The Journey – Cronache di una scomparsa

di canyoukeepasecret___
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** I. Denys ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


PROLOGO
Nell’attesa delle bevande, Gisele aprì l’ampia borsa di canapa e ne tirò fuori un lucido contenitore argentato con su inciso un sole, dal quale sfilò una stretta sigaretta bianca che portò alla bocca, tenendola con leggerezza tra le labbra abbondanti. Poi, proteggendone la punta con una mano, vi avvicinò le fiamme dello zippo e la accese. Il fumo, grigio e pesante contro le masse di aria afosa, si disperse davanti ai suoi occhi blu e le offuscò la vista.
A differenza di quanto si potesse pensare vedendola in quel momento, con la pelle pallida madida di gocce di sudore sotto il largo cappello grigio in stile floppy, Sele non era un’accanita fumatrice; anzi, quasi non sopportava quell’odore. Diversamente, nei rari pomeriggi di tempo libero in cui la noia regnava sovrana, non poteva far altro che accendere una delle sue sigarette bianche e fumarla con esagerata lentezza, rimirando i tentacoli di fumo che salivano e si perdevano nell’atmosfera.
Quel giorno, come di consueto, a Giza faceva caldo. Circondata da piramidi, cumuli di sabbia e dal breve tratto del fiume Nilo, Gisele aveva subito avuto l’impressione di stare cuocendo a fuoco lento in una padella arroventata. Perciò, vestita di una quantità di lino bianco raffinato necessaria a ricoprire almeno una facciata di quelle enormi costruzioni egizie, era scesa dal battello Occhio di Cleopatra ed era corsa a ripararsi alla calda ombra del tendone di un bar poco lontano dall’ingresso del museo.
Le ordinazioni erano appena arrivate. Il cameriere, un ragazzo indigeno sulla ventina, volto asciutto e barba tagliata di fresco, poggiò un limun e un assab, rigorosamente freddi, sul tavolino di ferro. Graciela gli aveva lasciato una banconota da cento sterline egiziane sul tavolo e il cameriere l’aveva afferrata e accartocciata nella tasca del grembiule. Poi, dopo aver elargito uno splendente sorriso, era tornato nel bar, gongolante.
«Un succo freddo di limone e un succo freddo di zucchero di canna per più di quaranta reais brasiliani» mugugnò Graciela «Che ladri!»
Gisele bevve un sorso di limun. Caro, carissimo, ma buono. «A Il Cairo lo pagai la metà. Il bar era orrendo, sperduto e sporco abbastanza perché mi venisse il vomito,» ammise «ma lo pagai la metà. E non vorrei sbagliarmi se dico che era addirittura migliore.»
«Sei solo fortunata. Il mio assab fa schifo.» L’altra bevve un sorso, ne ingoiò una parte, e ne sputò un’altra sulla sabbia. «Ma non ho intenzione di sputare un’altra sterlina in questo deserto caldo ed appiccicoso!»
Due settimane prima avevano preso i bagagli e si erano recate all’aeroporto internazionale di San Paolo del Brasile, dirette a Denver, in Colorado. Era da quattro anni che erano single, ed era da quattro anni che, entrando dalla porta dell’ingresso della loro casa, Gisele Beauchamp, Graciela Fontoura e Zaira Martins Riveira lasciavano una moneta da cinque reais circa nel barattolo che avevano poggiato sul davanzale della cucina, che un tempo conteneva marmellata alla fragola, “super confettura: + sapore – zuccheri aggiunti!”. Anche ai malcapitati che una delle tre ragazze portava a casa per qualche notte, sbronzi o meno, toccava lasciare la mancia al barattolo che era stato soprannominato Berry.
Dopo circa sei mesi, i soldi, cartacei o in metallo, avevano riempito i 500 grammi netti di Berry, cosicché Zaira, dopo aver contato tutti i millequarantasei reais e ventitré centesimi, lo aveva portato al supermercato ed aveva cambiato il suo contenuto in banconote, che aveva piegato, legato e occultato nella cassaforte.
Ancora una volta, Berry e la sua etichetta usurata dai troppi lavaggi e dal tempo erano pronti a ricevere altre vagonate di soldi, con una cadenza fissa. Apri la porta, chiudi la porta, metti la moneta. Apri la porta, chiudi la porta, metti la moneta. E così via per tutti, finché lo spazio non fosse terminato.
Al termine dei quattro anni, avevano guadagnato una somma di poco superiore novemila reais contati, che, oltre ai cinquemila che avevano già a disposizione, e al regalo della madre di Graci pari a millecinquecento reais, ammontava a 15.500.
Così avevano prenotato i biglietti aerei a prezzo stracciato, ed erano partite per il loro giro del mondo. Forse avrebbero girato solo mezzo globo, forse di più, o forse di meno, ma il loro splendido viaggio le avrebbe comunque appagate.
Senza diminuire di troppo il loro budget iniziale, le tre amiche erano riuscite a fare una specie di mini tour degli Stati Uniti d’America, toccando però solo le tappe principali: New York, Los Angeles, Washington DC, Boston e Las Vegas.
Era stato proprio qui che il fato aveva mandato loro un segno della sua benevolenza.
Una sera mite, tutte e tre luccicanti in gran tiro, con un gran makeup e delle acconciature – quasi – degne di una star di Hollywood, avevano lasciato il loro hotel un po’ defilato e con il bus pubblico, in compagnia di una coppia di fidanzati, di uno studente universitario intento a smanettare sull’iPad e dell’autista, si erano recate al centro della grande metropoli che si ergeva maestosa in una distesa di terreno arido, sabbia e piante grasse che era il Nevada. Las Vegas sembrava una finzione, una messinscena, un set cinematografico. Ed era proprio questo: una città finta, ricca, e morta. Gli abitanti e dei suoi squallidi dintorni erano davvero pochi.
Tuttavia, non furono questi i pensieri che sfiorarono le menti delle brasiliane quando misero piede a terra e vennero completamente sommerse dalla sfavillante moltitudine di gente che godeva delle ricchezze del luogo, come avvoltoi su una carcassa putrescente.
Furono subito colpite dalla quantità di giovani stranieri tutti ben vestiti, tutti con l’aria un po’ affamata di denaro, e tutti a parlare a voce bassa con degli americani solidi che, a giudicare dalle loro mise, non erano altro che provinciali armadi di mezza età, dai capelli un po’ brizzolati, venuti a tentare la sorte con un bigliettone da cento dollari.
Per lo meno erano consapevoli fino all’angoscia dello scialo di denaro lì attorno, e persuasi che quel denaro sarebbe diventato loro in cambio di una fiche puntata al momento giusto e nel luogo giusto.
Ma la fortuna, la dea bendata, era cieca solo con chi ne aveva più bisogno: a Las Vegas o ti giocavi almeno cinquemila dollari, o potevi anche andare a procurarti un fastfood e mangiare grassi hamburger al triplo cheddar fino a far schifo. I rampolli, gli ereditieri, i miliardari, seduti al tavolo da poker intenti a nascondere l’ansia, che ballava il samba nei loro stomaci, non privavano nessuno di quelli che tentavano la sorte con una cinquantina di dollari di una risatina di scherno o di un’occhiataccia di sbieco.
Tutti, fatta eccezione di una.
A vederla dietro, seduta sullo sgabello girevole di pelle, con la schiena scoperta dal leggero abito di seta cruda del colore del cobalto, dava l’impressione di essere una donna matura.
Quando si girò, fumando una sigaretta sulla punta di un lungo bocchino, però, la sua faccia non tradiva i suoi ventisei anni.
Jordan Elia Daisy Finker, figlia di un ereditiere ricco ma non particolarmente noto e di un’avvocatessa di Wall Street, attirava a sé l’attenzione di tutti, come una calamita attrae il ferro. I suoi occhi blu, contornati da una cascata di morbidi ricci biondi, erano enfatizzati dal mascara che indossava. La pelle di porcellana e gli zigomi alti erano spruzzati di sporadiche lentiggini, forse coperte dal trucco, andavano diradandosi verso il basso, terminando sulla sue labbra, rosee, grandi e ben formate. Dal suo collo pendeva un collier che reggeva un piccolo diamante, abbinato all’anello che, pensò Graciela, valeva almeno quanto il loro budget.
I seni prosperosi, per metà scoperti dalla scollatura a V del semplice abito che indossava, erano un punto di focalizzazione per tutti, maschi e femmine. La ricca newyorkese si alzò. Spense il mozzicone di sigaretta nel ghiaccio ormai sciolto mescolato all’ultimo dito di Martini che aveva lasciato nel bicchiere. Per più di un momento, mentre lei camminava quasi come avvicinandosi a loro, era come se un bagliore candido emanasse dalla sua persona. Poi, le sete fruscianti del suo abito si acquietarono, e quella specie di dea si fermò di fronte alle brasiliane troppo a lungo perché si trattasse di aspettare che queste si facessero da parte per farle spazio. I suoi occhi allungati incontrarono i loro sguardi, divorando le ultime briciole di amor proprio. Davanti a una simile visione, persino la bella ed austera Gisele sfigurava.
«Caldo, non è così?» chiese allontanandosi una ciocca di capelli dorati dal viso.
Le ragazze non erano ancora sicure che stesse parlando con loro. Perciò, si girarono per trovare l’interlocutore della milionaria.
«Parlo con voi.» Tese una mano lunga e curata, e prese quelle di Graciela, Zaira e Gisele.
«Jordan Elia Daisy Finker. Chiamatemi Elia. E’ un piacere incontrare delle belle ragazze come voi.»

Fu allora che si conobbero. Elia Finker era stata per loro un colpo di fortuna, che inizialmente avevano considerato solo una bellissima ragazza da sfruttare per continuare il viaggio. Tuttavia, a dispetto di quanto traspariva dall’esterno, Elia si era rivelata un’ottima amica. Così, da tre single in tour, erano diventate quattro single in tour. E con lei, inoltre, ogni uomo le guardava con maggiore attrazione, il che le lusingava e le divertiva.
In quel momento, a Giza, si era trattenuta sulla nave per ritirare il quotidiano che aveva ordinato sul battello. Stamparlo, evidentemente, richiese un po’ di tempo, poiché Elia, affascinante come sempre, si affacciò dal ponte dopo circa un quarto d’ora.
«Ragazze!» esclamò mentre con una mano sventolava il giornale. «Eccolo!»
Rientrò nelle sue stanze e poco dopo uscì dall’Occhio di Cleopatra. L’ereditiera era in grado di affrontare anche con quel caldo disarmante con una capigliatura ed un vestiario da invidiare. Non sembrava avere caldo, o almeno, non lo dava a vedere.
Con passi lunghi e felpati, si approssimava sempre più al tendone sotto il quale si erano riparate le tre. Superato il confine dell’ombra, Elia si tolse gli occhiali da sole e sedette sullo sgabello. Le ragazze, lo sguardo perso nel vuoto, stremate per il calore, non davano l’impressione di averla notata. Imperterrita, come se le stessero prestando attenzione, spiegò con fragore il giornale statunitense The New York Times.
Quando con la coda dell’occhio ebbe appurato che i tre sguardi erano su di lei, finalmente, saltò dalle pagine della politica a quelle dello sport, o, più precisamente, al gossip dello sport.
«Sono consapevole che è da un po’ che mi chiedete idee su dove andare dopo la nostra crociera in Egitto.» Elia Finker puntò il dito sulla pagina. «Ebbene, ho una risposta.»
Graci, Sele e Zaira si chinarono sul giornale ed alzarono gli occhiali da sole, e lessero il titolo dell’articolo. Neymar Jr. and the mysterious girl spotted in Paris, France, holding hands. Sotto, campeggiava una foto scattata di nascosto dai paparazzi la notte del venerdì precedente, nella quale Neymar, inquadrato di profilo, rideva, tenendo per mano una ragazza della quale si vedevano solo la schiena e il capo, coperti da un’anonima felpa grigia sulla quale risaltava il marchio di Everlast, scritto a caratteri cubitali. Dal cappuccio, uscivano lunghe ciocche di capelli scuri, o forse resi tali dalla notte, illuminata soltanto dalla luce gialla di un solitario lampione.
Chi fosse per davvero, così coperta com’era, i giornalisti non si erano nemmeno azzardati a supporlo.
Il tutto era corredato da due colonne di articolo, firmate Anthony Duncan, delle quale Elia lesse ad alta voce solo le parti salienti.
«Che colpo! Sentite:
PARIGI – Un weekend di fuoco per Neymar Jr. Dopo la sconfitta del Paris Saint-Germain per 3-1 firmata Barcellona, il coach Luis Enrique ha concesso al team una pausa di un weekend prima di ritornare nel capoluogo catalano per riprendere gli allenamenti in vista del match di sabato contro il Granada. Weekend che l’attaccante brasiliano ha trascorso nella stessa Parigi, in compagnia di una ragazza la cui identità è sconosciuta e indeducibile con la quale è stato fotografato dalla stampa francese la sera di venerdì. Secondo fonti attendibili, sarebbe atterrata all’aeroporto di Paris Orly la stessa sera del match. Non si conosce la provenienza del suo volo, né tantomeno la sua stessa nazionalità. Durante il match Neymar, che aveva segnato una doppietta che – come suo solito – aveva dedicato al figlio e a Dio, era parso particolarmente in forma. C’è chi giura di averci notato qualcosa di strano, di diverso, in quell’esultanza, eppure, come ha assicurato lo stesso calciatore alla conferenza stampa, “era la mia solita esultanza. Niente di più, niente di meno.”

Il resto è una sorta di cronaca della partita e degli allenamenti a Barcellona. Nulla di così compromettente. Allora?» chiese Elia, gli occhi brillanti.
«Se non abbiamo strumenti per ricondurci all’identità, perché dare per scontato che sia una ragazza? Magari era una copertura.» Zaira era divertita per prenderla seriamente.
«A maggior ragione, sono convinta che quattro single sarebbero perfette per scoprirlo.» affermò convinta Graciela.
L’unica che non aveva espresso opinioni era Gisele, la fredda ed austera Gisele. La stessa che, un momento dopo, finì il suo limun e si alzò.
«Muoviamoci a visitare queste piramidi,» disse, infilandosi gli occhiali da sole. «e poi partiamo per Parigi.»

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Capitolo 2
*** I. Denys ***


DENYS



Marcia era ancora nel camerino quando, in seguito ad un fruscio delle spesse tende blu, Ed uscì con fascicoli di fogli scritti e andò a sedersi sul bordo del palcoscenico. Cominciò a guardare tali carte con un interesse frenetico e ansioso. I secondi erano scanditi dal ritmico ondeggiare delle sue gambe, che terminava con un piccoli rumori dovuti all’incontro dei tacchi di legno delle scarpe.
Le cineprese e il materiale di scena erano già pronti. Denys sognava questo momento da settimane, ormai: trascorreva ogni giorno con l’incontrollabile voglia di sfruttare ogni attimo libero per immaginarselo. Quando di sera si stendeva sul letto e si copriva con le coperte di cotone, chiudeva gli occhi e passava circa una mezzora a pensare a come sarebbe stato entrare nel teatro, con tutti gli occhi addosso, come un adone. Sarebbe sceso dalle scale e, seguito dalla luce di un faro di scena, per niente impacciato, si sarebbe diretto verso i camerini, lanciando un ultimo sorriso alla folla.
Da quando aveva ricevuto quella chiamata e aveva accettato di recitare quella farsa, Denys si era sentito sempre più sotto i riflettori mondiali. Già si figurava, qualche anno dopo, quando tutto fosse venuto a galla, con un paio di occhiali da sole scuri sulla copertina della più famosa rivista di gossip. Tutta questa situazione non faceva che incrementare la sua dose di autostima: Denys si guardava allo specchio pensando di essere il più bello. Si girava, si rigirava, e ogni posa lo valorizzava al massimo.
Una buona parte delle sue aspettative era svanita quando aveva fatto ingresso nel teatro. Un luogo chiuso, umido e puzzolente di stantio come pane vecchio. Era a forma di cerchio, si rese conto camminando, ed era molto alto. Le file di balconi erano nove, e il soffitto sembrava troppo lontano perché le parole pronunciate dal palco potessero essere udite dagli ultimi balconcini. Nonostante ciò, testò che l’acustica era buona. Il luogo, anche con tutte le luci accese, era troppo buio.
Dalle quinte si levarono delle voci. Marcia, accompagnata da Julia e la truccatrice, entrò in scena mille volte più bella di prima. I capelli neri e lisci le scendevano lungo le spalle fino a metà schiena, e i suoi grandi e vivaci occhi azzurri erano ben visibili anche dall’ultimo piano. I suoi denti erano talmente bianchi e belli che vederla sorridere provocava un senso di beatitudine che saliva dal cuore. Anche se le sue gambe, troppo corte e un po’ grasse in proporzione al suo corpo quasi per uno scherzo del destino, non la rendevano armonica, Marcia aveva un viso troppo bello per essere equilibrato.
Julia era l’opposto: capelli biondi corti, occhi marroni, pelle scura. Alta e magra. Adorava tatuaggi e piercing, e ne portava uno sul naso, mentre Marcia, con quel suo fare spaesato, dolce e disincantato, non portava altro che un paio di orecchini ai lobi. A differenza delle altre ragazze della sua età, non aveva piercing né tatuaggi.
«Mia madre mi ha raccontato degli spettacoli al teatro. Mi sono subito piaciuti. Dovevo provare. Dice che ho talento, ma non credo di averlo notato.»
«Tua madre dice il giusto. Mi sono appassionato al teatro quando ho studiato letteratura italiana.»
«Già.» Marcia si sedette a gambe incrociate sul palcoscenico. Si guardò intorno. «Luigi Pirandello, per esempio.»
«Uno dei migliori, non c’è dubbio. Qualcosa da bere?»
Marcia e gli altri rifiutarono. Quando il regista lo chiese a Denys, anche lui rifiutò, ma si alzò dalla sua poltrona in fondo al teatro ed educatamente si avvicinò ai colleghi sul palco. Conoscenti e non, li salutò tutti con una stretta di mano. Subito dopo, cominciarono a recitare.
Ma quella non era l’unica farsa che Denys stava recitando.

. . .


Uscito dal teatro, dopo una lunga e stancante giornata di prove, Denys era salito sul primo taxi in sosta accanto al marciapiede e aveva chiesto di accendere il riscaldamento. Il tassista, un uomo in carne sulla sessantina, palesemente infreddolito, aveva obbedito senza esitare un momento e poi aveva cominciato a sfrecciare per i borough della città.
Fuori dal finestrino, grandi fiocchi di neve cadevano e si posavano silenziosamente su qualsiasi superficie, imbiancando New York come lo zucchero al velo su una torta. Poggiando il palmo della mano sul vetro, piccoli refoli di fumo, frutto della condensa, si alzarono. Fuori, le luci scorrevano veloci.
Denys aprì l’iPad per leggere le ultime notizie. Con il tempo, aveva preso l’abitudine di controllare diverse testate di quotidiani per farsi un’idea tutta sua sull’attualità. Ogni giornale, infatti, mostrava di una notizia solo ciò che gli tornava utile.
Dall’edicola, cliccò sull’anteprima del The New York Times. Fece velocemente zapping tra le pagine, fermandosi a leggere le news più importanti.
«Oggi il giornale è pieno di roba. C’è stato un crollo a Wall Street, ieri notte. Dow Jones, mi pare. Quei parassiti dei notai erano così presi dal rialzo delle azioni di Apple dopo il lancio del nuovo telefono che nel frattempo, alle loro spalle, le altre società per azioni hanno avuto così tanta libertà che sono finite per crollare.» Il tassista alzò ancora un po’ il riscaldamento. «Cretini.»
«Lo so, l’ho appena letto» rispose il ragazzo «ci sono davvero tante notizie. In Europa, la moneta comunitaria ha acquistato ancora altro valore.»
«L’Europa è bella», affermò l’autista svoltando in una strada secondaria «o almeno, a me piace. Lì ci sono le più belle città del mondo, altro che America.»
«La Grande Mela è bella ed offre tante possibilità, ma niente che si possa paragonare a Parigi o Roma.»
«Esattamente,» riprese il tassista «anche se è il vecchio continente. Ma sai chi gliel’ha affibbiato quest’appellativo? Noi americani! Io penso sia perché un po’ siamo sempre stati invidiosi. L’Europa è la culla delle civiltà, ed è così bella. Anche se a dire il vero, non ci vivrei. Non fa per me quel dannato Euro di merda.»
Dopo poco, la nostra discussione sull’Europa si concluse, e Denys, sfogliando il giornale digitale, passò alla sezione gossip, sezione che lui non amava per niente, ma che in quella strana situazione nella quale era precipitato per colpa di un’altra persona era in dovere di consultare. Man mano che le pagine giravano, la sua ansia cresceva, e culminò quando notò che su oltre metà della pagina ventisei campeggiava un’immagine. O meglio, l’immagine. Ritraeva Neymar e una ragazza sconosciuta.
Chiuse l’iPad ed attese che il taxi parcheggiasse al numero 36 della settantaduesima strada ovest di New York. Lì, in un enorme palazzo, Denys aveva acquistato, con tutti i soldi guadagnati nell’ultimo mese, un appartamento con una veduta a trecentosessanta gradi sullo skyline di New York.
Poggiò la cartellina sul tavolo, poi si diresse in bagno, dove si spogliò, lavò i denti e indossò il pigiama. Arrivato in camera da letto, si stese e mise le mani dietro la testa, restando a guardare il panorama fatto di piccole luci ultra colorate che erano la sua città.
Prima di addormentarsi, pensò alla foto che aveva visto sul New York Times e a Neymar e alla ragazza. Poi, grato, pensò a tutto ciò che aveva potuto comprare nell’ultimo mese. Stava per cadere tra le braccia di Morfeo quando quel solito pugno di paura andò a posizionarsi nello stomaco e ad accelerare i suoi battiti.

Lui, quella ragazza, la conosceva.

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