Feelings

di JessL_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** CAPITOLO 1 ~ Casa dolce casa. ***
Capitolo 2: *** CAPITOLO 2 ~ Bomba vs Vulcano. ***
Capitolo 3: *** CAPITOLO 3 ~ Farfalle e domande. ***
Capitolo 4: *** CAPITOLO 4 ~ Nodi al pettine. ***
Capitolo 5: *** CAPITOLO 5 ~ Mettersi a nudo. ***



Capitolo 1
*** CAPITOLO 1 ~ Casa dolce casa. ***


CAPITOLO 1

~ Casa dolce casa.

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Avete presente quella sensazione stupenda del sentirsi finalmente a casa? Ecco, è esattamente quello che sto provando di fronte alla villetta di mio padre.
Questa casa, queste semplici mura, racchiudono un’infinità di ricordi. Questa casa mi ha visto crescere. Su quel portico, una volta, ci ho rimesso quasi la pelle all’età di tre anni a causa di un’asse che ha ceduto; su quel dondolo ho letto una miriade di libri e soprattutto in giardino mi sono gustata un sacco di grigliate con amici.
Non accade spesso, purtroppo, che io torni a casa a trovare mio padre, il lavoro negli ultimi tre anni mi ha letteralmente succhiato la vita, e trovarmi qui, ora, ha un sapore dolce amaro.
La crisi c’è  e si fa sentire, è un fatto risaputo e ovviamente milioni di persone hanno perso il lavoro. Ecco, io oramai faccio parte di quella percentuale di cui si parla tanto.
Dire che mi sento malissimo è riduttivo. Facevo un lavoro che mi piaceva, non propriamente quello per cui ho studiato per anni ma lo trovavo soddisfacente. A fine giornata per quanto mi sentissi stanchissima, non avevo voglia di mollare. Non penso di averlo mai pensato.
La batosta più tosta da digerire, è stato lasciare il mio appartamento a Chicago. Era carino, non enorme ma confortevole. Lo sentivo un posto sicuro. Ma senza un lavoro è stata la prima cosa a cui ho dovuto rinunciare. Ecco perché sono qui, all’età di ventisei anni.
L’arrivo di mio padre, che esce da casa con una faccia stupita, mi riporta al presente e gli sorrido, peccato che non sia del tutto un sorriso di gioia.
«Non sapevo dove altro andare.» Ammetto abbassando lo sguardo sulle tre valige ai miei piedi e agli scatoloni nel furgone parcheggiato a bordo strada.
Mio padre sospira e mi si avvicina con le braccia aperte. Nonostante io non sia più una bambina, mi ci butto e mi lascio stringere con forza.
«Mi casa es tu casa, figlia mia.»
«Scusa se non ti ho avvisato.» Trattengo un sorriso quando sento Charlie sbuffare.
«Prima o poi lo capirai che non hai bisogno di un invito o di avvisare? Questa è casa tua. Sei mia figlia, la mia unica e incredibile bambina. Smettila di preoccuparti... piuttosto entriamo e raccontami che diamine è successo.» Ai suoi ordini, sceriffo!
 
«E questo è tutto. Come ti avevo preannunciato, non serviva molto tempo per riassumerti il tutto. Non è uscito nemmeno il caffè nel frattempo.»
«Non sdrammatizzare – hai preso da tua madre in questo – si vede che la cosa ti agita. Perché hanno dovuto licenziarti?» Alzo le spalle.
«In pratica non volevano licenziarmi ma hanno fatto fuori il mio capo, di conseguenza tutti i suoi sottoposti – me compresa.» Annuisce assorto, non allontanando lo sguardo dal mio. Stessi occhi, stesso taglio. Non mi ero mai veramente resa conto di assomigliargli così tanto.
«E in tre mesi, a Chicago, non hai trovato altro? Nessuno che ti assumesse anche solo per... non so, per poco tempo? Sei laureata, figlia mia! In lettere!»
«Appunto, papà, sono laureata in lettere, mica in giurisprudenza!»
«Potresti fare l’insegnante... o comunque tante cose. Abbiamo faticato entrambi per farti arrivare al traguardo e mi stai dicendo che nessun coglione ha capito quanto vali?» Gli occhi mi si fanno lucidi, un po’ per l’emozione di sentire mio padre così orgoglioso di me e un po’ perché in effetti mi sono fatta anch’io la stessa domanda.
«Sai benissimo che non aspiro a diventare un’insegnante.»
«Lo so, tesoro, lo so benissimo. Ma pensi veramente di riuscire a trovare qualcosa qui, a Forks?» Scrollo le spalle.
«No, non lo so. Ma non sapevo dove altro andare. Poi questa è casa.» Charlie mi afferra la mano e mi sorride... per poi sgranare gli occhi e correre alla cucina per spegnere il caffè. Mi mordo il labbro inferiore: mi sa che il caffè andrò a prenderlo in un bar.
 
Può sembrare stupido, ma diamine, mi è mancata persino quella panchina sempre all’ombra di fronte al negozietto di antiquariato. Mi è mancato tutto di questa cittadina minuscola. Mi è mancato persino andare in giro col sorriso stampato perché ogni due passi che fai trovi qualcuno che ti conosce e ti saluta. Sì, avevo decisamente bisogno di tornare a casa.
Alla fine il caffè ho deciso veramente di andarmelo a prendere in un bar, e ho anche fatto bene, contando che mio padre era già in ritardo per vedersi con la sua attuale compagna: Sue. So benissimo che una volta che tornerò a casa avrò il camion da svuotare e mettere le scatole nel garage di mio padre. O comunque affittare un posto dove depositarli ma al momento non voglio pensarci. Voglio solo godermi questa giornata stranamente soleggiata di luglio.
«Bella Swan?» Aggrotto la fronte e mi volto, non riconoscendo la voce che mi ha chiamata.
 «Jasper Hale?» Chiedo stupita, non vedendo questo ragazzo biondo, rasato e con un filo di barba che mi viene incontro. Quasi scoppio a ridere con lui quando ci guardiamo.
«Quanto tempo è passato?» Mi chiede dopo che ci siamo seduti su una panchina lì vicino. Adoro Forks, ci sono panchine ovunque!
«Ben sette anni. Dopo la consegna dei diplomi non ci siamo più visti.» Annuisce assorto.
«Eh sì, hai ragione. Tu sei volata a Chicago, io in California.»
«Alla fine hai scelto Berkeley?» Gli chiedo curiosa. Io e Jasper avevamo legato subito.
Mi ero iscritta al primo anno, a novembre – dopo che mia madre mi comunicò di volersi trasferire con il suo nuovo marito a Phoenix, per lavoro. Non ho praticamente mai vissuto con mia madre, giusto per un paio d’anni. Due anni fantastici, pieni di avventure, non facevamo altro che viaggiare visto che Renee non riusciva a trovare un lavoro che la tenesse per più di quattro mesi ma avevo bisogno di stabilità, ne avevo sempre avuto bisogno, perciò quando decise di seguire il suo compagno, non mi fu affatto difficile dirle che tornavo da papà e nella sua cittadina sperduta e piovosa.
Jasper mi salvò in calcio d’angolo da un compagno marpione, ero timida e impacciata a quattordici anni, non che non sapessi parlare o avere a che fare con l’altro sesso ma ero l’ultima arrivata e mi sentivo come un fenomeno da baraccone, nonostante fino a due anni prima abitassi e fossi nata in questa città. In pratica divenne il mio angelo custode, e con i capelli biondi, per aria, lo sembrava pure.
«Ebbene sì... sono certa che ti stai chiedendo che cosa ci faccia qui, vero? Suvvia, uno che si è laureato in un’università così prestigiosa cosa ci potrebbe mai fare qui?» Ridendo mi ritrovo ad annuire.
«In effetti...»
«Come sai mio padre ha uno studio legale abbastanza noto e non lontano da qui, questo posto è casa e dopo che mi sono fatto un po’ le ossa in California ho deciso di tornare a casa. Mio padre non stava bene, questo posto mi mancava e diciamo che ho preso due piccioni con una fava. Nonostante sia oramai un anno che sono tornato, non c’è stato un giorno che io me ne sia pentito.» Lo ascolto rapita, un po’ perché spero di avere la sua fortuna, un po’ perché lo capisco pienamente.
«Wow! La tua sì che è una storia interessante.» Lo dico divertita ma un po’ amareggiata.
«A Chicago non hai sfondato?» Scuoto il capo.
«Non so perché ti stupisci... ho lavorato per tre anni in una casa discografica. Non proprio il mio sogno o il mio ambiente ma il mio capo si è messo nei casini e ci siamo capitati anche noi che gli stavamo appresso o che comunque dipendevamo da lui. Quindi, adesso, sono una venticinquenne disoccupata, tornata a casa e senza praticamente più un centesimo. Sono tornata oggi e devo ammettere che non riesco a vedere del tutto il bicchiere mezzo pieno, nonostante mi mancasse tutto di queste parti.» Mi appoggia una mano sulla spalla e mi sorride.
«Se può consolarti, dopo il college molti nostri coetanei sono tornati o comunque non se ne sono mai andati per rimanere vicino casa. E se questo non ti consola, nel nostro studio stiamo assumendo. Stiamo cercando delle segretarie; so che non è sicuramente il lavoro dei tuoi sogni ma se vuoi posso fissarti un colloquio.» Mi copro la bocca con una mano e quasi gli salto addosso per l’entusiasmo.
«Dici davvero? Dio, Jasper! Dopo tutti questi anni non puoi ancora impersonare il ruolo del mio angelo custode!» Scoppia a ridere e scuote il capo.
«Lo faccio volentieri... almeno se dovessi essere assunta non ti avrò sulla coscienza e soprattutto potremmo rivederci, mi sei mancata.» Lo abbraccio e concordo con lui.
So che potrebbe essere fraintendibile come cosa ma... ehi, siamo sempre stati amici nonostante lui non sia certo da buttare, e il fatto che subito dopo inizia a parlare della sua fidanzata, mi fa tirare un respiro di sollievo. Sì, casa mi è decisamente mancata e anche i suoi abitanti.
 
È passata una settimana da quando sono tornata. I risultati?
Ho fatto il colloquio per lo studio di Jasper: sono stata presa. Iniziate pure i canti da stadio. Io li ho fatti, e poco ci è mancato che li facessi nello studio, di fronte alla povera signorina che mi ha comunicato la notizia.
Ho affittato un deposito per mettere i duemila scatoloni che mi sono portata dietro da Chicago. Dire che sono stata veloce ed efficiente è poco.
Cucino regolarmente a mio padre e mi occupo della casa, quindi sono anche una brava figlia. In pratica ho tolto un peso a mio padre, prima o poi si sarebbe avvelenato a furia di provare a cucinare, non fa proprio per lui.
Ho visto vecchi amici e sto cercando di avere una routine o comunque di uscire e divertirmi. Sto facendo progressi, non è proprio facile non cadere nel baratro del “sono tornata a casa e mi sembra di avere quattordici anni” ma piano piano sto dimostrando che anche se esco con le persone con cui andavo in giro anni addietro, sono cambiata. Almeno spero di starci riuscendo.
Altro? No, direi di no... direi che in una settimana sono successe fin troppe cose.
Ah, no! Cosa più importante, stasera cenerò con dei vecchi amici e finalmente conoscerò la famosa fidanzata di Jasper. L’ho visto spesso in questi giorni, mi ha aiutato molto e si è sempre dimostrato disponibile, di conseguenza mi ha parlato fino alla nausea di questa lei ma adesso che ci penso... non mi ha mai detto come si chiama.
«Bella, ti cercano!» Mi osservo allo specchio e sorrido. Ok, sono pronta ad andare.
Ovviamente per girare in Forks non ci sarebbe propriamente bisogno di una macchina. Mezzo che non ho, ancora non posso permettermelo e di certo non ho intenzione di andare in giro con l’auto della polizia. Mio padre andrà in pensione quest’anno, quindi anche lui dovrà iniziare a guardarsi attorno e pensare di comprare un’auto normale. Io sto semplicemente aspettando di riuscire a mettere da parte qualche soldo; ma per stasera non voglio pensarci, voglio solo godermi una serata con i miei amici a Port Angeles.
Esco da casa e mi avvicino all’auto parcheggiata davanti al vialetto, Jasper è venuto a prendermi e in macchina, noto, che non è da solo. Sorrido quando la portiera dell’accompagnatore si apre e scende una ragazza minuta, con i capelli lunghi e neri. La ragazza appoggia le mani sui suoi esili fianchi, mi fermo interdetta e cerco di focalizzarla bene. Ha un viso famigliare.
«Non dirmi che non mi hai riconosciuta!» Esclama divertita per poi ridere e la sua risata... Dio, la sua risata la riconoscerei ovunque e mi è persino mancata un casino.
«Alice Cullen?» Ok, dire che sono basita è poco. «Sei tu la fidanzata di Jasper?» Sicuramente vi starete chiedendo perché io non riesca a crederci o comunque perché per me ci sia dell’incredibile. Beh, semplice: al liceo non facevano altro che battibeccare. Sarà anche vero che chi disprezza compra... ma non avrei mai puntato su loro due.
«Mi sa che dobbiamo raccontarcene di cose.» Eh, mi sa anche a me.
 
Non saprei spiegare come mi sento e non penso sia colpa dell’alcol che non stiamo facendo altro che ingurgitare. Mi sento una sedicenne. Serate del genere le facevamo spesso all’epoca e mi mancavano. Ammetto che non pensavo mi mancassero ma è proprio così. Siamo una decina di persone. Abbiamo passato anni delle nostre vite a vederci tutti i giorni, anche dopo la scuola, dopo cena, durante le feste ma una volta finito il liceo ognuno ha preso la sua strada e dopo sette anni e dopo tre giri di drink, inizio a pensare che avessimo tutti bisogno di una serata del genere. Si potrebbe definire un salto nel passato. Certo, un salto con qualche cambiamento. Oltre ad Alice e Jasper, anche Emmett (il cugino di Alice) e Rosalie si sono fidanzati e sono prossimi alle nozze; Angela e Ben stanno ancora assieme e aspettano un figlio... e non parliamo di Mike e Jessica! Quei due continuano a fare tira e molla come al liceo. Sono tutti tornati a casa dopo aver vissuto le loro avventure ma a quanto pare tutti avevamo bisogno di tornare a casa e nessuno se ne è pentito. Cosa assai strana, ma Forks è famosa anche per questo: lasciate ogni speranza di normalità voi che entrate.
Le risate non mancano, anzi, la fanno da padrona. È bello risentire la risata di Alice, le battute scandalose ma troppo spassose di Emmett, mi è mancato persino notare gli occhi di ghiaccio di Rosalie ma è bello notare che è sempre la stessa. Passavamo interi pomeriggi assieme, a fare le sceme, a fare shopping a fare stupidi test su dei giornaletti... io, lei ed Alice eravamo inseparabili, sempre insieme e sempre a fare le sceme e a ridere. Certo, non avrei mai immaginato che sarebbe finita col cugino della nostra amica ma vederli insieme è un piacere per gli occhi. Oltre al fatto che sono fantastici insieme.
«Oddio mio, non ci credo!» Alice si alza in piedi e inizia a sbracciarsi mentre ride. Sta cercando di attirare l’attenzione di qualcuno ma poiché le sono di fronte, non vedo a chi stia cercando di farsi notare ma sento nitidamente due mani che si posano sullo schienale della mia sedia e decisamente noto lo sguardo che mi lancia Alice mentre si siede.
Ok, perché mi ha attraversato un brivido? Evito di voltarmi ma una volta che la voce dello sconosciuto mi giunge, non ho più nessun dubbio.
«Vedo che la festa è iniziata anche senza di me.» Edward. Edward Cullen, per l’esattezza. Mi sento una statua di cera. Non fraintendetemi, non sono completamente fuori di testa ma questo ragazzo – che poi sarebbe il fratello gemello di Alice – ha sempre provocato una strana reazione al mio corpo. Non so spiegarlo ma quando era nelle vicinanze, io lo sapevo. Le mie conversazioni più scabrose con Rosalie, quando eravamo delle ragazzine con gli ormoni a mille, erano proprio su di lui.
Sicuramente ora penserete: facci indovinare, era il più figo della scuola? Era il capitano della squadra di basket e aveva tutte le ragazze ai suoi piedi? Beh, più o meno. Per essere un bel ragazzo, lo era, per essere popolare, lo era ma abitavamo a Forks, tutti conoscevano tutti; aveva tutte le ragazze ai suoi piedi? Le ragazze non gli mancavano ma non era un playboy né tantomeno uno che lo regalava in giro. Era, diciamo, un bravo ragazzo. Buoni voti, buona condotta e soprattutto pareva amico di tutti. Non che fosse amico mio, ma degli altri sì. Non siamo mai riusciti ad essere amici e non perché fondamentalmente frequentassimo persone diverse, bensì a causa mia. Ricordate la statua di cera? Ecco.
Inutile dire che Alice, all’epoca, si faceva dei castelli per aria. Per dirne una, una notte s’immaginò il nostro matrimonio. Sì, mio e di suo fratello. Il fatto che in anni che ci conoscevamo avessimo sì e no scambiato una ventina di parole per lei era un dettaglio. Non avevo una cotta da perdere la testa, qualche fidanzatino al liceo l’ho avuto. Mi piacevano i ragazzi, mi piaceva provare sensazioni nuove e sconosciute ma per quanto ritenessi Edward un bel ragazzo e per quanto in sua presenza diventassi praticamente muta... non so, non avevo fantasie, né mi facevo castelli per aria. Probabilmente lo vedevo irraggiungibile o semplicemente non mi ritenevo alla sua altezza. E poi è il fratello della mia amica.
«Smettila di fare lo stoccafisso, prendi una sedia e inizia a bere! Devi metterti in pari.» Rido alla frase di Emmett e scuoto il capo, non cambierà mai. Edward, però, fa come gli dice e si mette praticamente accanto a lui. E Dio mio... fatemelo dire... se prima era bello, adesso non penso esista un termine per definirlo.
Quando i nostri occhi s’incrociano, sorride e mi punta con un dito.
«Io ti conosco!» Vorrei dirgli “Ma dai?!” ma evito e annuisco trattenendo un sorriso.
«Vorrei ben vedere, passavo quasi tutti i pomeriggi a casa tua.» Schiude la bocca e osserva sua sorella, come se gli stesse ponendo una domanda mentale, tanto che lei annuisce.
«Bella?» Lo chiede ma continua a guardare Alice. Io mi mordo il labbro inferiore e incrocio gli occhi di Rosalie. Sta cercando di non ridere e io di non arrossire. Solo io e lei possiamo sapere cosa partorivano le nostre menti malati.
«In carne ed ossa.» Ride e si scompiglia i capelli mentre quasi si stravacca sulla sedia.
«E hai anche imparato a parlare!» Alzo gli occhi al cielo divertita. Al tavolo scoppiano tutti a ridere, era risaputo che Edward mi facesse uno strano effetto ma nessuno mi aveva mai chiesto nulla, penso si siano sempre risposti da soli. Forse lo aveva fatto anche lui.
«Un motivo in più per ringraziare l’Università di Chicago.» Alzo a mo di brindisi il mio drink e lui sorride divertito.
«Direi che Chicago ti ha fatto proprio bene.» Non lo ha detto ad alta voce ma l’ho sentito, avendocelo praticamente di fronte. Faccio finta di niente e bevo un sorso, ignorando anche le mie guance che si colorano.
Perché nessuno mi ha avvisato della sua presenza?
 
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Il mio ultimo aggiornamento su EFP riporta la data di un anno e mezzo fa.
Non posso spiegarvi l'emozione e l'agitazione che sto provando. Iniziare una nuova storia è sempre un cataclisma, almeno per me ma è come essere tornata a casa. Spero apprezziate la storia e magari anche me, col mio ritorno.
Al prossimo capitolo ;)
 
*Piccola precisazione, mi sto portando avanti con la stesura della storia, tempo permettendo, non dovrei aggiornare tra una vita.

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Capitolo 2
*** CAPITOLO 2 ~ Bomba vs Vulcano. ***


CAPITOLO 2
~ Bomba vs Vulcano.
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Mi sono sempre ritenuta fortunata, non nel significato stretto del termine, sia chiaro, bensì non ho mai avuto un dopo sbornia. Non ho mai avuto i sintomi o comunque non mi sono mai sentita male. Lo so, sono una fottuta bastarda. Me lo hanno detto tutti.
Eppure, questa mattina, mi sento strana. Anche se dubito fortemente sia a causa dell’alcol. Ricordo tutto di ieri sera. Ricordo soprattutto di essere arrivata a sei drink. Sì, altri tre dopo che è arrivato Edward, sono pessima. Eppure so di essere cambiata, sono passati sette dannati anni dall’ultima volta che lo avevo visto ma il mio corpo reagisce ancora in modo strano al suo. E mi sa che dopo ieri sera lo farà ancora di più...
 
«Spiegami perché dovresti portarmi tu, proprio tu, a casa.» Lo sfido, o almeno ci tento, mentre sono letteralmente spiaccicata al muro fuori dal pub. Edward è uscito per fumarsi una sigaretta, io per prendere una boccata d’aria. E a quanto pare per parlare con lui. Non ricordo chi abbia aperto bocca per primo, sta di fatto che lui era arrivato alla seconda sigaretta e io mi reggevo a stento in piedi. Si erano fatte le tre e Angela aveva decisamente bisogno di andare a dormire, a causa della gravidanza di giorno è iperattiva ma alla sera arriva stravolta e non riesce più a fare le sei del mattino come una volta. Ben ha detto che era già un miracolo che fosse arrivata sveglia fino all’una!
Perciò se n’erano andati e noi due ci trovavamo fuori dal locale mentre gli altri si stavano scolando qualcos’altro. Penso di avergli posto quella domanda perché avevo detto qualcosa a riguardo al fatto che Jasper era ubriaco perso e che mi avrebbe dovuto accompagnare a casa... ma non ne sono del tutto certa.
«Perché sono il più sobrio, avendo bevuto solo una birra e soprattutto perché voglio stare un po’ con te.» Ricordo perfettamente di essergli scoppiata a ridere in faccia. E purtroppo ricordo anche la sua espressione sbigottita ma non sono riuscita a trattenermi.
«Tu, da solo... con me? Che cosa c’era in quella birra?» Divertito scrolla le spalle.
«Adesso parli, e sono curioso di sapere che cosa potrebbero dire quelle due labbra tentatrici.» Ricordate la statua di cera? Ecco, sentivo che stava per tornare.
Proprio non riuscivo a concepire la sua frase. Dio, non che fosse complicata ma lo stupore era evidente sul mio viso – su questo ci avrei scommesso.
«Non fraintendermi, sapevo già che sapessi parlare e ridere, non ero sordo e la mia stanza era di fronte a quella di Alice ma con me non hai mai parlato. A meno che non fossi obbligata e mi sono sempre chiesto perché. Ecco perché ti porterò io a casa.» Devo dire che non gli ho risposto ma che l’ho semplicemente guardato con un’espressione ebete? No, non credo ce ne sia bisogno.
 
«A che ora sei tornata ieri sera?» Alzo lo sguardo dal giornale locale e osservo mio padre riempirsi la bocca di biscotti. Biscotti alla marmellata di albicocca che ho fatto ieri pomeriggio. Sono una squisitezza, non potete capire.
«Tardi.» Mormoro tornando al quotidiano. Sì, Forks ha un quotidiano, è curioso quante cose possano capitare in una cittadina così piccola. Ehi! Tom della ferramente ha messo in saldo dei trapani... figo!
«Sì, fino lì c’ero arrivato anche da solo. Sono rientrato verso le due e non c’eri... e non ti ho sentito rientrare.» Rialzo lo sguardo e mi trovo mio padre seduto al tavolo davanti a me.
«Me lo stai chiedendo per curiosità o perché siamo tornati indietro di anni e devo tener conto del coprifuoco?» Sono divertita, è palese.
Ed è palese anche l’imbarazzo di mio padre.
«Non ricordarmi che non rispettavi il coprifuoco nemmeno a sedici anni.» Ridacchio.
«Saranno state le cinque.» Sgrana gli occhi.
«Le cinque? Ma che avete combinato fino a quell’ora?» Eh, papà, sapessi...
 
«Mi ha sempre intimorito un po’ questa casa.» Osservai Edward con un sopracciglio alzato mentre guardava assorto casa mia. Ci sono praticamente nata in quella casa, potrei assicurare che non ci sono fantasmi e né tantomeno che potrebbero mai intimorire qualcuno quelle quattro mura.
«E perché mai?» La radio era silenziosa ma sullo schermo appariva l’ora, erano le quattro e mezza del mattino e l’alcol aveva già smesso di fare effetto. Non sapevo chi ringraziare ma era meglio così, un viaggio in macchina con Edward non è propriamente una passeggiata, i limiti di velocità, se li conosce, non li rispetta lo stesso.
«I miei quando avevo all’incirca quindici anni mi “minacciavano” che lo sceriffo me ne avrebbe fatte passare di tutti i colori se non mi rimettevo in riga. In pratica volevano solo che non combinassi cazzate. Li ringrazio ancora tuttora per questo ma ogni volta che vedevo tuo padre quasi me la facevo addosso. Sembra un uomo burbero, serioso e a quell’età, a quanto pare, ero piuttosto suggestionabile.» Mio padre faceva quell’impressione? Quasi scoppiai a ridere.
«Se vuoi la verità, mio padre è tutto tranne che burbero e serioso. Ma se è servito a non farti combinare danni, mi fa piacere. Ti mancava giusto la fama di essere un teppista e avresti fatto l’en plein.» Mi guardò incuriosito, o veramente non sapeva l’effetto che faceva sugli altri o semplicemente non ne aveva idea.
«Sei sempre parso come il bravo ragazzo, non pensare male, solo che era palese che piacessi a tutti, che eri bravo in tutto e che persino i professori ti veneravano... se fossi stato anche un minimo ribelle, anche quelle poche ragazze che non ti morivano dietro lo avrebbero fatto.»
«Tu facevi parte di quelle ragazze?» Mi chiese dopo essersi inumidito le labbra.
«Di quelle morte o di quelle che si sono salvate?» Chiesi un po’ stordita. I suoi occhi mi avevano letteralmente incatenata ma probabilmente non avevo solo voglia di far scemare l’elettricità che sentivo.
«Di quelle che si sono salvate.» Sorrisi.
«Quale risposta vorresti sentirti dire?» Il nostro tono di voce si era abbassato e Edward mi pareva più vicino, il suo profumo aleggiava attorno a me e mi avvolgeva quasi come un abbraccio. Probabilmente l’effetto dell’alcol non era proprio svanito del tutto.
«Sincero? Non lo so. Però m’interessa sapere se posso baciarti, adesso e ora.» Non gli risposi, non a parole perlomeno.
 
«Stai cucinando per qualche pasticceria?» Mi chiede Rosalie con gli occhi quasi fuori dalle orbite. Sospiro e osservo una ciocca di capelli scappata dalla coda che vola di fronte al mio viso.
Mi osservo attorno e noto la miriade di torte e biscotti che ho preparato per tutta la mattina. In effetti mi sa che ho esagerato...
«A quanto pare non hai perso il vizio di entrare dalla porta di servizio.» Dico sorridendo.
«Anche no! Quella porta ci ha salvate una marea di volte.» Ridendo si siede sullo sgabello della cucina, davanti a me. «E visto che ti conosco bene, se stai cucinando, hai qualche pensiero per la testa. Anche se non sapevo avessi imparato a fare dolci.» Già, una volta mi cimentavo direttamente sui primi.
«A Chicago ho seguito un corso di pasticceria. Comunque sì, ho giusto qualche pensiero per la testa ma niente di che. Come mai sei qui?»
«Fino a ieri sera non avevo idea che fossi tornata in città, mi ero persa lo scoop dalle pettegole, ma adesso che ti ho trovata, non ti mollo più!» La sua sembra quasi una minaccia, eppure sorrido.
«Mi sei mancata.» Muove la mano come per scacciare una mosca.
«Non fare la sentimentale, non ti si addice.» Mi fa un occhiolino e scuoto il capo.
«Piuttosto dimmi che cosa ti passa per quella testa con i capelli da pazza.» Non le rispondo giusto per due secondi, proprio il tempo di ricordarmi che siamo sole in casa.
«Ho passato la notte a baciare Edward. Davanti a casa mia, nella sua auto. Le sue mani non sono mai scese oltre al mio viso ma la sua lingua è bastata. Sa baciare veramente bene. Meglio di quanto avessimo mai immaginato o pensato!» Avete presente quando al telegiornale si sente che è scoppiata una bomba e tutti ne rimangono sorpresi? Ecco, quella è l’espressione di Rosalie. Il fatto che io abbia buttato una bomba e subito dopo abbia iniziato a snocciolare informazioni, è solo un dettaglio.
«Tu, cosa? Edward? Hai baciato Edward? Cullen? Quello a cui non hai mai rivolto la parola prima di ieri sera?» Annuisco man mano che pone le domande. Rimane in silenzio per un attimo e poi ride, ride di pancia fino a farsi venire le lacrime agli occhi.
«Dio, Bella! Non puoi averlo baciato!» Ok, adesso quella interdetta sono io.
«E perché mai? Lo hai visto? Quei dannati occhi verdi! E le spalle? Le spalle le hai viste? E la camminata? E quel sorriso? Puoi non crederci ma se togli i capelli forse fin troppo sul rosso, quel ragazzo incarna alla perfezione il mio prototipo di ragazzo.»
«Sì ma stiamo parlando di Edward... il fratello di Alice, il cugino di Emmett!» La guardo senza capire.
«Beh, è parente loro, mica mio.» Cerca di non ridere ma infine si passa una mano tra i corti capelli biondi. Una volta li portava lunghissimi ma anche così è stupenda.
«Ci mancava un incesto. No, è che... Edward non abita qui. Dopo essersi laureato ha lavorato in un importante studio legale a New York e adesso ne lavora per uno, altrettanto importante, a Seattle. Ecco perché Alice era sorpresa che ci avesse raggiunto ieri sera, è sempre impegnato, un po’ tra il lavoro, un po’ per la fidanzata, la casa, la palestra...» Stop, stop, please... repeat!
«Penso di aver avuto un blackout tra “il lavoro” e “la casa”... che cos’hai detto?»
«Hai capito benissimo!» Incrocia le braccia al petto e mi guarda seriamente.
«È fidanzato? Quella carogna ha una fidanzata?» Annuisce e io torno a impastare, solo che adesso lo faccio con forza e cattiveria. La mia amica non mi ferma e nemmeno ci prova. Inizio a insultarlo ma dopo circa cinque minuti, probabilmente stufa, Rose, decide di stopparmi.
«Non è per sminuire la cosa che te l’ho detto, ma a questo punto era giusto che lo sapessi. Non so quanto sia seria come storia, evidentemente non molto se ti è saltato addosso senza porsi problemi ma tu non sei stupida, a meno che tu non lo sia diventata negli ultimi anni. La pensi ancora nello stesso modo per quanto riguarda i tradimenti?» Il mio sguardo di fuoco, sono certa, le abbia dato la risposta che sapeva le avrei fornito.
 
«Sei un pezzo di merda!» È domenica, e la famiglia Cullen ha sempre fatto un pranzo per stare tutti assieme, non sempre e solo tra di loro ma questo è un dettaglio, il succo del discorso è che sapevo di trovarlo a casa dei suoi. Certo, non ero certa che sarebbe venuto ad aprire lui, ma è andata così e per lo meno ho sganciato subito la bomba.
«Ciao anche a te, splendore. A cosa devo tutti questi complimenti?» Arretro mentre lui avanza sul portico chiudendosi la porta alle spalle e sospiro.
Non posso negarlo, sotto la rabbia e l’umiliazione c’è ancora quella strana sensazione che non so spiegare e soprattutto non riesco a impedire ai miei occhi di ammirarlo.
«Non fare l’ironico, Edward. Sono incazzata come una bestia e tu sei e rimani un pezzo di merda! Non me lo potevi dire? Dovevi per forza confezionarmi ben bene e poi mandarmi al suolo e farmi spiaccicare?» Il suo sguardo confuso non sortisce nessun effetto ma cerco di respirare, di ricordarmi che mostrarsi così inviperita probabilmente è troppo. Per lui non è stato nulla, solo uno svago del momento, un piccolo prurito.
Dio! Non voglio essere un prurito!
«Sono un avvocato, il mio intelletto non fa proprio schifo ma non ho capito la cosa del confezionarti e farti spiaccicare... però penso sia un dettaglio. Che cosa mi sono perso? Quando ti ho lasciata a casa avevi un sorriso stupendo e avevi le labbra gonfie quanto le mie. Che cos’è successo in queste poche ore?» Lo guardo senza parole e mi ritrovo a passarmi le mani tra i capelli, esasperata.
«Non sopporto chi tradisce, mia madre lo ha fatto a mio padre. Si è anche risposata e ha seguito il marito in questione; l’infedeltà, per me, è codardia oltre a mancanza di rispetto ma quando non ci sono io di mezzo non me ne frega niente, ognuno fa quello che vuole ma a sto giro mi ci hai messa in mezzo! Perché?»
«Perché cosa? Di che cazzo stai parlando? Chi ha tradito chi?» La mia ferocia si blocca e vedo per un attimo la scena dal di fuori. Mi vedo in stile Medusa de La Sirenetta, quindi pazza e che manda fulmini ovunque, e vedo lui, solo confuso.
«Tu abiti a Seattle.» Non la pongo come una domanda ma lui annuisce lo stesso, nonostante queste informazioni non me le abbia date lui. «Sei un avvocato, hai una casa, vai in palestra... e hai una fidanzata. Non potevi dirmelo prima di fare complimenti alle mie labbra o prima che ti baciassi e non facessi altro per tutta la notte?» Ho cercato di rimanere abbastanza tranquilla, non so se sono riuscita a portare a termine l’obiettivo.
«Hai ragione su tutto...» Chiudo gli occhi e mi massaggio la fronte. Posso ucciderlo? Dite che la passerei liscia? Carlisle ed Esme mi perdonerebbero mai?
«Tranne che per una cosa: non ho una fidanzata. Non so che cosa ti abbia detto Alice, ma ho lasciato Tania circa sei mesi fa. Non sono uno che tradisce. Come ti ho detto ieri sera, i miei hanno sempre fatto di tutto per farmi rimanere sulla buona strada. Conosci i miei genitori, stanno insieme da più di trent’anni e si amano alla follia. Come potrei anche solo concepire il tradimento? Ieri notte hai detto che sono un bravo ragazzo... non smettere di pensarlo, lo sono per davvero. Ho fatto delle cazzate nella mia vita ma non da arrivare a tradire.» Penso di avere la bocca che tocca terra.
Non ha una ragazza.
Non. Ha. Una. Ragazza.
È single. È single e mi ha baciata per tutta la notte.
Il mio corpo reagisce nuovamente prima della mente, in un nanosecondo mi ritrovo tra le sue braccia e le labbra incollate alla sue.
Maledetto Cullen!
«Piccola parentesi, è stata Rosalie a dirmelo.» Mi guarda per un secondo e s’inumidisce le labbra.
«Evidentemente Rosalie non era ben informata. Vuoi entrare? Stiamo mangiando il dolce.» Dolce? Mmmh... con tutti quelli che ho a casa direi che non è il caso.
«No. No. Ma ti ringrazio... ora devo andare.» Faccio un passo indietro ma una sua mano cattura lievemente un mio polso.
«Se vuoi andare, va bene... ma lasciami il tuo numero, ieri notte non ci ho pensato ma lo vorrei. Vorrei scriverti dei messaggi e magari chiamarti.» Deglutisco a fatica.
«Perché tutto questo interesse?» Faccio male ad essere sospettosa? Cioè, con tutto quello che mi è successo ultimamente non mi farebbe male un po’ di svago ma... perché io?
«Magari te lo dico domani a cena...»
Ribadisco: maledetto Cullen!
 
«Sei troppo silenziosa. È presagio di guai!» Scherza Alice mentre sorseggia un frappé in una gelateria del centro.
«Domani sera andrò a cena con tuo fratello. Dici che è strano? Non ci siamo parlati per anni, non l’ho visto per tanto tempo e ieri sera... ieri sera ci siamo baciati. E oggi gli ho praticamente fatto una sceneggiata di fronte a casa tua e cosa ci ho guadagnato? Un invito a cena. Ma lui abita e lavora a Seattle, anche se non ha più una fidanzata non penso che abbia voglia di farsi ogni volta due ore di viaggio per vedere la mia brutta faccia. Dico bene? Ci deve essere un motivo. Un ragazzo non fa tutto ciò senza un motivo.»
«Noto che non hai perso il vizio di fare come un vulcano in eruzione. Non so se gioirne.» Sbuffo e lei alza gli occhi al cielo. «È vero, mio fratello abita a Seattle. È vero, sicuramente c’è un motivo ed è altrettanto vero che non ha più una fidanzata ma devi tener conto di una cosa: ha baciato te. E tu cosa fai? Vai in crisi? Suvvia, Bella, so benissimo che mio fratello ti ha sempre scaturito qualcosa, dovresti gioire di questa situazione, non andarmi in crisi.» La guardo in modo sospetto.
«Tu sai qualcosa.» Mi sorride e alza le mani come se le avessi puntato una pistola contro.
«Giuro, non so niente.»
«Eppure non sei rimasta sorpresa da quello che ti ho detto.» La guardo con gli occhi stretti, cercando d’infonderle timore ma evidentemente la diverto solo.
«In realtà mi ha stupito di più che fossi tu alla porta, a pranzo. Potevi entrare, ma è un dettaglio.»
«Rose mi ha detto che era fidanzato e sono andata su tutte le furie. L’ho lasciata nella mia cucina con duemila dolci e sono corsa a casa tua per urlargli contro. So già di mio di non aver avuto una reazione normale ma dovevo sapere.» Annuisce.
«Non mi hai trovata sorpresa perché sentivo qualcosa. Non so dirti perché ma già ieri sera avevo una strana sensazione. E voilà! Vi siete baciati, gioisci, amica mia, e goditi la cena di domani sera. Adesso fammi finire il frappé e smetti di farti seghe mentali.»

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Buona domenica, splendori!
Lo avevo detto che non avrei fatto passare una vita e sono veramente contenta di essere riuscita a mantenere la "promessa". Il mio piccolo intento, ora, sarà di riuscire a pubblicare ogni domenica. Almeno ci proverò, al massimo sgarrerò di un giorno o anticiperò di uno.
Torniamo a noi, vi vorrei ringraziare perché oltre alle belle parole che mi avete lasciato per il vecchio capitolo, ho notato e trovato persone che avevano già seguito delle mie storie ed è veramente bello, grazie di cuore. Grazie anche a chi ha solo letto, l'ho apprezzato comunque.
Nuovo capitolo, nuovi sviluppi... spero di non avervi deluso. Il prossimo capitolo è già pronto, quindi imprevisti permettendo, ci rivediamo domenica prossima ;) spero di non avervi fatti addormentare. Un abbraccio virtuale a tutti!

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Capitolo 3
*** CAPITOLO 3 ~ Farfalle e domande. ***



CAPITOLO 3

~ Farfalle e domande.
 
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Mi guardo allo specchio piuttosto soddisfatta, solo che... non riesco a smettere di guardarmi, come se sentissi che c’è qualcosa fuori posto.
«Smettila, sei bellissima... e il tuo accompagnatore è sotto che ti aspetta.» Quasi sobbalzo quando sento la voce di mio padre, sospiro e continuo a guardarlo tramite lo specchio.
«Ha suonato e non l’ho sentito?» Chiedo intimorita; non posso essere diventata sorda.
«Non proprio...» Osservo mio padre passarsi una mano tra i capelli brizzolati. «Diciamo che mi è sembrato sospetto che un ragazzo camminasse e gesticolasse nel nostro giardino, perciò sono uscito e ho scoperto che uscirete insieme. Perché non mi hai detto che saresti uscita con Cullen?» Incrocia le braccia al petto e io mi avvicino al letto afferrando la borsa.
«Non voglio mentirti dicendoti che è stato deciso all’ultimo ma ieri sera non ci siamo visti, poiché hai cenato da Sue e quando sei arrivato io sono uscita, quindi non ne ho avuta occasione. Ora, se permetti, vado al mio appuntamento.» Cerco di superarlo. Sento i suoi passi dietro di me e una parte del mio pazzo cervello spera di non ruzzolare dalle scale.
«Wow! Se sapevo, mi sarei messo anch’io in tiro.» La voce di Edward mi blocca sul penultimo gradino. Alzo lo sguardo e noto i suoi jeans e la camicia coperta da una giacca. È perfetto.
«Non hai mai menzionato dove volessi portarmi, mi sono dovuta arrangiare.»
«Hai comunque fatto un ottimo lavoro.» Mi fa l’occhiolino e mi porge una mano, l’afferro immediatamente e mi lascio trascinare fuori da casa dopo aver salutato Charlie.
 
Il viaggio in macchina è stato... strano. Ci sono stati dei momenti di silenzio ma erano rilassanti, abbiamo più scherzato che veramente parlato, evidentemente abbiamo entrambi voglia di scoprirci mentre ceneremo.
Una parte di me continua a dirmi che tutto ciò è una pazzia e che non porterà nulla di buono, però è anche vero che ho avuto – e ho ancora – le farfalle nello stomaco. Le ho percepite non appena l’ho visto, sono aumentate quando gli ho afferrato la mano e sono aumentate a dismisura quando mi ha aperto la portiera della macchina o quando ha appoggiato lievemente una mano sulla mia schiena per accompagnarmi all’entrata del ristorante. Ora siamo seduti a un tavolo, abbastanza appartato, in questo ristorantino tra Seattle e Forks. È rustico ma ben organizzato e soprattutto tranquillo.
«Parlami di te.» Gli dico guardando di sfuggita il menù che una cameriera ci ha lasciato qualche attimo prima. Non riesco a guardarlo, come ho già detto, questa situazione ha dell’incredibile.
«Ti capita di farlo spesso?» Cerco di non alzare un sopracciglio ma sollevo lo sguardo incontrando il suo. A che cosa si riferisce?
Non vorrei proprio passare per la pervertita della situazione.
«Intendi andare a cena fuori?» Chiedo divertita.
«Ehm, non proprio. Appuntamenti. Ci vai spesso? Sembri quasi collaudata... mi hai praticamente bloccato sul nascere.» Sorride e io sto sperando che si apra una voragine e che m’inghiottisca.
«Non mi ero resa conto che stessi per parlare, scusami; comunque no... voglio dire, a cena fuori andavo spesso, a Chicago. Vivevo lì prima di trasferirmi a Forks. Qualche appuntamento l’ho avuto. Tra il college e dopo, i ragazzi non sono mancati ma il lavoro mi sorbiva parecchio. E poi te l’ho chiesto perché sono certa che tua abbia più cose da dire, anche più interessanti.» Mi sto arrampicando sugli specchi ma non ho mentito.
La mia vita è stata piuttosto monotona, non che mi dispiaccia, amo avere una routine, gli stessi amici e conoscere i posti in cui vado. E sì, ho avuto parecchi appuntamenti ma raramente si arrivava al terzo e la fatidica domanda “parlami di te” mi ha sempre intimorita, non so mai cosa dire.
«Ok, ti accontento. Finito il liceo sono andato a Yale, mi sono laureato e dal Connecticut mi sono spostato a New York dove mi hanno inizialmente preso in uno studio legale per fare pratica, sono poi stato preso a tempo pieno ma dopo un annetto Alice mi ha detto che tornava a casa e ho deciso di seguirla... una volta trovato lavoro a Seattle, mi sono trasferito e ora lavoro ancora come avvocato penalista. Come vedi, niente di che.»
«Quindi Jasper è un avvocato divorzista e tu... beh, tu sei quello che va in tribunale per far finire dentro qualcuno.» Edward ride della mia sintesi e annuisce.
«Diciamo così. Te, invece? Non puoi esimerti dal rispondere.» Faccio una smorfia ma lo accontento prontamente.
«Finito il College sono rimasta a Chicago, mi sono laureata in lettere ma visto che non ho mai aspirato a diventare un’insegnante ma bensì lavorare in una redazione dove si pubblicano libri e non quotidiani, mi sono accontentata di lavoretti saltuari che non c’entravano nulla con quello che avevo studiato. Tre anni fa sono stata assunta come assistente dell’assistente in una casa discografica. Il mio capo è stato licenziato tre mesi fa e con lui anche tutti i suoi sottoposti. Dopo aver praticamente azzerato i miei risparmi, ho deciso di tornare a casa visto che non avevo trovato altro.» Scrollo le spalle e svio lo sguardo dal suo, vedere quell’espressione seria e un po’ incupita mi fa torcere le budella.
«Che cosa posso portarvi?» Quasi sobbalzo sentendo la voce della cameriera. Sorridendo ordiniamo e per qualche momento, dopo che la cameriera porta la comanda in cucina, cala il silenzio.
«Deduco che quindi Rosalie sappia cos’è successo l’altra sera...»
«Già.» Mormoro con un sorriso.
«Non pensare che mi dispiaccia ma quando ho visto te e le altre due pazze allo stesso tavolo, la sera prima, mi è venuto quasi un colpo. Mi è sembrato di essere tornato ad avere sedici anni, dove voi stavate sempre insieme e vi raccontavate tutto in camera di Alice.»
«Ho avuto la stessa sensazione, non lo nego. E mi sa che tornerà ad essere veramente così. O almeno una parte di me lo spera.»
«Lo spera anche Alice, se ti consola. Non ha fatto altro che parlare di te durante il pranzo di ieri. I miei non vedono l’ora di rivederti, quindi è probabile che presto o tardi ti arriverà un invito a cena.» Ah, Carlisle ed Esme... sono due persone eccezionali.
«Non sarebbe strano? Voglio dire... io e te, quel tavolo, i tuoi genitori...» Si guarda attorno per qualche secondo, poi evidentemente prende coraggio e si sporge verso di me.
«Bella, tu mi hai definito un bravo ragazzo, e voglio che continui a pensarlo. Se dovessi accettare l’invito, per me non sarebbe un problema. Abbiamo mangiato allo stesso tavolo più volte, io e te, di quanto lo abbia fatto con le mie ex. Davvero, non sarebbe un problema.»
«Ex, eh? Al plurale.» Lo stuzzico e lui si mette a ridere per poi cambiare lievemente discorso. Accantono ma non dimentico, sappilo caro Edward.
La cena passa velocemente e ridendo ci ritroviamo fuori dal ristorante dopo aver pagato il conto. Non è tardi ma non so che cosa voglia fare Edward, non ha voluto accennare nulla della serata e per quanto la cosa m’intrighi, da una parte mi mette agitazione. Non sono un’ossessiva compulsiva ma ammetto di non amare molto le sorprese.
«Deduco tu debba tornare a casa presto, domani devi lavorare.» Mormoro appoggiata alla portiera della macchina. Edward infila le mani nelle tasche dei jeans e annuisce.
«Anche tu. Non penso che Jasper apprezzerebbe che arrivassi in ritardo.» Sorrido e una mia mano si allunga di sua volontà fino ad arrivare alla sua giacca.
«No, dubito gli farebbe piacere. Quindi deduco che ora mi porterai a casa...» Edward fa un passo avanti, avvicinandosi ulteriormente; i suoi occhi non si allontanano dai miei e sorride.
«Vuoi andare a casa?» Percepisco il battito del mio cuore nelle orecchie.
Vorrei andare a casa? No.
Vorrei restare ancora con lui? Sì.
Vorrei ancora scoprire cos’ha fatto nella vita? Ovvio.
«Dovrei dirti di sì. Dovrei fare la ragazza con la testa sulle spalle... ma penso di aver lasciato quella ragazza a Chicago.» Mi da a malapena il tempo di concludere la frase che le sue labbra si posano sulle mie.
Adoro come bacia.
Non si accanisce, non cerca di catturare le mie tonsille, si prende il suo tempo, si gusta il mio labbra inferiore, ci gioca, lo morde e mi sembra quasi di sciogliermi.
Abbiamo ventisei anni. Siamo giovani, anche se con delle responsabilità e una vita che forse non è totalmente compatibile.
L’elettricità ci circonda, così come fanno le sue braccia col mio corpo, così come le mie mani afferrano i suoi capelli.
«Ti andrebbe di bere una birra a casa mia?» Me lo chiede senza allontanarsi, mormorandomelo sulle labbra. Mi sento quasi in trance.
Anche qui, dovrei dire no, ma come un automa mi ritrovo ad annuire.
 
«E poi?» Nascondo il mio viso dietro una tazza di caffè e scrollo le spalle.
Alice si è letteralmente catapultata in ufficio, alle dieci del mattino e questo solo perché non riusciva più ad aspettare un mio messaggio.
«E poi niente. Abbiamo bevuto una birra, parlato e infine mi ha accompagnato a casa.» La sua faccia delusa mi fa ridere ma cerco di trattenermi.
«Amore, ciao! Come mai qui?» Jasper appare nella piccola cucina dell’ufficio e depone un lieve bacio alla sua ragazza per poi sorridermi.
«Te l’ho detto, ieri sera, che nel caso Bella non si fosse decisa a farmi sapere qualcosa mi sarei presentata qui per avere qualche scoop.» Jasper sgrana gli occhi.
«Pensavo stessi scherzando.» Alice lo guarda stranito e io alzo un sopracciglio.
«Bisogna sempre prenderla in parola.» Dopo un secondo annuisce alle mie parole e si riempie una tazza di caffè.
«Va beh, quindi com’è andata? Sei arrivata puntuale... quindi Edward non ti ha legata al suo letto.» Lo dice divertito ma i miei occhi volano sulla mia amica.
«Gli piace quel tipo di sesso?» Jasper scoppia a ridere e Alice si copre le orecchie!
«Bella! Stai parlando di mio fratello!» Che ho detto di male?
«Quindi? Sai vita, morte e miracoli e adesso ti scandalizzi per una domanda innocente?»
«Tranquilla, Bella, Edward è innocuo. A meno che non abbia cambiato il suo stile di vita negli ultimi... tre mesi? Quattro?» Mi risponde Jasper addentando un biscotto.
«Sono quattro mesi che non porta una donna a casa?» Chiedo stupita.
«Ma avete parlato, o cosa, ieri sera?» Mi chiede la mia amica, meritandosi un’occhiataccia.
«Avrei dovuto chiedergli da quanto tempo non faceva sesso? Ti sembra una domanda da porre? Ti sei ammattita?»
«Io, a Jasper, lo avevo chiesto. Non avevo per niente voglia di contrarre qualche malattia, né di essere una delle tante.»
«Non saresti mai potuta essere una delle tante.» Alzo gli occhi al cielo ed esco dalla cucina per farli amoreggiare in santa pace.
 
«Tutto qui? Davvero?» Sbuffo e decido di tacere. Rosalie può anche morire di curiosità, a questo punto. «Suvvia, Bella, stiamo pur sempre parlando di Edward. Avrò potuto non sapere che si era mollato con quella, ma di certo dopo ci sarà stata qualcuna e tu non glielo hai chiesto? Perché?» Scrollo le spalle.
«Non ci ho nemmeno pensato. Io sono sei mesi che non vado a letto con un uomo e che mi affido al mio amico con le batterie, ma mi mica me l’ha chiesto e nemmeno gliel’ho detto.»
«Non starai iniziando a farti paranoie, vero?» Mi butto sul suo letto matrimoniale e taccio.
Sì, probabilmente qualche paranoia me la sto facendo, ma non c’è bisogno che lei lo sappia.
Rosalie mi affianca e osserva assorta, come me, il soffitto.
«Edward è un bravo ragazzo. Sappiamo entrambe che non è un puttaniere.»
«In realtà non lo sappiamo. Siamo rimaste all’Edward diciassettenne, e quello tutto sommato non lo era... ma il ventiseienne? Lo hai visto anche tu, persino più di me. Togli anche il fatto che mi abbia baciata la prima sera che mi ha vista dopo quasi un decennio... ieri sera, sì, era premuroso, educato, galante ma non capisco cosa voglia. Perché io? Perché non si espone e soprattutto perché oltre le mie labbra non ha toccato altro? A malapena i miei fianchi, giuro!»
«Mi sembri una gatta in calore, non soddisfatta. Non prenderla male, non guardarmi così! Dico sul serio! Magari ci sta andando piano, magari gli piaci ma ci sta andando con calma. Vi conoscete da una vita e da altrettanto tempo sei una cara amica della sorella. Chi diamine è che non ci andrebbe piano con una situazione così?» Sospiro sconfitta e torno con la testa sul materasso.
«Allora aveva solo da rimanersene al suo posto.» Rosalie alza gli occhi al cielo, ma non commenta.
 
«Ti ha scritto? Allora? Ti ha scritto?»  Fulmino Alice con un’occhiata e lei sorride angelicamente.
«No, Alice, smettila di chiedermelo tutti i giorni. Dopo che ci siamo visti lunedì, non l’ho sentito, non mi ha scritto e non mi ha cercato. E prima che tu lo dica, sì, lo so, siamo a giovedì.» Mette il broncio ma non si scolla dall’isola della mia cucina.
Sono stufa di tutti che mi pongono domande, sono stufa di dover pensare ad Edward.
Questo suo comportamento mi ha aperto gli occhi: ci ha provato, non gli sono piaciuta e di conseguenza non si è più fatto sentire. Lo capisco, non comprendo ma lo capisco.
Sopravvivrò benissimo anche senza di lui, ai suoi dannati occhi verdi, ai suoi capelli soffici, a quelle spalle da mordere e quelle labbra che dovrebbero essere dichiarate illegali.
«Perché non gli hai scritto tu?» La guardo come se fosse pazza.
«Non esiste! È lui che mi ha proposto di andare a casa sua, e io ho pure accettato come una cretina e mi sono sciolta come gelatina sul suo divano mentre ci baciavamo, ma una volta che mi ha riportata a casa... è come se fosse cambiato. E va bene, voglio dire... non gli interesso. Lo avrà capito strada facendo da Seattle a Forks. Va bene così.»
«Non va bene così. Mio fratello non si comporta così, deve essere successo qualcosa.»
«Tu lo hai sentito?» Annuisce. «Allora sta bene, è vivo e soprattutto non ha perso il mio numero visto che non te lo ha chiesto.» Alice sbuffa e cambia discorso.
«Mia madre ti ha chiamata?»
«Uh, sì! Me ne stavo dimenticando... domenica? A pranzo? Non voleva fare una cena? Perché questo cambiamento?»
«Arrivano i parenti di Denali, nel pomeriggio. Contando quanto te e Irina vi odiate, mia madre ha preferito evitare.»
«Sono passati anni... e poi, sarà anche vero che non sopporto Irina ma adoro Kate!»
«Rimangono una settimana, giuro che te la faccio vedere.» Sorrido e cambiamo discorso. Io per non pensare, lei perché non riesce a tacere per più di un minuto. Ma l’adoro lo stesso.
 
«Sei sicuro di non voler venire? Esme ha invitato anche te.» Mi sistemo la fascia attorno ai fianchi e aspetto una risposta da mio padre. È sulla poltrona, di fronte alla tv e sta facendo zapping.
«No, tranquilla, domani mi devo alzare alle cinque, voglio solo poltrire tutto il giorno.» Non ribatto, lo saluto ed esco di casa senza fargli presente che sono le undici del mattino e che si sarebbe tranquillamente potuto rilassare dopo il pranzo.
Casa Cullen non dista molto dall’abitazione di Charlie, perciò non è un problema andare a piedi anche se fa caldo. Mi prendo del tempo per pensare ma come ho fatto in tutti questi giorni, non arrivo mai a un punto. Non posso mentire, la domanda che mi sono posta più spesso è stata: “Che cos’ho sbagliato? Che cos’ho fatto di male?” non che riesca a darmi una risposta, ovviamente, ma prima o poi i nodi arriveranno al pettine. Almeno lo spero.
Di fronte alla porta, mi stampo un sorriso sulle labbra e suono il campanello. Abbasso lo sguardo e sospiro finché la porta non viene aperta, alzo il viso e apro bocca per salutare ma quando mi ritrovo la faccia da schiaffi di Edward, di fronte, mi blocco e m’irrigidisco.
Allora è vivo!

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Sorpresa sorpresina! Non era previsto ma contando gli impegni di questo weekend, ho deciso di anticipare il tutto, spero non vi dispiaccia.
Non voglio perdermi in chiacchiere, soprattutto perché so che avrete domande - almeno me lo auguro - ma per farmi perdonare, posso dirvi che già nel prossimo capitolo avrete le vostre risposte. Non vi anticipo nulla, anzi sì, voglio proprio farmi odiare, vi lascio un piccolo spoiler e poi sparisco ;)

Spoiler:
«Oh, tempo ne ho avuto, ho un lavoro d’ufficio, stacco alle cinque ma il telefono caso strano non è mai squillato. Magari sei tu che lavori troppo e non hai un attimo per fare una dannata chiamata!»
«Io? In effetti è vero, sono stato impegnato, sono un avvocato, tempo libero ne ho poco ma per quanto la cosa potrebbe stupirti, ti ho fatto tre chiamate al giorno per... cinque giorni! E indovina? Non ho mai ricevuto risposta. Nemmeno ai messaggi, adesso che ci penso. Potevi essere chiara fin dall’inizio, Bella, o comunque mandarmi un messaggio chiedendo di smetterla.»

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Capitolo 4
*** CAPITOLO 4 ~ Nodi al pettine. ***


CAPITOLO 4

~ Nodi al pettine.
 
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«Come mai qui?» Vi prego, ditemi che non sta facendo lui l’offeso!
«Sono stata invitata, non illuderti, non sono di certo qui per te.» Lo supero a testa alta ed entro in casa.
Casa Cullen è sempre stata spaziosa, luminosa e magnifica... a quanto pare con gli anni è anche migliorata. Sia santificata Esme e il suo ottimo gusto!
Entro in sala da pranzo con un sorriso e quando gli occhi verdi di Carlisle si specchiano nei miei, non riesco a non ridacchiare.
«Ma guarda un po’... sei invecchiato!» Carlisle scoppia a ridere e si alza per poi abbracciarmi. Mi allontana dalla sua stretta e mi guarda per bene.
Non ha più i capelli biondi, ora sono sale e pepe, porta gli occhiali e ha qualche ruga ma è inutile dirlo, rimane comunque il papà più affascinante di Forks.
«Dov’è andato a finire lo scricciolo che mi mangiucchiava sempre per casa e che cercava di scappare da Alice e dalla sua mania per lo shopping?» Rido e ritorno tra le sue braccia.
«Mi sei mancato!»
«Anche tu, hai continuato a fare esami medici, vero?» Alzo gli occhi al cielo e mi allontano per lanciargli un’occhiataccia.
«Ovvio, il mio medico è pignolo, sai, mi ha praticamente visto nascere.» Carlisle ride e chiama a voce alta Esme, non sentendolo, si scusa e la raggiunge in cucina. Abbandono la mia borsa sul mobile che costeggia la parete e quando mi volto non mi stupisco di trovare Edward appoggiato allo stipite della porta.
«Sei stata molto impegnata questa settimana?» Perché questo tono? Come si permette di essere lui quello arrabbiato?
«Sicuramente non quanto te.» Alza un sopracciglio ma non ha il tempo di rispondere che appare Alice con gli occhi quasi fuori dalle orbite.
«Oh, Bella, ciao! Mia madre?»
«A me non mi saluti?» Le chiede Edward ma lei muove solo la mano per azzittirlo e non schioda gli occhi dai miei.
«Tuo padre la stava cercando, io non l’ho ancora vista. Perché hai gli occhi spiritati?»
«Perché fuori ci sono i miei parenti. Hanno deciso di fare una sorpresa e di arrivare prima... mia madre andrà fuori di testa!» Quasi non scoppio a ridere, quasi.
«Cos’è questo rumore? Edward, tesoro, non avrai mica dimenticato la musica accesa in macchina?» Esme appare seguita da Carlisle, non appena mi vede mi abbraccia e mi posa un lieve bacio sulla guancia. Esme è una donna di classe, letteralmente; nonostante lavori, nonostante porti avanti questa casa, è fantastica. È vestita benissimo, curata e soprattutto si è occupata lei del pranzo che tra poco divorerò.
«No, mamy, arriva dalla macchina di zio Eleazar... Jasper sta trattenendo tutti fuori perché io sono letteralmente corsa dentro per avvisarti.» Esme quasi impallidisce e per quanto la scena sia divertente, mi trattengo da porre domande o ridere.
Esme ci abbandona correndo fuori, Carlisle la segue a passo sostenuto ed Alice scappa in cucina perché sente odore di bruciato.
«Non mi hai risposto.» La sua è un’accusa. La rabbia sta fermentando, rido senza umorismo e non gli rispondo, raggiungo la mia amica in cucina.
 
«Quindi sei disoccupata.» Non faccio sparire il sorriso dalla mia faccia ma giuro che vorrei strozzare Irina. Pensavo che dopo tutti questi anni in cui non ci siamo mai minimamente viste o pensate, le cose sarebbero cambiate, invece...
«Mi spiace deluderti ma non appena sono arrivata qui, ho trovato un impiego.»
«E dove? Sei tornata a lavorare dai Newton? Come quando avevi sedici anni?» Irina ride, e giuro che nella mia testa la sto immaginando strozzarsi con un osso del pollo.
«Non ci sarebbe stato nulla di male, se così fosse... ma in realtà lavoro per Jasper, nel suo studio legale. Ho fatto passi da gigante, e te, invece? Miri ancora a diventare una modella? Non si direbbe guardandoti...» Alice cerca di non farsi notare ma sta ridendo, Edward si nasconde dietro un bicchiere e Kate scuote il capo divertita. È sempre stato così tra me e Irina. Tutta la famiglia ci è abituata.
«Avevo quindici anni quando volevo fare la modella... e anche se avessi potuto farlo, alla fine ho deciso di andare al college. Sai, gli studi sono importanti. Ora lavoro in un centro dove ci occupiamo di tenere al salvo gli animali.» Ragiono un secondo e finisco di masticare il mio boccone.
«In pratica fai la volontariato in un canile?» Lo chiedo stranita, non tanto per il lavoro in sé, amo gli animali, è proprio il fatto di immaginarla a contatto con loro che mi stupisce. Ha sempre odiato ogni tipo di animale.
«E cosa fai nell’ufficio di Jasper?» Chiede Kate, bloccando sul nascere la sorella che mi sta continuando a guardare malissimo. «Non sapevo avessi deciso di diventare avvocato.»
«No, figurati, ho frequentato lettere ma dopo il casino a Chicago qualsiasi cosa andava bene e Jasper mi ha salvata offrendomi un posto da segretaria.»
«E questo lavoro ti tiene impegnata ventiquattro ore al giorno? O comunque talmente tanto da non riuscire a guardare un attimo il telefono?» Sgrano gli occhi alle domande di Edward. Ma di che diamine sta parlando?
La tavolata si azzittisce e per quanto mi senta imbarazzata, di certo non gli lascerò l’ultima parola. Anche se per i suoi genitori non ci siamo praticamente mai parlati.
«Oh, tempo ne ho avuto, ho un lavoro d’ufficio, stacco alle cinque ma il telefono caso strano non è mai squillato. Magari sei tu che lavori troppo e non hai un attimo per fare una dannata chiamata!»
«Io? In effetti è vero, sono stato impegnato, sono un avvocato, tempo libero ne ho poco ma per quanto la cosa potrebbe stupirti, ti ho fatto tre chiamate al giorno per... cinque giorni! E indovina? Non ho mai ricevuto risposta. Nemmeno ai messaggi, adesso che ci penso. Potevi essere chiara fin dall’inizio, Bella, o comunque mandarmi un messaggio chiedendo di smetterla.»
«Ma di cosa stai parlando? Non ho ricevuto nessuna chiamata, smettila di fare la vittima della situazione! Secondo te se non fossi stata interessata ti avrei baciato? Sarei venuta a cena con te e poi a casa tua? E che cazzo?!» Una volta che praticamente finisco di urlare, mi rendo conto di dove ci troviamo, probabilmente fa’ mente locale anche lui. Sento le mie guance diventare rosse come un semaforo e grazie al cielo ha la decenza d’imbarazzarsi anche lui.
«Wow, mi mancavano i pranzi in famiglia.» Esclama Carlisle per poi ridere e beccarsi uno scappellotto dalla moglie.
«Ragazzi, penso abbiate bisogno di parlare un attimo da soli. Perché non andate in giardino?» Sospiro e annuisco. Mi alzo e scusandomi, precedo Edward fino alla portafinestra e poi subito fuori.
«Spiegami perché non hai risposto nemmeno a un messaggio.» Sembra tranquillo, ora. Indossa una camicia e un pantalone, le maniche sono arrotolate fino ai gomiti e noto un piccolo tatuaggio ma non ho il tempo di indagare.
Incrocio le braccia al petto e sospiro. «Non mi è mai arrivato nessuno messaggio.» Esasperato, sfila il telefono dalla tasca e me lo passa, facendomi vedere tutti i messaggi inviati, non li leggo, clicco sul mio nome e osservo il numero che appare.
Scoppio a ridere facendolo innervosire.
«Scusa, scusa... è che... il numero è sbagliato. Solo un numero in realtà, l’ultimo.» Alza un sopracciglio e io mi mordo il labbro per non riprendere a ridere.
«Mi hai lasciato il numero sbagliato?»
«Ehi, non l’ho fatto apposta!» Edward scoppia finalmente a ridere, io lo seguo a ruota ma smetto non appena mi si avvicina.
«Mi stai dicendo che ho passato una settimana a inveirti contro per nulla?»
«A quanto pare siamo in due ad aver perso solo tempo per nulla.» Con ancora un sorriso sulle labbra, mi afferra una mano e mi sospinge verso di lui; i nostri petti sono l’uno contro l’altro, i suoi occhi sono nei miei e i nostri nasi si sfiorano.
«Allora meno male che infine ho deciso di venire, oggi.»
«Non dovevi esserci?»
«Già, non volevo vederti. O meglio... volevo evitare il casino che poi è successo.» Intreccio le mie mani dietro la sua schiena.
«Che cosa stiamo facendo, Edward?» Mormoro a qualche millimetro dalle sue labbra.
«Non lo so, Bella, ma non voglio smettere.» Sorridendo mi alzo lievemente sulle punte dei piedi e faccio incastrare le nostre labbra.
 
«Tre giorni, tre appuntamenti... non ti sei ancora stancata di lui?» Scoppio a ridere alle parole di Rosalie e scuoto il capo mentre un cameriere ci lascia i caffè.
«Mio fratello è fantastico, non potrebbe mai stancarsi di lui.» Rose sbuffa e io rido ancora di più.
«Mi hai detto la stessa cosa, anni fa, su Emmett.»
«Beh, avevo ragione, state ancora insieme.» Decido d’interromperle prima che mi vengano i crampi a furia di ridere.
«Siete incredibili. Comunque se può interessarvi, stasera non lo vedrò, domani mattina ha un’udienza importante.» Rosalie mi fulmina con un’occhiata.
«Ci stai informando che hai la serata libera e che quindi dovremmo liberarci?» Sgrano gli occhi e mi scambio uno sguardo con Alice.
«Certo che no! Stavo solo conversando...»
«Beh, poco importa. Oramai hai detto che sei libera, quindi... pigiama party!» Rimango un attimo a bocca aperta ma quando anche Alice si aggrega all’urlo di giubilo di Rose, non posso che scoppiare a ridere. E che pigiama party, sia.
 
«Non che questo sia il mio argomento preferito ma... veramente ti ha sempre e solo baciata? Voglio dire... mio fratello è un bravo ragazzo, ne sono contenta ma di certo non pensavo fino a questo punto.» Ok, immaginateci, tre pazze, sedute per terra nel salotto di mio padre con dei mini pigiamini che ci rimpinziamo di gelato e pettegolezzi. Sì, un sogno. Cose di questo genere mi mancavano veramente tanto e nemmeno lo sapevo.
«Sai cosa significa che non ha mai sfiorato nemmeno per sbaglio il mio seno? Ha giusto accarezzato il mio sedere quando mi sono sdraiata su di lui e sul suo divano. In pratica è stato un miracolo.» Nessuna delle due commenta e io le guardo stranita. Non riesco a credere che non abbiano niente da dire... o che non ridano.
«Dite che sta continuando sta cosa giusto per... non lo so! Voglio dire, persino tu, Rose, mi hai fatto notare che sono una grande amica di sua sorella e magari, a causa di ciò, non sa come scaricarmi, potrebbe anche essere, no?»
«È tornato il vulcano in eruzione.» Sussurra Alice meritandosi un’occhiataccia da parte mia.
«Alice, esprimiti! Potrà essere tuo fratello ma io sono una tua amica. Una tua cara amica. Una delle tue più vecchie amiche.» Alice sorride alzando gli occhi al soffitto.
«Conosco mio fratello, è il mio gemello, e posso assicurarti che se avesse voluto lasciarti perdere lo avrebbe già fatto, se non fosse interessato. Di certo non porterebbe mai avanti una frequentazione per paura di una mia reazione.»
«Questo, però, non spiega perché ci stia andando così piano.» Mormora Rose affondando nuovamente il cucchiaio nella vaschetta del gelato. La guardo assorta e infine sospiro.
«Dite che devo parlargliene?» Sgranano gli occhi.
«E passare per la ninfomane di turno? Anche no.» Sbuffo alle parole di Rosalie.
«Ancora con questa storia? Non fa di me una ninfomane il volerci andare a letto.» Alice si tappa le orecchie.
«Rimuovi! Rimuovi! Rimuovi!» Scoppiamo a ridere e Alice mette su il muso.
«Mi stai dicendo che se mai, e dico mai, nel caso accadesse... tu non vorresti sapere nulla?»
«Non lo so... lui mi ha sempre detto, bene o male, con chi usciva, alcune le ho anche conosciute di persona ma... tu sei tu. Lui è lui. Oh, ma chi voglio prendere in giro? Ovvio che vorrò sapere, però, magari non proprio tutti i dettagli. È pur sempre mio fratello.» Ridiamo e lei e Rose si scambiano un cinque.
Le adoro, non posso negarlo e anche con dei pensieri persistenti per la testa, è facile divertirsi e stare in loro compagnia. Sì, anche se non siamo più delle adolescenti. Il fatto che ci comportiamo come tali... beh, a questo punto mi sa che è un dettaglio. Le adoro comunque.
 
«Com’è andata ieri sera?» Mi chiede Jasper non appena chiudo una chiamata. Alzo lo sguardo dalle scartoffie e gli sorrido.
«Molto bene, sembrava di essere tornate indietro nel tempo.» Aggrotto la fronte. «Adesso che ci penso, anche i discorsi che abbiamo fatto... li facevamo anche allora.» Jasper scoppia a ridere.
«Non so perché, ma non mi stupisco. Sappi che sei in debito con me.» Alzo un sopracciglio, curiosa.
«E perché mai?»
«Ieri sera ti ho lasciato Alice.» Scrollo le spalle.
«Dubito tu abbia avuto voce in capitolo sulla decisione.» Lo dico divertita ma in effetti è vero e la sua espressione mi fa capire che ci ho preso.
«È così palese che mi tiene al guinzaglio?» Avete presente i cani bastonati? Ecco, Jasper è tutt’altro. Non capisco se ne sia felice o se sia semplicemente divertito.
«Direi che funziona così in quasi tutte le relazioni. Se stai a vedere o sentire Rosalie... anche lei tiene al guinzaglio Emmett. E da quello che ho capito, non se ne lamenta nemmeno lui.»
«Penso sia difficile far dispiacere Emmett. È sempre così allegro... mi sono chiesto spesso se usi qualche strana droga.» Mi porto una mano di fronte alla bocca e cerco di trattenere una risata.
«Scemo. Sparisci, devo lavorare se voglio meritarmi lo stipendio, e tu mi stai solo facendo perdere tempo.»
«Ehi, donna! Sono io che ti pago!» Si stoppa e si gratta i capelli. «No, in effetti hai ragione, non sono propriamente io a pagarti, quindi sì... è meglio che torniamo entrambi a lavorare.» Scoppio a ridere e scuoto il capo osservandolo rientrare nel suo ufficio.
 
What’sApp: Sei stata aggiunta al gruppo “Le tre Peppie”.
Cerco di non ridere del nome del gruppo e osservo i partecipanti, non che avessi dubbi, anche perché il gruppo lo ha creato Alice.
«Buongiorno, bellezze. Sono in pausa pranzo e stavo pensando a un piano per far capitolare il mio fratellino.» La mia bocca quasi tocca terra quando leggo il messaggio di Alice. È pazza. Non c’è alternativa.
«Sbaglio o non ci stai dormendo la notte per sta cosa?» Le chiedo con una faccina che ride.
«Sì! È tutta colpa tua! Mi stai iniziando a far credere che mio fratello sia gay!» Alzo gli occhi al cielo e Rosalie mette le tre scimmiette, una che non vede, una che non sente e l’altra che non parla. Ok, sta diventando pazza anche lei.
«Se avessi provato i suoi baci, non lo penseresti.» Le dico per farla schifare e ottengo l’effetto desiderato.
«Che schifo! Tornando serie... mio fratello sta tornando a casa, ha finito l’udienza. Vai da lui. Chiedi il pomeriggio libero e saltagli addosso.» Sgrano gli occhi.
«E questo sarebbe il tuo grandioso piano?» Le chiede Rosalie, rubandomi praticamente le parole di bocca.
«Conosci un essere maschile che si tirerebbe indietro a un’offerta simile?» Non rispondo, corro nell’ufficio di Jasper.
 
Con il cuore in gola, busso alla porta dell’appartamento di Edward e mi mordo il labbro inferiore. Magari non c’è, magari è tornato in ufficio... magari ho fatto un viaggio a vuoto. Dio, mi sa che sto veramente diventando una ninfomane!
La porta si apre lentamente e una volta aperta, i miei occhi escono quasi dalle orbite.
«Bella?» Wow, che tartaruga!
«Ti ritrovi spesso ad aprire con indosso solo un asciugamano?»

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Oramai direi che l'importante è pubblicare almeno una volta alla settimana :)
Vi ho chiarito un dubbio ma ve ne ho lasciato un altro, no? Sono pessima, non ci posso fare nulla.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, ho notato che le letture ci sono ma le recensioni non sono molte - non che mi stia per tagliare le vene per questo - ma se volete lasciarmi due righe con su scritto quello che pensate, sappiate che siete i benvenuti.
Detto tutto ciò, un bacio e a presto ;)

 

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Capitolo 5
*** CAPITOLO 5 ~ Mettersi a nudo. ***



CAPITOLO 5

~ Mettersi a nudo.
 
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«Ero sotto la doccia, scusami. Entra pure.» Deglutisco ed entro in casa. Molla la borsa sul divano e mi volto, alla ricerca del suo sguardo.
Non è minimamente imbarazzato e non so che cosa pensare.
Dovrei dare ascolto ad Alice e saltargli addosso? D’altronde ha ragione, quale essere eterosessuale rifiuterebbe un invito in piena regola, soprattutto se lui è già praticamente nudo?
«Va tutto bene?» Mi chiede con la testa lievemente inclinata, serio e come ho già detto prima, fin troppo tranquillo.
«Sì, no... cioè, sì. Non lo so! Voglio dire... tu te ne stai lì, tranquillo, impassibile e padrone della situazione anche se sei nudo e io sono qui, un fascio di nervi e con fin troppi dubbi per la testa. Non è normale, vero?» Forse per la prima volta, capisco cosa intende Alice quando mi definisce un vulcano in eruzione. Peccato che a sto giro, oltre alla diarrea verbale, si sia aggiunto anche il modo convulso di gesticolare.
«Direi che non va tutto bene. Vuoi che vada a vestirmi? Ti aiuterebbe?» Spalanco la bocca e cerco di non urlargli contro. Come potrebbe mai aiutarmi se l’unica cosa che voglio è che mi salti addosso?
«Sì, sì è meglio che ti vesti perché non penso di essere in grado di allontanare il mio sguardo dal tuo torace tonico e delineato.» Edward si posa una mano sulla bocca e cerca di non ridere. Inutile dire che per come sono scombussolata non riesco nemmeno ad arrossire. Dovrei, o forse no, sta di fatto che mi chiede un minuto e l’osservo sparire in camera da letto. Non ci sono mai stata, ma so che è lì. Nella mia testa è come se fosse una stanza privata, adatta a pochi ed evidentemente per me è ancora off limits.
Torna poco dopo, sento i lievi passi sul parquet, mi trova seduta sul divano, con la testa tra le mani. Non mi affianca, decide di sedersi sulla poltrona e io alzo lo sguardo.
«Sono curioso di sapere tutte le domande che hai per la testa.» Cerca di dimostrarsi allegro o comunque divertito dalla situazione ma io provo sempre più pena per me stessa.
«Perché io? Mi hai messo la lingua in bocca senza porti problemi, come se fino a sette anni prima oltre a vederci tutti i giorni avessimo qualche tipo di rapporto... cos’è cambiato?» Non mi risponde subito, non so se l’ho preso in contropiede o se semplicemente nella sua mente da avvocato stia cercando un modo per parlare con me, comune mortale e al momento un po’ stordita.
«Non ti dirò che avevo una cotta per te, mentirei e soprattutto noi ragazzi non abbiamo cotte ma posso dirti che mi hai sempre affascinata. Voglio dire... ti sentivo ridere e parlare a macchinetta e non solo con Alice, anche con i miei genitori ma con me... con me diventavi una statua di sale. Non riuscivi a spiccicare parola, come se avessi avuto la capacità di azzerarti i pensieri o semplicemente di toglierti la voce.» Ok, ha notato anche lui il mio sentirmi una statua di cera. «Oppure come se non meritassi di essere considerato.» Abbasso lo sguardo; è bravo a farmi sentire una merda, anche se in effetti... erano pensieri legittimi.
«Non è mai stata quella la mia intenzione.» Cerco di giustificarmi ma lui scrolla le spalle.
«Non importa perché... quando ti ho rivisto, ti avevo riconosciuta subito. Avevo riconosciuto la tua risata, non sapevo nemmeno di averla immagazzinata nel mio cervello, eppure era così e quando tu, sì, proprio tu, mi hai risposto e hai addirittura fatto una battuta... non potevo crederci! Erano passati sette anni e oltre ad essere diventata bellissima, adesso riuscivi a guardarmi negli occhi e addirittura a parlarmi.» Sorrido e m’impongo di non sviare lo sguardo. È bello vedermi attraverso i suoi occhi, almeno adesso.
«Eppure tutto ciò non spiega perché mi hai baciato o hai insistito per portarmi a casa.»
«Perché a volte si prova attrazione per una persona e per l’altra no? Non saprei risponderti ma quando l’ho fatto lo desideravo e... Dio! In quel bacio penso di aver messo tutto me stesso. Sì, nonostante tu non fossi del tutto sobria e magari cosciente di quello che stava accadendo. Probabilmente è stupido dirlo, o meglio, esagerato... però ho sentito quelle che voi ragazze definite “le farfalle nello stomaco”. Definiscimi come vuoi, ma non potevo non rivederti o risentirti.» Avete presente un blackout? Ecco, non so cosa dire, quindi l’unica cosa che penso sia ovvia e giusto fare è alzarmi, sedermi sulle sue gambe, mettere le braccia dietro il suo collo e posargli un lieve bacio sulle labbra.
«Sei tu che mi fai sentire le farfalle nello stomaco. In un certo senso ti ho sempre visto come irraggiungibile. Ma è facile pensarlo a sedici anni, quindi quando pensavo a te, ti definivo semplicemente come il fratello bello della mia amica. Non so perché non riuscissi a parlarti o anche solo a rimanere due minuti nella stessa stanza con te, da sola. Non lo so ancora tutt’ora e mi dispiace se ti ho fatto venire quei pensieri stupidi.» Mi accarezza una guancia ma non m’interrompe, vuole che continui, vuole sapere anche i miei di motivi. «Per un secondo, quando sei arrivato al locale e hai appoggiato le mani sulla mia sedia, mi sono sentita nuovamente quella ragazzina che diventava di cera e che non riusciva a parlare o a guardarti ma poi... mi sono resa conto che per quanto l’intera serata fosse un po’, come dire, un salto nel passato, io non ero e non sono più quella ragazzina e fare la figura della cretina non mi andava; perciò sì, quando mi hai parlato, ti ho risposto e non riesco a pentirmene, come non mi spiace di averti seguito fuori dal locale e aver iniziato a parlare e a scherzare con te. E non mi spiace nemmeno aver passato la notte a baciarti fuori da casa mia.»
«Non ti dirò che quello che hai detto mi fa piacere, è ovvio che sia così ma hai detto che hai fin troppe domande per la testa e voglio sapere tutto e soprattutto chiarirti ogni dubbio.» Apprezzo questo suo modo di fare, facendo così, mi aiuta a capire e per di più – forse senza rendersene conto – mi dimostra che tiene a qualsiasi tipo di rapporto stiamo avendo.
«Hai detto che non stai più con la tua ex da sei mesi... ma dopo? A malapena mi hai parlato di lei, hai giusto nominato delle ex che deduco facciano parte del prima ma poi? Non hai spiccicato una parola. Non pretendo che mi racconti i dettagli e nemmeno che mi parli grossolanamente della tua storia con lei ma dopo di lei? Cos’hai fatto? Quante ce ne sono state? Io posso solo affermare che al liceo non eri un Don Giovanni ma degli ultimi sette anni non so praticamente nulla.» Si muove un po’ agitato sotto di me e per un nanosecondo mi chiedo se ho esagerato, se magari ho aperto qualche portone che doveva rimanere ancora chiuso.
«Non mi pesa parlare di Tania. Pensavo che ci amassimo; doveva seguirmi qui, a Seattle ma infine ha deciso che la sua carriera era più importante e che per me non valeva la pena di stravolgersi la vita. L’ho compresa e non gliene ho fatta una colpa. Si può dire che ci siamo lasciati in buoni modi anche se ovviamente non siamo più in contatto. Dopo di lei c’è stata qualche ragazza, ho provato a riavere qualche relazione ma dopo qualche settimana o lasciavo perdere o erano loro a ritenere che non potesse andare avanti. Con un paio ci sono anche andato a letto, se è veramente quello che vuoi sapere.» Annuisco sovrappensiero e provo a non immaginare nulla.
«Quindi... non sei gay. Non hai una repulsione per il corpo femminile.» Sgrana gli occhi e mi ride in faccia.
«Ma che... sei impazzita? Quando ti ho dato l’impressione di non desiderarti?» Sembra veramente scioccato. Dovrei essere brutalmente sincera? Sì, penso di non avere alternativa.
«Ehm, praticamente da sempre? Non fraintendere, ho apprezzato che la prima sera tu non sia sceso sotto il mio collo. Dico davvero ma... poi?» Si allontana lievemente. Forse sta riportando alla mente ogni contatto che abbiamo avuto.
«Ammetto che probabilmente ci sto andando piano ma non pensavo fosse un problema. Non volevo semplicemente correre, di certo non era mia intenzione farti credere di non essere attratto dal tuo corpo.»
«Mi sto sentendo una stupida. E anche una cretina ninfomane.» Edward sorride e mi sposta i capelli dietro l’orecchio.
«Mi piace gustarmi quello che c’è in mezzo, prima di arrivare direttamente al dolce.» Lo ha detto veramente? E soprattutto con quella voce sexy? Pensa che la mia memoria sia labile? Se chiudo gli occhi lo rivedo nitidamente con solo un asciugamano legato ai fianchi, non può dirmi una cosa del genere!
«Edward... anch’io amo il mezzo, potrei amare anche tutto quello che ami tu ma... a malapena hai toccato i miei fianchi! Vorrei capire cosa devo fare e pensare. Non ho più sedici anni e sono stufa di passare la notte sveglia a chiedermi se magari hai notato che i jeans che indossavo erano fin troppo aderenti e che quindi si notava un filo di ciccia, oppure se il reggiseno che portavo era troppo da educanda!» Perché è divertito? Sono una ragazza, determinate seghe mentali sono fin troppo logiche se il ragazzo con cui ti stai vedendo e ti scambi saliva in continuazione non fa altro e se non hai più tredici anni, non è ammissibile!
«Ho apprezzato da morire quei jeans, se può consolarti. Ti fasciano fin troppo bene e non mi pare di aver notato reggiseni da educanda – non che ci abbia fatto caso, sono pur sempre un gentiluomo.» Faccio una smorfia per non fargli capire quanto in realtà le sue parole mi abbiano compiaciuta.
«Non fare l’ironico, Edward, non ti si addice.» Alza gli occhi al cielo sorridendo e a me viene un’idea. O la va... o la spacca.
«Facciamo una cosa,» I suoi occhi si posano su di me e aspetta che continui; gli afferro una mano e me la porto su un seno. I suoi occhi verdi si posano sulla sua mano, o meglio su quello che le sue dita stringono e non apre bocca. «questo è il mio seno, adesso che vi ho presentati, puoi farci quello che vuoi.» Edward ridacchia scuotendo il capo e chiudendo gli occhi ma le sue dita non mollano la presa, perciò allontano la mia mano, riportandola sul bracciolo della poltrona.
«Non so niente di baseball ma è come se fino adesso avessi messo giusto un piede in campo, beh, fai lo sforzo di arrivare alla prima base perché sono stufa di scervellarmi.» Deglutisco e sospiro lievemente. «Solo una cosa, fallo solo se vuoi, perché se così non fos...» Le sue labbra mi fermano, o meglio, lo fa la sua lingua – non che mi lamenti. La sua mano è ancora lì e al contrario di quanto si potrebbe pensare, finalmente si muove. Facciamo passi da gigante, gente!
 
«Non riesco a credere che tu ti veda con mio cugino.» Sorrido un po’ intimidita e non apro bocca. Dopo il lavoro sono passata da casa Cullen e ho chiesto a Kate di andare a prendere un caffè. Non la vedevo da una vita anche se negli anni siamo rimaste in contatto, dovevo approfittare del fatto che finalmente ci trovavamo tutte e due nello stesso posto. Ho fatto passare anche fin troppo tempo, visto che ripartirà tra tre giorni. Colpa di Edward, l’ho visto decisamente troppo.
«Posso assicurarti che stento a crederci persino io.» Ride e mi colpisce scherzosamente una mano.
«Lo dico perché non mi pare che vi siate mai scambiati una parola quando eravate più piccoli, non per altro. Ammetto che Edward è sempre stato un bel figliolo ma anche tu non eri da buttare via e non lo sei nemmeno adesso. Almeno se n’è reso conto e ha preso la palla al balzo.» La guardo incredula.
«Kate, mi stai chiedendo in modo sottile di raccontarti tutto e dico tutto quello che è successo con lui?»
«Ma va, Bella! Non così tanto sottilmente.» Ridiamo ma non l’accontento.
«Mi spiace ma... non ce la faccio. È una cosa fresca e vorrei tenere il tutto ancora per me. Non so se abbia senso ma è così.» Annuisce con un sorriso dolce.
«Sei cambiata ma in meglio. Se dovesse mai andare in porto il vostro rapporto... beh, ne sarei veramente felice.» L’abbraccio di slancio e la lascio solo una volta che Alice ci raggiunge seguita da Rose. Le guardo sorpresa, soprattutto perché non avevamo organizzato di vederci.
«Ti vedi, a mia insaputa, con mia cugina?» Il finto sguardo ostile che sta inscenando non mi convince affatto e quando glielo dico ammette che potrebbe essersi offesa solo per il semplice fatto di non averle chiesto di presenziare.
«Io sono offesa solo perché nonostante siano passati due giorni, e dico due giorni, ancora non ci hai detto se il piano di Alice ha funzionato. La mancanza di certi dettagli potrebbero farci morire giovani, potresti averci sulla coscienza!» Esclama Rose, facendo divertire Kate ed esasperare me.
«Non dovrei chiedere di che piano si tratti, vero?» Annuisco alla povera Kate e Alice muove una mano per poi sedersi al tavolo seguita da Rose.
«Dicci solo se gliel’hai dato o no. I dettagli non li vogliamo.» Sgrano gli occhi mentre le altre ridono e mi guardo attorno per accertarmi che non ci siano orecchie in ascolto.
«Potresti abbassare alla voce? Ci manca che ti senta la signora Patty e lo vada a raccontare a tutta la città, mio padre compreso!» Alice alza gli occhi al cielo e mi da’ dell’esagerata.
«Comunque no... diciamo che... ci stiamo andando piano ma che stiamo facendo piccoli passi avanti.» Rimangono in silenzio per tre secondi.
«Quindi è almeno arrivato a toccarti là sotto?» Chiede Rosalie facendo ridere tutte, tranne me, ovviamente.
«Non ho intenzione di rispondere!» Rose mi guarda come una che la sa lunga e mi fa l’occhiolino.
«Conosco quell’espressione scolpita sul tuo volto... non è solo imbarazzo. Hai fatto quella stessa espressione quando un certo Jacob Black ha fatto avvenire un piccolo miracolo nelle tue parti intime per la prima volta. Quello è uno sguardo di una ragazza soddisfatta!» Mi punta il dito contro e sento nitidamente le mie guance prendere fuoco.
«Mannaggia a te e al fatto che mi conosci così bene! Non gongolare, scema!» Alla mia frase, Alice, si mette quasi a fare la hola e quando le chiedo perché, la sua risposta mi lascia di sasso.
«Almeno adesso so che mio fratello è bravo come ho sempre pensato.»
«Vi sto odiando.» Mormoro senza guardarle e iniziando a distruggere la carta dello zucchero.
«Non è vero.» Dicono all’unisono per poi ridere e io non posso che ammettere – almeno mentalmente – che hanno ragione. Mannaggia a loro!
 
Io e Charlie siamo di fronte casa Cullen da un paio di minuti, io mi guardo attorno, lui sta trovando il coraggio di entrare. Ieri sera, Esme, lo ha chiamato e ci ha invitati a cena. Ovviamente è superfluo dire che è impossibile dire di no a quella donna. Solo che da quello che ho capito, anche se mio padre è rimasto a vivere qui in questi anni, oltre a trovare una fantastica fidanzata, non è andato in giro per la città a fare baldoria con i suoi vecchi amici. Mio padre è fatto così, perciò non mi stupisco del tutto ma poiché stiamo parlando di Esme e Carlisle, pensavo che con loro avrebbe continuato a vedersi – non solo sporadicamente.
«Giusto per capire, ora sei la ragazza di loro figlio, giusto?» Lo guardo con tanto d’occhi ma lui non mi guarda. Posso ridere? No, direi che non è il caso.
«Non c’è niente di ufficiale e non penso che Edward abbia raccontato loro qualcosa.»
«Questo non spiega perché tu non abbia comunque raccontato qualcosa a me.» Adesso rido di gusto e mio padre mi guarda con un punto interrogativo.
«Senza offesa, papà ma non ti ho mai parlato dei ragazzi con cui mi è capitato di uscire.»
«Jacob escluso.» Alzo gli occhi al cielo.
«Solo perché è il figlio di Billy ed è l’unico con cui io abbia avuto una sottospecie di relazione, qui a Forks. Non so dirti se con Edward è una cosa seria ma stiamo bene.» Annuisce guardando ossessivamente la porta.
«Mi piace quel ragazzo, anche se era terrorizzato di me. Lo sai che non riusciva  mai a guardarmi negli occhi? Chissà quante cavolate ha fatto per avere tutta quella paura.» Sorrido e poso lo sguardo per terra.
«Non ha aperto nessuno?» Rabbrividisco al suono della sua voce; mi giro con un sorriso.
«Non abbiamo ancora suonato. Charlie sta prendendo coraggio.» Mio padre mi pizzica un fianco facendo ridere Edward.
«Non penso ci sia fretta; è un piacere rivederla, capo Swan.» Si stringono la mano.
«Charlie, Edward, solo Charlie. Ti conosco da quando sei nato e adesso esci con mia figlia, direi che le formalità possiamo lasciarle perdere.» La porta alle nostre spalle si apre e appare una Esme tutta sorridente.
«Mi era sembrato di sentire delle voci, entrate su!»
Si prospetta una serata assai strana, ma nessuno dice niente, semplicemente entriamo in fila indiana e ci mettiamo a seguire Esme fino al salotto.

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Non mi sono dimenticata di questa storia, sia mai! Ho semplicemente avuto una mia cuginetta a casa per praticamente due settimane e stare al computer è stato impossibile. 
Vi avviso subito, questo weekend dovrei partire e sarò senza internet. A meno che non trovi il wifi. Di conseguenza finché non torno non potrò aggiornare, sappiate solo che lo farò non appena rimetterò piede in casa :)
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, un abbraccio a tutti! :*

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