Deus ex machina

di Eliele
(/viewuser.php?uid=374758)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Apparizioni e presentimenti ***
Capitolo 2: *** Un pizzico della mia realtà ***
Capitolo 3: *** Spiacevoli incontri ***
Capitolo 4: *** Ciò che faccio e ciò che sono ***
Capitolo 5: *** Dissensi tra i ranghi ***
Capitolo 6: *** Qui c'è qualcosa che non quadra ***
Capitolo 7: *** L'orologio è partito, la lancetta gira ***
Capitolo 8: *** Tra nuove seccature e soliti demoni ***
Capitolo 9: *** Il calore della morte ***
Capitolo 10: *** Stupida, stupida, stupida... ***



Capitolo 1
*** Apparizioni e presentimenti ***


< I vampiri si dirigono ad est, sulla quattordicesima > la voce gracchiante del suo migliore amico, deformata dal microfono che portava all’orecchio, le rimbombò in testa.

Quanto mai ho acconsentito a questa cosa pensò Buffy, sistemandosi l’auricolare. Da quando, un anno prima avevano fermato l’ennesima Apocalisse e distrutto la Bocca dell’Inferno di Sunnydale, tutto era cambiato. Le  potenziali Cacciatrici dell’intero pianeta erano diventate effettive Cacciatrici e Buffy e i suoi amici le avevano cercate per tutto il mondo, radunandone diverse centinaia. Poi le avevano stanziate in diverse “cellule operative” (battezzate così da Andrew) in ogni continente. Buffy e gli altri si erano divisi le responsabilità dell’addestramento e, in certi casi, dell’educazione delle nuove Cacciatrici. Avevano deciso di stabilire un “quartier generale segreto” nei pressi di ogni Bocca dell’Inferno, dove poter organizzare efficacemente l’azione anti-demoniaca. Andrew aveva insistito per dotare ogni base di tecnologie piuttosto avanzate, “prese in prestito” da diversi suoi contatti. Da qui il microfono all’orecchio che, dotato anche di un GPS funzionale, permetteva di tenere sotto controllo le nuove reclute e i loro spostamenti. Buffy avrebbe preferito fare le cose alla vecchia maniera, la Caccia con il fidato paletto e l’amico istinto per intenderci, ma si ritrovò ad acconsentire alle proposte degli amici. Le sembrava di essere tornata ai tempi dell’Organizzazione, ma doveva ammettere che il nuovo sistema aveva i suoi vantaggi. Dopotutto, tenere d’occhio centinaia di ragazze dotate di superpoteri, molte delle quali animate dagli istinti ribelli dell’adolescenza, non era né facoltativo né facile. In quel momento Buffy e cinque Cacciatrici novelline, appena arrivate a Craterside, stavano inseguendo un gruppo di non-morti, una ventina più o meno che stavano fuggendo costeggiando il tratto est dell’interstatale 121, probabilmente in cerca di una grotta o di un’improbabile cripta nei dintorni. Buffy rimpiangeva i tempi in cui ogni borioso vampiro che incontrava si buttava senza esitare in un sano e mortale duello contro di lei. Ma con l’improvviso incremento delle Ammazzavampiri, molti demoni,  si davano alla fuga.  Fin dall’inizio dei tempi, fu stabilita la nascita di una Predestinata per ogni generazione, la sola ed unica Cacciatrice in grado di combattere e sconfiggere tutte le Forze del Male. Ma a seguito dell’ultima Apocalisse, per sconfiggere il Male Primordiale, Buffy e la sua banda erano riusciti a cambiare le regole: grazie alla Falce, un’ascia dai poteri incredibili, Willow, la strega potentissima del gruppo, riuscì a spezzare il vincolo, permettendo ad ogni potenziale Cacciatrice del pianeta di indossare le vesti di supereroina. Quindi Buffy non poteva biasimare i vampiri, visto e considerato che una sola Cacciatrice era già un grosso guaio, trovarsene ad affrontare cinque era veramente un suicidio.

 < Sarà meglio dividersi! > disse Buffy ad alta voce < tu, Jasmine, vieni con me. Le altre prendano il fianco destro e sinistro >

 < Veramente io sarei Jennifer >

 < Ok, Jennifer dobbiamo andare >. Fino a quel momento aveva conosciuto più di 300 neo-Cacciatrici, e imparare i loro nomi si stava rivelando un’impresa piuttosto ardua. Andrew aveva proposto di affidare un numero a tre cifre ad ogni Cacciatrice e farlo stampare sul braccio con inchiostro verde brillante, ma la proposta era stata bocciata all’unanimità. Bocciata nel senso che il giovane criminale informatico aveva assaggiato un bel calcio nel sedere, assestatogli da una giovane recluta alle prime armi. Calcio che gli era costato cinque punti di sutura alla fronte. Da quel momento Andrew fu molto più attento a limitare i suoi malsani suggerimenti di fronte alle neo-Cacciatrici.

Ma dividersi fu inutile perché il bosco convergeva in un’unica direzione e dopo pochi minuti si ritrovarono tutte nello stesso punto: le tracce dei vampiri si erano interrotte 200 metri più avanti, dove un piccolo torrentello melmoso indicava la via verso un condotto fognario. La puzza dei liquami che fuoriuscivano dal dalla fogna era quasi insopportabile. Appena aveva visto l’entrata del condotto mille campanelli d’allarme le erano risuonate in testa. Non mi piace. Fu il primo pensiero che le ronzò in testa. Con tutte le possibili vie di uscita sarebbe stato difficile stanare i vampiri e, allo stesso tempo, se i vampiri si fossero organizzati efficacemente, sarebbero potute cadere facilmente in trappola. Buffy si sistemò nuovamente il microfono all’orecchio che tendeva a cadere di lato

 

Xander rispose subito, impostando la frequenza in modo tale che solo Buffy potesse sentire la sua voce < Sissignora, siamo già all’opera. Dammi un secondo. Mmmh un minuto. Aspetta ancora un attimo. Diamine, la connessione è lentissima! >

Buffy sospirò. In quanto a tecnologia avrebbero dovuto fare qualche aggiornamento. Dopo qualche minuto le nuove Cacciatrici davano già segnali di impazienza. Alcune bisbigliavano frenetiche tra loro:

< Ma non dovremmo entrare? >

< No stupida potrebbe essere una trappola! >

< Io direi di tornare indietro, non possiamo rischiare! >

< Ma siamo sicure che Xander.. >

Buffy decise di mettere fine al chiacchericcio. < Ok, ragazze adesso dovete darvi una calmata. Una delle virtù principali di una Cacciatrice è la pazienza. Per elaborare un piano efficace è necessario pensare. E pensare richiede tempo e pazienza. Dovete ricordare che la pazienza la gemella dell’intuito, non sottovalutatela > I bisbigli si ridussero percettibilmente, fino a scomparire. Ora le ragazze guardavano Buffy come se pendessero dalle sue labbra Bel discorso si congraturò Buffy tra se e se avrei dovuto farlo a me stessa tanto tempo fa. Ho sempre odiato pazientare

Sentiva che le ragazze non erano pienamente consapevoli di ciò che comportava essere una Cacciatrice. Molte di loro erano guidate unicamente dalla loro esuberanza e dalla “superbia di superpoteri” che le portava a gettarsi contro il nemico senza esitare e senza pensare alle conseguenze. In tutte le spiacevoli circostanze che si era ritrovata a fronteggiare, Buffy aveva sempre seguito ciò che le diceva il suo istinto anche se questo  le urlava a squarciagola di scappare. Ed era per questo che era ancora viva. Non era ancora riuscita a trasmettere questo vitale insegnamento alle ragazze e sapeva che sarebbe stata una missione alquanto difficile.

Finalmente Xander si fece sentire: < Ok Buffy, abbiamo trovato la pianta delle fognature. È enorme, ci sono diversi cunicoli che si diramano in tutte le direzioni. Al centro dovrebbe esserci una sorta di discarica aperta. Ma la mappa risale a molti anni fa, non so se può essere ancora affidabile. Con tutti i condotti in uscita che ci sono i vampiri potrebbero essere andati dovunque. Potrebbe essere solo una perdita di tempo >

< Grazie Xander. Ci sentiamo dopo. > Buffy mise in stand-by l’auricolare. < Missione annullata ragazze. Si torna a casa >

Vide alcune facce contrite, altre sollevate. C’è ancora molto lavoro da fare si ritrovò a pensare Buffy mentre si accingevano a tornare indietro molte di loro non si rendono conto delle loro capacità né sanno come sfruttarle al meglio

Ma una voce preoccupata ruppe il silenzio: < Aspettate! Dov’è Jennifer? >

Buffy si guardò attorno. < Jennifer! > chiamò, non aspettandosi davvero una risposta. Maledizione! Quella ragazza è una testa calda, dovevo immaginare che avrebbe fatto qualcosa di stupido prima della fine della giornata. Buffy fece due calcoli. Non poteva essersene andata da più di cinque minuti quindi, se avessero fatto in fretta, avrebbe potuto raggiungerla in breve tempo. Ma non poteva lasciare lì le ragazze e in quel momento Jennifer poteva essere già in pericolo. Era una Cacciatrice ma era pur sempre una ragazzina, non aveva mai combattuto in un vero scontro e avrebbe dovuto uccidere venti vampiri da sola. Decisamente, non ce l’avrebbe fatta.

< Va bene ragazze. Dietro di me e fuori i paletti > Si addentrarono il più silenziosamente possibile nel cunicolo. Il soffitto dei condotti era crollato in più punti e la debole luce lunare rischiarava il pavimento sotto di loro. Buffy avvertiva che c’era qualcosa che non andava. Analizzate le tracce, avevano appurato che i vampiri sapessero con sicurezza dove dirigersi. Sembrava che conoscessero molto bene il posto. Ma, a meno che la loro aspirazione non fosse diventare dei bei mucchietti di cenere, non era molto adatto come rifugio diurno. Qualunque vampiro non avrebbe gradito passare la notte in luoghi ammuffiti e puzzolenti, per quello ci pensava già di giorno. Buffy sentiva crescere sempre di più la sensazione di inquietudine. Più avanti intravide un oggetto luccicante. Lo raccolse. Era una piccola croce di legno che Buffy aveva visto al collo di Jennifer. Brutto segno. Le croci, insieme all’acqua santa, erano tra i pochi oggetti in grado di ferire un vampiro. Per ucciderlo, invece, si poteva conficcargli un pezzo di legno nel cuore oppure esporlo alla luce del sole. Due metodi oltremodo efficaci.

< Ragazze adesso… > Si girò di scatto, colta da un’improvviso presentimento. Dietro di lei non c’era nessuno. < Ragazze! > chiamò poco convinta. Silenzio, solo lo scrosciare timido e costante dell’acqua corrente. Dove accidenti sono finite? Si ricordò improvvisamente degli auricolari che ognuna di loro portava all’orecchio. Devo ancora abituarmi a questi maledetti aggeggi

< Xander, controllami la posizione delle ragazze. Non so cosa sia successo ma ci siamo separate > Nessuna risposta. < Xander! > Dall’apparecchio non giunse alcun rumore. Poi uno sfrigolio. E un botto. Bene ci mancava anche questa! Il microfono era esploso. Buttò a terra quel che rimaneva dell’ auricolare e, solo in quel momento, si rese conto di essere sola. Era una situazione in cui era abituata a trovarsi, dopo anni di Caccia solitaria, eppure, dopo i mesi passati in compagnia del vociare e delle risate delle nuove arrivate, si accorgeva della solitudine molto più di prima. Beh sarà come tornare ai vecchi tempi pensò Buffy mentre si addentrava nel cunicolo. In quella fogna non c’era nulla per potersi orientare e quindi dovette procedere alla cieca, ma, in breve tempo, si rese conto che la sua impresa sarebbe stata più difficile del previsto: quel posto era come un labirinto. Buffy procedette a tentoni, cercando un qualsiasi segno del passaggio delle ragazze. Non trovò alcuna traccia, né di loro né dei vampiri. Il dedalo di cunicoli si diramava sempre uguale e non c’era alcun modo per capire da che parte dirigersi. Buffy cominciava a irritarsi, le sembrava di camminare da ore e l’olezzo e la puzza di fogna non aiutavano favorivano certo il suo umore. < Buffy! > un grido, alla sua destra. Si mise a correre il più velocemente possibile, stando bene all’erta, con il paletto in mano, pronta per qualsiasi sorpresa. altre urla, questa volta davanti a sé. < Sono qui! > urlò in risposta. Poi le voci si moltiplicarono, ora le sentiva tutte, le ronzavano intorno come api che circondano l’alveare: moltissimi sussurri inframmezzati, bisbigli confusi, imploranti richieste d’aiuto < Buffy…Buffy… > Qualcuno stava giocando con lei. Cercando di ignorare tutte i mormorii che ruggivano insistentemente nella sua testa, procedette ancora fino ad arrivare, finalmente, ad una svolta decisiva. Si ritrovò in un ampio salone circolare, illuminato da decine torce fiammeggianti infisse sul muro. Doveva essere la discarica centrale di cui aveva parlato Xander; peccato che quel posto non assomigliava affatto ad una discarica. Il pavimento era ricoperto di una specie di melma gommosa, di un inquietante colore rosso scuro. La volta stellata si rifletteva sotto di lei, ballava con il fuoco di molteplici torce appese al muro, creando un gioco di ombre multicolori. A terra si vedevano delle sagome confuse, che parevano danzare sinuosamente. Eppure intorno a Buffy non c’era nessuno. Perlomeno, nessuno che si potesse vedere. Le voci si fecero più chiare, più forti, come se la loro fonte fosse più vicina. Buffy decise di concludere questa storia < Ora basta! So che ci siete! Venite fuori! > Nel giro di pochi secondi un’ombra emerse dalla terra, i suoi contorni si delinearono lentamente, fino a formare la figura di una donna bellissima dalla folta chioma bionda e riccia e dagli occhi color ambra. Era vestita sobriamente: indossava una lunga tunica nera che  le avvolgeva il corpo dalle forme sinuose e ai piedi portava un paio di sandali di cuoio. Buffy notò che la sua caviglia era avvolta da un monile d’argento finemente elaborato. Al centro del petto era stampato un disegno d’argento, un sole lucente che si stagliava limpido nella penombra della notte, in netto contrasto con il colore scuro della veste. Il sole lampeggiava ritmicamente. Buffy rimase incantata dalla sua visione, i suoi occhi, come ipnotizzati seguivano il percorso lento e regolare dei suoi lunghi raggi pulsanti. Le sembrava di udire un canto che fuoriusciva dal cerchio solare, una sorta di musica eterea proveniente da un altro mondo, accompagnata da voci soavi.

Buffy si riscosse all’improvviso < Chi sei tu? > chiese, cercando di recuperare la lucidità

La Cacciatrice appariva rilassata, ma le sue dita tamburellavano impercettibilmente sull’impugnatura del paletto. Nonostante l’aspetto apparentemente innocuo,  quella donna aveva un qualcosa in grado di ammaliare chi le stava intorno e quindi poteva essere ben più che pericolosa. Nonostante il breve momento di contemplazione  avesse suscitato in Buffy un senso di beatitudine, sapeva che tutto questo poteva essere un inganno.

Sul viso candido come la neve della signora era stampato un sorriso enigmatico.

< Sono solo una messaggera, Buffy Summers > la voce, sensuale tanto quanto il suo aspetto, sembrava della consistenza del fumo, come se si potesse afferrare le sue parole solo per qualche istante, prima di lasciarsele sfuggire dalla punta delle dita.

< Come conosci il mio nome? >

< Anche di Sopra e di Sotto si sente parlare di te, Cacciatrice. Dovresti sentirti onorata di questo >

< Di cosa stai parlando? Comandi tu il manipolo di vampiri? >

< Gli Impuri sono stati solo frutto della tua immaginazione, semplici immagini create all’interno della tua mente. Dovevo trovare un modo per farti venire da me. Io porto un messaggio, Cacciatrice >

< Che genere di messaggio? Dove sono le mie compagne? > Buffy cominciava a spazientirsi, più tempo passava minori erano le probabilità di trovare le ragazze tutte intere. Sempre che le avesse ritrovate.

< I tuoi Seguaci stanno bene, in questo momento sono nelle rassicuranti braccia di Morfeo. Ho poco tempo, Cacciatrice, non mi è permesso stare qui più del necessario. Ma ci sono tante cose che devo dirti > Il volto della donna si fece improvvisamente serio.

Buffy sentì un improvviso bisogno di ascoltare. Aveva la sensazione che ciò che avrebbe udito le sarebbe stato di vitale importanza per il futuro < Parla. Ti ascolto >

< Presto, prima di quanto possiate prevedere, una nuova Apocalisse attraverserà questo mondo > Il tono della donna era grave, venato di una nota di tristezza. < Voi lotterete. Ma non vincerete>

< Che genere di Apocalisse? Chi ti ha detto questo? >

< Nessuno, Cacciatrice. Io ho la capacità di vedere il futuro, il passato e il presente. Per me spazio e tempo non esistono. La Vista va oltre il tangibile. Oltre ciò che tutti possono vedere > Le ombre sul pavimento cominciarono a vorticare creando un insieme confuso di immagini. Un tempio dai mille colori fulgidi e brillanti. Un prato, coronato da centinaia di fiori disposti in un arcobaleno colorato. Al centro di quello spettacolo naturale si cominciò a distinguere una macchia di colore rosso purpureo. Si allargò sempre di più fino a tingere tutta l’erba e i fiori del suo colore mortale.

Buffy sentì le viscere stringersi in una morsa e distolse lo sguardo. < Che razza di magia è questa? Sei una strega? >

< No. Non puoi comprendere quello che hai visto. Solo noi Alti Profeti possiamo sapere cosa succederà poiché vediamo Avanti e Indietro, di Là e di Qua >

< Ora basta parlare per enigmi! Dimmi quello che sai! Cosa avverrà? Cosa dobbiamo fare per fermarlo? >

< Nulla. Voi non potete fermarlo. Voi sarete sterminati >

La morsa che Buffy sentiva si fece più forte. < Abbiamo sempre combattuto. In ogni Apocalisse. E abbiamo sempre vinto, alla fine. Come sarà diversa questa? A che cosa dobbiamo prepararci? >

La voce della donna si indurì < Non potete fermarla. Dovete scappare. Dovete nascondervi. Dovete andare dove non possono trovarvi. Non ci sarà più speranza per questo mondo >

< In che cosa sarà diversa questa Apocalisse? > insistette la Cacciatrice

Il volto della donna si intristì < Hai rotto l’equilibrio, Cacciatrice. Deve essere ristabilito >

< Come ristabilito? Che cosa arriverà? > Buffy non cominciava a non sopportare più l’atteggiamento misterioso della donna.

< Arriverà ciò che voi non potete combattere. Potete solo scappare. Non mettere in pericolo la tua gente, Cacciatrice. Se vi opporrete, sarete distrutte >

La Cacciatrice ne aveva abbastanza di enigmi e parole vuote Ok, basta con le buone Buffy si lanciò in avanti, con l’intenzione di afferrare la donna e costringerla a parlare più chiaramente, ma prima che potesse anche solo toccarla, ella svanì. Che cosa..?

 < Sei troppo impetuosa Cacciatrice. Ciò che vi ha reso forti, sarà ciò che vi distruggerà >

Buffy si guardò intorno, cercando la donna. Sembrava scomparsa, perlomeno nel piano fisico. < Che cosa posso fare? > Buffy si accorse suo malgrado che la sua voce aveva assunto un tono disperato.

< Devi solo ricordare… > il suono si abbassò sensibilmente di tono, come se la sorgente si stesse lentamente allontanando < che la strada… > ora le parole erano appena udibili < si può cambiare.. > In un attimo tutto finì. Le voci, che fino a quel momento avevano tormentato la testa di Buffy, sparirono. Le ombre furono risucchiate nel vuoto, insieme al colore rosso del suolo. Le torce scomparvero. Buffy si ritrovò improvvisamente lì, pensierosa e inquieta, in mezzo a una discarica puzzolente. Solo un rumore disturbava il silenzio appena conquistato: il russare ritmico e costante di cinque ragazze addormentate.

 

Willow si alzò piano dal letto, cercando di non fare rumore. Qualcosa aveva destato il suo sonno. Una sensazione, forte quanto presentimento si stava faceva largo dentro di lei, scavando nel suo cuore, nel tentativo di trasmetterle un messaggio. Nell’aria si percepiva elettricità, non l’elettricità naturale, ma una sorta di elettricità magica, persistente e continua come la quiete prima della tempesta. Willow si chiuse in bagno cercando di riordinare i pensieri. Sarebbe successo qualcosa di grosso. Lo percepiva, ma non riusciva a concretizzare chiaramente ciò che sarebbe accaduto. Chiuse gli occhi, cercando di esplorare dentro di sé per trovare qualcosa che potesse indicarle la via da percorrere. Ma mille pensieri le affollavano la mente. Come si sarebbe comportata? Avrebbe dovuto dirlo agli altri? E se poi si fosse sbagliata? Lei e i suoi amici erano già impegnati su diversi fronti, non voleva dar loro altre preoccupazioni per la testa. Sentì un paio di braccia cingerle la vita.

< Ehi piccola. Va tutto bene? > Willow sorrise e si appoggiò al corpo sodo e muscoloso della sua ragazza, Kennedy.

< Sì, sto bene. È che ieri sera ho mangiato troppo, probabilmente non ho digerito > Non era mai stata brava a mentire e probabilmente Kennedy se ne accorse ma non disse nulla.

< Vieni, andiamo a letto. Ci penso io a farti rilassare > Quando le loro labbra si incontrarono e le loro lingue si incrociarono, Willow non pensò più a nulla. Eppure anche lì, nel bel mezzo dell’estasi dell’amore, la sensazione pungeva. Sarebbe arrivato qualcosa. Qualcosa di potente. La scossa stava arrivando.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Un pizzico della mia realtà ***


C’è solo fuoco. Le sue spire, di un colore giallo-rosso, lambiscono delle figure indistinte, dalle sembianze umane che squarciano il cielo con le loro urla ferite. C’è tanto sangue. Sull’erba. Sugli alberi. Sui fiori. Su di me. Una voce, familiare ma eterea, emerge dal caos.. Promettimelo… Promettimelo…

< Lexie vieni giù, i ragazzi devono andare a scuola! > lo strillo mi sveglia di soprassalto.

Picchio la nuca contro la testiera del letto soffocando un’imprecazione. Ho il cuore in gola, brividi gelati lungo il corpo e il pigiama è appiccicato alla mia pelle sudata. Cerco di scacciare dalla mente l’ennesimo incubo che ogni tanto perseguita il mio sonno e inizio a pensare alla solita ruotine che scandisce le mie ore diurne. Mi alzo e, tanto per migliorare il mio umore mattutino, mi guardo allo specchio. Due occhi di colore blu elettrico mi restituiscono lo sguardo, capelli neri corvini molto spettinati  fanno da contorno alla mia faccia pallida ancora assonnata e occhiaie profonde mi segnano il contorno degli occhi. Ok, addio autostima. Sto proprio uno schifo. L’orologio segna le 7.40 quindi sì sono decisamente in ritardo. Frugo nell’armadio e, nel mucchio informe che dovrebbe contenere l’agglomerato dei miei vestiti, pesco a caso un paio di jeans corti e una maglietta nera con un una spirale multicolore al centro, una delle mie preferite. Percorro il corridoio di corsa e mi fiondo verso il bagno. Ma un ragazzino allampanato mi supera di slancio e mi sbatte la porta in faccia.

 < Joey! > urlo infuriata.

Potrei tranquillamente rompere la serratura, aprire la porta e buttare fuori di peso la giovane peste che sta occupando il mio bagno ma questo non è il mio stile. Perlomeno non qui. Decido quindi di far colazione e scendo in salotto. Come al solito, è un disastro. Inciampo su mucchi di vestiti sparsi qua e là e quando raggiungo il tavolo devo lottare contro l’invasione di scatole di cibo e bottiglie vuote per accaparrarmi una tazza di cereali. Mentre mi godo il croccante bottino conquistato con fatica, la osservo. Gina è lì , accasciata su una delle tante sedie che avrebbero bisogno di una rivisitazione all’imbottitura sgualcita. È ubriaca già di prima mattina. Una volta aveva abbastanza autocontrollo su di sé da evitare le pesanti sbronze mattutine ma, ultimamente, è difficile che non si scoli almeno un bicchierozzo prima del sorgere dell’alba. Mi sorprende che sia riuscita, poco prima di crollare inerte sulla sedia, a sbraitare così forte. Mi preparo in fretta e furia, usando il pettine di riserva e sciacquandomi nel lavabo della cucina. Un paio di teste arruffate emergono dallo stipite della porta.

< Pronti per andare? > chiedo, cercando di infondere nella mia voce un pizzico di entusiasmo. Non funziona. Jane, un piccolo angioletto biondo di sei anni mi guarda assonnata, e Max mi fa un sorriso tirato e un po’ confuso. Mmmh a quanto pare devo ancora allenare ulteriormente la mia capacità di trasmettere entusiasmo nelle giovani menti fanciullesche. Max è l’ultimo arrivato. È qui da un paio di mesi. Non ha detto una sola parola da quando è stato recuperato. Non so quale sia la sua storia, ma di sicuro non prevede unicorni saltellanti e arcobaleni lucenti, come quelle di tutti noi del resto. Siamo i ragazzi della 107esima casa famiglia di Los Angeles. Io, Joey, Jane e Max. Joey viene dal riformatorio di Upper Street, sulla quattordicesima, così come Jane. Mentre il piccolo Max l’hanno trovato su una strada in periferia, raggomitolato in fondo a un cassonetto di immondizia, che piangeva impaurito. È un miracolo che siano stati gli Agenti Paritari a trovarlo prima di qualcun altro o di qualcosa di altro. Nessuno sa cosa gli sia successo o quanti anni abbia. Sappiamo solo che dopo un breve periodo in un orfanatrofio, è stato scelto per il Programma. Ogni anno pescano a caso alcuni ragazzini dai riformatori, dai penitenziari giovanili, dalle strade e inseriscono le povere piccole anime sbandate in una Casa Famiglia, per portarli sulla via della redenzione. Questa è la storia ufficiale.  In realtà si tratta soltanto di scaricare i ragazzini problematici al primo sconosciuto che passa, che però è abbastanza furbo da capire che gli assegni mensili possono essere piuttosto utili a migliorare la sua triste e penosa vita. Ovviamente non sono delle cifre esorbitanti, ma sono sufficienti per permettere una vita quanto meno dignitosa, difficile da trovare di questi tempi. Ma, chissà perché, nelle Case Famiglia è stato riscontrato un progressivo aumento di Affidatari totalmente sballati, o pieni fino al collo di debiti di gioco oppure sempre sbronzi, come nel caso di Gina. Ma per spiegare la difficile realtà in cui ci troviamo oggi, bisogna partire dall’inizio. Dal momento della Rottura, tutto è cambiato. Anni e anni fa la barriera intradimensionale tra i le realtà si è spezzata. Si sono riversati nel nostro mondo migliaia di mostri e di demoni di ogni genere e specie. Il Grande Male è arrivato, ha distrutto ogni briciolo di resistenza ed è scoppiato il caos. Esercito, militari, governo, forze di polizia, cittadini, tutti hanno cercato di contenere i danni combattendo  gli invasori con ogni mezzo, riuscendo a conquistare una situazione di stallo. Ma a causa della guerra prolungata, molte città sono state distrutte. Interi paesi sono stati rasi al suolo, insieme ai loro abitanti. Quando tutto sembrava perduto, loro sono arrivati. Pochissimi si sono presentati come salvatori  aiutando i pochi sopravvissuti a sterminare i mostri e a riportare l’ordine nelle poche comunità umane ancora rimaste in piedi. Altri hanno preferito ritirarsi nell’ombra allungando le loro radici malsane nei meandri delle città. Ma la maggior parte di loro si sono appropriati di interi Paesi, alleandosi con i demoni, istaurando una dittatura e uccidendo tutti coloro che si opponevano al loro governo. In breve hanno sedato le ultime rivolte e hanno istaurato un’alleanza con il mondo dei demoni o per meglio intenderci, hanno stabilito un rapporto gerarchico che prevedeva la loro suprema sovranità. Poi hanno stabilito le proprie leggi, e hanno preteso l’obbedienza incondizionata di demoni e umani. Insomma, in altre parole, ne hanno fatte di cotte e di crude. Ma si sa, come insegnano il mito e l’epica, gli Dei seguono solo i loro capricci.

 

 

Il Programma impone alcune regole, allegramente esposte nell’atrio di casa e pronte ad essere “ analizzate attentamente e studiate con perizia“da noi Affidati (cit. del nostro assistente sociale: Gary Linders, più comunemente noto come il Vecchio G. L. ). In sintesi ecco i principali “decreti inviolabili”:

1 )Rispettare il proprio Affidatario come una figura genitoriale (ehm questo punto non mi è proprio chiaro, Gina una figura genitoriale? Ma per favore…)

2) Frequentare la scuola senza riportare alcun debito a fine anno OPPURE (il maiuscolo non è mio, notate la serietà di questi tipi ) trovarsi un lavoro per supportare il difficile compito di mantenimento dell’Affidatario

3) Rispettare l’orario del coprifuoco imposto dal vostro Affidatario (che cosa si intende esattamente per coprifuoco? Le mie lacune scolastiche tendono a farsi sentire sempre più spesso ultimamente)

Se ti beccano a infrangere una di queste sommarie, sei fuori e ti guadagni un biglietto, questa volta di sola andata, per il Riformatorio. Se ti beccano. E con questo ho detto tutto.

Visto che sono in vena di esibire le mie conoscenze storiche, vorrei fare più chiarezza sulla situazione in cui i cittadini di Los Angeles si sono ritrovati dopo la Rottura. Con la Seconda Invasione gli Dei hanno preso il controllo praticamente di tutte le città del Nord America. Una volta conquistato il proprio pezzo di mondo, hanno fatto erigere statue e manifesti in loro onore (come ben si sa, gli Dei sanno essere piuttosto vanitosi e amano farsi idolatrare come figure divine, mmmh so che lo sono ma non è questo il punto). Comunque, ritornando alla storia, L.A. è stato un caso più unico che raro. In seguito alla Prima invasione, la città si è spaccata in tre parti (nord, sudest e sudovest) ognuna delle quali è stata reclamata da qualche tronfio buffone, la cui storia forse racconterò più avanti. Dopo pochi anni di governo, nei quali si sono susseguiti combattimenti per la conquista di ogni parte della città, gli pseudo-leader sono stati detronizzati da una figura misteriosa, apparsa alla giuda di un cavallo bianco, con una scintillante armatura color carbone e un elmo nero borchiato che non faceva intravedere nulla del volto al di sotto di esso (Jane ha molta fantasia ma è anche piuttosto brava a raccontare le storie ). Di questo strano tipo si sa poco o, meglio, praticamente nulla. Pare che nessuno l’abbia più visto dopo la prima, trionfante apparizione. Lui (o lei), conosciuto in città come il Solitario, è a capo di una sorta di Confraternita, formata da strani individui mascherati che difendono la città dalle rare incursioni di ribelli. Tutto questo è quello che si conosce di lui. Molti credono che sia un Dio, visto che al Secondo Arrivo è stato lasciato in pace. Altri credono che sia un demone dotato di poteri talmente grandi da intimidire persino gli Dei. Io penso che sia soltanto un tipo abbastanza furbo da sapere che ci sono molteplici mezzi per mantenere il potere e  l’intelligenza è il principale. Sotto il suo dominio, le leggi sono semplici e chiare: non si uccide, non si ruba, non si rompono i coglioni agli altri. Ogni mese, nel giorno del Riscatto, ogni umano deve versare diversi litri di sangue (maggiori o minori a seconda dell’età), per nutrire il popolo demoniaco. A questi ultimi è vietato uccidere gli umani o fare a loro cose malvagie come strappargli gli occhi o mangiargli un arto o cose del genere. Per favorire la convivenza umano-demoniaca è stato creato un corpo di Polizia Paritaria che è formata sia da componenti umani che demoniaci che si occupano di far rispettare le leggi. In questo modo umani e demoni hanno l’illusione di avere ancora un poco di controllo sulla propria vita. Si occupano loro dei crimini minori (furti, scazzottate, piccole faide mafiose…), mentre il sequestro e l’omicidio sono di competenza dei membri della Confraternita. I Confratelli si scomodano solo quando di tratta di possibili opere di ribelli.

Mentre porto i ragazzi a scuola penso che, nel ghetto in cui viviamo, il nostro piccolo nucleo di Affidati può  dichiararsi fortunato. I ragazzi possono studiare visto che una delle poche  scuole rimaste attive (e in piedi) in città è a 5 km dalla nostra via. E io ho un lavoro che ci permette di campare (o meglio due, ma il secondo non è proprio un lavoro come lo intende la maggioranza delle persone). Mi occupo di consegnare pacchi da una parte all’altra della città. È un lavoro meno noioso di quanto sembra e presenta divesi vantaggi: ad esempio, posso passare da Quartiere a Quartiere senza problemi, mentre la maggior parte dei lavoratori deve rimanere nella propria Zona. Penso che temano riunioni private in bunker segretissimi volti a reclutare anime propense ad atti ribelli, o qualcosa del genere. Ognuno deve rimanere nella propria Zona e a mezzanotte scatta il Coprifuoco per tutte le persone che non sono autorizzate a lavorare di notte. La nostra compagnia ha turni sia notturni che diurni, non chiedetemi perché, ma per me è meglio così.

< Lexie, siamo arrivati> la voce della piccola Jane mi riscuote dai miei pensieri. Spesso ho la testa tra le nuvole, ma visto quello che faccio, ogni tanto bisogna concedermelo. Lascio i piccoli davanti a quella che un tempo era una delle principali scuole di L.A. che ora si presenta come un edificio fatiscente di sette piani. L’intonaco dei muri è completamente andato e da qui si riescono a scorgere cartelloni sbrindellati e teste arruffate attraverso i pezzi di un muro ormai decadente. La Davis School, un tempo destinata all’istruzione dei rampolli di famiglie ricche, è diventata una scuola unitaria: ospita principalmente bambini delle elementari e i pochi ragazzi sopra i dieci anni che vanno ancora a scuola. Joey è uno di quelli. Nonostante sia una testa calda, la scuola gli è sempre andata a genio. Forse perché anche lui è molto intelligente. Tutta la sua stanza è piena di pezzi di metallo e di parti di ricambio arrugginite che Joey usa per costruire strane apparecchiature di cui non ho mai indagato il possibile uso.

Mentre mi allontano dalla scuola, i ragazzi mi salutano. Jane agita la manina, Max mi rivolge un mezzo sorriso e Joey mi fa una bella linguaccia. Tipico.

Ora è tempo di lavorare. Vado alla Jumpy House, il centro di controllo operativo della compagnia di spedizioni. Lì è sempre un caos. Tra pivellini incapaci di sistemare un pacco dietro la bici e le urla del capo che cerca rabbiosamente l’attenzione di qualche corriere, non sai dove girare la testa. Un ragazzone alto e muscoloso con una bici sottobraccio, mi chiama con un gran sorriso che, noto subito, non si scorge nei suoi brillanti occhi turchesi.

< Ehi Lexie! >

< Robbie! > gli vado incontro e ci abbracciamo. < quando sei tornato? > gli chiedo sorridendo.

< Stamattina! >

< Come sta? >

Gli sparisce il sorriso e lo sguardo si intristisce di colpo. Aveva chiesto una settimana di permesso per restare nella Zona Sud, dove il suo fratellino era rinchiuso in un ospedale governativo, sospettato di essere stato infettato da un virus soprannaturale. Non poteva lasciare la Zona fino ad accertamenti, ma prima che partisse non sembrava che fosse così grave.

Lo tiro in un angolo, per allontanarci da orecchie indesiderate.

< Che cosa è successo? > chiedo, temendo la sua risposta.

< Non ce l’ha fatta Lexie > la voce gli trema appena < lui non… l’ho visto… lui era… > Non trova le parole e quindi si zittisce. Lo stringo forte e lui sotterra il viso nella mia spalla. È rarissimo che si faccia vedere così, persino con me.

< Allora? Finito di lavorare scansafatiche? > Davanti a noi si trova il capo a braccia conserte che picchetta insistentemente il dito sul suo avambraccio. Al suono della sua voce Robbie si stacca di scatto da me e senza una parola va a prendere i suoi pacchi.

< Faccio io le tue consegne oggi> gli dico seguendolo a ruota e ignorando le proteste di “mancata educazione” del capo-

< No > replica lui con troppa fermezza < io ho bisogno di fare qualcosa, qualsiasi cosa >

< Va bene, sicuro > rispondo, stringendogli il braccio. Mentre si allontana si gira dalla mia parte, mi guarda e sillaba un “grazie”.

 La mia giornata prosegue tranquilla. Tra pacchi da consegnare, mance da ricevere e ragazzini da riportare a casa, è già sera. Ed ora sì che inizia il divertimento.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Spiacevoli incontri ***


La mattina dopo Willow si svegliò con lo stesso presagio della notte passata. Cercò di distrarsi preparando una ricca colazione. Pancakes con sciroppo d’acero, frullato di banana e kiwi, e una tazzona di cereali con latte caldo, la colazione preferita della sua ragazza. Kennedy uscì poco dopo dalla camera. Indossava solo una lunga canottiera, che aveva preso da uno dei tanti scatoloni del trasferimento. Erano riuscite a comprare un piccolo ma comodo appartamento fuori città. Il proprietario aveva cercato di venderlo di fretta e furia, ad una cifra bassissima e, non appena aveva ricevuto il denaro era sparito, senza neppure disturbarsi a prendere le sue cose. Le due ragazze scoprirono presto perché: un fantasma infestava il suo appartamento. Si trattava di una vecchia signora, che si era suicidata lì una decina di anni prima. Willow stabilì subito un contatto con lo spirito, per capire l’origine della sua pena. Aveva scoperto che la donna rimpiangeva il fatto che il figlio non avesse mai ricevuto la sua lettera di addio, in cui gli spiegava la sua intenzione di farla finita e gli garantiva l’accesso a tutta la  sua eredità. Ma, in mancanza del testamento, spedito al giovane, ma mai arrivato, il marito della signora, nonché patrigno del ragazzo, aveva ottenuto tutti  i beni della moglie. Così Willow aveva rintracciato il giovane con un semplice incantesimo di tracciamento, gli aveva spiegato la situazione, lo aveva aiutato a ritrovare la lettera e le cose si erano presto sistemate. La signora, finalmente in pace con sé stessa, aveva effettuato beatamente il trapasso. Per una strega, contattare il mondo degli spiriti non era un’impresa tanto difficile. Gli spiriti lasciavano segni ovunque, e ogni persona dotata del minimo potere magico poteva facilmente coglierli e interpretarli. Soprattutto una strega potente come Willow. I poteri della giovane andavano oltre ogni immaginazione, tanto che doveva sempre porsi un limite, perché la tentazione di superare i confini naturali della Magia per introdursi in un mondo potente, oscuro e inarrestabile, non le dava tregua. Una volta, quando la sua fidanzata Tara era stata uccisa da un violento psicopatico misogino, Willow aveva perso la testa. Si era donata alla magia Oscura, grazie alla quale non solo aveva torturato e ucciso Warren, ma aveva anche colpito e ferito decine di  persone innocenti. Ritornata in sé, aveva posto un freno all’utilizzo della magia. Ma, dopo l’evocazione della Falce, era finalmente riuscita a trovare un certo autocontrollo su di sè. Aveva trovato un equilibrio con sé stessa, ma doveva ancora faticare giorno per giorno per mantenerlo.

Kennedy accompagnò la sua uscita dalla camera con un sonoro sbadiglio. < Buongiorno! Mmmh che profumino.. Pancakes! >

< Già! Con lo sciroppo d’acero.. Poi i cereali e il frullato di ...>

< banana e kiwi! > Completò Kennedy,afferrando la tazza e bevendo il suo contenuto tutto di un fiato < ti ho già detto quanto ti amo? >

< Mmmh forse un paio di volte, ma mi piace se continui a dirlo >

Kennedy scoppiò a ridere e la trasse a sé per un bacio. In un attimo si trovarono a terra, avvinghiate. Willow, tra un bacio e l’altro, riuscì a biascicare un paio di parole < Latte.. Raffredda.. >

< Ne > Kennedy approfondì il bacio, inaugurando un appassionato gioco di lingue < scalderemo > la sua bocca si spostò in giù a mordicchiarle il collo < altro > la sua bocca si spostò ancora più in giù e cominciò a baciarle l’incavo dei seni < dopo >

Ovviamente a Willow passò di mente tutta la storia della colazione ma, a metà del rito di svestimento, il telefono squillò prepotentemente, facendole sobbalzare. < Rispondo io > sospirò Willow alzandosi in piedi. Con la canottiera di Kennedy ancora in mano raggiunse la cornetta. < Pronto? >

Una voce più che familiare le rispose < Sono io >

< Ciao Buffy! Va tutto bene? Come vanno le nostre novelline? >

< Oh loro stanno bene > rispose Buffy con una voce apparentemente neutra < Ma ho bisogno di parlarti, da sola >

Willow riusciva ad avvertire una nota di preoccupazione nella voce della sua migliore amica < Ma va tutto bene? >

< Sì, cioè credo di sì.. Ci vediamo alla biblioteca centrale tra una decina di minuti? >

< Va bene. Mi preparo e arrivo. Ci vediamo tra un attimo >

Kennedy vide la fronte aggrottata della sua fidanzata < Che cosa succede? >

Willow la fissò di rimando < Non lo so > Ma di sicuro non è qualcosa di buono

 

----

 

Si stava facendo tardi e loro erano chiuse in una sala vecchia e ammuffita da più di tre ore. Probabilmente si trovavano nell’ala  meno curata e frequentata di tutta la biblioteca. Grossi tomi impolverati riempivano scaffali di legno resinoso e agli angoli dei muri si riuscivano a scorgere chiaramente decine di fitte ragnatele dall’aria praticamente centenaria. Sarebbe il posto di Giles si ritrovò a pensare Buffy mentre si rigirava distrattamente la matita tra le mani.

< Avremmo dovuto chiamare gli altri > disse Willow sconfortata, abbandonandosi  sullo schienale della sedia.

< Non voglio dar loro altre preoccupazioni > dissentì Buffy trattenendo uno sbadiglio < Poi probabilmente non è nulla >

< Su questo non posso darti ragione > replicò Willow < te l’ho detto che c’è qualcosa nell’aria e la tua apparizione o illusione che sia a qualcosa deve avere a che fare con questo >

La porta venne aperta di scatto, facendole alzare in piedi di scatto. Una donna riccioluta con gli occhiali si fermò decisa  sulla soglia. Buffy fece scivolare il blocco degli appunti sopra Demonologia moderna e Apparizioni comuni

 < Ragazze tra 10 minuti chiudiamo. Vi conviene sgomberare > comunicò severamente la bibliotecaria < E se vedo ancora una volta una lattina come quella sulla scrivania vi potete scordare di tornare >

 E poi, lanciando loro un’ultima occhiata di traverso, lasciò la stanza. Buffy e Willow si guardarono.

< Mi ricorda la professoressa Smiley > disse Buffy mentre raccoglieva i libri < Te la ricordi? Quella che ci ha fatto supplenza in quarta.. Era simpatica quanto lei >

 < è vero, un po’ le somiglia. Ti ricordi che quando era infastidita frantumava i gessetti sulla lavagna e... >

 < si metteva a correre istericamente da una parte all’altra della classe > completò Buffy scoppiando a ridere. Willow, che prendeva piuttosto sul serio la scuola e tutto ciò che la riguardava, riuscì a rimanere seria solo per qualche istante, prima di essere contagiata dalla risata dell’amica.

 < è raro trovare un’insegnante di latino e greco completamente normale > singhiozzò Buffy tra una risata e l’altra < E quella volta che… >

Ma Willow non stava più ascoltando. Una piccola lampadina gli si era accesa in testa, una lampadina che lampeggiava sempre più velocemente, cercando di attirare la sua attenzione.

 < Che succede? > chiese Buffy interrompendo quello che ormai era diventato il suo monologo

Pensa, Willow, pensa all’improvviso si ricordò le parole della professoressa Smiley – Era il protettore delle Muse e veniva venerato da poeti e musicisti che ritenevano che le loro capacità provenissero direttamente da lui. Per la sua magnifica bellezza veniva spesso simboleggiato come un sole..—

 < Apollo! > urlò Willow, saltando in piedi. Buffy la guardò interrogativa. < Apollo era il Dio della musica e della poesia > spiegò < tra le sue varie rappresentazioni c’è il sole >

Buffy non riusciva a capire il collegamento < Dal sole alla musica ci siamo. Ma non ti sembra di giungere a una conclusione un po’ troppo affrettata? > domandò Buffy, piuttosto perplessa.

< No no. Sono certa che Apollo centri qualcosa. Hai detto che la nostra donna aveva una cavigliera? >

< Sì. Una sorta di spirale d’argento. Sembravano dei rami intrecciati >

< Rami intrecciati? Allora ci siamo! Quello che hai visto era un alloro, un altro dei simboli di Apollo >

< Quindi pensi che Apollo si sia presentato a me in sembianze femminili per non farsi riconoscere? >

< No, non credo. Se avesse voluto nascondersi, non avrebbe lasciato così tanti indizi… Ma la donna deve essere sicuramente collegata a lui. Dobbiamo chiedere a Giles >

< Come procede la situazione in inghilterra? > chiese Buffy, cambiando argomento. Non aveva notizie del signor Giles da quando era partito, un mese prima, per dirigere le operazioni delle Cacciatrici in Europa. Dopo la distruzione di Sunnydale  a Cratersade, a Monaco e a Tokyo, tre enormi Bocche dell’Inferno avevano improvvisamente aperto le loro fauci, sputando sulla terra svariate centinaia di demoni e mostri. Molte delle nuove Cacciatrici si erano quindi trovate a combattere il Male oltreoceano.

< Ho sentito che lì le cose non procedono molto bene > rispose Willow < i demoni sono tanti e le Cacciatrici inesperte. In più ne hanno radunate ancora poche. Ma se la caverà. Poi ci sono Faith e Dawn con lui >

< Già. Spero che la mia sorellina non combini troppi guai… Mi chiedo ancora come le sia venuto in mente di seguire Giles… > borbottò irritata. Quella peste di sua sorella le mancava.

< Non è più una bambina. Ha messo la testa sulle spalle > Willow sbadigliò < Sono distrutta. Andiamo, dai. Continueremo le ricerche domani > Raccolsero i materiali e si diressero verso l’uscita

La parte più frequentata della biblioteca sembrava vuota. I tavoli, prima gremiti di studenti laboriosi, erano spogli di qualsiasi libro o appunto. < Siamo proprio gli ultimi > notò Buffy. Ma anche i corridoi erano bui e deserti e qualcuno aveva  spento le luci.

 < Forse non si sono accorti che c’eravamo ancora noi > suggerì Willow, poco convinta. Si erano già trovate in situazioni simili e non era mai finita bene.

< Forse > rispose Buffy, estraendo il paletto. Intravidero un’ombra sfuggente tra uno scaffale e un altro. < Chi è là? > chiamò. Oggi non faccio altro che seguire ombre e voci pensò sconfortata e divertita allo stesso tempo.

< Signora bibliotecaria? > Un paio di fruscii, prima a destra e poi a sinistra, le fecero voltare di scatto.

< Willow, puoi fare un incantesimo che ci faccia capire dov’è questa cosa? > sussurrò Buffy.

 < Ci provo > mormorò in risposta la strega.  < Indicas anima >

 Il palmo di Willow si colorò di rosso, riflettendosi sugli scaffali vicini < non c’è nessuno qua dentro > informò Willow non percependo alcuna forma di vita.

 < Nessuno di vivo o nessuno nessuno? > domandò Buffy, assumendo automaticamente una sua posizione difensiva < Non.. > Prima che Willow potesse finire la frase, un enorme serpente scarlatto emerse dal retro di uno scaffale, e con un colpo di coda la buttò violentemente a terra. Prima che potesse fare qualunque cosa, Buffy era già saltata sopra il mostro, cercando di trafiggerlo con l’unica arma a sua disposizione al momento: il paletto. Ma la pelle del mostro era talmente spessa che quel pezzo di legno, per quanto appuntito, non riusciva a trafiggere.

< Willow! > gridò Buffy, mentre cercava di non essere disarcionata dalla testa del serpente che sballonzolava su e giù, nel vano tentativo di togliersela di dosso < Potresti cortesemente passarimi un’arma decente? >

 < Subito! >

Il borsone era stato scagliato piuttosto lontano e non avendo il tempo materiale per raggiungerlo, Willow ricorse nuovamente alla magia. < Advenis me! > La Falce, l’arma primordiale delle Cacciatrici, sfrecciò dalla stanza fino ad appoggiarsi direttamente sul palmo di Willow. Buffy che nel frattempo era stata buttata giù dal collo del mostro  gettava scaffali in ogni direzione, tentando di schivare le zanne mortali della bestia. < Buffy! > Willow le lanciò la Falce. La Cacciatrice l’afferrò al volo e passò al contrattacco. Il mostro, prima inesorabile, sembrava essere più titubante. Forse la Falce lo spaventa pensò Buffy, aumentando la presa sull’impugnatura dell’arma vediamo di punzecchiarlo un po’ Si lanciò da una libreria all’altra, zizzagando per tutta la sala. Il mostro la inseguì e chiuse le fauci a vuoto a meno di mezzo metro da lei. Buffy approfittò del momento di stasi del serpente per colpirlo direttamente sulla lingua. Tranciò il pezzo biforcuto che cadde a terra con uno spiacevole “tonf”. Il mostro si girò verso di lei, fissandola irato con i grandi occhi fiammeggianti. < Ops > esclamò Buffy, alzando l’ascia per colpire di nuovo. Ma la coda del mostro fu più veloce e la sbattè a terra. Prima che si rialzasse, Willow lanciò un incantesimo < Relaberis! > Il serpente venne alzato in aria e sbattuto contro lo scaffale più vicino. Sedie, tavoli e mobili si ribaltarono dappertutto e pagine di libri svolazzarono in aria come libellule. Le due amiche si misero in posizione di difesa, aspettando la mossa successiva dell’avversario. Ma il serpente, con un ultimo sibilo, si allontanò strisciando. La Cacciatrice e la strega si diedero il cinque, contente della rapida vittoria.

< Devo portare in pattuglia un paio di ragazze nuove > informò Buffy, mentre uscivano dall’edificio.

< Vuoi che venga con te? > chiese Willow, proseguendo sulla strada selciata del cortile della biblioteca

< No tranquilla. Vai pure a casa >

Le due amiche presero direzioni diverse. Da dietro un cespuglio, un paio di occhi fiammeggianti seguivano ogni loro movimento. Il serpente sapeva che quelle piccole insignificanti creature credevano di averlo sconfitto. Ma lui si era ritirato per un semplice motivo: aveva ricevuto ordini precisi. Testare ma non mutilare. Valutare ma non uccidere. Doveva essere tutto pronto. Presto, molto presto, il suo Padrone sarebbe arrivato.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Ciò che faccio e ciò che sono ***


Un fruscio. Mi schiaccio sul muro gelido di mattoni dietro di me. Lui aguzza la vista, cercando di scorgere qualcosa oltre l’oscurità, ma non mi vede. Sono piuttosto brava a nascondermi tra le ombre. Ho dovuto imparalo fin da piccola, una volta mi serviva per scappare, ora mi è utile per cacciare. Il mio obiettivo è un demone skitis , un essere basso e squamoso, agile e veloce, ma un po’ stupido. Ha artigli lunghi e affilati come coltelli e un paio di corna ricurve. A quanto pare il tipo ha fregato il mio committente, portandogli via un bel po’ di grana. Il mio compito è quello di stanarlo e ucciderlo, senza troppo clamore e, subito dopo, far sparire il corpo. Ho i muscolì un po’ indolenziti e ho proprio voglia di sfogarmi su qualcosa. L’occasione arriva in un lampo. Lo skitis gira in uno dei viottoli laterali, allontanandosi dalla strada principale. Mi arrampico su un tetto vicino e decido di seguirlo da sopra, saltando silenziosamente da una ringhiera all’altra. Una pioggerella leggera comincia a cadere, formando impercettibili pozze d’acqua al suolo. Finalmente lo skitis si ferma in uno spiazzo isolato. Gira il suo testone da una parte all’altra, come se avvertisse qualche odore nell’aria. Prima di concludere una commissione, amo studiare il mio bersaglio. Mi piace scoprire atteggiamenti e comportamenti di ogni specie demoniaca. Dopotutto bisogna conoscere a fondo il proprio nemico. Ma questo skitis non è una preda interessante e quindi decido di finirla in fretta. Spicco un salto e piombo su di lui. Non riesce a emettere un suono perché gli spezzo il collo nel giro di un secondo. Troppo facile, mi sa proprio che stasera i miei muscoli rimarranno profondamente insoddisfatti. Prendo il corpo che puzza di melma e uova marcite (ho sentito dire che gli skitis mangiano escrementi umani e inizio a credere che sia vero) e lo butto nel primo bidone che incontro. Il  suo olezzo si può confondere con gli altri deliziosi odorini che fuoriescono dal cassonetto della spazzatura. Peccato che le figure dei netturbini siano fuori moda oggigiorno. Sfilo dal suo collo massiccio il pendaglio rosso che mi serve da prova e mi avvio verso il Greese, il locale dove il mio contatto riesce a procurarmi la maggior parte dei lavori. È uno squallido bar in fondo a Down Street, una larga bettola affollata incassata tra un anonimo condominio grigio e un altro. Tutti si ubriacano e giocano d’azzardo ben oltre l’orario del Coprifuoco ma gli Agenti Paritari chiudono un occhio perché ci sono anche loro che se la spassano nei locali.

< Ehi bellezza! > un fischio mi raggiunge dal fondo della strada. Sono un paio di uomini ubriachi che frequentano abitualmente il locale. Non appena mi riconoscono balbettano un saluto molto meno lascivo e si allontanano a passi veloci. Ho una fama piuttosto brutta qui da questa parti ma a me va bene così. Meno gente mi sta intorno meno rischi per me e per loro. Anche se c’è sempre l’altro lato della medaglia. Ovviamente i Cacciatori di Taglie sono fuorilegge e quindi devo stare sempre all’erta. Anche se è improbabile che qualche Agente Paritario cerchi di arrestarmi o mi segnali ai Confratelli, con il rischio di incorrere nell’ira dei boss di strada (i miei datori di lavoro richiedono spesso i miei servigi), non si può mai essere sicuri. Per questo non posso permettere che mi riconoscano e porto un lungo giubbotto di pelle nero e un cappuccio scuro per nascondermi il viso. Al collo ho un medaglione che possiedo da quando ho memoria. È a forma di opale squadrato, di un colore argento intenso, al centro c’è un disegno strano, una sorta di ascia d’argento che si poggia su un fiore rosso fuoco, probabilmente un giglio. Lo indosso solo quando vado a caccia, non so esattamente il motivo ma sento che devo farlo. Lo tengo però sotto il colletto perché la stessa sensazione mi dice di che non è il caso di mostrarlo troppo in giro.

Entro dal retro del bar, dove Reek mi aspetta.

< Ehi Gamba di Legno! Da quanto sei fuori ad aspettarmi? > Reek mi piace. È un criminale dal cuore d’oro. Devolve sempre più più di metà del suo bottino agli orfanelli delle strade e non si preoccupa neanche di nasconderlo. Un demone del fuoco gli ha incenerito la gamba durante la prima invasione ma lui non si è mai arreso. Ha combattuto fino alla disfatta. Molti dicono che fosse uno dei più forti Ribelli all’epoca, ma ora è costretto a passare il tempo a pulire banconi sudici in una puzzolente via di uno dei quartieri più malfamati di L.A. Se i Confratelli scoprissero che è ancora vivo, la cosa migliore che gli potrebbe capitare è l’esecuzione in pubblica piazza.

Mi fa un sorriso che riesco appena a scorgere sotto la folta barba grigia < Sapevo che avresti finito presto stanotte! Un compito del genere per te è un gioco da ragazzi >

<  Vero> asserisco. La modestia non è il mio forte.

Mi porge il mio danaro: 100 dollari freschi di stampa. Per il poco che ho dovuto faticare sono fin troppi ma io accetto sempre di buon grado.

Gli faccio appena un cenno < Ci vediamo >

< Aspetta!  Ho un altro lavoro se ti interessa! >

< Di che si tratta? >

< C’è un cliente che vuole una persona >

< Una persona? Lo sai che non accetto quel genere di commissioni >

< Non so esattamente che cosa sia >

< In che senso? > domando, perplessa. Di solito Reek è più preciso nel descrivermi l’aspetto e le capacità dei miei target.

< Mi hanno solo detto che il compenso è di 5000 dollari a lavoro finito >

< Cosa c’è sotto? > Con 5000 dollari posso mantenere tre persone per almeno 3 mesi. Ma sotto i soldi facili c’è sempre qualcosa che puzza.

< Sai che non posso dirti nulla del committente. Ma per questa volta farò un’eccezione. È arrivato tutto vestito di una tunica rossa con un copricapo color porpora che gli nascondeva tutto il volto, persino gli occhi! Io ne ho viste di cose strane nella mia vita, ma di tipi come lui mai. Prima che potessi dire qualcosa, mi dice: “Lo puoi trovare in piazza Devon alle 2.00 di stanotte. Porta una spada con l’elsa scheggiata. 5000 dollari a lavoro finito. Per il compenso domani stessa ora. Solo il migliore può riuscirci.” Poi è svanito, senza aggiungere altro >

Una scossa di adrenalina mi pervade tutto il corpo. Ho la sensazione che questo tipo non sia un criminale di basso taglio con cui ho a che fare di solito < Lo prendo >

Una ruga di preoccupazione gli solca il volto, facendolo sembrare molto più vecchio < Non sei costretta a farlo > dice < te l’ho detto solo perché sei una delle migliori e credevo fosse giusto che sapessi. Ma non per questo devi buttarti in una missione ignota. Ci sono troppe incognite. Dovremmo cercarlo e chiedergli qualche informazione in più… >

< Ormai ci sono dentro. Ci vediamo domani >

Reek fa per dire qualcosa, ma io sono già sparita nella notte.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Dissensi tra i ranghi ***


Buffy si rigirò nel letto, inquieta. Il suo sonno era agitato. Vedeva immagini nitide ma sfuggenti, sentiva suoni distinti ma lontani: fuoco e fiamme,  un vociare urlante di persone prese da una furia bestiale, un volto che si china su di lei. Capelli biondi arruffati. < Spike! > urlò Buffy e si svegliò. La sua figura era ancora impressa nella sua mente come se gli fosse stata marchiata a fuoco sulla pelle. Quell’irritante vampiro narcisisita era riuscito a scavarle l’anima e a raggiungere il suo cuore; con un processo lento e doloroso, era riuscito a superare tutte le sue barriere emotive e a raggiungerla lì, al centro della sua essenza. Ed ora era morto, risucchiato in un medaglione che aveva provocato la distruzione della sua città natale, nonché (ex) sede di un’enorme Bocca dell’Inferno, Sunnydale. Poco prima che Spike si sacrificasse, Buffy aveva ammesso di fronte a lui di provare qualcosa, un sentimento che tanto aveva cercato di reprimere nei mesi precedenti. Aveva capito in qualche modo di amarlo. Non sapeva né come né perché ma sapeva che quell’emozione che provava quando stava con lui era in qualche modo amore, un amore pieno di sofferenza e passione. Un amore intenso. Un amore unico. Ed ora Spike era scomparso, nel giro di pochi  battiti di ciglia. E Buffy non aveva ancora superato la sua perdita, tutte le parole non dette, le occasioni sprecate aleggiavano lì nella sua mente, pungendole il cuore e l’anima. Si alzò e si vestì. Era ancora presto, non stava neppure albeggiando, ma aveva deciso di fare un salto alla Base per vedere come procedevano le cose. Non sarebbe comunque riuscita a riaddormentarsi, i ricordi del passato la perseguitavano incessantemente.

La base si trovava in una vecchia scuola abbandonata, lontana da occhi indiscreti e separata dall’ultima casa del quartiere da un vasto parco verde la cui vegetazione, non curata da anni, aveva ripreso il suo selvaggio aspetto. L’aveva trovata per caso Xander, mentre sfuggiva da un branco di vampiri assetati di sangue. In pochi mesi le vecchie aule e sale erano state trasformate in dormitori, palestre, posti di controllo. Mentre percorreva il viale sterrato verso quella che ormai considerava casa, vide in lontananza, oltre un mucchio di arbusti incolti, una ragazza con i capelli corti e ricci, con una bella dotazione di  lentiggini che sembrava avere più o meno 16 anni. Buffy le si avvicinò.

< Ciao. sei di pattuglia? > le chiese, ben sapendo che avevano deciso che le pattuglie dovevano essere formate almeno da 3 elementi. Lei si girò di scatto, fissandola un po’ stralunata.

< Pattuglia? No no, io vengo da via. Mi hanno detto di venire qui > disse, con un tono un po’ incerto.

 < Sei una delle nuove allora! > dedusse Buffy < vieni ti accompagno dentro. Io sono Buffy > Si avviò verso l’entrata ma si accorse che la nuova arrivata non la stava seguendo. La ragazza  la stava fissando intensamente < Buffy Summers? > domandò con uno strana sfumatura nella voce.

< Sì sono io. Vedo che la mia fama è leggendaria > scherzò la Cacciatrice sorridendo.

< Sì è vero > sussurrò la ragazza, cambiando improvvisamente espressione. Buffy ebbe appena il tempo di reagire, prima che la ragazza estraesse dal fianco una pistola. Si lanciò nell’arbusto più vicino e il primo proiettile le passò a due centimetri dal braccio. Questa è la mia settimana fortunata si ritrovò a pensare la Cacciatrice, mentre si addentrava rapidamente tra cespugli, restando bassa. Riusciva a percepire la ragazza che si muoveva in modo un po’ impetuoso davanti a lei, si girava da una parte all’altra, nell’evidente tentativo di individuarla tra la fitta vegetazione. Muovendosi il più basso possibile, si nascose dietro una panchina di legno piena di graffi e sfregi. L’erba era piuttosto alta ed edere incolte si arrampicavano sul legno consunto come ragni sulla ragnatela. I passi della ragazza si fecero più vicini e Buffy riusci a scorgere un paio di pantaloni scuri che si muovevano sopra l’erba alta, appena a una  decina di metri da lei. La ragazza guardava a destra e a sinistra sempre più velocemente, come un serpente che cerca di individuare la sua preda. Nonostante lo sguardo indurito, Buffy notò come la mano che stringeva la pistola non avesse una presa poi così salda. Estrasse un paletto e mirò alla mano della ragazza. Con un colpo secco e preciso, l’impugnatura dell’arma andò a colpire il dorso della mano che, istintivamente, sciolse la presa. Prima che potesse chinarsi a riprendere la pistola, Buffy le si lanciò addosso, buttandola a terra. Con il ginocchio la inchiodò  al suolo.

 < Chi sei? > le chiese < Pensavo fossi una mia fan >

La ragazza cercò di dibattersi. Nonostante non avesse problemi nel tenerla ferma, Buffy notò che la ragazza aveva una forza superiore alla media. Era una forza da Cacciatrice.

< Sono venuta a portare un messaggio > ansimò lei continuando invano a dimenarsi.

< Oh  > si stupì Buffy < Questa è la settimana dei messaggi. Non potreste semplicemente mandarmi una mail? Siamo nel XXI secolo, ricordate? >

< Non tutte siamo dalla tua parte. Non puoi schiavizzarci. Non puoi imporre a tutte di venire nei vostri centri-prigione. Noi abbiamo una nostra vita, e decidiamo noi cosa fare > disse con un tono sorprendentemente neutro e quasi meccanico.

< Imporre? Noi non imponiamo niente. Potete venire qui se volete conoscere di più sui vostri poteri e e su quello che dovrete affrontare > Buffy era sbalordita. Chi era quella ragazza? Chi l’aveva mandata? Il discorsetto che aveva appena sentito sembrava imparato a memoria.

< Noi non vogliamo venire da voi. Noi vogliamo essere libere >

 Questa ragazza ha qualcosa che non va pensò Buffy sembra che le abbiano fatto il lavaggio del cervello

< Senti ragazzina > La Cacciatrice la tirò su e la tenne per il colletto < Non so chi tu sia e non me ne frega niente delle tue manie da liberismo. So soltanto che sei arrivata qui con una pistola in mano e non hai esitato a premere il grilletto. Ora o mi dici perché sei qui veramente oppure ti darò un buon motivo per preoccuparti >

La ragazza la guardò, tentando di capire se doveva rispondere o meno alla domanda < Sono qui per Levy >

< Chi è Levy? > Il nome le suonava familiare, ma non riusciva ad associarlo ad alcun volto conosciuto.

< Levinia. La ragazza che state trattenendo contro la sua volontà. Lei è una mia amica. Mi hanno detto che l’avrei trovata qui >

< Chi te l’ha detto? > domandò Buffy, aumentando la presa

< Delle persone >

< Quali persone? Di chi stai parlando ?> la Cacciatrice iniziava a spazientirsi

< Altre Cacciatrici. Cacciatrici come me e Levy >

< Voi non siete Cacciatrici. Le Cacciatrici sono nate con un dovere, con una missione da compiere. Non sono delle criminali che usano le loro capacità per commettere crimini >

< Ehi Buffy! > Una schiera di tre giovani figure emerse dagli arbusti. Erano tre Cacciatrici che avevano completato l’addestramento base da un paio di mesi e che aiutavano Buffy e gli altri con le novelline. Probabilmente avevano appena accompagnato le nuove ragazze in pattuglia e stavano tornando alla Base.

< Ciao ragazze! Dobbiamo entrare e chiacchierare con questa ragazza e la sua amica. Sembra che qui ci siano sempre più dissensi tra i nostri ranghi > Lasciò la presa e la ragazza tentò di scappare, ma fu subito bloccata da due Cacciatrici. Non vedendo vie di fuga, la ragazza fece la sostenuta < Va bene. Ascolterò cosa avete da dire > disse compunta e si incamminò verso l’ingresso, scortata da Buffy e dalle altre.

 

(…)

< La situazione è peggiore del previsto > dichiarò Buffy. Si erano riuniti in una vecchia sala professori che era stata adibita a centro riunioni, era ancora un po’ malmessa e disordinata ma riusciva comunque a servire allo scopo. Le riunioni erano aperte a tutti ma a quest’ora le Cacciatrici erano ancora in giro in pattuglia o stavano riposando al piano di sotto. Per molte di loro la base era diventata una vera e propria casa. Per evitare qualsiasi problema con i genitori, Andrew e Willow erano riusciti a falsificare documenti che attestavano la partecipazione delle ragazze ad una scuola prestigiosa, la cui frequentazione era riservata alle menti più brillanti di tutta l’America.

< Ci sono altre, non sappiamo quante, che  lavorano in proprio e con questo non intendo che cacciano demoni da sole > continuò Buffy  < Pensavamo che Levinia fosse un caso isolato invece da quanto abbiamo saputo dalla ragazza solo qui in America sono più o meno una ventina e altre si stanno unendo alla banda >

< Cacciatrici con le pistole. Qui non c’è più religione > sospirò Xander

< Ma che vogliono? Qual è il loro scopo? > domandò Kennedy

< Vogliono la libertà di scelta, come la chiamano loro. Vogliono usare i loro poteri non per combattere il Male ma per i loro fini che… >

< Nella maggior parte dei casi non includono aiutare le vecchiette a portare le pesanti borse della spesa > completò Xander mentre giocherellava distrattamente con una penna. < Ok, la smetto > si arrese vedendo gli sguardi degli amici

< Andrew, hai quasi finito o devo aiutarti? > chiese Willow al giovane nerd che stava trafficando con il computer <  Non vorrei che tutto saltasse in aria come i nostri nuovi e super microfoni-auricolari ultramoderni…>

< Non è colpa mia se è saltato tutto. L’elettricità qui non è il massimo > borbottò Andrew < Comunque ho fatto! > Lo schermo si accese all’improvviso e comparvero due volti distinti, protesi verso una telecamera invisibile. Una ragazza dai capelli lunghi e corvini li fissava con un sorrisetto sulle labbra, mentre un uomo sulla sessantina, con un paio di occhiali tondi e un’aria severa cercava di spostare qualcosa di fronte a se.

< Non capirò mai la funzione di questi aggeggi > borbottò tra se e se.

 < è facile signor Giles > esordì Willow < Basta che lei  guardi dalla nostra parte e cominci a parlare. Vedrà che funzionerà! > Poi scoppiò a ridere, insieme a tutti gli altri.

 < Ridete pure, ragazzi >  disse Giles < Ma vedrete che queste macchine saranno la rovina dell’umanità ,prima o poi > Buffy aprì la bocca per parlare ma Giles la precedette < Prima che tu chieda, Dawn è andata a fare qualche commissione in città. Mi ha detto di salutarti e che non ti devi preoccupare >

< Ok > disse Buffy, non proprio rassicurata                                                              

< Tutto a posto Faith? > chiese Kennedy alla Cacciatrice sullo schermo

< Si, qui tutto butta alla grande. Le ronde sono sempre più divertenti >

Finiti i convenevoli, Buffy continuò < Bene ora che ci siamo tutti possiamo decidere come comportarci con le Levinia e le altre… > Il suo discorso venne interrotto dal bussare frenetico alla porta. Pochi attimi dopo una ragazza asiatica sulla ventina, dai grandi occhi a mandorla e dallo sguardo deciso, entrò dalla porta. Era una delle ragazze più esperte, Kada che aveva già una grande esperienza sul campo. < Levinia e la sua amica sono scappate. Due delle ragazze le stanno inseguendo > comunicò, senza guardare nessuno in particolare

< Xander, vai con Keda, prendete il motorino. Quando incontrate le altre, unitevi a loro e seguitele a piedi. Ma non fatevi vedere, dovete fargli credere che vi abbiano seminato. Voglio sapere dove vanno e chi incontrano >

< Sì capo > saltò su Xander, facendo uno scherzoso saluto militare. Una volta che Keda lasciò la stanza, tutti i presenti misero a fissare Buffy: < Che succede? Ho per caso un brufolo sul naso?> chiese la Cacciatrice, preoccupata, cercando di specchiarsi sullo schermo di un computer.

< è che sembri un generale > spiegò Willow

< in senso positivo > chiarì Kennedy

< Stai diventando una vera leader B. > disse Faith, facendole l’occhiolino

Giles annuì sorridente, si vedeva quanto fosse fiero di lei. La fase “gelosia da comando” era stata superata, insieme all’ultima apocalisse.

< Non dite sciocchezze > replicò Buffy < Qui le cose le decidiamo insieme >

< Sì si vede > sussurrò Xander a Willow con un sorrisetto sulle labbra.

Ma un’occhiataccia di Buffy lo spinse ad uscire in fretta dalla porta. Mentre facevano il punto su alcune questioni, la Cacciatrice si ritrovò a pensare a quello che lei e Willow avevano scoperto e ciò che avevano dovuto affrontare. Oltre ai demoni, alle nuove Bocche dell’Inferno, ai serpenti giganti e alla donna misteriosa, ora c’era anche il problema della ribellione tra le Cacciatrici. Ma Buffy era fiduciosa, sapeva che ce l’avrebbero fatta ad affrontare tutto ancora una volta. Ne era assolutamente convinta. Ma sarebbe stato abbastanza?

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Qui c'è qualcosa che non quadra ***


Mi infilo nel mio solito tombino a 100 metri dal Greese e mi trovo nel dodicesimo condotto del quartiere. Conosco a menadito ogni centimetro di queste fogne che, insieme ai tetti, sono i posti più sicuri che che da molti anni ho imparato a sfruttare. Una volta pullulavano di vampiri ma ora che i succhiasangue hanno abbastanza soldi e potere per comprarsi una casa ultramoderna con vetri anti-ultravioletti, i condotti sotterranei sono stati abbandonati. Solo certe zone sono ancora occupate, non più da esseri zannuti ma per lo più da vagabondi o ragazzi di strada. Finalmente arrivo nel mio “piccolo” covo: è una stanza rettangolare, più o meno venti metri per quindici. Una porta di ferro un po’ arrugginita ne definisce l’entrata. C’erano due cunicoli di uscita che mi sono occupata di sbarrare con massi pesanti. Al loro posto ho creato un’uscita sotterranea che, dopo aver percorso una cinquantina di metri ancora più sottoterra sbocca sotto il ponte di Wek Street, a circa 500  metri da casa mia. Il pavimento del Covo è ricoperto da tappeti di tutti i tipi e ho dipinto le pareti di un bianco accecante. Mi ci è voluto un bel po’ per ripulire questo posto da ragnatele, rifiuti e topi ma ne è valsa la pena. In fondo ci sono le attrezzature di allenamento: due manichini imbottiti di stoffa e una sagoma di legno che mi fa da bersaglio per il lancio di coltelli, una delle mie specialità. In un angolino ho piazzato un letto a due piazze, ricoperto da un copriletto rosso scuro che ho fregato dalla camera di Gina. Accanto al letto c’è un comodino di legno di frassino nel quale tengo le attrezzature mediche di base. E poi, ovviamente, c’è l’armeria. È sotto un cassettone dal doppio fondo. L’ ambiente è illuminato da fioche lampade ad olio piazzate in punti strategici. Ecco, questa è la mia seconda casa. Solitamente mi ci fermo dopo una notte particolarmente intensa di caccia, quando mi alleno e quando non posso presentarmi a casa in certe condizioni (per esempio con una ferita purulenta e zampillante che mi attraversa da parte a parte). E in molte altre occasioni. Apro il terzo cassetto dell’armadio a muro di fronte al letto, giro la maniglia tre volte a sinistra e una a destra e il pannello superiore scivola lentamente via.  Prendo due daghe d’acciaio che allaccio negli appositi foderi dietro la schiena, sei coltelli che infilo nei posti più improbabili, un paio di paletti e una balestra di colore nero pece. Cambio il giubbetto nero con un cappuccio scuro di materiale quasi aderente che si adatta perfettamente al mio collo e alla mia testa, mentre dal naso in giù un pezzo di stoffa scura mi nasconde il volto. Per i lavori più difficili non uso il cappuccio largo perché mi limita la visibilità. E ho la sensazione che questo lavoro sarà tutt’altro che facile.

 

Esco dal Covo e uscita dalle fogne, prendo subito la via per i tetti. Amo la visibilità da lassù. Ti permette di tenere d’occhio chiunque, dai semplici cittadini che lavorano duramente per sopravvivere un altro giorno, agli Agenti Paritari che si occupano di qualche rissa o di piccoli furtarelli fino ai pochissimi Confratelli che girano solitari per le strade. Ti sembra di avere il controllo di tutto e di tutti, tranne che del cielo, che ti fissa minaccioso da lassù. Mentre proseguo a passi svelti, un presentimento molto forte mi porta a bloccarmi e ad acquattarmi a terra. Mi guardo intorno, leggermente innervosita. Scorgo in un attimo ciò che i SDP (così chiamo il Senso del Pericolo, il mio buon amico) mi ha segnalato. A neanche 50 metri da me, appena sotto quattro balconi dalla mia posizione, c’è uno di loro. È vestito col tipico abbigliamento da Becco, con una tunica blu chiaro, chiusa da una cintura di pelle scura alla vita. Porta un copricapo a forma di becco d’aquila, che permette di intravedere solo la linea delle labbra e il contorno degli occhi. Improvvisamente si blocca e sento che il suo sguardo si sposta nella mia direzione. Mi butto a terra e rimango immobile trattenendo il respiro. In giro si dice che i Confratelli riescano a percepire la presenza umana grazie al respiro. Non so se sia vero o meno ma mi sono allenata per ogni evenienza: riesco a trattenere il fiato fino a 10 minuti, all’inizio è praticamente un gioco da ragazzi ma a partire dal 7-8 minuto ti sembra che un camion di diverse tonnellate sia parcheggiato comodamente sul tuo petto. Ma per fortuna il Becco sembra perdere rapidamente interesse e decide di continuare per la sua strada. Aspetto ancora qualche minuto prima di alzarmi, non sia mai che Becco si sia appostato all’angolo per tendermi un agguato, ma la strada davanti a me si rivela libera e il mio SDP sta quieto quieto. Senza incontrare altri spiacevoli ostacoli, raggiungo rapidamente il quartiere Devon e mi apposto sul secondo tetto più alto che dà sulla piazza principale. In questo modo vedo tutto ciò che accade sotto di me. Il posto è deserto, ormai a quest’ora tutti i buoni cittadini rispettosi del Coprifuoco sono a nanna, non si vede neanche una luce nelle finestre sporche e opache dei palazzi che si affacciano sulla piazza. Cerco di studiare l’ambiente, in cerca di qualsiasi indizio che mi segnali il passaggio del mio obiettivo. Per mezz’ora non succede nulla. Poi all’improvviso una figura indistinta emerge dalla strada a sudest. Lo osservo. Sembra tremare dal freddo. Si stringe addosso una giacca sgualcita e si guarda nervosamente intorno ogni 2-3 secondi. Sembra un lavoratore sbronzo, ma non troppo, perché gli è rimasto un briciolo di senno per sapere che non dovrebbe essere ancora fuori a quell’ora. Probabilmente ha passato l’intera giornata a…

Un piccolo scricchiolio alla mia destra interrompe i miei pensieri e mi fa scattare in difesa. Faccio appena in tempo a sguainare le mie armi quando un colpo di spada sta per raggiungermi il fianco. Mi scanso appena in tempo e devio il secondo attacco con la punta della daga. Facciamo entrambi un balzo indietro e ci scrutiamo per un attimo. In un millisecondo mi accorgo che questo non è il mio uomo. Niente spada, ma solo un paio di asce talmente lucide e affilate che sembrano appena uscite dalla fucina di un fabbro medievale. Veste rosso scuro e in viso… oh è il Senza Volto, il tipo che mi ha descritto Reek. Copricapo porpora e mancanza di pelle scoperta. è come un unico ammasso rosso in movimento. La forma del volto si riesce a scorgere appena sotto la tela purporea. Bene perfetto, il mio presunto  datore di lavoro da la caccia a me ossia al cacciatore che dovrebbe cacciare il suo obiettivo. Qui c’è qualcosa che non torna.

< Senti amico > faccio per dire ma il sibilo di un ascia che mi passa a tre centimetri dalla testa mi induce a interrompermi.

< Capito. Non vuoi parlare > Scaglio un primo affondo su di lui che riesce a parare all’ultimo istante. Fin da subito mi accorgo quanto sia agile e potente il mio avversario. Lui è veloce con le sue armi tanto quanto lo sono io con le mie, stoccata dopo stoccata sembra che nessuno di noi possa prevalere.

< Senti, toglimi una curiosità > gli dico, mentre schivo il suo colpo diretto allo stomaco < ma sotto tutto quel rosso, ce li hai gli occhi? >

 Lui sta zitto, ma mi sembra che aumenti il ritmo d’attacco. Che abbia colto la leggera punta di ironia? Poverino, magari si è offeso. Ci troviamo ingrovigliati tra daghe e asce fino a trovarci petto a petto.

< Chi sei? > gli ringhio mentre cerco di sfilare la daga dalla sua ascia. Lui non dice niente ma riesce a buttarmi a terra. Sta per buttarsi contro di me quando esita un attimo fissandomi il petto. Porto una terza, non sono certo definibile come una tettona, magari il tipo è un po’ troppo arrapato? Oppure è stato conquistato dal mio mantello ultima-moda. Illuso, non glielo darò mai, è costato un sacco di soldi! O meglio, molte corde, grimandelli e fughe. Comunque il suo stand-by di mezzo secondo mi basta. Mollo la presa su una daga, sfilo un coltello dal polso e glielo scaglio contro centrandolo in pieno petto. Tutto questo in  pochissimi istanti. Rovina a terra senza emettere un fiato. Magari non sa neppure respirare, chi lo sa. Mi avvicino a lui per prendere il mio coltello. Sono curiosa di capire che cosa si nasconde sotto la stoffa che gli copre il viso. E in più, voglio qualche risposta. Un leggero movimento del braccio mi indica che è ancora vivo, ma a malapena. Sto per sfilargli il cappuccio dal volto quando la sua mano si serra sul mio polso. Riesco appena a sentire i suoi ultimi sussurri prima che il corpo sparisca, letteralmente, davanti ai miei occhi.

< tu..l’ultima.. >

Sto ancora cercando di elaborare tutto quello che ho visto e sentito quando intravedo con la coda dell’occhio qualcosa o, meglio qualcuno, sotto di me. Sta camminando svelto in mezzo alla piazza, ha un passo deciso, come se avesse una meta ben precisa da raggiungere. Porta un lungo mantello nero e una grossa spada dall’elsa scheggiata è poggiata sulla sua schiena. Non riesco a vederlo in volto, ma il mio sesto senso mi dice che il mio obiettivo, che finalmente ho trovato, non è un demone. Ma neppure un umano. Il mio Sesto Senso (altrimenti detto SDP)  mi dice che è qualcosa di altro. Anche se, dopo questo interessante incontro ho deciso di non rischiare la pelle per il compenso, decido di seguirlo lo stesso, perché il tipo mi incuriosisce. O più probabilmente perché non ho niente di meglio da fare stanotte. Subito mi accorgo che non sono l’unica che trova il suo tragitto degno di attenzione. Altre due sagome scure, che identifico come Senza Volto, lo seguono sotto di me. A differenza del mio loquace amico, questi sono armati di lunghi coltelli ai fianchi e hanno l’arco sguainato, con una freccia tra le punte delle dita. La situazione si fa sempre più confusa. Mi assumono e poi cercano di uccidermi. Che abbiano cambiato idea? No perché adesso altri due cercano di terminare il bersaglio. Che quello che mi ha attaccato fosse un disertore? Proprio non è chiaro nulla di questa faccenda. Mmmh stanotte ho fatto esercizio di spada, perché non allenarsi anche un po’ con la balestra? Incastono un dardo nell’apposita entrata. Miro alla testa del primo Senza Volto e il mio dardo lo centra in pieno. Prima che il corpo del primo faccia “puff” il secondo si gira di scatto dalla mia parte scoccando la freccia verso di me. Abbiamo tirato insieme. Ma mentre il mio colpo lo ha centrato direttamente nel collo, il suo mi ha appena sfiorato. Sento un leggero pizzicorio al braccio. Ho appena il tempo di rendermi conto che c’è qualcosa che non va, prima che mi si oscuri la vista e perda i sensi.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** L'orologio è partito, la lancetta gira ***


Xander e Keda si inoltrarono nel folto della boscaglia. Le tracce delle loro compagne e delle fuggitive finivano al limitare dell’unica strada sterrata percorribile con un mezzo a motore. Keda si abbassò al suolo e si chinò sulle impronte < Dovrebbero essere passati di qui da meno di mezz’ora, sono ancora molto fresche > ipotizzò lei, tastando la densità del terreno.

< Sai seguire le tracce? > chiese Xander, un po’ stupidamente. Si sistemò la benda sull’orbita vuota, maledicendo quel pezzo di stoffa nera che tendeva fastidiosamente ad appiccicarsi alla pelle.

< Sì, mio padre è un cacciatore >

< La Cacciatrice figlia del Cacciatore, questa è forte > esclamò Xander < o forse no > ritrattò vedendo l’espressione accigliata della ragazza < Ok, raggiungiamo le altre >

Procedettero per quasi mezz’ora, si stava facendo nuovamente buio e uno spicchio di luna era già visibile sopra di loro. La gita nel bosco si stava rivelando più lunga del previsto.

< Dovrebbero essere davanti a noi > sussurrò Xander, fissando nell’oscurità.

< Lì c’è qualcosa > mormorò Keda, indicando un punto a pochi metri alla loro sinistra. Un paio di sagome scure, a malapena illuminate dal tenue chiarore lunare, erano distese a terra una decina di metri più avanti. Un’occhiata più vicino rivelò che si trattava delle loro compagne. Una di loro era immersa in una pozza di sangue con il cranio visibilmente sfondato e la seconda aveva un profondo taglio all’altezza dello stomaco e il suo petto si alzava ed abbassava in modo appena percepibile. Corsero verso di loro e si buttarono a terra vicino alla ragazza ferita.

 < Stai tranquilla > cercò di rassicurarla Xander, prendendole la mano gelida < adesso ti portiamo a casa >

< No > rantolò lei, stringendo forte la mano del ragazzo < io non ce la farò. Xander… Ascolta > un violento attacco di tosse la costrinse a fermarsi. Solo quando sputò un grumo di sangue Keda e Xander si resero conto che era troppo tardi per salvarla. < Loro non sono sole.. C’è qualcuno di… > e con un ultimo gemito il suo sguardo si fermò e si perse nel vuoto.

< Dobbiamo portarle alla Base per una degna sepoltura > mormorò afflitto Xander. Lui si era addossato il compito di  accogliere le Cacciatrici e istruirle il meglio possibile sui loro compiti e su ciò che avrebbero dovuto affrontare. All’inizio poche si presentavano ad ascoltarlo ma una volta che le dicerie sulla sua capacità di sdrammatizzare scherzosamente durante le lezioni, abilità che aiutava ad smorzare la durezza degli argomenti affrontati, raggiunse tutta la base, molte altre si unirono alla sua Xlass (Xander-Class), come l’aveva soprannominata lui stesso. Le ragazze, i cui corpi martoriati si trovava davanti a lui in quel momento, erano frequentatrici regolari delle sue lezioni.

< No >  dissentì Keda mentre chiudeva delicatamente le palpebre delle sue compagne.

< Che cosa no? > Chiese Xander dolcemente, cercando di cogliere la strana sfumatura nella voce della ragazza.

< Io le conoscevo > la sua voce tremava di rabbia e le sue nocche divennero bianchissime per quanto forte stringeva l’impugnatura dell’ascia che aveva raccolto da terra.

Xander le mise una mano sulla spalla, cercando di tranquillizzarla < Ti capisco > le disse < in tutti questi anni ho visto morire tantissimi conoscenti e amici. E il mio primo desiderio, dopo ogni morte, era quello di impugnare un’arma e andare ad uccidere quei bastardi schifosi, non importa a quale costo. Ma in questo modo non si ottiene nulla. Solo di farsi ammazzare >

Keda si scostò rabbiosamente e si alzò in piedi < Io vado. Tu fai quello che vuoi > E si incamminò decisa nell’oscurità della selva. Xander non potè fare altro che seguirla. Camminarono per quelle che parvero ore, e per un paio di volte il ragazzo era convinto  che avessero perso la strada ma Keda era una guida determinata e procedeva imperterrita, come se sapesse esattamente dove andare. Finalmente la loro pazienza fu ricompensata. Il bosco si diradò all’improvviso per far spazio ad un’ampia collina erbosa che si allungava verso l’orizzonte, piatta e indifferente, fino a finire in quello che sembrava un ripido strapiombo.

< Procediamo a testa bassa, siamo troppo esposti > suggerì Xander, nonostante non si vedessero o avvertissero pericoli imminenti.

Arrivati in cima alla collinetta, si trovarono davanti a uno spettacolo piuttosto inatteso. Una ventina di metri sotto di loro erano piazzate a terra una quindicina di tende, accavallate una vicino all’altra. Torce infisse al suolo circondavano il perimetro del campo che si trovava in un avvallamento del terreno, impossibile da scorgere dal bosco. La collina appena dopo la vegetazione, infatti, si interrompeva bruscamente come se qualche essere gigantesco avesse scavato un’enorme buca nel terreno. Impossibile pensò sbalordito Xander nessun essere umano sarebbe in grado di scavare una fossa di tale dimensione, nemmeno con ruspe o trebbiatrici. Tuttavia lo spazio sotto di loro non era erboso, ma terroso e non c’era un’ombra di vegetazione. Potrebbe essere caduto un asteroide rimurginò Xander, non trovando altra spiegazione “naturale” oppure abbiamo di fronte l’opera di un demone. Sembrava un vero e proprio accampamento militare, con tanto di sentinelle che pattugliavano i confini. Xander tirò fuori il monocolo supertecnologico che Willow gli aveva regalato da poco e si mise ad osservare l’attività del campo. Le tende, al cui interno non si scorgeva nulla, erano raggruppate intorno ad uno spazio terroso delimitato da pali di legno e filo spinato. Intorno ad esso si erano riunite diverse persone che urlavano e fischiavano in direzione di quello che pareva un recinto per animali.

< Guarda cosa stanno facendo > disse Xander, passando il monocolo a Keda che concentrò lo sguardo sul centro del campo.

< Si stanno allenando. Mi sembrano tutte Cacciatrici. Aspetta… quella è stata sconfitta. Che cosa fanno? > Keda non credeva a quello che stava vedendo. Premette più forte il monocolo sull’occhio. < Si stanno uccidendo > sussurrò, sbalordita. Al centro dell’arena si stavano fronteggiando quattro Cacciatrici, ognuna delle quali impugnava un’arma diversa: una spada lunga dall’elsa d’acciaio, una lancia con la punta di bronzo, una rete dal colore dorato e un’ascia di ferro. A lato dell’arena, appena sotto la recinzione di legno che la delimitava, si trovava una figura immobile con il petto squarciato e la mano inerte ancora socchiusa su una mazza ferrata. Una pozza di sangue stava imprimendo il suolo, tingendo la terra bruna di un color bronzo. Un paio di ragazze si staccarono dalla folla e presero per le braccia la caduta, trascinandola in una tenda. Nessuno sembrava aver fatto  caso alla ragazza morta, tutti erano concentrati sul combattimento mortale.

< Guarda a destra > sussurrò Xander, guidando il monocolo verso quella direzione. Al limitare dell’arena si trovava quello che, dalle dimensioni e dalla struttura corporea, si supponeva fosse un uomo. Guardava indifferente lo spettacolo davanti a sé, muovendo quasi impercettibilmente la testa da un lato all’altro del campo, come se stesse seguendo un’ordinaria partita di tennis. Xander vide che indossava una lunga tunica molto semplice, senza fronzoli o decorazioni evidenti e una sorta di cappuccio che gli nascondeva il volto. Solo i leggeri movimenti del capo lo distinguevano da una statua a grandezza d’uomo. Keda zoomò su di lui.

< indossa una sorta di saio lungo e un cappello in testa, anzi sembra più un copricapo > osservò la Cacciatrice

< siamo invasi dall’Impero? > mormorò Xander con amara ironia < Oppure il rosso è di moda quest’anno? >

Molti metri sotto di loro, appoggiato al recinto del campo, Ragnar osservava lo scontro mortale tra le reclute. Avevano ancora molto da imparare ma nel giro di qualche mese sarebbero state pronte. Le sopravvissute, accuratamente selezionate tra la massa, sarebbero servite allo scopo. Una volta terminato il loro compito, le attendeva un destino certo. Presto, molto presto, la stirpe delle Cacciatrici sarebbe scomparsa da questo pianeta.

 

< Un accampamento? >

< Quanti erano? >

< Chi è quel tizio e cosa ci faceva lì? >

< Perché le hanno uccise? >

In sala riunioni c’era un gran trambusto. Tutti i presenti sembravano aver aperto bocca nello stesso istante, creando un vociare rumoroso e controproducente per tutti. La situazione era ben più grave del previsto e un’atmosfera pesante aleggiava nell’ambiente. La morte di due Cacciatrici, uccise dalle loro stesse compagne, aveva suscitato rabbia e confusione. La voce si era rapidamente diffusa ed ora la sala era gremita di neo-Cacciatrici, pronte ad ascoltare tutta la storia.

< Ora basta! > urlò Willow, sovrastando di almeno due toni la voce degli altri. Tutti si zittirono. < Dobbiamo riorganizzare le idee e in fretta. Tutto sta accadendo velocemente e dobbiamo tutti concentrarci per capirci qualcosa > Alcune annuirono facendo un cenno del capo, altre si limitarono a guardarla, altre ancora scossero la testa, contrariate.

< Dobbiamo scoprire il più possibile su quest’uomo o demone che sia > continuò Willow < Potrebbe usare una magia in grado di controllare le ragazze >

< Ma chi può esercitare un simile controllo? > domandò una delle Cacciatrici.

Mentre Willow tentava di rassicurare le ragazze, Giles, sventolando la mano sullo schermo,  riuscì ad attirare l’attenzione di Buffy < Devo consultare qualche libro. La descrizione è piuttosto vaga. Un essere vestito di rosso con un copricapo? Non ne ho mai sentito parlare e è poco su cui lavorare >

< Sei tu la biblioteca ambulante  > disse Buffy < le vostre ragazze potrebbero eseguire una ricerca ad ampio raggio sotto la tua guida > suggerì la Cacciatrice.

< Mentre noi > intervenne Xander < Dobbiamo decidere come gestire quel gruppo di pazze scatenate ed assassine >

<  Io potrei fare qualche ricerca sulle magie legate al controllo mentale > si offrì Willow

< Perfetto > sentenziò Buffy < Andiamo. Ragazze seguite Xander. Dobbiamo ideare un piano di azione > Mentre tutti raccoglievano le proprie cose, stranamente in silenzio, la mente di Buffy galoppava. Apparizioni divine che si dichiarano messaggeri di un inevitabile Apocalisse. Un grosso serpente vorace mangiatore di carne. Una ragazza che tenta di uccidermi. Un gruppo di Cacciatrici impazzite che si uccidono a vicenda guidate da un uomo vestito di rosso. Che cosa sta succedendo?

 

 

Nonostante tutti i loro sforzi, nessun libro, tomo, o foglio faceva un minimo accenno all’Uomo in Rosso. Giles e le ragazze che aveva radunato avevano cercato per una settimana intera non trovando alcuna informazione sul misterioso uomo. Buffy non sapeva cosa fare. L’attacco diretto era possibile, erano in maggioranza e avrebbero potuto sconfiggere facilmente il gruppo impazzito. Ma se l’Uomo in Rosso era veramente in grado di controllare le menti altrui, il loro attacco non avrebbe fatto altro che ingrossare le file del suo piccolo esercito. Buffy sapeva che potevano esserci altre ragioni dietro il comportamento delle ragazze ma era veramente possibile che molte di loro avessero deciso di seguire l’Uomo in Rosso spontaneamente? E che si uccidessero tra loro consapevolmente? Buffy non poteva crederci. Così decise di andare a studiare la situazione da sola. Anche Willow non era venuta a capo di nulla per quanto riguarda i presunti poteri mentali dell’Uomo in Rosso e Buffy non poteva più aspettare. Attendere significava lasciare che quel mostro costringesse sempre più ragazze a compiere spregevoli azioni a suo nome. Mentre rifletteva seduta sulla scrivania di un’aula ancora in disuso, sentì un timido bussare alla porta. < Avanti > disse Buffy perplessa e, allo stesso tempo, all’erta. Si fece avanti una ragazzina alta e magra dai lunghi capelli biondi e dagli occhi scuri. Non poteva avere più di 13-14 anni.

< Scusami Buffy > esordì a voce bassa < posso parlarti un momento? >

< Certo > rispose la Cacciatrice con un sorriso < a patto che non cerchi di uccidermi puoi sederti tranquillamente >

 La ragazza esitò, non sapendo se ridere o meno, poi si sedette imbarazzata.

 < Come ti chiami? > chiese Buffy, nel tentativo di alleviare la sua evidente tensione.

< Io sono Ferax. Vengo da Chicago. E volevo parlarti di Levinia. Io la conoscevo > Mentre parlava teneva gli occhi bassi, ostinatamente puntati sul suo stivale destro.

< Ti ascolto, Ferax. E se vuoi puoi guardarmi negli occhi. Non mordo mica >

Lei arrossì fino alla punta delle orecchie e balbettò < Scusami > la guardò negli occhi per un secondo poi abbassò nuovamente lo sguardo.

 < Levinia e io frequentavamo la stessa scuola. Lei è più grande di me ed è molto brava in matematica. Io non tanto, così mi dava qualche lezione nel tempo libero. È una ragazza molto allegra, disponibile e sincera. E parlo di qualche mese fa. Ma adesso… non riesco più a riconoscerla. So che l’avete fermata perché ha aggredito il buttafuori di una discoteca, è vero? >

< Sì. Non aveva i documenti e non volevano farla entrare. A quanto pare il buttafuori è stato un po’ arrogante. Così lo ha aggredito e gli ha spaccato il naso. Oltre a procurargli diversi tagli sul volto e a incrinargli due costole. Siamo riuscita a portarla via appena in tempo. Ma non c’è stata alcuna denuncia. Probabilmente il buttafuori non voleva ammettere di essere stato pestato da una ragazzina >

Ferax si schiarì la gola < Ecco, avevo sentito qualcosa del genere. Ma vi dico che lei non è così. È sempre stata gentile con tutti, odiava la violenza e non sopportava neppure i locali troppo rumorosi. È per questo che andavamo così d’accordo >

< Cosa pensi che le sia successo? >

< Io penso che sia stata posseduta da qualcosa >

< E cosa te lo fa credere? >

< è tutto successo quella sera. I suoi strani comportamenti hanno cominciato a vedersi da quel momento. Prima che cercasse di entrare in quel locale, siamo andate a bere qualcosa in un bar. Era normale, serena. Parlava di come si trovava bene con tutte noi, di come le piacesse l’addestramento, di come fosse divertente Xander e di come ti ammirava. Poi ha ricevuto una chiamata ed è andata fuori a rispondere. Quando è rientrata andava di fretta, diceva che aveva un impegno che non poteva rimandare. Non sembrava agitata, quindi io sono tornata tranquilla alla base. E poi ho sentito quello che aveva fatto >

La mente di Buffy galoppava, in cerca di un qualsiasi senso a tutta la vicenda. La Cacciatrice si maledì di non aver controllato il cellulare di Levinia, quando l’avevano riportata a casa. Ora lei era scappata, il cellulare era sparito e due ragazze erano state uccise.

< Grazie Ferax. Questa è la prima vera pista che abbiamo da giorni. Potresti chiamare Willow e Xander? Per adesso vorrei che la faccenda rimanesse tra noi. Non vorrei suscitare panico. >

Ferax sembrava molto sollevata, come se si fosse liberata di un peso insostenibile. < Si certo, Buffy. Non lo dirò a nessuno > Ferax si alzò ma prima di raggiungere la porta si fermò. Nello stesso momento Buffy si girò verso la finestra, che dava sul cortile, ora illuminato dal cocente sole pomeridiano. Senza dirsi una parola, si avvicinarono alla finestra e guardarono giù. E lì, in mezzo al prato incolto, stava una figura, ritta in piedi. Stava puntando verso di loro un arco. Buffy fece in tempo a chiedersi come mai non avesse ancora incoccato, prima di realizzare che, la sottile asta metallica che stava volando pigramente verso di lei, fosse proprio una freccia.

 

Buffy si buttò a terra, trascinando con sé Ferax. Il vetro esplose in mille frammenti che ricaddero tutti su di loro, ferendole sul viso. < Stai giù! > ordinò Buffy, mentre avanzava a carponi alla ricerca di un arma. Un ennesimo sibilo, percepibile solo alle orecchie attente delle Cacciatrici, annunciò la venuta di un’altra freccia che si impiantò su un banco ingiallito in mezzo all’aula. Questo prese fuoco, e le fiamme, alimentate dal vecchio legno asciutto che costituiva la maggioranza dei mobili presenti, si innalzarono possenti verso il soffitto. < Vai a chiamare le altre! > urlò Buffy a Ferax che annuì, spaventata. Io vado a prendere quel bastardo Buffy si lanciò di sotto e atterrò al suolo indenne. L’uomo, probabilmente convinto di aver completato il lavoro, si era già allontanato di parecchi metri e stava correndo rapidamente verso est. Buffy si lanciò all’inseguimento. Non era armata, era sola e quella poteva essere facilmente una trappola eppure sapeva che questa poteva essere un’occasione unica. Era stanca di ricerche interminabili e libri polverosi. Era il momento di passare all’azione. Quell’uomo (che a giudicare dalla descrizione di Xander era proprio l’Uomo in Rosso) era una fonte di informazioni preziosissima quindi doveva essere catturato. Era velocissimo e Buffy riusciva a stargli dietro a stento.

< Fermati! > gli urlò < voglio solo parlare! > L’uomo si girò verso di lei, continuando a mantenere il suo ritmo di corsa. Alla schiena aveva una faretra imbottita di cuoio, rosso come il vestito e le cocche delle sue frecce. Mentre correva, Buffy raccolse un sasso da terra e tentò il tiro. La fugura, colpita in testa, barcollò in avanti fino ad inciampare. Buffy gli si buttò subito addosso e calciò via l’arco che aveva ancora in mano. In testa aveva un velo rosso che non permetteva di scorgere il volto. Buffy gli puntò il tacco alla gola.

 < Che cosa stai facendo alle Cacciatrici? Chi sei? > Egli non aprì bocca.

 < Parla! > La Cacciatrice spinse un po’ di più il piede. < Rispondimi e forse ti lascerò andare! >

L’Uomo in Rosso fece qualcosa che Buffy non si aspettava. Rise. Nonostante la pressione alla gola, stava ridendo di gusto. Era una risata roca e profonda, un suono malvagio e ,chiaramente, non umano. < è troppo tardi. L’orologio è partito. La lancetta gira. > La voce, roca tanto quanto la sua risata, sembrava appartenere ad un altro mondo. Pareva che il demone (perché ormai di nient’altro poteva trattarsi) non avesse parlato per molto tempo, perché le parole gli uscivano a mozziconi, peraltro male accentate.

< Che cosa…> Improvvisamente le afferrò la caviglia e le torse il piede, facendola rovinare a terra. Le tirò una gomitata in pancia, mozzandole il respiro. < Siete finite Cacciatrici. Il vostro tempo è andato > Quando Buffy si alzò in piedi con un colpo di reni, il demone era già sparito. Al suo posto erano comparse 8 Cacciatrici, pesantemente armate. Da una sola occhiata, Buffy capì che quelle ragazze potevano essere tutto, tranne i suoi rinforzi.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Tra nuove seccature e soliti demoni ***


Le palpebre fanno una fatica immensa ad alzarsi. Per quanto mi sforzi, non riesco a mettere a fuoco il luogo dove mi trovo. Mi accorgo di essere sdraiata su qualcosa di morbido e  avverto la presenza di qualcuno seduto accanto a me. Mi pare un uomo altissimo, ma non riesco proprio a focalizzarmi chiaramente su di lui. Cerco di parlare ma le corde vocali non rispondono ai miei comandi. Una presa forte e allo stesso tempo delicata si stringe sul mio avambraccio. < Non muoverti. Presto starai meglio > Cerco di replicare ma in breve sprofondo nuovamente nell’incoscienza.

Quando mi sveglio per la seconda volta finalmente la mia vista sembra funzionare. Mi trovo in una stanza piuttosto sobria: a parte il letto e un comodino, c’è soltanto una piccola finestra davanti a me. Sembra un’anonima stanza d’albergo di uno dei tanti motel presenti nel ghetto. Questa volta non c’è nessuno nella stanza quindi decido di alzarmi con cautela. Dopo qualche protesta, finalmente i miei muscoli si muovono. Sono piuttosto confusa, ma riesco a sentire distintamente il mio braccio pulsare. Ho  una benda fresca avvolta intorno all’avambraccio. Dopo la lotta qualcuno mi ha trovato e curato. Quindi me ne devo andare, odio dover essere in debito con qualcuno. Se me ne vado prima che il mio salvatore si ripresenti non mi sentirò in debito con nessuno visto che non saprò chi è. Logico, no? Ho indosso gli stessi vestiti di stanotte, tranne il mantello che è in fondo al letto. Le mie armi sono sparite. Ovviamente non ho né il cappuccio né il colletto quindi chi mi ha curato mi ha visto in faccia. Di bene in meglio. Porto una mano al cuore, tastando il familiare contorno del mio medaglione sotto la maglietta. Per fortuna non me l’hanno portato via, so essere piuttosto cattiva quando di tratta del mio medaglione. Mi avvicino lentamente alla finestra, la stanza gira un po’ ma in complesso mi sento meglio. È pieno giorno, a giudicare dalla posizione del sole deve essere il primo pomeriggio. Devo cambiarmi, prima di uscire. Sembro una criminale con questi vestiti (beh, in effetti lo sono), non passo certo per un’efficiente fattorina della Jeep House. Improvvisamente avverto un paio di occhi fissi su di me e mi giro di scatto. Brutta mossa, la stanza ricomincia a girare vorticosamente. Davanti a me trovo un ragazzo giovane piuttosto alto. Se ne sta lì, a braccia incrociate, a fissarmi. Il primo dettaglio che noto sono i suoi occhi verde-grigio. Profondi. Tormentati. Pericolosi. Indossa una maglietta nera che gli avvolge gli addominali scolpiti e un paio di short marroncini. Una zazzera rosso scuro gli conferisce  un’aria da ribelle ma, paradossalmente, aiuta anche ad addolcire un po’ la sua immagine ( ma di poco )

Ho visto abbastanza e non ho tempo di convenevoli, quindi vado subito al sodo < Chi sei? >

< Non puoi uscire adesso. Sei troppo debole > mi risponde semplicemente, come se non avessi detto una parola.

Mi stampo un sorriso incerto sul volto < Grazie per avermi aiutato. È la prima volta che mi ubriaco > Cerco di arrossire, suppongo con scarsi risultati. È difficile che arrossisca. < Ma che ti posso dire > continuo < questa mia amica ha insistito perchè la accompagnassi a questa festa dark > Poi sfodero un sorriso timido da ragazza per bene, colta sul fatto di una trasgressione impensabile.

Mi guarda con quello sguardo impenetrabile che sembra in grado di scavarti l’anima < Hai tante doti, Alexis Donovick, ma la recitazione non è uno di quelli > mi dice, fissandomi con un sorriso difficilmente interpretabile.

Perfetto. Non solo sa di che cosa mi occupo di notte ma conosce anche il mio nome, e pure il mio cognome. Di peggio in peggissimo, come suol dire Jane.

< Ti hanno avvelenato > mi informa pacato come se stesse parlando a un bambino  < Devi riposare > Quindi mi rivolge un altro dei suoi sorrisini, che comincio a trovare piuttosto irritanti.

Bene, quindi il Senza Volto mi ha lasciato un regalino di addio.

< Avvelenato? > ribatto cercando di inserire nella mia voce un po’ di stupore < Ho solo esagerato un po’ stanotte > affermo facendo una faccia accomodante. Mentre converso amabilmente con il mio nuovo amico, sto valutando l’ambiente che mi circonda. A giudicare dall’altezza direi che la finestra è collocata al secondo piano e il palazzo di fronte non ha alcuna veranda o terrazzo su cui atterrare quindi dovrei saltare giù, ma questo è impensabile. Beh in realtà sarebbe piuttosto semplice, ma atterrando in piedi  incolume dopo un salto di parecchi metri,  non vorrei ledere l’autostima degli Agenti Paritari che stanno pattugliando al di sotto. Quindi non mi resta che passare per la porta. Ma prima di stendere il mio nuovo amico e di uscire da qui devo capire che cosa sa di me.

< Come conosci il mio nome? Anche tu eri alla festa ieri? > domando, continuando la farsa da “ragazza ubriaca” < vedi, non ricordo molto… Non ci saremmo limonati? > spalanco gli occhi, fingendo orrore a tale possibilità. Le ragazze perbene non fanno certe cose con gli sconosciuti. < ti prego, non dire nulla ai miei genitori, si arrabbierebbero un sacco! > imploro sull’orlo del pianto.

Di nuovo quello sguardo  < Direi che non c’è più bisogno di fingere, Alex > replica < Ieri notte mi hai salvato. E ora io ho salvato te. So chi sei, ma non ti devi preoccupare. Non lo dirò a nessuno >

Ecco, adesso so chi è. Il mio uomo. Il mio obiettivo. Confronto il giovane davanti a me con la figura scura che ho visto l’altra notte. L’altezza e la proporzione del corpo combaciano perfettamente. Come ho fatto a non accorgermi prima!

Lo fulmino con lo sguardo < Mi chiamo Lexie > preciso con una punta di ira. Di solito riesco a controllare di più la mia rabbia, chissà, forse è un altro effetto del veleno.

< Entrambi sappiamo che non è vero > Il suoi occhi incrociano i miei e io assumo una faccia esasperata, come se stessi parlando con uno un po’ fuori di testa. Ma in realtà si sta scatenando un tumulto dentro di me. Mi sale il groppo alla gola. So che sa di me, ma non può sapere quello. È assolutamente impossibile, probabilmente sto diventando paranoica.

Ancora, vado dritta al punto < Che cosa vuoi da me? >

Mi pare di scorgere qualcosa nei suoi occhi brillanti. Tensione? Aspettativa? Soddisfazione? Magari tutto quanto.

 < Devo solo cambiarti la medicazione e applicarti un nuovo impacco di erbe. Poi potrai andare a casa >

Decido di abbandonare la mia copertura, già seriamente minata dalle mie scarse capacità di recitazione. Ormai è chiaro che il figuro è tutto tranne che uno stupido < Non mi piace che mi si diano degli ordini > dico, con una punta di durezza nella voce. Quel tipo neanche mi conosce, come fa a parlarmi così?

Probabilmente si rende conto di essere stato un po’ perentorio perché la sua voce di addolcisce < Non è un ordine. È solo una richiesta >

Faccio due calcoli. Posso stenderlo e scappare. O posso farmi cambiare la medicazione così se ne sta tranquillo. E poi scappare. Mmmh posso sempre picchiarlo più tardi, quando starò meglio. < Ok. Va bene > asserisco fingendomi rassegnata <  Ma poi me ne vado >

< Puoi stenderti? > mi chiede < per favore? > aggiunge con una punta di ironia, vedendo la mia faccia. Poi mi fa il primo sorriso a denti scoperti da quando è entrato. Labbra allineate e dentatura perfetta. Come minimo questo qui si lava i denti quattro volte al giorno. Io sono una persona pulita, ma quel bianco allucinante non l’ho mai visto da nessuna parte. E sembra quasi un sorriso sincero. Ok, evidentemente questo veleno ha una moltitudine di effetti strani.

Comunque fingo di non aver notato la sua perizia nell’igiene dentale. < Sto bene qui > dico con un po’ troppa fermezza.

Mi sembra che alzi gli occhi al cielo, ma il movimento è talmente impercettibile che magari me lo sono pure immaginato. Mi svolge la benda dalla pelle e per la prima volta vedo la ferita. È un lungo taglio, ma non profondo e sembrerebbe un colpo qualunque, se non fosse per l’alone blu che la circonda e il debole odore di carne marcita. Fletto i muscoli e muovo la mano. Tranne qualche fitta a livello dell’avambraccio, mi sembra tutto a posto. Mi applica uno strano infuso aromatico sul braccio che mi da subito sollievo.

< Va meglio? > mi chiede.

< Sto bene > ribatto. La sua vicinanza mi provoca strane sensazioni, sento che è pericoloso e non so se posso fidarmi di lui. Il mio Buon Amico mi sussurra qualcosa, qualcosa che non riesco ancora a cogliere e a cui dare forma. Decido quindi di ridefinire gli spazi personali e mi allontano di diversi centimetri.

< La gentilezza non è proprio il tuo forte > nota tranquillamente mentre mi cambia il bendaggio. Trattengo il commento tagliente che ho sulla punta della lingua < Ora vado > Esito. Dopotutto non mi costa nulla, no? < Hai fatto un buon lavoro> gli dico tra i denti. Non voglio chiedergli delle armi, perché magari mi ha trovato dopo che mi hanno derubato di tutto. Quindi non sa di me ma mi sta soltanto provocando, per spingermi a spifferare tutto. Ma non mi sembra il suo caso. Comunque meglio non rivelargli niente, nel dubbio.

< Stai dimenticando le tue cose. Sono sotto al letto >

Quel tipo è sempre un passo davanti a me. Gli faccio un sorriso innocente e controllo rapidamente il mio arsenale. C’è tutto.

< Visto che io so il tuo nome, mi sembra giusto che tu sappia il mio. Sono Nickolas >

< Piacere di averti conosciuto > rispondo, educata. Mi avvio verso la porta e prima di andarmene lo fisso negli occhi sfoderando il sorriso più feroce che riesco a fare < ah dimenticavo, se mi segui, ti ammazzo >

Poi mi giro e me ne vado, senza guardarmi indietro.

 

(…)

 

Sono circa le cinque di mattina quando rientro a casa. Sono passata dal mio Covo, per lasciare le armi più ingombranti, ripulirmi la ferita, riposare un po’ e mettere abiti “normali”. Nonostante sia piena estate, ho messo una felpa con le maniche lunghe che mi copre il braccio. Il mio guardaroba è strapieno di maglioni pesanti e magliette con le maniche lunghe piuttosto larghe. Mi servono a coprire tanto le ferite quanto la loro veloce rimarginazione. L’ingresso  è un disastro, scarpe e cartelle semiaperte invadono il pavimento, e intralciano la strada a chiunque entri. Se dicessi ai ragazzi di mettere un po’ a posto, lo farebbero di sicuro (beh, con una sola eccezione) ma è troppo divertente vedere Gina che, rientrando da una sera di sbronza, inciampa e impreca contro le stringhe ingarbugliate di qualche scarpa vagabonda. La cerco nel soggiorno. Di solito crolla prima di raggiungere le scale e io la trasferisco sul divano per risparmiare un po’ di delusione ai ragazzi. Jane ha sempre gli occhi lucidi quando la vede a terra. Ma oggi non c’è, sarà riuscita a salire le scale. Vado al secondo piano e la trovo in cima al corrimano che mi fissa.

< Dove sei stata? > mi chiede, scandendo le parole. Ha gli occhi arrossati e l’alito che puzza fortemente, ergo si trova nella sua condizione ormai quotidiana, anzi oggi sembra peggio del solito.

< Fuori > le dico, sorpassandola.

 Ma mi afferra un braccio e mi sussurra: < So dove vai, piccola bastardella. Tu tradisci. Tu stai con i ribelli. TU NON RISPETTI L’ORDINE DI QUESTA CITTà! > le ultime parole le ha sbraitate fortemente. Mi libero con uno strattone.

< Sei ubriaca. Non sai quello che dici. Vai a dormire > le ordino, cercando di trattenere il disprezzo dalla voce.

< Ubriaca? Maledetta ingrata! Ti rendi conto di cosa faccio io per voi? Di come vi mantengo? Di come vi ho fatto uscire dal buco da cui siete emersi? LO SAI? LO SAI? >

Mi allontano da lei e sento che barcolla dietro di me, cercando di seguirmi. < Ora basta > le dico, la voce tremante dalla rabbia < i ragazzi stanno dormendo >

< Dormono grazie a me! > urla, alzando la mano in aria < grazie a me che gli do un tetto sopra la testa. Grazie a me che..> poi strabuzza gli occhi e cade a terra. La prendo per le braccia e la trascino nella sua stanza. Mentre chiudo la porta la sento russare. Una testa emerge dalla porta di fronte, è Joey che mi guarda. Tante emozioni attraversano i suoi occhi scuri, talmente tante da non riuscire a definirle tutte. Mi guarda con lo sguardo di un bambino smarrito che cerca disperatamente la strada di casa. Lo abbraccio forte, lui non ricambia ma,  mentre lo stringo per qualche attimo, sento una lacrima che scende sul mio collo.

Vado a dormire per qualche ora. La mia stanza è incuneata in una mansarda sul tetto. Quindi soffitto a spiovente e muri stretti. Non è il massimo, ma ci si vive. In più ho una finestra che da sul tetto, da dove posso ammirare i boschi fuori dalla città. Siamo molto vicini al confine, dove gli Agenti Paritari pattugliano con turni doppi le strade. Mi butto sul letto ancora vestita. Non mi piace molto dormire ma, per fortuna, mi bastano 3-4 ore per affrontare in piena forma la giornata seguente. Lo so, è strano per la mia età, ma sono fatta così. Qualcuno bussa alla porta. È Max, che mi guarda dall’uscio. Indossa un piccolo pigiama a pois che era di Jane e in mano ha un piccolo coniglietto di peluche (mi pare che si chiami jinky o jonky o qualcosa di simile). < Va tutto bene? > gli chiedo, dolcemente. Lui si limita a fissarmi, senza dire nulla. Non che mi aspetti che dica qualcosa, parlerà quando sarà pronto, non bisogna mettergli fretta. Lui si avvicina titubante e mi porge Junky. Quando lo prendo dalla sua manina, sento che è tutto sudato. Il suo cuore batte più veloce del normale ed ha il petto che si alza e si abbassa freneticamente. E allora capisco. Lo prendo tra le braccia e ci infiliamo sotto le coperte. Mentre sento il suo respiro che diventa sempre più regolare, mi ritrovo ad interrogarmi sulla storia di Max. Come si è sentito dopo la perdita dei genitori. Come si è inserito nella vita dell’orfanatrofio. Come si sente adesso, in questa Casa Famiglia. Non ho risposte a questa domanda. So soltanto che qua dentro siamo tutti perseguitati dagli stessi demoni.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Il calore della morte ***


Questa situazione è da pazzi > commentò Xander, succhiandosi il pollice imbrattato di ketchup.
< Altrochè. Siamo ad un punto morto. Non ho mai visto Buffy così inquieta, neppure prima dell’ultima battaglia contro il Primo. > assentì Willow, sedendosi nuovamente sull’erba. Era uscita nel parco di fronte alla scuola per meditare ma Xander, hot dog in una mano e Coca Cola nell’altra, era corso fuori dalla scuola e si era fermato di fronte a lei, oscurandola dal sole. Non era il momento opportuno per parlare, ma Willow poteva vedere come l’amico ne avesse bisogno.
< Ma dobbiamo avere pazienza. Troveremo delle risposte. > continuò, spostandosi di un poco e incrociando nuovamente le gambe. Chiuse gli occhi. Poteva sentire i raggi solari accarezzarle la faccia. Amava meditare di fronte alla stella che era responsabile del perpetuarsi della vita, la faceva sentire in stretta connessione con la Terra e con tutti i suoi abitanti.
< Will, senti anche tu questo odore? >
< Di hot dog bruciato? > Da quando le streghe della Confraternita l’avevano iniziata al controllo della magia e aveva scoperto la meditazione, aveva iniziato una dieta vegetariana. L’idea di mangiare carne morta, che tanto stonava con la gioia della vita che aveva cominciato a percepire ogni giorno di più, aveva iniziato a entrare in conflitto con la sua armonia interiore.
Xander era ancora in silenzio, di fronte a lei. Willow aprì un occhio. < Xander, starei cercando di concentrarmi >
< Aiutatemi! Qualcuno mi aiuti >
Le urla di una ragazza, che provenivano dall’altra parte della scuola, fece saltare in piedi Willow. Senza dire una parola lei e Xander corsero verso l’origine della voce, seguite da alcune ragazze che erano uscite all’aperto, messe all’erta dalle stesse grida. Ora un forte odore di bruciato le inondava le narici, accompagnato da un denso fumo scuro trasportato dal vento. Qualcosa di grosso stava bruciando e l'istinto le diceva che non poteva trattarsi di un incidente di poco conto.
< Will cerca di fare qualcosa > le disse ansioso Xander, lasciando cadere il panino a terra < io entro e faccio evacuare le restanti > E si precipito all'interno senza guardarsi indietro.
 
Xander poteva sentire delle urla soffocate di qualcuno ma non riusciva a vedere nulla, il fumo era troppo denso e di un colore innaturalmente scuro. Nonostante il fazzoletto bagnato premuto sulla faccia, il fumo gli inondava la gola, dandogli una tremenda sensazione di soffocamento. La palestra adibita a dormitorio, dove molte ragazze stavano riposando nel momento del fatto, stavano nel piano sotterraneo nella parte Ovest ed era lì che Xander, Kennedy e alcune Cacciatrici incontrate sulle scale erano dirette. Mentre arrancava giù dalle scale, Xander sentiva sempre più la morsa del fumo nella gola. Arrivati alla palestra, Xander si trovò di fronte una scena che lo paralizzò. Parecchie ragazze giacevano ancora nei letti, incoscienti, probabilmente svenute dall’inalazione di fumo. Il fuoco che si propagava ad una velocità inaudita, aveva ormai invaso metà palestra, inghiottendo tutto ciò che si trovava sulla strada. Xander e le altre si guardarono, con gli occhi sbarrati e la stessa domanda stampata in fronte: come avrebbero fatto a portarle via tutte in tempo? Prima che potessero trovare una risposta, uno scricchiolio fortissimo li spinse a guardare in alto, sul soffitto, appena prima che una trave di grandezza titanica gli si rovesciasse addosso.
---
 
La velocità con cui l’incendio si era propagato era qualcosa di mai visto prima. Willow continuava a pronunciare formule e a lanciare incantesimi ma il fuoco sembrava immune a tutti i suoi sforzi di domarlo. Si tratta di fuoco magico pensò Willow, sull’orlo della disperazione. Non lo aveva mai incontrato in quella forma, non aveva idea di come agire per fermarlo e quel senso di impotenza la faceva urlare dentro. Deva, la bambina di 11 anni più giovane del gruppo, era rimasta vicino a lei, cercando di trattenere i singhiozzi, mentre le altre si adoperavano per lanciare secchi d’acqua sul muro di fuoco. Non sembrava esserci nulla da fare. Dalla finestra dell’ultimo piano, una delle poche rimaste intatte, si profilò la figura di una ragazza, completamente ricoperta di nero.
< Salta!! > urlò Willow < ti prendo io!! > La ragazza si gettò dalla finestra e Willow rallentò la sua caduta con un incantesimo lievitante.
La ragazza si riversò a gattoni, scossa da tosse e conati di vomito. Willow si gettò accanto a lei, alzandole la testa non troppo dolcemente < C’è ancora qualcuno agli ultimi piani? > la ragazza la guardò con gli occhi lucidi e iniettati di sangue.
< Nessuno.. solo Buffy > tossì < inseguito > Prese un attimo il fiato < responsabile > Poi svenì. Willow richiamò le ragazze impegnate con i secchi < aiutatela! > In men che non si dica, la parte est dell’edificiò crollò, portandosi dietro legno, cemento e qualsiasi altra cosa ci fosse al di sotto
< Cosa hai intenzione di fare?? > le urlò una delle ragazze di rimando, mentre Willow si avviava correndo nella boscaglia.
< Da questa parte non c’è più niente da fare!! Andate ad aiutare Xander e Kennedy, sono nell’ala ovest a cercare le altre ragazze! >
Senza aspettare risposta, corse nel bosco, pronunciando una formula di tracciamento. Se la ragazza non delirava e chi aveva causato quella distruzione era ancora in giro, Buffy avrebbe decisamente avuto bisogno del suo aiuto. Willow aveva letto di ben pochi demoni che potessero utilizzare un simile potere e tutti, dal primo all’ultimo, possedevano dei poteri magici che avrebbero dato filo da torcere a qualsiasi Cacciatrice.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Stupida, stupida, stupida... ***


Dopo aver consegnato l’ultimo pacco della giornata a un vecchio scorbutico che non mi ha dato neppure un po’ di mancia (quanta pazienza devo avere per queste povere, vecchie generazioni) mi sto rilassando in una delle panchine fuori dalla Jeep House, insieme a Ronnie e Sara. Conosciamo Sara da quando abbiamo iniziato a lavorare qui. È una tipa a posto, con cui ci si va tranquillamente d’accordo. Fin dall’inizio ci prova con Ronnie e lui pare che cominci ad abboccare, nonostante tutto.  Anticipo ogni possibile supposizione: non sono gelosa. Ronnie è come un fratello per me. Siamo stati compagni di stramberie, partner di furti e amici del crimine. Lui mi conosce meglio di qualunque altro, anche se non mi conosce del tutto. Sa che sono una brava ladra. Che so combattere fin troppo bene. Che so saltare da un tetto all’altro anche se a separarli ci sono diversi metri. Ma non mi ha mai chiesto come sapessi fare tutto questo o perché. Lo ha accettato e non ha mai indagato oltre quello che volevo fargli sapere. È per questo che andiamo molto d’accordo. Ora cerco di fare tutto per allontanare il suo pensiero dal fratellino. So che sta scoppiando dentro, vorrebbe indagare a fondo la questione, trovare i presunti responsabili e fargliela pagare. Vedo nei suoi occhi una sete di vendetta, la stessa che io, per ragioni molto simili, cerco continuamente di sotterrare e combattere. Per adesso fa di tutto per non fare emergere quella parte di sé, ma prima o poi lo farà. La sua rabbia uscirà in un botto, come un’esplosione.  E io sarò lì e farò di tutto per evitare che si bruci.
< Andiamo a fare un salto da Snake? > chiede Sara mentre si fuma una sigaretta.
< Io ci sto > fa Ronnie, mentre se ne accende un’altra < Lexie? >
< Stasera passo ragazzi. Ho del lavoro da fare > dico, buttando il mio mozzicone a terra < anzi già che ci penso devo andare adesso. Ci si vede! > Mi fanno un cenno mentre mi allontano < Ah > aggiungo < Divertitevi! > faccio l’occhiolino a Ronnie che arrossisce impercettibilmente. Fa tanto il duro, ma io so che è un ragazzo molto diverso da come appare. Prendo la mia bici e mi avvio verso Storen Street. Reek sa che è da molto tempo che cerco un esperto di manufatti che mi possa dire qualcosa di più sul mio medaglione. Gli ho specificato che volevo qualcuno di bravo ma discreto, in grado di tenere la bocca chiusa qualunque cosa avesse scoperto. Insomma, un tipo professionale. E, finalmente, ho un indirizzo. Al confine della Zona, c’è un posto di blocco dove una pattuglia di Agenti Paritari controlla i documenti di ciascuno e si assicura che nessuno sgattaioli indisturbato dall’altra parte. Mi metto in fila. Davanti a me c’è una famigliola con una bambina in braccio di tre anni o giù di lì. Avverto il loro stato d’animo e capisco che stanno per fare qualcosa di cui più tardi si pentiranno. Infatti l’uomo, quello che suppongo che sia il padre, si agita nervosamente, trafficando nella sua giacca, dove intravedo un rigonfiamento. Okay, ora è sicuro che stanno per fare qualche cazzata. Mi avvicino a loro con aria indifferente e mi piazzo dietro l’uomo potenzialmente armato. Davanti a noi ci sono ancora due persone che aspettano di passare, quindi a occhio e croce dovrei avere un paio di minuti. Lo sfioro leggermente con la punta delle dita. Lui sussulta ma non si gira. < Senti > mormoro in modo che solo lui possa sentirmi < ci sono 7 Agenti. 4 umani e 3 demoni, ognuno dei quali potrebbe elettrizzarti prima ancora che tu possa emettere un solo fiato. Vuoi davvero mettere in pericolo te e la tua famiglia? Tornate da dove siete venuti e subito >
< Tu non capisci > sussurra con voce insolitamente ferma < mia figlia è malata e qui nel ghetto non possono curarla >
< Uccideranno te e arresteranno tua moglie e tua figlia se fai quello che hai in mente. Vuoi davvero questo? >
< N-non pos-so > mormora. Ora la sua voce trema, ma la sua mano si stringe più forte alla pistola.
< Vattene! > gli ordino a denti stretti < Creerò un diversivo > Ma l’uomo sembra non sentire più ragioni e rimane al suo posto. Maledetto cretino! Ma ha fatto la sua scelta. Io non posso farci niente. Ma faccio l’errore di incrociare gli occhi della bambina. Sono lucidi ma asciutti. Profonde occhiaie le segnano il viso magro e il suo sguardo è spento, non è uno sguardo di bambino ma uno sguardo adulto, consapevole delle sofferenze e dei mali che imperniano questo mondo schifoso. Maledicendomi ancora per la mia futura stupidità esco con noncuranza dalla fila e mi infilo velocemente in un viottolo secondario. Lascio la bici e indosso una felpa nera con cappuccio. Sistemo i coltelli (le uniche armi che mi arrischio a portare di nascosto ai posti di blocco) e mi arrampico rapidamente sulla palazzetta diroccata di fronte a me che da direttamente sul muro di cemento che sbarra il passaggio da questa Zona all’altra. Mi sporgo dalla balconata e vedo quattro guardie che sono piazzate sulle palizzate d’acciaio percorse da filo spinato. Sono fermi al loro posto e scrutano la folla sotto di loro. Tra loro ci sono i tre demoni, poco propensi ad interagire in qualsiasi situazione con gli esseri umani. Sono armati di fucili paralizzanti, l’arma standard degli Agenti Paritari. Gli altri tre sono davanti al cancello a controllare i documenti e spintonare chi si attarda un po’. Mi stringo il cappuccio con i lacci e preparo i coltelli. Tocca all’uomo e alla sua famiglia. Porgono dei fogli sgualciti che dovrebbero costituire il loro permesso al passaggio e che, ovviamente, sono stati falsificati. Il primo agente li guarda attentamente, alzando un sopracciglio. Mormora qualcosa al suo collega a cui passa il foglio. Poi quest’ultimo, dando un’occhiata veloce, miracolosamente, dà loro il via libera. Mentre il cancello viene aperto, ho un sospiro di sollievo, sollievo che dura pochi secondi. Uno degli agenti all’ingresso urla qualcosa alla famigliola e mette la mano sul calcio della pistola. L’uomo e la donna cominciano a correre all’impazzata, mentre gli Agenti Paritari gli puntano i fucili contro. Tutta la folla in attesa cade nel panico e comincia a urlare e scappare. Vedo subito che la famigliola non può avere speranze: stanno percorrendo una vasta piazza, priva di qualsiasi riparo e l’uomo sta sparando alla cieca dietro di sé mentre la moglie con la bambina piangente che si divincola in braccio cerca invano di aumentare il ritmo della corsa. Con un salto di qualche  metro, atterro sulla palizzata. Il primo demone, un Yole scorbutico e stupido, non riesce neanche a esprimere la sua sorpresa perché gli taglio la gola in un secondo. Uno zampillio di sangue verdastro comincia a scorrere dal taglio, mentre cade a terra con un tonfo. Neanche il secondo demone riesce a rendersi conto di cosa sta succedendo perché il mio coltello lo centra nel cuore. Adesso ho tutta la loro attenzione. Gli altri due, un umano e un Kasir (una sorta di lucertola bipede) smettono di sparare sulla piazza e puntano i fucili nella mia direzione. Mi aggrappo al bordo del muro, scansando i proiettili elettrificanti e, dandomi lo slancio, atterro direttamente sul Kasir. Sibila arrabbiato e mi colpisce il braccio con uno dei suoi artigli lunghi e puzzolenti. Cerco di ignorare il dolore (tra l’altro mi ha colpito nello stesso punto dell’altra notte) e con un calcio lo scaglio di fronte a me, contro il suo compagno. Entrambi ruzzolano giù dal muro e si impigliano nel filo spinato. Ora tocca agli Agenti a terra che si sono già lanciati all’inseguimento dei fuggitivi. Sono quasi arrivati alla fine della piazza, ma non ho tempo di raggiungerli prima di perderli di vista, quindi afferro uno dei fucili abbandonati e miro a quello più in avanti, che sta per raggiungere la famiglia. Lo colpisco alle gambe, ma cade a terra all’istante, paralizzato. Ottengo quello che voglio: gli altri due lasciano perdere il loro precedente obiettivo e si dirigono su di me. Probabilmente pensano che un potenziale Ribelle che ha appena messo a terra la loro squadra, sia una preda più succosa rispetto a una delle tante famigliole di profughi che tenta di scappare dal ghetto. Mi appiattisco a terra, evitando per un pelo tre scariche che mi passano sopra la testa, schiantandosi sulla guardiola dietro di me. Sento che rallentano la loro corsa, probabilmente sono convinti di avermi beccato. In un attimo mi alzo con un coltello per mano, un secondo per mirare i due obiettivi e lancio. Cadono a terra, trafitti. L’adrenalina mi scorre in corpo, ho il cuore che batte all’impazzata e il respiro irregolare. Mi ci vuole qualche secondo per capire che non c’è un pericolo immediato. Regna un silenzio inquietante, persino i rumori della città sembrano lontani. Sto per saltare giù dal muro e volatilizzarmi quando un pugno mi raggiunge la schiena, lanciandomi in avanti e togliendomi il fiato. Ho appena il tempo di girarmi che un altro pugno si abbatte sul pavimento sotto di me, a due centimetri dalla mia testa. Con un colpo di reni mi alzo in piedi, colpendo il mio assalitore con un calcio alla faccia. È il secondo demone, uno Screezer piuttosto abile. Il mio coltello è inficcato nel suo cuore dove l’avevo lasciato quindi che diavolo... Ops, dimenticavo che gli Sceezer hanno il cuore vicino al braccio destro. Il demone riesce a abbattermi di nuovo a terra. < Ok, amico > gli dico, saltando in piedi. < Ora mi hai proprio stufato > Gli assesto un paio di pugni in piena faccia, facendolo arretrare. Poi con un calcio rotante lo spingo a tre metri da me. Sibila e allarga le braccia, mostrandomi gli artigli.
< Certo che voi Kasir siete proprio degli esibizionisti! > esclamo mentre afferro gli ultimi due coltelli e li lancio verso di lui. Uno dei due riesce a deviarlo con la mano artigliata, ma il secondo gli si conficca appena sotto l’ascella destra. Mi guarda sbalordito per un secondo, poi ruzzola a terra. Ci metto un attimo in più per realizzare che ora è davvero finita. Tutti gli Agenti Paritari sono a terra, immobili. Anche quello che si era impigliato nel filo spinato insieme al Kasir è ricoperto di sangue e non si muove. Un grumo di sangue all’altezza del collo suggerisce che  le punte di acciaio gli abbiano perforato la carotide. Recupero rapidamente tutti i coltelli, nel caso ci sia qualcosa che possa ricondurre alla mia identità notturna e ritorno nel vicoletto, dove ho lasciato le mie cose. La felpa è tutta imbrombata di sangue, non posso portarmela dietro, non con l'alto rischio di perquisizioni. La nascondo in fretta sotto il bidone della spazzatura. Verrò poi a riprenderla stanotte, quando le acque si saranno calmate. Indosso i miei vestiti giornalieri: pantaloni chiari larghi e felpa blu con stelle rosse disposte a formale un triangolo isoscele (l’orrendo marchio della Jeep Company). Al petto l’immancabile cartellino “Jeep Express” con la mia foto appiccicata sopra. Per finire un bel cappello rosso, la mia aggiunta personale. Inforco la mia bici e quando i primi allarmi cominciano a suonare e i primi Agenti a scalpitare sono già a casa. Mi sa che dovrò nuovamente rimandare l’indagine sul mio medaglione.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3197898