Kissing Weapons

di ellizzy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cattivo presagio ***
Capitolo 2: *** Miss June Thone ***
Capitolo 3: *** Sturm und Drang ***
Capitolo 4: *** Nel tempo dell'inganno ***
Capitolo 5: *** Nella tana del lupo ***



Capitolo 1
*** Cattivo presagio ***


CAPITOLO 1: Cattivo presagio

“Saette son ch’avventa arco di morte”

Se tutte le armi fossero uguali che gusto ci sarebbe ad usarle? Chi le conosce bene sa la risposta a questa domanda. Quelli che le hanno sempre in mano; quelli le cui armi sono un prolungamento naturale della mano stessa; quelli che ne avvertono l’odore, il suono perennemente; quelli che al solo toccarle si eccitano, si estraniano dal resto del mondo e colpiscono. Quelli la sanno la risposta perché è nel loro sangue, perché vivono con e per le armi, perché per loro non c’è mondo migliore che quello.

Così, staccata dalla realtà che mi attornia, i sensi alterati in una sorta di invasamento, l’unico suono è il cuore - non il mio, ma quello della preda -, l’unico odore la polvere da sparo e l’attesa di sentire il profumo del sangue che scorre e si spande sul freddo campo di battaglia, così prendo la mira, niente mirino per l’occhio di una lince, e dalle mie dita parte un piccolo cuore di metallo indolente. La pallottola perfora lo sterno, lo spezza in due, e resta incuneata tra i due polmoni. Niente sangue. Un altro sparo che penetra esattamente lo stesso punto. La precisione di un arciere che da molto lontano colpisce la cerva esattamente dove desiderava colpirla. Io e le mie frecce di piombo. Niente sangue. Un colpo e un colpo e un altro colpo ancora.

Poi sposto in alto la pistola e sparo alla fronte. Al centro esatto della fronte. Silenzio tutto intorno.

-         Perché hai sparato alla testa?-

Mi volto lentamente con uno sguardo che farebbe rabbrividire chiunque e sorrido nel modo più freddo e accattivante che conosco giusto per enfatizzare la frase.

-         Perché la mente è l’arma più pericolosa di tutte!-

Non tutte le armi sono uguali perché se no che gusto ci sarebbe a usarle? Chi le conosce bene sa.

Ci sono le armi che uccidono il corpo… e poi ci sono le armi che uccidono l’animo umano. Queste armi le chiamano menti. Tutti possiedono quest’arma, anche se il più delle volte non l’hanno sviluppata o non le danno peso, e sono pochi coloro che la usano per l’unico scopo per cui è costruita un’arma: uccidere. Ma chi la usa è come il tuono che sconvolge le vette dei monti.

Io posso uccidere con una pistola, ma mi toglierei tutto il piacere di farlo con la mente.

Il gioco vale la candela?

Kissing Weapons

 

QUANTICO, UNITA’ ANALISI COMPORTAMENTALE (FBI)

Jason Gideon guardò il manichino intatto davanti a sé e abbassò istantaneamente l’arma senza aver sparato nemmeno un colpo. Erano le sei del mattino, un’ora perfetta per esercitarsi nel tiro con tranquillità, ma l’agente Gideon, appena presa tra le mani la pistola aveva avvertito un brivido lungo la schiena e la sensazione di pericolo imminente l’aveva travolto come un’onda che si abbatte su uno scoglio. Si era voltato facendo poi scivolare lo sguardo per tutta la stanza, fin negli angoli meno illuminati, in cerca del pericolo, cercando di mantenere la mente lucida e il sangue freddo.

Niente, non c’era nulla che facesse presagire una situazione preoccupante in quella stanza, soltanto lui e il manichino imperturbabile. Tuttavia nella testa di Gideon echeggiava una frase insolita, enigmatica, come se qualcuno l’avesse pronunciata, ma fosse rimasta sospesa nell’aria fino a quel momento e poi, ad un tratto, senza motivo, fosse caduta verso il basso, sopra e intorno alla testa dell’agente supervisore.

“ Perché la mente è l’arma più pericolosa di tutte”

Abbassò l’arma e guardò avanti verso la figura inanimata. Avvertiva la sensazione di minaccia che impregnava l’atmosfera, ma non capiva da dove potesse arrivare né chi o cosa l’avesse provocata, ma una cosa la sapeva: il suo sesto senso, se così lo vogliamo chiamare, non falliva mai. Tolse le cuffie e le posò sul bancone.

“Maledizione, ho idea che oggi succederà qualcosa di brutto, molto brutto. Devo tenerli d’occhio…” pensò Jason salendo le scale verso gli uffici con un’espressione torva stampata sul volto.

In effetti il sesto senso di Gideon non si era ingannato, quello che però non aveva afferrato era quanto male gli stesse per arrivare addosso e quanto avrebbe condizionato la vita di alcuni componenti della sua squadra e in particolare quella del giovane dr. Reid che Gideon incrociò mentre entrava in ufficio. Stava dormendo con la bocca aperta e la testa reclinata all’indietro su una poltrona, con in mano ancora le pratiche di un caso di omicidio che avevano appena preso in considerazione. A vederlo così tranquillo e sereno nessuno avrebbe mai pensato che il destino avesse in serbo per lui già da molto tempo una sorte piuttosto miserabile.

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Capitolo 2
*** Miss June Thone ***


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CAPITOLO 2: Miss June Thone

“A volte gli incontri che facciamo non durano che un secondo,

ma non basta una vita per dimenticarne alcuni”

 

 

  - Ragazzino, devi aver scoperto qualcosa di determinante per esserti perfino addormentato sul posto di lavoro- esclamò l’agente speciale Derek Morgan passando accanto al collega, il dr. Spencer Reid, e colpendolo amichevolmente alla testa con una cartellina.

- Ahia!- Reid guardò Morgan con disappunto e si tolse dal viso i capelli che a causa del colpo gli erano scivolati davanti agli occhi  - Comunque tra poco JJ ci convocherà in sala conferenze e così saprai il motivo del perché ho avuto la geniale idea di passare un’intera nottata su questa scomodissima sedia che, tra le altre cose, mi ha pure fatto venire un terribile mal di collo. Lo sapevi che le sedie fornite dal governo agli uffici dell’FBI sono fabbricate da una ditta della Virginia che nel 1936…-

L’agente Morgan si appoggiò allo stipite della porta che stava per attraversare pronto a dirigersi in sala conferenze e fissò il suo collega con un misto di divertimento e rimprovero.

Derek Morgan si poteva definire certamente un bell’uomo: la carnagione di ebano, gli occhi scuri e  profondi e i muscoli che affioravano da sotto la maglietta semi attillata avevano fatto perdere la testa a molte giovani donne; per non parlare del suono della sua voce, così suadente e penetrante, e di come, in presenza di un qualsiasi esemplare di sesso femminile, riuscisse a trovare le parole giuste per risultare sempre affascinante. Insomma, un vero rubacuori.

Il contrario quasi esatto del dr. Reid che, pallido ed esile, non aveva propriamente nulla di bello. Era mediamente carino, passabile in confronto all’altro adone. Lo salvavano gli occhi da cucciolo e le mani eleganti e affusolate da intellettuale, ma non era ancora uscito dal bozzolo per diventare una farfalla e il suo rapporto con l’altro sesso era piuttosto immaturo. Per forza! La prima ragazza che aveva baciato gli aveva cacciato tutta la lingua in gola facendolo soffocare e gli aveva fatto sanguinare un labbro mordendoglielo troppo forte, mentre l’ultimo bacio, che sarebbe dovuto essere il suo momento di gloria, l’aveva dato ad una star di Hollywood, che successivamente era stata aggredita e aveva rischiato la pelle. Come se non bastasse proprio quell’ultimo bacio gli aveva quasi fatto perdere il posto di lavoro a causa di alcune foto scattate da un paparazzo che lo ritraevano in una piscina in pose… certamente poco consone ad un agente dell’FBI. Ecco, queste esperienze avrebbero fatto allontanare dal mondo femminile qualunque uomo, figuriamoci uno timido e imbranato come Spencer Reid. In compenso era un ragazzo in gamba, con un’intelligenza fresca e brillante e un carattere molto disponibile che lo rendeva simpatico a tutti.

Reid incrociò lo sguardo di Morgan e s’interruppe imbarazzato. Morgan, cogliendo il disagio del collega, si mise a ridere per alleggerire la tensione e tornando sui suoi passi diede al giovane una sonora pacca sulla spalla.

- Reid, se continui così all’età di Gideon sarai già morto di solitudine, sepolto tra i tuoi libri e con un cervello in progressiva fusione per sovraccarico di informazioni!-

- No, dai, non sono messo così male, vero?- anche Reid rise, seppure un po’ forzatamente.

- Beh, genietto, quantomeno sei un caso anomalo. Io alla tua età mi svegliavo tardi la mattina e passavo tutto il giorno, fino a sera tardi, tra gli amici e le donne, divertendomi e vivendo senza dare troppa importanza al futuro. Lo studio era eternamente in secondo piano e pensare di fare degli straordinari al lavoro non mi attraversava nemmeno l’anticamera del cervello. Tu, invece, guardati! Lavori tutto il giorno e il tempo libero lo passi a studiare-

- Prendo il mio lavoro molto seriamente, è un reato?-

- No, ma lo è sostituire la tua vita con il lavoro. Sono due cose distinte, devi tenerle divise e cercare di VI-VE-RE! Vivere, capisci? Svagarti, uscire, andare a fare una passeggiata di tanto in tanto, mollare quei libri e fare un giro al bowling con qualche bella ragazza, comprare delle calze dello stesso colore, per esempio- Morgan abbozzò un sorrisetto mentre indicava le calze di Reid che si intravedevano sotto i pantaloni: una rossa e una blu.

 Spencer si imbarazzò ancora più di prima e balbettò: - Beh, l’a-l’abbinare  gli indumenti non è tipico di tutte le culture. In certe tribù dell’Africa del sud, anzi, questo rituale che per gli occidentali è considerato…-

- Reid, Reid- lo interruppe Morgan spazientito – Ora rispondi sinceramente a questa domanda: da quant’è che non esci con una donna?-

- Dunque, un paio di giorni fa sono uscito a pranzo con JJ-

Morgan alzò gli occhi e le mani al cielo ed esclamò: - Ma, Reid, JJ non è una donna!-

Spencer lo guardò storto e inarcò un sopracciglio, mentre Morgan, dopo essersi reso conto di quello che aveva appena detto a voce abbastanza alta, si guardò intorno per vedere se JJ era nei paraggi perché nel caso lo fosse stato era sicuro che una bella cinquina non gliel’avrebbe tolta nessuno.

Derek, appurata l’assenza della collega all’interno dell’ufficio, abbassò la voce e proseguì: - Cioè, JJ è una donna, ha tutti gli attributi di una donna, ma devi capire che dal momento in cui una donna diventa una tua collega perde la sua sessualità, non è più una femmina!-

Reid non trovò parole per ribattere un po’ per stanchezza, un po’ perché sapeva che inoltrarsi in certe questioni con Morgan non conveniva. Fece buon viso a cattivo gioco e sorrise timidamente.

- Dai, facciamo così, ragazzino: appena concluso questo caso ti porto fuori con me in qualche bel locale. Ti vesti bene, ti pettini in modo decente e non da fishman (sono le matricole del college, n.d.A) e poi impari dal maestro la segreta arte del corteggiamento-

La proposta per Reid fu allettante. Gli piaceva uscire con Morgan perché lo portava sempre in bei posti, pieni di donne dalla bellezza divina, dove si poteva chiacchierare tranquillamente e distrarsi e dove Morgan abbandonava un po’ l’orgoglio e smetteva di porsi su un piano superiore rispetto al collega più giovane per trasformarsi nel migliore amico che chiunque potesse desiderare.

- Te l’ho mai detto, maestro, che sei la mia ancora di salvezza per il sabato sera?-

- Ah, Reid, pensa che quando uscirai dall’età adolescenziale potrai andare in certi posti anche senza essere accompagnato da un maggiorenne-

- Ah-ah, ma quanto siamo simpatici!- si scambiarono un ultimo sorriso bonario prima che Morgan si incamminasse di nuovo verso la sala conferenze.

A quel punto Reid si stropicciò gli occhi e bevve un sorso del caffè, ormai freddo, che Gideon gli aveva portato quella mattina dopo averlo svegliato. Aprì le pratiche con cui aveva dormito e si mise a scrivere su un taccuino alcune conclusioni che aveva tratto la sera prima e che voleva far presente ai colleghi. Buttò giù qualcosa tra uno sbadiglio e l’altro, rilesse un paio di fascicoli, fece una piccola ricerca su internet, telefonò al tecnico informatico dell’ufficio, Penelope Garcia, per farsi spedire alcuni dati di uno dei sospettati e, infine, confrontò le foto dell’omicidio con quelle di uno analogo. Nel frattempo gli uffici intorno a lui stavano riprendendo la loro normale attività, tutto si stava risvegliando. Arrivarono Hotch ed Elle, il secondo agente supervisore e la nuova recluta del BAU, verso le nove JJ mandò alla squadra un messaggio sull’orario esatto della conferenza e poco dopo Gideon fece un giro per controllare che ogni cosa proseguisse con regolarità. Insomma, tutto portava a pensare che quella giornata sarebbe stata una tra le più normali.

E invece…

Reid sentì che la sua schiena stava per andare in pezzi. L’aver dormito su una scomodissima sedia tutta la notte gli aveva procurato un fastidiosissimo torcicollo e l’aver lavorato chinato sui libri la sera prima per quasi tre ore senza interruzioni gli aveva distrutto la parte inferiore della schiena.

Si massaggiò la parte dolorante e si allungò sulla sedia per far schioccare le vertebre sperando di trarne un qualche possibile giovamento. In effetti qualcosa schioccò, ma non erano le vertebre di Reid. La fragile sedia, che per ore e ore quella notte aveva pazientemente sopportato il peso del giovane dottore, ora ad una nuova tensione non resistette e la parte posteriore si piegò in dietro con uno schiocco tanto da far perdere l’equilibrio a Reid, che cadde sul pavimento con un tonfo.

Non capì subito cosa fosse successo. Sentiva tutto intorno a lui ovattato: la voce di JJ che lo chiamava da distante, rumore di passi che si avvicinavano e di sedie che si spostavano, qualche risata che presto si bloccò. Guardò il soffitto e vide che era sfocato. Non capiva cosa stesse succedendo.

Chiuse gli occhi e allungò una mano in cerca di qualcosa a cui aggrapparsi per tirarsi su. Incontrò una mano. La mano era gelida e salda, gli afferrò il polso e con uno strattone lo rimise in piedi ancora mezzo intontito. Reid continuava a non capire e poi li vide davanti a sé e fu preso da un’improvvisa ondata di penetrante inquietudine: due occhi di ghiaccio lo osservavano ed era così intenso il loro colore e così inconfondibile il sentimento impresso in loro, malvagità, che Reid non poté restare a guardare e, abbassando lo sguardo, si sentì venir meno.

- Ehi, ragazzo- qualcuno lo afferrò mentre stava per ricadere a terra e con vigore lo rimise a sedere sulla sedia - Qualcuno porti dell’acqua, un bicchiere d’acqua, per favore. Ragazzo, ehi, ragazzo, cerca di riprenderti!-

Reid alzò di nuovo lo sguardo e gli occhi erano sempre lì, ma erano cambiati. Mise a fuoco meglio ciò che c’era intorno a quegli occhi e si accorse che era un volto di donna che lo osservava con un’espressione preoccupata.

- Reid!- sentì la voce di Hotch lì vicino e lo vide, voltando leggermente la testa, a pochi passi da lui sulla sinistra - Ma che diavolo hai combinato?-

- E’ scivolato dalla sedia e un secondo dopo mi è quasi svenuto tra le braccia, ho chiesto un bicchier d’acqua, ma nessuno è ancora arrivato- A parlare era stata la donna dagli occhi di ghiaccio. Velluto, la sua voce era come il velluto.

Velluto e ghiaccio, che strana combinazione, pensò Reid appena prima di riprendersi del tutto e tornare tra i comuni mortali.

- Ecco l’acqua!!!- Elle corse tra le scrivanie dell’ufficio con un bicchiere d’acqua in mano - Ecco, Reid, bevi un po’ d’acqua- gli porse con mani tremanti un bicchiere di carta.

- Oh, grazie Elle- Reid sorrise per far comprendere ai colleghi che non c’era motivo di preoccuparsi, stava già meglio - Scusate si è rotto il pezzo dietro di questa sedia e sono scivolato- Non diede a intendere che aveva sbattuto la testa e che gli faceva un male pazzesco per non allarmare Hotch che già lo stava osservando impensierito. - Tutto a posto, davvero, ragazzi-

- Meno male!- Hotch trasse un sospiro di sollievo e guardò riconoscente la donna che aveva aiutato Reid. - Grazie infinite per essere stata così fulminea nell’aiutare il dr. Reid, sa questi ragazzini combinano sempre un sacco di guai quando è da poco che lavorano all’FBI. Ma, mi perdoni, lei lavora qui? Non mi pare di averla mai vista in questo ufficio- Anche Hotch, si vedeva lontano un miglio, era rimasto notevolmente impressionato dagli occhi della giovane donna ed Elle la studiava incuriosita spostando continuamente lo sguardo da lei al suo capo.

La donna sorrise cordialmente e, scostandosi una ciocca di capelli rosso mogano da davanti agli occhi, rispose alla domanda di Hotch: - No, non lavoro in questo ufficio, anzi per la verità non lavoro proprio all’FBI-

Hotch rimase sconcertato e stava giusto per chiedere alla donna cosa ci facesse allora in quel luogo quando lei, compreso ciò che l’agente supervisore stava per domandarle, lo precedette: - Oh, forse è il caso che mi presenti: sono l’agente speciale June Thone, lavoro per un’unità governativa speciale che si occupa di addestramento per la guerriglia. Sono qui perché ho un colloquio con l’agente supervisore Jason Gideon- Sorrise di nuovo. Hotchner si rilassò e ricambiò il sorriso seguito dall’agente Greenaway. Spencer seguiva silenziosamente la scena: non conosceva nessuna unità del genere, ma pensò che se non ne era a conoscenza probabilmente c’era un buon motivo: doveva essere un’organizzazione mantenuta segreta del governo stesso.

- Io sono l’agente Aaron Hotchner, le presento l’agente Elle Greenaway e il dr. Spencer Reid-  L’agente Thone e Hotch si strinsero la mano e successivamente June lanciò un’occhiata a Reid.

- Dottore? Sembra molto giovane, agente Reid, per essere già dottore. Senza offesa-

- Nessuna offesa, ci sono abituato-

- Ed è davvero giovane come sembra o è solo apparenza?- domandò interessata l’agente Thone. Classico, chiunque si trovasse davanti Reid non poteva non domandarsi, con una punta d’invidia, come potesse un ragazzino che al primo impatto risultava anche un bel po’ imbranato essere già dottore.

- Ecco, io ho una memoria eidetica e un quoziente intellettivo pari a 187. Questo ha inciso molto sulla mia carriera, anche se in ambito pratico ho ancora molto da imparare-

- Questo deve aver inciso moltissimo anche sulla sua vita privata. Un genio non deve avere molti amici, ho idea-

- Perché dice questo, agente Thone?-

- Perché quando si vuole riuscire simpatici bisognerebbe sempre risultare un po’ ignoranti. Presentarsi come persone colte significa presentarsi come persone incapaci di soddisfare la vanità degli altri-

- Ma anche lei, agente Thone, sta in qualche modo mortificando la mia vanità citando alla lettera Jane Austen. La citazione è spesso usata unicamente con il fine di…-

- Reid…- lo interruppe Hotch lanciandogli un’occhiataccia, poi si rivolse a June - Venga, agente Thone, l’accompagno da Jason Gideon per il suo appuntamento. Reid, ore dieci sala conferenze! Greenaway torna pure al lavoro, qui ci penso io-

L’agente Thone fece per seguire Hotchner, ma all’ultimo momento ci ripensò,  si voltò e si rivolse a Spencer: - Dr. Reid-

Reid alzò di scatto gli occhi dalle pratiche che aveva ripreso in mano e arrossì leggermente.

- Volevo solo dirle di non fare troppo affidamento sulle sedie che il governo fornisce agli uffici dell’FBI. Deve sapere che la ditta della Virginia che le fabbrica nel 1936 aveva momentaneamente cambiato attività e si era messa a produrre cartone. Può darsi che quando è tornata a costruire sedie per il governo abbia comunque mantenuto qualcosa della vecchia gestione: magari la solidità delle sedie- fece un sorrisino accattivante e seguì Hotchner verso lo studio di Gideon lasciando Reid sbigottito a fissarla mentre si allontanava.       

- Però, che sventola di ragazza!- Morgan apparve improvvisamente alle spalle di Reid facendolo sobbalzare. - Guardala, capelli lunghi, silhouette da favola… Ma chi è?-

- E’ l’agente speciale June Thone, lavora per l’unità governativa speciale che si occupa di addestramento per la guerriglia-  spiegò Reid con aria un po’ rapita.

- Uhm, un bel bocconcino davvero, ma lavora all’FBI?-

Spencer inarcò le sopracciglia: - No, non è dell’FBI, non ha detto per che organizzazione lavora-

- Ah, Reid, non te ne va dritta una! Secondo me la tua è una malattia congenita-

- Scusa?-

- Ma sì, si vede lontano un miglio che se potessi andresti da lei, la stringeresti tra le braccia e con voce profonda e sensuale la paragoneresti in modo molto romantico alla teoria della relatività ristretta, ma che non hai abbastanza palle per fare una cosa del genere. Dunque la tua dev’essere proprio una malattia o qualcosa del genere.- Morgan si mise a ridere e, intonando una frase di Bagehot che diceva “gli uomini che non cercano di sedurre le donne, sono destinati a essere vittime di donne che cercano di sedurli”, corse via mentre una gomma lanciata da Reid lo inseguiva disegnando nell’aria una parabola.

June Thone, questo nome risuonò nella testa di Reid, evidentemente colpito dall’incontro, ma venne subito scalzato dagli occhi inquietanti di lei e dall’espressione di pura crudeltà che Reid ci aveva letto dentro. Che fosse stata solo un’alterazione dei suoi sensi dopo la caduta?

Nonostante questi pensieri che affollavano la sua giovane mente, Reid riuscì ugualmente a concentrarsi sul lavoro e in breve tempo tornò ad essere assorbito completamente dal caso. Le dieci erano vicine.

 

 

Grazie Alida per la recensione al primo capitolo, mi ha fatto infinitamente piacere e spero che anche il secondo ti piaccia! Per quanto riguarda la mente io penso che sia un’ arma in quanto da una parte ti permette di scavare nelle menti degli altri e usare ciò che ne ricavi a tuo vantaggio e a loro svantaggio, dall’altra perché penso che in qualunque conflitto vince non chi ha le armi migliori, ma che possiede la mente più brillante. Comunque se ancora hai dei dubbi a riguardo riuscirai a capire più a fondo ciò che intendo quando ti sarai inoltrata nella seconda parte del racconto (se ci arriverai e soprattutto se ci arriverò io a scriverla). Grazie ancora!

 

M-a-D B-r-R e C Reidina, grazie per la frizzante recensione! E’ la mia prima fanfiction e ricevere ben due commenti mi ha riempita di entusiasmo, soprattutto perché sono entrambi positivi. Anticipo che in questa storia Reid soffrirà (per la gioia di Reidina), ma non viene preso in ostaggio perché sarebbe troppo scontato. Niente Marysue (ma chi è???), almeno credo, se ho capito bene che genere di donna è. Per Morgan devo mantenere un po’ il segreto sul suo ruolo nella storia (sennò tanto vale vi faccia direttamente un riassunto), ma non preoccupatevi. Intanto godetevi il capitolo 2, sperando sia di vostro gradimento! E, Reidina, ricorda che “La pazienza è amara, ma il suo frutto è dolce (spero)”. Jean Jacques Rousseau, questa sarebbe una frase da CM.

 

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Capitolo 3
*** Sturm und Drang ***


Nuova pagina 1

CAPITOLO 3: Sturm und Drang

"Se la tua vita viene sconvolta da una tempesta sorridi,

il ciclone deve ancora arrivare"

- Agente Gideon, lei e la sua squadra dovete abbandonare questo caso all’istante!-

- Signorina Thone, la prego, si rimetta seduta-

L’agente Thone ignorò completamente ciò che Gideon le aveva chiesto e proseguì a parlare animatamente spostandosi di continuo per il piccolo studio e appoggiando diverse volte le mani sulla scrivania per rendere la propria figura più minacciosa.

- Questo caso non vi appartiene, state intralciando le indagini di un’altra organizzazione governativa. Non capite che potremmo citarvi in tribunale se questo caso non riuscisse ad essere risolto a causa dei vostri impedimenti? Poiché la presenza di errori nel profilo psicologico può depistare le indagini con conseguenze anche drammatiche, trovo necessario adottare, per questo caso, l’applicazione di procedure il più possibili metodiche e rigorose per ridurre la possibilità di errore. Inoltre sono fermamente convinta che l’Unità di Analisi Comportamentale non abbia alcun diritto di immischiarsi in casi come questo, già affidati ad altre unità-

- In verità possiamo in qualunque momento decidere di incaricarci di un certo caso, anche se il caso in questione è già stato affidato ad un altro dipartimento. E’ il governo che assegna determinate situazioni da chiarire, tra cui questa, e io e gli uomini della mia squadra riteniamo opportuno cercare di risolverle, seppure il profilo psicologico del colpevole possa a volte essere fallace-

- Questo non è possibile! Perché il mio superiore non mi ha informata di questa eventualità?-

- Non lo so, agente Thone, ma si sieda la prego. Se vuole può contattare il suo capo tramite il telefono del mio ufficio per avere la conferma che ciò che le sto dicendo è vero. Il suo principale certo sarà al corrente di tutte le faccende burocratiche che…-

- Questa è una delle solite pagliacciate del governo!-

- Pagliacciata o no, agente Thone, dal momento che abbiamo deciso di assumerci questa responsabilità noi non lasceremo quel caso. Ci stiamo già lavorando sopra da qualche giorno ed è stata indetta una conferenza con i Media per le ore dieci-

June guardò stupefatta Gideon domandandosi perché indire una conferenza quando avevano per le mani il caso da meno di tre giorni. Gideon afferrò l’occhiata (era un profiler da quasi trent’anni, erano pochi i comportamenti che sfuggivano al suo occhio indagatore) e rispose con un’alzata di spalle: - Siamo profiler, siamo abituati a lavorare in fretta e con la massima precisione, appena cogliamo un nuovo indizio lo approfondiamo fino a comprenderlo totalmente. Quando abbiamo delle novità decisive contattiamo i Media per avere anche il loro aiuto-

- Novità decisive? Io lavoro su questo caso da tre settimane e voi, dopo solo un paio di giorni, avanzate già la pretesa di aver scoperto qualcosa di rilevante?- L’agente Thone sbatté le mani sulla scrivania senza nascondere il proprio sdegno. Gideon la osservò senza scomporsi e incrociò le dita davanti al viso mentre appoggiava i gomiti ai braccioli della poltrona su cui era seduto .

- Abbiamo già un profilo-

- Voi avete un profilo, eh? Vuole farmi credere, agente Gideon, che avete già in mente chi può aver commesso quegli omicidi?-

- Non ho detto questo. Ho detto che abbiamo un profilo, ma non abbiamo ancora fatto un sopralluogo per poter esaminare la scena del crimine e interrogare i sospettati e le famiglie delle vittime-

- Né lo farete mai perché quest’indagine è sotto la giurisdizione di un’altra unità e io impedirò la vostra presenza sul luogo del delitto ad ogni costo. Anche la mia unità è governativa e non vedo perché debbano mandarci dei profilers per “aiutarci” nelle indagini. Il profilo psicologico non è sempre corretto e io non posso permettere di mettere a repentaglio gli esiti di un caso che mi è stato assegnato. Non posso basarmi sulle vostre false certezze-

- Vede, signorina Thone, le conclusioni tratte da un profiler sono piuttosto di tipo abduttivo. Non derivano in modo certo dalle premesse, ma si tratta di conclusioni possibili o al massimo probabili. Noi ci poniamo nell’ottica del se… allora (forse), non in quella del se… allora (certamente): è probabile che chi uccida in modo violento e programmato le sue vittime abbia subito degli abusi da piccolo o sia stato sottoposto a qualche forma di tortura e desideri trovare giustizia da solo vendicandosi su altre persone, ma non è certo; potrebbe essere spinto da una personalità repressa o sadica. Il nostro lavoro è ipotizzare e cercare di confermare le nostre ipotesi e solitamente ci riusciamo con ottimi risultati. Tuttavia è da tenere in considerazione il dubbio peso che il profilo può assumere nel processo: da una parte le ipotesi possono non contribuire in modo rilevante all’accusa, ma dall’altra si corre sempre il rischio che il profilo si adatti perfettamente all’imputato-

- Ah, profiler!- sbottò June irritata -Pensate che la vostra mente possa tutto!-

- La prego, agente Thone, sia ragionevole, noi non stiamo cercando di far un torto alla sua unità. Semplicemente cerchiamo di collaborare insieme per un unico fine: trovare il colpevole. Non è una gara a chi ci arriva per primo o a chi trova più indizi. E’ un cooperare insieme, essere un’unica squadra-

- Questo non è possibile- L’agente Thone abbassò lo sguardo e la voce. Si voltò come se volesse andare via e invece chiuse del tutto la porta che fino a quel momento era rimasta soltanto socchiusa. Si sedette di fronte a Gideon e con sguardo serio e voce molto tranquilla, totalmente contraria al tono utilizzato fino a quel momento, cominciò a parlare.

- Agente Gideon, Jason, glielo dirò una sola volta e spero di non dovermi sbilanciare ulteriormente in futuro come sto facendo adesso. Questo caso è di fondamentale importanza per la mia squadra perché è un cold case-

Gideon la guardò senza poter celare la propria sorpresa: i cold case erano quei casi che per un motivo o per l’altro cadevano, spesse volte anche per decisione del governo, a vuoto e venivano archiviati senza possibilità di poterli riaprire, in alcuni casi. In quest’ultima ipotesi, la maggior parte delle prove venivano manomesse o non venivano nemmeno prese in considerazione e, anche se l’S.I. era noto a chi stava indagando, l’accusa non veniva formulata e l’unica cosa che la giustizia poteva a quel punto fare era consigliare all’assassino di lasciare lo Stato. Era un’operazione illegale che spesso metteva a rischio l’incolumità di altre persone e la carriera di chi investigava.

- Ora capisco…- il tono di Gideon sembrava seriamente dispiaciuto.

June lo osservò per qualche istante con quegli occhi di ghiaccio penetranti come se volesse studiarlo e capire cosa in quel momento il suo cervello stesse meditando.

- Jason, ci sono casi che probabilmente la sua squadra risolverebbe in tre giorni. Questo è uno di quei casi e ve ne rendo merito perché capisco che sapete fare il vostro lavoro. Tuttavia gli ordini che il mio superiore mi ha dato sono stati chiari: io e la mia squadra dobbiamo insabbiare questo caso per volere di una persona che è nelle alte sfere della politica. Lo so, è un’ingiustizia e mi sto giocando la carriera, ma non posso contestare gli ordini. Quindi ti chiedo di abbandonare il caso. L’agente Jereau seleziona i casi, ma sei tu che decidi quali prendere in considerazione e quali no. Basterebbe una parola e annullare la conferenza. I tuoi colleghi non saprebbero nulla-

- Dimentichi che sono profiler con un alto quoziente intellettivo-

- Posso pagare il vostro silenzio-

- Pagare il silenzio?!- Gideon la guardava sbigottito – Tu vorresti pagarci per far mettere da parte un caso di omicidio che ha sconvolto un’intera cittadina del Cunnecticut, sei impazzita, June?-

- Io non sto giocando, Gideon. Questo fatto non mi rende onore, ma va fatto e dato che lo devo fare io per non giocarmi il posto di lavoro sono disposta a sporcarmi le mani- la voce di June divenne aspra e austera. Si capiva che non avrebbe accettato un rifiuto da Jason.

- E i familiari della vittima? A quelli non pensi?-

- Ogni notte, Jason! Ogni volta che chiudo gli occhi sento la voce della vittima che mi implora di rendergli giustizia, ma a questo mondo la giustizia è una cosa relativa e non tutti se la possono permettere! Non è una mia decisione, non è nel mio interesse, può sembrare egoista da parte mia, ma qualcuno lo deve fare e quel qualcuno sono io-

Gideon fece un respiro profondo mentre rifletteva sul da farsi. Era molto combattuto: non poteva andare contro una decisione presa da una parte del governo, eppure il suo senso del dovere era molto forte. Doveva pensarci bene.

June stava sempre di fronte a lui, lo sguardo di lei lo trafiggeva da tutte le parti: era davvero terribile.

Passò qualche minuto di profondo silenzio, l’unico rumore era il ticchettio dell’orologio dell’ufficio, anche se June avrebbe giurato di aver sentito per un istante i suoni metallici delle rotelline che si muovevano nella testa di Gideon.

Alla fine Jason trasse un lungo sospiro e affermò: - Mi dispiace, agente Thone, ma non posso rendermi partecipe di un così basso proposito. Vada e riferisca al suo superiore che l’Unità di Analisi Comportamentale intende portare avanti le indagini e non spetta a me decidere di sospendere un’ investigazione per permettere ad un’altra unità di commettere atti illegali sotto i miei occhi-

Aveva prevalso il senso del dovere; era tipico di Gideon. Gli occhi dell’agente Thone si infiammarono di stizza e rabbia, si alzò di scatto in piedi e chiudendo di colpo la cartellina che fino a quell’istante era rimasta aperta sulla scrivania davanti ai suoi occhi girò i tacchi e prese la porta.

Un secondo prima di uscire e andarsene June Thone si voltò verso Jason Gideon e con gli occhi più spaventosi che una donna potesse assumere (e fidatevi che certe volte fanno paura davvero) disse con voce grave e furente: - Non mi lasci altra scelta, Gideon, ma non credere che finisca qua!- e si sbatté violentemente la porta alle spalle.

Dopo qualche secondo di quiete Gideon tirò un sospiro di sollievo: non aveva mai avuto a che fare con una donna tanto terrificante come quella e poteva dirsi sinceramente grato per questo.

Si appoggiò allo schienale della poltrona e subito gli venne in mente una cosa. Uscì dall’ufficio in fretta e incontrò Hotchner che camminava nella sua direzione.

- Hotch!- lo richiamò ad alta voce facendogli alzare la testa da alcuni documenti. – Sta per lasciare l’edificio una persona che voglio interrogare. E’ l’agente June Thone, valle dietro e trattienila o quantomeno fai in modo che non esca di qui!-

Hotch rimase sconcertato dalla richiesta di Gideon, ma obbedì e corse in fretta verso l’atrio.

“Ma cosa diavolo succede adesso?” pensò mentre correva tra le scrivanie.

- Agente Thone!- la vide in fondo al corridoio avanzare a passo svelto e deciso verso l’uscita.

June si voltò e l’espressione che in quel momento investì Hotch lo lasciò di pietra sull’ultimo gradino delle scale. Vide un tale odio impresso in quegli occhi di ghiaccio, e tuttavia quando guardò meglio il viso dell’agente Thone notò che nonostante tutto stava sorridendo. Come poteva esprimere una cosa con la bocca e l’opposta con gli occhi?

- Agente Hotchner- appena aprì bocca gli occhi mutarono e divennero più gentili e disponibili. - Mi dica, è successo qualcosa? Ha bisogno di me? Ma che le prende? Ha una faccia!-

Aaron si accorse che era rimasto paralizzato e attonito alla vista di quell’espressione gelida e ostile. Si fece allora più serio, nascondendo i sentimenti di poco prima, e disse: - Agente Thone, si è reso necessario che lei si trattenga  per qualche minuto ancora. L’agente Gideon mi ha chiesto di informarla che le vorrebbe porre altre domande riguardo al caso, immagino. Sempre che lei non abbia nulla in contrario-

Il sorriso di June si allargò piacevolmente sul viso. “Lo sapevo, non c’è uomo che possa resistere al fascino del dio denaro. Ah, Jason, era inutile fingere di essere rimasto sconcertato riguardo la mia proposta quando ora mi mandi uno dei tuoi tirapiedi per ritrattare. Credevi davvero che una donna come me si sarebbe arresa così facilmente di fronte al tuo rifiuto se non avesse saputo fin da subito cosa veramente avevi in mente? La tua ingenuità mi fa quasi tenerezza.”

- Spero che Jason abbia per me proposte migliori dopo la nostra ultima discussione- June si gettò con aria distratta i capelli rosso vermiglio dietro le spalle e un sorriso malizioso le increspò le labbra. Hotch rimase spiazzato e leggermente imbarazzato da quell’uscita, ma si ricompose velocemente e invitò l’agente Thone a seguirlo fino all’ufficio di Gideon. Mentre camminavano per i corridoi, Hotch osservava l’altro agente, che avanzava guardando avanti a sé con espressione pienamente soddisfatta e fiera. Doveva essere a capo di qualche unità, si intuiva (o almeno un profiler come Hotch lo riusciva a intuire) dal portamento e dall’atteggiamento che aveva nei confronti degli altri, o comunque un’agente che rivestiva un ruolo rilevante.

- Mi scusi, signorina Thone, se non sono troppo indiscreto posso chiederle che ruolo ha nella sua unità?-

June continuò a guardare avanti, ma sorrise orgogliosamente e rispose:- Sono a capo dell’unità che si occupa dell’addestramento per la guerriglia. In verità sono specializzata in strumenti di difesa, ovvero armi, ma mi utilizzano anche come tiratore scelto nelle operazioni militari e, quando non c’è bisogno di me in campo, come insegnante di tiro per le reclute dell’organizzazione per cui lavoro-

-  Eppure lei mi sembra piuttosto giovane per essere già così impegnata-

June si volse verso Hotch, che stava accrescendo ogni momento di più la sua vanità, e con occhi di sfida esclamò:- Ho ventiquattro anni e sono il miglior uomo, si fa per dire, che la mia squadra possa desiderare. Da quando sono entrata a far parte dell’unità ho capito che l’età conta relativamente poco quando si tratta di lavoro e che è l’esperienza che fa crescere, non gli anni che passano. Dunque non si inganni, agente Hotchner, non sono giovane come sembro-

Hotch rimaneva, ogni secondo che passava, sempre più colpito da June, sebbene in realtà fosse un uomo severo, che si meravigliava raramente. Ciò nonostante era impossibile non rimanere impressionati da una donna simile, con una personalità così forte e quasi magnetica. Inoltre Hotch constatò che aveva la stessa età di Reid, ma era comunque molto, forse troppo, giovane per il lavoro che svolgeva. Non era mai stato una persona particolarmente curiosa, ma avrebbe voluto chiederle qualcosa di più su di lei e sul suo lavoro. Si limitò a domandarle cosa avesse a che fare la sua squadra con l’omicidio su cui anche il BAU stava indagando.

- Tutto e niente- fu la risposta accompagnata da un’alzata di spalle.

Come poteva, a qual punto, Hotch, che era stato avvocato per moltissimi anni e che tutti ritenevano un uomo onesto e rispettabile, immaginare che la ragazza accanto a lui, che tanto lo colpiva, con quel viso d’angelo, fosse l’esatta sua antitesi? Eppure il tempo glielo avrebbe dimostrato, mentre la tempesta già si stava alzando portando con se tutta la sua tensione.

 

Lady Nionu grazie per la recensione, devo dire che l’ho letta in un momento di totale blocco dello scrittore e mi ha permesso di trovare la “forza” per andare avanti. Ero un po’ nel panico! Dunque, vediamo di rispondere all’osservazione: hai ragione, nell’episodio “Il profilo del profiler” Morgan afferma di essersi sacrificato moltissimo per ottenere certi risultati negli studi e quando Garcia fa una ricerca su di lui si scopre che aveva voti molto alti (è uscito con il massimo dei voti dall’università) e si impegnava a fondo e con determinazione. Tuttavia c’è da dire che l’università americana è un po’ diversa da quella italiana: al college, cioè i due anni di specializzazione prima di poter accedere a una facoltà, si accede a 17-18 anni circa, contando che le loro superiori durano 4 e non 5 anni come da noi, e si decide che tipo di università scegliere dopo. College, università e relativa specializzazione solitamente durano 6 anni, perciò ho pensato che Morgan a 24-25 anni, l’età di Reid nella fic, avesse già finito gli studi e si stesse “rilassando” prima di intraprendere la carriera lavorativa. C’è anche da definire, però, che nella prima serie Morgan dovrebbe avere sui trent’anni, ma sembra già essere bene inserito nell’ambito lavorativo. Se è vero che ha cominciato a lavorare subito dopo la specializzazione allora a 24 anni non metteva certo in secondo piano (non ho mai detto all’ultimo posto) lo studio, però mi piace sempre pensare che dopo aver affrontato le fatiche di Ercole per laurearsi e tutto il resto si sia concesso per un breve periodo il lusso di dedicarsi ai suoi più grandi interessi: le donne e il divertimento J 

M-A-D-B-R_R Con l'aggiunta di C Reidina mi stai spaventando a morte! Anzi stai spaventando a morte i personaggi della mia fic, che ogni tanto mi vengono a chiedere se la prossima Marysue è per caso tra loro. Non farti venire dubbi su Reid prima del tempo, ci sarà modo di scoprire che tipo di “tortura” gli ho riservato, pur adorando quel personaggio (poi Matthew è davvero carino e ha proprio la faccia da genietto). Io non credo che Reid sia gay (speriamo), ma Drunk è stata una delle prime ff che ho letto: ero insieme a mia cugina, che è rimasta scioccatissima e ha minacciato di andarsi a rivedere tutte le prime tre stagioni di CM per assicurarsi che non ci fossero strani sguardi complici tra i due. A me è piaciuta di più A Profile Crime anche se povero Reid! La tematica affrontata è molto seria e mi piace sia trattata perché invita alla riflessione, ma quando ti decidi ad aggiornare?! Baci, vado a consolare i miei personaggi terrorizzati.

Infine Alida, che è sempre la prima a recensire, non sapevo che ai lettori piacessero così tanto le parti descrittive. Io l’ho aggiunta per delineare un po’ i tratti dei personaggi principali sennò mia sorella, che di CM non capisce niente, non afferra il perché Reid o Morgan facciano una cosa piuttosto che un’altra e si comportino in un determinato modo. Hai ragione, Aaron non si sarebbe mai espresso in quel modo nei riguardi di Reid, ora che ci penso, è una cosa più da Morgan. Però non è triste che Hotch sia sempre serio? Va beh, è anche vero che faceva l’avvocato e tutto il resto, però un po’ di vita! Intanto un abbraccio

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Capitolo 4
*** Nel tempo dell'inganno ***


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CAPITOLO 4: Nel tempo dell’inganno

 

“Nel tempo dell’inganno universale la verità è un atto rivoluzionario”

  June e Hotchner arrivarono dopo breve tempo all’ufficio di Gideon, che li osservava da dietro le veneziane leggermente sollevate. Hotch fece accomodare June su una sedia e, ad un cenno di richiamo da parte di Gideon, entrò nella stanza insieme a lui lasciando distrattamente la porta socchiusa. June, occhio di falco, se ne accorse con la coda dell’occhio e drizzò le orecchie per sentire cosa i due agenti supervisori avevano da dirsi. Aveva previsto che Gideon avrebbe parlato con un suo collega di lei e della sua offerta prima di fare il passo decisivo, non c’era che da attendere. Dall’interno dell’ufficio Gideon la stava scrutando, pensoso, cercando di studiarla, di capire i suoi pensieri e prevedere le sue mosse per il futuro, quando si ritrovò accanto Hotch, che gli chiese senza mezze misure: - Posso sapere che cosa sta succedendo?- Aveva il solito tono pacato, ma severo, che non ammetteva la negazione di una risposta immediata. Gideon non rispose, come se non l’avesse sentito, ma fece a sua volta una domanda.

- Hotch, cos’è la giustizia?- Non staccò gli occhi dall’agente Thone, che ricambiava il suo sguardo con ferocia dall’altra parte del vetro. Aaron aggrottò la fronte senza capire il perché di quella domanda. Passò qualche istante di silenzio tra i due in cui Hotch non trovò le parole giuste per esprimere la sua idea a riguardo, ma quando Gideon gli lanciò un’occhiata di incoraggiamento, allora si decise a rispondere.

- E’ la virtù che attua l’uguaglianza sostanziale dei diritti e dei doveri di tutti i membri di una società e per la quale si giudica rettamente e si riconosce e si dà a ciascuno ciò che gli è dovuto. La giustizia è l’equilibrio tra l’assoluto e la possibilità, cioè il tentativo di realizzare un rapporto umano puntando in alto, ma tenendo conto dei limiti dell’uomo.-

Risposta degna di Aaron Hotchner.

- E tu credi che possa esistere?- riprese a domandare Gideon.

Quella era una questione che Hotch si era spesso posto. Era stato avvocato e aveva più volte visto la giustizia calpestata sotto i suoi occhi, mentre si ritrovava con le mani legate perché davanti alla decisione di un giudice la ragione, quella vera, non può nulla. E tuttavia aveva la risposta pronta anche a quella domanda, come se fosse rimasta annidata dentro lui da moltissimo tempo e si fosse di colpo ridestata.

- Io suppongo, anzi sono convinto, che se si crede fermamente in un’ideale e lo si rispetta, quell’ideale esiste. Se tu credi nella giustizia, allora la giustizia esiste, c’è, diventa qualcosa di tangibile, anche se a volte ci è difficile vederla o percepirla perché troppo spesso ignorata.-

- Sapevo che mi avresti risposto così.- Gideon si voltò completamente verso il collega e sorrise soddisfatto.

- Allora perché me l’hai chiesto se già conoscevi la mia risposta?- E poi Hotch comprese: Jason non voleva sapere cosa fosse la giustizia, già lo sapeva, né se esistesse, sapeva anche quello, ma voleva che lui lo capisse. Quella sulla giustizia era stata una questione che aveva tormentato Aaron per anni e ora sembrava che un peso l’avesse abbandonato lasciando il posto a un senso di pace e appagamento. La giustizia esisteva ed era un trionfo per l’umanità.

- Sai, quell’agente che ci sta osservando dal corridoio?-

- L’agente Thone?-

- Esatto. Lei non conosce la giustizia perché probabilmente nessuno gliene ha parlato. Mi fanno pena gli esseri umani che mettono da parte l’etica per il denaro: sono come bambini che rubano una caramella solo per avere una soddisfazione fugace. Non c’è gioia senza la giustizia e l’uomo che può definirsi davvero felice, secondo me, è colui che raggiunge un così alto valore. Non sono i soldi o la fama che danno la felicità! L’agente Thone mi ha offerto una generosa somma di denaro per mettere da parte il caso: voleva pagare il mio silenzio, ma quello che lei definiva silenzio sarebbe diventato per me come un grido interiore straziante. Ne sarebbe valsa la pena per denaro?-

- E allora perché la trattieni?-

- Perché voglio portare avanti questo caso e lei ha la chiave per risolverlo. Lei sa alcune cose che ha voluto ingegnosamente  tenere nascoste per sviare e complicare le indagini, finché non si è venuta a scontrare con me. Un profiler ha la capacità di far partorire una confessione indiretta anche ad un sasso se sa fare davvero il suo lavoro. Io ci stavo lavorando prima che lei se ne andasse via e ora voglio completare l’opera. Sono sicuro che interrogandola scoprirò qualcosa di più. E’ una questione di fondamentale importanza-

Hotch capì perfettamente ciò che Gideon aveva intenzione di fare e fu orgoglioso di avere un capo come lui, ma quando si voltò verso June rimase attonito.

- Ma… ma dov’è finita? Era lì un secondo fa!-

La sedia era vuota.

Hotch e Jason si precipitarono fuori dall’ufficio alla ricerca di June, che sembrava essere scomparsa. In verità se la stava solo dando a gambe. Aveva compreso che Gideon non aveva alcuna intenzione di ritrattare, ma voleva semplicemente scoprire come indagare senza l’altra unità tra i piedi. E a questa conclusione June c’era arrivata pur non essendo un profiler; si complimentò con se stessa.

Previde che gli altri due agenti la stessero inseguendo e accelerò il passo il più possibile cercando di non farsi notare. Voleva prendere un’uscita secondaria, ma sembrava più complicato del previsto: c’erano un’infinità di corridoi, di scale, di uffici; ad una persona poco esperta il luogo appariva come una sorta di labirinto. June continuò a cercare l’uscita, invano, finché ad un certo punto non aprì una porta con forza eccessiva, comportamento dovuto al nervosismo che la situazione le procurava, e la porta sbatté contro qualcosa facendolo cadere rumorosamente a terra. La giovane aggrottò perplessa la fronte e immaginò di aver colpito un armadietto o un manichino, ma che ci facevano quegli oggetti dietro una porta? Allora guardò cosa avesse effettivamente colpito e fatto cadere e constatò che la porta non era finita contro qualcosa ma contro qualcuno.

“Oddio, ma quest’idiota è sempre per terra?” pensò mentre osservava Spencer Reid supino sul pavimento con un vistoso bernoccolo sulla fronte. Non dovette fare due più due per capire che aveva spalancato con foga la porta proprio nel momento in cui lui passava lì dietro.

“Certo, se avessi io un tipo così in squadra lo farei svegliare fuori con certi modi che se li ricorderebbe per un bel pezzo. Ma quanto imbranato è? Sicuramente è un raccomandato perché dubito sappia effettivamente fare qualcosa di utile pur essendo dottore.” Stava per girarsi e andarsene via quando Spencer si alzò in piedi e un’idea le fulminò il cervello.

- Oddio, dottor Reid, si sente bene?- Si finse preoccupata e Reid abboccò. Era evidente che non sapeva nulla del fatto che Gideon e Hotch stessero inseguendo June e questo, probabilmente, fu per lui un bene: l’agente Thone era una donna fredda e pratica. Se avesse intuito che Spencer era stato già avvertito dai colleghi della fuga di lei, avrebbe estratto la pistola e l’avrebbe freddato.

- A...Agente Thone!- Reid rimase sconcertato da quell’incontro inaspettato e arrossì scordando immediatamente il dolore alla testa – P...posso…posso fare qualcosa per te? Cioè, volevo dire, per lei?-

Fu il turno di June di rimanere sorpresa: dunque, l’aveva colpito alla testa, quasi abbandonato lì a terra mezzo svenuto, senza contare che l’idea di sparargli subito le aveva attraversato il cervello più di un paio di volte, e lui le domandava con tono gentile se poteva aiutarla? Le fece venire proprio voglia di aprire il fuoco su di lui. Che pezzo di idiota!

- Ehm- cominciò June scacciando dalla testa certe voglie, decisa a sfruttare la situazione  -Veramente io stavo cercando un’uscita. -

- Beh, da qui l’uscita principale non è molto distante. Ecco, devi solo…- spiegò Reid indicando il corridoio di fronte pronto a darle indicazioni e scordandosi, per l’agitazione, di usare la terza persona formale.

- No, guarda- lo interruppe subito lei  - Io intendevo un’uscita secondaria. -

Si era sbilanciata troppo dicendo così? Un profiler, quale si riteneva fosse Spencer Reid, avrebbe capito che era un modo per fuggire? No, era troppo stupido per arrivarci, infatti le sorrise educatamente e si voltò verso il corridoio che aveva alle spalle.

- Allora, dunque per arrivare all’uscita secondaria più vicina devi… Aspetta, da qui per l’uscita ti conviene… Allora, vai avanti per questo corridoio fino alla porta laggiù, la vedi? Ecco, dunque, apri la porta, beh ovvio che apri la porta (risatina nervosa). Allora, da lì giri a sinistra, cioè a destra volevo dire, e lì ti ritrovi davanti agli uffici informatici che sono stati costruiti un paio di anni fa per permettere ai nostri tecnici di seguire le nostre operazioni da qui, cioè da Quantico, il che rende il lavoro più semplice perché non devono spostarsi con noi e hanno tutto il materiale a portata di mano. Sai, è difficile lavorare fuori dall’ufficio per il nostro nuovo tecnico, Penelope Garcia: è arrivata da poco, ma si è portata dietro tanti di quei gingilli elettronici che… (occhiataccia di June) oh, scusa, dimenticavo! Allora, dov’eravamo rimasti? Ah, già gli uffici informatici. Da lì si dipartono due vie, cioè trovi una specie di bivio che io c’ho messo anni per capire quale strada prendere (altra risatina nervosa), ma tu prendi quella a sinistra che ti conduce a una rampa di scale. Scendi e fai il corridoio fino in fondo, cioè, ci siamo, hai capito? Poi dal corridoio giri a destra, poi a sinistra, cioè, aspetta non mi ricordo se è a destra o a sinistra. A sinistra credo, sì, sì, a sinistra, sono sicuro. Allora, da lì… eh, però, cavolo, da lì è un problema! Va beh, vai avanti e ci sono altre scale sulla destra e ti ritrovi in un corridoio dove ci sono dei bagni con le mattonelle azzurre e allora ti conviene, ecco… oddio che casino! No, no, aspetta… ah, ecco, allora devi…-

June era sbigottita e fissava con gli occhi spalancati e la bocca semi aperta Reid che gesticolava. Si era persa al secondo cioè e non era tanto sicura che sarebbe riuscita a recuperare il discorso.

- Okay, okay!- lo interruppe mentre Reid minacciava di continuare ad oltranza – Senti, facciamo una bella cosa: accompagnami!- Suonava più come un ordine che come una richiesta. Alla giovane sembrò un’ottima idea: da una parte Spencer le avrebbe indicato un’uscita sicura conducendola per la via più breve, dall’altra, in caso di pericolo, cioè che gli altri agenti la beccassero mentre tentava la fuga, poteva prendere il genietto in ostaggio. Non era un granché come corporatura e lei, invece, insegnava a sparare ed era abbastanza brava nel combattimento corpo a corpo, dunque le sarebbe bastata qualche mossa ed estrarre la sua piccolina per uscire indenne dalla situazione. Era un piano fantastico, se lo sentiva.

In presenza di June Reid era talmente in soggezione che, nonostante fosse vicina l’ora della conferenza, non osò rifiutarsi di accompagnarla fino all’uscita più vicina.

Presero a camminare fianco a fianco, ma June accelerava il passo ogni istante di più, con grande stupore di Reid, per arrivare il prima possibile alla libertà.

Cercò di distrarsi chiacchierando anche per non far intuire al profiler il suo piano: - E’ da molto che lavora qui, dottor Reid?-

- Mi chiami Spencer-

- Prego?-

Anche Reid si stupì delle sue stesse parole: ma che gli prendeva, era forse andato fuori di testa? Sapeva che era June, con quei suoi profondi occhi di ghiaccio e l’atteggiamento che teneva nei suoi confronti, a suggestionarlo e si sentiva terribilmente a disagio.

- Ehm, mi perdoni. Qual era la domanda?- Aveva la gola secca e le parole gli uscivano intervallate a piccoli colpi di tosse nervosa. June si accorse degli effetti che produceva sul giovane, ma non provò pietà, solo un senso di potenza.

- Volevo sapere, Spencer, da quanti anni lavori per l’FBI- sorrise maliziosamente.

- Ecco, io lavoro come profiler da… da…- la scena si fece tenera: Reid si era completamente dimenticato da quanto tempo lavorava nel BAU ed era la prima volta che gli succedeva.

“Ma che mi sta succedendo? E’ come se tutto quello che so in sua presenza scomparisse. Eppure mi sento la testa scoppiare! Ma perché? Cosa mi sta facendo?” Non aveva nemmeno il coraggio di guardarla negli occhi mentre parlava: sostenere quegli occhi gli era impossibile. Aveva la lingua impastata, si sentiva un fuoco scorrergli sotto la pelle, sudava freddo e le sue mani tremavano ogni volta che le allungava per aprire una porta, la vista gli si annebbiava continuamente e i rumori intorno a lui si attenuavano. June prese a giocarci e cominciò a parlare e a fare domande con voce vellutata e grave intontendo Reid sempre più. Non si era mai sentito così e più il tempo passava peggio era.

La porta dell’uscita secondaria fu per lui come un’ancora di salvezza a cui tentò di aggrapparsi disperatamente. Lo fu anche per June che vide profilarsi davanti la via per fuggire da quel posto.

- Beh, allora grazie, dottor Reid. Ci vediamo!- June si slanciò verso la maniglia per aprire la porta, ma fu richiamata da Spencer.

Si voltò lentamente e lo trafisse con lo sguardo: che poteva mai volere adesso?

Spencer abbassò gli occhi, che era riuscito ad alzare per tentare di guardarla in faccia un’ultima volta prima che lei se ne andasse.

- Agente Thone!- rialzò, con grande sforzo, gli occhi di scatto - June… spero di avere ancora il piacere di poterti aiutare… in futuro-

June lo fissò con un’espressione indecifrabile e poi gli si avvicinò inaspettatamente, lo sbatté con forza contro il muro e lo baciò. Cioè non fu un bacio, perché definire quello un bacio sarebbe assurdo, ma premette ugualmente le sue labbra su quelle di Spencer, senza amore, ma lo fece e poi lo fissò con sguardo stuzzicante e gli ripassò il labbro superiore con la lingua.

- Augurati per il tuo bene di non incontrarmi più, dottor Reid!- E se ne andò lasciando il povero Spencer a terra tramortito e con una mano davanti alla bocca, scioccato e vagamente nauseato, mentre la risata della ragazza gli rimbombava nelle orecchie.

Ora, se Reid avesse avuto un minimo di buon senso se ne sarebbe rimasto dov’era, ma il bacio l’aveva traumatizzato così tanto che si precipitò fuori all’inseguimento di June. Il motivo di tutta quella foga non lo capì nemmeno lui, ma sapeva di doverle parlare, di dover sentire ancora la sua voce penetrante e  vedere quegli occhi di ghiaccio. Doveva. Punto.

Appena uscito la cercò disperatamente con lo sguardo, cercando di reggersi sulle gambe che non smettevano di tremare. Fu in un istante che la vide mentre un uomo la trascinava nel retro di un furgone, che partì sgommando immediatamente dopo, diretto verso una destinazione ignota. Un attimo dopo Reid si ritrovava su un suv nero con a fianco Morgan, che, attaccata la sirena, avviò il motore e partì all’inseguimento del furgone.

Derek, come faceva ogni mattina verso le nove e mezza, era andato a prendersi un caffè al bar dall’altra parte della strada e all’uscita aveva visto Reid precipitarsi fuori dalla porta dell’uscita secondaria con un’espressione sconvolta impressa sul volto e una ragazza, che Morgan non aveva riconosciuto essere June, venir caricata a forza nel retro di un furgone che era fuggito a gran velocità. In un secondo aveva tratto le sue conclusioni, aveva mollato il caffè e con una corsa pazzesca era arrivato al suv più vicino. Reid se ne stava imbambolato sul ciglio della strada, ma ad un richiamo da parte di Derek si era precipitato nella sua direzione ed era salito a sua volta in macchina. Ora la macchina sfrecciava velocissima sulle strade di Quantico.

Il cuore di Reid batteva fortissimo contro il petto facendogli quasi male. Morgan non si accorse di nulla: era troppo impegnato a guidare e a schivare le altre macchine. Quando vide in lontananza il furgone che stava inseguendo lanciò un’esclamazione soddisfatta e accelerò ancora di più. Gli fu addosso in un momento e incitò Spencer a estrarre la pistola in caso ci fosse stato bisogno di sparare alle gomme dell’altra vettura. Il suo ordine fu ignorato, infatti Reid non capiva più niente di quello che gli stava accadendo intorno.

Il furgone voltò sulla sinistra e li condusse in una strada secondaria poco trafficata dove, finalmente, si fermò.

Derek saltò giù dal suv e tirò fuori la pistola esortando il conducente a scendere. La portiera si aprì e ne uscì un uomo sulla trentina con un ghigno che gli increspava le labbra e le mani alzate in segno di resa.

- Dammi le chiavi del furgone!- gli urlò Morgan puntandogli addosso l’arma. L’uomo obbedì senza smettere di sorridere e gettò le chiavi a Derek. L’agente si precipitò, senza comunque abbassare la guardia, verso lo sportello del furgone e lo aprì con violenza. Un attimo dopo fu investito dall’odore pungente del sangue.   

 

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Capitolo 5
*** Nella tana del lupo ***


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Avvertenza: questo capitolo tende a essere piuttosto violento.

Non approvo la violenza, ma questa è una parte fondamentale per il racconto

dunque ho ritenuto opportuna scriverla pur non mettendo un rating rosso.

 

CAPITOLO 5: Nella tana del lupo

 

“E so il male che sto per compiere,

ma il furore in me è più forte della ragione”

 

Morgan non riusciva a capire il perché di tutto quel sangue sulle sue mani mentre nella sua mente si intrecciavano mille ragnatele di pensieri. Teneva ancora in mano la pistola.

Si voltò e Reid gli stava accanto e lo fissava attonito. Schizzi di sangue gli colavano sul viso o gli impregnavano la camicia bianca.

Derek tentò di parlare, ma aveva tutta la bocca impastata.

Gli avevano rotto il naso nel momento in cui aveva aperto il furgone e schizzi del suo sangue erano finiti tutt’intorno.

Sentì un suono metallico e voltandosi verso l’interno del furgone si rese conto che una donna gli stava puntando addosso un fucile da caccia. No, non una donna: June.

Morgan l’aveva vista solo una volta e di spalle, ma Reid la riconobbe subito e il ricordo del bacio gli fece tornare la nausea.

- F.B.I.- L’agente Thone scandì disgustata ogni lettera e si avvicinò all’apertura del furgone, dove i due agenti la stavano guardando sconcertati, mostrando alla luce del sole i suoi terribili occhi di ghiaccio. – Io non credo che voi agenti possediate realmente il senso del pericolo. Non ve lo insegnano all’abilitazione? E’ un vero peccato. Per voi, intendo, perché io… Ho idea che mi divertirò parecchio oggi. Avanti, salite!-

Morgan non riusciva a credere alle proprie orecchie e cercò disperatamente di ribellarsi e di salvare in extremis la situazione, ma invano. June saltò giù dal furgone e lo colpì brutalmente con il calcio del fucile facendolo cadere a terra stordito.

- McCallister, prendilo e buttalo nel retro del furgone- ordinò all’autista, probabilmente un membro della sua squadra dal modo in cui McCallister rispose al comando chiamandola “capo”.

- Agente Thone!- intervenne Reid dopo quella scena di inaudita violenza, ma June si voltò irritata e gli puntò la canna del fucile sotto il mento avvicinandosi a lui pericolosamente.

- Dr. Reid, ti facevo più intelligente. Come hai potuto essere così sciocco da seguirmi?- sorrise nel modo più perverso possibile; un sorriso che poi divenne malizioso quando aggiunse:- Volevi riprovare uno dei miei baci?-

Reid era sconvolto e disgustato e provò a ribattere, ma non ne fu in grado.

- Sali nel furgone- gli intimò June.

- No- ribatté Spencer quasi senza riflettere che quella non era esattamente la risposta migliore da dare.

June lo trafisse con uno sguardo, abbassò il fucile e gli afferrò di scatto la gola cominciando a stringere.

La presa sembrava quella di un uomo tanto era salda e Reid non riuscì a liberarsi nemmeno con entrambe le mani. Presto cominciò a sentirsi asfissiare e sapeva di non poter fare nulla. Era inerme di fronte a tanta violenza gratuita, cosa che lo fece stare molto peggio. Cercò invano di divincolarsi. Stava per perdere i sensi.

June avvicinò il suo viso a quello di Spencer abbastanza da sfiorarlo e gli sussurrò:- Stai attento, dr. Reid, se ti sta a cuore la vita. Se non sali su quel cazzo di furgone sparerò al tuo collega e la pallottola si conficcherà così in profondità che il medico legale farà fatica ad estrarla anche aprendolo completamente-

Come minaccia a Reid bastò e appena l’agente June lo lasciò andare salì nel retro del furgone senza troppe storie. Lì, accasciato sul fondo, c’era Morgan sanguinante e semi svenuto per il colpo alla testa.

- Starte!- comandò June e Mccallister, il guidatore, ripartì in quarta.

 

- Bene, bene, bene. Chi abbiamo qui?-

Reid si riscosse dal dormiveglia che l’aveva sorpreso durante il viaggio nel furgone. Era stanco. Le lacrime si erano rapprese ai bordi degli occhi cerchiati di rosso e dalla gola secca non uscivano che suoni strozzati.

- Morgan…- fu l’unica cosa che Spencer riuscì a singhiozzare vedendo il collega, l’amico, con la faccia menomata e legato stretto ad una sedia.

- Ma buongiorno! Ben svegliato, agente. Che ne dice, svegliamo anche il suo collega?- Così dicendo un’ombra si scagliò fulmineamente su Derek sferrandogli un calcio alle costole e facendolo sussultare.

La stanza era avvolta nella penombra rischiarata solo da una lampada che dondolava appesa al soffitto.

L’ombra si mosse ancora, questa volta in direzione di Reid, e mostrò parte del suo volto quando passò vicino alla luce: aveva una lunga cicatrice rosa che gli percorreva il volto parte parte e la sua bocca si muoveva solo da un lato arricciandosi continuamente in una smorfia simile ad un sorriso crudele. Doveva avere una parte della faccia paralizzata perché parve a Spencer che non riuscisse a muoverla.

- Un po’ di sana violenza mi mancava devo dire. Lo sa da quant’è che non mi capita per le mani un agente federale?- La voce era quella di un uomo, profonda e penetrante.

- La… La prego…-  mormorò Spencer terrorizzato.

- Lei mi prega?- una risata metallica squarciò l’aria  - Lei crede che basti implorarmi per uscire di qui? Dr. Reid, mi avevano detto che lei non era un tipo particolarmente sveglio nonostante il titolo che grava sul suo nome. Pensa che all’inferno basti pregare per salvarsi?-

L’individuo sfigurato prese una sedia da un angolo della stanza e la pose di fronte a quella di Spencer.

- Dunque, dr. Reid, ora le porrò alcune domande a cui mi auguro (nel suo personale interesse) risponderà nel modo più preciso possibile. Avrei preferito di gran lunga chiedere al suo collega, ma non mi pare nella condizione più adatta per sostenere un interrogatorio, senza contare che, dopo quello che gli hanno fatto, gli mancano diversi denti e suppongo parte della lingua-

Spencer rimase pietrificato da quest’ultima affermazione mentre il mostro di fronte a lui lo fissava con sguardo disumanamente divertito.

- Co… Cosa… Cosa vuole da… da m… da me?-

- Oh, stia calmo, dr. Reid, non ho che da porle alcune semplici domande. Lei risponda e vedrà che presto sarà tutto finito. Anche se non credo che detta così questa frase la possa rassicurare, no?-

La figura deforme esplose in una risata assordante che rimbombò raccapricciante nelle orecchie di Spencer. Aveva il cervello che girava a mille nel tentativo di trovare una soluzione, ma, sebbene in teoria l’avesse trovata, in pratica si rendeva conto di essere legato ad una sedia con corde robuste e di avere dinnanzi un sadico pronto a torturarlo. Era già la terza volta che lo rapivano, o meglio, era la prima che lo rapivano mentre le altre due era stato preso in ostaggio, ma la sensazione di impotenza mista a terrore era sempre la stessa.

Piccole perle di sudore freddo gli correvano dalla fronte al collo, il cuore premeva impazzito contro i polmoni rendendogli difficile respirare regolarmente e di conseguenza pensare in modo lucido.

- Che ne dice, cominciamo?-

- Cosa vuole sapere?- Reid non si oppose all’interrogatorio. Non gli passò nemmeno per l’anticamera del cervello di fare una cosa del genere. Si rassegnò all’evidenza: o vivere o morire, ma ancora peggio sulla sua coscienza gravava la vita o la morte di Morgan. Tutto dipendeva da lui, dalle sue parole.

- Bene, noto con piacere che ha deciso di collaborare. Allora, mi dica… Perché voi agenti dell’Unità Analisi Comportamentale avete deciso di incaricarvi di un caso già seguito da un’altra unità? C’è stato qualcosa che vi ha spinto a prendere questa decisione? Avete scoperto qualcosa?-

- I casi passano dalla scrivania di un agente che si occupa dell’apparato burocratico dunque non è l’unità in prima persona a scegliere di indagare su un evento piuttosto che su un altro. Ci sono dei fattori che possono influenzare la decisione, ma… Sta parlando di un caso in particolare?-

- Qui sono io a fare le domande, agente, lei si limiti a rispondere! Mi piace il suo modo di cercare di controllarsi. Così pacato, così razionale, sembra voler dire “Non ho paura!” e sbaglia. La paura è una delle sensazioni più pure che un essere umano possa provare. Mi dica, non la eccita?-

- E’ solo una percezione ingannevole dei nostri sensi. La paura non è razionale, è l’uomo che la crea e ne diventa schiavo- Probabilmente Reid stava cercando di convincere se stesso di quello che diceva, ma aveva i nervi a pezzi e quando era così smetteva di ragionare e cominciava a far sgorgare dalle labbra i fiumi di conoscenza che gli scorrevano lungo le pieghe della mente. In altre parole, stava staccando la spina.

- Interessante- gracchiò l’uomo dal volto sfregiato - Molto interessante. Mi piacciono le riflessione metafisiche e continuerei volentieri il discorso sulla paura, argomento che, tra parentesi, mi ha sempre profondamente affascinato. Tuttavia non ho tempo prezioso da perdere. Lasciamo da parte le divagazioni e mi dica cosa avete scoperto sul caso.-

- Mi dispiace, non capisco a quale caso vi stiate riferendo! La mia unità lavora a tantissimi casi, alcuni anche in simultanea: è difficile rispondere alla sua domanda se non so di che particolare caso si tratti.- Spencer voleva guadagnare tempo. In fondo sapeva dove l’uomo voleva andare a parare e si rendeva conto di conoscere la risposta.

L’ individuo che aveva davanti proseguì a sorridere in modo beffardo senza scomporsi, anche se sul suo volto passò un’ombra di seccatura.

- Risposta sbagliata. Dunque, vediamo se riesco a farle tornare un po’ di memoria.-

Spencer deglutì a fatica mentre seguiva con occhi pieni di terrore i movimenti dell’essere deforme che si alzò dalla sedia e si diresse verso un angolo della stanza. Il suo volto non era mai immerso totalmente nella luce così da poterlo distinguere. Afferrò qualcosa che stava appeso ad un chiodo fissato al muro. L’oggetto sembrava una catena sottile che luccicava alla fievole luce. Quando Reid comprese di cosa si trattava si sentì venir meno e tutto intorno a lui si oscurò improvvisamente.

Si riscosse solo dopo quella che gli sembrò un’eternità più intontito di prima, meno cosciente della realtà.

- E’ strano sa- Spencer si voltò di scatto e vide l’uomo chinato su Morgan intento ad esaminarlo. – Lei è proprio un agente anomalo. Insomma, un po’ di serietà! Se mi continua a svenire davanti come spera che io possa finire il mio lavoro. Oh, ma guarda qui che brutto taglio!-

Fu allora che Reid, abbassando lo sguardo per non dare a quel pervertito la soddisfazione di vederlo piangere, vide le proprie braccia legate ai braccioli della sedia da due sottili serie di catene. Sussultò.

“No, ti prego, dimmi di no”

- Eh, già, sono proprio loro. Le ho messe mentre eri svenuto. Vuoi dirmi tu cosa sono o vuoi che te lo dica io? Avanti lo so che lo sai: sei partito dopo averle viste, una reazione del genere si ha solo quando si conosce questo tipo di tortura. Non parli? Non riconosci “il rosario del penitente”?-

Spencer conosceva bene quell’insolito tipo di rosario: era un’antica tortura adoperata per estrarre confessioni agli eretici o alle donne accusate di stregoneria durante il periodo della Santa Inquisizione. Aveva letto in un libro di testimonianze che l’accusato veniva legato ad una sedia con le braccia incatenate da una serie di catene che presentavano tanti piccoli chiodi sulla superficie. L’inquisitore teneva in mano una cordicella che tirava pian piano facendo penetrare i chiodi nella carne dell’accusato tentando di ricavarne una confessione. La pelle si lacerava e pochi resistevano senza perdere il controllo o svenire.

Il sangue nelle vene gli si ghiacciò.

- Allora, dr. Reid, vogliamo fare un giochino insieme? Giochiamo al confessore e al penitente. Comincio io: per l’ultima volta, cosa sai del caso? Non tenti di resistere, in un modo o nell’altro riuscirò a cavarle fuori la verità-  sorrise maligno  - Non si preoccupi, nessuno la verrà a salvare né tanto meno sentirà le sue urla. Ha tutto il tempo che desidera- 

- Ti prego, ti scongiuro, non so niente, non so di cosa stai parlando, lo giu…!- La cordicella venne tirata ancora prima che Spencer potesse concludere la frase e un dolore lancinante gli trafisse con i suoi mille aghi il cervello. Le braccia presero a sanguinare.

- Hai qualcos’altro da dirmi, figliolo?-

- No, io non so nulla! Ho solo analizzato delle foto, ma non ho trovato nulla di rilevante, nulla!-

Bugiardo!

Le catene affondarono ulteriormente nella carne.

- No, ti prego, smettila!- Reid si sentì mancare e udì da lontano, ovattato, il freddo suono di una voce femminile. - Agente Sublym, ora basta-

Evidentemente l’uomo dal volto rovinato doveva essere Sublym che, però, ignorò completamente la voce e continuò a infierire sulla sua vittima con più foga.

- Ancora un po’, lasciamelo ancora un po’-

- Ho detto basta e quando dico basta è basta!-

- No, no…- Reid venne letteralmente sollevato dalla sedia con brutalità nonostante le corde lo tenessero ancora ben ancorato. Si ritrovò faccia a faccia con colui che lo stava seviziando. Riuscì per la prima volta a vedergli completamente il viso: un ammasso di carne sfigurato e coperto da cicatrici con un ghigno che si allungava fin dove gli era consentito.

- Vuoi sapere che cos’è la paura, dr. Reid? Vuoi vedere la morte in faccia? Lo vuoi, eh, lo vuoi? Dimmi che lo vuoi! DILLO!-

L’ultimo suono che Spencer udì prima di cadere al suolo e perdere nuovamente i sensi fu uno rumore assordante che trafisse l’aria. Poi fu solo silenzio… e notte.

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