Penelope Moon - Un viaggio al di là del mare

di La Viaggiatrice
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Un normale giorno di scuola ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


‘Non riesco a dormire’ le sue parole risuonarono nel buio della camera silenziosa. Non un suono si poteva sentire da fuori o dal resto della casa. Si rigirò piano sotto alle coperte sentendo la stoffa frusciare contro la sua pelle. Non riusciva a prendere sonno quella notte. Si alzò piano a sedere, facendo scorrere lo sguardo sulle ombre buie dei mobili. Si alzò e si diresse lentamente verso la scrivania, aprì il primo cassetto e tastò l’interno nel buio fino a che non riconobbe il contorno dell’oggetto che stava cercando. Lo sollevò piano, seguendone le forme nel buio. Andò verso le pesanti tende che impedivano lo sguardo all’esterno e le aprì, spalancò le finestre e annusò l’aria salmastra osservando la luna piena riflessa nel mare calmo e piatto. Anche se non c’era vento, lo poteva sentire benissimo li sotto mentre si infrangeva sugli scogli. Aveva sempre amato il mare. Si sedette sul davanzale e osservò il riflesso della luna sull’acqua, fin da quando era bambina questo serviva a calmarla. Abbassò lo sguardo sull’oggetto che teneva ancora in mano. Un vecchio medaglione antico in argento, con al centro una pietra di un bel verde acceso. Lo stesso verde acceso dei suoi occhi. Il medaglione apparteneva a sua nonna, glielo aveva regalato il giorno prima di morire, due anni prima. Lievemente un vento proveniente dal mare cominciò a soffiare, sempre più forte. Le sollevò i lunghi capelli rossi mentre lei chiudeva gli occhi e ispirava quell’aria. Guardò veloce il cielo, non c’era nemmeno una nuvola e la luce chiara della luna illuminava l’intero porto, fino alla foresta a sud.
Si alzò lentamente e richiuse le finestre, lasciando però aperte le tende, in modo che la luce chiara della luna illuminasse la sua stanza. Continuava ad osservare il mare, con le mani appoggiate al legno fresco della finestra, come in attesa di qualcosa, con la testa persa nel vuoto. Quando si riscosse, guardò l’orologio sul comodino. Le 4 del mattino. Era ancora presto. Si incamminò verso il letto e si sedette sul bordo del materasso. Con mani tremanti si allacciò il gancio del medaglione dietro al collo, pensando a sua nonna. Le mancava molto, c’era sempre stata per lei, sempre… fino a due anni prima.
Si stese lentamente, ma non si ricoprì con le coperte. La luce pallida della luna rendeva la sua pelle ancora più bianca. Piano piano, senza rendersene conto ricadde in un sonno senza sogni.

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Capitolo 2
*** Un normale giorno di scuola ***


La mattina arrivò più velocemente di quanto ci si aspettasse e quando Penelope aprì gli occhi, sbattendoli più volte, il sole era già sopra l’orizzonte. I raggi che entravano timidi dalla sua finestra si riflettevano sulla superficie del mare, mossa da un leggero venticello, e qualche gabbiano compiva il suo rumoroso volo sopra l’azzurra superficie. Si stiracchiò rotolando sopra le coperte e si mise a pancia in giù. Sprofondò la testa nel cuscino e si alzò. ‘Le sette…’ disse con la bocca ancora impastata dal sonno. Lentamente si diresse verso il bagno, si grattò la testa sbadigliando e si guardò nello specchio. Era più pallida del solito e due occhiaie azzurrate le contornavano gli occhi. Erano tre notti che faceva fatica a dormire… qualcosa la agitava, ma non riusciva a capire cosa. Entrò nella doccia e accese l’acqua. Le goccioline cominciarono a posarsi sulla sua pelle e sui vetri della doccia, scivolando lentamente su entrambe le superfici. Mise anche la testa sotto l’acqua e smise di ascoltare, rilassandosi. L’acqua sembrava ricaricarla, riempirla di energia e nuova vita. Con gli occhi chiusi le sembrò di essere sola al mondo, fino a che non sentì un rumore di pentole giù di sotto, segno che la madre le stava preparando la colazione.
Uscì dalla doccia e si avvolse in un morbido asciugamano viola, si pettinò e si avvolse anche i lunghi capelli in un asciugamano. Ritornò nella sua camera e aprì l’armadio. Lanciò sul letto una camicetta verde chiaro e dei pantaloncini lunghi fino al ginocchio bianchi. Andò verso la finestra e la spalancò inspirando l’aria che soffiava il salato sapore del mare. Si tolse l’asciugamano dai capelli e li lasciò agitare al vento. Si rigirò e tornò ai vestiti.
Quando finì di vestirsi, i capelli erano ormai asciutti, si diede un rapido sguardo allo specchio, la pelle, seppur bianca come al solito, era meno pallida di prima e le occhiaie erano sparite, e si diresse al piano di sotto correndo per le scale.
‘Ciao mamma’ sorrise alla madre che era di schiena davanti ai fornelli, che le rispose ‘ciao tesoro’ voltando solo il viso e sorridendole. Prese una mela dal cesto della frutta e l’addentò appoggiandosi al bancone della cucina. Aveva un sorriso che sprizzava energia e la madre se ne accorse subito ‘siamo felici e pieni di carica stamattina eh?! Sei finalmente riuscita a dormire?’ disse mentre si girava con la padella in mano e le serviva la colazione, ‘ma va, ancora una notte insonne...’ disse sempre sorridendo, ‘capisco… ma sei piena di energia’ ‘a quanto pare’.
Si sedette e cominciò a mangiare le uova e la pancetta che le aveva preparato la madre, bevendo una spremuta d’arancia e finendo la mela che aveva iniziato.
‘Oggi sono in palestra fino alle sei, devo allenarmi per la gara di domenica’ disse mangiando l’ultimo pezzo di pancetta che le era rimasto nel piatto. Da ormai 8 anni praticava la spada, ed era anche brava. Le dicevano tutti che aveva preso dalla nonna, ma lei era ancora piccola quando aveva smesso, in palestra però c’era una foto di sua nonna, con la stessa spada che usava lei, fiera e felice. Ogni volta che andava in palestra e ci passava davanti, si fermava qualche minuto ad osservarla, come porta fortuna, la salutava e poi andava a cambiarsi.
‘Va bene, dovrai venire a casa da sola però, oggi devo rimanere in ufficio fino alle sette. Prepari tu la cena?’
‘Certo mamma, non preoccuparti, preparerò qualcosa di delizioso’. Sua mamma lavorava in un agenzia di viaggi li nell’isola. Quando era piccola le piaceva stare li con lei, guardare le grandi foto appese alle pareti che ritraevano paesaggi esotici, distese di acqua, di sabbia e di cemento, grandi grattaceli e piante altissime. Si divertiva a sfogliare le riviste e a indicare con il dito i paesi sul mappamondo.
I viaggi l’avevano sempre affascinata. Specialmente quelli per mare. Navigare sulla superficie immensa del mare, spinti dal vento, liberi e senza pensieri… niente di più bello al mondo.
Si alzò e andò di sopra per finire di prepararsi, prese lo zaino e tornò di sotto ‘ciao mamma, ci vediamo stasera’ le diede un bacio sulla guancia e uscì dalla porta di casa, dirigendosi alla fermata del bus. La scuola non era molto distante, su una piccola isola qual era niente era distante da niente, e come in tutti i piccoli paeselli, tutti si conoscevano praticamente da sempre.
Si sedette nella pensilina che si affacciava sul mare e il suo sguardo ne fu rapito. Dopo qualche minuto il bus le si fermò davanti, si alzò e lentamente si diresse al suo interno. La camicia le aderiva perfettamente al corpo magro e atletico, dovuto ad anni di duro allenamento. Non era eccessivamente magra, il giusto. Non era nemmeno molto alta, ma a lei non dispiaceva, i suoi lunghi capelli rossi e gli occhi verdi la rendevano la ragazza più carina della scuola, ma lei vi dava poco conto e si teneva sempre in disparte, pensando solo a studiare e a fare bene le gare di spada. Era anche molto timida ma non per questo si poteva dire che fosse poco determinata e testarda. Anzi, non si tirava mai indietro e seguiva ogni cosa con ambizione e determinazione.
Appena salì notò con disappunto che gli sguardi dei ragazzi le si posarono addosso, ma lei li ignorò. Andò verso la fine del bus mentre le porte si richiudevano e cominciavano a muoversi. Ad un tratto sentì un pizzicorino dietro la nuca, due occhi che la osservavano insistentemente. Voleva ignorarli, ma qualcosa più forte della sua volontà la spinse a voltarsi. I suoi occhi si posarono dentro gli occhi azzurri, quasi trasparenti di un ragazzo della sua età che non aveva mai visto. La stava osservando con curiosità e qualcosa nel suo sguardo non la metteva a disagio, ma la faceva sentire in pace. Distolse lo sguardo e si sedette al suo solito posto.
Non c’erano mai stati ragazzi nuovi, e non era nemmeno del paese. Era un evento nuovo e storico. E lei non ne sapeva nulla. La sua curiosità si mise in moto ma cercò di reprimerla guardando fuori dal finestrino.
‘Ciao’ una voce maschile mai sentita proveniva dal sedile accanto al suo, fino a poco prima vuoto. Non si voltò, continuò a guardare fuori, il paesaggio che lasciava posto alle case. Avrebbe capito che voleva essere lasciata in pace. ‘Ciao, io sono Jeremy, Jeremy Blake e tu…’ ‘io non voglio essere disturbata Jeremy’ si voltò per fargli un finto e cordiale sorriso, ma i suoi occhi la rapirono ancora e rimase li a fissarli a bocca aperta ‘ora, s.. sc.. scusa ma…’ non sapeva più che dire, non era da lei essere così sgarbata e indecisa. ‘Oh, scusa. Non era mia intenzione importunarti, perdonami’ si alzò e tornò al suo posto. Penelope continuò a fissarlo anche se gli dava la schiena. Probabilmente quel Jeremy sentiva che lo stava fissando…
Il bus si fermò davanti al vecchio liceo e gli studenti scesero ad uno ad uno. Chi controvoglia, chi ancora addormentato, sciamarono tutti nell’ingresso di quella ormai logora scuola. Si fermò davanti al suo armadietto e vi lanciò dentro lo zaino, prese i libri che le sarebbero serviti fino a pranzo e lo richiuse.
Andò verso l’aula di Letteratura Americana, la sua prima lezione del giorno, passando proprio davanti alla segreteria. Sbirciando distrattamente dentro, si accorse che quel ragazzo era proprio li, davanti alla segretaria Lucy. Si fermò in mezzo al corridoio, all’improvviso, costringendo un ragazzo a cadere per schivarla. Ma lei non se ne accorse nemmeno, rimase li a fissare quel misterioso nuovo ragazzo, quando la campanella la riscosse dai suoi pensieri. Era in ritardo. Cominciò a correre e si fiondò dentro la classe, raggiungendo il suo banco appena in tempo. Nel momento in cui si sedeva con il fiatone, l’insegnante fece il suo ingresso. Era un simpatico omino di mezza età di nome Gérard Reynolds, non molto alto e con i capelli castano opaco, tendente al bianco. Posò la sua cartella sulla cattedra e si sedette tirandone fuori il registro e la penna. Penelope si girò per guardare fuori dalla finestra, quando la porta dell’aula sbatte. Si girò e il ragazzo del bus era li, che si guardava intorno spaesato. ‘Oh, tu devi essere il nuovo studente’ disse con il solito tono antico il professore. Jeremy annuì e si tormentò le mani nervosamente, cosa che faceva spesso anche lei. Mentre lei lo osservava i suoi occhi le si posarono ancora addosso ‘forza scegli un banco libero e siediti… oh, c’è quello in fondo all’aula di fianco a Penelope, perfetto’ annuì al professore e si diresse verso il banco che gli aveva indicato, continuando a osservare Penelope, che nel frattempo aveva distolto lo sguardo nervosa e si osservava le scarpe. Sentì la sedia accanto a lei muoversi e gli occhi di lui posarsi nuovamente su di lei.
Il professore cominciò a fare l’appello ‘Julyan Ambrose… Sarah Anson… Brad Bentley…’ ogni volta il nome era seguito da un annoiato ‘presente’ fino a che ‘Penelope Moon’ fu seguito da un profondo silenzio. La classe si girò verso il banco di Penelope, e il professore la chiamò ‘Penelope, sei fra noi oggi?’ ma senza ottenere risposta. Era caduta nel panico, non riusciva a muoversi mentre sentiva lo sguardo di lui premere contro la sua tempia. La stava osservando, come il resto della classe d’altronde. Ad un tratto si riscosse sentendo il professore chiamarla per la quarta volta ‘ehm.. mi scusi professore… presente’. Il professore sospirò di sollievo e proseguì con l’appello. “Che cosa le stava succedendo? Penelope, riprenditi” si ripeteva mentalmente. Ma niente più lui la fissava più lei si sentiva a disagio. Prese coraggio e si girò anche lei a guardarlo, quasi sfidandolo, ma lui distolse lo sguardo. Ritornò con l’attenzione al professore e rimase a fissarlo fino alla fine dell’ora.
Il resto della mattinata, dopo quel primo strano episodio, proseguì normalmente. Non rivide il ragazzo fino alla pausa pranzo. Si sedette  come suo solito in un banco isolato in fondo alla sala, appoggiò la cartella sulla sedia accanto alla sua e il vassoio davanti a lei. Si mise le cuffie nelle orecchie e cominciò a mangiare. Ad un tratto vide una maglietta scura davanti a lei, alzò lo sguardo e notò che il ragazzo di quella mattina era li davanti a lei, sorridente e con il vassoio in mano. Notò che le stava parlando, ma lei con la musica nelle orecchie non sentiva niente. Si sfilò le cuffie spegnendo l’MP3 e ritornò con lo sguardo al ragazzo. ‘Scusa non ti sentivo?’ prese quel tempo per osservarlo meglio. Portava dei Jeans larghi e strappati, di un colore azzurro pallido, aveva la maglietta nera con raffigurato Thor e le scarpe da ginnastica. I capelli erano corti e neri, leggermente più lunghi al centro. Aveva le spalle larghe e si vedeva che era un tipo allenato, i muscoli si potevano vedere benissimo sotto alla maglietta, ma la cosa che più la colpì fu il tatuaggio che aveva sull’avambraccio sinistro. Il tatuaggio di un teschio. Non poteva avere più della sua età, sedici anni, ma qualcosa nel suo sguardo diceva che aveva visto più di quello che un giovane adolescente potrebbe vedere. ‘Ti avevo chiesto se ti dava fastidio che mi sedessi con te… sai non conosco nessuno, sei l’unica faccia amica che vedo’ le sue parole mi lasciarono un attimo in trance ma poi mi riscossi ‘oh, scusa, ma certo siediti pure’ sorrise cordialmente e spostò la cartella nell’altra sedia, lasciando spazio a Jeremy per sedersi. ‘Scusa, stamattina sono stata una maleducata. Sono Penelope Moon, piacere’ disse porgendo la mano. Lui gliela strinse sorridendo, i suoi occhi si illuminarono e due fossette si crearono a lato della bocca. Sorrise anche lei, era carina quando sorrideva, per questo il più delle volte evitava di farlo, ma il sorriso del ragazzo era contagioso. ‘Piacere mio, io sono… ah già, mi sono già presentato, giusto?’. 

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