Missione Fallita di Vavvola (/viewuser.php?uid=65301)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** capitolo18 ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 ***
Ciao a tutti!! cominciamo
questa fan fiction per bene....allora...mi presento: sono nuova di qui
e questa è la mia prima fan fiction...non siate troppo duri
che se no mi demoralizzo!!ç___________ç no dai
sto scherzando!! sono ammessi qualsiasi tipo di recensioni! :p
Bhe adesso basta chiacchere e via con la storia!
Kelly
Era stato un giorno particolarmente intenso. Avevo appena finito le mie
due ore di palestra e adesso finalmente mi potevo rilassare sotto
l’acqua calda. Se c’era una cosa che mi rilassava
particolarmente era proprio quello. Finito il gettone mi avvolsi
l’asciugamano intorno al corpo anche se per via
dell’orario potevo anche uscire con niente addosso. Era
incredibile come nell’arco di un ora la palestra si svuotava.
Lo spogliatoio era completamente vuoto. Molto probabilmente
c’erano solo gli istruttori che finivano come al solito di
fare tutti i loro conti. Mi vestii con calma e, pronta per andare a
casa mi avviai verso l’uscita. Molto probabilmente mi ero
sbagliata: non c’era più nessuno. Guardai
l’orologio per vedere che ore fossero. Le dieci e mezza. Di
solito a quell’orario c’era sempre il gruppo di
ragazzi che andavano a imparare qualche tecnica di auto difesa.
Strano…
Stavo per aprire la porta per uscire quando sentì degli
strani rumori provenire da fuori. Mi feci coraggio e varcai la porta.
Era già calata la notte e l’aria era afosa. Si
toccavano i 30° già da qualche settimana. Appena
fuori dalla palestra c’erano un gruppo di uomini che ridevano
a squarciagola con lattine di una birra economica in mano. Era
difficile non farci caso visto il chiasso che facevano. Erano di sicuro
ubriachi perché quando ci passai davanti mi
arrivò un forte odore di alcol. Sperai che non mi avessero
notata. Eppure il mio desiderio non fu realizzato. Appena li superai
uno di loro mi indicò e cominciò a bofonchiare
qualcosa. L’uniche cose che riuscì a capire furono
soltanto poche parole che mi fecero raggelare il sangue e sentire forte
il desiderio di scappare: “sventola…è
mia…”. Affrettai il passo ma questo
attirò ancora di più la loro attenzione. sentii
delle risate alle mie spalle e solo quando vidi una delle vie
principali piena di persone cominciai a rilassarmi. Mancavano pochi
passi per sbucare proprio su 1st Avenu quando sentii un lungo fischio
alle mie spalle e davanti in un baleno mi si presentarono due uomini.
L’unica cosa che ricordo di loro era la paura che mi
trasmisero quando mi afferrarono e mi portarono indietro. In un attimo
mi trovai circondata da cinque uomini. Cercavo in continuazione una via
d’uscita e molto probabilmente se ne accorsero anche loro
perché sentii una voce dire: “stai tranquilla
dolcezza…vogliamo solo divertirci un
po’!”
“no! per favore, lasciatemi andare!!”
“se stai buona non ti faremo del male”
“e poi anche se riuscissi a scappare sappi che ti
riprenderemo lo stesso e allora saranno guai!”
il più vicino mi afferrò per un braccio e mi
attirò a se con violenza. “non mi
toccare!” cercavo di liberarmi dalla presa sul mio braccio.
Come fui libera ricevetti un colpo alla schiena che mi fece perdere
l’equilibrio e cadere a terra. Sentii un grande boato di
risate “poveretta non ti reggi in piedi vieni che ti aiuto
io!” e qualcuno mi alzò da terra “lo sai
sei proprio carina!” disse un altro accarezzandomi il viso.
“dicci una cosa… ce l’ hai il fidanzato?
Spero di no! Non vogliamo certo
avere guai una volta che abbiamo finito con te!” disse
l’uomo che mi teneva stretta e che cominciò a
baciarmi sul collo tirandomi i capelli. “ehy! Sei sempre il
primo non vale!” mi sentii strattonare da una parte
all’altra come un pupazzetto di pezza nella mani di un
bambino. Ero terrorizzata e non riuscivo a muovere un dito. Sentii una
mano stringermi il sedere e un’altra cominciò a
slacciarmi la camicetta. Per sfuggire a tutti quei contatti mi gettai a
terra e cominciai a urlare. In fondo ci doveva essere pur qualcuno da
quelle parti, no? Eppure non venne nessuno. Continuavo a urlare, ma
nessuno venne in mio aiuto. Intanto gli uomini, per farmi stare zitta,
mi tiravano calci e cercavano di tirarmi su da terra, ma una volta in
piedi ricadevo giù e un’altra raffica di botte mi
veniva inflitta. Quando avevo perso le speranze vidi qualcuno arrivare
e togliermi di dosso l’uomo che stava cercando di tirarmi via
i vestiti di dosso.
“ve l’ hanno mai insegnato che le ragazze non si
toccano?” disse il mio salvatore mandandone al tappeto un
altro. Aprii lentamente gli occhi e vidi un angelo. Era un ragazzo
più o meno sulla ventina che combatteva velocemente contro i
miei assalitori. L’uomo dietro di me mi colpì alla
testa e lentamente la mia vista si annebbiò.
L’ultima cosa che vidi fu il viso del mio angelo custode che
si era deciso a farsi vivo. Le sue labbra si muovevano e
riuscì a percepire ben poco di quello che diceva mentre le
sue braccia mi avvolgevano e mi portarono al salvo.
Salva, ecco cos’ero. Ero salva.
Ripresi conoscenza dopo parecchie ore e quando finalmente mi svegliai,
mi ritrovai in una stanza che non era la mia. Il soffitto era dorato e
sembrava venisse fuori da una casa imperiale rinascimentale. Alla mia
destra c’era un’immensa vetrata coperta da lunghe e
lussuose tende. Sulla mia sinistra un armadio di ottimo legno e, in
fondo alla stanza, una poltroncina con sopra dei vestiti.
L’unica cosa di famigliare erano quei vestiti. Mi mossi
leggermente e sentii chiaramente la pelle nuda sotto le lenzuola
pulite. Indossavo solo la mia biancheria. Il resto era finito
magicamente sulla sedia che adesso sembra essere lontana miglia e
miglia da me. Sentii dei passi avvicinarsi alla camera e qualcuno vi
entrò. Chiusi immediatamente gli occhi e cercai di fare
rimanere il mio respiro il più regolare possibile. Sentii la
persona sedersi sul letto e armeggiare con qualcosa che aveva in mano.
Doveva essere una ciotola d’acqua. Mi premette la fronte con
un panno bagnato. Dopo avermi rinfrescato il viso appoggiò
la ciotola sul comò e se ne andò dalla stanza. Che gesto premuroso
pensai subito. Poi mi venne in mente come ero finita in quella camera e
allora mi sentii ancora più riconoscente verso quel ragazzo.
Come avrei potuto ringraziarlo? Di certo dei soldi non bastavano, ma
era l’unica cosa che mi veniva in mente. Mi rigirai nel letto
con la mente affollata di pensieri e una fitta allucinante alla testa
mi colpì facendomi gemere di dolore. In pochi secondi due
mani forti mi afferrarono le spalle e mi guidarono nel letto
riposizionandomi nella stessa posizioni di poco fa.
“ mi spiace signorina, ma credo che per la sua testa
dovrà rimanere così”. Chiusi gli occhi
in attesa che il dolore se ne andasse.
“si sente un po’ meglio?” chiese il mio
angelo.
“si, grazie” la mia voce uscì come un
sussurro debolissimo
“mi ha fatto prendere un bello spavento! Dorme da almeno
sette ore. Cominciavo a pensare che sarebbe stato meglio se
l’avessi portata al pronto soccorso…”
l’angelo aveva una voce bellissima. Era ferma e trasmetteva
sicurezza. Cercai di mettere a fuoco il suo viso, ma
l’oscurità non mi aiutava di certo.
“che ore sono?”
l’uomo guardò l’orologio sul braccio.
Evidentemente non aveva problemi di vista con
l’oscurità.
“le tre e mezza di notte”
“deve essere stanco. Mi scusi per l’impiccio che
gli ho causato” dissi cercando di alzarmi. Lui mi rimise
sdraiata. “ma si figuri! Quello che si deve scusare sono io.
Mi dispiace di averla fatta aspettare molto con quei
delinquenti.”
Ridacchiai divertita dalla sua scusa infondata.
“bhe sono contento di essere arrivato in tempo!”
“si, anch’io..”
“Comunque io sono James e tu?”
“piacere Kelly Ann”
“bene signorina Kelly Ann, il suo medico personale le
prescrive una cura a base di sole, riposo e divertimento”
“ne terrò presente…”.
James si avviò verso la finestra e la spalancò.
Un’ondata di luce investì la camera che
brillò in risposta con la luce.
Ci dovevamo trovare proprio nel cuore della città. La
conoscevo molto bene quella zona visto che ogni singola parte della mia
vita si concentrava nelle vie principali della caotica New York. Le
luci dei neon giganti inondavano la stanza.
Alla luce la stanza sembrava ancora più bella di come me la
sarai mai immaginata. Le pareti erano dorate e brillavano come tante
pietre preziose. Il letto in legno occupava la maggior parte della
stanza. Era veramente enorme! Secondo me ci volevano delle coperte su
misura. James si accorse del mio stupore. “ mi piace dormire
comodo!” disse facendo spallucce e roteando gli occhi. Con la
luce potei ammirare il mio salvatore. Era alto e snello. I capelli neri
e spettinati gli ornavano il viso magro e squadrato. Gli occhi azzurri
spiccavano sulla pelle chiara. Era l’uomo dagli zigomi
perfetti! Avrebbe potuto fare benissimo il modello per una qualche
rivista di moda e far sfigurare tutti quegli uomini copertina.
All’improvviso mi sentii quasi grata agli uomini che avevano
cercato di molestarmi. Ma
che cosa mi ritrovo a pensare?basta!
Scossi la testa nella speranza di cacciar via quei pensieri. Mi misi a
sedere sul letto lasciandomi scoprire fino alla vita e solo quando mi
accorsi che James mi stava fissando, mi ricordai che avevo indosso solo
la biancheria.
James scosse la testa e con un sorrisino strano si allontanò
dal letto in direzione della sedia con sopra i miei vestiti. Li prese
in mano, li tastò per bene e poi li riposo sulla sedia.
“mi sono preso la libertà di farti spogliare dalla
donna delle pulizie e di lavarti i vesti. L’unica cosa
è che adesso sono ancora bagnati.”
“oh…capisco” dissi avvolgendomi le
coperte intorno al corpo.
“proviamo a vedere se qua dentro c’è
qualcosa…” e così si inoltrò
dentro a quello che evidentemente era un armadio a muro.
“meno male che ci ha pesato lei a farti trovare un
cambio!” e così dicendo mi porse un vestito verde
a fiori con della biancheria pulita. Come se ne andò dalla
stanza mi cambiai velocemente. Il vestito mi stava a pennello ed era
anche molto carino. Certo, se lo avessi visto in un negozio non
l’avrei mai comprato, ma dovevo ammettere che era un vestito
molto comodo e primaverile. Richiamava i colori dell’estate.
Attratta da un odorino molto invitante e dal continuo sfrigolare del
cibo sulla padella, mi diressi verso la cucina.
“spero che tu abbia fa…”
troncò la frase a metà. Mi stava fissando. Non mi
sarei stupita se proprio come in un cartone animato, la sua mascella
fosse arrivata per terra e avrebbe allagato la stanza di bava. In fondo
ero consapevole di fare quest’effetto sugli uomini. Era
sempre stato così. Fin dall’elementari. Ero
consapevole della mia bellezza fisica, ma non mi piaceva vantarmene.
Per quanto poteva essere vantaggioso, la mia bellezza mi aveva proprio
stufata. Ormai le dita delle mani non bastavano per contare tutti gli
uomini che mi avevano usata per scopi personali spezzandomi il cuore
tutte le volte. E avevo solo 23 anni! Era proprio per questo che
evitavo il più possibile di indossare vestiti aderenti e
d’indossare per la maggior parte del tempo la mia
inseparabile tuta da ginnastica. Peccato che il vestitino che mi aveva
dato era proprio uno di quei vestiti che non avrei messo mai e poi mai.
Ed ecco spigata la bava sul pavimento…
“ti sta veramente bene Kelly” disse lanciandomi un
sorriso malizioso.
“ grazie…” mi sentii infiammare le
guance. In quel momento sentii profondamente la mancanza della mia
tuta. Per tutta la notte James non mi tolse gli occhi di dosso neanche
per un secondo. Abbiamo parlato, abbiamo riso e scherzato, insomma ci
siamo divertiti e tutto sempre sotto il suo sguardo costante e
affascinante che mi stordiva incredibilmente. Finita la
“cena” lo aiutai a sparecchiare e a lavare i
piatti.
“ti va di uscire?”
“ma sono le cinque!”
“e allora? Certi cinema fanno orario continuato per 24 ore!
Se non sbaglio uno spettacolo inizia tra un’ora”
“tu non sei normale James!” disse ridendo
“ah si?! E va bene…allora ci vieni al cinema con
me oppure no?”
“va bene” e così ci avviammo
all’unico cinema della città che faceva orario
continuato. Il film sarebbe iniziato esattamente dopo un ora e
perciò approfittammo di quel tempo libero per andare a fera
due passi in centro non poco lontano da li. Parlammo veramente tanto,
ma gli argomenti sembravano non voler finire.
Finita quella giornata mi riaccompagnò a casa.
“ci vediamo presto Kelly”
“ va bene alla prossima” lo vidi indeciso sul da
farsi. Mi si avvicinò con studiata lentezza. Mi
abbracciò forte stringendomi a se. Sciolse
l’abbraccio subito dopo e mi salutò lasciandomi
davanti al portone di casa ancora frastornata.
Che cosa
succederà adesso? vi do appuntamento alla prossima puntata!
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Capitolo 2 *** Capitolo 2 ***
Salve
a tutti quelli che seguono questa fan fiction!! Oggi ricominiciamo con
la nostra Kelly ma il prossimo capitolo avrà come narratore
qualcun'altro....buona lettura!!
Kelly
Dopo la morte di Michael avevo
deciso di lasciargli in ricordo il mio sorriso speciale, quel sorriso
dedicato
solo a lui. Eppure eccolo qui stampato sul viso, senza la
capacità di
rinchiuderlo in quel cassetto impolverato dove c’era rimasto
per troppo tempo.
Non trovavo più la chiave. Ci sono voluti tre anni prima che
il destino me la
facesse ritrovare e la chiave si trovava proprio in James. Non so
perché ma
come lo vedevo mi veniva da ridere, di essere felice. Lui riusciva ad
illuminare tutte le ombre di me facendole sparire. Era come un sole
invernale
che mi accarezzava la pelle trasmettendomi una perfetta sensazione di
calore.
Senza rendermene conto lui era diventata per me come una droga. Ne
avevo
bisogno più di quanto immaginassi. Avevo bisogno del mio
sole invernale. Arrivata a casa mi chiusi la
porta alle spalle sperando che la mia migliore amica non avesse sentito
il mio
arrivo e mi imbucai in casa mia come se fossi lì per
rapinare il mio
appartamento. Peccato che come girai l’angolo per andare a
infilarmi nel letto
senza essere notata, mi ritrovai Christin con le braccia incrociate sul
petto e
il piede che tamburellava impaziente. Classica posa da genitore quando
hai
varcato l’ora del coprifuoco. L’unica differenza
è quello che venne dopo. Anziché
rimproverarmi e sentirmi dire la classica frase “ DOVE SEI
STATA!!?? ”, Chris
mi assalì facendoci cadere sul divano urlando un
“RACCONTAMI TUTTO!!” che non
ammetteva repliche.
Come mi vide esitante mi diede
una sberla sulla spalla “dai!! Qualcosa è successo
sicuro! Voglio sapere cosa
significa qual sorrisino da ebete rincitrullito che ti
ritrovi!”
“oggi all’uscita da palestra…”
“si…” mi incitava a continuare
“ ecco non so ancora bene come,
quando, è successo tutto in fretta…”
“si…”
“bhe saranno state più o meno le
23…”
“allora la smetti con questi
rigiri di parole? Arriva al punto!!” sempre la solita
impaziente. Per una volta
che avevo deciso di farle il resoconto della giornata lei mi tagliava
le gambe.
“in poche parole sono stata
molestata…”
“cosa?” esclamò senza farmi
finire la frase. “non ci posso credere! Come puoi esserne
così contenta!
Bisogna andare alla polizia…bisogna fare
qualcosa!” e così dicendo si alzò dal
divano smaniosa di giustizia. La afferrai per una manica e la riportai
coi piedi
per terra…in realtà sul divano…
“stai calma! La vuoi sentire la
storia completa si o no?” non le lasciai il tempo per
rispondere e cominciai il
mio racconto senza tralasciare niente proprio come piaceva a lei.
Quando ebbi
finito mi guardava con quel sorrisino entusiasta paragonabile a quello
di un
bambino piccolo davanti a un regalo enorme la notte di natale.
“whuao!! Non so che dire… sono
senza parole!! Ti piace?”
“no…”dissi facendo roteare gli
occhi come se fosse una cosa scontata
Chris mi guardò storto
“okay va bene…forse un pochino
si.”
“ah!! È da festeggiare! Urliamolo
a tutto il mondo! Alla solitaria Kelly piace qualcuno!!” feci
una smorfia.
Bastava veramente poco per farle perdere la testa. Però la
sua reazione era
sensata. Erano tre anni che non mi piaceva più nessuno.
Tutti pensavano che non
mi sarei mai più ripresa dallo shock della morte di Michael
eppure…ecco la prova
contraria. Ripensandoci tre anni erano proprio
un’eternità!
Improvvisamente il mio piccolo
cuoricino aveva spezzato le catene che lo tenevano incatenato a un
ricordo
morto, freddo e lontano per poter essere di nuovo libero di battere, di
essere
vivo. Andai a farmi una doccia e per tutto il tempo rimasi ad ascoltare
quel
battito frenetico che mi riscaldava il corpo. Quanto mi era mancato!
Uscii
dalla doccia con una smorfia.
“come mai quella faccia?” Chris
era seduta sul gabinetto con una tazza di cereali in mano e la bocca
piena.
“ma è possibile che mi segui
ovunque!”
“e certo!! Preparati che ti
romperò le palle sempre! Anche quando ti porterai a letto
quel bonazzo di qui
parli!”
“Chris!!” la rimproverai
tirandole l’asciugamano con il quale mi stavo asciugando i
capelli e che la
fece sussultare facendole rovesciare la tazza di latte completamente
addosso.
“bastarda!! Questa me la paghi!
Era nuovo questo completo!” solo allora feci caso al suo
vestito e mi resi
conto che stava uscendo per andare a lavoro. Era un completo sul grigio
scuro
quasi nero. Era veramente bello, se si esclude la gigantesca macchia di
latte
che adesso ricopriva tutta la parte inferiore della giacca e qualche
goccia sui
pantaloni.
Non riuscii a trattenere una
risata. “a dire la verità lo preferisco
così!!”. Lei alzò un pugno come se
volesse colpirmi mentre mi contorcevo dalle risate. “per oggi
ti risparmio solo
perché hai trovato il principe
azzurro…” si guardò di nuovo
l’abito sporco e
gocciolante “…e poi perché
così sarò costretta a usare il più
bello di tutti in
anticipo. Volevo metterlo per la riunione di domani, ma non mi lasci
altra
scelta. Prevedo shopping per questo pomeriggio…ci
stai?”
“come no…”
“bene…non sono ammesse scuse!
Neanche se il belloccio si fa vivo!”
“va bene, va bene…” la
rassicurai. Era passato veramente poco da quando gli avevo parlato di
James e
già gli aveva trovato tre soprannomi:
“bonazzo”, “belloccio”,
“principe
azzurro”. Sul primo e sul secondo potevo essere anche
d’accordo, ma il terzo
non mi convinceva. Forse perché non credevo nelle favole, il
principe azzurro è
solo qualcosa per il quale le donne sbavano dietro senza neanche sapere
come
sia realmente. Forse, invece, più semplicemente, era
perché avevo l’impressione
che James mi nascondesse qualcosa. Mi ispirava sicurezza, ma il modo in
cui mi
guardava sembrasse voler dire “alla larga!”.
Chissà cosa mi avrebbe riservato
il futuro. L’unica cosa di cui ero del tutto certa era che
avevo bisogno di una
distrazione. Pensare troppo fa male perciò mi misi davanti
alla tele aspettando
in qualche modo il ritorno di Chris per poter andare a fare shopping.
La
tentazione di uscire era veramente grande. Magari mi imbatto per caso in
lui
sotto casa sua. Potrei usare la scusa di dovergli ridare il vestito che
mi
aveva dato… Mi strinsi nell’abito
come in cerca di calore. No, molto
probabilmente quel vestito l’avrei custodito per sempre
dentro una busta in
nylon nell’angolo più remoto
dell’armadio. Lo annusai. Sapeva di pulito, come
appena uscito dalla lavatrice. Decisi che casa sua doveva avere
quell’odore e
come casa sua anche lui doveva profumare in quel modo. Allora mi venne
un
dubbio. E se la casa non fosse sua? Se abitasse con una brutta megera
che lo
ama incondizionatamente e lo tiene sempre appiccicato a se? Magari non
è
nemmeno libero…decisi che rimanere a logorarmi nel mio brodo
immaginario non
fosse il caso, così uscii. Andai al centro commerciale.
Chris mi avrebbe
perdonata. In fondo avrei mantenuto la promessa, l’avrei
accompagnata lo stesso
a fare compre quel pomeriggio. Perciò nessun ripensamento oh
almeno fino a
quando non vidi comparire la scritta sul display tanto odiata
da tutte le donne
al mondo : “servizio non disponibile” che
equivaleva a un…NIENTE
SOLDI!!”
Okay forse Chris si sarebbe arrabbiata.
Che
cosa nasconderà James?
|
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Capitolo 3 *** Capitolo 3 ***
Cambiamo narratore visto
che questo racconto è una storia nella storia...
adesso si passa all'altra
storia che centrerà in qualche modo con la precedente...
Sito
“Vale
smettila di scrivere!”
“ancora due secondi…”
“vale è pronto!muoviti!”
“si arrivo mamma…”
“ma mi stai ascoltando?”
“ancora due secondi!”
“valeeeeeeeee!non mi far venire
di là eh?”
“ma se sei gia di qua!!”
“muoviti che si raffredda!!”
“un po’ di calma stavo
chiudendo!!”
Penso che ormai abbiate capito
come mi chiamo. Comunque la mia prof di italiano mi uccide se non metto
il suo pezzo
preferito. “si ragazzi lo so che può sembrare
banale, ma le presentazioni sono
fondamentali per un buon libro quindi se volete arrivare al 4
mettetecele!”
Whuao! Felicità!! Siamo arrivati
a 4! Okay va bene adesso basta. Passiamo alle storie serie.
Io mi chiamo Valeria Faresi e il
mio libro è nato così. Tutto è
cominciato per colpa di un altro libro e il suo
maledetto sito. Il sito in considerazione è un forum del
libro Eragon. Avevo
appena finito di leggere il primo e il secondo libro del ciclo
dell’eredità e
smaniosa di notizie su il libro in uscita, mi registrai al forum
ufficiale
italiano. Dopo qualche settimana che ero registrata un utente mi
contatta.
Aveva bisogno di aiuto per scrivere una fan fiction sul telefilm del
momento:
Lost.
Come se a parlarmi di Lost non ci
fosse gia mia nonna a rompere le scatole. Gli dissi gentilmente che non
lo
avevo mai visto, ma che lo conoscevo molto bene in chiacchiere.
“perché non proviamo lo stesso?”
“va bene…cominci tu?”
“okay… tu sei Kait e io Soier”
come non detto…i piccioncini del telefilm.
Provammo a scrivere qualcosa, ma
non ci venne fuori nulla di buono.
“proviamo qualcosa di
completamente diverso…”
“va bene…cosa hai in mente?”
“scriviamo qualcosa
qualsiasi…comincio io così ti faccio
vedere…”
Che cosa
centrerà con tutto il resto?
piccolo spoiler...il prossimo capitolo
vedrà come protagonista James...
Quella mattina non ero
stato convocato per lavorare....Noi
eravamo gli unici a permetterci ancora una vita sociale anche se questo
comportava avere punti deboli. Non volevo fare finire tutto come
l’ultima
volta. L’altra volta aveva pagato per un mio errore solo una
vita. Certo era
stata colpa mia però non ho dovuto soffrire molto dal punto
di vista emotivo.
Questa volta sentivo che era diverso.
Che
cosa nasconderà?
vi aspetto alla prossima!!
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Capitolo 4 *** capitolo 4 ***
Grazie mille per la recensione
Ladywolf!!
mi fa piacera che questa storia ti piaccia!
bhe ho ascoltato le canzoni che mi hai segnalato e devo dire che credo
ci stiano proprio bene!
non hai assolutamente un cattivo gusto! e ti svelo un segreto...anche a
me piace moltissimo ascoltare la
musica quando scrivo e soprattutto quando leggo! la ascolto persino
quando faccio i compiti!
insomma la musica è la mia vita!:P...bhe adesso lascio la
parola al nostro amato James
....
James
Passeggiavo
allegramente per i
prati di Central Park. Quella mattina non ero stato convocato per
lavorare
perciò avevo deciso di fare due passi. Peccato che a ogni
passo che facevo mi
trovavo sempre più vicino a casa sua. Uffa ero proprio
andato! David aveva
proprio ragione. Continuando a fare avanti e indietro tra Central Park,
ripensai alla nostra conversazione.
Quella mattina andai in ufficio e
incontrai il mio collega David. Chi non altro se lui mi poteva capire
meglio?
Noi eravamo gli unici a permetterci ancora una vita sociale anche se
questo
comportava avere punti deboli. Non volevo fare finire tutto come
l’ultima
volta. L’altra volta aveva pagato per un mio errore solo una
vita. Certo era
stata colpa mia però non ho dovuto soffrire molto dal punto
di vista emotivo.
Questa volta sentivo che era diverso.
“se è veramente importante non
rischiare inutilmente!” mi aveva consigliato il mio
amico/collega preferito.
“pensa sempre al peggio…riusciresti a
sopportarlo?” aveva ragione. E più
passava il tempo e più me ne rendevo conto.
Era già una settimana che la
conoscevo e già non potevo togliermela dalla testa. Forse
era arrivato il
momento di riportarle i vestiti ormai asciutti da almeno una settimana.
Risi.
Come avrei fatto a spiegarle la situazione? Gliela avrei dovuta
spiegare?
Oppure era meglio tenerla nascosta? No con lei avrei dovuto essere
sincero fin
dall’inizio. Avrei dovuto dargli un opportunità.
Adesso mettevo il nostro
destino nelle sue mani. Da una parte speravo che scappasse, ma
dall’altra avrei
voluto che sfidasse la morte per stare con me. Afferrai i suoi vestiti.
Li misi
in una busta. Stavo per uscire quando mi arrivò un fax.
Sapevo già che cosa
diceva, ma per quel giorno l’avrei ignorato. Solo per quella
mattina. Me ne
sarei occupato per il pomeriggio e se fosse stato qualcosa
d’urgente se ne
sarebbe occupato David.
Strada facendo mi fermai da un
fiorista e comprai un mazzo di gigli bianchi. Era incredibile come mi
sentivo.
Mi sembrava di essere un bambinetto tra i banchi di scuola alla prese
col suo
primo amore. Mamma mia! Se continuo così va a
finire che ci rimango secco!
Arrivai sotto casa sua e meno
male che la porta d’entrata era già aperta. Mi
precipitai su per le scale
controllando in tutti i pianerottoli se ci abitasse una certa Kelly
Ann.
All’ultimo piano di 10, finalmente la trovai. Non abitava da
sola. Condivideva
l’appartamento con una certa Christin bla bla bla…
particolari poco importanti!
Bussai con la speranza che venisse ad aprire lei. La faccenda dei
vestiti
poteva indurre a conclusioni sbagliate e non mi andava di dare
spiegazioni
inutili. Aprì la porta e il mio cuore ebbe un tuffo molto
alto quando la vidi
in tutto il suo splendore. Indossava ancora il pigiama e aveva
l’aria ancora un
po’ assonnata. Di sicuro si era appena svegliata.
“ciao” mi salutò con un cenno
della mano
“ ciao…scusa sono venuto in un
momento sbagliato?”
“ oh no!!” si affrettò a
rispondere invitandomi ad entrare. Le porsi i fiori e in un secondo
momento
anche i vestiti. “ mi dispiace se ci ho messo tanto.
È stata una settimana un
po’ infernale”
“ah si? Qualche problema?”
“ no no…niente di interessante” si
e per fortuna che dovevi essere sincero! Mi
rimproverò la mia testa. La
verità è che mi piaci da morire Kelly. Voglio
stare con te. L’unico problema è
che potresti essere uccisa da un momento all’altro se stai
con me. Scappa fin
che puoi! Rimani con me per sempre…
Scossi la testa nel tentativo di mandare via tutte quelle
voci contrastanti che mi facevano impazzire.
“sicuro di stare bene?” mi chiese dalla cucina dove
stava
mettendo i fiori in un vaso con dell’acqua.
“ si, no, forse…e tu?
“ tutto a posto…ti dispiace se vado un attimo in
bagno?
Fai come se fossi a casa tua. È solo che non mi aspettavo
questa visita.”
“no fai con comodo…sono venuto a un orario un
po’ balordo”
“le dieci e trenta non sono certo un orario
balordo!” guardai l’orologio. In effetti aveva
ragione.
Il cellulare mi vibrò in tasca. Guardai il display. Era
David. Forse c’era qualcosa che non andava? Magari eravamo
stati attaccati
dagli alieni e non me n’ero nemmeno accorto. In fondo quando
stavo con lei era
come se fossimo isolati dal mondo intero. Non mi andava di rispondere.
Se
avessi risposto molto probabilmente mi avrebbe convinto a occupare
l’incarico
che mi era arrivato per fax questa mattina. Se, invece, non avessi
risposto, ed
era qualcosa di importante, avrebbe potuto farsi male qualcuno. Io ero
il
migliore e proprio per questo non potevo permettermi punti deboli. Tra
l’incudine e il martello decisi di rispondere.
“cos’è successo David?”
“dove diamine sei furbacchione?”
“c’è qualche problema?”
“si. Il capo vuole sapere dove tu sia e voglio essere
sicuro di mentire per una giusta causa”
“lo sai che impossibile mentire con… quel genere
di
persone” non potevo parlare liberamente con Kelly nei paraggi.
“Ehy così mi smonti l’entusiasmo! Lo sai
che da un premio
a chiunque riesca a mentirgli senza essere beccato”
“ed è proprio per questo che è
impossibile! Comunque non ti serve il mio aiuto per questo”
“aspetta bello aspett…tu.. tu…tu.. tu...”
David era un grande amico, ma una cosa che mi
faceva veramente arrabbiare era quando si impicciava degli affari miei.
Un
conto era se glieli raccontavo io i fatti miei, un conto era quando ci
metteva
liberatamene il naso senza chiedere permesso.
“tutto okay?” non mi ero neanche accorto che
Kelly era uscita dal bagno e mi stava studiando. Adesso aveva
decisamente un
aspetto migliore. Si era pettinata i capelli e si era cambiata
d’abito. Aveva
messo una camicetta colore blu cobalto. Quel colore le stava veramente
bene.
Oltre alla camicetta, aveva indossato un paio di jeans. Se erano
bastati pochi
minuti per renderla così radiosa non potevo nemmeno
immaginarmi il risultato di
ore e ore di make-over.
“ in verità no.”
“ se vuoi ti ascolto…”
“ il punto è che ho un amico
veramente…poco
intelligente, che mi fa prendere dei colpi esagerati per veramente
delle
cavolate.”
“ uhm posso capire…” di sicuro stava
rimestando
dentro i suoi ricordi. Chissà quante volte le poteva essere
successo.
“ti è mai capitato?”
“eh se fossero questi i problemi della
vita…”
“si hai ragione…e quali sarebbero i problemi
della vita?”
“ mah…la morte di qualcuno, problemi di
salute,… tutto ciò che riguarda
l’amore…”
“ non sai quanto hai ragione riguardo
quest’ultimo punto!” la frase mi venne fuori come
un sospiro. ma che cosa ti
salta in mente! Così sbagli tutto! in effetti la
mia coscienza non aveva
tutti i torti! Come conquistare una donna se le confesso che
l’amore crea
soltanto dei problemi? Però…è stata
lei a cominciare…
La sua espressione mutò velocemente e la vidi
fissarmi con occhi brucianti di curiosità. Cercava di
capirmi, di capire la mia
affermazione. Faceva quasi male. Magari si credeva la più
brava in quel campo.
La più brava a capire le persone con problemi e se fosse
stato così io sarei
stato per lei una sfida, la sfida più complicata che avesse
mai affrontato!
“avuto così tanti problemi” disse quando
finalmente si spense il fuoco che c’era nei suoi occhi verdi.
Non era una
domanda. Era un’affermazione. Okay, in fondo era brava. Molto
probabilmente
esperienza personale.
“ piuttosto complicati…”.
Riuscivo quasi a sentire la sua mente che si
ripeteva quest’ultima frase come un cd incantato e riuscivo
quasi a percepire
le varie strade che le si aprivano nella testa collegandosi con le mie
parole
ma che
è? Un computer?.
Non ci avevo ancora
fatto molto caso, ma aveva
gli occhi di una bella tonalità di verde. Erano molto
espressivi. Quello che si
sul dire essere un libro aperto.
“se vuoi ti ascolto”. Era già le seconda
volta
che sentivo dirle quella frase in una mattinata e la cosa non mi
piaceva.
Odiavo parlare di me. Soprattutto quando si toccavano temi personali
sui quali
dovevo tenermi sul vago per non tralasciare troppe indicazioni.
“no…in fondo è colpa mia. È
sempre colpa mia!”
dalla sua espressione dedussi che dovevo essere stato piuttosto duro.
Adoravo
il mio lavoro, ma per una volta avrei voluto tanto farla finita.
Quando finii la scuola ero super emozionato.
Non ero mai stato il tipo da legarsi sentimentalmente a una persona. Mi
bastava
qualche sventola sotto le lenzuola e via così. Vivevo solo
per il lavoro,
lavoro e lavoro. Adesso come non mai, sentivo forte il bisogno di una
compagna
stabile, una compagna che mi aspettasse a casa finito il lavoro e mi
chiedesse
come fosse andata. Che mi coccolasse e mi riempisse di tanti piccoli
baci come
le avessi detto che ero stanco da morire.
“Scusa. Sono stato scortese prima”
“non fa niente” si alzò dalla sedia dove
si era
seduta e venne a sedersi di fianco a me. Forse non era pronta per
sapere la
verità su di me. Forse sarebbe stato meglio se se aspettassi
almeno qualche
settimana. “ si…rosoliamole la taste
prima che sappia la verità! Facciamo
che si innamori perdutamente e che ormai sia scontato che vada contro
tutto
persino la morte pur di starti vicino!”
“ti va di uscire una di queste volte?” il suo
viso si illuminò. Sfoggiò un sorriso perfetto e
accettò l’invito.
“ti va bene questo sabato?” ti prego
dì di
sì, ti prego dì di sì…
Il suo viso si trasformò in una smorfia.
“mi spiace. Ho già un impegno! Che ne dici di
un altro giorno?”
“uhm…venerdì?”
“perfetto” e sul suo volto tornò quel
fantastico sorriso che mi aveva già fatto perdere la testa.
“venerdì” diedi conferma alzandomi dal
divano e
avviandomi verso la porta di casa. Lei mi accompagnò sulla
soglia e mi salutò
col suo splendido sorriso. Pochi minuti dopo mi trovavo a camminare per la
strada con una voglia immensa di urlare e di saltare. Aveva accettato
di uscire
con me.
Ps:
scusate se questo capitolo è un po' lofio...spero che
andando avanti troverete tutto quanto molto
più....interessante! A voi i commenti!!
|
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Capitolo 5 *** capitolo 5 ***
mi spiace per chi si
aspettava di leggere che cosa sarebbe successo venerdì sera,
ma adesso si ritorna
alla seconda storia che credo riuscirete finalmente a capire che cosa
ci centrava
con la prima
BUONA LETTURA!!
Fan Fiction
“
Quindi io dovrei fare Kelly?”
“ esatto. È una fan fiction. Io
interpreto James e tu Kelly…ci stai?”
Mi sembra che
non ci sia niente di
male…
“ va bene…adesso provo a scrivere
qualcosa anche se non ho idea di cosa ci salti
fuori…”
“tu provaci lo stesso…aspetto di
leggerti con impazienza”
“cercherò di metterci allora più
tempo possibile!” mi divertivo a chiattare con Riccardo. Non
so perché, ma mi
ispirava simpatia quel ragazzo così tanto più
grande di me. Magari gli adulti
fossero tutti simpatici come lui! Aveva sicuramente catturato la mia
attenzione
con questa trovata della fan fiction. Peccato che non potevo fidarmi di
lui. I
miei genitori mi avevano messo ben in guardia sulle chiat. Non dovevo
fargli
sapere niente di me. Non sapevo chi era, che cosa voleva. Eppure
c’era qualcosa tra di noi.
Mi risultava così facile scherzare, chiacchierare. Una
leggera sintonia sentivo
trascinarmi via. Così, nella mia testa, i pensieri nacquero.
Comincia a
fantasticare da brava sognatrice. Eppure era solo uno sconosciuto ed
era già
tanto che avevo accettato la sua proposta di scrivere. Mi sembrava di
impazzire, ma mi feci trasportare da questa irrealtà che mi
catturava. Mi
sistemai comoda sulla sedia. Sorseggiai il bicchiere di coca-cola che
appoggiai
sopra al mio libro di storia che si trovava proprio di fianco al
computer. La
scuola era finita, ma dovevo sostenere l’esame di terza
media. Aprii una nuova
pagina di Word e cominciai a scrivere un pezzo da inviare poi a
Riccardo. Era
estremamente semplice identificarsi in Kelly…talmente
semplice che solo quando
smisi di scrivere mi resi conto che già tenevo moltissimo al
personaggio che
stavo costruendo, inventando, creando su mia immagine.
Lo so che è
corto ma mi farò perdonare postando subito un'altro
capitolo
Adesso tocca il punto di
vista di Kelly!!
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Capitolo 6 *** capitolo 6 ***
Nuovo capitolo
perchè:
1-molto probabilmente
non riuscirò a postare per un po'
2- mi devo fare
perdonare dal pezzo corto di prima...
Kelly
Il sole splendeva radioso quella mattina. Dalla
finestra filtrava una luce d’orata che mi svegliò
accarezzandomi lieve il viso.
Ancora con gli occhi chiusi il mio cervello cominciò a
programmare il resto
della mia giornata. Mi alzai conscia di dover sopravvivere a una
giornata di
ansia. Non vedevo l’ora che arrivasse la sera. Raggiunsi il
bagno. Mi sciacquai
la faccia e mi lavai i denti accendendo la radio sul meteo.
“annunciamo che oggi sarà
una giornata perfetta
da ogni punto di vista meteo. Di giorno il cielo sarà
leggermente coperto con
una temperatura massima di 25° C. Un leggero venticello serale
sgombrerà il
cielo da ogni tipo di ostacolo per poter avere una nottata
completamente a
cielo scoperto. Annunciamo in oltre che da questa sera sarà
perfetto poter
avvistare Marte e solo in piena notte anche Giove.”
Partì subito dopo il
tormentone dell’estate che cominciai a cantare a squarcia
gola svestendomi e
entrando in doccia. Stranamente l’acqua calda non aveva avuto
effetti
rilassanti quella mattina perché quando uscì mi
ritrovai ancora più agitata di
prima.
“ è colpa del tempo che
scorre troppo in
fretta!” mi aveva
detto Chris.
“primo appuntamento uguale ansai
mortale!!”
mi accorsi in quel momento di quanto aveva
ragione. Fino a un attimo fa non potevo resistere un solo minuto in
più senza
vederlo, ma adesso.. eh…adesso volevo soltanto poter avere
molto, molto più
tempo a disposizione! Non avevo ancora pensato a cosa mettermi ed erano
già le
undici e un quarto! Mannaggia alle tue abitudini da
dormigliona!
Mi precipitai subito al mio armadio e cominciai
la ricerca senza fine dell’abito perfetto. Forse
può andare qualcosa di
questo genere…no! Così non va bene! ho bisogno di
Chris!
Mi fiondai al telefono e composi il numero che
tanto sapevo a memoria. Ormai erano le dodici e quaranta. Era uscita da
un
pezzo dall’ufficio. Meglio…così non
l’avrei disturbata.
“non trovi niente da
mettere?” come faceva a
capire sempre di cosa avessi bisogno? Di
che ti stupisci? È Chris!!
“mi aiuti?” il mio tono
supplichevole non
ammetteva repliche
“aspettavo solo il via libera! Tra
un’ora ti porto
i vestiti!”
“ma che cosa hai in mente?”
però se esageri
non va bene
“non ti preoccupare…ci
penso io. A tra un’ora
precisa!” e mi attaccò il telefono in faccia senza
lasciarmi il tempo di
replicare.
L’aspettai con ansia. Forse con
troppa ansia
ma, se da un lato riusciva a capirmi come se fosse il mio grillo
parlante,
dall’altro mi spaventava terribilmente! Sapeva rendere le
cose più semplice
formidabili e le cose più elaborate pompose. Non avevo idea
di come mi sarei
vestita e non sapevo esattamente cosa mi sarei dovuta mettere e per
questo
ringraziavo il cielo di avere un’amica come Chris che mi
levava questo pensiero
di dosso. Speriamo si contenga!
Continuavo a vagare per la casa.
Era scoccata l’ora da almeno dieci
minuti e di
Chris nessuna traccia. Finalmente suonò il campanello. Corsi
ad aprire e mi
trovai davanti una montagna di vestiti. Ecco cosa intendevo per
esagerare!
“immagino che ci vorrà un
po’ per decidere” la
feci entrare e cominciai subito a guardare cosa mi aveva portato.
Dopo un pomeriggio passato tra “
questo non
va bene!” e “troppo
normale!”; riuscì a trovare il vestito
che
secondo lei era perfetto.
“tesoro sei un incanto!”
saltellava per la
stanza entusiasta del lavoro compiuto.
Io più mi guardavo allo specchio e
più mi
sembrava di essere una bomboniera troppo elaborata.
Con una smorfia le feci capire che non mi
piaceva affatto e buttai lo sguardo sulla massa d vestiti che avevo
provato. Ne
rimanevano veramente pochi e il mio si era dimostrato essere un caso
veramente
disperato.
Presi un abito nero che avevamo subito scartato
visto che secondo lei era “troppo da brava
ragazza”. Lo indossai, abbinandogli
un paio di scarpe nere vernice col tacco e una giacchetta marrone nel
caso
quella sera avesse fatto più freddo del solito. Mi sciolsi i
capelli appena
lavati e mi guardai allo specchio soddisfatta. Suonò il
campanello mentre stavo
finendo di truccarmi e sentii Chris andare ad aprire la porta.
Sperai che non cominciasse a fargli il terzo
grado come da suo solito. La mia mente cominciò a prevedere
tutti i modi più
orrendi con il quale la mia amica avrebbe potuto accoglierlo. Dopo quel
breve
viaggio sperai con tutta me stessa che non sarebbe accaduta qualsiasi
cosa la
mia mente aveva già previsto, magari esagerando un pochino,
ma…la figuraccia
c’era comunque. C’era troppo silenzio. Dovevo
andare a controllare. Mi
affrettai a raggiungere il salotto. Non era da Chris non parlare e
questo
silenzio mi terrorizzava quasi più dell’abito da
bomboniera che mi aveva fatto
provare prima. Voltai l’angolo e lo spettacolo che ritrovai
davanti mi fece
finalmente respirare. Chris stava borbottando qualcosa riguardo certe
carte che
doveva firmare.
“ ma dov’è che
dovrei firmare?”
“ proprio qui!” le
ripeté l’uomo mostrandole il
punto esatto. Mi sembrava spazientito, ma evidentemente non aveva mai
lavorato
con lei. In fatto di testardaggine non la batteva
nessuno…forse solo io.
“grazie mille” disse Chris
accompagnandolo alla
porta “ la prossima volta
però…” si interruppe a metà
frase. Altra cosa non da
Chris. Aveva aperto la porta e si era ritrovata faccia a faccia con
James.
“tu
devi essere James”
“ e tu
devi essere
Christin”
“il tipetto
è sveglio!” disse
rivolgendosi a me e stringendogli la mano che gli aveva proposto. Mi
sentii le
guance bollire e mi nascosi velocemente dietro al muretto che precedeva
l’ingresso del bagno.
“entra pure! Cosa
ci fai come un
fesso impalato sulla porta di casa?!?” adesso ero di un
colore bordò. Corsi in
bagno prima che mi potesse vedere e lì cercai di riprendere
a respirare normalmente.
Restai per qualche
minuto in attesa ad
ascoltare il mio respiro lento e profondo. Sentivo la sua voce
chiaramente e
improvvisamente mi sentii abbracciare da quel calore protettivo che
provavo
sempre quando gli stavo vicino. Avevo voglia di vederlo e inoltre non
potevo
permettergli di parlare da solo con Chris. Lei sapeva troppe cose
imbarazzanti
sul mio conto. Voltai l’angolo che mi divideva dalla sua
visione. Era di spalle
a me e stava ridacchiando con Chris. Sembravano essere entrati da
subito in una
perfetta sintonia come se si conoscessero da una vita. Come entrai
Chris mi
fissò facendogli capire che avevo fatto il mio ingresso. Si
voltò lentamente e
aspettai il suo giudizio con più ansia del previsto. Dopo
aver studiato il mio
vestito, il suo sguardo si incatenò nei miei occhi e sperai
vivacemente che non
avesse notato l’imbarazzo che provavo ad essere al centro
delle sue attenzioni.
se non parli tu
tocca farlo a
me! “ciao” non so come riuscii a trovare
la forza di parlare.
“ciao…sei
stupenda Kelly” disse
continuando a squadrarmi. Il suo sguardo attento faceva quasi mele e mi
costrinse a fissare la parete dietro di lui
“grazie”
“pronta per
andare?” mi chiese
proponendomi il braccio che accettai sperando di non sembrare
un’imbranata
totale
“ sicuro”
“bhe arrivederla e felice di
aver fatto la sua conoscenza” disse James a Chris con un
cenno della testa. Se
non l’avesse interpellata non mi sarei nemmeno accorta che ci
stava fissando.
Stava per scoppiare. Lo sapevo. Era sempre stato così.
Sorriso sognante, occhi
lucidi, guance rosse e come se non bastasse si stava torturando il
labbro
inferiore con i denti.
“fate a modo!” la fulminai
subito e la vidi ridacchiare di gusto mentre la porta si chiudeva alle
nostre
spalle. Mi sarei dovuta appuntare nella mente ogni singolo particolare
per il
resoconto che mi avrebbe sicuramente chiesto quando sarei rientrata.
Non potevo
nemmeno sperare di trovarla a dormire. Io ero il suo regalo la notte di
natale
e lei una bambina troppo curiosa e impaziente. Scossi la testa cercando
di
scacciare quei pensieri e di concentrarmi sulla persona che tenevo a
braccetto.
“qualcosa non
va?” mi chiese
James spezzando il silenzio che si era creato tra noi
“quando
tornerò dovrò farle un
resoconto dettagliato della serata…”gli dissi con
una smorfia che sperassi
potesse passare per carina.
Dalla
sua bocca uscì una risata cristallina che non mi sarei
aspettata.
“eh già…avevo
l’impressione che stesse per
scoppiare”. Mi sentii le guance avvampare e fissai lo sguardo
sui nostri piedi
che camminavano sul marciapiede affollato di New York.
“te ne sei
accorto…”“era impossibile non
accorgersene!” stava
ridendo divertito anche se io non ci vedevo niente di così
divertente. Insomma
riderei se la situazione fosse ribaltata?… sì,
assolutamente sì!
Mi misi a ridere con lui ripensando alla faccia
di Chris in fase “esplosione”. Non stavo neanche
badando a dove andavo. Mi
lasciavo trasportare da lui senza la minima obiezione.
“ dove stiamo andando?”
“eh eh…sorpresa”
“non mi dire che mi devo bendare o
una cosa del
genere?!”
“ti fideresti?”
“si” ero sicura di quello
che dicevo. Mi fidavo
della persona che avevo davanti a me. Lui però non sembrava
che l’avesse presa
bene. Cominciò a guardare avanti con lo sguardo perso nel
vuoto, pensieroso. Mi
fidavo di un uomo che non mi aveva ancora detto nulla di se, che mi
teneva
nascosto qualcosa. Ma ero normale? Ero quasi sicura del fatto che
c’era
qualcosa di cui avere paura in James, ma allo stesso tempo ne ero
attratta,
terribilmente attratta. Prima o poi me l’avrebbe detto. Me
l’avrebbe detto
quando sarebbe stato il momento più opportuno e io
l’avrei accettato. Non
potevo rinunciare al mio sole invernale. L’avrei aspettato;
avrei cercato di
farlo felice; avrei cercato di non perderlo.
“non dovresti” continuava a
tenere lo sguardo
fisso davanti a se e così feci anch’io
“si…mi fido di
te”
“sembri proprio
irremovibile”
“lo sono”
ridacchiò divertito e
continuò a condurmi per
le vie di New York. Attraversammo Central Park fin quando non apparve
davanti a
noi, un tendone. Il tendone era completamente illuminato da lucine
minuscole
bianche che ne sottolineavano la forma e i particolari. Mi condusse al
suo
interno e mi trovai in una stanza buia. Lo sentii allontanarsi da me e
accendere un interruttore che diede luce alla stanza con un rumoroso clic.
Rimasi sovrastata dalla bellezza di quel posto. Le pareti dorate e i
rinfreschi
sul muro potevano benissimo appartenere a una villa rinascimentale. Il
lampadario d’antiquariato dava sicuramente un tocco di magia
che ci riportava a
un’altra epoca. Stranamente mi era famigliare. Cercai di
capire dove potessi
aver mai visto una stanza del genere, ma non mi venne in mente niente.
Non era
paragonabile neanche al più sfarzoso dei sogni da
principessa che ogni bimba fa
di tenera età. Cercai il mio principe con lo sguardo. Lo
trovai dall’altra
parte della stanza e lo vidi sfoggiare quel suo sorrisetto sghembo che
mi
lasciava sempre senza fiato. Lo vidi farmi cenno di avvicinarmi a lui.
Quando
gli fui abbastanza vicino mi prese per i fianchi e mi condusse
all’interno di
quello che avrebbe dovuto essere il guardaroba. Mi fece scivolare via
la giacca
leggera che avevo preso per precauzione e la ripose in un armadio. Poi
fece lo
stesso con la sua giacca e stringendomi la mano mi riportò
nella stanza di
prima. Sul lato di fronte a me c’era un palchetto con sopra
qualche violinista
e un pianista che stavano accordando i loro strumenti. Sulla nostra
sinistra un
immenso bancone dove i cuochi si stavano preparando a cucinare la
nostra cena
proprio sotto i nostri occhi. Mi sembrò troppo strano che
non ci fosse nessuno.
Eppure erano le nove passate. Il locale dovrebbe essere già
stato pieno. Si
avvicinò a noi un uomo che sembrava un pinguino imbalsamato.
“ buonasera mademoiselle!”
disse porgendomi la
mano. La afferrai e lui si portò la mia mano alle labbra
baciandola lievemente.
“ Sono onorato di fare la sua conoscenza”
“l’onore è tutto
mio”
“non ha idea di quanto ci ha fatto
galoppare
quest’uomo! Ma capisco perfettamente il perché
ora…vi auguro una bella serata!”
disse poi rivolgendo una rapida occhiata a James e facendo un cenno ai
musicisti cominciarono a suonare una melodia
lenta. Guardai James incredula. Mi sfoggiò un sorrisino
imbarazzato e poi mi fece accomodare su
una delle due sedie dell’unico tavolo apparecchiato per due.
Non smise un
secondo di studiarmi con il suo sguardo furbo e leggero. E lo stesso
feci
anch’io.
“ti prego di
qualcosa…così
rischi di uccidermi” aveva abbassato lo sguardo sulle sue
mani che si
torturavano nervose. Mi mossi velocemente sorprendendolo e coprii la
breve
distanza che c’era tra noi posandogli la mia mano sulle sue e
costringendolo
così ad alzare lo sguardo. I suoi occhi furono nei miei e
fui di nuovo presa
dal panico più totale.
“È
stupendo…” sussurrai
quasi come non volessi essere
sentita.
intrecciò le sue
dita con le mie
e i miei occhi si fermarono a guardare le nostre mani intrecciate. E
questo
come lo farò a spiegare a Chris? Mi piaceva
terribilmente quella visione.
Sorrisi ancora di più di quanto stessi già
facendo prima.
“sei
felice?” i suoi occhi
cercarono ancora i miei per controllare che dicessi la verità
“sì, e
tu?”
“terribilmente
felice” mi sentii
avvampare nuovamente le guance
“spero vi
divertiate…” era
tornato il pinguino imbalsamato
“non potrebbe
andare meglio”
rispose James staccando gli occhi da me per poterli posare sul pinguino
“oh bhe
vedo…” disse il pinguino
posando gli occhi sulle nostre mani intrecciate in bella vista sopra al
tavolo.
Sentii la mano di James stringere la mia con più forza e di
nuovo il suo
sguardo puntarsi su me.
“volevo chiedere
se posso
cominciare a portare la prima portata?”
“certo…proceda
pure”
Il pinguino alzò
i tacchi e si
diresse verso “la cucina”.
“sei un incanto
questa sera!
Molto…elegante”
“anche tu sei
molto elegante”
“ma mai alla tua
altezza”
“su questo ho i
miei dubbi…”
ridacchiò nuovamente lasciandomi sempre senza fiato.
“cos’è
che ti diverte?” chiesi
incuriosita. Continuava a ridere mantenendo i suoi occhi nei miei.
“sei
deliziosa” ridacchiai presa
di sorpresa e il pinguino ritornò con la prima portata. Le
nostre mani furono
costrette e lasciarsi e fui pervasa da un gelo inaspettato. Cominciammo
a
mangiare. I piatti erano tutti buonissimi e smettemmo di mangiare solo
quando
stavamo per scoppiare. Mi fece un sacco di domande sui miei amici, la
famiglia
e le mie passioni. Le domande, come per me non mancarono neppure per
lui anche
se ogni volta che s stava per toccare l’argomento famiglia
cambiava velocemente
discorso. Nonostante questo piccolo particolare, parlammo, ridemmo,
scherzammo
davvero tanto. I musicisti non smettevano mai di suonare e il pinguino
naturalmente non perdeva un attimo per chiederci come andasse la
serata.
“allora come va
la serata? Vi
divertite spero”
“si era tutto
buonissimo”
“ ne sono felice…volete un
caffè?”
“per me uno
macchiato, grazie”
“e per lei
signorina?”
“un cappuccino,
grazie”
“arrivano
subito” tagliò corto e
sparì dietro a un bancone.
“ giuro che se
torna un’altra
volta domani gliene dico quattro”
“ si
può sempre andare via senza
pagare il conto”
“ non sarebbe una
cattiva idea”
ridacchiò alla ricerca della mia mano “peccato che
me lo farebbe arrivare
direttamente a casa”
“vi conoscete
già?”
“se ci
conosciamo? È
praticamente mio zio!” cominciò ad accarezzarmi la
mano con il pollice
disegnando sul dorso cerchi immaginari.
“sinceramente non
me lo
aspettavo”.
Continuava a ridere
divertito
dalla mia reazione “si…dicono tutti
così! Guarda un po’ come riesco a farlo
arrabbiare…”
Il pinguino, praticamente zio di
James, si rifece vivo con le nostre ordinazioni.
“ ecco qui! Il
cappuccino per la
signorina e il caffè macchiato per James.”
Suo zio?
Impossibile!
“ehy zio tua
moglie mi sta
facendo morire…lo sai quello che
vorrebbe…”
“ quante volte te l’ ho detto di
non chiamarmi in quel modo?! E di a mia moglie di lasciarmi in
pace!!”
“okay va
bene….zio”
“sei un caso
disperato!” e così
dicendo alzò i tacchi
“non vuole essere
chiamato zio.
Dice che sa troppo di vecchio” mi spiegò quando
“lo zio” non era a portata
d’orecchio.
“che cosa vuole
sua moglie?”.
“vuole che lui
torni a casa da
lei. Pensa che sia partito in giro per il mondo. La realtà
è che non vuole
averla tra i piedi mentre lavora perché gli rovina tutto. Le
vuole bene, ma è
assolutamente geloso del suo lavoro”.
I musicisti smisero di
suonare
per un attimo e dopo qualche minuto di silenzio ripresero e suonare una
canzone
che conoscevo molto bene vista la passione di mia madre per la musica
classica.
Fin da quando ero dalla
culla mi
aveva istruita a riconoscere un compositore dall’altro a
orecchio. Se c’era un
compositore che a lei piacesse, allora me lo faceva conoscere
inculcandomi il
suo stile. Adesso stavano suonando una canzone di Yiruma.
“è
molto bella questa canzone”
dissi infine dopo una lunga pausa di silenzio. Mi ritornarono in mente
tanti
ricordi di mia mamma.
“dopo una
giornata di scuola mia
madre mi accoglieva sempre con questa canzone nello stereo e una bella
fetta di
torta la cioccolato appena sfornata” chiusi gli occhi invasa
da ricordi.
Riuscivo quasi a sentire l’odore del cioccolato caldo e la
voce di mia mamma.
Poi un’altra voce. Era quella di Michael.
“non
devi avere paura.”
Come potrei mai dimenticare
quel
giorno.
“non ci riuscirò mai!”
“ci sono
io. Guarda me. Non è
difficile”
“Michael
per l’amor del cielo
sta attento!”
Risentii il mio cuore
continuare
a battere incredibilmente veloce. Il mio respiro pesante.
“Michael!”
le mie urla
tornarono come fantasmi nella mia mente. Quella notte. La notte che si
è chiusa
per sempre su di me e Michael
“Kelly
mi sposo”
“oh
Michael sono così felice
per te!” era il mio migliore amico. Risentii le
urla, il calore del suo
corpo sul mio. Era il mio migliore amico. Lo era sempre stato e lo
sarebbe
rimasto per sempre.
“Kelly
io voglio te!”
“ti
voglio bene”
“non mi
lasciare…”
“ho
giurato col mignolo”
“da
domani sono ufficialmente
in luna di miele”
“divertiti”
“non so
se ce la posso fare a
starti lontano per così tanto!”
“dai
così finalmente di
disintossichi da me”
“mia
mamma lo ha sempre detto
che su di me hai una cattiva influenza!” mi giunse
la sua risata
cristallina che avevo sentito per almeno sette anni e che adesso non
sentivo
più da un arco di tempo che sembrava molto più
grande. Sorrisi…sua madre e le
sue monotonie!
“Michael,
tesoro, lo sai che
disapprovo la tua amicizia con…quella ragazzaccia! Devi
trovarti una donna un
po’ più femminile…una donna che non
cominci a tirare calci e pugni a destra e a
manca solo perché le dicono che è una
femminuccia! Non va bene per tirare su
dei figli…”
“mamma
non la devo sposare!!
Siamo solamente amici!”
Di nuovo le mie urla di
terrore.
Di nuovo quella sensazione di freddo, di vuoto di solitudine. Il soffio
lontano
del treno che si avvicinava velocemente e quell’ultimo
sorriso di Michael
incastrato tra le rotaie del treno.
“Michael!!”
ma ormai non
avrei potuto più fare niente. Il treno non si
fermò.
“è
stato preso in pieno. Non
deve aver sofferto molto. Un colpo netto.”
Forse lui non aveva
sofferto. Io
invece si. Avevo sofferto troppo, e continuavo a soffrire.
“sempre
insieme non te lo
ricordi?! L’avevi promesso!” urlavo come
una disperata. Non mi presentai
nemmeno al funerale. Non mi era rimasto più niente. Sentivo
gli occhi umidi. Non
adesso ti prego… niente da fare. Le lacrime
cominciarono a bagnarmi gli
occhi.
“scusami due secondi” mi diressi
verso l’uscita senza degnare James di uno sguardo. Feci il
giro del tendone di
corsa. Dovevo trattenermi. Non potevo piangere. Avrei dovuto poi dare
delle
informazioni. Non volevo. Quando fui dalla parte opposta
dell’entrata mi
appoggiai con la schiena al tendone. Mi lasciai scivolare a terra e
permisi al
mio corpo di scoppiare. Le lacrime mi solcavano le guance. Il mio corpo
era
pervaso da convulsioni di dolore. Dopo tre anni eccomi ancora
qui a
piangere. Fai schifo! Michael non lo vorrebbe…
Sentivo freddo benché fuori ci
fossero 25° C. L’angelo nero mi stava
trascinando nuovamente con se. Io non opponevo nessuna resistenza. Non
mi
interessava più niente. Volevo vivere nel ricordo. Volevo
morire. Mi mancava il
mio amico. Ero sempre stata egoista e non riuscivo ad accettare che lui
fosse
morto per un mio capriccio. Se solo avessi guardato con occhi lucidi!
Era morto
proprio sotto i miei occhi, gli stessi occhi con i quali
l’avevo guardato con
disprezzo, gli stessi occhi con il quale lo avevo sfidato a un gioco
fatale.
Il ponticello andava da una
parte all’altra della depressione nella quale si trovava una
delle ferrovie più
antiche ancora in uso di tutta l’America.
Mi afferrò il
cappello e lo
buttò giù.
“vallo
subito a riprendere!”
“prima
le signore!”
“ma io
ho la gonna! Non ci
riuscirei a scendere per la fune! E poi scusa, ma sei tu che me
l’ hai buttato
di sotto…vallo a riprendere tu!”
“non mi
va…”
“brutto
stronzo!”
“ma come
siamo simpatiche
questa mattina!”
Guardai la luna e le stelle
brillare in quella splendida nottata.
È
possibile che rovino sempre
tutto! Mi strinsi nelle braccia ancora tremante dal dolore.
“scommetto
che non hai il
coraggio di lanciarti con la fune e andare a riprendere il mio
cappello!”
“Kelly
non mi sfidare
inutilmente” ero furiosa, ma se solo avessi potuto
sapere a cosa andasse
incontro! Non l’avrei mai lasciato andare. La sua ora non
sarebbe dovuta
scoccare proprio quando io avevo più bisogno di lui.
Ascoltavo i miei
singhiozzi. I
miei polmoni cercavano e inspiravano aria avidamente mentre io
continuavo a
stringermi con la testa appoggiata alle ginocchia. Rividi il suo viso.
Il suo
viso sorridente diventare una maschera di sangue e essere trascinato
nel buio
dall’angelo nero, lo stesso angelo che adesso mi stava
catturando tra la sue
grinfie. Improvvisamente mi sentii circondare da altre braccia
più calde. Mi
ricordai il motivo per cui ero sopravvissuta a questi anni senza un
faro in
mezzo al mare in tempesta. Dovevo andare avanti. Mi sarei divisa in
due. Una
Kelly per il passato e una Kelly per il futuro. Non potevo di certo
starmene lì
ad aspettare di poter rivedere il mio migliore amico. Avrei vissuto.
Dovevo
vivere. Vivere e sorridere dei guai e poi pensare che domani
sarà sempre
meglio. Vivere e non essere mai contenta, vivere anche se ero morta
dentro. Se
non sarei riuscita a vivere per me l’avrei fatto per qualcun
altro. Qualcuno mi
strinse forte e soffocò il mio viso sul suo petto. Respirai
a fondo quell’
odore di pulito che si diffuse velocemente in tutto il mio corpo. oh
James! Continuò
ad accarezzarmi e a baciarmi i capelli fino a quando non mi fui calmata
e solo
allora disse: “ti va di fare un giro o vuoi andare a
casa?”
“facciamo un
giro” volevo
rimandare il più possibile il momento in cui sarei stata
sola ad affrontare i
miei fantasmi. Mi porse il braccio e io lo afferrai. Cominciammo a
camminare e
sapevo che prima o poi sarebbe arrivata la classica domanda “
che cosa c’è che
non va?” oppure “come mai piangevi
prima?”.
“sono uno
stupido, scusami
Kelly” lo guardai forse con due occhi più grandi
della luna.
“perché
dici questo?” mi
sorprendeva sempre. Lasciò andare il mio braccio e si mise a
sedere sull’erba
fresca. Lo imitai continuandolo a guardarlo sperando che non cambiasse
discorso.
“perché
come è cominciata la
musica avevo intenzione di invitarti a ballare…ma non
l’ho fatto.” fissò lo
sguardo nel cielo coperto di stelle e rimase in silenzio per qualche
minuto
incantato da quello spettacolo. Non c’era luna ma le stelle
erano ben visibili
considerando la limitazione della calotta d’inquinamento che
ricopriva il
globo. Mi sdraiai appoggiata sui gomiti contemplando quel cielo
meraviglioso.
Chissà se si poteva vedere Marte proprio come avevano detto
questa mattina per
radio. Scrutai il cielo affondo nella ricerca di quel puntino che
doveva essere
Marte. Lo trovai.
“si vede Marte
questa sera”
dissi indicandolo con il dito.
“ma è
minuscolo!”
“lo credo bene!
voglio vederti
te se fossi a chissà quante migliaia di
chilometri!”
“si forse hai
ragione!”
“si…forse!”
gli feci eco ridendo. Ero felice. Lo ero per il momento. Mi erano
già capitate
questo tipo di crisi: ero contenta fino a quando avrei avuto qualcosa
per
distrarmi. Mi dispiaceva usare in questo modo James, ma proprio non
potevo
farcela senza di lui. Un giorno sarei riuscita a donargli amore. Non
volevo
farlo soffrire. Ci sarei riuscita. Il mio compito sarebbe stato quello
di farlo
contento. Più amore mi donava e più amore mi
sentivo in debito di restituirgli
sperando che anche a lui facesse bene almeno quanto lo facesse a me.
Adesso però mi sa
che vi vizio un po' troppo!!:p
se siete arrivati a
leggere queste frasi vuol dire che prima avete letto il mio lungo
capitolo e vi ringrazio in anteprima per i bei post che lascerete
sperando che siano
numerosi!!:p
okay forse pretendo
troppo!! l'imporante è che questa ff vi piaccia! bhe vorrei
chiedere a ladywolf di continuare a dare la sua scelta
personale dei brani da
accoppiare ai nuovi
capitoli...sempre che per lei non sia un peso!!^^"
|
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Capitolo 7 *** capitolo 7 ***
Grazie
mille Ladywolf per le tue costati recensioni e fornitura ufficiale
della colonna sonora!! Anche questa volta mi sono piacite moltissimo le
canzoni che hai scelto per i miei capitoli! bhe non è
assolutamente vero che hai un cattivo gusto! bhe per rispondere alla
tua domanda i miei capitoli non sono mai molto lunghi...quattro pagine
come massimo! l'ultimo è stata proprio un'eccezione che non
sarà molto frequente! :p
James
Era lì stesa accanto a me. Sotto la luce delle stelle la sua
bellezza risplendeva nel buio illuminandomi il cuore. Osservava attenta
il cielo. Qualcuno le doveva aver insegnato ad orientarsi sotto il
cielo stellato. Nell’arco di mezz’ora aveva
localizzato quasi tutte le costellazioni e le stelle più
importanti che conoscessi. Io ero stato addestrato. Io dovevo sapere
esattamente sempre dove mi trovavo. A volte era proprio fondamentale e
le stelle sono state uno dei miei mezzi più fidati.
“una cometa!” disse indicando una striscia di luce
che falcò il cielo in pochi secondi.
“esprimi un desiderio”la vidi chiudere gli occhi.
Il volto rilassato, le palpebre socchiuse e uno splendido sorriso
stampato sulla bocca. Come
sei bella quando sorridi. Mi ritornò in mente
la sua immagine qualche ora prima quando mi aveva lascito al tavolo da
solo. L’avevo seguita con l’intenzione di lasciarle
la sua privacy, ma come l’avevo sentita singhiozzare, fu
più forte di me. In un attimo ero inginocchiato davanti a
lei e la tenevo stretta al mio petto. Non poteva soffrire. Tutti, ma
non lei. Una voglia assurda di spaccare qualcosa mi pervase e il
desiderio forte di eliminare la fonte della sua tristezza, del suo
dolore, era veramente forte. Era colpa mia se soffriva. Volevo
invitarla a ballare come aveva detto che quella canzone la piaceva
veramente molto. Magari l’avrei distratta, invece il mio
egoismo l’aveva fatta star male. Volevo saper cosa pensasse,
volevo che mi raccontasse cosa le passasse per la testa. Il suo sorriso
sparì improvvisamente e la sua espressione mutò
rapidamente in una maschera di dolore. Si notava benissimo che cercava
di trattenersi. Poi quando si alzò e uscì dalla
stanza, mi sembrò di soffocare. Sentivo il suo dolore mio.
Non aspettai nemmeno un minuto e la seguii cauto.
Mi mossi velocemente roteando su un fianco e attirandola a me
circondandole la vita con un braccio. Rifugiai il mio viso
nell’incavo del suo collo.
“non voglio più vederti triste, piccola”
le sussurrai tra i suoi capelli. La sentii irrigidirsi sotto la mia
presa, ma non avevo intenzione di lasciarla andare. Almeno fino a
quando non si fosse abituata a quel genere di contatto. Le accarezzai
la testa lisciandole i capelli morbidi e ondulati.
Lasciai scorrere la mia mano lungo la sua schiena che si inarcava verso
di me, schiacciando i nostri corpi l’uno contro
l’altro. Mi passò distrattamente le dita tra i
capelli. Allora ci
stai…
“non ti permetterò nemmeno per un momento di
essere triste”. Non avrei permesso a niente e nessuno di
farla stare male.
“sai questo cosa vuol dire?” ci mise un
po’ per parlare di nuovo. La sua voce era vellutata e
talmente dolce che mi stordiva facendomi perdere la ragione. Se mi fa questo effetto la sua
voce, figuriamoci… mi rifiutai di continuare a
pensare di concludere quella frase.
“cosa?”. Qualsiasi cosa le sarebbe uscita dalla
bocca l’avrei fatta. Fosse stata anche la cosa più
terribile al mondo l’avrei fatta.
La mia bimba sorrideva. Forse la risposta era divertente. Ci saremo
fatti due risate. Inchiodò i miei occhi nei suoi e vi lessi
un leggero imbarazzo quando aprì la bocca per parlare.
“resta con me…” la sua voce persuasiva
mi fece raggelare il sangue nelle vene. Potevo sentire chiaramente i
miei neuroni bruciarsi uno ad uno nella mia testa. L’impulso
fu incontrollabile. La strinsi, forse con troppa forza
perché sussultò, e la baciai senza lasciarle la
possibilità di respingermi. Si strinse a me movendo le sue
labbra piccole e carnose sulle mie.
La mia mano continuava ad accarezzarla lungo la schiena e Kelly si
inarcava comprimendo il suo petto sul mio. Il desiderio di toccarla si
faceva sempre più forte, dovevo controllarmi. Non volevo
farla scappare. Bisognava fare le cose con calma. Quando il desiderio
fu incontrollabile, conclusi il bacio. Lei si accovacciò sul
mio petto e continuò a fissare il cielo. La mia bimba…
Inspirai felice l’aria tiepida cercando di riprendere il
controllo di me stesso. Mi sentivo…estasiato e sperai che
per lei fosse lo stesso. Le diedi un bacio sulla fronte.
Sospirò stringendomi. Le labbra piegate
all’insù in uno splendido sorriso e gli occhi
chiusi rilassati. Rimasi a fissare quello spettacolo che speravo di
poter vedere ogni notte prima di addormentarmi.
Restammo immobili sotto le stelle per molto tempo instancabili
l’uno dell’altra. Avrei voluto che il tempo si
fermasse e restare lì con lei fino alla fine della nostra
esistenza. Peccato che dovevo fare il cavaliere e accompagnarla a casa
almeno prima dell’alba. Erano le tre passate quando le chiesi
se voleva tornare a casa.
“non ho voglia di starti lontano” mi aveva detto in
risposta. Come la capivo. Anch’io non volevo starle lontano.
Erano solo poche settimane che ci conoscevamo e già non
potevo fare a meno di lei. Mi tirai su e lei mi seguì
a ruota. Le cinsi i fianchi e ripresi a baciarla.
“ puoi sempre rimanere a dormire da me” dissi con
le labbra sul suo collo entusiasta di averla nel mio letto e poterla
stringere per tutta la notte.
“faremo venire un infarto a Chris” disse senza
più fiato in corpo.
“questo sarebbe un si signorina Kelly Ann?”
mi prese il viso tra le mani e mi baciò dolcemente
sfiorandomi ripetutamente le labbra.
“resta con me…” la voce roca piena di
desiderio la fece sorridere. Cominciammo ad avviarci verso casa mia
mano nella mano. Non c’era nemmeno un taxi e arrivammo a casa
mia stanchi dalla lunga camminata.
“ecco qua” la feci entrare “bhe casa mia
ormai la conosci”
“eh già…”
“se hai bisogno del bagno è tutto tuo. Ti metto
sul lavandino una mia maglia che puoi mettere per dormire”
“grazie…”
“ti aspetto in camera” le diedi un veloce bacio e
le lasciai il suo spazio. Mi diressi verso la camera da letto passando
a controllare che non mi fosse arrivato nessun fax. Mi ero dato da fare
durante la settimana per poter avere il week-end libero e il capo era
stato intelligente da concedermi i pochi giorni liberi. Mi misi il
pigiama e mi sistemai sotto le lenzuola. Non mi fece aspettare molto.
Dopo neanche cinque minuti era al mio fianco. Si era lavata il viso
cancellando quel sottile strato di trucco e la mia maglia era
più che abbondante per lei. Mi eccitava terribilmente
vederla con solo la mia maglietta indosso. Si infilò sotto
le coperte e si sdraiò vicino a me appoggiando la testa sul
cuscino. La afferrai stringendola e accostai le mie labbra alle sue. I
nostri occhi si incatenarono. Sentii Kelly rabbrividire quando le
nostre labbra si incontrarono e pian piano chiusi le mie sulle sue.
Adoravo come mi baciava e adoravo il suo sapore. Capii immediatamente
che presto ne sarei diventato dipendente. Pian piano si
scostò da me sdraiandosi al mio fianco. La strinsi forte con
l’intenzione di non lasciarla mai più.
“notte bimba”
“a domattina”
“non vedo l’ora…” le diedi un
ultimo bacio sulla fronte e poi lasciai che la stanchezza si
impossessasse del mio corpo rilassando tutti i miei muscoli. Strinsi la
mia bimba poco prima di addormentarmi con la speranza che non sparisse
la mattina successiva al mio risveglio. In lontananza il rumore del fax
che stava stampando il contenuto di un messaggio che tanto, non avrei
letto.
|
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Capitolo 8 *** capitolo 8 ***
Grazie mille a tutti
coloro che leggono e commentano questa fan fiction, ma un grazie
speciale va anche a chi si limita soltanto a leggere. è
veramente bello vedere salire sempre di più i numeri delle
registrazioni!! adesso movimentiamo un po' la storia...
James
Mi svegliai contento quella mattina. Il sole non era ancora sorto e
quindi la stanza era buia. La sveglia sul mio comodino indicava che
erano le cinque e un quarto. Non ero mai abituato a dormire a lungo da
quando non andavo più a scuola. Mi rigirai nel letto
desideroso di controllare che lei fosse ancora lì. Dormiva
tranquilla, sdraiata su un fianco con i capelli attaccati al viso. La
mia maglietta si sollevava e abbassava insieme al suo petto in respiri
lunghi e profondi. Le diedi un bacio sulla fronte e mi alzai per fare
colazione. Raggiunsi la cucina e mi feci un toast. Poi andai in bagno,
mi lavai in attesa che Kelly si svegliasse. Passai davanti alla camera
fermandomi qualche minuto sulla soglia a guardarla dormire e, quando
realizzai che non si sarebbe svegliata prima di qualche ora, raggiunsi
il salotto e accesi la tv. C’era qualcosa del quale mi sarei
dovuto ricordare, ma la mio cervello sembrava essere andato in
sciopero. Un ombra sul muro attirò la mia attenzione, i
muscoli pronti al combattimento. Ci misi qualche secondo per capire che
l’ombra proveniva da me. Eppure c’era qualcosa di
diverso dal normale. Ripresi a guardare la televisione. Alle cinque del
mattino trasmettevano soltanto documentari. Spensi la tele gettando il
telecomando sul divano. Mi misi a passeggiare per la stanza e passai
davanti al fax. Una voce nella mia testa mi continuava a perseguitare.
Non mi lasciava in pace. C’era qualcosa che non andava.
Sentivo chiaramente il mio stomaco borbottare, nonostante avessi fatto
una colazione più che sufficiente, e i miei muscoli
contrarsi automaticamente ogni volta che udivo quel rumore. Mi bloccai
improvvisamente. Ormai l’avevo provata troppe volte quella
sensazione per poterla ignorare..la sensazione che stava per succedere
qualcosa. Raggiunsi il fax in due sole falcate. Non c’era
niente. Eppure ne ero certo di avere sentito il rumore di un foglio di
carta uscirne fuori. Non me l’ero sognato: ne ero sicuro. Il
suono del campanello mi riportò alla realtà
facendomi rizzare tutti i peli che avevo in corpo. per la prima volta
avevo paura. Non mi ero fatto trovare pronto e avevo messo in pericolo
Kelly. Se le fosse successo qualcosa non me lo sarei mai perdonato.
Guardai dallo spioncino cercando di escogitare un piano. Era David.
Sospirai di sollievo anche se, vederlo a casa mia, non era una bella
notizia. Come gli aprii la porte si catapultò nella mia
camera e sospirò. Non stava guardando la ragazza che dormiva
nel mio letto, ma la finestra della camera. Le controllò
tutte quante e solo quando ebbe finito mi degnò di uno
sguardo. Non l’avevo mai visto in quello stato. Aveva due
grandi occhiaie viola sotto agli occhi, segno che non aveva chiuso
occhio quella notte, e il viso stanco, ma la cosa che mi fece provare
un brivido lungo la schiena, fu il suo sguardo pieno di terrore.
Lanciò un’occhiata al mio fax.
“Hai ricevuto il messaggio del capo?” era
preoccupato, proprio come lo ero io. Gli feci segno di parlare piano.
“non l’ ho letto” dissi in quasi un
sussurro
“preferivo che mi dicessi no” sapevamo entrambi
cosa voleva dire.
“devi andare subito via da qui” riprese dopo che
ebbe meditato un pochino
“quando saranno qui?”
“in neanche un ora…tieni” mi mise in
mano delle chiavi “c’è parcheggiata
l’ultima auto disponibile in garage” e
così dicendo mi spinse fuori di casa “ Marco sta
pensando a rintracciare la spia e a farla fuori…tu
però ti devi mettere in salvo”
“ te cosa farai?” mi diressi verso il quadro
preferito di mia madre che occupava tutta la parete della sala. Spostai
il divano cercando di fare il minor rumore possibile. Presi il
telecomando della tele e schiacciai la combinazione segreta. Il quadro
si aprì in due e con lui si aprì pure la parete
dando alla luce il mio studio personale.
“io resterò qui”
“sei pazzo? Tu verrai via con me!”
“James stanno arrivando!”
“e allora?”
“e allora hanno saputo che in questa casa ci abita uno dei
nostri…” si interruppe controllando il cellulare
“è Marco…dice che ha compiuto la sua
missione. Sta portando il prigioniero al comando…”
“non c’è più niente da temere
allora”
“non credo proprio…il resto del messaggio
è solo per te” mi passò il telefonino e
rimasi a bocca aperta. Era un video di me e Kelly. Si vedevano
chiaramente le nostre facce troppe vicine. I nostri corpi aderire
perfettamente uno con l’altro e le nostre labbra appoggiarsi
delicatamente l’une sulle altre. Mi mossi velocemente per la
casa e cercai la telecamera che doveva essere rimasta nascosta per
tutto quel tempo. Era una di quelle micro-spie attaccata al muro. La
rabbia che avevo in corpo non si poteva misurare. Se mi sarebbe
capitato tra le mani il responsabile di tutto questo giuro che gli
avrei rotto il cranio a mani nude.
Presi il cellulare e cercai in rubrica il numero di Marco.
“ James hai visto il video?”
“ si, Marco”
“controllava la ripresa da fuori casa tua con un computer
portatile collegato con la micro-camera”
“niente però è in mano ai
capi?”
“un messaggio…un messaggio con scritto il tuo
indirizzo e basta. Verranno a cercare lo sai meglio di me.”
“si...grazie Marco”
“è il mio lavoro” riattaccò
la chiamata con una risatina e il rumore della macchina andare a tutta
velocità sulla strada deserta in sottofondo.
Intanto il video nel cellulare di David stava continuando ad andare
mostrando una ripresa zumata sul primo piano di Kelly che sorrideva e
mi baciava sulla guancia dandomi la buona notte.
Era così bella e indifesa che mi tolse il fiato. Provai una
gran pena per lei: lì sdraiata sul mio letto che dormiva
tranquilla ignara di quello che le stava accadendo. Non potevo
permettere che quel video cadesse nelle mani sbagliate e sapesse di me
e Kelly. Era colpa mia se adesso si trovava in pericolo. Dovevo stare
attento. Non era da me non accorgersi che c’era una
micro-camera nella mia stanza e per colpa della mia distrazione lei
adesso rischiava la vita. Riuscivo benissimo a proteggere me stesso, ma
se avrei dovuto proteggere anche lei non so se ce l’avrei
fatta. Sarei dovuto rimanerle ogni istante vicino, non lasciarla andare
nemmeno quando non mi avrebbe voluto più, le sarei dovuto
rimanere appiccicato addosso proprio come una gomma da masticare.
Provavo una gran rabbia nei miei confronti.
“non è stata colpa tua” David riusciva a
capirmi forse anche meglio di quanto capisse se stesso
“facciamo parte a un gioco pericoloso…”
“ dobbiamo salvarla”
“dobbiamo?”
“sì…mi devi promettere che non la
perderai di vista nemmeno un attimo…proteggila al mio
posto”
“si.. si…un attimo…perché al
mio posto?”
“io sarò occupato a sbarazzarmi di tutti i
visitatori”
“e se venissero tutti in una volta? Come farai a respingerli
tutti quanti insieme da solo?”
“ non sarò da solo…” mi
avviai dentro al mio studio e mi fermai davanti ad un armadio chiuso a
chiave da un lucchetto. Con un gesto rapido composi la cifra di numeri
corretta e il lucchetto si aprì. Gli feci cenno di seguirmi
e insieme entrammo nell’armadio. Vidi David sgranare gli
occhi alla vista di tutte le armi da fuoco e non che avevo conservato
lì dentro.
“Misericordia…ora si che capisco dove tieni tutte
le armi che ti vengo assegnate in missione!”fece un rapido
giro della stanza e poi continuò a guardarmi con una faccia
di rimprovero “ le dovresti riconsegnare le armi!”
sorrisi..mi aveva beccato un’altra volta.
“sono
spiacente le ho perdute…”
cercò di imitare il mio tono di voce “dovrei
inventarmela anch’io una balla del genere..guarda qua... ci
saranno come minimo talmente armi da rifornire un intero
esercito!”
“David non esagerare!! Comunque farai quello che ti ho
chiesto?” vidi David irrigidirsi e diventare tutto ad un
tratto serio.
“solo una domanda…vuoi che sappia di tutta questa
storia oppure che rimanga all’oscuro di tutto?”
“voglio essere io a parlargliene per primo”
“va bene.”
Uscimmo dalla stanza e richiusi con cura il buco nella parete che
serviva per accedergli. Postando il divano facemmo troppo rumore e
sentii Kelly al piano di sopra muoversi nel letto,
svegliandosi. Feci cenno a David di seguirmi e gli mostrai
velocemente il nascondiglio della botola che lo avrebbe condotto
direttamente nel garage.
“James?” la voce di Kelly mi arrivò
dall’altra camera e sussurrando dissi a David di prendere la
mia BMW e di andare all’indirizzo di Kelly che gli scrissi su
un foglietto.
“sarò lì con la ragazza al
più presto!” gli sussurrai e lui sparì
giù per il tubo.
“ James ci sei?” mi avviai verso la camera da letto
cercando di pensare a una scusa per riportarla a casa il più
in fretta possibile. Quando le fui accanto l’abbracciai e le
diedi un bacio sulla fronte. Intanto le ruote a tutta
velocità, della mia Ferrari , stridevano a contatto col
pavimento del garage sul quale sarebbe rimasta una lunga sgommata.
Non gli avevo detto di
prendere la BMW? Se mi graffia la mia Ferrari nuova giuro che gli
spezzo l’osso del collo!
“buongiorno dormigliona”
“sei tu che ti svegli con le galline…”
disse con la voce assonnata e facendo un grande sorriso.
Sorrisi in risposta al suo sorriso contagioso e la baciai sulle labbra
che schiuse immediatamente.
La feci sdraiare facendole appoggiare la testa sul mio petto.
Il suo profumo nelle narici, il mio braccio intorno alla sua vita, il
suo respiro fresco sul mio petto…sarei potuto morire
lentamente in quella posizione e poter vivere con lei una seconda
vita che non avesse avuto fine. Una vita nella quale non ci
sarebbero stati segreti tra noi. Mi sarebbe così tanto
piaciuto ricominciare tutto da capo…ma non si poteva fare.
La mia vita adesso era quella e dovevo fare la cosa più
logica.
“Kelly?”
“si…”
“mi spiace, ma farò tardi a lavoro…ti
dispiace se ti riaccompagno a casa ora?”
“no…ma se è tardi posso benissimo
prendere un taxi” mi immaginai cosa fosse successo se il
taxista fosse stato un degli “altri”. Non potevo
lasciarla sola un minuto.
“ no, no…non è un problema”
“okay..vado a vestirmi” la lasciai andare in bagno
e nel frattempo mi lasciai scivolare giù per la botola che
conduceva la mio garage. Come da previsto David si era preso la mia
Ferrari nuova di zecca e c’era rimasta solo la mia BMW e la
macchina del comando che mi aveva portato. Era una macchina fatta
apposta per il mio lavoro e, portare in giro Kelly con
quell’essere “intelligente” equivaleva a
incitarla a fare domande.
Non volevo che sapesse adesso. Preferivo che fosse all’oscuro
di tutto. Mi potevo fidare di David. Era uno degli agenti
più bravi e quando gli si impartiva un ordine era una di
quelle persone che avrebbe dato la vita per concluderlo al meglio. Ero
contento di averla affidata a lui. Mi misi al volante della BMW e la
portai davanti al vialetto di casa mia. Feci una corsa e arrivai al
piano di sopra proprio mentre Kelly stava uscendo dal bagno. La
condussi fuori casa e le aprii la portiera per farla entrare. Una volta
la volante e messa in moto la macchina nessuno dei due aveva qualcosa
da dire. Calò un silenzio imbarazzante e decisi che forse
era meglio concentrarsi sulla strada che cominciava ad affollarsi. Una
volta arrivato davanti a casa sua con una scusa mi accertai che non
corresse qualche rischio in casa.
“peccato che Christin non ci sia…avrei proprio
voluto vedere la sua faccia”
“da come parli sembra che vi conoscete da una vita”
E adesso che mi invento?
“bhe…assomiglia molto a mia sorella”
Babbeo!
“pensavo non avessi famiglia…non me ne parli
mai”.
Il sangue cominciò a ribollirmi nelle vene. Il
ricordo nella mia testa della mia famiglia sterminata dei nemici mi
ripiombò nella testa che cominciò a pulsare.
“cavolo…scusami…è che adesso
dovrei andare” il suo viso mi diceva che non era soddisfatta.
Avrebbe preferito parlare ancora di me. In effetti non le dicevo molto
su di me.
“bhe ci sentiamo”
lo spero proprio! L’abbraccia e il desiderio di sentire di
nuovo le sue labbra sulle mie, il desiderio di assaggiare nuovamente il
suo magnifico sapore, si risvegliarono in me. La sentii ridacchiare
mentre reclinava la testa di lato per stamparmi sulla guancia un bacio
bollente.
“contaci piccola” sciolsi l’abbraccio e
me ne andai lasciandola sull’ingresso e prendendo il
cellulare che aveva cominciato a vibrare.
Era David.
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Capitolo 9 *** Capitolo 9 ***
ringrazio chi segue e posta
regolarmente una critica a questa fan fiction, ma un caloroso
abbaraccio va anche a tutti coloro che seguono la fan fiction senza
commentare. è stupendo vedere come "gli ascolti" salgono
senza scendere!! spero solo di non deludere nessuno e di farvi
appassionare a questa storia proprio come lo sono io!
PS grazie mille Ladywolf per la tua colonna sonora personalizzata. mi
dispiace un sacco di non conoscerle queste nuove canzoni, ma
cercherò (quando avrò un attimo di tempo) di
sentirle da qualche parte. quando lo farò di
sfarò sapere che cosa ne penso.
mi dispiace per chi cerca di indovinare, ma ho paura per voi che
rimarrete nel dubbio ancora per un po' (anche se ci saranno parecchi
indizi che vi aiuterrano e vi giuderanno verso la verità:p
adesso, dopo questo papiro che quasi quasi è più
lungo del capitolo, vi lascio al nono capitolo augurandovi buona
lettura!
James
“Ehy hai finito di sbaciucchiare la tua bella?”
“se sono al telefono direi proprio di si”
“Marco mi ha appena fatto avere notizie della spia che ha
catturato…si chiama Peter Raws e aveva il compito di
scoprire le nostre abitazioni oltre che al comando. Sembrerebbe che il
tipo abbia scoperto già quattro indirizzi dei nostri e li
abbia consegnati al suo capo. Quindi non si sa quanto ci metteranno ad
arrivare da te…comunque ha detto di non
sottovalutarli…Peter Raws aveva una conoscenza eccezionale
delle arti marziali ed era anche armato. Anche se secondo il mio parere
nessuno batte te in campo di armi!”
“ grazie David…svolgi con cura il compito che ti
ho assegnato”
“si, si…a proposito di
Kelly…gliel’ hai detto?”
“ no…non ho avuto il coraggio”
“ se vuoi lo sai che sono il migliore a stroncare
relazioni”
“è per questo che non ti permetto di rivolgerle la
parola”
“nemmeno una?”
“no”
“neanche un misero ciao?”
“no”
“il dovere a volte è davvero noioso” Ci
mettemmo a ridere tutti e due osservando il grande fondo di
verità che era contenuto in quella frase.
“che cosa sta facendo?” gli chiesi sentendo
già la mancanza della mia piccola bimba
“ è tornata a dormire abbracciata a un
cuscino” La mia dormigliona… “sembra
sfinita…ehy James ma quante ore avete dormito questa
notte?”
“io le solite…lei non so forse…ma
perché diavolo le sto dicendo con te queste cose?”
“ah se non lo sai tu”
“sei dentro?”
“dentro a che?”
“dentro all’appartamento”
“ahh…si. Pensavo di piazzare qualche micro-camera
in modo da tenerle d’occhio anche da fuori. Non riesco a
trovare un posto dove nascondermi quando saranno in casa, tutte e due
sveglie. Se mi beccano sarà complicato spiegare loro la
situazione.”
“si forse le micro-camere sarebbero la cosa migliore. Il capo
però te le darebbe?”
“non credo…pensavo di usare quella che Marco ha
fregato a Raws. Sono incorporate anche di
microfono…pensa…avremo la possibilità
di registrare cosa Kelly dice di te!”
“David mi sembra una cosa tanto
squallida…”
“senti ciccio…hai affidato a me il compito di
proteggerla, quindi non si discute sul come.”
“basta che non le dici niente!”
“si! Ormai quante volte te lo devo ripetere? Non le
dirò niente!” urlò talmente forte che
dovetti allontanare il telefonino dal mio orecchio
“ schhhhh! Così la svegli!”
“ma se sembra la bella addormentata nel bosco? Quella non si
sveglia più!”
“sarà stanca” scesi dalla macchina e mi
chiusi lo sportello alle spalle. Salii le scale e mi andai a stendere
sul divano.
“James ma cosa pensi di fare? Cioè..hai intenzione
di startene per tutto il tempo in casa con un fucile caricato in mano
pronto a far fuori qualsiasi uomo entri dalla finestra e dalla
porta?”
“il piano sarebbe quello”
“ ma se dovessi aspettare una settimana?”
“aspetterò una settimana”
dall’altra parte della cornetta ci fu una lunga pausa di
riflessione. Stavamo pensando tutti e due la stessa cosa.
“non ho idea di come farò”
“devi dirglielo!”
“adesso non posso”
“lei pensa che sei andato a lavorare! Se non ti vede entro un
limite breve di giorni penserà che sei morto oppure che non
la vuoi più!”
“No. Non ne deve sapere niente!”
“James ne ha diritto” pronunciò le
stesse parole che avevo pensato io prima dell’appuntamento.
Faceva uno strano effetto sentirle pronunciare da una testa calda come
lui. Non sapevo più cosa fare con lei. Sapere o non sapere?
Come facevo a capire quale sarebbe stata la strada da percorrere? Ci
sarebbe stato un modo particolare per saperlo? Mi sa che mi sarei
dovuto fidare soltanto al mio intuito.
Erano passate due settimane dall’ultima volta che la vidi. Le
avevo mandato un messaggio per giustificare la mia assenza prolungata
e, per essere sicuro, le avevo scritto che sarei rimasto fuori
città per motivi di lavoro per tre settimane. David mi
inviava sul telefonino le lunghe chiacchierate che faceva con Chris su
di me e scoprii…un bel niente. Non le piaceva parlare di se
perciò tutte le volte che si toccava l’argomento
James, lei sviava strada cominciando a parlare della nuova fiamma del
momento di Chris. Mi voleva anche inviare i video dove si faceva la
doccia, ma lo pregai di non metter una micro-camera anche in bagno. Non
mi andava proprio di violare la privacy di due donne.
Intanto, come a casa mia, non ci fu nessuno che cercò di
introdursi nelle case dei cinque di noi. Cominciavo a perdere la
speranza. Avevo voglia di uscire. Erano passate due settimane di
inferno: sempre vigile e attento al più piccolo rumore e
come se non bastasse erano state le due settimane più calde
di New York. Purtroppo il mio lavoro includeva anche questo svantaggio.
Bisognava essere pazienti. Alla notte dormivo si o no qualche ora e
durante il giorno tenevo la tv accesa senza volume per riuscire a
cogliere ogni piccolo rumore. Decisi che mi meritavo qualche ora di
sonno e perciò andai a dormire. era da qualche ora che
dormivo quando fui svegliato da uno strano rumore. Impugnai velocemente
il fucile che avevo appoggiato pronto sul comodino. Le orecchie tese
non riuscivano a percepire più niente di strano. Dopo cinque
minuti dedussi che doveva essere stato il gatto dei vicini. Mi rilassai
lasciandomi andare quando risentii nuovamente quel rumore. I miei
muscoli ancora tesi si misero immediatamente in posizione di difesa. Il
fucile puntato verso la finestra della mia camera e un sorriso sulle
labbra che avevo ogni volta che dovevo affrontare un nemico. Marco
aveva ragione. Erano bravi. Ormai erano quasi dentro e io non facevo
niente per impedire la loro impresa. Si sarebbero trovati una bella
sorpresa una volta entrati. In lontananza un rumore di vetri rotti. Un
rumore che sarebbe dovuto arrivare dalla finestra della mia camera e
non da quella della sala da pranzo al piano di sotto. Pochi secondi
dopo la finestra della mia stanza andò in frantumi ed
entrarono tre uomini armati pronti ad affrontarmi. Mi ritrovai davanti
tre uomini che mi fissavano: i primi due erano armati mentre un terzo
copriva loro le spalle. Avrei dovuto avere paura…avrei. Un
sorriso maligno mi si disegnò sulle labbra. Non avevano idea
di chi fosse il loro avversario. Mi mossi velocemente per la stanza.
Potei leggere negli occhi dell’uomo che stava in fondo al
gruppo, il terrore che, tutte le volte, vedevo impresso nelle vittime
più che incrociavano il mio sguardo e che poi soccombevano
sotto la mia forza senza poter fare nulla. Il duello si sarebbe
concluso in meno di dieci minuti. Di sotto intanto si percepivano i
passi di altri due intrusi che salivano velocemente le scale.
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Capitolo 10 *** capitolo 10 ***
Kelly
Non vedevo
l’ora di poterlo risentire. Avevo provato a chiamarlo, ma non
aveva mai risposto. Che
non mi volesse più? Cercavo di convincermi che
lui mi voleva. Che non poteva rispondere solo perché in quel
momento era tremendamente impegnato. Ma era possibile che lo fosse
tutte le volte che provavo? Due settimane senza avere sue notizie era
veramente troppo. Magari era morto in un incidente e non avevo fatto in
tempo a salutarlo un ultima volta. Mi sdraiai sul letto stringendo il
cuscino, il più forte possibile, cercando di liberarmi da
quei pensieri che affollavano la mia mente giorno e notte. Avevo
più bisogno di lui di quanto pensassi. Mi mancava
terribilmente. Se gliene fosse importato qualcosa di me mi avrebbe
contattato, no? E invece no…niente. Nemmeno un misero sms.
Nascosi il viso tra il cuscino contenta che Chris non potesse vedermi
in quello stato. la testa cominciò a pulsarmi e dentro il
mio cervello avevo la sensazione continua che il mio cellulare stesse
squillando. Peccato che era sempre una mia impressone e mai la
realtà. Dovevo calmarmi assolutamente. Chris sarebbe
arrivata nell’arco di poco tempo. Mi feci una doccia bollente
e finalmente trovai pace nella mia testa. Accesi la tv e feci finta di
essere interessata alle notizie che trasmettevano al telegiornale.
Chris arrivò già arrabbiata. Cominciò
a raccontarmi la sua giornata infernale e di come il suo capo
l’aveva riempita inutilmente di lavoro durante il fine
settimana. Mi proposi di darle una mano se potevo in qualche modo
esserle d’aiuto, ma lei rifiutò dicendomi che non
voleva che mi annoiassi. Come
se avessi qualcos’altro da fare…
Non le avevo
raccontato proprio niente sulla situazione con James e
perciò la capivo perfettamente se non voleva che
l’aiutassi. Pensava che saremmo usciti. Perciò non
insistei per darle una mano visto che di sicuro avrebbe fatto
moltissime, anzi, troppe domande! Non mi piaceva assolutamente parlare
di me ed era per questo che non avevo molti amici. Solo Chris riusciva
a capirmi senza aver bisogno di parlare e per questo ringraziavo il
signore ogni giorno. Ultimamente era troppo impegnata per accorgersi
che qualcosa non andava e perciò decisi di uscire e andare a
farmi due passi all’aria aperta. Lasciai Chris a casa immersa
di lavoro e mi incamminai verso Central Park. Cominciai a rifare ordine
nella mia testa per poter ricordare la strada che avevamo percorso la
sera del nostro appuntamento. Riconobbi la collina dove mi aveva
baciata e mi sembrò di risentire i brividi scorrermi lungo
la schiena ogni volta che le sue labbra si richiudevano sulle mie.
Continuai a camminare ormai con la certezza di saper ritrovare la
strada che mi avrebbe accompagnata al magnifico ristorante dove avevamo
cenato e dove avevo conosciuto suo zio. Spostai il ramo di un albero
sicura che il capannone si sarebbe trovato in mezzo alla radura che si
sarebbe aperta davanti ai miei occhi. Ne intravedevo la figura e mi
avvicinai alla struttura. C’era un gran brusio provenire
dall’interno e mi diressi verso l’ingresso.
All’improvviso venne fuori dall’edificio un uomo
indaffarato con dei cassettoni che mi travolse in pieno facendomi
cadere a terra.
“ sono
mortificato!” mi aiutò ad alzarmi e mi
studiò con attenzione. Era lo zio di James e dopo una breve
analisi mi riconobbe. “ La prego mi dica che non si
è fatta niente…mio nipote poi chi lo
sente!” arrossii terribilmente e lo rassicurai che stavo
bene. L’uomo cercò di sostenere le grosse scatole
che non riuscivano a stare ferme nelle sue mani.
“ Le
serve una mano?” gli chiesi offrendomi di portargli la
scatola che gli stava per cadere di mano
“ Oh
grazie signorina” ci dirigemmo verso una serie di furgoni
parcheggiati poco lontano
“ come
mai questi scatoloni?”
“non
ti ha detto mio nipote della mia attività?”
“non
proprio…”
“bhe…io
gestisco questo “ristorante italiano
portatile”…non stiamo mai fermi
noi…credo sia una cosa genetica di famiglia. Non riusciamo a
stare nello stesso posto per poco più di qualche
settimana…credo che te ne accorgerai molto presto”
“davvero?”
“vedi…James
è una persona diciamo…alla quale non è
possibile dire di stare fermo. Anche io sono così e
così era suo padre, ma lui…sembra proprio fatto
per una vita…diversa dalla mia, dalla tua e da qualsiasi
persona al mondo.”
“ah…”
non mi aspettavo una cosa del genere. “Dalla mia?”…
cosa voleva dire? Stava forse cercando di scoraggiarmi a stare con suo
nipote?
“non
badare troppo alle mie parole, Kelly…non avevo intenzione di
scoraggiarti. Volevo soltanto avvisarti perché conosco
così bene mio nipote. Sai è sempre stato molto
impulsivo e a scuola non perdeva un’occasione per fare a
pugni! Insomma non ti devi preoccupare se un giorno
c’è e il giorno dopo è da qualche altra
parte del mondo! Non riesce a trattenerlo
nessuno…È fatto così, non
cambierà mai! È troppo simile a mio
fratello!”
“posso
fare qualcos’altro per lei signor…scusi, ma lei
come si chiama?”
“io
sono Nikolaos e no Kelly. Penso che il resto riesca a portarlo da
solo…grazie mille per il tuo aiuto e spero di rivederti
ancora.”
“già…lo
spero anch’io”
E dicendo
così mi allontanai ripensando alle sue parole. “sembra proprio fatto
per una vita diversa dal solito…un giorno
c’è e il giorno dopo è
dall’altra parte del mondo…non riesce a
trattenerlo niente e nessuno” Una stretta troppo
forte mi si strinse intorno al cuore. “ non riesce a
trattenerlo niente e nessuno…” Adesso
avevo paura. Nessuno…nemmeno
io… forse Nikolaos aveva
ragione…forse non potevo far parte della sua vita troppo
movimentata per poter essere sopportata da qualsiasi altra persona che
non fosse lui. Lo dovevo ammettere… quell’uomo era
riuscito a mandarmi al tappeto con un solo colpo. Ritornai a casa
pensando se mai l’avessi rivisto. Se al concludersi delle tre
settimane si sarebbe nuovamente fatto sentire, ma soprattutto se
sarebbe tornato. Non so perché mi rivenne in mente la sua
camera dalle pareti d’orate. Me la provai ad immaginare
abbandonata. Nonostante la mia mente si sforzasse, non riuscivo proprio
ad immaginarmela. Magari la domestica gli avrebbe tenuto pulito tutto
quanto fino al suo ritorno. Chissà…nessuno poteva
prevedere il futuro e perciò mi rassegnai smettendo di
fantasticarci sopra inutilmente.
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Capitolo 11 *** capitolo 11 ***
James
Camminavo su e giù per
quella che una volta era la mia casa. Adesso diciamo assomigliava
più a una discarica al coperto. Il duello era durato
più
tempo del previsto e gl’intrusi avevano rivelato di avere la
pellaccia più dura del previsto. Gli avevo sottovalutati, ma
ormai non contava più a niente. Ormai lo scontro si era
concluso
da qualche giorno e io ne ero uscito vincitore. Tutto il resto non
contava. Peccato che però mi avessero sfasciato la casa.
Poche
stanze si erano salvate dalla furia del combattimento. I mobili
distrutti, le imbottiture dei cuscini per terra, i quadri e le pareti
tutte rovinate dalla sparatoria. Se non ci avessi abitato per anni non
l’avrei nemmeno riconosciuta per casa mia. Raggiunsi quella
che
una volta era la sala da pranzo e cominciai a rovistare in mezzo alle
macerie recuperando tutto ciò che potesse essere
riutilizzabile.
Finito di sistemare la sala da pranzo passai alla cucina, poi al
salotto, il bagno, fino ad arrivare al piano superiore. Tirati via
tutti i detriti e la sporcizia sul pavimento mi concentrai alle pareti.
Quelle di alcune sale dovevano essere messe a nuovo mentre altre
avevano bisogno soltanto di una verniciata. Presi la macchina e guidai
fino alla ferramenta più vicina. Presi tutto il necessario e
tornai a casa con la mente già immersa nell’arduo
lavoro
che mi sarebbe aspettato. Dopo bene tre ore, riposi il pennello nella
vernice oro stanco e assetato. Di natura ero sempre stato abbastanza
pelandrone e guardando in faccia tutto il lavoro che mi rimaneva da
fare mi venne male allo stomaco. Decisi che avevo bisogno di rinforzi.
Chiamai il mio amico fidato, affidandogli una pausa dalla sua guardia
interrotta sulla mia ragazza. Kelly non sarebbe stata in pericolo.
Chris aveva dei problemi con il suo nuovo ragazzo…sarebbe
stata
occupata per più di tre ore per non dire tutto il
pomeriggio.
Stavo esaminando le stanze al primo
piano che avevano subito l’attacco esterno più
delle
altre. Meno male non erano molte. Un rumore di passi, mi fece girare
verso le scale dalle quali stava salendo qualcuno. Mi trovai David al
mio fianco con un pennello in mano.
“Ma come cavolo ti sei
vestito?” osservai sbigottito la tua arancione da lavoro che,
secondo me, aveva appena rubato a un muratore in pausa pranzo.
“ Sempre meglio di te!”
mi guardai il petto nudo ricoperto di vernice. “ Toglimi una
curiosità…mi hai chiamato per aiutarti a
dipingere le
pareti oppure a dipingerti i vestiti direttamente sulla
pelle?”
“ ah ah ah…molto
spiritoso!” cominciai a riempire i buchi causati dalla
sparatoria
con dello stucco mentre David si dava da fare per creare un colore
simile all’ocra sfumato che era presente prima.
“È
successo qualcosa al comando durante la mia assenza?”
“ non niente in particolare…sai le solite
cose”
“il capo? Ha fatto qualche commento?”
“no…nulla per te”
“ bhe…e…insomma…”
“se vuoi sapere qualcosa su
Kelly non contare su di me! Dalla mia bocca non uscirà
niente!” dalle sue parole fui certo che era successo
sicuramente
qualcosa del quale non ero a conoscenza Cattivo segno…
“è successo qualcosa?”
“ diciamo che la tua ragazza si è voluta
intrufolare in questioni più grandi di lei”
No!
Non poteva essere! Non poteva aver scoperto tutto. Dovevo essere io a
parlargliene per primo. Una rabbia improvvisa mi invase il corpo
pensando alla promessa che David aveva infranto. No non lo avrebbe mai
fatto. Mi fidavo di lui…credo…in
parte…okay forse
non del tutto. Eppure la parola di un agente va sempre mantenuta.
Possibile che lo fosse venuta a sapere da altre persone? Chi se non
David? L’unica persone che fosse a conoscenza del mio segreto
e
che avesse interagito con lei era soltanto David.
“ti sbagli non sono
l’unico. Pensa bene a una persona a te molto vicina che non
sta
mai fermo…una settimana c’è e
l’altra invece
è dall’altra parte del
mondo…”
Nikolaos
“Bingo” parlammo insieme fermandoci di lavorare
entrambi per poi riprendere dopo qualche secondo.
“che le ha detto?”
“ma niente di
diretto…ha cercato di capire se era a conoscenza di tutto
quanto, girandoci intorno, con discorsi del tipo non
ti preoccupare per lui…sa badare a se
stesso…oppure
è troppo simile a suo padre per stare fermo nello stesso
posto…” sorrisi sentendo David
imitare la voce grossa di mio zio.
“bhe…poteva andare peggio”
“si…per te. Kelly cosa pensi abbia capito dalle
sue parole?”
Feci spallucce facendogli capire che non ne avevo la minima idea.
“ ha pensato che tu fossi troppo occupato a viaggiare
per accorgersi di lei. Ha pensato che non saresti più
tornato.
Non mi sorprenderei se quando la vai a trovare te la ritrovi tra le
braccia di un altro uomo”
ero senza fiato. Volevo andare da
lei. La mia testa cominciò a farmi vedere immagini che non
gradivo. La finestra di casa sua illuminata e lui che la stringeva a
se. Ritornai alla realtà conscio di essermi immaginato tutto
quanto. Eppure una strana ansia mi tanagliò la gola e non mi
faceva respirare correttamente. David rise di gusto soddisfatto del
risultato che le sue parola avevano fatto su di me.
“ sei proprio andato
bello!” attirò la mia attenzione cominciando a
mandarmi
tanti baci esagerando il movimento con le braccia. “ buttami
un
secchiello d’acqua ghiacciata quando vedi che mi sto
innamorando!”
come
no…voglio la mia vendetta!
“ non ci conterei più di tanto! Fattela buttare
dal capo piuttosto”
“ no…James non mi
abbandonare al mio triste destino!” si mise in ginocchio e mi
si
attaccò alle gambe tipo ventosa.
“ non ci sperare! Vendetta
dolce vendetta!!” David mi strinse le gambe fino a farmi
cadere
per terra. Con la mano cercai di afferrare qualcosa al volo per evitare
di cadere a terra, ma l’unica cosa che incontrò la
mia
traiettoria, fu il vaso di vernice che trascinai giù con me,
rovesciandoci addosso tutto il contenuto. Mi ritrovai sul pavimento,
ricoperto di vernice dalla testa fino ai piedi, a ridere con il mio
compagno di giochi come un matto.
“ Rimettiamoci al lavoro che
è meglio!” ci rialzammo continuando a ridere e
ricominciammo a lavorare. Non ci fermammo fino all’ora di
cena
quando offrii al mio amico di rimanere a mangiare un panino al volo.
Mangiammo un panino e ci posizionammo davanti alla tv a guardare la
partita di basket.
“È un bene che la tv
non sia andata a frantumi.” David spaparanzato sulla
poltrona,
guardava la televisione con un’attenzione straordinaria e una
birra in mano ancora intatta.
“eh
già…è proprio un bene!”
sorseggiai la mia
birra dalla lattina assaporando il suo gusto dolce e alcolico. Non
amavo molto guardare la televisione, soprattutto gli eventi sportivi.
Non riuscivo a capire come una persona potesse appassionarsi
così tanto a una partita. Ne approfittai per perdermi nei
miei
pensieri.
Solo quando David spense la tv mi accorsi che era già finita
la partita.
“ bhe…io avrei ancora qual compito da
eseguire…ti va di darmi il cambio?”
“ Dove?”
“ a casa di Kelly. Non
è detto che lei sia già fuori pericolo. Secondo
me
cercheranno di attaccarla.” Mi fermai a meditare. Certo di
sicuro
ci avrebbero messo un po’ per tornare all’attacco,
ma come
lo avrebbero fatto di sicuro, non sarebbero tornati da me. Avrebbero
cercato un modo per colpirmi indirettamente, nel punto dove io sono
più vulnerabile. Si…David doveva andare. Ripensai
a
quanto mi fosse mancata. Avevo una voglia matta di rivederla. Sarei
rimasto fuori, nascosto, insomma, non sarebbe mai venuta a conoscenza
di quell’intrusione. No…devi
finire la casa… ci andrà David.
“ devo finire la casa”
dissi dirigendomi verso le ultime stanze che mi mancavano.
L’odore forte di vernice fresca mi invase le narici ormai
abituate a quell’odore acre.
“ Tranquillo James…ci penso io alla casa. Va da
lei”
ci fissammo negli occhi per un
breve istante e fui contento di aver un amico come lui. Andai a
prendere qualcosa da mettere nell’armadio e mi lavai via di
dosso
la vernice incrostata sulla mia pelle. Presi le chiavi della macchina a
mi lanciai giù per il tubo, che mi avrebbe condotto al
garage
sotterraneo. Guidai velocemente nella direzione del suo appartamento
con addosso un ansia sconosciuta. Rallentai solo quando mi trovavo nei
pressi del suo appartamento per non svegliare tutto quanto il palazzo.
Raggiunsi il covo che si era creato David per poterla spiare a
distanza. Controllai tutti i monitor collegati ognuno a una microcamera
che registravano e mi mostravano ogni singolo movimento
all’interno della casa. L’ansia continuava a
torturarmi lo
stomaco durante la sua ricerca nei monitor, fino a che svanì
quando la trovai in camera a leggere un libro. Dopo un paio di minuti
controllò l’orologio, prese il segnalibro dal
tavolino
lì accanto e spense la luce posizionandosi meglio nel letto.
Notai una scala molto alta nascosta
nel covo del mo amico e così mi venne la folle idea di
arrampicarmi fino alla sua stanza. Il desiderio di vederla di persona
era troppo forte per essere ignorato.
Arrivai al suo balcone con
facilità. Mi avvicinai alla sua finestra accertandomi che
stesse
veramente dormendo. Con un coltello mi aiutai per forzare la finestra
che si aprì con un cigolio. Kelly si mosse nel letto
voltandosi
verso di me. Gli occhi chiusi rilassati e il respiro pesante. Era
bellissima. I miei ricordi non le recavano giustizia. Il viso assopito
nel sonno, per metà immerso nel cuscino e i capelli ondulati
le
ricadevano sulle spalle in contrasto con la carnagione chiara. Le
coperte la coprivano fino alla vita lasciando in mostra le sue morbide
curve coperte appena da una sottile canottiera nera. Mi nascosi
nell’angolino più buio della camera continuando a
guardarla senza fiato. Una leggera folata di vento estivo
entrò
per la finestra aperta e le scompigliò i capelli sul viso.
Con
movimenti lenti, Kelly aprì gli occhi alzandosi per chiudere
la
finestra. Le lunghe gambe nude, camminarono nella mia direzione e
sperai con tutto me stesso che non mi vedesse. Si fermò
davanti
la finestra molto probabilmente pensando a quando l’avesse
lasciata aperta. Scosse le spalle e la chiuse tornando a sdraiarsi sul
letto. Il suo sguardo si fissò per un lungo memento su di
me.
Era immobile. Non mi voleva staccare gli occhi di dosso e per non farmi
scoprire smisi anche di respirare. Completamente immobile e ancora con
poco fiato nei polmoni, attesi impaziente che mi staccasse gli occhi di
dosso. Presi un’altra boccata d’aria. Era
praticamente
impossibile che mi vedesse. Faticavo io a vederla che ero stato
abituato a scrutare nel buio pesto qualsiasi tipo di pericolo,
figuriamoci lei! Eppure le sue labbra si piegarono
all’insù in uno splendido sorriso così
dolce, e
questo non mi aiutava affatto a credere che non mi potesse vedere.
Tuttavia, rimasi lo stesso immobile con la speranza che si illudesse
che quello che vedeva era frutto della sua immaginazione. Ripresi a
respirare sentendo i miei polmoni reclamare aria brucianti. Lei dopo
qualche minuto scosse la testa e il suo sorriso si trasformò
in
una smorfia di dolore. Gli occhi le si inondarono di lacrime e di
lì a poco, la sentii singhiozzare.
“James…” il
respiro mi mancò del tutto quando sentii il mio nome uscirle
dalla bocca. Stava piangendo…piangendo per me. Mi sentii
orrendamente un mostro per poter far piangere una ragazza
così
fantastica. Mi ritornò in mente il nostro primo appuntamento
quando l’avevo trovata per terra scossa da fremiti di dolore.
Mi
ero giurato che non l’avrei mai più vista in
quello stato
e invece…eccola qui! Certo…adesso non era ridotta
male
come tre settimane fa, ma stava comunque male. Feci un passo verso di
lei per non darle più motivo di stare male. Mi bloccai
immediatamente e ritornai con la schiena attaccata al muro. Se mi fossi
fatto vedere avrei dovuto spiegare tutta quanta la situazione e mi
faceva paura dire la verità. No…non ero ancora
pronto per
dirle tutto quanto. Rimasi lì attaccato al muro in attesa
che
lei si calmasse e si addormentasse, con il cuore distrutto dai quei
singhiozzi versati per me. Volevo fermare quella fonte di dolore per
entrambi, cessare di star male inutilmente, ma ero un codardo. Non
avevo la forza per staccarmi dal muro, per sussurrarle parole dolci,
parole di conforto, quelle parole che le avrebbero restituito quel suo
bellissimo sorriso. Aspettai che si addormentasse per uscire dalla sua
stanza. Prima di andarmene mi fermai a guardarla un’ultima
volta.
Il suo viso questa volta era tremendamente triste: la bocca piegata in
una smorfia di dolore e, sulla pelle della guancia pallida, una lacrima
superstile che si era bloccata a metà via sulla strada
già tracciata da tante altre lacrime prima. Mi calai
giù
per la scala e mi diressi verso casa mia. L’alba stava per
spuntare e dovevo sparire di lì prima che sorgesse il sole.
scusate per la scrittura
piccola piccola, ma mi si è impazzito il computer e non
riesco più a postare con caratteri più
grandi...(uffa la mia ignoranza informatica si fa sempre sentire
facendo figura di m....insomma non molto belle!!) se qualche genietto
ha qualche suggerimento lo gradirei particolarmente! XD
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Capitolo 12 *** capitolo 12 ***
Come prima cosa vorrei
scusarmi per la mia assenza prolungata =(
é stato proprio un periodo infernale e spero di riuscire a
postare più spesso e a intervalli di tempo più
brevi.
Come seconda cosa vorrei ringraziare Lady Wolf per la sua colonna
sonora personalizzata. grazie mille!! ^^
poi vediamo un po'....ah devo ringraziare anche tutti colore che
seguono questa fan fiction senza commentare.
Grazie mille per davvero!
adesso vi lascio a un nuovo pezzo e mi dispiace dirvelo, ma questo
pezzo non vedrà protagonista ne Kelly che James.
si passa alla storia principale di questo racconto!
Punto
primo: vi presento il mio orgoglio
Passavano
i giorni e Riccardo non rispondeva più ai miei pezzi. Mi
mancava terribilmente
non poter più scrivere con lui.
Ogni giorno mi collegavo con l’ansia di leggere
qualche suo nuovo pezzo, ma niente… “la sua
casella di posta elettronica è
vuota”…come odiavo quella frase! Sentivo che non
potevo sopravvivere senza
James, senza di lui che gli dava vita.
È mai possibile che esista qualcosa al
mondo, al di fuori dei beni primari, senza i quali tu non riesca a
vivere?
Ormai
avevo perso la speranza. L’esame di terza media si avvicinava
e io non riuscivo
a studiare. Per fortuna avevo delle amiche fantastiche! Decisero che
non
potevano più vedermi ridotta in quello stato e
perciò organizzarono un ritrovo
per studiare in vista dell’esame scritto di matematica, il
primo che dovevamo
affrontare. Mi caricai lo zaino pieno di esercizi da fare, in spalla e
partii
per essere a casa delle gemelle per le tre e mezza. Suonai il citofono
e fui
accolta con entusiasmo dalla loro “giovane” mamma.
Si chiamava Serena ed era
aveva origini napoletane come tutta la famiglia. Il suo accento
tradizionale e
l’odore di fumo marcato estremamente famigliari, cominciarono
a volteggiare intorno
a me imprimendosi per bene nella mia testa.
“A’
Vale! Come sta’? Tutto bene?”
“si,
tutto okay”
“hai
una faccia asciutta bambina mia…che
c’è…la mamma non ti da abbastanza da
mangià?”
“
no…sarà per
l’esame…” ormai l’esame era
diventata la mia scusa quotidiana. Era
straordinario come mi tornasse comodo quella scocciatura scolastica.
“
ma la mamma sta bene?”
“
si…sta bene” dissi cercando di raggiungere la
stanza delle gemelle al paino di
sopra e di fuggire così alla mamma
“moderna”.
“
ma a casa tutto bene?” il suo accento napoletano cadde in
modo particolare
sull’ultima parola risuonando in tutta la stanza.
Io cercavo di spostarmi passo
dopo passo verso le scale di casa, ma Serena sembrava non volermi
proprio
lasciare.
Tutte le volte era sempre la solita storia… erano guai se ti
apriva
la cara vecchia Serena!
“
ma che ti fai lì sulle scale? Dai vieni in cucina che ti
faccio assaggiare una
torta che ho fatto questo pomeriggio.”
Con
il cuore che mi piangeva raggiunsi la cucina dalla parte opposta delle
scale e
quindi dalla parte opposta della mia fuga.
Un odore di torta al cioccolato mi
arrivò alle narici facendomi venire l’acquolina in
bocca. Serena era intenta a
tagliare la torta in fette molto discordanti. Mi avvicinò la
più grande e
aspettò con ansia che le diedi un morso. Io guardai la mia
fettona di torta al
cioccolato e deglutii rumorosamente e le diedi un morso dopo qualche
secondo di
indecisione. Era proprio buona, ma quella non era una
torta…quella era un
tacchino, ma avete presente quei tacchini belli grassi che si
imbottiscono per
il giorno del ringraziamento?
Ecco ancora più grosso imbottito di burro,
zucchero, cioccolato e qualsiasi cosa faccia ingessare. Potevo
benissimo
sentire i miei fianchi allargarsi a ogni morso che le davo. Solo quando
ebbi
finito di mangiarla e le feci un largo sorriso facendole i miei
più falsi
complimenti mi lasciò andare a fare questa benedetta
matematica.
“ce
l’ hai fatta finalmente!” aveva parlato Bonny una
delle due gemelle. Il suo
vero nome di battesimo era Benedetta.
Incredibilmente audace, era la
romanticona del gruppo. Amava chiunque le ricambiasse amore. A volte
però
commetteva l’errore di donare troppo amore a chi poi non
sapeva ricompensarla e
ci rimaneva terribilmente fregata. Con la sua immensa forza di
volontà avrebbe
spostato le montagne per veder felici le persone a cui teneva di
più. Ero
contenta di rientrare in questa categoria come tutte le ragazze
presenti in
quella stanza. Odiava in maniera assurda il suo nome e per il momento
aveva
solo una missione importante da terminare: far dimenticare a tutti
Benedetta e
fargli inculcare per bene Bonny.
“scusate
ragazze ho avuto un ostacolo di cioccolato al paino di sotto”
Alla destra di Bonny, sedeva
Giada. Ragazza
incredibilmente fantasiosa, riusciva a ricavarti da un cumulo di
spazzatura
un’opera d’arte. Amava la musica, la danza e
sembrava essere brava in tutto
fuorché la matematica. Come le si parlava di numeri il suo
cervello andava in
fumo e a dimostrarlo, c’erano i mille fogli sparsi su tutto
il pavimento della
stanza.
“Ehy
Ga stai provando una nuova tappezzeria per il pavimento?”
“
Vale meno male che sei arrivata! Mi devi assolutamente aiutare con
‘sti numeri
e lettere tutte quante insieme!”
“Ga
si chiamano monomi”
“
bhe è quello che ho detto io!”
Mi
misi a sedere accanto a lei e cominciai a guardare cosa avesse fatto
durante la
mia assenza.
Spaparanzata
sul letto c’era Marta, sorella gemella di Bonny. Anche lei
incredibilmente
romantica. Sarà stata una cosa ereditaria, ma anche lei
tendeva a dare aiuto
alle persone che meno se lo meritavano e anche in questo caso, mi
ritenevo
super fortunata di essere tra le sue grazie. Bonny e Marta le conoscevo
da
quando ero piccola. Abitavano nell’appartamento sopra al mio
e da quando
avevano traslocato a 50 metri di distanza da me, era inevitabile
trovarci a
casa di l’una o dell’altra. Ormai ero diventata una
terza figlia per casa
Riccini e lo stesso valeva per loro a casa mia. Eravamo tutte quante
come
sorelle.
Per
ultima, ma non meno importante, c’era Barbara, o
più semplicemente, la Bi.
Perfetta migliore amica dell’universo, aveva la
capacità di farsi adorare da
tutti quanti. Dolce, spiritosa, incredibilmente lagnosa, era di sicuro
la
ragazza con la quale avevo più cose in comune. Amava la
musica, i manga, leggere
e stare ore al telefono. Tutti quanti requisiti da non ignorare.
Riusciva a
capirmi sempre e forse era per quello che la evitavo quando non avevo
voglia di
essere al centro dell’attenzione.
Quel lunedì era uno di quei giorno. Non ero
per niente di buon umore e la Bi mi aveva subito inquadrata come ero
entrata
nella stanza.
Cercava costantemente il mio sguardo come in cerca di una
conferma per poi poter parlare. Peccato che tutta la mia attenzione era
sui
mille pastrocchi che Giada aveva fatto sui foglio che stavo
controllando.
Visualizzati gli errori principali li corressi e le feci vedere il
giusto
procedimento da fare. Ringraziandomi, Giada ritornò al
lavoro blaterando tra se
frasi del tipo “ma perché non ci avevo pensato
prima! Non è difficile!”
Non
sapendo più cosa fare mi sdraia sull’altro letto
disponibile.
“
non provi a fare qualche esercizio?” la Bi mi stava ancora
tenendo d’occhio.
Sarebbe stato più duro del previsto tenerle nascosto almeno
in parte il mio
problema.
“
gli scritti non mi preoccupano” non mi andava per niente di
mettermi a fare
degli esercizi. Ne avevo avuti abbastanza per 9 mesi di scuola.
“certo…quando
qualcuno nasce già genio perché
migliorare?”
stava cercando di far incrociare i nostri sguardi, ne ero
sicura.
Mirava
dove ero più vulnerabile. Lo sapeva che ero terribilmente
orgogliosa e
testarda. Stava giocando di furbizia e di furbizia avrei giocato anche
io.
“
non sono un genio”
“allora
fai matematica. Tieni, prendi il mio libro” presi a guardare
il soffitto e le
feci segno con la mano che non avevo intenzione di studiare. Sconfitta,
si
arrese riportando lo sguardo sul proprio quaderno. Un problema era
eliminato…adesso ne erano rimasti solamente altro quattro.
Il mio cervello non
era stato in grado di escogitare in poco tempo un modo per tenere a
bada la
curiosità di tutte. Infatti come la Bi riprese a fare i suoi
esercizi messa a
tacere dalla mia risposta, le altre si incuriosirono e mi si gettarono
addosso
pretendendo di sapere cosa ci fosse che non andava. Come ho
già detto, non mi
andava di parlare e le rassicurai tutte quante che non ci fosse niente
di
sbagliato nella mia vita. Peccato che non era
così…la verità è che mi
mancava
terribilmente Riccardo e il suo James. Volevo sentirlo. Ne avevo
bisogno. Ogni
giorno collegarmi e notare che non aveva ancora letto la mia e-mail mi
faceva
sentire una fitta tremenda al cuore.
“non
lo senti da un po’ vero?” la Bi aveva colto il
segno colpendomi e affondandomi.
Teneva gli occhi fissi sul libro di matematica sapendo già
che la stavo
guardando con odio.
“
è inutile che ti arrabbi con me…è lui
quello che no risponde.”
Non
so perché, ma l’istinto fu più forte di
me e mi alzai in piedi, la fulminai
ancora e me ne andai sbattendo la porta della camera. Come fui fuori le
sentii
cominciare a confabulare e ridacchiare divertite dal mio comportamento.
Ecco se
non volevo attirare l’attenzione adesso lo avevo fatto.
Ripensai alla tortura
che avevo dovuto subire per riuscire a raggiungere il piano di sopra e
non
volevo nemmeno immaginare che cosa Serena mi avesse chiesto per farmi
rimanere
a chiacchierare. Senza ripensarci due volte, tornai indietro e entrai
nella
stanza delle gemelle ripristinando l’ordine e il silenzio.
Tornai sul letto e
chiusi gli occhi cercando di rilassarmi.
“
ti sei sbollita?” la Bi teneva ancora gli occhi sul libro di
matematica. Il
tono calmo e rilassato mi agitava facendomi sentire impotente e
terribilmente
nervosa. Cercai di rilassarmi e radunai tutte le mie forze possibili
per
risponderle per le rime.
“
no…è che non mi andava un altro pezzo di torta al
cioccolato” la mia risposta
fece ridacchiare le gemelle. Avevano messo via i libri e stavano
prendendo
fuori gli spiccioli della settimana per poterli giocare l’una
contro l’altra.
Cominciarono a sentirsi cose del tipo “no secondo me ci
crolla. Non può sempre
vincere” oppure “ è proprio per questo
che punto cinquanta centesimi su di lei
e tre biscotti al cioccolato.” Ridacchiai divertita dalla
situazione che si era
creata.
“hai
intenzione di rimanere zitta per tutto il tempo?”
“
non riesco proprio a capire cosa ci possa essere di così
importante per
disturbarvi mentre state lavorando” si levò
immediatamente una leggera risatina
che mise in luce il lato ironico della mia frase. Se c’era
una cosa che non
stavamo facendo era proprio matematica.
Mi misi comoda
sul
letto e cominciai a fissare il soffitto. Ormai era diventato palese che
qualcosa non andava e tutte lo avevano capito. Era anche evidente il
motivo del
mio nervosismo, ma non riuscivo proprio a sopprimere il mio orgoglio.
Se c’era
qualcosa che col tempo mi avrebbe uccisa era proprio quello. Sospirai
in attesa
del duello. Fino ad allora ci eravamo solo riscaldate.
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Capitolo 13 *** capitolo 13 ***
Premetto che in
questo capitolo saranno presenti eventi che potrebbero infastidire
qualcuno...
Kelly
Avevo passato tre settimane di inferno lontano da lui e, giuro avrei
voluto dirgliene di tutti i colori. E invece…sono stata solo
capace di baciarlo e abbracciarlo. Quando mi è venuto a
prendere
per portarmi a cena mi ero preparata un discorso bellissimo che, come
prevedibile, solo alla sua vista mi si cancellò dalla testa
definitivamente. Lui era capace di farmi dimenticare perfino come mi
chiamassi. Stavo ferma impalata. Lo guardavo come per cercare in lui
qualche cambiamento. Lui faceva lo stesso. Il desiderio di saltargli
addosso e di baciarlo era veramente forte. Eppure riuscii a
controllarmi. Bhe…controllarmi è una parola
grossa.
Diciamo che molto probabilmente si vedeva da lontano un chilometro che
morivo dal desiderio di “salutarlo come si deve”.
Però non l’ ho fatto. Rettifica…non
l’ hai fatto fino a quando lui non ti ha salutata.
Quando aveva aperto la bocca per salutarmi il mio cervello si
scollegò completamente. Gli andai incontro facendo scontrare
violentemente i nostri corpi.
Mi appiccicai a lui peggio di una ventosa. Lo avevo sentito ridere
divertito, non mi importava. Mi baciava dolcemente i capelli
accarezzandomi la schiena.
Ci mancavano soltanto un paio di lacrime e lo avevo appena fatto
tornare dalla guerra. Insomma..era stato via per lavoro. Eppure avevo
avuto in continuazione l’impressione che ci fosse qualcosa
che
non andava. Sentivo che la sua vita era in pericolo e non capivo il
perché. Ero arrivata a una crisi isterica.
Pensavo di essere diventata pazza. Una notte me lo immaginai
addirittura. Stava vegliando su di. Ero quasi sicura che fosse
veramente li, ma molto probabilmente era uno scherzo della mia
immaginazione.
Mangiammo quasi silenziosamente come se la lontananza ci avesse privati
della parola. Avevo provato a chiedergli qualcosa del viaggio, ma tutte
le volte che si toccava argomento lui cambiava subito discorso. Ero in
imbarazzo. Non sapevo di che parlare. Meno male lui mi diede una mano.
cominciò a farmi mille domande diverse alle quali rispondevo
senza problemi e grazie alle quali riuscii a rilassarmi e a godermi la
serata.
“ a proposito…come sta Chris?”
“ uhm… sta bene. oh almeno credo.” Mi
misi in bocca
un altro boccone di cibo e assaporai per bene il sapore dolce del
cioccolato. Lo sentii ridere chino sulla sua coppa di gelato.
“ troppo impegnata a trovare qualcuno che mi
rimpiazzasse?”
“ ci stavo facendo un pensierino.” Ci trovammo
tutti e due
a ridere. Forse sarà stato il vino, ma mi sentivo
particolarmente leggera, libera. Si forse avevamo alzato un
po’
troppo il gomito. Mi portai alle labbra il mio bicchiere mezzo vuoto e
sorseggiai dell’ottimo vino rosso.
Finito di cenare decidemmo di fare due passi. Era mezzanotte, ma
nonostante tutto la città era completamente illuminata.
“ è bella la città di notte”
aveva osservato non staccandomi gli occhi di dosso.
“già…è ancora meglio che di
giorno”
“come mai?”
" la notte copre tutte le cose brutte non credi?"
“non sono del tutto d’accordo”
“ognuno la propria opinione” dissi facendo
spallucce.
“non credi che potrebbe anche nascondere le cose
belle?”
“no…le cose belle risplendono” la sua
faccia era un
punto interrogativo “ad esempio… la luna ci
permette di
vedere tutto quanto sotto una luce argentata; vediamo le stelle in
cielo che colorano l’acqua dei fiumi, dei mari; i lampioni
illuminano le strade evidenziando soltanto cose
belle…insomma
tutto ciò che è bello viene valorizzato e scampa
dall’oscurità della notte.”
Si fermò proprio sotto a un lampione facendomi segno di
avvicinarmi a lui.
“ se è come dici tu, allora tu dovresti essere
costantemente illuminata.” Incatenò i suoi occhi
nei miei
sporgendosi verso di me per baciarmi.
Appoggiai lievemente le labbra sulle sue che schiuse immediatamente. In
un baleno potei sentire il suo sapore dolciastro. Cominciai a baciarlo
avidamente.
Quanto mi sei
mancato…
non riuscivo a bloccare i miei pensieri che cominciarono a vagare di
lui. Desiderai sentirlo ancora più vicino di quanto lo fosse
in
quel momento.
A malincuore smisi di baciarlo e continuammo a camminare parlando del
più e del meno.
Arrivati sotto casa mia si fece improvvisamente muto. Frugai nella
borsa alla ricerca delle chiavi di casa. Non riuscivo a capire il
motivo del suo improvviso silenzio. Stranamente mi trovai nuovamente in
imbarazzo. Forse non voleva lasciarmi andare per paura di perdermi.
Chissà magari non ci saremmo più visti. Voleva
che sarei
rimasta con lui per un lungo arco di tempo, al suo fianco. Come farebbe
una brava fidanzata. Magari voleva avermi tra le sue lenzuola ogni
notte. Vestita o no, non aveva importanza l’importante
è
che fossi con lui. Mi vedevo bene nel grande letto dalla spalliera di
legno e i muri della stanza d’orati. Deficiente è quello
che vuoi te!
Mi scappò una smorfia chiedendomi perché non
potessi
leggergli la mente. Lui stava lì impalato davanti a me che
mi
fissava senza dire niente. Finalmente trovai le chiavi di casa e le
inserii nella fessura della serratura. Mi avvicinai a lui che era
rimasto indietro come se ci fosse un confine che non potesse superare.
Gli portai le braccia al collo passandogli le dita tra i capelli. Lo
baciai. Gli dessi un bacio sulle labbra, piccolo, breve, i miei occhi
nei suoi occhi. Con le mani ben salde ma delicate, continuava a tenermi
per le guance, e rispose al mio bacio. Senza fretta,
all’inizio,
con dolcezza e poi sempre più irruente, passionale. La sua
lingua ritrovava la mia, e il suo sapore tornava ad essere il mio
sapore. Era dolce, dolcissimo, uguale al miele. Si staccò
per
riprendere fiato e per guardarmi. Trovava i miei occhi morbidi, caldi,
e senza attendere un secondo, riprese a baciarmi il viso.
Le labbra mi baciavano febbrili desiderose di me. Mi abbandonai
completamente a lui come da mio solito. Cominciai a sentire le gambe
pesanti e, se non fosse per lui, sarei caduta a terra sicuramente. Con
un braccio intorno alla vita mi teneva in piedi, mentre
l’altra
mano era sul mio viso che mi accarezzava senza fermarsi un attimo.
Lentamente si staccò dalla mia bocca e mi baciò
il collo.
Respirai avidamente l’aria che mi era mancata.
“sei stupenda” mi disse mordicchiandomi leggermente
il lobo
dell’orecchio. Mi scappo un gemito dalla bocca che lo fece
ridere.
“ Kelly…Kelly…Kelly” disse
rimproverandomi
bonariamente. “dovresti cercare di
trattenerti…”
Adesso ero completamente rossa di vergogna. Sei fortunata che non ti sta
guardando in faccia!
Mi fece sedere sul muretto della siepe e riprese a giocare con le mie
labbra. Non l’avevo mai sentito così.
Sembrava…assatanato e mi eccitava terribilmente. Mi
avvinghiai a
lui. Niente e nessuno sarebbe riuscito a staccarmi in quel momento. Cerca di far funzionare il
cervello. Dove aveva detto Chris che andava questa sera?
Con lui che mi baciava facendomi perdere la testa era impossibile
ragionare. Considerala
da questo punto di vista: prima di concentri e prima potrai spogliarlo.
Cercai di focalizzare la mia amica mentre usciva di casa.
“dove
vai?”
“da Jared.
Perché?”
“così…hai
intenzione di rimanere la?”
“cos’
hai in mente Kelly?”
“ tu rispondi
alla mia domanda e poi te lo dico”
“devi vedere
James. Vero?”
“ okay va
bene! devo vedere James!”
“alleluia! Un
po’ di sano sesso di farebbe bene! troppa astinenza ti far
diventare acida”
“non
è vero brutta isterica!”
“appunto…comunque
sto via questa sera. La casa è tutta tua!”
Perfetto…chiusi gli occhi cercando di formulare dentro di me
il modo migliore per chiedergli di portarmi a letto. “Se
vuoi Chris è via”…no fa pena!
“Chris è
andata a fare del sano e buon vecchio sesso. Ti va se la
imitiamo?” Ma per favore! Intanto era risceso e
torturarmi il collo e tutta quanta la mascella. Proviamo
eliminando Chris… “se vuoi la casa è
libera…”…sembra che ti deve
violentare…se
vuoi…come se io non volessi! Proviamo con un classico
“ti
va di salire?” no! Non mi piace. Non pensavo fosse
così
difficile!
Sentii James bisbigliare qualcosa di incomprensibile sulla mia pelle.
Mi attirò a se facendomi aderire sul suo bacino.
“ ti va di accompagnarmi di sopra?” gli chiesi con
una voce
talmente mielosa che neppure io sarei riuscita a resistergli.
“ magari un sopraluogo veloce” mi disse con le
labbra
ancora sopra le mie. Sorrisi divertita quando mi prese in braccio senza
staccare più le labbra dalle mie. Era un bene che mi trovavo
tra
le sue braccia se no, non sarei riuscita a fare nemmeno un passo. Mi
baciò per tutto il tempo che l’ascensore ci mise
per
raggiungere l’ultimo piano, dove stava il mio appartamento.
Mi
appoggiò per terra solamente quando dovetti prendere le
chiavi
per aprire la porta di casa.
Mi cingeva i fianchi con le mani, senza permettermi di scostarmi da lui
più di tanto. Percepivo chiaramente la sua erezione sulla
schiena e le sue labbra sul mio collo. Riuscire ad aprire la porta con
la mano che tremava era veramente un’impresa.
“ Chris?” mi chiese stringendomi maggiormente a se.
“è fuori…”riuscii a dire tra
un sussurro e
l’altro. Finalmente riuscii ad aprire la porta. Lo presi per
mano
e lo trascinai con me dentro recuperando tutta la forza che avessi in
corpo per sostenermi in piedi. Mi riprese in braccio chiudendo, forse
con un piede, la porta di casa. Mi portò in camera da letto
e mi
fece stendere sovrastandomi col suo corpo. Gli presi il viso tra le
mani e lo baciai ripetutamente. Volevo sentirlo. Sentire le sue mani
pesanti su di me.
Sentire il calore della pelle nuda. Mi inarcai sotto il suo tocco come
fossi una gatta in cerca di coccole. Adesso non ti metterai mica a
miagolare eh?…mi auto-rimproverai nella mia
testa.
Lo adoravo e non era una novità. Mi accarezzò
tutta.
Nonostante il buio riuscivo a vedere la sua smorfia di disgusto verso i
vestiti che indossavo.
Non che fossero brutti, ma sicuramente avrebbe preferito accarezzare la
mia pelle anziché quella stoffa leggera. Con una lentezza
sadica
ed a tratti esasperante si tolse i vestiti. Era il mio dio greco venuto
sulla terra soltanto per me. gli passai le dita lungo la linea del suo
petto per poi passare agli addominali scolpiti sul ventre. Pensavo che
uomini così esistessero soltanto nelle riviste di moda, e
invece, eccolo davanti ai miei occhi. Tutto per me. Mi sfilò
i
jeans con calma sicuramente studiata, passando poi, alla mia camicetta.
Lo fece con disinvoltura come se non avesse fatto altro che quello in
tutta la sua vita, continuando a fissarmi negli occhi. Io ormai
dipendevo completamente da lui. Adoravo i suoi occhi azzurro brillanti
di gioia e desiderio. Se avessi potuto, avrei voluto guardarli per
sempre, sperando che sarebbero brillati in eterno solo e soltanto per
me. Mi sentii egoista, ma no m’importava. Ero io quella che
lo
stava fissando.
Ero io quella che si trovava mezza nuda sotto di lui. Io, io soltanto.
Potevo permettermelo qualche pensiero cattivo no? Quando i bottoni
finirono mi aprì la camicetta senza sfilarmela. Mi
osservò attento. Sentii passare il suo sguardo sulle mie
cosce,
salire lungo la curva dei miei fianchi, rifermarsi sulla mia pancia
chiara, il mio stomaco, il mio seno, ancora coperto dal reggiseno nero.
Le sue mani furono sulla mia pelle che mi accarezzavano brucianti. Il
suo tocco leggero sembrava avesse paura di ferirmi in qualche modo.
Tremavo. Non me ne ero nemmeno resa conto, ma stavo tremando. Avevo
bisogno di lui. Un bisogno incondizionato delle sue carezze, di suoi
baci, di tutto quanto appartenesse a lui.
Si allontanò da me in modo che io lo seguissi cercando di
far
rimanere le nostre labbra il più possibile attaccate e ne
approfittò per sfilarmi del tutto la camicetta e tirarmi via
il
reggiseno. Mi appoggiò le mani sulla vita e mi
portò con
la testa sopra al cuscino.
Si avvicinò di nuovo al mio orecchio… adoro
questa
cosa… sentire le sue parole così vicine, sentire
il
profumo del suo respiro e accarezzargli il viso mentre mi parla, con la
sua voce morbida e soave.
“ lo sai vero piccola che mi fai impazzire? Sei
stupenda”.
Lo strinsi forte a me e lui mi strinse forte a se, baciandomi il collo.
Facevo fatica a respirare. Mi mancava terribilmente l’aria.
Gli
presi il viso con entrambe le mani e lo baciai facendogli capire quanto
lo desiderassi e quanto volessi essere sua. James ne
approfittò
accarezzandomi scoprendomi terribilmente bagnata, eccitata, pronta ad
accoglierlo.
Cercai di nascondere il tremore delle mie mani e scesi per abbassargli
i boxer. Il suo membro sembrava gonfiarsi sempre di più
sotto il
mio sguardo.
Era completamente dritto. La punta lucida e gonfia, color
rosa
acceso. Gli tornai a prendere il viso tra le mani mentre con la mano
continuava ad accarezzarmi facendomi sospirare, ad occhi chiusi con
lui. Ci baciammo a lungo con tutta la passione che avevamo in corpo.
Gemetti quando lo sentii finalmente rovente e pulsante dentro di me.
Cominciò a muoversi lentamente mentre gli tenevo il viso tra
le
mani e glielo riempivo di teneri baci. Mi accarezzava il seno
aumentando il mio piacere che presto cominciò a crescere
sempre
di più. Avevo la mente libera da qualsiasi pensiero. Mi
stavo
lasciando guidare dalle emozioni e le voglie che sentivo crescere in
me. Le sue mani sui miei seni mi stringevano delicatamente.
Scostò una mano dal mio seno e la intrecciò con
la mia
portandola sopra al cuscino. Portò l’altra mano
sul mio
viso, aumentando la velocità dei suoi movimenti. Sentivo il
suo
pene entrare e uscire e ben presto cominciai a muovermi compensando i
suoi movimenti. Le nostre mani intrecciate si stringevano come per
dirci “ci sono, sento tutto questo anche io”.
I nostri corpi sembravano combaciare perfettamente come se destinati a
quello. Le sentii venire dentro di me e dopo qualche minuto fui invasa
completamente da un piacere immenso che mi lasciò
boccheggiante.
L’aria era piena del suo odore forte di uomo mischiato alla
fragranza che era sempre impressa sul tappeto della mia camera. Stanco
e sudato uscì come me senza fiato. Mi baciò tutto
quanto
il corpo ancora tremante e scosso, prima di sdraiarsi al mio fianco e
di tirarmi su di se, facendomi appoggiare la testa sul suo ampio petto
scolpito. Con un braccio mi circondava la vita accarezzandomi il fianco
e, qualche volta, posando la mano sui miei glutei. Una gamba tra le
mie, la mano libera stringeva la mia mano appoggiata sul suo petto. Era
tutto sudato, ma non mi dava fastidio. Mi baciò sulla fronte
per
poi cullarmi come fossi una bambina piccola. Il mio respiro si fece
pian paino sempre più pesante. Sentivo la stanchezza
invadermi
tutta quanta. Mi rilassai sopra di lui e mi abbandonai al piacere del
sonno che mi stava accogliendo facendomi perdere coscienza di me
stessa.
“ notte bimba” sentii la sua voce lontana e le sue
labbra
baciarmi nuovamente la testa. Non avevo la forza per rispondere a quei
suoi baci affettuosi, talmente protettivi. Avrei voluto auguragli anche
io una buona notte e tanti bei sogni d’oro, ma fu
più
forte di me. Non volevo addormentarmi.
Volevo starmene tutta quanta le notte a guardare il mio angelo dormire.
Contro la mia volontà mi addormentai sperando che la notte
se ne
andasse velocemente e che sarebbe arrivato presto il mattino.
|
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Capitolo 14 *** capitolo 14 ***
Mi dispiace che magari non
posso sembrare ancora chiaro!
comunque la vera
storia sarebbe quella (per il momento) pallosa che corrisponderebbe al
12 capitolo...vi prometto che sarà più
emozionante più avanti!! XD
adesso
però si torna ai nostri piccioncini...dove gli avevamo
lasciati...ah si!
James
Fissavo i suoi occhi spaventati, allucinati. Li avevo visti contenti,
felici, eccitati, tristi, ma mai spaventati. Continuavo a guardarmi
intorno cercando di capire che cosa fosse la causa di tale paura.
Niente. Nella stanza non c’era niente. Soltanto io e lei. Era
legata al muro, prigioniera impaurita. No. Il mio fiore no. Cominciai a
sentirmi ansioso. Sentivo il bisogno forte di sbarazzarmi della causa
del suo terrore, ma non riuscivo a trovarla. Guardavo a destra.
Poi a sinistra. Dietro di me. Tornavo a fissare i suoi occhi dilatati
dal terrore. Mi sentivo impotente, incapace di alleviarle le sue
sofferenze e questo mi distruggeva. Ed ecco che allora ripetevo le
stesse operazioni. Continuavo a guardarmi attorno senza capire cosa ci
fosse di così spregevole. “che cosa ti spaventa?
Aiutami!” urlavo terrorizzato dal suo sguardo. Con la mano
tremante e incatenata al muro indicò verso la mia direzione.
Mi
guardai le spalle, ma non trovai nulla di strano proprio come qualche
secondo prima. Sentivo il suo cuore battere troppo velocemente per lo
spavento. Ogni battito rimbombava all’interno della stanza e
della mia testa. Cercai di avvicinarmi a lei. Il suo cuore accelerava
ad ogni mio passo e quando le fui vicino, le afferrai il viso tra le
mani. I suoi occhi verdi si erano inscuriti diventando di un verde
scuro quasi nero. “Kelly dimmi che hai! Posso aiutarti se mi
dici
cosa succede” le pupille si spalancarono ancora di
più di
quanto non lo fossero già in precedenza e strinse forte gli
occhi come in attesa di una qualche punizione, cercando di allontanarsi
da me il più possibile.
“ dimmi che cosa succede!” le ordinai urlando
straziato dal dolore.
“lasciami stare!vattene mostro!” aveva urlato tutto
quanto
di un fiato scoppiando a piangere per le troppe emozioni forti. Mi
sentivo mancare.
Le gambe mi cedettero quando compresi che ero io la causa del
suo
terrore. Un dolore forte mi stava massacrando dentro. Un dolore diverso
da quello provato in precedenza. Non potevo sopportare l’idea
di
vederla in quello stato e sapere che ero stato io a ridurla
così
mi uccideva letteralmente. Se non mi fossi sbarazzato di tutto quel
dolore che si stava accumulando nel mio cuore, sarebbe finito per
espandersi in tutto il corpo lasciandomi vagante senza anima, uccisa
dal tormento per la vista di quegli occhi. Aprii la bocca in cerca di
una via di scampo da quel destino terribile che stava incombendo su di
me.
I singhiozzi di lei mi stavano monopolizzando e nella mia testa si era
incantato il disco sulle sue uniche parole, urlate come se fosse un
ultimo esasperato urlo di pietà nei suoi confronti, come
volesse
impietosire una belva in preda al delirio anche sapendo che non sarebbe
servito a niente. Urlai con tutta la forza che avevo dentro. Volevo
squarciare tutto quanto. Far cessare quell’incubo dal quale
non
avevo intenzione di svegliarmi. Pregai ad alta voce me stesso.
“ti prego se questo è un incubo fa che mi
svegli” mi
dondolavo sul pavimento preso da un attacco isterico. Sentivo
nuovamente il bisogno di gridare al mondo intero il mio dolore e
così feci ululando come un lupo ulula alla luna la propria
solitudine nella foresta.
Riaprii gli occhi nel morbido letto della camera di Kelly ansimante e
fradicio di sudore. Mi ci vollero un paio di minuti per realizzare che
era stato tutto quanto un sogno e che lei stava dormendo al mio fianco
tranquilla e rilassata proprio come quando mi ero addormentato. Mi
alzai facendo attenzione a non svegliarla e mi recai in bagno. Mi lavai
la faccia e rimasi a fissarmi allo specchio per un lungo periodo di
tempo. Ero stravolto. Lo sguardo di Kelly terrorizzato dalla mia
presenza mi faceva raggelare il sangue nelle vene e raddrizzare tutti
quanti i peli sul mio corpo. Non mi lasciava respirare. Mi
perseguitava.
Avevamo fatto l’amore e era stato tutto quanto perfetto. Ma
adesso come facevo a dirle la verità sul mio conto? Aveva
diritto di sapere, ma era tutto così tremendamente
difficile! E
se non mi avesse accettato? Come avrei fatto a vivere la mia vita senza
di lei proprio ora che ne sentivo il bisogno più che mai?
Mi appoggiai sul lavandino fissando l’acqua del rubinetto che
scorreva. Misi la testa sotto l’acqua fredda cercando di
scacciare quei pensieri orrendi.
Chiusi il rubinetto e rimasi per qualche minuto ad ascoltare il rumore
del tonfo delle goccioline cha cadevano dalla mia testa, sul pavimento
del bagno. Asciugatomi velocemente i capelli con un asciugamano trovato
lì, ritornai a infilarmi sotto le coperte. La fissai a
lungo.
Osservai il modo con cui i suoi capelli ondulati, le ricadevano sul
viso morbidi e lucidi. Osservai il suo petto che si abbassava e alzava
insieme al suo respiro profondo. Le sue labbra carnose e succulente
erano leggermente piegate in una specie di sorriso. Le guance ancora
rosse accaldate, come tutto quanto il suo corpo. Coprii la breve
distanza che ci separava e me la strinsi al petto giurando a me stesso
di non vedere mai sul suo viso quella espressione di terrore che tanto
mi perseguitava. Lei era mia.
L’avrei protetta da qualsiasi male. Anche da me se ce ne
fosse
stato bisogno. Decisi che doveva sapere, che avrei dovuto parlargli di
me al più presto.
Se fosse stata la donna intelligente che credevo che fosse, sarebbe
scappata. Mi avrebbe sbattuto fuori dalla sua vita. In fondo sarebbe
stato meglio così.
In questo modo non sarei dovuto essere io a troncare la relazione
quando la situazione si sarebbe fatta troppo pericolosa per lei. Una fatica in meno.
Io ero troppo egoista per riuscire a fare tutto quanto da solo. La
volevo per me. Era tutta quanta mia. Mia…e di nessun altro.
E se
invece non fosse stata poi così tanto intelligente? Se non
mi
avrebbe cacciato via come da una parte speravo, ma dall’altra
detestavo? Sarebbe stato fantastico rientrare a casa dopo una missione
difficile e faticosa e trovarla sul divano ad aspettarmi. Magari mezza
nuda, pronta a saltarmi addosso e a fare l’amore per tutta
quanta
la notte. Oppure, semplicemente, ci saremmo immersi nella mia immensa
vasca da bagno e mi avrebbe aiutato a rilassarmi, massaggiandomi la
schiena e riempiendomi di coccole fino ad addormentarci abbracciati
ogni sera contenti di stare insieme. Tu viaggi un po’
troppo con la testa ultimamente… e con questi
pensieri mi addormentai nuovamente.
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Capitolo 15 *** capitolo 15 ***
oggi vi va di lusso!! due
nuovi capitoli di seguito!
vorrei ringraziare tutti quanti per il sostegno che donate a questa fan
fiction! siete splendidi!
PS Ladywolf: credo che la canzone da scelta per il 13 capitolo sia
proprio azzeccata ;-)
James
Mi risvegliai presto quella mattina come tutte quante le altre mattine.
Era l’alba e non mi spettavo di certo che la mia bimba si
sarebbe
svegliata da un momento all’altro. Così mi
rivestii e mi
recai al bar più vicino aperto a quell’ora del
mattino,
per prendere un’abbondante colazione da portare via. Quando
ritornai a casa sua, aprii la porta con le chiavi di casa che le avevo
fregato dalla borsetta, ed entrai sorridendo trovandola ancora a letto
immersa nei suoi sogni.
Aveva cambiato posizione e, adesso, si trovava sdraiata a pancia in
giù. La coperta era scesa lasciandole scoperta tutta quanta
la
schiena nuda.
Vederla dormire così bene mi invogliò a tornare
sotto le
coperte e a rilassarmi al suo fianco. Così feci. Mi svestii
e mi
misi sotto le coperte. Sdraiato su un fianco continuavo a guardarle le
spalle scoperte e la sua schiena bianca stupenda. La sua carnagione
chiara splendeva sotto la luce opaca del sole che filtrava dalle
insegne della portafinestra. Mi avvicinai e le baciai la spalla.
È un bacio veloce, lieve…non volevo svegliarla.
Non si
sveglia. Allora gliene detti un altro, tanti altri, sempre meno veloci.
Mi
piaceva il sapore della sua pelle. Era salata, forse per il sudore
assorbito durante la notte. La annusai. Aveva un odore famigliare, che
avevo
già sentito tante volte.
“ho un buon odore?” era sveglia. Mi sorride e io
faccio lo stesso contagiato da quella meraviglia della natura.
“ si…mi piace” le dico appoggiando la
testa sul cuscino a pochi centimetri dal suo viso.
“ so di te” mi dice baciandomi lievemente il naso.
La
attirai a me circondandole la vita con il mio braccio e facendola
aderire a me.
“ecco dove lo avevo già
sentito…” le baciai
la fronte accarezzandole il viso e lisciandole i capelli morbidi, in
modo da spostarglieli dal viso splendido e raggiante.
“ sei stupenda questa mattina” le dissi fissandola
negli occhi che brillarono al suono delle mie parole.
“ nah…ti hanno dato un colpo in testa. Non
ricordi?”
assunsi l’espressione di un bambino di 7 anni che cerca di
calcolare 7+9 battendomi le dita sulle labbra concentrato dai miei
pensieri.
“allora?” mi chiese allontanandosi di qualche
centimetro per vedere a pieno a mia espressine.
“ no…proprio niente”
“ deve essere stata un botta proprio
forte…” disse
tornando ad abbracciarmi e ad accovacciarsi sul mio petto. Il seno
morbido premeva su di me facendomi letteralmente impazzire. Sarei
potuto rimanere anni luce in quella posizione. Si stava così
bene.
“ Kelly dormi?” le chiesi dopo qualche minuto che
avevamo smesso di parlare
“non esattamente…” la voce assonnata mi
fece capire
che stava per dormire e che aveva ancora bisogno di riposare. In fondo
non era abituata a dormire soltanto poche ore la notte.
“hai fame?” non volevo lasciarla andare di nuovo
nel mondo
dei sogni. Avevo bisogno di fissarla negli occhi per ore intere in modo
da riuscire a scacciare quell’immagine terribile che ancora
mi
perseguitava. Non rispose.
“Kelly?”
“uhm…” stava per andare. Sorrisi
stringendola
maggiormente a me. Mi sentivo scoppiare il cuore di felicità
e
tenerezza.
“ notte amore mio” le dissi baciandola sulla testa
anche se
molto probabilmente era già partita per un lungo viaggio.
La guardai dormire a lungo. Era così carina mentre dormiva
appollaiata
su di me con tutti i capelli arruffati che le coprivano il viso immerso
in un lungo sonno.
Adesso capivo finalmente cosa intendeva David quando mi diceva che
sembra essere caduta nel paese delle meraviglie. Ogni tanto sembrava
svegliarsi, si muoveva un po’ e, dopo essersi posizionata
meglio,
tornava a dormire come se niente fosse. Mi teneva ben saldo sotto di
lei. L’avevo accarezzata e coccolata per tutta la mattina
sperando che facesse sogni belli. Soltanto dopo ore aveva riaperto gli
occhi stirando i muscoli rattrappiti.
“sono un buon cuscino?” sorrise guardandomi dritto
negli occhi
“ il migliore” la voce roca ancora assonnata era
veramente carina. Cos’è
che non lo è di lei eh? Mi baciò il
petto stringendosi a me.
“buongiorno bimba”
“giorno” osservai a lungo come la luce morbida del
sole le
illuminava il viso e la faceva risplendere in tutta la sua bellezza. Le
accarezzai la schiena ancora nuda appoggiando poi la mia mano sulla sua
vita.
“ lo sapevi che sei stupenda?” arrossì
vertiginosamente cercando di nascondere il rossore.
“si…forse” risi divertito dalla sua
espressione così ingenua, così pura.
“hai fame? Ho preso la colazione”
Annuì sempre rossa e mi alzai per andare a prendere il
sacchetto abbondante che avevo preso parecchie ore prima.
“non sapevo cosa preferivi perciò ho preso un
po’ di
tutto…” mi risistemai accanto a lei e aprii il
sacchetto.
“ c’è del caffè freddo, del
cappuccino
freddo, del the freddo, della cioccolata fredda…”
le
lanciai un’occhiata tenendola d’occhio
“…poi
abbiamo delle brioche al cioccolato, alla marmellata e vuote, sempre
fredde, sia chiaro” rise divertita e si mise a sedere al mio
fianco. La coperta le scese fino alla vita lasciando scoperto il petto
nudo. Mi imposi di non fissarla in continuazione, anche se la
tentazione era veramente troppo grande. Adoravo quello piccolo
scricciolo che sorrideva curiosa alla ricerca di qualcosa che la
stuzzicasse all’interno del mio sacchetto.
“quando la sei andato a prendere tutta questa
roba?” scelse
una brioche al cioccolato e prese quel che prima era un the caldo.
“ piuttosto presto…”
“non dormi mai tanto la notte vero?”
sorseggiò il
the e staccò un pezzo di pasta dalla brioche che
si mise
in bocca assaporandola.
“soprattutto le notti nelle quali sei al mio
fianco…è…bello guardarti
dormire” afferrai
il caffè e ne bevvi un lungo sorso. Il bar dove lo ero
andato a
prendere era uno dei migliori bar della città, ma anche il
miglior caffè del mondo dopo quattro ore dentro un bicchiere
di
plastica assume un sapore irriconoscibile.
Quindi non potevo dire che si trattasse veramente di caffè.
Sarebbe potuta essere anche acqua sporca, che non ne avrei notato la
differenza.
“sono sicura di non essere tutto questo
divertimento” era diventata di nuovo rossa e tentava ancora
di nasconderlo.
“a me piace” diedi un morso a una delle due brioche
rimanenti. Ancora con la bocca piena, mi sistemai il cuscino per bene
dietro alla schiena e mi appoggiai contro la spalliera del letto. In un
secondo momento, la trascinai al mio fianco, afferrandola per la vita e
facendola appoggiare contro di me.
Facemmo colazione continuando a scherzare e a parlare di tutto.
Naturalmente non le permettevo di allontanarsi più di tanto
da
me e quando rabbrividiva la stringevo maggiormente coprendola con le
coperte di mezza stagione che erano stese disordinate sul letto. Verso
mezzogiorno la vidi alzarsi e raccogliere i nostri vestiti dal
pavimento.
“forse è meglio che ti rivesti” mi disse
gettandomi
addosso i miei abiti. La vidi sparire in bagno e per poi tornare con in
mano una maglietta di cotone e dei jeans chiari. “sta per
tornare
a casa Chris”. Mi rivestii mentre lei era tornata in bagno
per
sistemarsi i capelli ancora arruffati. La raggiunsi mentre si stava
raccogliendo i capelli in una coda da cavallo e la abbracciai da
dietro. Appoggiai la mia testa sulla sua spalla e le baciai il collo
facendole il solletico col mio respiro.
“James!” mi rimproverò bonariamente
“ mi fai
il solletico smettila” e così dicendo cercava di
allontanarsi dal mio tocco che la faceva ridere.
Io però non la smettevo. Ero dipendente dalla sua risata
fresca
e soave. “smettila! Mi farai morire!” si dimenava
sempre di
più continuando a ridere e a ridere.
“non si può morire per il solletico” le
feci notare continuando a torturarla.
“no, ma se mi fa tropo ridere io muoio per
soffocamento!”
non riusciva più a contenersi. Rideva coma una matta tanto
che
quando decisi di lasciarla stare, aveva le lacrime agli occhi.
“ adesso che so qual è il suo punto debole,
dovrà
fare tutto quello che le chiedo, signorina Evans” dissi
cercando di imitare la
voce del classico cattivone.
“non riuscirà a farmi svegliare
all’alba!” mi disse stando al gioco
“alle sette”
“nove”
“sette e mezza”
“otto” non avrebbe ceduto tanto facilmente.
“andata!” sorrise voltandosi verso di me e
abbracciandomi circondandomi in collo con le sue braccia.
“ adesso però dobbiamo sigillare il
patto…” disse lei a pochi centimetri dalla mia
faccia
“uhm…è la parte che
preferisco” appoggiai le
mie labbra sulle sue che schiuse immediatamente. Dopo qualche minuto
che ci baciavamo sentimmo infilare le chiavi di casa nella fessura
della serratura e in due secondi, Kelly si allontanò da me
capendo che la sua amica era rientrata a casa.
“Ehy ciao!” la voce di Chris ci arrivò
dall’ingresso di casa. Kelly la salutò con un
cenno quando
l’amica la venne a cercare scoprendomi ancora in casa loro.
Mi sembra di compiere un reato a stare con la mia ragazza con Chris tra
i piedi.
“ Buongiorno Christin” la salutai cortesemente
cercando di
non sembrare maleducato anche se in realtà avrei voluto
farla
sparire dal resto della faccia della Terra.
“ ciao James” mi salutò per poi tornare
a guardare
Kelly che stringevo al mio fianco tenendole una mano intorno alla vita
“spero di non aver interretto niente” e
così dicendo
si diresse verso la sua camera, ripose una borsa da ufficio per
prendere quella della palestra.
“torno verso le sei. Hai bisogno di qualcosa? Mi fermo al
supermercato”
“no. Tranquilla, ho tutto quello che mi
serve”
“Bene…” e così dicendo se
andò
chiudendosi la porta di casa alle spalle. In fondo capiva quando era di
troppo. Saremmo andati d’accordo.
Come se ne fu andata Kelly scoppiò a ridere.
“ mi sembra di tornare indietro di dieci anni quando mia
mamma mi
beccava con il fidanzato che ci baciavamo. Dovevi vedere la tua
faccia!”
“che faccia avevo?” le chiesi stringendola
“la faccia di una persona infastidita dalla presenza di
un’ altra”
non me lo sarei aspettato. Speravo di non dare quella impressione.
“ bella impressione che ho dato!” mi si
avvicinò ancora di più smettendo di ridere
“ tranquillo. Sei stupendo”
“uhm…dov’è che eravamo
rimasti?” le
chiesi con tono malizioso vedendomi le sue labbra sempre più
vicine.
“ più o meno qui” venni travolto dalla
sua passione
e dal suo sapore dolce, di cioccolata. Come al solito si era
completamente abbandonata a me e tra poco, avrei dovuto tenerla in
braccio per non farla cascare a terra. La feci indietreggiare e pian
piano, la riportai in camera da letto. Avevo ancora voglia di lei.
Non poteva essere possibile. Avevo ancora voglia di sentirla nuda, di
annusare la sua pelle morbida e di baciarla ovunque. Le mie mani si
infilarono sotto la maglietta stringendole la vita. Senza mai staccare
le nostre labbra, feci salire le mie mani portandomi dietro anche la
maglietta e scoprendola, così, tutta quanta. Non aveva messo
il
reggiseno e presto toccai quelle sporgenze così perfette ed
eccitate che accarezzavo e stringevo delicatamente. Portai le mie
labbra su uno dei suoi capezzoli e glielo leccai assaporandone il
sapore. Sorrisi sentendola gemere. Risali baciandole la pelle che
pareva petali di rose, così morbida e delicata. Mi mise a
sedere
sul letto trascinandomi con se. Si sdraiò e con lei, mi
sdraiai
anch’io. Le tirai via la maglia e le baciai la spalla facendo
calare le mie mani lungo tutto quanto il suo corpo. Una volta arrivato
all’attaccatura dei jeans, glieli sbottonai e glieli sfilai
insieme alle mutandine colorate.
Rimasi qualche secondo a guardarla sotto la luce del sole. Era talmente
bella da togliere il respiro. Le baciai la pancia piatta, risali lungo
il suo stomaco, il seno, la spalla, il collo. Mi fermai a lungo sulla
sua mascella godendo sentendola gemere e rabbrividire ad occhi chiusi.
Ci baciammo appassionatamente.
Avevo le sue mani che mi torturavano i capelli accarezzandoli e
stringendoli. Il cavallo dei pantaloni mi stringeva sempre
più.
Tutta un fremito mi accarezzò il petto afferrando
l’orlo
della mia maglia. L’aiutai a tirarla via buttandola poi da
qualche parte. Sentendo la mia eccitazione il suo corpo si
strusciò contro il mio allargando per me le gambe. Era
bagnata,
lo potevo sentire chiaramente. Posandomi le mani sul petto mi fece
rotolare a pancia in su sedendosi, poi, a cavalcioni su di me. Mi
slacciò la cintura, poi i bottoni, la zip. Mi
sfilò i
pantaloni e poi anche i boxer. Chiusi gli occhi cercando di recuperare
un po’ di lucidità. Sentii la sua mano
accarezzarmi e
stringermi. Mi lasciai fuggire un gemito quando cominciò a
masturbarmi lentamente. Quello scricciolo sapeva sempre come farmi
impazzire. Dio fa si
che tutto questo non finisca. Mi stava procurando
scosse di piacere che si espandevano in tutto quanto il corpo. Stavo
per venire.
Mi misi a sedere cercando le sue labbra. La baciai cercando di
trasmetterle ciò che mi stava donando. Mi si
posizionò
cavalcioni e con qualche movimento di troppo mi accolse dentro di se.
Mi sdraiai continuando a baciarla con tutta quanta la passione avessi
in corpo. Lei strinse le sue cosce intorno ai mie fianchi e
ricambiò il bacio a lungo, cominciando a ondeggiare il
proprio
bacino avanti e indietro. Sempre più veloce. Dentro, fuori.
Dentro, fuori. Sentii il mio pene pulsare dentro quella carne calda.
Venne un po’ dopo di me abbandonandosi poi sul mio petto
affaticata. Si sdraiò al mio fianco cercando di recuperare
aria.
Velocemente la sovrastai col mio corpo. Mi strinse baciandomi la spalla
e accarezzandomi il collo. Appoggiai le labbra sulle sue senza
schiuderle, sfiorandole appena. “ti voglio”.
Avvicinai la
sua coscia al mio bacino e la sovrastai completamente. Di nuovo,
lasciai che siano soltanto i sensi a guidarmi e a troneggiare fra noi.
Mi lasciai sopraffare dal desiderio, che assunse la forma della sua
bocca.
Mi baciò le labbra, succhiandole e mordendole. Mi mossi
baciandole il collo. Lei cercava di riprendere fiato, faticando a
respirare. Le baciai nuovamente il petto prendendole i seni tra le
mani. Mi strinse a se e mi sciolsi su di lei emozionato. Ci
baciammo con trasporto, con passione, eravamo soltanto io e lei, nessun
altro. Eravamo felici.
La penetrai con dolcezza, ancora desideroso della sua carne morbida e
calda che tanto mi faceva impazzire. Ogni movimento era una spinta
lenta che gettava benzina sui nostri corpi infiammati. Le accarezzavo
il viso guardandola negli occhi.
Ci baciamo e ci mordicchiamo le labbra a vicenda.
Ogni spinta era sempre più lenta, accompagnata dai nostri
respiri soffocati.
La baciai con passione, tanta passione. Mi mossi con ardore dentro di
lei senza smettere di guardarla negli occhi.
I suoi occhi irradiavano allegria, felicità, eccitazione.
Stava
provando piacere e, tutte le volte che vedevo quella scintilla
crescerle sempre di più nelle pupille, il mio orgoglio
maschile
godeva gridando. Affondai sempre più, con più
dolcezza,
sospirando insieme a lei. Venni ancora e il mio corpo venne percorso da
tanti mille piccoli splendidi fuochi, nel momento del piacere. Insieme
restammo abbracciati ed accaldati. Mi accarezzò i capelli,
mentre la strinsi sul mio petto, dopo essermi steso sul letto.
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Capitolo 16 *** capitolo 16 ***
grazie mille per la vostra
continua presenza!
James
“Concentrazione. Ecco il segreto di ogni missione. Senza
concentrazione è facile per il nemico riuscire a farvi fuori
facilmente e noi non vogliamo essere eliminati così
rapidamente.” Conclusi così il mio discorso ai
nuovi agenti che avrebbero rimpiazzato quelli eliminati dal nemico
sovietico. Erano riusciti ad eliminare cinque dei nostri. Una perdita
fin troppo grave considerando che uno dei nostri è unico.
Morto uno è difficile riuscire a rimpiazzarlo
così la catena perfetta costruita con tanto sudore e fatica
si spezza. Da un momento all’altro tutto quanto va a rotoli e
tu non puoi fare altro che stare a guardare.
“il capo ti vuole vedere” David mi fece segno di
recarmi nell’ufficio del capo e mi fece capire che ci
sarebbero state complicazioni. Sapevo già cosa mi aspettava.
Mi aspettava una lunga predica sul mio comportamento scorretto nei
confronti della società nella quale avevo dedicato gran
parte delle mie fatiche.
Mi avviai verso l’ufficio.
“salve signor Aword. Il capo la sta aspettando nel suo
ufficio.” Lanciai un occhiata alla donna che mi aveva rivolto
la parola. Si trattava di Mery, la sua assistente personale. Aveva una
scrivania proprio fuori dal suo ufficio ed era lei che contattava
quando aveva qualcosa da sbrigare. Forse Mery era la persona della
quale si fidava maggiormente all’interno di
quell’edificio e per questo motivo, veniva subito
dopo al grande capo nella scala gerarchica del PTA. La donna era seduta
dietro a un ammasso di documenti catalogati ordinatamente per data,
livello di difficoltà e proficuo economico. Aveva capelli
biondi lunghi raccolti in una acconciatura perfetta con neanche un
capello fuori posto. Il suo vestito di lavoro era beige con le
rifiniture in nero. Anche se non le potevo vedere, avrei scommesso che
portava scarpe alte di vernice nere. Potevo sentire chiaramente il
rumore del tacco che picchiettava il terreno nervosamente. Aveva il
naso immerso nell’agenda della PTA e molto probabilmente
stava cercando di coordinare perfettamente tutti gli incarichi
assegnati per i prossimi mesi.
“Grazie Mery…”
sollevò la testa dall’agenda scrutandomi nel
profondo. sfoggiò il suo sorriso più perfetto,
talmente perfetto che pareva finto.
“ non c’è di che, signor
Aword”. Bussai alla porta del capo e sentii
dall’esterno la sua voce invitarmi ad entrare. Appoggiai la
mano sulla maniglia ed entrai chiudendomi la porta alle spalle.
“James…siediti pure” il capo mi
guardò con un ampio sorriso facendomi segno di accomodarmi
sull’unica sedia presente nel suo ufficio. Mi guardai intorno
per fare il punto della situazione e poi mi accomodai sulla sedia da
lui indicatami, che si trovava proprio al centro della stanza. Ero
stato poche volte nell’ufficio del capo a distanza di tempo
indefinite, ma era sempre stato uguale. Non un mobile cambiato, non un
vaso spostato. Tutto si trovava esattamente nello stesso posto rispetto
alla prima volta che misi piede dentro quella stanza.
“ ricordi la prima volta che ti chiamai qui?” si
era alzato dalla sua sedia e aveva preso a girovagare per la stanza.
Non lo seguivo con lo sguardo. Nell’arco della mia carriera
avevo imparato a distinguere i suoni che sentivo e a
“vederci” a occhi bendati. Localizzare una persona
ascoltando soltanto il rumore dei passi era un gioco da ragazzi.
“bene…potevo immaginarlo che non mi avresti
seguito con lo sguardo… sei migliorato parecchio
dall’ultima volta. Adesso che cosa sei? Il migliore del
gruppo speciale? Che ruolo hai all’interno dei miei
ragazzi.” Continuava a starmi alle spalle. Si era posizionato
con le spalle contro il muro, le gambe incrociate e nella mano destra
stringeva un piccolo oggetto che non riuscivo a identificare senza
voltarmi per controllare con i miei stessi occhi.
“io sono il migliore” con quel genere di persone
non potevi permettere di mentire. Dovevi dire cosa esattamente di
passava per la testa. Il nostro capo non era un gran combattente a
livello fisico. Se mi fossi scontrato con lui in un duello corpo a
corpo l’avrei fatto fuori in meno di cinque minuti, ed era
per questo che si affidava a noi per gli atti di forza. Il nostro capo
però, aveva una mente sviluppata al massimo, ma non era
nemmeno questa la dote che gli fece prendere in mano il destino della
società. Il nostro capo era una macchina della
verità umana. Riusciva a captare l’odore della
menzogna in qualsiasi persona. è per questo che lui si
occupava degli interrogatori importanti e dell’andazzo della
società. Con lui al comando era come se fossimo tutti quanti
collegati ad un’unica mente capace di comandare e mantenere
l’ordine indirettamente negli caotici stati uniti
d’America. Senza di lui non c’era la PTA e senza la
PTA, non c’era l’America.
“ hai ragione. Sei il migliore e proprio per questo incombano
su di te molte più responsabilità rispetto agli
altri”.
Ecco un altro segreto per fare successo con questo tipo di persone:
parlare solo quando si è interpellati. Così
stetti in silenzio cercando di capire dove volesse arrivare col suo
discorso.
“perché pensi di essere qua?” il tono
rilassato e placato cercava di mettermi a mio agio anche se non
sembrava riuscirci molto. Se c’era una cosa che non
sopportavo era sentirmi inferiore alla situazione da affrontare e tutte
le volte quell’uomo riusciva a farmi sentire un verme che
striscia nudo tra il pantano e che continua a sbattere il muso contro
lo stivalone di gomma del grande uomo davanti a se. Gli basterebbe
soltanto un minimo movimento per alzare il piede e schiacciare il
verme, ma non lo fa. Il verme gli serve e proprio per questo non
avrebbe dovuto avere nulla di cui aver paura.
“per il mio comportamento. Ho infranto le regole”
“sei un uomo
perspicace…James…d’altronde sei stato
assunto alla PTA. Sei l’agente più in gamba del
gruppo speciale. C’era da aspettarselo.” Lo stesso
tono di prima mi faceva raggelare il sangue nelle vene.
“vedi James…hai deciso di violare le regole. Ecco
tu sai perfettamente che le regole sono un optional. Non
sarò di certo io a decidere di farti cambiare idea. Ti ho
chiamato qui per due motivi…” sentii ancora i suoi
passi avvicinarsi a me e andare a sedersi sulla poltrona dietro alla
scrivania di fronte alla sedia sulla quale ero seduto. Lo guardai negli
occhi finché non riprese a parlare.
“come prima cosa…vorrei ricordarti i rischi che
corri a frequentare quella ragazza. Di sicuro ne saprai più
di me, ma da capo mi tocca…
James…se è una persona veramente importante,
tienila stretta, basta che tu prenda delle norme di sicurezza da
adottare con lei. ne va della vostra salute.” Si
fermò a scrutarmi intensamente per poi assumere la faccia
del simpaticone “ odio fare questo genere di discorsi e so
per certo che il migliore agente del gruppo speciale la sappia lunga in
fatto di sicurezza quindi passo subito alla mia
offerta…”. Si versò da bere e mi
offrì del liquore che rifiutai con un cenno della testa.
“…più che un’ offerta
è una proposta, un consiglio…insegnale le
tecniche di base. Insegnale a usare le armi e, per l’amor del
cielo, dille la verità! Si chiama Kelly Ann,
giusto?”
accennai appena mantenendo il suo sguardo.
“salvale la vita. Dille chi sei. Kelly merita di
saperlo” cominciavo ad essere veramente stanco di questo
genere di discorso. Prima la mia testa, poi David, poi di nuovo la mia
mente bacata e adesso anche il capo. Avevo l’impressione che
la risposta a tutte le mie domante fosse scritta a caratteri cubitali e
che io fossi l’unico deficiente a ignorarli.
“grazie, capo”
“non c’è di che” lo vidi
rilassarsi sulla poltrona cominciando a sorridere. La solita faccia da
bonaccione ruppe la tensione che si era creata fino a quel momento
permettendomi di rilassarmi a mia volta sulla sedia. L’omone
dagli stivali di gomma aveva permesso al verme di passare e questo era
tornato nella sua tana.
“adesso che è finita la parte noiosa ti parlo del
vero motivo per il quale ti ho convocato qui…”
l’aria che si respirava era decisamente migliore anche se non
mi potevo permettere di abbassare la guardia.
Il capo mi svelò l’identità
dell’oggetto che aveva in mano che riconobbi subito come il
telecomando di un video proiettore. Schiacciò un tasto e
alle mie spalle si aprì un botola nel muro che
calò un video proiettore già pronto per mostrare
le foto al suo interno. Sulla parete bianca alle spalle del capo
vennero proiettate delle immagini che conoscevo benissimo.
“le riconosci? Sono le fotografie che ci hai fornito dalla
base sovietica. I Russi non sono a conoscenza di queste nostre
fotografie. O almeno non lo erano fino a qualche giorno fa. Con
l’eliminazione dell’ultimo agente del blue team
crediamo che un gruppo dei loro agenti ne sia venuto a conoscenza e che
stia per informare i grandi capi delle associazioni. Non possiamo
permetterci questo. Se Ratzach ne venisse a conoscenza sarebbe un
disastro. Cambierebbe la base mandando a fumo anni e anni di ricerche e
missioni dal campo nostro. Abbiamo bisogno di studiare la loro base per
poter attaccare quando meno se l’aspettano. Confido in te per
salvare la situazione. Hai permesso a due agenti a tua scelta e la
macchine ce l’ hai già. Questa è la
password per accedere alla stanza 227. prendi ciò che
desideri e quando hai fatto e stai per partire, lascia un messaggio
alla mia segretaria. Mery mi avviserà al più
presto. Tutto quanto chiaro?”
“solo una domanda…gli vuole vivi o
morti?”
“necessariamente vivi.”
“È tutto?”
“no. Naturalmente mi aspetto che tu parta al più
presto…”
Niente Kelly…
“sarò di ritorno per la fine della
settimana.” Mi alzai dalla sedia avviandomi verso
l’uscita.
“credi che due agenti ti bastino?”
“se il livello di preparazione è come quello degli
agenti che si sono presentati in casa mia…allora basto
soltanto io”
“non li sottovalutare”
“certo…a tra una settimana” e
così dicendo sparii dietro alla porta che chiusi
accuratamente. Salutai Mery e raggiunsi la scrivania del mio amico.
Sapevo già chi avrei interpellato in quella missione.
mi spiace per chi
si aspettava un capitolo romantico...
mi aspetto di rincontrarvi alla prossima! ;-)
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Capitolo 17 *** capitolo 17 ***
Posto al volo visto che
ormai non riesco a non passere di qui tutte le volte che mi collegoXD
domani giornata dura a scuola! Help me!!!
Grazie a tutti coloro che segueno questa fan fiction! cominciate a
diventare veramente numerosi!
PS fa lo stesso Ladywolf se ti vengono in mente canzoni che mi hai
già proposto!! apprezzo veramente molto i tuoi commenti! e
poi
scopro un sacco di musica nuova che magari prima non avevo mai
sentito... (non ti preoccupare..non dovrai aspettare molto prima di
sapere come le cose andranno avanti!) XD
Balenotta grazie mille per il tuo commento! sono stra happy che la
storia ti piaccia! bhe io continuerò a scrivere sperando che
persone carine e simpatiche come voi possiate apprezzare quello che
faccio =^^= (cercherò di non deluderti!!)
grazie mille anche a chi segue regolarmete questa fan fiction senza
commentare, e a chi ha deciso di aggiungere questa ff tra i preferiti o
seguita. siete fantastici!! ç__ç
XD
buona lettura!
spero che questo capitolo sia di vostro gradimento...
Kelly
Presi la borsa al volo e
mi
incamminai verso casa sua. Chris era tornata a casa da poco quando la
sua chiamata mi aveva salvato da un interrogatorio senza fine. Non
sapevo se dovevo preoccuparmi oppure no. Aveva detto che voleva vedermi
immediatamente e con la scusa di allontanarmi da Chris, gli avevo detto
che lo avrei raggiunto a casa sua. Il sole batteva alto sulla mia testa
ricordandomi perché esistessero i condizionatori. Per
fortuna
casa di James non distavo molto dalla mia e in un quarto
d’ora di
passo sostenuto ero sotto casa sua. Suonai il campanello e percepii dei
passi dall’altra parte della porta. Il sorriso
all’idea di
vederlo era spuntato sulle mie labbra e non voleva più
abbandonarle. Successe tutto quanto a rallentatore. James
aprì
la porta e mi fece segno di entrare. Io continuavo a sorridere contenta
di vederlo. Entrai e lui chiuse la porta. Quando si voltò
verso
di me mi sorrise. Un sorriso debole, stanco come se si stesse
sforzando. I suoi lineamenti erano tesi, contratti. I suoi occhi erano
pieni di tristezza. Mi prese una mano e mi condusse in silenzio nel
salotto. Cercavo il suo sguardo che era fisso su particolari
identificabili della sua casa. Non riuscivo a capire cosa fosse
successo. Quando finalmente mi guardò nuovamente i suoi
occhi
erano pieni di…compassione? Che cosa sta succedendo?
Mi accarezzò il viso sistemandomi una ciocca di capelli
dietro l’orecchio.
Solo allora mia accorsi che non stavo più sorridendo. Avrei
voluto spezzare quel silenzio che si era creato, ma non sapevo cosa
dire.
Parla! Maledizione di
qualcosa!
Aprii la bocca per provare a vedere se riuscivo a emettere qualche
suono che potesse passare per una parola sensata. Niente. Niente di
niente. Un nodo mi stringeva la gola. Che mi volesse lasciare?
“Kelly…io devo andare via per
lavoro…” la sua
voce interruppe il silenzio orrendo che si era creato. Io comunque non
riuscivo a parlare.
“Kelly stai bene?” mi limitai ad annuire tenendo lo
sguardo
fisso vago. Fece un giro per la stanza come volesse controllare che
tutto quanto fosse dove l’avesse lasciato. Era nervoso. Nervoso lui? quella nervosa
dovevo essere io!
“dovrò stare via per una settimana al
massimo…è stata una cosa urgente,
dell’ultimo
minuto.”
No…c’era qualcosa sotto. Non me la stava dicendo
tutta. Deglutii cercando di recuperare la voce.
“che cosa succede James?” sperai che non percepisse
il tono
isterico della mia domanda. Cominciò a camminare
nervosamente su
e giù facendomi saltare i nervi.
“James calmati! Per l’amor del cielo che
succede?”
adesso gli urlavo contro. Mi fissò a lungo per poi
avvicinarsi a
me tenendo il suo sguardo nei miei occhi.
Era visibilmente teso. Respirando a fondo si calmò trovando
forse una certa lucidità di pensieri. Nei suoi occhi non era
più racchiuso qual caos che mi disorientava. Nei suoi occhi
era
tornata a brillare la stella polare di tutti i giorni, quella stella
che permetteva di orientarmi e che mi faceva sentire terribilmente
sicura.
Sospirò, un sospiro di resa come se stesse combattendo
dentro di
se. Aprì la bocca e scotendo la testa cominciò a
parlare
“ hai presente quando ti ho detto tre settimane fa che dovevo
andare via per motivi di lavoro?” si bloccò e
quindi lo
incitai a continuare annuendo.
“bhe non ti ho mentito dicendoti che ero a
lavorare…”
Lo guardavo forse con una faccia che lasciava trapelare il mio abnorme
punto interrogativo.
“ti ho mentito dicendoti che ero via…io ero
proprio
qui…ero qui con…” la mia testa concluse
i suoi
sussurri con: un’altra donna. Sarei svenuta se solo avesse
pronunciato quelle parole che ormai le sentivo già nella
realtà. Non riuscivo a immaginarmi come avesse potuto anche
solo
pensare di andare con un’altra donna e poi di tornare da me.
Se
fosse stato così non avrei più voluto vederlo.
Gli avrei
piazzato una bella cinquina in faccia e me ne sarei andata in un modo
abbastanza dignitoso. Senza lacrime. Non avrei potuto concederle. Per
lui sarebbe stata una vittoria. No, le lacrime sarebbero arrivate dopo,
una volata a casa, forse, tra le braccia di Chris.
“ero qui con un fucile carico pronto a far fuori chiunque
fosse
entrato in casa mia…e qualcuno
arrivò…” non
erano esattamente le parole che mi aspettavo e adesso ero ancora
più confusa di prima.
“vedi Kelly…io sono un agente speciale della PTA,
ma non
un agente qualunque, io sono il migliore, il più letale di
tutti
quanti” rimanendo in silenzio cercavo di riordinare le idee
nella
mia testa. Lui stava in silenzio per cercare di farmi assorbire il
colpo.
Quando realizzai cosa stesse cercando di dirmi mi sentii
un’emerita idiota. Avevo pensato che mi avesse tradito, che
non
mi volesse più e invece cercava solamente di dirmi che era
un
agente segreto. Avevo bisogno di sedermi perché le gambe non
mi
avrebbero retto ancora a lungo.
Mi sedetti sul divano e cercando di ricompormi gli feci segno di
sedersi accanto a me. Lui mi continuava a guardare senza mai
staccarmi gli occhi di dosso forse, senza nemmeno sbattere le palpebre.
Si mise a sedere con cautela continuando a tenermi gli occhi fissi a
dosso quasi fossi una bomba pronta per scoppiare. Però non
aveva
tutti i torti. Mi aveva appena detto la verità e io come
avevo
reagito? Non lo avevo degnato nemmeno di uno sguardo e mi ero lasciata
cadere sul divano come se non fossi in grado di sopportare il peso
delle sue parole. Invece non lo guardavo solamente per non vedere i
suoi occhi tristi, ansiosi, e mi ero seduta non riuscendo a sopportare
il peso dei miei pensieri. Mi sentivo così stupida ad aver
dubitato in quel modo di lui.
Mi degnai di guardarlo in faccia. Era completamente distrutto
dall’ansia per l’attesa di una mia qualche parola.
Gli feci
un gran sorriso cercando di rassicurarlo ottenendo solamente degli
occhi confusi. Forse credeva che non avessi capito bene.
“ e di cosa si occuperebbe il migliore agente della
PTA?”
la mio tono di voce dolce e placato lo rassicurò e lo vidi
espirare tutta l’aria che aveva trattenuto.
Non avevo notato che stesse trattenendo il respiro e questo mi fece
sorridere ulteriormente.
“bhe…gli vengono affidate delle missioni come a
tutti gli
altri agenti, però con un livello di prestazioni
superiore…”
“e qual è il tema di molte missioni?”
“riuscire a mantenere l’ordine in
America” rispose quasi automaticamente.
“bella responsabilità…” lo
vidi rilassarsi
visibilmente sul divano. “ quindi tu adesso devi partire per
una
missione…”
“già…”
appoggiai la testa sulla sua spalla sospirando “mi
mancherai” era tornato teso. Forse l’avevo
sorpreso.
Probabilmente si aspettava da me un’altra reazione oppure ero
io
che non avevo capito un tubo di quello che mi aveva appena detto. Forse
la cosa era più pericolosa del previsto e veramente avevo
frainteso tutto quanto.
“dovrò combattere…” Il suo
tono di voce
sembrava volesse convincermi ad allontanarmi così mi strinsi
a
lui chiudendo gli occhi. Ascoltavo i battiti del suo cuore diventare
pian paino sempre più regolari.
“dovrò catturare delle
persone…” gli accarezzai il petto tracciando segni
immaginari distrattamente.
“forse dovrò uccidere…”
provai ad immaginarmi
James con in mano una pistola che la punta a dosso a qualcuno. Non so
perché, ma la cosa mi elettrizzava incredibilmente.
Alzai la testa dalla sua spalla e lo fissai negli occhi che adesso
brillavano, vuoti finalmente da qualsiasi tormento. Gli appoggiai una
mano sul viso accarezzandolo tutto.
“ci sarà di sicuro un buon motivo” le
sue labbra
abbozzavano un sorriso. Il braccio della spalla su cui prima ero
appoggiata mi circondò la vita e James mi strinse a se.
Abbracciandolo nascosi il viso nell’incavo del suo collo e lo
sentii sospirare. Il suo corpo contro il mio bruciava e avevo voglia di
un contatto maggiore. Gli baciai la spalla e poi il collo. Piccoli baci
affettuosi che mi ricordavano tanto i baci che mi dava mia mamma ogni
notte prima di andare a letto.
Il suo corpo vibrò al contatto con le mie labbra e
istintivamente James mi strinse ancora di più a se. Aveva
anche
lui voglia di me. Lo sapevo.
Non so come, ma lo sapevo.
“quando parti?” gli chiesi sussurrando
“questa sera ore”
“perché sussurri?”
“per lo stesso motivo per il quale sussurri anche
tu”
“ah…buona motivazione”
“grazie” continuava a sussurrare imitandomi e non
feci a
meno di sorridere. Restammo in silenzio per un po’ ascoltando
l’uno il respiro dell’altra. Silenziosamente si
levò
le scarpe e si sdraiò sul divano facendomi un po’
di
spazio. Allora mi sfilai le scarpe e mi coricai al suo fianco. Lui mi
cinse nuovamente la vita attirandomi a se, mentre io mi accovacciai tra
le sue braccia sempre calde e accoglienti. Ascoltai a lungo il suo
respiro che stava diventando sempre più profondo e uniforme.
“James?”
“Uhm..” la voce pesante mi fece capire che era
stanco.
“dormi?” sussurravo per paura di svegliarlo
completamente. Non volevo togliergli ore di sonno prima di una missione.
“si…”
“okay…”
“se comincio a dire cose del tipo…ti voglio bene
oppure ma
quanto sei bella o ancora sei proprio stupida quando fai
così…sappi che è colpa del
sonno” sorrisi
divertita chiudendo gli occhi e inspirando un’altra ventata
del
suo profumo. Sapeva di pino. Era fresco e rilassante.
“potrei sparare delle grandi cazzate…”
continuò ad occhi chiusi
“potrei approfittarmene…”
“se la situazione fosse capovolta io lo farei”
mi piace questa
cosa…
la mia mente sadica cominciò a elaborare un mucchio di modi
per riuscire a trarre un mio vantaggio da quella situazione.
“come ti chiami?”
“mi piacciono gli interrogatori!” esultò
nei limiti di una persona in dormiveglia “James
Aword”
“quanti anni hai?”
“24”
“dove abiti?”
“a New York…”
“bene…adesso avanziamo di
difficoltà…”
“non vedo l’ora…”
“come mi chiamo?”
“Kelly Ann Evans”
“ quanti anni ho?”
“22”
“di che colore sono i miei occhi?” lo guardavo
incuriosita
dalle sue espressioni a occhi chiusi. Tutte le volte che rispondeva
alzava al cielo la mano libere e gesticolava. La faccia gli si torceva
quasi sempre in una specie di smorfia adorabile per poi aprire bocca ed
emettere sussurri difficili da comprendere.
Anche io sussurravo in modo da non disturbarlo troppo con il timpano
alto della mia voce normale.
“normalmente sono verdi. Quando però guardi la
luce si
intravedono delle sfumature d’orate che brillano facendo
risplendere il tuo sorriso.
Senza la presenza di luce invece si incupisco diventando
tutti
quanti neri, ma non so come, riescono sempre a sorridermi”
a me bastava che dicessi
verdi…
rimasi sorpresa dalla sua risposta. Mi riempiva terribilmente di
orgoglio ricevere complimenti da lui e il cuore stava già
cominciando a straboccare di felicità.
“la mia bocca?”
“è piccola, succulenta, rossa, delicata come un
petalo di
rosa. Dolce, ma allo stesso tempo estremamente sexy” risi
della
sua ultima frase e di come il suo accento cadde in un modo strane sulla
parola sexy.
“ mi trovi carina?”
“ti trovo stupenda” erano cose che avevo
già sentito
da lui, ma risentirle non mi faceva mica male. mi gratificava sempre e
mi faceva sciogliere direttamente tra le sue braccia.
“ da una scala da uno a dieci quanto sono
simpatica?”
“dieci”
“penso veramente io sia stupida?” il mio tono
poteva essere
paragonato a quello di una bambina che cerca di farsi comprare un
lecca-lecca dalla mamma, giocandosi la carta del facciottino triste.
Lui rise e sospirando annuì dandomi un bacio sulla fronte
come consolazione.
Rimasi in silenzio per un bel po’.
“niente più domande?” avevo soltanto una
cosa che mi
ruzzava per la testa, ma avevo paura a chiederlo. Più che
altro
non volevo sentire la risposta.
O forse la volevo sentire soltanto in parte.
“c’è una
domanda…però non voglio sapere la
risposta”
“uhm…spara”
Attesi un po’ cercando di trovare il coraggio per pronunciare
quelle due parole così difficili da dire.
“mi ami?” non ero sicura sulla risposta che avrebbe
dato,
ma potevo sperare che fosse un si. Lui prese un gran respiro. Uno di
quei respiri che si fanno solamente quando il dottore ti deve visitare.
“non la vuoi sapere la risposta?”
“no” a dire la verità…non lo
sapevo nemmeno
io perché non la volessi sapere. Volevo continuare a
logorarmi
nel mio brodo senza arrivare mai a una risposta. Tu hai una mente bacata.
Forse il mio unico neurone aveva ragione. Avevo chiuso anche io gli
occhi rimasi in ascolto del suo cuore che pulsava sotto al mio
orecchio. James sospirò dicendo qualcosa che non riuscii a
capire.
“cosa hai detto?”
“niente…”
“dai che hai detto?”
ci fu una brave pausa e quando riaprì la bocca pensai che
forse
aveva ceduto “la radio non ripete” risi
allegramente. Il
cuore ormai colmo di gioia, di felicità mi pompava nel
sangue
una dose di amore in tutto il corpo.
“Kelly?”
“si…”
“mi aiuti a capire una cosa?”
“certo…ma cosa?”
“eh..è un segreto. Proviamo a fare un
esperimento…dimmi che mi vuoi bene”
sorrisi dalla sua richiesta e eseguii gli ordini. “ti voglio
bene
James” il mio tono apparve persino a me carico fin troppo di
miele.
“uhm…”
“come è andato l’esperimento?”
“come credevo…”
“posso sapere gli esiti?”
“no…non gli vuoi sapere…”
“riguardano la mia domanda?”
lui annuì silenziosamente sempre tenendo gli occhi ben
chiusi.
Se gli avesse aperti, probabilmente gli avrebbe dovuti chiudere
immediatamente per la presenza di troppa luce.
“e se avessi cambiato idea?”
“ma dai…” il suo viso si torse
nuovamente in una smorfia adorabile che lo faceva sembrare un bambino.
“non si può cambiare opinione?”
“perché non volevi saperlo?”
decisi di optare per la verità “ non lo
so…sono una ragazza capricciosa”
“già…” rimanemmo in silenzio
a lungo. Io
continuavo a guardarlo fin quando il collo non mi fece male e dovetti
appoggiare la testa (un peso troppo pesante per essere sorretto!!) sul
suo petto riascoltando i battiti del suo cuore che erano aumentati
rispetto a prima.
“credo di si” mi venne l’istinto di
stringerlo
talmente forte da soffocarlo tra le mie braccia. Mi amava! Un
po’
lo sapevo però era una di quelle vocine che la tua testa
cerca
sempre di nascondere perché…bhe il
perché lo sa
sempre e soltanto lei!
gli baciai il petto e chiusi gli occhi rivedendo dentro alla mia testa
tutta quanta la scena. Quello sarebbe stato uno do quei momenti
perfetti che avrei rinchiuso dentro a cassetti forniti di lucchetto e
che avrei aperto e rivissuto tra qualche anno.
“James?” ci mise quasi un minuto per riacquistare
la capacità di parola.
“Uhm…” capii immediatamente che era
veramente a
terra. Forse troppe rivelazioni per lui da sopportare. Mi allungai per
dargli un bacio sulla fronte e fargli un carezza.
“dormi amore
mio” si
mosse leggermente e baciò la mano con la quale lo stavo
accarezzando. Gli passai ripetutamente le dita tra i capelli e gli
tracciai con le dita leggere i lineamenti del viso perfetti. Infine mi
accoccolai nuovamente sul suo petto sospirando felice.
“ti amo” le sue parole mi arrivarono alle orecchie
scatenando in me una rivoluzione.
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Capitolo 18 *** capitolo18 ***
Mi
scuso per la mia assenza prolungata. Ho avuto qualche problema con il
computer e spero di averli risolti.
James
Susan
aprì la porta dell’aeroporto, dove avremmo preso
un aereo
per Washington. Il distretto della capitale ci aveva già
assicurato che gli uomini che stavamo cercando avevano affittato una
camera d’albergo per i prossimi tre giorni.
“
tre giorni saranno più che perfetti per compire la nostra
missione…” David si scrollò
le spalle e si
fece crocchiare le nocche delle mani. Il rumore delle sue dita
scrocchiate ci aveva accompagnato fin da quando avevamo lasciato il
distretto. Inutile David era sempre il primo ad aiutarti quando
bisognava picchiare duro. Susan e io ci guardammo e sorridemmo dello
spettacolo che David ci offriva.
“vorrai
dire la MIA missione…” dissi precedendolo ed
entrando per
primo nell’aeroporto seguito dal mio amico e da Susan che
lasciò chiudere la porta dietro di noi. La differenza di
temperatura era notevole e dovuta ai condizionatori che andavano a
manetta. I lunghi corridoi bianchi parevano quelli di un ospedale. Si
salvava soltanto per la presenza di grandi finestre che lasciavano
entrare molta luce.
“che
aeroporto…accogliente…”
Mi diressi verso il tabellone
dei voli e lessi con attenzione tutte le notizie che apparvero.
“il nostro aereo
parte tra venti minuti…pronti?”
Susan
e David risposero all’unisono e così ci dirigemmo
verso il
nostro aereo. Una volta a bordo, prima che partisse, tirai fuori il
computer e richiamami l’attenzione dei miei complici con un
gesto
della mano.
“questo
è il piano…una volta scesi a terra ci dovremo
dividere.
Susan ho bisogno che vai ad affittare tre camere comunicanti tra loro
in questo albergo…” le allungai il biglietto da
visita sul
quale c’era scritto indirizzo, telefono e fax
dell’albergo
nel quale risiedevano anche i nostri bersagli.
“devi
attestare le camere a mio nome e dichiarare che sarà la
polizia
locale a pagare il conto. Ricordati di lasciare una breve descrizione
fisica di tutti e due e di precisare che la nostra è
un’operazione delicata e che abbiamo bisogno della maggiore
riservatezza possibile.
“Quando
avrai finito, hai l’incarico di perlustrare
l’interno del
palazzo senza dare nell’occhio. Concentrati maggiormente sui
sistemi di sicurezza e se possibile, cerca di procurarti una
planimetria dell’edificio molto dettagliata.
“David
tu invece dovrai perlustrare l’esterno. Tutti i condotti
d’aria, ogni singola possibile via di fuga. Io intanto
andrò a fare un salto nel distretto locale e
avviserò le
forze dell’ordine della nostra permanenza. È tutto
quanto
chiaro?”
I
miei due collegi annuirono seri mantenendo lo sguardo fisso sul mio
computer che continuava a illustrare immagini dei dintorni del palazzo
e, ogni tanto qualche ambiente dell’interno.
Il viaggio durò un
ora e mezza e, come previsto, fummo davanti all’albergo per
le 19 meno un quarto.
“
mi raccomando…se avvistate il nemico avete il dovere
di
abbandonare qualsiasi attività e di tenerlo
d’occhio. Se
vi riesce, cercate di scoprire la stanza dove alloggiano. Altrimenti
aspetteremo l’indomani per richiedere informazioni.”
Con
questo ultimo preavviso lasciai mio compagni al loro lavoro e
mi
diressi verso il distretto di polizia della città. Per
fortuna
non distava molto e mi c vollero solamente dieci minuti di taxi. Entrai
nell’agenzia. Chissà perché, ma tutti i
distretti
di polizia d’america erano tutti quanti uguali. Mi diressi
verso
l’impiegata di turno e le chiesi cortesemente di portarmi dal
capo ufficio. Ella eseguì i miei ordini e mi condusse
nell’ufficio sulla porta del quale c’era scritto:
ufficio
del sergente Smith.
“il
sergente Smith presumo…” dissi entrando e
osservando con
attenzione l’uomo che mi si parava davanti agli occhi.
“esatto.
Spero che abbia un buon motivo per disturbarmi proprio mentre sto per
andare a cena…” l’uomo sembrava di
statura minuto
anche se stando seduto non riuscivo a identificarlo per bene. Aveva i
capelli neri brizzolati qua e là di grigio. Un uomo sulla
quarantina dalla corporatura robusta. Stava seduto dietro a una grande
scrivania su una di quelle classiche poltrone nere di pelle girevoli da
ufficio. Lo sguardo fisso sullo schermo di un monitor abbastanza
recente smentiva le parole di poco prima.
“oh
certo sergente. Mi chiamo James e volevo avvisare le forze
dell’ordine che io, insieme ad altri due miei colleghi,
dobbiamo
portare a termine una missione molto importante e, se non le dispiace,
vorremo la sua approvazione per operare all’interno dei
limiti
del territorio da lei tutelato.”
L’uomo
alzò lo sguardo scrutandomi dalla testa ai piedi. Di sicuro
non
aveva ancora avuto da fare con noi della PTA e, probabilmente, non si
era mai trovato nella circostanza di avere davanti agli occhi qualcuno
che lo potesse comandare a proprio piacimento.
“posso sapere per chi
lavora, signore?”
“per
la PTA” ecco la parte che preferivo. Adoravo il momento nel
quale
la persona con la quale sto parlando si rende conto di non valere
niente. Come pronunciavo quel nome, era come se privassi tutte quante
le persone a portata d’orecchio, dei propri vestiti. Gli
denudavo
completamente da ogni tipo di auto-stima, orgoglio, di potere. Accadde
anche quella sera negli occhi del sergente. Improvvisamente si
irrigidì e se prima nei suoi occhi fosse presente una
scintilla
di autorità, adesso erano completamente spenti, sottomessi
al
mio potere. Fece un respiro profondo e mi invitò a sedermi.
Rifiutai cortesemente l’offerta. Se c’era una cosa
più terribile dell’essere sottomessi era il
sentirsi
sottomesso e io, con i miei atteggiamenti fin troppo cortesi ero
consapevole di farlo pesare più di chiunque altro. Eppure
come
ero consapevole di questo, ero anche consapevole delle mie
capacità, delle mie abilità. Sicuro di me mi
appoggiai a
un mobile contro la parete laterale dell’ufficio e con un
tono
calmo e placato ripresi a parlare.
“una
sua approvazione ci darebbe il consenso di operare liberamente e
correttamente di fronte alla legge. Però voglio che sabbia
che
siamo abituati a lavorare anche contro la legge quindi la sua non deve
essere una scelta forzata.”
“lei
è il signore Aword…non è
vero?” incrociai le
braccia al petto e guardai il pavimento sorridendo. Mi faceva sentire
una specie di star essere conosciuto per l’america.
“ da cosa
l’ha capito?”
“
bhe…il sergente del distretto di New York è un
amico e
spesso mi parla della vostra associazione e di come…trattate
le
missioni. Lei signore, emana una grande autorità e
così
ho tirato ad indovinare.”
“bene…allora
potrà capirmi se desidero la vostra approvazione per me e
per i
miei compagni. Vorrei anche che non si sapessero in giro i nostri
cognomi…sa com’è…”
“se
si conosce il cognome si arriva a scoprire vita, morte e miracoli della
persona interessata.” Mi interruppe concludendo la frase al
posto
mio. “ stia tranquillo signor James. Avrete la mia
approvazione…per quanto vi tratterete?”
“tre
giorni al massimo. Alloggeremo in un albergo non molto lontano da
qui” Gli allungai lo stesso biglietto da visita che avevo
dato
anche a Susan prima mentre eravamo in viaggio.
“oh…posso
essere d’aiuto in qualche modo?”
“si.
Vorrei che avvisasse l’albergo dell’arrivo della
mia
collega e che lasciasse indicazioni di non chiedere
il…”
“il cognome. Si
certo…qualcosa d’altro?” il sergente era
sveglio. Un impiccio di meno.
“
no, sergente. Arrivederla” dissi dirigendomi verso la porta e
uscendo dall’ edificio per poi dirigermi verso il taxi al
quale
avevo detto di aspettarmi fuori.
Arrivai
in albergo che erano le otto. L’ora prestabilita per la cena
era
per le otto e mezza. Raggiunsi la mia camera dicendo ai miei colleghi
di volermi dare una rinfrescata e assicurando loro che sarei arrivato
giusto in tempo per la cena.
La
camera era ariosa. Una finestra grande quanto tutta la parete che dava
sull’esterno era coperta da lunghe e pesanti tende, che
impedivano così la vista a qualche curioso. Appoggiai il
troller
con dentro tutte le mie cose in un angolo della stanza e ne tirai fuori
una camicia pulita da indossare per la cena. Mi diressi verso il bagno
e mi spogliai entrando in doccia. Lasciai scorrere il getto
d’acqua a lungo sul mio corpo prima di richiuderlo e di
uscire.
“una
delle cose che adoro di più è il getto
dell’acqua
calda sul mio corpo, dopo una giornata stressante.”
Dovevo
ammetterlo…era veramente rilassante. Chiusi gli occhi
cercando rilassare tutti quanti i miei muscoli.
Quando
mi accorsi che si stava facendo tardi mi decisi a spegnere
l’acqua e di uscire dalla doccia. Mi rivestii in fretta e
raggiunsi i miei compagni a cena.
“allora come sono
andati gli incarichi?” chiesi senza lasciare trapelare la
stanchezza che avevo in corpo.
“
bene. Sono riuscita ad ottenere la planimetria che avevi richiesto e
David ci ha aggiunto ogni possibile via di fuga.”
“si…ho
notato che in questo albergo sono presenti parecchi condotti
d’aria e sono tutti quanti abbastanza robusti e grandi per
sostenere il peso di un uomo. Ne parte uno da ogni camera per unirsi
tutti quanti in un unico condotto che sbocca sul retro del
palazzo.”
“bene…io
ho ottenuto l’approvazione del sergente e mi ha assicurato di
non
intralciare il lavoro. Come Susan si sarà accorta non
sarà necessario che svegliamo del tutto la nostra
identità quindi possiamo lasciare detto solamente il nome.
Nessuno ci chiederà indicazioni e secondo me è un
gran
vantaggio. Lo sapete come la penso.”
“si…e
tu sai anche come la penso io.” Susan credeva che non
rivelare il
cognome era come rivelare che avessimo qualcosa da nascondere e in
questo modo attrarre l’attenzione delle persone. Eravamo
sempre
stati discordi in sette anni di missioni a no stop.
“a ognuno la propria
opinione.”
“senti
mi fai un favore?” Susan era visibilmente irritata dal mio
comportamento fin troppo cortese. Lo stesso atteggiamento che avevo
adottato con il sergente. Sorrisi divertito dall’effetto che
poteva fare se usato con intelligenza.
“dimmi…”
“la
smetti di comandare tutti quanti?” risi
divertito…non
avrei mai smesso di comandare. Era una sensazione che adoravo.
“se proprio ci tieni…”
lei mi guardò torva.
Sapevamo tutti e tre che non avrei smesso di comandare. In fondo
comandavo sempre io.
Il
cameriere ci portò la cena che consumammo in fretta.
Rimanemmo
in silenzio studiando ogni singolo ospite. Il campo, secondo i miei
paraggi, si poteva restringere a quattro tavoli. Il 56, il 12 e in fine
il 27.
Al
56 sedeva un uomo e una donna. Non avevano detto niente per tutto il
tempo della cena e si erano limitati, come me e i miei compagni, a
guardarsi le spalle.
Al
12 invece sedevano un gruppo di ragazzi tutti quanti sulla ventina. A
contrario della coppia del 56, questi avevano parlato e scherzato per
tutta quanta la serata. Non avevano l’accento americano e,
come
primo impatto, mi sembrò assomigliassero vagamente agli
asiatici
che erano entrati in casa mia suppergiù un mese fa.
In
ultimo al 27 erano seduti tre uomini. Uno piuttosto giovane mentre gli
altri due erano più anziani. I capelli leggermente
brizzolati la
diceva lunga sulla loro età. Non so perché, ma mi
sembravano i maggiori indiziati possibili. Dopo aver esposto a Susan e
David le mie idee, ci dirigemmo in camera e là decidemmo
cosa
fare per il giorno dopo. David doveva cercare di allontanare la ragazza
che stava all’ingresso e io dovevo riuscire ad inserire un cd
che
Susan avrebbe preparato quella stessa sera. Dalla mia camera lei poi
avrebbe manomettere il computer grazie al mio portatile e al cd che li
metteva in comunicazione. Entro mezzogiorno dovevamo aver
già
scoperto in quale stanza alloggiassero i sovietici.
Io
e Susan cominciammo a parlare d’informatica e di come creare
quel
cd che avrebbe trasferito un virus capace di possedere il computer
interessato. David era visibilmente in imbarazzo. Non era mai riuscito
a capirci niente d’informatica. Il suo rapporto con il
computer
non era uno dei suoi migliori rapporti. Tutte le volte che doveva
lavorarci rischiava di impazzire. Per il suo cervellino complicato era
veramente troppo da sopportare.
“bhe cervelloni
miei…io vado a nanna.”
Susan ed io ci guardammo con
uno sguardo d’intesa e sorridendo, gli augurammo una buona
notte.
“non
ce la potrà mai fare!” esclamò come lui
si richiuse
la porta alle spalle e si coricò sotto le coperte.
“ma
chi David? In tutto il tempo che lo conosco, non l’ho mai
visto
andare d’accordo con qualsiasi tipo di tecnologia.”
“già..anche
io”
Ritornammo a fissare il monitor
e dopo varie discussioni la lasciai fare. Era lei il genio della
tecnologia, qui.
Mi sdraiai sul letto sfilandomi
le scarpe. Ero veramente stanco e non riuscivo a capire il
perché.
“come sta
Kevin?” le chiesi dopo qualche minuto di silenzio.
“a dire la
verità non lo so.”
“come mai? Pensavo
condivideste casa”
“si…una
volta.” Il suo volto si incupì e capii che avevo
toccato
un tasto dolente. Susan frequentava quel ragazzo da cinque anni e ormai
era scontato che avrebbero vissuto il resto della loro vita insieme.
“
che è successo?” osai farle quella domanda e le
feci segno
di sedersi al mio fianco. Le volevo bene. Era la mia cosiddetta
“sorellina” che non avevo mai avuto. Capelli biondi
e
lunghi. Viso angelico. Fisico slanciato. Insomma un gran bel pezzo di
ragazza. Quando ero entrato nell’associazione avevo una
specie di
cotta per questa ragazza. L’avevo corteggiata per dei mesi e
poi
quando finalmente aveva ceduto, tutto aveva perso quella magia, quel
mistero che la ricopriva dalla testa fino ai piedi. Sono sempre stato
un tipo cacciatore e una volta conquistata la preda, avevo di nuovo
bisogno di sentirmi cacciatore. Così era successo con Susan
e
tutte le altre ragazze dopo di lei fino a Kelly.
con il mio portatile in mano,
si alzò e si sedette al mio fianco usandomi come poggia
schiena.
“una
brutta lite. Continuava a ripetermi che era stanco di quella vita e che
prima o poi se ne sarebbe andato. Io non lo avevo mai preso sul serio.
un giorno, quando sono arrivata a casa lui aveva già
preparato
la sua roba. Mi sono diretta automaticamente verso la cucina. Ho aperto
lo sportello dell’armadietto dove tengo la ceramica e ho
preso un
bicchiere per bere un sorso d’acqua.” parlava
tenendo lo
sguardo fisso davanti a se rivivendo la scena. Gli occhi persi nel
vuoto e le mani compievano gli stessi gesti che evidentemente aveva
compiuto quella sera.
“dopo
qualche secondo ho notato che c’era troppo silenzio.
C’era
qualcosa che non andava. Mi controllai intorno e notai delle valige
appoggiate al muro. Lui era in piedi e mi inchiodava con gli occhi. Ha
sempre saputo farci in questo tipo di cose. Riusciva a comunicare senza
aprire bocca e in quel momento capii subito che quella sarebbe stata
l’ultima volta che l’avrei visto. Mi disse di
scegliere. Di
scegliere tra me o lui...”
“non
c’è bisogno che ti dica
qual’è stata la mia
risposta.” La sua posizione le permetteva di nascondersi dal
mio
sguardo interrogatorio. Volevo guardarla in faccia e come ci provai lei
si immerse nel monitor del computer. Le presi il mento e delicatamente
la costrinsi e guardarmi negli occhi. Due strisce argentate le rigavano
le guance e i suoi occhi erano estremamente lucidi. Mi sentii
improvvisamente impotente. Si sciolse dalla mia presa e con un
movimento veloce della mano, si asciugò le lacrime e si
immerse
di nuovo dentro il monitor. La abbracciai goffamente. Non sapevo come
comportarmi. Era meglio per lei sentire un amico vicino oppure essere
lasciata sola con il suo dolore? In qualche modo me lo avrebbe fatto
sapere. Si voltò lentamente. Le guance rosse gonfie e gli
occhietti lucidi mi fecero capire che stava per scoppiare. La attirai a
me stringendola forte e sentendola esplodere sulla mia spalla.
Com’è
strana la vita a volte. Una persona ci mette una vita a costruirsi la
propria bolla di sapone. La bolla nella quale poter vivere felice e
contento. La bolla che speri non si rompa mai e che quindi rafforzi per
far si che nessuno la scoppi. Eppure, i tuoi sforzi non sono mai
sufficientemente adeguati. Basta un nulla per far scoppiare la tua
bolla. Tu rimani lì. Senza la tua bolla. Senza una casa. E
l’unica cosa che puoi fare è chiederti
“perché a me?”.
A Susan purtroppo era successo
proprio questo. Cinque anni. Cinque anni cancellati in poche ore.
Proprio strana questa vita.
In
tutto quel dolore non feci a meno di pensare a Kelly. sperai che la mia
bolla non fosse scoppiata. Che nessuno l’avrebbe fatta
scoppiare.
Avevo un magone sullo stomaco che non andava ne su ne giù.
Non
so da cosa era dovuto, ma rimaneva lì. Proprio a
metà
parte tra la gola e lo stomaco. Nel bel mezzo della trachea. In quel
momento desiderai vedere il suo sorriso. Sentirla vicina. Sentire che
anche lei non avrebbe permesso che scoppiassero la nostra bolla.
Magari
una telefonata veloce per sapere come stava. E se avrebbero
rintracciato la telefonata? No…meglio non rischiare. Dovevo
resistere tre giorni senza di lei. Non potevo fare errori. La nostra
bolla non doveva scoppiare.
Magari
una
telefonata veloce per sapere come stava. E se avrebbero rintracciato la
chiamata? No…meglio non rischiare. Dovevo resistere tre
giorni senza di lei.
Non potevo fare errori. La nostra bolla non doveva scoppiare.
Come
Susan se ne
andò a dormire, fu maledettamente difficile resistere alla
tentazione di
chiamarla. Avevo un bisogno assoluto di sentirla con me, proprio vicino
a me
anche se era lontana chilometri.
Alzai
la cornetta e
composi il numero. In fondo…gli asiatici non potevano sapere
che alloggiavamo
in quell’albergo. Il telefono squillò tre volte
prima che rispose. La voce
assonnata mi ricordò del fuso orario e che, se da noi erano
le undici di sera,
da loro era l’una di notte. Mi maledissi di averla svegliata.
“scusa…ti
ho svegliato”
come tutte le volte che ha sonno, il suo cervello ci mette il doppio
del tempo
per dare un senso ai suoni che sente, elaborare una risposta e
pronunciare le
parole esatte senza compiere errori.
“no…tranquillo.
Tanto stavo facendo un brutto sogno. Mi hai fatto soltanto un
piacere” stava
mentendo. Se c’era una cosa che non le riusciva fare era
mentire nel sonno.
“sei
una piccola
bugiarda. Dopo che hai fatto un brutto sogno non hai la voce
così
rilassata…sembra che dormivi alla grande. Mi
dispiace.”
“sai
sempre soltanto
dispiacerti. Raccontami come va la missione”
“bhe…siamo
arrivati
oggi e abbiamo pianificato un piano per incastrarli al meglio.
Dopodomani
dovrei essere a New York. Magari potremo uscire a
cena…”
“si…sai
che mi
manchi?” aveva pronunciato quelle parole soffermandosi tra
una parola e l’altra
come se avesse dimenticato come si faceva a parlare. Doveva essere
molto
stanca. Mi sentii nuovamente terribilmente in colpa.
“Mi
manchi anche tu,
piccola” rimanemmo in silenzio per un po’.
“adesso torna a dormire.”
stranamente la sua risposta fu immediata. Un riflesso automatico le
fece uscire
la parola “no” dalle labbra. La sua voce sembrava
quasi tormentata come se le
stessi facendo un torto a lasciarla dormire.
“dormi.
Ciao” la
tentazione di ascoltare la sua reazione era troppo forte che non
riuscii a
resisterle. La cosa più giusta sarebbe stata quella di
attaccare il telefono.
Avevo ottenuto quello che volevo. Sapevo che in un qualche modo era al
sicuro e
questo mi bastava.
“ci
sentiamo domani?”
le sue parole nascondevano una certa ansia. Sarebbe stato bellissimo
poterla
sentire anche il giorno dopo, ma sapevo benissimo che era troppo
pericoloso. Nessun
Errore. Eppure quelle sue parole mi fecero sorridere. Era
possibile che
desiderasse sentirmi così tanto? Come poteva avere bisogno
di me? di sicuro si
meritava di meglio quello scricciolo.
“okay.
Ora dormi,
mio piccolo fiore” attaccai la cornetta prima che potesse
aggiungere qualcosa.
Le avevo mentito. Speravo che non avesse attesto troppo quella
telefonata.
Speravo che la delusione non l’avrebbe accompagnata per tutto
quanto il fine
settimana.
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