La lunga notte di Bill Weasley

di FloxWeasley
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Io resto comunque. ***
Capitolo 2: *** Ti prego, mamma, solo dieci minuti! ***



Capitolo 1
*** Io resto comunque. ***


La lunga notte di Bill Weasley

capitolo uno: Io resto comunque
 



La Tana pareva addormentata, immersa com'era nel silenzio e nell'oscurità di quella nuvolosa notte di inizio Luglio, ma non si poteva dire lo stesso dei suoi abitanti. Doveva essere mezzanotte, forse qualcosina di più, Bill non riusciva bene a farsi un'idea di quanto tempo fosse passato da quando sua madre aveva spedito lui e Charlie a letto.
Molly aveva acconsentito a lasciarli in piedi fino ad un'ora più tarda del solito, anche se con i più piccoli era stata intransigente, ma verso le undici e mezza, complici i continui sbadigli del secondogenito, aveva smesso di lasciarsi impietosire dalle loro proteste e li aveva cacciati di sopra senza troppe cerimonie. Una volta in camera, il povero Charlie si era addirittura beccato uno scappellotto sulla nuca dal maggiore per aver ceduto al sonno così presto. 
Eppure glielo aveva spiegato: non gli andava di lasciare sola la mamma, non dopo la conversazione che avevano origliato appollaiati sulle scale prima di cena.


«Molly, tesoro, lo sai che non lo farei se non fosse necessario, ma è solo per stanotte...»
La voce di Arthur sembrava estremamente stanca, mentre pronunciava quelle parole.
«Non sei un membro dell'Ordine, Arthur, non dovrebbero chiederti certe cose» aveva ribattuto Molly con un tono che forse voleva essere rabbioso, ma che conteneva le tracce del pianto.
Poi c'era stato il rumore di una sedia che strisciava sul pavimento, probabilmente il marito le si era avvicinato per stringerla tra le braccia, lasciando andare un impercettibile sospiro.
«Lo so, Molly, che abbiamo deciso di non far parte dell'Ordine per i bambini, per non fargli correre il rischio di crescere senza genitori... »

A quel punto avevano sentito un singhiozzo strozzato, e Bill aveva stretto con forza il corrimano delle scale per la rabbia: odiava l'idea che sua madre piangesse. 
Lei faceva di tutto per mostrarsi forte davanti ai suoi figli e non era mai scoppiata in loro presenza, ma lui era abbastanza grande da notare i suoi occhi rossi e gonfi quando usciva dal bagno, o il modo in cui dava loro ostinatamente la schiena mentre cucinava, asciugandosi le lacrime che sfuggivano al suo controllo, o ancora il modo in cui li spediva in camera con un scusa qualsiasi, di tanto in tanto, per poi esplodere in singhiozzi prima ancora che Bill riuscisse a chiudersi la porta della cameretta dietro le spalle.

«... ma l'Ordine è stato decimato e gli serve qualcuno che copra questo turno di ronda».
A quel punto sua madre era scoppiata in un pianto dirotto e Charlie, molto più impulsivo di lui, era scattato in piedi con un'aria estremamente seria, che il fratello raramente aveva visto sul suo volto rotondo e sempre illuminato da un sorriso. Bill però era più pacato, più riflessivo, tanto simile a suo padre quanto Charlie lo era a sua madre: lo bloccò con un gesto della mano e un'occhiata severa, costringendolo a rimettersi seduto sugli scalini sgangherati. 
Anche lui si sentiva straziare il cuore a sentire i singhiozzi disperati di Molly, ma sapeva che c'era Arthur con lei a consolarla, e questo bastava a tenerlo buono.
«Molly, amore mio, starò attento. Te lo prometto. Lo faccio per i ragazzi, perché non debbano continuare a vivere nel terrore. I Weasley non sono dei codardi».


Ad un tratto Charlie prese a russare e Bill cercò la sua figura addormentata nel buio, indeciso se lanciargli un cuscino per farlo smettere o meno: il bambino era sdraiato a pancia in su e occupava l'intero letto a stella marina, con un piede che sbucava da un lato e anche di diversi centimetri dal pigiama, chiaramente ormai troppo corto, che una volta era appartenuto a lui.
Decise infine di lasciarlo stare: il suo fratellino aveva un cuore d'oro e aveva subito acconsentito a stare sveglio per fare compagnia alla mamma, ma non era colpa sua se era anche un incredibile dormiglione. Cercando di fare il minor rumore possibile, Bill scivolò giù dal letto e poi sgusciò fuori dalla cameretta, socchiudendo la porta dietro di sé.
Aveva teso l'orecchio fino a poco prima per sentire se sua madre andava a letto, ma le scale non avevano scricchiolato nemmeno per un attimo, il che gli aveva fatto pensare che forse la donna non aveva alcuna intenzione di dormire. Una volta arrivato di sotto ne era stato certo: Molly avrebbe aspettato il marito sveglia.


Era seduta al tavolo della cucina con una tazza sbeccata davanti a sé, sulle spalle un cardigan scuro che doveva appartenere ad Arthur aperto davanti, dove la pancia tonda tendeva la vecchia camicia da notte candida.
Mentre di solito appariva molto più matura della sua età, una donna fatta e finita, in quel momento emergevano i suoi appena trent'anni e anzi sembrava di nuovo la ragazzina spaventata che aspettava il suo primo bambino, con gli occhi nocciola che fissavano trepidanti fuori dalla finestra e le dita che torturavano una povera treccia ormai sfatta, da cui sporgevano diversi ciuffi rossi.


Lo scricchiolio delle vecchie assi del pavimento dovette metterla in allarme, perché non appena Bill mise piede in cucina si ritrovò addosso lo sguardo allarmato della donna.
«Oh, tesoro, sei tu» fece lei, distendendo il volto in un sorriso affettuoso. «Mi hai spaventata. Che ti succede? Non riesci a dormire?» aggiunse poi, addolcendo il tono. Lui scrollò le spalle e si lasciò cadere sulla sedia accanto a quella della madre.
«Vuoi una camomilla?» chiese allora la donna, alzandosi faticosamente prima ancora che il ragazzino rispondesse e tirando fuori un pentolino. «La volevo fare anche per me, il thé non è servito a molto... »
Bill accettò e la osservò riempire il pentolino di acqua, posarlo sul fornello e tirare fuori un'altra tazza sbeccata dalla credenza. Tenersi occupata con quei semplici gesti la distraeva dalla preoccupazione per Arthur: farli con la magia non avrebbe sortito lo stesso effetto.
«Non vai a dormire, mamma?» domandò infine il bambino.
La donna si voltò verso di lui con le bustine in mano, un sorriso non troppo convincente in volto.
«Ma certo, tesoro. Stavo finendo di sistemare qui...» rispose, e il suo sguardo abbracciò l'intera cucina, in cui era chiaro non ci fosse assolutamente nulla da mettere a posto. Dovette rendersene conto anche lei, perché evitò lo sguardo serio del figlio e tornò a dargli le spalle mentre lasciava cadere le bustine nel pentolino.

«Non è vero» replicò lui, raccogliendo tutto il proprio coraggio da futuro Grifondoro e incrociando le braccia al petto. «E se non vai a letto tu, non ci vado nemmeno io». Aveva sperato che sua madre fosse troppo stanca e preoccupata per arrabbiarsi, ma si era sbagliato: quando Molly Weasley tornò a fronteggiare il figlio, i suoi occhi mandavano lampi.
«William Arthur Weasley, ora bevi la tua camomilla e fili a letto, se non vuoi beccarti una punizione»
«No».
C'era un motivo se nessuno dei ragazzi Weasley contraddiceva mai Molly – a pensarci bene, anche Arthur l'aveva fatto assai raramente – e Bill lo sapeva bene. Eppure quella notte era determinato.
«Come sarebbe a dire,
no?» fece la donna, minacciosa.
«Che non andrò a letto. Voglio stare qui con te, non voglio lasciarti da sola ad aspettare che papà ritorni. Non voglio che tu pianga da sola».

Ecco, l'aveva detto. Si era mangiato quelle parole per settimane, mesi, anni, ma ormai – e se ne rese conto anche la donna, mentre gli occhi le si riempivano di lacrime – non era più un bambino.
Poteva non aver ancora compiuto undici anni, poteva divertirsi ancora a giocare con i fratellini e ad immaginare mondi in cui salvava regni e principesse dai mostri peggiori, ma – esattamente come suo padre – nel cuore era già un uomo: un uomo che difende la propria famiglia.

«Mamma... » chiamò, allarmato, vedendo che lacrime silenziose avevano preso a rotolare sulle guance rotonde della donna alle sue parole. Dove aveva sbagliato? Non voleva certo ferirla, ma piuttosto esserle vicina!
«Oh, William... » fece Molly, mostrando il più amorevole dei suoi sorrisi di mamma tra le lacrime, mentre gli si avvicinava e con una mano gli accarezzava una guancia lentigginosa. Il ragazzino non fuggì il tocco come avrebbe fatto davanti ai suoi fratelli, ma chiuse gli occhi e lasciò che la madre lo avvolgesse in un abbraccio. Per qualche attimo fu di nuovo un bambino, appoggiò la testa al pancione della donna e si lasciò accarezzare i capelli con dolcezza.
«Sei cresciuto così in fretta, tesoro mio... un attimo fa eri il mio bambino, il mio bellissimo bambino che stringeva il suo pugnetto intorno al mio dito per la prima volta, e ora... ». Gli baciò la testa.
«Ma è ancora compito mio occuparmi di te, non il contrario».
Si asciugò le lacrime e sorrise dolcemente al figlio, che si lasciò accarezzare ancora una volta prima di tornare a parlare come un uomo.

«Io resto comunque» fece, sicuro, fissandola con una determinazione che le diede il colpo di grazia: gli occhi del figlio non avevano solo lo stesso azzurro brillante di quelli di Arthur, ma riflettevano lo stesso sguardo che suo marito le aveva rivolto tante volte, come a dirle“Non mi importa se protesti, non mi importa se mi urli contro, io ti amo e non puoi fare assolutamente nulla per impedirmi di prendermi cura di te”.
La donna sospirò, poi tornò a trafficare con il pentolino dell'acqua calda.
«Immagino che minacciare una punizione, a questo punto, sia totalmente inutile»
«Esatto» rispose il ragazzino, un sorriso soddisfatto che si apriva sul suo volto.
Aveva vinto: l'aveva spuntata in una discussione con Molly Weasley, il che non era niente male come traguardo per un moccioso di dieci anni.
Ma era soprattutto orgoglioso perché aveva dimostrato di non essere grande solo quando c'era da cambiare un pannolino e nessuno era libero, o da alzare la voce con i fratelli, o ancora da non rispondere in modo scortese a zia Muriel. Era grande davvero.
«Allora mettiamoci sul divano, queste sedie non aiutano molto il mio mal di schiena» concesse infine la donna, dopo aver versato la camomilla fumante nelle due tazze. Il sorriso che rivolse a Bill mostrava tutto l'orgoglio e l'affetto che un figlio potrebbe desiderare.
«Ti va se guardiamo qualche foto?»






Non so da dove salti fuori questa storia, davvero. 
So che manco dal fandom da secoli, so che ho un pullmino domani mattina da prendere alle cinque e mezzo, so che ho mille altre storie che stagnano nel mio computer e so che questa, di storia, non ho nemmeno idea di dove mi porterà.
So di avere la fama di non portare mai a termine le long e so anche il prossimo capitolo l'ho solo vagamente immaginato, ma soprattutto so di avere quindici ore di pullmino davanti a me domani, e altre quindici al ritorno tra una settimana, per cui il tempo per scrivere non mi mancherà.
Credo di aver pubblicato perché non scrivevo dietro ispirazione tanto violenta da un mucchio di tempo e perché l'idea di una notte insonne in casa Weasley (con i marmocchi che si alzano uno dopo l'altro, o almeno questo è il progetto) mi ha stuzzicata nel bel mezzo della noia più totale.
Chissà che questa strana storia dal titolo vagamente Pennachiesco (non voluto, in realtà, perché mi sono ricordata de "La lunga notte del Dottor Galvan" solo dopo che la mia idea mi suonava stranamente familiare) non interessi qualcuno: nel caso saluto con la manina e prometto di impegnarmi per sviluppare la mia idea e portare a termine una long, una volta tanto.
Grazie a chiunque sia arrivato fin qui e al prossimo capitolo!

(Morgana, se mi dilungo ancora un po' finisce che sul pullmino ronfo e basta).

 

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Capitolo 2
*** Ti prego, mamma, solo dieci minuti! ***


La lunga notte di Bill Weasley

capitolo due: Ti prego, mamma, solo dieci minuti!




«Ehi, questa me la ricordo!»
Le dita sottili di Bill si fermarono sulla pagina dell'album che Molly stava sfogliando e sfilarono una foto dalla sua sede per poterla studiare più da vicino: ritraeva un bambino dai capelli rossi e gli occhi celesti, sdraiato a pancia in giù sul tappeto davanti al camino, mentre sorrideva tranquillo all'obiettivo circondato da fogli di carta e matite colorate.
«Eri già molto bravo a disegnare» osservò la madre con un sorriso, prima di scoppiare a ridere davanti alla piccola scena che, come ogni foto magica che si rispetti, anche quella mostrava: Charlie aveva fatto il suo ingresso correndo come un pazzo, un paio di mutande in testa che gli coprivano gli occhi, e aveva seminato lo scompiglio tra fogli e colori. «E anche molto paziente» aggiunse.
«Lo faceva di continuo» commentò Bill con aria contrariata, rimettendo la foto al suo posto e sospirando rassegnato. «Non so quante volte papà ha dovuto aggiustare le mie matite calpestate». Molly rise di nuovo e tornò a sfogliare lentamente le pagine del grosso album, facendosi un poco più tranquilla e distesa ad ogni foto.

Quando Bill l'aveva vista estrarre dalla credenza del salotto quel grosso libro era rimasto sorpreso: non sapeva nemmeno che esistesse, non essendosi mai chiesto se ci fossero altre foto oltre a quelle attaccate ai muri con il Magiscotch o incorniciate sui mobili.
Spiegargli il contenuto di ogni scatto era un ottimo modo per distrarsi, oltre che un piacevole tuffo nel passato: l'album ripercorreva la storia della famiglia a partire dal matrimonio di Arthur e Molly e continuando con l'infanzia dei ragazzi, sempre più grandi e sempre più numerosi di foto in foto.


La prima mostrava Arthur che, tenendo in braccio una Molly dall'aria contrariata, tentava di portarla dentro casa senza inciampare nel voluminoso vestito da sposa di lei.
«Tuo padre ha insistito per farlo, ha detto che era un'usanza babbana, ma io non ero molto d'accordo: infatti mi ha quasi fatto sbattere la testa contro lo stipite della porta» aveva ricordato la donna, ridendo della goffaggine del marito.
I successivi erano scatti rubati alla loro vita di sposini: i lavori per sistemare la Tana, allora persino più sgangherata di adesso; il primo Natale insieme, qualche scena di vita quotidiana o di tenerezza a cui Bill aveva storto il naso (“Che schifo, vi stavate baciando!”)
Poi ecco comparire una morbida curva dietro il grembiule da cucina della donna, mentre minacciava il fotografo con un cucchiaio di legno, e qualche scatto dopo faceva la prima apparizione William il giorno della sua nascita, in braccio ad un'esausta ma radiosa Molly.
«Tuo padre non riusciva a darti il biberon senza addormentarsi a sua volta. Eravate buffissimi» commentò sua madre davanti ad una foto che lei stessa aveva fatto a tradimento al povero Arthur mentre dormiva con aria pacifica, gli occhiali di traverso e i capelli rossi tutti arruffati, tenendosi stretto al petto un minuscolo Bill e un biberon quasi vuoto.
C'erano una miriade di foto del primogenito (“Era tutta una novità, per noi, volevamo ricordare ogni cosa”) da solo, in braccio a zii e nonni il giorno del suo primo compleanno o mentre giocava con i genitori, finché non era saltato fuori uno scatto di lui chinato con aria incuriosita su un lettino di legno. Da lì in poi era Charlie il protagonista indiscusso degli scatti, nella maggior parte dei quali combinava qualche disastro (“Mi ricordo quando ha quasi ingoiato uno zellino, menomale che papà l'ha fermato in tempo!”) ma i due fratelli, inseparabili fin dal primo momento, comparivano quasi sempre insieme davanti all'obiettivo.


«Villa Conchiglia... ci andavamo sempre quando eravamo piccoli! Mi piaceva tantissimo, ma', perché non ci torniamo?» esclamò Bill ad un tratto, passando le dita su una foto che ritraeva lui e Charlie mentre correvano su una spiaggia di finissima sabbia bianca, inseguendo i gabbiani in una giornata invernale. Anche quella successiva era ambientata nello stesso posto, ma raffigurava Arthur mentre insegnava al maggiore a far volare un aquilone.
Molly sorrise e gli scompigliò i capelli rossi.


Quella casa non piaceva solo ai ragazzi, con quel suo fascino un po' selvaggio per la vicinanza con le onde dell'oceano: anche lei e Arthur se ne erano innamorati, fin da quando sua zia Muriel aveva acconsentito a lasciargliela usare, di tanto in tanto (“Quel tuo marito è così secco, tesoro, e poi non vede un accidenti! Chissà che un po' d'aria di mare non gli tolga quell'aria malaticcia”).
Era diventato ben presto il luogo in cui fuggire, loro due soli, quando le famiglie e i problemi si facevano troppo pressanti, e aveva finito per essere anche un luogo in cui portare i bambini per far trascorrere loro qualche giorno lontano da casa, non potendosi permettere delle vere vacanze.
Da quando erano arrivati i gemelli, però, stare tutti in quella casa così piccola era diventato un problema, e con i tempi che correvano non era poi nemmeno tanto sicuro.


Stava per rispondere al figlio che magari, una volta nato il bambino, avrebbero potuto approfittare di qualche giorno di ferie di Arthur per tornarci (“Ma quali ferie” aveva pensato tra sé, dandosi della bugiarda, “Con tutti gli straordinari che fa, lo vediamo a malapena”), ma la vocina sottile di Perce l'aveva salvata dal raccontare una mezza bugia al proprio figlio.
«Tornare dove?» aveva sbadigliato, attraversando il salotto mentre si stropicciava gli occhi da dietro le lenti storte. Molly aveva lasciato che si sedesse accanto a lei sul divano, sistemandogli gli occhiali con un gesto amorevole.

«A Villa Conchiglia. Ma tu non puoi ricordartelo, eri troppo piccolo quando ci andavamo» gli rispose Bill, sbrigativo, dando un'occhiata al vecchio pigiama di Charlie in cui ci sarebbero stati comodi due Percy prima di tornare ad osservare le foto.
«Me lo ricordo invece» replicò il fratellino con aria saccente. «Avete cercato di affogarmi» aggiunse poi, una smorfia infelice sul visetto appuntito.
Lo sguardo di Molly si fece tagliente al ricordo di quell'episodio, ma si trattenne dal rimproverare il figlio maggiore già sufficientemente punito all'epoca, che almeno aveva avuto la decenza di arrossire e non alzare lo sguardo dall'album, l'aria vagamente colpevole.


«Cosa fai in piedi, tesoro?» domandò invece al più piccolo con una carezza, mentre quello si stringeva contro il suo fianco.
«Charlie russa, non riesco a dormire» rispose Percy con una vocetta lamentosa che normalmente avrebbe fatto irritare Bill, ma che per una volta provocò la sua empatia: suo fratello russava come un orso, sopportarlo era davvero impossibile.
«Se vuoi vengo a prenderlo a cuscinate insieme a te» gli propose allora, negli occhi una scintilla di divertimento. Charlie era sì il suo alleato, ma non poteva resistere ad un'occasione del genere.
«Bill, c'è modo e modo di-» lo riprese la madre con un'occhiataccia, venendo però interrotta di nuovo da Percy:
«Apprezzo la tua proposta, Bill, ma preferisco stare qui con voi a guardare le foto» rispose, dando come sempre l'impressione di aver ingoiato un dizionario.
«Nossignore, tu hai cinque anni e i bambini di cinque anni a quest'ora dormono» replicò decisa Molly. «Dai una scrollatina a Charlie e vedrai che smetterà di russare. Forza, ti accompagno di sopra...»

«Guarda, Perce, qua ci sei anche tu!» esclamò in quel momento Bill, puntando il dito su una foto con l'intento di distrarre la madre e lasciare che il fratellino restasse con loro.
Percy era un rompiscatole, certo, ma lui a cinque anni avrebbe pagato per stare sveglio di notte, e la solidarietà tra fratelli gli imponeva di aiutarlo.
«Ti prego, mamma, solo dieci minuti!» insistette allora il piccolo, mettendo a dura prova la forza di volontà già piuttosto debole di Molly. Diede un'occhiata alla foto, in cui Bill e Charlie, uno per ogni lato, se ne stavano con un orecchio incollato al suo pancione e un'espressione sorpresa in viso, mentre lei rideva e scompigliava i capelli ad entrambi.
Suo malgrado, Molly sorrise e passò un braccio intorno alle spalle del bambino, lasciando che quello gli si accoccolasse accanto e appoggiasse la testa al suo seno.
«Va bene, ma tra dieci minuti fili a letto».


«Eri completamente pelato quando sei nato, guarda» gli spiegò Bill, incapace di resistere all'impulso di prenderlo un po' in giro, mentre gli mostrava una foto in cui Arthur lo teneva in braccio, appena nato, per farlo vedere ai fratelli più grandi. «Me lo ricordo perché i gemelli avevano un sacco di capelli, e anche Ron, e se non sbaglio anche Charlie...» ridacchiò, mentre Percy metteva su un'espressione offesa.
«Lo sai, Bill, anche tu eri pelato. Non hai visto la foto, prima?» replicò Molly con un sorrisetto.
Perce scoppiò a ridere e le orecchie di Bill si fecero rosse.
Scorsero qualche altra foto in silenzio, e se il maggiore notò qualche cosa per cui prendere in giro il fratellino, se la tenne per sé. Non gli andava di essere canzonato così da sua madre, era umiliante!
Scoppiarono a ridere insieme davanti a Charlie che, per consolare Percy in lacrime per una caduta quando muoveva i primi passi, aveva finto di inciampare a sua volta ed era rotolato goffamente a terra (“Si era fatto più male di te, poverino”) e alla vista dell'espressione depressa di Bill mentre veniva stritolato da zia Muriel ad uno dei tanti matrimoni Weasley a cui la donna si era invitata da sola.


«Non hai qualche foto tua e di papà quando eravate giovani?» domandò ad un tratto William, colto improvvisamente da quell'idea. Non ricordava di aver mai visto foto dei suoi prima del matrimonio, a parte qualcuna da bambini che era appesa in camera loro.
«Stai dicendo che siamo vecchi, signorino?» replicò la donna, punta sul vivo, lanciando un'occhiata minacciosa al più grande dei suoi figli.
«Io... no, certo che no» si affrettò a rispondere quello, impacciato. «Solo, ero curioso di vedere foto di Hogwarts o...»
«Apri l'anta della credenza da cui ho preso l'album» rise la donna in risposta, aspettando che Bill eseguisse l'ordine. «Vedi la scatola da scarpe celeste? Ecco, portala qui».




Come promesso, sono tornata! 
Le quindici ore di pullmino (che sono diventate ventotto, ma questa è un'altra storia) non sono servite a granché: ho scritto tutto oggi pomeriggio, comodamente a casa.
Spero che questo secondo capitoletto (un po' meno incentrato su Molly e Bill, ma non è esattamente quello il tema della storia, quando più una panoramica della famiglia Weasley o qualcosa del genere... come avrete capito non è chiaro nemmeno a me) vi sia piaciuto e vi do appuntamento al prossimo!
Grazie mille a chi è passato a dare un'occhiata e doppio grazie a chi ha recensito! 

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