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di sorridopernullawow
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 27: *** Capitolo 26 ***
Capitolo 28: *** Capitolo 27 ***
Capitolo 29: *** Capitolo 28 ***
Capitolo 30: *** Capitolo 29 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Dopo la battaglia non ci furono festeggiamenti. Troppi erano i caduti, troppo era il dolore.
I giorni si susseguivano lenti e grigi. Ogni notte, in ogni città di Uomini e Elfi, si accendevano innumerevoli fiaccole in ricordo di chi non c’era più.Tra di loro c’erano Gil-Galad e Oropher.

Anche se non ero mai stata in buoni rapporti con il Re di Boscoverde, la sua perdita mi aveva lasciato un vuoto profondo: avevo perso suo figlio, Thranduil.Si era chiuso in se stesso, il suo cuore era diventato di pietra: il ricordo della battaglia e degli orrori visti durante l’assedio di Mordor non poteva essere cancellato.

Ma Gil-Galad aveva lasciato un vuoto ancora più grande.
Non avrei mai dimenticato il suo sorriso, la sua gentilezza, la sua autorevolezza da vero Re.
Non avrei mai dimenticato il suo corpo carbonizzato tra le braccia di Elrond.
Non avrei mai dimenticato suo figlio, l’Elfo che amavo: Calen.

Più i giorni passavano, più Elrond e tutti gli altri Elfi perdevano le speranze di ritrovarlo, ma non io.
Ero sicura che fosse ancora vivo da qualche parte.
Cominciai a vagare per le Terre Selvagge in ricerca di qualsiasi cosa che mi avrebbe condotta da Calen, ma ogni volta che pensavo di aver trovato qualcosa, ecco che mi sfuggiva di mano come un pugno di sabbia fra le dita.
Innalzai uno spesso muro tra me e il resto del mondo, allontanandomi sempre di più, chiusa in me stessa, fino a quando persi completamente la cognizione del tempo. Non distinguevo più i giorni dagli anni interi, ormai mi sembravano tutti uguali.

Mi ero persa nella mia solitudine.
Ero cambiata, non ero più la stessa dopo la battaglia di Mordor.
Non avrei avuto pace fino a quando non l’avessi trovato, non mi importava quanto tempo ci avrei messo.

I ricordi che avevo con lui erano pugnalate al cuore.
Avrei dato qualsiasi cosa per tornare indietro a quando eravamo insieme, sdraiati sui prati dei boschi attorno a Gran Burrone a guardare le stelle, o anche solo per guardarlo sorridere davanti a me.
Mi svegliavo all’alba solo per sentire il profumo dell’erba bagnata di rugiada, mi ricordava lui.

Ma quello che mi opprimeva di più era il rimorso. Il rimorso di aver permesso a Sauron di fargli questo.
Alcune notti sognavo quello che gli avrebbe potuto fare, sogni così nitidi da sembrare reali e da farmi urlare nel sonno.

Altre notti invece mi stendevo sul prato e osservavo le stelle ripetendo a me stessa che lo avrei trovato.
Una notte cadde una stella cadente ed espressi un unico desiderio.
Desidero amare Calen per l’eternità”

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


La pioggia cadeva incessantemente da alcune ore, riempiendo i prati di fango e rinfrescando le chiome degli alberi. L’aria era umida ed un leggero vento gelido mi pizzicava la pelle del viso. Sentivo le gocce di pioggia cadere sulle foglie degli alberi, per poi scivolare sopra di esse e cadere al suolo. Alcuni scoiattoli correvano sui rami in cerca di un riparo, mentre gli uccelli cinguettavano nei loro nidi.
Mi ero riparata sotto un robusta quercia, avvolta nel mio mantello sporco di fango secco, terriccio e polvere. Tenevo la schiena appoggiata al tronco e le ginocchia vicino al petto per tenermi al caldo.

Percepii che qualcosa si stava avvicinando a gran velocità nella mia direzione.
Scattai in piedi e raccolsi in fretta da terra arco e frecce, me li misi in spalla e mi arrampicai sulla quercia fino a quando raggiunsi un ramo abbastanza resistente da sostenermi. Mi accovacciai su di esso ed incoccai una freccia. Qualsiasi cosa fosse in arrivo, dovevo essere pronta.
Appena la vidi abbassai l’arma che tenevo in mano.

Era un frisone nero come l’ebano, con i crini lunghi ed ondulati e gli arti ricoperti per metà da ciuffi di pelo.
Akira.
L’ultima volta che l’avevo vista era quando l’avevo lasciata andare prima di entrare a Mordor, prima della grande battaglia, e avevo perso le sue tracce fino a quel momento.

Balzai giù dalla quercia, atterrando su alcune foglie secche e rese scivolose dalla pioggia. Abbassai il cappuccio del mantello e le andai incontro lentamente.  Appena mi vide rallentò la sua corsa e mi venne incontro anche lei esitante: per lei dovevo essere cambiata molto. Mi fermai e allungai la mano per accarezzarle il muso.

-Akira, sono io, Belthil … non devi avere paura di me …

La mia voce riuscì in qualche modo a convincerla, facendola continuare ad avanzare fino a quando la mia mano toccò il suo muso.
Mi ero dimenticata di quanto fosse morbido il suo pelo, ma soprattutto quanti ricordi erano racchiusi nel suo sguardo: Gil-Galad me l’aveva  donata il giorno in cui avevamo lasciato Mithlond e da subito avevamo stretto un forte legame.

L’abbracciai istintivamente e lei ricambiò appoggiando il muso sulla mia spalla. Non mi importava della pioggia che ormai mi aveva inzuppato da capo a piedi: avevo ritrovato una parte di me.

Continuai ad accarezzarla fino a quando la mia mano sfiorò qualcosa che era legato ad una ciocca della sua criniera: una piccola borsa di cuoio elfica.
La presi in mano e la aprii, trovando al suo interno una pergamena con il mio nome sopra, chiusa da un sigillo dorato con una cascata al centro.
Era il sigillo di Gran Burrone.
Condussi Akira sotto la quercia, ruppi il sigillo e cominciai a leggere la pergamena, facendo attenzione a non bagnarla.

A Belthil, figlia di Aran e Custode della Fiamma Imperitura.
Sono passati trecento anni da quando non ho più tue notizie e sia io che molti altri sovrani siamo molto preoccupati. Abbiamo mandato parecchi Elfi a cercarti ma nessuno di loro è mai riuscito a trovarti, aumentando ogni volta i nostri timori. Alla fine abbiamo deciso di mandare Akira come nostra ultima possibilità, e se stai leggendo queste parole significa che finalmente abbiamo avuto successo. Penso che ormai avrai intuito che Akira non è semplice cavallo, bensì un raro discendente della Razza Immortale e fedele ad un solo padrone.

Trecento anni? Per me ne erano passati al massimo tre: avevo davvero perso la cognizione del tempo. Sollevai lo sguardo dalla pergamena e osservai Akira: aveva ragione, non era invecchiata di un giorno, era ancora forte e giovane. Gil-Galad mi aveva fatto un immenso dono.

Ma non ti sto scrivendo per parlare di Akira. Sappiamo che non vuoi essere trovata e ne comprendiamo il motivo: Calen, il figlio di Gil-Galad che è scomparso nella battaglia di Mordor. Sei intenzionata a ritrovarlo, ma devi iniziare a prendere in seria considerazione la possibilità che sia davvero morto. So quanto eri legata a lui ma è arrivato il momento di andare avanti e ricominciare a vivere la tua vita.

Aveva ragione, non avrei mai smesso di cercarlo. Calen era ancora vivo, ne ero sicura, e non avrei mai preso in considerazione quella possibilità.
Mai.

Sta accadendo qualcosa nella Terra di Mezzo, qualcosa di strano e Gandalf, lo stregone grigio, sostiene che potrebbe essere qualcosa di pericoloso per tutti noi. Tu sei l’unica che può aiutarci a far luce su questa faccenda, per questo ti chiedo di accettare il mio invito a ritornare a Gran Burrone. Appena sarà tutto finito ti lascerò riprendere la tua missione, ma adesso ti imploro di tornare.
Namaarie tenna’ento lye omenta, (addio fino a che ci rivedremo di nuovo)
Elrond.

Doveva essere successo qualcosa di grave per far preoccupare Gandalf.

Lo avevo conosciuto alcuni anni dopo la battaglia di Mordor, quando Elrond mi aveva ospitata a Gran Burrone per più di un secolo. Cappello a punta, folta barba grigia, quasi sempre con la pipa in bocca e con uno spiccato senso dell’umorismo. Appena avevo incrociato i suoi occhi azzurri avevo percepito che c’era qualcosa di speciale in lui, qualcosa di potente che non aspettava altro che essere sprigionato: lui non era un semplice stregone grigio, era destinato ad essere qualcosa di più.

Il giorno in cui decisi di lasciare Gran Burrone, Elrond cercò di farmi cambiare idea, ma Gandalf fu l’unico ad appoggiare la mia decisione.
-Lasciala andare, amico mio. Lei se la sa cavare da sola e se davvero è convinta che Calen sia ancora vivo, ha tutti i diritti di andare a cercarlo. Troverà la sua strada.
Lui aveva capito.

Non potevo rifiutare la richiesta di Elrond. Era un mio amico e anche se non appoggiava la mia decisione, non gli avrei voltato le spalle.
Aspettai che finisse di piovere, poi mi misi in spalla la sacca in cui tenevo i miei viveri, la faretra e l’arco, per poi montare su Akira e iniziare il mio viaggio di ritorno a Gran Burrone.

Era strano cavalcare senza sella, a diretto contatto con il suo morbido manto nero, ma era una sensazione incredibile sentire i suoi muscoli contrarsi sotto di me e il veloce battito del suo cuore, come se fossimo una cosa sola.
Andavamo così veloci che in certi momenti pensavo di volare. A quella velocità non ci avremmo impiegato molto a raggiungere Imladris, la Valle Nascosta.

Ma ero davvero pronta a tornare?

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Attraversai le Terre Selvagge in poco tempo grazie alla straordinaria velocità di Akira. Il vento mi sferzava il viso e faceva ondeggiare il mantello in ogni direzione, lasciando dietro di noi solo una nuvola di polvere terrosa.

 Tempo fa avrei detto che era come volare, ma quella volta conoscevo la vera sensazione di librarsi in volo, essere sospesa nel vuoto, ed era qualcosa di completamente diverso. Certo, volando sarei potuta arrivare molto prima a Gran Burrone, ma cavalcare quella rara discendente della Razza Immortale era anch’essa una sensazione unica, a metà tra volare nello spazio infinito del cielo e correre sulla terra polverosa e arida di quelle terre.

Vedevo il paesaggio attorno a me scorrere velocemente, come se stessi sfogliando un vecchio libro pieno di figure. Un minuto prima vi erano piccoli arbusti e cespugli, quello dopo non vi era più nulla, solo una distesa piatta di terra arida, e quello dopo ancora ecco comparire all’orizzonte le chiome degli imponenti alberi di Boscoverde il Grande.

Ma qualcosa era cambiato in quella foresta. Le fronde degli alberi erano piene di enormi ragnatele e le foglie erano scure, quasi nere. Sembrava come … malata.

Dentro di me cresceva il desiderio di sapere cosa fosse successo a Boscoverde, ma in quel momento avevo un altro incarico da compiere: ritornare da  Elrond. Decisi quindi di aggirare la foresta.
Ma vi era anche un altro motivo per avevo preso quella decisione: Thranduil.

La morte di suo padre aveva lasciato una profonda ferita nel suo cuore ed egli non era più lo stesso. Il mio ultimo ricordo di lui era quello di un giovane elfo silvano che teneva tra le braccia il cadavere del padre, ferito sia nel corpo per la battaglia che nello spirito per quella terribile sofferenza. Da quel giorno il nostro legame si era spezzato.

“Vattene”

L’ultima parola che mi aveva detto, e così avevo fatto.

Spronai Akira per andare più velocemente e lasciai presto alle spalle Boscoverde. Superato anche il Grande Fiume Anduin, ci trovammo innanzi a una grande catena di montagne, le Montagne Nebbiose, che attraversavano la Terra di Mezzo da Rohan fino al Forodwaith, il Deserto Settentrionale. Oltre di esse vi era la mia meta: Imladris, comunemente chiamata Gran Burrone. Per attraversarle avrei dovuto imboccare uno dei pochi passaggi segreti che conducevano a quella città, ovvero un intricato sistema di sentieri scavati nella pietra, come un labirinto. Pochi conoscevano il giusto cammino, ed io ero una di quelli. Lo avevo percorso il giorno in cui avevo lasciato la Valle Nascosta e lo avrei anche usato per ritornarci. Se si smarriva la via, si smarriva ogni possibilità di uscirne vivi.

Smontai da Akira e mi avvicinai all’entrata del passaggio, costituita da un arco di pietra ricavato dalle montagne, avvolto da piante rampicanti con piccoli fiori bianchi dall’odore inebriante. Sulla sommità di esso vi era un’antica scritta in elfico:
“Et Earello Endorenna utulien. Sinome Maruvan ar Hildinyar tenn'Ambar-metta”
Dal Grande Mare sono giunto nella Terra di Mezzo. Qui io dimorerò, e i miei eredi dimoreranno fino alla fine del Mondo.

Doveva essere stata incisa da uno degli antenati di Elrond, al tempo in cui gli Elfi lasciarono l’Isola Beata dei Valar per venire a regnare nella Terra di Mezzo.
Superai l’arco e mi addentrai nel labirinto di roccia, seguita subito dopo da Akira. Un vento leggero e fresco si insinuava tra le punte spioventi delle pietre, mentre solo pochi raggi di sole riuscivano a penetrare tra di esse ed illuminare il cammino.
Più avanzavo più sentivo in lontananza lo scroscio infinito dell’acqua cristallina che scorreva nel fiume Bruinen e cadeva nel vuoto dalle cascate, fino a quando la valle di Imladris si aprì davanti a me.

L’Ultima Casa Accogliente non era cambiata, era rimasta immutata proprio come i suoi abitanti immortali. Invece di proseguire, rimasi immobile a contemplare quella città.
Io al contrario ero cambiata, sia nell’aspetto che nell’animo.

Seguii un sentiero di ciottoli che mi portò al ponte di pietra sospeso nel vuoto, dal quale si accedeva alla città. Camminai lentamente per non allarmare le guardie, ma a metà del ponte mi vennero incontro due elfi, guardiani della città.

-Mani naa essa en lle?(Qual è il tuo nome?)- mi chiese uno di loro.

-Bel …

-Mankoi naa lle sinome? (Perché sei qui?)- mi domandò l’altra guardia.

-Sono qui per incontrare Re Elrond.
Le due guardie si fecero un cenno e mi lasciarono passare anche se non mi avevano riconosciuta.

Arrivai in un ampio spiazzo con ai lati due statue di antichi elfi e una scalinata che conduceva nelle stanze del palazzo: il cuore di Gran Burrone.
Attesi a lungo, ma nessuno venne ad accogliermi, cosa alquanto strana. Cominciai a giocherellare con la criniera di Akira, a guardare il cielo e a perdermi nei miei pensieri.

All’improvviso vidi comparire un giovane elfo in cima alla scalinata che riconobbi all’istante. Era Lindir, il braccio destro di Elrond.
 Aveva lunghi capelli scuri e gli occhi neri che contrastavano con il pallore della sua pelle; indossava una tunica color porpora molto elegante e una piccola corona elfica argentata.

-Mi dispiace avervi fatto attendere, ma il mio Signore al momento è molto occupato …

-Non ha tempo neanche per i vecchi amici, Lindir?

Al suono della mia voce spalancò gli occhi.

-Belthil? Sei davvero tu?

-E chi altro dovrei essere mellonamin? (amico mio)

-È un piacere rivederti! Sei così cambiata dall’ultima volta che ci siamo visti ...

Ci scambiammo un abbraccio caloroso e pieno di affetto.

-Dimmi amico mio, cosa tiene occupato così tanto Elrond?

-Gandalf è venuto a farci visita. E non era da solo … - mi rispose Lindir con una strana espressione in volto. I compagni di Gandalf non dovevano essere di suo gradimento.

-E chi sono i compagni di viaggio di Gandalf?

-Uno hobbit e tredici … nani.

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


-Uno hobbit e tredici … Nani.

Non potevo credere alle mie orecchie.

Gli hobbit di rado si allontanavano così tanto dalla loro amata Contea, se non per grandi necessità, e solitamente non mostravano alcun interesse verso quello che succedeva fuori dai confini della loro terra. Erano un popolo pacifico, che conduceva una vita semplice e amava il cibo, bere e dare feste che duravano anche giorni.
 Durante tutto il tempo trascorso nella Terra di Mezzo, non ne avevo mai conosciuto uno e quella sembrava l’occasione perfetta per conoscere quel popolo che tanto ammiravo per il loro odio della guerra. Infatti gli hobbit non usavano armi, bensì preferivano utilizzarle come oggetti ornamentali da appendere alle pareti.

Quasi li invidiavo: quante volte avevo desiderato condurre una vita semplice e tranquilla, senza mai conoscere l’orrore della guerra, la solitudine, il dolore; quante volte avevo desiderato avere una vita normale, crescere con la propria famiglia nella propria casa, nella propria terra. Ma soprattutto quante volte avevo desiderato vivere con chi amavo di più al mondo.

Invece i Nani li conoscevo bene.

Durante la mia assenza a Gran Burrone, per alcuni anni avevo vissuto vicino ai Colli Ferrosi dove dimorava gran parte del Popolo di Durin, il più antico e grande tra i sette clan dei Nani.

 I Nani erano simili agli Uomini, ma di piccola taglia e di fisionomia robusta, caratterizzati da lunghe barbe. Lavorano instancabilmente e incessantemente nelle loro miniere, attratti con persistenza dai metalli preziosi. In un primo momento mi erano sembrati egoisti, per la loro avarizia e le loro esigenze materialistiche, da sempre motivo di contrasto tra i nostri popoli.

Ma quando ero arrivata nella loro terra mi avevano accolto con rispetto, come se fossi una loro regina, facendomi cambiare totalmente opinione su di loro. I Nani erano leali oltre ogni misura, profondamente legati tra di loro, e pieni di coraggio. Più volte avevano coperto le mie tracce dagli Elfi che mi cercavano, dandogli false notizie, mettendo tutti in loro in pericolo: non era mai saggio mentire agli Elfi, ma per me lo avevano fatto.
Loro capivano il mio desiderio di non essere trovata.

Dopo alcuni anni dovetti lasciarli, per non metterli ulteriormente in pericolo, e per ringraziarli gli diedi in dono alcuni frammenti del ciondolo che mi avevano donato i Valar e che avevo raccolto da terra dopo essere stato distrutto da Sauron davanti ai miei occhi. Essi ne rimasero meravigliati: per loro la bellezza e il valore, quei frammenti andavano fuori d’ogni misura. Mi promisero che li avrebbero tenuti al sicuro nei loro forzieri, come se fossero un enorme tesoro, e che mai avrebbero dimenticato il mio gesto.

-Fammi strada amico mio- dissi a Lindir.

Lo seguii all’interno del palazzo e appena misi piede nell’ampio ingresso mi sentii finalmente a casa. Era passato così tanto tempo da quando non sentivo l’odore familiare dei fiori appena sbocciati e dei libri antichi ordinati in alte librerie. La luce del sole illuminava la stanza e lo scroscio delle cascate riempiva l’aria.  

-Ti era mancato, dico bene?

-Non sai quanto ma … non potevo tornare.

-Perché?

Ecco la domanda che temevo di più.

-Perché qui ho troppi ricordi di lui, che prima o poi mi avrebbero logorata dall’interno. Non potevo rimane un giorno di più, dovevo fare qualcosa. Dovevo ritrovarlo. In questo momento stanno riaffiorando tutti i ricordi, tutto quello che ho cercato di tenere da parte in questi anni, per non cadere ancora nel dolore. Ovunque io guardi, vedo lui: lo vedo aspettarmi qui all’ingresso per andare a passeggiare nel bosco, lo vedo sfogliare uno di questi libri, assorto nella lettura e con un grande desiderio di conoscere, sdraiato su questi cuscini e con la luce del sole che gli illuminava il volto.

Ed era vero.
 Sentivo quella ferita nel cuore aprirsi ogni secondo più, da quando ero arrivata nella Valle. Qualsiasi cosa mi ricordava lui. Calen.

-Lo dovevi amare molto …

-Non ho mai smesso di farlo.

-Non sei mai ritornata neanche a Mithlond?

-Mithlond era casa sua, la sua terra. Se Gran Burrone mi fa questo effetto, immagina cosa succederebbe se ritornassi lì. Non riuscirei a sopportarlo. Ritornerò in quella città solo con Calen al mio fianco.

 Lindir andò avanti a farmi strada senza aggiungere altro, prendendo il corridoio alla nostra destra.

-Dove stiamo andando?- chiesi per sciogliere la tensione.

-Alla Sala del Consiglio, Elrond ha voluto che il banchetto si svolgesse lì. Ma … che cosa diamine sta succedendo?!

Si riferiva a uno strano rumore che proveniva dalla fine del corridoio.
Solitamente durante i banchetti si sentiva il suono soave del flauto e dell’arpa, una melodia dolce e serena che li rendeva ancora più piacevoli. In quel momento invece non vi era alcuna melodia, bensì un canto sfrenato e caotico: un canto nanico.

-I Nani hanno deciso di allietare Elrond con una loro canzone.

-Allietare?! Tu chiami questo rumore “canzone”?!

Lindir era su tutte le furie, per lui doveva essere un’offesa nei confronti delle nostre tradizioni.

-Magari neanche ai Nani faceva piacere ascoltare i flauti e l’arpa.

-Io proprio non li capisco … - sospirò Lindir - Aspettami qui, vado ad annunciare il tuo ritorno.

Mi fermai accanto all’entrata della Sala del Consiglio e rimasi in attesa mentre i Nani continuavano a cantare. Sentivo battere le posate, piatti e calici che venivano fatti cadere, il battito pesante dei loro stivali.

Il cantò finì con le risate dei Nani, mentre sentii Lindir tossire per chiamare l’attenzione di Elrond.

-Ehm ehm …

-Ah Lindir! Ci chiedevamo dove fossi finito! Spero che Gandalf non abbia lasciato indietro altri Nani, non credo che abbiamo ancora molto vino a nostra disposizione dopo questa cena!

-Mio Signore ti posso assicurare che la compagnia è al completo- rispose Gandalf con tono divertito.

-No mio Signore, non sono altri Nani …

-Ebbene, chi è arrivato?

-Lei … è tornata.

Non aspettai la risposta di Elrond e feci il mio ingresso. Appena mi videro, Gandalf ed Elrond si alzarono in piedi, con gli occhi spalancati dalla sorpresa. I Nani smisero di ridere, facendo scendere il silenzio. Sentivo tutti i loro sguardi puntati su di me, incuriositi dalla reazione dello stregone e del Re. Lindir si fece da parte, ed Elrond mi venne incontro.

-Belthil … sei davvero tu?

-Sì amico mio, sono davvero io. Sono tornata.

In un attimo mi ritrovai tra le sue braccia, in un abbraccio carico di affetto e di un’attesa finalmente terminata.

-Non sai quanto mi sei mancata in tutti questi anni … ho sempre sperato nel tuo ritorno. Le miei ultime speranze erano in quella lettera e in Akira, ed ora tu sei qui. Sai, quasi non ti riconoscevo, sei così cambiata …

-Hai ragione, sono cambiata … ma ora sono qui e potrai contare su di me per qualsiasi cosa- dissi prima di sciogliere il nostro abbraccio e andare incontro a Gandalf.

-Mithrandir!

-Mia Signora! È un piacere rivederti qui a Gran Burrone, anche se sappiamo bene che non era nei tuoi piani, non è così?- affermò lo stregone.

-Tu mi capisci molto bene, amico mio, ma non posso tirarmi indietro da una richiesta d’aiuto, soprattutto se è da parte di un mio caro amico come Elrond. Ma appena sarà tutto finito …

-Riprenderai la tua missione, ti capisco. Di questo parleremo dopo,  ma prima lascia che ti presenti la compagnia!

I Nani si erano alzati da tavola e avevano continuato ad osservarmi, bisbigliando tra di loro.

- Questa è la compagnia di Thorin Scudodiquercia!

Avevo sentito parlare di Thorin dai Nani dei Colli Ferrosi. Era l’erede della Stirpe di Durin, destinato a diventare Re di Erebor, Signore dei Nani.

-Gandalf chi è questa Elfa ?- chiese un nano dai lunghi capelli neri, folta barba scura e occhi azzurri come il ghiaccio.

-Mi sorprendo che tu non sappia chi sia, Thorin. Lei è Belthil, figlia di Aran, Custode della Fiamma Imperitura.
 
 

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


-La mia famiglia mi ha parlato molto di voi, è un onore potervi finalmente conoscere - disse Thorin chinando il capo, seguito poi dal resto della compagnia.

-Anche per me è un onore conoscervi, Thorin Scudodiquercia. Le nostre strade si sono incrociate inaspettatamente qui a Gran Burrone, ma sono certa che dopo questo incontro il mio rapporto con il Popolo di Durin sarà più forte e duraturo, portando grandi benefici per entrambi.

Thorin fece un altro piccolo inchino con il capo, e Gandalf riprese la parola:

-Belthil vorrei inoltre presentarti il quattordicesimo membro della nostra compagnia, il signor Bilbo Baggins dalla Contea.

Guardai in direzione del gruppo di Nani e uno hobbit si fece avanti tra di loro. Sembrava quasi intimorito da me, si avvicinava lentamente, con cautela, e cercava di non guardarmi dritta negli occhi.

Aveva  i capelli bruni riccioluti, occhi verdi scuri, grosse orecchie a punta e il naso a patata. Indossava abiti semplici: una giacca lunga e rossa, un panciotto verde con grossi bottoni di metallo, una camicia bianca, sotto la quale si intravvedeva una sciarpa verde, e pantaloni marroni che arrivavano poco sotto le ginocchia. Alla cintura portava una piccola spada dal pomo in cuoio scuro e decorazioni argentate che riconobbi all’istante: un pugnale elfico. Non indossava stivali, bensì camminava a piedi nudi grazie a piedi grossi e robusti, con della peluria sulla parte superiore.

-Perché hai paura di me Bilbo Baggins?

-I-io non ho paura mia Signora … è solo che … non mi sento abbastanza degno … - mi rispose quasi sussurrando.

-L’umiltà è un grande valore di cui devi andare fiero, ma non sottovalutare te stesso. Io non sono superiore a nessuno, la Fiamma non mi ha reso onnipotente né invincibile. Faccio parte di questo mondo esattamente come te Bilbo.

Il suo sguardo si sollevò da terra e finalmente mi guardò negli occhi.

-Ecco, così va molto meglio. Sono sicura che avremo modo di parlare più tardi, sai sono curiosa di sapere qualcosa sulla Contea.

In realtà non volevo parlare solo della Contea, ma anche del vero motivo per cui aveva deciso di unirsi alla compagnia dei Nani. Sapevo che c’era qualcosa che stavano nascondendo, qualcosa di importante. Lo avevo capito dai loro sguardi, attenti a non attirare troppo l’attenzione, e da come Gandalf aveva reagito alla mia proposta: in un attimo aveva cambiato espressione, aggrottando le folte sopracciglia grigie, come temesse che io potessi scoprire qualcosa.

-Certo, ne sarò estremamente felice.- rispose lo hobbit.

-Che ne dite se riprendiamo insieme il banchetto? Devi essere molto affamata Belthil - propose Gandalf fingendo un grande sorriso per nascondere la sua agitazione e rimettere tutti a loro agio dopo il mio arrivo a sorpresa.

-Sarò felice di unirmi a voi- ribattei sorridendo.

I Nani esultarono e si rimisero seduti ai loro due tavoli, che in realtà erano composti da tanti tavolini bassi, sui quali di solito si appoggiavano i libri,  e divisi dalla grande pietra che stava al centro della Sala, cominciando poi a parlare e ridere tra di loro. Bilbo si sedette con loro su dei morbidi cuscini,  accanto a un Nano dai capelli bianchi e dalla lunga barba anche’essa bianca.

Io invece mi sedetti tra Gandalf ed Elrond, in un tavolo più alto, e con noi vi erano Lindir e Thorin, il quale non sembrava apprezzare molto il cibo elfico, così come gli altri Nani.

Durante la cena Gandalf mi indicò i dodici Nani che sedevano con Bilbo: Dwalin, Balin, seduto accanto allo hobbit, Bifur, Bofur, Bombur, Oin, Gloin, Ori, Dori, Nori, e i giovani nipoti di Thorin, Fili e Kili.

-Non credo che riuscirò a non confonderli, amico mio.

-Non ti preoccupare, una volta che li si conosce diventano inconfondibili.- mi rispose lo stregone ridendo sotto i baffi.

-Brindiamo al tuo ritorno, che tu possa guidarci verso la luce e la pace nella Terra di Mezzo!- disse Elrond alzando il calice di vino, seguito poi da tutti gli altri commensali.

Durante il resto del banchetto gli Elfi ripresero a suonare, per la “gioia” dei Nani. Era una melodia dolce, quasi come una ninna nanna, il flauto accompagnava l’arpa e lo scroscio delle cascate in sottofondo sembrava seguire la stessa sinfonia.

Finita anche l’ultima portata, decisi di alzarmi e di andare a darmi una rinfrescata. I miei abiti erano pieni di polvere, gli stivali infangati, dovevo somigliare ad una vagabonda.

-Mia figlia Arwen ti porterà alla tua stanza. Nessuno ci è mai entrato, l’abbiamo tenuta solo per te.

-Grazie davvero Elrond.

Salutai Gandalf con una pacca sulla spalla e Thorin con inchino del capo, così come per gli altri Nani e Bilbo.

Vicino all’entrata della Sala, seduta su un divanetto intenta a leggere un libro, vi era una giovane Elfa dai lunghi capelli neri corvini leggermente mossi, la pelle pallida come la luna e gli occhi grigi. Al collo portava la Stella del Vespro, una gemma bianca come una stella legata ad una catena d’argento, chiamata anche Elessar, che aveva il potere di preservare i luoghi e sanare le ferite. Era appartenuta a Galadriel, la quale aveva deciso di donarla alla figlia Celebrian, moglie di Elrond. Quando Celebrian aveva deciso di partire per Valinor,  lasciando i suoi cari nella Terra di Mezzo dopo aver perso ogni interesse e amore per quelle terre, donò la gemma alla figlia minore ancora in fasce, Arwen. Mi ricordavo bene quel giorno, mai avrei dimenticato lo sguardo perso di Elrond con sua figlia tra le braccia mentre guardava la sua amata abbandonare per sempre Gran Burrone, né i volti malinconici dei due figli maggiori gemelli, Elladan ed Elrohir. Arwen era cresciuta circondata dall’amore di suo padre e dei suoi fratelli, e spesso mi ero presa anche io cura di lei, lasciando il dolore alle spalle solo per qualche ora, cullandola dolcemente per farla dormire  o giocando nel bosco tirandoci addosso mucchi di foglie secche. Il giorno in cui lasciai Gran Burrone aveva appena dieci anni e quando capì che stavo per andare via scoppiò a piangere: aveva paura che non sarei mai più tornata, come la madre. Allora io la presi tra le mie braccia e le promisi che un giorno, non sapevo quando, sarei tornata; lei smise di piangere e mi strinse forte con le sue piccole braccia.

Trecento anni erano passati, e lei era cresciuta in grazia e bellezza: anche solo stando seduta, aveva un portamento regale e gli occhi trapelavano saggezza, come il padre. Indossava un semplice abito rosso che risaltava il suo pallido incarnato e alla vita portava una sottile cinta di foglie intrecciate con fili dorati.

Quando mi vide spalancò gli occhi e il libro le scivolò dalle dita, cadendo a terra. Si alzò in piedi e mi venne incontro a piccoli passi, quando poi mi fu di fronte mi guardò un istante negli occhi, per poi saltarmi addosso in un caloroso abbraccio.

-Oh Bel sei tornata davvero! Non riuscivo a crederci quando ho saputo la notizia! Sei così cambiata …

-Arwen! Io quasi non ti riconoscevo più, sei cresciuta veramente tanto.

-Beh sono anche passanti trecento anni, prima o poi dovevo pur crescere anche io! Non sai quanto sono felice di rivederti, mi sei mancata così tanto …

-I tuoi fratelli non  ti hanno fatto compagnia?

-Sì certo, ma era diverso che stare con te. Ma adesso tu sei qui e possiamo recuperare il tempo perduto.

-Non vedo l’ora, ci sono tante cose che dobbiamo dirci.

-Però prima devi darti una rinfrescata e metterti dei vestiti puliti. Vieni, ti accompagno alla tua camera.

Sciolse l’abbraccio e ci incamminammo verso le stanze da letto del palazzo, superando diversi corridoi con quadri antichi appesi alle pareti e balconate piene di fiori appena sbocciati dal profumo inebriante, con una vista mozzafiato sulla Valle. Mentre camminavamo Arwen mi disse che aveva conservato personalmente le chiavi della mia stanza, così che nessuno la potesse mai utilizzare.

Arrivammo di fronte a una porta in legno intagliato con disegni di foglie e animali del bosco, tra cui diversi cervi, costruita seguendo le antiche tecniche elfiche. Arwen estrasse dalle maniche del vestito una piccola chiave in ottone legata ad una catenella dorata, e la infilò nella serratura facendola scattare tre volte. Poi abbassò la maniglia e aprì la porta.

Una fresca brezza uscì dalla stanza e mi accarezzò dolcemente la pelle del viso, facendomi chiudere un istante gli occhi. Quando li riaprii vidi la mia stanza esattamente come l’avevo lasciata trecento anni prima.

Una serie di archi divisi da piccole colonne avvolte da edera permettevano che entrasse la luce del sole e il vento fresco, che agitava i lunghi e morbidi  tendaggi bianchi, avvolgendo alcuni di essi alle colonne e creando strane ombre sul pavimento di pietra. Il suono dello scroscio delle cascate riempiva la stanza, insieme al profumo dei fiori delle balconate circostanti. Il letto a baldacchino era posto al centro della stanza, rivolto verso il meraviglioso panorama della Valle, con le sue cascate d’acqua cristallina e i boschi rigogliosi. Dei drappeggi bianchi pendevano dalle travi del letto, riparandolo dai raggi eccessivi del sole. Le coperte erano blu oceano, decorate con ricami argentati che rappresentavano le onde del mare, mentre alla testiera del letto erano appoggiati diversi cuscini bianchi come le nuvole e la schiuma del mare. Appoggiata alla parete vicina al letto vi era una cassettiera bianca con uno specchio sopra dalla cornice argentea, mentre le altre pareti erano completamente spoglie se non per alcuni chiodi che sporgevano dove di solito appendevo il corno, la faretra con le frecce e l’arco. Vi erano poi altre due porte, una vicina alla cassettiera che portava alla vasca da bagno scavata nel pavimento, l’altra sulla parete opposta che nascondeva una piccola stanza dove vi erano i miei abiti.

Entrai nella stanza senza dire una parola, avvicinandomi lentamente al letto. Quando fui davanti ad esso mi girai e chiudendo gli occhi mi lasciai cadere, atterrando sul morbido materasso con il viso rivolto al soffitto.
Feci un profondo respiro.

-Mio padre mi spiegato il motivo per cui sei andata via e anche … a chi apparteneva questa stanza prima della grande battaglia a Mordor …

Aprii gli occhi di scatto.

 -Questa era la sua stanza vero? La stanza di Calen …

-Sì, è così - dissi con la voce spezzata.

-Perché hai voluto la sua stanza se la sua mancanza ti faceva stare così male?- mi chiese Arwen.

-Perché così durante la notte lo sentivo in qualche modo accanto a me. All’inizio riuscivo perfino a sentire il suo profumo tra i cuscini, come se ci fosse stato veramente …

-Lui era il tuo Melamin

-E lo è ancora, lui è ancora vivo. Lo so.

-E non ti darai pace finché non lo ritroverai, giusto?

-Giusto.

-Credi che anche io prima o poi troverò il mio Melamin?

Mi sollevai sui gomiti e mi voltai verso di lei, appoggiata allo stipite della porta.

-Ogni Elfa è destinata ad avere un unico Melamin per tutta la vita, sta poi ad ognuna trovarlo.

-E come lo riconoscerò?

-Quando lo guarderai negli occhi ti sentirai completa, il tuo cuore batterà per lui, vivrai per lui. È difficile spiegartelo, ma quando arriverà il momento capirai tu stessa.

Mi rispose con un semplice sorriso, con gli occhi pieni di ammirazione e aspettativa per quelle straordinarie emozioni che ancora non aveva avuto modo di conoscere. Pregai che non provasse ciò a cui quelle emozioni portavano se avesse perduto il suo Melamin, quel dolore che provavo e col quale avevo imparato a convivere tutti i giorni.

-Adesso però è meglio che ti togli quei vestiti pieni di polvere e fango e vai a darti una bella pulita, mentre io ti scelgo un vestito.

-Ai suoi ordini mia Signora! - le risposi ironicamente.

Mi misi seduta e iniziai a togliermi gli stivali, per poi alzarmi a togliere il resto. Mi ritrovai di fronte allo specchio e al mio nitido riflesso.
In quel momento mi resi conto veramente di quando fossi cambiata.

Ero pallida come la luna, come se non ci fosse vita in me. Le gambe e le braccia esili, gli zigomi sporgevano sul viso scarno, le dita sottili e le unghie  sporche di terra. Gli occhi erano appesantiti da occhiaie violacee, le labbra erano screpolate e in alcuni punti presentavano piccoli tagli rossi. I capelli rossi spenti incorniciavano il viso e arrivavano appena alle spalle, con alcune ciocche più lunghe delle altre: in quegl’anni erano diventati crespi e d’intralcio, così avevo deciso di risolvere il problema con un netto taglio di pugnale. I pantaloni scuri erano logori e strappati sulle ginocchia, mentre la camicia, un tempo bianca, era grigia e lisa alle estremità. Sopra di essa indossavo un giacca blu quasi maschile, aperta per aver perso tutti i bottoni e con delle toppe sulle maniche.

Il dolore mi aveva logorata dall’interno, riducendomi in quello stato.

Andai a piedi nudi alla stanza da bagno e mi levai quei sudici vestiti, scoprendo il mio corpo gracile e fin troppo magro. Ad ogni mio respiro il petto si sollevava mostrando le costole, mentre il bacino ossuto sporgeva sui fianchi. 

Mi immersi nell’acqua calda e mi levai di dosso tutto lo sporco, fin tra le dita dei piedi. Quando finii di pulirmi appoggiai la schiena al bordo della vasca e mi lasciai andare, rilassandomi tra le bolle di sapone. Lentamente la schiena cominciò a scivolare verso il basso, ma mi lasciai trasportare finendo così sott’acqua. Da lì il soffitto sembrava distorto, come se fossi in un altro mondo, lontana da tutto e da tutti.

Chiusi gli occhi e i ricordi di Calen riempirono i miei pensieri. Lo avrei trovato ad ogni costo e non l’avrei più lasciato andare. Riaprii gli occhi e lo vidi sopra di me, come se si fosse immerso anche lui in quella vasca. I suoi occhi color nocciola chiaro, quasi verdi, erano fissi su di me, le labbra carnose erano appena schiuse e i capelli fluttuavano nell’acqua. Una mano era tesa verso di me. Cercai di afferrarla, ma la mia mano attraversò la sua: era solo un’illusione. I polmoni cominciarono a bruciare per la mancanza d’aria.

 Mi alzai di scatto e ritornai seduta nella vasca, con le gocce d’acqua che scivolano sul mio viso e sulla schiena.

Ormai quello era diventato l’unico modo per riuscire a vederlo.

Strizzai bene i capelli e uscii dalla vasca, ricoprendomi poi con un morbido telo di lino bianco ricamato ai bordi. Ritornai nella camera da letto, lasciando le impronte dei miei piedi e diverse gocce d’acqua sul pavimento.

Sul letto era stato steso un abito blu oceano scuro che indossai subito.
La gonna aveva con lungo spacco laterale, facendo intravvedere la sottogonna bianca, ed un lungo strascico ricamato in pizzo bianco ai bordi. Il corpetto stretto era anch’esso ricamato con pizzo bianco a fiori  e aveva una profonda scollatura che lasciava scoperte le spalle e parte della schiena; le maniche erano più larghe sul fondo, lasciando parzialmente scoperti gli avambracci.

-Vedo dalla tua espressione che ti piace molto - mi disse Arwen uscendo dall’altra stanza, dove aveva preso l’abito.

-Hai scelto uno dei miei preferiti, conosci i miei gusti. - le risposi con un sorriso stampato sul volto.

-E non ho ancora finito …

 Mi porse delle scarpe blu come il vestito e mi legò al collo un semplice girocollo di perle. Infine mi spazzolò i capelli e me li raccolse con dei fermagli di perle e zaffiri, cercando in qualche modo di domare le mie ciocche rosse ribelli.

Mi riguardai allo specchio e vidi la ragazza che ero stata un tempo, quella che ancora non conosceva l’Amore e la sofferenza che può infliggere, quella spensierata e ancora circondata dalla propria famiglia nella sua terra natia. Quella ragazza che voleva bene al proprio fratello, anche se in realtà era morto molto tempo prima. Quella ragazza che non esisteva più.

 -Va tutto bene?- mi chiese preoccupata Arwen.

-Sì sì, non è niente … Ti va di accompagnarmi per fare una passeggiata e  ammirare il tramonto? - domandai a mia volta per cambiare subito discorso.

-Certamente, così avremo modo di parlare ancora un po’.

Tirai un sospiro di sollievo.

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Ci incamminammo verso i giardini pensili del palazzo, nella zona più a Nord, vicino alle sorgenti delle cascate. Vi erano fiori di ogni tipo: rose di ogni sfumatura di rosso, gelsomini notturni che riflettevano la luce pura della luna, fragili mughetti appena sbocciati, piante di fresia e giacinto di ogni colore, dal bianco al blu, dal rosa al giallo acceso; alcuni cespugli di ortensie erano contenuti in grossi vasi di marmo, mentre delle piante rampicanti di rose e camelie ricoprivano i muri circostanti e le balaustre delle terrazze, accanto alle quali vi erano delle panche con dei morbidi cuscini sopra. Il profumo che si diffondeva nell’aria era qualcosa di indescrivibile. Al centro vi era una imponente fontana di marmo bianco con statue di elfi e ninfe danzanti, dalle quali fluivano zampilli di acqua cristallina.

Dal palazzo riecheggiavano le risate dei Nani, intenti probabilmente a bere birra e a raccontarsi leggende intorno al fuoco. Arwen ascoltava il mio racconto con interesse crescente verso lo scoprire cosa avevo fatto in quegli anni nelle Terre Selvagge, non distogliendo mai lo sguardo da me.

Ad un tratto sentii dei leggeri passi venire verso di noi. Non poteva essere sicuramente un Nano, lo avrei percepito anche a miglia di distanza, ma neanche un Elfo, lo avrei riconosciuto subito anche in quel caso. Mi fermai e mi voltai in quella direzione.

-Come mai ti sei fermata? C’è qualcosa che non va?- mi chiese preoccupata Arwen, non avendo ancora percepito quei passi.

-Aspetta solo qualche secondo …

Ed ecco che alcuni istanti dopo comparve davanti a noi uno hobbit intento a guardarsi intorno con meraviglia e stupore per la bellezza di quel luogo. Il signor Bilbo Baggins dalla Contea.

-Signor Baggins che piacere incontrarvi qui, è una splendida serata non trovate?

Lui sobbalzò, non essendosi accorto della nostra presenza, e appena posò lo sguardo su di noi spalancò ancora di più gli occhi.

- Mi-mie Signore perdonate la mia intrusione, questo posto mi ha completamente incantato e devo essermi perduto. Stavo tornando alla mia stanza, ma ho sentito questo straordinario profumo e senza che me ne accorgessi mi sono ritrovato qui.

-Non si preoccupi, non ci ha affatto disturbate. Anzi, sarei felice se si unisse a noi- propose Arwen.

-Certamente, non potrei mai declinare questo invito.

-Belthil mi stava giusto raccontando il suo viaggio nelle Terre Selvagge, non è così?- mi incitò la giovane Elfa dandomi un leggero colpo con il gomito.

-Ehm si ecco … sono davvero immense, vi sono sia foreste che deserti, ho impiegato molto tempo per percorrerle completamente.

-Stavate cercando qualcosa di particolare?- mi chiese lo hobbit.

Il mio cuore mancò un battito. Senza volerlo, aveva appena riaperto una vecchia ferita che non aveva mai smesso di sanguinare.

-Io … io …- non riuscivo più a parlare, il suo ricordo era riaffiorato all’improvviso, troppo velocemente, non lasciandomi il tempo necessario per tenere sotto controllo il dolore.

-Forse è meglio che vi lasci da soli … - sospirò Arwen, per poi allontanarsi, lasciandomi con Bilbo, confuso per ciò che stava accadendo.

-Ho detto qualcosa di sbagliato?

-No, no … vienite, accomodiamoci su quella panca.

Dopo esserci seduti, feci un respiro profondo. Non era mai facile parlare di quello che mi era successo.

-Ditemi quello che sapete su di me …

-In realtà su di voi so molto poco. So che siete la Custode della Fiamma Imperitura, ciò che c’è di più importante e potente su questo mondo. So che Mordor era il vostro regno, millenni e millenni fa, e che i vostri cari sono stati uccisi da Sauron, l’Oscuro Signore. Per questo trecentocinquanta anni fa avete deciso di muovere guerra contro di lui, e cacciarlo per sempre dalla Terra di Mezzo nella grande battaglia a Mordor.

Sauron.

D’impulso mi portai una mano al petto, all’altezza del cuore. Nascosta sotto gli strati di tessuto del vestito, vi era una lunga cicatrice bianca. Avrei portato per sempre sulla pelle il segno della ferita che mi ero inflitta con le mie stesse mani, quando tutte le mie speranze mi erano crollate addosso, quando tutte le mie certezze erano state distrutte. Quando avevo spezzato il nostro legame, uccidendo la parte del suo spirito che viveva dentro di me e che mi rendeva parte stessa di lui. Quando avevo deciso di togliermi la vita per proteggere tutte le persone a cui volevo bene e che amavo. Ma sapevo che non era bastato per fermarlo, nemmeno Isildur ci era riuscito completamente.

Un giorno sarebbe tornato per riprendersi ciò che era suo.

-Sono morte centinaia di persone in quella battaglia … ho camminato tra i loro corpi, ho visto i loro visi privi di vita. In quella  stramaledetta battaglia ho perso qualcosa che avevo appena compreso di possedere …

-Che cosa avete perso?

-L’Amore. Io ho perso l’Amore, signor Baggins. Mi è stato strappato via, non ho saputo proteggerlo quando ne avevo l’occasione. So che è ancora vivo, lo sento, devo solo trovarlo …- sospirai.

-Quindi è per questo che siete andata via, è questo che cercavate nelle Terre Selvagge …- aveva compreso tutto, nella sua mente i tasselli della mia storia stavano trovando il proprio posto.

-Proprio così, e sono ancora intenzionata a continuare a cercarlo, smetterò solo quando lo avrò trovato, fino a quando avrò vita.

-Perché siete qui allora?- mi domandò per comprendere fino in fondo.

-Elrond ha bisogno di me, non posso voltare le spalle ad un mio caro amico che ha cercato di aiutarmi quando più ne avevo bisogno. Invece signor Baggins perché voi siete qui? So che gli hobbit non amano allontanarsi così tanto dalla Contea.- chiesi a mia volta per cambiare discorso e lasciare quell’argomento per me doloroso.

-Sinceramente non era nei miei piani venire qui. È capitato all’improvviso, totalmente inaspettato.

-Raccontatemi, vi ascolto.- lo incitai.

-Era un giorno come tanti, ero seduto sulla panca di fronte al mio giardino a fumare la mia pipa, quando all’improvviso comparve davanti a me Gandalf, lo stregone grigio che portava sempre i fuochi d’artificio alle feste più importanti della Contea. Mi disse che mi avrebbe portato con sé in un viaggio, ma io rifiutai subito e corsi subito in casa, chiudendomi dentro a chiave. Non volevo assolutamente avere a che fare con quella proposta così assurda. Il resto della giornata passò normalmente fino all’ora di cena; stavo appunto per iniziare il mio pasto quando sentii qualcuno bussare alla mia porta. Quando la aprii mi ritrovai di fronte ad un rozzo Nano pelato, Dwalin. Costui irruppe nella mia casa e cominciò a mangiarsi la mia cena, senza che io lo conoscessi e lo avessi invitato ad entrare. Potei solo infilarmi dietro la schiena un piccolo pezzo di pane da mangiare in seguito. Ma il campanello suonò ancora. Questa volta era Balin, il Nano più anziano e saggio della compagnia, nonché fratello di Dwalin. Mentre si salutavano il campanello suonò una terza volta. Alla porta vi erano Fili e Kili, i giovani nipoti di Thorin, i quali anche loro entrarono in casa mia ed aiutarono gli altri due Nani a preparare la tavola, sotto il mio sguardo scioccato e al tempo stesso profondamente innervosito. Il campanello suonò una quarta volta. Ormai convinto che si trattasse di uno scherzo di qualche citrullo, aprii la porta di scatto e otto Nani caddero davanti a me sul mio bel pavimento in legno. Dietro di loro, sulla soglia, vi era Gandalf che rideva sotto i baffi: era stata tutta un’idea sua. I Nani saccheggiarono la mia dispensa e banchettarono come se fossero a casa loro. Però ne mancava ancora uno, che non tardò molto ad arrivare. Thorin bussò alla mia porta ed entrò come tutti gli altri. Cominciarono a pormi delle strane domande, mi chiesero se sapevo rubare e addirittura quale arma preferissi. Mi diedero perfino un contratto da firmare per iniziare a far parte della loro compagnia, ma rifiutai: non potevo lasciare così all’improvviso la mia casa. La mattina dopo, quando mi svegliai, se ne erano già andati e ogni cosa era stata pulita e messa in ordine. Gli unici segni del loro passaggio erano la dispensa vuota e il contratto ancora aperto sul tavolino di fronte al camino. Avrei potuto bruciarlo, ma qualcosa dentro di me mi fermò e ripensandoci firmai quel contratto, per poi iniziare a correre per riuscire a raggiungerli.

-Cosa vi ha fatto cambiare idea?Perché avete deciso di seguirli?- volevo sapere qual’era il vero scopo di quel viaggio, il motivo per cui avevano accettato Bilbo nella loro compagnia. Non era consueto per i Nani chiedere aiuto, soprattutto a chi non fa parte della loro stirpe come lo hobbit che avevo di fronte.

-Mi hanno chiesto di non svelare lo scopo del loro viaggio, per loro è molto importante tenerlo segreto …

-Vi potete fidare di me Bilbo, non ne parlerò ad anima viva, ve lo prometto.

E mantenevo sempre le mie promesse, anche se richiedevano qualcosa che mi avrebbe poi fatto pentire di averle sancite.

-Ho deciso di seguirli perché … perché voglio aiutarli a riprendersi la loro casa. Loro non ce l’hanno più, gli è stata strappata via, e voglio rendermi utile per quello che sono in grado di fare.

Conoscevo bene quel sentimento, e anche se erano passati millenni, mi mancava sempre casa mia, la mia terra, la mia famiglia, la mia vecchia vita. Ma a differenza di Erebor, la mia dimora ormai non era altro che cenere. Avrei affrontato mille draghi come Smaug per riprendermela, se solo fosse stato possibile.

Cosa avevo fatto per meritarmi tutto quello che mi era successo, tutto il dolore che avevo provato e che continuavo a provare?

E mentre cercavo di darmi una risposta, Arwen ritornò nei giardini, ma la sua fronte era corrugata e camminava velocemente nella nostra direzione, come se ci dovesse riferire qualcosa di vitale importanza.

-Belthil … mio padre … ti deve parlare.

\\
Avrei voluto continuare la mia conversazione con Bilbo, ma l’espressione preoccupata di Arwen mi aveva allarmata. Doveva essere accaduto qualcosa di grave. Camminavo per i lunghi corridoi del palazzo il più velocemente possibile, sollevando quel vestito che ad un tratto era divenuto così ingombrante e scansando tutti gli Elfi che incontravo. Scesi per una scalinata e mi ritrovai di nuovo all’esterno, per poi continuare a scendere per quei gradini in pietra, a quel punto circondati da una fitta boscaglia di querce e cespugli di felci, illuminati da lanterne appese ai rami degli alberi.

Finalmente raggiunsi la fine di quella interminabile scalinata che mi aveva portata di fronte ad un imponente padiglione posto sulla cima di una sporgenza di roccia, a strapiombo sulla Valle Nascosta. L’edera avvolgeva alcune colonne della struttura, al centro della quale vi era un tavolo di pietra con alcune persone attorno. Persone che conoscevo e che riconobbi subito.

Seduti alle estremità del tavolo vi erano Gandalf e Saruman, lo stregone bianco. Non lo avevo mai conosciuto di persona ma ne avevo molto sentito parlare.  A prima vista poteva sembrare un innocuo anziano con una lunga barba bianca e una tunica dello stesso colore, però sapevo bene quanto fosse potente e quanto tutti lo rispettassero. Attorno ad essi camminavano in cerchio Elrond e Galadriel, i quali anche loro avevano visi preoccupati. Era da molto tempo che non vedevo la regina di Lorien, tuttavia sapevo che aveva sempre aiutato Elrond a cercarmi e a farmi cambiare idea sul destino di Calen.

Stavano discutendo a proposito del viaggio che aveva intrapreso Gandalf con i Nani di Erebor, cosa di cui non mi stupii affatto: quella era stata davvero una decisione avventata. Ma quando entrai nel padiglione smisero di parlare e si voltarono verso di me, come se fossero sorpresi di vedermi, eccetto Elrond. Fu allora che posai lo sguardo sul tavolo e immediatamente mi bloccai.

Su quel tavolo, avvolta in un panno di pelle, vi era una antica spada dall’elsa di cuoio nero e dalla lama sottile e affilata, con alcune scritte in lingua nera incise sopra. Un antico cimelio di Mordor, un antico ricordo pieno di orrore.
Quella era stata la spada di un Nazgûl. Non c’erano dubbi.

-Che … che cosa ci fa quella qui?!- sbottai continuando a fissare quell’arma maledetta.

-Belthil calmati … - mi disse Elrond venendomi incontro.

-Calmarmi?! Avete la vaga idea di cosa è quella?! Come ha fatto ad arrivare qui, dovrebbe essere sepolta con il suo padrone!

-Lo sappiamo bene cosa è quella, ma ce ne stiamo occupando noi, non ti agitare. Presto chiariremo come sia riuscita ad uscire da quella tomba, ma prima tu ti devi calmare. Non ti ho fatta chiamare per questo …

 Spostai il mio sguardo dalla spada a Elrond.
Se il problema non era quella spada, allora per cosa mi aveva pregato di ritornare a Gran Burrone?

-N-non è quella il vero problema?

-No, quello per cui ti ho fatto venire qui è ben diverso … ed è qualcosa che non siamo riusciti tutt’ora a fermare … forse è meglio che ti siedi.

Gandalf si alzò dalla sedia e mi lasciò il posto, non prima però di aver ritirato la spada. Mi accasciai su quella sedia, con il cuore che batteva a mille.

Spostavo continuamente lo sguardo, in cerca di un appoggio, da Elrond a Galadriel, da Galadriel a Gandalf, da Gandalf a Saruman, e poi di nuovo da Elrond. Aspettai che qualcuno di loro prendesse la parola, e quel qualcuno fu Galadriel. Fece un profondo respiro, per poi iniziare a raccontare.

-Nella grande battaglia, a Mordor, tra i seguaci di Sauron non vi erano solo Orchi e Goblin, ma anche Uomini e purtroppo … Elfi. Elfi corrotti dal Male, pieni di odio e rabbia, dalla forza micidiale. Molti di questi Elfi caddero in battaglia, vinti dalla nostra forza, ma alcuni riuscirono a fuggire prima della fine, portando con loro molti prigionieri …

Ad un tratto raddrizzai le spalle: uno di questi prigionieri poteva essere Calen.

- … che vennero torturati e uccisi, oppure venduti come schiavi agli Orchi. Ancora oggi si trovano i resti di questi prigionieri, e ancora molti devono essere trovati …

No. Calen era ancora vivo.

- Subito dopo la battaglia, gli Elfi corrotti cominciarono a vagare nelle Terre Selvagge, senza alcun tipo di controllo. Tra di loro uno prese il sopravvento e si proclamò loro capo. Il suo nome è Davoch. È un essere spietato, corrotto fino all’anima. Nessuno ha mai osato sfidarlo e perfino gli Orchi più temuti lo rispettano. È conosciuto anche come Principe dei Corvi, poiché, ovunque vada , lascia sempre una piuma di corvo, come se fosse la sua firma, per far sapere a tutti che è lui il colpevole degli atti orribili accaduti in quel luogo. Manda a fuoco interi villaggi di Uomini, massacra chi tenta di opporsi, uccide perfino le donne e i bambini: è un crudele assassino. A volte rapisce alcune giovani ragazze e le tiene sue prigioniere per mesi, per poi lasciarle ai bordi delle strade, martoriate e torturate fino alla morte. Una morte orribile, lenta e dolorosa. Ma altre volte preferisce lasciarle in vita, così che possano raccontare ciò che ha fatto e poi suicidarsi per il troppo dolore e per i segni indelebili che ha inflitto sulla loro pelle e sulla loro anima. Non è solo un assassino, è un mostro. Nessuno è mai riuscito a guardarlo negli occhi, tiene celato il suo volto da una oscura maschera, come se volesse lasciare anche una sorta di macabro mistero sulla sua identità. Abbiamo tentato di stanarlo e ucciderlo, ma è sempre riuscito a scappare e ancora non conosciamo dove sia il suo covo … ed è per questo che abbiamo bisogno di te.

 In quel momento tutto mi sembrò più chiaro.

Davoch poteva sapere qualcosa su Calen. Sicuramente non era tra i suoi prigionieri, visto il trattamento che riservava loro, ma forse sapeva a chi lo avessero venduto come schiavo.

Se avessi trovato Davoch, sarei stata un passo più vicina a trovare Calen.
 
 

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


-Stanerò Davoch e la farò finita una volta per tutte.

I loro sguardi divennero più rilassati, sicuri che avrei portato a termine il mio incarico. Ma quella non era una semplice missione per me, quella era la prima vera occasione di ritrovare Calen dopo secoli di tentativi falliti e speranze distrutte.

Non mi sarei limitata a eliminare Davoch, ma avrei stanato anche ogni Elfo corrotto al suo comando, ogni Orco al suo servizio, chiunque avesse avuto a che fare con lui. Non mi sarei fermata finché non lo avrei trovato: la caccia era aperta.

I miei pensieri furono interrotti dall’arrivo di Lindir.

-Mio Signore Elrond …- disse affannosamente - i Nani … se ne sono andati.

-Ma come diamine è potuto accadere senza che nessuno se ne accorgesse?!- esclamò innervosito Elrond.

Sia io che Galadriel ci voltammo verso l’unica persona che non sembrava affatto sorpresa dalla notizia: Gandalf. Sapeva che se ne sarebbero andati al tramonto, quando la notte avrebbe favorito la loro fuga. Ormai gli ultimi raggi del Sole illuminavano la Valle Nascosta, un vento fresco proveniente da Ovest rinfrescava l’aria, ed i Nani dovevano già essere lontani.

-Forse è meglio finire qui la nostra riunione, Elrond sembra avere grossi problemi di sicurezza ed io devo ritornare a Isengard. Miei Signori … - ed in un battito di ciglia Saruman svanì dal padiglione sotto al quale ci trovavamo.

Dopo di lui se ne andarono anche Lindir ed Elrond, lasciandomi con Gandalf e Galadriel.

-Sii prudente Belthil, Davoch è un avversario micidiale. Una mia cara amica è caduta per mano sua, nel tentativo di fermarlo prima che arrivasse a minacciare le nostre città, e non vorrei perdere anche te …  - il volto della Dama di Lorien si rabbuiò mentre Gandalf abbassò lo sguardo, facendo un lungo sospiro.

Avrei voluto chiedere chi fosse quella cara amica, ma dai loro volti si capiva quanto stessero ancora soffrendo per quella perdita. Non avrei più permesso che soffrissero ancora, tutto quel dolore doveva finire.

-Non mi accadrà nulla, non preoccuparti per me. Presto Davoch sarà solo un brutto ricordo- affermai con decisione, poiché niente avrebbe potuto farmi del male finché la Fiamma Imperitura avrebbe continuato a scorrere nelle mie vene.

Galadriel mi prese delicatamente il viso tra le mani, lasciando un leggero bacio sulla fronte, per poi sentire la sua dolce voce nella mia testa.

-Sono così orgogliosa di te, Belthil figlia di Aran.

 La abbracciai forte, in fondo avevamo bisogno l’una dell’altra.

-Non lasciarmi sola. - le dissi con il pensiero.

-Mai.

Sciolsi l’abbraccio e ci scambiammo un cenno d’intesa. Lei non mi avrebbe mai abbandonata, sarebbe sempre rimasta presente nel mio cuore.

-Ci rivedremo presto amico mio - salutai infine Gandalf, il quale era rimasto momentaneamente in disparte.

-Ne sono più che sicuro.- affermò prendendomi una mano e stringendola tra le sue. Quando lasciò la presa sentii qualcosa  sul palmo della mano, la aprii e vidi che mi aveva donato un semplice bracciale di fili di cuoio intrecciati tra loro.

-Prendilo, ti porterà fortuna.

-Grazie davvero Mithrandir, lo indosserò sempre.- e subito legai il bracciale al polso.

Li salutai di nuovo entrambi con un inchino del capo, per poi lasciare il padiglione e dirigermi nella mia stanza, dove avrei preparato la sacca per il viaggio: era arrivato il momento di lasciare ancora una volta Gran Burrone. Durante il tragitto purtroppo non incontrai Arwen, avrei voluto cercarla e spiegarle tutto ma dovevo partire subito, sfruttando la poca luce del giorno che rimaneva.

Appena entrai nella mia stanza mi tolsi il vestito e tutti i gioielli che avevo addosso, lasciando di nuovo sciolta la mia corta chioma vermiglia. Andai nella piccola stanza laterale dove tenevo tutti i miei vestiti, lasciando in un armadio di ciliegio l’abito che avevo indossato quella sera. Indossai dei comodi pantaloni scuri con dei rinforzi all’altezza delle ginocchia, una camicia bianca e una giacca verde che mi arrivava a metà coscia. Mi allacciai alla vita un spessa cintura di cuoio, dove avrei agganciato il fodero della spada, e mi infilai gli stivali che arrivavano poco sotto le ginocchia, dentro ai quali misi come sempre due piccoli pugnali. Infine presi da sotto una cassettiera una sacca non troppo grande, mettendo all’interno delle frecce di riserva, i restanti pugnali, alcune fette di pane elfico e una borraccia con dell’acqua fresca.

Ritornata nella camera principale tolsi dai chiodi alle pareti la mia spada, l’arco e la faretra che riempii di frecce dalla punta d’argento, tutte tranne una. Era una freccia di metallo nero, cava all’interno e senza punta. L’avevo presa di nascosto dall’arena di Tulkas, l’ultimo giorno di allenamento con la Fiamma. Pregai ancora una volta di non arrivare mai ad utilizzarla come arma.

 Mi soffermai un momento ad ammirare di nuovo la Valle Nascosta, non sapendo quando l’avrei ancora potuta vedere, per poi uscire il più velocemente possibile dal palazzo. Avrei viaggiato a piedi, Akira avrebbe attirato troppo l’attenzione e per me sarebbe stato più semplice nascondermi o seguire le tracce sul percorso.

 Cominciai a correre nel bosco, allontanandomi sempre di più da Gran Burrone, senza avere una meta precisa e pensando da dove avrei cominciato a mettermi sulle tracce di Davoch. Poteva essere ovunque, a Gondor o a Rohan, oppure nelle Terre Selvagge. Dovevo mettermi nei suoi panni, provare a ragionare come lui, come un assassino al servizio del Male.

Non attaccava villaggi di uomini qualsiasi, ma quelli più vicini ai confini di Mordor, come se stesse proteggendo qualcosa. Ma da quello che avevo capito dalle parole preoccupate di Galadriel, negli ultimi tempi Davoch aveva cominciato a minacciare le città degli Elfi, spingendosi sempre più a Nord, seguendo il corso del fiume Anduin.

Perché andava a Nord? Quali erano i suoi veri obbiettivi? Quel territorio era sotto il dominio dei Nani dei Colli Ferrosi e degli Elfi di Bosco Verde, con una piccola città di Uomini sul Lago Lungo. Oltre le Montagne Grigie, gli Ered Mithrin, non vi era più nulla, solo un grande deserto.
Ma ad un tratto mi vennero in mente alcune parole di Manwë, e la risposta alle mie domande fu subito chiara. Mi fermai all’istante, cercando di ricordare meglio ciò che mi aveva detto a proposito di quella landa desolata, qualcosa che era accaduto durante la Prima Era, quando Morgoth era tornato a regnare nella Terra di Mezzo.

 “ E Melkor costruì anche una rocca e un arsenale non lungi dalle rive nordoccidentali del mare, per resistere a ogni assalto che venisse da Aman. A comandare quel luogo forte era Sauron, luogotenente di Melkor; ed esso era detto …
Angband
 
 
ANGOLO DELL’AUTRICE
Salveeeeee :)
Capitolo un po’ corto lo so, ma è di passaggio e mi serviva per far continuare la storia.
Chi ha visto l’ultimo film della saga del Lo Hobbit sa cosa significa l’ultima parola ,se non l’avete visto don’t worry, nei prossimi capitolo lo saprete ;)
Bacioni
Giulia :3
P.S. Vorrei sapere cosa ne pensate, ringraziando Thranduil_heart per tutte le recensioni <3

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


Rimasi immobile in mezzo alla fitta boscaglia, con lo sguardo perso nel vuoto.  Nella mia testa continuava a risuonare una sola parola. Una parola che portava con sé racconti di orrori passati, storie di terrore e agonia, ma anche di coraggio e sacrificio: Angband.

Antica e immensa fortezza oscura fondata da Morgoth come prigione per la sua roccaforte maggiore, Utumno, era controllata dal suo maggior seguace, Sauron. In quegli anni la Terra di Mezzo era stata sopraffatta dal potere di quell’oscuro regno, cadendo nel pieno controllo di Morgoth, il quale devastò senza pietà quelle terre e portò i Noldor a compiere perfino lotte fratricide. Non vi erano altro che dolore e morte.

Sulla fronte Morgoth portava una corona di ferro, sulla quale vi erano incastonate tre preziose gemme: i Silmaril. Gioielli dall’immensa bellezza e perfezione, creati da Fëanor quando i Noldor vivevano ancora a Valinor. In esse vi era racchiusa la Luce dei due Alberi di Valinor, infatti splendevano di luce propria.  Ma Morgoth non era degno di possederle, per questo nel rubarle sì ustionò gravemente la fronte e le mani, e mai sarebbe riuscito a guarire da quelle ferite.

 Gli Elfi furono però in grado di recuperare uno dei Silmaril, grazie alla grande, ma anche dolorosa, impresa di Beren e  Lúthien. Questa gemma fu presa in seguito da Eärendil, il quale, guidato dalla luce del gioiello, partì alla volta di Valinor in rappresentanza di Elfi e Uomini.

Egli chiese perdono per agli atti orribili che avevano commesso gli uno contro gli altri, e domandò aiuto contro Morgoth. I Valar furono commossi dalla sua preghiera, e, insieme ai Vanyar, i Noldor rimasti a Valinor e ad alcuni Maiar, mossero verso la Terra di Mezzo, dichiarando guerra a Morgoth. Perfino i Teleri offrirono le loro navi all'esercito dei Valar, ma decisero di non unirsi alla battaglia, ricordando il massacro del loro popolo da parte dei Noldor avvenuto ad Alqualondë.

 L'esercito attraversò il Beleriand e si scontrò contro le forze di Morgoth sulla pianura dell'Anfauglith. La terra tremava violentemente e  i lampi della battaglia erano visibili da lontano. Venne chiamata Guerra d’Ira.

 L'esercito dei Valar distrusse completamente le armate di Orchi di Morgoth e i Balrog, tranne pochi che riuscirono a fuggire nascondendosi in profonde caverne. Temendo la propria sconfitta, Morgoth scatenò le sue armi più potenti: i draghi alati. Per un poco riuscirono a respingere l'esercito dei Valar, ma sul campo di battaglia giunse Eärendil con la sua nave volante Vingilot, insieme alle aquile di Manwë, che insieme lottarono contro i draghi, uccidendone molti tra cui il loro capo, Ancalagon il Nero.

Infine Morgoth fu catturato mentre si nascondeva nelle segrete più profonde di Angband, legato nuovamente con la catena Angainor, la più resistente mai forgiata, e i due Silmaril in suo possesso furono presi dal Maia Eönwë, l'araldo di Manwë. Le gambe di Morgoth furono tagliate fino all’altezza delle ginocchia e la sua corona di ferro gli fu messa come collare.

Alla fine, come colpo di grazia, i Valar lo scagliarono attraverso la Porta della Notte oltre le Mura del Mondo, nel Vuoto Atemporale, da dove non sarebbe mai potuto fuggire. Ëarendil stesso si offrì per sorvegliare la Porta, per non dare a Morgoth la ben che minima possibilità di uscirne.

Ma a causa dell'enorme forza usata dall'esercito dei Valar, i danni derivanti dalla guerra furono immensi. Gran parte delle terre a ovest degli Ered Luin furono devastate e sprofondarono nel mare, il Beleriand scomparve per sempre e la Terra di Mezzo ne uscì profondamente alterata.

Ëonwë  domandò agli Elfi sopravvissuti di tornare con lui nelle terre di Aman e la maggior parte di loro decise di seguirlo, ma alcuni rifiutarono l'offerta recandosi verso oriente, dove diventarono re dei restanti Noldor e Sindar, e degli altri Elfi che vivevano nell'est, come gli Elfi Silvani. 

Utumno fu distrutta completamente e i pochi resti sprofondarono nel mare, mentre di Angband rimasero solamente le mura e parte della fortezza, circondata da un immenso deserto di ghiaccio, il Deserto Settentrionale.

Anche se ridotta in rovina, Angband continuò però a rappresentare una minaccia. Infatti ai confini del Deserto nacque il regno di Angmar, fondato dal Signore degli Spettri dell’Anello, conosciuto poi come Re Stregone di Angmar, ed il Monte di Gudabad cadde anch’esso in suo potere. Da quella nuova fortezza gli Orchi avrebbero potuto attraversare il Deserto Settentrionale, facendo così rinascere il grande potere di Angband.

Ma quando Sauron fu sconfitto a Mordor, il Re Stregone scomparve con lui dalla Terra di Mezzo ed Angmar venne conquistata dagli Elfi e Uomini del Nord, e venne sventando così il ritorno di Angband.

Se davvero il piano di Davoch era quello di rifondare Angbad, avrebbe dovuto prima riconquistare Angmar e non gli sarebbe bastato di certo il suo esercito di Elfi corrotti, ma ogni creatura del Male della Terra di Mezzo. Un’armata talmente potente che nessun esercito di Elfi, Uomini e Nani avrebbe potuto fermare.
Davoch era potente, ma non così tanto da radunare tutti i servi del Male: doveva esserci per forza qualcos’altro nascosto nell’ombra. L’importanza della sua cattura era più grande di quanto pensassi inizialmente, questa volta non potevo permettermi di fallire.

Ricominciai a correre, aumentando sempre di più la velocità. Sentivo una nuova forza scorrere dentro di me, tanto desideravo stanare quell’essere senz’anima. Sfrecciavo tra gli alberi come una saetta, quasi senza lasciare tracce del mio passaggio.
Ben presto la vegetazione cominciò a diradarsi, lasciando il posto alla fredda roccia delle Montagne Nebbiose. Il sole ormai era scomparso e scure nubi si addensavano spinte da un forte vento gelido proveniente da Est, nascondendo la luce delle stelle. Dal cielo cominciarono a cadere alcune gocce di pioggia, via via sempre  con maggiore intensità.

Il sentiero divenne più tortuoso e la pioggia rendeva le rocce scivolose e insicure, per cui dovetti aggrapparmi alla parete di roccia alle mie spalle per non perdere l’equilibrio. Mi ritrovai nel bel mezzo di una tempesta di fulmini e il rombo dei tuoni era assordante, come se si stessero formando nei dintorni.
E fu proprio allora che li vidi: enormi giganti di pietra che combattevano l’uno contro l’altro scagliandosi addosso imponenti massi di pietra presi dalle montagne circostanti. Quello non era un semplice temporale, ma una gara tra Tuoni.  Avrei voluto spiegare le mie ali di fuoco e andarmene via all’istante, ma la tempesta di fulmini era troppo violenta e avrei potuto essere colpita da un gigante. Mi sentivo come in trappola.

In quel momento uno dei giganti di pietra venne colpito e perse l’equilibrio; mentre cadeva tentò di aggrapparsi ad una montagna, la stessa montagna dove mi trovavo.

Mi strinsi ancora più forte alle rocce, premendo con maggiore forza la schiena contro il fianco della montagna, mentre il terreno sotto di me tremava e cumoli di roccia cadevano a poca distanza da me. Dovevo assolutamente trovare un riparo, altrimenti non avrei saputo come sarebbe andata a finire. Per cui, sempre con la schiena appoggiata alla montagna, ripresi ad avanzare nel mezzo della tempesta, sperando di trovare al più presto una grotta dove attendere la fine della battaglia tra Tuoni.  A malapena riuscivo a tenere gli occhi aperti e le dita delle mani erano ormai congelate dal freddo, ma continuavo ad andare avanti.

Non so per quanto ancora continuai ad avanzare, ma riuscii finalmente a trovare una grotta. Era piccola e umida, ma almeno mi avrebbe tenuta al sicuro dalla tempesta. Controllai che non vi fossero altre entrate nascoste o crepe nel terreno: le Montagne Nebbiose erano note per l’ingente presenza di Troll. Non trovando niente potei finalmente tirare un sospiro di sollievo: ero in salvo.

Accesi un piccolo focolare per tenermi al caldo e mangiai un pezzo di pane elfico, dal sapore dolce e delicato. Infine mi tolsi la giacca ormai fradicia e la misi vicino al fuoco ad asciugare, insieme agli stivali. Mi sedetti il più vicino possibile alle fiamme, osservando il loro movimento simile ad una danza.  Rimasi incantata dalla bellezza del fuoco e ben presto gli occhi si fecero sempre più pesanti, mentre si sentivano ancora i tuoni e i fulmini squarciare il buio della notte …

Mi ritrovai in una caverna, circondata da teschi ed ossa di antichi cadaveri. Alle pareti vi erano appese delle nere catene, delle altre più robuste tenevano imprigionato un giovane Elfo. Il busto era martoriato da profonde ferite e lividi neri, segni di atroci torture.

L’esile Elfo era steso a terra privo di sensi, con i polsi legati, e i gemiti di dolore erano intervallati dai brividi per il freddo pungente. Le spalle larghe e proporzionate erano coperte da segni di violente frustate, la vita stretta e i fianchi sottili erano coperti da un logoro telo grigio. Era pallido come la luna, in un primo momento avevo perfino pensato che fosse morto. I lunghi capelli castano chiaro che gli coprivano il viso leggermente squadrato, erano unti e sulle punte vi erano grumi di sangue rappreso.

Mi avvicinai per soccorrerlo, ma qualcosa mi impediva di muovermi, come se ci fosse un muro invisibile a bloccarmi. Cominciai ad urlare per attirare la sua attenzione, ma sembrava rimanere privo di coscienza.

All’improvviso alzò il capo e mi guardò dritta negli occhi.

Conoscevo quello sguardo, quegli occhi color nocciola chiaro, quasi verdi,  con una leggera sfumatura dorata e dal taglio allungato.
Calen.

Le gambe mi cedettero e caddi in ginocchio. Non potevo crederci, non volevo crederci.

- Calen … cosa ti hanno fatto … - riuscii a sussurrare con voce tremante e le lacrime agli occhi.

Mi risvegliai di soprassalto, in preda all’angoscia. Il cuore batteva forte nel petto, come se da un momento all’altro potesse uscirne. Il fiato era corto e irregolare, mani e ginocchia non smettevano di tremare.

 Del focolare accanto a me rimanevano soltanto dei tizzoni ardenti, mentre fievoli raggi di sole illuminavano l’entrata della grotta.

Mi presi la testa tra le mani e cercai di fare respiri profondi.
“Era soltanto un sogno, uno strano scherzo della mia mente … non era reale” continuavo a ripetere a me stessa.

Mi alzai da terra e mi sporsi fuori dalla grotta. Il sole splendeva alto nel cielo, doveva già essere mezzodì: senza accorgemene, avevo dormito tutta la mattina. Una leggera aria tiepida mi accarezzò il viso, come se non vi fosse mai stata un tempesta.

Rientrata nella grotta, cominciai a preparare nuovamente la mia sacca. La giacca era ormai asciutta, così come gli stivali a cui diedi un ulteriore pulita. Affilai la lama della mia spada per  renderla ancora più letale. Infine migliorai il bilanciamento delle frecce, assottigliandone la punta metallica e sistemando il morbido impennaggio rosso con piccole strisce bianche, dando così minore perdita di traiettoria.

Ma non riuscivo a togliermi dalla testa quel sogno. Quegli occhi pieni di sofferenza, quel corpo martoriato e quella mia incapacità di poter fare qualcosa per aiutarlo mi divoravano dall’interno.

Abbandonai la grotta nel tardo pomeriggio, cancellando prima le tracce del mio passaggio, e mi misi di nuovo in cammino sul sentiero tortuoso che percorreva il  fianco della montagna. Il terreno era ancora umido e sulla parete di roccia vi erano grosse chiazze d’acqua, gli unici segni rimasti della tempesta.

Era ormai il tramonto quando arrivai dall’altro lato delle Montagne Nebbiose, in prossimità del fiume Anduin. Improvvisamente sentii un forte rumore provenire dal cielo: il grido di un’aquila. Dopo quello se ne aggiunsero degli altri, dovevano essere almeno una decina.

Non potevano essere comuni aquile, ma aquile di Manwë. Creature estremamente intelligenti, le prime a sorvolare i cieli della Terra di Mezzo.
La loro presenza non poteva essere un caso, nei dintorni doveva essere accaduto qualcosa. Non aspettai altro ed evocai dentro di me la Fiamma, sentendo subito dopo un familiare formicolio alle scapole.

Schiusi le mie maestose ali di fiamme blu, grandi abbastanza da potermi fare da strascico, e dandomi una leggera spinta presi il volo.

Ogni cosa sembrava rimpicciolita e da lassù mi sentivo in pace: vi ero solo io, la luna appena sorta e le prime stelle della sera. Prima che me ne potessi rendere conto mi sfrecciò accanto una gigantesca aquila, sfiorandomi quasi le dita della mani. Altre quattordici mi volarono accanto, come se non ci fossi.
Puntavano tutte verso i pendii di una montagna, da dove divampavano le imponenti fiamme di un incendio.

Un altro suono riempii l’aria: l’ululato di lupi mannari.
Non esitai a seguire la scia delle aquile, qualcuno era in grave pericolo.
 
  
ANGOLO DELL’AUTRICE
Salveee :) capitolo più lungo rispetto al precedente, ma volevo spiegare alcune cosette. Per tutti gli appassionati di Tolkien: ho voluto “spostare” leggermente Angband, quindi non risulta più sommersa dal mare ma solo ridotta in rovina, non uccidetemi ahaha ;)
Le fortezza di Angmar, il Monte Gundabad e soprattutto il regno di Angabad, sono davvero abbandonati come dicono? Belthil ha semplicemente sognato il suo amato Calen oppure ha avuto una sorta di visione?
Fatemi sapere cosa pensate che succederà, anche se lo scoprirete continuando a leggere ;)
Bacioni
Giulia :3 

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


ATTENZIONE: nel capitolo sono presenti scene cruenti di battaglia (almeno per me)

Riuscii a raggiungere lo stormo di Aquile con pochi battiti d’ali, seguendo le correnti di aria fredda proveniente da Nord. Mi affiancai ad un’Aquila, stando attenta a non far scontrare le mie ali con le sue, e non potei fare a meno di osservare quella maestosa creatura. Era del tutto simile a una comune aquila: il morbido piumaggio superiore era di colore bruno castano mentre quello inferiore leggermente più scuro, la testa invece presentava piume castane dorate; il becco era robusto e ricurvo, le zampe anch’esse robuste erano parzialmente coperte di piume ed avevano artigli lunghi e affilati, in particolare quelli posteriori erano capaci di trafiggere qualsiasi preda; gli occhi marrone chiaro permettevano una visione incredibilmente acuta, alla quale niente poteva sfuggire.

 Ben presto arrivammo nel luogo da cui provenivano gli ululati: una parte di foresta situata su una sporgenza rocciosa completamente devastata da un incendio. Gli alberi che prima si innalzavano rigogliosi erano stati abbattuti ed erano ormai avvolti dalle fiamme, tutti tranne un grosso abete posto sulla punta della sporgenza. Il tronco era quasi totalmente spezzato alla base e pendeva orizzontalmente, ormai sul punto di cadere nel vuoto.

Tra i rami si muoveva qualcosa, ma il fumo mi impediva di vedere chiaramente. Riuscii solamente a distinguere alcune figure confuse, tra cui quella di un uomo sulla cima dell’albero. Portava una lunga tunica e un cappello a punta che riconobbi all’istante. Quell’uomo era Gandalf, lo stregone grigio. Aguzzai ancora di più la vista e le figure confuse divennero i Nani che avevo incontrato a Gran Burrone, ma ne mancavano alcuni e di Bilbo non c’era traccia.

Allora alzai leggermente lo sguardo e ciò che vidi mi fece gelare il sangue nelle vene: sul bordo della sporgenza, steso a terra privo di sensi, vi era Thorin Scudodiquercia, circondato da un intero branco di Warg. Alcuni lupi avevano una parte di pelo bruciato, mentre altri portavano sulla loro schiena degli Orchi armati fino ai denti.

Uno di essi catturò la mia attenzione: era un Orco pallido, con numerose cicatrici lungo tutto il corpo, a cavallo di una bianca mannara, la Matriarca. In una mano portava una grossa mazza di ferro, mentre l’altro braccio era mozzato e dal gomito sporgeva un uncino con diverse punte ricurve. Le orecchie erano appuntite, gli occhi azzurri e freddi come il ghiaccio. 

Azog Il Profanatore. Molti raccontavano che fosse morto durante la battaglia a Moria, ma a quanto pareva si sbagliavano.
Puntava dritto verso Thorin, con lo sguardo pieno di odio e rabbia. Infatti era stato proprio il Nano a mozzargli il braccio sinistro, anni e anni prima, per vendicare la morte del padre Thráin e del nonno Thrór, settimo Re della Gente di Durin e Re Sotto la Montagna.

In difesa dell’Erede di Durin vi erano i suoi migliori guerrieri: Dwalin, i nipoti Fili e Kili, e … Bilbo.

Lo hobbit brandiva il suo pugnale elfico per intimidire un Warg davanti a lui, ma il mannaro non sembrava intimorito dal mezz’uomo. Anzi, continuava ad avanzare, scoprendo i lunghi canini e gli artigli affilati come lame. Bilbo era in grave pericolo ed i Nani accanto a lui erano tutti impegnati a fronteggiare altri Warg. Senza pensarci due volte mi lanciai a tutta velocità verso il mannaro, girando velocemente su me stessa per rompere il muro di fuoco che si innalzava alto nel cielo scuro della notte: era mia dovere proteggerlo a ogni costo.

Mi schiantai contro il fianco del Warg, il quale venne scagliato via per diversi metri per il forte impatto. Caddi a terra in ginocchio, con la schiena leggermente piegata in avanti, le mani strette al petto e le ali di Fiamma che mi avvolgevano tra di esse, proteggendomi dal fumo e dal fuoco. Quindi balzai in piedi e spalancai le ali, creando un’onda d’urto che allontanò le fiamme. Intanto il mannaro iniziò a riprendersi e si alzò da terra, zoppicando leggermente e scuotendo la testa intontito, per poi voltarsi verso di me inferocito.

Avrei dovuto ritirare le ali, non potevo rischiare di perdere il controllo della Fiamma che le formava, ma un istante prima che scomparissero completamente il Warg che avevo colpito si lanciò verso di me, facendomi cadere a terra schiacciandomi con il suo peso. Tentai di tenerlo  lontano dal viso spingendo via il muso con le braccia, mentre con le gambe cercavo di ribaltare le posizioni.

All’improvviso sentii qualcosa dentro di me, una potente energia scorrere nelle mie vene e riempirmi di una nuova forza, una forza selvaggia e senza controllo: la Fiamma. Mollai la presa dal muso del Warg, il quale non esitò a infilare i suoi canini nel mio braccio sinistro. Sentii la pelle venire squarciata, l’osso venire spezzato in due, ma non provai dolore.

Con il braccio libero, tirai un pugno al muso del mannaro usando tutta la forza che avevo, sentendo le ossa del suo cranio scricchiolare sotto le mie dita. Il Warg diminuì la pressione sul mio braccio, ma io continuai a colpire e a colpire, senza sosta né pietà. Smisi solamente quando perse i pensi e cadde morto su di me, con il cranio completamente sfondato e ridotto in frantumi.

Spinsi via la carcassa e mi rialzai in piedi, proprio mentre un’Aquila mi stava volando appena sopra la testa, per poi afferrare Bilbo tra i suoi artigli ricurvi. Solo in quel momento mi accorsi che le Aquile avevano afferrato tutti i Nani e Gandalf, volando via verso il loro nido e portandoli in salvo.

Rimanevo solo io, insieme al branco di Warg comandato da Azog.

-Uccidete la Custode!- ordinò l’Orco pallido in lingua nera.

Alcuni mannari cominciarono ad accerchiarmi, per cui sfilai la spada dal fodero e mi preparai ad attaccare. Ma qualcosa alle mie spalle attirò la loro attenzione, facendoli indietreggiare impauriti fino al confine della foresta che ricopriva i pendii della montagna. Perfino Azog Il Profanatore indietreggiò, dando l’ordine immediato di ritirarsi.

Mi voltai lentamente, incerta su cosa avrei potuto trovare.

Ciò che vidi mi mozzò il fiato, facendomi scivolare la spada dalle dita: il fuoco non era più lo stesso, era cambiato.

Non aveva più le sue solite sfumature rossastre, ma parte dell’incendio presentava fiamme di colore azzurro tendente al blu, con leggere sfumature violacee: la Fiamma. Si stava espandendo velocemente, assorbendo il fuoco e rendendolo parte di essa. Provai a farla tornare dentro di me, invocandola ripetutamente nella mia testa, ma era tutto inutile, la Fiamma continuava ad espandersi e presto avrebbe occupato del tutto la sporgenza.

Non sapevo cosa fare, non ne avevo più il controllo. Una delle mie peggiori paure si stava avverando, ed io sarei rimasta a guardare impotente.  Ormai ero circondata dalla Fiamma e non potevo sfuggirle, se non buttandomi tra le sue fiammate bluastre e venire incenerita all’istante dalla sua potente energia.

Quando l’ultima fiamma rossa venne assorbita pensai che fosse arrivata la mia ora, invece accade qualcosa di strano, qualcosa che non avrei potuto spiegare e tanto meno immaginare.

La Fiamma non continuò a bruciare la vegetazione, al contrario la rigenerò: le foglie carbonizzate ritornarono verdi brillanti, i tronchi spezzati vennero ricomposti e l’erba ricrebbe. Ogni traccia lasciata dall’incendio svanì in pochi secondi e solo allora la Fiamma cominciò ad abbandonare le piante, dirigendosi verso di me.

Mi sentii avvolgere dal suo calore familiare all’altezza delle scapole: la Fiamma ritornò a formare le ali, però in modo totalmente diverso. Erano molto più grandi di prima, quasi quanto quelle delle Aquile, e la Fiamma aveva assunto le sembianze di vere e proprie morbide piume azzurre come il cielo, con sfumature blu oceano sulle punte.

Mi alzai da terra con una leggera spinta, volando nel buio della notte e nella luce delle stelle e della luna.

Ero confusa per ciò che era accaduto con la Fiamma, nessun Valar mi aveva mai raccontato in modo dettagliato cosa sarebbe successo se ne avessi perso il controllo e nemmeno in quali modi  potevi rafforzarsi. Mi sentivo molto più forte di prima, come se tutta l’energia presente nel fuoco fosse stata strappata da esso e usata dalla Fiamma, diventando così ancora più potente.

Avevo bisogno di risposte, ma le uniche persone che potevano darmele erano le stesse che mi aveva mentito sulla vera natura di mio fratello Sauron.

Allo stesso tempo ero preoccupata per Thorin e la sua compagnia. Azog era uno degli Orchi più temuti della Terra di Mezzo, nonché probabile alleato di Davoch. Avrei dovuto seguire le sue tracce, ma sapevo che il suo obiettivo era sterminare la Stirpe di Durin.

Per questo presi la direzione verso il nido delle Aquile, posto su un’altura di roccia più a Sud.
\\

Volai per alcune ore, attraversando anche qualche nuvola, e quando raggiunsi il nido il sole era sorto da poco.

I Nani erano tutti lì, sani e salvi, così come Gandalf e Bilbo. Thorin si era ripreso ed era circondato dai suoi compagni, con lo sguardo rivolto alla Montagna Solitaria che si innalzava in lontananza.

Riuscivo perfino a sentire ciò che si dicevano.

-Credo proprio che il peggio sia passato.- sospirò di sollievo Bilbo, riferendosi allo spiacevole incontro di poche ore prima.

-Se non fosse stato per Belthil e le Aquile, a quest’ora saremmo tutti morti.- affermò Fili.

-Belthil? Che cosa c’entra adesso quell’elfa?- chiese Thorin.

-Mentre eri privo di sensi, insieme alle Aquile è venuta in nostro aiuto anche la Custode. Aveva delle enormi ali di fuoco blu che le uscivano dalla schiena e l’ho vista uccidere un Warg a mani nude!- gli rispose il nipote.

-E come faceva a sapere dove eravamo?!- esclamò l’Erede di Durin guardando Gandalf.

-Non essere sciocco! Belthil rappresenta il più alto potere presente su queste terre e il suo compito è quello di proteggerci dal Male!- replicò lo stregone grigio.

-E dov’era quando Smaug distrusse Dale e si prese la Montagna, la nostra casa?!- urlò furibondo il Nano.

-A Valinor.- dissi atterrando alle loro spalle.
 
 
 
ANGOLO DELL’AUTRICE
Seraa :) si, sono consapevole del fatto che non aggiorno da due settimane, ma ho avuto uno dei miei blocchi dello scrittore e non avevo idee, scusate davvero vedrò di rimediare ;)
Per me è stato davvero difficile scrivere questo capitolo, spero che non sia venuto una schifezza. Devo solo fare una piccola precisazione: ho voluto fare arrivare Smaug a Erebor durante la Seconda Era per vari motivi, ma il principale è quello legato al perché i Nani non entrarono in guerra a Mordor, dalla quale inizia poi la Terza Era. In pratica ho tolto un po’ di anni tra la battaglia a Mordor e Lo Hobbit. Comunque spiegherò tutto nei prossimi capitoli, don’t worry.
Purtroppo dal prossimo capitolo le parti  diventeranno leggermente più corte e la causa è lo studio che mi porta via un sacco di tempo … però alla fine ce ne saranno di più e vi lascerò sempre più in sospeso muahah
Come ben sapete, a Thorin gli Elfi non piacciono proprio … cosa succederà con Belthil? Riuscirà la nostra protagonista a guadagnare la sua fiducia e il suo rispetto? Si saprà nel prossimo capitoli …
Colonna sonora del libro: Vivo sospesa di Nathalie
Bacioni
Giulia :3
P.S molto probabilmente non ho scritto la metà delle cose che volevo dirvi, vedrò di comunicarvele nei prossimi angolo dell’autrice ;)

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


I Nani sobbalzarono al suono della mia voce, non credendo che li avessi seguiti. Si voltarono uno ad uno verso di me, per ultimo Thorin.

Dal suo sguardo fiero non trapelava sorpresa, ma soltanto rancore.

-Se davvero eravate a Valinor, mia Custode,  perché quando siete arrivata su queste terre non avete sfidato il drago? Voi siete nettamente più forte, o mi sbaglio?- mi disse con tono irriverente.

Gandalf cercò di interrompere il Nano, ma lo fermai prima che potesse interferire.

-No Mithrandir, lui deve sapere.

Feci un profondo respiro, imponendomi mentalmente di rimanere calma: provare a ragionare con i Nani era già un’impresa ardua di per sé, a causa della loro testardaggine e del loro smisurato orgoglio, figuriamoci farlo quando il Nano in questione era furioso e pieno di rabbia repressa.

-Ciò che dite è vero, Thorin Scudodiquercia. Avrei potuto affrontare Smaug e liberare Erebor il giorno stesso in cui io arrivai da Valinor, ma non l’ho fatto.

Mentre pronunciai queste parole sentii gli altri Nani mormorare alle sue spalle e vidi i loro volti farsi sempre più bui a mano a mano che continuavo.

- Avrei potuto fare qualsiasi cosa con la Fiamma in mio possesso, perfino distruggere Mordor ed eliminare il Male dalla faccia della Terra di Mezzo. Ma c’è un motivo per cui non ho fatto tutto questo, c’è un motivo per cui il Male è ancora presente; c’è un motivo per cui voi adesso non siete Re.

-E quale sarebbe?- mi chiese impaziente Thorin.

-Se avessi utilizzato la Fiamma per uno solo di questi scopi e ne avessi perso il controllo, avrei distrutto la Terra di Mezzo uccidendo ogni essere vivente.

-Ma da quello che vedo voi sapete controllare la Fiamma, altrimenti come riuscireste a volare?

-Manipolare la Fiamma ed usarla come arma sono due cose completamente diverse. Sento la sua energia scorrermi nelle vene, conosco la sua forza distruttiva ed è talmente potente che servirebbero millenni per riuscire a controllarla del tutto, tempo che non ho avuto. Il Male continuava ad espandersi e doveva essere fermato il prima possibile, per questo non rimasi a Valinor. Nelle Terre Immortali potevo utilizzare liberamente la Fiamma senza alcun rischio grazie alla magia dei Valar, ma qui la loro magia è troppo distante e non riuscirebbe a contenere gli effetti devastanti della Fiamma. Per questo, mentre mi trovavo lì, ho imparato il più possibile a controllarla, esercitandomi nell’Arena del Valar Tulkas e studiando libri su libri nella Grande Biblioteca. Ma come ho detto, il Male avanzava e non potevo rimanere di più. Quando arrivai sulle sponde della Terra di Mezzo venni accolta dal popolo di Mithlond e mi preparai a sfidare il Male che si diffondeva da Mordor. Contribuii a formare l’Ultima Alleanza tra Elfi e Uomini e insieme marciammo su Mordor, dove Sauron fu sconfitto e il suo potere sulla Terra di Mezzo cessò.

-Sono passati più di trecento anni dalla Battaglia, ma il tuo popolo non ha ancora mosso un dito per aiutarci. Abbiamo dovuto ricostruirci da soli una nuova vita sulle Montagne Azzurre ed ora siamo pronti a riconquistare ciò che è nostro di diritto. Non permetterò a nessuno di fermarci, nemmeno alla Custode- ribatté con decisione.

-Ma io non voglio fermarvi, anzi … Io vi offro il mio aiuto.

Calò un silenzio quasi surreale.

I Nani si guardarono tra di loro, pensierosi ed attoniti, Gandalf non smetteva di spostare lo sguardo da me a Thorin, il quale rifletteva sulla risposta da dare alla mia offerta. Bilbo invece rimase in disparte, a capo chino.

-Perché mai dovrei accettare aiuto da chi non sa quello che si prova a non avere più la propria dimora? Voi vivete nei grandi palazzi degli Elfi, tra morbidi cuscini e il suono smielato dei flauti. Non sapete cosa abbiamo dovuto sopportare da quando Smaug è arrivato a Erebor, strappandocela via.

 Le parole del Nano mi colpirono come macigni. Era davvero questo ciò che pensavano di me? Che non ero altro che un’ Elfa viziata?

I Nani dei Colli Ferrosi che mi avevano ospitata erano ben diversi dai Nani di Erebor, ormai ne avevo la certezza.

Tutti aspettavo una mia reazione alle dure parole di Thorin, reazione che non tardò ad arrivare.

-So bene ciò che avete passato, ma ora avete la possibilità di riprendervi Erebor, la vostra casa! Voi avete ancora una famiglia su cui potete sempre contare, i vostri compagni di viaggio ne sono la prova. Voi avete ancora un popolo al quale appartenete da quando siete nato, un grande e forte popolo. Credete che sia lo stesso per me? Se è così, allora vi sbagliate di grosso. Dovete sapere che in passato non ho avuto la vostra stessa fortuna: la mia intera famiglia è stata trucidata senza che io potessi fare qualcosa per salvarla, il mio vero popolo è stato spazzato via dalla Terra di Mezzo; il mio regno, la mia dimora, tutto ciò che avevo è stato ridotto in cenere e trasformato nella roccaforte del Male, e non esiste modo di tornare indietro. Perciò non osate accusarmi di non riuscire a capirvi, poiché ho passato secoli pieni di dolore che voi non riuscireste neanche ad immaginare.

Avevo reagito impulsivamente, non pensando alle possibili conseguenze a cui le mie parole avrebbero potuto portare.

Thorin restò immobile, con gli occhi fissi su di me. Il rancore nel suo sguardo era come scomparso improvvisamente, sembrava perfino che fosse tornato il Nano ragionevole che avevo conosciuto a Gran Burrone. Ma  forse la calma del Nano era soltanto una mia impressione, mentre in realtà era ancora più furioso di prima.

Ad un tratto lo sguardo del Nano si spostò dal mio volto al braccio sinistro.

-Ma voi … siete ferita …

Alle sue parole Bilbo alzò improvvisamente il capo e si avvicinò velocemente a Gandalf, il quale si reggeva al suo lungo bastone, in mezzo tra me e Thorin.

-Hai bisogno di cure Belthil, quella ferita è molto profonda.- disse lo hobbit.

-No, non ne ho bisogno. Sto bene Bilbo, non preoccuparti.

-Bilbo ha ragione, dovresti fasciare quella ferita prima che si infetti.

-Apprezzo la vostra preoccupazione, ma, davvero,non ho bisogno di alcuna cura.-risposi con decisione allo stregone.

-Lascia almeno che Oin dia un occhiata alla ferita! Il taglio inferto dalle zanne di un mannaro non è da prendere alla leggera … -ribadì infine Gandalf.

Quei due non avrebbero avuto pace finché non sarebbero stati certi della mia salute, per cui acconsentii.

 Ripiegai le ali dietro la schiena e mi sedetti su un masso, mentre Oin si faceva largo tra i Nani.

Oin era uno dei Nani più anziani della compagnia e teneva sempre alla cintura un specie di corno che gli permetteva di riuscire a sentire chiaramente. Aveva una lunga barba grigia e i baffi erano talmente lunghi da essere stati legati in due trecce dalle punte piegate verso l’alto.

Si avvicinò a me titubante, con Thorin al suo fianco.

Tesi il braccio verso di lui, il quale iniziò ad ispezionare la ferita. Ma appena scostò i lembi di tessuto insanguinati vide che sulla mia pelle non vi era alcun taglio né morso.

-Io non vedo alcuna ferita qui … come è possibile?- chiese confuso Oin.

Alzai lo sguardo verso di Gandalf sorridendogli.

-Ti avevo detto che stavo bene mellonamin. La Fiamma è in grado di curare tutte le ferite più gravi in poco tempo.

 In realtà non erano del tutto vere le mie parole. Una sola ferita non si era mai del tutto rimarginata.

Una ferita all’altezza del cuore.
 
 
ANGOLO DELL’AUTRICE
Sono tornataaa (può partire il coro alleluia alleluia)
Non aggiornavo da un mese, lo so, e mi dispiace davvero molto per l’attesa. Cercherò di recuperare, ma non posso promettervi nulla a causa dei molteplici impegni scolastitici di quest’anno :(
Ma torniamo alla storia: riuscirà Bel a conquistare la fiducia di Thorin?
Lo saprete nelle prossime “puntate” …
Bacioni
Giulia :3

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


CONSIGLIO PER LA LETTURA
Mentre leggete vi consiglio di ascoltare “Hello” di Adele, ho messo anche il video della lyrics/cover qui sopra ;)
Buona lettura
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-Sei una continua sorpresa mia cara Belthil, non finisco mai di stupirmi delle tue straordinarie capacità!- esclamò Gandalf, sciogliendo definitivamente la tensione presente fino a pochi minuti prima.

Oin ritornò tra i suoi compagni, curiosi di sapere ciò che era accaduto con esattezza. Intanto mi alzai e sistemai come potei la giacca e la camicia squarciate dagli artigli del Warg, cercando di far rimanere uniti alla ben meglio i lembi di tessuto, cosa alquanto impossibile senza l’uso di ago e filo, nonché per la mia più totale mancanza di abilità nel ricamo.

Senza accorgemene, cominciai a ricordare tutte quelle ore che avevo passato insieme a mia madre, sedute all’aria aperta su comode seggiole in ciliegio, circondate da splendidi fiori piantati in piccoli vasi  di pietra a forma di anfore, in una delle tante terrazze del palazzo, intente a ricamare.

Eravamo sedute l’una di fronte all’altra, in completo silenzio.

 A volte alzavo lo sguardo e vedevo mia madre lavorare concentrata, non distaccando mai i suoi occhi azzurri come il cielo da ciò che stava facendo: un ricamo elaborato e pieno di minuziosi dettagli che rappresentava un lago circondato da una fitta e rigogliosa  foresta.

 I lunghi capelli corvini erano raccolti in una semplice treccia a spina di pesce, che metteva in mostra le sue orecchie leggermente a punta adornate da perle rosate e piccoli anellini d’argento. Indossava un leggero abito rosso porpora, che faceva risaltare il suo sottile punto vita con una fine fascia argentata e lasciava le spalle scoperte grazie ad una scollatura a barca, mentre gli avambracci erano coperti da corte maniche di pizzo quasi trasparente. La gonna scendeva morbida lungo i fianchi e terminava con una leggera coda, ricamata con lo stesso tipo di pizzo della parte superiore.  Come riusciva ad essere sempre così dannatamente perfetta?

Ogni cosa paragonata a lei sembrava banale, lasciata al caso. Spesso mi chiedevo come era possibile che fossi figlia sua, eravamo così diverse: io ero il suo opposto, la sua parte complementare. Ma ciò non significava che non mi volesse bene, anzi aveva amato me e mio fratello con tutta se stessa, come solo una madre può fare. Per i propri figli avrebbe fatto qualsiasi cosa, avrebbe lottato e non si sarebbe mai arresa.

Accidentalmente avevo sbagliato alcuni punti centrali del mio  ricamo, per cui stavo cercando di rimediare alzandoli  leggermente con la punta dell’ago e rifacendoli di nuovo, ma non facevo altro che peggiorare la situazione. Quello che doveva essere un semplice mazzo di fiori di campo, era divenuto qualcosa di totalmente indefinito.

In realtà non avevo alcuna intenzione di ricamare, anzi desideravo andare con mio padre e mio fratello a caccia. Ma come diceva mia madre, quella non era un’attività adatta ad una giovane principessa di Dormor.

-Bel che cosa stai combinando? Non avrai sbagliato ancora, vero?!- mi chiese con tono di rimprovero.

Alzai lo sguardo dal mio “capolavoro” con aria innocente, come se non fosse accaduto nulla.

-Assolutamente niente, sto solo ritoccando alcuni punti …

-Avanti, fammi vedere il tuo lavoro- mi disse con tono severo, intuendo già il disastro che avevo compiuto.

Glielo porsi con cautela, aspettando la sua reazione.

-E questo cosa diamine è?!- strillò.

Eccola.

-Madre … lo sapete benissimo che non sono portata per il ricamo … - tentai di giustificarmi.

-Quando imparerai a comportarti come una vera sovrana di Dormor?-mi chiese sospirando, anche se in realtà era una domanda rivolta più a se stessa che a me.

-Non vedo come il saper ricamare mi renda una sovrana migliore. Per caso dovrò firmare trattati con ago e filo?

-Vedo che come al solito non hai capito quello che io voglio insegnarti, oppure sei proprio tu che non vuoi imparare. Vai pure, raggiungi tuo fratello, fai quello che vuoi, basta che mi lasci sola. Per oggi ne ho abbastanza.

La superai sempre a capo chino, per poi accelerare il passo quando fui alle sue spalle.

Appena prima di rientrare a palazzo, mi voltai verso di lei.

Era ancora seduta sulla sua sedia, con il mio ricamo stretto fra le mani.

-Grazie … -sussurrai.

Non avevo mai capito cosa avesse voluto insegnarmi veramente, fino a quel momento.

Disciplina.
Rigore.
Fermezza.
Dedizione.

Tutte qualità che aveva sempre cercato di trasmettermi. Ogni volta che mi aveva rimproverata, gridandomi contro o chiudendomi a chiave nelle mie stanze, lo aveva fatto per me, per il mio bene.

Per me aveva fatto di tutto, lo stesso per mio fratello.
O meglio, per l’anima di mio fratello.

Sauron, il figlio che aveva creduto morto dopo solo pochi istanti di vita, per il quale aveva provato un dolore tale da commuovere i Valar. Grazie al suo amore, l’anima di  mio fratello aveva continuato a vivere, ma in un altro corpo. Un corpo maledetto.

Sperai che non avesse provato dolore il giorno della caduta di Dormor, che fosse morta stretta tra le braccia di mio padre, l’unica persona che le rimaneva e che l’amava profondamente.

Ma soprattutto sperai che non avesse mai saputo ciò che era realmente accaduto a suo figlio. Avrei dovuto essere io a dirglielo, assumendomi l’intera colpa davanti a lei, ma ciò non era stato possibile.

Quanto avrei voluto rivederla anche solo per un istante, abbracciarla un’ultima volta, chiederle perdono per tutte le volte che le avevo disubbidito e per ciò che era accaduto a lei e a tutta la nostra famiglia.

 Mi mancavano perfino le cose più banali e scontante, come un semplice “ciao” o una carezza. La sua voce, il suo profumo, tutto di lei creava un enorme vuoto dentro di me.

E mentre rivivevo i momenti passati con mia madre, vidi Thorin avvicinarsi a Gandalf e sussurrargli all’orecchio:

-La lascerò venire con noi, ma sarà una tua responsabilità. Non le farò firmare alcun contratto o prestare alcun giuramento a me o alla compagnia, ma se ci creerà problemi ti riterrò direttamente responsabile.

-Capisco … - rispose Mithrandir, annuendo leggermente col capo.

Il Nano si allontanò da Gandalf e riunì a attorno a sé la compagnia.

-Dobbiamo muoverci! I mannari saranno presto vicini e dobbiamo sfruttare al massimo le ore di luce a nostra disposizione. Continueremo a camminare durante la notte, fermandoci solo per dormire stabilendo dei turni di guardia.

-E la Custode? Sarà con noi?- chiese Kili.

-Per adesso si …

Dopo le parole di Thorin vidi Bilbo tirare un piccolo sospiro di sollievo, consapevole della giusta decisione presa dal Nano.

-Forza fratello, aiutami a preparare le funi per scendere da questa rupe …- disse Fili, lanciando a Kili robuste corde.

-Io vi attenderò ai piedi della rupe- annunciai.

-Non vi calerete con noi?- chiese seccamente Thorin.

-Preferisco scendere a modo mio.

-E sarebbe?

Lo guardai con aria di sfida, per poi prendere la rincorsa e buttarmi nel vuoto , in caduta libera.
 
 
 
ANGOLO DELL’AUTRICE
 Salvee :)
Alla fine ho deciso di pubblicare un capitolo ogni due settimane, sia per non farvi aspettare troppo e sia per potermi concentrare anche sullo studio …
Comunque, questo capitolo è quasi interamente dedicato al passato di Bel, in particolare alla madre Ris. Che ne pensate?
Bacioni
Giulia :3

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


Il vento mi sferzava la pelle del viso e a malapena riuscivo a tenere gli occhi aperti.

Ogni mia singola parte del corpo era attratta dalla terra sottostante, come se fossi una parte di essa da rimettere al proprio posto, con i piedi attaccati al suolo.

Le cime delle rigogliose cime degli alberi si facevano sempre più vicine, ormai riuscivo a sentire distintamente l’odore delle foglie bagnate dalla rugiada.
Quelli erano gli istanti che avrebbero separato chiunque da morte certa, ma io avevo la possibilità di scegliere.

Spalancai le ali, che fino a quel momento erano rimaste immobili dietro la schiena. Immediatamente mi sentii spingere verso l’alto, come se anche il cielo mi stesse richiamando a sé.

Sfiorai una foglia con le dita, per poi spiccare il volo vero e proprio. Il  volo in cui ero io a decidere dove andare, quale corrente seguire e con quale velocità percorrerla.
Ero libera.

Con pochi battiti d’ali raggiunsi la cima del nido delle Aquile, dove vidi i Nani raggruppati nel punto in cui ero caduta. Volai appena sopra le loro teste, ma alcuni di loro di abbassarono comunque, forse pensando che non sarei riuscita a schivarli.

Invece battei le ali e volai più in alto, abbastanza da poter toccare le piccole nuvole bianche presenti quella mattina nel cielo. Lassù vi era un silenzio quasi surreale, una pace assoluta.

Guardai verso le Montagne Nebbiose, imponenti e apparentemente sicure per chi cercasse di attraversarle. In realtà sapevo bene quali insidie vi si nascondevano, ma soprattutto sapevo che Azog il Profanatore le stava battendo palmo a palmo, sulle tracce della compagnia di Thorin.

Era ancora distante, ma presto l’avrebbe raggiunta.

Ritornai velocemente al nido, dal quale i Nani si stavano calando con delle corde, così come Gandalf e Bilbo. Decisi di attenderli ai piedi della discesa, dove vi era una fitta foresta utile per far guadagnare tempo alla compagnia, confondendo le loro tracce e creando false piste.

Atterrai in un piccolo spiazzo erboso, dove li attesi appoggiandomi ad un albero. I primi ad arrivare furono i giovani nipoti di Thorin, Fili e Kili. Loro due mi ricordavano in un certo senso me e Sauron o, almeno, quello che un tempo eravamo stati l’una per l’altro.

Fratelli, uniti non solo da un legame di sangue ma anche da un profondo rapporto di amicizia e affetto.

Pian piano arrivarono anche gli altri membri della compagnia, alcuni lamentandosi per aver preso i piedi di qualcun altro in faccia. L’ultimo ad arrivare fu Thorin, accompagnato da Gandalf e dallo hobbit. Quest’ultimo aveva una strana espressione sul volto ed era assorto nei suoi pensieri.

 Più lo osservavo e più un brutto presentimento si faceva largo nella mia mente. Senza accorgemene avevo portato una mano sul petto, esattamente dove nascondevo la cicatrice a forma di mezzaluna. La pelle intorno ad essa cominciò a bruciare, come se stesse per riaprirsi da un momento all’altro. Ma i lembi di pelle rimanevano attaccati, causandomi però una fastidiosa sensazione. Non era mai capitato prima d’allora che mi sentissi in quel modo, nemmeno quando la ferita si era rimarginata da sola sotto il mio sguardo smarrito.

Qualcosa era cambiato in Bilbo.

-Va tutto bene Belthil?- mi chiese Gandalf.

-S-si … non è niente … devo solo riabituarmi un momento alla terraferma ..- mentii.

Era difficile continuare a nascondere la verità, soprattutto a chi mi voleva bene, ma sapevo che era necessario.

-Dobbiamo andare se vogliamo sfruttare la luce del giorno, i Mannari non sono lontani.- dissi per distogliere da me l’attenzione dello stregone.

-La Custode ha ragione, muoviamoci. Non manca ancora molto alla Montagna Solitaria, ma con un branco di Warg alle calcagna non abbiamo tempo da perdere.- mi diede ragione Balin.

Mi distaccai dall’albero a cui ero appoggiata e mi preparai a partire, ma i Nani non si mossero. C’era qualcosa che attirava la loro attenzione, qualcosa attaccato alla mia schiena.

Le ali, non le avevo ancora ripiegate. In realtà non sapevo neanche come fare, dato che erano diverse rispetto a prima: non erano più fatte di fiamme, ma  erano diventate ali vere e proprie, con morbide piume color oceano dalle sfumature violacee e azzurre.
Chiusi gli occhi e feci un respiro profondo, per poi evocare nella mente la Fiamma.

“Tollen i lû. Namaarie, tenna’ ento lye omenta”

E appena finii di pronunciare mentalmente queste parole, sentii svanire il peso delle ali: si dissolsero nell’aria, tramutate in sottile cenere bluastra e trasportate via dal vento.

-Adesso possiamo andare- affermai incamminandomi nella fitta boscaglia.

Non mi voltai nemmeno una volta, continuavo ad andare avanti. Sapevo che la compagnia mi stava seguendo, infatti percepivo i pesanti respiri dei Nani, i passi leggeri di Bilbo e l’odore del fumo proveniente dalla lunga pipa di Gandalf.

Seguivo i sentieri più stretti e meno percorribili, dove i Warg avrebbero trovato maggiore difficoltà a seguire le nostre tracce, anche se i Nani continuavano a lamentarsi e a proporre sentieri differenti, molto più larghi e con pochi ostacoli.
Quando il sole cominciò a calare, cominciai a cercare un luogo dove avremmo potuto accamparci: i Nani erano visibilmente affaticati, così come Bilbo, il quale non era affatto abituato a questo tipo di viaggio.

-Possiamo accamparci lì per questa notte- dissi indicando un piccolo spazio erboso, riparato dalle fronde degli alberi che vi ricadevano dalla sommità dell’entrata di una grotta poco profonda.

-Possiamo parlare un momento?- mi domandò Gandalf - in privato …- aggiunse riferendosi agli altri membri della compagnia, in particolare a Thorin.

E mentre i Nani e Bilbo cominciarono a disporre l’accampamento, mi allontanai seguita dallo stregone grigio, il quale aveva un espressione preoccupata sul volto.
 

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***


Appena fummo abbastanza lontani, rallentai e lasciai che Gandalf mi superasse, in modo da parlare faccia a faccia.

-Qual è il vero motivo per cui ha deciso di aiutare la compagnia di Thorin? - mi chiese aggrottando le folte sopracciglia grigie e portandosi alla bocca la sua lunga pipa.

-La riuscita dell’impresa di Thorin Scudodiquercia è più importante di quanto tu creda Mithrandir …

-Che cosa intendi dire?- domandò visibilmente allarmato.

-Il ritrovamento della spada di un Nazgûl non è da sottovalutare, qualcosa si muove nell’ombra, qualcosa di pericoloso e malvagio. Infatti molti hanno dimenticato che il capo dei Nazgûl, scomparso con il suo padrone Sauron dopo la grande battaglia a Mordor, per molti secoli dominò le terre che confinavano con Erebor, oltre il Monte Gundabad …

-Angmar …

-Esatto, per cui se Erebor dovesse cadere per sempre nelle mani del Male, esso non solo si impadronirebbe di uno dei Sette Regni dei Nani, ma potrebbe rivendicare anche quell’antico reame oscuro e costruire un passaggio attraverso il Deserto Settentrionale. Se ciò dovesse accadere, gli Orchi potrebbero raggiungere le rovine di Angband, rifondando un Regno ancora più potente e malvagio di Angmar. 

-Ma affinché ciò che tu dici accada davvero, tutti i servi del Male dovranno essere uniti sotto un unico padrone, un padrone che su sconfitto anni e anni fa …

-L’unico che in questo momento potrebbe adempiere a quel ruolo è qualcuno che è già in grado di comandare un esercito, qualcuno che nessuno è mai riuscito a catturare, qualcuno che originariamente possedeva una forza pari ai Figli di Ilúvatar, ma che è diventato sempre più potente con il passare del tempo: Davoch.

-Davoch? E come potrebbe il Principe dei Corvi riuscire a radunare ogni Orco, Goblin e Elfo corrotto sotto il suo comando? Per quanto potente sia, non credo che abbia questa abilità.

-Proprio per questo credo che dietro di lui ci sia qualcun altro che muove i fili, come se Davoch fosse solo una marionetta nelle sue mani. Qualcuno che molti credono sconfitto, ma il solo a possedere un potere tale da far ritornare in vita i Nazgûl.

-Quindi pensi che Sauron sia tornato?- mi chiese infine lo stregone.

- Non ho mai creduto che se ne fosse andato dalla Terra di Mezzo. Finché l’Unico Anello non sarà gettato tra le fiamme del Monte Fato, non potrà mai essere sconfitto del tutto.- affermai.

Gandalf rimase in silenzio per qualche istante, ragionando sul da farsi mentre inspirava dalla pipa ed espirava nuvole di fumo.

-Dobbiamo esserne certi prima di fare qualsiasi cosa. Io ti credo Belthil, ma altri potrebbero non farlo, rimanendo ciechi e immobili mentre l’Oscuro Signore prepara la sua mossa.

-Dunque cosa possiamo fare Mithrandir?

-Credo che dovremmo continuare a seguire la compagnia di Thorin, solo così attireremo completamente la sua attenzione e lo obbligheremo a impiegare la sua principale marionetta. A quel punto potremo finalmente catturare Davoch, il quale ci condurrà dritti dal suo padrone.

Annuii con il capo, ritenendo che fosse la cosa giusta da fare. Usare i Nani come esca non era la migliore delle soluzioni, ma era l’unica che avevamo a disposizione.
Gandalf cominciò a incamminarsi verso l’accampamento allestito nel frattempo dai Nani, al centro del quale era stato acceso un piccolo focolare ed attorno erano stati stese delle coperte.

-Aspetta Mithrandir, avrei un piccolo favore da chiederti …

-Dimmi pure Belthil, sai che puoi sempre contare sul mio aiuto.

-Riguarda il giovane hobbit, Bilbo Baggins … Non lo conosco da molto e non ho idea di cosa sia successo nelle gallerie delle Montagne Nebbiose, ma so che qualcosa è cambiato in lui. Ti chiedo semplicemente di tenerlo d’occhio, dato che lo conosci da molto più tempo di me e sai meglio di chiunque altro come sia realmente.

Lo hobbit nascondeva qualcosa, ne ero certa. Quello che avevo provato ai piedi del nido delle Aquile era rimasto impresso nella mia mente, potevo ancora sentire la pelle bruciare attorno alla ferita.
Lo stregone grigio fece un profondo respiro, come se già avesse intuito qualcosa e io gli stessi dando un’ulteriore conferma.

-Non lo perderò di vista.- furono le sue ultime parole prima di ritornare dai Nani, i quali stavano già banchettando attorno al fuoco.

Anche se avevo camminato tutto il giorno, non avevo la benché minima voglia di mangiare: avevo troppi pensieri che mi riempivano la testa e il cibo era l’ultima delle mie preoccupazioni. Per cui diressi verso uno degli alberi intorno all’accampamento, dove avrei preparato il mio giaciglio per la notte e mi sarei distesa ad ammirare le stelle.

 -Perché non venite a sedervi con noi attorno al fuoco?Non siete affamata?- mi domandò con tono quasi provocatorio Thorin, mentre in mano teneva una coscia di lepre catturata lì intorno.

-Mi dispiace, ma dovrò declinare il vostro invito ... io … non ho fame …

-Anche se non avete appetito potete lo stesso sedervi con noi, non credete?

Ormai avevo gli occhi di tutta la compagnia puntati addosso, in attesa della mia risposta.

-D’accordo.

Gandalf mi fece posto accanto a lui su un troco spezzato e ricoperto di soffice muschio, opposto a dove si era seduto Thorin. Durante la cena i Nani intonarono delle canzoni, cantandole a squarciagola in Khuzdul come era loro abitudine. Raccontavano di grandi guerrieri, grandiose battaglie, della birra che sgorgava dalle botti nelle loro imponenti dispense, di preziosi tesori e gioielli. Quest’ultimo canto catturò particolarmente la mia attenzione: parlava di preziosi frammenti di un antico ciondolo proveniente dalle Terre Immortali, conservato nel forziere reale dei Nani dei Colli Ferrosi. Non venne nominato chi donò quelle piccole gemme cristalline, ma io lo conoscevo bene.

Ero stata io a donarle poco prima di lasciare i Colli Ferrosi, come ringraziamento per la generosa ospitalità che i Nani mi avevano riservato. Avevo donato loro i frammenti del ciondolo regalatomi dai Valar, distrutto da Sauron dopo avermi rivelato la verità su di sé e su mio fratello. Una verità da cui i Valar mi avevano tenuta all’oscuro per tutti quegli anni che avevo passato con loro. Quel ciondolo era stato il simbolo delle loro menzogne.

Finiti i canti, era arrivato il momento delle leggende e dei racconti tradizionali nanici. I Nani si guardarono tra loro, in attesa di chi avrebbe cominciato a narrare per primo e inaspettatamente fu Thorin ad alzarsi in piedi, prendendo così la parola.

-Compagni miei, stasera tra noi siede la Custode, colei che è stata incaricata dai Valar di proteggere di tutti i popoli della Terra di Mezzo. Credo che sia giusto lasciare a lei l’onore di raccontare una leggenda …

Per la seconda volta quella sera l’attenzione dei Nani era rivolta su di me, ancora una volta attendevano una mia risposta. Vi era un silenzio quasi surreale, interrotto solamente dallo sfrigolio del fuoco.

-Vi ringrazio per la vostra offerta Thorin, ma non sono mai stata brava a raccontare le storie del mio popolo …

-Allora perché non ci parlate della vostra terra natia?- chiese l’Erede di Durin.- Innumerevoli racconti sono stati tramandati su Valinor e le sue maestose città, ma quasi nessuno conosce  il vostro vero regno …

-Avete ragione, probabilmente sono l’unica nella Terra di Mezzo ad esserci stata ed averci vissuto. Credo che molti di voi non ne conoscano neanche il nome … come se non fosse mai esistito.

Feci un respiro profondo, riportando alla luce quello che era ormai divenuto solo un ricordo remoto.

-In realtà il suo nome fu mutato da chi lo distrusse innumerevoli anni fa, e quest’ultimo nome voi lo conoscete molto bene, poiché porta con sé l’orrore dei fatti avvenuti in esso. È un luogo di morte e malvagità dove molti hanno perso la vita, rendendo il terreno intriso del loro sangue. Ma prima che venisse distrutto e reso ciò che è adesso, era un reame di pace e di prosperità. Alte vette ne segnavano i confini, rigogliose foreste crescevano dal suo fertile terreno, modesti villaggi erano abitati da un popolo nobile e cordiale, nei quali ognuno aiutava il prossimo in un rapporto di reciproca fedeltà e amicizia. Ma il centro del regno era il maestoso palazzo, eretto ai piedi del monte da cui si credeva fosse nata la mia stirpe. Era stato costruito con legno di ciliegio ornato da intarsi dorati, alternato alla pietra bianca e liscia che rendeva i grandi saloni ancora più luminosi , ed era rivestito da tegole di terracotta lisce di varie sfumature di rosso; ogni stanza si apriva con grandi archi avvolti da edera su terrazze di diverse altezze, colme di fiori e altre piante rampicanti, dal profumo intenso e unico. Da piccola mi piaceva perdermi tra i lunghi corridoi e le molteplici scalinate del palazzo, esplorando tutte le stanze, scorgendone i dettagli e cercando possibili passaggi segreti. La sala del trono mi lasciava sempre senza fiato per la sensazione di sicurezza e potere che infondeva nei cuori di chi vi entrava: l’ampia sala circolare era cicondata da colonne monumentali, su ognuna delle quali vi era la statua di un re o di una regina, mentre al centro vi erano i due troni sormontati da una cupola di cristallo, che lasciava entrare la luce calda del sole e quella fredda della luna e delle stelle. Accanto ai troni, a seconda degli avvenimenti, venivano aggiunti due sgabelli sui quali sedevamo io e mio … mio fratello.- mi fermai per qualche istante, avendo toccato uno dei ricordi più dolorosi,per poi concludere il discorso- Vorrei raccontarvi ogni dettaglio, ogni sfaccettatura della mia terra, ma credo che non finirei più di parlare …

-Non ci avete ancora detto il nome del vostro regno- disse Kili, completamente assorto dal mio racconto.

-Il suo nome era … Dormor.

-E come viene chiamato ora?- chiese questa volta Thorin.

Guardai il Nano dritto negli occhi, consapevole della reazione che avrebbe potuto avere alla mia risposta.

-Mordor.

Contrariamente a ciò che avevo previsto, i Nani rimasero in completo silenzio. In quel momento avevano realizzato cosa era accaduto al mio regno e a tutto il mio popolo, compresi i miei familiari. Non avrei più potuto rivendicare quelle terre, erano perse per sempre.

-Credo che per me sia arrivato il momento di congedarmi …- dissi alzandomi dal tronco e incamminandomi verso un albero ai confini dell’accampamento.

Mi arrampicai su di esso e mi sedetti un ramo sufficientemente robusto per sostenermi: avevo bisogno di rimanere da sola.
Subito tutte le preoccupazioni che avevo mi affollarono la mente ed i ricordi che avevo portato a galla si aggiunsero ad esse. Una fra le tante prese il sopravvento, una delle più angosciose e anche tra le più dolorose.

Calen.

Non riuscivo a chiudere gli occhi per paura di rivedere il suo corpo martoriato e gli occhi pieni di sofferenza. Continuavo a ripetermi che era stato solo un sogno, ma il mio cuore mi ripeteva l’opposto.

Di una sola cosa ero certa: era in pericolo.

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Capitolo 14
*** Capitolo 13 ***


Passai l’intera notte con il naso rivolto all’insù, guardando il cielo ricoperto di tante piccole luci, qualcuna più vicina, altre più lontane, ma tutte splendenti e pure, come se fossero preziosi gioielli incastonati nell’infinito manto scuro della notte.

Osservai la Luna, chiamata anche Isil il Chiarore e ultimo Fiore d’Argento dell’antico albero Telperion, sbocciato a Valinor ai tempi degli Alberi. A guidare il tragitto della Luna vi era Tilion, Maiar cacciatore della schiera di Oromë, mentre a guidare il Sole vi era Arien, fanciulla Maiar dalle sembianze di uno spirito di fuoco, immune agli ardori prodotti dall’albero Laurelin. Tilion fu subito attratto da Arien, e sempre lo sarà. Per questo non sempre segue il cammino stabilito ed alcune volte riesce ad avvicinarsi a lei, causando però bruciature alla Luna e la formazione di profondi crateri sulla superficie.
Un amore eterno e impossibile al tempo stesso; due amanti costretti a rincorrersi all’infinito.

Ben presto all’orizzonte cominciò a diffondersi il tenue bagliore dell’alba, riempiendo sempre di più il profondo blu della notte con leggere sfumature rossastre: Arien stava tornando.

Scelsi dal ramo su cui mi ero adagiata per la notte, appoggiata con la schiena al robusto tronco dell’albero, e ritornai vicino al focolare ormai quasi del tutto spento. Attorno ad esso vi erano i Nani ancora addormentati, così come Bilbo e Gandalf. Gli unici ad essere svegli erano i nipoti di Thorin, rimasti di guardia durante la notte. Il più giovane, Kili, stava controllando se la corda del suo arco fosse abbastanza tesa, mentre Fili affilava i pugnali che teneva nascosti in più punti dei suoi abiti.

-Buon giorno …- dissi sorridendogli.

Da quel giorno volevo rinstaurare il rapporto con loro, mettendo da parte i momenti di tensione al nido delle Aquile e della sera precedente. Se desideravo avere la loro fiducia, dovevo guadagnarmela.

I giovani Nani al suono della mia voce sussultarono sorpresi, essendo talmente assorti nel loro lavoro da non avermi visto arrivare.

-Custode!

-Vi prego, chiamatemi Belthil. Non sono superiore a voi, per cui non serve neanche che mi diate sempre del lei, anzi, mi piace parlare francamente e senza troppe infiorettature.

-Va bene Cu… Belthil. È già l’alba?- chiese Fili.

-Sta iniziando a sorgere il sole e visto che sono già sveglia volevo sapere se potevo fare qualcosa, per esempio cacciare qualcosa per il viaggio o aiutarvi con le vostre armi …

I due fratelli si guardarono perplessi: un Elfo si era appena messo al servizio di due Nani, una cosa mai accaduta prima.

-Ecco.. noi … - per loro era così strano quello che stava succedendo che non sapevano cosa dirmi, perciò presi io l’iniziativa.

-Tornerò tra poco, non dovrei impiegarci molto a trovare qualcosa.- dissi imbracciando l’arco, per poi congedarmi da loro e addentrarmi nel fitto della foresta.

Iniziai a correre velocemente, schivando gli alberi e non lasciando quasi nessuna traccia del mio passaggio. Mi concentrai sui suoni che provenivano dalla boscaglia: i cinguettii degli uccelli nei loro nidi, il fruscio delle foglie scosse da una leggera brezza mattutina, l’inteso stridio prodotto dalle cicale. La foresta riprendeva vita.

Infine sentii i leggeri passi di due lepri, non molto lontane da me. Mi acquattai tra i cespugli, presi una freccia dalla faretra posizionandola sull’arco e cominciai a scrutare tra il fogliame caduto a terra, cercando le mie prede. Appena le trovai feci un profondo respiro.

 Per un comune Elfo uccidere un animale era qualcosa di proibito, ma non per tutti, non per me. A volte era necessario per puro istinto di sopravvivenza o, come nel mio caso, per necessità: i Nani non avrebbero di certo mangiato solo pane elfico.

Senza pensarci ancora, scoccai la freccia e le colpii entrambe. Mi alzai dal mio nascondiglio e andai a prenderle, sfilando la freccia dai loro corpi e pulendola su delle foglie dal loro sangue. Fu allora che li percepii.

Erano ancora abbastanza lontani, ma riuscivo a sentire gli ululati dei Warg come se fosse una sorta di premonizione. Azog stava arrivando.
Presi rapidamente le lepri e ritornai il più veloce possibile all’accampamento, dove il resto della compagnia si era finalmente svegliata.

-Belthil hai fatto veramente in fretta, proprio come avevi detto!- esclamò Kili, attirando su di sé le occhiate confuse degli altri Nani.

-Dobbiamo andarcene, subito- dissi tutto d’un fiato.

-Cosa è successo?- chiese Gandalf venendomi incontro, percependo la preoccupazione nella mia voce.

-Azog e il suo branco di Warg non sono più molto lontani, dobbiamo muoverci o ci troveranno. Non avremmo dovuto fermarci questa notte …

-Prendete tutte le vostre cose, partiamo subito- ordinò Thorin senza neanche farmi finire di parlare.

Porsi le lepri a Bombur e dopo aver cancellato le nostre tracce riprendemmo il cammino. Questa volta non intrapresi sentieri troppo difficoltosi, non avevamo tempo.

Ma ad un certo punto Thorin disse alla compagnia di fermarsi in un piccolo spiazzo circondato da rocce.

-Non possiamo farlo, dobbiamo proseguire!- esclamai non capendo il motivo della decisione del Nano.

-Alcuni di noi devono riprendere fiato, intanto manderemo qualcuno in ricognizione …

Non si fidava ancora completamente.
Ero pronta a ribattere, ma Gandalf mi fermò in tempo.

-Manderemo il signor Baggins, sono certo che non lo noteranno nemmeno per quanto è silenzioso!

In effetti aveva ragione, i passi dello hobbit erano molto leggeri e perfino io a volte facevo fatica a sentirli nella confusione provocata da quelli dei Nani. E così annuii con il capo dando il mio consenso a quella sosta, allo stesso modo Thorin per lasciare andare lo hobbit.
Bilbo imboccò un sentiero che portava ad una collina rocciosa mentre per noi iniziò l’attesa a tratti snervante. Non passò molto tempo, ma ogni minuto che passava sapevo che era un minuto dato a vantaggio di Azog, e finalmente sentii ritornare Bilbo.

-Sta arrivando …- ed appena ebbi finito di parlare, lo hobbit ricomparve trafelato e con un espressione preoccupata sul volto.

-Quanto è vicino il branco?- chiese Thorin.

-Troppo vicino, un paio di leghe non di più. Ma questa non è la parte peggiore.. -rispose Bilbo.

-I mannari ci hanno fiutato?- domandò bruscamente Dwalin, uno dei Nani più fedeli a Thorin.

-Non ancora, ma lo faranno. Abbiamo un altro problema..

-Ti hanno visto? - lo interruppe Gandalf.

-No, non è questo …

-Che vi avevo detto? Silenzioso come un topo! Ha la stoffa dello scassinatore!- esclamò lo stregone grigio, felice di aver avuto ragione.

-Ora che siamo sicuri che il branco è vicino, possiamo andare o dovete controllare qualcos’altro?!- sbottai consapevole del tempo che stavamo perdendo.

I Nani mormorarono tra di loro, valutando il da farsi senza rendersi conto che Bilbo stava cercando di dire qualcosa di importante.

 -Volete darmi ascolto?- domandò a vuoto, ma attirò solamente la mia attenzione e quella di Gandalf.

-Volete darmi ascolto?! Sto cercando di dirvi che c’è qualcos’altro là fuori.- riuscì finalmente a dire lo hobbit.

Subito io e lo stregone ci guardammo negli occhi, intuendo immediatamente a cosa, o meglio, a chi poteva riferirsi.

-Quale forma ha assunto? Quella di un orso?- chiese Gandalf a Bilbo, il quale sembrava alquanto preoccupato per ciò che aveva visto.

-S-si … Ma più grosso, molto più grosso.

Le parole di Bilbo ci diedero la conferma definitiva a ciò che avevamo pensato.

-Tu sapevi di questa bestia?- esclamò sorpreso Bofur- Io dico di fare dietro front!

-Ed essere travolti da un branco di orchi?- lo rimproverò Thorin.

-C’è una casa … non è lontana da qui, dove noi potremmo … trovare rifugio.- propose Gandalf sospirando, consapevole del rischio a cui potevamo andare incontro.

-Di chi è la casa? Amico o nemico?

Avrei dovuto abituarmi alla diffidenza Thorin, su questo non c’erano dubbi.

-Nessuno dei due. Lui ci aiuterà o … ci ucciderà.

-Che scelta abbiamo?

 E fu proprio allora che si levò dalla foresta il bramito di un orso. Non era come tutti gli altri, era molto più forte e potente di ogni altro verso esistente.

-Nessuna.- rispondemmo all’unisono io e l’Istari.

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Capitolo 15
*** Capitolo 14 ***


Iniziammo a correre, schivando alberi e tronchi caduti. Alle nostre spalle potevo percepire chiaramente i ringhi famelici dei Warg, sempre più forti, sempre più vicini. Ma non erano i soli ad inseguirci.

Un enorme orso dal pelo scuro come la notte più buia, un Mutatore di Pelle. Neanche se fossimo stati suoi amici avrebbe potuto fermarsi: una volta liberata, la bestia era inarrestabile. Non potevamo fare altro che correre sperando di raggiungere in tempo la casa, guidati da Gandalf, l’unico a sapere dove si trovasse.

-Per di qua svelti!- gridò facendoci segno con il suo lungo bastone verso un ampio campo di lavanda e steppa giallastra, al confine tra due piccole foreste delle Terre Selvagge.

Sapevo che non avremmo mai raggiunto la casa, ormai la bestia era troppo vicina e presto ci avrebbe travolti, ponendo fine all’impresa di Thorin Scudodiquercia. Rallentai la mia corsa, fino a fermarmi del tutto lasciando passare la compagnia.

-Belthil cosa stai facendo?! Corri!- urlò lo stregone appena non mi vide più al suo fianco, bensì immobile in mezzo ai fiori di lavanda appena sbocciati.

-Voi andate avanti, io cercherò di farvi guadagnare tempo.- risposi decisa, impugnando saldamente il mio arco.

-Ma …

Gandalf su interrotto dal forte bramito dell’orso proveniente dalla foresta alle nostre spalle, quasi ai confini del campo.

-Andate!- gridai guardandoli con occhi di fiamme blu cobalto, gli Occhi della Custode.

-La Custode ha ragione, muoviamoci!- mi diede ragione Thorin, per poi incitare nuovamente i suoi compagni a sbrigarsi.

E proprio quando la compagnia raggiunse il bosco successivo, dal verde fogliame balzò fuori la bestia, che, non appena mi vide, cominciò ad avanzare nella mia direzione scoprendo gli affilati artigli: esattamente ciò che volevo.

Incoccai una freccia e presi la mira. Non avevo intenzione di  ucciderlo, ma solamente di infastidirlo, perciò mirai a qualche metro da lui per cercare di rallentare la sua corsa. Colpii il terreno esattamente a un centrimetro dalla zampa anteriore destra, provocando un feroce ringhio da parte dell’animale che non accennò minimamente a rallentare. Allora ritirai velocemente l’arco e cominciai a correre nella sua direzione, schivando per poco le zanne e gli artigli, diventando ben presto una nuova e succulenta preda da inseguire. 

All’inizio mi feci inseguire percorrendo sempre lo stesso percorso, fino a quando non se ne accorse. A quel punto i Nani sarebbero già dovuti arrivare alla casa, per cui era arrivato il momento di porre fine al nostro “gioco”.  Iniziai a seguire le loro tracce, attraversando il campo di lavanda e un’altra piccola foresta, mantenendo sempre non molta distanza fra me e la bestia. Infine saltai in mezzo ad una sepie sul confine della boscaglia, ritrovandomi in una piccola valle al centro della quale vi era una casa.

Dopo pochi secondi, con un altro bramito, l’orso superò anch’esso la siepe, lanciandosi di nuovo all’inseguimento. Da lontano riuscivo a vedere la compagnia dinnanzi al portone di legno, ma non riuscivano ad entrare.
La porta era bloccata.

Fortunatamente Thorin vide il piccolo asse di legno che teneva chiusa la porta, lo sollevò e finalmente la porta si aprì. A quel punto cominciai ad aumentare la mia velocità, attraversando in pochi istanti il piccolo giardino posto di fronte alla dimora e letteralmente tuffandomi all’interno delle sue  mura. L’orso arrivò alla porta, ma venne chiusa in tempo dai Nani che la spinsero con tutte le loro forze per non farlo entrare.  
Eravamo tutti sani e salvi.

-Quello cos’è?- chiese spaventato Ori, uno dei Nani più giovani della compagnia.

-Il nostro anfitrione.- rispose Gandalf, voltandosi verso di me per vedere se stavo bene e aiutandomi ad alzarmi da terra, anche se non era necessario - Il suo nome è Beorn, ed è un Mutatore di Pelle. A volte è un enorme orso nero, altre volte è un omone, grande e forte. L’orso è imprevedibile, ma con l’uomo ci si può ragionare. Tuttavia, non è che faccia salti di gioia per i Nani.- disse infine guardando di sottecchi Thorin.

-Se ne sta andando!- esclamò il giovane Nano, appoggiandosi alla porta e tendendo un orecchio su di essa.

-Vieni via da lì! Non è naturale, niente qui lo è. È ovvio, è sotto un oscuro incantesimo!- lo rimproverò Dori, suo fratello maggiore, guardandosi intorno.

Anche io avevo percepito qualcosa, ma quella non era di certo stregoneria oscura. Ogni cosa in quella casa era molto più grossa del normale, perfino le api erano come ingrandite, divenendo grandi quanto le mie dita. La casa era ampia e spaziosa, ma più che una vera e propria dimora somigliava ad una stalla: all’interno infatti, in spaziose stalle colme di fieno, vi erano un paio di cavalli e delle mucche, nonché alcune oche e galline, tutti dalle insolite proporzioni.

-Non essere sciocco! È sotto un solo incantesimo, ed è il suo!- ribattè infine lo stregone. -Bene, mettetevi a dormire tutti voi. Starete più al sicuro qui stanotte … lo spero …

Le ultime due parole le sossurrò guardandomi negli occhi: dopotutto là fuori vi era ancora un intero branco di Warg inferociti.

Mi creai un piccolo giaciglio con la paglia, ponendo l’arco, le frecce e la spada di fianco a me, per poi lasciarmi cadere tra le braccia di Irmo, Signore delle Visioni e dei Sogni, fratello minore del Valar Mandos, e della sua sposa Estë, Signora del Riposo.

Ma quella notte provai di nuovo quella strana sensazione alla cicatrice, quel dolore intenso come se la pelle si stesse nuovamente staccando. Mi girai e mi rigirai tra la paglia, ma il dolore non diminuiva e, come se non bastasse, nella mia mente vi era fissa l’immagine di Calen, che non faceva altro che aumentare l’angoscia.  

Speravo solamente che passasse in fretta come era venuto, e così accadde,  facendomi finalmente riposare anche solo per poche ore.
Venni svegliata alcune ore dopo  da secchi colpi di ascia, provenienti dall’esterno. Era da poco passata l’alba e fievoli raggi di sole passavano dalla finestra, illuminando la stanza con la fioca luce del mattino. Lentamente tutti i Nani si svegliarono, compreso Gandalf, ed insieme andammo a vedere cosa stava accadendo fuori da una finestra che dava sul cortile anteriore della casa.

A tagliare la legna vi era un uomo alto e imponente, dalle spalle larghe e massicce. Indossava solamente dei pantaloni scuri, mentre ai polsi vi era ciò che rimaneva di alcune catene dopo essere state tagliate da pesanti corde di metallo. Osservandolo meglio, sulla schiena vi erano numerose cicatrici, parzialmente coperte da una folta striscia di peluria bruna che continuava fino ai capelli, come se ne fosse un prolungamento. Inoltre l’uomo aveva delle lunghe basette che gli contornavano il viso squadrato, delle folte sopracciglia castane e gli occhi scuri.
Gli stessi occhi che avevo visto nell’orso.

-Dovevamo darcela a gambe, passando dal retro!- si lamentò Nori, anch’esso fratello di Dori e Ori.

-Ehi tu, io non scappo da nessuno, bestia o altro.- lo schernì Dwalin.

-Non serve a nulla litigare! Non attraverseremo le Terre Selvagge senza l’aiuto di Beorn: saremmo catturati prima di arrivare alla foresta.- li ammonì entrambi Gandalf.

-Boscoverde il Grande … - sussurai.

-Ormai per tutti è divenuto Bosco Atro a causa di una malattia che si sta espandendo molto velocemente.- mi spiegò l’Istari.

Da dietro le sue spalle comparve Bilbo, l’ultimo ad essersi ridestato dal sonno.

-Ah Bilbo eccoti qua! Ora, questo richiederà una gestione delicata per cui dobbiamo agire con molta prudenza: l’ultima persona che l’ha spaventato è stata ridotta in brandelli. Io andrò per primo insieme a Belthil, e Bilbo - disse lo stregone indicando lo hobbit - tu vieni con noi.

-È-è una buona idea?- chiese Bilbo.

-Sì, voi altri invece restate qui e non comparite fino al mio segnale.- rispose dando una pacca sulla spalla a Bilbo.

-Bene, aspettiamo il segnale. - ripertè Bofur, forse per convicere più se stesso che gli altri.

-Ah niente mosse improvvise o rumori forti, e non stategli addosso. Uscite solamente in coppia.- disse infine lo stregone, per poi aprire la porta. - Oh ehm Bombur tu vali per due quindi uscirai da solo. Ricordate di aspettare il segnale!

E  detto questo finalmente riuscimmo ad uscire, incamminandoci lentamente verso Beorn. Gandalf si schiarì la voce, facendo sobbalzare lo hobbit.

-Sei agitato?-gli chiese Bilbo.

-Agitato? Ma che sciocchezza!

-Sì lo è, e anche molto. Ma andrà tutto bene, ne sono sicura.- dissi richiamando in me tutto l’autocontrollo che avevo prima di arrivare da Beorn, il quale stava ancora tagliando la legna.

Avrei lasciato parlare Gandalf, lui era sicuramente una persona più diplomatica rispetto a me.

-Buongiorno!- esclamò lo stregone, ma la sua voce venne coperta da un colpo d’ascia ben piazziato nel tronco.

-Buongiorno!- riprovò con voce più dolce, tanto che dovetti trattenere una risata.

-Chi sei tu?- si girò di scatto Beorn impugnando saldamente la sua ascia.

- Io sono Gandalf, Gandalf il Grigio - si presentò inchinandosi.

-Mai sentito nominare.

-Sono un mago, avrai di certo sentito parlare del mio collega Radagast il Bruno, risiete al confine Sud di Bosco Atro.

-Voi invece chi siete?- chiese l’uomo rivolgendosi alla sottoscritta.

-Belthil, figlia di Aran ….

- Custode della Fiamma Imperitura, voi vi ho già sentita nominare. Che cosa volete?

-Semplicemente ringraziarti per la tua ospitalità. Avrai notato che abbiamo trovato riparo qui nel tuo alloggio ieri sera. - intervenne Gandalf voltandosi verso la casa e lasciando venire allo scoperto da dietro la sua schiena Bilbo.

-Chi è questo piccoletto? - chiese allarmato Beorn.

-Lui sarebbe mastro Beggins della Contea.- gli rispose l’Istari.

-Non è un Nano, vero?

-Ma no, lui è uno hobbit, di buona famiglia e di impeccabile reputazione.

-Un mezz’uomo, un mago e la Custode … come mai siete qui?- domandò continuando a fissarci.

-Il fatto è che abbiamo avuto una brutta esperienza con gli Orchi sulle Montagne … - iniziò a raccontare Gandalf, ma fu subito interrotto.

-Perché vi siete avvicinati agli Orchi? Che stupida cosa da fare.

-Hai assolutamente ragione -  sostenne gesticolando con una mano.

Improvvisamente sentii aprire il portone, dal quale uscirono fuori Dwalin e Balin.
“Cosa diamine stanno facendo? Perché non hanno aspettato il segnale?!” pensai, ma riflettendoci bene né io né Gandalf avevamo detto loro quale fosse effettivamente il segnale che avrebbero dovuto attendere.
Appena li vide Beorn alzò l’ascia, pronto a colpire.

-Dwalin e Balin. - dissero i due Nani facendo un piccolo inchino con il capo.

 -Ehhm devo confessare che parecchi del nostro gruppo sono in effetti … Nani. - sospirò lo stregone, consapevole dell’errore che avevamo fatto.

-Tu chiami due parecchi?- chiese confuso il Mutatore di Pelle.

 -Beh ora che la metti così .. loro … potrebbero essere più di due .. - e intanto fece  finta di contare con le dita.

Dal portone uscirono Oin e Gloin, che fecero anch’essi un lieve inchino. La situazione stava pian piano degenerando.

-Oh ecco altri della nostra allegra truppa!- cercò di sdrammatizzare Gandalf, lanciandomi però uno sguardo disperato.

-E tu chiami sette una truppa? Cosa siete, un circo ambulante?

Effettivamente Beorn non aveva tutti i torti , non eravamo di certo una normale compagnia di semplici viaggiatori.
Il portone si aprì nuovamente e questa volta fu il turno di Dori e Ori, il quale tremava come una foglia. 

-Dori e Ori, al tuo servizio.- disse con incertezza il fratello maggiore.

-Non voglio il vostro servizio- sentenziò con forza Beorn.

-Assolutamente comprensibile. - replicò lo stregone, sempre  muovendo la mano e cercando di mantenere il più possibile la calma.

Probabilmente era quello che i Nani avevano interpretato come il segnale, visto che dalla casa uscirono Fili e Kili. Almeno stavano uscendo in coppia, come  avevamo detto loro.

-Oh Fili e Kili, me ne ero dimenticato!- esclamò l’Istari fingendosi sorpreso.

Beorn sembrava rimanere abbastanza calmo, forse avremmo potuto cavarcela in qualche modo. Ma ecco che la mia speranza vacillò non sentii degli strani rumori provenire dalla dimora.

-Oh ehm ecco Nori, Bofur, Bifur e … Bombur …- li presentò sospirando Gandalf.

In quel momento avrei tanto voluto prendere una pala dal giardino di Beorn e scavarmi da sola una fossa pur di scomparire.

-Non c’è altro?Ce ne sono ancora? - chiese ormai spazientito Beorn, ma ancora fortunosamente in forma umana.

Per ultimo uscì Thorin , ma appena l’uomo lo vide sembrò calmarsi: lo aveva riconosciuto; infine ci invitò a rientrare nella sua casa, dove avremmo potuto parlare indisturbati e magari mettere qualcosa sotto i denti.

-Per fortuna è andata bene … - affermò il mio caro amico.

-Hai ragione: siamo ancora vivi, direi che è andata molto più che bene.- gli sorrisi dandogli una leggera pacca sulla spalla.

Prendemmo posto attorno ad un lungo tavolo di legno, sul quale era appoggiate dei grossi boccali lavorati a mano. Beorn iniziò a versare ad ognuno di noi del latte appena munto, per poi rivolgersi direttamente al capo della compagnia.

-Così tu sei quello che chiamano Scuododiquercia. Dimmi, perché Azog il Profanatore ti sta dando la caccia?

-Tu sai di Azog … Come mai?- domandò interessato Thorin.

-La mia gente è stata la prima a vivere sulle Montagne, prima che gli Orchi scendessero dal Nord. Il Profanatore ha ucciso quasi tutta la mia famiglia, ma alcuni li ha resi schiavi, non per lavorare capisci? Ma per sport: ingabbiare Mutatori di Pelle e torturarli, parevano divertirsi molto …

-Ci sono altri come te?

A chiederglielo fu Bilbo, la cui curiosità spesso prendeva il sopravvento su di lui.

-Una volta ce ne erano molti …

-E-e ora?

-Ora ce n’è solo uno.

Beorn in un certo senso era simile a me: l’ultimo della sua famiglia, anch’essa strappatagli via dalla malvagità.

-Dovete raggiungere la Montagna prima degli ultimi giorni d’autunno.

-Prima che il Giorno di Durin arrivi, esatto.- asserì Gandalf.

-Non avete molto tempo … - disse l’uomo accomodandosi sulla sua poltrona di legno con due musi d’orso intagliati sulla sommità: una vera opera d’arte.

-Perciò dobbiamo attraversare Bosco Atro. - dichiarai con tono sicuro.

- Un’oscurità grava su quella foresta, cose malvagie strisciano sotto quegli alberi … io non mi ci avventurerei, se non per grande necessità.

 -Prenderemo la Strada Elfica, quella zona è ancora sicura.

Mi voltai di scatto verso Gandalf: così facendo saremo entrati nel Regno di Thranduil, che  sicuramente non ci avrebbero accolto a braccia aperte come Elrond a Gran Burrone, soprattutto la sottoscritta.

-Sicura?Gli Elfi Silvani di Bosco Atro non sono come i loro parenti: sono meno saggi e più pericolosi. Ma non ha importanza …

-Che vuoi dire?- gli domandò l’Erede di Durin.

 -Quelle terre brulicano di Orchi, e il loro numero è in aumento. Voi siete a piedi, non raggiungerete mai la foresta da vivi.- si alzò in piedi e si avvicinò lentamente a Thorin, abbassando la stesa per non colpire una trave e prendendo un piccolo topolino bianco arrampicatosi sul tavolo e che Bofur stava cercando di allontanare dalla sua brocca -Non mi piacciono i Nani: sono avidi e ciechi, ciechi verso la vita di quelli che ritengono più miseri di loro.

Trattenni il fiato, pronta a scattare nel caso fosse servito.

-Ma gli Orchi li odio di più. Che cosa ti serve?

Ognuno di noi fece un piccolo sospiro di sollievo: Beorn ci avrebbe aiutato. Finito di mangiare ci condusse al giardino dietro la casa, un piccolo bosco dove vi trovava un piccolo capanno all’interno del quale vi erano delle stalle di pony, dal manto pezzato bianco e nero.  I Nani e Bilbo cominciarono a sellarli, compreso il cavallo destinato a Gandalf, mentre  io feci un lungo fischio.

Dopo pochi istanti sentii arrivare Akira, la mia fedele e importante compagna fin dai primi giorni in cui arrivai nella Terra di Mezzo. I Nani la osservarono con ammirazione, dopotutto non tutti i giorni si poteva vedere una rara discendente della Razza Immortale. La lasciai momentaneamente sotto la loro tutela, allontanandomi insieme a Gandalf e Beorn.

-Lascerete i miei pony prima di entrare nella foresta.

 -Hai la nostra parola. - affermai.

All’improvviso sentimmo uno stormo di corvi volare appena sopra le fronde degli alberi. Spie mandate dal Principe dei Corvi, ne ero sicura.

-Siamo sorvegliati … - constatò Gandalf.

-Sì, gli Orchi non si arrendono: daranno la caccia ai Nani finché non li vedranno distrutti. Però quello che mi preoccupa è l’alleanza tra gli Orchi di Moria e lo stregone a Dol Guldur.

 -Sei sicuro di questo?- domandò allarmato l’Istari.

-Branchi di Orchi sono stati visti riunirsi lì. Ogni giorno di più, sempre di più …

-E cosa sai di questo stregone? Quello che chiamano “il Negromante”?- continuò Gandalf.

-So che non è quello che sembra. Creature malvagie sono attirate dal suo potere, Azog  e Davoch gli rendono omaggio. Ma c’è dell’altro … recentemente, si è sparsa la voce che i morti siano stati visti deambulare vicino alle Colline Alte di Rhudaur.

 -I morti?

- É vero? Ci sono tombe su quelle montagne?- mi chiese l’uomo.

- Quando il Re Stregone di Angmar cadde gli uomini del Nord sigillarono il suo corpo e quanto lui possedeva nelle Colline di Rhudaur. Nella profondità della roccia lo seppellirono, in una tomba così oscura che non sarebbe mai venuta alla luce.

-Io ricordo un tempo in cui un grande male governava queste terre, un male potente abbastanza da resuscitare i morti. Se quel Nemico è tornato nella Terra di Mezzo, gradirei che voi me lo diceste.

- Saruman il Bianco dice che non è possibile: il Nemico è stato distrutto e non farà mai ritorno.

-  Invece Gandalf il Grigio e la Custode che dicono?

 Io e lo stregone ci scambiammo un rapido sguardo, ma che bastò a Beorn per capire i nostri reali presentimenti.

-Andate ora, finché avete luce. Chi vi da la caccia non è molto lontano … 

E da lontano si levò un forte ululato, seguito dallo sgradevole gracchiare dei corvi.

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Capitolo 16
*** Capitolo 15 ***


Grazie ai cavalli di Beorn riuscimmo a risparmiare molto tempo e fatica. A differenza dei Nani, avevo deciso di cavalcare a pelo in modo da avere un contatto diretto con Akira, che rimaneva sempre davanti alla comitiva grazie alla sua velocità, anche se in realtà non la stava sfruttando a pieno.

Stare a contatto con lei era come fare un tuffo nel passato, rivivendo molti momenti spensierati ma anche difficili e dolorosi. Lei mi ricordava Mithlond, la brezza marina, lo scroscio delle onde, la maestosità di quella città, ma soprattutto rappresentava la gentilezza e il coraggio di Gil-Galad: un Re saggio, un modello da seguire e da ammirare. La promessa di tenere suo figlio Calen al sicuro era ancora impressa nella mia memoria. Una promessa che pensavo di aver rispettato quando avevo abbandonato il mio Melamin in una radura, prima di entrare a Mordor per affrontare Sauron; ma in realtà l'avevo infranta, e non mi sarei mai data pace finché Calen non sarebbe stato al sicuro.

Solo in quel modo l'anima di Gil-Galad avrebbe potuto riposare in pace nelle Aule di Mandos, dove gli Elfi strappati dal loro corpo mortale attendono la propria rinascita.

-A cosa stai pensando?- mi chiese Gandalf spronando il suo cavallo per affiancarmi - Di solito non sei così silenziosa.

-Al passato ...

- A volte è meglio pensare al presente più che al passato. Ciò che è stato rimarrà per sempre immutato, ma quello che accadrà in futuro si basa sulle scelte del presente, giuste o sbagliate che siano.

Lo stregone aveva ragione, dovevo concentrarmi sul presente. Un grande pericolo incombeva sulla Terra di Mezzo e questa volta non potevo permettermi di fallire.

Raggiungemmo il confine di Bosco Atro prima che il sole cominciasse a tramontare, mentre delle grosse nuvole grigie avevano cominciato ad oscurare il cielo. Ci fermammo di fronte alla Porta degli Elfi, costituita da alberi di pietra i cui rami formavano un arco acuto; oltre di esso vi era una piccola fontana circolare dalla quale non fuoriusciva più acqua, permettendo così che il muschio crescesse all'interno della vasca. Dopo aver sceso alcuni gradini di pietra, vi era l'inizio del sentiero che attraversava la foresta, affiancato da una statua interamente coperta da alberi rampicanti.

-La Porta degli Elfi! Qui c'è il nostro sentiero attraverso Bosco Atro. - esclamò Gandalf scendendo da cavallo.

-Nessun segno degli Orchi, la fortuna è dalla nostra parte! - affermò Dwalin, ricevendo sia da me che da Gandalf un'occhiata dubbiosa: quella non poteva essere semplice fortuna, doveva esserci qualcosa sotto.

Da lontano, sulla cima di una collina, vidi un enorme orso guardare nella nostra direzione: Beorn. Anche Gandalf lo notò, per cui disse ai Nani di liberare i pony e lasciarli tornare dal loro padrone.

-Questa foresta sembra ... malata, come se una malattia l'avesse colpita. Non c'è modo di aggirarla?- chiese Bilbo osservando la foresta.

Aveva ragione, c'era qualcosa di strano: le foglie erano cupe, quasi grigie, i rami erano fragili e spezzati in più punti; numerosi rovi avvolgevano i tronchi degli alberi, come se li stessero soffocando. 

-No, a meno che non andiamo duecento miglia a Nord o il doppio di quella distanza a Sud. - gli rispose lo stregone sospirando.

Superai l'arco per osservare meglio le condizioni della foresta, seguita subito dopo da Gandalf. L'aria cominciò a farsi pesante, mi sentivo soffocare, come se i rovi mi stessero avvolgendo tra le loro spine. Portai una mano alla cicatrice, che aveva iniziato nuovamente a bruciare non appena avevo varcato la Porta.

L'Istari sembrava non sentire nulla e decise di avvicinarsi alla statua. Rappresentava un'Elfa coperta da un lungo mantello, il cui volto perfetto era caratterizzato da uno sguardo che pareva triste e lontano.

-Chi è lei?- chiesi con voce tremante.

-Lei era una mia cara amica, è caduta in battaglia molti anni fa ...

- È la stessa di cui mi aveva accennato Galadriel?

-Sì, è proprio lei. Aveva vissuto a Boscoverde, e quando è stata assassinata da Davoch la sua gente ha deciso di scolpire una statua in suo onore. Purtroppo il marito non volle tenere la statua vicino a sé per il grande dolore che provava, e così la fece portare qui, al confine del Bosco.- mi rispose avvicinandosi alla statua e cominciando a togliere i rami che la coprivano.

All'improvviso sentii una voce nella mia testa, una voce dolce e profonda che conoscevo bene: Galadriel.

"Qualcosa si muove nell'ombra non visto, celato al nostro sguardo; ogni giorno cresce in potenza. Attenti al Negromante, non è quello che sembra."

Gandalf continuò a scostare i rami, fino a quando non scoprì un lembo di mantello sul quale era stato disegnato un simbolo con del sangue, un simbolo che avevo già visto.

Il marchio di Sauron.

"Se il nostro Nemico è tornato, dobbiamo saperlo."

La cicatrice non aveva mai bruciato così tanto prima di allora, sentivo il sangue ribollirmi nelle vene, ma dovevo rimanere calma se non volevo svelare il mio segreto.

-Devo andare alle Alte Colline, alcune domande richiedono una risposta immediata. Vieni o resti?- mi domandò lo stregone voltandosi verso i Nani, i quali stavano togliendo le selle dai pony di Beorn.

Posai lo sguardo sul sentiero di pietra, che si addentrava in quella oscura foresta scomparendo tra i rami. Oltre di essi, sapevo cosa attendeva i Nani e Bilbo.

Di certo non sarebbero passati inosservati alla stretta sorveglianza del Reame Boscoso, e probabilmente li avrebbero catturati e condotti al cospetto del loro Re. Il Re non li avrebbe accolti a braccia aperte, dato il suo famoso risentimento nei loro confronti.

Quel Re dal cuore apparentemente divenuto di pietra, ma che invece sapevo bene quanto era stato pieno d'amore prima che il padre morisse tra le sue braccia. In pochi istanti la sua vita era cambiata, e mai più sarebbe tornata come era un tempo.

Io ero lì quando era accaduto, non avrei mai dimenticato il volto disperato e sofferente di Thranduil. Mai.

Da quel momento avevo capito di averlo perso, di aver perso una persona straordinaria e ricca di fascino in ogni sua movenza. Thranduil non aveva mai smesso di mancarmi, giorno dopo giorno, ma avrei rispettato la sua decisione di non volermi vedere mai più davanti a sé.

E come avevo fatto in quel terribile giorno a Mordor, non per mancanza d'affetto nei confronti di un mio caro amico, ma per rispetto del suo dolore e consapevolezza che lo avrebbe superato, mi voltai. Quando sarebbe stato pronto, avrebbe deciso lui stesso di venire da me.

Era la cosa giusta da fare, poiché la mia presenza non avrebbe fatto altro che ricordargli quel momento per cui ancora stava soffrendo. Inoltre, come aveva detto Gandalf, molte domande necessitavano di una risposta.

-Dobbiamo andare, il sole sta per tramontare.- dissi allontanandomi velocemente dalla statua e dalla Porta.

-Non il mio cavallo, mi occorre!- esclamò Gandalf a Nori, il quale stava per togliere la sella al cavallo, mentre io salii velocemente su Akira.

-Non vorrete lasciarci!- sospirò Bilbo, visibilmente preoccupato per la nostra improvvisa partenza.

-Non lo faremmo se non fosse necessario ... - gli rispose l'Istari -Sei cambiato Bilbo Baggins, non sei lo stesso hobbit che ha lasciato la Contea.

-Stavo per dirtelo ... i-io ho trovato una cosa nelle gallerie degli Orchi ...- quella frase catturò subito la mia attenzione.

-Trovato cosa? Che cosa hai trovato?

Sentii un leggero bruciore alla cicatrice.

-Il mio coraggio.- affermò lo hobbit, mentre la pioggia cominciò a cadere.

-Bene, questo è un bene. Ti servirà.- asserì Gandalf, per poi rivolgersi al resto della compagnia, in particolare a Thorin - Vi aspetteremo allo spiazzo prima delle pendici di Erebor, tenete la mappa e la chiave al sicuro. E non entrate in quella montagna senza di noi ... Questo non è il vecchio Boscoverde il Grande: c'è un ruscello nel bosco che contiene un oscuro incantesimo, non toccate quell'acqua! Lo attraverserete su un ponte di pietra. L'aria della foresta è pesante, crea illusioni, tenterà di entrarvi nella mente e sviarvi dalla strada.

-Sviarci dalla strada? Che cosa vuol dire?- domandò Bilbo.

-Dovete restare sul sentiero, non lasciatelo. Se lo fate, non lo ritroverete mai più. Qualunque cosa accada, state sul sentiero!- esclamò infine lo stregone, per poi salire in sella e spronare il cavallo a partire.

-Buona fortuna ...

E dopo aver detto questo, seguii Gandalf.

 

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Capitolo 17
*** Capitolo 16 ***


CONSIGLIO PER LA LETTURA: Two Steps from Hell, “Across the Blood Water” (Battlecry)
\\

Ormai separati dal resto della compagnia, ci dirigemmo verso le Alte Colline di Rhudaur. Gandalf era assorto nei suoi pensieri, meditando sul da farsi una volta giunti a destinazione; per questo non parlammo molto, se non per darci a vicenda indicazioni sul sentiero, studiando la via più breve da percorrere. Il silenzio tra di noi veniva colmato dal suono continuo degli zoccoli dei nostri cavalli, che battevano sull’erba bagnata da una leggera ma incessante pioggia.

Gli abiti umidi aderivano alla mia pelle, bagnando leggermente anch’essa, mentre un vento freddo mi sferzava il viso, facendomi gelare il sangue nelle vene e rendendo i miei corti capelli ancora più fradici di come erano.

Guardai in alto, verso il cielo coperto da grigie e tetre nuvole, sperando con tutto il cuore che smettesse di piovere, ma qualcosa catturò la mia attenzione nel cielo. Potevano sembrare dei comuni punti più scuri, eppure erano troppo vicini tra loro per essere una semplice coincidenza. Affinai di più l’udito, così che da sentire un fievole suolo provenire da quelle strane macchie nere.

Sentii il gracchiare di corvi, ma come era possibile? Di solito quegli uccelli non volavano così in alto, tanto da poter attraversare le nuvole, soprattutto durante la pioggia.

La risposta era abbastanza semplice: quelli non potevano essere corvi qualunque, ma corvi ben addestrati, in grado di seguire le tracce di chiunque senza essere visti, celandosi nell’ombra o, come in quel caso, volando talmente in alto da rendere difficile anche per un Elfo riuscire a scorgerli. Qualcuno ci stava spiando, e vi era una sola persona nella Terra di Mezzo che utilizzava quel tipo di uccelli per i suoi scopi, qualcuno la cui firma erano proprio le loro piume corvine: Davoch.

Il Principe dei Corvi era sulle nostre tracce, il suo obiettivo non era mai stata la compagnia di Thorin Scudodiquercia.

Feci rallentare Akira, voltandomi verso l’Istari al mio fianco.

- Qualcosa non va?- mi chiese lui.

-Davoch … non è molto lontano da noi.

- E questo come fai a saperlo con certezza?- domandò allarmato.

- Ho sentito i suoi corvi volare sopra le nostre teste, nascosti tra le nuvole ... - gli risposi indicando con il mento i punti che avevano catturato la mia attenzione.

- Allora dobbiamo muoverci, ormai non manca molto per arrivare alle Alte Colline.

- Se lui è qui vicino, devo scovarlo. Non posso lasciare che sveli i nostri movimenti al suo Signore. - affermai con decisione.

Gandalf tentò di ribattere, ma lo interruppi quasi subito.

-Questa è la mia missione ricordi? Ho giurato al Bianco Consiglio che gli avrei dato la caccia, non mi farò sfuggire questa occasione di catturarlo una volta per tutte. Troppo sangue innocente è stato sparso a causa sua, è arrivato il momento di porvi termine.- sospirai ricordando il viso della giovane Elfa scolpito nella pietra alla Porta degli Elfi - Temo che dovrai continuare da solo il percorso mellonamin : se la risposta che cerchiamo si cela davvero tra le tombe del Signore di Angmar e i suoi seguaci, deve essere svelata al più presto. Non attendermi, la tua missione ha la massima priorità ... Vanya sulie ( che i venti ti siano favorevoli) Mithrandir.

- Sai che ho piena fiducia in te Belthil, quel fara. (buona caccia)- e dopo aver fatto un piccolo inchino con il capo, Gandalf spronò il cavallo donatogli da Beorn e si allontanò velocemente.

Non c’era tempo per i lunghi saluti o ripensamenti, un grande pericolo incombeva su tutti i popoli della Terra di Mezzo. Il nostro compito era di ridurre il più possibile quel pericolo, fino ad annientarlo del tutto, ed io avrei iniziato eliminando una delle sue cause maggiori.

Non mi rimaneva altro che scoprire dove si rifugiasse quel mostro, tuttavia guardando di nuovo verso i corvi, notai che uno loro si era allontanato dallo stormo, cominciando a volare nella direzione opposta: stava tornando dal suo padrone, probabilmente per fargli rapporto.

-Khila sen (seguilo)- sussurrai ad Akira, piegandomi in avanti verso il suo muso e accarezzandola dolcemente sul collo.

Lei ubbidì subito al mio comando, facendo una leggera impennata per poi iniziare a galoppare velocemente, tenendo sempre il corvo davanti noi in modo da riuscire a scorgerlo tra le nuvole. Seguimmo il percorso del fiume Anduin, arrivando vicini alla parte più a Sud di Bosco Atro, una zona al di fuori del controllo del Regno di Thranduil.

Lì persi le tracce del corvo, il quale aveva cominciato a calarsi verso la foresta, scomparendo tra gli intricati rami degli alberi, ricoperti da spesse ragnatele. Un luogo perfetto per potersi nascondere.

Non appena entrammo nel bosco, come era successo alla Porta, l’aria cominciò a farsi pesante, tanto da farmi girare la testa e annebbiarmi i sensi. Akira sembrava non risentire degli effetti di quel bosco, infatti continuava a proseguire scansando i tronchi caduti e i rami spinosi che mi graffiavano la pelle del viso.

All’improvviso mi sentii trascinare a terra, cadendo nello spesso strato di fango e foglie secche che ricopriva il suolo. Voltai il capo verso Akira, la quale era caduta a terra accanto a me.

Dal suo petto fuoriusciva una freccia nera.

Mi sollevai con fatica dal fango, allungandomi verso di lei per soccorrerla, ma un’altra freccia volò appena oltre le mie dita tese, trafiggendo Akira al fianco. Delle gocce del suo sangue mi colpirono la guancia, colando verso il mento e mischiandosi al fango che mi aveva macchiato il viso.

Mi guardai intorno, cercando di capire da dove provenissero quelle maledette frecce, e fu allora che lo vidi per la prima volta.
Davoch, il Principe dei Corvi.

Stava acquattato nell’ombra sopra ad un grosso masso, oltre ad una ventina di alberi, con l’arco in mano ancora teso. Il suo volto era  parzialmente celato da una fascia scura che finiva appena sotto gli occhi, mentre un pesante mantello ne nascondeva i lineamenti. Gli abiti scuri gli permettevano di mascherarsi completamente nell’oscurità, se non per alcune parti di un’armatura bronzea che scintillavano nel buio.

Non appena Davoch capì di essere stato scoperto, si alzò in piedi e con un balzo scese dal blocco di pietra, rivelando la sua corporatura massiccia ed estremamente muscolosa, dalle spalle larghe e i fianchi spessi. Il corpo esile e aggraziato dell’Elfo che era stato un tempo era scomparso del tutto, deformato fino all’esasperazione.

Cominciò a camminare verso di me, con passi lunghi e pesanti, abbassando l’arco nero, che presentava delle parti metalliche sulle incurvature dei bracci.
Non esitai un attimo ad imbracciare il mio arco, mirando dritto verso di lui. Scoccai una freccia dietro l’altra, ma Davoch le schivò tutte, con un’agilità soprannaturale. A stento riuscivo a cogliere i suoi movimenti fulminei, perfino utilizzando i sensi potenziati che la Fiamma mi donava.

In un attimo fu davanti a me, togliendomi con forza l’arco dalle mani e afferrandomi nella sua presa. I nostri volti si ritrovarono a poca distanza, e non potei fare a meno di guardarlo negli occhi.

Occhi neri, simili a quelli di un demone, ma in contrasto con le iridi leggermente ambrate, che rendevano il suo sguardo quasi ipnotico.

Dapprima provai una sensazione di pesante sconforto, ma venne sostituita quasi immediatamente dall’odio, un odio innato e profondo, in grado di divorarmi l’anima.

Iniziai a dimenarmi dalla sua presa, tentando di raggiungere con la mano un pugnale nascosto all’interno della camicia, ma ogni mio sforzo era vano.

In un battito di ciglia Davoch prese il mio pugnale e me lo conficcò dritto nel petto, lasciandomi poi scivolare a terra in ginocchio davanti a lui. Infine impugnò la sua lunga spada che aveva tenuto dietro la schiena, puntandomela al collo con la mano sporca del mio sangue.

Avevo fatto un grosso errore: lo avevo sottovalutato. Il Principe dei Corvi era davvero un avversario estremamente potente, tanto da abbattere la Custode in poche mosse repentine.

E avrei pagato quello sbaglio con la mia stessa vita, avevo fallito.
Lo guardai negli occhi un’ultima volta, attendendo il colpo di grazia.

Ma all’improvviso non sentii più la punta della lama premere sul mio collo, e quando aprii gli occhi Davoch era scomparso: aveva deciso di risparmiarmi la vita.

La gambe cedettero e finii distesa al suolo, tra il fango sporco di sangue, nel quale vedevo il mio riflesso distorto. La ferita aveva già cominciato a rimarginarsi, ma il dolore non scompariva, logorandomi dall’interno.

Strisciai con i gomiti fino al muso di Akira, la quale respirava affannosamente in attesa della morte. La accarezzai dolcemente, facendole chiudere gli occhi. Non l’avrei abbandonata, sarei stata con lei fino alla fine.

Lei che aveva significato tanto per me, lei che era stata il simbolo del tempo che avevo passato a Mithlond e a Gran Burrone prima della guerra, tra i periodi migliori della mia vita, lei che era stata la mia fedele compagna.

-Grazie... - le sussurrai tra i singhiozzi un attimo prima che spirasse.

Appoggiai la fronte alla sua, stringendo i suoi morbidi crini tra le dita per imprimere nella mia memoria il suo odore, la morbidezza del suo pelo, l’intensità del suo sguardo, il suo portamento fiero.

Non avrei fatto fuggire con facilità Davoch, doveva pagare per quello che aveva fatto. E questa volta sarei stata pronta, era una promessa che feci a me stessa.

Trovai la forza di alzarmi dal fango e raccogliere l’arco da terra, vicino al quale erano ancora impresse chiaramente le orme del Principe, che conducevano verso la parte più interna della foresta.

Verso Dol Guldur.

-Sto venendo a prenderti Davoch … 

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Capitolo 18
*** Capitolo 17 ***


Continuavo a camminare, seguendo le tracce del Principe dei Corvi ancora fresche sul terreno fangoso ricoperto da innumerevoli foglie secche, ed aggrappandomi ai rami degli alberi per riuscire a sorreggermi. Più mi addentravo nella foresta, più facevo fatica a respirare e la cicatrice sul petto sembrava essere sul punto di riaprirsi per quanto bruciava. Al contrario la ferita al fianco che mi era stata inflitta da Davoch non si era ancora rimarginata del tutto, forse dovuto ad un altro degli strani effetti di Bosco Atro.  

La Fiamma si stava indebolendo.

I rovi mi graffiavano continuamente, tanto che iniziai a non sentire più i palmi delle mani per quanto erano lacerati dalle spine. Grosse ragnatele ricoprivano le chiome degli alberi, avvolgendole quasi completamente nei loro lunghi fili biancastri, contrastanti con l’oscurità di quella tetra foresta. Tra i rami riuscivo a percepire dei veloci movimenti: i mostruosi autori di quelle tele non erano molto lontani, ma stentavano ad avvicinarsi.

Avanzai nelle tenebre per un tempo che mi sembrò infinito, ero ormai sul punto di interrompere l’inseguimento per permettere alle ferite di rimarginarsi del tutto, quando davanti ai miei occhi comparve un’antica fortezza abbandonata: Dol Guldur, un tempo chiamata Amon Lanc.

 Era stata la grande reggia degli Elfi Silvani di Oropher, prima che di essere conquistata dalle forze di Sauron al tempo in cui egli aveva sottomesso gran parte delle Terre Selvagge grazie al potere dell’Unico Anello. Gli Elfi Silvani dovettero quindi abbondare quella maestosa fortezza, rifugiandosi nella parte più a Nord di Boscoverde il Grande. Dopo che Sauron venne sconfitto a Mordor, Amon Lanc non fu più abitata a causa della grande oscurità che l’aveva avvolta, finendo così per diventare una rovina.

Le impronte lasciate da Davoch finivano in un piccolo spiazzo roccioso, esattamente di fronte al ponte di pietra che conduceva alla fortezza. Come struttura era simile a quello presente ad Imladris, ma alcune parti dei bordi erano crollate nel vuoto, mentre i pochi pilastri che lo reggevano sembravano sul punto di cedere. 

La parte più ragionevole di me stessa mi diceva di non proseguire, di non entrare in quella fortezza oscura. Eppure l’odio che provavo per il Principe mi incitava a non dare retta a quella voce interiore: desideravo vederlo soffrire, esattamente come lui aveva fatto nei confronti di innumerevoli persone innocenti. 

 Avanzai con cautela, riflettendo bene su dove appoggiare i piedi; nonostante la leggerezza tipica degli Elfi il ponte avrebbe potuto crollare da un momento all’altro, ed io non avevo le forze di invocare la Fiamma per volare. Varcai uno stretto arco dalla punta acuta, avvolto da grossi rovi rampicanti, e subito fui investita da un vento gelido che mi fece rabbrividire fino alle ossa. Vi era un silenzio quasi surreale, come se il tempo si fosse fermato. Iniziai a camminare per stretti corridoi, alcuni senza neanche più un soffitto, le cui macerie impedivano di passare con facilità; il sole era coperto da una fitta coltre di nuvole e nebbia che ricopriva l’intera fortezza, lasciandola perennemente nelle tenebre. 

Il palazzo si estendeva in altezza, con alte torri erose dal tempo, mentre all’interno era una sorta di labirinto di corridoi che portavano a piccoli ambienti, un tempo sfarzose sale o splendidi giardini interni. Le piante rampicanti sembravano aver avvolto nelle loro spine l’intero palazzo, aumentando così il senso di oppressione e di malessere che provavo nell’attraversarlo. 

In una mano reggevo la spada, imbrattando l’elsa con il mio sangue, mentre l’altra continuava a premere sulla cicatrice a mezzaluna sul petto, sempre più fastidiosa e dolorosa oltre ad ogni limite di sopportazione. Era come se sentissi di nuovo la lama del pugnale squarciare la mia pelle, privandomi così della vita. 

Arrivai ansimante in un ultimo locale, molto più grande degli altri: il soffitto a cupola era ancora parzialmente integro, e mostrava maestosi affreschi ormai rovinati dal tempo e coperti dai rovi, mentre il pavimento di pietra grigia era crepato dai massi caduti e da numerose piante velenose che erano cresciute lottando contro la fredda roccia. 

All’improvviso sentii una forte fitta al petto, esattamente alla cicatrice. Non riuscivo più respirare, era come se il cuore si fosse ridotti in frantumi. Caddi a terra ormai priva di forze, cercando di invocare la Fiamma senza alcun risultato. Inerme sul pavimento, rivolsi lo sguardo verso il cielo: era divenuto ancora più scuro, come se avesse perso completamente la luce. 

Una nube oscura iniziò ad infiltrarsi dalle crepe della cupola, arrivando fino a terra ed avvolgendomi tra di essa. Avevo già visto quel fumo denso e nero come la pece, parecchio tempo addietro.

Quando vivevo ancora a Dormor, con la mia famiglia e il mio popolo. 

Il giorno in cui era iniziata la nostra rovina.

Il giorno in cui avevo perso mio fratello.

-Sauron … - sussurrai a denti stretti.

Dalla nube si alzò una voce profonda e suadente, capace di corrompere perfino l’anima.

-Mia carissima Belthil, è un privilegio poterti rivedere ancora. Ti stavo attendendo impazientemente.

-Che cosa vuoi da me?- chiesi cercando di allontanarlo il più possibile.

-Non essere impaziente, ogni cosa a suo tempo. Sai ti vedo un po’ troppo debole per essere la potente Custode di cui tutti parlano.- rispose in modo beffardo.

-É opera tua?

-Ho dovuto prendere alcune precauzioni, non mi è concesso correre rischi troppo elevati. 

-Come ci sei riuscito? Noi due non siamo più legati, non puoi più controllarmi.

-Hai ragione, ma sono comunque legato alla ferita che porti sul petto. È l’unica influenza che ho su di te, l’unica da cui non potrai mai liberarti. Scelta coraggiosa la tua, sacrificarsi per la Terra di Mezzo, tuttavia quasi del tutto inutile. Tu sarai per sempre mia.

Un’altra fitta, altro dolore.

-Comunque non ti ho fatto condurre qui solo per ricongiungerti a me, tu possiedi una cosa che desidero fortemente …

Mi preparai al peggio, stringendo i pugni fino a riaprire i graffi dei rovi.

-La Fiamma Imperitura, essenza divina di Eru.- esclamò alzando la voce.

-Sai bene che non potrai mai strapparmela via, sei troppo corrotto dal Male per riuscire a contenere il suo potere.- dissi con tono di disprezzo. 

 -Infatti non intendo togliertela, ma fartela utilizzare per i miei scopi. Molti hanno dimenticato, o più ingenuamente non hanno mai saputo, che oltre ad essere la Custode, tu, Belthil figlia di Aran, sei anche la Creatrice. Il fuoco divino che scorre nelle tue vene ti rende capace di distruggere l’intero mondo in pochi secondi, ma ti permette anche di plasmare qualsiasi cosa. Perfino … un corpo del tutto nuovo. Un corpo perfetto e indistruttibile, degno del Signore di Mordor e araldo del grande Valar Morgoth. 

-E se mi rifiutassi di darti il corpo che tanto desideri?

-In quel caso non rivedrai mai più il tuo amato Calen, figlio di Gil-Galad e legittimo sovrano di Mithlond.

Mi crollò il mondo addosso.

- Tu … tu non puoi averlo preso …-  ma in realtà stavo solo convincendo me stessa. 

- Dopo la battaglia alcuni dei miei servitori lo hanno portato da me come prigioniero, ma all’inizio non avevo capito chi fosse realmente. Gli ho offerto la possibilità di diventare mio servitore, data la sua straordinaria forza fisica, ed egli aveva accettato per aver salva la vita. Sfortunatamente per lui, tempo dopo alcune mie spie hanno scoperto la sua identità e che tu eri sulle sue tracce, per cui ho deciso di imprigionarlo nuovamente per evitare che lo trovassi. Tuttavia non potevo rischiare in alcun modo di essere scoperto. Lo donai ad mio potente alleato, come premio per il suo servizio, ma ad una sola condizione: che il destino del giovane restasse nelle mie mani. Quale migliore ricatto per la Custode se non il suo prezioso Melamin? 

-Nadorhuan (vile cane)! Come puoi pensare che io creda anche solo ad una delle tue velenose parole!

-Ti ho detto la verità già una volta, perché dovrei iniziare a mentirti adesso? Comunque se non vuoi credere a me, chiedilo a lui. 

Lo spirito di Sauron si allontanò da me, lasciandomi qualche secondo di sollievo dal dolore. Da terra riuscii a guardare verso l’entrata della sala, dove vi era apparso un uomo. 

Aveva una lunga barba cinerina, così come i capelli aggrovigliati dietro le spalle. Il viso era rugoso e pieno di vecchie cicatrici, mentre gli occhi grigi erano spenti e privi di ogni tipo di emozione. Indossava una lunga tunica malridotta, rammendata alla ben meglio con pezzi di stoffa trovati chissà dove; i piedi erano scalzi e ricoperti di tagli, probabilmente causati dalle macerie che ricoprivano il pavimento di tutta la roccaforte.
 
-Mi avete chiamato mio signore?- chiese con voce roca e tenendo la testa bassa.

-Porta la Custode in un luogo più coperto e guariscila, mi serve che sia in forze; inoltre risponderai a tutte le sue domande, senza nascondere la verità. Sono stato chiaro?- ordinò Sauron.

-Sì mio signore. E se dovesse tentare di fuggire?- domandò l’uomo chinando ancora di più il capo.

-Non credo che lo farà, sa bene cosa perderebbe. Ora vai e compi il tuo dovere.- rispose con voce fredda lo spirito, per poi riavvicinarsi a me e sussurrarmi - Pensa attentamente alla tua risposta, la vita del tuo amato Calen adesso è nelle tue mani …

Detto questo si riallontanò, lasciando passare l’anziano uomo che camminava a piccoli passi. Con una forza inaspettata mi sollevò dal freddo pavimento di pietra, conducendomi fuori dalla sala tra le sue esili braccia.

Ero stremata dal dolore, per cui dovetti raccogliere tutte le ultime energie per riuscire a parlargli. 

-Qual è il vostro nome?- chiesi con voce fievole.

-Il padrone non vuole che pronunci mai il mio vecchio nome …

-Ma il tuo signore ti ha appena chiesto di rispondere alle mie domande.

Avvertii un debole tremolio nel suo sguardo, spaventato e sottomesso completamente alla volontà di Sauron.

-Pallando, io mi chiamavo Pallando.

Pallando, uno dei cinque Istari inviati nella Terra di Mezzo. Lui ed Alatar, suo fedele compagno, furono scelti dal Valar Oromë per proteggere le popolazioni del lontano Est dal potere oscuro di Sauron e da molti furono chiamati Stregoni Blu, per il colore dei loro lunghi mantelli. Vagarono nelle terre orientali per molti anni, ma ad un certo punto si persero del tutto le loro tracce. Nessuno seppe mai quale fu il vero motivo, ma ormai era facile da intuire cosa fosse accaduto a Pallando: Sauron lo aveva ingannato e sedotto con le sue potenti capacità persuasive. 

-Ed ora come ti fai chiamare?-domandai.

Seguì un breve silenzio, durante il quale cominciai a vedere tutto in maniera sfocata.

-Io non possiedo più un nome, io sono nessuno.

La sua risposta mi lasciò interdetta e sconcertata: Sauron lo aveva privato di tutto, persino del nome. 

Arrivammo in una piccola cella sotterranea, dove l’Istari mi stese su un letto di ferro battuto, attaccato alla parete per mezzo di alcune catene. 

-Vi state indebolendo mia signora, vi occorre riposare. Penserò io a voi …

Sentivo gli occhi pesanti e il corpo fortemente indolenzito, ma avevo un’ultima domanda da porgergli. 

-È vero ciò che ha detto Sauron? Calen è stato veramente qui?

-Sì mia signora, lui venne portato qui dopo la battaglia. Fui proprio io a guarirlo dalle ferite, utilizzando la poca magia che mi restava.

-È-è ancora vivo?

Pallando fece un respiro profondo, come se gli dispiacesse darmi la risposta.

-Non so se sia ancora vivo, so solo che è stato venduto come schiavo ad un alleato del mio signore … E di solito quegli schiavi hanno vita breve.

Il cuore iniziò a battermi forte, forse già consapevole di chi fosse quell’alleato.

-A chi lo ha venduto?- chiesi con le ultime forze, prima di svenire con il nome di chi aveva in possesso Calen che mi rimbombava nelle orecchie.

-A Davoch, il Principe dei Corvi e comandante degli Elfi corrotti.





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Capitolo 19
*** Capitolo 18 ***


CONSIGLIO PER LA LETTURA : "Skinny Love" di Birdy, mi sono innamorata di questa canzone *-*

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All'improvviso mi ritrovai in una caverna piena di ossa, la stessa dove avevo sognato Calen giorni prima. Lui era ancora lì, legato a pesanti catene e martoriato da gravi e profonde ferite.

Mi guardava con occhi sofferenti, implorando soccorso, ma un muro invisibile ci teneva separati. Cominciai a tirare pugni uno dietro l'altro, fino a farmi sanguinare le nocche, eppure la barriera rimaneva intatta. Mi accasciai sconfitta di fronte ad essa, respirando affannosamente e creando delle piccole nuvole nell'aria gelida.

Non volevo arrendermi, desideravo sentire il calore del suo corpo ancora una volta. Desideravo riaverlo al mio fianco, come se nulla fosse accaduto.

Desideravo amarlo con tutta me stessa, per l'eternità.

Improvvisamente sentii una voce provenire da un angolo oscuro della caverna. Una risata malvagia, come se a qualcuno godesse nel vederci soffrire.

Dall'oscurità comparve la figura di Davoch, il quale ci osservava compiaciuto attraverso i suoi occhi demoniaci. Sentii la rabbia cominciare a ribollirmi nelle vene, lo avrei fatto a pezzi se non ci fosse stata la barriera di mezzo.

Le pareti della caverna cominciarono a ricoprirsi di uno spesso strato di ghiaccio, il quale inghiottì in pochi secondi anche il corpo di Calen. Ricominciai a dimenarmi, dovevo salvarlo ad ogni costo. La risata di Davoch continuava a riecheggiare nella grotta, mentre il ghiaccio iniziava ad avanzare nella mia direzione. Mi ritrassi subito dalla barriera, premendo la mia schiena contro la parete alle mie spalle: ero in trappola. Sentii i piedi divenire velocemente freddi, poi le gambe, il busto, le braccia, fino a quando il ghiaccio mi imprigionò completamente. L'ultima cosa che vidi fu il blocco di ghiaccio nel quale si trovava Calen, ed una lacrima mi rigò il viso, per poi cristallizzarsi sulla mia guancia.

Un istante dopo ripresi conoscenza nella cella di Dol Guldur, con la risata di Davoch che ancora riecheggiava nella mia testa. Accanto al letto su cui ero distesa vi era Pallando, il quale aveva vegliato costantemente sul mio sonno tormentato.

-Mia signora, come vi sentite?- mi chiese subito preoccupato vedendo la mia espressione sconvolta.

-Credo ... bene.

Sentii che le mie forze erano aumentate, per cui provai ad invocare la Fiamma. Sul palmo della mia mano comparve una piccola fiammella blu oceano, dalla luce fioca e non molto potente.

La Fiamma stava tornando.

Immediatamente la gioia su sostituita dal terrore: che cosa ne avrei fatto?

Avrei accettato le condizioni di Sauron, mettendo in pericolo tutta la Terra di Mezzo solo per rivedere Calen?

Sentivo che era Calen ancora in vita, ma avrei davvero posto i miei bisogni prima del mio dovere?

La Fiamma Imperitura mi conferiva poteri incredibili, ma al tempo stesso una enorme responsabilità: ero in grado di plasmare qualsiasi cosa, perfino delle nuove vite, le quali sarebbero state per sempre legate a me e le cui azioni sarebbero ricadute solamente sulle mie spalle. Tutto questo mi era stato spiegato da Manwë, durante il mio lungo soggiorno a Valinor. Avevamo passato interi giorni chiusi in biblioteca, per studiare fino a che punto arrivasse il mio potere. Creare dal nulla anche il più semplice oggetto era qualcosa che richiedeva un enorme controllo della Fiamma, per questo non avevo mai tentato di utilizzare quella parte del mio potere, neanche entro le mura dell'Arena di Tulkas. Se qualcosa fosse andato storto, avrei potuto mettere ugualmente in pericolo la Terra di Mezzo, per questo avevo giurato ai Valar di non utilizzare mai la Fiamma per quello scopo, ed avrei mantenuto la parola data.

Non potevo dare a Sauron ciò che voleva.

Non avrei più potuto rivedere Calen.

Improvvisamente la porta della cella si spalancò e sulla soglia comparve una tra le creature più ripugnanti della Terra di Mezzo: un Orco.

Aveva una corporatura grottesca e massiccia, dalla carnagione verdognola e gli occhi rossi come il sangue. Le orecchie appuntite erano perforate in diversi punti, mentre ai chiari capelli unti e pieni di nodi erano stati legati piccoli teschi di animali. Indossava una rozza corazza che gli ricopriva solamente il busto, alla cinta invece vi era una spessa cintura di ossa alla quale era appesa la spada della creatura, dalla lama arrotondata ma dalla limatura impeccabile.

-Il Padrone desidera parlare con la Custode.- decretò il mostro con tono burbero.

-Si è appena ripresa dalle cure, ma non è ancora pronta per incontrarlo Hundriol.- rispose Pallando mettendosi tra me e l'Orco.

-Come osi metterti contro di me ed il volere del grande Sauron? Non ti sono bastate tutte le nostre punizioni?- esclamò Hundriol alzando il braccio, pronto a colpire l'indifeso Istari.

-No!

Le due figure si voltarono verso di me, entrambi con aria stupita.

-Sauron vuole una risposta alla sua richiesta, ed io sono pronta a dargliela.

-Mia signora, ne siete sicura?- mi chiese lo Stregone Blu.

Esitai qualche istante prima di rispondergli, cercando di trattenere le lacrime.

-Sì, sono giunta ad una decisione.

Pallando abbassò lo sguardo, forse già intuendo quale fosse la mia decisione, mentre Hundriol mi fece scendere dal letto e mi trascinò per il braccio fuori dalla cella, dove lasciammo solo l'Istari.

L'Orco mi condusse a spintoni per diversi corridoi, diretti verso la parte Ovest della roccaforte. Dopo aver attraversato un portone di legno decadente, ci ritrovammo in un'ampia terrazza circondata dai rovi, al centro della quale vi era una statua senza testa di un antico sovrano di Amon Lanc.

La statua non era solamente ricoperta di rovi spinosi, ma era anche avvolta dallo spirito di Sauron, come se si fosse reincarnato in essa.

-Lasciaci soli Hundriol.- ordinò Sauron con voce dura.

L'Orco mi fece cenno di avvicinarmi alla statua, per poi obbedire all'ordine senza alcuna replica.

-Il tempo a tua disposizione è terminato mia cara Belthil. Dimmi, che cosa hai deciso? - mi domandò lo spirito.

Mi avvicinai ad esso tremante, sentendo il cuore ridursi lentamente in frantumi. Quando gli fui di fronte feci un respiro profondo, preparandomi a dire ciò che mi avrebbe logorato l'anima per l'eternità.

Ma non riuscii a pronunciare quelle maledette parole, il mio cuore me lo impediva.

-Ebbene? So bene che sei in grado di farlo, potresti commettere un grosso errore a rifiutare.

"So bene che sei in grado di farlo"

Sauron si sbagliava, non ero ancora pronta per dargli un nuovo corpo.

E fu un quel momento che realizzai quale fosse il mio vantaggio: potevo mentire al Signore degli Inganni. Avrei guadagnato abbastanza tempo e informazioni per salvare Calen, senza venire meno al mio dovere.

-Avrai ciò che desideri. - dissi tutto d'un fiato.

-Ottima scelta, sapevo che avresti accettato. Calen è troppo prezioso per te, perfino più della Terra di Mezzo.

-Hai giurato che non gli avresti fatto del male.

-Ed è ancora così, lui per ora è al sicuro.

-Per ora?- chiesi con apprensione.

-Sarà libero quando avrò il mio corpo, ma fino ad allora rimarrà mio prigioniero. Suppongo che Pallando ti abbia già detto a chi l'ho venduto...

-Sì, me lo ha riferito. Ma per il tuo corpo ci vorrà del tempo, devo ancora recuperare tutte le mie forze.

-Ho atteso trecento anni per questo momento, ormai i giorni non mi fanno più alcuna differenza. Ma bada bene a non mentirmi, il tuo amato pagherebbe un prezzo molto alto.

-Non ti deluderò, su questo puoi esserne certo.- dissi in modo più convincente possibile.

-Molto bene, allora ti faccio riscortare nella tua cella da Hundriol. Se hai bisogno di qualsiasi cosa, Pallando sarà al tuo completo servizio.

Alle mie spalle sentii i passi pesanti dell'Orco, il quale però rimase a debita distanza da noi. Intanto lo spirito di Sauron mi avvolse nella sua nube oscura, sussurrandomi con voce suadente:

-Anche la proposta di divenire la mia regina è ancora valida... Niente e nessuno può tenerci separati, siamo quasi un'unica persona: io esisto solo grazie a te, tu vivi solo grazie a me.

Riuscii a sentire il suo fiato gelido sul collo, che mi diede i brividi. Non feci in tempo a rispondergli, si era dissolto in pochi secondi lasciandomi sola con l'Orco, ma in qualunque caso non sarei mai diventata la sua compagna. Sapeva che il mio cuore apparteneva a Calen, eppure sembrava importargli solo come ricatto per avere un corpo nuovo.

Non ero sicura che Sauron mantenesse veramente la parola data.

Hundriol mi prese nuovamente per un braccio e mi ricondusse nella mia cella, dove vi ritrovai Pallando.

-Io sarò qui fuori a farvi da guardia, solo l'Istari potrà uscire. - disse l'Orco in modo grottesco, chiudendo poi la porta della cella.

Nella stanza si creò un profondo silenzio, interrotto solamente da alcune gocce d'acqua che cadevano dal soffitto.

-Ho accettato la sua richiesta ... - sospirai appoggiandomi al letto di ferro: non avevo ancora ripreso tutte le mie forze.

-Mia signora ... perché? Lui non vi lascerà mai andare ...

-Era l'unico modo per salvare Calen.

-E non pensate alla vostra missione?

Abbassai lo sguardo, mentre i dubbi mi affollavano la mente.

-State attenta a giocare con questo tipo di fuoco, è l'unico che potrebbe veramente ferirvi.- disse con voce dura.

In qualche maniera aveva capito tutto.

-Grazie per il vostro consiglio, ma so cosa sto facendo.- gli risposi distendendomi sul freddo metallo, dandogli le spalle.

-Ne siete veramente sicura?

"No"

Chiusi gli occhi, sperando di allontanarmi almeno con la mente da tutto quel dolore.

Fortunatamente non mi ritrovai più nella caverna ghiacciata, ma all'aria aperta, su un prato sconfinato e ricoperto da innumerevoli fiori di straordinaria bellezza. Il sole era alto nel cielo, ma accanto ad esso vi era anche la luna: era un luogo al di fuori dal mondo, un luogo che esisteva solo nella mia mente.

All'improvviso mi sentii toccare sulla spalla, ma non mi volevo voltare, non volevo che quella pace crollasse. Allora la mano dello sconosciuto mi accarezzò il braccio, scendendo lentamente verso la mia mano. Quando la prese tra le sue dita, mi fece voltare verso di lui. Io continuai a guardare il prato, mentre lui mi prese il volto tra le mani.

-Guardami Belthil.

Quella era la sua voce, ne ero sicura.

-No... so che appena lo farò tu scomparirai.

-Io non vado da nessuna parte.

Lentamente alzai il volto, fino a quando i nostri sguardi si incrociarono.

Lui era veramente di fronte a me, che mi guardava dolcemente con i suoi occhi color nocciola chiaro dalle sfumature dorate, che mi accarezzava il volto con le sue morbide mani, che mi sorrideva e mi faceva sentire al sicuro.

Mi buttai tra le sue possenti braccia, riuscendo a sentire il suo profumo di erba appena tagliata e di rose. Il suo corpo non presentava ferite, era esattamente come me lo ricordavo prima di entrare a Mordor.

-Mi sei mancata Bel ... - mi sussurrò all'orecchio.

I nostri volti erano ormai poco distanti, pochi millimetri ci tenevano separati.

-Ti amo, Calen. -dissi annullando la distanza e appoggiando le mie labbra sulle sue.

Mi ero pentita di non averglielo mai detto, ed anche se quello era solo un sogno glielo avrei continuato a ripetere.

Il bacio si fece sempre più appassionato, lui mi strinse ancora di più a sé mentre io gli accarezzai la nuca, facendo passare alcune ciocche dei suoi capelli tra le dita.

Improvvisamente persi l'equilibrio ed entrambi cademmo sul prato, ancora abbracciati.

-Non ti lascerò mai andare Bel, mai.

Sentii una lacrima solcarmi il viso, ed ero certa che quella fosse reale.


ANGOLO DELL'AUTRICE

Salve a tutti!

Questo è un capitolo di passaggio, ma spero che vi sia ugualmente piaciuto ;) come sempre vi chiedo di farmi sapere cosa ne pensate della storia e quali sono le vostre aspettative, sono troppo curiosa!

Bacioni

Giulia :3

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Capitolo 20
*** Capitolo 19 ***


Al mio risveglio la prima sensazione che provai fu solitudine: Calen rimaneva solamente un sogno, niente di più. Ogni giorno che passava lo sentivo sempre più distante, come se anche il nostro legame si stesse sgretolando. 

Non avevo più molto tempo.

Mi alzai dal freddo letto di ferro e trovai Pallando disteso a terra in un angolo della cella. Non mi aveva mai lasciato sola durante il mio riposo, neanche per un singolo istante. 

-Mia signora desiderate qualcosa da mangiare? - mi chiese gentilmente alzandosi in piedi.

-No grazie, non ho molta fame.- risposi avvicinandomi alla porta della cella. 

Desideravo poter camminare all’aria aperta, uscire da quella umida prigione, ma sapevo che dall’altra parte della porta vi era di guardia Hundriol, il quale aveva l’ordine di tenermi rinchiusa fino a quando non avessi dato a Sauron ciò che voleva. 

All’improvviso sentii un forte boato provenire dall’esterno, seguito da una scia di luce che illuminò la stanza. 

-Cosa è stato?- chiesi preoccupata.

Pallando era divenuto più pallido del solito ed aveva iniziato a tremare.

-Pallando che cosa sta accadendo?!- ma lui non mi diede risposta.

Mi appoggiai alla porta ed affinai l’udito, fino a sentire una voce profonda che riconobbi all’istante.

-Qualunque male sia nascosto qui, io gli impongono di uscire allo scoperto!

Gandalf.

Mi voltai verso lo Stregone Blu, il quale rimaneva immobile come una statua.

-Devo uscire da qui … subito. 

-Non potete farlo.- mi rispose con voce piatta.

-Ma c’è Mithrandir là fuori, lo uccideranno!- gridai disperata.

-Non potete farci niente, non dovete preoccuparvene.

-Come fa a non importarti? Siete entrambi degli Stregoni, questo non significa nulla per te? 

-Io non sono più come lui.

Sentii un secondo boato, molto più forte del primo. Se Pallando non voleva farmi uscire, allora lo avrei fatto da sola. 
Chiamai mentalmente la Fiamma, che mi avvolse interamente come un’aura blu oceano.

-Che cosa pensate di fare mia signora?

-Aiutare il mio amico.

Detto questo mi scagliai contro la porta, facendola uscire dai cardini e scontrare con la parete del corridoio. Sulla soglia comparve l’Orco con la spada in mano, pronto ad attaccarmi.

-Voi non farete un solo passo fuori da quella cella.- disse digrignando le zanne sporgenti dalla bocca.

- Prova a fermarmi. - risposi guardandolo con occhi fiammeggianti.

Hundriol scattò verso di me, fendendo colpi ma riuscendo a colpire solamente l’aria: in un battito di ciglia gli fui dietro le spalle, per poi colpirlo dritto sul collo. In meno di un minuto l’Orco cadde a terra esanime, in una posizione innaturale dovuta al collo spezzato. 

Avevo perso il controllo soltanto per un secondo e quello era il risultato, la morte. Da lontano sentii degli ululati di lupi mannari, seguito da un pesante tonfo, come se una parete della roccaforte fosse crollata.
Lo avevano trovato. 

Cominciai a correre per gli stretti corridoi, pregando che non lo avessero ucciso. I rumori provenivano dall’interno del palazzo, nella zona centrale, dove i corridoi erano più intricati tra loro, come in un labirinto.

Ogni creatura del Male che incontravo veniva fatta tacere all’istante, prima che potesse avvertire gli altri della mia fuga. Mi bastava solamente un colpo per farli cadere e togliere loro la vita, tale era la forza che in quel momento la Fiamma mi infondeva, e che aumentava sempre di più ponendomi al limite del controllo. 
Arrivai di fronte all’entrata di una ampia sala a cielo aperto e senza neanche l’intero pavimento: di esso rimaneva soltanto uno spuntone di roccia ricoperto di rovi, oltre al quale vi era un profondo strapiombo che terminava sulla nuda roccia della collina su cui si ergeva la fortezza.
Ero arrivata troppo tardi.

Gandalf era stato scaraventato contro un muro dall’ombra oscura di Sauron, a diversi metri da terra. L’Istari non aveva più il suo lungo bastone, segno distintivo del suo potere, ed era ormai quasi privo di sensi. 

-Non vi è luce Stregone … che possa sconfiggere l’oscurità.- disse il Signore Oscuro intensificando la spinta contro il debole scudo di luce di Gandalf.

-Ti sbagli!

Non esitai a interpormi tra i due, facendo un balzo durante il quale spalancai le ali, rimanendo sospesa nell’aria. La mia aura di Fiamma si estese fino a formare uno scudo dalla luce intensa e pura, che respinse lo spirito di Sauron.

-Come hai fatto ad uscire dalla tua cella?! Non ti eri ancora ripresa del tutto, come è possibile che la Fiamma sia così potente? 

-Non dovresti mai sottovalutare il potere immenso dell’essenza divina di Eru. 

La mia voce era cambiata, come se qualcos’altro avesse preso momentaneamente il controllo di me stessa.
Sentii un debole formicolio alla cicatrice sul petto, ma scomparve quasi immediatamente.

-Non riesco più a controllarti … - sussurrò infastidito Sauron.

-La Fiamma Imperitura può essere controllata solamente dalla propria Custode, tu non hai forza sufficiente per contrastarla.

-Ma ho ancora in mio possesso il tuo amato Calen … il nostro patto non conta più? 

Il mio cuore mancò un battito, la mia unica debolezza. La luce del mio scudo cominciò ad affievolirsi, fino a dissolversi nell’aria.
Avevo agito senza riflettere sulle conseguenze delle mie azioni, ma non avrei potuto permettere che Gandalf morisse per una mia egoistica scelta. Dovevo adempiere anche alle mie responsabilità, anche se ne avrei sofferto.

-Avrai il tuo corpo, se non farai del male a Mithrandir. - la mia voce era tornata normale, sebbene fosse leggermente tremolante.

-Il nostro patto non comprende la salvezza dello Stregone. Lui possiede una cosa che io desidero fortemente, quasi più del corpo che tu mi devi. 

Guardai Sauron con aria interrogativa, non riuscendo a comprendere a cosa si riferisse.

-Esiste un motivo per cui forgiai l’Unico Anello,  ed è quello di controllare tutti gli altri Anelli del Potere. I Nove caddero subito sotto il mio comando, mentre i Sette appartenenti ai Re dei Nani dovetti recuperarli uno ad uno, ed alcuni mi sono tuttora celati dai Figli di Aulë. Ma quelli a cui aspiro maggiormente sono i Tre Anelli degli Elfi: Narya, Nenya e Vilya. Furono forgiati segretamente da Celebrimbor, per cui non possiedono tracce della mia influenza, anche se sono soggetti al potere dell’Unico. Il loro potere è apparentemente quello di preservare ciò che è stato e mantenere intatti dal tempo i luoghi in cui sono custoditi, eppure io credo che in realtà possiedano una forza ben più potente …

-Ma cosa c’entra Mithrandir in tutto questo?- chiesi arretrando vero l’Istari privo di sensi. 

-Cirdan il Carpentiere consegnò il proprio Anello ad uno dei cinque Maiar inviati nella Terra Mezzo, che lo tenne segretamente fino a questo momento. Mithrandir è l’attuale Portatore di Narya, l’Anello di Fuoco. 

Mi voltai verso Gandalf, chiedendomi quale fosse il motivo per cui non mi avesse mai rivelato tutto ciò. 
Narya era l’Anello più forte tra i Tre, essendo in grado di infondere speranza, coraggio e audacia a chi lo circondava, dando così nuova forza per combattere le tenebre. 

All’improvviso mi sentii trascinare violentemente contro il suolo, cadendo sulla fredda pietra in preda a dolori lancinanti al petto: Sauron era riuscito a riprendere il controllo su di me. 

-Non avresti dovuto abbassare le tue difese … - mi disse beffardo mentre gridavo dal dolore - Che ti serva da lezione Custode, il tuo gesto lo pagherai a caro prezzo. Hai un solo giorno di tempo per darmi il mio corpo, dopodiché darò l’ordine di portarmi la testa di Calen e che il suo corpo venga dato in pasto ai Mannari. Per quanto riguarda lo Stregone, lo terrò imprigionato e prenderò finalmente l’Anello di Fuoco.

La sua voce rimbombava nella mia testa, il dolore continuava a crescere. 

-Anche se avrò ciò che desidero, non ti lascerò mai andare. In un  mondo o nell’altro tu diverrai la mia Regina, anche contro la tua stessa volontà …

Sentii lo spirito di Sauron passarmi attraverso, mi sentii svuotare di ogni emozione che non fosse dolore, mi sentii morire dentro. 

Gandalf cadde a terra accanto a me, ma non riuscii a voltarmi verso di lui. Alcuni Orchi chiamati da Sauron lo presero per le spalle e lo trascinano via, mentre io tentai invano di allungare una mano per afferrarlo; il dolore era troppo forte. Quando se ne furono andati, Sauron cominciò ad alleviare la presa su di me, lasciandomi riprendere fiato.

-Il tempo scorre Belthil, ti consiglio di non sprecarne un solo istante.- mi sussurrò lo spirito, per poi dissolversi nel vento gelido.

Rimasi distesa a terra, priva di forze e quasi incosciente. Persi la cognizione del tempo, ma ad un tratto mi sentii sollevare da esili braccia tremanti: Pallando.
Socchiusi leggermente gli occhi, abbastanza per vedere sul suo volto un profondo taglio e diversi lividi.

-Pallando … il tuo viso … che cosa ti hanno fatto? - chiesi con voce rauca.

-Non sprecate fiato per me mia signora, ho avuto ciò che meritavo.

Lo avevano punito a causa mia, in fondo anche io avevo meritato quel dolore più di chiunque altro. 

-Perdonami … io non …

-Non vi preoccupate, mi riprenderò, sono sopravvissuto a molto peggio. È stata colpa mia, non ho saputo fermarvi quando ero ancora in tempo per farlo.

-Mithrandir … dove lo hanno portato? …

-In un luogo sicuro che non vi è concesso sapere, nemmeno a me.- disse mentre mi adagiava cautamente su di un letto in una nuova cella, posta ai piani superiori dell’antica fortezza - Adesso dovete stare ferma, ciò che sto per fare richiede molta concentrazione.

-Spiegatevi meglio …

-Sauron vi ha fortemente indebolita, e a voi servono  tutte le forze che avete per dargli un nuovo corpo entro domani. Ho intenzione di darvi la mia energia, di modo che voi possiate riprendervi il più velocemente possibile.

-No! Non riuscirei a controllare la Fiamma, ti risucchierebbe ogni singola briciola di energia che possiedi. Non sopravvivresti …

-Lo so bene, ma sono disposto a farlo. È giunto il momento che io sconti la mia pena una volta per tutte. 

-No … non dovete, mi riprenderò in meno di …

-Basta così, ho preso la mia decisione. Se con il mio sacrificio riuscirò ad aiutare la Custode, allora potrò andarmene in pace. Io ho fiducia in voi, so che farete la cosa giusta … - mi disse accarezzandomi la guancia e facendomi un piccolo sorriso, per poi stendere le braccia sul mio corpo ed iniziando a recitare una sorta di preghiera in un’antica lingua elfica.

Inizialmente cercai di dimenarmi, non volevo che Pallando si sacrificasse per me, mentre attorno a lui si formò un’aura di luce celeste. Lentamente iniziai a sentirmi più forte, ma più io mi fortificavo, più la luce di Pallando si affievoliva. Sul suo viso tumefatto cominciò a formarsi una smorfia di dolore, eppure lui non cedeva. Sentii la Fiamma ardere nelle mie vene, incontrollabile e bramosa di energia vitale. Ne volevo ancora.

Accecata dalla sete di quel potere, mi alzai di scatto e presi il viso di Pallando tra le mani,  che cominciò a gridare per il calore emesso dal mio corpo. Avrei voluto fermarmi, ma c’era qualcosa in me che me lo impediva. La Fiamma avvolse il corpo dell’Istari prelevandone tutta l’energia rimasta e riducendolo in cenere in pochi secondi, tornando infine dentro di me.

Mi guardai sconvolta le mani leggermente arrossate, che fino a pochi istanti prima reggevano il viso dello Stregone. Guardai ai miei piedi il mucchietto di cenere, che fino a pochi istanti prima era stato una persona. 

In realtà non ero la Custode della Terra di Mezzo.

Io ero un mostro. 


 
 ANGOLO DELL’AUTRICE
Salvee :) scusate il ritardo numero 77738332562, ma tra la gita e varie verifiche il tempo per la scrittura del capitolo è stato drasticamente ridotto :(
Vi invito come sempre a lasciare un commento, ci tengo troppo a leggere le vostre opinioni!! 
Bacioni, 
Giulia :3
 

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Capitolo 21
*** Capitolo 20 ***


Caddi in ginocchio di fronte alle ceneri di Pallando, continuando a guardarmi le mani. Quanti ancora sarebbero morti per me? Mi sentivo macchiata dal suo sangue e da quello di tutte le persone cadute durante la battaglia a Mordor. Ogni goccia del loro sangue versato era come una pugnalata dritta al cuore; le immagini dei loro volti privi di vita mi scorrevano una ad una nella mia mente, nitide e impregnate di rimorso. 

Io ho fiducia in voi, so che farete la cosa giusta” erano state le ultime parole dell’Istari, ma ne era davvero sicuro? Troppe volte avevo tradito la fiducia delle persone che amavo, e stavo ancora tentando di correggere i miei sbagli. Ma alcuni sarebbero rimasti irreparabili, non si poteva tornare indietro nel tempo. Ero sola in questa battaglia.

Il tempo passava, ed io rimanevo immobile, prigioniera dei miei sentimenti. Ogni secondo trascorso era un secondo in meno della vita di Calen, ed un secondo in più di pace per tutta la Terra di Mezzo. Ma era davvero ciò che volevo? Parte di me mi diceva di alzarmi da terra e dare a Sauron ciò che desiderava, di scegliere una vita piena e felice a fianco di Calen, tuttavia piena di rimorso e angoscia per quello che avrebbe comportato questa scelta. Chi ero io per decidere il destino delle altre persone? Nella mia mente vi erano troppo domande a cui non riuscivo a rispondere, mente il peso della responsabilità mi schiacciava, lento ed inesorabile. 

 Avevo giurato a Gil-Galad di proteggere suo figlio Calen, ma non avrei mai immaginato che ciò avrebbe compromesso il giuramento pronunciato al cospetto di tutti i Valar. Ma alla fine tutto si riduceva ad una sola domanda.

Avrei scelto di seguire il cuore o la missione? Qualunque fosse stata la mia scelta, avrei sofferto.

Improvvisamente dalle segrete della fortezza si levò una moltitudine di ululati e grida feroci, seguiti dal rumore dei passi di centinaia e centinaia di Orchi in marcia: l’esercito di Sauron era pronto alla guerra per la conquista della Montagna Solitaria. 

Mi chiesi se la compagnia di Thorin fosse riuscita a riprendersi la propria dimora dalle grinfie di Smaug, anche se ancora non sapeva quale altro grande pericolo incombeva su di loro. Avrebbero combattuto fino allo stremo per difendere la Montagna, ma non sarebbero mai riusciti a sconfiggere l’armata di Orchi, erano in netta minoranza. 

Il gracchiare di centinaia di Corvi sovrastò l’ululato dei Mannari: Davoch non si era tirato indietro, avrebbe condotto il suo esercito di  Elfi Corrotti in guerra a fianco dei fedeli servi di Sauron.  

Sarebbe stato un massacro, non potevo stare a guardare senza far nulla. La porta della mia cella si aprì di scatto e comparvero due Orchi armati fino ai denti. 

-Il Padrone vi vuole vedere, non intende attendere oltre.- disse grugnendo uno dei due.

-Ma ho ancora tempo, non è ancora passato un giorno!

-Non importa, voi dovete seguirci.- replicò l’altro avvicinandosi a me.

-Non osate toccarmi.- li minacciai guardandoli con occhi fiammeggianti blu oceano, facendoli così indietreggiare entrambi.

Il tempo a mia disposizione era scaduto prima di quanto mi aspettassi. Era arrivato il momento di fronteggiare Sauron, non potevo più tirarmi indietro. Mi alzai da terra e mi incamminai verso le due repugnanti creature, le quali si scambiavano sguardi sorpresi ed intimoriti.

-Fatemi strada.- dissi con un fil di voce.

Senza aggiungere altro gli Orchi mi affiancarono, mentre l’oscuro esercito continuava ad avanzare fuori dalle mura di Dol Guldur. Attraversammo diversi corridoi, salendo verso la parte superiore della fortezza non ancora crollata, fino ad arrivare ad uno spiazzo esterno circondato da colonne avvolte dai rovi e scalinate semi-distrutte che vi convergevano. Al centro vi era una statua senza testa, anch’essa ricoperta da piante rampicanti, probabilmente raffigurante un antico signore elfico. Attorno alla statua vi erano dei piccoli gradini che portavano ad una imponente roccia, nella quale era stato scavato un trono di rovi. 

-Dimmi Belthil, chi hai deciso di salvare?- chiese Sauron nascosto nell’oscurità.

-Non ti risponderò prima di domani, il tempo non è ancora scaduto.- risposi a testa alta.

-No! Esigo una risposta subito!- esclamò il Signore Oscuro, anche se notai un lieve tremolio nella sua voce.

Aveva paura.
Cominciò a far presa sul mio cuore, costringendomi ad inginocchiarmi reggendomi con le mani al suolo. 

-Io ho deciso ...

-Parla!

- … che non otterrai niente da me. 

Il dolore aumentò improvvisamente, Sauron era in preda alla collera. 

-Hai appena condannato a morte l’erede di Mithlond, l’Elfo a cui tieni maggiormente su questa terra. Credi ancora che sia io l’unico mostro qui?!

-Tu … tu sei un essere spregevole, l’araldo del Male … nessuno potrà mai eguagliarti in quanto a malvagità e codardia … ho giurato che avrei protetto la Terra di Mezzo da ciò che rappresenti … e continuerò a farlo. - le mie parole venivano interrotte da gemiti di dolore, che aumentava sempre di più.

Ero quasi sul punto di cedere, perdere il controllo e sprigionare la Fiamma, ma dovevo resistere. Cuore e corpo erano lacerati dal dolore, mentre il mio spirito voleva ribellarsi. 

All’improvviso un’intensa ondata di luce pura si propagò nel cielo, illuminando per qualche istante la tetra fortezza. In quell’esatto momento mi sentii in pace, avvolta nel caldo bagliore, ed il dolore era come scomparso. Ma la tregua durò solamente un istante: Sauron era deciso ad ottenere il suo nuovo corpo in qualunque modo, ne era ossessionato. Quella luce non lo aveva affatto intimorito, anzi, sembrava quasi esserne contento. 

Da lontano riuscii a sentire dei leggeri passi, qualcuno si stava avvicinando e portava qualcosa di pesante con sé.

-Tre Anelli ai re degli Elfi sotto il cielo che risplende. Sette ai principi dei Nani nelle loro rocche di pietra … - iniziò a recitare Sauron in lingua  nera.

- … Nove agli Uomini mortali che la triste morte attende.

Anche se non riuscivo a vederla, riconobbi subito a chi apparteneva quella voce.

-Galadriel … - cercai di alzare almeno il capo, ma il dolore mi costringeva a rimanere distesa a terra, piegata su me stessa. 

-Belthil? Cosa … - esclamò sorpresa la Dama di Lórien.  

-Vai via da qui, porta in salvo Mithrandir e fuggite …- le implorai mentre venni travolta da un'altra fitta.

Ma attorno a noi cominciarono a comparire nove spettri, i quali ci accerchiarono togliendo a Galadriel ogni possibile via di fuga. L’Elfa perse l’equilibrio e cadde sotto alla statua decapitata, consentendomi però di riuscire a scorgere che cosa, o meglio chi, reggeva tra le braccia: Gandalf. La gioia nel vederlo vivo venne subito sostituita dal terrore: sia lui che Lady Galadriel erano portatori di due dei Tre Anelli del potere elfici, Nenya e Narya, rispettivamente l’Anello di Diamante e l’Anello di Fuoco. Erano in grave pericolo, era stato il piano di Sauron fin dall’inizio.

-Non puoi combattere l’oscurità, perfino ora ti affievolisci. Una luce da sola nel buio, neanche la Custode può esserti d’aiuto. - disse il Signore Oscuro rivolto a Galadriel. 

-Io non sono sola.- ribatté prontamente lei.

Infatti sentii avvicinarsi altri leggeri passi, appartenenti a due persone distinte. Il primo si reggeva su un bastone, mentre il secondo avanzava deciso.

-Necessiti di assistenza mia signora? - domandò il primo che riconobbi come Saruman, lo Stregone Bianco a capo degli Istari.

Gli spettri emisero delle grida simili a striduli, non intendevano lasciarli passare facilmente.

-Sareste dovuti restare morti. - disse l’altro, sguainando la spada.

Elrond. 

Lui rappresentava l’ultimo portatore di Vilya, l’Anello d’Aria, dopo che Gil-Galad in punto di morte glielo aveva posto tra le dita. I Tre Anelli erano stati riuniti.
Non appena si rese conto della mia presenza, Elrond tentò di venire verso di me per offrirmi aiuto, ma i Nazgûl gli sbarrarono la strada suscitando la reazione immediata dell’Elfo. Iniziò a combattere con estrema rapidità, fendendo colpi precisi e ben assestati, mentre Saruman scagliava veloci incantesimi mediante il suo lungo bastone nero. 

Avrei voluto combattere, non accettavo il fatto di dover rimanere a guardare mentre gli altri lottavano al posto mio. L’unica cosa che riuscii a fare fu strisciare con i gomiti fino a Galadriel, che tentava di risvegliare Gandalf.

-Mithrandir ritorna … - sussurrò all’Istari dandogli un candido bacio sulla fronte.

Pochi istanti dopo lo Stregone aprì gli occhi, sembrava terrorizzato e respirava affannosamente.

-È-è qui … è … - disse riferendosi a Sauron .

-Si, l’oscurità è tornata. - affermò seria Galadriel.

Improvvisamente arrivò una slitta trainata da una dozzina di conigli di Rhosgobel, tra gli animali più veloci della Terra di Mezzo, guidati da un uomo anziano ed apparentemente innocuo, ma che in realtà non era affatto da sottovalutare. Egli era infatti Radagast il Bruno, l’ultimo dell’ordine degli Istari e guardiano di Bosco Atro. 

 -Gandalf! Salta su! - esclamò fermando la slitta a poca distanza da noi.

- È debole non può restare qui, gli sta prosciugando la vita. Va’ presto. - lo esortò Galadriel aiutando Mithrandir a salire sulla slitta.

-Vieni con me mia signora ...- le chiese Gandalf afferrandole una mano.

Lei lo guardò dolcemente, per poi ritrarre la mano ed esortare nuovamente Radagast ad andare via da quel luogo oscuro. Per un secondo i suoi occhi erano diventati completamente bianchi, facendo spaventare lo Stregone Bruno che subito fece scoccare le redini della slitta.

Galadriel si accasciò a terra accanto a me, Gandalf non era l’unico a cui quell’influenza oscura stava prosciugando le forze. Attorno a me invece si formò un’aura di luce bluastra, la Fiamma stava per sprigionarsi ed io non ne avrei più avuto controllo. 

Elrond e Saruman sconfissero tutti i nove spettri, che scomparvero uno ad uno in lampi di luce emettendo delle orribili grida. Calò un silenzio quasi surreale. Elrond corse verso di noi, ma un boato fece tremare le mura di Dol Guldur. Il trono di rovi esplose in una nuvola di fuoco, al centro della quale si fece avanti lo spirito di Sauron, affiancato dagli spettri Nazgûl. 

Era troppo tardi per mettere in salvo gli Anelli degli Elfi.

-È iniziato: l’Est cadrà, e così risorgeranno i regni di Angband e Angmar. Il tempo degli Elfi è finito, l’età degli Orchi è arrivata.

Galadriel mi prese per mano, nella quale sentii venire appoggiato qualcosa di freddo e metallico. Narya, l’Anello di Fuoco. Doveva averglielo dato Gandalf quando le aveva afferrato la mano, ma non sapevo come avrebbe potuto essermi d’aiuto.

-Indossalo ... - mi sussurrò la Dama di Lórien.

La osservai titubante, gli effetti che avrebbe avuto su di me erano completamente imprevedibili, ma decisi di fidarmi. Tremante infilai l’Anello di Fuoco al dito, e ciò che accadde mi lasciò senza fiato. Il dolore inflittomi da Sauron scomparve all’istante, al suo posto vi era solamente il calore familiare della Fiamma Imperitura, la mia vera linfa vitale. Le piccole fiammelle blu oceano fuoriuscivano dalla mia pelle, che era divenuta bianca e perlacea, formando un’aura molto intensa, mentre i miei capelli erano lunghe strisce di fuoco dalle centinaia di sfumature d’azzurro; vedevo ogni cosa attorno a me in maniera del tutto differente, percepivo le anime di chi mi stava intorno e la vera essenza di ogni singola pietra o foglia. Potevo volare senza ali, era come se facessi parte dell’aria gelida che avvolgeva la fortezza.
Io ero la Fiamma, e non mi ero mai sentita così bene prima di allora.
Ecco qual era il potere nascosto di Narya: poteva influenzare il Fuoco di Anor. 

Accanto a me si alzò in piedi Galadriel, ma anch’essa era diversa: la pelle era perlacea, dalle sfumature verdognole; l’abito bianco era divenuto quasi nero, così come la lunga chioma dorata. Sembrava essere stata affogata e riportata in vita. Irradiava luce pura e nella mano destra reggeva una fiala,  contenente dell’acqua nella quale era stata raccolta la luce di Eärendil, la Stella del Vespro. Nenya, l’Anello d’Acqua, le splendeva al dito.

Sentii lo spirito di Sauron cominciare a contorcersi dal dolore provocato dall’intensa luce. I Nazgûl scomparvero del tutto, mentre  la nuvola di fuoco si espandeva in rapidi scatti.

-Tu non hai alcun potere qui,  servo di Morgoth. Tu  sei senza nome, senza volto, senza forma. Ritorna nel vuoto da cui sei venuto!- dicemmo all’unisono, intensificando sempre di più la luce irradiata. 

La Fiamma si scontrò con il fuoco, respingendolo fino a scagliare via anche lo spirito di Sauron contenuto in esso. Sauron era stato sconfitto.
Galadriel cadde a terra tornando normale, ma una parte di me voleva rimanere in quello stato: dopotutto era quella la vera Custode. 

-Mia signora togliete l’Anello!- mi gridò Saruman. 

Mi voltai lentamente verso di lui, non intendevo dargli ascolto, non gli avrei mai ceduto Narya. Iniziai a provare un sentimento d’odio nei suoi confronti, l’Anello di Fuoco era mio. Ero pronta a colpirlo per punirlo, ma un istante prima di compiere l’irreparabile mi fermai.  Che cosa stavo facendo? Quella non era la vera me. 
Mi sfilai l’Anello immediatamente, lasciandolo cadere per terra ai miei piedi e tornando normale. 

-Siamo stati ingannati … - disse Elrond con tono serio.

-Lo spirito di Sauron ha resistito. - dichiarò Galadriel reggendosi ad Elrond.

-Ed è stato bandito!- esclamò soddisfatto lo Stregone Bianco, guardandomi con sospetto.

-Fuggirà verso Est. - constatai osservando il cielo nella direzione in cui Sauron era fuggito.

Sapevo che non sarebbe finita lì, la sua sete di potere era insaziabile.

-Gondor deve essere avvertita, deve mettere guardie sulle mura di Mordor!- esclamò il Signore di Gran Burrone.

-No, tu bada a Lady Galadriel, ha consumato molto del suo potere, le sue forze vengono meno. Portala a Lothlorien, là si potrà riprendere del tutto.

Saruman aveva ragione, Galadriel era molto indebolita, a stento si reggeva seduta con la testa appoggiata alla gamba di Elrond.

-Mio signore Saruman occorre dargli la caccia e distruggerlo, una volta per tutte!- esclamò Elrond, e aveva il mio pieno appoggio.

-Senza l'Anello del Potere Sauron non potrà più usare il dominio sulla Terra di Mezzo. Andate ora, tutti voi. Mithrandir ha bisogno del vostro aiuto mia signora, Erebor è in grave pericolo- disse rivolto a me, per poi voltarsi vero Mordor.

-Lasciate Sauron a me.
 
 

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Capitolo 22
*** Capitolo 21 ***


CONSIGLIO PER LA LETTURA: “Run boy run” di Woodkid.
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Dopo aver recuperato le mie armi, uscimmo velocemente dalla fortezza, che ritornò ad essere abbandonata. Con l’aiuto di Elrond accompagnai Galadriel, la quale stentava a reggersi in piedi, fino al cavallo del Re mentre Saruman si allontanò nella foresta da solo, diretto verso i confini di Mordor.  

-Devi raggiungere Mithrandir, segui le tracce della slitta di Radagast, ti condurranno alla sua dimora nella zona ancora sana del Bosco. - mi suggerì il Signore di Imladris salendo a cavallo dietro alla Dama per sorreggerla durante la cavalcata.

-Grazie mellonamin  (amico mio), ti sono debitrice. 

-Quando i tempi saranno più tranquilli avremo modo di ringraziarci a vicenda, ed anche di parlare di alcune questioni riguardanti il tuo legame con Sauron … ma adesso una battaglia ti attende. Erebor non deve cadere nelle mani del Nemico, conosciamo i pericoli che ne verrebbero. - Elrond mi prese una mano e la baciò dolcemente, per poi afferrare le redini preparandosi a partire - Ci rivedremo presto Belthil, aa’ lasser en lle coia orn n’omentha gurtha. (Che le foglie del tuo albero della vita mai appassiscano) 

-Aa’ menle nauva calen ar’ta hwesta e’ ale’quenle  (Possano le tue strade essere verdi e possa il vento accompagnarti). Prenditi cura di lei … - dissi riferendomi a Galadriel.

-Non preoccuparti, si riprenderà.

E dopo un ultimo cenno di saluto, Elrond spronò il cavallo e partì insieme a Galadriel per Lothlorien. Quando furono ormai lontani cominciai ad inseguire le tracce di Radagast, correndo veloce nel bosco e scansando i rami spinosi nelle piante. Più andavo avanti, più le foglie degli alberi iniziavano ad apparire meno grigie, i tronchi non erano più avvolti dai rovi, si riusciva a respirare con minore fatica. Arrivai di fronte ad una piccola casa, interamente costruita sui rami di una grossa quercia; anche se appariva non molto stabile, rappresentava a pieno la particolare personalità dello Stregone che vi abitava. Vicino all’ingresso vi era un esile arbusto, sul quale era stata costruita una piccola casetta per gli uccelli, mentre le radici dell’albero ospitavano diverse tane di piccoli animali selvatici, tra i quali numerosi ricci.

Dal retro della casa sentii provenire alcune voci, sicuramente appartenenti ai due Istari. Li raggiunsi arrivando alle spalle di Radagast, il quale aveva ceduto il suo bastone a Gandalf: era fatto di robusto legno di quercia e la parte superiore riprendeva la forma dei rami di un albero, tra i quali era incastonata una pietra azzurra dalla forma squadrata.
 
-Belthil! - esclamò sorpreso lo Stregone Grigio.  

Non riuscii più a trattenermi e corsi ad abbracciarlo. Lui era vivo, era sopravvissuto a Sauron, al diavolo il contegno.

-Non sai quanto sono felice di rivederti sano e salvo.- dissi senza interrompere l’abbraccio.

-Ed io sono altrettanto felice di rivederti ancora in piedi con tutte le tue forze. Ho visto lo spirito di Sauron attraversare il cielo diretto a Mordor, finalmente è stato cacciato da Bosco Atro.

-Ma non è ancora finita, il suo esercito è in marcia verso Erebor e deve essere fermato ad ogni costo.- affermai allontanandomi da lui.

-Cosa avete in mente di fare? - mi chiese Radagast.

-Combattere.- risposi appoggiando la mano sul fodero della mia spada.

-Io sono con te.- disse deciso Mithrandir.- Amico mio ci necessita il tuo cavallo!- esclamò rivolto allo Stregone Bruno, per poi cominciare ad incamminarsi verso di esso.

-Mithrandir aspetta …

L’Istari si voltò verso di me, chiedendomi se ci fosse qualcosa che non andava. Io abbassai lo sguardo e portai una mano al fianco, dove in una tasca portavo l’Anello di Fuoco. Era sempre stato lì, come un pesante fardello, e la tentazione di indossarlo era stata molto forte. Con Narya in mio possesso avrei potuto essere la vera Custode di cui la Terra di Mezzo aveva bisogno, avrei potuto governarla come una regina. Dopotutto ero nata per regnare su Dormor, nelle mie vene scorreva sangue reale.

Gandalf si avvicinò lentamente a me, afferrandomi dolcemente la mano. Aveva capito tutto.

-Dammi retta, è meglio che lo prenda io. - mi disse riprendendosi l’Anello.

All’inizio venni pervasa dall’istinto di attaccarlo, di proteggere ciò che mi aveva ceduto a Dol Guldur, ma improvvisamente mi sentii più leggera, non avevo più quella brama di potere che mi aveva stretto il cuore. Sapevo di aver fatto la cosa giusta nel lasciarglielo prendere.

-Adesso possiamo partire.- affermai superando Mithrandir e salendo velocemente a cavallo.

Era strano cavalcare per la prima volta  un cavallo che non fosse Akira, era come se qualcosa fosse fuori posto. Akira aveva significato tanto per me e il dolore per la sua perdita era ancora recente, tanto da indurmi a scendere dalla sella e percorrere la strada a piedi. Volare era fuori discussione.

-Ti seguirò correndo.- dissi a Gandalf mentre saliva in sella sul cavallo di Radagast, il quale ci salutò da lontano per poi entrare nella sua dimora.

Infine lo Stregone Grigio spronò il cavallo al galoppo ed io iniziai a correre a velocità sufficiente per stargli a fianco. I miei piedi si muovevano a tempo con gli zoccoli del cavallo, il vento mi sferzava la pelle del viso e mi scompigliava i capelli. 

Percorremmo diverse miglia senza incontrare alcun esercito, sembrava essersi dissolto nel nulla. Un brivido mi percorse la schiena, avevo un brutto presentimento.  Io e Gandalf ci lanciavamo diversi sguardi carichi di preoccupazione: come era possibile che intere legioni di Orchi fossero scomparse senza lasciare alcuna traccia?

Finalmente arrivammo alle pendici della Montagna Solitaria, davanti alla quale si ergevano le rovine della città di Dale. Prima dell’arrivo di Smaug era stata una città fiorente e ricca, grazie anche al commercio con i Nani di Erebor e gli Elfi Silvani di Bosco Atro, ma il Drago aveva distrutto ogni cosa con le sue fiamme. Gli Uomini che vi abitavano furono costretti ad abbandonare la città e ne fondarono una nuova sul Lago Lungo, Esgaroth. Tutto era rimasto esattamente come era dopo l’attacco di Smaug: le case semi-distrutte dal fuoco, le alte torri campanarie crollate, il palazzo del Governatore senza quasi più la sua cupola. 

Ma non era disabitata come avevo immaginato: gli Uomini del Lago erano tornati nella loro città, e non erano soli. Da lontano riuscivo a vedere chiaramente lunghe file di Elfi che riempivano le strette vie che portavano al palazzo centrale. Elfi che indossavano armature dorate e lunghi mantelli scuri come le cortecce degli alberi. Elfi che conoscevo bene.

-Dobbiamo avvertirli dell’enorme minaccia che incombe su di loro, ma non sarà facile arrivare fino al palazzo …- disse Gandalf rallentando l’andatura del cavallo.

-Vai avanti tu, ti lasceranno sicuramente passare. Io ti raggiungerò seguendo una via secondaria, farò in modo che nessuno si accorga della mia presenza. 

-Perché mai dovresti farlo? Tu sei la Custode, le guardie elfiche non ti opporranno alcuna resistenza.

-Io non ne sarei così sicura …- sospirai guardando l’Istari dritto negli occhi. -Ti raggiungerò presto, non preoccuparti. Adesso vai, avverti i loro superiori del pericolo!- esclamai infine dando una pacca al suo cavallo per farlo partire. 

Pochi minuti dopo vidi Gandalf entrare nelle mura della città e farsi largo tra la folla nelle strade, diretto verso il palazzo. Avrei dovuto iniziare ad avvicinarmi anche io, ma rimasi ferma a guardare Dale da lontano. Sapevo bene chi avrei incontrato se fossi entrata in quella città, qualcuno che probabilmente non aveva alcuna intenzione di rivedermi. Ma Uomini ed Elfi correvano lo stesso pericolo, ed io non li avrei abbandonati prima della battaglia.

Feci un respiro profondo, cercando di mettere da parte tutte le mie indecisioni, prima di correre velocemente ai piedi delle mura dove non vi erano vedette. Appoggiai le mani al muro di pietra davanti a me, cercando dei punti di appoggio tra le crepe dei mattoni; volando avrei attirato troppa attenzione, quello era l’unico modo di entrare a Dale. Iniziai lentamente a scalare le mura, rompendo la pietra a mani nude per crearmi punti di appoggio dove non vi erano. Quando arrivai in cima, con le nocche sanguinanti, saltai sul tetto di una abitazione vicina, facendo attenzione a non far crollare il tetto pericolante. Continuai a saltare silenziosamente da una casa all’altra, quando nelle vie sottostanti non passava nessuno, ma più mi avvicinavo al palazzo più era difficile trovare strade deserte. Decisi di entrare furtivamente in una casa abbandonata, dove trovai un vecchio mantello impolverato dal cappuccio abbastanza grande per coprirmi il volto: mi sarei confusa tra la folla. Indossai il mantello togliendo prima lo spesso strato di polvere che lo ricopriva, per poi uscire dalla porta dell’abitazione nel momento esatto in cui passavano più persone in strada. 

Nessuno fece caso a me, perciò continuai a camminare a testa bassa cercando di non incrociare lo sguardo di chi veniva dalla direzione opposta. Riuscii ad arrivare ai piedi del palazzo, esattamente sotto alla cupola semi-crollata, ma più avanti vi erano numerose guardie, per cui mi appoggiai al muro come se dovessi attendere qualcuno prima di oltrepassare il cordone di Elfi soldati. In realtà utilizzai i sensi potenziati dalla Fiamma per riuscire a sentire se qualcuno fosse nella sala del palazzo sottostante alla cupola, e fortunatamente riconobbi la voce di Mithrandir. 

Stava discutendo animatamente riguardo alla posizione strategica di Erebor, Regno dei Nani pericolosamente vicino all’antico Regno oscuro di Angmar: era riuscito a farsi condurre dai comandanti dei due popoli, i quali però non sembravano dargli retta. 

Avevano bisogno di una maggiore motivazione.
Mi tolsi di scatto il mantello e chiamando mentalmente la Fiamma feci un balzo verso l’alto, abbastanza da poter atterrare in quella sala esattamente al fianco di Gandalf. 

Alzai lo sguardo lentamente, incontrando prima lo sguardo sorpreso di un uomo, il quale aveva fatto un passo indietro per lo spavento ed aveva portato una mano sull’impugnatura della sua spada.

Poi vidi lui.
Dopo più di tre secoli rividi quei lunghi capelli biondo chiaro, quelle folte sopracciglia, quegli occhi azzurri come il cielo ma freddi come il ghiaccio.

Thranduil.

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Capitolo 23
*** Capitolo 22 ***


CONSIGLIO PER LA LETTURA : “Ancient light” di Allman Brown 
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Thranduil’s p.o.v

Pochi istanti prima stavo discutendo con Mithrandir e Bard l’Arciere sulla remota possibilità di un attacco del Nemico, cosa alquanto improbabile visto che le mie guardie ai confini non avevano avvistato alcun esercito in marcia. Ma poi, come una stella cadente, al fianco di Mithrandir comparve lei.

Belthil.

Alzò lentamente lo sguardo, fino a quando non lo incrociò con il mio. Mi pervase subito uno strano sentimento, un misto di odio e rimorso: la odiavo ancora per quello che era accaduto a Mordor, mio padre era morto a causa sua; ma nello stesso tempo rimpiangevo quella scelta di tenerla lontana da me, di bandirla per sempre dal mio freddo cuore di pietra.

Anche se per un Elfo tre secoli non erano altro che un granello di sabbia nella clessidra della sua vita immortale, notai che qualcosa in lei era cambiato profondamente. La luce del suo volto si era offuscata, non risplendeva più come quando era appena arrivata dalle Terre Immortali, era come se fosse stata catturata da una tetra ombra. Gli occhi chiari erano spenti, sembravano quasi privi di vita; i lunghi capelli rossi erano stati tagliati appena sopra le spalle, gli abiti erano strappati e macchiati di sangue rappreso, eppure il suo corpo non presentava alcun segno di ferite.

Cosa le era accaduto? Non era più la Custode che avevo conosciuto ad Imladris.

Sentii Bard fare un passo indietro ed impugnare d’istinto la spada, sorpreso per l’inaspettato arrivo, mentre Gandalf era rimasto impassibile: sapeva che sarebbe arrivata. 

-Abbassate quell’arma Bard, davanti a voi avete la Custode della Fiamma Imperitura, non avete nulla da temere.- esclamò l’Istari.

A quelle parole l’uomo ritrasse subito la mano dall’arma, per poi fare un profondo inchino.

-Mia signora perdonatemi, non avevo idea di poter ricevere una vostra visita. Il mio nome è Bard, sono momentaneamente a capo degli Uomini del Lago dopo l’attacco di Smaug alla nostra città.- disse compiendo la riverenza.

Notai una leggera smorfia sul viso di Belthil, come se non fosse a conoscenza della morte del Drago.

-Alzatevi pure Bard, non avete nulla da perdonare, so quanto il mio arrivo possa essere inaspettato …

La sua voce. Finalmente risentii dopo tanto tempo la sua melodiosa e dolce voce, forse l’unica cosa che non era mutata in lei. Nel mio cuore di pietra si formò una minuscola crepa, ma immediatamente ripresi il controllo dei miei sentimenti. 

-Infatti non capisco come mai siate qui, non abbiamo alcun bisogno di voi.- dissi con voce dura, l’astio aveva preso il sopravvento.

Le mie parole per lei furono come uno schiaffo in pieno viso, infatti riuscii a sentire che il suo respiro divenne irregolare e leggermente più pesante, gli occhi si aprirono maggiormente e strinse i pugni ai fianchi. Sapevo che stava cercando le giuste parole da dire, ma decisi comunque di non darle tempo per rispondere.

-Non intendo accettare alcun tipo di consiglio da voi, avete già causato abbastanza danni al mio popolo. 

Bard mi guardò con aria stranita, non aveva idea di cosa avevo passato per colpa di Belthil.

-Thranduil ascoltami … - disse lei con voce tremante.

-No, non provare a convincermi a prestarti attenzione. Noi abbiamo chiuso tanto tempo fa, e così sarà ancora per molti anni. 

-Ma adesso non si tratta di noi! Non ti rendi conto che ad essere in pericolo è l’intera Terra di Mezzo?!Ho visto l’armata di Azog con i miei occhi, e se non metterai da parte i tuoi sentimenti ti posso assicurare che condannerai tutti quanti i popoli alla rovina.

Mettere da parte i miei sentimenti? Come avrei potuto farlo? Dopotutto anche lei non ne era mai stata in grado. Sapevo che presto avrei perso il controllo di me stesso, e non sarebbe bastato il vino a farmi calmare.

Avevo bisogno di rimanere da solo con lei, di mostrarle una volta per tutte tutto il dolore che mi aveva arrecato con le sue egoistiche scelte.

-Seguimi.- le dissi indicando la mia tenda allestita lì vicino - Lasciateci soli.- ordinai invece a Mithrandir e a Bard, i quali si scambiarono sguardi sopresi per la mia improvvisa decisione. 

Belthil mi seguì titubante nella tenda, che chiusi immediatamente non appena fummo entrambi all’interno: nessun altro doveva vedere il mio dolore.
Lei era immobile vicino al piccolo tavolo al centro della tenda, e non aveva mai distolto lo sguardo da me. Cercava di decifrare in qualche modo la mia espressione dura e distaccata, ma presto avrebbe capito ogni cosa. 

-Desiderate del vino?- le chiesi mentre presi una brocca colma di quella bevanda, versandone una buona dose nel mio bicchiere di cristallo.

La mia domanda la colse di sprovvista, probabilmente si aspettava una mia sfuriata.

-N-no … perché mi dai del voi? Sai che non è necessario …- sussurrò, ma ignorai completamente la sua domanda.

-Peccato, vorrà dire che ce ne sarà di più per me. Devi sapere che il vino è diventato quasi una cura per me, non riesco più a farne a meno. Mi fa dimenticare per alcune ore ciò che è passato, mi salva dai miei molti ricordi ... soprattutto da quelli a partire dal mio ritorno da Mordor. -feci una breve pausa, mentre quei maledetti ricordi riaffioravano nella mia mente.
- Tornai senza più un padre, senza più un Re per il mio popolo. Non ero pronto a prendere il suo posto, ma non avevo scelta. Dovetti dire a molte mogli che i loro mariti non sarebbero mai più tornati a casa, consolai i loro pianti strazianti, le aiutai in ogni modo possibile a prendersi cura dei loro figli, a volte rimasti senza entrambi i genitori. Ma mentre il popolo mi vedeva come un Re buono e compassionevole, io stavo morendo dentro. Ogni singola notte rivivevo in sogno la battaglia a Mordor, ogni momento di quella strage era impresso nella mia mente. Eppure ciò che mi tormentava maggiormente era l’enorme peso che improvvisamente era ricaduto sulle mie spalle, non appena avevo visto la vita di mio padre spegnersi nei suoi occhi. Senza accorgermene stavo cadendo in un profondo baratro, dal quale forse non mi sarei più sollevato. Lentamente il popolo cominciò a notare che stavo perdendo il controllo di me stesso, infatti quasi tutte le sere mi trovavano steso a terra con in mano una brocca di vino. Il vino era l’unica cosa che allontanava i sogni. Sogni in cui comparivi anche tu, Belthil. Tu eri l’unica che sarebbe stata in grado di impedire tutte quelle morti, ma non hai mosso un dito per fermare Sauron: hai osservato dalla sua alta fortezza oscura migliaia di persone morire per te, hai lasciato che Sauron scendesse in campo. Hai permesso che mio padre morisse. Per te provavo un rancore quasi incontrollabile, solo il tempo è riuscito ad attutirlo, ma non a farlo scomparire del tutto.

Dai suoi occhi scesero alcune lacrime che le bagnavano le guance arrossate: finalmente si era resa conto di ciò che avevo passato solo ed unicamente a causa sua. 

-Voglio sapere il motivo. Voglio sapere perché hai ucciso mio padre Oropher, perché hai deciso di distruggermi. Tu sapevi quanto io tenessi a te, eppure mi hai pugnalato alle spalle.

-Davvero vuoi saperlo? - mi chiese tremante.

-Ho vissuto trecento anni di sofferenza per questo, credo di meritarmi una risposta.

Belthil prese fiato, provando a trattenere le lacrime. Passarono diversi attimi di silenzio, non riuscivo a capire come mai esitasse così tanto. Avrebbe dovuto essere una risposta abbastanza facile da conoscere, eppure sembrava avere paura di dire la verità, e forse aveva ragione ad averne.

-In quella torre io sono morta, non solo spiritualmente, ma anche fisicamente. Sauron un tempo era mio fratello, o meglio, il suo corpo racchiudeva lo spirito di mio fratello. Ma un giorno l’Oscuro Signore si riprese ciò che era suo, sterminando la mia famiglia e tutto il mio regno. In quel momento una minuscola parte del suo spirito malvagio si aggrappò al mio, creando un legame indissolubile tra noi. Da qual momento diventai parte di lui, non avrei più potuto controllare me stessa. E fu quello che accade durante la battaglia: lui prese il controllo su di me, per questo non riuscii ad impedire nulla di tutto ciò che accadde a Mordor. Ma non potevo sopportare di veder morire altri innocenti davanti ai miei occhi, e per spezzare il legame vi era un unico modo: sarei dovuta morire. E così feci, mi infilai un pugnale dritto nel cuore. Eppure la mia anima non era ancora pronta per tornare alle Terre Immortali, il mio vero destino doveva ancora avverarsi. Fui riportata in vita unicamente grazie alla Fiamma Imperitura, ma essa non riuscì a rimarginare del tutto la ferita: questa è l’unica cicatrice che non scomparirà mai dal mio corpo, un segno indelebile del legame con Sauron.

Mi crollò letteralmente il mondo addosso: avevo passato tutti quegli anni ad odiarla con tutto me stesso, quando in realtà era innocente. Anzi, il suo sacrificio aveva salvato la maggior parte di noi: spezzando il legame aveva indebolito Sauron, permettendo così ad Isildur di mozzargli il dito su cui portava l’Anello Sovrano e di sconfiggerlo. In realtà dovevo la mia vita a lei. Mi pentii di averla bandita, di averle dato l’intera colpa senza conoscere tutta la verità, di averla fatta soffrire. Mi ero lasciato vincere dalla rabbia e dal rancore, ero io stesso la causa del mio fallimento come Re degli Elfi Silvani.

Lei rimase immobile, non riusciva più a trattenere il pianto. Lei era rimasta sola, non vi era nessuno che avrebbe potuto consolarla. Il mio cuore si aprì ancora una volta per Belthil, decisi che da quel momento non l’avrei più lasciata sola. Mi avvicinai a lei e la avvolsi dolcemente tra le mie braccia, asciugando con le dita le sue lacrime.

-Perdonami, sono stato uno stupido ad addossarti tutta la colpa. Tu non hai fatto altro che salvarmi la vita, e di questo te ne sarò per sempre grato.- le sussurrai all’orecchio.

Lei rimase incredula per qualche istante, per poi abbracciarmi stretto senza interrompere il suo pianto. Era come se si fosse liberata di un enorme peso, e che quelle lacrime fossero lacrime di liberazione e di gioia. Ma non era così, c’era qualcos’altro che la tormentava, qualcosa che la faceva soffrire in un modo intollerabile, ed io sapevo di cosa si trattava: Calen non era mai stato ritrovato.

-Queste lacrime non sono solo per me, non è vero?- le domandai, e lei annuì timidamente sul mio petto. - Calen ha lasciato un vuoto incolmabile nel tuo cuore, non sai quanto sono addolorato per la tua perdita …

-Ma io non l’ho perso: Calen è ancora vivo.

Rimasi sorpreso dalle sue parole, come era possibile che fosse tutt’ora in vita? E se ciò era vero, dove si trovava? Belthil anticipò le mie domande, distaccandosi leggermente da me.

-Durante tutti questi anni ho passato ogni singolo giorno a cercare qualche sua traccia, sapevo che non era morto. Noi siamo legati, anche adesso riesco a percepire la sua presenza. Ma finalmente ho scoperto dove si trova: è tenuto prigioniero da uno dei più pericolosi e malvagi seguaci di Sauron. Davoch, comandante degli Elfi Corrotti.

Quel nome mi colpì come una pugnalata dritta al cuore.

-C’è qualcosa che non va?- mi chiese Belthil preoccupata per il mio repentino cambiamento d’espressione. 

Il mio cuore ricominciò ad essere freddo, avevo bisogno di aria. Sciolsi velocemente l’abbraccio, allontanandomi di nuovo da lei. 

-Non ti ho raccontato ancora tutto riguardo a ciò che avvenne in quegli anni … - dissi con un filo di voce.

Anche Belthil mutò espressione, irrigidendosi nuovamente. 

-Quando fui sul punto di toccare il fondo del baratro in cui ero caduto, alla mia corte arrivò una giovane Elfa, proveniente da Lórien. Non appena la vidi la mia vita cambiò, vidi una luce tra le tenebre che mi circondavano. Il suo nome era Earinë, ed era la fanciulla più pura che io avessi mai visto durante la mia lunga vita: la sua lunga chioma dorata le contornava il dolce viso, la pelle chiara come la luna era accentuata dagli occhi azzurro tenue, dalle sfumature grigie e verdi; esile di corporatura, ma tenace e forte di spirito, mi colpì fin dal primo istante. Non riuscivo più a fare a meno di lei, era diventata la mia guida per uscire dal baratro. Con lei al mio fianco a piccoli passi riuscii a ritornare me stesso, ad essere felice. Earinë era la mia Melamin, e non passò molto tempo prima che le chiesi di sposarmi.
Insieme passammo anni felici, ed il culmine della nostra gioia fu la nascita di nostro figlio: Legolas. Finalmente avevo una famiglia per cui sarei stato disposto a morire ed un erede a cui avrei insegnato tutto ciò che conoscevo. Più mio figlio cresceva e più rivedevo in lui molti tratti di Oropher, non potevo essere più orgoglioso di lui. Ma la nostra felicità non era destinata a durare: Legolas aveva poco più di quattro anni quando arrivò una lettera da Lothlorien, scritta personalmente da Lady Galadriel. Ella chiedeva l’immediato ritorno di Earinë a Lórien per contrastare un massiccio attacco i Orchi provenienti dal freddo Nord. Io mi opposi con tutto me stesso, ma mia moglie non poteva voltare le spalle alla sua gente. Partì all’alba del giorno successivo con parte del mio esercito, lasciandomi solo con mio figlio. “Tornerò, te lo prometto” mi disse prima di andarsene, baciando la fronte di Legolas  che scalpitava tra le mie braccia, ma non fece mai ritorno. Diversi mesi dopo la sua partenza  ricevetti un’altra lettera da Galadriel, nella quale diceva che i soldati di Earinë erano caduti in una imboscata degli Elfi Corrotti. Di lei non c’era più traccia. Senza pensarci due volte radunai il resto dell’esercito e corsi sul luogo dell’accaduto, ai confini del Regno di Dama Galadriel; durante la mia assenza Legolas venne affidato a Galion, uno dei miei servitori più fidati. Al mio arrivo non trovai nient’altro che i resti della battaglia,  ma le tracce dei nemici erano ancora ben visibili sul terreno fangoso e conducevano a Nord, oltre la fortezza oscura di Gundabad, dove le forze del Male stavano crescendo senza alcun tipo di controllo. 

Interruppi per qualche secondo il racconto, quella parte mi arrecava ancora molta sofferenza. 

-Fu lì che la ritrovai. Al centro dell’armata degli Elfi Corrotti, sopra ad una montagna di cadaveri, Davoch la teneva sollevata per il collo, non lasciandola quasi respirare. Non potevo raggiungerla, ero impotente mentre quell’orrida creatura la mostrava al suo oscuro esercito come se fosse un trofeo. Le tagliò la gola davanti ai miei occhi. Accecato dalla rabbia, cercai invano di raggiungerlo per ucciderlo con le mie mani, ma venni ferito gravemente al volo da un mostro sputa-fiamme, una sottospecie di Drago. Le mie guardie mi fecero da scudo con i loro corpi, e mi portarono via da lì. Ma il corpo di Earinë rimase dov’era, ai piedi di Davoch che rideva. Da allora ricaddi di nuovo nel baratro, chiusi il mio cuore a tutti, compreso a mio figlio, il simbolo dell’amore che avevo perduto. Feci chiudere nelle segrete tutti gli oggetti appartenuti a lei, mentre la statua che i miei sudditi fecero in suo onore venne portata ai confini di Bosco Atro, dove nessuno avrebbe potuto vederla. A causa di Davoch ho perso la mia Melamin, l’unica che abbia mai amato così profondamente. Uccidendola mi ha strappato il cuore, ed io intendo fare altrettanto nei suoi confronti. 

Questa volta fu Belthil che mi strinse tra le sue braccia, un abbraccio carico di affetto e di consolazione. Affondai il mio viso nei suoi capelli rosso fuoco, e solo allora compresi a pieno una mia scelta passata. Anni prima, mente perlustravo i remoti confini del mio regno, mi ero imbattuto in un villaggio elfico distrutto in un tremendo attacco degli Orchi. Nessuno sembrava essere sopravvissuto, ma sentii un debole pianto provenire da dentro una abitazione quasi del tutto crollata. Il pianto era quello di una bambina che stava distesa a terra accanto ai corpi esanimi dei genitori. Erano passati solamente pochi anni dalla morte di Earinë , ma quella piccola Elfa rimasta orfana mi colpì nel profondo. Aveva lunghi capelli rossi, la pelle chiara, le orecchie a punta leggermente sporgenti ed occhi azzurro cielo. Il suo nome era Tauriel.

Solo in quel momento realizzai che somigliava molto a Belthil, e forse era stato anche uno dei motivi che mi indussero a prenderla sotto la mia protezione, senza che me ne accorgessi. In realtà non avevo mai abbandonato Belthil, in qualche modo era rimasta accanto a me.

-Non sei l’unico a volerlo vedere morto.- mi disse -Davoch presto sarà qui insieme all’armata di Sauron, permettimi di sconfiggerlo in battaglia e di farmi rivelare dove tiene prigioniero Calen. Poi potrai farne ciò che vorrai.

Io accettai, il momento della mia vendetta stava finalmente per arrivare. 
  

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Capitolo 24
*** Capitolo 23 ***


CONSIGLIO PER LA LETTURA : “ Let it all go” di Birdy.
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Rimanemmo immobili per qualche istante, ancora stretti nel nostro lungo abbraccio. Non riuscivo a muovermi, le parole di Thranduil mi avevano colpito nel profondo del mio cuore distrutto. Mordor lo aveva condotto quasi alla rovina, ma lui aveva saputo rimanere in piedi per il suo popolo. Era caduto, e si era rialzato. 

Aveva amato, ma Earinë gli era stata brutalmente portata via. Era caduto di nuovo, e si era rialzato ancora una volta.

Ad ogni caduta il suo cuore si era indurito, e più la risalita era stata alta, più la nuova caduta lo aveva reso freddo come la nuda pietra. Non avrebbe mai potuto essere in pace, il dolore aveva scavato troppo a fondo nella sua anima. Perdere il proprio Melamin significava morire dentro, e difficilmente si poteva superare quella perdita così grande. Ma Thranduil aveva resistito, nonostante l’immensa sofferenza.  

In qualche modo riuscivo a comprenderlo, ma non del tutto: sapevo che Calen era ancora vivo, mentre Earinë era stata uccisa davanti ai suoi occhi, lasciandolo solo con il loro unico figlio. Il loro prezioso legame era stato spezzato per sempre; Earinë aveva lasciato un segno indelebile sul suo cuore, e nessuno avrebbe potuto rimuoverlo. 

Finalmente compresi le parole di Galadriel ad Imladris, così come il suo sguardo triste e sofferente: si sentiva in colpa per la morte di Earinë, anche se il vero colpevole era tutt’altra persona.

Davoch. Thranduil non aveva fatto altro che darmi una ragione in più per sconfiggerlo una volta per tutte. Non lo avrei ucciso, qualcun altro aveva il diritto di giustiziarlo, ma lo avrei certamente fatto soffrire se non mi avesse detto dove si trovava Calen. Il mio odio nei confronti dell’oscuro comandante degli Elfi Corrotti non  era lontanamente paragonabile a quello che provava Thranduil, ma abbastanza intenso da non essere quasi controllabile. 

Ma ancora non conoscevo il motivo per cui gli Elfi di Bosco Atro avevano marciato su Dale, già pronti per una battaglia. Mi distaccai da Thranduil, domandandogli una spiegazione. Il suo volto ritornò ad essere duro, come se la nostra riappacificazione fosse svanita in un solo istante.

-La compagnia di Thorin Scudodiquercia ha riconquistato Erebor- disse- ma in quella montagna i Nani custodiscono qualcosa che mi è stato sottratto ingiustamente, ed io pretendo che mi venga restituito.

-Di cosa si tratta?- chiesi titubante.

-È un antico cimelio del mio popolo: le bianche gemme di Lasgalen. Con esse avevo fatto realizzare alcuni preziosi gioielli che avevo donato ad Earinë il giorno del nostro matrimonio. Non hanno alcun diritto di possederle.- esclamò alzando il tono della voce.

-E credi che ti daranno ascolto sostando con l’intero esercito alle porte della loro Montagna?

-Tu non conosci l’avidità dei Nani …

-Non conoscerò la loro avidità, ma conosco bene il loro popolo. Sono stata ospite dei Nani dei Colli Ferrosi, e da essi ho imparato molto sulla stirpe di Durin: non otterrai nulla con la violenza, soltanto morte e rovina. Ho fatto parte della compagnia per alcuni giorni, lascia che tenti di parlare con Thorin, forse riuscirò ad ottenere un compromesso.

Thranduil rimase per qualche istante perplesso, non riusciva a credere che un’Elfa potesse essere accolta dai Nani, neanche se l’Elfa in questione era la Custode.

-Non accetterò nessun compromesso, devono restituirmi ciò che è mio e rispettare il patto fatto agli Uomini di Esgaroth.- disse infine versando ancora del vino nel bicchiere. 

-Thranduil …- tentai di ribattere, ma venni interrotta quasi immediatamente.

-Sarai stremata per il lungo viaggio, e avrai bisogno di abiti puliti … - decise di cambiare discorso, ma sapevo che aveva ragione.

In quel momento sentii il peso della stanchezza divenire sempre più premente sulle mie spalle stanche; desideravo togliermi quegli abiti e pulirmi dal fango e dal sangue rappreso. Non ero di certo nelle mie migliori condizioni.
Aprì la tenda e chiamò a sé un paio di soldati.

-Allestite una tenda per la Custode e portatele degli abiti puliti.- ordinò il sovrano degli Elfi Silvani. - Ho bisogno di rimanere solo … - sussurrò infine abbassando lo sguardo.

Dietro le spalle dei soldati riuscii a scorgere lo sguardo preoccupato di Mithrandir, affiancato da Bard. 
Mi avviai lentamente verso l’uscita, ma prima di proseguire oltre mi voltai verso Thranduil. La mano nella quale reggeva il bicchiere aveva iniziato a tremare: stava cercando di trattenere il più possibile le sue emozioni.

-Rifletti bene su ciò che stai per fare, il tuo vero nemico non risiede in quella Montagna.- dissi guardandolo dritto negli occhi, per poi lasciarmelo alle spalle.

Venni subito accerchiata da una decina di guardie elfiche, ma riuscii ad incrociare lo sguardo di Gandalf rassicurandolo. Sapevo che voleva chiedermi cosa fosse accaduto, tuttavia io non ero in grado di parlare in quel momento; Thranduil non era l’unico a voler rimanere solo.

Le guardie mi condussero attraverso l’accampamento, mentre al nostro passaggio Elfi e Uomini facevano un inchino con il capo. Arrivammo di fronte ad una grossa tenda, circondata su ogni lato da una fila di guardie. Due di esse mi aprirono l’entrata, dalla quale pendevano delle lanterne ai lati, per poi chiudere velocemente la tenda dopo il mio passaggio. Finalmente ero sola.

Anche se era una tenda da campo, era stata allestita in modo impeccabile: il pavimento era coperto da un morbido tappeto, mentre al centro vi era un tavolo con del cibo e bevande di qualunque genere; ad un lato vi era una grossa bacinella colma di acqua calda, dove di fianco ad essa vi era una brocca argentata e bianchi teli. Il letto era coperto da una moltitudine di cuscini, e su di esso erano stati stesi alcuni abiti. Ma accanto ad esso, appesa con un molta cura, vi era una splendida armatura. Mi tolsi velocemente di dosso i miei vestiti logori, immergendomi poi nella bacinella; l’acqua rovente non mi infastidì la pelle, anzi fu come un piacevole sollievo. Quando ebbi finito di pulirmi, uscii e mi avvolsi in un lungo telo. Infine mi infilai una semplice camicia da notte verde, dalle maniche lunghe a sbuffo. Non appena la mia testa toccò il cuscino, crollai in un sonno profondo.

Nella mia mente si susseguirono una serie di immagini confuse, eccetto una: un calice d’argento lucente, ricoperto di splendidi zaffiri e diamanti. Vicino ad esso vi era un corvo, dalle piume corvine lucide e dal lungo becco scalfito su un lato. L’animale iniziò a bere dal calice, facendo schizzare fuori alcune gocce del contenuto. 

Era sangue.

Il calice cadde, ed il sangue si sparse dappertutto, macchiando anche le piume del corvo. Improvvisamente spalancò le ali e si lanciò nella mia direzione, emettendo un forte acuto. Per un istante vidi la mia immagine riflessa negli occhi del rapace: in mano reggevo il mio arco, ed ero pronta a scagliare una freccia di Fiamma; il mio viso era coperto da profondi tagli e lividi,  gli abiti a brandelli, i capelli rosso fuoco di nuovo lunghi che fluttuavano nell’aria.

Poi non vidi più nulla.

Mi svegliai di soprassalto, con il respiro affannoso ed il cuore che martellava nel petto. Pochi secondi dopo sentii una guardia all’esterno discutere con un altro soldato, che domandava di poter entrare per consegnarmi un messaggio da Gandalf.
Scesi velocemente dal letto, mettendomi un lungo mantello blu sulle spalle, per poi uscire a piedi nudi dalla tenda.

-Mia signora sono desolato per averla disturbata, ma Mithrandir richiede subito la vostra presenza. -mi disse il soldato visibilmente allarmato: doveva essere accaduto qualcosa di grave.

Senza perdere altro tempo mi feci condurre dallo Stregone, il quale scoprii che si trovava nella tenda di Thranduil.  Affrettai il passo, non avevo un buon presentimento. Le guardie del Re mi fecero passare senza oppure resistenza, già avvisate del mio arrivo. 

Non appena fui dentro cercai subito Thranduil con lo sguardo. Vidi Bard seduto su uno sgabello, mentre Gandalf camminava avanti e indietro pensieroso; infine vidi lui, seduto su una sorta di trono in legno di quercia. Ma il motivo per cui mi avevano chiamata era in piedi al centro della tenda: Bilbo Baggins.

Per un istante sentii di nuovo la stessa strana sensazione che avevo provato nell’attraversare Bosco Atro, ma la gioia nel rivedere lo Hobbit la oscurò. Era cambiato molto dall’ultima volta che lo avevo visto ai confini del Bosco: il suo viso era provato dalle molte fatiche vissute, eppure sembrava aver perso parte della sua timidezza. Infatti si reggeva ritto in piedi difronte a Thranduil, nonostante esso lo guardasse con i suoi occhi freddi come il ghiaccio. Non indossava più i suoi comodi abiti da viaggio, ma vestiti che non erano certamente stati fatti per degli Hobbit: la giacca gli arrivava fin quasi a metà delle cosce e la cintura era stata stretta più volte per cingergli gli esili fianchi. 

Non appena Bilbo si voltò nella mia direzione, i suoi occhi si spalancarono per la sorpresa: non si sarebbe mai aspettato di ritrovarmi lì. Sul suo viso comparve un piccolo sorriso, che però venne fatto scomparire dalle dure parole di Thranduil, e notai una certa irritazione nel suo sguardo.

-Se non vado errato, costui è il mezz’uomo che ha rubato le chiavi delle mie segrete sotto il naso delle mie guardie.

-S-si, mi dispiace.- rispose Bilbo, mentre Bard sembrava quasi divertito nel sapere che uno Hobbit aveva saputo eludere la sicurezza del Reame Boscoso. -Sono venuto a darvi questo.

Sul tavolo appoggiò delicatamente un panno rosso e aprendolo lentamente rivelò una grossa pietra bianca, all’interno della quale vi erano innumerevoli sfumature di colori che facevano brillare il prezioso oggetto di luce propria: l’Arkengemma. 

-Il Cuore della Montagna,  il Gioiello del Re … -esclamò Thranduil alzandosi in piedi stupefatto, seguito da Bard.

-… e vale il riscatto di un Re. Come mai è tuo diritto donarlo?- chiese l’Uomo.

-È la mia quattordicesima parte del tesoro.- dichiarò Bilbo.

Io e Gandalf ci guardammo perplessi: Thorin non avrebbe mai ceduto quella pietra, per lui valeva più di qualsiasi tesoro. 

-Perché questo gesto? Non ci devi alcuna lealtà.- domandò nuovamente Bard.

-Non lo sto facendo per voi. So che i Nani possono essere ostinati, e capoccioni,  e difficili; sono sospettosi e riservati, ed hanno le maniere peggiori che si possano immaginare. Ma sono anche coraggiosi, gentili, e leali fin troppo... Mi sono affezionato a loro e vorrei salvarli se posso. Thorin tiene a questa pietra più che ad ogni altra, in cambio della sua restituzione io credo che vi darà quello che vi spetta. Non ci sarà alcun bisogno di guerra.

Nella tenda calò un profondo silenzio, la risposta di Bilbo ci aveva lasciati ammutoliti. Guardai Thranduil, sperando che cambiasse la sua decisione e risparmiasse i Nani. Gli era stato offerto un compromesso favorevole, che difficilmente avrebbe potuto rifiutare. Bard sembrava già propenso ad accettare il dono, mentre l’Elfo sembrava esitare. 

Feci un passo in avanti, ma prima che potessi dire qualcosa Thranduil alzò il capo e, guardandomi dritta negli occhi, espose la sua decisione definitiva.

-Accetto il vostro dono signor Baggins. Domani all’alba andremo alla porta di Erebor per effettuare lo scambio, ma se i Nani dovessero rifiutare… non esiterò a concludere la vicenda con il mio esercito.- fece una breve pausa, per poi domandarmi - Sarai al mio fianco? 

Tutti si voltarono verso di me, attendendo la mia risposta. Era arrivato il momento di prendere una decisione: schierarmi dalla sua parte, oppure voltargli le spalle. Non era possibile rimanere neutrali, in qualunque caso avrei dovuto scegliere per chi combattere. 

Ed io scelsi il cuore.

-Non ti abbandonerò.

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Capitolo 25
*** Capitolo 24 ***


I raggi del sole iniziarono a spuntare fievolmente da dietro le montagne, l’alba non era lontana. Non avevo chiuso occhio da quando ero tornata nella tenda, qualcosa mi tormentava. L’ultimo sogno continuava a tornarmi in mente, senza darmi un attimo di pace; avevo uno strano presentimento, ma decisi di metterlo da parte. 

Dall’esterno sentii i soldati cominciare a muoversi in marcia verso le mura della città; era arrivato il momento di indossare l’armatura. Era stata posta su di un piedistallo accanto al letto, lucida e splendente: lo stretto corsetto metallico sembrava fatto d’argento ed era ornato da sottili strisce di metallo color blu oceano, mentre i pantaloni di cuoio scuro erano rinforzati sulle ginocchia e all’altezza delle cosce; le spalle erano coperte da un mantello blu scuro decorato con fili argentati, fermato da spallacci argentei a forma di ali, grandi abbastanza da coprirmi le scapole. Agli avambracci mi infilai lunghe polsiere metalliche, mentre ai polpacci lucenti gambali legati a nere calzature. 

Infine mi legai alla cinta il fodero della spada, nascosi alcuni pugnali e riempii la faretra di frecce, per poi allacciarla dietro la schiena mediante un laccio di cuoio. Per ultimo presi il mio arco.

Uscita dalla tenda, venni scortata al luogo di raduno stabilito la sera precedente, ovvero la piazza di fronte al vecchio palazzo del Governatore. Là mi attendevano Thranduil e Bard, invece Mithrandir aveva scelto di rimanere con il gruppo di uomini che ci avrebbe seguito, scortato  dall’armata di Elfi Silvani. Bard cavalcava un bianco stallone, mentre Thranduil sedeva su un maestoso ed imponente megacero, simile al cervo ma dalle maggiori dimensioni e dalle robuste corna ampie quanto un arco di pietra. Rimasi incantata dalla bellezza di quell’animale, il quale sembrava accettare solamente Thranduil come suo cavaliere. 

Sul volto del Re degli Elfi Silvani comparve una cupa espressione non appena mi vide arrivare in tenuta da guerra: l’ultima volta che mi aveva vista così eravamo a Lothlorien, alla vigilia della grande battaglia di Mordor . Sapevo che quei tremendi ricordi stavano tornando alla sua mente, eppure rimase pressoché impassibile; ormai aveva imparato a nascondere il suo dolore.

-Mia signora cavalcherete al nostro fianco?- mi chiese Bard.

-Io non credo che. …

-La vostra presenza alla guida dell’esercito infonderà coraggio ai soldati, cosa di cui hanno bisogno soprattutto gli Uomini del Lago. Voi siete la Custode, siete la nostra protettrice, ed i protettori non si tirano indietro davanti ai nemici. - mi interruppe Thranduil.

-Se credi che la mia riluttanza sia dovuta alla codardia ti sbagli, non intendo sottrarmi al mio compito, ma vi seguirò a piedi.- insistetti.

-Che fine ha fatto il vostro destriero? Se non sbaglio vi è sempre stato fedele, vi ha portato attraverso interi regni ed immense vallate, basta che lo convocate ed esso galopperà subito da voi. 

-Akira non batte più i suoi zoccoli su questa terra. - sospirai abbassando lo sguardo, al quale seguì un breve momento di silenzio.

-So che vi era stata data in dono da Gil-Galad in persona, posso capire la vostra riluttanza: Akira apparteneva alla Razza Immortale, il suo valore era inestimabile. Ma adesso vi prego di accettare un nuovo dono da parte mia, anche se non potrà mai eguagliare quello offertovi dal Signore di Mithlond.–  esclamò Thranduil, mentre un soldato fece avanzare un cavallo che portava sul petto le insegne di Valinor, considerato da molti il mio regno natio.

Il mantello dello stallone era sauro dorato, mentre i crini abbondanti e lievemente ondulati erano chiari; il muso aveva un profilo rettileo e presentava una lunga striatura bianca fino alle narici. Gli occhi scuri erano profondi e trasmettevano sicurezza,  forte e compatta era la sua struttura fisica. Sulla schiena era stata montata una sella di cuoio nero, decorata da fili argentati che formavano elaborate trame, così come per le lunghe redini.

Posai una mano sulla fronte del cavallo, il pelo era morbido e caldo. 

-Il suo nome è Namid, ti servirà bene.- continuò Thranduil, mentre io mi decisi a montare a cavallo: Akira sarebbe rimasta per sempre nella mia memoria, ma in quel momento dovevo guardare avanti e fare ciò per cui i Valar mi avevano inviato sulla Terra di Mezzo. 

-Date il segnale alle truppe, iniziamo a muoverci verso la porta di Erebor.- esclamò Bard ad un capitano elfico, il quale soffiò all’interno di un corno per avvisare l’intera armata. 

Affiancata dai due sovrani, percorsi le strette vie di Dale, per poi infine uscire dalle mura della città dirigendomi dritta verso la Montagna. Le truppe si schierarono davanti alla porta, aprendo le file per consentirci il passaggio. La porta di Erebor era stata sbarrata da un muro di macigni, sulla cui cima, riparata da un alto parapetto, vi era la compagnia di Thorin Scudodiquercia.

I Nani indossavano le antiche armature della loro stirpe, per nulla intaccate dal tempo trascorso in mezzo alla polvere ed alle ragnatele. I loro volti erano tesi ed intimoriti, tutti tranne quello di Thorin: aveva uno sguardo freddo e pieno di rancore; sul capo indossava la corona del Re. L’Erede di Durin non sembrava preoccupato dalla presenza di un esercito di Elfi di fronte al suo regno appena riconquistato, anzi si reggeva in piedi ritto e fiero. 

Il suo sguardo era fisso su di noi. 

Dopo aver sorpassato l’ultima fila di Elfi, salimmo alcuni grandini, i quali erano affiancati da due imponenti statue di antichi sovrani nanici, arrivando infine ad un piccolo spiazzo esattamente al di sotto del grande muro. 

Improvvisamente Thorin impugnò l’arco di Kili e scoccò una freccia diretta verso Thranduil: senza pensarci due volte chiamai la Fiamma e riuscii a deviare la freccia, che cadde a poca distanza da uno zoccolo anteriore del megacero.

-La prossima ve la conficco negli occhi!- esclamò Thorin incoccando un’altra freccia e suscitando l’esultanza dei suoi compagni.

Thranduil rimase per qualche istante scioccato dall'attacco del Nano, ma poco dopo la sorpresa si tramutò in collera: abbassò leggermente il capo, e tutti nello stesso istante i suoi arcieri impugnarono gli archi ed incoccarono le frecce, pronti a tirare all'ordine del loro sovrano.

I Nani si rifugiarono velocemente dietro il parapetto, eccetto Thorin che rimase immobile con l’arco ancora teso. Se avesse tirato quella freccia avrebbe condannato a morte sé stesso ed i suoi compagni, ed io avrei fatto in modo che non colpisse il bersaglio. Dopo alcuni istanti di silenzio, Thorin decise di deporre l’arma, seguito successivamente dagli Elfi arcieri.

-Siamo venuti a dirvi che il pagamento del vostro debito è stato offerto e accettato.- disse Thranduil con tono di sfida.

-Quale pagamento? Io non vi ho dato nulla, non avete nulla.- rispose sicuro Thorin. 

Guardai Bard incitandolo con lo sguardo a mostrare al Nano ciò che Bilbo ci aveva consegnato. 

-Abbiamo questa.- annunciò l’Uomo prendendo da una tasca della giacca il Cuore della Montagna e sollevandola verso la porta.

-Hanno l’Arkengemma ... Ladri! Come avete ottenuto il cimelio della nostra casata?! Quella pietra appartiene al Re!- esclamò Kili furioso.

-E il Re può averla, con la nostra benevolenza. Ma prima deve onorare la sua parola. - rispose Bard riponendo la gemma nella tasca.

-Ci considerano stupidi … è una astuzia, una lurida menzogna. L’Arkengemma è in questa Montagna! È un trucco! – gridò il Re non credendo ai propri occhi ed alle diplomatiche parole di Bard.

-N-non è un trucco, la gemma è vera. Gliel'ho data io.

Bilbo. Cosa ci faceva sul muro in mezzo ai Nani? Come aveva fatto a raggiungerli senza essere visto dai numerosi soldati? Provai ancora una volta quella strana sensazione che mi strinse il cuore, non poteva essere una coincidenza. Ma in qualunque modo ci fosse riuscito, doveva andarsene presto da lì: l’ira di un Nano, specialmente di Thorin, avrebbe potuto essergli fatale.

-Tu… - sussurrò Thorin, come se avesse ricevuto una pugnalata alle spalle.

-Era la mia quattordicesima parte.- continuò lo Hobbit.

-Tu mi deruberesti? 

-Derubarti? No. Sarò uno scassinatore ma mi piace pensare di essere onesto. Sono disposto a lasciare che sia la mia unica pretesa.

-La tua unica pretesa … la tua pretesa. Non hai alcuna pretesa su di me miserabile mezza tacca! – Thorin era fuori di sé per la collera, iniziai a temere veramente per la vita di Bilbo.

-Avevo intenzione di dartela , molte volte volevo farlo ma…
-Ma cosa ladro?

-Tu sei cambiato Thorin. Il Nano che ho conosciuto a casa Baggins non si sarebbe mai rimangiato la parola, non avrebbe mai dubitato della lealtà dei suoi familiari!- Bilbo aveva ragione, Thorin non era più lo stesso da quando si era rimpossessato della Montagna: la malattia del Drago doveva aver preso il controllo su di lui.

-Non venirmi a parlare di lealtà! Gettatelo giù dal bastione!- ordinò il Re ai suoi compagni, ma essi indietreggiarono : non avrebbero mai ucciso Bilbo, anche perché sapevano che lo Hobbit, sebbene li avesse traditi, dopotutto  aveva ragione.

Thorin cieco dalla rabbia prese per un braccio Fili, il quale si divincolò dalla presa dello zio.

-Non mi avete sentito? Bene, lo faccio da solo.- Thorin afferrò con violenza Bilbo, scacciando gli altri Nani che tentarono di proteggerlo dalla sua furia. 

Lo spinse da solo sul bastione, Bilbo non era abbastanza forte per scappare dalla sua presa. Evocai di nuovo la Fiamma, che iniziò a plasmarsi sotto forma di ali: Thorin non sarebbe riuscito a buttarlo giù dal muro, ero sufficientemente veloce per afferrare al volo Bilbo prima che toccasse il suolo.

-Maledetto lo Stregone che ti ha inserito in questa compagnia! – esclamò Thorin, ormai sul procinto di dare a Bilbo l’ultimo strattone. 

Lasciai le redini, pronta a balzare per salvare il giovane Hobbit, ma sentii la mano di Thranduil posarsi sul mio braccio. Mi voltai di scatto verso di lui, perché voleva trattenermi? Il suo volto era rilassato, come se non temesse affatto per la vita di Bilbo.

Infatti dalle schiere di Elfi avanzò Mithrandir, l’unico a cui Thorin avrebbe potuto dare ascolto.

-Se non ti piace il mio scassinatore ti prego di non danneggiarlo, restituiscilo a me! Non stai facendo una splendida figura come Re Sotto la Montagna, dico bene Thorin figlio di Thrain? – disse l’Istari arrivandomi accanto.

Thorin mutò subito espressione, sembrava aver ripreso il controllo di sé: lasciò andare subito Bilbo, che iniziò a calarsi velocemente dal muro con l’aiuto di una robusta corda.

-Mai più farò accordi con gli Stregoni, o coi vermi della Contea!- esclamò infine il Nano.

-Abbiamo risolto? La restituzione dell’Arkengemma per ciò che è stato promesso.- gli chiese Bard.

-Perché dovrei ricomprare quello che era mio di diritto?- domandò a sua volta Thorin, guardando impaziente verso le colline circostanti.

Che cosa stava aspettando? Ormai avrebbe dovuto accettare lo scambio se voleva rimanere vivo.

-Tieni la pietra, vendila. Eptelion  di Gondor pagherà una bella somma.- suggerì Thranduil a Bard, suscitando subito la reazione di Thorin.

-Vi ammazzo! Lo giuro vi ammazzo tutti!

-Il tuo giuramento non vale niente. Ho sentito abbastanza ...- disse ormai spazientito il Re degli Elfi Silvani, ordinando agli arcieri di mirare.

-Thorin deponi le armi, apri queste porte. Questo tesoro porterà alla tua morte!- esclamò Gandalf.

-Thorin non possiamo vincere questa battaglia … - bisbigliò Balin.

Ma il Nano non voleva desistere, era deciso a tenersi il suo tesoro anche al costo della sua stessa vita.

-Rifletti bene su ciò che stai facendo Thorin, sei ancora in tempo per tornare indietro e discutere in modo pacifico.- cercai di convincerlo anche io, schierandomi definitivamente dalla parte di Thranduil e degli Uomini del Lago.

-Avevo ragione su di voi, alla fine avete deciso da che parte stare. Voi non siete la nostra Custode, né lo siete mai stata. Non avete mai fatto parte della compagnia, siete come un’estranea per me.

Le sue parole mi colpirono come pesanti macigni: credevo di aver conquistato la sua fiducia, ma a quanto pare era stata pura finzione.

-Dacci la tua risposta: avrai pace … o guerra?- chiese infine Bard, quella era la sua ultima domanda.

Calò un silenzio snervante, in attesa della definitiva risposta di Thorin. Egli guardò ancora verso le colline, dalle quali comparve un Corvo della Montagna che si posò vicino a lui. Il suo sguardo si accese di una nuova luce, aveva preso la sua decisione.

-Avrò guerra.

Dalle colline si levò il suono di un corno e all'orizzonte iniziò a comparire un esercito di Nani rivestito di pesanti armature di ferro: Thorin non aveva fatto altro che prendere tempo in attesa di rinforzi.

-Piediferro ... - sussurrò Mithrandir.

Dain II Piediferro, Signore dei Colli Ferrosi, cugino di Thorin, era giunto alla Montagna con cinquecento Nani per difendere Erebor da quelli che considerava i suoi naturali nemici. Guidava il suo esercito a cavallo di un cinghiale corazzato e brandiva un pesante martello, mentre sul capo portava un elmo con un'alta cresta, al quale erano fissate due zanne di cinghiale che decoravano la folta barba rossiccia.

Al suo arrivo la compagnia di Thorin esultò piena di nuova speranza per la loro vittoria, mentre Thranduil fece rischierare le sue truppe.
Dain si avvicinò abbastanza per riuscire a farsi sentire, ma non sembrava propenso ad alcuna trattativa.

-Buongiorno, come andiamo tutti? Ho una piccola proposta, se non vi dispiace concedermi qualche minuto del vostro tempo: potreste considerare … di andarvene in malora?! Tutti voi, ora ora.  

-Non reagite! - gridò Bard ai suoi uomini, i quali erano indietreggiati intimoriti.

-Oh avanti lord Dain!- Mithrandir si fece avanti, attirando subito la sua attenzione.

-Gandalf il Grigio e, da quello che vedo, Belthil la Custode ...  dite a questa marmaglia di andarsene, o annaffierò il terreno con il loro sangue!

-Non c’è bisogno di una guerra tra Nani, Uomini ed Elfi!  Una legione di Orchi giace sulla montagna, ritira la tua armata!- esclamò Gandalf tentando ancora di trovare una soluzione pacifica.

- Sebbene abbia buoni rapporti con la Custode, non mi ritirerò davanti a un Elfo qualsiasi, tantomeno da questo indifferente folletto dei boschi al suo fianco! Non desidera altro che sfortuna per il mio popolo. Se sceglie di mettersi tra me e i miei familiari, gli spacco quella testolina in due! Vediamo se dopo ghigna ancora. - Dain provava ancora odio verso il mio popolo, soprattutto nei confronti di Thranduil che aveva voltato le spalle ai Nani quando Smaug aveva conquistato Erebor. 

-Dain torna!- dissi mentre si allontanava incitando i suoi soldati per l'imminente battaglia.

-Che avanzino! Vediamo fin dove arrivano. - esclamò Thranduil di modo che Dain potesse sentirlo.

-Credi che mi importi un cane morto delle tue minacce, principessa dalle orecchie appuntite?- rispose il Signore dei Colli Ferrosi - Sentito ragazzi? Ci siamo! Diamo a questi bastardi una bella batosta!- gridò infine ai Nani.

-Fai ritirare i tuoi uomini, ci penso io a Piediferro e alla sua marmaglia.- ordinò Thranduil a Bard, iniziando poi ad impartire ordini.

Dalle schiere dei Nani entrarono sul campo alcune macchine da guerra, seguite da soldati che cavalcavano arieti; gli Elfi erano pronti a scoccare le frecce.

-Thranduil non farlo, questa è una pazzia! Risparmia i tuoi soldati per quando arriverà l’armata degli Orchi!- lo implorai, ma egli non mi diede retta.

Diede l’ordine di tirare e le frecce abbandonarono gli archi degli arcieri, iniziando a volare verso i Nani. Nello stesso momento i figli di Durin lanciarono dalle loro macchine diversi dardi piroettanti, troppi per riuscire a fermarli tutti con la Fiamma; i dardi rimasti spezzarono le frecce e caddero sulla prima fila di Elfi, causandone la morte.

Pieno di rancore, Thranduil diede ancora l’ordine di tirare, ma si ripeté lo stesso risultato: molti Elfi morirono sotto il mio sguardo impotente. 

Iniziai a sentire il sangue cominciare a ribollirmi nelle vene, desideravo vendetta per quei miei consanguinei.

I cavalieri d’arieti arrivarono come una ondata impetuosa, riuscendo a saltare le prime file, ma più si addentravano tra i soldati di Thranduil, più per gli Elfi era facile accerchiarli e abbatterli con le lance. Lentamente i Nani venivano messi in crescente difficoltà, l'abilità degli Elfi Silvani nel combattimento corpo a corpo era nettamente superiore: si muovevano in piccoli gruppi di tre, composti da un arciere e due spadaccini che avevano il compito di difendere l’arciere e permettergli di tirare.

Ma all’improvviso il terreno iniziò a tremare. 

Nani ed Elfi cessarono di combattere all’istante, tutti si voltarono verso le colline a Sud da cui provenivano tremendi versi: da esse uscirono fuori degli enormi vermi che sbriciolavano la terra, come se fosse morbido pane.

-I Mangiaterra. - sospirai capendo di aver sottovalutato le forze del Male.

Quegli esseri si ritirano all’interno delle colline, consentendo ad una infinita moltitudine di Orchi di uscire dai fori che avevano creato.

L’armata di Sauron era arrivata.

 



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Capitolo 26
*** Capitolo 25 ***


CONSIGLIO PER LA LETTURA : "Requiem for a dream" composta da Clint Mansell. Buona lettura!

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Gli Orchi continuavano a fuoriuscire dalle cavità sulle colline come un fiume in piena, era impossibile contarne il numero. Pochi istanti dopo da Collecorvo si levò una voce che parlava in lingua nera: Azog.

-Fate avanzare le mie armate!

Subito dopo si sentì il suono di un rozzo corno, in prossimità del quale era stato costruito un marchingegno in legno per dare segnali visivi a tutte le truppe. Azog era stato molto astuto, aveva saputo sfruttare le antiche rivalità tra Nani ed Elfi per muoversi nell'ombra e dare inizio al suo attacco in una posizione strategica.

-Le orde dell'inferno sono sopra di noi, combattete fino alla morte!- gridò Lord Dain impugnando saldamente la sua arma e, senza alcuna esitazione, prese con sé buona parte della sua armata per andare incontro ai nemici.

Il coraggio dei Nani non vacillò, sebbene sapessero che da soli non avrebbero potuto vincere la battaglia. Quando furono abbastanza vicini si fermarono e si schierarono compatti l'uno accanto all'altro, formando così una solida barriera di scudi tra i quali spuntavano lance affilate.

Ma gli Elfi rimanevano immobili.

-Gli Elfi ... non combatteranno. - sospirò Bilbo.

Guardai dritto negli occhi Thranduil, ma lui era come una statua di ghiaccio: numerosi ricordi dolorosi dovevano affollargli la mente, e lui ne era diventato improvvisamente prigioniero.

-Thranduil questa è una pazzia!- esclamò Mithrandir cercando di smuoverlo, senza però riuscire nel suo intento.

Sguainai la mia spada e con l'altra mi preparai ad incitare Namid al galoppo: io non sarei rimasta a guardare. Chiamai la Fiamma di modo che rendesse i miei sensi e la forza potenziati, sebbene sapessi bene che non mi era consentito utilizzarla per attaccare direttamente. 

-Dove stai andando?

Thranduil era tornato in sé, ma dalla sua voce trapelava preoccupazione. I suoi freddi occhi non si distaccavano dai miei, divenuti blu e fiammeggianti.

Ghiaccio contro fuoco.

-Non lascerò che i Nani combattano da soli, hanno bisogno di aiuto. Tu fai quello che preferisci, ma sappi che se non farai combattere i tuoi soldati l'ombra di Angmar inghiottirà tutto il Nord della Terra di Mezzo ed il tuo popolo non avrà scampo.

Non gli lasciai il tempo per replicare, spronai il mio cavallo e partii dritta verso la battaglia. 

-Belthil no!- lo sentii esclamare dietro le mie spalle, ma ormai non potevo più tornare indietro.

Superai in fretta le sue truppe, i Nani non erano molto distanti e in pochi minuti li avrei raggiunti. Ma all'improvviso sentii qualcosa alle mie spalle e voltandomi indietro vidi gli Elfi guerrieri iniziare a seguirmi: Thranduil aveva deciso di non tirarsi indietro. 

Gli Orchi stavano per raggiungere la barriera dei Nani, ancora pochi passi e la battaglia sarebbe iniziata. Non appena arrivai dietro ai Nani mi alzai in piedi sulla sella e facendo un ampio balzo in avanti mi ritrovai oltre la barriera; un istante dopo gli Orchi si scagliarono feroci contro i Nani.

Ne abbattei velocemente una decina, poi gli Elfi Silvani, saltando sopra gli scudi dei Nani, scesero in battaglia. Combattevano in gruppi di tre, guardandosi le spalle a vicenda, diversamente dai Nani che preferivano combattere singolarmente. In pochi minuti attorno a me si creò il caos, divenne quasi impossibile distinguere i nemici dagli alleati. Dall'alto sentii il fischio di centinaia di frecce, scoccate dagli arcieri rimasti indietro con il loro sovrano. Continuavo a spostarmi da una parte all'altra del campo di battaglia, dove vi era maggiore bisogno di aiuto, ma gli Orchi sembravano non finire mai.

Da Collecorvo si levò un secondo suono ed immediatamente dalle colline comparvero enormi Troll e orrende bestie da guerra che cominciarono a schiacciare sotto di loro piedi i Nani e scaraventare via con mazze ferrate gli Elfi. Era un vero e proprio massacro. Mi arrampicai su un Troll di caverna e conficcai un pugnale al centro del suo cranio, per poi cadere a terra senza venire schiacciata dalla carcassa del mostro. Fortunatamente le macchine da guerra dei Nani riuscivano ad abbatterne anche quattro alla volta, tagliando loro le gambe e passandoci poi sopra.

Ma dopo il terzo suono di corvo le bestie di Azog cercarono di abbattere tutte le macchine dei Nani, capovolgendole e uccidendo chiunque vi fosse sopra. A mia volta ne uccisi molti prima che attaccassero le macchine rimanenti, ed essi non furono nemmeno in grado di farmi un graffio. Eppure i miei abiti erano ormai macchiati di sangue e terra, ed avevo già perso molti dei miei pugnali. 

Un quarto suono riempì l'aria e guardando verso Collecorvo vidi che il marchingegno puntava verso la città di Dale: Azog voleva attaccarci su due fronti contemporaneamente. 

Mentre osservavo quel segnale non mi accorsi di un Goblin alle mie spalle, e mi avrebbe sicuramente pugnalata se Thranduil non fosse arrivato e non gli avesse tagliando la testa.

-Bard è stato costretto a ritirarsi per difendere la città, gli Uomini non potranno più esserci d'aiuto qui. - annunciò il Re con tono cupo.

-E tra poco i Nani saranno esausti, non reggeranno a lungo. Stanno già lentamente retrocedendo, tra non molto saranno con le spalle al muro verso la Porta. - aggiunsi io.

-Come mai Thorin Scudodiquercia non è qui? La sua gente sta morendo per lui, come può sottrarsi dalla battaglia?

-La malattia del Drago ha fatto troppa presa sul suo cuore, per lui ormai conta solamente il tesoro all'interno della Montagna. - gli risposi mentre abbattei un paio di Orchi.

-Ne stanno arrivando altri da Sud-Ovest, i miei soldati non riusciranno a contenerli per molto. -disse riferendosi a quelle orrende creature.

-Me ne occuperò io, qui la situazione non è più fuori controllo. - dissi dandogli le spalle per andare su quel lato del campo, ma non appena lo feci sentii la sua mano appoggiarsi su una mia spalla.

-Non andrai da sola.

-No Thranduil, verrai circondato e i tuoi soldati hanno bisogno della tua guida. 

-Correrò questo rischio. Avanti, sali dietro di me.- disse porgendomi la mano per farmi salire sul megacero.

Non mi avrebbe abbandonata in mezzo alla battaglia, neanche se lo avessi costretto a non seguirmi, per cui afferrai la sua mano e fui subito dietro di lui. Ritirai la spada nel fodero ed impugnai il mio arco, di modo che solo pochi nemici avrebbero potuto avvicinarsi a noi e permettendo così a Thranduil di ucciderli con più facilità. 

Ma gli Orchi continuavano ad arrivare e presto fummo circondati. 

Avrei voluto sprigionare la Fiamma per ridurne un gran numero in cenere, ma avrei rischiato di fare del male a Thranduil e a tutti coloro che combattevano nelle vicinanze. Scoccai freccia su freccia, colpendo anche più di un nemico per volta, eppure i miei sforzi sembravano vani. 


Attorno a me vi era solamente morte, sapevo che stavamo perdendo la battaglia schiacciati dal numero dei servitori di Sauron. 

Ma improvvisamente dalla Montagna si levò alto il suono del corno di Erebor che riempì l'intera valle con le sue note. Subito dopo una campana d'oro distrusse il muro che sigillava la Porta, e dalle macerie comparvero le figure dei Nani della compagnia di Scudodiquercia. Thorin in persona li precedeva. Il velo della malattia era scomparso dai suoi occhi, sembrava essere ritornato il valoroso Nani che tutti avevano conosciuto.

Non appena gli altri Nani videro il proprio Re guidare i compagni alla battaglia si rianimarono, come se Thorin avesse dato loro la forza necessaria per continuare a combattere.

-Du bekâr! (Alle armi!)- gridò Thorin alzando la spada al cielo, seguito dai suoi familiari e amici. 

Tutti i Nani si radunarono attorno al proprio Re ed insieme riuscirono a respingere numerosi Orchi, creando una breccia all'interno dello schieramento nemico. Io e Thranduil riuscimmo ad ostacolare l'arrivo di altre creature, per poi dirigerci verso il centro del campo di battaglia in modo da avere una maggiore visuale sulla battaglia. Le sorti si stavano lentamente invertendo: gli Orchi indietreggiavano.

Proprio quando le mie speranze iniziavano ad aumentare, una grossa nuvola coprì il sole per qualche istante, in modo troppo repentino per essere veramente una nuvola. Guardai in alto e ciò che vidi mi fece rabbrividire: erano centinaia e centinaia di corvi. Davoch era arrivato.

All'orizzonte iniziò a comparire una nuova armata, nettamente più forte di quella che aveva attaccato fino a quel momento. Possedevano armi lucenti e ben levigate, i cui riflessi erano visibili anche da lontano, ed archi di alta manifattura. Erano gli Elfi Corrotti: sebbene avessero subito numerose torture, rimanevano pur sempre Elfi e le loro doti nel combattimento erano state sviluppate nei modi più crudeli possibili. Vere e proprie macchine da guerra viventi. 

Sulla cima di Collecorvo comparve una figura scura davanti alla quale anche Azog fu costretto ad abbassare il capo; quella figura era Davoch, ne ero sicura. Sentii Thranduil irrigidirsi e stringere con più forza la sua spada, fremeva di rabbia sapendo della presenza del carnefice della moglie. Temevo che facesse qualcosa di avventato accecato dal rancore, dovevo trovare un modo per tenerlo lontano da Davoch. Vidi che gli Elfi Corrotti convergevano verso Dale, dove Bard e i suoi uomini combattevano da soli: avevano bisogno di aiuto immediato. 

-Thranduil ... 

-Lui è lì Belthil. - disse con voce tremante per la rabbia.

-Lo so, riesco a vederlo.- cercai di mantenere la calma anche se anche il mio sangue ribolliva nelle vene. 

Davoch teneva prigioniero Calen da qualche parte a Nord, e potevo solamente immaginare cosa gli avesse fatto.

-Io devo ucciderlo, per lei. Per Earinë. 

-È esattamente ciò che vuole, che tu vada da lui. Lo sappiamo entrambi che se lo farai ti ucciderà, ed Earinë non avrà la giustizia che merita. 

-E allora cosa pensi di fare?! Lasciarlo andare magari?!- stava perdendo la calma, l'ultima cosa da fare durante una battaglia.

-No, Davoch deve essere eliminato, ma lascia che sia io a catturarlo. Io sono l'unica in grado di sfidarlo, l'unica che può metterlo fuori combattimento. Ho bisogno che rimanga in vita per qualche tempo poiché possiede preziose informazioni su Calen, ma quando le avrò ottenute sarai libero di farne ciò che vorrai. Intanto porta le tue truppe a Dale e uccidi tutti i suoi seguaci, non ne deve rimanere neppure uno in vita. Quando questa guerra sarà finita, Davoch sarà sconfitto ed il suo esercito distrutto.

Thranduil rimase in silenzio per qualche istante, non era una decisione da prendere facilmente.

-Promettimi che non lo ucciderai, devo essere io a farlo.

-Hai la mia parola.- risposi senza esitazione. 

Lui annuì con il capo ed io scesi dal megacero, pronta per affrontare il Principe dei Corvi. 

-Belthil?

Mi voltai un'ultima volta verso Thranduil, i nostri sguardi si intrecciarono nuovamente.

-Ti ho dato la mia parola Thranduil, ti consegnerò Davoch vivo.

-Io mi fido di te, buona fortuna mellonamin (amico/a mio). - si chinò lentamente verso di me, lasciando un delicato bacio sulla mia fronte.

Rimasi immobile mentre lo guardavo andare via verso Dale, sapendo che ciò che gli avevo promesso non sarebbe stato facile da mantenere. Davoch era un avversario micidiale, e ciò l'avevo appreso pagando un caro prezzo; ma questa volta nessuna oscura magia mi avrebbe trattenuta. 

Notai che non ero la sola a voler raggiungere Collecorvo: Thorin, seguito da Fili, Kili e Dwalin, i suoi migliori guerrieri, era intenzionato ad abbattere Azog una volta per tutte. I nipoti guidavano assieme a Dwalin e Balin una delle poche macchine da guerra rimaste intatte, mentre Thorin cavalcava un ariete dalle dimensioni leggermente maggiori rispetto al normale. Non era facile per loro avanzare, troppi erano gli Orchi a guardia di quella torre abbandonata, per cui decisi di dare loro una mano aprendogli un varco. 

Corsi velocemente davanti a Thorin, ed uccidendo un Orco dopo l'altro in pochi secondi gli permisi di raggiungere le pendici di Collecorvo, mentre gli altri utilizzarono una via secondaria passando sopra il fiume ghiacciato, ma dovettero abbandonare il carro ed iniziare a cavalcare gli arieti che li avevano trainati. 

-Perché lo stai facendo? Ciò che ho detto alla Porta è imperdonabile. - mi disse all'improvviso Thorin.

-Non eri veramente tu a parlare, ma la malattia del Drago. Ma adesso in cima alla torre abbiamo entrambi un nemico che ci attende, le sorti di questa guerra gravano ormai sulle nostre spalle e sulla lama delle nostre spade. - gli risposi mentre mi sbarazzavo di una decina di Goblin.

-Allora che cosa aspettiamo? Facciamola finita.

Iniziammo a scalare Collecorvo, giungendo in prossimità della torre che si ergeva oltre un torrente ghiacciato, il quale terminava poco distante in una cascata anch'essa imprigionata nel ghiaccio. Lassù ogni cosa era coperta dal ghiaccio ed un sottile strato di neve fresca ricopriva il suolo. La cima era avvolta nella nebbia, eppure sembrava essere abbandonata. Non riuscivo a percepire alcun rumore né a scorgere la presenza di qualcuno nascosto all'interno.

-Lui dov'è? Sembra vuota, per me Azog è fuggito. - esclamò Kili fiducioso.

-No non credo. Fili prendi tuo fratello, perlustrate le torri; restate nascosti, non fatevi vedere. Se avvistate qualcosa tornate a fare rapporto, non agite. Sono stato chiaro?- ordinò Thorin ai nipoti.

- Abbiamo compagnia. Goblin mercenari, non più di un centinaio - annunciò invece Dwalin tornando da una veloce perlustrazione dei dintorni.

-Ci occuperemo noi di loro, andate! - li esortò Thorin affiancandosi a Dwalin.

-Io andrò con loro. Se Davoch è in quella torre non esiterà ad uccidervi, e voi non avrete scampo.- dissi chiamando nello stesso momento la Fiamma affinché mi donasse una vista ancora più acuta.

-Andate!- ci esortò nuovamente Thorin.

Scendemmo delle scalinate e ci ritrovammo sul torrente ghiacciato; Fili e Kili ebbero qualche difficoltà nel mantenere l'equilibrio mentre lo attraversavano, ma riuscimmo comunque ad arrivare dall'altra parte. Infine entrammo nella torre principale.

Era composta da innumerevoli corridoi che si snodavano come un labirinto, non era facile orientarsi. Non vi era molta luce, e quella che c'era proveniva dall'esterno e dava una fioca opacità. I muri presentavano numerose crepe e fori, mentre gli scalini erano scivolosi per il freddo.

All'improvviso sentii il gracchiare di un corvo alle nostre spalle. Mi voltai di scatto ma non vidi niente, se non una piuma corvina sul pavimento. 

-Che cosa è stato?- chiese preoccupato Fili.

-Continuate la perlustrazione, non tornate qui per nessun motivo.- dissi con un fil di voce. 

-Hai visto qualcosa?- domandò invece Kili.

-Sì. Andate e non voltatevi indietro; a Davoch ci penso io.

I due fratelli non se lo fecero ripetere e continuarono a camminare acquattati nell'ombra, mentre io mi avvicinai alla piuma e la presi in mano. La punta era sporca di sangue. Notai delle gocce di sangue sul pavimento che portavano ad un altro corridoio, nella completa oscurità. Voleva che andassi da lui. 

Sapevo che era una trappola, ma questa volta non mi avrebbe colta impreparata. Sollevai la spada in posizione di difesa ed entrai nel corridoio. Grazie alla Fiamma riuscivo a vedere al buio, anche se i punti più oscuri rimanevano sfocati.

Improvvisamente sentii il fischio di una freccia ed in modo fulmineo riuscii a spezzarla con la spada a poca distanza dal mio viso. Ne arrivarono altre, ma io non retrocedevo, continuavano ad avanzare nell'oscurità. Finalmente intravidi l'uscita del corridoio ed aumentai il passo, quasi correndo mentre le frecce tentavano di colpirmi. 

Arrivai in uno spiazzo esterno che dava a strapiombo sulle colline, di Davoch non c'era traccia. Dall'interno della torre dei tamburi iniziarono a suonare e vennero accese delle torce: stavano uscendo allo scoperto. Sentii un brivido percorrermi la schiena e guardai nuovamente verso lo strapiombo, e fu allora che lo vidi.

Davoch. 

Era esattamente come lo avevo incontrato nella foresta: portava abiti scuri con parti di armatura bronzea, l'arco nero con parti metalliche sulle incurvature dei bracci legato dietro la schiena, mentre in mano teneva una scimitarra. Il volto rimaneva celato dalla fascia e dal cappuccio del mantello, tranne gli occhi. Quegli occhi demoniaci, neri come la pece eccetto le iridi ambrate.

Sentii la collera venire a galla velocemente, desideravo ucciderlo con le mie mani. Non era un sentimento di odio normale, bensì molto più potente ed amplificato. La Fiamma mi avvolse interamente nella sua aura, faticavo a tenerla a bada.

Entrambi aspettavamo che l'altro facesse la prima mossa, ci studiavamo in silenzio. Poi Davoch si decise ad attaccare.

In attimo fu davanti a me ed iniziò a colpirmi con veloci fendenti, ma io li paravo uno ad uno. Approfittando del momento in cui riprese fiato, cominciai ad attaccarlo a mia volta facendolo indietreggiare di qualche passo. Se qualcuno ci avesse visto non avrebbe saputo distinguere i colpi, tanta era la velocità con cui veniva sferrati. Davoch riuscì a ferirmi un paio di volte di striscio sui fianchi, sebbene io rispondessi ad ogni fendente. 

Non gli concedevo neanche un passo in avanti, né alcuna tregua. Il sangue mi ribolliva nelle vene, la Fiamma scalpitava per scatenare la sua forza distruttiva. Eppure sembravamo alla pari, nessuno riusciva a prevalere sull'altro.

Fino a quando non gli conficcai la mia spada nella gamba destra. 

Davoch lanciò un grido di dolore, ma quando tentai di riprendere la spada mi pugnalò dritto nello stomaco. Rimasi interdetta per qualche istante, il tempo necessario affinché egli si sfilasse la mia spada dalla gamba e la lanciasse lontano.

Non potevo usare l'arco, era troppo vicino; poi mi venne un'idea. 

Con il pugnale ancora conficcato nello stomaco, mi lanciai su di lui con tutta la mia forza e per la sorpresa Davoch perse la presa sulla sua scimitarra. Lo spinsi sul filo dello strapiombo, ma lui riuscì ad aggrapparsi a me trascinandomi con lui nel vuoto.

Aprii le ali riuscendo così a controllare la caduta, e cominciai a cercare di togliermi di dosso Davoch facendo in modo che la sua schiena colpisse violentemente la roccia della collina. Ma lui non mollava la presa.

Sentii le sue mani iniziare a fare presa sul mio collo, togliendomi il respiro: mi stava soffocando. Lentamente la mia vista cominciò ad annebbiarsi, e così decisi di tentare l'ultima mia carta. 

Volai il più in alto possibile, fin dentro le nuvole, per poi iniziare una caduta libera roteando su me stessa per aumentare la velocità. Davoch non mollò la presa, e così ci schiantammo entrambi al suolo. 

Sentii rompersi numerose ossa e per il dolore persi i sensi per qualche istante, ma sentendo Davoch accanto a me che tentava di tirare fuori un pugnale acquisii qualche secondo di lucidità.

Presi uno dei miei pugnali nascosti e glielo conficcai nel petto. Davoch smise di muoversi ed io caddi di nuovo a terra sfinita. 

Avevo vinto, ce l'avevo fatta. Davoch, il Principe dei Corvi, era stato sconfitto. Senza sapere il motivo iniziai a ridere, mentre sentivo le ossa cominciare a ricomporsi e le ferite iniziare a rimarginarsi. 

Guardai il cielo: dalle nuvole erano comparse le Aquile ed i raggi del sole riuscirono a superare la barriera di nuvole, illuminando la neve. 

Dopo alcuni minuti riuscii ad alzarmi seduta e notai che eravamo atterrati sulla cima di Collecorvo, dove vi erano le macchine di Azog per dare i segnali all'esercito. Poi mi voltai verso Davoch.

Il suo petto si alzava e abbassava debolmente, era ancora vivo. 

Senza accorgermene presi un altro pugnale, volevo dargli il colpo di grazia. Ma improvvisamente mi fermai: avevo fatto una promessa a Thranduil, e se avessi ucciso Davoch non avrei più potuto ritrovare Calen. Lanciai subito il pugnale lontano da me. 

Eppure mi sentivo attratta da lui: nessuno gli aveva mai visto il volto scoperto. Mi avvicinai cautamente a lui e, lentamente, gli tolsi la fascia dal viso ed abbassai il cappuccio del suo mantello.



Thranduil's p.o.v.

Lasciai Tauriel in silenzio, lasciandole il maggior tempo possibile che le rimaneva per restare da sola con Kili, il giovane Nano che amava e che Bolg aveva ucciso a sangue freddo davanti a lei. Conoscevo bene ciò che provava: il senso di amarezza per non aver saputo salvarlo, ma soprattutto il rimpianto e l'enorme vuoto che quella perdita lasciava. 

Mi pentii di non aver riconosciuto che quello che Tauriel aveva provato per il Nano era vero, reale, e non una semplice infatuazione passeggera come avevo pensato. Ma ormai era troppo tardi. 

Non appena la battaglia a Dale era stata vinta mi ero recato a Collecorvo con apprensione e timore per ciò che avrei trovato. Mio figlio aveva seguito Tauriel nel tentativo di allertare i Nani dell'arrivo della seconda armata di Bolg, una decisione che aveva preso contro il mio volere. 

Fu proprio lui che incontrai entrando nella torre, doveva aver appena preso congedo da Tauriel. Dal suo volto capii immediatamente che non sarebbe ritornato nel nostro regno, per cui lo indirizzai a mettersi sulle tracce dei Dúnedain del Nord : lì avrebbe trovato un giovane Uomo destinato a diventare un grande Re.

Ma in quel momento i miei pensieri erano rivolti interamente a Belthil. Dalle mura di Dale avevo visto il bagliore delle sue ali sorvolare oltre le nubi, per poi precipitare sulla cima di Collecorvo. Salii velocemente le strette scalinate per raggiungere il punto in cui la avevo vista cadere, mentre il mio cuore batteva talmente veloce che sembrava voler uscire dal petto. Arrivato in cima mi fermai un momento e mi guardai attorno sperando di riuscire a trovarla. 

E lei era lì, a terra. 

Era accovacciata sul corpo esanime di Davoch, come pietrificata. Alcuni fiocchi di neve le erano caduti sulla sua chioma vermiglia, mentre il sottile manto di neve sotto di loro era macchiato di sangue. Non riuscii a vedere il suo volto poiché era girata di schiena, né quello del suo avversario. 

Mi avvicinai cautamente a lei, avevo paura di scoprire cosa fosse accaduto.

-Belthil.- esclamai, ma lei non si mosse. 

La chiamai di nuovo, eppure continuava a restare immobile come una statua. 

Mi inginocchiai accanto a lei, e ciò che vidi mi lasciò senza parole. 

Belthil reggeva tra le mani il volto del suo nemico privo di sensi, sul quale erano cadute alcune lacrime. La vera identità di Davoch era stata svelata.

Era Calen.










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Capitolo 27
*** Capitolo 26 ***


CONSIGLIO PER LA LETTURA : “Who you are” di Jessie J. 
Buna lettura! 
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Calen. 

No, non era veramente lui, non poteva esserlo. Come era possibile che non avessi mai percepito la sua presenza in Davoch?  I miei sensi mi aveva sempre suggerito che si trovasse a Nord, prigioniero nel ghiaccio, ma non appena avevo scorto il suo volto tutte le mie certezze era crollate. 

Era davvero lui che reggevo tra le braccia. 

Gli accarezzai il volto dolcemente, asciugando le mie lacrime cadute su di esso, osservando attentamente ogni suo singolo dettaglio. Sfiorai con le dita alcune cicatrici, in particolare una vicino all'occhio sinistro, poco sopra le sopracciglia. Le labbra carnose non era più morbide e rosee, ma ruvide e rosse come il sangue. Le sua pelle era fredda come il ghiaccio. 

Ma ciò che era cambiato maggiormente era lo sguardo. 

Quegli inconfondibili occhi color nocciola chiaro dalle sfumature dorate erano stati inghiottiti dalle tenebre, rendendoli neri come la pece, come gli occhi di un demone. 

Cosa gli avevano fatto? 

Più i minuti passavano e più mi domandavo chi fosse realmente la persona davanti a me. Sapevo che era Calen, ma era talmente cambiato che a stento riuscivo a riconoscerlo. Sentivo che il nostro legame iniziava a sgretolarsi, come un muro sul quale iniziavano a comparire delle profonde crepe.

Nuove tremende consapevolezze si facevano largo nella mia mente, ma una in particolare mi tormentava nel profondo. Davoch era conosciuto come un assassino spietato, aveva massacrato interi villaggi e spento centinaia di vite, compresa quella di Earinë. Le sue mani erano sporche di sangue innocente, ma la sua anima era davvero perduta nell’oscurità? 

Era chiaro che non mi aveva mai riconosciuta, e ciò mi fece pensare che fosse sotto un oscuro incantesimo, tanto potente da annebbiargli la mente e fargli fare qualsiasi cosa, perfino uccidere a sangue freddo. Ed una sola persona aveva le capacità di farlo. 

Sauron. 

Mi aveva mentito, ancora una volta. Mi aveva dato una falsa speranza, alla quale mi ero aggrappata con tutte le mie forze, e l’aveva utilizzata come ricatto per il quale avrei dovuto pagare un caro prezzo. Aveva fomentato volontariamente il mio odio verso Davoch, sapendo che non ero in grado di riconoscere la sua vera identità : voleva che arrivassi ad uccidere Calen con le mie stesse mani, voleva distruggermi dall’interno, dal cuore. 

Ma anche se non lo avevo ucciso, rimaneva lo stesso il dolore ed il senso di colpa: Sauron lo aveva reso un suo burattino a causa del nostro legame. 

Eppure anche se reggevo Calen tra le mie braccia sentivo che non era ancora al sicuro; e fu in quel momento che sentii Thranduil alle mie spalle. 

La promessa che gli avevo fatto quello stesso giorno mi colpì come uno schiaffo in pieno volto. Io avrei dovuto catturare Davoch e Thranduil lo avrebbe ucciso per dare giustizia ad Earinë, ma adesso le cose erano cambiate: non gli avrei permesso di fare del male a Calen. Sentii la sua voce che mi chiamava, ma non mi voltai per paura di incrociare il suo sguardo. Thranduil si avvicinò lentamente, per poi inginocchiarsi accanto a me. Percepii chiaramente il suo respiro interrompersi per qualche secondo, probabilmente neanche lui credeva ai propri occhi. 

Se quello era davvero un sogno, avrei voluto svegliarmi e trovare Calen al mio fianco, come se nulla fosse accaduto.  Ma la realtà era quella che stringevo tra le dita. 

Trovai il coraggio di guardare Thranduil. Dal suo volto non traspariva alcuna emozione, ma sapevo dal suo sguardo che non era così: stava trattenendo il suo rancore, ma soprattutto il dolore per aver scoperto la vera identità dell’assassino di sua moglie. 

Improvvisamente vidi Thranduil impugnare un pugnale e avvicinare la lama al corpo esanime di Calen.

-Che cosa stai facendo?!- gridai afferrandogli la mano. 

-Dammi una sola valida ragione per cui io non dovrei ucciderlo in questo istante.- disse quasi sussurrando. 

-Perché è Calen, non lo vedi?! 

-Non mi basta … 

-Perché … perché io lo amo. 

Per un istante Thranduil cambiò espressione, come se le mie parole lo avessero scosso nel profondo,  ma subito dopo ritornò ad essere freddo e pieno di rancore. 

-Come puoi amare un essere così spregevole? Lui non è Calen, Belthil, non è più l’Elfo di cui ti sei innamorata. Lui è un mostro, un assassino, un fedele servo del Male. 

-E tu come fai ad esserne così certo? Forse per Calen esiste una speranza di tornare com’era, di non essere più Davoch. So per certo che Calen non avrebbe mai ucciso così tanti innocenti, a meno che non sia stato costretto da qualche oscuro incantesimo. E gli incantesimi possono essere sciolti. 

-Ma non tutti.- fece una breve pausa, forse per riprendere il controllo -Ascoltami Belthil, se potessi farlo tornare com’era lo farei anche adesso pur di renderti di nuovo felice, ma purtroppo non sempre si può tornare indietro … 

-Però alcuni nella Terra di Mezzo potrebbero avere la capacità di sciogliere questo incantesimo. Ti prego, anzi ti imploro, lascia che gli Istari facciano almeno un tentativo, ma se non dovessero riuscirci … -non riuscii a completare la frase. 

-Io ucciderò Calen. 

Calò un pesante silenzio. Thranduil era intenzionato ad andare fino in fondo, ma io lo ero davvero? Gli avrei davvero permesso di ucciderlo anche se non era più veramente Calen? 

-Ti offro quaranta giorni di tempo per trovare una soluzione. Nel frattempo Calen dovrà rimanere nelle mie prigioni, sorvegliato giorno e notte e legato alle catene per sventare ogni pericolo di fuga. Solo gli Stregoni potranno entrare nella cella, nessun altro. Ma all’alba del quarantunesimo giorno, se non sarà ritornato com’era, lo giustizierò davanti a tutto il mio popolo. Queste sono le mie condizioni. -disse infine Thranduil alzandosi in piedi. 

Accettai le sue condizioni, quale altra scelta avevo? 

-Mi dispiace Belthil … - sussurrò dolcemente cercando di darmi del conforto, ma senza riuscirci poiché le lacrime cominciarono a rigarmi le guance.  -Vi lascio qualche momento da soli, poi manderò le mie guardie a prenderlo. 

Eravamo di nuovo soli, io e Calen. 

Mi sentii il cuore pesante, non riuscivo a rimanere seduta. Mi distesi accanto a lui, in modo che il mio viso fosse di fronte al suo. Appoggiai la mia fronte sulla sua, accarezzandogli le guance.

Volevo gridare, gridare tutto ciò che provavo, gridare il mio dolore. 

Ma dalla mia gola non riuscivo ad emettere alcun suono. 

Lo abbracciai impulsivamente, volevo sfruttare ogni secondo per stare accanto a Calen prima che lo imprigionassero. Sentii i battiti del suo cuore, i suoi lenti sospiri, il freddo torpore che emanava. 

Da lontano sentii i soldati cominciare ad avvicinarsi, ci rimanevano solamente pochi minuti. 

-Melin le. * 

Furono le uniche parole che riuscii a sussurrargli all’orecchio, le parole che non avevo mai avuto il coraggio di dirgli. 

Lo strinsi forte a me, non volevo lasciarlo andare. 
Ma dovevo farlo. 

*Ti amo. 

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Capitolo 28
*** Capitolo 27 ***


Quando i soldati arrivarono fui costretta ad allontanarmi da Calen, il quale continuava a rimanere privo di sensi. Lo adagiarono su una brandina, per poi legargli mani e piedi con robuste corde. Gli sguardi dei soldati erano celati da elmi dorati e non proferivano parola, si limitavano semplicemente ad eseguire gli ordini del loro Re. Quattro di loro sollevarono la brandina senza alcuna fatica, mentre i rimanenti cinque li affiancarono per fargli da scorta, anche se sospettavo che ai piedi della torre ci fossero altre guardie per impedire ogni possibile tentativo di fuga nel caso in cui Calen si fosse ripreso. 

Li osservai immobile mentre lo portarono via da me, domandandomi se avessi fatto davvero la scelta giusta. 

Quaranta giorni. 
Quaranta giorni per trovare il modo di riportare indietro Calen e salvargli la vita. 
Quaranta brevissimi giorni, davvero poco tempo per un Elfo. 

Osservai le gocce di sangue cadute sulla fredda e candida neve, imbrattandone la purezza. Perché mi sentivo come se avessi davvero ucciso Calen, anche se mi ero fermata in tempo? 

Non potevo rimanere un momento di più in quel luogo, sentivo il bisogno di volare via, oltre le nuvole, nella pace assoluta. Ma non potevo, dovevo rimanere. Per Calen. Per Thranduil. 

Scesi velocemente i gradini di pietra gelati della torre, che sembrava essere tornata abbandonata, ritornando sulla cascata ghiacciata. 
Del sangue si era mescolato all’acqua sottostante lo spesso strato di ghiaccio, creando una lunga striscia rosso sangue. Il ghiaccio presentava numerose crepe ed era stato spezzato in numerosi punti, dove accanto ad uno di essi giaceva il corpo di Azog il Profanatore. La lama della spada di Thorin Scudodiquercia fuoriusciva dal corpo dell’Orco, mentre la punta aveva perforato il ghiaccio sottostante. 

Thorin era riuscito nella sua impresa, aveva vendicato la Battaglia di Nanduhirion. 

Ma sull’altra sponda della cascata vidi i Nani della compagnia raccolti in un silenzioso pianto attorno al corpo senza vita di Thorin; tra loro mancavano Fili e Kili. 

Sentii una nuova fitta al cuore: la Stirpe di Durin era stata spezzata. Mi avvicinai lentamente ai Nani, i loro volti erano straziati dal dolore. Balin era accovacciato accanto a Thorin, mentre il fratello Dwalin cercava di trattenere invano le lacrime. 

Balin alzò il capo per un istante ed i nostri sguardi si incrociarono. Decisi di non dire niente, lui aveva già capito dal mio sguardo ciò che provavo, non servivano le parole: quel giorno erano morti tre Nani valorosi e fedeli l’uno l’altro, ma soprattutto erano morti tre miei amici. Balin abbassò gli occhi sulla mia armatura sporca di sangue, ed anche lui decise di rimanere in silenzio. 

Superai i Nani senza farmi sentire, pensando che avessero bisogno di rimanere soli con il loro Re, e mi diressi verso il sentiero che percorreva il fianco del Colle. Da lontano vidi Mithrandir accanto a Bilbo, ma anche per loro decisi di non interromperli e di proseguire verso il campo di battaglia ormai quasi deserto. Avrei parlato a Mithrandir in un secondo momento, quando sarei stata pronta. 

Raggiunsi velocemente il campo di battaglia ai piedi di Collecorvo ed iniziai a camminarci attraverso, senza una meta precisa. I corpi senza vita di Elfi e Nani che giacevano sul terreno erano stati coperti da bianchi teli, in attesa che qualcuno venisse a recuperarli per dargli una degna sepoltura, mentre quelli degli Orchi e dei Troll erano stati ammucchiati e dati alle fiamme riempiendo l’aria di un odore acre. La terra intrisa di sangue era ricoperta da numerose lame e frecce spezzate, elmi ammaccati e scudi frantumati. Per un istante mi tornarono in mente i ricordi di Mordor, così simili a ciò che vedevo in quel momento. 

Improvvisamente sentii una mano sulla mia spalla che riconobbi all’istante. 

-Questa volta non ti caccerò via. 

Thranduil. Anche lui stava rivivendo i miei stessi tremendi ricordi: alcune cose sono impossibili da dimenticare, anche se si vive una vita immortale. 

Si avvicinò sempre di più a me, fino a quando mi strinse tra le sue braccia. Io non mi opposi, né ricambiai l’abbraccio: rimasi semplicemente immobile. 

-I funerali solenni si terranno domani mattina e Lord Dain verrà incoronato Re Sotto la Montagna.- mi sussurrò. -Poi partiremo verso Bosco Atro. 

-Dov’è Calen?- chiesi di getto. 

-In un luogo sicuro. - mi rispose Thranduil, per poi cambiare subito  argomento - Perché non torniamo a Dale? Hai bisogno di riposo. 

-Deve essere curato … io l’ho … 

-Starà bene, non preoccuparti. Hai la mia parola. - mi rassicurò stringendomi ancora più forte. 

Non riuscii più a resistente, avevo bisogno di Thranduil, del suo sincero sostegno, per cui mi lasciai andare tra le sue braccia. Sapevo che per lui avevo preso la giusta decisione, ma per Calen non ne ero pienamente sicura. Rimanemmo abbracciati per qualche minuto, senza dire nulla, soltanto rimanendo stretti uno all’altro. Poi Thranduil, stando sempre accanto a me come se mi dovesse sorreggere, mi condusse lentamente lontano dal campo di battaglia verso il mio cavallo, Namid, e mi aiutò a salirci in sella davanti a lui. 

Ritornammo a Dale, distrutta in numerosi punti a seguito della feroce  battaglia. Le strade erano state liberate dai corpi degli Uomini ed Elfi caduti, gli Orchi invece erano stati portati fuori dalle mura e dati alle fiamme. Nelle piccole piazze sparse per la città erano state disposte delle tende dove i feriti venivano curati e dove i sopravvissuti avrebbero trovato rifugio per la notte. Arrivammo davanti al vecchio palazzo del Governatore, dove Bard con un ristretto gruppo di Uomini stava organizzando la ricostruzione della città. Dopo essere scesi da cavallo, Thranduil mi portò nella sua tenda posta a pochi metri dal palazzo, ordinando con voce dura alle guardie di non fare entrare nessuno per nessun motivo. 

Mi aiutò a togliere l’armatura, gettandola in un angolo della tenda, e con un panno umido mi pulì il viso dalle gocce di sangue rappreso e dalle linee che le lacrime avevano solcato sulle mie guance; infine mi porse una tunica pulita e mi cambiai lentamente dietro un sipario. Quando tornai da Thranduil vidi che si era tolto anche lui l’armatura, mettendosi una tunica simile a quella che mi aveva offerto. 

-Dormi pure tu sul letto, io mi arrangerò in qualche modo. - mi disse indicandomi con il capo un letto da campo ricoperto da morbidi cuscini e calde coperte. 

Lo ringraziai molto e mi infilai sotto le coperte, cercando di chiudere gli occhi e dormire. Ma quelle coperte mi sembravano fredde come il ghiaccio e l’immagine di Calen privo di sensi continuava a scorrermi nella testa, rendendo impossibile addormentarmi. 

-Thranduil? - sussurrai. 

-Non riesci a dormire vero? 

-No … 

Thranduil si avvicinò al letto e si sedette accanto a me, chiedendomi cosa potesse fare per farmi riposare. Neanche lui però riusciva a prendere sonno. 

-Non potresti rimanere qui con me? Solo per questa notte … - non so come quelle parole mi uscirono dalla bocca, ma in quel momento sentivo di averne bisogno. 

Lui rimase interdetto per qualche istante, eppure quando mi guardò negli occhi il suo sguardo cambiò e sollevò le coperte distendendosi accanto a me. Per non cadere dal letto, viste le sue ridotte dimensioni, posai la mia testa sul suo petto e lui mi strinse nuovamente tra le sue braccia. 

Poco dopo mi addormentai cullata dal calore del suo corpo e dal suono del battito del suo cuore. 

\\ 

Mi risvegliai con la testa ancora sul petto di Thranduil, mentre lui dormiva profondamente con il mento appoggiato sulla mia nuca. Il sole stava sorgendo e una fresca brezza entrava dall’esterno nella tenda. Uscii dal letto cercando di non svegliare Thranduil, per poi osservarlo mentre continuava a riposare senza accorgersi della mia assenza. 

Ma cosa diamine mi era passato per la testa?

Non avrei dovuto cedere alle mie emozioni distorte, non dopo aver finalmente ritrovato Calen. 

Allora perché mi sentivo così bene nell’aver passato la notte accanto a Thranduil? 

Scacciai subito quel pensiero dalla mente: era Calen ciò che il mio cuore desiderava, non poteva esserci nessun altro, non era possibile. Era Calen il mio Melamin, non Thranduil. 

Trovai un mantello appeso vicino all’entrata della tenda, così decisi di indossarlo e uscire per schiarirmi le idee. Dissi alle guardie che avevo il permesso di Thranduil di uscire e di tornare quando lo avessi voluto, ma che nessuno poteva ancora disturbarlo. Sollevai il cappuccio per coprirmi il volto ed iniziai a camminare silenziosamente per la città. Il sottile velo della notte ricopriva ancora Dale, tutto sembrava essersi immobilizzato alla sera precedente anche se i primi raggi del sole colpivano la sommità delle case in rovina. 

Sentivo che Calen era vicino, doveva essere in qualche tenda lì attorno. Non fu difficile scoprire quale fosse: in una piccola piazza isolata era stata posta un’unica tenda circondata da cinque file di soldati elfici armati e pronti a fermare chiunque si fosse avvicinato senza il permesso del Re. Mi acquattai dietro ad un muro di una casa e rimasi ferma ad osservare quella tenda: se mi avessero vista avrebbero subito dato l’allarme e Thranduil non si sarebbe più fidato di me. Ero sicura che Calen si trovasse là dentro, lo percepivo chiaramente. 

“È ancora Calen, è ancora l’Elfo che ho conosciuto e amato” ribadii a me stessa. 

Dopo alcuni minuti decisi di tornare indietro affinché Thranduil non si svegliasse senza trovarmi nella tenda, ma quando arrivai lui era già sveglio e mi stava aspettando in piedi al centro della tenda con le braccia conserte. 

-Dove sei stata?- mi chiese con tono brusco. 

-Avevo semplicemente bisogno di prendere un po’ d’aria fresca.- risposi senza esitare togliendomi il mantello dalle spalle; in fondo era stata quella la mia intenzione iniziale. 

-Preparati, i funerali si terranno a breve. - disse senza aggiungere altro, mantenendo lo stesso tono di voce freddo ed indicandomi un abito nero disteso sul letto, per poi uscire velocemente dalla tenda. 

“Se c’è una persona che non riuscirò mai a comprendere è sicuramente Thranduil” pensai una volta rimasta sola. 

Mi rinfrescai il viso e cancellai dal mio corpo gli ultimi segni della battaglia, infine indossai l’abito che mi aveva indicato Thranduil. Era un semplice abito nero a maniche lunghe che scendeva morbido lungo i fianchi, con dei sottili ricami argentei quasi impercettibili sul corpetto. Raccolsi i capelli in una piccola crocchia bassa, lasciando però fuori alcune ciocche troppo corte per riuscire ad inserirle nella pettinatura, e come da tradizione mi coprii il capo con un leggero velo nero. 

Uscita dalla tenda vidi Thranduil che mi stava attendendo tenendo per le briglie  Namid; anche lui indossava i colori del lutto. Senza dire una parola mi fece montare a cavallo, salendo successivamente dietro di me e guidando lui stesso Namid verso Erebor. 

Arrivati alla Porta scendemmo da cavallo e seguimmo la folla di Nani venuta a dare l’ultimo saluto al proprio Re ed i suoi giovani nipoti, i suoi eredi diretti. Raggiungemmo un’immensa sala illuminata da centinaia e centinaia di candele, al centro della quale, su una sorta di isola rocciosa separata dai gradoni ad anello e affiancata da due gigantesche statue di antichi Re, vi erano Thorin, Fili e Kili. 

I tre corpi erano stati posti uno accanto all’altro, sopra ad imponenti sarcofagi di pietra illuminati dalle candele, e stringevano tra le mani  quelle che erano state le loro armi. Era come se dormissero un sonno profondo. La spada di Thorin Scudodiquercia era stata posta sul fianco, poiché nelle mani reggeva l’Arkengemma che irradiava pura luce: la gemma che aveva così tanto desiderato sarebbe stata sepolta con lui. 

Bilbo e gli altri membri della compagnia, in una lenta processione, si soffermavano accanto ad ognuno dei feretri per qualche minuto, ripensando a tutti i momenti passati insieme, alle avventure vissute e a tutte le emozioni che avevano provato con loro; fu impossibile trattenere le lacrime. In disparte vidi Gandalf, Radagast il Bruno e Beorn, i quali assistevano come me a quella scena straziante. 

Una volta che ebbero finito di rendere a Thorin, Fili e Kili l’ultimo saluto, i Nani della compagnia si schierarono davanti alle tombe ed alzarono le armi al cielo. 

-Il Re è morto! - esclamò Mithrandir. 

-Lunga vita al Re!- gridò subito dopo Balin, seguito dal resto dei Nani. 

Dain Piediferro si chinò in segno di rispetto, era divenuto ufficialmente Re di Erebor, anche se sulla sua testa vi era già stata posta la corona. 

I Nani sulle gradinate cominciarono ad avviarsi verso l’uscita della sala, una grande festa li attendeva. Thranduil, che fino ad allora era rimasto silenziosamente al mio fianco, mi invitò a seguirlo fuori, ma decisi che sarei rimasta ancora qualche minuto. Aspettai che la folla di Nani se ne fosse andata e cominciai ad avviarmi verso le tombe di pietra, passando attraverso un tunnel scavato in una delle statue. 

-Desidererei dare anche io il mio ultimo saluto.- dissi ai Nani rimasti, i quali si stupirono nel vedermi lì. 

Balin mi osservò per qualche istante, cercando il mio sguardo nascosto dal velo, per poi farmi un leggero cenno di assenso. Lo ringraziai per il suo gesto e mi avvicinai alle tre tombe, dove mi soffermai per qualche minuto. 

Fili e Kili avrebbero potuto avere una vita lunga e felice, troppo presto la morte li aveva presi con sé. Erano stati sempre gentili nei miei confronti, soprattutto Kili, fin da quando li avevo conosciuti ad Imladris; difficilmente avrei potuto incontrare altri Nani simili a loro. 

Thorin invece all’inizio non era stato favorevole alla mia presenza nella compagnia, ma con il passare del tempo aveva saputo accettarlo mettendo da parte l’odio verso la mia razza. Grazie a lui i Nani di Erebor dopo secoli erano riusciti a fare ritorno a casa, e per questo sarebbe entrato nella leggenda; io lo avrei ricordato per sempre come un amico. 

Mi accostai ad un candelabro ed utilizzando la Fiamma trasmisi alla fievole luce emanata il dono dell’eternità: le loro tombe non sarebbero mai cadute nel buio, così come il loro ricordo. 

Quando mi voltai verso il gruppo di Nani vidi i loro occhi farsi di nuovo lucidi ed uno dopo l’altro cominciarono ad inchinarsi in segno di profondo ringraziamento. Una lacrima solitaria mi inumidì il viso: probabilmente quella era l’ultima volta che li avrei visti. Chinai il capo e con la mano sul cuore diedi loro il mio addio, per poi andarmene in silenzio. 

Percorsi un’ultima volta gli immensi saloni di Erebor che lentamente stavano riprendendo vita, soffermandomi con lo sguardo sui volti dei Nani ricolmi di gioia nel fare finalmente ritorno nel loro antico regno. Varcai la Porta, abbandonando così la compagnia di Thorin Scudodiquercia, e trovai ad attendermi alcuni soldati di Thranduil, il quale era probabilmente tornato a Dale per congedarsi da Bard. 

-Il Re la attende per partire mia signora. - disse uno di loro porgendomi le redini di Namid.  
-Aspettate! 

Mi voltai di scatto verso la Porta dalla quale era uscita quella voce e vidi un giovane hobbit correre nella nostra direzione. Alzai il velo ed andai incontro a Bilbo, il quale aveva il respiro affannoso per la corsa.  

-Mi dispiace avervi interrotto, ma dovevo assolutamente parlare con voi prima che ve ne andaste. - disse cercando di riprendere fiato. 

-Non vi dovete dispiacere, parlate pure signor Baggins. - lo incitai sorridendogli. 

-Ho saputo che avete ritrovato l’Amore di cui mi avevate parlato a Gran Burrone.- trattenni il respiro per qualche istante, le sue parole mi avevano colpito in maniera inaspettata - Per questo volevo offrirvi un piccolo dono da parte mia, per augurarvi la sua guarigione. 

Allungò la mano tremante ed aprendola comparve sul palmo una piccola ghianda. 

-Ne ho raccolto una manciata nel giardino di Beorn. So che non è molto, ma … 

Non gli lasciai finire la frase, mi inginocchiai davanti a lui e gli presi la mano, chiudendola con la mia. 

-Non perdere mai la speranza Bilbo, perché sarà quella che ti farà andare avanti anche nei momenti più difficili; non abbandonarla, resta attaccato ad essa anche se ti diranno di mollare e che non ne vale la pena. Questo è ciò che ho fatto e che spero di continuare a fare. Voi Hobbit avete un coraggio incredibile e senza accorgervene date speranza agli altri, per questo dovrei essere io a farvi un dono. 

-L’avervi incontrata è già per me un dono immenso, quando tornerò alla Contea pochi crederanno alle mie parole. 

-Ma voi non mi avete semplicemente incontrata, voi siete diventato un mio caro amico Bilbo Baggins. 

I suoi occhi si illuminarono ed io presi nella mia mano la ghianda che mi aveva porto, come ricordo di quel giovane hobbit allontanatosi dalla Contea per dare aiuto a tredici Nani sconosciuti nel riprendersi Erebor. 

-Dunque addio amico mio.- dissi infine alzandomi da terra e sorridendo a Bilbo che stava cercando di trattenere le lacrime.

-Addio… amica mia … -sussurrò lo hobbit. 

Montai a cavallo e diedi il comando a Namid di partire al passo, mentre i soldati di Thranduil si accodarono dietro. 

Bilbo rimase sulla soglia di Erebor fino a quando la mia figura scomparve dalla sua vista, ed io mi voltai un’ultima volta verso Erebor. 


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Capitolo 29
*** Capitolo 28 ***


Partimmo quando il sole era già alto nel cielo ed i suoi raggi venivano riflessi dal sottile strato di neve fresca che ricopriva le stette strade di Dale. I soldati elfici marciarono un’ultima volta per le strade della città, mentre gli Uomini di Esgaroth li osservavano avvolti nelle coperte sulle soglie delle case in rovina o fuori dalle tende. Dopo essermi congedata da Bard, che era stato eletto nuovo Governatore, mi unii al silenzioso corteo, con Thranduil al mio fianco a cavallo di un bianco stallone. 

In testa al corteo vi erano i soldati che portavano lo stendardo del Reame Boscoso, seguiti dalle guardie reali che ci circondavano su ogni lato; infine vi erano i carri dei feriti e delle provviste, accompagnati dai soldati a piedi. Non sapevo dove si trovasse Calen, ma sospettavo che avrebbe percorso un'altra via per raggiungere Bosco Atro, la più veloce e sicura possibile.

Accanto a Thranduil vi era una giovane Elfa dai lunghi capelli vermigli e dalla pelle pallida come la luna. Dagli abiti e dal tipo di armi che portava intuii che si trattasse di una delle guardie più importanti, probabilmente un capitano. Dal suo viso traspariva un profondo dolore e Thranduil si voltava spesso verso di lei, come per accettarsi che fosse ancora lì. Mi colpì molto l’atteggiamento protettivo di Thranduil nei suoi confronti, era come se condividessero lo stesso dolore che aveva portato via la luce dallo sguardo dell’Elfa. 

Durante tutto il viaggio io e Thranduil non ci rivolgemmo parola, se non qualche sguardo che subito veniva interrotto da lui, per cui passai il tempo osservando quel lato del Bosco così diverso da quello che avevo attraversato nei pressi di Dol Guldur. Le chiome rigogliose degli alberi si stavano lentamente spogliando ed un letto di foglie dai colori del tramonto ricopriva il largo sentiero che fiancheggiava un impetuoso torrente. L’inverno sembrava non essere ancora arrivato, non vi era traccia di un solo fiocco di neve o di ghiaccio, se non la leggera brina che ricopriva i fili d’erba e le foglie cadute. 

Arrivammo verso il tramonto alla fine del sentiero che dava su un ponte di pietra sospeso sul torrente, la cui acqua era mossa dalla forte corrente dovuta ad una cascata poco distante; oltre al ponte vi era l’entrata del Reame Boscoso degli Elfi Silvani. 

L’alto portone centrale era affiancato da monumentali colonne incise e scavate nella nuda pietra della parete rocciosa di una lieve collina, lavorate con tale maestria da sembrare veri e propri tronchi di alberi che affondavano le proprie radici nella fredda roccia. Il portone si aprì lentamente, rivelando oltre di esso un immenso regno scavato nella pietra. 

Trattenni il respiro per qualche istante, tale era la bellezza e la maestosità di quel luogo. 

Lunghi ponti di pietra sospesi percorrevano quello che pareva un unico salone che sembrava non aver fine, illuminato sia da lunghe lanterne che pendevano dal soffitto a volte, sia da numerose aperture nella pietra, abbastanza grandi da far penetrante lunghi fasci di luce naturale. Qualche raggio del sole ormai calante riusciva comunque a raggiungere il suolo sottostante i ponti, ove piccoli ruscelli si districavano tra le pietre, creando così dei riflessi sulle pareti di roccia, da alcune delle quali sgorgava acqua cristallina, formando così delle cascate. Alti pilastri  sorreggevano il soffitto, lavorati allo stesso modo delle colonne all’entrata, e tutti i ponti sembravano convergere in un unico punto centrale: circondato da una fila di pilastri legati tra loro da una serie di piccoli archi sulla sommità, posto su un piano sopraelevato dal suolo e sorretto da robuste colonne, vi era il trono del Re. 

Scavato anch’esso nella pietra, rappresentava il cuore e l’anima del Reame Boscoso; ai lati erano state affisse delle enormi corna di un antico megacero, forse uno dei primi mai esistiti, ampie quanto l’altezza di un Elfo adulto.  

Il resto del regno era scavato nelle pareti laterali di quella che poteva essere definita come una grotta, e si estendeva per gran parte del sottosuolo del Bosco a Nord del torrente. Da alcune aperture simili a finestre riuscivo a scorgere le abitazioni degli Elfi Silvani, semplici ma allo stesso tempo eleganti e ben organizzate. 

Una folla di Elfi venne ad accoglierci, esultando per il nostro ritorno dalla feroce battaglia. Vidi molti padri riabbracciare i loro figli e dare un bacio alle proprie mogli, ed anche giovani Elfi che dopo una lunga attesa potevano riunirsi alle loro amate compagne guerriere. 

Ma vidi anche il dolore negli occhi di chi si rese conto che non avrebbe più stretto a sé il proprio marito o la propria moglie, il proprio padre o la propria madre, il proprio figlio o la propria figlia. Sentii i loro pianti strazianti e le voci di chi cercava di dargli in qualche modo conforto, senza però riuscirci. 

La giovane Elfa che era stata sempre accanto a noi chiese con voce tremante di potersi congedare, e dopo aver ricevuto il consenso di Thranduil se ne andò scendendo alcuni scalini ed addentrandosi velocemente nel labirinto di gallerie e passaggi sotterranei. Alcuni soldati la guardarono con sguardi duri, come se la sua presenza non fosse veramente tollerata da tutti. 

-Seguimi.- mi disse improvvisamente Thranduil, porgendomi la mano per aiutarmi a scendere da cavallo. 

Il suo tono di voce era tornato gentile e pacato, esattamente come era stato la notte precedente. Sentii un piacevole calore percorrermi il corpo, qualcosa che non sentivo da tanto tempo.

Senza pensarci afferrai la sua mano e mi lasciai guidare da lui tra la folla che si apriva al nostro passaggio e ci faceva un profondo inchino, seguendo poi la strada che conduceva all’interno del Reame. I corridoi non erano stretti e umidi, ma ampi ed ariosi con aperture che davano su una serie di grotte naturali illuminate dalle lanterne o dalla luce naturale. Alcune di queste grotte erano state adibite a spaziosi saloni, dal pavimento lucido e le pareti perfettamente levigate, mentre altre erano state lasciate come erano, con piccoli specchi d’acqua proveniente dalle cascate che riflettevano la luce sulle ruvide pareti creando centinaia sfumature differenti sulla pietra.

Sembrava quasi di non essere sotto uno spesso strato di pietra e terra. 

Giunti davanti ad una scalinata presidiata da alcune guardie, Thranduil mi fece un leggero sorriso, per poi invitarmi con lo sguardo a proseguire. Ci ritrovammo in una sala adorna di affreschi e di cimeli appartenenti ad antiche guerre e combattenti, dalla quale si diramavano una serie di corridoi ognuno con un simbolo diverso sulla sommità dell’arco di ingresso. Imboccammo il terzo corridoio da destra, avente come simbolo una fiammella, che ci portò di fronte ad una porta di legno bianco finemente intagliato. 

-Aprila.- mi sussurrò Thranduil. 

Feci scattare la serratura e quando la porta si aprì rimasi nuovamente senza fiato. Un grande letto a baldacchino era posto al centro della stanza, sul quale vi era una moltitudine di morbidi cuscini e calde coperte chiare lo rivestivano, ma non fu quello che attirò la mia attenzione.

 Il pavimento non era altro che una sottile lastra di marmo, quasi trasparente: al di sotto vi era uno specchio di acqua cristallina nella quale riuscivo a scorgere la mia figura riflessa. La parete di fronte al letto era costituita da una serie di archi, oltre ai quali vi era un balcone da cui si poteva osservare Bosco Atro e, in lontananza, la Montagna Solitaria. I colori del tramonto illuminavano la stanza, anche se dal soffitto a volta pendevano innumerevoli lanterne, simili a minuscole stelle cadenti. 

Mi voltai verso Thranduil ancora incredula, ma quando incrociai il suo sguardo pieno di soddisfazione qualcosa in me mi fece indietreggiare. Era come se qualcosa fosse fuori posto, come se io non mi dovessi trovare lì, ma da tutt’altra parte. 

-Che cosa succede? Qualcosa non va?- mi chiese Thranduil notando il mio repentino cambio di espressione. 

-No no è tutto assolutamente perfetto, ma …

-Ma?- mi incitò a continuare.

-Vorrei vedere Calen. 

Appena pronunciai quel nome lo sguardo di Thranduil ritornò freddo come il ghiaccio. 

-Non credo che adesso sia il momento adatto.- disse con tono brusco.

- Ho bisogno di vederlo, anche solo per pochi istanti. - lo implorai sentendo un enorme vuoto dentro di me.

Thranduil rimase immobile per qualche secondo, trafiggendomi con il suo gelido sguardo e cercando il più possibile di rimanere calmo, eppure avrebbe dovuto sapere che glielo avrei chiesto prima o poi.

-Hai il mio permesso. -disse infine a denti stretti -Ma io verrò con te, non ti lascerò sola con lui.

Lo ringraziai sentendomi subito più leggera, per poi seguirlo verso le prigioni. Situate in profondità, le celle erano per lo più vuote ma più scendevamo le ripide scale e più le guardie aumentavano. Infine giungemmo nel punto più in basso, dove l’unica fonte di luce era costituita solamente un paio di torce appese alle pareti di roccia; una schiera di soldati presidiava l’entrata della cella dalle solide sbarre di ferro. 

Mi avvicinai alla cella, ma i soldati mi sbarrarono la strada volgendo poi lo sguardo al proprio re in attesa dei suoi ordini.
 
-Lasciatela passare. - ordinò Thranduil.

La fila di soldati si aprì immediatamente, lasciandomi quindi avvicinare alla cella e guardarvi all’interno. 

Calen era inginocchiato al centro della cella, con le braccia aperte sorrette dalle catene che gli cingevano i polsi e che erano fissate saldamente alla roccia delle pareti; anche i piedi erano legati con le catene, ma esse erano meno tese lasciandogli così una minima libertà di movimento. Al collo era stato appeso un pesante collare di una lega pressoché indistruttibile: mithril, probabilmente sottratto ai Nani secoli prima durante i numerosi conflitti tra le due razze. Il collare era anch’esso legato a delle catene, fatte dello stesso materiale mescolato con il ferro e fissate su ogni lato della cella. Dai lembi strappati dei suoi scuri abiti notai che le ferite erano state medicate, come Thranduil mi aveva assicurato. Calen teneva il capo abbassato e faceva respiri profondi, segno che era ancora incosciente. 

Ma appena posai una mano su una sbarra Calen alzò di scatto la testa e mi guardò dritta negli occhi. 

Quegli occhi demoniaci, dalle iridi ambrate, erano fissi su di me.

Improvvisamente sentii un dolore lancinante al petto, all’altezza del cuore dove si trovava la cicatrice, talmente forte da togliermi il respiro. Non riuscivo a distogliere lo sguardo da lui, era come se mi avesse ipnotizzata e nello stesso tempo mi avesse trafitto con un pugnale. 

Mi sentii sempre più debole, fino a quando non riuscii più a sorreggermi in piedi. Thranduil fulmineo mi afferrò prima che cadessi al suolo, interrompendo così il contatto visivo con Calen. 

-Belthil! Belthil rispondimi! - continuava ad esclamare Thranduil a poca distanza dal mio viso dandomi dei leggeri colpi sulle guance. 

Ma io non riuscivo a rispondergli, le parole mi morivano in gola ed il suo volto mi appariva sfocato e distante. 

Thranduil mi sollevò delicatamente, portandomi tra le sue braccia velocemente via da quella prigione. Da lontano sentii una risata agghiacciante. 

Mi portò nella mia stanza e mi adagiò sul letto, sedendosi accanto a me. 

-Belthil … - mi disse accarezzandomi una guancia sulla quale stava scendendo una lacrima. 

Non riuscii a contenere le altre lacrime, cominciando così a piangere senza controllo. Thranduil mi strinse forte a sé, ed io mi strinsi a lui.

Nella mia testa continuava a scorrermi l’immagine di Calen com’era quando lo conobbi nella foresta nei pressi di Mithlond, un giovane Elfo dai capelli perennemente spettinati e dagli occhi color nocciola chiaro, quasi verdi, con una leggera sfumatura dorata che trasmettevano sicurezza e vitalità. Un Elfo che amava la sua terra e le persone a lui più care, sempre pronto a sacrificarsi per loro. Un Elfo che aveva l’inconfondibile profumo di erba appena tagliata e le labbra carnose e rosee, così morbide e calde al contatto con le mie.

Ma quel Calen sembrava ormai sparito. 

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Capitolo 30
*** Capitolo 29 ***


CONSIGLIO PER LA LETTURA : “ Million reasons” di Lady Gaga. Buona lettura! 
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Passò una settimana dal mio arrivo nel Reame Boscoso, durante la quale iniziai a chiamare a raccolta gli Istari, fermamente convinta che possedessero le capacità per salvare Calen. 

Mi recai personalmente alla dimora di Radagast il Bruno sul lato opposto del Bosco, ma la trovai vuota e per tre giorni consecutivi continuai a recarmi lì, fino a quando Thranduil decise di mandare due messaggeri che sarebbero rimasti alla dimora finché Radagast non sarebbe tornato. Di Alatar, ormai l’unico Stregone Blu rimasto dopo la morte di Pallando, non si avevano notizie da secoli; alcune leggende raccolte in antichi e polverosi manoscritti dicevano che si fosse recato nel profondo Est, inviato da Oromë per convincere le popolazioni locali a non cedere al potere di Sauron, e che da lì non avesse fatto più ritorno. Inviai invece numerose lettere a Saruman, anche se dopo la battaglia di Dol Guldur non avevo più avuto notizie di lui, se non che si fosse ritirato a Isengard, un’antica fortezza númenoreana situata all’estremità meridionale delle Montagne Nebbiose. Non ricevetti alcuna risposta. A Mithrandir invece inviai dei messaggi sussurrati alle farfalle, animali in grado di volare ovunque e molto cari allo Stregone in quanto suo mezzo di comunicazione con l’intera Terra di Mezzo. La lingua delle farfalle era una lingua ormai inutilizzata perfino dagli Elfi, una lingua che proveniva da Valinor e che si era lentamente dispersa nel tempo. 

Ma nonostante la mia volontà di volerlo salvare in qualunque modo possibile, non feci più visita a Calen. Ogni volta che ripensavo a lui mi comparivano nella testa i suoi tremendi occhi da demone e sentivo una pesante stretta al cuore. Spesso sentivo delle urla provenienti dalle prigioni, amplificate dalla roccia, e subito dopo vedevo dei soldati correre in quella direzione con le armi in pugno e i volti contratti dalla preoccupazione. Difficilmente avrebbe potuto liberarsi da tutte le catene, in particolare da quelle di mithril, ma la nuova forza di Calen aveva messo a dura prova anche i miei poteri dati dalla Fiamma, per cui ogni sua mossa poteva costituire un pericolo. Eppure nonostante tutto continuavano a rimanere aggrappata a quell’unica fragile possibilità di farlo tornare il mio Calen, l’unica ragione per cui non mi lasciavo sopraffare dal dolore che mi faceva restare sveglia la notte. Avevo un milione di ragioni per pensare che le mie speranze fossero vane, eppure le scansavo una ad una facendo finta che non esistessero.

Ma in realtà esistevano ed erano pesanti come macigni. 

Passai la maggior parte delle mie giornate a leggere libri riguardanti la magia oscura oppure ad a esplorare il Reame, addentrandomi nei numerosi corridoi labirintici. Spesso facevo visita a famiglie di Elfi Silvani per conoscere meglio quel popolo e per non rimanere sola nella mia stanza. Thranduil veniva a farmi visita raramente, quando non era occupato con i suoi numerosi impegni che richiedevano l’attenzione del Re; quegli incarichi che avrei dovuto avere anche io se Dormor non fosse stata distrutta. 

A volte mi chiedevo come sarebbe stata la mia vita se Sauron non avesse deciso di distruggerla: avrei avuto ancora la mia famiglia, il mio amato popolo di cui sarei diventata la Regina, ma probabilmente non sarei vissuta così a lungo. Non avrei mai incontrato Calen, Thranduil, i Valar, e tutte quelle persone che avevo amato in quegli anni. Non sarei stata la stessa persona che ero. Nonostante tutte le disgrazie che mi avevano segnato profondamente, avevo provato anche nuove intense emozioni che mi avevano fatto andare avanti fino a farmi arrivare dove ero.

Stavo leggendo un libro seduta su una sedia di vimini sullo stretto balcone della mia stanza, cullata dal fresco vento che proveniva da Nord ed illuminata dal pallido sole d’autunno, quando sentii bussare alla porta. Appoggiai il libro sulla sedia lasciando che il vento sfogliasse le sue leggere pagine ed andai ad aprire, ritrovandomi faccia a faccia con Thranduil. Rimasi per qualche istante interdetta, non mi aspettavo affatto una sua visita, mentre il suo volto era tutt’altro che calmo e rilassato.

-Thranduil! È successo qualcosa?- chiesi preoccupata.

-Questa notte si terrà la commemorazione funebre per i caduti e desidererei che tu partecipassi al mio fianco. - rispose tutto d’un fiato.

Lo guardai negli occhi e attraverso di essi capii che aveva bisogno di non rimanere solo in quella straziante cerimonia, aveva bisogno di qualcuno che non lo facesse ripiombare nel dolore e nell’ebrezza del vino per dimenticare gli orrori vissuti. Quella situazione lo stava lentamente logorando: aveva la possibilità di vendicare sua moglie, ma così facendo avrebbe lui stesso ridotto in frantumi un altro cuore e un’altra anima.

-Ci sarò. 

-Ti manderò delle ancelle per prepararti, non fare tardi. - disse infine Thranduil, per poi voltarsi ed andarsene velocemente così come era arrivato.

Rimasi così immobile sulla soglia, senza avergli veramente parlato e chiesto maggiori dettagli sulla cerimonia. Chiusi la porta e ritornai sul balcone, appoggiandomi alla balaustra di pietra lasciando che il vento mi scompigliasse i capelli. Da quando avevo fatto visita a Calen Thranduil aveva cercato il più possibile di rimanere a distanza ed evitarmi, ma poi tutto ad un tratto aveva deciso di volermi al suo fianco in un’occasione così importante emotivamente per lui. Non ero mai stata capace di  comprenderlo, ed avrei continuato a non esserlo.

Alcune ore dopo al tramonto arrivarono le ancelle, e quando la luna era ormai alta nel cielo ricolmo di stelle fui pronta per recarmi alla cerimonia. Thranduil mi attendeva davanti alla scalinata che portava alle stanze reali, impaziente e teso, ma quando mi sentì arrivare alzò lo sguardo e rimase attonito. 

Indossavo un abito blu scuro come il cielo notturno, sul quale al posto delle stelle vi erano centinaia di minuscoli diamanti che aumentavano verso l’ampia coda del vestito. Lo stretto corpetto era ricamato con del pizzo dalle sfumature argentate ed era chiuso da bottoni perlacei sul retro, mentre le spalle e le braccia erano coperte da lunghe maniche di pizzo blu impreziosito anch’esso dai diamanti; a dividere il corpetto dalla gonna vi era una cintura d’argento con altri diamanti incastonati all’interno. Una collana di zaffiri e diamanti mi copriva il petto, mentre lunghi orecchini argentati si univano alla punta delle orecchie. I capelli erano raccolti in numerose trecce che erano state poi racchiuse in un’alta crocchia, nella quale erano stati inseriti dei fermagli che riprendevano la collana.
Le mie labbra erano state tinte di un rosso intenso, mentre il resto del viso era stato lasciato naturale. 

Scesi lentamente le scale e Thranduil non distolse mai lo sguardo da me, nemmeno per un singolo istante. Mi porse la sua mano come per attirarmi più velocemente a sé, ed i suoi occhi riflettevano la luce dei diamanti che illuminavano la mia pallida carnagione.

Thranduil indossava una lunga casacca scura intessuta con fili d’argento che formavano un’elaborata trama, mentre i semplici pantaloni neri seminascosti dalla giacca scendevano morbidi lungo le gambe, per poi infilarsi nei lucenti stivali di cuoio color ebano. Sulle spalle portava un morbido mantello argenteo, lungo abbastanza da fargli da strascico, impreziosito da minuscole pietre preziose e ricami elaborati. Alle dita vi erano numerosi anelli, mentre una maestosa corona gli cingeva la nuca: era costituita da rami dorati intrecciati tra loro, tra i quali erano state inserite delle foglie dai colori del tramonto e delle bacche, e le cui punte vertevano verso l’alto. Un tempo quella corona apparteneva ad Oropher, e dal padre era passata al figlio.

Strinsi la sua mano mentre scesi gli ultimi gradini, e da quel momento le nostre mani non si separarono più per il resto della cerimonia. Thranduil mi condusse fuori da un portone secondario, ritrovandoci in un ampio prato circondato dagli alberi del Bosco e delimitato dal torrente che scorreva impetuoso. Al centro del prato vi erano dei bracieri disposti in cerchio, attorno ai quali si erano riuniti gli Elfi Silvani; molti di essi reggevano in mano delle lanterne spente ricoperte da un sottile strato di carta, ognuna delle quali rappresentava un proprio caro caduto in battaglia. 

Quando raggiungemmo i bracieri Thranduil strinse ancora più forte la mia mano, per poi fare un leggero cenno agli arcieri che stavano accanto ad ogni braciere. Essi misero le punte delle loro frecce nel fuoco, mentre gli Elfi attorno cominciarono lentamente a lasciare andare le lanterne che vennero trasportate in alto dal vento. Gli arcieri incoccarono le frecce infuocate e mirarono alle lanterne.

-Namariee melloneamin! Hiro hyn hîdh ab “wanath! * - esclamò Thranduil.

Subito le frecce lasciarono gli archi e con dei sibili raggiunsero le lanterne incendiandole e rendendole simili a stelle. Esse continuarono a salire verso il cielo, fino a quando il fuoco le consumò facendole sparire nella volta celeste. 

Un canto malinconico si levò dalla folla, sovrastando lo scroscio dell’acqua e il fremito delle foglie scosse dal vento. Il canto si fece via via sempre più forte e ritmato, e molti Elfi iniziarono a danzare attorno ai bracieri: nonostante il lutto bisognava continuare a vivere e festeggiare coloro che erano tornati vivi dalla battaglia.

Thranduil si mise davanti a me e con un piccolo inchino mi invitò ad unirmi alle danze.

-È tradizione che il Re partecipi con la propria Regina, ma in questo caso farò un’eccezione.

-Allora accetto volentieri il tuo invito.- dissi avvicinandomi di più a lui, lasciando che a guidarmi fosse l’istinto.

Thranduil fece un lieve sorriso ed iniziammo a danzare stretti l’un l’altra, lasciandoci finalmente andare sulle note del canto. Entrambi sapevamo esattamente cosa fare, semplicemente guardandoci negli occhi: in quel momento ringraziai mentalmente mia madre per tutte quelle noiose lezioni di ballo che a quel tempo mi erano sembrate completamente inutili.

Da fuori potevo apparire finalmente in pace con me stessa, ma la realtà era ben diversa.

Thranduil si stava legando sempre di più a me, nonostante non volessi ammetterlo. Tra le sue braccia mi sentivo protetta e potevo non mascherare le mie vere emozioni, potevo essere veramente me stessa.

Ma il mio cuore era ancora rivolto a qualcun altro. 

*Addio amici miei! Che essi trovino pace dopo la morte!

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