Missione Fallita

di Vavvola
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** capitolo18 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Ciao a tutti!! cominciamo questa fan fiction per bene....allora...mi presento: sono nuova di qui e questa è la mia prima fan fiction...non siate troppo duri che se no mi demoralizzo!!ç___________ç no dai sto scherzando!! sono ammessi qualsiasi tipo di recensioni! :p  Bhe adesso basta chiacchere e via con la storia!

Kelly


Era stato un giorno particolarmente intenso. Avevo appena finito le mie due ore di palestra e adesso finalmente mi potevo rilassare sotto l’acqua calda. Se c’era una cosa che mi rilassava particolarmente era proprio quello. Finito il gettone mi avvolsi l’asciugamano intorno al corpo anche se per via dell’orario potevo anche uscire con niente addosso. Era incredibile come nell’arco di un ora la palestra si svuotava. Lo spogliatoio era completamente vuoto. Molto probabilmente c’erano solo gli istruttori che finivano come al solito di fare tutti i loro conti. Mi vestii con calma e, pronta per andare a casa mi avviai verso l’uscita. Molto probabilmente mi ero sbagliata: non c’era più nessuno. Guardai l’orologio per vedere che ore fossero. Le dieci e mezza. Di solito a quell’orario c’era sempre il gruppo di ragazzi che andavano a imparare qualche tecnica di auto difesa. Strano…
Stavo per aprire la porta per uscire quando sentì degli strani rumori provenire da fuori. Mi feci coraggio e varcai la porta. Era già calata la notte e l’aria era afosa. Si toccavano i 30° già da qualche settimana. Appena fuori dalla palestra c’erano un gruppo di uomini che ridevano a squarciagola con lattine di una birra economica in mano. Era difficile non farci caso visto il chiasso che facevano. Erano di sicuro ubriachi perché quando ci passai davanti mi arrivò un forte odore di alcol. Sperai che non mi avessero notata. Eppure il mio desiderio non fu realizzato. Appena li superai uno di loro mi indicò e cominciò a bofonchiare qualcosa. L’uniche cose che riuscì a capire furono soltanto poche parole che mi fecero raggelare il sangue e sentire forte il desiderio di scappare: “sventola…è mia…”. Affrettai il passo ma questo attirò ancora di più la loro attenzione. sentii delle risate alle mie spalle e solo quando vidi una delle vie principali piena di persone cominciai a rilassarmi. Mancavano pochi passi per sbucare proprio su 1st Avenu quando sentii un lungo fischio alle mie spalle e davanti in un baleno mi si presentarono due uomini. L’unica cosa che ricordo di loro era la paura che mi trasmisero quando mi afferrarono e mi portarono indietro. In un attimo mi trovai circondata da cinque uomini. Cercavo in continuazione una via d’uscita e molto probabilmente se ne accorsero anche loro perché sentii una voce dire: “stai tranquilla dolcezza…vogliamo solo divertirci un po’!”
 “no! per favore, lasciatemi andare!!”
“se stai buona non ti faremo del male”
 “e poi anche se riuscissi a scappare sappi che ti riprenderemo lo stesso e allora saranno guai!”
il più vicino mi afferrò per un braccio e mi attirò a se con violenza. “non mi toccare!” cercavo di liberarmi dalla presa sul mio braccio. Come fui libera ricevetti un colpo alla schiena che mi fece perdere l’equilibrio e cadere a terra. Sentii un grande boato di risate “poveretta non ti reggi in piedi vieni che ti aiuto io!” e qualcuno mi alzò da terra “lo sai sei proprio carina!” disse un altro accarezzandomi il viso. “dicci una cosa… ce l’ hai il fidanzato? Spero di no! Non vogliamo certo
avere guai una volta che abbiamo finito con te!” disse l’uomo che mi teneva stretta e che cominciò a baciarmi sul collo tirandomi i capelli. “ehy! Sei sempre il primo non vale!” mi sentii strattonare da una parte all’altra come un pupazzetto di pezza nella mani di un bambino. Ero terrorizzata e non riuscivo a muovere un dito. Sentii una mano stringermi il sedere e un’altra cominciò a slacciarmi la camicetta. Per sfuggire a tutti quei contatti mi gettai a terra e cominciai a urlare. In fondo ci doveva essere pur qualcuno da quelle parti, no? Eppure non venne nessuno. Continuavo a urlare, ma nessuno venne in mio aiuto. Intanto gli uomini, per farmi stare zitta, mi tiravano calci e cercavano di tirarmi su da terra, ma una volta in piedi ricadevo giù e un’altra raffica di botte mi veniva inflitta. Quando avevo perso le speranze vidi qualcuno arrivare e togliermi di dosso l’uomo che stava cercando di tirarmi via i vestiti di dosso.
“ve l’ hanno mai insegnato che le ragazze non si toccano?” disse il mio salvatore mandandone al tappeto un altro. Aprii lentamente gli occhi e vidi un angelo. Era un ragazzo più o meno sulla ventina che combatteva velocemente contro i miei assalitori. L’uomo dietro di me mi colpì alla testa e lentamente la mia vista si annebbiò. L’ultima cosa che vidi fu il viso del mio angelo custode che si era deciso a farsi vivo. Le sue labbra si muovevano e riuscì a percepire ben poco di quello che diceva mentre le sue braccia mi avvolgevano e mi portarono al salvo.

Salva, ecco cos’ero. Ero salva.
Ripresi conoscenza dopo parecchie ore e quando finalmente mi svegliai, mi ritrovai in una stanza che non era la mia. Il soffitto era dorato e sembrava venisse fuori da una casa imperiale rinascimentale. Alla mia destra c’era un’immensa vetrata coperta da lunghe e lussuose tende. Sulla mia sinistra un armadio di ottimo legno e, in fondo alla stanza, una poltroncina con sopra dei vestiti. L’unica cosa di famigliare erano quei vestiti. Mi mossi leggermente e sentii chiaramente la pelle nuda sotto le lenzuola pulite. Indossavo solo la mia biancheria. Il resto era finito magicamente sulla sedia che adesso sembra essere lontana miglia e miglia da me. Sentii dei passi avvicinarsi alla camera e qualcuno vi entrò. Chiusi immediatamente gli occhi e cercai di fare rimanere il mio respiro il più regolare possibile. Sentii la persona sedersi sul letto e armeggiare con qualcosa che aveva in mano. Doveva essere una ciotola d’acqua. Mi premette la fronte con un panno bagnato. Dopo avermi rinfrescato il viso appoggiò la ciotola sul comò e se ne andò dalla stanza. Che gesto premuroso pensai subito. Poi mi venne in mente come ero finita in quella camera e allora mi sentii ancora più riconoscente verso quel ragazzo. Come avrei potuto ringraziarlo? Di certo dei soldi non bastavano, ma era l’unica cosa che mi veniva in mente. Mi rigirai nel letto con la mente affollata di pensieri e una fitta allucinante alla testa mi colpì facendomi gemere di dolore. In pochi secondi due mani forti mi afferrarono le spalle e mi guidarono nel letto riposizionandomi nella stessa posizioni di poco fa.
“ mi spiace signorina, ma credo che per la sua testa dovrà rimanere così”. Chiusi gli occhi in attesa che il dolore se ne andasse.
“si sente un po’ meglio?” chiese il mio angelo.
“si, grazie” la mia voce uscì come un sussurro debolissimo
“mi ha fatto prendere un bello spavento! Dorme da almeno sette ore. Cominciavo a pensare che sarebbe stato meglio se l’avessi portata al pronto soccorso…”
l’angelo aveva una voce bellissima. Era ferma e trasmetteva sicurezza. Cercai di mettere a fuoco il suo viso, ma l’oscurità non mi aiutava di certo.
“che ore sono?”
l’uomo guardò l’orologio sul braccio. Evidentemente non aveva problemi di vista con l’oscurità.
“le tre e mezza di notte”
“deve essere stanco. Mi scusi per l’impiccio che gli ho causato” dissi cercando di alzarmi. Lui mi rimise sdraiata. “ma si figuri! Quello che si deve scusare sono io. Mi dispiace di averla fatta aspettare molto con quei delinquenti.”
Ridacchiai divertita dalla sua scusa infondata.
“bhe sono contento di essere arrivato in tempo!”
“si, anch’io..”
“Comunque io sono James e tu?”
“piacere Kelly Ann”
“bene signorina Kelly Ann, il suo medico personale le prescrive una cura a base di sole, riposo e divertimento”
“ne terrò presente…”.
James si avviò verso la finestra e la spalancò. Un’ondata di luce investì la camera che brillò in risposta con la luce.
Ci dovevamo trovare proprio nel cuore della città. La conoscevo molto bene quella zona visto che ogni singola parte della mia vita si concentrava nelle vie principali della caotica New York. Le luci dei neon giganti inondavano la stanza.
Alla luce la stanza sembrava ancora più bella di come me la sarai mai immaginata. Le pareti erano dorate e brillavano come tante pietre preziose. Il letto in legno occupava la maggior parte della stanza. Era veramente enorme! Secondo me ci volevano delle coperte su misura. James si accorse del mio stupore. “ mi piace dormire comodo!” disse facendo spallucce e roteando gli occhi. Con la luce potei ammirare il mio salvatore. Era alto e snello. I capelli neri e spettinati gli ornavano il viso magro e squadrato. Gli occhi azzurri spiccavano sulla pelle chiara. Era l’uomo dagli zigomi perfetti! Avrebbe potuto fare benissimo il modello per una qualche rivista di moda e far sfigurare tutti quegli uomini copertina. All’improvviso mi sentii quasi grata agli uomini che avevano cercato di molestarmi. Ma che cosa mi ritrovo a pensare?basta!
Scossi la testa nella speranza di cacciar via quei pensieri. Mi misi a sedere sul letto lasciandomi scoprire fino alla vita e solo quando mi accorsi che James mi stava fissando, mi ricordai che avevo indosso solo la biancheria.
James scosse la testa e con un sorrisino strano si allontanò dal letto in direzione della sedia con sopra i miei vestiti. Li prese in mano, li tastò per bene e poi li riposo sulla sedia.
“mi sono preso la libertà di farti spogliare dalla donna delle pulizie e di lavarti i vesti. L’unica cosa è che adesso sono ancora bagnati.”
“oh…capisco” dissi avvolgendomi le coperte intorno al corpo.
“proviamo a vedere se qua dentro c’è qualcosa…” e così si inoltrò dentro a quello che evidentemente era un armadio a muro. “meno male che ci ha pesato lei a farti trovare un cambio!” e così dicendo mi porse un vestito verde a fiori con della biancheria pulita. Come se ne andò dalla stanza mi cambiai velocemente. Il vestito mi stava a pennello ed era anche molto carino. Certo, se lo avessi visto in un negozio non l’avrei mai comprato, ma dovevo ammettere che era un vestito molto comodo e primaverile. Richiamava i colori dell’estate.
Attratta da un odorino molto invitante e dal continuo sfrigolare del cibo sulla padella, mi diressi verso la cucina.
“spero che tu abbia fa…” troncò la frase a metà. Mi stava fissando. Non mi sarei stupita se proprio come in un cartone animato, la sua mascella fosse arrivata per terra e avrebbe allagato la stanza di bava. In fondo ero consapevole di fare quest’effetto sugli uomini. Era sempre stato così. Fin dall’elementari. Ero consapevole della mia bellezza fisica, ma non mi piaceva vantarmene. Per quanto poteva essere vantaggioso, la mia bellezza mi aveva proprio stufata. Ormai le dita delle mani non bastavano per contare tutti gli uomini che mi avevano usata per scopi personali spezzandomi il cuore tutte le volte. E avevo solo 23 anni! Era proprio per questo che evitavo il più possibile di indossare vestiti aderenti e d’indossare per la maggior parte del tempo la mia inseparabile tuta da ginnastica. Peccato che il vestitino che mi aveva dato era proprio uno di quei vestiti che non avrei messo mai e poi mai. Ed ecco spigata la bava sul pavimento…
“ti sta veramente bene Kelly” disse lanciandomi un sorriso malizioso.
“ grazie…” mi sentii infiammare le guance. In quel momento sentii profondamente la mancanza della mia tuta. Per tutta la notte James non mi tolse gli occhi di dosso neanche per un secondo. Abbiamo parlato, abbiamo riso e scherzato, insomma ci siamo divertiti e tutto sempre sotto il suo sguardo costante e affascinante che mi stordiva incredibilmente. Finita la “cena” lo aiutai a sparecchiare e a lavare i piatti.
“ti va di uscire?”
“ma sono le cinque!”
“e allora? Certi cinema fanno orario continuato per 24 ore! Se non sbaglio uno spettacolo inizia tra un’ora”
“tu non sei normale James!” disse ridendo
“ah si?! E va bene…allora ci vieni al cinema con me oppure no?”
“va bene” e così ci avviammo all’unico cinema della città che faceva orario continuato. Il film sarebbe iniziato esattamente dopo un ora e perciò approfittammo di quel tempo libero per andare a fera due passi in centro non poco lontano da li. Parlammo veramente tanto, ma gli argomenti sembravano non voler finire.
Finita quella giornata mi riaccompagnò a casa.
“ci vediamo presto Kelly”
“ va bene alla prossima” lo vidi indeciso sul da farsi. Mi si avvicinò con studiata lentezza. Mi abbracciò forte stringendomi a se. Sciolse l’abbraccio subito dopo e mi salutò lasciandomi davanti al portone di casa ancora frastornata. 


Che cosa succederà adesso? vi do appuntamento alla prossima puntata!

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Salve a tutti quelli che seguono questa fan fiction!! Oggi ricominiciamo con la nostra Kelly ma il prossimo capitolo avrà come narratore qualcun'altro....buona lettura!!



Kelly


Dopo la morte di Michael avevo deciso di lasciargli in ricordo il mio sorriso speciale, quel sorriso dedicato solo a lui. Eppure eccolo qui stampato sul viso, senza la capacità di rinchiuderlo in quel cassetto impolverato dove c’era rimasto per troppo tempo. Non trovavo più la chiave. Ci sono voluti tre anni prima che il destino me la facesse ritrovare e la chiave si trovava proprio in James. Non so perché ma come lo vedevo mi veniva da ridere, di essere felice. Lui riusciva ad illuminare tutte le ombre di me facendole sparire. Era come un sole invernale che mi accarezzava la pelle trasmettendomi una perfetta sensazione di calore. Senza rendermene conto lui era diventata per me come una droga. Ne avevo bisogno più di quanto immaginassi. Avevo bisogno del mio sole invernale. Arrivata a casa mi chiusi la porta alle spalle sperando che la mia migliore amica non avesse sentito il mio arrivo e mi imbucai in casa mia come se fossi lì per rapinare il mio appartamento. Peccato che come girai l’angolo per andare a infilarmi nel letto senza essere notata, mi ritrovai Christin con le braccia incrociate sul petto e il piede che tamburellava impaziente. Classica posa da genitore quando hai varcato l’ora del coprifuoco. L’unica differenza è quello che venne dopo. Anziché rimproverarmi e sentirmi dire la classica frase “ DOVE SEI STATA!!?? ”, Chris mi assalì facendoci cadere sul divano urlando un “RACCONTAMI TUTTO!!” che non ammetteva repliche.
Come mi vide esitante mi diede una sberla sulla spalla “dai!! Qualcosa è successo sicuro! Voglio sapere cosa significa qual sorrisino da ebete rincitrullito che ti ritrovi!”
“oggi all’uscita da palestra…”
“si…” mi incitava a continuare
“ ecco non so ancora bene come, quando, è successo tutto in fretta…”
“si…”
“bhe saranno state più o meno le 23…”
“allora la smetti con questi rigiri di parole? Arriva al punto!!” sempre la solita impaziente. Per una volta che avevo deciso di farle il resoconto della giornata lei mi tagliava le gambe.
“in poche parole sono stata molestata…”
“cosa?” esclamò senza farmi finire la frase. “non ci posso credere! Come puoi esserne così contenta! Bisogna andare alla polizia…bisogna fare qualcosa!” e così dicendo si alzò dal divano smaniosa di giustizia. La afferrai per una manica e la riportai coi piedi per terra…in realtà sul divano…
“stai calma! La vuoi sentire la storia completa si o no?” non le lasciai il tempo per rispondere e cominciai il mio racconto senza tralasciare niente proprio come piaceva a lei. Quando ebbi finito mi guardava con quel sorrisino entusiasta paragonabile a quello di un bambino piccolo davanti a un regalo enorme la notte di natale.
“whuao!! Non so che dire… sono senza parole!! Ti piace?”
“no…”dissi facendo roteare gli occhi come se fosse una cosa scontata
Chris mi guardò storto
“okay va bene…forse un pochino si.”
“ah!! È da festeggiare! Urliamolo a tutto il mondo! Alla solitaria Kelly piace qualcuno!!” feci una smorfia. Bastava veramente poco per farle perdere la testa. Però la sua reazione era sensata. Erano tre anni che non mi piaceva più nessuno. Tutti pensavano che non mi sarei mai più ripresa dallo shock della morte di Michael eppure…ecco la prova contraria. Ripensandoci tre anni erano proprio un’eternità!
Improvvisamente il mio piccolo cuoricino aveva spezzato le catene che lo tenevano incatenato a un ricordo morto, freddo e lontano per poter essere di nuovo libero di battere, di essere vivo. Andai a farmi una doccia e per tutto il tempo rimasi ad ascoltare quel battito frenetico che mi riscaldava il corpo. Quanto mi era mancato! Uscii dalla doccia con una smorfia.
“come mai quella faccia?” Chris era seduta sul gabinetto con una tazza di cereali in mano e la bocca piena.
“ma è possibile che mi segui ovunque!”
“e certo!! Preparati che ti romperò le palle sempre! Anche quando ti porterai a letto quel bonazzo di qui parli!”
“Chris!!” la rimproverai tirandole l’asciugamano con il quale mi stavo asciugando i capelli e che la fece sussultare facendole rovesciare la tazza di latte completamente addosso.
“bastarda!! Questa me la paghi! Era nuovo questo completo!” solo allora feci caso al suo vestito e mi resi conto che stava uscendo per andare a lavoro. Era un completo sul grigio scuro quasi nero. Era veramente bello, se si esclude la gigantesca macchia di latte che adesso ricopriva tutta la parte inferiore della giacca e qualche goccia sui pantaloni.
Non riuscii a trattenere una risata. “a dire la verità lo preferisco così!!”. Lei alzò un pugno come se volesse colpirmi mentre mi contorcevo dalle risate. “per oggi ti risparmio solo perché hai trovato il principe azzurro…” si guardò di nuovo l’abito sporco e gocciolante “…e poi perché così sarò costretta a usare il più bello di tutti in anticipo. Volevo metterlo per la riunione di domani, ma non mi lasci altra scelta. Prevedo shopping per questo pomeriggio…ci stai?”
“come no…”
“bene…non sono ammesse scuse! Neanche se il belloccio si fa vivo!”
“va bene, va bene…” la rassicurai. Era passato veramente poco da quando gli avevo parlato di James e già gli aveva trovato tre soprannomi: “bonazzo”, “belloccio”, “principe azzurro”. Sul primo e sul secondo potevo essere anche d’accordo, ma il terzo non mi convinceva. Forse perché non credevo nelle favole, il principe azzurro è solo qualcosa per il quale le donne sbavano dietro senza neanche sapere come sia realmente. Forse, invece, più semplicemente, era perché avevo l’impressione che James mi nascondesse qualcosa. Mi ispirava sicurezza, ma il modo in cui mi guardava sembrasse voler dire “alla larga!”. Chissà cosa mi avrebbe riservato il futuro. L’unica cosa di cui ero del tutto certa era che avevo bisogno di una distrazione. Pensare troppo fa male perciò mi misi davanti alla tele aspettando in qualche modo il ritorno di Chris per poter andare a fare shopping. La tentazione di uscire era veramente grande. Magari mi imbatto per caso in lui sotto casa sua. Potrei usare la scusa di dovergli ridare il vestito che mi aveva dato… Mi strinsi nell’abito come in cerca di calore. No, molto probabilmente quel vestito l’avrei custodito per sempre dentro una busta in nylon nell’angolo più remoto dell’armadio. Lo annusai. Sapeva di pulito, come appena uscito dalla lavatrice. Decisi che casa sua doveva avere quell’odore e come casa sua anche lui doveva profumare in quel modo. Allora mi venne un dubbio. E se la casa non fosse sua? Se abitasse con una brutta megera che lo ama incondizionatamente e lo tiene sempre appiccicato a se? Magari non è nemmeno libero…decisi che rimanere a logorarmi nel mio brodo immaginario non fosse il caso, così uscii. Andai al centro commerciale. Chris mi avrebbe perdonata. In fondo avrei mantenuto la promessa, l’avrei accompagnata lo stesso a fare compre quel pomeriggio. Perciò nessun ripensamento oh almeno fino a quando non vidi comparire la scritta sul display tanto odiata da tutte le donne al mondo : “servizio non disponibile” che equivaleva a un…NIENTE  SOLDI!!”
Okay forse Chris si sarebbe arrabbiata.

Che cosa nasconderà James?

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Cambiamo narratore visto che questo racconto è una storia nella storia...
adesso si passa all'altra storia che centrerà in qualche modo con la precedente...

Sito

“Vale smettila di scrivere!”
“ancora due secondi…”
“vale è pronto!muoviti!”
“si arrivo mamma…”
“ma mi stai ascoltando?”
“ancora due secondi!”
“valeeeeeeeee!non mi far venire di là eh?”
“ma se sei gia di qua!!”
“muoviti che si raffredda!!”
“un po’ di calma stavo chiudendo!!”
Penso che ormai abbiate capito come mi chiamo. Comunque la mia prof di italiano mi uccide se non metto il suo pezzo preferito. “si ragazzi lo so che può sembrare banale, ma le presentazioni sono fondamentali per un buon libro quindi se volete arrivare al 4 mettetecele!”
Whuao! Felicità!! Siamo arrivati a 4! Okay va bene adesso basta. Passiamo alle storie serie.
Io mi chiamo Valeria Faresi e il mio libro è nato così. Tutto è cominciato per colpa di un altro libro e il suo maledetto sito. Il sito in considerazione è un forum del libro Eragon. Avevo appena finito di leggere il primo e il secondo libro del ciclo dell’eredità e smaniosa di notizie su il libro in uscita, mi registrai al forum ufficiale italiano. Dopo qualche settimana che ero registrata un utente mi contatta. Aveva bisogno di aiuto per scrivere una fan fiction sul telefilm del momento: Lost.
Come se a parlarmi di Lost non ci fosse gia mia nonna a rompere le scatole. Gli dissi gentilmente che non lo avevo mai visto, ma che lo conoscevo molto bene in chiacchiere.
“perché non proviamo lo stesso?”
“va bene…cominci tu?”
“okay… tu sei Kait e io Soier” come non detto…i piccioncini del telefilm.
Provammo a scrivere qualcosa, ma non ci venne fuori nulla di buono.
“proviamo qualcosa di completamente diverso…”
“va bene…cosa hai in mente?”
“scriviamo qualcosa qualsiasi…comincio io così ti faccio vedere…”

Che cosa centrerà con tutto il resto?

piccolo spoiler...il prossimo capitolo vedrà come protagonista James...

Quella mattina non ero stato convocato per lavorare....Noi eravamo gli unici a permetterci ancora una vita sociale anche se questo comportava avere punti deboli. Non volevo fare finire tutto come l’ultima volta. L’altra volta aveva pagato per un mio errore solo una vita. Certo era stata colpa mia però non ho dovuto soffrire molto dal punto di vista emotivo. Questa volta sentivo che era diverso.

Che cosa nasconderà?

vi aspetto alla prossima!!

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Capitolo 4
*** capitolo 4 ***


Grazie mille per la recensione Ladywolf!!
mi fa piacera che questa storia ti piaccia!
bhe ho ascoltato le canzoni che mi hai segnalato e devo dire che credo ci stiano proprio bene!
non hai assolutamente un cattivo gusto! e ti svelo un segreto...anche a me piace moltissimo ascoltare la
musica quando scrivo e soprattutto quando leggo! la ascolto persino quando faccio i compiti!
insomma la musica è la mia vita!:P...bhe adesso lascio la parola al nostro amato James
....

James

Passeggiavo allegramente per i prati di Central Park. Quella mattina non ero stato convocato per lavorare perciò avevo deciso di fare due passi. Peccato che a ogni passo che facevo mi trovavo sempre più vicino a casa sua. Uffa ero proprio andato! David aveva proprio ragione. Continuando a fare avanti e indietro tra Central Park, ripensai alla nostra conversazione.
Quella mattina andai in ufficio e incontrai il mio collega David. Chi non altro se lui mi poteva capire meglio? Noi eravamo gli unici a permetterci ancora una vita sociale anche se questo comportava avere punti deboli. Non volevo fare finire tutto come l’ultima volta. L’altra volta aveva pagato per un mio errore solo una vita. Certo era stata colpa mia però non ho dovuto soffrire molto dal punto di vista emotivo. Questa volta sentivo che era diverso.
“se è veramente importante non rischiare inutilmente!” mi aveva consigliato il mio amico/collega preferito. “pensa sempre al peggio…riusciresti a sopportarlo?” aveva ragione. E più passava il tempo e più me ne rendevo conto.
Era già una settimana che la conoscevo e già non potevo togliermela dalla testa. Forse era arrivato il momento di riportarle i vestiti ormai asciutti da almeno una settimana. Risi. Come avrei fatto a spiegarle la situazione? Gliela avrei dovuta spiegare? Oppure era meglio tenerla nascosta? No con lei avrei dovuto essere sincero fin dall’inizio. Avrei dovuto dargli un opportunità. Adesso mettevo il nostro destino nelle sue mani. Da una parte speravo che scappasse, ma dall’altra avrei voluto che sfidasse la morte per stare con me. Afferrai i suoi vestiti. Li misi in una busta. Stavo per uscire quando mi arrivò un fax. Sapevo già che cosa diceva, ma per quel giorno l’avrei ignorato. Solo per quella mattina. Me ne sarei occupato per il pomeriggio e se fosse stato qualcosa d’urgente se ne sarebbe occupato David.
Strada facendo mi fermai da un fiorista e comprai un mazzo di gigli bianchi. Era incredibile come mi sentivo. Mi sembrava di essere un bambinetto tra i banchi di scuola alla prese col suo primo amore. Mamma mia! Se continuo così va a finire che ci rimango secco!
Arrivai sotto casa sua e meno male che la porta d’entrata era già aperta. Mi precipitai su per le scale controllando in tutti i pianerottoli se ci abitasse una certa Kelly Ann. All’ultimo piano di 10, finalmente la trovai. Non abitava da sola. Condivideva l’appartamento con una certa Christin bla bla bla… particolari poco importanti! Bussai con la speranza che venisse ad aprire lei. La faccenda dei vestiti poteva indurre a conclusioni sbagliate e non mi andava di dare spiegazioni inutili. Aprì la porta e il mio cuore ebbe un tuffo molto alto quando la vidi in tutto il suo splendore. Indossava ancora il pigiama e aveva l’aria ancora un po’ assonnata. Di sicuro si era appena svegliata.
“ciao” mi salutò con un cenno della mano
“ ciao…scusa sono venuto in un momento sbagliato?”
“ oh no!!” si affrettò a rispondere invitandomi ad entrare. Le porsi i fiori e in un secondo momento anche i vestiti. “ mi dispiace se ci ho messo tanto. È stata una settimana un po’ infernale”
“ah si? Qualche problema?”
“ no no…niente di interessante” si e per fortuna che dovevi essere sincero! Mi rimproverò la mia testa. La verità è che mi piaci da morire Kelly. Voglio stare con te. L’unico problema è che potresti essere uccisa da un momento all’altro se stai con me. Scappa fin che puoi! Rimani con me per sempre…
Scossi la testa nel tentativo di mandare via tutte quelle voci contrastanti che mi facevano impazzire.
“sicuro di stare bene?” mi chiese dalla cucina dove stava mettendo i fiori in un vaso con dell’acqua.
“ si, no, forse…e tu?
“ tutto a posto…ti dispiace se vado un attimo in bagno? Fai come se fossi a casa tua. È solo che non mi aspettavo questa visita.”
“no fai con comodo…sono venuto a un orario un po’ balordo”
“le dieci e trenta non sono certo un orario balordo!” guardai l’orologio. In effetti aveva ragione.
Il cellulare mi vibrò in tasca. Guardai il display. Era David. Forse c’era qualcosa che non andava? Magari eravamo stati attaccati dagli alieni e non me n’ero nemmeno accorto. In fondo quando stavo con lei era come se fossimo isolati dal mondo intero. Non mi andava di rispondere. Se avessi risposto molto probabilmente mi avrebbe convinto a occupare l’incarico che mi era arrivato per fax questa mattina. Se, invece, non avessi risposto, ed era qualcosa di importante, avrebbe potuto farsi male qualcuno. Io ero il migliore e proprio per questo non potevo permettermi punti deboli. Tra l’incudine e il martello decisi di rispondere.
“cos’è successo David?”
“dove diamine sei furbacchione?”
“c’è qualche problema?”
“si. Il capo vuole sapere dove tu sia e voglio essere sicuro di mentire per una giusta causa”
“lo sai che impossibile mentire con… quel genere di persone” non potevo parlare liberamente con Kelly nei paraggi.
“Ehy così mi smonti l’entusiasmo! Lo sai che da un premio a chiunque riesca a mentirgli senza essere beccato”
“ed è proprio per questo che è impossibile! Comunque non ti serve il mio aiuto per questo”
“aspetta bello aspett…tu.. tu…tu.. tu...”
David era un grande amico, ma una cosa che mi faceva veramente arrabbiare era quando si impicciava degli affari miei. Un conto era se glieli raccontavo io i fatti miei, un conto era quando ci metteva liberatamene il naso senza chiedere permesso.
“tutto okay?” non mi ero neanche accorto che Kelly era uscita dal bagno e mi stava studiando. Adesso aveva decisamente un aspetto migliore. Si era pettinata i capelli e si era cambiata d’abito. Aveva messo una camicetta colore blu cobalto. Quel colore le stava veramente bene. Oltre alla camicetta, aveva indossato un paio di jeans. Se erano bastati pochi minuti per renderla così radiosa non potevo nemmeno immaginarmi il risultato di ore e ore di make-over.
“ in verità no.”
“ se vuoi ti ascolto…”
“ il punto è che ho un amico veramente…poco intelligente, che mi fa prendere dei colpi esagerati per veramente delle cavolate.”
“ uhm posso capire…” di sicuro stava rimestando dentro i suoi ricordi. Chissà quante volte le poteva essere successo.
“ti è mai capitato?”
“eh se fossero questi i problemi della vita…”
“si hai ragione…e quali sarebbero i problemi della vita?”
“ mah…la morte di qualcuno, problemi di salute,… tutto ciò che riguarda l’amore…”
“ non sai quanto hai ragione riguardo quest’ultimo punto!” la frase mi venne fuori come un sospiro. ma che cosa ti salta in mente! Così sbagli tutto! in effetti la mia coscienza non aveva tutti i torti! Come conquistare una donna se le confesso che l’amore crea soltanto dei problemi? Però…è stata lei a cominciare…
La sua espressione mutò velocemente e la vidi fissarmi con occhi brucianti di curiosità. Cercava di capirmi, di capire la mia affermazione. Faceva quasi male. Magari si credeva la più brava in quel campo. La più brava a capire le persone con problemi e se fosse stato così io sarei stato per lei una sfida, la sfida più complicata che avesse mai affrontato!
“avuto così tanti problemi” disse quando finalmente si spense il fuoco che c’era nei suoi occhi verdi. Non era una domanda. Era un’affermazione. Okay, in fondo era brava. Molto probabilmente esperienza personale.
“ piuttosto complicati…”.
Riuscivo quasi a sentire la sua mente che si ripeteva quest’ultima frase come un cd incantato e riuscivo quasi a percepire le varie strade che le si aprivano nella testa collegandosi con le mie parole

ma che è? Un computer?.
Non ci avevo ancora fatto molto caso, ma aveva gli occhi di una bella tonalità di verde. Erano molto espressivi. Quello che si sul dire essere un libro aperto.
“se vuoi ti ascolto”. Era già le seconda volta che sentivo dirle quella frase in una mattinata e la cosa non mi piaceva. Odiavo parlare di me. Soprattutto quando si toccavano temi personali sui quali dovevo tenermi sul vago per non tralasciare troppe indicazioni.
“no…in fondo è colpa mia. È sempre colpa mia!” dalla sua espressione dedussi che dovevo essere stato piuttosto duro. Adoravo il mio lavoro, ma per una volta avrei voluto tanto farla finita.
Quando finii la scuola ero super emozionato. Non ero mai stato il tipo da legarsi sentimentalmente a una persona. Mi bastava qualche sventola sotto le lenzuola e via così. Vivevo solo per il lavoro, lavoro e lavoro. Adesso come non mai, sentivo forte il bisogno di una compagna stabile, una compagna che mi aspettasse a casa finito il lavoro e mi chiedesse come fosse andata. Che mi coccolasse e mi riempisse di tanti piccoli baci come le avessi detto che ero stanco da morire.
“Scusa. Sono stato scortese prima”
“non fa niente” si alzò dalla sedia dove si era seduta e venne a sedersi di fianco a me. Forse non era pronta per sapere la verità su di me. Forse sarebbe stato meglio se se aspettassi almeno qualche settimana. “ si…rosoliamole la taste prima che sappia la verità! Facciamo che si innamori perdutamente e che ormai sia scontato che vada contro tutto persino la morte pur di starti vicino!”
“ti va di uscire una di queste volte?” il suo viso si illuminò. Sfoggiò un sorriso perfetto e accettò l’invito.
“ti va bene questo sabato?” ti prego dì di sì, ti prego dì di sì… Il suo viso si trasformò in una smorfia.
“mi spiace. Ho già un impegno! Che ne dici di un altro giorno?”
“uhm…venerdì?”
“perfetto” e sul suo volto tornò quel fantastico sorriso che mi aveva già fatto perdere la testa.
“venerdì” diedi conferma alzandomi dal divano e avviandomi verso la porta di casa. Lei mi accompagnò sulla soglia e mi salutò col suo splendido sorriso.
Pochi minuti dopo mi trovavo a camminare per la strada con una voglia immensa di urlare e di saltare. Aveva accettato di uscire con me.

Ps: scusate se questo capitolo è un po' lofio...spero che andando avanti troverete tutto quanto molto più....interessante! A voi i commenti!!

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Capitolo 5
*** capitolo 5 ***


mi spiace per chi si aspettava di leggere che cosa sarebbe successo venerdì sera, ma adesso si ritorna
alla seconda storia che credo riuscirete finalmente a capire che cosa ci centrava
con la prima
BUONA LETTURA!!

Fan Fiction

“ Quindi io dovrei fare Kelly?”
“ esatto. È una fan fiction. Io interpreto James e tu Kelly…ci stai?”

Mi sembra che non ci sia niente di male…
“ va bene…adesso provo a scrivere qualcosa anche se non ho idea di cosa ci salti fuori…”
“tu provaci lo stesso…aspetto di leggerti con impazienza”
“cercherò di metterci allora più tempo possibile!” mi divertivo a chiattare con Riccardo. Non so perché, ma mi ispirava simpatia quel ragazzo così tanto più grande di me. Magari gli adulti fossero tutti simpatici come lui! Aveva sicuramente catturato la mia attenzione con questa trovata della fan fiction. Peccato che non potevo fidarmi di lui. I miei genitori mi avevano messo ben in guardia sulle chiat. Non dovevo fargli sapere niente di me.
Non sapevo chi era, che cosa voleva. Eppure c’era qualcosa tra di noi. Mi risultava così facile scherzare, chiacchierare. Una leggera sintonia sentivo trascinarmi via. Così, nella mia testa, i pensieri nacquero. Comincia a fantasticare da brava sognatrice. Eppure era solo uno sconosciuto ed era già tanto che avevo accettato la sua proposta di scrivere. Mi sembrava di impazzire, ma mi feci trasportare da questa irrealtà che mi catturava. Mi sistemai comoda sulla sedia. Sorseggiai il bicchiere di coca-cola che appoggiai sopra al mio libro di storia che si trovava proprio di fianco al computer. La scuola era finita, ma dovevo sostenere l’esame di terza media. Aprii una nuova pagina di Word e cominciai a scrivere un pezzo da inviare poi a Riccardo. Era estremamente semplice identificarsi in Kelly…talmente semplice che solo quando smisi di scrivere mi resi conto che già tenevo moltissimo al personaggio che stavo costruendo, inventando, creando su mia immagine.

Lo so che è corto ma mi farò perdonare postando subito un'altro capitolo 

Adesso tocca il punto di vista di Kelly!!

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Capitolo 6
*** capitolo 6 ***


Nuovo capitolo perchè:
1-molto probabilmente non riuscirò a postare per un po'
2- mi devo fare perdonare dal pezzo corto di prima...

Kelly

Il sole splendeva radioso quella mattina. Dalla finestra filtrava una luce d’orata che mi svegliò accarezzandomi lieve il viso. Ancora con gli occhi chiusi il mio cervello cominciò a programmare il resto della mia giornata. Mi alzai conscia di dover sopravvivere a una giornata di ansia. Non vedevo l’ora che arrivasse la sera. Raggiunsi il bagno. Mi sciacquai la faccia e mi lavai i denti accendendo la radio sul meteo.
“annunciamo che oggi sarà una giornata perfetta da ogni punto di vista meteo. Di giorno il cielo sarà leggermente coperto con una temperatura massima di 25° C. Un leggero venticello serale sgombrerà il cielo da ogni tipo di ostacolo per poter avere una nottata completamente a cielo scoperto. Annunciamo in oltre che da questa sera sarà perfetto poter avvistare Marte e solo in piena notte anche Giove.” Partì subito dopo il tormentone dell’estate che cominciai a cantare a squarcia gola svestendomi e entrando in doccia. Stranamente l’acqua calda non aveva avuto effetti rilassanti quella mattina perché quando uscì mi ritrovai ancora più agitata di prima.
“ è colpa del tempo che scorre troppo in fretta!” mi aveva detto Chris.
“primo appuntamento uguale ansai mortale!!”
mi accorsi in quel momento di quanto aveva ragione. Fino a un attimo fa non potevo resistere un solo minuto in più senza vederlo, ma adesso.. eh…adesso volevo soltanto poter avere molto, molto più tempo a disposizione! Non avevo ancora pensato a cosa mettermi ed erano già le undici e un quarto! Mannaggia alle tue abitudini da dormigliona!
Mi precipitai subito al mio armadio e cominciai la ricerca senza fine dell’abito perfetto. Forse può andare qualcosa di questo genere…no! Così non va bene! ho bisogno di Chris!
Mi fiondai al telefono e composi il numero che tanto sapevo a memoria. Ormai erano le dodici e quaranta. Era uscita da un pezzo dall’ufficio. Meglio…così non l’avrei disturbata.
“non trovi niente da mettere?” come faceva a capire sempre di cosa avessi bisogno?  Di che ti stupisci? È Chris!!
“mi aiuti?” il mio tono supplichevole non ammetteva repliche
“aspettavo solo il via libera! Tra un’ora ti porto i vestiti!”
“ma che cosa hai in mente?” però se esageri non va bene
“non ti preoccupare…ci penso io. A tra un’ora precisa!” e mi attaccò il telefono in faccia senza lasciarmi il tempo di replicare.
L’aspettai con ansia. Forse con troppa ansia ma, se da un lato riusciva a capirmi come se fosse il mio grillo parlante, dall’altro mi spaventava terribilmente! Sapeva rendere le cose più semplice formidabili e le cose più elaborate pompose. Non avevo idea di come mi sarei vestita e non sapevo esattamente cosa mi sarei dovuta mettere e per questo ringraziavo il cielo di avere un’amica come Chris che mi levava questo pensiero di dosso. Speriamo si contenga!
Continuavo a vagare per la casa.
Era scoccata l’ora da almeno dieci minuti e di Chris nessuna traccia. Finalmente suonò il campanello. Corsi ad aprire e mi trovai davanti una montagna di vestiti. Ecco cosa intendevo per esagerare!
“immagino che ci vorrà un po’ per decidere” la feci entrare e cominciai subito a guardare cosa mi aveva portato.
Dopo un pomeriggio passato tra “ questo non va bene!” e “troppo normale!”; riuscì a trovare il vestito che secondo lei era perfetto.
“tesoro sei un incanto!” saltellava per la stanza entusiasta del lavoro compiuto.
Io più mi guardavo allo specchio e più mi sembrava di essere una bomboniera troppo elaborata.
Con una smorfia le feci capire che non mi piaceva affatto e buttai lo sguardo sulla massa d vestiti che avevo provato. Ne rimanevano veramente pochi e il mio si era dimostrato essere un caso veramente disperato.
Presi un abito nero che avevamo subito scartato visto che secondo lei era “troppo da brava ragazza”. Lo indossai, abbinandogli un paio di scarpe nere vernice col tacco e una giacchetta marrone nel caso quella sera avesse fatto più freddo del solito. Mi sciolsi i capelli appena lavati e mi guardai allo specchio soddisfatta. Suonò il campanello mentre stavo finendo di truccarmi e sentii Chris andare ad aprire la porta.
Sperai che non cominciasse a fargli il terzo grado come da suo solito. La mia mente cominciò a prevedere tutti i modi più orrendi con il quale la mia amica avrebbe potuto accoglierlo. Dopo quel breve viaggio sperai con tutta me stessa che non sarebbe accaduta qualsiasi cosa la mia mente aveva già previsto, magari esagerando un pochino, ma…la figuraccia c’era comunque. C’era troppo silenzio. Dovevo andare a controllare. Mi affrettai a raggiungere il salotto. Non era da Chris non parlare e questo silenzio mi terrorizzava quasi più dell’abito da bomboniera che mi aveva fatto provare prima. Voltai l’angolo e lo spettacolo che ritrovai davanti mi fece finalmente respirare. Chris stava borbottando qualcosa riguardo certe carte che doveva firmare.
“ ma dov’è che dovrei firmare?”
“ proprio qui!” le ripeté l’uomo mostrandole il punto esatto. Mi sembrava spazientito, ma evidentemente non aveva mai lavorato con lei. In fatto di testardaggine non la batteva nessuno…forse solo io.
“grazie mille” disse Chris accompagnandolo alla porta “ la prossima volta però…” si interruppe a metà frase. Altra cosa non da Chris. Aveva aperto la porta e si era ritrovata faccia a faccia con James.
 “tu devi essere James”
“ e tu devi essere Christin”
“il tipetto è sveglio!” disse rivolgendosi a me e stringendogli la mano che gli aveva proposto. Mi sentii le guance bollire e mi nascosi velocemente dietro al muretto che precedeva l’ingresso del bagno.
“entra pure! Cosa ci fai come un fesso impalato sulla porta di casa?!?” adesso ero di un colore bordò. Corsi in bagno prima che mi potesse vedere e lì cercai di riprendere a respirare normalmente. Restai  per qualche minuto in attesa ad ascoltare il mio respiro lento e profondo. Sentivo la sua voce chiaramente e improvvisamente mi sentii abbracciare da quel calore protettivo che provavo sempre quando gli stavo vicino. Avevo voglia di vederlo e inoltre non potevo permettergli di parlare da solo con Chris. Lei sapeva troppe cose imbarazzanti sul mio conto. Voltai l’angolo che mi divideva dalla sua visione. Era di spalle a me e stava ridacchiando con Chris. Sembravano essere entrati da subito in una perfetta sintonia come se si conoscessero da una vita. Come entrai Chris mi fissò facendogli capire che avevo fatto il mio ingresso. Si voltò lentamente e aspettai il suo giudizio con più ansia del previsto. Dopo aver studiato il mio vestito, il suo sguardo si incatenò nei miei occhi e sperai vivacemente che non avesse notato l’imbarazzo che provavo ad essere al centro delle sue attenzioni.
se non parli tu tocca farlo a me! “ciao” non so come riuscii a trovare la forza di parlare.
“ciao…sei stupenda Kelly” disse continuando a squadrarmi. Il suo sguardo attento faceva quasi mele e mi costrinse a fissare la parete dietro di lui
“grazie”
“pronta per andare?” mi chiese proponendomi il braccio che accettai sperando di non sembrare un’imbranata totale
“ sicuro”
“bhe arrivederla e felice di aver fatto la sua conoscenza” disse James a Chris con un cenno della testa. Se non l’avesse interpellata non mi sarei nemmeno accorta che ci stava fissando. Stava per scoppiare. Lo sapevo. Era sempre stato così. Sorriso sognante, occhi lucidi, guance rosse e come se non bastasse si stava torturando il labbro inferiore con i denti.
“fate a modo!” la fulminai subito e la vidi ridacchiare di gusto mentre la porta si chiudeva alle nostre spalle. Mi sarei dovuta appuntare nella mente ogni singolo particolare per il resoconto che mi avrebbe sicuramente chiesto quando sarei rientrata. Non potevo nemmeno sperare di trovarla a dormire. Io ero il suo regalo la notte di natale e lei una bambina troppo curiosa e impaziente. Scossi la testa cercando di scacciare quei pensieri e di concentrarmi sulla persona che tenevo a braccetto.
“qualcosa non va?” mi chiese James spezzando il silenzio che si era creato tra noi
“quando tornerò dovrò farle un resoconto dettagliato della serata…”gli dissi con una smorfia che sperassi potesse passare per carina.
 Dalla sua bocca uscì una risata cristallina che non mi sarei aspettata.
“eh già…avevo l’impressione che stesse per scoppiare”. Mi sentii le guance avvampare e fissai lo sguardo sui nostri piedi che camminavano sul marciapiede affollato di New York.
“te ne sei accorto…”“era impossibile non accorgersene!” stava ridendo divertito anche se io non ci vedevo niente di così divertente. Insomma riderei se la situazione fosse ribaltata?… sì, assolutamente sì!
Mi misi a ridere con lui ripensando alla faccia di Chris in fase “esplosione”. Non stavo neanche badando a dove andavo. Mi lasciavo trasportare da lui senza la minima obiezione.
“ dove stiamo andando?”
“eh eh…sorpresa”
“non mi dire che mi devo bendare o una cosa del genere?!”
“ti fideresti?”
“si” ero sicura di quello che dicevo. Mi fidavo della persona che avevo davanti a me. Lui però non sembrava che l’avesse presa bene. Cominciò a guardare avanti con lo sguardo perso nel vuoto, pensieroso. Mi fidavo di un uomo che non mi aveva ancora detto nulla di se, che mi teneva nascosto qualcosa. Ma ero normale? Ero quasi sicura del fatto che c’era qualcosa di cui avere paura in James, ma allo stesso tempo ne ero attratta, terribilmente attratta. Prima o poi me l’avrebbe detto. Me l’avrebbe detto quando sarebbe stato il momento più opportuno e io l’avrei accettato. Non potevo rinunciare al mio sole invernale. L’avrei aspettato; avrei cercato di farlo felice; avrei cercato di non perderlo.
“non dovresti” continuava a tenere lo sguardo fisso davanti a se e così feci anch’io
“si…mi fido di te”
“sembri proprio irremovibile”
“lo sono”
ridacchiò divertito e continuò a condurmi per le vie di New York. Attraversammo Central Park fin quando non apparve davanti a noi, un tendone. Il tendone era completamente illuminato da lucine minuscole bianche che ne sottolineavano la forma e i particolari. Mi condusse al suo interno e mi trovai in una stanza buia. Lo sentii allontanarsi da me e accendere un interruttore che diede luce alla stanza con un rumoroso clic. Rimasi sovrastata dalla bellezza di quel posto. Le pareti dorate e i rinfreschi sul muro potevano benissimo appartenere a una villa rinascimentale. Il lampadario d’antiquariato dava sicuramente un tocco di magia che ci riportava a un’altra epoca. Stranamente mi era famigliare. Cercai di capire dove potessi aver mai visto una stanza del genere, ma non mi venne in mente niente. Non era paragonabile neanche al più sfarzoso dei sogni da principessa che ogni bimba fa di tenera età. Cercai il mio principe con lo sguardo. Lo trovai dall’altra parte della stanza e lo vidi sfoggiare quel suo sorrisetto sghembo che mi lasciava sempre senza fiato. Lo vidi farmi cenno di avvicinarmi a lui. Quando gli fui abbastanza vicino mi prese per i fianchi e mi condusse all’interno di quello che avrebbe dovuto essere il guardaroba. Mi fece scivolare via la giacca leggera che avevo preso per precauzione e la ripose in un armadio. Poi fece lo stesso con la sua giacca e stringendomi la mano mi riportò nella stanza di prima. Sul lato di fronte a me c’era un palchetto con sopra qualche violinista e un pianista che stavano accordando i loro strumenti. Sulla nostra sinistra un immenso bancone dove i cuochi si stavano preparando a cucinare la nostra cena proprio sotto i nostri occhi. Mi sembrò troppo strano che non ci fosse nessuno. Eppure erano le nove passate. Il locale dovrebbe essere già stato pieno. Si avvicinò a noi un uomo che sembrava un pinguino imbalsamato.
“ buonasera mademoiselle!” disse porgendomi la mano. La afferrai e lui si portò la mia mano alle labbra baciandola lievemente. “ Sono onorato di fare la sua conoscenza”
“l’onore è tutto mio”
“non ha idea di quanto ci ha fatto galoppare quest’uomo! Ma capisco perfettamente il perché ora…vi auguro una bella serata!” disse poi rivolgendo una rapida occhiata a James e facendo un cenno ai musicisti cominciarono a suonare una melodia  lenta. Guardai James incredula. Mi sfoggiò un sorrisino imbarazzato e poi mi fece accomodare su una delle due sedie dell’unico tavolo apparecchiato per due. Non smise un secondo di studiarmi con il suo sguardo furbo e leggero. E lo stesso feci anch’io.
“ti prego di qualcosa…così rischi di uccidermi” aveva abbassato lo sguardo sulle sue mani che si torturavano nervose. Mi mossi velocemente sorprendendolo e coprii la breve distanza che c’era tra noi posandogli la mia mano sulle sue e costringendolo così ad alzare lo sguardo. I suoi occhi furono nei miei e fui di nuovo presa dal panico più totale.
“È stupendo…”  sussurrai quasi come non volessi essere sentita.
intrecciò le sue dita con le mie e i miei occhi si fermarono a guardare le nostre mani intrecciate. E questo come lo farò a spiegare a Chris? Mi piaceva terribilmente quella visione. Sorrisi ancora di più di quanto stessi già facendo prima.
“sei felice?” i suoi occhi cercarono ancora i miei per controllare che dicessi la verità
“sì, e tu?”
“terribilmente felice” mi sentii avvampare nuovamente le guance
“spero vi divertiate…” era tornato il pinguino imbalsamato
“non potrebbe andare meglio” rispose James staccando gli occhi da me per poterli posare sul pinguino
“oh bhe vedo…” disse il pinguino posando gli occhi sulle nostre mani intrecciate in bella vista sopra al tavolo. Sentii la mano di James stringere la mia con più forza e di nuovo il suo sguardo puntarsi su me.
“volevo chiedere se posso cominciare a portare la prima portata?”
“certo…proceda pure”
Il pinguino alzò i tacchi e si diresse verso “la cucina”.
“sei un incanto questa sera! Molto…elegante”
“anche tu sei molto elegante”
“ma mai alla tua altezza”
“su questo ho i miei dubbi…” ridacchiò nuovamente lasciandomi sempre senza fiato.
“cos’è che ti diverte?” chiesi incuriosita. Continuava a ridere mantenendo i suoi occhi nei miei.
“sei deliziosa” ridacchiai presa di sorpresa e il pinguino ritornò con la prima portata. Le nostre mani furono costrette e lasciarsi e fui pervasa da un gelo inaspettato. Cominciammo a mangiare. I piatti erano tutti buonissimi e smettemmo di mangiare solo quando stavamo per scoppiare. Mi fece un sacco di domande sui miei amici, la famiglia e le mie passioni. Le domande, come per me non mancarono neppure per lui anche se ogni volta che s stava per toccare l’argomento famiglia cambiava velocemente discorso. Nonostante questo piccolo particolare, parlammo, ridemmo, scherzammo davvero tanto. I musicisti non smettevano mai di suonare e il pinguino naturalmente non perdeva un attimo per chiederci come andasse la serata.
“allora come va la serata? Vi divertite spero”
“si era tutto buonissimo”
“ ne sono felice…volete un caffè?”
“per me uno macchiato, grazie”
“e per lei signorina?”
“un cappuccino, grazie”
“arrivano subito” tagliò corto e sparì dietro a un bancone.
“ giuro che se torna un’altra volta domani gliene dico quattro”
“ si può sempre andare via senza pagare il conto”
“ non sarebbe una cattiva idea” ridacchiò alla ricerca della mia mano “peccato che me lo farebbe arrivare direttamente a casa”
“vi conoscete già?”
“se ci conosciamo? È praticamente mio zio!” cominciò ad accarezzarmi la mano con il pollice disegnando sul dorso cerchi immaginari.
“sinceramente non me lo aspettavo”.
Continuava a ridere divertito dalla mia reazione “si…dicono tutti così! Guarda un po’ come riesco a farlo arrabbiare…”
Il pinguino, praticamente zio di James, si rifece vivo con le nostre ordinazioni.
“ ecco qui! Il cappuccino per la signorina e il caffè macchiato per James.”
Suo zio? Impossibile!
“ehy zio tua moglie mi sta facendo morire…lo sai quello che vorrebbe…”
“ quante volte te l’ ho detto di non chiamarmi in quel modo?! E di a mia moglie di lasciarmi in pace!!”
“okay va bene….zio”
“sei un caso disperato!” e così dicendo alzò i tacchi
“non vuole essere chiamato zio. Dice che sa troppo di vecchio” mi spiegò quando “lo zio” non era a portata d’orecchio.
“che cosa vuole sua moglie?”.
“vuole che lui torni a casa da lei. Pensa che sia partito in giro per il mondo. La realtà è che non vuole averla tra i piedi mentre lavora perché gli rovina tutto. Le vuole bene, ma è assolutamente geloso del suo lavoro”.
I musicisti smisero di suonare per un attimo e dopo qualche minuto di silenzio ripresero e suonare una canzone che conoscevo molto bene vista la passione di mia madre per la musica classica.
Fin da quando ero dalla culla mi aveva istruita a riconoscere un compositore dall’altro a orecchio. Se c’era un compositore che a lei piacesse, allora me lo faceva conoscere inculcandomi il suo stile. Adesso stavano suonando una canzone di Yiruma.
“è molto bella questa canzone” dissi infine dopo una lunga pausa di silenzio. Mi ritornarono in mente tanti ricordi di mia mamma.
“dopo una giornata di scuola mia madre mi accoglieva sempre con questa canzone nello stereo e una bella fetta di torta la cioccolato appena sfornata” chiusi gli occhi invasa da ricordi. Riuscivo quasi a sentire l’odore del cioccolato caldo e la voce di mia mamma. Poi un’altra voce. Era quella di Michael.
“non devi avere paura.”
Come potrei mai dimenticare quel giorno.
“non ci riuscirò mai!”
“ci sono io. Guarda me. Non è difficile”
“Michael per l’amor del cielo sta attento!”
Risentii il mio cuore continuare a battere incredibilmente veloce. Il mio respiro pesante.
“Michael!” le mie urla tornarono come fantasmi nella mia mente. Quella notte. La notte che si è chiusa per sempre su di me e Michael
“Kelly mi sposo”
“oh Michael sono così felice per te!” era il mio migliore amico. Risentii le urla, il calore del suo corpo sul mio. Era il mio migliore amico. Lo era sempre stato e lo sarebbe rimasto per sempre.
“Kelly io voglio te!”
“ti voglio bene”
“non mi lasciare…”
“ho giurato col mignolo”
“da domani sono ufficialmente in luna di miele”
“divertiti”
“non so se ce la posso fare a starti lontano per così tanto!”
“dai così finalmente di disintossichi da me”
“mia mamma lo ha sempre detto che su di me hai una cattiva influenza!” mi giunse la sua risata cristallina che avevo sentito per almeno sette anni e che adesso non sentivo più da un arco di tempo che sembrava molto più grande. Sorrisi…sua madre e le sue monotonie!
“Michael, tesoro, lo sai che disapprovo la tua amicizia con…quella ragazzaccia! Devi trovarti una donna un po’ più femminile…una donna che non cominci a tirare calci e pugni a destra e a manca solo perché le dicono che è una femminuccia! Non va bene per tirare su dei figli…”
“mamma non la devo sposare!! Siamo solamente amici!”
Di nuovo le mie urla di terrore. Di nuovo quella sensazione di freddo, di vuoto di solitudine. Il soffio lontano del treno che si avvicinava velocemente e quell’ultimo sorriso di Michael incastrato tra le rotaie del treno.
“Michael!!” ma ormai non avrei potuto più fare niente. Il treno non si fermò.
“è stato preso in pieno. Non deve aver sofferto molto. Un colpo netto.”
Forse lui non aveva sofferto. Io invece si. Avevo sofferto troppo, e continuavo a soffrire.
“sempre insieme non te lo ricordi?! L’avevi promesso!” urlavo come una disperata. Non mi presentai nemmeno al funerale. Non mi era rimasto più niente. Sentivo gli occhi umidi. Non adesso ti prego… niente da fare. Le lacrime cominciarono a bagnarmi gli occhi.
“scusami due secondi” mi diressi verso l’uscita senza degnare James di uno sguardo. Feci il giro del tendone di corsa. Dovevo trattenermi. Non potevo piangere. Avrei dovuto poi dare delle informazioni. Non volevo. Quando fui dalla parte opposta dell’entrata mi appoggiai con la schiena al tendone. Mi lasciai scivolare a terra e permisi al mio corpo di scoppiare. Le lacrime mi solcavano le guance. Il mio corpo era pervaso da convulsioni di dolore. Dopo tre anni eccomi ancora qui a piangere. Fai schifo! Michael non lo vorrebbe… Sentivo freddo benché fuori ci fossero 25° C. L’angelo nero mi stava trascinando nuovamente con se. Io non opponevo nessuna resistenza. Non mi interessava più niente. Volevo vivere nel ricordo. Volevo morire. Mi mancava il mio amico. Ero sempre stata egoista e non riuscivo ad accettare che lui fosse morto per un mio capriccio. Se solo avessi guardato con occhi lucidi! Era morto proprio sotto i miei occhi, gli stessi occhi con i quali l’avevo guardato con disprezzo, gli stessi occhi con il quale lo avevo sfidato a un gioco fatale.
Il ponticello andava da una parte all’altra della depressione nella quale si trovava una delle ferrovie più antiche ancora in uso di tutta l’America.
Mi afferrò il cappello e lo buttò giù.
“vallo subito a riprendere!”
“prima le signore!”
“ma io ho la gonna! Non ci riuscirei a scendere per la fune! E poi scusa, ma sei tu che me l’ hai buttato di sotto…vallo a riprendere tu!”
“non mi va…”
“brutto stronzo!”
“ma come siamo simpatiche questa mattina!”
Guardai la luna e le stelle brillare in quella splendida nottata.
È possibile che rovino sempre tutto! Mi strinsi nelle braccia ancora tremante dal dolore.
“scommetto che non hai il coraggio di lanciarti con la fune e andare a riprendere il mio cappello!”
“Kelly non mi sfidare inutilmente” ero furiosa, ma se solo avessi potuto sapere a cosa andasse incontro! Non l’avrei mai lasciato andare. La sua ora non sarebbe dovuta scoccare proprio quando io avevo più bisogno di lui.
Ascoltavo i miei singhiozzi. I miei polmoni cercavano e inspiravano aria avidamente mentre io continuavo a stringermi con la testa appoggiata alle ginocchia. Rividi il suo viso. Il suo viso sorridente diventare una maschera di sangue e essere trascinato nel buio dall’angelo nero, lo stesso angelo che adesso mi stava catturando tra la sue grinfie. Improvvisamente mi sentii circondare da altre braccia più calde. Mi ricordai il motivo per cui ero sopravvissuta a questi anni senza un faro in mezzo al mare in tempesta. Dovevo andare avanti. Mi sarei divisa in due. Una Kelly per il passato e una Kelly per il futuro. Non potevo di certo starmene lì ad aspettare di poter rivedere il mio migliore amico. Avrei vissuto. Dovevo vivere. Vivere e sorridere dei guai e poi pensare che domani sarà sempre meglio. Vivere e non essere mai contenta, vivere anche se ero morta dentro. Se non sarei riuscita a vivere per me l’avrei fatto per qualcun altro. Qualcuno mi strinse forte e soffocò il mio viso sul suo petto. Respirai a fondo quell’ odore di pulito che si diffuse velocemente in tutto il mio corpo. oh James! Continuò ad accarezzarmi e a baciarmi i capelli fino a quando non mi fui calmata e solo allora disse: “ti va di fare un giro o vuoi andare a casa?”
“facciamo un giro” volevo rimandare il più possibile il momento in cui sarei stata sola ad affrontare i miei fantasmi. Mi porse il braccio e io lo afferrai. Cominciammo a camminare e sapevo che prima o poi sarebbe arrivata la classica domanda “ che cosa c’è che non va?” oppure “come mai piangevi prima?”.
“sono uno stupido, scusami Kelly” lo guardai forse con due occhi più grandi della luna.
“perché dici questo?” mi sorprendeva sempre. Lasciò andare il mio braccio e si mise a sedere sull’erba fresca. Lo imitai continuandolo a guardarlo sperando che non cambiasse discorso.
“perché come è cominciata la musica avevo intenzione di invitarti a ballare…ma non l’ho fatto.” fissò lo sguardo nel cielo coperto di stelle e rimase in silenzio per qualche minuto incantato da quello spettacolo. Non c’era luna ma le stelle erano ben visibili considerando la limitazione della calotta d’inquinamento che ricopriva il globo. Mi sdraiai appoggiata sui gomiti contemplando quel cielo meraviglioso. Chissà se si poteva vedere Marte proprio come avevano detto questa mattina per radio. Scrutai il cielo affondo nella ricerca di quel puntino che doveva essere Marte. Lo trovai.
“si vede Marte questa sera” dissi indicandolo con il dito.
“ma è minuscolo!”
“lo credo bene! voglio vederti te se fossi a chissà quante migliaia di chilometri!”
“si forse hai ragione!”
“si…forse!” gli feci eco ridendo. Ero felice. Lo ero per il momento. Mi erano già capitate questo tipo di crisi: ero contenta fino a quando avrei avuto qualcosa per distrarmi. Mi dispiaceva usare in questo modo James, ma proprio non potevo farcela senza di lui. Un giorno sarei riuscita a donargli amore. Non volevo farlo soffrire. Ci sarei riuscita. Il mio compito sarebbe stato quello di farlo contento. Più amore mi donava e più amore mi sentivo in debito di restituirgli sperando che anche a lui facesse bene almeno quanto lo facesse a me.

Adesso però mi sa che vi vizio un po' troppo!!:p
se siete arrivati a leggere queste frasi vuol dire che prima avete letto il mio lungo capitolo e vi ringrazio in anteprima per i bei post che lascerete
sperando che siano numerosi!!:p
okay forse pretendo troppo!! l'imporante è che questa ff vi piaccia! bhe vorrei chiedere a  ladywolf di continuare a dare la sua scelta personale dei brani  da
accoppiare ai nuovi capitoli...sempre che per lei non sia un peso!!^^"

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Capitolo 7
*** capitolo 7 ***


Grazie mille Ladywolf per le tue costati recensioni e fornitura ufficiale della colonna sonora!! Anche questa volta mi sono piacite moltissimo le canzoni che hai scelto per i miei capitoli! bhe non è assolutamente vero che hai un cattivo gusto! bhe per rispondere alla tua domanda i miei capitoli non sono mai molto lunghi...quattro pagine come massimo! l'ultimo è stata proprio un'eccezione che non sarà molto frequente! :p


James



Era lì stesa accanto a me. Sotto la luce delle stelle la sua bellezza risplendeva nel buio illuminandomi il cuore. Osservava attenta il cielo. Qualcuno le doveva aver insegnato ad orientarsi sotto il cielo stellato. Nell’arco di mezz’ora aveva localizzato quasi tutte le costellazioni e le stelle più importanti che conoscessi. Io ero stato addestrato. Io dovevo sapere esattamente sempre dove mi trovavo. A volte era proprio fondamentale e le stelle sono state uno dei miei mezzi più fidati.
“una cometa!” disse indicando una striscia di luce che falcò il cielo in pochi secondi.
“esprimi un desiderio”la vidi chiudere gli occhi. Il volto rilassato, le palpebre socchiuse e uno splendido sorriso stampato sulla bocca. Come sei bella quando sorridi. Mi ritornò in mente la sua immagine qualche ora prima quando mi aveva lascito al tavolo da solo. L’avevo seguita con l’intenzione di lasciarle la sua privacy, ma come l’avevo sentita singhiozzare, fu più forte di me. In un attimo ero inginocchiato davanti a lei e la tenevo stretta al mio petto. Non poteva soffrire. Tutti, ma non lei. Una voglia assurda di spaccare qualcosa mi pervase e il desiderio forte di eliminare la fonte della sua tristezza, del suo dolore, era veramente forte. Era colpa mia se soffriva. Volevo invitarla a ballare come aveva detto che quella canzone la piaceva veramente molto. Magari l’avrei distratta, invece il mio egoismo l’aveva fatta star male. Volevo saper cosa pensasse, volevo che mi raccontasse cosa le passasse per la testa. Il suo sorriso sparì improvvisamente e la sua espressione mutò rapidamente in una maschera di dolore. Si notava benissimo che cercava di trattenersi. Poi quando si alzò e uscì dalla stanza, mi sembrò di soffocare. Sentivo il suo dolore mio. Non aspettai nemmeno un minuto e la seguii cauto.
Mi mossi velocemente roteando su un fianco e attirandola a me circondandole la vita con un braccio. Rifugiai il mio viso nell’incavo del suo collo.
“non voglio più vederti triste, piccola” le sussurrai tra i suoi capelli. La sentii irrigidirsi sotto la mia presa, ma non avevo intenzione di lasciarla andare. Almeno fino a quando non si fosse abituata a quel genere di contatto. Le accarezzai la testa lisciandole i capelli morbidi e ondulati.
Lasciai scorrere la mia mano lungo la sua schiena che si inarcava verso di me, schiacciando i nostri corpi l’uno contro l’altro. Mi passò distrattamente le dita tra i capelli. Allora ci stai…
“non ti permetterò nemmeno per un momento di essere triste”. Non avrei permesso a niente e nessuno di farla stare male.
“sai questo cosa vuol dire?” ci mise un po’ per parlare di nuovo. La sua voce era vellutata e talmente dolce che mi stordiva facendomi perdere la ragione. Se mi fa questo effetto la sua voce, figuriamoci… mi rifiutai di continuare a pensare di concludere quella frase.
“cosa?”. Qualsiasi cosa le sarebbe uscita dalla bocca l’avrei fatta. Fosse stata anche la cosa più terribile al mondo l’avrei fatta.
La mia bimba sorrideva. Forse la risposta era divertente. Ci saremo fatti due risate. Inchiodò i miei occhi nei suoi e vi lessi un leggero imbarazzo quando aprì la bocca per parlare.
“resta con me…” la sua voce persuasiva mi fece raggelare il sangue nelle vene. Potevo sentire chiaramente i miei neuroni bruciarsi uno ad uno nella mia testa. L’impulso fu incontrollabile. La strinsi, forse con troppa forza perché sussultò, e la baciai senza lasciarle la possibilità di respingermi. Si strinse a me movendo le sue labbra piccole e carnose sulle mie.
La mia mano continuava ad accarezzarla lungo la schiena e Kelly si inarcava comprimendo il suo petto sul mio. Il desiderio di toccarla si faceva sempre più forte, dovevo controllarmi. Non volevo farla scappare. Bisognava fare le cose con calma. Quando il desiderio fu incontrollabile, conclusi il bacio. Lei si accovacciò sul mio petto e continuò a fissare il cielo. La mia bimba…
Inspirai felice l’aria tiepida cercando di riprendere il controllo di me stesso. Mi sentivo…estasiato e sperai che per lei fosse lo stesso. Le diedi un bacio sulla fronte. Sospirò stringendomi. Le labbra piegate all’insù in uno splendido sorriso e gli occhi chiusi rilassati. Rimasi a fissare quello spettacolo che speravo di poter vedere ogni notte prima di addormentarmi.
Restammo immobili sotto le stelle per molto tempo instancabili l’uno dell’altra. Avrei voluto che il tempo si fermasse e restare lì con lei fino alla fine della nostra esistenza. Peccato che dovevo fare il cavaliere e accompagnarla a casa almeno prima dell’alba. Erano le tre passate quando le chiesi se voleva tornare a casa.
“non ho voglia di starti lontano” mi aveva detto in risposta. Come la capivo. Anch’io non volevo starle lontano. Erano solo poche settimane che ci conoscevamo e già non potevo fare a meno di  lei. Mi tirai su e lei mi seguì a ruota. Le cinsi i fianchi e ripresi a baciarla.
“ puoi sempre rimanere a dormire da me” dissi con le labbra sul suo collo entusiasta di averla nel mio letto e poterla stringere per tutta la notte.
“faremo venire un infarto a Chris” disse senza più fiato in corpo.
“questo sarebbe un si signorina Kelly Ann?”
mi prese il viso tra le mani e mi baciò dolcemente sfiorandomi ripetutamente le labbra.
“resta con me…” la voce roca piena di desiderio la fece sorridere. Cominciammo ad avviarci verso casa mia mano nella mano. Non c’era nemmeno un taxi e arrivammo a casa mia stanchi dalla lunga camminata.
“ecco qua” la feci entrare “bhe casa mia ormai la conosci”
“eh già…”
“se hai bisogno del bagno è tutto tuo. Ti metto sul lavandino una mia maglia che puoi mettere per dormire”
“grazie…”
“ti aspetto in camera” le diedi un veloce bacio e le lasciai il suo spazio. Mi diressi verso la camera da letto passando a controllare che non mi fosse arrivato nessun fax. Mi ero dato da fare durante la settimana per poter avere il week-end libero e il capo era stato intelligente da concedermi i pochi giorni liberi. Mi misi il pigiama e mi sistemai sotto le lenzuola. Non mi fece aspettare molto. Dopo neanche cinque minuti era al mio fianco. Si era lavata il viso cancellando quel sottile strato di trucco e la mia maglia era più che abbondante per lei. Mi eccitava terribilmente vederla con solo la mia maglietta indosso. Si infilò sotto le coperte e si sdraiò vicino a me appoggiando la testa sul cuscino. La afferrai stringendola e accostai le mie labbra alle sue. I nostri occhi si incatenarono. Sentii Kelly rabbrividire quando le nostre labbra si incontrarono e pian piano chiusi le mie sulle sue. Adoravo come mi baciava e adoravo il suo sapore. Capii immediatamente che presto ne sarei diventato dipendente. Pian piano si scostò da me sdraiandosi al mio fianco. La strinsi forte con l’intenzione di non lasciarla mai più.
“notte bimba”
“a domattina”
“non vedo l’ora…” le diedi un ultimo bacio sulla fronte e poi lasciai che la stanchezza si impossessasse del mio corpo rilassando tutti i miei muscoli. Strinsi la mia bimba poco prima di addormentarmi con la speranza che non sparisse la mattina successiva al mio risveglio. In lontananza il rumore del fax che stava stampando il contenuto di un messaggio che tanto, non avrei letto.

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Capitolo 8
*** capitolo 8 ***


Grazie mille a tutti coloro che leggono e commentano questa fan fiction, ma un grazie speciale va anche a chi si limita soltanto a leggere. è veramente bello vedere salire sempre di più i numeri delle registrazioni!! adesso movimentiamo un po' la storia...

James



Mi svegliai contento quella mattina. Il sole non era ancora sorto e quindi la stanza era buia. La sveglia sul mio comodino indicava che erano le cinque e un quarto. Non ero mai abituato a dormire a lungo da quando non andavo più a scuola. Mi rigirai nel letto desideroso di controllare che lei fosse ancora lì. Dormiva tranquilla, sdraiata su un fianco con i capelli attaccati al viso. La mia maglietta si sollevava e abbassava insieme al suo petto in respiri lunghi e profondi. Le diedi un bacio sulla fronte e mi alzai per fare colazione. Raggiunsi la cucina e mi feci un toast. Poi andai in bagno, mi lavai in attesa che Kelly si svegliasse. Passai davanti alla camera fermandomi qualche minuto sulla soglia a guardarla dormire e, quando realizzai che non si sarebbe svegliata prima di qualche ora, raggiunsi il salotto e accesi la tv. C’era qualcosa del quale mi sarei dovuto ricordare, ma la mio cervello sembrava essere andato in sciopero. Un ombra sul muro attirò la mia attenzione, i muscoli pronti al combattimento. Ci misi qualche secondo per capire che l’ombra proveniva da me. Eppure c’era qualcosa di diverso dal normale. Ripresi a guardare la televisione. Alle cinque del mattino trasmettevano soltanto documentari. Spensi la tele gettando il telecomando sul divano. Mi misi a passeggiare per la stanza e passai davanti al fax. Una voce nella mia testa mi continuava a perseguitare. Non mi lasciava in pace. C’era qualcosa che non andava. Sentivo chiaramente il mio stomaco borbottare, nonostante avessi fatto una colazione più che sufficiente, e i miei muscoli contrarsi automaticamente ogni volta che udivo quel rumore. Mi bloccai improvvisamente. Ormai l’avevo provata troppe volte quella sensazione per poterla ignorare..la sensazione che stava per succedere qualcosa. Raggiunsi il fax in due sole falcate. Non c’era niente. Eppure ne ero certo di avere sentito il rumore di un foglio di carta uscirne fuori. Non me l’ero sognato: ne ero sicuro. Il suono del campanello mi riportò alla realtà facendomi rizzare tutti i peli che avevo in corpo. per la prima volta avevo paura. Non mi ero fatto trovare pronto e avevo messo in pericolo Kelly. Se le fosse successo qualcosa non me lo sarei mai perdonato. Guardai dallo spioncino cercando di escogitare un piano. Era David. Sospirai di sollievo anche se, vederlo a casa mia, non era una bella notizia. Come gli aprii la porte si catapultò nella mia camera e sospirò. Non stava guardando la ragazza che dormiva nel mio letto, ma la finestra della camera. Le controllò tutte quante e solo quando ebbe finito mi degnò di uno sguardo. Non l’avevo mai visto in quello stato. Aveva due grandi occhiaie viola sotto agli occhi, segno che non aveva chiuso occhio quella notte, e il viso stanco, ma la cosa che mi fece provare un brivido lungo la schiena, fu il suo sguardo pieno di terrore. Lanciò un’occhiata al mio fax.
“Hai ricevuto il messaggio del capo?” era preoccupato, proprio come lo ero io. Gli feci segno di parlare piano.
“non l’ ho letto” dissi in quasi un sussurro
“preferivo che mi dicessi no” sapevamo entrambi cosa voleva dire.
“devi andare subito via da qui” riprese dopo che ebbe meditato un pochino
“quando saranno qui?”
“in neanche un ora…tieni” mi mise in mano delle chiavi “c’è parcheggiata l’ultima auto disponibile in garage” e così dicendo mi spinse fuori di casa “ Marco sta pensando a rintracciare la spia e a farla fuori…tu però ti devi mettere in salvo”
“ te cosa farai?” mi diressi verso il quadro preferito di mia madre che occupava tutta la parete della sala. Spostai il divano cercando di fare il minor rumore possibile. Presi il telecomando della tele e schiacciai la combinazione segreta. Il quadro si aprì in due e con lui si aprì pure la parete dando alla luce il mio studio personale.
“io resterò qui”
“sei pazzo? Tu verrai via con me!”
“James stanno arrivando!”
“e allora?”
“e allora hanno saputo che in questa casa ci abita uno dei nostri…” si interruppe controllando il cellulare “è Marco…dice che ha compiuto la sua missione. Sta portando il prigioniero al comando…”
“non c’è più niente da temere allora”
“non credo proprio…il resto del messaggio è solo per te” mi passò il telefonino e rimasi a bocca aperta. Era un video di me e Kelly. Si vedevano chiaramente le nostre facce troppe vicine. I nostri corpi aderire perfettamente uno con l’altro e le nostre labbra appoggiarsi delicatamente l’une sulle altre. Mi mossi velocemente per la casa e cercai la telecamera che doveva essere rimasta nascosta per tutto quel tempo. Era una di quelle micro-spie attaccata al muro. La rabbia che avevo in corpo non si poteva misurare. Se mi sarebbe capitato tra le mani il responsabile di tutto questo giuro che gli avrei rotto il cranio a mani nude.
Presi il cellulare e cercai in rubrica il numero di Marco.
“ James hai visto il video?”
“ si, Marco”
“controllava la ripresa da fuori casa tua con un computer portatile collegato con la micro-camera”
“niente però è in mano ai capi?”
“un messaggio…un messaggio con scritto il tuo indirizzo e basta. Verranno a cercare lo sai meglio di me.”
“si...grazie Marco”
“è il mio lavoro” riattaccò la chiamata con una risatina e il rumore della macchina andare a tutta velocità sulla strada deserta in sottofondo.
Intanto il video nel cellulare di David stava continuando ad andare mostrando una ripresa zumata sul primo piano di Kelly che sorrideva e mi baciava sulla guancia dandomi la buona notte.
Era così bella e indifesa che mi tolse il fiato. Provai una gran pena per lei: lì sdraiata sul mio letto che dormiva tranquilla ignara di quello che le stava accadendo. Non potevo permettere che quel video cadesse nelle mani sbagliate e sapesse di me e Kelly. Era colpa mia se adesso si trovava in pericolo. Dovevo stare attento. Non era da me non accorgersi che c’era una micro-camera nella mia stanza e per colpa della mia distrazione lei adesso rischiava la vita. Riuscivo benissimo a proteggere me stesso, ma se avrei dovuto proteggere anche lei non so se ce l’avrei fatta. Sarei dovuto rimanerle ogni istante vicino, non lasciarla andare nemmeno quando non mi avrebbe voluto più, le sarei dovuto rimanere appiccicato addosso proprio come una gomma da masticare. Provavo una gran rabbia nei miei confronti.
“non è stata colpa tua” David riusciva a capirmi forse anche meglio di quanto capisse se stesso “facciamo parte a un gioco pericoloso…”
“ dobbiamo salvarla”
“dobbiamo?”
“sì…mi devi promettere che non la perderai di vista nemmeno un attimo…proteggila al mio posto”
“si.. si…un attimo…perché al mio posto?”
“io sarò occupato a sbarazzarmi di tutti i visitatori”
“e se venissero tutti in una volta? Come farai a respingerli tutti quanti insieme da solo?”
“ non sarò da solo…” mi avviai dentro al mio studio e mi fermai davanti ad un armadio chiuso a chiave da un lucchetto. Con un gesto rapido composi la cifra di numeri corretta e il lucchetto si aprì. Gli feci cenno di seguirmi e insieme entrammo nell’armadio. Vidi David sgranare gli occhi alla vista di tutte le armi da fuoco e non che avevo conservato lì dentro.
“Misericordia…ora si che capisco dove tieni tutte le armi che ti vengo assegnate in missione!”fece un rapido giro della stanza e poi continuò a guardarmi con una faccia di rimprovero “ le dovresti riconsegnare le armi!”
sorrisi..mi aveva beccato un’altra volta.
sono spiacente le ho perdute…” cercò di imitare il mio tono di voce “dovrei inventarmela anch’io una balla del genere..guarda qua... ci saranno come minimo talmente armi da rifornire un intero esercito!”
“David non esagerare!! Comunque farai quello che ti ho chiesto?” vidi David irrigidirsi e diventare tutto ad un tratto serio.
“solo una domanda…vuoi che sappia di tutta questa storia oppure che rimanga all’oscuro di tutto?”
“voglio essere io a parlargliene per primo”
“va bene.”
Uscimmo dalla stanza e richiusi con cura il buco nella parete che serviva per accedergli. Postando il divano facemmo troppo rumore e sentii Kelly al piano di  sopra muoversi nel letto, svegliandosi. Feci  cenno a David di seguirmi e gli mostrai velocemente il nascondiglio della botola che lo avrebbe condotto direttamente nel garage.
“James?” la voce di Kelly mi arrivò dall’altra camera e sussurrando dissi a David di prendere la mia BMW e di andare all’indirizzo di Kelly che gli scrissi su un foglietto.
“sarò lì con la ragazza al più presto!” gli sussurrai e lui sparì giù per il tubo.
“ James ci sei?” mi avviai verso la camera da letto cercando di pensare a una scusa per riportarla a casa il più in fretta possibile. Quando le fui accanto l’abbracciai e le diedi un bacio sulla fronte. Intanto le ruote a tutta velocità, della mia Ferrari , stridevano a contatto col pavimento del garage sul quale sarebbe rimasta una lunga sgommata.
Non gli avevo detto di prendere la BMW? Se mi graffia la mia Ferrari nuova giuro che gli spezzo l’osso del collo!
“buongiorno dormigliona”
“sei tu che ti svegli con le galline…” disse con la voce assonnata e facendo un grande sorriso.
Sorrisi in risposta al suo sorriso contagioso e la baciai sulle labbra che schiuse immediatamente.
La feci sdraiare facendole appoggiare la testa sul mio petto.
Il suo profumo nelle narici, il mio braccio intorno alla sua vita, il suo respiro fresco sul mio petto…sarei potuto morire lentamente in quella posizione e poter vivere con lei una seconda vita  che non avesse avuto fine. Una vita nella quale non ci sarebbero stati segreti tra noi. Mi sarebbe così tanto piaciuto ricominciare tutto da capo…ma non si poteva fare. La mia vita adesso era quella e dovevo fare la cosa più logica.
“Kelly?”
“si…”
“mi spiace, ma farò tardi a lavoro…ti dispiace se ti riaccompagno a casa ora?”
“no…ma se è tardi posso benissimo prendere un taxi” mi immaginai cosa fosse successo se il taxista fosse stato un degli “altri”. Non potevo lasciarla sola un minuto.
“ no, no…non è un problema”
“okay..vado a vestirmi” la lasciai andare in bagno e nel frattempo mi lasciai scivolare giù per la botola che conduceva la mio garage. Come da previsto David si era preso la mia Ferrari nuova di zecca e c’era rimasta solo la mia BMW e la macchina del comando che mi aveva portato. Era una macchina fatta apposta per il mio lavoro e, portare in giro Kelly con quell’essere “intelligente” equivaleva a incitarla a fare domande.
Non volevo che sapesse adesso. Preferivo che fosse all’oscuro di tutto. Mi potevo fidare di David. Era uno degli agenti più bravi e quando gli si impartiva un ordine era una di quelle persone che avrebbe dato la vita per concluderlo al meglio. Ero contento di averla affidata a lui. Mi misi al volante della BMW e la portai davanti al vialetto di casa mia. Feci una corsa e arrivai al piano di sopra proprio mentre Kelly stava uscendo dal bagno. La condussi fuori casa e le aprii la portiera per farla entrare. Una volta la volante e messa in moto la macchina nessuno dei due aveva qualcosa da dire. Calò un silenzio imbarazzante e decisi che forse era meglio concentrarsi sulla strada che cominciava ad affollarsi. Una volta arrivato davanti a casa sua con una scusa mi accertai che non corresse qualche rischio in casa.
“peccato che Christin non ci sia…avrei proprio voluto vedere la sua faccia”
“da come parli sembra che vi conoscete da una vita”
E adesso che mi invento?
“bhe…assomiglia molto a mia sorella”
Babbeo!
“pensavo non avessi famiglia…non me ne parli mai”.
 Il sangue cominciò a ribollirmi nelle vene. Il ricordo nella mia testa della mia famiglia sterminata dei nemici mi ripiombò nella testa che cominciò a pulsare.
“cavolo…scusami…è che adesso dovrei andare” il suo viso mi diceva che non era soddisfatta. Avrebbe preferito parlare ancora di me. In effetti non le dicevo molto su di me.
“bhe ci sentiamo”
lo spero proprio! L’abbraccia e il desiderio di sentire di nuovo le sue labbra sulle mie, il desiderio di assaggiare nuovamente il suo magnifico sapore, si risvegliarono in me. La sentii ridacchiare mentre reclinava la testa di lato per stamparmi sulla guancia un bacio bollente.
“contaci piccola” sciolsi l’abbraccio e me ne andai lasciandola sull’ingresso e prendendo il cellulare che aveva cominciato a vibrare.
Era David.

 

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


ringrazio chi segue e posta regolarmente una critica a questa fan fiction, ma un caloroso abbaraccio va anche a tutti coloro che seguono la fan fiction senza commentare. è stupendo vedere come "gli ascolti" salgono senza scendere!! spero solo di non deludere nessuno e di farvi appassionare a questa storia proprio come lo sono io!
PS grazie mille Ladywolf per la tua colonna sonora personalizzata. mi dispiace un sacco di non conoscerle queste nuove canzoni, ma cercherò (quando avrò un attimo di tempo) di sentirle da qualche parte. quando lo farò di sfarò sapere che cosa ne penso.
mi dispiace per chi cerca di indovinare, ma ho paura per voi che rimarrete nel dubbio ancora per un po' (anche se ci saranno parecchi indizi che vi aiuterrano e vi giuderanno verso la verità:p
adesso, dopo questo papiro che quasi quasi è più lungo del capitolo, vi lascio al nono capitolo augurandovi buona lettura!



James



“Ehy hai finito di sbaciucchiare la tua bella?”
“se sono al telefono direi proprio di si”
“Marco mi ha appena fatto avere notizie della spia che ha catturato…si chiama Peter Raws e aveva il compito di scoprire le nostre abitazioni oltre che al comando. Sembrerebbe che il tipo abbia scoperto già quattro indirizzi dei nostri e li abbia consegnati al suo capo. Quindi non si sa quanto ci metteranno ad arrivare da te…comunque ha detto di non sottovalutarli…Peter Raws aveva una conoscenza eccezionale delle arti marziali ed era anche armato. Anche se secondo il mio parere nessuno batte te in campo di armi!”
“ grazie David…svolgi con cura il compito che ti ho assegnato”
“si, si…a proposito di Kelly…gliel’ hai detto?”
“ no…non ho avuto il coraggio”
“ se vuoi lo sai che sono il migliore a stroncare relazioni”
“è per questo che non ti permetto di rivolgerle la parola”
“nemmeno una?”
“no”
“neanche un misero ciao?”
“no”
“il dovere a volte è davvero noioso” Ci mettemmo a ridere tutti e due osservando il grande fondo di verità che era contenuto in quella frase.
“che cosa sta facendo?” gli chiesi sentendo già la mancanza della mia piccola bimba
“ è tornata a dormire abbracciata a un cuscino” La mia dormigliona… “sembra sfinita…ehy James ma quante ore avete dormito questa notte?”
“io le solite…lei non so forse…ma perché diavolo le sto dicendo con te queste cose?”
“ah se non lo sai tu”
“sei dentro?”
“dentro a che?”
“dentro all’appartamento”
“ahh…si. Pensavo di piazzare qualche micro-camera in modo da tenerle d’occhio anche da fuori. Non riesco a trovare un posto dove nascondermi quando saranno in casa, tutte e due sveglie. Se mi beccano sarà complicato spiegare loro la situazione.”
“si forse le micro-camere sarebbero la cosa migliore. Il capo però te le darebbe?”
“non credo…pensavo di usare quella che Marco ha fregato a Raws. Sono incorporate anche di microfono…pensa…avremo la possibilità di registrare cosa Kelly dice di te!”
“David mi sembra una cosa tanto squallida…”
“senti ciccio…hai affidato a me il compito di proteggerla, quindi non si discute sul come.”
“basta che non le dici niente!”
“si! Ormai quante volte te lo devo ripetere? Non le dirò niente!” urlò talmente forte che dovetti allontanare il telefonino dal mio orecchio
“ schhhhh! Così la svegli!”
“ma se sembra la bella addormentata nel bosco? Quella non si sveglia più!”
“sarà stanca” scesi dalla macchina e mi chiusi lo sportello alle spalle. Salii le scale e mi andai a stendere sul divano.
“James ma cosa pensi di fare? Cioè..hai intenzione di startene per tutto il tempo in casa con un fucile caricato in mano pronto a far fuori qualsiasi uomo entri dalla finestra e dalla porta?”
“il piano sarebbe quello”
“ ma se dovessi aspettare una settimana?”
“aspetterò una settimana”
dall’altra parte della cornetta ci fu una lunga pausa di riflessione. Stavamo pensando tutti e due la stessa cosa.
“non ho idea di come farò”
“devi dirglielo!”
“adesso non posso”
“lei pensa che sei andato a lavorare! Se non ti vede entro un limite breve di giorni penserà che sei morto oppure che non la vuoi più!”
“No. Non ne deve sapere niente!”
“James ne ha diritto” pronunciò le stesse parole che avevo pensato io prima dell’appuntamento. Faceva uno strano effetto sentirle pronunciare da una testa calda come lui. Non sapevo più cosa fare con lei. Sapere o non sapere? Come facevo a capire quale sarebbe stata la strada da percorrere? Ci sarebbe stato un modo particolare per saperlo? Mi sa che mi sarei dovuto fidare soltanto al mio intuito.

Erano passate due settimane dall’ultima volta che la vidi. Le avevo mandato un messaggio per giustificare la mia assenza prolungata e, per essere sicuro, le avevo scritto che sarei rimasto fuori città per motivi di lavoro per tre settimane. David mi inviava sul telefonino le lunghe chiacchierate che faceva con Chris su di me e scoprii…un bel niente. Non le piaceva parlare di se perciò tutte le volte che si toccava l’argomento James, lei sviava strada cominciando a parlare della nuova fiamma del momento di Chris. Mi voleva anche inviare i video dove si faceva la doccia, ma lo pregai di non metter una micro-camera anche in bagno. Non mi andava proprio di violare la privacy di due donne. 
Intanto, come a casa mia, non ci fu nessuno che cercò di introdursi nelle case dei cinque di noi. Cominciavo a perdere la speranza. Avevo voglia di uscire. Erano passate due settimane di inferno: sempre vigile e attento al più piccolo rumore e come se non bastasse erano state le due settimane più calde di New York. Purtroppo il mio lavoro includeva anche questo svantaggio. Bisognava essere pazienti. Alla notte dormivo si o no qualche ora e durante il giorno tenevo la tv accesa senza volume per riuscire a cogliere ogni piccolo rumore. Decisi che mi meritavo qualche ora di sonno e perciò andai a dormire. era da qualche ora che dormivo quando fui svegliato da uno strano rumore. Impugnai velocemente il fucile che avevo appoggiato pronto sul comodino. Le orecchie tese non riuscivano a percepire più niente di strano. Dopo cinque minuti dedussi che doveva essere stato il gatto dei vicini. Mi rilassai lasciandomi andare quando risentii nuovamente quel rumore. I miei muscoli ancora tesi si misero immediatamente in posizione di difesa. Il fucile puntato verso la finestra della mia camera e un sorriso sulle labbra che avevo ogni volta che dovevo affrontare un nemico. Marco aveva ragione. Erano bravi. Ormai erano quasi dentro e io non facevo niente per impedire la loro impresa. Si sarebbero trovati una bella sorpresa una volta entrati. In lontananza un rumore di vetri rotti. Un rumore che sarebbe dovuto arrivare dalla finestra della mia camera e non da quella della sala da pranzo al piano di sotto. Pochi secondi dopo la finestra della mia stanza andò in frantumi ed entrarono tre uomini armati pronti ad affrontarmi. Mi ritrovai davanti tre uomini che mi fissavano: i primi due erano armati mentre un terzo copriva loro le spalle. Avrei dovuto avere paura…avrei. Un sorriso maligno mi si disegnò sulle labbra. Non avevano idea di chi fosse il loro avversario. Mi mossi velocemente per la stanza. Potei leggere negli occhi dell’uomo che stava in fondo al gruppo, il terrore che, tutte le volte, vedevo impresso nelle vittime più che incrociavano il mio sguardo e che poi soccombevano sotto la mia forza senza poter fare nulla. Il duello si sarebbe concluso in meno di dieci minuti. Di sotto intanto si percepivano i passi di altri due intrusi che salivano velocemente le scale.

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Capitolo 10
*** capitolo 10 ***


Kelly



Non vedevo l’ora di poterlo risentire. Avevo provato a chiamarlo, ma non aveva mai risposto. Che non mi volesse più? Cercavo di convincermi che lui mi voleva. Che non poteva rispondere solo perché in quel momento era tremendamente impegnato. Ma era possibile che lo fosse tutte le volte che provavo? Due settimane senza avere sue notizie era veramente troppo. Magari era morto in un incidente e non avevo fatto in tempo a salutarlo un ultima volta. Mi sdraiai sul letto stringendo il cuscino, il più forte possibile, cercando di liberarmi da quei pensieri che affollavano la mia mente giorno e notte. Avevo più bisogno di lui di quanto pensassi. Mi mancava terribilmente. Se gliene fosse importato qualcosa di me mi avrebbe contattato, no? E invece no…niente. Nemmeno un misero sms. Nascosi il viso tra il cuscino contenta che Chris non potesse vedermi in quello stato. la testa cominciò a pulsarmi e dentro il mio cervello avevo la sensazione continua che il mio cellulare stesse squillando. Peccato che era sempre una mia impressone e mai la realtà. Dovevo calmarmi assolutamente. Chris sarebbe arrivata nell’arco di poco tempo. Mi feci una doccia bollente e finalmente trovai pace nella mia testa. Accesi la tv e feci finta di essere interessata alle notizie che trasmettevano al telegiornale. Chris arrivò già arrabbiata. Cominciò a raccontarmi la sua giornata infernale e di come il suo capo l’aveva riempita inutilmente di lavoro durante il fine settimana. Mi proposi di darle una mano se potevo in qualche modo esserle d’aiuto, ma lei rifiutò dicendomi che non voleva che mi annoiassi. Come se avessi qualcos’altro da fare…
Non le avevo raccontato proprio niente sulla situazione con James e perciò la capivo perfettamente se non voleva che l’aiutassi. Pensava che saremmo usciti. Perciò non insistei per darle una mano visto che di sicuro avrebbe fatto moltissime, anzi, troppe domande! Non mi piaceva assolutamente parlare di me ed era per questo che non avevo molti amici. Solo Chris riusciva a capirmi senza aver bisogno di parlare e per questo ringraziavo il signore ogni giorno. Ultimamente era troppo impegnata per accorgersi che qualcosa non andava e perciò decisi di uscire e andare a farmi due passi all’aria aperta. Lasciai Chris a casa immersa di lavoro e mi incamminai verso Central Park. Cominciai a rifare ordine nella mia testa per poter ricordare la strada che avevamo percorso la sera del nostro appuntamento. Riconobbi la collina dove mi aveva baciata e mi sembrò di risentire i brividi scorrermi lungo la schiena ogni volta che le sue labbra si richiudevano sulle mie. Continuai a camminare ormai con la certezza di saper ritrovare la strada che mi avrebbe accompagnata al magnifico ristorante dove avevamo cenato e dove avevo conosciuto suo zio. Spostai il ramo di un albero sicura che il capannone si sarebbe trovato in mezzo alla radura che si sarebbe aperta davanti ai miei occhi. Ne intravedevo la figura e mi avvicinai alla struttura. C’era un gran brusio provenire dall’interno e mi diressi verso l’ingresso. All’improvviso venne fuori dall’edificio un uomo indaffarato con dei cassettoni che mi travolse in pieno facendomi cadere a terra.
“ sono mortificato!” mi aiutò ad alzarmi e mi studiò con attenzione. Era lo zio di James e dopo una breve analisi mi riconobbe. “ La prego mi dica che non si è fatta niente…mio nipote poi chi lo sente!” arrossii terribilmente e lo rassicurai che stavo bene. L’uomo cercò di sostenere le grosse scatole che non riuscivano a stare ferme nelle sue mani.
“ Le serve una mano?” gli chiesi offrendomi di portargli la scatola che gli stava per cadere di mano
“ Oh grazie signorina” ci dirigemmo verso una serie di furgoni parcheggiati poco lontano
“ come mai questi scatoloni?”
“non ti ha detto mio nipote della mia attività?”
“non proprio…”
“bhe…io gestisco questo “ristorante italiano portatile”…non stiamo mai fermi noi…credo sia una cosa genetica di famiglia. Non riusciamo a stare nello stesso posto per poco più di qualche settimana…credo che te ne accorgerai molto presto”
“davvero?”
“vedi…James è una persona diciamo…alla quale non è possibile dire di stare fermo. Anche io sono così e così era suo padre, ma lui…sembra proprio fatto per una vita…diversa dalla mia, dalla tua e da qualsiasi persona al mondo.”
“ah…” non mi aspettavo una cosa del genere. “Dalla mia?”… cosa voleva dire? Stava forse cercando di scoraggiarmi a stare con suo nipote?
“non badare troppo alle mie parole, Kelly…non avevo intenzione di scoraggiarti. Volevo soltanto avvisarti perché conosco così bene mio nipote. Sai è sempre stato molto impulsivo e a scuola non perdeva un’occasione per fare a pugni! Insomma non ti devi preoccupare se un giorno c’è e il giorno dopo è da qualche altra parte del mondo! Non riesce a trattenerlo nessuno…È fatto così, non cambierà mai! È troppo simile a mio fratello!”
“posso fare qualcos’altro per lei signor…scusi, ma lei come si chiama?”
“io sono Nikolaos e no Kelly. Penso che il resto riesca a portarlo da solo…grazie mille per il tuo aiuto e spero di rivederti ancora.”
“già…lo spero anch’io”
E dicendo così mi allontanai ripensando alle sue parole. “sembra proprio fatto per una vita diversa dal solito…un giorno c’è e il giorno dopo è dall’altra parte del mondo…non riesce a trattenerlo niente e nessuno” Una stretta troppo forte mi si strinse intorno al cuore. “ non riesce a trattenerlo niente e nessuno…” Adesso avevo paura. Nessuno…nemmeno io… forse Nikolaos aveva ragione…forse non potevo far parte della sua vita troppo movimentata per poter essere sopportata da qualsiasi altra persona che non fosse lui. Lo dovevo ammettere… quell’uomo era riuscito a mandarmi al tappeto con un solo colpo. Ritornai a casa pensando se mai l’avessi rivisto. Se al concludersi delle tre settimane si sarebbe nuovamente fatto sentire, ma soprattutto se sarebbe tornato. Non so perché mi rivenne in mente la sua camera dalle pareti d’orate. Me la provai ad immaginare abbandonata. Nonostante la mia mente si sforzasse, non riuscivo proprio ad immaginarmela. Magari la domestica gli avrebbe tenuto pulito tutto quanto fino al suo ritorno. Chissà…nessuno poteva prevedere il futuro e perciò mi rassegnai smettendo di fantasticarci sopra inutilmente.  

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Capitolo 11
*** capitolo 11 ***


James


Camminavo su e giù per quella che una volta era la mia casa. Adesso diciamo assomigliava più a una discarica al coperto. Il duello era durato più tempo del previsto e gl’intrusi avevano rivelato di avere la pellaccia più dura del previsto. Gli avevo sottovalutati, ma ormai non contava più a niente. Ormai lo scontro si era concluso da qualche giorno e io ne ero uscito vincitore. Tutto il resto non contava. Peccato che però mi avessero sfasciato la casa. Poche stanze si erano salvate dalla furia del combattimento. I mobili distrutti, le imbottiture dei cuscini per terra, i quadri e le pareti tutte rovinate dalla sparatoria. Se non ci avessi abitato per anni non l’avrei nemmeno riconosciuta per casa mia. Raggiunsi quella che una volta era la sala da pranzo e cominciai a rovistare in mezzo alle macerie recuperando tutto ciò che potesse essere riutilizzabile. Finito di sistemare la sala da pranzo passai alla cucina, poi al salotto, il bagno, fino ad arrivare al piano superiore. Tirati via tutti i detriti e la sporcizia sul pavimento mi concentrai alle pareti. Quelle di alcune sale dovevano essere messe a nuovo mentre altre avevano bisogno soltanto di una verniciata. Presi la macchina e guidai fino alla ferramenta più vicina. Presi tutto il necessario e tornai a casa con la mente già immersa nell’arduo lavoro che mi sarebbe aspettato. Dopo bene tre ore, riposi il pennello nella vernice oro stanco e assetato. Di natura ero sempre stato abbastanza pelandrone e guardando in faccia tutto il lavoro che mi rimaneva da fare mi venne male allo stomaco. Decisi che avevo bisogno di rinforzi. Chiamai il mio amico fidato, affidandogli una pausa dalla sua guardia interrotta sulla mia ragazza. Kelly non sarebbe stata in pericolo. Chris aveva dei problemi con il suo nuovo ragazzo…sarebbe stata occupata per più di tre ore per non dire tutto il pomeriggio.
Stavo esaminando le stanze al primo piano che avevano subito l’attacco esterno più delle altre. Meno male non erano molte. Un rumore di passi, mi fece girare verso le scale dalle quali stava salendo qualcuno. Mi trovai David al mio fianco con un pennello in mano.
“Ma come cavolo ti sei vestito?” osservai sbigottito la tua arancione da lavoro che, secondo me, aveva appena rubato a un muratore in pausa pranzo.
“ Sempre meglio di te!” mi guardai il petto nudo ricoperto di vernice. “ Toglimi una curiosità…mi hai chiamato per aiutarti a dipingere le pareti oppure a dipingerti i vestiti direttamente sulla pelle?”
“ ah ah ah…molto spiritoso!” cominciai a riempire i buchi causati dalla sparatoria con dello stucco mentre David si dava da fare per creare un colore simile all’ocra sfumato che era presente prima. “È successo qualcosa al comando durante la mia assenza?”
“ non niente in particolare…sai le solite cose”
“il capo? Ha fatto qualche commento?”
“no…nulla per te”
“ bhe…e…insomma…”
“se vuoi sapere qualcosa su Kelly non contare su di me! Dalla mia bocca non uscirà niente!” dalle sue parole fui certo che era successo sicuramente qualcosa del quale non ero a conoscenza Cattivo segno…
“è successo qualcosa?”
“ diciamo che la tua ragazza si è voluta intrufolare in questioni più grandi di lei”
No! Non poteva essere! Non poteva aver scoperto tutto. Dovevo essere io a parlargliene per primo. Una rabbia improvvisa mi invase il corpo pensando alla promessa che David aveva infranto. No non lo avrebbe mai fatto. Mi fidavo di lui…credo…in parte…okay forse non del tutto. Eppure la parola di un agente va sempre mantenuta. Possibile che lo fosse venuta a sapere da altre persone? Chi se non David? L’unica persone che fosse a conoscenza del mio segreto e che avesse interagito con lei era soltanto David.
“ti sbagli non sono l’unico. Pensa bene a una persona a te molto vicina che non sta mai fermo…una settimana c’è e l’altra invece è dall’altra parte del mondo…”
Nikolaos
“Bingo” parlammo insieme fermandoci di lavorare entrambi per poi riprendere dopo qualche secondo.
“che le ha detto?”
“ma niente di diretto…ha cercato di capire se era a conoscenza di tutto quanto, girandoci intorno, con discorsi del tipo non ti preoccupare per lui…sa badare a se stesso…oppure è troppo simile a suo padre per stare fermo nello stesso posto…” sorrisi sentendo David imitare la voce grossa di mio zio.
“bhe…poteva andare peggio”
“si…per te. Kelly cosa pensi abbia capito dalle sue parole?”
Feci spallucce facendogli capire che non ne avevo la minima idea.
“ ha pensato che tu fossi troppo occupato a viaggiare per accorgersi di lei. Ha pensato che non saresti più tornato. Non mi sorprenderei se quando la vai a trovare te la ritrovi tra le braccia di un altro uomo”
ero senza fiato. Volevo andare da lei. La mia testa cominciò a farmi vedere immagini che non gradivo. La finestra di casa sua illuminata e lui che la stringeva a se. Ritornai alla realtà conscio di essermi immaginato tutto quanto. Eppure una strana ansia mi tanagliò la gola e non mi faceva respirare correttamente. David rise di gusto soddisfatto del risultato che le sue parola avevano fatto su di me.
“ sei proprio andato bello!” attirò la mia attenzione cominciando a mandarmi tanti baci esagerando il movimento con le braccia. “ buttami un secchiello d’acqua ghiacciata quando vedi che mi sto innamorando!”
come no…voglio la mia vendetta!
“ non ci conterei più di tanto! Fattela buttare dal capo piuttosto”
“ no…James non mi abbandonare al mio triste destino!” si mise in ginocchio e mi si attaccò alle gambe tipo ventosa.
“ non ci sperare! Vendetta dolce vendetta!!” David mi strinse le gambe fino a farmi cadere per terra. Con la mano cercai di afferrare qualcosa al volo per evitare di cadere a terra, ma l’unica cosa che incontrò la mia traiettoria, fu il vaso di vernice che trascinai giù con me, rovesciandoci addosso tutto il contenuto. Mi ritrovai sul pavimento, ricoperto di vernice dalla testa fino ai piedi, a ridere con il mio compagno di giochi come un matto.
“ Rimettiamoci al lavoro che è meglio!” ci rialzammo continuando a ridere e ricominciammo a lavorare. Non ci fermammo fino all’ora di cena quando offrii al mio amico di rimanere a mangiare un panino al volo. Mangiammo un panino e ci posizionammo davanti alla tv a guardare la partita di basket.
“È un bene che la tv non sia andata a frantumi.” David spaparanzato sulla poltrona, guardava la televisione con un’attenzione straordinaria e una birra in mano ancora intatta.
“eh già…è proprio un bene!” sorseggiai la mia birra dalla lattina assaporando il suo gusto dolce e alcolico. Non amavo molto guardare la televisione, soprattutto gli eventi sportivi. Non riuscivo a capire come una persona potesse appassionarsi così tanto a una partita. Ne approfittai per perdermi nei miei pensieri.
Solo quando David spense la tv mi accorsi che era già finita la partita.
“ bhe…io avrei ancora qual compito da eseguire…ti va di darmi il cambio?”
“ Dove?”
“ a casa di Kelly. Non è detto che lei sia già fuori pericolo. Secondo me cercheranno di attaccarla.” Mi fermai a meditare. Certo di sicuro ci avrebbero messo un po’ per tornare all’attacco, ma come lo avrebbero fatto di sicuro, non sarebbero tornati da me. Avrebbero cercato un modo per colpirmi indirettamente, nel punto dove io sono più vulnerabile. Si…David doveva andare. Ripensai a quanto mi fosse mancata. Avevo una voglia matta di rivederla. Sarei rimasto fuori, nascosto, insomma, non sarebbe mai venuta a conoscenza di quell’intrusione. No…devi finire la casa… ci andrà David.
“ devo finire la casa” dissi dirigendomi verso le ultime stanze che mi mancavano. L’odore forte di vernice fresca mi invase le narici ormai abituate a quell’odore acre.
“ Tranquillo James…ci penso io alla casa. Va da lei”
ci fissammo negli occhi per un breve istante e fui contento di aver un amico come lui. Andai a prendere qualcosa da mettere nell’armadio e mi lavai via di dosso la vernice incrostata sulla mia pelle. Presi le chiavi della macchina a mi lanciai giù per il tubo, che mi avrebbe condotto al garage sotterraneo. Guidai velocemente nella direzione del suo appartamento con addosso un ansia sconosciuta. Rallentai solo quando mi trovavo nei pressi del suo appartamento per non svegliare tutto quanto il palazzo. Raggiunsi il covo che si era creato David per poterla spiare a distanza. Controllai tutti i monitor collegati ognuno a una microcamera che registravano e mi mostravano ogni singolo movimento all’interno della casa. L’ansia continuava a torturarmi lo stomaco durante la sua ricerca nei monitor, fino a che svanì quando la trovai in camera a leggere un libro. Dopo un paio di minuti controllò l’orologio, prese il segnalibro dal tavolino lì accanto e spense la luce posizionandosi meglio nel letto.
Notai una scala molto alta nascosta nel covo del mo amico e così mi venne la folle idea di arrampicarmi fino alla sua stanza. Il desiderio di vederla di persona era troppo forte per essere ignorato.
Arrivai al suo balcone con facilità. Mi avvicinai alla sua finestra accertandomi che stesse veramente dormendo. Con un coltello mi aiutai per forzare la finestra che si aprì con un cigolio. Kelly si mosse nel letto voltandosi verso di me. Gli occhi chiusi rilassati e il respiro pesante. Era bellissima. I miei ricordi non le recavano giustizia. Il viso assopito nel sonno, per metà immerso nel cuscino e i capelli ondulati le ricadevano sulle spalle in contrasto con la carnagione chiara. Le coperte la coprivano fino alla vita lasciando in mostra le sue morbide curve coperte appena da una sottile canottiera nera. Mi nascosi nell’angolino più buio della camera continuando a guardarla senza fiato. Una leggera folata di vento estivo entrò per la finestra aperta e le scompigliò i capelli sul viso. Con movimenti lenti, Kelly aprì gli occhi alzandosi per chiudere la finestra. Le lunghe gambe nude, camminarono nella mia direzione e sperai con tutto me stesso che non mi vedesse. Si fermò davanti la finestra molto probabilmente pensando a quando l’avesse lasciata aperta. Scosse le spalle e la chiuse tornando a sdraiarsi sul letto. Il suo sguardo si fissò per un lungo memento su di me. Era immobile. Non mi voleva staccare gli occhi di dosso e per non farmi scoprire smisi anche di respirare. Completamente immobile e ancora con poco fiato nei polmoni, attesi impaziente che mi staccasse gli occhi di dosso. Presi un’altra boccata d’aria. Era praticamente impossibile che mi vedesse. Faticavo io a vederla che ero stato abituato a scrutare nel buio pesto qualsiasi tipo di pericolo, figuriamoci lei! Eppure le sue labbra si piegarono all’insù in uno splendido sorriso così dolce, e questo non mi aiutava affatto a credere che non mi potesse vedere. Tuttavia, rimasi lo stesso immobile con la speranza che si illudesse che quello che vedeva era frutto della sua immaginazione. Ripresi a respirare sentendo i miei polmoni reclamare aria brucianti. Lei dopo qualche minuto scosse la testa e il suo sorriso si trasformò in una smorfia di dolore. Gli occhi le si inondarono di lacrime e di lì a poco, la sentii singhiozzare.
“James…” il respiro mi mancò del tutto quando sentii il mio nome uscirle dalla bocca. Stava piangendo…piangendo per me. Mi sentii orrendamente un mostro per poter far piangere una ragazza così fantastica. Mi ritornò in mente il nostro primo appuntamento quando l’avevo trovata per terra scossa da fremiti di dolore. Mi ero giurato che non l’avrei mai più vista in quello stato e invece…eccola qui! Certo…adesso non era ridotta male come tre settimane fa, ma stava comunque male. Feci un passo verso di lei per non darle più motivo di stare male. Mi bloccai immediatamente e ritornai con la schiena attaccata al muro. Se mi fossi fatto vedere avrei dovuto spiegare tutta quanta la situazione e mi faceva paura dire la verità. No…non ero ancora pronto per dirle tutto quanto. Rimasi lì attaccato al muro in attesa che lei si calmasse e si addormentasse, con il cuore distrutto dai quei singhiozzi versati per me. Volevo fermare quella fonte di dolore per entrambi, cessare di star male inutilmente, ma ero un codardo. Non avevo la forza per staccarmi dal muro, per sussurrarle parole dolci, parole di conforto, quelle parole che le avrebbero restituito quel suo bellissimo sorriso. Aspettai che si addormentasse per uscire dalla sua stanza. Prima di andarmene mi fermai a guardarla un’ultima volta. Il suo viso questa volta era tremendamente triste: la bocca piegata in una smorfia di dolore e, sulla pelle della guancia pallida, una lacrima superstile che si era bloccata a metà via sulla strada già tracciata da tante altre lacrime prima. Mi calai giù per la scala e mi diressi verso casa mia. L’alba stava per spuntare e dovevo sparire di lì prima che sorgesse il sole.

scusate per la scrittura piccola piccola, ma mi si è impazzito il computer e non riesco più a postare con caratteri più grandi...(uffa la mia ignoranza informatica si fa sempre sentire facendo figura di m....insomma non molto belle!!) se qualche genietto ha qualche suggerimento lo gradirei particolarmente! XD

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Capitolo 12
*** capitolo 12 ***


Come prima cosa vorrei scusarmi per la mia assenza prolungata =(
é stato proprio un periodo infernale e spero di riuscire a postare più spesso e a intervalli di tempo più brevi.
Come seconda cosa vorrei ringraziare Lady Wolf per la sua colonna sonora personalizzata. grazie mille!! ^^
poi vediamo un po'....ah devo ringraziare anche tutti colore che seguono questa fan fiction senza commentare.
Grazie mille per davvero!
adesso vi lascio a un nuovo pezzo e mi dispiace dirvelo, ma questo pezzo non vedrà protagonista ne Kelly che James.
si passa alla storia principale di questo racconto!




Punto primo: vi presento il mio orgoglio




Passavano i giorni e Riccardo non rispondeva più ai miei pezzi. Mi mancava terribilmente non poter più scrivere con lui.
Ogni giorno mi collegavo con l’ansia di leggere qualche suo nuovo pezzo, ma niente… “la sua casella di posta elettronica è vuota”…come odiavo quella frase! Sentivo che non potevo sopravvivere senza James, senza di lui che gli dava vita.
È mai possibile che esista qualcosa al mondo, al di fuori dei beni primari, senza i quali tu non riesca a vivere?

Ormai avevo perso la speranza. L’esame di terza media si avvicinava e io non riuscivo a studiare. Per fortuna avevo delle amiche fantastiche! Decisero che non potevano più vedermi ridotta in quello stato e perciò organizzarono un ritrovo per studiare in vista dell’esame scritto di matematica, il primo che dovevamo affrontare. Mi caricai lo zaino pieno di esercizi da fare, in spalla e partii per essere a casa delle gemelle per le tre e mezza. Suonai il citofono e fui accolta con entusiasmo dalla loro “giovane” mamma.
Si chiamava Serena ed era aveva origini napoletane come tutta la famiglia. Il suo accento tradizionale e l’odore di fumo marcato estremamente famigliari, cominciarono a volteggiare intorno a me imprimendosi per bene nella mia testa.

“A’ Vale! Come sta’? Tutto bene?”
“si, tutto okay”
“hai una faccia asciutta bambina mia…che c’è…la mamma non ti da abbastanza da mangià?”
“ no…sarà per l’esame…” ormai l’esame era diventata la mia scusa quotidiana. Era straordinario come mi tornasse comodo quella scocciatura scolastica.
“ ma la mamma sta bene?”
“ si…sta bene” dissi cercando di raggiungere la stanza delle gemelle al paino di sopra e di fuggire così alla mamma “moderna”.
“ ma a casa tutto bene?” il suo accento napoletano cadde in modo particolare sull’ultima parola risuonando in tutta la stanza.
Io cercavo di spostarmi passo dopo passo verso le scale di casa, ma Serena sembrava non volermi proprio lasciare.
Tutte le volte era sempre la solita storia… erano guai se ti apriva la cara vecchia Serena!

“ ma che ti fai lì sulle scale? Dai vieni in cucina che ti faccio assaggiare una torta che ho fatto questo pomeriggio.”
Con il cuore che mi piangeva raggiunsi la cucina dalla parte opposta delle scale e quindi dalla parte opposta della mia fuga.
Un odore di torta al cioccolato mi arrivò alle narici facendomi venire l’acquolina in bocca. Serena era intenta a tagliare la torta in fette molto discordanti. Mi avvicinò la più grande e aspettò con ansia che le diedi un morso. Io guardai la mia fettona di torta al cioccolato e deglutii rumorosamente e le diedi un morso dopo qualche secondo di indecisione. Era proprio buona, ma quella non era una torta…quella era un tacchino, ma avete presente quei tacchini belli grassi che si imbottiscono per il giorno del ringraziamento?
Ecco ancora più grosso imbottito di burro, zucchero, cioccolato e qualsiasi cosa faccia ingessare. Potevo benissimo sentire i miei fianchi allargarsi a ogni morso che le davo. Solo quando ebbi finito di mangiarla e le feci un largo sorriso facendole i miei più falsi complimenti mi lasciò andare a fare questa benedetta matematica.

“ce l’ hai fatta finalmente!” aveva parlato Bonny una delle due gemelle. Il suo vero nome di battesimo era Benedetta.
Incredibilmente audace, era la romanticona del gruppo. Amava chiunque le ricambiasse amore. A volte però commetteva l’errore di donare troppo amore a chi poi non sapeva ricompensarla e ci rimaneva terribilmente fregata. Con la sua immensa forza di volontà avrebbe spostato le montagne per veder felici le persone a cui teneva di più. Ero contenta di rientrare in questa categoria come tutte le ragazze presenti in quella stanza. Odiava in maniera assurda il suo nome e per il momento aveva solo una missione importante da terminare: far dimenticare a tutti Benedetta e fargli inculcare per bene Bonny.

“scusate ragazze ho avuto un ostacolo di cioccolato al paino di sotto”
 Alla destra di Bonny, sedeva Giada. Ragazza incredibilmente fantasiosa, riusciva a ricavarti da un cumulo di spazzatura un’opera d’arte. Amava la musica, la danza e sembrava essere brava in tutto fuorché la matematica. Come le si parlava di numeri il suo cervello andava in fumo e a dimostrarlo, c’erano i mille fogli sparsi su tutto il pavimento della stanza.
“Ehy Ga stai provando una nuova tappezzeria per il pavimento?”
“ Vale meno male che sei arrivata! Mi devi assolutamente aiutare con ‘sti numeri e lettere tutte quante insieme!”
“Ga si chiamano monomi”
“ bhe è quello che ho detto io!”
Mi misi a sedere accanto a lei e cominciai a guardare cosa avesse fatto durante la mia assenza.
Spaparanzata sul letto c’era Marta, sorella gemella di Bonny. Anche lei incredibilmente romantica. Sarà stata una cosa ereditaria, ma anche lei tendeva a dare aiuto alle persone che meno se lo meritavano e anche in questo caso, mi ritenevo super fortunata di essere tra le sue grazie. Bonny e Marta le conoscevo da quando ero piccola. Abitavano nell’appartamento sopra al mio e da quando avevano traslocato a 50 metri di distanza da me, era inevitabile trovarci a casa di l’una o dell’altra. Ormai ero diventata una terza figlia per casa Riccini e lo stesso valeva per loro a casa mia. Eravamo tutte quante come sorelle.
Per ultima, ma non meno importante, c’era Barbara, o più semplicemente, la Bi. Perfetta migliore amica dell’universo, aveva la capacità di farsi adorare da tutti quanti. Dolce, spiritosa, incredibilmente lagnosa, era di sicuro la ragazza con la quale avevo più cose in comune. Amava la musica, i manga, leggere e stare ore al telefono. Tutti quanti requisiti da non ignorare.
Riusciva a capirmi sempre e forse era per quello che la evitavo quando non avevo voglia di essere al centro dell’attenzione.
Quel lunedì era uno di quei giorno. Non ero per niente di buon umore e la Bi mi aveva subito inquadrata come ero entrata nella stanza.
Cercava costantemente il mio sguardo come in cerca di una conferma per poi poter parlare. Peccato che tutta la mia attenzione era sui mille pastrocchi che Giada aveva fatto sui foglio che stavo controllando. Visualizzati gli errori principali li corressi e le feci vedere il giusto procedimento da fare. Ringraziandomi, Giada ritornò al lavoro blaterando tra se frasi del tipo “ma perché non ci avevo pensato prima! Non è difficile!”

Non sapendo più cosa fare mi sdraia sull’altro letto disponibile.
“ non provi a fare qualche esercizio?” la Bi mi stava ancora tenendo d’occhio. Sarebbe stato più duro del previsto tenerle nascosto almeno in parte il mio problema.
“ gli scritti non mi preoccupano” non mi andava per niente di mettermi a fare degli esercizi. Ne avevo avuti abbastanza per 9 mesi di scuola.
“certo…quando qualcuno nasce già genio perché migliorare?”  stava cercando di far incrociare i nostri sguardi, ne ero sicura.
Mirava dove ero più vulnerabile. Lo sapeva che ero terribilmente orgogliosa e testarda. Stava giocando di furbizia e di furbizia avrei giocato anche io.

“ non sono un genio”
“allora fai matematica. Tieni, prendi il mio libro” presi a guardare il soffitto e le feci segno con la mano che non avevo intenzione di studiare. Sconfitta, si arrese riportando lo sguardo sul proprio quaderno. Un problema era eliminato…adesso ne erano rimasti solamente altro quattro. Il mio cervello non era stato in grado di escogitare in poco tempo un modo per tenere a bada la curiosità di tutte. Infatti come la Bi riprese a fare i suoi esercizi messa a tacere dalla mia risposta, le altre si incuriosirono e mi si gettarono addosso pretendendo di sapere cosa ci fosse che non andava. Come ho già detto, non mi andava di parlare e le rassicurai tutte quante che non ci fosse niente di sbagliato nella mia vita. Peccato che non era così…la verità è che mi mancava terribilmente Riccardo e il suo James. Volevo sentirlo. Ne avevo bisogno. Ogni giorno collegarmi e notare che non aveva ancora letto la mia e-mail mi faceva sentire una fitta tremenda al cuore.
“non lo senti da un po’ vero?” la Bi aveva colto il segno colpendomi e affondandomi. Teneva gli occhi fissi sul libro di matematica sapendo già che la stavo guardando con odio.
“ è inutile che ti arrabbi con me…è lui quello che no risponde.”
Non so perché, ma l’istinto fu più forte di me e mi alzai in piedi, la fulminai ancora e me ne andai sbattendo la porta della camera. Come fui fuori le sentii cominciare a confabulare e ridacchiare divertite dal mio comportamento. Ecco se non volevo attirare l’attenzione adesso lo avevo fatto. Ripensai alla tortura che avevo dovuto subire per riuscire a raggiungere il piano di sopra e non volevo nemmeno immaginare che cosa Serena mi avesse chiesto per farmi rimanere a chiacchierare. Senza ripensarci due volte, tornai indietro e entrai nella stanza delle gemelle ripristinando l’ordine e il silenzio. Tornai sul letto e chiusi gli occhi cercando di rilassarmi.
“ ti sei sbollita?” la Bi teneva ancora gli occhi sul libro di matematica. Il tono calmo e rilassato mi agitava facendomi sentire impotente e terribilmente nervosa. Cercai di rilassarmi e radunai tutte le mie forze possibili per risponderle per le rime.
“ no…è che non mi andava un altro pezzo di torta al cioccolato” la mia risposta fece ridacchiare le gemelle. Avevano messo via i libri e stavano prendendo fuori gli spiccioli della settimana per poterli giocare l’una contro l’altra. Cominciarono a sentirsi cose del tipo “no secondo me ci crolla. Non può sempre vincere” oppure “ è proprio per questo che punto cinquanta centesimi su di lei e tre biscotti al cioccolato.” Ridacchiai divertita dalla situazione che si era creata.
“hai intenzione di rimanere zitta per tutto il tempo?”
“ non riesco proprio a capire cosa ci possa essere di così importante per disturbarvi mentre state lavorando” si levò immediatamente una leggera risatina che mise in luce il lato ironico della mia frase. Se c’era una cosa che non stavamo facendo era proprio matematica.
Mi misi comoda sul letto e cominciai a fissare il soffitto. Ormai era diventato palese che qualcosa non andava e tutte lo avevano capito. Era anche evidente il motivo del mio nervosismo, ma non riuscivo proprio a sopprimere il mio orgoglio.
Se c’era qualcosa che col tempo mi avrebbe uccisa era proprio quello. Sospirai in attesa del duello. Fino ad allora ci eravamo solo riscaldate.

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Capitolo 13
*** capitolo 13 ***


Premetto che in questo capitolo saranno presenti eventi che potrebbero infastidire qualcuno...



Kelly



Avevo passato tre settimane di inferno lontano da lui e, giuro avrei voluto dirgliene di tutti i colori. E invece…sono stata solo capace di baciarlo e abbracciarlo. Quando mi è venuto a prendere per portarmi a cena mi ero preparata un discorso bellissimo che, come prevedibile, solo alla sua vista mi si cancellò dalla testa definitivamente. Lui era capace di farmi dimenticare perfino come mi chiamassi. Stavo ferma impalata. Lo guardavo come per cercare in lui qualche cambiamento. Lui faceva lo stesso. Il desiderio di saltargli addosso e di baciarlo era veramente forte. Eppure riuscii a controllarmi. Bhe…controllarmi è una parola grossa. Diciamo che molto probabilmente si vedeva da lontano un chilometro che morivo dal desiderio di “salutarlo come si deve”. Però non l’ ho fatto. Rettifica…non l’ hai fatto fino a quando lui non ti ha salutata.
Quando aveva aperto la bocca per salutarmi il mio cervello si scollegò completamente. Gli andai incontro facendo scontrare violentemente i nostri corpi.
Mi appiccicai a lui peggio di una ventosa. Lo avevo sentito ridere divertito, non mi importava. Mi baciava dolcemente i capelli accarezzandomi la schiena.
Ci mancavano soltanto un paio di lacrime e lo avevo appena fatto tornare dalla guerra. Insomma..era stato via per lavoro. Eppure avevo avuto in continuazione l’impressione che ci fosse qualcosa che non andava. Sentivo che la sua vita era in pericolo e non capivo il perché. Ero arrivata a una crisi isterica.
Pensavo di essere diventata pazza. Una notte me lo immaginai addirittura. Stava vegliando su di. Ero quasi sicura che fosse veramente li, ma molto probabilmente era uno scherzo della mia immaginazione.
Mangiammo quasi silenziosamente come se la lontananza ci avesse privati della parola. Avevo provato a chiedergli qualcosa del viaggio, ma tutte le volte che si toccava argomento lui cambiava subito discorso. Ero in imbarazzo. Non sapevo di che parlare. Meno male lui mi diede una mano. cominciò a farmi mille domande diverse alle quali rispondevo senza problemi e grazie alle quali riuscii a rilassarmi e a godermi la serata.
“ a proposito…come sta Chris?”
“ uhm… sta bene. oh almeno credo.” Mi misi in bocca un altro boccone di cibo e assaporai per bene il sapore dolce del cioccolato. Lo sentii ridere chino sulla sua coppa di gelato.
“ troppo impegnata a trovare qualcuno che mi rimpiazzasse?”
“ ci stavo facendo un pensierino.” Ci trovammo tutti e due a ridere. Forse sarà stato il vino, ma mi sentivo particolarmente leggera, libera. Si forse avevamo alzato un po’ troppo il gomito. Mi portai alle labbra il mio bicchiere mezzo vuoto e sorseggiai dell’ottimo vino rosso.
Finito di cenare decidemmo di fare due passi. Era mezzanotte, ma nonostante tutto la città era completamente illuminata.
“ è bella la città di notte” aveva osservato non staccandomi gli occhi di dosso.
“già…è ancora meglio che di giorno”
“come mai?”
" la notte copre tutte le cose brutte non credi?"
“non sono del tutto d’accordo”
“ognuno la propria opinione” dissi facendo spallucce.
“non credi che potrebbe anche nascondere le cose belle?”
“no…le cose belle risplendono” la sua faccia era un punto interrogativo “ad esempio… la luna ci permette di vedere tutto quanto sotto una luce argentata; vediamo le stelle in cielo che colorano l’acqua dei fiumi, dei mari; i lampioni illuminano le strade evidenziando soltanto cose belle…insomma tutto ciò che è bello viene valorizzato e scampa dall’oscurità della notte.”
Si fermò proprio sotto a un lampione facendomi segno di avvicinarmi a lui.
“ se è come dici tu, allora tu dovresti essere costantemente illuminata.” Incatenò i suoi occhi nei miei sporgendosi verso di me per baciarmi.
Appoggiai lievemente le labbra sulle sue che schiuse immediatamente. In un baleno potei sentire il suo sapore dolciastro. Cominciai a baciarlo avidamente.
Quanto mi sei mancato… non riuscivo a bloccare i miei pensieri che cominciarono a vagare di lui. Desiderai sentirlo ancora più vicino di quanto lo fosse in quel momento.
A malincuore smisi di baciarlo e continuammo a camminare parlando del più e del meno.
Arrivati sotto casa mia si fece improvvisamente muto. Frugai nella borsa alla ricerca delle chiavi di casa. Non riuscivo a capire il motivo del suo improvviso silenzio. Stranamente mi trovai nuovamente in imbarazzo. Forse non voleva lasciarmi andare per paura di perdermi. Chissà magari non ci saremmo più visti. Voleva che sarei rimasta con lui per un lungo arco di tempo, al suo fianco. Come farebbe una brava fidanzata. Magari voleva avermi tra le sue lenzuola ogni notte. Vestita o no, non aveva importanza l’importante è che fossi con lui. Mi vedevo bene nel grande letto dalla spalliera di legno e i muri della stanza d’orati. Deficiente è quello che vuoi te! Mi scappò una smorfia chiedendomi perché non potessi leggergli la mente. Lui stava lì impalato davanti a me che mi fissava senza dire niente. Finalmente trovai le chiavi di casa e le inserii nella fessura della serratura. Mi avvicinai a lui che era rimasto indietro come se ci fosse un confine che non potesse superare. Gli portai le braccia al collo passandogli le dita tra i capelli. Lo baciai. Gli dessi un bacio sulle labbra, piccolo, breve, i miei occhi nei suoi occhi. Con le mani ben salde ma delicate, continuava a tenermi per le guance, e rispose al mio bacio. Senza fretta, all’inizio, con dolcezza e poi sempre più irruente, passionale. La sua lingua ritrovava la mia, e il suo sapore tornava ad essere il mio sapore. Era dolce, dolcissimo, uguale al miele. Si staccò per riprendere fiato e per guardarmi. Trovava i miei occhi morbidi, caldi, e senza attendere un secondo, riprese a baciarmi il viso.
Le labbra mi baciavano febbrili desiderose di me. Mi abbandonai completamente a lui come da mio solito. Cominciai a sentire le gambe pesanti e, se non fosse per lui, sarei caduta a terra sicuramente. Con un braccio intorno alla vita mi teneva in piedi, mentre l’altra mano era sul mio viso che mi accarezzava senza fermarsi un attimo. Lentamente si staccò dalla mia bocca e mi baciò il collo. Respirai avidamente l’aria che mi era mancata.
“sei stupenda” mi disse mordicchiandomi leggermente il lobo dell’orecchio. Mi scappo un gemito dalla bocca che lo fece ridere.
“ Kelly…Kelly…Kelly” disse rimproverandomi bonariamente. “dovresti cercare di trattenerti…”
Adesso ero completamente rossa di vergogna. Sei fortunata che non ti sta guardando in faccia! Mi fece sedere sul muretto della siepe e riprese a giocare con le mie labbra. Non l’avevo mai sentito così. Sembrava…assatanato e mi eccitava terribilmente. Mi avvinghiai a lui. Niente e nessuno sarebbe riuscito a staccarmi in quel momento. Cerca di far funzionare il cervello. Dove aveva detto Chris che andava questa sera? Con lui che mi baciava facendomi perdere la testa era impossibile ragionare. Considerala da questo punto di vista: prima di concentri e prima potrai spogliarlo. Cercai di focalizzare la mia amica mentre usciva di casa.
“dove vai?”
“da Jared. Perché?”
“così…hai intenzione di rimanere la?”
“cos’ hai in mente Kelly?”
“ tu rispondi alla mia domanda e poi te lo dico”
“devi vedere James. Vero?”
“ okay va bene! devo vedere James!”
“alleluia! Un po’ di sano sesso di farebbe bene! troppa astinenza ti far diventare acida”
“non è vero brutta isterica!”
“appunto…comunque sto via questa sera. La casa è tutta tua!”
Perfetto…chiusi gli occhi cercando di formulare dentro di me il modo migliore per chiedergli di portarmi a letto. “Se vuoi Chris è via”…no fa pena! “Chris è andata a fare del sano e buon vecchio sesso. Ti va se la imitiamo?” Ma per favore! Intanto era risceso e torturarmi il collo e tutta quanta la mascella. Proviamo eliminando Chris… “se vuoi la casa è libera…”…sembra che ti deve violentare…se vuoi…come se io non volessi! Proviamo con un classico “ti va di salire?” no! Non mi piace. Non pensavo fosse così difficile!
Sentii James bisbigliare qualcosa di incomprensibile sulla mia pelle. Mi attirò a se facendomi aderire sul suo bacino.
“ ti va di accompagnarmi di sopra?” gli chiesi con una voce talmente mielosa che neppure io sarei riuscita a resistergli.
“ magari un sopraluogo veloce” mi disse con le labbra ancora sopra le mie. Sorrisi divertita quando mi prese in braccio senza staccare più le labbra dalle mie. Era un bene che mi trovavo tra le sue braccia se no, non sarei riuscita a fare nemmeno un passo. Mi baciò per tutto il tempo che l’ascensore ci mise per raggiungere l’ultimo piano, dove stava il mio appartamento. Mi appoggiò per terra solamente quando dovetti prendere le chiavi per aprire la porta di casa.
Mi cingeva i fianchi con le mani, senza permettermi di scostarmi da lui più di tanto. Percepivo chiaramente la sua erezione sulla schiena e le sue labbra sul mio collo. Riuscire ad aprire la porta con la mano che tremava era veramente un’impresa.
“ Chris?” mi chiese stringendomi maggiormente a se.
“è fuori…”riuscii a dire tra un sussurro e l’altro. Finalmente riuscii ad aprire la porta. Lo presi per mano e lo trascinai con me dentro recuperando tutta la forza che avessi in corpo per sostenermi in piedi. Mi riprese in braccio chiudendo, forse con un piede, la porta di casa. Mi portò in camera da letto e mi fece stendere sovrastandomi col suo corpo. Gli presi il viso tra le mani e lo baciai ripetutamente. Volevo sentirlo. Sentire le sue mani pesanti su di me.
Sentire il calore della pelle nuda. Mi inarcai sotto il suo tocco come fossi una gatta in cerca di coccole. Adesso non ti metterai mica a miagolare eh?…mi auto-rimproverai nella mia testa.
Lo adoravo e non era una novità. Mi accarezzò tutta. Nonostante il buio riuscivo a vedere la sua smorfia di disgusto verso i vestiti che indossavo.
Non che fossero brutti, ma sicuramente avrebbe preferito accarezzare la mia pelle anziché quella stoffa leggera. Con una lentezza sadica ed a tratti esasperante si tolse i vestiti. Era il mio dio greco venuto sulla terra soltanto per me. gli passai le dita lungo la linea del suo petto per poi passare agli addominali scolpiti sul ventre. Pensavo che uomini così esistessero soltanto nelle riviste di moda, e invece, eccolo davanti ai miei occhi. Tutto per me. Mi sfilò i jeans con calma sicuramente studiata, passando poi, alla mia camicetta. Lo fece con disinvoltura come se non avesse fatto altro che quello in tutta la sua vita, continuando a fissarmi negli occhi. Io ormai dipendevo completamente da lui. Adoravo i suoi occhi azzurro brillanti di gioia e desiderio. Se avessi potuto, avrei voluto guardarli per sempre, sperando che sarebbero brillati in eterno solo e soltanto per me. Mi sentii egoista, ma no m’importava. Ero io quella che lo stava fissando.
Ero io quella che si trovava mezza nuda sotto di lui. Io, io soltanto. Potevo permettermelo qualche pensiero cattivo no? Quando i bottoni finirono mi aprì la camicetta senza sfilarmela. Mi osservò attento. Sentii passare il suo sguardo sulle mie cosce, salire lungo la curva dei miei fianchi, rifermarsi sulla mia pancia chiara, il mio stomaco, il mio seno, ancora coperto dal reggiseno nero. Le sue mani furono sulla mia pelle che mi accarezzavano brucianti. Il suo tocco leggero sembrava avesse paura di ferirmi in qualche modo. Tremavo. Non me ne ero nemmeno resa conto, ma stavo tremando. Avevo bisogno di lui. Un bisogno incondizionato delle sue carezze, di suoi baci, di tutto quanto appartenesse a lui.
Si allontanò da me in modo che io lo seguissi cercando di far rimanere le nostre labbra il più possibile attaccate e ne approfittò per sfilarmi del tutto la camicetta e tirarmi via il reggiseno. Mi appoggiò le mani sulla vita e mi portò con la testa sopra al cuscino.
Si avvicinò di nuovo al mio orecchio… adoro questa cosa… sentire le sue parole così vicine, sentire il profumo del suo respiro e accarezzargli il viso mentre mi parla, con la sua voce morbida e soave.
“ lo sai vero piccola che mi fai impazzire? Sei stupenda”.
Lo strinsi forte a me e lui mi strinse forte a se, baciandomi il collo.
Facevo fatica a respirare. Mi mancava terribilmente l’aria. Gli presi il viso con entrambe le mani e lo baciai facendogli capire quanto lo desiderassi e quanto volessi essere sua. James ne approfittò accarezzandomi scoprendomi terribilmente bagnata, eccitata, pronta ad accoglierlo.
Cercai di nascondere il tremore delle mie mani e scesi per abbassargli i boxer. Il suo membro sembrava gonfiarsi sempre di più sotto il mio sguardo.
 Era completamente dritto. La punta lucida e gonfia, color rosa acceso. Gli tornai a prendere il viso tra le mani mentre con la mano continuava ad accarezzarmi facendomi sospirare, ad occhi chiusi con lui. Ci baciammo a lungo con tutta la passione che avevamo in corpo.
Gemetti quando lo sentii finalmente rovente e pulsante dentro di me.
Cominciò a muoversi lentamente mentre gli tenevo il viso tra le mani e glielo riempivo di teneri baci. Mi accarezzava il seno aumentando il mio piacere che presto cominciò a crescere sempre di più. Avevo la mente libera da qualsiasi pensiero. Mi stavo lasciando guidare dalle emozioni e le voglie che sentivo crescere in me. Le sue mani sui miei seni mi stringevano delicatamente. Scostò una mano dal mio seno e la intrecciò con la mia portandola sopra al cuscino. Portò l’altra mano sul mio viso, aumentando la velocità dei suoi movimenti. Sentivo il suo pene entrare e uscire e ben presto cominciai a muovermi compensando i suoi movimenti. Le nostre mani intrecciate si stringevano come per dirci “ci sono, sento tutto questo anche io”.
I nostri corpi sembravano combaciare perfettamente come se destinati a quello. Le sentii venire dentro di me e dopo qualche minuto fui invasa completamente da un piacere immenso che mi lasciò boccheggiante. L’aria era piena del suo odore forte di uomo mischiato alla fragranza che era sempre impressa sul tappeto della mia camera. Stanco e sudato uscì come me senza fiato. Mi baciò tutto quanto il corpo ancora tremante e scosso, prima di sdraiarsi al mio fianco e di tirarmi su di se, facendomi appoggiare la testa sul suo ampio petto scolpito. Con un braccio mi circondava la vita accarezzandomi il fianco e, qualche volta, posando la mano sui miei glutei. Una gamba tra le mie, la mano libera stringeva la mia mano appoggiata sul suo petto. Era tutto sudato, ma non mi dava fastidio. Mi baciò sulla fronte per poi cullarmi come fossi una bambina piccola. Il mio respiro si fece pian paino sempre più pesante. Sentivo la stanchezza invadermi tutta quanta. Mi rilassai sopra di lui e mi abbandonai al piacere del sonno che mi stava accogliendo facendomi perdere coscienza di me stessa.
“ notte bimba” sentii la sua voce lontana e le sue labbra baciarmi nuovamente la testa. Non avevo la forza per rispondere a quei suoi baci affettuosi, talmente protettivi. Avrei voluto auguragli anche io una buona notte e tanti bei sogni d’oro, ma fu più forte di me. Non volevo addormentarmi.
Volevo starmene tutta quanta le notte a guardare il mio angelo dormire. Contro la mia volontà mi addormentai sperando che la notte se ne andasse velocemente e che sarebbe arrivato presto il mattino.

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Capitolo 14
*** capitolo 14 ***


Mi dispiace che magari non posso sembrare ancora chiaro!
comunque la vera storia sarebbe quella (per il momento) pallosa che corrisponderebbe al 12 capitolo...vi prometto che sarà più emozionante più avanti!! XD
adesso però si torna ai nostri piccioncini...dove gli avevamo lasciati...ah si!



James



Fissavo i suoi occhi spaventati, allucinati. Li avevo visti contenti, felici, eccitati, tristi, ma mai spaventati. Continuavo a guardarmi intorno cercando di capire che cosa fosse la causa di tale paura. Niente. Nella stanza non c’era niente. Soltanto io e lei. Era legata al muro, prigioniera impaurita. No. Il mio fiore no. Cominciai a sentirmi ansioso. Sentivo il bisogno forte di sbarazzarmi della causa del suo terrore, ma non riuscivo a trovarla. Guardavo a destra.
Poi a sinistra. Dietro di me. Tornavo a fissare i suoi occhi dilatati dal terrore. Mi sentivo impotente, incapace di alleviarle le sue sofferenze e questo mi distruggeva. Ed ecco che allora ripetevo le stesse operazioni. Continuavo a guardarmi attorno senza capire cosa ci fosse di così spregevole. “che cosa ti spaventa? Aiutami!” urlavo terrorizzato dal suo sguardo. Con la mano tremante e incatenata al muro indicò verso la mia direzione. Mi guardai le spalle, ma non trovai nulla di strano proprio come qualche secondo prima. Sentivo il suo cuore battere troppo velocemente per lo spavento. Ogni battito rimbombava all’interno della stanza e della mia testa. Cercai di avvicinarmi a lei. Il suo cuore accelerava ad ogni mio passo e quando le fui vicino, le afferrai il viso tra le mani. I suoi occhi verdi si erano inscuriti diventando di un verde scuro quasi nero. “Kelly dimmi che hai! Posso aiutarti se mi dici cosa succede” le pupille si spalancarono ancora di più di quanto non lo fossero già in precedenza e strinse forte gli occhi come in attesa di una qualche punizione, cercando di allontanarsi da me il più possibile.
“ dimmi che cosa succede!” le ordinai urlando straziato dal dolore.
“lasciami stare!vattene mostro!” aveva urlato tutto quanto di un fiato scoppiando a piangere per le troppe emozioni forti. Mi sentivo mancare.
 Le gambe mi cedettero quando compresi che ero io la causa del suo terrore. Un dolore forte mi stava massacrando dentro. Un dolore diverso da quello provato in precedenza. Non potevo sopportare l’idea di vederla in quello stato e sapere che ero stato io a ridurla così mi uccideva letteralmente. Se non mi fossi sbarazzato di tutto quel dolore che si stava accumulando nel mio cuore, sarebbe finito per espandersi in tutto il corpo lasciandomi vagante senza anima, uccisa dal tormento per la vista di quegli occhi. Aprii la bocca in cerca di una via di scampo da quel destino terribile che stava incombendo su di me.
I singhiozzi di lei mi stavano monopolizzando e nella mia testa si era incantato il disco sulle sue uniche parole, urlate come se fosse un ultimo esasperato urlo di pietà nei suoi confronti, come volesse impietosire una belva in preda al delirio anche sapendo che non sarebbe servito a niente. Urlai con tutta la forza che avevo dentro. Volevo squarciare tutto quanto. Far cessare quell’incubo dal quale non avevo intenzione di svegliarmi. Pregai ad alta voce me stesso.
“ti prego se questo è un incubo fa che mi svegli” mi dondolavo sul pavimento preso da un attacco isterico. Sentivo nuovamente il bisogno di gridare al mondo intero il mio dolore e così feci ululando come un lupo ulula alla luna la propria solitudine nella foresta.
Riaprii gli occhi nel morbido letto della camera di Kelly ansimante e fradicio di sudore. Mi ci vollero un paio di minuti per realizzare che era stato tutto quanto un sogno e che lei stava dormendo al mio fianco tranquilla e rilassata proprio come quando mi ero addormentato. Mi alzai facendo attenzione a non svegliarla e mi recai in bagno. Mi lavai la faccia e rimasi a fissarmi allo specchio per un lungo periodo di tempo. Ero stravolto. Lo sguardo di Kelly terrorizzato dalla mia presenza mi faceva raggelare il sangue nelle vene e raddrizzare tutti quanti i peli sul mio corpo. Non mi lasciava respirare. Mi perseguitava.
Avevamo fatto l’amore e era stato tutto quanto perfetto. Ma adesso come facevo a dirle la verità sul mio conto? Aveva diritto di sapere, ma era tutto così tremendamente difficile! E se non mi avesse accettato? Come avrei fatto a vivere la mia vita senza di lei proprio ora che ne sentivo il bisogno più che mai?
Mi appoggiai sul lavandino fissando l’acqua del rubinetto che scorreva. Misi la testa sotto l’acqua fredda cercando di scacciare quei pensieri orrendi.
Chiusi il rubinetto e rimasi per qualche minuto ad ascoltare il rumore del tonfo delle goccioline cha cadevano dalla mia testa, sul pavimento del bagno. Asciugatomi velocemente i capelli con un asciugamano trovato lì, ritornai a infilarmi sotto le coperte. La fissai a lungo. Osservai il modo con cui i suoi capelli ondulati, le ricadevano sul viso morbidi e lucidi. Osservai il suo petto che si abbassava e alzava insieme al suo respiro profondo. Le sue labbra carnose e succulente erano leggermente piegate in una specie di sorriso. Le guance ancora rosse accaldate, come tutto quanto il suo corpo. Coprii la breve distanza che ci separava e me la strinsi al petto giurando a me stesso di non vedere mai sul suo viso quella espressione di terrore che tanto mi perseguitava. Lei era mia.
L’avrei protetta da qualsiasi male. Anche da me se ce ne fosse stato bisogno. Decisi che doveva sapere, che avrei dovuto parlargli di me al più presto.
Se fosse stata la donna intelligente che credevo che fosse, sarebbe scappata. Mi avrebbe sbattuto fuori dalla sua vita. In fondo sarebbe stato meglio così.
In questo modo non sarei dovuto essere io a troncare la relazione quando la situazione si sarebbe fatta troppo pericolosa per lei. Una fatica in meno.
Io ero troppo egoista per riuscire a fare tutto quanto da solo. La volevo per me. Era tutta quanta mia. Mia…e di nessun altro. E se invece non fosse stata poi così tanto intelligente? Se non mi avrebbe cacciato via come da una parte speravo, ma dall’altra detestavo? Sarebbe stato fantastico rientrare a casa dopo una missione difficile e faticosa e trovarla sul divano ad aspettarmi. Magari mezza nuda, pronta a saltarmi addosso e a fare l’amore per tutta quanta la notte. Oppure, semplicemente, ci saremmo immersi nella mia immensa vasca da bagno e mi avrebbe aiutato a rilassarmi, massaggiandomi la schiena e riempiendomi di coccole fino ad addormentarci abbracciati ogni sera contenti di stare insieme. Tu viaggi un po’ troppo con la testa ultimamente… e con questi pensieri mi addormentai nuovamente.

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Capitolo 15
*** capitolo 15 ***


oggi vi va di lusso!! due nuovi capitoli di seguito!
vorrei ringraziare tutti quanti per il sostegno che donate a questa fan fiction! siete splendidi!
PS Ladywolf: credo che la canzone da scelta per il 13 capitolo sia proprio azzeccata ;-)




James



Mi risvegliai presto quella mattina come tutte quante le altre mattine. Era l’alba e non mi spettavo di certo che la mia bimba si sarebbe svegliata da un momento all’altro. Così mi rivestii e mi recai al bar più vicino aperto a quell’ora del mattino, per prendere un’abbondante colazione da portare via. Quando ritornai a casa sua, aprii la porta con le chiavi di casa che le avevo fregato dalla borsetta, ed entrai sorridendo trovandola ancora a letto immersa nei suoi sogni.
Aveva cambiato posizione e, adesso, si trovava sdraiata a pancia in giù. La coperta era scesa lasciandole scoperta tutta quanta la schiena nuda.
Vederla dormire così bene mi invogliò a tornare sotto le coperte e a rilassarmi al suo fianco. Così feci. Mi svestii e mi misi sotto le coperte. Sdraiato su un fianco continuavo a guardarle le spalle scoperte e la sua schiena bianca stupenda. La sua carnagione chiara splendeva sotto la luce opaca del sole che filtrava dalle insegne della portafinestra. Mi avvicinai e le baciai la spalla. È un bacio veloce, lieve…non volevo svegliarla. Non si sveglia. Allora gliene detti un altro, tanti altri, sempre meno veloci. Mi piaceva il sapore della sua pelle. Era salata, forse per il sudore assorbito durante la notte. La annusai. Aveva un odore famigliare, che avevo già sentito tante volte.
“ho un buon odore?” era sveglia. Mi sorride e io faccio lo stesso contagiato da quella meraviglia della natura.
“ si…mi piace” le dico appoggiando la testa sul cuscino a pochi centimetri dal suo viso.
“ so di te” mi dice baciandomi lievemente il naso. La attirai a me circondandole la vita con il mio braccio e facendola aderire a me.
“ecco dove lo avevo già sentito…” le baciai la fronte accarezzandole il viso e lisciandole i capelli morbidi, in modo da spostarglieli dal viso splendido e raggiante.
“ sei stupenda questa mattina” le dissi fissandola negli occhi che brillarono al suono delle mie parole.
“ nah…ti hanno dato un colpo in testa. Non ricordi?” assunsi l’espressione di un bambino di 7 anni che cerca di calcolare 7+9 battendomi le dita sulle labbra concentrato dai miei pensieri.
“allora?” mi chiese allontanandosi di qualche centimetro per vedere a pieno a mia espressine.
“ no…proprio niente”
“ deve essere stata un botta proprio forte…” disse tornando ad abbracciarmi e ad accovacciarsi sul mio petto. Il seno morbido premeva su di me facendomi letteralmente impazzire. Sarei potuto rimanere anni luce in quella posizione. Si stava così bene.
“ Kelly dormi?” le chiesi dopo qualche minuto che avevamo smesso di parlare
“non esattamente…” la voce assonnata mi fece capire che stava per dormire e che aveva ancora bisogno di riposare. In fondo non era abituata a dormire soltanto poche ore la notte.
“hai fame?” non volevo lasciarla andare di nuovo nel mondo dei sogni. Avevo bisogno di fissarla negli occhi per ore intere in modo da riuscire a scacciare quell’immagine terribile che ancora mi perseguitava. Non rispose.
“Kelly?”
“uhm…” stava per andare. Sorrisi stringendola maggiormente a me. Mi sentivo scoppiare il cuore di felicità e tenerezza.
“ notte amore mio” le dissi baciandola sulla testa anche se molto probabilmente era già partita per un lungo viaggio.
La guardai dormire a lungo. Era così carina mentre dormiva appollaiata su di me con tutti i capelli arruffati che le coprivano il viso immerso in un lungo sonno.
Adesso capivo finalmente cosa intendeva David quando mi diceva che sembra essere caduta nel paese delle meraviglie. Ogni tanto sembrava svegliarsi, si muoveva un po’ e, dopo essersi posizionata meglio, tornava a dormire come se niente fosse. Mi teneva ben saldo sotto di lei. L’avevo accarezzata e coccolata per tutta la mattina sperando che facesse sogni belli. Soltanto dopo ore aveva riaperto gli occhi stirando i muscoli rattrappiti.
“sono un buon cuscino?” sorrise guardandomi dritto negli occhi
“ il migliore” la voce roca ancora assonnata era veramente carina. Cos’è che non lo è di lei eh? Mi baciò il petto stringendosi a me.
“buongiorno bimba”
“giorno” osservai a lungo come la luce morbida del sole le illuminava il viso e la faceva risplendere in tutta la sua bellezza. Le accarezzai la schiena ancora nuda appoggiando poi la mia mano sulla sua vita.
“ lo sapevi che sei stupenda?” arrossì vertiginosamente cercando di nascondere il rossore.
“si…forse” risi divertito dalla sua espressione così ingenua, così pura.
“hai fame? Ho preso la colazione”
Annuì sempre rossa e mi alzai per andare a prendere il sacchetto abbondante che avevo preso parecchie ore prima.
“non sapevo cosa preferivi perciò ho preso un po’ di tutto…” mi risistemai accanto a lei e aprii il sacchetto. “ c’è del caffè freddo, del cappuccino freddo, del the freddo, della cioccolata fredda…” le lanciai un’occhiata tenendola d’occhio “…poi abbiamo delle brioche al cioccolato, alla marmellata e vuote, sempre fredde, sia chiaro” rise divertita e si mise a sedere al mio fianco. La coperta le scese fino alla vita lasciando scoperto il petto nudo. Mi imposi di non fissarla in continuazione, anche se la tentazione era veramente troppo grande. Adoravo quello piccolo scricciolo che sorrideva curiosa alla ricerca di qualcosa che la stuzzicasse all’interno del mio sacchetto.
“quando la sei andato a prendere tutta questa roba?” scelse una brioche al cioccolato e prese quel che prima era un the caldo.
“ piuttosto presto…”
“non dormi mai tanto la notte vero?” sorseggiò il the e staccò un  pezzo di pasta dalla brioche che si mise in bocca assaporandola.
“soprattutto le notti nelle quali sei al mio fianco…è…bello guardarti dormire” afferrai il caffè e ne bevvi un lungo sorso. Il bar dove lo ero andato a prendere era uno dei migliori bar della città, ma anche il miglior caffè del mondo dopo quattro ore dentro un bicchiere di plastica assume un sapore irriconoscibile.
Quindi non potevo dire che si trattasse veramente di caffè. Sarebbe potuta essere anche acqua sporca, che non ne avrei notato la differenza.
“sono sicura di non essere tutto questo divertimento” era diventata di nuovo rossa e tentava ancora di nasconderlo.
“a me piace” diedi un morso a una delle due brioche rimanenti. Ancora con la bocca piena, mi sistemai il cuscino per bene dietro alla schiena e mi appoggiai contro la spalliera del letto. In un secondo momento, la trascinai al mio fianco, afferrandola per la vita e facendola appoggiare contro di me.
Facemmo colazione continuando a scherzare e a parlare di tutto. Naturalmente non le permettevo di allontanarsi più di tanto da me e quando rabbrividiva la stringevo maggiormente coprendola con le coperte di mezza stagione che erano stese disordinate sul letto. Verso mezzogiorno la vidi alzarsi e raccogliere i nostri vestiti dal pavimento.
“forse è meglio che ti rivesti” mi disse gettandomi addosso i miei abiti. La vidi sparire in bagno e per poi tornare con in mano una maglietta di cotone e dei jeans chiari. “sta per tornare a casa Chris”. Mi rivestii mentre lei era tornata in bagno per sistemarsi i capelli ancora arruffati. La raggiunsi mentre si stava raccogliendo i capelli in una coda da cavallo e la abbracciai da dietro. Appoggiai la mia testa sulla sua spalla e le baciai il collo facendole il solletico col mio respiro.
“James!” mi rimproverò bonariamente “ mi fai il solletico smettila” e così dicendo cercava di allontanarsi dal mio tocco che la faceva ridere.
Io però non la smettevo. Ero dipendente dalla sua risata fresca e soave. “smettila! Mi farai morire!” si dimenava sempre di più continuando a ridere e a ridere.
“non si può morire per il solletico” le feci notare continuando a torturarla.
“no, ma se mi fa tropo ridere io muoio per soffocamento!” non riusciva più a contenersi. Rideva coma una matta tanto che quando decisi di lasciarla stare, aveva le lacrime agli occhi.
“ adesso che so qual è il suo punto debole, dovrà fare tutto quello che le chiedo, signorina Evans” dissi cercando di imitare la voce del classico cattivone.
“non riuscirà a farmi svegliare all’alba!” mi disse stando al gioco
“alle sette”
“nove”
“sette e mezza”
“otto” non avrebbe ceduto tanto facilmente.
“andata!” sorrise voltandosi verso di me e abbracciandomi circondandomi in collo con le sue braccia.
“ adesso però dobbiamo sigillare il patto…” disse lei a pochi centimetri dalla mia faccia
“uhm…è la parte che preferisco” appoggiai le mie labbra sulle sue che schiuse immediatamente. Dopo qualche minuto che ci baciavamo sentimmo infilare le chiavi di casa nella fessura della serratura e in due secondi, Kelly si allontanò da me capendo che la sua amica era rientrata a casa.
“Ehy ciao!” la voce di Chris ci arrivò dall’ingresso di casa. Kelly la salutò con un cenno quando l’amica la venne a cercare scoprendomi ancora in casa loro.
Mi sembra di compiere un reato a stare con la mia ragazza con Chris tra i piedi.
“ Buongiorno Christin” la salutai cortesemente cercando di non sembrare maleducato anche se in realtà avrei voluto farla sparire dal resto della faccia della Terra.
“ ciao James” mi salutò per poi tornare a guardare Kelly che stringevo al mio fianco tenendole una mano intorno alla vita “spero di non aver interretto niente” e così dicendo si diresse verso la sua camera, ripose una borsa da ufficio per prendere quella della palestra.
“torno verso le sei. Hai bisogno di qualcosa? Mi fermo al supermercato”
“no. Tranquilla,  ho tutto quello che mi serve”
“Bene…” e così dicendo se andò chiudendosi la porta di casa alle spalle. In fondo capiva quando era di troppo. Saremmo andati d’accordo.
Come se ne fu andata Kelly scoppiò a ridere.
“ mi sembra di tornare indietro di dieci anni quando mia mamma mi beccava con il fidanzato che ci baciavamo. Dovevi vedere la tua faccia!”
“che faccia avevo?” le chiesi stringendola
“la faccia di una persona infastidita dalla presenza di un’ altra”
non me lo sarei aspettato. Speravo di non dare quella impressione.
“ bella impressione che ho dato!” mi si avvicinò ancora di più smettendo di ridere
“ tranquillo. Sei stupendo”
“uhm…dov’è che eravamo rimasti?” le chiesi con tono malizioso vedendomi le sue labbra sempre più vicine.
“ più o meno qui” venni travolto dalla sua passione e dal suo sapore dolce, di cioccolata. Come al solito si era completamente abbandonata a me e tra poco, avrei dovuto tenerla in braccio per non farla cascare a terra. La feci indietreggiare e pian piano, la riportai in camera da letto. Avevo ancora voglia di lei.
Non poteva essere possibile. Avevo ancora voglia di sentirla nuda, di annusare la sua pelle morbida e di baciarla ovunque. Le mie mani si infilarono sotto la maglietta stringendole la vita. Senza mai staccare le nostre labbra, feci salire le mie mani portandomi dietro anche la maglietta e scoprendola, così, tutta quanta. Non aveva messo il reggiseno e presto toccai quelle sporgenze così perfette ed eccitate che accarezzavo e stringevo delicatamente. Portai le mie labbra su uno dei suoi capezzoli e glielo leccai assaporandone il sapore. Sorrisi sentendola gemere. Risali baciandole la pelle che pareva petali di rose, così morbida e delicata. Mi mise a sedere sul letto trascinandomi con se. Si sdraiò e con lei, mi sdraiai anch’io. Le tirai via la maglia e le baciai la spalla facendo calare le mie mani lungo tutto quanto il suo corpo. Una volta arrivato all’attaccatura dei jeans, glieli sbottonai e glieli sfilai insieme alle mutandine colorate.
Rimasi qualche secondo a guardarla sotto la luce del sole. Era talmente bella da togliere il respiro. Le baciai la pancia piatta, risali lungo il suo stomaco, il seno, la spalla, il collo. Mi fermai a lungo sulla sua mascella godendo sentendola gemere e rabbrividire ad occhi chiusi. Ci baciammo appassionatamente.
Avevo le sue mani che mi torturavano i capelli accarezzandoli e stringendoli. Il cavallo dei pantaloni mi stringeva sempre più. Tutta un fremito mi accarezzò il petto afferrando l’orlo della mia maglia. L’aiutai a tirarla via buttandola poi da qualche parte. Sentendo la mia eccitazione il suo corpo si strusciò contro il mio allargando per me le gambe. Era bagnata, lo potevo sentire chiaramente. Posandomi le mani sul petto mi fece rotolare a pancia in su sedendosi, poi, a cavalcioni su di me. Mi slacciò la cintura, poi i bottoni, la zip. Mi sfilò i pantaloni e poi anche i boxer. Chiusi gli occhi cercando di recuperare un po’ di lucidità. Sentii la sua mano accarezzarmi e stringermi. Mi lasciai fuggire un gemito quando cominciò a masturbarmi lentamente. Quello scricciolo sapeva sempre come farmi impazzire. Dio fa si che tutto questo non finisca. Mi stava procurando scosse di piacere che si espandevano in tutto quanto il corpo. Stavo per venire.
Mi misi a sedere cercando le sue labbra. La baciai cercando di trasmetterle ciò che mi stava donando. Mi si posizionò cavalcioni e con qualche movimento di troppo mi accolse dentro di se. Mi sdraiai continuando a baciarla con tutta quanta la passione avessi in corpo. Lei strinse le sue cosce intorno ai mie fianchi e ricambiò il bacio a lungo, cominciando a ondeggiare il proprio bacino avanti e indietro. Sempre più veloce. Dentro, fuori. Dentro, fuori. Sentii il mio pene pulsare dentro quella carne calda. Venne un po’ dopo di me abbandonandosi poi sul mio petto affaticata. Si sdraiò al mio fianco cercando di recuperare aria. Velocemente la sovrastai col mio corpo. Mi strinse baciandomi la spalla e accarezzandomi il collo. Appoggiai le labbra sulle sue senza schiuderle, sfiorandole appena. “ti voglio”. Avvicinai la sua coscia al mio bacino e la sovrastai completamente. Di nuovo, lasciai che siano soltanto i sensi a guidarmi e a troneggiare fra noi.
Mi lasciai sopraffare dal desiderio, che assunse la forma della sua bocca.
Mi baciò le labbra, succhiandole e mordendole. Mi mossi baciandole il collo. Lei cercava di riprendere fiato, faticando a respirare. Le baciai nuovamente il petto prendendole i seni tra le mani. Mi strinse a se e mi sciolsi su di lei emozionato. Ci baciammo con trasporto, con passione, eravamo soltanto io e lei, nessun altro. Eravamo felici.
La penetrai con dolcezza, ancora desideroso della sua carne morbida e calda che tanto mi faceva impazzire. Ogni movimento era una spinta lenta che gettava benzina sui nostri corpi infiammati. Le accarezzavo il viso guardandola negli occhi.
Ci baciamo e ci mordicchiamo le labbra a vicenda.
Ogni spinta era sempre più lenta, accompagnata dai nostri respiri soffocati.
La baciai con passione, tanta passione. Mi mossi con ardore dentro di lei senza smettere di guardarla negli occhi.
I suoi occhi irradiavano allegria, felicità, eccitazione. Stava provando piacere e, tutte le volte che vedevo quella scintilla crescerle sempre di più nelle pupille, il mio orgoglio maschile godeva gridando. Affondai sempre più, con più dolcezza, sospirando insieme a lei. Venni ancora e il mio corpo venne percorso da tanti mille piccoli splendidi fuochi, nel momento del piacere. Insieme restammo abbracciati ed accaldati. Mi accarezzò i capelli, mentre la strinsi sul mio petto, dopo essermi steso sul letto.


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Capitolo 16
*** capitolo 16 ***


grazie mille per la vostra continua presenza!



James


“Concentrazione. Ecco il segreto di ogni missione. Senza concentrazione è facile per il nemico riuscire a farvi fuori facilmente e noi non vogliamo essere eliminati così rapidamente.” Conclusi così il mio discorso ai nuovi agenti che avrebbero rimpiazzato quelli eliminati dal nemico sovietico. Erano riusciti ad eliminare cinque dei nostri. Una perdita fin troppo grave considerando che uno dei nostri è unico. Morto uno è difficile riuscire a rimpiazzarlo così la catena perfetta costruita con tanto sudore e fatica si spezza. Da un momento all’altro tutto quanto va a rotoli e tu non puoi fare altro che stare a guardare.
“il capo ti vuole vedere” David mi fece segno di recarmi nell’ufficio del capo e mi fece capire che ci sarebbero state complicazioni. Sapevo già cosa mi aspettava. Mi aspettava una lunga predica sul mio comportamento scorretto nei confronti della società nella quale avevo dedicato gran parte delle mie fatiche.
Mi avviai verso l’ufficio.
“salve signor Aword. Il capo la sta aspettando nel suo ufficio.” Lanciai un occhiata alla donna che mi aveva rivolto la parola. Si trattava di Mery, la sua assistente personale. Aveva una scrivania proprio fuori dal suo ufficio ed era lei che contattava quando aveva qualcosa da sbrigare. Forse Mery era la persona della quale si fidava maggiormente all’interno di quell’edificio e per questo motivo,  veniva subito dopo al grande capo nella scala gerarchica del PTA. La donna era seduta dietro a un ammasso di documenti catalogati ordinatamente per data, livello di difficoltà e proficuo economico. Aveva capelli biondi lunghi raccolti in una acconciatura perfetta con neanche un capello fuori posto. Il suo vestito di lavoro era beige con le rifiniture in nero. Anche se non le potevo vedere, avrei scommesso che portava scarpe alte di vernice nere. Potevo sentire chiaramente il rumore del tacco che picchiettava il terreno nervosamente. Aveva il naso immerso nell’agenda della PTA e molto probabilmente stava cercando di coordinare perfettamente tutti gli incarichi assegnati per i prossimi mesi.
“Grazie Mery…”
sollevò la testa dall’agenda scrutandomi nel profondo. sfoggiò il suo sorriso più perfetto, talmente perfetto che pareva finto.
“ non c’è di che, signor Aword”. Bussai alla porta del capo e sentii dall’esterno la sua voce invitarmi ad entrare. Appoggiai la mano sulla maniglia ed entrai chiudendomi la porta alle spalle.
“James…siediti pure” il capo mi guardò con un ampio sorriso facendomi segno di accomodarmi sull’unica sedia presente nel suo ufficio. Mi guardai intorno per fare il punto della situazione e poi mi accomodai sulla sedia da lui indicatami, che si trovava proprio al centro della stanza. Ero stato poche volte nell’ufficio del capo a distanza di tempo indefinite, ma era sempre stato uguale. Non un mobile cambiato, non un vaso spostato. Tutto si trovava esattamente nello stesso posto rispetto alla prima volta che misi piede dentro quella stanza.
“ ricordi la prima volta che ti chiamai qui?” si era alzato dalla sua sedia e aveva preso a girovagare per la stanza. Non lo seguivo con lo sguardo. Nell’arco della mia carriera avevo imparato a distinguere i suoni che sentivo e a “vederci” a occhi bendati. Localizzare una persona ascoltando soltanto il rumore dei passi era un gioco da ragazzi.
“bene…potevo immaginarlo che non mi avresti seguito con lo sguardo… sei migliorato parecchio dall’ultima volta. Adesso che cosa sei? Il migliore del gruppo speciale? Che ruolo hai all’interno dei miei ragazzi.” Continuava a starmi alle spalle. Si era posizionato con le spalle contro il muro, le gambe incrociate e nella mano destra stringeva un piccolo oggetto che non riuscivo a identificare senza voltarmi per controllare con i miei stessi occhi.
“io sono il migliore” con quel genere di persone non potevi permettere di mentire. Dovevi dire cosa esattamente di passava per la testa. Il nostro capo non era un gran combattente a livello fisico. Se mi fossi scontrato con lui in un duello corpo a corpo l’avrei fatto fuori in meno di cinque minuti, ed era per questo che si affidava a noi per gli atti di forza. Il nostro capo però, aveva una mente sviluppata al massimo, ma non era nemmeno questa la dote che gli fece prendere in mano il destino della società. Il nostro capo era una macchina della verità umana. Riusciva a captare l’odore della menzogna in qualsiasi persona. è per questo che lui si occupava degli interrogatori importanti e dell’andazzo della società. Con lui al comando era come se fossimo tutti quanti collegati ad un’unica mente capace di comandare e mantenere l’ordine indirettamente negli caotici stati uniti d’America. Senza di lui non c’era la PTA e senza la PTA, non c’era l’America.
“ hai ragione. Sei il migliore e proprio per questo incombano su di te molte più responsabilità rispetto agli altri”.
Ecco un altro segreto per fare successo con questo tipo di persone: parlare solo quando si è interpellati. Così stetti in silenzio cercando di capire dove volesse arrivare col suo discorso.
“perché pensi di essere qua?” il tono rilassato e placato cercava di mettermi a mio agio anche se non sembrava riuscirci molto. Se c’era una cosa che non sopportavo era sentirmi inferiore alla situazione da affrontare e tutte le volte quell’uomo riusciva a farmi sentire un verme che striscia nudo tra il pantano e che continua a sbattere il muso contro lo stivalone di gomma del grande uomo davanti a se. Gli basterebbe soltanto un minimo movimento per alzare il piede e schiacciare il verme, ma non lo fa. Il verme gli serve e proprio per questo non avrebbe dovuto avere nulla di cui aver paura.
“per il mio comportamento. Ho infranto le regole”
“sei un uomo perspicace…James…d’altronde sei stato assunto alla PTA. Sei l’agente più in gamba del gruppo speciale. C’era da aspettarselo.” Lo stesso tono di prima mi faceva raggelare il sangue nelle vene.
“vedi James…hai deciso di violare le regole. Ecco tu sai perfettamente che le regole sono un optional. Non sarò di certo io a decidere di farti cambiare idea. Ti ho chiamato qui per due motivi…” sentii ancora i suoi passi avvicinarsi a me e andare a sedersi sulla poltrona dietro alla scrivania di fronte alla sedia sulla quale ero seduto. Lo guardai negli occhi finché non riprese a parlare.  
“come prima cosa…vorrei ricordarti i rischi che corri a frequentare quella ragazza. Di sicuro ne saprai più di me, ma da capo mi tocca…
James…se è una persona veramente importante, tienila stretta, basta che tu prenda delle norme di sicurezza da adottare con lei. ne va della vostra salute.” Si fermò a scrutarmi intensamente per poi assumere la faccia del simpaticone “ odio fare questo genere di discorsi e so per certo che il migliore agente del gruppo speciale la sappia lunga in fatto di sicurezza quindi passo subito alla mia offerta…”. Si versò da bere e mi offrì del liquore che rifiutai con un cenno della testa.
“…più che un’ offerta è una proposta, un consiglio…insegnale le tecniche di base. Insegnale a usare le armi e, per l’amor del cielo, dille la verità! Si chiama Kelly Ann, giusto?”
accennai appena mantenendo il suo sguardo.
“salvale la vita. Dille chi sei. Kelly merita di saperlo” cominciavo ad essere veramente stanco di questo genere di discorso. Prima la mia testa, poi David, poi di nuovo la mia mente bacata e adesso anche il capo. Avevo l’impressione che la risposta a tutte le mie domante fosse scritta a caratteri cubitali e che io fossi l’unico deficiente a ignorarli.
“grazie, capo”
“non c’è di che” lo vidi rilassarsi sulla poltrona cominciando a sorridere. La solita faccia da bonaccione ruppe la tensione che si era creata fino a quel momento permettendomi di rilassarmi a mia volta sulla sedia. L’omone dagli stivali di gomma aveva permesso al verme di passare e questo era tornato nella sua tana.
“adesso che è finita la parte noiosa ti parlo del vero motivo per il quale ti ho convocato qui…” l’aria che si respirava era decisamente migliore anche se non mi potevo permettere di abbassare la guardia.
Il capo mi svelò l’identità dell’oggetto che aveva in mano che riconobbi subito come il telecomando di un video proiettore. Schiacciò un tasto e alle mie spalle si aprì un botola nel muro che calò un video proiettore già pronto per mostrare le foto al suo interno. Sulla parete bianca alle spalle del capo vennero proiettate delle immagini che conoscevo benissimo.
“le riconosci? Sono le fotografie che ci hai fornito dalla base sovietica. I Russi non sono a conoscenza di queste nostre fotografie. O almeno non lo erano fino a qualche giorno fa. Con l’eliminazione dell’ultimo agente del blue team crediamo che un gruppo dei loro agenti ne sia venuto a conoscenza e che stia per informare i grandi capi delle associazioni. Non possiamo permetterci questo. Se Ratzach ne venisse a conoscenza sarebbe un disastro. Cambierebbe la base mandando a fumo anni e anni di ricerche e missioni dal campo nostro. Abbiamo bisogno di studiare la loro base per poter attaccare quando meno se l’aspettano. Confido in te per salvare la situazione. Hai permesso a due agenti a tua scelta e la macchine ce l’ hai già. Questa è la password per accedere alla stanza 227. prendi ciò che desideri e quando hai fatto e stai per partire, lascia un messaggio alla mia segretaria. Mery mi avviserà al più presto. Tutto quanto chiaro?”
“solo una domanda…gli vuole vivi o morti?”
“necessariamente vivi.”
“È tutto?”
“no. Naturalmente mi aspetto che tu parta al più presto…”
Niente Kelly…
“sarò di ritorno per la fine della settimana.” Mi alzai dalla sedia avviandomi verso l’uscita.
“credi che due agenti ti bastino?”
“se il livello di preparazione è come quello degli agenti che si sono presentati in casa mia…allora basto soltanto io”
“non li sottovalutare”
“certo…a tra una settimana” e così dicendo sparii dietro alla porta che chiusi accuratamente. Salutai Mery e raggiunsi la scrivania del mio amico.
Sapevo già chi avrei interpellato in quella missione.


mi spiace per chi si aspettava un capitolo romantico...
mi aspetto di rincontrarvi alla prossima! ;-)

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Capitolo 17
*** capitolo 17 ***


Posto al volo visto che ormai non riesco a non passere di qui tutte le volte che mi collegoXD
domani giornata dura a scuola! Help me!!!
Grazie a tutti coloro che segueno questa fan fiction! cominciate a diventare veramente numerosi!
PS fa lo stesso Ladywolf se ti vengono in mente canzoni che mi hai già proposto!! apprezzo veramente molto i tuoi commenti! e poi scopro un sacco di musica nuova che magari prima non avevo mai sentito... (non ti preoccupare..non dovrai aspettare molto prima di sapere come le cose andranno avanti!) XD
Balenotta grazie mille per il tuo commento! sono stra happy che la storia ti piaccia! bhe io continuerò a scrivere sperando che persone carine e simpatiche come voi possiate apprezzare quello che faccio =^^= (cercherò di non deluderti!!)
grazie mille anche a chi segue regolarmete questa fan fiction senza commentare, e a chi ha deciso di aggiungere questa ff tra i preferiti o seguita. siete fantastici!! ç__ç
XD
buona lettura!
spero che questo capitolo sia di vostro gradimento...



Kelly




Presi la borsa al volo e mi incamminai verso casa sua. Chris era tornata a casa da poco quando la sua chiamata mi aveva salvato da un interrogatorio senza fine. Non sapevo se dovevo preoccuparmi oppure no. Aveva detto che voleva vedermi immediatamente e con la scusa di allontanarmi da Chris, gli avevo detto che lo avrei raggiunto a casa sua. Il sole batteva alto sulla mia testa ricordandomi perché esistessero i condizionatori. Per fortuna casa di James non distavo molto dalla mia e in un quarto d’ora di passo sostenuto ero sotto casa sua. Suonai il campanello e percepii dei passi dall’altra parte della porta. Il sorriso all’idea di vederlo era spuntato sulle mie labbra e non voleva più abbandonarle. Successe tutto quanto a rallentatore. James aprì la porta e mi fece segno di entrare. Io continuavo a sorridere contenta di vederlo. Entrai e lui chiuse la porta. Quando si voltò verso di me mi sorrise. Un sorriso debole, stanco come se si stesse sforzando. I suoi lineamenti erano tesi, contratti. I suoi occhi erano pieni di tristezza. Mi prese una mano e mi condusse in silenzio nel salotto. Cercavo il suo sguardo che era fisso su particolari identificabili della sua casa. Non riuscivo a capire cosa fosse successo. Quando finalmente mi guardò nuovamente i suoi occhi erano pieni di…compassione? Che cosa sta succedendo? Mi accarezzò il viso sistemandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
Solo allora mia accorsi che non stavo più sorridendo. Avrei voluto spezzare quel silenzio che si era creato, ma non sapevo cosa dire.
Parla! Maledizione di qualcosa! Aprii la bocca per provare a vedere se riuscivo a emettere qualche suono che potesse passare per una parola sensata. Niente. Niente di niente. Un nodo mi stringeva la gola. Che mi volesse lasciare?
“Kelly…io devo andare via per lavoro…” la sua voce interruppe il silenzio orrendo che si era creato. Io comunque non riuscivo a parlare.
“Kelly stai bene?” mi limitai ad annuire tenendo lo sguardo fisso vago. Fece un giro per la stanza come volesse controllare che tutto quanto fosse dove l’avesse lasciato. Era nervoso. Nervoso lui? quella nervosa dovevo essere io! “dovrò stare via per una settimana al massimo…è stata una cosa urgente, dell’ultimo minuto.”
No…c’era qualcosa sotto. Non me la stava dicendo tutta. Deglutii cercando di recuperare la voce.
“che cosa succede James?” sperai che non percepisse il tono isterico della mia domanda. Cominciò a camminare nervosamente su e giù facendomi saltare i nervi.
“James calmati! Per l’amor del cielo che succede?” adesso gli urlavo contro. Mi fissò a lungo per poi avvicinarsi a me tenendo il suo sguardo nei miei occhi.
Era visibilmente teso. Respirando a fondo si calmò trovando forse una certa lucidità di pensieri. Nei suoi occhi non era più racchiuso qual caos che mi disorientava. Nei suoi occhi era tornata a brillare la stella polare di tutti i giorni, quella stella che permetteva di orientarmi e che mi faceva sentire terribilmente sicura.
Sospirò, un sospiro di resa come se stesse combattendo dentro di se. Aprì la bocca e scotendo la testa cominciò a parlare “ hai presente quando ti ho detto tre settimane fa che dovevo andare via per motivi di lavoro?” si bloccò e quindi lo incitai a continuare annuendo.
“bhe non ti ho mentito dicendoti che ero a lavorare…”
Lo guardavo forse con una faccia che lasciava trapelare il mio abnorme punto interrogativo.
“ti ho mentito dicendoti che ero via…io ero proprio qui…ero qui con…” la mia testa concluse i suoi sussurri con: un’altra donna. Sarei svenuta se solo avesse pronunciato quelle parole che ormai le sentivo già nella realtà. Non riuscivo a immaginarmi come avesse potuto anche solo pensare di andare con un’altra donna e poi di tornare da me. Se fosse stato così non avrei più voluto vederlo. Gli avrei piazzato una bella cinquina in faccia e me ne sarei andata in un modo abbastanza dignitoso. Senza lacrime. Non avrei potuto concederle. Per lui sarebbe stata una vittoria. No, le lacrime sarebbero arrivate dopo, una volata a casa, forse, tra le braccia di Chris.
“ero qui con un fucile carico pronto a far fuori chiunque fosse entrato in casa mia…e qualcuno arrivò…” non erano esattamente le parole che mi aspettavo e adesso ero ancora più confusa di prima.
“vedi Kelly…io sono un agente speciale della PTA, ma non un agente qualunque, io sono il migliore, il più letale di tutti quanti” rimanendo in silenzio cercavo di riordinare le idee nella mia testa. Lui stava in silenzio per cercare di farmi assorbire il colpo.
Quando realizzai cosa stesse cercando di dirmi mi sentii un’emerita idiota. Avevo pensato che mi avesse tradito, che non mi volesse più e invece cercava solamente di dirmi che era un agente segreto. Avevo bisogno di sedermi perché le gambe non mi avrebbero retto ancora a lungo.
Mi sedetti sul divano e cercando di ricompormi gli feci segno di sedersi accanto a me. Lui  mi continuava a guardare senza mai staccarmi gli occhi di dosso forse, senza nemmeno sbattere le palpebre. Si mise a sedere con cautela continuando a tenermi gli occhi fissi a dosso quasi fossi una bomba pronta per scoppiare. Però non aveva tutti i torti. Mi aveva appena detto la verità e io come avevo reagito? Non lo avevo degnato nemmeno di uno sguardo e mi ero lasciata cadere sul divano come se non fossi in grado di sopportare il peso delle sue parole. Invece non lo guardavo solamente per non vedere i suoi occhi tristi, ansiosi, e mi ero seduta non riuscendo a sopportare il peso dei miei pensieri. Mi sentivo così stupida ad aver dubitato in quel modo di lui.
Mi degnai di guardarlo in faccia. Era completamente distrutto dall’ansia per l’attesa di una mia qualche parola. Gli feci un gran sorriso cercando di rassicurarlo ottenendo solamente degli occhi confusi. Forse credeva che non avessi capito bene.
“ e di cosa si occuperebbe il migliore agente della PTA?” la mio tono di voce dolce e placato lo rassicurò e lo vidi espirare tutta l’aria che aveva trattenuto.
Non avevo notato che stesse trattenendo il respiro e questo mi fece sorridere  ulteriormente.
“bhe…gli vengono affidate delle missioni come a tutti gli altri agenti, però con un livello di prestazioni superiore…”
“e qual è il tema di molte missioni?”
“riuscire a mantenere l’ordine in America” rispose quasi automaticamente.
“bella responsabilità…” lo vidi rilassarsi visibilmente sul divano. “ quindi tu adesso devi partire per una missione…”
“già…”
appoggiai la testa sulla sua spalla sospirando “mi mancherai” era tornato teso. Forse l’avevo sorpreso. Probabilmente si aspettava da me un’altra reazione oppure ero io che non avevo capito un tubo di quello che mi aveva appena detto. Forse la cosa era più pericolosa del previsto e veramente avevo frainteso tutto quanto.
“dovrò combattere…” Il suo tono di voce sembrava volesse convincermi ad allontanarmi così mi strinsi a lui chiudendo gli occhi. Ascoltavo i battiti del suo cuore diventare pian paino sempre più regolari.
“dovrò catturare delle persone…” gli accarezzai il petto tracciando segni immaginari distrattamente.
“forse dovrò uccidere…” provai ad immaginarmi James con in mano una pistola che la punta a dosso a qualcuno. Non so perché, ma la cosa mi elettrizzava incredibilmente.
Alzai la testa dalla sua spalla e lo fissai negli occhi che adesso brillavano, vuoti finalmente da qualsiasi tormento. Gli appoggiai una mano sul viso accarezzandolo tutto.
“ci sarà di sicuro un buon motivo” le sue labbra abbozzavano un sorriso. Il braccio della spalla su cui prima ero appoggiata mi circondò la vita e James mi strinse a se. Abbracciandolo nascosi il viso nell’incavo del suo collo e lo sentii sospirare. Il suo corpo contro il mio bruciava e avevo voglia di un contatto maggiore. Gli baciai la spalla e poi il collo. Piccoli baci affettuosi che mi ricordavano tanto i baci che mi dava mia mamma ogni notte prima di andare a letto.
Il suo corpo vibrò al contatto con le mie labbra e istintivamente James mi strinse ancora di più a se. Aveva anche lui voglia di me. Lo sapevo.
Non so come, ma lo sapevo.
“quando parti?” gli chiesi sussurrando
“questa sera ore”
“perché sussurri?”
“per lo stesso motivo per il quale sussurri anche tu”
“ah…buona motivazione”
“grazie” continuava a sussurrare imitandomi e non feci a meno di sorridere. Restammo in silenzio per un po’ ascoltando l’uno il respiro dell’altra. Silenziosamente si levò le scarpe e si sdraiò sul divano facendomi un po’ di spazio. Allora mi sfilai le scarpe e mi coricai al suo fianco. Lui mi cinse nuovamente la vita attirandomi a se, mentre io mi accovacciai tra le sue braccia sempre calde e accoglienti. Ascoltai a lungo il suo respiro che stava diventando sempre più profondo e uniforme. “James?”
“Uhm..” la voce pesante mi fece capire che era stanco.
“dormi?” sussurravo per paura di svegliarlo completamente. Non volevo togliergli ore di sonno prima di una missione.
“si…”
“okay…”
“se comincio a dire cose del tipo…ti voglio bene oppure ma quanto sei bella o ancora sei proprio stupida quando fai così…sappi che è colpa del sonno” sorrisi divertita chiudendo gli occhi e inspirando un’altra ventata del suo profumo. Sapeva di pino. Era fresco e rilassante.
“potrei sparare delle grandi cazzate…” continuò ad occhi chiusi
“potrei approfittarmene…”
“se la situazione fosse capovolta io lo farei”
mi piace questa cosa…
la mia mente sadica cominciò a elaborare un mucchio di modi per riuscire a trarre un mio vantaggio da quella situazione.
“come ti chiami?”
“mi piacciono gli interrogatori!” esultò nei limiti di una persona in dormiveglia “James Aword”
“quanti anni hai?”
“24”
“dove abiti?”
“a New York…”
“bene…adesso avanziamo di difficoltà…”
“non vedo l’ora…”
“come mi chiamo?”
“Kelly Ann Evans”
“ quanti anni ho?”
“22”
“di che colore sono i miei occhi?” lo guardavo incuriosita dalle sue espressioni a occhi chiusi. Tutte le volte che rispondeva alzava al cielo la mano libere e gesticolava. La faccia gli si torceva quasi sempre in una specie di smorfia adorabile per poi aprire bocca ed emettere sussurri difficili da comprendere.
Anche io sussurravo in modo da non disturbarlo troppo con il timpano alto della mia voce normale.
“normalmente sono verdi. Quando però guardi la luce si intravedono delle sfumature d’orate che brillano facendo risplendere il tuo sorriso.
 Senza la presenza di luce invece si incupisco diventando tutti quanti neri, ma non so come, riescono sempre a sorridermi”
a me bastava che dicessi verdi… rimasi sorpresa dalla sua risposta. Mi riempiva terribilmente di orgoglio ricevere complimenti da lui e il cuore stava già cominciando a straboccare di felicità.
“la mia bocca?”
“è piccola, succulenta, rossa, delicata come un petalo di rosa. Dolce, ma allo stesso tempo estremamente sexy” risi della sua ultima frase e di come il suo accento cadde in un modo strane sulla parola sexy.
“ mi trovi carina?”
“ti trovo stupenda” erano cose che avevo già sentito da lui, ma risentirle non mi faceva mica male. mi gratificava sempre e mi faceva sciogliere direttamente tra le sue braccia.
“ da una scala da uno a dieci quanto sono simpatica?”
“dieci”
“penso veramente io sia stupida?” il mio tono poteva essere paragonato a quello di una bambina che cerca di farsi comprare un lecca-lecca dalla mamma, giocandosi la carta del facciottino triste.
Lui rise e sospirando annuì dandomi un bacio sulla fronte come consolazione.
Rimasi in silenzio per un bel po’.
“niente più domande?” avevo soltanto una cosa che mi ruzzava per la testa, ma avevo paura a chiederlo. Più che altro non volevo sentire la risposta.
O forse la volevo sentire soltanto in parte.
“c’è una domanda…però non voglio sapere la risposta”
“uhm…spara”
Attesi un po’ cercando di trovare il coraggio per pronunciare quelle due parole così difficili da dire.
“mi ami?” non ero sicura sulla risposta che avrebbe dato, ma potevo sperare che fosse un si. Lui prese un gran respiro. Uno di quei respiri che si fanno solamente quando il dottore ti deve visitare. “non la vuoi sapere la risposta?”
“no” a dire la verità…non lo sapevo nemmeno io perché non la volessi sapere. Volevo continuare a logorarmi nel mio brodo senza arrivare mai a una risposta. Tu hai una mente bacata. Forse il mio unico neurone aveva ragione. Avevo chiuso anche io gli occhi rimasi in ascolto del suo cuore che pulsava sotto al mio orecchio. James sospirò dicendo qualcosa che non riuscii a capire.
“cosa hai detto?”
“niente…”
“dai che hai detto?”
ci fu una brave pausa e quando riaprì la bocca pensai che forse aveva ceduto “la radio non ripete” risi allegramente. Il cuore ormai colmo di gioia, di felicità mi pompava nel sangue una dose di amore in tutto il corpo.
“Kelly?”
“si…”
“mi aiuti a capire una cosa?”
“certo…ma cosa?”
“eh..è un segreto. Proviamo a fare un esperimento…dimmi che mi vuoi bene”
sorrisi dalla sua richiesta e eseguii gli ordini. “ti voglio bene James” il mio tono apparve persino a me carico fin troppo di miele.
“uhm…”
“come è andato l’esperimento?”
“come credevo…”
“posso sapere gli esiti?”
“no…non gli vuoi sapere…”
“riguardano la mia domanda?”
lui annuì silenziosamente sempre tenendo gli occhi ben chiusi. Se gli avesse aperti, probabilmente gli avrebbe dovuti chiudere immediatamente per la presenza di troppa luce.
“e se avessi cambiato idea?”
“ma dai…” il suo viso si torse nuovamente in una smorfia adorabile che lo faceva sembrare un bambino.
“non si può cambiare opinione?”
“perché non volevi saperlo?”
decisi di optare per la verità “ non lo so…sono una ragazza capricciosa”
“già…” rimanemmo in silenzio a lungo. Io continuavo a guardarlo fin quando il collo non mi fece male e dovetti appoggiare la testa (un peso troppo pesante per essere sorretto!!) sul suo petto riascoltando i battiti del suo cuore che erano aumentati rispetto a prima.
“credo di si” mi venne l’istinto di stringerlo talmente forte da soffocarlo tra le mie braccia. Mi amava! Un po’ lo sapevo però era una di quelle vocine che la tua testa cerca sempre di nascondere perché…bhe il perché lo sa sempre e soltanto lei!
gli baciai il petto e chiusi gli occhi rivedendo dentro alla mia testa tutta quanta la scena. Quello sarebbe stato uno do quei momenti perfetti che avrei rinchiuso dentro a cassetti forniti di lucchetto e che avrei aperto e rivissuto tra qualche anno.
“James?” ci mise quasi un minuto per riacquistare la capacità di parola.
“Uhm…” capii immediatamente che era veramente a terra. Forse troppe rivelazioni per lui da sopportare. Mi allungai per dargli un bacio sulla fronte e fargli un carezza.
“dormi amore mio” si mosse leggermente e baciò la mano con la quale lo stavo accarezzando. Gli passai ripetutamente le dita tra i capelli e gli tracciai con le dita leggere i lineamenti del viso perfetti. Infine mi accoccolai nuovamente sul suo petto sospirando felice.
“ti amo” le sue parole mi arrivarono alle orecchie scatenando in me una rivoluzione. 

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Capitolo 18
*** capitolo18 ***


Mi scuso per la mia assenza prolungata. Ho avuto qualche problema con il computer e spero di averli risolti.



James
Susan aprì la porta dell’aeroporto, dove avremmo preso un aereo per Washington. Il distretto della capitale ci aveva già assicurato che gli uomini che stavamo cercando avevano affittato una camera d’albergo per i prossimi tre giorni.
“ tre giorni saranno più che perfetti per compire la nostra missione…” David  si scrollò le spalle e si fece crocchiare le nocche delle mani. Il rumore delle sue dita scrocchiate ci aveva accompagnato fin da quando avevamo lasciato il distretto. Inutile David era sempre il primo ad aiutarti quando bisognava picchiare duro. Susan e io ci guardammo e sorridemmo dello spettacolo che David ci offriva.
“vorrai dire la MIA missione…” dissi precedendolo ed entrando per primo nell’aeroporto seguito dal mio amico e da Susan che lasciò chiudere la porta dietro di noi. La differenza di temperatura era notevole e dovuta ai condizionatori che andavano a manetta. I lunghi corridoi bianchi parevano quelli di un ospedale. Si salvava soltanto per la presenza di grandi finestre che lasciavano entrare molta luce.
“che aeroporto…accogliente…”
Mi diressi verso il tabellone dei voli e lessi con attenzione tutte le notizie che apparvero.
“il nostro aereo parte tra venti minuti…pronti?”
Susan e David risposero all’unisono e così ci dirigemmo verso il nostro aereo. Una volta a bordo, prima che partisse, tirai fuori il computer e richiamami l’attenzione dei miei complici con un gesto della mano.
“questo è il piano…una volta scesi a terra ci dovremo dividere. Susan ho bisogno che vai ad affittare tre camere comunicanti tra loro in questo albergo…” le allungai il biglietto da visita sul quale c’era scritto indirizzo, telefono e fax dell’albergo nel quale risiedevano anche i nostri bersagli.
“devi attestare le camere a mio nome e dichiarare che sarà la polizia locale a pagare il conto. Ricordati di lasciare una breve descrizione fisica di tutti e due e di precisare che la nostra è un’operazione delicata e che abbiamo bisogno della maggiore riservatezza possibile.
“Quando avrai finito, hai l’incarico di perlustrare l’interno del palazzo senza dare nell’occhio. Concentrati maggiormente sui sistemi di sicurezza e se possibile, cerca di procurarti una planimetria dell’edificio molto dettagliata.
“David tu invece dovrai perlustrare l’esterno. Tutti i condotti d’aria, ogni singola possibile via di fuga. Io intanto andrò a fare un salto nel distretto locale e avviserò le forze dell’ordine della nostra permanenza. È tutto quanto chiaro?”
I miei due collegi annuirono seri mantenendo lo sguardo fisso sul mio computer che continuava a illustrare immagini dei dintorni del palazzo e, ogni tanto qualche ambiente dell’interno.
Il viaggio durò un ora e mezza e, come previsto, fummo davanti all’albergo per le 19 meno un quarto.
“ mi raccomando…se avvistate il nemico avete il dovere di  abbandonare qualsiasi attività e di tenerlo d’occhio. Se vi riesce, cercate di scoprire la stanza dove alloggiano. Altrimenti aspetteremo l’indomani per richiedere informazioni.”
Con questo ultimo preavviso lasciai  mio compagni al loro lavoro e mi diressi verso il distretto di polizia della città. Per fortuna non distava molto e mi c vollero solamente dieci minuti di taxi. Entrai nell’agenzia. Chissà perché, ma tutti i distretti di polizia d’america erano tutti quanti uguali. Mi diressi verso l’impiegata di turno e le chiesi cortesemente di portarmi dal capo ufficio. Ella eseguì i miei ordini e mi condusse nell’ufficio sulla porta del quale c’era scritto: ufficio del sergente Smith.
“il sergente Smith presumo…” dissi entrando e osservando con attenzione l’uomo che mi si parava davanti agli occhi.
“esatto. Spero che abbia un buon motivo per disturbarmi proprio mentre sto per andare a cena…” l’uomo sembrava di statura minuto anche se stando seduto non riuscivo a identificarlo per bene. Aveva i capelli neri brizzolati qua e là di grigio. Un uomo sulla quarantina dalla corporatura robusta. Stava seduto dietro a una grande scrivania su una di quelle classiche poltrone nere di pelle girevoli da ufficio. Lo sguardo fisso sullo schermo di un monitor abbastanza recente smentiva le parole di poco prima.
“oh certo sergente. Mi chiamo James e volevo avvisare le forze dell’ordine che io, insieme ad altri due miei colleghi, dobbiamo portare a termine una missione molto importante e, se non le dispiace, vorremo la sua approvazione per operare all’interno dei limiti del territorio da lei tutelato.”
L’uomo alzò lo sguardo scrutandomi dalla testa ai piedi. Di sicuro non aveva ancora avuto da fare con noi della PTA e, probabilmente, non si era mai trovato nella circostanza di avere davanti agli occhi qualcuno che lo potesse comandare a proprio piacimento.
“posso sapere per chi lavora, signore?”
“per la PTA” ecco la parte che preferivo. Adoravo il momento nel quale la persona con la quale sto parlando si rende conto di non valere niente. Come pronunciavo quel nome, era come se privassi tutte quante le persone a portata d’orecchio, dei propri vestiti. Gli denudavo completamente da ogni tipo di auto-stima, orgoglio, di potere. Accadde anche quella sera negli occhi del sergente. Improvvisamente si irrigidì e se prima nei suoi occhi fosse presente una scintilla di autorità, adesso erano completamente spenti, sottomessi al mio potere. Fece un respiro profondo e mi invitò a sedermi. Rifiutai cortesemente l’offerta. Se c’era una cosa più terribile dell’essere sottomessi era il sentirsi sottomesso e io, con i miei atteggiamenti fin troppo cortesi ero consapevole di farlo pesare più di chiunque altro. Eppure come ero consapevole di questo, ero anche consapevole delle mie capacità, delle mie abilità. Sicuro di me mi appoggiai a un mobile contro la parete laterale dell’ufficio e con un tono calmo e placato ripresi a parlare.
“una sua approvazione ci darebbe il consenso di operare liberamente e correttamente di fronte alla legge. Però voglio che sabbia che siamo abituati a lavorare anche contro la legge quindi la sua non deve essere una scelta forzata.”
“lei è il signore Aword…non è vero?” incrociai le braccia al petto e guardai il pavimento sorridendo. Mi faceva sentire una specie di star essere conosciuto per l’america.
“ da cosa l’ha capito?”
“ bhe…il sergente del distretto di New York è un amico e spesso mi parla della vostra associazione e di come…trattate le missioni. Lei signore, emana una grande autorità e così ho tirato ad indovinare.”
“bene…allora potrà capirmi se desidero la vostra approvazione per me e per i miei compagni. Vorrei anche che non si sapessero in giro i nostri cognomi…sa com’è…”
“se si conosce il cognome si arriva a scoprire vita, morte e miracoli della persona interessata.” Mi interruppe concludendo la frase al posto mio. “ stia tranquillo signor James. Avrete la mia approvazione…per quanto vi tratterete?”
“tre giorni al massimo. Alloggeremo in un albergo non molto lontano da qui” Gli allungai lo stesso biglietto da visita che avevo dato anche a Susan prima mentre eravamo in viaggio.
“oh…posso essere d’aiuto in qualche modo?”
“si. Vorrei che avvisasse l’albergo dell’arrivo della mia collega e che lasciasse indicazioni di non chiedere il…”
“il cognome. Si certo…qualcosa d’altro?” il sergente era sveglio. Un impiccio di meno.
“ no, sergente. Arrivederla” dissi dirigendomi verso la porta e uscendo dall’ edificio per poi dirigermi verso il taxi al quale avevo detto di aspettarmi fuori.
Arrivai in albergo che erano le otto. L’ora prestabilita per la cena era per le otto e mezza. Raggiunsi la mia camera dicendo ai miei colleghi di volermi dare una rinfrescata e assicurando loro che sarei arrivato giusto in tempo per la cena.
La camera era ariosa. Una finestra grande quanto tutta la parete che dava sull’esterno era coperta da lunghe e pesanti tende, che impedivano così la vista a qualche curioso. Appoggiai il troller con dentro tutte le mie cose in un angolo della stanza e ne tirai fuori una camicia pulita da indossare per la cena. Mi diressi verso il bagno e mi spogliai entrando in doccia. Lasciai scorrere il getto d’acqua a lungo sul mio corpo prima di richiuderlo e di uscire.
“una delle cose che adoro di più è il getto dell’acqua calda sul mio corpo, dopo una giornata stressante.”
Dovevo ammetterlo…era veramente rilassante. Chiusi gli occhi cercando rilassare tutti quanti i miei muscoli.
Quando mi accorsi che si stava facendo tardi mi decisi a spegnere l’acqua e di uscire dalla doccia. Mi rivestii in fretta e raggiunsi i miei compagni a cena.
“allora come sono andati gli incarichi?” chiesi senza lasciare trapelare la stanchezza che avevo in corpo.
“ bene. Sono riuscita ad ottenere la planimetria che avevi richiesto e David ci ha aggiunto ogni possibile via di fuga.”
“si…ho notato che in questo albergo sono presenti parecchi condotti d’aria e sono tutti quanti abbastanza robusti e grandi per sostenere il peso di un uomo. Ne parte uno da ogni camera per unirsi tutti quanti in un unico condotto che sbocca sul retro del palazzo.”
“bene…io ho ottenuto l’approvazione del sergente e mi ha assicurato di non intralciare il lavoro. Come Susan si sarà accorta non sarà necessario che svegliamo del tutto la nostra identità quindi possiamo lasciare detto solamente il nome. Nessuno ci chiederà indicazioni e secondo me è un gran vantaggio. Lo sapete come la penso.”
“si…e tu sai anche come la penso io.” Susan credeva che non rivelare il cognome era come rivelare che avessimo qualcosa da nascondere e in questo modo attrarre l’attenzione delle persone. Eravamo sempre stati discordi in sette anni di missioni a no stop.
“a ognuno la propria opinione.”
“senti mi fai un favore?” Susan era visibilmente irritata dal mio comportamento fin troppo cortese. Lo stesso atteggiamento che avevo adottato con il sergente. Sorrisi divertito dall’effetto che poteva fare se usato con intelligenza.
“dimmi…”
“la smetti di comandare tutti quanti?” risi divertito…non avrei mai smesso di comandare. Era una sensazione che adoravo. “se proprio ci tieni…”
lei mi guardò torva. Sapevamo tutti e tre che non avrei smesso di comandare. In fondo comandavo sempre io.
Il cameriere ci portò la cena che consumammo in fretta. Rimanemmo in silenzio studiando ogni singolo ospite. Il campo, secondo i miei paraggi, si poteva restringere a quattro tavoli. Il 56, il 12 e in fine il 27.
Al 56 sedeva un uomo e una donna. Non avevano detto niente per tutto il tempo della cena e si erano limitati, come me e i miei compagni, a guardarsi le spalle.
Al 12 invece sedevano un gruppo di ragazzi tutti quanti sulla ventina. A contrario della coppia del 56, questi avevano parlato e scherzato per tutta quanta la serata. Non avevano l’accento americano e, come primo impatto, mi sembrò assomigliassero vagamente agli asiatici che erano entrati in casa mia suppergiù un mese fa.
In ultimo al 27 erano seduti tre uomini. Uno piuttosto giovane mentre gli altri due erano più anziani. I capelli leggermente brizzolati la diceva lunga sulla loro età. Non so perché, ma mi sembravano i maggiori indiziati possibili. Dopo aver esposto a Susan e David le mie idee, ci dirigemmo in camera e là decidemmo cosa fare per il giorno dopo. David doveva cercare di allontanare la ragazza che stava all’ingresso e io dovevo riuscire ad inserire un cd che Susan avrebbe preparato quella stessa sera. Dalla mia camera lei poi avrebbe manomettere il computer grazie al mio portatile e al cd che li metteva in comunicazione. Entro mezzogiorno dovevamo aver già scoperto in quale stanza alloggiassero i sovietici.
Io e Susan cominciammo a parlare d’informatica e di come creare quel cd che avrebbe trasferito un virus capace di possedere il computer interessato. David era visibilmente in imbarazzo. Non era mai riuscito a capirci niente d’informatica. Il suo rapporto con il computer non era uno dei suoi migliori rapporti. Tutte le volte che doveva lavorarci rischiava di impazzire. Per il suo cervellino complicato era veramente troppo da sopportare.
“bhe cervelloni miei…io vado a nanna.”
Susan ed io ci guardammo con uno sguardo d’intesa e sorridendo, gli augurammo una buona notte.
“non ce la potrà mai fare!” esclamò come lui si richiuse la porta alle spalle e si coricò sotto le coperte.
“ma chi David? In tutto il tempo che lo conosco, non l’ho mai visto andare d’accordo con qualsiasi tipo di tecnologia.”
“già..anche io”
Ritornammo a fissare il monitor e dopo varie discussioni la lasciai fare. Era lei il genio della tecnologia, qui.
Mi sdraiai sul letto sfilandomi le scarpe. Ero veramente stanco e non riuscivo a capire il perché.
“come sta Kevin?” le chiesi dopo qualche minuto di silenzio.
“a dire la verità non lo so.”
“come mai? Pensavo condivideste casa”
“si…una volta.” Il suo volto si incupì e capii che avevo toccato un tasto dolente. Susan frequentava quel ragazzo da cinque anni e ormai era scontato che avrebbero vissuto il resto della loro vita insieme.
“ che è successo?” osai farle quella domanda e le feci segno di sedersi al mio fianco. Le volevo bene. Era la mia cosiddetta “sorellina” che non avevo mai avuto. Capelli biondi e lunghi. Viso angelico. Fisico slanciato. Insomma un gran bel pezzo di ragazza. Quando ero entrato nell’associazione avevo una specie di cotta per questa ragazza. L’avevo corteggiata per dei mesi e poi quando finalmente aveva ceduto, tutto aveva perso quella magia, quel mistero che la ricopriva dalla testa fino ai piedi. Sono sempre stato un tipo cacciatore e una volta conquistata la preda, avevo di nuovo bisogno di sentirmi cacciatore. Così era successo con Susan e tutte le altre ragazze dopo di lei fino a Kelly.
con il mio portatile in mano, si alzò e si sedette al mio fianco usandomi come poggia schiena.
“una brutta lite. Continuava a ripetermi che era stanco di quella vita e che prima o poi se ne sarebbe andato. Io non lo avevo mai preso sul serio. un giorno, quando sono arrivata a casa lui aveva già preparato la sua roba. Mi sono diretta automaticamente verso la cucina. Ho aperto lo sportello dell’armadietto dove tengo la ceramica e ho preso un bicchiere per bere un sorso d’acqua.” parlava tenendo lo sguardo fisso davanti a se rivivendo la scena. Gli occhi persi nel vuoto e le mani compievano gli stessi gesti che evidentemente aveva compiuto quella sera.
“dopo qualche secondo ho notato che c’era troppo silenzio. C’era qualcosa che non andava. Mi controllai intorno e notai delle valige appoggiate al muro. Lui era in piedi e mi inchiodava con gli occhi. Ha sempre saputo farci in questo tipo di cose. Riusciva a comunicare senza aprire bocca e in quel momento capii subito che quella sarebbe stata l’ultima volta che l’avrei visto. Mi disse di scegliere. Di scegliere tra me o lui...”
“non c’è bisogno che ti dica qual’è stata la mia risposta.” La sua posizione le permetteva di nascondersi dal mio sguardo interrogatorio. Volevo guardarla in faccia e come ci provai lei si immerse nel monitor del computer. Le presi il mento e delicatamente la costrinsi e guardarmi negli occhi. Due strisce argentate le rigavano le guance e i suoi occhi erano estremamente lucidi. Mi sentii improvvisamente impotente. Si sciolse dalla mia presa e con un movimento veloce della mano, si asciugò le lacrime e si immerse di nuovo dentro il monitor. La abbracciai goffamente. Non sapevo come comportarmi. Era meglio per lei sentire un amico vicino oppure essere lasciata sola con il suo dolore? In qualche modo me lo avrebbe fatto sapere. Si voltò lentamente. Le guance rosse gonfie e gli occhietti lucidi mi fecero capire che stava per scoppiare. La attirai a me stringendola forte e sentendola esplodere sulla mia spalla.
Com’è strana la vita a volte. Una persona ci mette una vita a costruirsi la propria bolla di sapone. La bolla nella quale poter vivere felice e contento. La bolla che speri non si rompa mai e che quindi rafforzi per far si che nessuno la scoppi. Eppure, i tuoi sforzi non sono mai sufficientemente adeguati. Basta un nulla per far scoppiare la tua bolla. Tu rimani lì. Senza la tua bolla. Senza una casa. E l’unica cosa che puoi fare è chiederti “perché a me?”.
A Susan purtroppo era successo proprio questo. Cinque anni. Cinque anni cancellati in poche ore. Proprio strana questa vita.
In tutto quel dolore non feci a meno di pensare a Kelly. sperai che la mia bolla non fosse scoppiata. Che nessuno l’avrebbe fatta scoppiare. Avevo un magone sullo stomaco che non andava ne su ne giù. Non so da cosa era dovuto, ma rimaneva lì. Proprio a metà parte tra la gola e lo stomaco. Nel bel mezzo della trachea. In quel momento desiderai vedere il suo sorriso. Sentirla vicina. Sentire che anche lei non avrebbe permesso che scoppiassero la nostra bolla.
Magari una telefonata veloce per sapere come stava. E se avrebbero rintracciato la telefonata? No…meglio non rischiare. Dovevo resistere tre giorni senza di lei. Non potevo fare errori. La nostra bolla non doveva scoppiare.

Magari una telefonata veloce per sapere come stava. E se avrebbero rintracciato la chiamata? No…meglio non rischiare. Dovevo resistere tre giorni senza di lei. Non potevo fare errori. La nostra bolla non doveva scoppiare.
Come Susan se ne andò a dormire, fu maledettamente difficile resistere alla tentazione di chiamarla. Avevo un bisogno assoluto di sentirla con me, proprio vicino a me anche se era lontana chilometri.
Alzai la cornetta e composi il numero. In fondo…gli asiatici non potevano sapere che alloggiavamo in quell’albergo. Il telefono squillò tre volte prima che rispose. La voce assonnata mi ricordò del fuso orario e che, se da noi erano le undici di sera, da loro era l’una di notte. Mi maledissi di averla svegliata.
“scusa…ti ho svegliato” come tutte le volte che ha sonno, il suo cervello ci mette il doppio del tempo per dare un senso ai suoni che sente, elaborare una risposta e pronunciare le parole esatte senza compiere errori.
“no…tranquillo. Tanto stavo facendo un brutto sogno. Mi hai fatto soltanto un piacere” stava mentendo. Se c’era una cosa che non le riusciva fare era mentire nel sonno.
“sei una piccola bugiarda. Dopo che hai fatto un brutto sogno non hai la voce così rilassata…sembra che dormivi alla grande. Mi dispiace.”
“sai sempre soltanto dispiacerti. Raccontami come va la missione”
“bhe…siamo arrivati oggi e abbiamo pianificato un piano per incastrarli al meglio. Dopodomani dovrei essere a New York. Magari potremo uscire a cena…”
“si…sai che mi manchi?” aveva pronunciato quelle parole soffermandosi tra una parola e l’altra come se avesse dimenticato come si faceva a parlare. Doveva essere molto stanca. Mi sentii nuovamente terribilmente in colpa.
“Mi manchi anche tu, piccola” rimanemmo in silenzio per un po’. “adesso torna a dormire.” stranamente la sua risposta fu immediata. Un riflesso automatico le fece uscire la parola “no” dalle labbra. La sua voce sembrava quasi tormentata come se le stessi facendo un torto a lasciarla dormire.
“dormi. Ciao” la tentazione di ascoltare la sua reazione era troppo forte che non riuscii a resisterle. La cosa più giusta sarebbe stata quella di attaccare il telefono. Avevo ottenuto quello che volevo. Sapevo che in un qualche modo era al sicuro e questo mi bastava.
“ci sentiamo domani?” le sue parole nascondevano una certa ansia. Sarebbe stato bellissimo poterla sentire anche il giorno dopo, ma sapevo benissimo che era troppo pericoloso. Nessun Errore. Eppure quelle sue parole mi fecero sorridere. Era possibile che desiderasse sentirmi così tanto? Come poteva avere bisogno di me? di sicuro si meritava di meglio quello scricciolo.
“okay. Ora dormi, mio piccolo fiore” attaccai la cornetta prima che potesse aggiungere qualcosa. Le avevo mentito. Speravo che non avesse attesto troppo quella telefonata. Speravo che la delusione non l’avrebbe accompagnata per tutto quanto il fine settimana.

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