Love isn't always fair

di Root
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII ***
Capitolo 8: *** Capitolo VIII ***
Capitolo 9: *** Capitolo IX ***
Capitolo 10: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


Titolo: Love isn't always fair
Personaggi: Nico Di Angelo, Percy Jackson
Avvertimenti: Spoiler!, Slash
Desclaimer: Tutto ciò cui mi sono ispirata appartiene solo ed unicamente a Rick Riordan
Note: Dunque, la storia è ambientata subito dopo la fine di BOO quindi ovviamente ci saranno spoiler, vi avverto. In realtà ci sono spoiler anche della Casa di Ade che in Italia ancora non è uscita, quindi credo sia giusto avvertire anche in questo caso. 
Credo che tutti i fan Percico siano come me rimasti scioccati e decisamente contrariati dal modo in cui Rick Riordan ha deciso di liquidare i sentimenti di Nico per Percy. Voglio dire, è semplicemente ridicolo, e qui, ovviamente, entriamo in gioco noi fan writer.
Non so ancora quanto capitoli sarà questa fic, forse 4 o 5, non sono sicura; ma poiché non l'ho ancora finita, aggiornerò lentamente. 
Spero che vi piaccia! :D


 

Nico non aveva pensato a cosa sarebbe accaduto dopo, non aveva speso tempo a riflettere su quel che stava facendo. Aveva agito spinto dall'entusiasmo del momento, l'eccitazione e la contentezza per la fine della guerra ancora troppo vive dentro di lui perché sentisse il bisogno di preoccuparsi di qualcosa che, adesso, sembrava tanto insignificante.
In quel momento, Nico si sentiva leggero, sereno come non lo era da tanto, troppo tempo perché finalmente poteva dire di aver trovato una casa, perché Will gli aveva appena detto che lo considerava un amico e perché, nonostante tutto, lasciarsi abbracciare da Jason non era stato poi così male.
In quel momento, Nico si sentiva bene. Quindi non ci pensò due volte, quando lo vide, ad andare vicino a Percy e a dirgli quel che aveva tenuto nascosto a tutti per tanti anni, ciò contro cui aveva combattuto strenuamente continuando a perdere miseramente.
Avevo una cotta per te. Sei carino, ma non sei il mio tipo.
Quelle parole, Nico se ne rendeva conto perfettamente, non riuscivano neanche ad avvicinarsi a quel che erano i sentimenti che aveva provato per Percy. In quelle poche, insulse parole non era presente tutto il dolore che il figlio di Ade aveva provato, tutto quel che aveva fatto per Percy, tutto quel che aveva desiderato e non aveva mai potuto avere.
Eppure, fu proprio quel che disse.
Nico aveva immaginato più e più volte il momento in cui avrebbe rivelato i suoi sentimenti, il momento in cui, finalmente, Percy Jackson si sarebbe reso conto di quel che rappresentava per lui, l'attimo in cui avrebbe visto la consapevolezza scintillare nei suoi occhi verde mare. Nico aveva pensato che avrebbe potuto parlare per ore e ore senza riuscire davvero a descrivere la portata di quel che provava per Percy.
Ma che senso avrebbe avuto, arrivati a quel punto? Percy era felice con Annabeth, se ne sarebbero andati a Nuova Roma e avrebbero finalmente potuto godere della pace che tanto si meritavano; e Nico era contento per loro, era riuscito a superare i sentimenti che lo tormentavano da anni.
Sei carino, ma non sei il mio tipo.
Era poco, anzi, era niente in confronto a quel che avrebbe voluto dire, ma era tutto ciò che serviva.
Fu solo quando voltò le spalle a Percy e Annabeth che la portata di quel che aveva fatto lo colpì in pieno e, per una manciata di secondi, andò nel panico.
Non aveva pensato alle conseguenze, non aveva pensato che, dopo di quello, avrebbe senz'altro rivisto Percy e che, probabilmente, non avrebbe avuto il coraggio di guardarlo negli occhi. Mentre si allontanava, poteva sentire il viso farsi sempre più caldo e, passo dopo passo, al panico andò ad affiancarsi un'altra cosa, una piccola dose di soddisfazione per quel che era riuscito a fare e un piccolo sorriso si fece largo sulle sue labbra.
Si chiese se Cupido fosse finalmente orgoglioso di lui.

 

Nico avrebbe davvero dovuto aspettarsi che non era tanto facile rendere felici le divinità dell'amore.
Nei tre giorni successivi, il figlio di Ade cercò di non pensare, di mettere da parte ogni cosa: la guerra appena conclusa e tutti i danni che il Campo aveva subito; cercò di mantenere nascosto in un angolino della sua mente Octavian e la sorte che gli era toccata (a causa sua, continuava a sussurrargli una vocina maligna); cercò di non ricordarsi che, spinto dall'entusiasmo del momento, aveva confessato i suoi sentimenti a Percy e che, prima o poi, avrebbe dovuto affrontare la cosa.
Nico conosceva Percy abbastanza bene da riuscire ad immaginare che, la prossima volta che si sarebbero visti, il figlio di Poseidone non avrebbe fatto finta di nulla.
Una parte di lui voleva che quel momento giungesse il prima possibile; ma c'era un'altra parte, una parte che Nico si sforzava di ignorare senza alcun successo, che temeva il giorno in cui avrebbe dovuto, inevitabilmente, parlare con Percy. Quella parte di se stesso lo faceva sentire un vigliacco.
Nico ripensò all'espressione scioccata che si era dipinta sul volto del più grande quando aveva sentito quel che aveva da dire, e si ritrovò a sorridere, solo un po': era decisamente difficile lasciare Percy Jackson così a corto di parole e provò un certo orgoglio ad esserne stato la causa.
Durante quei tre giorni che trascorse in infermeria, Nico si riposò più di quanto non avesse fatto da quando aveva scoperto di essere un semidio, e forse anche prima. Si abbandonò al sonno e alle cure di Will, e quelle settantadue ore gli sembrarono, contemporaneamente, durare un istante ed un'eternità.
Nico non avrebbe dovuto essere così sorpreso che il suo momento di tranquillità venisse interrotto brutalmente da qualcuno che, sebbene avesse visto una sola volta, conosceva fin troppo bene.
Favonio apparve nel buio della cabina numero tredici all'improvviso, portandosi dietro un bagliore luminoso che sparì subito dopo, veloce così come era arrivato. Il dio del Vento dell'Ovest non era cambiato affatto dall'ultima volta che si erano visti: canotta rossa, pantaloncini e sandali, come se fosse pronto per andare a trascorrere una giornata sulla spiaggia; le ali piumate e i capelli ricci e scuri gli davano un'aria sinistra, nell'oscurità della stanza.
Il dio rivolse per qualche istante lo sguardo al luogo in cui si trovava per poi fissare gli occhi sul semidio che aveva dinanzi.
Prima che Favonio potesse dire anche solo una parola, Nico si alzò in piedi, pronto a fronteggiarlo. Si era lasciato cogliere impreparato già una volta, non sarebbe di certo accaduto di nuovo.
-Cosa vuoi?
Nonostante tutto, Nico non poté in alcun modo evitare di mettersi immediatamente sulla difensiva: i suoi trascorsi con Cupido e i suoi servitori non erano da considerarsi esattamente dei migliori.
Favonio lo guardò, gli occhi brillanti tra le ombre, e Nico desiderò con tutto il cuore cancellare il sorriso che gli incurvava le labbra.
-Ti ho tenuto d'occhio per molto tempo, Nico Di Angelo; e credo che non sia ancora giunto il momento giusto per smettere di farlo.
-Non ho alcun bisogno di essere tenuto sotto controllo.
-Io credo di sì- replicò, dopodiché rimase in silenzio.
Nico di solito amava il silenzio, il silenzio ti permette di pensare e, soprattutto, se c'è il silenzio, spesso significa che sei da solo, o in compagnia dei morti. Nico si sentiva a suo agio, circondato dalla quiete. Eppure adesso, l'ultima cosa che desiderava era restare in silenzio, mentre Favonio continuava ad osservarlo, a studiare ogni sua mossa.
-Cosa ci fai qui? Che cosa vuoi da me?- disse infine, a denti stretti, anche se non aveva bisogno che il dio glielo rivelasse per riuscire ad immaginare a cosa fosse dovuta quella visita.
-Ho visto quel che hai fatto.
Nico seppe immediatamente a cosa Favonio si stesse riferendo. Rilasciò le mani, che non si era reso conto di star stringendo a pungo, e una sottile risata gli sfuggì dalle labbra.
-Immagino che tu e Cupido sarete finalmente felici. Sono stato sincero, no?- disse, e cercò di ignorare la sottile nota di incertezza che riusciva a sentire nella propria voce.
-Il mio padrone te lo ha già detto una volta: l'amore non sempre rende felici.
-Non sono più innamorato di lui.
Favonio gli rivolse un piccolo sorriso, un sorriso tenero e comprensivo, e Nico si sentì un bambino indifeso sotto quello sguardo, sotto quegli occhi che sembravano leggergli fin dentro l'anima e conoscere di lui più di quanto non ne sapesse lui stesso.
-Non è così facile lasciarsi alle spalle un amore così forte, figlio di Ade. Non farti illusioni.
Quelle parole lo colpirono più di quanto non ammise a se stesso. Lui lo sapeva, era fin troppo consapevole che ciò che aveva detto a Percy non era neanche lontanamente paragonabile a quel che aveva davvero provato, non c'era bisogno che glielo dicesse qualcun altro. Ma ciò non significava che non avesse la forza per superarlo.
Improvvisamente, Nico sentì montare dentro di sé una rabbia incontrollabile. Chi era Favonio per dirgli una cosa del genere? Chi era per dirgli che non poteva lasciarsi alle spalle Percy Jackson?Neanche Afrodite in persona avrebbe mai potuto dirgli di chi era o non era innamorato.
Gli dei, sempre pronti a ficcare il naso nelle vite dei semidei, almeno per questa volta non avrebbero deciso per lui.
-Vattene- ringhiò.
-Non continuare a mentire a te stesso, Nico.
-Vattene- ripeté, trovando sufficiente autocontrollo per non urlare e ignorando il tono quasi paterno con cui Favonio gli stava parlando.
Favonio sospirò, sconfitto ma, subito prima di sparire, rivolse a Nico uno sguardo sicuro e determinato.
-Ci rivedremo ancora, Nico.
Il figlio di Ade tornò a respirare normalmente, lasciandosi cadere sul letto, sfinito come se avesse appena combattuto una battaglia -una battaglia contro cosa? Contro Favonio o contro se stesso?
Nico portò un braccio a coprirsi gli occhi e non riuscì ad evitare di pensare che, probabilmente, Favonio aveva ragione: si sarebbero visti ancora.

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


Innanzitutto vi chiedo scusa per il tempo che ho impiegato per aggiornare, ma l'università non mi da tregua, quindi è difficile trovare il tempo per scrivere. Ho avuto una difficoltà enorme a scrivere questo capitolo, e non ne sono del tutto soddisfatta, ma se non lo posto ora finirò per farlo nella prossima vita, quindi meglio cogliere l'attimo. Grazie mille a chi ha recensito lo scorso capitolo, spero che vi piaccia anche questo :D


 

Nico non si era ancora abituato ad avere una casa. Non era facile, dopo aver trascorso anni come un viaggiatore solitario passando da un luogo ad un altro, rendersi conto che, improvvisamente, aveva una casa. Durante i primi giorni che trascorse al Campo era come se sentisse incombere su di sé il pericolo che, da un istante all'altro, sarebbe stato costretto ad andarsene.
È sempre così che succede, dopotutto; ogni volta che hai qualcosa tra le mani, qualcosa che hai sempre desiderato, quella ti scivola via come sabbia tra le dita.
Si sentiva incredibilmente sciocco ad avere questo timore ma era più forte di lui. Ricordare le parole che Reyna gli aveva detto il giorno dopo che la guerra era terminata lo faceva sentire meglio.
Avevamo una casa, ora ne abbiamo due.
Più che ad avere una casa, ciò cui Nico non si era ancora abituato, era avere delle persone che lo considerassero un amico. Perché, nonostante tutto, Nico aveva sempre pensato ai Sette della Profezia e agli altri semidei del Campo come degli amici; la novità era che, per la prima volta, Nico riusciva a capire che erano anche loro a vedere lui come un amico.
Jason non stava affatto scherzando quando gli aveva detto che, praticamente, non se lo sarebbe più tolto di torno. Il figlio di Giove si sedeva al tavolo di Ade durante i pasti, ignorando qualsivoglia obiezione da parte di Nico, e ormai anche Chirone aveva rinunciato a cercare di fargli rispettare le regole del Campo.
Nico aveva quasi l'impressione che Jason avesse paura che, se lo avesse lasciato da solo per più di qualche istante, lui si sarebbe nascosto nelle ombre, per poi andar via e non tornare mai più. Non che avesse tutti i torti ad avere un simile timore, ma Nico pensava che, forse, il giovane semidio stesse un po' esagerando.
-Jason, non ho intenzione di andare da nessuna parte- gli disse.
-Sì, certo, lo so- rispose Jason automaticamente, prima di fermarsi, come fosse stato colpito improvvisamente dalla consapevolezza che da quando, giorni prima, Nico era uscito dall'infermeria, non lo aveva praticamente mai lasciato solo.
-D'accordo, scusa- si corresse, alzando le mani in segno di resa. Gli occhiali gli scivolarono sul naso e Nico stavolta non si trattenne e allungò una mano per tirarglieli su.
Nico non lo avrebbe mai ammesso a voce alta ma era contento che Jason lo considerasse un amico; tra lui e Will Solace, che sembrava stessero facendo i turni per tenerlo d'occhio, Nico non correva di certo il rischio di sentirsi solo. Il figlio di Ade sorrise al pensiero; dopotutto, sembrava proprio che restare al Campo fosse stata la scelta giusta.
-Ehi, ragazzi!
Nico si costrinse a non bloccarsi al suono di quella voce, si costrinse ad ignorare il proprio cuore che perdeva un battito e, soprattutto, si costrinse a non voltarsi e andare via per evitare di fronteggiare Percy Jackson.
-Ehi Percy!- lo salutò Jason, e Nico non mancò di notare lo sguardo che il figlio di Giove gli indirizzò.
Jason sapeva quel che Nico aveva fatto, lo aveva visto quando era andato da Percy e gli aveva rivelato dei suoi sentimenti. Quando si erano incontrati, più tardi, Jason lo aveva guardato sollevando un sopracciglio, un'espressione chiaramente scettica dipinta in viso e Nico era certo che nella sua mente fosse ancora vivida l'esperienza che avevano avuto in Croazia; e, soprattutto, era certo che Jason, al pari di Favonio, non fosse per nulla stato convinto dalle parole di Nico. Il figlio di Ade gli era stato più che grato quando, nonostante tutto, Jason si era limitato a posargli una mano sulla spalla e a sorridergli, senza fare commenti.
Nico non stava cercando di evitare, Percy, ma da quando la guerra era finita, non si erano praticamente più visti, se non alle riunioni dei capi delle case, che non offrivano una grande occasione per una conversazione privata.
Percy era sfinito, Nico lo notò immediatamente; le occhiaie scure contrastavano notevolmente con il verde dei suoi occhi e il figlio di Poseidone sembrava aver solo voglia di scappare via per un po', lontano dal campo e dai suoi doveri. Lui era l'eroe, era il leader del Campo Mezzosangue e non poteva semplicemente lasciare che gli altri si prendessero cura degli innumerevoli danni e problemi che affliggevano la sua casa. Nico provò il forte desiderio di fare qualcosa per aiutarlo, anche solo per concedergli il riposo che meritava.
Quando Percy gli sorrise, se Nico non avesse immediatamente distolto lo sguardo, avrebbe potuto notare un evidente imbarazzo nella sua espressione.
Era da quando Nico gli aveva rivelato dei suoi sentimenti che lui e Percy non si parlavano, praticamente; ritrovandoselo davanti così all'improvviso, Nico non poté fare a meno di chiedersi dove avesse trovato il coraggio che gli aveva permesso di parlargli in modo così diretto.
Furono solo pochi secondi di silenzio, ma a Nico parvero una piccola eternità, una situazione di stallo in cui ognuno aspetta di vedere la prossima mossa dell'avversario.
Nico sarebbe sempre stato immensamente riconoscente a Jason per quel che fece in quel momento.
-Ehi Percy ti va di allenarti un po'? -gli disse gettandogli un braccio attorno al collo.
La guerra contro Gea e i Giganti si era conclusa da poco più di una settimana, la stanchezza e i danni che aveva portato con sé erano ancora vivi nel campo, eppure all'idea di stringere di nuovo Vortice tra le mani senza il pericolo di una morte imminente, alla prospettiva di poter scappare per qualche tempo al proprio ruolo di eroe del campo, gli occhi di Percy quasi si illuminarono.
Per un istante Nico si chiese se fosse riconoscente a Jason per se stesso o perché fu in grado di far sorridere Percy in quel modo.
-Certo, perché no- rispose il figlio di Poseidone, con l'aria di chi aveva appena trovato la propria ancora di salvezza.
Prima di allontanarsi Percy si voltò verso Nico, sorridendo.
-Ci vediamo, Nico- disse e, alle orecchie di Nico, quelle parole suonarono contemporaneamente come una promessa e una minaccia.

 

Nico non era ancora sicuro di poter definire il Campo Mezzosangue la sua casa; non era come se sentisse la mancanza degli Inferi, dell'oscura atmosfera che li pervadeva e della presenza sempre incombente di suo padre. Nico non sentiva il desiderio di ritornarci, ma quel luogo era stata la cosa più vicina ad una casa che aveva avuto negli ultimi anni e, nonostante tutto, non era così facile sentirsi perfettamente a proprio agio in un posto dove, per tanto tempo, aveva pensato di non essere il benvenuto; non era così facile sentirsi un vero membro del Campo Mezzosangue, e non solamente un ospite.
Stare vicino alla Signora O'Leary lo confortava, in un certo senso, come se lei potesse, in qualche modo comprendere come si sentisse. Il segugio infernale era un po' come lui, dopotutto; eppure, guardandola, Nico aveva l'impressione che lei appartenesse al Campo più di quanto non facesse lui.
Nico non aveva pensato che andare nell'arena a trovare la signora O'Leary avrebbe significato alzare notevolmente le probabilità di incontrare Percy.
Se ne accorse solo nel momento in cui sentì qualcuno avvicinarsi e, poi, la voce di Percy lo raggiunse.
-Nico!
Ogni volta che posava gli occhi su Percy, Nico era incerto se maledirsi o congratularsi con se stesso per aver preso la decisione di restare al Campo.
-Ciao, Percy- gli disse, quando l'altro semidio gli fu vicino.
La signora O'Leary gli si avvicinò, reclamando le sue attenzioni; anche mentre si dedicava al segugio, Percy continuava a lanciare occhiate fugaci verso Nico, con l'atteggiamento di chi vorrebbe dire qualcosa, ma non ha idea di come iniziare.
Il figlio di Ade era consapevole che, questa volta, non avrebbe potuto evitare in alcun modo la conversazione con Percy. Nico sapeva perfettamente di cosa Percy volesse parlare, non ci voleva di certo un grande intuito per rendersene conto. Ancora una volta, Nico si domandò da dove avesse tirato fuori quella forza d'animo che gli aveva permesso di parlare con Percy.
Non sei più innamorato di lui, Nico, si disse e continuò a ripetersi, in una sorta di mantra, cercando di convincere se stesso a credere a quelle parole.
Il segugio infernale spostava gli occhi scuri, osservando a turno i due semidei, percependo il loro disagio e la tensione tangibile che sembrava accrescersi ogni secondo che passava. Probabilmente erano fermi in quella posizione di stallo da solo pochi minuti, ma pareva essere trascorsa un'eternità.
Nico voleva rompere il silenzio, infrangerlo completamente e impedire che si venisse a creare nuovamente. Eppure, non aveva alcuna intenzione di essere lui stesso a farlo; più ci pensava, più si rendeva conto che non aveva più nulla da dire; non aveva più senso, ormai, dare un suono a tutto ciò che aveva sempre voluto che Percy sapesse, e che si era tenuto dentro per anni.
Toccò a Percy penetrare il silenzio, dissiparlo poco a poco con la propria voce; e Nico, nonostante tutto, gli fu grato per questo.
-Nico...
Il figlio di Ade lo osservò per una manciata di secondi, abbastanza a lungo da notare che si stava torturando il labbro inferiore con i denti, e che cercava di non incontrare i suoi occhi. Vederlo così nervoso lo fece sentire irrequieto a sua volta.
Percy non aspettò una risposta e continuò a parlare.
-Hai detto che avevi una cotta per me...
Nonostante se lo aspettasse, a quel punto Nico fu sul punto di fermarlo, di farlo stare zitto e di scappare il più lontano possibile; cercò con tutto se stesso di impedire al suo cuore di accelerare ma senza alcun successo. Si chiese se sarebbe mai stato capace di avere a che fare con Percy Jackson in modo normale, se sarebbe mai stato in grado di vederlo come un ragazzo come tanti.
Gli sembrò quasi di sentire la voce di Favonio riecheggiare nella sua testa: non è così facile lasciarsi alle spalle un amore così forte, figlio di Ade, non farti illusioni.
Si costrinse ad ignorarla e si trattenne a stento dallo scuotere la testa per scacciare via quel pensiero.
Percy prese un profondo respiro prima di riprendere a parlare.
-Ti ho fatto soffrire, vero? Mi dispiace, Nico.
Percy riusciva sempre a sorprenderlo, in un modo e in un altro. Nico non aveva saputo esattamente cosa aspettarsi da quella conversazione, cosa Percy volesse dirgli; ma, anche se forse sarebbe stato lecito, non si sarebbe mai aspettato delle scuse.
Lo guardò per qualche istante, incapace di formulare una frase di senso compiuto. Anche Percy lo stava guardando, adesso, i suoi occhi verdi fissi nei suoi neri e Nico non sarebbe riuscito a distogliere lo sguardo neanche se avesse voluto.
-Non importa, Percy, non preoccuparti.
-Importa eccome, invece- ribatté lui,- So che non ha alcun senso dirtelo adesso, ma volevo che sapessi che mi dispiace se sono stato uno sciocco e ti ho fatto stare male.
Era in momenti come questi che Nico si ricordava bene, fin troppo bene, il perché si fosse innamorato a prima vista di Percy. Avrebbe voluto dimenticarlo ma per la prima volta il pensiero che, forse, Favonio aveva avuto ragione, gli attraversò la mente.
Sorrise, anche se non avrebbe saputo spiegarne il motivo; forse perché l'immagine di Percy tanto nervoso a causa sua era qualcosa che non poteva non farlo sorridere.
-E io ti ho detto che non c'è bisogno di scusarti.
Percy lo guardò in silenzio per un istante, poi gli rivolse uno sguardo severo.
-Lo stai facendo di nuovo.
Nico non riuscì a capire subito a cosa il ragazzo stesse riferendosi.
-Cosa?
-Rifiutarti di accettare che gli altri ti vogliano essere amici. Lo hai fatto anche quando ti ho ringraziato, per Bob.
Nico lo ricordava molto bene e, a posteriori, poteva ammettere di essere stato aggressivo. Tutto ciò cui riusciva a pensare in quel momento, era che Percy stava bene, che era riuscito ad uscire dal Tartaro sano e salvo; eppure, non aveva potuto evitare che gli si stringesse il cuore in una morsa dolorosa quando aveva posato gli occhi sulla sua mano, intrecciata a quella di Annabeth.
Il figlio di Ade distolse lo sguardo da Percy, fissando gli occhi sulla signora O'Leary che correva eccitata per l'arena, muovendo la coda e sollevando polvere.
-Non ce n'era davvero bisogno.
-Sì, invece. Quindi, grazie Nico.
Se qualcuno gli avesse chiesto perché si rifiutava di accettare le parole di Percy, Nico non avrebbe saputo cosa dire se non che non erano necessarie e che non c'era alcun motivo per cui avrebbe dovuto farlo.
Quindi si limitò a non rispondere e, quando Percy fece per parlare di nuovo, Nico lo bloccò, sollevando una mano, prima che potesse mettere suono.
-Non provare a scusarti di nuovo!
-Perché no? Non smetterò di farlo finché tu non accetterai le mie scuse!
-Beh puoi metterti l'anima in pace, perché non succederà!
-Farò in modo che succeda, invece! E, anzi, dovrai accettare anche i miei ringraziamenti!
Qualunque cosa Nico volesse dire in risposta, venne interrotta dall'arrivo della signora O'Leary, che si era avvicinata a loro e che, adesso, li stava guardando con occhi severi e inflessibili, gli occhi con cui una madre guarda i suoi figli che litigano per una sciocchezza. Solo in quel momento si resero conto di aver alzato la voce.
Trascorse una manciata di secondi in cui i due semidei si limitarono a fissarsi, indecisi se riprendere a litigare o semplicemente far finta che non fosse accaduto nulla; poi Percy ruppe l'imbarazzante silenzio che si era venuto a creare, lasciandosi andare ad una sonora risata. Nico non capiva se il figlio di Poseidone stesse ridendo perché si sentiva stupido, perché considerava Nico uno stupido, o perché lo era l'intera situazione, ma dovette mordersi la guancia per non unirsi a lui. Non riuscì però ad impedire che le sue labbra si piegassero leggermente verso l'alto.
Senza smettere completamente di ridere, Percy si avvicinò alla signora O'Leary e affondò una mano nel suo pelo scuro. Lei abbaiò, contenta che finalmente qualcuno fosse tornato a prestarle attenzione.
-Hai ragione bella, ci dispiace- disse,- Vero, Nico?
Nico sbuffò ma, stavolta, non riuscì a trattenersi dal sorridere. Si avvicinò anche lui al segugio infernale, poggiandole una mano sulla testa. Sospirò in segno di resa e sollevò lo sguardo, fino ad incontrare lo sguardo di Percy.
-Vero- rispose, anche se non sapeva esattamente per cosa si stesse scusando.
Si chiese se Percy si fosse rassegnato o se sarebbe tornato a chiedergli scusa ancora e ancora, finché lui non lo avesse accettato; e allora, un giorno Nico sarebbe stato costretto a dirgli che non poteva perdonarlo per qualcosa di cui non aveva colpa.
Parlare con Percy non era stato il terribile incubo che aveva immaginato; forse, adesso che l'argomento era stato affrontato, sarebbe riuscito ad avere a che fare con lui in modo normale, forse, lui e Percy sarebbero davvero potuti essere amici.
Nico cercò di ignorare il sapore amaro che quella parola gli trasmetteva al solo pensiero, cercò di ignorare le parole di Favonio che minacciavano di affiorare nuovamente e, stavolta, scosse violentemente la testa per mandar via tutti quei pensieri.
Percy non lo stava guardando, impegnato a dedicarsi al segugio infernale, che richiedeva la sua attenzione.
Nico si rese conto di non aver distolto gli occhi dalla sua figura solo quando Percy si voltò verso di lui. Abbassò la testa, ringraziando i capelli che contribuirono a coprire il rossore delle sue guance, e decise che era il momento di andare. Percy sembrò sul punto di trattenerlo, e Nico non seppe se essere contento o meno, quando non lo fece.
Non sono più innamorato di lui, continuò a ripetersi mentre si allontanava dall'arena; e, per quanto si sforzasse, neanche lui stesso era certo di credere a quelle parole.

 


 

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


Stavolta sono riuscita ad aggiornare più in fretta :D Grazie mille a tutti quelli che hanno letto, apprezzato e recensito anche lo scorso capitolo, vi voglio bene *^* Spero vi piaccia anche questo, in cui abbiamo il punto di vista di Percy :3




 

A Percy piaceva pensare che nulla ormai potesse più sorprenderlo; aveva combattuto quasi contro ogni genere di mostro, aveva visto la sua insegnante di matematica trasformarsi in un'orribile Furia e il suo professore diventare un centauro, aveva incontrato divinità e combattuto contro alcune di loro, contro Titani e Giganti, la sua memoria gli era stata portata via per mesi e, come se non bastasse, il suo sangue era stato usato per risvegliare la Madre Terra. Insomma, la vita di un semidio non è esattamente tranquilla, Percy era davvero convinto che nulla ormai potesse più sorprenderlo.
E invece si era ritrovato non solo sorpreso, ma completamente a corto di parole quando, dopo la fine della guerra, Nico era andato a parlare con lui.
La sua mente si era bloccata completamente per un istante, e sentiva le parole di Nico continuare a ripetersi nella sua testa.
Percy si vergognava profondamente per il fatto che il primo pensiero compiuto che riuscì a formulare fu "come sarebbe a dire che non sono il suo tipo?". Nel momento stesso in cui lo pensò si sentì il più grande ipocrita, il peggiore tra semidei e mortali.
Nico sembrava tranquillo e pronto a tutto, come se tutto ciò che era stato costretto ad affrontare, non solo durante la guerra ma sin da quando aveva scoperto di essere un semidio, fosse improvvisamente scivolato via dalla sue spalle. Nell'immensa tempesta di confusione che stava attraversando in quel momento, Percy fu orgoglioso e contento di vederlo così.
Riuscire a comprendere davvero e a metabolizzare le parole di Nico fu più difficile di quanto si sarebbe immaginato; non aveva ancora detto una frase di senso compiuto quando il figlio di Ade gli sorrise un'ultima volta, per poi voltargli le spalle e allontanarsi; gli occhi di Percy erano ancora fissi su di lui, mentre parlava con Will Solace.
Dire che Percy non se lo aspettasse era un eufemismo; sin da quando era morta Bianca e Nico aveva abbandonato il campo, Percy aveva sempre avuto quella vocina nella testa che gli diceva che Nico non lo avrebbe mai perdonato, che lo avrebbe odiato per sempre per aver distrutto ciò che restava della sua famiglia. Razionalmente, Percy era consapevole che le probabilità che ciò fosse vero erano quantomai basse; Nico sapeva che Percy aveva fatto tutto quel che era in suo potere per salvare sua sorella e che non aveva alcun senso incolparlo.
La loro storia era stata ricca di problemi, di incomprensioni ed equivoci ma, dopo tutto quel che avevano passato, Percy sapeva che, anche se forse non sarebbero mai stati davvero amici, Nico non lo odiava davvero.
Sentire quelle parole, così semplici e così dirette, gli fece ripensare a tutta la sua esperienza, a tutto ciò che aveva passato con Nico da quando si erano conosciuti. Non fu solo il fatto che erano due ragazzi a sorprenderlo, o il fatto che Percy era stato convinto che Nico avesse una cotta per Annabeth; più di quello, a sorprenderlo fu il modo in cui Nico gli parlò, come non aveva mai fatto prima, con lo sguardo sereno, come se stesse dicendo una cosa di poco conto; per la prima volta da quando era andato via dal Campo Mezzosangue, Percy non aveva l'impressione che Nico avrebbe preferito trovarsi nell'Ade al cospetto di suo padre piuttosto che parlare con lui.
Senza sapere ancora bene cosa dire, si voltò verso Annabeth i cui occhi grigi, fissi su di lui, mostravano curiosità e una certa dose di preoccupazione per lo stato catalettico in cui si trovava il suo ragazzo. Lei gli sorrise e Percy fece altrettanto.

Percy aveva temuto il momento in cui avrebbe parlato nuovamente con Nico; non ne aveva avuto l'occasione per diverso tempo, a causa degli infiniti doveri nei confronti del Campo, che gli avevano quasi fatto sperare che arrivasse qualche mostro, giusto per poter stringere Vortice tra le mani e incanalare la propria frustrazione in una battaglia.
Sentiva il prepotente bisogno di andare da Nico e scusarsi, scusarsi di non essere stato capace di capire i suoi sentimenti, scusarsi se in quel tempo, anche senza volerlo, lo aveva fatto soffrire. Ripensando al modo in cui Nico gli aveva parlato, alla leggerezza del suo tono e a ciò che gli aveva detto, Percy pensava che, forse, per il figlio di Ade non era stato poi così importante.
Avevo una cotta per te, aveva detto, e queste parole avevano colpito Percy più di quanto non avesse mostrato, neppure ad Annabeth.
Anche se per Nico non era stato davvero importante, Percy voleva davvero scusarsi sebbene, con ogni probabilità, Nico non sarebbe stato pronto ad accettarlo.

La loro conversazione, per quanto breve e regolata dalla presenza di un mastino infernale, sembrò sufficiente. Percy non era ancora sicuro che Nico lo considerasse effettivamente un amico ma, più passava il tempo e più si convinceva che sarebbe successo.
Percy aveva sempre cercato di essergli amico; forse non dal primo momento in cui si erano visti, quando Nico gli era apparso come niente di più che un ragazzino rumoroso e petulante, ma gli era bastato vedere come aveva reagito quando sua sorella aveva deciso di lasciarlo per unirsi alle Cacciatrici, l'espressione di chi si sente tradito e abbandonato dipinta in viso, per decidere di voler essere suo amico. Ci aveva provato, e aveva continuato a farlo anche quando Nico non voleva neanche avvicinarsi a lui, ma ogni volta si ritrovava a fronteggiare un muro impenetrabile, che pareva farsi sempre più solido ad ogni suo sforzo.
Percy preferiva non pensare al fatto che quel muro impenetrabile sembrava ora esistere solo contro di lui; quando vedeva Nico interagire con Jason, o con Will, il figlio di Poseidone non riusciva ad impedire la gelosia che, inevitabilmente, andava a trovarlo.
Ma ora quello stesso muro che lo aveva tenuto lontano per tanto tempo, si era scalfito e Percy aveva l'impressione che poco a poco, stesse riuscendo ad abbatterlo.

 

L'arena era diventata il loro luogo di incontro; erano passati mesi dalla fine della guerra e praticamente nessuno, fatta eccezione per alcuni intrepidi figli di Ares, aveva già voglia di riprendere in mano le armi. Oltre la signora O'Leary, e Jason che talvolta si univa a loro, Percy e Nico erano quasi sempre da soli lì.
Qualche volta si allenavano, Vortice contro il ferro nero dello Stige, e Percy non poteva fare a meno di pensare che era un'enorme fortuna che Nico fosse dalla loro parte, combattendo con loro e non contro di loro.
Qualche volta si limitavano a parlare, e quelli erano i momenti che Percy preferiva, quelli in cui poteva davvero sentir cedere il muro che Nico aveva eretto attorno a sé per tenerlo lontano. In un certo senso, quei momenti nell'arena erano diventati per lui un piccolo rifugio, un momento di tranquillità dalla guerra che ancora sentiva pesare su di sé, un rifugio dai suoi problemi, problemi che non riusciva a capire e cui preferiva non pensare.
- Come ti trovi qui al campo?- gli chiese Percy.
- Se non mi fossi trovato bene, me ne sarei già andato- rispose Nico e, nonostante il tono della sua voce, Percy fu certo di aver visto un sorriso increspare le sue labbra.
- Hai ragione- il figlio di Poseidone si lasciò andare ad una leggera risata. -Sono felice che tu abbia deciso di restare, Nico- disse tornando serio ma incapace di smettere di sorridere.
- Anch'io- rispose lui, -anche se non mi piace l'arancione- aggiunse, osservando la maglia del campo che era stato costretto ad indossare.
A quel punto Percy non cercò più di trattenersi e si mise a ridere.
- Ma no, io credo che ti stia benissimo!
Nico lo fulminò con lo sguardo ma anche stavolta, Percy avrebbe giurato che il figlio di Ade stesse combattendo contro se stesso per non sorridere.
- Ho indossato di peggio- borbottò, e Percy rise di nuovo.
- Percy.
Percy non l'aveva sentita arrivare. Si voltò verso Annabeth, e rimase a fissarla una manciata di secondi prima di risponderle.
- Ehi, Annabeth- la salutò sorridendo, anche se non avrebbe saputo dire se lo stesse facendo per il suo arrivo o semplicemente perché non aveva smesso di farlo.
Ci fu qualche istante di silenzio, in cui Percy si scusò mentalmente con Nico, i cui occhi interrogativi rimbalzavano tra lui e Annabeth.
Annabeth sembrava sul punto di dire qualcosa; poi scosse la testa e tornò a sorridere. Percy si odiò quando non poté evitare di chiedersi se quel sorriso fosse reale.
- Mi stavo chiedendo dove fossi finito- disse, poi, come se avesse notato la presenza di Nico solo in quel momento, aggiunse: -Ehi Nico.
- Ciao Annabeth- le rispose lui.
- Ci vediamo più tardi- disse lei tornando a guardare Percy, poi si voltò e iniziò ad allontanarsi.
- Annabeth!- la chiamò Percy, andandole dietro.
- Hm?
Percy si morse un labbro. Cosa aveva voluto dirle?
- Niente. A dopo- disse, e si chinò per darle un leggero bacio sulle labbra.
Osservò i capelli biondi che ondeggiavano sulle sue spalle, seguendola con lo sguardo finché gli fu possibile.
- Tutto bene?- gli chiese Nico.
Percy notò il suo sguardo confuso e preoccupato, e pensò che forse avrebbe potuto dirglielo, avrebbe potuto raccontargli tutto e confidarsi con lui, perché Nico lo avrebbe ascoltato e, anche se non lo avesse capito, Percy pensò che sarebbe comunque stata una buona idea.
- Sì, tutto bene- gli rispose, e anche se era chiaro come il sole che non fosse la verità, Nico non gli chiese altro, e Percy gliene fu immensamente grato.

 

Percy non sapeva esattamente cosa stesse accadendo nella sua testa, non capiva perché il suo mondo e le sue certezza sembravano star crollando dinanzi ai suoi occhi. E, in quel momento, non riusciva a capire perché non fosse contento di vedere Annabeth lì, sull'uscio della casa numero due.
-Ehi, Annabeth- disse, e proprio non capì perché gli ci volle un notevole sforzo per costringere le sue labbra a formare un sorriso.
Si fece da parte per lasciarla entrare, ma Annabeth aspettò qualche istante, quasi stesse decidendo se volesse davvero farlo o se, invece, preferiva tornare indietro.
Fu in quel momento che Percy notò gli occhi stanchi della ragazza e il suo sorriso forzato. Come aveva fatto a non accorgersene prima? Come era possibile che non si fosse immediatamente reso conto di come Annabeth stesse cercando in ogni modo di non incontrare i suoi occhi?
Lui aveva sempre notato ogni cosa di lei, fin dai minimi particolari; lui non avrebbe dovuto lasciarsi sfuggire una cosa del genere. Si sentì in colpa, e provò l'urgente desiderio di scusarsi, anche se non avrebbe saputo dire esattamente per cosa.
Si sedettero entrambi sul letto e, stavolta, Percy non poté non notare come Annabeth si sedette lontano da lui; non troppo, ma abbastanza perché per lui fosse impossibile ignorarlo.
La tensione tra di loro era densa e tangibile; neanche il rumore della fontana riusciva a penetrare il silenzio.
Percy cercò di ricordare un momento come quello, un'altra occasione in cui si era sentito così a disagio con Annabeth, come se fossero due estranei che non hanno nulla di cui parlare o, peggio, come due amici che hanno troppo da dirsi ma non sanno da dove iniziare né sanno se hanno davvero il coraggio di farlo.
Avevano deciso di andare a Nuova Roma, di diplomarsi e di andare al college insieme. Non era stata una scelta affrettata, ci avevano pensato a lungo; eppure adesso Percy non era più tanto sicuro che fosse la cosa giusta da fare. Non era sicuro che fosse davvero quel che voleva. Cosa desiderava lui? Cosa voleva davvero Percy Jackson?
Non lo sapeva, e la cosa lo fece, contemporaneamente, abbattere ed infuriare.
Tutto ciò che sapeva con certezza era che, al pensiero di lasciare il Campo Mezzosangue e tutti i semidei che lo abitavano, al pensiero di non allenarsi più e di rinunciare al tempo trascorso con Nico, al pensiero di lasciare tutto ciò e di stabilirsi a Nuova Roma, la casa di Poseidone gli sembrava più accogliente che mai.
Si girò verso Annabeth, costringendola ad incontrare il suo sguardo. Allungò una mano, andando a stringere quella della ragazza. Annabeth ricambiò immediatamente la stretta, intrecciando le loro dita; ma non si mosse per eliminare la distanza che li separava, né lo fece Percy.
-Cosa ci sta succedendo, Annabeth?
-Non lo so, Testa d' alghe.
Con quelle parole, Percy sentì la tensione allentarsi, lentamente.
Sapere che non era l'unico ad avere dei dubbi lo rassicurò , e sentire Annabeth chiamarlo in quel modo lo fece sorridere per davvero.
All'improvviso fu come se fossero tornati ad essere di nuovo loro stessi, come se si fossero resi conto che si conoscevano da anni e che non c'era alcun motivo di essere tanto nervosi.
“E' Annabeth”, pensò Percy, quasi si fosse solo ora reso conto di chi aveva accanto.
-Io ti amo, Percy.
-Anche io, Annabeth, e non credo che smetterò mai di farlo.
Percy fu felice di vedere un vero sorriso dipingersi sulle labbra di lei.
-Lo so- rispose, -Ma...
-Ma non sei più sicura di che tipo di amore sia?- completò lui, e Annabeth annuì, lentamente.
-Non ne sono sicuro neanche io.
Stettero in silenzio per qualche tempo, Percy non avrebbe saputo dire quanto. Ma non era un silenzio come quello precedente; non si sentivano soffocati dalla necessità di parlare e dalla paura di farlo. Stavolta respirare non era difficile e le parole che dovevano essere dette avevano già assunto un suono; il resto poteva aspettare ancora qualche istante.
-Credi ancora che sia una buona idea andare a Nuova Roma?
-Non lo so- rispose Percy e, subito dopo averlo detto, gli venne da ridere e sentì una leggera risatina sfuggire dalle labbra di Annabeth.
Non erano più sicuri di nulla, ma potevano sempre contare l'uno sull'altra, come era sempre stato.
Annabeth si alzò, la mano di Percy ancora stretta attorno alla sua. Solo quando anche lui fece lo stesso, lei gli lasciò la mano e lo guardò per una manciata di secondi dritto negli occhi; e Percy riconobbe in essi la ragazza che conosceva da quando aveva dodici anni, che aveva amato e che ancora amava.
Quando si abbracciarono, Percy la tenne stretta a sé, la testa poggiata sui suoi riccioli biondi. Per un attimo pensò di prenderle il viso tra le mani e baciarla. Non era certo che fosse la cosa giusta da fare e, soprattutto, non era certo di volerlo fare, quindi si limitò a stringerle ancora di più le braccia attorno alla vita.
Quando lei se ne andò, lasciandolo solo nella casa di Poseidone, Percy non era sicuro di quel che avessero risolto con quella breve conversazione, ma si sentiva meglio, come se inconsapevolmente entrambi avessero preso una decisione, condivisa anche se non espressa a parole.
Si lasciò cadere sul letto, sentendosi più leggero e, improvvisamente, gli tornarono alla mente le parole che Afrodite gli aveva rivolto diversi anni prima. La dea aveva parlato di vero amore e Percy, fino a quel momento, era stato certo che lei stesse riferendosi ad Annabeth.
Si chiese se fosse effettivamente così e si scoprì a pensare che, a dirla tutta, non gli importava più di tanto. Afrodite era sì la dea dell'amore, ma ciò non significava che avesse il diritto di decidere per lui.
Percy si addormentò, quella sera, pensando che avrebbe trovato da solo il suo vero amore.

~

Afrodite amava osservare la vita dei mortali: seguire passo dopo passo i loro progressi, vedere come riuscivano finalmente a trovare la via dell'amore; ma, soprattutto, Afrodite amava intromettersi, in tutto ciò, aiutare lei stessa a tracciare la vita sentimentale degli uomini. Era la dea dell'amore, dopotutto, era il suo lavoro.
La dea osservava sempre, e se c'era qualcuno da cui non distoglieva mai lo sguardo, quello era Percy Jackson.
Per questo, non fu affatto sorpresa quando Eros andò a trovarla. Non appena vide suo figlio, la dea dell'amore seppe immediatamente di cosa lui volesse parlarle.
-Madre.
-Figlio mio, hai preso a cuore la sorte del figlio di Ade, vedo.
Non c'era accuse nelle parole della dea dell'amore né nei suoi occhi, puntati su suo figlio. Eros ricambiò lo sguardo con sicurezza e, dopo qualche istante, un leggero sorriso andò ad incurvare le labbra di Afrodite.
-Riesco a capire perché tu lo abbia fatto, e ti chiedo di continuare a farlo- disse la dea, e sospirò teatralmente.
Eros aspettò pazientemente che lei riprendesse a parlare. Quando lo fece, la sua voce voleva forse suonare malinconica, ma non era difficile cogliere una nota di diletto come se, nonostante tutto, la dea stesse traendo piacere da quella situazione. E probabilmente era davvero così.
-Ma non chiedermi cosa ho in serbo per lui, né per il figlio di Poseidone. Tu stesso dovresti sapere che non è così facile da descrivere, il corso dell'amore. L'amore ha tante facce e non è sempre facile riconoscerlo.
Afrodite sospirò nuovamente e, con un ampio ed elegante gesto si scostò una ciocca di capelli che le era ricaduta sul viso.
Gli uomini, i semidei e anche gli dei stessi, non erano in grado di comprendere il suo ruolo nella vita dei mortali; erroneamente, spesso si pensava che la dea dell'amore non facesse altro che dominare il cuore degli uomini, decidendo chi dovesse innamorarsi di chi.
-Ho promesso a Percy Jackson di rendere interessante la sua vita amorosa, e così sto facendo. Cosa c'è di interessante nel vedere chiara dinanzi a sé la via dell'amore? Ciò che io sto facendo, figlio mio, è non interferire; è lasciare a Percy Jackson la possibilità di scelta.
Afrodite sorrise.

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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


Note: Ci ho msso un secolo ad aggiornare, vi chiedo scusa!! >.<
Dunque, ho un paio di cose da dire su questo capitolo: primo, che a primo impatto può sembrare staccato dal resto, ma credo fosse neccessario inserire questa parte; secondo, che ho già paarlato di questa cosa in un'altra fic, ma ritengo che sia un elemnto indispensabile per un futuro confronto tra Percy e Nico; come ho detto prima, credo non possa mancare assolutamente. E poi basta, grazie a chi ha leto e recensito la storia fino ad ora, e spero vi piaccia anche questo capitolo!




Percy odiava avere gli incubi: svegliarsi nel cuore della notte sudato e con l'affanno come se avesse appena finito di combattere centinaia e centinaia di mostri; svegliarsi all'improvviso e non aprire gli occhi per paura di non essersi svegliato affatto, per paura di di ritrovare nella realtà quel che fino a quel momento era stato solo un sogno.
Percy odiava avere gli incubi, ma ciò non impediva loro di fargli visita praticamente ogni notte sin da quando lui e Annabeth erano riusciti ad uscire vivi dal Tartaro. Da quando la guerra era finita era stato anche peggio, ed era diventato sempre più raro riuscire a dormire per più di qualche ora.
Percy si lasciò ricadere sul letto, respirando affannosamente, incapace di riprendere fiato; aveva la fronte sudata e le sue mani non volevano smettere di tremare. Senza aprire gli occhi, cercò di concentrarsi sul suono della fontana, dell'acqua che cadeva; cercò di concentrarsi sul rumore di ogni singola goccia, di riempire la sua testa con quel suono e con nient'altro.
Come al solito, non ricordava esattamente cosa avesse sognato, tutto ciò che restava in lui era il senso di terrore, la paura che lo attanagliava; la sensazione di dover fuggire il più lontano possibile e, contemporaneamente, la certezza che nessun luogo sarebbe stato abbastanza lontano da essere sicuro. Percy non aveva alcun bisogno di ricordare cosa avesse sognato per sapere di cosa si trattasse.
Lentamente aprì gli occhi, ritrovandosi a fissare il soffitto della casa di Poseidone. Prese un respiro profondo, si girò su un fianco e chiuse di nuovo gli occhi, preparandosi ad una nuova lotta.
Non gli ci volle molto per rendersi conto che quella notte non sarebbe più riuscito ad abbandonarsi tra le braccia di Morfeo.
L'aria fredda della notte lo colpì non appena aprì la porta della casa numero due. Senza idea di dove fosse diretto, ma sapendo di aver bisogno di muoversi, di uscire e di prendere una boccata d'aria fresca, Percy iniziò a camminare.
Amava il campo durante il giorno, luminoso e chiassoso, ma vederlo così, deserto e tranquillo, lo faceva sentire altrettanto bene; era come se il silenzio regnante in quel momento gli avesse fatto ricordare che la guerra era davvero finita e che era possibile riposare tranquilli. Sospirò e lasciò che i suoi piedi lo guidassero per le vie del campo.
Si rese conto di dove si fosse diretto solo quando si trovò davanti la porta della casa di Ade. Era stato convinto di star girovagando senza una meta ma, a quanto pareva, inconsciamente si era diretto proprio lì.
Senza pensare si ritrovò a sollevare un braccio, e fece per bussare.
Che accidenti sto facendo?, si disse un istante prima che la sua mano toccasse la porta.
Scosse la testa e, prima che potesse fare qualcosa di molto stupido come bussare alla porta di Nico nel bel mezzo della notte, si voltò e si incamminò nuovamente verso la propria cabina.
Percy cercò di non pensare a quel che era appena successo ma c'era una piccola e persistente parte di lui che continuava a suggerirgli di tornare indietro, di bussare alla porta della casa di Ade e scoprire cosa sarebbe successo dopo.
È una pessima idea, si ripeté Percy per la cinquantesima volta. Non solo perché Nico gli avrebbe probabilmente infilato il ferro nero dello Stige su per il naso per poi sbatterlo di nuovo fuori, ma anche perché Percy non sapeva esattamente cosa avrebbe fatto: non sapeva perché era andato da Nico. Lui e Nico si erano avvicinati tanto dalla fine della guerra -dalla dichiarazione- e, quando Percy ci pensava, non poteva fare a meno di rimpiangere tutto il tempo in cui lo aveva dato per scontato, e rimproverarsi per essere stata la persona più lontana da un amico che si potesse sperare.
Nico avrebbe potuto aiutarlo, forse; e se anche così non fosse stato, sicuramente avrebbe potuto capirlo.
La sola idea di Nico che vagava nel Tartaro, solo e terrorizzato, lo fece rabbrividire. Lui era riuscito a sopravvivere solo perché Annabeth era con lui, perché era stato aiutato; Nico non aveva avuto nessuno, era rimasto completamente solo, braccato dai seguaci di Gea. E anche una volta uscito da quell'inferno, quel che lo aspettava era stato una giara di bronzo.
Nico non era di certo l'unico semidio con cui la vita non era stata generosa, ma sembrava davvero che tutte le forze divine si fossero accanite contro di lui sin dal giorno in cui era nato. Al pensiero di ciò Percy strinse i pugni.
Giunto di nuovo nel buio della propria cabina, Percy si lasciò cadere sul letto, il pensiero ancora fisso su Nico: arrabbiato per quel che il figlio di Ade aveva dovuto attraversare e ancora piuttosto confuso per averlo cercato, senza neanche esserne consapevole e nel cuore della notte.
Pensò di parlare con Nico delle sue notti, di come gli incubi gli facessero rivivere continuamente quel che era successo nel Tartaro e che lui avrebbe voluto solo dimenticare.
Forse Nico ci era riuscito, forse era stato in grado di lasciarselo alle spalle, e parlandogli Percy non avrebbe fatto altro che riaprire una ferita che era stata chiusa con tanta fatica. Percy non ne era convinto, ma sperava che fosse realmente così, che Nico fosse più forte di lui.
Una sottile vocina nella sua testa lo costrinse a chiedersi perché il suo cammino non lo avesse portato davanti alla porta della casa di Atena. Tra lui e Annabeth le cose si erano sistemate, eppure inconsciamente aveva preferito andare da Nico piuttosto che da lei.
Non avevano mai parlato di quel che avevano passato nel Tartaro, rifletté Percy fissando il soffitto. Percy poteva sentire l'aria farsi sempre più tesa ogniqualvolta rischiavano di avvicinarsi all'argomento. Era come se, proprio perché erano stati insieme, parlarne diveniva ancora più difficile; come se entrambi avessero paura, come se, anziché avvicinarli, quella comune esperienza li avesse allontanati.
Annabeth non lo aveva più detto a voce alta, ma Percy poteva leggere nei suoi occhi grigi che era rimasta terrorizzata da quel che era successo con Akhlys, la dea della miseria. Terrorizzata non da lei, ma da lui.
Percy sospirò, e quel suono leggero sembrò rimbombare per diversi secondi nel silenzio della casa di Poseidone. Chiuse gli occhi, deciso ad addormentarsi nuovamente, pur nella consapevolezza che ciò avrebbe significato altri incubi. Cercò di svuotare la mente e si abbandonò di nuovo al suono della fontana: riusciva sentire ogni singola goccia che cadeva e, accompagnato da ciascuna di esse, si riaddormentò.
Gli incubi tornarono praticamente subito: il terrore, la consapevolezza di dover fuggire e l'impossibilità di farlo, la presenza di qualcuno accanto a sé, una mano stretta nella sua. Percy non si voltò a guardare chi era, ma continuò a stringere quella mano gelida, con l'unica certezza che non l'avrebbe lasciata andare. E continuò a correre per tutta la notte, finché non si ritrovò di nuovo nel suo letto, un muto grido che premeva per lasciare le sue labbra e incapace di riprendere fiato; da solo, ma con la sensazione di una mano fredda ancora nella propria.

 

-Hai un aspetto orribile- lo accolse Nico il mattino seguente.
Percy non aveva bisogno che qualcuno glielo facesse notare, perché oltre a sembrare appena uscito da un apocalisse zombie, si sentiva esattamente così.
-Wow Nico, grazie mille.
Il figlio di Ade alzò gli occhi al cielo.
-Nico ha ragione, Percy- intervenne Jason, che quel giorno si era unito a loro.-Sei sicuro di star bene?
Stavolta fu il turno di Percy di alzare gli occhi al cielo, e non seppe se maledire o ringraziare i suoi amici per tutte le attenzioni e le preoccupazioni che gli stavano riservando.
-Sto benissimo, Grace.
A Percy non era mai piaciuto mentire alle persone cui voleva bene, ma non pensava di avere molte alternative. La notte prima gli era sembrata quasi una buona idea andare da Nico e raccontargli tutto eppure ora, alla luce del giorno, cercò con tutto se stesso di scacciarla via, di ignorare il bisogno prepotente di parlare con qualcuno.
Incontrò gli occhi di Nico e ripensò per l'ennesima volta a quel che era accaduto quella notte. Scosse la testa e si costrinse a distogliere lo sguardo, riportandolo su Jason.
-Allora, ti va o no di allenarti?
-Sicuro di farcela, Jackson? Non sembri in gran forma- gli rispose il figlio di Giove e, nonostante il tono di sfida, Percy fu certo di intuire una sottile nota di preoccupazione nella sua voce.
-Sono sempre abbastanza in forma da poterti battere, Grace- ribatté Percy con un ghigno.
Prima di scagliarsi contro il proprio avversario Percy notò Nico osservarli con un'espressione espressione esasperata dipinta in viso ma credette anche di scorgere un sorriso.
Mentre era impegnato a concentrarsi sul parare, schivare a attaccare, Percy riuscì ad accantonare i suoi incubi in un angolino della sua mente, a dimenticare per un po' quel che probabilmente sarebbe tornato a fargli visita non appena avesse chiuso gli occhi.

 

Percy non fu affatto sorpreso quando si svegliò quella notte con la sensazione di un pericolo imminente ancora sulla pelle e la certezza che non avrebbe più chiuso occhio per il resto della sua esistenza.
Strinse i pugni con forza fino a sentire le unghie che penetravano nella carne; smise solo quando il dolore -quel dolore così vero e tangibile- lo riportò alla realtà. Aveva ancora il respiro affannoso e, come la notte prima, sentiva il prepotente bisogno di muoversi, di sentirsi in controllo del suo corpo.
Aprì gli occhi e si ritrovò a fissare l'oscurità della stanza che pareva essere più buia di come l'avesse mai vista, nonostante il sottile raggio lunare che cercava di rischiarla.
Percy strinse di nuovo i pugni. Si sentiva debole, incredibilmente e maledettamente debole. Aveva combattuto e sconfitto un'infinità di mostri, Titani, Giganti e divinità, e adesso si lasciava abbattere da qualcosa che neanche era reale.
Sei patetico, Percy Jackson.
Non pensò a quel che stava facendo quando aprì la porta della casa di Poseidone e si immerse nella fredda aria della notte; non pensò neanche quando, stavolta consapevolmente, iniziò a dirigersi verso la casa numero undici. Soprattutto, non pensò assolutamente a nulla mentre levò la mano e bussò delicatamente alla porta.
Ricomincio a pensare solamente quando la porta si aprì e Nico fu davanti a lui, un espressione allarmata e confusa dipinta in viso.
Solo dopo qualche secondo di silenzio Percy si rese conto di due cose.
Innanzitutto che probabilmente aveva un aspetto orribile, l'aspetto di qualcuno che non dormiva come si deve da giorni e che per l'ennesima volta si era svegliato nel cuore della notte; il che in effetti spiegava perché Nico avesse l'espressione di uno che ha avuto uno spiacevole incontro con umo spettro. Probabilmente era proprio quel che Percy sembrava in quel momento.
Gli ci volle un istante in più per ricordarsi che era stato lui a bussare alla porta e ad andare a cercare Nico all'improvviso, e che quindi avrebbe dovuto dire qualcosa.
Mentre cercava qualcosa da dire, si soffermò a guardare Nico, il modo in cui la luce della luna lo illuminava dando l'impressione che brillasse di luce propria.
Alla fine notò anche che non era in pigiama e che non aveva affatto l'aspetto di qualcuno che era stato svegliato nel bel mezzo della notte.
-Non stavi dormendo- disse, sentendosi stupido nell'istante stesso in cui le parole lasciarono le sue labbra.
-Neanche tu, direi- replicò Nico sollevando un sopracciglio.
Ci fu di nuovo qualche momento di silenzio.
-Posso entrare?- gli chiese infine.
Nico non disse nulla, ma si fece da parte per lasciarlo passare.
Era la prima volta che entrava nella casa di Ade. L'unica luce nella stanza proveniva da una piccola lampada vicino al letto; era più buia della casa di Poseidone e non vi giungeva neanche un raggio lunare. Eppure a Percy sembrò più luminosa, come se avesse brancolato nell'oscurità da quando si era svegliato -e anche nel sonno- e avesse finalmente raggiunto la luce in fondo al tunnel.
Si chiese se questa sensazione fosse dovuta al fatto di non trovarsi più da solo; per un istante gli attraversò la mente il pensiero che forse era proprio grazie a Nico.
Percy si sedette sul pavimento, sollevò le ginocchia e strinse le braccia attorno ad esse. Pensò che probabilmente aveva un aspetto patetico, ma si rese conto che non gliene importava nulla, non finché era solo Nico a vederlo.
Il figlio di Ade si sedette accanto a lui. Percy immaginò che Nico avesse già capito la situazione, ma attese comunque pazientemente che fosse lui a parlare.
Percy si voltò a guardarlo e scoprì di voler davvero parlare con lui, non solo del Tartaro e degli incubi, ma di qualunque cosa; scoprì che avrebbe voluto passare la notte intera a parlare con lui.
-Credo non riuscirò più a chiudere occhio per il resto della mia vita- iniziò a dire, e non si preoccupò di specificare il motivo, perché sapeva che Nico aveva già capito.
-Ogni volta che vado a dormire è come se fosse di nuovo tutto reale: il terrore, la morte, è tutto di nuovo lì e io non credo di essere capace di liberarmene- proseguì, e lesse chiaramente negli occhi neri di Nico che le sue parole erano vere anche per lui.
-Sono solo incubi- disse Nico, e Percy seppe che stava cercando di convincere più se stesso che lui.
Percy si chiese quante volte Nico se lo era ripetuto, quando si svegliava durante la notte con il terrore di tornare a dormire e continuava dirsi che erano solo incubi che non c'era assolutamente nulla di cui aver paura, nulla di reale.
Percy sentì montare dentro di sé un'enorme rabbia al pensiero di Nico che vagava -da solo, era là sotto da solo- nel Tartaro. Era vero, la vita non era mai generosa con i semidei, ma Nico non aveva avuto nessuno, nessuno che gli dicesse che sarebbe andato tutto bene, nessuno che lo aiutasse, nessuno che lo mantenesse legato alla vita. Nessuno, assolutamente nessuno.
E allora Percy pensò che se anche non aveva potuto aiutarlo allora, non aveva potuto stargli vicino in quei momenti, di certo lo avrebbe fatto adesso.
-Non ci credi neanche tu.
Nico sospirò, sconfitto.
-Non ho intenzione di parlarne.
-Io credo che potrebbe esserci utile- replicò Percy.
Era come se improvvisamente tutto ciò che gli aveva occupato la mente sin da quando si era svegliato fosse passato in secondo piano; come se tutto a un tratto avesse abbandonato la rassegnazione e fosse finalmente in grado di pensare lucidamente e di vedere una via di uscita.
-E da quando saresti uno psicologo?
-Ho tante qualità che ancora non conosci, Nico- rispose, guadagnandosi un paio di occhi alzati alzati al cielo e uno sguardo esasperato per risposta.
-Per esempio posso dire con certezza che combatti con gli incubi esattamente come me, anche se ti ostini a negarlo.
Nico poggiò la fronte sulle ginocchi tirate al petto e il primo istinto di Percy fu quello di abbracciarlo.
-Il Tartaro non ti lascia in pace neanche dopo che sei riuscito a sfuggirgli- mormorò, così piano che, se in quell'istante il mondo non fosse stato in completo silenzio, Percy non lo avrebbe udito.
-No... ma non è detto che non saremo mai in grado di superarlo- disse il figlio di Poseidone con una sicurezza nella voce che, fino a cinque minuti prima non avrebbe mai creduto di possedere.
-Hai detto che non avresti più chiuso occhio per il resto della tua vita- gli venne subito ricordato.
-Ho cambiato idea.
Trascorse una manciata di secondi durante i quali i due semidei si osservarono in silenzio, poi Nico distolse lo sguardo e, sotto gli occhi di Percy, sembrò farsi ancora più piccolo mentre si stringeva nelle spalle.
-Perché sei venuto, Percy?- gli chiese Nico, e nella sua voce c'era una nota strana, come se neanche lui stesso fosse in grado di dire se quella visita gli facesse piacere o meno.
-Non lo so- rispose Percy in totale sincerità, -Diciamo che mi sono ritrovato qui.
Nico lo guardò confuso e Percy si mise a ridere, perché in effetti anche lui continuava a trovarlo strano.
-Però credo che sia stata una buona idea- disse infine.
-E perché mai?
Nico fisso su di lui uno sguardo indagatore e, mentre lo osservava, Percy pensò di capire perché si era recato proprio alla casa di Ade. Aveva pensato che Nico avrebbe potuto aiutarlo, che parlare con lui lo avrebbe senz'altro aiutato a fare ordine tra i suoi pensieri; e nonostante la sconclusionata conversazione che avevano appena avuto, era stato proprio così. Forse era solo perché finalmente aveva espresso a voce alta ciò che lo assillava, ma c'era una piccola vocina nella sua testa che continuava a sussurrargli che non sarebbe andata così se fosse andato a parlare con Annabeth.
Non disse nulla di tutto ciò a voce alta, ma si limitò a scrollare le spalle.
-Hai intenzione di restare qui per il resto della notte?- gli chiese Nico, interrompendo il flusso dei suoi pensieri.
-Sarebbe un problema?- rispose Percy, e gli occhi sgranati del più piccolo gli fecero capire che quella risposta non era quel che Nico si era aspettato.
-Fa come vuoi- brontolò alla fine e Percy si ritrovò a sorridere come un povero stupido incapace di distogliere gli occhi dalla figura accanto a sé.
Mentre si scambiavano un altro sguardo, l'unica cosa cui Percy riuscì a pensare era che la distanza che li separava sembrava troppa.

 

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Capitolo 5
*** Capitolo V ***


Eccomi di nuovo qui! Come al solito grazie mille a tutti quelli che hanno recensito *^* Non ho tempo di rispondere alle recensioni, ma sappiate che vi voglio bene *hug*
Volevo aspettare ad aver scritto tutto il prossimo capitolo per postare questo, ma alla fine le mie buone intenzioni non sono mai sufficientemente forti, chiedo scusa D:
Buona lettura~



Nico non si era illuso che il solo fatto di non essere solo, che la sola presenza di Percy nella stanza avrebbe impedito agli incubi di andare a trovarlo quella notte; sarebbe stato sciocco, e lui conosceva fin troppo bene il Tartaro e l'impronta che aveva lasciato dentro di lui, per poter pensare una cosa simile.
Non dormì bene, né dormì tanto quella notte, eppure, quando si svegliò la mattina seguente, il peso che gravava sul suo animo sembrava più sopportabile; non era riposato, ma le sue palpebre erano meno pesanti del solito.
Quando si hanno gli incubi la parte più difficile è svegliarsi; pur se si è consapevoli che si tratta solo di un sogno (e anzi anche di più in questo caso), è talmente difficile riuscire a fuggire da quel mondo onirico che si finisce per credere che sia la realtà o che vi resterai intrappolato per sempre. E a quel punto, ancora più difficile e tremendo diventa addormentarsi, e neanche nei momenti prima di cedere completamente all'oblio del sogno, quando si galleggia in quella specie di limbo fragile e sereno, neanche essi sono più piacevoli, ma tormentati dalla paura di quel che verrà dopo, nell'incoscienza del sonno.
Per Nico era sempre stato così. Eppure, quella notte, ogni volta che sprofondava nel sonno e gli incubi iniziavano a raggiungerlo, e lui iniziava a dibattersi nel tentativo di impedirglielo, di mandarli il più lontano possibile, la mano di Percy era pronta a scuoterlo e a riportarlo alla realtà. Dopo la seconda volta che accadde, quando si svegliò e aprì gli occhi per incontrare quelli preoccupati di Percy, gli fu più facile addormentarsi e godere di quei brevi istanti di tranquillità: perché sapeva con assoluta certezza che il figlio di Poseidone sarebbe stato pronto a tirarlo fuori da quell'inferno; esattamente come Nico avrebbe fatto per lui.
Nico perse il conto delle volte in cui Percy lo svegliò, posandogli una mano sulla spalla e dicendo il suo nome. Tenne invece il conto delle volte in cui toccò a lui fare lo stesso, perché vedere l'espressione sofferente sul volto addormentato di Percy gli faceva venir voglia di svegliarlo e di non permettergli più di chiudere occhio; era stupido e lo sapeva, ma non poté impedire a quel pensiero di balenargli nella mente ciascuna delle tre volte che accadde.
Nico si svegliò quella mattina con la sensazione che fosse passato un'istante e contemporaneamente un'eternità da quando aveva chiuso gli occhi l'ultima volta.
La prima cosa che fece fu cercare Percy, quasi si aspettasse che il ragazzo se ne fosse andato. Invece Percy era ancora lì, seduto sul pavimento, con la testa poggiata sul letto di Nico e il respiro regolare di chi -finalmente- è riuscito a sprofondare in un sonno senza sogni.
Nico gli aveva fatto notare che c'era più di un letto nella casa di Ade, ma Percy gli aveva sorriso, aveva scosso la testa e aveva detto: -No, sto bene qui-. Si era sistemato sul pavimento, aveva poggiato le braccia sul letto di Nico e vi aveva posato la testa sopra. E adesso, in quella posizione, che doveva senz'altro essere incredibilmente scomoda, aveva l'espressione di chi non dormiva così bene da tempo immemorabile.
Non avrebbe saputo dire che ore fossero. Stava pensando che forse non era troppo tardi e che avrebbe dovuto svegliare Percy (anche se non gli piaceva molto l'idea) per andare a fare colazione, quando il rumore di qualcuno che bussava alla porta della casa di Ade lo fece trasalire. Non aveva assolutamente voglia di alzarsi, ma con un piccolo sforzo di volontà si tirò a sedere, scese dal letto e andò ad aprire.
Non erano molte le persone che sarebbero andate a bussare alla sua porta, e Nico non aveva molta difficoltà ad immaginare chi fosse.
-Jason- disse a mo' di saluto quando si trovò davanti il volto corrucciato del figlio di Giove. -Che ci fai qui?- gli chiese.
-Non sei venuto a colazione- gli fece notare Jason.
Nico lo fissò per un istante prima di chiedere: -Che ore sono?
-Più tardi di quanto non ti sia mai alzato da quando ti conosco- rispose il biondo, e a Nico non sfuggì il sorriso che gli incurvò le labbra.
-Ero stanco.
Nico si ricordò della presenza di Percy solo quando questi gli si avvicinò.
-Quindi abbiamo saltato la colazione?- si lamentò il figlio di Poseidone.
L'espressione che si dipinse sul viso di Jason quando vide Percy fu incredibilmente eloquente: gli occhi sgranati, le sopracciglia sollevate e la bocca leggermente aperta, e gli occhiali che, come al solito, gli erano scivolati sul naso. Nico si sarebbe senz'altro messo a ridere vedendolo, se la consapevolezza di quel che era successo non lo avesse investito proprio in quell'istante. Si voltò a guardare Percy e cercò con tutte le sue forze di impedire al suo cuore di accelerare e al sangue di andare ad infiammargli le guance.
-Ehi Percy- si limitò a dire Jason, e Nico avrebbe davvero dovuto ringraziarlo, per non aver reso le cose più strane ed imbarazzanti di quanto già non fossero.
-Ehi Jason- lo salutò allegramente Percy. Poi, forse perché voleva uscire da quella situazione o semplicemente perché non aveva alcun motivo per restare lì, li salutò entrambi e iniziò ad allontanarsi dalla Casa di Ade. Fece solo due passi prima di voltarsi di nuovo e rivolgere a Nico un piccolo sorriso.
-Nico... grazie- gli disse Percy, abbassando la voce come se fosse un segreto solo tra di loro. Lo stava guardando dritto negli occhi, e Nico non riuscì a rispondergli, non riuscì a pensare a nient'altro tranne che fosse ingiusto, che fosse tremendamente sleale che Percy potesse guardarlo con quei suoi stupidi occhi verde mare; che gli bastasse guardarlo per farlo sentire di nuovo un bambino, un piccolo bambino che non è in grado di distogliere lo sguardo dal suo eroe. Sotto il peso di quegli occhi Nico riuscì a pensare solamente che non era assolutamente giusto che Percy lo facesse sentire in quel modo anche ora che non era più innamorato di lui. Perché non lo era, e continuava a ripeterselo, perché alle volte aveva la sensazione di averlo dimenticato.
-Nico- la voce di Jason lo riportò alla realtà.
Jason lo stava fissando con gli occhi severi, e Nico non poté fare a meno di pensare che un giorno il figlio di Giove avrebbe riservato quello stesso sguardo ai suoi figli.
Nico sapeva che Jason avrebbe davvero voluto sapere cosa ci faceva Percy nella sua cabina e sapeva che il figlio di Giove non aveva mai creduto al fatto che Nico si fosse lasciato alle spalle i suoi sentimenti. Anche quando Jason gli aveva chiesto di lui e Will, Nico sospettava che il biondo già immaginava che tra i due non ci sarebbe stato nulla di più che una buona amicizia. Ma spiegargli la presente situazione avrebbe significato inevitabilmente parlargli dei suoi incubi; Jason sarebbe stato pronto ad aiutarlo in qualunque modo, ma Nico non voleva farlo. Jason non era stupido e, in ogni caso, non era necessario esserci stati per capire che anche dopo che ne sei uscito il Tartaro non ti lascia in pace.
Nico pensò ancora una volta che non meritava un amico come Jason, quando questi gli sorrise e disse: -D'accordo, non dirò nulla-, e Nico gliene fu infinitamente grato.
-Però, Nico, dimmi solo una cosa... va tutto bene?
E a quel punto Nico sorrise, perché Jason era suo amico e perché lo conosceva abbastanza bene da sapere che l'ultima cosa che avrebbe voluto fare era parlare di Percy ma che non era l'unica cosa che gli passava per la testa; e, soprattutto, Jason sapeva anche che, quando ne avesse avuto bisogno, Nico sarebbe andato a parlare con lui.
-Sto bene, Jason- rispose convinto, mentre sollevava un braccio per sistemare gli occhiali dell'altro.


Quando Percy non andò da lui, quella notte, Nico si impegnò in una dura lotta interiore senza vincitori né vinti: una parte di lui continuava a dire che era meglio così, che se anche il figlio di Poseidone fosse tornato a dormire lì, non sarebbe cambiato nulla, gli incubi non sarebbero stati miracolosamente cacciati via; ma c'era anche un'altra parte di lui che, invece, guardava il letto e pensava che quella notte non avrebbe chiuso occhio neanche per un istante. Infine c'era anche un'ultima, piccola parte di lui -una parte che Nico sperava venisse al più presto sconfitta dalle altre due- che, infida, gli sussurrava il desiderio che Percy bussasse alla porta, e non solo per tirarlo fuori dall'inferno degli incubi, ma per la possibilità di svegliarsi la mattina seguente e vederlo, sereno e addormento; quella parte di sé, che Nico pensava di aver debellato e che, invece, continuava a tornare prepotentemente da lui.
Forse perché era troppo impegnato in quel dissidio interiore, forse perché il timore di chiudere gli occhi era più forte di quanto lui stesso non avesse pensato ma, in ogni caso, quella notte non dormì. E non fu affatto difficile capire che per Percy non doveva essere stato molto diverso.
-Non hai dormito stanotte- disse Nico, e si sentì piuttosto stupido quando finì di pronunciare quelle parole.
Percy gli rivolse un sorriso stanco e disse semplicemente: -Neanche tu.
Dopo qualche istante di silenzio, Nico si rese conto che se non lo avesse detto lui, Percy non avrebbe fatto nulla e entrambi avrebbero trascorso quella notte esattamente come la precedente.
- Forse dovremmo fare di nuovo come l'altra notte...- disse, evitando di guardarlo negli occhi e cercando di non incespicare sulle parole. -Cioè, se per te va bene- aggiunse.
Gli occhi di Percy si illuminarono.
-Sul serio?
Il figlio di Ade annuì.
-Beh, è stato meglio per entrambi, no?- disse, ma aveva quasi l'impressione che Percy non lo stesse più ascoltando. Si chiese perché il figlio di Poseidone non avesse detto nulla se adesso era tanto contento; pensò che forse, da quando lui gli aveva confessato i suoi sentimenti, Percy stesse cercando di non farlo sentire a disagio e l'idea gli fece sentire quelle familiari farfalle allo stomaco cui era tanto abituato da quasi non farci più caso.
Percy busso alla porta della casa di Ade subito prima del coprifuoco. Era in momenti come questi che Nico pensava che essere l'eroe del campo portava i suoi vantaggi: Percy avrebbe letteralmente potuto lasciare il Campo Mezzosangue nel bel mezzo della notte e le Arpie probabilmente non ci avrebbero neanche fatto caso perché, insomma, era Percy Jackson a che sarebbe mai servito cercare di fargli rispettare le regole.
-Stavi leggendo?- gli chiese Percy, indicando il libro poggiato sul letto di Nico. La sua espressione sconcertata quasi lo fece ridere.
-La dislessia non è un male incurabile, Percy.
Il figlio di Poseidone sbuffò a quelle parole che forse gli erano state ripetute più e più volte, ma Nico riuscì a notare il sorriso sulle sue labbra.
Trascorsero qualche tempo così, in silenzio, Nico che leggeva e Percy seduto accanto a lui; Nico fu sorpreso di trovare quella situazione stranamente piacevole. Non riusciva a concentrarsi completamente sul libro che teneva in mano, doveva rileggere almeno un paio di volte una stessa frase affinché riuscisse a dargli un senso, sentiva la presenza di Percy, così vicino, più forte che mai e doveva costringersi a non rivolgere lo sguardo verso di lui; eppure era tranquillo, come se avesse potuto addormentarsi in quel preciso istante e non essere tormentato dagli incubi. Era una bella sensazione, pensò.
Nico non avrebbe mai pensato che lui e Percy sarebbero diventati amici; lui lo aveva sempre voluto come più di un amico e, contemporaneamente, era stato convinto che la distanza tra di loro fosse insuperabile, incolmabile. E invece, in quel momento, star vicino a Percy Jackson non gli sembrò più una cosa tanto impossibile.
Divenne un'abitudine: Percy andava da lui la sera e l'uno teneva l'altro lontano dagli incubi durante la notte. E divenne un'abitudine anche quel senso di tranquillità che entrambi provavano in quei momenti, in cui era come se il mondo intero sparisse e lasciasse loro due soli. Era un sentimento che Nico non aveva mai creduto possibile provare e che sembrava ancor più strano se paragonato al desiderio di sparire nell'ombra più vicina che sempre aveva accompagnato il tempo che trascorreva con Percy.
Talvolta stavano in silenzio, ma più spesso -molto più spesso- parlavano. Una sera Nico trovò il coraggio sufficiente per chiedergli di Annabeth. Sapeva che si erano lasciati ormai da qualche tempo -la notizia non era esattamente passata sotto silenzio al Campo- ma non ne avevano mai parlato. Dopotutto, perché mai avremmo dovuto? si era detto Nico. Ma quella notte le parole lasciarono le sue labbra prima che egli potesse effettivamente pensarci.
-Ho saputo di te e Annabeth- disse e non aggiunse "mi dispiace"; aveva passato anni a desiderare che Percy e Annabeth si lasciassero e, anche in quell'occasione, non riusciva a sentirsi davvero dispiaciuto per l'accaduto. Si sentì un ipocrita e un pessimo amico, ma questo non servì a cambiare la situazione.
Percy rispose con una scrollata di spalle. Dopo qualche secondo di silenzio disse: -Doveva andare così, era la cosa giusta.
Nico pensò che non lo aveva mai visto così concentrato, forse per cercare le parole giuste, forse con la mente rivolta ad un'altra conversazione, con un'altra persona.
-Una volta Afrodite mi parlò del mio vero amore. All'inizio non capivo cosa volesse dire, mi sembravano solo le solite chiacchiere da divinità- riprese dopo un po'. -Poi sono stato convinto per parecchio tempo che si stesse riferendo ad Annabeth.- Percy sorrise, come se l'idea di aver pensato una cosa simile lo facesse sentire sciocco.
Fino a quel momento il suo tono di voce era rimasto basso, sostenuto ma, quando ricominciò a parlare la sua voce era di nuovo quella di sempre, con un tono allegro che Nico stentava a comprendere.
-Adesso invece sono certo che non fosse così.
-Non è così facile lasciarsi alle spalle un amore così forte- di nuovo, Nico aveva pronunciato quelle parole senza pensare. Favonio gli aveva detto la stessa cosa, qualche mese prima, e lui non aveva mai davvero smesso di pensarci; lo dimenticava, di tanto in tanto, ma era sempre lì, in agguato nelle retrovie della sua mente e lui stesso sapeva che non se ne sarebbe liberato facilmente. Non lo aveva mai detto ad alta voce, e si odiò un po' per averlo fatto, per aver praticamente detto a Percy che non poteva semplicemente aver smesso di essere innamorato di Annabeth.
Fu decisamente sorpreso quando le sue parole ricevettero come risposta un sorriso, a tratti nostalgico a tratti divertito. Percy scosse la testa, senza smettere di sorridere, come se non riuscisse a credere di aver sentito quelle parole proprio da lui.
-Sembra proprio qualcosa che direbbe Afrodite- disse. -Però non è così... non è che io abbia dimenticato l'amore che provavo per lei, è solo che ora quell'amore è cambiato.
-Non so come spiegarlo- continuò, e sembrava quasi mortificato. -Ma so che non è lei il mio vero amore.
Percy fissò i suoi occhi in quelli di Nico che si sentì incatenato a quelle iridi verde mare e che pensò che non gli sarebbe dispiaciuto se quel momento di stallo si fosse protratto per sempre.
Percy aveva detto quell'ultima frase con estrema convinzione -come se stesse cercando di convincerlo, come se avesse bisogno che Nico gli credesse. Quella notte il figlio di Ade continuò a pensarci e, per una volta, non furono gli incubi ad impedirgli di dormire.


Il più delle volte Percy e Nico trascorrevano il pomeriggio nell'arena ad allenarsi; non c'era una guerra in corso, né imprese che richiedessero la loro partecipazione ma per un semidio era sempre bene tenersi in allenamento.
-Niente allenamento oggi- disse Percy, e Nico non aveva alcuna intenzione di contraddirlo. La notte precedente nessuno dei due aveva praticamente chiuso occhio; sembrava che gli incubi che li perseguitavano avevano ben deciso di farsi vivi tutti insieme.
-Decisamente no- disse il figlio di Ade. -Nel tuo stato non riusciresti a sconfiggere neanche il più debole dei mostri- soggiunse con un sorrisetto e guadagnandosi un'espressione di pura indignazione. -Ma con chi credi di star parlando? Guarda che ho combattuto in condizioni ben peggiori.- ribatté Percy, che al suo titolo di eroe era particolarmente affezionato.
-Riuscirei di certo a battere Jason.- aggiunse tra i denti forse parlando più a se stesso che a Nico, e sembrava un bambino che cerca di convincere la madre che ha ragione lui e non il suo stupido fratellino.
Nico dovette trattenersi per non scoppiare a ridere in quell'istante.
-La rivalità tra voi due è la cosa più ridicola che abbia mai visto.- disse con aria esasperata perché, sul serio, dopo quel che era successo in Kansas quei due erano sempre pronti a sfidarsi per vedere chi era il più forte, chi avrebbe vinto in quell'occasione se Piper non fosse intervenuta.
Percy lo guardò con un'espressione tra lo scioccato, l'indignato e il profondamente offeso e, a quel punto Nico non cercò neanche più di trattenersi e si lasciò andare, ridendo come non faceva da tanto tempo.
Percy non si unì a lui, ancora impegnato a fare la parte dell'offeso ma, quando finalmente finì di ridere, Nico vide che stava sorridendo.
-Dovresti decisamente ridere di più, Nico.- gli disse.
Nico sentì le guance farsi calde e distolse lo sguardo.
-Non ci sono sempre motivi per ridere.- borbottò.
-Vorrà dire che cercherò di dartene il più possibile.
A quelle parole Nico non riuscì ad impedirsi di tornare ad incontrare gli occhi dell'altro; e si maledì per averlo fatto, perché Percy lo stava guardando con un enorme sorriso e lo sguardo sicuro di chi non ha parlato con leggerezza.
Fu un istante, un singolo istante e l'atmosfera cambiò completamente.
Non farlo, pensò Nico.
Non farlo, smettila, pensò ancora e ancora mentre sentiva gli occhi di Percy su di se, il sorriso disarmante che gli stava rivolgendo.
E Nico avrebbe solo voluto distogliere lo sguardo e ritrovare sufficiente concentrazione da poter convincere il suo cuore a rallentare, e per potersi ricordare come si respira.
Fece un passo indietro e pensò di nuovo: non farlo, non farmi innamorare di nuovo di te.
Si rese conto di averlo detto a voce alta solo quando vide il sorriso di Percy venir sostituito da un'espressione in cui si potevano leggere la confusione e lo sconcerto che provava in quel momento. Se le parole di Nico non fossero state così improvvise, così inaspettate, forse Percy sarebbe riuscito ad agire immediatamente, ad afferrare il polso di Nico prima che questi potesse fuggire.
Invece non fu così: Percy non disse nulla e, in un istante, perché non sapeva che altro fare, Nico si voltò e si allontanò il più in fretta possibile.

 

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Capitolo 6
*** Capitolo VI ***


Sono riuscita ad aggiornare presto, siete fieri di me? Mi è piaciuto tanto scrivere questo capitolo, perché io amo psicoanalizzare Percy, sul serio. Ho trovato difficle scrivere l'ultima parte, invece, perché il mio progetto iniziale era di finire col prossimo capitolo e quindi di sistemare le cose in questo, ma alla fine ho cambiato idea, per motivi che spero si capiscano leggendo questo capitolo qui. Quindi, insomma, sono un po' incerta sull'ultima parte.
Spero vi piaccia :D



Percy avrebbe dovuto seguirlo, avrebbe dovuto, senza pensarci due volte, affrettarsi a raggiungerlo e fermarlo, impedirgli di fare un altro passo lontano da lui. Invece rimase fermo, incapace di muovere un solo muscolo, a guardare Nico che si allontanava, mentre le sue ultime parole continuavano a ripetersi nella sua testa. Se si fosse trattato di chiunque altro, se fosse stato uno qualunque dei suoi amici, Percy non avrebbe esitato neanche un solo istante, sarebbe andato da lui e avrebbero parlato; anche se fosse stato lo stesso Nico, il Nico di prima, quello che non riusciva a stargli vicino senza voler fuggire il più lontano possibile, anche in quel caso Percy sarebbe corso subito da lui. Ma si mosse solo quando Nico fu sparito dalla sua visuale; si lasciò cadere a terra, sulla sabbia dell'arena e chiuse gli occhi. La signora O'Leary gli si avvicinò e si accucciò accanto a lui.
Le parole di Nico avevano avuto su di lui uno strano effetto, come se sentisse in sé una nuova consapevolezza che però non faceva altro che confonderlo maggiormente.
“Non farmi innamorare di nuovo di te”, Nico aveva detto così. Aveva detto "innamorare" e Percy non riusciva a smettere di pensarci. Quando il figlio di Ade gli si era confessato, aveva trattato l'intera faccenda come se non avesse importanza, come se, in effetti, i sentimenti che aveva provato per lui non fossero stati altro che una stupida cotta infantile. Ma adesso Percy non riusciva a togliersi dalla mente l'espressione con cui Nico lo aveva guardato prima, quasi lo stesse supplicando di non farlo innamorare di nuovo di lui perché non avrebbe potuto supportarlo, non un'altra volta.
Come aveva fatto a non accorgersene? Come aveva potuto essere così maledettamente cieco per tutto quel tempo?
Percy strinse forte i pugni, sempre più forte fino a farsi male, perché magari il dolore avrebbe potuto riportarlo alla realtà, avrebbe potuto aiutarlo a ritrovare la calma e ragionare come si deve. Lui non era bravo a ragionare; sarebbe stato capace -e, per la verità, lo aveva fatto più di una volta- di guidare una guerra contro entità mitologiche, ma quando si trattava di questo genere di cose si ritrovava completamente allo scoperto, un figlio di Poseidone in balia di una tempesta.
Tutto ciò cui riusciva a pensare era che le cose erano cambiate in un istante e che, forse, se lui si fosse stato zitto, non sarebbe accaduto affatto. Eppure, non era certo se sarebbe davvero stato meglio, o meno.
Ripensò a Nico che si sentiva tanto a suo agio con lui da lasciarsi andare, da ridere sonoramente e con l'animo leggero. Percy si era sentito come se fosse stato colpito da un secchiata d'acqua tanto fredda da sembrare calda, ed era stato sicuro che avrebbe potuto passare il resto del suo tempo così, a guardare Nico, le orecchie piene del suono della sua risata. E lo aveva pensato davvero, era stato sincero quando gli aveva detto che avrebbe cercato di dargli tutti i possibili motivi per ridere. Percy aveva visto il figlio di Ade preso dall'odio e dal rancore, e lo aveva visto preda del terrore del Tartaro; e quando -finalmente- gli era stato concesso di vederlo anche così leggero e felice, aveva in parte rivisto in lui il bambino petulante e spensierato che aveva conosciuto all'inizio e aveva pensato che nessuno che avesse visto il vero Nico avrebbe mai potuto temerlo, figlio di Ade o no.
Ottimo lavoro Percy, volevi fosse felice e invece ecco che hai combinato.
La signora O'Leary lo strappò ai suoi pensieri toccandogli il viso col muso umido. Percy aprì gli occhi e ricambiò le premure accarezzandola.
-Cosa dovrei fare secondo te?
Quella sera a cena, quando vide Nico, Percy sentì chiaramente il proprio cuore perdere qualche battito. Si sentì uno sciocco per aver pensato che il figlio di Ade non si sarebbe presentato, che sarebbe fuggito come avrebbe fatto una volta; invece, stavolta, quello che stava scappando era proprio lui.
Nico lo stava evitando, era chiaro; non guardò dalla sua parte neanche per un istante ed era teso mentre era seduto al suo tavolo con Jason. Percy sentì nascere dentro di sé, contemporaneamente, gli opposti desideri di alzarsi e rifugiarsi nella sua cabina per qualche tempo e correre da Nico per porre fine a quella situazione che lo stava letteralmente facendo uscire di testa, per potersi sedere con lui al tavolo di Ade come faceva ormai ogni giorno.
Dopo il coprifuoco, forse per abitudine o forse no, Percy fu davanti alla casa di Ade. Dovevano parlare, Percy lo sapeva, eppure non riusciva a convincersi a bussare. Se non lo avesse fatto, se non fosse andato da lui, Nico avrebbe potuto pensare che Percy non voleva più essergli amico, che oramai il loro rapporto era per sempre rovinato; e questa era l'ultima cosa che Percy avrebbe voluto accadesse. Ma cosa avrebbe dovuto dirgli? Non lo sapeva.
Se fosse andato da lui in quel momento avrebbe probabilmente finito per fare qualcosa di stupido, come abbracciarlo, stringerlo a sé ed impedirgli di allontanarsi di nuovo da lui e, sinceramente, non era certo di cosa sarebbe potuto succedere dopo.
Non poteva negare che ripensare a quel che Nico gli aveva detto gli scaldava il cuore e lo faceva sorridere come un idiota; perché la possibilità che Nico fosse innamorato di lui lo rendeva felice.
Se la sua vita fosse stata una di quelle sdolcinato storie d'amore che a sua madre piacevano tanto e che Annabeth odiava, a quel punto lui si sarebbe reso conto che era in realtà sempre stato innamorato di Nico, avrebbe bussato a quella dannata porta ed entrambi avrebbero avuto il loro meritato lieto fine.
Stava pensando a ciò mentre si allontanava dalla casa di Ade nel silenzio del campo addormentato. Camminava lentamente e, dopo qualche minuto, arrivò alla spiaggia. Non sperava che la risposta ai suoi problemi potesse arrivare dal dominio di suo padre, ma la presenza del mare lo aiutava sempre, in ogni situazione. Si stese sulla spiaggia, lasciando che la sabbia gli scorresse tra le dita e che l'odore della salsedine invadesse i suoi sensi. Si sentiva fortunato ad avere il mare così vicino al Campo, era un po' come se suo padre vegliasse sempre su di lui.
Lasciò che la sua mente vagasse per un po', ben consapevole di dove inevitabilmente sarebbe finita. Si chiese cosa stesse facendo Nico in quel momento; se lo immaginò seduto sul suo letto con le ginocchia sollevate e con il libro in mano, e sorrise. Come se improvvisamente avesse ritrovato in sé una nuova consapevolezza, sentì il desiderio di andare da lui in quel preciso istante; si trattenne, piantò bene i piedi nella sabbia e si costrinse a restare dov'era.
Negli ultimi tempi Percy si era ritrovato spesso a pensare al suo rapporto con Nico. Ricordava bene il senso di colpa che aveva provato nei suoi confronti per quel che era accaduto a Bianca -e che non era ancora riuscito a dimenticare del tutto- e sapeva che all'inizio era stato quello a spingerlo verso Nico, come se stargli vicino avrebbe potuto cancellare la morte di sua sorella. Poi c'erano stati i Titani e, dopo di loro, i Giganti e Percy non aveva avuto la possibilità -né la volontà, e si odiava per quello- di legare davvero con Nico. E poi c'era sempre stata Annabeth e Percy era così preso da lei, così convinto di amarla, che non si era mai davvero fermato a pensare se fosse vero. Era stato così facile amarla durante i tempi di crisi, quando era più il tempo che passavano a scappare e a uccidere mostri piuttosto che quello che trascorrevano nella tranquillità del campo a costruirsi una propria quotidianità. Quando la guerra era finita, né lui né Annabeth avevano saputo cosa fare di quella loro relazione costruita sul salvarsi la vita a vicenda.
Era cambiato tutto dopo che Nico gli aveva confessato quel che aveva provato per lui. Le parole che gli aveva detto quel giorno si sovrapposero, nella mente di Percy, a quelle di quel pomeriggio.
Era innamorato di Nico? La domanda sorse all'improvviso, spontanea come se si trattasse di un passaggio naturale del filo dei suoi pensieri. Percy non lo sapeva. Aveva pensato per tanto tempo di essere innamorato di Annabeth e per un po' aveva creduto di provare lo stesso per Rachel, ma si era sbagliato e quel sentimento che lui aveva pensato di sentire si era poi rivelato passeggero.
Percy strinse i denti. Non voleva che succedesse la stessa cosa di nuovo, non con Nico. Percy voleva poterlo amare nel pericolo e nella vita di tutti i giorni.
Percy non avrebbe saputo dire se quel che provava per il figlio di Ade era amore o no, ma sapeva con certezza che liquidarlo come semplice amicizia aveva per lui un sapore amaro.
Perché le cose devono essere sempre così difficili quando si tratta di amore? Forse Afrodite si stava anche divertendo a vederlo in quello stato.
-E' colpa tua, non è vero? Perché devi rendere sempre le cose tanto complicate? - sospirò, con gli occhi rivolti al cielo notturno.
Si addormentò disteso sulla sabbia fredda e la vicinanza del mare non fu sufficiente a tener lontani gli incubi.
Correva, come tutte la notti, non avrebbe saputo dire da cosa né verso dove e stavolta era solo, non stringeva alcuna mano nella propria. Sapeva di star sognando ma non riusciva a svegliarsi. Giunse ad una porta, una porta solida e nera e, per quanto bussasse non apriva nessuno; ma lui continuava perché sapeva che dietro di essa c'era la sua unica salvezza, l'unica cosa che avrebbe potuto riportarlo alla realtà. Poi il sognò cambiò e Percy vide Nico nel suo letto nella casa numero tredici, la fronte imperlata di sudore, le mani che stringevano convulsamente le coperte e i denti digrignati come se volesse imporsi ai suoi incubi.
Si svegliò di scatto, con l'urgenza di alzarsi e di andare da Nico. La luce del mattino lo colpì e costrinse a socchiudere gli occhi.
-Non è colpa mia, Percy, è l'amore ad essere così.
Percy trasalì quando la voce lo raggiunse, infrangendo il silenzio della sua mente. Conosceva bene quella voce, anche se gli pareva avesse qualcosa di diverso dall'ultima volta in cui l'aveva sentita.
Percy si voltò verso la dea; immaginò di non avere un'espressione molto cordiale dipinta in viso ma non era dell'umore adatto per fingere di rispettare gli dei e soprattutto non colei che lo stava facendo impazzire.
-Tu sei la dea dell'amore, se l'amore è così è colpa tua.- disse, ignorando il fatto che doveva suonare come un bambino capriccioso.
Afrodite scosse il capo e lo guardò gentilmente, come avrebbe guardato il suo cucciolo che aveva fatto qualcosa di male ma che non aveva il coraggio di punire.
-Io sono la dea dell'amore, sì, ma non sono l'amore stesso- disse. -L'amore ha le sue vie, che io conosco ma che gli appartengono.
Ma nelle quali puoi interferire come e quando ti pare e piace, pensò Percy, ma non disse nulla.
Continuò a osservare la dea, non ostile ma diffidente come lo era sempre quando aveva a che fare con le divinità. Non aveva dimenticato quel che Ares gli aveva detto anni prima: “lei non è comprensiva come me con la maleducazione”; saggiare l'ira della dea non era in cima alla sua lista di cose da fare.
Percy ricordava la prima volta che l'aveva incontrata, quando anche solo parlare gli era sembrata la cosa più complicata dell'intero universo. Ora che aveva quasi avuto a che fare più con divinità che con essere umani, era tutto più normale. Lei era sempre assurdamente bella e perfetta, ma Percy riusciva a sostenere il suo sguardo. Adesso sembrava diversa, anche se non aveva mai avuto un aspetto ben definito; Percy non ci badò più di tanto.
Afrodite sospirò e avanzò verso di lui lentamente, come se volesse farsi ammirare da un pubblico invisibile. Quando si fermò Percy fu sul punto di chiederle se volesse un applauso. La dea si sedette comodamente su una sedia da spiaggia comparsa dal nulla e gli sorrise amabilmente.
-Mi ero ripromessa di non intromettermi ma alla fine ho cambiato idea. Dopotutto è il mio lavoro- disse allegra. -E poi mio figlio continua a chiedermi di prendermi cura del figlio di Ade- accompagnò le parole con un gesto della mano cosicché anche Percy potesse comprendere quanto potesse essere fastidioso avere Cupido che ti gira intorno chiedendo aiuto. -Dopo quel che è accaduto in Croazia sembra gli sia molto affezionato- aggiunse poi a voce più bassa, parlando più a se stessa che al suo interlocutore.
L'attenzione di Percy era stata catturata nel momento in cui Afrodite aveva menzionato Nico.
-Cosa è successo in Croazia?- chiese, confuso.
-Oh, nulla di cui preoccuparsi!- rispose lei tornando a sorridere e agitando la bella mano per liquidare la faccenda.
-Dunque Percy, chiedimi pure quel che vuoi.
-Eh?- Percy la guardò ancor più confuso. Perché doveva essere sempre così difficile parlare con le divinità? Non potevano, una volta ogni tanto, degnarsi di essere più chiari? L'occhiata esasperata che la dea gli rivolse non contribuì esattamente a migliorare il suo umore.
-Hai dei problemi, no? E non cercare neanche di mentirmi perché non ne saresti in grado. E poi forse potrei sapere meglio di te quel che provi per Nico di Angelo.
Il fatto che non avesse smesso di sorridere mentre parlava faceva sembrare il tutto più minaccioso.
-Pensa a me come la tua consulente coniugale!- disse, e Percy evitò di fargli notare che da un consulente coniugale di norma si va in due e che, in ogni caso, non era lei la dea del matrimonio; tirare in ballo anche Era non avrebbe fatto altro che creare ulteriori problemi.
Il figlio di Poseidone non dubitava che Afrodite considerasse l'intera situazione come un gioco, un mero passatempo per divinità; se c'era una cosa che Percy aveva imparato nel corso della sua vita era che giocare con le vite dei semidei era la cosa che le divinità preferivano.
Per un istante gli balenò l'idea di chiedere direttamente alla dea se fosse o meno innamorato di Nico, ma la scartò immediatamente, sentendosi ridicolo solo per averci pensato. Non sarebbe stato giusto, sarebbe stato come barare; e lui voleva essere onesto con Nico e con se stesso.
Ci pensò per un po', poi chiese: -Perché quando ci incontrammo la prima volta mi dicesti che Annabeth era il mio vero amore?
-So che non è così.- aggiunse con sicurezza.
Afrodite lo guardò come se fosse il suo più grande orgoglio e, stavolta, per un attimo Percy abbassò lo sguardo.
-Perché sarebbe potuta esserlo- disse con naturalezza. -L'amore ha mille vie, Percy, e tu non puoi neanche scorgerne una. É per questo che è divertente osservare voi umani.
Il figlio di Poseidone ignorò l'ultima frase e, quando sembrò che Afrodite non avesse intenzione di riprendere a parlare, disse. -Non capisco.
-Ma è ovvio che tu non capisca, mio caro! Tu devi solo seguire il tuo cuore. Credo di avertelo detto anche quella volta.
-Sì, e io ho risposto che non sapevo dove stesse andando il mio cuore.
-E adesso lo sai?
Percy fu sul punto di risponderle “se lo sapessi non avrei bisogno di parlare con la dea dell'amore, no?”. Ma era un po' diverso da quella volta, come se dentro di sé ci fosse una parte che conosceva già la risposta alle sue domande ma che non voleva rivelarle prima del tempo.
-Non proprio.
-Ed è giusto che sia così- disse la dea, ancora con quel brillio di orgoglio e soddisfazione nei suoi occhi. - Tu limitati a seguirlo.
Ci fu qualche istante di silenzio in cui Percy cercò di riflettere sulle parole della dea e quest'ultima aspettava che giungesse ad una soluzione.
-Lascia che ti faccia una domanda, Percy. Tu vorresti che Nico fosse il tuo vero amore?
Percy la guardò per un attimo poi annuì, quasi senza accorgersene, e fu certo di star arrossendo.
-E allora non c'è problema, no?
Sembrava che quella sua confessione avesse reso Afrodite particolarmente felice e, a quanto pareva, la loro discussione era ormai terminata; la dea si alzò con un unico movimento elegante e la sedia sparì in obbedienza ad uno schiocco delle sue dita.
Percy sbatté le palpebre un paio di volte, sorpreso e confuso, e si sollevò anche lui.
Afrodite rise, una risata sonora e melodiosa che gli ricordò per un attimo quella di Nico.
-Sei ancora carino come una volta, Percy. E tu e Nico siete così carini che stavolta potrei davvero piangere!- disse, battendo leggermente le mani, eccitata.
-E, tutto sommato, sono contenta che nessuna delle mie figlie ti abbia spezzato il cuore, sai?
-Ehm, grazie.
Afrodite si guardò attorno con l'aria di chi ha terminato il proprio operato; cosa che, in effetti, aveva fatto.
-Bene, è giunto il momento di andare, mio caro. É stato un piacere parlare di nuovo con te.
Percy annuì e, finalmente, si rese conto di cosa c'era di diverso nell'aspetto della dea. Era sempre mutevole e perfetto in ogni sua forma ma Percy vedeva occhi e capelli neri e un viso pallido e bello; una volta aveva pensato che somigliasse ad Annabeth, e sorrise quando realizzò che in lei, adesso, vedeva Nico.
Prima di sparire, la dea gli disse allegramente:-Manda i miei saluti a mia figlia, mi raccomando!
Percy fisso per una manciata di secondi il punto in cui la dea era sparita e pensò che, per una volta, parlare con una divinità non era stato del tutto inutile. Non sapeva ancora con certezza se quel che provava per Nico era amore o meno, né sapeva se Nico era effettivamente innamorato di lui ma, se non altro, non sarebbe più scappato.


Percy aveva pensato di aspettare la sera per andare da Nico. Non avrebbe saputo darne una ragione precisa, ma era un po' come se quello fosse diventato il loro momento, il momento in cui il resto del mondo si spegneva e lasciava a loro disposizione tutto lo spazio e il tempo, e nient'altro esisteva se non loro due. Ma quando, qualche tempo dopo che Afrodite se ne era andata, si allontanò dalla spiaggia, i suoi piedi lo condussero direttamente davanti alla porta della casa di Ade.
Il Campo risuonava delle voci allegre dei semidei e Percy pensò che, per quanto potesse essere bello il silenzio della notte, era molto più bello vederlo così, sapeva molto più di casa.
Si fermò solo per un istante a guardare la porta nera, trasse un profondo respiro e sollevò il braccio per bussare. Nel momento stesso in cui lo fece la porta si aprì, e Percy ci mise qualche secondo prima di ricordarsi di respirare. Nico lo stava guardando negli occhi, e la sorpresa che Percy leggeva chiaramente in essi non fu sufficiente a celare del tutto la stanchezza.
Percy non sopportava quel tipo di silenzio, quello pieno di parole che nessuno ha il coraggio di dire.
-Ehi Nico.- disse. -Stavi andando da qualche parte?
Cercare di mantenere un tono tranquillo non gli stava esattamente riuscendo alla perfezione, ma Percy non se ne preoccupò più di tanto, perché Nico lo stava guardando con una punta di preoccupazione e Percy si maledì per non essergli corso subito dietro, per non avergli detto immediatamente che, qualunque cosa fosse successa, lui non lo avrebbe mai lasciato.
-In realtà stavo venendo da te.
-Oh.
Percy osservò Nico che si mordicchiava nervosamente il labbro e si sentì nervoso a sua volta. Non sapeva ancora cosa dirgli esattamente; il suo progetto era quello di fare fidarsi di Afrodite e dei suoi consigli e di seguire il suo cuore. Dopotutto era sempre la dea dell'amore, ne sapeva di certo più di lui.
-Ti va di venire con me?
Nico annuì lentamente. Percy gli sorrise, e il suo sorriso si ingrandì quando Nico lo ricambiò.
Camminarono fianco a fianco, in silenzio, entrarono nel bosco e giunsero fino al Pugno di Zeus. Durante tutto il tragitto non dissero una parola, e Percy continuò a lanciare occhiate a Nico, osservando il modo in cui camminava, con la schiena dritta e lo sguardo basso, il passo incerto come se non avesse ancora deciso se seguire o no Percy e dovesse costringersi a mettere un piede davanti all'altro.
Il bosco era un luogo tranquillo; forse per memoria dei tanti -troppi- mostri che l'avevano usata per penetrare nel campo, i semidei preferivano non andarci se non quando si trattava di giocare a caccia alla bandiera e per la corsa delle bighe. Quindi era uno dei posti migliori del Campo quando si voleva stare soli e godersi il silenzio e, in particolare, nei pressi del Pugno di Zeus, Percy sapeva che sarebbero stati tranquilli.
Il figlio di Poseidone si sedette sull'erba fresca e fece segno a Nico di sistemarsi accanto a lui.
-Cosa volevi dirmi? Hai detto che stavi venendo da me.
-Oh.- Nico fece una lunga pausa, come se si fosse dimenticato quel che voleva dire o avesse cambiato idea. -Volevo chiederti scusa.
-Per cosa?- chiese Percy scioccamente.
Nico arrossì e abbassò gli occhi sull'erba verde. Percy non era così stupido da non aver capito a cosa si stesse riferendo, ma attese che Nico parlasse.
-Pe-per aver detto... per aver reso le cose difficili tra di noi- disse, -Mi dispiace.
-Non hai bisogno di scusarti.- replicò Percy, e pensò che era buffo come i loro ruoli si fossero invertiti; Nico che gli porgeva le sue scuse e lui che le rifiutava. Percy pensava davvero che non avesse alcun motivo di scusarsi; anche se le sue parole improvvise ed inaspettate lo avevano fatto impazzire per un giorno e mezzo, il figlio di Poseidone era lieto che fossero giunti a quel punto.
-Piuttosto, dovrei essere io a chiederti scusa, come al solito.
Un giorno avrebbe provato a contare tutte le volte in cui si era scusato con Nico -o avrebbe dovuto farlo; probabilmente avrebbe impiegato molto tempo.
Prima che Nico ricominciasse a parlare, Percy proseguì: -Mi dispiace di non essere venuto subito a parlare con te.
Con sua sorpresa, Nico non scosse la testa, non gli disse che non aveva bisogno di scusarsi, ma accettò le sue parole in silenzio. Percy cercò di immaginare come Nico aveva trascorso quel giorno e mezzo in cui non si erano parlati; pensò a come doveva essersi sentito e gli venne in mente il sogno che aveva fatto quella notte.
-Avevo bisogno di riflettere.
-E ci sei riuscito?
-Non proprio- ammise, -Non è il mio forte, ragionare.
Percy sentì di aver ottenuto una piccola vittoria quando Nico sorrise apertamente e disse: -Decisamente no.
-Ehi, guarda che potrei anche offendermi, sai?
Percy fu indicibilmente sollevato da quello scambio di battute, ed ebbe improvvisamente la certezza che, in ogni caso, tra lui e Nico le cose sarebbero andate bene. E forse Nico aveva pensato la stessa cosa perché aveva smesso di osservare con interesse la terra ai suoi piedi e aveva riportato gli occhi su Percy.
Il figlio di Poseidone sospirò, poi si fece coraggio.
-Afrodite mi ha detto di seguire il mio cuore, ma io sinceramente non ho idea di dove stia andando.- iniziò, incerto. -Tu sai dove sta andando il tuo?
-Non credo di averlo mai saputo.- rispose Nico sinceramente.
-Ho pensato per anni di essere innamorato di Annabeth, che lei fosse il mio vero amore, e adesso... non so neanche se posso fidarmi del mio cuore.
Fece un respiro profondo. -Quel che mi hai detto ieri, Nico, mi ha fatto rendere conto di non sapere quel che provo per te.
Il figlio di Ade sgranò gli occhi e Percy avrebbe solo voluto abbracciarlo. Percy non si era davvero reso conto del peso che quelle parole avevano per Nico, che aveva sempre pensato di non avere neanche una possibilità, che Percy era e sarebbe sempre rimasto lontano ed irraggiungibile; e adesso, invece, quelle parole gli dicevano che, in realtà, una possibilità c'era.
-T-tu...?- balbettò, con un'espressione persa e scioccata e il viso sempre più rosso. Percy non poté impedirsi di sorridere mentre lo guardava.
Si mordicchiò nervosamente il labbro inferiore.
-Nico. ..- iniziò; non sapeva esattamente cosa volesse dire, ma Nico lo interruppe.
-Io pensavo di averlo superato- ammise a voce bassa, quasi avesse paura che qualcun altro potesse sentirlo. -Pensavo di essermi finalmente lasciato alle spalle quel che provavo per te. E invece...- fece una pausa, abbassò la testa e i capelli scuri andarono a coprirgli il viso. -Io non lo so, Percy.
Sollevò la testa ed incontrò i suoi occhi. Aveva le guance rosse e un'espressione spaesata. Percy lo abbracciò, senza pensarci due volte. Nico ci mise qualche secondo per rilassarsi tra le sue braccia ma, alla fine, poggiò la fronte sulla spalla di Percy.
-Credo ci sia concesso di essere confusi per un po'- gli disse all'orecchio. -Sappi solo che, qualunque cosa accada, non ti libererai di me.
Nico si allontanò da lui per poterlo guardare, e Percy fu immensamente felice di vedere che sorrideva.
-Sarà meglio per te che sia davvero così.
-Non ti fidi di me? Potrei offendermi sul serio.- disse, e Nico si limitò ad alzare gli occhi al cielo.
Restarono nel bosco ancora per un po', tranquilli e rilassati ed entrambi si convinsero ancora di più che, qualunque cosa fosse successa, le cose tra di loro sarebbero andate bene.

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Capitolo 7
*** Capitolo VII ***


Mentre scrivevo questo capitolo mi sono accorta di una cosa, all'improvviso, e cioè che Percy teoricamente non dovrebbe stare al campo (???). Sono passati mesi dalla fine della guerra, e Percy è sempre stato lì, anche se sarebbe douto essere a casa, in teoria. Ooops, chiedo scusa. Ma poiché il signor Jackson mi serve al campo con Nico, noi facciamo finta che si sia tipo preso un anno sabatico, okay? xD
E, un'altra cosa: siamo a più di 20.000 parole!!!!!!!!!!! E' la cosa più lunga che abbia mai scritto e sono indicibilmente orgogliosa di me stessa. Vi devo ringraziare tantissimo, perché leggere i vostri commenti mi rende felicissima e mi fa venir voglia di continuare. Grazie, vi voglio bene <333
Ora vi lascio, spero vi piaccia anche questo capitolo!~


 

Continuare a ripercorrere mentalmente quel che era avvenuto nel bosco non aiutava Nico a capire come stessero le cose tra lui e Percy; continuare a perdersi nella sensazione di averlo così vicino e continuare pensare alle sue parole, ripetendole ancora ed ancora, non faceva altro che confonderlo di più.
Percy aveva detto dopo non sapere cosa provasse per lui; Nico non riusciva ad impedire al suo cuore di accelerare -o di fermarsi completamente, non ne era sicuro- ogni volta che ci pensava. Percy lo aveva guardato dritto negli occhi e Nico non avrebbe voluto altro che eliminare completamente la distanza che li separava, annullare quella lontananza tra di loro che gli era sempre parsa incolmabile e che adesso si stava facendo più piccola; tanto piccola che Nico avrebbe potuto tendere una mano verso Percy, afferrarlo e non lasciarlo andare mai più. Ma, per quanto piccola, quella distanza era ancora lì, e Nico temeva potesse ingrandirsi nuovamente.
Più ci pensava, più l'intera situazione sembrava farsi più difficile. Tutto ciò che Nico sapeva con certezza era che cercare di convincersi di aver superato i suoi sentimenti per Percy era tanto inutile quanto insensato, e lo era stato fin dall'inizio. Glielo dicevano il suo cuore e il suo battito quando anche solo il suo pensiero si soffermava sul figlio di Poseidone e, ormai, anche la sua testa gli suggeriva che, forse, Favonio non aveva avuto completamente torto.
Percy aveva parlato di vero amore, un concetto tanto osannato quanto, probabilmente, ignoto a tutti -mortali, semidei e divinità; Nico non era neanche sicuro che esistesse davvero, né sapeva se il proprio vero amore fosse Percy. Ma c'era una cosa che sapeva e che non poteva più negare, cioè che se non fosse stato lui allora non sarebbe potuto essere nessun altro.
Nico non era stato del tutto sincero con Percy, se ne era reso conto la terza volta che aveva ripercorso esattamente la loro conversazione nel bosco.
Non lo so, gli aveva detto, ma la verità era che Nico lo sapeva, lo sapeva perfettamente, anche se fino a quel momento non se ne era ancora accorto o si era rifiutato di ammetterlo.
Non gli succedeva spesso, ma in quel momento, il figlio di Ade aveva assoluto bisogno di parlare con qualcuno; qualcuno che non fosse se stesso né Percy, il quale avrebbe senza dubbio contribuito a confonderlo ulteriormente.
Andare a confidarsi con Jason gli parve la cosa più logica e naturale da fare, ma non si era reso conto di quanto sarebbe potuto essere difficile trovare le parole giuste ed iniziare effettivamente a parlare. Per fortuna Jason era non solo in grado di guidare una legione in tempo di guerra ma anche -a quanto pareva- di capire Nico semplicemente guardandolo negli occhi.
-Si tratta di Percy?- chiese, quando si rese conto che il figlio di Ade non sapeva bene cosa volesse dirgli, né come farlo.
Per abitudine o per riflesso, Nico fu sul punto di negare ma si trattenne e, invece, annuì.
-Va tutto bene?- chiese di nuovo Jason, con l'aria minacciosa di chi è già sul piede di guerra per far giustizia a qualcuno a lui caro, e si guardò intorno come per cercare Percy e fargliela pagare per qualunque cosa avesse fatto per far soffrire il suo amico. Nico si sorprendeva ogni volta in cui Jason dimostrava di essergli affezionato e ancora non era certo di quando fossero diventati davvero amici e non solamente compagni di sventure. Quindi gli fu grato quando si mostrò disposto a smuovere il mondo per difenderlo, ma dovette fargli sapere che non era necessario.
-Sto bene- disse, -Quindi non c'è bisogno che tu vada a far guerra a Percy.
Jason lo squadrò per una manciata di secondi con occhi scettici. Evidentemente dovette aver accettato le parole di Nico come sincere, perché annuì e tornò a sorridere.
-D'accordo. Ma sappi che puoi sempre contare su di me, in caso sia necessario.
Nico alzò gli occhi al cielo perché, sul serio, le premure del biondo nei suoi confronti potevano essere quasi snervanti. Ma non poteva impedirsi di apprezzarle. -Sì, lo so.
Trovare le parole con sui spiegarsi non era diventato più facile. Sospirò, arrabbiato con se stesso per la sua incapacità di esprimersi.
-Jason io non so che fare- disse, infine.
Jason gli mise una mano sulla spalle, incoraggiandolo a continuare ma senza mettergli fretta. Forse fu quel leggero contatto o semplicemente il fatto che si era tenuto tutto dentro per tanto tempo e la sua testa era satura e desiderava solo dar voce ai suoi pensieri, ma Nico trovò le parole e raccontò a Jason quasi ogni cosa. Quasi. Lasciò da parte le cose imbarazzanti, come il desiderio che aveva provato quando Percy lo aveva abbracciato, il desiderio che il mondo si bloccasse e che gli fosse permesso di restare così per sempre.
É incredibile come parlare con qualcuno possa far sentire incredibilmente più liberi e leggeri, Nico se ne accorse in quel momento; era un po' come se, ora che aveva espresso a voce alta quel che provava era in grado di vederlo più chiaramente.
Jason lo aveva ascoltato con espressione mutevole, dal preoccupato al piacevolmente sorpreso al molto felice fino a tornare al leggermente preoccupato.
- Io pensavo di averlo superato, ero convinto che tutto ciò che provavo per lui fosse sparito, e invece non è vero, non lo è assolutamente.
- Sei innamorato di lui, Nico, non c'è niente di sbagliato.- disse Jason con sicurezza.
Sentir dire da qualcun altro che, sì, lui era innamorato di Percy Jackson e non c'era alcuna possibilità di ritorno, rese in qualche modo tutto più reale. Fino a quel momento era stato un po' come in un sogno, quasi come se non stesse accadendo a lui, ma a qualcun altro; invece era vero, e sentire la voce di Jason che pronunciava quelle parole glielo fece capire fino in fondo.
Nico aveva compreso che non c'era nulla di sbagliato, aveva imparato ad accettare quel che era e che in passato gli aveva reso tanto difficile ammettere i propri sentimenti; ma liberarsi di una convinzione che gli era stata trasmessa quando era piccolo e che aveva permeato il mondo in cui aveva vissuto per i suoi primi dieci anni di vita non era affatto facile.
- Lo so- disse, - Ma non so che fare. Non so come devo comportarmi con lui perché non so cosa siamo.
- Continua a fare come hai fatto finora- gli suggerì Jason.
Il figlio di Giove si fermò un attimo a riflettere prima di riprendere. -Dagli un po' di tempo, Nico. Percy ha paura che il suo cuore gli stia mentendo di nuovo e ha paura di ferirti. Percy deve solo accorgersi di essere davvero innamorato di te, ma ha bisogno di un po' di tempo.
- Ma se non fosse così? Se invece si rendesse conto che non sono io il suo vero amore?- disse, sentendosi incredibilmente stupido per la nota di panico che sapeva essere presente nella propria voce ma senza riuscire a trattenerla.
C'era di nuovo quella punta da preoccupazione sul viso di Jason, davanti alla possibilità che Nico tornasse a soffrire per colpa di Percy.
- Nico, tu credi nel vero amore?
- Io... non ne sono sicuro.
- Neanch'io; e sai una cosa? Nemmeno Piper. E se lo dice una figlia di Afrodite significa che non deve essere poi così importante- disse, scrollando le spalle. - E credo che lo sappia anche Percy.
Nico sorrise. -Scommetto che la dea dell'amore non sarebbe d'accordo.
- Speriamo solo che non ci abbia sentito, allora- replicò il biondo, sorridendo a sua volta.


Nico scoprì ben presto di non aver alcun bisogno di tormentarsi con tutti quei problemi. Stare con Percy era facile; anche dopo l'imbarazzante confronto che avevano avuto il giorno prima nel bosco, avere a che fare con Percy era diventato incredibilmente naturale -come se fosse nato per fare quello, ma Nico preferiva non soffermarsi troppo su quel pensiero. Nico non aveva idea di come fosse successo, ma il suo atteggiamento nei confronti del figlio di Poseidone era mutato radicalmente. Aveva passato anni a fuggire e ad evitare di stare a contatto con lui; perché temeva i propri sentimenti, quei sentimenti così forti che avevano il controllo su di lui e che non riusciva a reprimere in nessun modo. Era sceso a patti con se stesso e con quel che Percy gli faceva provare e, adesso, il desiderio di scappare era stato sostituito da quello di farsi più vicino.
Nico non era ancora sicuro di cosa fosse meglio. Senza dubbio scappare era più facile.


Percy entrò nella casa numero tredici alla solita ora, subito prima del coprifuoco.
- Non si usa più bussare?
- Non c'è bisogno, sapevo che mi avresti fatto entrare- disse, e Nico avrebbe potuto giurare di riuscire a vedere il suo ghigno anche nel buio. Evitò di fargli notare che era una questione di educazione perché, dopotutto, non gli dispiaceva; la situazione era così familiare, così intima che Nico ringraziò l'oscurità che nascose il rossore che si fece largo sul suo viso quando si soffermò sul pensiero.
- Ma avrei potuto scambiarti per un mostro o per un maniaco e tu ti saresti ritrovato col mio ferro nero dello Stige nello stomaco- disse, - Non avresti neanche potuto lamentarti, sarebbe stata legittima difesa.
Percy lo fissò per qualche secondo prima di scoppiare a ridere.
- Per gli dei, Nico, che scena macabra! Mia madre direbbe che guardi fin troppa televisione- disse, senza smettere di ridere.
In qualche modo questo innescò una conversazione su film e programmi televisivi e tante altre cose tipiche della vita dei mortali, di cui Percy sapeva tanto e Nico nulla. Il figlio di Ade ebbe l'impressione che Percy avesse deciso di insegnargli tutto ciò che riguardava la modernità e che, anche se erano anni che viveva in quel secolo, non aveva ancora conosciuto o cui non si era ancora abituato. Dopotutto era comprensibile, considerato che aveva trascorso la maggior parte del suo tempo nel regno degli Inferi.
Improvvisamente Nico fu colpito dalla consapevolezza che nulla era cambiato tra lui e Percy, anche se ogni piccola cosa era diversa; come il fatto che erano seduti tanto vicini che le loro spalle si toccavano e che Nico non sentiva il bisogno di eliminare quel contatto, ma di immergersi in esso completamente. Si rese conto di non avere nulla da perdere e lo fece, smise di pensare per un po', si abbandonò a quella sensazione e poggiò la testa sulla spalla di Percy. Il più grande si bloccò per un istante, sorpreso, poi si accomodò alla nuova posizione e posò la guancia sui capelli di Nico prima di riprendere da dove si era interrotto. Nico chiuse gli occhi, ascoltando il suono della voce di Percy ma senza prestare davvero attenzione alle sue parole.
Si risvegliarono il mattino seguente in quella stessa posizione, e nessuno dei due ricordava di aver sognato.

 

Quando Percy disse che sarebbe andato via dal campo per qualche giorno, Nico non pensò a nulla in particolare. Fu solo più tardi, mentre era steso nel letto tentando di prendere sonno, ascoltando il respiro regolare di Percy, che cercò di ricordare l'ultima volta che aveva passato più di qualche ora senza di lui. Pensò a quella volta nell'arena, quando lui aveva parlato senza pensare e Percy non aveva risposto; non si erano parlati per diverse ore -Nico non le aveva contate, affatto- e il figlio di Ade poteva ammettere di essere stato sul punto di impazzire. Ma la situazione era diversa, no? Di certo non sarebbe potuto essere tanto difficile rinunciare per una settimana alla presenza di Percy; o forse sì, ma dopotutto non è che avesse molta scelta.
Nel momento in cui Percy gli diede la notizia, però, Nico non pensò nulla di tutto ciò.
-Oh.- fu tutto ciò che uscì dalla sua bocca.
-Mia madre vuole che vada a trovare lei e Paul. È da parecchio che non passiamo un po' di tempo insieme.- disse Percy. Aveva la voce un po' triste, ma negli occhi Nico riusciva a leggere la felicità che avrebbe provato nel stare con la propria famiglia.
-Già.- rispose Nico, senza una particolare ragione. Era felice che Percy potesse finalmente stare con sua madre, dopo che guerre e battaglie e divinità che si divertivano a cancellare la memoria a poveri semidei li avevano tenuti separati per tanto tempo. Si sentì stringere il cuore, e abbassò lo sguardo.
-Non ci pensare neanche.
Percy gli poggiò un dito sulla fronte e gli rivolse uno sguardo che avrebbe voluto essere di rimprovero ma le sue labbra erano leggermente incurvate verso l'alto. Nico sbatté le palpebre un paio di volte, sorpreso – forse dalla perspicacia di Percy o forse dal fatto che ormai non riusciva a nascondere più nulla.
-A cosa?
-A sentirti in colpa. Ti ho visto, stavi pensando che se mi avessi semplicemente detto chi ero, quando ci siamo incontrati al Campo Giove, avrei trascorso più tempo con mia madre.
-No...- iniziò a dire Nico ma lo sguardo di puro scetticismo che gli venne rivolto interruppe sul nascere la sua piccola bugia. -Va bene, hai ragione, ci stavo pensando- ammise.
-E' colpa di Era, Nico, non tua- disse Percy.- É sempre colpa degli dei.
-Non farti sentire da loro.
-Come se avessero bisogno di una scusa per dare dei problemi. É vero, e lo sanno anche loro.
Nico non poteva assolutamente dargli torto. Poteva leggere chiaramente negli occhi di Percy tutto il risentimento che aveva nei loro confronti e sapeva che la maggior parte di esso era riservato ad Era. La regina degli dei se lo era senz'altro meritato tutto.
-Io avrei voluto dirtelo- disse Nico dopo qualche minuto di silenzio. Percy si voltò verso di lui e Nico non ebbe il coraggio di guardarlo negli occhi. -Quando ti ho visto al Campo Giove, nell'ultimo posto in cui avresti dovuto essere, e quando ho capito che non ti ricordavi nulla, io avrei solo voluto raccontarti ogni cosa.
Nico ripensò a quando lo aveva realizzato, che Percy non aveva alcun ricordo; ripensò a come si era sentito quando Percy lo aveva guardato come se si ricordasse di lui, come se vedesse in lui una figura familiare. E ripensò al conforto che lo aveva investito quando si era assicurato che, nonostante tutto, Percy stava bene, che era ancora vivo; certo, era solo in luogo che non conosceva e senza memoria di sé e della propria vita, ma era vivo e questo era più che sufficiente per far tirare a Nico un enorme sospiro di sollievo e liberarsi di una parte delle preoccupazioni e della paura che lo avevano tormentato da quando gli era stato detto che Percy era sparito.
-Ma non potevo- concluse.
-Lo so- gli rispose Percy, con la voce dolce e sicura. -Voglio dire, quando ho recuperato i miei ricordi e mi sono ricordato di te, avrei voluto strangolarti-, si lasciò sfuggire una leggera risatina e guardò Nico con i suoi occhi sorridenti.
-Adesso sono certo che sia stata la cosa giusta, quella di non dirmi nulla. Se lo avessi fatto sarei di certo corso di nuovo qui senza pensarci due volte, al diavolo gli dei e i loro piani.
Nico pensava davvero che Percy dovesse smettere di testare la pazienza degli dei e limitare le offese nei loro confronti; sebbene probabilmente anche gli dei avevano ormai deciso di tapparsi le orecchie e chiudere gli occhi quando si trattava delle libertà che il figlio del dio del mare si prendeva. Dopotutto era Percy Jackson, impedirgli di fare qualcosa non avrebbe fatto altro che incrementare le probabilità che lui la facesse comunque.
-Chissà cosa sarebbe successo, allora- aggiunse Percy pensieroso.
-Meglio non pensarci- disse Nico.
Percy rise di nuovo, e Nico sorrise.
-Forse hai ragione.

 

Stare una settimana senza Percy fu contemporaneamente più difficile di quanto Nico si fosse aspettato e più facile di quanto avesse immaginato; suonava complicato anche nella sua testa, quindi preferiva non pensarci troppo.
Gli ultimi mesi lo avevano abituato ad avere Percy sempre accanto a sé, a spendere in sua compagnia ogni minuto libero che avevano e la sua assenza era strana, quasi sbagliata. Fu quando questo pensiero gli attraversò la mente che Nico pensò che qualche giorno lontani l'uno dall'altro non avrebbe potuto fargli altro che bene.
Durante quelle notti che trascorse da solo si svegliò per colpa degli incubi solo due volte. Fu terribile, aprire gli occhi nella totale oscurità della stanza senza Percy che gli accarezzava i capelli, che gli asciugava le lacrime che gli erano sfuggite e che gli diceva che era solo un incubo, che sarebbe andato tutto bene e che non doveva preoccuparsi; cose che all'inizio erano suonate come bugie ma cui, adesso, Nico non poteva fare a meno di credere. Quando si calmava, prendeva il cuscino di Percy e lo teneva stretto; e, anche se si sentiva patetico, mentre si domandava se Percy stesse dormendo, riusciva ad abbandonarsi di nuovo alle braccia di Morfeo e ad un sonno senza sogni.
Fu una lunga settimana. Percy gli mancava, ma si rifiutava di ammetterlo a se stesso, sebbene non dovesse essere troppo difficile leggerglielo negli occhi. Si rifiutò di ammetterlo anche quando, seduti nell'arena sotto la luce rossa del tramonto, Percy lo guardò negli occhi con un'espressione che Nico non riuscì ad identificare e gli disse, senza alcun imbarazzo nella voce: -Mi sei mancato, Nico.
Nico fu certo che il suo cuore si fosse fermato e che non sarebbe mai stato più in grado di riprendere a battere se Percy non avesse smesso di guardarlo in quel modo, come se fosse l'unica cosa importante del mondo.
-E' stata solo una settimana- borbottò, quando si fu ricordato di ricominciare a respirare.
-Lo so. Troppo.
Percy non aveva distolto lo sguardo neanche per un istante. Erano vicini, tanto vicini che Nico poteva sentire il respiro di Percy sulla guancia e vedere tutte le sfumature del verde dei suoi occhi. C'era qualcosa in essi, qualcosa che Nico non riusciva ad afferrare ma che lo faceva fremere per l'aspettativa e per il desiderio di qualcosa che non conosceva ma che non poteva fare a meno di volere.
-Ti sono mancato?- chiese Percy dopo quella che parve una piccola eternità. La sua voce, bassa come se stesse bisbigliando un grande segreto, non riuscì a penetrare completamente il silenzio che li circondava.
-Ovvio- mormorò Nico in risposta. Fu certo di aver fatto bene a dire la verità quando Percy gli rivolse il più bel sorriso che Nico avesse mai visto.
Percy si fece più vicino, poggiò la fronte contro quella di Nico e una mano alla base del suo collo.
-Sono contento.
Il mondo avrebbe potuto finire in quel esatto istante e Nico non se ne sarebbe neanche accorto. Tutto quel che contava era Percy -così vicino, così incredibilmente vicino, più vicino di quanto Nico si fosse mai permesso di sperare; Percy e i suoi occhi, il suo respiro sulla pelle di Nico, solo Percy e il proprio cuore che batteva all'impazzata. O forse era fermo, Nico non lo sapeva e, a dire il vero non era importante, non in quel momento.
Non aveva mai provato nulla di simile, nulla che lo facesse sentire così pieno, così incredibilmente completo, come la presenza di Percy accanto a sé. Si era sentito solo, rifiutato e vuoto per anni, e ora quella stessa persona che per tanto tempo lo aveva fatto soffrire ed arrabbiare -con se stesso e con il mondo intero-, lo teneva stretto a sé, lo guardava come se non potesse farne a meno e Nico si sentiva importante, vivo e felice come non ricordava di essere mai stato. E pensò che se tutto quel che aveva sofferto gli aveva permesso di arrivare a quel giorno, allora sarebbe stato pronto a sopportarlo.
Non avrebbe saputo dire quanto tempo rimasero fermi in quella posizione, persi l'uno nell'altro, in un momento di fragile stabilità tanto prezioso e tanto facile da rompere.
- Percy...
Non seppe perché lo disse, non ce n'era bisogno e non aveva nulla da dire, voleva solo pronunciare il suo nome che suonava così bene sulla propria lingua; e il silenzio e la tensione che li avvolgevano erano davvero troppo per Nico e c'era una piccola parte di lui che voleva solo interrompere qualunque cosa stesse succedendo e tornare a respirare.
Come se sentire la voce di Nico lo avesse all'improvviso fatto tornare in sé e realizzare quel che stava facendo, Percy si allontanò lentamente e Nico non seppe se trattenerlo o contribuire ad aumentare ancora la distanza che li separava -poca, ma enorme rispetto ad un attimo prima-; perché le sensazioni che aveva provato e che ancora non lo avevano abbandonato erano state così forti, così travolgenti, che Nico non era certo di voler scoprire dove li avrebbero condotti.
Percy tenne la mano sul collo di Nico ancora per qualche istante prima di abbandonare lo spazio personale del più piccolo. Aveva il viso rosso e l'espressione di chi non sapeva esattamente cosa stava facendo - o cosa stesse per fare un attimo prima; vederlo in quello stato consolò Nico, il quale sentiva le proprie guance bruciare. Nico si chiese se Percy avrebbe mai smesso di farlo sentire in quel modo, se si sarebbe mai abituato al modo in cui lo faceva sentire ogni volta che erano vicini; forse no, ma fu felice di notare che non era l'unico a sentirsi così, che lui stesso poteva avere quegli effetti su Percy, farlo arrossire per l'imbarazzo, farlo perdere in un momento di intimità. A quel pensiero, si ritrovò a sorridere, e Percy fece lo stesso, e fu come se, all'improvviso, la tensione si fosse spezzata.
Non ne parlarono, forse perché non avrebbero saputo cosa dire o forse perché tutto quel ce era necessario dire era stato pronunciato prima nel silenzio; ma Nico non smise di pensarci nemmeno per un momento, e continuò a domandarsi cosa fosse accaduto -o, meglio, cosa non fosse accaduto.

____

Note: Okay, sono di nuovo qui! Ho un paio di cose da dire su questo capitolo, ma preferisco farlo alla fine, per nessun motivo particolare. Innanzitutto non ne sono tanto convinta; ci ho messo un secolo a scriverlo, un po' per un blocco un po' perché semplicemente non sapevo cosa accidenti dovesse succedere tranne che Nico è finalmente onesto con se stesso e il discorso con Jason. E in effetti non era prevista la metà della roba che è successa, ma vabbè xD Inoltre ho deciso che il mio obiettivo d'ora in poi sarà quello di chiudere tuti i plot hole che Rick ci ha lasciato (e che sono una marea, per la miseria). Dovrebbero mancare solo altri due capitoli alla fine! Sono così fiera di me~
Grazie mille per aver letto <333 

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Capitolo 8
*** Capitolo VIII ***


Vi chiedo umilmente perdono per tutto il tempo che ci ho messo ad aggiornare! Mi dispiace, ma questo capitolo è stato immensamente difficile da scrivere, non so bene il perché; avevo l'impressione che ci fosse qualcosa di sbagliato e, per la verità, ce l'ho ancora, ma vabbè. Spero vi piaccia più di quanto non piaccia a me :)



La cosa più difficile era trattenersi dal mandare all'aria il proposito di mettere ordine nella propria testa e nel proprio cuore prima di fare qualcosa, qualunque cosa.
Percy non si era aspettato che quel che provava per Nico -cui ancora non aveva saputo dare un nome, né aveva avuto il coraggio di farlo- lo avrebbe colpito in modo così forte e così improvviso. Non si era aspettato di non essere capace di smettere di pensare al più piccolo neanche per un istante.
Era strano, era incredibilmente assurdo che un ragazzo come lui, iperattivo e con disturbo dell'attenzione, fosse in grado di concentrarsi su di un unico pensiero per tanto a lungo. Percy non riusciva neanche a capire quando avesse iniziato a pensare incessantemente al figlio di Ade; sapeva solo che non gli era più stato possibile smettere.
Non che gli dispiacesse; gli piaceva pensare a Nico, gli piaceva che se lasciava vagare la propria mente questa andava inevitabilmente in quella direzione, come se il figlio di Ade fosse il suo centro gravitazionale.
Percy avrebbe potuto dire di essere felice; confuso riguardo se stesso e l'intera situazione, ma felice. Perché ripensare all'espressione che si era dipinta sul viso di Nico quando Percy gli aveva detto che non era certo di quel che provava per lui, quell'espressione di sorpresa, speranza e incredulità, lo faceva sorridere, e il pensiero che Nico potesse essere ancora innamorato di lui gli faceva sentire le farfalle nello stomaco e, soprattutto, gli faceva desiderare di non lasciarlo andare mai più.
Era difficile trattenersi e non abbracciarlo ogni volta che ne aveva la possibilità, evitare di cedere al prepotente desiderio di baciarlo.
Era come se la possibilità che Nico si innamorasse di nuovo di lui e la sua preghiera che ciò non accadesse, avessero fatto sì che Percy si rendesse conto che era esattamente quel che voleva: stare con lui. Le parole di Nico e poi quelle di Afrodite gli avevano fatto realizzare che -forse- il fastidio che provava quando vedeva Nico tanto rilassato con Jason o con Will aveva un nome ben preciso e che quel che voleva era non solo vederlo sorridere, ma esserne la causa.
Forse stare qualche giorno lontano da Nico lo avrebbe aiutato a fare un po' d'ordine nella sua mente incasinata. Forse, ma a Percy non andava l'idea. Voleva rivedere sua madre, trascorrere del tempo con la sua famiglia come una persona normale, lo voleva talmente tanto che non sarebbe stato capace di esprimerlo a parole; ma non poteva negare che era stato sul punto di chiedere al figlio di Ade di andare con lui né che continuava a domandarsi quale sarebbe stata la sua risposta.


Percy non si era reso conto di quanto gli fosse mancata New York finché non fu di nuovo circondato dalla vitalità e dall'attività caotica che rendevano unica quella città. Ancor meno si era accorto di quanto avesse avuto bisogno di rivedere sua madre finché non fu sull'uscio di casa e l'ebbe abbracciata. Sally era sempre preoccupata per lui, nonostante la guerra fosse finita da parecchi mesi e sebbene si fossero sentiti qualche volta tramite messaggi Iride. Per sua madre lui era sempre un bambino, a prescindere da tutti i mostri e le divinità che aveva affrontato e sconfitto. A Percy andava benissimo così; gli piaceva sentirsi, di tanto in tanto, un comune mortale e dimenticare la propria natura semidivina; ed era facile farlo, quando sua madre lo trattava come il semplice adolescente che avrebbe dovuto essere.
Nonostante tutto, però, Percy non poteva impedire al proprio pensiero di andare spesso nella stessa direzione, immaginando non di stare al Campo con Nico, ma chiedendosi piuttosto come sarebbe stato se avesse effettivamente trovato il coraggio di chiedere al figlio di Ade di andare con lui e se questi avesse accettato.
- Allora, tesoro, come va con Nico?
La voce di sua madre lo raggiunse all'improvviso riscuotendolo da quei pensieri e Percy ebbe la quasi certezza che lei fosse capace di leggergli nella mente.
Fu sul punto di rispondere, poi si bloccò.
- Eh?- disse intelligentemente, incapace di impedire al sangue di affluirgli al viso.
- Oh, andiamo, Percy- ridacchiò lei. - Non avrai davvero pensato che non me ne fossi accorta? Ogni volta che ci siamo sentiti non hai fatto altro che parlarmi di lui e di quanto fossi contento che voi due vi foste finalmente avvicinati.
Percy non rispose, odiando la perspicacia di sua madre e la propria incapacità di tenere la bocca chiusa.
- Certe cose non sfuggono ad una madre.- aggiunse Sally, guardando divertita il figlio.
Davanti all'espressione di Percy, a metà tra l'imbarazzato e l'offeso, Sally ridacchiò di nuovo.
Percy sbuffò, ma non riuscì ad impedirsi di sorridere.
- Va bene... credo- disse infine, rispondendo finalmente alla domanda che gli era stata posta.
Sally aspettò per qualche secondo poi, in risposta al silenzio del figlio, disse: - Se vuoi parlarne, tesoro, sai dove trovarmi.
Percy si limitò ad annuire, e pensò che sua madre era davvero fantastica. Non si era mai posto il problema della sua approvazione riguardo il suo rapporto con Nico ma, adesso che sapeva di averla, si sentiva decisamente leggero.
Ne parlarono di nuovo due giorni dopo, quando Percy trovò il coraggio sufficiente per farle la domanda che lo stava torturando da quando aveva parlato con Afrodite.
-Secondo te come ci si accorge che qualcuno è il tuo vero amore?- le chiese, perché aveva bisogno di sapere la risposta o, se non altro, sapere che non era l'unico ad ignorarla. Sua madre lo guardò per qualche secondo prima di rispondere; forse perché stava riflettendo o forse perché non si sarebbe mai aspettata una domanda simile da lui.
- Non lo so.- disse infine con espressione pensosa. - Forse non possiamo saperlo, forse siamo destinati a scoprirlo quando, alla fine della nostra vita, ci scopriamo ancora innamorati di quella stessa persona e pensiamo che le volte in cui abbiamo sofferto per amore non hanno importanza, se paragonate a tutte le volte in cui ci ha resi felici.
Sally si interruppe, guardando il figlio con un espressione dolce. -Perché è questo che deve fare l'amore, Percy, deve rendere felice.
Sono felice quando sono con lui, pensò Percy. Quando stava con Nico si sentiva bene, in un modo che non aveva mai conosciuto prima, né con Annabeth né con nessun altro; anche adesso che l'atmosfera tra di loro si faceva spesso pesante, gravida di un' aspettativa e di un desiderio che per entrambi era difficile gestire, anche in questo caso Percy amava stare con lui; e poteva dire che non era l'unico a sentirsi così, che anche per Nico era la stessa cosa.
- Quando...- si bloccò, incapace di trovare le parole giuste; decise che probabilmente non ce n'erano. -Hai mai pensato che Poseidone fosse il tuo vero amore?
Sally non rispose subito. Nel vedere il suo sguardo perso in un tempo lontano, fisso su un'immagine che lui poteva solo immaginare, Percy si pentì di aver fatto quella domanda. Ma poi Sally sorrise, abbandonando il ricordo e tornando da lui.
- Oh sì, ne ero convinta.
Percy stette in silenzio per una manciata di secondi, durante il quale osservò sua madre, la quale aveva parlato con tono sereno, pacato e privo di rimpianti.
- E credi che sia Paul, il tuo vero amore?
All'udire quella domanda, Sally non riuscì a trattenere una risata.
- Oh, tesoro, io non ne ho idea! Tutto ciò che posso dire è che lo amo, lo amo davvero tanto; ma non capisco abbastanza questo famigerato vero amore per dire se sia lui o meno.
Nel vedere il sorriso di sua madre mentre parlava della persona che amava a Percy si scaldò il cuore, e pensò che non era importante sapere se Paul fosse il vero amore di Sally, non finché era in grado di farla sorridere in quel modo. Forse anche Nico sorrideva mentre pensava a lui.
- Stai sorridendo.- gli fece notare sua madre, e solo in quel momento Percy si rese conto del familiare pensiero verso cui la sua mente si era diretta.
- Eh?
Scosse la testa e, istintivamente si portò una mano alla bocca come per controllare se fosse vero o se sua madre lo stesse solo prendendo in giro.
Sally lo guardò in silenzio per un po', divertita dall'imbarazzo del figlio.
- Tesoro,- disse, - Cos'è che ti preoccupa, esattamente?
Percy non rispose subito. Non sono certo di quel che provo per lui, pensò, ma una parte di lui gli disse che era un vigliacco, che la realtà era che aveva paura di ammetterlo. Tuttavia fu quel che offrì come risposta alla domanda di sua madre.
- Sei sicuro?
Percy si bloccò, sorpreso e spiazzato e, di nuovo, ebbe l'impressione di sentire quella onesta parte di sé che non era d'accordo con quel che aveva detto.
- Non lo so.
Come faccio a capirlo?, si chiese. Pensò a Nico, a come si sentiva quando era con lui, al prepotente bisogno di stringerlo a sé; pensò a come Nico era sempre stato in grado di tirar fuori lati di lui che agli altri erano celati, sentimenti forti e travolgenti che Percy neanche sapeva di avere dentro di sé: che fossero rabbia e rancore o quella tempesta di emozioni cui non aveva ancora dato un nome. Pensò che quel che gli faceva provare Nico era completamente diverso da quel che gli aveva fatto provare Annabeth. Pensò che con Nico era tutto diverso e che...
- Farei qualunque cosa per lui- disse, concludendo in un sussurro il suo pensiero, parlando più a se stesso che a sua madre.
- Lo so, tesoro.
Sally accompagnò quelle parole con un sorriso dolce e comprensivo. - Ma non è questo che può dirti se sei innamorato di lui. Percy, tu faresti qualunque cosa per tutti i tuoi amici- aggiunse, in risposta alla domanda silenziosa che poteva leggere negli occhi del figlio.
Percy fu sorpreso dalla verità di quelle parole. Lui avrebbe dato qualsiasi cosa, avrebbe fatto di tutto per ognuno dei suoi amici, per Annabeth, per Grover, per Frank e Hazel, per l'intero Campo Mezzosangue e il Campo Giove; Percy era pronto a mettere in gioco se stesso per tutti loro, era il suo difetto fatale. Ma con Nico era diverso, lo sapeva; non avrebbe saputo spiegarne il motivo, ma era diverso, completamente diverso.
Era l'ultima cosa cui avrebbe voluto pensare, ma il pensiero gli sorse spontaneo. Pensò alla mano di Annabeth stretta nella sua, un baratro oscuro sotto di loro e l'unica certezza dentro di lui, quella che non avrebbe lasciato andare quella mano. Percy non aveva mai rimpianto quella scelta, neanche mentre sentiva la morte e l'orrore penetrargli nelle vene, attaccarsi alla sua pelle per non lasciarlo andare mai più.
Ma avrebbe mai lasciato andare quella mano, se non fosse stata Annabeth? Avrebbe mai avuto il coraggio di abbandonare uno dei suoi amici, condannarlo ad affrontare da solo l'inferno? No, non avrebbe mai potuto farlo, avrebbe continuato a stringere quella mano, di chiunque fosse stata.
Il pensiero di Nico nel Tartaro, solo e in balìa dei seguaci di Gea, non era nuovo nella mente del figlio di Poseidone; Percy combatteva con esso ogni volta che doveva svegliare Nico nel cuore della notte, per permettergli fuggire dall'incubo che lo stava tormentando, ogni volta che era lo stesso Nico ad aiutare lui e a fargli finalmente riaprire gli occhi.
Non sarebbe dovuto essere solo. Avrei dovuto essere con lui. Percy aveva perso il conto delle volte in cui lo aveva pensato. Se lo avesse saputo, Nico si sarebbe sicuramente arrabbiato, Percy ne era certo, e si era per questo sempre trattenuto dal dirlo a voce alta. Nico si sarebbe liberato dalla stretta di Percy e avrebbe preferito cadere da solo nell'oscurità piuttosto che trascinare Percy con sé.
Nico era più un eroe di quanto non lo fosse lui, pensò Percy.
Percy non si rese conto di non aver risposto a quel che Sally gli aveva detto, finché lei non gli diede un bacio sulla tempia, riscuotendolo dal filo dei suoi pensieri. Lo guardò sorridendo, un sorriso che si può ricevere solamente dalla propria madre.
- Non pensarci troppo, tesoro. Sono certa che riuscirai a trovare la risposta che cerchi- gli disse. - Anzi, ti dirò di più: credo che tu la conosca già, anche se non te ne sei ancora accorto.
Percy si ricordò delle parole che Afrodite gli aveva detto sulla spiaggia.
“E allora non c'è problema, no?”
Non aveva molta fiducia negli dei, ma forse la dea dell'amore aveva ragione; forse stava pensando troppo e avrebbe solo dovuto smettere per un po'.
- Quindi dovrei limitarmi a seguire il mio cuore?
- Qualcosa del genere- rispose Sally.
Percy annuì e un sorriso nacque spontaneamente sulle sue labbra.
- Grazie, mamma.- disse.
- Di niente, tesoro.
Nella propria camera, Percy si sedette sul letto, poggiò la schiena contro il muro e chiuse gli occhi.
Chissà cosa starà facendo Nico adesso, fu il suo primo pensiero. Chissà se sta pensando a me come io sto pensando a lui, fu quello che venne subito dopo e che lo fece sentire piuttosto sciocco, come una ragazzina alla sua prima cotta. Si sentì ancora più stupido quando prese la dracma che aveva in tasca e provò il desiderio di creare un arcobaleno e chiedere a Iride di fargli vedere Nico. Percy si chiese quand'era stata l'ultima volta che aveva davvero sentito la mancanza di qualcuno in modo tanto naturale, senza che alcuno dei due fosse in pericolo di vita. Puro e semplice desiderio di averlo vicino, non per proteggerlo, ma solo perché la lontananza aveva un sapore amaro; un sentimento così da comune essere umano che gli era quasi estraneo.
Percy aprì gli occhi e si voltò verso la finestra dove la piantina di Trina di Luna che gli aveva regalato Calipso brillava ancora argentea alla luce della luna.
Cosa aveva provato per lei? Cosa aveva provato per Calipso? La domanda sorse improvvisa, una domanda che Percy non si era mai posto prima ma cui ora sentiva il bisogno di dare una risposta. Nulla, gli suggerì la sua stessa mente, nulla che potesse essere paragonato a quel che aveva sentito per Annabeth, qualcosa che era completamente lontano da quel che provava per Nico, ma che lui aveva confuso con l'amore; e poi si era dimenticato di lei. Dei, Percy si odiava per quello. Calipso aveva sofferto per colpa sua, e il pensiero di lei non lo aveva neanche sfiorato finché Leo non era finito su Ogigia. Strinse le dita attorno alla dracma e richiuse gli occhi.
Non sarebbe accaduta la stessa cosa di nuovo, non con Nico. Era questo quel che continuava a ripetersi e che una parte di lui sapeva essere la verità; l'altra parte di lui, invece, si fidava troppo poco di se stesso per riuscire ad ascoltarsi senza mettersi in dubbio.
Dopotutto cosa sapeva lui, dell'amore, se non che era fragile e passeggero?
Si alzò di scatto dal letto e scosse la testa come per liberarla da tutti quei pensieri che si affollavano la suo interno.
Lo stava facendo di nuovo, stava pensando troppo. Nico aveva quell'effetto su di lui: lo faceva perdere in mille inutili pensieri e, contemporaneamente, gli faceva dimenticare ogni altra cosa che non fosse lui, i suoi occhi neri, il suo sorriso, ora non più così raro ma che per Percy continuava ad essere un tesoro, una piccola conquista da festeggiare; Nico lo faceva pensare troppo e gli faceva venir voglia di spegnere completamente il cervello e di abbandonarsi a qualunque cosa avrebbe potuto esserci tra di loro.
Percy voleva solo che Nico fosse il suo vero amore; in quel momento era una delle poche certezze che aveva.
Quando quella notte decise che era finalmente arrivato il momento di dormire Percy era certo che la sua testa satura di pensieri gli avrebbe impedito di chiudere occhio; invece gli ci volle solo qualche minuto prima di riuscire ad abbandonarsi alle braccia di Morfeo. Quando quella notte decise che era finalmente arrivato il momento di dormire Percy era certo che la sua testa satura di pensieri gli avrebbe impedito di chiudere occhio; invece gli ci volle solo qualche minuto prima di riuscire ad abbandonarsi alle braccia di Morfeo.
Si svegliò di soprassalto dopo quelle che dovevano essere un paio d'ore ma che a lui erano parse non più lunghe di qualche minuto. Concentrò tutta la sua attenzione sul respirare, poi trasse un altro lungo respiro, deciso a trascorrere le prossime ore in un sonno tranquillo. L'ultimo pensiero prima di riaddormentarsi fu se Nico stesse dormendo bene anche senza di lui.
Non ebbe altri incubi quella notte, ma il suo sonno non fu privo di sogni.
Sognò Annabeth e la conversazione che avevano avuto tempo prima nella casa di Poseidone, sognò il momento in cui avevano annullato tutti i piani che avevano fatto per il futuro ed erano tornati ad essere solo amici.
-E' quel che siamo sempre stati, Testa d'Alghe. Null'altro che amici.
Annabeth non glielo aveva detto allora, ma lo fece adesso nel sogno, e Percy si rese conto che aveva ragione.
-Afrodite ha detto che avresti potuto essere tu il mio vero amore- le disse Percy.
Annabeth si limitò a scrollare le spalle, poi sorrise. -E che importanza ha il vero amore? Non è da te perderti in tanti inutili pensieri, Testa d'Alghe.- Prima che la ragazza svanisse e il sogno cambiasse, Percy pensò di nuovo che aveva ragione.
Poi sognò Nico, steso nel suo letto nella casa numero tredici, le braccia strette attorno a quello che Percy sapeva essere il proprio cuscino; e allora il vero amore e le sue preoccupazioni riguardo esso scivolarono via dalla sua mente. Forse era vero, non aveva poi così tanta importanza.

 

Quando tornò al Campo, Percy si ritrovò a domandarsi se fosse davvero stato via solo una settimana perché, nel momento in cui incontrò Nico, gli sembrava di non vederlo da molto, molto più tempo. Percy non aveva paura di ammettere di aver sentito la sua mancanza ma, quando i suoi occhi si posarono su Nico, sentì il prepotente bisogno di dirglielo, di fargli sapere che aveva occupato i suoi pensieri per tutto il tempo. Non gli importava di sembrare stupido, gli importava solamente che Nico capisse che Percy era stato sincero quando gli aveva detto che non lo avrebbe lasciato; improvvisamente, l'unica cosa che per Percy contava davvero era che il figlio di Ade sapesse che Percy aveva sentito terribilmente la sua mancanza in quei pochi giorni che erano stati separati.
- Mi sei mancato- disse, cercando di trasmettere con quelle poche parole tutto ciò che provava.
Sebbene Nico cercasse di nasconderlo, Percy notò la sua espressione sorpresa e pensò che avrebbe potuto continuare a ripeterglielo per ore ed ore, finché non gli avesse creduto; sentì un groppo in gola quando ammise che era colpa sua se Nico aveva difficoltà a credergli.
Non ricordava quando si erano avvicinati, ma adesso la distanza tra di loro era poca, talmente poca che tutto quel che Percy voleva era eliminarla completamente.
- Ti sono mancato?- gli chiese in un soffio e, quando Nico rispose, dopo una manciata di istanti, Percy sentì il proprio cuore fare le capriole e un sorriso farsi strada sulle sue labbra.
Percy avrebbe voluto abbracciarlo, avrebbe voluto prendergli il viso tra le mani e baciarlo fino a che entrambi non fossero rimasti senza fiato. Gli occhi scuri di Nico erano fissi nei suoi, le sue labbra leggermente dischiuse e le guance tinte di rosso e Percy non poté fare a meno di pensare che era bello, decisamente bello.
Come aveva fatto a non accorgersene prima? Come era possibile che gli ci fosse voluto tanto tempo per realizzare quanto importante Nico fosse per lui?
- Percy...
La voce di Nico, sottile ed incerta, lo riportò alla realtà e fu come se Percy si rese conto solo in quel momento quanto vicini fossero. Il respiro di Nico sulle sue labbra gli faceva desiderare più di ogni altra cosa di baciarlo; in un fugace pensiero si chiese come doveva essere, sentirlo così vicino, avvertire il suo calore come se fosse il proprio.
Si allontanò, avvertendo chiaramente il proprio viso andare a fuoco e la tensione che li aveva circondati fino ad un attimo prima sciogliersi lentamente. Non si era accorto di quando il proprio cuore avesse accelerato tanto che sembrava volergli balzare fuori dal petto eppure, ora, Percy sentiva ogni singolo battito come rimbombargli nelle orecchie. Distolse lo sguardo e quasi gli venne da ridere. Non ricordava l'ultima volta che si era sentito così, tanto in imbarazzo da dover distogliere gli occhi e, di nuovo, pensò che Nico era incredibile, e incredibile era il modo in cui riusciva a farlo sentire, un modo che per Percy era completamente nuovo.
Improvvisamente ripensò al sogno che aveva fatto qualche giorno prima ed ebbe la certezza che tutti quei discorsi sul  vero amore non avessero alcuna importanza,  che tutto quel che contava erano loro due e quel che provavano l'uno per l'altro.

 

Quella sera, nella casa numero tredici, Percy aveva l'impressione che qualunque distanza tra lui e Nico fosse decisamente troppa.
Nico aveva continuato -quando pensava che Percy non lo notasse- a guardarlo con un'espressione a metà tra l'imbarazzato e il curioso e Percy sapeva che stava pensando a quel che era successo quel pomeriggio nell'arena. Anche la sua mente tornò spesso a quel momento e ogni volta Percy si sentiva arrossire: e se una parte di lui riteneva che fosse stato un bene che fosse finita così, un'altra parte di lui voleva solo eliminare di nuovo ogni distanza tra sé e Nico.
Erano seduti sul letto di Nico con le spalle che si toccavano, e non era difficile avvertire la tensione imbarazzata che li circondava.
A un certo punto Percy si ricordò di una domanda che voleva davvero porre al più piccolo.
- Senti, Nico...- iniziò a dire. -La prossima volta che vado a New York ti andrebbe di venire con me?
Il figlio di Ade rimase in silenzio per qualche secondo, guardandolo con un' espressione di sorpresa e di incredulità, quasi si aspettasse che Percy lo stesse prendendo in giro.
- Non sono certo che tua madre sarebbe d'accordo- disse infine, distogliendo lo sguardo.
- E perché non dovrebbe?- ribatté Percy, confuso.
- Forse perché l'ultima volta che ci siamo visti ho chiesto la sua benedizione per rischiare la vita di suo figlio.
Nico lo disse come se fosse la cosa più ovvia dell'universo, qualcosa che anche un bambino avrebbe potuto comprendere. A Percy, tuttavia, non sfuggì la nota di rammarico nella sua voce. Il figlio di Poseidone non aveva mai pensato che Nico si rimproverasse per quello -dopotutto perché avrebbe dovuto?- ma adesso si sentì piuttosto sciocco per non averci pensato.
- Nico, lo hai fatto per salvare il mondo; e poi io ero d'accordo con te, io ho scelto di seguire quel piano. Lo so io e lo sa anche lei- concluse sorridendo.
Nico non sembrava troppo convinto ma dopo un po' annuì.
Percy mise una mano sulla sua guancia e fu sorpreso quando il più piccolo si abbandonò velocemente a quel contatto. Finalmente Nico risollevò lo sguardo verso di lui, un piccolo e incerto sorriso sulle sue labbra.
- Allora verrai con me?- chiese di nuovo Percy e, quando Nico annuì, sorrise chiedendosi come potesse una sola persona renderlo tanto felice.
Un silenzio confortevole li avvolse e, dopo un po', Percy si lasciò cadere sul letto trascinando Nico con sé. Il figlio di Ade non protesto ma si irrigidì quando Percy lo abbracciò attirandolo più vicino.
- Percy...?- sussurro con voce incerta.
Il figlio di Poseidone ebbe l'impressione che Nico non volesse interrompere quel momento ma, allo stesso tempo, non fosse certo di non volersi allontanare da lui. Percy allentò la presa e ristabilì un po' di distanza tra di loro. Non riusciva a vederlo bene nel buio della stanza, ma era certo che il suo viso fosse completamente rosso e, per una manciata di secondi ebbe il timore che Nico si allontanasse da lui e gli dicesse di tornare a dormire nel suo letto. Ma poi, senza guardarlo negli occhi, Nico gli posò timidamente un braccio attorno ai fianchi e gli si fece più vicino, poggiando la testa sul suo petto. Percy lo abbracciò di nuovo e cercò di ricordare un altro momento in cui si era sentito tanto felice, come se null'altro al mondo avesse importanza; ma quel pensiero abbandonò in fretta la sua mente.
Nico si era rilassato nella sua stretta ma era immobile tra le sue braccia come se avesse paura che, muovere anche solo un muscolo avrebbe infranto ogni cosa.
Improvvisamente Percy pensò che doveva essere quello, l'amore; avere Nico così vicino, stringerlo a sé, con i suoi capelli che gli solleticavano il viso e il suono del suo respiro leggermente irregolare. Sorrise, perso nella sensazione di aver finalmente capito dove il suo cuore stesse andando.
, pensò subito prima di addormentarsi, deve senz'altro essere questo l'amore.

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Capitolo 9
*** Capitolo IX ***


Non ci sono scuse per il tempo che ho impiegato per aggiornare, lo so, vi chiedo umilmente scusa (in teoria un paio di scuse ci sarebbero, vale a dire esami e un maledetto blocco dello scrittore). Non mi perdo in chiacchiere e vi lascio a al capitolo, sperando che ci sia ancora qualcuno che voglia leggerlo. Vi chiedo ancora scusa per il ritardo (il prossimo capitolo è l'ultimo, giuro che aggiornerò la settimana prossima) e spero vi piaccia :D





Percy si svegliò con la sensazione del corpo di Nico ancora stretto contro di sé, ma con il letto indubbiamente vuoto. Per un attimo, nella confusione del sonno ancora pesante su di lui, pensò di aver sognato, un sogno lungo e piacevole che si era concluso con la notte più tranquilla che avesse avuto fino a quel momento, nonostante il tempo che era stato necessario al suo cuore per calmarsi e smettere di battere così rumorosamente da impedirgli di addormentarsi.
Gli ci volle un secondo per guardarsi attorno e iniziare a sorridere, perché non era stato un sogno, decisamente no. Come sarebbe mai potuto esserlo? Un sogno così reale, come se lo si stesse vivendo davvero sulla propria pelle, Percy non aveva mai avuto un sogno simile che fosse effettivamente bello che gli avesse fatto aprire gli occhi sorridendo e non pronto a scappare il più lontano possibile. Nei suoi sogni c'erano mostri e divinità il cui unico intento era quello di piegarlo sotto il peso di responsabilità da semidio e ricordi che avrebbe preferito dimenticare, non c'era tranquillità e non c'era la sensazione trovarsi esattamente dove avrebbe dovuto essere; né tanto meno i suoi soliti sogni gli lasciavano il desiderio di non dover riaprire gli occhi e tornare alla realtà e lo facevano risvegliare con le farfalle nello stomaco.
Percy non sapeva da quando tale sensazione gli era diventata tanto familiare, era come se da un momento all'altro non fosse più stato in grado di star vicino al figlio di Ade senza che essa gli facesse visita; come se all'improvviso avesse finalmente aperto gli occhi, si fosse guardato attorno e avesse visto Nico per la prima volta.
Gli piaceva pensare all'effetto che Nico aveva su di lui: lo confondeva -e forse lo spaventava anche, se era onesto con se stesso- e allo stesso tempo lo rassicurava, perché significava che aveva fatto bene a seguire il consiglio do Afrodite e fidarsi del suo cuore; Percy non ricordava di essere mai stato tanto sicuro di qualcosa nella sua vita.

 

~
 

La prima cosa che Nico pensò quando si svegliò, ancor prima di aprire gli occhi, fu che non gli sarebbe dispiaciuto affatto iniziare così tutte le sue giornate, che non sarebbe stato difficile abituarsi a condividere il letto con Percy, ad avere le sue braccia strette attorno alla propria vita e il suono regolare del suo respiro che riempiva la piccola stanza.
Nico decise di ignorare il proprio cuore che pareva incapace di riprendere a battere in modo normale e chiuse gli occhi, rilassandosi e abbandonandosi per un po' a quella situazione così strana eppure tanto normale che non poteva fare a meno di trovarla familiare. Fu proprio quella familiarità a riscuoterlo, a fargli aprire gli occhi e a far accelerare il suo cuore per qualcos'altro oltre la presenza di Percy così vicino a sé. Per la paura: perché Nico si rese conto che, dopo quella notte, quel letto tanto piccolo gli sarebbe sempre parso troppo grande, perché era stato sufficiente un assaggio di quel che avrebbe potuto avere per non volerlo lasciare mai più, per desiderare ancora di più,
Il problema era che Nico aveva finalmente capito cosa volesse il suo cuore, ma non aveva assolutamente alcuna idea di cosa volesse quello di Percy. A questo pensiero sorse in lui il prepotente bisogno di allontanarsi il più possibile da Percy e da qualunque cosa ci fosse tra di loro, prima di diventare incapace di lasciarsela alle spalle quando fosse venuto il momento - troppo tardi, gli sussurrò una vocina, e Nico sapeva che aveva ragione, ma ciò non significava che le avrebbe prestato ascolto.
Nico desiderava di più, desiderava potersi svegliare tutte le mattine in quel modo e andare a dormire la sera senza la paura degli incubi, perché Percy sarebbe stato accanto a lui per strapparlo da qualunque terrore onirico stesse vivendo e riportarlo alla realtà; e Nico desiderava poter fare altrettanto per lui; desiderava che Percy lo guardasse con gli occhi con cui un tempo aveva guardato Annabeth e desiderava poterlo guardare lui stesso in quel modo senza temere di essere notato. Nico desiderava così tanto, eppure era pronto ad accettare qualunque cosa Percy fosse disposto a dargli.
Era stato facile convincersi di non voler più nulla finché nulla era stato esattamente quel che aveva tra le sue mani. Ma quando arrivi a sfiorare qualcosa dopo averla agognata per tanto tempo, niente può impedire a quella sottile speranza che avevi abbandonato di rinascere; e per quanto tu possa cercare di ignorarla c'è sempre quella vocina nella tua testa che ti sprona a combattere una battaglia che avevi fino a quel momento considerato persa in partenza.
E sembrava che quella vocina non avesse alcuna intenzione di stare zitta, ma che piuttosto avrebbe continuato a ricordargli quanto era stato bello avere le braccia di Percy strette attorno a sé, e a sussurrargli di continuare a combattere per quel che desiderava. Nico avrebbe voluto avere il coraggio di farlo, avrebbe voluto sentirsi leggero come quando aveva confessato i suoi sentimenti la prima volta e ritrovare quella forza d'animo e quella sicurezza di sé che gli avevano permesso di parlare così apertamente.
Si fermò a guardare Percy, contemplando l'idea di limitarsi ad ignorare tutti i confusi pensieri che si affollavano nella sua testa e di stendersi di nuovo accanto a lui, poi si voltò ed uscì nella tiepida aria mattutina.
Mentre passeggiava per le vie silenziose del Campo cercando di pensare a qualunque cosa non fosse Percy Jackson, Nico realizzò per la prima volta che quel luogo era diventato la sua casa, la prima vera casa che aveva avuto da quando aveva memoria. Non avrebbe saputo dire da quando aveva smesso di sentirsi nulla di più che un ospite al Campo Mezzosangue, forse da quando aveva smesso di pensarci tanto e di aspettare con timore il giorno in cui sarebbe stato costretto ad andarsene, o forse da quando si era reso conto che le persone che lo abitavano erano la sua famiglia.
Si diresse verso l'arena; era il posto che preferiva, era tranquillo, poteva allenarsi e stare in compagnia della signora O'Leary, -e per Percy sarebbe stato facile trovarlo lì, ma Nico non ci aveva pensato, affatto.
Quando vi giunse si sedette accanto al segugio infernale, poggiato contro il suo fianco peloso e trasse un profondo respiro, mantenendo l'aria nei polmoni per qualche istante prima di rilasciarla nuovamente. A quel punto concesse ai suoi pensieri di tornare a soffermarsi su Percy e su qualunque cosa ci fosse tra di loro.
Non sono certo di sapere quel che provo per te, così aveva detto Percy e Nico ricordava perfettamente il suo sguardo perso e confuso mentre pronunciava quelle parole, uno sguardo che non aveva mai visto sul volto del figlio di Poseidone. Nico ricordava anche esattamente il modo in cui si era dimenticato per qualche istante come respirare e il modo in cui il suo cuore aveva perso qualche battito. Aveva pensato di aver capito male, di essere stato troppo preso da se stesso e da quel che stava provando in quel momento da aver sentito solo quel che avrebbe voluto e non quel che Percy aveva effettivamente detto. Poi aveva pensato che dovesse essere un sogno; e adesso, nel silenzio dell'arena, solo con i suoi pensieri, Nico pensò che forse sarebbe stato meglio se lo fosse stato davvero. Sarebbe stato più facile risvegliarsi, aprire gli occhi e scoprire che in realtà non era cambiato proprio nulla tra di loro, che Percy lo considerava come nulla di più che un buon amico -il che era comunque più di quanto Nico si fosse mai permesso di sperare. Sarebbe stato doloroso, certo, ma sarebbe senz'altro stato più facile per entrambi.
Nico sospirò e chiuse gli occhi. Era sempre così difficile essere innamorato di qualcuno? Forse Favonio si stava divertendo a tenerlo d'occhio e a vedere lo stato patetico in cui si trovava, forse sarebbe spuntato da un momento all'altro per fargli un'altra ramanzina e per ricordargli che l'amore non sempre rende felici – come se Nico non lo avesse capito anche da solo. Scacciò quel pensiero dalla testa; non aveva alcuna voglia di arrabbiarsi a causa di fastidiose divinità che non facevano altro che immischiarsi nella vita di poveri semidei. I suoi pensieri tornarono a quella mattina e a quel che era successo la sera prima, a quando Percy gli aveva chiesto di andare con lui a New York, alla sua espressione incerta e piena di speranza mentre aspettava la sua risposta; e poi indietro al pomeriggio, al modo in cui il tempo si era fermato mentre Percy teneva la fronte poggiata contro la sua e non distoglieva i suoi occhi verde mare da quelli neri di Nico.
Sarebbe stato decisamente più facile se fosse stato solo un sogno, eppure Nico si scoprì a preferire la confusione e il tumulto di emozioni che lo stavano investendo a qualunque altra soluzione più conveniente.
-Potevi restare nel letto invece di metterti a dormire qui, sai?
La voce di Percy lo fece trasalire, strappandolo ai suoi pensieri. Il figlio di Poseidone lo stava guardando sorridendo, ma Nico non poté fare a meno di notare il modo in cui si stava mordicchiando leggermente il labbro inferiore e teneva le mani strette a pugno; vedere Percy nervoso lo fece sentire tale a sua volta.
-Tutto bene?- gli chiese Percy quando gli fu chiare che Nico non aveva intenzione di aprire bocca e il figlio di Ade si limitò ad annuire.
-Sicuro?- chiese ancora Percy, poco convinto.
Nico era sul punto di annuire di nuovo quando Percy gli si fece più vicino e poggiò una mano sul suo ginocchio. Si alzò di scatto, allontanandosi di un passo da dove Percy era ancora seduto per terra.
-Nico...?
-Io non lo so, Percy, non lo so davvero, e tu non fai altro che confondermi di più.- Non aveva avuto intenzione di dirlo, non aveva avuto intenzione di dire proprio nulla di quel che lo stava tormentando, avrebbe voluto accontentarsi di quel che Percy era disposto a dargli e non chiedere nulla di più, per quanto patetico potesse sembrare; e invece adesso non sembrava capace di smettere di parlare, anche mentre Percy, ora in piedi di fronte a lui, lo stava guardando confuso e turbato.
-Sono sempre stato convinto di non avere alcuna speranza; perché c'era Annabeth e perché tu eri semplicemente irraggiungibile. Ma poi è cambiato tutto improvvisamente e ora non capisco più niente, perché so finalmente cosa voglio io ma non ho idea di quel che vuoi tu.
Nico non era neanche certo che quel che stava dicendo avesse senso o se stesse semplicemente pronunciando una parola dietro l'altra senza che insieme avessero un significato logico; avrebbe solo dovuto smetterla, rimangiarsi qualunque cosa avesse detto, perché stava rovinando tutto, stava infrangendo qualunque cosa ci fosse stato fino a quel momento tra lui e Percy. E nel momento in cui avesse finalmente deciso di stare zitto si sarebbe probabilmente sepolto sotto la polvere dell'arena a morire di vergogna.
-E questo mi confonde e mi spaventa, perché non posso semplicemente tornare a come eravamo prima.- aggiunse quest'ultima parte sottovoce, perché aveva bisogno di dirlo, di far uscire quelle parole ma non era certo di volere che Percy le sentisse.
Non aveva idea di quel che sarebbe potuto succedere quando avesse smesso di parlare: forse avrebbe fatto bene a voltarsi e ad allontanarsi il più velocemente possibile. Probabilmente non lo avrebbe fatto davvero, ma se anche avesse voluto la mano di Percy che era andata a stringere la propria glielo avrebbe impedito.
Senza neanche rendersene conto sollevò gli occhi e incontrò quelli di Percy, ma non ebbe il tempo di decifrare l'espressione del più grande che questi gli si avvicinò e, improvvisamente le labbra di Percy erano sulle sue.
Nico avrebbe potuto giurare che il tempo si fosse fermato davvero, che il mondo avesse smesso di esistere per quei pochi e lunghissimi istanti in cui Percy tenne le proprie labbra poggiate su quelle del più piccolo; tutto ciò che esisteva erano quelle labbra, una mano di Percy stretta attorno a quella di Nico e l'altra posata sulla sua guancia. Furono solo pochi istanti e forse anche di meno ma per Nico sarebbero potuti essere anni e non avrebbe fatto alcuna differenza, perché Percy lo stava baciando e Nico non riusciva a pensare assolutamente a nulla: non a quanto meravigliosa fosse la sensazione delle sue labbra contro le proprie, non al fatto che il suo primo amore fosse anche il suo primo bacio, né tanto meno gli venne in mente dove si trovavano e che chiunque avrebbe potuto vederli.
Sperò solo che anche questa volta non si trattasse di un sogno.

~


Percy lo baciò senza pensarci due volte.
Una mano ancora stretta attorno a quella di Nico, l'altra poggiata sulla sua guancia, e le labbra posate leggermente sulle sue in un bacio gentile che voleva dare una risposta a tutte le preoccupazioni cui il figlio di Ade stava dando voce un attimo prima e che erano finalmente state dimenticate.
Percy si allontanò dopo quelli che dovevano essere stati solo pochi secondi, senza togliere la mano dal viso di Nico e restando tanto vicino a lui da riuscire a sentire il suo respiro caldo sulle proprie labbra. Percy avrebbe potuto continuare a guardarlo per ore, con gli occhi scuri grandi per la sorpresa, il viso rosso e le labbra dischiuse, come se stesse cercando di dire qualcosa ma neanche lui stesso sapesse bene cosa o fosse incapace di trovare la voce per farlo.
- Mi dispiace di averti confuso tanto. - disse Percy in poco più di un sussurro. Sorrise nel vedere finalmente l'espressione tormentata scivolare via dal viso del più piccolo.
Nico annuì lentamente e, a poco a poco, mentre la consapevolezza di quel che era appena accaduto lo investiva, il suo viso si fece sempre più rosso e le sue labbra si incurvarono in un sorriso.
Percy gli prese il viso tra le mani e lo baciò di nuovo, abbandonandosi completamente a quella sensazione che aveva desiderato per tanto tempo anche senza esserne consapevole.
Le labbra di Nico erano morbide ed incerte contro le sue e Percy era certo che quello fosse il bacio migliore della sua vita. C'era qualcosa in più in quel semplice e casto toccarsi di labbra, qualcosa che forse aveva a che fare con i capelli di Nico tra le sue dita e il calore del suo viso che Percy avvertiva quasi come proprio, o forse con il prepotente desiderio che quel momento potesse prolungarsi in eterno e con la sensazione che null'altro avesse importanza, nulla che non fossero loro due, come se quello fosse dove appartenevano, l'uno con l'altro, come se Percy avesse atteso quel momento da sempre. Il che era probabilmente stupido, ma era esattamente come Percy si sentiva.
-Credo di essere decisamente innamorato di te, Nico.- disse, le sue labbra che sfioravano quelle di Nico. Era così bello poterlo dire ad alta voce e non nutrire assolutamente alcun dubbio; ma ancora più bello fu quel che Nico disse subito dopo, a voce talmente bassa che Percy pensò che forse non aveva avuto davvero intenzione di dirlo.
-E io credo di non aver mai smesso di esserlo di te.

~

Nico aveva ancora paura che se avesse sbattuto le palpebre si sarebbe svegliato e avrebbe scoperto che tutta quella giornata era stata nulla di più che un sogno infido mandatogli da Favonio, da Cupido o da qualche altra divinità che si divertiva a prendersi gioco di lui. Eppure la mano di Percy stretta attorno alla propria era decisamente reale, così come erano reali gli sguardi che i due continuavano a lanciarsi e il sorriso che Nico non riusciva ad eliminare dalle proprie labbra.
-Dovresti lasciarmi la mano.- disse Nico mentre passeggiavano per le vie del Campo, ma non cercò di liberarsi dalla stretta.
-Sarebbe un problema se qualcuno ci vedesse?- gli chiese Percy, e il tono naturale della sua voce tranquillizzò Nico più di qualunque cosa che il figlio di Poseidone avrebbe potuto dire e si rese conto che non c'era davvero alcun problema, non in quel tempo e soprattutto non al Campo Mezzosangue.
Naturalmente, a cena la notizia aveva già attraversato tutte le case perché una cosa del genere non poteva assolutamente passare sotto silenzio al Campo; Nico si sorprese a non esserne particolarmente infastidito.
Quella sera andarono alla spiaggia. Si sedettero sulla sabbia, Nico tra le gambe di Percy, la schiena poggiata contro il suo petto, le braccia di Percy strette attorno a lui. Da quella mattina sembrava che il figlio di Poseidone non potesse fare a meno di quel contatto, quasi avesse paura di ristabilire una certa distanza tra di loro e Nico non poteva che esserne felice: la sensazione di averlo tanto vicino, della sua pelle contro la propria, di quel contatto che Nico aveva desiderato per così tanto era una cosa di cui non avrebbe mai più potuto fare a meno.
- Nico, posso farti una domanda?- chiese Percy all'improvviso.
Nico annuì, ma non si aspettava in alcun modo quel che il figlio di Poseidone stava per chiedergli.
-Cos'è successo in Croazia?
Nico si ritrovò ad arrossire al pensiero. -Nulla- disse, -nulla che abbia importanza adesso.
Ed era vero, perché Percy lo stava abbracciando stretto e non sembrava intenzionato a lasciarlo andare quindi no, tutto quel che era successo in Croazia non aveva assolutamente alcuna importanza.
Ma ovviamente Percy non era d'accordo.
- Nico- gli sussurrò all'orecchio, facendo trasalire il più piccolo. Nico gli rivolse un'occhiata truce -o almeno ci provò, ma non era facile quando Percy lo guardava con quei suoi stupidi occhi verde mare e il suo stupido solito sorriso.
- Coraggio, dimmelo- chiese il figlio di Poseidone. -Per favore- aggiunse.
- Dei, Percy sei proprio un bambino a volte.
- Ma ti piaccio così- rispose in poco più di un sussurro e, anche se non poteva vederlo, Nico riusciva a sentire il sorriso nella sua voce. Abbassò la testa, cercando di nascondere il suo viso rosso dietro i capelli, e non rispose -non che ce ne fosse bisogno, a quel punto.
Rimasero in silenzio per qualche tempo, il suono del mare di sottofondo.
- Uno spiacevole incontro con Cupido- disse Nico dopo un po', cedendo infine alla curiosità di Percy. -Come facevi a sapere della Croazia? - chiese, prima di ricevere una risposta.
- Oh, Afrodite vi ha accennato, l'ultima volta che ci siamo visti. Ha detto che Cupido si era interessato a te.
Nico fece una smorfia. -Purtroppo.
Percy lo strinse ancora di più a sé e poggiò la fronte sulla sua spalla mentre rideva e, mentre si univa a lui, Nico pensò che quello era un suono che avrebbe volentieri ascoltato per il resto dei suoi giorni.
- Le divinità dell'amore non vogliono proprio lasciarci pace, a quanto pare.- disse Percy ancora tra le risa.
-Ora non avranno proprio nulla di cui lamentarsi, però.- rispose Nico. I suoi occhi incontrarono quelli sorridenti di Percy e Nico si chiese come avesse potuto anche per un attimo pensare di non essere più innamorato di lui.
- Direi proprio di no.
Nico non pensava si sarebbe mai abituato alla sensazione delle labbra di Percy contro le proprie, e una parte di lui sperava davvero non accadesse. Si lasciò guidare da Percy che lentamente gli fece dischiudere le labbra, e Nico si abbandonò completamente a lui, al suo sapore che era così simile a quello del mare eppure così indiscutibilmente Percy. Quando si separarono nessuno dei due disse nulla, persi l'uno nell'altro, e l'unica cosa che attraversò la mente di Nico era che non aveva mai avuto alcuna possibilità di lasciarsi alle spalle quel che provava per il ragazzo davanti a lui.
Per un attimo pensò che sarebbe stato bello poter restare così per sempre, solo lui e Percy, mentre il mondo andava avanti senza di loro; ma non ce n'era bisogno, si rese conto, non c'era bisogno che il tempo si fermasse e li lasciasse indietro, perché di momenti come quelli ne avrebbero senz'altro avuti altri; quindi andava bene così.

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Capitolo 10
*** Epilogo ***


Note: Avevo detto che avrei aggiornato dopo una settimana ed è passato tipo un mese, sono pessima, scusate. 
Ebbene, è finita! Non ci posso credere di essere davvero riuscita ad arrivare fino alla fine, e se sono stata in grado di farlo è stato grazie a voi e ai vostri 
commenti, grazie mille *^* Grazie a chi ha letto e a chi ha commentato, insomma grazie a chi mi ha seguita fin qui *^*
Tanto per cambiare non sono del tutto contenta del risultato, ma spero vi piaccia anche quest'ultimo capitolo! 



Stare con Percy era facile, era naturale. Nico non si sarebbe mai aspettato di pensare una cosa del genere, eppure era esattamente così.
Certo, c'erano quei momenti di puro imbarazzo quando Percy fissava gli occhi su di lui, quello sguardo che faceva sentire Nico completamente esposto, che gli 
faceva dimenticare il mondo intero, che gli diceva che era vero, che Percy era sul serio innamorato di lui; quello sguardo che Nico ancora non riusciva a 
credere potesse davvero essere rivolto a lui. Non era in grado di sostenerlo a lungo, quello sguardo; ma anche in questi momenti, stare con Percy era naturale, 
come naturale ma travolgente era il modo in cui poi Percy lo baciava, quasi non potesse farne a meno. 
Ciò che non era altrettanto facile, era sopportare il modo in cui gli altri semidei li guardavano, come se fossero diventati la nuova e interessante attrattiva del 
Campo Mezzosangue; Nico oscillava tra il voler sparire nella prima ombra disponibile e il voler far aprire il terreno sotto i piedi di chiunque posasse gli occhi 
sorpresi su di loro.
Percy non ne sembrava altrettanto infastidito. Nico glielo fece notare una sera a cena.
- Non mi da fastidio, anzi per me è meglio che lo sappiano - disse Percy in risposta alle lamentele di Nico, poggiando una mano sulla gamba del più piccolo 
con fare quasi protettivo e facendo scorrere gli occhi sui semidei riuniti nel padiglione e soffermandosi sul tavolo della Casa di Apollo.
Il figlio di Ade si bloccò per un attimo a quelle parole, prima di comprendere il loro significato. Non riuscì a trattenere la risata che sfuggì dalle sue labbra, 
perché la sola idea che Percy fosse geloso era piacevole ma assurda -che bisogno aveva, dopotutto, di esserlo?- ma il fatto che fosse geloso di Will Solace, poi,
 era assolutamente ridicolo -ma piacevole, decisamente piacevole, come dimostrava il rossore che si fece spazio sulle sue guance e il sorriso che il figlio di Ade 
non riuscì a nascondere.
Percy gli rivolse un'occhiata a metà tra l'offeso e l'imbarazzato.
- Sei un idiota.- gli disse Nico senza smettere di sorridere. Una piccola vocina gli fece notare come lui stesso aveva passato anni ad essere geloso di Annabeth 
e, anche adesso che lei e Percy non erano altro che amici e non aveva alcuna ragione per esserlo, non riusciva ad impedirsi di provare quel fastidioso 
sentimento ogni volta che li vedeva insieme; c'era sempre quella egoista parte di lui che avrebbe voluto Percy tutto per sé. L'idea che Percy potesse sentirsi allo 
stesso modo lo sorprese; il figlio di Poseidone aveva detto di essere innamorato di lui ma era per Nico una cosa talmente strana e inimmaginabile che aveva 
ancora l'impressione che da un momento all'altro si sarebbe risvegliato dal sogno più bello che avesse avuto nella sua vita, come se all'improvviso Percy si 
sarebbe reso conto che, in realtà, stare con Nico non era quel che voleva. Il fatto che Percy fosse geloso rendeva, in qualche modo, tutto più reale.
Jason li stava osservando con un'espressione divertita e Nico aveva l'impressione che stesse facendo una notevole fatica per evitare di scoppiare a ridere davanti 
al loro scambio di battute. 
Il figlio di Giove era stato il primo a sapere di lui e Percy; aveva abbracciato Nico e gli aveva detto: -Se dovesse succedere qualcosa, sappi che sono sempre 
pronto ad usare la mia spada contro di lui.- e a quelle parole Nico aveva riso.
Sperava non sarebbe stato necessario -anzi, era abbastanza sicuro che non sarebbe stato necessario- ma era sempre bello sapere che Jason gli guardava le spalle.



Erano nell'arena, quando all'improvviso Percy sembrò ricordarsi di una cosa particolarmente importante. 
- Credi che tuo padre sappia di noi?- chiese.
Nico rifletté solo un istante sull'improvvisa domanda di Percy.
- Probabile.
Era incredibilmente difficile che gli dei riuscissero a tenere il naso fuori dalle faccende dei semidei. Il figlio di Poseidone si passò una mano sul viso e si 
appoggiò pesantemente contro il fianco peloso della signora O'Leary.
- Andiamo Percy, non è poi così tragico.- disse Nico cercando di consolarlo e di distoglierlo dall'idea di un Ade arrabbiato.
- Tuo padre mi odia, Nico.- fece notare Percy, come se si trattasse della cosa più logica del mondo (e in effetti lo era: non era come se Percy avesse fatto del 
suo meglio per fare una buona impressione al Signore degli Inferi).
- Non gli stai molto simpatico, no.
- Quindi significa che non sarà molto d'accordo e che manderà le sue bestie infernali contro di me?- disse con un sospiro, maledicendo gli dei e la loro 
incapacità di mantenersi fuori dagli affari dei loro figli.
- Hm, probabile. - rispose Nico. Non ci aveva mai pensato ma, conoscendo suo padre e i suoi trascorsi con Percy, era decisamente probabile. Non che Ade 
fosse uno di quei padri incredibilmente protettivi, ma Nico aveva l'impressione che non avrebbe esitato a cogliere l'opportunità di mettersi contro Percy. 
Sospirò, guardando il figlio di Poseidone con aria di scusa.
L'espressione rassegnata di Percy venne sostituita da un sorriso. Attirò Nico a sé e con le labbra accostate al suo orecchio gli disse in un soffio: - Beh, ne vale 
la pena.
Nico non poté impedire il rossore che si impadronì del suo viso né il modo in cui il suo cuore perse qualche battito. Incontrò gli occhi di Percy e il sorriso che 
questi gli stava rivolgendo. Avrebbe voluto essere come lui, capace di dire apertamente e con sincerità quel che provava; ma era difficile esprimere a parole il 
modo in cui Percy lo faceva sentire, la piacevole sensazione delle farfalle nello stomaco ogni volta che gli era vicino. Ricambiò il sorriso e poggiò leggermente 
le labbra su quelle del più grande, sperando di trasmettergli tramite quel piccolo gesto ciò che non era in grado di dirgli a voce.
- Se ti può consolare, credo che Afrodite sia dalla nostra parte.- disse dopo un po', guadagnandosi una risata da parte di Percy.
Come se aspettasse di essere nominata, la dea dell'amore scelse proprio quell'istante per apparire, accompagnata da qualcuno che Nico avrebbe sinceramente 
preferito non rivedere.
Percy odiava gli dei, sarebbe stato pronto ad ammetterlo senza pensarci due volte; e ne aveva talmente tante di ragioni che avrebbe potuto impiegare una 
giornata intera solo per elencarne la metà. Nico comprendeva ognuna di quelle ragioni e le condivideva, eppure non avrebbe mai detto di odiare gli dei: un po' 
perché temeva il loro rancore, un po' perché in lui c'era ancora quel ragazzino che amava Mitomagia e che vedeva le divinità come creature meravigliose e 
sensazionali.
Quindi no, Nico non odiava gli dei; non sempre, almeno. Ma senza alcun dubbio erano più numerose le volte in cui condivideva pienamente i sentimenti di 
Percy nei loro confronti.
Vedere apparire Favonio accanto ad Afrodite gli fece ricordare una ad una, tutte le ragioni che gli provocavano quei sentimenti. Non che avesse davvero 
pensato di non rivederlo più, ma si era concesso di sperare.
"Ci rivedremo ancora, Nico di Angelo", gli aveva detto Favonio l'ultima volta, e alle sue orecchie quelle parole erano suonate come una minaccia.
- Ma certo che sono dalla vostra parte, miei cari! - esordì allegramente Afrodite, e Nico si chiese se sarebbe mai giunto io giorno in cui gli dei gli avrebbero 
concesso un minimo di privacy. -Siete così carini, come potrei mai essere contro di voi!
Il suono melodioso della voce della dea li strappò dal loro piccolo mondo ed entrambi si alzarono di scatto.
-Ehm, grazie.- dissero i due semidei all'unisono Percy con un allegro ma circospetto sorriso sulle labbra, Nico con il viso rosso evitando di incontrare gli occhi 
della dea e cercando di ignorare la presenza di colui che la accompagnava.
Sfortunatamente, Favonio non sembrava intenzionato a permettere che la sua presenza passasse sotto silenzio.
- Il mio padrone ed io siamo felici per voi.- disse. -E siamo felici che tu sia finalmente stato onesto con te stesso, figlio di Ade. L'onestà ripaga sempre in 
amore.
- Eppure l'amore non sempre rende felici, no?- Nico non aveva avuto intenzione di parlare con tanta aggressività, ma non riuscì a trattenersi. Anche adesso che 
i dissapori che aveva avuto con Favonio e Cupido potevano essere dimenticati e lasciati alle spalle, non poteva impedire alla rabbia di sorgere in lui al ricordo 
dell'imbarazzo e dell'umiliazione che lo avevano costretto ad affrontare.
Percy gli poggiò una mano sulla spalla, e quel semplice e rassicurante contatto fu sufficiente a Nico per calmarsi.
- L'amore è molto più complicato di quanto non sembri.- disse Afrodite e la sua voce dolce e conciliante e al contempo pregna di autorità fece desistere da 
qualunque tipo di discussione.
Era la seconda volta che Nico si trovava al cospetto della dea dell'amore e, esattamente come la prima, aveva timore di posare gli occhi sulla sua figura e, allo 
stesso tempo, trovava difficile distogliere lo sguardo da lei. Gli era stato spiegato che, alla presenza della dea, gli occhi di ciascuno vedono quel che per loro è 
bello, quel che loro amano e potrebbero guardare per il resto dei loro giorni. Nico non si sorprese -ma trattenne il respiro- nel notare che il suo aspetto vago 
eppure meravigliosamente definito non era cambiato dalla prima volta che l'aveva vista: come allora, anche adesso rivedeva nel volto di Afrodite i lineamenti, 
i capelli scuri e gli occhi verde mare che non abbandonavano mai i suoi pensieri. Con un misto di timore e speranza si chiese come la vedessero gli occhi di 
Percy.
La voce di Percy lo distolse dai suoi pensieri.
- Quindi siete venuti solo a farci i vostri auguri affinché viviamo una vita lunga e felice insieme?- la nota di sarcasmo era evidente ma o le due divinità 
preferirono ignorarla o non la colsero affatto.
Afrodite sorrise radiosa.
- Esattamente, mio caro. É sempre un piacere vedere un amore come il vostro sbocciare ed evolversi. Ah, come amo il mio lavoro.- aggiunse con un sospiro 
teatrale e con un'espressione di pura soddisfazione, come se fosse unicamente merito suo se i due semidei fossero finalmente insieme, come se fosse solo grazie 
a lei che erano stati in grado di arrivare dove erano adesso. Nico avvertì chiaramente l'irritazione di Percy -e non poteva certo biasimarlo- ma nessuno dei due 
disse nulla; il figlio di Poseidone sembrava sapere bene che far innervosire la dea dell'amore era una pessima idea.
- Ma non posso prendermi tutto il merito.- disse ancora con il suo sorriso smagliante e perfetto. -Se siete così carini è senz'altro merito vostro!
Afrodite accompagnò queste ultime parole con un elegante ed eccitato battere di mani. Nico si sentì nuovamente arrossire e si voltò verso Percy scoprendo i 
suoi occhi verdi puntati su di sé, e il fastidio e l'imbarazzo per la presenza delle due divinità vennero per un attimo dimenticati.        
- Credo che seguire il mio cuore sia stata una buona idea, grazie.- disse Percy, rivolgendosi nuovamente alla dea dell'amore. Parlò con sincerità, un piccolo 
sorriso sulle labbra; Nico non lo aveva mai sentito rivolgersi così ad una divinità, neanche a Poseidone o a Zeus e si chiese se il più grande fosse davvero 
riconoscente ad Afrodite o stesse solo cercando di scongiurare qualunque piano lei avesse in serbo per il loro futuro. Forse entrambe le cose.
Afrodite lo guardò con orgoglio. -Seguire il proprio cuore è sempre la via giusta, miei cari. Ricordatelo sempre.- rispose, lanciando un'occhiata significativa ai 
due semidei.
- Ebbene, miei cari, è giunto per noi il momento di andare.- riprese e si fermò un attimo come per dare il tempo ai suoi ammiratori di lamentarsi e chiederle 
di restare ancora un altro po'. -É stato un piacere vedere che le mie parole ti sono state di aiuto, Percy. Spero ci rivedremo ancora!
Nico non era certo di cosa avrebbe significato vedere nuovamente la dea dell'amore -se un'altra guerra, problemi tra lui e Percy o semplicemente un'altra visita 
a sorpresa come quelle da parte di parenti fastidiosi- ma in cuor suo sperò sinceramente che quella fosse l'ultima volta che avrebbe dovuto avere a che fare con 
le divinità dell'amore.
Il sorriso perfetto di Afrodite non era vacillato neanche per un istante ed era ancora dipinto sul suo viso quando si dileguò con un elegante volteggio.
- Sebbene tu ti rifiuti di accettarlo, figlio di Ade, io e il mio padrone siamo felici per voi; e sappiamo che in cuor tuo ci sei grato per averti spinto ad accettare 
i tuoi sentimenti.
Prima che Nico potesse rispondere alle parole di Favonio, questi si dileguò, lasciando dietro di sé solo l'irritazione di Nico alle sue parole.
-E perché mai dovrei esservi grato?- borbottò il figlio di Ade rivolto a nessuno in particolare. Sapeva che in parte Favonio aveva ragione ma non lo avrebbe 
ammesso, neanche a se stesso. Anche senza il loro intervento sarebbe riuscito a giungere a patti con i propri sentimenti. Non si rese conto di avere le mani 
strette a pugno finché Percy non gliene afferrò una; Nico non gli aveva raccontato esattamente quel che era accaduto in Croazia, ma quel che gli aveva detto 
era stato sufficiente a Percy per capire che non si trattava di un ricordo piacevole. Il semplice contatto della sua mano fu sufficiente a Nico per calmarsi.
Finalmente rimasti soli, entrambi i semidei tirarono un sospiro di sollievo.
- Almeno a quanto pare abbiamo la loro approvazione.- disse Percy.
Nico lo guardò con un sopracciglio sollevato e un'espressione scettica dipinta in viso.
- Perché, ti interessa sul serio?
- Non proprio.- rispose Percy. Mise le mani sui fianchi del più piccolo e lo attirò a sé. - Però avere dalla nostra parte la dea dell'amore è senz'altro un buon 
segno, no?- disse, le labbra a un soffio da quelle di Nico.
Il figlio di Ade fissò gli occhi in quelli di Percy e per un lungo momento nessuno dei due disse nulla.
- Decisamente.- sussurrò Nico sorridendo, prima di eliminare del tutto la distanza che ancora li separava e poggiare le proprie labbra su quelle di Percy.

~

Afrodite non riusciva smettere di sorridere. Nonostante i miliardi di persone e le altrettante storie d'amore -felici, tristi, con lieto fine o no- erano davvero 
poche quelle che la facevano sentire tanto soddisfatta ed orgogliosa, non solo di se stessa ma anche dei mortali coinvolti. La storia di quei due giovani semidei 
la rendeva incredibilmente raggiante, appagata come non le accadeva da tempo -nonostante le innumerevoli avventure delle sue figlie e dei suoi figli. Era forse 
dai tempi di Elena che non si sentiva così rapita, le era mancata così tanto questa sensazione. Il sorriso sulle sue labbra si fece più grande quando pensò che 
aveva senza alcun dubbio fatto la scelta migliore nel lasciare a Percy Jackson la libertà di scelta. 
- Madre, vi vedo contenta.- disse alle sue spalle la voce pacata di Eros.
- Sono molto più che contenta, figlio mio.- rispose la dea e anche con quella nota di eccitazione la sua voce suonava dolce e soave. -Quei due semidei sono la 
prova che sebbene l'amore non sia sempre giusto, il vero amore riesce a trionfare. Dovresti capirlo anche tu.- concluse con una nota di rimprovero.
- Lo so, è difficile non accorgersi dell'amore tra di loro; e la strada difficile che hanno dovuto percorrere non ha fatto che renderlo più forte.- disse Eros. 
- Cosa hai in serbo per il loro futuro?
Afrodite soppesò la domanda per qualche istante, il viso posato delicatamente sul palmo della mano. Aveva un'espressione pensosa, ma sapeva già quale 
sarebbe stata la sua risposta, lo aveva saputo nel momento stesso in cui aveva visto Percy e Nico quel giorno.
- Non credi che ne abbiano passate abbastanza per ora? Io penso di sì.- rispose infine, godendo dello stupore chiaramente visibile sul viso del figlio. -Almeno 
per ora; credo se lo siano guadagnato.
-  Sei sicura, madre?- chiese di nuovo Eros, ma Afrodite sapeva che era in realtà d'accordo con lei.
La dea annuì.
-L'amore è così complesso, figlio mio, così affascinante in tutti i suoi aspetti: la sofferenza, la felicita, i cuori spezzati e quel senso di completezza che solo 
esso può offrire.
Stava parlando più con se stessa che con Eros, ripensando ai momenti di quella storia e tornando a sorridere. L'interesse che aveva provato nei confronti di 
Percy Jackson quando lo aveva incontrato la prima volta non si era rivelato fallace; gli aveva assicurato una vita sentimentale interessante, e aveva mantenuto 
la sua promessa. Non avrebbe smesso di osservarli, ma era per loro arrivato il momento di godere della pace che si erano guadagnati.
Almeno per un po', pensò la dea dell'amore e il suo sorriso cambiò leggermente, chissà poi cosa gli riserverà il futuro.

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