I feel so bohemian with you

di lilac_sky
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** capitolo 8 ***



Capitolo 1
*** capitolo 1 ***


Thelma si sveglia per i raggi del sole pallido mattutino che le illuminano il viso e i capelli sparsi sul cuscino, e sorride, vedendo che finalmente anche a Galway è iniziata la tregua, anche se breve, dalle giornate di uggioso grigiore. Si alza per avvicinarsi alla finestra, affacciandosi alla ringhiera in ferro battuto del piccolo balcone, quello che dà sulla baia, a quell’ora ancora affollata di barche e pescatori: inspira l’aria profumata di fresco e salsedine, mentre la leggera brezza le scompiglia i capelli già annodati dalla notte.
E si ricorda improvvisamente dell’appuntamento alle sette con Luke.
Rientra velocemente, cercando di mettere un po’ in ordine i capelli con le mani, apre l’armadio con uno scatto e ne esce una camicia smanicata bianca, che indossa velocemente insieme alla gonna ancora poggiata allo schienale della sedia di vimini: non pensa neanche minimamente di preparare per la colazione, perché è sabato, e il sabato mattina si ferma sempre al bar di Molly a mangiare qualcosa. Prende la borsa di tela bianca, lasciata la sera prima all’appendiabiti dell’ingresso, ed esce chiudendosi la pesante porta alle spalle.
Un’altra giornata è cominciata.
 
«Ecco il tuo tè, Thelma. E un muffin: offre la casa»
Come sempre si è seduta al tavolino vicino alla grande vetrata che le mostra la colorata visuale della stradina in discesa. E come sempre, Molly le ha portato la colazione, accompagnata da un sorriso sdentato: sarà che Molly ha quasi 80 anni, ma resterà comunque l’adorabile signora che ti tira su il morale con una fetta di torta di mele. E Thelma sa che potrà sempre contare su di lei, nonostante la differenza di sessant'anni di età, perché Molly O’Connery è la persona più fedele e allegra che ci sia.
Per questo sorride di rimando, arricciando il naso, perché il forte odore di cannella del tè le fa quest’effetto: affonda i denti nel morbido, profumato muffin appena uscito dal forno e dà un’occhiata all’orologio accanto al bancone. Fa giusto in tempo a girare lo sguardo verso la strada, che vede un ragazzo biondo trafelato con le mani piene di fogli e una borsa nera a tracolla correre verso l’entrata del bar. E appena sente la sedia di fronte a lei strusciare rumorosamente sul pavimento di legno e un profumo fresco di bagnoschiuma, pensa che di persone che corrono più di Luke Hemmings la mattina, non ce ne siano.
«Scusami Thelma, non ho sentito la sveglia, mi dovevo fare la doccia e dovevo ancora preparare le cose per la lezione oggi a scuola, non mi sono neanche fatto la barba» dice frettolosamente e col fiatone Luke, poggiando la pesante borsa a terra e cercando di impilare in modo quantomeno decente la miriade di fogli che tiene tra le mani. Thelma non dice niente, perché conosce troppo bene quel ragazzo da sapere che si farebbe prendere da una crisi isterica, e lo osserva mentre toglie il cappellino da baseball con uno sbuffo e si passa nervosamente entrambe le mani tra i capelli biondi, che non ha avuto il tempo di asciugare dopo la doccia.
Solo quando lo vede poggiare pesantemente le mani sul tavolo, lo guarda negli occhi e gli sorride ampiamente: lui le lancia un’occhiata confusa, ma alla fine si ritrova a sorriderle a sua volta. «Non so come tu faccia ad essere così allegra tutte le mattine: sei anche peggio di Agnes» borbotta divertito, giocherellando distrattamente con quel piercing al labbro che ha voluto farsi a tutti i costi appena finito il liceo.
«Sai, è proprio una bellissima giornata», lo ignora lei, pulendosi le labbra rosse con un tovagliolino per togliere le briciole del muffin che ha appena finito «E dovresti provare a fare le cose un po’ più tranquillamente» continua, facendolo sospirare.
«Io…sai che non è facile, Thelma: insomma, insegno in una cavolo di scuola elementare e sto studiando per la laurea, non ho un attimo libero e il tempo va troppo veloce. Insomma, oggi Agnes compie 20 anni, io ne devo fare 23 e non mi sono mai sentito così vecchio in vita mia» dice tutto d’un fiato, e Thelma ha l’impressione che tenesse dentro di sé tutte quelle cose da troppo tempo, e che l’averle buttate fuori in un attimo non abbia potuto non fargli bene. Poggia una mano su quella grande di Luke, stringendola.
«Non sei vecchio, Luke, non pensarlo neanche: fare l’insegnante è tutto quello che sognavi di fare, ti sei laureato e ora stai studiando per la specialistica, hai una sorella splendida che farebbe di tutto per te e a cui tu daresti tutto. Sei ansioso, ansioso della tua stessa vita: eppure, se ci pensi bene, ogni cosa che fai e che hai ti piace. Vivi tranquillamente, goditi ogni momento perché questa è la tua vita, e nessuno può rovinartela». Luke la fissa in silenzio, con gli occhi socchiusi. Solo dopo qualche secondo scuote la testa con una risata, lei torna a bere il suo tè e lui a sistemare i fogli ancora sparsi sul tavolo. Quando sembra aver finito, poggia i gomiti sul tavolo e comincia a guardare Thelma, che scrive qualcosa sul suo quaderno senza accorgersi del ragazzo che la sta guardando.
«Sei fantastica, Thelma» mormora, costringendola ad alzare lo sguardo per farlo incrociare con il suo, e vede le sue guance tingersi di un leggero rosso, lo stesso colore delle sue labbra, e gli occhi brillare divertiti. La vede chiudere il quaderno per metterlo di nuovo nella borsa, la vede giocherellare con gli anelli che le decorano le dita sottili e passarsi un mano tra i capelli corti, constatando come i complimenti continuino a metterla in imbarazzo, proprio come quando lei era piccola.
«Avanti, Luke, parliamo di questa festa per Agnes che poi arrivi in ritardo a scuola» dice Thelma, impaziente di organizzare questa sorpresa per la sua migliore amica, sebbene il rosso sulle sue guance non se ne sia ancora andato completamente.
E Luke sorride tra sé, notando come sia brava, lei, a cambiare argomento: poi guarda l’orologio che tiene al polso e decide che è meglio pianificare tutto adesso. Anche a costo di arrivare un poco tardi a lezione.
 
 
 
 
Thelma sta camminando per il centro di Galway, la cavigliera che tintinna lievemente ad ogni passo e i ciuffi di capelli che, mossi dal vento, le coprono la fronte.
Ha appena accompagnato a scuola Luke, che l’ha salutata con un buffetto sulla guancia, e adesso sta vagando senza una meta ben precisa.
Alla fine hanno deciso che quella sera faranno una sorpresa ad Agnes, con una festa semplice ed un numero di invitati che si può contare sulla punta delle dita, perché tanto a lei non sono mai piaciuti i festeggiamenti in grande. Hanno anche deciso che si farà tutto a casa di Thelma, che tutti sanno dov’è, e che si vedranno nel pomeriggio per sistemare il salone e per preparare qualcosa da mangiare.
“A Calum spieghi tutto tu” aveva poi liquidato la faccenda invitati Luke, promettendo che si sarebbe occupato lui personalmente delle ragazze (figurarsi) prima di sparire dietro al portone della scuola brulicante di bambini chiassosi in grembiule, e lei non aveva avuto tempo né modo di replicare. Perché è sempre di Calum che si sta parlando. Quel Calum con la pelle abbronzata, i bicipiti sviluppati e il sorriso bianchissimo, quel Calum con le mani grandi e callose per via del basso che suona da anni.
Beh, tutto questo non passa inosservato a Thelma, che vorrebbe sprofondare ogni volta che se lo ritrova vicino: e sapere che trascorrerà a casa sua un’intera serata, e che è toccato a lei il compito di avvertirlo, la fa stare male. Perché lei non è pratica a conversare tranquillamente con un ragazzo bello come lui, si sente…a disagio. Con Luke è diverso, perché lo conosce da anni: e sì, anche Calum lo conosce da anni, ed è pure il migliore amico di Agnes, ma è diverso. Semplicemente perché Luke non è Calum, non è un metro e ottantotto di assoluta meraviglia, come appare ai suoi occhi.
Lei è una ragazza timida, che si imbarazza facilmente, a cui si annoda la lingua e si annebbia la mente, impedendole di formulare una frase di senso compiuto. E per questo non vuole andare da Calum per dirgli della festa di quella sera.
Peccato che il suo passo veloce l’abbia portata involontariamente al porto, dove c’è un Calum Hood in bella vista con la pelle bruciata dal sole e una sigaretta tra le labbra, appoggiato alla barca sopra cui ha lavorato fino ad ora.
Sospira, Thelma, e raccoglie tutto il suo coraggio prima di avvicinarsi.
Spera solo di non arrossire troppo.
 
«Thelma!» esclama Calum buttando la cicca della sigaretta ormai finita a terra e rivolgendole un ampio sorriso, che lei ricambia sperando che l’ansia non abbia il sopravvento su di sé.
«Ciao» dice semplicemente, stupendosi di come la sua voce non sia risultata troppo tremolante, per cui decide di andare subito al dunque. «Oggi è il compleanno di Agnes, io e Luke avevamo pensato di fare una festa a casa mia» dice velocemente, mentre Calum si toglie gli stivali di gomma e il pantalone di cerata gialla «Dato che vorremmo fosse una sorpresa, potresti passare a prenderla con la scusa di portarla fuori, venendo invece da me».
Così tanta ansia non l’ha mai sentita nemmeno per gli esami all’università, perché Calum la sta guardando con quegli occhi scuri e un mezzo sorriso sulle labbra carnose e screpolate. «Sì, penso proprio che sia una buona idea» esclama, forse a voce un po’ troppo alta, e Thelma sorride contenta: l’ansia è passata in un attimo, pensando che tutto quello che vuole è far felice Agnes in un giorno così speciale.
Ma è solo un attimo. Perché Calum guarda l’ora sul cellulare e si accorge che il suo turno al porto quel sabato è finito.
«Senti, se non hai altro da fare qua potrei andare a casa e magari accompagno pure te» dice con un sorriso, e come può resistere, Thelma, a quel viso così bello: così è costretta ad aspettarlo, mentre lui posa la salopette impermeabile gialla e gli stivali nella stiva della barca. Scende con un salto e con l’ennesimo sorriso le fa capire che possono cominciare ad andare.
 
Thelma non sa che dire.
La sua mente, sempre così creativa, non è capace di trovare un argomento di cui parlare con quel ragazzo sorridente che le cammina accanto: ed è frustrante, per una come lei, non riuscire a pronunciare una sola parola, perché per quanto si scervelli non riesce neanche a capire cosa possa passare per la testa di Calum.
Anche se lui sembra tranquillo, perché non vede l’ora di tornare a casa e buttarsi a peso morto sul letto, stanco per la levataccia di ogni sabato per andare ad aiutare lo zio sulla barca: socchiude gli occhi, quasi nascondendoli con le pieghe della pelle che si vengono a formare agli angoli, e si passa una mano tra i riccioli neri. Thelma non lo guarda neanche, o sa già che arrossirebbe per un gesto tanto insignificante quanto affascinante per lei.
Camminano l’uno accanto all’altra, avvolti da un pesante silenzio che fa venire a Thelma voglia di piangere: una situazione così imbarazzante non avrebbe mai voluto che le capitasse, e preferirebbe di gran lunga morire di paura con un thriller al cinema, piuttosto che fare un pezzo di strada a piedi sola con Calum.
Dopo venti interminabili minuti, arrivano davanti alla porta della villetta di Thelma, che si trattiene dal sospirare di sollievo.
«Beh» esordisce lui piantando le mani nelle tasche dei jeans «Allora stasera passo a prendere Agnes alle 9..?»
«Sì, basta che ce la porti viva» scherza facendolo ridere, e Thelma vorrebbe sprofondare.
«Allora a stasera» dice, e lei ringrazia il cielo che se ne stia andando . Peccato che Calum si sporga un attimo per darlo un bacio sulla guancia in fiamme della ragazza. «Ciao, Thelma».
E dannazione, quell’occhiolino prima di girarsi e andarsene definitivamente non ci voleva. Perché il cuore di Thelma ha cominciato a battere troppo forte, e quando entra in casa sbatte furiosa i piedi per terra: perché non è possibile che ogni volta quel ragazzo riesca a farle quest’effetto.
















SALVE!
Eccomi, sono sempre io, elena/wild_nirvana.
Mh, quindi. Due parole (anche se proprio due sarà difficile).
Era da un pochino che avevo questa cosa pronta: per chi abbia letto le mie due prime OS, beh, questa è la long che sviluppa tutto e molto di più. 
Ed era da un pochino che volevo andare un po' avanti con i capitoli per capire bene se sviluppare quest'idea o no: credo che ora che ho pubblicato il primo capitolo, beh, sarò costretta ad andare avanti. E comunque mi sarebbe dispiaciuto non poco mandare a farsi friggere tutte le idee che avevo in testa.

Coooomunque. Questo primissimo capitolo (è la mia prima long, cappero) presenta la nostra protagonista, Thelma, che - sempre per chi ha letto Green Eyes, la os su di lei - diciamo mi rispecchia. Ha una vita particolare, che scoprirete più avanti.
Calum...beh, qui all'inizio mi è piaciuto in particolar modo, perchè immaginarmelo con stivaloni e cerata da pescatore è stato davvero esilarante: ma è stato il massimo. Spero che in queste vesti vi piaccia.

Se siete arrivate fin qui sotto, vi dico grazie con tutto il cuore e vi do tanti tanti bacini: vorrei davvero sapere se questo capitolo vi piace, i vostri pareri, se volete sapere cosa succederà nei capitoli successivi.
Ergo, recensite! 
è la mia prima long, non avete idea di quanto io sia emozionata e poco convinta di quello che sto facendo (ho appena pubblicato il primo capitolo? Uao).
Boh, non so cos'altro aggiungere. 
Ancora mille grazie se siete arrivate a leggere fino a qui: spero di trovare sotto il capitolo anche solo una recensione!

Tanti baci, bellezze
elena

 

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Capitolo 2
*** capitolo 2 ***


Thelma si sta mordicchiando le unghie da circa mezz’ora, nell’estenuante attesa che Agnes arrivi: Luke la guarda divertito mentre prende un sorso dalla Dreher che ha aperto senza farsi vedere, mentre a tutti gli altri non sembra importare molto del vero senso di quell’incontro, e continuano a chiacchierare come se la festa fosse già iniziata.
Guarda l’orologio sopra il mobile dell’ingresso, e si chiede se Calum non abbia per caso sbagliato strada, visto che sono le nove e mezzo passate: sospira nervosa, e dà l’ennesima occhiata al muro colorato del salone dove hanno appeso il classico festone che recita “Buon Compleanno”, controlla che le candele accese agli angoli non si siano già consumate troppo, il tavolino con gli alcolici che Luke ha voluto portare per forza, poi si gira verso il piccolo specchio del corridoio e osserva il suo riflesso.
Vede una ragazza che sembra più piccola dell’età che ha realmente, vede due occhi che brillano e esprimono una miriade di emozioni per chi li guarda, vede dei ciuffi di capelli corti che non stanno al loro posto, ma non ne è più così stupita, da quando ha deciso di tagliarli. Sobbalza quando sente la mano di quello che si rivela essere Luke poggiarsi sulla sua spalla scoperta per la fascia nera che ha indossato. «Calum dice che stanno arrivando e di spegnere le luci: ho già lasciata socchiusa la porta» dice emozionato: e come biasimarlo, è sua sorella la protagonista della serata. Thelma annuisce, passando frettolosamente le mani tra i capelli, come a volerli mettere al loro posto, ed entrambi si precipitano in salone, dove tutti hanno già trovato un posto dove accovacciarsi e da cui saltare fuori al momento giusto. Luke la fa abbassare dietro il divano, e la tensione aumenta quando sentono tintinnare il campanello collegato alla porta e il borbottio confuso della ragazza che tutti stanno aspettando.
3…2…1…
La luce si accende si scatto.
«Sorpresa!»
Ed è la cosa più bella, per Thelma, vedere la sua migliore amica con gli occhi sbarrati che si riempiono velocemente di lacrime e le mani sul viso, incredula: si fionda tra le sua braccia, stringendola come mai aveva fatto prima. «Buon compleanno, Agnes».
 
Luke le si avvicina all’orecchio con un sorriso sornione e un bicchiere di vodka in mano.
«Bella festa, eh?» biascica, già brillo nonostante siano appena le dieci e mezza. Thelma annuisce divertita, guardandolo girovagare per il salone e parlare con chiunque gli capiti a tiro: non resiste proprio agli alcolici, non ci è mai riuscito.
Si dà un’occhiata intorno, e non può non dare ragione a Luke: è proprio una bella festa, ed è riuscita alla grande. Agnes sta ridendo per qualcosa che le ha appena detto un compagno di corso, Thelma si avvicina per prenderla da un braccio, scusandosi scherzosamente con lo strano ragazzo dai capelli colorati con cui stava parlando, e la trascina con sé in cucina.
«Allora, come ti sembra la festa, neo-ventenne?» le chiede, con le labbra rosse e umide di rum e frutta. Agnes sorride, sorride come una bambina.
«È tutto fantastico, Thelma, io…non pensavo che poteste farmi sorpresa più bella!», e Thelma rischia di scoppiare a piangere da un momento all’altro. Vedere la ragazza che conosce da una vita così felice, la emoziona: per questo non dice niente, e la abbraccia forte per la seconda volta quella sera.
«Chi era quello con cui stavi parlando?»
«Oh, quello? Un mio collega che viene da Sidney, Michael, è adorabile: sì, ha gusti strani, ma è simpatico» esclama indicandoglielo: Thelma vede quei capelli color rosso acceso, come le labbra, in totale contrasto con la pelle bianca, la giacca di pelle nera e le scarpe dalla suola consumata sotto ad un paio di jeans strettissimi, da cui distoglie lo sguardo imbarazzata quando nota che il ragazzo si è girato verso di loro, probabilmente sentendosi osservato: e quegli occhi acquosi non la convincono per niente. Tuttavia, si limita ad alzare le spalle per non dare a vedere la sua perplessità, e decide di cambiare argomento.
«Luke mi ha detto che per un paio di sere non eri a casa» dice a bassa voce inconsciamente, come a non volersi fare sentire da nessun altro al di fuori della ragazza seduta sulla sedia di fronte alla sua. La vede abbassare lo sguardo con le guance che gradualmente diventano sempre più rosse: e comincerebbe a preoccuparsi, se sulle labbra sottili di Agnes non spuntasse un sorriso. Perciò le scuote un braccio, lanciandole un’occhiata che le chiede semplicemente di spiegarle cosa stia succedendo, nient’altro.
«Sono andata alla spiaggia» sussurra così piano che Thelma è costretta ad avvicinarsi un po’ «Ho conosciuto una persona»
«Un ragazzo?» chiede subito, perché è sicura che sia quello il punto. E infatti Agnes annuisce contenta.
«Ti ricordi di quel ragazzo che io e Cal vediamo sempre al bar la mattina? Quello con i capelli ricci» Thelma annuisce, l’ha visto anche lei, ed era sempre da solo «C’è lui, sulla spiaggia. Di notte. Si chiama Ashton», e quel nome non dice assolutamente nulla, a Thelma, che però sorride con l’amica e le stringe le mani.
«Agnes, un ragazzo, hai conosciuto un ragazzo! E…lui ti piace?» chiede, e Agnes sgrana gli occhi blu. «No, beh…credo..credo che sia un po’ presto per dirlo con certezza».
Ma va benissimo così, perché un ragazzo come lui è la cosa migliore che potesse capitare alla ragazza che più meriterebbe attenzioni, tra tutti.
 
«Alla fine l’ho lasciato, perché mica provavo qualcosa per lui: è stato un illuso, se l’è cercata».
Miranda Oberg ha appena finito di urlare in preda ai fumi dell’alcool la sua ennesima storia con uno dei tanti, poveri ragazzi che le cadono ai piedi, tale Jack Barrett, che in tutta la sua vita ha avuto la colpa solo di incrociare lo sguardo ammaliante della nordica che riesce ad affascinare persino i vecchietti fuori dal pub.
A Thelma, se proprio deve dirla tutta, non sta simpatica per niente, ma Luke ha voluto invitarla per forza (“Poverina, invitiamo gli amici di Agnes e non la studentessa che conoscono tutti a psicologia?”), anche se è sicura che più per pietà, l’abbia voluta invitare per la quarta di seno che quella sera ha messo bene in mostra grazie ad un vestito verde già abbastanza attillato di suo, ma reso ancora più succinto per essere stato stretto ulteriormente.
Comunque può constatare che le affascinanti avventure di Miranda riescono a mantenere viva l’attenzione di ben due ragazzi, che lei pensa di non aver mai visto fino ad allora, e persino di Paula Wilson, che ha una faccia più intelligente di quanto non sembri: forse è semplicemente ubriaca, e non capisce una sola parola di quelle che escono dalla bocca perfettamente dipinta di rosso di Miranda.
«Neanche io la sopporto, ti capisco» le mormora qualcuno da dietro, qualcuno che scopre essere il ragazzo che mezz’ora prima stava parlando con Agnes, quel… «Michael» si presenta prima che lei possa ricordarsi il nome che aveva già rimosso dalla mente, e le stringe la mano con forza «Primo anno specialistica di psicologia criminologica e investigativa»
«Un po’ complicato per una come me che è semplicemente al secondo anno della scuola di pittura all’Accademia d’Arte» risponde sarcastica Thelma, che comincia a sentirsi infastidita dalla presenza di quello strano ragazzo: lo sente ridere, sinceramente divertito dalla reazione di quella ragazza decisamente più bassa di lui.
«La tua casa mi piace» continua imperterrito, e stavolta Thelma decide di non rispondere, concentrandosi sulla vodka nel bicchiere e sulla voce di Alex Turner che esce dalle casse. «E mi piaci anche tu, sei una ragazza interessante»
«Thelma, vuoi venire fuori un momento?».
La voce ferma di Calum interrompe quella breve conversazione diventata in un attimo piuttosto imbarazzante, e i due ragazzi si scambiano un’occhiata dura mentre Thelma si irrigidisce per l’improvviso contatto del braccio teso del nuovo arrivato con le sue spalle esili: non aspetta neanche che Michael dica qualcosa, Calum, perché si gira di scatto e la trascina con sé sul balcone.
 
È appoggiata alla fredda ringhiera, ancora incredula per quello che è appena successo: se solo prova a ricostruire la sequenza di momenti di pochi secondi prima, i pensieri si mescolano tra loro e glielo impediscono. Sente le spalle e le guance che bruciano, segno che quel contatto che non c’era mai stato in tanti anni di semplice conoscenza, c’è stato davvero. Sospira impercettibilmente, per poi sussultare vedendo con la coda dell’occhio Calum che si le avvicina, dopo aver spento con la suola della scarpa la cicca della sigaretta ormai finita.
«Ti…ti senti bene?» le chiede, e Thelma annuisce soltanto perché sa già che la voce uscirebbe troppo tremante: anche se alla fine lei sta tremando tutta, pensando alla breve conversazione avuta con Michael. “Sei una ragazza interessante”, aveva detto, ma cosa voleva dire esattamente con quella frase, un ragazzo conosciuto quella sera stessa? Se lo sta chiedendo da alcuni minuti, Thelma, e se lo chiede anche adesso che è già passato un po’ di tempo dall’incontro ravvicinato con quello strano ragazzo.
«Ho visto che non ti sentivi a tuo agio, ho pensato bene di portarti via». Portarti via. Che meraviglioso accostamento di parole. «Beh, spero di non aver fatto la cosa sbagliata, ecco, volevo solo…»
«Grazie» soffia Thelma, continuando a tenere lo sguardo basso. Calum fa un mezzo sorriso, che lei non vede, e poggia la mano sulla sua schiena magra: e questa volta è lui a non accorgersi della scarica di brividi che ha percorso Thelma dalla testa ai piedi.
«È bella la tua casa, non ci ero mai stato prima d’ora» decide di cambiare argomento, per farla sorridere un po’ e toglierle dalla testa il pensiero di quella frase ambigua pronunciata da Michael.
«Me l’hanno lasciata i miei genitori quando sono partiti per Parigi»
«Ci sono un sacco di quadri appesi ai muri, sono tuoi?». Thelma scuote la testa divertita.
«Sono tutti della mamma: io non mi sento ancora pronta a guardare ogni giorno un mio dipinto»
«Però l’ho visto il dipinto che hai fatto ad Agnes» la interrompe con aria divertita, e lei si gira di scatto a guardarlo, incredula.
«Ma era nello stanzino, l’avevo messo lì per…per non farlo vedere a nessuno..!», ma questo non fa che aumentare il divertimento in Calum, che scoppia a ridere e le poggia una mano sul braccio, accarezzandolo.
«Tranquilla, non rovinerò questa sorpresa ad Agnes. E comunque un ritratto lo farai anche a me, prima o poi». Thelma ammutolisce, non sa bene se per quello che le ha appena detto o per quelle mani che ha sempre sognato e che adesso sono così terribilmente vicine. Restano in silenzio per qualche secondo che sembra non passare mai, Calum che guarda Thelma negli occhi e lei che sente la pelle bruciare, fino a quando - per fortuna..? - Luke non si affaccia dalla finestra del balcone e dice, o meglio, urla loro che è arrivata l’ora della torta. Calum scrolla le spalle, e Thelma rientra dentro in fretta senza guardarsi alle spalle.
Il sudore le ha reso le mani appiccicose.
 
La canzone di auguri è stata cantata nel modo più stonato possibile, come sempre alle feste, ma ad Agnes è sembrato non importare visto che ha spento le candeline in tutta fretta e ha subito mangiato furtiva una fragola della decorazione. A Thelma fanno ancora un po’ male le braccia per quanto l’amica l’ha stretta, contentissima per quel regalo così inaspettato che le è piaciuto più di ogni altra cosa.
Adesso sono stanchissimi, Luke si è addormentato sul divano e se ne sono andati tutti, anche Michael, che non ha risparmiato uno sguardo gelido a Calum.
«Ragazzi, grazie per la festa, davvero:ora però credo che io e Luke torneremo a casa» dice Agnes, gli occhi ridotti a due fessure per via del sonno: sveglia il fratello con una gomitata ed entrambi si alzano, un po’ barcollanti, per salutare. Thelma stringe forte l’amica. «Grazie di tutto Thelma, ti voglio bene» mormora Agnes, poi saluta anche Calum ed esce, seguita da un Luke che sembra in procinto di collassare da un momento all’altro.
«Mi sa che me ne andrò anch’io: non è che vuoi una mano a sistemare?» chiede Calum con uno sbadiglio, ma Thelma capisce che è solo una domanda di cortesia, perché così assonnato non riuscirebbe neanche a ricordare la differenza tra un bicchiere e una bottiglia. Perciò scuote la testa con un sorriso, e lo accompagna alla porta. «Buonanotte, Thelma» mormora con voce roca, abbassandosi fino al suo viso per sfiorarle la guancia con le sue labbra morbide.
È come una scena a rallentatore: il profumo che emana la sua pelle si infrange sulla sua come un’onda violenta su uno scoglio, e le entra prepotente nelle narici, mentre i riccioli dei suoi morbidi capelli neri le solleticano la tempia.
«Buonanotte Calum» sussurra, dandogli un’ultima occhiata prima di chiudere la porta e appoggiarvisi con la schiena.
Il cuore le batte veloce come quello di un uccellino spaventato, e sbatte contro la cassa toracica: con le dita sfiora il punto in cui sente ancora pulsare la lieve impronta  lasciata dal bacio di Calum, mentre le sue labbra si aprono in un sorriso e il respiro diventa irregolare.
Come può un ragazzo farle lo stesso effetto di un uragano?
 













BUONSALVE.
Eeeeeccomi qua, sono sempre io, il vostro Capo!
Ovviamente non è vero *sigh* sono sempre io, la vostra cara amica rompipalle con le sue storielle da quattro soldi.
Alluora, in questi days non ho fatto altro che andare a mare, vegetare in casa, mangiare, bere litri e litri e litri ecc. di acqua (che credevate, non sono un’ubriacona: va bene, la birra mi piace. Molto), e sono anche andata alla casa a mare di un mio amico in calabbbbria. ERGO mi sono completamente dimenticata della mia intenzione di pubblicare il secondo capitolo a distanza di una settimana dal primo, ma vbb.
Ora parlo del capitolo perché sì e perché poi parlo troppo… (…del fratello fighissimo e abbronzato del mio amico con l’anello al naso e con un sacco di tatuaggi e con il fisico atletico e che suona la chitarra e che ha 39 anni ma sembra un ventenne e ok la smetto).
 
La festa per Agnes eheh
Personalmente trovo che Agnes sia una tesorina. Mi sono dAIvertita a scrivere questo capitolo perché mi sembrava una cosa carina. E poi perché in questo capitolo c’è GORDON.
Eh sì, non poteva mica mancare, nononono: e specifico che ho deciso di metterlo con i capelli rossi, perché, beh, con i capelli rossi era veramente il sesso. E prima o poi se li deve rifare in quel modo perché sì.
Ostilità tra Calum e Michael, mhmh. E Calum che dice scherzando a Thelma che gli dovrà fare un ritratto: e sì, questa cosa mi piace molto, e basta non vi dico più niente perché sono cattiva.
 
Comunque. Fatemi sapere che ve ne pare, dolcezze: spero di riuscire ad andare avanti col quarto capitolo (sì, il terzo è già bello cotto e mangiato), così faccio in modo di far succedere tante cose carine. Sì sì.
Va bene, la smetto di parlare.
Vi voglio bene, tanti bacini e un abbraccio (gianni morandi fa male, ricordate)
 
elena


 

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Capitolo 3
*** capitolo 3 ***


L'inizio di una nuova settimana è traumatico per tutti.
Ma non per Agnes.
 
Agnes vede il lunedì come un'opportunità, la possibilità di far sì che i sette giorni a seguire siano sempre più belli di quelli appena trascorsi: per Luke è un po' diverso, perché lui vede il lunedì come sinonimo di stanchezza, lavoro e infinita pazienza. Anche se alla fine gli piace da morire avere quattro classi di bambini di sei anni a cui insegnare, perché lui adora i bambini.
Agnes si alza col sorriso sulle labbra, sveglia Luke e insieme fanno colazione, ché è quello il momento perfetto per trascorrere del tempo insieme, seduti ad uno stesso tavolo, con le menti ancora annebbiate dal sonno, sì, ma consapevoli che attimi preziosi come quelli non si scordano facilmente: Agnes proprio non capisce come possano certe persone fare sempre colazione al bar, quando è a casa che uno dovrebbe sedersi dopo aver preparato una tazza di latte, o del caffè, o un toast su cui spalmare la marmellata. Si veste con tutta la cura che è solita mettere in ogni cosa che fa, e quando esce con la borsa di tela che pende dalla spalla e la carpetta in mano, è contenta e ansiosa di cominciare un'altra giornata al Murray Centre.
 
Il Murray Centre è l'unica casa di accoglienza per ragazze madri lì a Galway, ed è uno dei più antichi edifici che ci siano nella città. È un bel posto, considerato che è circondato dal verde e si trova in una posizione abbastanza centrale della città, cosicché si possa avere più o meno tutto a portata di mano.
Il progetto di psicologia sperimentale che l'Università ha deciso di avviare ha coinvolto anche Agnes, che non vedeva l'ora di ottenere un'occupazione in questo campo: per questo tre giorni alla settimana è occupata al centro per aiutare e parlare con chiunque passi di lì. "Avere sempre a che fare con queste realtà non è facile, Agnes", le aveva detto (e continua a ripeterle) Luke, che sa quanto la sua sorellina sia fragile, ma che ha visto quanto lei si sia rivelata più decisa ed entusiasta del previsto.
In effetti non sempre si è rivelato facile instaurare un minimo rapporto con alcune ragazze, ma Agnes non si butta mica giù, no. Alla fine molte si rivelano aver bisogno del suo aiuto, o perlomeno di un sostegno da parte sua: e, oh, lei è contentissima di questo.
È felice di essere, finalmente, utile per qualcuno.
 
«Buongiorno». Agnes saluta con un sorriso Paula, l'altra ragazza del suo corso scelta per il progetto, seduta dietro la disordinata scrivania piena di scartoffie e bicchierini vuoti di caffè.
«Oh, ciao Agnes» sembra risvegliarsi lei, smettendo per un attimo di scrivere sulla sua agenda «Josh chiedeva di te».
Josh è un paffuto bambino di due anni, figlio di una delle ragazze che si sono stabilite lì al centro: Agnes si è particolarmente affezionata a lui, nonostante l'iniziale approccio non sia stato dei migliori. Un po' per Rose, la madre, e un po' perché Josh è molto timido: anche se alla fine Rose ha ceduto all'aiuto di Agnes e ha fatto sì che il figlio potesse passare un po' di tempo con quella giovane studentessa di psicologia.
Agnes annuisce, prima di posare la borsa sulla sua scrivania e dirigersi verso la sala giochi, dove sa che lo troverà. Percorre i corridoi illuminati dalla luce chiara del sole che entra dalle finestre lasciate aperte per la bella giornata, e quando raggiunge la sala vede subito Rose parlare con altre due ragazze, mentre tiene il piccolo Josh in braccio: questi si dimena e allunga le braccia, mentre la vede avvicinarsi a lui.
«Ciao Agnes» la saluta Rose, seguita dalle altre due con cui stava parlando, sorridendo.
«Rose, Lia, ciao..Juno, come stai?» chiede rivolgendosi alla ragazza con i lunghi capelli neri che qualche giorno prima sembrava avere un po' di influenza. Juno sorride timidamente, dando una fugace occhiata al piccolo che dorme tra le sue braccia.
«Tutto bene, la febbre mi è passata: ho trovato lavoro, sai? Nella biblioteca regionale» dice a voce bassa, e Agnes subito la abbraccia contenta.
«Oh, Juno, è meraviglioso! Tu, Rose?». La vede alzare le spalle, rassegnata.
«Niente da fare, non ho ancora trovato niente»
«Oggi vedo di informarmi per qualcosa, mh?», poi si rivolge a Josh e gli gratta il nasino «Ma quanto sei bello oggi!». Lui ride, e batte le mani paffute.
«An-Annes»
«Si chiama Agnes, Josh, Agnes» lo corregge Rose divertita mentre glielo mette in braccio «Hai sentito che verrà una nuova?»
«La direttrice non mi ha detto niente» mormora stupita mentre il bambino giocherella con i suoi capelli.
«Dicono che venga da Dublino» dice Lia, per poi andare dalla figlia che sembra essersi fatta male per essere caduta sul pavimento.
«Oggi chiedo alla direttrice di questa ragazza, quando torno in ufficio chiedo a Paula di cercare un lavoro qui vicino»
«Agnes?»
«Dimmi tutto, Rose». Le prende le mani e la guarda fissa negli occhi.
«Grazie per tutto quello che fai per noi». Agnes guarda il sorriso riconoscente che le ha appena rivolto, e non può non sorridere a sua volta.
Lavorare in quel centro è la cosa più gratificante che le sia mai capitata di fare.
 
«Ecco qui!». Sono quasi le otto di sera quando Agnes piomba nella stanza ben ordinata di Rose, che la guarda confusa, e anche un po' spaventata. Si mette seduta sul letto e mette un segno al libro che stava leggendo e fa cenno ad Agnes di sedersi sulla sedia di fronte a lei. «Ti ho trovato un lavoro». Agnes scandisce piano ogni parola che dice, soppesandola bene prima di farla uscire dalla sua bocca, ed è visibilmente emozionata mentre parla: e sorride ancora di più quando vede Rose coprirsi la faccia con entrambe le mani, incredula.
«Stai scherzando»
«Oh no, mia cara, ecco il posto dove lavorerai ogni fine settimana: un locale qui vicino, non troppo affollato, ma che è frequentato abbastanza a tutte le ore per farti avere una paga che ti permetterà di mettere finalmente dei soldi da parte». Le mostra il foglio con il contratto stampato, e Rose non potrebbe essere più felice di così, anche se..
«E Josh?» chiede in un sussurro «Come fará negli orari in cui non ci sarò?»
«Ci penseranno le altre: Paula è qui, il sabato, e per quanto riguarda la domenica ci sono pur sempre le altre ragazze. E comunque, Josh ha due anni: se la può cavare, e lo sai bene anche tu».
Agnes è sempre stata una ragazza convincente. "Hai una carriera mancata di venditrice porta a porta", le dicevano sempre, e in effetti Agnes sarebbe capace di vendere la più inutile delle cose facendola sembrare la cosa migliore che ci sia.
Per questo Rose la abbraccia di slancio, senza dire una parola, perché fidarsi di qualcuno non ha mai fatto male a nessuno.
E non è male per una diciottenne scappata di casa con la responsabilità di un figlio sulle spalle.
 
Quando Agnes esce dal cancello arrugginito del Murray Centre, è così stanca che pensa se ne andrà a dormire senza neanche cenare: chi se ne importa se Luke comincerà a farle la predica, perché tanto probabilmente si addormenterà in piedi appena metterà piede in casa.
Ha lavorato abbastanza, per quel giorno, tra sedute con alcune delle ragazze, il lavoro che ha cercato per Rose e le tante carte da compilare: ha fatto tutto quello che c'era da fare, sì, ma una giornata intera lì al centro, stanca.
Non c'è molta gente in giro, è ora di cena e tutti sono nelle proprie case seduti intorno al tavolo della cucina o della sala da pranzo, o magari con un cartone di pizza sulle gambe mentre si è intenti a guardare un film in televisione, appoggiati comodamente al morbido schienale di un divano. Agnes e Luke mangiano sempre insieme, una specie di tradizione che non hanno intenzione di abbandonare: dopo la colazione Agnes va all'università o al centro, Luke va a scuola. Dopo il pranzo Agnes studia, mentre Luke si chiude in camera per preparare le lezioni del giorno seguente; dopo cena Agnes sale in camera sua con l’intenzione di andare a dormire, Luke, invece, la sera va nel vecchio studio del padre e resta lì, ad ascoltare i vecchi vinili impolverati dal tempo. Agnes lo capisce questo viscerale attaccamento alla figura del padre che prova suo fratello, perché se fosse al suo posto, probabilmente anche lei reagirebbe in quel modo.
Andrew Hemmings, una volta chitarrista di discreta importanza che teneva concerti in giro per l’Irlanda con il suo gruppo di amici fanatici del rock, ha abbandonato tutto per l’improvvisa scomparsa della sua amatissima moglie avvenuta subito dopo la nascita della secondogenita: reputandosi non abbastanza “pronto” per crescere un bambino di appena due anni e una neonata, ha preferito lasciarli alla zia, piuttosto che badare lui stesso ai suoi figli. E una volta raggiunti i diciotto anni del maggiore, ha deciso di dare loro la casa e andarsene via, pur mandando loro la quota per i beni di prima necessità.
Un vigliacco, direbbero in molti, ma non Luke: è cresciuto insicuro, e lo è rimasto. Insicuro su tutto, si è ritrovato sulle spalle la responsabilità di una sorella due anni più piccola di lui, dovendo fare da padre in ogni situazione: è a questo che è dovuta l’ansia perenne che gli attanaglia lo stomaco quando non vede Agnes tornare a casa in orario, o quando, malinconica, la vede chiudersi in camera sua senza dargli spiegazioni. Luke sente il bisogno di una figura paterna, e per questo ogni sera si immerge in quel mondo di musica e libri che è lo studio del padre, nel tentativo di sentirlo, in qualche modo, vicino. Non è uno che porta rancore, Luke, no: vorrebbe solo una persona su cui contare, quella persona che gli è mancata sin dall’inizio.
Agnes semplicemente vorrebbe che Luke stesse più tranquillo, avendo anche lei raggiunto la maggiore età da due anni e non trovandosi in chissà quale metropoli in cui si sarebbe potuta sperdere più facilmente: vivono sotto lo stesso tetto, lui ha un lavoro per avere almeno un po’ di soldi nel conto postale e lei studia. Non hanno nulla di cui preoccuparsi, nulla. Finché resteranno insieme, niente e nessuno potrà sconvolgere le loro vite.
 
È a tutte queste cose che Agnes pensa nel tragitto dal centro a casa sua, e la stanchezza le pesa sugli occhi come un grosso macigno. Non pensa neanche ai messaggi di Calum che non ha ancora avuto il tempo di leggere, e neanche a Luke che sicuramente l’avrà chiamata per chiederle a che ora arriverà: spegne il telefono ed è contenta, scollegata da tutti. Non pensa neanche all’ansia di Luke, non pensa a niente se non al vento della sera che le si insinua sotto i vestiti e che le fa venire una leggera pelle d’oca. Guarda le strade illuminate dai piccoli locali, e pensa che abitare a Galway le piace e le è sempre piaciuto: l’Irlanda è la sua terra, e si sente sempre così a casa che non vorrebbe mai andarsene di lì.
Sta per imboccare la strada che la porterà a casa, quando si sente chiamare con voce lieve: una voce calda, che pronuncia il suo nome con la stessa morbidezza di un petalo di rosa che cade per terra. Si gira ed è sorpresa di trovare Ashton a pochi metri di distanza da lei, che le sorride e si passa una mano tra quegli indomabili capelli ricci.
«Ciao Ashton» mormora lei con il rossore che si sparge lentamente su tutte le guance. Si sente sempre così imbarazzata, quando parla con un ragazzo, e con lui.
«Stavi…stavi tornando a casa?»
«Beh, io…sì. Sono uscita ora dal lavoro» e sente un certo orgoglio nel definire quel trascorrere tre giorni a settimana nel centro un vero e proprio lavoro. Si guardano sorridenti e imbarazzati per qualche secondo, indecisi sul da farsi, quando lui rompe il silenzio, con forse troppo entusiasmo nella voce.
«Ti, mh, andrebbe di mangiare qualcosa? Sai stavo tornando anch’io a casa perché ho finito di studiare da un mio amico, e se anche tu stavi tornando a casa e non hai mangiato, beh, noi potr-»
«Sì» lo interrompe lei «Mi farebbe molto piacere».
Il sorriso sul volto spigoloso del ragazzo si allarga, e le fa cenno di seguirlo lungo la strada.
E non le importa se Luke continuerà a chiamarla mentre il suo telefono è spento sul fondo della borsa, perché in quel momento non riesce a pensare a nient’altro se non a quel ragazzo dai capelli dorati che le cammina accanto.
 
«E quindi alla fine il professore mi ha detto di presentarmi al prossimo appello d'esame».
Sono seduti sul muretto dietro al piccolo locale in cui hanno mangiato, ed è da due ore che parlano, parlano, parlano. Per Agnes non c'è cosa più bella dell'ascoltare quel ragazzo, con la sua voce che le entra nelle orecchie e lì risuona, ad ogni parola, ad ogni sillaba. Ha riso ad ogni battuta che lui ha fatto, ha scoperto che lavorava in un negozio di musica, prima che iniziasse l'università, e che suonava anche la batteria. Adesso stanno un attimo in silenzio, prima che entrambi inizino a parlare nello stesso istante.
«Oh, scusami, parla prima tu»
«No, no, tranquillo, prima tu». Ashton passa una mano tra i capelli e si schiarisce la voce.
«Senti, tu...» mormora, si schiarisce la voce di nuovo e punta lo sguardo altrove «Tu, sai, cioè io...ecco, Agnes..». Si blocca e sospira, mentre il cuore di Agnes batte così forte da toglierle il respiro. Sfiora la mano gelida della ragazza con la sua, bollente, e lei sussulta.
«Sei...bellissima» mormora con voce così bassa che Agnes crede di aver capito male. Vorrebbe chiedergli di ripetere, per farle capire: ma nessuna parola le esce dalla bocca, e la sua mente non riesce a formulare niente se non pensieri sconnessi.
«Non dire niente, Agnes, solo...te lo dovevo dire: perché non potevo tenerlo solo per me per molto altro tempo»
«Ashton, io...»
«Non dire niente» ribatte con un lieve sorriso.
Agnes resta in silenzio, ma i suoi grandi occhi blu sgranati e il sorriso che si è fatto largo sul volto arrossato valgono più di mille parole.
 
Ashton l'ha accompagnata fino a casa e se n'è andato via, lasciandole una carezza sulla guancia e sussurrandole la buonanotte: lei l'ha guardato camminare lentamente per la strada, con le mani nelle tasche della giacca e i capelli mossi dal vento, mentre la pelle ancora bruciava per quel leggero, bellissimo contatto.
«Luke, sono a casa» esclama a voce non troppo alta. C'è solo il rumore delle chiavi che poggia sul piattino del mobile all'ingresso, e il frusciare del cappotto che si sfila e appende all'attaccapanni, quello a forma di papera che hanno costruito loro quando erano piccoli. «Luke» ripete, legando i capelli in una coda e camminando verso il salone «Sono a-».
Si blocca. Luke è in piedi davanti a lei, e il sopracciglio alzato e le braccia conserte non promettono niente di buono.
«Ciao, Agnes, bell'orario per tornare a casa» sbotta, facendole cenno con la testa di guardare l'orologio appeso al muro.
«Sono le dieci e mezza, non è tardi»
«Ma tu uscivi dal centro alle otto, giusto? E saresti dovuta tornare per cena» «Ho...ho incontrato un...un amico» mormora, senza capire. «Avresti potuto avvisare: e poi perché non rispondi al telefono? Perché lo spegni e non ti fai sentire?»
«Sono solo rimasta fuori a cena, adesso sono tornata»
«Non capisci, Agnes» esclama lui alzando la voce. Ad Agnes comincia a tremare il labbro, mentre la vena sulla tempia di Luke comincia a pulsare man mano che lui continua a parlare. «Io ti aspetto sempre, qua, e tu neanche un cazzo di messaggio per dirmi quello che fai»
«Ho vent'anni, ormai, Luke»
«Vent'anni un cazzo, Agnes!» urla «Vivi con me, io sono tuo fratello e dovrei sapere quello che fai, perché sono ancora responsabile di te».
«Beh, allora sappi una cosa: non sei mio padre, non puoi dirmi cosa devo fare in ogni momento»
«Ma tuo padre non c'è, maledizione!». Luke tira un pugno al muro e si passa le mani tra i capelli fino a tirarne le punte.
Cala il silenzio. Agnes è immobile, nel corridoio, con gli occhi spalancati e il respiro corto. Luke si strofina la faccia con le mani e sospira, nervoso.
Non sa che fare, Agnes, e a dire il vero non lo sa neanche Luke.
Non hanno mai avuto molte discussioni in tutti quegli anni, perché sono sempre stati quel genere di fratello e sorella che vanno d'accordo come pochi. Ma adesso...adesso qualcosa si è incrinato. Qualcosa che fa pensare ad Agnes che forse lei, di un padre, ha sempre avuto bisogno: come Luke. Non ne avevano mai parlato, ma con quella frase Luke le ha fatto capire che la loro è una grande mancanza, e che Luke la sente ora più che mai.
Prova ad avvicinarglisi, piano, e ad accarezzargli la guancia, ma prima che lei gliela sfiori soltanto lui si scosta bruscamente. Come scottato.
«Lucas, io...»
«Appena esci dal Murray devi tornare subito a casa» dice con voce grave. Poi, quando sembra che se ne stia andando in camera, si gira di nuovo a guardarla. «Ti voglio troppo bene, Agnes, lo capisci? Non posso perderti»
«Ma non mi perderai, Lukey» mormora, usando quel nomignolo ripetuto sempre da bambina. Lo vede scuotere la testa.
«Se continuerai così, credo che succederà il contrario di quello che dici».
E se ne va, accompagnato dal rumore dei passi pesanti e stanchi sul pavimento e dalla porta della camera che sbatte.
 
Agnes non riesce più a pensare, quella sera.
Perché le lacrime le hanno riempito gli occhi e le mani le tremano così forte da impedirglielo.












SALVE.

Ed ecco a voi questo terzo capitolo!
Come avrete sicuramente capito (ed è ovviamente ovvio), è tutto concentrato sulla carina e coccolosa Agnes, che mi piace troppissimo: sarà che mi ricorda la mia omonima, fantastica amica ( e sì, fantastica lo è davvero). E il bello è che è un personaggio della mia storia, mhm.

Comunque. Qui si cominciano a scoprire delle cose sul perchè Luke e Agnes vivano da soli, insieme: dietro a queste cose c'è sempre un motivo, ricordate. E niente, sulla loro storia non credo ci sia molto da dire, visto che ho scritto tutto nel capitolo.
Agnes "lavora" in un centro per ragazze madri, e questo è un fattore importante dello svolgimento dei fatti: mi piaceva molto l'idea di inserire una realtà così complicata come quella delle ragazze che, non decidendo di abortire, si trovano  a dover badare ad un figlio,  e per un motivo o per un altro vanno in centri di questo tipo. Credo se ne parli veramente troppo poco, ma d'altronde i temi di cui non si sente parlare sono infiniti.
Poi c'è Ashton nnhhh *sospiro*: l'avevo inserito nella os Si Alza Il Vento, quindi non è un personaggio "così" nuovo come può sembrare. Niente, li shippo troppo io stessa, figuratevi: sono due teneroni, loro due.
Verso la fine del capitolo, poi, si vede bene che qualcosa cambia tra Luke e Agnes: ma non crucciatevi troppo, vedrete cosa succederà più avanti.
Credo di aver finito: grazie a chi legge questa storia, vedere il numero di visualizzazioni di ogni capitolo mi fa sorridere da sola. Grazie a chi ha recensito fino ad ora, se voleste lasciare un vostro parere, ogni critica è ben accetta!
Grazie ancora, spero che tutto vi stia piacendo.
Tanti bacini (che sono una garanzia),

elena

 

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Capitolo 4
*** capitolo 4 ***


Le dita che sfiorano i tasti.
Il bianco e il nero che sembrano fondersi insieme, tanta è la delicatezza con cui le mani scorrono su e giù per la tastiera del pianoforte. Nero, lucido, riflette ogni cosa.
Etude op. 10 n. 3. 
Un brano meraviglioso, un susseguirsi di magici passaggi, un alternarsi di lento e veloce, piano e forte: qualcosa che solo Chopin avrebbe potuto comporre.
Chiude gli occhi, e la vede, la Parigi dell'Ottocento, le dame nei salotti e la musica che esce dalle case che si affacciano sulle strade affollate.
Chiude gli occhi e pensa alle campagne della Provenza color violetto di lavanda.
Pensa al mare, a quel Mediterraneo di cui suo padre parlava tanto nei suoi dipinti: mille sfumature di blu mescolate insieme, che si confondevano con l'azzurro limpido del cielo senza nuvole.
Pensa all'alba, pallida, che illumina la baia di Galway in un modo che non si vede da nessun'altra parte nel mondo.
Pensa all'odore della carta e dell'inchiostro, pensa a...
 
...a niente, visto che il campanello suona ininterrottamente da qualche minuto, costringendola ad allontanare le mani dal pianoforte per alzarsi e andare ad aprire la porta senza nemmeno chiedere chi è.
Anche perché davanti a lei si ritrova Michael, con un sorriso sghembo a illuminargli gli occhi - già abbastanza luminosi normalmente - e le mani piantate nelle tasche della giacca di pelle rovinata.
«Ciao Thelma» la saluta con nonchalance, mentre lei abbassa imbarazzata la maglietta che ha addosso, fin troppo corta. E poi, non ha intenzione di dare troppo spettacolo delle sue gambe ad uno di cui conosce a malapena solo in nome.
«Ciao, Michael» scandisce sospettosa, aggrottando le sopracciglia: perché mai quel ragazzo si trova davanti a lei, in quel momento?
«Io, uhm, ti disturbo?» chiede grattandosi la nuca.
Sì, carino, stavo suonando Chopin e mi hai interrotta nel bel mezzo del mio studio preferito 
«No, tranquillo: avevi bisogno di qualcosa?» gli chiede cercando di nascondere nel miglior modo possibile il tono dubbioso della sua voce. Dal viso di Michael scompare ogni traccia di senso di colpa, e un sorrisetto si fa largo sul suo viso.
«Ti va di uscire a mangiare qualcosa per pranzo?».
Chiaro, diretto e conciso: vorrebbe sviare l'invito, Thelma, ma lui l'ha praticamente messa con le spalle al muro. Si guardano, lei è chiaramente spaesata.
«Mh, va bene: dammi il tempo di prepararmi» dice, ed è indecisa se farlo entrare in casa o lasciarlo fuori: ci pensa lui a toglierle ogni dubbio, ovviamente, aprendo di più la porta e andando a passo spedito nel salone. Perciò Thelma è costretta a salire al piano di sopra per trovare qualcosa di più decente e consono da mettere: non ci tiene in particolar modo ad " acconciarsi", visto che è di Michael che si parla e di un'uscita improvvisata sul momento. Dopo aver infilato un paio di jeans e una vecchia camicia presa dall'armadio del padre, pettina i capelli con la spazzola che tiene sempre sul comodino, e scende di corsa le scale infilandosi le scarpe di tela e rischiando di cadere e magari rompersi qualche osso: prima vanno a pranzo, prima torneranno a casa, no?
«Già pronta?». Michael si gira a guardarla e non trattiene un sorriso, che Thelma proprio non riesce a decifrare. Annuisce soltanto, prende la borsa e le chiavi di casa ed escono entrambi. Lei che sorride, un po’ forzata.
 
Stanno camminando da circa un quarto d'ora, riscaldati dal sole che per una volta ha deciso di farsi spazio tra le nuvole e illuminare le strade lastricate bagnate della pioggia che ha fatto la notte prima, facendole brillare.
Hanno parlato della festa, di quanto fosse bella la casa di Thelma e dell'università, anche se a lei non dispiacerebbe sapere il motivo di quell'uscita. E sta giusto per chiederglielo in modo molto diplomatico, ma lui la tira per un braccio in un piccolo locale togliendole tutto dalla mente per qualche secondo.
È il "Fermory Lasses", la trattoria quasi vicina al porto, dove dicono che facciano il salmone affumicato più buono di Galway: e anche il più costoso, motivo per cui Thelma non ha mai messo un piede lì dentro, mentre adesso invece si ritrova a contemplare incantata il legno intagliato del soffitto e i numerosi dipinti a soggetti marini che decorano le pareti. Un forte profumo di erbe aromatiche le riempie le narici e la fa sorridere, isolandola da tutto il resto per un attimo.
«Ci sediamo qui, Thelma?». È Michael che la riporta con i piedi per terra, indicandole con la testa un tavolino più appartato, in un angolo: lei annuisce, e si accorge che ancora non ha detto niente da quando sono entrati lì.
«Sì, qui va benissimo» dice, ed è più un sussurro, ma Michael chissà come sorride comunque e si toglie la giacca di pelle, appendendola allo schienale della sedia. Thelma continua a guardarsi intorno, anche dopo essersi seduta, perché non va spesso in posti di quel genere: e anche da piccola, i suoi genitori non la portavano mai nei ristoranti.
«Stai pensando a qualcosa?» le chiede il ragazzo di fronte a lei, con un mezzo sorriso.
«Oh, beh, questo posto è davvero molto bello»
«Già» è la sua unica risposta, mentre continua a guardarla. E lei si sente un po' messa in soggezione, sotto quello sguardo così penetrante, così limpido, così mare: e per questo abbassa gli occhi sul menu, cercando un pretesto per non guardarlo negli occhi, ma un cameriere le mette davanti un piatto e le riempie il bicchiere di un vino chiarissimo e profumato. Guarda Michael, in cerca di una spiegazione, ma quello si limita a sorriderle e alzare il suo, di bicchiere.
«Ma non avevamo ordinato..!»
«Può darsi che io abbia prenotato prima» la sorprende, sempre con quell'ambiguo sorriso sulle labbra rosse. Thelma alza le sopracciglia, confusa.
«E come sapevi che avrei accettato?» chiede, ma questa volta lui non risponde, limitandosi ad un occhiolino. Poi comincia a mangiare.
E a Thelma si è quasi chiuso lo stomaco.
 
«Allora, Thelma».
Hanno finito da mezz'ora di mangiare, e sempre da mezz'ora stanno camminando senza una meta ben precisa: alla fine Thelma non avrebbe avuto molto da fare a casa, ed è per questo che ha deciso di restare. Perché Michael è un tipo strano, oltre che per il fatto che le ha anche offerto il pranzo.
Sono arrivati al porto, e Thelma si guarda involontariamente intorno alla ricerca di due occhi scuri: che non trova.
«Sei sempre così pensierosa»
«Mi conosci a malapena da qualche giorno, non puoi dire che lo sono sempre» ribatte, calciando una pietra della strada di ghiaia che scende fino al mare: Michael le si affianca di più, fino a far sfiorare le loro braccia. E Thelma comincia a sentirsi a disagio, così vicina a quel ragazzo. Decide di cambiare discorso.
«Agnes mi ha detto che sei di Sidney: perché sei venuto qua?»
«Per la specialistica: non mi sono laureato in psicologia qui, e dopo quest'anno me ne andrò di nuovo»
«E dove?»
«In America. O sempre qua in Europa. O torno in Australia, chissà».
Camminano, uno di fianco all'altra, Thelma che sente uno strano mal di pancia. Michael le fa cenno di sedersi su una di quelle panchine di legno rivolte verso la baia, quelle che piacciono tanto a lei e ad Agnes, i loro punti di ritrovo nei grigi pomeriggi invernali.
Non parlano per qualche secondo, entrambi persi nei loro pensieri, e Michael continua ad avvicinarsi sempre di più, sempre di più al suo viso accaldato.
È tutto così veloce e surreale, eppure Thelma riesce a raccogliere tutta la sua lucidità e a scostarsi. E di nuovo quella strana sensazione che la convince sempre di più a non fidarsi di quel ragazzo, che come al solito fa finta di nulla e le sorride.
Come se niente fosse successo.
Eppure, il respiro di Thelma fatica a regolarizzarsi. I suoi occhi non sanno dove posarsi. Le sue mani non vogliono stare ferme.
E Michael continua ad avere quel sorrisetto stampato sulle labbra rosso sangue.
«Sei bella, Thelma» le dice, e una scarica di brividi le percorre la schiena. Non vuole sentirsi dire quelle cose da Michael, da quel ragazzo che ha conosciuto per caso al compleanno di Agnes, da quel ragazzo di cui non sa che pensare. Chissà perché riesce ad annebbiarle la mente e non farla ragionare: e questa cosa non le piace. Non le piace come la guarda, non le piace quel sorriso, non le piacciono quegli occhi acquosi che le trafiggono il corpo come mille spilli. E no, non riesce a fidarsi, di Michael.
L’avviso di un messaggio appena arrivato la fa sobbalzare: è Luke.
Si alza di scatto.
«Devo...devo andare. Grazie per il pranzo, Michael» riesce in qualche modo a balbettare, e se ne va. Fa in tempo a sentire la voce di Michael che dice «A presto, Thelma», poi gira l'angolo e corre verso casa.
 
Sebbene le sue iniziali intenzioni fossero quelle di tornare a casa, togliersi quei fastidiosi pantaloni di dosso e parlare con calma al telefono con Luke, ora Thelma si trova davanti alla porta della villetta vicina al bar di Molly, con il fiatone e il dito premuto sul campanello.
Non appena sente dei passi pesanti farsi vicini dall’interno, cerca di ravvivare con entrambe le mani i capelli sconvolti dalla corsa appena fatta e arrotola le maniche della camicia, finché la porticina di legno davanti a lei si apre e le mostra la - non molto bella - visuale di un Luke con le occhiaie, i piedi scalzi, la barba cresciuta più del solito e i capelli anche più spettinati dei suoi.
Thelma sospira, prima di spingerlo di nuovo dentro e chiudersi la porta alle spalle con un calcio: Luke in quelle condizioni non l’aveva mai visto, e la cosa non può che preoccuparla. Senza dire una parola si dirigono entrambi verso la cucina, classico luogo di riunione per gli amici in quella casa.
«Che vuol dire “Ho combinato un casino”?» gli chiede senza troppi giri di parole, ché tanto in quel momento non servono. Luke si siede sul tavolo e mantiene lo sguardo fisso sul pavimento, e deve passare qualche lungo, pesante secondo di silenzio prima che si decida a risponderle.
«Agnes. Non mi parla.» mormora, e a Thelma viene da piangere a sentirlo parlare così.
Perché se Luke è il fratello maggiore di sangue di Agnes, allora è anche il fratello maggiore che Thelma non ha mai avuto.
«Ieri sera…ho alzato la voce, non sono riuscito a controllarmi» continua «È che mi sembra di non riuscire a starle dietro, io le voglio troppo bene, voglio che lei stia bene così anche io starei bene. Ieri sera ho fatto la cosa più brutta del mondo» mormora sfregandosi il viso con le mani, senza preoccuparsi minimamente delle mille ripetizioni nella frase appena pronunciata, e una lacrima gli bagna la guancia quando Thelma lo abbraccia senza dire niente. «Le ho detto che suo padre non c’è, ma me ne sono pentito subito dopo. Perché quel padre è anche mio, e la verità è che non tornerà mai più: gli ho sempre mandato un sacco di lettere, e chissà perché continuo a farlo. Per il suo compleanno, per Natale, Capodanno…ma lui se ne frega, e Agnes non mi vorrà parlare più» sbotta, tirando un pugno sul duro legno del tavolo.
Troppa tristezza, nella voce di Luke: e rabbia, perché solo adesso si è reso conto di quanto sia stato vigliacco quell’uomo, e solo adesso ha capito che sì, senza di lui se la sono cavata, ma che nonostante tutto di un padre avrebbero avuto tanto bisogno.
Thelma riesce a capirlo, in qualche modo, perché anche lei ad un certo punto della sua vita ha dovuto salutare i suoi genitori, consapevole che non li avrebbe rivisti fino a chissà quando. E per questo gli accarezza la schiena, mentre lo abbraccia, provando a dirgli che lei c’è sempre, in qualche modo.
«Sai, non credo che Agnes non ti voglia parlare più: è solo un momento, solo…aspettala, va bene?» gli dice con la sua voce calma. Luke tira su col naso, e sembra proprio un bambino.
«Tu dici?». Thelma annuisce sorridente, e gli posa un bacio sulla guancia con una smorfia per il pizzicore che le provoca la barba a contatto con le labbra, che invece fa ridere il ragazzo.
«Grazie Thelma, io...ti voglio bene, veramente» mormora soffiandosi il naso in un fazzoletto di carta «Se...se devi andare a casa, tranquilla, puoi andare: io credo che metterò un po' di ordine qua». La ragazza annuisce, grattandosi il nasino all'insù, poi decide che sia meglio tornare a casa sua e saluta Luke con un sorriso prima di uscire dalla porta d'ingresso.
 
È durante la strada del ritorno, poi, che si sofferma un attimo su tutto quello che le è successo in quelle poche ore.
Michael che l'ha invitata a pranzo fuori, dicendole quel "sei bella" per la seconda volta nel giro di pochi giorni, con quel suo sorriso e quello sguardo che le fanno venire i brividi. E non può fare a meno di pensare a Calum perché sì, anche gli occhi di Calum posati su di lei le fanno venire i brividi, ma sono brividi...diversi. Con Calum lei si imbarazza, ma con Michael si spaventa: e più ci pensa, più vuole sapere cosa passa per la mente di quel ragazzo con i capelli rosso fuoco.
 
Poi è andata da Luke per consolarlo, perché non potrebbe mai lasciare uno come lui in balia dei suoi troppi pensieri: lo conosce abbastanza da sapere che ciò porterebbe solo a brutte conseguenze. Luke e Agnes sono sempre stati il fratello e la sorella più affiatati del mondo, e hanno appena capito cosa può fare la mancanza di entrambi i genitori.
E lei? 
Lei, Thelma? Chi ci pensa a lei? È sempre stata generosa nei confronti degli altri, ma chi è stato così generoso con lei?
Sì, Agnes è la sua migliore amica e Thelma sa bene che farebbe di tutto per lei: ma il fatto è che forse lei tiene tutto troppo dentro. Le sue preoccupazioni, si limita a scriverle in un pezzo di carta, dove rimarranno sempre impresse, e i suoi amici lo sanno bene, ma a voce non le dice mai: non le tira mai fuori. E a lei è sempre andata bene così, ma adesso chissà come qualcosa le ha fatto pensare che forse, di una persona che la consolasse, avrebbe avuto bisogno.
 
Entra in casa che sono quasi le quattro del pomeriggio: il sole è tornato a nascondersi dietro grosse nuvole grigie, gonfie di pioggia. Con molta probabilità ci sarà un temporale.
E Thelma sospira, perché quando quella sera il cielo tuonerà non ci sarà nessuno a stringerla tra le braccia.














EHM.
Non so bene come cominciare questo spazio autrice: forse inginocchiandomi e implorare il vostro perdono per aver fatto passare così tanto tempo dall'ultimo aggiornamento..? Sì, credo proprio che questo sia l'inizio giusto.
Veramente, scusatemi: è solo che boh, non riuscivo ad andare avanti e anche se questo capitolo era pronto da tipo un mese, non ne ero pienamente sicura. E non sono sicura neanche ora della riuscita di questa cosa qua che avete letto. Perciò, scusate, scusatemi di nuovo, mille volte.

E chiedo scusa anche a tutte le fanciulle che amano Michael alla follia e non avrebbero voluto vederlo fare la parte del "cattivo": ma il fatto è che ce lo vedevo troppo a  fare l'antagonista nella storia, sorry. In questo capitolo c'è solo un piccolo assaggio del nostro caro RedHead (che poi ora è pure tornato biondo: non so voi, ma io non riesco a stargli dietro per tutti questi cambi di colore sulla zucca), credo: non crucciatevi, ne vedrete delle belle. Che frase di merda, ma fa niente.
Thelma è una piccina che vorrebbe solo una vita tranquilla, ed è dall'introduzione che lo dico: con tutti questi personaggi che sto mettendo non possono non succedere taaaaante cose belle/brutte/chi lo sa.
Luke è boh, posso dire che lo amo alla follia? (scusate, ma la parentesi per la Luke's beard devo metterla per forza: POSSO MORIRE PER TUTTA QUELLA BELLISSIMA BARBA SUL SUO BELLISSIMO FACCINO) 
Mi stavo mettendo a piangere mentre scrivevo tutta la scena di Luke infinitamente triste e oddio, questa storia mi sta prendendo veramente tanto.

Comunque, vogliamo parlare di Jet Black Heart? Non so, perchè sono tutti e quattro così maledettamente sorprendenti? Tutta la strofa cantata da Michael è stato come stare in paradiso: e l'armonia perfetta del ritornello. Boh, ditemi qualcosa voi, pls, ho bisogno di sentire qualche sclero su questa canzone.


Come sempre, grazie per chi ha recensito gli scorsi capitoli, leggere nuovi pareri mi riempie il cuoricino di gioia: vabbè che sono parecchio emozionalmente instabile in quasto periodo per un sacco di cose, però sono contentissima di ricevere recensioni. Una delle gioie della vita, davvero, e alla faccia del "mai na gioia".
Grazie mille per chi ha inserito la storia tra preferite/ricordate/seguite. Siete la mia felicità. Anche voi lettori fantasma, vedere il numero di visualizzazioni della storia che cresce è favoloso.

Vi adoro. Tanti bacini e a presto (si spera),
elena

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Capitolo 5
*** capitolo 5 ***


*se non vi scoccia leggete lo space author in fondo, ci terrei un pochino*


Ogni mattina, Calum sorride.
Prima di scendere al piano di sotto, appena sveglio, si alza dal letto poggiando i piedi sul pavimento freddo, si guarda allo specchio attaccato al muro. E sorride. Gli piace guardare ogni espressione del suo viso prima di cominciare un’altra lunga giornata, con le guance ricoperte da quel leggero strato di barba che lui puntualmente toglie, gli occhi socchiusi di chi non ha dormito il numero di ore previste e i capelli neri che sembrano voler seguire mille direzioni.
E quella mattina non fa eccezione.
Nota divertito che le occhiaie sotto gli occhi gli danno un'aria più da bambino, assonnato com'è, e infila le pantofole ai piedi per scendere al piano di sotto, da cui proviene profumo di caffè e pane tostato: non sa cosa farebbe se non ci fosse sua madre che prepara sempre la colazione anche per lui, nonostante sia ormai grande e vaccinato. La vede sorridere, appena mette piede in cucina, e non può non ricambiare con un bacio.
«Ciao mamma»
«Buongiorno, tesoro» continua a sorridergli «Dormito bene?»
«Una meraviglia» risponde frettolosamente per precipitarsi a stritolare le bambine sedute già a tavola «E le mie due marmocchie preferite come hanno dormito?» esclama sollevandole entrambe, facendole scoppiare a ridere. Una risata cristallina, allegra, quella risata bambina che lo rende veramente felice. Iris e Cora sono le due persone per cui farebbe davvero di tutto.
«Calum, mettici giù!» ride Cora scalciando con i piedini, mentre Iris gli morde un braccio e lo costringe a lasciarle a terra.
«Sempre più belva tu, eh?» esclama scompigliandole la frangetta, e ricevendo una linguaccia e un sorrisetto sdentato come risposta. Prende una tazza di caffè e afferra una mela al volo, prima di sedersi di fronte alle due gemelle, che hanno ricominciato a mangiare il loro pane con la marmellata. Come ogni mattina. Una mano morbida gli sfiora piano i capelli, e quando alza lo sguardo incontra quello profondo ed eloquente della madre.
Joy è sempre stata il suo punto di riferimento, anche se quando il padre se n'è andato senza più dare notizie di sé i ruoli si sono invertiti, e le due bambine - allora di soli due anni - sono diventate il motivo per cui lui è dovuto andare avanti a testa alta.
«Oggi puoi accompagnare tu le bambine a scuola?» gli chiede lavando le tazze vuote che le piccole hanno lasciato sul tavolo per andare a vestirsi. Lui annuisce, dando gli ultimi, veloci morsi alla mela e correndo di sopra a lavarsi. Non ha nemmeno il tempo di tagliarsi quel minimo di barba cresciuta durante la notte, o fará tardi: l'acqua fredda del rubinetto lo aiuta a svegliarsi un minimo e trovare la lucidità necessaria per indossare dei vestiti decenti e non dimenticare i quaderni per gli appunti che infila nella borsa a tracolla nera: quando torna al piano di sotto, Iris e Cora stanno già litigando su chi tra loro ha lo zainetto più bello, e gli piace sentire le loro vocine squillanti mentre si infila il giaccone pesante e il cappello grigio. Fa freddo, quella mattina.
«Andiamo, pesti» annuncia per richiamare la loro attenzione, e dopo aver salutato la madre con un cenno della mano, le fa sedere in macchina facendo loro allacciare bene le cinture.
«Allora, che cosa farete oggi a scuola?» chiede abbassando il volume della radio, perché far sentire a due bambine di sette anni una canzone come Platypus dei Green Day, non è esattamente la cosa migliore che un fratello maggiore e responsabile possa fare.
«Il maestro Luke ha detto che ci fa inventare una storia»
«Che bello il maestro..!» sospira Iris sognante.
«Ma Calum è più bello!» esclama piccata Cora, smettendo di giocare con le punte dei capelli «È vero, Cal?»
«Non lo so, Cora, non posso dirlo io» risponde divertito, evitando per un soffio una macchina che è passata col semaforo rosso: le due bambine ricominciano a parlare tra loro, fino a quando non arrivano sani e salvi nel parcheggio della scuola. Calum scende e slaccia le cinture alle sorelline, che impazienti corrono verso i compagnetti poco più avanti.
O almeno, Cora corre. Una manina picchietta dolcemente sulla coscia del ragazzo, e gli occhioni scuri di Iris sembrano trapassarlo da una parte all'altra.
«Cal, ma la tua fidanzata dice che tu sei più bello del maestro Luke?» chiede con la sua vocina. E a Calum quasi viene da piangere per la sinceritá con cui gli è stata posta quella domanda così ingenua. Le accarezza la testolina coperta dal cappello di lana a forma di panda che a lei piace tanto, e si piega per darle un bacio sulla fronte e sistemarle meglio la sciarpa sul collo perché non prenda freddo.
«Io non ho una fidanzata, Iris: ma quando ne avrò una, lo dirà senz'altro». Lei annuisce soddisfatta, e lo saluta con un delicato bacino sulla guancia.
La guarda raggiungere la sorella e abbracciare gli altri bambini. E sospira.
E pensa che forse, di una ragazza nella sua vita, lui ne avrebbe proprio bisogno.
 
«Sì, Mr Swan, le dico che l'affitto è stato pagato: potrei anche controllare tra le ricevute, ma ora non sono a casa e mia madre è in negozio. Sì. Sì, certo, grazie mille. A presto»
Calum butta il telefono nella borsa con uno sbuffo e si passa una mano tra i capelli, andando indietro ad appoggiarsi allo schienale della sedia su cui si è buttato non appena è entrato nel bar vicino l'accademia. Sbrigare le faccende economiche della famiglia non lo entusiasma per niente, ma è necessario che lui aiuti sua madre, che non sarebbe capace di risolverle da sola.
Sono le nove e quella mattina Agnes non ha ancora dato notizie di sé, ma non è una cosa di cui preoccuparsi tanto: spesso lei fa così, non si fa sentire. Ed è per questo che sarà Calum a chiamarla e chiederle cosa sia successo, perché un motivo per Agnes c'è sempre.
«Cosa prendi?»
La voce scomoda, annoiata, totalmente inespressiva della cameriera gli arriva alle orecchie come la cosa più inopportuna che gli potesse capitare: ma lui non ha la stoffa del ragazzo scortese, ed è per questo che le sorride senza troppe difficoltà. D'altronde, con le ragazze lui se l'è cavata sempre piuttosto bene.
«Un cappuccino con schiuma, e un cornetto, per favore».
Ah, le buone maniere: Joy l'ha educato bene, su questo non c’è alcun dubbio. Calum sbadiglia e si stropiccia gli occhi con una mano, e subito dopo la sua attenzione viene richiamata dallo scampanellio della porta d'ingresso del bar, da cui entra il titubante ricciolino di cui hanno parlato tanto lui e Agnes.
Lo guarda, scrutandolo attentamente: gli è sempre piaciuto osservare ogni minimo dettaglio di quello che lo circonda, e guardare quel tipo è il massimo. È buffo, impacciato, timido nei movimenti, che rischia di inciampare ad ogni passo: eppure ha capito che ad Agnes piace, è palese.
Ashton si guarda intorno, e quando si gira dal lato del ragazzo seduto al tavolino nell'angolo, alza le sopracciglia assumendo un'espressione decisamente stupita: che lo diventa ancora di più quando Calum gli sorride ampiamente e gli fa cenno di raggiungerlo.
«Ciao!» esclama, e rischia di scoppiare a ridere da un momento all'altro per la faccia da pesce lesso del biondo ora seduto di fronte a lui «Sono Calum»
«Ashton» mormora visibilmente confuso. E come biasimarlo.
Ha i capelli ricci raccolti in un codino, e una bella barba gli incornicia le guance e il mento: mentirebbe a se stesso, Calum, se dicesse di non essere un po' invidioso.
«Ti sembro uno sfacciato, vero?» gli chiede con un mezzo sorriso, addentando il cornetto che la cameriera gli ha appena portato su un piattino.
«Oh, beh, io...» mormora. Calum si chiede se quel ragazzo sia capace di formulare un'intera frase di senso compiuto senza balbettare «No, non sei uno sfacciato. Cioè, non secondo me: io non sarei comunque capace di parlare ad uno sconosciuto in questo modo»
«Però ora lo stai facendo» lo interrompe Calum «E poi non siamo così tanto sconosciuti, noi due. Ti vedo tutte le mattine lì, seduto a quel tavolo» dice indicando con la testa un tavolino poco distante, addossato al muro. Lo sguardo di Ashton sembra illuminarsi.
«Tu sei...sei sempre insieme ad Agn-»
«Ad Agnes, sì» lo interrompe per la seconda volta, eppure al suo interlocutore sembra non dispiacere. «Lei ti piace. Tanto. Si vede».
Nessuna frase è mai stata così vera, e lo sanno entrambi: perché Calum sorride, e le guance di Ashton arrossiscono di poco in un secondo. Il moro guarda l'ora segnata sul telefono e trangugia la sua colazione in un attimo: è la volta che arriva tardi a lezione. Raccoglie le sue cose sotto lo sguardo confuso del ragazzo che gli sta di fronte.
«Piaci tanto, a lei: merita proprio qualcuno come te» dice guardandolo fisso negli occhi, poi se ne va, lasciando Ashton seduto al tavolino di un bar qualunque, a pensare a due occhi blu come il mare di notte e ad un sorriso timido sulle labbra screpolate.
E sì, a lui Agnes piace. Da morire.
 
Esce dall’aula di storia della musica contemporanea che ha il cervello ridotto in una strana marmellata di natura indefinita, ma con il sorriso sulle labbra perché anche quella mattina ha finito la sua routine di lezioni lì all’accademia: adesso nessuno può impedirgli di tornare a casa e buttare giù qualche riga della canzone che ha cominciato a scrivere la sera prima.
Uscito nel cortile per accendersi la tanto desiderata prima sigaretta della giornata, prova a pensare a delle frasi sensate da inserire nel testo di quella bozza di canzone senza titolo.
«See a match, no, a war…pronto, mamma?» risponde al telefono notando poco lontano un gruppetto di ragazze che lo guardano di sottecchi e ridacchiano. Proprio come tante oche.
«Calum, hai finito la lezione? Ti ho disturbato?». Le domande a raffica della mamma non mancano mai.
«Sono uscito ora, dimmi»
«Ho tutta la giornata da fare qui in negozio, ho dimenticato di dirtelo: puoi andare a prendere le bambine all’uscita da scuola e le porti a casa? La campana suona tra dieci minuti»
«Va bene, adesso vado: ci vediamo stasera?»
«Sì, torno per le otto: per il pranzo avevo preparato ieri qualcosa, è tutto in frigo»
«Ok, ciao ma’»
«Ciao tesoro». Infila il telefono nella tasca del jeans, e nella strada da lì alla macchina fa finta di non sentire le risate acute di quelle ragazze con i capelli tinti e le borse firmate: gli viene un po’ da ridere, perché a lui mica interessa di essere trovato “figo” da quelle là. Non sa nemmeno se si possa reputare un ragazzo di bell’aspetto, a dire il vero.
Entra in macchina e parte senza nemmeno allacciarsi la cintura, perché tanto la scuola elementare è solo a pochi isolati di distanza. Butta la cicca della sigaretta finita dal finestrino, si ferma per far passare una vecchietta sulle strisce pedonali e alza il volume della radio sentendo le prime note di “I’m gonna be” dei The Proclaimers.
«When I wake up, well I know I’m gonna be the man who wakes up next to you…» canta tenendo il ritmo della canzone con le mani sul volante: alla fine del primo ritornello è già arrivato davanti al cortile della scuola, brulicante di genitori impazienti di vedere uscire i propri figli da quell’edificio per portarli a casa. Chiude la portiera con un calcio e, le mani nelle tasche del giaccone, si appoggia comodamente al cofano aspettando che la campanella suoni.
Driiiiiin
Che fastidioso suono, e che rumoroso brusio da parte di quella massa di persone che, Calum ci scommette, vorrebbero essere da tutt’altra parte piuttosto che stare in piedi, al freddo, ad aspettare che i propri lamentosi figli afferrino le loro mani di pietra e li trascinino verso casa.
Inizialmente non riesce a vedere le due gemelle: solo dopo un paio di minuti, i loro bei faccini stanchi fanno capolino dal portone principale. Il volto di Cora si illumina tutto a un tratto non appena vede Calum che le saluta con entrambe le mani e un sorrisone sul volto, e corrono verso di lui venendo acchiappate dalle sue braccia calde e accoglienti. Proprio come quelle di un papà.
«Fratellone!» esclama Iris.
«Ciao, marmocchie»
«Dov’è la mamma?» chiede Cora facendo prendere il suo zainetto in spalla al ragazzo alto il doppio di lei.
«La mamma è a lavoro, tornerà stasera: andiamo a casa?» chiede retoricamente, mettendole entrambe a sedere con le cinture allacciate. Vede in lontananza Luke che lo saluta con un gesto della mano, che lui ricambia sorridendo, poi sale anche lui in macchina e mette in moto. Direzione, casa.
 
Hanno finito di pranzare da un paio d’ore, lì a casa Hood, e le due gemelle si sono addormentate sul divano mentre giocavano i loro orsetti di pezza: Calum le ha coperte con un plaid ed è rimasto a guardarle per un po’, così, in piedi davanti alla porta del salone.
Sono così belle, Iris e Cora, e meritano di essere trattate come principesse, e Calum ci prova, a fare la parte del loro principe: per loro farebbe davvero di tutto. Porterebbe loro la luna, se solo potesse.
Ora è seduto sulla penisola della cucina, anche se sa che è una cosa che Joy proprio non sopporta: ha completato un’altra strofa della canzone, e gli accordi alla chitarra la fanno sembrare anche più bella.
Gli piace comporre canzoni, è una delle cose che gli vengono meglio. I suoi testi parlano di amori impossibili, di riscatti, di quella forza necessaria per affrontare tutti i problemi: le sue musiche sono dure, incisive, spesso anche un po’ aspre, che descrivono luoghi e giorni ed esperienze mai vissute.
Gli piace immaginare, perché a lui sarebbe piaciuto andare a studiare a Londra, ma non se la sarebbe mai sentita di lasciare sua madre da sola insieme a due bambine che ancora hanno tanto da vivere e vedere. Gli sarebbe piaciuto fare così tante cose che ormai ha anche perso il conto: eppure, beh, tutto quello che fa, lo fa perché gli piace. E ogni volta riesce a metterci tutto se stesso.
È soddisfatto della sua vita? Sì, lo è eccome: a Galway ha trovato tutto. Una città tranquilla, il mare, la passione per la musica, degli amici stupendi. Pensa a tutti quelli che ha potuto conoscere nei suoi ventun anni di vita.
Agnes, la biondina con cui ha stretto quell’amicizia che sembra non finire mai.
Luke, che è il fratello grande un po’ di tutti.
Poi…
Poi sorride, pensando a Thelma Morton: non sa neanche lui il perché.
 











ALLORA.
*si nasconde un angolo e alza timidamente una mano in segno di saluto* ehilà………!
Guardate un po’ chi si rivede, la stronza che, oltre ad aver cambiato nickname, non aggiorna da circa un’era geologica. Dolcezze, stelle splendenti del cielo, brillantini sbriluccicanti, io vi voglio bene, e chiedo il vostro perdono. Mi prostro ai vostri piedi e cospargo di lacrime il pavimento: scusatemi. Davvero.
Quasi inutile dirvi che la colpa è tutta della scuola, che mi prende un sacco di tempo ecc ecc.
 
*scusa di merda* *EPIC FAIL*
 
Sì, beh, non è vero che è colpa della scuola. Cioè, solo in parte: il problema sono io, che sono un lurido verme verminoso che non riesce ad andare avanti con i capitoli e scrivo e cancello diecimila volte. MA il prossimo capitolo è finito e non ho intenzione di modificarlo perché NO, e ho anche iniziato il settimo. Mi porto avanti col lavoro mhmh, sono una brava bambina (non è vero)
Tralasciando questa schifosa introduzione, passiamo allo schifoso capitolo che avete appena letto. Non posso farci niente, non sono sicura della riuscita di questa, uhm, cosa, anche perché allo scorso capitolo non ci sono state recensioni. E no, non sono una di quelle che muore se non ha recensioni, solo che mi aiuterebbero a recuperare un po’ di autostima e a darmi la voglia di continuare la storia. Ecco tutto.
Calum Thomas Hood è il vero protagonista del capitolo, come avete potuto constatare: non è troppo carino? *versi incomprensibili che dovrebbero descrivere il mio reale entusiasmo*
Dai, è un tenerone, il fratello maggiore perfetto: e poi BOOM, Iris e Cora. Che non vedevo l’ora di inserire nella storia, aggiungo anche.
 
Mi sto dilungando (come sempre), vorrei dirvi un sacco di cose ma sono troppe e non le ricordo. Beh, restando in tema 5sos, Hey Everybody! è una canzone favolosa. E il video è veramente troppo troppo trash ma WHO CARES.
Poi, super notiziona: (molto probabilmente) VADO AL LORO CONCERTO A ROMA IL 14 MAGGIO.
Cioè, la prevendita dei biglietti è domani, ma MOLTO molto probabilmente ci vado ed è questo l’importante: dopo più di un anno che li ascolto e circa un anno che li seguo seriamente, finalmente il mio momento è arrivato. Non ho parole per descrivere la mia felicità estrema in questo momento.
 
Va bene, va bene, vi lascio.
Lasciate un parere, se vi va. Tanti bacini,
elena

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Capitolo 6
*** capitolo 6 ***


non sei mio padre, non puoi dirmi cosa devo fare in ogni momento.

 

Ma tuo padre non c'è, maledizione!

 

 

Luke apre gli occhi di scatto.

Guarda l’ora, sono le quattro del pomeriggio: di solito non dorme dopo pranzo, lui. Che poi quando è tornato da scuola nemmeno ha mangiato, a dire il vero.

Si strofina la faccia con entrambe le mani, sospirando così piano che persino lui fatica a sentirsi, e si tasta le guance: da quanto tempo non si rasa? Forse da una settimana, forse meno, chi lo sa. Eppure ogni mattina, appena sveglio, gli passava la voglia di prendere in mano schiuma da barba e rasoio: adesso pensa che forse avrebbe bisogno di una sistemata, ma subito questo pensiero viene scacciato da un altro.

Si alza dal divano, guarda la giacca che ha buttato a terra appena entrato in casa e la montagna di temi da correggere sparsi sul tavolino. Si piega a recuperare un paio di converse da sotto il divano per mettersele ai piedi, dopodiché afferra la giacca di pelle e le chiavi di casa, ed esce sbattendosi la porta d’ingresso alle spalle.

Andare al Murray Centre per parlare con Agnes, ecco quello che deve fare.

 

L’edificio che gli si presenta davanti agli occhi è a dir poco enorme, e il parco intorno lo fa apparire ancora più grande. Si sente quasi a disagio, mentre sposta di poco il cancello per entrare e percorrere la lunga strada lastricata che fa arrivare al portone d’ingresso in legno.

Cammina lentamente, mentre continua a guardarsi intorno, circondato da distese di foglie color arancio e rosso, cadute dai rami degli alberi spogli che sembrano seguirlo passo dopo passo con sguardi immaginari, minacciosi.

Un rumore sinistro, quello dei rametti e delle foglie secche che si spezzano sotto i suoi piedi, ed è quel rumore che gli fa pensare di stare commettendo un delitto: come se le foglie piangessero, un pianto straziante, ad ogni passo. Come se fosse lui, la causa della fine della loro vita.

Un dolore alla testa lo fa tornare con la testa sulle spalle, facendogli percorrere gli ultimi metri del vialetto quasi di corsa.

«Cerchi qualcuno?»

Luke si porta una mano sul petto, girandosi di scatto verso la voce che l’ha fatto spaventare così tanto: una ragazza con i capelli color arancio carota e un bambino in braccio lo sta guardando con aria palesemente divertita, anche se un po’ curiosa. Di lì non passano molti ragazzi, ne è certo.

«Io…sì, ecco, sto cercando Agnes…Hemmings, la conosci?»

«Certo che la conosco» esclama come se fosse la cosa più ovvia del mondo «Perché la cerchi?» chiede e sì, Luke si sente parecchio a disagio a parlare con quella strana ragazza.

«Beh, io sono…sono suo fratello» mormora stringendosi di più nella giacca, come se quella potesse proteggerlo dallo sguardo pungente della tipa davanti a lui.

«E io sono Rose, carino: Agnes mi ha parlato di te» gli dice con un mezzo sorriso, mentre di Luke non si vedono ormai che gli occhi: il colletto della giacca lo copre fin sul naso.

«Lucas?»

Eccola lì, Agnes, sempre bellissima anche con i capelli spettinati e le occhiaie dovute alla stanchezza: eccola lì che lo guarda confusa, con una penna dietro un orecchio e dei fogli tra le mani. Luke sente ancora quel senso di colpa roderlo ancora dall’interno, e gli viene quasi da piangere.

«Ehi Agnes» sussurra «Volevo parlarti un momento, ma solo…solo se non ti disturbo»

«Devo finire di fare alcune cose, puoi…venire di là nell’ufficio, se vuoi»

Sono così impacciati, loro due che erano visti da tutti come il fratello e la sorella più affiatati del mondo: come un anatroccolo che segue la sua mamma, Luke cammina dietro Agnes, fino a quando entrano in una stanza in fondo al lungo corridoio che hanno percorso. E no, non avrebbe mai immaginato che i pomeriggi che sua sorella passa in quel centro potessero considerarsi un vero e proprio lavoro: eppure, guardandosi intorno, pensa di aver sottovalutato troppo le capacità di Agnes.

«Allora?» gli chiede appoggiandosi al bordo della scrivania, mentre gira e rigira una ciocca di capelli tra le dita. Luke sospira, specchiandosi in quegli occhi così uguali ai suoi, e per un attimo dimentica il vero motivo per cui sia andato lì.

«Io…volevo chiederti scusa, Agnes» dice tutto d’un fiato, ma non si sofferma troppo sulla fronte corrucciata della sorella «Sono stato un idiota, non avrei mai dovuto alzare la voce con te e dire…quelle cose» mormora «È stata una reazione improvvisa e non avrei mai voluto che succedesse, e so che sei arrabbiata con me, ma non riesco a stare in casa con te senza poterti parlare: mi sento un mostro, Agnes, dovrei prendermi cura di te e credo di non poterci riuscire»

«Lucas» sussurra scuotendo la testa: non dice niente, solo si fionda tra le sue braccia, che subito la stringono. Quando alza lo sguardo, con le guance bagnate dalle lacrime, un senso di leggerezza nel petto la fa sorridere «Non sono mai stata arrabbiata con te, Luke»

«Ma io pensavo…pensavo che non volessi più parlarmi» dice asciugandole gli occhi con un lembo della sua maglietta.

«E io pensavo che tu non volessi più parlarmi» dice con una risata, una risata dolce che arriva alle orecchie di Luke come il suono più bello sulla faccia della terra.

«Sei quello che resta della famiglia, Agnes»

«Ti voglio così bene, Lucas»

E in quell’abbraccio silenzioso capiscono ancora una volta che sono l’uno la famiglia dell’altra, e che ora come ora non desiderano altro che trascorrere le loro vite insieme.

Il più a lungo possibile.

 

Luke si è dovuto ricredere sul Murray Centre: l’entusiasmo e l’impegno che Agnes mette nel suo lavoro gli fanno capire che dovrebbe imparare a fidarsi di più di sua sorella.

Non era mai stato pienamente convinto che quei lunghi pomeriggi trascorsi lì dentro, Agnes potesse superarli: eppure, ancora una volta è riuscita a stupirlo.

Dopo qualche altro minuto passato in quel piccolo “ufficio”, decide che è arrivato il momento di andarsene e lasciarla al suo lavoro lì.

È arrivato alla fine del vialetto che attraversa il giardino, si stringe nella giacca di pelle e sistema meglio il cappello di lana: sta per uscire dal pesante cancello in ferro battuto con in testa l’unico pensiero di dover preparare la lezione di inglese per la mattina seguente una volta arrivato a casa, quando qualcosa – o meglio, qualcuno - urta dolorosamente contro di lui.

Non ci vuole molto a capire che è finito a scontrarsi con una ragazza, come un idiota: abbassa lo sguardo, con già pronto sulla lingua intorpidita dal freddo un mare di scuse, ma due occhi avvolgenti e caldi non riescono a farlo parlare.

«Sc-scusami, n-non volevo» sussurra indietreggiando di scatto. Come scottata. Luke la guarda, incapace di dire anche una sola parola, ma subito scuote impercettibilmente la testa, aggrottando le sopracciglia.

«No, no, sono io che non ti ho vista, scusami»

Qualche occhiata dallo sguardo sfuggente di lei e da quello incantato di lui. Un attimo di incertezza mista ad imbarazzo, a cui segue un fruscio di vestiti: solo dopo Luke si accorge di un bambino che fa capolino da dietro la ragazza davanti a lui.

«È tuo…» comincia, passando l’indice da lei al bambino, senza però essere capace di continuare. Chissà perché. Lei sembra comunque decisa a non voler rispondere.

«Chi sei?» chiede invece quel fagottino sorridente, sporgendo timidamente il visino dalle guance paffute. La ragazza lo prende per mano.

«Jim, non fare domande a questo ragazzo» dice, ma Luke la ignora completamente e si abbassa sulle ginocchia per poter guardare meglio in faccia quel bambino.

«Ti chiami Jim, eh? Io mi chiamo Luke»

Jim sorride soddisfatto, ma si nasconde di nuovo dietro le gambe sottili della mamma, costringendo Luke a tornare in piedi.

«Tuo figlio è…molto bello, sai?» le dice, ma a questo punto lo sguardo della ragazza torna a farsi sospettoso e quasi spaventato. Prende il bambino in braccio, mentre con una mano trascina la valigia che ha con sé: cammina verso l’entrata del Murray, senza dire una parola. Solo Jim muove la manina per salutare il povero Luke, rimasto con troppe domande in testa davanti a quel cancello freddo: ricambia il saluto, con un lieve sorriso sulle labbra screpolate.

Li segue con lo sguardo fino a quando non intravede Agnes che li abbraccia calorosamente: la ragazza gira la testa verso dietro, avvolgendolo un’ultima volta con il suo sguardo misterioso.

E a quel punto Luke se ne va.

 

Sbatte i quaderni sul tavolo, infastidito. Non riesce proprio a non pensare a quella ragazza incontrata neanche due ore prima.

Dopo aver appurato che la lattina di birra è ormai vuota, sbuffa sonoramente passando più volte le mani sul viso: dovrebbe concentrarsi sul lavoro. La mattina seguente, a scuola, dovrà riportare ai suoi alunni tutti i quaderni con tanto di esercizi corretti, ma il problema è che la sua mente riesce a rimanere concentrata solo pochi minuti.

Perché il pensiero dell'incontro con quella ragazza torna sempre a galla, e non riesce a fargli porre l'attenzione su altro.

Si alza con un sospiro per andare in cucina a bere un bicchiere d'acqua fredda, ma i suoi occhi si posano sulla porta socchiusa dello studio: rimane un po' a guardarla, in piedi, indeciso sul da farsi. Scuote la testa, le gambe lo riportano lì dentro: la luce accesa della lampada all'angolo a destra illumina lo stato di soqquadro di quella stanza, con fogli sparsi a terra, la poltrona rovesciata, i dischi fuori dagli scaffali.

È quasi scoraggiante per Luke essere circondato dalla confusione, quella stessa confusione che regna ovunque, anche nella sua testa.

Non si piega a raccogliere i fogli, non mette di nuovo la poltrona vicino alla parete, non sistema i dischi in ordine di genere o autore. Prende la vecchia chitarra del padre, rimasta appesa al chiodo di un muro per troppo tempo: si siede al centro della stanza, su tutti quei fogli stropicciati, non curandosene minimamente.

E suona.

Dopo anni, suona. Di nuovo. I primi accordi che riesce a suonare con gli occhi chiusi.

Gli fanno un po' male i polpastrelli della mano sinistra, sì, perché i calli ormai se ne sono andati via da tempo, eppure riesce ancora a ricordarsi quella canzone. No, non canta. Semplicemente non ci riesce. Le parole di Green Eyes, poi, neanche le ha mai imparate sul serio: solo la musica, quella sì, perché è stata la prima che abbia mai imparato. E ha fatto tutto da solo.

"Tanto ho dovuto sempre fare tutto da solo", pensa. Ma di nuovo il viso di quella ragazza gli appare davanti agli occhi opachi.

E nonostante tutto sorride, perché il suo cuore sembra essere tornato a funzionare di nuovo.

 

 










ALLORA.

Ormai il mio “allora” all'inizio di tutto è diventato una garanzia. Anyway.

 

Non so davvero da dove iniziare, non credo mi sia mai successo – escludendo tutte le volte che ho idee in testa per una storia, mi pianto davanti alla pagina di word e non scrivo un bel niente.

Forse è perchè sono successe così tante cose e queste ultime settimane sembravano non finire mai per tutta una serie di cose. La scuola mi impegna parecchio quest'anno, devo ammetterlo.

Ma non parliamo di scuola perchè su efp non si parla di queste cose brutte! Sorridiamo.

Ed esultiamo, anche perchè eccomi tornata, con un mare di ritardo, con il sesto capitolo di questa storia. Non sono sicura che ci sia più tanta gente con tanto coraggio da mettersi a leggerla dal primo capitolo, sapete, l'autostima cala un po'. Anche perchè modifico e riscrivo le cose così tante volte che non sono mai sicura della loro riuscita. E come vedete è passato un secolo prima che pubblicassi questo coso che avete letto – se l'avete letto -

COMUNQUE.

Come avete potuto ben vedere, ecco un capitolo su Lucas Robert Hemmings: è un personaggio che mi piace particolarmente (e sì, sono abbastanza patetica perchè ammiro i miei stessi personaggi). Ho voluto dedicare a lui tutto questo capitolo perchè il litigio con Agnes era rimasto in sospeso, e non potevo lasciare in aria una situazione del genere: quindi ecco a voi Luke che va fino al Murray Centre per scusarsi con la sorella. Vorreste avere un fratellone come lui, eh? Ammetetelo eheh

Per chi non si ricordasse, Rose è la ragazza che ho inserito tre capitoli fa, una di quelle che stanno nel centro.

Dopo chiarimenti e cose molto varie, poi, SBAM. Un bello scontro con chi? Con la NEW ENTRY della storia, ovvio! Ladies and gentlemen, ecco a voi X, la sconosciuta di cui scoprirete il nome non so quando (ho trovato la persona perfetta per impersonarla ancora prima di pubblicare il primo capitolo, pensate un po'). E non ci vuole molto a capire che anche lei è una ragazza madre, mhm.

 

Beh, io spero davvero che non vi stiate annoiando troppo: se avete consigli da dare, critiche, belle parole da dirmi, non esitate a lasciare una recensione, anche se piccola. Scusatemi se pubblico capitoli dopo giorni e giorni e giorni che mi sembrano secoli, ma davvero, non sempre riesco a trovare il tempo o la concentrazione per riuscire a portarmi avanti con i capitoli.

Stay tuned, però, perchè il prossimo capitolo sarà un po' diverso rispetto agli altri: non vi svelo niente, lascio a voi la curiosità di passare al prossimo aggiornamento (se avrete curiosità, è ovvio)

 

Vi voglio bene, fanciulle. Grazie se siete arrivate fin qua sotto, scusatemi se sembro una depressa in questo space author ma cavolo, sono felice per così tante cose che neanche riesco a trasmettere la mia felicità in questo momento a livelli improponibili.

Forse perchè non mi sono ancora ripresa dalla performance dei ragazzi a x factor, ieri sera: compresi i pantaloni di Calum che NO, non sono più skinny jeans che gli schiacciano le palle. E sta benissimo così.

Inutile dirvi quanto io lo adori. Non aspetto altro che il concerto di maggio a Roma per poterlo vedere: anche perchè il settore A9 è stato scelto appositamente perchè dal suo lato.

 

Vi voglio bene, di nuovo. Complimenti se siete sopravvissute ai miei sproloqui!

Tani bacini,

elena

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Capitolo 7
*** capitolo 7 ***


dedico questo capitolo alla dolce Beatrice
ecco il Thalum che tanto ti piace <3

 




 

Thelma prende un lungo sorso dalla bottiglia di birra che ha poggiato sul tavolino alla sua sinistra, concedendosi un piccolo premio per aver finalmente terminato il lavoro che l’ha tenuta impegnata tutto il pomeriggio.

Una natura morta a tema libero, cosa in cui non è particolarmente ferrata perché lei come soggetti preferisce di gran lunga le persone, o i paesaggi, o gli scorci di strade lastricate lucide di pioggia.

E, a proposito di pioggia, lancia un’occhiata fuori dalla finestra, sbuffando: ha appena penosamente ricominciato a cadere acqua dal cielo. Quanto tempo dovrà aspettare ancora prima di poter vedere una bella giornata di sole? Sospirando, comincia a pulire i pennelli con uno strofinaccio, per mettere un po’ d’ordine sul tavolo da lavoro, la cui superficie è interamente ricoperta di pennelli usati di ogni forma e dimensione, di fogli con scarabocchi a matita e tubetti di tempere spremuti fino all’osso.

«E comunque non è venuto per niente male» borbotta tra sé e sé guardando di sbieco il dipinto fatto e finito: certo, una natura morta di frutta autunnale non è la cosa più fantasiosa del mondo, ma in qualche modo ha provato a renderla tale.

Si stringe di più nel suo maglione dopo che un brivido improvviso le ha attraversato la schiena, e sta giusto andando a lavarsi le mani nel lavabo della cucina, quando qualcuno comincia a suonare insistentemente il campanello. Di solito non riceve visite alle sette di sera, per questo si trascina verso la porta con un’espressione piuttosto confusa stampata in faccia.

«Sì?» chiede a voce abbastanza alta per sovrastare il rumore incessante della pioggia.

«Thelma, per favore, mi apri?»

Si sarebbe aspettata di tutto. Forse persino di vedere Johnny Depp, dietro quella porta. Ma mai avrebbe pensato di trovarsi a dover far entrare proprio Calum Hood in casa sua: in una giornata piovosa come quella. E a quell’ora, poi.

«Calum?» chiede, forse troppo piano, appena apre la porta, ma quando vede che il ragazzo non è solo, spalanca gli occhi ancora più stupita. «Che…cosa ci fate qui?», ed è una domanda decisamente stupida, dettata dall’istinto, eppure non avrebbe mai pensato di dover avere a che fare anche con le due sorelline di Calum.

«Per favore, ci fai entrare?» chiede quella abbracciata alla gamba sinistra del fratello, che alza le spalle e lancia un’occhiata piuttosto eloquente a Thelma. E lei non dice niente, quando si mette di lato per farli entrare.

«Sei la nostra salvezza, grazie» esclama Calum togliendosi la giacca fradicia «Stavamo tornando a casa e si è messo a diluviare, non avevo neanche l’ombrello»

«La mamma ti dice sempre di portarlo» borbotta l’altra delle due bambine e no, Thelma non si ricordava che fossero gemelle.

«Vado di sopra a prendervi degli asciugamani, voi…potete andare in salone, se volete» dice velocemente prima di sparire su per le scale senza neanche dar loro il tempo di dire una parola.


 

«È tutto sotto controllo, Thelma» si ripete convinta da qualche minuto, prendendo degli asciugamani puliti dall’armadio in camera «È solo Calum, niente di cui preoccuparsi, e…ma chi cavolo voglio prendere in giro» sbotta esasperata buttandosi a peso morto sul bordo del letto.

Si è sempre accontentata di rapporti umani abbastanza limitati, lei: timida e solitaria com’è, non è mica abituata a presenze così ravvicinate. Agnes e Luke non contano: con Calum è tutta un’altra storia. Quel ragazzo riesce ogni volta a metterla in un assurdo stato di agitazione, non può farci niente, e trovarselo davanti alla porta di casa sua con i vestiti zuppi e i capelli bagnati attaccati alla fronte è stato un vero e proprio colpo al cuore.

«Se non mi do una calmata rischio di impazzire» borbotta con una certa nota di disperazione nella voce, prendendosi la testa tra le mani. Guarda di sbieco il suo riflesso nello specchio sull’anta dell’armadio, storcendo il naso: i capelli spettinati sono raccolti in un codino storto, il maglione ha macchie di tempera sparse un po’ ovunque, la calzamaglia di lana nera è leggermente scolorita e ai piedi ha un paio di calzettoni con i gatti e un buco sull’alluce sinistro. Non un tripudio di bellezza, insomma.

Si alza con gli asciugamani e un phon tra le mani, rendendosi conto di aver fatto aspettare i suoi ospiti fin troppo, ed esce dalla stanza cercando di non inciampare nella piega del tappeto sotto i suoi piedi.

Le risate delle due bambine risuonano in tutta la casa, così come i richiami di Calum, che ripete loro di smettere di correre o si prenderanno una bronchite: con un sospiro, Thelma fa il suo ingresso in salone venendo immediatamente circondata dalle gemelle, che le abbracciano le gambe ridendo come pazze.

«Cora, Iris, smettetela!» è l'ennesimo rimprovero del fratello, che subito afferra le bambine per le magliette per tirarle indietro. In quel momento Thelma si rende conto di quanto siano realmente bagnati i vestiti di tutti e tre.

«Siete bagnati dalla testa ai piedi, tenete questi» dice frettolosa aprendo uno dei grandi teli bianchi che ha appena portato e abbassandosi per avvolgerci le due bambine. Comincia a sfregarlo sui loro corpicini, freddi per la pioggia che impregna i loro maglioncini colorati: pensa bene di accendere anche la stufa, almeno potranno scaldarsi più velocemente. Cora e Iris subito si fiondano lì davanti, facendo a gara a chi si asciugherà prima, mentre Calum si aggira per il salone, soffermandosi sulla natura morta dipinta sulla tela.

«L'hai fatto tu?» chiede facendo sobbalzare Thelma dallo spavento, e quando la vede annuire – timidamente, ma di questo lui non se ne accorge – sorride. «Sei proprio brava tu, Thelma»

«Oh, beh, io cerco solo di fare del mio meglio, sai» balbetta in qualche modo, imbarazzata, arrossendo visibilmente. E di questo Calum se ne accorge eccome, mentre si passa una mano tra i riccioli neri ancora bagnati.

«Hai le guance tutte rosse» ride, e oh, Thelma vorrebbe solo sprofondare. Scrolla le spalle, mettendo in un barattolo i pennelli sporchi.

«Sento solo un po' di caldo». Calum le si avvicina.

«Sei sicura?» chiede con aria fintamente ingenua, e sì, adesso Thelma sente davvero caldo.

«Sicurissima» esclama con più sicurezza nella voce di quanto si aspettasse realmente «Perchè?»

«Chiedevo» alza le spalle «Piuttosto, quando me lo fai il ritratto?» chiede subito dopo, e Thelma non si aspettava un cambio di argomento così repentino. Ora sì che si trova in difficoltà.

«Quale...quale ritratto?» prova a fare finta di non ricordare, ma in realtà ricorda eccome.

«Beh, quello che ti ho chiesto di farmi alla festa di Agnes, ricordi?»

«Oh, sì», purtroppo, vorrebbe aggiungere. Sospira, spostando dietro le orecchie le ciocche di capelli che le sono ricadute davanti alla fronte, e quando, con la coda dell'occhio, vede Calum ancora troppo vicino a lei, intento a strofinarsi il collo con l'asciugamani, fa per girarsi e andare a nascondersi in bagno, ma la vocina stridula di Iris (o forse Cora, non riesce proprio a distinguerle) la costringe a fermarsi.

«Tu sei la fidanzata di Cal!» e nessuno dei due fa in tempo a ribattere che la sorellina si accoda contenta.

«Sei così bella» esclama infatti con aria sognante, e Thelma non sa proprio cosa dire. O almeno, sa cosa potrebbe dire, ma è rimasta impietrita: Calum si schiarisce nervosamente la voce.

«N-no, Iris, noi non...Thelma non è la mia, beh, la mia fidanzata»

La solita intraprendenza di Calum Thomas Hood è come sparita: incredibile? Forse neanche tanto, considerato che lui è sempre stato un ragazzo imprevedibile. Almeno per Thelma: vederlo così insicuro la fa sentire, al contrario, molto più sicura.

«Io e tuo fratello non stiamo insieme, Iris» mormora dicendo un nome a caso. L'occhiata che Calum le rivolge è indecifrabile, ma cerca di non darci non troppo peso e continuare a mettere ordine sul tavolo da lavoro.

«Cal, ho fame» brontola Cora a bassa voce, attaccandosi all'orlo del maglione del ragazzo, ancora bagnato per la pioggia di prima.

«Oh, adesso vedi che smette di piovere e torniamo a casa, mh?» cerca di essere in qualche modo convincente, ma subito dopo un tuono fa tremare i vetri delle finestre. Thelma non sa se mettersi a ridere per la tempestività del temporale o mettersi a piangere per dover tenere ancora Calum in casa. Eppure...

«Potete...rimanere qui a cena, se le bambine hanno fame» si azzarda a proporre a bassa voce e con un mezzo sorriso. Il ragazzo davanti a lei alza un sopracciglio.

«Sì, mangiamo qua! Ti prego, Calum» cominciano ad implorarlo Iris e Cora, attaccandosi alle sue lunghe gambe. E lui non può che alzare le spalle, ridendo.

«E va bene, rimaniamo per cena: ma dopo Thelma ci presta un ombrello e andiamo a casa» è il verdetto finale. Poi le rivolge un sorriso, mimando un “grazie” con le labbra.

Thelma scappa in cucina, perchè la vista di quelle labbra così carnose le ha fatto contorcere lo stomaco.


 

«Li hai letti tutti questi libri? Questi disegni sono tuoi?»

Thelma si gratta il collo, malcelando il senso si fastidio che sta venendo fuori a causa delle troppe domande di quelle bambine.

Hanno finito da un pezzo di cenare, e loro continuano a girare per il salone e toccare con curiosità ogni cosa che passi sotto le loro mani, mentre lei posa sul tappeto una pila di fogli e matite colorate: l'unico passatempo che le sia venuto in mente per tenere occupate Cora e Iris.

«Volete colorare un po'?» esclama, ed esulta mentalmente vedendo le due pesti che corrono verso di lei «Disegnate quello che volete»

«Vediamo chi finisce prima!» urla Cora buttando un foglio bianco e alcune matite sulle gambe del fratello «Anche tu, Cal»

La faccia del ragazzo si fa confusa, sorpresa, ma prima che possa replicare in qualche modo Iris dà il via a quella specie di gara.

«Tanto vinco io» aggiunge subito dopo, afferrando un pastello verde e cominciando a tracciare i bordi di una figura sul foglio bianco. Thelma decide di complicare il gioco, per vedere cosa saranno capaci di fare quelle due pesti.

«Dovete disegnare una delle persona di questa stanza» annuncia quindi «O verrete eliminati»

Un verso di dissenso viene dalla bocca di Calum, la cui vena artistica non è poi così sviluppata in ambito figurativo, eppure decide di non sottrarsi a quel gioco, probabilmente per fare piacere alle sorelle.

Passano i minuti, e non c'è cosa più bella per Thelma di trasferire un volto umano sul foglio: con le linee leggere di una semplice matita nera, sfiora la carta, su cui comincia a farsi strada il viso paffuto di Cora, la più simile a Calum, secondo lei: inconsciamente è per questo che ha scelto di ritrarre lei, la più esuberante delle due, che tutta concentrata sta invece colorando la figura di Calum, che ha scelto di disegnare.

«Ho finito!»

È Iris ad urlare, sventolando in aria il foglio con aria vittoriosa «Ho vinto io, ho vinto!»

«Bravissima! Chi hai deciso di disegnare?» chiede Thelma prendendo in mano il foglio tutto stropicciato della bambina, e sorride vedendosi in quel disegno tutto colorato. «Sono...io?»

«Sì» risponde Iris con gli occhi che brillano dalla felicità, ma Cora interrompe quel piccolo momento dii gloria per mostrare a tutti il suo, di disegno.

«Io ho disegnato Calum!» dice soddisfatta, facendo ridere il diretto interessato.

«Oh, grazie tesoro. Tu chi hai disegnato, Thelma?»

La ragazza arrossisce, sentendosi chiamare in causa proprio da lui, ma si schiarisce la voce e alza il suo foglio. Cora batte le mani, felicissima.

«Sono io! Thelma ha disegnato me!»

«Tieni, questo è tuo» le dice porgendole il foglio ripiegato. Calum socchiude gli occhi, con un mezzo sorriso.

«E quand'è che lo fai a me, un ritratto?» chiede divertito. Thelma sente ormai le guance bruciare: si alza dal divano, cercando in qualche modo di raggirare quella domanda.

«Bambine, volete una bella cioccolata calda prima di tornare a casa?»

Domanda, questa, che riscuote ovviamente un gran successo: Iris e Cora corrono in cucina, seguite dalla ragazza e da Calum, che scuote la testa con quel sorrisetto sulle labbra che non se ne va.


 

«Credo che le due pesti ti adorino»

Thelma si gira, mentre si porta alle labbra il bicchiere di scotch e soda che si è preparata, trovandosi faccia a faccia con Calum: lui si versa un bicchiere di gin, aggiungendo qualche cubetto di ghiaccio.

«Potrebbero venire qui più spesso» continua, non interrompendo il contatto visivo con la ragazza di fronte a lui: gli è sempre piaciuto guardare dritto negli occhi delle persone.

«Credo...credo che non sarebbe una cattiva idea» esclama «Sì, ecco, mi terrebbero un po' di compagnia» mormora abbassando il tono della voce, prendendo un altro sorso del suo alcolico.

«Sei sempre da sola?» le chiede Calum, rendendosi solo in quel momento di quanto poco conosca Thelma «I tuoi come stanno? Non li vedo da...da anni, credo»

«Oh, loro stanno bene» sorride di poco «La loro attività a Parigi va benissimo, o non mi manderebbero i soldi per pagare le bollette»

«Li senti spesso?». Thelma si rabbuia un poco, a quella domanda, e Calum capisce. «Forse...forse è meglio che vada: mamma sarà ancora sveglia per vedere le bambine»

Quando Iris e Cora si alzano dal divano, non senza molte lamentele, Thelma accompagna tutti alla porta.

«Ciao Thelma, la cioccolata era buona»

«E il disegno mi piace un sacco»

«Grazie a voi bambine, potete tornare quando volete» risponde con un sorriso, abbracciandole tutte e due insieme. Calum le sfiora la spalla con una mano.

«Ci vediamo, Thelma» dice, con tanta sicurezza nella voce da far sembrare quella frase una promessa. La ragazza annuisce, chiudendo la porta dopo aver salutato tutti quanti un'ultima volta.


 

Non appena si ritrova da sola, torna in cucina, dove il bicchiere di gin ancora mezzo pieno preso poco prima da Calum è in bella vista sul tavolo.

Sospira, afferrando la bottiglia piena di quell'alcool che lei non è abituata a bere in grandi quantità: ma non pensa a niente, quando il liquido trasparente le scivola giù per la gola che comincia subito a bruciare.

Solo dopo si accorge di un foglio ripiegato lì sotto il bicchiere.

da Calum, c'è scritto.

C'è lei, Thelma, disegnata sopra.

 

 

 












ALLORA.

Ormai aggiorno sempre con un ritardo incredibile, dovete perdonarmi. Non so che scuse usare, veramente, è che non ho sempre idee per scrivere e sto cercando di studiare per la scuola e per il conservatorio e boh, scusatemi. Davvero.

Ma ho cercato di farmi perdonare con un capitolo pieno zeppo di thalum, che spero vi sia piaciuto. Insomma, ci ho messo un secolo per scriverlo, non sono neanche totalmente sicura della sua riuscita, ma l'ho pubblicato anyway.

Thelma depressa proprio alla fine di un capitolo carino e coccoloso: ci sono cose nascoste sul suo rapporto con i suoi genitori che, per chi non se lo ricordasse, si sono trasferiti a Parigi e hanno lasciato la casa alla figlia, rimasta a Galway per studiare.

E sì, la bella protagonista si abbandona ad una misera bottiglia di gin. Che vita di merda.

Calum e le sorelline aw. Cioè, io le trovo troppo carine: sono due pesti, ma sono carinissime. E Calum le adora, spero si sia capito.

Ebbene, care fanciulle, non credo ci sia molto da aggiungere a questo settimo (!!) capitolo.

 

Volevo comunicarvi il mio parere sui capelli di Michael che SONO TORNATI ROSSI e posso morire felice: il mio Mickey preferito is back e sono così felice *occhi a cuore*

Poi boh Calum sempre più bello e io mi chiedo se un ragazzo come lui sia davvero reale. Che mega crush la mia.

Non ho più idee su cosa scrivere in questo space author, scusate, è che avrei talmente tanto da dire che non mi viene in mente niente. Assurdo ma è così.

Mi dileguo.


Elena

ps fatemi sapere se questo capitolo vi è piaciuto, anche se con due righe di recensione. Sono una poraccia perchè mi sembra di elemosiare recensioni. Addio.

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Capitolo 8
*** capitolo 8 ***


Michael sbuffa, dando un calcio alle bottiglie di birra affollate vicino al divano e ormai vuote, facendone rotolare una sul pavimento, accompagnata dal fastidioso rumore del vetro sul marmo.
È appena rientrato al suo minuscolo monolocale disordinato e impregnato di fumo di sigaretta: è andato a fare una passeggiata, quella che fa tutti i giorni, giusto per farsi piacere quell'assurda, piccola città irlandese. A volte si ritrova a pensare a quanto sarebbe bello tornare – anche solo per poco - a Sidney, dalla sua famiglia e, soprattutto, dal bel tempo, cosa che agli abitanti di Galway sembra totalmente sconosciuto.
Si butta sul divano senza neanche pensare di togliersi la giacca di pelle vecchia e rovinata, e fa cadere lo sguardo sulla pila di libri sul tavolino poco distante da dove si trova lui: ma lo distoglie immediatamente, non avendo la minima intenzione di mettersi a studiare per uno stupido esame proprio in quel momento.
Non si può proprio lamentare dei voti all'università, visto che ha sempre preso più o meno il massimo in tutti gli esami che ha fatto da quando si è trasferito lì.
Si passa una mano tra i capelli, pensando per l'ennesima volta nel giro di una settimana che dovrebbe tingerli di nuovo: la tinta rosso sangue si scolorisce sempre così velocemente che non gli dà neanche il tempo di pensare ad un possibile nuovo colore da scegliere.
Con un altro sbuffo si toglie i bellissimi anfibi neri del padre, le migliori scarpe di sempre, e di cui va incredibilmente fiero: insomma, quelle scarpe hanno calpestato deserti e confini del medio oriente, eppure ne sono uscite illese, proprio come il loro legittimo proprietario.
Già, perchè Mr Clifford se l'è cavata alla grande anche con un mitra tra le mani e un caschetto sempre piantato sulla testa, e ora che ci pensa è proprio contento di avere un padre come lui: l'ha lasciato fare quando ha deciso di studiare psicologia dopo il liceo, e l'ha lasciato fare ancora una volta quando è voluto andare a Dublino per l'università.
E ora?
Ora ha tre anni di studi dublinesi alle spalle e la confusione più totale davanti a sé: insomma che si trasferisse a Galway non era nei piani.
E neanche quella vecchia storia era nei piani.

Scuote la testa e si alza, infastidito, con l'intenzione di andarsi a fare una doccia.
Deve risolvere una questione importante, anche se non sa quando né come. Ma sa che deve risolverla.








Ashton sospira, lasciandosi cadere sul letto con gli occhi chiusi e le mani dietro la testa.
È stata una giornata stancante, sì, tra le lezioni all'università e le solite faccende da fare, ma è riuscito a trascorrere un po' di tempo con Agnes.
Non l'ha fatta allontanare dal centro, per via di certi lavori che non poteva proprio rimandare, ma le ha fatto compagnia: ha sorriso con lei e l'ha tenuta per mano, seduti su una delle panchine all'ombra degli alberi dalle foglie rosse e arancioni.
Lo sai cosa mi piace di te?”
Cosa?”
Mi piace che tu mi renda felice”
è quello che gli ha detto, guardandolo negli occhi e ridendo un po', e lui sentiva il cuore che minacciava di scoppiargli da un momento all'altro. Non le ha nemmeno risposto, troppo imbarazzato e contento allo stesso tempo, un mix letale per chi, come lui, già non è particolarmente bravo a reggere emozioni del genere.
Si passa una mano tra i capelli mossi, e per un attimo ripensa all'aria malinconica che ricopriva il viso pallido di Agnes, come un velo trasparente: gli ha raccontato con voce bassa di una ragazza che era arrivata al centro qualche giorno prima, ma che ancora non parlava con nessuno: solo con la Direttrice, e con nessun'altra.
Non gli ha detto più niente a riguardo, e lui è riuscito a cambiare abilmente discorso vedendo chiaramente come quei pensieri rendessero Agnes quasi...triste. 
Si mette a sedere sul letto fermando un momento il suo flusso di pensieri.
L'ha conosciuta per caso su una spiaggia, di notte, e la osservava da molto tempo prima: una specie di angelo inavvicinabile, ecco cosa gli era sembrata a primo impatto, e neanche pensava di avere molte speranze di conoscerla perchè la vedeva sempre in compagnia della stessa persona: un ragazzo, che lui non riusciva a guardare mai in viso per una specie di paura – o vergogna – che gli attanagliava le viscere. Poi aveva scoperto che quel ragazzo si chiamava Calum ed era il suo migliore amico, e la prima occasione di poter parlare con lei è arrivata per caso, una sera, mentre camminava annoiato per le strade lastricate di Galway. L'ha vista stanca e con i capelli al vento, ma ha raccolto tutto il suo coraggio e...beh, adesso, grazie al suo coraggio, può ammirarla senza più nascondersi dietro il tavolino di un bar.
Si copre il viso con le mani, sorridendo tra sé e sé.

La vita non gli è mai sembrata così bella.








Infila velocemente un paio di pantaloni grigi della tuta e una maglietta a mezze maniche, poi, fischiettando una canzone sentita alla radio giusto quella mattina, scende velocemente le scale per raggiungere il piano di sotto, da dove provengono le grida di Iris e Cora. Si affaccia un momento in salone per accertarsi che le due pesti non si stiano tirando i capelli a vicenda, e una volta constatato che non sta succedendo nulla di tutto questo, le raggiunge sulla morbida moquette dove stanno giocando con i loro pupazzi.
La storia si presenta subito piuttosto semplice: Bear l'orso di pezza e Apollo il canguro stanno affrontando un'accesa discussione su chi debba essere il vero amore di Bess la pinguina. Dopo poco però Iris decide di finire lì il gioco per afferrare un foglio posato sul tavolino e farlo vedere al fratellone.
«Ti piace?». Calum sorride. È chiaramente un ritratto di Luke, vestito molto fantasiosamente con una tuta spaziale colorata, fluttuante in un cielo blu pieno di stelline gialle. «Il maestro ha detto di disegnare quello che volevamo»
«è davvero bellissimo, piccola, sei stata brava» ride, notando anche la scritta che ha inserito in basso, vicino al margine del foglio: there's a starman waiting in the sky.
«Il maestro Luke è un uomo delle stelle» mormora stropicciandosi gli occhioni con le manine paffute, emozionata. Calum la fa sedere sulle sue gambe, sorridendo.
«Ne sono sicuro Iris, e gli piacerà molto il tuo disegno. Tu cosa hai disegnato, Cora?». L'altra bambina gli si avvicina tenendo stretto tra le mani un foglio un po' stropicciato.
«Ci siamo io, tu, Iris e la mamma che ci vogliamo bene» è la sua incisiva spiegazione, che fa fare una capriola al cuore di Calum, che prende anche lei in braccio per abbracciarle strette.
«Siete state tutte e due bravissime, poi vado io a parlare con il maestro e gli chiedo se gli sono piaciuti i disegni, mh?»
«E li facciamo vedere anche a Thelma?» esclama Cora, che sarebbe più che contenta di avere il parere di una persona sicuramente più esperta di tutti loro.
«Sì, sì!» si accoda Iris, saltellando sul posto. Calum fa finta di pensarci un po' su, mentre un'idea gli frulla per la testa.
«Va bene, anche a Thelma. Ora però devo andare di sopra a fare una cosa, torno subito, ok?»


«Thelma Morton, questa volta non mi scappi» mormora tra sé e sé divertito mentre sale i gradini a due a due.


Ottenere il numero di telefono di Thelma è stato più facile del previsto, perchè Agnes gliel'ha dato prima ancora di chiedere spiegazioni: lui comunque si è limitato ad un “devo chiederle una cosa”, senza spingersi oltre.
Ora è seduto sul bordo del letto, muovendo le gambe mentre aspetta che la ragazza risponda.
«Pronto?». Finalmente tutti gli estenuanti secondi di attesa sono finiti, e tutto il nervosismo iniziale è passato in un attimo (anche se non ha la più pallida idea del motivo di quella specie di ansia del tutto insensata).
«Ciao, sono Calum!» esclama quindi, sorridendo a vuoto.
«Ca-Calum? Come...come hai il mio numero?». Può sentire benissimo la sorpresa nel suo tono di voce flebile. Si butta all'indietro sul letto.
«Oh, non sono uno stalker, tranquilla: me l'ha dato Agnes. Ti disturbo?»
«No! Cioè...no, non mi disturbi» si ridimensiona subito dopo l'esclamazione iniziale, e Calum è costretto a trattenere una risata per non metterla ulteriormente in imbarazzo.
«Perfetto. Senti, ti ricordi di quel ritratto di cui avevamo parlato?». Ha gettato l'amo, e deve aspettare qualche secondo prima che il pesce abbocchi.
«Uhm, sì, mi...mi ricordo» risponde tentennante, sicuramente intuendo già quello che lui gli dirà: e questo non fa che alimentare ancora di più l'eccitazione di Calum.
«Saresti ancora disposta a farlo?» chiede quindi senza perdersi in chiacchiere.
«Io...io non...»
«Ovviamente solo se vuoi, e soprattutto se puoi» giustifica in qualche modo la sua richiesta, pure avendo un piacevole presentimento.
«Io, beh...». Trattiene il respiro. «...credo di sì, insomma...ok»
«Fantastico!» esclama, con un sorriso a trentadue denti «Allora posso venire da te uno di questi giorni? O quando vuoi tu»
«Credo che...dopodomani possa andare bene per me»
«Venerdì, perfetto. Allora ci vediamo, Thelma»
«C-ciao, Calum».
Butta il telefono facendolo rimbalzare sul materasso, sospirando di sollievo.
Perchè è così contento? Gli fa piacere di aver avuto la possibilità di ottenere un favore del genere, sì, ma è proprio sicuro che sia solo il ritratto il motivo di tutta quell'allegria? Scrolla le spalle.
In fondo è solo un ritratto, e la ragazza in questione è solo Thelma. L'amica di Agnes, quella timida, con le guance sempre rosse, su cui lui non si è mai soffermato più di tanto. Eppure...è quell'aria di mistero, impenetrabile, che la circonda, forse è proprio questo che lo attira.
Si alza di scatto per tornare dalle due bambine al piano di sotto, canticchiando.
«Thelma, oh Thelma, cosa mi stai facendo?» sospira.


Sembra proprio che quel sorriso non abbia la benchè minima intenzione di andarsene dalla sua faccia.














Ehilà
Subito subito due parole su questo ottavo capitolo, poi, vi prego, fermatevi un momento a leggere la roba che scriverò più sotto.
Un capitolo di passaggio, in un certo senso, per uscire dal fossato in cui sono caduta e per cui non riuscivo ad andare avanti. Michael, Ashton e Calum, tre dei quattro ragazzi della storia.
Michael parla di una situazione da risolvere: c'è qualcosa che l'ha portato a trasferirsi a Galway, qualcosa che verrà alla luce più avanti, e che cambierà un po' di cose. Michael è un personaggio importante, a modo suo, e ho creduto di doverlo inserire adesso (dopo il quarto capitolo, se ricordate) per non farvi dimenticare della sua presenza.
Il dolce Ashton e il suo rapporto con Agnes. Personalmente credo che sia un dolcino, insomma, così timido. Sarà che anche io tendo a comportarmi come lui, guardando le persone da lontano: con la sola differenza che non credo che farei mai io il primo passo, questo sicuramente no.
Calum, oh Calum. Ecco il suo lato tenerone da un lato, mentre dall'altro c'è quello intraprendente e malizioso. La telefonata con Thelma l'avevo progettata appena ho iniziato a scrivere il capitolo, e vi dico anche che funge da collegamento con quello successivo. Ogni volta che scrivo di questo ragazzo mi verrebbe da scrivere qualunque cosa.

E adesso...
Eccomi, dopo non so più quanti mesi di vuoto.
Vuoto più totale, davvero, ho imparato cosa vuol dire avere il "blocco dello scrittore": non riuscivo letteralmente ad andare più avanti di qualche rigo, che scrivevo e cancellavo per un'infinità di volte. Avevo mille altre idee per altre storie, totalmente estranee a questa, che mi hanno distratta dalla trama che avevo in mente.
Poi mi sono decisa a fermarmi un momento per raccogliere le idee, e come una cretina ho preso carta e penna e ho fatto una scaletta. Come si faceva in terza elementare per scrivere i primi temini.

Ebbene, ho fatto una specie di scheda (non so come chiamarla) per più o meno ogni personaggio. Quello che volevo fare era poter dare a ciascuno la propria importanza all'interno della storia: non volevo personaggi di serie A e di serie B, volevo un gruppo di persone tutte importanti e significative per la trama e per l'influenzare a loro volta gli altri personaggi.
Un qualcosa di circolare, che permetta di avere man mano le idee chiare su tutti.


Ecco, spero che abbiate più o meno capito le mie intenzioni: e scusatemi per tutti i giri di parole, ma dare spiegazioni credo che sia un buon modo per scusarsi.
Scusatemi se ho fatto passare così tanto tempo. Vorrei aver potuto pubblicare regolarmente capitolo dopo capitolo, ma la scuola, il conservatorio, tante altre cose me l'hanno impedito.
Ora sono tornata - più o meno - a concentrarmi su questa storia, che spero di non far impantanare nel fango. Sapete, non vorrei che risultasse noiosa o qualcosa di simile.

Va bene, credo di aver detto tutto.

Se poteste lasciare un parere sui tre personaggi di cui ho scritto, mi farebbe davvero tanto piacere.

Spero di non avervi fatte annoiare troppo.
Alla prossima, che probabilmente non sarà neanche tra tantissimo tempo,
elena

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