AoD - 1 - I Gendarmi dei Re

di Ghost Writer TNCS
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1. Il Gendarme e la fanciulla ***
Capitolo 3: *** 2. Do ut des ***
Capitolo 4: *** 3. Legami ***
Capitolo 5: *** 4. Incubi ***
Capitolo 6: *** 5. Le lacrime degli sventurati ***
Capitolo 7: *** 6. Preparativi ***
Capitolo 8: *** 7. Lotta all’ultimo sangue ***
Capitolo 9: *** 8. Incontri inaspettati ***
Capitolo 10: *** 9. La regina delle amazzoni ***
Capitolo 11: *** 10. Verso la magia ***
Capitolo 12: *** 11. La missione di Artemis ***
Capitolo 13: *** 12. La prova del fuoco ***
Capitolo 14: *** 13. Il tempo della risolutezza ***
Capitolo 15: *** 14. La verità di Bengal ***
Capitolo 16: *** 15. L’ombra della guerra ***
Capitolo 17: *** 16. La mossa dei ribelli ***
Capitolo 18: *** 17. Sotto scacco ***
Capitolo 19: *** 18. Luce e Ombra ***
Capitolo 20: *** 19. Fino alla morte ***
Capitolo 21: *** 20. Senza ritorno ***
Capitolo 22: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***



Prologo

L’odore di bruciato gli impregnava le narici, terribile e asfissiante. Le grida di paura degli abitanti del suo villaggio raggiungevano le sue orecchie a punta, disperate, e con esse le voci furenti dei banditi.

Il piccolo mezzelfo, tremante di paura, se ne stava rannicchiato tra i cespugli spinosi, incapace di reagire. Ad ogni minimo movimento i rami aguzzi gli graffiavano la pelle, sentiva dolore ovunque, ma non riusciva a stare fermo. Era terrorizzato.

Una mano gli afferrò la spalla, strappandogli un grido di paura. Si voltò di scatto e il viso insanguinato di suo fratello maggiore lo fece trasalire.

«Scappa!»

Il bambino[1] non se lo fece ripetere e, gli occhi gonfi di lacrime, si mise a correre più forte che poteva. Sentiva le urla dietro di sé, ma più cercava di scappare, più la vegetazione si infittiva intorno a lui.  I rami si allungavano per afferrarlo, i rovi cercavano di fargli lo sgambetto e la terra sembrava una melma appiccicosa.

Cadde a terra, strisciò per un paio di metri, ma era inutile. Non poteva più fuggire.

I banditi gli erano addosso, sentiva le loro grida sguaiate, il cozzare delle loro armi.

Stavano per ucciderlo!

Si svegliò di soprassalto, la mano sinistra a cercare l’elsa della spada.

Aveva il respiro affannato e la fronte imperlata di sudore. Le orecchie a punta erano tese a captare ogni minimo suono, gli occhi a mandorla spalancati sulla foresta. Ma non c’era nessuno.

Superati gli istanti di panico, cominciò a fare respiri lenti e regolari, cercando di placare i battiti forsennati del suo cuore. Erano passati parecchi anni ormai, eppure quell’incubo non smetteva di tormentarlo. Sempre uguale, sempre spaventoso.

Ritrovata la calma, si guardò intorno. A giudicare dalla flebile luce che filtrava nella foresta, doveva essere primo mattino. Ma cosa ci faceva lì? E dov’era la sua spada?

Poi ricordò: lo scontro con il mostro era stato molto violento, era stato sbalzato contro il tronco alle sue spalle e alla fine aveva perso i sensi. Ormai la creatura doveva essere lontana.

Il suo ippolafo[2] gli si avvicinò sbuffando amichevolmente.

Il mezzelfo provò a tirarsi su, temendo di ricevere una scarica di dolore. Invece non sentì nulla: era come se il suo corpo fosse improvvisamente guarito. Certo, doveva essere merito della pozione di Alisha.

Accarezzò il collo dell’animale per rassicurarlo, o meglio per rassicurare se stesso. Non era molto bravo a lavorare in squadra e preferiva viaggiare da solo, quindi il suo unico e inseparabile compagno era proprio quel destriero simile a un robusto cervo senza corna.

Senza smettere di coccolare l’animale, ripensò allo scontro, e la sua mente non poté non andare ad Alisha. Era stata lei a chiedergli di uccidere il mostro e lui non ci aveva pensato due volte ad accettare l’incarico, pur sapendo che sarebbe stata un’impresa rischiosa. Ora però cominciava a temere che ci fosse qualcos’altro sotto, qualcosa che lei non aveva il coraggio di rivelare.

“Alisha, perché mi hai chiesto una cosa del genere?”

Un rumore improvviso destò le sue orecchie a punta. C’era qualcuno lì vicino, dietro il grande albero alle sue spalle. Forse il mostro era tornato a finire il lavoro?

Si mosse con cautela per non fare rumore e sbirciò oltre il robusto tronco. No, non era il mostro: era una ragazza bionda e tra le mani aveva una spada nera. La sua spada.

Non le avrebbe permesso di rubargliela.

Fece per muoversi, ma in quel momento lei sollevò lo sguardo e lo vide.

Ottimo, addio effetto sorpresa.

«Giako Duivelzoon?» gli domandò.

Lui rimase in posizione d’allerta. «Chi lo vuole sapere?»

«Jehanne Romée[3]» si presentò lei con un vivace sorriso. Girò la spada per offrirgli l’impugnatura. «Finalmente ti ho trovato!»



Note dell’autore

Ciao a tutti, e grazie per aver iniziato (o ri-iniziato) questa mia nuova storia! :D

Mi scuso per aver apportato modifiche già dopo un solo capitolo, ma una beta mi hanno fatto notare che la prima metà della storia prendeva meno rispetto al mio ultimo racconto (L'ascesa delle Bestie), e io sono uno che preferisce riscrivere dieci volte piuttosto che lasciare un lavoro imperfetto.

Nello specifico ho “riordinato” la trama per saltare subito alle parti più interessanti e ho introdotto fin dall’inizio Jehanne (che nella versione precedente sarebbe comparsa non prima dell’ottavo capitolo D:). Ma non preoccupatevi: tutte le parti antecedenti al risveglio di Giako e degne di nota torneranno sotto forma di flashback ;)

Bene, non perdo altro tempo e vi lascio ai prossimi capitoli, dove tra l’altro ho inserito dei disegni chibi fatti da me dei vari personaggi ;D


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[1] Dal momento che nelle mie storie molti personaggi appartengono a specie immaginarie, ho scelto di utilizzare termini come “uomo”, “donna” e “ragazzo/a” anche per i non umani, così da evitare ripetizioni e strani giri di parole.

[2] Specie originale di TNCS. Il nome deriva dalle parole greche ippos (cavallo) ed elafos (cervo).

[3] Giovanna D’Arco. Nel villaggio di Jehanne (il suo nome in francese antico) era abitudine dare il cognome della madre alle femmine, quindi nel suo caso Romée e non Darc.
Fonte: Alessandro Barbero, https://youtu.be/OBmX28Bug_w.

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Capitolo 2
*** 1. Il Gendarme e la fanciulla ***


1. Il Gendarme e la fanciulla

Data:  3631 d.s., terza deca[4]

Luogo: pianeta Raémia, sistema Mytho

«Gian Romée?» ripeté Giako, diffidente. La sua pelle aveva una sfumatura grigio chiaro, indizio della sua natura di mezzelfo oscuro, e i suoi corti capelli corvini erano acconciati in una morbida cresta.

«È Jehanne» lo corresse la ragazza, un po’ seccata. Parlava con un leggero accento, l’uomo però non riuscì a identificarlo: quasi sicuramente non era originaria dei Reami Blu. L’aspetto era quello di un’umana – e gli umani vivevano nei Reami Gialli –, aveva due vivaci occhi azzurri e i ciuffi ai lati del capo sfumavano al rosa. Indossava un’armatura di metallo chiaro con una croce dorata sul cuore, e al fianco portava una spada dall’impugnatura dorata. Ma cosa ci faceva lì un’umana? E cosa poteva volere da lui?

Prima però di dare voce ai suoi dubbi, doveva riprendere la sua spada. Si trattava di un’arma a una mano e mezza con lama nera e dritta, adatta sia ai colpi di taglio che agli affondi. Il filo era finemente dentellato e la punta era abbastanza aguzza da perforare anche un rivestimento in cuoio o una maglia di ferro leggera.

Allungò cautamente la mano e la afferrò, traendola lentamente a sé. Il materiale dell’elsa offriva un’ottima presa con i suoi guanti e il pomo garantiva un bilanciamento eccellente.

«Perché mi cercavi?» le chiese. Ora che aveva di nuovo la sua spada, si sentiva molto più sicuro. Si chiamava Balmung e veniva tramandata nella sua famiglia da generazioni. «Se è per la mia assenza, ho ancora qualche giorno di licenza.»

La giovane per un attimo non capì, poi scosse il capo. «No, no, non lavoro per il Corpo di Gendarmeria. Ti stavo cercando perché mi serve il tuo aiuto.»

«Allora mi spiace, sono già occupato» tagliò corto Giako. Alisha gli aveva chiesto di uccidere il mostro, e anche se si trattava di una missione quasi impossibile, non si sarebbe tirato indietro. Piuttosto sarebbe morto provandoci.

Senza aggiungere altro si voltò e tornò dal suo ippolafo. La spessa pelliccia dell’animale, ideale per gli inverni rigidi di quella regione, aveva una colorazione insolitamente scura che si combinava alla perfezione con gli abiti neri del mezzelfo: stivali alti con la punta in metallo, robusti pantaloni di pelle rinforzata e una giacca in cuoio. Anche le piastre della sua leggera armatura erano molto scure e gli proteggevano il busto, le braccia, le mani e le cosce.

«No, aspetta, ti prego» provò a ribattere Jehanne raggiungendolo. «Io lavoro per gli Astrali, e loro sono venuti a sapere di un alchimista che sta facendo esperimenti sui demoni, forse per trasformarli in armi magiche. Sappiamo che si trova in questo Reame, probabilmente nella zona sud-est.»

Giako rimase in silenzio, troppo occupato a sistemarsi il suo caldo mantello di pelliccia intorno alle spalle. La sera prima l’aveva infilato sotto un’apposita fibbia della sella affinché non lo intralciasse durante lo scontro con il mostro, ma ora che l’inverno era alle porte era difficile farne a meno.

«Tu… sai chi sono gli Astrali?» fece Jehanne in tono leggermente preoccupato. «I tuoi genitori te l’hanno spiegato… vero…?»

«Mio padre è morto quando ero molto piccolo, e anche mia madre è stata uccisa alcuni anni dopo» ribatté il mezzelfo, lapidario. «Se anche me l’avessero detto, non me lo potrei ricordare.»

«Oh… mi spiace.» La giovane si portò le mani ai fianchi, lo sguardo mesto. «Beh, è un po’ complicato…» Un sorriso tirato apparve sul suo volto. «Se devo essere sincera, quando me l’hanno spiegato, non c’ho creduto nemmeno io. Il fatto è che…» Lo guardò dritto negli occhi, di nuovo seria, e Giako si sentì pervaso da quello sguardo: era come se un fuoco perpetuo ardesse nelle pupille della giovane. «Ascoltami: io vengo…»

Un rumore di zoccoli al galoppo interruppe il discorso della ragazza. Lei e Giako si voltarono in direzione del rumore e ben presto individuarono sei uomini diretti verso di loro a dorso di altrettanti ippolafi.

I due continuarono a osservarli, cercando di capire se fossero lì per loro o se erano semplicemente di passaggio. Il dubbio venne presto sciolto: i sei cavalieri – due elfi e quattro myketis[5] – si fermarono intorno a loro, circondandoli. Indossavano tutti delle protezioni di cuoio o metallo, ma nessuno poteva vantare una vera armatura. Molto probabilmente si trattava di fuorilegge.

«Ohì, ma non dovevà essèr solò?!» esclamò uno dei myketis.

In quel momento si trovavano a Grandeforêt[6], e lì la quasi totalità della popolazione era costituita proprio da myketis. Tale specie era imparentata più con i funghi che con i mammiferi, ed era facile riconoscerli perché i loro occhi erano completamente colorati, dunque senza distinzione fra sclera, iride e pupilla.

«È solo una donna, prèndetèla come òmajjio» ribatté uno dei due elfi. Parlava anche lui la lingua dei myketis, ma con un marcato accento straniero.

Jehanne si voltò verso Giako e il mezzelfo riconobbe subito la malcelata irritazione sul viso dell’umana. «Sono amici tuoi?»

«Direi proprio di no.»

La risposta sembrò soddisfare la ragazza. «Bene. Signore, perdonami; prometto che cercherò di non fargli troppo male.»

Il mezzelfo, che invece era tutto fuorché soddisfatto dei nuovi arrivi, valutò rapidamente la situazione. Era evidente che quelli non erano semplici banditi, bensì ribelli: dei comuni fuorilegge non avrebbero attaccato una coppia di persone armate, e a maggior ragione non avrebbero preso di mira un Gendarme come lui. Altrettanto evidente era che sarebbe stato quasi impossibile fuggire via indenni, così sguainò Balmung e diede una pacca sulla coscia del suo ippolafo per farlo allontanare. L’animale non se lo fece ripetere e si affrettò a cercare riparo nei pressi di un grosso albero. Anche un altro destriero sellato fece lo stesso pochi metri più in là: aveva il manto di un marrone assolutamente anonimo e probabilmente si trattava della cavalcatura di Jehanne.

Come Giako, anche la ragazza aveva impugnato la sua spada, tuttavia nel suo caso la lama era ancora coperta dal fodero. Quest’ultimo era addirittura assicurato all’arma da un paio di fibbie che avvolgevano la guardia, come per impedire all’utilizzatore di rimuoverlo.

Il mezzelfo non ebbe modo di chiedere spiegazioni in proposito perché anche i due elfi e i quattro myketis scesero dai rispettivi ippolafi e sollevarono le armi. Uno dei funghi umanoidi brandiva una mazza ferrata, tutti gli altri invece disponevano di classiche spade. O meglio, quattro di queste erano spade normali, al contrario quella nelle mani di uno degli elfi era alquanto insolita: il filo era minacciosamente frastagliato, la guardia era lavorata con sorprendente precisione per imitare la forma di due coppie di dita artigliate, e sul piatto della lama si potevano intravedere delle rune.

«Ohì, bambolinà, la spadà la devi estràrr» ironizzò uno dei myketis, e i suoi compagni non poterono esimersi dallo sghignazzare malignamente. Anche Giako dovette sforzarsi per celare la propria ilarità.

Jehanne sorrise – un sorriso tirato tutt’altro che amichevole – e come un lampo scattò in avanti. Con un poderoso affondo colpì la pancia del giovane che l’aveva derisa, strappandogli un rantolo d’agonia e facendolo cadere in ginocchio. Se non fosse stato per il fodero ancora al suo posto, di sicuro il bandito se la sarebbe vista brutta.

I compagni del myketis sembravano pietrificati, al punto che l’elfo con la spada frastagliata dovette intervenire esclamando qualcosa nella sua lingua madre. Era il più vecchio dei sei e il suo viso era una maschera dura e inflessibile, da condottiero; perfino la sua arma parve riconoscere la sua veemenza, infatti le rune sulla lama ebbero un tenue bagliore arancione.

Ritrovata la fiducia – questa volta priva di sfacciataggine – i tre myketis rimasti in piedi e l’altro elfo si misero in posizione di guardia per affrontare i nemici.

Giako, che stava studiando la situazione per elaborare una strategia, capì subito che i suoi avversari sarebbero stati un myketis e l’elfo con la spada strana. Quest’ultimo era molto probabilmente il capo della banda e il più forte dei sei, il che avrebbe spiegato come mai gli altri tre si erano concentrati su Jehanne.

Doveva fare attenzione, ma non si considerava affatto sconfitto: lui era un Gendarme solitario e non era la prima volta che affrontava una banda di fuorilegge. Senza contare che non aveva alcuna intenzione di morire proprio adesso che Alisha contava su di lui.

Si mise in posizione di guardia, studiando i suoi avversari per capire quale fosse il momento giusto per attaccare. Ma l’elfo lo anticipò: ignorando la distanza proibitiva che li separava, sollevò la sua spada. Il Gendarme pensò a un trucco per permettere al myketis di attaccare, tuttavia le rune sull’arma si accesero di luce arancione: un bagliore che ben presto avvolse tutta la lama. Fu in quel momento che capì che tale magia non era solo un trucco per intimorire gli avversari.

Il colpo arrivò rapidissimo. All’elfo bastò eseguire il fendente e l’onda di energia partì in direzione del suo avversario. Il mezzelfo si riparò d’istinto dietro Balmung, ma non riuscì a bloccare completamente l’attacco. Il flusso arancione raggiunse la sua armatura, scalfendo lo spallaccio destro e aprendo uno squarcio sul fianco sinistro.

In un attimo la mente di Giako corse a un paio di giorni prima, quando ancora stava inseguendo il mostro: sulla strada aveva trovato i cadaveri di una decina di Gendarmi, tutti avevano due linee verticali tracciate col sangue dalla tempia alla mandibola, ma soprattutto le loro armature erano state letteralmente squarciate da quelli che sembravano colpi di spada. Si era chiesto quale arma potesse causare simili danni, e ora aveva trovato la risposta.

Non riuscì a trattenere un’imprecazione.

Con una rapida occhiata valutò che Balmung non aveva subito danni, tuttavia avvertiva una sgradevole sensazione al fianco colpito: probabilmente l’onda di energia, oltre ad aver danneggiato l’armatura, aveva anche raggiunto la pelle.

Doveva sbrigarsi a chiudere la faccenda.

Con uno scatto deciso si lanciò contro l’elfo, costringendolo sulla difensiva. Il suo avversario era piuttosto abile, nemmeno il fatto di affrontare un mancino sembrava impensierirlo.

Ben presto intervenne anche il myketis, costringendo Giako a creare uno scudo di energia verde. Al contrario della maggior parte degli elfi, lui non aveva mai avuto abilità magiche, ma come tutti i Gendarmi aveva un pendente che, oltre a fungere da distintivo, gli permetteva di sfruttare la Magia dei Re per eseguire semplici incantesimi.

Il mezzelfo, bloccato sulla difensiva, continuò a parare i colpi nemici, in attesa del momento giusto per contrattaccare. Il fungo umanoide non aveva la tecnica, la forza o la rapidità del suo compagno, però dimostrava anche lui una certa destrezza.

La buona notizia era che la spada dell’elfo non si era più illuminata. Forse aveva bisogno di tempo per ricaricarsi, ma non aveva idea di quanto tempo gli restava: doveva sbrigarsi a eliminare almeno un avversario.

Con uno scudo d’energia bloccò un attacco del myketis, deviò un affondo dell’elfo e gli tirò un pugno in faccia, facendolo indietreggiare. Era il suo momento: con uno scatto improvviso si avventò sul fungo umanoide, lo sbilanciò con una finta e menò il tondo decisivo. La testa del giovane cadde a terra, imbrattata da uno spruzzo di sangue arancione.

Meno uno.

Senza perdere tempo si rimise in posizione di guardia, pronto a fronteggiare l’elfo. La rabbia negli occhi di quest’ultimo era tangibile e le rune sulla sua spada brillavano con preoccupante intensità. Degli strani simboli neri erano anche apparsi sulla pelle dell’uomo, simili a tatuaggi tribali, e si stavano lentamente espandendo a partire dalla mano dove teneva l’arma.

Giako non si fece impressionare e mantenne la calma. Lanciò una rapida occhiata a Jehanne e valutò che se la stava cavando piuttosto bene con i suoi tre avversari: poteva concentrarsi sul suo nemico.

“Alisha, aspettami. Ti prometto che ti porterò il cadavere del mostro, costi quel che costi.”



Note dell’autore

Rieccoci XD

Ovviamente dopo un prologo e un capitolo non si possono dare giudizi, ma spero di avervi incuriositi a continuare la lettura.


Per quelli che hanno già letto la vecchia versione della storia (quando ancora si chiamava La strega e la bestia), posso dire che questa versione si diversificherà sempre di più andando avanti coi capitoli, che in totale saranno una ventina (quindi più del triplo di quelli che c’erano prima).


Ringrazio le beta che mi hanno dato una mano a sistemare la prima metà della storia: Hesper M., Stainless_ e TortaMillefoglie.


Per mantenere la “tradizione” iniziata con L’ascesa delle bestie, vi propongo un disegno (chibi) fatto da me di Giako:

Giako Duivelzoon (AoD-1)

Nei prossimi capitoli ne aggiungerò altri per i personaggi principali ;)


Per il momento è tutto, vi do appuntamento tra un paio di settimane per il secondo capitolo (lo pubblicherò il primo weekend di luglio).

Per essere sicuri di non perdere nemmeno un aggiornamento, vi consiglio di dare un’occhiata ai vari canali offerti da Segui TNCS.

A presto! ^.^


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[4] La sigla d.s. indica la datazione spaziale (detta anche datazione standard). L’anno spaziale ha una durata di circa 1,12 anni terrestri e si divide in 10 mesi chiamati “deche”.
Le età vengono comunque indicate secondo la durata dell’anno terrestre.
Nota bene: questa storia è ambientata su un pianeta tipicamente fantasy, quindi privo di tecnologie avanzate e tantomeno di tecniche per raggiungere altri pianeti, ciononostante utilizzo la datazione spaziale per uniformità rispetto alle altre mie saghe.

[5] Specie originale di TNCS. Il termine deriva dal greco mykes, che significa fungo.
Per maggiori informazioni: tncs.altervista.org/bestiario.

[6] “Grande foresta” in francese.

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Capitolo 3
*** 2. Do ut des ***


2. Do ut des

L’elfo serrò la presa sull’elsa della sua spada, sforzandosi di non perdere la calma. Quando aveva sentito di un Gendarme solitario nella zona, aveva subito pensato che sarebbe stata una vittima relativamente facile. Certo, i solitari erano generalmente più capaci dei colleghi che giravano in gruppi, ma contro sei avversari non avrebbe avuto speranze. Se solo quella biondina non si fosse messa in mezzo…

La rabbia esplose come un urlo nella sua testa e lui si avventò sul mezzelfo, tempestandolo di attacchi senza sosta.

Giako dovette dare fondo a tutta la sua tecnica per riuscire a difendersi, cercando al contempo di non farsi ipnotizzare dallo sguardo del suo avversario: glaciale e furente al tempo stesso. Il ritmo degli attacchi del ribelle era impressionante, sembrava instancabile. Come alimentata dalla sua furia, l’intera lama venne avvolta dalla luce arancione, e gli strani simboli neri si moltiplicarono, salendo fino alla spalla per poi diramarsi nel resto del corpo.

Il Gendarme sapeva che, a quel ritmo, era solo questione di tempo prima che il suo avversario riuscisse ad avere la meglio. Con un repentino incantesimo creò uno scudo di energia, sicuro di riuscire ad attaccare nell’apertura immediatamente successiva. Ma così non fu: la spada del nemico mandò in pezzi la sua difesa e proseguì la sua corsa, investendo il mezzelfo. Giako abbozzò una difesa con Balmung, ma il suo movimento istintivo non fu sufficiente e l’impeto del nemico lo scaraventò a terra. Come in precedenza, il flusso di magia proiettato dalla spada nemica riuscì a tagliare la sua armatura, graffiandogli la pelle.

Fece per rialzarsi, ma l’elfo gli era già addosso. Non ebbe il tempo di sollevare la sua arma che un’ombra piombò su di lui. Un fragore metallico fece vibrare le sue orecchie a punta, seguito da uno sbuffo di polvere.

Ci mise qualche istante per capire che la sagoma sopra di lui era Jehanne, mentre gli bastò un attimo per imprecare alla vista del solco nel terreno scavato a meno di un metro dalla sua testa.

La ragazza, dopo aver deviato il fendente dell’elfo, passò al contrattacco, investendolo con una micidiale raffica di colpi. Era incredibile come riuscisse a muoversi rapidamente nonostante l’armatura.

Il ribelle, colto di sorpresa dall’intervento della giovane, ci mise qualche secondo per reagire, e tanto bastò a farlo arretrare di diversi metri. Giako, ancora stordito, scosse con decisione il capo e si rimise in piedi. Non intendeva restarsene a guardare mentre Jehanne lo salvava.

Lanciò un rapido sguardo agli altri fuorilegge per assicurarsi che fossero tutti morti, ma con sua profonda sorpresa scoprì che tutti e tre erano ancora vivi. Malconci, certo, ma respiravano, e avevano ancora la forza di gemere a terra.

 Si sarebbe occupato dopo di loro, ora doveva aiutare Jehanne a sistemare l’elfo e quella sua micidiale spada.

Corse in aiuto della ragazza – che in realtà non sembrava averne un gran bisogno –, e si preparò allo scontro.

Ora quasi tutto il corpo dell’elfo era coperto dagli strani tatuaggi tribali e il suo sguardo sembrava quello di una belva feroce. Appena il fuorilegge incrociò lo sguardo del mezzelfo, il suo viso venne deformato in un ringhio ferino. Poi cominciò a tremare e indietreggiò di alcuni passi.

Cosa gli stava succedendo?

L’elfo barcollò per qualche altro istante e poi cadde a terra, esanime. Il suo cuore batteva ancora, ma la luce nei suoi occhi argentei si era spenta. Non c’era più niente da fare per lui.

Giako e Jehanne rimasero immobili per qualche istante, poi si scambiarono uno sguardo. Nessuno dei due parlò, ma entrambi stavano pensando la stessa cosa: “è stata la spada”.

Dei gemiti a poca distanza ricordarono loro che c’erano altri tre ribelli ancora in vita.

«Perché non li hai uccisi?» chiese il mezzelfo.

«È contrario alla mia religione» rispose Jehanne. «Anzi, dovrei chiedere anche a te di tenere a freno la spada.»

Il Gendarme, che non si sentiva particolarmente in colpa per aver decapitato il myketis, si limitò a un mugugno d’assenso. Non provava piacere nell’uccidere, ma sapeva perfettamente che con certa gente le parole sarebbero state inutili.

La ragazza però non sembrava dello stesso parere, infatti si chinò vicino ai giovani che aveva appena sconfitto per parlare con loro.

Giako era un po’ curioso di sentire ciò che lei aveva da dire a quei criminali, ma preferì prepararsi per partire: l’arrivo dei ribelli non gli aveva fatto dimenticare la missione affidatagli da Alisha.

Rinfoderò Balmung e andò dal suo ippolafo. I pochi bagagli erano ancora assicurati alla sella, quindi si limitò a controllare rapidamente che fosse tutto a posto.

«Ehi, aspetta!» lo chiamò Jehanne.

Giako esalò un sospiro di rassegnazione. Non amava la compagnia, ma se c’era qualcosa che proprio detestava, erano le persone insistenti. «Senti, mi spiace, ma non posso aiutarti.»

«No, ascoltami! Quella spada è proprio il tipo di arma di cui ti parlavo! E l’alchimista che sto cercando è l’unica persona in grado di fare una cosa simile. Se non lo fermiamo, moriranno centinaia, migliaia di innocenti!»

Giako esitò. Non aveva pensato a un simile collegamento, e nel sentire le parole dell’umana avvertì un brivido gelido lungo la schiena. Se davvero i ribelli fossero riusciti a ottenere un numero considerevole di quelle armi, allora niente avrebbe potuto impedire loro di rovesciare i Re e prendere il potere. In quanto Gendarme si sentiva in dovere di indagare su una minaccia di tale entità, allo stesso tempo però non voleva abbandonare la missione affidatagli da Alisha.

L’umana lo trafisse con i suoi occhi azzurri e Giako si sentì come se lei riuscisse a leggergli l’anima. «Beh?! Non hai niente da dire?!»

Il mezzelfo strinse i pugni. «Che cazzo, ti ho già detto che ho una cosa importante da fare! Se vuoi che ti aiuti, allora prima tu devi aiutare me.» Le parole erano uscite da sole dalla sua bocca, e in cuor suo se ne pentì. Ma ormai era tardi per i ripensamenti.

Jehanne, che pure era più bassa di lui di quasi tutta la testa, in quel momento sembrava sovrastarlo. «Tu hai capito che sto cercando di salvare il mondo, vero

Il Gendarme serrò le labbra. «Sì. Ma non posso rinunciare alla mia missione. Alisha… Non tradirò la promessa che le ho fatto.»

La giovane gli voltò le spalle, forse per impedire al suo pugno di urtare con violenza contro il naso del mezzelfo. Dopo alcuni lunghi istanti di lotta interiore, si voltò. «D’accordo, come vuoi. Ma voglio la tua parola.»

«Hai la mia parola» le assicurò Giako. Si sentiva un po’ in colpa per la situazione che era venuta a crearsi, ma era troppo orgoglioso per ammetterlo.

«Ok, cosa dobbiamo fare?»

«Uccidere un mostro di tre metri molto incazzato.»

Il mezzelfo aveva parlato tutto d’un fiato, si aspettava di vedere l’incredulità sul viso di Jehanne, ma non fu così.

«E sai dove possiamo trovarlo?» si limitò a chiedere lei.

Dopo un attimo di stupore, il Gendarme prese la cordicella che portava al collo e da sotto la giubba tirò fuori una bussola. Era stata Alisha a dargliela e puntava in direzione del mostro.

«Di là.»

«Ottimo, muoviamoci» sentenziò Jehanne con il piglio di chi è abituato a comandare. «Aiutami a raccogliere le armi di quei tizi e poi andiamo. Il mondo non si salverà da solo.»

Giako non poté che annuire e si mise al lavoro.

Qualcosa gli diceva che non sarebbe stato lui a dare gli ordini da lì in avanti.

***

La casa di Alisha si trovava ai margini della foresta, a poca distanza da un villaggio di medie dimensioni di cui si vedeva la palizzata in legno. Con gli anni l’edificio si era allargato, chiedendo più spazio alla selva per permettere alla donna di offrire ai malati le cure adatte in maniera più comoda ed efficace, ma anche di svolgere esperimenti di magia sempre più complessi. Alisha era infatti una strega – una strega piuttosto capace – e nel tempo libero era solita approfondire i suoi studi.

In quel momento la donna era seduta su un semplice letto fatto di legno e ricoperto di calde pellicce. La sua pelle era molto chiara, di una sfumatura che si avvicinava al giallo più che al rosa, in totale contrasto con i capelli nero-bluastri. Gli occhi completamente blu erano messi in risalto dal trucco, e allo stesso modo il vestito semplice e funzionale sottolineava le forme esili ma eleganti del suo corpo. Il suo sguardo era triste, ed entrare in quella stanza non aveva fatto altro che accentuare la sofferenza che provava dentro di sé. Quella era stata la camera di Giako quando era piccolo, e quando tornava da lei era solito dormire proprio sul letto dove ora era seduta.

Accarezzò con delicatezza le pellicce morbide, ricordando gli anni in cui si era presa cura del bambino mezzelfo trovato per caso nella foresta. Ben presto le sue dita cominciarono a tremare e i suoi occhi si fecero lucidi.

Come aveva potuto? Come aveva potuto chiedere a Giako di andare a uccidere il mostro? Si sentiva lei stessa un mostro ancora peggiore, e non aveva idea di come rimediare ai suoi errori.

Come a volerla punire, ogni volta che chiudeva gli occhi la sua mente tornava al momento in cui lo aveva incontrato per la prima volta, solo, ferito e spaventato…

Il carretto trainato da un robusto ippolafo sobbalzava leggermente a causa delle irregolarità nel terreno, la giovane seduta vicino al cocchiere però non ci faceva caso: era troppo concentrata sul libro che stava leggendo. Aveva appena finito il suo apprendistato di strega e finalmente era tornata nella sua terra d’origine, eppure nemmeno la prospettiva di rivedere il luogo dove era nata riusciva a distrarla dai suoi studi. La sua maestra le aveva insegnato moltissimo, dalle basi fino alle tecniche per gli incantesimi più complessi, ciononostante sentiva di avere ancora molto da imparare, da sperimentare, da scoprire.

La magia era meravigliosa.

Arrivata in fondo alla pagina, si concesse qualche istante per ammirare il paesaggio. In quel momento si trovavano sul confine tra Donkernacht[7] – popolato da elfi oscuri – e Grandeforêt – il suo Reame d’origine, popolato da myketis come lei –, e l’ambiente era già quello a cui era abituata da bambina: le grandi conifere dalle chiome rigogliose gettavano ombre praticamente ovunque, regalando a tutta la zona un’atmosfera cupa e familiare. In passato aveva sentito diversi stranieri che si lamentavano di quella peculiarità, preferendo territori più aperti e luminosi, lei però aveva sempre associato quella perenne penombra all’idea di casa.

D’un tratto i suoi occhi senza pupilla né sclera vennero attirati da una figura minuta seduta su una grossa radice: un bambino elfo oscuro a giudicare dalle lunghe orecchie a punta e dalla pelle grigia. Aveva i capelli nerissimi e i vestiti rovinati: forse aveva corso a lungo nella foresta. Sembrava stesse piangendo.

«Aspetta.»

Il cocchiere, un uomo dallo sguardo vuoto e il corpo pieno di suture, tirò le redini dell’ippolafo.

La giovane scese dal carretto e si avvicinò al piccolo. «Ehi, va tutto bene?»

Lui sollevò il capo. Gli occhi neri e a mandorla erano lucidi di lacrime, così come le guance, mentre le braccia e le gambe erano piene di graffi. Tirò su col naso. «Mi sono perso.»

Parlava un dialetto elfico, Alisha però non aveva problemi a capirlo e a farsi capire grazie a un utile sigillo magico insegnatole dalla sua maestra. «Vieni da un villaggio? Mi sai dire come si chiama?»

Lui scosse il capo e riprese a piangere sommessamente, lo sguardo basso per cercare di nascondere le lacrime.

La myketis decise di non arrendersi: per lei era impossibile restare indifferente davanti alle sofferenze di un bambino. Era evidente che il piccolo elfo aveva appena vissuto un’esperienza terribile, non voleva forzarlo a parlare, però doveva sapere cosa gli fosse successo per poterlo aiutare. Magari proprio in quel momento i suoi genitori lo stavano cercando colmi di preoccupazione.

Si sedette accanto a lui per farlo sentire al sicuro, nel frattempo ampliò la sua mente e, in maniera così delicata da risultare impercettibile, si connetté con quella del piccolo elfo oscuro.

Ciò che vide le causò una stretta al cuore. Non era la prima volta che incontrava la vittima di un gruppo di briganti. Farabutti del genere erano presenti in ogni Reame, quindi non era raro che i villaggi più isolati venissero razziati di ogni cosa: viveri, bestiame e persone.

Quel bambino era riuscito a salvarsi, ma le probabilità di ricongiungersi con sua madre e suo fratello erano pressoché nulle. Anche ammettendo che non fossero stati uccisi sul posto, sarebbe stato praticamente impossibile ritrovarli e salvarli dalla schiavitù.

Quando Alisha interruppe la connessione, aveva a sua volta gli occhi lucidi. Con un gesto materno lo cinse con un braccio e lo strinse a sé. «Va tutto bene, ci sono io adesso. Ti aiuterò, te lo prometto. Ecco, bevi un po’.»

Il piccolo mezzelfo sollevò lo sguardo e, con suo grande stupore, vide un otre pieno d’acqua che si avvicinava a lui fluttuando a mezz’aria. Quasi con riverenza allungò le mani per prenderlo. La magia era una pratica abbastanza diffusa e quasi ogni villaggio poteva vantare la presenza di un mago, tuttavia la maggior parte sapeva fare solo incantesimi basilari come purificare modeste quantità d’acqua o favorire la guarigione di una ferita. Non ne aveva mai visto uno in grado di far levitare gli oggetti.

«Io sono Alisha, Alisha Bellecœur» si presentò la myketis con un dolce sorriso. Passò una mano sul corpo del bambino e in pochi secondi quasi tutti i graffi si rimarginarono completamente. «Tu come ti chiami?»

Il piccolo mezzelfo, finalmente dissetato e colmo di ammirazione, tirò su col naso. Si asciugò una guancia con la manica. «Mi chiamo Giako.»

«Bene, Giako, vuoi venire con me?»

Lui la guardò e si sentì come ipnotizzato da quegli occhi completamente blu, con una specie di leggera corona viola a circondare il corrispettivo dell’iride. Aveva troppa paura per tornare al suo villaggio, e di certo non voleva restare da solo nella foresta.

Le prese delicatamente la mano, come se si vergognasse di toccare quella pelle liscia e pulita con le sue dita sporche. Annuì.

Per Alisha, Giako era una via di mezzo tra un figlio e un fratello minore, gli voleva bene come a un membro della sua famiglia, e questo non faceva che moltiplicare i suoi sensi di colpa: con che diritto gli aveva chiesto di porre rimedio al terribile errore che lei stessa aveva commesso?

Certo, il mezzelfo era intelligente e capace, aveva un’esperienza di anni alle spalle e brandiva una spada in grado di tagliare quasi ogni cosa, ma che speranze poteva avere da solo contro il mostro?

Quello che lei non poteva sapere era che il mezzelfo non era più solo.



Note dell’autore

Di nuovo ciao a tutti!

Per chi ha letto già L’ascesa delle Bestie (ma anche per chi non l’ha letto), ammetto di aver faticato a trovare un titolo che fosse diverso da 2. Accordo come nell’altra storia XD


Sono molto contento di questa revisione soprattutto per essere riuscito ad introdurre subito Jehanne, che così sarà al fianco di Giako fin dall’inizio. Trattandosi di un personaggio storico, cercherò di attenermi il più possibile alle notizie reali che ho trovato (tipo il fatto che si chiami Romée e non Darc), ma mi concederò qualche piccola “licenza poetica” perché comunque non sto scrivendo una biografia :P

Ed ecco qua il disegno della “mia” Pucelle d’Orléans:

Jehanne Romée (AoD-1)


In questo capitolo è comparsa anche Alisha, in particolare ho recuperato il pezzo che apparteneva al precedente capitolo 1 (ma che lì aveva poco senso dato che era presentato come un ricordo di Giako, ma vissuto dal punto di vista di Alisha :S).


Bene, per il momento è tutto, appuntamento come sempre tra un paio di settimane (e questa volta si spera senza revisioni nel mezzo ^.^").

Ciao! :D


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[7] “Notte oscura” in olandese.

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Capitolo 4
*** 3. Legami ***


3. Legami

I due ippolafi camminavano con andatura costante, procedendo a un ritmo abbastanza spedito che avrebbero potuto mantenere anche per lunghe distanze. L’animale di Jehanne sembrava del tutto privo di peculiarità, il destriero di Giako invece aveva due elementi che lo differenziavano da qualsiasi altro suo simile: innanzitutto la pelliccia particolarmente scura, quasi nera, e poi il fatto che si trattava di un non-morto, capace di camminare per giorni interi senza mai accusare la fatica e quasi insensibile alle ferite.

Era stata Alisha a renderlo tale, così da permettergli di restare sempre al fianco di Giako: al contrario degli zombie, i non-morti non perdevano i ricordi o la personalità, ma erano comunque virtualmente immortali. Fintanto che riceveva cibo e una scorta adeguata di magia, niente avrebbe potuto fermarlo.

Il mezzelfo lo sapeva, per questo si assicurava sempre di non restare a corto di zollette di zucchero intrise di magia. Durante l’inseguimento del mostro aveva forzato molto il suo destriero, al punto che era stato costretto a consumare quasi metà della scorta per evitare che il corpo dell’animale iniziasse a decomporsi.

In quel momento però il Gendarme aveva altri pensieri per la testa. Da almeno un quarto d’ora teneva gli occhi fissi su un piccolo foglio di carta, come ipnotizzato. Su di esso c’erano solo poche parole scritte con una calligrafia elegante e ordinata; in realtà ormai le conosceva a memoria.

Ho bisogno del tuo aiuto, vieni appena puoi.

 

Alisha

Ricevuto il breve messaggio, non ci aveva pensato due volte a chiedere qualche giorno di licenza per andare dalla strega, preoccupato e pronto ad aiutarla in qualsiasi modo.

Rivederla dopo tanto tempo, anche se per un motivo infausto, gli aveva scaldato il cuore, riportandogli alla mente tutti i bei momenti che avevano passato insieme…

Era pomeriggio inoltrato e Giako sapeva di essere ormai vicino alla sua destinazione. Il giorno prima aveva infatti varcato il confine tra i Reami di Donkernacht – dove era nato e dove svolgeva le sue funzioni di Gendarme – e il Reame di Grandeforêt – dove viveva la strega –, quindi nel giro di qualche ora avrebbe dovuto avvistare la sua meta.

Come previsto, ci vollero meno di un paio d’ore per intravedere fra i tronchi una sagoma famigliare. La casa di Alisha era un’ampia costruzione a un piano, costituita da tre blocchi fusi insieme, ognuno con il caratteristico tetto tondeggiante che sporgeva di almeno una spanna oltre la linea delle pareti. Giako aveva sempre trovato buffo come i myketis – imparentati coi funghi – abitassero in quelle case simili proprio a funghi.

Il mezzelfo smontò dall’ippolafo e lo lasciò a mangiare le piante basse della zona, lui invece si avvicinò alla porta. Si fermò. Erano passati mesi dall’ultima volta che era stato lì, e il cuore aveva cominciato a battergli forte. Era da tanto che desiderava rivederla.

Dei suoni delicati raggiunsero le sue orecchie a punta. Riconobbe subito la melodia, molto simile a quella di un pianoforte: un susseguirsi di note a lui molto familiari, un’armonia che sapeva di casa.

Aprì delicatamente la porta e un gruppo di cristalli produsse un leggero tintinnio. Giako non se ne curò ed entrò, chiudendo poi il battente alle sue spalle.

Come sempre, appollaiato sul suo trespolo nell’ingresso stava il falchetto di Alisha. Aveva un piumaggio maculato – più scuro sul dorso e più chiaro sul ventre – un becco aguzzo e due grandi occhi scuri, tutt’altro che amichevoli. Gli piaceva osservare le persone che entravano, e nel vedere Giako non si scompose minimamente. La strega aveva reso l’animale un suo famiglio quando il mezzelfo aveva già lasciato la casa, quindi il rapace lo riteneva poco più di un estraneo. Nonostante questo, era stato proprio quel falchetto a volare per chilometri, raggiungendolo con assoluta precisione per consegnargli il messaggio di Alisha.

Per sottolineare lo scarso interesse verso il nuovo arrivato, l’animale aprì un’ala e cominciò a pulirsi le penne.

Poco dopo qualcun altro venne incontro al Gendarme: era un myketis tra i venti e i trent’anni, aveva i capelli molto corti e lo sguardo vuoto, inespressivo. Non ci voleva un esperto per capire che era uno zombie; forse era stato un abitante del villaggio poi morto di malattia o di stenti, ma ormai di quella persona conservava a malapena l’aspetto. Alisha gli aveva spiegato che in certi casi era possibile restituire a un cadavere i suoi ricordi e la sua personalità, tuttavia era un processo molto complesso e non privo di rischi.

Lo zombie, che già conosceva il Gendarme, si limitò a un rapido inchino e se ne andò senza proferire parola.

La melodia intanto continuava a scorrere, dolce e piacevole, e Giako ne fece la sua guida. Raggiunse la stanza dove si trovava lo strumento, molto simile a un pianoforte a coda, e si fermò sulla soglia, in silenzio. Non si era sbagliato: era proprio Alisha che stava suonando. Era bella come la ricordava, forse anche di più.

Giako era un mezzelfo e dunque invecchiava più lentamente di una myketis come Alisha, lei però – come molte maghe del resto – faceva uso di incantesimi e filtri per mantenere intatto il proprio fascino.

Il Gendarme rimase immobile, in muta contemplazione. Era stato innamorato di lei, tempo prima. Il suo era stato un sentimento vero e profondo, più forte di quanto avesse voluto, ma purtroppo non ricambiato. Col tempo l’amore si era attenuato, era diventato meno doloroso, e alla fine era riuscito a vedere in lei solo la persona che lo aveva aiutato e l’aveva cresciuto, quasi una sorella maggiore. L’affetto che ora provava per lei era diverso, ma non per questo meno forte.

Poco dopo si accorse di qualcosa di strano nello sguardo della strega: era triste, abbattuto, segnato da occhiaie, come se nemmeno quella magnifica melodia riuscisse ad alleviare i tormenti del suo cuore. C’era davvero qualcosa che non andava.

Alisha eseguì un’ultima, precisa sestina, e lentamente la casa scivolò nel silenzio. Un silenzio triste, malinconico, a cui il mezzelfo non era abituato.

«Grazie per essere venuto.»

La myketis sollevò lo sguardo verso di lui e Giako fece un passo avanti. «Sono partito appena ho ricevuto il messaggio.»

La strega si alzò dalla panchetta e andò verso di lui, stringendolo in un abbraccio. Ormai il mezzelfo la superava di tutta la testa, quindi fu lui a circondarla con le sue braccia forti. Riconobbe il suo profumo – una fragranza ricercata che mai avrebbe potuto dimenticare – e il suo cuore ebbe un breve sussulto.

Cercò di scacciare i pensieri inopportuni. «Mi piace ascoltarti suonare» le disse con voce lieve.

Lei si scostò appena, quel tanto che bastava a rivelare il suo leggero sorriso. «Sei più bravo tu di me.»

Il mezzelfo distolse lo sguardo per nascondere l’imbarazzo. «Ho avuto una brava maestra, ma ormai mi sono arrugginito.» Dopo qualche istante si voltò nuovamente verso di lei. «L’incarico?»

Al sentire quelle parole, Alisha si incupì e le sue occhiaie divennero di colpo più evidenti. Fece un passo indietro e gli diede le spalle. «Io…» Prese un profondo respiro. «Io ho… ho sbagliato un rituale, e per questo ho creato un mostro. Per favore, ho bisogno che tu lo uccida.» Si girò, rivelando a Giako le lacrime nei suoi occhi. «Devi ucciderlo, prima che faccia del male a qualcuno. E prima che lo trovi qualcun altro.»

L’espressione del Gendarme tradì un attimo di nervosismo. Sapeva che quello della strega era un problema serio, e vederla così preoccupata non fece che aumentare la sua inquietudine. In ogni caso non si sarebbe tirato indietro: avrebbe fatto qualsiasi cosa per lei.

«Lo farò» disse semplicemente. «Puoi darmi qualche informazione in più? Sai se ha qualche punto debole?»

«Certo, prima però devi riposare. Una notte in più di vantaggio non farà una gran differenza, e poi sto preparando alcune pozioni per aiutarti a sconfiggerlo.» Il suo sguardo si era addolcito, come se di colpo fosse tornata la donna che per anni si era presa cura di lui. «Hai bisogno di riposo, e anche il tuo ippolafo deve fare una pausa.»

«No, davvero, sto bene…»

«Giako, ti conosco bene, e poi lo vedo che sei stanco. Fermati per la notte, ripartirai domani all’alba.»

Il Gendarme non poté che annuire. «D’accordo, farò come dici.»

Già allora aveva capito che qualcosa non andava: era sicuro che Alisha non gli avesse detto tutta la verità, ma in quel momento non era riuscito a capire cosa potesse avergli nascosto, né il perché l’avesse fatto.

Tali domande non avevano ancora trovato risposta nella sua mente, tuttavia combattendo col mostro aveva avuto un presentimento. No, non era stato solo un presentimento: aveva riconosciuto dei dettagli, diversi dettagli, che lo avevano portato a formulare un’ipotesi. Un’ipotesi così triste e dolorosa che sperava con tutto se stesso di sbagliarsi.

«Se vuoi te lo posso leggere.»

La voce di Jehanne lo colse di sorpresa: era così abituato a viaggiare da solo che si era dimenticato della sua presenza.

«Anch’io so leggere» ribatté, impassibile.

Ovviamente era stata Alisha a insegnarglielo, insieme a molte altre cose. All’inizio l’idea non lo aveva allettato molto, crescendo però aveva capito quanto fosse importante, e anche quanti furfanti andassero in giro ad abbindolare la gente facendo credere di essere intelligenti e istruiti.

La fierezza che campeggiava sul viso della giovane scomparve, sostituita da un velo di delusione. «Ah… Ok.» Dentro di sé aveva provato il narcisistico desiderio di fare sfoggio della propria istruzione, e in cambio aveva ricevuto una sonora figuraccia: era quello che si meritava per aver peccato di vanità.

Dopo qualche momento l’umana tornò a osservare il suo compagno di viaggio. Giako aveva riposto la lettera di Alisha in una delle tasche del suo cinturone e ora se ne stava in silenzio a osservare la strada.

«Dì un po’, è vero che con Gram ci tagli pure il metallo?» gli chiese.

Il mezzelfo parve confuso. «Intendi Balmung?» domandò indicando l’impugnatura della sua spada.

«Sì, quello che è. Non mi ricordo mai qual è il nome giusto.»

Il Gendarme fece un mugugno d’assenso. Stava per rispondere alla domanda della ragazza, ma si interruppe. All’improvviso gli era tornata in mente un’immagine di quando era molto piccolo, o meglio una voce: era la voce di suo padre.

“Un tempo si chiamava Gram, ma dopo averla fatta riforgiare il nostro antenato le ho dato il nome Balmung, perché era diventata una spada nuova e ancora più straordinaria.”

Un sorriso affiorò sulle sue labbra. Non pensava di conservare ancora un simile ricordo.

«È un “sì”?» gli domandò Jehanne, studiandolo con aria interrogativa.

«È un sì» confermò Giako con un cenno del capo.

Tra i due calò di nuovo il silenzio, così la giovane si decise a riprendere la parola. Purtroppo il mezzelfo non sembrava intenzionato a portare avanti alcuna conversazione e rispondeva solo se esplicitamente richiesto, e in ogni caso sempre con il minimo delle parole.

Alla fine l’umana espirò con disappunto. «Sai, cominci a farmi rimpiangere la compagnia di Achille[8]

Lui rimase in silenzio, si limitò a voltarsi quel tanto che bastava a rivolgerle uno sguardo a metà tra il seccato e l’interrogativo.

Jehanne sospirò di nuovo, incapace di trattenere la propria frustrazione. «Ok, noi due siamo partiti col piede sbagliato.»

Il mezzelfo non aprì bocca, ma la sua espressione fu un eloquente “puoi dirlo forte”.

«Ehi, guarda che è anche colpa tua!» esclamò l’umana.

Giako chinò il capo, sempre in silenzio. Poi finalmente parlò: «È vero, hai ragione.» Le sue parole erano serie e sincere. «Sono stato uno stronzo a costringerti ad aiutarmi.»

Jehanne parve molto colpita da quello slancio di onestà, e per qualche istante rimase senza parole. «Mmh… ok. Comunque cerchiamo di fare in fretta a uccidere quel mostro, perché stanare l’alchimista sarà molto più difficile.»

Il primo pensiero del mezzelfo fu che la giovane non aveva la minima idea di quanto fosse forte e resistente la bestia, poi però si rese conto che trovare il creatore delle spade magiche avrebbe significato scontrarsi con decine, forse centinaia di ribelli. Imprecò mentalmente: nell’ultimo periodo non faceva che cacciarsi nei guai.

«Ma non ti preoccupare, vedrai che ce la faremo!» affermò Jehanne. «La Regina Blu conosce gli Astrali, ci darà sicuramente una mano. E poi Dio è dalla nostra parte, quindi abbi fede e fai del tuo meglio.»

L’entusiasmo dell’umana non scalfì più di tanto la scorza di impassibilità del Gendarme, il quale si concesse qualche secondo per riflettere. Fino a quel momento non aveva pensato più di tanto agli Astrali – le persone per cui la giovane diceva di lavorare –, adesso però non poteva esimersi dal porsi qualche domanda. Innanzitutto che legami avevano gli Astrali con la sua famiglia? E poi perché la sovrana di tutti i Reami Blu, nonché una dei sei Re, li conosceva?

Lanciò uno sguardo alla sua compagna di viaggio, che intanto aveva ripreso a parlare. La giovane era un po’ strana, ma non sembrava né una pazza né una bugiarda. Non gli sarebbe dispiaciuto farle qualche domanda a proposito degli Astrali, per il momento però tacque: il suo unico pensiero doveva essere il mostro. E poi lui era un tipo taciturno e introverso: non se la sentiva proprio di interrompere un’altra persona.



Note dell’autore

Ciao! :D

Questa volta il capitolo è stato decisamente più tranquillo e ho potuto mostrare l’incontro che c’è stato tra Giako e Alisha.

La strega vuole molto bene al mezzelfo, ma non ha detto tutta la verità. Per il momento non aggiungo nient’altro, scoprirete nei prossimi capitoli ;)

E a proposito di Alisha, ecco anche il suo disegno:

Alisha Bellecœur (AoD-1)


Nella mitologia norrena la spada Gram/Balmung viene chiamata con diversi nomi, quindi ho cercato un modo interessante per “giustificare” questo aspetto XD

A questo proposito, vi mini-spoilero che in futuro ho intenzione di sfruttare anche la “versione” Nothung U.U


Il rapporto tra Giako e Jehanne direi che è un po’ altalenante, sono così diversi che non sarà facile per loro andare d’accordo, ma ciò che devono fare è troppo importante.

Alla fine ho aperto la questione degli Astrali: si tratta di un elemento molto importante non solo per questa saga, ma per tutto l’universo di Project Crossover, quindi nel corso della storia svilupperò anche questo argomento.


Grazie per aver letto e alla prossima! ^.^


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[8] Eroe della mitologia greca, ha combattuto la guerra di Troia.

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Capitolo 5
*** 4. Incubi ***


4. Incubi

Era notte fonda e l’oscurità avvolgeva ogni cosa. Le fitte chiome degli alberi coprivano quasi completamente le due lune – una rossa e una azzurra –, ma per fortuna lui era un mezzelfo oscuro.

Non ebbe bisogno di guardare la bussola magica di Alisha: sapeva che il mostro era lì, nascosto tra le ombre.

Bevve una delle pozioni magiche preparate dalla strega, in grado di potenziare il suo corpo e affinare i suoi sensi, dopodiché caricò un quadrello sulla sua balestra.

Cominciò ad avanzare.

Aveva paura, molta paura, ma le sue mani erano ferme e il suo sguardo risoluto. Una delle prime cose che aveva imparato come Gendarme era che la paura ti salva la vita, a patto di saperla gestire.

Per errore calpestò un ramo secco e quello si ruppe con uno scricchiolio sinistro. Esalò un’imprecazione a denti stretti: questa proprio non ci voleva.

Un rumore davanti a lui. Si abbassò leggermente sulle gambe, pronto a scattare. Una sagoma gli piombò addosso ruggendo, ma il Gendarme saltò all’indietro rapidissimo. L’enorme pugno batté il terreno, l’intera foresta tremò e uno stormo di uccelli spiccò il volo, terrorizzato.

Il mostro si sollevò in tutta la sua statura. Era alto più di tre metri, aveva braccia imponenti e una pelliccia corta ma folta che lo copriva completamente.

La creatura scoprì le zanne aguzze e intrise di bava, ringhiando minaccioso.

Giako sentiva la paura che si dibatteva dentro di lui, il suo corpo gli urlava a gran voce di scappare e cercare un nascondiglio. Ma non gli diede ascolto. No, non se ne sarebbe andato senza il cadavere del mostro.

Si mise in posizione di guardia, la balestra puntata alla testa del nemico. Doveva fare centro al primo colpo, non avrebbe avuto il tempo di ricaricare.

La creatura lanciò un fragoroso ruggito e poi lo caricò a quattro zampe. I suoi artigli si mossero rapidi come fulmini, ma il mezzelfo non si fece sorprendere e schivò con un balzo all’indietro. La pozione di Alisha aveva davvero migliorato il rendimento del suo corpo: grazie ad essa le sue chance di vittoria erano aumentate sensibilmente.

Il mostro intanto si era fermato di nuovo, limitandosi a ringhiare minaccioso. Si stava comportando proprio come un animale: gli attacchi di prima servivano più che altro a spaventare il Gendarme, voleva farlo fuggire senza rischiare lo scontro. Giako però non aveva scelta: doveva ucciderlo.

L’essere indietreggiò un attimo, forse convinto di averlo dissuaso dal seguirlo. E il mezzelfo scoccò. Il quadrello sfrecciò rapidissimo, colpendo la creatura sul muso. La punta acuminata gli graffiò la mandibola, ma non riuscì a ferirlo seriamente.

Giako, che in realtà puntava all’occhio, lasciò cadere la balestra e sguainò Balmung. Scattò all’attacco, colpendo con un diagonale al braccio destro. La lama finemente dentellata superò l’ispida pelliccia e lacerò la carne, aprendo una lunga ferita sanguinante. Il mostro lanciò un ruggito di dolore e indietreggiò spaventato. Evidentemente non si aspettava un attacco così veloce, ma il suo sguardo era eloquente: non si sarebbe fatto sorprendere di nuovo.

Fece per partire al contrattacco, ma Giako fu più rapido: infuse un po’ di magia nella fiala che aveva in mano e gliela lanciò contro. Il piccolo contenitore di vetro centrò in pieno petto la creatura, sprigionando una nuvola densa e dall’odore penetrante. L’enorme essere, colto di sorpresa, lanciò un altro ruggito pieno di collera e dimenò le enormi braccia, abbattendo un piccolo albero e scalfendo la corteccia di una pianta decennale.

Approfittando di quegli istanti di confusione, il Gendarme lo studiò alla ricerca di un’apertura per attaccare. La struttura fisica era umanoide, e osservandolo meglio si accorse che la poca luce rivelava una pelliccia striata, simile a quella di una tigre. In effetti anche il muso ricordava più quello di un felino, e questo gli fece supporre che in origine quello fosse stato un ailurantropo[9]. Ma cosa ci faceva una ailurantropo a Grandeforêt?

La creatura intanto si era già ripresa dalla confusione causata dal fumo e sembrava pronta a tornare all’attacco. Balzò in avanti con gli artigli sguainati e Giako dovette creare una barriera di energia verde.

Maledizione, il fumo di passiphlaru[10] di norma aveva un effetto tranquillante – se non addirittura soporifero – la bestia però sembrava più sveglia che mai. Evidentemente non ne aveva respirato abbastanza, o forse ne era immune.

Il Gendarme si gettò a terra per schivare una violenta artigliata, rotolò su se stesso e scagliò un’altra fiala piena di passiphlaru. Magari non lo avrebbe addormentato, ma almeno gli avrebbe dato qualche altro prezioso istante per elaborare un piano.

La magia che vi aveva infuso trasformò il denso liquido aromatico in un fumo compatto che coprì la visuale del mostro, inducendolo a lanciare un fragoroso ruggito. Giako calcolò rapidamente lo spazio che aveva a disposizione e poi si lanciò in avanti. La sua lama nera aprì un taglio sulla gamba del nemico, che di nuovo urlò di rabbia. Il mostro provò a rispondere all’attacco, ma il suo pugno venne bloccato dal tronco di un grosso albero.

Il Gendarme, ormai alle spalle della bestia, provò un affondo alla schiena. La lama aguzza stava per raggiungere la carne, ma all’ultimo il nemico si girò, deviando il colpo potenzialmente fatale. Con rapidità impressionante la bestia allungò il braccio, e il mezzelfo dovette proteggersi con uno scudo di energia verde. La barriera lo riparò dal colpo, ma subito dopo andò in pezzi. Il secondo pungo del mostro lo colpì in pieno petto, scaraventandolo all’indietro. Giako cadde pesantemente sulla schiena e per alcuni preziosissimi istanti rimase a terra intontito. Ebbe appena il tempo di sollevare lo sguardo che il mostro era già di fronte a lui.

«Porca puttana…!»

Rotolò su se stesso per schivare il grosso piede del nemico, afferrò un piccolo involucro di carta e lo tirò in faccia alla bestia. Il colpo andò a segno e dal rudimentale ordigno scaturì una nuvola di alliha[11] finemente sminuzzata, in grado di far lacrimare gli occhi e di causare un forte bruciore. Subito il mostro ruggì, portandosi entrambe le mani al muso nel disperato tentativo di placare il dolore.

Giako si affrettò a rimettersi in piedi e a riguadagnare una distanza di relativa sicurezza. Avrebbe preferito evitare di usare l’alliha perché sapeva che in questo modo avrebbe fatto arrabbiare ancora di più la sua preda, in quel momento però non aveva avuto scelta. E ora doveva prepararsi ad affrontare un mostro ancora più infuriato.

Di nuovo cercò di individuare un’apertura nei movimenti della bestia, ma si dimenava troppo e i suoi riflessi erano incredibilmente rapidi: doveva fare ancora ricorso alla Magia dei Re.

Come molti Gendarmi, lui non aveva nessuna abilità magica innata, in compenso poteva sfruttare il suo pendente metallico a forma di scudo per richiamare la cosiddetta “Magia dei Re”: una forma di energia già plasmata e facilmente utilizzabile per eseguire semplici incantesimi. Erano stati i Primi Re a erigere le infrastrutture necessarie per renderla fruibile, e questo era il motivo di tale nome.

Aprì una mano verso il mostro e la gemma verde incastonata nel suo pendente si illuminò, creando delle esalazioni dello stesso colore che spirarono verso il bersaglio. Quello che poteva sembrare solo vapore colorato, era in realtà un versatile incantesimo che rallentava i movimenti di tutto ciò che toccava.

Ogni Gendarme era in grado di apprendere un determinato gruppo di abilità collegate al colore che assumeva il cristallo al momento dell’investitura. Un cristallo verde come quello di Giako, tipico delle persone calme e riflessive, dava accesso prevalentemente a incantesimi difensivi o collegati allo scorrere del tempo. Il mezzelfo ad esempio sapeva creare scudi di energia – la tecnica base dei Gendarmi Verdi – e quel fumo che rallentava i movimenti, un incantesimo decisamente più raro. Purtroppo quest’ultimo era anche molto dispendioso, quindi poteva usarlo solo come ultima risorsa.

Conscio dei proprio limiti, non perse tempo e corse verso il mostro. Caricò l’affondo al costato, ma con un movimento improvviso la creatura scacciò il fumo verde e lo fece indietreggiare. La bestia provò a passare al contrattacco, ma il Gendarme fu più svelto e lanciò la sua ultima fiala di passiphlaru, così da avere il tempo di ripararsi dietro un tronco.

Ma come aveva fatto a liberarsi così dal suo incantesimo?! D’accordo, Giako conosceva solo due tecniche, ma quelle due era convinto di saperle usare abbastanza bene. Forse gli incantesimi di Alisha avevano reso la creatura immune alla magia.

Nonostante tutto, fece un profondo respiro per mantenere la calma. Lui era pur sempre un Gendarme Verde: se non poteva sconfiggerlo con la forza e la velocità, allora l’avrebbe fatto con l’astuzia.

Senza fare rumore, cercò un punto dove tendere un agguato al suo nemico. Provare ad aggirarlo per colpirlo alle spalle si era rivelato un piano fallimentare, quindi doveva fare in modo che fosse lui ad avvicinarsi.

Passarono alcuni lenti secondi, poi la creatura smise di dimenarsi e abbassò le mani, ansimante. Il Gendarme, nascosto all’ombra di un grosso albero, lo osservò in perfetto silenzio. Ottimo, finalmente si stava stancando.

Il mostro si guardò intorno, cercando di capire dove si fosse nascosto il mezzelfo. D’un tratto si bloccò. Era troppo distante perché Giako potesse attaccare, così anche il Gendarme rimase immobile, trattenendo il respiro. Dopo qualche istante la bestia avanzò di qualche passo. Ma non stava andando verso il suo avversario. La creatura si abbassò e raccolse da terra la giovane conifera che aveva abbattuto all’inizio dello scontro. Come per tutti gli alberi della zona, il tronco era molto alto e i rami comparivano solo ad alcuni metri d’altezza.

Il mezzelfo non riusciva a capire perché quella pianta avesse attirato la sua attenzione, poi il mostro cominciò a strappare i rami fino ad ottenere una rudimentale asta. Si mise in posizione di guardia: sembrava proprio un lancere.

Un terribile presentimento maturò nella mente di Giako, accompagnato da un brivido lungo la schiena. “Oh, cazzo…! Non dirmi che…”

In qualche modo la creatura riuscì a individuarlo, si girò fulminea ed eseguì un affondo. Il Gendarme, colto di sorpresa, non ebbe il tempo di reagire e il tronco-lancia lo colpì in pieno petto. Giako emise un verso strozzato e cadde pesantemente sulla schiena, la spada per poco non gli sfuggì di mano.

Il mezzelfo si rialzò, un po’ stordito ma ancora in grado di combattere. Non si sarebbe mai immaginato che quel mostro sarebbe stato in grado di usare un’arma, ma a preoccuparlo era soprattutto il fatto che si trattasse proprio di una lancia.

Adesso più osservava la creatura, e più riconosceva inquietanti coincidenze, indizi di una verità così terribile che sperava con tutto se stesso di sbagliarsi. Quello però non era il momento dei ragionamenti.

La bestia tornò all’offensiva, cercando un affondo con la sua imponente arma. Il Gendarme fu rapido a schivare di lato e si riparò dietro un grosso albero per evitare la spazzata laterale. Quel mostro adesso aveva una portata d’attacco molto superiore alla sua, il fatto di trovarsi in una foresta però era uno svantaggio per chiunque utilizzasse un’arma così lunga, quindi Giako era sicuro di avere ancora qualche possibilità.

Ma se i suoi presentimenti erano fondati, allora uccidendolo… No! Non poteva distrarsi! Non poteva esitare! Alisha gli aveva chiesto espressamente il cadavere di quel mostro, e quindi gliel’avrebbe portato!

Con uno scatto improvviso raggiunse il mostro e provò un tondo a una gamba, ma la creatura fu rapida a bloccarlo con il robusto tronco. La bestia rispose con un colpo alla testa, il mezzelfo si abbassò, fece un passo in avanti e menò un altro attacco orizzontale. Questa volta la lama nera di Balmung raggiunse la gamba del nemico poco sopra il ginocchio, aprendo un taglio netto e piuttosto profondo che fece urlare la bestia.

Il mostro, deciso a togliere di mezzo una volta per tutte il suo avversario, spezzò in due il tronco e si lanciò in un assalto travolgente. Giako riuscì a schivare il primo attacco, bloccò il secondo con uno scudo di energia, ma il terzo lo colpì in pieno e la potenza dell’urto fu tale da scaraventarlo contro un albero. Il Gendarme non riuscì a trattenere un grido di dolore e stramazzò a terra prono, Balmung invece volò via, irraggiungibile.

Il dolore gridava nella sua testa e probabilmente aveva qualche osso rotto.

Sentì i passi del mostro che si avvicinava. Provò a muoversi, ma il suo corpo non rispose. Si sentiva stremato, come se il dolore avesse prosciugato tutte le sue energie. Ormai era spacciato, non aveva più nessuna possibilità di difendersi.

Vide i piedi del mostro davanti a sé, ma non riuscì nemmeno a sollevare lo sguardo fino alla testa del nemico.

Vinto dalla stanchezza, si abbandonò al letto di foglie umide, vergognandosi della propria incapacità. «D’accordo, stronzo, uccidimi e facciamola finita.»

La creatura, che ormai aveva abbandonato i due pezzi della sua rozza lancia, rimase immobile di fronte a lui.

Cosa stava facendo. Perché non lo uccideva?

Giako si sforzò con tutto se stesso di restare sveglio, voleva guardare negli occhi la morte e sputarle in faccia, ma il dolore e la stanchezza ebbero il sopravvento e tutto divenne nero.

Riaprì gli occhi e subito si guardò intorno. Faceva freddo, ma era una notte tranquilla e non si vedevano minacce nei paraggi.

Con un movimento lento si mise a sedere, temendo di provare di nuovo il dolore alla schiena. Ma ovviamente non fu così.

A pochi metri da lui vide Jehanne che dormiva, e questo gli fece capire che i ricordi dell’ultimo giorno non erano frutto della sua fantasia.

Con sua profonda sorpresa, scoprì di essere perfettamente calmo. Rivivere lo scontro con il mostro non era stato piacevole, ma gli sembrava una bazzecola se confrontato al suo solito incubo di quando aveva perso la sua famiglia.

Ironico: lo spaventava di più un fatto avvenuto oltre vent’anni prima, piuttosto che l’idea di affrontare di nuovo il mostro.

Cercando di fare meno rumore possibile, si alzò in piedi per fare due passi e schiarirsi le idee. Il suo ippolafo e quello di Jehanne lo scrutarono in silenzio per qualche istante, dopodiché tornarono in uno stato di dormiveglia che avrebbe permesso loro di riposare e al tempo stesso di individuare eventuali predatori nelle vicinanze.

Giako prese la sua borraccia e bevve un po’ dell’acqua mista a vino.

Ora che poteva riflettere a mente fredda, senza la frenesia del combattimento, non poté evitare di pensare che c’erano troppi indizi che portavano tutti nella stessa direzione, non poteva trattarsi di semplici coincidenze.

E questo gli fece sorgere un’altra, semplice domanda: “Alisha, perché non mi hai detto la verità?”

***

Seduta sul suo letto, Alisha teneva gli occhi fissi sull’oscurità. Aveva le ginocchia strette al petto e si era avvolta in una calda coperta di pelliccia, eppure non riusciva a smettere di tremare. Il sole non era ancora sorto e il freddo era pungente, ma non era questo a scuoterla: il suo era un tremito di paura.

«Alisha, mi cercavi?»

Quelle parole fecero sobbalzare la strega, che con movimenti impacciati afferrò lo specchio appoggiato accanto a lei. A prima vista sembrava un comunissimo specchio col manico, e in effetti era proprio così. Grazie a un incantesimo lei era in grado di comunicare con altri maghi attraverso la superficie riflettente, e in quel momento era apparso il viso di una donna molto attraente dalle pelle olivastra. Di sicuro non era una myketis, forse si trattava di un’umana.

«Maestra! Io…» La strega, convinta di aver trovato il coraggio per chiedere aiuto, aveva provato a contattare la donna pochi minuti prima, ma ora che la vedeva di fronte a sé, non riusciva più a muovere la bocca.

«Alisha, cos’è successo?» le chiese ancora l’umana. Il viso della sua ex allieva era piuttosto eloquente: aveva gli occhi lucidi e sembrava non dormisse da giorni. Questo non fece che alimentare la sua preoccupazione.

La myketis asciugò una lacrima con la manica del vestito, cercando di ritrovare la forza di spiegarle ogni cosa. Sentiva le parole che premevano dentro di lei, ma non riusciva a farle uscire. «Io… Io… Mi dispiace, ho fatto tutto quello che mi avevi detto di non fare, ma io… Ti prego, puoi aiutarmi?»

«Ma certo, certo che sì, Alisha. Però devi spiegarmi esattamente quello che è successo, ok?»

La strega asciugò un’altra lacrima scesa lungo la guancia. «D’accordo.» Prese un profondo respiro e cominciò a raccontare.



Note dell’autore

Ciao a tutti!


Sapevamo che il precedente scontro con il mostro non era finito bene, e ora sapete esattamente com’è stato sconfitto Giako. Il mostro è un avversario temibile e misterioso, ma non aggiungo altro per non spoilerare XD


In questo capitolo è ricomparsa Alisha, sempre tormentata dai suoi sensi di colpa. Il prossimo capitolo sarà incentrato sul racconto della strega e non solo, ma mi fermo qui per non rovinarvi la sorpresa ^.^


Nel finale è comparsa anche Shamiram/Semiramide, la maestra di Alisha. Dato che il suo mito è ambientato più di duemila anni fa, mi sono concesso qualche licenza in più rispetto a Jehanne XD

È anche lei un personaggio importante, ma per rivelare il suo disegno preferisco attendere il capitolo dove la presenterò per intero.


Ho aggiornato la copertina, per essere più precisi ho aggiunto il pendente di Giako (che è anche il logo della saga). Potete trovare la nuova copertina nel prologo al posto della vecchia immagine ;)


Momento otaku: mannaggia, è finito Fairy Tail! >_< Che ne sarà del crossover Fate contro Bestie? Leona e co. erano già tutti un fuoco! Beh, la speranza è comunque l’ultima a morire, no? XD


Come sempre, grazie per aver letto e a presto! ^.^


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[9] Specie originale di TNCS. Il nome deriva dalla fusione delle parole greche ailouros (gatto) e anthropos (uomo).
Per maggiori informazioni: tncs.altervista.org/bestiario.

[10] Da passiflora, una pianta da cui si possono ricavare rimedi sedativi e tranquillanti.

[11] Da Allium cepa, il nome scientifico della cipolla.

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Capitolo 6
*** 5. Le lacrime degli sventurati ***


5. Le lacrime degli sventurati

Un rumore di foglie smosse risvegliò la tetra foresta, attirando l’attenzione di alcuni lugubri uccelli. Una persona si muoveva con passi lenti e incerti, troppo rumorosa per essere un cacciatore, troppo robusta per essere un vagabondo. Aveva una mano premuta sul fianco, là dove era conficcata una freccia, con l’altra invece si reggeva a un bastone. No, non era un bastone: era una lancia di circa un metro e sessanta, il cui corpo centrale aveva l’aspetto di cinque impugnature di spada messe una dopo l’altra. L’estremità superiore terminava con una lama lunga e aguzza, perfetta per gli affondi, ma adatta anche ai colpi di taglio.

L’uomo sollevò il capo per guardare in avanti. I suoi occhi ambrati erano opachi, stravolti dalla stanchezza, ma in essi ardeva ancora una flebile scintilla di volontà. Aveva la pelle scura e i suoi capelli corti e ricci erano attraversati da striature nere e arancioni. La sua struttura fisica ricordava quella degli elfi e dei myketis, ma le sue orecchie erano spostate sulla sommità della testa e somigliavano in tutto e per tutto a quelle di una tigre. Non ci voleva un esperto per capire che era un felidiano[12].

Sulle guance aveva tatuati due triangoli neri, partivano dagli zigomi e avevano la punta verso il basso, al punto che sembravano due zanne.

Il lancere strinse i denti da predatore e continuò ad avanzare, la coda ad anelli neri e arancioni che si muoveva al ritmo lento dei suoi passi. Doveva raggiungerla. Doveva raggiungerla a qualsiasi costo. Lei era l’unica persona di cui si potesse fidare nel raggio di giorni di cammino, e lui aveva il preciso dovere di trovare qualcuno affidabile a cui riferire quanto aveva scoperto.

Senza accorgersene mise il piede su alcune foglie viscide, per un attimo perse l’equilibrio e una nuova fitta al torace lo travolse.

Ormai aveva la vista offuscata, non gli restava molto tempo, ma non poteva fermarsi. Doveva arrivare da lei, doveva farlo a qualsiasi costo. Quello che aveva scoperto era troppo importante.

Trascinato dalla sola forza di volontà, il felidiano continuò ad avanzare, sostenuto come sempre dalla sua inseparabile lancia. Quell’arma lo aveva accompagnato fin dal suo ingresso nel Corpo di Gendarmeria, e ancora adesso continuava a servirlo e a infondergli fiducia. Il fatto di essere un’arma modulare era un indubbio vantaggio: in pratica si componeva di due pugnali – di cui uno si trovava nel fodero al fianco destro – e di due blocchi centrali. Questi ultimi potevano essere combinati con i pugnali per ottenere due armi lunghe come spade, oppure uniti tra loro in un più lungo bastone, fino ad ottenere una lancia completa dotata di lame a entrambe le estremità.

Un passo, un altro, un altro ancora.

Poteva farcela, doveva farcela. Ciò che aveva scoperto era il risultato di mesi di ricerche sotto copertura, non voleva nemmeno pensare all’eventualità che quelle informazioni andassero perdute. La Regina Blu doveva sapere cosa stava accadendo, e Alisha era la sola a cui potesse riferire la sua scoperta.

Una fitta all’addome gli paralizzò i muscoli. Provò a reggersi alla lancia, ma nemmeno la sua arma poteva più sostenerlo: cadde in ginocchio e poi, esausto, stramazzò sulla terra fredda e umida.

Provò a rialzarsi, ma il suo corpo non ne volle sapere di muoversi.

Vinto dalla disperazione, non riuscì più a trattenere le lacrime. Perché doveva finire così? Aveva affrontato mille pericoli per capire il motivo che stava dietro alla deportazione di intere famiglie di demoni, aveva sacrificato ogni cosa per il bene di tutti. Perché doveva fallire proprio ora che era così vicino al successo?

Cercò di trascinarsi con le braccia, ma le sue dita strisciavano sul terreno cosparso di foglie senza farlo avanzare di un singolo centimetro.

Era ormai sul punto di abbandonarsi alla disperazione, quando un rumore di passi giunse alle sue orecchie feline. Sì, aveva ancora una possibilità. Era sicuro di essere vicino al villaggio di Alisha, doveva solo farsi portare da lei.

Con il poco fiato che gli rimaneva, si sforzò di chiamare aiuto. Temeva che la sua voce sarebbe stata troppo flebile, ogni secondo che passava gli sembrava un’eternità di disperazione, ma gli bastava sentire ancora il rumore delle foglie calpestate per ritrovare la determinazione. Non poteva arrendersi!

«Ehì, là c’è qualcunò!»

L’avevano trovato, doveva solo farsi portare da lei.

«Prestò, è ancora vivò!»

Delle mani lo presero e lo misero supino. A trovarlo erano stati tre myketis, non li aveva mai visti, ma questo non aveva importanza.

«A… Alisha… Be… Belle…cœur… Strega… Alisha… Ali…sha…»

In pochi istanti tutto divenne nero e la coscienza lo abbandonò.

Aveva fatto tutto ciò che aveva potuto. Ora doveva solo sperare che quei myketis capissero la sua ultima, disperata richiesta.

***

Alisha era impegnata a studiare un vecchio formulario di magia quando il suo zombie bussò alla porta aperta della stanza.

«Padrona, sono arrivati i signori Guillard, Rénou e Jacquemin» annunciò il cadavere animato con voce impassibile.

A sentire quei nomi, la strega si lasciò scappare un sospiro di disappunto. I tre abitanti del villaggio andavano spesso nella foresta per cacciare qualche animale, ma la maggior parte delle volte tornavano indietro solo con qualche taglio o contusione. Stava per dire allo zombie di farli sedere nella stanza delle visite, ma lui continuò a parlare: «Hanno portato un corpo, sembrerebbe il signor Moros.»

A sentire quel nome, la donna si bloccò improvvisamente. Sembrava paralizzata. Le sue mani cominciarono a tremare, poi di colpo tornò lucida e scattò in piedi. La sedia di legno si piegò all’indietro e cadde a terra, lei però non la sentì nemmeno e corse verso l’ingresso.

I tre myketis, che conoscevano abbastanza bene la porzione della casa di Alisha dedicata alla cura dei malati, avevano già deposto il felidiano sul tavolo imbottito che la strega usava abitualmente per visitare i suoi pazienti. L’avevano portato lì più in fretta possibile, ma purtroppo si trovavano parecchio distanti dal villaggio quando l’avevano trovato e, a causa della differenza di stazza, ci avevano messo quasi un’ora per raggiungere la dimora della strega.

Appena lo vide, lei lo riconobbe subito: i tatuaggi, la pelle scura, i capelli striati, le orecchie tonde e la coda ad anelli erano dettagli che mai avrebbe potuto confondere, esattamente come la lancia appoggiata in un angolo della stanza.

Si portò una mano sulla bocca, atterrita. «Bengal…» Corse verso di lui e gli premette due dita sul collo per controllare il battito.

«L’abbiamò trovatò nella forestà,» iniziò uno degli uomini del villaggio «l’abbiamò…»

«Fuori!» ordinò la strega con voce più alta di quanto avrebbe voluto. «Andate fuori!»

Sapeva di essere stata molto scortese con loro, ma non riusciva a pensare ad altro se non al felidiano steso di fronte a lei. Il battito era assente, il corpo stava diventando freddo e anche le sue percezioni magiche le facevano capire che ormai era troppo tardi. Ma non voleva arrendersi, non poteva farlo. Non poteva accettare di perdere così l’amore della sua vita. Avrebbe fatto l’impossibile per farlo tornare da lei.

«Sbrigati, fagli un massaggio cardiaco» ordinò al suo zombie, anche se dentro di sé sapeva che sarebbe stato del tutto inutile.

Il suo servitore, impassibile, fece come ordinato, lei intanto evocò un incantesimo. Alcune scintille crepitarono dalle sue mani e lo zombie capì quello che voleva fare. Senza bisogno di ricevere l’ordine, spezzò la freccia per essere in grado di rimuovere i vestiti, aprì la robusta giacca di Bengal e sollevò la spessa maglia di lana. Alisha appoggiò le mani sul petto del felidiano e fece partire la scarica elettrica.

Non servì a niente.

Provò ancora, e ancora, ma sempre inutilmente. Ormai era morto, rianimarlo era impossibile.

Si asciugò le lacrime sul dorso della mano, ma subito altre scesero lungo la guancia. Esausta, si lasciò cadere a terra e lì continuò a piangere, incapace di affrontare quella perdita terribile.

La sua mente era dominata da un vortice straripante di emozioni – dolore, rabbia, solitudine – eppure dentro di sé avvertiva solo un vuoto incolmabile. Come poteva vivere senza l’uomo che amava?

Dopo un tempo che le parve interminabile, si rimise in piedi. I suoi occhi completamente blu erano ancora gonfi per il pianto, le sembrava di aver versato tutte le lacrime che aveva. Il suo zombie aveva lasciato la stanza e si era messo vicino all’ingresso, così che nessuno venisse a disturbarla.

Con un movimento lento e insicuro la donna allungò una mano verso il volto del felidiano. La sua mano tremava, ma si calmò quando toccò la guancia di lui. Lo accarezzò con dolcezza, quasi senza accorgersi del freddo innaturale della pelle.

Bengal era l’uomo più coraggioso, nobile, altruista e devoto alla causa che avesse mai incontrato. Lei sapeva che quello del suo amato era un mestiere pericoloso, ma sarebbe stato impossibile prepararsi a una simile perdita.

Ora che aveva versato tutte le sue lacrime, la sua mente stravolta dal dolore cominciò lentamente a riprendersi e uno dopo l’altro affiorarono numerosi pensieri. Uno in particolare sovrastò tutti gli altri: l’ultima volta che si erano incontrati, Bengal le aveva spiegato che avrebbe dovuto intraprendere un’importante missione nella zona sud-est del Reame e che non sarebbe tornato da lei prima di averla conclusa. Quindi, dato che si trovava lì, voleva dire che aveva completato il suo incarico. Ma era stato in grado di riferirne gli esiti?

La strega rimase immobile, lo sguardo fisso sugli occhi chiusi del suo amato.

Bengal lavorava come spia, lo sapeva, quindi probabilmente era stato ucciso perché aveva scoperto qualcosa di importante.

Inaspettatamente, questo fece sorgere un accenno di sorriso sul suo volto.

Il lavoro del felidiano era importantissimo, ne era certa, e non poteva permettere che le informazioni che aveva raccolto andassero perdute.

Aprì i palmi verso di sé e questi si accesero di energia magica.

Doveva… Sì, doveva resuscitarlo. Doveva farlo per il bene dei Reami. La sua maestra le aveva detto almeno un milione di volte che resuscitare i morti era sbagliato, oltre che rischioso, ma non lo stava facendo per se stessa. No, lo stava facendo per… per tutti, sì. Lo stava facendo per il bene di tutti.

Prima ancora di rendersene conto, si trovò a sfogliare libri su libri alla ricerca dell’incantesimo che le serviva. La sua era una ricerca ossessiva, non avrebbe potuto pensare a nulla se non alla formula necessaria per riportare in vita il suo amato.

In passato aveva creato diversi zombie – il suo servitore ne era un esempio – ma la differenza che c’era tra animare un cadavere e resuscitare una persona era abissale. Quest’ultima era un’operazione ben più complessa e richiedeva una grande esperienza oltre che una notevole abilità. Non era sicura di farcela, una vocina nella sua testa continuava a dirle che se ne sarebbe pentita, eppure non riusciva a fermarsi. Si ripeteva che lo stava facendo per i Reami, per proteggerli da una qualche oscura minaccia che tramava nell’ombra, ma in realtà nemmeno lei ci credeva.

Ci volle quasi un giorno intero per trovare il libro e, quando lo aprì, il suo sguardo era opaco per la stanchezza. Non si era fermata un solo istante per mangiare o dormire, e ormai il suo corpo era allo stremo. Ma non le importava: il lavoro la aiutava a sopportare il dolore, era l’unica cosa che le impediva di gettarsi a terra e rimettersi a piangere.

Preparò tutto in fretta. Non voleva aspettare, non voleva restare un secondo di più senza il suo Bengal. Ordinò al suo zombie di portare il corpo all’esterno della casa e intorno a esso tracciò un cerchio magico.

Era talmente provata che, al momento di leggere l’incantesimo, fece fatica a distinguere le rune. Eppure nemmeno questo la fermò. Recitò la formula, la voce roca a causa della gola secca, e subito la magia cominciò a fluire attraverso il cerchio. La sentì palpitare dentro di lei, e questo ridestò la sua mente. L’incantesimo non era molto lungo, ciononostante il suo corpo era al limite e ogni parola le costava uno sforzo immenso.

Un rivolo di sangue arancione le uscì dall’angolo della bocca e disegnò una linea scura fino al mento. La prima goccia cadde sul pavimento, lei però nemmeno se ne accorse. La sentiva, sentiva l’anima del suo amato farsi più vicina.

Riuscì a sorridere debolmente. Finalmente avrebbe potuto riabbracciare il suo Bengal.

Le sue gambe cominciarono a tremare: non resisteva più, stava per crollare. Doveva fare in fretta!

Recitò il resto dell’incantesimo senza nemmeno prendere fiato e alla fine il libro le sfuggì di mano. Cadde in ginocchio, lo sguardo vacuo a contemplare i flussi di magia intorno al cadavere del felidiano. Riusciva a malapena a distinguerli, ma era felice: c’era riuscita.

Il corpo di Bengal ebbe un sussulto.

Strano, non era previsto.

Un altro sussulto, poi uno più forte. L’uomo spalancò gli occhi ambrati e lanciò un grido furioso, quasi quello di una bestia. Preda delle convulsioni, si piegò da un lato, rannicchiandosi su se stesso. Il suo corpo si muoveva a scatti e ben presto cominciò a gonfiarsi in maniera innaturale. I suoi vestiti si tesero fino a strapparsi e la sua pelle bruna venne ricoperta da un’ispida pelliccia.

Alisha osservò sconcertata quello spettacolo orribile. Cosa stava succedendo? Non era così che doveva andare la resurrezione!

Avrebbe voluto fare qualcosa, qualsiasi cosa, ma ormai era senza forze. L’ultima cosa che vide fu il suo amato Bengal che si trasformava in una creatura mostruosa e fuggiva via, nella foresta.

Del tutto impotente, cercò di allungare una mano verso di lui nel disperato tentativo di trattenerlo accanto a sé. «Ben…gal…»

Quando Alisha finì di raccontare, sollevò lo sguardo verso lo specchio, incerta. Era sicura che la sua maestra si sarebbe infuriata, ma la rabbia che ardeva negli occhi dell’umana andava ben oltre l’essere infuriata.

«Ma si può sapere che cosa ti è saltato in mente?!» esclamò, sconcertata. «Hai eseguito un rituale di resurrezione nel peggior modo possibile, hai trasformato l’uomo che ami in un’aberrazione, e poi cos’hai fatto? Hai chiesto alla persona a cui tieni di più di andare a uccidere quel mostro senza nemmeno dirgli cosa stava per affrontare?! Quante volte ti ho detto che la magia non è un gioco!»

La myketis abbassò il capo, incapace di ribattere. La sua maestra aveva ragione, aveva completamente ragione. Ciò che aveva fatto era imperdonabile.

«Alisha, io voglio aiutarti, ma non sono sicura di poter rimediare a tutto questo. Cosa farai se l’aberrazione ucciderà Giako?»

Al sentire quelle parole, la strega avvertì una stretta al cuore. Poi però sollevò il capo. «Non succederà» affermò, determinata nonostante gli occhi lucidi. «Ho dato a Giako una pozione: in caso di ferite gravi simula la morte e poi cura le ferite.» Strinse la presa sul manico dello specchio. «Lui non morirà.»

L’umana si portò una mano al capo, cercando di riordinare le idee. «Ok, questa è stata una buona idea. Hai un modo per localizzare il tuo amico?»

Alisha annuì.

«Bene. In questo momento sono impegnata a curare alcuni Gendarmi, tu intanto preparati: appena avrò sistemato le cose qui, ti raggiungerò e insieme andremo da Giako.»

Il viso della myketis si illuminò di gioia. «Certo, grazie maestra.»

«Ma non cantare vittoria troppo presto. L’anima del tuo amato potrebbe essere perduta per sempre.»

L’entusiasmo di Alisha svanì di colpo, sostituito da un velo di triste amarezza. «Sì, lo so.»

Il viso della sua maestra scomparve dallo specchio e lei fu di nuovo sola. Rimase immobile per alcuni lunghi secondi, poi sollevò lo sguardo verso il comò posto a ridosso di una parete. I primi raggi di luce filtravano dalla finestra, illuminando con delicata riverenza la lancia di Bengal. L’aveva pulita e lucidata, quasi illudendosi che da un momento all’altro lui sarebbe venuto a riprenderla.

Subito sentì le lacrime agli occhi e abbassò lo sguardo. La sua maestra aveva ragione: l’anima del suo amato poteva essere perduta per sempre. Per colpa sua.

Appoggiò lo specchio sul letto, si alzò e andò a prepararsi per partire.

Ancora non sapeva cosa fosse peggio – aver cercato di resuscitare Bengal senza prestare attenzione all’incantesimo o aver chiesto a Giako di uccidere l’aberrazione – ma di una cosa era certa: non poteva starsene lì a tormentarsi nella speranza che le cose si risolvessero da sole.



Note dell’autore

Ben ritrovati, e grazie per aver letto il capitolo :)


Un doppio flashback per presentare Bengal e rivelare l’origine del mostro.

Ora che sapete più nel dettaglio quello che è successo, cosa ne pensate di Alisha e di ciò che ha fatto?

Shamiram si è arrabbiata parecchio, ma credo sia del tutto comprensibile dal suo punto di vista. Dalla sua allieva si sarebbe aspettata un comportamento più maturo e giudizioso; allo stesso tempo però si è messa a disposizione per aiutarla a risolvere il problema. Basterà il suo intervento a rimettere a posto le cose?

Nel prossimo capitolo torneremo da Giako e Jehanne, la loro caccia al mostro continua :)


Anche per questo capitolo non ho nessun disegno da mostrarvi, in compenso potete dare un’occhiata ad Anna Bad’der di Bandiera Nera, ecco il link: http://tncs.altervista.org/articoli/anna-badder-chibi/


Appuntamento al primo weekend di settembre per il prossimo capitolo.

A presto! ^.^


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[12] Sottospecie originale di TNCS, appartenente alla specie dei faunomorfi (da “fauna”, ossia l’insieme delle specie animali). Il termine deriva dalla famiglia dei Felidae, che nella classificazione scientifica raggruppa i felini.
Per maggiori informazioni: tncs.altervista.org/bestiario.

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Capitolo 7
*** 6. Preparativi ***


6. Preparativi

«Jehanne» chiamò Giako. Si erano rimessi in marcia da diverse ore e in quel momento stavano procedendo su un sentiero battuto di medie dimensioni.

«Sì?»

«Chi sono gli Astrali?»

L’umana rimuginò un attimo, forse per cercare le parole giuste. «In realtà non l’ho capito bene nemmeno io. Dovrebbe essere delle… persone, credo, però sono molto antiche, più antiche della tua civiltà e anche della mia. Non hanno un corpo, sono… delle entità, ecco, per questo cercano delle persone che possano agire al posto loro, come me. Il loro modo di vivere è completamente diverso dal nostro, per loro mille anni sono un battito di ciglia, però ci tengono all’universo, quindi, quando le cose si mettono molto male, mandano qualcuno per sistemarle.»

Giako la guardò senza capire.

Jehanne si sforzò di trovare un modo più semplice per spiegarsi. «Mmh… pensali come a dei maghi saggi ma vecchissimi, talmente vecchi che ormai il loro corpo non esiste più.»

«Ah… Quindi sono tipo degli dei?»

«Eh? No! Non sono dei! Sono persone molto antiche che hanno… trasceso la carne e sono diventate immortali… credo.»

«E quindi sono degli dei.»

«Non sono dei!» ribatté la ragazza, stizzita.

Di nuovo il mezzelfo la guardò con aria interrogativa. «E allora perché li preghi continuamente?»

«Io non prego gli Astrali! Io prego il mio Dio.»

«Ah… Quindi siete un po’ come il Corpo di Gendarmeria, ma al posto dei Re ci sono questi… antichi-maghi-cosi-immortali, giusto?»

«Qualcosa del genere, sì.»

Giako annuì per confermare di aver capito.

Il Corpo di Gendarmeria era una grande organizzazione che inglobava soldati da ogni Reame e aveva lo scopo di assicurare pace e ordine. Erano stati i Primi Re a istituirlo, così da sfavorire la formazione di pericolosi eserciti nazionali.

Fin dalla sua fondazione, ogni Gendarme aveva avuto accesso alla Magia dei Re grazie al cristallo incastonato nel proprio distintivo. Molti credevano che tale gemma fosse una pietra preziosa, ma in realtà l’unica cosa che poteva darle valore era proprio la capacità di raccogliere e convogliare la Magia dei Re. Provare a rubare il pendente di un Gendarme sarebbe stata comunque fatica sprecata: solo il legittimo proprietario era in grado di attivarne il potere. Purtroppo non erano pochi i ladri ignoranti che provavano ugualmente a impadronirsene.

Raggiunsero un bivio e Giako imboccò con sicurezza la strada che portava a nord, senza curarsi di controllare la bussola magica. Questo perché in quel momento non stavano inseguendo il mostro: il mezzelfo sapeva che, anche con l’aiuto di Jehanne, sarebbe stato molto difficile riuscire a sconfiggere la creatura, quindi aveva deciso di fare tappa nella cittadina più vicina. Non intendeva chiedere aiuto ad altri Gendarmi, ma gli restava comunque un’altra opzione. Era un’opzione rischiosa e lo sapeva, ma non gli importava. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per tenere fede alla promessa fatta ad Alisha.

Lanciò uno sguardo alla sua compagna di viaggio, a cui aveva detto che stavano andando a prendere delle semplici pozioni curative e qualche quadrello per la sua balestra. Si sentiva ancora in colpa per averla costretta ad aiutarlo, quindi se le cose si fossero messe male, avrebbe fatto il possibile per salvarla. Jehanne era una ragazza in gamba: poteva salvare il mondo anche senza di lui.

Imprecò tra sé. Certo che era davvero sfortunato: proprio quando Alisha gli chiedeva di svolgere una missione incredibilmente rischiosa, ecco che i ribelli tiravano fuori delle terrificanti armi magiche.

Un momento, e se non fosse stata solo sfortuna? Se le due cose fossero collegate?

No, era impossibile. Che collegamento poteva mai esserci tra un mostro impazzito e i ribelli…?

Poi però un subdolo pensiero si fece largo nella sua mente: se davvero quell’essere era Bengal, allora forse le due cose potevano essere collegate. Del resto il felidiano era una spia – non conosceva i dettagli, ma sapeva che lavorava per la Regina Blu – quindi magari aveva fatto quella fine proprio perché aveva scoperto qualcosa legato all’alchimista.

Scosse il capo. No, era impossibile. Sicuramente si trattava solo di una coincidenza.

L’ennesima coincidenza…

Il sole era ormai completamente tramontato quando il mezzelfo e l’umana avvistarono la loro meta: una cittadina protetta da una palizzata di legno e pietra, a sua volta circondata da un ammasso di baracche sgangherate.

Il centro abitato era sorto sulle sponde di un fiume di medie dimensioni, il quale muoveva le ruote di alcuni mulini e garantiva il passaggio frequente di piccole imbarcazioni mercantili. La sua posizione era particolarmente favorevole anche perché si trovava all’incrocio di due sentieri: era il luogo perfetto per il commercio e il ristoro dei viandanti.

Raggiunto il portone d’ingresso, Giako scese dal suo ippolafo e si avvicinò a uno dei myketis di guardia. Non era un Gendarme, ma non ebbe problemi a indirizzarlo alla caserma.

Memorizzate le informazioni, il mezzelfo lo ringraziò e insieme a Jehanne si incamminò per la strada principale, a quell’ora quasi deserta. Questo gli fece tirare un sospiro di sollievo: non era mai stato a suo agio in mezzo alla folla. Aveva sempre la sensazione di essere circondato, a maggior ragione quando veniva avvicinato da mercanti insistenti che cercavano di vendergli qualche inutile cianfrusaglia. Senza contare i tagliaborse che sgattaiolavano tra la calca facendo razzia di monete.

«Wow, che puzza!» esclamò l’umana, stranamente contenta. «Ora sì che mi sento a casa!»

Giako, tutt’altro che entusiasta dell’odore, spronò il suo ippolafo per raggiungere il più in fretta possibile la caserma.

A prima vista l’edificio sembrava una comune locanda di legno a due piani, ma la grande insegna con lo scudo gli fece capire di essere nel posto giusto. Incassate nella struttura si trovavano anche una stalla di medie dimensioni e la bottega di un fabbro, il cui fuoco veniva sfruttato per scaldare le stanze ai piani superiori.

Per prima cosa Giako e Jehanne condussero le rispettive cavalcatura alla stalla per farle rifocillare. Lo stalliere, un ragazzo myketis di una decina d’anni, controllò svogliatamente il pendente del mezzelfo e poi indicò loro la mangiatoria.

Sarebbe stata una sosta molto breve, quindi non smontarono i bagagli. Giako prese giusto uno degli otri per l’acqua e una delle sacche impermeabili in cui teneva le provviste, entrambi quasi vuoti.

«Aspettami qui, per favore» disse all’umana. «Farò in un attimo.»

Lei annuì. «Ok.»

Il Gendarme entrò nella caserma vera e propria e l’ampio locale che si trovò davanti gli sembrò in tutto e per tutto quello di una locanda economica: proprio di fronte all’ingresso c’era il lungo bancone dell’oste e i robusti tavoli per i clienti erano sparsi in modo da occupare tutto lo spazio disponibile. Data l’ora, c’erano parecchi Gendarmi intenti a mangiare e bere – quasi tutti myketis –, e ovviamente non mancavano le cameriere dai vestiti particolarmente procaci che distribuivano piatti di cibo povero ma sostanzioso e boccali di birra scadente. Il chiasso era insopportabile per uno come Giako, abituato alla calma della foresta, e lo stesso si poteva dire per il tanfo di sudore e alcol che impregnava perfino le pereti.

Alla sua sinistra spiccava una grande bacheca su cui erano appesi innumerevoli fogli: si trattava per lo più di manifesti di ricercati o di richieste di lavoro che gli abitanti della zona facevano ai Gendarmi in cambio di somme di denaro. Un tempo era contro le regole accettare missioni dietro compenso, ma il continuo dilagare di tale abitudine aveva spinto i Re ad abolire il divieto e a stabilire delle linee guida per evitare gli abusi. Lui stesso aveva dovuto comunicare al suo superiore che si sarebbe assentato per svolgere un incarico, rinunciando così ad alcuni dei suoi giorni liberi.

Senza guardare in faccia nessuno, andò deciso dall’oste.

«Ehi, mangi sul banco o a un tavolo?» gli chiese subito il myketis senza nemmeno curarsi di controllare il suo pendente. Era piuttosto grassoccio e le guance paffute avevano assunto una colorazione arancione che risaltava sulla pelle ambrata: probabilmente era brillo pure lui.

Giako scosse il capo. «No, devo ripartire subito.» Appoggiò sul bancone l’otre e la sacca impermeabile. All’interno di quest’ultima restavano solo due pezzi di pane scuro, duri come pietra, e un avanzo di formaggio. «Puoi darmi qualche provvista? E anche qualche pozione.»

«Certo» rispose l’oste. Prese i due contenitori e sparì dietro la tenda alle sue spalle. Dopo meno di un minuto riemerse dalla dispensa con entrambe le borse piene e le porse al mezzelfo. «Qualcos’altro?»

Giako gli si avvicinò, così da poter parlare in tono leggermente più basso. «Mi serve un’Essenza del Dannato.»

Il myketis rimase un attimo imbambolato, poi sgranò gli occhi. «E a co-»

«Conosco i rischi» lo interruppe il Gendarme. «Ce l’hai o no?»

Di nuovo l’oste ci mise qualche istante per rispondere. «Eeh… sì.» Di nuovo tornò nel magazzino alle sue spalle e, quando ricomparve, lo fece con una piccola fiala in mano. Era protetta da una specie di gabbia metallica anti-caduta e al suo interno c’era un liquido denso e scuro che sembrava sangue.

Giako allungò una mano per prenderla, ma l’oste si ritrasse. «Sei… proprio sicuro?»

«Non te l’avrei chiesta se non fossi stato sicuro» tagliò corto Giako. Aprì il palmo verso di lui, impaziente.

Il gestore della caserma rimuginò ancora un attimo, studiandolo con una certa diffidenza, poi finalmente gliela consegnò. «Qualcos’altro?»

Giako stava per dire di no, ma poi ci ripensò. «Solo una domanda. Alcuni giorni fa ho trovato dei Gendarmi uccisi, e tutti quanti avevano due linee verticali tracciate col sangue dalla tempia fino alla mascella.» Imitò il gesto con una mano per spiegarsi meglio. «Ma la cosa strana è che ho visto fare una cosa simile ad alcuni banditi che ho affrontato tempo fa, solo che in quel caso se le sono tracciate da soli prima di morire.» L’episodio risaliva a prima di ricevere la lettera di Alisha, ma gli era tornato in mente quando aveva visto i cadaveri dei suoi colleghi. «Vuol dire qualcosa?»

L’oste annuì. «Così è capitato anche a te, eh.» Sbuffò. «Sta succedendo abbastanza spesso ultimamente. Gira voce che è un’abitudine dei ribelli contro i Re. Dicono che le due linee sono l’opposto di una corona.» Nel dirlo si passò il pollice sulla fronte, come a tracciare una linea orizzontale sulla pelle ambrata. «Abbiamo già segnalato la cosa ai piani alti, ma per il momento non ci hanno dato disposizioni particolari.»

Giako rimase un attimo in silenzio, pensieroso. Sapeva da tempo che c’erano dei focolai di ribellione sparsi praticamente in ogni Reame, ma si trattava per lo più di gruppi isolati che agivano ognuno per ragioni diverse. Se però cominciavano a unirsi e a organizzarsi poteva diventare un grosso problema, a maggior ragione ora che erano saltate fuori quelle spade magiche.

Prese le due sacche. «Grazie, ora devo andare. Arrivederci.»

Uscito dalla caserma, trovò Jehanne ad aspettarlo. Le diede le due sacche e lei si diresse verso la stalla, lui invece andò dal fabbro per chiedere una decina di quadrelli.

Dato che c’era, consegnò anche le armi che avevano sottratto ai ribelli un paio di giorni prima, fatta eccezione per la spada magica. A prima vista sembrava ormai priva di qualsiasi potere, tuttavia magari Alisha avrebbe potuto ricavarci qualche informazione utile.

La parte più difficile della sosta fu convincere l’ippolafo di Giako a rimettersi in marcia. Appena il mezzelfo gli prese le briglie, l’animale batté le zampe per terra e sbuffò, visibilmente irritato. Ci vollero ben sette zollette di zucchero per convincerlo a uscire dalla stalla, e altre quattro per evitare che ci rientrasse subito dopo.

Jehanne assistette alla scena senza intervenire, gustandosi il momento con un sorriso divertito stampato sul viso. E il sorriso divenne una genuina risata quando vide l’animale che, per puro dispetto, faceva un passo di lato appena Giako cercava di salirgli in groppa.

«Vaffanculo, mi terrà il broncio per una settimana» sbottò Giako, finalmente in sella.

L’umana continuò a sorridere per qualche momento, poi cercò di tornare seria. «Allora, quanto vantaggio ha il mostro?»

Il mezzelfo tirò fuori la bussola e osservò il quadrante. Pulsava ancora, seppur in maniera lenta e flebile. «Non molto. Possiamo raggiungerlo entro domani.»

«Ottimo, così poi potremo salvare il mondo.»

Giako annuì silenziosamente e, come Jehanne, spronò il suo destriero per affrettare il passo.

Con una mano toccò la tasca della cintura doveva aveva riposto la fiala di Essenza del Dannato. Non avrebbe detto niente in proposito alla sua compagna di viaggio, e nella migliore delle ipotesi non avrebbe nemmeno dovuto farne uso. Ma aveva il netto presentimento che la sua sarebbe stata una speranza vana.

Di una cosa era certo: questa volta non avrebbe permesso al mostro di fuggire.



Note dell’autore

Ciao a tutti!


Questa volta siamo tornati da Giako e Alisha, che pian piano cominciano a conoscersi un po’ meglio :)

Approfittando del momento di tranquillità, ho aggiunto qualche informazione in più su Alpha, sui Gendarmi e sul loro versatile pendente. Ma soprattutto Giako ha avuto modo di riflettere: che l’uccisione di Bengal sia collegata alle spade magiche e alle recenti prove di forza dei ribelli?

Alla fine l’ippolafo ha voluto prendersi un po’ la scena con i suoi capricci: manie di protagonismo XD Presto però dovrà farsi da parte: lo scontro col mostro-Bengal è ormai imminente, riusciranno Giako e Jehanne ad avere la meglio? O il mezzelfo dovrà ricorrere all’Essenza del Dannato (il nome dice tutto)?


Appuntamento tra un paio di settimane per il prossimo capitolo.

Ciao! ^.^


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Capitolo 8
*** 7. Lotta all’ultimo sangue ***


7. Lotta all’ultimo sangue

Era tardo pomeriggio e il debole sole invernale era già quasi tramontato, gettando l’ambiente in una penombra ancora più fitta. Gli alberi alti e scuri apparivano come spettri nella nebbia, e i cupi versi degli animali non facevano che rendere l’atmosfera ancora più lugubre.

Giako, che come tutti gli abitanti della zona era abituato a simili paesaggi, si strinse nel mantello pesante per proteggersi dal freddo. Ancora una volta abbassò lo sguardo sulla bussola magica che aveva in mano: l’ago puntava sempre in avanti e il quadrante pulsava in maniera sempre più decisa, segno che ormai era vicino.

Poi finalmente lo vide: il mostro era lì davanti, alto quasi tre metri. Avanzava lento, forse per via delle ferite rimediate nel precedente scontro. Sembrava non essersi accorto della sua presenza.

Il mezzelfo saltò giù dal suo ippolafo. L’animale era stremato, ma ancora una volta si era dimostrato un valido compagno. Giako si tolse il mantello e lo sistemò sotto la solita fibbia della sella, dopodiché prese la balestra e la caricò.

«Ehi stronzo! Sono qui per farti il culo!»

Era sicuro che insultare a gran voce il mostro sarebbe servito ad attirare la sua attenzione, invece la creatura continuò imperterrita sulla sua strada, ignorandolo completamente.

Dopo una colorita imprecazione, il mezzelfo sollevò l’arma. Inspirò, prese accuratamente la mira e premette il grilletto. Il dardo scattò fulmineo, fendette l’aria con un sibilo e si conficcò in un albero, mancando completamente il bersaglio.

Jehanne non nascose un sorriso divertito. «Bel tiro!»

«Vaffanculo.»

Al contrario della maggior parte degli elfi, Giako non era in grado di perfezionare il tiro con la magia, di conseguenza il luogo comune degli ottimi arcieri non lo aveva mai riguardato.

Scarsa mira a parte, il colpo aveva sortito il suo effetto: la bestia si era voltata e ora li guardava con occhi furenti.

«Emh… ricordami perché dobbiamo affrontare quel coso» chiese la giovane. Non sembrava davvero preoccupata, di certo però l’idea di affrontare un mostro con braccia grandi come tronchi non le faceva fare i salti di gioia.

Giako non rispose. Appoggiò a terra la balestra, portò la mano sinistra all’elsa di Balmung e la sguainò con forza. La lama nera luccicò nella penombra, pronta a mietere un’altra vittima.

«D’accordo, sei un solitario e non ti piace ripetere le cose, come non detto» commentò l’umana. Anche lei impugnò la sua spada, ma di nuovo senza estrarla dal fodero.

Il mostro li osservò, forse per capire le loro intenzioni. Ruggì minaccioso, ma questo non servì a scacciare i due seccatori. Continuò così per alcuni secondi, le zanne in mostra, poi evidentemente capì l’inutilità delle sue minacce e cambiò strategia: afferrò il tronco dell’albero più vicino e lo sradicò con facilità disarmante, dopodiché strappò via le radici e i rami. Era pronto a combattere.

«Credo che prima di diventare un mostro, fosse un lancere» affermò Giako. «Fai attenzione.»

Lei gli rivolse un sorrisetto saccente. «Cosa credi? Ci vuol ben altro per spaventare Jehanne la Pucelle.»

Incurante del loro scambio di battute, il mostro caricò sollevando la sua rudimentale arma. La abbatté con forza sui nemici, ma i due riuscirono a evitare saltando all’indietro.

L’umana non perse tempo e scattò all’attacco. Menò un fendente sulla mano del nemico per fargli perdere la presa, ma l’essere non demorse. Parò il colpo successivo e attaccò a sua volta. La giovane provò a parare, ma la forza della creatura era tale che la fece letteralmente volare via.

Nel vedere il corpo di Jehanne che stramazzava a terra, Giako rimase come paralizzato. Come aveva potuto pensare che l’umana sarebbe stata in grado di aiutarlo?! Certo, la sua tecnica era notevole, ma la disparità di forza e dimensioni era troppo grande: non aveva alcuna chance. Non poteva aspettare che la uccidesse, doveva agire: senza nemmeno accorgersi che Jehanne si stava già rialzando, prese la fiala con l’Essenza del Dannato e levò il tappo. Ebbe un attimo di esitazione davanti a quel liquido rosso che sembrava sangue, ma ormai non poteva più tornare indietro: portò la boccetta alle labbra e ne bevve l’intero contenuto in unico sorso forsennato. Per alcuni lunghi istanti non accadde nulla, poi all’improvviso avvertì una fitta al cuore. Il muscolo aveva cominciato a battere all’impazzata e il sangue sembrava aver preso fuoco dentro di lui. Gridò di dolore e cadde a terra, vittima della sua stessa pozione. Era come se l’Essenza del Dannato stesse corrodendo il suo corpo dall’interno, consumandolo per ricrearlo più forte di prima. Non era sicuro di riuscire a sopportarlo fino alla fine.

Spalancò gli occhi. Ma cosa stava facendo?! Non poteva soccombere alla pozione! Doveva uccidere quel mostro e portare il suo cadavere ad Alisha!

Con un enorme sforzo di volontà si mise in piedi. I suoi occhi ardevano, e non era solo determinazione: i vasi sanguigni si erano dilatati in maniera innaturale, tanto che le sue iridi nere parevano circondate da una nefasta luce scarlatta.

Avvertì l’odore del sangue, e lo fece in maniera così nitida che gli sembrava di riuscire a distinguere le ferite del suo nemico solo dall’aroma che emanavano.

Jehanne lo osservò senza capire, visibilmente preoccupata. «Giako, che hai fatto…?»

Il mezzelfo non la sentì nemmeno. Si fiondò sul mostro come una furia, deciso a toglierlo di mezzo una volta per tutte. L’essere, colto di sorpresa, abbozzò una parata con la sua rozza lancia, ma non servì a niente: Giako lo scartò con un movimento fulmineo e lo colpì al ventre con un affondo. La punta di Balmung perforò la pelle coriacea della creatura, facendosi largo tra le sue interiora fino a sbucare dalla parte opposta. Il mostro urlò di dolore, dimenandosi disperatamente fino a costringere il Gendarme a indietreggiare. L’attacco però non era finito. Approfittando del momento di panico del nemico, Giako lo aggredì senza pietà, tempestandolo di colpi da ogni direzione. Si sentiva in estasi, era completamente assuefatto dallo straordinario potere che solo l’Essenza del Dannato poteva donare.

Nel giro di pochi secondi il massiccio corpo della bestia si coprì di tagli più o meno profondi e alla fine l’aberrazione crollò in ginocchio, l’albero-lancia ormai a terra. Per quanto forte e resistente, nemmeno un mostro del genere poteva tenere testa al mostro che Giako era diventato.

Il Gendarme ora studiava la sua preda con i suoi occhi iniettati di sangue, cercando il momento e il modo migliore per ucciderla. La sua mente era pervasa di un terrificante istinto omicida, allo stesso tempo però si sentiva perfettamente lucido e cosciente: poteva far fruttare al massimo la sua esperienza combinata a quel corpo inarrestabile.

La bestia scattò all’improvviso, cercando di cogliere impreparato l’avversario. Il mezzelfo non si fece sorprendere e schivò agilmente il pugno. Menò un rapidissimo fendente che squarciò la pelle della fiera, recidendo i muscoli e scalfendo le robustissime ossa dell’avambraccio.

La preda, accecata dal dolore, mosse a caso l’arto sano nel tentativo di ferire il Gendarme, ma la sua disperazione poteva significare solo una cosa: consapevolezza di una fine imminente.

Giako arretrò di un paio di passi per mettersi al sicuro, analizzò con fredda lucidità il ritmo dei movimento del nemico e al momento giusto scattò in avanti: Balmung perforò il petto del mostro, trapassando il cuore e dilaniando le carni senza pietà. Un simile attacco sarebbe stato fatale anche per una creatura del genere, tuttavia ci sarebbe voluto almeno qualche secondo affinché la bestia esaurisse le energie. E Giako lo sapeva.

Prima che il mostro riuscisse a bloccarlo, poggiò un piede sul suo petto e si lanciò con forza all’indietro, trascinando con sé la sua micidiale spada. La ferita si aprì ulteriormente e cominciò a spruzzare un sangue denso e scuro, prosciugando in fretta le forze della vittima. La fiera provò a restare in piedi, ad arrancare verso il Gendarme, ma il suo enorme corpo stava diventando sempre più pesante e le sue gambe si facevano più fragili ad ogni passo. Crollò in avanti, schiacciato dalla stanchezza e dalle ferite.

Giako osservò la sua vittima che agonizzava e un ghigno deformò le sue labbra. Aveva atteso a lungo quel momento, e l’Essenza del Dannato lo colmò di macabra soddisfazione.

Ma non era ancora abbastanza: una sola vittima non era certo sufficiente per saziare la sete di sangue della pozione.

Con un movimento lento si voltò alla sua destra. Jehanne era lì e lo stava osservando a sua volta. Il viso dell’umana era una maschera dura e glaciale, in cui si potevano riconoscere rabbia e disprezzo. Ma non paura, e questo fece infuriare il mostro dentro Giako.

«Non ti azzardare a guardami in quel modo» lo ammonì Jehanne, e il suo tono era chiaramente di minaccia.

Il mezzelfo scoprì i denti, come un animale selvatico. Davvero la giovane pensava di potergli dare ordini? Avrebbe pagato cara la sua presunzione!

La aggredì con foga, sicuro di riuscire a prevalere. Menò un fendente, ma lei schivò. Troppo tardi il Gendarme capì di essersi sbilanciato in avanti. Il pugno arrivò con forza impressionante, dritto sul mento. Il mezzelfo non sentì più la terra sotto i piedi e per alcuni interminabili istanti gli parve di essere sospeso in aria. L’impatto col terreno lo risvegliò di colpo, perse la spada, ma la furia dell’Essenza si riaccese.

«Torna in te, o ti faccio rinsavire a suon di pugni!» esclamò Jehanne. «E il Signore mi perdoni!» Non sopportava l’idea che il suo compagno di viaggio impazzisse proprio ora che dovevano iniziare la vera missione.

 Giako avvertì l’istinto di attaccare, di colpirla nei modi più dolorosi che conosceva. Sentiva il desiderio di farla a pezzi, di fare scempio del suo corpo, ma sapeva che non era davvero lui a volerlo: era l’Essenza del Dannato che lo spingeva a commettere un atto tanto crudele.

«Coraggio, so che puoi farcela!» lo spronò l’umana. Non sembrava più arrabbiata, ma la sua voce era comunque ferma e risoluta. «Combatti, fallo per le persone a cui vuoi bene.»

La mente del mezzelfo cominciò a pulsare: la volontà assassina della pozione stava cercando di sottometterlo, di prendere possesso del suo corpo, avida di altri massacri.

Gridò e si portò le mani al capo nel disperato tentativo di placare quella morsa cruenta. Dai suoi occhi cominciarono a scendere lacrime di sangue, segno che la pozione lo stava consumando sempre di più.

«Hai ucciso il mostro! Non puoi arrenderti adesso!» gli disse ancora Jehanne.

Si premette le dita sul viso, e solo i robusti guanti gli impedirono di graffiarsi da solo: l’Essenza del Dannato cercava di consumarlo, lo induceva a ferire il suo stesso corpo per fiaccare la sua determinazione.

Le convulsioni gli impedivano di restare lucido e il sangue lo accecava. Ormai vedeva solo i ricordi di vecchie battaglie, continuava a rivivere i momenti in cui uccideva le sue vittime, ma i loro volti erano quelli delle persone a lui più care. Non riusciva più a distinguere la realtà dalle illusioni.

«Giako, concentrati. Puoi farcela.» Sentì le dita di Jehanne che gli avvolgevano la mano. «Io sono qui con te.»

Il mezzelfo si focalizzò su di lei, sforzandosi di cancellare tutto il resto.

«Giako…»

Un’altra voce. Non era la giovane, sembrava quella di un uomo, ma non riuscì a capire a chi appartenesse.

«Puoi farcela» gli ripeté l’umana.

Fu come riaprire gli occhi all’improvviso. Il turbinio di immagini e sensazioni si era calmato, ora vedeva solo Jehanne e, dietro di lei, le cupe chiome degli alberi. Era finita. C’era riuscito: aveva resistito all’Essenza del Dannato. Non era diventato un mostro.

Una fitta alla mandibola gli fece capire che era davvero vivo.

«Giako…»

Ancora quella voce. Era flebile, e non era frutto della sua mente. Anche Jehanne l’aveva sentita, infatti entrambi si voltarono e, al posto del mostro, trovarono un felidiano di tipo tigre. Era completamente nudo e il suo corpo atletico era straziato dalle ferite.

«Bengal…»

Giako aveva intuito la triste verità che si celava dietro quell’essere, tuttavia, vedendo confermati i suoi sospetti, non riuscì a trattenere un moto di turbamento. Lui e l’umana andarono verso il felidiano, e il mezzelfo lo mise delicatamente supino. Anche se la trasformazione si era annullata, il corpo di Bengal era pieno di ferite, molte delle quali fatali: non sarebbe sopravvissuto.

Giako era ancora convinto di aver fatto la cosa giusta, questo però non poteva impedirgli di provare una profonda tristezza e un non indifferente senso di colpa. E pensare che in passato aveva odiato il felidiano con tutto se stesso. La relazione tra Bengal e Alisha era iniziata nel periodo in cui il mezzelfo era tornato al suo Reame di nascita per unirsi al Corpo di Gendarmeria, per questo, quando aveva saputo di loro, si era sentito come se lui gliel’avesse portata via. Le prime volte che l’aveva visto non gli aveva nemmeno rivolto la parola, poi però si era sforzato di conoscerlo meglio, e aveva capito quanto fosse nobile e valoroso. Dentro di sé aveva anche cominciato ad ammirarlo un po’.

«Giako… ascolta…» La voce di Bengal era appena un flebile sussurro e lui dovette avvicinarsi ancora per riuscire a capire le sue parole. «A nord… di… Horville… c’è… un alchimista… sta… demoni…» Una convulsione lo fece contorcere di lato, tossì sangue e il suo volto venne stravolto da una maschera di dolore.

Il mezzelfo avrebbe voluto aiutarlo con tutto se stesso, ma non aveva idea di cosa fare.

Bengal gli strinse il braccio con una mano e lo fissò con i suoi occhi ambrati. «Giako…» Un altro rivolò di sangue cominciò a colare dall’angolo della bocca. «Il… Governatore…» Prima che potesse aggiungere altro, il suo sguardo divenne vuoto e la vita abbandonò definitivamente il suo corpo.

Il Gendarme rimase immobile a fissarlo, incapace di reagire.

Jehanne, in ginocchio al suo fianco, fece il segno della croce e si mise a pregare in silenzio.

Il mezzelfo gli chiuse delicatamente le palpebre e si alzò per andare a prendere il suo mantello. Dunque Bengal era davvero stato ucciso perché aveva scoperto qualcosa, e quel qualcosa aveva a che fare con l’alchimista di cui l’umana gli aveva parlato.

«Voi che usanze avete per… queste situazioni?» domandò Jehanne.

«Alisha mi ha chiesto di portargli il corpo» rispose Giako dopo che ebbe adagiato il suo mantello sul cadavere. «E poi ti aiuterò in ogni modo possibile, come promesso.» Dopo un attimo aggiunse: «E grazie per… beh, per avermi tirato un pugno.»

L’umana non se la sentì di sorridere in un momento del genere, così si limitò a incurvare leggermente le labbra. «Ordinaria amministrazione.»



Note dell’autore

Ciao! :)


Intanto povero Giako che non sa usare la magia (ma del resto lui è elfo solo a metà, quindi se lo sogna di tirare frecce come Legolas :P).


Come ipotizzabile, alla fine Giako ha bevuto l’Essenza del Dannato, anche se probabilmente avrebbe potuto aspettare un po’ prima di correre un simile rischio. Ma dopo aver in pratica costretto Jehanne ad aiutarlo, si sarebbe sentito troppo in colpa se lei fosse rimasta ferita, così ha agito senza pensare troppo alle conseguenze.

In ogni caso, a conti fatti è servito ad uccidere il mostro, e poi Jehanne si è dimostrata in grado di gestire la situazione… anche se in modo “poco ortodosso” XD


Nel finale è “tornato” Bengal, che finalmente è riuscito a rivelare (almeno in parte) ciò che ha scoperto. Purtroppo non è riuscito a dire molto, in ogni caso abbiamo un importante indizio sulla posizione del laboratorio.

A questo proposito, ecco una mappa (ancora molto schematica) di Grandeforêt:

Grandeforet

Giako e Jehanne in questo momento si trovano grossomodo tra il villaggio di Alisha e Horville.

La linea tratteggiata più spessa divide i Reami Blu dai Reami Gialli, la linea tratteggiata media divide i Reami degli elfi oscuri dai Reami dei myketis, mentre le linee tratteggiate più sottili dividono i vari Reami (ad esempio i Reami dei myketis sono due, mentre quelli degli elfi oscuri sono tre).


Bene, per questo capitolo è tutto, ma c’è un extra: settimana scorsa ho pubblicato un disegno di Trickster (il protagonista della saga di Delta), quindi chi è interessato può dargli un’occhiata: Trickster (chibi)


E con questo ho davvero finito, a presto! ^.^


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Capitolo 9
*** 8. Incontri inaspettati ***


8. Incontri inaspettati

Dopo aver avvolto il cadavere di Bengal nel mantello di Giako, il mezzelfo e l’umana si erano concessi appena qualche ora di riposo prima di rimettersi in cammino. Dovevano portare il corpo ad Alisha il prima possibile: un’altra missione ancora più importante li attendeva.

Erano passati appena due giorni dallo scontro con l’aberrazione quando, con loro grande sorpresa, incrociarono due persone a cavallo. E non due persone qualsiasi: Giako riconobbe subito i capelli blu scuro e la pelle chiara di Alisha, così scese dal suo ippolafo e si avvicinò a piedi. La strega scese a sua volta e gli corse incontro. Il mezzelfo si accorse subito dei suoi occhi lucidi, e tutti i discorsi che aveva preparato gli parvero di colpo fuori luogo. Non c’era niente da dire in un momento simile.

La myketis in un primo momento rimase in silenzio, limitandosi ad abbracciarlo delicatamente. «Grazie, Giako.»

Due parole, tanto semplici quanto dolorose. Il Gendarme la strinse a sé, sempre in silenzio. Avrebbe voluto restare così per sempre, farla sentire amata e protetta, ma non poteva. «Perché sei qui?»

«Per darti una mano» rispose l’altra cavaliera.

Il mezzelfo sollevò lo sguardo e solo allora fece caso donna che era con Alisha, probabilmente un’umana. Aveva la carnagione olivastra e dei fluenti capelli mori e mossi. Il suo viso era molto affascinante, così come il fisico dalle curve morbide e molto femminili; a una prima occhiata dimostrava una trentina d’anni, eppure i suoi occhi affilati rivelavano una saggezza notevole, sembravano quasi incutere timore. Al contrario di Alisha, portava due voluminosi orecchini dorati che richiamavano le raffinate finiture dei suoi abiti pesanti.

«Giako, lei è Shamiram[13], la mia maestra» la presentò la strega.

Il Gendarme ci mise qualche istante per elaborare quelle parole. Ora che sapeva chi era, si ricordò di averla già vista un paio di volte attraverso gli specchi magici. Incontrarla di persona però era diverso, era come se la sua aura fosse molto più intensa. Lo faceva sentire un bambino impacciato.

«Emh, posso intromettermi?» intervenne Jehanne, fino a quel momento esclusa dalla conversazione.

Giako, che non era abituato a fare presentazioni, si trovò un attimo in difficoltà. «Eeh, sì…»

«Jehanne Romée» si presentò l’umana, risolvendo da sé il problema.

Alisha e Shamiram si presentarono a loro a volta.

«Un momento, per caso conosci gli Astrali?» fece la giovane rivolta alla maestra.

«Può darsi» rispose Shamiram. «Devo dedurre che lavori per loro?»

«È così.»

«Non mi aspettavo mandassero qualcuno» ammise la strega. «Evidentemente la situazione è più grave di quanto pensassimo.»

«Maestra, chi sono questi Astrali?» le chiese la myketis.

«I superstiti di un antico popolo molto avanzato. Hanno trasceso la vita come la conosciamo noi e sono diventati praticamente immortali, ciononostante ne sono rimasti pochissimi. Hanno portato la vita su innumerevoli mondi e pare siano stati loro a creare la magia.»

La myketis, ma anche Giako, parvero molto colpiti.

«Non fate quelle facce, tra un milione di anni i nostri discendenti faranno anche di meglio. L’importante è non estinguersi prima, quindi propongo di tornare all’argomento principale, ossia: Bengal è riuscito a dirvi qualcosa?»

«Sì, ha detto che a nord di Horville c’è un alchimista che sta facendo qualcosa con i demoni» rispose Jehanne. «Purtroppo non è riuscito a dirci altro in proposito, in compenso gli Astrali sanno che a sud-est di Grandeforêt c’è un alchimista che sta uccidendo decine, forse centinaia di demoni per trasformarli in armi magiche: sicuramente è la stessa persona. Ha anche accennato a un Governatore, ma non sappiamo in che modo è coinvolto.»

I Governatori erano la massima autorità politica dopo i Re: ogni Reame era affidato ad un Governatore, che aveva il compito di amministrarlo in nome del proprio sovrano.

«Per quanto riguarda le armi magiche, temo di sapere di cosa parli» ammise Shamiram. «Nei Reami Gialli ultimamente i ribelli hanno acquisito delle armi terrificanti, spade in grado di annullare la magia e squarciare le armature: hanno già ucciso un gran numero di Gendarmi e non solo. Avevo il presentimento che ci fosse un mago dietro, ma non avevo idea di dove cercare. Evidentemente Bengal l’ha trovato.»

«A questo proposito, abbiamo affrontato un elfo che aveva una di queste armi magiche» spiegò la giovane. Tornò al suo ippolafo e prese la spada per mostrarla alle due streghe.

Shamiram la prese e subito il suo sguardo si incupì. Anche Alisha non riuscì a nascondere il proprio turbamento. Le rune impresse sulla lama formavano un incantesimo che non aveva mai visto, ma quasi sicuramente si trattava di un sigillo per vincolare l’anima di una persona all’oggetto.

«Allora?» chiese Jehanne.

«C’è… c’era l’anima di un demone qui dentro» esalò Alisha, «una donna.»

«Cos’è successo?» volle sapere Shamiram. «Il sigillo sembra spezzato.»

«Non lo sappiamo» ammise la giovane in armatura. «Stavamo per sconfiggerlo, ma poi è come impazzito ed è morto. Sul suo corpo erano comparsi dei simboli neri, come dei tatuaggi.»

La maestra rifletté un attimo in silenzio. «Probabilmente non sono ancora riusciti a stabilizzare il sigillo. Tutto sommato forse è un bene: se siamo fortunati, non cominceranno a produrre in massa queste armi fino a quando non saranno riusciti a risolvere il problema. Ma dobbiamo sbrigarci.»

«Infatti» annuì Jehanne. «Noi dobbiamo andare dalla Regina Blu per chiederle alcuni uomini di supporto, qual è il modo più veloce?»

«Di questo posso occuparmene io» affermò Shamiram. «Conosco la Regina, e con la magia posso contattarla anche da qui. Prima però sarebbe meglio resuscitare il nostro amico.»

«Come? Volete resuscitarlo?!» esclamò la giovane, sconcertata.

«Tranquilla, Paladina, non intendo metterci nei guai. E poi le informazioni che ha raccolto ci servono se vogliamo fermare quell’alchimista.»

Jehanne la scrutò con aria indagatrice, poco convinta. «Mmh…»

«Potete farlo?» fece il mezzelfo, un po’ stupito. «Credevo che dopo… quello…»

«Con la giuste conoscenze, i giusti ingredienti e la giusta preparazione si può fare praticamente ogni cosa» affermò la maestra, e l’occhiataccia che lanciò ad Alisha fu piuttosto eloquente.

«Bene, allora cosa aspettate?» intervenne Jehanne. «Fate la resurrezione, che già mi prudono le mani.»

«Temo non sia così semplice» ribatté Shamiram. «Qui la magia è… complicata. Non possiamo svolgere un incantesimo così complesso in questo punto, dobbiamo andare da un’altra parte. Voi intanto andate pure avanti, dal Governatore o al nascondiglio dell’alchimista. Quando avremo informato la Regina, potrete unirvi alle sue amazzoni.»

«Voglio essere presente quando contatterete la Regina» obiettò la giovane in un tono che non ammetteva repliche.

«Non ti fidi di me, Paladina?»

«Non intendo affidare le sorti del mondo a qualcuno che ho appena incontrato.»

Giako trovò sorprendente come Jehanne riuscisse a rispondere a tono a una persona carismatica come la maestra di Alisha; lui riusciva a malapena a reggere il suo sguardo.

«Scusatemi…» intervenne Alisha, «non potremmo andare tutti insieme a resuscitare Bengal?»

«È esattamente quello che avevo in mente» dichiarò Jehanne.

«Bene, non perdiamo altro tempo allora» affermò Shamiram.

«Ehi, un momento!» obiettò ancora la giovane. «D’accordo che non possiamo fare subito la resurrezione, non possiamo almeno provare a contattare la Regina Blu?»

«A quest’ora non è nelle sue stanze, dobbiamo aspettare questa sera» le spiegò la maestra.

Jehanne capì che insistere sarebbe stato inutile, così tornò dal suo ippolafo e salì in sella, un po’ seccata ma pronta a rimettersi in marcia.

Anche Shamiram tornò dalla sua cavalcatura, così Alisha ebbe finalmente un momento di intimità col mezzelfo. «Giako, mi dispiace di averti chiesto… tutto questo» esalò, il capo chino per la vergogna.

«No, ti capisco» ribatté il Gendarme per cercare di consolarla. «Posso immaginare quello che provavi, quindi non preoccuparti: come vedi, sto bene.»

Lei lo guardò negli occhi e, constatando che era davvero tutto intero, gli sorrise con riconoscenza. «So che non è molto, però ho preparato altre zollette per il tuo ippolafo e un po’ di pozioni per te, adesso te le prendo.» Raggiunse la sua cavalcatura – una femmina dal ventre chiaro –, rovistò un attimo tra le sue cose e poi tornò indietro con un paio di sacche in mano. Dopo pochi istanti, il muso da cervo dell’ippolafo di Giako spuntò curioso oltre la spalla del Gendarme.

 «Sì, anche tu sei stato bravo» affermò la strega dando una zolletta all’animale, il quale la mangiò subito con gusto.

«Avanti, rimettiamoci in marcia» affermò Shamiram. «Prendo io il cadavere, il tuo animale è già abbastanza carico.»

Senza nemmeno preoccuparsi di ascoltare i pareri altrui, la strega fece fluttuare il corpo avvolto nel mantello e lo adagiò sulla schiena del suo ippolafo. Era un esemplare piuttosto massiccio, adatto più al traino che al trotto: sicuramente non avrebbe avuto problemi a lavorare con un grosso aratro, ma dato il suo portamento fiero, sarebbe stato più consono fargli trainare una lussuosa carrozza.

Tutti e quattro risalirono sui rispettivi animali e Shamiram si mise in testa al gruppo per indicare la strada. Alisha la affiancò, Giako e Jehanne invece chiusero la fila. Solo in quel momento il mezzelfo si accorse che mancava lo zombie della myketis. In realtà la cosa non lo stupì: probabilmente la strega gli aveva affidato il compito di badare alla casa in sua assenza.

Anche senza il cadavere animato, quello che si era appena formato era un gruppo piuttosto strano: un Gendarme solitario, una ragazza in armatura e due streghe. Se gliel’avessero raccontato, non ci avrebbe mai creduto: proprio uno come lui che si trovava a viaggiare con tre donne! Sarebbe stato quasi piacevole, se non fosse che una lo aveva preso a pugni per aiutarlo a non impazzire, una era la donna che l’aveva cresciuto e di cui era stato innamorato, e una lo faceva sentire come un bambino impacciato.

«Ehi, Giako» lo chiamò Jehanne a bassa voce, «tu ti fidi di Shamiram?»

Lui si strinse nelle spalle. «Alisha si fida di lei, e io mi fido di Alisha.» Dopo un attimo aggiunse: «Perché le hai chiesto degli Astrali?»

«Perché anche lei ha lavorato per loro.»

Giako rifletté qualche istante. «Ma allora perché non ti hanno mandato da lei invece che da me? Avrebbe potuto aiutarti meglio.»

«Sinceramente non ne ho idea. So che ha smesso di lavorare per gli Astrali molti anni fa, e la gente cambia col tempo. Forse non pensavano che avrebbe accettato di aiutarmi»

Il Gendarme rimase in silenzio. «Potrebbe essere in combutta coi ribelli?»

Jehanne sospirò. «Personalmente non credo, però… non mi ispira nemmeno molta fiducia.»

Il mezzelfo le rivolse uno sguardo interrogativo.

«Shamiram… beh, non credo di esagerare se dico che è una delle persone più potenti di questo mondo. È più vecchia di me, te e la tua amica messi insieme, conosce un mucchio di persone influenti e potrebbe ucciderci tutti con uno schiocco di dita. Puoi biasimarmi se ho qualche riserbo nei suoi confronti?»

Di nuovo, Giako si concesse qualche secondo per rispondere. Sapeva che la maestra di Alisha era una persona importante, ma non immaginava fino a tal punto. «Beh, ma se è potente come dici, se fosse stata in combutta coi ribelli ci avrebbe già uccisi tutti.» Dopo un attimo aggiunse: «Com’è che dici? Bisogna avere fede.»

Lei gli sorrise. «Esatto. L’importante è non usare la fede come scusa per non agire.»

Giako annuì e tornò a guardare avanti, verso le due streghe e oltre, per la cupa distesa della foresta. Se davvero Alisha e Shamiram fossero riuscite a resuscitare Bengal, allora grazie alle informazioni del felidiano avrebbero avuto molte più chance di fermare l’alchimista e, di conseguenza, i ribelli.

Avrebbero messo fine alla guerra prima ancora che iniziasse.



Note dell’autore

Ben ritrovati :)

Finalmente è comparsa “per intero” Shamiram, quindi colgo subito l’occasione per mostrarvi la sua versione chibi:

Shamiram (AoD-1)


Per il resto, Giako ha dimostrato ancora una volta le sue scarse attitudini comunicative, Jehanne invece ha fatto capire a tutti che è una senza peli sulla lingua XD In questo anche Shamiram non scherza, ma il suo modo di fare è decisamente più… regale/altezzoso (a seconda dei punti di vista :P).


Passando alle cose importanti, sono saltati fuori nuovi dettagli sulla spada magica, ma soprattutto il duo di protagonisti è diventato un quartetto. E, se tutto va bene, presto potrebbe diventare un quintetto (anche se non sarà così facile riportare indietro Bengal).

Il problema è che Jehanne non si fida molto di Shamiram. Con Giako alla fine è riuscita a collaborare (nonostante tutto), adesso però lo “scontro” sarà tra due persone con forti personalità. Guai in vista? Ovviamente lo scoprirete tra due settimane ^.^

Tra l’altro nel prossimo capitolo compariranno diversi nuovi personaggi, alcuni dei quali avranno link importanti con altre storie già pubblicate :D

A presto!


PS: per chi ha già letto la saga di Delta, Shamiram è la madre di Trickster, uno dei protagonisti :)


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[13] Shamiram (Semiramide) è una leggendaria regina assiro-babilonese, moglie del re Nino.

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Capitolo 10
*** 9. La regina delle amazzoni ***


9. La regina delle amazzoni

I quattro ippolafi procedevano con andatura costante, stando attenti a non cadere a causa delle numerose irregolarità nel terreno. Il percorso che avevano scelto dava l’idea di non essere molto battuto, e questo per una ragione molto semplice: per chiunque altro la loro meta sarebbe stata un luogo del tutto privo di interesse.

Shamiram in quel momento era impegnata a sfogliare un pesante tomo ingiallito, ma probabilmente lo stava facendo solo per evitare di parlare con la sua allieva. Anche ora che Giako e Jehanne li seguivano sui rispettivi ippolafi, il suo atteggiamento non era cambiato.

Alisha, lo sguardo perso a osservare la cupa foresta, aveva accettato quella dimostrazione di disappunto e si era rassegnata ad affrontare in silenzio il resto del viaggio. Ormai il sole era quasi tramontato, presto si sarebbero fermati per la notte.

Un colpo improvviso la fece sobbalzare.

«Fermati qui» ordinò Shamiram, che aveva appena chiuso il suo tomo. Quando era di cattivo umore lo faceva sempre sbattere in quel modo.

Così come l’aveva preso, infilò il volume in una sacca teoricamente troppo piccola per contenerlo. Scese dal suo robusto ippolafo e dalla stessa tasca tirò fuori uno specchio.

Alisha smontò dalla sella e la raggiunse.

«Vieni, Paladina» chiamò la maestra in direzione di Jehanne. «Provo a contattare la Regina Blu.»

La giovane fece un mugugno d’assenso e scese dal suo destriero.

Le due si allontanarono di alcuni passi da Giako e Alisha, a quel punto Shamiram infuse un po’ di magia nel suo specchio. La superficie riflettente tremolò, come se fosse costituita d’acqua, ma dopo pochi istanti le forme divennero più definite: adesso all’interno dell’ovale si vedeva una grande stanza illuminata dalla luce rossastra del tramonto. I mobili erano ampi e parevano di ottima fattura, ma non c’era sfarzo nelle loro linee precise e funzionali.

«Pentesilea?» chiamò Shamiram. «Pentesilea, ci sei? Sono Shamiram.»

Attesero alcuni secondi, poi una figura paffuta entrò nel campo visivo dello specchio. Si trattava di una donna dai corti capelli chiarissimi e il seno prosperoso, con due corna che spuntavano sopra le orecchie bovine.

La nuova arrivata – sicuramente una faunomorfa – li osservò stranita: forse era la prima volta che vedeva un simile incantesimo. «Come… posso aiutarvi?» chiese dopo un attimo di titubanza.

«Sono Shamiram, devo parlare subito con la Regina. Dille che la sto cercando.»

«In questo momento la Regina è impegnata» rispose la faunomorfa, questa volta in tono solenne. «Se vuole, può riferire a me il messaggio.»

«No, è una questione che devo discutere in privato. Quando tornerà nelle sue stanze?»

«Questo non glielo posso dire.»

Se avesse potuto, Shamiram le avrebbe fatto cadere un fulmine in testa. In realtà avrebbe potuto farlo, ma di sicuro la Regina Blu non avrebbe apprezzato la vista della sua ancella affumicata.

«Proverò a contattarla di nuovo, dille che l’ho cercata» affermò l’umana, e senza nemmeno salutare dissolse l’incantesimo.

«Quindi?» chiese Jehanne.

«Mangiamo. E poi, come ho detto, proverò di nuovo a contattare la Regina.»

La maestra chiese ad Alisha di mettersi all’opera e in breve la myketis preparò una semplice zuppa a base di lekoris[14], dei piccoli animali simili a conigli catturati da Giako e Jehanne il giorno prima. Distribuì a tutti una porzione, ma la giovane in armatura si limitò a prendere un paio di cucchiaiate.

«Non sono una che mangia molto[15]» chiarì.

Lo stesso Giako non l’aveva mai vista mangiare più di qualche boccone al giorno, e ancora si chiedeva come facesse a non morire di fame.

Finita la spartana cena, Shamiram prese nuovamente lo specchio e si allontanò insieme a Jehanne per riprovare a contattare la Regina. Non dubitavano della lealtà di Giako e Alisha, ma era meglio che meno persone possibili partecipassero alla discussione con la sovrana.

Questa volta non apparve la sagoma formosa dell’ancella, ma una donna più alta e slanciata. Aveva due grandi occhi nocciola e in quel momento era impegnata a spazzolare i suoi lunghi capelli castani. Le sue orecchie erano lunghe e ricoperte di pelliccia, simili a quelle dell’ancella, ma non aveva le corna. Appena si accorse dell’incantesimo nello specchio, appoggiò la spazzola sul tavolo e si spostò quel tanto che bastava a parlare più comodamente.

«Buonasera, Shamiram» esordì. «La mia ancella mi ha detto che mi hai cercata poco fa. Hai scoperto qualcosa?»

«Buonasera, Pentesilea» rispose la maestra. «Ho alcune informazioni, e ho incontrato una persona che desidera parlare con te.»

Girò leggermente lo specchio, così che al centro di esso ci fosse Jehanne.

«Siete la Regina Blu?» chiese la giovane.

«Sono io» confermò la donna. In quel momento indossava una veste da camera azzurra: si trattava di un vestito di pregevole fattura ma molto informale, eppure la sua figura emanava comunque una raffinata aura regale.

L’umana chinò il capo in segno di rispetto. «Sono Jehanne Romée, sono stata mandata qui dagli Astrali per fermare l’alchimista responsabile della creazione delle spade magiche. Vi chiedo di concedermi alcuni dei vostri soldati per aiutarmi a trovare il laboratorio e fermare quel criminale.»

Un velo di preoccupato stupore affiorò sul viso della sovrana. «Shamiram, dice la verità?»

La maestra annuì. «L’ho capito dall’armatura e dalla spada.»

«In tal caso avrete tutto l’appoggio necessario» affermò Pentesilea. «Dirò alle mie amazzoni di raggiungervi, sono le mie guerriere più fidate. Avete già qualche indizio su dove si trovi il laboratorio?»

«Gli Astrali sanno che opera nella zona sud-est di Grandeforêt. Qualche giorno fa abbiamo anche incontrato una vostra spia: Bengal Moros. Purtroppo è morto, ma prima di esalare l’ultimo respiro è riuscito a dire che il laboratorio si trova a nord di Horville. Ha anche citato un Governatore, ma non sappiamo di chi si tratti o in che modo sia coinvolto.»

La Regina abbassò le orecchie da cerbiatta, visibilmente addolorata per la perdita del subordinato. Una sofferenza che andava oltre la morte di un semplice suddito. «Bengal Moros era uno dei miei uomini più fidati, per questo gli avevo assegnato un compito così delicato.»

«Le informazioni che ha raccolto sono troppo preziose, quindi intendo resuscitarlo» affermò Shamiram.

L’espressione di Pentesilea si indurì. «Sai che non puoi.»

«Posso invece. E lo farò. Dobbiamo fare tutto il possibile per fermare quell’alchimista prima che sia tardi, e la Paladina qui presente ne è la prova. Gli Astrali non avrebbero mandato qualcuno se la situazione non fosse più che critica.»

La Regina si portò una mano al capo, combattuta. «D’accordo» sancì alla fine. «Fatelo, ma state attente a non farvi scoprire. E contattatemi appena avrete notizie.»

«Naturalmente.»

Pentesilea rimase un attimo in silenzio. «Hai scoperto qualcosa di nuovo sulle spade?»

«Purtroppo no. Non ho ancora capito come neutralizzare la loro magia, ma ho avuto ulteriore conferma che sono state fatte inserendo nell’arma l’anima di un demone.»

«Ho capito.» Si voltò verso Jehanne. «Shamiram lo sa, comunque vi chiedo di non parlare con nessuno di tutto questo.»

Le due donne annuirono e, non avendo altro da comunicare, si congedarono dalla Regina.

Pentesilea vide lo specchio che tornava ad assolvere la sua naturale funzione e per alcuni lunghi istanti rimase ad osservare la sua immagine riflessa.

«Euphemia, manda a chiamare Persephone: devo parlarle immediatamente.» Dopo un attimo aggiunse: «E fa’ venire anche Artemis[16]

L’ancella di tipo mucca fece un rapido inchino. «Certo, mia Regina.»

La sovrana non dovette attendere a lungo: in meno di un minuto due faunomorfe fecero il loro ingresso nella stanza. A giudicare dai fisici tonici e dal portamento marziale, dovevano essere entrambe delle guerriere.

La prima era una metarpia[17] dal piumaggio azzurro. Alcuni capelli-piume le scendevano sul viso a celare l’occhio sinistro, già coperto da una benda. L’occhio sano era di un giallo slavato, calmo ai limiti della freddezza, e la sua pelle era insolitamente chiara.

La seconda era una felidiana con orecchie e coda da gatta. I capelli castano chiaro erano raccolti in una morbida treccia e gli occhi marroni erano decisi e vivaci. Sembrava nettamente più giovane delle altre due donne, in compenso era un po’ più alta e robusta di entrambe. Primeggiava anche per quanto riguardava le dimensioni del seno, tuttavia nemmeno lei poteva rivaleggiare con la paffuta ancella.

«Mia Regina» esordì la felidiana con un inchino.

La metarpia con un occhio solo si chinò a sua volta, ma senza parlare.

«Artemis, come va la tua ferita?» chiese la sovrana.

«Sono completamente guarita» affermò la più giovane mostrando il braccio destro, tonico e abbronzato.

«Bene, sono contenta. Venite, devo parlarvi di una cosa importante. Shamiram mi ha contattata.» Pentesilea spiegò alle due amazzoni il contenuto della conversazione, e loro ascoltarono in silenzio. La felidiana non nascose il proprio stupore quando la sovrana accennò alla resurrezione di Bengal, la metarpia invece non fece una piega.

«Vorrei che vi recaste subito a nord di Horville per fare un sopralluogo del laboratorio» concluse la sovrana. «Dobbiamo verificare la sua posizione e le difese di cui dispone prima di preparare l’offensiva.»

«Ma se resuscitano Bengal, potrà dirci lui stesso quello che sa» obiettò Artemis, confusa.

«Con gli obelischi attivi, non è possibile effettuare una resurrezione» affermò Persephone. Anche la sua voce era fredda e priva di emozioni. «Non sappiamo cos’abbia in mente Shamiram, ma se fallisse, dobbiamo avere pronto un piano di riserva.»

«Ah, ok, ho capito.»

«Radunerò una squadra, possiamo partire domani all’alba» proseguì la metarpia. «Con i grifoni possiamo raggiungere Horville in quattro giorni.»

«Ottimo. Andrete entrambe, ma vorrei fosse Artemis a guidare l’operazione» affermò la Regina. Si voltò verso Persephone. «A te va bene?»

L’amazzone con un occhio solo rimase in silenzio. Lei aveva un grado più alto – era la seconda carica militare dei Reami Blu –, ma la più giovane aveva tutte le carte in regola per diventare il futuro capo dell’esercito. Annuì. «Nessun problema.»

Artemis, stupita per quell’improvvisa responsabilità, rimase un attimo imbambolata. Poi si riscosse di colpo e portò il pugno sul cuore. «Grazie per la fiducia, non vi deluderò.»

Pentesilea le sorrise, fiduciosa. «Notizie di Rossweisse[18]

«La rivolta a ovest è quasi sedata, dovrebbe tornare tra qualche giorno» rispose Persephone.

La Regina annuì. Rossweisse era il suo attuale capo dell’esercito, nonché la massima autorità militare dei Reami Blu. Non aveva dubbi che Persephone, la sua vice, e Artemis, la sua erede, sarebbero state in grado di portare a termine la missione assegnata loro, tuttavia riavere Rossweisse al proprio fianco l’avrebbe fatta sentire più tranquilla.

Dopo aver congedato le due amazzoni, la sovrana uscì sul balcone della sua stanza per osservare il tramonto. Nei suoi lunghi decenni di regno aveva dovuto far fronte a numerose rivolte, ma sentiva che questa sarebbe stata diversa. Il mondo stava cambiando: all’epoca dei Primi Re quasi tutta la popolazione era pressoché uguale e non c’era una netta distinzione fra ricchi e poveri; adesso invece stava emergendo una nuova classe sociale. I nipoti e i pronipoti di quelli che in un primo momento erano stati abili a ottenere posizioni di rilievo, ora non volevano più accontentarsi di una bella casa e di una vita agiata: bramavano potere. La comparsa delle spade magiche, elemento di per sé pericoloso e destabilizzante, nel contesto attuale poteva assumere un ruolo ancora più traumatico: era come una scintilla in un prato di erba secca.

Era forse così che sarebbe iniziata la fine dell’era dei Sei Re?



Note dell’autore

Ciao a tutti!

Come anticipato, in questo capitolo sono comparsi diversi nuovi personaggi: la regale Pentesilea, la gelida Persephone e la coraggiosa Artemis. Proprio la felidiana sarà la protagonista di un nuovo pov (ma non subito, il prossimo capitolo sarà incentrato sulle due streghe: Alisha e Shamiram).

Restando in tema Artemis, ecco il suo disegno:

Artemis (AoD-1).svg

E per non farci mancare nulla, aggiungo che Artemis è anche la futura madre di Leona (una dei protagonisti di L’ascesa delle Bestie).


Come sempre, vi do appuntamento al primo weekend di novembre per il prossimo capitolo.

Ciao! ^.^


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[14] Dal latino lepus, leporis, che significa lepre; Lepus è anche il genere della classificazione scientifica che comprende le varie specie di lepre.

[15] Fonte: Alessandro Barbero, https://youtu.be/OBmX28Bug_w.

[16] Artemis compare anche in WBB - 1 - L’ascesa delle Bestie.

[17] Sottospecie originale di TNCS. Il termine richiama le arpie.
Per maggiori informazioni: tncs.altervista.org/bestiario.

[18] Rossweisse viene citata anche in WBB - 1 - L’ascesa delle Bestie.

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Capitolo 11
*** 10. Verso la magia ***


10. Verso la magia

Erano passati già tre giorni da quando Shamiram e Jehanne si erano messe in contatto con la Regina Blu, e il clima si era fatto leggermente più mite. Fino a quel momento avevano viaggiato sempre verso nord, di conseguenza l’altitudine era calata in maniera graduale ma continua. In compenso l’atmosfera non era mutata: le grandi conifere continuavano a coprire il sole con le loro ampie chiome, lasciando il terreno nella consueta penombra.

Alisha, in sella alla sua ippolafa, continuava a guardare la foresta. Di tanto in tanto scorgeva il suo falchetto intento a cacciare piccoli animali, ma questo non serviva a farla sentire meglio. L’atteggiamento della sua maestra non era cambiato: l’umana continuava a preferire i libri alla sua compagnia, ed evitava il più possibile di parlare con lei.

All’improvviso Shamiram chiuse il suo libro con uno schiocco deciso, ma non così forte come nei giorni precedenti. Alisha non voleva farsi illusioni, tuttavia quello poteva essere un indizio che la sua maestra non era più così arrabbiata come voleva far credere.

La strega ripose il volume nella sua tasca magica e smontò dalla sua cavalcatura. Ben presto l’altra umana le andò incontro.

«Siamo arrivati?» domandò Jehanne.

«Sì, qui può andare bene» rispose Shamiram dopo aver dato un rapido sguardo ai dintorni.

In quel punto la foresta aveva un aspetto del tutto ordinario: le alte conifere oscuravano il sole, le piante basse erano abbastanza rade e non si vedevano animali o persone. Quest’ultimo dettaglio era positivo: sarebbe stato un problema se qualcuno le avesse interrotte.

Quello che per la maggior parte delle persone sarebbe stato un luogo assolutamente anonimo, per Shamiram offriva invece un prezioso vantaggio: era il più lontano possibile dagli obelischi presenti nella zona.

Tra i Reami giravano molte leggende a proposito della nascita del mondo, ma c’erano dei dettagli che restavano sempre più o meno costanti. Uno di questi era che i Primi Re avevano riunito i popoli in sei grandi regni, e che una delle loro prime opere era stata far costruire gli obelischi. Grazie ad essi era possibile attingere alla Magia dei Re, e per questo erano considerati l’emblema della presenza dei sovrani in ogni luogo. Intorno agli obelischi più imponenti erano state costruite grandi città dove chiunque poteva eseguire incantesimi grazie a catalizzatori analoghi ai pendenti dei Gendarmi.

Ma alle due streghe non serviva la Magia dei Re: loro avevano bisogno di un’energia più pura, grezza, tale da poter essere riplasmata secondo le loro esigenze.

«Alisha, devo preparare il cerchio» affermò Shamiram.

La myketis non se lo fece ripetere e fece allontanare gli ippolafi di alcuni metri, così da lasciare alla sua maestra lo spazio necessario.

«Voi due, assicuratevi che nessuno venga a disturbarci» aggiunse l’umana in direzione di Giako e Jehanne.

«Agl’ordini, mia signora» rispose la giovane con evidente sarcasmo.

«Quanto ci vorrà?» chiese invece il mezzelfo.

«Tutto il tempo necessario» replicò seccamente Shamiram. Era ancora di cattivo umore per la condotta della sua allieva, ma a disturbarla era stato soprattutto il commento irriverente di Jehanne. Il Gendarme era senza dubbio il meno meritevole di una simile risposta.

«Puoi smontare i bagagli dal tuo ippolafo» intervenne Alisha, cercando di alleviare la tensione. Seppur in maniera indiretta, si sentiva la principale responsabile per quella situazione, quindi aveva il dovere di fare qualcosa. Conosceva Giako e sapeva che non era uno che se la prende, a preoccuparla erano invece Jehanne e Shamiram: la giovane aveva tutta l’aria di una che non ama ricevere ordini, al contrario la sua maestra aveva l’abitudine di presupporre che chiunque fosse a sua disposizione.

Per fortuna nessuna delle due sembrava intenzionata a continuare il battibecco e ognuno si mise all’opera per svolgere il proprio compito.

Come aveva fatto innumerevoli volte in passato, Alisha osservò la sua maestra che si preparava all’incantesimo: dopo un attimo di silenzio per raccogliere la concentrazione, l’umana aprì le mani e le sollevò lentamente. Dei mansueti soffi di vento cominciarono a spirare intorno a lei, sollevandole il mantello e alimentando la solennità della sua figura. La myketis poteva avvertire il flusso di energia sprigionato dalla donna, vide la sua magia che spianava il terreno scuro intorno a lei con una facilità disarmante, sbriciolando gli arbusti più piccoli così come le robuste radici degli alberi. Nel giro di pochi secondi Shamiram aveva creato un disco perfettamente pianeggiante dal diametro di circa cinque metri.

«Dammi una mano a preparare il cerchio» chiese l’umana, elencando alla sua allieva le rune di cui avevano bisogno.

«Hai cambiato alcune formule» notò Alisha alla fine.

Un accenno di soddisfazione apparve sul viso di Shamiram: la myketis non aveva perso la propria capacità di osservazione. «Negli ultimi tempi ho studiato molto questo tipo di rituali.»

Le due donne cominciarono a tracciare il complesso schema di forme e simboli, il cui scopo era di convogliare l’energia magica e facilitarne la manipolazione. Non si trattava di un passaggio necessario e tutto sommato era una procedura piuttosto noiosa, tuttavia per gli incantesimi più lunghi e complessi era utile avere dei “binari” che alleggerissero gli sforzi del mago, che in questo modo poteva focalizzarsi sui passaggi più importanti.

Mentre loro si preparavano al rituale, Giako, Jehanne e il falchetto continuavano a tenere d’occhio i dintorni per essere sicuri che nessuno osasse interromperle.

«Io ho finito» annunciò Alisha.

Shamiram tracciò l’ultimo gruppo di rune e poi fece un paio di passi indietro per controllare il risultato. «Sì, direi che va bene.» Con un incantesimo di levitazione sollevò il cadavere di Bengal, lo liberò dal mantello che lo avvolgeva e lo adagiò delicatamente al centro del cerchio. Alisha lo aveva vestito con degli abiti pesanti che si era portata dietro da casa: in questo modo il felidiano non avrebbe patito il freddo una volta resuscitato.

La myketis si apprestò a raggiungere uno dei due anelli più piccoli, ma la sua maestra la chiamò e le andò incontro. Per qualche secondo rimase in silenzio, forse per trovare le parole giuste, poi finalmente diede voce ai suoi pensieri: «Sì, sono ancora arrabbiata con te per quello che hai fatto… ma in realtà ti posso capire. Nel corso dei secoli ho perso moltissime persone care, quindi immagino come devi esserti sentita in quel momento.» Fece una pausa. «Se mi fossi trovata nella tua stessa situazione, probabilmente avrei agito allo stesso modo.» La guardò, e per la prima volta nei suoi occhi c’era solo affetto: l’affetto che una maestra prova per la sua allieva più brillante. «Io sono dalla tua parte, ok?»

A sentire quelle parole, Alisha non riuscì a trattenere una lacrima di gioia. Senza preoccuparsi di sembrare una bambina, l’abbracciò con riconoscenza, stringendosi a lei come a un’ancora di salvezza.

Shamiram non si oppose, anzi ricambiò l’abbraccio. Conosceva bene la sua allieva, e sapeva che la disperazione della myketis andava oltre quella singola perdita. Alisha aveva lasciato il suo villaggio natale che era poco più di una bambina, si era messa tutto alle spalle per seguirla e imparare a sfruttare al meglio i suoi poteri. Quando, anni dopo, era tornata a casa per una vacanza, il suo villaggio non esisteva più: una grave epidemia aveva ucciso quasi tutti gli abitanti, e i pochi superstiti avevano bruciato ogni cosa ed erano andati via per scampare alla morte. Quella perdita l’aveva letteralmente distrutta. Shamiram aveva impiegato settimane per farle accettare la perdita della famiglia, ma si trattava comunque di una ferita che non sarebbe mai guarita del tutto.

Il fatto di aver conosciuto Giako l’aveva sicuramente aiutata a ritrovare quell’atmosfera familiare di cui tanto aveva sentito la mancanza. E il triste destino che li accomunava aveva reso ancora più forte il loro legame.

Quando aveva conosciuto Bengal e i due avevano cominciato a frequentarsi, tutto aveva fatto pensare a un definitivo lieto fine. Ma la morte del felidiano aveva mandato in pezzi ogni sua prospettiva per il futuro e i fantasmi nella sua mente si erano risvegliati, più spaventosi che mai. Solo ora, grazie al perdono di Shamiram, si erano placati.

«Grazie, maestra.»

L’umana le sorrise. «Ora vediamo di far tornare il tuo compagno.»

Alisha asciugò rapidamente la lacrima e si posizionò all’interno del proprio anello. L’umana fece altrettanto e in pochi istanti la fitta trama di rune e simboli cominciò a illuminarsi.

La myketis chiuse gli occhi. Poteva sentire distintamente il flusso di energia che scorreva sulla sua pelle e dentro il suo corpo, dolce e familiare. Ma non era la magia di cui avevano bisogno. Come aveva fatto a non rendersi conto che una simile energia era troppo rigida, troppo poco malleabile per poterla riplasmare a dovere?

Sempre avvolta dai flussi di magia, cominciò ad avanzare con la mente, fluttuando in un ambiente indefinito che pareva un oceano d’acqua. La loro era una meta immateriale, astratta, e il percorso che dovevano seguire sarebbe stato tutt’altro che agevole.

Quasi subito uno sgradevole formicolio cominciò a disturbarle le braccia. Le maniche dei suoi vestiti erano svanite improvvisamente e degli insetti scuri erano apparsi al loro posto. Quegli esseri ripugnanti si moltiplicavano a velocità esponenziale: in pochi secondi le braccia della myketis ne furono ricoperte. Riusciva a distinguere ogni zampetta aguzza pungerle la carne, ma c’era di peggio: la disgustosa secrezione puzzolente che quelle bestiacce si lasciavano dietro. Un moto di terrore la scosse quando gli insetti affrettarono la loro marcia verso la testa. No, non poteva sopportarlo. Tutto ma non quello…

«Resta concentrata.»

La voce di Shamiram le ricordò che tutto quello era solo un’illusione, un avvertimento a non proseguire oltre. Loro però non si sarebbero fermate.

Alisha serrò gli occhi e la bocca, sforzandosi di cancellare quell’immagine disgustosa dalla sua mente. Quando riaprì gli occhi, la sua proiezione mentale era libera dagli insetti, e anche il suo vestito era tornato normale. Ma il difficile doveva ancora arrivare.

Ora non stavano più fluttuando, lei e la sua maestra erano tornate saldamente a terra, e davanti a loro si stagliava una minacciosa selva di rovi neri. Quella barriera era stata eretta decenni, per non dire secoli prima e il suo scopo era impedire ai maghi di avere accesso alla straripante magia grezza che permeava Raémia. Erano stati i Primi Re a far erigere tutte quelle protezioni: un’energia così potente era la più grande ricchezza del loro mondo, ma anche la più grave minaccia alla sua stabilità. Maghi come Shamiram, o anche la stessa Alisha, avrebbero letteralmente potuto soggiogare il mondo intero se fossero riusciti a impadronirsi di un simile potere e a garantirsene il monopolio. Per fortuna solo in pochi erano a conoscenza di un simile tesoro nascosto: per quel che ne sapeva la myketis, solo la sua maestra, i due Re Immortali e i più fidati consiglieri di questi ultimi ne erano al corrente.

Alisha e Shamiram si scambiarono uno sguardo d’intesa e, dopo essersi tolte i mantelli, si addentrarono nell’intricato groviglio di spine. Le punte aguzze graffiavano la pelle, si impigliavano ai capelli e ai vestiti, ma questo non le fece desistere. Dovevano superare anche quell’ostacolo se volevano avere accesso alla magia pura.

Ad ogni passo che facevano, la selva si faceva più densa. Le spine ora erano uncini lunghi e affilati che penetravano nella carne, cercando di strapparla ad ogni minimo movimento. Il dolore che si insinuava nelle loro menti era una mera illusione, ma era così perfetto da far pensare loro di essere davvero sul punto di morire. E le magie curative risultavano del tutto inefficaci. Alisha non sarebbe mai riuscita a proseguire se non fosse stato per Bengal, e si chiese come facesse Shamiram a sopportare quell’atroce sofferenza. L’umana stava facendo tutto quello per il bene dei Reami, ma anche per la sua allieva: la myketis non avrebbe potuto desiderare una maestra migliore.

Un passo, un altro, e poi ancora. La selva non accennava a diradarsi, in compenso la temperatura stava progressivamente aumentando. Alisha si accorse di avere la fronte imperlata di sudore, ma non osò asciugarsi: ogni minimo movimento era un’agonia.

Giusto, Shamiram le aveva spiegato che c’erano tre barriera poste a difesa della magia: la prima serviva a spaventare – gli insetti –, la seconda invece era per ferire – quella selva. Quel calore era forse un indizio della terza barriera?

Quella minima distrazione bastò a farle abbassare un attimo la guardia; quando provò a fare un altro passo, qualcosa la trattenne. Con gli occhi blu colmi di terrore, si voltò quel tanto che i rovi le permettevano. Ciò che vide le fece gelare il sangue: alcuni rami si erano avvolti intorno al suo braccio e le spine affondavano nella carne già piena di tagli. Provò a tirare lentamente, ma un dolore insostenibile esplose nella sua mente. No, no, no. Non ce la faceva. Non poteva proseguire.

«Alisha.»

«No, non ce la faccio! No!»

«Alisha, calmati.» La voce di Shamiram era calma, rassicurante. Anche lei era sudata e coperta di graffi sanguinanti, ma stava sopportando il dolore. «Ricorda perché lo stai facendo. Questo è l’unico modo per resuscitare Bengal.»

Sentire il nome del suo amato fu come ricevere una scarica di energia in tutto il corpo. Quello che il felidiano aveva passato era stato cento volte peggio di quello che stava provando lei in quel momento: non poteva arrendersi!

Ritrovata la necessaria forza di volontà, serrò gli occhi per buttare fuori la patina di lacrime. Strinse i denti e tirò con forza. Urlò di dolore quando le spine le strapparono la pelle, ma non si fermò. Se non usciva subito da quella selva, non sarebbe più stata in grado di proseguire.

Con il corpo straziato dalle ferite, continuò ad avanzare, più veloce che poteva, come in apnea. Doveva pensare solo a Bengal, era l’unico modo per sopportare quel dolore atroce.

All’improvviso la selva finì e lei cadde a terra, in lacrime e coperta di sangue. Non avrebbe mai più attraversato quella barriera, per nulla al mondo. Per fortuna andarsene sarebbe stato più facile.

«Alisha, va tutto bene?»

La myketis si mise carponi e poi prese la mano di Shamiram, che l’aiutò a rialzarsi. Anche la sua maestra era conciata male, ma pian piano le loro ferite cominciarono a rimarginarsi. Sarebbe stata una sensazione meravigliosa, se non fosse per l’insopportabile calore che le stava cuocendo lentamente.

«Siamo all’ultima barriera» affermò l’umana, che già si stava sfilando il suo raffinato soprabito rosso.

Solo allora Alisha ebbe il coraggio di guardare davanti a sé, e ciò che vide per poco non le fece rimpiangere la foresta di spine. Immenso, così alto e lungo da non riuscire a vederne la fine, si stagliava un muro di fuoco puro. Era talmente denso che risultava impossibile vedere cosa ci fosse dall’altra parte.

Una mano spuntò dalle fiamme, gettando scintille sul terreno polveroso. La myketis urlò di paura, e il suo viso divenne una maschera di terrore quando capì che la mano apparteneva a un mostro di fuoco. L’essere strisciò fuori dal muro e le fissò con la sua testa priva di connotati. Spalancò la bocca ed esplose un fragoroso ruggito. Passarono pochi secondi e altri essere simili a lui spuntarono a loro volta, decisi a respingere le intruse.

Alisha sbarrò gli occhi, tremante. Le parole uscirono da sole dalla sua bocca, simili a una condanna: «La barriera per uccidere.»



Note dell’autore

Ciao!

Ebbene sì: resuscitare di nuovo Bengal non è così facile :P

In realtà in questo caso il problema non è tanto la resurrezione in sé, quando “raggiungere” la magia necessaria all’incantesimo. Per Alisha e Shamiram il peggio deve ancora arrivare, ma almeno adesso l’allieva sa di poter fare affidamento sulla sua maestra.

Nel frattempo ho potuto svelare uno degli aspetti peculiari di Raémia, ossia la sua straripante energia magica. Questa caratteristica ha implicato e implicherà conseguenze molto importanti per la storia del pianeta, ma non sono qui per spoilerare XD


Concludo dicendo che il prossimo capitolo si intitolerà La missione di Artemis, e ovviamente sarà incentrato sulle amazzoni.

A presto! :D


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Capitolo 12
*** 11. La missione di Artemis ***


11. La missione di Artemis

Il vento gelido fischiava nelle orecchie delle quattordici amazzoni; la brezza era talmente forte che risultava difficile anche solo tenere gli occhi aperti. Per fortuna i loro grifoni riuscivano a non perdere la rotta adattandosi alle varie correnti, sbattendo le enormi ali quel tanto che bastava a mantenere la quota ideale. Come tutti i draghidi, anche i grifoni avevano l’innata capacità di librarsi in aria con incredibile agilità ed eleganza, coprendo distanze immense in tempi brevissimi.

Artemis cavalcava il grifone di testa, un magnifico sparviere ideale per il volo manovrato. Gli sparvieri appartenevano alla sottospecie dei grifoni rapaci, avevano il manto grigio scuro sul dorso, mentre sul ventre e nella parte inferiore delle ali era più chiaro e striato. Si trattava della razza più diffusa a Grandeforêt, quindi i sette animali non avrebbero dato troppo nell’occhio una volta rotta la formazione.

Subito dietro di lei aveva preso posto un’altra amazzone – una faunomorfa di tipo coniglio dalle lunghe orecchie grigie –, le altre invece cavalcavano in coppie gli altri sei grifoni dello stormo.

Erano tre giorni e mezzo che viaggiavano verso est: ormai era questione di ore l’avvistamento di Horville. Artemis lo sapeva, ma purtroppo ciò non leniva il freddo pungente che le mordeva le dita; nemmeno i guanti pesanti sembravano in grado di schermarla dal gelo.

«Artemis, di là!» le gridò un’amazzone che volava alla sua destra, una metarpia come Persephone.

La felidiana si voltò nella direzione indicata dalla compagna, ma quello che vide fu solo una macchiolina indistinta tra la vegetazione. «Horville?» chiese.

«Probabile» annuì la guerriera.

Artemis prese il suo fischietto e soffiò con forza per assicurarsi che le sue compagne la guardassero, a quel punto sollevò le braccia e le abbassò tenendole parallele per indicare la nuova rotta. Subito tutti e sette i grifoni si inclinarono leggermente verso destra e l’intera formazione si mosse in perfetta sincronia.

Man mano che si avvicinavano, anche le non metarpie ebbero modo di avvistare la città. Era il centro abitato più grande della zona, situato sulle sponde di un grande fiume. Si trattava di una città mineraria, una delle più importanti dei Reami Blu, il che ne faceva un ottimo punto di riferimento per indicare la posizione del laboratorio.

Artemis fischiò nuovamente per richiamare l’attenzione delle altre amazzoni, quindi sollevò le braccia e questa volta le aprì in direzioni opposte: era il segnale di rompere la formazione. Da quel momento avevano mezz’ora per cercare il laboratorio, dopodiché si sarebbero riunite nei pressi di un lago per condividere quanto scoperto.

La felidiana fece virare il suo grifone di lato e scese di quota, dopodiché lo lasciò libero di ritrovare l’assetto ideale. Voleva fare in modo che il comportamento dell’animale somigliasse il più possibile a quello di un esemplare a caccia, come se stesse cercando una preda nella foresta. L’eccezionale vista dei grifoni permetteva loro di individuare gli animali che si muovevano sotto le chiome degli alberi, a quel punto li seguivano dall’alto in attesa che la loro vittima si spostasse in un luogo abbastanza aperto, come una pozza d’acqua o le rive di un fiume.

Si trattava di creature estremamente intelligenti, purtroppo però non era possibile dare loro ordini come “da bravo, cerca il laboratorio”, così Artemis e la sua compagna aguzzarono la vista per cercare indizi dall’alto. Un’impresa tutt’altro che facile a Grandeforêt, dove perfino la luce del sole faticava a raggiungere il suolo. Senza contare che sicuramente l’alchimista e i suoi compagni si erano premurati di nascondere l’edificio. In effetti le probabilità di trovare qualcosa erano estremamente basse, ma valeva la pena di fare un tentativo.

Scaduto il tempo, Artemis fece virare il suo grifone e lo indirizzò verso il punto di ritrovo prestabilito. Come previsto non avevano trovato niente di utile, tuttavia la loro squadra contava cinque faunomorfe di tipo arpia, la cui vista aveva poco da invidiare a quella dei grifoni. Se c’era qualcuno in grado di individuare qualche traccia, quelle erano loro.

Quando il grifone atterrò nei pressi del lago, erano presenti solo altri due esemplari e le relative quattro amazzoni; le altre otto guerriere arrivarono nel giro di pochi minuti.

«Allora, trovato qualcosa?» chiese Artemis una volta che furono tutte riunite.

«Noi abbiamo visto una costruzione» rispose una delle metarpie. Aveva il piumaggio marrone scuro e due intensi occhi gialli. «Si trova vicino al fiume, da qui ci vorrà almeno mezza giornata a piedi. È sulla sponda opposta a dove siamo adesso.»

«D’accordo, ottimo lavoro» annuì la felidiana. «Troviamo un posto dove passare la notte, ci metteremo in marcia domani all’alba.»

Il sole non era ancora sorto quando le quattordici amazzoni si misero in marcia. Per viaggiare in maniera più discreta, avevano lasciato i grifoni al lago. Una volta finita la loro ispezione, avrebbero potuto richiamarli con dei fischietti a ultrasuoni, diversi da quello usato da Artemis per guidare la formazione.

Si erano già spostate sulla riva opposta a quella dove avevano passato la notte, quindi la prima cosa che fecero fu inoltrarsi nella foresta e dividersi in due gruppi per attirare meno l’attenzione. Con Artemis c’erano due metarpie, la cui ottima vista era indispensabile per individuare per primi eventuali sentinelle, tre myketis e una robusta canidiana[19] dai capelli grigio scuro, la quale combinava una notevole forza fisica ad un olfatto sopraffino.

Non era facile orientarsi tra la fitta vegetazione, ma dopo un po’ trovarono un indizio piuttosto chiaro che suggeriva la direzione da seguire: si trattava di una strada che attraversava la foresta e riportava i segni del passaggio di numerosi carri. Con buona probabilità si trattava dei rapitori di demoni.

Artemis continuava a guardarsi intorno e a muovere le orecchie feline alla ricerca di tracce, tuttavia non riusciva ad individuare nessuna sentinella. Che fossero talmente abili da non produrre il minimo suono? O magari le avevano già avvistate e stavano preparando un’imboscata. Oppure ancora non c’era nessuno lì intorno a sorvegliare il laboratorio, ma questo era alquanto improbabile.

All’improvviso una delle metarpie fece segno ad Artemis di fermarsi. Le sette amazzoni si abbassarono e si posizionarono dietro ai tronchi più vicini.

«C’è un edificio lì davanti» spiegò la faunomorfa. «Potrebbe essere il laboratorio.»

La felidiana, che da quella distanza poteva solo immaginare ciò che la sua compagna aveva avvistato, fece segno alle altre di riprendere ad avanzare. La vista dei faunomorfi di tipo felino era ottima per individuare bersagli in movimento, ma non era altrettanto efficace per gli oggetti statici. «Thea, avvisa le altre» ordinò in direzione di una delle myketis.

La guerriera annuì e, pugnali in mano, cominciò a muoversi in direzione del gruppo di Persephone.

Le altre intanto continuarono ad avanzare, e dopo alcuni minuti riuscirono finalmente a comprendere appieno le dimensioni del laboratorio. Per costruirlo era stata diboscata una grossa porzione di foresta e gli alberi tagliati erano stati usati come materia prima per la costruzione dell’edificio. Artemis si aspettava una costruzione discreta, abbastanza piccola da poterla nascondere tra la vegetazione, invece ricordava più una caserma che un laboratorio. Aveva perfino una palizzata.

A prima vista sembrava un forte difficile da espugnare, eppure la felidiana sentiva che potevano avvicinarsi ancora. Nemmeno lì c’era traccia di sentinelle: forse il laboratorio era abbandonato. Dovevano accertarsene.

Poco dopo il gruppo di Persephone si unì al loro e Artemis spiegò alla metarpia i suoi sospetti.

«Penso anch’io che sia abbandonato» confermò la guerriera con un occhio solo. «Probabilmente se ne sono andati quando hanno capito che Bengal li aveva scoperti.»

«Entriamo: potremmo trovare qualche informazione utile.»

Persephone rimase un attimo in silenzio, l’occhio sano puntato sul laboratorio. Era impossibile capire cosa stesse pensando. Alla fine annuì. «Ma facciamo attenzione: potrebbero aver piazzato qualche trappola.»

Con le armi in pugno, le quattordici amazzoni raggiunsero il portone di legno. Era abbastanza largo da permettere il passaggio di un grosso carro, ma cosa più importante era chiuso da un pesante lucchetto.

«Ci penso io» affermò Artemis. Era il capo e ci teneva a scagliare il primo colpo. «State indietro.»

Per prima cosa ripose nel fodero la sua arma, una comune spada a una mano e mezza. In realtà l’arma che prediligeva era la sua claymore, un grosso spadone con la guardia a bracci dritti e piegati verso la lama, ma per una missione del genere sarebbe stata solo d’intralcio.

Raccolse la concentrazione e portò le mani davanti all’addome. Come tutte le amazzoni, anche lei era una Gendarme e in quel momento avrebbe sfruttato la magia del pendente che portava alla cintura. Il cristallo rosso si illuminò e l’energia fluì nelle sue mani come fili impalpabili. Caricò il pugno destro e questo venne avvolto da un flusso vorticante. Sferrò il colpo e l’energia esplose in avanti. L’impatto con il portone fu talmente violento che i cardini vennero strappati via e gli imponenti battenti volarono all’indietro, cadendo poi a terra con un botto sonoro.

Il rosso era il colore delle persone coraggiose e determinate; la magia dei Gendarmi Rossi permetteva loro di incrementare le proprie capacità fisiche, ma anche di proiettare l’energia. Era l’ideale sia per i combattimenti corpo a corpo che per quelli a breve distanza.

L’amazzone riprese la sua spada e cominciò ad avanzare. «Andiamo.»

Le sue compagne la seguirono senza esitare, attente a cogliere il minimo segnale di pericolo.

In totale silenzio superarono l’ampio spiazzo che stava davanti all’edificio. Sul terreno battuto si potevano distinguere i segni delle ruote dei carri e impronte di varie forme e dimensioni. Guardando bene sarebbe stato possibile scorgere perfino delle macchie di sangue rappreso: anche lì alcuni demoni non avevano smesso di lottare per la libertà.

Anche ora che quel luogo era deserto, un’aura tetra lo permeava. Era come se i terribili incantesimi praticati nell’edificio avessero reso l’aria pesante, quasi irrespirabile.

C’erano due ingressi: quello a sinistra sembrava condurre alla zona degli alchimisti, mentre l’altro, più grande e rozzo, alle prigioni.

«Noi di qua,» ordinò Artemis indicando il primo portone, «voi da quella parte.»

Il battente di legno grezzo era aperto, così la felidiana e le sue sei compagne si trovarono davanti un ingresso spartano da cui si allungava un semplice corridoio. Su entrambi i lati si affacciavano diverse stanze, in fondo invece era stata lasciata un’apertura per la luce. Durante la costruzione non avevano fatto caso all’eleganza e alle finiture: le assi di legno erano appena sbozzate, al posto delle porte avevano messo dei teli sgualciti e il pavimento era del tutto assente. L’unica cosa a cui avevano prestato attenzione era il tetto: evidentemente non volevano che le intemperie interferissero col loro lavoro.

Artemis si avvicinò con cautela al primo ingresso sulla sinistra. Scostò lentamente la tenda e guardò all’interno. C’era un letto imbottito di paglia e baccelli, una rudimentale scrivania e un pezzo di tronco che probabilmente fungeva da sgabello. Anche lì era stata ricavata una piccola finestra per far entrare la luce.

«Wow, le nostre celle sono più confortevoli» ironizzò la canidiana al suo fianco.

Ora che sapevano che non c’erano pericoli, le due amazzoni abbassarono le armi ed entrarono per controllare più da vicino. Sul rozzo tavolo c’erano dei segni lasciati da un carboncino: purtroppo erano piuttosto sbavati, come se avessero cercato di cancellarli, e per di più nessuna delle due era pratica di magia.

«Vai a chiamare Maud, forse lei ci capirà qualcosa» chiese la felidiana.

La sua compagna annuì e lasciò la stanza, Artemis intanto continuò a guardarsi intorno. Purtroppo i fuggitivi si erano dati molto da fare e, almeno in quel locale, sembrava non esserci alcun indizio concreto.

All’improvviso udì le voci delle altre farsi più concitate, poi un grido: «Fuori!»

 Non ebbe il tempo di pensare. Il terreno sotto di lei si illuminò all’improvviso, riconobbe delle rune e subito corse verso la finestra.

L’esplosione di fuoco investì tutto l’edificio. Il tetto fu scagliato verso l’alto e le pareti vennero spazzate via. L’intera foresta sussultò per il boato.

Il tempo sembrava essersi fermato. Artemis era a terra a diversi metri dai resti dell’edificio, immobile e sporca di cenere. Dopo un tempo imprecisato i bagliori delle fiamme la destarono. La felidiana ci mise alcuni secondi per tornare lucida, a quel punto, nonostante le ferite, si alzò in piedi. Le orecchie le fischiavano da impazzire e ogni singolo movimento le causava un dolore atroce, ma non poteva arrendersi. Le sue compagne erano ancora lì dentro, forse poteva ancora salvarne qualcuna.

Con un incredibile sforzo di volontà evocò i poteri del suo pendente, sperando che la Magia dei Re la aiutasse a restare in piedi abbastanza a lungo. Strappò un lembo di tessuto dalla manica per filtrare il fumo e cominciò a farsi largo tra i resti in fiamme del laboratorio.

Dolore e rabbia potevano aspettare: doveva salvare le sue compagne.



Note dell’autore

Rieccoci qui!

Purtroppo la missione di Artemis non è andata come previsto. I ribelli sapevano che qualcuno sarebbe andato a cercare indizi, e quindi hanno preparato una contromisura.

La felidiana si è salvata, ma rischia di perdere tutte le sue compagne. E per una come lei, essere l’unica sopravvissuta sarebbe un dolore ancora più grande, per questo farà tutto ciò che è in suo potere per salvarle.

Ma poi che ne sarà di lei? Avrà la forza di continuare dopo quanto successo? E per fare cosa? Se invece non ci riuscisse, a chi spetterà il compito di scuoterla? O addirittura di prenderne il suo posto?

Prima di scoprire le risposte, vi ricordo che Alisha e Shamiram sono ancora impegnate a raggiungere la magia pura di Raémia, e più precisamente sono davanti all’ultima barriera: la barriera per uccidere.


Prima di darvi appuntamento al prossimo capitolo, una nota sulla saga. Ho deciso di spostare I Gendarmi dei Re nella saga Age of Dusk (o meglio di ri-spostare, dato che in origine la saga di Giako era proprio Age of Dusk). Nei prossimi giorni cambierò quindi il titolo in AoD - 1 - I Gendarmi dei Re.

Age of Epic non scomparirà, ma sarà un prequel di Age of Dusk e avrà per protagonista un’antenata di Giako. Sarà ambientato prima dell’epoca dei sei Re e del Corpo di Gendarmeria, quando ancora il mondo era retto dagli dei, quindi avrò modo di spiegare nei dettagli le origini di Raémia. Se non sbaglio l’ho già detto ad alcuni di voi, quindi aggiungo che nel nuovo Age of Epic ci saranno tra gli altri anche Sigurd, Shamiram, Persephone e Rossweisse.

Dato che la saga è cambiata, ecco la nuova copertina di I Gendarmi dei Re:

AoD-1.png


Bene, ora è davvero tutto.

Il prossimo capitolo sarà incentrato sulle due streghe e sul loro gruppo, in quello successivo invece torneremo da Artemis.

A presto :)


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[19] Sottospecie originale di TNCS, appartenente alla specie dei faunomorfi. Il nome richiama la famiglia dei Canidae, che nella classificazione scientifica raggruppa i canidi.

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Capitolo 13
*** 12. La prova del fuoco ***


12. La prova del fuoco

Completamente assorte dal rituale, Shamiram e Alisha sembravano due statue. Il cerchio magico che avevano tracciato brillava di una luce chiara e soffusa, e da esso spirava una solenne spirale di vento che faceva ondeggiare i loro capelli e i loro abiti pesanti.

Il corpo di Bengal sembrava ancora del tutto inerte, ma né Giako né Jehanne avevano idea di quanto sarebbe durato il rituale.

Dopo aver percorso l’ennesimo anello intorno al cerchio magico, il mezzelfo decise di avvicinarsi alla giovane. Nei paraggi non si vedeva nessuno e le due streghe sembravano completamente in un altro mondo, così si fece coraggio e parlò: «Visto? È stata una buona idea fare il culo al mostro.»

Lei lo guardò con un mezzo sorrisetto stampato sul viso. «D’accordo, te lo concedo: ne è valsa la pena.» E dopo un attimo aggiunse: «Comunque la mia religione mi impone di aiutare i più deboli e chiunque sia in difficoltà, quindi non me la sarei sentita di lasciare un mostro a piede libero. E a maggior ragione se questo mostro prima era una persona.»

Nei giorni precedenti e su esplicita domanda di Jehanne, il Gendarme le aveva spiegato che non era a conoscenza della vera identità del mostro. Tutto quello che aveva erano dei sospetti, ma non se l’era sentita di rivelarli all’umana fino a quando non erano stati in procinto di combattere.

«Di’ un po’: come mai sei entrato nel Corpo di Gendarmeria?» gli chiese Jehanne per continuare a ingannare l’attesa.

Giako non rispose subito. Per alcuni istanti rimase in silenzio, impegnato a osservare il suo ippolafo che, finalmente libero da briglie, sella e bagagli, mangiava tranquillo le foglie di una pianta bassa. Quando pensava a se stesso come Gendarme, si immaginava sempre in groppa al suo destriero.

«Beh, un po’ perché non volevo fare il contadino.» Sorrise. «E poi volevo rendermi indipendente.» Quando si voltò, scoprì che Jehanne lo stava fissando, e la cosa non gli fece troppo piacere. «Beh? Che c’è?»

Lei incurvò le labbra, divertita. «Non ti avevo mai visto sorridere. Credevo non ne fossi capace. Avevo sentito dire che gli elfi oscuri non sanno sorridere.»

Lui la guardò stranito. «Stronzate. Certo che sappiamo sorridere. Solo… lo facciamo di rado, ecco… Quando ne vale la pena, insomma.» Si voltò dall’altra parte, un po’ immusonito. «Solo i coglioni ridono sempre.»

L’umana lo guardò con aria scherzosamente accusatoria. «Mi stai dando della… “stupida”?!»

«No…» si affrettò a rispondere il mezzelfo. «Non sempre…»

Lei aprì la bocca, sorpresa, e gli tirò un divertito pugno sulla spalla.

Giako incassò senza ribattere, ridendo a sua volta per la reazione della giovane.

«Quindi voi elfi oscuri avete tutti la sbronza triste?»

«Fidati: sono di più quelli con la sbronza molesta.»

Giako si accorse di aver risposto senza pensarci, e questo un po’ lo stupì: non pensava di essersi aperto così con Jehanne.

«Emh… posso farti una domanda?» le chiese.

«Spara!»

«Ecco… perché Shamiram ti chiama “Paladina”?»

Temeva di aver fatto una domanda irriverente o personale, invece la giovane rispose con assoluta tranquillità: «È così che si chiamano quelli che lavorano per gli Astrali: Paladini. I Paladini degli Astrali. Anche se, sinceramente, mi sembra un nome un po’ troppo pomposo.»

«Mmh… E posso chiederti cosa facevi prima di diventare una Paladina? Eri una Gendarme?»

Lei sorrise. «Ah, non direi proprio! Diciamo che quando mi hanno reclutata ero piuttosto morta. Comunque prima ero un soldato e combattevo per liberare il mio Paese dagli invasori.»

In quel momento il mezzelfo si ricordò che non sapeva da dove venisse la giovane. Essendo umana, aveva ipotizzato che venisse da uno dei Reami Gialli, ma purtroppo lui non conosceva molto bene quelle zone. «Come si chiama il tuo Reame?»

«Ah, io non sono nata qui. Te l’ho detto, no? Vengo da molto lontano.»

Giako la studiò con aria interrogativa. «Sì, ho capito. Ma lontano dove?»

«Beh…» Jehanne sollevò l’indice, indicando il cielo.

Il mezzelfo guardò verso le fitte chiome delle conifere.

«Vieni… dagli alberi?»

La giovane sbarrò gli occhi. «Ma che…?! Certo che no! Vengo da un altro mondo, molto lontano da qui. Si trova lassù, tra le stelle, insieme a moltissimi altri mondi. Sono arrivata qui grazie a una specie di magia. E se proprio ci tieni a saperlo, il mio “Reame” si chiama Francia.»

Giako sembrava sempre più confuso.

«Anche il tuo antenato, Sigurd, veniva del mio stesso mondo» proseguì Jehanne. «Ma lascia perdere, non dovremmo parlare di queste cose.»

Il mezzelfo, più confuso di prima, preferì assecondare la richiesta dell’umana.

«Piuttosto, secondo te cosa stanno facendo?» chiese la giovane accennando a Shamiram e Alisha.

Giako osservò a sua volta le due streghe. Erano ancora immobili, solenni come statue, avvolte da quell’aura mistica dovuta alla luce delle rune e ai soffi del vento.

«Cazzo ne so? Forse stanno… meditando. Insomma, cose da maghi»

***

La palla di fuoco impattò con violenza sullo scudo di energia, scatenando una vampata di fiamme.

Alisha dissolse la sua difesa magica e scatenò un getto di energia contro il mostro che aveva attaccato. L’offensiva funzionò, ma già altre tre creature di fuoco erano emerse dall’immenso muro per rimpiazzare il compagno caduto.

La myketis, già provata dalla stanchezza, continuava ad ansimare nel tentativo di abbassare la temperatura del corpo. Si era tolta quasi tutti i vestiti, tuttavia la sua specie non aveva ghiandole sudoripare e in quel momento non poteva perdere tempo ad evocare un incantesimo che la facesse sentire meglio.

Come fatto in precedenza, caricò l’energia magica nelle sue mani e la proiettò contro i mostri di fuoco. Non si stava rivelando una tattica molto efficace, ma non aveva alternative: quell’ambiente illusorio non offriva nessun elemento utile, perfino il terreno polveroso non era altro che un’unica lastra solida apparentemente inscalfibile.

«Maestra, non potrò trattenerli ancora a lungo!»

L’umana, che si trovava dietro di lei, era talmente concentrata che l’unica risposta che riuscì a formulare fu un mugugno. Anche lei si era liberata di quasi tutti i vestiti e il suo corpo formoso era madido di sudore. La sua allieva aveva l’arduo compito di tenere a bada i mostri di fuoco, ma l’umana aveva un incarico se possibile ancora più complesso: aprire una breccia nel muro di fuoco e fare in modo che restasse aperta abbastanza a lungo da resuscitare Bengal.

Fino a quel momento i mostri avevano avuto tutti un corpo umanoide, ma a furia di venire sconfitti, qualcosa si attivò nello schema difensivo e dalla parete fiammeggiante spuntarono nuove creature: un grosso quadrupede, un lungo serpente e un imponente uccello.

Alisha, ancora impegnata a respingere i precedenti nemici, si sentì persa: già era difficile eliminare gli esseri umanoidi, come poteva affrontate nello stesso momento avversari così forti, numerosi e variegati?

Ma non poteva arrendersi. Per primo colpì il quadrupede: lo annientò con un raggio di energia. Il volatile fu il secondo, ma il suo attacco andò a vuoto. L’animale era grosso ma anche molto agile, e il suo spazio di manovra tridimensionale lo rendeva un bersaglio estremamente difficile. Anche il secondo raggio venne schivato e il mostro si lanciò in picchiata. Allungò gli artigli verso Shamiram, pronto a ghermirla. L’umana, gli occhi chiusi e completamente concentrata sul suo incantesimo, non sarebbe mai riuscita a difendersi in tempo. Il volatile stava per colpire quando una mano di energia lo afferrò. Era di colore blu, grande come quella di un gigante e artigliata come quella di un predatore. Il braccio a cui era attaccata, anch’esso fatto di energia, terminava nell’aura fiammeggiante che avvolgeva Alisha.

La myketis, i cui occhi ardevano di luce blu, tirò indietro il braccio gigante e strinse la presa con le dita, stritolando il volatile fino a farlo esplodere.

Solo un paio di volte nella vita la strega aveva attinto così in profondità dai suoi poteri, e sempre sotto la stretta supervisione della sua maestra. Ma ora non poteva trattenersi, doveva dare tutta se stessa. L’energia che bruciava dentro di lei non era adatta a fare incantesimi – o meglio lei non era in grado di usarla in maniera così raffinata – tuttavia poteva sfruttarla in maniera più rozza e istintiva.

Il serpente intanto, approfittando del diversivo del compagno alato, si era avvicinato a gran velocità. Era pronto a stritolare Shamiram nella sua morsa, ma un altro braccio di energia lo ghermì e lo fece a pezzi.

Alisha, completamente avvolta da quello che sembrava fuoco blu, ora disponeva di due enormi arti con cui spazzare via tutti i mostri che cercavano di avvicinarsi.

Assuefatta dal proprio potere, sorrise. Ora niente poteva fermarla.

Con un solo pugno distrusse una mezza dozzina di essere umanoidi, con l’altro arto invece afferrò un nuovo uccello e lo rispedì da dove era venuto.

Ma il muro di fuoco non rimase a guardare. Un’enorme mano emerse dalle fiamme, perfino più grande delle propagazioni di Alisha. La seguì un’altra mano, altrettanto immensa, e poi fu il turno della testa: era simile a quella degli esseri umanoidi già sconfitti, con una grande bocca ma priva di connotati, solo molto più grande e spaventosa.

Il gigante emerse per intero dal muro e si sollevò in tutta la sua altezza. Era difficile darne una stima esatta, di sicuro superava i sei metri. L’essere sollevò le braccia e le abbatté contro Alisha. La strega parò con i suoi arti magici, ma lei stessa avvertì l’impatto vibrare in tutto il corpo.

«Maestra, quanto manca?!»

Shamiram, ancora totalmente concentrata, non rispose. La myketis stava ripetere la domanda quando finalmente l’umana parlò: «Poco.»

Non aggiunse altro, e la sua allieva non osò disturbarla ulteriormente. Lei stessa non aveva tempo per distrarsi perché altri due giganti erano appena usciti dal muro di fuoco.

Con uno strattone la myketis si liberò del primo colosso e lo colpì con uno dei pugni di energia. Il violento impatto fece cadere il mostro, ma dopo pochi istanti l’essere si rialzò. Sembrava del tutto illeso.

Istintivamente Alisha indietreggiò di fronte al trio di giganti. I due più recenti erano addirittura più alti e robusti del loro predecessore, segno che il muro di fuoco stava intensificando ulteriormente gli sforzi per eliminare le intruse. Del resto era stato progettato appositamente per fronteggiare qualsiasi minaccia: più il nemico era forte, più concentrava su di esso tutta la propria potenza, fino ad annientarlo. E morire in quella dimensione, equivaleva a morire nel mondo reale.

No!

La myketis strinse i denti e le emanazioni blu intorno al suo corpo divennero ancora più intense. Crebbero a vista d’occhio, alzandosi ed espandendosi in quello che sembrava il busto di una persona. Anche le braccia di energia si spostarono verso l’alto, divennero più grandi e definite. Adesso anche Alisha poteva contare sul suo gigante: un essere di pura energia blu privo di testa, il cui busto terminava nel corpo della strega stessa. In esso aveva infuso tutta la rabbia, i sensi di colpa e la vergogna che aveva provato negli ultimi giorni.

Aveva sofferto, ma quella sofferenza l’aveva resa più forte. E ora l’avrebbe dimostrato.



Note dell’autore

Ciao a tutti!

Nonostante i loro sforzi, Alisha e Shamiram non sono ancora riuscite a superare l’ultima barriera. Ma quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare, e quindi la myketis ha tirato fuori uno dei suoi assi nella manica. Basterà?

Tornando un po’ più indietro, Giako e Jehanne stanno ancora aspettando le due streghe. Ho approfittato di questo momento di calma (almeno per loro) per lasciare che si conoscessero meglio (anche se probabilmente Giako è più confuso di prima XD).


Prima di salutarvi, ho un po’ di modifiche da segnalare.

Prima di tutto, ho deciso di riunire le mie due specie di rettili, squamasiani e saurex, e di ribattezzare la nuova specie dromeosauriano (spesso abbreviato in sauriano). Il nome deriva dalla famiglia dei Dromaeosauridae, che riunisce alcuni dinosauri piumati (tra cui il velociraptor).

Seconda modifica: vorrei cambiare il nome di Gundo’gan perché è praticamente identico a quello di un noto calciatore. Purtroppo non ho ancora trovato un’alternativa che mi convincesse del tutto (mi sono concertato su nomi simili, come Gando’gan), quindi ogni consiglio è ben accetto ^.^

Ultima modifica: ho deciso di rinominare Shytia (il pianeta su cui è ambientata L’ascesa delle Bestie), e il nuovo nome sarà Wunderwelt (“mondo dei miracoli” in tedesco). Perché questa modifica? Semplicemente perché Shytia non vuol dire niente, quindi credo sia più interessante dargli un nome che in qualche modo ne richiami le caratteristiche. In particolare Wunderwelt è il nome dato al pianeta dalla società che ha iniziato la terraformazione, e il fatto che sia in tedesco rispecchia i nomi tedeschizzanti delle città (Traumburg ad esempio significa “città dei sogni”).

Detto questo, spero non mi odierete troppo per tutti questi cambiamento ^.^"

Del resto, se una cosa può essere migliorata, tanto vale migliorarla, no? :)


Bene, ora è davvero tutto. Ci vediamo tra un paio di settimane, nuovamente con Artemis e le amazzoni.

A presto ^.^


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Capitolo 14
*** 13. Il tempo della risolutezza ***


13. Il tempo della risolutezza

Quando Persephone riaprì l’occhio sano, la prima cosa che avvertì fu un forte mal di testa. Le ci vollero alcuni istanti per ricordare quello che era successo, ma tutto divenne chiaro quando vide alcune assi di legno spezzate e incenerite.

Si mise a sedere. Quando il laboratorio era esploso, stava perlustrando la zona delle prigioni. Ricordava le innumerevoli gabbie vuote, buie e asfissianti. L’odore penetrante le aveva fatto venire la nausea al pari della consapevolezza di quello che era accaduto in quel luogo.

Dopo l’esplosione era tutto confuso, ricordava solo un dolore acuto alle gambe. Con preoccupazione sollevò il mantello che le copriva gli arti e controllò le appendici da uccello: la parte sinistra degli spessi pantaloni era bruciata fino alla coscia, ma le squame giallastre sembravano indenni. Del resto lei era una valkyrja adesso, quindi il suo corpo era molto più resistente del normale e si rigenerava molto più in fretta.

Si guardò intorno, e ben presto capì che non tutte le sue compagne erano state altrettanto fortunate. Contò otto cadaveri coperti dai rispettivi mantelli e tre sopravvissute impegnate a curare una compagna ferita. Non vide però Artemis.

Prese la sua ascia, adagiata lì accanto, e con cautela cercò di mettersi in piedi. Con suo grande sollievo le gambe non protestarono. Le bastarono pochi passi per ritrovare la sicurezza e raggiungere le amazzoni rimaste. Erano una myketis e due faunomorfe: tutte e tre avevano i vestiti mezzi bruciati e più o meno sporchi di sangue. Insieme stavano cercando di fermare la grave emorragia di un’altra myketis.

«Dov’è Artemis?»

«Alla palizzata» rispose una delle faunomorfe. Il dolore era evidente nei suoi occhi azzurri e le sue guance erano bagnate di lacrime.

La metarpia guardò verso il punto da cui erano entrate e lì trovo la felidiana. Era immobile e fissava la strada che si perdeva nella foresta.

Cosa stava facendo? Si era forse arresa? Sarebbe stato comprensibile dopo quanto accaduto: quella per lei era la prima vera missione da comandante e aveva già perso più di metà delle guerriere. Loro erano amazzoni, vivevano per combattere al servizio della Regina ed erano pronte a morire per lei se necessario, ma questa era un’amara consolazione per le sopravvissute.

Persephone non perse altro tempo e andò da lei. Il dolore e le lacrime erano comprensibili, ma per un comandante erano inaccettabili. Almeno così la pensava lei, e non si sarebbe fatta problemi a dirlo apertamente. Se la felidiana non fosse riuscita a gestire la situazione, voleva dire che non era pronta, e forse non lo sarebbe stato mai.

«Artemis.»

La giovane rimase immobile. Come per le altre, anche i suoi vestiti erano state in parte consumati dal fuoco, la treccia era tutta rovinata e le sue mani erano sporche di cenere e sangue.

«Abbiamo perso otto amazzoni, e probabilmente anche Maud non ce la farà» affermò la felidiana, la voce mesta ma ferma. Si voltò. Nei suoi occhi c’era dolore, ma ancora più evidente era la rabbia controllata a stento. «Non abbiamo scoperto nulla di nuovo, abbiamo solo queste tracce che magari non portano nemmeno al nuovo laboratorio.» Rimase in silenzio per qualche secondo, sforzandosi di placare l’ira dentro di lei. «Persephone, le nostre sorelle sono morte per niente, vero?»

 L’occhio giallo della metarpia era glaciale come sempre. E anche la sua sentenza fu fredda come il ghiaccio: «Sì.»

Ad una simile risposta, Artemis non riuscì a trattenere un grido furioso. L’urlo, udibile in tutta la foresta, servì ad attenuare almeno un po’ la sua rabbia. «Appena le condizioni di Maud saranno più chiare, farò rapportò alla Regina. Arrivati a questo punto è inutile perdere tempo.»

Detto ciò la felidiana tornò a grandi falcate dalle sue compagne ancora in vita, sperando con tutta se stessa che almeno la myketis riuscisse a salvarsi.

Fu in quel momento che Persephone decise che poteva cambiare la propria risposta. La missione era stata in sé un fallimento, ma vedere la reazione di Artemis riuscì, almeno in una piccola parte, a rendere meno inutile la morte delle altre amazzoni. Ora sapevano che Artemis era pronta, pronta per guidarle verso il futuro, superando qualsiasi avversità.

Finalmente lei e Rossweisse avrebbero potuto farsi da parte, ma prima dovevano risolvere la questione delle spade magiche. Quella sarebbe stata probabilmente la loro ultima impresa prima del passaggio di consegna alla nuova generazione.

Pentesilea aveva ragione: il futuro stava arrivando, lento ma inesorabile. Alla vecchia guardia non restava che dargli un’ultima spinta nella direzione giusta.

***

Alisha era letteralmente stremata. Proiettare il gigante di energia era molto dispendioso e il caldo insopportabile le rendeva difficile anche solo respirare. Come se non bastasse, il muro di fuoco continuava a generare nuovi mostri ad un ritmo impressionante. Le nuove creature era sempre più forti delle precedenti, al punto che, nonostante il suo colosso blu, era costretta sulla difensiva.

Era talmente stanca che non provò nemmeno a voltarsi verso la sua maestra. In quella situazione ogni goccia di energia era fondamentale, e lei non poteva sprecarne per chiedere a Shamiram di sbrigarsi. Se l’umana non aveva ancora aperto bocca, significava che era ancora impegnata.

La myketis cadde in ginocchio. Non sapeva quanto sarebbe riuscita a resistere, il suo gigante poteva dissolversi da un momento all’altro.

“Ti prego, maestra, non posso trattenerli ancora per molto…”

Non sapeva da quanto tempo erano bloccate lì. Le sembravano ore, ma forse erano solo alcuni minuti, oppure giorni interi. Quella era una dimensione illusoria, lì le leggi della natura non esistevano.

Ormai schiacciato dall’esercito di mostri di fuoco, il gigante blu era piegato a terra come la sua creatrice. Alisha non aveva più la forza per farlo combattere, tutto quello che poteva fare era sfruttarlo come un ultimo, disperato scudo.

La stretta connessione tra la strega e l’emanazione era tale che Alisha poteva sentire un po’ di dolore ad ogni colpo, ma all’improvviso questa sensazione si interruppe. All’inizio questo la spaventò: il colosso era stato annientato definitivamente? O magari era talmente stanca che i suoi sensi la stavano ingannando.

A fatica sollevò lo sguardo e subito riconobbe le enormi braccia di energia blu. Ardevano ancora, segno che il gigante era ancora materializzato.

Finalmente una scintilla di speranza si risvegliò dentro di lei. Con lo sguardo vagamente appannato cercò di guardare oltre la sua proiezione, ma non vide nulla. I mostri di fuoco erano spariti, non ne era rimasta alcuna traccia.

«Ce l’abbiamo fatta, Alisha.»

La myketis si voltò e dopo alcuni istanti riconobbe il viso di Shamiram. Era fradicia di sudore, ma sorrideva. L’umana le tese la mano e Alisha la prese. Subito avvertì il flusso di energia. Era pura, limpida, dirompente. Se ne sentì pervasa e il calore insopportabile sembrò svanire di colpo. Anche il colosso blu ne beneficiò e il suo enorme busto si ingrandì di colpo.

La maestra l’aiutò a rimettersi in piedi e lei le sorrise, quasi incredula. Finalmente dissolse il gigante, la cui sagoma svanì come una fiamma priva di forze.

Ce l’avevano fatta. Ce l’avevano fatta davvero.

«Andiamo, Bengal ci aspetta» affermò l’umana.

Alisha era così emozionata che non riuscì a parlare. Annuì, gli occhi lucidi.

La myketis dischiuse le palpebre e la prima cosa che avvertì fu il freddo pungente. Aveva ancora gli abiti pesanti, ma lo sbalzo di temperatura rispetto al mondo illusorio le fece temere di poter morire assiderata. Per fortuna fu solo un malessere passeggero e in breve tempo riuscì a riprendersi.

Con la coda dell’occhio vide Giako e Jehanne seduti uno accanto all’altra, ma adesso aveva altro a cui pensare. Incrociò lo sguardo con la sua maestra e subito ritrovò la concentrazione. Dovevano sbrigarsi: la breccia non sarebbe rimasta aperta a lungo, e in ogni caso era opportuno richiuderla il prima possibile prima che qualcuno si accorgesse della manomissione.

Consapevoli di questo, avevano già predisposto il cerchio magico per la resurrezione, così eseguire il rituale fu quasi una formalità. Il corpo di Bengal, fino a quel momento immobile, venne avvolto da flussi di energia che ne penetrarono i vestiti e la pelle scura. Questa volta non ebbe sussulti e non si gonfiò, in compenso tutte le sue ferite si rimarginarono. Dopo qualche secondo riprese a respirare in maniera del tutto normale e aprì gli occhi. Fu come osservare una persona che si svegliava dopo una notte di sonno.

Il felidiano di tipo tigre si guardò intorno, evidentemente confuso. Non ebbe il tempo di parlare perché Alisha gli gettò le braccia al collo, piangendo di gioia. Lo baciò, lo guardò negli occhi e lo abbracciò di nuovo.

Bengal, sempre più confuso, cercò un volto conosciuto, e l’unico che trovò fu quello di Giako. Aprì la bocca per parlare, ma poi si interruppe. Il suo sguardo si era fatto più cupo e consapevole: ora ricordava.

«Allora, ha funzionato?» chiese Jehanne. «È andato tutto bene?»

«Mi sembra tutto a posto» confermò Shamiram. Si passò un mano sui capelli mossi, evidentemente esausta. «Ora, se permettete, vorrei risposarmi un attimo. Pensate voi al resto.»

«Bengal, come ti senti?» gli chiese Alisha, che ancora non si era staccata da lui.

Lui sollevò le sopracciglia e sorrise. «Per essere uno che è stato ucciso due volte, direi che sto alla grande.»

«Hai scoperto qualcosa sui fabbricanti di spade magiche?» gli chiese Giako, incitato da Jehanne con un alcune gomitate.

Il felidiano annuì mestamente. «La situazione è anche peggiore di quanto pensassimo. Dobbiamo informare subito la Regina.»



Note dell’autore

Ben ritrovati!

La trappola dei ribelli ha decimato le amazzoni, che oltretutto non sono riuscite a scoprire nulla di nuovo. Artemis è consapevole del proprio fallimento, ma non intende abbandonarsi alla disperazione: le sue compagne contano ancora su di lei.

Restando in tema amazzoni, questa volta vi propongo il mio disegno di Persephone.

Persephone Sialia (AoD-1).svg

Qualche capitolo fa vi avevo anticipato che Artemis è la (futura) madre di Leona di L’ascesa delle Bestie, questa volta invece vi svelo che Persephone è un’antenata di Eslife di Alba di Cristallo :)


Passando alla seconda parte del capitolo, Alisha e Shamiram sono finalmente riuscite a superare l’ultima barriera, così da poter resuscitare Bengal.

Nel prossimo capitolo spiegherò ciò che ha scoperto il felidiano, quindi per ora non anticipo nulla.

In compenso vi anticipo che ho preparato un semplice disegno di Natale, quindi passate dal mio sito il prossimo weekend ;)


Ultime due cose per chi ha già letto L’ascesa delle Bestie: per il nuovo nome di Gundo’gan credo che userò Gardo’gan (ma se a qualcuno venisse un’idea migliore, è ancora in tempo XD).

Seconda cosa: i figli dell’inferno non sono più i figli di un drago ancestrale, ma nascono quando un regno infernale collassa (come accadeva per i draghi ancestrali), oppure sono i figli di un altro figlio dell’inferno. Del resto non aveva senso chiamarli “figli dell’inferno” se in realtà sono figli di un drago ancestrale :P


Bene, ora è davvero tutto.

Il prossimo capitolo arriverà il primo weekend dell’anno prossimo, quindi buon Natale e buone feste a tutti ^.^


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Capitolo 15
*** 14. La verità di Bengal ***


14. La verità di Bengal

Nonostante la stanchezza per il rituale appena eseguito, Shamiram propose, o meglio decise di contattare subito la Regina Blu attraverso lo specchio magico.

«Sarebbe bello poter usare sempre una cosa del genere per comunicare» commentò Bengal mentre l’umana andava a recuperare l’oggetto. Non aveva mai visto un incantesimo del genere, ma ne aveva capito subito l’estrema utilità.

«Shamiram sta lavorando a un modo per renderlo utilizzabile da tutti attingendo alla Magia dei Re» gli rivelò Alisha. «Purtroppo è più complicato di quanto sembri e non so se ha fatto dei progressi.» Quella era una delle tante cose di cui avrebbe voluto discutere con la sua maestra, e sperava di avere l’opportunità di farlo ora che lei l’aveva un po’ perdonata.

«Per ora che mezzi usate per comunicare?» domandò Jehanne.

Lei e Bengal si erano presentati poco prima, e anche il felidiano non aveva capito esattamente da dove venisse. Questo, unito al fatto che lui era una spia, lo portava a diffidare della giovane. Ma era meglio non darlo troppo a vedere.

«Ci sono i messaggeri, o altrimenti i piccioni viaggiatori. Ho sentito che a est, nei Reami Verdi, usano i segnali di fumo e anche dei segnali luminosi, ma non so se è vero.»

Il loro discorso sugli ultimi ritrovati in termini di tecniche di comunicazione venne interrotto dall’arrivo di Shamiram. Alisha e Giako si fecero da parte, così da lasciare agli altri tre la possibilità di discutere con la Regina.

La maestra infuse la sua magia nello specchio e la superficie tremolò fino a mostrare le stanze della sovrana. Questa volta sembrava deserta, così Shamiram provò a chiamare la Regina nella speranza che qualcuno si facesse vivo. I suoi sforzi sembravano destinati a fallire, ma proprio quando stava per interrompere l’incantesimo, comparve la paffuta ancella di tipo mucca.

«Posso esservi utile?» domandò con aria solenne. «Desiderate parlare nuovamente con la Regina?»

«Esatto, ed è una questione urgente» rispose l’umana.

«In questo momento la-»

«Non mi interessa cosa sta facendo!» esclamò Shamiram. «Vai subito a chiamarla! Ne va del destino di tutti i Reami!»

La faunomorfa, intimorita dalla veemenza della strega, deglutì. «M- Molto bene.» Fece un breve inchino e si allontanò.

«Non hai un tantino esagerato, maestà?» commentò Jehanne.

«Con i “per favore” e i “per piacere” ci avremmo messo mezz’ora a smuoverla. Per caso avevi un’idea migliore, Paladina?»

La giovane sollevò le sopracciglia: volente o nolente, doveva ammettere che la strega aveva ragione.

Dopo circa un minuto, finalmente nella superficie ovale dello specchio apparve il viso elegante della Regina Blu. «Shamiram, spero tu abbia buone notizie» esordì la sovrana, evidentemente preoccupata. «Moros, siete vivo» realizzò, felicemente stupita.

«Vostra maestà, temo di dovervi dare brutte notizie» ammise il felidiano. «Ho individuato il laboratorio dove stavano portando tutti i demoni, si trova a nord di Horville. Vi posso confermare che stanno estraendo le anime dei demoni per inserirle all’interno di varie spade, ma quando me ne sono andato non erano ancora riusciti a stabilizzare tali armi. Ho distrutto i loro registri, ma temo di non averli rallentati molto.»

Il viso di Pentesilea, già preoccupato, si incupì ulteriormente. «Le mie amazzoni sono riuscite ad individuare il laboratorio, mi hanno appena contattato per fare rapporto. Purtroppo era una trappola: abbiamo perso più di metà della squadra.»

Bengal serrò i pugni. «Sono mortificato, mi hanno scoperto durante la mia fuga. Avranno capito che lavoravo per voi e se ne sono andati. Non immaginavo che avrebbero preparato una trappola.»

«No, non è colpa vostra» ribatté la Regina. «Avete corso una grande rischio per permetterci di individuare il laboratorio, e ora abbiamo conferma di quello che stanno preparando i ribelli. Ci vorrà un po’ di tempo, ma seguendo i carri dei rapitori di demoni potremo individuare il nuovo laboratorio. Le mie amazzoni se ne stanno già occupando.»

«Vostra maestà, ho anche un’altra importante informazione» affermò Bengal. «Anche il Governatore di Grandeforêt è coinvolto in prima persona. Ho visto un suo incaricato che veniva a controllare la situazione. Sta finanziando l’alchimista e le sue ricerche, è in combutta con i ribelli per spodestare i Re e prendere il potere. Sicuramente sono coinvolti diversi importanti mercanti, ma purtroppo non sono riuscito a scoprire i loro nomi. E non escludo che anche altri Governatori siano coinvolti.»

Ad una simile notizia, Pentesilea non riuscì a nascondere la propria preoccupazione. Era evidentemente scossa per un simile tradimento – i Governatori erano i funzionari più vicini ai Re e godevano della massima fiducia – tuttavia non ne era del tutto stupita: sapeva che prima o poi sarebbe successa una cosa simile. Una volta ottenuto un simile potere, il timore di perderlo e la brama di raggiungere l’apice erano sentimenti molto forti: nonostante i controlli, era solo questione di tempo prima che qualcuno ne cadesse vittima.

«Tornando all’alchimista, vi posso dire che il suo nome è Zénon Des Rosiers, ed è un myketis di circa quarant’anni. Da quel che ho potuto vedere, è un alchimista molto abile, ma soprattutto non gli importa per cosa vengano usate le sue ricerche e non ha alcuno scrupolo nemmeno per i bambini. È una persona estremamente pericolosa e va fermata il prima possibile.»

«Ho capito, metterò la sua cattura in cima alle priorità, vivo o morto» dichiarò Pentesilea. «E farò in modo di arrestare anche il Governatore. Hai altre informazioni?»

«Temo di no, ma vi contatterò immediatamente se dovesse tornarmi in mente qualcosa.»

«Molto bene. Vi ringrazio, Moros, anche questa volta avete fatto un ottimo lavoro. Appena vi sarete ripreso del tutto, vorrei che collaboraste con Jehanne Romée per la ricerca del nuovo laboratorio.»

«Sarà un onore potervi servire» rispose Bengal con un inchino.

«Troveremo il laboratorio» affermò la giovane, risoluta come sempre.

«Ora devo andare. Contattatemi il prima possibile nel caso ci fossero novità» disse la Regina.

Dopo essersi congedati, Shamiram dissolse l’incantesimo e abbassò lo specchio.

«Bene. Per quanto mi riguarda, possiamo metterci in marcia anche subito» dichiarò Jehanne. «Tu come ti senti? Preferisci risposare ancora un po’?»

Bengal scosse il capo. «Sto bene… credo.»

«Potrebbe volerci un po’, ma vedrai che ti abituerai al tuo nuovo corpo» gli assicurò Alisha accarezzandogli dolcemente un braccio.

Le due streghe avevano cercato di ripristinare il più possibile le naturali funzioni del suo organismo, in ogni caso lo avrebbero tenuto sotto controllo per prevenire eventuali complicazioni.

«Giako, tu che farai?» gli chiese Bengal.

«Ho promesso a Jehanne che l’avrei aiutata a trovare l’alchimista, ed è ciò che farò.»

«Maestra, tu invece?» domandò Alisha.

L’umana si concesse qualche teatrale istante per alimentare la suspense. «In effetti avrei parecchi impegni, tuttavia il teletrasporto non funziona molto bene da queste parti, quindi credo che mi unirò anch’io a voi. Anche con un grifone, ci metterei troppo per tornare a casa. E poi avrete bisogno di tutto l’aiuto possibile per attaccare il laboratorio e catturare l’alchimista.»

«A questo proposito, qualche idea su come trovarlo?» domandò Jehanne. «Proporrei di cercare i rapitori di demoni per interrogarli, prima però dobbiamo trovarli. Sapete se ci sono delle comunità di demoni nella zona?»

«Ce ne sono diverse, ma sono tutte nomadi» rispose Bengal. «I gruppi più numerosi si spostano sulle vie commerciali più importanti, ma nel nostro caso è meglio cercare una carovana più piccola e facile da attaccare. L’altro laboratorio l’abbiamo individuato proprio seguendo i rapitori di demoni: credo sia la nostra opzione migliore.»

«Aspetta, io non intendevo questo» ribatté la giovane. «Dobbiamo trovare i rapitori e catturarli prima che attacchino i demoni. Non ho nessuna intenzione di aspettare che li rapiscano.»

«Credimi, abbiamo già provato a catturarli, ma è inutile» fu l’amara risposta del felidiano. «I rapitori di demoni sono leali ai limiti della follia, preferiscono suicidarsi pur di non parlare. La nostra unica possibilità è seguirli fino al laboratorio.»

«Con i miei poteri, posso immobilizzarne uno per il tempo necessario a leggergli la mente» intervenne Shamiram. «Non è detto che funzioni, ma vale la pena di fare un tentativo.»

Per una volta Jehanne si scoprì felice di fare squadra con la strega. «Bene, allora la nostra priorità dovrà essere catturare i rapitori e salvare i demoni.»

Tutti quanti annuirono.

Bengal sfruttò quell’occasione per cercare di inquadrare meglio la ragazza, ma senza rinunciare alla propria diffidenza. In realtà non avrebbe messo la mano sul fuoco nemmeno per Giako e Shamiram, però Alisha aveva condiviso con entrambi parecchi anni della sua vita, quindi li reputava affidabili fino a prova contraria. La giovane in armatura al contrario veniva da chissà dove e diceva di essere lì per salvare il mondo; certo, se fosse stata una spia dei ribelli avrebbe pensato ad una bugia più verosimile. Senza contare che la Regina Blu si fidava di lei, quindi si sentiva quasi in colpa a dubitare di lei: gli sembrava di mancare di rispetto alla sua sovrana. Nonostante questo, non avrebbe abbassato la guardia: una brava spia deve dubitare di chiunque.

«Preparerò un incantesimo di localizzazione per individuare i demoni più vicini» sentenziò Shamiram. «Voi state pronti a partire.»

«Ti do una mano» si offrì Alisha.

La sua maestra annuì e insieme si misero all’opera.

Avevano appena resuscitato Bengal, ma il nuovo obiettivo era stato deciso e non c’era tempo per riposare: il mondo aveva bisogno di loro.



Note dell’autore

Ciao e buon 2018 a tutti!

Finalmente Bengal è riuscito a dire tutto quello che sa a proposito dei ribelli, dell’alchimista e del Governatore. La situazione che ha delineato è alquanto preoccupante, ma almeno adesso sanno con chi stanno combattendo.

Il felidiano, da brava spia, è un tipo attento e diffidente, per questo si fa subito molte domande a proposito di Jehanne. A prima vista non è molto convinto, riuscirà a fidarsi di lei nonostante tutte le “stranezze” della giovane?

Ovviamente il “personaggio del capitolo” è Bengal, quindi ecco il suo disegno:

Bengal Moros (AoD-1).svg


Per chi se lo fosse perso, vi lascio anche il link al post di Natale con disegno a tema: http://tncs.altervista.org/articoli/natale-2017/


Ancora buon anno e a presto con il prossimo capitolo ^.^


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Capitolo 16
*** 15. L’ombra della guerra ***


15. L’ombra della guerra

Rossweisse era seduta nella sala delle riunioni, in attesa della Regina Blu come gli altri consiglieri. I suoi capelli argentei erano raccolti in tre trecce aderenti sul lato sinistro, a destra invece scendevano morbidamente fino all’altezza del mento. I suoi occhi erano senza pupilla, difficili da scrutare e dello stesso colore dei capelli. Intorno al polso sinistro portava una bracciale dorato dalle linee semplici: su di esso c’era solo una linea in rilievo e un po’ più scura le cui estremità si avvicinavano descrivendo due archi, come a volersi avvolgere a vicenda. La cicatrice sul sopracciglio sinistro suggeriva fosse un’amazzone, così come i robusti abiti di cuoio. Ma lei non era solo un’amazzone: lei era una semidea e, ancora giovanissima, era diventata una valkyrja. Non c’era da stupirsi se godeva della fama di essere una spadaccina senza eguali.

Un rumore di passi destò le sue orecchie leggermente a punta e adornate da diversi orecchini. La sovrana aveva varcato l’ingresso dell’ampia sala e il soffitto alto aveva accentuato il rumore dei suoi tacchi. La faunomorfa raggiunse il suo posto e si sedette con solenne eleganza. Il massiccio tavolo intorno a cui erano riuniti aveva una forma circolare e le raffinate sedie erano tutte uguali, eppure l’aura della Regina riusciva a farla spiccare tra tutti i presenti.

«Perdonate l’attesa, ma ho delle importanti novità» affermò Pentesilea. «Bengal Moros, che credevamo morto, è stato curato ed è riuscito a contattarmi.» Sapeva perfettamente che si trattava di una bugia, tuttavia la resurrezione era una pratica proibita oltre che malvista, dunque era preferibile non farne parola con nessuno. «Negli ultimi tempi ha agito sotto copertura per individuare il laboratorio dell’alchimista che sta producendo le spade magiche, ma oltre a questo ha scoperto una cosa estremamente importante: il Governatore Grangér di Grandeforêt è in combutta con i ribelli e li sta finanziando.» Un vociare sconcertato animò la grande sala riunioni. «Ma non è tutto. Il suo obiettivo è spodestare i Re e prendere il potere, e probabilmente non è l’unico Governatore coinvolto.»

«Questo è intollerabile!» esclamò un faunomorfo battendo il pugno sul tavolo. «Dobbiamo mandare immediatamente l’esercito!»

Pur non avendo aperto bocca, Rossweisse si accorse di avere gli sguardi di tutti puntati addosso. La cosa non la stupì: lei era la massima autorità militare dei Reami Blu, quindi il suo parere avrebbe avuto un peso notevole su una simile questione.

«Lord Sarantos, ci sta suggerendo di assediare una delle nostre capitali?»

Il faunomorfo si girò, gli occhi castani ancora più ardenti di prima. La giovane che aveva aperto bocca resse il suo sguardo con espressione glaciale. Era una canidiana di tipo volpe, facilmente riconoscibile grazie alla tipica coda e ai capelli lisci e rossi come il sangue. I suoi occhi erano verdi e metallici, e come Rossweisse, indossava abiti da guerriera: con ogni probabilità era anche lei un’amazzone.

«Preferite aspettare che sia lui ad assediare noi, Derinoe?» la punzecchiò il consigliere.

«Ovviamente no. Mi permetto solo di farvi notare che una simile decisione implicherebbe più danni che benefici.»

Il faunomorfo stava per aprire bocca, ma la Regina la anticipò: «Smettetela!» E poi, in tono più calmo ma duro, aggiunse: «Derinoe, vi ricordo che siete qui per imparare, non per darci lezioni.»

«Vi prego di perdonarmi» si scusò la canidiana chinando il capo, ma le sue orecchie da volpe non persero la propria sicurezza.

«Tornando a Bengal Moros, mi ha informata che l’alchimista è un myketis di circa quarant’anni di nome Zénon Des Rosiers. Con ogni probabilità per trovarlo dovremo trovare il nuovo laboratorio, e Moros mi ha assicurato che si metterà subito al lavoro per individuarlo.»

I presenti continuarono a discutere per quasi mezz’ora su come affrontare la minaccia dell’alchimista, ma soprattutto su quale fosse il modo migliore per fermare il Governatore di Grandeforêt: dovevano lanciare un chiaro segnale che i traditori sarebbero stati puniti in maniera esemplare. Alla fine si decise di lasciare piena libertà d’azione a Rossweisse, a patto che Jérome Grangér fosse catturato il primo possibile per essere processato al cospetto della Regina Blu.

Stabiliti i termini della loro missione, la semidea e la canidiana si congedarono, lasciando alla Regina e agli altri consiglieri l’onere di discutere degli altri problemi che affliggevano i Reami Blu.

«Il tuo intervento non è stato molto diplomatico» affermò Rossweisse quando furono sole.

«Non volevo essere diplomatica» ribatté Derinoe, impassibile.

Il capo dell’esercito non si stupì di una risposta tanto tagliente: la canidiana era stata sempre fredda e determinata, a tratti perfino spietata. Eppure aveva un grande talento nel gestire le situazioni più critiche nel migliore dei modi, per questo l’aveva portata con sé durante l’ultima missione in qualità di sua seconda in comando.

Rossweisse aveva già deciso che sarebbe stata Artemis la sua erede, tuttavia era convinta che Derinoe sarebbe stata la vice ideale della felidiana. In un certo senso la riteneva l’erede naturale di Persephone, anche se la canidiana sembrava ancora più insensibile della metarpia con un occhio solo. Artemis era un faro che sapeva ergersi a guida delle sue compagne, mentre Derinoe aveva una risolutezza glaciale, un lato oscuro e mai nascosto che le permetteva di prendere la decisione migliore per il bene comune, anche a costo di sembrare spietata. Rossweisse era molto più vecchia di quel che sembrava, eppure non aveva mai conosciuto una persona così “malvagiamente buona”.

«Hai qualche idea su come dovremmo fare per catturare il Governatore?» domandò la semidea.

«Sì, ho un’idea. Vorrei portare meno amazzoni possibili, direi una trentina, se possibile tutte su strigidi[20]. Dobbiamo dare per scontato che tutti i soldati della capitale siano dalla parte del Governatore, quindi credo che la cosa migliore sia un attacco a sorpresa nel cuore della notte: entriamo, prendiamo il Governatore e lo portiamo qui.»

Gli strigidi erano una razza di grifone prevalentemente notturna in grado di volare senza produrre il minimo suono. Erano senza dubbio i più indicati per le incursioni di notte e gli attacchi a sorpresa.

«Sì, potrebbe funzionare» rifletté Rossweisse. «Però così lasceremmo Grandeforêt senza un capo. Ci vuole un reggente che sappia prendere in mano la situazione e mantener l’ordine prima che scoppino delle rivolte.»

«Lo so, pensavo potessi farlo tu. Per portare via il Governatore basteranno cinque amazzoni, le altre rimarrebbero alla capitale per aiutarti a tenere sotto controllo la situazione.»

La semidea continuò a rimuginare sul piano per verificarne la fattibilità. In effetti sembrava un buon piano, dovevano solo definire tutti i dettagli e preparare qualche valida alternativa.

Il Governatore di Grandeforêt non era stupido: se si era alleato con i ribelli, di sicuro era pronto a fronteggiare l’ira della Regina Blu e delle sue amazzoni. Dovevano essere brave a coglierlo di sorpresa per vanificare qualsiasi tentativo di resistenza.

***

Era calata la notte su Grandeforêt e Giako se ne stava seduto su un masso con un quaderno tutto consumato tra le mani. Non stava leggendo: era con le spalle rivolte al fuoco e il suo sguardo era rivolto alla foresta, concentrato ad ammirarne la cupa pacatezza. Shamiram gli aveva assicurato che le sue percezioni magiche l’avrebbero avvisata per tempo di qualsiasi minaccia, tuttavia gli piaceva gustarsi quegli istanti di solitudine, ascoltando il crepitio del fuoco e i sospiri del vento.

«Ehi, tutto bene?»

Era stata Jehanne a parlare. Il Gendarme si voltò quel tanto che bastava a osservarla mentre si sedeva accanto a lui.

«Sei silenzioso» gli disse la giovane. Dopo un attimo si corresse: «Intendo, più del solito.»

Il Gendarme si strinse nelle spalle.

L’umana gli diede una leggera gomitata. «Dai, annoiami un po’ così mi addormento.»

Giako non riuscì a trattenere un mezzo sorriso. «Come vuoi… Il fatto è che… Insomma, mi sento un po’ inutile. Ora che ci sono Bengal, Shamiram e Alisha, non hai più bisogno di me.»

Jehanne si prese qualche secondo per riflettere prima di rispondere. «Sarò sincera: forse hai ragione. Ma non fraintendere, questo non vuol dire che voglia fare a meno di te. Se non fosse stato per il tuo aiuto, non avrei mai incontrato Bengal. Chissà, magari è per questo che gli Astrali mi hanno mandata da te e non da Shamiram.»

Il Gendarme rimase in silenzio.

«Però hai anche torto. Mi spiego: pensa a un esercito, o anche al Corpo di Gendarmeria: un solo Gendarme è quasi inutile se paragonato all’intero Corpo, ma è proprio la “piccola utilità” del singolo che permette al gruppo di fare la differenza. Giako, tu hai già fatto la differenza, e puoi continuare a farla. La Storia ricorda i nomi dei generali, ma sono i soldati che vincono le battaglie.»

Il mezzelfo rifletté con attenzione su quelle parole. In effetti Jehanne aveva ragione: probabilmente nessuno si sarebbe ricordato di lui, tuttavia il suo contributo poteva indirizzare le cose in una direzione piuttosto che in un’altra. E poi tanto la fama non lo aveva mai allettato: meglio una vita tranquilla con la consapevolezza di aver fatto del proprio meglio. «Grazie, lo terrò a mente.» E dopo un attimo aggiunse: «Sei… saggia.»

L’espressione di Jehanne tradì la sua soddisfazione. «Davvero?»

Giako rimase un attimo pensieroso. «In realtà non ne sono sicuro.»

La giovane fece una smorfia di disappunto e gli rifilò un pugno sul braccio. «Meglio che vada a dormire. Tu lavora sulla loquacità, e io mi occuperò della mia saggezza.»

Il mezzelfo sorrise e annuì. «Farò del mio meglio» aggiunse.

L’umana andò a stendersi e poco dopo anche Giako ripose il suo logoro quaderno e si preparò a riposare.

Alisha, sdraiata accanto a Bengal, sorrise lievemente. Vinta dalla curiosità, aveva ascoltato lo scambio di battute fra il mezzelfo e l’umana, e ne era rimasta stupita: Giako era sempre stato un tipo introverso, non l’aveva quasi mai visto giocare con altri bambini ed era solito viaggiare sempre da solo. Mai si sarebbe aspettata di sentirlo parlare così apertamente e scherzare con qualcuno.

Era davvero felice che lui e Jehanne si fossero incontrati.



Note dell’autore

Ciao a tutti!

Come anticipato nel capitolo precedente, la guerra è alle porte, ma Pentesilea vuole comunque fare di tutto per evitarla. E ovviamente un incarico tanto delicato non poteva che assegnarlo alla sua guerriera più capace: Rossweisse.

La semidea e Derinoe devono preparare il loro attacco a sorpresa ai danni del Governatore. Catturarlo sarebbe un duro colpo ai ribelli, sia tatticamente che per il morale, ma sicuramente non sarà facile.

Nei prossimi capitoli pubblicherò un disegno per la “malvagiamente buona” Derinoe, questa volta però è il turno di Rossweisse:

Rossweisse (AoD-1).svg

Per mantenere viva la “tradizione” dei discendenti, questa volta vi ricordo che la semidea è anche la madre adottiva di Alphard di L’ascesa delle Bestie :)


Nella parte finale sono tornato dal gruppo di Giako e in particolare il mezzelfo ha potuto dare voce ai suoi dubbi. In un gruppo come quella che è venuto a formarsi, il Gendarme è sicuramente quello più “ordinario”, ma Jehanne crede in lui e in ciò che ancora può fare per il mondo.

E Alisha, origliando un po’ la conversazione, ha potuto appurare che il suo semi-figlio/fratellino ha finalmente trovato qualcuno con cui aprirsi ^.^


Grazie per aver letto e a presto! XD


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[20] Da Strigidae, la famiglia di rapaci di cui fanno parte uccelli notturni come i gufi.

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Capitolo 17
*** 16. La mossa dei ribelli ***


16. La mossa dei ribelli

Le quattro amazzoni avanzavano lentamente nella foresta, attente a seguire le leggere tracce di zoccoli e ruote lasciate nel terreno.

Artemis, che non era mai stata particolarmente abile nel seguire le piste, aveva affidato tale compito a Dianthe, una canidiana dai corti capelli castani. L’altra faunomorfa sopravvissuta alla trappola era partita insieme a Maud – la myketis ferita – per tornare a Zafeiron, la Capitale Blu. Durante il viaggio avrebbero riportato indietro anche la maggior parte dei grifoni, lasciandone solo uno a testa per le guerriere rimaste.

In quel momento la squadra contava dunque solo la stessa Artemis, Persephone, Dianthe e una myketis, che grazie alle sue raffinate percezioni magiche stava aiutando la canidiana a seguire le tracce. Non era stato facile trovare la pista giusta – in realtà non erano nemmeno del tutto certe che fosse davvero quella giusta – ma tutto faceva supporre che si trattasse del passaggio più recente. Oltretutto quel percorso portava verso est, verso i Reami Gialli, e in effetti era ragionevole pensare che l’alchimista avesse deciso di spostarsi in un territorio fuori dall’influenza della Regina Blu.

«Artemis, se hai bisogno di dire qualcosa, fallo» affermò Persephone, senza smettere di perlustrare i dintorni con l’occhio sano.

La felidiana sospirò tra sé, indecisa se valesse la pena di dare voce ai propri pensieri. Poi parlò: «Il fatto è che non posso fare a meno di chiedermi come avrebbe agito Rossweisse… Cos’avrebbe fatto nella nostra situazione?»

La metarpia rimase in silenzio per alcuni secondi, come se non avesse capito che si trattava di una domanda. Alla fine però diede il suo stringato parere: «Credo che avrebbe agito allo stesso modo.» Di nuovo tacque per qualche istante. «In effetti voi due siete molto simili. Anche se a volte sei un po’ troppo… esuberante.»

Artemis si concesse un mezzo sorriso di colpevolezza. «Già…» Rossweisse l’aveva richiamata innumerevoli volte a tal proposito, riprendendola per il suo “eccesso di entusiasmo” o per la sua “tendenza a pensare prima con la spada, poi col cuore e solo alla fine col cervello”. Una volta però le aveva anche detto “ancora qualche secolo di esperienza, e sarai la guerriera perfetta”, e questo l’aveva in qualche modo riempita d’orgoglio. Per lei Rossweisse era sempre stata la guerriera perfetta in tutto e per tutto: dal combattimento alla tattica, dal rigore alla gentilezza. Era sempre stato il suo sogno poter diventare come lei: a volte aveva l’impressione di essere ad un passo dal riuscirci, altre invece le pareva un desiderio completamente irrealizzabile. E dopo quanto successo al laboratorio, la sua autostima era scesa sotto i minimi termini. L’unica cosa che le aveva permesso di non gettarsi a terra in lacrime era la consapevolezza che c’erano ancora delle compagne che facevano affidamento su di lei.

«Artemis,» proseguì Persephone, «capisco che tu voglia diventare come Rossweisse, ma ricordati che non devi essere una sua copia. Lei ha scelto te come sua erede, quindi devi pensare prima di tutto a come agiresti tu. Se Rossweisse avesse voluto un capo identico a se stessa, non avrebbe nemmeno pensato all’idea di un successore.»

La felidiana rifletté con attenzione su quelle parole. Se le ripeté nella mente, studiandole in ogni loro possibile significato. E si disse che era stata una stupida a non averlo capito prima: Rossweisse e Persephone erano due valkyrje, e in quanto tali non dovevano preoccuparsi dello scorrere del tempo. Sarebbero potute rimanere al loro posto ancora per cento, mille anni, eppure avevano scelto di farsi da parte e di cedere ad altre le loro prestigiosissime cariche.

«Essere il capo dell’esercito delle amazzoni vuol dire capire qual è la cosa migliore per il mondo, e avere la forza di guidarlo in quella direzione» affermò la metarpia. La guardò dritto negli occhi. «Tu, Artemis, hai le qualità per fare entrambe le cose.»

Un simile attestato di stima, ricevuto in quel momento e da una persona generalmente avida di complimenti come Persephone, riuscì a scaldarle il cuore. Dopo la morte delle sue compagne, aveva seriamente pensato di rinunciare alla propria missione e di fare subito ritorno a casa. Del resto aveva perso più di metà della sua squadra, andare avanti sarebbe stato troppo rischioso. Sarebbe stata un’ulteriore sconfitta per lei, ma si sarebbe sentita un’egoista a voler cercare il nuovo laboratorio. Era pronta a comunicare la sua decisione alla Regina, ma proprio quest’ultima aveva deciso per loro un nuovo incarico: Shamiram e Bengal Moros si erano messi alla ricerca dell’alchimista insieme a un manipolo di uomini fidati, quindi anche le quattro amazzoni avrebbero dovuto cercare indizi.

Artemis lo sapeva: era quella la priorità. Fermare l’alchimista era necessario per il bene non solo della Regina e dei Reami Blu, ma del mondo intero. Non avrebbe mai più vacillato su una questione di tale importanza.

D’un tratto la canidiana in testa al gruppo si fermò. Stava fiutando l’aria, segno che qualcos’altro aveva destato il suo olfatto sopraffino.

«Dianthe, cosa senti?» le chiese subito la felidiana.

L’amazzone annusò l’aria ancora per qualche istante per essere sicura di non sbagliarsi. «Persone… Parecchie persone. Soprattutto elfi e umani direi.»

Artemis sguainò la sua spada e scrutò i dintorni. «Dove?»

La canidiana mosse il capo da una parte all’altra per saggiare l’intensità delle tracce. «Ovunque.»

Un leggerissimo rumore, così flebile da essere quasi impercettibile, destò le orecchie feline di Artemis. «Lisette!»

La myketis si mosse fulminea: valutò la direzione dello sguardo della sua compagna, incoccò una freccia e la scagliò con precisione chirurgica. Si udì un rantolo dietro il cespuglio verso cui aveva tirato e un secondo dopo il corpo di un elfo cadde a terra.

Non passarono tre secondi che una raffica di sibili attraversò la foresta. Persephone non si fece sorprendere e in un istante evocò una cupola di energia verde. Le punte metalliche, almeno una dozzina, vennero respinte dalla barriera e caddero a terra inoffensive.

«Un’altra trappola.» ringhiò la felidiana. Forse si trattava di ribelli venuti a finire il lavoro, o magari era un gruppo di briganti; l’unica certezza era che si trovavano in inferiorità numerica. «Dobbiamo andarcene di qui. Persephone, vedi un punto dove far atterrare i grifoni?»

La metarpia si guardò rapidamente intorno. Pur avendo un solo occhio a disposizione, la sua vista restava la migliore del gruppo. «A destra mi sembra di vedere uno spazio abbastanza aperto.»

«Allora andiamo da quella parte» stabilì Artemis. «Muoviamoci!»

Sempre protette dalla barriera di Persephone, le quattro amazzoni scattarono nella direzione indicata. Artemis prese il suo fischietto a ultrasuoni e, dopo aver avvisato Dianthe, soffiò con forza. Gli unici ad udire l’acuissimo suono furono appunto la canidiana, Artemis stessa e i grifoni, che in brevissimo tempo sarebbero venuti a prenderle. Dovevano solo trovare un posto adatto per farli atterrare, e la piccola radura individuata dalla metarpia sembrava un buon punto. Il problema era arrivarci.

Grazie ai suoi occhi felini, la giovane individuò un uomo pronto a scoccare e subito scagliò una sfera di energia rossa. Il proiettile magico attraversò la barriera di Persephone, neutralizzò la freccia del nemico e centrò con precisione il bersaglio, scaraventandolo lontano.

Un grido improvviso la mise in allerta: «A terra!»

Era stata Persephone a lanciare l’allarme e subito le altre amazzoni la assecondarono. Un secondo dopo sopra le loro teste si propagò una lama di energia viola scuro che squarciò ogni cosa sul suo passaggio, distruggendo in un attimo la cupola difensiva.

Non ci voleva un genio per capire con cosa avevano a che fare: una spada magica.

«Non fermiamoci!» gridò Artemis, già in piedi.

Le sue compagne si alzarono a loro volta, ma Lisette non fu abbastanza rapida: una freccia la colpì di striscio a una spalla, la seconda invece le si conficcò nella coscia, strappandole un rantolo di sofferenza. Nonostante il dolore, strinse i denti e con un tiro rabbioso centrò nell’occhio sinistro il responsabile del secondo attacco.

«Dianthe!»

«Ce l’ho!» rispose subito la canidiana, che senza perdere tempo si era caricata la myketis su una spalla.

Persephone intanto aveva già creato una nuova cupola, ma contro le spade magiche gli incantesimi dei pendenti erano praticamente inutili. Artemis lo sapeva, per questo invocò i propri poteri e scattò in avanti, rapidissima. I Gendarmi Rossi erano votati principalmente all’attacco, e grazie all’aumento di velocità era convinta di poter avere la meglio.

Ci mise un attimo per trovare il proprietario della spada magica: era un umano e si era piazzato proprio sulla loro strada. La sua arma era ad una mano e mezza, ma questo a lei non importava: l’avrebbe tolto di mezzo senza dargli il tempo di reagire.

Qualcuno piombò su di lei da dietro un albero, ma la felidiana lo rispedì indietro con un devastante tondo al torace, quasi senza guardarlo. Ormai a pochi passi dall’umano, caricò il fendente. All’ultimo si scansò di lato e il contrattacco nemico andò a vuoto. Il terreno venne squarciato dalla lama di energia, Artemis però era incolume. Eseguì un tondo rapidissimo, ma il suo avversario parò abilmente.

L’amazzone serrò i denti. Doveva aspettarselo: le spade magiche erano preziose, non venivano assegnate a spadaccini qualsiasi.

Le rune sulla lama si illuminarono di luce viola e la felidiana fece subito un balzo indietro. Un solo colpo di quella spada sarebbe stato sufficiente per ucciderla: non poteva trattenersi. Invocò di nuovo la magia del suo pendente e tutto il suo corpo venne avvolto da un’energia rossa, simile a fiamme diafane e impalpabili.

L’umano scatenò il suo colpo in diagonale, ma Artemis scattò di lato, rapida come un fulmine scarlatto. L’aumento di velocità era una tecnica avanzata e molto dispendiosa, ma grazie ad essa poteva combattere come se tutto intorno a lei si muovesse a rallentatore. Ruotò la sua lama e colpì. Fu talmente veloce che l’umano riuscì a malapena a muovere gli occhi. Le sue mani vennero tagliate di netto, e la testa le seguì un secondo più tardi. Il corpo del ribelle cadde a terra e solo in quel momento Artemis disattivò l’incantesimo. Era durato tutto pochi istanti, eppure era visibilmente affaticata. Poco male: la cosa importante era che, senza quella spada magica, i ribelli non sarebbero più riusciti a distruggere la barriera di Persephone. Le quattro amazzoni dovevano solo raggiungere la piccola radura per permettere ai grifoni di raggiungerle.

Artemis schivò una freccia diretta alla base del collo e si abbassò per raccogliere la spada: non poteva lasciare in giro un’arma simile. Fece per stringere le dita sull’elsa, ma appena la toccò un grido le esplose nella mente, acuto, disperato. Per poco non cadde all’indietro, incredula e spaventata.

Si era sempre ritenuta una persona coraggiosa, eppure in quel momento le tremavano le mani.

«Artemis, che succede?»

La voce di Persephone la riportò alla realtà. Le sue compagne l’avevano raggiunta e ora anche lei era al sicuro dentro la cupola verde.

«Io… Io l’ho sentito…» esalò, la voce incerta. «Il demone nella spada… ho sentito… la sua voce.» I suoi occhi si fecero lucidi e abbassò le orecchie feline. «È disperato… Soffre… e ha paura.»

«Artemis, non abbiamo tempo» ribatté Persephone. Poteva immaginare lo shock della sua compagna, ma la situazione non ammetteva tentennamenti. «Prendila, dobbiamo andarcene.»

La felidiana chiamò a raccolta la sua determinazione e allungò la mano sinistra. Ebbe un istante di esitazione di fronte all’elsa e alle rune incise sulla lama, ma fu solo un istante. Strinse le dita sull’impugnatura e questa volta non permise all’anima del demone di prendere il sopravvento.

«Andiamo.»

Nonostante la grave perdita, i ribelli non si erano arresi, anzi le loro grida sembravano essersi moltiplicate. In ogni caso adesso la barriera di Persephone era pressoché insuperabile, in più Lisette, pur essendo ferita, stava dando prova delle proprie abilità di arciera e scoccava frecce a ripetizione dalla spalla di Dianthe.

Artemis scagliò un’altra sfera di energia, dopodiché prese di nuovo il fischietto a ultrasuoni e diede ordine ai grifoni di scendere a terra. Lo spazio era esiguo, quindi poteva passare un solo animale per volta.

«Dianthe, Lisette, prima voi» ordinò la felidiana. Pur avendo quattro cavalcature a disposizione, era meglio non lasciare da sola la myketis ferita.

Il primo grifone scese sbattendo forte le grandi ali piumate, attento a non urtare le imponenti conifere. Persephone fece in modo di inglobarlo nella cupola di energia, in questo modo le due amazzoni ebbero modo di salire in sella e l’animale poté spiccare il volo con dei vigorosi battiti d’ala.

La seconda cavalcatura cominciò a scendere per venirle a prendere, ma allo stesso tempo il numero di frecce dirette contro la barriera verde cominciò ad aumentare, fino a trasformarsi in una vera e propria pioggia di legno e metallo.

«Artemis» esalò Persephone.

La felidiana, già pronta a salire in sella, si voltò in direzione della metarpia, dopodiché seguì la linea dello sguardo di quest’ultima. Ciò che vide la lasciò ammutolita: i ribelli che avevano affrontato erano solo l’avanguardia di quello che sembrava un vero e proprio battaglione. Ma davvero quelli erano ribelli? E cosa ci facevano lì? Qual era il loro obiettivo? Poi capì: la Regina aveva detto loro che il Governatore di Grandeforêt era in combutta coi ribelli, e che forse non era l’unico. Quasi sicuramente quella era la mossa dei ribelli per proteggere il loro potente alleato: stavano mandando un esercito in grado di respingere le truppe della Regina Blu. Se ci fossero riusciti, la credibilità e il peso politico della sovrana sarebbero stati irrimediabilmente scalfiti.

Una simile vista le fece provare un brivido di paura, ma accese in lei anche il fuoco della determinazione. Senza perdere tempo saltò in sella al grifone, subito imitata da Persephone. La creatura, sempre protetta dalla barriera della metarpia, si diede lo slancio con i forti arti posteriori e spiccò il volo.

Purtroppo le fitte chiome degli alberi impedirono ad Artemis e alle sue compagne di farsi un’idea più chiara delle dimensioni dell’esercito nemico, in ogni caso dovevano sbrigarsi ad avvisare la Regina.

La guerra era già cominciata.



Note dell’autore

Ben ritrovati :)

I ribelli hanno deciso di fare la loro mossa e i Reami Blu sono stati invasi: contro un nemico tanto numeroso, le quattro amazzoni potevano solo ritirarsi per informare la Regina.

Artemis è costretta ancora una volta a subire eventi più grandi di lei, ma non si è lasciata sopraffare e ha fatto del suo meglio per portare al sicuro le sue compagne. Perfino Persephone ha riconosciuto il suo coraggio e la sua risolutezza.

Nel mezzo della battaglia, le amazzoni sono riuscite a sottrarre al nemico una spada magica. In particolare la felidiana ha potuto testare sulla sua pelle cosa si prova a impugnare una simile arma, e di certo non vorrà ripetere l’esperienza. Per utilizzare una spada magica sono necessarie grande concentrazione e pochissima empatia, caratteristica quest’ultima che non rispecchia il carattere altruista di Artemis.


Bene, anche per questo capitolo è tutto.

Grazie per aver letto e appuntamento tra un paio di settimane ;D


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Capitolo 18
*** 17. Sotto scacco ***


17. Sotto scacco

«Come sta?» chiese Artemis senza tanti giri parole.

Lei e Dianthe avevano fatto atterrare i grifoni in una radura a ridosso di un fiume così da poter riordinare le idee. Non erano molto distanti dal battaglione ribelle, ma tanto non pensavano di fermarsi lì per più di qualche minuto.

«Non bene» fu la triste risposta della canidiana. «Le frecce che l’hanno colpita erano avvelenate, e purtroppo non ho nessun antidoto qui con me. Sto cercando di trattenere la diffusione del veleno, ma se non agiamo in fretta sarà tutto inutile.» Dianthe era una Gendarme Blu, il colore tipico delle persone generose e altruiste. Le abilità del suo pendente erano per lo più curative, ma la sua magia non era abbastanza potente da neutralizzare la tossina.

Artemis lanciò uno sguardo a Lisette, ancora in sella al grifone. I myketis erano abbastanza resistenti ai veleni e la loro compagna si stava sforzando di celare il proprio malessere, ma era visibilmente debilitata.

«La città più vicina è Horville, pensi di poter trovare quello che ti serve lì?»

Dianthe annuì. «È molto probabile.»

«Bene, allora andate e fa’ in modo che si riprenda. Poi tornate a casa.»

«E voi?» domandò la canidiana. «Cosa farete?»

«Io e Persephone ci uniremo al gruppo di Rossweisse. Un paio di guerriere in più saranno utili per arrestare il Governatore di Grandeforêt. Prima però avviserò la Regina di quanto abbiamo visto.» Le mise una mano sulla spalla. «Ora andate, non c’è tempo da perdere.»

«D’accordo. Buona fortuna.»

«Anche a voi.»

Dianthe salì in sella dietro Lisette e fece spiccare il volo al suo grifone. Artemis osservò l’animale che si allontanava verso sud, sperando con tutto il cuore che la myketis riuscisse a salvarsi. Non voleva perdere un’altra compagna.

Trasse un profondo respiro e andò a prendere lo specchio magico che si erano portate dietro. Per fortuna la Regina Blu si presentò quasi subito e lei poté informarla del battaglione di ribelli nella foresta.

Il viso della sovrana tradì la sua preoccupazione. «Non pensavo che disponessero di tanti uomini. Pensi che potrebbero esserci altri gruppi armati nei paraggi?»

«Purtroppo non glielo so dire con certezza» ammise Artemis. «Le chiome degli alberi rendono impossibile verificarlo dall’alto, in ogni caso temo proprio che quella non sia la loro forza principale. Quello che mi preoccupa, oltre a non sapere di quanti uomini dispongono, è che non sappiamo dove sia il loro quartier generale. Se davvero i ribelli vogliono muovere guerra contro di noi, devono per forza avere alle spalle una solida organizzazione e molte risorse.» Attese un attimo prima di proseguire, quasi temendo che, dando voce ai suoi timori, questi sarebbero divenuti reali. «Il battaglione veniva da est, questo vuol dire che alcuni Reami Gialli potrebbero già essere nelle mani dei ribelli.»

Pentesilea rimase in silenzio. Anche lei stava considerando la stessa ipotesi avanzata dell’amazzone, tuttavia c’era qualcosa che non quadrava. «Se davvero i ribelli fossero riusciti a conquistare alcuni Reami Gialli, sono sicura che il loro Re me l’avrebbe comunicato.» Dopo un attimo però si corresse: «Anche se, ad essere sincera, in realtà non mi stupirebbe scoprire che non l’ha fatto. Nei Reami Gialli i ribelli sono sempre stati più forti che da noi, eppure anche il precedente Re Giallo non ha mai voluto farne parola. Proverò a mettermi in contatto con lui, magari riesco a scoprire qualcosa.»

Artemis annuì.

«Voi adesso cosa farete?» domandò la Regina.

«Trovare il nuovo laboratorio ormai sarebbe impossibile per noi, quindi vorrei raggiungere il gruppo di Rossweisse per aiutarla ad arrestare il Governatore. Se lei è d’accordo, ovviamente.»

«Sì, penso sia una buona idea. In ogni caso contattate Rossweisse e valutate insieme come procedere.»

«Certo, come desidera.»

Dopo essersi congedata dalla Regina Blu, Artemis dissolse l’incantesimo e Pentesilea tornò a guardare il suo silenzioso riflesso. Rimase così per alcuni lunghi secondi: voleva schiarirsi le idee, ma soprattutto doveva trovare le parole giuste per convincere il Re Giallo a collaborare con lei. Da quando era salito al trono, il nuovo sovrano non si era mai dimostrato particolarmente incline alla collaborazione. Forse non accettava il fatto che una donna ricoprisse un ruolo pari al suo. O forse non gli andava a genio che il suo governo sarebbe stato temporaneo, mentre la Regina Blu sembrava destinata a regnare per sempre: lei e il Re Nero infatti erano i due Re Immortali, avevano assunto la carica nel momento in cui le sei monarchie erano state istituite, e nessuna regola imponeva loro di rinunciarvi, né ora né mai. Il loro compito principale era di preservare la pace: i Reami Blu si trovavano tra i Reami Verdi e quelli Gialli nel continente meridionale, mentre i Reami Neri erano nel continente settentrionale e dividevano i Reami Rossi da quelli Bianchi.

La Regina Blu prese un profondo respiro ed evocò l’incantesimo di comunicazione. Era stata lei stessa a chiedere a Shamiram di elaborare quella magia e poi le aveva commissionato la produzione di diversi specchi. Alcuni li aveva consegnati ad alcuni dei suoi collaboratori più leali, altri invece li aveva fatti recapitare agli altri Re, così da avere la possibilità di contattarli rapidamente in caso di necessità.

Quando la superficie si stabilizzò, nello specchio non apparve la stanza elegante e sfarzosa che ricordava. All’inizio ebbe il timore che qualcosa non avesse funzionato, poi capì che c’era qualcosa che copriva lo specchio dall’altra parte, probabilmente un telo.

«C’è nessuno?» provò a chiamare. «Sono la Regina Blu, devo parlare immediatamente con il Re Giallo.» Attese qualche secondo, poi provò nuovamente. Questa volta udì dei rumori: dei passi, e poi delle voci. Un incantesimo le permetteva di comprendere qualsiasi lingua, tuttavia il brusio era troppo debole e non riuscì a capire cosa stessero dicendo dall’altra parte.

«Sono la Regina Blu, devo parlare immediatamente con il Re Giallo» ribadì.

Dovette attenere alcuni minuti, ma alla fine la sua perseveranza venne premiata: il telo bianco che copriva lo specchio venne rimosso e lei si trovò davanti il viso affusolato del Re Giallo. Si trattava di un elfo, aveva i capelli biondo platino e gli occhi verdi. Sembrava piuttosto contrariato.

«Buongiorno, vostra maestà. A cosa devo il piacere?» esordì, cercando almeno a parole di dimostrarsi cordiale.

«Buongiorno, vostra maestà. Vi ho contattato per discutere di una faccenda molto urgente, quindi andrò subito al punto. Alcune mie amazzoni hanno avvistato un battaglione di ribelli vicino al confine con i Reami Gialli diretto verso ovest. Temo che alcuni vostri Reami potrebbero essere in pericolo. Avete per caso ricevuto rapporti a tal proposito ultimamente?»

«Vostra maestà, vi assicuro che tutti i miei Reami sono assolutamente sotto il mio controllo: i miei Governatori mi informano costantemente di tutto ciò che accade. Se vostra maestà ha un problema con i ribelli, temo che la cosa non mi riguardi. Ultimamente sono molto impegnato, quindi devo chiedervi di non contattarmi più per informarmi dei vostri problemi di stabilità interna. Ora, se non vi dispiace, il consiglio mi aspetta.»

Pentesilea non ebbe il tempo di ribattere perché il Re Giallo si alzò e qualcuno coprì nuovamente lo specchio con il telo. Poco dopo l’incantesimo venne annullato, e a niente servirono i tentativi della faunomorfa di ripristinare il contatto.

Ne era sicura, qualcosa non andava. Il Re Giallo era spaventato, e questo non poté che accentuare la sua preoccupazione. Quanto erano diventati potenti i ribelli nei Reami a est?

***

«Ottimo lavoro, maestà» affermò l’umano. Portava una spada al fianco e tutto di lui faceva pensare ad un veterano di guerra. Aveva i capelli scuri, dello stesso colore della barba incolta. Gli occhi al contrario erano di due colori diversi: il destro era nero, il sinistro invece era verde. Questo dettaglio, unito al suo carisma, gli dava un’aura quasi mistica. «Scortate il Re nelle sue stanze.»

Un paio di soldati affiancarono il sovrano, che con fare solenne si diresse verso la porta, lo sguardo alto e fiero. Solo uno dei Sei Re poteva permettersi un portamento così orgoglioso senza sembrare altezzoso.

«Voi due, fate sparire quello specchio» proseguì l’umano, «non voglio che la Regina Blu torni a ficcare il naso.»

«Sissignore!»

L’umano seguì con lo sguardo l’operato dei suoi subordinati, dopodiché si concesse qualche momento per osservare le minuziose decorazioni di quella stanza. Vi avevano lavorato i più grandi artisti elfi e umani, e la competizione tra loro li aveva spinti ad un livello altrimenti inarrivabile. Eppure si trattava solo di decorazioni: un artificio vuoto, atto ad appagare lo sguardo, ma privo di una reale utilità.

Gli parve ironico pensare che anche lo stesso Re Giallo ormai era solo “decorativo”. Certo, poteva anche sembrare un monarca saggio, nobile e degno di ogni lode, ma in realtà era solo un fantoccio che aveva perso tutto il suo potere: gli era scivolato tra le dita a causa della sua stessa incapacità.

L’umano non ebbe il tempo di concludere la sua riflessione che un soldato gli andò incontro. «Cezarović, signore, è arrivato un nuovo rapporto da Sterrenhemel: anche lì i demoni hanno distrutto diversi villaggi.»

Sebbene irritato, Alexandr Cezarović non si scompose. Erano mesi che massacravano demoni per trasformarli in spade magiche, quindi aveva previsto che prima o poi sarebbero cominciate le rappresaglie.

«Trovateli» ordinò. «Catturateli, se ci riuscite, e portateli qui, altrimenti uccideteli ed esponeteli sulle strade più trafficate: la punizione per i fuorilegge deve essere esemplare.»

Il soldato chinò il capo. «Sissignore.»

Alexandr sapeva di avere le mani lorde di sangue, tuttavia non si pentiva di ciò che aveva fatto: quelle armi erano state il cardine del suo successo. Sotto la sua guida, i ribelli avevano finalmente spodestato il patetico Re Giallo, conquistando la maggior parte dei suoi Reami. Avevano messo fine alla tirannia, e l’autogoverno era finalmente diventato una realtà: nessuno sarebbe più stato oppresso. Ma non potevano ancora rilassarsi: dovevano portare la libertà in tutti i Reami, e allo stesso tempo dovevano arrestare sul nascere le rivolte dei demoni.

Non poteva permettere che i Reami cadessero nel caos proprio ora che il sogno dei ribelli stava diventando realtà.



Note dell’autore

Ciao a tutti!

Per restare in ambito scacchistico, direi che pian piano cominciano a mostrarsi i vari pezzi. In particolare è finalmente comparso il capo dei ribelli, ma avrò modo di approfondirlo meglio nei prossimi capitoli (e nei prossimi racconti).

Tornando un po’ più indietro, il gruppo di Artemis si è definitivamente sciolto. La felidiana e Persephone si uniranno alla squadra di Rossweisse e insieme tenteranno di catturare il Governatore di Grandeforêt.

Nel frattempo la Regina Blu si è messa in contatto con il Re Giallo, e ha intuito che qualcosa non va. Quale sia il problema, ormai è chiaro: il Re Giallo è stato spodestato dai ribelli e non ha più alcun potere.


Bene, direi che è tutto. Il prossimo capitolo sarà ancora incentrato su Artemis e le amazzoni, ma non preoccupatevi: non mi sono dimenticato di Giako e gli altri :P

A presto!


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Capitolo 19
*** 18. Luce e Ombra ***


18. Luce e Ombra

Il sole si stava preparando a tramontare quando Artemis e Persephone avvistarono il punto dove Rossweisse e le sue compagne si erano fermate. C’erano meno di trenta guerriere in tutto, ma per un attacco a sorpresa era meglio puntare sulla qualità che sulla quantità.

Le due amazzoni fecero atterrare i rispettivi grifoni e subito vennero raggiunte dalla stessa Rossweisse e da un paio di faunomorfe che si occuparono delle loro cavalcature.

«Siete arrivate al momento giusto» esordì la semidea. «Anche noi siamo arrivate da poco, possiamo riposarci ancora un po’. Quando farà buio partiremo per la capitale di Grandeforêt.»

Le due amazzoni annuirono.

«Artemis, voglio che tu sappia che sono orgogliosa di te.» proseguì il capo dell’esercito. Le mise una mano sulla spalla. «Hai dovuto affrontare una situazione molto difficile, ma sei riuscita ad andare avanti e ora, grazie a te, sappiamo che i ribelli stanno mobilitando un esercito.»

La felidiana arrossì leggermente, abbassò le orecchie e la coda le si avvicinò alle ginocchia. «G-Grazie. Ho cercato di fare del mio meglio.» Si emozionava come una bambina quando Rossweisse la elogiava, e questo la metteva sempre in imbarazzo.

«Ehi, posso vedere la spada magica?»

Al solo sentire quella voce, la pelliccia sulla coda di Artemis si drizzò. «Anche per me è un piacere vederti» affermò la felidiana in tono sarcastico. «E comunque non ho sentito “per favore”.»

Gli occhi verdi e metallici di Derinoe incrociano in quelli marroni e risoluti di Artemis, e nessuna delle due osò abbassare lo sguardo. Entrambe erano state adottate dalle amazzoni quando erano poco più che neonate, tuttavia non erano mai riuscite ad andare d’accordo. Secondo alcuni il loro malcelato disprezzo era dovuto al fatto che erano una canidiana e una felidiana, ma in realtà il problema era dovuto ai loro caratteri diametralmente opposti: Derinoe era fredda e insensibile, Artemis invece era allegra e gentile. Eppure avevano anche molto in comune: entrambe erano forti, decise e coraggiose, ed entrambe avrebbero fatto di tutto per il bene comune. Purtroppo quel “di tutto” era proprio ciò che le metteva sempre una contro l’altra: Artemis avrebbe dato la vita per salvare anche solo una persona in più, Derinoe invece non si sarebbe fatta problemi a uccidere un innocente se questo fosse servito a proteggere tutti gli altri.

Rossweisse cercò di mantenere un tono di voce pacato: «Voi due. Vi ricordo che stiamo andando a catturare il Governatore di Grandeforêt, sarebbe molto gradito se riuscite a non litigare fino alla fine della missione.»

Le dirette interessate accettarono il rimprovero senza ribattere e smisero di sfidarsi con gli occhi.

La semidea sapeva che quelle due non sarebbero mai state amiche, ma era anche convinta che, al momento del bisogno, sarebbero state in grado di mettere da parte le divergenze per raggiungere l’obiettivo comune. O almeno lo sperava.

«Questa è la spada» affermò Artemis dopo aver recuperato l’arma. Aprì i lembi di tessuto che aveva usato per coprirla e la mostrò a Rossweisse e Derinoe.

La canidiana allungò la mano per prenderla, e Artemis si guardò bene dall’avvisarla di quello che sarebbe accaduto. Appena Derinoe toccò l’elsa, istintivamente ritrasse le dita. Subito riconobbe il malcelato sorrisetto sul viso della felidiana, così si fece coraggio e strinse con forza la presa. Il grido del demone all’inizio la turbò, ma come sempre riuscì a mascherare le sue emozioni. Studiò la lama da varie angolazioni e poi provò qualche lento fendente per saggiarne l’equilibrio.

Artemis non si stupì della rapidità con cui la canidiana aveva sopraffatto la disperazione del demone. Alla felidiana era bastato toccare una volta la spada magica per capire che quelle non erano armi adatte a chiunque: erano necessarie una ferrea volontà e un’empatia pressoché nulla per impugnarle, tanto più per usarle in battaglia. In questo Derinoe non avrebbe avuto problemi, ma non intendeva lasciargliela usare. «Ehi, non è tua, rimettila a posto» la rimproverò.

La canidiana la fulminò con un’occhiataccia e allontanò l’arma per impedire all’altra di prenderla. «Se dobbiamo combattere una guerra contro i ribelli, avremo bisogno di tutte le risorse possibili.»

«Tu non puoi usare quella spada» ringhiò la felidiana.

«Non sarai certo tu a impedirmelo.»

«Silenzio!» Questa volta Rossweisse non riuscì a trattenere la propria irritazione e diverse altre amazzoni si voltarono nella loro direzione. «Artemis, dammi quel telo. Derinoe, dammi quella spada. Deciderò io chi può usare cosa, sono stata chiara?»

Le due faunomorfe abbassarono le orecchie e fecero come ordinato.

«E ora sparite dalla mia vista!»

A testa bassa le due giovani si allontanarono in direzioni opposte. Sapevano di essere state infantili, ma erano troppo orgogliose per ammettere davanti all’altra i propri sbagli.

La semidea trasse un profondo respiro per cercare di calmarsi. «A volte mi chiedo se ho fatto bene a scegliere loro due.»

«Quando verrà il momento sapranno collaborare» le assicurò Persephone. «Sono testarde, ma non così tanto da mettere in pericolo le loro compagne.»

Rossweisse rimase in silenzio, limitandosi ad osservare da lontano le due giovani. Artemis stava parlando con altre amazzoni, Derinoe invece aveva preferito la solitudine. Erano molto diverse, ma proprio per questo il mondo aveva bisogno di entrambe. «Lo spero proprio.»

***

La capitale di Grandeforêt, come tutte le grandi città, era relativamente movimentata anche di notte. Per le strade si vedevano diversi fuochi, sia magici che non, atti a rischiarare le vie e a illuminare le taverne.

Dal palazzo del Governatore, e in particolare dalle mura che lo circondavano, la vista era ancora più suggestiva. L’edificio si trovava infatti al centro della città e in una posizione sopraelevata, tale da permettergli di dominare l’intera zona.

A pattugliare l’esterno del palazzo e le mura circostanti c’erano solo quattordici guardie che a turno facevano la ronda per tenere d’occhio la situazione. In teoria avrebbero dovuto spostarsi in maniera sincronizzata, così da non lasciare mai una zona scoperta troppo a lungo, ma di fatto spesso si fermavano a scambiare battute tra di loro.

In quel momento le amazzoni stavano osservando la situazione dall’alto per decidere il momento adatto per colpire. Il fatto di cavalcare degli strigidi dava loro un grande vantaggio, tuttavia le guardie sapevano che l’attacco poteva arrivare dal cielo, quindi di tanto in tanto sollevavano lo sguardo. Non che questo servisse a molto: la luce delle due lune non era così intensa da rivelare la presenza dei loro grifoni, per di più le fiaccole che ogni guardia teneva in mano – per quanto utili a riscaldarsi – compromettevano la loro vista al buio.

Appena Artemis diede il segnale, le amazzoni fecero scendere in picchiata i loro grifoni e in perfetta sincronia aggredirono le guardie. Alla felidiana bastò un pugno ben assestato per spedire a terra la guardia assegnatale, a quel punto si affrettò a ricongiungersi con le altre per entrare nel palazzo.

Le quattordici amazzoni, guidate da Artemis e Derinoe, entrarono nel palazzo senza fare rumore, dirette verso le stanze del Governatore.

Quasi subito una guardia spuntò da dietro un angolo. Appena le vide, sguainò la spada. Fece per gridare aiuto, ma Derinoe fu rapida a tappargli la bocca con un pugno. Rapidissima lo aggirò, gli mise un braccio intorno al collo e strinse con forza. La guardia si dibatté per alcuni secondi, poi il suo corpo divenne inerte e la canidiana lo adagiò a terra.

Senza perdere tempo imboccarono una stretta rampa di scale per raggiungere il piano superiore. Di nuovo si trovarono davanti una persona, ma questa volta non era una guardia: era una donna in camicia da notte, e nel vederle cominciò subito a tremare.

Derinoe fece per scattare, ma Artemis la trattenne per un braccio. Senza distogliere lo sguardo dalla myketis, si portò una mano davanti alla bocca per dirle di tacere. Lei non conosceva la lingua locale e non disponeva di incantesimi di traduzione, così doveva affidarsi ai gesti e sperare che la donna capisse.

Per sua fortuna, la myketis si tappò la bocca con le mani e annuì, facendosi da parte. Tremava come una foglia e sembrava decisa a non opporre resistenza.

Le amazzoni passarono oltre e in breve raggiunsero la porta che dava alle stanze riservate al Governatore e alla sua famiglia. Due guardie piantonavano l’ingresso, ma questo non era un problema.

Artemis e Derinoe le aggredirono senza esitazione e in pochi istanti le disarmarono. Alla felidiana bastò un vigoroso pugno per stendere il suo avversario, la canidiana invece fece di nuovo ricorso ad una presa di strangolamento.

Artemis evocò la magia del suo pendente e con un solo calcio buttò giù la porta che le separava dal Governatore. Lei e Derinoe corsero all’interno, ma subito si bloccarono. Il letto era vuoto. Provarono a guardare negli altri locali, ma erano tutti deserti. Dov’era il Governatore?

«Che succede?» chiese Rossweisse, che si era trattenuta un attimo all’esterno per sincerarsi delle condizioni delle guardie.

«Il Governatore non c’è» rispose Artemis, delusa. «Probabilmente sapeva anche lui del nostro arrivo.»

«Forse l’hanno avvisato quando avete raggiunto il laboratorio» ipotizzò Derinoe.

«Proviamo a sentire la donna, magari sa quando è andato via» affermò la semidea, che subito ordinò di farla venire da loro.

La poveretta, sempre più spaventata, si presentò davanti a loro, il capo incassato tra le spalle e le mani strette sulla camicia da notte.

«Dov’è il Governatore?» le chiese Rossweisse in tono fermo ma gentile. Al contrario delle sue subordinate, lei disponeva di un sistema di traduzione istantaneo e pressoché universale, quindi non aveva problemi a parlare con la myketis.

«Io non ne ho idea. Credevo fosse qui…»

«Da quanto non lo vedi?»

«Da… un paio di giorni, se non sbaglio. Sì, due giorni.»

La semidea annuì. «Va bene, grazie. Puoi andare.» Attese che si fosse allontanata, quindi riferì quanto scoperto ad Artemis e Derinoe. «Dice la verità» aggiunse poi.

In quanto persona sincera e giusta, Rossweisse era una Gendarme Bianca, il colore più raro dopo il Nero. I suoi poteri le permettevano di capire quando la gente mentiva, e all’occorrenza anche di leggere la mente delle persone.

«I ribelli lo avranno avvisato» ipotizzò Artemis.

«O magari c’è una spia tra di noi» affermò Derinoe. «Rossweisse, preferirei se controllassi anche le amazzoni della nostra squadra.»

Sembrava una precauzione eccessiva, ma in una situazione del genere era meglio diffidare di chiunque.

I ribelli continuavano a essere tre passi avanti a loro: dovevano sbrigarsi a ribaltare la situazione, o il loro destino era segnato.



Note dell’autore

Ciao a tutti!

Come anticipato, anche questo capitolo è incentrato sulle amazzoni. Per la precisione abbiamo finalmente visto l’incontro (o meglio il quasi scontro) fra Artemis e Derinoe. È evidente che le due sono proprio cane e gatto, al punto che perfino Rossweisse ha perso la pazienza DX

Nonostante la reciproca antipatia, una volta scese in campo sono state in grado di mettere da parte le divergenze per catturare il Governatore. Purtroppo i ribelli sono ancora un passo avanti a loro, ma almeno si sono risparmiati l’assedio della Capitale.

A proposito: adesso che il Governatore non c’è più, a chi toccherà prenderne il posto?


Dato che in questo capitolo abbiamo conosciuto meglio Derinoe, ne approfitto per mostrarvela in versione chibi :)

Derinoe (AoD-1)

Colgo l’occasione per farvi notare il diverso stile con cui ho realizzato le orecchie. Nei disegni più vecchi (ad esempio quello di Artemis) le orecchie sembravano un po’ “appiccicate”, adesso invece credo siano più verosimili. In particolare ho voluto posizionare l’estremo inferiore più in basso, in questo modo l’orecchio interno non sarebbe più chissà dove :P


Dopo questo excursus, vi do appuntamento al prossimo capitolo, dove finalmente ritroveremo Giako e gli altri :D

A presto! ^.^


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Capitolo 20
*** 19. Fino alla morte ***


19. Fino alla morte

Il gruppo di Giako procedeva spedito per la foresta, guidato da Shamiram e dalle sue percezioni magiche.

Quella mattina si erano fermati in un centro abitato per comprare un ippolafo per Bengal, e da allora avevano fatto solo una breve pausa per il pranzo. Tutti quanti sapevano che il tempo era prezioso, a maggior ragione ora che Pentesilea li aveva avvisati dell’esercito di ribelli. Nel caso si fossero trovati di fronte un battaglione, avrebbero dovuto fare di tutto per passare inosservati. Del resto erano solo in cinque, non avevano nessuna speranza di sconfiggere centinaia di nemici. O forse sì?

“Ricordi, Pentesilea? Eravamo in tre, eppure siamo riusciti a sconfiggere un esercito.” Erano state proprio queste le parole di Shamiram, ma non erano servite a far cambiare idea alla Regina Blu. Gli ordini erano chiari, e loro erano tenuti a rispettarli.

«State pronti, siamo vicini» affermò la strega.

Era dal giorno prima che seguivano quella traccia, e ormai avevano quasi raggiunto la carovana di demoni.

«Nemici?» chiese Jehanne.

«Per ora non avverto nulla, ma è presto per esserne sicuri.»

«Io percepisco qualcosa…» esalò Alisha, gli occhi che brillavano di luce blu. «Facciamo in fretta.»

Shamiram non ebbe la prontezza di dare subito nuovi ordini, così Jehanne la anticipò: «Sentito? Diamoci una mossa!»

Tutti e cinque spronarono i rispettivi ippolafi, ma solo la strega umana rimase assorta nei suoi pensieri. Forse i suoi sensi magici non erano più raffinati come un tempo? Del resto, immortale o no, gli anni passavano per tutti.

“Forse dovrei cominciare a pensare di reincarnarmi.”

Lanciati al galoppo, gli ippolafi sfrecciarono per la foresta veloci come il vento. Dopo meno di un minuto, i cinque cavalieri cominciarono a udire dei rumori. Bengal, grazie ai suoi sensi felini, riuscì anche a distinguere delle voci concitate.

«Muoviamoci! Forse li stanno attaccando!»

Ben presto altre urla si propagarono per la cupa foresta, così da confermare i timori del felidiano.

«Ricordate: dobbiamo tenerne vivo almeno uno!» affermò Shamiram.

Giako caricò la sua balestra, Jehanne impugnò la sua spada senza estrarla, Bengal invece montò i pezzi della sua arma per farne due mezze lance.

Quando avvistarono la carovana, il caos era già padrone della zona: c’erano demoni che correvano da tutte le parti per mettersi in salvo, alcuni stavano combattendo disperatamente nel tentativo di salvare i loro cari, altri invece erano già stati presi e legati. Molti carri erano in fiamme e a terra si contavano almeno sette cadaveri.

Jehanne non perse tempo e si lanciò alla carica, subito imitata da Giako e Bengal. Shamiram e Alisha rimasero più indietro: a loro spettava il compito di coprirli e di proteggere i demoni.

Il mezzelfo, abituato agli scontri, non si fece trasportare dal turbinio della battaglia. Sparò il quadrello contro un ribelle, un umano probabilmente, dopodiché sguainò la sua spada. Un myketis lo attaccò al fianco, ma lui si difese con uno scudo di energia. Il ribelle subì il contraccolpo, e Giako ne approfittò per affondargli Balmung alla base del collo.

Un colpo a sinistra gli fece drizzare le orecchie. Si voltò di scatto, ma tutto ciò che vide fu una barriera magica. Poco dopo riconobbe un arciere in lontananza, il quale dopo meno di un secondo fu scaraventato via da un’onda d’urto.

In effetti era comodo poter fare affidamento su dei compagni, e a maggior ragione se questi avevano i poteri di Shamiram e Alisha.

Fiducioso di avere le spalle coperte, spronò il suo ippolafo a lanciarsi in aiuto di una coppia di demoni. Erano stati circondati da un manipolo di ribelli, i quali erano già pronti a legarli.

Uno dei rapitori riuscì a disarmare il demone più mingherlino e lo colpì con forza; un attimo dopo Giako lo prese alle spalle e gli tagliò di netto la testa. I fuorilegge si voltarono per affrontarlo, ma nel frattempo il Gendarme ne aveva già fatto fuori un altro. Soffocò un’imprecazione: era così abituato a uccidere i suoi nemici, da non ricordarsi che dovevano interrogarli.

Gli altri tre rapitori lo aggredirono all’unisono, terrorizzando il suo ippolafo. L’animale si impennò e uno degli aggressori lo colpì al fianco con un affondo. L’ippolafo bramì di dolore e cadde a terra, trascinando con sé anche Giako. Il mezzelfo non riuscì a trattenere un grido di dolore: il suo destriero gli aveva schiacciato una gamba, e gli spasmi di paura dell’animale non stavamo migliorando la situazione.

I ribelli aggirarono la cavalcatura per finire il cavaliere, ma Giako si difese con una barriera. Nel frattempo l’ippolafo, in quanto non-morto, ebbe modo di rialzarsi e si affrettò a fuggire, incurante del buco nel fianco, ma deciso a togliersi dai guai.

Anche Giako provò a rimettersi in piedi, tuttavia la gamba gli lanciò una scarica di dolore. Lui era bravo, ma non così bravo da tenere testa a tre avversari mentre zoppicava.

La barriera di energia andò in pezzi, ma il Gendarme non demorse. Evocò subito una nuova bolla verde e prese una delle pozioni di Alisha. Sarebbe bastata? C’era un solo modo per scoprirlo: levò il tappò e la bevve tutta in un sorso. Bastò un secondo e la magia curativa raggiunse ogni cellula del suo corpo, cancellando il dolore e amplificando le sue percezioni.

Il nuovo scudo collassò, ma Giako era pronto. Scattò di lato e tagliò le mani a quello che aveva ferito il suo ippolafo. Schivò un’ascia e decapitò il responsabile dell’attacco. L’ultimo parò il primo fendente, ma cadde nella finta successiva. Giako lo trafisse con Balmung in pieno petto e il malcapitato cadde a terra, la ferita che spruzzava getti di sangue rosso.

Il mezzelfo si voltò verso l’uomo che aveva ferito il suo fedele ippolafo, lo sguardo truce. Il ribelle, un myketis, aveva già abbozzato una striscia di sangue arancione dalla tempia fino alla mandibola, segno che era pronto a morire per la causa.

Giako sentì l’istinto di finirlo – nessuno poteva fare del male al suo amico quadrupede – ma a loro serviva un prigioniero.

Il myketis lo guardò con un sorriso di scherno. «Addiò, cane della Reginà.»

Il mezzelfo pensava che il ribelle si riferisse all’imminente colpo di grazia, invece il myketis recitò quella che sembrava una breve formula magica. In un attimo delle rune si illuminarono sul suo corpo, allarmando Giako. Il Gendarme fece un passo indietro, ma non fu abbastanza. Il corpo del fuorilegge esplose, la barriera eretta dal mezzelfo collassò e lui fu sbalzato all’indietro.

Nonostante il colpo, Giako si rialzò quasi subito. Le orecchie gli fischiavano, ma la pozione di Alisha lo aveva protetto di nuovo.

Si concesse qualche secondo per osservare lo scheletro carbonizzato del ribelle. Sapeva che i loro nemici erano disposti a tutto, ma non immaginava sarebbero arrivati a tanto.

Si guardò intorno per verificare la situazione. Alisha e Shamiram avevano messo in salvo tutti i demoni e ormai restavano solo quattro ribelli. Jehanne e Bengal si stavano occupando dei rapitori rimasti, ma adesso si erano fatti più cauti: ovviamente l’esplosione di poco prima li aveva messi in allerta.

«Giako, stai bene?»

Il mezzelfo si voltò e subito riconobbe lo sguardo preoccupato di Alisha. Annuì. «Vado a dargli una mano» affermò inclinando il capo verso l’umana e il felidiano.

In realtà non sembravano averne bisogno, ma ci teneva a rendersi utile. All’improvviso un grido lo costrinse a fermarsi. Si voltò e, dopo qualche istante, si accorse dei movimenti concitati tra i demoni messi in salvo. Che uno dei rapitori fosse riuscito a mescolarsi tra le sue vittime?

Subito corse verso di loro, deciso ad interrompere il susseguirsi di urla disperate. La prima a individuare l’aggressore fu però Shamiram, che in pochi istanti evocò una barriera per contenerlo.

Giako si aspettava un myketis, un umano o un elfo, invece l’uomo nella barriera era indubbiamente un giovane demone. Il suo pugnale grondava sangue, e come se non bastasse sulla lama leggermente ricurva brillavano delle rune inconfondibili: quella era un’arma magica.

Il Gendarme imprecò a denti stretti. Sarebbe stato troppo bello non dover affrontare una di quelle micidiali armi, ma di certo non si aspettava di vederla in mano a un demone.

Con un vigoroso tondo, il ribelle distrusse la barriera di Shamiram. Scattò in avanti, ma l’umana lo rispedì indietro. La strega fece per caricare un incantesimo, ma non accadde nulla.

«Fottuta Magia dei Re!» imprecò, rinunciando a quell’aura regale che di solito la contraddistingueva.

Il demone proiettò una lama di energia, costringendo la strega a saltare all’indietro. Questa volta la magia le riuscì, permettendole di sollevarsi abbastanza da evitare l’attacco.

A causa degli obelischi non poteva combattere al meglio, tuttavia conosceva moltissimi incantesimi più semplici con cui togliere di mezzo il suo avversario.

Il demone attaccò di nuovo, gli occhi colmi di rabbia, ma Shamiram schivò. Ancora a mezz’aria, sollevò la terra accanto al nemico, facendolo cadere a terra.

Quando la strega poggiò i piedi al suolo, Giako era già al suo fianco.

«Lascialo a me, Gendarme» ordinò l’umana. «Tu occ-»

Un’esplosione coprì la frase della donna. Il mezzelfo si voltò, e un altro ribelle si fece esplodere davanti ai suoi occhi. Jehanne e Bengal erano stati scaraventati a terra dal primo scoppio, ma entrambi si stavano già rialzando.

«Vai da loro» ribadì Shamiram, e Giako non ebbe il coraggio di ribattere.

Alisha aveva riunito gli altri demoni per proteggerli e controllarli, così il Gendarme si affrettò a raggiungere gli altri due guerrieri.

«Tutto bene?»

«Tranquillo, ho la pellaccia dura» annuì Jehanne.

«Sto bene» confermò a sua volta Bengal.

Dei quattro ribelli con cui stavano combattendo, due erano morti e due si erano suicidati. Quindi non restava nessuno da interrogare.

«Io aiuto Shamiram, voi controllate i rapitori ancora vivi» ordinò l’umana.

Gli altri due annuirono e si divisero per controllare i corpi dei ribelli.

Jehanne corse rapidissima verso il demone, la spada inguainata ma pronta a colpire. Le rune sul pugnale del nemico brillavano ancora, segno che aveva abbastanza energia per scagliare un altro attacco.

Il demone schivò di lato l’attacco di Shamiram. Vide la nuova avversaria e scoprì i denti aguzzi. Proiettò un colpo in diagonale, ma Jehanne non rallentò nemmeno. Scattò di lato, rapida come un fulmine, e in un attimo fu addosso al nemico. Per un istante i loro sguardi si incrociarono, e tutta la rabbia dell’umana si riversò negli occhi senza pupilla del suo avversario. Gli tirò un pugno in volto e lui barcollò all’indietro. Era ancora in piedi quando lei lo disarmò con un deciso colpo di spada.

Il demone, ancora intontito, provò a rialzarsi, ma Jehanne gli premette la punta della spada sul petto.

«Meglio per te se stai giù.»

Il ribelle colpì l’arma con forza. «Non mi fai paurà!» Ruotò di lato, pronto a rialzarsi.

Jehanne stava per colpirlo, ma una forza invisibile la trattenne. Qualcosa luccicò alla sua sinistra e si conficcò nel petto del demone. Era il pugnale di quest’ultimo, le cui rune si illuminarono per assorbire la nuova anima.

«Ti piace la tua arma?» lo schernì Shamiram. «Stronzo!»

Il ribelle ebbe giusto la forza si avvolgere le dita intorno all’elsa, poi cadde a terra, morto come le sue vittime.

Jehanne si voltò verso la strega. «Non avresti dovuto.» La rabbia dentro di lei non si era attenuata con la morte dell’avversario, anzi: sembrava più in collera di prima.

«Vallo a dire ai demoni che ha ucciso» ribatté Shamiram, e senza aggiungere altro andò da Giako e Bengal per leggere le menti dei rapitori sopravvissuti.

La guerriera però non demorse, la raggiunse e l’afferrò per un braccio. «Era disarmato, potevamo catturarlo. Se ti comporti così, cosa ti rende migliore di loro?»

La strega si liberò con uno strattone. Si sistemò la manica, e solo a quel punto parlò: «Io non voglio essere migliore di loro. Io applico la mia giustizia, e se non ti sta bene, puoi anche provare a fermarmi.»

Jehanne non parve minimamente intimorita. «Prova a farlo un’altra volta, e stai certa che ti fermerò.»

Alisha assistette in silenzio allo scontro verbale tra le due donne. Si sentiva in dovere di intervenire, tuttavia era troppo intimorita. E poi non sapeva cosa dire.

«Vi prego, smettetela» affermò Bengal, calmo ma risoluto. «Capisco che la pensiate diversamente, ma ricordatevi qual è il nostro obiettivo: trovare il laboratorio e fermare i ribelli. Non vi sto chiedendo di andare d’accordo, solo mettete da parte le divergenze, almeno per ora.» Le guardò entrambe negli occhi. «Dobbiamo salvare i Reami, e per riuscirci c’è bisogno di entrambe.»

Le due donne si scambiarono uno sguardo poco amichevole, poi però accettarono l’implicita tregua e Shamiram andò dai rapitori ancora in vita. Erano cinque e sembravano tutti incoscienti o molto storditi, in ogni caso Giako li stava sorvegliando da vicino per evitare che si facessero esplodere.

La strega prese un profondo respiro, raccolse la concentrazione e si connetté con la mente del primo ribelle, un myketis.

Bengal la osservò, in parte curioso e in parte impaziente. Le parole che aveva detto a Shamiram e Jehanne erano servite a calmarle, purtroppo però non sapeva quanto sarebbe durata la loro tregua. Come già sapeva, la strega era una donna egocentrica che non amava essere contraddetta, la guerriera invece si era dimostrata ancora più pura di quanto avesse ipotizzato: mai si sarebbe immaginato di vedere uno spadaccino che combatte senza sguainare la spada.

Doveva riuscire a tenerle a bada. Manipolare le persone era una prerogativa del suo lavoro, tuttavia era sicuro che non sarebbe stato per niente facile controllare le due donne. Nella peggiore delle ipotesi, avrebbe dovuto allontanare una delle due o dividere il gruppo. E per quanto Jehanne fosse forte, in realtà avevano molto più bisogno di una strega colta e potente come Shamiram.

Dopo circa dieci minuti, la maestra di Alisha finì di leggere i ricordi dei rapitori e si concesse qualche momento per riposare la mente.

«Hai scoperto dove si trova il nuovo laboratorio?» le chiese Bengal a nome di tutti.

La strega annuì. «Goldenstadt. Il nuovo laboratorio è nella Capitale Gialla.»



Note dell’autore

Ciao a tutti!

Come anticipato, in questo capitolo siamo tornati ai “primi protagonisti”, ossia Giako e Jehanne.

Di nuovo i ribelli si sono dimostrati dei nemici determinati, appunto fino alla morte. E questa volta è spuntato pure un demone tra le loro fila. Del resto nella realtà esistono i traditori della patria, quindi mi è sembrato giusto inserirne almeno uno.


Purtroppo anche dopo lo scontro la situazione è rimasta tesa. Nel capitolo precedente abbiamo “toccato con mano” l’antipatia fra Artemis e Derinoe, ma temo che il disaccordo tra Jehanne e Shamiram sia ancora più marcato. Se non fosse intervenuto Bengal, probabilmente qualcuno si sarebbe fatto male.

Proprio il felidiano è quello che più di tutti ha compreso quanto sia precaria la stabilità del loro gruppo. Riuscirà a tenere sotto controllo la situazione, o sarà costretto ad allontanare una delle due donne?


Ciliegina sulla torta: il nuovo laboratorio si trova nella Capitale Gialla, che come sappiamo è saldamente nelle mani dei ribelli.

Ma non aggiungo altro: questo aspetto verrà approfondito nel prossimo – nonché ultimo – capitolo.


A presto! ^.^


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Capitolo 21
*** 20. Senza ritorno ***


20. Senza ritorno

«Goldenstadt» affermò Shamiram. «Il nuovo laboratorio è nella Capitale Gialla.»

Bengal si voltò con disappunto, Alisha abbassò lo sguardo e Giako esalò una colorita imprecazione.

«Quanto è lontano?» chiese Jehanne al mezzelfo a bassa voce.

«Con i draghidi meno di una settimana, ma con gli ippolafi ci vorrà più di un mese.»

«E non è tutto» proseguì Shamiram. «Se il nuovo laboratorio è a Goldenstadt, vuol dire che i ribelli l’hanno già conquistata. Non mi stupirebbe scoprire che il Re Giallo è stato fatto prigioniero.»

«Cosa facciamo?» chiese Alisha, preoccupata. «Il laboratorio è troppo lontano, e anche se lo raggiungessimo, come faremmo ad infiltrarci nella Capitale Gialla?»

«Per prima cosa informiamo la Regina,» stabilì Bengal, «poi decideremo cosa fare.»

Mentre Shamiram prendeva il suo specchio, l’ippolafo di Giako andò dal suo padrone e gli diede una leggera musata su un braccio.

Il Gendarme lo accarezzò dolcemente. «Tranquillo, non ti lascio indietro. Però, cazzo, cerca di non schiacciarmi di nuovo.»

L’animale fece uno sbuffo di assenso.

***

Il grande orologio costruito sull’obelisco segnava la prima ora del giorno, eppure nella piazza centrale si era già riunita una grande folla. La voce della fuga del Governatore si era sparsa a macchia d’olio e tutti erano accorsi per sentire quello che Rossweisse, il capo dell’esercito nonché ambasciatrice della Regina, aveva da dire.

All’orario prestabilito, la semidea salì sul palco, decisa e solenne, scortata dalle sue compagne amazzoni. Indossava la sua elegante armatura da parata, blu e argentea, così luminosa da sembrare una stella. La sua presenza venne accolta da un brusio di ammirazione, ma non mancarono alcune grida da vari punti della piazza, per lo più domande di chiarimenti.

«Quella che sto per darvi è una cattiva notizia» esordì Rossweisse, la voce forte e chiara. «Jérome Grangér, il Governatore di Grandeforêt, ci ha ingannato.» Fissò la folla, cercando gli sguardi dei presenti. «Il suo compito era portare pace e prosperità a queste terre, invece è stato egoista: ha agito nell’ombra, ha tramato alle vostre spalle. Voleva vendervi ai ribelli per ottenere ricchezza e potere, ma siamo riuscite a fermarlo.» Nel dirlo si portò una mano al petto, là dove spiccava la corona blu della Regina: doveva sottolineare che quel “noi” includeva le amazzoni, ma anche la sovrana che loro rappresentavano. «Ora è in fuga, ma state certi che lo troveremo. Il suo tradimento verrà punito. Sarà fatta giustizia!» Allargò le braccia, e subito la folla rispose con un ruggito di assenso. Rossweisse attese che il vociare si attenuasse, a quel punto proseguì il suo discorso: «La nostra Regina nominerà presto un nuovo Governatore, così che Grandeforêt, la vostra casa, possa ritrovare la serenità perduta. Fino ad allora, l’incarico verrà assegnato alla mia seconda in comando: Persephone.»

La semidea allargò un braccio e fece un passo di lato, quindi la metarpia avanzò al suo fianco. Anche lei indossava l’armatura da parata: era meno appariscente rispetto a quella di Rossweisse, ma non per questo meno raffinata.

Anche Persephone fece un breve discorso davanti alla folla radunata nella piazza, Artemis però aveva altro per la mente. Prima di tutto: dov’era il Governatore? Molto probabilmente era volato a est su un grifone, dove i ribelli avrebbero potuto proteggerlo. Ci sarebbe voluto troppo tempo per trovarlo, e loro non potevano sprecare uomini: anche mentre parlavano, l’esercito nemico continuava ad avanzare.

«Sta andando meglio del previsto» commentò Derinoe.

Artemis le lanciò un’occhiata. Nessuna delle due poteva vantare una vera armatura da parata, quindi – come le altre amazzoni – stavano indossando le loro armature normali tirate a lucido. Per l’occasione la felidiana sfoggiava la sua claymore, imponente ma elegante, la canidiana invece portava la sua esotica katana al fianco e la spada magica del nemico dietro le spalle.

«Che vuoi dire?»

«Temevo che i ribelli avrebbero mandato qualcuno a sobillare la folla, invece sembra stia andando bene.»

«Merito di Rossweisse» dichiarò Artemis, fiera della propria maestra.

«Merito della loro ignoranza» ribatté Derinoe. «Imbrogliare una folla di idioti è un gioco da ragazzi.»

 «Cerca di non farti sentire» la ammonì la felidiana. Si trovavano su una balconata ed era improbabile che qualcuno le stesse ascoltando, tuttavia non voleva creare inutili disordini.

«Rilassati, non voglio certo inimicarmeli. Se, come immagino, la guerra si protrarrà, avremo bisogno anche di loro per combattere i ribelli.»

Questa volta Artemis non ribatté. I loro nemici si erano dimostrati temibili e organizzati: nella migliore delle ipotesi ci sarebbero voluti mesi a debellarli. E di sicuro il mondo non sarebbe stato più lo stesso.

La felidiana osservò Rossweisse e Persephone. Erano alcuni metri più avanti ed erano rivolte verso la folla, quindi lei poteva vederne solo le schiene. Si disse che probabilmente non le avrebbe più viste da quella prospettiva. I ribelli stavano già marciando nei Reami Blu, tuttavia i due capi dell’esercito non sarebbero andati al fronte: la metarpia doveva occuparsi di Grandeforêt fino alla nomina del nuovo Governatore, la semidea invece sarebbe tornata alla Capitale Blu e avrebbe sfruttato i suoi poteri di Gendarme Bianca per verificare la presenza di spie. Da tutto ciò ne conseguiva che sarebbero state Artemis e Derinoe a dover guidare le truppe contro i ribelli. Quando Rossweisse e Persephone gliel’avevano annunciato, la felidiana aveva sentito un brivido di terrore, ma il suo coraggio era più forte della paura.

«Non c’è che dire: hanno scelto proprio un bel momento per darci il comando.»

Derinoe si concesse un raro sorriso. «Per prendere il loro posto dobbiamo dimostrare di saper affrontare qualsiasi difficoltà. Salvare il mondo sarà un buon test.»

Artemis sorrise a sua volta. Finalmente erano d’accordo su qualcosa.

***

Alexandr stava osservando con fare pensieroso uno dei numerosi bassorilievi che adornavano il palazzo del Re Giallo. La meravigliosa opera d’arte raffigurava una battaglia fra l’armata degli dei e uno schieramento di mortali, esaltando il coraggio di questi ultimi e il loro desiderio di libertà. In un primo momento aveva pensato di far fondere quel capolavoro di metallurgia per ricavarne preziose materie prime, ma più lo osservava, e più si riconosceva nelle figure magistralmente delineate dei guerrieri mortali.

Nonostante gli sforzi dei loro antenati, il mondo sembrava tornato a secoli prima, quando gli dei soggiogavano le persone con l’inganno e le false promesse. Solo che adesso erano le persone che soggiogavano i loro simili.

Il solo pensiero gli fece rivoltare lo stomaco.

Ma adesso le cose stavano cambiando. La destituzione del Re Giallo era solo l’inizio della loro campagna di liberazione. Niente li avrebbe fermati, soprattutto ora che era aveva risolto la sua incognita più grande: Zénon Des Rosiers. L’alchimista era un tassello fondamentale del suo piano, ma in realtà non si fidava molto di lui. Il myketis non condivideva davvero i loro ideali, di questo era ormai certo, quindi doveva assicurarsi che non li tradisse. Da un certo punto di vista la perdita del vecchio laboratorio è stata quasi una fortuna: ora che Zénon si trovava alla Capitale Gialla, poteva controllarlo in maniera molto più accurata. Non era stato facile convincerlo a trasferirsi lì, ma il nuovo accordo soddisfaceva entrambe le parti.

In quel momento una guardia entrò nella stanza. «Cezarović, signore» lo chiamò il giovane elfo. «È arivato un mesaggio da Jérome Grangér: ha ragiunto uno dei nostri forti, tra meno di una setimana sarà qvi.»

«D’accordo. Grazie Busemann.»

«C’è un’altra cosa» proseguì il giovane, che nonostante l’accento parlava abbastanza bene la lingua degli umani. «I preparativi per abattere l’obelisco sono ultimati. Inizieranno apena li avrà ragiunti.»

«Ottimo. Vado subito da loro.»

L’umano mise da parte le riflessioni sul bassorilievo e si diresse a passo spedito verso la piazza centrale della città.

Gli obelischi erano il simbolo più evidente della presenza dei Re, quindi era fondamentale distruggerli tutti. Oltretutto l’obelisco della Capitale era a dir poco enorme, quindi abbattendolo i ribelli avrebbero dimostrato a tutti la loro forza.

Era giunto il momento di dare ufficialmente inizio alla loro guerra di liberazione.



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Capitolo 22
*** Epilogo ***


Epilogo

«Arrivati a questo punto, è chiaro che il Re Giallo è prigioniero dei ribelli, se non addirittura loro alleato» concluse Pentesilea in tono grave.

L’uomo dall’altra parte dello specchio magico rifletté in silenzio per alcuni istanti. Era un orco dalla carnagione pallida, aveva le iridi arancioni e degli strani segni neri sotto gli occhi, simili a righe di lacrime. Aveva un fisico asciutto ed era impossibile stabilirne l’età. «Sapevamo che una cosa del genere sarebbe successa, prima o poi» affermò. «Dopo quanto successo alla Corte Gialla, non mi stupisce che il popolo si sia rivoltato.»

Nell’ultimo ventennio ben due Re Gialli erano morti in circostante misteriose, e questo aveva comportato una grave instabilità in tutti i relativi reami. Tutti sapevano che la Corte Gialla era un nido di vipere, ciononostante gli altri Re non erano potuti intervenire perché altrimenti ne avrebbero violato la sovranità. A giovare della situazione erano stati soprattutto i Governatori: la mancanza di un solido controllo aveva permesso loro di fare di fatto quello che volevano, molti avevano aumentato le tasse e quasi tutti si erano intascati buona parte delle imposte. Come sempre ad avere la peggio era stato il popolo, costretto a patire la situazione e privo di mezzi ufficiali per difendersi.

«Havard, data la situazione, è nostro dovere intervenire» affermò Pentesilea. «Quello che mi chiedo è come dovremmo farlo. Se usassimo la nostra autorità per imporre un nuovo Re, rischieremmo solo di alimentare il dissenso.»

«Lo penso anch’io» confermò l’uomo. In quanto Re Nero e Re Immortale, aveva assistito all’evolversi del mondo insieme a Pentesilea, e sapeva che le sei monarchie avevano intrapreso un processo di mutamento ormai inarrestabile. Un processo lungo e graduale che negli ultimi anni aveva subito una repentina accelerazione, tale da metterne in pericolo l’esistenza stessa. «Una cosa è certa: non possiamo prendere una simile decisione da soli. Dobbiamo convocare quanto prima gli altri Re, e dobbiamo farlo faccia a faccia. Questi specchi sono sicuramente molto comodi, ma certe cose necessitano di guardarsi negli occhi.»

«Lo so, e sono d’accordo con te. Mi metterò in contatto con gli altri Re per stabilire data e luogo dell’incontro.» Esitò un momento. «Ora, non voglio dire che non mi fido di loro, ma temo che non tutti risponderanno al nostro appello.»

Havard sapeva esattamente a cosa si riferiva la Regina Blu: così come gli ultimi Re Gialli si erano fatti egoisti, anche altri monarchi avevano anteposto gli interessi personali a quelli dei loro popoli, alimentando il dissenso e indebolendo la fiducia nei Sei Re. Ma le parole della faunomorfa avevano risvegliato in lui un’altra considerazione. «A proposito di fiducia, c’è qualcosa che vuoi dirmi?»

L’espressione di Pentesilea tradì la sua ammissione di colpevolezza. «Immaginavo l’avresti scoperto. A mia discolpa, posso dirti che è stata un’idea di Shamiram. Ho provato a dissuaderla, ma le informazioni di Moros erano troppo importanti per andare perdute. È grazie a lui se sappiamo che il Governatore di Grandeforêt è in combutta con i ribelli.»

Havard fece un mugugno di assenso. Pur avendo rinunciato al ruolo di sua madre, lui rimaneva un semidio dell’oltretomba, quindi aveva percepito distintamente la resurrezione del felidiano. Uno dei compiti degli dei dell’oltretomba, e forse il più importante di tutti, era proprio quello di impedire ai morti di tornare tra i vivi, tuttavia non intendeva perseguire Shamiram e Bengal per quanto accaduto. Non subito per lo meno.

«Tornando ai ribelli: se hai bisogno di supporto militare, posso fornirti alcune delle mie truppe» proseguì il Re Nero.

«Grazie, Havard, lo terrò a mente. Arrivederci.»

«Arrivederci, Pentesilea.»

L’incantesimo si dissolse e i due Re Immortali rimasero immobili a osservare i rispettivi riflessi, pensierosi.

Il destino del mondo era incerto, e altrettanto incerto era il futuro delle sei monarchie. Una cosa era certa: la guerra era alle porte, una guerra come Raémia non ne aveva mai viste prima.

***

Jérome Grangér, ex Governatore di Grandeforêt, corse nella stanza e si chiuse la porta alle spalle. Ansimava, aveva i capelli in disordine e i pregiati abiti da viaggio erano tutti stropicciati.

Si guardò intorno atterrito. Appena individuò un grande armadio, vi si fiondò dentro e tirò verso di sé i battenti. Il cuore gli batteva all’impazzata: aveva l’impressione che loro potessero udirlo fin dal corridoio.

Tremante come una foglia, si rannicchiò sul fondo dell’armadio vuoto, implorando di non essere trovato.

La porta della stanza venne aperta con violenza e delle voci affollarono l’ambiente. Parlavano una lingua a lui sconosciuta, ma sapeva che si stavano avvicinando. I battiti del suo cuore divennero una raffica forsennata: l’avrebbero trovato, l’avrebbero trovato.

L’armadio venne aperto e delle braccia imponenti lo trascinarono fuori.

«No, vi prego!» esclamò l’ex Governatore, in lacrime. «Farò tutto quello che volete! Vi prego, vi dirò ogni cosa!»

Gli uomini che l’avevano trovato, due robusti demoni, non gli diedero ascolto e lo trascinarono fuori dalla stanza, poi lungo il corridoio.

Il myketis continuò a implorare, a piangere e a strillare, ma il suo era fiato sprecato.

Arrivati nell’ingresso, i due demoni lo gettarono a terra. Quell’edificio era un forte di piccole dimensioni, situato in cima a una collina per controllare il territorio circostante. Un gruppo di demoni lo aveva assalito all’improvviso e aveva massacrato tutti i soldati presenti nel giro di pochi minuti.

Qualcuno prese Jérome per i capelli e gli sollevò la testa. Solo in quel momento il myketis ebbe modo di osservare il demone che torreggiava su di lui. Aveva la pelle viola e un fisico atletico, ma in realtà non era così alto. Aveva tre corna, di cui il centrale più corto degli altri, e degli zoccoli al posto dei piedi.

«È lui?» chiese il demone a uno di quelli che aveva trascinato lì il Governatore.

Il diretto interessato, un guerriero particolarmente robusto, annuì.

Non aveva parlato la lingua dei myketis, ciononostante Jérome provò a implorare pietà. Quello che aveva davanti sembrava il capo, doveva convincerlo a risparmiarlo.

Il demone però non lo ascoltò, anzi non sembrò nemmeno capire le sue parole. Sguainò la sua spada: un’arma dal filo frastagliato e con la guardia particolarmente elaborata.

Il Governatore sgranò gli occhi: quella era una delle loro spade magiche, ne era più che certo.

«Il braccio» ordinò il capo in un dialetto elfico.

Il robusto demone di prima afferrò la mano destra di Jérome e la sollevò mentre qualcun altro continuava a tenere fermo il myketis.

«No! No, vi prego!» implorò Jérome. «Vi prego, no!»

Un grido atroce esplose nella stanza quando la lama calò sul braccio, tagliandolo poco sotto la spalla. Fiotti arancioni imbrattarono il pavimento già sporco di sangue, ma nessuno batté ciglio.

Il demone con tre corna prese l’arto mozzato e andò verso l’ingresso del forte. Un terrorizzato soldato elfo lo attendeva, piantonato da un manipolo di demoni con le armi lorde di sangue.

«Ecco il mio dono per il tuo capo» affermò l’uomo. «Con gli omaggi di Drakuzan Šjtsunen.»

L’elfo non osò parlare. Con mano tremante prese il braccio del Governatore e poi partì su un ippolafo, diretto verso la Capitale Gialla. Per avere salva la vita aveva accettato di portare un messaggio: il massacro di demoni non sarebbe rimasto impunito. Tutti i clan si erano riuniti sotto la guida di Drakuzan Šjtsunen, il demone con tre corna che aveva deciso di incarnare la rabbia e il dolore dei suoi simili. Monarchici o ribelli, non avrebbe fatto differenza: in un modo o nell’altro erano tutti colpevoli per lo spargimento di sangue innocente. E tutti quanti avrebbero pagato.



Note dell’autore

Ciao a tutti!

E così siamo arrivati alla fine di I Gendarmi dei Re. Ovviamente come prima cosa ci tengo a ringraziarvi per aver letto la mia storia :D


Nell’ultimo capitolo ho fatto una “panoramica” sulla situazione attuale. Il gruppo di Giako ha scoperto che l’alchimista è nel cuore del territorio ribelle, quindi dovranno ponderare bene le prossime mosse. Per quanto riguarda le amazzoni, sia Rossweisse che Persephone hanno dei compiti improrogabili, quindi toccherà ad Artemis e Derinoe guidare le truppe. E nel frattempo i ribelli non se ne stanno con le mani in mano, al contrario Alexandr è deciso a scoprire le carte e cambiare il mondo.

Come se non bastasse, è comparso un nuovo fronte: i demoni, che fino a quel momento sono stati solo delle vittime, hanno deciso di alzare la testa e di combattere sia contro i lealisti che contro i ribelli.

Come ormai avrete intuito, non ci sarà una guerra “buoni contro cattivi”, ma piuttosto uno scontro fra fazioni con motivazioni diverse (più o meno condivisibili).

Volendo metterla in maniera un po’ irriverente, avremo gli “abbastanza buoni”, i “tutto sommato cattivi” e i “decisamente arrabbiati”. E voi da che parte state? :P


Purtroppo non vi so dire quando pubblicherò il seguito di Age of Dusk, in compenso sto già scrivendo un altro racconto. Inizialmente mi ero messo a riscrivere Senza memoria, poi però ho deciso di “riordinare” tutte le mie storie per stabilire un ordine di pubblicazione. E ho deciso che la prima storia apparterrà alla saga Age of Epic, prequel di Age of Dusk, dove spiegherò le origini di Raémia (ma non solo).

Quindi il prossimo racconto che pubblicherò dovrebbe essere il primo in assoluto di TNCS (almeno secondo questa nuova cronologia): AoE - 1 - Eresia. Come da tradizione, ci saranno vari collegamenti con altre storie, ma non voglio spoilerare.

Purtroppo sono ancora un po’ indietro, quindi penso che il primo capitolo uscirà non prima del primo weekend di maggio (devo avere tempo di scrivere, riscrivere e riscrivere ancora :P).


Un’ultima curiosità: come ho già detto ad alcuni recensori, in futuro mi piacerebbe trasformare TNCS in qualcos’altro: prima volevo farci degli anime, o magari dei film, ora spero in una serie di videogiochi. Una cosa è certa: continuerò a lavorare sulle mie storie per renderle sempre più ampie e interessanti, quindi ogni suggerimento e/o critica costruttiva sarà d’aiuto XD


Bene, adesso è davvero tutto (per ora).

Grazie ancora per essere arrivati fin qui e come sempre alla prossima! ^.^


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