Slenderman, Turning Tables

di Owlfiction
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** L'ultima luce ***
Capitolo 3: *** Primo buio ***
Capitolo 4: *** Contatto ***
Capitolo 5: *** Quando l'incubo si sveglia ***
Capitolo 6: *** Prede ***
Capitolo 7: *** Safe? ***
Capitolo 8: *** How to save a life ***
Capitolo 9: *** La nascita dell'incubo ***
Capitolo 10: *** Colpa ***
Capitolo 11: *** Turning Tables ***
Capitolo 12: *** Redenzione ***
Capitolo 13: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Salve a tutti, vorrei prima di tutto ringraziarvi per avere avuto la forza di volontà per aprire la fanfic (capisco che possa essecene voluta molta, dal canto mio io non l'avrei nemmeno aperta ;) ). Vorrei anche ringraziare tutti quelli che mi hanno recensito, incoraggiato, e consigliato nella mia precedente fanfic, da Tsuki no Sasuke, ad Alhena Devon, da Normal Elektra, a Matryd. grazie di cuore.
Un avviso, per una piena comprensione di questa storia potrebbe essere necessario aver giocato o aver visto il gameplay di "Slender, the Arrival" ma anche di "Slenderwoods" e "The Haunt" (a questi ultimi due ci si riferisce in maniera minore).
Grazie per avermi sopportato
Owl







Slenderman,
Turning Tables
di Owlfiction










 

Turning Tables è un'espressione inglese che significa letteralmente
Girare le carte
ma il suo uso si avvicina di più a quello delle frasi italiane
Ribaltare le carte in tavola o Cambiare le regole del gioco
con cui si indica l'azione che una o più persone compiono quando si rifiutano di sottostare a leggi o clichet prestabiliti e se ne svincolano, a volte stabilendone di nuovi.
Nota dell'autore




















Prologo

I passi ci sono ancora, mi seguono dietro la mia nuca. Per quanto io corra non si allontanano mai. Sono sempre lì, sempre vicini.
Ho il fiatone ormai, ma non posso fermarmi, non posso lasciare che mi prenda. No. No. No. No. No. NO!
Il mio piede colpisce un sasso che non ho visto nell'oscurità. Incespico e cado. Il sapore del fango è reso più vivido dalla paura di quello che è appena successo. Il suono è sempre calmo, ma più vicino.
Mi piaci. Dice la sua voce suadente nella mia testa.
Striscio per rimettermi in piedi. I miei occhi captano un immagine pallida sotto la pioggia. Zoppico via.
Stammi lontano stammi lontano stammi lontano stammi lontano stammi lontano.
La caviglia mi fa male. Temo sia rotta, ma non ho tempo per badarci. Devo continuare a correre.
Punto la vecchia pistola di mio padre in direzione del suono e sparo un colpo. Buffo, quell'arma che ha fermato tanti piccoli ladruncoli assieme al poliziotto che la impugnava ora non riesce a salvare sua figlia.
Amy.
Non posso ucciderlo. Devo salvarmi. Devo andare nell'unico posto sicuro che ho trovato la scorsa notte. Il profilo della fabbrica abbandonata compare di fianco alla strada sterrata. L'ho ritrovata.
Accelero l'andatura.
I passi non mi mollano. Posso sentire i brividi gelati che accompagnano la sua apparizione.
Mi sto divertendo.
Un refolo d'aria fredda sulla mia spalla sinistra mi avverte del tentacolo. Non ho altra scelta. Mi getto a destra e rotolo giù per il crinale della collina. L'impatto con il suolo mi manda una serie di aghi bollenti a pungermi la caviglia ferita.
Amy.
I passi scendono rapidamente il dislivello.
Sei brava a questo gioco.
Non c'è nessuno ad ascoltare il mio lamento disperato. Nessuno che mi possa aiutare. Nemmeno mio padre. Quanto vorrei non essere andata lì con lui. Quanto vorrei che non fosse stato preso.
Ma nella mia mente c'è posto solo per la fuga. E per una parola.
Amy.
Entro nella fabbrica dall'unica saracinesca aperta. Il temporale che ha oscurato il cielo in pieno giorno sferza implacabile i muri e il soffitto. I passi si fermano davanti ai disegni tracciati con il carbone sulle pareti vicino alla saracinesca. Forse ce la posso fare.
Amy.
Arranco fino alla sala di controllo e apro la porta con una spallata. I monitor collegati alle telecamere mostrano la fabbrica di motori in ogni suo angolo. Deserta.
Trascino il piede ferito fino al controllo dell'ingresso per chiudere la porta. Ha funzionato ieri. Funzionerà anche oggi.
Uno schermo sfarfalla e il mio occhio ne è attratto. Lì, con la sua cravatta rossa e la giacca nera, lui mi guarda. Il suo volto senza occhi trafigge il mio con lo sguardo che non dovrebbe possedere e io vengo colta dalla comune nausea che provo ogni volta che lo incrocio.
Il monitor sfarfalla e poi diventa nero.
Non è mai stato respinto dai miei disegni. Voleva solo allungare il gioco.
Amy.
Devo andarmene anche da qui. Apro la porta della sala di controllo mentre uno schermo dopo l'altro si spegne. È troppo tardi: lo vedo avvicinarsi a me con il suo passo tranquillo, coi tentacoli che cominciano a uscirgli dalle scapole.
Ho vinto. Sussurra la voce.
Rientro nella sala controllo, fermandomi solo per appendere sul lato esterno della porta la pagina bianca con sopra scritto “Aiutami!”. La carta aderisce al legno anche senza nastro adesivo, contro ogni logica. Sbatto la porta dietro di me.
Amy, sorellina, ti amo tanto. Penso mentre il suono di passi si avvicina.
All'improvviso non sono terrorizzata solo dal fatto che mi prenda. Sono terrorizzata anche che questa cosa succeda ancora, dopo di me. E ancora, e ancora.
Amy.
Non deve andare da mia sorella. Deve prendere me, non lei! Non lei. Non lei. Non lei. Non lei. Non lei.
La porta ha uno scatto e si apre.
I tentacoli si avvinghiano alle pareti, percorrendole come viscidi serpenti velenosi. L'uomo fa un passo avanti, tendendo le mani verso di me.
Hai giocato bene. Dice di nuovo con quella voce dolce e mielosa. Giocheremo di nuovo. Io e te. Si si. Io e te. Io e te. Ed Amy.
La sua faccia priva di ogni aspetto umano si fissa nella mia mentre sbarro gli occhi.
-No!- grido, nonostante la nausea.
Riesco a distogliere lo sguardo da lui mentre striscio verso la parete più lontana. La mia pistola è ancora nella mia mano, inutile come quella pagina.
Continuerà a succedere realizzo finché qualcuno non lo fermerà. E io non ho più speranze di sopravvivere.
Ma mia sorella sì.
I miei occhi vengono catturati di nuovo dall'immagine dei suoi tentacoli, ma qualcosa rimane saldo nella mia mente. La risata della bambina che corre a inseguire un uccellino nel giardino, e io che le insegno che con i passeri bisogna essere gentili. Prendiamo un po' di semi di girasole, farina e mais e li spargiamo vicino all'albero, poi ci allontaniamo di un paio di passi. Amy trattiene le risate che farebbero scappare i piccoli volatili mentre questi si avvicinano a beccare le sementi.
Mi lancio verso il pannello di controllo e premo il bottone che fa abbassare la saracinesca.
Lui non sembra preoccupato, tutta la sua attenzione è concentrata su di me.
Sei mia. Sarete entrambe mie.
Stringo la pistola e giuro a me stessa che lui non avrebbe mai toccato quella bambina finché potrò impedirglielo. A qualunque costo.
Durante questo istante, credo di vedere il volto dell'uomo alto e magro contorcersi dalla paura.
Non farlo! Mi obbliga la sua voce ipnotica e gentile nella mia testa.
L'immagine di Amy che ride vince sulla sua armonia.
Prima che i suoi tentacoli mi sfiorino, mi punto la pistola alla tempia. E premo il grilletto.

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Capitolo 2
*** L'ultima luce ***


 
Oh, should I travel through the woods
or should I not wishing I would?
For above me lurks between the trees
no one could hear my deadly screams.


The palest man, the blackest suit,
bigger than the tallest brute.
Six black arms will grab you up
or stalk you until you just give up.


A top hat bares upon his head
makes your soul fill up with dread.
He takes you when you least expect
boil you up, and eat your neck.


He'll leave your body not to eat
but stample your corpose on a tree.
Fear the man, the Slender Man
for he can do, what no man can...


-Der Grobmann

 












 
Capitolo 1

L'ultima luce


 
Ho sempre saputo quando sogno.
A volte sento della gente dire cose come “stavo sognando, ma sembrava tutto così reale!”. Questo a me non succede mai. So sempre quando sto sognando.
Forse è per colpa delle pillole. Comunque, è così da quando ho memoria. Niente più niente meno, nulla di troppo insolito.
Un guizzo di denti aguzzi mi spinge ad accelerare la mia corsa. Qualcosa rotola sulla mia traiettoria e si erge in tutta la sua statura di venti centimetri, sibilando furiosamente.
Ora sto sognando, per esempio.
Do un calcio al folletto e continuo a correre verso la casa sull'albero. I folletti non sanno arrampicarsi bene, e barricarmi in casa mi trarrà in salvo.
Come so che c'è una casa? È il mio sogno, sono in grado di controllarlo. Perché non spazzo via tutti i folletti con un gesto della mano?
Dove starebbe il divertimento se lo facessi?
Schivo le radici di un cespuglio con disinvoltura. Non credo potrei correre a questa andatura così a lungo nel mondo reale, ma nella mia testa è tutto diverso. La casetta non dista più di cinquecento metri e il rumore dei piedini dei folletti è sempre più lontano. Quattrocentocinquanta metri. Quattrocento. Ora è in vista. Accelero. Devo salire la scala a pioli e poi ritirarla.
Sono in un bosco, certo, ma il paesaggio è sfocato, irreale. Potrei migliorarlo se mi impegnassi un poco, ma non mi interessa per davvero. Questo è il motivo per cui mi sorprendo quando una strana luce comincia a pulsare alla mia destra.
Rallento. Non capisco perché il mio subconscio o simile dovrebbe fare una cosa del genere. Non ha alcuna coerenza nel tipo di sogno che sto vivendo ora! Mi avvicino. La luce fluttua a un paio di spanne dal suolo, ed è larga quanto il mio petto. Il suo bagliore è tenue, ma a volte cresce e a volte diminuisce, come se la corrente elettrica di una lampadina non fosse stabile.
La luce si ritrae.
-No no.- sento una voce provenire dal globo -Ti prego continua. Non voglio farti del male ma ti prego, lasciami guardare.
-Tu non puoi farmi del male.- scrollo le spalle -Siamo nel mio sogno, dopotutto.
La forma fluorescente smette di indietreggiare. Sembra un fuoco fatuo, una piccola fiammella danzante nell'aria.
-Ti stanno raggiungendo.- dice la voce.
I passetti degli esserini si sono fatti molto più vicini di quanto mi aspettassi. Ho perso interesse per il mio gioco precedente, adesso, e voglio parlare di più con la luce.
Allungo una mano in direzione dei folletti e un poderoso groppo di vento scuote gli alberi dai pixel sgranati. Gli animaletti vengono catturati e trascinati via dalle raffiche, lanciando strilli acuti che si spengono presto in lontananza. Ci rincontreremo un'altra volta.
-Ora abbiamo guadagnato del tempo.- esordisco -Ti va di parlare?
Un senso di approvazione mi arriva dalla fiammella. Nel frattempo il paesaggio intorno a me sta crollando silenziosamente, inghiottito da un vuoto bianco, man mano che non cerco più di mantenerlo. Dopotutto è un sogno, qui contano solo le cose importanti.
La luce si guarda intorno, spaesata.
-Mi piaceva.- sussurra, intristita.
-Magari vuoi sederti.- replico, e nello stesso istante ci ritroviamo in un bar cittadino colmo di gente.
Le persone sono indistinte nella macchia confusa della folla. Di fianco a noi, un tavolo vuoto con due sedie.
Siamo nella zona aperta del locale, e intorno a noi ci sono vari grattacieli di vetro e metallo. Non so dove abbia pescato questa ambientazione, forse da un film. Comunque, non mi interessa.
Mi appoggio sulla sedia con soddisfazione. La luce si guarda intorno meravigliata.
-È bellissimo.- dice con voce estatica.
La sua luce sembra come aumentata. La fiammella si agita allegramente mentre guarda verso l'alto. Poi si gira verso di me.
Felicità. Ecco cosa mi comunica.
-Come ti chiami?- chiede sorridendo. Sempre che una luce possa sorridere.
-Ian Diswarden.- rispondo -Tu?
Mi sembra vagamente strano non conoscere il suo nome.
-Ti dispiace chiamarmi solo Light?- richiede, con un certo imbarazzo.
Faccio segno di no con la testa. -È appropriato.- confermo.
Light si avvicina a alla sedia. Mi sembra strano che possa effettivamente sedersi, ma lo fa, anche se il globo luminoso aleggia ancora sopra il mobile.
-Scusa- mi avvicino col busto parlando -ti dispiace dirmi che ci fai qui?
-Potrei chiederti la stessa cosa, ma immagino mi risponderesti che è il tuo sogno.- replica -Non so cosa devo fare qui, ma solo parlare va benissimo. È... piacevole.
Che strana proiezione del mio subconscio!
-Mi porti a fare un giro?- chiese all'improvviso -Ti prego! È da tanto che non vedo il sole!
C'è una nota di supplica nella sua voce, e qualcosa di triste. Come se realizzasse di essersi lasciata andare troppo, si ritira e la sua fiammella diminuisce di volume.
Lo devo ammettere, mi fa un po' pena. E voglio fare qualcosa per lei.
-Ti piace l'Irlanda?
Light risolleva lo sguardo di scatto. Ma non siamo più nel bar. Ora ci circonda un'enorme finestra circolare e siamo sotto un tetto di metallo. Mi alzo e faccio segno al fuoco fatuo di seguirmi con la mano mentre mi affaccio al vetro. Lui, tremante, fa lo stesso.
La città di Dublino si stende ai nostri piedi, distanti almeno un centinaio di metri dal suolo. Guardando fisso davanti a noi possiamo vedere le cime degli altri grattacieli senza dover alzare la testa. Mentre alla nostra sinistra il Phoenix Park si estende in tutto il suo splendore.
-Dove... dove...- balbetta Light.
-Sul museo della Guinness di Dublino, Irlanda. Ci sono stato in vacanza e me lo ricordo bene.- le spiego -Ho pensato che volessi guardarti intorno.
La sua luce pulsa con più forza mentre comincia a correre intorno alla vetrata per osservare la città da ogni angolo concesso dalla torre. Non c'è una sola nuvola in cielo, a dispetto del solito clima irlandese. Aveva detto che voleva vedere il sole.
Light si china a leggere un cartellino vicino alla vetrata.
-Questa è la pinta di birra più grande al mondo!?- esclama esterrefatta.
-L'interno del grattacielo è a forma di boccale.- dico indicandole un altro cartellino con la piantina del palazzo.
-Quindi possiamo riempirlo per farci una bevuta!- realizza.
Non posso trattenere una smorfia di disapprovazione.
-Devo proprio?
Light ride.
-No, tranquillo.
La sua luce è molto forte ora, anche se non mi ferisce gli occhi quando la guardo. La sua fiamma si eleva forte e sicura, molto più sinuosa di quanto lo fosse prima.
-Grazie per questo giorno, Ian.- esordisce -Potrà sembrarti strano, ma per me è valso più di un secolo. Ti ringrazio... a nome di tutti.
-Te ne vuoi andare?- chiedo, in qualche modo dispiaciuto dalla sua partenza.
-Devo.- risponde -Ma non temere, so badare a me stessa.
-Quindi ti definisci una lei. Non ne ero sicuro.- ribatto.
La luce sembra sorridere.
-Ti auguro di avere una bella vita, Ian. Vivi anche per me.- si accomiata.
-No, aspetta!- la chiamo, ma lei sta già svanendo -Che significa?
-Sono contenta di averti incontrato. Non hai idea del bene che mi hai fatto.- sussurra, sempre più flebilmente -Addio.
Non la posso fermare.
-Addio Light- la saluto -ti auguro di trovare ciò che cerchi.
Nella mia mente, la luce si fa forte di nuovo e sento gratitudine. Poi scompare.
Un brusco scossone mi sveglia.

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Capitolo 3
*** Primo buio ***


Capitolo 2
 
 
 
Primo buio
 

La brusca frenata mi fa quasi rotolare giù dalla brandina.
Annaspo in cerca d'aria. I miei polmoni sono vuoti, e brucianti. Le mani mi tremano come se fossi in preda ad un attacco epilettico. C'è un chiodo nella mia testa che cerca di uscire, trapanandomi il cervello.
Mi muovo verso il cassetto contenente il flacone. Non ci arrivo. Troppo. Lontano.
-Ian!
Il suono della voce si perde nel vuoto, bloccato dal fragore del sangue che mi fischia nelle orecchie.
Fa freddo. Tanto, tanto freddo. Non posso smettere di rabbrividire.
-Ian, mi senti?
L'attacco sì è placato abbastanza da lasciarmi vedere il volto della ragazza sopra il mio. I suoi capelli ricci cadono a solleticarmi le guance. Il suo viso è a due spanne dal mio. Qualcosa mi preme sulle labbra ed ingoio la pastiglia.
Chiudo gli occhi per aspettare che faccia effetto.
Ok, lo so che prima ho fatto il duro, ma è facile esserlo in una realtà controllabile meglio di un videogame e in cui non soffri di schizofrenia e disturbi ossessivo-compulsivi causati dalle allucinazioni. È questo quello che ha detto lo psicologo quando avevo sette anni, prima di mandarmi da uno psichiatra che mi prescrivesse degli psicofarmaci. Da allora la mia stramaledetta vita è piena del prefisso “psico”.
-Stai bene?- chiede la ragazza, i cui occhi azzurri mi scrutano preoccupati.
Apro la bocca per parlare. Le parole dal cervello scendono nei polmoni ma lì rimangono bloccate. Mi esce solo un suono strozzato.
Lei si morde il labbro.
Riprovo. -Meglio.
Le sue dita mi tastano il polso. So che sta contando silenziosamente.
-Come ti chiami?- chiede.
Ah, già. Come dimenticare le classiche domande rituali per accertarsi dei possibili danni cerebrali?
-Ian Diswarden.
-Quanto fa due per quattro?
-Otto.
Si guarda dietro le spalle. -Battito regolare.- dice, poi torna a concentrarsi su di me ed indica se stessa.
-Chi sono io?
-Amy Jules.
Mi rimetto a sedere.
-Sto bene.- li rassicuro. Ovviamente non è del tutto vero. L'incontro con Light mi ha messo una strana sensazione addosso.
Lo so che è stato solo un sogno e che non ci dovrei badare, ma sono sempre stato capace di controllare il mio subconscio mentre dormivo, di capire ciò che mi metteva davanti. Con quelle fiamme è stato diverso: avrei potuto mandarle via, ma non imporre loro cosa fare nella mia testa.
-Speriamo che stia bene anche il motore.- commenta una voce fuori dal mio campo visivo.
Sento Phil scendere dal camper sbattendo la portiera e mormorando un'imprecazione.
-Motore... motore rotto?- chiede Karen.
Karen e Phil sono i fratelli Diffring. Vengono da una di quelle famiglie straricche che hanno tutti i soldi necessari per pagare le cure della propria figlia autistica. In realtà non so bene come sia classificata la patologia di Karen, ma non ho nemmeno voglia di scoprirlo.
Ho visto talmente tanti casi che cominciano ad assomigliarsi tutti.
Phil ha i capelli neri e gli occhi marroni che condivide con la sorella. Karen ha capelli castano chiari mossi, che le arrivano fino alle scapole.
-No, il motore no!- si lamenta Richard.
Richard Grent: dislessico, disgrafico e iperattivo. Ha un sorriso perennemente stampato sulla faccia con la parte destra della fronte coperta dalla frangia marrone che lo fa sembrare un clown demente. Siamo una bella compagnia.
-E invece è proprio il motore.- risponde Phil, dall'esterno.
Amy mi lancia uno sguardo di disperazione, e io posso solo ricambiare. Scendo dalla brandina e mi faccio largo nello spazio ristretto del veicolo, oltrepassando gli altri per raggiungere la porta.
-C'è un modo di ripararlo?- domando mentre scendo.
Phil mi indica il cofano aperto.
-Tu che dici?
Sottili fili di fumo grigio si sollevano dai tubi dei meccanismi, intrecciandosi e arrampicandosi nell'aria del crepuscolo per poi dissolversi a due metri d'altezza.
Phil è il meccanico nel gruppo, e mi sta chiaramente dicendo che il camper è morto. In realtà è anche il camper stesso ad urlarmelo, ma ho visto Phil fare cose apparentemente impossibili con apparecchi di ogni genere, per cui mi fido più di lui che dell'evidenza dei fatti.
-Si è fuso.- asserisce tristemente -Carburatore andato, metà del radiatore sciolta e credo che perdiamo olio, a una veloce analisi. Potrebbe essere partito qualcos'altro.
La chioma rossa di Amy sbuca dal finestrino del passeggero.
-Non lo puoi riparare?
La voce di Richard la sorprende alle spalle.
-Ha appena detto di no, capelli di fuoco.
Noto solo adesso che la luce del sole che tramonta si riflette sui suoi ricci rossi, accendendo la sua chioma di colori vivaci. Amy si gira e per un attimo vedo le fiamme danzare intorno al suo viso.
Fa per dire qualcosa, ma poi ci ripensa e richiude la bocca, arrossendo.
-Ragazzi.
Phil richiama la mia attenzione su di sé. Ha preso il telefono e lo ha alzato verso il cielo.
-Il mio cellulare non ha campo, mi prestate uno dei vostri?
-Vuoi chiamare il carro attrezzi?- chiede Amy, frugando nella tasca dei pantaloni.
Tira fuori un iPhone vecchio modello che probabilmente è stato comprato usato. Fa per consegnarlo all'altro ragazzo, ma si ferma a metà gesto.
-Non ha campo neanche il mio.
Non posso credere che esistano ancora zone senza la copertura per i telefoni. Forse Amy e Phil hanno lo stesso operatore che ha un problema tecnico.
-Niente segnale nemmeno col mio.- ci avverte Richard, dall'interno.
-Grandioso.- commento, ironicamente. Risalgo e vado a provare col mio cellulare, rimasto vicino alla brandina.
Niente campo, niente rete wi-fi, e niente connessione dati.
-Siamo nella merda.- confermo.
Noi cinque ci siamo conosciuti in ospedale, o meglio, all'Istituto per Ragazzi Particolari, come amano chiamarlo quelli che ci lavorano. Non è un istituto, è un gruppo di strizzacervelli che parlano con te e cercano di capire i tuoi problemi.
Sento una punta di rimorso ogni volta che penso ad uno psicologo in questo modo. Non mi piacciono, ma a conti fatti fanno solo il loro lavoro. Alcuni li ho trovati persino simpatici, e mi è difficile trovare simpatica una persona che cerca di entrarmi nella testa.
-Non c'era un'officina, qui vicino? Ho visto un cartello mentre andavamo.- ricorda Amy.
Amy ha subito un trauma psicologico quando aveva sette anni, quindi dieci anni fa. Sia suo padre sia sua sorella maggiore sono scomparsi all'improvviso, da un giorno all'altro. Questo l'ha segnata profondamente, tanto da non riuscire ancora a parlarne.
-L'ho visto anch'io.- la sostiene Phil -Ma non è un officina. È una fabbrica di auto. Comunque, potrebbero avere un telefono funzionante.
-Allora io e Phil andiamo alla fabbrica- propongo -E voi tre rimanete a guardia del camper.
Karen annuisce entusiasticamente, poi riprende a giocare con le maniche della sua felpa, con aria distratta. Richard solleva le spalle mentre continua a battere con un piede sul pavimento.
-Per me va bene.- acconsente Amy -Ma cercate di non perdervi.
-Basterà che si tengano sulla strada.- dice Richard.
Ho scelto me e il meccanico perché siamo i più bravi nei rapporti interpersonali. Amy è troppo timida, e Richard perde il filo del discorso.
Seguiamo la strada sterrata a piedi per qualche minuto. Nessuno di noi due sembra interessato a fare conversazione, e la brutta situazione in cui ci siamo cacciati evidentemente non è d'aiuto.
Un brivido mi corre lungo la colonna vertebrale nonostante il tepore del sole non se ne sia ancora andato. Mi viene la pelle d'oca e provo l'ardente impulso di girarmi e tornare al camper. A chi importa di un'officina? Siamo due ragazzi soli in mezzo ad un bosco, che seguono un sentiero che sperano li porti da qualche parte. Insomma, un misto tra “Hansel e Gretel” e “il mago di Oz”.
-Eccola!- esclama Phil, mettendosi a correre.
Lo seguo continuando a percepire delle vibrazioni negative.
Il ragazzo salta sulla rete metallica che circonda l'edificio, un semplice parallelepipedo in cemento, e comincia a scalarla meglio di una scimmia.
-Pessima idea.- commento. Ho una cattiva impressione riguardo a quella fabbrica. Emana come una strana aura. Qualcosa di sinistro.
-E cosa potrebbe andare male?- ribatte Phil, ormai giunto in cima alla recinzione -È abbandonata, non vedi?
-Potresti cadere e romperti il collo.- comincio.
Il giovane acrobata si lascia cadere e atterra a quattro zampe, salvando le ossa delle vertebre.
-Io vado dentro.- stabilisce Phil -e comincio a cercare i pezzi. Tu vai a chiamare gli altri?
Annuisco. Sto per tirare fuori il cellulare per mandare un messaggio ad Amy. Poi mi ricordo che non c'è campo.
-Ci vediamo qui tra quindici minuti.- dico, a mo' di congedo -E ricordati di cercare anche un telefono.
Phil annuisce con aria assente. La sua testa sta già pensando cosa avvitare, cosa sostituire, cosa si può salvare.
Ritorno verso il camper seguendo la strada sterrata, costeggiata dagli alberi. Richard aveva ragione: è impossibile perdersi. La pista è solo una, si può andare o da una parte o dall'altra, quindi, a meno che non decida di lanciarmi nel bosco all'inseguimento di un coniglio bianco, ritroverò certamente gli altri.
Vengo raggiunto dal suono delle voci di Amy e Richard.
-Ricordami come siamo finiti qui, ti prego.- chiede il ragazzo, con tono strafottente.
-Non è stata mia l'idea di allontanarci dalla strada principale.- protesta l'altra -Lamentati con Diffring se proprio vuoi dare la colpa a qualcuno. E comunque non mi sembra che tu abbia fatto molto per dissuaderlo dal suo progetto.
Molto male. Non possiamo permetterci un litigio ora, appiedati e senza telefoni.
Meglio che mi affretti.
-Anch'io sono Diffring.- commenta Karen, con quel suo modo particolare di parlare.
Amy sospira. -Non mi riferivo a te.
Sblocco la porta del camper e sporgo la testa all'interno.
-Ehi, Phil ha trovato l'officina...
-La fabbrica.- mi corregge Karen.
-...e forse dovremmo andare a dargli una mano.
Amy è la prima ad annuire e ad andare a prendere la giacca dall'armadio. L'aria della sera si sta raffreddando, così mi faccio passare anche il mio giubbotto. Richard arraffa due torce da un cassetto. Quel ragazzo sarà anche iperattivo, ma è previdente.
Conduco i tre ragazzi per il sentiero sterrato verso l'edificio. Presto siamo costretti ad accendere le pile, siccome c'è solo un quarto di luna in cielo e la notte è buia. Riusciamo comunque a raggiungere la fabbrica prima che gli ultimi raggi di luce spariscano dietro l'orizzonte occidentale.
-Dobbiamo arrampicarci.- esordisco, mettendo una mano sulla recinzione.
-Oppure possiamo passare da lì.- mi ferma Richard, indicandomi una porta nella rete metallica distante una decina di metri.
Evidentemente non avremo bisogno di rischiare l'osso del collo.
Chissà come avevamo fatto a non notarla prima. La porta è accostata ma non è bloccata da nulla, e si apre cigolando, seppur con difficoltà.
-Phil!- chiamo.
Nessuna risposta. Il quarto d'ora è passato. Possibile che non sappia rispettare una scadenza qualsiasi?
-Là c'è un ingresso.- ci fa notare Amy, illuminando una porzione di muro con la sua torcia.
Il raggio di luce colpisce un'apertura rettangolare e buia, che non riesce a illuminare completamente.
Ci avviciniamo e proviamo a chiamarlo di nuovo. Ancora silenzio.
-Andiamo a cercarlo.- propongo -Ma cerchiamo di non allontanarci troppo gli uni dagli altri. Questo posto potrà non essere troppo grande, ma di sicuro è buio pesto.
Lascio passare Richard con la sua torcia alla testa del gruppo. E, appena metto piede nella fabbrica, cado in ginocchio.
Il sangue mi fischia nelle orecchie. Il cuore mi batte a mille. La pelle mi pizzica. I polmoni mi bruciano a causa dello sforzo della corsa.
Paura. Tanta paura.
Ho freddo.
Voglio raggomitolarmi e piangere. Ma non posso. Non posso.
Aiuto.
E ora tutto cambia. Tutto è diverso. Non sento più freddo, o timore. Ma il senso di oppressione che provo adesso è molto peggio.
Ogni singolo atomo di me è bloccato da migliaia e migliaia di fili. Mi dibatto, colpisco le pareti della mia prigione, ma non serve a niente. Una grande rabbia mi cresce dentro.
Io ti distruggerò.
Va via, Ian!
Ian!
-Ian!
La vista mi ritorna improvvisamente e metto a fuoco il volto di Amy. Due crisi in un giorno non sono normali. Deve essere la mia giornata fortunata.
Eppure questa è stata diversa dalle altre.
Mi rimetto in piedi, stranamente lucido.
-Sto bene. Sono solo inciampato.- mento.
-Non è vero, Ian.- mi smaschera lei -Sei rimasto fermo per troppo tempo per essere solo inciampato.
-Ragazzi- ci interrompe Richard -Guardate un po' qua.
Seguo la luce della sua torcia e rimango a bocca aperta. Tutt'intorno alla porta d'ingresso delle linee tracciate frettolosamente con della polvere nera creano strani disegni. Parole apparentemente senza senso sono sparse sul muro, e si allontanano dalla porta. Recitano “No!”, “Aiutami!”
Il più grande di tutti i disegni è stato fatto sotto i nostri piedi. È abbozzato, impreciso, eppure sono sicuro che sia il contorno di un volto umano, con una grande X al posto dei bulbi oculari.
“Osserva sempre, ma non ha occhi.”
Un urlo.
Ci guardiamo l'un l'altro per un attimo. Vediamo subito chi manca all'appello. E ci precipitiamo in direzione del grido di Karen.
Le torce di Amy e Richard illuminano scarsamente una scala che corre adiacente al muro e finisce davanti ad una porta di legno semiaperta. La ragazza è seduta a poca distanza dai gradini, che si stringe le ginocchia.
Mentre ci avviciniamo un fascio di luce mostra una porzione di pavimento. Una porzione cremisi del pavimento.
-Ma quello è...
Sangue. A terra, sulle mani di Karen, sul corpo che giace prono dandoci la schiena.
-Oddio, Phil!- grida Amy, inginocchiandosi di fianco al meccanico amatoriale.
Lo gira su un lato e gli sente il polso come ha fatto con me un'ora fa. Ma stavolta si allontana tremando, scuotendo la testa.
No. Lui non può essere morto. Insomma, è l'unico veramente a posto tra di noi. È l'unico normale. Non è possibile che succeda proprio a lui.
Ci deve essere qualcosa da fare.
Raccolgo la pila di Amy e la uso per fare luce sul mio amico. Non mi sono nemmeno accorto di quando l'ha lasciata cadere, ma non importa. Appena gli illumino il viso, però, sono scosso da un conato di vomito.
La carne del collo è lacerata fino a scoprire la colonna vertebrale. Mi è parso di vedere la parte finale della trachea e dell'esofago, e non voglio investigare per esserne sicuro, potrebbe fare cedere il mio stomaco.
Riconosco alcuni segni su una parte di pelle della spalla che non è troppo maciullata. Sono piccole ferite a mezzaluna, profonde e numerose. Phil è stato masticato.
Cosa faremo con Karen adesso?
Qualcos'altro scatta dentro di me. Probabilmente è l'adrenalina rilasciata in presenza di una situazione pericolosa a farmi sentire così strano. E, comunque, non ho il tempo di pensarci.
-Dobbiamo andarcene di qui.- dico -Subito.
Gli altri sembrano ancora in preda allo shock. Cerco di riscuotere Amy prendendole delicatamente un braccio, ma appena la sollevo lei si gira e rigetta il pranzo.
Le reggo i capelli e trattengo il fiato per non sentire la puzza di succhi gastrici. Tengo comunque un occhio sui dintorni, che però sono ostinatamente troppo scuri per permettermi di vedere effettivamente qualcosa.
Un riflesso bianco cattura la mia attenzione. Nella mano chiusa di Phil c'è un foglio semiaccartocciato. Aspetto che Amy abbia finito, dopodiché la lascio a Richard, che le porge un fazzoletto per pulirsi la bocca. Io mi chino e sfilo la pagina dalle dita tiepide del corpo.
Sopra, c'è scritto “Aiutami.”
-Noi...- comincia il ragazzo iperattivo -Noi forse...
-Noi dobbiamo andarcene.- lo interrompo, puntando la mia torcia in direzione delle tenebre -Lui... è stato morso da qualcosa. Ripetutamente. E quella cosa potrebbe cercare di farlo anche con noi.
Un orso non sarebbe passato dalla porta, a meno che non fosse particolarmente piccolo. Forse era stato un cane, o un lupo solitario: comunque, l'animale era sicuramente rabbioso.
Richard mi passa al volo una sbarra di metallo grande quanto il mio braccio e ne prende una per sé da un mucchio. C'è un sacco di roba in questo posto.
Karen si rifiuta di muoversi, ma non si oppone quando Richard la prende in braccio e la porta via. Adesso siamo io ed Amy a stringere le torce e le sbarre per difenderci. Non credo sarei capace di proteggermi da un vero attacco di un lupo rabbioso, ma forse se la fortuna fosse stata dalla nostra qualcuno gli avrebbe tirato una bastonata sulla testa prima che ci mordesse.
Stiamo sul chi va là per tutto il tragitto del ritorno, con la dolorosa consapevolezza di esserci lasciati dietro un amico, finché non vedo qualcosa muoversi tra gli alberi. Non sono sicuro di quello che ho visto, perché l'immagine era sfarfallante e sfocata. Forse i miei occhi mi stanno ingannando.
-Ehi.- chiamo, puntando la torcia lontano dal sentiero -L'avete visto anche voi?
Amy solleva la sbarra sopra la testa, tremando.
-Mi sembrava...- comincio, anche se so che è assurdo -una persona.
-Io non ho visto niente.- dice Richard.
Mi avvicino alla boscaglia tenendo pronta la mia arma. So che c'è qualcosa appena oltre il ciglio del sentiero. È quasi divertente come tutto diventi più vivo quando la paura ti avvolge in una coltre di adrenalina. Evidentemente i miei istinti animali stanno avendo la meglio sul mio lato razionale, perché sento distintamente una presenza proprio davanti a me.
Ho fatto solo un metro dal sentiero quando sento un gemito. Abbasso il fascio di luce sul suolo e mi ritrovo davanti a una figura raggomitolata, talmente piccola che non arriverò nemmeno alle mie ginocchia dalla posizione in cui è.
Ha dei capelli ricci che un tempo dovevano essere di un bel colore acceso, ma che ora appaiono grigi e spenti. Le forme sono quelle di una ragazza sui diciassette anni, l'età di me ed Amy. Quella strana apparizione geme un'altra volta e muove lentamente una mano esangue, nel tentativo di mettersi in piedi.
-Aspetta, ti aiu...
Solleva la testa e io rimango bloccato. Non sono i vestiti stracciati, o la terra sotto le unghie a farmi paura, no. Sono gli occhi. Segnati, bianchi, senza né accenno di iride o di pupilla.
Faccio un passo indietro. E lei mi salta addosso.
Ho troppa paura per fare qualsiasi cosa che non sia arretrare, o gridare. Inciampo su qualcosa che non ho visto e atterro supino, ma Il dolore è anestetizzato dal senso del pericolo. Ci metto troppo ad alzarmi, ad appoggiare le mani su qualcosa per fare presa. La vedo venirmi incontro con un altro salto e mi proteggo il volto con una mano.
Non posso fare a meno di chiedermi quanto siano affilati i suoi denti.
Mi preparo all'impatto, che però non arriva. Il mostro scompare davanti a me, a venti centimetri dal mio viso, come se non fosse mai esistito.
Sento un grido che non è il mio ed Amy è di nuovo di fianco a me.
-Tutto ok?
Che importava?
-L'avete vista?- chiedo -L'avete vista anche voi, vero?
Da piccolo mi era capitato di avere delle allucinazioni, ma non si erano più ripresentate dopo gli psicofarmaci. Non così vivide, almeno.
-Sì.- mi conferma lei -Doveva essere un pipistrello. Ti ha fatto spaventare molto?
Non posso trattenere un'ulteriore domanda.
-Un pipistrello?
-Era molto piccolo e volteggiava a mezzo metro da terra.- mi conferma Richard dal sentiero con Karen.
Un pipistrello, certo.
Mi rimetto in piedi dopo una caduta per la terza volta in un'ora. Sono molto riluttante a dire che dal mio punto di vista quella cosa non era affatto un pipistrello, perché non voglio che pensino che mi sono tornate le visioni. O che realizzino che mi sono tornate le visioni.
-Mi ha fatto prendere un bel colpo.- mi scuso, recuperando la pila che mi è rotolata via dalle mani.
-Ragazzi.- ci richiama Richard -Dobbiamo muoverci.
Già. Il cane rabbioso. Il cane rabbioso che ha ucciso Phil.
Mi offro di portare Karen per gli ultimi cinque minuti, perché l'altro ragazzo si possa riposare. Diffring è snella, ma non è una piuma, e non vuole ancora saperne di camminare. Non la voglio accusare di niente. Io nemmeno so cosa vuol dire, avere un fratello.
Entriamo nel camper velocemente, continuando a scoccare occhiate preoccupate nel folto della boscaglia. La foresta è molto più minacciosa di notte, e fa venire voglia di credere alle storie di fantasmi che si leggono su Internet o che si raccontano durante le ore piccole ai campeggi. Quando è notte, è più difficile credere che siano tutte fandonie.
Probabilmente sarebbe stato Phil quello più emozionato da questa ambientazione. Avrebbe inventato dei racconti idioti che poi avrebbe cercato di far passare per spaventosi, forse avrebbe cercato di fabbricare qualcosa in tema horror con del fil di ferro e dei tappi di sughero. Magari il muso di un lupo mannaro, o la dentatura di un vampiro. L'ho visto fare cose impossibili, frugando per casa per depredarla di quello che gli serviva.
Ma Phil non c'è più.
Non ceniamo questa sera. Nessuno di noi ha nemmeno voglia di parlare. Chiudiamo il camper a chiave e poi ognuno va nella sua brandina, in silenzio. Karen si sposta in quella di Amy e le si sdraia di fianco, ma nessuno ovviamente le dice alcunché. Il posto vuoto vicino al suo sarebbe stato troppo da sopportare per chiunque.

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Capitolo 4
*** Contatto ***


Capitolo 3
 
Contatto


Cosa faresti se ti svegliassi in un posto che non hai mai visto prima?
Non mi sono mai fatto questa domanda, eppure quando apro gli occhi e vedo il cielo stellato sopra di me mi sembra strano non averci mai pensato. È una cosa che non mi sono mai aspettato che capitasse, eppure ora non ho la più pallida idea di dove mi trovi.
L'erba mi punge la guancia che è appoggiata sul terreno, e l'odore di humus bagnato non è molto piacevole. Mi rimetto in piedi e mi spazzolo i vestiti: i miei soliti jeans, una maglietta che mia madre mi ha regalato per il compleanno e una felpa con cappuccio.
Strano.
Una luce attira immediatamente la mia attenzione, mostrandomi un sentiero nel prato proprio vicino a me. Raggiungo la fonte luminosa a passo spedito, con la domanda “Cosa devo fare?” che continua a rimbalzarmi nel cervello.
-Perché c'è una macchina qui?- chiedo a nessuno in particolare, talmente sono sorpreso di vedere una jeep abbandonata nel bel mezzo di quello che ormai ho capito essere una specie di bosco.
I fanali del mezzo sono accesi, e sono la sorgente principale della luce che mi permette di osservare gli alberi nei dintorni. Ma, sul cofano quasi sfondato della macchina, un terzo punto luminoso mi fa avvicinare di più. Prendo la torcia con mano tremante.
Qualcosa mi afferra.
-Ian!
Lancio un urlo e mi getto contro la jeep. La presa su di me sparisce mentre io rotolo sul cofano e mi punto la torcia dietro per vedere il mio aggressore.
Eppure non c'è nessuno.
Giro su me stesso per essere sicuro di controllare da ogni parte. Ma la forza che mi ha afferrato sembra essere comparsa dal nulla e lì ritornata. Ora comincio davvero ad avere paura.
Ho urtato qualcosa mentre mi agitavo, l'ho sentita cadere con uno strano suono cartaceo. Mi accuccio e raccolgo una pagina bianca, come da stampante. In basso a destra c'è scritto “1 di 8”, invece al centro c'è un unica frase, battuta con una macchina da scrivere:
“Non voltarti, è dietro di te.”
Il mio respiro si ferma e il mio cuore accelera. Mi alzo fingendo una calma che non ho, poi tengo pronta la torcia e mi volto.
Un chiodo mi viene piantato nel cranio non appena lo faccio. Ci sono degli alberi davanti a me, ma non solo quelli, perché prima vedo un volto bianco, cadaverico, e calvo, che ricambia il mio sguardo. Ma quella faccia non ha occhi, sono solo i miei ad essere sbarrati.
Un'elegante cravatta rossa scivola sotto una giacca nera, che avvolge l'uomo, magro e alto almeno due metri. Il dolore scende dalla testa fino allo stomaco in un attimo. Cazzo.
L'uomo scompare senza preavviso. Appena smetto di vederlo il male si allevia e il mio ventre smette darmi fitte. Mi accascio contro la ruota anteriore della jeep con il respiro pesante.
Che cazzo era quello?
Sbircio all'interno della macchina. Niente chiavi. Se Phil fosse stato qui avrebbe potuto accendere l'auto con i fili e portarci lontano in un istante. Mentre io sono bravo a fingere di prendere le pillole dei medici, ma con i motori sono una frana.
Ci metto un po' a ricordarmi che Phil è morto.
Qualcosa mi dice che non uscirò mai da qui. Lo sento in ogni sasso che giace sul terreno. Non me ne andrò mai. Questo posto non è fatto perché si possa fuggire.
Forse, se trovassi le altre sette pagine...
Mio padre avrebbe dovuto insistere di più sul fatto che imparassi a riparare e a capire come funzionano i motori. Anzi, io avrei dovuto dargli più ascolto. Gli ho sempre risposto che c'è il carro attrezzi se fai un incidente, che forse, dico forse, avrei imparato solo come si cambia una gomma.
Dovresti cercare le pagine...
Giusto. Non sia mai detto che Ian Diswarden non ha fatto almeno un tentativo per andarsene, per sopravvivere. Mi dispiace però avere ingannato la mia famiglia sulla questione degli psicofarmaci. Non è che fingo di prenderli perché non voglio liberarmi delle allucinazioni, ma quelle medicine mi annebbiano. Quando le prendo regolarmente mi sento come un palloncino sgonfio, non riesco a riflettere, né a dire frasi decenti o a fare battute decenti. Non riesco nemmeno a controllare i miei sogni.
Le pagine...
Farai il figliol prodigo una volta che avrai lasciato questo posto! Mi rimprovero. Adesso concentrati!
Tiro fuori il foglio che ho trovato. A cosa potrebbe mai servirmi? Parla di sicuro di quell'uomo alto che è comparso dietro di me, ma non vedo come possa aiutarmi ad andarmene. Un volto senza occhi...
Afferro un sasso appuntito grande quanto il mio pugno e lo conficco nel terreno del sentiero. Disegno un ovale, con tratti piccoli e quanto più possibile precisi, e immagino sia un volto. Appoggio la punta della mia “matita” in mezzo agli occhi di quella immaginaria persona, e incido con forza una grossa X.
Le pagine. Questa figura. Io le ho già viste. Non me lo ricordavo fino ad adesso, ma io le ho già viste.
Mi metto una mano nella tasca della felpa e tiro fuori un altro foglio. Questo non è stato scritto a macchina o con un computer, no. Questo è stato scritto a mano, e da molto spaventati, a giudicare dalla grafia.
“Aiutami!”
Non credo che le due pagine siano dello stesso gruppo. Le grandezze dei fogli sono diverse, così come i tipi di inchiostro o lo spessore della carta.
E quando mi sono svegliato avrei potuto giurare di non avere nulla nelle tasche della felpa.
Il tuo tempo è finito.
Non sono stato io a parlare.
Sento uno strano movimento nello spazio venire dalla mia destra. È con la coda dell'occhio che vedo le scarpe di vernice nera a mezzo metro di distanza.
Rotolo verso sinistra tenendomi stretti le due pagine e la torcia. Non posso fare a meno di guardare il suo viso sopra di me, nonostante il dolore arrivi non appena lo faccio. È chinato sopra di me, e sta stendendo le braccia con calma, assieme a tre paia di lunghi, neri tentacoli dall'aspetto appiccicoso che serpeggiano nella mia direzione.
Rotolo due volte per guadagnare abbastanza spazio per alzarmi. Mi gira la testa e non riesco subito a rimettermi in piedi. Scatto nella direzione opposta alla sua non appena posso.
Mi trovo davanti a una recinzione metallica. Fortunatamente c'è una porta aperta, e io vi salto dentro il prima possibile. Dietro alla rete il sentiero che sto percorrendo si allunga in quello che sembra un parco naturale abbandonato da tempo.
Toc. Toc. Toc.
Passi.
Non mi volto e continuo a correre. Qualcosa mi sta sfuggendo, lo percepisco assieme ad una strana pressione sulle tempie.
Dov'è la fabbrica? Mi chiedo. Dove sono Amy, Richard e Karen? Come diavolo sono finito qui?
Non c'era nessun segno di trascinamento nell'erba dove mi sono svegliato. E sono sicurissimo che non avrei continuato a dormire se qualcuno mi avesse afferrato e portato fuori dal camper.
Il camper!
Non lo vedo semplicemente. Percepisco lo spostamento dell'aria davanti a me. Mi blocco un istante prima di vedere i tentacoli. Lui allarga le braccia, pronto ad accogliere la mia folle fuga.
Combatto la tentazione di vomitare e scarto a destra. L'ultimo ricordo che ho è quello di essermi addormentato sul camper, con addosso il mio pigiama.
Quindi la cosa che mi aveva portato qui mi aveva anche cambiato i vestiti senza che io me ne accorgessi? Improbabile. E non sentivo i comuni postumi di un narcotico nel mio cervello. Io li avevo sperimentati, i narcotici.
È come se ogni momento che passa aumentasse la mia lucidità. Mi sento un genio a paragone di quando mi sono svegliato steso sul terreno.
La luce della mia torcia illumina una casa diroccata. Le pareti in legno sono marce in molti punti e cadenti, e su di esse si arrampicano piante infestanti. Una pagina è lì dentro, lo sento.
Ma c'è anche lui.
-Non mi freghi.- commento a bassa voce, prima di allontanarmi.
Strano che io stia correndo da così tanto senza avvertire la stanchezza. Sono così bravo in atletica solo nei miei...
Sogni.
L'ultimo brandello di nebbia scompare dal mio cervello. Le estremità dei rami degli alberi non sono ben definite, l'ambientazione cupa deriva dall'idea della paura. Mi fermo e mi infilo una mano in tasca, esprimendo silenziosamente un desiderio. Sfilo otto pagine, tutte identiche a quella che ho trovato nella fabbrica tra le dita di Phil.
Chissà se adesso ho vinto.
La pressione sulle tempie ritorna. Non è quello strano essere pallido, è qualcosa di diverso.
-Ian!
Riconosco la voce. È come comparsa non appena ho cominciato ad ascoltare la volontà di comunicare che percepivo ai margini della mia coscienza.
-Light!- chiamo, dirigendomi verso il suono.
Poi la mia torcia si spegne.
Davanti ai miei occhi danza un centinaio di puntini neri. Incespico. Un punto bianco si distingue nella mia visuale appannata.
Non si gioca così.
Mi volto, ma è ancora davanti a me. Giro a sinistra. Di nuovo lui. A destra. Di nuovo.
Crollo sui polsi. Ce ne sono quattro.
NO. NO. NO. NO. NO. NO. NO. NO. NO. NO.
Non può finire così. Non può finire così. Non adesso che ho capito.
Questo è il mio sogno. Rispondo.
Immagino un globo bianco, luminosissimo, talmente ardente da bruciare gli occhi al solo guardarlo. Il terreno davanti ai miei occhi s'illumina di una luce chiara. Alzo lo sguardo mentre la vista mi ritorna.
Due orbite vuote mi accolgono. Mani artigliate tese.
Le dita affusolate si avvicinano ed entrano in contatto con la luce. Si sente un rumore di olio che frigge mentre la pelle bianca si ricopre di orribili piaghe rosse.
Aumento il calore e il cerchio di luce si espande, arrivando fino a toccare le maniche della giacca nera. L'immagine dell'uomo sfarfalla e da piegato diventa eretto, col volto rivolto al cielo.
Un urlo orribile mi rimbomba nelle orecchie. Acuto, vibrante e doloroso, ma la luce mi protegge anche dal dolore. Tre degli uomini diventano macchie indistinte che si riuniscono a quello davanti a me.
Un taglio orizzontale gli si apre sulla faccia, lungo da uno zigomo all'altro. Qualcosa di sinuoso e nero gli esce da quella specie di bocca, contorcendosi. Lui abbassa lo sguardo e mi mostra le fauci, la cui lingua penzola fino al petto. Due file di denti piatti e appuntiti, da squalo, sono visibili in quel pozzo scuro.
E le ferite sul collo di Phil erano profonde, sottili, e curve.
Nuvole temporalesche cominciano ad addensarsi sopra di noi.
-Fuori...
I tentacoli che si avventano contro la mia protezione si ricoprono di fiamme e vengono ridotti a moncherini carbonizzati. C'è un improvvisa esplosione di luce seguita da un tuono.
-...dal mio...
Un lampo illumina brevemente lo scenario. Un senso di rifiuto mi arriva dalla figura alta. Lui vuole restare. Penso a Phil un attimo prima di pronunciare l'ultima parola.
-...sogno!
Il fulmine cade.
Non c'è più alcun grido, nessuna sensazione di malessere alla bocca dello stomaco. L'ombra nera all'interno della corrente si dissolve e sparisce, assieme al parco intorno a me. Tutto si dissolve in un panorama bianco e irreale, adesso che quella cosa non controlla più l'ambientazione.
Sono solo.
-Ehm... Ciao.
Mi giro in direzione della voce con i nervi a fior di pelle. Sento una presenza, che però è diversa da quella di quell'uomo alto.
La ragazza che vedo mi supera di un paio di centimetri, ha capelli rossi ricci ed occhi di un azzurro abbagliante, ammesso che si possa essere abbagliati in un sogno. Mentre le guardo il viso però, realizzo di riconoscere quella persona. È la stessa che mi ha aggredito ritornando al camper, solo che adesso il suo aspetto è diverso, più comune.
-Non avere paura, Ian.- cerca di tranquillizzarmi.
Indietreggio. Potrei mandarla via facilmente come ho fatto con... l'altro, ma il suono della sua voce mi trattiene. Possibile che sia...
-Light?- chiedo, stupito.
-Beh, sì. Mi sono presentata con quel nome.- ammette lei.
-E...- continuo, deglutendo a vuoto -mi hai attaccato nel bosco?
-Non voleva essere un attacco!- esclama -Stavo solo cercando di parlare con te! Tu non mi ascoltavi!
-Già- commento, incrociando le braccia sul petto -e il tipo in giacca e cravatta voleva solo offrirmi un gelato.
Sto cominciando ad arrabbiarmi. Un cielo inesistente è percorso da scariche elettriche richiamate dal mio pessimo umore. Mi viene naturale fare lo sbruffone dopo essere scampato alla morte.
Il volto di Light si ricopre di ombre che non so da dove vengano proiettate.
-Tu non hai idea- dice, lentamente -di cosa lui possa realmente fare.
Vengo come investito da un tir. Nella mia testa si riversano decine di immagini, suoni, odori, emozioni. Un terrore cieco fa tremare arti non miei mentre dei viticci scuri sollevano la figura di un uomo, fino a farlo incontrare con un volto pallido. Lui apre la bocca.
Dura meno di un secondo. Eppure è come se fosse stato di più.
Mi sento la bocca asciutta. Sono certo che il mio corpo, nel camper, abbia appena stretto i pugni fino a farsi sbiancare le nocche.
-Che cos'è?
Faccio l'unica domanda sensata che mi viene in mente.
-Noi lo chiamiamo lo Slender Man.- sospira la ragazza.
Mi viene in mente di fare un altra domanda. Non so bene cosa chiedere, ma non so che altro fare. Per un attimo, è stato il sognatore quello che ha rischiato di svanire al mattino, mentre avevo la netta sensazione che l'incubo sarebbe rimasto.
Il volto letteralmente buio della ragazza mi colpisce.
Il paesaggio cambia. Veniamo circondati da una serie circolare di ampie finestre, che danno sulla città di Dublino, visibile ai nostri piedi. Il volto di Light si rischiara mentre si appoggia alla balaustra che corre davanti alle vetrate del Guinnes Museum.
-Qualcosa da bere?
Un bicchiere appare volteggiando a mezz'aria vicino alla sua mano. Lei scuote la testa, così lascio scomparire l'oggetto.
-Scusa.- dice -A volte mi è difficile rimanere concentrata. Mi capita di dimenticare.
Si sfiora distrattamente la collanina dorata che porta al collo. Uno strano senso di deja-vu mi colpisce mentre lo fa. Osservo i riflessi biondi dei suoi capelli e la sensazione si intensifica.
Faccio materializzare una foto racchiusa in una cornice grande due volte il mio palmo. Amy da molto più giovane mi guarda dalla figura, mentre di fianco a lei c'è sua sorella Rachel, che porta un piccolo ciondolo d'oro.
E che è identica alla ragazza di fronte a me.
-Light.- la chiamo -Perché hai l'aspetto della sorella scomparsa della mia amica?
Lei mi strappa la cornice di mano.
-Tu conosci questa bambina?- mi chiede in fretta.
-Bambina...- commento -Insomma, ha diciassette anni adesso...
L'immagine della strana visitatrice dei miei sonni sfarfalla e si offusca. Per un attimo mi sembra lontana.
-È con te adesso, vero?- domanda, guardando un punto distante.
-Sì.- rispondo -Ma non mi hai ancora detto perché ti visualizzo come sua sorella morta.
-Non dipende da te, non credo almeno.
Il suo corpo cambia nel guizzante profilo di una fiammella luminosa, poi ritorna nella forma di una ragazza.
-Lo scelgo io.- spiega -E io mi visualizzo così perché io sono Rachel.
Ci metto un secondo. Poi decido che non è possibile.
-E tu vorresti farmi credere di essere una persona scomparsa da dieci anni -la riprendo, inarcando un sopracciglio -di essere misteriosamente sopravvissuta, di non aver tentato di contattare la sorella che amavi tantissimo, e di non essere cambiata di una virgola nel mentre?
Tralasciai il fatto che era entrata nella mia testa con chissà quale macchina della telepatia. Decisamente improbabile.
Lei mi fa cenno di no.
-Ian- mi disdice -io non sono sopravvissuta.
-Quindi sei diventata un vampiro.- deduco.
Non dovevo guardare Twilight. Lo sapevo.
-No io sono... quello che resta di Rachel dopo che lei...
-che io- si corregge da sola -che io sono morta.
Ok, questo sogno sta sfuggendo al mio controllo da troppo tempo ed il mio subconscio ha troppa, troppa fantasia per una notte sola. Voglio svegliarmi.
-Tu sai che LUI era reale.
Le parole di Light fermano la mia ascesa verso la veglia. Mi lascio ricadere nel sogno con cautela, circospetto. Tutto questo è troppo strano.
-Ascoltami solo per dieci minuti, ok?- propone lei, con aria supplichevole -Se è tutto solo frutto della tua fantasia, non ti succederà niente giusto?
Annuisco.
-Amy ti ha mai raccontato di quando me ne sono andata?- chiede.
-No.- rispondo -Ha sempre preferito evitare l'argomento.
Lei prende un respiro profondo.
-Mio padre ed io saremmo dovuti andare a pescare sulla East Coast, avevamo anche già deciso il motel in cui dormire. Certo, sarebbe stato un viaggio lungo, ma a noi due piaceva passare il tempo insieme, e poi avevamo pianificato la vacanza da tempo.
-Lo vidi fermo sul ciglio della strada un attimo prima che l'auto si fermasse: non partiva più e sui cellulari si vedevano solo interferenze.
Una situazione molto simile a quella in cui ci eravamo trovati noi, eccetto per le interferenze.
-Uccise mio padre al calare della sera, davanti a me, e mi costrinse a guardare.
Rividi per un attimo la scena dell'uomo strangolato dalla lunga lingua nera del mostro. Possibile che stessi vedendo un suo ricordo?
Me l'ero immaginato. Me l'ero immaginato.
-Riuscii a barricarmi nella fabbrica e a sopravvivere alla notte. Uscii solo il giorno seguente.
Paura. I polmoni che bruciavano dopo una disperata fuga. Io lo sapevo già.
Basta!
-Il cielo si oscurò all'improvviso a causa di un temporale. Ora so che lo chiamò lui, perché il suo gioco è più divertente nell'ombra. Forse teme addirittura la luce. Questo lo devi ricordare, Ian, potrebbe salvarti la vita.
-Aspetta.- la interrompo -Vuoi dire che tornerà?
Rachel annuisce.
-E lo farà quando sei sveglio, non in un sogno. Cercherà di concludere il suo gioco nel mondo reale, adesso che non ci è riuscito entrando nella tua mente. E adesso che non lo tratteniamo più ha un disperato bisogno di riprendere la sua caccia.
Rachel non sembra sapere dove guardare. Fa scattare gli occhi a destra e a sinistra, con aria indecisa e spaventata.
-Quando mi ha messo in trappola nella fabbrica mi ha minacciata di fare la stessa cosa a mia sorella. E io non potevo permetterlo.- riprende Light -Sbarrai l'ingresso dell'edificio e usai la vecchia pistola di mio padre per farla finita velocemente.
Un altro rush di immagini mi tempesta il cervello.
Non la avrai. Non la avrai mai. Non ti lascerò mai uscire, a costo di marcire qui con te. È una promessa.
-Smettila!- grido, portandomi una mano alle tempie.
La pressione sparisce.
-Scusa.- dice -Quando mi... svegliai avevo appena premuto il grilletto, ed ero diventata così. Me lo ritrovai davanti subito, che mi osservava arrabbiato perché anche se io ero morta, non era riuscito a legare la mia anima a sé, come cerca di fare con tutte le sue vittime.
-E non potevi passare oltre o una cosa del genere?- domando, ancora scosso da quei ricordi non miei.
Lei scrolla le spalle -Sì, potevo. Ma avevo promesso a me stessa che avrei protetto Amy, e così sono rimasta, anche se esistevo in un piano della realtà diverso da quello dei vivi. Usai tutta la mia volontà per bloccare lo Slender da dove mi trovavo, ed i muri lo imprigionarono nel mondo fisico. E lì è rimasto finché il tuo amico non ha forzato una porta.
Sul suo viso ritornano le ombre.
-Non sono riuscita a trattenerlo. Il vincolo fisico era saltato, il sigillo era rotto.
Mi lascio cadere per terra. Avevo visto i suoi denti e le ferite di Phil, e non ero più così sicuro che fosse tutto solo finzione.
Un'altra pressione. Un ronzio. Una presenza. Qualcun altro tenta di entrare nel mio già sovraffollato sogno. Lo spazio si deforma e una figura scura compare di fianco a Rachel.
-Wow.- commenta, guardandosi intorno -Con lui è più facile del solito.
Un gemito di frustrazione mi sfugge dalle labbra. Chi è adesso?
Il ragazzo allampanato dai capelli neri lunghi fino alle spalle e sistemati in ciocche disordinate guarda il posto dove si trova con curiosità. Ha una giacca di pelle e dei pantaloni a zampa di elefante con i bordi bruciacchiati. La sua pelle è coperta di chiazze che sembrano create da della cenere.
-Piacere- si presenta, tendendomi una mano sporca di fuliggine -il mio nome è Christofer Riley.
Mi rialzo prima di stringere l'arto del nuovo arrivato.
-Ian Diswarden.- ricambio. Stranamente la mia mano non viene sporcata dall'abbondante strato di sporco su quella del giovane uomo.
-Christofer mi ha aiutata a bloccare lo Slender.- interviene Rachel -È stata la prima entità a schierarsi dalla mia parte, ed è tra le più potenti che...
-Adulatrice.- la schernisce l'altro -Lei è molto più forte di me. In realtà, seguivo quel mostro da tempo, anche se non ero tra le anime che lo servivano. Non appena ho sentito che era apparso qualcuno che potesse contrastarlo, ho colto la palla al balzo. Slender Man ha ancora una cosa che mi deve restituire.
-Quindi non sei da sola.- deduco -Hai altri che ti aiutano.
La ragazza annuisce. -Christofer è stato il primo, ma insieme siamo riusciti a salvare molte delle anime che erano legate a lui, ma che volevano ribellarsi. In questi anni lui si è indebolito mentre noi ci siamo rafforzati. Ma non possiamo ancora competere. È riuscito a volgere di nuovo al suo comando alcune delle anime che avevamo preso quando si è liberato, e noi siamo davvero potenti solo in quella fabbrica.
Mi sembrava di essere tornato a scuola prima del previsto. Eppure il volto di Rachel mi supplicava di imparare quello che lei stava dicendo, di crederle. Non avevo mai dovuto imparare nulla di così fondamentale per la mia vita.
-E comunque- ci richiama Christofer -anche se il ragazzino qui gli ha dato una bella botta quel coso si sta riprendendo. Sta cercando di entrare nei sogni dei suoi amici, e non riusciremo ad ostacolarlo per molto.
Christofer fa scattare la testa verso qualcosa che non posso vedere. Delle piccole fiamme cominciano a danzare sui suoi capelli e sulla punta delle sue dita.
-Devo andare!- esclama.
Il suo corpo esplode davanti a me. La carne viene consumata da fiamme che puzzano di benzina, fino a snudare le ossa, fino a lasciare solo uno scheletro avvolto da un rogo. Christofer scopare in un inferno di fiamme e la sua presenza esce dal mio sogno.
-È il suo aspetto da battaglia.- spiega Rachel -Lo Slender si sta riprendendo. Devo andare ad aiutare gli altri prima che lui possa entrare nella mente di mia sorella.
E immagino che gli altri non siano bravi come me a controllare la propria mente assopita.
-Se li sveglio lui non riuscirà a trovare un varco.- propongo -Da addormentati la mente è più aperta, più spezzata, mentre durante la veglia è più difesa.
È così in ogni libro fantasy. E in qualche sito internet da nerd che parla di esoterismo.
-Ottima idea.- approva lei -Noi cercheremo di darti il tempo di farlo, ma sii veloce.
Mi concentro per scalare il sogno fino al mio corpo abbandonato sulla brandina.
-E, Ian.- mi ferma Rachel, afferrandomi una mano.
Chiude gli occhi. -Siete sicuri?
Un breve silenzio. I suoi capelli rossi mandano riflessi accesi mentre annuisce.
-D'accordo allora.
Si avvicina la mano libera al petto e la sua mano comincia a rilucere debolmente. Guardando più attentamente vedo che la luce non proviene dalla sua mano, ma da qualcosa sopra ad essa. Tre piccoli punti luminosi che sembrano lucciole volteggiano tra le sue dita, intrecciandosi in strani archi fluorescenti.
-Vogliono restare con te.- mi dice -Sarà difficile per loro stare così vicini al loro vecchio padrone, ma sono molto coraggiosi. Ti saranno d'aiuto standoti vicino.
Mi apre scopre il palmo e vi appoggia le tre anime. Un immediato senso di calore mi si diffonde su per il braccio.
-Non sono sicuro di poter badare a loro.- mi preoccupo.
Adesso che sono con me le sento fragili, come bicchieri pronti a spezzarsi.
Rachel sorride. -Il solo fatto che dici questo significa che non sei del tutto negato.- abbassa lo sguardo sulle lucciole -Trattale bene.
Un ronzio di protesta si alza nella mia testa.
-Ehm... vogliono che tu sappia che sanno badare a loro stesse.- la informo, imbarazzato.
Light ride e diventa una lingua di fuoco. La lascio andare mentre ordino a me stesso di svegliarmi, e faccio implodere il sogno intorno a me.
 

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Capitolo 5
*** Quando l'incubo si sveglia ***




Capitolo 4


Quando l'incubo si sveglia


La prima cosa che penso quando mi sveglio è che quel sogno è stato decisamente fuori dal comune. Per un attimo ho persino creduto che fosse tutto vero.
Non mi è mai capitato di perdermi nel sonno come poco fa.
Mi metto a sedere, siccome la voglia di addormentarmi mi è passata completamente dopo quell'incubo. Tutti gli altri sono assopiti e nel camper sento solo il mio respiro, e uno strano senso di inquietudine alla bocca dello stomaco.
Era solo un sogno rifletto ma sembrava tutto così reale.
Forse bere un bicchiere d'acqua mi aiuterà, o almeno mi darà qualcosa da fare nei prossimi trenta secondi. Scendo silenziosamente dal mio giaciglio stando attento a non svegliare Richard, vicino a me, apro un'anta di un armadietto e vi tiro fuori una bottiglia d'acqua naturale. Me ne verso un bicchiere e me lo porto alle labbra.
Una debole luce dorata attira la mia attenzione. La mia mano destra, che stringe il bicchiere, mi formicola fastidiosamente, mentre sulle piccole onde del liquido un riflesso balena di nuovo. Sembra l'immagine frammentata di tre piccole lucciole.
Come quelle che Light mi ha messo nella mano destra.
Ingoio l'acqua in pochi sorsi. Che male può fare se li sveglio per un attimo? Posso inventarmi che ho fatto un brutto sogno, o che ho un brutto presentimento.
No. Dovrei tornare a dormire e attribuire tutto al mio stato emotivo. Ho appena perso uno dei miei migliori amici, per Dio, e non ho forse diritto a essere lasciato in pace?!
Sarebbe facile se il sogno fosse stato offuscato, o se Light non si fosse mostrata così reale, così indipendente dalla mia volontà. Ma l'angoscia non mi lascia. Io non confondo mai i sogni con la realtà. Mai.
Mi avvicino a Richard con passo leggero.
-Ehi.- lo chiamo a bassa voce -Ehi, Rich!
Gli sfioro una spalla delicatamente. Di norma questo è sufficiente a farlo balzare fuori dal letto pronto per i cento metri olimpici, ma stavolta non si muove.
Lo chiamo di nuovo. Niente. Eppure il suo petto si alza e si abbassa al ritmo del respiro. Però è un respiro affannoso, irregolare. La sua pelle si sta velocemente ricoprendo di sudore.
-Richard!- alzo la voce, incurante di poter svegliare gli altri. Sperando, anzi, che accada.
-È un sogno! Solo un sogno!- lo avverto -Concentrati! Spingilo fuori!
Il suo volto scatta nella direzione opposta alla mia mentre le pupille girano sotto le palpebre. Dov'è Light? Perché non è qui?
Dio no. Dio se esisti ti prego no. Non anche Richard. Ha già preso Phil, e io non voglio perdere anche Richard.
Non ti arrendere.
Era una voce piccola, tenue. Era stata una lucciola a parlare? Il mio mondo sta diventando troppo strano.
Asciugo la fronte del ragazzo iperattivo con la manica del pigiama e mi accorgo che scotta. Il suo aspetto mi fa presumere che non riuscirà a scappare da lui ancora per molto. Se voglio provare qualcosa, devo farlo adesso.
Gli appoggio le dita sulle tempie. Se Light riesce a entrare nei sogni, perché non dovrei poterlo fare anch'io?
Che ragionamento di merda.
Abbasso le palpebre. Visualizzo l'ambientazione tetra, il corpo di Richard che corre, e il vuoto che divide i nostri mondi. La mente del mio amico è lontana, chiusa. Mi lascio scorrere verso i suoi pensieri con una lentezza esasperante, e farlo mi risulta stranamente semplice. Devo solo pensare di avanzare attraverso le mie braccia fino a lui.
Sbatto contro un muro.
All'inizio penso che sia perché quello che sto cercando di fare è scientificamente impossibile, poi però mi accorgo che ci sono anche altri che premono contro la barriera intorno a Richard. Forse la mia è solo suggestione, ma la parola “suggestione” non può spiegare tutto quello che è accaduto nelle ultime dieci ore.
Spingo, spingo con tutte le mie forze per passare oltre quel vuoto, quella chiusura. Avanzo leggermente, e la barriera retrocede.
Richard! Chiamo ancora.
Il ragazzo sotto di me si muove. Mi avrà sentito? Si sta svegliando? Non abbandono l'assalto al muro. Lasciami passare maledetto!
La resistenza sparisce. La sensazione di cadere dentro ad un burrone mi fa quasi ritornare nella sicurezza della mia mente. Rotolare dentro un bosco di alberi contorti mi fa provare un disagio quasi fisico.
Un raggio di luce artificiale attira la mia attenzione. Richard corre verso di me con aria trafelata. Ha i capelli spettinati, il volto e la maglietta sudati e un'aria molto stanca. Mi vede anche lui, e quando lo fa sento una strana forza cercare di costringermi fuori dalla sua mente.
Lui compare a due metri da me. Le sue orbite vuote mi pietrificano, un senso di rabbia mi fa tremare. La mia essenza retrocede ancora e sento lo schiocco di un tentacolo.
Io l'ho bandito dal mio sogno, ora lui mi bandisce da quello di Richard.
Il calore delle fiamme mi fa rialzare la testa. La prima cosa che vedo sono le ossa di un piede, poi una tibia, e tutte infuocate.
-Qualunque cosa tu voglia fare- grida lo scheletro -falla ADESSO!
Christofer stringe tra le mani un lungo viticcio nero collegato all'uomo pallido. Del fumo gli esce dalle dita, ma non so se sia lui a bruciare lo Slender o il contrario. Cerco di evocare la luce che mi ha salvato la prima volta, ma riesco a farmi uscire dai palmi solo qualche scintilla. Dopotutto, questo non è il mio sogno.
Distruggere. Cancellare. Rimuovere. Concentro ogni processo logico di eliminazione che conosco nel sogno, che muta davanti a me. Ma io sono troppo lontano per usarlo.
-Richard!- urlo, lanciandogli il pensiero solidificato -Colpisci!
Il ragazzo afferra al volo l'oggetto che per un attimo riflette il bagliore della torcia. L'ombra alle spalle del mio amico si allunga, e assume una faccia bianca.
Richard conficca il coltello nell'uomo alto con uno strano suono di risucchio.
Mi copro le orecchie per proteggermi dall'urlo, ma il dolore non arriva. Mi azzardo a guardare di nuovo e vedo i resti di una giacca nera da cui si staccano piccoli frammenti scuri, che si rimpiccioliscono fino a scomparire. Il coltello da caccia è ancora a mezz'aria, infilato nel nulla.
Una mano fuligginosa mi aiuta ad alzarmi.
-Wow!- esclama Christofer, ora un uomo in carne ed ossa -Considerami un tuo fan! Nessuno è mai riuscito a fotterlo due volte di fila!
Potrei anche sorridere, se non fossi così agitato. E Richard è ancora più scosso di me, a giudicare dal tremolio delle sue gambe. Intorno a noi gli alberi stanno lentamente dissolvendosi, e sembrano come percorsi da cicatrici mentre il sogno diventa sempre più instabile. Il terreno si ricopre di chiazze di vuoto che si allargano a macchia d'olio e Christofer scompare, lasciandosi dietro solo una piccola nuvola di fumo, probabilmente solo per per scenografia.
-Ian, cosa succede?- mi chiede lo spaventato Richard.
-Non ti preoccupare- cerco di rassicurarlo -È solo un sogno e ti stai svegliando.
Gli occhi del ragazzo riacquistano lucidità di istante in istante, e la sua realtà immaginaria non serve più. Come se mi sfilassero un tappeto da sotto i piedi, crollo di nuovo nel mio corpo quando il mio appoggio scompare.
Sbatto le palpebre per rifocalizzare la mia visione. Traggo un sospiro di sollievo mentre gli occhi di Richard si aprono.
Per un istante mi guarda assonnato, l'istante dopo sbarra le palpebre e quello dopo ancora si mette a sedere di scatto, quasi tirandomi una testata.
-Tu!- esclama -Tu cosa ci facevi dentro la mia...
La sua domanda si blocca al suono di un gemito femminile.
Impreco e mi lancio verso la cuccetta delle ragazze. La bottiglia d'acqua cade per terra e quasi mi fa inciampare. Mi arrampico nonostante l'ostacolo sui sedili posteriori del camper per raggiungere il letto sopraelevato.
La mano di Amy si contrae in uno spasmo. Ha gettato via la coperta e la sua camicia è zuppa di sudore. Di fianco a lei Karen è nelle stesse condizioni. Una ciocca di capelli castano chiari le cade sulle labbra e viene sollevata dal suo respiro affannoso.
Chi devo aiutare per prima? Chi ha più bisogno di me? E se non potessi salvarle tutt'e due e dovessi scegliere?
Richard mi arriva vicino e scuote la ragazza rossa, che però non reagisce. Prova a chiamarle, ma non ottiene risultato. Sapevo già da prima che in questo modo non otterrà nessun risultato.
Perché non le ho svegliate prima?
Non posso permettermi dei rimorsi. Sfioro la fronte di Amy e mi immergo.
Mi è difficile rifarlo, soprattutto con Richard che sbraita vicino a me. La mia mente resta saldamente ancorata dietro le sue mura, rifiutandosi di staccarsi. Cerco un ponte, una strada che attraversi il vuoto tra di noi, ma non c'è niente.
-Ian- m'interrompe Richard -noi non...
-STA' ZITTO!- urlo.
Un momento di prezioso, agognato silenzio. Appoggio la mia fronte su quella febbricitante di Amy. Raggiungila. Raggiungila. Raggiungila.
Lo scontro è la prima cosa che vedo. Come onde che si infrangono sugli scogli, decine e decine di luci attaccano i margini del sogno della ragazza, venendo ogni volta respinte. Non mi ci vuole molto a trovare Light, alla testa di tutti. Il suo spirito lambisce quello della sorella, senza riuscire a toccarla.
Raggiungo la barriera, simile a quella che ha avvolto Richard durante il suo incubo. Cerco di romperla assieme alle luci, poi di far passare attraverso anche solo una piccola parte di me. Il muro nero stavolta però non si fa da parte, ed io mi ritrovo a girarci intorno, senza trovare un'apertura.
La vuole sento la voce di Rachel La vuole disperatamente. È colpa mia: gli ho impedito di prenderla per troppo tempo.
Percepisco la volontà che stringe la mente di Amy, percepisco il suo desiderio perverso come fosse mio. Come facciamo a combattere contro una forza del genere?
La paura della diciassettenne traspira oltre quel blocco come aria malsana. E si mischia a quella di Rachel. Voglio disperatamente aiutarla. Ma lei. È troppo. Lontana.
Non avere paura, Amy, ci sono qui io. C'è anche Richard, e Rachel, siamo tutti qui. Ho conosciuto tua sorella, e forse capisco perché tenevi a lei, anche se è non la si può definire meno che eccentrica. Però ti vuole bene, e te ne voglio anch'io. Non riesco a pensare a come sarebbe stare senza di te che arrossisci ogni tre secondi, o che corri ad accarezzare ogni animale nel raggio di chilometri.
Ehi, hai imparato che le puzzole non si lasciano avvicinare? Spero che tu non voglia ripetere la scena di quando avevi dieci anni. Ma non importa. Non importa. Adesso devi svegliarti.
Svegliati.
-Perché piangi?
Mi raddrizzo e vedo Amy guardarmi in un misto tra l'assonnato e ed il sorpreso. Karen si mette a sedere lentamente tirandosi la coperta fino al collo. Capisco indistintamente di avere gli occhi umidi, poi la mia vista si annebbia e le gambe mi cedono.
Qualcosa mi impedisce di cadere per terra, ma il suo sostegno non può impedirmi di cadere nell'incoscienza.


-Come ti chiami?- chiede la bambina.
I capelli biondi leggermente mossi le cadono fin sotto le scapole, e dove finiscono comincia il suo vestitino bianco ornato con un motivo floreale. Ha un aspetto vecchio. Non voglio dire che è usato, ma che sembra uscito da una vecchia fotografia in bianco e nero.
Mi metto a sedere e le sorrido. Questo sogno è cominciato con me sdraiato.
-Ian Diswarden.- rispondo, cercando di apparire educato -E lei, signorina?
Ha le iridi di un colore strano: un bianco che quasi si confonde con il resto del bulbo oculare.
-Margaret Andrews.- m'informa con un piccolo inchino.
Adesso che sono seduto i nostri volti sono alla stessa altezza. Avverto altre due presenze vicine, ma che si tengono lontane dalla conversazione, come se fossero spaventate.
-Sei stato bravo a salvare i tuoi amici, oggi.- si complimenta -Non ti arrendere.
Per un attimo penso che abbia degli stranissimi occhi.
E l'attimo dopo non sono più lì. Il posto è buio, ma la melodia nella mia testa è così rilassante che potrei ascoltarla per ore. Le immagini si sovrappongono a quelle del mio sogno, facendomi sentire come se mi sdoppiassi. Da quanto tempo la ascolto? Non lo so. È cominciata con quel signore, e poi ho perso la cognizione del tempo. È da tanto che il mio pancino non lamenta più la fame. La musica ha portato via anche quella.
Facciamo un gioco insieme.
La voce è tranquillizzante come sempre. Riconosco la voce, anche se adesso ha un'intonazione più suadente ed al mio corpo viene la pelle d'oca. Non ho paura.
Facciamo una caccia al tesoro.
Il suo grande volto bianco e davanti al mio. Vorrei ridere, perché mi piacciono i giochi, ma mi sento troppo sonnolenta per farlo. Le braccia mi vengono costrette sui fianchi con gentilezza e le sue dita mi sfiorano il viso. Con cosa mi ha preso le braccia se non con le sue mani?
Facciamo una caccia al tesoro al buio.
Unghie affilate mi solleticano la fronte. Una scende fino al sopracciglio, mi fa chiudere la palpebra, e mi graffia la pelle.
Cerca quello che ti tolgo.
La voce non è più dolce, né gentile. Muovo debolmente le gambe ma le scopro bloccate. Il dolore sulla palpebra aumenta, fino a farmi gemere.
Una fitta lancinante minaccia di farmi piegare in avanti. Cerco di sottrarmi, di scappare, ma non riesco a muovermi. Con l'occhio aperto vedo una mano pallida muoversi e la un bastone arroventato m'infiamma il volto. Urlo, urlo senza pudore. La vista mi si offusca mentre vedo la pelle esangue dell'uomo colorarsi di rosso.
L'uomo tira indietro l'arto con uno strattone, ma il fuoco continua a bruciarmi. Sto per svenire.
Non abbiamo ancora finito.
Le dita cremisi mi coprono l'unico occhio che riesce ancora a vedere. Sento un liquido caldo scorrermi lungo la guancia e cadere sul collo. Il suo artiglio si avvicina e poi scompare quando il nero inghiotte tutto, e un altro pozzo rovente mi si apre sulla faccia.
Il mio sostegno viene a mancare e crollo per terra, che sento irrealmente umida. Grido di nuovo, ma con meno forza ora.
Cerca. Cerca i tuoi occhi.
Un giramento di testa mi fa sdraiare. Il dolore per fortuna sta sparendo, ma non so se sia normale che non senta più le gambe. Sento freddo, e il calore del sangue sulla testa è piacevole. Di colpo ho un gran sonno. Tanto tanto sonno.
S'interrompe come se il proiettore di un cinema fosse improvvisamente stato spento, e io mi ritrovo da solo con Margaret, ansante.
-Perdonami.- si scusa lei -Non è una cosa che riusciamo sempre controllare.
Ordino al mio io del sogno di ricomporsi e l'affaticamento scompare. Lei è come Rachel, anche lei non è viva.
-Sei una delle lucciole, vero?- chiedo.
Poco fa ha detto “Non ti arrendere”, la stessa cosa che ho sentito quando Richard era prigioniero del suo incubo.
La bambina annuisce. Quanti anni potrà avere avuto quando è morta? Non più di sei, se aveva il corpo con cui si mostra ora. A eccezione degli occhi, ovviamente.
Mi sento a secco di parole, come se fossero fuggite tutte per lasciare posto alla visione. Rimango a fissare la bambina, che mi sorride divertita e poi mi tende le mani per aiutarmi ad alzarmi. Le afferro ma non vi appoggio il mio peso, o finiremo per cadere a terra entrambi. Quando mi metto in piedi mi accorgo di essere vestito da giorno e di non indossare il pigiama, cosa che mi avrebbe alquanto imbarazzato.
-Dove sono le altre due luci?
È la prima frase che mi è venuta in mente.
-Sono timidi. Non parlano con qualcuno di nuovo da tanto tempo.- mi spiega Margaret -Preferiscono limitarsi ad osservare. Ma io... spero che avremo il tempo di conoscerci.
Speri che io non muoia prima.
-Potrei tornare da voi da fantasma. Sarebbe un'anima in più contro di lui.
È una magra consolazione, ma voglio aver qualcosa a cui aggrapparmi nel caso nei prossimi minuti mi rendessi conto che non abbiamo speranza.
-Non è così semplice.- mi contraddice.
-Durante il suo gioco lui ti si stringe attorno, ti scivola sotto la pelle come il freddo d'inverno. E continua finché non riesci a pensare ad altro che a lui. Anche se cerchi di scappare, è tutto sempre per lui.
-E quando ti prende è come una liberazione.
Le ultime parole non le ha pronunciate Margaret, ma una donna dai lunghi capelli scuri e lisci dietro di lei. I suoi contorni sono sfumati, indefiniti. Apre la bocca e parla ancora.
-Ti solleva dall'obbligo di correre, di avere paura. È carnefice e salvatore insieme. Ma quando ti svegli dopo che ha finito con te non c'è più nulla nel tuo mondo che non sia lui. Non puoi fare altro...
Un uomo brizzolato e con il volto percorso da piccole rughe appare di fianco a lei. Dicono le ultime parole insieme.
-...che seguirlo.
Scompaiono così come sono arrivati: in silenzio.
-Rachel si è salvata perché ha premuto il grilletto per impedirsi di rivelare dove fosse sua sorella, non per far cessare la caccia.- racconta Margaret -Lei e Christofer sono riusciti a salvare alcuni di noi mentre Slender era imprigionato. La maggior parte ha scelto di aiutarla, pochi se ne sono andati.
-Sono tornati da lui?- indago.
Lei scuote la testa.
-Se ne sono andati e basta. Hanno lasciato questo mondo.
Faccio apparire una sedia e mi ci appoggio. Adesso coinvolgiamo anche il paradiso.
-La teologia non è mai stata il mio forte.- commento, amaramente.
-Devi cercare le otto pagine.- continua lei -È l'unica vera cosa che pensiamo vi possa salvare.
-Pagine?- il foglio che ho trovato nella fabbrica compare davanti alla bambina -Come questa?
Margaret si ritrae e rabbrividisce alla vista del disegno. La sua immagine diventa grigiastra per qualche secondo, poi sembra come riprendersi. Annuisce.
Non credo sia in grado di affrontarlo: ne è troppo spaventata. Capisco perché Rachel era preoccupata quando mi ha affidato quelle tre anime.
-E poi?- domando.
Lei scuote la testa -Nessuno lo sa.
-Non ti mentirò, Ian- seguita a parlare -ci sono persone che hanno trovato le otto pagine e sono state prese comunque. Noi sappiamo solo che un tarlo nella nostra testa ci ha detto di farlo quando è toccato a noi, e che lui cerca di impedircelo.
Impreco, dimenticandomi che c'è una bambina davanti a me. Praticamente però mi sta dicendo che non c'è modo di uscire dalla merda in cui siamo immersi fino alla gola, che siamo fottuti. Ma non ho altro che non siano le sue parole.
Sento di starmi svegliando. Il sogno si sta allontanando sempre di più.
-Cercherò di non farlo avvicinare di nuovo a voi.- prometto -Non voglio che vi faccia del male.
-Ricordati che noi siamo già morti- mi contraddice, ma la sua voce diventa sempre più distante -Se devi, chiamaci. E attenzione alle interferenze!
-Cosa?
Non fa in tempo a rispondermi. La sua immagine scompare e io ritorno cosciente.
 

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Capitolo 6
*** Prede ***




Capitolo 5


Prede


Sbatto le palpebre e muovo gli occhi mentre il mondo ritorna a fuoco.
-Ehi, si sta svegliando.
La voce di Richard è distinta e reale. È bello udire delle parole con le orecchie e senza quello strano sesto senso mentale che interviene ogni volta che compare un fantasma.
Mi metto a sedere. O almeno ci provo. Vengo spinto nuovamente supino prima di essermi alzato di dieci gradi.
-Resta sdraiato.- mi ordina Amy.
Giro la testa. Le due ragazze sono ancora in pigiama, invece Richard è già vestito, probabilmente perché odia restare in abito da notte quando è sveglio. È un bene, siccome temo che tra poco dovremmo uscire dal camper e cominciare a correre.
-Come ti senti?- Amy interrompe i miei pensieri.
-Come se fossi passato sotto un tir.- ribatto -Ma mi preme di più sapere come state voi.
Lei scrolla le spalle.
-Ho solo avuto un incubo.- minimizza -C'era anche mia sorella, e... Non importa. Tu oggi hai avuto una crisi e due svenimenti: la tua condizione è più preoccupante della mia. Vuoi provare ad alzarti?
-E adesso facciamo a gara a chi si prende cura di chi?- sorrido. Lei scuote la testa e distoglie lo sguardo.
Richard mi lancia un'occhiata d'intesa e continua a guardare imperterrito fuori dal finestrino. Noto che c'è un coltello da cucina appoggiato sul fornello, a pochi centimetri dalla sua mano destra.
-Dobbiamo cambiarci.- esordisco -Metterci qualcosa di comodo e infilarci le scarpe. Noi...
-Frena, Ian, frena. Sei appena stato male, ricordi?- mi blocca Amy.
-Ho sentito qualcuno muoversi fuori.- mento, apparendo sinceramente spaventato. Non che debba impegnarmi.
Chissà se ricorda qualcosa di più sul suo sogno. O se ha capito che non era solo un incubo. Karen si stringe una spalla e si guarda intorno preoccupata. Amy solleva un sopracciglio.
-Allora il posto più sicuro è qui dentro.- obietta, calma.
Rachel mi ha avvertito: i muri fisici non bastano a fermarlo.
-L'ho visto anch'io.- mi regge il gioco il ragazzo iperattivo -Era grosso e mi sembrava che avesse un piede di porco. La porta non reggerà.
Posso quasi vedere sulla fronte di Richard la scritta: dopo facciamo i conti.
Amy sospira e fa un cenno d'assenso. Pesca dei vestiti dall'armadio e si sposta nel piccolo bagno per cambiarsi. Quando chiude la porta Richard stringe il coltello e mi lancia un'occhiata interrogativa. Scuoto piano la testa e lui riappoggia la lama.
-Però prendi le torce.- sussurro.
In dieci minuti siamo tutti pronti. Ho infilato in uno zaino qualche bottiglietta d'acqua, batterie di riserva e un accendino nel caso finissero tutte, più del pane e un vasetto di burro di arachidi. Questa crema è talmente calorica che una confezione di medie dimensioni potrebbe bastarti per un giorno e mezzo.
-La peggior vacanza di sempre.- si lamenta l'altro ragazzo.
Già. È il mese di luglio e noi stavamo andando al mare. Siamo una fottutissima comitiva di amici che sta andando sulla East Coast, euforica perché per la prima volta non ci saranno parenti a seguirci come ombre.
I miei non sono mai stati molto protettivi finché non mi è stata diagnosticata la schizofrenia, e finché non gli è stato detto che ero malato probabilmente a causa di un'inopportuna situazione famigliare. Poi è stato tutto diverso. Gli psicofarmaci hanno reso annebbiato quel periodo della mia vita. Ricordo solo qualche sprazzo delle urla.
Sono stato io la causa della separazione dei miei.
È stato al divorzio che ho cominciato a prendere solo poche delle medicine che i dottori mi prescrivevano. Avevo l'assurda convinzione che fosse tutto colpa di quegli psichiatri che avevano roso il nostro legame, il nostro rapporto, mentre invece la responsabilità era mia. Non serve a niente dirmi che è stato involontario: il sangue della vittima è sulle mie mani.
Guardo l'orologio. Sono le 00. 23. mancano circa cinque ore all'alba, ma magari dato che siamo in estate il sole sorgerà prima. Se riusciamo a resistere fino al giorno abbiamo una possibilità. Col sole alto potremmo andarcene via a piedi. Rachel mi ha detto che non esce mai alla luce.
Apro un cassetto e tiro fuori il foglio che ho trovato nella fabbrica. Questo è importante, molto. Se la caccia cominciasse noi dovremmo trovare le altre sette e poi... Nessuno lo sa. Nessuno è mai riuscito a capire cosa fare dopo.
Afferro il telefono pregando che adesso ci sia campo. Le mie preghiere finiscono nel vuoto.
Poi la cornetta emette un suono. Per un attimo credo nel miracolo. L'attimo successivo mi accorgo che il suono è gracchiante, rauco. Le braccia mi fanno male da tanto le stringo sui fianchi. L'immagine sul display diventa confusa.
Interferenza.
Sbircio fuori dal finestrino che da sul lato destro del camper. Una strana coltre di freddo mi avvolge mentre mi avvicino. Il sangue mi defluisce dal volto e sento i freddi artigli della notte ghermirmi per trascinarmi nel nero buco dell'inferno. Adesso l'incubo è sveglio.
Sento la spalla di Richard sfiorare la mia. Il ragazzo accende la sua torcia e la punta all'esterno, nel buio. Il raggio di luce colpisce solo il terreno ed il ramo di un albero.
Comincio a rabbrividire.
-Non giratevi.- mormoro.
So da dove arrivano le ondate di gelo. Il desiderio di urlare viene represso da una scarica di terrore.
-Fuori.- ordino -Fuori fuori! FUORI!
Afferro un braccio di Amy e la costringo ad uscire dalla porta senza guardare l'oblò dietro di noi. Il mondo mi vortica attorno e io oscillo. Riesco a malapena a tenermi in piedi mentre trascino via la ragazza.
Richard ci guarda, poi fa dietrofront.
-Grent!- chiamo.
-Karen è ancora dentro!- protesta.
Mi volto. Lunghi capelli castani mi nascondono il viso della ragazza, che mi da le spalle, immobile sulla porta.
Richard le afferra la maglietta e tira. Il corpo si sbilancia e cade tra le braccia del ragazzo. Lui la guida per un breve tratto prima di fermarsi. E adesso? Slender si avvicina, lo sento troppo bene.
Grent strappa qualcosa dalla parete del camper con un suono cartaceo.
Siamo a due.
Ci lanciamo nella direzione opposta a quella dell'uomo senza volto, cioè nel bosco davanti a noi. Questo non è un sogno. Non posso far scomparire i rami che mi graffiano le braccia con un pensiero. Soffro la fatica.
Dopo due minuti a quel ritmo ci fermiamo. La sensazione di quella presenza è sparita. Controllo il telefono. Niente campo, ma niente interferenze.
Amy mi stringe la manica e mi costringe con la forza a girarmi verso di lei.
-Adesso- esordisce -tu mi dici perché stiamo facendo questo.
Inspiro -Hai visto anche tu...
-No, Ian!- m'interrompe, alzando la voce -Tutto quello che ho visto sono state le tue mani che mi tappavano gli occhi e che mi spingevano fuori dalla porta!
Di solito è una persona calma, timida. Non è da lei comportarsi così.
-È il tipo che hai sognato.- spiego -Lui...
-Era un sogno!- mi sbatte in faccia.
La violenza nella sua voce mi ammutolisce.
Richard si avvicina a noi con una lentezza insolita per lui. Porge ad Amy il foglio che ha raccolto, e mentre lo fa lo vedo anch'io.
Ti guarda sempre, ma non ha occhi.
L'altra allontana la carta con un gesto rabbioso.
-Ho smesso di credere all'uomo nero ben prima di compiere dieci anni.- ringhia.
-Anch'io.- dice Richard -Ma non posso negare l'evidenza.
-Evidenza che nessuno di noi ha visto.
-Sfortunatamente una lo ha fatto.-replico, voltandomi verso Karen.
La ragazza si stringe le braccia al petto, come se avesse freddo, nonostante in questo clima ci saranno sedici gradi. Fissa me, Richard, Amy, e poi la pagina. Quando i suoi occhi si posano sul volto senza tratti ha un sussulto, e si stringe la spalla destra fino a farsi sbiancare le nocche.
-Karen- comincia Amy
-N-Non la-lasciare che t-ti prenda.- balbetta l'altra -Corri...Corri...Corri...
Sgrana gli occhi e lancia un urlo. Un brivido mi percorre la colonna vertebrale.
-Corri!
Amy si gira nella direzione in cui sta guardando Karen prima che io riesca a fermarla. Si immobilizza con le pupille dilatate. Il cranio scosso dai suoi artigli mentali.
Io afferro Amy mentre Richard mi imita con Karen. Le spingiamo per qualche passo prima che comincino a muoversi da sole. La sensazione di essere seguito non mi abbandona, anzi, si trasforma in un lungo rovo gelido che mi stringe lo stomaco.
Il mondo sparisce. Incespico e mi fermo. È normale che veda dei puntini luminosi?
A sinistra.
Un dolore sordo alla guancia mi riporta alla realtà. La mia testa ruota sotto la forza dell'impatto e il volto mi pulsa là dove sono stato colpito. Davanti a me Amy ha ancora il braccio piegato dopo avermi tirato quello schiaffo.
-Grazie. Ne avevo bisogno.- faccio -Dobbiamo andare di qua.
Giro a sinistra e continuo a scappare. Gli altri mi seguono, probabilmente troppo presi dalla foga per fare domande. Mentre lui è ancora sulle nostre tracce.
I raggi di luce delle due torce oscillano, illuminando varie zone, ma solo per brevi istanti. Se Margaret mi ha mandato qui, ci deve essere una pagina, solo che io non riesco a vederla.
Mi fermo per ascoltare le mie sensazioni. È come se fossi ad un passo dal traguardo senza riuscire a varcarlo. Nulla mi aiuta nel determinare la posizione precisa del mio obiettivo.
-Là.- avverte Karen.
Mi guardo intorno per anticipare l'arrivo di Slender, però mi accorgo che la giovane sta puntando un dito verso l'alto. Seguo la sua indicazione. Infilzata su un ramo, a circa tre metri d'altezza, c'è una pagina.
Richard prende la rincorsa e salta. Il suo braccio si tende ma arriva una spanna troppo in basso. Una nuova ondata di freddo mi investe.
-Dobbiamo sbrigarci.- insisto.
Non ci sono sull'albero rami bassi abbastanza resistenti da sostenere il peso di una persona. O meglio, ce n'era uno, che ora giace spezzato sulle radici. Le foglie sono ancora verdi: è stato strappato di recente.
Ai margini del mio campo visivo i contorni diventano sfocati. Sta arrivando. Sento già i passi.
-Grent, sollevami.- ordina Amy.
-Eh?
La mia visione è ora cerchiata di nero.
-Fammi salire sulle tue spalle!- spiega, concitata.
Richard appoggia la schiena al tronco e congiunge le mani davanti a sé per creare una specie di appiglio. La ragazza infila un piede nella “staffa” e si solleva. La aiuto a tenersi in equilibrio, anche se le orecchie mi fischiano dolorosamente.
Ti prego fai presto.
-Ce l'ho!
Io e Richard quasi la buttiamo a terra nel tentativo di riprendere a muoverci, perciò Amy è costretta a lasciarsi cadere per l'ultimo mezzo metro. Lui è troppo vicino. A cinque metri. Amy si rialza. A quattro metri.
-Karen, sbrigati!- la avviso, mentre noi tre ci spingiamo l'un l'altro lontano dagli aghi ustionanti conficcati nella nostra fronte.
Giro la testa il meno possibile per controllare che la piccola autistica ci stia seguendo. Ovviamente non è così. Credo che me lo aspettassi, che sapessi che avremmo perso qualcun altro. Mi preparo ad andare avanti, a continuare a correre.
Ci voltiamo insieme.
Non riesco a scorgere la sua figura perché ogni volta che ci provo la vista mi si oscura a tratti. Un lampo bianco. Velluto nero. Piegato in avanti e con la testa inclinata davanti a Karen. Una mano che sembra un artiglio le sta quasi sfiorando i capelli, o afferrando il capo.
Sento come se qualcosa mi venisse strappato, nonostante non sappia di preciso di cosa potrebbe trattarsi. Slender e Karen sono fermi, a scrutarsi con sguardi di reciproca curiosità. Non credo che la ragazza provi paura.
Finché non riesci a pensare ad altro che a lui.
Il suono di un urto, ed un sasso colpisce la tempia calva dell'uomo. Il suo viso si gira di scatto verso un punto dietro di me. Potrà essere invulnerabile alla solida roccia, ma non alla beffa.
-Ehi, stronzo!- grida Richard, con voce appena indebolita dalla nausea -Avanti, prova a prendermi!
Karen esce dal suo trance e balza all'indietro. Non faccio in tempo a vederla allontanarsi più di tanto a causa della nebbia che mi avvolge la vista. Solo lui è ancora definito, come una figura messa con Photoshop su uno sfondo dai pixel sgranati. Un'inquietante melodia mi pervade il cervello prima che riesca a distogliere lo sguardo.
Bella partita.
Il mondo si schiarisce e la musica scompare. Lui sparisce davanti ai miei occhi, in un battito di ciglia. L'attimo prima c'era e quello dopo non c'è più. Il mio petto si solleva mentre l'aria mi ritorna nei polmoni ed un calore rassicurante mi si diffonde tra le costole. Le lucciole sono tornate, tirate da un elastico invisibile. Non mi sono accorto di averle perse finché non le ho ritrovate, così come non mi sono accorto di averle mai avute finché non le ho perse. Deve avermi impedito lui di restare in contatto con Margaret.
State bene? Chiedo, all'indirizzo del tepore.
Un muto assenso mi sfiora la mente.
E tu? Ricambiano.
Sopravvivrò. L'importante è che non vi abbia ripreso.
Non ci può semplicemente riprendere sorride benevolmente siamo noi che dovremmo andare da lui. Ma questo non succederà mai più.
Il suo umore si fa scuro.
Ci dispiace non essere d'aiuto come vorremmo.
State già facendo molto. Le ringrazio. Non avremmo mai trovato quella pagina senza di voi.
Un lampo di gioia mi arriva dalla luce.
-Se n'è andato.- sospira Amy, lasciandosi cadere sul terreno -Perché?
-Vuole che il suo gioco duri più a lungo.- rispondo -Trae forza dalla nostra paura, dall'eccitazione della caccia.
Gli sguardi di tutti si voltano verso di me.
-Non so se sia un bene o un male che tu lo capisca in una maniera così profonda.- commenta Richard -Ma se cominci anche a predire anche dove apparirà quel coso, faccelo sapere, ok?
Annuisco. Amy si porta vicino a Karen e le chiede se sta bene. Lei risponde con un cenno d'assenso, ma è evidente che è molto scossa, così tiro fuori dallo zaino una bottiglietta d'acqua e gliela porgo. Lei beve qualche sorso avidamente, poi mi restituisce la bottiglia. Sta velocemente riprendendo colore sulle gote, e non posso che sentirmi sollevato. Sinceramente, non ho idea di cosa farei se uno di noi non fosse più in grado di muoversi.
Ho anche paura di ammettere a me stesso di saperlo.
Amy si scosta i rossi capelli ricci dalla fronte e si alza per sventolare la pagina.
-Chi la tiene?- domanda.
Sul bianco immacolato della carta linee scure, come disegnate col carbone, delineano la figura di un omino stilizzato, di fianco ad un albero alto quanto lui. I tratti sono stati rifatti molte volte, in preda ad un terrore folle. A lato della pagina lettere scarabocchiate compongono la parola:
Insegue.
-E meglio che ognuno ne tenga un po'.- propone il ragazzo iperattivo -Così, se qualcuno di noi... non ce la facesse, ci sarebbero meno pagine disperse. Se venisse preso quello che porta tutti i fogli dovremmo rincominciare tutto daccapo.
-Ha ragione.- lo sostengo -Tienila tu, Amy.
Lei piega la carta e se la mette in tasca. Avrei potuto giurare che la pagina fosse stata infilzata sul ramo, ma non c'è alcuno strappo o buco su di essa, e di sicuro la cellulosa non guarisce alla velocità di Dracula.
-Meglio che riprendiamo a muoverci.- ci sprona Amy, rialzandosi e spolverandosi i pantaloni -Non sappiamo per quanto tempo quel coso starà via.
-Da che parte?- chiede Richard, spostando la sua attenzione dai dintorni alla mia faccia.
Senza che me ne accorgessi gli sguardi si sono ripuntati su di me.
-Allora?- insiste Richard.
-Cosa ti fa pensare che lo sappia?- ribatto, leggermente sorpreso.
-Ian,- interviene la ragazza rossa -ci hai guidati tu qui. Ci hai guidati da quando è apparso quel tipo.
Tutto merito di Rachel, ma ho paura che se glielo dicessi mi prenderebbe per pazzo o per un sadico che risveglia i suoi vecchi fantasmi.
-Un secondo.- guadagno tempo.
Mi giro e chiudo gli occhi.
Margaret.
Cerco il tepore all'interno del mio petto, la luce di piccoli insetti.
Margaret.
La sensazione di calore è svanita non appena ho smesso di farci caso. Devo andare più a fondo, o forse devo solo rilassarmi.
Margaret.
Ci sono, Ian. Sei tu che non senti le mie risposte.
Le presenze sono arrivate di botto. Credo che si stiano sforzando per parlarmi, non sono sulla loro stessa lunghezza d'onda.
Ho bisogno di sapere come arrivare alla prossima pagina. Spiego in fretta.
Davanti a te. Continua a camminare, e noi cercheremo di darti un segnale quando sarai vicino. Mi risponde.
La sua presenza è un poco più definita, adesso. Sto diventando bravo, o completamente fuori.
Quanto è distante?
La bambina emette un pensiero di disagio.
Non sappiamo definire le lunghezze materiali, noi non le vediamo, non sempre almeno. Non dovrai correre tutta la notte.
Un'altra voce femminile si aggiunge alla conversazione.
Le pagine irradiano un'aura simile alla sua. Cercale così.
Erano la cosa più vicina a degli angeli custodi che avessi mai conosciuto. Avrebbero dovuto avere ali ed aureola, altro che l'aspetto di un invertebrato. Però le lucciole erano animali bellissimi.
-In marcia.- annuncio, mettendomi in moto.
Optai per un ritmo sostenuto che non mi stancasse troppo nel caso dovessimo cominciare a correre a rotta di collo.
-Stai diventando sempre più strano.- borbotta Richard, seguendomi.
Mi volto per un istante. Prima che Amy riesca a guardare in basso, a nascondere il viso sotto la frangetta, colgo una cosa nei suoi occhi. Paura. Ma non dell'ignoto. Non di quell'uomo senza volto.
Di me.
Siamo finiti se cominciamo a separarci, se cominciamo a dubitare l'uno dell'altro. Lui ci prenderà uno per volta, si rafforzerà con la nostra solitudine, si nutrirà della nostra paura come fosse nero miele. Se è capace di indebolire i nostri legami e noi glielo permettiamo, non avremo possibilità.
Ma soprattutto non mi capacito di come Amy possa odiarmi.
Per la prima volta nella mia vita, sento il reale desiderio di uccidere. Vorrei legare Slender a un palo, cospargerlo di benzina e dagli fuoco, per poi guardarlo ardere.
Finché non riesci a pensare ad altro che a lui.
Cammino per cinque minuti buoni prima che riesca a spicciare parola.
-Amy...- non so come continuare.
-Si?- risponde.
Un ondata di ombra mi imbratta, mi colpisce, mi trascina.
-Correte!- urlo.
Le vene sul mio collo pulsano al battito accelerato del cuore. Allungo la falcata. È difficile non travolgerci a vicenda: siamo vicini e la foresta concede l'esistenza solo di un piccolo sentiero. I passi di una persona che cammina mi risuonano con innaturale violenza dietro la nuca.
Non dovrebbe riuscire a starci dietro. Dovrebbe correre per farlo. Eppure il suono non muta né di frequenza né di volume.
Le lucciole si fanno lontane mentre il loro tepore svanisce, sostituito dal gelido timore che irradia la sua presenza. Cerco di trattenerle, di farmi confortare dalla loro luce.
Margaret. Chiamo.
La risposta mi giunge debole ed inarticolata.
Margaret!
Provo a raggiungerle, ma a fuga mi deconcentra. Chiudo gli occhi.
La sensazione di vuoto della caduta mi coglie di sorpresa. Sento come se mi stesse per uscire il sangue dal naso. Le orecchie mi fischiano.
Qualcuno che mi tira per la maglia ammortizza l'impatto.
-Muoviti- mi sprona Amy.
Mi rialzo nonostante il dolore al ginocchio destro. Le lucciole sono scomparse, fagocitate dall'oscurità, il cui buco nero è troppo vicino perché non mi senta risucchiato al suo interno. Il braccio di Amy mi sostiene. Continuo a correre.
Un'altra fonte di freddo compare davanti a noi. Ce ne sono due, adesso, anche se una è più piccola. L'ho sentita solo quando mi sono avvicinato.
Strappo la pagina dalla corteccia.
Quattro.
La presenza più forte scompare, lasciandosi dietro a mo' di strascico un leggero brivido proveniente dalla pagina.
Stavolta sono io ad abbandonarmi sul terreno umido, col fiatone. Il ginocchio mi pulsa, così avvolgo la gamba destra dei pantaloni per guardare la ferita. C'è solo una spelatura, ma il livido che non sta tardando a formarsi deve essere la principale causa del dolore.
Alzo il pezzo di carta.
-L'ho preso.- annuncio -Siamo a metà.
Il disegno è strano. La frase scritta manca del soggetto. “Non riuscire a correre.” in effetti nono l'ho mai visto muovere un passo qualsiasi. Ha sempre usato una strana forma di teletrasporto, ma non ha mai corso.
Potrebbe anche voler dire che tra poco saremo noi quelli che non riusciranno più a scappare.
Infilo la pagina nello zaino. Secondo quello che abbiamo deciso prima, dovrei darla a Karen, ma ho paura che non riesca a custodirla come si deve. È stata presa quasi due volte.
-Ian- mi chiama Amy -sei sicuro di stare bene?
Mostro il ginocchio.
-Tranquilla, non sto per morire dissanguato.- la rassicuro -E non perderò nemmeno una gamba.
Il suo sguardo è preoccupato.
-Da quanto tempo non prendi le tue medicine?
Il mio tono rassicurante mi muore nella trachea.
La sua preoccupazione è questa? Che io sia pazzo? Un mostro ci sta inseguendo da tutta la notte e lei si chiede se sia davvero una buona idea continuare a darmi retta? La mia mano si stringe sulle due pagine nello zaino.
-Ieri pomeriggio.- rispondo, atono.
-Le hai con te?
Taccio.
-Ian?
-No.
Lei sospira. Sì, Amy, il generale Follia sta sfondando le porte della mia mente ed a breve comincerò a dare i numeri, fino a fracassarmi la fronte con una pietra.
-Forse dovremmo tornare indietro a prenderle.- suggerisce.
-No.- ribatto, duro -È troppo distante, ed è inutile perdere tempo.
-Dobbiamo farlo comunque.- insiste, cocciuta.
Il suono di carta che si piega si propaga per l'aria mentre tiro fuori le pagine dalla borsa sintetica.
-Tieni.- le sbatto in faccia -Se davvero credi che sia messo così male, allora tienile tu.
-Non è questione di essere messi male...
-Sì invece!- urlo -È sempre perché sono schizofrenico! È sempre così da undici fottuti anni!
Il lampo di paura nei suoi occhi ricompare.
-E se davvero credi che la mia testa andrà a fanculo da un momento all'altro- continuo -allora prendi queste cazzo di pagine e vattene! Perché sì, cara: ti confermo che c'è qualcosa che non va qui dentro- mi batto l'indice sulla tempia -ma ti dico anche se non fosse per quel qualcosa tu adesso saresti morta in quel letto!
La rabbia mi avvolge come un prurito irrefrenabile, fino a farmi tremare le braccia. Lascio cadere i due fogli ai piedi della ragazza, che mi guarda con la bocca semiaperta.
-Basta, Ian.- mi ferma Richard.
Karen si è raggomitolata contro la radice di un albero, guardandomi con timore. Indietreggio e mi siedo di nuovo sull'erba, con la gamba dei pantaloni ancora avvolta sopra il ginocchio. La rabbia lascia il posto ad un grande sconforto. Non sono pazzo. Tutti hanno visto Slender Man, tutti hanno visto cosa ci vuole fare. Non è un'allucinazione. Non è un'allucinazione.
Un fruscio di carta.
-E io cosa faccio se tu svieni mentre scappiamo?- dice Amy, porgendomi le pagine.
Ha le guance arrossate dalla fatica o dall'imbarazzo, che con i suoi capelli le colorano il viso di una tonalità cremisi.
-Non succederà.- sfioro i fogli -Amy, non mi sento così lucido da quando avevo sei anni.
Lei mi spinge le pagine in mano ed io le afferro. Dopodiché mi tende le mani per aiutarmi a rialzarmi.
-Non sono pazzo.- ripeto.
Lei scuote la testa.
-Forse un pochino.- mi contraddice Richard.
Lo polverizzo con gli occhi mentre mi dirigo verso un tronco caduto distante una decina di passi da dove ci trovavamo prima.
-Ve lo posso provare.
-Io rimango della mia opinione.- di accanisce l'altro.
Mi allungo oltre il tronco, ormai scavato dalla decomposizione.
-Posso perché...
un suono di carta strappata e io alzo la quinta pagina.
-Queste due erano vicine.
 

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Capitolo 7
*** Safe? ***


 

Capitolo 6


Safe?

Sei bravo.
Non ho mai avuto paura della musica , ma adesso mi si rizzano i capelli. Avrei preso per pazzo chi mi avesse detto che una melodia potesse accompagnare il terrore, eppure questa deve essere l'orchestra della morte.
Non incontravo qualcuno come te da tanto tempo. Mi sono sempre piaciuti gli avversari validi.
-Lo sentite anche voi?- chiedo, girandomi per trovare la sua figura.
-Io non sento niente.- risponde Richard.
Non deve finire per forza così, sai? Non deve essere così lunga. Potremmo divertirci un mondo, insieme, fare tante tante cose...
Non ascoltarlo! Scoppia improvvisa la voce di Margaret Qualunque cosa dica non ascoltarlo!
Non sei solo! Dice la voce con sorpresa Hai portato alcuni cuccioli con te! Lo sospettavo. Te li ha lasciati lei, vero? Te li ha infilati in quel tuo piccolo corpo affinché non li potessi allontanare.
-Non sono cuccioli.- ringhio.
Oh, non ne dubito, ma il paragone mi viene spontaneo. Sai, il modo in cui ti seguono, ti obbediscono, sempre a scodinzolare per poi correre via spaventati al minimo rumore. Proprio come ti lasciano ogni volta che mi avvicino troppo.
Ti ha detto che non ho costretto nessuno a venire con me? Che hanno scelto tutti volontariamente? Adesso mi combattono solo perché sono stati rubati da...
Rachel ci ha liberati! Gridano tre voci contemporaneamente nella mia testa Sei tu il ladro!
Buffo detto da quelli che mi hanno aiutato ad uccidere suo padre, non trovi, Ian?
Silenzio.
-Ian- mi chiama Amy -è lui, vero?
Annuisco.
Allora, cosa rispondi? Continua Questa brutta situazione può finire in un attimo. Possiamo uscirne più forti entrambi, purché tu mi dica di sì. Devi solo volerlo, piccolo.
La musica si innalza.
Sì. Sì. Di' di sì.
-Dico che puoi andare a farti fottere.- sputo -Anzi, se vuoi ti posso aiutare a tornare in quella fabbrica e chiuderti la porta dietro.
Una risata educata, composta, mi echeggia nella testa.
Allora che i duri scendano in campo.
Un blocco di ghiaccio mi gela le gambe.
-Dietro di te!- urla Amy.
Mi lancio in avanti mentre qualcosa si chiude dietro di me con un fruscio. Mi rialzo sull'erba scivolosa. Due passi. La fonte di freddo si sposta da dietro a davanti a noi.
-Girate a sinistra!- li avverto. Poi ci appare di fronte.
Le mie suole slittano mentre seguo il mio stesso consiglio. Vado alla massima velocità che posso raggiungere, anche se non so per quanto riuscirò a reggere questo ritmo. Tentacoli di nebbia ci seguono come cani da caccia ansiosi di azzannare la preda già ferita, sanguinante.
Non devo cadere adesso. Non devo cadere adesso.
Un luccichio nella mano di Richard mi dice che si è portato comunque dietro il coltello nonostante gli abbia detto che non serve. Poco male: io tanto ho finito le idee.
Il freddo mi scivola oltre la pelle e lungo la colonna vertebrale. Arriva allo stomaco, all'intestino, al cuore. Annego in quell'oceano troppo grande per me.
Una seconda presenza fredda compare davanti a me.
-Fermi!
Anche se non ha occhi sento il suo sguardo fisso nel mio, conficcato nel mio cervello con centinaia di chiodi. Mi stringo il ventre e mi giro.
Ma lui è anche dietro di noi.
Ha usato lo stesso trucco del mio sogno, solo che adesso non posso contrastarlo.
Il mondo vicino al secondo Slender diventa confuso. Insomma, lo vedo ancora, ma è allo stesso tempo sbiadito. Mi sembra di osservare l'interferenza con un occhio e la foresta definita con l'altro.
La luce di una fiamma, o forse capelli rossi, viene dalla zona confusa. Rachel salta contro l'uomo dalla nebbia. I loro corpi impattano e vanno a sbattere sulla corteccia di un albero.
-Sei debole quando ti sdoppi.- sibila l'anima.
La ragazza gli afferra le lunghe braccia e gliele spinge contro la pianta.
Amy si lancia verso il varco creato dal fantasma della sorella. Non credo che la veda, né che veda le luci che cercano di liberare il mostro, o quelle che cercano di bloccarlo.
Scuoto la testa e seguo i tre ragazzi.
Il freddo si ritrae mentre ci allontaniamo. La fievole presenza di Margaret invece riappare, brillando debolmente.
Stai bene? Chiede.
Le mando un'idea di conferma.
La lucciola risprofonda in uno stato di quiescenza. La richiamo, ma lei si rifiuta di venire. Il gruppo rallenta il passo e io mi concentro di più. Le arrivo vicino, riuscendo solo a sbattere su un muro. Pochi pensieri confusi passano oltre.
...non ho costretto nessuno di loro a venire con me...
...ti lasciano ogni volta che mi avvicino troppo...
dopo arriva il senso di colpa, opprimente, insopportabile, mischiato all'impotenza, ed a una struggente malinconia.
Mi dispiace mi dispiace mi dispiace mi dispiace...
Mi ritraggo. Mi sento una spia a carpire i suoi pensieri privati in questo modo, come se stessi sbirciando nello spogliatoio delle ragazze. Questa non è una cosa che puoi risolvere con il sogno di una passeggiata a Dublino.
Ci fermiamo per riprendere fiato dopo qualche minuto, o forse ora. Ansimiamo tutti pesantemente, e Karen si lascia scivolare per terra stringendosi la spalla destra, scossa da brividi.
-Perché... perché erano in due?- chiede Richard col fiato grosso.
Nessuno risponde. È già difficile affrontare un singolo mostro, figuriamoci una coppia.
-Avete visto- dice Amy -che il secondo è stato spinto via?
-Non credo che attaccherà di nuovo con la stessa tattica.- intervengo.
Credo che, in qualche modo, lui riesca a tenere lontana Rachel affinché non interferisca col suo gioco. Mi ricordo il muro attorno al sogno di Amy e Richard, e l'uomo senza volto deve stare usando qualcosa di simile per separarci dal fantasma. Sdoppiarsi, però, indebolisce questa barriera, e Light è libera di venire da noi a mettergli i bastoni tra le ruote.
-Qualcosa ci ha aiutati!- insiste Amy, speranzosa.
-Mi sembra improbabile...- sostiene il ragazzo iperattivo.
-Richard, quel coso è stato bloccato contro un albero!- continua Jules -Vero, Ian?
Deglutisco prima di rispondere.
-Sì- il fantasma di tua sorella sopravvissuto al suo suicidio ci ha salvato il culo, Amy -l'ho visto anch'io.
Nei suoi occhi posso leggere la silenziosa richiesta di continuare, di rivelare quello che sto nascondendo da tutta la notte. Ma io sto zitto, ignoro quella preghiera. Ho paura. Di quello che proverà se riapro una vecchia ferita, o di quello che penserà di me quando asserirò di vedere i morti?
Non lo so.
-Dove andiamo?- chiedo agli altri, a me stesso e a Margaret.
Amy non si sforza di celare la delusione nel suo sguardo.
-Quello non è il sentiero che porta alla fabbrica?- fa Richard, muovendo la sua torcia.
È vero. Ci avviciniamo e riconosco la strada che ho già percorso quattro volte: la prima in compagnia di Phil, l'ultima credendo che il peggio che ci fosse in zona fosse un lupo rabbioso.
-P...pagina... Cerchiamo la pagina.- balbetta Karen.
L'aura di uno degli otto fogli è debole e proviene da oltre il sentiero. Non riesco a percepirla da solo, ma le lucciole mi aiutano silenziosamente.
-Di là.- indico, muovendo un piede per avanzare.
Fermati a giocare.
Un colpo di pistola mentale mi fa andare a fuoco il cervello. Mi trascino lontano dalle fiamme a fatica, la vista cerchiata di nero. Lui si allontana dalla pagina per avvicinarsi a noi. La corsa riprende, nonostante l'indolenzimento delle gambe ed il bruciore dei polmoni. Non possiamo andare avanti così per sempre.
Compare alla nostra sinistra e noi tiriamo dritto. Volto la testa per non guardarlo e mi rendo conto che Karen è al limite dello sfinimento: ha i capelli unti, il volto matido di sudore ed un aspetto febbricitante.
Dovremmo trovare un posto per farla riposare, peccato che non ci siano luoghi dove lui non possa...
La fabbrica.
La fortuna ha voluto che la direzione del sentiero che abbiamo preso fosse proprio quella che porta al vecchio edificio abbandonato. Se non è riuscito a uscirne, allora può darsi che non possa nemmeno entrarci, non se chiudiamo tutte le porte.
-Resistete!- incito gli altri -Dobbiamo arrivare alla fabbrica. Ho un'idea.
La presenza non ci lascia, continua a starci dietro come un serpente in cerca della preda. Avverto il suo spostamento davanti a noi un attimo prima che si materializzi, tentacoli sinuosamente allungati.
-Aggiriamolo!- propone Amy, scattando a sinistra.
Fermala, cucciola. La sua voce è imperiosa e suadente, eppure non si sta rivolgendo a me.
Karen balbetta qualcosa, scuotendo al testa. Tiene gli occhi dalle pupille dilatate su di lui, e sembra incapace di staccarli. La spingo dietro la ragazza rossa con una spallata. Lei oppone resistenza, ma io sono più forte. Slender riappare un po' più vicino a noi mentre la sua presa aumenta. Karen si fa più decisa, o forse io sto diventando più fiacco.
La cosa strana dei ricatti è che non hanno potere su nessuno.
La giovane si dimena e la presa si indebolisce. Perché sento la voce di mio padre? Lui dovrebbe essere lontano da qui, lontano da tutto questo. Il dolore alle tempie aumenta e poi si affievolisce, diventando onde tiepide che mi attraversano la pelle.
-Voglio dire, rifletti, Ian.
Ho appena finito il gelato, quindi lui ha tutta la mia attenzione.
-Ricatto significa che io ti minaccio di fare qualcosa se tu non fai qualcos'altro. Ma il punto è che io ho bisogno di un ricatto proprio perché non posso costringerti autonomamente a fare ciò che voglio!
La mia espressione perplessa è più che eloquente.
-Allora- continua, con più calma -la mia teoria è questa:
Quanti anni avrò avuto al tempo di questa conversazione? Dieci? Otto? Eppure il ricordo è ancora vivido.
-se avessi il potere di farti smettere di mangiare gelati, ti direi “Non mangiare mai più un gelato”, e tu non potresti fare a meno di obbedirmi, giusto?
-Se tu avessi questa bruttissima magia, sì- rispondo -però ti taglierei le gomme della macchina.
Mio padre ride, facendosi quasi cadere gli occhiali dalla punta del naso. È da tanto che non lo sento ridere. Il giudice ha assegnato la mia custodia a mia madre.
-Già, immagino che lo faresti.- concorda -Ma intendevo un'altra cosa: se io invece ti dicessi “Non mangiare mai più un gelato o non ti compro più videogiochi...”
-Rinuncio al gelato.- ribatto pronto.
Altro scroscio di risa.
-Lasciami finire, ti prego.- asserisce sistemandosi le lenti -Il succo della questione è che, se io fossi costretto a ricorrere ad una simile minaccia, significherebbe che non ho il potere di impedirti di raggiungere il gelato, altrimenti mi limiterei a proibirti di avvicinarti al cibo come ho detto prima.
È piacevole lasciarsi andare, è rilassante perdersi in quella materna oscurità avvolgente.
-Ma puoi minacciarmi... di non farmi più regali- protesta il me del ricordo.
-Sì- conferma l'altro -ma tu avresti sempre la possibilità di non cedere al mio ricatto. E se invece tu preferissi arrenderti, ricorda che io allora potrei continuare ad usare lo stesso ricatto in eterno, applicandolo ad ogni situazione.
-Sei sempre tu che, alla fine, accetti di sottometterti. Ed è per questo che non è il ricatto ad avere potere su di te, ma tu a dare potere al ricatto.
Qualcosa mi si smuove dentro. Il tepore si ritrasforma negli ormai noti chiodi arroventati.
Urlo.
Quasi getto Karen sul terreno mentre la spingo lontano dal mostro senza volto. A ogni passo ho l'impressione che le gambe mi vadano a fuoco, che stia poggiando i piedi su vetri di bottiglia.
Eppure ogni passo è una liberazione.
Delle mani mi afferrano e mi aiutano a procedere alla cieca, dato che ormai guardo solo il terreno sotto le mie scarpe.
-Coraggio, telepate- dice la voce di Richard vicino al mio orecchio -ci siamo quasi. Spero che tu abbia davvero una buona idea.
Mi accorgo vagamente di stare attraversando la recinzione che circonda la fabbrica. Karen ed Amy sono subito davanti a noi.
E lui subito dietro.
-Rachel, ti prego, devi rallentarlo.- sussurro, sperando che Richard non mi capisca.
-Dobbiamo entrare e bloccare la porta.- spiego subito dopo.
Sei bravo a questo gioco.
Scatto per gli ultimi cinque metri, trascinando anche gli altri ragazzi nel mio impeto. Crollo di faccia oltre la soglia, vicino ad un mucchio di attrezzi. Il pannello viene richiuso bruscamente dietro di noi. Siamo al sicuro.
Qualcosa sbatte contro la porta dall'esterno, scuotendola. Richard si appoggia per tenerla bloccata, ma il secondo colpo sbalza quasi via. Amy accorre in suo aiuto mentre l'aggressione si fa sempre più violenta.
La serratura è stata sfondata da Phil per entrare: la porta non può essere chiusa.
Ma ci sono ancora i fori per i chiavistelli sopra e sotto la soglia.
Afferro una sbarra di metallo lunga quanto il mio avambraccio e chiamo il ragazzo iperattivo. Richard si volta e io gli lancio l'attrezzo.
-In alto!- avverto.
Richard prende al volo l'oggetto e lo incastra nel foro per il chiavistello sopra di lui. Gli passo allo stesso modo anche una lima per il ferro e lui ripete lo stesso procedimento con il chiavistello basso, poi fa un passo indietro. La porta vibra ma non accenna ad aprirsi.
-Sticazzi.- impreca il ragazzo.
-Aiuto.- dice debolmente Karen.
Mi volto preparato ad accogliere il colpo psichico, invece vedo la giovane autistica tentare di spingere un pesante tavolo da lavoro verso l'ingresso. Mi unisco a lei, ma il mobile rimane ancorato al terreno, magari perché mi sento gli arti molli. Fino all'arrivo di Richard non guadagniamo neanche un centimetro, dopo accostiamo il tavolo alla porta.
-Dovrebbe reggere.- asserisce Amy.
Mi appoggio alla parete e mi lascio lentamente scorrere verso il basso.
-Grazie, Light.- sussurro.
-E io non ho fatto niente, vero?- sento indistintamente una voce.
Il dolore alla testa causato dallo Slender sta diminuendo, lasciandomi intravedere un'ombra confusa davanti a me, che però diventa di secondo in secondo più nitida.
Qualche pizzico di cenere cade dagli abiti di Christofer mentre si inginocchia al mio stesso livello.
-Io mi faccio in quattro, là fuori, per rallentarlo e tu ringrazi una ragazza!- commenta, roteando gli occhi.
-Sei stato in gamba.- si complimenta una voce femminile.
Rachel è davanti alla porta, con le mani sui fianchi, che scruta oltre la parete con aria di sfida.
-Abbiamo ripristinato il sigillo. Non può passare attraverso il mondo dei morti- racconta, spostando lo sguardo su di me, poi su sua sorella -Siete al sicuro.
Amy si sta occupando di Karen, che sembra essere peggiorata dal volto contratto in una smorfia di sofferenza.
-Ha la febbre.- annuncia la ragazza.
-E io nello zaino non ho niente...- mi maledico.
Prima che faccia in tempo a biasimarmi troppo, Richard le allunga una confezione di Aspirina. Benedico silenziosamente la sua previdenza.
-Non per essere troppo puntiglioso- interviene il ragazzo -ma quand'è che usciremo di qui?
-Aspettate che faccia giorno.- risponde Rachel -È più debole con la luce.
-Aspettiamo che faccia giorno.- ripeto -È più debole con la luce.
-Ragazzi...
La voce di Amy è preoccupata.
-...il corpo di Phil è sparito.
Karen sta fissando inorridita il punto dove prima giaceva il cadavere di suo fratello, su cui corrono lunghe strisce di sangue. La scia cremisi si allunga fino alle scale addossate alla parete, e termina sotto la porta a cui conducono. Sul cartello affisso su di essa c'è scritto “SALA DI CONTROLLO”.
-Oh no!- Rachel compare davanti ai gradini -Non farli entrare!
Amy attraversa il fantasma senza venirne ostacolata. Balzo in avanti e le metto una mano su una spalla.
-Io non credo che...
Diecimila unghie grattano un'enorme lavagna vicino ai miei timpani. Mi metto le mani sulle orecchie, ma l'agonizzante grido non ne viene intaccato. Mi ritrovo seduto sui gradini della scala, anche se non ricordo come ci sono arrivato. Credo che qualcuno mi stia chiamando, ma la sua voce è confusa, distante, soverchiata da una musica molto più forte.
I muri scompaiono, non vedo più la fabbrica. Mi ritrovo a guardare fuori, nell'oscurità più totale. Forse quello che sto vedendo non è nemmeno l'esterno, forse è... un altro posto.
Lo ammetto, non mi aspettavo che arrivaste così lontano.
Lui mi appare davanti, a meno di una spanna da me, torreggiante, tranquillo. Rabbrividisco.
-Lascialo andare.- intima la voce di Light.
Qualcosa mi sfiora il fianco e Rachel è vicino a me.
Ma io non sto facendo niente, cara. Ribatte.
Abbassa il volto finché le sue orbite non incontrano le mie pupille. Divertimento. Un pizzico di irritazione. Decine di luci imbrigliate in altrettanti viticci neri. Sento questo mentre lo guardo.
È lui ad essersi intromesso in questo mondo.
-Ma sei tu ad averlo chiamato.
Christofer compare alla mia sinistra, con la mano tesa. L'afferro e il fantasma mi aiuta a tirarmi in piedi.
-Perché non vieni a prenderlo, stronzo?- sfotte ancora l'uomo pieno di cenere -Ah, dimenticavo, non puoi.
A meno di un pollice di distanza da me scintilla di colpo un diaframma azzurrino, a separare noi da lui. Non riesco a vederne la fine, ma immagino circondi tutta la fabbrica.
Lui non fa nessun tentativo di attraversarlo, limitandosi a comunicare un vago senso di allegria. Le parole arrivano solo dopo una risata educata.
Non ho intenzione di sbattere il capo contro la vostra insulsa barriera. Mi consegnerai tu stesso i tuoi nuovi amici, Christofer. Io posso aspettare.
-Puoi scordartelo!- ringhia l'anima, sulle cui dita cominciano a balenare piccole fiammelle.
Sappiamo entrambi che non riuscirai a proteggerli. Sei troppo egoista, troppo opportunista per farlo. Non sei riuscito a proteggere lei, come puoi pensare di esserne capace con altri?
-Teoria interessante, ma non ci scommetto.- ride Rachel, sollevando un sopracciglio.
Non fari ingannare, piccola, ti segue solo per convenienza. Vuole aiuto per riprendersi ciò che pensa sia suo, non è vero?
Solleva la mano all'altezza del ventre e sul palmo, rivolto verso l'alto, appare una piccola luce.
Christofer sgrana gli occhi e si appoggia alla barriera.
-Lasciala andare!- grida, con rabbia.
Con quanta fretta hai dimenticato il giovane Ian! Commenta Slender, alzando il volto al cielo per ridere di nuovo.
Le lunghe dita affusolate del mostro stringono la lucciola come le sbarre di una prigione. Anzi, quella è una prigione vera e propria. Riesco quasi a vedere la seconda barriera che circonda l'anima. La tiene in cattività.
-Non è tua.
I quattro si voltano verso di me, compresa la lucciola.
-Se fosse davvero tua- continuo -non avresti bisogno di chiuderla in gabbia.
Comincio a sentire un vago senso di nausea. Evidentemente riesce a condizionarmi persino da oltre il sigillo, anche se solo in maniera debole. Forse quel qualcosa che mi permette di percepire le anime mi rende anche più vulnerabile alla loro influenza. Dopotutto, Christofer ha detto che era stato stranamente facile entrare nel mio sogno.
Ha ragione. Concorda lui, poi apre la mano.
La scintilla si alza galleggiando a un metro da terra, come una barchetta scossa da onde inesistenti. Credo sia confusa: oscilla leggermente avanti e indietro, senza muoversi troppo.
Puoi andare, se vuoi. La incita l'uomo. Non ti bloccheranno come stanno facendo con me, anzi, ti accoglieranno a braccia aperte.
-Coraggio.- Christofer allunga una mano fino al limite della barriera -Vieni qui. Ti prometto che non ti farà più del male. Non glielo permetterò mai. Io...
La lucciola si getta di nuovo tra le braccia dello Slender.
-NO!- urla Christofer.
Mi sento la gola asciutta, la bocca aperta per lo stupore. Non ci posso credere. Aveva la libertà a due passi, eppure non ha colto l'occasione. Il mostro si lascia andare ad uno scoppio di sfrenata ilarità, mentre le sue mani rinchiudono di nuovo la lucciola nella gabbia. Se la rigira tra le mani lentamente, godendosi la sua vittoria.
-Bastardo!- sputa Christofer -L'hai ingannata! Le hai infilato uno dei tuoi viscidi tentacoli nella mente!
Può anche darsi. Ribatte l'essere. Ma chi mi ha permesso di farlo? Chi l'ha portata sull'orlo della disperazione?
Delle lacrime cominciano a bagnare la fuliggine.
Non sono stato io a tentare di bruciarla viva, la notte della tua morte. E poi continua era già messa male da prima che la finissi io.
Nuove immagini mi investono. Pareti strette, illuminate dalla lampada ad olio che stringo in mano. Credevo di essere al sicuro qui, ma mi sbagliavo. In qualche modo, sta entrando.
Lascio il mio messaggio d'addio sulla parete, che mi esce confuso, impreciso, folle, non differente da me in questo momento.
Passi dietro di me. Non faccio in tempo a firmare.
Spero che lei capisca che mi dispiace.
Mi volto aspettandomi di vedere il suo volto vuoto, la cravatta rossa, i tentacoli che si arricciano dietro di lui. Do un calcio al barile di combustibile e quello cade, spargendo il suo contenuto sul terreno.
Poi mi rendo conto che non è lui a fissarmi con odio dall'altro capo del corridoio. È lei. Con gli occhi velati di nero, un ringhio animale sulle labbra. Ma pur sempre lei. È stata presa.
Slender le compare di fianco mentre si avvicina guardinga, decisa ad uccidermi, o a consegnarmi. Il dolore alla fronte mi impedisce di muovermi.
Sei mio.
No. Mai. Sono qui per porre fine a tutto questo. Volevo salvarla, ma non posso più. E se quello che voglio fare è peccato, allora risponderò delle mie azioni nell'altra vita. Sono disposto a correre il rischio.
Faccio scattare l'accendino con la mano libera.
-Ci vediamo all'inferno.
Lascio cadere accendino e lampada ad olio. Poi sono solo fiamme.
Ritorno in me con un sussulto, o meglio, ritorno in quella parte di me che è con i morti. L'uomo alto sta ancora accarezzando al lucciola, divertito.
Mi è stata molto utile, da allora Racconta, senza curarsi di me e delle altre anime. fedele fin quasi all'ossessione. In effetti, ci siamo divertiti davvero tanto, soprattutto con quella vostra altra amichetta. Ho lasciato a lei il privilegio di ucciderla, a me piace anche guardare.
La temperatura si alza. Non è che la percepisco sulla pelle, ma mi sembra che corrente elettrica mi attraversi ogni cellula del corpo, trasmettendo l'impressione del calore. Cerco la sua origine, e mi accorgo che è Christofer, che ha l'aspetto di stare per scoppiare.
-Chris.- lo chiama Rachel.
Peccato che i corpi siano così... fragili. Continua l'altro. Sono stato fortunato che abbia scelto di restare con me anche dopo avere perso il suo.
Gli artigli si stringono attorno alla luce. Un gemito di sofferenza proviene dalla lucciola, ma piccolo e debole.
Si è perfino abituata al dolore, la mia piccolo, piccola K...
-NON PRONUNCIARE IL SUO NOME!- grida Chirstofer.
Il giovane esplode in una figura infuocata. L'oscurità viene squarciata dalle fiamme divampanti sulle nude ossa dello scheletro. I tentacoli escono dalle spalle di Slender e si dispiegano, pronte ad accogliere l'attacco del nemico.
Rachel compare dietro Christofer e afferra una spalla.
-Basta.- il suo tono e deciso, tagliente, quasi da ordine.
-Lui...- ringhia lo scheletro.
-È più forte di te, e più tu raduni il tuo potere più ne sottrai al sigillo. Non possiamo rischiare che si spezzi per cercare di prendere un'anima che non riusciremmo comunque a salvare.- gli ricorda la ragazza.
-Tu non capisci.- protesta l'altro, togliendo gli occhi dallo Slender -Io devo salvarla. Devo saldare il mio debito.
-E se lascerai crollare la barriera perderemo quelle poche conquiste che abbiamo ottenuto in questi anni, Christofer.- dice, con un tono più gentile.
Le fiamme diminuiscono di altezza, e persino il calore si dissolve. Il sigillo riacquista la consistenza che stava minacciando di perdere.
-Ha ragione lui, l'ho tradita.- singhiozza lo scheletro -Ho sempre badato solo a me stesso.
Il fuoco si spegne ed il ragazzo crolla in ginocchio.
Ah, Christofer, sei sempre stato il fuoco della polvere da sparo Commenta violento, ma che si consuma in fretta. Non ti dovrai preoccupare dei tuoi amici per molto, comunque. Uno di loro è già mio.
Il ragazzo alza di scatto la testa. Si volta verso di me con espressione stralunata, tanto che comincia a farmi paura.
-Devi tornare indietro!- mi intima.
Non capisco bene la ragione delle sue parole, ma il tono mi convince. Mi concentro per cercare di tornare nel mio corpo, come quando sogno. Rachel accelera il processo tirandomi una dolorosa spallata.
Ritorno in me con un singulto. Sono ancora seduto sui gradini, e Richard ed Amy mi fissano preoccupati. Il ragazzo iperattivo trattiene la rossa per le braccia.
-Te l'avevo detto che si sarebbe ripreso da solo.- le dice, lasciandola andare.
Lei gli scocca un'occhiata furente, poi mi getta le braccia al collo. Mi coglie impreparato, ed il suo abbraccio mi mozza il respiro.
-Pensavo che fossi morto.- rivela -Avevi detto che non avresti avuto più crisi.
Le circondo le spalle con le mani.
-Non sono semplici crisi, e credo che tu lo sappia.- confesso.
Si separa da me.
-No, invece, non capisco.- ribatte -Non capisco perché voi due continuate a scoccarvi occhiate d'intesa, né perché quel... coso ci insegue.
Devo scegliere molto accuratamente le parole se non voglio spaventarla ancora di più. Non ho mai detto quello di cui ho scoperto di essere capace a voce, perciò mi sento strano. Eppure credo sarebbe liberatorio farlo.
-Amy...- comincio.
-Abbiamo cose più importanti da fare!- mi interrompe Christofer, apparendo di fianco alla ragazza.
Karen geme e l'attenzione si sposta su di lei.
-Come ho fatto a non capirlo prima.- sussurra l'anima.
Il fantasma scompare per riapparire subito dopo al fianco della ragazza autistica. Insieme a lui adesso c'è anche Rachel, che osserva la sorella di Phil con uno sguardo dispiaciuto.
-Scoprile la spalla destra, Ian.- mi dice Light.
-Come?- domando.
-A chi stai parlando?- m'interroga Amy.
-Fallo.- insiste l'altra.
Mi separo dalla ragazza e mi alzo in piedi. Mi avvicino a Karen per inginocchiarmi di fianco a lei.
-Ti dispiace abbassarti la spallina della maglietta?- domando, con la voce da cui trapela paura, e non imbarazzo.
Il suono di dei passi mi dice che Amy è arrabbiata, e che sta venendo da noi.
-Ok,- sbotta -adesso tu mi spieghi perché...
La vista della spalla di Karen fa rimanere di sasso entrambi. A una spanna dal collo, è visibile una brutta ustione grande quasi metà del mio palmo. La pelle sopra ed intorno ad essa è nera, e delle sottili righe scure come di inchiostro si allungano della lunghezza di un pollice in tutte le direzioni intorno alla ferita.
-Oddio.- esclamo.
-L'ha toccata.- dice Christofer, atono -L'ha toccata con un tentacolo.
-Che cos'è?- chiede Amy, ignorando i due fantasmi.
Alzo lo sguardo su Rachel. I suoi occhi sono duri, e dispiaciuti.
-Non c'è niente che tu possa fare, solo porre fine alle sue sofferenze.- scuote la testa.
-Sta diventando un proxy.
 

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Capitolo 8
*** How to save a life ***


 

Capitolo 7


How to save a life


-I tentacoli non sono semplicemente degli arti fisici.- spiega Rachel -sono estensioni del suo potere. Quando ti toccano la sua mente entra in comunione con la tua, e questo ti cambia.
Non mi riesce difficile immaginarlo. I brevi contatti con quell'entità mi avevano lasciato dei brutti ricordi, sebbene ci fosse sempre stato qualcosa a schermarmi dal suo potere, come le lucciole, il sigillo o la semplice distanza.
-Voglio sapere come salvarla.
Richard ha dato a Karen la sua felpa, siccome tremava e si lamentava del freddo. Io mi sono allontanato con la scusa di andare al bagno (grazie a Dio nella fabbrica ce n'era uno funzionante) per parlare con Rachel.
-Non puoi.- risponde lei.
-C'è una cosa che puoi fare.- la contraddice Christofer.
Mi volto verso di lui, speranzoso.
-Andare nella sala di controllo, cercare finché non trovi il vecchio revolver di Light, puntarglielo in fronte e...
-Non ucciderò uno dei miei amici!- protesto.
Il fantasma ricambia il mio sguardo con serietà.
-Sarebbe misericordioso.- argomenta -Se lo fai adesso, forse riusciremo persino a salvare la sua anima, prima che sia troppo intossicata.
Sto per urlargli qualcosa contro, quando qualcosa si sveglia dentro la mia testa.
Hanno ragione, Ian. Mi ferma la vocina di Margaret La sua presenza le corromperà lo spirito, e poi il corpo. La costringerà a rivoltarsi contro di voi.
Guardo dietro di me e mi accorgo che non sono ancora fuori dal raggio visivo degli altri, che però non badano a me. Sono vicini a Karen, che sembra essersi addormentata. Chissà se nei suoi sogni c'è Phil a prendersi cura di lei come lo faceva in vita. Non ho visto il fantasma del meccanico, e ho paura di chiedere dove sia finito. Non voglio che mi venga detto che è stato preso.
-La salverò.- asserisco, sicuro.
Noi abbiamo perso un amico, oggi, Karen ha perso un fratello ed i suoi genitori hanno perso un figlio. Non permetterò che perdano anche l'altra.
-Non puoi, Ian.- ribadisce la ragazza rossa -Lui la ucciderà.
-No.- giuro a me stesso -No se lo uccido prima io.


-Tu vuoi fare cosa?!- esclama Amy -Non ci pensare nemmeno, Ian Diswarden!
-Karen sta morendo!- ripeto -Abbiamo bisogno delle altre tre pagine per salvarla, e qualcuno deve andare a prenderle.
-Ian, è un suicidio.- le da man forte Richard.
-Prima o poi dovremo comunque uscire di qui.- obietto.
-E lo faremo tutti insieme.- mi risponde ancora la ragazza.
Scuoto la testa -Karen non sarà con noi.
Amy mi scruta senza ribattere. Nonostante credo che intuisca che quello che sto dicendo è vero, o almeno che sono convinto sia così, non vuole lasciarmi andare.
-Allora vado io.- si offre lei.
-No.
-Siamo sopravvissuti grazie a te, se tu muori, siamo tutti condannati.- mi ricorda.
Stringo i pugni.
-Io ho più possibilità di tornare.
-E io sono più sacrificabile.- obietta ancora.
-No.
-Perché?
-Perché il sigillo dipende dalla tua sopravvivenza, cazzo!- grido.
Serro immediatamente le labbra, forse ho parlato troppo.
-Cosa?- mi chiede Amy.
Se lei morisse, Rachel perderebbe la sua motivazione per lottare, la sua decisione. E nel mondo spirituale la volontà è tutto. Light non deve perdere la sorella, o probabilmente perderemmo il sigillo.
-Il sigillo esiste per proteggerti da lui.- confesso, abbassando gli occhi -Te e solo te. Noi altri siamo solo stati fortunati ad esserti vicino.
Lei incrocia le braccia.
-Te lo stai inventando.- mi accusa.
-Così come mi sono inventato di lui?- domando, rialzando lo sguardo -O delle pagine? O del fatto che questo posto ci avrebbe protetti?
La ragazza non sembra disposta a cedere. Apre la bocca per dire qualcos'altro, nonostante le mie occhiate si siano fatte supplichevoli.
-Ci vado io.- ci interrompe Richard.
Ci giriamo verso il ragazzo. Avevo dimenticato che si sarebbe opposto anche lui.
-Non so predire l'arrivo del mostro, né trovare le pagine, e la mia vita non vi serve- continua -sono la scelta migliore.
Rimaniamo in silenzio per un attimo.
-Sembriamo pecore che litigano su chi deve andare per primo al macello.- realizzo, con una strana sensazione nel petto.
-Almeno non stiamo cercando di ucciderci a vicenda.- commenta Amy.
-Già.- conclude Richard -Questo fa riacquistare fiducia nel genere umano.
Cominciamo a ridere, prima piano, poi prendendoci man mano gusto ed aumentando il volume.
-Siamo messi male se impazziscono proprio ora.- sento la voce di Christofer.
-Io invece penso che ce la possano fare.- gli risponde Rachel.
-Ridendo?- fa del sarcasmo l'altro.
-No,- ribatte lei -affidandosi gli uni agli altri. Il loro legame li rende forti, gli da il coraggio di continuare ad andare avanti. L'amicizia è proprio ciò che lui non riesce a capire: Slender conosce solo la sottomissione.
Le nostre risate vengono fermate da un gemito di Karen. Non so quanto tempo le resti, ma di sicuro non ho intenzione di stare qui a scoprirlo.
-Quindi cosa facciamo?- chiedo.
-Usciremo io e te.- propone Richard, guardandomi -Invece Amy resta qui a badare a Karen. Io controllerò che tu non svenga mentre siamo fuori.
-Se la vostra amica si trasforma quando Amy è sola con lei- mi avverte Rachel -mia sorella non riuscirà a tenerle testa.
-Va bene- approva Amy, non sentendo il discorso del fantasma -purché non facciate follie.
-Allora ti servirà un'arma- le dico -nel caso...
Lei annuisce per farmi segno che ha capito.
Faccio cenno ai due di aspettarmi lì e mi avvio su per le scale che conducono alla sala di controllo, seguendo la scia di sangue coagulato.
-Sei sicuro?- domanda Rachel, comparendo di fianco alla porta.
Annuisco -Ho bisogno della tua pistola.
Mi fermo ad osservare la strada di secco materiale rosso scuro che scivola sotto l'uscio. Le mie scarpe ne sono state macchiate, seppur lievemente. Stringo la mano sulla maniglia.
-Sarà un brutto spettacolo.- vengo avvertito.
Apro la porta.
Un volto insanguinato si para alla luce, la bocca spalancata per urlare, o per mordere. Salto indietro e vado a sbattere contro il corrimano delle scale, in trappola. I suoi occhi mi fissano vuoti, la sua guancia è ricoperta da un'abbondante dose di materiale cremisi. Eppure non si muove.
È Phil.
Accendo a tentoni la torcia e la punto all'interno della sala. Una lamina di metallo sporge dal petto del meccanico, anche se dalla ferita non esce ulteriore sangue. La testa è piegata all'indietro, in una posizione strana. Il suo peso è sostenuto dal pezzo metallico, divelto da un armadietto lì vicino, e dal rigor mortis.
Faccio un respiro profondo, ma il sentore metallico del sangue mi fa venire un conato di vomito. riesco a trattenermi e distolgo lo sguardo dal mio amico.
Salverò tua sorella, te lo prometto.
Mi chino sullo scheletro che giace supino in un angolo. È coperto di polvere ed indossa vestiti sbiaditi dal tempo. Il revolver è vicino alla sua mano destra, sporco e con un aspetto ossidato. Lo raccolgo.
Sto per andarmene quando vedo un luccichio dorato vicino al collo di quello che era il corpo di Rachel. Mi infilo in tasca anche quell'oggetto, tanto male non può di sicuro farmi.
-Ci sono ancora due colpi.- mi racconta il fantasma.
Mi rialzo con la pistola in pugno ed esco velocemente, sbattendomi la porta dietro la schiena. Il contatto con l'aria non più viziata del locale centrale mi da sollievo dalla nausea. Adesso ho l'arma per Amy.
-Ho trovato questa.- annuncio, posando il revolver in mezzo ai due ragazzi.
-Come facevi a sapere dov'era?- chiede Amy.
Mi limito a fissare la diciassettenne finché lei non abbassa lo sguardo.
Un formicolio alla nuca mi comunica che una lucciola sta per parlarmi.
Devi pulirlo. Mi dice una voce maschile Altrimenti potrebbe non funzionare.
Non so come si fa. Rispondo.
Io sì.
Prendo il revolver e mi siedo a gambe incrociate. Apro il caricatore seguendo le istruzioni della lucciola per togliere i bossoli vuoti e pulire quelli buoni con la maglietta. Tolgo i pezzi uno alla volta come in trance, seguendo i ricordi di qualcuno che lo aveva fatto centinaia di volte.
Inserisco la sicura e la pistola è pronta.
-Ecco- annuncio, porgendo l'arma ad Amy -Devi solo prenderla con due mani.
Guido le sue dita verso il calcio del revolver. Glielo faccio stringere saldamente: il rinculo sarà forte.
-Abbassare questa levetta.
Le faccio togliere la sicura con il pollice.
-Puntare, proprio come con una macchina fotografica.
Lei fa per abbassare le braccia, ma io gliele rimetto delicatamente in posizione. Punto ad una colonna.
-Premere il grilletto.
Il boato è più forte di quanto mi aspettassi, e ci fa sobbalzare entrambi. Riusciamo a malapena a sopportare il contraccolpo quando un buco compare sul cemento, fumando.
Le lascio l'arma.
-Ti resta un proiettile.- la informo.
Amy la fissa per un attimo, poi incastra la canna nella cinta dei pantaloni.
-Tutto questo è folle.- mormora -Non potete voler davvero andare.
Richard le porge un coltellino svizzero.
-Nel caso sbagliassi mira.- le spiega, con aria colpevole.
Lei lo prende come si prende una pentola bollente, lo mette in tasca e poi ci osserva, accusatrice.
-Devo solo sparare ad una mia amica- commenta, velenosa -oppure accoltellarla, certo, a me la scelta. E chi mi dice che si trasformerà davvero in un proxy e che tenterà di uccidermi?
-Amy...- cerco di convincerla.
-No, maledizione, no!- mi interrompe -State rischiando la vita per una cosa che non sapete nemmeno essere vera. Non vi lascerò andare.
La mia tasca si fa pesante.
-Richard, comincia ad aprire la porta.- dico.
Lo sguardo di Amy si indurisce. Non l'avevo mai vista così determinata, così decisa, così diversa dalla solita piccola Amy, timida e insicura. Nella mia mente balena l'immagine di Rachel ogni volta che affronta lo Slender: minuscola, debole in confronto al suo avversario, eppure tenace, luminosa come una colonna di fiamme, uno sguardo di sfida negli occhi azzurri.
-Allora non mi avete sentito- replica lei -Io non...
Mi avvicino a lei, interrompendo la sua protesta, le prendo una mano e vi deposito lentamente il contenuto della mia tasca: la catenina dorata, quella con sopra inciso Rachel.
Le serro il pugno prima che possa guardarla mentre mi avvicino ancora di più. Sento Light al margine della mia coscienza, come un'ombra silenziosa. Un ricordo non mio mi pervade, in cui vedo un'Amy più piccola, che aveva paura della notte, che non riusciva a dormire, e che adesso mi guarda tristemente.
-Non devi aver paura del buio, piccolo scoiattolo- sussurro alla Amy adolescente, mettendole una mano sul cuore -non sarò mai troppo lontana.
Mi separo dalla giovane, pietrificata, ed esco velocemente, fermandomi solo per lasciare le pagine che tengo con me vicino a quelle di Richard, all'interno della fabbrica. La porta ci mette qualche secondo a chiudersi dietro di noi.
-Cercheremo di indebolirlo da qui.- mi rassicura Christofer -Almeno lo rallenteremo un poco.
Richard mi lancia un'occhiata interrogativa, ma io scuoto la testa per dire che non ho voglia di parlarne.
Perché quelle erano le ultime parole che Rachel avesse mai rivolto ad Amy.
-Fai strada tu.- mi incita il ragazzo, lanciandomi la torcia.
L'afferro e mi giro su me stesso, cercando la più vicina aura fredda.
Segui il sentiero. Mi suggerisce Margaret.
M'incammino con il giovane che saltella alle mie spalle, guardandosi intorno.
-Allora- apre il discorso -adesso vuoi dirmi perché sembri sapere tante cose su di lui?
-Vedo i fantasmi.- rispondo semplicemente.
Il suono dei suoi passi alle mie spalle si interrompe.
Proseguo tranquillamente, per non allontanarmi troppo da Richard. Un secondo dopo il rumore ritorna, accelerato per recuperarmi.
-In che senso fantasmi?- domanda, insicuro.
-Le anime di persone morte che hanno deciso di restare qui.- espongo -Slender ha mietuto un sacco di vittime, e alcune hanno deciso di aiutarci. In effetti, ho scoperto di poterci parlare proprio oggi.
-Solo alcune?
Annuisco.
-Le altre sono costrette a servirlo, a dargli potere.- racconto -Alla fine della sua caccia riesce spesso a legare i fantasmi delle prede a sé.
-Quindi rischiamo anche l'anima, oltre alla vita.- realizza l'altro -Grande.
La sua mano cala sulla mia spalla con forza, trattenendomi. Mi volto e vedo che ha gli occhi sgranati, spaventati.
-Phil è...
-No. Non credo, almeno.- rispondo subito -Gli ci vuole molto per legare un'anima a sé, e lo fa durante il suo gioco. Con Phil non ne ha avuto il tempo. Ma Karen rischia.
Ci affrettiamo di muto accordo verso la pagina, che è debolmente comparsa nel mio radar interiore. Ricordo che è l'ultima di cui avevo localizzato la posizione prima che fossimo costretti a rifugiarci nella fabbrica. Lasciamo lo sterrato ed entriamo nella foresta, mentre la sensazione di freddo si fa più forte.
-Ci sta già seguendo?- s'informa Richard, preoccupato.
-No.- rispondo -Ma credo inizierà una volta che avremo preso la prossima pagina.
Proseguiamo in silenzio per un paio di secondi, mentre il ragazzo si tamburella nervosamente le dita su una gamba.
-A proposito di fantasmi- continua -tu da piccolo avevi delle allucinazioni, giusto?
-Sai già la mia storia.- confermo.
-Sì, ma pensavo...- s'inceppa, cercando le parole -ecco... se non fossero state allucinazioni? Se fossero stati solo dei fantasmi? O delle visioni?
Ci rifletto sopra. Credo di aver pensato che questa mia capacità dipendesse dalla vicinanza di Rachel o di... lui, e che se ne sarebbe andata con loro.
-I farmaci le facevano sparire...- ricordo, non so dire se per protesta o per appoggiare la tesi dell'altro.
-E ti facevano sentire annebbiato.- aggiunge Richard -Ti oscuravano il sensore soprannaturale, poi tu smetti di prenderli e... BOM! Diventi il miglior medium del mondo.
Gli lancio un'occhiata di sbieco e lui sfodera un sorriso a trentadue denti.
-Sei un misto tra Shining di Stephen King e A Beautiful Mind!- esclama gioioso.
-Hai letto Shining?- chiedo sorpreso.
Lui scuote la testa. -Sono iperattivo e ho dei disturbi all'attenzione. Ho visto il film!
Sto per difendere a spada tratta la superiorità del libro rispetto alla versione cinematografica quando un lampo bianco balena all'interno del raggio della torcia. La voce mi muore in gola. Ci avviciniamo circospetti, consapevoli del fatto che la pace è finita. La carta bianca è attaccata ad un cartello di legno, abbandonato per terra. Forse un tempo era vicino alla strada, ma gli elementi devono averlo spostato e reso illeggibile ciò che vi era scritto sopra.
Allungo la mano fino a portarla ad un millimetro dalla pagina. Guardo Richard, che mi fa un cenno affermativo col capo, e prendo la carta. A caratteri sghembi, imprecisi, la scritta LASCIAMI IN PACE mi fa correre un brivido lungo la schiena.
È cominciata.
-Muoviamoci.- ordino -Dov'è la prossima, Margaret?
Girati di trenta gradi a sinistra e prosegui. M'informa la voce.
-Margaret?- chiede Richard.
-Uno degli spiriti che ci stanno aiutando.- spiego, avviandomi a passo spedito. Evito di correre solo per risparmiare le forze. Un senso di inquietudine mi pervade, ma non lo sottovaluto. Le mie sensazioni non vengono semplicemente dettate dalla paranoia. Ora lo so.
-Si avvicina.- avverto Richard.
Un brivido di paura percorre le lucciole. Sto attento alla loro presenza e cerco di mandargli un pensiero rassicurante, perché quando non riuscirò più a sentirle lui sarà vicino.
Io non ti lascerò più. Replica ostinatamente Margaret.
Non sarebbe colpa tua, è lui ad allontanarti. La tranquillizzo.
Non glielo lascerò fare. Insiste.
Questa è la fiera del coraggio, evidentemente. Ironizzo, ma tengo il mio commento per me.
Il mio legame con le lucciole si indebolisce all'improvviso, come se fossero state allontanate da un pugno spirituale.
-Arriva!- urlo.
Corriamo. La gazzella che fugge dal leone non avrebbe potuto scattare più rapidamente, o con più terrore. I passi ci inseguono subito, lenti e regolari. Sempre vicini. Sempre pressanti.
Adesso perdi. Perdi. Perdi. Perdi.
Il fiatone è causato più dalla paura che dallo sforzo. Le lucciole scivolano via dalla mia presa, e non riesco a fare nulla per fermarle. Un baratro ci separa.
Ian! Grida Margaret, la cui voce ora è fioca e a malapena percepibile. Cerca di dire qualcos'altro, ma le parole si perdono nel nulla.
Un dolore improvviso alla guancia mi fa ricordare che devo guardare dove sto andando, mentre un ramo mi sferza con violenza il viso. Non sento ancora la pagina, ma sento lui. Lo sento benissimo. Sento il suo fiato sul collo.
Perdi. Perdi. Perdi. Perdi. Perdi. Perdi.
Realizzo solo vagamente che stiamo vagando alla cieca. Schegge di ghiaccio mi percorrono la colonna vertebrale e mi rendono difficile correre. Perdo l'orientamento nel bosco buio.
E perderai anche la vita.
No No No No No No No No No No
Poi sento anche la pagina. Ancora lontana, ma presente.
Trascino Richard alla nostra destra facendoci cambiare rotta. Lui mi segue docilmente, saltando oltre una radice seminascosta dal terreno. Poi dietro di noi c'è come l'accensione di una candela, la temperatura aumenta, la tensione elettrica accumulata mi fa venire la pelle d'oca.
-Giù!- grido, mentre il colpo viene lanciato contro di noi.
Troppo tardi.
Veniamo investiti in pieno da un fulmine, eppure non sento dolore. Percepisco il potere, ma è troppo poco perché possa farci del male.
La torcia sfrigola e si spegne nella mia mano.
Proseguiamo al buio. Mi incita la voce, deformata da un suono acuto e nasale, folle.
-Ian?- mi chiede Richard.
-Corri corri corri!- lo incito, strattonandolo in direzione della pagina.
Abbiamo solo il chiarore delle stelle ora a farci da luce, e i nostri occhi impiegano qualche secondo ad abituarsi. Tempo in cui lui guadagna terreno, anche se ora la pagina è vicina, non può essere a più di venticinque metri. Gli alberi si diradano all'improvviso e ci troviamo davanti ad una piccola radura, illuminata dalla luna. Al centro, un piccolo capanno da caccia in legno, non più grande di venti metri quadrati, svetta in contrasto con il paesaggio naturale.
-È lì dentro.- dico a Richard, proseguendo.
-Se entriamo lui ci sbarrerà la fuga!- si oppone l'altro.
Lo so, ma non possiamo fare altro. Che altra scelta abbiamo?
-Non si muove se lo guardi.- mi ricorda il ragazzo.
Richard sorride mentre lo fisso, inconsapevole del suo piano. E così inclina la testa, pianta i piedi per terra e si volta.
Il suo volto sbianca, i pugni si stringono cominciando a tremare convulsamente. La presenza dietro di me si ferma.
-No!- protesto.
-Muoviti.- sussurra l'altro, le cui labbra stanno diventando cianotiche.
Mezzo secondo per vincere la mia riluttanza, poi mi lancio nel capanno.
All'interno non vedo assolutamente nulla. La luce degli astri non filtra dal soffitto, e non ne passa abbastanza dalla porta. Non posso aspettare che la mia vista si abitui. Cerco a tentoni la pagina, ma riesco solo a trovare un tavolo ed ad urtarlo poco dopo. Le mie sensazioni non mi aiutano: è come annusare un fiore vicinissimo ma non saper collocare esattamente la sua posizione.
Perdi Ian. Adesso perdi il tuo amichetto. Sì sì.
Aiuto Margaret. Supplico.
Mi fermo per fare un respiro profondo e cerco dentro di me, dove prima c'erano le luci. Un baratro ci separa, è vero, ma qualcosa filtra da esso. Immagino che il mio desiderio di tenerle vicino a me crei un arpione, una fune tra i due lati del burrone. Tiro la mia ancora e spero sia abbastanza.
Le dita cominciano a formicolarmi.
Te l'avevo detto che non ti avrei lasciato. Dice la bambina, mentre le mie mani vengono avvolte da un bagliore dorato.
Apro gli occhi e vedo la pagina davanti a me, illuminata dalle scintille che volano tra le mie dita. Raffigura un omino stilizzato in mezzo a dei pini. So bene cosa rappresenta. Strappo la pagina dalla parete in legno ed esco di nuovo dalla porta, tenendo in alto i due fogli, illuminati dalle tre lucciole che ci girano attorno.
-Ehi, bastardo!-urlo in direzione dell'uomo senza volto, che sta fissando Richard con le sue orbite vuote -Ho due delle tue pagine adesso, perché non vieni a prendertele?
Richard distoglie lo sguardo e si accascia sul terreno, tremando. Lui si volta, dimentico della sua vecchia preda, e un chiodo mi trafigge il cervello.
-Vieni a prenderci.- lo incoraggio -Vieni a prenderci!
Mi volto e inizio a correre, vedendo il mondo grazie alla luce delle tre anime. Faccio il giro largo del capanno, assicurandomi che lui mi segua e che si allontani dal mio amico. Raggiungo Richard poco dopo, il quale è raggomitolato in posizione fetale. Mi inginocchio per terra e gli sollevo le spalle.
-Andiamo, Grent!- lo sprono -Non puoi mollare adesso!
Lui appoggia una mano per terra, che però non riesce a reggere il suo peso e che lo fa ricadere. La sua pelle è troppo bianca, la frangia gli scende scompostamente sopra l'occhio destro, mentre l'altro è pieno di capillari rossi.
-Non ce la faccio.- sussurra.
-Sì invece.
Lui sorride. -In fondo l'ho sempre saputo che sarei servito a questo.
La presenza ora è dietro il capanno, che striscia verso di noi. Non abbiamo tempo per i discorsi eroici, ora dobbiamo andarcene.
Aiutatemi.
-Vai.- Richard interrompe il filo dei miei pensieri.
Sbarro gli occhi, sorpreso.
-Forse posso farti guadagnare qualche altro minuto.- propone, con la sua espressione da clown demente -Però portale in salvo, ok?
La luce proveniente dalle mie mani riempie di ombre il suo volto scavato, facendolo sembrare vecchio e fragile. Il freddo oltrepassa la capanna.
-Io non ti lascio.- prometto, mettendogli un braccio intorno al petto e costringendolo ad alzarsi.
Zoppico verso il confine della radura, mentre Richard non riesce a fare nemmeno quello. Capisco subito che non posso sostenere quella situazione, ma non mi do per vinto. Poi cado.
Lo sento ridere del mio sforzo.
-Va bene così, Ian.
Lo osservo mentre si abbandona sull'erba. Per farmi prendere quella pagina, si è fatto consumare dentro. Slender gli ha sottratto il calore della vita, forse il suo stesso desiderio di vivere, la sua volontà. Lo ha ferito nel profondo e lui non ha tempo di curarsi.
Lui è a dieci metri da noi.
Richard ha usato la sua forza per me.
-Va bene così.- sussurra.
Ora è il mio turno.
Aiutatemi. Chiedo ancora alle lucciole, appoggiando una mano sulla fronte del ragazzo.
Il globo bianco deve essere caldissimo, luminoso. Deve sciogliere il gelo dentro di lui, farlo ritornare padrone del suo corpo. Deve dirgli che non l'avrei abbandonato, che aveva la mia amicizia. Un brivido caldo accompagna i miei pensieri.
Non ancora dico non per mano sua.
Sento il ragazzo muoversi sotto il mio palmo, si gira su un lato e tossisce un paio di volte.
L'abbiamo in gran parte liberato. Mi rassicura la voce di Margaret, mostrandomi una serie di tentacoli neri che arretravano davanti a una luce. Ma adesso dovete andare.
Lui è a cinque metri.
Ci rialziamo barcollando e arranchiamo oltre il bordo della radura. Richard sembra avere dei giramenti di testa, ma riesce a proseguire sulle sue gambe. Io invece in merito ho delle serie difficoltà.
-Co... come hai fatto?- domanda il ragazzo.
Mi aiuto a continuare sorreggendomi a un albero.
-Con un piccolo aiuto.- rispondo tutto d'un fiato, e mostrandogli le mani scintillanti.
Lui mi guarda stranito e capisco che non vede niente.
Siamo troppo stanchi per reggere a lungo. O troviamo l'ultima pagina subito, o saremo costretti a tornare alla fabbrica, e questo firmerebbe la condanna di Karen.
Una lucciola scintilla a un tiro di sasso alla mia destra.
Da questa parte. Ci guida Margaret.
Seguiamo il segnale luminoso, che scompare appena ci avviciniamo per ricomparire poco più in là.
Manca poco e...AH!
Il grido di dolore e sorpresa mi risuona nella testa, seguito dalle esclamazioni delle altre due anime. Un tentacolo nero si avvolge intorno alla più luminosa delle tre lucciole, rinchiudendola in gabbia. Lui compare subito dopo, e si porta l'anima a livello degli occhi.
Le avvicina le mani artigliate fino a toccarla, ad accarezzarla. Io faccio fermare Richard, ma so che l'altra parte di lui ci sta ancora inseguendo.
Sei mia. Asserisce soddisfatto l'uomo.
-No.- protesto, debolmente, come se potessi fare qualcosa.
Richard sembra essersi reso conto che qualcosa non va, nonostante non riesca a vedere chiaramente la scena. Credo che percepisca qualcosa però. Gli artigli pallidi si stringono violentemente, lasciando passare solo qualche raggio luminoso tra gli spazi delle dita.
No! Gridano due voci nella mia testa.
Un basso ronzio si diffonde nell'aria, per poi crescere di altezza e volume. La luce tra le dita di Slender si spegne. Poi esplode.
L'uomo senza volto emette un grido sibilante che mi fa drizzare i capelli, mentre allontana di scatto le mani coperte di bruciature dalla lucciola, ora una bambina. La sua bocca si apre e lascia ricadere la lunga lingua nera sul petto.
Io non sono tua. Lo contraddice Margaret, fissandolo con espressione severa.
Il suo volto sfarfalla e sparisce, seguito dal resto del corpo.
La bambina si volta verso di noi, facendo ondeggiare il suo vestitino a fiori. Ci fa un cenno col capo e ritorna una lucciola. Guido Richard verso di lei nonostante ogni passo mi faccia annebbiare la vista.
Ian Diswarden! Mi chiama la sua voce gelida, gracchiante, ora non per nulla suadente.
Per metà corriamo e per metà zoppichiamo nella direzione che ci indicano le anime. Richard è addirittura più lento di me, dato che non vede bene la strada. Lui non è ancora vicino a noi, ma la sua presenza non accenna a scemare dai lati della mia mente.
Sono stanco dei tuoi giochetti!
Vedo vagamente la sua forma davanti a me. Gli artigli estesi, la lingua che serpeggia insieme ai tentacoli, assaggiando l'aria. Non è propriamente davanti a me, ma è come se stessi ricordando qualcosa. L'immagine è solo nella mia testa.
Non crederti speciale: non sei il primo Guardiano che uccido e, te lo giuro, non sarai neanche l'ultimo. Sibila, scoprendo i denti da squalo.
Il mio cervello mette da parte la paura per un secondo.
Guardiano...? Cosa...?
Ma lui ricompare nuovamente alla nostra destra. Allungo il passo, ma siamo troppo stanchi per distanziarlo in fretta. La sensazione di un aumento dell'elettricità statica ritorna.
-Giù!- ordino.
Stavolta ci gettiamo per terra in tempo. Un lungo tentacolo nero ci passa sopra a mo' di frusta e poi torna indietro. Una sgradevole pressione sul petto mi spinge oltre una radice e mi fa rialzare.
-Ne ha ancora per molto?- chiede Richard -Non è ancora stanco?
Prendo una boccata d'aria prima di riprendere la fuga.
-Non credo soffra la stanchezza.- ansimo.
All'improvviso sento le gambe più leggere, la mia testa viene liberata da una pressione eccessiva e la percezione di quel nucleo freddo sparisce. Mi accascio contro il tronco di un albero, che mi sembra stranamente morbido in quella situazione.
-Se n'è andato.- rassicuro Richard, che mi fissa spaventato dal mio comportamento.
Ha finito il suo assalto. Mi spiega Margaret. Aspetterà un poco prima di cominciare il successivo.
Richard si lascia andare di fianco a me.
-Quindi alla fine era stanco anche lui, visto?- sorride, spostandosi la frangia.
Distendo le gambe che mi mandano dolorose fitte e aspetto che mi sia passato il fiatone. Una brezza piacevole mi rinfresca il corpo accaldato.
-Non possiamo aspettare qui per sempre.- esordisco, una volta regolarizzatosi il mio respiro.
-Lo so.- concorda l'altro -Ma immagino non potremo aspettare nemmeno fino a quando il mio battito cardiaco sarà sceso sotto i duecento.
-La prossima è vicina.- lo consolo -Ed è anche l'ultima.
Il ragazzo emette un grugnito alzandosi.
-Coraggio,- mi tende la mano -abbiamo ancora del lavoro da fare.
L'afferro e l'altro mi aiuta a rialzarmi.
-Un'ultima volta.- dico, a metà tra una promessa ed un incoraggiamento.
Gli indico la direzione in cui dobbiamo andare e ci incamminiamo a passo tranquillo, siccome non riusciremmo a correre nemmeno se lo volessimo, probabilmente. Cambio le pile della torcia, ma quella non funziona comunque. Quel colpo deve aver fatto fondere la lampadina. Per me non ci sono problemi, perché vedo attraverso la luce creata da Margaret e dagli altri due fantasmi, ma Richard rischia più volte di inciampare a causa di ostacoli che non riesce a scorgere.
-Aspetta, io ho un accendino!- ricordo, dopo che il ragazzo fa quasi rotolare a terra entrambi incespicando su un sasso.
-E lo dici solo adesso?- domanda stizzito, spazzolandosi i vestiti.
Frugo nello zaino finché non trovo il rettangolino di colore argento metallizzato. Lo apro e lo accendo, illuminando le mie mani con il bagliore rossastro. Fortunatamente quello è il tipo di accendino che puoi continuamente tenere in funzione anche senza esercitare una pressione continua sull'interruttore. Riesco a passarlo a Richard senza che la fiamma si estingua.
Procediamo più veloci, ora, ma anche più nervosi. Sono già passati un paio di minuti da quando se n'è andato e tra poco tornerà.
-Eccola.- avverto Richard.
Giriamo intorno ad un albero e lì vediamo la pagina. Un suo disegno stilizzato svetta in mezzo al foglio, mentre ai margini la parola “NO” è stata scritta più volte, in una specie di raptus di follia.
Io ed il ragazzo iperattivo ci scambiamo un lungo sguardo.
-La prendo io.- si offre lui, allungando le dita.
Faccio un cenno affermativo e lui si avvicina alla carta. Ferma la mano qualche centimetro prima di sfiorare la superficie dell'oggetto, aprendo e chiudendo il pugno. Poi afferra la pagina.
Strizzo gli occhi e mi metto le mani sulle orecchie, pronto al dolore. Ma non succede niente. Nessun maglio mentale si schianta sulla mia fronte, nessuna sensazione di gelo mi fa venire la pelle d'oca.
Mi rilasso, sorpreso.
-Arriva?- chiede Richard.
-No.- lo informo.
Avete ancora tempo. Mi spiega Margaret. Ne è passato poco dall'ultima volta che è apparso. Ma fate attenzione, diventa molto aggressivo una volta che si ha raccolto tutte le pagine.
-Dobbiamo tornare alla fabbrica.- dico, sia al ragazzo che alle anime.
Un lieve formicolio mi indica la strada da seguire.
-E cerchiamo di farlo in fretta.- mi incita Richard -Non voglio lasciare troppo Amy e Karen da sole.
-Sono ben difese, fidati.- lo rassicuro, aumentando il passo di quello che mi concede il mio affaticato fisico -Finché non viene aperta una breccia nel muro lui non ha modo di entrare.
-Perché i fantasmi glielo impediscono?
Annuisco.
-Da quello che ho capito- continuo -lui esiste in entrambi i mondi, quello fisico e quello spirituale. Quindi può superare i muri passando dal mondo dei fantasmi, e ignorare i fantasmi passando dal mondo dei vivi. Fortunatamente la fabbrica ha difese da entrambe i lati, grazie ai nostri amici dall'altro lato.
Una lucciola comincia a parlarmi con una profonda voce maschile. La riconosco, è quella che mi ha aiutato a sistemare il revolver di Rachel.
Quello che hai detto non è del tutto esatto. Mi corregge. Almeno da quello che siamo riusciti a capire in questi anni. La sua principale esistenza è legata a quello che tu chiami “il mondo dei fantasmi”, ma il suo enorme potere accumulato con le anime gli permette, anzi, quasi lo costringe, a proiettarsi nel mondo fisico.
Spiego la differenza a Richard su insistenza della lucciola, anche se a me non sembra molto importante.
Lo è invece. Mi rimprovera l'uomo. Il fatto che sia uno spirito ti impedisce di ucciderlo nel mondo fisico.
Abbiamo le pagine, adesso. Gli ricordo.
Io avevo tutte le pagine, una nove millimetri e una buona mira. Sono stato preso lo stesso.
Troverò un modo. Prometto.
-Perciò è una specie di demone.- pensa ad alta voce Richard -Un esorcismo funziona?
-Ne dubito.- rispondo -E poi, nessuno di noi lo sa fare.
Richard alza un sopracciglio, con uno sguardo furbo negli occhi. Io parlo con voce piatta, atona, ma precisa.
-Guardare L'esorcista non significa diventarne uno.
Lui alza gli occhi al cielo.
Inoltre parlare di mondi diversi è terribilmente scorretto. Continua la lucciola. Tutti abitiamo lo stesso posto, ci limitiamo a guardarlo con occhi diversi.
Invio dentro di me un pensiero interrogativo.
Noi non abbiamo un corpo. Prosegue. Per noi l'intelletto è tutto. Quello che pensi diventa quello che è. Ci plasmiamo intorno un mondo fatto di soli pensieri, ricordi, emozioni ed in continuo mutamento. Invece voi guardate il mondo di materia, in cui pensiero e realtà sono due cose diverse.
Comincio a ripetere il discorso della lucciola quasi in automatico. C'è qualcosa di affascinante in quello che dice, e lo voglio condividere.
-Vivete in un sogno.- mormora Richard.
È una definizione calzante. Approva la lucciola. I vivi non ci vedono perché non riescono a cambiare il loro punto di vista, noi invece sì. Eppure tu sei diverso dagli altri. Tu sei sensibile a noi.
Le gambe hanno smesso di farmi troppo male, nonostante le senta ancora un po' rigide. Seguo la strada indicatami dalle anime distrattamente, mentre il mio cervello continua a lavorare.
Vivono in un sogno. Rifletto. Plasmano la loro realtà.
I peli delle braccia mi si drizzano. Un brivido mi percorre la colonna vertebrale. Il mio cuore perde un battito, poi accelera furiosamente.
-È qui.
Credevo che le mie gambe avessero già dato tutto. Mi sbagliavo.
Scattiamo ad una velocità che non credevo saremmo riusciti a raggiungere per molto tempo. L'affaticamento è sparito, sostituito dal rush di adrenalina. Non siamo tanto lontani dalla fabbrica, mancheranno di sicuro meno di settecento metri, ma le piante mi impediscono di vedere la meta.
Non ci arriverete mai.
Il freddo si sposta davanti a noi. Svoltiamo a destra, e la sensazione ci segue. Una breve occhiata alla mia sinistra mi costringe a osservare il bavero di una giacca nera, ed i miei piedi diventano di piombo. Un altro flash, e lui è davanti a noi.
Vengo a prendertiiii.
Riesco a tirare Richard a sinistra prima che lui ci appaia di nuovo davanti per intercettare la nostra fuga. Puntiamo di nuovo verso la fabbrica, e lui ci tallona. I passi li sento anche con le orecchie, e non solo con la testa.
Vieni a giocare. Giochiamo. Giochiamo. Giochiamo. Giochiamo.
La luce uscente dalle mie mani illumina un dislivello che scende per un paio di metri, oltre la vegetazione si dirada e, ancora oltre, la fabbrica viene illuminata dalla luna.
Giochiamo. Giochiamo. Giochiamo. Giochiamo.
Mi costringo all'ultimo sforzo. Lui non cede terreno, non possiamo permetterci di rallentare.
Prima giocheremo io e te. Poi io e te con Amy. Sì, sì.
Aiutaci Rachel. Chiamo, cercando di fare in modo che la mia voce esca dalla mia testa.
Oh, no. Nessun aiuto stavolta. Dice malignamente la musica. Solo io e te.
-Amy!- urla Richard -Amy apri la porta!
Ci infiliamo nella porta della recinzione metallica e ci precipitiamo verso l'ingresso della fabbrica. Andiamo a sbatterci contro. Io lo colpisco di petto, ma il pannello non si muove. Lo percuoto col pugno.
-Amy facci entrare!- grido.
-Un secondo!- sento la voce affannata della ragazza arrivare smorzata da dietro la porta.
Noi non lo abbiamo un secondo: sento il freddo attraversare la recinzione come se non esistesse, mentre Amy sta ancora spostando il tavolo da davanti all'ingresso. Ci serve altro tempo.
Agisco senza nemmeno trarre un respiro profondo. Mi volto e basta.
Lo vedo a due metri da me, nel suo abito sempre elegantissimo. Quattro lunghi tentacoli si spiegano dalle sue scapole, agitandosi lentamente. Ma non ne aveva sei? Forse, visto che i tentacoli sono un'estensione del suo potere, significa che stare vicino alla fabbrica lo indebolisce, o che deve impiegare parte della sua forza per tenere lontane le altre anime. Meglio per me.
Appena finisco questa riflessione mi stringo le braccia al ventre e combatto contro la nausea crescente.
Cedi alla paura.
Le lucciole rimangono ben salde nella mia mente. Le sento vicine, calde, forti. La luce esce ancora dai miei palmi.
Io non ti lascio. Mi rassicura Margaret.
Le mani mi si scaldano come se stringessero delle braci roventi. Mi concentro su quel calore fino a renderlo insostenibile. Le tre scintille si muovono lì, proprio al centro delle fiamme.
Insieme? Chiedo.
Le risposte affermative arrivano subito.
Porto di scatto le braccia in avanti e apro le dita. Tre piccoli puntini luminosi sfrecciano verso l'uomo in giacca nera. Cominciano a girargli intorno turbinosamente, mentre lui cerca confusamente di seguirle con lo sguardo. Artiglia l'aria, cercando di afferrarle, ed il dolore al mio ventre cessa, sostituito da una sensazione di freddo. Mi sento come se tutto il mio calore stesse fuggendo via.
Intensifico la tensione che sento ancora tra me e le lucciole e qualcosa colpisce il capo dell'uomo senza volto, facendo tremolare la sua figura. Il ringhio è stizzito. Due tentacoli si muovono e si attorcigliano su loro stessi e catturano un'anima. Un'altra lucciola si getta contro la prigione nera e apre un buco fumante. Le lucciole scappano ed il vortice riprende. Il ringhio è di dolore.
-Ian!- grida Amy -Da questa parte!
Indietreggio. Il vortice luminoso sta perdendo di forza. Il freddo è sempre più diffuso tra le mie membra. Lascio andare la tensione che tiene acceso il fuoco e balzo oltre la soglia.
Un elastico invisibile tra me e le lucciole si tende e poi le tira verso di me. Schizzano come razzi di qua della porta prima che questa si richiuda con un botto. Amy si affretta a rimettere i chiavistelli improvvisati mentre Richard spinge di nuovo il tavolo degli attrezzi al suo posto.
Abbiamo le otto pagine.
Karen è salva.
 

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Capitolo 9
*** La nascita dell'incubo ***


 
Capitolo 8


La nascita dell'incubo

Cerco di dire qualcosa, ma il suono che esce dalle mie labbra è roco ed incomprensibile. Riprovo.
-Abbiamo le pagine.- sussurro, con qualche difficoltà.
La testa mi gira, e la sensazione di freddo si è intensificata, facendomi tremare e stringere le braccia intorno al corpo. Amy mi fissa preoccupata. Si slaccia la felpa e me la getta addosso, sfregandomi le mani sulla schiena.
-Sembri un cadavere. Che è successo là fuori?- domanda, con un tono ansioso.
-Siamo stati attaccati mentre tornavamo qui.- le spiega Richard -Ian ha usato uno dei suoi trucchetti per fermarlo e darci il tempo di entrare. Credo che questo lo abbia provato.
Mi preparo alla replica scettica di Amy riguardo al mio “trucchetto”, che però non arriva. Abbasso lo sguardo dai suoi occhi azzurri e noto, al suo collo, la catenina dorata di sua sorella. In quell'istante mi sento venire meno e qualcuno mi aiuta a sdraiarmi sul pavimento fresco.
-Margaret, state bene?- sento confusamente la voce di Rachel.
-Non tanto.- risponde quella debole della bambina -Ma è stato strano. Quando... quando Ian ci ha mandato contro Slender ci siamo sentiti così forti... È stato incredibile.
La vista mi ritorna un poco a fuoco e vedo una sagoma inginocchiarsi di fianco a me.
-Riesci a bere?- chiede Amy, porgendomi una bottiglietta d'acqua.
Alzo un poco il busto e riesco a mandar giù qualche sorso. Non mi sono accorto di avere sete fino a questo momento.
-E questi dovrebbero metterti a posto la glicemia.- continua lei, mettendomi in mano un piccolo pacchetto di biscotti.
Fanno davvero schifo, ma li mangio comunque. Mi ricordo solo ora che lei vuole studiare infermieristica all'università, oppure diventare paramedico. Evidentemente si è portata avanti nei lavori.
-Come sta Karen?- s'informa Richard.
Amy alza la testa. -Non bene, ma non ha ancora cercato di uccidermi.
Mentre gli zuccheri ritornano nel mio circolo sanguigno sento la mia capacità di concentrazione aumentare. Riesco a sedermi senza che mi giri la testa, nonostante il calore non sia ancora tornato nel mio corpo.
-Ha cominciato a mostrare segni di fotosensibilità però.- continua Amy.
-Foto... cosa?- fa Richard.
-Intolleranza alla luce.- spiega lei -È il motivo per cui uso queste. Se accendo la torcia le fa male agli occhi.
Noto solo ora che l'illuminazione nella stanza è garantita da due barre fluorescenti appoggiate sul pavimento.
-I proxy detestano la luce.- mi avverte Christofer.
-Non è ancora uno di loro.- protesto, in direzione del fantasma.
I due si voltano di scatto verso di me. La tensione tra di noi cresce, mentre mi guardano imbarazzati. Non mi fanno domande di alcun tipo, anche se credo vorrebbero farlo, anche se le parole si accumulano fastidiosamente dietro al silenzio.
-Mi dispiace.- mi scuso.
-Vado a riunire le pagine.- si congeda Amy, portando una mano alla medaglietta d'oro prima di alzarsi.
Raggiunge lo zaino e ne tira fuori le cinque pagine che avevamo raccolto tutti insieme. Poi ci raggiunge di nuovo e le stende una di fianco all'altra sul pavimento in mezzo a noi tre. Le vedo pulsare di un'aura fredda, che s'intensifica quando vi avvicino quelle che conservo io. Quando anche Richard fa lo stesso, l'ottetto è completo.
NO NO NO NO NO NO NO NO NO NO NO
Ciò che irradiano è talmente simile al suo potere che se chiudessi gli occhi crederei di avere davanti una delle sue proiezioni. Erano smaniose di essere riunite, e adesso sono finalmente insieme.
LASCIAMI IN PACE
Adesso il gioco dovrebbe essere finito, giusto? Dovremmo aver vinto. Eppure lui è ancora là fuori, che cerca di erodere la resistenza di Rachel dall'esterno, e quella di Karen dall'interno.
NON RIUSCIRE A CORRERE
Sono come un magnete. Sento una forza attrattiva che mi spinge verso di esse. Stendo la mano.
TI GUARDA SEMPRE. MA NON HA OCCHI!!!
Tocco la carta. E ne vengo risucchiato.
AIUTAMI!


Il sole è troppo caldo, l'aria troppo secca. Questa siccità sta uccidendo tutto, dai campi coltivati alle foreste lontano dalle grandi città.
Le foglie intorno a noi sono gialle e morte. Se ne vedono molte di più sul terreno che sugli scheletrici rami degli alberi, per questo il sole picchia così forte. Questo luogo sta venendo ucciso.
Lo scalpiccio del bambino fa scricchiolare le foglie sul terreno.
-Perché gli arbusti sono spogli, padre?- chiede.
-Perché non vi è acqua per farli crescere, James.- rispondo, dissimulando la mia preoccupazione.
Di questo passo moriranno di sete anche le persone, e non solo i vegetali.
Vengo distolto dalle mie riflessioni da un odore acre, che mi brucia la gola e mi ferisce gli occhi. Alzo lo sguardo. A ovest una colonna di fumo si sviluppa nel cielo terso, piegandosi verso di noi. Metto una mano sulla spalla di mio figlio.
-Sarebbe prudente allontanarci.- lo avverto.
Lui scruta la massa nera, apparentemente tranquillo, forse rassicurato dalla notevole distanza tra noi e le fiamme. Conduco con fermezza James sulla strada del ritorno. Prima usciamo da questo luogo colmo di legna da ardere, meglio è.
La puzza di bruciato non si affievolisce, tuttavia, anzi, pare aumentare durante la nostra camminata. Quando volgo gli occhi all'incendio quello sembra essersi fatto più grande, e più vicino. Aumento la falcata.
-Rallenta, padre.- si lamenta James.
È un crepitio sinistro a rispondere alla sua richiesta. Viene dalla nostra sinistra. Eppure l'incendio che avevamo avvistato prima dovrebbe essere alle nostre spalle. Mi accorgo con orrore che una seconda colonna di fumo si sta innalzando vicino a noi, molto vicino.
-Dobbiamo andare.- ordino, dando a James una leggera spinta in avanti.
Il piccolo si rende conto solo ora del pericolo. Emette uno strillo spaventato e mi si stringe intorno a una gamba, come paralizzato.
-Muoviti, James!- lo esorto, spingendolo avanti finché il piccolo non comincia a muoversi di suo.
L'aria intorno a noi si scurisce. Forse sto diventando cieco. La gola mi pizzica, e James comincia a tossire per effetto del fumo che sta appestando l'ambiente. Il crepitio si fa più forte.
Un rombo mi percuote i timpani, e poi veniamo investiti da un'onda nera.
Inspiro, ma è come se ingerissi braci. Non posso impedire che la tosse mi pieghi in due. Il petto mi manda fitte incessanti. Il mio stomaco si capovolge.
Non. Posso. Respirare.
Boccheggio. Il mondo comincia a girare e mi ritrovo per terra. Striscio in avanti, in una direzione a caso, per uscire dal miasma. Annaspo. Affogo.
I miei occhi ritrovano la luce ed i miei polmoni l'aria.
Tossisco di nuovo, con la bocca che mi sembra essere stata raschiata dalla lima di un fabbro. Sono vivo. Siamo vivi.
Siamo...
-James?- chiedo.
Nessuna replica.
-James!- grida la mia voce raschiante.
Vicino a me non c'è nessuno. Davanti a me la nuvola di cenere è ancora intatta. Mi rialzo e mi getto di nuovo nel fumo urlando.
-James!
NO. NO. NO. NO. NO. NO. NO. NO. NO. NO.
Vado a tentoni. La fuliggine si è un poco diradata, appena abbastanza da consentirmi di respirare. Il boato del fuoco sovrasta le mie grida.
-James!
Il mondo ora ha una sfumatura rossastra. Fa stranamente caldo qui, troppo caldo.
-James!
Le fiamme divampano all'improvviso, sbarrandomi il percorso. Il fumo non riesce a proteggermi dalla luce abbagliante delle fiamme. Il dolore agli occhi è immediato. Vedo solo bianco. Mi allontano dal calore barcollando.
-James!
Il calore non mi lascia. Mi ferisce la pelle. M'insegue.
Qualcosa comincia a riapparire nel mio mondo annebbiato. Riguadagno la capacità di distinguere il sopra e il sotto. Sono per terra. Come sono caduto?
-James!
Mi alzo e corro, cercando di evitare gli alberi in fiamme. Devo trovarlo. Devo assolutamente prenderlo e portarlo via da quest'inferno. Poi, tra le esplosioni della legna in fiamme, mi pare di udire delle voci, degli strepiti umani.
Vado in direzione di quel suono, anche se i piedi mi bruciano e la pelle mi pizzica terribilmente. Perdo l'equilibrio. Mi sostengo a un tronco per non cadere e ciò mi infligge una stilettata al palmo. Grido per il dolore e allontano il braccio, mentre vedo che quella parte della corteccia è diventata un focolare di braci ardenti.
Il dolore è meno di quello che mi sarei aspettato. Cerco di muovere un dito, ma mi accorgo con sorpresa di non riuscirci. La mano c'è, ma non mi obbedisce.
Proseguo verso le voci. Sono sicuro che siano vere, adesso che sono più vicine. Gli alberi si diradano e le fiamme con loro. Riesco a distinguere un edificio appena oltre il limitare del bosco. Sembra una casa di pastori, oppure di contadini. Delle figure stanno lavorando frettolosamente intorno ad esso, probabilmente per salvare gli animali o l'argenteria dal fuoco.
Una donna mi vede e comincia ad indicarmi urlando. Incespico verso di lei. Di sicuro James è in quel podere, in salvo, oppure è stato allontanato dal pericolo in attesa che fuggissi anch'io. Dove altro potrebbe essere altrimenti?
Nessun padre avrebbe mai potuto lasciare suo figlio in mezzo ad un incendio.
Il suono di qualcosa che si spezza. Un urlo. Vengo schiacciato a terra. Poi tutto è nero.


-Le fiamme gli hanno quasi carbonizzato il volto.
La voce è indistinta, ma morbida. Sento un'ovatta di nulla avvolgermi, fatta di totale assenza di sensazioni di ogni genere. Sto quasi bene, sono quasi felice.
-Come è successo?
La seconda voce è più bassa, maschile.
-Gli è caduto un albero infuocato addosso, o così dice la servitù.- un sospiro -È un miracolo che sia ancora vivo.
Una serie di punture trapassa il mio stato di beatitudine. Muovo un dito. Il volto comincia a dolermi.
-Si sta svegliando.- dice allarmato l'uomo -Mi passi l'infuso di papavero, presto. Non può ancora sopportare il dolore.
Gocce di liquido mi scendono in gola. E sprofondo di nuovo nell'incoscienza.


Perché quell'uomo bianco mi fissa dalla finestra?
L'uomo non mi risponde. Si limita a rimanere sdraiato su letto e a fissarmi con quella sua faccia priva di volto. Invece il mio è strano, di volto, avvolto da qualcosa di morbido. Alzo la mano, e la figura al di là del vetro mi imita, passandosela sul viso, come sto facendo io.
Sento un tessuto morbido sotto la pressione delle mie dita, fasciate in candide bende. Mi rendo conto che anche il mio viso è bendato. Aumento la spinta, e una fitta di dolore mi fa abbassare di scatto la mano. L'uomo pallido fa lo stesso.
Quell'uomo è malvagio: ogni volta che lo guardo lo sorprendo a fissarmi di rimando, con quel suo volto senza lineamenti. Solo gli occhietti scuri e la bocca arrossata e spaccata sfuggono a quella prigione bianca, eppure sono ben lontani dall'essere umani. Hanno un aspetto malato, demoniaco. Non so cosa quel diavolo voglia, ma non è di sicuro nulla di buono, nulla di sano.
Devo andarmene di qui.
C'è un rumore cigolante dietro di me e una porta si apre alle spalle del demone. Un signore vestito elegantemente entra dalla soglia, accompagnato da un suono di passi proveniente da dietro di me. Lo sconosciuto si volta.
-Perché non mi avete avvertito che era desto?- esclama, con tono arrabbiato.
Con un paio di falcate frettolose l'elegante personaggio giunge al giaciglio del mostro.
-Non vi preoccupate.
La voce ora arriva da sopra di me. Giro la testa per cercarne la fonte e vedo lo sconosciuto chino su di me, con un'espressione preoccupata. Cerco di muovermi, ma lui mi blocca.
-State fermo. Siete ancora molto debilitato e non dovete affaticarvi.- dice gentilmente.
Le mie labbra si muovono a fatica, come se non le usassi da molti giorni. Le mie corde vocali funzionano solo al secondo tentativo.
-Chi... Chi...- abbozzo.
-Henric Locke.- si presenta, portandosi una mano al petto -Sono il proprietario della casa ed un medico. Non dovete preoccuparvi.
Lo sfigurato continua a guardarmi dalla finestra. Lo vedo ogni volta che muovo gli occhi in quella direzione.
-Lui... Lui è...- mormoro, cercando di avvertirlo del pericolo.
Henric accosta l'orecchio al mio volto.
-Il demone... alla finestra...- continuo, indicandogli debolmente con una mano il quadrato di vetro.
L'altro si guarda intorno smarrito, senza capire la mia supplica. Mandalo via, per Dio onnipotente! Via! Via!
Una luce di comprensione illumina gli occhi del dottore.
-Oh!- esclama, guardando la finestra con un sorriso bonario -Non vi crucciate. Quello siete voi.
Il gelo mi assale mentre il sangue cessa di scorrermi nelle vene.
Quello non sono io.
Un altro pensiero sguscia nella mia testa, facendomi dimenticare il mostro, le bende sulle mie mani e tutto il resto.
-James?- chiedo, accorgendomi che le mie capacità vocali stanno migliorando.
Se era al podere, adesso l'avranno portato qua con me, ovunque io sia. Non può essere diversamente. L'alternativa sarebbe troppo terribile. E la colpa sarebbe solo mia. Mia.
-Di chi state parlando?- domanda a sua volta il dottor Locke.
-Lui era con me... James era con me.- cerco di spiegargli.
Ci vuole un altro secondo perché il signore assuma un'espressione rattristata.
-Mi dispiace.- dice, come si fa con le condoglianze -Non hanno trovato nessun altro. Solo voi siete riuscito a uscire dal fuoco.
No. Non è vero.
Lui era con me. Era vicinissimo a me quando abbiamo visto il fumo, quando la nuvola di cenere ci ha raggiunti. Non può non essere riuscito ad uscire. Non posso non averlo salvato.
Avrei dovuto prenderlo in braccio.
Non sono un cattivo padre, non avrei mai lasciato mio figlio in mezzo alle fiamme. Sarei morto io piuttosto. Avrei preferito morire io. Sarei dovuto morire io. Oh Dio, perché non sono morto io?
Avrei dovuto portarlo via.
Io non sono quel mostro oltre il vetro. Quel demone forse avrebbe lasciato un bambino a morire bruciato, ma non io. Non io.
Me ne sono andato senza di lui, quando il fumo ci ha avvolti. Sarei dovuto restare.
-Io non sono quel mostro.- protesto.
-Scusi...
Quante calunnie. Non avrei lasciato James lì, mai. L'ha fatto lui, l'ha fatto l'uomo bianco. È lui il responsabile di quello che è successo a mio figlio.
-Io non sono quel mostro!- grido -No! Non è vero! LASCIAMI IN PACE!
-È solo uno specchio!- alza la voce il dottore -Vi prego calmatevi! Siete voi! È solo uno specchio!
Adesso basta. Cerco di alzarmi, di porre fine con la forza alle sue menzogne, ma quando lo faccio barcollo. Sento delle braccia forti afferrarmi mentre sprofondo nell'incoscienza.


Lui non mi lascia. Non mi lascia mai dalla prima volta che l'ho visto.
La testa mi duole. Il mondo vortica intorno a me. Lui è l'unica figura definita, che si staglia sullo sfondo sfocato e mutevole. A volte ha il volto bianco, ma se si toglie la maschera esso diventa rosso e sfregiato. È sempre con me. Mi segue. FOLLOWS. FOLLOWS. FOLLOWS.
Gratto la parola sulla pagina bianca con la matita spuntata, stretta nel pugno. Le altre sette sono sparse intorno a me. Mi proteggono. Lui non può avvicinarsi quando le tengo con me.
Sono il solo a vederlo. E lui sembra non guardare altri che me.
Oggi è uno dei giorni belli, perché ho le braccia libere, e non sono bloccate sul mio ventre come al solito dalle maniche della camicia. Il vestiario è orribile. Orribile. Non mi fa muovere. Vorrei di nuovo il mio completo, quello nero. Sì. Quello nero con la cravatta rossa.
Ho paura.
Non voglio più sopportare quest'inferno. Basta. Non riesco più a sostenere il suo sguardo calmo, a volte accusatore, quella caccia senza fine.
Non riesco ad ucciderlo. Gli oggetti gli passano attraverso come se fosse fatto d'aria, come se non esistesse. Mi dicono tutti che non esiste in effetti, ma io so che si sbagliano.
La mia mano comincia a tremare, e la matita mi ferisce un dito che sta tenendo la pagina, aprendovi un piccolo buco. Il dolore mi fa lacrimare. Non c'è nulla di giusto, qui.
La lucidità si fa strada nella mia sofferenza al pari di un fiume in piena che sfondi una diga. Io ho già la soluzione. L'ho avuta sott'occhio da vari minuti ormai.
Osservo la ferita rendendomi conto della mia fortuna, poi sposto lo sguardo sulla matita. Essa è spuntata, certo, ma non troppo. Me lo farò bastare.
Allontano il braccio dal mio corpo e poi lo abbasso di scatto. Il dolore alla gola mi mozza il respiro. Un secondo dopo mi accorgo che non è solo il dolore ad impedirmi di respirare, ma anche un liquido caldo che mi scende nei polmoni. Qualcuno urla. Prima che possa accadere qualcos'altro ripeto il gesto che mi porterà alla mia liberazione.
Le mie gambe vengono come tagliate e la mia vista si offusca mentre cado.
Lui si china verso di me.


Posso avere ciò che voglio.
Il bambino dorme tranquillo nel suo giaciglio. Non vedo bene il letto, ma vedo lui, come se fosse un faro in mezzo alla tempesta. La sua mente dormiente è così aperta, così invitante.
Posso essere il miglior giocatore del mondo. Dopotutto, non ho forse sempre giocato?
Scivolo all'interno della luce senza difficoltà. Il sogno muta intorno a me, scurendosi. Chiamo le pagine, le spargo per il bosco. Possiamo cominciare.
Nessuno riesce a vedermi di giorno. Non riesco ad interagire, non ancora almeno. Ma ho scoperto che di notte è diverso, che quando dormono tutti possono vedermi, specialmente gli infanti. E io voglio recuperare quello che ho perso.
Sei mio.


Stacco la mano dalla carta con violenza.
Sei mio.
Cado all'indietro sui gomiti. Mi allontano scalciando, sparpagliando le pagine, separandole le une dalle altre. Le immagini mi lasciano andare, ma non mi fermo finché non sono lontano di un metro dall'ottetto.
-Che succede?- chiede preoccupata Amy.
I due ragazzi si avvicinano di nuovo a me. Richard si guarda intorno guardingo.
-È qui?- domanda lui.
Scuoto la testa in segno di diniego.
-Ho solo... visto delle cose.- spiego.
-Non erano semplici “cose” se ti hanno fatto reagire così.- osserva Amy, aiutandomi a sedermi con una mano.
I nostri occhi si incrociano, e vedo che l'ombra del dubbio ha abbandonato i suoi, lasciando solo una luce azzurra brillante. Ha rincominciato ad avere fiducia in me, facendomi sentire avvolto da un senso di calore. Almeno non morirò senza essere riuscito a riappacificarci.
-Ho visto la sua storia.- dico.
Racconto tutto, con tutti i particolari che sono riuscito a carpire. Parlo della scomparsa di James, facendo partire i commenti di Christofer, che a quanto pare già sapeva del figlio dello Slender, al fatto che è stato Slender stesso a disegnare le otto pagine originali, causando il silenzio imbarazzato di Christofer.
-Credo che abbia mietuto le prime vittime entrandogli nei sogni.- spiego -È in questo modo che è riuscito a raccogliere le prime anime quando ancora non aveva la forza per proiettarsi in maniera fisica.
-Aneurisma. Infarto. Insufficienza respiratoria.- elenca Amy -Ci sono un sacco di modi per morire durante il sonno. La paura e la mente possono uccidere, oppure spingerti a suicidarti dopo varie notti piene di incubi.
Mi chiedo come sarebbe avere lui nei miei sogni ogni notte.
-Non li biasimo, se hanno deciso di farla finita.- commenta Richard -Ma anche lui era perseguitato, no?
Scuoto la testa.
-Credo fosse malato.- sostengo -Forse schizofrenico, e non come me. Ha spezzato il suo mondo a metà perché si riteneva responsabile della morte di James e ha dato tutta la colpa ad un personaggio inventato. Poi è morto e...
-Ha indossato la maschera che si era costruito.- mi suggerisce Rachel.
-Ha indossato la maschera che si era costruito.- ripeto.
Amy si porta la mano al ciondolo. Mi pone di nuovo quella silenziosa domanda, che mi lascia spiazzato. Sa che sua sorella è qui? Conosce la sua storia?
-Mi sono addormentata mentre voi non eravate qui.- si giustifica -È stato solo per un paio di minuti e... Rachel è arrivata.
Annuisco, per confermare che le parole erano si sua sorella.
-Aspettate,- ci blocca Richard -vuoi dire che la Jules scomparsa è ancora con noi?
-Ci ha protetti per tutto il tempo.- asserisco.
-Tutto questo sta diventando troppo strano.- borbotta contrariato -E noi abbiamo un'aria troppo da Ghostbusters. Non mi piace.
Alzo un sopracciglio.
-Non potresti- chiedo gentilmente, seppur con una vena di sarcasmo -smettere di fare riferimenti a film, almeno per oggi?
-Ehi, oggi non ne ha fatti.- interviene Amy.
-Mi ha paragonato ad un incrocio tra “Shining” e “A Beautiful Mind”.- racconto.
-E non avrei dovuto farlo.- si pente lui -“A Beautiful Mind” parla di un matematico, e considerati i tuoi voti...
Mi lancia un'occhiata allusiva, ma io lascio cadere l'argomento.
-Ragazzi- ci richiama Christofer, apparendo in mezzo a noi -vi dispiacerebbe riportare la questione su Slender?
Quando riferisco le parole del ragazzo la belva del silenzio ci ripiomba addosso. Cosa dovremmo dire, dopotutto? Dovevamo prendere le pagine, e lo abbiamo fatto, ma lui non se n'è andato, e Karen sta ancora male. Avevo promesso di ucciderlo, ma la visione mi ha fatto venire dei seri dubbi sulla mia capacità di rispettare il giuramento: non puoi uccidere qualcuno che è già morto.
-Aspettiamo che faccia giorno, così sarà più debole.- propone Rachel -Allora lo affronteremo, o tenteremo di curare Karen.
-Posso provarci adesso.- rispondo.
-Sei ancora debole.- mi ricorda -Dormite per quello che resta della notte, noi faremo la guardia senza problemi.
-Ehi, medium- mi richiama Richard -rendici partecipi della conversazione.
Non faccio in tempo ad esporre per intero la proposta di Rachel che il ragazzo si dimostra subito favorevole alla parte in cui si dorme. Lo sono anch'io e me ne vergogno un poco.
-E se Karen si trasformasse nel mentre?- domanda Amy.
-Gli ci vogliono due giorni per creare un proxy.- la rassicuro -O almeno, questo è quello che ha appena detto Christofer.
-Nessun pericolo quindi?- si assicura lei -È sicuro?
Un'anomala folata di vento fa agitare le pagine.
-È il suo modo di dire che è sicuro.- traduco.
Non ci mettiamo molto a lasciarci persuadere, dato che le nostre preoccupazioni sono mitigate dalla rassicurante presenza delle anime. Lui non può entrare qui, e Karen ha ancora un giorno e mezzo. Andiamo tutti ad assicurarci che stia bene, prima di coricarci. Le linee nere sulla sua pelle si stanno espandendo lentamente, tanto che una è già arrivata a solcarle la giugulare. Lei è sdraiata con la testa sullo zaino di Amy, ed è coperta dalla felpa di Richard. Mi sembra quasi stare bene, come se avesse solo un leggero mal di testa, ma quando apre gli occhi mi accorgo che essi sono smarriti, confusi.
Ci corichiamo su dei tavoli da lavoro che raggruppiamo vicino a lei, per proteggerci dall'eccessivo freddo del pavimento, ed usando zaini e felpe come cuscini. Io cedo al sonno praticamente subito. Non ho voglia di controllare i miei sogni, perciò lascio che si creino e scoppino intorno a me come bolle di sapone, limitandomi a scacciare gli incubi che sapevo già da prima sarebbero arrivati. Non sono tentativi di Slender di soggiogarmi, ma solo l'espressione della paura che ho trattenuto durante la veglia e che il mio subconscio libera durante il sonno. Per me non sono un grande problema, siccome posso soffocarli sul nascere. Immagino che per gli altri non sia lo stesso.
Mi sveglio nel sentire rumore di movimento vicino a me. Controllo Karen, che però dorme pacificamente, e mi accorgo che è Amy invece ad agitarsi debolmente, probabilmente in preda ad un incubo. Non sta venendo aggredita. Non sento la sua presenza. La ragazza è solo vittima della propria mente.
Le prendo la mano e mi immergo.
Mi riesce facile, adesso che non c'è lui ad oppormisi, scivolare nel suo sogno. È come andare in apnea sott'acqua, all'inizio, mentre quando sei dentro l'acqua scompare e puoi riprendere a respirare.
Il suo sogno è buio, completamente nero. Sbatto le palpebre per un paio di secondi in attesa che i miei occhi si adattino alla poca luce nell'ambiente. Ma dopo poco mi accorgo che non c'è alcuna luce.
Avverto subito la presenza dello Slender c'è però. Non riesco a vederlo, ma si sta avvicinando. Sento la pressione sulle tempie che ne annuncia l'arrivo.
-Amy?- chiamo.
-Ian?!- grida la voce della ragazza, da sorprendentemente vicino a me -Tu... tu eri morto.
Da sola, al buio, e con lo Slender che si avvicina. Amy si è proprio confezionata un incubo coi fiocchi.
-No.- la contraddico -Sono ancora qui. Amy, ascolta, è solo un sogno, tutto questo non è reale. Calmati e migliorerà.
-Un sogno?- esclama sorpresa -ma....
-Aspetta, faccio un po' di luce.- la fermo.
Normalmente avrei potuto illuminare quel posto a giorno in un'istante, ma è solo un piccolo lume quello che si accende sopra di noi. Evidentemente devo impegnarmi molto per cambiare il sogno di qualcun altro.
Lei alza lo sguardo, sorpresa dal globo bianco che si è messo a galleggiare sopra di noi, eppure il terrore vince la sorpresa in un attimo.
-Dobbiamo andare.- mi incita, afferrandomi il braccio.
Ha i capelli scompigliati e la fronte sudata. Ha troppa paura per riuscire a capire quello che sto dicendo, per concedersi una pausa dal terrore.
-Amy guardati intorno.-la sprono -non c'è niente qui. Niente. La tua mente ha costruito solo ciò che serve ad impressionarti.
La ragazza si gira per riprendere a correre ma va a scontrarsi contro un muro invisibile. Prova a passare dandogli una spallata, ma la barriera regge.
-Non lo lascerò avvicinare- le prometto -ma prenditi un secondo per capire che quello che ho detto è vero.
Lei abbassa lo sguardo, e sgrana gli occhi quando si accorge che stiamo camminando sul nulla. Il suo subconscio si è dimenticato il pavimento.
-Forse dovrei smetterla di non credere a ciò che dici.- commenta.
-Forse dovresti.- rido, divertito dalla sua espressione sorpresa.
La presenza dello Slender scompare e ciò mi rassicura. Amy è riuscita a liberarsene, almeno per questo sogno.
-E adesso?- chiede.
Sorrido.
-Prova a fare qualcosa.- la incito.
Mi osserva smarrita.
-Andiamo! È il tuo sogno!- le ripeto -Qui puoi fare tutto quello che vuoi. Ti aiuterò io.
Prima che faccia in tempo a finire la frase qualcosa cade con un tonfo di fianco a me. Cerco la causa del rumore e mi accorgo che vicino ai miei piedi c'è un tomo rilegato in pelle, dall'aspetto antico.
-Un libro?- le chiedo.
-E' la prima cosa che mi è venuta in mente...- si giustifica lei.
Stendo una mano ed il tomo vi vola sopra, aprendosi da solo.
-Non avevo chiesto un libro vivo.- si lamenta lei.
-Lo sto facendo io. Praticamente in questo posto il tuo unico limite è l'immaginazione- le spiego -e a volte nemmeno quella.
-Aspetta...- continuo, aprendo il libro -Perché le pagine sono tutte bianche?
-Non sapevo cosa metterci...
Scuoto la testa in maniera sconsolata, mentre il libro scompare dalle mie mani, senza che io lo voglia, però.
-E adesso?- domanda ancora.
-Aspettiamo.- rispondo-Io sono intervenuto solo per interrompere il tuo incubo.
Dei muri compaiono all'improvviso intorno a me, seguiti da un divano marrone, da una televisione all'altro capo della sala quadrata, e da un tappeto rossiccio sotto ai nostri piedi.
-Credo di starci prendendo la mano.- dice Amy, osservando il salotto di casa sua.
Si lascia cadere sul divano ed io la emulo, sprofondando in un cuscino. Nella realtà il suo divano non è così comodo, ma sognare fa miracoli all'arredamento.
Lei mi sfiora la spalla e io mi giro verso di lei.
-Ricorderò tutto questo, secondo te?- chiede -Di solito i sogni vengono dimenticati al risveglio, giusto?
-Non lo so.- mi acciglio -Io ricordo quello che scelgo di ricordare, praticamente solo i sogni che modifico: di notte mi piace anche riposare.
Amy si morde il labbro.
-Sarebbe un peccato- si lamenta -dimenticare proprio il giorno in cui sei Dio. Popcorn?
Mi giro verso di lei e vedo che mi porge un enorme cesto pieno di popcorn ricoperti di cioccolato. Li adoriamo entrambi da quando abbiamo scoperto la loro esistenza l'anno scorso. Sono il nostro nettare.
-Me li concedo solo perché qui non ingrassano.- accetto, afferrandone una grossa manciata.
-Lo immaginavo.- scherza lei, agitando i capelli rossi, che per un secondo mi paiono diventare di fuoco.
Il suo sorriso si restringe e le sue labbra si tendono nervosamente. Gioca troppo a lungo con un popcorn prima di mangiarlo per essere tranquilla. Il suo nervosismo si diffonde nel sogno, tanto che potrei indovinare il suo stato d'animo anche senza guardarla.
-Senti- comincia -io non mi sono scusata.
Scrolla le spalle.
-Per non averti creduto, intendo.- continua -Anche dopo che lui è arrivato, non ti ho creduto comunque.
-Amy, non...- cerco di rassicurarla, ma lei mi ferma con un gesto.
-Un attimo, ti prego. Potrei non avere mai più il coraggio di dirlo quindi è meglio che lo faccia adesso.- riprende fiato -Io lo sapevo che non mentivi. Io... io ricordo la tua voce, ok? Ricordo la tua voce nella mia testa che mi trascinava via da lui, quando... quando è entrato nel mio sogno. Insomma, tu mi ha salvato la vita, e io in cambio ti ho accusato di essere vittima di chissà quale psicosi e di stare per ammazzarci tutti.
-Nessuna persona sana di mente avrebbe mai creduto a quello che dicevo.- la tranquillizzo -Infatti Richard non ha sospettato che io mentissi nemmeno per un attimo.
-Avrei dovuto credere all'evidenza dei fatti.- sostiene lei -Ho messo la vostra vita in pericolo...
-No.- protesto -No. Quello sono stato io.
Scende di nuovo il silenzio tra di noi, mentre lei aspetta che io continui, ed io aspetto che lei mi chieda di farlo. Stanotte questa medesima scena si è ripetuta troppe volte.
-Sono stato il primo che ha aggredito,- comincio- forse perché sono più sensibile d voi ai fantasmi.
Lei aspetta, silenziosa. Indico con un gesto il sogno intorno a noi.
-Io so sempre controllare la mia mente assopita, quindi non mi è occorso molto per mandarlo via.- racconto, consapevole che sono ancora nella parte di cui mi è facile parlare -Poi è arrivata Rachel.
-Mi ha spiegato a grandi linee in cosa eravamo incappati, e mi ha avvertito che lui avrebbe cercato di entrare nei vostri sogni, dato che non ci era riuscito col mio. Così mi sono alzato per far svegliare anche voi prima che potesse provarci.
Ecco, questa era la parte brutta.
-E non l'ho fatto.- confesso.
Faccio un respiro profondo. Il suo sguardo diventa confuso, dubbioso. Possibile che non creda nemmeno alla confessione del mio crimine?
-Credevo fosse stato “solo un sogno”- rivelo, pronunciando con amarezza le ultime tre parole -ed ho aspettato due minuti senza fare niente. Quando le lucciole mi hanno convinto a scuotere Richard, lui non si svegliava e...
Altro sospiro.
-Se non fossi stato così stupido- concludo -Karen probabilmente non starebbe male.
Ecco fatto, ho finito. Adesso se vuole schiaffeggiarmi può farlo, dato che praticamente sono già colpevole di tentato omicidio e di omissione di soccorso.
-Ian, solo i medioevali credevano nei sogni profetici.- scuote la testa lei.
-È questo il punto!- protesto -Non era un sogno e io lo sapevo, come tu sai con piena lucidità adesso che io sono il vero Ian e non un frutto della tua immaginazione.
-Allora ti dirò quello che tu hai detto a me.- prosegue -Al posto tuo, chi non avrebbe dubitato?
Sono io a mordermi il labbro stavolta.
-Ho sbagliato comunque.
-E sei uscito ad affrontare lo Slender per riparare al tuo errore.- mi ricorda con un sorriso -Non hai già fatto ammenda così?
Non sono ancora convinto di quello che dice, perché per me sarebbe troppo semplice lavarmi via la colpa con un paio di parole. Se Karen morirà, il suo sangue sarà sulle mie mani.
-E comunque- chiede -cosa sono le “lucciole”?
Giusto. Amy non lo sa.
-Sono tre anime che...
-IAN!
La voce esce da tutti i muri, dal pavimento e dal soffitto. Una presenza spinge al confine della mia mente.
-SVEGLIATI SVEGLIATI SVEGLIATI
-Oddio- la riconosco -questa è Rachel.
Non perdo tempo a salutare Amy, ordino semplicemente a me stesso di uscire dal sonno. Trovo una fune che mi riporta nel mio sogno, e poi una che mi riporta all'esterno.
Mi ritrovo sdraiato sul tavolo, con lo zaino sotto la testa e la mano che stringe ancora quella di Amy. Il braccio mi formicola leggermente a causa della posizione scomoda. Muovo leggermente la ragazza per cercare di svegliare anche lei.
-La porta!- grida Rachel, apparendomi davanti ed indicando l'ingresso.
Giro la testa per seguire il suo dito, e la soglia sbarrata entra nel mio campo visivo, dove una figura sta spingendo da parte il tavolo che blocca l'ingresso. È praticamente a metà del lavoro quando la vedo.
E se quella porta si apre lui potrà entrare.
Scendo dalla branda. Mi precipito verso l'entrata e verso la figura che ha capelli lunghi fino alle scapole, biondo-verdastri alla luce delle barre chimiche da pescatore.
-Karen?
La figura si volta e mi ringhia contro. Al posto degli occhi, un tempo umani, adesso ci sono due pozzi di un nero brillante, senza pupilla o iride. Semplicemente un buco scuro.
Karen si lancia sul pesante tavolo per finire l'opera, mentre io capisco che adesso è un proxy.
Le stringo le braccia intorno al petto e la tiro verso di me. La ragazza risponde alla mia aggressione con un altro verso ferino e opponendo più resistenza di quanto mi aspettassi. Tiro un calcio al suo ginocchio, costringendolo a piegarsi. Lei perde l'equilibrio e io riesco a lanciarla via dall'ingresso.
Karen rotola per terra una volta, ma si rialza subito. Si piega leggermente in avanti, in posizione d'attacco, per ringhiarmi di nuovo contro. Se rimango tra lei e la porta lei non potrà aprire un passaggio, e non potrà sopraffarci tutti. Possiamo legarla, immobilizzarla in qualche modo finché non saremo riusciti a capire come curarla.
Eppure, mentre guardo i suoi occhi fatti di pece, sento la mia speranza di riuscire a riportarla indietro vacillare.
Il suo sangue è sulle tue mani. Sussurra flebile la musica della voce di Slender.
La replica non mi arriva pronta e pungente alla lingua come vorrei, sostituita invece da un gusto amaro. Poi le dita di Karen si stringono intorno alla mia gola.
Mi sento cadere all'indietro e urto con la schiena il pavimento. La visuale mi si oscura per un attimo mentre il dolore pulsa nella zona lombare e nel collo. Quando riacquisto la vista sono due buchi neri su un viso pallido ed emaciato ad accogliermi. Le spingo le spalle verso l'alto con tutta la forza che ho, ma lei non si smuove, anzi aumenta la stretta. Non so da dove le derivi tutta quell'energia e i miei polmoni hanno cominciato a bruciare. L'unica presa che perde potenza è la mia.
C'è un rumore di impatto di un corpo duro e i miei polmoni si riempiono di nuovo, seppur a fatica. Anche il peso sopra di me è sparito, quindi riesco a girarmi sul ventre ed ad alzare lo sguardo.
Karen è a quattro zampe, che ruggisce e sputa in direzione delle due figure tra di noi, cioè di Richard, che stringe una grossa chiave inglese, e di Amy, che la tiene sotto tiro col revolver.
-Stai giù.- mi ordina la voce di Rachel, mentre sento una strana sensazione attraversarmi la gola.
Uno strano formicolio mi invade la trachea, che sento aprirsi e permettermi di respirare di nuovo normalmente. L'occhiata di odio di Karen si intensifica.
-Come hai fatto?- chiede Christofer.
-Non lo so.- ammette l'altra, come sorpresa di sé stessa -L'ho fatto e basta.
Mi rimetto in piedi con un gemito di sofferenza causato da qualche livido di troppo. Afferro una sbarra di metallo dal pavimento e la soppeso tra le mani per essere certo di impostare bene la dinamica del colpo.
-Tutto bene?- si preoccupa Amy, lanciando uno sguardo da oltre la spalla.
-Sì.- la rassicuro -Concentriamoci sul bloccarla, adesso.
-Se i nostri amici fantasmi la rallentano io posso stordirla con un colpo.- propone Richard, girandosi in mano la chiave inglese -Sarò delicato, tranquilli.
Ci allarghiamo di tacito accordo per costringere il proxy nell'angolo della stanza. Io le lancio contro una barra fluorescente con un calcio, e lei si copre gli occhi con le braccia e indietreggia per un paio di passi. È nostra.
Lui non ti avrà. Le prometto silenziosamente.
Karen si rialza su due piedi. Due gocce di sangue le cadono dal naso mentre una risata divertita mi rimbomba nella testa, e poi cade a faccia in avanti.
Rimaniamo immobili a fissarla per un secondo, prima che Amy le si avvicini per tastarle il polso. Le sue dita premono tremando un punto sotto al pollice, indugiando per un paio di istanti prima di staccarsi e riprovare in un punto diverso. Infine le poggia l'indice ed il medio sotto la mascella.
Sposto lo sguardo dal suo viso impietrito allo spirito che si sta separando dal cadavere di Karen.

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Capitolo 10
*** Colpa ***


 
Capitolo 9


Colpa


È come se una luce che Karen aveva sempre avuto e di cui non mi ero mai accorto stesse sollevandosi dal suo corpo per concentrarsi in una piccola scintilla galleggiante nell'aria. È per questo che non ho bisogno che Amy mi dica con lo sguardo che il cuore della ragazza non batte più per sapere che è morta.
Percepisco la confusione che pervade sua entità, la cui luminosità mi pare come offuscata da un velo. Rachel mi oltrepassa e si avvicina allo spirito della nostra amica, stendendo le mani con lentezza.
-Non andare da lui.- la prega con voce gentile.
Un altro lume compare vicino a quello di Karen, per poi cambiare forma e diventare il corpicino di Margaret.
-Non sei costretta, puoi scegliere di non farlo.- le rivela con la sua vocina dolce.
Altre scintille compaiono intorno a noi, circondando il piccolo fantasma di Karen in un abbraccio di luce che so di essere il solo a vedere.
-Tuo fratello non vorrebbe che tu lo facessi.- continua Rachel -Preferirebbe che tu fossi libera.
Sento lo sguardo di Karen su di me, anche se la sua scintilla non ha occhi anatomici. Annuisco, per confermare quello che dice Rachel, cioè che Phil non avrebbe mai permesso che la sua unica sorella andasse in schiava ad un mostro. Non riesco a trattenere le lacrime.
Penso che con quello sguardo Karen mi sta chiedendo di perdonarla.
La sua luce viene come agganciata da un lazo e tirata oltre la parete, verso di lui. Oltrepassa il muro prima che dalle mie labbra possa uscire il grido di disperazione e rimorso che rimbomba per la camera.
Il suo sangue è sulle mie mani.


La pila di vecchia ferraglia fa un rumore infernale quando rovescio il tavolo con un calcio. Non so bene cosa sperassi di ottenere con questo gesto, ma compierlo mi fa sentire bene per un fugace istante. Il secondo dopo una montagna di tristezza mi piomba addosso.
Karen è morta.
Non solo è morta, ma è stata anche catturata dallo Slender. Anzi, volendo essere precisi, si dovrebbe dire che ha scelto di andare dallo Slender, probabilmente perché stare con lui è meglio che stare con il ragazzo che gli ha concesso di avvelenarti la mente. Almeno quel demone è stato sincero fin dall'inizio, ha cercato subito di ucciderci, io, invece, mi sono spacciato per un amico, ho tentato di convincerla a fidarsi di me.
-Non è stata colpa tua.
Mi giro per vedere che Amy mi si è avvicinata di soppiatto. Potrebbe anche non essersi avvicinata di soppiatto, in effetti, perché non l'avrei udita comunque.
-Ricordo quello che mi hai detto nel mio sogno.- continua -Non è stata colpa tua.
Ha gli occhi umidi, e i capelli spettinati dalla posizione in cui ha dormito. Sul volto sciupato stanno cominciando ad apparire accenni di occhiaie.
Distolgo lo sguardo.
-È stato lo Slender a ucciderla, non tu.- mi ripete.
-Avrei potuto salvarla.- protesto.
Non avrei dovuto aspettare che passasse la notte. Non avrei dovuto aspettare a svegliare i miei amici.
Una mano mi costringe a voltare di nuovo la testa verso di lei. I suoi occhi azzurro intenso sono di nuovo quelli Rachel, palpitanti, vivi e determinati. Mi chiedo se questa Amy sia sempre esistita oppure se sia nata stanotte.
-Forse, ma è certo che hai fatto tutto quello che potevi per cercare di salvarla.- dice.
-Non è servito.- insisto, sentendomi di nuovo prossimo alle lacrime.
-Non. È. Colpa. Tua.- ripete, scandendo le parole.
Le scanso la mano con violenza. È tutto facile, per lei, siccome l'unica cosa che potrebbe esserle imputata è l'avermi dato del pazzo. Ma per quello che ha fatto lei ha avuto abbastanza tempo per chiedermi scusa.
-Non cambierà nulla continuare ad accusarti in questo modo.- mi apostrofa.
-Ma senti da che pulpito arriva la predica.- commento, amaro.
-Infatti.- continua Amy.
Alzo lo sguardo ed incrocio gli occhi di Rachel, della vera Rachel, che sostengono silenziosamente le parole della sorella.
-Quando Rachel e papà sono scomparsi- prosegue Amy, a bassa voce -sono andata avanti per mesi a pensare di essere la responsabile di quello che era successo. A momenti ho persino creduto che fossero scappati per levarsi di dosso il peso che ero diventata.
Sposto di nuovo lo sguardo su di lei, che sta riprendendo fiato per continuare.
-E sai cosa mi ha portata questo?- domanda -Depressione e strizzacervelli, uniti ad un complesso d'inferiorità ed a un principio di socio-fobia.
Amy balbetta mentre sembra indecisa su come continuare la sua orazione.
-Ascolta- si riprende -va bene essere addolorati perché Karen... se n'è andata, ma non è colpa tua.
Qualcosa nelle sue parole fa breccia tra gli strati di roccia della montagna che mi sento addosso. È come se mi sollevassero, mi alleggerissero da un peso eccessivo che era diventato troppo opprimente per essere sopportato. Le metto una mano sulla spalla.
-Grazie.- le dico.
Forse avevo solo bisogno di qualcuno che mi perdonasse al posto di Karen, che mi riconoscesse innocente.
-E comunque- concludo -anche Rachel ti vuole bene.


Ci sediamo sul pavimento a formare un bizzarro triangolo di cui siamo i vertici, mentre intorno a noi le anime formano un caos confuso, affollandosi per avvicinarsi al centro della conversazione. In mezzo a noi, le pagine rilucono bianche e pulite nonostante il pavimento sia coperto di polvere.
-Ci serve un piano.- esordisco.
-Temevo che l'avresti detto.- commenta Richard, con un sorriso tirato.
-Non possiamo stare qui per sempre.- gli faccio notare.
La sua espressione si fa seria, il contrario di come l'ho sempre vista.
-Lo so.- mi risponde -Non mi piace ma lo so, e poi voglio ammazzare quel bastardo. Ci stiamo riunendo per questo, giusto?
Annuisco. Noi abbiamo le otto pagine, lui ha una nostra amica, e tutto questo apre un conto che bisogna chiudere.
-Le pagine non l'hanno fermato.- osserva Amy.
-Non lo fanno mai.- interviene Christofer -Sappiamo solo che tutti noi abbiamo sentito il bisogno di raccoglierle tutte, quando è stato il nostro turno, e che lui ha cercato di impedirci di farlo.
Ripeto le parole del fantasma, cercando di combinare i pezzi.
-Poi c'è stata anche quella visione- rifletto ad alta voce -quella in cui ho visto il suo passato. È arrivata dalle pagine quando le ho toccate.
-Forse è proprio per questo che sono il metodo per vincere al suo gioco.- osserva Richard.
Lo scruto inarcando un sopracciglio.
-Insomma, ogni fantasma resta sulla terra per una ragione- argomenta, sistemandosi eccessivamente la frangia con una mano -e adesso sappiamo che lui è rimasto per cercare suo figlio.
-E questo come ci aiuta?- domanda Amy.
Lui si agita ancora, accavallando e stendendo le gambe in continuazione, uno dei sintomi della sua iperattività.
-Se noi troviamo suo figlio Slender conclude il suo compito ed è costretto ad andarsene.- conclude il ragazzo.
-Da quello che ho visto è improbabile che James sia ancora tra noi.- aggiungo io -Anche se fosse sopravvissuto all'incendio, credo sarebbe morto di vecchiaia prima di arrivare ai giorni nostri. La mia visione sembrava ambientata almeno un centinaio d'anni fa.
Non so esattamente spiegare come lo so, ma, se qualcuno me lo chiedesse, direi di averlo percepito.
-Meglio così.- interviene Rachel -Se vuole davvero trovare suo figlio, allora dovrà passare oltre per cercarlo.
Ripeto ancora le frasi del fantasma nel brusio generale creato dalle anime intorno a me, fatto non solo di parole, ma anche di emozioni e pensieri. Se James è davvero “dall'altro lato” allora perché Slender non lo ha già raggiunto? Come mai continua a stare in questo mondo se la sua ricerca è inutile?
Le mie domande passano silenziosamente a Rachel, nonostante non le abbia formulate a voce.
-Non lo so.- ammette -So solo che la sua fonte di “vita” è il suo gioco, che lo fa rimanere qui. Forse è entrato talmente tanto nel personaggio che è impazzito, del resto, era già pazzo prima di morire.
Amy comincia a parlare, inconsapevole di stare interrompendo un'altra conversazione, e per un attimo io provo pena per lei. Dev'essere triste sapere di avere la sorella così vicina ma non poterne neanche udire la voce.
-Ok. Ma siamo sicuri che dirgli che suo figlio è passato oltre lo spingerà ad andarsene?
-Sì.- confermo, scacciando la tristezza -Rachel è rimasta per proteggere te, Christofer vuole liberare un'anima che lo Slender ha catturato e tutti gli altri sono qui per combatterlo. Al di fuori di questi obiettivi, gli spiriti non hanno ragione di restare, esattamente come lui.
Cerco lo sguardo di Rachel, che annuisce in segno di approvazione.
-Quindi- esordisce Richard, passandosi la lingua sulle labbra -è arrivato il momento di uscire.
La tensione diventa così palpabile che si potrebbe tagliare con un coltello, sempre ammesso che non sia invulnerabile quanto lo Slender. Sento il mio battito cardiaco accelerare e l'adrenalina inondarmi gli arti. È tornata la paura.
-No, non ancora.- ci ferma Rachel -Avete ancora qualche ora prima dell'alba, è meglio che le sfruttiate per dormire.
Ci lasciamo tutti andare come molle troppo compresse quando ripeto il suo consiglio, anche se consiste in una semplice posticipazione del temuto scontro. Non ci mettiamo molto a lasciarci crollare di nuovo sulle nostre brande improvvisate. Quello che invece io impiego molto a fare è addormentarmi.
Vorrei tanto non dover vedere il posto dove prima dormiva Karen, perché il fatto che ora sia vuoto mi pesa più della paura di uscire dalla fabbrica. Spero che Phil, ammesso che ancora esista e che la morte non abbia distrutto anche la sua anima, sappia che ho tentato di salvarla, che ho tentato tutto quello che ho potuto. Credo che anche gli altri non riescano a dormire, e per lo stesso motivo.
Pigio la testa nello zaino e cerco di piangere senza fare troppo rumore.
Non so quando i sogni prendono il posto della realtà, o se non mi addormento affatto. Ad un certo punto la voce di Rachel mi spinge gentilmente ad alzarmi, dopo non so quanto tempo. Mi sento gli occhi impastati, mentre le mie gambe sono molli e doloranti come risultato della corsa per fuggire dal mostro.
-Il sole è sorto da quattro ore.- m'informa Margaret, apparendomi davanti -Ma il cielo è completamente coperto dalle nubi, per questo fuori è ancora buio.
-Lui è là?- domando.
Lei conferma con un cenno del capo.
-Ha addensato il temporale per non far passare la luce, per continuare a giocare.- mi spiega.
Annuisco, ricordando che era successo lo stesso anche durante la caccia di Rachel. Non mi aspettavo certo che ci avrebbe lasciati andare solo perché era sorto il sole.
Mi avvicino al corpo accovacciato di Amy e le sfioro delicatamente la spalla per farla svegliare. La ragazza non da segno di aver sentito il mio tocco, beatamente immersa tra le braccia di Morfeo. Cazzo, quanto le invidio la notte di sonno che ha appena passato.
Le scuoto piano la spalla mormorando il suo nome, e lei si alza di botto, agitandosi scompostamente. Per poco non mi tira un pugno sul volto. I suoi occhi continuano a scattare in ogni direzione, senza trovarmi.
-Amy, sono Ian.- la calmo.
-Ian?- chiede lei -Ian, non vedo niente. Dove sei?
Mi rendo conto solo in quel momento che le barre chimiche da pescatore si sono spente e che io riesco a vedere solo grazie alla luce prodotta da un paio di spiriti sotto forma di scintille.
-Oh, già... Aspetta un secondo- la fermo -prendo una torcia e...
Lo scatto dell'accendino che avevamo portato con noi mi coglie impreparato da dietro alle mie spalle. Una fievole luce rossastra si diffonde per la stanza, facendo brillare la chioma di Amy. Mi volto e vedo Richard, ancora steso sul suo tavolo, con l'accendino acceso in mano.
-Il nostro medium si dimentica che gli altri comuni mortali non hanno il suo sesto senso.- mi prende in giro Richard.
-Parla il masochista che è uscito dalla fabbrica con me per andare incontro a morte certa.- rispondo.
-Ehi.- commenta di rimando -Non potevo lasciarti andare da solo: saresti morto ed Amy mi avrebbe sparato per punire qualcuno della tua stupidità.
-Oddio...- mormora Rachel, alzando gli occhi al cielo -Mia sorella è arrossita di nuovo...
-E allora?- domando, interrompendo la mia precedente conversazione.
Per tutti gli altri vivi in quella stanza io sto parlando al nulla, che però dal mio punto di vista ha gli occhi sgranati e gesticola in direzione della sorella.
-Insomma non te ne sei accorto?- chiede ancora, sporgendosi in avanti.
-Di che?- replico alla domanda con un'altra domanda.
La sua espressione si fa disperata.
-Lascia stare.- mi tranquillizza -Evidentemente la tua appartenenza al sesso maschile ti rende incapace di comprendere.
Quando cerco di ottenere ulteriori spiegazioni l'unica cosa che sento è la risatina malamente trattenuta di Margaret.
-È la tipica solidarietà femminile.- mi consola Christofer, tentando invano di mettermi una mano su una spalla -Non hai fatto nulla di sbagliato, tranquillo.
-Basta!- sbotto.
Rachel mi scruta con uno sguardo malizioso, ma evita ulteriori commenti. Il comune brusio tra le anime riprende, ma almeno adesso nessuno si rivolge a me ed io posso ritornare a concentrarmi sul mondo fisico.
-Allora,- riprendo a parlare con i miei amici -cosa abbiamo da mangiare per colazione?
Raggiungo di nuovo il tavolo dove ho dormito e apro il mio zaino.
-Vediamo... Acqua, burro di noccioline- elenco -pane, e ancora acqua. Chi vuole pane e burro di noccioline?
Le nostre tre mani destre scattano in aria, anche se in realtà la mia si ferma a metà quando mi ricordo che era Phil quello drogato di burro di noccioline.
Metto il barattolo della crema sul tavolo dove ho dormito e cerco un modo per tagliare il pane, che sta diventando raffermo. Richard mi viene in soccorso col suo coltello, e insieme riusciamo a tagliare qualcosa che assomiglia a delle fette. Amy accende la penultima barra chimica e la torcia per fare luce.
-Avrebbe dovuto essere tutto così sin dall'inizio.- mormora la ragazza.
Le lancio un'occhiata interrogativa.
-Pane e burro di arachidi, dormire in posti scomodissimi ma senza la preoccupazione di mostri assassini, tutte cose caratteristiche di un viaggio tra adolescenti.- spiega, osservando la sua fetta di pane.
Mordo la mia porzione di pasto, non sapendo cosa rispondere.
Trascorriamo il resto della colazione in silenzio, ognuno immerso nei propri pensieri. Mi rendo conto che stiamo vivendo la concentrazione prima della battaglia, non prima dell'esecuzione, prima della battaglia. Non usciremo per morire e basta, noi usciremo per combattere, e forse anche per vincere.
Questa situazione mi ricorda in parte una delle ultime scene del film “300”. Spero solo di non fare la stessa fine di Leonida.
-È strano.- osserva Amy -Nessuno ha messo piede in questo edificio da qualcosa come dieci anni, ma il posto non è pieno di ragnatele.
-Lui ha fatto in modo di conservarlo.- le risponde Rachel -È uno dei luoghi del suo gioco, quindi ha mantenuto tutto uguale a com'era quando sono morta. È il motivo per cui i miei disegni sulle pareti non sono sbiaditi.
-È pazzo.- mormora Richard, dopo avermi sentito ripetere le parole di Light -Soffre di disturbi ossessivo compulsivi, e forse anche di schizofrenia.
-Se non fosse pazzo- aggiungo -non sarebbe riuscito a rimanere in questo mondo così a lungo.
Finto di mangiare sistemiamo gli zaini: Richard si tiene il coltello, Amy la pistola, mentre le pagine vengono suddivise tra di noi (tre a me, tre al ragazzo iperattivo e due alla ragazza rossa). Io non prendo nulla come arma, se si escludono le tre scintille e tutte le altre anime.
Rimaniamo davanti all'ingresso sbarrato per un paio di minuti, o forse per mezz'ora, prima che Richard spinga via il tavolo.
-Ok. Pronti?- chiedo.
I due annuiscono, e allora apriamo la porta.
Fuori dalla fabbrica il bosco è immerso in una penombra scura, perciò Amy lascia accesa la torcia. L'aria è immobile, ed in essa si percepisce un vago sentore di umidità. Sopra di noi, delle spesse nuvole nere impediscono la vista del sole.
Di lui, ancora nessun segno.
-Deve avere una forza incredibile per muovere una tale massa d'acqua.- osserva Amy, col naso puntato verso l'alto.
-Forse ha solo potenziato qualcosa che stava già accadendo.- ipotizzo -Comunque, più lui è debole, meglio è per noi.
-Ma adesso cosa facciamo?- domanda Richard.
Scuoto le spalle.
-Andiamo verso la strada principale- pianifico -così si manifesterà per impedirci di fuggire, e se non lo farà potremo raggiungere altre persone.
-L'importante è tornare in un posto dove ci sia campo.- sottolinea Richard, agitando il telefono con una mano.
Rachel mi compare davanti, con lo sguardo rivolto verso il basso e giocherellando con una ciocca di capelli.
-Ecco... mi dispiace dirlo ma...- esita -Siamo noi che interferiamo con i telefoni.
-Quando ci sono tanti fantasmi in un posto- continua, alzando gli occhi -gli apparecchi elettronici hanno difficoltà a funzionare. È per questo che lo Slender genera interferenze con gli schermi.
-E se vi allontanaste lui ritornerebbe, continuando a rendere inutilizzabili i telefoni.- termino -Merda.
Espongo il problema a Richard e ad Amy, mentre cominciamo ad avviarci, decisi a provare almeno a fare l'autostop alle macchine di passaggio.
-Adesso magari scopriremo che è stata Rachel a farci partire il motore.- ironizza il ragazzo.
-No. Quello è stato lo Slender.- si difende il fantasma -È riuscito a far scivolare un tentacolo oltre il sigillo mentre passavate, e a colpire la vostra vettura.
-In effetti, forse anche questo è stata colpa mia.- precisa, tristemente -Mi sono distratta troppo mentre guardavo nel tuo sogno.
-Rachel- la richiamo -guarda che Richard scherzava.
Adesso siamo in vista del camper. La tensione cresce ancora nell'aria mentre ci avviciniamo. Non è ancora successo niente, ma tutti noi sappiamo che non manca molto, lui sta arrivando.
-Ragazzi, qualunque cosa succeda- dice Amy -è stato un piacere conoscere dei pazzi come voi.
Le pagine cominciano a pulsare nel mio zaino, come se fossero un organismo vivente.
Se vuole che siano queste le sue ultime parole, signorina Jules risuona la sua melodia nella mia testa farò del mio meglio per accontentarla.
Una ventata d'aria gelida mi fa rabbrividire. Il cuore comincia a battermi in gola ed il mio appoggio sulle gambe si fa instabile. Il suono di passi viene da dietro di noi, e si fa più vicino.
-Non siamo la persona che stai cercando.- esordisco, continuando a guardare davanti a me.
I passi si fermano.
-Ucciderci non lo riporterà indietro, non ti farà avvicinare di più a James.- continuo.
Mi volto lentamente. Sento la forza di Rachel avvolgermi in un velo tiepido, su cui si scontra e si blocca il potere debilitante dell'altro fantasma.
-Nessuna delle anime che prendi potrà mai essere quella di James.
Lui resta immobile, con le braccia innaturalmente lunghe abbandonate sui fianchi ed il volto privo di qualunque espressione.
Non posso fare altro che cercare. Mi risponde.
-Ma lo stai facendo nel modo sbagliato.- lo contraddico -Lui se n'è andato da tempo, o lo avresti ritrovato.
Non se ne sarebbe andato senza di me. Protesta l'altro.
-Forse credeva che tu lo avresti seguito quando fosse arrivato il tuo momento.- gli rispondo -L'unica possibilità che hai di rincontrarlo non è in questo mondo.
Con queste parole mi stai chiedendo di morire.
Deglutisco, sentendo la gola riarsa. Quello che dice è vero, perché per quanto ne sappiamo, passare oltre potrebbe equivalere ad autoannullarsi.
-Non credo che tu voglia continuare a vivere, non così.- dico semplicemente -Tu vuoi tuo figlio, e io ti sto offrendo l'unica speranza che hai di ritrovarlo.
La pressione sulle mie difese spirituali sparisce, assieme alla musica. Credo di aver fatto centro, di aver toccato quella parte di lui che è ancora umana. Slender solleva lentamente la mano destra all'altezza del petto e su di essa compare una piccola luce.
Mi avresti quasi convinto ricomincia a parlare, col tono di uno che si sta congratulando se non avessi sbagliato la base delle tue argomentazioni. Io non ho alcun bisogno di cercare mio figlio...
Un'ondata di immagini provenienti dalla lucciola mi investe. Fumo. Calore. Quando mi risveglio non li sento più. Mi sento distaccato, invece, aleggiante e lontano da tutto e da tutti.
Faccio fatica ad afferrare i miei pensieri, dei quali solo uno sembra definito, concreto. Dove sei, padre? Padre?
Scuoto la testa per bloccare il flusso di ricordi di James, allibito. Sento i miei amici irrigidirsi dietro di me, mentre si accorgono che il nostro piano sta fallendo.
Te l'ho detto sorride malignamente lui che non se ne sarebbe andato senza di me.
-T-tu, n-non puoi... -balbetto, a corto di parole -Lui è tuo figlio, non puoi fargli questo!
Io non costringo nessuno, lo sai. Mi ricorda, accarezzando la scintilla. James è stato il primo a venire da me, e mi ha aiutato a radunare tutti gli altri.
È pazzo. Mormora improvvisamente la voce di Rachel. È rimasto qui perché vuole continuare il suo gioco in eterno. Non vi lascerà mai andare.
Voi Guardiani siete tutti uguali... commenta Slender, dalle cui parole trapela un senso di sadica soddisfazione.
La luce sulla sua mano viene ricollocata nel suo petto, dove ci dovrebbe essere il cuore, mentre la melodia ricomincia l'assalto alle difese che Rachel ha eretto intorno a me.
Hai tentato di convincermi a suicidarmi mi accusa l'uomo, a voce alta ma ora dimmi, Ian Diswarden, temi tu la morte?
 

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Capitolo 11
*** Turning Tables ***


angolo dell'autore
chiedo scusa a tutti, e cioè alle 3 persone che stanno forse seguendo questa fanfic, per aver impiegato così tanto tempo a pubblicare un altro capitolo. ho avuto dei problemi tecnici, e poi la storia non è molto seguita quindi non mi interessava neanche molto impegnarmi davvero per concluderla. comunque, ora dovrei riuscire a postare gli ultimi capitoli e a mettere la parola fine a questa fanfic. spero che a voi 3 sia piaciuta ;)
 
Capitolo 10
 
Turning Tables


L'unica risposta che potrei dare a questa domanda sarebbe “sì”.
Ma non gli darò la soddisfazione di gustare la mia paura prima che lui mi uccida. Mi dispiace di aver trascinato anche i miei amici con me, in quest'ultimo tentativo. Il mio cuore accelera e sento una mano stringermi la parte bassa del ventre, mentre il terrore prende il sopravvento.
Christofer si getta in avanti, avvolto dalle fiamme. Qualcosa di nero si muove molto velocemente e lo colpisce mentre è a mezz'aria. Il fantasma viene scagliato da parte come una bambola.
Ci hai provato. Ammette l'uomo.
Una scia luminosa mi passa oltre la spalla e centra lo Slender in pieno petto. Sento un crepitio di fiamme e dalla sua giacca si sollevano fili di fumo mentre la luce ritorna davanti a me, tramutandosi in Rachel.
I due si scambiano uno sguardo colmo d'odio, anche se quello del mostro contiene una piccola dose di divertimento. Le bruciature sulla sua giacca svaniscono come se fossero una ferita che guarisce velocemente.
Bruciava appena. La schernisce l'uomo. Ora, se permetti, è il mio turno.
Nello scontro di energie che segue quella di Light viene costretta a retrocedere. Dalle scapole dello Slender si estendono tutti i suoi sei tentacoli neri come l'ebano, e uno di essi si allunga più degli altri.
La morsa della mia paura si allenta per un attimo, e ricordo le lucciole al margine della mia coscienza.
Alzo la mano sinistra nel momento in cui lui cala il tentacolo su Rachel. Il viticcio nero sbatte contro un muro di vetro e lì rimane bloccato, con una scintilla e mille corde invisibili che gli girano attorno.
-Ora- ribatto -è il mio turno.
Porto di scatto la mano destra in avanti come se volessi spingere qualcosa e un onda si solleva di fronte a me. Rachel viene investita dall'acqua immateriale ma non ne rimane condizionata, mentre la figura nera e bianca viene travolta.
Sento la mia volontà fluire nell'energia a cui la figura snella cerca di opporsi per un attimo. Poi la mia forza vince la sua resistenza. Percepisco Slender perdere la presa e venire trasportato via dall'onda, assieme al senso di freddo che annuncia sempre la sua venuta. L'uomo senza volto non emette un suono quando scompare.
Non faccio in tempo ad abbassare la mano che le forze mi abbandonano e vengo colto da un capogiro. Nonostante l'aria sia tiepida, ho la netta impressione di essere appena stato gettato in un lago ghiacciato.
-È stato epico!
Mi volto per vedere Richard con una mano tra i capelli e con l'altra che cerca di convincere anche Amy a voltarsi.
-Non avresti dovuto guardare!- lo rimprovero -Lui avrebbe potuto...
-Amy! Amy! Non sai quello che ti sei persa!- esclama, continuando a ignorarmi -Ian ha fatto qualcosa in stile onda energetica che ha disintegrato il bastardo.
-Perché non è rimasto piegato in due dalla nausea?- mi lamento a denti stretti.
Slender era troppo concentrato su di te per influenzare le menti dei tuoi amici. Mi spiega Margaret. E comunque Richard ha ragione: è stato epico!
Il sangue sta ritornando ad affluirmi agli arti, con mio grande piacere, e non mi sento più sul punto di svenire.
-Non l'ho disintegrato.- preciso, mentre Amy si gira speranzosa -Ma credo di averlo allontanato per un po'.
-Il che è abbastanza epico.- continua Rachel -La capacità di concentrazione e la volontà di un vivo unite alla facoltà di modificare il mondo circostante di un fantasma. Una miscela esplosiva.
Tu ci rendi più forti. S'inserisce nel discorso Margaret. L'ho notato quando lo abbiamo attaccato davanti alla fabbrica, e adesso ne ho avuto la conferma. In qualche modo, noi riusciamo a usare la tua decisione.
-Puoi continuare a farlo fino a che non raggiungiamo qualcuno?- domanda Amy.
Scuoto la testa.
-Mi costa un grande sforzo. Posso provare, ma se si presenta molte volte...- lascio cadere il discorso.
-E adesso che si fa allora?- insiste Richard -Lui si tiene il figlio e....
-Come fai a sapere che ha catturato anche suo figlio?- lo blocco, sorpreso.
Lui ed Amy si scambiano uno sguardo.
-Credo che abbia fatto in modo che anche noi sentissimo.- racconta la ragazza rossa -Forse voleva metterci paura.
Cosa che, per quanto riguarda me, è riuscito benissimo a fare.
-Torniamo alla fabbrica, quindi?- insiste Richard.
-Rachel e gli altri hanno rimosso il sigillo quando siamo usciti, per venirci dietro.- riferisco la risposta dei fantasmi, dopo averla ascoltata per un secondo -Non pensano di poter riuscire a ricrearlo. E poi non possiamo chiuderci lì dentro in eterno.
-Potrebbe essere comunque la miglior opzione che abbiamo.- obietta Amy -Sopravvivere oggi per combattere domani.
Comincio a rifletterci seriamente su. Se arraffassimo tutto quello che ci può servire dal camper per la sussistenza, e se Rachel riuscisse, col mio aiuto, a rendere di nuovo sicura la fabbrica, potremmo stabilirci lì per un altro giorno. Dopotutto, in queste ultime ore le mie capacità sono cresciute a dismisura, e magari potrebbero crescere ancora se gliene dessi il tempo. Noi ci rafforzeremo e lui si indebolirà, senza più la nostra paura con cui mantenere vivo il gioco e le nuvole da radunare continuamente.
-Forse...
Le pagine esplodono in un nucleo gelido. La sua voce rimbomba ovunque. Mi entra nel cervello, mi corrode.
Quanto tempo credi di poter resistere? Quando pensi che smetterò di cercarvi?
La voce stavolta è fredda, calcolatrice.
Non importa quanti dei tuoi poteri da Guardiano metterai in campo, prima o poi ti stancherai. Prima o poi finirai la tua dose di fortuna.
 La coltellata che mi penetra nel cervello trapassa le mie difese erette in fretta e furia come fossero burro. Il ronzio nelle orecchie è talmente forte da rendermi sordo a tutto, eccetto che alla sua voce.
Ti saresti dovuto arrendere quando te ne avevo dato la possibilità.
No.
Puoi correre, ma non puoi nasconderti.
No!
Qualcosa lacera il velo del dolore e io riacquisto i sensi. Rachel è davanti a me, che mi sfiora la fronte con un dito. Il potere proveniente dalle pagine viene arginato dalla sua presenza e si allontana da me, rimanendo a pulsare negli otto fogli.
-Nel camper- dico, in un modo che assomiglia troppo ad un ordine -prendete quello che potete, poi torneremo alla fabbrica.
Richard si lancia sull'automezzo, Amy si ferma a guardarmi con sguardo preoccupato.
-Va'!- insisto.
Non ci riuscirai.
Il gelo avvolge la ragazza prima che lui compaia alle sue spalle. Il viso di Amy sbianca mentre si accorge di quello che sta per succedere. Un incendio comincia a bruciare dentro di me mentre Christofer si lancia di nuovo in avanti, e una parte di me lo fa con lui.
Lo scheletro si interpone tra il mostro e la ragazza e sferra un colpo con la mano infuocata. Stavolta i tentacoli non fanno in tempo ad allontanarlo prima che le fiamme ardano, per la seconda volta, il volto dello Slender Man.
Slender indietreggia, senza muovere alcuna parte di sé, come se riuscisse a volare pur rimanendo
attaccato al suolo. La pelle del suo viso è solcata da quattro strisce di carne carbonizzata che non accenna a guarire. Il fuoco però è bruciato anche dentro di me, mi ha consumato. Non so se riuscirò a rifarlo tanto presto.
Nel frattempo le pagine trasudano il suo dolore e la sua indignazione.
Amy si gira di scatto ed estrae la pistola dalla cintola. Si morde il labbro ed ondeggia quando la sua presa di ghiaccio le afferra la coscienza, ma prende comunque la mira.
-No! Non serve...- tento di protestare, con voce flebile.
Rachel compare di fianco alla sorella e sfiora la canna del revolver.
Solleva l'arma con entrambe le mani e stringila bene, solo dopo puoi prendere la mira. La canna deve essere in linea con il bersaglio. Vedi le due cose sovrapposte? Bene. Trattieni il fiato e premi il grilletto senza scuotere troppo l'arma. Contrasta il rinculo con la forza di tutto il corpo.
Lo sparo e lo shock di dolore proveniente dalle pagine mi strappano dal ricordo di Rachel sulla voce del padre.
L'urlo ai limiti degli ultrasuoni irrompe nella foresta quando una voragine si apre nel petto dello Slender, trapassandolo da parte a parte. Qualche scintilla si muove all'interno dello squarcio, cercando di sanare la ferita.
-Puoi essere colpito- lo schernisce Rachel -se lo si fa da entrambi i mondi, non ricordi? E noi Jules siamo figlie di due generazioni di poliziotti, sappiamo come sparare.
Christofer parte di nuovo all'attacco, senza però aspettare il mio supporto. Capisco il perché del suo gesto quando guardo di nuovo il foro dai bordi frastagliati come carta strappata, e vedo l'anima per cui il giovane è rimasto in questo mondo.
Le due forze si scontrano e Christofer viene sopraffatto prima che faccia in tempo a fare qualcosa. Un tentacolo gli si avvolge intorno e lo sbatte per terra, circondandolo con una gabbia nera.
-Chris!- lo chiama Rachel.
-Non pensate a me!- grida la voce del ragazzo da dietro al groviglio creato dal tentacolo -Uccidete...
Interrompe la frase per lanciare un urlo di dolore.
Perché non vieni a prendere la tua amichetta, Chris? Ride la voce velatamente ironica dello Slender, seppur incrinata dal dolore. Ah già, dimenticavo, non puoi.
Perché quel mostro non se ne va? L'abbiamo colpito due volte, eppure combatte ancora. L'unica soluzioni sarebbero eliminarlo, ma lui non può morire, oppure togliergli la fonte del suo potere, ma non so quante anime potrei strappargli prima di svenire. E preferirei anche che queste dannate pagine smettessero di trasmettermi le sue sensazioni...
Le pagine mi mandano le sue sensazioni?
-Rachel, tienimelo lontano un secondo!- grido, appoggiando a terra lo zaino.
-È difficile, sai?- mi urla di rimando.
-Beh, provaci!- rispondo, sollevando le mie tre pagine.
La carta un tempo di un bianco immacolato ora è sporca di cenere e rigata da quattro strisce annerite, nello stesso punto su ogni foglio. Al centro di ciascuna pagina uno strappo grande quanto la mia unghia del pollice permette di vedere oltre la carta.
Noi feriamo lui e le pagine vengono danneggiate nello stesso modo.
Comincio a sviluppare una strana idea. Lui vive per il suo gioco, un gioco in cui non può perdere perché le regole che lui stesso ha stabilito non lo permettono, quindi...
-Richard!- chiamo -Accendino!
L'oggetto metallico riflette per un istante la luce della torcia di Amy poco prima che io lo afferri al volo. Vedo fugacemente che i due ragazzi si stanno avvicinando a me, e che lui si sta riprendendo. Devo fare in fretta.
-Ian?- domanda Amy.
Faccio scattare l'accendino e metto le pagine sopra la fiamma. Il fuoco le tocca, si piega intorno a loro quando le incontra, ma la carta non ne rimane intaccata. Le pagine restano integre come se fossero imbevute di liquido ignifugo.
-Che cazzo fai?!- esclama Amy, allontanandomi le mani l'una dall'altra.
-Esistono in entrambi i mondi!- cerco di spiegare, concitato -Non possono essere bruciate perché
esistono in entrambi i mondi!
Esistono in entrambi i mondi, come lo Slender. Mi comunicano le sue sensazioni. Conservano i suoi ricordi. Sono l'obiettivo del suo gioco.
-Datemi le vostre pagine!- li incito -Presto!
Richard mi lancia uno sguardo stupito mentre mi porge velocemente le tre pagine che ha tenuto lui. Non credo capisca appieno e io non ho il tempo di spiegarglielo. Quando però mi volto verso Amy lei sta ancora stringendo i suoi fogli, esitante.
Apro la bocca per tentare di convincerla, ma lei mi lancia un'occhiataccia e mi mette in mano le pagine.
-Se farai qualche idiozia- mi avverte -sappi che il mio ultimo gesto sarà quello di prenderti a schiaffi, sono stata chiara?
-Trasparente!- rido io di rimando.
Quando trova i propri pezzi gemelli la carta comincia a creare come un circuito elettrico, un campo magnetico che penso percepiscano anche Amy e Richard, tanto è intenso. Le stringo tra le dita e i suoi pensieri mi sfiorano la mente, o forse è la mia mente ad andare a sfiorare i suoi pensieri.
Ian! Aiuto!
Mi concentro di nuovo sul mondo esterno alla richiesta di soccorso di Margaret e vedo che la fiamma di Light è circondata da tentacoli neri, che le si fanno sempre più vicini, fiaccando la sua luce. Sento il suo compiacimento per la vittoria attraverso la carta.
Mi alzo in piedi, con l'accendino in una mano e le otto pagine nell'altra.
-James Ritchardson Senior!- urlo con tutto il fiato che ho in gola.
L'uomo si volta verso di me con uno scatto ferino. Chissà da quanto tempo non sentiva il suo nome, doveva averlo persino dimenticato, ma per fortuna la carta ricorda tutto. Il suo viso anomalo viene sostituito per un attimo da un altro volto dalla folta barba castana, dalla pelle pallida ma viva, con un paio di occhi neri e capelli ben pettinati. Poi i tratti umani spariscono di nuovo, coperti dalla solita maschera.
Raduno le poche forze che mi sono rimaste e chiamo le lucciole. Temo che siano rimaste intrappolate con Rachel, o che lui le abbia allontanate, ma loro rispondono subito. Sono state sempre con me. Faccio scattare di nuovo l'accendino e le scintille creano una piccola fiammella anche sul piano spirituale della realtà.
-Ci vediamo all'inferno.- dico, a mo' di saluto.
Poi cambio le regole del gioco e do fuoco alle pagine.
Le fiamme avvolgono all'istante i tentacoli dello Slender oltre che alla carta, carbonizzando entrambi alla medesima velocità. Le prigioni di Light e di Christofer diventano roghi da cui le due anime escono sfondandone una parte. L'aura del mostro diminuisce drasticamente mentre dozzine di luci lasciano il suo corpo, scomparendo dopo poche spanne di percorso.
Il suo gioco è finito, ha perso la sua fonte principale di potere.
-Tieniti pronto, Ian!- mi urla Rachel.
Il fantasma scompare per lasciare il posto a una cometa di fuoco. La fiamma sfreccia contro l'uomo pallido, lasciando una scia luminosa dietro di sé. Il globo devia poco prima dell'impatto con l'uomo, gli passa sopra un braccio e si allontana, per poi invertire la rotta e sfrecciare di nuovo vicino all'altro arto. Subito dopo Light gira intorno al torso del nemico, che non si muove abbastanza velocemente per intercettarla, si ritrasforma in una ragazza dietro di lui e le scie luminose si muovono, stringendosi intorno alla preda come serpenti. Le corde di energia della ragazza costringono Slender in ginocchio, dando l'opportunità a Rachel di stringergli un braccio intorno alla gola.
-Togligli James!- esclama Rachel, rivolta verso di me.
Adesso è il turno della sua seconda fonte di potere, certo. Ora è l'anima del figlio il motivo per cui resta, da cui Slender trae la forza che gli rimane.
Il tempo di muovere un passo verso i due e una scarica di potere proveniente dal mostro si riversa sul nuovo sigillo che Rachel gli ha creato intorno. Ma quella forza è debole, una pallida imitazione della potenza che l'uomo senza volto avrebbe potuto liberare fino a poco fa. Le corde di luce si stringono ulteriormente in risposta.
-Brucia appena.- sussurra la ragazza rossa, strappando un gemito al nemico.
Il suo petto è esposto, adesso, ferito dal colpo di pistola di Amy. Riesco a sentire la luce che cerco appena oltre lo squarcio. In realtà ne sento molte, ma è solo una quella che mi interessa.
No.
La protesta di Slender è al limite della supplica.
Non farlo, ti prego.
Devo ricordarmi di chiamarlo James Ritchardson. Slender è solo una maschera che ha indossato per riversare su qualcun altro il proprio senso di colpa per la morte del figlio.
NON FARLO!
Avvicino la mano al tessuto nero della giacca e poi vi passo attraverso per sfiorare la lucciola. Il viticcio nero che la trattiene oppone  una debole resistenza, che io spezzo con una lieve flessione di volontà. Lo spirito di James si appoggia sul mio palmo e io lo separo dal padre.
Mi sembra di stringere tra le dita una sottilissima lamina di cristallo. Quella luce è fragile: è stata drenata di tutto ciò che aveva durante il tempo passato con Slender. Sento solo una grande stanchezza quando mi concentro su di lei, e mi accorgo che la sua presenza si sta facendo sempre più debole. Continua ad affievolirsi, fino a sparire nel nulla.
Nessuna luce alla fine di un tunnel buio, nessun angelo che viene a portarla in paradiso. Quell'anima sparisce silenziosamente. Un attimo prima c'era e quello dopo non più, e se qualcosa di lei è andato da qualche parte, io lo ignoro.
Se n'è andato. Mormora Margaret.
Lo so.
Slender viene abbandonato dalle ultime anime che gli erano rimaste. Quelle luci sono tutte nello stesso stato di James, quindi non ci mettono molto a scomparire.
Quando poso di nuovo lo sguardo sul mostro vedo l'equivalente di un granello di polvere: Slender ha smesso di lottare e lascia che le catene di Light lo inchiodino dove si trova. L'energia che gli resta non gli basterebbe nemmeno a muovere mezzo ditale d'aria. Adesso è lui ad aver perso tutto, come è successo ad ogni anima che ha catturato. Il dolore che sento attanagliargli la coscienza lo deve bloccare non meno del sigillo di Rachel.
Quest'ultima solleva la testa verso il cielo e sul suo volto si dipinge un'espressione sorpresa, ma anche felice. Io mi volto per seguire il dito che lei punta verso l'alto, e sento anche le mie labbra tendersi in un sorriso.
-Che c'è?- chiede Richard -Non lo vedo più. È morto?
-No- dico -ma dovreste alzare la testa un secondo.
I due lo fanno e rimangono incantati. Amy spegne la torcia mentre, sopra di noi, le nuvole si diradano e il sole ricomincia a splendere.
 

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Capitolo 12
*** Redenzione ***


 
Capitolo 11
 
Redenzione

-È ancora qui?- si preoccupa Amy, guardandosi intorno.
-Sì.- confermo, facendo un cenno col capo nella direzione dove giace il fantasma -Adesso però non può più fare del male a nessuno.
-Però adesso devi dirci come hai fatto a capire che bruciare le pagine ci avrebbe salvato il culo.- insiste Richard.
Sorrido ancora. Mi sento sempre bene dopo essere scampato alla morte.
-Non è stato facile.- ammetto -Quando ho visto che le pagine si danneggiavano quando lui veniva ferito, ho messo insieme le tessere del puzzle. Quegli otto fogli erano una vera e propria parte di lui, dove aveva rinchiuso ciò che in lui era ancora umano, ciò che ricordava il dolore per James.
-Abbiamo dovuto usare anche un po' di energia spirituale per bruciarli- continuo -però facendolo abbiamo restituito alla sua mente il senso di colpa, e gli abbiamo tolto il suo gioco, cioè la sua protezione dal suo stesso dolore.
-Se togli il tesoro non puoi più organizzare una caccia al tesoro.- commenta Amy -Chiaro.
Richard le lanciò un'occhiataccia che stava a dire che non era così chiaro come lei sosteneva.
-Diciamo che hai avuto fortuna ad ammazzarlo.- propone Richard, cercando un compromesso.
-Non l'ho ucciso.- lo correggo -Ho distrutto la sua maschera, ma lui è ancora qui.
Guardo di nuovo l'uomo, fermo nella stessa posizione in cui l'ho lasciato, immobilizzato dal sigillo di Light. Probabilmente, se quel sigillo non ci fosse lui non si smuoverebbe lo stesso. Quello che era riuscito a dimenticare per tanto tempo ora lo sta perseguitando di nuovo, ed è questo a renderlo di ghiaccio, sia fuori che dentro.
-Datemi un secondo.- richiedo loro.
-Cosa vuoi fare?- domanda Richard.
-Cercare di farlo passare oltre.- rispondo, avvicinandomi alla figura a terra.
M'inginocchio. Adesso Slender è diventato come più piccolo, formando una figura curva, collassata sulla sua stessa altezza. Nessun colpo mentale accompagna la sua immagine, ora, né l'uomo cerca di agguantarmi, né si dibatte nel sigillo.
-Te l'avevo detto- gli parlo -che nemmeno tu vuoi vivere così.
Slender non si muove.
Una mano che si poggia sulla mia spalla mi interrompe. Giro la testa per vedere Richard abbassarsi di fianco a me.
-Senti, Ian,- comincia, titubante -io ci ho pensato e... non credo di volere che tu lo faccia.
-Cosa non vuoi che io faccia?- domando sorpreso.
-Cercare di dargli pace!- continua, con più sicurezza -Insomma, hai pensato a quello che lui avrebbe fatto a noi se ci avrebbe presi?! E a quello che ha effettivamente fatto?! Si merita di restare qui a marcire, e di certo non si merita il tuo aiuto.
Rimango spiazzato. Mi era sembrato ovvio chiudere la faccenda una volta per tutte, ma forse ero solo rimasto condizionato dai ricordi del mostro che avevo visto attraverso le pagine.
-E tu cosa ne pensi?- chiedo ad Amy.
Quando scuote le spalle i suoi capelli catturano il bagliore del sole. Non pensavo che avrei mai rivisto il mondo attraverso la luce naturale del giorno, e probabilmente nemmeno Rachel lo pensava, dopo tanto tempo chiusa in quella fabbrica.
Pensare alla sorella di Amy mi fa realizzare che lei è ancora qui, legata allo Slender, seppur solo perché sua nemica.
-Non lo so.- ammette -Non si merita il tuo aiuto, questo è sicuro. Però Ian, se non glielo concedi...
Lotta contro pensieri contrastanti, lo capisco dalla sua espressione.
-Un'eternità di dolore.- sbotta infine -È a questo che lo condanneresti, ad un'eternità di dolore. Non sono sicura che qualcuno, chiunque sia, possa meritarsi questo. Forse è meglio mandarlo via e basta,
dopotutto, per quello che ne sappiamo, equivale a morire di nuovo.
-Non sono d'accordo col tuo “chiunque sia”.- protesta Richard.
Mi guardo attorno. Le anime che servivano il mostro sono quasi tutte scomparse, a differenza di quelle che lo combattevano, che sono rimaste, per assicurarsi che lo Slender Man non possa rialzarsi. Christofer non si vede da nessuna parte, ma ho la sensazione che non sia lontano.
-Se lo lasciamo qui, tutti quelli che ci hanno aiutato resteranno per bloccarlo, e loro non se lo meritano.- li informo -E preferisco saperlo morto che ancora in circolazione: Slender non è il tipo di conti aperti che ci si lascia dietro.
Il ragazzo tamburella sul terreno col piede per una buona decina di secondi, poi sospira
-Per la sorella di Amy, ma solo per lei, va bene.
Annuisco per fare segno di aver capito, per poi voltarmi ancora verso l'uomo prostrato. Non so bene come cominciare il discorso, dato che lui continua a fissare il vuoto.
-Ho bisogno che tu mi ascolti.- lo prego, tentando di suonare gentile.
Il mio tentativo è un buco nell'acqua: lui non si smuove nemmeno.
Prendo un respiro e immagino che la mia forza fluisca nell'aria che ho nei polmoni. Lui deve guardarmi.
-James- lo chiamo -guardami.
L'uomo alza il volto e quando incrocio le sue orbite vuote il suo dolore mi colpisce.
Che cosa vuole da me?
Cosa gli importa di me?
Lasciami in pace.
Dubito perfino che si ricordi una qualunque cosa della sua vita, sia da uomo sia da fantasma. Le due distinte personalità che si era creato si sono scontrate e il contraccolpo le ha mandate in frantumi.
-Lui ti voleva bene.
Quattro parole, eppure è come se fossero di più. Il nucleo di dolore si incrina al sentire quella frase e James Ritchardson senior, Slender Man, sbiadisce, fino a sparire.
Prendo un respiro.
-È finita.- annuncio.
-Stavolta sì.- conferma una voce femminile, da dietro le mie spalle.
So di essere bianco come un lenzuolo mentre mi volto lentamente, timoroso che quella voce possa sparire.
-Ian, stai bene?- si preoccupa Amy.
-È che... che...- balbetto e mi fermo, ma il fantasma mi sorride, incoraggiandomi -Karen è venuta a salutarci.
I due ragazzi si voltano di scatto nella direzione in cui sto guardando, ma non possono vedere la figura bionda che ricambia il loro sguardo. Karen sembra stare bene, ha gli occhi del suo colore naturale e nessuna brutta ferita le si allunga su per la spalla.
Le tre lucciole si allontanano da me per avvicinarsi a Karen. Margaret ritorna una bambina quando è davanti a lei.
-Hai visto- dice -che non ti poteva tenere prigioniera?
Karen annuisce e poi alza lo sguardo su di me, per muovere lentamente le labbra a mimare la parola “grazie”.
Il fantasma scompare e riappare alla mia destra. Si china e mi sussurra all'orecchio, come se non volesse farsi sentire dai vicini Amy e Richard.
-Comunque- mormora -Rachel ha ragione su sua sorella, mi sembra strano che tu non te ne sia accorto.
-Non ho idea di cosa Rachel dica su sua sorella.- ripeto, cercando di non piangere -Voi ragazze e il vostro sesto senso femminile mi avete stancato.
Lei ride. Non ero mai riuscito a farla ridere così, solo Phil ne era capace.
-Sta andando via.- annuncio, come se gli altri non lo avessero capito dalla lacrima che ha cominciato a rotolarmi su una guancia.
È giusto, non sarebbe corretto per lei rimanere. Credo che non le piacerebbe neanche. I fantasmi
passano oltre perché lo trovano migliore di rimanere su questa terra come ombre, sono loro a volerlo fare. Ma mi sento triste lo stesso.
-Addio, Ian Diswarden.- mi saluta Margaret, prendendo la mano di Karen -Ti auguro una bella vita.
M'inchino leggermente.
-Farò del mio meglio perché il suo augurio si realizzi, signorina Andrews.- la saluto a mia volta.
Dopo ciò Karen Diffring, una dei miei quattro migliori amici, e Margaret Andrews, la bambina che mi aveva salvato la vita durante l'arco di tutta quella notte, scompaiono nel nulla, tenendosi per mano, ringraziandomi di ciò che avevo fatto per loro, quando sono convinto di essere io a dover ringraziare loro.
-Ehi!- esclama Richard -I cellulari prendono di nuovo.
-Sono svaniti numerosi fantasmi negli ultimi cinque minuti- rifletto ad alta voce, ricacciando a malapena un altra lacrima -non mi meraviglio che i telefoni riprendano a funzionare.
Cazzo, perché questo groppo in gola non se n'è ancora andato? Non può lasciarmi in pace? È finita adesso. Finita. Lui se n'è andato, Margaret se n'è andata, Karen e Phil pure.
Amy mi abbraccia all'improvviso, cogliendomi di sorpresa.
-Avevo ragione io- sussurra -Karen non te ne faceva una colpa.
Ricambio il suo abbraccio di getto, senza pensare. I suoi capelli ricci mi solleticano il mento, le sue braccia mi stringono all'altezza dello sterno, ed io mi sento in pace.
-Interrompiamo qualcosa?
Riapro gli occhi e vedo Christofer sorridermi in maniera maliziosa, inarcando le sopracciglia. Tra le dita gli fluttua una luce, anzi la luce per cui lui è rimasto ad affrontare lo Slender, la ragazza prima trasformata in proxy e poi uccisa.
-Se vi servono cinque minuti da soli- continua il giovane uomo -noi possiamo...
Mi separo da Amy con le guance che scottano.
-Mi spiace- mi scuso, facendo un cenno nella direzione dei due fantasmi -ma adesso sono venuti a salutare me.
-Potete riprendere dopo.- ci assicura Chris, annuendo con aria di chi la sa lunga.
Io scuoto la testa e mi avvicino alle due anime, notando solo allora che Christofer non ha più addosso tonnellate di cenere.
-Hai cambiato look.- gli faccio notare, fermandomi davanti a loro.
-Ho solo smesso di pensare alla mia morte.- mi spiega, accarezzando la lucciola -Ma prima lasciami fare le presentazioni.
Solleva il palmo per avvicinarmi la lucciola agli occhi.
-Ian, questa è Kate.- ci presenta -Kate, questo è Ian.
Quando mi concentro sul bagliore dello spirito una serie di immagini mi pervade la mente. Una versione più giovane di Christofer salta tra gli alberi di un bosco al tramonto, mentre io lo seguo a malapena. Cacce ai fantasmi contro il volere dei genitori per poi sussultare ad ogni minimo rumore durante la notte, e riderne il giorno dopo. Gli anni si susseguono come secondi e vedo una ragazza, Lauren, sorridermi vicino ad un Christofer più grande. Poi la ragazza se ne va. Un trasloco? Sì, ha traslocato, nonostante nessuno di noi volesse. E non saremmo mai dovuti andare a fare quell'ultima caccia ai fantasmi. Mai. Mai. Mai. Lui ci vide, sì. E da quel momento lui ci seguì sempre, sempre, non ci lasciò mai. Poi ero da sola. Ma io non volevo! No! Ero da sola nel bosco, e lui mi seguiva. Mi seguiva sempre. Poi mi prese, e fui sua.
Ero al buio. Non sentivo niente, né il mio corpo, né i miei pensieri. Ma qualcosa di me doveva pensare no? Ero morta? Non lo sapevo. Sapevo solo di non essere più viva.
Ero sola.
Kate.
Quella fu la prima volta che sentii la voce di Christofer dopo la mia morte, e da allora rimase con me, sempre.
Abbiamo fatto un patto. Ti salverò, Kate.
Chris.
Poi, il buio si squarciò nel fragore delle fiamme e il peso che mi schiacciava tentennò. E tornai a
vedere la luce.
Torno in me stesso, torno in Ian Diswarden, sentendomi come se mi avessero appena lanciato contro una secchiata di acqua gelida.
-Hai rivissuto più di vent'anni in pochi secondi.- si meraviglia Christofer -Devi sentirti uno straccio.
-Chris...- comincio, ma lui mi interrompe alzando anche l'altra mano
-Frena.- mi blocca -Non chiamarmi mai più Christofer. Per gli amici, io sono solo CR.
-CR?- domando, spiazzato.
-Le mie iniziali.- spiega -Christofer Riley, C e R, CR. È un soprannome che mi ha dato Kate. Ho finito per firmare tutte le mie lettere così.
-Allora suppongo di dovermi sentire onorato di essere entrato nel club.- lo ringrazio.
-Nah, quello è un grande disonore, siamo terribilmente impopolari di recente.- risponde lo spirito -Quello di cui ti dovresti sentire onorato, è ciò che hai fatto oggi, perché tutti noi siamo liberi solo grazie a te.
-Noi siamo vivi solo grazie a voi.- ribatto.
-Modestamente.- si elogia Christofer -Ma resta pur sempre un'idiozia. Non sarei riuscito a fare metà di ciò che ho fatto oggi se non fosse stato per te, e non mi riferisco solo all'attingere dalla tua forza.
Mi sento scaldare dentro. Probabilmente è la sensazione più vicina a quella che si prova ad essere un supereroe che mai sentirò, perciò me la godo. Peccato che con questo pensiero io spezzi la poesia del momento.
-E rimanendo in tema di ringraziamenti e giochi di parole- continua Christofer -prova a togliere le prime tre lettere dal tuo cognome.
Inarco un sopracciglio, ma lo faccio comunque.
-Rimane... Warden- rispondo -Warden come...
-Guardiano.- termina lui.
Mi sembra strano non avere ricordi di essere stato preso in giro a scuola a causa del mio cognome, siccome “Warden” in inglese significa “Guardiano”. Quindi o lo Slender ha deciso di essere il primo a farmelo notare oppure l'appellativo “Guardiano” con cui si rivolgeva a me aveva un significato preciso.
-La tua famiglia ha origini antiche- racconta Christofer -più o meno come quella di tutti, ma la tua è particolare. In fondo, sin dall'antichità ci sono state persone che millantano di poter comunicare con i defunti, no?
-Io non sono il primo- realizzo -Slender ne aveva già affrontati altri.
Christofer annuisce, compiaciuto del fatto che io cominci finalmente a capire.
-Le persone come te vengono chiamate Warden, Guardiani, da chi ha una conoscenza approfondita della loro storia. Credo che il prefisso “Dis” sia stato aggiunto al tuo cognome in seguito, mentre all'inizio il nome della tua famiglia indicava semplicemente che questa caratteristica era presente in qualche membro della discendenza.- continua Christofer.
-E tu come fai a sapere tutte queste cose?- lo interrogo, meravigliato.
-Quando muori impari un sacco.- si vanta lui -Si condividono alcuni ricordi con molti fantasmi e... mio nonno nella vita non aveva niente di meglio da fare che studiare negromanzia.
-La mia materia preferita nei giochi di ruolo.- commento, ridacchiando.
-Giochi di ruolo?- chiede Christofer, sorpreso.
-Lascia stare.- lo tranquillizzo -Avevo dimenticato che sei vecchio per i miei standard.
Lui non ribatte e la conversazione giunge ad un punto morto. So che i due fantasmi se ne stanno per andare, che cercano solo un modo per staccarsi e dire addio.
-Immagino che questo fosse il tuo modo di sdebitarti.- asserisco, per salutarlo, a mo' di bizzarro congedo.
Lui annuisce e abbassa lo sguardo sulla luce, venendo pervaso da un sentimento agrodolce che arriva fino a me.
-Slender aveva torto.- lo richiamo, forse con foga eccessiva.
Christofer alza di scatto la testa.
-Tu non sei un egoista.
Il suo sorriso si allarga sempre di più, finché il fantasma non incomincia a ridere, e a dissolversi. Christofer se ne va ridendo, in una maniera a lui confacente, e sicuramente non imitata da molti.

-Un animale?- chiede di nuovo l'agente di polizia, incredulo.
Annuisco, cercando di apparire sincero.
-Noi n-non l'abbiamo visto...- balbetto e perdo le parole -abbiamo visto solo... Phil.
Apparire sotto shock mi riesce facile, probabilmente perché lo sono davvero e ne sento gli effetti solo ora.
-E perché vi siete chiusi nella fabbrica?- insiste lui.
L'uomo è piuttosto basso, con folti baffi castani e lunghe basette. Sarà sulla quarantina, ha un'espressione scontrosa sul volto e sembra poco incline a credere alla mia storia.
Avevamo concordato un alibi a lungo prima di chiamare la polizia, perché non volevamo raccontare la verità, che ci avrebbe fatto chiudere (di nuovo) in manicomio. Avremmo sostenuto di aver trovato Phil dopo che questi era stato ucciso da un animale (cosa che per certi versi era vera).
-E l'altra vostra amica?- continua lo sbirro.
Ma non molla mai? Mi lamento con me stesso.
-Eravamo nella fabbrica da un po' quando Karen...- sospiro -lei è... è... come impazzita. Mi ha aggredito. Mi stava strangolando quando Richard l'ha spintonata via, e poi lei è solo... caduta.
-Sei piuttosto alto- osserva l'agente -strano che una ragazza sia quasi riuscita a strangolarti.
Adesso basta. Alzo il mento e gli mostro la gola, dove i lividi ed i graffi causati dalle dita di Karen, che evidentemente sono sfuggiti ai suoi occhi da Sherlock Holmes, sono ancora ben visibili.
-Questi come me li sono fatti allora?- domando.
La risposta colorita del mio interlocutore mi viene risparmiata dal gracchiare della sua radio.
-Bill, mi ricevi?- risuona la voce di una donna all'altro capo della linea.
-Forte e chiaro Jane.- conferma Bill, interrompendo l'interrogatorio.
-Quello che dicono i ragazzi è vero.- assicura Jane -Il maschio... non può essere stato nulla di umano, perché ha ferite da morso troppo estese e profonde. Della femmina non riesco a determinare la causa della morte, ma il cadavere non presenta lesioni interne o esterne, che io possa vedere, a parte una ferita superficiale al braccio.
Bill mi scruta ancora con sguardo accusatore, nonostante quello che la collega che è andata alla fabbrica a controllare gli abbia appena detto.
-Resta ancora da capire perché non hanno chiamato prima il 911.- protesta lui.
Sento la forza di Rachel colpire la radio, e allora unisco il mio potere al suo. Avvolgiamo la ricetrasmittente con un velo, e da quel momento dall'apparecchio escono solo interferenze.
-Mi ricevi?- riprova Bill.
Interferenze.
-Jane, mi ricevi?
Interferenze.
Lui guarda il congegno con aria pensierosa.
-Avevi detto che qui radio e telefoni non funzionano bene?- domanda.
Annuisco, nascondendo la soddisfazione che si sia bevuto la nostra storia. Stava solo cercando di fare il suo lavoro interrogandoci, lo so, ma nessuno di noi vuole passare i prossimi dieci anni in un istituto psichiatrico.
Bill mi lascia tornare dai miei amici. Un paramedico sta medicando un graffio che Richard si è fatto sul volto chissà dove e chissà quando. Però cambio idea all'ultimo momento e vado a sedermi sul terreno, leggermente discosto dagli altri, ma non tanto da dare l'impressione di uno che vuole fuggire.
-Sento che sei qui, Rachel- mormoro -tanto vale che ti mostri.
Lo spazio si deforma di fianco a me, e Rachel si teletrasporta alla mia sinistra dalla sua ignota posizione precedente.
-Stai diventando bravo.- si complimenta.
-E tu stai diventando potente.- ricambio -Saresti riuscita a manomettere quella radio anche senza il mio aiuto.
-Già.- ammette -Non mi aspettavo di rimanere così forte anche dopo... avere vinto.
Di nuovo silenzio. Non ne posso più di addii, così mi volto verso di lei.
-Vuoi che ti aiuti a salutare Amy?- domando di getto.
Ho trascorso meno di ventiquattro ore con quella ragazza, eppure è come se si fosse creato un legame tra me e lei. Di sicuro condividere sogni e sopravvivere allo Slender insieme non sono esperienze che ti lasciano indifferente alle persone con cui le vivi. Non posso credere che adesso anche lei se ne vada, il giorno in cui tutte le sue fatiche sono state premiate.
-Io...- comincia Rachel -Io ci ho riflettuto e... ho trovato buffo che adesso io ricordi persino come si riflette. Quando muori ti fermi nel tempo: non cambi opinioni, non ti senti confuso... nel senso umano del termine... non hai dubbi, sai il motivo per cui resti.
-Dove vuoi arrivare a parare?- domando.
Rachel si morde il labbro e si gira nervosamente una ciocca di capelli tra le dita.
-Non so come spiegarlo...- si lamenta.
-Preferisci farmelo vedere?- la interrompo.
Lei ci riflette sopra un secondo, ma poi scuote la testa.
-Penso sia meglio chiederlo a parole.- risponde -Vedi, io mi sento stranamente... viva da quando ti ho incontrato...
-Mi dispiace- fingo di scusarmi -ma ci sono troppe differenze tra me e te perché possa funzionare: l'età, il poter passare attraverso i muri, il fatto che tu sia morta...
Lei mi tira uno schiaffo scherzosamente, e la sua mano mi passa attraverso, facendomi percepire solo una folata di vento.
-Idiota.- ridacchia, alzando gli occhi al cielo.
-È di questo che stavo parlando.- sospira poi -Da quando sono morta è stato come se fossi stata immersa nel ghiaccio, e adesso sento il sole per la prima volta da tanto tempo.
-Stai usando troppe metafore per la nostra epoca, te ne rendi conto vero?- domando.
-Non sono poi tanto più vecchia di te!- esclama, indignata, dandomi un inutile spintone.
Sorrido. Vorrei ridere, ma ho paura di dare agli altri una cattiva impressione scoppiando a ridere senza alcun apparente motivo. Credo di sapere cosa mi vuole chiedere Rachel, ma non oso esprimere i miei pensieri a voce alta, perché la situazione diventerebbe troppo assurda.
-Tu vuoi restare, vero?- chiedo, dando fondo al mio coraggio.
-Io...-  sospira -Vorrei avere l'occasione di vivere la vita che mi è stata tolta. Ma se non lo faccio con te, è inutile, perché solo vicino a te mi sento di nuovo... reale. Credo sia uno dei tuoi poteri: io sto vivendo tramite te.
-Prima o poi anche io dovrò morire.- l'avverto.
-Ho detto di voler vivere una vita, non di voler scampare alla morte.- mi ricorda.
Non so come ho fatto a indovinare ciò che voleva chiedermi, non so se l'ho percepito, se l'ho intuito dal suo comportamento, o se ho semplicemente sperato che il mio desiderio coincidesse col suo.
-Allora va bene.- confermo, stendendo la mano.
Non avrei potuto dirle di no neanche volendo, non so perché. Il mio sesto senso ruotava intorno a quel “sì” come uno sciame di vespe impazzito, sussurrandomi che avrei avuto bisogno della compagnia di un fantasma.
Lei finge di stringere la mia mano, siccome non può farlo veramente.
-Allora va bene.- ripete lei -Non hai dei gatti in casa, vero? Odio quelle bestiacce.
Alzo la mia mano per scuotere la stretta, ma le mie dita passano oltre le sue, facendoci finire di nuovo con le mani separate. Fottuta immaterialità.
-No, niente gatti. E adesso dovrei dirlo ad Amy.- annuncio, preparandomi ad alzarmi.
-No.- protesta lei, sorridendo -Ho un'idea migliore.
Rachel scompare subito dopo. Il teletrasporto e la possibilità di passare attraverso i corpi solidi sono le due uniche cose che invidio dei fantasmi.
-Ehi, aspettami!- protesto, vanamente.
Il medaglione che Amy porta al collo si scalda, facendo alzare di scatto la testa alla ragazza. I suoi occhi, sbarrati, cercano i miei, ma io non posso fare altro che alzare le spalle.
La temperatura si abbassa all'improvviso, nonostante il sole brilli con forza nel cielo, mentre il finestrino dell'auto alla destra di Amy si appanna. Un dito invisibile traccia lentamente, sul vetro coperto di condensa, il disegno di una fiamma. Amy sfiora il vetro freddo con la punta delle dita, prima di cominciare a piangere, e poi a sorridere.
Se farai del male a mia sorella sento la voce di Light nella mia testa ti odierai per non avermi fatto passare oltre.
La sua minaccia è del tutto inutile: mi ucciderei da solo prima di avere la possibilità di torcere un solo capello a quella ragazza.
 Noto con la coda dell'occhio che la mia immagine si riflette in uno specchietto retrovisore. Ed ecco che vedo Ian Diswarden, diciassette anni, alto un metro e settanta, con i capelli mori che non sono un cespuglio solo perché ha l'abitudine di tenerli corti. Il suo viso è sporco, con un accenno di barba dovuta all'impossibilità di radersi causata dall'aggressione di un fantasma assassino. I suoi occhi sono scuri, forse li definirei persino intelligenti, ma di certo non sono gli occhi di un fantomatico Guardiano del confine tra la vita e la morte.
-Sei un inguaribile idiota.- dice Richard, strappandomi dalle mie riflessioni su me stesso fatte in terza persona.
Amy si volta e mi sorride. Prima che possa però avvicinarmisi, Richard mi afferra e mi sussurra ad un orecchio:
-Comunque, quello che tutti stanno cercando di farti capire da secoli è che tu le piaci, idiota.
 

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Capitolo 13
*** Epilogo ***


Epilogo



Estratti dal diario di bordo del capitano Stephen O'Neil.
11 settembre 2014, 22:45

Oggi si è consumato un omicidio sulla mia nave.
Il corpo della signora Michelle Duncan, vent'anni, passeggera della nave, è stato ritrovato dall'amica della vittima Jennifer Calian, sua coetanea, anch'ella passeggera. Il medico di bordo ha stabilito che l'ora del decesso è intorno alle 23:30 del 10 settembre. Causa della morte: una ferita al cuore inferta da un oggetto appuntito e rovente, come suggeriscono i segni di cauterizzazione dei vasi sanguigni. Sulla porta non vi erano segni di scasso, ma le traccie di lotta all'interno della cabina suggeriscono che la vittima abbia cercato di opporsi al suo aggressore. Non abbiamo ritrovato indizi di alcuna sorta sull'identità dell'assassino, a parte un macabro disegno di una siluette femminile, tracciato sulla parete con della cenere. Ora il corpo è stato rimosso, la stanza sigillata, e abbiamo fatto rotta verso la costa più vicina per avvertire la polizia, interrompendo il viaggio. Una strana tempesta magnetica ha reso inutilizzabile la strumentazione di bordo e i telefoni satellitari, perciò siamo impossibilitati a chiedere aiuto via radio.
Non mi ero mai trovato in una situazione del genere.
Mettere agli arresti il colpevole aiuterebbe a ridurre il panico, e spero di scoprire qualcosa domani.
Mi chiamano alla porta, devo interrompere.

12 settembre 2014, 02:53
 
Il cadavere della signorina Jennifer Calian è stato ritrovato nella sua cabina alle ore 23:40. I passeggeri della cabina vicina hanno sentito delle urla e hanno allertato l'equipaggio. Quando la porta è stata aperta, i soccorsi hanno visto la donna stesa per terra, uccisa con lo stesso modus operandi della prima vittima. La stessa figura è stata lasciata sulla parete.
Stavolta le telecamere di sorveglianza hanno ripreso qualcosa, ma il nastro mostrava solo interferenze per gran parte della ripresa, perciò non è stato possibile a nessuno distinguere l'assassino. Il poco che ho visto non poteva essere reale: una figura femminile completamente nera, come fatta di fumo, con due occhi grandi, senza palpebre, rossi come braci.

12 settembre 2014, 04:44

Pregate
per i vostri
peccati
-Jstorm

12 settembre 2014, 07:15

Non ho lasciato io la precedente annotazione.
Che Dio ci aiuti.

12 settembre 2014, 15:30

Carissima Jstorm,
o forse dovrei chiamarti Bethany? Ti chiedo scusa per la mia incertezza sul nome, e per doverti scrivere usando il diario del capitano, ma tu sembri essere sorda a qualunque altra forma di comunicazione. Vorrei tanto parlarti di persona, perciò potremmo organizzarci? Prendere un tè assieme? Posso uscire anche di notte se preferisci, siccome di giorno tu sembri piuttosto restia a farti vedere, non ti preoccupare.
A proposito della notte, tu uccidi giovani donne perché una di loro ti ha assassinata, giusto? Sì, eri la moglie del capitano di una nave, ma tuo marito aveva un'amante che aspirava a prendere il tuo posto, così tu venni invitata a salire sulla nave che comandava tuo marito e la sua nuova fiamma ti tagliò la gola. Ti prego, correggimi se sbaglio.
Le visioni del mio amico erano confuse in alcuni punti...
Comunque, dicevamo? Ah, sì. Allora... i due hanno fatto sparire il tuo cadavere gettandolo nella caldaia accesa, e questo è il motivo del tuo aspetto fumoso. Da allora sei spinta dalla vendetta a uccidere giovani donne innocenti e mietere le anime di alcune di loro per compensare il fatto che la tua sia nera come la pece. Perciò ti renderò il compito facile: vieni a cercarmi, stanotte. Ti sfido a uscire allo scoperto, vile troia che non sei altro. Ti prometto che troverai una ragazza che non sarà così facile da eliminare.
 
Con devozione e affetto smisurati,
Rachel
p.s.
Ma dove te lo sei preso il nuovo nome che ti sei data? Fa schifo.

13 settembre 2014, 03:15
 
Io, capitano Sthephen O'Neil, riprendo la parola nel mio diario di bordo.
Sono stato chiamato alle ore 23:30 del 12 settembre a causa di forti rumori provenienti dall'alloggio dell'aiuto-cuoco Lucy Styles. Quando abbiamo fatto irruzione nella stanza abbiamo trovato due persone all'interno: la signorina Styles, illesa ma fortemente sotto shock, e Ian Diswarden, diciottenne, passeggero in viaggio con noi per il suo diciottesimo compleanno. Il ragazzo è stato messo immediatamente agli arresti, ma la confusa testimonianza di Lucy e gli alibi di ferro del passeggero al momento degli altri due omicidi lo hanno presto fatto apparire innocente. Il signorino Diswarden sostiene di aver udito dei rumori nella cabina dell'aiuto cuoco mentre passeggiava e di essersi semplicemente avvicinato a controllare. Dichiara inoltre di essere riuscito a vedere vagamente la figura di una donna fuggire prima di poter intervenire, e di aver trovato la signorina Styles in quelle condizioni subito dopo. La cabina era in subbuglio, ma sulle pareti non c'era alcun disegno, anche se abbiamo ritrovato un mucchietto di cenere sul pavimento.
Quando sono rimasto solo dopo aver dato ordine di rilasciare Ian Diswarden a causa della sua evidente innocenza, sono stato avvicinato dallo stesso ragazzo, che mi ha detto, in modo stranamente serio, che l'assassina se n'era andata, e che non sarebbe tornata mai più.
Mentre il passeggero stava tornando alla sua cabina, avrei potuto giurare di vedere, per un solo attimo, alle sue spalle, una ragazza dalla chioma di un rosso vivo, che aleggiava a venti centimetri da terra, e che mi faceva il saluto militare.

Fine

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