You are my one true love

di _Nerdfighter_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Pretending ***
Capitolo 2: *** Come What May. ***



Capitolo 1
*** Pretending ***


"Will we ever
say the words we're feeling? Reach down underneath and
Tear down all the walls
Will we ever
Have a happy ending
Or will we forever
Only be pretending?"

A Ran, ormai, scoppiava la testa. Guardò l'orologio: erano le 9.00. Era stanca di ascoltare solo ed unicamente Shinichi che parlava della sua bravura, dei suoi casi risolti, di Sherlock Holmes e simili. Le faceva piacere rivederlo, riabbracciarlo dopo i suoi lunghi viaggi in tutto il mondo, ma pian piano la cosa la stancava sempre di più: le sembrava quasi che i rari ritorni del ragazzo, il tempo passato insieme dopo tanta attesa ed innumerevoli conversazioni telefoniche, non facessero altro che allontanarli ancora di più. Erano fisicamente vicini, faccia a faccia, eppure sentiva di essere distante da lui, dal ragazzo che amava con tutta se stessa.
Aveva provato a farlo restare più volte confessando i suoi sentimenti, eppure non serviva a niente: giorni, se non ore dopo, la cosa finiva con un:"Parto domani, ho un caso irrisolto in *nome di una località a caso*"
"Oh, Shinichi" pensò lei, concentrando la sua attenzione più sugli occhi azzurri del detective, che su quello che lui stava dicendo. "Avremo mai un lieto fine? O scapperai per sempre via da me, per qualche luogo sperduto in Europa?"
Fin da quando era bambina, era convinta che l'amore avrebbe vinto sempre e comunque, su qualsiasi cosa. Lo pensava persino ogni volta che i suoi genitori litigavano, o anche quando Shinichi sembrava preferire leggere le lettere di quelle oche delle sue ammiratrici, piuttosto che uscire con la sua amica d'infanzia. Sembrava che, con tutto quello che era successo a Londra e su quell'aereo in caduta libera, quando aveva dovuto improvvisarsi pilota, la sua teoria fosse giusta: lei sapeva che lui l'amava e viceversa, quindi non c'era più niente che li ostacolasse!
...O almeno, così credeva. Per la prima volta credette che, dopotutto, l'amore non poteva vincere proprio su ogni cosa. E sentiva che ciò la faceva, a poco a poco, morire dentro, e la faceva sentire terribilmente, incredibilmente, triste e abbandonata.
Sbuffò, continuando a guardare il ragazzo a cui nonostante tutto era molto devota.
"...E ho scoperto che aveva utilizzato l'allarme come diversivo, in modo da avere tutto il tempo per uccidere la vittima... Stava per fare la stessa cosa con la suocera, ma per fortuna l'ho scoperto!" Disse il detective sorridendo, interrompendo talvolta il racconto per sorseggiare un meritato caffè.
Sospirò, appoggiando la tazzina ancora bollente sul tavolino del bar. "Ran, so che non hai ascoltato una singola parola di quello che ho detto nell'ultima mezz'ora. Si può sapere che ti succede?" Ci volle qualche secondo, prima che la karateka capisse di essere stata interpellata dall'amico. "Ma che dici? Guarda che ti ho ascoltato, è solo che... Ehm... Nell'ultima parte mi sono distratta, ecco." "Ah sì? Solo nell'ultima parte? Allora dimmi: qual è il nome della figlia di Sojitora?" Ran sussultò. Shinichi, (come sempre, del resto) aveva ragione: lei non aveva ascoltato neanche una parola della sua storia, ma non voleva apparire disattenta agli occhi del ragazzo e tantomeno deluderlo, in un certo senso; quindi pensò a possibili nomi da ragazza, e fece un tentativo. Anzi, più di uno.
"Allora, se non ricordo male era qualcosa come Nami... Ah no, aspetta, era qualcosa come Ryumi, ne sono certa!" Shinichi non riuscì a non trattenere un sorrisetto, quindi disse:"Lo sapevo che non avrei dovuto parlarti solo e soltanto di me, annoiandoti. Nel caso di cui di stavo parlando non c'era nessun Sojitora. Però, noia a parte, c'è qualcosa che ti opprime o sbaglio?" Ran sospirò, per poi fare una risatina, in modo alquanto innaturale, nervoso. "Perchè, scusa, hai mai sbagliato qualcosa? Non credo, visto che tutto il mondo ti acclama e chiede il tuo aiuto per risolvere casi impossibili" disse acida, per poi ordinare ad un cameriere che passava lì accanto un bicchier d'acqua. "Ah, quindi è di questo, che si tratta. Ran, ne abbiamo già parlato decine, centinaia, se non migliaia di volte. Sono un detective, questo è il mio lavoro, le persone chiedono il mio aiuto, devo assentarmi spesso per alcuni mesi, e io cosa dovrei fare? Dire di no, solo perché voglio trascorrere un po' di tempo in più con la mia..." Si bloccò, per qualche secondo. Cos'era per lui Ran? Di certo, un'ottima amica. Sicuramente. Però, se ti viene voglia di abbracciare o baciare la cosiddetta "amica", è molto probabile che ci sia di più, sotto. D'altro canto, non erano fidanzati; dunque, il ragazzo non poteva definire la karateka neanche con una certa parola che inizia per "R" e finisce con "agazza". "...la mia migliore amica", continuò, mostrandosi disinvolto e sperando di non arrossire. "Vista da questo lato, hai ragione. Ma non pensi a me? Non pensi a quanto soffro, ogni volta che tu dici di dover partire, per poi ripresentarti dopo mesi e mesi? Non pensi a quanto soffro, vedendo il tuo banco vuoto quasi tutti i giorni, a scuola? Prima o poi dovrai decidere definitivamente tra la carriera e... Gli affetti. E so già che non sceglierai la seconda opzione." "Ran, ti sbagli, io non-" "Eh no. Adesso sì che sbagli. Smettila di fingere, Shinichi, ti prego. Non possiamo andare avanti così per sempre. A Londra mi hai detto che mi amavi... Eppure, i fatti sembrano voler dire tutt'altro." Detto questo, si alzò dal tavolino, prese la sua borsa e si alzò, incamminandosi verso casa. "Ran aspetta, posso spiegare!" Ma la ragazza era stanca, delle sue spiegazioni. Al momento, non voleva più saperne niente. Voleva solo tornare a casa, sfogarsi con la sua migliore amica e magari persino accompagnarla a fare shopping. Quindi, cercando di trattenere le lacrime e lasciando un confuso e pensieroso detective al bar da solo, tornò a casa.

"E così se n'è andata e ti ha lasciato da solo, senza possibilità di spiegare?" Shinichi annuì. "Beh, sai come si sente Ran, ogni volta che la abbandoni. Non pensi sia ora di... Sì, insomma... Parlare dei vostri sentimenti e chiarirvi, una volta per tutte? E poi, perchè non le hai ancora parlato della vera identità di Conan? Dopotutto, sono mesi ormai che l'organizzazione è stata catturata." Il ragazzo sospirò, riflettendo. "Beh, tecnicamente, l'abbiamo fatto. Le ho detto che la amo, e lei ha fatto lo stesso con me. Per quanto riguarda Conan... Non so, ho paura che ci siano ancora membri dell'organizzazione o loro simpatizzanti ancora liberi e pronti a far fuori me e tutti quelli che amo." Scosse la testa, evitando lo sguardo preoccupato e allo stesso tempo impietosito del Dr. Agasa. Lui stesso era stanco di mentire a Ran, cercando di inventarsi ogni volta una scusa più o meno credibile, coprendo un segreto che ormai non avrebbe danneggiato più nessuno, fisicamente. L'organizzazione degli Uomini in Nero ormai era morta e sepolta.
Persino Shiho non ne parlava più, se non in rare occasioni. Lei stessa, per dimenticare tutto quanto e non essere tormentata dai demoni del suo passato, aveva deciso di restare bambina, e non intendeva tornare indietro. Avrebbe continuato ad aiutare Shinichi nella ricerca di un antidoto, ma l'avrebbe fatto solo per lui; dopotutto, non le dispiaceva affatto essere una bambina: ottimi voti a scuola, un bambino innamorato di lei, persone attorno a lei che le volevano bene, e molto di più. 
Shiho Miyano ormai era considerata da tutti una persona morta. Ora esisteva solo Ai Haibara, una ragazzina sveglia, bella ed introversa. E per nulla al mondo avrebbe voluto cambiare quella vita a cui si era abituata, una vita quasi perfetta, con quella problematica e pericolosa di Shiho. Prima o poi lei avrebbe trovato un antidoto funzionante e duraturo per l'APTX4869, ma cos'avrebbero dovuto fare Agasa e Shinichi, fino ad allora? Continuare a fingere, mentire, far soffrire di continuo la povera Ran per la lontananza dell'amico quando lui stesso le era stato sempre accanto, anche se con statura, voce ed età diverse? No, no, e ancora no. O Shinichi le avrebbe detto la verità, o lei stessa l'avrebbe scoperta, in qualche modo.
Agasa avrebbe voluto parlarne con Shinichi, convincerlo a confessare tutta la verità all'amica d'infanzia, invece di continuare a farla soffrire.
In cuor suo, però, sapeva che il ragazzo non gli avrebbe dato assolutamente retta.

Una vocina continuava a tormentarlo. Inizialmente pensava di essersi immaginato tutto. Ma poi Sonoko Suzuki gli diede uno schiaffo così forte che per un attimo credette di essersi beccato in faccia una palla di cannone. "Ma si può sapere che vuoi?!" disse il detective, cercando di coprire l'impronta della mano di Sonoko sulla sua guancia, ormai diventata rosso fuoco.
"Voglio salvare la felicità della tua mogliettina, imbecille! Sarai pure un detective da quattro soldi famoso in tutto il mondo, ma possibile che tu non possa prenderti una vacanza?! Mica tu sei l'unico detective esistente in questo mondo!" "Sicuramente no, ma sono tra i migliori", disse il ragazzo, vantandosi delle sue ottime capacità deduttive. A Sonoko, però, non interessavano affatto le sue abilità. "Vuoi ricevere un altro di questi?" Minacciò, mettendo bene in mostra il palmo disteso della sua mano, pronta a colpire un'altra volta. Shinichi, ovviamente, preferì evitare. "Suzuki, arriva al punto. Che vuoi che faccia? Che annulli tutti i miei casi irrisolti e li affidi a qualcun altro?" "Finalmente hai detto qualcosa di sensato ed intelligente, Kudo! Ricordati: non ci sarò sempre io ad incastrare te e Ran in serate romantiche, specie se tu continui a farla penare con le tue assenze! Pensa bene alle tue azioni future, detective dei miei stivali! Altrimenti ti verrò a trovare, dovunque tu sia, e ti spedirò tramite schiaffo sulla Luna! Chissà, magari anche i poveri alieni hanno bisogno di risolvere dei casi di omicidio impossibili", disse la ragazza ridacchiando e andando via, lasciando uno Shinichi dalla guancia dolorante riflettere su molte cose.
Altro che quei casi "impossibili". Al confronto, la situazione che lui stava vivendo era cento volte più difficile da risolvere.
Dopo mezz'ora di riflessioni, prese il telefono e compose un numero che aveva chiamato per anni, un numero che ormai sapeva a memoria. Aspettò, finchè una voce, quella voce, non rispose: "Shinichi, cosa c'è?"
"Dobbiamo parlare. Vediamoci tra un quarto d'ora a casa mia, okay? È importante." Senza aspettare la sua risposta, riattaccò. In cuor suo, sentiva che lei sarebbe venuta.
Doveva farlo, perchè ciò di cui Shinichi avrebbe voluto discutere era qualcosa che non voleva, nè poteva più rimandare. Non voleva più fingere.
Tra pochi minuti avrebbe raccontato tutta la verità a Ran, senza tralasciare nessun dettaglio della storia.
Non gli importava delle conseguenze: non più, almeno, visto che la sua amata non correva più alcun pericolo. Voleva solo liberarsi di un enorme peso che da anni custodiva gelosamente.
Non avrebbe più mentito alla sua Ran.
Mai più.

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Capitolo 2
*** Come What May. ***


"Come what may,
Come what may,
I will love you until my dying day."

La porta si aprì, lentamente. La ragazza entrò in quella casa che da piccola visitava quasi ogni giorno; quella casa gigantesca, dallo sfarzo invidiabile e piena di ricordi, sia piacevoli che non: la casa di Shinichi. Una volta entrata, vide il ragazzo in piedi con il cellulare in mano, accanto alle scale, che trasudava preoccupazione; infatti, era tremendamente nervoso all'idea di rivelare la vera identità di Conan, e temeva particolarmente la reazione di Ran: e se si fosse arrabbiata con lui per tutte le bugie che le aveva detto e avesse deciso di non vederlo mai più? O peggio, se lei per qualche motivo avesse cominciato a piangere? Odiava vederla soffrire, e ancor di più vederla piangere; ogni volta che Ran piangeva davanti a Conan o soffriva a causa della persona che amava, lui stesso tentava di calmarsi e non cedere all'impulso di sfogarsi attraverso le lacrime. Deglutì, guardando gli occhi chiari della ragazza. Quegli occhi innocenti e così sinceri... Come diamine era riuscito a nascondere loro la verità attraverso una fitta rete di bugie e scuse? Shinichi non riusciva proprio a spiegarselo.

"Che volevi dirmi?" Disse Ran, fingendosi tranquilla; in realtà, era ancora piuttosto scossa dalla discussione avuta con il detective quella mattina. "Aspetta qualche minuto e lo saprai. Intanto prego, siediti pure sul divano." Lei alzó gli occhi al cielo e rise, per poi lanciare uno sguardo pieno di amarezza all'amico d'infanzia. "Ma sì, ho aspettato per mesi e mesi e sicuramente tra non molto mi toccherà ricominciare ad aspettare, quindi qualche minuto in più non cambierà la situazione di molto, no?" Il ragazzo non rispose a quella frecciatina, ma guidó l'amica verso il tavolo che aveva finito di apparecchiare proprio qualche attimo prima che lei entrasse in casa. Dopo essersi seduto la fece accomodare, le offrì una tazza di thè bollente, e versó del thé anche per sé. Sapeva che ad entrambi sarebbe servito qualcosa per calmarsi, dopo ciò che tra non molto sarebbe dovuto accadere.
"Sai, - disse lui, abbassando lo sguardo e sorridendo, - sin dalla prima volta in cui ci siamo incontrati, quando ti ho chiamata 'piagnucolona'... Ho come sentito il dovere di proteggerti ad ogni costo." Ran non riuscì a non sorridere e a nascondere il rossore delle sue guance, mentre i ricordi del loro primo incontro la travolgevano come un treno in corsa; "Te... Te lo ricordi ancora? Sono passati più di dieci anni!"
Lui restó qualche secondo in silenzio, mentre il suo sguardo e il suo cuore si scioglievano come un gelato in una calda giornata d'estate. "Certo che me lo ricordo" disse, pregando che le sue gote non fossero già rosse come papaveri. "E come dicevo prima, anche se ti conoscevo da pochissimo, già non sopportavo vederti in pericolo. Poi, quando mi hai regalato la targhetta a forma di stella con il mio nome e mi hai sorriso... Non dimenticheró mai quel momento - e possa Sherlock Holmes venire qui a tirarmi una pipa in testa, se non dico la verità -, perché nell'esatto momento in cui mi hai sorriso, ho capito che sarei stato legato a te più di quanto avrei mai potuto immaginare." Mentre parlava, una sorpresa Ran rise per la battuta su Sherlock Holmes - non avrebbe neanche lontanamente immaginato che Shinichi avrebbe detto una cosa simile! -, per poi perdersi tra i meravigliosi ricordi dei loro primi momenti trascorsi insieme, e bloccarsi bruscamente all'ultima frase pronunciata dal ragazzo.
Le ci volle qualche minuto per capire cosa stava davvero succedendo. No, no, no, NO!, pensó. Stava accadendo esattamente ciò che era successo a Londra, con l'unica differenza che non era scoppiata a piangere. O almeno, non ancora. Pur amando il detective, al momento non sopportava il pensiero di sentirlo parlare dei suoi sentimenti, quando non lo avrebbe rivisto più per molto tempo. Sentiva che le sarebbe mancato ancora di più, per poi soffrire il doppio del solito. D'altro canto, non le dispiaceva sentirsi desiderata, amata da qualcuno. Non sapendo come reagire a ciò che aveva appena sentito, rimase semplicemente con gli occhi fissi sul ragazzo, riuscendo quasi a sentire il sangue affluire alle sue guance. Shinichi, sorpreso dalla reazione della karateka (credeva che lei gli avrebbe detto qualcosa - almeno stavolta -, ma come al solito la timidezza aveva vinto sulla ragazza), continuó semplicemente a parlare:"Comunque tu non lo sai, ma anche quando tu credevi che io fossi lontano da te, ho fatto del mio meglio per proteggerti e non farti soffrire. So che molte volte non ci sono riuscito - e per questo ti chiedo scusa -, ma voglio solo che tu sappia che tutto ciò che ho fatto è servito a tenerti al sicuro. Più volte mi hai quasi scoperto, ma tramite bugie - a fin di bene - e stratagemmi ti ho nascosto la verità per molto, troppo tempo, e spero davvero che tu riesca a perdonarmi per questo, un giorno, sapendo il motivo per cui l'ho fatto. " Ran non capiva. Proteggermi?, pensó. Ma da cosa? E poi, a cosa si riferisce quando dice che l'ho quasi scoperto? A meno che... "Ricordi il giorno in cui siamo andati a Tropical Land?" Lei annuì, sentendo una specie di fitta al cuore; erano cominciate lì, tutte le assenze del detective, i suoi interminabili viaggi per lavoro, la sua sofferenza e sì, anche la convivenza con Conan. Più volte aveva sospettato - e persino sperato - che il bambino e il ragazzo fossero la stessa persona, ma non aveva le prove per accusare il detective, e poi aveva visto in più occasioni Shinichi e Conan insieme nella stessa stanza, quindi non aveva motivo di pensare che sotto ci fosse qualche intruglio del Dottor Agasa.

"Vedi, quando mi sono allontanato... L'ho fatto perché avevo visto degli individui sospetti che avevano intenzione di effettuare uno scambio. Ero così preso da ciò che stavano facendo, che non mi sono accorto che uno di loro mi ha seguito, per poi colpirmi alle spalle e farmi ingerire una tossina che mi ha cambiato. Completamente." "Che cosa intendi dire?" "Che é così che è nato Conan Edogawa." Stavolta Ran non sapeva davvero come reagire; non aveva idea neanche di cosa stesse provando in quel momento: rabbia, perché Shinichi non le aveva mai raccontato la verità? Felicità, per la sua mezza dichiarazione di qualche minuto prima? No, forse la sensazione che si avvicinava di più a ciò che stava provando era confusione. Era decisamente confusa, felice, arrabbiata, un po' triste e anche stordita. "Perché non me l'hai detto prima? Hai avuto molte occasioni per dirmelo... Perché non ne hai sfruttata nessuna?" "Te l'ho detto: per proteggerti. Se ti avessi rivelato chi ero veramente, ti avrei esposto a così tanti pericoli che non saresti in grado neanche di immaginare: quegli uomini che mi hanno cacciato in questo guaio sono molto pericolosi, sono - o meglio, erano - un'organizzazione così difficile da incastrare e catturare, che gli stessi agenti dell'FBI hanno speso molto tempo e forze per mandarli in gattabuia." "Aspetta, perché 'erano'?" "Grazie ad alcuni infiltrati che lavoravano per l'FBI e fornivano più informazioni possibili sulle vere identità di quei criminali e sui loro subdoli piani, sono stati catturati e arrestati." Prevedendo la domanda che la ragazza stava per fare, disse:"É successo tre mesi fa. Non te l'ho detto perché... Avevo paura che avessero ancora degli agenti o loro simpatizzanti a piede libero, magari anche degli infiltrati nella polizia. Non volevo correre rischi, capisci?" Lei annuì, cercando di fare un po' di mente locale. "Ma... Se tu sei Conan, chi era il ragazzino che era con noi quando tu stavi nei paraggi?" "In alcune occasioni Ai travestita, in altre Ladro Kid ha preso le mie sembianze." "Ai? Cosa c'entra lei in tutto questo? Non dirmi che..." Shinichi annuì, con un cenno del capo. "Anche lei non é davvero una bambina di 8 anni. Faceva parte dell'Organizzazione - lei stessa ha inventato la tossina che mi ha fatto diventare Conan - ma quando sua sorella venne uccisa da alcuni membri della banda, ha assunto il frutto delle sue ricerche ed é riuscita a scappare dagli assassini della sorella. Da quando il Dottor Agasa si occupa di lei, non fa che cercare di creare una cura al veleno da lei inventato; è stata lei stessa a creare i farmaci che mi hanno permesso di tornare me stesso per un po' di tempo. E beh... Come avrai sicuramente capito, non è ancora riuscita a scoprire una cura che possa porre definitivamente porre una fine al male che continua ad affliggermi." "Capito." Ed era vero. Per la prima volta, Ran riusciva veramente a capire tutto ciò che le stava accadendo ed era accaduto intorno: aveva ragione, Shinichi e Conan erano la stessa persona; le aveva mentito solo per tenerla all'oscuro da un mondo che le avrebbe portato solo più sofferenze e, cosa più importante: non si era mai allontanato veramente, anzi; le era sempre rimasto accanto, salvandole più volte la vita, anche a costo della propria.
Prima dell'accaduto a Londra, credeva che lui fosse soltanto una persona egoista, egocentrica e un po' irresponsabile, che pensava solo alla fama e al suo lavoro; e sì, spesso e volentieri lui si vantava dei suoi casi risolti e pensava di essere un ottimo seguace di Sherlock Holmes, ma solo in quel momento Ran riuscì a comprendere che animo forte e al contempo fragile si nascondesse dietro quel bel faccino.
Solo in quel momento riuscì a comprendere quanto profondamente lui tenesse a lei, e quanto l'amasse.

"Shinichi..." disse lei, sentendo che il nodo che aveva in gola non ne voleva sapere, di andarsene. "Quanto manca alla tua... Ehm... Al ritorno di Conan?" "Quattro ore e mezza; minuto più, minuto meno." Senza attendere oltre e quasi senza rendersene conto, Ran si sporse in avanti e posò le sue labbra su quelle di Shinichi, delicatamente, come una farfalla che in una calda giornata d'estate si poggia lenta su un papavero, delicatamente, quasi avesse paura di fargli del male.
La ragazza si sentiva allo stesso modo: temeva che quel bacio facesse male ad entrambi, aveva paura di aver rovinato tutto e aveva anche paura di essersi mostrata come una ridicola scolaretta cotta a puntino. Ma se sentiva che tutto ciò era un qualcosa di negativo, perché le sembrava di volare?
Spesso, durante la sua vita, si era chiesta perché molte volte sentiva un senso di vuoto, come quando un bambino non riesce a completare un puzzle perché ha perso l'ultimo tassello; tuttavia, Ran sentiva che con quel bacio era riuscita a trovare quel tassello mancante, l'ultimo pezzo che le serviva per sentirsi completa. Serena. Innamorata. Ma soprattutto, felice. Piano piano, la ragazza ritornò seduta al proprio posto con le labbra tremanti, gli occhi ancora fissi sul ragazzo sorpreso che poco prima aveva baciato. Ad entrambi ci vollero alcuni secondi per riprendersi da ciò che era appena successo, cosa che lasciò nell'aria un silenzio che valeva davvero più di mille parole; questo, però, venne spezzato poco dopo:"Wow, Ran... Sei un'ottima baciatrice, lo ammetto. Certo, si può fare di meglio ma niente male, per essere la prima volta che baci qualcuno!" Quell'affermazione fece arrossire violentemente la ragazza, la cui felicità però cacciò la quasi-rabbia dal suo cuore. Dopotutto, non era proprio questa una delle cose che adorava di Shinichi, seppur non dandolo a vedere? Il suo sarcasmo e la sua ironia la facevano impazzire, anche se molte volte le veniva voglia di tirargli uno schiaffo così forte che non lo avrebbe dimenticato neanche dopo cinquant'anni. Lui scherzoso e impulsivo, il più delle volte, lei più seria e pacata. Più pensava a ciò, e più la ragazza pensava che, in qualche maniera, i due riuscivano a completarsi a vicenda. Shinichi era il suo tassello mancante, così come lei era quello del ragazzo. O almeno, sperava di esserlo. "Che ne dici se mangiamo qualcosa? Riuscirei a sentire i brontolii del tuo stomaco persino da Osaka!" disse lei, trattenendo a stento la voglia di buttarsi sul cibo preparato in cucina; dopotutto, quella mattina aveva fatto colazione solo con una tazza di thè bollente, e da allora non aveva toccato cibo. "Ahahahah... Non é colpa mia se non ho avuto ancora il tempo di mettermi qualcosa nello stomaco! Sappi che ho impiegato tutto il mio tempo a cucinare e ad apparecchiare!". Non resistendo più alla fame, entrambi si servirono portando alla tavola apparecchiata e adornata di fiori ottimi piatti di spaghetti, non smettendo mai di sorridere.
In seguito si accoccolarono sul divano, l'uno accanto all'altra, sospirando. Ran si girò verso il ragazzo, il cui viso risplendeva di pura gioia alla luce del gigantesco lampadario in soggiorno. Quanto vorrei che tu restassi così per sempre, pensò. Non cambiare, non ritornare Conan, ti prego. Lascia che imprima questo ricordo di te nella mia mente, e che non mi abbandoni mai.
"Shinichi?" "Sì?"
"Grazie di tutto." "Quindi... Non sei arrabbiata con me perché ti ho mentito per tutto questo tempo?" "Sai... Anche se volessi, sinceramente, non credo che sarei in grado di farlo. Ogni singola cosa che hai fatto è stata per proteggermi o salvarmi da un mondo fatto di persone senza scrupoli, quindi come potrei anche solo pensare di essere arrabbiata con te?!"
Il ragazzo rispose alla karateka con un lieve sorriso, mentre riusciva a sentire il battito del suo cuore che, sbarazzatosi di quell'enorme peso che portava da molto tempo, era così leggero da sembrare una piuma d'oca. Poco dopo, una lampadina si accese nel cervello di Ran.
"Quindi, se tu sei sempre stato Conan... DIO SANTO, SHINICHI, ABBIAMO FATTO IL BAGNO INSIEME, E ABBIAMO PURE DORMITO NELLO STESSO LETTO!" Entrambi per un attimo non dissero niente, diventando dello stesso color del corallo, per ciò che lei aveva appena detto. Poi per nervosismo, o semplicemente perché ne aveva voglia, Shinichi si lasciò andare a una sonora e grassa risata, non dopo essersi beccato uno schiaffo che lo fece diventare ancora più rosso. "Così impari a fare il bagno con me senza avvertirmi di chi sei veramente!" aveva detto la ragazza. Quest'ultima non riuscì a non trattenere un sorrisetto, nonostante fosse ancora arrabbiata.
"Beh... Potrai anche essere un pervertito, ma ti amo comunque con tutto il cuore." Mentre quelle parole entravano nel cuore del sorpreso detective per non uscirne più, la ragazza gli diede un bacio sulla guancia e poi, quasi senza rendersene conto, cadde tra le braccia di Morfeo.
Non seppe mai che, mentre sonnecchiava tranquillamente poggiata sulla spalla del ragazzo, quest'ultimo in un sussurro le aveva detto:
"Anch'io."

Venne svegliata poco dopo da un urlo, per poi notare che accanto a lei non c'era più nessuno. In tutta fretta si alzò e cercò di capire da dove provenisse tutto quel fracasso, pregando che non fosse accaduto qualcosa al suo detective. Sentì il cuore salirle in gola, di nuovo. "Shi-Shinichi?" Credendo che quell'urlo carico di dolore provenisse dalla camera da letto del ragazzo, la karateka salì le scale - così velocemente che per ben due volte inciampó in quei gradini marmorei -, ed aprì la porta della camera, mentre il ritmo del suo cuore aumentava di secondo in secondo.
Quando vide ciò - o meglio, chi - che si trovava in quella stanza, non poté non nascondere la tristezza che la stava pervadendo: non c'era più il suo Shinichi, ma solo un triste Conan che teneva lo sguardo fisso a terra. Il ragazzino, proprio mentre stava cercando di trovare delle parole confortanti da dire in quella situazione, fu interrotto dalla voce carica di premura e al contempo ansiosa di Ran:"Stai bene?" Lui annuì, alzandosi dal letto su cui era seduto. "Succede ogni volta che il mio corpo cambia; peró, devo dire che ci sono state anche delle eccezioni in cui tornavo ad essere un adolescente, e non provavo altro che un fastidio non troppo opprimente al petto."

Detto ció, alzó gli occhi e guardó la ragazza che qualche ora prima aveva baciato, per poi tentare di capire cosa stesse pensando: nonostante le sue abilità deduttive, però, non era mai riuscito a capire le donne, e non ci era riuscito neanche questa volta. La ragazza stanca, felice e sì, anche scombussolata per gli avvenimenti di quella giornata, porse la sua mano al ragazzino, e gli sorrise malinconicamente.
"Dai, Shinichi" disse, dopo aver emesso un breve sospiro. "Adesso torniamo a casa... Scommetto che papà starà già brontolando perché non sono ancora tornata!"
Entrambi si diressero verso l'ingresso lentamente, come avessero paura di abbandonare la casa dove fino a poco prima. avevano trascorso momenti indimenticabili.

Arrivati all'uscio, il ragazzo indugió per poco ad andare. "E adesso... Che succederà?" Chiese, con una leggera tristezza percepibile dal suo tono di voce. Ran si arrestó per qualche secondo, mentre un leggero brivido causato dalla brezza che soffiava fuori le pervadeva il corpo. "Beh... Venga quel che venga - disse sorridendogli - Non posso sicuramente stare con un bambino che ha dieci anni in meno rispetto a me, ma non posso nemmeno ignorare ció che è successo qui e oggi. Quindi... Sappi solo che posso aspettarti." Sospirò. "Dopo ciò che ho visto e sentito oggi in questa casa, ho capito che per te potrei aspettare anche fino alla fine dei tempi." Detto ciò sorrise, un po' malinconicamente, e s'incammino verso casa, mano nella mano con il detective. Le costava, aspettare; aspettare che Ai creasse una nuova e definitiva cura, in modo da poter riabbracciare - e sì, anche baciare di nuovo - il ragazzo, Aspettare di stare ufficialmente con lui, dirlo con orgoglio a tutti, sprizzando gioia da tutti i pori. Eppure, ne valeva la pena. Avrebbe vissuto altre mille volte quelle attese, i litigi e altre difficoltà, anche solo per la remota possibilità di stare accanto al ragazzo che tanto amava, e che non aveva mai davvero perso.
Andrà tutto bene, si disse.
Andrà tutto bene.

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N/A:
Spero di non avervi fatto venire il diabete con tutta questa dolcezza, lol.
In ogni caso, spero che questo capitolo vi sia piaciuto .w.
Tanti saluti dalla vostra Nerdfighter :)

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