Il solo fatto che tuo padre potesse star seduto a colazione vicino a Lily era sufficiente perché Piton provasse verso di lui una cieca intolleranza.

Ma mi sto dilungando, come sempre, persa tra i ricordi.

Dalla mia postazione vidi chiaramente cosa accadde quella sera, vidi chiaramente che mentre tuo padre passava un bicchiere di limonata a tua madre, Piton lo spinse, facendo rovesciare tutto.
Vidi l'irritazione con cui James si voltò verso di lui, la bacchetta già sfoderata, e sentii Lily che gli diceva: "Potter, non voleva, Potter! James!" senza che la ascoltasse.
James quella sera schiantò Piton, lasciando subito dopo la stanza e guadagnandosi l'ennesima punizione.
James quella stessa sera riaccese l'odio di tua madre,  la quale, nonostante le nostre parole, non aveva intenzione di giustificare il suo comportamento.
So che questo è soltanto un piccolo avvenimento, un battibecco tra quelli che erano allora poco più che bambini, ma fu sufficiente perché Piton smettesse di passare inosservato a tuo padre.
Più volte provai io stessa a convincerlo che nemmeno Mocciosus, come aveva iniziato a chiamarlo, meritasse un trattamento simile perché in fondo, ciò che l'aveva fatto agire così, era invidia.
Più e più volte, tutti noi provammo a dissuaderlo da quel suo odio, che lo rendeva più bambino di quanto io sapevo che egli non fosse.
Ma lui non ci diede ascolto.

Le cose cambiarono soltanto diversi anni dopo, e non grazie a noi.

Forse ti ho raccontato tutto ciò per ricordarti una volta ancora che anche persone straordinarie, come tuo padre, non possono essere perfette.
Di certo volevo che tu sapessi chi era davvero James, anche a dodici anni; un ragazzino un po' presuntuoso, a volte, ma che quella stessa sera, fuori dallo studio di Lumacorno, io vidi piangere per la rabbia che Lily aveva riversato su di lui.
Un ragazzino un po' presuntuoso, impulsivo, ma che aveva già dei sentimenti.



Note: Io non so se qualcuno sarà disposto a continuare a leggere questa storia. Credo sia imperdonabile essere sparita per così tanto tempo, ma quando l'umore e l'ispirazione non sono giusti c'è poco da fare. Io vi lascio questo capitolo, fatemi sapere voi se qualcuno è ancora disposto a seguirmi. Un bacione!

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** IX ***


C'era una volta un eroe, ma anche due o tre

E la nostra storia lentamente prosegue; questo racconto così poco lineare, costituito di momenti che spero si incastrino, come pezzi di puzzle perfettamente combacianti, con l'idea che negli anni hai costruito dei tuoi genitori.
Non ho la presunzione di essere la prima a parlartene; so che le foto, i racconti e forse le lacrime di altri mi avranno preceduta. Il mio ruolo è marginale; lo scopo delle mie lettere è quello di smussare gli angoli dei loro caratteri, della loro vita, per renderteli più veri e tangibili.
E per questo ti faccio nuovamente entrare per qualche minuto nella Hogwarts del 1973.

Quell'anno, l'assegnazione della Coppa delle Case aveva esito così incerto, che fino all'ultimo giorno gli studenti sembravano determinati ad accumulare quanti più punti possibili, mentre gli insegnanti diventavano tra loro più astiosi ed agguerriti che mai. Tale competizione era particolarmente sentita nel castello perché le due Case in vantaggio, Grifondoro e Serpeverde, da svariati anni si contendevano il titolo.
Anche tu forse avrai provato l'orgoglio di vedere la Sala Grande ornata con i propri colori, l'orgoglio che, ciascuno nel suo piccolo, ma soprattutto come Casa, squadra, famiglia, prova nell'essere protagonista di quella festa, di quella vittoria.

Solo scrivendolo, mi rendo conto che tu, piccolo Harry, sei stato protagonista di una vittoria ben più grande, che il Mondo magico, ma soprattutto tu in prima persona, ha pagato a caro prezzo. Eppure ti chiedo di tenere fuori per un po' quegli anni bui, per tornare con me in un mondo sereno, tra ragazzini entusiasti e problemi banali.
Come ti dicevo, l'esito della competizione era così incerto, che per quei giorni anche tuo padre e Sirius smisero di importunare Gazza per evitare i guai.
Ma non solo; gli insegnati, probabilmente per indurre anche gli studenti meno volenterosi a studiare, stabilirono che in occasione del test di Pozioni che le due Case condividevano, sarebbero stati messi in palio ben trentacinque punti, a quel punto determinanti per la vittoria.

 La sera prima di quel test, mentre tutti sprofondati nelle poltrone cercavamo di ripassare qualcosa, Mary si alzò con uno sguardo che, come avevo imparato, non prometteva nulla di buono.
"Lily, ci devi aiutare! Abbiamo solo una notte per imparare qualunque cosa tu abbia da dirci" esclamò, evidentemente soddisfatta della sua trovata.
Non so perché Harry, forse solo perché avevamo tredici anni ed eravamo spensierati, accettammo quel piano assurdo, consci che saremmo arrivati a lezione più insonnoliti e disattenti che mai.

Quella notte imparai diverse cose: che una coda di salamandra non va mai aggiunta quando la pozione bolle, che fino ad allora non ne avevo mai correttamente mescolata una e che avere degli amici come loro era la più grande fortuna una ragazza di tredici anni potesse chiedere.
La ricordo come una delle più belle al castello e anche se con gli anni i dettagli sono sfumati, alcune scene le conservo ben impresse nel cuore.

Ricordo tuo padre e Sirius che ripetevano a turno i componenti della Polisucco, con tua madre che alternava cenni d'assenso ad occhiate omicide quando loro aggiungevano volutamente qualcosa che non c'entrava nulla.
Ricordo Alice, che si addormentò di colpo sulla pergamena, imprimendosi l'inchiostro ancora fresco sulla guancia.
Ricordo Sirius e Peter che tornarono quando era ancora buio con un vassoio carico di dolci dalle cucine.
Ricordo che prima di addormentarmi su una poltrona, quando ormai mancava solo un'ora all'alba, vidi James che fissava intensamente il volto di tua madre, da poco sprofondata nel sonno.
Ricordo che pensai che James non aveva mai guardato nessuno in quel modo, con quello sguardo un po' curioso e un po' dolce.

Ricordo, ricordi... Ecco il regalo che ti sto facendo, Harry.

Quell'anno non vincemmo la coppa delle Case e Peter fuse il suo calderone il giorno seguente.
Eppure, sotto gli stendardi verdi e argento con cui era decorata la Sala Grande, la sera seguente c'erano soltanto visi sorridenti e sguardi complici.

Nda: so che questa long procede molto al rilento, eppure spero che ci sia ancora qualcuno disposto ad ascoltarmi e a leggere ciò che ho da dire. A seguire Eleonor e il suo racconto. Grazie a chi è arrivato fin qui, a chi ha lasciato il suo parere in passato e a chi, forse, me lo lascerà di nuovo. Alla prossima, gente! :)

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1102470