Illusioni

di Ross_S
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Illusioni ***
Capitolo 2: *** Realtà fatale ***



Capitolo 1
*** Illusioni ***


Uccidilo.
«Cosa?» chiesi a Luca, il mio compagno di banco, ma lui mi guardò con aria interrogativa. Presi un respiro profondo, scacciai quella parola dalla mente e lasciai perdere.  
Uccidili tutti.
«Hai detto qualcosa?» gli chiesi ancora, preoccupata.
«No, Ferrari, non ho detto niente. Stai diventando pazza adesso?»
Scossi piano la testa e lasciai perdere anche stavolta, ritornai a guardare il film, il quale mi stava sicuramente giocando brutti scherzi. Spostai lo sguardo all’altro lato della classe per un attimo e mi accorsi che il professore mi stava fulminando con gli occhi.
Devono morire.
Mi guardai intorno, ma nessuno stava facendo caso a me, anzi, tutti sembravano piuttosto interessati al film.
Iniziai ad agitarmi sulla sedia, i palmi cominciarono a sudarmi, Luca mi guardò per capire il motivo per cui mi muovessi così tanto. Fu un bene che mi abbia sempre odiato, non mi degnò più di uno sguardo.
Soprattutto lui.
È uno scherzo. Io sono solo una ragazza di 17 anni, non posso essere pazza. E questo non può essere vero. Non può.
E tu non puoi esserne sicura.
Cosa? No. Io non ho sentito quella voce. Assolutamente no. È impossibile!
Sentivo i battiti del cuore accelerare mentre le mani iniziarono a tremarmi. Le nascosi sotto al banco mentre i miei respiri diventavano sempre più irregolari.
Tu non sei una di loro, uccidili!
Un debole «No» mi uscì di bocca e Luca si girò subito per guardarmi. È probabile che abbia colto il terrore nel mio viso perché diventò talmente tanto paonazzo che riuscivo ad accorgermene persino al buio. «Cosa, ti fa paura il film?» nonostante il suo stupore iniziale, l’acido sarcasmo con cui era solito parlare rimase comunque. Le mani continuavano a tremarmi, i battiti non osavano diminuire, anzi, il contrario e i respiri diventavano sempre più corti e frequenti.
«Non fare la pappamolle, Ferrari»
UCCIDI QUESTO BASTARDO!
Mi coprii la bocca con una mano per evitare di gridare.
Io non sono un’assassina. Io non uccido le persone. Anche se le odio, anche se ci penso spesso, io non le uccido! NO!
FALLO!
E lo feci. Gli saltai addosso, aggredendolo. Gli piantai le unghie nel collo procurandogli ferite superficiali ma che lo fecero pur sempre sanguinare, e urlare soprattutto. Urla, urla, urla dappertutto. Solo urla. Sarebbe stato utile qualcosa di affilato per farlo smettere di gridare, per farlo tacere una volta per tutte e, improvvisamente, mi ritrovai in mano una biro che gli piantai dritto nel cuore. Ma le urla non cessarono. Perché non smettono? Perché?

Nero.

Bianco.

Nero.

Voci, sentivo solo voci. E urla, ancora urla, ma stavolta erano le mie. Aprii gli occhi per un istante solo e la mia vista colse subito il viso di Luca dall'altra parte della stanza che mi fissava terrorizzato. Non l'avevo ucciso. Non l'avevo neanche ferito. Avevo immaginato tutto.
Mi dimenavo sul pavimento, mentre qualcuno di cui non riuscii a vedere il viso cercava di tenermi ferma.
Troppe urla, troppe voci, troppo rumore. Silenzio, vi prego! Fate silenzio!

Continuavo a divincolarmi, cercando di tapparmi le orecchie e di far capire loro che avevo solo bisogno di silenzio, ma tutto fu inutile, anzi, il rumore aumentò. Sirene, altre voci, ordini gridati e urla! Ancora urla e ancora le mie. Basta, basta, basta!
Sentii qualcosa pungermi forte il braccio e tutto sparì, anche le urla. 

«Repello te, spiritus nequam; tibi denuntio per Deum verum, ut exeas ac discedas ab hoc loco, neque huc unquam redeas; tibi impero in nomine Illus qui te superavi tac devicit in patibulo crucis, cujus vistute in aeternum revinctus fuisti et allegatus».
Aprii gli occhi lentamente, accompagnata da quelle dolci parole che infondevano tranquillità. Mi trovavo nella mia stanza e quelle parole così calde provenivano da mia madre. Ero sdraiata sul mio letto e le sue mani erano sul mio cuore e sulla mia fronte, ma appena mi accorsi di questo lei si interruppe.
«Che stai facendo? Cos’è successo?» chiesi alzandomi di scatto e mettendomi seduta.
«Mi dispiace Anna, non avrei mai voluto questo per te, ma a quanto pare niente è andato come speravo»
«Come?» chiesi confusa.
«Andrò dritta al punto, senza giri di parole», i suoi occhi erano fissi nei miei e brillavano di una strana luce «sono una strega, Anna, e lo sei anche tu».
Distolse gli occhi, accorgendosi della mia espressione esterrefatta. «Morire non è nulla, non vivere è spaventoso, figlia mia, e noi siamo streghe, uccidiamo per vivere».


 

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Hey! Tu che hai finito di leggere questa storia! Sì, proprio tu! Che ne diresti di recensire? *ti prega in ginocchio*

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Capitolo 2
*** Realtà fatale ***


«Non interagire con gli umani» diceva mia madre, «finirai per ucciderli».
Per lei è stato facile sia dirlo che farlo, ha saputo chi fosse già dall'inizio. Io, invece, ho dovuto scoprirlo a 17 anni, quando per poco uccisi un mio compagno di classe. Non sarei mai riuscita a vivere senza essere a contatto con gli umani. Certo, avrei dovuto fare molta attenzione, ma ci sarei riuscita.
«Dobbiamo uccidere un umano ogni luna piena, se non lo facessimo moriremmo, ma è molto difficile resistete ai nostri istinti. Infatti, appena inizi ad assorbire l'energia vitale della tua preda non esiste modo di fermarsi, se non in rarissimi casi» continuò a spiegare mia madre.
«Quindi se io cercassi di uccidere le persone giuste e non i miei amici, potrei vivere una vita normale?» chiesi, sperando in una risposta positiva.
«Nemmeno per sogno, Anna!» mi ammonì mia madre. «A volte capita che i tuoi poteri ti portino a doverti nutrire dei giorni prima e se capita con la persona sbagliata potresti metterti nei guai. Ricorda, Anna, non devi mai affezionarti agli umani».
Mia madre sapeva quanto fossi testarda, non avrebbe mai dovuto pensare che avrei fatto come diceva. Avrei fatto a modo mio, e infatti, a distanza di anni, mi ritrovo a non aver ucciso nessuno a cui volessi bene. Cerco di stare lontano da tutti almeno due giorni prima della luna piena, e quando va male, perde la vita il cameriere dell'hotel dove vado ad alloggiare in quel periodo. Da anni, ho fatto funzionare questo metodo, non andrà storto proprio adesso che ho trovato Aidan.
 
«Aidan! Cosa ci fai qui?» chiesi aprendo la porta d’ingresso del mio appartamento. «Lo sai che domani vado a trovare mia madre».
Delle piccole bugie a volte sono necessarie in un rapporto; tra tre giorni ci sarebbe stata la luna piena e io sarei andata in un hotel a 5 stelle a tenermi lontana da lui.
«Mi mancavi» disse dolcemente.
«Ma ci siamo visti stamattina!»
«Lo so, ma non ti vedrò per tre giorni, concedimi questa piccola visita» disse dandomi un lieve bacio sulle labbra.
Lo presi per mano sorridendo e lo guidai in camera da letto. «Aiutami a fare la valigia allora».
«Sissignora» disse con un enorme sorriso stampato in viso, facendo il saluto militare.
«Prima o poi dovrai presentarmi tua madre, tu la mia la conosci» disse, dopo qualche minuto, tenendo gli occhi sulla maglietta che stava piegando.
Come dirgli che non vedevo mia madre da anni per avermi tenuto nascosta la verità? Come dirgli che raggiunti i 18 anni presi la mia roba e me ne andai senza mai voltarmi indietro?
«Quando torno vorrei parlarti di cose importanti, molto importanti. Che comprendono anche mia madre, ovvio» risposi evasiva.
«Di cosa vuoi parlarmi?» La sua curiosità era palpabile.
«Di tutte le cose che non sai di me, di tutti i miei segreti e di tutti questi viaggetti da mia madre» feci l'errore di dire le ultime parole in modo ironico, così abbassai la testa e continuai a piegare i vestiti, sperando che non se ne fosse accorto.
«Spiegami l'ultima frase» chiese dubbioso. Cercai di guardarlo come se non avessi capito cosa intendesse.
«Sembra che ogni mese tu non vada da tua madre, ma da qualche altra parte» disse sospettoso.
Uccidilo.
Volsi la testa di scatto verso la finestra per guardare il cielo. Mancavano ancora due giorni alla luna piena, ma Aidan doveva andarsene.
«Aidan, vattene» dissi a bassa voce, deglutendo a fatica.
«No, non me ne vado. Voglio sapere la verità».
Avanti, fagli vedere la verità.
Perché proprio adesso? Perché proprio lui? Devo farlo andare via, questa volta non sarà come l'iniziazione, non sarà solo un'illusione.
«Devi andartene» dissi con più forza con il viso rivolto dall'altra parte della stanza, senza avere il coraggio di guardalo negli occhi.
«Perché mi chiedi di andarmene proprio adesso? Cosa mi nascondi, Anna?»
Uccidilo, così finalmente scoprirà la verità.
Perché non capisce che si sta mettendo male? Io non voglio ucciderlo!
«Vattene!» gli urlai. Lasciandolo sbigottito per un momento.
«Basta bugie, voglio la verità!» disse insistente alzando la voce pure lui.
UCCIDILO!
No. No! NO! Io lo amo! Le mani cominciarono a tremarmi mentre il cuore batteva ad un ritmo disumano. NON LUI!
«VATTENE!» strillai con tutto il fiato che avevo in gola, ma lui non ebbe il tempo di rispondere che gli saltai addosso. Dentro di me ero dilaniata, mente e cuore si combattevano tra loro. Il cuore voleva che smettessi, ma la mente era troppo forte e continuava a farmi agire. Le mani erano appoggiate una sul collo per tenerlo fermo e l'altra sul cuore, lì dove solitamente l’appoggiavo teneramente per sentirgli il battito cardiaco. In questo caso era tutt'altro che una carezza, la mia. Sentivo il suo corpo afflosciarsi sotto le mie mani e il suo cuore rallentare mentre le lacrime mi rigavano le guance. La morte più lenta e più dolorosa che io avessi mai inflitto. Sembrava che la sua energia vitale fosse interminabile e i suoi occhi continuavano ad essere fissi nei miei, divenuti rossi durante l'assorbimento della sua energia vitale.
Mi guardava come nessuno mi aveva mai guardata: con occhi pieni di incredulità, amore e, inaspettatamente, comprensione.
La sua bocca cercava di muoversi e di dire qualcosa, ma la mancanza di energia glielo impediva. Chiusi i miei occhi sperando che quei trenta secondi di agonia durassero meno. Inutile, perché fu come se fosse passata un’eternità.
«Anna» disse Aidan quasi impercettibilmente. Fu come una scossa elettrica, mi scagliò in fondo alla stanza, contro il divano, facendomi prendere un colpo alla schiena. Però mi aveva fatta ritornare in me, mi aveva allontanata dal mio essere strega e dalla mia necessità di nutrirmi, così mi alzai, indifferente al dolore, e mi accovacciai vicino ad Aidan.
I suoi occhi rimasero aperti il tempo di un altro battito del cuore e poi si richiusero. Iniziai ad urlare e le lacrime mi scorrevano interminabili mentre la polvere in cui si stava trasformando mi scorreva tra le dita. Non so se mi sentì mentre gli urlavo che lo amavo e che mi dispiaceva, ma so che è morto nella sofferenza più grande: la donna che amava l'aveva ucciso.
 
«Nonna, chi ci abita in quella vecchia casa?» domandò Era, passando per un vecchio edificio.
«Adesso non ci abita nessuno, piccola mia» rispose sua nonna con un tenero sorriso alla vivace curiosità della nipote, ormai undicenne.
«Vuoi dire che una volta ci abitava qualcuno?»
«Esiste una leggenda su questa casa, sai?» disse la nonna osservando i rovi che ricoprivano l'entrata di quel vecchio edificio diroccato. «Dicono che una strega si fosse rinchiusa qui, dopo aver fatto qualcosa di terribile al suo amato, e che non si fosse nutrita per molto tempo, morendo».
«Amava così tanto quella persona da uccidersi?» domandò Era incredula.
«L'amore può portarti da un estremo all'altro in pochi istanti. Lei probabilmente è impazzita dal dolore per quello che aveva fatto, ma, soprattutto, per quello che aveva perso».



 
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