Mai giudicare un libro dalla copertina

di Demon Heart
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Correvo come una saetta sui tetti delle case di Los Angeles, mentre il vento mi sferzava quasi con violenza; sentivo l'adrenaina a mille, cercando di velocizzare la mia corsa.

«Prendetela! Non lasciatevela sfuggire!» questa voce riecheggiò alle mie spalle, mentre dei passi si affrettavano per raggiungermi.

Non rallentai per nulla, saltando sulla casa successiva, mentre sentivo un bambino chiamare la madre ed indicarmi.

Era molto raro vedere qualcuno che praticava Parcour, ed in quella splendida e, a volte, rumorosa città era un evento più unico che raro, a causa della polizia e della vigilanza.

Una volta atterrata, feci leva sulle gambe, riprendendo la mia sfrenata corsa, come al solito ben meritata.

Ero cambiata molto nell'ultimo periodo...

Non facevo altro che cacciarmi nei guai, spesso e volentieri frequentavo pessime compagnie e abbastanza raramente evitavo di ascoltare i consigli di mio fratello.

Con un balzo finii sul tettuccio di un'auto blu scuro, e pochi secondi dopo mi ritrovai coi piedi sull'asfalto.

Ripresi la mia corsa contro il tempo, sfrecciando tra le auto bloccate nel traffico, cercando fra le tante qualcuna familiare in cui nascondermi.

Presa dai miei pensieri, mi scontrai contro qualcuno, perdendo l'equilibrio.

Fortunatamente per me, la mia "vittima" mi afferrò una mano, avvolgendomi la vita con l'altro braccio.

Fu allora che lo guardai per la prima volta...

Aveva la carnagione lievemente abbronzata ed un profilo che lo faceva assomigliare ad un latino, e non avevo idea se lo fosse o meno; due occhi profondi come pozze di petrolio e spettinati capelli nero.

Mi regalò uno dei sorrisi più belli che avessi mai ammirato, ma subito dopo, mi riscossi sentendo le voci dietro di me aumentare.

«Eccola!» urlò con tutta la voce che aveva in corpo, per farsi sentire da tutti i componenti della sua banda.

Sorrisi al ragazzo, correndo via e saltando su una macchina poco lontana, per arrampicarmi su un edificio non molto alto.

Trascorsi più di un'ora dopo quel fatidico incontro a correre, cercando di passare per le stradine secondarie e più nascoste, intenzionata a concludere in gran bellezza.

Mi fermai davanti ad un immenso edificio, guardando alle mie spalle, per assicurarmi non mi avessero ancora raggiunta.

Sorrisi, entrando all'interno del palazzo ed allontanandomi velocemente dalle porte di vetro, per non farmi vedere, semmai fossero passati di lì.

Tirai un sospiro di sollievo, gironzolando per la struttura, senza una meta precisa.

Non ero mai stata lì, e ne ebbi la certezza quando mi spuntò davanti un'insegna con la scritta "Roque Records"; era seguita da poster di vari gruppi musicali, Boy Band, per l'esattezza.

Da lontano intravidi un divano rosso, che sembrava essere parecchio comodo ed accogliente.

Presi la rincorsa, buttandomici di peso ed incrociando le braccia dietro la testa.

Chiusi gli occhi per qualche secondo, intenzionata a riposarmi per un bel pò.

Dopo nemmeno una decina di minuti, sobbalzai a causa di grida che si susseguivano, stordendomi quasi.

Deglutii voltandomi verso la porta che si trovava alla destra del divano, poggiando i piedi sul tavolo e beandomi dell'atmosfera.

«Questo succede perchè VOI, stupidi cani scimmia, non fate altro che distrarvi, spesso e volentieri trascurando il vostro la-» l'omone non molto alto e dalla barba non troppo folta, interruppe il suo discorso, puntandomi lo sguardo addosso e squadrandomi da capo a piedi.

Notai che aveva un paio di occhiali da sole ed uno strano cappello in testa; immaginai fosse il "proprietario" di quel posto immenso.

Dopo un primo attimo di smarrimento, si avvicinò a me di qualche passo, con una strana espressione in viso.

«E tu saresti?» chiese inarcando un sopracciglio, senza togliere gli occhi dai miei piedi sul tavolo.

Mi morsi un labbro, scostando i piedi e rivolgendogli uno strano sorriso, che nemmeno io sapevo ben definire.

Mi scappò una risatina, continuando ad osservare il suo viso, lievemente rosso dalla rabbia che cercava di controllare.

«Chi diavolo sei?!» sbraitò ormai al limite; se con uno sguardo fosse possibile ferire, a quest'ora mi avrebbe completamente ucciso.

Notai solo allora quattro ragazzi alle sue spalle e riconobbi il secondo, alla sinistra dell'uomo.

Lo squadrai appena, sorridendo al ragazzo che poche ore prima mi aveva "salvata" da una bella caduta.

Gli sorrisi allegramente, e lui fece lo stesso.

Fu un'istante che sentii delle grida provenire dal corridoio, e sbiancai vedendo un uomo alto e parecchio ben piazzato.

Sollevai lo sguardo, osservando il condotto dell'aria; potevo passarci tranquillamente.

Saltai, dando un colpo sullo sportellino che si aprì, con un rumore metallico; con un secondo balzo afferrai il bordo del condotto e riuscii a salire appena il tempo, mentre una mano cercava di afferrare la mia gamba.

«STOP! Cos'è questo?! Chi era quella ragazzina sul set?» Sentii una voce sbraitare, diversa da quella del tizio con gli occhiali «Dobbiamo rigirare questa scena, da poco prima che apri la porta ed il continuo.»

Ridacchiai appena, scuotendo la testa; ero finita su un set cinematografico a quanto pareva, e riconobbi solo in successione la voce di Andrès.

Scesi da dove ero passata poco prima, atterrando sul tavolo evitando di far rumore; non diedi il tempo ai presenti di avvertire il regista, che tra l'altro, mi voltava le spalle, e gli saltai addosso.

«Ma che-» lo sentii esclamare, cominciando a girare vorticosamente su se stesso.

«Andrès mi deludi» affermai senza riuscire a trattenere le risate «non mi riconosci nemmeno?» gli tirai appena le guance, mentre mi sistemò su di se, prendendo le mie gambe, per non farmi cadere.

Lo sentii ridere appena, mentre mi fece scendere dalla sua schiena.

«Finalmente ti sei fatta viva, dopo tutto questo tempo» mi rimproverò appena, senza perdere il sorriso, poi si rivolse al resto dei presenti che osservavano la scena tra il curioso ed il divertito «voi prendetevi pure una pausa, possiamo continuare anche dopo.»

Mi indicò la porta rossa da cui, pochi istanti fa era uscito quel gruppetto, avanzando ed entrando nella stanza; lo seguii a ruota, passando davanti ai presenti e tirando leggeri schiaffetti sulle guance dell'uomo con occhiali e cappelli.

Trattenne a stento la rabbia, mentre mi affrettai a chiudere la porta.

La sala era molto spaziosa e di colore rosso cremisi, ospitava vari macchinari che servivano a registrare canzoni ed audio.

Andrès si mise comodo su una delle sedie che erano sistemate nella sala, e mi invitò a sedermi sul divano in pelle nera che aveva di fronte.

«Allora, qual buon vento ti porta qui?» ridacchiò appena, mentre mi lasciai andare alla comodità di quel magnifico divano «E' da molto che non ho tue notizie...»

Storsi appena il naso, scuotendo la testa.

«Il lavoro va come al solito, però sto cercando di superare il blocco dello scrittore che mi ha assalito da una settimana» mi lasciai sfuggire una risatina dove era possibile scorgere una nota nervosa.

«Tranquilla, supererai anche questa» sorrise rassicurante, sporgendosi per darmi una pacca sulla spalla «Una delle poche novità che ti riguardano, di cui sono a conoscenza, è il fatto che la tua fama da "Dragone Rosso" aumenta sempre più»

Mi morsi il labbro inferiore, guardandolo colpevole «In effetti si... oggi mi stavano inseguendo i 66Route»

Inarcò un sopracciglio, scrutandomi attentamente «Sai... sei cambiata parecchio, e non solo in aspetto. Non sei più quella che eri prima di»

Non gli lasciai finire la frase, cercando di sviare il discorso, per quanto mi fosse possibile «E con la tua carriera invece? Vedo che ti stai dando da fare!»

«In effetti si, questa stagione dei Big Time Rush ha aumentato di parecchio gli ascolti» sorrise allegro, mentre ci scambiammo un cinque.

«Ma complimenti» mi lasciavo spesso coinvolgere nell'allegria degli altri, quasi percependo le loro emozioni «Ed il mio caro fratellino? Come se la passa?»

Era da molto che non vedevo mio fratello, e la cosa mi intristiva non poco; mi ero allontanata da lui per evitare di coinvolgerlo nei guai in cui ero incastrata spesso e volentieri.

«Se la cava, soprattutto riesce ad interpretare alla perfezione il personaggio che gli abbiamo assegnato nella serie» sorrise, non nascondendo la sua fierezza.

Continuammo a parlare del più e del meno, non ci vedevamo da tanto.

Andrès era una persona fantastica, come un secondo padre per me e David, mio fratello maggiore.

Lo conobbi quando la mia "metà" intraprese la via del successo in televisione, cominciando ad interpretare ogni genere di personaggio.

Da allora si creò un legame come tra padre e figli, anche perchè spesso seguivo David alle riprese, nascondendomi nei condotti per non apparire nell'inquadratura.

Amavo sentirlo e vederlo mentre interpretava quei ruoli.

Dopo quella lunga chiacchierata di un'oretta ed oltre, lasciammo quella stanza, dirigendoci verso le telecamere di ripresa ed il resto dei presenti.

Da lontano intravidi i quattro ragazzi di prima discutere animatamente, mentre mi fermai per scusarmi con "Gustavo Rocque".



«Bene, ora dobbiamo girare la scena del Palm Woods, e tu» mi puntò un dito contro, sfiorandomi il naso «Potrai rivederlo se ti va»

Sorrisi allegra, ringraziandolo di cuore; non vedevo l'ora di fare una sorpesa al mio fratellino adorato.

Mentre parlavo con Andrès, uscimmo dall'edificio e lui mi indicò una limousine con cui dovevamo raggiungere la nuova meta.

«Che ne dici di andare con i ragazzi? Così potete far conoscenza.» Sembrava entusiasta che interagissi con altri ragazzi, così accettai la proposta e mi incamminai verso il veicolo.

L'autista, rimasto fino a quel momento in piedi e rigido, accanto all'auto, mi aprì lo sportello; lo ringraziai, alquanto imbarazzata, salendo e mettendomi comoda sul sedile alle spalle del conducente.

Mi sistemai più al centro, così potevo stare più comoda, ma parlai troppo presto.

I quattro ragazzi di prima, entrarono come delle furie animali, mentre due si mettevano comodi sul MIO sedile.

Rimbalzai appena sul sedile, mentre uno dei due azzardò la cosiddetta mossa del "braccio sulle spalle di lei".

«Allora splendore, il mio nome è James Maslow, il tuo invece?» la sua voce mi arrivò all'orecchio chiara e ferma, mentre mi voltai verso di lui.

Aveva i capelli castano chiaro e due occhi verdi magnetici, che avrebbero attirato l'attenzione di chiunque.

Storsi appena il naso, prendendogli il polso «Piacere Maslow» cominciai, mentre gli sollevai appena il braccio, facendoci passare sotto la mia testa «Io sono Spencer Cade» gli portai il braccio disteso sul fianco «e non provarci con me, grazie»

Gli regalai un ampio sorriso, notando il suo faccino confuso e trattenendomi a stento dal ridere.

«No aspetta, mi stai rifiutando forse?» chiese ancora più confuso «Sono James Maslow io!» lo sentii affermare tra il deluso e l'isterico.

«Si, ti sto rifiutando soprattutto perchè non ti ho mai visto prima d'ora e non abbiamo mai parlato» risposi ovvia, senza abbandonare la mia espressione semi-divertita.

«James... mi deludi... Una Friendzone posso capirla anche, ma questo...» Cominciò serio, il biondo seduto di fronte, poi ridacchiò appena, presentandosi «Kendall Schmidt»

Aveva anche lui degli occhi verdi, più chiari e sfumati di azzurro; doveva amare i braccialetti visto che ne aveva un bel pò al polso.

Il moro doveva essere sull'orlo di una crisi isterica e non potei fare a meno di scoppiare a ridere, cercando di nascondere il viso.

«Non è mai stato così divertente Friendzonare un ragazzo» mi voltai verso di lui, e la sua espressione corrucciata non giovò alla mia risata.

Scossi appena la testa, tirandogli una pacca sulla spalla, senza abbandonare il sorriso che avevo dipinto in viso «Suvvia, c'è sempre una prima volta»

«E dimmi, la tua prima volta c'è stata?» mi voltai verso il moro seduto accanto a Kendall.

Capelli castano scuro come i miei, occhi castano scuro ed un'espressione maliziosa in viso.

Ci misi alcuni secondi per analizzare la frase, rimanendo in silenzio.

Scossi la testa, voltandomi verso il ragazzo che mi aveva impedito di cadere ed afferrai il casco da Hockey che aveva in testa, giocandoci appena «Non penso che siano domande da fare ad una completa sconosciuta» sollevai il viso dal casco, guardandolo beffarda «E' questo il tuo scarso metodo di seduzione?»

Vidi il suo sorriso scomparire per qualche istante, poi ritornò come prima.

«Touchè» ridacchiai appena, mettendomi il casco, che mi andava leggermente largo «In ogni caso sono Logan Henderson, dovresti conoscere questo nome» qui il suo sorriso si fece più ampio.

Finsi di riflettere qualche minuto, poi scossi la testa «Spiacente per te, ma la mia conoscenza su questo "Logan Henderson" è tanto approfondita quanto la mia conoscenza del greco.»

«E quanto conosci il greco?» chiese il ragazzo alla mia sinistra, osservandomi divertito.

«Zero assoluto» sorrisi, lasciandomi affondare nel sedile, quando sentii un braccio sulla spalla.

«Sicura che non ti interessa nemmeno una serata con il tuo idolo?» mi voltai, mentre James avvicinava appena il suo viso al mio.

Sorrisi, sporgendomi verso di lui come per baciarlo, mentre sorrideva soddisfatto.

A pochi centimetri di distanza gli lasciai uno schiaffo sulla guancia, mentre osservavo il rossore comparire sulla sua pelle non troppo chiara.

«Questo è per non avermi ascoltata» lo spinsi appena, allontanandolo da me ed osservando gli altri ridacchiare.

«Tu! Come hai osato!» si voltò verso di me, con uno scatto d'ira improvviso.

Il quarto ragazzo, si sovrappose tra me ed il castano, per evitare l'imminente lite.

Si voltò verso di me, sorridendo allegro e porgendomi la mano «Ed io invece, sono Carlos Pena»

Ricambiai sia la stretta di mano che il sorriso «Piacere mio» lo guardai negli occhi, accorgendomi che erano davvero profondi «E grazie per stamattina» ridacchiai nervosa, mentre il casco mi coprì appena gli occhi.

Lo scostai appena, guardando fuori dal finestrino, accorgendomi che eravamo bloccati nel traffico; questa era uno dei lati negativi di Los Angeles.

Scossi la testa, aguzzando la vista e guardando sul tettuccio dell'auto accanto; scorsi un ragazzo con il cappuccio della felpa che gli copriva il viso, mentre sventolava uno zainetto verde militare.

Sbiancai, accorgendomi che era il mio e mi sollevai di scatto avvicinandomi al finestrino «Quello è mio!» urlai di colpo, facendo sobbalzare i ragazzi che mi tenevano compagnia.

«Cosa?» chiese Kendall stralunato.

Aprii il finestrino, sporgendomi appena «Ridammi quello zaino.» sembrava più un ordine che una richiesta, la mia.

«Vieni a prenderlo» mi disse con voce profonda, saltando sulla macchina davanti.

Mi imbronciai, uscendo dal finestrino ed arrampicandomi sul tettuccio della Limousine.

«Ma che fai?!» sentii la voce di Logan chiamarmi, mentre raggiungevo con un salto, la macchina su cui era l'incappucciato.

Lo osservai appena; statura media, corporatura robusta e ricci neri che uscivano dal cappuccio. Felpa larga e pantaloni non molto aderenti.

Doveva fare anche lui Parcour, visto che comincio a saltare sulle auto, fino a salire su un tetto.

Lo seguii, lievemente titubante, aggrappandomi al davanzale di una finestra con le mani e sollevandomi, per saltare sul tetto e seguirlo.

Notai che era rimasto lì, come se volesse farsi seguire.

«Che vuoi?» chiesi squadrandolo da capo a piedi.

«Solo restituirti lo zainetto» si calò il cappuccio, osservandomi e porgendomelo.

«Qual'è il trucco?» ero sempre stata un tipo diretto, e di certo non nascondevo quello che pensavo.

Lo vidi farsi sfuggire una strana risatina, lanciando la sacca, che afferrai al volo.

«Nulla, volevo solo rivederti» vidi la sua espressione addolcirsi, mentre cominciò ad avanzare verso di me.

«Io non volevo, però.» risposi con tutta l'acidità in mio possesso.

Vidi il sorriso scomparire, per far strada ad un'espressione triste e malinconica.

«Spenny, ti prego...» puntai i miei occhi nei suoi, scorgendo quel velo di tristezza che aveva caratterizzato me per quasi nove mesi.

Scossi la testa, avvicinandomi al bordo del tetto e mettendomi lo zaino sulle spalle «Mi dispiace, ma non è stata colpa mia.»

Mi lasciai cadere, atterrando su un'auto parcheggiata, mentre cominciai a cercare la limousine bianca che avevo lasciato.

C'era ancora traffico, quindi non dovevano essere lontani; mi lanciai a capofitto tra le auto, saltando su alcune di esse di tanto in tanto, per cercare il veicolo dall'alto.

Pochi secondi e le auto ripresero la loro corsa, e riuscii a saltare in tempo sul marciapiede accanto.

Sospirai, gonfiando le guance e rassegnandomi; ora dovevo fare la strada a piedi, senza nemmeno conoscere la direzione da prendere.

La cosa mi avrebbe decisamente rubato non poco tempo.



Angolo autrice


Allora, premetto col dire che non ci saranno autolesionisti, Mary Sue, Gary Stue e ancora non ho chiare tutte le idee per la storia.

Questo capitolo è come un piccolo Prologo, dove Spencer incontra i Big Time Rush, anche perchè avevo voglia di fare una storia con tanto di incontro e non partire allo sbaraglio.

Inoltre, dico già da ora che questa è la storia e non saranno ben accette lamentele del tipo "non mi piace la coppia", "non mi piace il finale", "non mi piace la scena blablabla" o altre di questo genere.

Questo perchè essendo io l'autore, qui, ho il pieno controllo dei personaggi, e lo stesso chiunque scriva.

Spero di aver attirato la vostra attenzione verso la storia anche se come inizio lascia un pò a deludere ( almeno me, non so voi)

Detto questo, vi invito, se volete, a partecipare alla storia, questo perchè volevo aggiungere una o due amiche/amici di Spencer, per non trasformarla nel classico "Lupo Solitario che manda il mondo a quel paese".

In pratica delle OC; se vi va potete scriverlo in una recensione e mandarmi il personaggio in chat, ovviamente niente Mary Sue e Gary Stue anche su questo lato.

(cioè niente personaggi perfetti)

Con questo concludo senza trattenervi oltre, e spero in qualche recensione ;")

Come ultima cosa, volendo potreste proporre idee se volete, così da dare spazio anche ai lettori.

Salutoniiiih (piccolo sfogo visto che amo le "h")

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Quando arrivai all'agoniato Palm Woods ero stremata; fuori l'entrata mi piegai in due per riprendere fiato, mentre i piedi doloranti non si decidevano a darmi tregua.

Sospirai, raddrizzandomi e varcando l'entrata, ritrovandomi vari ragazzi che chiacchieravano tra loro, mentre uno strano omaccione in divisa, riccio e dalle lenti dalla forma rettangolare era dietro la reception.

Scossi la testa, avviandomi verso una poltrona nera e lasciandomi andare alla sua morbidezza.

Notai una ragazza avvicinarsi; alta come me, magra, capelli lunghi e neri, caratterizzati da ciocche rosse disperse nella capigliatura.

«Sei nuova?» nella sua voce scorsi curiosità, molta curiosità ed un pizzico di "superiorità" «Che ruolo interpreti?» continuò, senza nemeno darmi il tempo di rispondere alla prima domanda.

Rimasi stordita per alcuni secondi, colta alla sprovvista, poi sorrisi e risposi tranquilla «No, non sono una componente del cast, sono qui solo per sbrigare alcune faccende»

«"Alcune faccende" su un set cinematografico?» chiese, inarcando un sopracciglio; sicuramente pensava a quanto fossi strana.

Le regalai un sorriso falso, mentre gran parte dei miei capelli cascò sulle mie spalle, mostrandosi in tutta la loro lunghezza e bellezza.

In effetti si... amavo i miei capelli, ed io ero come ossessionata dalla loro cura.

Il mio parrucchiere di fiducia continuava a ripetermi che avevo dei bei capelli e che, semmai avessi voglia di tagliarli, sarei dovuta andare da lui.

Erano molto lunghi, infatti mi arrivavano ai fianchi; avrebbe potuto ricavarci una parrucca.

Mi riscossi dai miei pensieri, e per tutto il tempo non avevo abbandonato quel sorrisetto che riservavo davvero a pochissime persone.

«Si, anche perchè non penso sia vietato» cercai di non mostrarmi troppo acida, per non coltivare cattive amicizie.

Stava per ribattere, quando sentii la voce di Andrès che mi chiamava a gran voce.

«Spencer, eccoti finalmente» mi tirò un pugno sulla spalla, senza esagerare «Avevi voglia di farti la strada a piedi o cosa?»

Ridacchiò appena, mentre lanciavo un'occhiata alla ragazza con cui stavo parlando pochi minuti prima, come a farle capire che con lei avevo chiuso il discorso.

La vidi assottigliare gli occhi, per poi allontanarsi ed avvicinarsi ad altri ragazzi.

«Diciamo che ho avuto un piccolo "contrattempo"» mi lasciai scappare una strana espressione perplessa che lo fece ridere.

«I ragazzi si sono preoccupati da morire quando sei uscita dal finestrino dell'auto» affermò, senza riuscire a trattenersi dalle risate «Kendall ha cominciato ad urlare così forte che persino l'autista l'ha sentito.»

Mi trattenni a stento dal ridere, passandomi una mano tra i capelli per scostare il mio adorabile ciuffo ribelle dagli occhi «E che diceva?»

«"Quella si vuole ammazzare! Fermatela! Si ammazzerà!"» qui evitai di trattenermi ridacchiando non poco divertita, mentre lui mi tirava una pacca sulla spalla «Evita di fargli prendere un infarto, mi serve per lo Show.»

Scossi la testa, continuando a sorridere divertita; non erano tanto male quei ragazzi, magari potevamo andare d'accordo.

«Non preoccuparti, se qualcosa ti risarcirò i danni» ridacchiai, mentre inravidi da lontano Kendall, dirigersi lentamente verso di noi; quando mi riconobbe accelerò il passo, ritrovandosi accento ad Andrès.

«Ma la vedi?! Prima esce dal finestrino come fosse una porta e poi eccola!» Mi pntò un dito contro, che quasi mi sfiorò il naso.

Incrociai gli occhi per osservare quel dito, facendo un'espressione abbastanza buffa; era una delle abitudini che mi accompagnavano da quando ero bambina.

«Scusa mamma, non lo faccio più» ridacchiai, osservando la sua espressione stralunata.

Si riscosse, pizzicandomi la guancia e rivolgendosi poi al regista «Per quanto riguarda la scena, ne rimane una sola da girare per questo episodio.

Lo facciamo domani oppure ora?»

Guardai l'orologio che aveva Andrès; era mezzogiorno passato.

Lo vidi scuotere la testa e sorridergli «No, la gireremo la settimana prossima, insieme a quelle del nuovo episodio. Dovreste prendervi tutti una pausa. Domani devo andare ad un incontro importante a cui non posso assolutamente mancare.» Si scostò appena da noi, portando il megafono che aveva in mano alla bocca e parlando con esso «Ragazzi, potete andare a casa. Ci vediamo direttamente la prossima settimana, e vedete di rispettare il solito orario»

Si alzò un chiacchiericcio allegro, mentre ognuno sistemava le proprie cose per poter abbandonare l'edificio.

Intravidi da lontano una chioma biondo scuro avvicinarsi al gruppetto che si era formato tra alcune poltrone; sorrisi, portando le mani alla bocca per poi urlare «Biondo! Che mi combini?!»

Risi divertita, mentre cominciò a guardarsi intorno abbastanza confuso; era l'unico biondo del gruppetto, quindi ero stata fortunata.

Lo vidi voltarsi nella mia direzione, poi allontanandosi appena dal gruppo, per avvicinarsi a me e Kendall.

Mi sistemai il casco di Carlos, che avevo ancora in testa e cominciai a correre verso David.

Lo vidi voltarsi per darmi le spalle, correndo verso l'ascensore poco distante.

Amavo placcare le persone, ma ero quella classica eccezione di ragazza che si avvicinava alla natura animale di un giocatore di Rugby.

Lo avevo quasi raggiunto, così mi lanciai su di lui con un balzo, facendolo cadere a terra, mentre continuavo a stringerlo.

«Ancora hai paura dei miei placcaggi, fratellino?» ridacchia, lasciandogli un bacio sulla guancia ed alzandomi, per evitare di cadere a causa di qualche suo giochetto.

«E' normale, sorellina» ridacchiò appena, alzandosi e dandomi una pacca sul casco, facendomelo cadere davanti agli occhi «Finalmente ti fai vedere dopo tanto»

Sollevai lo sguardo su di lui, notando la sua espressione malinconica; gli sorrisi lievemente, piegando la testa lateralmente.

«Sai, non è facile la situazione in cui sono, e lo sai...» cercai di sdrammatizzare, sorridendo appena.

«Si, lo so... Ma di certo non puoi reagire in questo modo solo perchè ti hanno ferito.» Incrociò le braccia al petto, osservandomi severamente.

Mi sovrastava, nel vero senso della parola; io ero solo un metro e sessanta, ed avevo un fisico non molto muscoloso mentre lui superava il metro e ottanta, muscoloso ma non troppo.

Il lato positivo era che non ero grassa, anzi; ero nella norma ma avevo le forme al posto giusto.

Lui aveva degli occhi azzurri che ho sempre adorato, mentre io avevo degli occhi verde smeraldo, con sfumature dorate.

Altra differenza era l colore dei capelli, David era biondo, e portava i capelli corti, che potevano essere, anche se lontanamente, paragonati a quelli di Logan; i miei erano castano scuro, e come lunghezza arrivavano ai fianchi.

Erano mossi, e da bagnati risultavano ancora più lunghi.

Entrambi andavamo fieri dei nostri capelli, eravamo i "fratelli della cura maniacale del capello".

Chinai la testa, abbassando lo sguardo; il suo era l'unico che non sarei mai riuscita a sostenere.

«Dai, non soffermiamoci sul passato e guardiamo il presente.» sviò il discorso, sapeva che mi faceva male parlarne.

«Già, infatti manca poco per concludere il mio libro» sorrisi allegra, trascinandolo con me.

Mi sollevo da terra, facendomi volteggiare per un pò, per poi lasciarmi di nuovo toccare la terra con i piedi.

«Congratulazioni allora» mi sorrise allegramente, regalandomi un caloroso abbraccio.

Ne avevo bisogno da molto e ricambiai stringendolo forte.

Quando ci allontanammo, notai i quattro membri dei Big Time Rush avvicinarsi a noi, ed il viso di Kendall non poteva certo definirsi allegro o gioioso.

«Cade» il suo tono di voce risultò duro e freddo e non aveva nulla a che fare con quello con cui si era rivolto a me.

«Schmidt» mio fratello rispose con la medesima freddezza, puntando gli occhi in quelli dell'altro.

Storsi appena il naso, a disagio per quella che mi sembrava una rivalità coltivata già da tempo; non ero però intenzionata ad intromettermi, anche perchè non volevo schierarmi da nessuno delle due parti.

Incrociai le braccia al pette, osservando entrambi con attenzione, come a voler scorgere con uno sguardo i loro pensieri più profondi.

Notai il proprietario del caschetto sorridermi, mentre gli risposi, togliendomi l'elmetto dalla testa e passandoglielo, sussurrandogli uno "scusa" appena percettibile.

«Già adocchiato una nuova ragazza?» storsi il naso alle parole di Kendall; mi aveva scambiato per una di quelle ochette che non perdevano mai occasione per farsi notare da Dave.

«E se anche fosse?» inarcai un sopracciglio, in sincronia con mio fratello ma con alcune differenze, il suo era derisorio, come il sorriso che aveva dipinto sulle labbra; il mio era nervoso, come l'espressione corrucciata che mi aveva assalito.

Gli stava reggendo il gioco, e non doveva farlo; avrebbe solamente scatenato un putiferio... Mi trattenni a stento dal tirargli un pugno sulla spalla, anche perchè stava interpretando un ruolo che non doveva minimamente immaginare di farlo, il mio.

Stava imitando il mio comportamento, e la cosa non mi andava per nulla a genio; aveva cominciato a farlo perchè voleva mostrarmi quali fossero le conseguenze e cosa accadeva nelle situazioni, se fossi stata un osservatore esterno.

«Beh, se anche fosse, dovresti vergognarti, anche perchè hai da solo un giorno mollato quella mora nel modo più cruento possibile.» notai il ragazzo, incrociare le braccia al petto, sollevando appena il mento, per poterlo guardare meglio; anche se di pochi centimetri, era più basso dell'altro.

Sapevo della sua ultima "ragazza", anche perchè l'avevo vista correre via piangendo, dopo essere uscita da casa sua; ogni tanto, durante la mia assenza, passavo a controllare la casa, riordinare oppure osservare come si comportava mio fratello.

Non c'erano dubbi che era un vero bastardo con le sue "ragazze" o fan, ma aveva cominciato a comportarsi male anche con i ragazzi, limitando la sua cerchia di amici.

«Lei mi ha chiesto una serata insieme, ed io l'ho solamente accontentata.» si lasciò sfuggire una risatina, mentre con un braccio mi circondò la vita «quindi non ho fatto nulla di male.»

Sbuffai, scostandomi da lui e guardandolo imbronciata, incrociando le braccia al petto e guardandolo fredda.

«David.» il mio era come un ordine silenzioso, e sul mio viso non c'era nemmeno l'ombra di un sorriso, ma solamente un'espressione fredda e distaccata.

«Spenny?» mi fissò per alcuni secondi, inarcando un sopracciglio, sorpreso; solitamente gli reggevo il gioco, anche per allontanare parecchie delle oche che lo circondavano, ma non questa volta.

Rimasi a fissarlo, mentre roteò gli occhi, sospirando e lasciandosi cadere le braccia lungo i fianchi.

«Non è una di quelle oche con cui mi vedete spesso» sorrise, voltandosi verso di me «Lei è la mia sorellina»

Notai Schmidt irridìgidirsi e voltarsi verso di me di scatto «Come?»

Scossi la testa, affiancandomi a mio fratello e sorridendo appena «Io e David siamo fratelli»

Da quella posizione riuscivo ad osservare tutti e quattro i ragazzi, escluso mio fratello; notai James con un sopracciglio inarcato, con una lieve espressione sorpresa in volto, Logan aveva uno strano sorriso, come se avesse ottenuto una conferma riguardo una sua ipotesi, Carlos era rimasto immobile, con la bocca lievemente aperte, mentre reggeva in mano il casco nero.

Kendall aveva gli occhi completamente sgranati e ci fissava intensamente come fossimo due alieni.

«E' una storia lunga e contorta, ho chiesto io a Dave di non spargere la voce su di me, anche perchè non amo particolarmente le telecamere o le interviste» cominciai mentre mi torturavo il labbro inferiore con i denti «In ogni caso, io devo andare.»

Mi allontanai velocemente da David, anche perchè non avevo intenzione di farmi fermare.

Si voltò verso di me, corrucciato.

«Spencer, non ti sei fatta vedere per quasi due mesi. Ricompari, parliamo ed ora te ne vai?» sembrava davvero molto arrabbiato, ma non potevo farci niente; se gli stavo lontana, avevo i miei motivi.

Scossi la testa, mettendomi il cappuccio della felpa in testa e guardandolo di sfuggita «Mi dispiace, ma sai che non posso fermarmi a parlare troppo.»

Cominciò a correre verso di me, scattai, santando contro la parete per prendere con più velocità la curva.

Continuai a correre, fin quando non riuscii a seminarlo dopo aver svoltato in un paio di stradine.

«Ci vediamo in giro, fratellone» sussurrai, vedendolo sfrecciare davanti al vicoletto in cui mi ero nascosta.

Sospirai, incamminandomi lentamente verso la fine del vicolo, per poter raggiungere una zona non molto lontana di Los Angeles.

Lungo il tragitto, ripensai alla mia vita di prima, ed a quella che invece ero costretta a vivere ora.

Prima ero quasi sempre a casa, per scrivere; avevo dei sogni e delle ambizioni.

Volevo intraprendere una carriera da scrittrice, pubblicare libri e magari anche laurearmi in giurisprudenza.

Erano cose che mi accompagnarono fino all'anno precedente; poi cominciai a frequentare un ragazzo che aveva attirato la mia attenzione.

Dopo le esperienze passate, mi ripromisi di evitare qualsiasi relazione con i ragazzi, ma mi lasciai trascinare.

Jordan era un componente di una banda, ed era risaputo che le bande non portavano mai a nulla di buono; mio fratello continuava a ripetermi che sbagliavo a stare con lui e che dovevo allontamarmi, ma non lo ascoltai.

Per questo ora mi ritrovo in questa alquanto scomoda situazione...

Quando mi accorsi che Jordan era soltanto una pessima compagnia, era troppo tardi ed in breve mi ritrovai a capeggiare una banda che coltivava solo rivalità con quella dei 66Route, banda del mio "ex ragazzo".

Mi lasciai cadere su una delle panchine del parchetto che avevo raggiunto; non era molto frequentato, anche perchè non era un quartiere molto sicuro.

Presi dal mio zainetto un libro nero, dalla copertina vellulata; passai lentamente la mano su di essa, soffermandomi sulla scritta bianca "Jolly", che la caratterizzava.

Era il cosidetto "libro nero"; era un grande disonore perderlo o lasciarlo in mani non affidabili.

Stavo per aprirlo, per sfogliarne le pagine, alcune delle quali ingiallite, che sentii delle voci.

Sobbalzai, sistemando velocemente il libro nello zainetto che sistemai sulle mie spalle, mentre sentivo le lattine all'interno tintinnare.

«Ora, ti dispiacerebbe degnarmi di una spiegazione?» riconobbi la voce di James, mentre i passi frettolosi che pochi istanti prima erano ovattati a causa della lontananza, sembrava che si avvicinassero sempre più.

Sussultai, notando che c'erano sia i ragazzi della band che David, ed erano diretti al parchetto dove mi ero rifugiata.

Cominciai a guardarmi intorno, alla ricerca di un nascondiglio; non volevo farmi trovare, ma dovevo sapere cosa stessero combinando in questa zona.

Sospirai, lasciandomi cadere nella siepe che avevo alle mie spalle, agendo come al solito, d'istinto.

«Senti, voi mi avete voluto seguire, io voglio solo ritrovare mia sorella.» Qesto era David, che pareva abbastanza nervoso.

Lo osservai dalla siepe, spezzando un rametto che minacciava di finirmi in un occhio; li osservai mentre il Dave si metteva al centro del parco, osservandosi intorno.

Sapeva che quello era la mia "casa", anche perchè avevo lasciato la mia firma; respiravo con lentezza, evitando qualsiasi movimento che avrebbe potuto farmi scoprire, mentre il mio sguardo rimaneva fisso su quei ragazzi.

«Visto che è quello che volete sapere, Spencer è mia sorella, ha venti anni e non vive più con me. Queste sono le uniche cose che posso dirvi.» Sbuffò, voltandosi verso i quattro, ma soffermandosi su Kendall; dovevano proprio odiarsi quei due.

Storsi il naso, mentre sentii qualcosa sfiorarmi la schiena; mi trattenni a stento dall'urlarle, temendo fosse un serpente o un qualche strano animale, ma fortunatamente era solo un cane che mi aveva fiutato.

Si allontanò non molto tempo dopo, facendomi sfuggire un sospiro.

Non ebbi nemmeno il tempo di voltarmi che mi sentii afferrare per il cappuccio, qualcuno mi trascinò fuori dalla siepe, mentre cominciai a dimenarmi.

«Giù le mani!» urlai, senza smettere di agitarmi.

Mi calmai solo quando riconobbi mio fratello; dovevo aver fatto rumore tra la siepe, per scacciare il cane.

«Allora?» il suo tono apparve severo, mentre incrociava le braccia al petto e mi osservava come un padre con la figlia.

«Mi era caduta una cosa» mentii spudoratamente, facendo una strana espressione, che doveva avvicinarsi a quella di un innocente coniglietto.

Magari si sarebbe sciolto con un pò di dolcezza, così giocai la carta degli "occhioni da cucciolo".

La sua espressione non cambiò e mi ritrovai a sbuffare di nuovo, guardandolo nervosa.

«Cosa?» gli chiesi, mettendomi seduta sullo schienale della panchina, piegandomi in avanti ed osservandolo.

«Spencer, non ti sembra il momento di ritornare a casa?» chiese, senza mostrare cedimenti, mentre mi osservava attentamente.

Magari quello di fissare male e freddamente le persone era un "vizio di famiglia"; tutta colpa del DNA.

Non notai nessun cedimento, così scossi appena la testa «David, lo sai... Se torno ti coinvolgo con la questione 66Route» puntai i miei occhi nei suoi, smeraldi contro due laghi.

Scosse la testa sorridendomi dolcemente ed allargando le braccia.

«A me non è mai importato nulla delle conseguenze» per tutto il tempo non staccò i suoi occhi dai miei, incastrandomi completamente e facendomi sorridere.

«Cosa c'è per pranzo?» ridacchiai, sorridendogli allegramente.

Come al solito non ero riuscita a rifiutare e mi ero lasciata trascinare; una delle cose positive è che invitai anche i Big Time Rush, anche se due persone non erano molto attratte dall'idea.



(Visto che mi sono soffermata troppo su questa situazione, sorvolo il ritorno a casa e passo direttamente al pranzo)

Visto che nessuno aveva molta voglia, decidemmo di mangiare in un Mc Donald's, anche perchè avevo voglia di abbuffarmi cone un'animale.

Eravamo seduti al tavolo, in attesa che arrivasse una qualche cameriera a prendere l'ordinazione ed un pesante silenzio era calato su di noi.

La tensione poteva essere tagliata con un coltello...

«Allora» cercai disperatamente un argomento di cui parlare, anche per rompere il ghiaccio, visto che la situazione tra i ragazzi era imbarazzante «Parlatemi un pò di voi, su» sorrisi verso i ragazzi, cercando di tirar fuori qualche punto in comune tra loro e mio fratello.

«Magari possiamo soffermarci sul fatto di quanto sia magnifico, e di te, che hai osato rifiutarmi» fu James a parlare, che cominciò a fissarmi insistentemente.

«Sai, mi fai pensare che non hai mai avuto una ragazza...» cercai di stuzzicarlo, trattenendo un sorriso.

Notai Logan strozzarsi con l'aria, mentre gli altri evitarono di trattenersi dal ridere.

Cominciò a parlare, sistemandosi con attenzione i capelli che, dovevo ammetterlo, erano fantastici «Per tua informazione, ho avuto moltissime ragazze, e tutte sono rimaste soddisfatte del servizio che-» «Non voglio sapere!» lo interruppi bruscamente, senza trattenere un'espressione che si avvicinava al disgustato «Non ci tengo ad immaginarti mentre fai "cose" di cui preferirei non parlare»

Mi scossi appena, mentre un brivido gelido mi attraversò la schiena, al solo immaginare una cosa del genere.

«La mia piccola ed ingenua sorellina» disse David, passandomi un braccio attorno al collo e scompigliandomi i capelli.

«Non toccare i miei capelli!» non riuscii a trattenermi dallo sbraitargli contro, cercando in tutti i modi di sfuggire alla sua presa.

Una volta libera, presi il mio amato pettine dal mio zainetto, osservandomi nella vetrina e sistemandomi i capelli con grandissima attenzione

Notai gli sguardi incuriositi dei ragazzi, mentre James sorrideva soddisfatto «Sa ragionare benissimo la ragazza»

«Una delle cose che non sapete di mia sorella, è che è una maniaca della cura attenta e perfetta del capello» ridacchiò appena, facendo segno che cìfossi fuori di testa, mentre gli scoccai un'occhiata gelida.

«Beh, i nostri James e Logan solo dei maniaci della cura dell'aspetto fisico in generale, ma James si sofferma di più sui capelli» affermò Carlos, senza trattenere la sua risata contagiosa.

Scossi la testa, ridendo allegramente «Si, ma c'è da dire che, modestie a parte, i miei capelli sono Fa-vo-lo-si» sottolineai l'ultima parola, mettendoci enfasi e muovendo ad ogni sillaba la testa dal lato opposto a dove si trovava.

Qui, nemmeno Logan riuscì a trattenersi, e fortunatamente, tra una cosa e l'altra, ero riuscita a distruggere il muro di ghiaccio che si era creato.

Notai una cameriera avvicinarsi a noi, visto che era arrivato il nostro turno di ordinare.

«Ragazzi, ora si mangia, quindi non azzardatevi a distrarmi, parlarli, interromperi o rubarmi cibo dal piatto.» attirai l'attenzione degli altri, stabilendo serie regole di sopravvivenza, anche perchè non ero per nulla intenzionata a mangiare poco o niente.

«Mangi davverò così tanto?» chiese Logan, fissandomi ed inarcando un sopracciglio; nonostante la mia fisionomia, mangiavo a quantità industriale.

Gli scoccai un'occhiata con cui avrei potuto spaventare persino il leone più vìferoce del mondo, mentre digrignai appena i denti, chinando il capo e rendendo lugubre la mia espressione.

«Sono affamata come una capra irlandese, quindi taci.» sibillai, con una voce che ricordava vagamente Tremotino.

«Facciamo così, a mangiare, vai a casa loro, e il resto delle cose a casa nostra.» affermò mio fratello, guardandomi serio.

Mi voltai, osservandolo attentamente; gli regalai un sorriso che fece assomigliare il mio viso al musetto di un coniglietto, così lo feci ridacchiare.

«Ma che faccino carino» scoccai un'occhiata truce a Kendall, che si scostò appena, fino a poggiare la schiena contro lo schienale, come per paura che potessi arrampicarmi sul tavolo e sbranarlo nel vero senso della parole.

Sorrisi appena, lasciando scomparire quella traccia di allegria dal mio viso, quando la cameriera si avvicinò con un menù già pronto... Eppure non avevamo ordinato nulla.



Angolo Demon

Salve lettori :3

Qui con il secondo capitolo!
Penso che anche se molto lentamente, stia portando la storia verso la parte leggermente più interessante.

Ma cosa sarà mai il Libro Nero che aveva Spencer?

Ma chi lo sa uwu

Finirà qui la rivalità tra Kendall e David? O continuerà per molto?

Perchè la ragazza chiama "casa" quel parco poco frequentato?

Quale sarà il suo passato? Cosa nasconde?

Domande che rimarranno per molto, senza risposta.

Ringrazio coloro che seguono la mia storia e le recensioni del primo capitolo

Spero solo che non sia dovuto al fatto che ho chiesto delle OC

In ogni caso, i ruoli nella storia, chiarisco anche qui che saranno decisi sia da me che dai loro "proprietari", sia per non allontanarmi dalla trama (che sono intenzionata a rispettare), sia per impedire ruoli simili.

Inoltre, vi chiedo di mandare le schede compilate SOLO tramite MP.

Con questo vi saluto, ed al prossimo capitolo!


Intanto, visto che mi ruba parecchio tempo inviare le OC a tutti, metto qui la scheda (connessione lenta e pochissimo tempo libero)


Nome:

Cognome:

Eventuale soprannome:

Età:

Sesso:

Data di nascita:

Nazionalità e città di provenienza:

Aspetto Fisico:

Abbigliamento:

Aspetto Caratteriale:

Hobby:

Sport:

Abitudini:

Cose che Odia:

Cose che Ama:

Altro:

Fobie/Tic:

Famiglia:

Relazione (se si fidanzerà e con chi; i rapporti di amicizia eccetera):

Eventualmente come e se conosce Spencer:

Segni Particolari:

Persone con cui va d'accordo:

Interessi:

Gruppo Sanguigno:

Professione (lavoro o lavori part-time e se lavora):

Rancori:

Sogno:

Punti deboli:

Punti di forza:

Difetti:

Pregi:

Altra occupazione:

Animale Domestico:

Dove e con chi vive:

Nemici:

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Osservai confusa la cameriera, anche quando spinse il vassoio verso di me.

«Scusi, ma credo abbia sbagliato tavolo... Noi non abbiamo ancora ordinato» mi grattai appena il naso, come facevo spesso quando ero nervosa o imbarazzata.

La cosa strana era che quello era il mio menù preferito, che però solo mio fratello conosceva.

«Nessun errore» la ragazza, sorridendomi rassicurante.

La osservai con attenzione; aveva capelli neri, lunghi fino alle spalle, occhi nocciola, più chiari rispetto a quelli di Logan. Era abbastanza alta, o meglio, sicuramente più di me, ed indossava una divisa costituita da un pantalone nero ed una maglietta del medesimo colore, con una stampa del nome della ragazza e dell'insegna del locale.

Storsi appena il naso, accorgendomi che era la cameriera che mi serviva di solito, ma non si sarebbe mai permessa di preparare un'ordinazione senza chiedere.

«Il menù lo ha ordinato un ragazzo al bancone, chiedendomi di portarlo a questo tavolo» sorrise dolcemente, guardandomi; doveva immaginare fosse il mio "ragazzo".

Scossi la testa, spingendo il vassoio verso di lei e chiedendo «E' ancora nel locale il ragazzo?»

La vidi annuire, così le sorrisi appena «Scusa per il disturbo, ma puoi riportarglielo e dirgli da parte mia che non deve azzardarsi più? Cerca di usare queste parole»

«Capisco» mi sorrise appena «Intanto prendo le ordinazioni, così non sarete costretti ad attendere oltre.»

Mi sorrise, cominciando ad annotare i vari cibi da preparare, dopodichè si allontanò, dirigendosi al bancone e trafficare con vari oggetti.

Ci davamo del tu, visto che per me era un'abitudine andare in quel locale, e per lei servirmi al tavolo.

«Come mai hai rifiutato? Potevamo cominciare a mangiare» Carlos non doveva aver preso bene il mio rifiuto, anche perchè stava morendo di fame.

Ridacchiai appena, trafficando nello zainetto e trovando una tavoletta di cioccolata «Volendo ho questa, visto che penso siate affamati»

Gli passai la tavoletta, mentre chiusi di colpo lo zaino, notando mio fratello che si sporgeva per spiarne il contenuto.

«Ma è la borsa di Mary Poppins o cosa?» ridacchiò allegro, io gli tirai un pugnetto sulla spalla per risposta.

«C'è solo l'indispensabile» sorrisi allegramente, sistemandolo sul tavolo per chiuderlo meglio.

«Mi fai vedere il libro?» alzai lo sguardo, cancellando ogni traccia di divertimento sul mio viso, guardando David.

«David.» bastò pronunciare il suo nome per placare almeno in parte, la sua curiosità.

«Dai, in fondo hai visto che di loro non c'è da preoccuparsi» cercò di convincermi, tirando nella questione i ragazzi, che guardarono confusi sia me che lui.

«Non è questo. Prima di tutto, nemmeno tu dovresti saperlo, ed ancora non sono contenta di questa cosa. Non l'ho digerita» il mio tono apparve duro, mentre lo guardai gelida.

Odiavo trattarlo male, ma quella questione era tabù per me; nessuno doveva esserne a conoscenza, questa era una delle regole.

Ma lui lo sapeva; non potevo impedirgli di essere curioso, ma di certo non potevo mostrarlo ad altri.

Fortunatamente la cameriera interruppe il nostro piccolo "battibecco", portando ciò che avevamo ordinato poco prima.




Nonostante avessi spezzato il ghiaccio, tra Kendall e David non scorreva ancora buon sangue; ne erano prova le frecciatine che si lanciavano a vicenda durante il pranzo.

Eppure, cosa strana ma vera, evitavano di esagerare.

«Sorellina, puoi allontanarti un secondo? E' una cosa tra ragazzi» mio fratello mi riportò con i piedi per terra.

Era sempre stato un tipo diretto, che qualche volta non riusciva a trattenersi dal dire quello che pensava; a differenza mia, aveva autocontrollo.

Io invece, non riuscivo proprio a nascondere nulla.

Mi allontanai dal gruppetto, andando verso una vetrina poco distante; spiai al suo interno, poggiando le mani al vetro ed accostando anche il viso.

Notai che era una ferramenta, così entrai all'interno.

Era ampia e ben tenuta; molto luminosa anche.

Si avvicinò un uomo mingherlino e non esageratamente alto, sorridendomi appena «Cosa posso fare per te, piccola?»

Sorrisi, continuando a guardarmi intorno «Mi servirebbero alcune cose» estrassi dallo zainetto un foglio, indicandogli alcune cose specifiche.

Si allontanò per qualche minuto, ritornando poco dopo con una borsa sigillata.

«Ecco a te» mi porse l'oggetto, senza abbandonare il suo sorriso.

«Spencer, sei qui?» avvertii una voce alle mie spalle, mettendo in fretta la borsa nello zaino, come per paura di essere scoperta, e porsi all'uomo la carta che usavo per pagare nei negozi.

«Sono qui, Dave» risposi calma, cercando di risultare naturale.

«Che ci fai in una ferramenta?» chiese incuriosito, guardandosi intorno, mentre notai i ragazzi fuori, che parlottavano tra di loro, lanciandoci delle occhiate di tanto in tanto.

«Nulla, mi serviva una cosa» Inserii il pin, in modo tale da permettere il prelievo.

Pochi attimi dopo e mi passò la carta, sorridendomi «Ecco a te, ed alla prossima»

Gli fui grata per aver evitato di chiamarmi per nome, anche perchè dopo avrei dovuto spiegare a mio fratello perchè passo spesso e volentieri in quella ferramenta.

Conosceva l'esistenza del Libro Nero, ma non il suo contenuto.

Mi diressi a passo spedito verso la porta, uscendo dal negozio, seguita da mio fratello.

«Spencer, volevo dirti delle cose» fece cenno verso i ragazzi, che annuirono.

Lo vidi sorridere e sussurrare un "grazie".

«Sai che Andrès deve andare ad un incontro tra registi» cominciò, poggiandosi al muro, come fosse in cerca di un sostegno «In sintesi, mi ha chiesto di andare con lui, così da potermi passare qualche altro ruolo da interpretare»

Gli sorrisi allegra «E non è positivo?»

«Si ma, non voglio lasciarti sola a casa» a queste sue parole storsi il naso, piegando lateralmente la testa.

Avevo capito dove voleva andare a parare.

«Vuoi che vada dai Rush?» chiesi, incrociando le braccia al petto e squadrandolo.

«In effetti si, ma ovviamente passerai a casa per farti le valigie ora» continuò, senza abbandonare la sua preoccupazione.

Gli sorrisi, cercando di rassicurarlo «Tranquillo, posso capire» cominciai, osservandolo attentamente «Ma ti fideresti a lasciarmi con quattro ragazzi che ricordano vagamente le bestie della prateria?»

Ridacchiò a queste parole, scuotendo la testa «Anche se non andiamo molto d'accordo, c'è da dire che sanno essere responsabili, quando voglio. Poi non penso che oseranno allungare le mani più di tanto» qui scoccò un'occhiataccia ai quattro, facendomi scappare una risatina divertita.

«Va bene, accetto» decisi di accontentarlo, anche per non farlo preoccupare durante il viaggio.

Sapeva che se fossi rimasta sola, sarei scappata di nuovo al parco.





Di sera, Dave mi accompagnò alla casa dei ragazzi e mi aiutò a portare la valigia alla porta.

Mi reputava ancora una ragazzina fragile, e sorrisi a questo pensiero; mi ricordava quei genitori iperprotettivi che non vogliono lasciare che i figli crescano.

Per lui non ero ancora cresciuta e non esitava a tenermi sotto la sua ala protettiva, trattandomi alcune volte, come fossi sua figlia.

Suonai il campanello, attendendo che qualcuno aprisse la porta; nel frattempo abbracciai mio fratello, come quando facevo spesso da piccola.

«Fa attenzione» sorrisi, sussurrandogli «Ti voglio bene, fratellone»

«Anche tu piccoletta» mi scompigliò appena i capelli, ma non mi lamentai; in fondo, era parte di me «Devo andare o perderò il volo. Ci rvediamo tra qualche giorno»

Lo salutai con la mano, mentre lo osservavo salire in auto e partire; non mi ero accorta che Logan, in quel frangente di tempo, aveva aperto la porta.

«Buonasera anche a te» mi fece voltare, come per farmi notare la sua presenza.

«Ciao Logie» ridacchiai, tirando una pacca sulla spalla e varcando la soglia di quella che dovevo considerare casa mia per i giorni successivi.

Mi stiracchiai le braccia, fino a sentire scricchiolare le ossa e, lasciando la valigia quasi accanto all'entrata, raggiunsi il salone, lasciandomi cadere sul divano.

Il moro scosse la testa, chiudendo la porta e raggiungendomi, sedendosi poi accanto a me.

«Allora? Come hai intenzione di passare il tempo?» aveva usato un tono alquanto malizioso, come l'espressione che aveva dipinta in viso.

Inarcai un sopracciglio, squadrandolo appena e decisi di mettere in chiaro le cose «Puoi scordarti qualsiasi cosa. Se hai bisogno, chiama una di quelle ochette che ti sbavano dietro.»

Non trattenne una risata divertita, mentre si sporgeva verso di me «Qualcosa mi dice che con te non avrò vita facile»

Sorrisi compiaciuta, accavallando le gambe e sporgendomi a mia volta, facendo toccare le nostre fronti «E penso che abbia indovinato»

Sorrise a sua volta, ma aveva una strana nota che non riuscivo ad inquadrare «Sai che però rende la situazione più interessante?»

Una stranissima sensazione prese il sopravvento su di me, mentre portava una sua mano sulla mia coscia.

Gliela pizzicai, costringendolo ad allontanarsi «Non ci provare nemmeno»

«Prima o poi cederai» sogghignò, riavvivandosi i capelli con una mano «Tutte cedono»

«E' una sfida questa?» socchiusi appena gli occhi, osservandolo attentamente, poi mi lasciai scappare una risatina «E tu pensi che io sia come le altre?»

Scosse la testa, puntando i suoi occhi petrolio nei miei smeraldo«Assolutamente no. Con le altre il divertimento è davvero poco. Cedono troppo facilmente»

Storsi il naso, sorridendo in un modo strano che non riuscivo a definire nemmeno io «Che ne dici di una scommessa?»

Intravidi una strana luce balenargli negli occhi, mentre ritornava il suo sorrisetto malizioso; doveva essere una sua caratteristica.

«Che scommessa?» appariva incuriosito, e la cosa si faceva sempre più interessante.

«Dovrai farmi cadere ai tuoi piedi» sorrisi sadica, facendo leva sulle braccia e sedendomi sul bracciolo del divano «Ma se non ci riuscirai, dovrai farti una corsa per Los Angeles, la zona più affollata-»

«Tutto qui?» chiese confuso, inarcando un sopracciglio.

Non sapevo se ridere o meno, visto che avevo in mente qualcosina di estremamente imbarazzante.

«No, dovrai indossare solo un reggiseno fluorescente ed un paio di boxer; inoltre dovrai portare una sirena, di quelle che emettono quello squillante suono. Nessun altro vestito, nessuna parrucca, niente occhiali da sole e cappelli. Potrai indossare le scarpe volendo.» notai un'espressione a metà tra il confuso ed il terrorizzato, il che, mi fece scappare una risatina «Per un'ora e mezza, ovviamente dovrai correre.»

«Ucciderai la mia dignità» mi osservò con attenzione, come fosse in cerca di qualcosa.

«Si, ma fa nulla» sorrisi divertita, dandogli delle piccole pacche sulla guancia.

«Se vincerò io, dovrai fare un video, in cui confessi pubblicamente di amarmi, ed ovviamente che sono il migliore, il più bello, magnifico e-» cominciò il suo elenco da narcisista, così scossi la testa, interrompendolo.

«Si, hai reso l'idea. In pratica tu vuoi lapidare il mio buon nome» trattenni a stento na risata, mentre gli porsi la mano.

«Esattamente» confermò, stringendomela, come a sigillare un accordo.

Continuò a stringermi la mano per molti secondi, che mi parvero ore.

«Posso riavere la mia mano?» chiesi, inarcando un sopracciglio mentre sul mio viso prendeva forma un'espressione interrogativa.

Non ebbi il tempo di reagire, che mi tirò verso di se, facendomi cadere non so nemmeno io come, di schiena, sulle sue gambe.

Storsi il naso, mentre continuava ad osservarmi, senza allontanare nè avvicinare il viso dal mio; a quanto pareva, era cominciata la guerra.

Da quella posizione non riuscii a non osservare con attenzione il sorrisetto che però non lasciava trasparire i suoi più profondi pensieri; eppure, i suoi occhi, era come se ti scavassero dentro l'anima, e potessero leggere tutti quelli degli altri.

Ricambiai il sorriso, con uno simile al suo, che però non lasciava intendere che emozione raffigurasse.

«Un bel sorriso!» una terza voce interruppe il momento, mentre ci avvolse una luce intensa.

Mi voltai sorridendo e mostrando un pollice in su, come a dire "ottimo".

«Carlos, si può sapere che diamine combini?» la voce di Logan apparve non poco contrariata, mentre lasciava la mia mano e si alzava di colpo, facendomi rotolare sul tappeto.

«Logan!» sbattei un paio di volte le palpebre, mentre avvertii un secondo flash.

In quel frangente di tempo, Kendall raggiunse la stanza, bloccandosi quando si accorse che ero sdraiata a terra come un cadavere.

«Allora... Prima di tutto, spiegatemi che avete da urlare. E secondo... perchè Spencer è sdraiata a terra? Il divano non è abbastanza comodo?» sentii il suo sguardo su di me, mentre il moro era indeciso se mandare Kendall al diavolo e pestare Carlos, oppure spiegare parte della situazione al biondo.

Alzai il braccio, salutando Kendall ed attirando la sua attenzione su di me «Puoi chiedere a Logan perchè sono qui»

Avvertii la risata divertita del latino arrivarmi alle orecchie «Kendall, ti sei perso una scena esilarante!»

«Carlos, perchè hai scattato la foto?» notai il ragazzo che mi aveva fatto cadere per errore, ma che continuava ad assalire l'altro, senza aiutarmi, avanzando appena.

Gli tirai un pugno sulla gamba, costringendolo ad indietreggiare e mettendomi seduta.

«Che ho fatto ora?» si rivolse a me, quasi ferito.

«Mi stavi distruggendo una costola!» gli risposi, alzandomi da terra.

Mi avvicinai alla credenza dalle porte in legno e vetro, osservando il mio riflesso e sistemai i capelli.

Potevano anche chiamarmi "fanatica dei capelli" o con qualsiasi altro stupido soprannome, ma quella ero io, l'unica, la sola, la vera Spencer Cade, e non sarei mai cambiata per nessuno.

O meglio, non di nuovo...

Buttai i capelli in avanti, scuotendoli appena e cercando di scompigliarli non troppo e renderli più vivaci; rialzai la testa, osservando il risultato allo specchio e sorridendo soddisfatta.

Mi affiancai a Carlos, sistemandomi di fronte a Logan, mentre Kendall si avvicinò per rendersi partecipe della cosa.

«Mio fratello ha chiesto a Carlos di tenere d'occhio me e tenerlo aggiornato sulla mia "relazione" con le persone che frequento e mi circondano; così lui ha ben pensato di scattare delle foto che poi vedrà» spiegai, mentre Carlos annuiva con un sorriso dipinto in viso.

«E tu lo sapevi?!» la voce di Logan si alzò di un'ottava, non aveva preso bene la notizia.

«No, semplicemente l'ho scoperto per conto mio. Io so tutto di tutti, nessuno escluso. Potete considerarmi un Dio» sorrisi divertita dalle espressioni che avevano dipinte in viso.

Ridacchiai, scuotendo la testa ed andando verso quella che doveva essere la cucina «Io ordino la pizza; ne volete?» chiesi affacciandomi dalla porta, osservando le tre facce ancora sconvolte.

«Ovviamente!» fu la voce pimpante di Carlos a rispondere, che mi raggiunse trotterellando.

Chiamai la mia pizzeria di fiducia, ordinando le agoniate pizze.

Il proprietario ed i pizzaioli erano di origine Italiana, patria della pizza, quindi con lui si andava sul sicuro; altro aspetto positivo era che aveva assunto da non molto tempo, anche dei cuochi, così da lasciar circolare anche piatti tipicamente italiani.

Potevamo considerarlo un ristorante, sotto alcuni punti di vista.

«Che ne dici di aiutarmi, Los?» mi rivolsi al latino, che intanto frugava nel frigo e nella credenza.

«A fare cosa?» chiese osservandomi curioso; anche se non ci conoscevamo da più di un giorno, avevamo legato particolarmente.

«Scommetto che cercavi qualcosa di dolce» ridacchiai, poggiandomi al bordo del lavello, portandovi anche le mani.

Mi guardò colpevole, poi scosse la testa «Si, ma non c'è niente»

Notai la sua espressione imbronciata, e non trattenni una risatina divertita.

«Visto che sono le sei, ed ho ordinato le pizze per le nove, che ne dici di accompagnarmi al supermarket? Magari preparo un dolce» alle mie parole, il suo viso si illuminò, urlandomi un "torno subito" mentre correva su per le scale.

Ipotizzai per prendere un giubotto, visto che l'aria era abbastanza fresca; sorrisi dolcemente, scuotendo la testa ed avviandomi verso l'uscita, mentre infilavo il giubotto di pelle nera, aspettandolo alla porta.

«Dove vai?» era la voce di Kendall, che incuriosito, mi aveva raggiunto.

«E chi lo sa» ridacchiai, aprendo la porta e scostandomi appena «Non preoccuparti, biondo. Torno subito.»

Un tonfo ci vece voltare entrambi, osservando un Carlos che saltava le scale due a due, senza preoccuparsi del rumore assordande che provocava.

«Andiamo!» non ebbi il tempo di dire nulla, che mi prese per un braccio, trascinandomi fuori dalla casa, lasciando un Kendall abbastanza sconvolto, alla porta.

Continuammo a camminare a passo svelto, ridendo e scherzando come due quattordicenni spensierati, fin quando non arrivammo a destinazione.

Presi un carrello, cominciando a spingerlo ed entrando nell'edificio, seguita dal moro.

Cominciammo a gironzolare, alla ricerca dei vari ingredienti mentre Carlos mi seguiva, guardandosi intorno alla ricerca delle gelatine alla frutta.

Ne andava matto.

Mi sollevai sulle punte dei piedi, per poter arrivare allo scaffale più in alto e prendere la polvere di cacao.

«Los, mi aiuti?» chiesi, senza voltarmi a guardare il moro.

«Arrivo» disse, camminando all'indietro, senza smettere di cercare le gelatine.

Non feci in tempo a fare o dire nulla; Carlos mi finì addosso, spingendomi e facendomi perdere l'equilibrio.

Caddi nel carrello mentre il ragazzo a terra, finendo contro la cesta, che cominciò a muoversi, acquisendo un pò di velocità.

«Fermate quel carrello!» mi ritrovai urlando, reggendomi ai bordi, mentre il latino si rimise subito in piedi, correndo nella mia direzione.

Mi voltai, notando che mi avvicinavo sempre più allo scaffale dei cibi in scatola.

«Ma che sfiga...» ebbi il tempo di sussurrare, poi un forte tonfo ed una marea di scatolette mi cadde addosso, e cercai di attutire i colpi, parandomi con le braccia e raggomitolandomi.

«Penny, sei viva?» la sua voce era rotta dal fiatone che aveva; in fondo, mi aveva rincorso per tutta la lunghezza del negozio.

Mi sollevai, facendo rumore con le scatolette, mentre mi prese in braccio, per farmi scendere dal carrello.

Avevamo combinato un casino...

«Ora... che facciamo?» chiese, rimettendomi coi piedi per terra.

«Rimettiamo tutto a posto... anche se ci metteremo più tempo del previsto» ridacchiai, guardandolo divertita «Però voglio rifarlo.»

Lasciammo libero sfogo alle nostre risate, affrettandoci a sistemare le scatole sugli scaffali ed andare alla cassa; dopo mezz'ora, ci ritrovammo a camminare lungo il vialetto di casa Rush.

Appena misi piede sul tappeto situato davanti alla porta, fui trascinata all'interno dell'abitazione, seguita da Carlos.

«Si può sapere dove siete stati? E' da più di un'ora che siete fuori.» la voce di Kendall apparve fredda, come se volesse rimproverarci.

Scambiai uno sguardo d'intesa con il divertimento fatta persona, e scoppiammo a ridere divertiti sia dalla situazione, anche perchè i ricordi di quello che era successo poco prima, riaffioravano velocemente.

«Smettetela di ridere e parlate.» il suo tono autoritario, peggiorò la situazione; poggiai la schiena contro la porta, scivolando fino a sedermi a terra, il tutto senza smettere di ridere.

Il ragazzo, invece, si teneva con le mani al mobile che era in corridoio, abbandonando le borse della spesa a terra, mentre si sganasciava dalle risate.

«Non puoi capire Kendy, Los mi ha quasi ucciso» tra una risata e l'altra cercai di spiegargli la situazione, che ancora non era ben chiara.

«Avete bevuto o cosa?» Logan aveva raggiunto il compagno, osservandoci come fossimo alieni impazziti venuti da chissà quale lontano e sconosciuto pianeta.

Scossi la testa, cercando di riprendermi; mi sollevai, recuperando la borsa ed andando verso la cucina, voltandomi verso "l'abbronzato" «Los, mostragli il video»

In effetti, avevamo un video che ritraeva l'intera scena, da quando cercavo di prendere la cioccolata in polvere, a quando abbiamo sistemato le lattine.

Per nostra fortuna, il ragazzo addetto alla sicurezza era simpatico e ci aveva passato una copia del video, divertito anche lui.

Ci aveva raggiunti all'uscita, facendoci preoccupare; pensavamo di essere nei guai, poi ha chiesto il permesso di metterlo sul web, facendoci ridere ovviamente.

Poggiai le borse sul tavolo, lanciando il giubotto su una sedia e cominciando a trafficare tra pentole e stoviglie.

Poco dopo mi raggiunse un Carlos divertito, mentre le risate degli altri arrivavano fin dove mi trovavo.

«Avevi detto che ti avrei aiutato» attirò la mia attenzione, facendomi voltare; mi ritrovai di fronte un faccino affranto, con gli occhi lucidi.

Il trucco degli occhioni dolci...

Sorrisi addolcita, tirandogli le guance e dicendo «Se vuoi aiutarmi, certo che puoi.»

Recuperò il sorriso, mentre tra chiacchiere e risate, reparavamo la torta.

Carlos era andato a lavarsi le mani, mentre io mettevo il dlce nel forno, regolando tempo e temperatura.

«Ma che è successo qui?» la voce di Logan mi arrivo limpida alle orecchie, mentre gettava uno sguardo prima agli arnesi da cucina sporchi, poi a me, che ero ricoperta di zucchero e lievito.

Sorrisi, scuotendo la testa e prendendo alcune delle cose da lavare «Se stasera mangerete il dolce, sarà merito mio e di Carlos»

Mi avvicinai alla lavastoviglie, cercando di aprirla, nonostante avessi troppe cose tra le mani.

«Aspetta, ti aiuto» ridacchiò il moro, aprendola ed aiutandomi a sistemare le cose all'interno.

Una volta chiusa, mi osservai alcune ciocche di capelli, storcendo il naso.

«Sarà meglio che vada a farmi una doccia» sospirai, osservandolo poggiato allo stipite della porta.

«Vuoi che ti tenga compagnia?» disse, assumento un tono decisamente troppo malizioso.

«No grazie, magari Los ha bisogno di una mano» gli sorrisi, abbastanza "spaventata".

Non gli diedi tempo di ribattere, e mi fiondai in salotto, urlando «Dov'è il bagno? E la mia camera?»

«Vuoi che ti accompagni, picc-Ma che diavolo hai fatto?!» era stato James a parlare.

Doveva essere rientrato da non molto, e mi riservò uno sguardo tutt'altro che allegro.

«Mi sono messa ai fornelli, non fare domande.» ridacchiai, mentre osservavo Kendall fissare la televisione «Kendy, mi accompagni tu?»

Sorrisi nel vedere la tua espressione corrucciata, per nulla contento del soprannome.

«Non chiamarmi così, ti prego...» mi implorò, rivolgendomi la sua attenzione «E perchè io?» chiese poi, inarcando un sopracciglio.

«Perchè so per certo che non mi salteresti addosso» risposi con fare ovvio.

«Nemmeno io lo farei!» era stato James a parlare «Tanto sarai MIA.»

Gli riservai uno sguardo tra lo sconvolto ed il terrorizzato, mentre Kendall abbandonava il divano, per raggiungermi.

«Meglio che ti accompagni io, per davvero.» scosse la testa, guardando terrorizzato James «Mi preoccupa sempre più quel ragazzo...»

Non riuscii a trattenere una risata, mentre sollevavo la valigia, cominciando a salire le scale.

«Vuoi una mano?» tese una mano verso la mia valigia, come per prenderla, ma io la scostai appena.

«Tranquillo, ce la faccio» dissi, poggiando a terra la valigia, una volta raggiunto il piano superiore.

Mi guidò lungo il corridoio, indicandomi le varie stanze, rivelandomi i loro proprietari; James, Kendall, Carlos e Logan.

Mi ritrovai la stanza di fronte a quella del moro dal sorriso malizioso; non mi era andata tanto male. James si che mi preoccupava...

«E grazie» mi voltai verso il biondo, sorridendogli allegra «Kendy»

Lo vidi sospirare, mentre scuoteva la testa «Fa come fosse casa tua, Penny» sorrise, per poi voltarsi e scendere le scale.

Rimasi qualche secondo ad osservarlo; era un bravo ragazzo, anche se non andava d'accordo con mio fratello.

Bello d'aspetto e ben piazzato; gentile, cordiale e simpatico, anche se forse un pò freddo.

In effetti potevo capirlo, visto che non ci conoscevamo così bene, ma io mi ero già fatta un'idea su di lui. Magari è anche un gran rubacuori, e ridacchiai a questo pensiero.

Ritornai in me, aprendo la porta, spintonando la valigia nella stanza e facendo per entrare a mia volta, ma una voce mi bloccò.

Mi voltai, sorridendo, inquadrando il ragazzo che mi aveva lanciato contro lo scaffale; notai che aveva solo un'asciugamano avvolta attorno alla vita.

Rimasi con la bocca lievemente aperta, visto che avevo appena pronunciato metà del suo nome, mentre l'altra mi morì in gola.

Osservai il petto nudo, abbronzato e con un lieve accenno di muscoli; poteva almeno vestirsi prima di chiamarmi.

«Siamo vicini di stanza» sorrise allegro, avvicinandosi e riscuotendomi dai miei pensieri.

Mi ero ovviamente soffermata sullo "spettacolo" che mi aveva gentilmente offerto, anche perchè è normale che vi cada l'occhio.

Sorrisi a mia volta, piegando appena le testa, per poterlo guardare meglio, visto che l'altezza non me lo concedeva.

«A quanto pare si» spostai le mani dietro la schiena, unendo le mani «Non pensi sia il caso di metterti qualcosa addosso prima di beccarti una broncopolmonite?» ridacchiai, seguita da lui.

«In effetti si» mi scompigliò i capelli, indicandomi una stanza in fondo al corridoio «Lì c'è il bagno, se dovesse occorrerti»

Con questo scomparve nella sua stanza, lasciandomi lì; sospirai appena, entrando in quella che doveva essere la mia stanza.

La scrutai con attenzione.

Le pareti erano dipinte di un bellissimo azzuro indaco; un'armadio troneggiava sulla parete frontale a dove si trovava il letto ad una piazza e mezza.

Accanto all'armadio era sistemata una libreria colma di libri, che subito attirò la mia attenzione, ma l'avrei ispezionata dopo il bagno caldo che mi aspettava.

Le lenzuola blu notte facevano risaltare le pareti; ad uno dei lati del letto c'era un comodino anch'esso blu, su cui era posizionata una sgargiante lampada a fantasia delfino.

Di fronte la porta, c'era invece un'ampia finestra, mentre nell'angolo poco distante, una chitarra classica pativa la solitudine, ad esclusione della scrivania affiancata.

Sorrisi involontariamente, immersa nei miei pensieri.

Mi riscossi, prendendo l'occorrente per lavarmi ed il mio semi-adorato accappatoio rosa con le orecchiette sul cappuccio.

Corsi velocemente verso il bagno, con solo l'accappatoio addosso, ed un "piccolo" beauty case tra le mani. Mi fiondai nella stanza, mentre venivo investita da un calore che amavo letteralmente.

Osservai la stanza, notando poi la vasca di fronte a me.

Sapevo che i ragazzi erano abituati a fare la doccia, quindi scartai l'idea che qualcuno fosse arrivato lì prima di me.

Cominciai, lavandomi i capelli ed impiegandoci quasi mezz'ora; li sistemai con un'asciugamano tenendoli fermi sulla nuca, poggiando poi shampoo e balsamo sullo specchietto del lavandino.

Mi immersi nella vasca, aprendo l'acqua calda e cercando di rilassarmi.

L'acqua era ormai arrivata quasi dieci centimetri dall'orlo; decisi così di controllare l'orario.

Mi sollevai, sporgendomi per prendere il cellulare.

Fu un attimo...

Sentii un forte rumore di vetri rotti, provenire dalla finestra della stanza; persi l'equilibrio e cercai di afferrare la mensola in ferro battuto per reggermi, facendola solo cadere con me.

Mi ritrovai con la testa quasi sommersa dall'acqua, mentre la mensola mi teneva bloccata nella vasca.

Cercai di chiudere l'acqua, senza riuscirci; provai ad urlare, per richiamare i ragazzi al piano inferiore, senza successo.

Finii solamente col riempirmi la bocca d'acqua; la sputai, prendendo aria e cercando di spostare la pesante mensola, ma era incastrata.

Per la prima volta, in tutta la mia esistenza, mi resi conto cosa significasse aver paura di perdere la vita.


Angolo Demon


Buonsalve~ Eccoci al terzo capitolo

Come andrà mai a finire? Ma soprattutto, i ragazzi si accorgeranno in tempo di Spencer, oppure finirà in ospedale?

Ah beh, non vi spoilero niente

Per quanto riguarda le OC, potrebbero comparire dal sesto capitolo, anche perchè amo far star le persone con l'ansia.

Comincio col dirvi che ho già in mente un finale fantastico, che potrebbe farmi odiare, ma dettagli :3

Intanto ringuazio tutti coloro che seguono la storia e recensiscono :3

Detto questo, vi lascio ed alla prossima!!

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Carlos

Era da quasi un'ora che Spencer era entrata in bagno; l'avevo vista correre con un accappatoio rosa che non avrei nemmeno lontanamente immaginato potesse indossare.

Mi alzai dal divano su cui eravamo seduti, osservando le scale; una stranissima sensazione prese il sopravvento, mentre sentii qualcosa tirarmi la maglia.

«Qualcosa non va, Los?» mi voltai verso Kendall, a cui non sfuggì la preoccupazione che dovevo aver dipinta in volto.

«E' da più di un'ora che è chiusa in bagno» affermai, tornando a fissare le scale.

«In fondo è una ragazza, è normale che passi ore in bagno» era stato James a parlare stavolta, che voleva rassicurarmi.

«Beh, le altre ragazze non usano i finestrini per uscire dalle auto, nè gironzolano illegalmente su set cinematografici» ridacchiò divertito Logan.

La cosa non giovò di certo alla mia preoccupazione.

«Ti piace?» era stato Kendall ad ammiccare, e lo guardai come a dire "hai bevuto o cosa?".

Lo vidi sorridere e scuotere la testa «Se stai più tranquillo, vai a controllare»

Sorrisi a mia volta, andando verso le scale e cominciando a salire.

«E' proprio cotto» sentii James ridacchiare.

«E' solo una tua impressione» era stato Logan a parlare, seguì poi un suo sbuffo.

Sapevo che aveva mirato a Penny già dalla prima volta che l'aveva incontrata, e la cosa non che mi piacesse molto.

Era il classico ragazzo stronzo che non evita di sfruttare le ragazze che gli andavano dietro, però era una brava persona.

Affidabile ed un grande amico, su questo non c'erano dubbi, ma non volevo trattasse la nostra nuova amica come tutte le altre.

Preferivo pensassero che avesse attirato la mia attenzione, almeno potevo essere più sicuro di tenere alla larga Logan.

Nulla contro di lui, ma non era nella sua natura essere umile o graziato, soprattutto col gentil sesso.

Arrivato in cima alla rampa di scale, cominciai ad avvicinarmi al bagno, bloccandomi quando vidi un leggero velo d'acqua a terra.

«Spencer!» urlai ill suo nome invano, senza ottenere risposta.

Sentii gli altri smuoversi, uno dei tre urlò «Carlos, che succede?»

Non gli diedi retta, ed aprii di colpo la porta del bagno.

Il rubinetto era ancora aperto, mentre il pavimento della stanza era interamente ricoperto d'acqua; lei era nella vasca, con la testa completamente sommersa.

Mi affrettai a sollevare la mensola, peccato fosse incastrata.

«Ragazzi!» urlai una seconda volta, mentre Kendall corse in bagno, seguito dagli altri due.

James mi aiutò a sollevare la mensola, mentre Logan ed il biondo la tiravano fuori dalla vasca.

Lasciammo la mensola in contemporanea e, mentre il castano si occupava della vasca, io mi affrettai a recuperare l'accappatoio.

La avvolgemmo facilmente, visto che era decisamente grande per lei.

Logan chiamò l'ambulanza, che intanto dava indicazioni.

«Devi farle un massaggio cardiaco e la respirazione bocca a bocca» affermò, mentre spiegava al telefono la strada per arrivare a casa nostra.

«Come si fa un massaggio cardiaco?!» Kendall aveva le mani tra i capelli, e non aveva la minima idea di come fare per farla rinvenire.

Chiusa la chiamata, si avvicinò Logan, che cominciò a fare pressione sul suo petto, cercando di farla riprendere.

In tutto questo, mi sentivo inutile; lei era lì, ed io non stavo facendo niente per aiutarla.

«Andiamo a prenderle dei vestiti» James attirò la mia attenzione, annuii, seguendolo, lanciando prima un'ultima occhiata alla mora che non voleva riprendersi.

Mi fermai poco prima di lasciare la stanza, richiamando il mio amico.

La finestra era rotta, mentre il pavimento sotto era costellato di milioni di pezzi di vetri rotti, al cui centro troneggiava un mattone di dimensioni per nulla modeste.

Non poteva essere una casualità...



Spencer

I quattro ragazzi erano seduti sul divano ed ascoltavano le varie istruzioni dei medici che mi avevano soccorso.

Continuavo a sentire la testa pesante, mentre rispondevo alle domande di routine del medico ancora in mia compagnia.

Voleva assicurarsi che non presentassi alcun genere di anomalia, e non sapevo se esserne felice o meno.

Ero quasi morta affogata, il che era una cosa davvero orribile, se si ama l'acqua.

Essere uccisi da ciò che si ama è la maledizione peggiore che possa esistere, pensai tra me e me, mentre la donna prendeva gli ultimi appunti.

«Non preoccuparti» mi guardò e sorrise dolcemente «E' tutto finito»

Sollevai il capo, guardandola negli occhi; erano della stessa tonalità di verde dei miei.

Riuscii a dire solo una cosa, che fece irrigidire l'infermiera «E' come se avessi visto la vita passarmi davanti agli occhi...però era buia»

Mi sorrise rassicurante, avvicinandosi e sedendosi accanto a me, sul letto della mia stanza «Puoi stare tranquilla, sei al sicuro»

Avevo delle lacrime agli occhi, e non riuscivo a trattenerle; non potevo piangere davanti a qualcuno, ma non potevo farne a meno in quel momento.

Era come se tutta la sicurezza che mi caratterizzava, mi avesse abbandonata, lasciandomi priva di ogni difesa.

Rimasi in silenzio, mentre mi accarezzava la testa, lasciando poi la stanza e dirigendosi al piano inferiore.

Notai che si scatenò un forte fermento quando raggiunse il salone; intanto mi appostai vicino alle scale, per origliare la conversazione che si stava svolgendo.

«Allora? Come sta?» era la voce di Kendall che non nascondeva la sua preoccupazione.

«Sta bene, il peggio è passato, ma è ancora scossa dall'accaduto» stavolta parlò l'infermiera che fino a pochi minuti fa era con me.

«Il mattone e la finestra rotta fanno presupporre un tentato omicidio, un avvertimento oppure un semplice atto di vandalismo, ma la cosa che lascia un punto interrogativo, è come abbiano fatto a coglierla proprio nel momento in cui era in piedi nella vasca...» questa invece era una voce sconosciuta, eppure mi ricordava qualcosa...

«Sono l'agente Steihn, della distretto di polizia 7 di Los Angeles.» vi fu una lieve pausa; immaginai stesse mostrando il distintivo, come era solito fare.

Steihn... avevo sentito già quel nome.

Mi era familiare, ma decisi di non soffermarmici troppo, in quel momento.

«Mi scuso per l'intrusione, ma avendo trovata la porta aperta ne ho approfittato per entrare.»

«Si certo, e se vede un uomo con un coltello nel petto, lei da un secondo colpo, visto che ormai è già morto.» ridacchiai appena all'ironica affermazione di Logan, da alcuni punti di vista non sembrava un tipo molto affidabile, ma c'era qualcosa in lui che invece ti convinceva del contrario.

Rapidamente mi balenò il mente: il rumore di vetri rotti, il mattone, io che perdo l'equilibrio, poi l'acqua ed il colpo alla testa.

Strinsi con forza gli occhi, scuotendo il capo come per dimenticare.

Poi un flash, sgranai gli occhi e mi persi nei miei pensieri.


*FlashBack*

«Allora Spencer, io ti farò delle domande, a cui tu dovrai rispondere. Se dici il vero, la macchina reagirà in un modo, se dici il falso, segnalerà che ha parlato la tua immaginazione.» Un uomo di statura media, vestito in giacca e cravatta mi sistemò delle fasce ai polsi ed al busto, mentre ero seduta su una sedia.

«Capito?» prese posto accanto ad un pc, digitando alcune cose.

«Si, ho capito.» risposi con la sicurezza che mi caratterizzava.

Ero nervosa, anche perchè mi stavano interrogando con una macchina della verità.

«Qual'è il tuo nome?» chiese atono, osservandomi, mentre guardavo nella telecamera che avevo di fronte.

«Spencer Cade.» prima risposta andata.

«Dove eri il 6 Luglio?» continuò, abbassandosi appena gli occhialetti ed osservandomi.

«Ho trascorso l'intera mattinata in biblioteca; ho fatto un salto in ferramenta poco prima della chiusura per effettuare degli acquisti. Poi sono andata al vecchio parco abbandonato, passando lì il resto della giornata.» raccontai con calma e precisione, senza saltare nulla.

«Poi? Cosa hai fatto dopo?» voleva approfondire l'argomento.

Sospirai, scuotendo lievemente la testa e tornando poi aguardare la telecamera «Sono stata tutto il tempo a decorare una delle rampe grigie, visto che le consideravo troppo monotone. Quello era il mio territorio, quindi potevo stare tranquilla. Poi ho ovviamente aggiornato il Libro Nero; come ben sapete è essenziale.» mi lasciai scappare un sorriso, e lo stesso fece anche l'uomo.

«Si, lo sappiamo. In successione?» chiese, facendo scorrere velocemente le mani sulla tastiera, provocando un leggero e piacevole ticchettio.

«Poi mi sono arrampicata sull'albero con la casa, quella che costruii con mio padre» sorrisi a quel ricordo «Sono entrata ed ho sistemato le mie cose, ovviamente chiudendo a chiave la porta e le finestre. Poi sono andata a dormire, senza mai svegliarmi. Lo ricordo perchè non sognai nulla...» rimasi alcuni secondi a fissare il vuoto, poi mi riscossi, notando che l'uomo mi osservava.

«Hai assistito alla morte di Orland Spikerest?» questa era la domanda che mi fece capire una cosa; le cose si stavano facendo molto scottanti.

«Si...» fu semplice la mia risposta.

«Hai visto l'aggressore in viso?» bang! Fu peggio di un colpo sparato al cuore. In quel momento volevo solo morire.

Si susseguirono degli attimi di silenzio, in cui l'uomo non smetteva di osservarmi, ma io non ero nel presente.

Stavo rivivendo mentalmente la scena, il che mi fece scorrere alcune lacrime, che però nascosi chinando il capo. Sospirai riprndendomi e sollevandomi, senza dar segno di cedimento.

«Non posso parlare. Sapete benissimo. Posso essere spericolata, una "ragazzetta di strada in grado solo di correre sui tetti" o come volete chiamarmi. Ma se oso fare un passo falso, non mi preoccupo per me, ma delle persone a me care.» fiera, sollevai il mento e mi mostrai in tutta la mia personalità «Non permetterò più a nessuno nemmeno di sfiorare nessuno delle mie famiglie.»

Sospirò, rendendosi conto che non sarebbe stato in grado di cavare un ragno dal buco.

«Guarda nella telecamera e rispondi all'ultima domanda» feci come detto, attendendo la domanda «Ricordi che fantasia hai usato per decorare la rampa?»

Sorrisi dolcemente, senza distogliere gli occhi dalla telecamera «Ovviamente...» sussurrai con un fil di voce «Un ricordo in onore di Spike; ho raffigurato lui che sorrideva, su un palazzo, circondato da milioni di stelle. Poi una frase... la ripeteva lui, come per rassicurarsi. "E' quando è più buio che l'uomo vede le stelle"»

«Con questo abbiamo concluso. Agente Tylor Steihn, distretto di polizia 7. Deposizione di Spencer Cade.» affermò freddo, mentre registrava le ultime cose prima di concludere.

Fu da quell'episodio che decisi di lasciare la casa in cui vivevo con David, per dedicarmi ad una vita diversa e lontana dal mondo.


*Fine FlashBack*



Ritornai al presente, riprendendomi dallo stato di shock in cui ero precipitata e corsi in camera mia.

Mi cambiai velocemente, indossando un pantalone nero, leggero e lievemente largo; una maglietta semplice, rossa.

Corsi al piano inferiore, notando che gli sguardi di tutti erano puntati su di me.

Sorrisi in direzione dei ragazzi, ritornando seria, puntanto i miei occhi sull'agente speciale.

«Agente Steihn, sono ancora in tempo per fare quella deposizione?»

Vidi un sorriso fiero farsi largo sul suo volto, mentre mi scrutava con attenzione «E se cercassero di "vendicarsi"?»

Scesi gli ultimi tre scalini, ritrovandomi faccia a faccia con lui «Dovranno passare sul mio cadavere, ma in ogni caso, per chi osa camminarmi addosso, sarà l'ultima azione che compirà.»

Secondo alcuni punti di vista avevo un pessimo carattere, ma quella ero io; era giunta l'ora della ribellione, e sarei stata io a scatenarla.

Sorrise appena e scosse la testa «Sai che significherà andare in centrale?»

Spostai lo sguardo sui presenti, mentre i medici lasciavano tutto nelle mani di quell'uomo che avevo già incontrato altre volte.

«Loro ovviamente verranno con me. Inoltre, voglio sia per loro che per mio fratello il massimo della sorveglianza e della sicurezza.» patteggiare con un agente di polizia; era una delle cose che chiunque vorrebbe fare almeno una volta nella vita.

«E per te?» chiese inarcando un sopracciglio.

«Io non ho bisogno di protezione. Voglio solo fargli scontare la pena che merita. Massimo avrà qualche osso rotto.» ridacchiò, prendendo le chiavi della sua auto.



Nuovamente quei fili addosso, quella telecamera puntata su di me, il computer e la sedia che mi aveva già ospitato una volta. Presi un bel respiro, in attesa della prima domanda.

«Qual'è il suo nome?» prima le solite domande di routine, poi sarebbe passato alle domande serie.

Dopo quelli che dovevano essere una decina di minuti di domande che non mi erano nuove, passò all'artiglieria pesante, come la chiamavamo tutti.

«Lei ha visto in volto l'aggressore di Orland Spikerest?» puntò gli occhi su di me, che, dopo aver sospirato, continuai a guardare la telecamera.

Sapevo che i quattro stavano assistendo all'interrogatorio; lo avevo chiesto io, per poter avere "compagnia".

Vero, il vetro impediva me di vedere loro, anche se loro potevano vedere me; a me bastava che ci fosse qualcuno su cui contare, sapere che mi sarebbero stati accanto.

«Si, ed ho interamente visto l'accaduto.» risposi, facendo uno strano sorriso.

Era come se mi sentissi più leggera.

Senza attendere altre domante, ripresi la parola.

«Eravamo seduti sulla grande rampa, io e Spike. Era il soprannome che io ed il gruppo avevamo dato ad Orland.» spiegai, mentre lo sentivo annuire ed osservarmi con attenzione.

«Stavamo discutendo di quale sarebbe stato il nostro prossimo colpo, visto che eravamo come un panino con salame e formaggio fuso.» ridacchiammo entrambi per il paragone.

Infatti passavamo sempre le giornate insieme, mentre la notte ci sistemavamo entrambi sulla mia casetta.

«Ad un certo punto, notammo uno strano fermento da lontano, così decidemmo di nasconderci, anche perchè, diciamocelo, io ero ancora alle prime armi, mentre lui correva per Los Angeles già da tempo. Salimmo sul tetto della vecchia fabbrica abbandonata, osservando ma lì trovammo una brutta sospresa.»

Ebbi un attimo di cedimento, come fossi nell'indecisione tra il se continuare o meno.

«Continua pure» parlò serio; avrebbero potuto ricavare tutte le informazioni per chiudere il caso, dopo un anno.

«Me ne vergogno... di non aver parlato prima. Ma che potevo fare? Non è piacevole sapere che la tua vita è appesa ad un filo, e qualcuno ha un paio di forbici che da un momento all'altro può usare.» scossi la testa, riprendendomi e prendendo fiato, per non permettere alle emozioni di prendere il sopravvento.

«Lì c'erano il gruppo dell'Anarchy. Era il più temuto, ma ora è UNO dei più temuti. Si accorsero di noi, ma all'inizio non sembravano avere cattive intenzioni. O meglio, era il ragazzo che li capeggiava a non averne. Gli altri erano come delle comparse che sarebbero intervenute nel momento opportuno. Ricordo ancora il suo nome... Xavier Jaksons. Si faceva chiamare "The King", perchè si considerava il re indiscusso. Il capo supremo. Si avvicinò a noi, cominciando a fare domande, ma ovviamente lasciavo rispondere solo Spike, visto che sicuramente avrei combinato qualche disastro. Poi chiese di parlare solo con me, e mi allontanò dal mio amico. Cominciò a parlarmi del suo gruppo, come se avesse zucchero in bocca. Mi accorsi che erano tutte balle, anche perchè conoscevo la fama dell'Anarchy, non ero così sprovveduta. Mi chiese di entrare nel suo gruppo, ovviamente solo io. Rifiutai, così ritornai da Spike. Nemmeno il tempo di voltarci, che cominciarono a rincorrerci. Noi ovviamente cercammo di essere più veloci. Corremmo verso il centro abitato, pensavamo che non avrebbe fatto nulla tra le gente ma ci sbagliammo.»

Interruppi il racconto, con lo sguardo perso nel vuoto.

«Poi, cosa è successo?» si allungò verso di me, prendendo la mia mano tra la sua e stringendola come per darmi sicurezza.

Gli sorrisi grata, stringendo la sua a sua volta e continuando «Spike mi aiutò a saltare su un tetto più alto degli altri, così potevo nascondermi. Non fece in tempo ad arrampicarsi, che quel buffone lo prese.

Osservai la scena in silenzio, chiamando la polizia.

Lo hanno picchiato per molto tempo, con forza anche. Cercava di trattenere i versi di dolore, forse per non farsi sentire da me... Notai che "il re" prese qualcosa di luccicante, poi mi accorsi che era un coltello. Non volevo fare nulla...» sospirai, scuotendo piano la testa «Urlai così forte da far correre più persone possibili sull'accaduto, uscii allo scoperto, mentre sentivo le sirene della polizia farsi sempre più vicine. Mi sputò poche parole, che però mi lasciarono una forte inquietitudine addosso. "Con questo hai segnato il tuo destino e quello di tutti quelli che ti circondano". Corse via, mentre raggiunsi Spike. Gli presi la testa tra le mani. Poggiandola sulle mie gambe. Si metteva spesso così, quando ci rilassavamo...» sorrisi a quel dolce ricordo, facendolo scomparire poco dopo «La polizia ci stava raggiungendo. Era ricoperto di sangue, eppure sorrideva " non importa di che fine farò, a me basta che non ti succeda nulla. Non dire niente alla polizia però, potresti finire nei guai con l'Anarchy, e non voglio... Ne soffrirei. Ricorda, è quando è più buio che l'uomo vede le stelle." Lui sorrideva, ma io piangevo. Non ho mai pianto così tanto in vita mia. Rimasi tutto il tempo con lui, fin quando non ha esalato il suo ultimo respiro. Da allora eccomi. Sono Spencer Cade, ed accuso Xavier Jaksons di omicidio colposo.»

Sorrise, mentre concluse la sua dichiarazione.

Mi sentivo leggera, come se tutti i problemi della vita non fossero tali.



Quasi due mesi dopo


Sospirai, beandomi della fresca brezza che creava lievi grinze sull'acqua.

Il sole splendeva alto nel cielo, mentre io avevo deciso di concedermi un pò di relax, per staccare la spina da tutto.

Ero su un materassino gonfiabile, a rilassarmi in piscina, in una calda giornata estiva.

Nella precedente settimana, il re era stato preso ed arrestato, lo stesso tutti i seguaci che quell'orribile e gelida sera di autunno portarono via il mio Spike.

Non avevamo bisogno di dirlo, nè di renderlo pubblico o altro; eravamo una coppia a tutti gli effetti, tranne per il fatto che passavamo insieme tutto il tempo quasi, ma non stavamo sempre a scambiarci effusioni romantiche. Non era nella nostra natura.

Da allora intrapresi una strada da solitaria finchè...

I miei pensieri furono interrotti da un urlo; capii al volo, così lanciai i miei occhiali da sole sull'erbetta, mentre mi avvicinavo al bordo.

Tolsi il materassino, mettendolo al sole.

Stavano arrivando i ragazzi, che sicuramente si sarebbero lanciati in piscina, ignorando chiunque e qualunque cosa potesse intralciarli.

Ridacchiai, vedendoli correre verso la piscina, mentre lanciavano i borsoni sotto il solito albero.

Era un'abitudine la loro.

Si bloccarono ad un centinaio di metri da me, squadrandomi da capo a piede.

Mi sentii lievemente in imbarazzo, ma non lo diedi a vedere; non ero abituata a mettere il mostra il mio fisico, il che lasciava un incognita a non poche persone.

Non mi lamentavo delle curve, anzi, ma non era piacevole sentire sguardi puntati addosso, mentre sei in costume, accanto ad una piscina.

«Buttiamola in acqua!» un secondo urlo, squarciò i miei pensieri, mentre il sorriso divertito che avevo in viso si trasformò in una "fantastica espressione di puro terrore".

Cominciarono a correre verso di me quattro bestie senza padrone, ed io feci lo stesso, ovviamente verso la direzione opposta alla loro.

Non esageravo nel correre troppo veloce, anche perchè eravamo ai bordi di una piscina, e non ero intenzionata a sfracassarmi il cranio.

Carlos fu il più veloce e mi saltò addosso come una furia animale, seguito poi dagli altri tre che ci placcarono del tutto.

«Non azzardatevi!» cominciai a dimenarmi, aggrappandomi al latino come fosse la mia unica ancora di salvezza.

«Ma che succede?» era David che ci stava raggiungendo.

«Dave, aiu-» non riuscii a finire la frase che Los si buttò in acqua, trascinandomi con se, mentre gli altri esultavano allegri.

Mi staccai dal ragazzo, andando verso il fondo, aggrappandomi ad uno dei pioli della scaletta, visto che arrivavano fino al fondo.

Due metri di fresca profondità.

Mi venne da sorridere lievemente, mentre aspettavo una loro reazione.

Ero un'appassionata nuotatrice sin da piccola, ed avevo conservato degli ottimi polmoni anche grazie al Parcour.

Notai Carlos mettere la testa in acqua, come per controllarmi.

I miei capelli sciolti, in balia dell'acqua, coprivano la maggior parte della visuale degli altri.

«Spencer!» sentii delle grida preoccupate, mentre il ragazzo in acqua, cercava di avvicinarsi velocemente.

Sorrisi, ormai a corto d'ossigeno e ritornai in superficie, ridendo e guardando i presenti.

Notai mio fratello che aveva un'espressione tra l'arrabbiato ed il divertito, mentre Kendall e James erano abbastanza sconcertati.

Carlos mi seguì in superficie, pizzicandomi la gamba.

«Certo che sei proprio una bastarda» ridacchiò Logan, mentre stritolavo la guancia del mio Rush preferito.

«Modestamente» imitai un inchino, guardandolo compiaciuta.

«Giochi con noi in acqua?» Kendall mi regalò un sorriso ampio, mentre continuavo a giocare con le guanciotte del mio amico.

Potevo tranquillamente dire migliore amico; gli dovevo davvero molto, anche perchè avevamo un legame davvero forte.

Molti nel gruppo ci chiamavano "la nuova possibile futura coppia", ma io non condividevo l'idea, e lo stesso lui.

Eravamo grandi amici, ma di certo non una "possibile coppia"!

Ne avevo parlato con lui, seriamente; mi aveva detto quello che pensava, e fui felice di sapere che avevamo la stessa opinione.

«Mi pare ovvio» sorrisi, alzandomi ed avvicinandomi ai ragazzi.

«Sai che oggi il colore dei tui occhi risalta molto?» era stato Logan a parlare, che non mi scollava gli occhi di dosso.

«Henderson, non solo ti stai letteralmente mangiando mia sorella con gli occhi, ma ci provi anche? In più davanti al fratello.» adoravo quando Dave faceva il fratello protettivo; mi ricordava che ci teneva molto a me.

Ridacchiai, strizzandogli le guance e squittendo divertita «Il mio fratellone gelosone»

Gli altri non si trattennero dal ridere, il che fece ampliare il sorriso che avevo dipinto sul volto.

Da quando avevo conosciuto i ragazzi, David si era sforzato di essere più gentile con loro, e tra una cosa e l'altra, ci ritrovammo a vivere tutti e sei nella stessa casa, per non annoiarci.

Però, non potevano mancare i soliti battibecchi tra Kendy e lui; qualche volta anche con Logan, visto che si soffermava spesso ad osservarmi e, sfortunatamente per lui, non sfuggiva nulla al mio adorato fratellone.

«Vorresti dirmi che loro non stanno facendo lo stesso?» rispose piccato il moro, indicando James e Kendall.

«In effetti si...» mi nascosi appena dietro mio fratello, mentre il "bello del gruppo" si sporgeva verso di me.

Sospirai, avvicinandomi a lui, che sorrise compiaciuto; gli sorrisi a mia volta, sporgendomi come per baciarlo e socchiudendo gli occhi.

«Davanti tuo fratello lo fai?!» il tono di Dave si era alzata di un'ottava; sapeva essere più isterico, inquietante e dai forti istinti omicida di tutte le fan che aveva dietro.

Notai che James mi imitò, mettendomi una mano sul fianco scoperto; a pochi centimetri dalle sue labbra sussurrai un "beccato".

Sgranò gli occhi, non fece in tempo a reagire che gli tirai uno schiaffo, spingendolo poi in piscina, ondaggiando i capelli.

«Non hai ancora imparato la lezione» ridacchiai, mentre i due non ancora bagnati scoppiarono a ridere.

«Non puoi farlo!» urlò James, spostandosi i capelli dagli occhi, mentre Carlos gli si avvicinava divertito.

«Ops, ma io l'ho già fatto» dissi, fintamente dispiaciuta, imitando un'espressione triste per alcuni secondi, poi tornai sorridende...

«Dovresti sapere com'è fatta» rise divertito, mentre schizzò dell'acqua alla "povera vittima".

«Non infierire!» Il più grande si lanciò letteralmente addosso all'altro, cominciando una lotta acquatica.

Mi avvicinai a mio fratello, sporgendomi verso il suo orecchio e sussurrandogli alcune cose; ci scambiammo un sorriso complice, per poi decidere di passare all'azione.

«Logan, volevo chiederti, c'è qualche ragazza che ti interessa?» fu mio fratello ad attaccare, il che mi fece capire molte cose.

Rimase dapprima perplesso poi si riprese, mentre gli altri osservavano curiosi la scena; intanto mi spostai accanto a Logan, senza dare troppo nell'occhio.

«Non saprei» rispose vago, sorridendo malizioso nella mia direzione.

Quando mi sorrideva così gli avrei volentieri spaccato il muso.

«No perchè sai, ti scopi ogni sera una nuova ragazza, il che mi fa presupporre che tu non abbia interessi» continuò David, facendomi sputare addosso a Kendall il thè freddo che stavo gustando.

«Spencer!» scoppiai a ridere, mentre mi guardava fintamente arrabbiato.

«Si dia il caso, che sono loro a fare tutto, io le accontento solo» rispose Logan, incrociando le braccia al petto e continuando il "discorso."

L'argomento si faceva scottante, e non sapevo se stare al gioco ancora un pò o lanciare Logan con gli altri, in acqua.

Avevo voglia di sedermi, ma rimasi in piedi, pronta ad ogni segnale.

«E fra tutte, non ce n'è una che ti piace?» mio fratello inarcò un sopracciglio squadrandolo da capo a piedi.

La cosa stava prendendo una brutta piega... Era noto che Logan provasse interesse per me, ma a quanto pareva, mio fratello voleva scoprire a fondo le carte dell'altro, come per tstare sicuro.

Voleva semplicemente sapere se fosse interessato a me perchè ero una ragazza, per il mio aspetto e corpo o perchè gli piacevo davvero.

A me la cosa non era mai interessata più di tanto, anche perchè avevo decisamente troppe cose a cui pensare; quella sera sarei andata al mio parco, per controllarne le condizioni ed assicurarmi che girasse tutto per il verso giusto.

«Se anche fosse?» lo osservò a sua volta, dando le spalle a me e Kendall, che osservavamo in silenzio.

Mi ero spostata accanto al biondo, in modo tale da poter tenere sotto mira il giovane dagli affascinanti occhi petrolio.

Scossi la testa, cercando di scacciare quel pensiero.

Io che facevo commenti positivi su un ragazzo?!

Mai.

Ma quegli occhi erano come quelli di Spike...

«Sarei molto curioso» notai mio fratello fare dei passi verso Logan.

Sospirai, decidendo di agire.

Sussurrai a Kendall di darmi una mano, e sorrise compiaciuto.

«Mi stupisci ogni giorno sempre più» ridacchiò, andando vicino David.

«Che ne dite di calmare i bollenti spiriti?» cercò di bloccare la marcia di Dave verso Logan, mettendosi tra i due.

Era davvero un bravo ragazzo, quel biondino; all'inizio non scorreva buon sangue tra me, mio fratello e lui e la cosa pesava anche sugli altri, ma avevamo fortunatamente risolto.

O meglio, Kendall e David non evitavano di lanciarsi frecciatine a vicenda; eppure mi aveva accettato, nonostante il pessimo carattere che mostravo all'inizio.

Mi ero "calmata" in parte, ma rimanevo la stessa ragazza strafottente che salta sui tetti e si metteva nei guai.

Eppure, con mio fratello, non riuscivo a comportarmi come con gli altri, eppure nemmeno con i quattro cantanti ci riuscivo. Ero ricaduta nuovamente in quel baratro, che molti chiamano "amicizia".

Annuii distrattamente verso Kendall, e lui fece lo stesso, mentre Carlos e James si allontanarono, capendo le nostra intenzioni.

Spingemmo entrambi, facendo cadere i due in acqua.

David riemerse, scuotendo la testa come un cane bagnato e scoccò un'occhiata fulminante prima a me, poi al biondino.

«Avevamo un accordo» sbraitò, mentre non trattenevo le risate.

Logan mi regalò uno sguardo per nulla amichevole, togliendosi gli occhiali da sole e poggiandoli sul bordo, sistemandosi i capelli.

«Infatti ho tenuto fede all'accordo, ma ci sei finito per errore anche tu» sorrisi vittoriosa, avvicinandomi non più di tanto all'acqua.

«Siamo gli unici asciutti ora!» rise vittorioso il mio complice, avvicinandosi all'acqua «Siamo i re della piscina»

«Kendall il bordo!» lo avvertii, accorgendomi del fatale errore che lo fece trascinare in acqua.

Scossi la testa, alzando le braccia al cielo; ero l'unica ancora asciutta.

Unica...

Quel pensiero mi fece rabbrividire, mentre notai i ragazzi uscire dall'acqua; sarebbe iniziata una vera e propria guerra.

Passammo il resto della mattinata a rincorrerci e lanciarci in acqua, come bambini che volevano divertirsi.



Camminavo per le strade della città, che però conoscevo come le mie tasche.

Arrivai dopo poco al parco abbandonato, squadrandolo con minuziosa attenzione, senza trovare nulla fuoriposto.

Era rimasto tutto come ben ricordavo, e la cosa mi fece sorridere; ero ancora temuta e rispettava, ne andavo fiera ma questo avrebbe significato anche avere guai.

Spazzai via quei pensieri, avvicinandomi alla grande rampa, passando poi una mano sul disegno ancora intatto.

La pittura spray che resisteva alle intemperie costava davvero molto, ma non esitai ad acquistarla per dedicare quel graffito a Spike.

Raffigurava lui, un ragazzo sempre sorridente dalla carnagione chiara e dagli aruffati capelli castani; gli occhi erano neri, come quelli di Logan.

Aveva le braccia incrociate al petto, un sorriso che avrebbe fatto sciogliere chiunque; era sotto un cielo stellato, mentre avevo scritto una piccola frase sulla sua felpa; "E' quando il cielo è più buio, che l'uomo vede le stelle".


*FlashBack*

Ero raggomitolata in un angolino del tetto della vecchia fabbrica, mentre osservavo da lontano le luci della rumorosa Los Angeles, quando la mia lunga meditazione fu interrotta da un giovane castano molto alto.

«Spencer, tutto bene?» chiese sedendosi accanto a me, mentre mi poggiava una mano sulla spalla.

«Non lo so... io non sono abituata a questa vita» sussurrai, tornando a guardare le luci «Sono scappata di casa, lasciando a mio fratello solo uno stupido biglietto di carta, senza contare che non so arrampicarmi sui tetti e devo usare le scale, poi» fui interrotta dalla sua risata, così mi voltai ad osservarlo tra il perplesso ed il piccato.

«E' normale all'inizio, sei qui da solo qualche giorno.» mi sorrise rassicurante «E' solo questione di abitudine. Tu segui me, e ti insegnerò a cavartela qui fuori, ed a farla franca ogni volta.»

Gli sorrisi a mia volta, mentre mi brillavano gli occhi dall'emozione «Davvero?»

«Ovvio, Penny» ridacchiò, scompigiandomi i capelli ed osservando il graffito che avevamo appena fatto «Hai talento...» sussurrò soffermandosi sulle figure che avevo fatto io.

«Beh, esageri. Diciamo solo che immagino la successione; il prima è un foglio bianco, ed il dopo? Che sarà mai? Come la vita, quasi» spiegai, guardandolo a mia volta.

Un mastodontico leone a due teste troneggiava sul muro dell'edificio che avevamo di fronte; sul leone una scritta in grande Jolly&Spike.

Di certo non potevo usare il mio nome vero, altrimenti mi avrebbero sgamato.

*Fine FlashBack*


Fui riportata alla realtà da alcuni rumori alle mie spalle; ebbi appena il tempo di voltarmi ed inquadrare un'ombra, che subito mi fu addosso.



Angolo Demon

Salve mondo~

Qui Demon, con un nuovo capitolo.

Ebbene, cosa sarà l'ombra che ha visto Spencer?

Ovviamente io lo so, ma non ve lo dico.

Mi scuso in anticipo, visto che non so se possa essere considerato un capitolo interessante.

Tornando a noi, ringrazio coloro che seguono questa storia e coloro che la recensiscono e visto che tra un pò (non voglio contare i giorni, altrimenti soffrirei...) comincia la scuola, quindi aggiornerò con un lungo distacco tra un capitolo ed un altro.

Magari una volta al mese, poi non so; fatto sta che mi sto portando avanti con i capitoli (anche se sono ancora al capitolo 7, visto che pensavo sul se continuare l'altra fanfiction in corso o meno).

Con questo concludo, anche perchè non ho molto da dire.

Alla prossima!


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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Senza pensarci due volte, afferrai il braccio del mio aggressore, spingendolo a terra e piegandoglielo dietro la schiena.

«Lasciami!» feci come chiesto, mentre mi allontanavo per mettere una distanza di sicurezza tra me e la figura.

Era sera, e c'erano solo i pali della luce ad illuminarci.

Guardai meglio la figura.

Era una ragazza piuttosto bassa e minuta, ipotizzai fosse una ragazzina, ma dovetti ricredermi.

I suoi capelli mossi e rossi, tendente al color carota mi erano familiari; le arrivavano appena sotto le spalle, incorniciandole il viso dai tratti delicati e dalla carnagione molto pallida, mettendo in risalto le lentigini sbarazzine che adornavano le guance ed il naso.

Altro segno particolare erano gli occhi azzurri eterocromatici, decisamente poco comuni, oserei dire.

Indossava una felpa e dei leggins, entrambi neri, come anche le comode All Star del resto.

«Saresti?» chiesi, inarcando un sopracciglio ed incrociando le braccia al petto.

Non ero intenzionata nè all'uscire dall'ombra, nè a togliermi il cappuccio dalla testa.

«Questo non è posto per te.» la sua risposta mi arrivò fredda e diretta, facendomi sorridere.

Io l'avevo riconosciuta, anche se non ci eravamo parlate altre volte.

«Ma davvero?» ridacchiai appena «E come fai a saperlo?» chiesi, dondolando sui piedi.

Rimase in silenzio, osservandomi con attenzione; scossi la testa, avvicinandomi e togliendomi il cappuccio.

La vidi sgranare appena gli occhi, ma si riprese subito dopo.

«Gli altri ti cercano da quando sei scomparsa.» puntò i suoi occhi nei miei, come a volermi intimorire.

«Posso immaginarlo» sussurrai, guardandomi poi intorno «Che ci fai qui?» le chiesi freddamente.

Era molto amica di Maps, un componente della mia banda, ma di lei conoscevo solo il nome, Fleur.

La accogliemmo volentieri, anche se non mi avvicinai nè a lei, ne agli altri nuovi arrivati; mi allontanai anche da quelli che conoscevo da tempo, questo dopo la morte del mio compagno.

Mi ero stufata di affezionarmi alle persone, per poi vederle scomparire per sempre, davanti ai miei occhi.

Mi sarebbe piaciuto non poco spaccare il muso a quello schifoso che si considerava il capo dell'Anarchy.

Tornai ad osservarla, lievemente arrabbiata; era risaputo nella banda che nessuno doveva osare mettere piede in quel parchetto, a meno che non abbia il mio permesso.

«So quanto ci tieni a questo posto, lo sanno tutti.» scostò una ciocca di capelli dal viso, osservandomi da capo a piedi «Da quando sei sparita dalla circolazione, abbiamo organizzato dei turni per controllare costantemente il parchetto.»

Sorrisi appena a quelle parole; anche loro rispettavano il castano che mi aveva guidato, questo anche perchè se non fosse stato per lui, il gruppo non sarebbe esistito.

Tornai a guardare la rampa da Skateboarding, soffermandomi sul viso graffitato.

La mia compagnia rimase in silenzio per alcuni secondi, decidendo poi di lasciarmi.

«Dove vai?» chiesi senza voltarmi.

«Non penso serva più controllo qui.» rispose semplicemente.

Mi morsi appena il labbro, sollevando il capo e perdendomi ad osservare le stelle.

Ero arrivata ad una biforcazione e per procedere dovevo fare una scelta importantissima.

Continuare la mia vita in strada, con la banda Shark73, oppure vivere con mio fratello una vita normale?

Avrei passato sicuramente una notte insonne...



Il mattino seguente mi risvegliai appena il sole fu alto nel cielo, questo perchè mi ero addormentata sulla rampa, dove ero solo seduta a pensare.

Mio fratello si sarebbe sicuramente preoccupato non vedendomi, ma non ero molto interessata alla cosa.

Mi alzai, recuperando il mio zaino e prendendo le bombolette spray colorate.

Mi avvicinai al muro della grande fabbrica, dove era dipinto il simbolo dell'Anarchy.

Agitai la bomboletta grigio-azzurra, cominciando a graffitarci sopra, una figura che ovviamente avrebbe causato grossi problemi.

A fine opera, mi scostai, osservando soddisfatta il risultato.

Corsi a sciacquarmi velocemente le mani, riponendo i colori nello zaino e presi la macchinetta fotografica, scattando la foto al mio nuovo graffito.

Sorrisi, sedendomi a terra e prendendo il Libro Nero.

Lo aprii, cominciando a sfogliarlo, osservando i graffiti che avevo fatto nel corso della mia "vita".

Arrivai ad una pagina bianca, dove incollai la foto, annotando alcune informazioni.

Chiusi il quaderno, soffermandomi sulla copertina vellutata, mentre un sorriso ebete mi adornava il viso.


*FlashBack*

Avevo ancora 17 anni, ed erano ormai tre mesi che vivevo per strada, insieme a Spike ed il nostro rapporto si rafforzava, insieme alle mie capacità nella pratica del Parcour.

Spesso lo vedevo sfogliare un libro nero, che però nascondeva ogni volta che mi avvicinavo a lui.

Quella mattina ero intenta a graffitare una luna ed un sole, quando un paio di mani mi coprirono gli occhi.

«Indovina chi sono?» ridacchiò una voce contro il mio orecchio.

Finsi di pensarci, mettendomi la bomboletta in tasca e poggiando le mani sulle sue «Ned?» chiesi ridacchiando.

Spostò le mani, scoccandomi un bacio sulla guancia e sorridendomi «Chi sarebbe questo Ned?» chiese, senza nascondere la sua gelosia.

Ridacchiai, tirandogli un pugnetto sulla spalla e scuotendo la testa «E' il primo nome che mi è passato per la testa»

Lo vidi sorridere «E' giunto il momento che tu sappia alcune cose»

Mi disse serio, passandosi nervoso una mano tra i capelli.

«Se intendi come nascono i bambini, non preoccuparti...lo so» risposi squadrandolo divertita.

Ridacchiò, scuotendo la testa «Riguarda il libro che ho spesso tra le mani»

«Quello nero?» chiesi sorridendo; finalmente avrei avuto le mie risposte.

«Si. E' il Libro Nero, tutti i Writer ne hanno uno. E' di vitale importanza e perderlo è un disonore. Esso è come un diario, dove annotiamo tutti i graffiti che facciamo, con fotografie, informazioni e stati d'animo dell'autore ovviamente. Obbligatoriamente anche data e luogo.» mi spiegò calmo e pacato.

«Come un diario di bordo?» chiesi, piegando la testa di lato.

«Esattamente. Però devi tenerlo nasconsto e conoscerne solo tu l'esistenza ed il significato. Anche se tu sai che ne ho uno anche io, non è un problema» mi porse un libro nero dalla copertina vellutata, con una scritta bianca "Jolly"«Questo è il tuo» sorrise, passandosi una mano tra i capelli, lo faceva spesso «Ci sono foto ed informazioni sui graffiti che hai fatto fino ad ora, ed ovviamente, anche quelli che abbiamo fatto insieme»

Presi il libro, sfogliandolo curiosa e notando che era tutto corretto quello che aveva detto.

Gli sorrisi allegra, abbracciandolo di slancio «Grazie Spike.»

*Fine FlashBack*



Chiusi il libro nero, dopo aver finito di scrivere il necessario, riponendolo con cura nello zainetto, insieme alla macchina fotografica istantanea.

Mi alzai, mettendolo sulle spalle e guardando fiera il graffito.

Uno squalo enorme che divorava la "A" cerchiata dell'Anarchy, mentre capeggiava la scritta Jolly sulla coda dell'animale.

Sorrisi orgogliosa, correndo poi verso la città, riprendendo a saltare sui tetti.

Era giunto il momento di dimostrare che lo Squalo Jolly non si sarebbe lasciato più sottomettere, ma avrebbe sottomesso.

Passai l'intera giornata a correre per le strade di Los Angeles, grafitando su ogni stemma dell'Anarchy, il simbolo che mi raffigurava.

Lo Squalo Jolly.



Guardai l'orologio della stazione, la mia ultima tappa, rendendomi conto di aver passato l'intera giornata fuori casa, senza mangiare nè avvertire mio fratello.

Cominciai a correre verso casa, fermandomi davanti alla porta per riprendere fiato.

La aprii lentamente, cercando di fare meno rumore possibile; sorrisi nel trovare le luci spente, indicava che stavano dormendo tutti.

Lasciai le scarpe all'entrata, camminando senza pantofole e solo con dei calzini fluorescenti.

Feci per andare in cucina, quando tutte le luci del soggiorno si accesero, facendomi bloccare e mordere l'interno guancia.

Beccata.

«Dove sei stata?» mi voltai di scatto, sgranando gli occhi nel vedere che non era mio fratello.

Capelli mori e spettinati, occhi neri profondi ed un'espressione dura sul viso.

Sospirai, posando lo zaino a terra, avvicinandomi a Logan, con estrema cautela.

«Mio fratello?» chiesi, osservandomi intorno, come se potesse saltare fuori da un momento all'altro.

«Ti ho fatto una domanda.» incrociò le braccia al petto.

Storsi il naso, abbassando appena lo sguardo e soffermandomi sul suo petto, abbastanza visibile grazie alla maglia aderente, indossava poi, un paio di pantaloni larghi.

Doveva essersi, e sorrisi al pensiero, addormentato sul divano, visto che aveva un'espressione in viso che lo confermava.

«Anche io ne ho fatta una.» risposi, ritornando a puntare i miei occhi nei suoi.

Vidi che mi scrutava con attenzione, come se volesse leggermi nell'anima; non lasciavo mai traspirare emozioni e venivo familiarizzata ad un robot.

Incrociai a mia volta le braccia al petto, senza fiatare, come a fargli capire che con me era tutto inutile.

«Hai mangiato?» chiese, addolcendo appena lo sguardo ed osservandomi.

«No, ho avuto un pò da fare» risposi sincera, anche se volevo dire di si.

Una delle cose che mi caratterizzava era la sincerità e l'incapacità di mentire; non sapevo mentire e non riuscivo a trattenermi mai dal dire quello che pensavo.

Lo vidi sospirare, mentre mi indicò la cucina.

Mi voltai, andando verso il frigo e prendendo il latte, decidendo di prendere una semplice cioccolata calda.

Presi gli ingredienti, mentre lo guardai, poggiato allo stipite della porta.

«Ne vuoi?» chiesi indicandogli la scatola di Chobar.

«Si grazie» accettò, senza spostarsi dalla sua postazione, mentre mettevo il pentolino con il cioccolato ed il latte sui fornelli.

Ci vollero pochi minuti, spostai il pentolino sul tavolo, dove avevo in precedenza sistemato due tazze ed una confezioni di biscotti al cioccolato.

Mi lavai nuovamente le mani al lavandino della cucina, ascigandole poi con un panno.

«Allora?» infranse il silenzio che era calato su di noi, mentre versavo la cioccolata nelle due tazze.

«Allora cosa?» chiesi, guardandolo con la coda dell'occhio, sorridendo appena.

Dovevo ammettere che era messo abbastanza bene fisicamente, anche se non suscitava molto interesse in me o meglio, io affermavo di non esserne interessata.

Non volevo cadere nuovamente e passare quello che ho già passato per ben due volte.

Misi da parte quei pensieri, riportando la mia attenzione sulle tazze.

«Tuo fratello non è qui perchè è dovuto partire per girare alcune scene di un film. Tornerà tra qualche settimana» mi voltai a guardarlo, mentre era ancora sulla soglia della porta, e non smetteva di osservarmi.

Da quando ero entrata in casa, non aveva fatto altro che guardarmi, ma non come guardava una qualsiasi ragazza, soffermandosi sulle curve, ma si soffermava sul viso.

«Capito... e gli altri?» chiesi, riportando la mia attenzione alla cioccolata, sistemando poi il pentolino nel lavandino, nonostante fosse rimasta altra cioccolata.

L'avrei presa dopo.

«Kendall è andato a trovare i fratelli, visto che si fermano in città per qualche giorno, Carlos si è addormentato un'oretta fa e l'ho portato a letto, e James sembra scomparso dalla faccia della terra.» ridacchiò appena, scuotendo la testa ed avvicinandosi al tavolo, prendendo posto, mentre gli porsi la sua tazza.

«E come mai tu sei sveglio?» chiesi incuriosita, sedendomi di fronte a lui e prendendo un biscotto, inzuppandolo nella tazza.

«Tu dimmi dove sei stata, e ti rispondo» sollevai lo sguardo, mentre un sorrisetto si dipingeva sul suo volto.

Mi aveva messa all'angolo.

Ridacchiai, guardandolo negli occhi e scrutandolo attentamente.

«Sono tornata al vecchio parco, ed ho corso in giro per la città; dovevo "sistemare alcune cose"»gli spiegai, senza staccare gli occhi dai suoi.

Dovevo ammetterlo, adoravo quegli occhi.

«Che genere di cose?» chiese, facendomi inarcare un sopracciglio.

«Oggi non avevi candidate da portare a letto o cosa?» chiesi, mangiando il biscotto, guardandolo vittoriosa.

Non ero tipo con cui intraprendere una conversazione basata troppo sul personale.

Lo vidi sorridere malizioso, scuotendo la testa «Ne avevo, ma non sono così stronzo da farlo mentre la sorella minore di un mio amico è scomparsa.»

Mi sorprese la cosa, ma decisi di non indagare oltre.

«Devo ripetere la domanda o la ricordi?» chiese, mangiando un biscotto che aveva immerso nella tazza di cioccolata calda.

Sospirai, alzandomi per recuperare lo zaino, mentre mi seguiva con lo guardo; estrassi il Libro Nero, cercando l'ultima fotografia scattata, che non avevo ancora incollato, anche se avevo scritto le informazioni.

La presi tra le mani, porgendogliela.

La prese per il bordo, come per evitare di sporcarla, osservandola con attenzione.

«L'hai fatto tu?» chiese, senza staccare gli occhi dalla foto.

«Lo squalo si, la "A" è invece il simbolo dell'Anarchy.» dissi prendendo la foto che mi stava porgendo e la riposi nel libro, chiudendolo e rimettendolo nello zaino.

Rimanemmo alcuni minuti in silenzio, anche perchè non ero molto brava ad intrattenere conversazioni.

Sollevai lo sguardo dalla tazza, notando che mi stava osservando.

«Perchè continui a fissarmi?» chiesi, mangiando un altro biscotto.

Ridacchiò appena scuotendo la testa, osservando con attenzione il biscotto che aveva in mano, come se ci trovasse qualcosa di estremamente interessante.

Mi fece sorridere; bevvi dalla tazza la cioccolata rimasta sul fondo, sentendo la bocca invasa di quella dolce e calda pietanza.

Quando allontanai la tazza dal viso, mi accorsi che mi stava osservando con uno strano sorriso dipinto in viso.

Lo scrutai muovendo solo gli occhi, rimanendo immobile, come una statua.

«Hai della cioccolata sulla punta del naso» una secchiata gelida, che mi fece arrossire do botto ed alzare; presi un fazzoletto, pulendomi come meglio potevo.

«E c'era bisogno di fissarmi come un pazzo?» sbottai, cercando di cancellare il velo di imbarazzo che mi aveva causato.

Io? Imbarazzata?

Stavo cominciando ad avere problemi davvero seri, per provare una cosa che si avvicinasse anche minimamente all'imbarazzo.

Quella non ero io, o meglio, non ero più io.

Fu la sua risata divertita a riportarmi al presente, mentre si sporgeva sul tavolo, verso di me.

«In realtà avresti ancora della cioccolata sul viso» sorrise malizioso, mentre cercavo di allontanarmi il più possibile da lui, capendo dove voleva andare a papare.

«Spencer!» la voce ancora impastata di Carlos lo fece allontanare di colpo, e gli sorrisi divertita dalla situazione.

Ero baciata dalla fortuna, diciamocelo senza troppi giri di parole.

«Carlos!» urlai a mia volta, allargando le braccia, mentre mi si fiondò addosso come se non mi vedesse da chissà quanti anni.

Per poco non caddi dalla sedia, e la cosa mi fece ridacchiare, mentre ero intrappolata in un tenero abbraccio, di quelli che non ricevevo da davvero tanto.

Lo strinsi a me, come se potessi far si che l'abbraccio non finisse più.

Si scostò appena, guardandomi negli occhi «Ma si può sapere che fine avevi fatto?» mi chiese, senza troppi giri di parole.

«Ero in giro per Los Angeles, dopo ti mostro perchè» ridacchia, scompigliandogli ancor più di quanto non fossero, i suoi capelli «Cioccolata?» chiesi alludendo alla tazza a forma di pinguino, ancora sporca di cioccolato.

«Ne è rimasta?» chiese speranzoso, guardandomi con gli occhi di un cucciolo bisognoso di coccole.

«Vi prego, adesso non limonate davanti a me, non vorrei rimettere anche la cena dello scorso Natale, per quanto siete diabetici.» Logan e la sua delicatezza di elefante lo fece staccare di colpo da me, imbarazzato.

«Oh Logan, io che sto nella stanza accanto sento ogni notte il tuo letto che sbatte contro la parete e "la tua principessa della serata" urlare come una scimmia in calore, eppure non mi lamento» lo guardai vittoriosa, mentre rimase spiazzato dalle mie parole.

Ridacchiai, notando che scartò la testa lateralmente, come a voler nascondere che la situazione gli provocasse un lieve imbarazzo.

Sentii la risata del mio migliore amico riecheggiare, mentre gli sussurrava un "Ti ha spento con una sola frase", cercando di non farmela sentire, visto che mi ero allontanata per recuperare il pentolino e riempire la tazza di Carlos, riscandandone il contenuto.

Adoravo quel latino, non solo perchè è stato il primo dei Rush a legare con me, ma perchè era come qualcosa che mi spingesse verso di lui, manco fossimo due calamite opposte, che si attraggono.

Eppure mi trascinava ogni volta nel suo mondo fatto di risate e divertimento.

Ritornai al tavolo, mettendogli la tazza davanti, e sedendomi accanto a lui.

Ad un tratto mi ricordai di mio fratello, così mi allontanai dai due che parlavano animatamente, per farmi sentire dopo più di ventiquattro ore.

Presi il cellulare, guardando l'orario; l'una e mezza di notte.

Ebbi un piccolo cedimento; magari sta dormendo, pensai, nah, tanto si sveglierà e risponderà sicuramente.

Forse ero un pò cattiva, ma era nel mio carattere trattare almeno un pò male le persone.

Composi il suo numero, e dopo tre squilli sentii la sua voce impastucchiata dal sonno.

«Pronto?» si susseguì un sonoro sbadiglio, non aveva visto il mittente.

«Sono io, fratellone» risposi dolcemente, sedendomi sul terzo scalino della rampa che portava al piano superiore.

«Spencer!» il suo acuto mi stordì l'orecchio, costringendo ad allontanare il cellulare.

«Ho capito, ma non urlare o chiudo la chiamata!» risposi alzando lievemente la voce, accorgendomi di aver interrotto i due ragazzi, che avevano sicuramente puntato lo sguardo nella mia direzione.

«Non alzare la voce con me.» rispose duro, senza dar segno di cedimento «Dimmi dove diavolo sei stata da ieri sera ad ora. Ti sembra l'ora di tornare a casa?!» mi sbraitò contro, facendomi innervosire non poco.

«La smetti du urlarmi addosso?! Se non te ne fossi accorto ho superato la maggior età e credo di essere anche se in minima parte responsabile.» risposi con la stessa durezza nel tono di voce.

«Dove sei stata?» chiese, senza addolcire la voce.

«Ho sbagliato a chiamarti. Ciao e Buonanotte.» dissi acida, scostando il cellulare dall'orecchio.

«Non azzardarti ad attaccare oppure-» non gli diedi il tempo di finire la frase, che chiusi la chiamata, sospirando nervosa.

Sicuramente avrei passato la nottata sveglia, dopo un litigio del genere, anche se questo era niente.

Eravamo così noi.

Litigavamo, vero, ma la maggior parte delle volte perchè lui si ostinava a trattarmi come una bambina, ripetendo che voleva solo proteggermi.

Vero questo, ma io volevo anche vivere la mia vita, ed odiavo le persone che cercassero di tagliarmi le ali prima che potessi spiccare il volo.

Sentii bisbigliare dalla cucina, riuscendo ad afferrare la frase "pensi sia il caso di andare a controllare?"

Non ci feci molto caso, alzandomi per recuperare lo zaino e correre silenziosamente per le scale, raggiungendo la mia camera.

Richiusi la porta, facendo meno rumore possibile e lanciando lo zainetto sul letto.

Poggiai la schiena contro la porta, tenendomi la testa fra le mani e scuotendola appena.

«Cosa sono diventata...» sussurrai, afferrando lo specchio sul comodino ed osservandomi con attenzione.

Profonde occhiaie mi contornavano gli occhi; se fossi andata in cina i panda mi avrebbero sicuramente scambiata per un loro simile, invitandomi a mangiare bambù e bere deliziosa acqua di fiume.

Non che l'idea mi dispiacesse, ma se si dovesse vivere allo stato brado, ci sarebbero sicuramente meno problemi da affrontare.

I capelli spettinati come al solito, ma che mantenevano la loro fantastica forma ed il loro volume, su questo lato somigliavo ad un'attrice di film horror che, ovviamente, viene uccisa.

Sospirai, alzandomi e posando lo specchio, prendendo dall'armadio il mio morbido pigiama a peluche, con fantasia a gattini.

Uscii dalla stanza, controllandomi intorno e zampettando velocemente verso il bagno, richiudendo la porta silenziosamente, intenzionata a fare una doccia veloce.

Presi l'accappatoio dal mobiletto apposito, appendendolo all'attaccapanni accanto al box doccia.

Tolsi velocemente tutti i vestiti, lanciandoli alla rinfusa a terra, aprendo l'acqua calda, cominciando a mettere il bagnoschiuma sulla spugna, insaponandomi e schiacquandomi poco dopo.

Uscii dopo quella che doveva essere minimo una mezz'oretta, a giudicare dalle nuvole di vapore che rendevano la visuale della stanza decisamente scarsa.

Sospirai, cercando a tentoni, l'accappatoio che mi strinsi addosso, come fossi in un caldo abbraccio.

Aprii piano la porta, sorridendo nel vedere il corridoio buio e deserto, illuminato dalla fioca luce che entrava da alcune finestre messe seguendo un ordine casuale.

Uscii lentamente, spegnendo la luce e richiudendo la porta, correndo velocemente verso la mia stanza, come per paura di incontrare qualcuno. Sentii alcune voci provenire dalle scale; dovevano essere Logan e Carlos.

Li intravidi con la coda dell'occhio, mentre aprivo la porta, così mi fiondai all'interno della stanza, chiudendo a chiave la porta, prima che potessero aprirla.

Non avevo voglia di parlare con nessuno, compreso Los.

Mi vestii velocemente, non vedendo l'ora di buttarmi sul letto.

Tolsi la chiave, poggiandola sul comodino, accanto alla lampada, buttandomi a peso morto sul letto e guardando il mio zaino logoro.

Era vecchiotto, ma non l'avrei sostituito per nulla al mondo.

Lo poggiai sulla scrivania, sedendomi sul davanzale della finestra, su cui avevo sistemato dei cuscini, come secondo letto o divanetto quasi.

Puntai lo sguardo oltre la vetrata, lasciandolo scorrere su ciò che circondava quel lato della casa, sorridendo e pensando alla grandezza di quella città.

Sospirai, cominciando a prendere stranamente sonno, dopo una buona mezz'ora passata a fissare il nulla.

Rimasi sul davanzale, ormai nel dormiveglia; sentii il rumore della chiave nella toppa, ma ero decisamente troppo stanca per aprire gli occhi.

«Spencer?» era un sussurro, e non riuscivo bene ad identificare chi fosse il proprietario di quella voce, ma non ci feci molto caso.

Sentii uno strano calore, mentre venivo sollevata e messa su una superficie sicuramente più morbida del davanzale, ipotizzai il letto.

Mi lasciai cullare dolcemente, da quella morbidezza, sentendo un calore sulla fronte, ed un sussurro che mi augurava "buonanotte".

Caddi tra le braccia di Morfeo, lasciando che tutti i pensieri ed i problemi mi scorressero addosso come la doccia che avevo fatto precedentemente.




Angolo Demon

E rieccomi~

comincio col dirvi che "Compagnia" nel capitolo, non ho sbagliato a scrivere compagna, ma intendevo proprio "compagnia".

Spero di essermi fatta capire, anche se non mi sono espressa come dovuto.

Per quanto riguarda Maps, non è ovviamente il vero nome ma un soprannome, questo perchè i Writers sono considerati dei vandali e graffitare è appunto un atto vandalico che dovrebbe essere punito dalla legge.

Eppure la nostra Spencer lo ha detto ad un poliziotto, se non erro e quindi qualquadra non cosa.

Detto questo ringrazio infinitamente le persone che recensiscono e seguono la storia (sinceramente non avrei nemmeno lontanamente immaginato suscitasse tutto questo interesse, quindi vi ringrazio)

Detto questo, ricordate che amo giocare con la vostra curiosità, quindi:

Chi sarà quella ragazza? Che legame ha con Spencer?

Siamo davvero sicuri che l'Anarchy sia stata sradicata bene?

Io non credo, anzi. Ho parecchie cose in programma (e premetto col dire che qualcuno soffrirà ed alla fine)

Un grande grazie a tutti i lettori, a coloro che seguono e recensiscono la storia! <3

Penso possa concludere qui, quindi vi saluto ed al prossimo capitolo!


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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Ripensando al passato, mi rendevo conto sempre più che non ero più come una volta, ma ero cambiata radicalmente.

All'età di 17 anni abbandonai casa mia, allontanandomi anche da mio fratello per poter inseguire la libertà.

Ero insicura come pochi, lasciavo che gli altri più forti avessero la meglio su di me, e se lanciavano frecciatine che mi riguardavano, me le lasciavo scivolare addosso, dando loro poco conto.

Il mio sogno nel cassetto era quello di intraprendere la carriera di scrittore, cosa non del tutto facile, visto che Los Angeles era la città dei sogni, ma come li creava, li distruggeva anche.

Spesso e volentieri mi lasciavo andare ai sentimenti, prendendo le solite cottarelle da ragazzina, coltivando la passione per gli idoli del momento e cercando di allungare la mia lista di amici.

Eppure ero una di quelle poche persone a prendere l'amicizia seriamente, mettendoci anche l'anima, nonostante quasi nessuno meritasse un trattamento del genere.

Anche se mi ferivano, volevo credere fosse solo un passo che aveva sbagliato, eppure mi lasciavo ferire di continuo, spesso anche dalle stesse persone, ma non mi arrendevo.

Non abbandonavo la mia idea, continuando a sperare che le persone potessero cambiare.

Intrapresi la mia vita per strada, incerta sul da farsi, insicura e fragile.

Spike mi prese sotto la sua ala protettiva, accogliendomi come fossi sua sorella, e trattandomi come fossi qualcosa a cui teneva più della sua stessa vita.

Mi aiutava a crescere caratterialmente, cambiandomi anche.

Non voglio che gli altri continuino a ferirti, non meriti un trattamento del genere, mi ripeteva.

Voleva proteggermi, e su questo non c'erano dubbi.

Rafforzai il mio carattere, cominciando a coltivare una lingua biforcuta a cui, la lingua delle vipere, facevano un baffo.

La mia difesa divennero le parole, mentre creavo una corazza indistruttibile attorno a me, per impedire che qualcuno potesse anche solo scalfirmi.

Il sorriso divenne parte di me, come anche la sicurezza, l'arroganza, la presunzione, l'irresponsabilità, la sadicità e la malizia.

Eppure rimanevo la ragazza fragile ed affettuosa, ovviamente che si nascondeva dietro un potente ed indistruttibile guscio.

Il legame che avevo con quel fantastico castano dagli occhi petrolio si rafforzava, mentre affinavo la mia tecnica di Writer e quella nel Parcour.

Eravamo una coppia inseparabile, non era necessario scambiarci effusioni romantiche o ripetere che stavamo insieme per farlo capire.

Ci chiamavano la coppia dello Squalo Jolly e del Drago Spike.

Una strana accoppiata, vero, ma eravamo entrambi forti e diversi dalla massa.

Seguivamo una strada tutta nostra, per nulla asfaltata, fieri di essere quello che eravamo e con l'idea di poter abbattere l'unica cosa che impediva a noi e le altre bande di girare senza preoccupazioni.

L'Anarchy.

Era un gruppo di delinquenti che si divertiva a comandare e rendere la vita impossibile a chiunque, distruggendo sogni, speranze e vite.

Non si facevano scrupoli ad eliminare chi fosse un pericolo per loro, per questo cancellarono Spike dalle nostre vite.

Avevano paura di lui.

Paura che potesse spodestare il re ed eliminare il gruppo.

Paura che portasse alla luce tutte le malefatte che avevano combinato, e tutte le morti che avevano causato.

Paura che il loro regno del terrore potesse finire.

Picchiato senza pietà e lasciato a morire lontano da chiunque, lontano dalla sua casa, con solo me al suo fianco; eppure diceva che io ero il suo tutto.

Ero contenta che sia morto con un sorriso dipinto sulle labbra e con me al suo fianco, contenta di averlo visto un'ultima volta.

Contenta di aver visto la sua uscita di scena degna del suo nome.

Quella fu la fine della rivoluzione del Drago Spike, ma l'inizio della furia inconstatata dello Squalo Jolly.

Allora non dissi nulla alla polizia di ciò che vidi, perchè dovevo rafforzarmi.

Dalla sua morte, mi allontanai dai murales, allenandomi nel Parcour fino allo stremo e fino all'avere le ossa rotte.

Cambiai il mio nome, cominciando a farmi chiamare con l'appellativo di Dragone Rosso, senza graffitare sui muri però; correvo solamente, aiutando coloro che venivano puntati dall'Anarchy o dalla 66Route, attirando l'attenzione su di me e distogliendola da loro.

Mentre correvo lungo la mia strada, come un Dragone Solitario, attorno a me si raggruppavano varie persone, dando così vita all'esercito che un giorno avrebbe fatto trionfare i propri sogni e le proprie speranze, distruggendo i segni del passaggio di persone che non meritavano di passeggiare per le nostre stesse strade.

Rafforzavo i miei muscoli compiendo movimenti decisamente pericolosi, dedicandomi anche alla lotta ed alla palestra.

Creai il gruppo degli Shark73.

All'inizio eravamo solo io ed un ragazzo di dimensioni e forza per nulla modeste.

Cominciammo a seminare il panico per Los Angeles, scacciando i componenti dell'Anarchy.

In successione si aggiunsero anche altri, formando l'unica banda che riusciva a tener testa ai palloni gonfiati che si attorniavano a The King.

Ignorai ogni genere di avvertimento sul quanto fosse pericoloso, decisa come non mai ad infrangere il regno del terrore che avevano creato.

Era in ballo la mia vita, ma poco mi importava.

Il mio scopo, era finire quello che Spike aveva iniziato, e sarei andata fin in fondo.

Prima di tutto questo ero perennemente alla ricerca di qualcosa che potesse cambiarmi, dandomi anche una spinta in più.

L'avevo trovata.

Potevano nascondersi, ma io li avrei trovati comunque; potevano provare a passare sulla mia testa, ma sarebbe stata l'ultima cosa che avrebbero fatto.

Potevano circondarsi d'ombra attendendo il momento di colpire, ma tremavano.

Avvertivo la loro paura, come uno squalo con la sua preda.

Il piccolo ed indifeso "Squaletto Jolly", come osavano chiamarmi all'inizio, era diventato il temuto Squalo Jolly, che non si sarebbe fermato nemmeno davanti alla morte.


Il flusso continuo dei miei pensieri venne bruscamente interrotto da un lampo che squarciò il cielo, preparandomi all'arrivo del suono che segue il veloce fascio di luce.

Sentii bussare alla porta, mentre il fragore del tuono fece la sua comparsa.

Sospirai, rimanendo in silenzio, per nulla intenzionata ad aprire la porta.

Riportai la mia attenzione alla finestra, sistemandomi meglio sul davanzale, abbracciandomi le gambe e poggiando la testa alla parete.

Osservavo le gocce di pioggia abbattersi violentemente contro la lastra di vetro, poco dopo intravidi l'ennesimo lampo susseguito, dopo alcuni attimi di silenzio, dal boato comunemente chiamato tuono.

«Spencer?» l'ennessimo richiamo mi fece sbuffare stufata, mentre sentii il sumore della chiave che girava nella toppa.

La porta si spalancò di colpo, rivelando James con una chiave fra le mani.

«Hai una copia delle chiavi della mia camera?» chiesi, marcando la parola "mia" ed inarcando un sopracciglio.

Si grattò nervosamente la nuca prima di rispondermi «Kendall ha una copia delle chiavi di tutte le camere»

«E come mai?» non staccai gli occhi da lui nemmeno per un secondo, scrutandolo attentamente, come se volessi leggergli nell'anima.

«Una volta Carlos ha perso la chiave ed è rimasto chiuso in camera tutto il fine settimana, fino a quando non è venuto il fabbro» ridacchiò divertito, cercando di smorzare, anche se senza successo, l'atmosfera tesa.

Dal litigio avuto la sera precedente con mio fratello, ero rimasta segregata in camera mia e non esageravo a pensare il mio umore è come questo tempo...

«Come ti senti?» mi voltai verso la finestra, mormorandogli un "bene" in risposta.

Se mi avesse guardata negli occhi, sicuramente non mi avrebbe creduta.

In lontananza, la voce di Kendall richiamò il moro, che lo raggiunse subito, lasciandomi in solitudine e con la porta semi-aperta.

Brontolai parole decisamente poco gentili, avvicinandomi e cercando di chiudere la porta.

"Cercando", visto che era stata bloccata da un piede.

«Ehy» la voce della penultima persona che avrei voluto vedere in quel momento; l'ultima era decisamente David.

«Che vuoi?» la mia risposta fu secca, come uno spiedo che infilza un Corn Dog.

«Come stai?» chiese spingendo la porta, fino a farmi allontanare ed aprirla del tutto.

«Come dovrei stare, scusa?» chiesi guardandolo beffarda e con un sopracciglio inarcato.

Quel ragazzo era uno dei pochi che riusciva facilmente a far riemergere la parte peggiore di me.

Mi osservò divertito, squadrandomi da capo a piedi, soffermandosi poi sul petto.

«Mi fai uno squillo quando hai finito la radiografia?» lo incenerii con lo sguardo, incrociando le braccia al petto.

«Non è di certo colpa mia se vesti attillato» scese con gli occhi, cercando di migliorare la visuale del mio sedere.

«Cos'è? Fai l'ironia?» risposi piccata «vesto così perchè sto comoda, non come le tue amate sgualdrinelle che vogliono solo farsi "notare"»

Un sorriso malizioso si allargò sul suo viso, mentre due adorabili fossette comparivano ai lati della bocca.

«Gelosa?»

Quella piccola parolina di sei lettere, fece crollare tutto l'autocontrollo che mi impediva dal tirare un pugno al moretto e sbattergli la porta in faccia.

«Gelosa? Io? Di te?» non mi trattenni dal ridere, scuotendo la testa; in quel momento mi fregava poco o niente di quello che potessero provocare le mie parole «Io non sono e mai sarò gelosa di uno come te. Mai.» evidenziai l'ultima parola con un gesto delle dita, spintonandolo poi fuori dalla camera e sbattendogli la porta in faccia.

Gli era andata meglio del previsto almeno... mi ero risparmiata il pugno, e non era cosa da poco.

«Spencer!» la sua voce tuonò furiosa.

Il moretto non è abituato ad esser trattato così, ridacchiai tra me e me, mordicchiandomi il labbro inferiore.

Lui poteva essere stronzo, ma io ero la personificazione della stronzaggine, poco ma sicuro.

Presi le chiavi di casa e della mia camera, buttandole nello zainetto.

Il tempo non era dei migliori, vero, ma non avevo voglia di vedere nè sentire nessuno.

Indossai velocemente una felpa pesante, aprendo la finestra e lasciando che il vento e le goccioline d'acqua mi sferzassero il viso.

Presi una grande boccata d'aria, mettendo il mio amato zainetto sulle spalle e lanciandomi dalla finestra ed aggrappandomi al ramo di un albero vicino.

Pochi altri salti e finalmente arrivai coi piedi a terra, mentre sollevavo lo sguardo verso la finestra.

«Spencer fermati!» notai Logan sbraitarmi contro per farmi tornare indietro, ma non lo ascoltai.

Cominciai a correre, senza una meta precisa, col solo scopo di allontanarmi da quella casa.

Dopo una buona mezz'ora mi intrufolai in un bar appartato, fradicia fino al midollo e coi capelli intrisi di pioggia.

Sospirai, sentendo un brivido scorrermi lungo la schiena, mentre mi affrettavo a prender posto ad un tavolo più appartato.

«Cosa posso portarti?» una giovane cameriera dagli occhi azzurri e dalle lunghe trecce blu scuro, sicuramente tinti, attirò la mia attenzione.

«Una cioccolata calda, grazie» le sorrisi, sfregandomi le mani.

Scribacchiò qualcosa sul suo blocco, sorridendomi a sua volta «Colta alla sprovvista?»

Ridacchiai, scuotendo la testa «In questo periodo nessuno si aspetterebbe un'acquazzone del genere» confermai, cercando di frizionare i capelli con le mani.

«Ti porto un asciugamano?» chiese gentilmente, ed io annuii in risposta.

Dieci minuti dopo avevo una calda e fumante cioccolata calda sotto il naso, ed un'asciugamano sulla testa.

Sospirai, cominciando a bere lentamente la mia bevanda, osservando le goccioline infrangersi contro il vetro.

Stranamente, mi ritrovai a riflettere sugli strani comportamenti di James e Logan, senza contare che addirittura Carlos non sembrava in se.

Come si dice sempre, parli del diavolo e spuntano le corna.

In quel preciso momento, entrò un ragazzo nel locale, fradicio quanto me, e notando la somiglianza con ìl latino, sistemai in testa l'asciugamano, cercando di coprirmi il volto.

Sorrisi appena, notando che si era seduto ad un tavolo parecchio lontano dal mio, così potevo stare più tranquilla.

Cercò di passarsi le mani lungo le braccia, come per riscaldarsi.

Una strana sensazione mi pervase, facendomi scuotere la testa; in fondo, io volevo stare lontana da lui, perchè dovrebbe passarmi per la testa l'idea di avvicinarmi?!

Fatto sta, che mi alzai, avvicinandomi a lui con l'asciugamano tra i capelli, la tazza calda fra le mani e lo zainetto in spalla.

Io darmi ai sentimentalismi? Direi che semplicemente non mi pareva giusto nei suoi confronti, ma nemmeno io sapevo bene perchè.

Forse perchè era il mio migliore amico...

«Siamo nella stessa situazione» ridacchiai, storcendo il naso nel vedere che aveva una semplice maglietta a maniche corte ed un pantalone che arrivava al ginocchio.

Sollevò il viso infreddolito, guardandomi e cercando di accennare un sorriso, ma sembrava aver i muscoli congelati.

«Ehy Penny» un lieve sussurro, poco prima di starnutire.

Scossi la testa, mettendogli l'asciugamano in testa ed intimandolo ad asciugarsi.

Si sfregò energicamente i capelli, cercando di asciugarli il più possibile; sospirò, scostandosela dal volto e lasciandosela in testa, come avevo fatto io poco prima.

«Ti sembra il caso di uscire con questo tempo?» mi guardò con un'espressione imbronciata, arricciando il naso.

«A quanto posso vedere, nemmeno tu sei a casa» ridacchiai, allungandomi per tirargli un lieve pugnetto.

«Ti siedi o aspetti l'invito?» cercò di stuzzicarmi, facendomi scappare una risatina divertita.

«Mi siedo, tranquillo» scossi la testa, sedendomi sul divanetto accanto a lui, e porgendogli la tazza di cioccolata calda ancora fumante.

«Cioccolata?» chiese, squadrandomi attentamente.

«Ovviamente! Su, bevi, sei parecchio più infreddolito di me» sorrisi dolcemente, continuando a tenere la tazza vicino al suo viso.

«Beh, visto che insisti tanto, accetto» ridacchiò, prendendo la tazza e scoccandomi un bacio sulla guancia.

Passammo molto tempo a chiacchierare del più e del meno, senza far mancare battute squallide e divertenti.

«Spencer, dobbiamo parlare» ad un tratto si fece serio, puntando i suoi profondi occhi scuri nei miei, che apparivano stranamente più chiari del solito.

Non riuscii a fare a meno di deglutire; avevo sempre pensato che nelle parole "Dobbiamo Parlare" ci fosse qualcosa di oscuro e maligno e spesso, quella supposizione, si era rivelata esatta.

«Dimmi tutto» affermai cercando di mantenere la calma e non farmi sopraffare dall'agitazione.

«Riguarda noi due, Logan e James» continuò, senza staccare gli occhi dai miei.

Annuii come a dargli consenso per continuare il discorso che aveva ed allo stesso tempo non aveva cominciato.

«Penso tu abbia notato strani comportamenti in tutti e tre» sembrava più un'affermazione che una domanda «Il punto è che c'è di mezzo una scommessa» si scostò appena da me, come per paura che potessi saltargli addosso e sbranarlo, manco fossi una tigre del Bengala.

«Uhm... che scommessa?» chiesi titubanta, voltandomi per osservarlo meglio.

«Logan e James hanno fatto una scommessa su chi dei due ti avrebbe conquistata per primo ed il perdente avrebbe dovuto lavare tutti i panni sporchi dell'altro, riordinargli la camera e preparare i pasti per un mese.» si morse il labbro inferiore, osservandomi come un bambino che aveva appena confessato di aver combinato un qualche guaio.

Non mi trattenni dal ridere, scuotendo violentemente la testa e cercando di tenere gli occhi aperti per guardarlo.

«Non sei arrabbiata?» chiese, osservandomi circospetto.

«Oh, si. Sono arrabbiata, ma non con te» ridacchiai, pizzicandogli la guancia «Anzi, ti ringrazio per avermi parlato di questa scommessa» lo guardai riconoscente, continuando a sorridere.

«Davvero?» prima di riaccostarsi a me si accertò della cosa, per poi mettermi un braccio sulle spalle e scompigliarmi i capelli «Questo ed altro per te, piccoletta»

«Però, devi aiutarmi» gli dissi, cercando di ritornare seria.

«A fare?» mi osservò curioso, sollevando un angolo della bocca.

«Voglio vendetta» sussurrai, mentre un sorriso sadico si faceva largo sulle labbra di entrambi.

Se ci chiamavano gnomi malefici, c'era un motivo, oltre ad essere bassi.

Parlammo per un tempo indeterminato, prima di uscire dal locale, rimanendo sotto il portico all'esterno.

«Ora come faccio...» aveva sussurrato fra se e se Carlos.

Ci pensai qualche minuto, mentre un lampo di genio mi folgorò quando il mio sguardo si posò sul negozio di abbigliamento di fronte al bar.

«Possiamo comprare qualcosa li» diedi voce ai miei pensieri, osservando il moretto.

«Ma ci bagneremo di nuovo» brontolò, guardandomi imbronciato.

Scossi la testa, facendogli reggere il mio zaino, mentre sfilavo la felpa, restando con un semplice top da corsa.

Arrossì appena, voltando subito lo sguardo e facendomi ridere.

Corremmo velocemente, io con lo zaino sulla testa e lui con la mia felpa.

Entammo nel negozio ridendo come due bambini al Lunapark, mentre in commesso alla cassa ci guardava sconcertato.

«Io prendo una felpa, che sto morendo di freddo» ridacchiò, dirigendosi verso il settore maschile.

Lo seguii a ruota, passando lo sguardo sui vari indumenti.

Si accorse solo dopo qualche minuto della mia presenza «Ma non vai nel settore delle ragazze?» mi osservò confuso, passando lo sguardo sul mio corpo.

«Secondo te come mai le mie felpe sono così larghe?» chiesi ridacchiando ed allungandomi verso una felpa nera con la scritta "Shut up Bitch, I'm a Fabulous Unicorn".

Sorrisi, cercandone una misura non troppo grande nè troppo piccola.

«Ma quindi» non gli lasciai continuare la frase, interrompendo il suo pensiero sul nascere.

«No, solo alcune felpe prendo dal settore maschile, altre ed il resto dei vestiti al femminile.» chiarii, cercando di provare la felpa, che però ero riuscita non so come ad arrotolare su se stessa nel tentativo di metterla.

Mi aiutò Carlos, ridendo divertito e facendomi imbronciare come una bambina stizzita.

«Prendo questa» affermai, cominciando a dirigermi alla cassa per pagare l'acquisto ed "usarlo".

Fatto lo scontrino, staccai il cartellino prezzo/marca, indossando la mia nuova felpa ed abbandonandomi al suo confortevole calore.

Misi la felpa bagnata in una busta, cercando di infilarla nello zainetto; prima o poi l'avrei rotto, tanto dalle cose che ci mettevo dentro.

Notai degli ombrelli, vicino alla cassa, decidendo di prenderne uno grande da usare, visto che il cielo non accennava a placarsi.

Mentre effettuavo il pagamento, intravidi il mio amico venire verso la cassa, con due felpe tra le mani, una nera ed una rossa.

«Ho preso anche un ombrello» pigolai allegramente, contenta del non dovermi inzuppare nuovamente, anche se non mi dispiaceva l'idea di correre sotto la pioggia.

Ma allo stesso tempo, avrei voluto evitare una broncopolmonite fulminante.

«Ottimo» sorrise allegro a sua volta, passando gli abiti al cassiere, che cominciò a calcolare il prezzo.

«Non prendi un paio di pantaloni?» chiesi, squadrandolo attentamente «Mi sa che ti conviene»

Lo vidi pensarci su ed annuire, scattando nuovamente tra i vestiti.

Sorrisi, scuotendo la testa e passando la carta di credito al cassiere, dicendo di effettuare il pagamento con quella.

Ridacchiò appena, sorridendomi e cominciando a digitare alcune cose.

Pochi istanti dopo, Carlos aveva aggiunto alle felpe un pantalone sportivo nero, frugando nelle tasche del proprio alla ricerca di qualcosa.

Il ragazzo dietro al bancone digitò altre cifre, comunicando il prezzo e passandomi la macchinetta per inserire il mio codice Pin.

Notai il moretto stralutano, mentre balbettava frasi sconnesse prima di riprendersi.

«Ma che stai facendo?!» mi parve di riconoscere la nota nervosa che spesso caratterizzava la voce di mio fratello.

«Ma nulla» sorrisi angelica, riprendendo la carta e passando al ragazzo sia il pantalone che la felpa nera «Fila a cambiarti, che si torna a casa»

Brontolò qualcosa prima di sparire, mentre mi affrettavo a rinchiudere anche la felpa rossa nel mio zainetto.

Per mia fortuna non avevo portato le bombolette, altrimenti sarebbe stato molto complicato.

Ritornò poco dopo, afferrandomi per un braccio, recuperando l'ombrello che avevo comprato e cominciando a trascinarmi.

«Ma si può sapere che combini?» chiese, squadrandomi attentamente, incrociando le braccia al petto, una volta fuori dal negozio.

«Semplicemente ho pagato il conto. Consideralo un regalo» lo guardai con una facciotta da cucciolo ferito, a cui nessuno era mai riuscito a resistere «Non vorrai mica rifiutare e ferire i miei sentimenti?»

Lo vidi addolcirsi appena, scuotendo la testa ed attirandomi a lui in un caldo abbraccio «Ma la prossima volta pago io»

Ogni volta che facevamo qualcosa insieme, pretendeva di pagare lui, ma di certo non ero intenzionata a fare da mantenuta.

Ridacchiai, aprendo l'ombrello ed invitandolo a seguirmi sotto di esso.

Percorremmo la strada per tornare a casa appiccicati sotto quell'ombrello, chiacchierando animatamente e perfezionando i dettagli sul piano di vendetta che avevamo organizzato.

Si prospettava una serata piuttosto movimentata.

«Ma chi ha messo in mezzo questa scommessa?» mi voltai, osservando il castano rifletterci qualche secondo.

«Se non sbaglio James, visto che voleva confrontare i suoi metodi di conquista con quelli di Logan, e l'altro ha accettato» spiegò, ridacchiando divertito «Ti prego, non dire che sono stato io a parlartene o mi spellano»

«Non permetterò che ti facciano una cosa del genere» ridacchiai a mia volta, mentre la nostra casa faceva la sua comparsa nella nostra visuale, avvolta da un velo di nebbia.

Arrivati davanti alla porta di casa, mentre Carlos si affrettava ad aprire la porta, io chiudevo l'ombrello, per poi abbandonarlo nel portaombrelli all'ingresso.

«Spencer!» una voce sgraziata mi arrivò alle orecchie come il brontolio dello stomaco di un elefante, facendomi sbuffare.

«Che diamine vuoi?» sbottai, stringendomi nella felpa, senza degnarlo di uno sguardo.

«Ma si può sapere che ti prende?» sembrava parecchio arrabbiato, e non riuscii a fare a meno di sorridere, voltandomi verso di lui.

«Non sei abituato ad essere preso a porte in faccia?» gli chiesi, dando alla mia voce un tono da bambina tenera ed innocente.

«Non è questo» assottigliò gli occhi neri, senza staccarli dai miei.

«Mi dispiace per te, ma la cosa non mi interessa» gli dissi sorridendo, voltandomi verso il ragazzo che mi aveva tenuto compagnia sotto la pioggia «Cioccolata calda o latte?»

«Cioccolata calda!» urlò, per poi correre in cucina.

«No Carlos! Non ci provare!» urlai a mia volta, raggiungerlo e saltargli addosso «Non avvicinarti ai fornelli!»

«Ma solo questa volta» mi fece scendere, guardandomi con un facciotto da cucciolo a cui non sarei mai riuscita a resistere.

Sbuffai, scuotendo la testa «Va bene Los» ridacchiai, scompigliandogli i capelli e sedendomi sul tavolo della cucina, osservandolo all'opera.

«Noi non abbiamo ancora finito di parlare» disse Logan, entrando in stanza e posizionandosi di fronte a me.

«Vogliamo parlare davvero di cose parecchio interessanti che scopro grazie ad "anche i muri hanno le orecchie?"» chiesi, inarcando un sopracciglio ed osservandolo divertita.

Sbiancò appena, senza distogliere lo sguardo; chissà come sarebbe andata a finire.




☸☬Angolo Oscuro☬☸

Salve a tutti!! Qui Demon!

Sono in ritardo, lo so D:

ma ho avuto già dall'inizio molti impegni, senza poi contare i compiti a scuola

In ogni caso ecco il capitolo sei*^*

Una breve descrizione per chiarire alcune cose su Spencer e sul

"mondo esterno" diciamo.

Che ne dite?

Detto questo non vi trattengo oltre e chiudo!

Alla prossima *^*

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