Ricordare o rinunciare

di trenodicarta
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Incontro ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Incontro ***


Ricordare o rinunciare

Capitolo 1:incontro

- Dovrebbe venire a ballare con me. –

- Non possiamo, non ci conosciamo. E poi io non ballo con i tedeschi. -

Aaron ne rimase colpito. Apprezzava il carattere deciso della fanciulla, ma non accettava il poco rispetto che lei aveva nei suoi riguardi.

- Che hanno i tedeschi, che non le piace? –

Chiese mostrando la profonda irritazione che quel commento sul suo popolo gli aveva provocato, attraverso il proprio tono di voce e lo sguardo azzurro passato dall’attrazione, alla disapprovazione.

- Sono furbi. –

Aaron non riuscì a trattenere una risatina, che fece voltare qualche altro cliente della caffetteria.

- è così negativo? –

I suoi occhi azzurri tornarono a fissare la ragazza con una naturale simpatia e curiosità. Quella fanciulla italiana, dai capelli castani e lo sguardo sfuggente, era stata la prima cosa che aveva notato non appena aveva varcato la soglia del piccolo bar al quale si era ormai affezionato, dopo qualche giorno in cui si trovava in Italia. Più volte aveva tentato di avvicinarsi alla veloce e graziosa cameriera, e più volte lei era fuggita davanti ai suoi inviti, i suoi sorrisi accattivanti, Aaron aveva così pensato di sfruttare una tattica che sempre utilizzava, nel lavoro e ora anche nella vita: l’aveva costretta a prestargli delle attenzioni, invitandola al suo tavolino con un cenno ogni volta che la vedeva sfilare per la stanza, con scuse futili e poco credibili, fino a quando lei, stanca, aveva compreso il gioco e aveva deciso di sedersi.

- A lei non piacciono i tedeschi? –

Chiese ancora una volta lui, indicando la divisa che indossava.

- Devo tornare al mio lavoro. –

Sussurrò lei, rialzandosi dal tavolino dell’uomo, che deciso a non arrendersi la fermò con un gesto della mano.

- Mi dica perché non le piacciono. –

- Preferirei non farlo. –

- Io non accetto mai rifiuti. –

Lei allora sorrise e alzò appena le spalle.

- Ecco il problema di voi tedeschi. –

E a quell’affermazione, nemmeno lui seppe ribattere, la lasciò andare via, osservandola un’ultima volta.


Angolo autrice:
Salve a tutti (: Volevo solo precisare che questa storia non vuole offendere nè ferire i sentimenti di nessuno, la tematica della Shoah mi ha sempre colpito, fin da bambina, ho sempre voluto scrivere qualcosa su questo argomento e spero che la storia venga apprezzata. Ripeto, non voglio offendere o ferire nessuno, per questo ci ho messo un po' a pubblicarla (l'ho finita da tempo ormai), perchè è una tematica molto delicata e forte e non ho il diritto di scriverci sopra. è solo qualcosa nato dalla mia fantasia, ho letto molti libri sull'olocausto, ho visitato giorni fa la Germania e i luoghi che l'hanno riguardato e ho pensato di voler inventarmi qualcosa di romantico, che non ne parlasse troppo in modo preciso, ma che comunque potesse essere piacevole, nonostante lo sfondo su cui si basa. Spero vi piaccia. 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Ricordare o rinunciare

Capitolo 2

 
- Ci ho riflettuto, sa? –

La ragazza si voltò, corrugando la fronte e fissandolo con leggero astio, solo per un secondo.

- Lei mi segue? –

- Ci ho riflettuto, riguardo al problema di noi tedeschi. –

Riprese lui, ignorando l’irritazione nei gesti della ragazza.

- Vuole sapere il suo problema? – Non le lasciò nemmeno il tempo di risponderle, che lui riprese a parlare:

- Lei ha un segreto. –

Per la prima volta, lo sguardo della fanciulla non sembrò sfuggirgli, anzi, Aaron riuscì addirittura a leggervi dentro, notando una grande paura. Dunque aveva ragione, lei aveva un segreto, che ovviamente desiderava nascondere.

- Cosa glielo fa pensare? –

- I suoi occhi. Sono così malinconici, pesanti, sfuggenti. –

Furono proprio quelli che si abbassarono verso il pavimento buio. La ragazza si voltò a guardare l’entrata del caffè, poi, indicò con la testa un punto nel buio, un vicolo.

- Vuole accompagnarmi fino a casa, tedesco? –

Quella volta Aaron non rimase offeso dall’ultima parola come normalmente faceva quando lei la pronunciava, forse perché quella volta lei non l’aveva usata con tono dispregiativo.
Così, insieme a lei, si incamminò, seguendola, fino a quando non giunsero ad una piccola casa, leggermente rovinata all’esterno, ma comunque graziosa, non quanto lei, che avrebbe dovuto vivere, secondo Aaron, in un castello, insieme a lui.

- Può svelarmi un segreto? –

- Elena. –

Come se gli avesse letto nel pensiero, lei rispose, quell’unica parola fece ridere entrambi, quasi fossero due ragazzini e non vi fossero guerre, tedeschi e compagnia bella intorno a loro.

- Aaron. Un giorno mi dirà quello che nasconde? –

Elena fece volare via il suo sguardo, che si perse a guardare il cielo stellato, Aaron attese, sicuro che lei avesse sentito e capito la sua domanda, non le mise fretta, anzi, rimase in silenzio, per tutti quei minuti, fino a quando la voce flebile di lei non sussurrò:

- Non penso. –
 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Ricordare o rinunciare

Capitolo 3


Accompagnare Elena a casa divenne una piacevole abitudine per Aaron. Ogni giorno, il soldato si precipitava fuori dal piccolo caffè non appena la vedeva sfilarsi il grembiule, segnale che aveva terminato il turno per quel giorno. L’attendeva fuori, paziente, anche quando lei si attardava qualche minuto in più per chiacchierare con le college. In seguito, silenziosa lei lo raggiungeva, camminando al suo fianco per le diroccate vie del paesino. Molto spesso il tragitto era silenzioso, nessuno dei due amava parlare e quando succedeva, non si aveva occasione di terminare il discorso, in quanto il percorso era talmente breve da non permetterlo.
A loro però stava bene così. Il silenzio che li univa non era imbarazzante, si divertivano a spiarsi, lanciarsi occhiate curiose: lei osservava attenta la divisa di quest’ultimo e abbassava lo sguardo impacciata quando lui la scopriva a farlo. Viceversa alle volte era lui a studiare i lineamenti del volto di lei, per poi fischiettare e guardarsi attorno quando di colpo Elena si girava e lo coglieva sul fatto.

Erano una coppia curiosa quei due.

Lui così robusto e minaccioso e lei così piccola e debole. L’italiana e il tedesco. Il soldato e la ragazza che odiava tutto ciò che riguardasse la guerra.
Le persone li osservavano curiosi e preoccupati allo stesso tempo, mentre passavano davanti alle case da cui venivano spiati dai più pettegoli. Molto spesso, quando passavano dinnanzi a una zona affollata, le persone si davano gomitate, indicandoli, alle volte lo sguardo minaccioso che Aaron aveva rivolto loro era riuscito ad acquietarli, ma l’effetto minaccioso della divisa che portava lasciava il tempo che trovava.

Ad Elena invece non importava, che guardassero pure, si ripeteva più volte. Non facevano nulla di male, stavano semplicemente passeggiando.

- Elena, lei non ha paura di me? –

Lei rallentò leggermente, colta impreparata.

- Perché dovrei? –

- Forse perché sono un tedesco, un soldato, uno sconosciuto. Non le capita mai di avere paura della mia divisa? –

Lei abbassò lo sguardo.

- Lei mi permette di accompagnarla solo perché ha paura di rifiutarmi vero? –

La ragazza si fermò, il soldato fece lo stesso. Lei lo guardò con un pizzico di stizza, mentre con tono offeso rispondeva:

- Senta, tedesco, io non lo penso affatto. Se volessi le direi di no, la sua divisa non mi preoccupa affatto, io non passeggio con la sua divisa, passeggio con lei. Le
permetto di accompagnarmi a casa perché non mi dispiace la sua compagnia. –

Aaron la scrutò per qualche secondo, prima di proseguire al suo fianco a camminare.

- Quindi le piace la mia compagnia? –

- Non mi metta in bocca parole che non ho detto. –

- L’ha appena detto. –

- In realtà ho detto che non mi dispiace, non che mi piace. –

Aaron scosse appena la testa. Si scambiarono un sorriso divertito.

- Con la sua parlantina sarebbe in grado di vincere la guerra da sola. –

Elena sorrise malinconica, a lei non piaceva la guerra, trovava fosse stupida, trovava che gli umani avidi lo fossero. A volte desiderare troppo, portava a non ottenere nulla.

- Non è necessario accompagnarmi fino alla porta. – Affermò Elena, fermandosi a qualche metro di distanza da dove in genere si separavano.

Aaron percepì preoccupazione nel suo tono e a giudicare dal modo in cui la ragazza osservava intorno a sé, non voleva essere vista. Non con lui almeno. Quel pensiero fece irritare il ragazzo. Lui non aveva nulla di male, poco fa gli aveva detto che era lui ad interessarle non la sua divisa, perché celare la loro amicizia?

- Certo. –

Freddamente, Aaron si congedò, voltandosi e percorrendo la via dalla quale erano venuti all’incontrario, mentre Elena lo seguiva con lo sguardo, leggermente dispiaciuta.
Quando la ragazza si voltò a fissare verso la propria casa, notò una tenda muoversi: qualcuno l’aveva vista.
 
***

Entrò lentamente, nonostante sapesse bene che in ogni caso, non sarebbe mai sfuggita al rimprovero. Quando la porta fu richiusa, si ritrovo davanti uno spettacolo ben peggiore di quanto pensasse.
Anna, sua madre, se ne stava in un angolo, vicino a lei c’era Alberto, che silenzioso era appoggiato alla finestra.

- Tesoro, stai bene. –

Anna le venne incontro, accarezzandole il viso e sfiorandole la fronte con le labbra in un dolce bacio. Anna era sempre stata una donna affettuosa, specie con l’unica figlia che aveva, concepita quando ancora lei stessa era una bambina. L’aveva cresciuta sola, imparando ben presto cosa significasse crescere e sacrificarsi. Sui suoi lineamenti maturi, si poteva leggere ancora l’innocenza perduta con una gravidanza prematura.

- Eravamo preoccupati, ti abbiamo visto con quel tedesco. –

Alberto fece un passo in avanti, osservandola con fare diffidente.
Il ragazzo era l’opposto di Aaron: con quei capelli corvini e più lunghi di quelli del soldato, gli occhi marroni, cerchiati da occhiaie e il corpo magro, seppur fosse più alto del tedesco. Era un bel giovane, ma in quel momento Elena lo trovò disgustoso. Con i suoi modi arroganti e prepotenti che le riservava ogni volta che lei osava fare qualcosa che lui non comprendesse. Era buffo, solo quando Anna non c’era si mostrava per ciò che realmente era, quando vi era lei nei paraggi, era piuttosto caloroso e gentile.

- Anna, posso avere qualche istante con vostra figlia? –

Lo domandò con un tono così gentile e forzato che Elena si domandò come potesse sua madre non rendersi conto di quanto falso fosse. Anna rivolse uno sguardo preoccupato a sua figlia, che le sorrise e le sussurrò “ti spiegherò tutto”. La donna uscì di casa, lasciando soli i due ragazzi.

- Che ci facevi con quel soldato? –

Il modo disgustato in cui pronunciò l’ultima parola irritò Elena. Aaron non era un soldato, era un uomo prima di tutto.

- Quel soldato ha un nome. – Lo difese Elena, il che era buffo, il fatto che fosse lei, piccola e minuta, a difendere un soldato alto e robusto.

Alberto ignorò quell’intervento.

- Per tutto il paese non si parla d’altro. Tu e quell’essere avete una qualche losca relazione vero? –

Alberto fece un passo in avanti ed Elena ne fece due indietro.

- Si dice che vi vediate ogni giorno. Dimmi Elena, quando hai iniziato a portarti a letto anche i tedeschi? –

Lei scosse la testa.

- Io non mi porto a letto nessuno. –

- Certo. Non mi interessa quello che combini con quel tedesco, per quello che mi riguarda puoi diventare la puttana di tutto l’esercito nazista, quello che mi interessa è ciò che dirà la gente di me! –

Alberto si avvicinò ad Elena, i loro visi a pochi millimetri di distanza. La ragazza avrebbe dovuto indietreggiare, ma non lo fece, sarebbe stato come ammettere di essere sottomessa a lui. Tenne il mento alto, puntando i propri occhi nei suoi.

- La gente pensa che io sia uno stupido cornuto. -

- La gente non ne ha motivo: io e te non siamo fidanzati. Io non ho mai accettato di sposarti. –

Alberto le aveva fatto quella richiesta più volte negli ultimi mesi, per la gioia di sua madre, la quale non vedeva la reale natura del ragazzo, troppo astuto per farsi scoprire. Inizialmente anche Elena era stata ingannata dai modi gentili e premurosi di Alberto, ma quando lei gli aveva confessato di non essere interessata a legarsi in matrimonio a qualcuno che non amasse, il ragazzo aveva messo fine alla sua recita, facendosi sempre più insistente, prepotente, molto spesso tentando di baciarla con la forza. Dirlo ad Anna avrebbe voluto caricarla di un ulteriore peso e questo Elena non lo voleva.

- Tuo padre ha chiesto dei soldi alla mia famiglia, soldi che non ha mai restituito. –

- Mio padre è morto prima che io nascessi, che colpa ho dei suoi debiti? –

- Tua madre tenta di ripagare il debito da quando sei nata. Per mantenere te ancora non l’ha saldato. Un po’ di colpa ne hai, piccola Elena. –

Le sfiorò il collo con i polpastrelli, facendo poi scendere la mano lungo il braccio immobile della ragazza.

- Sposami e dirò a mio padre di dimenticare quel debito. – Sussurrò. – Non accettare la mia proposta e aumenterò con gli interessi i soldi che tua madre deve alla mia
famiglia. –

Elena osservò le pupille di Alberto dilatarsi nel vedere la vittoria a portata di mano.

- Pensaci su Elena, guarda in faccia tua madre e tenta di capire se davvero la ami come dici. –

Alberto sorrise, avvicinandosi a lei per baciarle la fronte e rivolgerle uno sguardo fintamente amorevole. Lei assunse un’espressione disgustata nel percepire le sue labbra sulla sua pelle. Sentì un’improvvisa voglia di vomitare, al pensiero che avrebbe accettato la proposta.
 
***
 
- Oggi non parli. –

- Quando abbiamo iniziato a darci del tu? –

Aaron rimane in silenzio, solo quando si furono infilati nel solito vicolo isolato si fermò, prendendo la mano della ragazza. Lei indietreggiò, turbata da quel gesto: Aaron non l’aveva mai sfiorata, se non con lo sguardo, sentire la sua pelle toccare la sua, l’aveva fatta rabbrividire.
Il soldato fece un passo in avanti, essendo stato istruito a non arrendersi e le afferrò entrambe le mani. La sospinse leggermente verso il muro.

- Che cosa…? –

La baciò.

- No… - Tentò di ribellarsi lei.

- Sta’ zitta. –

Il tono di Aaron era tipico di un tedesco che non amava essere interrotto ed Elena, per quanto tenace fosse, obbedì all’ordine, forse perché desiderava anche lei assaggiare la sua bocca. Lasciò che quel ragazzo la stringesse, premendo le labbra contro le sue come se possederle fosse un bisogno disperato. Il modo di baciare di Aaron era quello di un uomo che si sta aggrappando a qualcosa per sfuggire da qualcos’altro, forse anche Elena fece lo stesso: le labbra di Aaron la trascinarono via dalla realtà, da Alberto, dai debiti, dai suoi segreti. Elena non aveva mai baciato nessuno con una tale passione e di sicuro nessuno l’avrebbe mai stretta e toccata come stava facendo in quel momento il ragazzo. Lei passò le mani su quella divisa che per tutto quel tempo aveva osservato con ingenua curiosità, per quanto quella stoffa le fosse sempre apparsa come rigida e ruvida, toccandola scoprì quanto fosse morbida e calda. Un po’ come Aaron, così severo e freddo in apparenza e così passionale nella realtà.

Aaron separò le loro labbra, mentre la osservava con il respiro leggermente affannato e uno sguardo freddo.

- Vieni con me in un posto domani. –

Elena scosse la testa e lui rise.

- Hai paura che possa approfittare di te? –

Elena scosse nuovamente la testa, ammutolita. Aaron le portò una mano al di sotto del mento, costringendola ad alzare il viso per osservarla.

- Probabilmente hai ragione, dovresti andartene ora, non sai quanto io desideri approfittare di te in questo momento. –

Aaron le sorrise, celando un minimo di verità in quella frase. Elena era rimasta zitta fino a quel momento. Lui le accarezzò una guancia, decidendo di non domandarle cosa la turbasse.

- Credo di amarti. –

La baciò un’altra volta.

- Anzi, ne sono certo. –

Pur essendo coperta dal buio della stradina, Aaron riuscì a cogliere una leggera smorfia soddisfatta sul viso della dolce Elena: stava sorridendo e fece sorridere anche lui. Anche se non aveva risposto a quella dichiarazione, il sorrisetto sul suo viso bastò ad Aaron per sentirsi sicuro di possedere il cuore di quell’italiana. Silenziosa lei afferrò la borsetta che le era caduta durante il bacio e cominciò a camminare, si voltò qualche passo dopo, sussurrando:
- Ich liebe dich. –
Sorrise, pensando che se c’era un uomo al mondo da amare, quello era Aaron, il suo tedesco. 



Angolo autrice
Prima di tutto mi devo scusare immensamente per aver lasciato così la storia, come se nulla fosse, per tutto questo tempo. Ogni volta che aprivo la pagina la vedevo lì abbandonata e mi sentivo in colpa, purtroppo ci ho messo tanto prima di decidere di mandarla avanti. Spero che questo capitolo, appositamente più lungo dei precedenti possa piacere a chi segue la storia. Prometto di aggiornare spesso, anche perchè adoro i due personaggi e ho in mente numerosi avvenimenti per loro, alcuni belli e altri un po' meno!
Mi scuso se qualcuno si è sentito offeso dalle tematiche trattate, non voglio divertirmi a scrivere su una tragedia come la seconda Guerra mondiale e lo sterminio nei Campi, ho evitato di nominarli in questa storia per rispetto. Grazie mille ;)

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Ricordare o rinunciare

Capitolo 4


- Ora mi vuoi spiegare? –

Sua madre Anna la osservava preoccupata e severa allo stesso tempo. Elena si sedette al tavolo, tentando di sottrarsi a quello sguardo e quella domanda. Cosa c’era da spiegare? Si era innamorata di un uomo. Fosse stato così facile dirlo ad Anna.

- Mamma, io… -

- Hai detto qualcosa a quel tedesco? Vuole arrestarti? Ti ha scoperta? –

Giusto, il segreto di Elena. No, Aaron non sapeva nulla, sospettava, indagava, ma Elena non aveva mai detto nulla, sapeva bene quali sarebbero state le conseguenze se avesse confessato la verità. Eppure Aaron aveva detto di amarla, forse se gli avesse confidato il suo segreto, lui l’avrebbe protetta…o forse no.
Adelaide afferrò Elena per le spalle, scuotendola leggermente perché parlasse.

- No mamma. Non gli direi mai niente. Vuole solo conoscermi. –

Lei rise.

- E da quand’è che i tedeschi voglio conoscere le belle ragazze italiane? Da quel che so vogliono una sola cosa da loro. –

- Lui non è così. – Il tono solenne in cui Elena aveva pronunciato quelle parole in difesa di Aaron, resero Adelaide ancora più inquieta.

- Elena, che è successo tra te e lui? –

La ragazza prese immediatamente a scuotere il capo.

- Niente mamma. Noi parliamo, mi accompagna fino a casa. –

- Finché non pretenderà altro. –

- No, lui non lo farebbe mai. –

- è un tedesco, loro lo farebbero senza problemi. Non voglio che tu lo veda ancora. –

Elena osservò sua madre come se le stesse facendo la più dura delle richieste, ed era così.

- Elena! Tu non lo conosci! –

- Invece si, lui è come noi. –

- Come noi? – Ripetè sbalordita Anna.

- Si, è un essere umano. L’uniforme che indossa non lo rende diverso. –

Anna rise nuovamente, credeva che sua figlia fosse intelligente, ma si era sbagliata, era uguale a suo padre.

- Se lo conosci così bene rispondi a questa domanda: ti ha raccontato cosa ha fatto qui in Italia? Ti ha detto di quante famiglie ha strappato dalla propria terra, di quante donne ha violato, o magari ti ha raccontato dei bambini che ha fucilato perché figli di comunisti o altro? Che cosa ti farebbe se sapesse il tuo segreto? Gli hai domandato della sua città natale? Gli hai chiesto se in Germania c’è una donna ad aspettarlo? –

Elena abbassò lo sguardo, odiando per la prima volta in tutta la sua vita sua madre, sempre stata così buona e giusta con lei ma che in quel momento stava demolendo ogni certezza che credeva di possedere. Odiava sua madre, perché riusciva a farsi ingannare dalle menzogne di Alberto e dai suoi finti sorrisi ma non riusciva a credere alla sincera bontà che stava dietro una stupida divisa.

- Elena, ogni uomo che incontrerai ti spezzerà il cuore. So che non ami Alberto, ma ti prego, non gettarti tra le braccia di quel tedesco, ci porterai alla morte. Lui scoprirà la verità e ti porterà via. –

Elena si fidava di Aaron, per quanto lo conoscesse così poco, ma non poté fare a meno di domandarsi, quale sarebbe stato il suo destino se si fosse messa nelle mani di quell’uomo.
***

Gli occhi di Aaron tendevano al verde sotto l’effetto della luce del sole. Elena osservò i suoi capelli biondi scintillare tra i riflessi. Portava sempre quella divisa, quella sciocca divisa. Tempo prima Elena non ne era rimasta intimorita, aveva capito che non era l’abito a rendere Aaron ciò che era, ma dopo il discorso di sua madre, non aveva fatto altro che pensare alle sue parole. Aaron aveva una famiglia in Germania? Quali crudeltà aveva dovuto commettere per diventare ciò che era?
Elena non riusciva a togliergli lo sguardo di dosso. Lo aveva seguito fin lì, al lago, in uno spazio di verde nascosto dalla vegetazione, che apparteneva solo a loro, agli uccellini e a qualche piccolo e grazioso animale.  Sua madre le aveva vietato di vederlo ma lei aveva disobbedito, dicendo che avrebbe fatto una passeggiata con qualche amica. Quel ragazzo tedesco la stava mettendo contro tutto e tutti.

- Dove hai imparato il tedesco? – Esordì Aaron, sentendosi per la prima volta a disagio davanti al silenzio della ragazza.

- Non conosco il tedesco. Una mia amica mi ha insegnato quella frase. – Spiegò brevemente Elena, pentendosi improvvisamente di avergli detto ti amo, di aver ascoltato il suo cuore invece di pensare alla realtà.

- Che cosa c’è Elena? –

Lei corrugò la fronte, abbassando lo sguardo sull’erba. Strappò qualche filo verde, Aaron posò una mano sulla sua. Elena alzò lo sguardo incontrando i suoi occhi. Le fece aprire la mano, lasciando ricadere a terra i fili d’erba. Le baciò le dita.
Elena lo osservava, domandandosi quanti innocenti avessero ucciso quelle mani. Aaron le passò le labbra sulla mano, risalendo lungo il suo braccio, la sua spalla. Elena rabbrividì, stendendosi sull’erba fresca. Aaron si distese accanto a lei, osservandola.

- Vorrei che la guerra finisse. Vorrei che la gente non ci guardasse. –

- Non c’è nessuno che ci guarda qui, possiamo fare quello che vogliamo. –

Abbassandosi su di lei la baciò.
Le lasciò andare la mano, andando ad insinuare la sua sul ventre di lei. Aaron riuscì a superare la stoffa dei vestiti, andò quindi a toccarle la pelle nuda. Si fermò sentendo Elena tremare.

- Non ti farei mai del male. – Promise, rivolgendole uno sguardo cristallino.

- Hai mai fatto del male a qualcuno? – Chiese lei.

Lo sguardo di lui si oscurò.

- Sì … e ne farò a chiunque ti toccherà. –

Elena provò un misto di sollievo e terrore davanti alla brutale sincerità con cui le aveva risposto. Inevitabilmente pensò ad Alberto, avrebbe potuto confessare il ricatto a cui l’aveva sottomessa, Aaron ci avrebbe messo così poco a sistemare le cose, ma non voleva farlo, se fosse successo qualcosa di male ad Alberto, avrebbe avuto la conferma della cattiveria di Aaron e lei non voleva sapere di cosa fosse capace un tedesco infuriato.

- Ho un segreto hai ragione. –

- Lo so e stai certa che lo scoprirò. –

Elena tremò per la seconda volta davanti allo sguardo sicuro di quel soldato.

- Ti prego non lo scoprire, mi odieresti. –

- La vedo dura. Come potrei odiarti? –

Le posò un dito sulle labbra, facendole segno di non rispondere, quella macabra discussione non centrava nulla, non in quel momento, non con loro.
Il soldato prese a sbottonarsi la divisa. Elena lo guardò, sorridendo non appena fu senza vestiti. Ora che giaceva a terra priva di vita, quella divisa aveva perso ogni influsso minaccioso su di lei. Aaron era bello, con quella pelle candida e liscia che ben presto Elena prese a sfiorare e stringere a sé. Si spogliò anche lei delle sue vesti da ragazza italiana triste, lasciando che lui la stringesse e la prendesse, per la prima volta.
 
***

Elena ed Aaron si salutarono nel vicolo dove si erano scambiati il primo bacio. Lui le morse le labbra in un saluto passionale e lei rise lasciandoglielo fare.

- Allora bella Italiana, pensa che potremmo vederci anche domani? –

- Mi spiace, io non esco con i tedeschi. –

- Giusto, lei è più discriminante di un nazista lo sa? –

- Si e credo che continuerò a detestarvi fino alla fine dei miei giorni. –

Sorrisero, nonostante dietro quella smorfia divertita si celasse un po’ di malinconia. Nessuno dei due sapeva come sarebbe finita quella sorta di relazione che si era instaurata.

- Quando la guerra sarà finita ti porterò a Berlino, con me. –

- Tra quanto pensi finirà? –

- Presto. –

Elena percepì una bugia, ma finse di credere a quella parola.

- Ora vai a casa, si sta facendo buio. –

Elena annuì a quelle parole e lasciò andare la mano di lui. Aaron non la perse di vista, fino a quando lei non imboccò un altro vicolo.


Angolo autrice
Ecco qui un nuovo capitolo, ho provato a postarlo il prima possibile :) Chiedo scusa per eventuali errori e spero vi piaccia!
 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Ricordare o rinunciare

Capitolo 5

La ragazza non tornò immediatamente a casa. Attese qualche secondo, nascosta dietro il muretto e appena Aaron riprese a camminare, lei lo seguì. Molto spesso si era domandata quale fosse il lavoro di un soldato, cosa facesse Aaron quando non stava con lei.  Quando l’aveva chiesto a voce alta al ragazzo lui sviava il discorso, accendendo ancor di più l’interesse di Elena.  Si era sempre immaginata i soldati tedeschi passare il tempo ubriacandosi, divertendosi, marciando per le strade con lo scopo di incutere terrore, ma Aaron non faceva nulla di tutto ciò: non puzzava mai di alcol, i suoi vestiti profumavano sempre di pulito e quando camminava per la strada lo faceva nel più naturale dei modi, se non avesse indossato l’uniforme da soldato probabilmente sarebbe passato come un normale ragazzo e non come una macchina del terrore, com’era visto da tutti.

Continuando a porsi questi interrogativi, la ragazza seguì Aaron per le vie silenziose del suo paesino. Fu quando imboccarono la vietta degli esclusi, come la chiamava lei, che rallentò il passo, intimidita da quel luogo: lei non passava mai di lì. Era lì che sorgeva la cosa.

Un alto ed imponente muro sovrastato da un fil di ferro circondava ciò che un tempo era stato un quartiere come gli altri, ma che ora tutti chiamavano la stalla degli ebrei, oppure degli inferiori o mille altri modi per indicare quella povera gente a cui era stata affibbiata una tale condanna per una colpa che Elena non sapeva spiegarsi. Domandare non le era permesso, chiedere quale fosse il motivo di tale odio verso gli ebrei, comunisti e molti altri era come firmare un documento di tradimento nei confronti del Duce. Lui diceva che loro erano cattivi, punto. Ad Elena però, non bastava come giustificazione.

Si fermò dietro un muretto, perdendo di vista Aaron per un attimo: a fare da guardia lì intorno vi erano altri tre uomini, ugualmente alti quanto lui, con il medesimo taglio e colore di capelli e la stessa spaventosa divisa. I quattro soldati si spostarono, allontanandosi dal muro e ridendo tra loro. Elena sentì qualche parola in tedesco, rimase incantata ad ascoltare Aaron, mai l’aveva sentito parlare nella sua lingua madre. Pur non capendo nulla, Elena comprese che qualcuno aveva appena fatto una battuta, dato che tutti e quattro risero. Si spostarono ancora, facendo il giro del muro, ipotizzò Elena. La ragazza fece un passo in avanti, osservando la zona deserta.
Si fermò di colpo quando qualcuno la afferrò per il braccio.

- E tu chi sei? –

Aveva la stessa divisa, gli stessi occhi, ma non era Aaron. Questo soldato aveva l’accento marcato, probabilmente a malapena sapeva parlare italiano, non come Aaron, così abile nel comunicare in quella lingua.  

- Mi spiace, credo di essermi persa. – Sussurrò Elena, fissandolo terrorizzata.

Era buffo che fosse lei a sentirsi intimorita da un tedesco, lei che aveva sempre affermato di non far caso alle divise. Quella volta però, non era l’uniforme a intimorirla, ma lo sguardo malvagio del soldato che scrutava il suo corpo.

- Ragazza carina… -

Elena si strinse contro il muro davanti a quelle parole. Avrebbe potuto gridare, ma non aveva le forze nemmeno per muovere un dito, figurarsi urlare.
Il tedesco avvicinò il viso al suo, Elena sentì il suo alito sul collo e si ritrasse ancor di più, chiudendo gli occhi, come se ciò potesse aiutarla. Immaginò come sarebbe stato, se avesse gridato prima che le sue mani la toccassero. Aaron l’avrebbe sentita, l’avrebbe fermato e lei sarebbe potuta scappar via dandogli spiegazioni il giorno dopo. Elena stava giusto per aprir bocca, quando tutto si fermò. Qualcun altro gridò al posto suo.

Il soldato che le stava addosso aveva appena lanciato un ordine in tedesco. Lasciò andare Elena e corse verso il muro, afferrando qualcosa per terra. Elena si sporse, nel tentativo di vedere cosa avesse trovato.
La ragazza rimase nascosta lì dietro, osservando la scena: il soldato aveva attirato l’attenzione degli altri quattro, che veloci erano tornati sul posto. Il soldato che aveva tentato di farle del male, stava tenendo tra le braccia un bambino di dieci anni con del pane tra le mani.
Aveva cercato di lanciarlo al di là del muro. Aveva cercato di aiutare gli ebrei. Elena sapeva quale sarebbe stato il suo destino.
Vide una pistola comparire tra le mani di un soldato che ridendo la puntava contro la testa del bambino.

- No…ti prego… - Sussurrò lei in una preghiera disperata, osservando Aaron rimanere impietrito, mentre gli altri soldati tenevano fermo il bambino e il quinto
si apprestava a premere il grilletto.

Aaron era un soldato, avrebbe potuto fare qualcosa, perché non interveniva?

- Ti prego Aaron… -

Una lacrima le sfiorò la guancia. Avrebbe potuto gridare, avrebbe potuto farsi vedere, avrebbe potuto fare qualcosa. Rimase ferma. Gli occhi chiusi.

Il bambino gridava.

PAM.

Silenzio. Il bambino non gridava più.
***

Aaron rimase qualche secondo a fissare i soldati lanciare il corpo del bambino dall’altra parte del muro, come a voler dire a chi stava lì dietro “questo è ciò che succede a chi prova ad aiutarvi”.
Elena aveva pianto in silenzio, con la mano stretta  intorno alla bocca e gli occhi lucidi. Avrebbe potuto distrarre quel tedesco, avrebbe preferito essere violentata, piuttosto che vedere un bambino morire. Se quel soldato non l’avesse visto, lui ora sarebbe vivo. È morto per un pezzo di pane, è morto per sfamare altre persone, è morto per averli aiutati. Non ha importanza, un bambino era morto ed Elena odiò Aaron con tutta se stessa per non averlo impedito.
***

- Ci hai riflettuto? –

Elena si voltò a guardare Alberto.

- Si. –

- E qual è la tua risposta? –

Elena ripensò al lago. Aaron. La promessa di portarla a Berlino. Il ti amo nel vicolo.
Rivide poi davanti a sé il fucile. Il sangue. Il cadavere del bimbo. Il pezzo di pane a terra calpestato dai tedeschi.

- Ti sposerò. –
***
 
Elena non si era presentata all’appuntamento con Aaron, non era più andata a lavorare nel caffè, non era nemmeno più uscita di casa. Troppa era la paura di essere vista. Quel giorno però, fu costretta a farlo. Sua madre le aveva preso appuntamento nella sartoria lì vicino, per il suo abito da sposa. Ora che il debito era saldato, Anna voleva regalare alla figlia un vestito degno di lei.
Elena uscì di casa, osservando indecisa il vicolo. Si guardò attorno e quando fu sicura di non essere seguita, vi entrò prendendo a camminare.

- Dove sei stata? –

La afferrò per un polso, comparendo alle sue spalle e prendendola alla sprovvista.
Elena abbassò il viso, decisa a non parlare. Sapeva che quel giorno prima o poi sarebbe arrivato, ma in cuor suo, sperava che Aaron si fosse dimenticato di lei.
Non poteva guardarlo in volto, non poteva nemmeno guardargli le mani, le stesse con cui aveva aiutato gli altri soldati ad afferrare il bambino.

- Guardami! –

Elena non lo fece e lui mormorò qualcosa in tedesco, probabilmente una serie di imprecazioni a giudicare dal tono inferocito.

- Ti ho detto di guardarmi! –

Le afferrò il viso, tentando di costringerla a fissarlo. Un passante li vide, ma tirò dritto per la sua strada, deciso a non immischiarsi in quelle faccende.

- Non voglio guardare gli occhi di un assassino! – Gridò Elena.

Aaron la lasciò andare davanti a quelle parole.

- Che vorrebbe significare? –

- Dimmelo tu, dimmi il significato della morte di un bambino per un pezzo di pane. –

Aaron corrugò la fronte, solo istanti dopo quelle parole la sua espressione si schiarì in uno sguardo di comprensione. Aveva capito ciò a cui Elena si stava riferendo.

- Mi hai visto… -

Elena annuì. Si sentì mortificata. Si sentiva in quel modo perché tutto ciò in cui credeva era improvvisamente caduto in pezzi. Aaron non era l’eroe che credeva, non era il soldato buono e diverso dagli altri, Aaron era uguale all’uomo che aveva tentato di farle del male dietro quel muretto, Aaron era come Alberto, Aaron era come tutti gli uomini: un bugiardo, una persona inaffidabile, una persona a cui dare la propria fiducia o se stessi avrebbe significato ottenere solo dolore. Sua madre aveva ragione, Anna ne sapeva più di lei, nonostante non fosse stata in grado di comprendere le reali intenzioni di Alberto era riuscita a comprendere al volo chi fosse Aaron, pur vedendolo di sfuggita in una sola occasione.

- Non potevo fare nulla. Ho dovuto assistere. –

Come se quelle parole potessero giustificarlo.

- No, non hai dovuto. Non hai dovuto diventare un soldato, non hai dovuto accettare di essere un assassino. Nessuno ti ha obbligato, tu hai scelto di farlo.
Hai scelto di stare dalla parte dei potenti, di quelli che con una divisa e un’arma in mano si permettono di fare Dio, hai scelto di giocare a chi vive e chi muore. Quanti ne hai uccisi Aaron? E quanti ancora moriranno per molto meno? Era un bambino, non l’hai neanche guardato negli occhi, hai solo fissato il tuo collega fare il lavoro sporco, non hai detto nulla, non ci hai neanche provato. Era il figlio di qualcuno, sarebbe stato il padre di qualcuno se tu gliene avessi data la possibilità. –

- Elena, stava aiutando quegli ebrei. –

- In che modo? Lanciando un pezzo di pane al di là del muro? Che cosa sarebbe cambiato per voi? La guerra avrebbe preso pieghe differenti se qualcuno avesse mangiato quello stupido pezzo di pane? – Domandò con leggera ironia Elena.

- Ma non capisci?! Se fossi intervenuto non sarebbe cambiato nulla! Il mio…il nostro compito come soldati è quello di ripulire il mondo dagli imperfetti, dalla feccia. –

Elena scosse appena la testa.

- Non posso credere che davvero tu sia lasciato abbindolare da queste sciocchezze. Capelli biondi, occhi azzurri, ariani. Santo Cielo, io non voglio essere parte di tutto ciò, preferisco morire piuttosto che rimanere in silenzio ad osservarvi compiere i vostri folli piani. –

Il viso di Aaron si fece più duro, la sua mascella si serrò ed Elena comprese che si stava infuriando.

- Se non ti conoscessi dovrei arrestarti, parli come una cospirante contro Hitler e il tuo stesso Duce. –

Elena strinse le labbra tentando di non lasciarsi sfuggire un segreto troppo atroce. Ora che conosceva le idee di Aaron, non poteva dirglielo, se lui avesse saputo l’avrebbe arrestata.

- Voi, con le vostre stupide leggi avete causato la guerra e ora vi permettete di dettar legge qui. Odio le vostre ideologie, odio gli Italiani che le appoggiano, odio tutto di voi. Spero con tutto il cuore che un giorno possiate patire ciò che state facendo passare a quella gente che voi chiamate inferiori. –

Aaron la schiaffeggiò. Il colpo fu talmente forte che Elena batté contro il muro, causandosi una ferita anche all’altra guancia. Si tastò il viso dolente, non osando rivolgere lo sguardo ad Aaron. Non per paura di lui, ma per timore di piangere vedendo la freddezza nei suoi occhi.

- Se davvero mi giudichi un codardo per non aver salvato quel bambino, perché non sei intervenuta tu? Avevi paura vero? Avevi paura che ti uccidessero!
Lo stesso è stato per me, credi che solo perché indosso un’uniforme la vita sia più semplice per me, credi davvero che la guerra sia un gioco per me? Credi davvero che non abbia avuto voglia di vomitare davanti al sangue di quel bambino? Non potevo fermarli, sarei finito nel medesimo modo. Lo sai benissimo, per questo non ti sei fatta avanti nemmeno tu per salvarlo. Siamo due codardi. –

Elena ancora non lo guardava, udì il suo tono accusatorio, vide le sue mani serrarsi in pugni. Comprese che aveva ragione: anche lei era una codarda.

- Inoltre, non sono l’unico bugiardo qui: sapevi già di dover sposare quell’uomo quando sei stata con me al lago? Tu hai spezzato il cuore a me così come io l’ho fatto con te. Siamo pari. –

Aaron non le aveva mai parlato in quel modo, così categorico, così distaccato, quasi lei fosse una sconosciuta. Infondo era ciò che erano, nessuno sapeva nulla dell’altro, eccetto le cose più atroci.

- Spero che lei abbia un buon matrimonio, italiana. –

E se ne andò. Era un addio. 


Angolo autrice
Eccomi con un nuovo capitolo, siamo a metà vicenda, più o meno. Vi anticipo già che nei prossimi capitoli ci saranno vari colpi di scena: si scoprirà presto il segreto che Elena nasconde e vedremo anche come si evolveranno le varie vicende che la legano ad Aaron e anche ad Alberto. Nei prossimi capitoli ci saranno altre scene di violenza, ovviamente non andranno nella descrizione dettagliata, perchè non mi va entrare nel particolare, alcune di esse riguardano gli ebrei e altre i personaggi della storia, mi sembra giusto dirvelo.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, mi scuso per eventuali errori, l'ho riletto più volte e mi sembra di aver corretto tutti quelli presenti, ma di sicuro me ne sarà scappato qualcuno. Grazie mille a chi segue la storia, a chi l'ha inserita tra le preferite o ricordate e chi soprattutto commenta facendomi sapere ciò che ne pensa! 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Ricordare o rinunciare

Capitolo 6

 
Elena si passò una mano sulla guancia arrossata. Le aveva dato uno schiaffo.
Non ti farei mai del male
Gliel’aveva promesso, allora perché l’aveva ferita in quel modo? Elena non soffriva per la guancia arrossata o l’altra leggermente scheggiata, il dolore che sentiva al petto era più forte di qualsiasi malessere fisico. Si sentiva tradita, umiliata, ingannata. Era stato come ricevere uno schiaffo al cuore, uno di quelli in grado di frantumartelo.

Qualcuno bussò alla porta. Elena riconobbe il tono violento: Alberto.

Aprì la porta, lasciando che entrasse. Il ragazzo aveva i capelli leggermente bagnati per via della pioggia che fuori cominciava a farsi sentire. In silenzio lui si sedette su una sedia, in attesa, come se si aspettasse qualcosa. Elena lo fissava, trovandolo bello, con quel mento triangolare, i lineamenti spigolosi e la pelle leggermente abbronzata. La bellezza però non bastava, quando apparteneva ad un essere meschino come lui.
Anche lui la stava studiando, probabilmente pensando l’inverso: ad Alberto importava solo il bel visino di Elena, ciò che vi fosse dietro, come i suoi pensieri o i suoi sentimenti, poco gli interessavano. Lo dimostrò chiaramente pochi attimi dopo, quando sorridendo indicò la sua guancia ferita e domandò:

- Hai fatto arrabbiare il tuo tedesco? –

Il tono divertito con cui pronunciò quelle parole infastidì la ragazza, la quale gli diede le spalle offesa.

- Smettila. –

Alberto sospirò, come se avere a che fare con lei fosse un’ardua prova da sostenere. Si alzò dalla sedia, prendendo ad avvicinarsi alla ragazza.

- Anna non è in casa. – Sussurrò piano, scostandole i capelli e cominciando a baciarle insistentemente il collo.

Elena tentò di allontanare le sue mani lascive, ma lui insistette, costringendola a rimanere ferma.

- Basta, mi metto a urlare! –

Non ve ne fu bisogno: Alberto sentì dei rumori fuori dalla porta, Anna stava tornando. Il ragazzo si allontanò ben presto dalla ragazza, sfoderando un sorriso gentile nel vedere sua suocera varcare la soglia.

- Buongiorno Anna. –

- Buongiorno Alberto. Di che parlavate? –

- Io ed Elena stavamo scegliendo la data per il matrimonio. –

Anna si voltò a fissare sua figlia, che le sorrise e annuì, confermando le parole di Alberto.

- Forse dovremmo aspettare… -

Anna ed Alberto si voltarono a guardare Elena, che aveva appena parlato. La prima la osservava sconvolta, il secondo sembro rivolgerle un’occhiata torva.

- Tesoro, che dici? –

- Non credo sia giusto celebrare un matrimonio in tempi di guerra, non è rispettoso. Forse dovremmo attendere. –

Anna sembrò convincersi davanti alla spiegazione data da sua figlia, quindi si voltò verso Alberto.

- Tu che ne pensi, figliolo? –

Elena lo osservava con aria ironica, sapeva bene che per Alberto posticipare il matrimonio era l’ultima cosa da fare, era curiosa di sapere cosa avrebbe risposto a sua madre. Dopo qualche secondo di silenzio lui sussurrò:

- Tutto ciò che vuoi Elena. –

Anna sorrise.

- Sei proprio innamorato, la assecondi in tutto. –

- Oh Signora, non ha nemmeno idea di quanto la adori. Ora che l’ho trovata, non mi sfuggirà più. –

Anna ampliò il suo sorriso davanti a quelle parole, che lei credette una promessa da amore, alle orecchie di Elena invece, quella frase risuonò come una minaccia. 

- Signora, vorrei chiederle il permesso per portare Elena a fare una passeggiata per il paese, non abbiamo avuto occasione di parlare molto ultimamente. Prometto di riportarla entro un orario ragionevole. –

Elena storse le labbra davanti al camuffato tono cordiale del ragazzo e rivolse a sua madre un’occhiata eloquente. Pur non comprendendo il motivo di tale rifiuto, Anna colse al volo lo sguardo di sua figlia: Elena non voleva passare del tempo con Alberto, fu per questo che scosse la testa affermando:

- Purtroppo Elena ha già un altro impegno, ha promesso di aiutarmi con delle commissioni, mi spiace Alberto, magari la prossima volta. –

Il ragazzo nascose il suo disappunto sotto un falso sorriso e scrollò le spalle, prima di avvicinarsi alla ragazza e abbracciarla. Elena ricambiò il saluto piuttosto freddamente.

- Sei riuscita a sfuggirmi, stavolta. – Le sussurrò piano all’orecchio.

Si staccò, baciandole la fronte e dicendo a gran voce:

- Arrivederci Elena. Arrivederci Anna. –

Alberto uscì di casa e Anna non perse tempo per rivolgere un’occhiata enigmatica ad Elena.

- Perché non hai voluto passare del tempo in sua compagnia? –

- Avremo così tanto tempo da passare insieme da sposati. – Affermò lei.

- Non è vero che desideri posticipare il matrimonio per via della guerra, c’è altro. Elena… -  Anna le prese le mani. – Non sei obbligata a sposarlo se non lo ami. Non
voglio che tu sia infelice. Passerai tutta la vita con quel uomo, se hai solo il minimo dubbio a proposito del matrimonio devi dirmelo adesso. Non mi arrabbierò, non ti farò domande, ma ti prego, dimmi la verità: vuoi davvero sposarlo? –

Elena dovette mordersi le labbra fino a farle sanguinare, per evitare di aprir bocca e dire tutto ciò che realmente pensava. Certo che non amava Alberto e che mai l’avrebbe amato, il solo pensiero di stringergli la mano la disgustava, figurarsi condividere lo stesso letto, lasciarsi baciare o sfiorare da lui. Quell’essere la spaventava, sposarlo la terrorizzava, ma era l’unico modo per estinguere il debito.

- Mamma io… - Elena abbassò lo sguardo. – Non lo amo hai ragione, ma voglio sposarlo. Davvero, saremo felici. –

Anna non fu soddisfatta di tale risposta, poté solamente dire:

- Non sarai mai felice in un matrimonio senza amore. –
***

Elena non poté rifiutarsi a lungo alle richieste di Alberto. Una volta si finse malata, l’altra volta ancora Anna la coprì, affermando di avere ulteriori commissioni da compiere, ma la recita non poté andare avanti all’infinito ed Elena uscì in sua compagnia qualche settimana dopo.
Passeggiare con lui la fece quasi piangere. Lui non era Aaron. Le passeggiate in compagnia del tedesco, anche se silenziose, erano state in ogni caso indimenticabili, con numerosi sguardi fuggitivi e sorrisi imbarazzati al momento giusto. Con Alberto non c’era nulla di ciò: lei provava disgusto nel guardarlo e lui ridacchiava pensando che il suo sguardo basso fosse semplice sottomissione.

- Puoi anche provare a sorridere. – La schernì lui.

- Per cosa dovrei sorridere? –

- Dovresti essermi riconoscente. Sarai benestante grazie a questo matrimonio, vivrai nell’agio, non solo eliminerò il debito di tua madre ma ti renderò anche partecipe delle mie ricchezze. Per essere una povera orfanella che se la fa con i tedeschi sei stata fortunata. –

- Io non me la faccio con i tedeschi. –

Alberto rise, tenendola a braccetto mentre attraversavano la via affollata. Alcuni curiosi si voltarono a osservare la coppia, straniati nel vedere la ragazza in compagnia di un uomo che non fosse il tedesco con cui aveva percorso quella strada mille volte.

- Sia chiaro Elena, se verrò a sapere che intrattieni ancora rapporti con quell’uomo, ti farò fare una fine ben peggiore di quella che fanno gli ebrei in Germania. –

Elena lo osservò.

- Dovresti essere tu a temere: potrei raccontare delle tue minacce a quel soldato, non hai paura che possa vendicarsi? –

- Tu prova a raccontargli qualcosa e … potrebbe succedere qualcosa a tua madre. –

I due si fissarono seri. Infine Alberto si avvicinò a lei. Le accarezzò il viso sorridendole. Le posò un bacio sulla fronte.

- Hai visto? È stata una passeggiata piacevole alla fin fine. –

Elena sospirò, voltandosi e immobilizzandosi all’istante. Aaron se ne stava appoggiato a una colonna del portico della via, osservandoli con gli occhi ridotte a due fessure. Un soldato gli si avvicinò e insieme se ne andarono, passando davanti alla coppietta.
Elena lo osservò per tutto il tempo, si aspettava un gesto, uno sguardo, invece Aaron non la degnò nemmeno di questo. Le passò vicino come se nemmeno la conoscesse, come se niente fosse accaduto. Le venne voglia di piangere: non c’era nessuno che potesse salvarla.

- Smettila di sperarci, puoi posticipare il matrimonio quanto vuoi, ma nulla cambierà. Lui voleva solo divertimento, io voglio una moglie. Torna a casa e dì a tua madre
che il matrimonio sarà fissato entro qualche mese, non aspetterò la fine di questa maledetta guerra per prendermi ciò che mi spetta. –

E così Elena fece. Il matrimonio venne fissato e celebrato qualche mese dopo.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Ricordare o rinunciare

Capitolo 7

- No! Lasciami! –

 Elena gridò, per quanto potesse. Alberto le portò una mano alla bocca costringendola a tacere. Tenacemente lei gliela morse, così forte da costringerlo a mollare la presa. Era stanca di tutti quegli uomini che non facevano altro che trattarla come una bambola di pezza: il soldato del muro, Aaron, ora Alberto. Era stanca di tutti loro, era stufa di dover rimanere in silenzio e lasciare che la usassero solo perché più debole e minuta. Non avrebbe permesso a qualcun altro di ferirla. Purtroppo, per quanta buona volontà Elena ci mettesse nel lottare contro il corpo di Alberto che ormai la sovrastava, non poté far nulla per evitare ciò che sarebbe venuto dopo.

- Piccola sgualdrina! –

Lo schiaffo ricevuto da Aaron fu nulla al confronto di ciò che le accadde dopo, quando Alberto scatenò la propria furia sul corpo accovacciato della ragazza.

- Sei un mostro! –

- Io?! Sai quante persone ha ucciso il tuo tedesco?! Lui era più mostro di me, eppure non ti dispiaceva. –

La lasciò andare, osservandola dall’alto. Come prima notte insieme si aspettava una scenata del genere. Non appena erano rimasti soli, Elena aveva fatto di tutto per evitarlo, si era chiusa in bagno, aveva finto di non sentirsi bene, di essere stanca, ma Alberto non era tipo di farsi fermare.

- Si può sapere perché tenti di sfuggirmi? Cosa pensavi che avremmo fatto la prima notte di nozze? Giocato a scacchi? –

Elena tentò di tirarsi su, toccandosi il naso e ritrovandosi le dita macchiate di sangue. Alberto la guardò disgustato, i lividi e il sangue che le coprivano il corpo la rendevano oltremodo orrenda, non la desiderava più, non in quel momento. Si infilò le scarpe e prima di sbattere la porta e andarsene gridò:

- Stammi a sentire: smettila di fare la difficile o la pagherai cara. –
***

- Bambina mia! – Gridò Anna vedendola ridotta in quel modo.

Cinque lividi di differenti sfumature attraversavano il viso della ragazza.

- Che cosa… - Anna smise di parlare. – è stato Alberto? – Chiese incredula.

- No, sono caduta da… -

- Non dire sciocchezze, non a me. Bambina mia… avrei dovuto capirlo, credevo fosse un così bravo ragazzo.-

- Non potevi, lui era così gentile in tua presenza. –

- Che vorresti dire? Tu l’avevi capito? –

Anna comprese dallo sguardo della figlia che la sua risposta era sì.

- Perché non me l’hai detto? –

- Perché volevo pagare il debito di papà. –

Anna si portò le mani sul viso, scoppiando a piangere.

- Non dovevi sacrificare la tua vita per me! Elena, rimani qui, non tornare a casa! –

Elena scosse la testa.

- Non posso. –

- Non puoi rimanere lì! Non mi importa del debito e nemmeno dello scaldalo che si creerà in paese, voglio che tu torni qui.-

- Mamma non posso andarmene da quella casa, non più. –

- Non puoi rimanere lì a farti ammazzare di botte. –

- Devi stare tranquilla e fidarti di me. –

Elena strinse tra le sue mani quelle di sua madre. Si osservarono negli occhi per un lungo istante, prima che Anna annuisse e distogliesse lo sguardo per non farle vedere gli occhi lucidi. Si fidava di lei, temeva solo di perderla per sempre.
 
***
Alberto poggiò il mazzo di fiori sul letto.

- Userai le spine delle rose per picchiarmi meglio? – Domandò Elena, sdraiata sul letto e sfogliare un libro.

- Per favore, non cominciare a provocarmi. – La ammonì Alberto. – Volevo essere gentile. –

- Tu? Gentile? – Chiese ridendo lei.

L’aveva picchiata quasi fino a romperle le ossa nell’ultima settimana, come poteva pretendere che un mazzo di fiori l’avrebbe fatta sciogliere?
Alberto si sfilò la giacca e si sedette poi sul letto, osservandola.
Allungò una mano verso di lei, sfiorandole il viso. La guardò incredulo.

- Come mai non cominci a fare la matta come al solito? –

Elena non era un’ipocrita, avrebbe voluto mordergli la mano e scacciarlo, come aveva sempre fatto. Non poteva farlo però.

- Tu mi fai schifo. – Sibilò guardando il marito.

- Mi sembrava che ancora non mi avessi insultato. – Mormorò ironico Alberto.

- Voglio solo che tu lo sappia. Ti piacciono le donne sincere Alberto? –

- Mi piacciono di più quando sono nude. – Scherzò lui guardandola.

- Voglio solo che tu sappia che mi fai ribrezzo, che se non mi avessi ricattata io mai avrei deciso di sposarti. Preferirei lavorare in una casa di tolleranza che stare al tuo
fianco. Voglio solo dirti che mentre mi abbraccerai, stringerai o bacerai… io starò pensando a cosa indossare domani. Io non ti amo e stai ben certo che mai lo farò.
Dimmi, ti è tutto chiaro o vuoi che te lo ripeta mentre passeremo la notte insieme? –

Alberto la osservò qualche istante. Strinse il pugno, stringendo un lembo del lenzuolo tra le mani.

- Non me ne frega niente. – Rispose infine, rilassando i muscoli. – Ora devi dirmi altro o puoi cominciare a spogliarti? –
 
***
 
Elena si fermò davanti a una vetrina. Osservò il suo riflesso, soffermandosi sulle leggere ombreggiature sulla sua guancia destra. Aveva tentato di coprire i lividi con il trucco, ma questo non aveva fatto altro che accentuarli. Non importava, nessuno ci avrebbe fatto caso, c’era la guerra: nessuno faceva caso a una donna maltrattata in quel periodo. Nessuno tranne lui.
Elena lo vide camminare, stava venendo verso di lei. Non l’aveva più rivisto dall’ultima volta, quando si trovava in compagnia di Alberto. Elena provò un senso di confusione nel vedere Aaron. Si appoggiò al muro, guardando in basso, ma non aveva senso nascondersi: lui non l’avrebbe guardata, lui ormai non la vedeva più.
Era in compagnia di un suo collega, stavano parlottando. Mancavano così pochi metri e lui le sarebbe passato accanto come se nulla fosse. Elena finse di osservare i manichini della vetrina davanti a lei, quando in realtà non voleva far altro che vedere il suo riflesso. Sapeva che sarebbe stata una delusione, vederlo passare senza essere nemmeno guardata, ma non poté farne a meno: voleva vedere il suo viso.
Tremò quando dal riflesso lo vide ormai a pochi centimetri da lei.
Credeva che nemmeno l’avesse notata, invece non fu così.

Aaron si fermò, sotto lo sguardo confuso dall’altro soldato che lo accompagnava.

- Buongiorno signorina… -

Elena si voltò, inizialmente incredula. Le aveva rivolto la parola?

- O forse dovrei dire signora. – Si corresse Aaron, poggiando un doloroso sguardo sulla fede.

La osservò in viso. La sua mandibola si serrò di colpo. I suoi muscoli erano tesi. Stava guardando i lividi.
L’altro soldato, di qualche anno più giovane di Aaron, mormorò qualcosa in silenzio, indicando una via poco più lontana. Dovevano andare. Aaron gli rispose in tedesco. Elena non comprese, vide però l’altro soldato allontanarsi.

- Ti va una passeggiata? –

- No. – Rispose Elena, superandolo e incamminandosi veloce verso casa.

Sentì i suoi passi. La stava affiancando.

- Non ti va o non va a tuo marito? –

Elena si fermò, guardandosi intorno con fare nervoso. Non voleva che la vedessero. Alberto l’aveva avvertita.
Aaron le prese la mano.

- Non mi importa se ci vede. Che ci veda pure, lo butterò nel ghetto degli ebrei solo per averti picchiata. – Il suo tono si indurì. – Ho bisogno di parlarti Elena. –

Si, anche lei aveva bisogno di parlargli. Anzi, lei aveva bisogno di tutt’altro da lui: aveva bisogno che la abbracciasse. Desiderava l’abbraccio di un uomo che fino a poco tempo prima aveva chiamato assassino e non le importava.

- Ci vediamo al lago, alle quattro. Cerca di non farti notare. –

Era una frase stupida: come poteva un nazista non farsi notare? Con quella vistosa divisa era impossibile.
Gli lasciò la mano, resistendo all’impulso di voltarsi e guardarlo.

angolo autrice
Ecco un altro capitolo, chiedo scusa per averci messo così tanto. ringrazio chi segue la storia, in particolare Young50 che non si perde mai un capitolo <3
 

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Ricordare o rinunciare 

Capitolo 8

Elena osservava il proprio riflesso allo specchio. Lavandosi il viso il trucco era sparito e i lividi avevano cominciato a farsi vedere. Il più violaceo spiccava al di sotto del suo occhio destro, ricordandole dolorosamente quanto duramente si pagano le scelte sbagliate. Si passò una mano sul mento, dove ve n'era un altro verdognolo. Non erano poi così grandi, era passata una settimana da quando "se li era procurati", pertanto non ci sarebbe voluto ancora molto perchè sparissero. Da bambina si era riempita di lividi così tante volte: cadendo da uno scalino all'altro, rotolando per le vie, giocando con gli altri bimbi. Era stata bella la sua infanzia. Provò nostaglia per quel periodo: quando non c'erano guerre, quando non conosceva il pericolo, la paura, il dolore: tutte cose che ormai convivevano in lei. 
Le mancava la sua casa, sua mamma, la sua infanzia, quella che una volta era stata.

Alberto bussò alla porta.

- Sei morta lì dentro? -

Elena non rispose. Si asciugò veloce il viso e quindi uscì dal bagno, ritrovandosi faccia a faccia con Alberto, che la osservava appoggiato al muro. 

- Ti ho portato una cosa. -

Le indicò un pacchetto ancora incartato sul letto. Elena alzò le spalle.

- Non lo voglio. -

- Non l'hai nemmeno aperto. - 

Alberto le sospirò impaziente sul viso. 

- Sei ubriaco. -

- E tu sei una stronzetta. - 

Alberto rise, prima di inciampare nei suoi stessi piedi e cadere con un tonfo sul letto. 

- Apri quel dannato regalo. -

Alberto se ne stava lì, steso a pancia in su, sopra le lenzuola fresche. Elena si sedette vicino a lui, quindi afferrò il pacchetto, scartandolo contro voglia. 

- Ti ricordi quando eravamo piccoli? -

Elena e Alberto erano cresciuti nello stesso paese, tra le stesse vie e le stesse speranze per il futuro. Elena se l'era quasi dimenticato: era difficile pensare che il bambino gracile e debole che aveva paura a sporcarsi nel giocare con la neve ora fosse diventato quel gigante brutale e avido. 

- Una volta sono caduto, mi sono sono sbucciato il ginocchio. Avevo quegli stupidi pantaloncini, su quelle stupide piastrelle...tu eri così carina nel tuo vestitino azzurro rattopato...eri così piccola...te lo ricordi? -

Elena lo osservò, annuendo piano, benchè ricordasse a malapena l'evento che Alberto stava invece descrivendo con una tale precisione.

- Continuavo a piangere come uno stronzo, continuavo a lamentarmi, a piagnucolare...ero patetico. - Alberto si alzò di scatto, avvicinando il viso a quello di Elena. - E tu ti sei avvicinata. Ti sei tolta il nastrino che avevi tra i capelli, era bellissimo, forse era l'unico tessuto morbido e prezioso che la tua famiglia avesse...ma tu te lo sei tolta. Mi hai dato un bacio sul taglio e me l'hai legato intorno al ginocchio. - 

Alberto alzò una mano. Elena chiuse gli occhi, temendo che lui volesse colpirla...ma in realtà, lui voleva solo accarezzarla. Elena riaprì piano gli occhi, osservando confusa Alberto sfiorarle la pelle con i polpastrelli, in un modo così delicato che non sembrava nemmeno lui. Non era una delle sue solite carezze maliziose, quella volta era diverso: stava tentando di essere dolce. 

- Ti ricordi, Elena? -

La ragazza ignorò l'odore acre di alcol del respiro del marito e annuì. Certo che lo ricordava: quello stupido nastrino era l'unico ricordo che avesse di sua nonna, sua madre Anna ci teneva così tanto, quel giorno di tanti anni prima gliel'aveva fatto indossare facendole promettere di non perderlo. Quand'era tornata a casa senza quel grazioso ornamento per i capelli, Anna l'aveva riempita di botte, piangendo la notte per aver perduto l'unico legame che aveva con sua madre, defunta. Se Elena avesse saputo che quel nastrino avrebbe "guarito" il graffio di quel pezzente, mai e poi mai avrebbe agito in quel modo.
Elena distolse lo sguardo, abbassandolo sul pacchetto mezzo aperto tra le mani. Terminò di scartarlo e si portò una mano alla bocca nel vedere ciò che vi era all'interno: era il suo nastrino. Vi era una piccola macchiolina di sangue ai bordi ma per il resto era lucido e morbido come lo ricordava.

- L'hai tenuto per tutti questi anni? -

Elena non sapeva se essere lusingata o preoccupata: Alberto era più ossessionato da lei di quanto pensasse. 

- Quando sono tornato a casa ho pensato che saresti stata mia. Lo penso da quasi dieci anni e ora è così. So di averti, fisicamente almeno...ma sai cosa vorrei avere di te? - Alberto fece scendere un dito fino al petto di Elena, poggiandolo sul suo cuore. - Vorrei questo, vorrei avere il tuo amore. Ma so che non lo avrò. So che pensi a quel tedesco. Questa cosa mi fa impazzire, ecco perchè vorrei...romperti la testa di botte, così da farlo uscire dalla tua mente...ma anche se ci riuscissi, lui rimarrebbe sempre qui. - Alberto spinse il dito forte sulla pelle di Elena, costringendola a scansarsi per il dolore della pressione esercitata.

Si guardarono per un breve istante. Elena lesse nei suoi occhi la disperazione. Alberto era folle, pazzo, ossessivo, era tutto ciò che lei odiava...ma non potè fare a meno di provare pena per lui. Era solo, meschino, malvagio, la sua stessa crudeltà lo stava divorando. Gli dispiaceva per lui, forse fu per quello che decise di perdonarlo per tutto. Gli posò una mano sul viso, guardandolo negli occhi. Avrebbe voluto dirgli qualcosa, ma non ce la fece.

- Devo uscire... - Sussurrò semplicemente. 

Alberto non fece domande, semplicemente la osservò alzarsi e andarsene.

***

Elena si guardò le spalle preoccupata per tutto il tragitto. Era impossibile che alberto la stesse seguendo: quando l'aveva lasciato sul letto era talmente brillo da riuscire a malapena a tenere gli occhi aperti, figurarsi seguirla fin lì. 
La ragazza non poteva fare a meno di sentirsi a disagio, specie dopo l'inquietante "conversazione" avuta col marito, il quale aveva mostrato di essere più pazzo che mai. 

Elena si scosse di colpo dai suoi pensieri, quando una mano l'afferrò da dietro e un'altra le tappò la bocca. 

- Shhh, non siamo soli. - Le sussurrò Aaron all'orecchio.

Elena in parte si rassicurò nel sapere che era stato lui a bloccarla, ma il sollievo durò ben poco e i suoi occhi vagarono tra gli alberi, fermandosi su una coppietta che poco più in là si stava allontanando mano nella mano.

- Meglio non essere visti. -

Elena apprezzò la discrezione di Aaron, che la lasciò libera di parlare solo quando la coppietta scomparve oltre il sentieri. Elena si voltò a guardarlo, spalancando sorpresa gli occhi davanti a ciò che vide. Se l'avesse incontrato per strada avrebbe faticato a riconoscerlo.  Aaron non portava la divisa. Era vestito come un comune ragazzo italiano, uno di quelli con cui era cresciuta. Era bello ed elegante come sempre, eppure era diverso. Elena pensava che quella divisa ormai facesse parte di lui, vederlo senza la…stabilizzava.

- Dov’è finita la tua uniforme, soldato? Finalmente hai scoperto le lavanderie? – Scherzò lei.

- Hai detto di non farmi notare… -  Tentò di spiegare imbarazzato Aaron. Senza i suoi abituali abiti Aaron sembrava spaesato più di quanto lo fosse stata lei nel vederlo
in quella tenuta. – è così strano non indossarla. –

Lui le prese le mani. Lei le osservò. Avrebbe dovuto sfilarle, lui era un assassino. Invece le intrecciò alle sue. Ora anche lei era un’assassina. Il soldato allargò le braccia e l'italiana vi si tuffò all’interno, come fosse la cosa più normale al mondo. 

Scoppiò in lacrime.

- Mi hai lasciato per sposare un altro e sei tu quella che piange tra i due? – Chiese in tono ironico lui, stringendola.

- Non è divertente. – Singhiozzò Elena. 

- Spiegami, dimmi perché. – 

Aaron attese pazientemente che Elena si calmasse. Le accarezzò i capelli, sfiorandole i lividi con i polpastrelli, mentre lei raccontava ciò che era accaduto. Gli disse del debito, di suo padre, del motivo per cui aveva sposato Alberto. Aaron la ascoltava attento, come un bambino concentrato su un nuovo gioco. Rmase zitto per circa un minuto una volta terminata la storia, quindi proruppe gridando:

- Figlio di puttana. Lo ammazzo. –

Si calmò nel vedere lo sguardo spaventato di Elena.

- Non preoccuparti, me ne occuperò io. – 

Il tono sicuro e minaccioso con cui pronunciò tali parole fece rabbrividire Elena, che non osò fare domande, non voleva sapere il significato di me ne occuperò io.


Angolo autrice
Scusate se ci ho messo un po' a pubblicare questo capitolo! Il prossimo arriverà presto, promesso :) Grazie a chi recensisce o semplicemente segue la storia, a presto!
 

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Ricordare o rinunciare

Capitolo 9

 
Aaron passò i polpastrelli sulla schiena livida di Elena. Quest’ultima sobbalzò ogni tanto, lasciandosi sfuggire qualche gemito di dolore. Nudi, l'uno appoggiato all'altra, se ne stavano sdraiati sui loro stessi vestiti ormai profumati dell'erba del luogo. 

- Credevo ti fossi dimenticato di me. - 

Aaron si voltò a fissarla, rivolgendole un'occhiata carica di astio, come se quelle parole l'avessero realmente ferito.

- Certo che no, come puoi pensarlo? -

Sembrava offeso, come se lei gli avesse appena additato una grave ed ingiusta colpa.

- Fingevi di non vedermi per le strade, credevo che... per te io fossi stata solo un casuale incontro e nulla di più. -

- Ti ho visto con tuo marito, quel giorno in piazza. Ho visto il modo in cui ti ha accarezzata. Volevo prenderlo per la stoffa dei vestiti e scaraventarlo contro un muro, volevo sparargli un colpo in testa, davanti a tutti. - 

Elena rabbrividì davanti alla crudeltà con cui Aaron aveva appena pronunciato quelle parole, alle volte leggeva negli occhi del ragazzo una luce sinistra, che le faceva intuire che per quanto Aaron fosse buono, rimaneva comunque un soldato, addestrato per essere tale.

- Ho cominciato ad ignorarti ogni volta che ci incrociavamo per lei vie perchè se ti avessi guardata, probabilmente avrei fatto pazzie. Ti avrei portata via. - Aaron le sfiorò i capelli e le sussurrò dolcemente: - Avevi ragione su tutto. Ho deciso io di diventare ciò che sono. Ho deciso io di credere a tutte quelle teorie sulla razza perfetta. Cerca di capirmi, sono stato addestrato per crederci, per credere al Fuhrer, è stato lui a tirar fuori la Germania dal caos in cui viveva. Elena, da quando tu sei entrata nella mia vita hai sconvolto tutto. Ideologie e sentimenti. Sono confuso su molte cose eccetto due: la prima è che qualsiasi ideologia che punta a rendere il mondo un posto migliore non dovrebbe basarsi sulla morte di esseri umani o bambini. –

- E la seconda? –

- Che ti amo. E che appena ti ho tirato quello schiaffo avrei voluto sbattere la testa contro il muro. –

Elena scosse la testa. 

- So che mi hai schiaffeggiata solo perchè eri arrabbiato, ti perdono, ti perdonerei ogni cosa. -

- No, ho infranto la mia promessa: ho giurato di non farti del male. Ti ho ferita, in ogni modo, con quel singolo gesto. Elena voglio dirti che in passato ho fatto molte cose orrende, cose meschine e crudeli, che ho commesso contro altri umani, padri, ragazzi, donne... sono stato un soldato che è arrivato ad essere ciò che è ora come premio di tutte queste azioni. Sono il mostro che credi, lo sono stato perchè credevo fosse la giusta via per creare una Germania migliore, una Germania unita e forte degna di chi verrà dopo... ho fatto un tremendo errore. Tutto ciò in cui credevo è stato strappato via dalle mie stesse mani, ora non ha più significato. Ora l’unica cosa in cui credo sei tu. –

Elena rimase in silenzio. Aaron era stato così trasparente, così vero e autentico. Il tedesco la strinse tra le sue braccia, lasciandola andare solo per guardarle il viso. Le sfilò dai capelli un filo d'erba e rise nuovamente guardando l'espressione serena della ragazza. 

- Oggi sembri una ragazza giovane. -

Elena rise davanti a quelle parole.

- Ti ringrazio, questo vuol dire che gli altri giorni ero una vecchietta? -

Aaron scosse la testa e le accarezzò una guancia.

- Intendo dire che sei spensierata, come dovrebbe essere alla tua età. La guerra ci ha portato via così tanto, ci ha portato via la giovinezza. -

Gli occhi azzurri del soldato si rattristarono. Elena si rese conto che aveva ragione: chissà come sarebbe stata la sua giovinezza senza quel conflitto. Probabilmente sarebbe stata vuota e triste: se non fosse stato per la guerra mai avrebbe conosciuto Aaron. 

- Durerà ancora tanto, Aaron? -

Lo chiese con una voce talmente delicata da farlo intenerire. Elena sembrava una bambina alla ricerca di risposte che nessuno avrebbe potuto darle.

- Temo di sì, non conta quanto durerà la guerra Elena, contano i danni che porterà -

Il viso di Elena sembrò rattristarsi. 

- Non fare così... -

- Non è per la guerra Aaron, sto pensando che prima o poi tu dovrai tornare in Germania. Come faremo? -

- Prometto di portarti via con me, in un modo o nell'altro. Lasciami risolvere un problema alla volta. -

Elena si morse la labbra. Si fidava di Aaron, sapeva quanto sinceri fossero i suoi sentimenti, le stava promettendo il mondo e lei non aveva dubbi sul fatto che sarebbe stato in grado di darglielo, o almeno provarci. Elena non era stata però sincera nei suoi riguardi: 

- Anche tu sei tutto ciò in cui credo, mi fido di te. Voglio dirti ciò che solo mia madre sa, voglio dirti il mio segreto- 
 
***

- So bene che mi odierai una volta che ti avrò detto tutto, ma non riesco più a tacere. Se vorrai consegnarmi alle SS o arrestarmi tu stesso comprenderò. 
Mio padre se ne andò prima ancora della mia nascita, i miei genitori erano così giovani quando si sposarono, così inesperti della vita. Mario, così si chiamava mio padre. Non era un buon esempio, era ricoperto di debiti, la maggior parte di gioco. Mia madre era innamorata di lui, per questo ignorò ogni suo difetto, ma ben presto l’amore terminò e rimase solo l’odio, l’astio e il disprezzo. Mio padre se ne andò in seguito a una rissa furibonda in un locale, mentre mia madre era incinta di me, la lasciò con i suoi debiti da pagare e una bambina da crescere tutta sola. A tutti abbiamo sempre detto che Mario fosse morto, questo perché…Aaron, mio padre era un comunista. Ed essere imparentati con un comunista diventa sempre una colpa, specie in questo periodo. Non ho mai saputo dove fosse mio padre, immagino sia da qualche parte, a combattere per i diritti di qualche popolo sconosciuto, non pensando alla famiglia che ha abbandonato. –

Aaron la osservò e scrollò le spalle.

- Questo sarebbe il tuo segreto? Un padre comunista? –

- No, Aaron. Questo è solo per spiegarti il continuo della storia. Non ho mai saputo dove si trovasse mio padre fino a qualche mese fa, quando un SS ha bussato alla nostra porta, domandando di lui. Quell’uomo ci disse di esser lì per arrestarlo, per le sue attività contrarie alle leggi del Duce. Diceva di averlo avvistato in Germania, nell'atto di compiere azioni sovversive. Quel soldato era certo che fosse venuto a rifugiarsi da noi. Ovviamente non sapevamo dove fosse, non l’abbiamo mai saputo, nemmeno conosco il suo cognome. Quel soldato non ci credette. Tornò per setacciare la casa, rivoltò ogni angolo, ogni singola stanza e quando si rese conto che non stavamo nascondendo Mario si alterò ancor di più. Quel soldato se ne andò. Qualche settimana dopo ci fece nuovamente visita, tentò di farci del male, disse che nascondere un comunista partigiano era una grave colpa,  ci minacciò di arrestarci e chiuderci nel ghetto insieme agli altri traditori della patria, era così sicuro della nostra colpevolezza. Ci spaventammo. Lui afferrò mia madre per arrestarla e io ho preso uno dei coltelli della cucina … -

- Elena, che hai fatto? –

Elena scoppiò in lacrime.

- L’ho colpito, una, due, tre volte, fino a quando non ha smesso di respirare. Ho ucciso un uomo, un fascista. – 

 
***

Aaron le dava le spalle, strappava nervoso fili d'erba, torturandoli, rigirandoseli tra le mani e stringendoli tra le dita lunghe. 

- Aaron... - Sussurrò Elena, avvicinandosi a lui.

Allungò una mano verso di lui, avrebbe voluto toccarlo, ma non ebbe nemmeno il coraggio di sfiorarlo: lasciò cadere la mano e lo osservò. Aaron non parlava, non la guardava nemmeno.

- Hai ucciso un uomo.... -

- Aaron ho avuto paura! -

- Dimmi dove l'hai seppellito. -

- Perchè vuoi saperlo? -

- Dimmelo e basta, Elena! - Gridò Aaron, voltandosi a fissarla. 

Lo sguardo con cui la fissava la fece sentire vuota, sbagliata. La stava giudicando. Ce l'aveva con lei.
 

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Ricordare o rinunciare

Capitolo 10

Dopo quel giorno al lago, Aaron non si fece più vedere per le strade del paese. Elena usciva sovente, nella speranza di incontrarlo, di incrociare il suo sguardo anche solo per qualche secondo, eppure non ci riuscì neanche una volta. Dopo una settimana passata senza ricevere sue notizie, Elena cominciò ad avere paura. Temeva che qualcuno sarebbe arrivato prima o poi ad arrestarla, forse Aaron aveva preferito servire la sua patria piuttosto che il loro amore, aveva preferito denunciarla, così che fosse punita per il crimine commesso. Elena non poteva biasimare Aaron per la decisione presa, lo amava troppo per poterlo fare. 
Passò un'altra settimana, prima che un gruppo di soldati bussasse alla porta di casa.

- Buongiorno signora... - Il più anziano tra i quattro soldati alla porta pronunciò quelle parole con un marcato accento tedesco. 

Elena si sentì svenire, avvertì le gambe cederle e la vista offuscarsi. Erano venuti a prenderla. Quegli uomini che ora le sorridevano affabili presto l'avrebbero presa e imprigionata chissà dove: Aaron l'aveva denunciata... 

- Siamo venuti per suo marito. -

Il cuore smise di batterle. Alberto? Che centrava lui in tutta quella situazione?

- Dovremmo interrogarlo. -

- A che proposito? -

- Questioni segrete signora. Suo marito è in casa? -

Elena non dovette nemmeno rispondere, che Alberto spuntò alle sue spalle, guardando i soldati alla porta con fare interrogativo. 

- Buongiorno... stavo giusto informando sua moglie che avremmo bisogno di lei per discutere di alcune questioni private. - Ripetè educato e deciso il soldato, sorridendo nuovamente al ragazzo. 

Alberto guardò Elena, rivolgendole quasi un'occhiata assassina. La stava incolpando, i suoi dicevano: è colpa tua, mi hai fatto arrestare, tu e il tuo soldato  mi avete incastrato.

- Signore non abbiamo tempo, venga con noi. - Lo incalzò un soldato tra i quattro, oltrepassando la porta per potergli afferrare un braccio.

- Te la farò pagare. - Sussurrò Alberto all'orecchio di sua moglie. - Tornerò e ve la farò pagare. -

Lei scosse la testa mentre veniva portato via, sussurrando che lei non centrava nulla in tutta quella faccenda. Un brivido le attraversò la schiena, spaventata per la prima volta dai sentimenti che Aaron provava per lei: avrebbe fatto di tutto, comprese le peggior azioni, pur di averla con sè.
 
***
 
Era notte fonda quando bussarono. Erano ormai passati tre giorni da quando Alberto era scomparso. Elena aveva chiesto, aveva cercato di capire, ma nessuno le aveva risposto, dicendole solamente che suo marito era "detenuto per questioni di stato". La ragazza aveva fatto scenate ai vari poliziotti, agli occhi di tutti appariva come una donna lacerata dal dolore, le persone vedendola per strada sussurravano "povera fanciulla, le hanno portato via il marito". La verità era che non avere più Alberto in casa significava per lei una grande liberazione, poteva muoversi liberamente da una stanza all'altra senza temere di ricevere rimproveri, o peggio ancora schiaffi e calci. Non sentiva più le urla di Alberto, che più volte si era divertito con lei gridandole dietro insulti irripetibili e che quasi ogni giorno la costringeva a nascondersi in bagno, chiusa a chiave, temendo che potesse costringerla a coricarsi con lui. Elena si sentiva meravigliosamente libera, il motivo della sua disperazione nel voler liberare Alberto non era mossa dall'amore ma dal senso di colpa. Era così buona, altruista, a tal punto da sentirsi in dovere di fare qualcosa per liberare suo marito: probabilmente era colpa sua se Aaron con qualche strano stratagemma aveva fatto arrestare Alberto, pertanto tentare di insistere con le autorità nella liberazione di quest'ultimo,era per Elena un modo per lenire i propri sensi di colpa.

Tornando però a quella notte buia e tempestosa, il suono della porta soggetta ai colpi di qualcuno fece intimorire Elena, che si avviò a passi lenti e insicuri verso l'ingresso, domandando titubante:

- Chi è? -

- Sono io, Aaron. -

Elena si bloccò per qualche istante, infine un sorriso emozionato e incredulo le illuminò il viso. Si risvegliò improvvisamente da quella sorta di torpore in cui era caduta inizialmente e spalancò la porta, ricevendo uno schiaffo di vento freddo in pieno viso.
Il suo Aaron era lì. I capelli biondi erano bagnati, la divisa fradicia, la pelle ricoperta da goccioline. Era bellissimo, probabilmente Elena sarebbe rimasta lì a fissarlo in eterno se solo avesse potuto. 
Elena gli afferrò un polso tirandolo dentro casa e chiudendo la porta alle sue spalle. La ragazza lo osservò titubante, mentre i loro visi si avvicinavano. Aaron aveva la pelle fredda per il temporale, Elena rabbrividì a contatto con i suoi vestiti bagnati ma non si lasciò sfuggire alcun lamento.

- Sei arrabbiato con me? - Sussurrò la ragazza.

Il tedesco l'attirò a sè, premendole una mano sulla schiena per stringerla tra le sue braccia. Poggiò la fronte alla sua, respirandole sul viso. Elena inspirò il profumo di menta e tabacco emanato dal suo corpo e per un attimo le parve di essere a casa. 

- Perchè dovrei esserlo? -

Lei abbassò lo sguardo, non avendo il coraggio di rispondergli, aveva paura a pronunciare quelle parole.

- Perchè... ho ferito un soldato. - Dire "uccidere" era troppo forte per lei. 

- Sei la ragazza italiana più stupida che conosca sai? -

Elena rialzò il viso, rivolgendogli un'occhiata offesa.

 - Perchè? -

- Perchè è stupido pensare che io possa essere arrabbiato con te, dal momento che ti amo. -

Elena sorrise a quelle parole, pronta a baciarlo, ma si bloccò, a pochi millimetri dalle sue labbra, come se le fosse venuto in mente un terribile pensiero all'ultimo minuto.

- Perchè sei sparito? -

- Avevo bisogno di tempo, dovevo ricollegare l'assassinio del soldato ad Alberto e non è stato facile ritrovare il cadavere e... -

Elena lo fermò, scostandosi leggermente da lui.

- Sei stato tu a farlo arrestare quindi? -

- Elena era l'unico modo per stare insieme. -

- Hai fatto arrestare un innocente. -

Aaron rise.

- Elena, Alberto era tutto tranne che innocente. Ti avrebbe ucciso di botte andando avanti! Ora lo giustifichi? -

Elena non seppe che rispondere davanti a quell'affermazione. Certo che non lo giustificava, era felice che ora lui fosse il più possibile lontano dalla sua vita, ma ...

- Sono stanca di vedere tutta questa violenza. -

Aaron sorrise e le prese il viso tra le mani.

- Niente più violenza, lo giuro. -

La baciò e lei ricambiò, circondadogli il collo con le proprie braccia sottili. Schiacciata al muro dal corpo di Aaron, Elena si sentì al sicuro. Era possibile sentirsi a casa tra le braccia di un uomo che indossava una divisa nazista?

- Vieni... - Sussurrò dolcemente lei, guidandolo fino alla porta della sua camera. 

Lui la frenò proprio quando furono lì davanti e si infilò in una stanza lì vicina. 

- Preferisco la camera degli ospiti a quella in cui dormivi con quello stronzo. - Spiegò lui, prima di tapparle nuovamente la bocca con i suoi baci.  

Elena gli sfilò i vestiti bagnati, mentre Aaron faceva lo stesso con i suoi, osservandola estasiato, mentre seminuda si stendeva sul letto invitandolo a fare lo stesso.


ANGOLO AUTRICE
Chiedo scusa per il tempo che vi ho fatto attendere, ma mi sono dovuta concentrare sugli esami, a presto col prossimo capitolo ^^

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Capitolo 11

Ricordare e rinunciare


Elena osservava con orrore davanti a sè. Non sapeva cosa la terrorizzasse di più di tutta quella scena, se i soldati, i cani aizzati contro gli ebrei oppure la folla, impotente davanti a quella scena.  I soldati spintonavano lunghe file parallele di poveri disgraziati: bambini, donne, ragazzini, uomini e vecchi spinti verso un destino fatale. 
La gente osservava. Alcuni preferivano cambiare strada e guardare altrove, altri ridevano, altri ancora coprivano gli occhi ai bambini perché non guardassero.  Elena disgustata vide un gruppo di ragazzini lanciare pietre ai malcapitati, sotto lo sguardo divertito dei soldati, carnefici compiaciuti di ciò che avevano creato: un popolo di stolti. I prigionieri erano tutti ebrei, o perlomeno così suggeriva la stella di Davide cucita sulle loro vesti, ma Elena immaginava che in tutta quella folla vi fossero molti altri individui considerati parte della "società marcia" dalla legge nazista. Erano smunti, pallidi, gli occhi infossati e stanchi. Era come se fossero già morti dentro. 
Un vecchio cadde davanti ad Elena. Lei lo osservò con gli occhi lucidi, spaventata. Si guardò intorno e infine si abbassò, afferrandogli le mani e aiutandolo a rimettersi in piedi. 

- Signorina…grazie… - Sussurrò lui con voce affaticata. 

- Prenda questo. – Disse Elena al vecchio, infilandogli veloce un pezzo di pane nelle mani, che l’uomo si apprestò a nascondere come poteva sotto i vestiti logori.
Un soldato gridò qualcosa in tedesco, vedendo Elena  troppo vicina all'ebreo, quindi immediatamente corse verso di loro.

- Questo sporco ebreo la sta importunando signorina? –

Elena trattenne uno sguardo di disprezzo nei confronti del soldato e scosse la testa. Il ragazzo di appena 20 anni si voltò a fissare l’ebreo, lo scrutò, soffermando lo sguardo sulle sue maniche.

- Cosa nascondi? –

Elena e il vecchio si scambiarono uno sguardo di terrore, quindi il soldato frugò sotto la stoffa e ripescò il pane.

- Stupido vecchio! L’hai rubato! –

Lo spintonò. 

Gli occhi di Elena si riempirono di lacrime nel vedere il soldato sfilare la pistola. Quella scena l’aveva già vista. 
Strinse i pugni e ricacciò indietro le lacrime, quella volta non avrebbe permesso che le cose si ripetessero. 

- Gliel’ho dato io. –

Molti si voltarono a guardare la piccola italana che con voce flebile aveva confessato ciò che avrebbe potuto guidarla diritta alla morte.
Il soldato si voltò a fissarla lentamente.

- Non l’ha rubato. – Continuò Elena. – Sono stata io a darglielo. È caduto per la stanchezza, la fame, volevo aiutarlo. –

Gli occhi del tedesco divennero due fessure.

- Ha aiutato un ebreo? –

- Se avesse mangiato non sarebbe caduto, vi avrebbe risparmiato tempo, l’ho fatto per… -

- Ha aiutato un lurido pezzo di merda. –

Il soldato la afferrò stringendole il polso. Alzò una mano, deciso a colpirla. Elena chiuse gli occhi pronta a ricevere il colpo ma non accadde niente.
Una voce a lei familiare gridò. Aaron. 
Elena aprì gli occhi. Vide Aaron correre verso di loro, parlando in un tedesco concitato e furioso. L’altro soldato lasciò immediatamente il braccio di Elena.

- Da quando ci è stato dato ordine di picchiare le giovani donne italiane? – Sibilò, con il viso schiacciato contro quello dell’altro, che immobile lo osservava dal basso.

Aaron era il suo capo. Il suo tedesco aveva il viso furente, le guance arrossate e gli occhi azzurri che quasi spingevano per uscirgli dalle orbite, tale era la sua furia. 
Solo in quel momeno Elena si rese conto che Aaron era un soldato di un livello più elevato rispetto agli altri. Lei era una completa ignorante in fatto di gradi, a lei SS e Gestapo apparivano completamente uguali, ma solo ora si rendeva conto, dallo sguardo sottomesso del soldato, che Aaron era superiore e a lui e a molti altri lì.

- La ragazza ha dato il pane all’ebreo. –

- Il pane è scivolato dalla cesta. – Spiegò prontamente Elena ad Aaron, sorprendendosi di se stessa per aver inventato una tale menzogna così rapidamente.

Il giovane soldato puntò i suoi occhi da insetto su di lei. Aveva solo vent'anni, ma in quel momento a Elena quel giovane assassino sembrò un vecchio incattivito. 

- Stupido idiota. Chiedi scusa alla signorina. – Ordinò Aaron.

Il soldato deglutì, non si comprese mai se per timore di Aaron o di perdere parte del suo orgoglio scusandosi con un’altra persona, per di più con una donna italiana. Gli ordini erano ordini però. Si voltò verso Elena.

- Perdonatemi signorina, devo aver capito male. – 

- Molto bene. Puoi continuare. –

Il soldato si voltò, afferrò il vecchio per un braccio e lo strattonò. 

- Muoviti, schifoso. –

Il vecchio si voltò a fissare Elena, pur non potendo parlare, Elena lesse nei suoi occhi una strana luce...la stava ringraziando. Non le stava dicendo grazie per il pane dato, ma… per essersi comportata in modo umano, almeno lei.
***

- Ti avevo detto di non attirare l’attenzione. –

- Perdonami, io non potevo… rimanere lì a guardare. –

Aaron si avvicinò a lei e l’abbracciò.

- Mi spiace che sia dovuto accadere proprio davanti casa tua, gli ebrei non dovevano passare di lì. –

- Aaron dove li state portando? –

Il ragazzo abbassò lo guardo, come se avesse temuto per tutto quel tempo di ricevere quella domanda, che alla fine era arrivata.

- In un posto dove la morte è preferibile alla sopravvivenza. Amore mio, non preoccuparti, penserò io a loro. –

Le prese il volto tra le mani.

- Che vuoi dire? –

- Devo andare con loro, mi hanno assegnato a.. –

- Te ne stai andando?! –

- Elena sapevamo che non sarei rimasto qui per sempre. Ascoltami bene, non finirà così. Tornerò, lo prometto. Ho bisogno che tu mi aspetti. Devo andare con loro in Polonia e poi… -

- Perché portate gli ebrei in Polonia? Che c’è lì? E che vuoi dire con ti occuperai di loro? –

- Intendo dire che farò la cosa giusta. Fidati di me, presto saprai tutto. - 

Elena scosse la testa. 

- Non puoi andartene, qui c'è bisogno di te. -

Aaron rise e le sfiorò il viso. 

- Fidati, non hai bisogno della mia protezione, sei abbastanza testarda e furba da cavartela da sola fino al mio rientro. -

Elena abbassò lo sguardo.

- Io si, ma c'è qualcun'altro che ha bisogno di te. -

Il soldatto corrugò la fronte, guardandola incuriosito e confuso, a quel punto Elena gli prese una mano, portandosela sul ventre. Aaron osservò per qualche istante la sua mano poggiata al vestito della ragazzza, quindi rialzò lo sguardo sul viso di lei. 

- Non è possibile. - 

- Lo so è una notizia terribile, questo non è il mondo adatto in cui far nascere un bambino, specie quando si tratta del figlio di un'italiana e un tedesco ma ... -

- Elena è una notizia meravigliosa. - Le fece poi segno di tacere, guardandosi intorno con circospezione. - Dopo l'arresto di tuo marito e il mio modo di difenderti poco fa,
qualcuno potrebbe collegare le cose e incastrare entrambi, ho bisogno che tu non dica niente a nessuno della gravidanza fino a quando non sarà necessario. - In seguito fece una pausa di silenzio. - Io... voglio che tu non ti metta in nessun guaio, se non lo vuoi fare per te stessa fallo per il bambino, se vedi qualcosa che non va, cosa piuttosto probabile, ti prego di non reagire, voltati dall'altra parte e non guardare. Ora abbracciami. -

Elena lo strinse e lui fece lo stesso, stando attento a non farsi vedere da nessuno.

- Quando partirai? -

- Tra qualche ora. -

- Quando tornerai? -

Aaron ebbe qualche incertezza nel risponderle.

- Non tornerai, vero? - Sussurrò lei. 

Lui non rispose e lei lo strinse più forte a sè: era come se già lo sapesse, che quello sarebbe stato il loro ultimo saluto. 
 
***
Anna le poggiò una mano sulla spalla, mentre la ragazza in mezzo alla strada osservava i carri dei soldati tedeschi passare, se ne stavano andando e tra loro c'era anche Aaron. 
Elena si asciugò una lacrima.

- Sto bene. - sussurrò, non comprese mai se l'avesse detto per rassicurare sua madre o per convincere se stessa, ad ogni modo, non riuscì in nessuno dei due intenti. 


ANGOLO AUTRICE

Ciao! Grazie per le recensioni, scusate per il ritardo. Questo sarà il terzultimo capitolo, i prossimi due arriveranno presto ^^

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Angolo autrice

Ho pensato di farvi un piccolo regalo, dato che tutte sarete curiose di conoscere la fine della storia. Vi ricordo che questo non è l'ultimo capitolo, l'epilogo sarà il prossimo ed ultimo capitolo. Vi giuro, mi sta venendo un po' di malinconia, è da più di un anno che scrivo la storia di Aaron ed Elena e sapere che ormai manca poco alla fine mi fa provare una strana sensazione. Ringrazio chi ha seguito la storia e spero di poter continuare a ricevere il vostro sostegno in altre storie future <3 A prestissimo col nostro ultimo capitolo.
 
Capitolo 12

Ricordare o rinunciare

Elena non ricevette più notizie di Aaron. L’ultimo Carro di ebrei partì e con lui anche il suo amato soldato. Non lo rivide più, non lo sentì più per il mese successivo. Attese con pazienza una sua lettera, un suo messaggio, qualsiasi cosa che la aiutasse a non impazzire, ma ciò non accadde. Anna la rassicurava, dicendole che non era tempo di pensare alle sorti del soldato, ora doveva preoccuparsi di se stessa e della sua gravidanza, ma per Elena non era così semplice. A volte si dimenticava persino di essere incinta, era come se senza di Aaron, non fosse in grado di sentire quel bambino come suo. Si vergognava di quei pensieri, era pur sempre suo figlio, eppure non riusciva a sentirsi sollevata di averlo concepito, alle volte si domandava persino se fosse davvero del suo soldato, vi era una piccola possibilità che quel bambino fosse il frutto delle violenze di Alberto. Elena riprese ad avere incubi, sognava che suo marito fosse ancora vivo, da qualche parte, lo sognava mentre di notte tornava nella loro casa, entrava nella loro camera per strangolarla nel sonno. Alle volte Elena aveva incubi ben peggiori: Alberto tornava e le strappava il bambino dal ventre, tagliandoglielo con un coltello. La ragazza non riusciva più a dormire, sempre più paranoica si guardava intorno mentre passeggiava, sicura che qualcuno la osservasse e seguisse. Aveva paura, viveva del timore e nella rabbia, era in collera con Aaron: l'aveva sedotta e abbandonata, promettendole di tornare per poi farle comprendere che probabilmente mai più si sarebbero rivisti. 

I primi giorni Elena aveva pianto, Anna temeva che la figlia sarebbe impazzita ed era certa che dal dolore avrebbe perso il bambino, il suo nipotino. Dall'altra parte ad Elena non preoccupava un aborto, lei non amava quel bambino, non riusciva nemmeno ad amare se stessa ormai. Una volta osservando il suo stesso ventre sussurrò "vorrei averlo evitato, quel maledetto soldato". Poi, un giorno, qualcosa era cambiato, qualcuno bussò alla porta e sconvolse l'animo di Elena. 
Quando quest'ultima andò ad aprire si ritrovò quasi a piangere nel vedere quella divisa, quello sguardo e quei capelli biondi. Poi si rese conto che quello alla porta, non era il suo tedesco.

- Buongiorno, io…questa è per Elena. Da parte di Aaron. – 

Il ragazzo non parlava molto bene l'italiano, ad ogni modo Elena gli fece segno di entrare, mostrando qualche traccia di emozione nel sentire il nome del suo amato. 
Elena scartò la lettera e lesse veloce, muovendo con scatti frenetici gli occhi da una riga all'altra, nemmeno Anna o il soldato seppero cosa vi fosse scritto, ma di qualsiasi cosa si trattasse, da quel giorno Elena non fu più la stessa. 

- Ci servono dei vestitini per il bambino, voglio i migliori del paese, mio figlio non sarà uno straccione. - Aveva detto una sera a cena e Anna aveva annuito, sorridendo nel vedere sua figlia rendersi finalmente conto di essere incinta. 

Elena aveva smesso di piangere, pur persistendo, i suoi incubi la smisero di condizionarla e ben presto la ragazza comprese che Alberto era probabilmente finito all'inferno, un luogo da cui mai avrebbe potuto raggiungerla. Il bambino era di Aaron, ne era certa, andando avanti, lo seppe con assoluta chiarezza: si affezionò al suo pancione, passava molto tempo chiacchierando con esso, lo accarezzava e sorrideva nel guardarsi allo specchio. Prima ancora che potesse essere del tutto visibile, la ragazza era andata da sua madre dicendole. 

- Dobbiamo partire, oggi. -

E le aveva finalmente mostrato il contenuto della lettera che Aaron le aveva mandato:

Mia piccola Italiana,
non diffidare del soldato che ti ha portato questa lettera, è un amico, puoi fidarti di lui, anche se è un tedesco.

Non ho tempo per dirti tutto ciò che vorrei, tutto quello che provo per te lo conosci bene. Ti amo e ti amerò sempre, è grazie a te che ho finalmente aperto gli occhi. Ho capito ciò che è giusto. Ho capito che il bene è dove vi è amore e non vi è nulla di amorevole in ciò che Hitler ci sta portando a fare. Il Fuher ama il proprio paese è vero, ma non i cittadini che lo abitano: ebrei, tedeschi, italiani, francesi, siamo tutti uomini, tutti cittadini della stessa terra e lui l’ha dimenticato. 
Se stai leggendo questa lettera io sono già lontano, in Polonia e forse sono morto. Ti prego non piangere, era necessario che ciò accadesse. Una volta mi hai accusato di essere un codardo, avevi ragione, sono rimasto a guardare quel bambino morire e come lui ho osservato le morti di molti altri. Non voglio che accada ancora, voglio lottare per liberarli, tutti quanti. Gli ebrei sono stati portati in campi di lavoro, all’interno della busta di questa lettera troverai disegni che rappresentano ciò che accade nei campi, ti prego, non guardarle, sono cose troppo atroci per i tuoi occhi. Diffondi i disegni. Fai in modo che il mondo sappia, fai in modo che tutti conoscano la vera storia. Fai in modo che la gente sappia ricordare, di modo che non possa più accadere. Sono partito con loro perché io, con un gruppo di altri soldati, stiamo progettando una rivolta. Non so come andrà a finire Elena, so solo che tu sei il mio unico pensiero fisso e sarai l’ultima cosa che vedrò prima di morire. Cerca sempre di ricordare, io lo farò, ricorderò per sempre il tuo sorriso e i tuoi occhi. Ti prego non odiarmi, sei stata tu ad insegnarmi che non bisogna rimanere a guardare, io seguirò i tuoi insegnamenti e combatterò per un mondo migliore, in cui tu e nostro figlio possiate vivere. Quando mi hai detto di aspettare il mio bambino mi sono sentito morire dentro, è stata la notizia più bella della mia vita, è come se mi avessero annunciato la fine della guerra, ma allo stesso tempo è stato un dolore atroce: non vedrò mai gli occhi del mio bambino, non potrò aiutarvi quando ne avrete bisogno. Ti prego non mi aspettare, vivi la tua vita, non morire lentamente pensando a me. Non rinunciare all’idea di un mondo migliore, io non lo farò, lotterò per questo a costo di fallire. 
Nella busta sono presenti due passaporti per l’America, ti prego vattene dall’Italia appena possibile. Appena scopriranno che hai ucciso un soldato ti cattureranno, è solo questione di tempo. Ti prego, scappa insieme ad Anna. Josef, il ragazzo che ti ha consegnato la lettera ti darà ogni istruzione e recapito per le tue dimore in America.
Ricomincerai una vita nuova e se io riuscirò a sopravvivere a ciò che mi aspetta, ti raggiungerò. 

Ti amo. 

PS sii forte, posso immaginare lo sconforto in cui sarai caduta dopo la mia partenza, ti sarai sentita abbandonata, probabilmente sarai amareggiata e forse hai ragione, non avrei dovuto lasciarti, non ora, ma dovevo. Tu sei la donna più forte che conosca, che il mondo intero conosca, non lasciare che questo ti distrugga, hai lottato per te stessa, se non trovi più le forze per andare avanti, cercale nella vita che è dentro di te. Lì c'è una parte di me. Ti prego, ricorda una cosa, una cosa che mi hai insegnato proprio tu: non provare a rinunciare, mai, nemmeno quando le cose si fanno più ardue, insegna al nostro bambino che gettare la spugna non serve a nulla. Ricordami Elena e ti prego, non rinunciare mai, non rinunciare alla vita, all'amore, alla lotta per ciò che è giusto. Ricorda, non rinunciare.

Il tuo tedesco.



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Capitolo 13
*** Epilogo ***


Epilogo

 - Adam! Where are you? –

Una risatina. I passi svelti di qualcuno che correva. 

- Ah ti ho preso! – 

Il bambino rise, lasciando che la madre gli facesse il solletico. La donna scombinò i capelli lisci e biondi più del grano di suo figlio, quindi gli baciò la fronte e il nasino all’insù. 

- Mamma, mamma! – Esclamò lui abbracciandola. 

I due avevano gli stessi occhi color nocciola, benchè quelli di Adam fossero più chiari. La donna si ritrovò a pensare che fosse un peccato che non avesse ereditato gli occhioni azzurri del padre.

- Mamma, mamma! –

- Che c’è? Hai cinque anni Adam, possibile che non sai dire nient’altro? –

Il bambino arrossì, quasi imbarazzato davanti a quell'affermazione. Adam era il bambino più riservato e timido che Elena avesse mai conosciuto, era intelligente, buono, sembrava così puro per un mondo così crudele. La ragazza lo adorava con tutta se stessa, per lui avrebbe dato la sua stessa vita, la prima volta che l'aveva tenuto tra le braccia si era ritrovata a comportarsi in modo impacciato, si era innervosita più volte quando ogni volta che lo teneva tra le braccia il bambino cominciava a strillare. Poi aveva compreso: Adam non detestava stare a contatto con lei, semplicemente preferiva starsene per conto suo, nel suo lettino, osservandola curioso mentre lei sbrigava le sue faccende. Quel bambino passava il suo tempo spiandola, seguendola, l'aveva fatto da neonato e continuava a farlo una volta più grande. Adam era adorabile, bastava un suo sorriso per far passare la malinconia che alle volte Elena si ritrovava a provare pensando al passato.

- C’è un uomo che ci fissa, mamma! –

La donna si voltò, corrugando la fronte nel vedere una figura sconosciuta osservarli attenta. Se ne stava seduto su una panchina non troppo lontana, non appena Elena lo colse sul fatto di osservarli, lui distolse veloce lo sguardo, fingendo di star scrutando un edificio lì vicino. Quel gesto così repentino e colpevole, fece intimorire ancora di più Elena, certa che quell'uomo fosse lì per loro. La ragazza lo studiò incuriosita quella figura e quasi irrigidendosi spalancò gli occhi: assomigliava così tanto ad Alberto! Ebbe paura, una parte di sè era certa che si trattasse di lui, ma l'altra si domandava in silenzio: come ha fatto a trovarci? Non dovrebbe essere morto? Com'è possibile? Confusa da tutti quei pensieri, comprese che vi era un unico modo per trovare una risposta a tutti quei quesiti. 

- Vai dalla nonna. –

Lo indirizzò verso una donna più anziana, seduta su una panchina e intenta a leggere un libro, il bambino la guardò con aria indecisa, poco convinto di voler andare dalla nonna.

- No mamma, vengo con te, ti difendo. -

Lei scosse la testa, irremovibile. Il bambino aveva capito cosa volesse fare la ragazza: affrontare quel signore.

- Adam basta, ti ho detto di andare. - Ripetè con tono autoritario, sortendo ben presto l'effetto desiderato. 

Il bambino corse verso la nonna, voltandosi ogni tanto a osservare preoccupato la madre, che avanzava  con un abbozzato passo sicuro verso la figura dello sconosciuto. Quest'ultimo si era mosso dall'ultima volta che l'aveva scrutato: si era alzato dalla panchina appoggiandosi al tronco di un albero, le dava le spalle, pertanto per scoprire chi fosse, Elena sarebbe stata costretta a rivolgergli la parola.  Alla ragazza però, bastò avvicinarglisi per trarre un respiro di sollievo: non era Alberto, i capelli di questo sconosciuto erano biondo cenere, non neri come quelli di suo marito

- Senta non so cosa abbia da guardare, ma se oserà fissare ancora mio figlio chiamerò aiuto, ha capito? –

Lo sconosciuto non si voltò, rimase fermo e in silenzio.

- Mi ha capito? L'ho vista che ci guardava, non finga di non sentirmi. - 

Vedendo che non vi era alcuna reazione nello sconosciuto, lei si voltò sbuffando, avviandosi verso la sua famiglia. 

- Lei è sempre così scortese, italiana? –

Elena si bloccò. La voce era irriconoscibile, era troppo bassa e roca per appartenere ad ... Aaron, ma quelle parole, quel modo di pronunciarle la riportarono al suo
soldato. Chi altro avrebbe potuto chiamarla così? Chiaramente l'accento si notava, tutti potevano capire che non fosse Americana, ma ... solo Aaron poteva chiamarla così, o forse no? Si sarebbe dovuta voltare e l'avrebbe scoperto, ma cosa sarebbe successo se fosse stato lui? E se non lo fosse stato? Sarebbe svenuta nel primo caso e sarebbe morta dalla delusione nel secondo.

- Il bambino ha i tuoi occhi. –

Lo sconosciuto le si fece vicino, a tal punto che Elena riuscì a percepire il suo respiro sul collo. Ora le parti si erano invertite: lei gli dava le spalle e lui tentava di attirare la sua attenzione.

- Ora sei tu quella che fa finta di non sentirmi, avanti rispondi, noi tedeschi non amiamo aspettare. -

Le bastarono quelle parole per scattare e voltarsi di colpo. Era il suo viso, certo, era cambiato molto, l'orrore della guerra e della morte aveva invecchiato il suo volto, ma era lui!

- Aaron! – Esclamò lei, con le lacrime agli occhi.

Lo abbracciò, come aveva fatto tempo prima, prima che lui partisse. 

- Credevo fossi morto! –

- Voi italiani siete sempre così drammatici. –

In realtà anche Aaron credeva che sarebbe realmente morto, quando qualcuno fece la spia e spifferò che lui e altri soldati lavoravano in segreto con gli alleati nel tentativo di passare informazioni segrete. Finito in un campo di concentramento a sua volta, aveva subito i peggiori trattamenti, fin quando tra corruzioni varie, era riuscito a scappare insieme ad altri compagni. Si era rifugiato in Italia nuovamente, tra i partigiani, aveva combattuto al loro fianco, il tedesco pentito, lo chiamavano. A nessuno di loro piaceva la sua presenza, si era dovuto guadagnare la loro fiducia, ma come biasimarli: lui era il soldato che fino a poco tempo prima aveva sparato in testa ai loro nipoti. 
Finita la guerra aveva lasciato passare un altro po’ di tempo, prima di raggiungere l'America, temeva che qualche nemico lo seguisse in attesa di colpirlo. Quella era stata la parte più logorante: aspettare. Aaron raccontò la storia di quegli anni ad Elena, per poi concludere con un ironico:

- Sapevo che non ti saresti risposata. Chi mai avrebbe voluto una spina nel fianco come te? -

- Se questo è il tuo modo per dirmi che sei felice che io ti abbia aspettato è piuttosto offensivo. - 

Sorrisero e in seguito Aaron fece la domanda che tanto desiderava:

- Posso vedere ... ? -

- Adam. -

Il ragazzo assunse un'espressione sorpresa nel sentire il nome del bambino. 

- Un nome tedesco e anche americano? - 

Lei sollevò le spalle. 

- Per non dimenticare da dove viene ma per ricordargli chi è ora. -
***

- Adam, ti presento un amico della mamma... lui è Aaron. -

Il bambino scrutò l'uomo in silenzio per qualche secondo, quasi lo stesse esaminando, in seguito si toccò i capelli e poi sfiorò quelli del ragazzo, notando la somiglianza e sorridendone contento. Adam chiacchierava veloce, tirando fuori nuovi argomenti ogni cinque minuti, Aaron rimase affascinato dal fatto che da un bambino così piccolo potessero uscire così tanti pensieri. Ad Adam piaceva molto Aaron, lo adorava, forse comprese fin da subito chi fosse quello sconosciuto venuto fuori dal nulla. 

- Mamma! Mamma! - Esclamò come al solito il bambino, attirando l'attenzione di Elena. - Aaron rimane a cena? - 

Elena si scambiò una veloce occhiata con Aaron, fu quest'ultimo a rispondere: - No, non mi fermo a cena. -

Adam assunse un'espressione imbronciata e anche Elena osservò il tedesco con fare confuso, arrabbiato e malinconico, in risposta, Aaron sorrise, aggiungendo:

- Mi fermo per sempre. -

E così fu, Aaron si fermò per sempre, chiaramente le loro difficoltà non cessarono, ma perlomeno rimasero insieme per tutta la vita. Posso assicurarvi che furono molto felici insieme, lo stesso fu per Adam e le sue due sorelline che vennero in seguito. Come posso esserne così certo? Perchè sono io Adam e questa è la storia del coraggio e dell'amore dei miei genitori.

Ringraziamenti&co.
Allora vorrei ringraziare un po' tutte le persone che hano seguito la storia, chi commentandola, chi inserendola tra le preferite, seguite e così via. Volevo precisare che in effetti la storia originale, cioè come l'avevo scritta inizialmente non doveva terminare in questo modo, aveva un finale "triste", dove Aaron non sarebbe tornato, però in seguito ho pensato che ... non potevo farvi e farmi questo! Mi sono affezionata ai personaggi, inoltre detesto le storie d'amore dove alla fine uno dei due muore, ormai è una cosa abbastanza scontata nei racconti d'amore e dato che è qualcosa che mi innervosisce vi evito questo. Quindi so che è abbastanza inversomile come finale: dubito che in una storia "reale", Aaron si sarebbe salvato, ma questa è fantasia e poi non l'ho scritta per ammorbare chi legge ma per vedere qualcosa di buono in un periodo così triste come quello della Guerra. Grazie ancora e spero di cominciare presto una nuova storia ^^  

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