La mossa della Regina

di Jordan Hemingway
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Arrocco: Matrimonio nell'alta società ***
Capitolo 2: *** Promozione: Nuova Regina ***



Capitolo 1
*** Arrocco: Matrimonio nell'alta società ***


La mossa della Regina



Attenzione: la seguente storia presenta l'uso del linguaggio tolkeniano, completamente avulso dal contesto e dalla trama. Non è in alcun modo pensata come un AU del Signore degli Anelli.


A little party never killed nobody,
so we gon’ dance until we drop.
Fergie, A little party never killed nobody (All we got)
 
Alle tre e dieci gli ingranaggi del matrimonio ticchettavano precisi come quelli di un orologio.
L’autista aveva fatto scendere la sposa davanti all’hotel e gli ospiti attendevano nella hall sorseggiando calici di liquido argentato.
Le guardie del corpo dello sposo avevano lanciato legami runici contro una mezza dozzina di giornalisti intraprendenti, che il giorno dopo avrebbero scritto articoli pungenti sulla libertà di stampa e la discriminazione tra umani ed elfi.
L’orchestra eseguiva lenti e ballate Sindarin con la consumata abilità di un prestigiatore nel segare in due un folletto.
La cerimonia dell’anno poteva ufficialmente iniziare.
“Lord Imlach, Dama Morwen.” I futuri sposi si fermarono. “Merin sa haryalyaë alassë.[1]
Im gelir ceni ad lìn[2], Lord Aranel.” Dama Morwen sorrise. “Da molto tempo non avevamo vostre notizie.”
“La Borsa, tutta colpa della Borsa. Gli affari saranno la rovina del popolo elfico, mia signora: nemmeno la mia famiglia mi vede da giorni.”
“Senza dubbio Dama Beruthiel ne sarà rattristata.”
Lord Aranel torse la bocca. “Indubbiamente, se ritenete le fatture dei sarti e dei tappezzieri un mezzo per esprimere rammarico.”
“Un modo molto umano per manifestarlo.” Lord Imlach, annoiato, spostò i suoi occhi sulla sala controllando che tutto si svolgesse come previsto, e che tra le sete e i ricami preziosi non si nascondessero Colt e pugnali.
“L’umanità ha i suoi difetti,” replicò l’altro irritato dal commento, “ma anche alcuni pregi, primo fra tutti la capacità di comunicare chiaramente.”
“Una dote che non molti comprendono.” Fu la risposta. “Mi domando se i soldi del vostro suocero adanedhel[3] abbiano contribuito a formare quest’opinione sul genere umano.”
Stringendo appena più forte il calice, Lord Aranel sorrise. “E io mi chiedo se ai vostri occhi sia più attraente il viso di Dama Morwen o il nome che porta.”
Cuio nin mellon[4], Lord Aranel.” L’elfa posò una mano guantata di nero sul braccio del futuro marito. “Non roviniamo un giorno di festa. Spero di vedervi ancora in questa giornata.”
No galu govad gen[5] Dama Morwen. Calo anor na ven[6].” Con un inchino il Lord si mischiò agli altri ospiti.
“Non c’era motivo di ricordargli la discendenza della moglie.” Sussurrò Morwen, camminando lentamente al braccio di Imlach tra i gruppi di invitati. “Il suo clan è ancora potente.”
“Non per molto.” La voce di Imlach era un appena più sonora di un mormorio. “Speculare con gli umani comporta dei rischi che i Lelaidhrim non hanno calcolato.”
“Potremmo aiutarli.” Rifletté l’elfa. “Aumenterebbe il nostro prestigio.”
“Non muoverò un dito verso chi si mescola agli adanrim[7].”
Dama Morwen sorrise in risposta a un saluto. “Ne parlerai con mio padre.”
Imlach serrò impercettibilmente le labbra. “Come desideri.”
“E cerca di mostrarti più allegro: stiamo per sposarci, ricordi?” La lunga collana di perle dell’elfa tintinnò, sottolineando le sue parole. “Un’unione tra due clan come i nostri è un evento da celebrare con gioia.”
L’orchestra attaccò un nuovo motivo.
 
 
In passato, quando Imlach era un semplice cane da guardia del clan Helegrim, l’elfo aveva prestato servizio durante cerimonie simili.
Anche ora il suo sguardo spaziava in ogni direzione, individuando con precisione chirurgica ogni punto debole. Deformazione professionale, supponeva: aveva visto troppi matrimoni concludersi con la dipartita più o meno brutale dei novelli sposi.
In alcuni casi per mano propria.
Per questo aveva provveduto personalmente a innalzare barriere protettive e aumentare i livelli di sicurezza: non poteva permettersi uno sbaglio, non quando era così vicino al proprio obiettivo.
Gli accordi di violino e clarinetto riempivano l’atmosfera, ma neppure la musica più assordante avrebbe potuto infastidirlo.
Il viso di Imlach si fece ancora più affilato, gli occhi lampeggiarono.  
Potere.
Era ciò che aveva sempre desiderato sopra ogni altra cosa, e ora brillava davanti a lui, bastava allungare le mani e afferrarlo. 
Niente più inchini sottomessi davanti ai rappresentanti del Consiglio, nessun motivo per reprimere le proprie idee.
Non avrebbe più accettato frecciate sulla sua ascesa da guardaspalle a capo di uno dei clan più potenti della Città, una scalata che aveva infranto ogni convenzione sociale.
Si sussurrava che il precedente capo del clan Helegrim non muovesse un dito senza consultare il suo fidato cane da guardia, e che quest’ultimo non fosse stato estraneo alla morte del superiore.
Pettegolezzi da salotto, privi di sostanza ma velenosi quanto bastava per rappresentare una spina nel fianco.
Presto le cose sarebbero cambiate.
I Thorodhrim erano potenti, ma soprattutto avevano la nobiltà di sangue (si concesse un sorriso amaro al pensiero) che a Imlach mancava: grazie a loro il clan Helegrim avrebbe acquistato importanza sufficiente a imporsi sugli altri e a parlare al Consiglio Cittadino, in cambio di fondi e di arsenale.
I voti matrimoniali erano un piccolo prezzo da pagare per ottenere il controllo assoluto su tutta la Città, elfi, umani, folletti, banshee e ogni altra specie.
Era l’unione tra un Leviatano e un Behemot, e tutti ne erano consapevoli.
Nessuna meraviglia che Imlach avesse schierato tutti i suoi pezzi in previsione di un attacco: gli impermeabili neri dei cani da guardia Helegrim spuntavano ovunque, assieme ai musi fiammeggianti dei cerberi tenuti al guinzaglio.
L’area era stata setacciata alla ricerca di legami runici innescati, gli ospiti erano stati esaminati da macchine che univano gli ultimi ritrovati della scienza alle antiche conoscenze di magia elfica.
Eppure, Imlach sentiva che qualcosa non andava.
Come cane da guardia era stato il migliore: non aveva mai lasciato nulla al caso, si era occupato di ogni incarico con la stessa cura di un drago verso il suo bottino. E aveva imparato che quando il suo istinto decideva di parlargli era meglio prestare attenzione, perché la situazione stava per diventare davvero grave.
“Raddoppiate le ronde.” Ordinò alle sue guardie. “La sorveglianza sarà responsabile per ogni incidente.”
Non avrebbe permesso a nessuno di rovinare il suo trionfo.
Neppure alla futura moglie e alle sue frecciate.
 
 
Era giunta l’ora della cerimonia: al di là delle vetrate di cristallo, la Città e i suoi edifici si stagliavano contro le ultime luci del tramonto. Presto la notte sarebbe stata rischiarata dai bagliori delle lampade che iniziavano ad essere appese nelle vie sottostanti, e il flusso di tram e passanti diretti verso casa sarebbe stato sostituito da quello dei nottambuli: umani in vena di divertimento, folletti in ritardo per le prove finali dei loro spettacoli, compagnie di nani accompagnati da botti di birra, ladri e prostitute di ogni specie e dimensione.
Niente di tutto questo avrebbe intaccato lo splendore degli elfi, lì nell’elegante attico dove Dama Morwen e Lord Imlach stavano per scambiarsi voti di amore eterno. Interessato ed eterno.
L’orchestra, unica enclave non elfica presente nel salone, continuava a suonare, incurante del mondo di intrighi e risate che si dipanava attorno alle note prodotte dai loro strumenti: del resto venivano pagati per ignorare ed essere ignorati.
Come per istinto, gli ospiti avevano iniziato a radunarsi ai piedi dello scalone in cima al quale sarebbero presto comparsi i due sposi.
“Ecco il vecchio Huntor, in tiro come se fosse al suo funerale.” Commentò Dama Beruthiel in un tono appena più alto di quanto consentito dall’etichetta. “Cercatori d’oro fino al midollo, lui e la figlia.”
“Modera il linguaggio, mia cara.”
“Sei divertente quanto un lenzuolo bagnato, Aranel.” Con un’alzata di spalle ben poco elfica, Beruthiel alzò gli occhi verso il soffitto. “Spero solo che finiscano presto: non voglio perdere l’ultimo spettacolo al Moonshine.”
“Non andrai in nessuna stamberga adanrim stasera.”
“E’ la tua gente, non la mia.”
“Per quanto sia sgradevole per entrambi ricordarlo, cara moglie, sei umana solo per un ottavo.” Sussurrò Lord Aranel, stringendole il braccio. “E neppure gli umani apprezzano molto i traditori della propria specie.”
“E tu sei un esperto in questa materia, vero, tesoro?” La dama sorrise in modo sgradevole. “Quanti di quei piccoli bastardi adanedhel che girano nella nostra tenuta sono frutto dei tuoi lombi?”
Rosso in viso, Aranel stava per replicare quando improvvisamente calò il silenzio.
Imlach e Morwen si erano affacciati alla balaustra di marmo, tenendosi per mano.
 
 
Dire che Imlach detestava la sua futura consorte sarebbe stato eccessivo: del resto, la sua freddezza e il suo autocontrollo erano leggendari. Indifferenza, questo era un termine che definiva meglio i suoi sentimenti verso di lei.
Perché Morwen Thorodhrim sapeva benissimo che agli occhi di Imlach lei sarebbe sempre stata uno strumento, mai una persona.
Del resto lei ricambiava cordialmente il disinteresse.
Anche adesso, mentre la sua mano reggeva con eleganza quella di lei, riusciva a percepire come ogni gesto fosse privo di qualsiasi significato per lui.
Morwen poteva essere un'ipocrita, ma non era stupida: sapeva bene come le finanze del proprio clan fossero sull’orlo della tragedia, e dentro di sé ringraziava gli dèi per l’insperata fortuna di quel matrimonio. Un’unione con un ex-cane da guardia, non con un membro dell’alta nobiltà come invece aveva sognato da bambina, ma che le avrebbe consentito di avere libertà e potere oltre ogni immaginazione.
Matrimoni combinati: parte della cultura elfica dai tempi delle prime Città, quando per evitare che l’influenza delle ballate romantiche portasse alla scomparsa per assimilazione della loro specie si erano iniziate a prendere misure drastiche.
Non che io sia una fanciulla irretita da un cantastorie umano. Anche se quel contrabbassista nell’orchestra... Morwen trattenne una risata.
Dopotutto, per queste cose ci sarebbe stato ampio spazio dopo il matrimonio.
Eppure, nonostante ora suo padre si stesse avvicinando con le due gemme di rito, non poté fare a meno di pensare che sarebbe stato tutto molto diverso, se Imlach l’avesse perlomeno degnata di attenzione invece di fissare i loro invitati come se si aspettasse un attacco a sorpresa.
Non che non abbia motivo di sospettarlo, ma è irritante.
Morwen decise di lasciar correre: avrebbe aspettato qualche mese prima di far capire a quell’arrivista chi avrebbe comandato tra loro.
Huntor sollevò le due gemme e le appuntò sul petto della figlia e del genero.
Lasto iâl Morwen adh Imlach adh elio din Eru.” Augurò loro, per poi aggiungere, in mancanza di un genitore dello sposo: “Tiro Imlach adh Morwen Aran Einior, adh elio din Eru.”[8]
Morwen sollevò la mano, sfilandosi il cerchio d’argento simbolo del fidanzamento e tendendo l’indice verso Imlach, il quale fu pronto a infilarle un anello d’oro e a porgerle la propria mano affinché lei stessa potesse fare altrettanto.
Infine, rivolsero un piccolo inchino verso gli ospiti sottostanti, che ricambiarono con scrosci di applausi e benedizioni.
Fu allora che venne portata la torta.
 
 
Huntor Thorodhrim aveva poche certezze nella vita: tra queste vi era la convinzione che fosse di cattivo gusto organizzare una festa secondo i dettami umani, per quanto innocui. Anche se la maggior parte degli elfi dietro la facciata di isolamento e purezza era maledettamente incline a mischiarsi agli umani, in pubblico chiunque si sarebbe mostrato offeso da ogni mescolanza tra le specie.
E dato che in quella sala erano presenti personaggi particolarmente influenti, Huntor, il manipolatore e tessitore di relazioni per eccellenza, aveva ritenuto opportuno attenersi alle tradizioni classiche.
Per questo era sicuro che quella torta pacchiana non fosse parte della festa.
L’enorme piramide di panna e glassa dorata si aprì un varco tra i presenti, spinta dalle braccia dei camerieri rossi per lo sforzo.
L’orchestra attaccò la marcia nuziale.
Alcuni ospiti iniziarono a parlottare e a ridacchiare, senza dubbio criticando la caduta di stile: solo per questo Huntor avrebbe preteso il sangue di chi, tra i suoi sottoposti incaricati dell’organizzazione del matrimonio, aveva deciso di prendere una tale iniziativa.
“Di chi è stata l’idea?” Ringhiò al suo segretario, osservando il viso di Imlach diventare ancora più affilato per il disgusto.
“Non mia, signore.” Fu la replica veloce: tutti i dipendenti di Huntor sapevano che non era il caso di tergiversare con lui, a meno di volersi ritrovare in mezzo a una strada.
Non necessariamente vivi.
“La farò portare via immediatamente.” Aggiunse l’elfo, ma il suo datore di lavoro scosse la testa.
“Ormai è tardi, tutti hanno visto.” Huntor strinse i pugni e alzò il mento. “Voglio i nomi dei responsabili, al più presto.” Soggiunse, cercando di trattenere l’ira.
I camerieri posizionarono il dolce proprio sotto la balaustra. L’orchestra attaccò un motivo allegro, più adatto a un club notturno che a una cerimonia Sindarin, giudicò Lord Thorodhrim.
“Finalmente un po’ di vita!” Esclamò Dama Beruthiel, che si stava godendo lo spettacolo di un Huntor preda del pubblico ludibrio. “Adesso dalla torta uscirà una ballerina svestita, scommetto fino all’ultimo centesimo.”
“Che cosa significa?” Gli occhi di Imlach si assottigliarono: conosceva abbastanza il suocero e socio da sapere che non si sarebbe esposto in modo simile per niente al mondo. Percepì, più che vedere, le crepe che si formavano nella torta, pronta a rigurgitare chiunque vi fosse all’interno.
Morwen tentò un sorriso. “Mio padre deve aver esagerato…”
Di chi era stata l’iniziativa?
La torta si spaccò in due metà.
Con uno scatto improvviso Imlach si gettò a terra, trascinando con sé la moglie e mancando il proiettile di pochi centimetri.
Dalle macerie di panna e zucchero emerse la canna fumante di un fucile.
Solo allora tutti si accorsero che l’orchestra aveva smesso di suonare.
“Sorpresa!” Il cecchino saltò sul pavimento e rivolse un inchino elaborato agli elfi. “Restate calmi e nessuno si farà del male. A parte la sposa.”
E sparò di nuovo in direzione di Morwen.
 
 
 
 
[1] Lett. Ti auguro di possedere gioia.
[2] Felice di vederti (Lett. Una stella splende sul nostro incontro)
[3] Mezzelfo
[4] Vivi e sii mio amico
[5] Le benedizioni siano su di te
[6] Lett. Il sole splenda sul tuo cammino
[7] Umani
[8] Possa Varda udire le invocazioni di Morwen e Imlach, e possa Eru padre di tutti benedirli.// Che Manwe signore dei venti protegga Imlach e Morwen, e possa Eru padre di tutti benedirli.

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Capitolo 2
*** Promozione: Nuova Regina ***


2.Promozione: Nuova Regina
 
It dont’ mean a thing if I ain’t in your eyes
Probably ain’t gonna fly, no.
Fergie, A little party never killed nobody (All we got)
 
 
Imlach alzò la testa in tempo per vedere Huntor barcollare e cadere oltre la scalinata con un foro all’altezza del cuore.
La sala era in preda al caos: gli spari sovrastavano le voci e le urla degli ospiti, che tentavano di creare barriere e legami di protezione, inutilmente. Le armi dell’orchestra e del cecchino dovevano essere state costruite per penetrare la magia elfica, a giudicare dalla morte di Huntor.
Umani contro elfi, come nelle peggiori faide dei bassifondi cittadini: come era potuto accadere?
Era necessario identificare gli aggressori, per avere la possibilità di restituire la visita, ma prima veniva qualcos’altro.
Imlach si portò vicino a Morwen: l’elfa fissava il cadavere del padre senza accorgersi della sparatoria intorno a lei.
“Mi ha fatto da scudo.” Mormorò, quando il marito la prese per mano e la guidò lontano dalla balaustra, verso i corridoi. “Si è gettato davanti a me.”
“Posso sempre rimediare, dolcezza.” Il cecchino era alle loro spalle, il dito pronto a scattare sul grilletto del fucile.
Ancora una volta fu Imlach a spostarsi velocemente dietro l’angolo di una porta, tenendo alle sue spalle Morwen.
Il cecchino abbassò la canna. “Così non vale, amico, non sai che il tempo è denaro?” Sbuffò. “Ho una tabella di marcia da rispettare: ore undici, uscire dalla torta; ore undici e uno, far fuori la sposa; ore undici e tre, scappare.” Elencò, per poi estrarre un orologio dal gilet. “E sono già le undici e cinque, ci credereste?”
Imlach scagliò un legame d’attacco contro l’avversario, senza preoccuparsi dell’orario. Tuttavia, l’umano si limitò a parare l’incantesimo con il suo fucile, non alzando nemmeno gli occhi. “Voglio dire, fra venti minuti iniziano le corse. Secondo voi quanto dista l’ippodromo?” Sospirò, prima di sparare ancora all’improvviso. “Dovrebbero darmi un aumento, davvero.” La pallottola si era conficcata nel braccio di Morwen, nonostante la copertura di Imlach.
“Che cosa vuoi da noi?”
Il cecchino lo guardò con aria smarrita. “Secondo te?” Allargò le braccia per indicare la sala sottostante. La banda di orchestrali stava schivando magie con una perizia pari solo a quella già dimostrata nell’esecuzione musicale, mentre la maggior parte degli ospiti si gettava verso le uscite di servizio, nella speranza di scappare, operazione resa difficile dalle raffiche di mitra e dall’impiego di altre armi modificate per resistere ai contro-incantesimi elfici.
“Chi ti ha mandato?”
“Perché dovrei dirtelo?” Lo sbeffeggiò l’umano. “Fai il bravo e lasciami uccidere tua moglie.”
“Perché così potrei decidere di finirti subito e non pezzo dopo pezzo.”
La risposta fu un nuovo sparo. “Spiacente, elfo, non ho tempo per le battute di spirito, ho un lavoro da completare.” Sogghignò. “E poi, come pensi di riuscire a prendermi, se la tua magia è del tutto inut…”
Non riuscì a completare la frase.
 
 
Morwen Thorodhrim non notò il fiotto di sangue che uscì dalle labbra dell’uomo che aveva tentato di ucciderla, come non aveva notato il proprio novello sposo tessere una rete di incantesimi approfittando della parlantina del primo.
Non guardò Imlach gettarla sul malcapitato umano, e non ascoltò i lamenti prima sommessi, poi urlati di quest’ultimo, fino a quando la vita gli venne strappata dal corpo.
Non si interessò del fatto che attorno ai due l’aura si fosse fatta pesante, come se una qualche altra magia fosse all’opera, una magia che aspirava il potere del marito impegnato a distruggere il sicario.
In effetti, Morwen Thorodhrim in quel momento aveva seri problemi di concentrazione.
Suo padre era morto.
Huntor, il pilastro di uno dei clan più potenti, era stato ucciso e il suo sangue si mescolava a quello dei feriti e degli altri caduti, umani ed elfi.
Per difendere lei si era sacrificato volontariamente, e questo poteva significare una cosa sola: Morwen Thorodhrim avrebbe dovuto sopravvivere per portare a termine l’unione tra i clan.
Perché tra le molte qualità di suo padre (diplomazia, ipocrisia, malevolenza) non era mai rientrato anche l’altruismo.
Non si era sacrificato per lei, bensì per il clan.  Come figura paterna aveva fallito su tutta la linea, ma come leader aveva avuto abbastanza buonsenso da capire chi fosse più importante.
Lei, ovviamente.
Dunque, sia per la memoria del vecchio che per il proprio neonato impero, non avrebbe vanificato la dipartita del padre: chiunque avesse commissionato il suo assassinio avrebbe pagato un prezzo altissimo, elfo o umano che fosse.
Il regno di Morwen Thorodhrim stava per cominciare.
Fu il suo ultimo pensiero prima di aprire la porta dello studio di Imlach e anche l’ultimo della sua vita, dal momento che non appena entrò la pallottola le spaccò il cranio a metà.
 
Mesi di preparativi.
Anni di sforzi e rabbia repressa, per salire quella dannata scala sociale gradino dopo gradino, arrampicandosi a volte con le unghie e i denti, per arrivare più in alto di chiunque, e mancava così poco, così poco…
Tutto vanificato da un dito affusolato premuto sul grilletto.
La donna si alzò dalla poltrona reggendo sulla spalla la canna della pistola ancora fumante e incedette lentamente verso Imlach, sorridendo e scuotendo i ricci biondo grano.
L’elfo tentò di richiamare la propria magia, ma inutilmente: sembrava che le sue energie gli fossero state sottratte all’improvviso.
“Una semplice precauzione: non mi sembrava il caso di lasciarti troppi vantaggi.” Spiegò l’altra. “Piaciuto il mio regalo di compleanno?” Mormorò poi complice e spiò la sua reazione da sotto le ciglia.
Il risultato di una vita intera di maneggi e trame sotterranee era distrutto, e quella donna, chiunque fosse, pareva intenzionata a giocare con lui.
Non aveva intenzione di assecondarla.
“Hai avuto quel che volevi?” Domandò secco, oltrepassando il cadavere della moglie. “Allora vattene.”
“Non hai paura di essere il prossimo?” Cinguettò l’altra, avvicinandosi ancora, ma Imlach la ignorò, preferendo sedersi alla scrivania.
“In tal caso sarei morto prima di entrare, come lei.”
“Corretto. E non mi chiedi perché sono ancora qui?”
“Non mi interessa.” Ed era vero: in quell’istante la mente dell’elfo stava lavorando a pieno regime, tessendo piani per rappezzare quel che sarebbe stato rovinato quella notte, escogitando strategie e pianificando alleanze per non perdere ogni cosa.
La donna umana posò una mano sulla scrivania,  con l’altra gli puntò contro l’arma, esigendo attenzione. “Dovrebbe. Dopotutto, ho appena ucciso tua moglie.”
Imlach non la degnò di uno sguardo, e questo parve irritare la sconosciuta. “Scommetto che non ti aspettavi un attacco del genere da un clan di umani. Non è così?”
Nessuna risposta.
“Non sai nemmeno chi siamo, vero?” Il sorriso per un istante si ruppe in una smorfia, prontamente repressa. “Te lo dirò: siamo i nuovi padroni della città, hai capito? Non abbiamo più bisogno di voi elfi nei nostri affari.”
L’altro rifletteva. Gli umani erano fastidiosi, tendevano a intromettersi troppo spesso, cercando tornaconto dove non avrebbero dovuto. Forse la donna apparteneva a una di quelle bande al soldo di magnati umani dell’alta finanza, preoccupati di quel che l’unione dei clan Thorodhrim e Helegrim avrebbe potuto significare per loro.
Un sicario, tuttavia, sarebbe sparito dopo aver completato il lavoro.
E soprattutto: perché lui era ancora in vita?
“Davvero non ti interessa sapere chi sono?” La donna girò attorno alla scrivania.
“Sei un’adanrim.”
“Un’umana,” La voce di lei enfatizzò la parola, “che ha distrutto ogni tua speranza di grandezza con l’aiuto di pochi uomini.” Tubò. “Quanti elfi possono dire altrettanto?”
Dunque sapeva il significato di quel che aveva fatto. Niente di cui meravigliarsi, solo i sicari di basso livello lavoravano all’oscuro della situazione.
“Non sei almeno un po’ sorpreso? Neanche un po’?”
Il tono piatto avrebbe dovuto metterlo in guardia, pensò Imlach quando il calcio della pistola lo raggiunse al mento con violenza.
“Di’, non vuoi sapere chi è la donna che ti ha fatto le scarpe?”
L’elfo si portò la mano alla mascella, macchiandosi le dita di sangue. “Credi che basti uccidere una pedina per distruggere quello a cui ho lavorato per così tanto tempo?” Indicò Morwen, attorno alla quale andava allargandosi una pozza di sangue e materia cerebrale. “Vi sbagliate, tu, la tua banda e chi vi ha assoldato. Godetevi la vittoria di stasera, finché potete. Otterrò quel che voglio, a costo di impiegarci una vita intera, e non vivrete abbastanza per constatarlo.”
L’altra lo colpì di nuovo con l’arma, facendolo cadere a terra.
“Per essere un abile stratega, sottovaluti troppo i non-edhel.” Lo afferrò per il collo della camicia. “Guardami.”
“Sono Amy Walden. Mio padre stava per avere il controllo di questa città quando tu eri un semplice cane da guardia. Il suo unico errore è stato fare affari con il clan Helegrim: per i suoi servizi avete ucciso mia madre e lo avete privato di tutto.” Lo informò, e ora la sua voce non era più insinuante. “Io mi riprenderò quel che era mio.”
“Dovrei ricordare la morte di un umana?”
“Non mi aspetto tanto.” Ora la sua faccia era vicinissima a quella dell’elfo.
Imlach distolse lo sguardo, ma lei lo costrinse a tenere ferma la testa.
“Ti ricordi di me? Ero la bambina che voleva giocare con i cerberi quando il tuo padrone veniva a parlare con papà. Ero la ragazzina che ti guardava quando avete fatto irruzione nel nostro palazzo per uccidere mia madre.”
Per un lungo attimo i due si fissarono: gli occhi argentei dell’elfo riflessi nelle pupille nere dell’umana.
E alla mente di Imlach tornò un ricordo lontano, una sparatoria che avrebbe dovuto essere intimidatoria, una madre fin troppo brava a mirare, una bambina bionda coperta di sangue, un sangue che lei stessa aveva versato un attimo prima che la madre premesse il grilletto che avrebbe ucciso il giovane elfo rimasto allo scoperto, lo sguardo di quella ragazzina cresciuta in fretta.
Per la seconda volta Imlach ricambiò quello sguardo, e Amy vi si riconobbe.
E finalmente qualcosa sembrò tornare a posto nel viso distorto della donna. Con un ultimo strattone lasciò andare Imlach, e indietreggiò lentamente verso la porta.
“L’effetto del annullamento del tuo potere svanirà tra pochi minuti, meglio che io vada.” Scalciò via il corpo ormai tiepido di Morwen, e sorrise all’elfo. “E non disturbarti: conosco la strada.”
“Umani…” Mormorò Imlach, quando la porta fu chiusa.
Un’unica parola per un significato così complesso, al punto che nemmeno un elfo sarebbe mai riuscito a coglierlo tutto.
Puntellandosi alla gamba della scrivania, Imlach tornò a sedersi nella poltrona, aspettando la fine della serata e la prossima mossa sulla scacchiera: la sua regina era morta, il suo alfiere caduto, nel campo avversario una delle pedine era rinata regina.
Ora toccava a lui a muovere.


N.d.A: Questa storia partecipa al contest The Ancient Tales, indetto da Ino_chan e Tsunade su EFP Forum.
Per ragioni inerenti ai pacchetti del contest, il protagonista doveva essere un nobile e al tempo stesso appartenere a una casta che gli impedisse di realizzare i propri obiettivi: ho interpretato la cosa usando Imlach, un elfo (quindi di per sè nobile rispetto agli umani e alle altre specie della società) di bassa estrazione che sposa un'elfa di casta più elevata per i propri scopi.
Le strofe della canzone a inizio capitoli appartengono alla soundtrack del Grande Gatsby, alle cui atmosfere mi sono vagamente ispirata (?) e la lingua elfica appartiene a Tolkien, ma è avulsa dal contesto. 
...Suppongo sia tutto molto tirato per i capelli (all'inizio pensavo a una storia mooolto più lunga), per cui vi ringrazio per aver letto fin qui^^
 

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