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di Ginny Jane
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sul muretto ***
Capitolo 2: *** Enciclopedia del Mondo Nuovo: la fauna ***
Capitolo 3: *** Dei delitti e dei princìpi ***
Capitolo 4: *** Crepuscolo ***
Capitolo 5: *** I veri uomini ***
Capitolo 6: *** Silenzio! ***
Capitolo 7: *** Cavalli, galline, troni e verità ***



Capitolo 1
*** Sul muretto ***


ATTENZIONE: questo primo capitolo è già stato pubblicato,, come one shot, in separata sede

Sul muretto

Il conte osservò la villa sulla riva del mare, una dimora che aveva di certo visto periodi migliori, periodi di splendore. Dall'altura su cui lui si trovava appariva un'incrostazione bianca, allungata, e dalla forma irregolare a causa del crollo del tetto di un'intera ala, evidentemente ora dismessa, inserita nel paesaggio come qualcosa di organico, di naturale. Come una piuma sfuggita ad un gabbiano, rimasta intrappolata fra il verde dei cespugli, a pochi metri dall'acqua.
 

La Normandia. Nonostante avesse viaggiato molto durante la giovinezza, Fersen non vi si era mai recato. E ora quel paesaggio sereno e rigoglioso che trasmetteva tranquillità era un balsamo gradito ad un uomo che aveva visto troppi orrori: la guerra in America, la rivolta (o rivoluzione, come poi l'avevano chiamata) a Parigi. O meglio: la promessa di un balsamo, che solo la persona che vi abitava avrebbe potuto somministrargli.
 

Una volta che la famiglia reale aveva lasciato Versailles per Parigi, costretta dal popolo, aveva dovuto andarsene: la sua persona era parte integrante di tutti i vizi e le oscenità che si attribuivano alla regina. Avrebbe voluto restare con lei, ma avevano concordato che la sua presenza sarebbe servita solo a soffiare sul fuoco della rabbia popolare, a dare la definitiva conferma delle voci che giravano apertamente da anni. A metterla ulteriormente in pericolo.

Era tornato in Svezia, da li aveva assistito al massacro della maggior parte della classe aristocratica francese, da cui si era salvato praticamente solo chi era scappato per tempo: un orrore indescrivibile a cui il resto d'Europa aveva dovuto assistere impotente. La sua Antonietta.... Ma non voleva pensarci.

Le idee rivoluzionarie si erano estese, strisciando come serpenti per tutto il continente, indifferenti ai confini dei regni: come se questi fossero muretti di pietre, le idee democratiche e sovversive passavano fra le crepe. E sebbene le varie rivolte che erano scoppiate erano per lo più state sedate, nessun nobile europeo si sentiva più a suo agio, sicuro della sua posizione, nessun re tranquillo ora che per la seconda volta nella storia il principio di autorità era stato completamente ribaltato ed un re era stato sottoposto a processo e giustiziato. Persino nella sua Svezia sembravano iniziare i problemi, nessuno avrebbe saputo dire se erano destinati ad avere un seguito.....
 

Fersen era stanco. Stanco di essere se stesso, stanco di essere solo. Per questo aveva fatto carte false (letteralmente) per attraversare i confini della “repubblica” e giungere fino li, dove sperava di ritrovare uno sguardo amico, dopo tanto odio e tanto disprezzo. Oscar.

Quando aveva saputo che si era unita al popolo si era risentito, come tutti del resto. Ma era stato informato degli sforzi che aveva fatto per convincere i giurati a votare contro la condanna a morte del re, prima, e della regina, poi...e del modo in cui si era esposta per cercare di rintracciare i principi, una volta che erano stati fatti sparire nelle viscere di Parigi. Ma era stato inutile: nessuno di quelli che avevano tentato era riuscito ad avvicinarli, o quanto meno ad avere informazioni chiare...e figuriamoci a farseli affidare come aveva disperatamente cercato di fare lei.

Ora che il Terrore sembrava sul punto di soffocarsi da solo, ora che gli stessi “terroriste” venivano sottoposti ad esso, il conte Fersen aveva avuto il coraggio di cercare la sua vecchia amica, l'ultimo legame che gli era rimasto con la Francia che aveva amato. Con la donna che aveva amato.

 

Aveva saputo che si era ritirata a vita privata in un possedimento di famiglia in Normandia, che chissà come era riuscita a conservare. L'aveva rintracciata ed ora sedeva, da parecchi minuti, su un muretto di sassi e calce che segnalava il confine della grande proprietà, a pensare ad un modo per farle la proposta che aveva in mente senza rischiare di offenderla o di sembrare completamente cretino. Non aveva mai avuto difficoltà con le parole, né con le donne in generale. Ma era difficile trovare un modo per chiedere la mano di una donna che aveva rifiutato.

Doveva sposarsi al più presto: questioni di equilibrio politico interno avevano reso indispensabile la nascita di un erede.

Non aveva smesso di amare Antonietta, questo no. Anzi, sposare quella che era stata la sua unica vera amica gli sembrava un modo per rispettarne la memoria. Ma come poteva spiegarle che, essendosi confrontato davvero con l'orrore della vita durante quegli anni, era giunto alla conclusione che un matrimonio fondato sul rispetto e l'amicizia era quanto di meglio potesse chiedere? L'unica alternativa che gli sembrava percorribile? E così avrebbe rimediato in un colpo alla necessità di sposarsi e al senso di colpa che lo colpiva allo stomaco ogni volta che pensava a come l'aveva trattata. Avrebbe potuto farla felice...non escludeva la possibilità che l'amicizia che le portava, con il matrimonio e col tempo, avrebbe potuto trasformarsi in qualcosa di più.

Non era uno sciocco: si rendeva conto che i sentimenti di lei potevano essere cambiati. Quei sentimenti che lui aveva calpestato con una dose relativamente buona di noncuranza, forse erano morti quel giorno. Forse non avrebbe voluto nemmeno aprirgli la porta. Forse...

Ma l'aveva voluto, aveva potuto leggere il desiderio nei suoi occhi durante quel ballo. Ed erano stati amici, davvero, in senso profondo. Forse si sarebbe resa conto anche lei che non avrebbe guadagnato nulla a restare sola, soprattutto per orgoglio; ad invecchiare sola, che la solitudine uccide....
 

Perso com'era nei suoi pensieri, il conte Hans Axel von Fersen non si accorse subito del bambino che gli si stava avvicinando, correndo da un cespuglio all'altro per restare nascosto e fargli un agguato (o almeno questa era la sua intenzione). Ma anni di servizio militare non erano passati in vano: notando un movimento il conte si alzò di scatto, per poi rivolgere al moccioso niente più che uno sguardo infastidito e voltarsi a riprendere le redini del cavallo, deciso a porre fine alla meditazione ed incamminarsi verso la villa.

-Chi siete?! Dove credete di andare?!- risuonò una vocina acuta, piuttosto buffa nel cercare di adottare un tono minaccioso.

-Chi sono e dove vado non ti deve interessare. Vedi di andartene: non ho pazienza, oggi, per i bambini-

Per nulla intimorito dal tono scorbutico, il ragazzino gli sbarrò il passo, e in quel momento Fersen si accorse che brandiva uno spadino di legno.

-Invece sì! Io abito qui, voi no: questo è il prato della mia casa, dovete chiederlo a me, o al mio papà, se ci potete camminare!- e, per darsi un tono con un frase “da grande”, aggiunse - Questa è proprietà pirvata! No....privata!-

Ora, che la rivoluzione avesse diffuso concetti giuridici di vario genere, a proposito e a sproposito, fra il popolo, era certo. Ma dal modo in cui aveva parlato, il moccioso sembrava vagamente istruito, ed era sorprendente sentire parlare così un popolano così....piccolo. Perché era piccolo: non gli avrebbe dato più di cinque anni.

-Abiti qui, eh? E chi saresti?- Vestiti semplici e di buona fattura, ma sporchi di terra e strappati. Capelli corvini, occhietti verdi dallo sguardo pestifero, specialmente ora che si preparava a dare battaglia. L'aria di essere un bambino sano e nutrito adeguatamente. Gli ricordava qualcuno....ma non avrebbe saputo dire chi....

-Io non ti dico come mi chiamo, perchè tu non mi avete detto come vi chiamate. E se non me lo dite vi sfido a duello!-

L'uomo non poté trattenere un breve riso, poi con un tono di voce ingentilito dalla simpatia che, in fondo, quel mocciosetto gli aveva suscitato col suo bel discorso disse: -Ebbene, non sarebbe regolare sfidarmi a duello prima di conoscere il nome. Ma posso dirtelo: io sono il conte Hans Axel von Fersen. Sono amico della padrona di questa villa e sono venuto a farle visita. Quindi cerca di non mancarmi più di rispetto. Ora dimmi, se abiti qui devi essere figlio di qualcuno della servitù. Ti dispiacerebbe dirmi chi è tuo padre? E già che ci sei, come ti chimi?-

La risposta che aspettava tardò ad arrivare: il bambino aveva aperto la bocca alla parola “conte” e non l'aveva più richiusa. Se Fersen si aspettava che il motivo di quegli occhi verdi sgranati fosse un timore reverenziale suscitato dalla sua presentazione fu presto smentito: dopo qualche attimo il piccolo scoppiò in una risata cristallina: -Ha ha! Conte? Che buffo! Ma non lo sapete che i titoli noboliari non ci sono più?-

Il conte rimase spaesato: – In Svezia sì! Grazie a Dio il mio titolo è ancora valido nel mio paese...- ma intanto pensava: “Ecco, l'ho fatta grossa! E' sicuramente figlio di giacobini: ora correrà al paese a dare l'allarme, che un reazionario si aggira da queste parti”. Prima che avesse deciso se smentire l'affermazione precedente o tuffarsi ad acchiappare il marmocchio questi continuò, con orgoglio maggiore di quello che aveva espresso il conte: – Ah! Comunque io mi chiamo Pierre, e il mio papà è il cittadino André Grandier, e se siete in visita....credo che vi do il permesso di passare, però vi accompagno io, così vi controllo: perché il mio papà non c'è, e io devo proteggere la casa e la mamma....e i cavalli...e il fienile...- si perse nell'enumerazione dei suoi presunti compiti, che evidentemente era convinto facesse tanto più effetto quanto più era lunga. Intanto Fersen si era illuminato: André, ma certo! Avrebbe dovuto capirlo: quel bambino era la sua miniatura. Non sapeva che si fosse sposato, o che comunque avesse avuto un figlio..ma d'altra parte, perché avrebbe dovuto saperlo? Aveva trovato con fatica informazioni su madamigella Oscar, non gli era certo venuto in mente di chiederne sul su servo. Gli faceva piacere, però. E così si spiegava finalmente la presenza del marmocchio: Oscar era sempre stata molto buona con il suo attendente, evidentemente lo aveva mantenuto al suo servizio pur spostandosi in Normandia e gli aveva concesso di allevare il figlio nella sua casa. “Probabilmente la madre è una cameriera, sarà anche lei al servizio qui?” si chiese con scarso interesse.

-Conosco bene tuo padre! Sarò contento di vederlo. Ma credo che tu sia davvero troppo borioso per quanto s'addice ad un servetto, ne parlerò con lui e con la tua padrona.-

Un dubbio.

L'ombra di un dubbio, suscitata dallo sguardo un po' perplesso del bambino. Un'ombra troppo fugace per afferrarla, per individuare la domanda che gli era passata come un lampo davanti agli occhi della mente.... Ci rinunciò: -Adesso andiamo, se vuoi venire con me, perché mi hai fatto già perdere troppo tempo-

E così dicendo si incamminò verso la casa bianca con il bambino che gli trotterellava a fianco, grattandosi la testa leggermente confuso: chi era adesso questa padrona? a cui quello doveva dire che cosa?

Era contento però: quell'uomo gli aveva chiesto di suo padre e lo avrebbe salutato. Le poche persone eleganti che aveva incontrato chiedevano sempre della mamma, parlavano solo con lei come se il papà non esistesse, a volte non lo salutavano neanche. E di sicuro non salutavano lui, Pierre. Primo fra tutti il nonno, che a quanto ricordava aveva visto una volta sola...

In fondo, non gli dispiaceva quel tipo che aveva trovato sul muretto.

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Capitolo 2
*** Enciclopedia del Mondo Nuovo: la fauna ***


Premessa

Ringrazio di cuore tutti coloro che hanno recensito la mia storia incoraggiandomi a continuarla.

Questo capitolo ha preso, me ne rendo conto, una piega più comica che ironica, e risulta meno profondo del precedente. Forse, il ritmo narrativo è un po' lento. Vi prego di considerarlo un capitolo di raccordo.

Sono altresì consapevole che le riflessioni che ho attribuito a Fersen, probabilmente, porteranno ad incrementare esponenzialmente l'antipatia generale di cui già gode. Il mio obbiettivo non è quello di calcare la mano sulla sua presunta lentezza di comprendonio, ma di mostrare quanto un'unione legittima fra due persone di diverso ceto sia, per la sua mentalità, inconcepibile.

Buona lettura

Ginny Jane

 

Enciclopedia del Mondo Nuovo:

La fauna della Normandia

 

Giungendo nelle vicinanze della villa, Fersen si sentiva ad ogni passo meno sicuro della sua impresa: rallentava impercettibilmente; le spalle e la schiena, generalmente dritte in un una postura marziale, si incurvavano via via verso il basso, i pensieri facevano fatica a prendere forma. Solo il cuore si dimostrava anarchico rispetto al processo di pietrificazione che sembrava colpire lentissimamente e inesorabilmente ogni altro organo del suo proprietario, e accelerava. Erano passati all'incirca sei anni dall'ultima volta che aveva visto madamigella Oscar. Le beau Fersen si trovava, forse per la prima volta, nell'impossibilità di stabilire come una donna avrebbe reagito alla sua presenza. Quando era tornato dall'America lo aveva accolto entusiasticamente, ma nel frattempo era sicuramente cambiata, come testimoniava la sua adesione alla causa dei sovversivi. E nel frattempo la loro amicizia....forse non ne restava davvero più nulla, dopotutto. Eppure, l'ultima volta che si erano incontrati le aveva salvato la vita...questo fatto avrebbe pure pesato sulla bilancia, no?

 

Improvvisamente, qualcosa attirò la sua attenzione e lo fece fermare. Qualcosa tale da assorbirlo totalmente, tanto che non si rese nemmeno conto che il bambino che lo seguiva, di cui si era, negli ultimi minuti, completamente dimenticato, gli era andato a sbattere contro a causa del brusco arresto e ora sedeva per terra nel punto in cui era atterrato, a massaggiarsi il nasino guardandolo con un misto di indignazione e curiosità.

Fersen si riprese rapidamente, ritrovando la sua andatura baldanzosa.

Aveva visto Oscar uscire da una porta secondaria e camminare attorno al cortile, sotto alle strutture lignee costruite per proteggere le carrozze e gli attrezzi agricoli, come alla ricerca di qualcosa nascosta nella paglia o dietro le casse sovrapposte.

Non gli venne alcun dubbio che fosse lei: come avrebbe potuto non riconoscerla, anche se relativamente da lontano? I capelli di quel biondo particolare, dorato, anche se più lunghi di come li ricordava, erano inconfondibili. Così come l'andatura, marziale e rigida, ma con un'eleganza intrinseca a cui nessun altro soldato avrebbe mai potuto aspirare.

Non sembrava cambiata; man mano che si avvicinava, Fersen poteva distinguere altri dettagli familiari: gli abiti maschili dal taglio severo, quasi borghese, che era solita indossare a casa; un modo caratteristico di spostarsi i capelli dalla spalla destra, gesto che aveva da tempo imparato ad attribuire alla stizza...e infine la voce: stava parlando, forse chiamando qualcuno. Le parole non gli arrivavano ancora chiare, ma il timbro, profondo e gradevole, sì.

No, non era cambiata affatto: era il suo “amico” di sempre, solo un po' abbronzato. Una costatazione forse un po' avventata, ma sicuramente rincuorante, che lo spinse ad accelerare il passo, sinceramente emozionato nel rivederla sana e salva dopo tanto tempo, tanta paura, tanto sangue.

 

-Pierre? Pierre?! Ma si può sapere dove ti sei cacciato?! Rispondimi!- La voce era alterata e

non appena il significato delle parole giunse alla distanza a cui si trovavano, Fersen si vide superare dal marmocchio, in corsa a rotta di collo lungo il lieve pendio.

-Sono qui mamma! Non arrabbiarti, sono qui!-

 

Mamma? Mamma?! MAMMA?!!!

 

Il processo di pietrificazione, che sembrava essersi arrestato e svanito, giunse improvvisamente al suo apice, inchiodando l'uomo nel punto in cui si trovava, con un braccio alzato a reggere le redini del cavallo, che nel frattempo gli erano scivolate dalla mano, e un piede sospeso a metà di un passo.

Quando, nel 1768, l'esploratore britannico James Cook aveva compiuto la prima visita approfondita dell'arcipelago della Nuova Zelanda, doveva essersi imbattuto in una piccola iguana, chiamata dai nativi Tuātara, che ha fatto dell'immobilizzarsi completamente, in qualunque posizione si trovi, una strategia di sopravvivenza. Fersen, avendo assunto una sfumatura verdina, sembrava deciso a diventare membro onorario di questa specie.

 

-Mamma, guarda che cosa ho trovato - esclamò il bambino indicandolo eccitato -Un cittadino conte della Spezia! Era sul muretto dal bosco!”

-Ma che dic....- Le parole le morirono in gola quando, alzando lo sguardo, incrociò finalmente un ben noto paio di occhi blu, sbarrati. Occhi che appartenevano, indubbiamente, a un certo conte di Spezia.

Sgomenta, ebbe solo la forza di sussurrare, dopo qualche istante:-Svezia, tesoro. Svezia....-

 

Rimasero così per diversi minuti , Oscar ancora semi-inginocchiata accanto a Pierre, a fissarsi attraverso il cortile, ciascuno immerso nello scroscio di pensieri che l'incontro aveva generato.

Fu lei a muovere i primi passi, indirizzando al suo ospite inaspettato un ampio sorriso.

-Fersen! Che piacere...da quanto tempo! Che cosa vi porta qui?-

La risposta al suo saluto cortese non fu certo quella che ci si sarebbe aspettata da un elegante uomo di mondo:-A...Av...Avete un figlio?!-. Oscar si fermò, spostando lo sguardo dall'uomo al bambino (il quale intanto aveva trovato una nuova fonte di interesse nel cagnolino che inseguiva una gallina, sfuggita al pollaio), e viceversa.

-Ehm....sì. Sì, io...ho un figlio.-

-Ma come...ma mi ha detto...suo padre!..non...-

 

-Fersen...- La donna sembrava vagamente imbarazzata. Si rendeva gradualmente conto di quanti avvenimenti il conte si era perso. Quanti cambiamenti cruciali della sua vita aveva da raccontargli! E quanto gli sarebbero sembrati sconcertanti....

Gli sorrise:- Amico mio, sono successe parecchie cose da quando ci siamo visti l'ultima volta. Ne ho molte da raccontarvi, e sono sicura che voi ne avete altrettante. Immagino abbiate fatto un lungo viaggio. Vi prego, non volete accomodarvi in casa?-

Ancora qualche battito di ciglia, poi l'uomo ritrovò qualcosa della sua originale compostezza: -Ma certo! Perdonatemi Oscar, perdonatemi. Sono terribilmente contento di rivedervi! Sì, io...sono venuto a trovarvi. Spero di non arrecarvi disturbo....-

-Niente affatto! Bene, allora- e il “generale di brigata”, ritrovando il suo proverbiale spirito pratico e autoritario, fece arrivare un ragazzo perché si prendesse cura del cavallo e del bagaglio di Sua Signoria, la quale venne amabilmente fatta entrare nel salotto.

 

La stanza in cui si ritrovarono a sedere era uno strano miscuglio di passata raffinatezza e praticità agreste. La carta da parati cineseggiante, le poltrone e il divano damascati e qualche altro mobile erano parzialmente danneggiati: le decorazioni, probabilmente in avorio, erano state rotte e rubate; alcune parti delle intelaiature lignee erano state grattate per poter ricavare la foglia d'oro che le rivestiva. Le suppellettili, quali porcellane, specchi, orologi e statue, spiccavano per la loro assenza. In tutta evidenza, la villa aristocratica non era stata risparmiata dai pesanti saccheggi avvenuti in tutta la Francia all'indomani della Rivoluzione. Un robusto tavolo di legno, ingombro di carte e giornali, attorno al quale erano raccolte tre rozze sedie, tutte diverse, completava il mobilio, mentre la decorazione era affidata a mazzetti di fiori di campo profumati infilati in bicchieri, bottiglie e semplici vasi. Un gatto dormiva, per qualche sua personalissima quanto misteriosa scelta, acciambellato nel camino spento.

Nonostante la sua povertà e incoerenza, l'ambiente non ispirò sentimenti di pietà nel conte: era pulito, a suo modo curato, trasmetteva un'impressione di informalità e...leggerezza d'animo.

 

-Posso offrirvi qualcosa da mangiare? E magari un bicchiere di buon vino?-

Il senso di confusione e malessere, che aveva momentaneamente allentato la sua morsa, tornò a tormentare il conte non appena il marmocchio, con qualche piuma di gallina fra i riccioli, fece il suo ingresso passando dalla finestra, e interrompendo la sua risposta.

Il rimbrotto severo della madre non si fece attendere: -Dannazione, Pierre! Ma ti sembra il modo di comportarti?! Davanti a un ospite! Non ti abbiamo impartito nessuna educazione, forse?- poi, notando il pallore di Fersen aggiunse, suo malgrado sogghignando:-Forse gradireste qualcosa di più forte del vino?-

Ma Sua Signoria non sembrava nelle condizioni di cogliere la leggera ironia della frase, e rispose con gratitudine che qualcosa di un po' forte era esattamente ciò di cui necessitava.

Fu così che, dopo aver spedito Pierre in camera sua perché si ripulisse (-non capisco proprio come tu faccia ad avere la terra anche dentro le orecchie!-), Oscar salpò verso le cantine promettendo un liquore di cassis e lasciando così modo al conte di riflettere in solitudine su quanto stava avvenendo.

 

Il marmocchio era figlio di André.

Oscar aveva un figlio ed era il suddetto marmocchio.

Una volta accettata questa verità, era necessario metterla in prospettiva.

 

Non si sarebbe mai e poi mai aspettato di trovare la sua algida amica in una situazione del genere. Un figlio...di André poi! Ma che cosa le era passato per la mente?!

Le vite di tutti, in quegli anni, erano state stravolte: forse Oscar si era resa conto, parecchio prima che arrivasse lui a farglielo notare, di aver condotto una vita troppo solitaria, di non aver mai voluto mettere a frutto la sua femminilità... André era per lei un caro amico; un'amicizia, per quanto poco rispettabile che fosse, di cui non avevano mai fatto mistero. E dotato di un aspetto piacente, stando agli apprezzamenti che aveva spesso sentito proferire da una dama o l'altra, fra una corridoio e l'altro di Versailles. Era sempre un passo dietro di lei, a proteggerla, a prendersene cura.... In un'ottica un po' cinica, era...a portata di mano.

Per un attimo, Fersen ebbe il fastidioso pensiero che quella stessa femminilità a lui era stata offerta eccome, e per primo. Non l'aveva accolta. Lo avesse fatto nulla di tutto ciò sarebbe successo....Si disse che né la Storia, né la vita, si facevano con i “ma” e con i “se”. C'era solo da ringraziare ogni santo del cielo (ops, pardon! L'Essere Supremo, secondo una delle più belle pensate di quel criminale, Robespierre, che finalmente avevano giustiziato) che Oscar non gli avesse sbattuto la porta in faccia per questo. Non sembrava affatto arrabbiata...ma non le aveva ancora comunicato la ragione del suo viaggio...

 

Volendo essere obbiettivo la situazione, sebbene delicata, non era poi drammatica. Non era certo la prima nobildonna a mettere al mondo il bastardo di un inserviente. Era un genere di incidenti che, da che mondo è mondo, capitava...(non a lui! Non che sapesse, almeno...). Spesso, queste gravidanze venivano interrotte sul nascere, bevendo intrugli a base di prezzemolo* e altre erbe, ad esempio: una pratica diffusa che, a dirla tutta, lo aveva sempre messo a disagio. Non si stupiva che Oscar non avesse optato per una soluzione simile.

 

“Dev'essere lontana la cantina...”

 

La sua proposta? Sarebbe stato necessario pensarci con prudenza.... ma non c'erano gli estremi per accantonarla direttamente.

Era sconcertante il modo in cui Oscar aveva deciso di tenersi in casa sia il bambino sia, a quanto aveva intuito dai discorsi di questo, suo padre. E soprattutto, il modo in cui si prendeva cura del moccioso....si lasciava chiamare pubblicamente “mamma”! (Che cosa da popolani! Avrebbe almeno dovuto pretendere di essere chiamata “madre”....) Anche questo era in linea con il suo carattere, un'evidente prova del suo buon cuore. Se avesse accettato di sposarlo avrebbero dovuto parlarne....ma se gli era affezionata non aveva alcuna intenzione di toglierglielo: aveva visto Antonietta soffrire troppo per non poter allevare i suoi figli come averebbe voluto, a causa dell'etichetta e degli impegni di corte, per non sapere quanto profondo è l'attaccamento di alcune madri. La sua non era stata ascrivibile a questa categoria.... ma dopo aver asciugato le lacrime della sua amante per un figlio morto, non avrebbe rischiato di farne versare nemmeno una alla sua amica per un figlio che, a Dio piacendo, avrebbe vissuto. Al contrario, era venuto intenzionato a renderla felice. Gli venne la magnifica idea che avrebbe anche potuto offrirsi di adottarlo dopo il matrimonio. Non era in grado di proporle un matrimonio d'amore, quindi, d'altro canto, poteva anche tollerare di accogliere in casa sua il figlio di un altro. Avrebbe dovuto parlare con un notaio per informarsi su come adottarlo senza includerlo nella linea ereditaria, ma era sicurissimo che si potesse fare.

 

“Eppure, non torna...ma quanto sarà lontana questa cantina?”

 

No, la situazione non era affatto disperata. Pensandoci bene, che Oscar avesse accettato pienamente la sua femminilità lo liberava dal timore che potesse ridergli in faccia sentendo una proposta di matrimonio, cosa che aveva fatto, gli avevano raccontato, quando si era presenta ad un ballo in suo onore indossando l'uniforme.

 

“Ma perché non ci ha mandato quel suo attendente a prendere da bere... o non è ufficialmente più questa la sua utilità in questa casa?” si ritrovò a pensare acidamente, vergognandosene però subito dopo. E rendendosi conto che rimaneva ancora un punto particolarmente incerto su cui riflettere: se e in che grado Oscar avrebbe accettato di separarsi dal suo attendente.

Arrovellarsi ancora su queste questioni, prima di averle parlato, era totalmente inutile.

 

Aveva appena raggiunto questa conclusione, quando la porta si aprì...ma non la attraversò nessuno.

Almeno, non per quanto lui potesse vedere dalla posizione in cui si trovava. Dovette alzarsi per realizzare che, nascosto ai suoi occhi dal divano, un secondo bambino, biondo questa volta, era entrato caracollando nella stanza.

Questo esemplare umano dimostrava due o tre anni, non avrebbe saputo dirlo con certezza, non essendo affatto un esperto di bambini. Il piccolo, la cui testa ciondolante sembrava, al conte, vagamente sproporzionata, puntò immediatamente verso al camino. Ivi giunto, si inginocchiò per abbracciare il gatto, che, non esattamente entusiasta di questa dimostrazione di affetto, si ingegnò per riempire entrambi di cenere, riservandone una giusta dose per il pavimento circostante.

Solo dopo essere riuscito, con immane fatica, ad estrarre il felino dal focolare e a portarlo, in parte in braccio in parte trascinandolo, al centro della stanza, il moccioso-numero-due sembrò prendere atto della presenza di un estraneo, e prese a fissarlo con aria grave.

Rimasero a scrutarsi in silenzio, evidentemente tanto sorpresi l'uno dell'esistenza dell'altro da non badare ai miagolii della povera bestia, ancora intrappolata fra le braccia del bimbo.

Infine questi, forse avendo individuato, in base alla sua attenta osservazione, un potenziale nuovo amico, si esibì in un grande sorriso.

 

Fersen si ritrovò a pregare con tutto se stesso che Oscar ricomparisse, con una buona dose di risposte...e di alcolici.
 

*Il prezzemolo, in grandi quantità, è tossico e può provocare l'aborto.

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Capitolo 3
*** Dei delitti e dei princìpi ***


Premessa

L'essere ripetitivi è sicuramente uno dei peggiori peccati che uno scrittore possa commettere. Eppure, non posso fare altro che ringraziarvi ancora e ancora per il vostro sostegno: grazie a voi che avete letto, in particolar modo a quelli(e) di voi che hanno recensito a cui posso così dare un nome (va beh, un nickname). Questo capitolo riprende il tono più serio che caratterizzava la parte iniziale del primo: è mio obbiettivo mantenere questa alternanza per tutto il racconto; sarò comunque molto curiosa di sapere quale dei due registri preferite e e se l'esperimento vi sembra sensato.

Buna lettura e a presto (spero, a meno che non fuggiate)

Ginny Jane

 

 

Dei delitti e dei princìpi

 

Lasciatemi dire, a rischio di sembrare ridicolo, che il vero rivoluzionario è guidato da grandi sentimenti d'amore.

Ernesto Che Guevara

 

-Horace, che cosa stai facendo al gatto?- Oscar guardava il bambino, sorridendo, con una dolcezza che Fersen le aveva visto sul volto solo nelle occasioni in cui si era occupata del fragile, sfortunato, Louis Joseph. Quanto al piccolo, aveva assunto un' espressione vagamente colpevole.

Era ritornata con un paio di bottiglie, due bicchieri e un piatto di dolci, che depose sul basso tavolino con l'insicurezza un po' traballante di chi non è mai stato abituato a servire a tavola.

Poi si inginocchiò per liberare l'animale, ormai esasperato, dall' “abbraccio” del piccolo tiranno, e accarezzare questo sui capelli, spolverando via un po' della cenere che li incipriava:-Hai visto? E' venuto a trovarci un amico. Si chiama Hans, non lo vuoi salutare?- Il bambino non espresse alcun tipo di risposta, limitandosi a guardarla, e lei, con un sospiro, lo indirizzò verso la camera di Pierre, perché giocasse con lui.

-Perdonatemi, Fersen, se ci ho messo un po'. Sono stata trattenuta...un puledro sta male e non so cosa farci...- borbottò con la fronte aggrottata, versando ad entrambi una generosa dose di liquore -c'è un farmacista veterinario nella zona, ma si fa pagare profumatamente le sue erbe...- Si interruppe, in parte per il pudore che le impediva di parlargli, così francamente, della sua situazione economica; in parte perché non era sicura che la stesse ascoltando. -Hem...allora conte...la vostra visita è tanto gradita quanto inaspettata. C'è una ragione specifica per cui siete venuto?-

-Sì..no..Sì, in effetti...ma è una cosa di cui vorrei parlare con calma e se non vi dispiace... prima...forse potreste dirmi...- continuava a spostare lo sguardo, vacuo, da lei alla porta da cui era uscito il bambino.

Le venne da ridere, intuendo quale dubbio assillasse, adesso, il povero conte:- No, Fersen, no...Horace-Bernard non è figlio mio, non troverete alcuna somiglianza- chiarì sorridendo, per poi aggiungere, più seria: -anche se è come se lo fosse.- Bevvero entrambi un sorso, sedendosi. Oscar fissò lo sguardo sul nobiluomo, che era arrossito, forse nel constatare con quanta facilità i suoi pensieri erano stati indovinati; forse perché, ancora una volta, non riusciva a capire come stessero le cose.

Era giunto il momento delle spiegazioni, considerò la donna: non poteva lasciaro ancora a lungo nello stato di confusione in cui, evidentemente, si trovava. E se proprio doveva raccontare ogni cosa con calma, tanto valeva, a questo punto, iniziare da Horace.

-Ricordate una giovane di nome Rosalie Lamorlière?-

Con l'aria sollevata di chi intuisce, finalmente, l'inizio di un discorso coerente, Fersen rispose:- Mi sembra di sì...sì, la ricordo...non è forse una vostra lontana parente?-

-Bah! Oggettivamente, non era mia parente più di quanto non lo siate voi; tuttavia, le ero affezionata come ad una sorella. Sicuramente non sapete che aveva sposato un avvocato e gazzettista abbastanza noto, Bernard Chatelet....- Lo sguardo di Oscar si perse oltre le spalle del suo interlocutore, oltre alla finestra...oltre al presente, per alcuni istanti. La voce improvvisamente soffocata, Fersen si chiese se si stesse ancora rivolgendo a lui: -non hanno voluto partire con noi...non hanno...non abbiamo insistito abbastanza...-

Poi il racconto prese a scorrere, sebbene incerto: come se faticasse ad articolare le parole necessarie a trattare l'argomento:

-Bernard era un brav'uomo, nonostante...no, questo non importa*. Era un brav'uomo e basta. Molto intelligente ed abile oratore, saldo nei suoi princìpi, che sono diventati anche i miei. Ma la prudenza non era certo una delle sue virtù: si era scagliato subito contro Brissot. Si è opposto in tutti i modi al suffragio censitario... Poi, due anni fa, aveva fondato “Le Vieux Cordelier”, attraverso il quale criticava aspramente gli arrabbiati e gli heberisti. Prendendo coscienza delle posizioni sempre più estremiste della Montagna, con la quale sedeva nella Convenzione Nazionale, se ne era progressivamente allontanato... e di conseguenza, considerandolo un dantonista, Robespierre, che pure era stato suo compagno di studi e padrino di suo figlio, lo ha fatto arrestare e processare. E' stato ghigliottinato l'aprile scorso...e sua moglie, una settimana dopo.

Gli avevamo consigliato di raggiungerci...di allontanarsi, almeno temporaneamente, da Parigi...non per codardia, ma per buon senso: Bernard non voleva lasciare a nessun costo l'impegno politico, lo capisco, ma almeno Rosalie, con il bambino...non c'era bisogno...-

Lo sguardo di Oscar, velato di lacrime, sembrò rimettere a fuoco l'amico. -E quindi, vedete, il piccolo Horace vive con noi.- concluse con tono pratico**. Poi, osservando la cenere sparsa dal bambino, sospirò:-sono preoccupata per lui...sembra sereno, ma da quando è arrivato, più di un anno fa, non parla, non ha quasi emesso suono. Non so come prenderlo. Immagino che gli manchi la madre...eppure, non piange.- Un lieve sorriso le incurvò le labbra:- E' curioso: suo padre non faceva altro che parlare, aveva una smodata passione per i comizi dannatamente lunghi. E Rosalie...ha sempre fatto del pianto un passatempo-.

Nonostante il tentativo di ironizzare sul carattere dei suoi amici, Fersen vedeva bene che il sorriso non era giunto sino agli occhi.

 

 

L'uomo era rimasto in silenzio, ad ascoltare della morte di persone che non conosceva e per le quali, a causa del ruolo che, a quanto aveva capito, avevano rivestito durante la Rivoluzione, non riusciva a provare molta pietà. Era dispiaciuto, comunque, di vedere Oscar tanto addolorata.

Gli sovvenne che lei stessa aveva perso molti dei membri della sua famiglia allargata: una sorella e suo marito ghigliottinati, insieme al loro figlio maggiore. Così come altri due cognati. Un cugino, linciato dai suoi contadini.

Dopo aver bevuto fino all'ultima goccia il liquido rimastogli nel bicchiere, si decise a porgerle le condoglianze.

-Vi ringrazio- lo interruppe Oscar, non appena ebbe capito dove andava a parare il discorso.

Si guardarono, consapevoli entrambi, sebbene non l'avessero pronunciato, della presenza nell'aria tesa di un altro nome...di un'altra vittima della ghigliottina. E di un'accusa.

Per interrompere il contatto visivo, Oscar riempì di nuovo i bicchieri.

-Mi dispiace- sussurrò infine. -Ho cercato i suoi figli...-

-Lo so-

-Io....io ho aderito alla Rivoluzione...posso capire che mi consideriate responsabile, complice, di tutto questo...-

Nella pausa che seguì, l'uomo si chiese se forse avesse dovuto negare, assolverla da quella responsabilità che aveva condiviso. Si disse che l'aveva perdonata del tutto, che non era certamente né l'unica, né la maggiore colpevole...

Si disse che sapeva bene che quella donna, che ora stava a capo chino di fronte a lui, se avesse saputo quale sarebbe stato il seguito non avrebbe compiuto quel folle gesto di guidare i suoi uomini contro la Bastiglia, contro l'ordine...contro la giustizia...

Avrebbe voluto dirglielo...non riuscì a farlo.

E forse fu meglio: alzando gli occhi improvvisamente, come se avesse sentito l'eco dei suoi pensieri, Oscar dichiarò quasi aggressiva:-Lo rifarei! Mi dispiace Fersen, so che non riuscite a comprendere, e per me è difficile spiegarvelo. Ma non rinnegherò i principi in cui ho creduto e credo, sebbene siano stati traditi. E i principi, qualunque sia stato il seguito, sono stati affermati. La libertà...nessun uomo è libero, ma ora ogni uomo ha legalmente il diritto di esserlo. L'uguaglianza....è chiaro che l'uguaglianza, di fatto, non esiste. Forse non esisterà mai l'uguaglianza sostanziale, ma è stata stabilita quella di fronte alla legge.- Poi, adottando un dono più dolce, come di chi si è reso conto di aver sgridato troppo duramente un bambino:-la fraternità, ne converrete con me, non è un principio nuovo. La afferma la Religione cristiana, su cui il diritto monarchico, in cui credete, si fonda: non siamo tutti figli di Dio? E la libertà l'avete respirata voi stesso, non è vero?, sui campi di battaglia americani. Libertà per cui morivano degli uomini...per cui sono morti donne e bambini...l'avete accolta, Fersen, solo perché si trattava della libertà dai loro governanti?-

Fersen, ancora, si ritrovò a tacere. Non riusciva a coniugare le parole che sentiva con la realtà dei fatti.

-Amico mio...io ho insegnato a mio figlio a credere in questi ideali, e continuerò a farlo. La mia sola speranza è che, una volta affermati, questi principi non possano più essere cancellati e che le generazioni future siano in grado di vivere le verità che noi abbiamo dichiarato.

Noi abbiamo fallito...su questo non ho più alcun dubbio... Abbiamo fallito quando gli uomini nelle cui mani avevamo affidato le nostre vite hanno scoperto una sete più forte di quella di giustizia: la sete di potere. E quando i parigini, non vedendo cambiamenti immediati e sostanziali nella miseria delle loro vite, hanno rivolto contro di noi le armi, pretendendo l'ingiustizia. E' stato allora che lo Spirito di uguaglianza che avevamo evocato si è rivelato essere, piuttosto, un Demone di morte..di paura..di persecuzione...che passava di casa in casa uccidendo i figli della Francia, senza che ci fosse sangue sulle architravi che lo fermasse***-

 

No, Fersen non riusciva a capire, non riusciva ad accettare, non condivideva quei principi. Ma la profondità e la franchezza con cui Oscar gli aveva parlato lo commossero. Non era d'accordo con lei, ma dopotutto era un uomo intelligente ed erudito, e la divergenza di opinione non gli impedì di rinnovare la stima che le portava.

Bevvero ancora.

Si era aspettato di trovarla pentita...ma nonostante questo, o forse proprio per la sua coerenza, la ammirò, e desiderò poter passare ancora molto tempo con lei, ad ascoltarla. Forse, tutta la vita...

 

L'atmosfera si era fatta troppo triste, troppo pesante, troppo drammatica.

Il sole era ormai prossimo al tramonto, l'aria che entrava dalla finestra era diventata piuttosto fredda, in contrasto con la luce calda che allungava, sul pavimento, le ombre dei mobili, e degli alberi all'esterno, fino a farle sembrare crepe, crepe di un mondo prossimo a sgretolarsi in una voragine che li avrebbe inghiottiti.

Si rese conto, con un sussulto, che i due cuccioli umani erano tornati. Erano sgattaiolati su una poltrona in un angolo della stanza, chissà a che punto della loro conversazione, ed ora stavano rannicchiati sullo stesso cuscino, abbracciati, con l'aria assorta dei bambini che non riescono a seguire i discorsi degli adulti, ma amano stare ad osservarli, a sentire il suono delle loro voci, che li fa sentire protetti.

Seguendo il suo sguardo, anche Oscar si avvide della loro presenza, e le si dipinse un'espressione di disappunto sul volto: evidentemente, anche a lei quei discorsi così negativi non sembravano adatti a dei fanciulli.

 

Volendo cambiare argomento, trovandone, possibilmente, uno più allegro, e non reperendo il coraggio di introdurre quello che più gli stava a cuore, Sua Signoria il conte di Fersen ebbe l'infelice idea di chiedere, in tono lieve:-Vostro padre come sta? E vostra madre? Se non erro si trovano in Italia...a Mantova forse?-

Fu Oscar, che era ancora concentrata sui bambini, a sussultare.- Cos..?! Sì...bene- Ma, dalla sua faccia, “bene” non sembrava una risposta adatta. Dopo un abbondante sorso di liquore, una risposta decisamente stizzita sembrò sfuggirle dalle labbra:-In realtà non lo so, Fersen, non ci parlo molto...forse dovreste chiedere a mio marito: avendo ripreso da poco i contatti con sua nonna, ora che è malata e si è decisa a scrivergli, è lui il più informato sui miei genitori, e sui loro spostamenti. Ormai, dovrebbe essere di ritorno fra poco.-

 

Vedendo che al cittadino conte era andata di traverso la bibita, Pierre accorse eccitato a battergli con tutta la sua forza, e poca precisione, sulla schiena, entusiasta dell'opportunità di dimostrarsi utile e valido agli occhi dell'ospite e, soprattutto, della mamma.

 

 

*Oscar si riferisce alla parentesi da Cavaliere Nero

**Forse (o forse no) non tutti sanno  che: il personaggio di Bernard Chatelet è ispirato alla figura storica dell'avvocato, giornalista e politico Camille Desmoulins (di cui riprendo qui gli ultimi anni di carriera). Venne giustiziato il 5 aprile 1794, seguito, il 13, dalla moglie Lucille. La loro storia d'amore è stata ricostruita attraverso l'abbondante corrispondenza epistolare che ci è rimasta. Il figlio, Horace-Camille, che allora aveva poco meno di due anni, venne allevato dalla nonna materna, frequentò il liceo militare grazie ad una borsa di studio di Bonaparte e, da adulto, visse ad Haiti come commerciante, si sposò ed ebbe quattro figli.

Eccetto per il particolare su chi lo possa aver allevato (considerando che la contessa di Polignac era stata ampiamente linciata, a questa altezza cronologica), mi piace l'idea di riprendere il più fedelmente possibile la sua storia.

Mi scuso con le/i possibili fans di Rosalie per averla fatta morire, ma onestamente l'idea che personaggi così vicini a Robespierre, da una parte, e alla famiglia Polignac, dall'altra, potessero uscire vivi dal Terrore mi è sempre sembrata, in ogni caso, totalmente assurda.

***Dalla Bibbia (Esodo 12). Il decimo flagello d'Egitto: il Signore, la notte, passò di casa in casa facendo morire tutti i primogeniti, ma riconoscendo, e risparmiando, quelle degli Israeliti perché avevano sporcato le architravi e i montanti delle porte con il sangue degli agnelli sacrificati.

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Capitolo 4
*** Crepuscolo ***


Premessa

Ciao ancora una volta a tutte voi che state leggendo questa storia, chi silenziosamente e chi commentando, chi dall'inizio e chi si è aggiunto man mano. E grazie: ho apprezzato moltissimo, come sempre, le vostre recensioni. Aggiorno presto: questo capitolo era quasi pronto da un po' e non ha senso farlo aspettare.

E' venuto un po' lungo per i miei standard, spero che possiate armarvi di pazienza e arrivare in fondo senza annoiarvi troppo. Iniziano (finalmente! starete pensando) le spiegazioni: cosa è successo in quei sei anni di gap a Oscar e André...come è possibile che Fersen sia così testone.

Avevo previsto fin dall'inizio di spiegare in questo modo le ragioni del mio Fersen, che è un personaggio, come avete giustamente notato, mentalmente più chiuso dell'originale. (OOC dunque, mi sono accorta solo ora di averlo inizialmente dimenticato fra le note) Spero che emergano in modo adeguato e che vi sembrino convincenti...

 

Crepuscolo

 

-Marito avete detto?!-

-Ma certo...André! Ma cosa..?!-

Quei delicati e ingegnosi meccanismi che nella mente dell'uomo plasmano i pensieri sembravano essersi, per Fersen, momentaneamente inceppati: un brandello di informazione, presente da un po' nel magazzino, con l'etichetta: “da rielaborare”, vedendosi perniciosamente respinto e ignorato, si era infilato con la forza al centro della macchina, bloccando la regolare rotazione delle rotelline. Fissò lo sguardo sgranato in un paio di occhi splendidamente azzurri, attraversati da un lampo di comprensione che li rese gelidi:-mio caro amico, davo per scontato che aveste capito che mi sono sposata. Errore mio, di certo, errore mio...dare le cose per scontate è una pessima abitudine.- Poi, rendendosi conto che la conversazione avrebbe potuto prendere una piega sgradevole, aggiunse: -Pierre, prendi Horace e uscite, subito-

Forse sperando che il liquore, delizioso fra l'altro, sciogliesse il nodo che gli impediva di trovare una risposta adatta, l'uomo decise di bere ancora..e c'è da dire a sua discolpa che se non avesse già svolto la stessa azione per le ultime due ore sicuramente se ne sarebbe uscito con una frase migliore: -Ma...perché? Credevo non vi voleste sposare...Non avete forse avuto molte altre possibilità?-

- Tien!- La voce di Oscar si avvicinò significativamente alla soglia del pericolo: -Posso assicurarvi che ho avuto più pretendenti di quanti desiderassi!- Chi non l'avesse conosciuta, avrebbe considerato il suo commento piccato tipicamente femminile. -Specialmente perché non ne volevo nessuno. La vita è terribilmente ingiusta, non è vero?, ciò che la maggior parte reputa una fortuna viene gettato sulla strada di chi lo considera una seccatura! No! Non desideravo sposarmi! Desideravo sposare André...perché lo amo, e così ho fatto! Per diamine! Mi conoscete da una vita! Credete che mi sarei mai sposata per un motivo diverso dall'amore?!- L'effervescente indignazione le impedì di continuare, o forse fu la necessità di riprendere fiato.

 

Amore. Amore...

Chi non ha mai avuto la sensazione di scoprire con fatica qualcosa di importantissimo e rendersi conto che, in fondo, lo sapeva già, non può capire lo stato di profondo disagio in cui precipitò il conte. Ne avevano parlato, molti anni addietro, quando suo padre lo aveva spedito a cercarsi una moglie, dell'ingiustizia dei matrimoni combinati...dell'amore...

E anche se non ne avevano mai parlato...André: il suo André...le narici sembrarono improvvisamente riempirsi dell'odore putrido di un vicolo di Parigi, mescolato a quello del sangue e dell'adrenalina, nelle orecchie l'eco di un concerto rabbioso.

Sì, se lo era chiesto..aveva avuto, per un istante, quell'impressione. All'epoca, le aveva mentalmente augurato di essersi sbagliato: un amore fra classi diverse non sarebbe mai dovuto esistere. Non avrebbe potuto esistere se non clandestinamente, e lui sapeva bene quanta amarezza e sofferenza generavano storie simili. Erano amori dannati.

Ma poi, era passato tanto di quel tempo! Non il tempo che si misura in secondi, ma quello che si calcola in base ai battiti cardiaci: aveva accelerato, in quegli anni, fino a confondere nella sua corsa i ricordi, la percezione degli avvenimenti,... Oscar aveva sempre voluto bene ad André, era normale che fosse disperata in quel frangente, senza bisogno di vederci nient'altro...

 

Certo, razionalmente aveva messo in conto che lei potesse, giustamente, essersi legata a qualcun altro. Ma il desiderio di evitare a tutti i costi un matrimonio tedioso con una tale Sconosciuta Qualunque che, per l'essere stato costretto dai fatti a sposare, avrebbe finito per prendere in odio, non gli aveva permesso di apprezzare nella sua interezza questa possibilità.

Persino scoprendo che vivevano insieme e che avevano un figlio aveva continuato, adattandoli, i suoi progetti, senza fermarsi un solo secondo a valutare più profondamente la situazione, per il terrore di doverli abbandonare. Si era ridotto a pensare acidamente ad André, che pure gli era sempre stato tanto simpatico, attaccandosi con tutte le sue forze alla distanza sociale, che dava a lui il diritto di disprezzarlo, e all'altro toglieva quello di intralciargli i piani reclamando per sé una donna nobile. Adesso non sapeva se ridere o piangere di se stesso, della sua boria, della sua follia. Piangere probabilmente, visto il fastidioso punzecchio con cui la vergogna si faceva sentire nell'angolo più interno degli occhi.

 

Oscar non poteva sapere, per fortuna del conte, quali pensieri lo stessero schiacciando con tutta la ruvida pesantezza di un pachiderma deciso a usarlo come cuscino. Fraintese il suo mutismo, immaginando che fosse aristocratico disprezzo nei suoi confronti per l'aver compiuto l'unico peccato che La società non può tollerare: una méssaillance* in piena regola. Poiché l'attacco è la miglior difesa, e poiché il silenzio stava contribuendo notevolmente al suo nervosismo, generato in primis dal fatto che André tardava, decise di spingere lo scontro verso il campo, reperendo quei dettagli che più probabilmente avrebbero infastidito l'uomo: per sfogare la tensione, il modo migliore era sempre stato, per lei, una sacrosanta lite (meglio ancora una rissa, ma non era il caso). La quantità di alcol, poi, che diluiva il sangue non favoriva la diplomazia. -Mi sono sposata, il 18 luglio 1789, in una chiesetta poco fuori Parigi- disse alzandosi, e cominciando a camminare- con addosso quello che restava della mia uniforme...e André della sua. Mi spiace non avervi invitato...non credo che sareste andato d'accordo con in nostri amici.-

La provocazione, una piccola cattiveria in realtà, non parve andare a segno: Fersen continuava ad osservare il pavimento fra i suoi piedi, manifestando una certa indecisione fra l'arrossire e l'impallidire.

-Abbiamo vissuto fino a due anni fa in un piccolo appartamento, in rue des Serruriers. André è stato per un po' un gazzettisa, sapete? Per tutta la vita ha tenuto dei diari, in cui scriveva anche riflessioni politiche...molto interessanti. Scrive benissimo. Quando me li ha fatti leggere ho insistito perché li mostrasse anche a Bernard, che si è entusiasmato tanto da pretendere che scrivesse alcuni articoli sui suoi giornali...-

Ma vedendo che neanche l'accenno, poco velato, alle attività giacobine di suo marito sembrava scuotere Fersen dallo stato semi-vegetale in cui si trovava, si avviò furiosa, senza aggiungere altro, verso la cucina, a controllare che i bambini e i garzoni avessero mangiato e predisporre la cena per loro stessi.

 

Sua Signoria aveva ascoltato, sì, quella stupefacente tirata. Ma era lontanissimo dal potersi preoccupare delle inclinazioni rivoluzionarie di André. Era preso dai suoi pensieri, ricordi...

Ricordava suo padre, il giorno in cui aveva compiuto sedici anni, metterlo in guardia dal pericolo di trovarsi intrappolato in un deplorevole matrimonio con una donna di classe inferiore. Qualunque altra colpa avrebbe potuto essergli perdonata: la società non aspettava altro che scandali...essere un libertino era il massimo della moda e una cosa assolutamente rispettabile. Solo un tipo di scandalo non poteva essere ammirato: ragazzino, si era sentito ordinare bruscamente di divertirsi “con donne di una determinata classe, o che conoscano le regole del gioco”. Soprattutto, di evitare tout court le amanti borghesi: “è un dannato pasticcio liberarsene! Le ho sempre viste aggrapparsi in modo tale che non c'era verso di scuotersele via, quelle adorabili creature!”**. Si era comunque messo d'impegno, pochi anni dopo, per cacciarsi in una relazione pericolosa, una che il caro padre non poteva certo prevedere...

Ecco! Ecco il collegamento che gli mancava fra i grandi principi di cui aveva parlato Oscar e i fatti. Ecco come aveva potuto insegnare l'uguaglianza e la fraternità al figlio: vivendoli ogni giorno, nel loro piccolo, basando su di essi la loro famiglia. La sua era stata fondata su valori completamente differenti....

 

Quando Oscar rientrò, per chiudere la finestra e accendere un piccolo fuoco, lo vide alzare lo sguardo, in cui brillava una sorta di ansia, quasi di disperazione: quella di un uomo che, a quarant'anni, si rende conto di essere parte di un mondo ormai vecchio: -Non esistono davvero più le classi sociali?- Più che una domanda, sembrava una supplica. Non poté non provare compassione per lui, sebbene avvertisse, ancora, una profonda agitazione: -No.- Sospirò. -Venite, Fersen, visto che André tarda possiamo fare due passi in giardino e andargli incontro: il sole è tramontato, ma non è ancora scesa la notte. Il crepuscolo è un'ora molto bella: la migliore per riflettere sul giorno passato, per organizzare quello successivo- disse avviandosi verso una porta laterale e poi nel cortile.

 

Così facendo, mancarono di pochi metri un certo monello, che non aveva osato disobbedire ad un ordine diretto, soprattutto se impartito con il tono da comandante mamma, ma la curiosità era stata troppo forte: sembrava che la mamma volesse mangiarsi quel signore, ed era uno spettacolo che non si poteva perdere. Magari lo avrebbe sfidato con la spada...sarebbe stato fantastico! Così, dopo aver trangugiato la cena, aveva fatto nascondere Horace dentro un enorme orcio per il grano (a come accidenti tirarlo fuori, poi, ci avrebbe pensato dopo), dicendogli che andava in avan-coperta per raccogliere informazioni sul nemico, ed era strisciato fra i cespugli sotto la finestra del salotto, dicendosi che, semmai fosse stato scoperto, avrebbe fatto notare che era uscito, proprio come gli era stato ordinato: non era stato specificato dove dovesse andare. Non che questo gli avrebbe risparmiato una sonora sculacciata... Ora però il campo era stato abbandonato, anche se sul tavolo era stata lasciata, praticamente intatta, una bella dose di porviste (dolci: quelle preferite dal reggimento Gradier!)...sarebbe stato un peccato non approfittare di un'azione militare svolta, fino a quel punto, con tanto successo e sprezzo del pericolo...

 

Camminarono in silenzio per un poco, verso il prato da cui Fersen era venuto, lanciandosi sguardi di sottecchi, in un silenzio teso. L'uomo aveva pensato, inizialmente, di fuggire. Di trovare immediatamente una scusa qualunque e partire, o farlo anche senza bisogno di una scusa. Ma l'aria fredda gli rese un po' di lucidità, di buonsenso. -Sembra- disse con un piccolo sorriso, connotato da un velo di tristezza -sembra che io abbia assunto modi veramente villani, ultimamente. Non vi ho fatto ancora le mie congratulazioni, e i miei auguri.-

-Vi ringrazio- rispose garbatamente, pur non essendo sicura che l'omaggio fosse sincero.

-Perdonatimi, non vorrei essere scortese...più di quanto non lo sia già stato, ma posso chiedervi da dove è atteso André?-

-E' andato alla fiera di Caen a vendere alcuni cavalli. Spero che non sia successo nulla...sarebbe dovuto essere qui da un pezzo...-

Il conte sembrò diverse volte sul punto di parlare, come se non trovasse un modo adatto ad esprimere quanto aveva in mente: -...mi dispiace.- esalò infine, in tono compassionevole.

-Per cosa?-

-Per...per la vostra situazione...se siete costretta a vendere i vostri cavalli...-

Inaspettata, si levò una risata roca: -Fersen, se André è riuscito a vendere quegli animali, non siamo proprio in nessuna situazione! E' di questo che viviamo! Non vi siete reso conto che abbiamo trasformato la tenuta in un piccolo allevamento equino?-

No, non si era reso conto neanche di questo (pur immaginando che André dovesse mantenerli in qualche modo), ma Oscar dovette ammettere che, dalla posizione in cui si trovavano, i bassi fabbricati delle scuderie erano lontani e nascosti alla vista, e l'uomo non aveva visitato null'altro dell'area. Gli venne promessa, per l'indomani, una presentazione ai loro purosangue più belli.

Avendo la matematica certezza, però, che il conte non si fosse liberato interamente delle parole che tratteneva in gola, come un ossicino incastrato, gli intimò pragmaticamente: -Avanti signore, fuori la verità. C'è qualcos'altro che mi dovete dire-

Il garbato fraseggiare del conte sul suo desiderio di non essere indiscreto venne rapidamente troncato da un'occhiata esasperata. -Ebbene...mi chiedevo come abbia reagito vostro padre al vostro matrimonio.- dichiarò precipitosamente, arrivando al nocciolo finalmente! -Immagino che sia per questo che siete, a quanto ho potuto capire, in lite-

-Sì e no. Non ne è stato certamente contento, e ha fatto tutto quanto era in suo potere perché la voce non si spargesse negli ambienti rispettabili- e l'aggettivo sembrò un insulto. -Per questo non mi sono stupita che non sapeste del nostro matrimonio e della nascita di nostro figlio, se coloro che vi hanno informato sono nobili. Ma in fondo André gli è sempre piaciuto e, se fosse stato nobile, sarebbe stato il primo ad augurarsi di vederci sposati. Comunque, non ci è stata necessaria alcuna sua autorizzazione: ci sono delle pratiche abbreviate per chi richiede di sposarsi in punto di morte. André era ferito gravemente al torace, e, soprattutto, io ho mostrato una lettera del medico che mi aveva diagnosticato la tisi...oh! Non fate quegli occhi sbarrati da piccione! Sono stata molto male...ma ero al primo stadio*** e dopo due anni ero già praticamente guarita, alla faccia, se permettete, dei “sei mesi di vita” che mia avevano dato e nonostante la gravidanza. Già allora mi è stato assicurato che non ero più infettiva. Era ora, fra l'altro, perché non ne potevo più di bollire qualunque cosa toccassi, e soprattutto di tenermi lontana dal bebè: mi sono persa i suoi primi anni di vita. Siamo stati incredibilmente fortunati...non meritavo questo miracolo, ma André non meritava che lo lasciassi solo: ora vivo per lui. Cosa stavo dicendo? Ah! Beh...con queste premesse, né il parroco né il notaio ci hanno fatto storie. No, quello che mio padre non potrà mai perdonarci è stato il nostro tradimento verso la corona. Venite, rientriamo: è buio e l'aria si sta facendo fredda, non ha senso aspettare ancora qui fuori.-

 

-La persona che più si è dispiaciuta della nostra unione è stata la nonna... se lo aspettava da tempo, ma è stata comunque molto contrariata, soprattutto nei confronti di André: la sua bambina non ha mai colpe sapete- rise malinconicamente. - Chiedendomi di sposarlo ha commesso la peggior colpa possibile verso la famiglia Jarjayes. Avrebbe dovuto lasciarmi perdere e mantenere le distanze, come aveva cercato di fargli capire tante volte... Si è convinta che abbia rovinato il mio futuro- Era stata, quella, la reazione che più l'aveva ferita.

 

Riattraversando la sala, Oscar di accorse subito che l'ordinata piramide di dolci che aveva lasciato sul tavolo aveva subito un curioso fenomeno: si era autonomamente smontata da un lato, diversi mattoni volatilizzati. Senza bisogno di indagare oltre, decise che Pierre non ne avrebbe mangiati per tre settimane, cosa che gli comunicò, tranquillamente e senza addurre innecessarie spiegazioni, mandandolo a letto. Pierre, senza osare controbattere, si limitò a tastarsi una tasca con l'aria di profondo disagio. Non aveva ancora risolto quel problemino all'orcio...

 

La cucina era un lungo ambiente dall'alto soffitto a volte, realizzato per ospitare almeno tre cuochi e il brulichio di una ventina di camerieri e lacchè. C'erano quattro camini, e altrettanti lunghi tavoli: inutile dire che ne venivano utilizzati solo uno, di ciascuno. Le pareti, che dovevano essere state ricoperte del rosseggiante luccichio di stoviglie di rame, erano grige distese vuote, marmorizzate fantasiosamente dalle macchie di umidità e fumo, e dalle crepe, che si rincorrevano a decorare la calce. L'unico piccolo fuoco rischiarava il fondo della stanza, lasciando che tutto il resto galleggiasse in una tiepida semi-oscurità. Era abitudine dei padroni di casa mangiare lì, insieme ai lavoranti e ai bambini. Madame Grandier si era adattata di buon grado a ritardare la cena, per non sottoporre l'ospite ad una simile compagnia e, soprattutto, per aspettare il marito. Ma aveva scoperto, con sua sorpresa, che le abitudini e gli standard minimi di etichetta che s'imparano nell'infanzia sono duri a morire: qualcosa l'aveva spinta suo malgrado a spiegare dettagliatamente che le avevano tre sale da pranzo, di diverse dimensioni, ma erano al momento chiuse, non essendo atteso alcun ospite.

 

Erano seduti vicini, la sedia di Oscar semi-ruotata verso di lui. Il sorriso si allargò leggermente sul volto dell'uomo, come un ventaglio scosso con grazia: - Davvero Oscar, se siete felice, sono felice per voi. Perdonate la mia reazione di poco fa, ero soltanto fortemente sorpreso.- Le porse la mano, con fare scherzosamente cerimonioso: -Vi propongo di trattare la pace-, ma dopo una breve stretta sentì che Oscar la tratteneva nella sua, lo sguardo ridente: -Sarei curiosa di sapere che cosa avete pensato di me, visto che credevate che non mi fossi sposata, se non vi dispiace.-

-Ne sono sicuro, ma, ahimè, si dà il caso che mi dispiaccia.-

-Dovrebbe dispiacere di più a me allora, non credete? Non che non possa sforzarmi di immaginarlo!-

-Per pietà!- inorridì platealmente -Vi prego di non tentare! E sono dannatamente certo che, comunque, non potreste mai indovinare.-

-Dovrei porla come condizione di pace?-

-Se è così, meglio la guerra. Non insistete: ci tengo alla pelle.-

-Ma...-

-No no, madame, sarei una tomba anche se mi torturaste-

Ridevano entrambi, le mani ancora strette, sciogliendo ogni residuo di tensione e avviando la convalescenza di un'amicizia che era stata in pericolo di morte.

 

Sentendosi osservata, Oscar si voltò verso la porta, ancora sorridente: -André! FINALMENTE! Ma che fine?...- Il sorriso le morì sulle labbra: il suo uomo era in piedi nel vano della porta, stanco, impolverato e pallido. Il suo unico occhio visibile, di un verde solitamente così placido e dolce, lampeggiava uno sguardo inviperito verso il conte.

 

-Il Conte di Fersen! Ma che sorpresa...-

Solo Oscar, che conosceva il suo volto meglio del suo stesso, si rese conto allarmata che l'incurvarsi delle sue labbra, in qualcosa di simile ad un sorriso, era tutt'altro che un'espressione di cordiale benvenuto.

 

 

*Matrimonio con una persona di classe inferiore

**Paragrafo liberamente ispirato a “Il figlio del diavolo” di Georgette Heyer (1966)

***Mi riferisco all'anime, in cui sembra che Oscar patisca i sintomi della tubercolosi primaria ed ha attacchi di emottisi (espulsione di sangue dalle vie respiratorie), mi è parso, meno violenti che nel manga.

 

*****Post scriptum*****

Mi scuso se vi ho esasperato con questa prolungata attesa di André, se le riflessioni vi sono sembrate eccessivamente lunghe (mi auguro di no ma è probabile) e anche se la scena di chiusura manca di una particolare originalità. Spero di non avervi annoiato troppo e che abbiate trovato comunque la lettura gradevole. Attendo, se vorrete farmene, consigli, commenti e critiche. Se vi sembra davvero troppo lungo...spero di trovare un modo di sistemarlo...magari in base a quello che ne pensate (scusate, non è certo professionale, ma sono alla mia prima fic e non sono affatto sicura di quello che faccio).

Domandando “compressione e pirdonanza” (Camilleri, “Il commissario Montalbano”), un abbraccio

Ginny Jane

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Capitolo 5
*** I veri uomini ***


Premessa

Ciao! Scusate per il ritardo. Come sempre, ringrazio chi ha recensito, ricordato, seguito,...anche se non sempre rispondo direttamente alle recensioni, sappiate che le apprezzo moltissimo e le leggo con profonda attenzione.
In questo capitolo troverete citazioni volutamente anacronistiche: un piccolo esperimento, spero che funzioni.
Vi lascio alla lettura senza sproloquiare oltre. Un abbraccio!
Ginny Jane

I veri uomini

 

Stava cercando la sua copertina, non poteva dormire senza.

Aveva già superato la terribile esperienza del grande barattolo da cui non riusciva ad uscire, nonostante Pierre lo tirasse per le braccia fino a fargli male, da cui l'aveva salvato l'altro papà, rientrando. Sono esperienze che, una volta terminate, non fanno più paura e si ricordano come grandi avventure.

Pierre si era occupato di lui, come tutte le sere e come era suo compito: lo aveva aiutato a mettersi la camicia da notte (in realtà una camicia da giorno dello stesso Pierre, regalatagli da una signora elegante nonostante lui ne avesse già tre, che a Horace arrivava alle caviglie, con le maniche tutte arrotolate); aveva controllato che facesse la pipì, per non bagnare il letto dopo, e lo aveva aiutato a salire sul grande letto che condividevano. Gli aveva anche fatto una bella sorpresa, regalandogli un dolcino, che aveva mangiato tutto contento riempendo di briciole il lenzuolo. Horace era fermamente convinto che le tasche di Pierre fossero magiche: ne uscivano sempre, inaspettatamente, delle cose interessanti. Ogni tanto provava a controllare le sue, ma le trovava sempre, chissà perché, vuote.

Poi però era cominciato il problema copertina. Non avevano idea di dove fosse finita. Horace ricordava vagamente di averla portata fuori dalla camera nel pomeriggio, intenzionato ad avvolgerci il gatto...poi però non ne sapeva più nulla...e in ogni caso non sarebbe riuscito a spiegarlo a Pierre: non gli piaceva parlare. Le parole non gli uscivano dalla bocca: la apriva per dirle...e poi si dimenticava che parole erano. Così alla fine aveva rinunciato anche a provarci. In ogni caso, di solito Pierre lo capiva benissimo lo stesso.

Quest'ultimo aveva cercato quel fondamentale pezzo di stoffa per tutta la stanza, poi era anche sceso giù, al piano terra. Ma quando era tornato, non avendola trovata, aveva dichiarato solennemente che -i veri uomini non hanno bisogno di copertine, per dormire-. Si era infilato nel letto e si era addormentato subito. No, così non andava bene: aveva bisogno della copertina, che gli faceva compagnia, che lo tranquillizzava perché, anche se di questo lui non se ne rendeva conto, quello straccetto di panno ormai lercio conservava ancora una traccia dell'odore di casa sua, a Parigi. Aveva provato a svegliarlo, infilandogli un ditino nell'orecchio, ma Pierre lo aveva allontanato con un piccolo schiaffo. Così si era ritrovato con una manina rossa, tanto sonno, e niente copertina.

Per questo era sceso a cercare l'altra mamma, che notoriamente risolveva questo tipo di problemi.

 

Ora l'altra mamma e l'altro papà e quel tipo lo stavano guardando...e sembravano parecchio scocciati.

 

In effetti, Oscar era seccata: -Horace che cosa vuoi? Dovresti essere a letto...e hai i piedi nudi, così ti ammalerai. Te le abbiamo comprate apposta le scarpine, per usarle.-

Non voleva lasciare la tavola, aveva il presentimento che, nonostante la cena tardiva si fosse svolta in modo particolarmente civile, i due uomini covassero una specie di ostilità latente...così inusuale in André, sempre calmo e ragionevole...non se la spiegava, in fondo, Fersen non gli aveva fatto nulla... Anzi, in alcuni istanti aveva avuto la sensazione che ce l'avesse un po' con lei...mah!

Il bimbo sembrava sul punto di piangere...ma non lo fece: dopo aver pianto per una settimana quando era arrivato, non lo avevano più visto versare una sola lacrimuccia. Doveva essere successo qualcosa...

Più dolce, chiese: -Cos'hai? Non dormi?-

André si offrì di andare a vedere che cosa non andava, e metterlo a letto. Ma Oscar preferì farlo di persona. Se fosse stato sveglio, avrebbe approfittato per dare una ripassata a Pierre: perché lo aveva lasciato andare in giro? E André era troppo permissivo con i bambini...

Si alzò, prese il piccolo in braccio e si avviò verso le camere.

 

Quando fece ritorno in cucina, dopo aver rintracciato la copertina di Horace (dentro alla pendola rotta dell'ingresso), stava succedendo esattamente quello che aveva temuto: gli uomini stavano parlando di politica. Se “parlare” si poteva dire lo scambio di parole, accese come petardi dalla convinzione di ciascuno di avere ragione, che stava avendo luogo.

-Che gli uomini nascano uguali, e liberi- stava dicendo André -è per me una verità che non necessita di argomentazioni.- Oscar riprese il suo posto, sperando che la conversazione non degenerasse in una lite, intenzionata a rimanere calma ed agire da moderatore.

Fersen parve riflettere, poi, con uno sguardo duro al suo interlocutore, disse:-Se voi non ne vedete la necessità, molti altri l'anno vista, e hanno prodotto argomenti più o meno convincenti a favore e contro. Così come su numerose altre presunte verità. Io non ne sono convinto, ma posso lasciarvi il beneficio del dubbio. Una cosa, però, mi preme farvi notare: una verità detta con cattiva intenzione, batte tutte le bugie che si possono inventare*-

-Sono assolutamente d'accordo con voi, e i fatti hanno parlato a vostra ragione.- André sospirò – Permettetemi di assicurarvi che le intenzioni di molti, della maggior parte credo, erano ottime. Non penso possiate negare che la situazione non era più sostenibile: qualcosa andava fatto, per la Francia. Doveva essere una riforma strutturale, profonda, il sistema andava cambiato alla radice per ottenere risultati concreti, dato che con le buone intenzioni espresse dall'aristocrazia più, diciamo, populista, nell'ultimo secolo avevamo già pavimentato l'intero Inferno, piazze comprese, e ce ne sono anche avanzate delle lastre**. Io sono convinto della validità della democrazia...e del suffragio universale, per quanto mi renda conto che, dato il livello di istruzione del popolo, sia attualmente di difficile applicazione e...forse persino, come sostengono molti, pericoloso.- Ci fu una pausa, poi con il un tono di qualcuno che vuole convincere innanzi tutto se stesso, aggiunse: -avrebbe dovuto essere diverso, ma avrebbe potuto funzionare...e lo può ancora. Ora che Robespierre ha avuto quello che meritava...ricominceremo, riusciremo a costruire la Francia che sogniamo..il mondo che sogniamo.-

Fersen fissava il piccolo fuoco, affascinato da una falena che vi girava attorno, confondendo la sua danza con quella delle scintille. Era sicuro che si sarebbe bruciata. Mormorò sovrappensiero: -se siete tanto convinto di queste cose, mi stupisce che siate fuggito da Parigi, avreste dovuto rimanere per scriverle. Se un uomo non è disposto a lottare per le sue idee, o le sue idee non valgono nulla, o non vale nulla lui.***-

Passarono alcuni secondi, nei quali l'uomo si rese conto di aver pronunciato ad alta voce il pensiero che aveva formulato. Si rese conto della durezza e della gravità di quanto aveva detto...nonché della maleducazione: aveva accusato di codardia le persone alla cui mensa mangiava. Addirittura, la sua frase poteva essere essere interpretata in modo ancora peggiore e molto lontano dalle sue reali intenzioni..forse era sembrato che si augurasse la morte di André...se fosse rimasto a Parigi avrebbe fatto la stessa fine di quel suo amico.

Si volse, per incontrare due paia (o quasi) di occhi decisamente ostili.

Spalancò i suoi, e tentò di scusarsi, sinceramente. Ma non sapeva come farlo:- Mi dispiace io...non volevo dire niente del genere. Perdonatemi...-

La voce di André era un distillato di fiele: - Non scusatevi: anche su questo avete perfettamente ragione-. -No! Non ha ragione!- Oscar aveva sentito la rabbia montare dentro nell'arco di quel breve tempo, come un acido incandescente che dallo stomaco era risalita nel petto, nell'esofago, fin ad esploderle in gola, le narici spalancate per riuscire a respirare. Ma cosa ne sapeva? Si era rifugiato in Svezia a farsi gli affari suoi... - Cosa ne sapete del suono delle voci dei parigini, che invadevano ancora e ancora le sale in cui i loro rappresentanti si riunivano, richiedendo misure sempre più estreme? O del sibilo della ghigliottina? Cosa ne sapete della paura di venir denunciati con una scusa qualsiasi da un vicino di casa, dall'oste, dal panettiere...del non sapere più quali sono gli amici e i nemici, dell'incertezza che ti porta a chiederti, per ogni volto che incontri per strada, se sarà quello del tuo assassino? O di quello di tuo marito? O di tuo figlio?-

L'aggressività della moglie sembrò calmare André: dopo anni di esercizio, era per lui un riflesso condizionato quello di guadagnare in lucidità quando Oscar perdeva le staffe, per impedirle di mettersi nei guai.

-Avete ragione Oscar- cercava ancora di scusarsi il conte - io non ne so nulla. Mi rincresce molto di quello che ho detto...André, perdonatemi.-

Ma Oscar non riusciva a fermarsi, in barba ai buoni propositi: -E se anche fosse? Se anche fossimo scappati per salvare le nostre vite, che diritto avete di giudicarci? Ma certo, voi pensate che ce lo siamo meritati...-

-No Oscar, non penso che ve lo siate meritati. Vi conosco da molti anni ormai, so quanto valete. No, non penso che vi siate meritati il dolore che, l'ho visto nel vostro sguardo, avete patito- la voce di Fersen era grave, e sincera.

André trasse un profondo respiro, cercando di parlare con più pacatezza:-Comunque, non è stato per la nostra pelle che siamo scappati, non direttamente almeno. Se fosse stato il caso saremmo partiti molto prima...e comunque l'avremmo fatto non appena si è insediato il Comitato di Salute Pubblica, rendendoci conto del punto a cui si era arrivati-

Oscar e André si guardarono intensamente: condividevano un ricordo, un'emozione, tale da scavare sui volti di entrambi delle pieghe profonde. Erano impalliditi. Lanciarono entrambi un breve sguardo a Fersen, per poi tornare a concentrarsi su di loro, chiedendosi a vicenda, silenziosamente, se fosse il caso di metterlo a parte di quella storia ormai passata.

Fu Oscar a iniziare il racconto, la voce bassa, più calma ormai, ma intrisa di dolore: -Sapevamo quanto rischiavamo, André per quello che scriveva ed io per le mie origini aristocratiche. Ma non volevamo partire: l'impegno politico...era la cosa giusta da fare; ed io volevo restare a fianco della regina, per quanto mi è stato possibile...poi, rintracciare i suoi figli. Mi dicevo che non potevo abbandonarli...ma quando è stata in pericolo la vita del mio, non ho potuto fare altrimenti.-

-Un giorno, eravamo al mercato- continuò André e sembrava invecchiato di colpo -Pierre aveva tre anni, era vicino a noi..poi, dopo un istante soltanto di distrazione, non c'era più. L'abbiamo cercato almeno per due ore, per tutta la zona, coinvolgendo tutti i conoscenti che incontravamo. Alla fine lo abbiamo ritrovato tranquillo, in un angolo della piazza, illeso. Per quanto siamo riusciti a capire, aveva seguito un uomo che gli aveva dato dei dolci...

Aveva una ghigliottina disegnata ad inchiostro sul dorso di una mano.

Quella notte stessa ci siamo messi in viaggio.-

Feren sentiva un rivolo freddo corrergli lungo la spina dorsale...o forse era solo un brivido...

Oscar sentì il bisogno di spiegarsi: -il nostro maggior timore non era che lo avrebbero ucciso, per mandarci un messaggio, sebbene era una possibilità che non potevamo escludere. Ma ci ha fatto rendere conto che...vi siete mai chiesto che fine hanno fatto molti dei bambini di cui i genitori sono stati ghigliottinati?-

No, non se lo era chiesto e non lo voleva sapere. Se lo immaginava, ed aveva già sentito abbastanza per togliergli il sonno. -Capisco- rispose.

- Con rispetto- puntualizzò André -non credo che possiate. Per il semplice fatto che non avete, a quanto ne so, figli.-

-E' vero. La paternità è un dono che non mi è stato dato: né le sue gioie, né i suoi dolori- L'umiltà suonava insolita espressa dalla sua voce. -Ho desiderato avere dei figli da una donna che non poteva darmene. Non ho mai voluto averne con altre.-

Non era certo il caso di aggiungere che, molto recentemente, aveva cambiato opinione.

 

*William Blake

**Proverbio: le vie dell'Inferno sono lastricate di buone intenzioni (si intende quelle non realizzate)

***Ezra Pound

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Capitolo 6
*** Silenzio! ***


 

Premessa

Un caro saluto e un abbraccio a tutte quante!

Troverete una certa discrepanza fra i sentimenti di Fersen, che ormai conoscete alla nausea, e quelli che gli attribuiscono, rispettivamente, Oscar e André: nessuno, per quanto sensibile, è in grado di leggere nella mente dei suoi simili con tanta chiarezza quanto il lettore, ed è buona norma supporre che la verità sia nel mezzo.

Ho deciso di discostarmi dall'immagine comune dell'unione perfetta di Oscar e André, immersa nel miele: i bei matrimoni non lo sono mai.

Dopo aver fatto fare tante figuracce al povero Fersen, riequilibrio un po' la situazione: perché non sempre sotto pressione le persone, gli uomini soprattutto, credo, connettono adeguatamente la bocca con il cervello.

Sperando che la lettura vi sia gradevole

Ginny Jane

 

 

Silenzio!

-Che cosa avevi sta sera? Eri strano...aggressivo, non è da te..-

Erano finalmente riusciti a raggiungere la loro camera, esausti e ad un'ora decisamente troppo tarda per qualcuno che si sarebbe alzato all'alba, l'indomani.

-Io? Non direi. Era il tuo amico che aveva voglia di fare baruffa-

-Effettivamente non capisco neanche lui: dire cose del genere...non me l'aspettavo. Aveva la luna storta: è stato sorpreso di trovarci sposati, e deluso dalle nostre convinzioni, ma questo non giustifica l'atteggiamento che ha tenuto-

André sbuffò sonoramente, sfilandosi la camicia.

-Perché sbuffi, tu sai cos'aveva?-

-No, certo che no, ma posso intuirlo-

-Cioè?-

Ma lui ignorò la richiesta di chiarimenti, cosa che fece definitivamente saltare la mosca al naso alla moglie: -Per l'ultima volta, ti vuoi degnare di dirmi cosa non va?- chiese in uno svolazzo stizzito della camicia da notte, che stava indossando.

-Perché, tu sei stata normale?-

-Che cosa avrei fatto?

-Eri..distratta-

-Distratta? E da che? In che modo?... E guardami mentre ti parlo!-

Lo sguardo che aveva preteso era particolarmente torvo: -Beh, vediamo...immagino che tu fossi distratta da Fersen, sbaglio?! Sì, tanto distratta che non ti eri neanche accorta che i tuoi figli non erano a letto. Mettiti nei miei panni: torno a casa distrutto, dopo aver dormito nel carro per tre notti, vorrei solo trovare mia moglie ad accogliermi, mangiare un pasto tranquillo e dare una bacio sulla fronte ai miei bambini già addormentati. Invece vado a mettere via il carro e trovo Pierre arrampicato sull'orcio di pietra vuoto, che tenta di tirare fuori Horace, incastrato dentro, tirando una corda che gli aveva legato attorno al petto-

-CHE COSA?!-

-Non dubito che sia stata un'idea di Pierre, perché Horace non avrebbe potuto entrarci da solo. Ma non ha voluto dirmi da quanto il piccolo era lì dentro. Avevo paura che soffocasse, fra la corda e la mancanza d'aria in generale: era viola in faccia quando l'ho tirato fuori!-

-Mio Dio! Io...mi dispiace...credevo che fossero a letto. E' vero, non ho controllato ma...-

-Ma? Se fosse stato per te ci sarebbero rimasti tutta la notte!-

-Oh non esagerare André. Sono sicura che se fosse stato il caso Pierre sarebbe venuto a cercare aiuto!-

- Era già il caso! E non aveva intenzione di farlo perché, immagino, sa bene che è colpa sua. Non so se volesse evitare di essere punito o soltanto fare tutto da solo. L'orgoglio non l'ha preso da me!-

-André!!- Oscar era sinceramente dispiaciuta, avvertiva una terribile fitta di preoccupazione retroattiva e senso di colpa, ma non era successo niente di grave...il suo uomo sembrava impazzito, non le aveva mai parlato così in sei anni di matrimonio e non era disposta a tollerarlo.

-Naturalmente supponevo che ci fosse un'ottima ragione per cui non ti stavi interessando dei tuoi figli. E infatti, c'era: entro in casa e ti trovo seduta con Fersen, (Fersen! Va' a sapere che ci fa in casa mia!) a tenervi le mani e ridere come ragazzini. Una bella distrazione, davvero!-

Fu l'ultima osservazione ad aprirle gli occhi, sì che le sue labbra formarono una piccola “O” silenziosa. André era... geloso?!! Era assurdo: non si era mai dimostrato geloso prima. Le aveva concesso di portare gli abiti maschili, che rivelavano le sue forme in maniera non del tutto consona ad una riservata mogliettina. Aveva lasciato che frequentasse gli ambienti e le amicizie maschili a cui era abituata, a Parigi, ricevendo affettuose pacche sulle spalle dai suoi ex soldati e abbracci soffocanti da Alain... Certo...non tutti gli uomini erano il suo primo amore...

-André?- chiamò con voce improvvisamente più soffice, avvicinandosi a lui, intento a lavarsi al catino, e accarezzandolo lievemente sulle spalle tese, ancora più larghe e forti da quando lavorava in campagna. -Non sarai mica geloso?-

Non riceveva risposta. Era indecisa se perdere le staffe, come era molto tentata di fare, sentirsi un po' (oh, solo un pochino!), lusingata, oppure tentare di ragionare insieme. Scartò la seconda ipotesi “da stupida donnicciola!” Si decise per la terza: André era irresistibile con quel broncetto, come quello di Pierre quando veniva costretto a fare il bagno: la somiglianza fra di loro era stupefacente. E la nonna aveva sempre detto che gli uomini, in fondo, sono dei grossi bambini.

-Non ne hai motivo, lo sai?- lo abbracciò forte da dietro, una guancia ad accarezzargli la schiena nuda. -Non essere sciocco! Sono anni che non penso a lui, lo sai bene quanto me. Ti amo, ne hai mai dubitato da quando siamo sposati?-

-Tu forse- si decise a rispondere sibillinamente, la vibrazione della cassa toracica che si ripercuoteva come un massaggio sulla pelle rosea di quel volto femminile.

-Io forse cosa?-

-Non pensi a lui...-

-...e? Cosa vuoi dire? Che credi che improvvisamente Hans si sia interessato a me?- Non poté trattenersi dal ridere a quel pensiero. -Oh, questa è bella! Non gli sono mai interessata quando glielo chiedevo in ginocchio! E ora...ah, hahha!-

André sciolse l'abbraccio, voltandosi per scostarla un poco e guardarla negli occhi accigliato: -Non hai visto come ti guardava prima che io entrassi?-

La donna indietreggiò di qualche passo, incredula. -André...hai preso una botta in testa mentre eri via o stai solo cercando un modo assurdo per litigare? Mi guardava con gli occhi, ecco come-

-Ah certo, perdonami: dimenticavo che tu hai un sesto senso per capire quando piaci ad un uomo! Dovrei chiedere a Girodelle che cosa ne pensa, ma forse mi basta pescare a caso uno dei tuoi ex sottoposti... Comunque, io so come poi guardava me: una cosa molto sgradevole e inferiore che non avrebbe dovuto essere dov'era...diciamo, una lumaca che stava mangiando la sua insalata!

Per carità, lo capisco: mi sono esercitato per anni a non mostrare un'espressione della stessa famiglia nei suoi confronti...con più successo, sicuramente.-

Oscar emise uno strano verso, un via di mezzo fra uno sbuffo, un fischio ed una risata. -Ma ti rendi conto André? Sei stanco, ti sei spaventato per Horace e hai discusso con Fersen. Vuoi sfogarti facendo baruffa con me, d'accordo, sono io che di solito ho questa reazione...ma per favore, adesso smettila! Non starai esagerando?-

Rimasero a guardarsi silenziosamente, le labbra contratte in una speculare espressione rabbiosa.

-Non starai esagerando André? Almeno un po'?-

-Forse- concesse, sillabando con lentezza.

-E anche se fosse? Che importanza avrebbe? A me non potrebbe importare di meno. Forse una volta...ora non più. Te lo ripeto: perché dovrebbe preoccuparti?-

-Forse...ma mi concederai che mi dia fastidio-

-Concesso. Anche se continuo a credere che sia tutto un tuo castello in aria. Ora, per favore, andiamo a letto!- e diede all'istante una dimostrazione di come si eseguiva quell'ordine, infilandosi fra le lenzuola.

Ma il marito non la seguiva, costringendola a sollevarsi ancora per guardarlo esasperata.

Era pensieroso... chiese molto lentamente: -Che cosa ci fa qui? Ha un motivo preciso?-

-Si..no..non so. Forse ha accennato qualcosa, ma...no, no mi sbaglio. Che motivo dovrebbe avere? Ci è venuto a trovare, cosa c'è di strano?- Poi spalancò un po' gli occhi, un solo sopracciglio biondo alzato e un sorriso di sbieco: -Oh! Adesso vorrai insinuare che è venuto dalla Svezia solo per fare la corte a me!-  Il sarcasmo era palese.

-Questo...non lo so. So che è un lungo viaggio, e molto pericoloso, per lui, di questi tempi. Se voleva fare due chiacchiere bastava che ti scrivesse. Dev'esserci una ragione. Davvero è venuto solo per vedere con i suoi occhi se eri viva o morta? Sarebbe una novità, non gliene è mai importato così tanto di te...-

Questa era una cattiveria, un'esagerazione ed era indegna di lui. Che non ci tenesse affatto a ricevere sguardi ammirati era un conto, sentirsi ricordare così l'indifferenza che aveva patito dall'uomo che dormiva poche stanze lontano, un altro. Senza più aggiungere niente si raggomitolò volgendosi verso il muro, posizione nella quale si immobilizzò.

 

-No..scusa Oscar..dai...non so perché l'ho detto. Non così...è stato cattivo...- sospirò.

Ma cosa gli prendeva? Non si era mai comportato così...non si era mai sentito così. Non si riconosceva. A se stesso doveva ammetterlo: si era ingelosito. La gelosia...che strano sentimento. Credeva di averla provata in passato...proprio nei confronti di Fersen...ma solo adesso si rendeva conto che non è possibile essere veramente gelosi di qualcosa che non è tuo. Oscar aveva ragione, stava esagerando: lei lo amava, era questo il centro gravitazionale della loro vita, nient'altro aveva importanza... e poi non aveva motivo di pensare che Fersen...eppure lo sentiva a pelle, dove scorreva elettrica un'ostilità che non si spiegava. Trovarselo in casa inaspettato, a quel modo, a quell'ora..non riusciva a togliersi di dosso quella sensazione, un istinto che lo avvertiva che un suo simile, un animale suo pari, aveva sconfinato nel suo territorio.

Ma Oscar non centrava, Cielo no! Non avrebbe dovuto parlarle a quel modo: non aveva fatto nulla per meritarlo.

-Scusami Oscar, io...- - Lasciami dormire, fa' silenzio!-


Dopo qualche istante l'uomo si stese al suo fianco. Raccolto un po' di coraggio, le si fece vicino: doveva farsi perdonare, valeva la pena fare un tentativo. Ma la mano che allungò verso di lei, per accarezzarle una spalla, era in qualche modo incerta: non era affatto sicuro che non l'avrebbe morso.

-Lasciami dormire ho detto!-

Rinunciò sospirando, distendendosi supino: non era il caso di disobbedire ancora al comandante-moglie.

Però doveva ammettere che, questa volta, il comandante-moglie aveva ragione.

 

 

I rintocchi della campana del monastero più vicino, accompagnati a grande distanza dal vento impetuoso, sotto la volta delle nuvole alte e nere, informarono l'uomo che era giunta la quarta ora della notte. La stanza in cui lo avevano sistemato era spoglia, ma tiepida e accogliente. Il materasso di discreta qualità, le lenzuola fresche, profumate di lavanda per tenere lontano i parassiti. Eppure Fersen non aveva ancora preso sonno. Non si sentiva a suo agio: non avrebbe voluto restare lì per la notte, si sentiva un intruso. Meglio, non avrebbe dovuto essere lì, punto. Ma aveva scoperto appena arrivato che non c'era alcuna locanda nel borgo vicino, la più prossima a diversi chilometri di distanza. Naturalmente, quindi, gli era stata offerta ospitalità, che lui, dopo le doverose formule di protesta, aveva accettato.

La notte era stata attraversata fino a poco prima da forti tuoni, giunti nel seguito della loro luce, che come percussioni irregolari avevano ritmatole sue riflessioni. Aveva passato la maggior parte del tempo a formulare frasi con cui avrebbe potuto scusarsi con i suoi ospiti per la sua scortesia e il suo malumore, rimandando ad un altro tempo la revisione dei suoi progetti, ora che si erano dimostrati assolutamente infondati.

No, girarsi ancora nel letto era inutile: doveva uscire da quella stanza, le cui parti si facevano sempre più vicine attorno a lui, una marcia lenta e inesorabile che avrebbe finito per togliergli il respiro. La lasciò, infatti, vagamente intenzionato a tornare al piano terra. Non lo raggiunse: mosso qualche passo nel corridoio buio sentì levarsi una voce tenue, dolce e calda, alle sue spalle, pervadeva l'aria tiepida come una carezza. Un' atmosfera irreale.

La prima emozione fu un certo spavento. Poi, nel tempo necessario a volgersi e realizzare che la porta alla fine dello stretto ambiente era parzialmente aperta e lasciava fuggire un alone tremulo di luce di candela, che disegnava il pavimento, sopraggiunse la meraviglia. Era la voce di Oscar, indubbiamente, ma trasfigurata da una morbidezza che non le era caratteristica, e...cantava? Stupefacente, non l'aveva mai sentita cantare. Era una delle migliori clavicembaliste che avesse mai ascoltato, ma nonostante le sollecitazioni a cui l'aveva a volte sottoposta la regina, nelle rare occasioni in cui era riuscita a costringerla a suonare nel suo salotto, si era sempre rifiutata di accompagnarsi col canto, che pure aveva studiato un po', com'era doveroso, in parallelo allo studio dello strumento.

Non avrebbe dovuto avvicinarsi, lo sapeva...ma quella strana canzone senza parole lo attirava magneticamente, sicché mosse alcuni passi nel buio, con la precisa sensazione di camminare in sogno. Non ne furono necessari molti per poter scorgere la scena, così bella nella sua domestica banalità. La donna, semi-sdraiata sul letto, accarezzava le mani dei bambini abbracciati, probabilmente impauriti dai tuoni, i capelli, i volti, chiudendo loro gli occhietti che ogni tanto tornavano ostinatamente ad aprirsi. Canticchiava quella che, evidentemente, era nelle sue intenzioni una ninna nanna. All'ascoltatore illegittimo, commosso, sembrava allo stesso tempo familiare e nuova, una melodia proveniente da un passato nel quale doveva essere stata quotidiana, ma tanto fuori contesto da presentarsi rinnovata.

Ci mise diversi secondi a riconoscerla: era la la melodia del segnare militare del Silenzio. *

 

 

*Non sono un'esperta di vita militare. Confesso di avere in mente l'attuale segnale dell'esercito italiano, confidando che quello francese di duecento anni fa ne avesse uno.

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Capitolo 7
*** Cavalli, galline, troni e verità ***


Premessa

Siamo quasi alla fine di questa storiella. Questo capitolo avrebbe dovuto essere l'ultimo, ma mi sono resa conto che sarebbe stato lunghissimo e ho deciso di spezzarlo, per lasciare il giusto spazio alla conclusione di questa ironica “avventura emozionale”. Ringrazio ancora chi è giunto fino a qui...e per non essere ripetitiva mi taccio, e vi lascio alla lettura.

Un abbraccio

Ginny Jane

 

Cavalli, galline, troni e verità

 

Un raggio di luce tenue filtrava attraverso le tende, illuminando sofficemente il bel volto dai tratti nordici, ormai corrosi da qualche lieve ruga, dell'uomo che riposava. Poteva individuare la luce attraverso le palpebre, man mano che la coscienza si faceva strada in lui, ancora perso nella sensazione di tepore e morbidezza del letto. Ma non era stata quella a ridestarlo: gradatamente si rese conto di una lieve brezza tiepida, un po' umida, che lo colpiva ad intervalli regolari...un respiro! Gli accarezzava le guance e faceva ondeggiare i riccioli sulla fronte...

 

Aprì gli occhi di scatto e si ritrovò immerso in uno sguardo verde e luminoso. Due occhioni lo scrutavano da vicino, molto vicino: un nasino a pochi centimetri la suo.

-Tu RUSSI cittadino!!!-

-MA COSA DIAVOLO...?!-

L'uomo sconvolto balzò a sedere scostandolo, notando che era salito in piedi sul letto e stava piegato sopra di lui: -Che fai?! Scendi!!- -No no, è vero! Proprio così!- gli spiegò il marmocchio, balzando sul pavimento -Fate zzzz grrrr, zzzz ggrrrr, zzzzzzz ggg...-

-Va bene, va bene, ho capito: smettila, per Dio!- Ma Pierre continuò pensieroso la sua analisi: -E' come se chiudessimo una vespa e un cagnolino in un barattolo, e loro litigassero. Farebbero proprio così.-

Fersen rimandò ad un secondo momento la riflessione su che razza di barattoli si usassero in Normandia, se era possibile farci entrare un cane. -Che ci fai qui?-

- Chi? IO?- si spalancarono quei piccoli fanali verdi.

-Secondo te?! Con chi sto parlando?-

-Ah, sì, con me! Beh, mai io sono venuto per vedere se siete sveglio!- disse con l'aria di spiegare qualcosa di decisamente ovvio ad un mentecatto. -Sì, perché se siete sveglio la mamma mi ha detto che vi ci devo dire che c'è la colazione in cucina- Poi i suoi occhietti si strinsero in uno sguardo sospettoso: -Perché...perché voi siete sveglio, vero?-

-Direi!-

-Ah, lo sapevo!- gongolò -E' per questo che sono salito sul letto, per controllare. Ma ero sicuro che eravate sveglio!- per poi precipitarsi come una palla di cannone fuori dalla porta (-Ce lo vado dire alla mamma!-), lasciando il conte svedese a brontolare a se stesso sulla mancanza di logica di quella creatura. *

Si era svegliato in molti modi nella sua vita: fra lenzuola di seta e su giacigli rudimentali; da solo o in compagnia, nel suo letto o in quelli ufficialmente di altri. Si era svegliato per le punture delle pulci e delle cimici; delle formiche nei bivacchi. Sotto colpi di cannone o di carezze appassionate. Con la tenda mezza sepolta dalla neve, o allagata dal fango gelido ai margini di una palude americana; al grido di “ci attaccano” o di “alligatore!”. Ma un risveglio così non se lo sarebbe dimenticato facilmente.

 

Al temporale era seguita una bella giornata fresca, e tutti sembravano rilassati e cordiali. Dopo una semplice ma abbondante colazione contadina, a Fersen era stata offerta una visita della proprietà accompagnato da Pierre, che friggeva di impazienza per quel ruolo di padrone (nella segreta speranza dei coniugi che i due si tenessero occupati a vicenda per tutta la mattina, lasciando loro modo di lavorare senza distrazioni).

L'uomo fu contento di accettare, e in men che non si dica si ritrovò trascinato qua e là dal bambino, che continuava a parlare ininterrottamente, pedinati a poca distanza dalla figuretta caracollante di Horace, che a quanto pareva aveva l'abitudine di seguire come un ombra il fratello adottivo.

Da quel dirompente flusso di parole, sommariamente coniugate, Fersen apprese che l'attività si era ingrandita nell'ultimo anno, rendendo possibile e necessaria l'assunzione di tre o quattro giovanotti del villaggio, grati, in quel periodo di carestia, di ricevere vitto, alloggio e qualche soldino; così come di una ragazza, che aveva già incontrato al tavolo della colazione, perché si occupasse delle faccende domestiche, per le quali madame non si sognava di mostrare né attitudine, né interesse.

Ebbe il piacere di ammirare alcuni splendidi cavalli da sella, tenuti più per soddisfazione personale che per guadagno: i più numerosi cavalli da tiro e muli avevano un mercato molto più vasto, e su di essi si basava la piccola impresa, che sembrava destinata a portare presto i proprietari ad un benessere piccolo-borghese, pur costringendoli ad una vita faticosa. Poté visitare il piccolo orto, la conigliera ed il pollaio, venendo cerimoniosamente presentato a madame Aceline, la gallina personale di Pierre, e numerosi altri spazi di cui non si sarebbe curato di serbare memoria. Doveva ammettere che la fattoria, cresciuta paradossalmente all'interno degli spazi di quella che era stata un'elegante villa con un immenso giardino, rappresentava uno scenario esteticamente gradevole, baciata com'era dal sole. Tuttavia, il soave odore di campagna vera, lungi dal ricordare fiorellini profumati, aveva costretto l'uomo a portarsi spesso il fazzoletto profumato davanti al naso, pur essendo egli riuscito, con moltissima difficoltà, a convincere la sua guida che non era necessario che gli mostrasse anche il porcile.

 

Fersen non poteva sapere della discussione avvenuta quella notte, che sebbene accesa si era svolta senza urla, né, ovviamente, della riappacificazione che quella mattina aveva portato André ed Oscar ad alzarsi estremamente tardi, quando già i garzoni cominciavano a chiedersi che fine potessero aver fatto. Quella che poté vedere da lontano era una coppia silenziosa, che lavorava duramente fianco a fianco senza scambiarsi alcun tipo di effusione né, quasi, di parola. Tuttavia, trasmetteva una sensazione di profonda armonia che lo colpì. Ad un'osservazione più attenta si sarebbe potuto comprendere che era costruita attraverso una serie di piccoli gesti, quasi invisibili: uno sguardo, un sorriso, un sorso d'acqua offerto al momento opportuno, il dedicarsi ad un compito ritenuto sgradevole pur di non assegnarlo all'altro.

 

 

André era stato molto silenzioso e visibilmente concentrato, ma probabilmente non sul suo lavoro: aggrottava improvvisamente la fronte, per poi distenderla dopo qualche minuto, senza nessuna connessione apparente con quello che facevano le sue mani. Oscar aveva provato a chiedergli il soggetto delle sue riflessioni (-Un bicchiere di vino per i tuoi pensieri!-), ma aveva ricevuto una risposta palesemente depistante (-Che ho la moglie più bella e previdente del mondo- aveva detto sorridendo monellescamente, abbracciandola e sfilandole il bicchiere di mano) e non aveva voluto insistere.

Fu quando il sole aveva già raggiunto il vertice del suo quotidiano percorso e si stavano preparando per rientrare, e passare al coperto le ore più calde, che Oscar avvertì una fitta di preoccupazione, che aveva molto a che fare con i suoi strani discorsi della sera precedente. André l'aveva appena incoraggiata ad entrare con i bambini, per poi girarsi verso il conte e dichiarare placidamente: -Fersen, non credo che abbiate potuto vedere il nostro frutteto... E' piccolo, ma è piacevole passeggiarci, all'ombra degli alberi. Venite: vorrei mostrarvelo, possiamo passeggiare fino a che non sarà pronto il pranzo-

 

 

Lo straniero non poté fare altro che seguirlo, chiedendosi quali potessero essere le sue intenzioni. Che fosse una scusa era chiaro ad ognuno, né André si era preoccupato di renderla credibile: era un modo come un altro per prenderlo in disparte. A Fersen non era sfuggito né il fatto che lo avesse chiamato con il solo cognome, una confidenza che prima non si sarebbe permesso, né l'espressione inquieta di Oscar, che ora li guardava allontanarsi.

 

-Mi dicevate ieri che la pressione sul giovane Gustavo IV per fare accettare una carta liberale è piuttosto forte, in Svezia?-

-Sì, ma io non me ne preoccuperei troppo: dal momento in cui è salito al trono ha dato avvio ad una decisa politica anti-giacobina. Forse ho sbagliato termini... non ho intenzione di offendervi ancora: io la vedo così-

-Ma certo. Non mi offendete: ho vissuto tutta la mia vita a Versailles e forse vi sorprenderà sapere che non ho smesso di amare le persone che amavo allora, come mia nonna, solo perché non sono d'accordo con me-

-Questo vi fa onore-

-Eh?...si, ehm grazie. Comunque, ho sentito dire che c'è chi preferirebbe che fosse il precedente reggente, suo zio, Carlo, a regnare in questi tempi difficili-

-Sì, è una voce che circola, insensata a mio parere. Ma non essendoci ancora eredi questa sarebbe, se il re morisse, e non si vede perché dovrebbe, la successione-

-Certo. Eppure, se non erro, Carlo non ha e non può avere figli-

-Siete incredibilmente informato. E' vero: dovesse mai salire al trono, sarebbe necessario che ne adottasse uno-

Fersen era stupito, non capiva che interesse potesse avere André nelle chicchere della corte svedese. Era un uomo intelligente, l'aveva sempre saputo, e sicuramente gli piaceva essere aggiornato: una cosa ammirevole. Ma perché chiamarlo in disparte e parlare di politica, se poi era il primo a voler evitare una lite?

André parlava con tono casuale, mondano...forse un po' troppo casuale per essere genuino:

-Ditemi: non siete forse un discendente dell'antico casato reale di Vasa, da parte di madre? Non devono esserne rimasti molti di discendenti, vero?-

Fersen si fermò, e dopo qualche istante André fece lo stesso. Possibile? Possibile che quel servo, fattore, giornalista o quant'altro, quel popolano, avesse tanto intuito in materia politica da aver compreso al volo la delicata situazione in cui si trovava?

-Sì...e con questo?- La sua voce si era fatta sospettosa, cosi come i suo occhi. -La mia famiglia non verrebbe certo presa in considerazione per un'eventuale adozione-

-Voi dite? E perché no? Certo, sarebbe il caso che si mostrasse capace di garantire una solida discendenza-

Vedendo che Fersen non rispondeva, aggiunse: -Si direbbe quasi che sia opportuno che vi sposiate al più presto-

-.....Si direbbe, infatti- **

Aveva fatto centro, André non ne dubitava più: nonostante gli evidenti sforzi, non riuscì a trattenere un piccolo sorriso. -Enfin, smettiamola di prenderci in giro: vorreste spiegarmi cosa ci fate qui?- Era divertito. Fersen riprese a camminare, in un moto di stizza e di imbarazzo: sì, aveva capito eccome, e si stava burlando di lui. -Non vedo perché dovrei spiegarvelo, è chiaro che lo sapete già. Vi faccio i miei complimenti, siete certamente un uomo di straordinaria intelligenza. Immagino che non si possa dire lo stesso di me-

André lo raggiunse sorridendo, le mani sprofondate nelle tasche, senza rispondere: non era il caso.

 

Camminarono fra gli alberi ancora un poco, poi Fersen si volse di scatto, senza più poter trattenere la preoccupazione:-Lo direte ad Oscar?-

André si era fatto serio e pensoso. -No, se non lo desiderate. Mi piacerebbe, per vedere la sua faccia, ma poi sarebbe in imbarazzo e si dispiacerebbe per voi-

-Se desiderate, parto immediatamente, datemi solo il tempo di congedarmi-

-Non so se sia necessario: dipende. Questo mi riporta alla domanda che volevo farvi: perché? Perché lei?-

Fersen non era esattamente dell'idea di aprirsi con quell'uomo, gli sembrava anzi la persona meno adatta a ricevere le sue confidenze. Ma il tono stranamente ragionevole che aveva preso la conversazione, la sensazione che sarebbe rimasta privata, una sorta di lealtà reciproca che si stava formando nella forma di un tipico colloquio da uomo a uomo, lo spinsero infine verso una relativa fiducia nel suo interlocutore:- Perché non lei?-

-Come perché? Dal punto di vista...ehm,tecnico?..è folle: si è compromessa politicamente e non ha più l'età per generare una caterva di figli. Dal punto di vista umano...anche peggio-

Sbuffò:- a sì? Perché ho sbagliato tempistica? Sono in ritardo di sei anni effettivamente-

-Oh, non siate ridicolo, non siete sciocco quanto volete dimostrare: siete in ritardo di almeno...- fendette l'aria con un ampio gesto della mano -almeno una quindicina di anni! A mio vantaggio naturalmente...chissà, dovrei ringraziarvi?...Ah! Incredibile! Sarebbe suonata come una beffa alle sue orecchie, una dannata impudenza! E adesso l'amate forse? Avete la più pallida idea di quanto l'avete fatta soffrire in passato?-

-Per l'appunto. Avevo intenzione di offrirmi di rimediare a qualunque torto le avessi fatto...nel modo che avesse preferito. Se avesse accettato, sono sicuro che sarei stato in grado di garantirle una vita tollerabilmente felice, in campagna: libera di cavalcare e tirare di scherma, o dedicarsi a qualunque occupazione favorisca e vestirsi come più le aggrada. Senza alcuna preoccupazione economica e con il minor numero possibile di contatti con il bel mondo che detesta, e di cui io sono stanco. Se mi avesse chiesto di andarmene, non avrei insistito: non sono venuto per arrecarle altro dolore-

-Eppure, lo avreste fatto. Se anche fosse stata libera, una proposta da parte vostra avrebbe inevitabilmente risollevato ricordi dolorosi e credo che sarebbe stata sterile: non avrebbe accettato di sposarvi per motivi di convenienza, e non avete nominato l'amore fra le cose che le avreste dato-

-Le avrei dato affetto, stima e amicizia. E avrei goduto della vicinanza della migliore amica, o amico, come ritenevo una volta, che abbia mai avuto. Ma forse avete ragione, quindi è meglio così- Sorrise, un po' malinconicamente, guardandolo schiettamente in volto: -Non serve che mi di diciate che con voi è più felice di quanto sarebbe mai stata con me: ne sono certo. E' evidente che vi amate. Ho amato sinceramente, amo ancora, e credo che amerò per sempre un'altra donna... e molto diversa. Non avrei saputo amare Oscar. Non l'ho mai vista risplendere di gioia così. La vita e la famiglia che le avete dato le piacciono. Dal canto mio, non l'apprezzerei, ma siamo evidentemente molto più diversi di quanto io pensassi, e io non l'ho mai capita fino in fondo, cominciando dal fatto che non l'ho mai vista pienamente come una donna, fino a che non mi ha, in qualche modo, costretto all'evidenza-

-Credo infatti che sia così-

Rise:- Non vi nascondo che è stato un colpo duro. Ma le voglio molto bene, e voi l'avete fatta felice: nessun rancore dunque- disse tendendogli la mano, che l'altro accettò.

-Mi sorprendete Fersen, siete molto meno melodrammatico di una volta, senza offesa naturalmente- ridacchiò.

-Ah, naturalmente! E voi molto meno rispettoso. Ma ho visto troppi drammi veri per inscenarne di nuovi, e ho imparato a tenermi i miei pensieri melodrammatici per me, e risparmiarli al prossimo***-

-Grazie tanto! E' un autentico sollievo!- esclamò André, una comica espressione di estasi sul volto:

-Vi assicuro che oggi ho davvero troppe, oh troppe! cose da fare per sfidarvi a duello-

-Ah già, dimenticavo! Siete voi che dovreste serbarmi rancore per questa intrusione! Se avevate già intuito, mi stupisce non mi abbiate ancora cacciato.-

-Non se avete rinunciato al tentativo di conquistare mia moglie. In questo caso non ho intenzione di perdervi tempo dietro-

-Ma no, ma no! Non vi degnate di essere almeno un po' geloso? Non è gentile: questo sì che è un colpo all'autostima di un uomo-

André rise rilassato, godendosi il sole e la certezza di non doversi mai più preoccupare di Fersen, al quale non ritenne necessario confessare che, tutto al contrario dell'incrollabile fiducia nel proprio matrimonio che egli gli attribuiva, aveva desiderato spedirlo fuori a calci dal momento in cui l'aveva visto soltanto tenere la mano della sua Oscar.

 

*L' episodio ha, invece, una sua logica astratta, al di là della piccola gag. Il capitolo precedente si è chiuso con quella che si potrebbe definire un'intrusione nello spazio personale emotivo di Oscar e dei bambini, compiuta, quasi involontariamente, da Fersen a loro insaputa. Il piccolo Pierre risponde ingenuamente con un'invasione dello spazio personale di Fersen... nel modo più letterale possibile.

**Ho accelerato un po' le date della storia svedese: (siamo nell'estate 1795) il colpo di stato di Carlo XIII ai danni di Gustavo IV, effettivamente re dal 1792, non avverrà che nel 1809 a seguito delle guerre napoleoniche. Non penso che a questa altezza cronologica qualcuno parlasse già di spodestarlo, né che fosse già prevedibile con tanta certezza che Carlo non avrebbe avuto figli. Tuttavia, il vero Hans Axel von Fersen venne linciato nel 1810 dalla folla che che lo accusava, ingiustamente, di aver avvelenato Carlo Augusto di Augustenburg, scelto da Carlo XIII come figlio adottivo dopo estenuati discussioni, secondo qualcuno per prendere il suo posto o aggiudicarlo ad un membro della sua famiglia allargata. In questo contesto, l'intera storia mi sembra quasi plausibile, non andando neanche ad intaccare la triste fine del personaggio storico. (Ha ancora quindici anni di vita davanti, non piangiamo!)

***Ma non al lettore: mi scuso profondamente a nome di Fersen per avervi sottoposto tediosamente ai suoi processi mentali. Grazie per la pazienza.

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